I Feel You

di FraRose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Viaggio ***
Capitolo 3: *** Nuvole ***
Capitolo 4: *** Airplane ***
Capitolo 5: *** L'isola ***
Capitolo 6: *** Insieme ***
Capitolo 7: *** Promessa ***
Capitolo 8: *** Cambiamento ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


•○ I Feel You ○•

                

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                               1. Prologo

 

 

When you’re fifteen and somebody tells you that they love you
you’re gonna believe them
and when you’re fifteen, feeling like there’s nothing to figure out
well count to ten, take it in this is life before you know who you’re gonna be.

 Fifteen, Taylor Swift

 

 
Tutti abbiamo un sogno.

Ne sono sempre stata fermamente convinta. Non mi sento l’eccezione, l’unica che desidera ardentemente qualcosa. Sono certa che su sette miliardi di persone che popolano la Terra, almeno più della metà hanno un desiderio.
Sono assolutamente certa che non esiste una persona al mondo che non abbia un sogno così intenso da far perdere la ragione.
C’è chi vorrebbe essere disgustosamente ricco per pensare solo e solamente a se stesso. Mentre c’è chi vorrebbe avere la possibilità di poter aiutare chi è meno fortunato.

C’è chi vorrebbe prendere un nove di latino per dimostrare a mamma e papà le proprie capacità e, come secondo fine, per farsi regalare una bella e costosa collana di bigiotteria. O, nel caso maschile, una Play Station ultimo modello.

C’è chi anche vorrebbe tornare indietro nel tempo e cambiare le proprie scelte. A volte pure io vorrei avere questo potere: poter tornare indietro e dire alla me di un tempo: “No questo non lo devi fare”. Tutto quello che ho scoperto dopo aver fatto i miei errori vorrei poterlo usare per ritornare indietro e rimediare. Cancellare e ricominciare tutto daccapo. Vorrei non aver sbagliato con tutte le persone che io ho fatto soffrire e vorrei aver ignorato dal primo momento tutte le persone che mi hanno fatto soffrire. Perché quando si ha quindici anni tutto appare perfetto e solo alla fine, quando ormai è troppo tardi, ti rendi conto che era tutta una favola.

Una volta la mia unica preoccupazione era essere desiderata e acclamata dagli altri; ora non sono più così superficiale e desidero altro. Desidero di più. Non mi accontento di una vita comune e monotona.

Poi c’è invece chi pensa solamente a far carriera e magari sogna di andare a Hollywood per diventare una stella del cinema internazionale.

C’è chi sogna un futuro luminoso e felice con il principe azzurro delle fiabe, vedendosi in primo piano davanti al logo della Disney, quel castello con mille torrette scintillanti. Come idea ha un certo fascino persino per me; dopotutto chi non sogna l’amore? Chi non pensa al futuro più scintillante assieme alla persona a cui si ha dato il primo bacio?

Ma il mio sogno, quello più struggente e intenso, è un altro. Non credo che nessuna persona sana di mente abbia questo mio stesso desiderio, per questo lo considero così unico e speciale.

Tutti vorrebbero realizzare un sogno impossibile. Perché volare è impossibile. Scientificamente impossibile. Ma io non riesco ad arrendermi; non ho la forza di lasciare perdere tutto. Sento che se lo facessi, il mondo mi crollerebbe addosso.

E Elena Gilbert non si arrende mai, non sono una fifona. Sono decisa, coraggiosa ma anche tremendamente timida. Raggiungo sempre i miei obiettivi.

Voglio riuscire a librarmi nel cielo senza usare aerei o cose simili. È il mio obiettivo da quando avevo quattro anni. Non voglio arrendermi, per quanto io già sappia che è impossibile. Ma mamma me lo aveva promesso: un giorno ci sarei riuscita.

 

 

Angolino della Matta Fra o.O

Ciao!

Sì lo so. Probabilmente qualcuna di voi mi avrà data per morta decrepita nella tomba. Mi sono impegnata su questa storia e presto arriveranno i nuovi capitoli di Please Come Back, il mio pazzo crossover tra Twilight e The Vampire Diaries (qui) e anche di ♥Damon&Elena♥, una raccolta di OneShot che vi segnalo per chi avesse voglia di farsi due risate.

Comunque voi penserete che sono matta a pubblicare una nuova storia. Infatti un po’ lo sono, ma è tutta pronta. Devo solamente rileggere i capitoli, il materiale c’è tutto. L’idea mi è venuta molto tempo fa e spero sia di vostro gradimento. Sarà lunga circa 6 o 7 capitoli, niente di che. Spero che vi piaccia perché ci ho messo molto impegno. Oltre alla speranza che sia una buona lettura per voi, questa fan fiction ha un po’ lo scopo di avvisarvi che non sono morta (eheh) quando avrò difficoltà particolari a postare le altre mie storie.

Posterò una volta alla settimana! Questa fic palerà di un rapporto fra Damon e Elena. Non sarà troppo pazzoide per chi mi conosce. E credo che un’altra cosa speciale di questa breve fic sia l’attenzione che dedicherò al rapporto fra mamma e figlia (s’intende Elena).

Il sogno di Elena è bizzarro, ma presto arriverà la motivazione di tutto.

Sono orgogliosa di questa breve fic per tutto il tempo che ho impiegato a scriverla, e anche se non otterrà molto successo sarò davvero contenta di averla scritta.

Grazie se siete arrivati fin qui,

recensite in tanti. Vi voglio bene

Fra 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Viaggio ***


•○ I Feel You ○•



2. Viaggio

 

 

You made a rebel of a careless man’s careful daughter
You are the best thing that’s ever been mine

Mine, Taylor Swift

 

 

 

Damon era un matto, e ne avevo avuto la conferma qualche ora fa.
Mi stavo chiedendo da tutto il viaggio come può il cervello di una persona essere così malato. Ok, Damon non è una persona qualsiasi: è un vampiro.
Uh, che paura! No, non c’è niente di strano, almeno secondo me. Lo trovo affascinante. Ogni volta che mi sfiora, che mi bacia, sapere che in ogni momento potrebbe uccidermi senza troppo sforzo rende il tutto così paurosamente eccitante.
Il pericolo è incantevole, a volte. Irresistibile. A volte, sei tu che vai a cercare il pericolo. E se lo incontri, non fai nulla per sfuggirgli. Ecco, questa ero io. Elena Gilbert. Innamorata pazza di un vampiro centenario, che aveva conservato la sua eterna, surreale e dannata bellezza attraverso gli anni. Io, che ero sempre piaciuta ai ragazzi della mia scuola e che ero famosa per essere la più carina di Mystic Falls, in confronto a lui ero… niente. Proprio un bel niente.
Come paragonare una rosa profumata dai petali rossi e vellutati a una margherita giallognola appassita; io ero castana e liscia, anonima. Davvero, troppo comune. Occhi scuri e, stando a quello che diceva la gente, molto espressivi. Riuscivano a comunicare i miei stati d’animo, dicevano i parenti. Beh, metti a confronto le mie iridi con quelle di Damon: color del ghiaccio e anche loro molto espressive. Stupende, incantevoli. Catturavano la tua attenzione sin dal primo istante. Il tutto completato da due labbra rosse e piene, spesso piegate in un sorriso mozzafiato e irresistibilmente sexy, e dai capelli neri corvini, corti e disordinati. E un fisico da urlo.
Un’altra cosa che bisogna sapere di me è che sono senza genitori. Da un po’ di tempo, ormai. Però è come se sentissi sempre la mamma sopra di me, che mi guida. È un po’ stupido, infatti non ne parlo con nessuno, ma è così.
E ora, mentre viaggiavamo sulla sua auto d’epoca decappottabile, Damon alla guida e io a fissarlo incantata, sembrava ancora più sexy, se è possibile.
Come sempre indossava la sua camicia nera con le maniche arrotolate, sbottonata fino al secondo bottone, i jeans scuri che fasciavano le gambe perfette. Il giubbotto di pelle nera? Sul retro, faceva caldo. Damon aveva una specie di ossessione per il total black. Uno dei miei obiettivi per il futuro era quello di fargli indossare una maglietta gialla fosforescente, magari di quelle che si illuminano al buio.
Il tettuccio della macchina era abbassato, e il vento mi accarezzava la pelle.
“A che pensi?” chiese all’improvviso Damon.
“A noi… a te” risposi io, con la voce un po’ persa. Non volevo assolutamente comunicargli i miei piani per il futuro. Erano un po’ inquietanti in certi punti: lui sarebbe rimasto bello da svenire per sempre, io nel giro di trent’anni avrei avuto i capelli bianchi. Non mi piaceva troppo pensarci.
Damon distolse lo sguardo dalla strada e si voltò verso di me. Si avvicinò per darmi un bacio breve a stampo, che nonostante la sua innocenza e la sua durata di un secondo o due, mi aveva scatenato delle emozioni incredibili. Damon poi dovette ritornare a guidare, per evitare di farci morire (o meglio, farmi morire. Lui era indistruttibile) schiantati.
“E che pensi di me?” domandò il vampiro, nascondendo un sorriso curioso che a me non sfuggì.
“Che sei un matto. Completamente uscito di testa. Cioè ti rendi conto che Jenna sarà andata fuori di testa?” esclamai io, fingendomi arrabbiata. Jenna poteva anche essere andata di matto, ma non mi importava poi così tanto: l’importante era stare con lui, con il mio vampiro.
“Lo so che tu stai adorando ogni singolo momento di questo viaggio” disse lui, con quel suo solito tono… quel tono… alla Damon. Non sapevo proprio come chiamarlo. Non esisteva un aggettivo per definire la sua voce.
“Bah, io so solo che forse dovrei chiamare zia Jenna. Quanto hai intenzione di farla durare? Ormai è pomeriggio, torneremo indietro?” chiesi, pregando intanto che mi dicesse: “No, torneremo a casa fra due anni o cinque… chissà”. Quello sì che sarebbe stato un sogno.
“Diciamo che forse torneremo a casa fra una settimana. Ma posso sempre prolungare anzi… sono certo che l’ultimo giorno di vacanze verrai da me e mi supplicherai in ginocchio di rimanere ancora dove ti voglio portare ora”, disse lui sorridendo.
Sbuffai per nascondere l’entusiasmo e la tremenda curiosità che mi stava assalendo: “Sì, certo, se lo dici tu…”, dissi iniziando a smanettare coi pulsanti della radio. Damon l’aveva installata qualche giorno fa; prima nell’auto non esisteva. Era troppo vecchia.
Continuai a cambiare stazione fino a quando non trovai qualcosa di decente: Born This Way, la nuova canzone di Lady GaGa. Mi faceva voglia di mettermi a ballare in piedi sul sedile dell’auto.
“Mi spieghi come fai a sopportare questa porcheria?”, domandò Damon allungando una mano verso la radio che io allontanai prontamente con uno schiaffo non troppo forte. Ok che Damon era indistruttibile per come la vedevo io, ma non volevo comunque fargli male.
“A me piace. E mi faresti molto felice se me la lasciassi ascoltare”, lo informai con un sorriso da cucciolo bastonato: sapevo che non avrebbe resistito.
Lui non mi degnò di uno sguardo. “Allora? Non mi guardi? Ti sto parlando, Damon!”, lo chiamai indignata. Lui sembrava proprio non volerne sapere nulla di me. Simpatico.
“Devo guardare la strada, o moriremo tutti e due”, disse solo il vampiro.
Avevo perfettamente capito che era combattuto: se mi avesse guardata avrebbe ceduto e avrebbe finito per ascoltare Lady GaGa. Se invece non mi avesse guardata avrebbe avuto tutta la forza di volontà per mettere le mani alla radio e…

Ave Maria
Il signore è con te
Preghiamo Dio
Sia benedetta

“Spero che tu stia scherzando, vero?”, strillai io. Tutto tranne “Radio Maria”.
Damon sghignazzò divertito dalla mia reazione, il che mi fece infuriare a morte. “Ehi! Per favore, cambia”, lo implorai mentre due suore discutevano come mettersi in contatto col papa attraverso il messaggero angelo custode…
“Come? Non t’interessa? Dai che ti purifichi l’animo. Io ne ho bisogno”, aggiunse con un sorriso ammiccante. Dopo si voltò verso di me, che mi ero completamente dimenticata di mantenere lo sguardo da cucciolo. E la cosa più sorprendente di tutte fu che Damon incominciò a recitare il rosario insieme a Suor Caterina o come diavolo si chiamava.
“Damon? Ti senti bene?”, domandai seriamente preoccupata.
“Padre nostro che sei nei cieli. Sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno…”, blaterava Damon mentre teneva una mano sul volante e una sul cambio.
“Damon!”, strillai io, diventando isterica forte. Stava male. Aveva bevuto. Saremmo morti schiantati ad un autogrill. Che brutta fine. Mamma dove sei?
“… dacci oggi il nostro pane quotidiano…”, continuava il vampiro ignorandomi di brutto.
Feci la cosa più ovvia che avrei dovuto fare da un bel po’: cambiai radio. Trovai “What The Hell” di Avril Lavigne. Amavo quella canzone.
“… e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male. Amen! Elena che hai fatto? Stavo pregando!”, mi rimproverò lui.
“Guida e sta zitto, fammi questo piacere”, risposi io mentre canticchiavo.
“Beh almeno ho purificato la mia anima e qualche peccato è stato perdonato…”, si consolò Damon, ma lo interruppi: “Damon, lo so che lo fai per farmi arrabbiare. Non credi nemmeno a una parola di quelle che hai detto!”, dissi.
“E tu che ne sai?”, domandò tentando di trattenere le risate. Stava per esplodere: quella situazione era assurda.
“Lo so e basta. Mi ami troppo e con me non sei in grado di mentire. Spiacente”, lo informai con un sorriso furbetto. Gli occhi di Damon parvero illuminarsi alle mie parole. Poi il mio vampiro fece una mossa inaspettata: sterzò a destra, verso un autogrill. Che combinava…
“Cosa stai facendo?”, sbuffai. Ogni cosa che Damon si metteva in testa all’improvviso non era mai buona. Aveva detto che dovevamo prendere un aereo: cosa si metteva ad allungare i tempi per qualche panino surgelato? Né io né lui ne avevamo bisogno.
“Magari hai bisogno del bagno. Mi preoccupo solo per te”, rispose lui parcheggiando.
“Beh non ne ho bisogno”, dissi io guardando e tentando di capire che diavolo stesse tramando.
Lui alzò le spalle, uscì dall’auto e mi venne ad aprire la portiera, come un vero gentleman. Lo amavo da pazzi.
“Grazie”, dissi con un sorrisetto, dimenticandomi che mi stava tenendo nascosto qualcosa.
Mi trascinò verso l’autogrill e mi portò nel reparto musica. “Oddio. Tu sei suonato”, affermai io scuotendo la testa.
“Ora, principessa. Scegliamo assieme e la facciamo finita”, disse lui ignorandomi.
“Ok… non mi piace niente. Torniamo in macchina”, tagliai io voltandomi per uscire.
Lui mi afferrò prontamente per un braccio: “No. Tu non vai proprio da nessuna parte. Scegli un cd. Ora”, ripeté lui. Se non avessi scelto non so cosa avrebbe potuto fare.
Scrutai gli scaffali in cerca di qualcosa di minimamente ascoltabile: “E se prendessimo i Black Eyed Peas?”, proposi io.
Lui impallidì: “Tu detesti i Black Eyed Peas”, balbettò lui, improvvisamente impaurito.
Sorrisi vittoriosa: “Sì ma ho cambiato idea. Hai detto prendi quello che vuoi, giusto? Bene… ok, noi prendiamo questo”, aggiunsi quando fu il nostro turno alla cassa.
“Certo signorina”, rispose con un sorriso la commessa.
“No, ti prego no. Tutto tranne i Black Eyed Peas. Elena, io ti amo lo sai?”, mi supplicò Damon. Tenevo lo sguardo fisso contro le mani della ragazza che toglievano l’antifurto al cd per non scoppiare a ridere di fronte alla faccia di Damon. Così imparava.
La realtà era che pure io detestavo i Black Eyed Peas. Ma Damon voleva sempre vincere le nostre piccole battaglie e non volevo dargliela vinta anche questa volta. Lo volevo stupire. E ce l’avevo fatta.
“Dimostrami che faresti di tutto per me e io cambierò idea”, cinguettai io, godendomi ogni singolo istante della mia vittoria.
“Ok… cosa devo fare? Devo comprarti una villa con piscina?”, domandò lui.
Mi misi un dito sotto il mento, come per dare l’impressione che stessi pensando: “Mmmmm… di più di più”, miagolai.
Intanto sentii la ragazza che fece cadere qualcosa a terra. “Oddio! L’ho rotto! Scusate vado a vedere se ce n’è un altro di là”, esclamò allontanandosi.
Damon intanto continuava a sudare in cerca di qualcosa che poteva fare per indurmi a cambiare cd. Che situazione ridicola. “Posso… comparti tutto questo autogrill con tutto quello che c’è dentro”, provò lui.
“Ma dai? Quindi…”, dissi io guardando gli scaffali con i cd, “anche Born This Way di Lady GaGa con i remix. Wow, generoso. Ma non abbastanza”, aggiunsi io assaporando il sapore della vittoria.
La ragazza non era ancora tornata. “Ok… l’hai voluto tu. Sappi solo che mi hai costretto”, sussurrò lui al mio orecchio facendomi rabbrividire.
Improvvisamente mi sollevò con uno scatto repentino e mi sorresse fra le sue braccia. Mi portò sul bancone della cassa e mi baciò lì, in mezzo all’autogrill.
Mi sentii avvampare mentre guardavo giù, dove decine di facce ci fissavano stupiti. Per quanto mi vergognassi, non potei fare a meno di resistere a Damon. Lui era… Damon. Irresistibile, provocante, dannatamente bello. Lo amavo. Semplicemente, lo amavo.
Risposi al bacio con passione ma sempre mantenendo il buonsenso: eravamo in mezzo all’autogrill. Era come se dentro di me ci fosse un uragano in tempesta: volevo scendere da quel maledetto bancone, ma allo stesso tempo sapevo che non era proprio una buona idea. Ma Damon… non riuscivo a resistergli.
Dopo qualche secondo si staccò: “Non ho alcuna intenzione di fermarmi. Elena, ti amo. Come devo dimostrartelo? Cambia cd, per favore. Ti sto portando in un posto che non ti immagini neanche”, sussurrò lui ansimante.
Io non riuscivo più a ragionare, non capivo più niente. Avevo completamente dimenticato come ragiona la mente. Nel frattempo mi accorsi che la ragazza era tornata e la sua faccia sorpresa spiccava fra le altre. “Ok… va bene”, risposi io.
Presi un profondo respiro e scesi dal bancone tenendo la faccia bassa ed evitando accuratamente lo sguardo di tutta quella gente: “Ehm…”, cominciai io, “cambiamo cd. Prendiamo…”, aggiunsi. “Trovane uno trovane uno, uno a caso uno a caso”, mi ripetevo nella mia testa. Tesi il braccio e tastai gli scaffali.
“Questo”, conclusi io, afferrando Speak Now di Taylor Swift. La ragazza mi lanciò uno sguardo omicida e sostituì il cd. Pagai e uscii di fretta da quel posto infernale.
Mancava qualcosa…
Uh, sì, Damon!
Ma non sarei tornata in quel posto neanche per tutto l’oro del mondo. Troppa vergogna.
Il mio vampiro grazie a non so quale Dio ritornò da me: “Che hai scelto?”, domandò.
Gli porsi il cd e lui fece una smorfia: “Elena…”, si lamentò. Oh ma cosa si aspettava? Radio Maria Compilation?
“Sta zitto! Ho capito che mi ami, ce ne vuole di coraggio per fare quello che hai fatto. Ma se mi ami allora questo dovrebbe andarti bene”, sbuffai io.
“Per quale ragione dovrebbe andarmi bene Taylor Swift?”, chiese lui facendo una strana faccia mentre pronunciava quel nome.
Sorrisi: “Perché mi ami”.
“Uh sì. Giusto”, disse lui aprendomi la portiera.
Prima che potesse accendere il motore gli tesi il cd: “Ora però lo metti, va bene?”, chiesi io con gli facendo gli occhioni dolci irresistibili.
Lui si sciolse vedendomi: “Ma certo amore”, rispose.
Partì la prima traccia: Mine. Una delle mie preferite. Mi ricordava un po’ lui, un po’ mamma, un po’ papà. A mamma sarebbe piaciuta quella canzone, ne ero certa.
“Mi dici una cosa? Prima ti ho chiesto a cosa stavi pensando… ora a che cosa stai pensando?”, chiese lui mentre si infilava nel traffico.
Pensai a cosa potevo rispondergli. Non perché non volevo dirgli la verità, ma perché non sapevo come dirgliela.
“A mia madre. Mi aveva fatto una promessa… ma non ha potuto mantenerla”, sospirai io.
Lui aggrottò lo sguardo: “Che tipo di promessa?”, chiese.
“Avevo un sogno. E lei mi aveva promesso che sarei riuscita a realizzarlo”, spiegai io.
“Che sogno era?”, domandò lui. Sembrava davvero interessato.
Non volevo dirgli la verità, mi avrebbe presa in giro: “Ehm… non te lo voglio dire”, dissi tutto d’un fiato. 
“Perché no?”, chiese lui.
“Mi prenderai in giro”, sussurrai.
“Non potrei mai, Elena”, mi rassicurò.
Presi un profondo respiro e dissi: “Volevo volare”. Non lo vidi ridere, sorridere, ridacchiare. Niente.
“Ci credi ancora?”, chiese ancora lui.
Annuii impercettibilmente, tantoché pensai che non mi avesse nemmeno vista. “Fai bene. Vedrai che quando meno te l’aspetti si realizzerà”, disse lui, dolce.
“Grazie”, dissi solo, volendo solamente porre fine alla conversazione. Probabilmente lui capì. Mi capiva, mi comprendeva in tutto quanto. Era perfetto.

You are the best thing
That’s ever been mine

Già… quella canzone faceva proprio al caso mio. Damon era davvero la migliore cosa che era mai stata mia.

 

Angolino della Matta Fra

 

Ciao!

Wow, io vi amo. Ho visto parecchie mie “fan” passare anche di qua. Non sapete quanto vi adoro. Grazie mille per tutte quelle belle recensioni positive che mi avete lasciato. Allora… questo capitolo ho paura che non sia all’altezza di quello che vi aspettavate, ma come sapete era già pronto da secoli quindi non ho voluto cambiarlo.

Comunque fatemi sapere; ogni volta che dico che un capitolo fa schifo qualcosa come otto persone mi contraddiscono

Per chi non l’avesse capito, io amo Taylor Swift. Trovo che ogni sua canzone sia unica, perfetta e con un vero significato. Per questo mi viene automatico sceglierle per i capitoli di questa ff, perché hanno un significato.

Cos’altro ho da dire? Ringrazio tutte voi che avete recensito, tutte voi che avete aggiunto la storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate. Grazie anche a chi legge in silenzio. Grazie davvero. Non mi sarei mai aspettata un entusiasmo del genere.

Ok… detto questo mi scuso per chi segue la mia fic  ♥Damon&Elena♥, perché è tipo da un mese che non aggiorno. No, dai, non un mese. Sono poco ispirata per quelle pazzie… comunque scriverò la prossima settimana i capitoli di Please Come Back, il mio crossover tra Twilight e The Vampire Diaries (qui!) e ovviamente anche questa fic che avete l’”onore” di leggere prima. Niente è sicuro perché sono sommersa di cose da fare; a proposito, se qualcuna di voi offre lezioni sulle scomposizioni dei polinomi, qui ci sarebbe la vostra prima cliente. E poi devo fare un esame stupido ma per cui devo studiare. Quindi vedrò di fare il possibile…

Ok detto questo vi lascio,

grazie Fra

 

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Capitolo 3
*** Nuvole ***


•○ I Feel You ○•

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3. Nuvole

 

Oh, darling don’t you ever grow up
Don’t you ever grow up
Just stay this little
Oh, darling don’t you ever grow up
Don’t you ever grow up
It can stay this simple

Never Grow Up, Taylor Swift

 

 

 

“Mamma mi annoio”, sbuffò una tenera bambina dai lunghi capelli lisci castani.
Teneva fra le mani una bambola con il vestitino rosa distrutto, senza una gamba e con i capelli tutti annodati. Uno spettacolo orribile.
“Puoi pettinare Amy”, suggerì la mamma mentre leggeva la sua rivista di moda.
La bimba sbuffò, scocciata: “Non voglio pettinare Amy! È brutta!”, piagnucolò arrabbiata, lanciando la bambola dall’altra parte della stanza.
La madre alzò gli occhi dalla rivista: “Ehi! Elena, è brutta perché non la curi! Prova a farle il bagnetto!”, propose di nuovo Miranda Gilbert.
Elena scosse la testa con una smorfia arrabbiata stampata sul volto angelico. Elena aveva degli splendidi occhi color nocciola che illuminavano lo sguardo della bambina. La rendevamo luminosa, splendente, come un raggio di sole a mezzogiorno.
“Non mi piace Amy!, ripeté testarda.
Miranda sospirò: “Te l’ha regalata la zia Norah per il tuo compleanno! Non puoi trattarla così!”, spiegò paziente la mamma.
“Allora perché non le fai fare tu il bagnetto, mamma? Visto che ci tieni così tanto?”, domandò Elena. La madre l’ammonì con lo sguardo: “Non fare la maleducata, Elena!”, l’avvisò.
La bimba subito si mise le mani sulla bocca, capendo di avere esagerato. La mamma le aveva detto più volte che certe cose non si dicono e non si fanno!
“Vieni con me, Elena. Ho un gioco molto bello da fare”, disse la mamma dolce.
Tese la mano e la bambina l’afferrò con un po’ di incertezza, non sicura di quello che stesse facendo. Ma si fidava della sua mamma.
La stava portando nel prato. Elena adorava andare a correre nel giardino, anche se molto spesso cadeva rovinosamente a terra, sporcandosi i pantaloni di quello strano colore marrone e verde. Quando succedeva, vedeva sempre la mamma fare delle facce strane e un po’ disperate con le sue amiche. Una doveva essere la mamma della sua amica Caroline, l’altra non la conosceva. Elena amava però troppo inspirare l’odore del prato, dell’erba primaverile e dei fiori appena sbocciati. Qualche fiore la faceva starnutire come una matta, qualche volta, ed era costretta a tornare a casa. A volte giocava a cercare i quadrifogli da regalare alla mamma, ma molto spesso dopo qualche minuto si stufava e preferiva raccogliere i fiori più belli da mettere in un vaso per rallegrare il soggiorno.
Quel giorno c’era il sole, caldo e splendido. Ma non mancavano le solite nuvole bianche fastidiose. Elena le considerava come degli scherzi della natura: portavano la pioggia, e quando pioveva non si poteva uscire. Ma questa volta non avrebbe piovuto, no. Perché Elena doveva giocare ad un nuovo gioco con la sua mamma, solo sua e di nessun altro.
“Mamma, ci sono le nuvole”, disse triste la bimba. Intanto Elena percepiva i raggi del sole che le scaldavano la testa e le braccia; se c’era una cosa che amava, era il sole che l’avvolgeva nel suo calore.
“Oh che fortuna!” esclamò la mamma. Elena fece un’occhiataccia e la mamma le spiegò un po’ meglio: “Ora ci sdraiamo sul prato e guardiamo le nuvole”.
Elena si chiedeva spesso perché le nuvole non avessero una forma ben definita. Perché non erano dei cerchi perfetti o dei quadrati? Perché i loro contorni non erano chiari come quelli di alcuni suoi disegni, ma erano tutti tremolanti e confusi?
“Mamma?”, chiamò la piccola.
“Sì?”, rispose la mamma.
“Perché le nuvole non sono come i nostri disegni? Perché non hanno delle forme?”, chiese Elena fissando il cielo incantata e ponendosi mille domande. La concezione del mondo dei bambini è così affascinante e Miranda spesso si domandava cosa frullava nella mente della sua piccola.
La mamma la guardò: “In realtà è proprio questo il gioco che voglio fare. Troviamo delle forme alle nuvole”, annunciò con un sorriso lei.
Elena fece una smorfia buffa: “Mamma, è impossibile. Guarda… quella cosa sembra un ammasso di cacc…”, notò la bambina. “Elena, quelle parole! Non è vero, comunque! Può benissimo essere un… cespuglio. O no?”, disse la mamma sorridendo.
La bimba si concentrò sulla nuvole e poi disse: “Sì, hai ragione! Un bel cespuglio di… mirtilli!”, aggiunse con gli occhi luminosi al solo pensiero di quei frutti blu scuro, grossi, succosi e dolci. Con lo zucchero poi… Elena amava i mirtilli.
La mamma rise, divertita: “Già… di mirtilli! E quella lì? Cosa sembra quella?”, chiese poi, indicando un’altra nuvola.
Elena si concentrò e poi chiuse gli occhi, per esplorare nella mente tutti gli oggetti, le cose, gli animali che aveva visto nei suoi quattro anni di vita. “Ci sono! Quella è… un topo! Sì un topo con gli occhiali!”, esclamò lei, battendo le mani.
La mamma tentò invano di capire dove vedesse il topo: “Un topo? Ne sei proprio sicura?”, domandò ridendo. Era così bello vedere Elena divertirsi. Vederla ridere. Non avrebbe mai potuto rinunciare alla sua risata.
La bimba annuì, sicura di se: “Sì! Non vedi? Quello è il muso, poi lì c’è la coda e quella cosa… sono gli occhiali!”, spiegò tutta contenta.
“E il corpo dov’è? Le zampe?”, domandò divertita la mamma.
Elena pensò e due dolci fossette le si formarono sul viso mentre sforzava la sua mente: “Ci sono! È la testa di un topo decapitato con gli occhiali!”, esclamò con un sorriso a trentadue denti.
Miranda rise: “Ma dai? E chi l’ha decapitato?”, chiese.
Elena pensò ancora una volta: “Io… non… il gatto! È stato il gatto!”, disse poi sicura della sua risposta.
“E dov’è ora il gatto?”, continuò la mamma.
Elena fissò il cielo, scrutandolo in ogni punto. Poi indicò una nuvola: “Mamma! Quello è gatto!”, urlò tutta felice. “Che bel gioco, mamma!”, aggiunse poi.
“Un gatto… Mmmmm, ma senza coda?”, la provocò ancora una volta.
Elena guardò la mamma con sguardo da chi la sa lunga: “Mamma! Non ti credevo così stupidella! Il topo si è vendicato e gli ha mangiato la coda!”.
La mamma sorrise, pensando all’enorme fantasia della figlia: era una cosa positiva, dopotutto. Crescendo le sarebbe tornata utile. Miranda non voleva che la sua piccola crescesse, non voleva.
“Uh! Aveva tanta fame quel gatto!”, esclamò Miranda, stando al gioco.
La bambina annuì con vigore: “Sì! Perché una mamma furbetta si è dimenticata di dargli i suoi Friskies!”, spiegò ridendo.
“Che mamma irresponsabile!”, disse la mamma fingendosi scandalizzata.
“Già”, disse solamente Elena, mentre si sdraiava sul prato dopo quel momento di euforia.
Mamma e figlia rimasero in silenzio, perse nei loro pensieri a fissare il cielo. L’atmosfera era rilassata e regnava l’assoluto silenzio.
“Mamma!”, esclamò ad un certo punto la bambina. Stava indicando un angolo del cielo, dove un aereo stava passando, lasciando la scia.
“Che c’è, Elena?”, domandò la madre guardando cosa avesse eccitato tanto la piccola.
“Guarda! Cos’è?”, chiese con gli occhi spalancati, sorpresi. Cos’era quello strano uccello che volava così in alto? “Mamma! L’uccello si farà male! Sta andando contro la nuvola!”, esclamò preoccupata la bimba.
La mamma rise, divertita da tanta premura nei confronti di un uccello che in realtà… era fatto di plastica, ferro, acciaio e vernice. “No, tesoro. Quello non è un uccello: è un aereo”, spiegò paziente la mamma.
La bambina fece una faccia interrogativa, non capendo cosa volesse dire la parola “aereo”. Forse la mamma era impazzita… “Cos’è un aereo, mamma?”, domandò lei curiosa.
“Un aereo è… una grande, anzi grandissima, macchina. Ha due ali come un uccello…”, cominciò a spiegare la mamma, ma la figlia la interruppe: “Quindi è un uccello. Ah, l’avevo detto io!”, si vantò la piccola.
La mamma sorrise: “No, non è un uccello. Non respira!”, spiegò continuando a sorridere.
Elena si preoccupò: “Non fa nemmeno i cuccioli?”, domandò in preda all’ansia.
La mamma scosse la testa: “No. Non ha nemmeno le piume”, continuò.
La bimba quasi sveniva, senza una ragione precisa: “Quindi quell’aereo lì è unico?”, domandò stupita.
“No, Elena. Gli aerei li costruiscono gli uomini. E dentro gli aerei ci sono persone grandi, che per andare in altri paesi devono spesso utilizzarli. Quando devono andare in Europa, per esempio. C’è un oceano in mezzo, e non possono andare in nave. Ci metterebbero mesi. E allora, si va in aereo”, spiegò la mamma, cercando di essere il più chiara possibile.
La bimba elaborò e metabolizzò le nuove rivelazioni di quel giorno: “Però se guidassi io la nave, arriverebbero subito comunque. Ma mamma, l’aereo o come si chiama, non cade?”, chiese di nuovo preoccupata la piccola.
La mamma scosse la testa: “Ha le ali, tesoro”, tagliò corto lei. Non aveva voglia e non era il caso di spiegare leggi fisiche, matematiche e scientifiche di cui nemmeno lei ci capiva molto. Avrebbero finito per annoiarsi entrambe. E poi Elena era davvero troppo piccola.
“Uh! Giusto”, borbottò Elena.
Ricaddero in un sacro silenzio. “Mamma?”, ricominciò poi Elena.
“Sì, Elena?”, domandò la mamma.
“Quindi che va su un aereo è come se fosse un… cucciolo di aereo, no?”, rifletté la bambina. Miranda rise al modo in cui sua figlia interpretava il mondo: “Ehm, come mai dici questo?”, domandò lei.
Elena la guardò con quel suo sguardo superiore e colto: “Perché è come un uccello che tiene nel becco i suoi piccoli!”, spiegò tutta entusiasta.
Miranda rise: “Sì, hai ragione. Potresti fare la scienziata!”, suggerì.
Gli occhi di Elena si illuminarono all’idea: “Sarebbe fichissimo!”, esclamò. “Ma come si fa?”, aggiunse poi leggermente dubbiosa.
La mamma cominciò a spiegare: “Bisogna studiare e capire perché succedono certe cose. Tipo… secondo te perché l’erba è verde? Perché le foglie cadono in autunno?”, chiese.
La bimba cercò di darsi una risposta a quei quesiti che non si era mai posta: “Boh!”, rispose ridendo così innocentemente. La sua risata era pura, quella che solo un bambino può avere.
“Ecco! Gli scienziati studiano questo. Interessante vero?”, disse la mamma ritornando a leggere la sua rivista.
“Sì!”, rispose la piccola. Poi ricaddero in quello strano silenzio di prima.
“Mamma?”, chiamò Elena.
“Sì?”, rispose Miranda.
Elena non sapeva se la sua richiesta fosse stupida. Lei non era una persona grande. La mamma aveva proprio detto che sugli aerei c’erano persone grandi. Però, pur sapendo che probabilmente sarebbe rimasta delusa, lo chiese: “Mamma, ma  io potrei volare?”, chiese tutto d’un fiato.
La mamma sorrise: “Vuoi che ti porti su un aereo?”, intuì.
Elena annuì vigorosamente. “Sì!”, esclamò. Voleva assolutamente volare. Quel pomeriggio le aveva cambiato la vita, quel desiderio di libertà nel cielo era più forte di lei. Sperava tanto che la mamma le dicesse di sì…
Miranda rifletté un momento; Elena stava sicuramente pensando all’idea di sorvolare il mondo, pensava che essere su un aereo era sentirsi liberi nello spazio, quando in realtà lei sapeva perfettamente che non era affatto così. Ma non riusciva a dire di no a quel bel faccino innocente di fronte a lei: “Promesso!”.
Le due si sorrisero, Elena in modo particolarmente luminoso, e rientrarono in casa, pronte per leggere un nuovo capitolo di Cenerentola e per fare il bagnetto ad Amy.

 

Angolino della Matta Fra

Ciao a tutte!
Ragazze ma quanto vi amo?
Fate sul serio? 10 recensioni per quel capitolo pazzo che ho scritto? Beh se vi è piaciuto io non posso che non esserne contentissima. Vi adoro!
Allora, qui siamo un pochino più seri e lo saremo ancora per un po’. Ovviamente qui Elena non è ancora andata in aereo e presto ci andrà, e sarà da lì che il viaggio sulla macchina non le basterà più. Ops ho spoilerizzato, ma è per chiarirvi un po’ le idee.
Comunque che ne pensate di questo capitolo flashback? Fatemi sapere con le vostre recensioni, sperando che aumentino sempre di più.
Sono colpita dal successo di questa ff, vi amo. L’ho già detto? XD
Ringrazio tutte coloro che hanno aggiunto questa storia alle preferite, alle seguite e alle ricordate. Grazie soprattutto a chi ha recensito, ma grazie anche a chi legge in silenzio. Veramente, grazie di ♥. Non esiste soddisfazione più grande per me.
Ora vi segnalo la storiella della settimana e vi invito a leggere anche le mie, andando sul mio profilo trovate tutto. Sono pazzie, in particolare una (chiedete a Glo per ulteriori conferme XD).
Storiella che segnalo: uh sì, non so nemmeno perché ci ho messo così tanto ad arrivarci. Ovviamente “Within a man’s heart” di d r e e m (qui!), per farmi perdonare per l’immenso ritardo. Faccio schifo, lo so.
Perdonatemi se sono in ritardo con le vostre storie, ma ho avuto molto da studiare.
Infine, domenica prossima non aggiornerò causa viaggio a Londra. Spero comunque di sentirvi presto, vi voglio bene a tutte quante!
Bacioni e grazie
Fra 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Airplane ***


•○ I Feel You ○•

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4. Airplane

 

La lullaby. Distract me with your eyes.
La lullaby.
La lullaby. Help me sleep tonight.

Goodbye – Avril Lavigne

 

 

 

Arrivammo all’aeroporto con un ritardo immenso: Damon quando si impegnava sapeva davvero creare casini. Non avemmo nemmeno il tempo di mangiare qualcosa che subito dovemmo imbarcarci e rinunciare al mio amato giro per i negozi.
Il volo sarebbe durato parecchio a quanto pareva: Damon non voleva proprio dirmi dove mi volesse portare. Caraibi? Spagna? Italia? Dimmelo, no? Ovviamente, la risposta era no. Figurarsi se facesse qualcosa senza creare l’effetto sorpresa. Lui amava l’effetto sorpresa, il mistero, il farmi morire dalla curiosità.
Avevo ragione di credere anche che avesse pure soggiogato la sfortunata impiegata al check-in, al fine di sostituire il nome della nostra meta con uno ridicolo in codice che conoscessero solamente i passeggeri del nostro aereo, in modo che io non potessi avere la più pallida idea di dove fossimo diretti. Poveri clienti, di sicuro questo non sarebbe stato un punto a favore di quella compagnia aerea. E appena qualcuno sarebbe venuto a sapere chi fosse l’artefice del nome in codice, quella povera ragazza avrebbe ottenuto il licenziamento.
“Sappi che per questo voglio la prima classe”, sbuffai arrabbiata, fissando lo schermo sopra di noi. Si vedeva una lunga serie di voli, fra i quali spiccava: “Abudududunza *154545*469***”. Che diavolo di posto fosse non ne avevo idea, e fu proprio da qui che nacquero i miei sospetti sul nome in codice.
Damon fece la sua solita faccia sorpresa, sollevando le sopracciglia. “Di che cosa stai parlando? Non ti seguo, scusa”, disse innocentemente. Sbuffai.
“Davvero, non capisco, amore”, esclamò lui disperatamente.
“Una cosa buona che potresti fare è comprare un atlante e dirmi dov’è Abudududunza *154545*469***”, gli feci notare. Lo vidi sorridere.
“Vorrei davvero, ma siamo in ritardo”, si scusò lui. Tutto a suo favore, non era giusto…
Digrignai i denti e lo seguii, pronta ad imbarcarmi. L’idea di tornare su un aereo, però non mi piaceva.
Salimmo sull’aereo e rimasi davvero incredula nel constatare che Damon aveva davvero prenotato comodi posti di prima classe. Sprofondai senza contegno in quelle morbide poltrone imbottite  con davanti un bello anche se piccolo schermo per potersi guardare un film. Sarebbe stato uno spasso, andare a…
“Buonasera gentili passeggeri. Vi annunciamo che siete sul volo XD456 diretto a… un momento, scusate… Abudududunza *154545*469***. Vi ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia aerea e vi auguriamo un buon viaggio, che durerà circa sette ore. Il nostro staff sarà disponibile tutto il tempo e non esitate a contattarci per qualsiasi eventuale problema o richiesta”, concluse il pilota.
Ecco come si chiamava: Abudududunza *154545*469***. Che follia, davvero. Che follia.
“Ehi, hanno detto di contattarli per un qualsiasi bisogno. Chiediamo un atlante, no?”, chiesi.
Damon sorrise: “Perché invece non facciamo un pisolino?”, propose lui, sviando come sempre tutto quello che poteva fargli perdere la battaglia.
Sbuffai, leggermente arrabbiata. Perché non mi voleva dire dove stavamo andando? Tutte queste sorprese iniziavano a stufarmi. E Jenna? Esisteva anche lei. Non mi aveva nemmeno lasciato il tempo di chiamarla per rassicurarla e per dirle che stavo bene.

Sì, come se a te in questo momento importasse davvero di Jenna.
È mia zia, sai?
Comunque. Se ti dico Damon cosa pensi di tua zia?
Ehm…
Visto?
Ma sta zitta stupida vocina della coscienza! Questi dilemmi interiori con la vocina che credeva di saperne più di te erano davvero indigeribili. E oltretutto rappresentavano un chiaro sintomo della pazzia.
“Vada per il pisolino”, mi arresi. Non avevo voglia di avere discussioni con lui, mi bastavano quelle con la coscienza che mi ritrovavo; per quanto amassi Damon, a volte risultava davvero molto pesante.
Mi addormentai sulle sue gambe, che erano sempre infinitamente più comode di qualsiasi sedile di prima classe.

 

*

  
“Mamma!”, strillai io. Avevo sei anni, qualcosa del genere. Eravamo chiaramente su un aereo, dall’aspetto squallido. I sedili erano scomodi e rovinati. Pezzi di imbottitura spuntavano fuori dal tessuto.
“Sì, Elena?”, domandò mamma, mentre si allacciava la cintura di sicurezza.
“Quando partiamo?”, continuai io, agitandomi sul sedile e stringendo nervosamente la cintura, non sapendo bene come allacciarla. Davvero stavo per andare su un aereo? Il mio sogno. Ma ora avevo paura e avevo voglia di scendere e di tirarmi indietro. Non era da me arrendersi, ma proprio non ce la facevo a reggere quella situazione.
“Fra poco, Elena. Fra poco”, mi tranquillizzò mamma.
Presi un respiro profondo per calmarmi. “Non voglio partire. Ho cambiato idea. Questo coso ha due ali piccolissime di polistirolo! Come farà a tenerci su tutti?”, domandai ancora guardandomi attorno per contare le persone sull’aereo per l’ennesima volta.
La mamma voltò il viso verso di me, guardandomi negli occhi: “Elena. Ascoltami: andrà tutto bene, arriveremo in perfetto orario e salute. Andremo nel nostro hotel e prima che tu te ne accorga, saremo in piscina a sguazzare nell’acqua fresca. Ok?”, mi rassicurò ancora una volta.
Annuii lentamente e mi voltai verso il finestrino, a fissare le ali. Quelle ali tremendamente inquietanti. Di cosa erano fatte? Plastica? Quella che magari usavano per costruire le gambe delle Barbie? Magari lo stesso materiale della gamba di Amy… quella bambola tutta rotta e spezzata in mille pezzi. 
Stavo tentando di ignorare il tic che mi suggeriva di voltare la testa per contare le persone a bordo. Era così fastidioso, soprattutto perché sentivo che se non l’avessi fatto non sarei stata tranquilla.
Così, di nascosto, mi voltai e cominciai a contare: non ero ancora molto brava, ma per quel poco che ne sapevo su quel dannato aereo c’erano la bellezza di… settanta persone.
“Calma, Elena”, m’imposi io. “Calma”. Ero molto matura per la mia età; avevo smesso di giocare alla cucinetta già da anni, a differenza della mia amica Bonnie che per Natale voleva farsi regalare il nuovo set per la perfetta chef.
“Mamma ma ci regge tutti questo coso?”, chiesi ancora saltellando sulla sedia.
La mamma annuì. “Mamma siamo in settanta!”, strillai ancora, notando con imbarazzo che avevo fatto voltare qualche vecchio infastidito dalle mie urla acute.
“Lo so. Ma vedrai che arriveremo salvi”, mi rassicurò di nuovo mamma.
Avevo paura: là accanto c’era il mio fratellino Jeremy, nuovo di zecca. Gli volevo molto bene, e avevo paura per lui. Non volevo che morisse. Aveva vissuto meno di me! Quante esperienze stupende che io avevo vissuto lui si sarebbe perso, se oggi tutto fosse andato storto! E, a dirla tutta, non volevo morire nemmeno io. Dovevo fare ancora tante cose, per esempio vedere quell’isola di cui parlava tanto la mamma. “Vedrete… un tramonto stupendo, un mare cristallino, tutto meraviglioso”, continuava a urlare nella mia mente. Avrà ripetuto quelle stesse frasi tipo una quarantina di volte, tantoché ora erano diventate una cantilena nella mia testa.
“Tranquillo Jeremy… ce la faremo”, sussurrai al mio fratellino.
Mi accoccolai al viso del mio maschietto preferito e mi addormentai, sperando davvero che quelle ali robotiche pesassero più di settanta persone.

 

*

 

“Elena?”, mormorò una voce dolce. Non la riconoscevo, non faceva parte del mio sogno.
“Elena?”, mi sentii chiamare un’altra volta. Non avevo voglia di aprire gli occhi, ma quella voce era così dolcemente attraente.
Con uno sforzo immane sollevai le palpebre e quello che ebbi il piacere di vedere fu un sorriso luminoso e degli occhi splendidi che mi scrutavano con preoccupazione. Poi un sospiro: “Era da mezz’ora che ti chiamavo”, esclamò sollevato Damon.
“Scusa”, risposi solamente io. Non era colpa mia se durante il sonno non volevo essere disturbata.
“Ci hanno portato da mangiare”, mi informò il mio vampiro. Ricordavo che prima ero un po’ arrabbiata con lui… ma come potevo esserlo? Come potevo essere arrabbiata con un angelo del genere? Sembrava passato un anno da quando Damon mi aveva convinta a salire su un aereo diretto a Abudududunza *154545*469***, quando in realtà era successo circa due ore prima. Non ne ero molto certa, a dirla tutta, visto che mentre dormi perdi il senso del tempo che scorre.
“Che cosa c’è?”, chiesi io.
“Ehm… questo delizioso e squisito hamburger”, rispose lui ironicamente.
Fissai il color marrone plastica del pane e feci una smorfia: “Ma non siamo nella prima classe?”, chiesi scettica.
“Sì, amore. Ma non tutti sono cuochi”, spiegò Damon con un sorrisetto.
“Dovresti andare tu a cucinarmi lo spuntino”, suggerii io, beandomi al solo pensiero del sapore dei deliziosi pancake che Damon mi preparava qualche volta la mattina. Era nato per cucinare, su questo ero certa.
Morsi il panino e masticai poco, in modo che la bocca non fosse troppo impregna di quel sapore industriale. “Beh dai. Ho mangiato di peggio”, commentai, dando un altro morso al pane.
Lo vidi sorridere divertito, quando improvvisamente venni colta da un attacco di sonno; strano, visto che avevo dormito per ore. Probabilmente Damon si accorse che qualcosa in me non andava.
Nella mia mente cominciarono a scorrere immagini a velocità normale, come in un film; un film dove io ero la protagonista, solamente parecchi anni più giovane rispetto ad ora.
Mi vidi sussultare e svegliarmi di scatto, impaurita. Vedevo i miei occhi spaventati, confusi. Mi resi conto che l’aereo stava traballando, probabilmente per una gran turbolenza. Mi sentivo scuotere, tremare e la faccia non poi così tranquilla della mamma non mi stava rassicurando affatto. Mi vedevo fissare papà stringere forte la mano di mamma; a quanto pareva anche lei era agitata.
“Mamma che succede?”, domandai io.  
“Stiamo attraversando una turbolenza”, annunciò la voce del pilota, che si stava chiaramente sforzando di nascondere l’ansia. Peccato che non ci riuscisse.
In quel momento mi ricordai perfettamente il giorno che stavo rivivendo: il giorno in cui avevo cambiato idea e non mi accontentavo più di volare con un aereo, perché mi faceva troppa paura. Mi faceva sentire chiusa in una scatola, senza scappatoie. Credo che sia quello che provi una persona claustrofobica in un ascensore.
Le immagini scorrevano, i ricordi passavano davanti a me come foto in rapida successione. Quelle foto così colme di brutti pensieri, ricordi, paure. Era come se le immagini andassero avanti e ci fosse solamente il pulsante “play” e non ci fosse quello “stop”.
Ecco: ora ero là, sempre vicino a mamma, papà e a Jeremy. Ricordavo perfettamente che in quel momento preciso della scena l’Elena di un tempo aveva seriamente creduto che fosse la fine. La fine di tutto. E aveva avuto molta paura per suo fratello Jeremy. Perché quell’Elena non voleva che fosse tutto finito anche per il suo fratellino. Così piccolo e innocente, non si meritava questa fine.
“Mamma! Non voglio morire!”, aveva detto lei.
Una lacrima era scesa e le aveva rigato la guancia. La mamma la tolse dolcemente con la mano.
“Elena, calmati”, ordinò lei dolcemente.
Poi sentii un bacio, che non faceva parte di quell’incubo. Forse era quello che stava succedendo nella realtà, e io mi trovavo esattamente nel mondo a metà fra i sogni e la dura realtà.
“Non voglio che finisca!”, sussurrai ancora.
Vidi che non smettevo di piangere; vedevo la facilità con cui una bambina delle scuole materne poteva essere toccata, capivo quanto poco bastasse per farle perdere la sicurezza e assistevo anche ai magici poteri della mamma e del papà nel tranquillizzarla. Era incredibile l’influenza che i genitori hanno su una figlia durante la tenera età.
Sentii che Damon mi posò due dita sulle labbra e la voce di mamma assieme a quella di lui: “No, non finirà. Te lo prometto. Ora tranquillizzati, dormi un pochino”.
Come: l’avevo detto nella realtà? Non era un sogno? Solamente un brutto incubo? Ero un po’ confusa, non capivo dove fosse il confine tra realtà e sogno. Era come se fosse invisibile.
Vidi nei ricordi che tirai fuori dallo zaino un libriccino: il mio diario, quello che mi portavo in giro ovunque andassi. Lo avevo tuttora nel mio bagaglio; amavo avere tutti i miei diari sempre con me. Se c’è una cosa davvero bella è quella di leggere i propri ricordi, vedere come la calligrafia e il modo di esprimersi è cambiato nel tempo, osservare come le emozioni e i sentimenti diventano più intensi durante gli anni dell’adolescenza.
Aprii gli occhi di scatto. Damon mi osserva un po’ preoccupato, un po’ incuriosito dalle mie strane reazioni. “Tutto ok?”, domandò.
Annuii e tirai fuori dallo zaino il mio diario. Volevo vedere che cosa avevo scritto quel giorno. Frugai fino a quando non lo trovai.
Sfogliai le pagine consunte e rovinate; ne avevano passate tante. “Ecco”, sussurrai trionfante.

 

Caro diario,
ho tanta paura. Questo coso traballa come un… non so come cosa. L’avevo detto a mamma che queste ali erano difettose, ma lei non mi ha voluto ascoltare. Lei sarà pur più grande di me, ma di cose ne ha da imparare. E se cadessi? Se morissi? Ora?
È una turbolenza o qualcosa così. Almeno è questo quello che ha detto il comandante Lewis. Devo fidarmi? Dopotutto è uno sconosciuto e mamma dice sempre di non fidarsi di uno sconosciuto. Ho tanta paura, per me, per mamma e per papà. Ma soprattutto, ho tanta paura per il mio fratellino nuovo di zecca, scintillante come un bicchiere appena lavato. Me lo ha regalato la mamma, sai?
Ho paura che muoia anche lui. Io ho vissuto tanto in più di lui e non voglio che sia così. Altrimenti, io sarei andata sul Bruco Mela e lui no! È così divertente, non voglio che si perda un’esperienza del genere.
Ora vado. Ho tanta paura. Spero che almeno tu ti salverai
Ti voglio bene
Tua,
Elena

 
Sentii le lacrime riempirmi gli occhi. Sapevo come era andata a finire quella storia: molto bene. Il pomeriggio l’avevamo passato in piscina, a giocare con la palla e a fare le gare di nuoto con papà. Ma era un brutto ricordo, brutte emozioni e sensazioni impresse nella mia mente. Così intense che difficilmente sarebbero sparite dalla mia memoria.
“Ehi, amore? Tutto ok?”, domandò la sua voce. Non era impaurita, era tranquilla. Questo significava che probabilmente stavamo tutti bene, non eravamo caduti nel bel mezzo del mare e non ci trovavamo in una barriera di meduse filamentose e ansiose di devastarci le gambe.
Annuii debolmente: “Ho avuto un incubo”, spiegai io tutta tremante.
“L’avevo capito. Ho provato a svegliarti, ma non c’era verso”, si scusò lui. Ma per cosa? Quella problematica qui ero io, non lui.
“Non preoccuparti”, lo tranquillizzai io. E poi lo fissai. Fissai quegli occhi stupendi, profondi ed espressivi. E capii che quando lo guardavo non contava più niente e non capivo più niente. Perdevo il filo del discorso, non ricordavo più dove mi trovavo. Lo amavo troppo.
E mi ritrovai a desiderarlo assieme a me, quel giorno in cui avrei volato. Perché lui doveva essere con me.
Lui era tutto.

 

Angolino della Matta Fra

Salve popolo!
Come state?
Io abbastanza male, visto che domani è il mio ultimo giorno di vacanza. Ma sono stata a Londra, ed è stato fantastico. Amo quella città e ringrazio il negozio della Apple che mi ha permesso di vedere e leggere le vostre recensioni e i vostri messaggi (gratuitamente, WOW).
Allora, che ve ne pare? Cara Naduzza ho abbandonato la zia Taylorina e questa volta ecco zia Avril, che adoro. Questa canzone non è esattamente adatta al capitolo, se non quella frase che ho riportato. Forse non è la Avril che abbiamo conosciuto, ma a me piace. Sono una fan delle canzoni drammatiche. Non so se è una cosa positiva.
Allora, come è andata Pasqua? Io non ho sfiorato la cioccolata lassù in Inghilterra. Mah, credo che sia un bene.
Tornando al capitolo, che ve ne pare. È stato piuttosto complicato da scrivere e ho paura anche che non abbia fatto nemmeno un buon lavoro, visto che si alterna realtà e sogno. Se capite un po’ quello che volevo dire in questo capitolo, qualcuno mi ama da qualche parte nel mondo.
Ok, ora vado a rispondere alle vostre splendide recensioni. Vi amo, vi amo, vi amo!
Grazie a tutte quelle che hanno aggiunto questa storiellina tra le preferite, le seguite e le ricordate. Grazie anche a chi legge in silenzio e a chi mi ha aggiunta tra le autrici preferite. Che traguardo! E ora pubblicità… Nian, una ff di  Maria_Somerhalder che amo. Appena all’inizio, ma quando si tratta dei nostri piccioncini… Brava Mary.
Ne approfitto per scusarmi con  Stella94 perché sono in ritardo con la sua ff. sono stata a Londra e non ho potuto andare avanti, non so se te lo avevo detto. Questa sera continuo cara!
Grazie per tutto il vostro sostegno, vi adoro
Bacioni
Fra

 

 

 

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Capitolo 5
*** L'isola ***


•○ I Feel You ○•

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5. L’isola

 

When the waves
are flooding the shore and I can't
find my way home anymore
That's when I, I, I look at you

 

When I Look At You, Miley Cyrus 

 

 

 

Dopo aver ritirato le valigie, decisi che la cosa più giusta e sensata in quel momento fosse chiamare zia Jenna, prima che si disperasse e arrivasse a chiamare polizia e quant’altro.
“Passami il cellulare, Damon” dissi svogliatamente.
Lui mi fissò: “Perché?”, disse poi. Oh no: un’altra sfida.
Presi un profondo respiro, tentando di mantenere la calma: “Perché devo chiamare mia zia e coprire i tuoi crimini” spiegai io, paziente.
Lui mi fissò interrogativo. “Mi hai rapita” specificai.
Le sue labbra si chiusero in una “o” comprensiva e piena di divertimento. E finalmente mi diede quel dannato telefono.
“Pronto, Jenna?” cominciai prudentemente io con voce da santarellina piena di scuse, preparandomi psicologicamente alla sfuriata che stava per arrivare.
“Elena!” gridò lei. Ecco: come previsto. Ora il cervello doveva passare alla fase “inventa scuse”.
“Elena! Ma dove sei? Ho aspettato un po’, ma non mi chiamavi! Come ti salta in testa di tenere il cellulare spento, eh? Io cosa devo pensare? Che ti hanno rapita? Elena, dico! Mi hai spaventata! Dove sei? Torna subito a casa entro cinque minuti! Sei da Damon? Oddio lo sapevo che non è un bravo ragazzo! Dio, vieni subito a casa!” concluse senza fiato.
Ok, passiamo alla fase due del piano.
“Zia… mi dispiace. Il telefono era scarico! E sì, sono con Damon. Siamo a… beh, a…” dissi non ricordando il nome di dove fossimo. Non potevo mica dirle Abu eccetera. Mi avrebbe presa per scema da manicomio.
Damon mi suggerì qualcosa: “Siamo a…” ripresi, cercando di decifrare il labiale di Damon. “A… R… Rio”, conclusi. Un momento; cosa? Siamo a Rio? Rio de Janeiro? No, non ci posso credere. Sarà meraviglioso!
Uno strillo acuto interruppe i miei sogni: “Elena! Ma come hai potuto andare a Rio senza dirmelo? Come hai potuto?! Vieni subito a casa!” ordinò lei con quel tono autoritario ma anche isterico che proprio non le si addiceva. Cosa? Neanche per sogno! Non me ne sarei andata da Rio neanche se mi avesse pagata: “Mi dispiace zia. Ci vediamo tra… non so quanto” la congedai io. Mi dispiaceva un pochino; che aveva fatto di male Jenna? Ma io ero con Damon sulle coste del Brasile, non potevo lasciar perdere tutto. Assolutamente no.
Damon ancora una volta mi suggerì qualcosa da dire: “Ci vediamo fra una settimana” specificai.
La sentii singhiozzare e appoggiarsi a qualcosa; immaginai che fossero le scale. “Elena” sussurrò affranta. Probabilmente era divorata dai sensi di colpa per non essere una madre modello.
“Jenna, ti prego. Con Damon sono al sicuro, te lo giuro” la rassicurai.
Sentendo che la situazione non migliorava, aggiunsi: “Mamma l’avrebbe voluto. Che un giorno tornassi qui, con la persona che amo”.
Sì, perché io a Rio ero già stata. Con mamma, papà e Jeremy. Il nostro primo viaggio tutti e quattro assieme. Oltre ad essere stato un viaggio meraviglioso per la bellezza naturale del posto, era rimasto impresso nella mia memoria perché era stata la prima vacanza che avevo fatto con il mio fratellino. Era così piccolino. Ricordo che lo volevo sempre tenere in braccio, cullarlo mentre la mamma era al telefono. Mi piaceva giocare con lui, rubargli i carillon e far tintinnare i peluche con il campanellino. Lui si arrabbiava, ma poi glieli restituivo e mi toccava le guance con le sue manine paffute; era davvero il bimbo più tenero che potessi avere come fratello.
Oltre a questi bei ricordi, era stato proprio quel viaggio dove avevo volato con un aereo per la prima volta. E mi resi conto che il sogno che avevo fatto sull’aereo poco prima mi aveva fatto rivivere la terribile esperienza di molti anni fa. Il volo che avevo rivisto nel sogno era proprio quello per Rio de Janeiro. Che coincidenze che ci riserva la vita, talvolta: ero ricapitata nello stesso posto con Damon e avevo fatto un sogno che riguardava il mio viaggio di quando avevo sei anni.
Sentii che Jenna smise di piangere: “Elena, va bene. Ma fa la brava. E ogni tanto chiama, ok?” cedette. “D’accordo” promisi. Incapaci entrambe di aggiungere una parola di più, chiudemmo la chiamata quasi in sincrono.
Mi accorsi che una lacrima solcò la mia guancia. “Tutto a posto?” domandò premuroso Damon. Era stranamente bello vederlo preoccupato per me; una volta era talmente menefreghista. O almeno, così pareva a me.
Annuii. “Sono stata qui molti anni fa. Ora mi riviene in mente tutto. E il sogno che ho fatto sull’aereo riguardava quel viaggio lì” spiegai.
“Ti giuro che non ne avevo idea. È tutta una coincidenza” mi consolò lui con un sorriso.
Sorrisi a mia volta: “Sono contenta che nella vita esistano le coincidenze” risposi. “Cioè… non che mi sia piaciuto rivivere quel viaggio orribile ma… è bello ritornare qui con la persona che amo” aggiunsi.
Ero sempre più certa che fosse tutto scritto sulla pietra del mio destino. Tutte queste coincidenze! Dove stavo andando, che sarebbe successo a Rio? Sentivo che sarebbe successo qualcosa.
Io e Damon ci guardammo per un attimo eterno e ci avviammo verso l’uscita dell’aeroporto. Non riuscivo proprio a fare a meno di pensare che tutto questo non fosso un caso o una coincidenza; per me mamma ci guidava: aveva suggerito a Damon di portarmi qui, perché sapeva che mi avrebbe reso felice. Per me mamma avrebbe apprezzato Damon, nonostante la sua aria da cattivo ragazzo che non porta nulla di buono.
Io sentivo che la mia mamma mi guidava ancora, da lassù.

 

*

 

Arrivammo al nostro hotel a cinque stelle; figurarsi se Damon comprasse qualcosa che non fosse il massimo per me. Mi piaceva quando mi viziava in quel modo: mi faceva davvero sentire una principessa, ma a volte io sapevo anche accontentarmi di poco. Mi bastava che mi amasse; anzi, già il fatto che mi sopportasse per tutto quel tempo era abbastanza.
“Bene amore” annunciò lui, “questa sera bagno di mezzanotte. Con prima ovviamente cenetta romantica sulla spiaggia” specificò lui con quel sorriso.
“Non vedo l’ora, signor Salvatore” risposi io sinceramente entusiasta.
Lo vidi aprire la bocca, come se volesse rispondermi, ma poi si trattenne e mascherò il tutto con il suo solito sorriso che ti faceva dimenticare dov’eri.
Mi prese per mano e mi trascinò verso la spiaggia. Non vedevo l’ora: lo amavo. Troppo. Alla follia.

 

*

 

I giorni successivi passarono nella serenità più serena possibile.
La nostra suite imperiale dalle tonalità verdi era più che comoda. Neanche la stanza di nozze di Kate e William avrebbe potuto essere più imperiale della nostra.
Appena vi ero entrata mi era sembrato di entrare nell’ennesima fiaba e di visitare la camera di una principessa. E infatti Damon mi aveva accolta con: “La stanza perfetta per la mia principessa”.
Sì, aveva ragione. Non credo che qualcuno si potesse permettere una stanza migliore di quella: era enorme, immensa. In mezzo troneggiava un letto matrimoniale a baldacchino, con le lenzuola e il piumone verde prato. Non capivo ancora bene che funzione avesse quell’ammasso caldo di piume con quell’afa soffocante di Rio.
I cuscini erano così morbidi che appena vi sprofondavi dentro, non volevi più alzarti. Si modellavano secondo le forme della tua testa. Erano perfetti.
Le pareti erano color verde chiaro, un colore che io trovavo estremamente rilassante. Non tanto perché era scientificamente provato dai medici, ma perché il verde mi ricordava lo spazio aperto, un prato immenso in cui correre, l’erba che ti sfiora le caviglie mentre cammini. Quel profumo singolare che si sente solamente dove c’è tanto ma tanto verde. Come entrare in un bosco alpino o in una radura.
L’aria aperta era davvero tutto il contrario di un aereo: mi faceva sentire liberta. Non c’erano confini, potevo andare dovunque volevo. E amavo quella sensazione. E non meno importante, mi ricordava quei pomeriggi passati al parco giochi assieme alle mie più grandi amiche Caroline e Bonnie. Non le vedevo da un po’ e mi mancavano. Ci volevamo un mondo di bene.
E quando pensavo alle mie amiche, che erano cresciute con me a Mystic Falls, quella cittadina anonima e misteriosa, non riuscivo a non pensare a mamma. A quel giorno speciale in cui scoprii il gioco delle nuvole.
Un giorno Damon mi trascinò verso la spiaggia, come faceva sempre, ma non si fermò alla nostra sdraio e al nostro ombrellone riservato.
“Dove stai andando?” domandai curiosa.
“Vedrai” mi rispose semplicemente. Ancora segreti, sorprese, misteri? Non tolleravo più quei giochetti.
“Ehi, Damon! Ti prego, dimmi dove mi stai portando!” dissi io cercando di essere il più convincente possibile. Ma a quanto pareva, lui era irremovibile. “No! Lo vedrai dopo con i tuoi occhi” disse, ponendo fine alla conversazione dandomi un buffetto sul naso.
Davvero molto tenero, ma non abbastanza per farmi stare buona. “Non mi arrenderò” lo minacciai.
“Non importa. Siamo arrivati” rispose lui schietto.
Ammutolii, sconfitta. Nemmeno quella volta ero riuscita a far sputare il rospo a Damon prima che fosse troppo tardi. Abbassai lo sguardo sulle mie infradito arancioni e cominciai a fare la faccia immusonita.
“Ehi, non vuoi vedere dove ti ho portato” chiese lui sorpreso.
Scossi la testa come una bambina piccola.
“Avanti… non vorrai mica metterti a contare i granelli di sabbia” esclamò lui tentando inutilmente con la mano di alzarmi la testa.
Cominciai a contare i granelli di sabbia, facendo esattamente l’opposto di quello che lui voleva che facessi. Uno, due, tre, cinque, dieci, venti, cinquanta, che palle.
Alzai lo sguardo annoiata e lo guardai, vedendolo sorridere come un cretino: “Allora! Quanti sono i granelli di sabbia?” domandò.
“Figurati se li ho contati” mentii io.
Lasciò perdere e ricominciò a parlare: “Allora. Non vuoi vedere?” chiese lui, insistente. Ma cosa dovevo vedere di tanto bello? Le piramidi?
Spostai lo sguardo, un po’ incuriosita e un po’ stufa di tutta quella insistenza.
Scrutai bene il paesaggio: “Un porto?” domandai allibita.
Lui mi guardò per un attimo: “Sì, un porto” confermò. Poi mi prese per mano e mi trascinò verso una barca. Una bella grossa, ad essere sinceri. Era bianca, con delle bellissime vele bianche e azzurre che si gonfiavano leggermente per il poco vento che aleggiava attorno a noi. Aveva un’aria stranamente familiare.
Era un piccolo veliero. Mi avvicinai, insospettita da come Damon stava fissando il vecchio guardiano di turno. Oggi impersonava anche lo sfigato di turno, perché molto probabilmente Damon lo stava soggiogando. Ancora non riusciva fare a meno dei suoi poteri soprannaturali vampireschi.
Notai con grande stupore che sullo scafo della piccola imbarcazione c’era una scritta, probabilmente il nome che era stato dato alla nave: Elena.
Strabuzzai gli occhi: il mio nome. E in quel momento ricordai, ricordai perché quella barca era così familiare.

 

*

 

“Mamma! Guarda lì! E-L-E-N-A! Elena!” strillò Elena. Era con la sua famiglia in vacanza a Rio, e la mamma stava tentando in tutti i modi di farle dimenticare tutta la brutta esperienza vissuta sull’aereo.
“Mamma! Elena!” ripeté battendo le mani la piccola. Continuava a fare avanti e indietro fra la barca e la mamma, come un piccolo pazzo robot.
“Cosa c’è piccola?” chiese la mamma, che si era persa a esaminare una cartina della città.
“Mamma?! Perché non mi ascolti? Elena!” ripeté esasperata la bimba.
Miranda si guardò attorno: “Dove Elena?” chiese disorientata.
Elena sbuffò e indicò il punto che tanto la ossessionava. “Ah!” esclamò Miranda, comprendendo solamente in quel momento perché sua figlia fosse così emozionata.  
“Andiamo su quella barchetta?” chiese Elena tirando la maglia della mamma con dolcezza e insistenza.
Miranda guardò un attimo il marito e poi annuì: “Ma certo, piccola”, acconsentì. Di tutto, pur di farle dimenticare quel maledetto viaggio.

 

*

 

“Fai sul serio?” domandai stupita.
Lui annuì: “No, faccio per finta” aggiunse ironico.
“Ma, voglio dire: sul serio mi porti su quella barca?” chiesi ancora più incredula. Già trovavo incredibile il fatto che mi trovassi nella stessa città dove ero venuta con i miei genitori molto tempo prima, se poi mi trovavo nella stessa spiaggia e con davanti la stessa barca che mi aveva incantata molti anni prima! Ora che avevo dei punti di riferimento mi davo della stupida per non aver capito prima che mi trovavo esattamente nello stesso posto. Sì, i miracoli esistono. Sulla Terra saranno esistite milioni di città, e Damon aveva scelto proprio quella lì, quella dove io, mamma, papà e Jeremy avevamo fatto la nostra prima vacanza assieme.
“Davvero, ti porto su quella barca sul serio” confermò sorridendo Damon. “Saliamo?” aggiunse. Davvero? No, non ci potevo assolutamente credere.
“E dove andremo, dopo?”, chiesi mentre muovevo i primi passi verso la barca. Vedevo sempre più chiaramente i dettagli, ogni scheggia di vernice che si stava staccando dall’imbarcazione era sempre più definita, più chiara e grande.
“In un bel posto” rispose. Ma perché tutto quell’alone di mistero attorno a tutto quello che diceva?
“Perché ti diverti a fare tanto il misterioso. E dimmelo, no?” sbottai salendo sulla barca.
Lui scosse la testa: “Mmmmm, no. Preferisco di no” si giustificò. Se pensava di farmi felice con tutte quelle sorprese, si sbagliava di grosso. In genere i maschi fanno tutte queste sorprese ultra romantiche per far contente le fidanzate… beh con me non funzionava, oppure aveva davvero superato il limite che la mia sopportazione aveva.
“Io ti conosco!” esclamò improvvisamente il guardiano. Mi voltai, sorpresa. Si riferiva a me? O a Damon?
“Prego” si scusò il mio vampiro.
“Io conosco la ragazza! Sì, era qui in vacanza con la famiglia molti anni fa. Intendo… parecchi anni fa. Aveva un fratellino piccolo, pochi mesi o al massimo un anno. E i genitori… lui medico. Lei non so. Grayson e… Miranda, sì” spiegò lui, immerso nei ricordi.
Che cosa? Lui conosceva i miei genitori? “Sì, sono la loro figlia” confermai. “Ci siamo conosciuti qui?” chiesi, curiosa di sapere i dettagli.
Lui annuì: “Sì. Conosco parecchia gente qui, ma quella bambina che eri mi è rimasta impressa. Era incantata dagli aquiloni. Ne voleva comprare uno, ma la mamma non aveva i soldi. Così te l’ho regalato, ricordi… Elena, giusto?” raccontò l’uomo.
Io annuii, sorpresa che uno semisconosciuto potesse davvero ricordarsi il mio nome. Ma non avevo nessun ricordo dell’aquilone, a dir la verità.
“Però non ricordo nulla sull’aquilone” ammisi, sperando che lui mi dicesse qualcosa di più. Non che fosse di importanza vitale, ma volevo sapere quel pezzo mancante del puzzle che costituiva la mia vita.
“E certo, come potresti? Eri così piccola… beh volevi l’aquilone perché lo volevi abbracciare, fartelo amico. Dicevi proprio così, che volevi diventare suo amico. E volevi volare assieme a lui. Quando te l’ho dato l’hai abbracciato come se fosse un tesoro prezioso. Eri una bambina speciale, Elena. I tuoi, come stanno?” domandò poi.
Scossi la testa: “Loro… non ci sono più” lo informai. Che brutto parlare di queste cose, ma che colpe potevo attribuirgli? Non ne sapeva niente! E comunque mi aveva appena raccontato l’ennesimo episodio che testimoniava il mio sogno così importante e irrealizzabile.
Lui rimase allibito: “Mi dispiace. Erano brave persone” disse tristemente.
“Già” ribattei io. Guardai Damon e gli feci cenno di andare. Salutai l’uomo e cominciammo ad allontanarci.
“Divertiti Elena e lei! non la faccia soffrire, è una brava ragazza!” si raccomandò.
“Ci può contare!” rispose Damon.
Dopo qualche minuto immersi nelle nostre riflessioni domandai: “Perché guidi tu? Non potrei guidare io una volta?”.
Lui mi guardò con quel suo sorriso strafottente e sghembo che, per quanto fosse odioso, amavo alla follia. “Guido io, ovviamente” rispose senza togliersi quel sorrisetto. Perché doveva essere così egocentrico? Come se non bastasse, sottolineava per benino ogni “ovviamente”, “naturalmente” e sinonimi, come se lui fosse davvero in grado di fare tutto. E per di più, sviava sempre le mie domande: non avevo chiesto “chi guida”, bensì “posso guidare io”. E lui non mi aveva dato una risposta valida.

Ma tu lo sai che lui può fare tutto…
Sta’ zitta!

Ragiona, Elena cara…
Ho detto sta’ zitta!
Una sola domanda…
Che sia una sola, però!
Cosa non sa fare?
Ehm… non sa… fare… non sa fare…
Ecco!
Detestavo i dilemmi con la mia coscienza, erano una cosa insopportabile. Ultimamente mi succedeva spesso.
“Ovviamente” enfatizzai. Lo vidi sorridere e studiare la barca.
Il vento cominciò ad essere più forte, mi scompigliava i capelli e me li faceva andare in bocca. Odiavo quando succedeva, soprattutto quando dopo dovevo fare pazzie per sistemarmeli.  
“Perché non ti fidi?” mi alitò, improvvisamente vicino e tremendamente sensuale.
Scossi la testa per darmi una svegliata. “Certo che mi fido” sbottai incrociando le braccia sul petto.
Passò qualche minuto, in cui si sentì solamente la barca che ondeggiava sul mare, le onde che si infrangevano sulla piccola imbarcazione e i nostri respiri, che si confondevano col vento che ci permetteva di muoverci, seppur a velocità così lenta che normalmente mi avrebbe urtato i nervi. Ma andare piano e tranquillamente mi piaceva, in quel momento. Era adatto alla situazione, a ciò che stava accadendo.
Eravamo in silenzio, ma sentivo che era un silenzio ricco di parole non dette. Perché quel silenzio, in quel preciso attimo, valeva più di mille parole.
Poco dopo cominciai ad intravedere qualcosa all’orizzonte, che si confondeva un po’ con la leggera foschia che copriva il cielo quel giorno. Guardai Damon, ma lui continuava a fissare lo stesso punto davanti a noi.
Qualche minuto dopo ardui ragionamenti, realizzai che quella che vedevo era terra, tangibile e calpestabile terra.
“Wow! Un’isola, Damon? un’isola?” domandai sorpresa.
Lo vidi voltare la testa verso di me e annuire.
“Ahhhh ti amo!” strillai saltandogli addosso. Gli lasciai un bel bacio a stampo sulle labbra, di quelli che se avessi avuto il rossetto gli avrebbe lasciato una visibile impronta.
“Ok, calmati!” disse lui divertito dal mio attacco di pazzia. Poco dopo ritornò a fare attenzione alla rotta della barchetta, per fare attenzioni che non andassimo contro qualche scoglio.
Arrivammo finalmente alla riva, il vento non era calato e avevo ancora tutti i capelli scompigliati. Imprecai cercando di sistemarmeli dietro le orecchie.
“Ehi” intervenne Damon, dolcemente. Afferrò le ciocche di capelli fuori posto e le sistemò con calma. Come faceva? Non lo so. Mi ero già dimenticata di tutto quanto. Mi stava fissando con quegli occhi color ghiaccio, tremendamente freddi ma allo stesso tempo caldi e pieni di amore. Non riuscivo a credere che tutto quell’amore fosse per me. Che avevo fatto di così buono per meritarmi questo dalla vita?
Continuò a fissarmi per un tempo interminabile.

Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo
Perché non lo dicevo ad alta voce? Se ne ero così sicura, cosa mi costava aprire la bocca?
“Ti amo, Elena” disse lui, avvicinandosi sempre di più, sempre di più, sempre di più. Il mio cervello si era bloccato, non funzionava. Sapevo solamente che non me lo aveva mai detto in questo modo così deciso, così sicuro di sé. E sapevo anche che qualcosa dovevo fare anch’io…
Uno, due, tre… Vai, Elena!
“Ti amo anch’io, Damon” risposi sincera e senza avere la voce tremante, come sospettavo sarebbe stata. E invece no.
Sì, forse l’amore davvero ci cambia, ci fa fare cose assurde. Ci fa sorprese e ci fa soffrire. Fa tutto. E mi faceva amare Damon. E faceva Damon amare me. E mi faceva ancora sperare nel mio sogno. Semplicemente perché amavo Damon e perché l’amore può fare tutto.

 

 

Angolino della Matta Fra

Ciao gente!
Allora, avrei dovuto aggiornare l’altra mia storia Please Come Back, ma purtroppo è un capitolo complicato quello che viene adesso e sono ancora un pochino indietro. Appena posso, sappiate che posterò subito! Per chi volesse tentare questa follia di storia, è un crossover tra Twilight e The Vampire Diaries… spero che qualcuno faccia un salto anche lì.
Che ne pensate di questo capitolo? Siete deluse, vero?
Ammetto con un po’ di vergogna che mi sono ispirata a Twilight e alla luna di miele tra Edward e Bella per questo capitolo. Non bastava Rio, ma anche la barchetta e l’isola. Fra è delusa da sé stessa. Ma ovviamente le somiglianze finiscono qui
J
Sono ossessionata da questa storia e mi ossessiona a tal punto da soffrire di scrittura compulsiva. Mi dispiace che ormai abbiamo superato la metà di questa ff! Già proprio così! Magari riuscirò a inventarmi qualche altra cosa, ma secondo i miei schemi qui è finita. Ancora qualche capitoletto, ovviamente, ma poi fine.
Beh che dire ora? Grazie, vi amo. Non ho mai amato nessuno così tanto. Ringrazio tutte coloro che hanno recensito, in particolare maudy perché ha recensito tutti i capitoli. Veramente grazie!
Ma grazie a tutte quelle che si sono messe a leggere la storia ora e hanno lasciato un parere. Grazie! E alle mie care amiche che ormai sono sorelline… in particolare Nada650 e TVD, le mie compagne di follie.
Ora angolino pubblicità:  A Mystic Love di  Kikka 97, che devo riprendere a leggere ed è lì che mi guarda con occhi supplicanti. Arrivo anche con te! Ma la scuola mi uccide e ho tanto da fare anche con molte altre ff! scusami, ma io ci sono, ok?
Ora vi lascio e facciamo gli auguri a William e a Kate muhahahahahahahah li ho pure citati nel capitolo. Finalmente hanno fatto questo maledetto matrimonio del secolo e (non) ne sentiremo più parlare… eh figurati. Non avete idea quanti gadget erano in vendita a Londra! Quel sorriso ebete di quel principe era ovunque: nelle vetrine, su bandiere bah che pazzie!
Ok ora me ne vado davvero
Bacioni e grazie
Recensite in tante
Fra

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Capitolo 6
*** Insieme ***


•○ I Feel You ○•

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6. Insieme

 

 

Any moment, everything can change,
Feel the wind on your shoulder,
For a minute, all the world can wait,
Let go of your yesterday.

 

Fly, Hilary Duff 

 

 
Eravamo ancora là, seduti su quella barca a guardarci. Sempre quello stesso silenzio pieno di parole, quello dove bastava uno sguardo per comunicare tutti i propri pensieri.
Fissavo quegli occhi azzurri come l’oceano che ci circondava e freddi come il ghiaccio, e mi ci perdevo. Non mi perdevo come quando sei in un bosco da sola e non sai più dove andare, perché io sapevo come muovermi in quel mare così profondo. Conoscevo Damon così bene che nessuno scoglio nascosto avrebbe potuto ingannarmi.
“Forse sarebbe meglio andare” suggerì lui, spezzando quel momento così incredibile, così magico.
Non riuscivo a ritrovare l’uso della parola e mi limitai ad annuire, alzandomi e cominciando a prendere conoscenza con quella spiaggia.
La sabbia era marroncino chiaro e piuttosto fina. Sulla riva le onde, spinte dalle correnti, avevano portato dei ciottoli che variavano tonalità: andavano dal nero pece al bianco neve. Erano sassi levigati e dalla forma tondeggiante, incredibilmente lisci al tatto. Ne raccolsi uno e me lo rigirai tra le mani: era bagnato e color grigio, ma con delle singolari sfumature bianche e nere.
“Carino” mi sussurrò alle spalle Damon, cogliendomi di sorpresa. Se avessi voltato la testa leggermente avrei incontrato di nuovo i suoi occhi e le sue labbra, ma questa volta a distanza quasi nulla. Se a mezzo metro di distanza mi facevano dimenticare chi fossi, chissà cosa poteva succedere con un distacco di due centimetri…
“Già” risposi solamente, non sapendo bene cosa aggiungere.
Lo vidi allontanarsi e piegarsi, scrutando bene la riva. Poi raccolse un ciottolo e me lo fece vedere: era lucido, un bianco quasi perfetto e aveva una forma a cuore. Non pensavo esistessero davvero quei sassi così speciali; avevo sempre creduto che fossero invenzioni fatte a computer per i bigliettini di auguri sdolcinati e romantici.  Inutile dire che quel sassolino era a dir poco splendido, unico. Come lui, come Damon.
“Ecco” disse, “questo è per te, per la mia principessina”. Mi tese il sassolino dalle curve un po’ sbilenche, ma comunque perfetto nella sua imperfezione.
Era incredibile quanto Damon fosse cambiato. Quando era con me, era un’altra persona che non avrei mai riconosciuto. Una volta voleva solamente Katherine; era lei che ossessionava i suoi pensieri ed ero pronta a scommettere che avrebbe ucciso persino me, se questo avesse significato riaverla fra le sue mani.
Sì, perché io fino a un anno fa non contavo nulla per lui.
Poi tutto era cambiato: Katherine era tornata e aveva rivelato di aver provato dei veri e intensi sentimenti solo per Stefan. Non glielo avevo mai chiesto, ma ero certa che era stato in quel periodo che Damon aveva capito che io contavo più di quanto avrei dovuto nella sua vita.
Perché io ero la ragazza del fratello buono, quello che volevano tutti. Nonostante lui fosse innegabilmente più bello, affascinante, incantevole, tutte preferivano sempre Stefan (tranne le ragazzine con gli ormoni a mille). E quando mi aveva detto di aver sofferto per mille ragioni, era riuscito a toccare il mio cuore, che si era reso conto della sofferenza che contraddistingueva la sua voce in quel momento, quando in genere era provocante, seducente e sicura di sé.
Era riuscito a cambiare così tanto in molti aspetti per me.
“Grazie” mormorai, riconoscente. Quel cuoricino era davvero bello.
“Figurati” rispose. “Questo e altro per la mia principessa” aggiunse sorridendo e avvicinandosi sempre di più verso di me.

Il cervello fa le valigie e va alle Hawaii. La ragione parte per Sydney. La mente ritorna a casa, a Mystic Falls. Il buonsenso va a farsi una nuotata nelle acque ghiacciate dell’oceano. Conclusione: Elena non risponde più ai comandi.
Chiusi gli occhi, visto che tutto quello che mi aiutava a ragionare nella vita mi aveva abbandonato senza farsi troppi scrupoli. E dopo quelle che sembrarono ore, le nostre labbra si toccarono. Un bacio dolce che non pretendeva nulla.
“Dovremmo andare a montare la tenda” mi informò lui, staccandosi per respirare. Si sentiva che però non ne aveva poi così tanta voglia. E questo non mi aiutava. Potevamo stare qua tutta la notte, una spiaggia, il mare, nessuno in giro. Sarei rimasta ore lì con Damon a baciarlo, ad amarlo e ad abbracciarlo.
“Perché?” chiesi, pronta a rimpossessarmi della sua bocca.
Lui inizialmente mi assecondò, poi si staccò di nuovo con mio grande disappunto: “Perché dopo non avremo più tempo” spiegò paziente. E questa volta la magia finì, definitivamente.
Ritornò alla barca, si assicurò di averla legata per bene al palo che spuntava fuori dall’acqua e si avviò con lo zaino e la borsa da spiaggia che avevamo portato dietro verso un boschetto che spuntava a qualche metro di distanza.
“Nel bosco?” domandai, correndo come una pazza per stare dietro al suo passo da gigante. Stupidi poteri soprannaturali vampireschi… sbuffai al pensiero.
Lo vidi annuire e sorridere: “Hai paura degli animali cattivi?” chiese ironico.
Scoppiai a ridere: “No, perché so che il mio principe è pronto a mangiarseli tutti pur di risparmiare la mia vita” dichiarai sicura di me.
“Chi ha detto che farei indigestione per te?” chiese lui, fingendosi scettico.
Alzai le spalle: “Prima mi hai detto che mi ami” dissi con disinvoltura, quasi con un tono menefreghista. Come se il fatto che mi amasse fosse di scarsa importanza… come potevo essere così ipocrita non ne avevo idea, visto che per me il suo amore se non era tutto, ci mancava poco.
“Ah giusto, lo avevo detto” sussurrò lui, improvvisamente dietro di me. “Ho cambiato idea…” aggiunse mormorando e dandomi dei baci brevi ma bollenti sul collo. Mi stava facendo impazzire, ogni minimo contatto con il suo corpo mi faceva rabbrividire. In quel momento volli una cosa che non mi ero mai ritrovata a desiderare: volevo che mi mordesse, volevo essere sua anche nel suo modo, non solo nel mio. Il pensiero che il mio sangue circolasse nel suo corpo era troppo irresistibile, ma sapevo anche che quel momento doveva essere il momento. Non uno qualsiasi. Quindi mi trattenni e non dissi nulla.
“Dobbiamo montare la tenda” ribadì all’improvviso.
Sbuffando e ancora leggermente in trance per quel rapido e improvviso allontanamento dal mio vampiro, mi avviai a malincuore verso uno spiazzo senza alberi e con pochi legnetti. Afferrai qualche chiodo e cominciai a piantare i paletti per terra, sperando davvero che la tecnologia avrebbe inventato presto tende auto-montanti.
Dopo ore spese nel silenzio con l’unica colonna sonora di martelletti e chiodini, Damon riuscì a tirare su quel telo dalla forma indefinita.
Non si poteva dire che la nostra tenda assomigliasse a una tenda. Era sbilenca, leggermente troppo bassa a sinistra e fuori misura a destra. Dava la stessa impressione di una torre costruita con i blocchi di legno giocattolo: era chiaramente in pericolo di crollo.
Squadrai l’opera da ogni lato possibile. Dopo aver fatto un’analisi attenta ruotando attorno alla costruzione per cinque volte, commentai: “Beh…”.
Ci avevo provato, davvero, a inserire dell’entusiasmo nel mio misero commento, ma proprio non ce l’avevo fatta. Onestamente, non si sarebbe potuto neanche darmi torto: quella cosa sembrava il telo di un ombrello rotto appoggiato su tre rami caduti dagli alberi.
“Beh, non è male” si difese Damon. Lui era più soddisfatto, si sentiva. A meno che non avesse doti artistiche sconosciute nel campo della recitazione.
Sbuffai sonoramente: “Questo è un grande colpo per la mia autostima”. Già, lo era davvero. Non sapevo neanche montare una tenda.
Damon mi strinse forte a sé: “Suvvia. Non è poi così male” tentò di consolarmi.
Scossi la testa: “Menti a te stesso quanto vuoi, ma ti avviso che la tenda non smetterà di avere la forma di una tartaruga impiccata con le tue preghiere” lo informai.
“Elena” cominciò. Ma cosa aveva? Avevo ragione io, punto e basta. Non gli andava bene la tartaruga? Allora il gatto decapitato… sorrisi al pensiero della nuvola a forma di gatto decapitato. Chissà che risate si era fatta mamma con quelle mie idee così pazze e infantili.
“Damon” risposi con lo stesso tono.
“Non discutiamo” disse lui, tentando di calmare gli animi.
Annuii, riconoscendo che fosse la cosa migliore da fare.
“E andiamo a dormire” aggiunse con un sorriso. “Sono davvero stanco” specificò sbadigliando. “No, ma perché a dormire?” domandai io, con la voce da bambina piccola che non fa altro che lamentarsi dalla mattina alla sera.
“Perché sono stanco” ripeté lui, sbadigliando un’altra volta. Era così bello e innocente quando apriva la bocca in quel modo. Vedevo un Damon più piccolo, un bambino tenero che crollava a dormire appena sfiorava il materasso. Non avevo mai visto una foto della sua famiglia, oppure una foto di quand’era piccolo. Me lo immaginavo un bambino dolce, con le fossette agli angoli della bocca e sulle mani. Due occhi grandi come palline da ping-pong e dei teneri capelli ricci e neri spettinati che cadevano sulla fronte.
“Bene, andiamo” acconsentii io. Lo lasciai entrare per primo: io in quella cosa non volevo proprio andare e non la vedevo come la più bella esperienza del mondo.
Appena fui certa che la tenda non mangiava uomini, misi un piede all’interno e entrai. Mi sdraiai al fianco del vampiro più bello che potessi avere e chiusi gli occhi, in attesa del nuovo giorno e chiedendomi quando saremmo ritornati al nostro hotel.
Per quanto detestassi quel posto dove mi toccava dormire, realizzai che non avevo la minima voglia di ritornare nella mia stanza verde. Perché fuori dalla tenda tutto era ancora più verde e soprattutto, a differenza dell’hotel, non c’erano pareti. Avrei potuto anche alzarmi e correre a perdifiato fra gli alberi. E amavo correre e sentirmi libera. Mi ricordava l’infanzia e i giochi con le mie amiche Caroline e Bonnie.
Notai con disappunto che il terreno era irregolare sotto di me ed ero più rialzata rispetto a Damon. Potevo ammirarlo meglio nel sonno.
E appena vidi quello sguardo così dolce, così perso nei suoi sogni, capii che c’era un’altra ragione per la quale preferivo immensamente stare in tenda, invece che nella mia comoda stanza d’hotel.

 

*

 

Il giorno dopo ci alzammo tardi. Il sole era sorto da un bel po’, ma amavo starmene a letto fino a tardi, anche se quello dove avevo dormito non potevo seriamente considerarlo un letto. Sarebbe stata una bestemmia imperdonabile.
Avevamo fatto colazione con dei pezzi di pane avanzati dalla colazione del giorno prima. Faceva leggermente schifo: era secco e duro. Ma Damon riusciva a rendere la peggiore delle colazioni in una delle migliori che avevo mai fatto.
Poi eravamo andati a correre un po’ nel bosco; non quel genere di corsa che ti fa stancare e dopo la quale l’unica cosa che vuoi fare è sdraiarti, morire e resuscitare dopo mesi, ma quel tipo dove corri solamente per divertirti. Era in stile “prendi e scappa”; lui aveva dovuto prendermi per ben sette volte e non sempre ci era riuscito. Anche se avevo questa mezza ma forte convinzione che mi avesse fatto vincere apposta, perché gioiva nel vedermi felice.
Lo sapevo perché vedevo come mi fissava quando ridevo come una matta. Qualche volta Bonnie e Caroline ci avevano fatto delle foto di nascosto, magari mentre io facevo qualcos’altro e non ero accanto a Damon. Lui mi fissava sempre, in quegli scatti, e aveva uno sguardo così, così… pieno d’amore. Quel genere di premura che non mi sarei mai aspettata che lui possedesse. Ma a quanto pareva sì, l’aveva nel profondo del suo essere e io, Elena Gilbert, ero riuscita a tirarla fuori.
Quella mattina avevamo anche fatto un bagno in mare, ma l’acqua era un po’ fredda. Era stato divertente, comunque. Damon ti avrebbe scaldato anche se ti fossi trovato al Polo Sud.
Poi avevamo saltato il pranzo, semplicemente per mancanza di viveri. Su questo argomento ero leggermente preoccupata, tantoché avevo sentito la necessità di cominciare l’argomento: “Damon… ma quando torniamo a casa? Intendo… all’hotel” avevo domandato mentre stavo prendendo il sole.
“Non oggi” aveva risposto lui, tranquillo.
“Ma il cibo? Se avessimo fame, che facciamo?” avevo continuato a chiedere.
Lo avevo visto alzare le spalle: “Mangeremo lumache” aveva risposto.
Avevo fatto una smorfia più che degna della sua proposta: “Sul serio, Damon” avevo detto, cercando di far trasparire nel migliore dei modi la mia preoccupazione, ma senza raggiungere livelli melodrammatici.
“Dobbiamo fare ancora una cosa. Poi dormiamo e domani mattina torneremo a casa, ok?” aveva risposto lui.
Missione compiuta ma… di nuovo misteri.
E poco dopo mi trovavo a camminare sulla sabbia bollente, in salita, con le infradito che si riempivano di sabbia che si attaccava alla plastica. Lui mi trascinava, io tiravo indietro.
“Quanto manca, Damon?” domandai, stufa di camminare. Avevo fatto una nuotata eterna, abbastanza lunga da mettermi ko.
Guardò l’orologio: “Oh cavoli. Dobbiamo sbrigarci!” esclamò lui, accelerando ulteriormente il passo. Che ci fosse una maratona sulle isole dell’Atlantico? Visto che le uniche vite umane presenti su quell’isola eravamo noi, trovavo difficile che ci fosse una gara in corso.
Borbottai qualcosa seguito da un lamento stridulo e continuammo a camminare per un’altra buona mezz’ora.
Avevo quasi perso le speranze, quando la voce di Damon mi risvegliò dal mio sonno ad occhi semichiusi . “Siamo arrivati” annunciò lui trionfante.
“Giura” risposi io, incredula e con la voce roca e stanca.
“Giuro” disse lui solennemente.
Mi fidai ciecamente, ma non potevo non guardare dove quel pazzo mi avesse trascinata.
Era il tramonto. Il cielo si stava tingendo delle tonalità più belle che secondo me esso potesse assumere: un rosa pallido, in alcuni punti più rosso, in altri arancione. Qualche nuvola interrompeva quel dipinto, dandogli un tocco più originale, realistico e romantico.
Un’opera d’arte dai colori intensi e caldi, che mi faceva sentire meglio dopo quella camminata e mi faceva trovare un senso in tutta quella fatica.
“Voglio che tu sia felice in questo momento” mi disse dolcemente Damon.
Mi voltai a fissarlo: “Davvero pensi che io non lo sia?” domandai incredula.
Si strinse nelle spalle: “Per tutto il viaggio fino a qua non hai fatto altro che lamentarti, chiedere quanto manca e dove stessimo andando” spiegò lui. Lo vidi ferito.
“Scusami. Non avevo idea di cosa avessi in testa, mi dispiace. E… farei il doppio della fatica per ritornare qui una sola volta ancora, insieme a te” confessai per nulla imbarazzata mentre lo dicevo, ma quando finii mi sentii avvampare e istintivamente abbassai lo sguardo.
“Sei così bella quando arrossisci” mi fece notare lui. Sentii la sua mano liscia come seta accarezzarmi una guancia con dolcezza, e mi beai di quel contatto.
“Ora devi solo fidarti di me. Andiamo su quell’albero” disse lui piano, guidandomi verso una palma vertiginosamente alta. Con indugio lo seguii e mi arrampicai. Era da tanto che non lo facevo, ma quel poco che avevo imparato da piccola mi stava tornando utile.
Per quanto il mio buonsenso mi dicesse che stavo facendo la cosa più stupida e insensata che potessi fare, non sapevo fermarmi. Non ne trovavo la forza: era come se le mie mani fossero nate per toccare quella corteccia così ruvida e irregolare al tatto, che avrebbe potuto tagliarmi da un momento all’altro.
“Ora che devo fare” sussurrai, misto fra l’impaurita e l’eccitata.
“Tieni questa” mi disse piano. Estrasse dalla tasca delle bermuda una scatolina; quando la presi fra le mie mani realizzai che aveva un certo peso. “Cos’è?” domandai curiosa ma allo stesso tempo incantata.
“Prima che sconfiggessimo Klaus, avevo paura per te. Avrei fatto di tutto per te. Così sono andato da Bonnie e le ho chiesto aiuto. La polvere che è contenuta nella scatolina ti permette di realizzare un sogno. Se fossi stata in punto di morte con Klaus, te l’avrei data per farti sopravvivere. Ma non c’è stato bisogno di farlo. Ora la tengo e questa… beh, mi sembra una buona occasione per usarla” spiegò lui, leggermente imbarazzato, con mia grande sorpresa. Damon Salvatore imbarazzato? Sì, incredibile ma vero.
Riflettei su quello che mi aveva detto; quindi lui aveva fatto questo per me. Ma si sa che questi generi di incantesimi hanno sempre un prezzo: “Cosa hai dovuto fare per avere la polvere? Come ha fatto Bonnie a crearla?” domandai, sperando capisse che avevo intuito che aveva dovuto fare un sacrificio.
Lo vidi stringersi nelle spalle: “Niente, assolutamente niente. Un incantesimo come un altro” parlò rapidamente Damon. Come se gli credessi davvero…
“Damon” dissi chiaramente, “che hai dovuto fare?” ridomandai, questa volta con più insistenza.
Lui mi fissò un attimo: “Questo incantesimo funziona solamente se ami una persona a tal punto da rinunciare a ciò che ti è più caro. Intendo, un oggetto. Un oggetto che ha un valore affettivo che non butteresti mai, ma che saresti disposto a bruciare per amore” spiegò tentando inutilmente di rimanere distaccato.
Cosa aveva combinato? A cosa aveva rinunciato per me? Per una che non l’aveva mai preso seriamente in considerazione. Per una che aveva ignorato senza scrupoli il suo dolore, senza preoccuparsi di ferirlo. Per una che non lo meritava. Per una che non aveva mai avuto il coraggio di ammettere i proprio sentimenti. “Cosa hai dato da bruciare a Bonnie?” chiesi lentamente.
“La foto della mia famiglia” rispose lui, con un velo di tristezza nella voce.
Non poteva averlo fatto davvero. Non aveva detto “una foto”, ma “la foto”. Il che significava…
“Era l’unica” conclusi io, con le lacrime agli occhi.
“Ehi!” intervenne, “l’ho fatto perché ti amo. Ti amo e farei di tutto per te, ok? L’unica cosa che puoi fare ora per ricambiare il favore è aprire quella scatola, pensare intensamente quello che vuoi e poi si realizzerà. Io ti aspetterò qui” aggiunse con un sorriso, tentando di mascherare la malinconia.
Annuii, non molto sicura ma mi fidavo di Damon. Sollevai il coperchio della scatolina marrone di legno intagliato con dei disegnini tondeggianti in rilievo. Misi un po’ di polvere sulla mia mano destra, e soffiai pensando intensamente a me nel cielo ma… non ero sola. Ero con Damon.
Strinsi forte la sua mano, con sua sorpresa. E poi non sentii più il ramo sul quale ero appoggiata prima. Non ci potevo credere! Chiusi gli occhi, senza una ragione precisa. Avevo paura? Ero felice?
 “Allora, puoi aprire gli occhi se vuoi!” gridò Damon, per farsi sentire.
Il vento mi scompigliava i capelli, che mi andavano in bocca e mi solleticavano la schiena. Era tutto così magico, come i sogni che facevo da piccola e che talvolta facevo tuttora.
“No! Non voglio rovinare tutto!” gridai io in risposta, incominciando a ridere senza un motivo.
“Perché ridi?” domandò lui, iniziando a ridere anche lui.
“Non lo so!” urlai in risposta. “Non è possibile. Che sta succedendo?” urlai.
“Se apri gli occhi lo capirai” disse lui.
Mi fidai e aprii gli occhi: quello che mi si presentò fu uno spettacolo mozzafiato. Non potevo crederci. Era troppo bello, meglio di quello che avevo immaginato nei miei sogni. Meglio di tutto quello che avevo sperimentato fino a quel momento.
Mi trovavo esattamente sopra l’oceano azzurro e limpido. L’acqua cristallina e increspata da qualche onda schiumosa che si rovesciavano una addosso all’altra. Vedevo la riva sempre più distante da me e da Damon che mi teneva. E vedevo gli scogli. Ora stavamo sorvolando la scogliera aguzza e appuntita. Fra i vari massi grigi potevo vedere qualche insenatura d’acqua, ed ero certa che là in mezzo ci fossero anche delle piccole creature del mare.
Ma la cosa più bella, quella che mi colpiva e che rendeva il tutto ancora più magico e unico era il tramonto: il cielo era tinto delle sfumature del rosso. In alcuni punti era più rosa, in altri era incredibilmente giallo. Era incredibile la quantità di luce che il sole riusciva a dare in quel momento: sembrava che fosse lì solamente per noi, per rendere perfetto quell’attimo. Non potevo credere che quella luce che noi vedevamo era solamente una minima parte di quella che lui riusciva a dare.
Potevo vedere il sorriso di Damon anche da quella posizione tremendamente scomoda. Era abbagliante, più del sole, più della luce che la luna  e le stelle messe assieme riuscivano a dare. Lo amavo. Amavo il suo sorriso, amavo lui, amavo tutto di lui.
La figura del vampiro in mezzo a quel paesaggio strepitoso che poteva tranquillamente essere il finale perfetto di una favola per bambine, non stonava. Avrebbe stonato se non avessi avuto la certezza che Damon non era la creatura delle tenebre che tutti credevano; era buono, dolce, gentile, altruista. Aveva commesso i suoi errori, ma se n’era pentito. E questo era l’importante.
“Mi hai voluto con te” esclamò Damon.
“Sì!” risposi io, urlando per farmi sentire mentre mi godevo fino in fondo quel momento tanto bramato.
“Pensavo fosse una cosa intima fra te e tua madre” gridò il vampiro.
Riflettei; era vero. Ma c’era un ma: “Sì, è vero. Ma io sento che lei vuole questo per me. Vuole che tu sia con me. La sento, Damon. La sento” risposi.
Lui non disse niente. Sentii che la magia stava svanendo e il cielo si stava scurendo. Era tutto finito, ma avevo amato ogni momento di quel volo tanto sognato. Quando una cosa è meglio di come te la sei sempre immaginata, non puoi fare a meno di essere felice come una pasqua. È indescrivibile la contentezza che senti dentro di te.
Sentii che quel momento rappresentava l’ora della svolta: dimenticare il passato, guardare al futuro. Ora non avevo più conti in sospeso con l’infanzia, potevo davvero cominciare a vedermi insieme a Damon per l’eternità. Felice come non avrei mai immaginato di poter essere.

 

 

 

Angolino della Matta Fra

Salve care!
Ok, sarà da secoli che non aggiorno vero? I’m so sorry… Ma ho cambiato una cosa all’ultimo minuto di questo capitolo e quindi… vi avviso che mi avete convinta a scrivere qualche capitoletto in più. Intanto sicuramente un capitolo lo dedicherò a zio Damon
J e spiegherò un po’ di cosine. Ma questo era programmato… probabilmente inserirò un flashback di questa cosa della foto. La trovo tremendamente romantica questa cosa dell’incantesimo, o no?
Bene intanto mi scuso per non aggiornare più Please Come Back, ma si tratta di una cosa temporanea. Lo so che sono imperdonabile, ma è una questione da pazza Fra, che improvvisamente ha sentito la necessità di porre la parola “completa” a una sua pazza storia. E quindi…
Ok, presto tornerò anche con ♥Damon&Elena♥, la mia pazza raccolta di OS che vi invito a leggere se avete voglia di ridere come delle sceme.
J Parlando di robottini mi viene da pensare a   GLObulesROUGE, che ha scritto una OS che presto andrò a leggere. E mi scuso per essere la solita ritardataria. J
Poi ringrazio tutte coloro che hanno aggiunto questa storia tra le preferite, tra le seguite, tra le ricordate e soprattutto chi ha recensito. In particolare grazie a  sciarpa_a_righe, che ha tentato questa “cosa” senza neanche sapere chi fosse Damon e chi fosse Elena. Intanto ti consiglio questo telefilm, perché è la cosa più bella che è stata creata dal mondo. Beh non esageriamo, le cose più belle inventate dal mondo siete tutte voi, che mi sostenete in continuazione. Grazie, questa ff in particolare senza di voi NON ESISTEREBBE.
Vi invito a RECENSIRE numerose, mi interessano da matti i vostri pareri. Soprattutto qui in questo capitolo! Quindi… forza, non siate timide. Anche due parole, qualsiasi cosa!
Ora pubblicità: tutte le storielline di  sciarpa_a_righe, che onestamente non ho ancora letto tutte, ma ti pubblicizzo perché te lo meriti davvero. Ma anche… Breathe Again, una delle storie più ben costruite che abbia mai letto di  Stella94,  ♥Elena&Damon♥ di  DelenaVampire (non ha NIENTE a che vedere con la mia ♥Damon&Elena♥, anche se i titoli sono simili. Ma Glo sa che niente può essere ai livelli della raccolta di pazzie che scrivo
J, a parte la sua Alla Ricerca Di Klaus) e infine  Love Sucks di Marghe alias  TVD.
Che poema… ora vado a rispondere alle vostre recensioni. E a leggere la meraviglia di Mary… oddio!
Bacioni e grazie mille
Fra

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Capitolo 7
*** Promessa ***


○• I Feel You ○•

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7. Promessa

 

 

Got me out here and the water so deep
Tell me how you gonna be without me
if you ain’t here I just can’t breathe
It’s No Air No Air

 No Air, Jordin Sparks

 

 

Damon atterrò con grazia sulla spiaggia e mi adagiò sulla sabbia non troppo calda. Ormai il sole era quasi scomparso all’orizzonte, ma nonostante questo i suoi raggi illuminavano ancora di luce chiara le bellissime coste del Brasile.
I granelli di sabbia mi solleticavano la schiena; chiusi gli occhi, come per godermi fino in fondo questo momento. Era semplicemente un momento bello: lui, il mio Damon, era bello, il tramonto era bello. Tutto era bello. Mi sentivo l'errore in quel dipinto perfetto; avevo la sensazione di essere il soggetto che rovinava tutta l’atmosfera e la bellezza della pittura. Nella mia testa avevo in mente la foto di quell’attimo: era sfocata ad arte sullo sfondo e su di me: si distingueva solamente il mio vampiro, Damon. Dovevo ammettere che per nulla al mondo avrei ceduto quella foto e riconoscevo che l’atto del mio vampiro nel bruciare quella della sua famiglia era stato fin troppo altruista nei miei confronti. Ma forse l’avrei fatto anch’io per amore.
Quindi Damon mi amava davvero, altrimenti non avrebbe rinunciato ad un oggetto così a lui caro e prezioso.
"Come hai fatto?" domandai tenendo sempre gli occhi chiusi, cambiando argomento per smettere di pensare sempre alle stesse cose. Davvero non capivo come Damon fosse stato in grado di sollevarmi e farmi volare nel cielo in quel modo così spensierato, come se fosse la cosa più normale del mondo. Avevo capito che era stata una magia, ma a pensarci bene l’idea di due corpi di dimensioni umane che si librano nel cielo e non vengono sballottati a terra per la forza di gravità è strano. Va contro tutte quelle complicate leggi fisiche e chissà quant’altro.
Volevo sapere perché la magia lo aveva trascinato con me sopra l’oceano.
"A fare che?" rispose Damon adagiandosi accanto a me. Sentii le sue calde braccia stringermi dolcemente e mi sentii bene, felice e amata come non mi ero mai sentita prima.
"A volare insieme a me" risposi aprendo gli occhi e sperando di trovare le sue iridi color del ghiaccio. Ma non le vidi: le sue palpebre coprivano i suoi stupendi occhi.
Poi li aprì, come se avesse capito il mio bisogno di vederli. "Beh a dirla tutta non sono molto sicuro di come sia andata. Tu mi hai voluto con te e la polvere ha fatto tutto da sola, probabilmente. Sappi solamente che io sono contento che sia andata così perché… beh così rimarrò per sempre nei tuoi ricordi" dichiarò Damon.
Mi commossi; aveva ragione: avevo appena visto il mio sogno di una vita diventare realtà e avrei per sempre ricordato quel momento passato in volo sopra il mare. Me lo immaginavo diverso a dirla tutta, perché Damon non era programmato. Il mio primo e vero volo era stato mille volte meglio di tutte le mie aspettative più spinte.

Perché c'era Damon.
Non avrei mai pensato nella vita che avrei potuto trovare qualcuno che mi amasse come mi amava lui e non avrei nemmeno mai creduto che io fossi in grado di amare tanto come amavo lui. Non avrei mai immaginato che qualcuno non mi avesse presa in giro per quel ridicolo sogno che mi tormentava da anni. È proprio vero che la vita riesce sempre a sorprenderti, nel bene e nel male. E Damon aveva ragione: il mio ricordo non sarebbe mai sbiadito e sarebbe rimasto sempre impresso nella mia mente, indelebile. E Damon ne avrebbe sempre fatto parte, per sempre. La foto di quel momento improvvisamente cambiò, e pure io diventai bella definita. Perché quello non era il momento di Damon, ma era il mio momento. L’attimo che io condividevo con lui.
"Lo sai che ti amo" confessai senza la mia solita timidezza.
Damon sorrise a 1000 Watt: "Lo so, piccola. E sai che ti amo anch'io?" chiese poi.
Sorrisi a mia volta, ma ero perfettamente consapevole che il mio sorriso non era minimamente paragonabile al suo. "Lo so" risposi solamente, senza aggiungere nulla. Non sentivo il bisogno di parlare. Capitava spesso con lui.
Non avrei mai potuto fare a meno del suo sorriso. Nemmeno il modello più affascinante e desiderato del mondo avrebbe mai potuto eguagliare Damon. Nessuno aveva il suo carattere: dolce, sexy e sfacciato contemporaneamente, accompagnato sempre da un sorriso diverso; a volte provocante, altre comprensivo e altre ancora semplicemente un sorriso.
Amavo proprio tutto di lui e volevo amarlo per sempre.
Questo però complicava la discussione. Avrei dovuto lottare per ottenere il mio per sempre, e questo lo sapevo bene.
Sospirai; volevo chiedergli un’altra cosa: “Come hai fatto a…” feci una pausa, “… a bruciare quella foto? Come puoi riuscire ad abbandonare l’unica foto che ti è rimasta di tua madre, tuo padre e…” chiesi io, che non riuscivo davvero a capire.
Lui mi fissò, come se la risposta fosse ovvia: “Perché ti amo, Elena” disse semplicemente. Di solito le persone si stancano di sentirsi dire sempre le stesse cose, ma io non mi stufavo mai del suo “ti amo”.
“Sì, ma tu ami anche la tua famiglia” ragionai testarda.
Sorrise malinconico: “Giusto… ma li amo come li può amare qualcuno che si è rassegnato in 150 anni che sono morti e che non torneranno” sospirò. “Se ti avessero conosciuta ti avrebbero adorata” aggiunse stringendomi la mano, immerso nei ricordi. Non volevo interrompere quel suo momento. Lo avrei lasciato parlare per ore; era la prima volta che raccontava a ruota libera della sua famiglia: era strano, ma al contempo davvero affascinante.
“Mio padre era uno stronzo… ma questo lo sai. Tutti preferivano Stefan. Katherine, mio padre, tutti. Io ero sempre quello che non sarebbe dovuto nascere” sputò Damon, leggermente arrabbiato e amareggiato dai ricordi.
“Tutti i rifiuti che ho ricevuto, tutti i no che mi sono stati detti e i sì che ha invece ottenuto Stefan mi hanno portato ad essere quello che sono stato. Non credevo che qualcuno sarebbe riuscito a farmi diventare più o meno quello che ero prima di diventare un vampiro. Ma così è stato” concluse rapidamente, fissandomi.
Sorrisi, non sapendo bene come reagire. Non era una bella storia di certo.
Ora dovevo però andare incontro al discorso che avevo tentato di rimuovere dalla mia testa. Non potevo più schivarlo, dovevo sapere.
Attesi un momento prima di dire quello che volevo dire; ci avevo riflettuto molto in quei giorni e mi ero resa conto che il bisogno di avere Damon sempre al mio fianco era diventato primario, di fondamentale importanza. Non esisteva niente e nessuno che desiderassi più di Damon ed ero così convinta di questo che avrei fatto di tutto pur di stare con lui.
Fissai il cielo rosso e rosa, il sole che scendeva sempre più vicino al mare e che si rifletteva sullo specchio d'acqua e capii un'altra cosa: se in quel momento non avessi realizzato il mio sogno, la cosa che avrei voluto realizzare di più al mondo non era di certo volare, ma Damon. Solo e soltanto Damon.
"Trasformami" dissi solamente, con sicurezza. Volevo trasmettere la mia determinazione in modo chiaro. Non volevo che trovasse una nota di incertezza nella mia voce, da cui avrebbe potuto trarre chissà quante ridicole scuse forzate per sviare la mia richiesta.
Vidi i suoi occhi guardarmi con rimprovero, paura, felicità. Emozioni miste che si lasciavano svelare una ad una. "Elena... sai che non posso" sussurrò.
Scossi la testa: "Voglio delle valide ragione per le quali tu non potresti farlo" dissi io sempre molto determinata.
Lui parve pensarci un attimo: "Perché... non posso condannarti a questa vita. Non voglio che tu uccida, non voglio che tu sia costretta a manipolare la gente se fosse necessario. E se rimani umana, non combinerai mai niente per cui saresti costretta a controllare la mente di una persona. E poi... non voglio che tu cominci a commettere atti fuorilegge come rubare il sangue se fosse necessario, non voglio che tu debba vivere per sempre all’inferno. Ho paura di farti soffrire e che qualcosa vada storto e poi? Saresti furiosa con me perché mi sono lasciato convincere a trasformarti e... come farai con Bonnie, Jenna, Jeremy? Alaric? Caroline? Elena, è una delle idee più..." disse tutto d'un fiato Damon.
Lo interruppi, non volendo sentire una sola scusa stupida di più: "Come puoi solamente pensare che qualcosa vada storto fra di noi, eh?" mormorai. Davvero, come poteva pensarlo?
“Voglio dire, è più probabile che qualcosa non funzioni fra di noi ora che siamo un'umana e un vampiro. Cosa vuoi che succeda quando saremo tutti e due vampiri? La probabilità di una separazione futura è pari a quella che un meteorite ci cada sulla testa in quel preciso istante” tentai di farlo ragionare, cominciando ad alzare leggermente i toni.
"Non si sa mai, Elena. Non si sa mai nella vita cosa può succedere" disse Damon, testardo come non lo avevo mai visto.
Incominciai ad arrabbiarmi e spostai una ciocca di capelli che il vento mi aveva spostato sugli occhi. "Damon! Come puoi solamente pensarlo? Io farei di tutto pur di stare con te, lo capisci questo?" esclamai scioccata, ripentendo sempre le stesse frasi con lo stesso tono stupefatto e arrabbiato al tempo stesso.
Lui sorrise triste: "Elena, non posso trasformarti. E capisco che tu mi ami e ti amo anch'io. Ed è proprio perché ti amo che non posso trasformarti. Sarebbe il gesto più egoista che potrei mai compiere, Elena" spiegò lui.
Amavo il suo modo di essere altruista, generoso, corretto. Ma non troppo. "Damon" ricominciai decisa, "io dico che se ci amiamo così tanto e abbiamo a disposizione l'eternità... perché non sfruttarla?" aggiunsi, sperando di averlo convinto almeno un pochino. “Non hai idea di quante coppie vorrebbero vivere per sempre nel loro amore, e noi… noi siamo una di quelle poche che hanno a disposizione questa opportunità!” esclamai, cominciando ad impazzire. Sentivo che se mi avesse detto di no un’altra volta, sarei scoppiata.
Il vento alzò la sabbia e mi andò negli occhi e mi spostò i capelli. Damon allungò una mano e me li mise dietro alle orecchie: "Non potrei mai rinunciare a te umana. Amo il tuo profumo e quando le tue guance arrossiscono in modo così naturale. Amo tutto di te, Elena. E non posso uccidere tutto questo. Sarei egoista, molto ma molto egoista" confessò lui continuandomi a sistemare i capelli con dolcezza.
Improvvisamente capii una delle ragioni che stava alla base di tutta quella riluttanza. Damon aveva detto "non posso uccidere tutto questo". Sì, perché per trasformarmi lui doveva uccidermi. E aveva paura. "Damon... la ragione è che tu hai paura di..." dissi io lasciando la frase in sospeso, non volendo dire quella parola e sperando che lui la capisse.
Lo vidi chiudere gli occhi nuovamente e mi resi conto che aveva smesso di toccarmi i capelli. Poi lo vidi annuire quasi impercettibilmente, e capii che avevo fatto centro.
"Damon mi fido di te" dichiarai io. Mi avvicinai a lui fino a quando non lo costrinsi ad aprire gli occhi.
"Non dovresti, invece" sussurrò lui in risposta.
Io scossi la testa, chiedendomi disperatamente perché fosse così riluttante all'idea di passare l'eternità assieme. Forse non mi amava così tanto come lo amavo io? Forse aveva davvero paura... "Damon. Sarà una cosa veloce. Altrimenti mi uccido da sola, una coltellata nel cuore, un salto da qualche metro. Non è poi così difficile" lo minacciai. E ci riuscii: lo vidi letteralmente impallidire.
"Elena... tu non oseresti" farfugliò lui. "Comunque avresti bisogno del mio sangue. E io il mio sangue non te lo do" aggiunse poi leggermente più sereno.
Ops. Giusto: mi serviva il suo sangue, altrimenti sarei morta e non sarei resuscitata vampira. L'avevo dimenticato, presa dall'entusiasmo di poter diventare come il mio Damon senza il suo aiuto. "Uffa. Sei davvero un rompiscatole!" sbuffai seccata, allontanandomi da lui un poco. Avrei potuto cavarmela anche con il sangue di Stefan oppure quello di qualche neovampiro che capitava in città. L’idea di essere trasformata da Damon e di avere in circolo il suo sangue
Lui mi sorrise divertito; ma che aveva da sorridere? Io volevo diventare come lui, per passare il per sempre assieme e lui rideva come un cretino.
"Un rompiscatole che ha realizzato il tuo sogno" puntualizzò lui riaccorciando le distanze.
Aveva ragione; qualcosa di giusto l'aveva pur fatto. E non potevo essere indifferente a questo. "Ok... ma un giorno lo farai. Mi trasformerai. Promettimelo" dissi io avvicinando il mio viso al suo. La vicinanza con i suoi splendidi occhi azzurri mi mandava in fibrillazione, non capivo più niente. Il resto non contava; vedevo solo lui.
"Mmm mmm" mugolò lui accorciando definitivamente le distanze e facendo scontrare le nostre labbra con dolcezza. Quanto mi era mancato quel contatto! Ogni volta che Damon mi sfiorava, non capivo più niente. Andavo su un altro pianeta, dove le uniche forme di vita eravamo io e lui. Nessun altro. Avevo sempre sognato quel momento: un ragazzo insieme a me, sulla spiaggia, al tramonto, che mi baciava con dolcezza.
Avevo sempre sognato quel ragazzo che mi facesse sentire amata. E ora tutto era realtà: lo avevo ed era lì con me. E pensai che me lo avesse mandato mamma, che da lassù, in un punto indistinto del cielo mi seguiva e mi assistesse in ogni mia decisione. Perché mamma era l'unica che sapeva del mio sogno: volare. Mamma era l'unica che ne era a conoscenza, sapeva quanto volevo volare. E mi aveva mandato Damon, che era riuscito a farmi realizzare il mio sogno e che aveva fatto anche un'altra cosa: aveva lasciato che io mi innamorassi di lui.
Non so come feci, ma interruppi quel contatto: "Damon" ansimai.
Lui parve leggermente infastidito da quella breve pausa. "Damon, promettimelo. Promettimi che prima di aver raggiunto i... venticinque anni tu mi trasformerai" sussurrai.
Era in lotta con sé stesso, e lo vedevo bene. Come sempre, i suoi occhi erano lo specchio delle sue emozioni. "Te lo prometto" dichiarò poi.
Lo guardai stupita: "Davvero?" chiesi felice.
Lui annuì sorridendo: "Ma prima devi vivere il più possibile, devi vivere come ogni essere umano", aggiunse. Oh no! C'erano delle condizioni...
"Quali esperienze devo vivere ancora? Sono andata a scuola, ho avuto degli ex, ho un fidanzato, ho fatto la babysitter, cucino, stiro, ho perso i genitori, ho realizzato i miei sogni. Che manca?" domandai senza smettere di sorridere. Ero troppo felice, davvero troppo felice.
"Elena. Sposami” disse solo lui. Rimasi allibita dalla sua richiesta: faceva sul serio o era un brutto scherzo a cui volevo credere come una bambina? Era la realtà o era l'ennesima favola in cui mi pareva di essere capitata?
"Elena. Sposami" ripeté lui, serio e più deciso. Qualcosa mi fece capire che non mi stava prendendo in giro, voleva davvero che io lo sposassi.
"Oddio, Damon. Sì. Sì. Mille e milioni di volte sì" urlai io abbracciandolo. Piansi e risi contemporaneamente; lacrime di gioia mi rigavano le guance. Ero felice perché mi sentivo la donna più fortunata del mondo, mi sentivo la donna che aveva l'uomo più altruista e bello del mondo.
"Ti amo piccola. E ti trasformerò, te lo prometto" sussurrò lui infine.
Lo guardai e ci abbracciammo. Davvero non potevo più chiedere nient'altro dalla vita.

 

 

Angolino della Matta Fra

Non uccidetemi.
Ecco, inizio così questo angolino.
Non uccidetemi, vi prego.
Sono superoccupata e davvero ho provato ad aggiornare un po’ più in fretta, ma sono sotto stress e non ce la faccio più. Questo capitolo era in parte già scritto e per questo ho deciso di mettermi qui e ad ampliarlo un po’. Spero che vi sia piaciuto, sappiate che la storia comunque va avanti di massimo due o tre capitoli, visto alcune vostre richieste.
Allora… Elenuccia e Damonino si stanno avvicinando parecchio, non trovate? Fatemi sapere che ne pensate, anche se so di essere una brutta bambina cattiva che non ha recensito voi. Ma sempre per la stessa ragione: non ho tempo, sono sommersa di roba da fare almeno fino al 3 giugno. Poi basta, it’s praticamente over.
Il prossimo capitolo sarà o l’epilogo oppure il pov Damon… devo ancora decidere. Vedremo! L’aggiornamento è previsto per… mmmm non lo so, cercherò di fare in una settimana e mezza?
J Spero, io ci provo! Devo ancora fare un esame…
Ok, ora passiamo alla pubblicità e ai ringraziamenti:
Ringrazio un milione di volte tutte quelle splendide ragazze (10!) che hanno recensito circa un anno fa
J Mi dispiace, spero che mi perdoniate e mi lasciate il vostro parere. Vi prego, davvero, perdonatemi.
Dedico questo capitolo a Mary che mi ha perdonata insieme  Glo per l’immenso ritardo. Grazie grazie mille per la comprensione. Marghi ti adoro! Sei diventata una grande amica, anche se vivi dall’altra parte dell’Italia! Ahah tvb. Mi mancano le recensioni di  NaduzzaNadina
J! Dove sei? Per fortuna la sento ancora su twitter… ah se lo avete io sono @fra_is_fearless, da grande fan di zia Taylorina Swift (Naduzz ascolta “Superstar”! E’ OMG).
Ok non posso ringraziarvi tutte che divento matta con questi link che non funzionano, ma grazie davvero. Anche a chi segue la storia in silenzio, o chi l’ha aggiunta alle preferite, seguite e ricordate. Grazie. Siete sempre di più e vorrei sentire i vostri pareri! Fuori dal nido e venite, non mordo
J
Infine questa volta consiglio la storiellina…  A Mystic Love e  Crystalized! Anche con Marty e Kikka mi devo mettere in pari… arrivooo!

Infine mi farebbe piacere se passaste  qui a leggere e a commentare una mia tragica OS che ho scritto un po’ di tempo fa e che è stata in parte la causa del mio immenso ritardo… fatemi sapere che ne pensate!
Bacioni
Fra

 

 

 

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Capitolo 8
*** Cambiamento ***


•○ I Feel You ○•

 

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8. Cambiamento

 

 

Elena take me somewhere, we can be alone.
I’ll be waiting; all there’s left to do is run.
I’ll be the prince and you’ll be the princess.
It’s a love story, baby, just say yes

 

Love Story, Taylor Swift (modificata leggermente da Fra)

 

 

 

Mi trovo seduto in un salottino elegante, assolutamente troppo chiaro e luminoso per i miei gusti, in attesa del grande momento. Quel momento che viene descritto come il giorno della felicità, l’ora di un nuovo inizio e altre parolone esagerate a cui io credo solo fino a un certo punto.
Il matrimonio ha un valore per me, un valore che pensavo si fosse disperso con la mia umanità. La verità è che l’ho ritrovata e insieme è ritornato il mio desiderio di sposarmi. Mio padre me lo diceva spesso, ma non lo ascoltavo. Se mi diceva di fare una cosa, lo ignoravo. Se mi diceva di non farla, tentavo in tutti i modi di andare a sbatterci contro. Questa è solamente una delle tante dimostrazioni di quanto lo detestassi.
La verità che a volte fatico ad ammettere è che Elena Gilbert mi ha cambiato: è tutto merito suo se ora sono qui davanti a questo specchio dalle dimensioni abnormi per controllare assiduamente che la cravatta sia scrupolosamente a posto.  
Lo sapevo che in fondo quel viaggio in Brasile era stata una buona idea, seppur un po’ pazza e prematura all’inizio, ma avevo dovuto trovare a tutti i costi un modo per calmare l’animo di Elena dopo la battaglia con Klaus. Aveva dovuto affrontare parecchie cose quella notte, ma alla fine Bonnie e Elijah erano riusciti a sconfiggere il vampiro più potente del mondo senza che nessuno morisse o si facesse male. Tutti ne erano usciti illesi, ma sapevo che nel profondo Elena aveva bisogno di staccare dalla sua vita per un po’.
E ne avevo avuto la conferma quando viaggiavamo in macchina, diretti verso l’aeroporto. Le avevo chiesto cosa pensasse di me e ricordavo perfettamente le sue parole: “Che sei un matto. Completamente uscito di testa. Cioè ti rendi conto che Jenna sarà andata fuori di testa?”. Un’Elena che davvero disapprovava la situazione non avrebbe acconsentito a farsi trascinare verso  Abudududunza *154545*469**. Scoppiai a ridere al solo pensiero di cosa posso arrivare a fare se sono davvero innamorato.

Innamorato… è una parola che avevo eliminato dal mio vocabolario da un bel po’ di tempo, e che negli ultimi mesi era rientrata a farne parte.
Significa essere felici? Sì, ma è riduttivo. Non saprei descrivere come mi sono sentito quando ero nel soggiorno a bere il mio solito scotch prima di andare a dormire (nonostante fosse praticamente mattina) dopo la battaglia contro Klaus, quando arrivò Elena.
“Elena! Che piacere rivederti alle…” avevo detto io con sarcasmo e dando un’occhiata all’orologio, “alle 4.53 del mattino!” avevo concluso. “Non vai a dormire?” avevo aggiunto, bevendo un sorso dal mio bicchiere.
Lei aveva scosso la testa: “Non credo che ci riuscirei” aveva risposto.
“E come mai? Questo è strano… oh, aspetta! Stefan è al sicuro, te lo garantisco” l’avevo rassicurata con ironia.
L’avevo vista abbassare lo sguardo e poi sussurrare: “Io e Stefan abbiamo rotto” aveva detto con un singulto che mi aveva fatto venir voglia di stringerla a me con tutta la forza che avevo nel corpo.
“Vuoi parlarne?” avevo chiesto, sapendo di camminare su del terreno minato. Sarebbe scoppiata in lacrime da un momento all’altro, ma quello che aveva detto mi aveva spiazzato: “Veramente sono qui per dirti che sono stata un’idiota a non capire prima quello che provo per te. È stato Stefan a farmelo capire! Mi ha detto che te mi ami e che ti amo anch’io. Mi sono resa conto che è vero, ha ragione! Quindi io… non sono qui per altro, volevo solo dirti che ho capito. E ora spetta te a decidere se lasciarmi stare, d’altronde è quello che meriterei per averti fatto soffrire così tanto. Oppure… beh, prendermi, non saprei come dire” aveva concluso imbarazzata.
Non ero riuscito a credere alle mie orecchie: ero corso da lei e l’avevo abbracciata. Ed è stato lì che tutto è cambiato. Elena era riuscita a sorprendermi e non aveva mai smesso di farlo, da quella notte a oggi: il suo sogno più intimo, che non avrebbe mai rivelato a nessuno, aveva deciso di raccontarmelo a me. A me; e non a Stefan. A me. Forse questo non significava nulla, ma io lo vedevo come un segno di quanto fosse diverso e più inteso il suo amore per me rispetto a quello per mio fratello.
“Volevo volare”, questo è quello che aveva detto. Non era così stupido, in fin dei conti. Chi non sogna di volare? È un sogno infantile, di quelli che non si dimenticano più. Probabilmente anch’io avevo sognato lo stesso, ma non così intensamente come lei e per questo non me lo ricordavo nemmeno.
A volte vorrei saperle leggere i pensieri, per capire come le è venuta l’idea di toccare il cielo. C’è sempre una motivazione su certi argomenti.
Quando si era fatta coraggio e mi aveva rivelato il suo sogno più profondo e segreto che non aveva mai detto a nessuno tranne che a sua mamma, mi ero sentito subito una responsabilità enorme e pesante calare sulla mia schiena e improvvisamente la tasca dove custodivo la polverina era diventata molto più pesante.
Ricordo che pensai subito che quella polvere mi era costata un grosso sacrificio…

 

***

 

Damon guardò Bonnie con indecisione, paura e timore: “Bonnie… funzionerà?” domandò piano.
La strega alzò lo sguardo da una ciotola tenuta sopra al fuoco, che si scaldava minuto dopo minuto sotto la sua vigile attenzione: “Penso di sì” rispose.
Damon scosse la testa: “Lo sai che non mi fido di queste stregonerie. Ho bisogno di essere sicuro” chiarì, cominciando a pentirsi di quello che stava facendo. Era sceso in quel luogo così cupo e buio dove Bonnie stava passando gli ultimi giorni per non farsi scoprire da Klaus e dai suoi fedeli aiutanti. Era fiocamente illuminato da qualche lanterna la cui luce tremolava in modo inquietante. Dava inoltre l’aria di essere molto sporco, un ambiente che non faceva che ricordare al vampiro la situazione in cui si trovavano: Elena doveva morire. Doveva morire in un bosco, sacrificata per qualche stupido capriccio del vampiro più potente del mondo. Avrebbe dovuto patire una delle morti più dolorose che un essere umano avrebbe mai potuto sperimentare. Quel pensiero lo portava subito a ritrovare la determinazione che lo aveva spinto ad andare dalla strega.
“Lo so che vuoi essere sicuro!” esclamò stizzita Bonnie. “Ma devi fidarti della magia e devi sperare che non abbia effetti collaterali se la persona ha bevuto sangue di vampiro o cose del genere. Sono magie potenti che richiedono un grande potere e che funzionano sempre in condizioni ottimali, ma non ho la più pallida idea se avrà effetto con del sangue delle creature delle tenebre che circola nelle vene di Elena” spiegò.
Damon non finiva di darsi dell’idiota per aver dato il suo sangue a Elena. Quella era una delle cose di cui si era pentito amaramente nella sua vita. Primo, perché se Elena fosse risorta come vampira non se lo sarebbe mai perdonato, perché lei l’avrebbe odiato. Secondo, questa polvere stregata non avrebbe funzionato e non avrebbe salvato Elena dalla morte e nemmeno dalla trasformazione.
“Bene allora! Tentiamo!” sussurrò sconfitto Damon. Tirò fuori la foto della sua famiglia dalla tasca del giubbotto in pelle nera e la fissò per l’ultima volta: c’era lui all’età di dieci anni e suo fratello, abbracciati. Stefan aveva ancora i tratti infantili di un bambino e la mamma lo guardava come se fosse stato l’unica fonte di luce presente nella stanza. I suoi occhi erano illuminati alla vista dei suoi figli e Damon non l’avrebbe mai dimenticata. Se pensava a tutto l’amore che lei aveva dato loro… Ricordò che qualche giorno dopo aver scattato la foto, lei si prese una polmonite piuttosto grave e prima che i famigliari potessero digerire appieno la notizia, lei morì, lasciandoli soli assieme al padre. Lui, a differenza di lei, nella foto aveva un sorriso tirato e degli occhi severi. Fissava l’obiettivo e non i bambini, in una posa molto rigida e fredda, a differenza di quella della moglie che era incredibilmente rilassata e naturale. Si sarebbe stentato a credere che quella donna sarebbe morta entro pochi giorni: era perfettamente in salute, almeno così pareva.
Damon fece una smorfia e fissò per l’ultima volta la mamma, che a suo parere meritava di più di essere ricordata, poi tese la foto a Bonnie.
“Damon, non hai fatto copie di questa foto, vero?” chiese prima di proseguire la strega.
Damon, ancora incantato nel punto in cui prima c’era la foto, non riusciva ad ascoltare e a rispondere.
“Damon, mi senti?” chiamò Bonnie, preoccupata. Gli andò vicino e lo scrollò delicatamente per le spalle. “Damon?” ritentò.
Il vampiro si rianimò, scosso da quell’attimo di felicità, in cui gli era parso di ritornare nella maestosa villa dei Salvatore nel 1800. “Ehm, sì, ehm… che c’è?” domandò disorientato, gli occhi azzurri che ruotavano attorno alla stanza nel tentativo di ritornare al presente.
Bonnie fece in modo che i suoi occhi si scontrassero con quelli del vampiro: “Hai fatto delle copie di quella foto?” chiese, scandendo bene e chiaramente le parole.
“No, mi hai dato un’idea…” rispose Damon, tentando di riappropriarsi della fotografia.
La strega lo fermò: “No, se lo farai la magia non avrà effetto. Il sacrificio che fai per Elena non avrà più lo stesso valore” spiegò nei termini più elementari possibili.
Damon annuì, comprendendo quello che avrebbe dovuto capire da solo: “Certo, che stupido…”.
Bonnie ritornò al suo posto e cominciò a parlare in lingue sconosciute a Damon. Prese la foto e la lasciò cadere nella ciotola bollente e presto il vampiro vide il sorriso di sua madre, i suoi occhi, Stefan e se stesso bruciare nelle fiamme ardenti.
E, con sua gran sorpresa, una lacrima scese lungo la sua guancia.
Prima che se ne accorgesse, Bonnie gli porse una scatolina in legno. Lui l’afferrò, mormorò qualche ringraziamento e fece per andarsene, ma la strega lo fermò.
“Senti… Damon” mormorò indecisa Bonnie, tormentando le sue stesse mani dall’agitazione.
Damon la guardò, cercando di capire che altro volesse: “Strega, che c’è? Hai paura che non funzioni? Pure io… fare affidamento al bididibodidibu non mi renderà di certo onore. Non dirlo a nessuno e passa una buona giornata” la congedò, utilizzando il suo solito sarcasmo amaro per mascherare il dolore che, però, sarebbe servito a qualcosa. Prima o poi, Damon avrebbe trovato la felicità anche grazie a quella polvere.
Damon si assicurò che la scatolina con la polvere fosse al sicuro nel suo giubbotto. Sapeva perfettamente che quell’amarezza del suo carattere che non mancava mai quando parlava poteva risultare poco riconoscente, e stava per questo cercando di migliorare il suo modo di approcciarsi con gli altri.
“Fermo!” lo bloccò Bonnie, tutta tremolante per l’indecisione.
Damon si voltò indossando il sorriso più falso che possedeva nella sua collezione: “Sì? Avrei una certa fretta” disse. Il suo carattere stava migliorando con Elena e quando lei glielo faceva notare, si sentiva più idiota di Stefan. Purtroppo Damon rimaneva sempre il solito stronzo con le altre persone.
“Sputa il rospo” sbottò. Ora era davvero incuriosito.
Bonnie aprì la bocca e parlò velocemente: “Penso di aver trovato il modo di far tornare umano un vampiro, ma forse è una sciocchezza. Cioè voglio dire, ho pensato che tu dovessi saperlo e comunque…” blaterava Bonnie. Il succo del discorso Damon lo aveva afferrato: “Approfondisci le tue ricerche”. Avanzò di un passo e le chiuse la porta in faccia, lasciandola parlare da sola indisturbata. Tanto sapeva che la sua ultima frase l’aveva sentita, ma anche se non lo avesse fatto, il vampiro sapeva che avrebbe continuato lo stesso a cercare.

 

***

 

Sì, la polvere mi era costata parecchio. Più del denaro e dell’oro. E allora, se non l’avevo usata per quello che inizialmente pensavo di usarla, perché non utilizzarla per realizzare il sogno di Elena, se ci teneva davvero così tanto? Perché ci teneva, e lo sapevo bene.
Accanto a me c’è la foto che quel signore gentile che aveva conosciuto Elena nella sua vacanza precedente nello stesso posto ci aveva scattato per ricordarci per sempre di quella settimana romantica sull’isola. Era un tipo socievole e simpatico; Elena lo adorava: forse perché le ricordava i suoi genitori, non lo so.
Era stata scattata al molo, dove lo avevamo visto per la prima volta. Al nostro ritorno dall’isola ci aveva salutati con allegria e aveva proposto l’idea di scattarci quella foto. Elena era felice e lo si deduceva chiaramente dal suo sorriso aperto, luminoso e naturale. D’altronde le avevo appena promesso di trasformarla (con tutti i miei più grossi rimpianti) e le avevo chiesto di sposarla. E l’avevo fatta volare. Quando pensavo che quel sorriso meraviglioso era frutto di buone azioni che io avevo compiuto mi veniva da sorridere pure a me.
Quando aveva volato con me, su quella spiaggia era stato stupendo vederla felice. Davvero felice, per la prima volta…
“Damon?” mi chiama qualcuno. Mi volto e vedo la testa di Stefan che sbuca tra lo stipite e la porta. “Dovresti andare ora” mi informa.
Annuisco e rifaccio per l’ennesima volta il nodo alla cravatta. “Arrivo” rispondo. Un’altra cosa che ho fatto e che riesce a sorprendere me stesso: ho scelto mio fratello come mio testimone di nozze.
Stefan entra nella stanza e guarda la foto che ho osservato nell’ultima mezz’ora: “Damon… è davvero felice, qui” nota senza una punta di rammarico nella voce, indicando Elena.
“Sì, lo è. Ma non voglio che tu pensa che l’ho costretta” dico fissandolo negli occhi.
“Lo so. L’ho mandata io da te; le ho fatto capire che tu eri la scelta giusta” spiega Stefan.
“Ma non l’hai costretta” puntualizzo. “La scelta è stata sua. Solo e soltanto sua. Quindi poniamo fine a questa lotta tra fratelli. Facciamola finita” dichiaro tendendogli la mano.
Mi guarda come se lo stessi prendendo in giro: “Sei serio?” chiede scrutandomi per bene.
Annuisco e lui, dopo un attimo di esitazione, me la stringe.
“Ora andiamo, testimone” dico, e ci avviamo verso il bellissimo prato verde (Elena aveva preteso di sposarsi in una radura) dove si sarebbe svolta la cerimonia.

 

 

 

 

 

 

 


Angolino della Matta Fra

 

Salve gente!
Ok, ok, non uccidetemi. È un mese, anzi di più che non aggiorno. Ormai siamo alla fine e questa volta dovrei avere più o meno tutto pronto per concludere questa storia. Arriverò ai dieci capitoli e poi fine: la mia prima long-fic sarà terminata! Yuphy! Sono così contenta perché è un traguardo, ma sono anche triste perché adoro questa storia e ho visto un grosso apprezzamento anche da parte vostra, quindi grazie mille.

Ho notato che le recensioni sono un pochino calate… non che siano poche, intendiamoci, ma è brutto vedere che da 12 (o.O) arriviamo a 7… FATEVI AVANTI, BASTA SOLAMENTE UN COMMENTINO PICCOLINO PER DIRMI CHE NE PENSATE! C’è tanta gente che ha aggiunto questa storia tra le preferite, le seguite e le ricordate, quindi spero davvero che mi diciate quello che pensate e quello che vi ha spinto a leggere questa fan fiction.
Il prossimo capitolo sarà sempre POV Damon e sarà la continuazione di questo con la scena al presente del matrimonio. Spero che vi sia piaciuto questo chappy, che per me è stato piuttosto complicato perché ho dovuto rileggere la storia per trovare i punti significativi da riportare con i pensieri di Damon.
Grazie mille a:  Glo che commenta sempre OGNI cosa che scrivo.
Maria_Somerhalder che sopporta i miei ritardi ma nonostante questo è spesso la prima a recensire.
Stella94 che recensisce sempre e attende (non so come: con pazienza o imprecando?) le mie recensioni che presto arriveranno.
Marghi che c’è sempre per qualsiasi cosa. Grazie cara!

Vorrei dedicare questo capitolo a  Giuls_Salvatore che è ritornata e mi ha dedicato il capitolo. Spero che un giorno ricapiterai anche sulla mia storiella. 
E grazie anche a  sciarpa_a_righe che sopporta quello che scrivo quando non capisce nulla sui vampiri. Grazie compagna di Galilei, godiamocela prima che torni Settembre e rivediamo la Pa*** (in caso sua figlia capiti qui). J
Appello a  Naduzza: dove seiiiiiiiiiii??
Infine grazie a   laura_the_vampire_slayer che mi ha spoilerato dettagli succosi sulla 3x10 si True Blood: Eric e Sookie 4ever and ever!
Bacioni a tutte

Fra

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