I Feel You di FraRose (/viewuser.php?uid=93303)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Viaggio ***
Capitolo 3: *** Nuvole ***
Capitolo 4: *** Airplane ***
Capitolo 5: *** L'isola ***
Capitolo 6: *** Insieme ***
Capitolo 7: *** Promessa ***
Capitolo 8: *** Cambiamento ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
•○
I Feel You ○•
When
you’re fifteen and somebody tells you that they love you
you’re
gonna believe them
and
when you’re fifteen, feeling like there’s nothing
to figure out
well
count to ten, take it in this is life before you know who
you’re gonna be.
Fifteen,
Taylor Swift
Tutti abbiamo un sogno.
Ne sono sempre stata fermamente
convinta. Non mi sento l’eccezione, l’unica che
desidera ardentemente qualcosa.
Sono certa che su sette miliardi di persone che popolano la Terra,
almeno più
della metà hanno un desiderio. Sono assolutamente certa che
non esiste una persona al mondo che non abbia un sogno così
intenso da far
perdere la ragione.
C’è chi vorrebbe essere disgustosamente
ricco per pensare solo e solamente a se stesso. Mentre
c’è chi vorrebbe avere
la possibilità di poter aiutare chi è meno
fortunato.
C’è chi vorrebbe prendere un
nove di latino per dimostrare a mamma e papà le proprie
capacità e, come
secondo fine, per farsi regalare una bella e costosa collana di
bigiotteria. O,
nel caso maschile, una Play Station ultimo modello.
C’è chi anche vorrebbe
tornare indietro nel tempo e cambiare le proprie scelte. A volte pure
io vorrei
avere questo potere: poter tornare indietro e dire alla me di un tempo:
“No
questo non lo devi fare”. Tutto quello che ho scoperto dopo
aver fatto i miei
errori vorrei poterlo usare per ritornare indietro e rimediare.
Cancellare e
ricominciare tutto daccapo. Vorrei non aver sbagliato con tutte le
persone che io ho fatto soffrire e
vorrei aver
ignorato dal primo momento tutte le persone che mi
hanno fatto soffrire. Perché quando si ha quindici anni
tutto
appare perfetto e solo alla fine, quando ormai è troppo
tardi, ti rendi conto
che era tutta una favola.
Una volta la mia unica
preoccupazione era essere desiderata e acclamata dagli altri; ora non
sono più
così superficiale e desidero altro. Desidero di più. Non mi accontento di una
vita comune e monotona.
Poi c’è invece chi pensa
solamente a far carriera e magari sogna di andare a Hollywood per
diventare una
stella del cinema internazionale.
C’è chi sogna un futuro
luminoso e felice con il principe azzurro delle fiabe, vedendosi in
primo piano
davanti al logo della Disney, quel castello con mille torrette
scintillanti.
Come idea ha un certo fascino persino per me; dopotutto chi non sogna
l’amore? Chi
non pensa al futuro più scintillante assieme alla persona a
cui si ha dato il
primo bacio?
Ma il mio sogno, quello più
struggente e intenso, è un altro. Non credo che nessuna
persona sana di mente
abbia questo mio stesso desiderio, per questo lo considero
così unico e
speciale.
Tutti vorrebbero realizzare
un sogno impossibile. Perché volare
è
impossibile. Scientificamente impossibile. Ma io non riesco ad
arrendermi; non
ho la forza di lasciare perdere tutto. Sento che se lo facessi, il
mondo mi
crollerebbe addosso.
E Elena Gilbert non si
arrende mai, non sono una fifona. Sono decisa, coraggiosa ma anche
tremendamente timida. Raggiungo sempre i miei obiettivi.
Voglio riuscire a librarmi
nel cielo senza usare aerei o cose simili. È il mio
obiettivo da quando avevo
quattro anni. Non voglio arrendermi, per quanto io già
sappia che è
impossibile. Ma mamma me lo aveva promesso: un
giorno ci sarei riuscita.
Angolino
della Matta Fra o.O
Ciao!
Sì
lo so. Probabilmente
qualcuna di voi mi avrà data per morta decrepita nella
tomba. Mi sono impegnata
su questa storia e presto arriveranno i nuovi capitoli di Please Come
Back, il
mio pazzo crossover tra Twilight e The Vampire Diaries (qui)
e
anche di ♥Damon&Elena♥,
una raccolta di OneShot che vi segnalo per chi avesse voglia di farsi
due
risate.
Comunque
voi penserete che
sono matta a pubblicare una nuova storia. Infatti un po’ lo
sono, ma è tutta
pronta. Devo solamente rileggere i capitoli, il materiale
c’è tutto. L’idea mi
è venuta molto tempo fa e spero sia di vostro gradimento.
Sarà lunga circa 6 o
7 capitoli, niente di che. Spero che vi piaccia perché ci ho
messo molto
impegno. Oltre alla speranza che sia una buona lettura per voi, questa
fan fiction
ha un po’ lo scopo di avvisarvi che non sono morta (eheh)
quando avrò
difficoltà particolari a postare le altre mie storie.
Posterò
una volta alla
settimana! Questa fic palerà di un rapporto fra Damon e
Elena. Non sarà troppo
pazzoide per chi mi conosce. E credo che un’altra cosa
speciale di questa breve
fic sia l’attenzione che dedicherò al rapporto fra
mamma e figlia (s’intende
Elena).
Il
sogno di Elena è bizzarro,
ma presto arriverà la motivazione di tutto.
Sono
orgogliosa di questa
breve fic per tutto il tempo che ho impiegato a scriverla, e anche se
non
otterrà molto successo sarò davvero contenta di
averla scritta.
Grazie
se siete arrivati fin
qui,
recensite
in tanti. Vi voglio
bene
Fra
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Capitolo 2 *** Viaggio ***
•○
I Feel You ○•
2.
Viaggio
You made a
rebel of a careless man’s careful daughter
You are the best thing that’s ever been mine
Mine,
Taylor
Swift
Damon
era un matto, e ne avevo avuto la conferma qualche ora fa.
Mi
stavo chiedendo da tutto il viaggio come può il cervello di
una persona essere
così malato. Ok, Damon non è una persona
qualsiasi: è un vampiro.
Uh,
che paura! No, non c’è niente di strano, almeno
secondo me. Lo trovo affascinante.
Ogni volta che mi sfiora,
che mi bacia, sapere che in ogni momento potrebbe uccidermi senza
troppo sforzo
rende il tutto così paurosamente eccitante.
Il
pericolo è incantevole, a volte. Irresistibile. A volte, sei
tu che vai a
cercare il pericolo. E se lo incontri, non fai nulla per sfuggirgli.
Ecco,
questa ero io. Elena Gilbert. Innamorata pazza di un vampiro
centenario, che
aveva conservato la sua eterna, surreale e dannata bellezza attraverso
gli
anni. Io, che ero sempre piaciuta ai ragazzi della mia scuola e che ero
famosa
per essere la più carina di Mystic Falls, in confronto a lui
ero… niente. Proprio un
bel niente.
Come
paragonare una rosa profumata dai petali rossi e vellutati a una
margherita giallognola
appassita; io ero castana e liscia, anonima. Davvero, troppo comune.
Occhi
scuri e, stando a quello che diceva la gente, molto espressivi.
Riuscivano a
comunicare i miei stati d’animo, dicevano i parenti. Beh,
metti a confronto le
mie iridi con quelle di Damon: color del ghiaccio e anche loro molto
espressive. Stupende, incantevoli. Catturavano la tua attenzione sin
dal primo
istante. Il tutto completato da due labbra rosse e piene, spesso
piegate in un
sorriso mozzafiato e irresistibilmente sexy, e dai capelli neri
corvini, corti
e disordinati. E un fisico da urlo.
Un’altra
cosa che bisogna sapere di me è che sono senza genitori. Da
un po’ di tempo,
ormai. Però è come se sentissi sempre la mamma
sopra di me, che mi guida. È un
po’ stupido, infatti non ne parlo con nessuno, ma
è così.
E
ora, mentre viaggiavamo sulla sua auto d’epoca
decappottabile, Damon alla guida
e io a fissarlo incantata, sembrava ancora più sexy, se
è possibile.
Come
sempre indossava la sua camicia nera con le maniche arrotolate,
sbottonata fino
al secondo bottone, i jeans scuri che fasciavano le gambe perfette. Il
giubbotto di pelle nera? Sul retro, faceva caldo. Damon aveva una
specie di
ossessione per il total black. Uno dei miei obiettivi per il futuro era
quello
di fargli indossare una maglietta gialla fosforescente, magari di
quelle che si
illuminano al buio.
Il
tettuccio della macchina era abbassato, e il vento mi accarezzava la
pelle.
“A
che pensi?” chiese all’improvviso Damon.
“A
noi… a te” risposi io, con la voce un
po’ persa. Non volevo assolutamente
comunicargli i miei piani per il futuro. Erano un po’
inquietanti in certi
punti: lui sarebbe rimasto bello da svenire per sempre, io nel giro di
trent’anni avrei avuto i capelli bianchi. Non mi piaceva
troppo pensarci.
Damon
distolse lo sguardo dalla strada e si voltò verso di me. Si
avvicinò per darmi
un bacio breve a stampo, che nonostante la sua innocenza e la sua
durata di un
secondo o due, mi aveva scatenato delle emozioni incredibili. Damon poi
dovette
ritornare a guidare, per evitare di farci morire (o meglio, farmi morire. Lui era indistruttibile)
schiantati.
“E
che pensi di me?” domandò il vampiro, nascondendo
un sorriso curioso che a me
non sfuggì.
“Che
sei un matto. Completamente uscito di testa. Cioè ti rendi
conto che Jenna sarà
andata fuori di testa?” esclamai io, fingendomi arrabbiata.
Jenna poteva anche
essere andata di matto, ma non mi importava poi così tanto:
l’importante era
stare con lui, con il mio vampiro.
“Lo
so che tu stai adorando ogni singolo momento di questo
viaggio” disse lui, con
quel suo solito tono… quel tono… alla Damon. Non
sapevo proprio come chiamarlo.
Non esisteva un aggettivo per definire la sua voce.
“Bah,
io so solo che forse dovrei chiamare zia Jenna. Quanto hai intenzione
di farla
durare? Ormai è pomeriggio, torneremo indietro?”
chiesi, pregando intanto che
mi dicesse: “No, torneremo a casa fra due anni o
cinque… chissà”. Quello sì
che
sarebbe stato un sogno.
“Diciamo
che forse torneremo a casa fra una settimana. Ma posso sempre
prolungare anzi…
sono certo che l’ultimo giorno di vacanze verrai da me e mi
supplicherai in
ginocchio di rimanere ancora dove ti voglio portare ora”,
disse lui sorridendo.
Sbuffai
per nascondere l’entusiasmo e la tremenda
curiosità che mi stava assalendo:
“Sì, certo, se lo dici tu…”,
dissi iniziando a smanettare coi pulsanti della
radio. Damon l’aveva installata qualche giorno fa; prima
nell’auto non
esisteva. Era troppo vecchia.
Continuai
a cambiare stazione fino a quando non trovai qualcosa di decente: Born
This
Way, la nuova canzone di Lady GaGa. Mi faceva voglia di mettermi a
ballare in
piedi sul sedile dell’auto.
“Mi
spieghi come fai a sopportare questa porcheria?”,
domandò Damon allungando una
mano verso la radio che io allontanai prontamente con uno schiaffo non
troppo
forte. Ok che Damon era indistruttibile per come la vedevo io, ma non
volevo
comunque fargli male.
“A
me piace. E mi faresti molto felice se me la lasciassi
ascoltare”, lo informai
con un sorriso da cucciolo bastonato: sapevo che non avrebbe resistito.
Lui
non mi degnò di uno sguardo. “Allora? Non mi
guardi? Ti sto parlando, Damon!”,
lo chiamai indignata. Lui sembrava proprio non volerne sapere nulla di
me.
Simpatico.
“Devo
guardare la strada, o moriremo tutti e due”, disse solo il
vampiro.
Avevo
perfettamente capito che era combattuto: se mi avesse guardata avrebbe
ceduto e
avrebbe finito per ascoltare Lady GaGa. Se invece non mi avesse
guardata
avrebbe avuto tutta la forza di volontà per mettere le mani
alla radio e…
Ave
Maria
Il signore è con te
Preghiamo Dio
Sia benedetta
“Spero
che tu stia scherzando, vero?”, strillai io. Tutto tranne
“Radio Maria”.
Damon
sghignazzò divertito dalla mia reazione, il che mi fece
infuriare a morte.
“Ehi! Per favore, cambia”, lo implorai mentre due
suore discutevano come
mettersi in contatto col papa attraverso il messaggero angelo
custode…
“Come?
Non t’interessa? Dai che ti purifichi l’animo. Io
ne ho bisogno”, aggiunse con
un sorriso ammiccante. Dopo si voltò verso di me, che mi ero
completamente
dimenticata di mantenere lo sguardo da cucciolo. E la cosa
più sorprendente di
tutte fu che Damon incominciò a recitare il rosario insieme
a Suor Caterina o
come diavolo si chiamava.
“Damon?
Ti senti bene?”, domandai seriamente preoccupata.
“Padre
nostro che sei nei cieli. Sia santificato il tuo nome. Venga il tuo
regno…”,
blaterava Damon mentre teneva una mano sul volante e una sul cambio.
“Damon!”,
strillai io, diventando isterica forte. Stava male. Aveva bevuto.
Saremmo morti
schiantati ad un autogrill. Che brutta fine. Mamma dove sei?
“…
dacci oggi il nostro pane quotidiano…”, continuava
il vampiro ignorandomi di
brutto.
Feci
la cosa più ovvia che avrei dovuto fare da un bel
po’: cambiai radio. Trovai “What
The Hell” di Avril Lavigne. Amavo quella canzone.
“…
e non ci indurre in tentazione ma liberaci dal male. Amen! Elena che
hai fatto?
Stavo pregando!”, mi rimproverò lui.
“Guida
e sta zitto, fammi questo piacere”, risposi io mentre
canticchiavo.
“Beh
almeno ho purificato la mia anima e qualche peccato è stato
perdonato…”, si
consolò Damon, ma lo interruppi: “Damon, lo so che
lo fai per farmi arrabbiare.
Non credi nemmeno a una parola di quelle che hai detto!”,
dissi.
“E
tu che ne sai?”, domandò tentando di trattenere le
risate. Stava per esplodere:
quella situazione era assurda.
“Lo
so e basta. Mi ami troppo e con me non sei in grado di mentire.
Spiacente”, lo
informai con un sorriso furbetto. Gli
occhi di Damon parvero illuminarsi alle mie parole. Poi il mio vampiro
fece una
mossa inaspettata: sterzò a destra, verso un autogrill. Che
combinava…
“Cosa
stai facendo?”, sbuffai. Ogni cosa che Damon si metteva in
testa all’improvviso
non era mai buona. Aveva detto che dovevamo prendere un aereo: cosa si
metteva
ad allungare i tempi per qualche panino surgelato? Né io
né lui ne avevamo
bisogno.
“Magari
hai bisogno del bagno. Mi preoccupo solo per te”, rispose lui
parcheggiando.
“Beh
non ne ho bisogno”, dissi io guardando e tentando di capire
che diavolo stesse
tramando.
Lui
alzò le spalle, uscì dall’auto e mi
venne ad aprire la portiera, come un vero
gentleman. Lo amavo da pazzi.
“Grazie”,
dissi con un sorrisetto, dimenticandomi che mi stava tenendo nascosto
qualcosa.
Mi
trascinò verso l’autogrill e mi portò
nel reparto musica. “Oddio. Tu sei
suonato”, affermai io scuotendo la testa.
“Ora,
principessa. Scegliamo assieme e la facciamo finita”, disse
lui ignorandomi.
“Ok…
non mi piace niente. Torniamo in macchina”, tagliai io
voltandomi per uscire.
Lui
mi afferrò prontamente per un braccio: “No. Tu non
vai proprio da nessuna
parte. Scegli un cd. Ora”, ripeté lui. Se non
avessi scelto non so cosa avrebbe
potuto fare.
Scrutai
gli scaffali in cerca di qualcosa di minimamente ascoltabile:
“E se prendessimo
i Black Eyed Peas?”, proposi io.
Lui
impallidì: “Tu detesti i Black Eyed
Peas”, balbettò lui, improvvisamente
impaurito.
Sorrisi
vittoriosa: “Sì ma ho cambiato idea. Hai detto
prendi quello che vuoi, giusto?
Bene… ok, noi prendiamo questo”, aggiunsi quando
fu il nostro turno alla cassa.
“Certo
signorina”, rispose con un sorriso la commessa.
“No,
ti prego no. Tutto tranne i Black Eyed Peas. Elena, io ti amo lo
sai?”, mi
supplicò Damon. Tenevo lo sguardo fisso contro le mani della
ragazza che
toglievano l’antifurto al cd per non scoppiare a ridere di
fronte alla faccia
di Damon. Così imparava.
La
realtà era che pure io detestavo i Black Eyed Peas. Ma Damon
voleva sempre
vincere le nostre piccole battaglie e non volevo dargliela vinta anche
questa
volta. Lo volevo stupire. E ce l’avevo fatta.
“Dimostrami
che faresti di tutto per me e io cambierò idea”,
cinguettai io, godendomi ogni
singolo istante della mia vittoria.
“Ok…
cosa devo fare? Devo comprarti una villa con piscina?”,
domandò lui.
Mi
misi un dito sotto il mento, come per dare l’impressione che
stessi pensando: “Mmmmm…
di più di più”, miagolai.
Intanto
sentii la ragazza che fece cadere qualcosa a terra. “Oddio!
L’ho rotto! Scusate
vado a vedere se ce n’è un altro di
là”, esclamò allontanandosi.
Damon
intanto continuava a sudare in cerca di qualcosa che poteva fare per
indurmi a
cambiare cd. Che situazione ridicola. “Posso…
comparti tutto questo autogrill
con tutto quello che c’è dentro”,
provò lui.
“Ma
dai? Quindi…”, dissi io guardando gli scaffali con
i cd, “anche Born This Way
di Lady GaGa con i remix. Wow, generoso. Ma non abbastanza”,
aggiunsi io
assaporando il sapore della vittoria.
La
ragazza non era ancora tornata. “Ok…
l’hai voluto tu. Sappi solo che mi hai
costretto”, sussurrò lui al mio orecchio facendomi
rabbrividire.
Improvvisamente
mi sollevò con uno scatto repentino e mi sorresse fra le sue
braccia. Mi portò
sul bancone della cassa e mi baciò lì, in mezzo
all’autogrill.
Mi
sentii avvampare mentre guardavo giù, dove decine di facce
ci fissavano
stupiti. Per quanto mi vergognassi, non potei fare a meno di resistere
a Damon.
Lui era… Damon. Irresistibile, provocante, dannatamente
bello. Lo amavo.
Semplicemente, lo amavo.
Risposi
al bacio con passione ma sempre mantenendo il buonsenso: eravamo in
mezzo
all’autogrill. Era come se dentro di me ci fosse un uragano
in tempesta: volevo
scendere da quel maledetto bancone, ma allo stesso tempo sapevo che non
era proprio
una buona idea. Ma Damon… non riuscivo a resistergli.
Dopo
qualche secondo si staccò: “Non ho alcuna
intenzione di fermarmi. Elena, ti
amo. Come devo dimostrartelo? Cambia cd, per favore. Ti sto portando in
un
posto che non ti immagini neanche”, sussurrò lui
ansimante.
Io
non riuscivo più a ragionare, non capivo più
niente. Avevo completamente dimenticato
come ragiona la mente. Nel frattempo mi accorsi che la ragazza era
tornata e la
sua faccia sorpresa spiccava fra le altre. “Ok… va
bene”, risposi io.
Presi
un profondo respiro e scesi dal bancone tenendo la faccia bassa ed
evitando
accuratamente lo sguardo di tutta quella gente:
“Ehm…”, cominciai io,
“cambiamo
cd. Prendiamo…”, aggiunsi. “Trovane uno
trovane uno, uno a caso uno a caso”, mi
ripetevo nella mia testa. Tesi il braccio e tastai gli scaffali.
“Questo”,
conclusi io, afferrando Speak Now di Taylor Swift. La ragazza mi
lanciò uno
sguardo omicida e sostituì il cd. Pagai e uscii di fretta da
quel posto
infernale.
Mancava
qualcosa…
Uh,
sì, Damon!
Ma
non sarei tornata in quel posto neanche per tutto l’oro del
mondo. Troppa
vergogna.
Il
mio vampiro grazie a non so quale Dio ritornò da me:
“Che hai scelto?”,
domandò.
Gli
porsi il cd e lui fece una smorfia:
“Elena…”, si lamentò. Oh ma
cosa si
aspettava? Radio Maria Compilation?
“Sta
zitto! Ho capito che mi ami, ce ne vuole di coraggio per fare quello
che hai
fatto. Ma se mi ami allora questo dovrebbe andarti bene”,
sbuffai io.
“Per
quale ragione dovrebbe andarmi bene Taylor Swift?”, chiese
lui facendo una
strana faccia mentre pronunciava quel nome.
Sorrisi:
“Perché mi ami”.
“Uh
sì. Giusto”, disse lui aprendomi la portiera.
Prima
che potesse accendere il motore gli tesi il cd: “Ora
però lo metti, va bene?”,
chiesi io con gli facendo gli occhioni dolci irresistibili.
Lui
si sciolse vedendomi: “Ma certo amore”, rispose.
Partì
la prima traccia: Mine. Una delle mie preferite. Mi ricordava un
po’ lui, un po’
mamma, un po’ papà. A mamma sarebbe piaciuta
quella canzone, ne ero certa.
“Mi
dici una cosa? Prima ti ho chiesto a cosa stavi pensando…
ora a che cosa stai
pensando?”, chiese lui mentre si infilava nel traffico.
Pensai
a cosa potevo rispondergli. Non perché non volevo dirgli la
verità, ma perché
non sapevo come dirgliela.
“A
mia madre. Mi aveva fatto una promessa… ma non ha potuto
mantenerla”, sospirai
io.
Lui
aggrottò lo sguardo: “Che tipo di
promessa?”, chiese.
“Avevo
un sogno. E lei mi aveva promesso che sarei riuscita a
realizzarlo”, spiegai
io.
“Che
sogno era?”, domandò lui. Sembrava davvero
interessato.
Non
volevo dirgli la verità, mi avrebbe presa in giro:
“Ehm… non te lo voglio
dire”, dissi tutto d’un fiato.
“Perché no?”, chiese lui.
“Mi
prenderai in giro”, sussurrai.
“Non
potrei mai, Elena”, mi rassicurò.
Presi
un profondo respiro e dissi: “Volevo volare”. Non
lo vidi ridere, sorridere,
ridacchiare. Niente.
“Ci
credi ancora?”, chiese ancora lui.
Annuii
impercettibilmente, tantoché pensai che non mi avesse
nemmeno vista. “Fai bene.
Vedrai che quando meno te l’aspetti si
realizzerà”, disse lui, dolce.
“Grazie”,
dissi solo, volendo solamente porre fine alla conversazione.
Probabilmente lui
capì. Mi capiva, mi comprendeva in tutto quanto. Era
perfetto.
You are
the best thing
That’s ever been mine
Già…
quella canzone faceva proprio al caso mio. Damon era davvero la
migliore cosa
che era mai stata mia.
Angolino
della Matta Fra
Ciao!
Wow,
io vi amo. Ho visto
parecchie mie “fan” passare anche di qua. Non
sapete quanto vi adoro. Grazie
mille per tutte quelle belle recensioni positive che mi avete lasciato.
Allora…
questo capitolo ho paura che non sia all’altezza di quello
che vi aspettavate,
ma come sapete era già pronto da secoli quindi non ho voluto
cambiarlo.
Comunque
fatemi sapere; ogni
volta che dico che un capitolo fa schifo qualcosa come otto persone mi
contraddiscono
Per
chi non l’avesse capito,
io amo Taylor Swift. Trovo che ogni sua canzone sia unica, perfetta e
con un
vero significato. Per questo mi viene automatico sceglierle per i
capitoli di
questa ff, perché hanno un significato.
Cos’altro
ho da dire?
Ringrazio tutte voi che avete recensito, tutte voi che avete aggiunto
la storia
alle preferite, alle seguite e alle ricordate. Grazie anche a chi legge
in
silenzio. Grazie davvero. Non mi sarei mai aspettata un entusiasmo del
genere.
Ok…
detto questo mi scuso per
chi segue la mia fic ♥Damon&Elena♥,
perché è tipo da un mese che non aggiorno. No,
dai, non un mese. Sono poco ispirata per quelle
pazzie… comunque
scriverò la prossima settimana i capitoli di Please Come
Back, il mio crossover
tra Twilight e The Vampire Diaries (qui!)
e
ovviamente anche questa fic che avete
l’”onore” di leggere prima. Niente
è
sicuro perché sono sommersa di cose da fare; a proposito, se
qualcuna di voi
offre lezioni sulle scomposizioni dei polinomi, qui ci sarebbe la
vostra prima
cliente. E poi devo fare un
esame stupido ma per cui devo studiare. Quindi vedrò di fare
il possibile…
Ok
detto questo vi lascio,
grazie
Fra
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Capitolo 3 *** Nuvole ***
•○
I Feel You ○•
3.
Nuvole
Oh, darling
don’t you ever grow up
Don’t you ever grow up
Just stay this little
Oh, darling don’t you ever grow up
Don’t you ever grow up
It can stay this simple
Never Grow Up, Taylor Swift
“Mamma
mi annoio”, sbuffò una tenera bambina dai lunghi
capelli lisci castani.
Teneva
fra le mani una bambola con il vestitino rosa distrutto, senza una
gamba e con
i capelli tutti annodati. Uno spettacolo orribile.
“Puoi
pettinare Amy”, suggerì la mamma mentre leggeva la
sua rivista di moda.
La
bimba sbuffò, scocciata: “Non voglio pettinare
Amy! È brutta!”,
piagnucolò arrabbiata, lanciando la bambola
dall’altra
parte della stanza.
La
madre alzò gli occhi dalla rivista: “Ehi! Elena,
è brutta perché non la curi!
Prova a farle il bagnetto!”, propose di nuovo Miranda Gilbert.
Elena
scosse la testa con una smorfia arrabbiata stampata sul volto angelico.
Elena
aveva degli splendidi occhi color nocciola che illuminavano lo sguardo
della
bambina. La rendevamo luminosa, splendente, come un raggio di sole a
mezzogiorno.
“Non
mi piace Amy!, ripeté testarda.
Miranda
sospirò: “Te l’ha regalata la zia Norah
per il tuo compleanno! Non puoi
trattarla così!”, spiegò paziente la
mamma.
“Allora
perché non le fai fare tu il bagnetto, mamma? Visto che ci
tieni così tanto?”,
domandò Elena. La madre l’ammonì con lo
sguardo: “Non fare la maleducata,
Elena!”, l’avvisò.
La
bimba subito si mise le mani sulla bocca, capendo di avere esagerato.
La mamma
le aveva detto più volte che certe cose non si dicono e non
si fanno!
“Vieni
con me, Elena. Ho un gioco molto bello da fare”, disse la
mamma dolce.
Tese
la mano e la bambina l’afferrò con un
po’ di incertezza, non sicura di quello
che stesse facendo. Ma si fidava della sua mamma.
La
stava portando nel prato. Elena adorava andare a correre nel giardino,
anche se
molto spesso cadeva rovinosamente a terra, sporcandosi i pantaloni di
quello
strano colore marrone e verde. Quando succedeva, vedeva sempre la mamma
fare
delle facce strane e un po’ disperate con le sue amiche. Una
doveva essere la
mamma della sua amica Caroline, l’altra non la conosceva.
Elena amava però
troppo inspirare l’odore del prato, dell’erba
primaverile e dei fiori appena
sbocciati. Qualche fiore la faceva starnutire come una matta, qualche
volta, ed
era costretta a tornare a casa. A volte giocava a cercare i quadrifogli
da
regalare alla mamma, ma molto spesso dopo qualche minuto si stufava e
preferiva
raccogliere i fiori più belli da mettere in un vaso per
rallegrare il
soggiorno.
Quel
giorno c’era il sole, caldo e splendido. Ma non mancavano le
solite nuvole bianche
fastidiose. Elena le considerava come degli scherzi della natura:
portavano la
pioggia, e quando pioveva non si poteva uscire. Ma questa volta non
avrebbe
piovuto, no. Perché Elena doveva giocare ad un nuovo gioco
con la sua mamma,
solo sua e di nessun altro.
“Mamma,
ci sono le nuvole”, disse triste la bimba. Intanto Elena
percepiva i raggi del
sole che le scaldavano la testa e le braccia; se c’era una
cosa che amava, era
il sole che l’avvolgeva nel suo calore.
“Oh
che fortuna!” esclamò la mamma. Elena fece
un’occhiataccia e la mamma le spiegò
un po’ meglio: “Ora ci sdraiamo sul prato e
guardiamo le nuvole”.
Elena
si chiedeva spesso perché le nuvole non avessero una forma
ben definita. Perché
non erano dei cerchi perfetti o dei quadrati? Perché i loro
contorni non erano chiari
come quelli di alcuni suoi disegni, ma erano tutti tremolanti e confusi?
“Mamma?”,
chiamò la piccola.
“Sì?”,
rispose la mamma.
“Perché
le nuvole non sono come i nostri disegni? Perché non hanno
delle forme?”,
chiese Elena fissando il cielo incantata e ponendosi mille domande. La
concezione del mondo dei bambini è così
affascinante e Miranda spesso si
domandava cosa frullava nella mente della sua piccola.
La
mamma la guardò: “In realtà
è proprio questo il gioco che voglio fare. Troviamo
delle forme alle nuvole”, annunciò con un sorriso
lei.
Elena
fece una smorfia buffa: “Mamma, è impossibile.
Guarda… quella cosa sembra un
ammasso di cacc…”, notò la bambina.
“Elena, quelle parole! Non è vero,
comunque! Può benissimo essere un… cespuglio. O
no?”, disse la mamma
sorridendo.
La
bimba si concentrò sulla nuvole e poi disse:
“Sì, hai ragione! Un bel cespuglio
di… mirtilli!”, aggiunse con gli occhi luminosi al
solo pensiero di quei frutti
blu scuro, grossi, succosi e dolci. Con lo zucchero poi…
Elena amava i
mirtilli.
La
mamma rise, divertita: “Già… di
mirtilli! E quella lì? Cosa sembra quella?”,
chiese poi, indicando un’altra nuvola.
Elena
si concentrò e poi chiuse gli occhi, per esplorare nella
mente tutti gli
oggetti, le cose, gli animali che aveva visto nei suoi quattro anni di
vita.
“Ci sono! Quella è… un topo!
Sì un topo con gli occhiali!”, esclamò
lei,
battendo le mani.
La
mamma tentò invano di capire dove vedesse il topo:
“Un topo? Ne sei proprio
sicura?”, domandò ridendo. Era così
bello vedere Elena divertirsi. Vederla
ridere. Non avrebbe mai potuto rinunciare alla sua risata.
La
bimba annuì, sicura di se: “Sì! Non
vedi? Quello è il muso, poi lì
c’è la coda
e quella cosa… sono gli occhiali!”,
spiegò tutta contenta.
“E
il corpo dov’è? Le zampe?”,
domandò divertita la mamma.
Elena
pensò e due dolci fossette le si formarono sul viso mentre
sforzava la sua
mente: “Ci sono! È la testa di un topo decapitato
con gli occhiali!”, esclamò con un sorriso a
trentadue denti.
Miranda
rise: “Ma dai? E chi l’ha decapitato?”,
chiese.
Elena
pensò ancora una volta: “Io…
non… il gatto! È stato il gatto!”,
disse poi sicura
della sua risposta.
“E
dov’è ora il gatto?”,
continuò la mamma.
Elena
fissò il cielo, scrutandolo in ogni punto. Poi
indicò una nuvola: “Mamma!
Quello è gatto!”, urlò tutta felice.
“Che bel gioco, mamma!”, aggiunse poi.
“Un
gatto… Mmmmm, ma senza coda?”, la
provocò ancora una volta.
Elena
guardò la mamma con sguardo da chi la sa lunga:
“Mamma! Non ti credevo così
stupidella! Il topo si è vendicato e gli ha mangiato la
coda!”.
La
mamma sorrise, pensando all’enorme fantasia della figlia: era
una cosa positiva,
dopotutto. Crescendo le sarebbe tornata utile. Miranda non voleva che
la sua
piccola crescesse, non voleva.
“Uh!
Aveva tanta fame quel gatto!”, esclamò Miranda,
stando al gioco.
La
bambina annuì con vigore: “Sì!
Perché una mamma furbetta si è dimenticata di
dargli i suoi Friskies!”, spiegò ridendo.
“Che
mamma irresponsabile!”, disse la mamma fingendosi
scandalizzata.
“Già”,
disse solamente Elena, mentre si sdraiava sul prato dopo quel momento
di
euforia.
Mamma
e figlia rimasero in silenzio, perse nei loro pensieri a fissare il
cielo.
L’atmosfera era rilassata e regnava l’assoluto
silenzio.
“Mamma!”,
esclamò ad un certo punto la bambina. Stava indicando un
angolo del cielo, dove
un aereo stava passando, lasciando la scia.
“Che
c’è, Elena?”, domandò la
madre guardando cosa avesse eccitato tanto la piccola.
“Guarda!
Cos’è?”, chiese con gli occhi
spalancati, sorpresi. Cos’era quello strano
uccello che volava così in alto? “Mamma!
L’uccello si farà male! Sta andando
contro la nuvola!”, esclamò preoccupata la bimba.
La
mamma rise, divertita da tanta premura nei confronti di un uccello che
in
realtà… era fatto di plastica, ferro, acciaio e
vernice. “No, tesoro. Quello
non è un uccello: è un aereo”,
spiegò
paziente la mamma.
La
bambina fece una faccia interrogativa, non capendo cosa volesse dire la
parola
“aereo”. Forse la mamma era impazzita…
“Cos’è un aereo, mamma?”,
domandò lei
curiosa.
“Un
aereo è… una grande, anzi grandissima, macchina.
Ha due ali come un uccello…”,
cominciò a spiegare la mamma, ma la figlia la interruppe:
“Quindi è un uccello.
Ah, l’avevo detto io!”, si vantò la
piccola.
La
mamma sorrise: “No, non è un uccello. Non
respira!”, spiegò continuando a
sorridere.
Elena
si preoccupò: “Non fa nemmeno i
cuccioli?”, domandò in preda all’ansia.
La
mamma scosse la testa: “No. Non ha nemmeno le
piume”, continuò.
La
bimba quasi sveniva, senza una ragione precisa: “Quindi
quell’aereo lì è
unico?”, domandò stupita.
“No,
Elena. Gli aerei li costruiscono gli uomini. E dentro gli aerei ci sono
persone
grandi, che per andare in altri
paesi
devono spesso utilizzarli. Quando devono andare in Europa, per esempio.
C’è un
oceano in mezzo, e non possono andare in nave. Ci metterebbero mesi. E
allora,
si va in aereo”, spiegò la mamma, cercando di
essere il più chiara possibile.
La
bimba elaborò e metabolizzò le nuove rivelazioni
di quel giorno: “Però se
guidassi io la nave, arriverebbero
subito comunque. Ma mamma, l’aereo o come si chiama, non
cade?”, chiese di
nuovo preoccupata la piccola.
La
mamma scosse la testa: “Ha le ali, tesoro”,
tagliò corto lei. Non aveva voglia e
non era il caso di spiegare leggi fisiche, matematiche e scientifiche
di cui
nemmeno lei ci capiva molto. Avrebbero finito per annoiarsi entrambe. E
poi
Elena era davvero troppo piccola.
“Uh!
Giusto”, borbottò Elena.
Ricaddero
in un sacro silenzio. “Mamma?”,
ricominciò poi Elena.
“Sì,
Elena?”, domandò la mamma.
“Quindi
che va su un aereo è come se fosse un… cucciolo
di aereo, no?”, rifletté la
bambina. Miranda rise al modo in cui sua figlia interpretava il mondo:
“Ehm,
come mai dici questo?”, domandò lei.
Elena
la guardò con quel suo sguardo superiore e colto:
“Perché è come un uccello che
tiene nel becco i suoi piccoli!”, spiegò tutta
entusiasta.
Miranda
rise: “Sì, hai ragione. Potresti fare la
scienziata!”, suggerì.
Gli
occhi di Elena si illuminarono all’idea: “Sarebbe
fichissimo!”, esclamò. “Ma
come si fa?”, aggiunse poi leggermente dubbiosa.
La
mamma cominciò a spiegare: “Bisogna studiare e
capire perché succedono certe
cose. Tipo… secondo te perché l’erba
è verde? Perché le foglie cadono in
autunno?”, chiese.
La
bimba cercò di darsi una risposta a quei quesiti che non si
era mai posta:
“Boh!”, rispose ridendo così
innocentemente. La sua risata era pura, quella che
solo un bambino può avere.
“Ecco!
Gli scienziati studiano questo. Interessante vero?”, disse la
mamma ritornando
a leggere la sua rivista.
“Sì!”,
rispose la piccola. Poi ricaddero in quello strano silenzio di prima.
“Mamma?”,
chiamò Elena.
“Sì?”,
rispose Miranda.
Elena
non sapeva se la sua richiesta fosse stupida. Lei non era una persona grande. La mamma aveva proprio detto che
sugli aerei c’erano persone grandi. Però, pur
sapendo che probabilmente sarebbe
rimasta delusa, lo chiese: “Mamma, ma io
potrei volare?”, chiese tutto d’un fiato.
La
mamma sorrise: “Vuoi che ti porti su un aereo?”,
intuì.
Elena
annuì vigorosamente. “Sì!”,
esclamò. Voleva assolutamente volare. Quel
pomeriggio le aveva cambiato la vita, quel desiderio di
libertà nel cielo era
più forte di lei. Sperava tanto che la mamma le dicesse di
sì…
Miranda
rifletté un momento; Elena stava sicuramente pensando
all’idea di sorvolare il
mondo, pensava che essere su un aereo era sentirsi liberi nello spazio,
quando
in realtà lei sapeva perfettamente che non era affatto
così. Ma non riusciva a
dire di no a quel bel faccino innocente di fronte a lei:
“Promesso!”.
Le
due si sorrisero, Elena in modo particolarmente luminoso, e rientrarono
in
casa, pronte per leggere un nuovo capitolo di Cenerentola e per fare il
bagnetto ad Amy.
Angolino
della Matta Fra
Ciao
a tutte!
Ragazze
ma quanto vi amo?
Fate
sul serio? 10 recensioni per quel capitolo pazzo che ho scritto? Beh se
vi è piaciuto
io non posso che non esserne contentissima. Vi adoro!
Allora,
qui siamo un pochino più seri e lo saremo ancora per un
po’. Ovviamente qui
Elena non è ancora andata in aereo e presto ci
andrà, e sarà da lì che il
viaggio sulla macchina non le basterà più. Ops ho
spoilerizzato, ma è per
chiarirvi un po’ le idee.
Comunque
che ne pensate di questo capitolo flashback? Fatemi sapere con le
vostre
recensioni, sperando che aumentino sempre di più.
Sono
colpita dal successo di questa ff, vi amo. L’ho
già detto? XD
Ringrazio
tutte coloro che hanno aggiunto questa storia alle preferite, alle
seguite e
alle ricordate. Grazie soprattutto a chi ha recensito, ma grazie anche
a chi
legge in silenzio. Veramente, grazie di ♥. Non esiste
soddisfazione più grande
per me.
Ora
vi segnalo la storiella della settimana e vi invito a leggere anche le
mie,
andando sul mio profilo trovate tutto. Sono pazzie, in particolare una
(chiedete a Glo per ulteriori conferme XD).
Storiella
che segnalo: uh sì, non so nemmeno perché ci ho
messo così tanto ad arrivarci.
Ovviamente “Within a man’s heart” di d r
e e m (qui!),
per farmi
perdonare per l’immenso ritardo. Faccio schifo, lo so.
Perdonatemi
se sono in ritardo con le vostre storie, ma ho avuto molto da studiare.
Infine,
domenica prossima non aggiornerò causa viaggio a Londra.
Spero comunque di
sentirvi presto, vi voglio bene a tutte quante!
Bacioni
e grazie
Fra
|
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Capitolo 4 *** Airplane ***
•○
I Feel You ○•
4.
Airplane
La
lullaby. Distract me with your eyes.
La
lullaby.
La lullaby. Help me sleep tonight.
Goodbye
– Avril Lavigne
Arrivammo
all’aeroporto con un ritardo immenso: Damon quando si
impegnava sapeva davvero
creare casini. Non avemmo nemmeno il tempo di mangiare qualcosa che
subito
dovemmo imbarcarci e rinunciare al mio amato giro per i negozi.
Il
volo sarebbe durato parecchio a quanto pareva: Damon non voleva proprio
dirmi
dove mi volesse portare. Caraibi? Spagna? Italia? Dimmelo, no?
Ovviamente, la
risposta era no. Figurarsi se facesse qualcosa senza creare
l’effetto sorpresa.
Lui amava l’effetto sorpresa, il mistero, il farmi morire
dalla curiosità.
Avevo
ragione di credere anche che avesse pure soggiogato la sfortunata
impiegata al check-in,
al fine di sostituire il nome della nostra meta con uno ridicolo in
codice che
conoscessero solamente i passeggeri del nostro aereo, in modo che io
non
potessi avere la più pallida idea di dove fossimo diretti.
Poveri clienti, di
sicuro questo non sarebbe stato un punto a favore di quella compagnia
aerea. E
appena qualcuno sarebbe venuto a sapere chi fosse l’artefice
del nome in
codice, quella povera ragazza avrebbe ottenuto il licenziamento.
“Sappi
che per questo voglio la prima classe”, sbuffai arrabbiata,
fissando lo schermo
sopra di noi. Si vedeva una lunga serie di voli, fra i quali spiccava:
“Abudududunza *154545*469***”. Che diavolo di posto
fosse non ne avevo idea, e
fu proprio da qui che nacquero i miei sospetti sul nome in codice.
Damon
fece la sua solita faccia sorpresa, sollevando le sopracciglia.
“Di che cosa
stai parlando? Non ti seguo, scusa”, disse innocentemente.
Sbuffai.
“Davvero,
non capisco, amore”, esclamò lui disperatamente.
“Una
cosa buona che potresti fare è comprare un atlante e dirmi
dov’è Abudududunza
*154545*469***”, gli feci notare. Lo vidi sorridere.
“Vorrei
davvero, ma siamo in ritardo”, si scusò lui. Tutto
a suo favore, non era
giusto…
Digrignai
i denti e lo seguii, pronta ad imbarcarmi. L’idea di tornare
su un aereo, però
non mi piaceva.
Salimmo
sull’aereo e rimasi davvero incredula nel constatare che
Damon aveva davvero prenotato
comodi posti di prima
classe. Sprofondai senza contegno in quelle morbide poltrone imbottite con davanti un bello anche
se piccolo schermo
per potersi guardare un film. Sarebbe stato uno spasso, andare
a…
“Buonasera
gentili passeggeri. Vi annunciamo che siete sul volo XD456 diretto
a… un
momento, scusate… Abudududunza *154545*469***. Vi
ringraziamo per aver scelto
la nostra compagnia aerea e vi auguriamo un buon viaggio, che
durerà circa sette
ore. Il nostro staff sarà disponibile tutto il tempo e non
esitate a
contattarci per qualsiasi eventuale problema o richiesta”,
concluse il pilota.
Ecco
come si chiamava: Abudududunza *154545*469***. Che follia, davvero. Che
follia.
“Ehi,
hanno detto di contattarli per un qualsiasi bisogno. Chiediamo un
atlante,
no?”, chiesi.
Damon
sorrise: “Perché invece non facciamo un
pisolino?”, propose lui, sviando come
sempre tutto quello che poteva fargli perdere la battaglia.
Sbuffai,
leggermente arrabbiata. Perché non mi voleva dire dove
stavamo andando? Tutte
queste sorprese iniziavano a stufarmi. E Jenna? Esisteva anche lei. Non
mi
aveva nemmeno lasciato il tempo di chiamarla per rassicurarla e per
dirle che
stavo bene.
Sì,
come se a te in questo momento
importasse davvero di Jenna.
È
mia zia, sai?
Comunque.
Se ti dico Damon cosa pensi di
tua zia?
Ehm…
Visto?
Ma
sta zitta stupida vocina della coscienza! Questi dilemmi interiori con
la
vocina che credeva di saperne più di te erano davvero
indigeribili. E oltretutto
rappresentavano un chiaro sintomo della pazzia.
“Vada
per il pisolino”, mi arresi. Non avevo voglia di avere
discussioni con lui, mi
bastavano quelle con la coscienza che mi ritrovavo; per quanto amassi
Damon, a
volte risultava davvero molto pesante.
Mi
addormentai sulle sue gambe, che erano sempre infinitamente
più comode di
qualsiasi sedile di prima classe.
*
“Mamma!”,
strillai io. Avevo sei anni, qualcosa del genere. Eravamo chiaramente
su un
aereo, dall’aspetto squallido. I sedili erano scomodi e
rovinati. Pezzi di
imbottitura spuntavano fuori dal tessuto.
“Sì,
Elena?”, domandò mamma, mentre si allacciava la
cintura di sicurezza.
“Quando
partiamo?”, continuai io, agitandomi sul sedile e stringendo
nervosamente la
cintura, non sapendo bene come allacciarla. Davvero stavo per andare su
un
aereo? Il mio sogno. Ma ora avevo paura e avevo voglia di scendere e di
tirarmi
indietro. Non era da me arrendersi, ma proprio non ce la facevo a
reggere quella
situazione.
“Fra
poco, Elena. Fra poco”, mi tranquillizzò mamma.
Presi
un respiro profondo per calmarmi. “Non voglio partire. Ho
cambiato idea. Questo
coso ha due ali piccolissime di polistirolo! Come farà a
tenerci su tutti?”,
domandai ancora guardandomi attorno per contare le persone
sull’aereo per
l’ennesima volta.
La
mamma voltò il viso verso di me, guardandomi negli occhi:
“Elena. Ascoltami:
andrà tutto bene, arriveremo in perfetto orario e salute.
Andremo nel nostro
hotel e prima che tu te ne accorga, saremo in piscina a sguazzare
nell’acqua
fresca. Ok?”, mi rassicurò ancora una volta.
Annuii
lentamente e mi voltai verso il finestrino, a fissare le ali. Quelle
ali
tremendamente inquietanti. Di cosa erano fatte? Plastica? Quella che
magari
usavano per costruire le gambe delle Barbie? Magari lo stesso materiale
della
gamba di Amy… quella bambola tutta rotta e spezzata in mille
pezzi.
Stavo
tentando di ignorare il tic che mi suggeriva di voltare la testa per
contare le
persone a bordo. Era così fastidioso, soprattutto
perché sentivo che se non
l’avessi fatto non sarei stata tranquilla.
Così,
di nascosto, mi voltai e cominciai a contare: non ero ancora molto
brava, ma
per quel poco che ne sapevo su quel dannato aereo c’erano la
bellezza di…
settanta persone.
“Calma,
Elena”, m’imposi io. “Calma”.
Ero molto matura per la mia età; avevo smesso di
giocare alla cucinetta già da anni, a differenza della mia
amica Bonnie che per
Natale voleva farsi regalare il nuovo set per la perfetta chef.
“Mamma
ma ci regge tutti questo coso?”, chiesi ancora saltellando
sulla sedia.
La
mamma annuì. “Mamma siamo in settanta!”,
strillai ancora, notando con imbarazzo
che avevo fatto voltare qualche vecchio infastidito dalle mie urla
acute.
“Lo
so. Ma vedrai che arriveremo salvi”, mi rassicurò
di nuovo mamma.
Avevo
paura: là accanto c’era il mio fratellino Jeremy,
nuovo di zecca. Gli volevo
molto bene, e avevo paura per lui. Non volevo che morisse. Aveva
vissuto meno
di me! Quante esperienze stupende che io avevo vissuto lui si sarebbe
perso, se
oggi tutto fosse andato storto! E, a dirla tutta, non volevo morire
nemmeno io.
Dovevo fare ancora tante cose, per esempio vedere quell’isola
di cui parlava
tanto la mamma. “Vedrete… un tramonto stupendo, un
mare cristallino, tutto meraviglioso”,
continuava a urlare nella mia mente. Avrà ripetuto quelle
stesse frasi tipo una
quarantina di volte, tantoché ora erano diventate una
cantilena nella mia
testa.
“Tranquillo
Jeremy… ce la faremo”, sussurrai al mio fratellino.
Mi
accoccolai al viso del mio maschietto preferito e mi addormentai,
sperando
davvero che quelle ali robotiche pesassero più di settanta
persone.
*
“Elena?”,
mormorò una voce dolce. Non la riconoscevo, non faceva parte
del mio sogno.
“Elena?”,
mi sentii chiamare un’altra volta. Non avevo voglia di aprire
gli occhi, ma
quella voce era così dolcemente attraente.
Con
uno sforzo immane sollevai le palpebre e quello che ebbi il piacere di
vedere
fu un sorriso luminoso e degli occhi splendidi che mi scrutavano con
preoccupazione. Poi un sospiro: “Era da mezz’ora
che ti chiamavo”, esclamò sollevato
Damon.
“Scusa”,
risposi solamente io. Non era colpa mia se durante il sonno non volevo
essere
disturbata.
“Ci
hanno portato da mangiare”, mi informò il mio
vampiro. Ricordavo che prima ero
un po’ arrabbiata con lui… ma come potevo esserlo?
Come potevo essere
arrabbiata con un angelo del genere? Sembrava passato un anno da quando
Damon mi
aveva convinta a salire su un aereo diretto a Abudududunza
*154545*469***,
quando in realtà era successo circa due ore prima. Non ne
ero molto certa, a
dirla tutta, visto che mentre dormi perdi il senso del tempo che
scorre.
“Che
cosa c’è?”, chiesi io.
“Ehm…
questo delizioso e squisito hamburger”, rispose lui
ironicamente.
Fissai
il color marrone plastica del pane e feci una smorfia: “Ma
non siamo nella
prima classe?”, chiesi scettica.
“Sì,
amore. Ma non tutti sono cuochi”, spiegò Damon con
un sorrisetto.
“Dovresti
andare tu a cucinarmi lo spuntino”, suggerii io, beandomi al
solo pensiero del
sapore dei deliziosi pancake che Damon mi preparava qualche volta la
mattina.
Era nato per cucinare, su questo ero certa.
Morsi
il panino e masticai poco, in modo che la bocca non fosse troppo
impregna di
quel sapore industriale. “Beh dai. Ho mangiato di
peggio”, commentai, dando un
altro morso al pane.
Lo
vidi sorridere divertito, quando improvvisamente venni colta da un
attacco di
sonno; strano, visto che avevo dormito per ore. Probabilmente Damon si
accorse
che qualcosa in me non andava.
Nella
mia mente cominciarono a scorrere immagini a velocità
normale, come in un film;
un film dove io ero la protagonista, solamente parecchi anni
più giovane
rispetto ad ora.
Mi
vidi sussultare e svegliarmi di scatto, impaurita. Vedevo i miei occhi
spaventati, confusi. Mi resi conto che l’aereo stava
traballando, probabilmente
per una gran turbolenza. Mi sentivo scuotere, tremare e la faccia non
poi così
tranquilla della mamma non mi stava rassicurando affatto. Mi vedevo
fissare
papà stringere forte la mano di mamma; a quanto pareva anche
lei era agitata.
“Mamma
che succede?”, domandai io.
“Stiamo
attraversando una turbolenza”, annunciò la voce
del pilota, che si stava
chiaramente sforzando di nascondere l’ansia. Peccato che non
ci riuscisse.
In
quel momento mi ricordai perfettamente il giorno che stavo rivivendo:
il giorno
in cui avevo cambiato idea e non mi accontentavo più di
volare con un aereo,
perché mi faceva troppa paura. Mi faceva sentire chiusa in
una scatola, senza
scappatoie. Credo che sia quello che provi una persona claustrofobica
in un
ascensore.
Le
immagini scorrevano, i ricordi passavano davanti a me come foto in
rapida
successione. Quelle foto così colme di brutti pensieri,
ricordi, paure. Era
come se le immagini andassero avanti e ci fosse solamente il pulsante
“play” e
non ci fosse quello “stop”.
Ecco:
ora ero là, sempre vicino a mamma, papà e a
Jeremy. Ricordavo perfettamente che
in quel momento preciso della scena l’Elena di un tempo aveva
seriamente
creduto che fosse la fine. La fine di tutto. E aveva avuto molta paura
per suo
fratello Jeremy. Perché quell’Elena non voleva che
fosse tutto finito anche per
il suo fratellino. Così piccolo e innocente, non si meritava
questa fine.
“Mamma!
Non voglio morire!”, aveva detto lei.
Una
lacrima era scesa e le aveva rigato la guancia. La mamma la tolse
dolcemente
con la mano.
“Elena,
calmati”, ordinò lei dolcemente.
Poi
sentii un bacio, che non faceva parte di quell’incubo. Forse
era quello che
stava succedendo nella realtà, e io mi trovavo esattamente
nel mondo a metà fra
i sogni e la dura realtà.
“Non
voglio che finisca!”, sussurrai ancora.
Vidi
che non smettevo di piangere; vedevo la facilità con cui una
bambina delle
scuole materne poteva essere toccata, capivo quanto poco bastasse per
farle
perdere la sicurezza e assistevo anche ai magici poteri della mamma e
del papà
nel tranquillizzarla. Era incredibile l’influenza che i
genitori hanno su una
figlia durante la tenera età.
Sentii
che Damon mi posò due dita sulle labbra e la voce di mamma
assieme a quella di
lui: “No, non finirà. Te lo prometto. Ora
tranquillizzati, dormi un pochino”.
Come:
l’avevo detto nella realtà? Non era un sogno?
Solamente un brutto incubo? Ero
un po’ confusa, non capivo dove fosse il confine tra
realtà e sogno. Era come
se fosse invisibile.
Vidi
nei ricordi che tirai fuori dallo zaino un libriccino: il mio diario,
quello
che mi portavo in giro ovunque andassi. Lo avevo tuttora nel mio
bagaglio;
amavo avere tutti i miei diari sempre con me. Se
c’è una cosa davvero bella è
quella di leggere i propri ricordi, vedere come la calligrafia e il
modo di
esprimersi è cambiato nel tempo, osservare come le emozioni
e i sentimenti
diventano più intensi durante gli anni
dell’adolescenza.
Aprii
gli occhi di scatto. Damon mi osserva un po’ preoccupato, un
po’ incuriosito
dalle mie strane reazioni. “Tutto ok?”,
domandò.
Annuii
e tirai fuori dallo zaino il mio diario. Volevo vedere che cosa avevo
scritto
quel giorno. Frugai fino a quando non lo trovai.
Sfogliai
le pagine consunte e rovinate; ne avevano passate tante.
“Ecco”, sussurrai
trionfante.
Caro
diario,
ho
tanta paura. Questo coso traballa
come un… non so come cosa. L’avevo detto a mamma
che queste ali erano
difettose, ma lei non mi ha voluto ascoltare. Lei sarà pur
più grande di me, ma
di cose ne ha da imparare. E se cadessi? Se morissi? Ora?
È una turbolenza o qualcosa così. Almeno
è questo quello che ha detto il comandante Lewis. Devo
fidarmi? Dopotutto è uno
sconosciuto e mamma dice sempre di non fidarsi di uno sconosciuto. Ho
tanta
paura, per me, per mamma e per papà. Ma soprattutto, ho
tanta paura per il mio
fratellino nuovo di zecca, scintillante come un bicchiere appena
lavato. Me lo
ha regalato la mamma, sai?
Ho paura che muoia anche lui. Io ho
vissuto tanto in più di lui e non voglio che sia
così. Altrimenti, io sarei
andata sul Bruco Mela e lui no! È così
divertente, non voglio che si perda
un’esperienza del genere.
Ora vado. Ho tanta paura. Spero che
almeno tu ti salverai
Ti voglio bene
Tua,
Elena
Sentii
le lacrime riempirmi gli occhi. Sapevo come era andata a finire quella
storia:
molto bene. Il pomeriggio l’avevamo passato in piscina, a
giocare con la palla
e a fare le gare di nuoto con papà. Ma era un brutto
ricordo, brutte emozioni e
sensazioni impresse nella mia mente. Così intense che
difficilmente sarebbero
sparite dalla mia memoria.
“Ehi, amore? Tutto ok?”, domandò la sua
voce.
Non era impaurita, era tranquilla. Questo significava che probabilmente
stavamo
tutti bene, non eravamo caduti nel bel mezzo del mare e non ci
trovavamo in una
barriera di meduse filamentose e ansiose di devastarci le gambe.
Annuii
debolmente: “Ho avuto un incubo”, spiegai io tutta
tremante.
“L’avevo
capito. Ho provato a svegliarti, ma non c’era
verso”, si scusò lui. Ma per
cosa? Quella problematica qui ero io, non lui.
“Non
preoccuparti”, lo tranquillizzai io. E poi lo fissai. Fissai
quegli occhi
stupendi, profondi ed espressivi. E capii che quando lo guardavo non
contava
più niente e non capivo più niente. Perdevo il
filo del discorso, non ricordavo
più dove mi trovavo. Lo amavo troppo.
E
mi ritrovai a desiderarlo assieme a me, quel giorno in cui avrei
volato. Perché
lui doveva essere con me.
Lui
era tutto.
Angolino
della Matta Fra
Salve
popolo!
Come
state?
Io
abbastanza male, visto che domani è il mio ultimo giorno di
vacanza. Ma sono stata
a Londra, ed è stato fantastico. Amo quella città
e ringrazio il negozio della
Apple che mi ha permesso di vedere e leggere le vostre recensioni e i
vostri
messaggi (gratuitamente, WOW).
Allora,
che ve ne pare? Cara Naduzza ho abbandonato la zia Taylorina e questa
volta
ecco zia Avril, che adoro. Questa canzone non è esattamente
adatta al capitolo,
se non quella frase che ho riportato. Forse non è la Avril
che abbiamo
conosciuto, ma a me piace. Sono una fan delle canzoni drammatiche. Non
so se è
una cosa positiva.
Allora,
come è andata Pasqua? Io non ho sfiorato la cioccolata
lassù in Inghilterra. Mah,
credo che sia un bene.
Tornando
al capitolo, che ve ne pare. È stato piuttosto complicato da
scrivere e ho
paura anche che non abbia fatto nemmeno un buon lavoro, visto che si
alterna
realtà e sogno. Se capite un po’ quello che volevo
dire in questo capitolo,
qualcuno mi ama da qualche parte nel mondo.
Ok,
ora vado a rispondere alle vostre splendide recensioni. Vi amo, vi amo,
vi amo!
Grazie
a tutte quelle che hanno aggiunto questa storiellina tra le preferite,
le
seguite e le ricordate. Grazie anche a chi legge in silenzio e a chi mi
ha
aggiunta tra le autrici preferite. Che traguardo! E ora
pubblicità… Nian,
una ff di Maria_Somerhalder
che
amo. Appena all’inizio, ma quando si tratta dei nostri
piccioncini… Brava Mary.
Ne
approfitto per scusarmi con Stella94
perché sono
in ritardo con la sua ff. sono stata a Londra e non ho potuto andare
avanti,
non so se te lo avevo detto. Questa sera continuo cara!
Grazie
per tutto il vostro sostegno, vi adoro
Bacioni
Fra
|
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Capitolo 5 *** L'isola ***
•○
I Feel You ○•
5.
L’isola
When
the waves
are flooding the shore and I can't
find my way home anymore
That's when I, I, I look at you
When I
Look At You,
Miley Cyrus
Dopo
aver ritirato le valigie, decisi che la cosa più giusta e
sensata in quel
momento fosse chiamare zia Jenna, prima che si disperasse e arrivasse a
chiamare polizia e quant’altro.
“Passami
il cellulare, Damon” dissi svogliatamente.
Lui
mi fissò: “Perché?”, disse
poi. Oh no: un’altra sfida.
Presi
un profondo respiro, tentando di mantenere la calma:
“Perché devo chiamare mia
zia e coprire i tuoi crimini” spiegai io, paziente.
Lui
mi fissò interrogativo. “Mi hai rapita”
specificai.
Le
sue labbra si chiusero in una “o” comprensiva e
piena di divertimento. E
finalmente mi diede quel dannato telefono.
“Pronto,
Jenna?” cominciai prudentemente io con voce da santarellina
piena di scuse,
preparandomi psicologicamente alla sfuriata che stava per arrivare.
“Elena!”
gridò lei. Ecco: come previsto. Ora il cervello doveva
passare alla fase
“inventa scuse”.
“Elena!
Ma dove sei? Ho aspettato un po’, ma non mi chiamavi! Come ti
salta in testa di
tenere il cellulare spento, eh? Io cosa devo pensare? Che ti hanno
rapita?
Elena, dico! Mi hai spaventata! Dove sei? Torna subito a casa entro
cinque
minuti! Sei da Damon? Oddio lo sapevo che non è un bravo
ragazzo! Dio, vieni
subito a casa!” concluse senza fiato.
Ok,
passiamo alla fase due del piano.
“Zia…
mi dispiace. Il telefono era scarico! E sì, sono con Damon.
Siamo a… beh, a…”
dissi non ricordando il nome di dove fossimo. Non potevo mica dirle Abu
eccetera. Mi avrebbe presa per scema da manicomio.
Damon
mi suggerì qualcosa: “Siamo
a…” ripresi, cercando di decifrare il labiale di
Damon. “A… R… Rio”, conclusi.
Un momento; cosa? Siamo a Rio? Rio de
Janeiro?
No, non ci posso credere. Sarà meraviglioso!
Uno
strillo acuto interruppe i miei sogni: “Elena! Ma come hai
potuto andare a Rio
senza dirmelo? Come hai potuto?! Vieni subito a casa!”
ordinò lei con quel tono
autoritario ma anche isterico che proprio non le si addiceva. Cosa?
Neanche per sogno! Non me ne sarei andata da Rio neanche se mi avesse
pagata:
“Mi dispiace zia. Ci vediamo tra… non so
quanto” la congedai io. Mi dispiaceva
un pochino; che aveva fatto di male Jenna? Ma io ero con Damon sulle
coste del Brasile, non potevo
lasciar perdere
tutto. Assolutamente no.
Damon
ancora una volta mi suggerì qualcosa da dire: “Ci
vediamo fra una settimana”
specificai.
La
sentii singhiozzare e appoggiarsi a qualcosa; immaginai che fossero le
scale.
“Elena” sussurrò affranta. Probabilmente
era divorata dai sensi di colpa per
non essere una madre modello.
“Jenna,
ti prego. Con Damon sono al sicuro, te lo giuro” la
rassicurai.
Sentendo
che la situazione non migliorava, aggiunsi: “Mamma
l’avrebbe voluto. Che un
giorno tornassi qui, con la persona che amo”.
Sì,
perché io a Rio ero già stata. Con mamma,
papà e Jeremy. Il nostro primo
viaggio tutti e quattro assieme. Oltre ad essere stato un viaggio
meraviglioso
per la bellezza naturale del posto, era rimasto impresso nella mia
memoria
perché era stata la prima vacanza che avevo fatto con il mio
fratellino. Era
così piccolino. Ricordo che lo volevo sempre tenere in
braccio, cullarlo mentre
la mamma era al telefono. Mi piaceva giocare con lui, rubargli i
carillon e far
tintinnare i peluche con il campanellino. Lui si arrabbiava, ma poi
glieli
restituivo e mi toccava le guance con le sue manine paffute; era
davvero il
bimbo più tenero che potessi avere come fratello.
Oltre
a questi bei ricordi, era stato proprio quel
viaggio dove avevo volato con un aereo per la prima volta. E mi resi
conto che
il sogno che avevo fatto sull’aereo poco prima mi aveva fatto
rivivere la
terribile esperienza di molti anni fa. Il volo che avevo rivisto nel
sogno era
proprio quello per Rio de Janeiro. Che coincidenze che ci riserva la
vita,
talvolta: ero ricapitata nello stesso posto con Damon e avevo fatto un
sogno
che riguardava il mio viaggio di quando avevo sei anni.
Sentii
che Jenna smise di piangere: “Elena, va bene. Ma fa la brava.
E ogni tanto
chiama, ok?” cedette.
“D’accordo” promisi. Incapaci entrambe di
aggiungere una
parola di più, chiudemmo la chiamata quasi in sincrono.
Mi
accorsi che una lacrima solcò la mia guancia.
“Tutto a posto?” domandò
premuroso Damon. Era stranamente bello vederlo preoccupato per me; una
volta
era talmente menefreghista. O almeno, così pareva a me.
Annuii.
“Sono stata qui molti anni fa. Ora mi riviene in mente tutto.
E il sogno che ho
fatto sull’aereo riguardava quel viaggio
lì” spiegai.
“Ti
giuro che non ne avevo idea. È tutta una
coincidenza” mi consolò lui con un
sorriso.
Sorrisi
a mia volta: “Sono contenta che nella vita esistano le
coincidenze” risposi.
“Cioè… non che mi sia piaciuto rivivere
quel viaggio orribile ma… è bello
ritornare qui con la persona che amo” aggiunsi.
Ero
sempre più certa che fosse tutto scritto sulla pietra del
mio destino. Tutte
queste coincidenze! Dove stavo andando, che sarebbe successo a Rio?
Sentivo che
sarebbe successo qualcosa.
Io
e Damon ci guardammo per un attimo eterno e ci avviammo verso
l’uscita
dell’aeroporto. Non riuscivo proprio a fare a meno di pensare
che tutto questo
non fosso un caso o una coincidenza; per me mamma ci guidava: aveva
suggerito a
Damon di portarmi qui, perché sapeva che mi avrebbe reso
felice. Per me mamma
avrebbe apprezzato Damon, nonostante la sua aria da cattivo ragazzo che
non
porta nulla di buono.
Io
sentivo che la mia mamma mi guidava ancora, da lassù.
*
Arrivammo
al nostro hotel a cinque stelle; figurarsi se Damon comprasse qualcosa
che non
fosse il massimo per me. Mi piaceva quando mi viziava in quel modo: mi
faceva
davvero sentire una principessa, ma a volte io sapevo anche
accontentarmi di
poco. Mi bastava che mi amasse; anzi, già il fatto che mi
sopportasse per tutto
quel tempo era abbastanza.
“Bene
amore” annunciò lui, “questa sera bagno
di mezzanotte. Con prima ovviamente
cenetta romantica sulla spiaggia” specificò lui
con quel sorriso.
“Non
vedo l’ora, signor Salvatore” risposi io
sinceramente entusiasta.
Lo
vidi aprire la bocca, come se volesse rispondermi, ma poi si trattenne
e
mascherò il tutto con il suo solito sorriso che ti faceva
dimenticare dov’eri.
Mi
prese per mano e mi trascinò verso la spiaggia. Non vedevo
l’ora: lo amavo. Troppo.
Alla follia.
*
I
giorni successivi passarono nella serenità più
serena possibile.
La
nostra suite imperiale dalle tonalità verdi era
più che comoda. Neanche la
stanza di nozze di Kate e William avrebbe potuto essere più
imperiale della
nostra.
Appena
vi ero entrata mi era sembrato di entrare nell’ennesima fiaba
e di visitare la
camera di una principessa. E infatti Damon mi aveva accolta con:
“La stanza
perfetta per la mia principessa”.
Sì,
aveva ragione. Non credo che qualcuno si potesse permettere una stanza
migliore
di quella: era enorme, immensa. In mezzo troneggiava un letto
matrimoniale a
baldacchino, con le lenzuola e il piumone verde prato. Non capivo
ancora bene
che funzione avesse quell’ammasso caldo di piume con
quell’afa soffocante di
Rio.
I
cuscini erano così morbidi che appena vi sprofondavi dentro,
non volevi più
alzarti. Si modellavano secondo le forme della tua testa. Erano
perfetti.
Le
pareti erano color verde chiaro, un colore che io trovavo estremamente
rilassante.
Non tanto perché era scientificamente provato dai medici, ma
perché il verde mi
ricordava lo spazio aperto, un prato immenso in cui correre,
l’erba che ti
sfiora le caviglie mentre cammini. Quel profumo singolare che si sente
solamente dove c’è tanto ma tanto verde. Come
entrare in un bosco alpino o in
una radura.
L’aria
aperta era davvero tutto il contrario di un aereo: mi faceva sentire
liberta.
Non c’erano confini, potevo andare dovunque volevo. E amavo
quella sensazione.
E non meno importante, mi ricordava quei pomeriggi passati al parco
giochi
assieme alle mie più grandi amiche Caroline e Bonnie. Non le
vedevo da un po’ e
mi mancavano. Ci volevamo un mondo di bene.
E
quando pensavo alle mie amiche, che erano cresciute con me a Mystic
Falls, quella
cittadina anonima e misteriosa, non riuscivo a non pensare a mamma. A
quel
giorno speciale in cui scoprii il gioco delle nuvole.
Un
giorno Damon mi trascinò verso la spiaggia, come faceva
sempre, ma non si fermò
alla nostra sdraio e al nostro ombrellone riservato.
“Dove
stai andando?” domandai curiosa.
“Vedrai”
mi rispose semplicemente. Ancora segreti, sorprese, misteri? Non
tolleravo più
quei giochetti.
“Ehi,
Damon! Ti prego, dimmi dove mi stai portando!” dissi io
cercando di essere il
più convincente possibile. Ma a quanto pareva, lui era
irremovibile. “No! Lo
vedrai dopo con i tuoi occhi” disse, ponendo fine alla
conversazione dandomi un
buffetto sul naso.
Davvero
molto tenero, ma non abbastanza per farmi stare buona. “Non
mi arrenderò” lo
minacciai.
“Non
importa. Siamo arrivati” rispose lui schietto.
Ammutolii,
sconfitta. Nemmeno quella volta ero riuscita a far sputare il rospo a
Damon
prima che fosse troppo tardi. Abbassai lo sguardo sulle mie infradito
arancioni
e cominciai a fare la faccia immusonita.
“Ehi,
non vuoi vedere dove ti ho portato” chiese lui sorpreso.
Scossi
la testa come una bambina piccola.
“Avanti…
non vorrai mica metterti a contare i granelli di sabbia”
esclamò lui tentando
inutilmente con la mano di alzarmi la testa.
Cominciai
a contare i granelli di sabbia, facendo esattamente l’opposto
di quello che lui
voleva che facessi. Uno, due, tre,
cinque, dieci, venti, cinquanta, che palle.
Alzai
lo sguardo annoiata e lo guardai, vedendolo sorridere come un cretino:
“Allora!
Quanti sono i granelli di sabbia?” domandò.
“Figurati
se li ho contati” mentii io.
Lasciò
perdere e ricominciò a parlare: “Allora. Non vuoi
vedere?” chiese lui,
insistente. Ma cosa dovevo vedere di tanto bello? Le piramidi?
Spostai
lo sguardo, un po’ incuriosita e un po’ stufa di
tutta quella insistenza.
Scrutai
bene il paesaggio: “Un porto?” domandai allibita.
Lui
mi guardò per un attimo: “Sì, un
porto” confermò. Poi mi prese per mano e mi
trascinò verso una barca. Una bella grossa, ad essere
sinceri. Era bianca, con
delle bellissime vele bianche e azzurre che si gonfiavano leggermente
per il
poco vento che aleggiava attorno a noi. Aveva un’aria
stranamente familiare.
Era
un piccolo veliero. Mi avvicinai, insospettita da come Damon stava
fissando il vecchio
guardiano di turno. Oggi impersonava anche lo sfigato
di turno, perché molto probabilmente Damon lo
stava
soggiogando. Ancora non riusciva fare a meno dei suoi poteri
soprannaturali
vampireschi.
Notai
con grande stupore che sullo scafo della piccola imbarcazione
c’era una
scritta, probabilmente il nome che era stato dato alla nave: Elena.
Strabuzzai
gli occhi: il mio nome. E in quel momento ricordai, ricordai
perché quella
barca era così familiare.
*
“Mamma!
Guarda lì! E-L-E-N-A! Elena!”
strillò
Elena. Era con la sua famiglia in vacanza a Rio, e la mamma stava
tentando in
tutti i modi di farle dimenticare tutta la brutta esperienza vissuta
sull’aereo.
“Mamma!
Elena!” ripeté
battendo le mani la
piccola. Continuava a fare avanti e indietro fra la barca e la mamma,
come un
piccolo pazzo robot.
“Cosa
c’è piccola?” chiese la mamma, che si
era persa a esaminare una cartina della
città.
“Mamma?!
Perché non mi ascolti? Elena!”
ripeté
esasperata la bimba.
Miranda
si guardò attorno: “Dove Elena?”
chiese disorientata.
Elena
sbuffò e indicò il punto che tanto la
ossessionava. “Ah!” esclamò Miranda,
comprendendo solamente in quel momento perché sua figlia
fosse così emozionata.
“Andiamo
su quella barchetta?” chiese Elena tirando la maglia della
mamma con dolcezza e
insistenza.
Miranda
guardò un attimo il marito e poi annuì:
“Ma certo, piccola”, acconsentì. Di
tutto, pur di farle dimenticare quel maledetto viaggio.
*
“Fai
sul serio?” domandai stupita.
Lui
annuì: “No, faccio per finta” aggiunse
ironico.
“Ma,
voglio dire: sul serio mi porti su quella barca?” chiesi
ancora più incredula.
Già trovavo incredibile il fatto che mi trovassi nella
stessa città dove ero
venuta con i miei genitori molto tempo prima, se poi mi trovavo nella
stessa
spiaggia e con davanti la stessa barca che mi aveva incantata molti
anni prima!
Ora che avevo dei punti di riferimento mi davo della stupida per non
aver
capito prima che mi trovavo esattamente nello stesso posto.
Sì, i miracoli
esistono. Sulla Terra saranno esistite milioni di città, e
Damon aveva scelto
proprio quella lì, quella dove io, mamma, papà e
Jeremy avevamo fatto la nostra
prima vacanza assieme.
“Davvero,
ti porto su quella barca sul serio”
confermò sorridendo Damon. “Saliamo?”
aggiunse. Davvero? No, non ci
potevo assolutamente credere.
“E
dove andremo, dopo?”, chiesi mentre muovevo i primi passi
verso la barca.
Vedevo sempre più chiaramente i dettagli, ogni scheggia di
vernice che si stava
staccando dall’imbarcazione era sempre più
definita, più chiara e grande.
“In
un bel posto” rispose. Ma perché tutto
quell’alone di mistero attorno a tutto
quello che diceva?
“Perché
ti diverti a fare tanto il misterioso. E dimmelo, no?”
sbottai salendo sulla
barca.
Lui
scosse la testa: “Mmmmm, no. Preferisco di no” si
giustificò. Se pensava di
farmi felice con tutte quelle sorprese, si sbagliava di grosso. In
genere i
maschi fanno tutte queste sorprese ultra romantiche per far contente le
fidanzate… beh con me non funzionava, oppure aveva davvero
superato il limite
che la mia sopportazione aveva.
“Io
ti conosco!” esclamò improvvisamente il guardiano.
Mi voltai, sorpresa. Si riferiva
a me? O a Damon?
“Prego”
si scusò il mio vampiro.
“Io
conosco la ragazza! Sì, era qui in vacanza con la famiglia
molti anni fa. Intendo…
parecchi anni fa. Aveva un
fratellino
piccolo, pochi mesi o al massimo un anno. E i genitori… lui
medico. Lei non so.
Grayson e… Miranda, sì”
spiegò lui, immerso nei ricordi.
Che
cosa? Lui conosceva i miei genitori? “Sì,
sono la loro figlia”
confermai. “Ci siamo conosciuti qui?” chiesi,
curiosa di sapere i dettagli.
Lui
annuì: “Sì. Conosco parecchia gente
qui, ma quella bambina che eri mi è rimasta
impressa. Era incantata dagli aquiloni. Ne voleva comprare uno, ma la
mamma non
aveva i soldi. Così te l’ho regalato,
ricordi… Elena, giusto?” raccontò
l’uomo.
Io
annuii, sorpresa che uno semisconosciuto potesse davvero
ricordarsi il mio nome. Ma non avevo nessun ricordo
dell’aquilone,
a dir la verità.
“Però
non ricordo nulla sull’aquilone” ammisi, sperando
che lui mi dicesse qualcosa
di più. Non che fosse di importanza vitale, ma volevo sapere
quel pezzo
mancante del puzzle che costituiva la mia vita.
“E
certo, come potresti? Eri così piccola… beh
volevi l’aquilone perché lo volevi
abbracciare, fartelo amico. Dicevi proprio così, che volevi
diventare suo
amico. E volevi volare assieme a lui. Quando te l’ho dato
l’hai abbracciato
come se fosse un tesoro prezioso. Eri una bambina speciale, Elena. I
tuoi, come
stanno?” domandò poi.
Scossi
la testa: “Loro… non ci sono
più” lo informai. Che brutto parlare di queste
cose, ma che colpe potevo attribuirgli? Non ne sapeva niente! E
comunque mi
aveva appena raccontato l’ennesimo episodio che testimoniava
il mio sogno così
importante e irrealizzabile.
Lui
rimase allibito: “Mi dispiace. Erano brave persone”
disse tristemente.
“Già”
ribattei io. Guardai Damon e gli feci cenno di andare. Salutai
l’uomo e
cominciammo ad allontanarci.
“Divertiti
Elena e lei! non la faccia soffrire, è una brava
ragazza!” si raccomandò.
“Ci
può contare!” rispose Damon.
Dopo
qualche minuto immersi nelle nostre riflessioni domandai:
“Perché guidi tu? Non
potrei guidare io una volta?”.
Lui
mi guardò con quel suo sorriso strafottente e sghembo che,
per quanto fosse
odioso, amavo alla follia. “Guido io, ovviamente”
rispose senza togliersi quel sorrisetto. Perché doveva
essere così egocentrico?
Come se non bastasse, sottolineava per benino ogni “ovviamente”, “naturalmente”
e sinonimi, come se lui fosse davvero
in grado di fare tutto. E per di
più,
sviava sempre le mie domande: non avevo chiesto “chi
guida”, bensì “posso
guidare io”. E lui non mi aveva dato una risposta valida.
Ma
tu lo sai che lui può fare
tutto…
Sta’
zitta!
Ragiona,
Elena cara…
Ho
detto sta’ zitta!
Una
sola domanda…
Che
sia una sola, però!
Cosa
non sa fare?
Ehm…
non sa… fare… non sa fare…
Ecco!
Detestavo
i dilemmi con la mia coscienza, erano una cosa insopportabile.
Ultimamente mi
succedeva spesso.
“Ovviamente”
enfatizzai. Lo vidi sorridere e studiare la barca.
Il
vento cominciò ad essere più forte, mi
scompigliava i capelli e me li faceva
andare in bocca. Odiavo quando succedeva, soprattutto quando dopo
dovevo fare
pazzie per sistemarmeli.
“Perché
non ti fidi?” mi alitò, improvvisamente vicino e
tremendamente sensuale.
Scossi
la testa per darmi una svegliata. “Certo che mi
fido” sbottai incrociando le
braccia sul petto.
Passò
qualche minuto, in cui si sentì solamente la barca che
ondeggiava sul mare, le
onde che si infrangevano sulla piccola imbarcazione e i nostri respiri,
che si
confondevano col vento che ci permetteva di muoverci, seppur a
velocità così
lenta che normalmente mi avrebbe urtato i nervi. Ma andare piano e
tranquillamente mi piaceva, in quel momento. Era adatto alla
situazione, a ciò
che stava accadendo.
Eravamo
in silenzio, ma sentivo che era un silenzio ricco di parole non dette.
Perché
quel silenzio, in quel preciso attimo, valeva più di mille
parole.
Poco
dopo cominciai ad intravedere qualcosa all’orizzonte, che si
confondeva un po’
con la leggera foschia che copriva il cielo quel giorno. Guardai Damon,
ma lui
continuava a fissare lo stesso punto davanti a noi.
Qualche
minuto dopo ardui ragionamenti, realizzai che quella che vedevo era
terra,
tangibile e calpestabile terra.
“Wow!
Un’isola, Damon? un’isola?” domandai
sorpresa.
Lo
vidi voltare la testa verso di me e annuire.
“Ahhhh
ti amo!” strillai saltandogli addosso. Gli lasciai un bel
bacio a stampo sulle
labbra, di quelli che se avessi avuto il rossetto gli avrebbe lasciato
una
visibile impronta.
“Ok,
calmati!” disse lui divertito dal mio attacco di pazzia. Poco
dopo ritornò a
fare attenzione alla rotta della barchetta, per fare attenzioni che non
andassimo contro qualche scoglio.
Arrivammo
finalmente alla riva, il vento non era calato e avevo ancora tutti i
capelli
scompigliati. Imprecai cercando di sistemarmeli dietro le orecchie.
“Ehi”
intervenne Damon, dolcemente. Afferrò le ciocche di capelli
fuori posto e le
sistemò con calma. Come faceva? Non lo so. Mi ero
già dimenticata di tutto
quanto. Mi stava fissando con quegli occhi color ghiaccio,
tremendamente freddi
ma allo stesso tempo caldi e pieni di amore. Non riuscivo a credere che
tutto
quell’amore fosse per me. Che avevo fatto di così
buono per meritarmi questo
dalla vita?
Continuò
a fissarmi per un tempo interminabile.
Ti
amo, ti amo, ti amo, ti amo
Perché
non lo dicevo ad alta voce? Se ne ero così sicura, cosa mi
costava aprire la
bocca?
“Ti
amo, Elena” disse lui, avvicinandosi sempre di
più, sempre di più, sempre di
più. Il mio cervello si era bloccato, non funzionava. Sapevo
solamente che non
me lo aveva mai detto in questo modo così deciso,
così sicuro di sé. E sapevo
anche che qualcosa dovevo fare anch’io…
Uno,
due, tre… Vai, Elena!
“Ti
amo anch’io, Damon” risposi sincera e senza avere
la voce tremante, come
sospettavo sarebbe stata. E invece no.
Sì,
forse l’amore davvero ci cambia, ci fa fare cose assurde. Ci
fa sorprese e ci
fa soffrire. Fa tutto. E mi faceva
amare Damon. E faceva Damon
amare me. E mi faceva ancora
sperare
nel mio sogno. Semplicemente perché amavo Damon e
perché l’amore può fare
tutto.
Angolino
della Matta Fra
Ciao
gente!
Allora,
avrei dovuto aggiornare l’altra mia storia Please
Come Back,
ma purtroppo è un capitolo complicato quello che viene
adesso e sono ancora un
pochino indietro. Appena posso, sappiate che posterò subito!
Per chi volesse
tentare questa follia di storia, è un crossover tra Twilight
e The Vampire
Diaries… spero che qualcuno faccia un salto anche
lì.
Che
ne pensate di questo capitolo? Siete deluse, vero?
Ammetto
con un po’ di vergogna che mi sono ispirata a Twilight e alla
luna di miele tra
Edward e Bella per questo capitolo. Non bastava Rio, ma anche la
barchetta e l’isola.
Fra è delusa da sé stessa. Ma ovviamente le
somiglianze finiscono qui J…
Sono
ossessionata da questa storia e mi ossessiona a tal punto da soffrire
di
scrittura compulsiva. Mi dispiace che ormai abbiamo superato la
metà di questa
ff! Già proprio così! Magari riuscirò
a inventarmi qualche altra cosa, ma
secondo i miei schemi qui è finita. Ancora qualche
capitoletto, ovviamente, ma
poi fine.
Beh
che dire ora? Grazie, vi amo. Non ho mai amato nessuno così
tanto. Ringrazio tutte
coloro che hanno recensito, in particolare maudy
perché ha
recensito tutti i capitoli. Veramente grazie!
Ma
grazie a tutte quelle che si sono messe a leggere la storia ora e hanno
lasciato un parere. Grazie! E alle mie care amiche che ormai sono
sorelline… in
particolare Nada650
e TVD,
le mie
compagne di follie.
Ora
angolino pubblicità: A
Mystic Love
di Kikka
97,
che devo
riprendere a leggere ed è lì che mi guarda con
occhi supplicanti. Arrivo anche
con te! Ma la scuola mi uccide e ho tanto da fare anche con molte altre
ff! scusami,
ma io ci sono, ok?
Ora
vi lascio e facciamo gli auguri a William e a Kate muhahahahahahahah li
ho pure
citati nel capitolo. Finalmente hanno fatto questo maledetto matrimonio
del
secolo e (non) ne sentiremo più parlare… eh
figurati. Non avete idea quanti gadget
erano in vendita a Londra! Quel sorriso ebete di quel principe era
ovunque:
nelle vetrine, su bandiere bah che pazzie!
Ok
ora me ne vado davvero
Bacioni
e grazie
Recensite
in tante
Fra
|
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Capitolo 6 *** Insieme ***
•○
I Feel You ○•
6.
Insieme
Any
moment, everything can change,
Feel the wind on your shoulder,
For a minute, all the world can wait,
Let go of your yesterday.
Fly,
Hilary Duff
Eravamo
ancora là, seduti su quella barca a guardarci. Sempre quello
stesso silenzio
pieno di parole, quello dove bastava uno sguardo per comunicare tutti i
propri
pensieri.
Fissavo
quegli occhi azzurri come l’oceano che ci circondava e freddi
come il ghiaccio,
e mi ci perdevo. Non mi perdevo come quando sei in un bosco da sola e
non sai
più dove andare, perché io sapevo
come muovermi in quel mare così profondo. Conoscevo Damon
così bene che nessuno
scoglio nascosto avrebbe potuto ingannarmi.
“Forse
sarebbe meglio andare” suggerì lui, spezzando quel
momento così incredibile,
così magico.
Non
riuscivo a ritrovare l’uso della parola e mi limitai ad
annuire, alzandomi e
cominciando a prendere conoscenza con quella spiaggia.
La
sabbia era marroncino chiaro e piuttosto fina. Sulla riva le onde,
spinte dalle
correnti, avevano portato dei ciottoli che variavano
tonalità: andavano dal
nero pece al bianco neve. Erano sassi levigati e dalla forma
tondeggiante,
incredibilmente lisci al tatto. Ne raccolsi uno e me lo rigirai tra le
mani:
era bagnato e color grigio, ma con delle singolari sfumature bianche e
nere.
“Carino”
mi sussurrò alle spalle Damon, cogliendomi di sorpresa. Se
avessi voltato la
testa leggermente avrei incontrato di nuovo i suoi occhi e le sue
labbra, ma
questa volta a distanza quasi nulla. Se a mezzo metro di distanza mi
facevano
dimenticare chi fossi, chissà cosa poteva succedere con un
distacco di due
centimetri…
“Già”
risposi solamente, non sapendo bene cosa aggiungere.
Lo
vidi allontanarsi e piegarsi, scrutando bene la riva. Poi raccolse un
ciottolo
e me lo fece vedere: era lucido, un bianco quasi perfetto e aveva una
forma a
cuore. Non pensavo esistessero davvero quei sassi così
speciali; avevo sempre
creduto che fossero invenzioni fatte a computer per i bigliettini di
auguri
sdolcinati e romantici. Inutile
dire che
quel sassolino era a dir poco splendido, unico. Come lui, come Damon.
“Ecco”
disse, “questo è per te, per la mia
principessina”. Mi tese il sassolino dalle
curve un po’ sbilenche, ma comunque perfetto nella sua
imperfezione.
Era
incredibile quanto Damon fosse cambiato. Quando era con me, era
un’altra
persona che non avrei mai riconosciuto. Una volta voleva solamente
Katherine;
era lei che ossessionava i suoi pensieri ed ero pronta a scommettere
che
avrebbe ucciso persino me, se questo avesse significato riaverla fra le
sue
mani.
Sì,
perché io fino a un anno fa non contavo nulla per lui.
Poi
tutto era cambiato: Katherine era tornata e aveva rivelato di aver
provato dei
veri e intensi sentimenti solo per Stefan. Non glielo avevo mai
chiesto, ma ero
certa che era stato in quel periodo che Damon aveva capito che io
contavo più
di quanto avrei dovuto nella sua vita.
Perché
io ero la ragazza del fratello buono, quello che volevano tutti.
Nonostante lui
fosse innegabilmente più bello, affascinante, incantevole,
tutte preferivano
sempre Stefan (tranne le ragazzine con gli ormoni a mille). E quando mi
aveva
detto di aver sofferto per mille ragioni, era riuscito a toccare il mio
cuore,
che si era reso conto della sofferenza che contraddistingueva la sua
voce in
quel momento, quando in genere era provocante, seducente e sicura di
sé.
Era
riuscito a cambiare così tanto in molti aspetti per me.
“Grazie”
mormorai, riconoscente. Quel cuoricino era davvero bello.
“Figurati”
rispose. “Questo e altro per la mia principessa”
aggiunse sorridendo e
avvicinandosi sempre di più verso di me.
Il
cervello fa le valigie e va alle
Hawaii. La ragione parte per Sydney. La mente ritorna a casa, a Mystic
Falls.
Il buonsenso va a farsi una nuotata nelle acque ghiacciate
dell’oceano. Conclusione:
Elena non risponde più ai comandi.
Chiusi
gli occhi, visto che tutto quello che mi aiutava a ragionare nella vita
mi
aveva abbandonato senza farsi troppi scrupoli. E dopo quelle che
sembrarono
ore, le nostre labbra si toccarono. Un bacio dolce che non pretendeva
nulla.
“Dovremmo
andare a montare la tenda” mi informò lui,
staccandosi per respirare. Si
sentiva che però non ne aveva poi così tanta
voglia. E questo non mi aiutava. Potevamo
stare qua tutta la notte, una spiaggia, il mare, nessuno in giro. Sarei
rimasta
ore lì con Damon a baciarlo, ad amarlo e ad abbracciarlo.
“Perché?”
chiesi, pronta a rimpossessarmi della sua bocca.
Lui
inizialmente mi assecondò, poi si staccò di nuovo
con mio grande disappunto:
“Perché dopo non avremo più
tempo” spiegò paziente. E questa volta la magia
finì, definitivamente.
Ritornò
alla barca, si assicurò di averla legata per bene al palo
che spuntava fuori
dall’acqua e si avviò con lo zaino e la borsa da
spiaggia che avevamo portato
dietro verso un boschetto che spuntava a qualche metro di distanza.
“Nel
bosco?” domandai, correndo come una pazza per stare dietro al
suo passo da
gigante. Stupidi poteri soprannaturali vampireschi… sbuffai
al pensiero.
Lo
vidi annuire e sorridere: “Hai paura degli animali
cattivi?” chiese ironico.
Scoppiai
a ridere: “No, perché so che il mio principe
è pronto a mangiarseli tutti pur
di risparmiare la mia vita” dichiarai sicura di me.
“Chi
ha detto che farei indigestione per te?” chiese lui,
fingendosi scettico.
Alzai
le spalle: “Prima mi hai detto che mi ami” dissi
con disinvoltura, quasi con un
tono menefreghista. Come se il fatto che mi amasse fosse di scarsa
importanza…
come potevo essere così ipocrita non ne avevo idea, visto
che per me il suo
amore se non era tutto, ci mancava poco.
“Ah
giusto, lo avevo detto” sussurrò lui,
improvvisamente dietro di me. “Ho
cambiato idea…” aggiunse mormorando e dandomi dei
baci brevi ma bollenti sul
collo. Mi stava facendo impazzire, ogni minimo contatto con il suo
corpo mi
faceva rabbrividire. In quel momento volli una cosa che non mi ero mai
ritrovata a desiderare: volevo che mi mordesse, volevo essere sua anche
nel suo modo, non solo nel mio. Il
pensiero
che il mio sangue circolasse nel suo corpo era troppo irresistibile, ma
sapevo
anche che quel momento doveva
essere il momento. Non uno
qualsiasi. Quindi mi
trattenni e non dissi nulla.
“Dobbiamo montare la tenda” ribadì
all’improvviso.
Sbuffando
e ancora leggermente in trance per quel rapido e improvviso
allontanamento dal
mio vampiro, mi avviai a malincuore verso uno spiazzo senza alberi e
con pochi
legnetti. Afferrai qualche chiodo e cominciai a piantare i paletti per
terra,
sperando davvero che la tecnologia avrebbe inventato presto tende
auto-montanti.
Dopo
ore spese nel silenzio con l’unica colonna sonora di
martelletti e chiodini,
Damon riuscì a tirare su quel telo dalla forma indefinita.
Non
si poteva dire che la nostra tenda assomigliasse a una tenda. Era
sbilenca,
leggermente troppo bassa a sinistra e fuori misura a destra. Dava la
stessa
impressione di una torre costruita con i blocchi di legno giocattolo:
era
chiaramente in pericolo di crollo.
Squadrai
l’opera da ogni lato possibile. Dopo aver fatto
un’analisi attenta ruotando
attorno alla costruzione per cinque volte, commentai:
“Beh…”.
Ci
avevo provato, davvero, a inserire dell’entusiasmo nel mio
misero commento, ma
proprio non ce l’avevo fatta. Onestamente, non si sarebbe
potuto neanche darmi
torto: quella cosa sembrava il telo di un ombrello rotto appoggiato su
tre rami
caduti dagli alberi.
“Beh,
non è male” si difese Damon. Lui era
più soddisfatto, si sentiva. A meno che
non avesse doti artistiche sconosciute nel campo della recitazione.
Sbuffai
sonoramente: “Questo è un grande colpo per la mia
autostima”. Già, lo era
davvero. Non sapevo neanche montare una tenda.
Damon
mi strinse forte a sé: “Suvvia. Non è
poi così male” tentò di consolarmi.
Scossi
la testa: “Menti a te stesso quanto vuoi, ma ti avviso che la
tenda non
smetterà di avere la forma di una tartaruga impiccata con le
tue preghiere” lo
informai.
“Elena”
cominciò. Ma cosa aveva? Avevo ragione io, punto e basta.
Non gli andava bene
la tartaruga? Allora il gatto decapitato… sorrisi al
pensiero della nuvola a
forma di gatto decapitato. Chissà che risate si era fatta
mamma con quelle mie
idee così pazze e infantili.
“Damon”
risposi con lo stesso tono.
“Non
discutiamo” disse lui, tentando di calmare gli animi.
Annuii,
riconoscendo che fosse la cosa migliore da fare.
“E
andiamo a dormire” aggiunse con un sorriso. “Sono
davvero stanco” specificò
sbadigliando. “No, ma perché a dormire?”
domandai io, con la voce da bambina
piccola che non fa altro che lamentarsi dalla mattina alla sera.
“Perché
sono stanco” ripeté lui, sbadigliando
un’altra volta. Era così bello e
innocente quando apriva la bocca in quel modo. Vedevo un Damon
più piccolo, un
bambino tenero che crollava a dormire appena sfiorava il materasso. Non
avevo
mai visto una foto della sua famiglia, oppure una foto di
quand’era piccolo. Me
lo immaginavo un bambino dolce, con le fossette agli angoli della bocca
e sulle
mani. Due occhi grandi come palline da ping-pong e dei teneri capelli
ricci e
neri spettinati che cadevano sulla fronte.
“Bene,
andiamo” acconsentii io. Lo lasciai entrare per primo: io in
quella cosa non volevo proprio
andare e non la
vedevo come la più bella esperienza del mondo.
Appena
fui certa che la tenda non mangiava uomini, misi un piede
all’interno e entrai.
Mi sdraiai al fianco del vampiro più bello che potessi avere
e chiusi gli
occhi, in attesa del nuovo giorno e chiedendomi quando saremmo
ritornati al
nostro hotel.
Per
quanto detestassi quel posto dove mi toccava dormire, realizzai che non
avevo la
minima voglia di ritornare nella mia stanza verde. Perché
fuori dalla tenda
tutto era ancora più verde e soprattutto, a differenza
dell’hotel, non c’erano
pareti. Avrei potuto anche alzarmi e correre a perdifiato fra gli
alberi. E
amavo correre e sentirmi libera. Mi ricordava l’infanzia e i
giochi con le mie
amiche Caroline e Bonnie.
Notai
con disappunto che il terreno era irregolare sotto di me ed ero
più rialzata
rispetto a Damon. Potevo ammirarlo meglio nel sonno.
E
appena vidi quello sguardo così dolce, così perso
nei suoi sogni, capii che
c’era un’altra ragione per la quale preferivo
immensamente stare in tenda,
invece che nella mia comoda stanza d’hotel.
*
Il
giorno dopo ci alzammo tardi. Il sole era sorto da un bel
po’, ma amavo
starmene a letto fino a tardi, anche se quello dove avevo dormito non
potevo
seriamente considerarlo un letto.
Sarebbe stata una bestemmia imperdonabile.
Avevamo
fatto colazione con dei pezzi di pane avanzati dalla colazione del
giorno
prima. Faceva leggermente schifo: era secco e duro. Ma Damon riusciva a
rendere
la peggiore delle colazioni in una delle migliori che avevo mai fatto.
Poi
eravamo andati a correre un po’ nel bosco; non quel genere di
corsa che ti fa
stancare e dopo la quale l’unica cosa che vuoi fare
è sdraiarti, morire e resuscitare
dopo mesi, ma quel tipo dove corri solamente per divertirti. Era in
stile
“prendi e scappa”; lui aveva dovuto prendermi per
ben sette volte e non sempre
ci era riuscito. Anche se avevo questa mezza ma forte convinzione che
mi avesse
fatto vincere apposta, perché gioiva nel vedermi felice.
Lo
sapevo perché vedevo come mi fissava quando ridevo come una
matta. Qualche
volta Bonnie e Caroline ci avevano fatto delle foto di nascosto, magari
mentre io
facevo qualcos’altro e non ero accanto a Damon. Lui mi
fissava sempre, in
quegli scatti, e aveva uno sguardo così,
così… pieno d’amore. Quel genere di
premura che non mi sarei mai aspettata che lui possedesse. Ma a quanto
pareva
sì, l’aveva nel profondo del suo essere e io,
Elena Gilbert, ero riuscita a tirarla
fuori.
Quella
mattina avevamo anche fatto un bagno in mare, ma l’acqua era
un po’ fredda. Era
stato divertente, comunque. Damon ti avrebbe scaldato anche se ti fossi
trovato
al Polo Sud.
Poi
avevamo saltato il pranzo, semplicemente per mancanza di viveri. Su
questo
argomento ero leggermente preoccupata, tantoché avevo
sentito la necessità di
cominciare l’argomento: “Damon… ma
quando torniamo a casa? Intendo…
all’hotel”
avevo domandato mentre stavo prendendo il sole.
“Non
oggi” aveva risposto lui, tranquillo.
“Ma
il cibo? Se avessimo fame, che facciamo?” avevo continuato a
chiedere.
Lo
avevo visto alzare le spalle: “Mangeremo lumache”
aveva risposto.
Avevo
fatto una smorfia più che degna della sua proposta:
“Sul serio, Damon” avevo detto,
cercando di far trasparire nel migliore dei modi la mia preoccupazione,
ma
senza raggiungere livelli melodrammatici.
“Dobbiamo
fare ancora una cosa. Poi dormiamo e domani mattina torneremo a casa,
ok?”
aveva risposto lui.
Missione
compiuta ma… di nuovo misteri.
E poco
dopo mi trovavo a camminare sulla sabbia bollente, in salita, con le
infradito
che si riempivano di sabbia che si attaccava alla plastica. Lui mi
trascinava,
io tiravo indietro.
“Quanto
manca, Damon?” domandai, stufa di camminare. Avevo fatto una
nuotata eterna,
abbastanza lunga da mettermi ko.
Guardò
l’orologio: “Oh cavoli. Dobbiamo
sbrigarci!” esclamò lui, accelerando
ulteriormente il passo. Che ci fosse una maratona sulle isole
dell’Atlantico?
Visto che le uniche vite umane presenti su quell’isola
eravamo noi, trovavo
difficile che ci fosse una gara in corso.
Borbottai
qualcosa seguito da un lamento stridulo e continuammo a camminare per
un’altra
buona mezz’ora.
Avevo
quasi perso le speranze, quando la voce di Damon mi
risvegliò dal mio sonno ad occhi
semichiusi . “Siamo arrivati” annunciò
lui trionfante.
“Giura”
risposi io, incredula e con la voce roca e stanca.
“Giuro”
disse lui solennemente.
Mi
fidai ciecamente, ma non potevo non guardare dove quel pazzo mi avesse
trascinata.
Era
il tramonto. Il cielo si stava tingendo delle tonalità
più belle che secondo me
esso potesse assumere: un rosa pallido, in alcuni punti più
rosso, in altri
arancione. Qualche nuvola interrompeva quel dipinto, dandogli un tocco
più
originale, realistico e romantico.
Un’opera
d’arte dai colori intensi e caldi, che mi faceva sentire
meglio dopo quella
camminata e mi faceva trovare un senso in tutta quella fatica.
“Voglio
che tu sia felice in questo momento” mi disse dolcemente
Damon.
Mi
voltai a fissarlo: “Davvero pensi che io non lo
sia?” domandai incredula.
Si
strinse nelle spalle: “Per tutto il viaggio fino a qua non
hai fatto altro che
lamentarti, chiedere quanto manca e dove stessimo andando”
spiegò lui. Lo vidi
ferito.
“Scusami.
Non avevo idea di cosa avessi in testa, mi dispiace. E…
farei il doppio della
fatica per ritornare qui una sola volta ancora, insieme a te”
confessai per
nulla imbarazzata mentre lo dicevo, ma quando finii mi sentii avvampare
e
istintivamente abbassai lo sguardo.
“Sei
così bella quando arrossisci” mi fece notare lui.
Sentii la sua mano liscia
come seta accarezzarmi una guancia con dolcezza, e mi beai di quel
contatto.
“Ora
devi solo fidarti di me. Andiamo su quell’albero”
disse lui piano, guidandomi
verso una palma vertiginosamente alta. Con indugio lo seguii e mi
arrampicai.
Era da tanto che non lo facevo, ma quel poco che avevo imparato da
piccola mi
stava tornando utile.
Per
quanto il mio buonsenso mi dicesse che stavo facendo la cosa
più stupida e
insensata che potessi fare, non sapevo fermarmi. Non ne trovavo la
forza: era
come se le mie mani fossero nate per toccare quella corteccia
così ruvida e
irregolare al tatto, che avrebbe potuto tagliarmi da un momento
all’altro.
“Ora
che devo fare” sussurrai, misto fra l’impaurita e
l’eccitata.
“Tieni
questa” mi disse piano. Estrasse dalla tasca delle bermuda
una scatolina;
quando la presi fra le mie mani realizzai che aveva un certo peso.
“Cos’è?”
domandai curiosa ma allo stesso tempo incantata.
“Prima
che sconfiggessimo Klaus, avevo paura per te. Avrei
fatto di tutto per te. Così sono andato da Bonnie
e le ho
chiesto aiuto. La polvere che è contenuta nella scatolina ti
permette di
realizzare un sogno. Se fossi stata in punto di morte con Klaus, te
l’avrei
data per farti sopravvivere. Ma non c’è stato
bisogno di farlo. Ora la tengo e
questa… beh, mi sembra una buona occasione per
usarla” spiegò lui, leggermente imbarazzato,
con mia grande sorpresa. Damon Salvatore imbarazzato? Sì,
incredibile ma vero.
Riflettei
su quello che mi aveva detto; quindi lui aveva fatto questo per me. Ma
si sa
che questi generi di incantesimi hanno sempre un prezzo:
“Cosa hai dovuto fare
per avere la polvere? Come ha fatto Bonnie a crearla?”
domandai, sperando capisse
che avevo intuito che aveva dovuto fare un sacrificio.
Lo
vidi stringersi nelle spalle: “Niente, assolutamente niente.
Un incantesimo
come un altro” parlò rapidamente Damon. Come se
gli credessi davvero…
“Damon”
dissi chiaramente, “che hai dovuto fare?”
ridomandai, questa volta con più
insistenza.
Lui
mi fissò un attimo: “Questo incantesimo funziona
solamente se ami una persona a
tal punto da rinunciare a ciò che ti è
più caro. Intendo, un oggetto. Un
oggetto che ha un valore affettivo che non butteresti mai, ma che
saresti
disposto a bruciare per amore” spiegò tentando
inutilmente di rimanere
distaccato.
Cosa
aveva combinato? A cosa aveva rinunciato per me? Per una che non
l’aveva mai
preso seriamente in considerazione. Per una che aveva ignorato senza
scrupoli il
suo dolore, senza preoccuparsi di ferirlo. Per una che non lo meritava.
Per una
che non aveva mai avuto il coraggio di ammettere i proprio sentimenti.
“Cosa
hai dato da bruciare a Bonnie?” chiesi lentamente.
“La
foto della mia famiglia” rispose lui, con un velo di
tristezza nella voce.
Non
poteva averlo fatto davvero. Non aveva detto “una
foto”, ma “la foto”. Il che
significava…
“Era
l’unica” conclusi io, con le lacrime agli occhi.
“Ehi!”
intervenne, “l’ho fatto perché ti amo.
Ti amo e farei di tutto per te, ok?
L’unica cosa che puoi fare ora per ricambiare il favore
è aprire quella
scatola, pensare intensamente quello che vuoi e poi si
realizzerà. Io ti
aspetterò qui” aggiunse con un sorriso, tentando
di mascherare la malinconia.
Annuii,
non molto sicura ma mi fidavo di
Damon. Sollevai il coperchio della scatolina marrone di legno
intagliato con
dei disegnini tondeggianti in rilievo. Misi un po’ di polvere
sulla mia mano
destra, e soffiai pensando intensamente a me nel cielo ma…
non ero sola. Ero con Damon.
Strinsi
forte la sua mano, con sua sorpresa. E poi non sentii più il
ramo sul quale ero
appoggiata prima. Non ci potevo credere! Chiusi gli occhi, senza una
ragione
precisa. Avevo paura? Ero felice?
“Allora,
puoi aprire gli occhi se vuoi!” gridò
Damon, per farsi sentire.
Il
vento mi scompigliava i capelli, che mi andavano in bocca e mi
solleticavano la
schiena. Era tutto così magico, come i sogni che facevo da
piccola e che
talvolta facevo tuttora.
“No!
Non voglio rovinare tutto!” gridai io in risposta,
incominciando a ridere senza
un motivo.
“Perché
ridi?” domandò lui, iniziando a ridere anche lui.
“Non
lo so!” urlai in risposta. “Non è
possibile. Che sta succedendo?” urlai.
“Se
apri gli occhi lo capirai” disse lui.
Mi
fidai e aprii gli occhi: quello che mi si presentò fu uno
spettacolo
mozzafiato. Non potevo crederci. Era troppo bello, meglio di quello che
avevo
immaginato nei miei sogni. Meglio di tutto quello che avevo
sperimentato fino a
quel momento.
Mi
trovavo esattamente sopra l’oceano azzurro e limpido.
L’acqua cristallina e
increspata da qualche onda schiumosa che si rovesciavano una addosso
all’altra.
Vedevo la riva sempre più distante da me e da Damon che mi
teneva. E vedevo gli
scogli. Ora stavamo sorvolando la scogliera aguzza e appuntita. Fra i
vari
massi grigi potevo vedere qualche insenatura d’acqua, ed ero
certa che là in
mezzo ci fossero anche delle piccole creature del mare.
Ma
la cosa più bella, quella che mi colpiva e che rendeva il
tutto ancora più
magico e unico era il tramonto: il cielo era tinto delle sfumature del
rosso.
In alcuni punti era più rosa, in altri era incredibilmente
giallo. Era
incredibile la quantità di luce che il sole riusciva a dare
in quel momento:
sembrava che fosse lì solamente per noi, per rendere
perfetto quell’attimo. Non
potevo credere che quella luce che noi vedevamo era solamente una
minima parte
di quella che lui riusciva a dare.
Potevo
vedere il sorriso di Damon anche da quella posizione tremendamente
scomoda. Era
abbagliante, più del sole, più della luce che la
luna e le stelle
messe assieme riuscivano a dare.
Lo amavo. Amavo il suo sorriso, amavo lui, amavo tutto di lui.
La
figura del vampiro in mezzo a quel paesaggio strepitoso che poteva
tranquillamente essere il finale perfetto di una favola per bambine,
non stonava.
Avrebbe stonato se non avessi avuto la certezza che Damon non era la
creatura
delle tenebre che tutti credevano; era buono, dolce, gentile,
altruista. Aveva
commesso i suoi errori, ma se n’era pentito. E questo era
l’importante.
“Mi
hai voluto con te” esclamò Damon.
“Sì!”
risposi io, urlando per farmi sentire mentre mi godevo fino in fondo
quel
momento tanto bramato.
“Pensavo
fosse una cosa intima fra te e tua madre” gridò il
vampiro.
Riflettei;
era vero. Ma c’era un ma: “Sì,
è vero. Ma io sento che lei vuole questo per me.
Vuole che tu sia con me. La sento, Damon. La sento” risposi.
Lui
non disse niente. Sentii che la magia stava svanendo e il cielo si
stava
scurendo. Era tutto finito, ma avevo amato ogni momento di quel volo
tanto
sognato. Quando una cosa è meglio di come te la sei sempre
immaginata, non puoi
fare a meno di essere felice come una pasqua. È
indescrivibile la contentezza
che senti dentro di te.
Sentii
che quel momento rappresentava l’ora della svolta:
dimenticare il passato,
guardare al futuro. Ora non avevo più conti in sospeso con
l’infanzia, potevo
davvero cominciare a vedermi insieme a Damon per
l’eternità. Felice come non
avrei mai immaginato di poter essere.
Angolino
della Matta Fra
Salve
care!
Ok,
sarà da secoli che non aggiorno vero? I’m so
sorry… Ma ho cambiato una cosa all’ultimo
minuto di questo capitolo e quindi… vi avviso che mi avete
convinta a scrivere
qualche capitoletto in più. Intanto sicuramente un capitolo
lo dedicherò a zio
Damon J e spiegherò un
po’ di
cosine. Ma questo era programmato… probabilmente
inserirò un flashback di
questa cosa della foto. La trovo tremendamente romantica questa cosa
dell’incantesimo,
o no?
Bene
intanto mi scuso per non aggiornare più Please
Come Back,
ma si tratta di una cosa temporanea. Lo so che sono imperdonabile, ma
è una
questione da pazza Fra, che improvvisamente ha sentito la
necessità di porre la
parola “completa” a una sua pazza storia. E
quindi…
Ok,
presto tornerò anche con ♥Damon&Elena♥,
la mia pazza raccolta di OS che vi invito a leggere se avete voglia di
ridere
come delle sceme. J Parlando di robottini mi viene da
pensare a GLObulesROUGE,
che
ha scritto una OS che presto andrò a leggere. E mi scuso per
essere la solita
ritardataria. J
Poi
ringrazio tutte coloro che hanno aggiunto questa storia tra le
preferite, tra
le seguite, tra le ricordate e soprattutto chi ha recensito. In
particolare
grazie a sciarpa_a_righe,
che ha tentato questa “cosa” senza neanche sapere
chi fosse Damon e chi fosse
Elena. Intanto ti consiglio questo telefilm, perché
è la cosa più bella che è
stata creata dal mondo. Beh non esageriamo, le cose più
belle inventate dal
mondo siete tutte voi, che mi sostenete in continuazione. Grazie,
questa ff in
particolare senza di voi NON ESISTEREBBE.
Vi
invito a RECENSIRE numerose, mi interessano da matti i vostri pareri.
Soprattutto
qui in questo capitolo! Quindi… forza, non siate timide.
Anche due parole,
qualsiasi cosa!
Ora
pubblicità: tutte le storielline di sciarpa_a_righe,
che onestamente non ho ancora letto tutte, ma ti pubblicizzo
perché te lo
meriti davvero. Ma anche… Breathe
Again,
una
delle storie più ben costruite che abbia mai letto di Stella94,
♥Elena&Damon♥
di
DelenaVampire
(non
ha NIENTE a che vedere con la mia
♥Damon&Elena♥, anche se i titoli sono
simili. Ma Glo sa che niente può essere ai livelli della
raccolta di pazzie che
scrivo J, a parte la sua Alla
Ricerca Di Klaus)
e infine Love
Sucks
di
Marghe alias TVD.
Che
poema… ora vado a rispondere alle vostre recensioni. E a
leggere la meraviglia
di Mary… oddio!
Bacioni
e grazie mille
Fra
|
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Capitolo 7 *** Promessa ***
○• I Feel You ○•
7. Promessa
Got me out here and the water so deep
Tell me how you gonna be without me
if you ain’t here I just can’t breathe
It’s No Air No Air
No Air,
Jordin Sparks
Damon
atterrò con grazia sulla spiaggia e mi adagiò
sulla sabbia non troppo calda. Ormai
il sole era quasi scomparso all’orizzonte, ma nonostante
questo i suoi raggi
illuminavano ancora di luce chiara le bellissime coste del Brasile.
I
granelli di sabbia mi solleticavano la schiena; chiusi gli occhi, come
per
godermi fino in fondo questo momento. Era semplicemente un momento bello: lui, il mio Damon, era bello, il tramonto era bello.
Tutto era bello. Mi sentivo
l'errore in quel dipinto perfetto; avevo la
sensazione di essere il soggetto che rovinava tutta
l’atmosfera e la bellezza
della pittura. Nella mia testa avevo in mente la foto di
quell’attimo: era sfocata
ad arte sullo sfondo e su di me: si distingueva solamente il mio
vampiro,
Damon. Dovevo ammettere che per nulla al mondo avrei ceduto quella foto
e
riconoscevo che l’atto del mio vampiro nel bruciare quella
della sua famiglia
era stato fin troppo altruista nei miei confronti. Ma forse
l’avrei fatto
anch’io per amore.
Quindi
Damon mi amava davvero, altrimenti non avrebbe rinunciato ad un oggetto
così a
lui caro e prezioso.
"Come
hai fatto?" domandai tenendo sempre gli occhi chiusi, cambiando
argomento
per smettere di pensare sempre alle stesse cose. Davvero non capivo
come Damon
fosse stato in grado di sollevarmi e farmi volare nel cielo in quel
modo così
spensierato, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Avevo capito che era
stata una magia, ma a pensarci bene l’idea di due corpi di
dimensioni umane che
si librano nel cielo e non vengono sballottati a terra per la forza di
gravità
è strano. Va contro tutte quelle complicate leggi fisiche e
chissà quant’altro.
Volevo
sapere perché la magia
lo aveva
trascinato con me sopra l’oceano.
"A
fare che?" rispose Damon adagiandosi accanto a me. Sentii le sue calde
braccia stringermi dolcemente e mi sentii bene, felice e amata come non
mi ero
mai sentita prima.
"A
volare insieme a me" risposi aprendo gli occhi e sperando di trovare le
sue iridi color del ghiaccio. Ma non le vidi: le sue palpebre coprivano
i suoi
stupendi occhi.
Poi
li aprì, come se avesse capito il mio bisogno di vederli.
"Beh a dirla
tutta non sono molto sicuro di come sia andata. Tu mi hai voluto con te
e la
polvere ha fatto tutto da sola, probabilmente. Sappi solamente che io
sono
contento che sia andata così perché…
beh così rimarrò per sempre nei tuoi
ricordi" dichiarò Damon.
Mi
commossi; aveva ragione: avevo appena visto il mio sogno di una vita
diventare
realtà e avrei per sempre ricordato quel momento passato in
volo sopra il mare.
Me lo immaginavo diverso a dirla tutta, perché Damon non era
programmato. Il
mio primo e vero volo era stato mille volte meglio di tutte le mie
aspettative
più spinte.
Perché c'era Damon.
Non
avrei mai pensato nella vita che avrei potuto trovare qualcuno che mi
amasse
come mi amava lui e non avrei nemmeno mai creduto che io fossi in grado
di
amare tanto come amavo lui. Non avrei mai immaginato che qualcuno non
mi avesse
presa in giro per quel ridicolo sogno che mi tormentava da anni.
È proprio vero
che la vita riesce sempre a sorprenderti, nel bene e nel male. E Damon
aveva
ragione: il mio ricordo non sarebbe mai sbiadito e sarebbe rimasto
sempre
impresso nella mia mente, indelebile. E Damon ne avrebbe sempre fatto
parte,
per sempre. La foto di quel momento improvvisamente cambiò,
e pure io diventai
bella definita. Perché quello non era il momento di Damon, ma era il mio
momento. L’attimo che io condividevo
con lui.
"Lo
sai che ti amo" confessai senza la mia solita timidezza.
Damon
sorrise a 1000 Watt: "Lo so, piccola. E sai che ti amo anch'io?"
chiese poi.
Sorrisi
a mia volta, ma ero perfettamente consapevole che il mio sorriso non
era
minimamente paragonabile al suo. "Lo so" risposi solamente, senza
aggiungere nulla. Non sentivo il bisogno di parlare. Capitava spesso
con lui.
Non
avrei mai potuto fare a meno del suo sorriso. Nemmeno il modello
più
affascinante e desiderato del mondo avrebbe mai potuto eguagliare
Damon.
Nessuno aveva il suo carattere: dolce, sexy e sfacciato
contemporaneamente,
accompagnato sempre da un sorriso diverso; a volte provocante, altre
comprensivo e altre ancora semplicemente un sorriso.
Amavo
proprio tutto di lui e volevo amarlo per sempre.
Questo
però complicava la discussione. Avrei dovuto lottare per
ottenere il mio per
sempre, e questo lo sapevo bene.
Sospirai;
volevo chiedergli un’altra cosa: “Come hai fatto
a…” feci una pausa, “… a
bruciare quella foto? Come puoi riuscire ad abbandonare
l’unica foto che ti è
rimasta di tua madre, tuo padre e…” chiesi io, che
non riuscivo davvero a
capire.
Lui
mi fissò, come se la risposta fosse ovvia:
“Perché ti amo, Elena” disse
semplicemente. Di solito le persone si stancano di sentirsi dire sempre
le
stesse cose, ma io non mi stufavo mai del suo “ti
amo”.
“Sì,
ma tu ami anche la tua famiglia” ragionai testarda.
Sorrise
malinconico: “Giusto… ma li amo come li
può amare qualcuno che si è rassegnato
in 150 anni che sono morti e che non torneranno”
sospirò. “Se ti avessero
conosciuta ti avrebbero adorata” aggiunse stringendomi la
mano, immerso nei
ricordi. Non volevo interrompere quel suo momento. Lo avrei lasciato
parlare
per ore; era la prima volta che raccontava a ruota libera della sua
famiglia:
era strano, ma al contempo davvero affascinante.
“Mio
padre era uno stronzo… ma questo lo sai. Tutti preferivano
Stefan. Katherine,
mio padre, tutti. Io ero sempre quello che non sarebbe dovuto
nascere” sputò
Damon, leggermente arrabbiato e amareggiato dai ricordi.
“Tutti
i rifiuti che ho ricevuto, tutti i no che mi sono stati detti e i
sì che ha
invece ottenuto Stefan mi hanno portato ad essere quello che sono
stato. Non credevo
che qualcuno sarebbe riuscito a farmi diventare più o meno
quello che ero prima
di diventare un vampiro. Ma così è
stato” concluse rapidamente, fissandomi.
Sorrisi,
non sapendo bene come reagire. Non era una bella storia di certo.
Ora
dovevo però andare incontro al discorso che avevo tentato di
rimuovere dalla
mia testa. Non potevo più schivarlo, dovevo sapere.
Attesi
un momento prima di dire quello che volevo dire; ci avevo riflettuto
molto in
quei giorni e mi ero resa conto che il bisogno di avere Damon sempre al
mio
fianco era diventato primario, di fondamentale importanza. Non esisteva
niente
e nessuno che desiderassi più di Damon ed ero
così convinta di questo che avrei
fatto di tutto pur di stare con lui.
Fissai
il cielo rosso e rosa, il sole che scendeva sempre più
vicino al mare e che si
rifletteva sullo specchio d'acqua e capii un'altra cosa: se in quel
momento non
avessi realizzato il mio sogno, la cosa che avrei voluto realizzare di
più al
mondo non era di certo volare, ma Damon. Solo e soltanto Damon.
"Trasformami"
dissi solamente, con sicurezza. Volevo trasmettere la mia
determinazione in
modo chiaro. Non volevo che trovasse una nota di incertezza nella mia
voce, da
cui avrebbe potuto trarre chissà quante ridicole scuse
forzate per sviare la
mia richiesta.
Vidi
i suoi occhi guardarmi con rimprovero, paura, felicità.
Emozioni miste che si
lasciavano svelare una ad una. "Elena... sai che non posso"
sussurrò.
Scossi
la testa: "Voglio delle valide ragione per le quali tu non potresti
farlo" dissi io sempre molto determinata.
Lui
parve pensarci un attimo: "Perché... non posso condannarti a
questa vita.
Non voglio che tu uccida, non voglio che tu sia costretta a manipolare
la gente
se fosse necessario. E se rimani umana, non combinerai mai niente per
cui saresti
costretta a controllare la mente di una persona. E poi... non voglio
che tu
cominci a commettere atti fuorilegge come rubare il sangue se fosse
necessario,
non voglio che tu debba vivere per sempre all’inferno. Ho
paura di farti
soffrire e che qualcosa vada storto e poi? Saresti furiosa con me
perché mi
sono lasciato convincere a trasformarti e... come farai con Bonnie,
Jenna,
Jeremy? Alaric? Caroline? Elena, è una delle idee
più..." disse tutto d'un
fiato Damon.
Lo
interruppi, non volendo sentire una sola scusa stupida di
più: "Come puoi
solamente pensare che qualcosa vada storto fra di noi, eh?" mormorai.
Davvero, come poteva pensarlo?
“Voglio
dire, è più probabile che qualcosa non funzioni
fra di noi ora che siamo
un'umana e un vampiro. Cosa vuoi che succeda quando saremo tutti e due
vampiri?
La probabilità di una separazione futura è pari a
quella che un meteorite ci
cada sulla testa in quel preciso istante” tentai di farlo
ragionare,
cominciando ad alzare leggermente i toni.
"Non
si sa mai, Elena. Non si sa mai nella vita cosa può
succedere" disse Damon,
testardo come non lo avevo mai visto.
Incominciai
ad arrabbiarmi e spostai una ciocca di capelli che il vento mi aveva
spostato
sugli occhi. "Damon! Come puoi solamente pensarlo? Io farei di tutto
pur
di stare con te, lo capisci questo?" esclamai scioccata, ripentendo
sempre
le stesse frasi con lo stesso tono stupefatto e arrabbiato al tempo
stesso.
Lui
sorrise triste: "Elena, non posso
trasformarti. E capisco che tu mi ami e ti amo anch'io. Ed
è proprio perché
ti amo che non posso trasformarti. Sarebbe il gesto più
egoista che potrei mai
compiere, Elena" spiegò lui.
Amavo
il suo modo di essere altruista, generoso, corretto. Ma non troppo.
"Damon" ricominciai decisa, "io dico che se ci amiamo così
tanto
e abbiamo a disposizione l'eternità... perché non
sfruttarla?" aggiunsi,
sperando di averlo convinto almeno un pochino. “Non hai idea
di quante coppie
vorrebbero vivere per sempre nel loro amore, e noi… noi
siamo una di quelle
poche che hanno a disposizione questa
opportunità!” esclamai, cominciando ad
impazzire. Sentivo che se mi avesse detto di no un’altra
volta, sarei
scoppiata.
Il
vento alzò la sabbia e mi andò negli occhi e mi
spostò i capelli. Damon allungò
una mano e me li mise dietro alle orecchie: "Non potrei mai rinunciare
a
te umana. Amo il tuo profumo e quando le tue guance arrossiscono in
modo così
naturale. Amo tutto di te, Elena. E non posso uccidere
tutto questo. Sarei egoista, molto ma molto egoista"
confessò lui continuandomi a sistemare i capelli con
dolcezza.
Improvvisamente
capii una delle ragioni che stava alla base di tutta quella riluttanza.
Damon
aveva detto "non posso uccidere
tutto questo". Sì, perché per
trasformarmi lui doveva uccidermi.
E aveva paura. "Damon...
la ragione è che tu hai paura di..." dissi io lasciando la
frase in sospeso,
non volendo dire quella parola e sperando che lui la capisse.
Lo
vidi chiudere gli occhi nuovamente e mi resi conto che aveva smesso di
toccarmi
i capelli. Poi lo vidi annuire quasi impercettibilmente, e capii che
avevo
fatto centro.
"Damon
mi fido di te" dichiarai io. Mi avvicinai a lui fino a quando non lo
costrinsi ad aprire gli occhi.
"Non
dovresti, invece" sussurrò lui in risposta.
Io
scossi la testa, chiedendomi disperatamente perché fosse
così riluttante
all'idea di passare l'eternità assieme. Forse non mi amava
così tanto come lo
amavo io? Forse aveva davvero paura... "Damon. Sarà una cosa
veloce.
Altrimenti mi uccido da sola, una coltellata nel cuore, un salto da
qualche metro.
Non è poi così difficile" lo minacciai. E ci
riuscii: lo vidi letteralmente
impallidire.
"Elena...
tu non oseresti" farfugliò lui. "Comunque avresti bisogno
del mio
sangue. E io il mio sangue non te lo do" aggiunse poi leggermente
più
sereno.
Ops.
Giusto: mi serviva il suo sangue, altrimenti sarei morta e non sarei
resuscitata
vampira. L'avevo dimenticato, presa dall'entusiasmo di poter diventare
come il
mio Damon senza il suo aiuto. "Uffa. Sei davvero un rompiscatole!"
sbuffai seccata, allontanandomi da lui un poco. Avrei potuto cavarmela
anche
con il sangue di Stefan oppure quello di qualche neovampiro che
capitava in
città. L’idea di essere trasformata da Damon e di
avere in circolo il suo
sangue
Lui
mi sorrise divertito; ma che aveva da sorridere? Io volevo diventare
come lui,
per passare il per sempre assieme e lui rideva come un cretino.
"Un
rompiscatole che ha realizzato il tuo sogno" puntualizzò lui
riaccorciando
le distanze.
Aveva
ragione; qualcosa di giusto l'aveva pur fatto. E non potevo essere
indifferente
a questo. "Ok... ma un giorno lo farai. Mi trasformerai.
Promettimelo" dissi io avvicinando il mio viso al suo. La vicinanza con
i
suoi splendidi occhi azzurri mi mandava in fibrillazione, non capivo
più
niente. Il resto non contava; vedevo solo lui.
"Mmm
mmm" mugolò lui accorciando definitivamente le distanze e
facendo
scontrare le nostre labbra con dolcezza. Quanto mi era mancato quel
contatto!
Ogni volta che Damon mi sfiorava, non capivo più niente.
Andavo su un altro
pianeta, dove le uniche forme di vita eravamo io e lui. Nessun altro.
Avevo
sempre sognato quel momento: un ragazzo insieme a me, sulla spiaggia,
al
tramonto, che mi baciava con dolcezza.
Avevo
sempre sognato quel ragazzo che mi facesse sentire amata. E ora tutto
era
realtà: lo avevo ed era lì con me. E pensai che
me lo avesse mandato mamma, che
da lassù, in un punto indistinto del cielo mi seguiva e mi
assistesse in ogni
mia decisione. Perché mamma era l'unica che sapeva del mio
sogno: volare. Mamma
era l'unica che ne era a conoscenza, sapeva quanto volevo volare. E mi
aveva
mandato Damon, che era riuscito a farmi realizzare il mio sogno e che
aveva
fatto anche un'altra cosa: aveva lasciato che io mi innamorassi di lui.
Non
so come feci, ma interruppi quel contatto: "Damon" ansimai.
Lui
parve leggermente infastidito da quella breve pausa. "Damon,
promettimelo.
Promettimi che prima di aver raggiunto i... venticinque anni tu mi
trasformerai" sussurrai.
Era
in lotta con sé stesso, e lo vedevo bene. Come sempre, i
suoi occhi erano lo
specchio delle sue emozioni. "Te lo prometto" dichiarò poi.
Lo
guardai stupita: "Davvero?" chiesi felice.
Lui
annuì sorridendo: "Ma prima devi vivere il più
possibile, devi vivere come
ogni essere umano", aggiunse. Oh no! C'erano delle condizioni...
"Quali
esperienze devo vivere ancora? Sono andata a scuola, ho avuto degli ex,
ho un
fidanzato, ho fatto la babysitter, cucino, stiro, ho perso i genitori,
ho
realizzato i miei sogni. Che manca?" domandai senza smettere di
sorridere.
Ero troppo felice, davvero troppo felice.
"Elena.
Sposami” disse solo lui.
Rimasi
allibita dalla sua richiesta: faceva sul serio o era un brutto scherzo
a cui
volevo credere come una bambina? Era la realtà o era
l'ennesima favola in cui
mi pareva di essere capitata?
"Elena.
Sposami" ripeté lui, serio e più deciso. Qualcosa
mi fece capire che non
mi stava prendendo in giro, voleva davvero che io lo sposassi.
"Oddio,
Damon. Sì. Sì. Mille e milioni di volte
sì" urlai io abbracciandolo.
Piansi e risi contemporaneamente; lacrime di gioia mi rigavano le
guance. Ero
felice perché mi sentivo la donna più fortunata
del mondo, mi sentivo la donna
che aveva l'uomo più altruista e bello del mondo.
"Ti
amo piccola. E ti trasformerò, te
lo
prometto" sussurrò lui infine.
Lo
guardai e ci abbracciammo. Davvero non potevo più chiedere
nient'altro dalla
vita.
Angolino
della Matta Fra
Non
uccidetemi.
Ecco,
inizio così questo angolino.
Non
uccidetemi, vi prego.
Sono
superoccupata e davvero ho provato ad aggiornare un po’
più in fretta, ma sono
sotto stress e non ce la faccio più. Questo capitolo era in
parte già scritto e
per questo ho deciso di mettermi qui e ad ampliarlo un po’.
Spero che vi sia
piaciuto, sappiate che la storia comunque va avanti di massimo due o
tre
capitoli, visto alcune vostre richieste.
Allora…
Elenuccia e Damonino si stanno avvicinando parecchio, non trovate?
Fatemi
sapere che ne pensate, anche se so di essere una brutta bambina cattiva
che non
ha recensito voi. Ma sempre per la stessa ragione: non ho tempo, sono
sommersa
di roba da fare almeno fino al 3 giugno. Poi basta, it’s
praticamente over.
Il prossimo
capitolo sarà o l’epilogo oppure il pov
Damon… devo ancora decidere. Vedremo!
L’aggiornamento
è previsto per… mmmm non lo so,
cercherò di fare in una settimana e mezza? J
Spero,
io ci provo! Devo ancora fare un esame…
Ok, ora
passiamo alla pubblicità e ai ringraziamenti:
Ringrazio
un milione di volte tutte quelle splendide ragazze (10!) che hanno
recensito
circa un anno fa J
Mi dispiace, spero che mi perdoniate e mi
lasciate il vostro parere. Vi prego, davvero, perdonatemi.
Dedico questo
capitolo a Mary
che
mi ha perdonata insieme Glo
per l’immenso
ritardo. Grazie grazie mille per la comprensione. Marghi
ti adoro! Sei
diventata una grande amica, anche se vivi dall’altra parte
dell’Italia! Ahah
tvb. Mi mancano le recensioni di NaduzzaNadina
J!
Dove
sei? Per fortuna la sento ancora su twitter… ah se lo avete
io sono
@fra_is_fearless, da grande fan di zia Taylorina Swift (Naduzz ascolta
“Superstar”!
E’ OMG).
Ok non
posso ringraziarvi tutte che divento matta con questi link che non
funzionano,
ma grazie davvero. Anche a chi segue la storia in silenzio, o chi
l’ha aggiunta
alle preferite, seguite e ricordate. Grazie. Siete sempre di
più e vorrei
sentire i vostri pareri! Fuori dal nido e venite, non mordo J
Infine questa
volta consiglio la storiellina… A
Mystic Love
e Crystalized!
Anche
con Marty e Kikka mi devo mettere in pari… arrivooo!
Infine
mi farebbe piacere se
passaste qui
a
leggere e a commentare una mia tragica OS
che ho scritto un po’
di tempo fa e che è stata in parte la causa del mio immenso
ritardo… fatemi
sapere che ne pensate!
Bacioni
Fra
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Capitolo 8 *** Cambiamento ***
•○ I Feel You ○•
8. Cambiamento
Elena take me
somewhere, we can be alone.
I’ll be waiting; all there’s left to do is run.
I’ll be the prince and you’ll be the princess.
It’s a love story, baby, just say yes
Love Story,
Taylor Swift
(modificata leggermente da Fra)
Mi trovo
seduto in un salottino elegante, assolutamente
troppo chiaro e luminoso per i miei gusti, in attesa del grande
momento. Quel
momento che viene descritto come il giorno della felicità,
l’ora di un nuovo
inizio e altre parolone esagerate a cui io credo solo fino a un certo
punto.
Il matrimonio ha un valore per me, un valore che pensavo
si fosse disperso con la mia umanità. La verità
è che l’ho ritrovata e insieme
è ritornato il mio desiderio di sposarmi. Mio padre me lo
diceva spesso, ma non
lo ascoltavo. Se mi diceva di fare una cosa, lo ignoravo. Se mi diceva
di non
farla, tentavo in tutti i modi di andare a sbatterci contro. Questa
è solamente
una delle tante dimostrazioni di quanto lo detestassi.
La verità che a volte fatico ad ammettere è che
Elena
Gilbert mi ha cambiato: è tutto merito suo se ora sono qui
davanti a questo
specchio dalle dimensioni abnormi per controllare assiduamente che la
cravatta
sia scrupolosamente a posto.
Lo sapevo che in fondo quel viaggio in Brasile era stata
una buona idea, seppur un po’ pazza e prematura
all’inizio, ma avevo dovuto
trovare a tutti i costi un modo per calmare l’animo di Elena
dopo la battaglia
con Klaus. Aveva dovuto affrontare parecchie cose quella notte, ma alla
fine
Bonnie e Elijah erano riusciti a sconfiggere il vampiro più
potente del mondo
senza che nessuno morisse o si facesse male. Tutti ne erano usciti
illesi, ma
sapevo che nel profondo Elena aveva bisogno di staccare dalla sua vita
per un
po’.
E ne avevo avuto la conferma quando viaggiavamo in
macchina, diretti verso l’aeroporto. Le avevo chiesto cosa
pensasse di me e
ricordavo perfettamente le sue parole: “Che
sei un
matto. Completamente uscito di testa. Cioè ti rendi conto
che Jenna sarà andata
fuori di testa?”. Un’Elena che davvero disapprovava
la situazione non avrebbe
acconsentito a farsi trascinare verso
Abudududunza *154545*469**. Scoppiai a ridere al solo
pensiero di cosa
posso arrivare a fare se sono davvero innamorato.
Innamorato…
è una parola che avevo eliminato
dal mio vocabolario da un bel po’ di tempo, e che negli
ultimi mesi era
rientrata a farne parte.
Significa essere felici? Sì, ma è riduttivo. Non
saprei
descrivere come mi sono sentito quando ero nel soggiorno a bere il mio
solito
scotch prima di andare a dormire (nonostante fosse praticamente
mattina) dopo
la battaglia contro Klaus, quando arrivò Elena.
“Elena! Che piacere rivederti alle…”
avevo detto io con
sarcasmo e dando un’occhiata all’orologio,
“alle 4.53 del mattino!” avevo
concluso. “Non vai a dormire?” avevo aggiunto,
bevendo un sorso dal mio
bicchiere.
Lei aveva scosso la testa: “Non credo che ci
riuscirei”
aveva risposto.
“E come mai? Questo è strano… oh,
aspetta! Stefan è al
sicuro, te lo garantisco” l’avevo rassicurata con
ironia.
L’avevo vista abbassare lo sguardo e poi sussurrare:
“Io e
Stefan abbiamo rotto” aveva detto con un singulto che mi
aveva fatto venir
voglia di stringerla a me con tutta la forza che avevo nel corpo.
“Vuoi parlarne?” avevo chiesto, sapendo di
camminare su del
terreno minato. Sarebbe scoppiata in lacrime da un momento
all’altro, ma quello
che aveva detto mi aveva spiazzato: “Veramente sono qui per
dirti che sono
stata un’idiota a non capire prima quello che provo per te.
È stato Stefan a
farmelo capire! Mi ha detto che te mi ami e che ti amo
anch’io. Mi sono resa
conto che è vero, ha ragione! Quindi io… non sono
qui per altro, volevo solo
dirti che ho capito. E ora spetta te a decidere se lasciarmi stare,
d’altronde
è quello che meriterei per averti fatto soffrire
così tanto. Oppure… beh,
prendermi, non saprei come dire” aveva concluso imbarazzata.
Non ero riuscito a credere alle mie orecchie: ero corso da
lei e l’avevo abbracciata. Ed è stato
lì che tutto è cambiato. Elena era
riuscita a sorprendermi e non aveva mai smesso di farlo, da quella
notte a
oggi: il suo sogno più intimo, che non avrebbe mai rivelato
a nessuno, aveva
deciso di raccontarmelo a me. A me; e non a Stefan. A
me. Forse questo non significava nulla, ma io lo vedevo come
un
segno di quanto fosse diverso e più inteso il suo amore per
me rispetto a
quello per mio fratello.
“Volevo volare”, questo è quello che
aveva detto. Non era
così stupido, in fin dei conti. Chi non sogna di volare?
È un sogno infantile,
di quelli che non si dimenticano più. Probabilmente
anch’io avevo sognato lo
stesso, ma non così intensamente come lei e per questo non
me lo ricordavo
nemmeno.
A volte vorrei saperle leggere i pensieri, per capire come
le è venuta l’idea di toccare il cielo.
C’è sempre una motivazione su certi
argomenti.
Quando si era fatta coraggio e mi aveva rivelato il suo
sogno più profondo e segreto che non aveva mai detto a
nessuno tranne che a sua
mamma, mi ero sentito subito una responsabilità enorme e
pesante calare sulla
mia schiena e improvvisamente la tasca dove custodivo la polverina era
diventata molto più pesante.
Ricordo che pensai subito che quella polvere mi era
costata un grosso sacrificio…
***
Damon
guardò Bonnie con indecisione, paura e timore:
“Bonnie… funzionerà?”
domandò piano.
La strega alzò lo sguardo da una ciotola tenuta sopra al
fuoco, che si scaldava minuto dopo minuto sotto la sua vigile
attenzione:
“Penso di sì” rispose.
Damon scosse la testa: “Lo sai che non mi fido di queste
stregonerie. Ho bisogno di essere sicuro” chiarì,
cominciando a pentirsi di
quello che stava facendo. Era sceso in quel luogo così cupo
e buio dove Bonnie
stava passando gli ultimi giorni per non farsi scoprire da Klaus e dai
suoi fedeli
aiutanti. Era fiocamente illuminato da qualche lanterna la cui luce
tremolava
in modo inquietante. Dava inoltre l’aria di essere molto
sporco, un ambiente
che non faceva che ricordare al vampiro la situazione in cui si
trovavano: Elena doveva morire.
Doveva morire in un
bosco, sacrificata per qualche stupido capriccio del vampiro
più potente del
mondo. Avrebbe dovuto patire una delle morti più dolorose
che un essere umano
avrebbe mai potuto sperimentare. Quel pensiero lo portava subito a
ritrovare la
determinazione che lo aveva spinto ad andare dalla strega.
“Lo so che vuoi essere sicuro!” esclamò
stizzita Bonnie.
“Ma devi fidarti della magia e devi sperare che non abbia
effetti collaterali
se la persona ha bevuto sangue di vampiro o cose del genere. Sono magie
potenti
che richiedono un grande potere e che funzionano sempre in condizioni
ottimali,
ma non ho la più pallida idea se avrà effetto con
del sangue delle creature
delle tenebre che circola nelle vene di Elena”
spiegò.
Damon non finiva di darsi dell’idiota per aver dato il suo
sangue a Elena. Quella era una delle cose di cui si era pentito
amaramente
nella sua vita. Primo, perché se Elena fosse risorta come
vampira non se lo
sarebbe mai perdonato, perché lei l’avrebbe
odiato. Secondo, questa polvere
stregata non avrebbe funzionato e non avrebbe salvato Elena dalla morte
e
nemmeno dalla trasformazione.
“Bene allora! Tentiamo!” sussurrò
sconfitto Damon. Tirò
fuori la foto della sua famiglia dalla tasca del giubbotto in pelle
nera e la
fissò per l’ultima volta: c’era lui
all’età di dieci anni e suo fratello,
abbracciati. Stefan aveva ancora i tratti infantili di un bambino e la
mamma lo
guardava come se fosse stato l’unica fonte di luce presente
nella stanza. I
suoi occhi erano illuminati alla vista dei suoi figli e Damon non
l’avrebbe mai
dimenticata. Se pensava a tutto l’amore che lei aveva dato
loro… Ricordò che
qualche giorno dopo aver scattato la foto, lei si prese una polmonite
piuttosto
grave e prima che i famigliari potessero digerire appieno la notizia,
lei morì,
lasciandoli soli assieme al padre. Lui, a differenza di lei, nella foto
aveva
un sorriso tirato e degli occhi severi. Fissava l’obiettivo e
non i bambini, in
una posa molto rigida e fredda, a differenza di quella della moglie che
era
incredibilmente rilassata e naturale. Si sarebbe stentato a credere che
quella
donna sarebbe morta entro pochi giorni: era perfettamente in salute,
almeno
così pareva.
Damon fece una smorfia e fissò per l’ultima volta
la
mamma, che a suo parere meritava di più di essere ricordata,
poi tese la foto a
Bonnie.
“Damon, non hai fatto copie di questa foto, vero?”
chiese
prima di proseguire la strega.
Damon, ancora incantato nel punto in cui prima c’era la
foto, non riusciva ad ascoltare e a rispondere.
“Damon, mi senti?” chiamò Bonnie,
preoccupata. Gli andò
vicino e lo scrollò delicatamente per le spalle.
“Damon?” ritentò.
Il vampiro si rianimò, scosso da quell’attimo di
felicità,
in cui gli era parso di ritornare nella maestosa villa dei Salvatore
nel 1800.
“Ehm, sì, ehm… che
c’è?” domandò disorientato,
gli occhi azzurri che ruotavano
attorno alla stanza nel tentativo di ritornare al presente.
Bonnie fece in modo che i suoi occhi si scontrassero con
quelli del vampiro: “Hai fatto delle copie di quella
foto?” chiese, scandendo
bene e chiaramente le parole.
“No, mi hai dato un’idea…”
rispose Damon, tentando di
riappropriarsi della fotografia.
La strega lo fermò: “No, se lo farai la magia non
avrà
effetto. Il sacrificio che fai per Elena non avrà
più lo stesso valore” spiegò
nei termini più elementari possibili.
Damon annuì, comprendendo quello che avrebbe dovuto capire
da solo: “Certo, che stupido…”.
Bonnie ritornò al suo posto e cominciò a parlare
in lingue
sconosciute a Damon. Prese la foto e la lasciò cadere nella
ciotola bollente e
presto il vampiro vide il sorriso di sua madre, i suoi occhi, Stefan e
se
stesso bruciare nelle fiamme ardenti.
E, con sua gran sorpresa, una lacrima scese lungo la sua
guancia.
Prima che se ne accorgesse, Bonnie gli porse una scatolina
in legno. Lui l’afferrò, mormorò
qualche ringraziamento e fece per andarsene,
ma la strega lo fermò.
“Senti… Damon” mormorò
indecisa Bonnie, tormentando le sue
stesse mani dall’agitazione.
Damon la guardò, cercando di capire che altro volesse:
“Strega, che c’è? Hai paura che non
funzioni? Pure io… fare affidamento al
bididibodidibu non mi renderà di certo onore. Non dirlo a
nessuno e passa una
buona giornata” la congedò, utilizzando il suo
solito sarcasmo amaro per
mascherare il dolore che, però, sarebbe servito a qualcosa.
Prima o poi, Damon
avrebbe trovato la felicità anche grazie a quella polvere.
Damon si assicurò che la scatolina con la polvere fosse al
sicuro nel suo giubbotto. Sapeva perfettamente che
quell’amarezza del suo
carattere che non mancava mai quando parlava poteva risultare poco
riconoscente, e stava per questo cercando di migliorare il suo modo di
approcciarsi con gli altri.
“Fermo!” lo bloccò Bonnie, tutta
tremolante per
l’indecisione.
Damon si voltò indossando il sorriso più falso
che
possedeva nella sua collezione: “Sì? Avrei una
certa fretta” disse. Il suo
carattere stava migliorando con Elena e quando lei glielo faceva
notare, si
sentiva più idiota di Stefan. Purtroppo Damon rimaneva
sempre il solito stronzo
con le altre persone.
“Sputa il rospo” sbottò. Ora era davvero
incuriosito.
Bonnie aprì la bocca e parlò velocemente:
“Penso di aver
trovato il modo di far tornare umano un vampiro, ma forse è
una sciocchezza.
Cioè voglio dire, ho pensato che tu dovessi saperlo e
comunque…” blaterava
Bonnie. Il succo del discorso Damon lo aveva afferrato:
“Approfondisci le tue
ricerche”. Avanzò di un passo e le chiuse la porta
in faccia, lasciandola
parlare da sola indisturbata. Tanto sapeva che la sua ultima frase
l’aveva
sentita, ma anche se non lo avesse fatto, il vampiro sapeva che avrebbe
continuato lo stesso a cercare.
***
Sì,
la polvere mi era costata parecchio. Più del denaro e
dell’oro. E allora, se non l’avevo usata per quello
che inizialmente pensavo di
usarla, perché non utilizzarla per realizzare il sogno di
Elena, se ci teneva
davvero così tanto? Perché ci teneva, e lo sapevo
bene.
Accanto a me c’è la foto che quel signore gentile
che
aveva conosciuto Elena nella sua vacanza precedente nello stesso posto
ci aveva
scattato per ricordarci per sempre di quella settimana romantica
sull’isola. Era
un tipo socievole e simpatico; Elena lo adorava: forse
perché le ricordava i
suoi genitori, non lo so.
Era stata scattata al molo, dove lo avevamo visto per la
prima volta. Al nostro ritorno dall’isola ci aveva salutati
con allegria e
aveva proposto l’idea di scattarci quella foto. Elena era
felice e lo si
deduceva chiaramente dal suo sorriso aperto, luminoso e naturale.
D’altronde le
avevo appena promesso di trasformarla (con tutti i miei più
grossi rimpianti) e
le avevo chiesto di sposarla. E l’avevo fatta volare. Quando
pensavo che quel
sorriso meraviglioso era frutto di buone azioni che io
avevo compiuto mi veniva da sorridere pure a me.
Quando aveva volato con me, su quella spiaggia era stato
stupendo vederla felice. Davvero felice, per la prima volta…
“Damon?” mi chiama qualcuno. Mi volto e vedo la
testa di
Stefan che sbuca tra lo stipite e la porta. “Dovresti andare
ora” mi informa.
Annuisco e rifaccio per l’ennesima volta il nodo alla
cravatta. “Arrivo” rispondo. Un’altra
cosa che ho fatto e che riesce a
sorprendere me stesso: ho scelto mio fratello come mio testimone di
nozze.
Stefan entra nella stanza e guarda la foto che ho
osservato nell’ultima mezz’ora:
“Damon… è davvero felice,
qui” nota senza una
punta di rammarico nella voce, indicando Elena.
“Sì, lo è. Ma non voglio che tu pensa
che l’ho costretta”
dico fissandolo negli occhi.
“Lo so. L’ho mandata io da te; le ho fatto capire
che tu
eri la scelta giusta” spiega Stefan.
“Ma non l’hai costretta” puntualizzo.
“La scelta è stata
sua. Solo e soltanto sua. Quindi poniamo fine a questa lotta tra
fratelli.
Facciamola finita” dichiaro tendendogli la mano.
Mi guarda come se lo stessi prendendo in giro: “Sei
serio?” chiede scrutandomi per bene.
Annuisco e lui, dopo un attimo di esitazione, me la
stringe.
“Ora andiamo, testimone” dico, e ci avviamo verso
il
bellissimo prato verde (Elena aveva preteso di sposarsi in una radura)
dove si
sarebbe svolta la cerimonia.
Angolino
della Matta Fra
Salve gente!
Ok, ok, non
uccidetemi. È un mese, anzi di più che non
aggiorno. Ormai siamo alla fine e
questa volta dovrei avere più o meno tutto pronto per
concludere questa storia.
Arriverò ai dieci capitoli e poi fine: la mia prima long-fic
sarà terminata!
Yuphy! Sono così contenta perché è un
traguardo, ma sono anche triste perché
adoro questa storia e ho visto un grosso apprezzamento anche da parte
vostra,
quindi grazie mille.
Ho
notato che le recensioni sono un
pochino calate… non che siano poche, intendiamoci, ma
è brutto vedere che da 12
(o.O) arriviamo a 7… FATEVI AVANTI, BASTA SOLAMENTE UN
COMMENTINO PICCOLINO PER
DIRMI CHE NE PENSATE! C’è tanta gente che ha
aggiunto questa storia tra le
preferite, le seguite e le ricordate, quindi spero davvero che mi
diciate
quello che pensate e quello che vi ha spinto a leggere questa fan
fiction.
Il prossimo
capitolo sarà sempre POV Damon e sarà la
continuazione di questo con la scena
al presente del matrimonio. Spero che vi sia piaciuto questo chappy,
che per me
è stato piuttosto complicato perché ho dovuto
rileggere la storia per trovare i
punti significativi da riportare con i pensieri di Damon.
Grazie mille
a: Glo
che commenta
sempre OGNI cosa che scrivo.
Maria_Somerhalder
che sopporta i miei ritardi ma nonostante questo è spesso la
prima a recensire.
Stella94
che
recensisce sempre e attende (non so come: con pazienza o imprecando?)
le mie
recensioni che presto arriveranno.
Marghi che
c’è sempre per qualsiasi cosa. Grazie cara!
Vorrei
dedicare questo capitolo a Giuls_Salvatore
che è ritornata e mi ha dedicato il capitolo.
Spero che un giorno ricapiterai anche sulla mia storiella.
E grazie
anche a sciarpa_a_righe
che
sopporta quello che scrivo quando non capisce nulla sui vampiri. Grazie
compagna di Galilei, godiamocela prima che torni Settembre e rivediamo
la Pa***
(in caso sua figlia capiti qui). J
Appello a Naduzza: dove
seiiiiiiiiiii??
Infine grazie a laura_the_vampire_slayer
che mi ha spoilerato dettagli succosi sulla 3x10 si True Blood: Eric e
Sookie
4ever and ever!
Bacioni a tutte
Fra
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