Regarde moi, ma Gardevoir!

di AthinaNike
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter I Maintenant, tais-toi et baise-moi! ***
Capitolo 3: *** Chapter II ***
Capitolo 4: *** Chapter III Bataille ***
Capitolo 5: *** Chapter IV - La Paix ***
Capitolo 6: *** Chapter V - Retour de Flamme ***
Capitolo 7: *** Chapter VI - Moi, enfant de l'univers ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


 
Quando toccò a me iniziare il viaggio, avevo compiuto da poco 14 anni. Ero molto più grande dell’età media degli allenatori che per la prima volta si affacciano al mondo dei Pokémon, ma a dire la verità non mi interessava. Ricordo ancora la giornata in cui presi in mano quella prima pokéball, così liscia, levigata, rossa e bianca. Faceva un bel fresco all’interno del laboratorio del Professore, a differenza dell’afa di luglio che c’era fuori, che pian piano arroventava tutta l’area circostante. Le rocce sembravano sciogliersi sotto il sole, fuori dalla finestra. Con un sorriso feci uscire dalla palla il mio piccolo Charmander. Inutile dire l’emozione di quell’istante. Balenò nei miei occhi castani un guizzo di intesa con il piccolo esserino arancione lì, seduto mentre muoveva la coda fiammeggiante sul pavimento tristemente grigio illuminato dal neon bianco. Le macchine e i computer facevano rumore, parecchio rumore mentre io e il piccolo ci scrutavamo. Allungai lentamente la mano mentre mi sedevo sui talloni. Il professore, inutile dirlo, mi scrutava perplesso ed era pronto ad intervenire nel caso in cui il charmander mi si fosse rivoltato contro. Non lo fece; continuava a guardarmi con quegli occhioni brace mentre con l’indice lentamente gli carezzavo la fronte. Mi annusò la mano e poi mi diede un morsetto sul dito. Ammetto che fece un po’ male con quei suoi dentini aguzzi, ma non urlai né ritirai il dito. Sorrisi e gli poggiai il palmo dell’altra mano poco sopra il collo dicendo “Eh, a quanto pare hai un bel carattere tosto, vero Alexander?”. L’esserino mi guardò piegando leggermente di lato la testa e poi con quello che sembrò un sorriso esclamò un bellissimo “Cha!!”. Nasce così la mia storia, il mio cammino. Scusate il salto, ma penso non interessi a qualcuno di come catturai il mio primo pidgey, che spedii istantaneamente al professore; piuttosto penso che sia interessante un episodio, che cambiò del tutto la mia vita. Ah, diamine. Non mi sono presentata. Il mio nome è Claire e, no, non sono particolarmente femminile. Ho solo un paio d’occhi castani, dei capelli che molti definiscono “boccolosi” lunghi fino a metà collo, un corpo diciamo abbastanza slanciato; ma la cosa che preferisco di me è la pelle: color terra chiara. Non amo molto la compagnia di tutti e viaggio sola con i miei pokémon; so di essere esageratamente misantropa, ma penso che la gente sia fantastica se presa a piccole dosi. E io quelle dosi necessarie le prendo! Ma solo nelle città di passaggio, diamine, altrimenti ti si appiccicano con i loro discorsi persi nell’aria. In quel periodo accelerai di gran lunga la velocità dei miei viaggi: con l’evoluzione di Alexander in Charizard la prima cosa che feci fu insegnargli a volare. La cosa migliore del mondo; solcare le nuvole con quelle potenti ali, mentre il mio Alex ruggiva felice e accelerava sempre più, girava, roteava, saliva, scendeva in picchiata, planava. Solo un’altra sensazione è vagamente similare: correre a dorso di un rapidash. Con volo, riuscì a raggiungere in breve tempo le regioni di Johto, Hoenn, Sinnoh e infine Unima. La mia squadra col tempo si era evoluta, e nonostante nel pokégear si aggiungessero numeri su numeri continuavo ad essere sempre la solita allenatrice misantropa di un tempo. Fu proprio il giorno in cui misi piede su Unima che incontrai uno Snivy femmina. Avevo nella mia bisaccia nera tre pokéball: Alexander, Astrea – un esemplare di Ampharos-, Vaporeon. Non chiedevo di meglio. Uno Snivy era quello che ci voleva. Feci uscire Vaporeon, un po’ spaesato nella nuova regione piena di alberi e cespugli, dal cielo terso. Morso, lo snivy cercò di scappare ma la pokéball arrivò veloce. Allenare Snivy fu una fatica mai riscontrata prima. Non aveva la minima intenzione di evolversi! Nonostante la chiamassi con il soprannome di Lia non voleva saperne di ubbidirmi. Per non parlare della rivalità che era nata tra lei e Alex. Solo il Signore sa come sia riuscita a sopravvivere a quelle fiammate, ma grazie al cielo il mio Charizard non era di quegli esemplari iracondi e montati di testa, anzi era abbastanza bonaccione ma non per questo poco portato per la battaglia. Il giorno benedetto in cui Lia diventò un Servine ero nei vicoli di Austropoli che le facevo fare un po’ di allenamento. Festeggiammo per tutta la durata del dì. Ricordo inoltre che quello stesso giorno Lia si andò a cacciare in un vicolo scognito solo perché voleva fare la gradassa. Quando la ritrovai era davanti ad un Darmanitan che minacciava di buttarle addosso un lanciafiamme che come minimo l’avrebbe stecchita, ma lei fingendo calma era lì, con quella solita aria di strafottenza. Chiamai Vaporeon. Una bella botta di surf fu sufficiente per mettere in fuga il Pokémon. Lia ebbe più riconoscenza e fedeltà nei miei confronti. Percui iniziai a smettere di dedicare attenzioni solo a lei. Oramai cresceva a vista d’occhio, e non capivo la necessità di starle dietro. Invece mi diedi di più a Vaporeon e ad Astrea. Astrea, sempre giocosa e divertente. Affidabile da qualsiasi punto di vista, sia tecnico che sentimentale. Era senza dubbio il mio faro, nelle notti buie attraverso le regioni, sia a terra che in volo. E poi Vaporeon! Ricordo quando lo ricevetti che era ancora un eevee. Fin dai primi giorni lo vedevo giocare nell’acqua, bagnarsi, spruzzarla con la bocca e rotolarsi nelle pozzanghere. Ogni volta che facevo accendere un fuoco ad Alex, cercava sempre di spegnerlo con l’acqua da bere. Per lui chiamai il Professore. Volevo sapere quanto ancora avrei dovuto aspettare prima di potergli dare la pietra idrica. Mi disse che dovevo fare la prova e metterle tutte davanti al pokémon e poi sarebbe stato lui a scegliere la migliore per sé. Feci così, ma non ebbi che una conferma di quanto credevo. Così una volta diventato Vaporeon non fu più quell’eevee indifeso, impossibilitato alla battaglia, ma divenne anche lui pietra miliare della mia squadra. Lo ammetto, sono molto orgogliosa della mia squadra.
Ma il bello doveva ancora venire. Una settimana decisi di tornare a Hoenn per provare a studiare più da vicino gli Skarmory. Decisi quindi di farmi un bel pezzo di strada a piedi, così anche per ricordare i vecchi tempi; quel giorno giusto giusto pioveva a dirotto. Tanto che l’unico Pokémon che mi potè aiutare fu Lia a coprirmi con la sua coda da Serperior. Come se non bastasse, c’era pure una nebbia che definirla fitta è un eufemismo. Accesi la radio per consolazione per sentire notizie metereologiche che non mi erano per niente nuove. Mi maledissi nel momento in cui avevo deciso di farmi una passeggiata a piedi nella zona vicino Forestopoli e proprio mentre stavo per spegnere la radio e controllare il pokégear per vedere se avevo perso qualche chiamata –tipo di mia madre che mi diceva che aveva speso per l’ennesima volta i miei soldi per comprare qualcosa di estremamente inutile- vidi un’ombra seduta su una roccia. Pensai ad un castform, più o meno la forma era quella. Ma no, avvicinandomi i contorni si facevano più nitidi. Lia cominciava a dare segni di tensione e nervosismo. Le carezzai sotto le orecchie per farla stare calma.
Era un Ralts. Rimasi impietrita. Un ralts fuori forestopoli: più che raro. Per di più aveva il colorito completamente diverso. Un ralts blu e violetto. Era meraviglioso, e sarei rimasta lì a guardarlo se non ci fosse stata quella fastidiosissima pioggia. Doveva essere selvatico, forse, ma era troppo grande per poter essere cresciuto autonomamente; poi tutto è possibile…
Feci rientrare Lia e cercai in tutti i modi di calmare i miei pensieri. Ero soprattutto preoccupata per il piccoletto, o la piccoletta. Avevo paura che stesse male, là sotto tutta quell’acqua a dirotto. Mi avvicinai e il Ralts si girò verso di me. Non ebbe paura. Cercai di sorridergli mentre mi avvicinavo a lui estraendo dalla borsa un’asciugamani che usavo per quando giocando con Vaporeon mi bagnavo tutta. Mi inginocchiai raggiungendo il piccolo ralts come altezza. Seduto, non poteva essere più di trenta centimetri. Quel blu intenso e il violetto appena accennato mi colpirono, ma la cosa che mi rimase più impressa fu quando il suo corno iniziò ad illuminarsi. Dopo pochi secondi mi sorrise e si gettò tra le mie braccia. La prima cosa che provai al suo tatto fu un forte senso di confusione mentale. Mi girava la testa, era come se la stesse scandagliando in ogni singolo angolo. Sotto il cielo nuvoloso, non vedevo altro che colori informi, persino il mio corpo sembrava estraneo. Non so se avete mai provato l’effetto di una sbornia, beh diciamo che la sensazione era quella. Miracolosamente smise di piovere per pochi minuti, feci uscire Alex dalla sfera e mi feci portare immediatamente in un centro pokémon. Nel momento in cui consegnai il Ralts saltellante all’infermiera, sentii quella presenza svanire dalla mia mente. Ebbi l’impressione che quel pokémon mi conoscesse alla perfezione e viceversa. Il tempo di sorridere e crollai svenuta davanti al bancone sotto gli occhi allibiti dell’infermiera e del mio Charizard. Dormii per dieci ore. Mi svegliai lentamente e la prima cosa che vidi fu il piccolo Ralts che mi saltellava di sopra. L’infermiera mi si avvicinò e con i suoi occhioni azzurri mi sorrise “Qui si curano solo pokémon, generalmente siamo impreparati per quanto riguarda le persone”. Sorrisi prendendo il piccolo tra le mie braccia. Non riusciva a stare fermo. Sorrideva, schiamazzava, giocherellava. Cominciai a conversare con l’infermiera. Le chiesi dov’erano i miei pokémon e lei mi fece vedere delle pokéball su un tavolo poco distante dal letto.
“Dove l’hai trovato?” chiese riferendosi chiaramente a Ralts.
“Poco distante da qui. Era seduto su una roccia sotto la pioggia” risposi mentre cercavo di prendere una pallina dalla mia borsa per darla al pokémon. Lei mi guardò con un’espressione dubbiosa.
“Claire, lo sai che ti stai prendendo un bell’impegno, vero?”
Non capii. Sul serio, non capivo. Insomma, era un pokémon, niente di diverso da qualsiasi altro.
Cercai di farmi spiegare meglio il concetto. Lei sospirò “Non resterà per sempre un ralts, diverrà una Kirilia, e infine Gardevoir. E’ un pokémon emozione. Tu sei capace di avere un buon umore per tutto il suo periodo di crescita?”. Serrai la mia mente. Mi alzai dal letto, presi le sfere e le misi nella borsa. Mi avvicinai a ralts e lo presi in braccio.
“Sono allenatrice da circa tre anni, non vedo cosa ci sia di strano e non ho la minima intenzione di farmi dire da qualcuno come allevare i miei amici”. Uscii dalle vetrate scorrevoli del Centro e rispolverai la mia vecchia bici. Posizionai Ralts nel cestino e iniziai a pedalare via dall’infermiera, via da quelle preoccupazioni a mio avviso inutili.
Ralts Crebbe velocemente; forse troppo. Mi informai su pokémon come quello, che ricevono il doppio della esperienza normale. Per me continuava a rimanere sempre piccola, perché sì, era un’esemplare femmina. Adoravo quando giocando con me sorrideva. Allenavo i suoi poteri pischici, e mi stupivo ogni volta che con un semplicissimo psicoraggio metteva KO un raticate. Era portentosa, quando un giorno si trasformò in Kirlia. Quant’era bella mentre volteggiava al mattino con il vento che si alzava da ponente e che soffiava sulla mia tenda. Non la rinchiusi mai nella Ball. Non ne ebbi mai il coraggio. Pensavo si sarebbe spaventata, o che magari me la sarei dimenticata lì dentro. Tutte paure senza alcun fondamento, ma che nel contempo aleggiavano tra i miei pensieri e mi stringevano la bocca dello stomaco in una morsa amara. Amavo guardarla mentre saltellava sulla testa di Alex e Lia mentre litigavano cercando di calmarli, quando giocherellava con Vaporeon e Astrea. Con l’evoluzione divenne ancora più potente, come Kirlia era senza dubbio con una marcia in più. La sua capacità psichica si era raffinata e ora riusciva ad entrare nella mia mente senza creare quel disturbo di un tempo. La portavo sempre sulle mie spalle perché non c’entrava più nel cestino: ormai pesava circa venti chili ed era alta quasi 85 centimetri. Era uno splendido esemplare. Non ebbi alcuna fretta di farle raggiungere l’ultimo stadio, anche se notavo che non vedeva l’ora di raggiungere finalmente la forma di Gardevoir. Cercavo di calmarla con il pensiero; vista la sua velocità di acquisizione di esperienza non sarebbe mancato molto tempo al giorno dell’evoluzione.
In una giornata torrida, con un caldo esagerato, stavo allenando Kirlia. No n riusciva a raggiungere la potenza che mi ero prefissata. Sentiva che doveva spingere di più, ma materialmente non ce la faceva. Probabilmente è stata colpa mia, avrà sentito il mio umore, avrà sicuramente percepito quella mia voglia di vederla più forte, più capace. Ancora oggi mi rimprovero per essermi comportata in quel modo: non era da me; insomma era pur sempre la mia Kirlia, l’essere che ha cambiato i miei giorni, che ha portato solo gioia nel mio cuore. Da quando incontrai Ralts iniziai a stare più in città, a farmi più amici, a stringere con i capi palestra. Fu una benedizione dal cielo. E non smettevo un attimo di ripeterlo. Tutti si stupivano del suo colore, alle volte riempivano me e lei di insulti, ma era l’invidia che sputava sentenze. Quel giorno sentii di nuovo quella presenza nella mia testa, caddi a terra mentre cercava di attaccare. Sentivo il cervello esplodere, non riuscivo a pensare ad altro che al dolore. Guardai Kirlia diventare tutta luminosa. Pensai al peggio, pensai che se ne sarebbe andata per sempre da me. La vita i sembrò d’un tratto inutile, ma lei iniziò a cambiare, assunse la forma di Gardevoir mentre continuavo a stramazzare a terra senza rendermi conto di urlare in maniera oscena; ma il dolore era terribile. Sentivo il suo cambiamento nella mia testa. Dopo pochi secondi il dolore sparì lentamente, e delle braccia dannatamente umane attorno al mio collo. Iniziai a prendere lucidità. Perdonami… non pensavo sarebbe stato così doloroso rimbombava nella mia testa. Era lei. Era Gardevoir. Piansi. Non sapevo bene cosa provare, se felicità, rabbia verso me stessa, rimorso, paura. Lei mi abbracciava stretta, non mi lasciò un secondo. Mi fece sdraiare, si mise al mio fianco sull’erba. Distese a guardare il cielo attraversato da nuvole candide e stiracchiate per tutta la sua lunghezza. Passò una mezz’ora abbondante quando riuscì a bloccare le lacrime e a calmare la mia mente alzando la mia testa dal suo petto. La vidi. Quant’era bella. Avevo visto altri esemplari di Gardevoir, ma lei era qualcosa di estremamente diverso. Era più umana, nelle movenze, nei comportamenti, negli occhi, nelle braccia… persino nel seno. Mi misi seduta e la guardai, così cambiata, così… donna. Le posai una mano sul viso e lo carezzai. Era liscio come una bacca pesca e morbido come un soffice cuscino di piume. Mi guardò dritta negli occhi e sorrise. Arrossì. Era rossa.
Parlammo telepaticamente. Un’esperienza indimenticabile. “Scusami per quello che ti ho fatto, non dovevo spingerti fino a quel punto” le dissi. “Quella che deve scusarsi sono io. Volevo farti sentire i miei sentimenti, ma come abilità telepatica non potevo fare di meglio purtroppo. Sono diventata Gardevoir proprio per non nuocerti… Ero troppo poco potente per porle fine” rispose abbassando lo sguardo. Le alzai il viso. “Non hai niente da rimproverarti”. Pausa. Ci guardammo a lungo, poi lei distolse lo sguardo. “Vuoi andare al Centro? Ti senti male?” chiesi dolcemente. Scosse la testa, ma si vedeva che era provata. Quel blu elettrico riluceva sotto la luce. La gonna si apriva in corrispondenza di una sua gamba bianca. Mi alzai e lo stesso fece lei. Notai con molta sorpresa che era più bassa di me di circa dieci centimetri. Mi misi a ridere. Fino a poco fa non era più alta di un metro, e ora mi aveva raggiunta.
Inizia così la mia, la sua, la nostra storia.

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Capitolo 2
*** Chapter I Maintenant, tais-toi et baise-moi! ***


 

Era ancora estate quando mi svegliai dal mio letto e scesi il primo piede per terra. Girai la testa piano e notai Gardevoir che dormiva ancora avvolta nelle coperte bianche che profumavano di lavanda. No, non è come pensate. Dormivamo sempre insieme, era diventata un’abitudine da quando mi confessò di aver bisogno di sentire i miei pensieri prima di potersi addormentare. Quasi vivevamo in simbiosi ormai, lei aveva bisogno di entrare nella mia mente e io non la rigettavo mica. Era una presenza indispensabile per l’andamento della giornata. Sorrisi mentre alzavo la serranda lentamente e feci entrare qualche raggio di luce da fuori il Centro di Sciroccopoli. Avevo deciso di fare una piccola gitarella per vedere il parco giochi e Camelia, straordinaria capo palestra. Andai nel cucinino e mi versai un po’ di latte e lo bevvi lentamente. Avevo addosso solo una maglietta molto lunga. Scorsi Gaelle –beh non potevo continuare a  chiamarla Gardevoir!- che mi veniva incontro mentre si stropicciava gli occhi lentamente. Si sedette sulla sedia accanto al tavolo di legno e mi guardò. “Perché non stavi a dormire un altro po’?” chiesi prendendole dalla credenza un po’ da mangiare. Lei non rispose. Sentii solo il suo sguardo su di me. Cercai di entrare nei suoi pensieri ma mi sbarrò l’accesso. Le porsi il vassoio e andai di la per prendere le pokéball. Anche gli altri dovevano mangiare. “Aspetto che finisci e poi scendiamo” continuai io facendo finta di niente. Ancora nessuna risposta. Cosa avevo fatto stavolta di sbagliato? Le andai incontro e mi sedetti di fronte a lei. Guardava oltre la finestra. Le presi la mano e mi fissò. “Che hai?”
“Niente di importante”. No, non me la bevevo. Aveva qualcosa. In questo era molto simile ad una donna, bisogna solo capirci, noi non diciamo mai niente direttamente. “Dai dimmi.” la incoraggiai. Mi guardò arrossendo. Forse c’ero riuscita! Alzò la testa lentamente sospirando “Dobbiamo andare per forza da Camelia?” disse cercando di filtrare i pensieri. Alzai le sopracciglia. Non potevo crederci. Che fosse gelosa?! Ma di che? Bah alle volte era strana, ma davvero! Aprii la bocca senza dire niente e lei subito abbassò lo sguardo giocherellando con il bordo della scodella. No era troppo imbarazzata per risponderle duramente. “Va bene, ci andremo un altro giorno. Però sbrigati che anche gli altri stanno morendo di fame”. Lei mi rivolse uno sguardo stupendo, gioioso e solare, ma sapevo che era solo quello che voleva farmi vedere. Dentro non doveva essere poi così tanto allegra quel giorno. Dopo che mi preparai, scendemmo le scale e ci ritrovammo nella sala al piano terra. Feci uscire tutti quanti: Alex, Lia, Astrea e Vaporeon. Diedi una razione a tutti e carezzai tutti quanti. Alex e Lia continuavano ad azzuffarsi mentre Gaelle cercava di calmarli. Astrea saltellava un po’ tutt’attorno e Vaporeon riempiva le scodelle con dell’acqua. Alex e Lia iniziarono a farsi troppo rumorosi.
Decisi che non li sopportavo più feci spostare Gaelle e ordinai ad Astrea un tuononda su entrambi. Alle volte paralizzarli era l’unico modo per farli smettere. Mi chiedevo spesso come facessero un Charizard e un Serperior a litigare così tanto.
Mi sedetti al tavolo e guardai i miei amici mangiare. Gaelle era seduta invece sul tavolo che mi dava le spalle.
Mi controllava i pensieri. Lo sentivo. “Che vuoi fare oggi?”. Sussultò. Forse non pensava me ne accorgessi. Si girò verso di me e mi osservò dalla testa ai piedi. Si avvicinò e mi sistemò i capelli ricci arruffati e prese a guardare i miei vestiti, per vedere se avessi pieghe di vario genere. Non vestivo complicato: maglietta nera e jeans. Dopo che ebbe finito, mi sorrise e mi rispose “Penso che il Parco Giochi vada benissimo”.
Uscimmo dal Centro e ci incamminammo verso il Parco parlottando del più e del meno e godendoci quel venticello e l’odore degli alberi. Dopo un centinaio di metri incontrammo proprio Camelia che ci veniva incontro. Gaelle cambiò espressione di botto e venni attraversata da una leggera fitta alle tempie. Cercai di farla calmare. “Non ne ho bisogno!” mi urlò con la sua voce penetrante provocandomi un’altra fitta. Era proprio strana quando faceva così, dannazione. Salutai Camelia. Era a spasso con la sua Zebstrika.
“Tu sei con Gaelle vedo”  disse sorridendo mentre fermava Zebstrika che non vedeva l’ora di farsi una bella corsetta.   “Già! Percui non ci sei oggi in palestra?”
“Eh no, devo fargli scaricare un po’ le pile, altrimenti non mi farà dormire!” disse muovendosi i capelli biondi e corti con la mano. Si aggiustò un po’ il vestito attillato giallo e nero e il mio occhio cadde sui suoi tacchi per me vertiginosi. Provavo profonda ammirazione nei suoi confronti. Era una delle poche con cui avessi un rapporto di amicizia pseudo normale. Mi piaceva la sua compagnia. La salutammo e notai che anche quando lei era parecchio lontana, lo sguardo di Gaelle era duro e la sua mente vibrava, inoltre il suo corpo era rigido come un pezzo di legno. Decisi di lasciarla sbollire un po’, nella speranza che non sarebbe stata intrattabile per tutto il giorno. Arrivate al parco, una coppia di bambini corsero nella nostra direzione e mi chiesero della mia Gardevoir. Raccontai loro che era la mia compagna più fidata, e che era un pokémon estremamente raro, che ne capitava uno simile ogni mille anni circa. I piccoletti, alti poco più di un metro, avevano dei bei capelli biondicci e una pelle chiara. Gaelle sorrise e si abbassò per poterli accontentare e farsi toccare la testa. Stavolta venni presa io da un moto strano. Lei se ne accorse tanto che mi guardò compiaciuta nell’aver trovato forse la sua vendetta. “Piccoli fate piano…” sussurrai io mentre stringevo la mano. E lei che si faceva carezzare, che poco ci mancava facesse le fusa come un fottuto Glameow qualsiasi! Ma era la mia Gaelle! LA MIA! Stavo per scoppiare quando arrivò la madre dei piccoli che ci ringraziò e li portò via. Incrociai le braccia dopo averli salutati e cercai di eliminare in fretta quel sentimento assurdo e senza senso. Mi guardò con aria soddisfatta e un sorrisetto beffardo che odiai e amai allo stesso tempo. Lei mi prese al mano che avevo stretto prima, notò che poco mancava che arrivassi a farla sanguinare. “La prossima volta, anziché masochizzarti in questo modo assurdo, pensa a tutte le risposte che mi dai ogni qualvolta decidi di andare da Camelia” si girò di botto e riprese a camminare. Sorrisi amaramente. Tagliente. Era solo tagliente. Ma mentre la guardavo avanzare, con quel suo passo leggero, e l’eleganza della sua figura, non resistetti più e l’abbracciai. Si bloccò e portò le sue mani sulle mie braccia attorno alla sua vita stretta. Quell’abbraccio fece male a me e a lei, che ancora non avevamo il coraggio di ammettere quello che stava accadendo, che non avevamo gli occhi pronti per guardare con oggettività la realtà. La girai e la guardai negli occhi. Serrai la mia mente: sapevo che l’unica cosa che rimbombava era “baciami”. Questo desiderio mi corrodeva da dentro; ma cosa avrei potuto fare?! Farglielo capire? Dirglielo? Come un’eco terribile mi vibrava dentro in ogni singola cellula, in ogni neurone c’era solo quell’unico verbo unito al complemento oggetto. Bacia me, e nessun altro mai. Ama me come non amerai mai nessun altro. Cercavo in tutti i modi di togliermelo dalla testa. Era sbagliato su tutta la linea, non v’era modo di dire che in qualche maniera sarebbe stato possibile soddisfarmi. Anche lei aveva reso impossibile per me sentire i suoi pensieri, le sue emozioni. Si staccò da me con il viso rosso e lo sguardo basso. Il mio non avevo idea di che colore fosse. Non potevo lasciarla andare così. Non così. “Hai cambiato la mia vita!” le dissi ad alta voce e lei si immobilizzò di nuovo. “Credi veramente che svenderei te, per una qualsiasi persona o pokémon? Credi davvero che nel mio ordine di priorità qualcuno possa venire prima di te? Quel giorno, in cui mi hai preso la testa, ti sei scusata del dolore che ti causai io… quel giorno mi ripromisi che non ti avrei mai tradita per nessuno” continuai sperando di non dare spettacolo in giro, ma per fortuna in quel preciso istante non passava nessuno. Silenzio. Solo le foglie degli alberi facevano un rumore timido sotto il vento di Scirocco. Il vento le mosse le pieghe morbide della gonna leggermente violetta. Si mise di profilo e mi guardò. “Perché mi chiudi i pensieri?” mi chiese a voce alta. Sì, lo so cosa potete pensare. E’ un pokémon, ha un verso, non parla mica. Beh le parlavo molto io, e le insegnai la fonetica. Cosa volete che vi dica, era una mia fissazione, e poi lei aveva un cervello così sviluppato che apprese molto bene e in poco tempo. Insomma, ci riesce un Meowth, non ci può riuscire la mia Gardevoir?! Cominciai quando era ancora un Ralts. La vedevo proprio come un essere umano. Sarò stata una sciocca, una pazza, un’idiota, ma l’amavo; e quello era per me un modo per mostrarle il mio affetto, donandole la parola, l’arte della retorica. “Potrei farti la stessa domanda”. Ero decisa, anche se devo ammettere che mi tremavano le gambe e il cuore batteva forte. Vide una panchina e mi fece segno di sederci lì. Mi rilassai e ci sedemmo.
”Mi spieghi che diamine ti prende oggi?”
“Non lo so, perdonami”.
Pausa di pochi istanti. Si girò di scatto verso di me e mi prese la mano. “Tu lo sai che morirei per te, vero?!” chiese con voce tremante.
“E tu lo sai che lo farei anche io?” risposi seria. Scosse la testa con forza lasciandomi e stavolta mi prese per le spalle e mi piantò un pugno leggero sullo sterno.
“NO! Tu non devi pensare queste cose! Sono io quella inutile, sono io quella che deve la propria vita a te. Sono io quella che hai trovato sotto la pioggia…”
Non ebbi il coraggio di risponderle, perché l’unica cosa che avrei tanto voluto fare era darle uno schiaffo per le cazzate che diceva. Ma chi gliele aveva messe in testa?! Un Gardevoir aveva mai fatto discorsi del genere?! Avevo un sacco di amici allenatori che avevano un esemplare, ma diamine, mai una cosa del genere. Notai con la coda dell’occhio che un mucchio di gente passava di lì proprio in quel momento. Mi decisi che quello non era posto per discutere e così feci uscire Alex, presi in braccio Gaelle e montai sul suo dorso. Gli feci spiccare il volo e andai lontano, lontano da quella città. “Claire! Mi spieghi che vuoi fare?!”. Continuai a non risponderle e diedi dei colpi di tacco sui fianchi del mio Charizard incalzandolo a sbattere le ali possenti più velocemente.
Atterrai vicino ad un boschetto dove sapevo che nessuno ci avrebbe messo piede mai e poi mai. Ripresi in braccio Gaelle e la feci scendere. Mi aspettò in piedi con le mani congiunte sulla gonna scossa dal vento provocato dal compagno pokémon. Una volta a terra, richiamai Alex nella sfera. Buttai la borsa a terra con foga e la guardai allargando le braccia. “Ora siamo sole. Spiegami per favore chi diavolo ti ha messo in testa queste stupide idee!” dissi con un certo impeto. Lei sentì le parole tutte addosso e restò in silenzio. Non riuscivo a capire. Ero giovane e di mentalità aperta, e lei era troppo complicata.
“Sono un pokémon Claire…” disse con un certo rammarico nella voce.
”Non capisco cosa c’entri”
“Tu non capisci mai!”
”Se non mi spieghi è ovvio!”
Urlavamo entrambe. Certo, già sentire un pokémon che parla è più unico che raro, aggiungiamo anche che litiga con il suo allenatore e che ha una colorazione diversa dal normale e sfociamo nell’assurdità. So che non mi crederà nessuno, so che nessuno mi darà importanza, ma questa è la mia storia. E mentre mi urlava in faccia la voglia di stamparle un bacio su quelle labbra sottili cresceva. Dio. Deve esser proprio strano sentire discorsi del genere, me ne rendo conto. Ma non è una finzione. L’amavo davvero, per me era tutto, era davvero la persona, perché per me era una donna, a cui avrei dedicato la mia vita.
“Se non lo faccio ci sarà un motivo, non credi?!” rispose avvicinandosi a me con lo sguardo adirato.
“Cos’è siamo diventate ironiche adesso?” sbottai dando un calcio ad un sasso vicino a me. Lei sbuffò rumorosamente facendo un movimento con la mano e girandosi di una decina di gradi. Mi calmai e mi misi seduta. “Voglio solo sapere dov’è la mia Gaelle, che si addormenta tra le mie braccia, che chiude gli occhi sotto le mie carezze, che discute con me di come accudire i miei pokémon…”. Si avvicinò a me e mi si sedette accanto. Mi buttai all’indietro e caddi su un soffice strato di fiori. Lei mi guardava seduta sulle ginocchia. Si sdraiò anche lei e si mise supina al mio fianco, con il braccio sinistro sul mio petto. Strinse forte gli occhi. “Vedi è tutto sbagliato… quello che voglio io… quello che penso”
“Se non mi dici cosa pensi, se non mi fai vedere quello che vuoi come posso decidere se sia giusto o sbagliato?” dissi dolcemente carezzandole l’orecchio mettendomi seduta con lei tra le mie gambe e la sua testa poggiata sul mio sterno. Abbassai le mie barriere mentali e sentii la sua entrare lentamente, quasi timidamente. Restammo per un bel po’ in quel modo, senza chiedere né dire nulla. Il silenzio lo ruppe lei “Pensavi davvero quello che mi hai detto poco fa?”.  Le presi il viso e provai ancora quella sensazione. Stavo per farla uscire dai miei pensieri, presa dalla paura che potesse andarsene scoperto quello che mi passava per la testa, quando mi saltò addosso e mi buttò a terra urlandomi “Ferma! Non farmi questo!”. Cercai di disciplinare i miei pensieri, ma non riuscendoci continuai a cercare di farla uscire dalla mia testa, ma lei reagì ed entrò forzatamente. Un dolore atroce. ”Dimmi cosa vuoi sapere!” le urlai mentre cercavo di liberarmi da quella morsa mentale. In pochi secondi ebbe scansionato tutta la mia mente, con tanto di pensieri e desideri. Ne uscì lentamente e quando il dolore finì mi sentii svuotata da tutto, la vergogna mi invase tanto che la sensazione di essere nuda e sporca non mi abbandonava. Ma lei era sempre sopra di me che mi tratteneva per i polsi. Non se ne era andata. Non ebbi il coraggio di guardarla, si spostò in modo tale che mi potessi mettere seduta. Pensavo solo nero, nient’altro. Le mie emozioni erano ridotte a un forte senso di inadeguatezza e stupidità, oltre che schifo nei miei confronti. Ecco: mi facevo schifo. Ero stata una pessima allenatrice, avevo trattato male la mia Gaelle. Le avevo promesso gioia e felicità e le avevo soltanto dato dolore.
Mi sentivo le labbra sigillate, la lingua incollata al pavimento orale, i muscoli indolenziti.
Rieccola. Era tornata nella mia mente. “apri gli occhi”. Non avevo intenzione di farlo. Preferivo restare nel buio della mia stupidaggine, preferivo vedere nero per sempre. In quel momento pensai che il posto più adatto per me fosse l’inferno. “Claire… apri gli occhi” solo quello balzava nelle pareti della mia testa irrimediabilmente svuotata da ogni pensiero di significato compiuto. Sentii le sue mani sul mio volto.
Mi decisi che non era quello il modo di risolvere i problemi, che non era quello il mio carattere e che gli Squirtle non mi erano mai piaciuti. Tirai fuori la testa dal mio guscio e aprii le palpebre. Vidi il suo volto sorridente rigato dalle lacrime. Le asciugai le lacrime. “Guarda… che stupida che sono… ti tratto malissimo… io non ti merito” dissi con la voce che mi aggrediva la gola con denti aguzzi. Mi ero rivista tutti i giorni felici passati insieme svaniti nel nulla, pensavo che non il nostro rapporto non sarebbe stato più lo stesso. Ma lei avvicinò la testa alla mia. Mi carezzò la guancia e mi baciò le labbra. Mi staccai subito. “Stupida! che fai!? non devi.. Non devi solo perché lo vorrei!”. Venni investita da una valanga mentale. Erano i suoi ricordi… no: ricordi di pensieri, di sogni. Erano i suoi. Fin da quando era un ralts… e poi Kirlia… e infine i suoi sogni più recenti. Mi abbracciava, mi carezzava, mi baciava. Quando finirono mi disse solo “Ora stai zitta e baciami”. Fui inondata da un profumo che mi ricordò le rose, e un sapore simile al gelo di anguria.
Senza dubbio ora posso dire che la sensazione migliore, anche rispetto al volo a dorso di un Charizard e una cavalcata con un Rapidash, è baciare un Gardevoir.

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Capitolo 3
*** Chapter II ***


La vita non era poi così cambiata, ma quello fu l’evento scatenante di tutta una serie di conseguenze strane e assurde. Quelle sì che cambiarono la mia, o meglio, la nostra vita. Alzandomi dal cuscino, e trovandomi la testa di Gaelle posata sulla mia spalla provavo un immenso senso di pace con me stessa e con il mondo. Per lei non era lo stesso. Era mangiata dalle preoccupazioni e lo vedevo dal suo sguardo vitreo. Era sempre tesa come una corda di violino quando camminava al mio fianco, e non osava guardarmi negli occhi. Cercavo di farmene una ragione, in fondo non potevo chiederle chissà cosa fin dai primi tempi, solo odiavo quando tornava con forza sui discorsi del tipo “Ma io sono un pokémon” oppure “troverai qualcuno migliore di me”, “dovresti abbandonarmi da qualche parte”. Insomma, discorsi persi tipicamente femminili.
Un giorno decisi che sarebbe stata una buona idea riprendere la mia vecchia amica Rapidash: Ignis.
Così un mattino presto mi alzai, scivolai via dal letto e lasciai un biglietto a Gaelle con scritto dove fossi. Arrivò circa venti minuti dopo che lasciai la stanza con un passo veloce e gli occhi iniettati di sangue. Io risi tra me e me mentre finivo di montare ad Ignis la sella carezzandole il fuoco sopra la testa attorno al corno. “Mi hai lasciata sola! Sola! Non mi hai nemmeno svegliata!” Mi urlò nella testa. Sempre quella fitta. “Volevo solo farti una sorpresa”.
“UNA SORPRESA!?” urlò ancora più forte. La fitta fu terribile, tanto che strinsi gli occhi dal dolore. Quando li riaprii la vidi con gli occhioni arancioni lucidi. “Pensavo mi avessi abbandonata” disse buttandosi tra le mie braccia. Ora capite perché vi dico e vi ripeto che è più una donna?!  E’ mai capitato che… non so, un pikachu si facesse problemi del genere?! Oppure, non so… una Jynx?! O un Mister Mime! No dannazione! No! Lei è ancora oggi la mia benedizione e la mia dannazione. Ma, pensai, se si comportava così, avrei dovuto anche io trattarla da donna, ma purtroppo non sono una persona eccessivamente romantica. La strinsi a me e le baciai la fronte, la presi per la vita e la issai su Ignis con entrambe le gambe da un fianco. Poi salii io dietro di lei e presi le redini. Le strattonai assieme ad un colpo di tacco e Ignis prese a galoppare veloce e fiammante. L’adrenalina mi scorreva lungo tutte le vene, impregnava ogni singola cellula del mio essere mentre mi sostenevo sulle staffe con la forza delle gambe, tenendo stretta a me Gaelle che mi mandava messaggi telepatici come “RALLENTAAAA!!!”, ai quali – inutile dirlo - non badavo assolutamente. < Porca miseria! Anziché urlare nella mia testa urla e basta! Usale le corde vocali! > gridai io ridendo contro il vento che mi arrivava in faccia. Ignis nitrì, e accelerò ancora. Gaelle si appese al mio collo con le braccia e le tenni la schiena con la mano sinistra e con la destra reggevo ancora le redini.
Dio, che sensazione. Avevo la pelle d’oca, ogni singolo recettore era amplificato. Ero eccitata da tutti i punti di vista, tutti i sensi erano in sovraccarico e iperattivi. Sentivo nell’interno coscia le gambe di Gaelle. Ancora oggi rido ripensando a quel giorno. Ero davvero giovane! Feci fermare Ignis e guardai ridendo Gaelle con gli occhi spalancati e sbarrati, la gonna quasi del tutto tirata su mostrando le gambe bianche, che tremava. Le uniche tre parole che riuscì a formulare furono “Tu… sei…. pazza”. Non resistetti più e la baciai. Allontanai le mie labbra, ma lei mi prese la nuca e mi baciò.
Poco dopo eravamo sotto un albero, appoggiate al tronco a guardare il cielo che lentamente si riempiva di nuvole.
“Sai” attaccò a parlarmi “molte volte ho pensato di essere uno scherzo della natura. Insomma, mi sento più umana che pokémon, e ammetto di aver desiderato più di una volta morire e rinascere come desiderassi. Alle volte mi sento come se fosse rinchiusa dentro questo corpo, e mi chiedo se esiste davvero qualcosa paragonabile ad un Dio che si diverte a fare scherzi del genere. Quindi arrivo così alla conclusione che le cose sono due: o sono io sbagliata, oppure è Dio sbagliato. Non solo mi sento donna, pur essendo solo un pokémon, ma per di più…” fece una pausa. La guardai diventare rossa e abbassare lo sguardo. Sorrisi e la incoraggiai sfiorandole col dorso del dito la guancia. Lei mi guardò dolce, e io mi sciolsi dentro i suoi occhi melliferi. Avevano proprio quel sentore di casa, di amore, di famiglia che avevo sempre cercato in qualcuno ma che non avevo mai trovato. Lei era la mia casa, era la mia famiglia, era il mio amore nonché la mia ragione unica di vita. Vivevo per amarla, e la amavo per vivere. “…per di più provo… un enorme affetto… per una ragazza”. Arrossii. Pensai istantaneamente “ti amo”, per di più involontariamente! Insomma, non l’avevo mica pensato apposta, ma cercate di capirmi! Una persona… ok lo so, non era ancora un’umana, ma mettiamo caso che lo sia stata. Una persona che dice così, che parla così, che ti guarda in quel modo, che ti fa partecipe dei suoi pensieri e conosci fino ai meandri più profondi della sua mente cristallina ai tuoi occhi, premesso questo… potreste mai dire qualcosa che non sia “ti amo”?! Potreste pensare che fosse prematuro, ma dannazione, posso dire di averla allevata io. Potrei senza dubbio alcuno dire di conoscerla e sapere anche in anticipo i suoi pensieri, sapevo cosa la rendeva forte, cosa debole. Avevo la sua mente nella mia ventiquattro ore su ventiquattro, ed era il sale dei miei giorni, la mia droga, il mio soffio vitale.
Dopo che le dissi “ti amo” restammo con attività cerebrali degne di un encefalogramma piatto. Lei mi guardava, io la osservavo. Nulla. Non una parola per istanti che mi sembrarono infiniti, ma esisteva solo quell’istante, solo quegli occhi di fronte i miei, solo la sua mente nella mia, il tronco d’albero che sosteneva la schiena e la terra gonfia ed erbosa sotto di noi. Avevo le labbra socchiuse. Si mosse piano, si mise seduta sulle ginocchia e mi sfiorò le labbra con la mano. “Mi sento l’essere più sfortunato e fortunato nello stesso tempo” pensò e quella sua voce raggiunse le pareti della mia testa come un’onda modulata soffice ed inebriante. Era una sensazione straordinaria quella di sentire il suo flusso di pensieri lungo tutte le mie sinapsi mentre continuava a sfiorarmi le labbra, e poi passava alla guancia, al collo, sul seno e scendere. Credetti di scoppiare. In quell’istante preciso avrei voluto soltanto esplodere. Probabilmente avrei liberato una quantità di neurotrasmettitori impressionante. Il mio cuore correva sotto i suoi movimenti lenti. Mi uccideva ad ogni centimetro. Era insopportabile quell’attesa, era insopportabile al punto che avrei preferito morire piuttosto che subire quello. Cintura. Pochi secondi e sarebbe finita in un modo o nell’altro, quando un rombo terrificante scosse l’aria. Prese a piovere a dirotto.
Bagnata. Ho detto tutto.

La cosa negativa di avere un rapidash è proprio che cavalcarlo sotto la pioggia è impossibile. Per fortuna c’era una grotta poco distante da quell’albero. Certo era buio, ma non era male l’idea di stare un po’ in ombra durante una pioggia estiva. “Oggi non è esattamente quella che chiamo giornata fortunata” dissi io cercando di asciugarmi la testa con l’asciugamani sorridendo a Gaelle che ricambiò con un’occhiata eloquente e che non avevo mai notato prima. Ebbi paura. Cercavo di sembrare disinvolta, ma in un certo senso non volevo si prendesse troppo da quel rapporto, avevo la coscienza intaccata e mi faceva male. Ma guardandola vedevo solo la mia compagna e tutti i dubbi e le perplessità scivolarono via assieme alla pioggia grigia. Aveva lo sguardo perso su di me. “Claire…”. Voleva qualcosa. Lo capivo dal modo con cui muoveva le gambe e come gettava all’indietro le spalle e inarcava l’intera schiena. Abbassai lo sguardo.
“Claire” ripeté, ma feci finta di non ascoltare. Ripeteva il mio nome. Girai la testa.
“No Gaelle. Non oggi”. Notò i miei pensieri neri e nuvolosi. Si zittì e si sedette al mio fianco, posò la testa sulla mia spalla e chiuse gli occhi. Era dolcissima. Nonostante la caverna umida, la pioggia che entrava da fuori, le pietre molto scomode sotto il sedere, stavo bene lì. Avevo tutto ciò che potevo desiderare, anche se quei pensieri mi tormentavano la mente. “Claire smettila ti prego mi sta venendo la nausea”. Mi scusai. Evitai di pensarci.
Poi mi guardò. “Io ancora non ti ho risposto”. Assunsi una faccia stupita.
“A che?”.
Lei arrossì violentemente. Si mise più dritta, mi mise la mano sulla guancia e sorrise solare. Dritta al cuore. Ebbi come l’impressione si fermasse. “Non so cos’è l’amore. Ma quando vedo te, ho l’impressione di vivere. Mi sento bene, mi sento me stessa. Quando sono al tuo fianco so che posso affrontare qualsiasi cosa, so di poter contare sempre su di te e soprattutto sono felice che ti affidi a me. Ho caldo, ho sempre caldo tra le tue braccia anche se fuori è freddo. Ho te. Questa è la ragione per cui respiro ormai, solo per poter stare con te, per sentire la tua voce, per camminare con te, per…” rise “…anche cavalcare con te. Ti prego, non lasciarmi mai, perché nelle tue labbra sta la mia vita”. Non sapevo cosa pensare oltre al “lo sapevo già”. Che non era per niente sfatante, né a mio avviso uccideva l’atmosfera, ma come ho detto prima non sono molto romantica. Non so perché, ma pensai al matrimonio. Lei mi prese la mano e mi disse a voce alta < Lo voglio >. Mi misi a ridere. Era troppo comica. Lei però ci rimase male: faceva sul serio! Ma la mia non era mica una promessa di matrimonio! Insomma, sapevo che non avrei mai voluto nessun’altra che non fosse lei, ma matrimonio…! Ancora oggi mi rimprovera quella risata. Ricordo ancora la faccia che mi tenne per la mezzora successiva. Quando iniziai a sentire i suoi pensieri meno confusi e tempestosi mi feci largo nella sua mente, ma mi rigettò. C’era rimasta davvero male. Non me lo sarei aspettato.
< Non ti ho rifiutata. >
Non mi rispose. Cercai di prenderle la mano ma la tolse subito. Notai una riga sulla sua guancia. Una morsa strinse il cuore. OK, dovevo decidermi. Quello era il momento buono per fare la romantica. Mi ripetevo di pensare a qualcosa di romantico, come nei fumetti, o che so io, nei film. E devo ammettere che non fu per niente facile. < Perché il matrimonio, quando tu per me sei amante, sorella, madre, figlia, amica e soprattutto la mia Gaelle. Non infrangerò mai la promessa che ti feci dempo fa. Non voltarmi le spalle così, ho bisogno di te adesso, e ne avrò sempre”. Silenzio. Espirai con forza, mi girai dall’altro lato e vidi un sasso grande quasi come un pugno. Lo presi, e non pesava granché. MI balenò in mente un’idea. mi avvicinai alle sue spalle e misi la mia testa accanto alle sue orecchie, mentre le mostrai il sasso. Iniziai a parlare lentamente e piano < Vedi questo sasso? Ha lo stesso peso e la stessa grandezza circa di un cuore umano. Non trovi che sia piccolo? > lo posai nelle sue mani congiunte sulle gambe. Era paralizzata. Sapevo che lo fissava. Sentivo il corpo caldo e la mente che vibrava. Si insinuò piano nella mia mente. Le presi la vita con il braccio e la strinsi a me. “Piccolo per cosa?”. Sorrisi. Espirai lievemente e lei chiuse gli occhi. < E’ piccolo per contenere tutto ciò che sento per te, vorrei donarne una parte a te > dissi e Gaelle inarcò la schiena. Sentivo il mio corpo vibrare caldo, ogni singola fibra del mio essere era in fibrillazione, la vista quasi si annebbiava. Stavolta si lasciò definitivamente andare, era bellissima, vibrante come una corda di violino, aveva un calore passionale, che trasudava sensi e scolvogimento della mente. Già, la sua mente… più che confusa direi che la parola corretta è sovreccitata! Troppe troppe cose insieme, tutto in un unico malloppo e la cosa che si sentiva chiara e quasi assordante era il rimbombare di un unico insieme di pensieri che pulsavano come se fossero percorsi da sangue, probabilmente erano i vari recettori. Le misi la mano sulla coscia e le aprì lentamente. Dovevo farle provare quel sentimento d’angoscia, lentamente, spostavo la mano. Sentivo che ci moriva, sentivo che non poteva aspettare, ma era dolce sentire gli interi suoi pensieri concentrati in un’unica sensazione. La biaciai e decisi di porre fine a quella sua agonia. Scroscio di pioggia.

Piano piano smetteva di piovere, ma tutto intorno rimaneva terribilmente bagnato. Ritornammo in città verso sera. Gaelle era con le gambe tutte da un lato e la testa poggiata sul mio collo. Andavo piano. Lei era tutta rossa e dormiva beata. Sorrisi e mi arrestai davanti al portone del centro pokémon. Scesi da Ignis e la feci mettere seduta, presi Gaelle e la portai sopra nella mia stanza, la posai sul letto e mi diressi alla finestra a guardare fuori.
Sentii un fruscio di lenzuola. Venne dietro di me e mi abbracciò. < Claire… > Mi girai verso di lei, che guardava fuori. < Claire ti amo anche io >.

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Capitolo 4
*** Chapter III Bataille ***


Austropoli mi è sempre piaciuta. Una metropoli splendida, mare e civilità. e poi nei dintorni bosco. Pieno di negozi e botteghe di vario genere. E’ molto moderna e ha sempre quel fascino di grigiore che mi è sempre stato molto caro durante l’inverno. Quelle giornate in cui l’unica cosa è barricarsi in casa tra coperte e scaldini e coccolare i propri pokémon. Proprio durante il mio soggiorno ad Austropoli, una mattina mi arrivò una lettera nella mia stanza. Era di un certo Derek che mi sfidava in una lotta pokémon al porticello di fronte il centro. Sulle prime mi misi a ridere. Ma chi era questo qui? Io dovevo sfidarlo in una lotta pokémon?! Ma era pazzo o cosa? Pensai “Mio caro amico io ho battuto tute le leghe delle varie regioni e mi vuoi sfidare?”, magari le aveva battute anche lui… comunque io le sfide pokémon le accetto e le vinco soprattutto. Lasciatemi fare bene l’unica cosa che per me vale davvero la pena di sprecare tempo e forze. Chiamai Gaelle. Le raccontai della lettera. Al solito le dissi che non l’avrei fatta combattere, al solito lei mi urlò addosso, al solito l’abbracciai e le dissi che era per il suo bene e uscimmo al solito dal centro Pokemon. Pochi metri e mi trovai di fronte un tizio alto poco più di me, vestito di bianco. Mi guardai. Come al solito ero tutta nera. Mi prendeva per i fondelli?! Aggrottai la fronte. Ricordo che avevo una faccia tra la schifata e quella incavolata nera. Avevo dei pensieri confusi e non erano esattamente molto positivi. Gaelle mi guardò. Quell’idiota mi guardava con sguardo beffardo. Aveva dei capelli scomposti, non erano per niente messi a posto, eppure lui sembrava un egomaniaco come pochi. Era tutto vestito di bianco, ma probabilmente la sua pelle era più bianca dei vestiti: sembrava un fantasma. Lanciò davanti ai miei occhi allibiti una sfera poké dalla quale uscì un Aggron particolarmente sviluppato. < Allora Claire! Vuoi affrontare la mia potenza?! >. Io e Gaelle ci guardammo sconvolte. < Scusa e tu hai intenzione di usare contro di me un Aggron?! Ma li conosci i miei pokémon quantomeno?! > . Il tizio salì sulla groppa del suo Pokemon e mi strizzò l’occhio blu ghiaccio. Mi dava i nervi. Gaelle mi ricordò di calmarmi. Chiamai fuori dalla sfera Alex che atterrò con un tonfo. Aggron vs. Charizard. Un unico svantaggio: Alex aveva debolezza terra, sarei stata fregata se avesse assestato un colpo di tipo terra particolarmente potente. < Non mi pare sia il caso sfidarci qui > dissi io pensando a quanto bruciato avrei fatto intorno. Non ero dell’umore di lasciarlo tornare a casa vincitore. Non davanti a lei. Lui balzò a terra, si aggiustò i capelli e disse < Hai ragione! Non mi sono nemmeno presentato! Mi chiamo Derek, e ho intenzione di soffiarti il tiolo di pluricampionessa! >. Lo guardai attentamente. Balzai su Alex prendendo in braccio Gaelle e gli urlai di seguirmi. Spiccai il volo velocemente. Lui distante da me a terra cavalcava un Zebstrika. Non aveva Pokemon volanti a quanto pare, ma non potevo esserne certa. Atterrai in una vicina radura e aspettai il suo arrivo. “Credi che sarà un osso duro?” chiese timidamente Gaelle. “Non lo so, ora vedremo”. Arrivò quindi Derek che aveva portato con sé un testimone. Ci teneva davvero. < Finalmente ti conosco Claire! La Chiarezza Oscura > per poco non mi misi a ridere. “Ma da dove è uscito questo pazzo!?”. Richiamò Aggron. Il testimone parlò < Sfida sei vs. sei! Cominciamo! >.
Insisteva. Feci segno ad Alex di andarmi davanti. “Gaelle quanto ti stancheresti a metterci in contatto telepatico?”. Lei mi rivolse uno sguardo dubbioso “Non sarei in grado di combattere perfettamente”. Non sapevo cosa mi aspettasse, e non avrei voluto far combattere Gaelle, ma lei era di sicuro il mio… pokémon… più forte. Ma lei non era solo la mia Gardevoir, lei era la mia donna. Sperai di non doverla far combattere. “Stai qui” le dissi mentre salii sul dorso di Alex. Il tipo lì, inetto come non mai, mi rise in faccia < Vi farò cadere entrambi >. Sussurrai un “fuoco bomba” nelle sue orecchie, e mentre spiccava il volo lanciava un’enorme palla infuocata che Aggron cercò di parare con ferrartigli. Lo colpì. E questa era una. Salii in quota. Non capivo perché si ostinava a rimanere a terra. Fuoco dall’alto no, avrei preso lei. Piombammo in picchiata con le fiamme che uscivano dalla bocca del mio Charizard, Aggron tentò di lanciarci un masso, ma lo schivammo. Alex era diventato veloce dall’ultima volta che aveva combattuto. Molto. Sentivo il suo corpo tendersi sotto di me, lo sentivo tendere i muscoli ad ogni mio comando. Era impressionante. E sapevo che poteva fare ancora di meglio. Aggron lasciò un tagliopietra che per un soffio non prendeva Alex sull’ala. No non dovevo lasciarmi toccare da lui. Dopo un circa cinque minuti passati a guardarlo dall’alto, decisi di agire. < Alex, preparati una fuoco bomba, stavolta gliela sputiamo direttamente in faccia >. Sotto le mia gambe che cominciava ad accumulare nella sacca la bomba. Ma dovevamo farci prendere. Lo feci rallentare, gli passai direttamente davanti, mettendo in bella mostra la coda. Lui ci cascò come un idiota. < Aggron prendilo!! > credeva di avere la vittoria in pugno, credeva di poter vincere così. Alex non oppose nemmeno resistenza, diedi un colpo di tacco verso il basso,  lui sbatté le ali e ci mettemmo con la testa sottosopra. Derek era senza parole, e Alex prese indisturbato la testa di Aggron fra le mani e gli sputò addosso una fuoco bomba che fece un’onda d’urto che ci scaraventò indietro di qualche metro. Feci appena in tempo per far rientrare Alex nella sfera prima che si facesse realmente male. Sentii nella mia testa Gaelle che mi dava della pazza. Mi venne incontro velocemente e mi aiutò a rialzarmi, mi chiese se andava tutto a posto. Beh, qualche graffietto, ma ne era valsa la pena. Risi. Quando la polvere si dileguò vidi il suo vestito completamente sporco. Mi rimisi in piedi. Mi guardava. Mi guardava. Vibrava di rabbia. Il testimone mi disse < Tocca a lei scegliere un pokémon >. ti amo
Guardai la cintura. Feci tornare nella Ball Alex, e chiamai Astrea, mi pareva difficile avesse un altro Pokémon terra. Uscì fuori la mia bella Astrea, pronta, brillante sotto il cielo azzurro. Mi lanciò un’occhiata ridente e splendente. Mi sentii immediatamente carica, come se quei graffi di prima fossero spariti, non esistesse più il dolore. Gaelle mi guardava, non perché la vedessi, ma perché lo sentivo, sentivo i suoi occhi su di me. Lui con un urlo mi lanciò contro una sfera, che si aprì lasciando spazio ad un venusaur enorme. Lo guardai. E io che mi spaventavo, certo non era da me sottovalutare l’avversario, ma non capivo perché proprio un venusaur contro la mia Astrea. Cominciò a lanciarmi contro parassi seme, se mitraglia, fendi foglia, di tutto e di più. Cercavo di fare spostare Astrea, le aumentavo la velocità e l’elusione, cercavo di scrutare nei suoi occhi un cenno. Guardava sempre il cielo. Sollevai lo sguardo. Il Sole. Che mi volesse buttare addosso un solaraggio? Urlava come un pazzo al suo pokémon, che a mio avviso si confondeva parecchio. Mi ero rotta. Sinceramente mi sembrava una pazzia. < Astrea tuono onda! >. Astrea scatenò un’ondata elettrica talmente grossa che mi stupii persino io. Paralizzò venosaur. Come pensavo. Qualche secondo dopo iniziai a vedere il principio di un accumulo di energia. Credeva di mettermi nel sacco. < Astrea tuono! >. Una leggera serie da cinque colpi ed era al tappeto. Continuavo a non capire. “Claire sta attenta per me nasconde qualcosa”. Non la ascoltavo, perché sapevo che aveva ragione. Lo sapevo cosa dovevo fare.
Il duello continuò, noiosissimo. Vaporeon vinse contro un Gurdurr e Serprerior contro un Gyarados. Erano scelte di pokémon senza senso. Non riuscivo a capire la sua tecnica di lotta, sembravano pokémon scelti a caso.  Arrivammo così al sesto pokémon. Ecco, il sesto sì che mi stupì. Era un Gallade. Rimasi spiazzata. Gaelle non mi guardava, rivolgeva i suoi occhi all’avversario. In un primo momento non capii, ma poi notai quella fiamma bruciarle negli occhi. “No Gaelle, tu non combatti” le intimai. “Lo sai anche tu che quel Gallade nasconde qualcosa, e io sono il tuo pokémon migliore”. Ricominciava con questi discorsi. Per la miseria, sceglieva sempre i momenti peggiori. Digrignai i denti e tirai fuori ad uno ad uno tutti i miei pokémon. Rientrarono tutti quanti in battaglia, e tutti quanti caddero in poche mosse. Doveva essere fottutamente allenato quel dannato Gallade. Lui rideva, rideva mentre ogni mio singolo pokémon, ogni mio amico cadeva per sua mano. E sentivo montare la rabbia. Magari mi ero distratta, pensavo ad altro. La foga di batterlo mi aveva annebbiato la ragione; ma io non volevo far scendere in campo Gaelle!
< Allora Campionessa, come la mettiamo adesso?! > mi urlò con quel suo aspetto da idiota mentre Astrea, la mia ultima chance, cadeva esausta. Stavo per dirgli che avevo perso, che buttavo la spugna, che mi aveva battuta quando Gaelle mi prese la mano. “Non devi perdere contro di lui”.
“Gaelle, non devi combattere”. Senza che io potessi fare nulla per fermarla, raggiunse il centro dello spiazzo. Si girò leggermente verso di me e mi sorrise. <> urlò. L’aveva fatto apposta. Sorrisi. L’idiota si bloccò. Forse credeva di essere l’unico ad avere un Gallade speciale. Che poi tanto speciale non era, era solo un po’ pompato di farmaci. Magari non riusciva nemmeno a leggergli la mente. Strinsi i pugni. Non dissi più una parola, solo contatto mentale.
“Calmamente”. Gaelle chiuse gli occhi e creò una impercettibile barriera. “Gaelle…”
“Sì lo so”. Come se non avessi detto niente! Assurdo, l’allenatore ero io e lei diceva a me “lo so” con quel tono. Mi venne voglia di baciarla. Gallade si mosse velocissimo contro di lei. Per un attimo temetti il peggio. Gaelle iniziò a sollevarsi dal suolo lentamente, alzò la mano e mentre apriva gli occhi fece esplodere uno psicoraggio diretto sulla testa di Gallade. Lo fece strisciare indietro per qualche metro, poi quando lui tagliò il raggio con Psicotaglio, le consigliai telecinesi. L’avversario fu scagliato in cielo. Si fermò a mezz’aria dove lanciò uno psichico assurdo. Sentii la confusione entrare anche nella mia testa e perforarla con violenza disumana. Fu terribile il dolore; caddi quasi a terra. Gaelle cercò di disattivare il contatto mentale, ma glielo impedii. “Gaelle! Insieme!”. Si sforzò troppo, e lo percepii persino nelle mie membra. Poi arrivò: Calma mente. “Ah, santa… pace…” pensai. Iniziai a vedere tutto più chiaramente, non avevo più l’impressione di essere bombardata da dentro la testa. Mi portai una mano alla fronte e aprii lentamente gli occhi. Gaelle era seduta a terra. Vedevo ancora appannato. E Gallade la mirava dall’alto. No. Non poteva essere. Urlai il suo nome, ma nello stesso istante un altro urlo partiva. < Gallade, Ombrartigli! >. In quell’istante sentii una paura gelarmi: partiva dal petto e si espandeva in tutto il corpo. Era troppo veloce, lei era lì, a terra. Non ragionai più. Mossi le gambe che tremavano. Corsi. Corsi verso di lei. Corsi verso quegli artigli così dannatamente veloci e tremendamente letali per lei.
Mi direte “Beh, avresti perso la partita, ma lei non sarebbe mica morta!”. No. Io dovevo proteggerla. Provate a mettervi nei miei panni. Lei non era un semplice pokémon. Lei non era un semplice essere. Era la mia amata! Non rimpiangerò mai quel giorno, anzi mi rimprovero ancora di averla fatta combattere.
Come non inciampai sinceramente non ne ho idea. Avevo le percezioni amplificate e nello stesso tempo annebbiate. Sapevo cosa dovevo fare, ma era come se non fossi io. Sentii un debole “Claire stai ferma” ma non la ascoltai. No. Quegli Ombrartigli erano per me. Arrivavano. Nell’istante in cui arrivai davanti a Gaelle, l’avversario mi buttò addosso il suo fottuto attacco. Ebbi appena il tempo di dire < Non l’avrai mai, stronzo >.
Mi investì un dolore al petto mai provato prima. Una luce bianca mi avvolse. Non capii più nulla. Chiusi gli occhi per istinto. La mente pulsava, sentivo i miei pensieri e quelli di Gaelle rimbalzare nelle pareti veloci come raggi di luce. Confusione. Troppa confusione. Mi chiesi cosa stesse succedendo. Se fosse quello morire, se fosse quel dolore insopportabile che nonostante tutto mi manteneva sveglia. Ma ero sveglia o no?
Non aprii gli occhi… li avevo ancora? avevo ancora un corpo? Gaelle… Gaelle… dov’era? Lentamente sentii di nuovo il mio corpo, con quel dolore al petto che poco a poco spariva, allontanandosi da me. Non l’avevo protetta… Dio sono stata un’idiota. Non aprivo gli occhi. Avevo paura di ciò che avrei potuto vedere. Sentivo la terra sotto la mia schiena. Un sasso mi aveva aperto una ferita nella schiena: sentivo il sangue fluire. Perché non aprivo gli occhi?! Gaelle aveva bisogno di me! “Dai Claire che cavolo fai!”. Mi misi immediatamente seduta e spalancai gli occhi.
A questo punto potrete anche non credermi. Tutto intorno era diventato più luminoso. Dalle mie spalle veniva una luce bianca. Mi girai di scatto e vidi Gaelle sospesa a mezz’aria da Arceus. Sì appunto. Il Pokémon-Dio, come poteva interessarsi di me e lei? Sta di fatto che era lì. Mi guardò negli occhi e dimenticai dolore e sofferenze. Ma volevo stringerla a me. Avevo paura. Da morire. Volevo sentire il suo respiro, il suo battito, sapere che era viva. Provai a raggiungerla ma Arceus creò una barriera intorno a lei. La stava cambiando. Oddio. Corsi incontro a lui imprecandogli contro. Mi addormentò. E ricordo che il mio ultimo pensiero fu “Amore mio… non sono riuscita a proteggerti”.

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Capitolo 5
*** Chapter IV - La Paix ***


Svegliarsi con il mal di testa è terribile. Soprattutto se il tuo sonno è attraversato da incubi e voci che urlano. Sentivo una voce lontana. Mi chiamava. “Apri gli occhi… Svegliati…”. La conoscevo. Anche se era un po’ diversa… più… umana… Spalancai gli occhi. Vidi quegli occhi arancioni attorniati da pelle chiara…. capelli… guance… labbra… “OCCRISTO!” urlai mettendomi seduta. Quasi non la colpii in testa. Guardai con attenzione la figura davanti a me. Un volto piccolo, con una linea perfetta. Capelli lunghi biondi scuro, lievemente mossi sulle punte che cadevano con un lungo ciuffo su quegli occhi. Inconfondibili. Erano i suoi. Ma ancora più sconvolgente il corpo. No non era il suo… cristo santo. Mi portai una mano sulla fronte. Dovevo essere diventata immediatamente color porpora. Era perfetto! spalle perfette, dei seni perfetti, fianchi perfetti, gambe perfette. E una pelle così candida, eppure colorita. Le si adagiava sul corpo un leggero vestito bianco e blu, con qualche venatura lilla. Era semplice, ma estremamente elegante. Come Gaelle del resto. Mi guardò interrogativa. “Stai bene?! Cosa ho che non va? Non mi riconosci?”.
Seriamente, io ero immobilizzata. Era stupenda. E poi… quelle labbra… Dio santo.. “Gaelle… sei tu?” chiesi non trovando niente di più intelligente da chiedere. Notai che eravamo ancora in quella radura di prima, e che si era fatto pomeriggio. Lei arrossì. “Sono io… ma non ho idea di cosa sia successo al mio corpo…” mosse le gambe e cercò di alzarsi ma cadde subito. Mi alzai di scatto. e la aiutai a mettersi in piedi.
“Stai attenta…” dissi io. Lei gemette per il dolore. La misi in piedi davanti a me. Era sempre lievemente più bassa. Ci guardammo. Restammo in silenzio per qualche secondo. Era salva. Era salva.
La baciai stringendola forte a me. Fu il bacio più lungo della nostra vita. La mia guancia fu rigata da una lacrima, poi da un’altra. Gaelle mi asciugò con le dita. “Ma Claire… perché piangi…”.
“Pensavo che fossi morta, di non esserti riuscita a proteggere… per me eri morta! Avevo una paura folle… io… io…” dissi singhiozzando quando lei poggiò l’indice sulle mie labbra e mi baciò ancora. Sorrideva. Le strinsi la mano. “Non piangere… sono viva, sono qui. Ti amo Claire.”.

Restammo fino a sera sotto un albero abbracciate a carezzarci e a baciarci. Era ancora tra le mie braccia. Con quella risata stupenda, a deliziarmi con la sua voce e le sue movenze, che piano piano si perfezionavano. Adesso era veramente lei. Sentivo che la sua anima e il suo corpo erano in sintonia adesso. Con il crepuscolo, si alzò un leggero vento freddo che ci spinse a incamminarci verso il Centro Pokémon più vicino. Certo, del tizio non si è più avuta notizia. Poco importa. Arrivammo al Centro e dopo aver consegnato la mia squadra all’infermiera salimmo in stanza e la chiudemmo a chiave.
Passammo una notte quasi eterna, tra le lenzuola bianche. Sentirsi così parte della persona che si ama era una sensazione del tutto nuova.
Le stelle che riempivano il cielo e la Luna che si spostava nel cielo, mentre noi due, amanti giocavamo sul letto, infuocate e dalla pelle porpora. Quelle notti che suonano quasi come una preghiera, come un ringraziamento a chi ti ha dato la possibilità di riempirti di quell’anima così perfetta attraverso quegli occhi.

Perdonate la digressione. Ogni tanto mi lascio andare.

Restammo su quel letto fino al mattino successivo. Ci alzammo per mezzogiorno e scendemmo a fare colazione e ritirare gli altri.
Ci guardavamo intensamente da un lato del tavolino all’altro. Mi sembrava quasi di galleggiare tra le nuvole, mi sentivo quasi ubriaca. Avevo la vista lievemente annebbiata. Mi perdevo nel suo sguardo, nella sua anima. Le sue labbra....
“Claire smettila di pensare alle mie labbra...”.
Il contatto ora era un po’ diverso. Percepivo piccole cose, dettagli, sensazioni. Ogni tanto pensavamo le stesse cose. Era più umano anch’esso, in un certo senso.
Mi sorrideva. Un po’ di serietà signori e signore, come si fa a non pensare a quelle labbra quando sorridono in quel modo?! Distolsi lo sguardo e iniziai a girare il latte caldo nella tazza con il cucchiaio. Mi prese la mano. “Guardami. Dobbiamo parlare di quello che è successo”. Alzai la testa. “Speravo che sapessi dirmi qualcosa tu. Io sono stata addormentata da Arceus!” dissi io girando un biscotto tra le dita e immergendolo nel latte. Vidi il suo sguardo sulle mie dita che giocavano col biscotto. Era fermo, penetrante. Ma anche calmo e tenero.
“Questo è un problema... Io non ho idea di cosa abbia fatto dopo che hai parato il colpo... credo di aver scatenato un potere troppo forte... ma non tale da...” disse e poi fece una smorfia e strinse la mia mano. Mi alzai di scatto e mi sedetti accanto a lei. Sentivo il suo dolore, ma meno rispetto a prima.
“Non ti sforzare!” la abbracciai stretta a me. Mi cinse il collo con le braccia.
“E’ stato orribile... vedere te... in quello stato... e io... io...”. Ancora una fitta.
“Smettila di ricordare. Va bene così. Se sono rose fioriranno... penso...”. Strinsi forte la sua mano. La sua testa sul mio petto... Sentivo tutto quel dolore nella mia testa. Chiaro e netto. Non riusciva a farlo fluire via. Le alzai il mento e la baciai. Lentamente si disperse. La calmai. Non sopportavo vederla soffrire in quel modo. Capitolo chiuso. Era rossa. Calda tra le mie braccia. Era stato un cambiamento inaspettato. E del tutto imprevedibile. Eppure la conoscevo, conoscevo anche il suo corpo in un certo senso. Non chiedetemi di spiegare meglio, perché non ho idea di come fare. Come quando non si sa esprimere una sensazione, come quando non si sa descrivere un bacio. Con quei suoi occhi infiniti guardava un punto indeterminato sul pavimento. Respirava piano... lentamente. Sarei rimasta ore a guardarla, a carezzarle il braccio.
“Come spiegheremo cosa è successo?” dissi.
”Perché, a chi dovremmo raccontarlo?”chiese sotto voce.
“Beh qualcuno potrebbe incuriosirsi... Della serie “Prima un Gardevoir, adesso una ragazza...”Magari mi daranno della pervertita!” risposi ridendo.
“Che abbiano ragione...?!”. Rise.
“Ma come sei simpatica!” le morsi piano il collo e la strinsi a me. Senso dell’umorismo delicato lei. Sempre.
Giocammo per qualche minuto, quando ci ricordammo di essere lievemente in un luogo pubblico. Ma grazie al cielo non c’era nessuno. Tornando lentamente serie, ripresi il discorso.
“Hai intenzione di non dire niente? Nemmeno una scusa? Come ci siamo conosciute?” chiesi.
“Interessa davvero questo alla gente?” fece una faccia splendida. Un misto tra il profondamente stupito e il “voi umani siete strani”. Mi fece sorridere.
“Sì. Interessa questo alla gente comune, che vive di apparenza e non di sentimenti” risposi. Certo può sembrare un commento di denuncia sociale, me ne rendo conto. Beh, chi è capace di smentirmi lo faccia, onestamente non vedo l’ora di essere colta in torto.
Comunque sia, ci serviva almeno un piano. Fissava il tavolo silenziosamente con i suoi occhi splendidi. Le scostai il ciuffo da davanti gli occhi e le carezzai la guancia. Vidi il suo volto turbato.
“Beh, magari non c’è tutta questa fretta di trovare una soluzione” intercalai sorridendole. Mi lanciò un’occhiata sollevata. Le alzai il mento e la baciai.

Uscimmo dal centro. Ausropoli si apriva sotto i nostri piedi. Davanti a noi la leggera brezza marina e l’alba che irradiava colori caldi sulla superficie dell’acqua e li spandeva quasi con tocchi di pennello. Adesso avevo un posto libero in squadra. Prima di uscire avevo preso Ignis dal box.
Si prospettava una bella giornata, e andare a cavallo sulla spiaggia aveva sempre qualcosa di magico. Soprattutto quando il sole colorava i capelli di Gaelle di un biondo ramato, la illuminava tutta. Feci uscire Ignis dalla sfera e issai dolcemente lei prendendola dai fianchi. Era davanti a me. Le baciai piano il collo e le labbra. “Claire stavolta vai piano”. Risi tra me e strattonai le briglie dando due colpi di tacco sui fianchi del mio Rapidash preferito.
Partimmo ad una velocità moderata. Dopo tante avventure, dolori e adrenalina che usciva anche dalle orecchie, entrambe avevamo bisogno di un po’ di tranquillità.
All’alba, quando il sole indugia nei suoi movimenti, è lento, e l’aria è frizzante e lievemente umida della notte appena trascorsa, il mare sembra che bagna piano la sabbia, calmato dalla tempesta, rivela tutte le piccole meraviglie di questo mondo splendido, porta a riva ciò che nasconde nelle sue profondità. L’acqua brillava come un diamante sotto i riflessi della luce obliqua, che illuminava anche i suoi occhi. Era seduta all’amazzone, con le gambe tutte da un lato, il vestito adagiato morbido sul corpo con una coperta leggera sulle spalle. Aveva la testa sul mio petto, lo sguardo perso e tranquillo. Amavo quando aveva quello sguardo. Sarebbe stata una fotografia meravigliosa. Il suo volto perfetto, le linee dolci e morbide, la pelle che con quella luce assumeva un colore lievemente ambrato e i capelli sul biondo tiziano indietro per il vento. Non volevo rovinare quell’immagine splendida, ma a strinsi piano a me e lei mi sorrise. Quel sorriso, quel sorriso era ed è un miracolo.
Ignis era in forma eccelsa. Non avrei mai detto che fosse diventata così forte. Sentivo la potenza scorrere sotto le mie gambe, nei suoi muscoli. Anche la fiamma che la avvolgeva era cresciuta, era nettamente più intensa. Lo sentivo al tatto.
Ad ogni colpo brusco Gaelle scivolava di poco sul mio corpo, con la testa che batteva sul mio collo ed espirava piano nel mio orecchio. Iniziai a far fare più colpi bruschi ad Ignis. La stringevo a me dai fianchi e la guardavo negli occhi intensamente. Erano circa le dieci quando lentamente ci fermammo vicino la riva. toccai le sue labbra con il dito. “Gaelle, sei bellissima”.
Lei non riusciva a distogliere lo sguardo da me, nè io da lei. Eravamo come ipnotizzate l’una dall’altra. “E’ la prima volta che hai moderato così tanto la velocità” disse lentamente, scandendo tutte le parole e quasi sussurrandole, e quegli occhi che mi dicevano tutto ciò che pensava. Erano la porta per la sua anima, come un vassoio argentato con dell’acqua, mi sembrava quasi di poterci immergere le mani e toccare con delicatezza tutta quella grandiosa città al loro interno. Si passò la lingua sulle labbra rosse. La leccai chiudendo gli occhi e le carezzai il viso.
Quello era il paradiso. Non tanto la sua bocca, non il suo corpo solo, ma quanto tutto quello. La luce obliqua, i suoi rilessi sul mare e su di lei, quel vago odore salmastro, il calore misto a respiri carichi di energia, vedere la sua anima dagli occhi, baciare il suo cuore e ascoltare la sua voce. Quello era il paradiso. Quegli istanti preziosi più di diamanti che volavano via troppo veloci. Si sarebbero dovuti fermare sotto quel bacio, nelle nostre mani intrecciate, nei nostri desideri pulsanti. Lei tremava, fremeva. Il mio cuore incalzava. Volevo vederla morire con l’adrenalina nel sangue, volevo scorgere quello sguardo, sentire quei gemiti, quando fui presa da un calore che avvampò dentro di me. “Gaelle io ti amo. La mia intera esistenza, il mio perché sei tu. Sei tu che hai avviato questo ruotare, questa tendenza a te, alla tua perfezione. Cambierà il mondo, cambierà il mio volto, o il tuo, ma il nastro che ci unisce rimarrà per sempre intatto, immobile nel tempo e nell’eternità”. Sgorgarono sole quelle parole. A dire il vero ho anche difficoltà a ricordarle. Ma lei se le ricorda bene, ancora oggi, nonostante sia passato tanto tempo.
“Saremo insieme per sempre, spose sotto un immenso cielo stellato che ogni notte brucia per noi” disse guardandomi dritta negli occhi e sorridendo. La baciai, lei mi baciò. Guardai di sfuggita le nostre mani e notai per qualche secondo avvolto intorno ai nostri avambracci un nastro rosso, con un fiocco sulle dita, ma sarà stato quasi sicuramente un caso.

Scendemmo da Ignis e la lasciammo correre un po’ intorno, libera. Camminammo a piedi scalzi lungo la battigia. Parlavamo di tanti argomenti, di tutto e niente insieme. Il vento muoveva lentamente il suo vestito. Lei volgeva il suo sguardo al mare. Si fermò a guardare l’orizzonte. Le presi la mano, in silenzio. Solo il vento tra i capelli, e il mare sulle dita dei piedi. Il nostro silenzio, quella fantastica armonia. Le nostre menti che dialogavano per immagini, per emozioni, per sensazioni. E la voce muta, quasi a non voler rovinare tutto. Sembrava quasi una dea. Decisamente, era una dea. E l’orizzonte mostrava nuvole in avvicinamento. Erano veloci, da Sud. Candide.
Pensai più volte di pregare un qualche dio per fermare il tempo, per far durare quella tranquillità per sempre. Io e lei, e del resto nulla. Ma sapevo in cuore mio che non era possibile, e mi spinse ancora di più e riempirmi gli occhi di quello spettacolo di struggente bellezza, e ancora oggi non mi abbandona.
Si girò verso di me sorridendomi e portandosi i capelli mossi dal vento dietro l’orecchio. “Andiamo Claire”. Le sorrisi, la baciai sul naso e la presi in braccio mentre Ignis ci correva incontro. La issai sul Rapidash “Ti amo mia sposa”. Ricordo ancora lo sguardo che mi regalò. Fu lo stesso che ebbe quella sera, nuda tra le lenzuola, guardandomi.

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Capitolo 6
*** Chapter V - Retour de Flamme ***


 


Avevo l’impressione che quei giorni si inseguissero l’un l’altro come in una leggera danza che dalla primavera porta all’estate. Le giornate afose ricolme dello sguardo di Gaelle davanti a me, la sua mano che prendeva il mio polso delicatamente e lo trascinava davanti ad una vetrina, poi davanti a un’altra, mentre il mio sguardo cadeva prima sui suoi occhi e poi sulle nuvole sopra la sottile linea del mare. Quel periodo di inattività, sapevo che mi avrebbe fatto del male, infiacchita se possibile. Per certi versi sapevo che avremmo continuato a viaggiare, a vedere il mondo, a cercare nuove sfide. Ma vederla mi faceva sempre di più desiderare di trovare una casa da qualche parte, piantare qualche albero di baccarancia e baccafragola, un piccolo orticello e un allevamento di pokèmon. Niente di speciale, ma per stare così, insieme, in un rifugio sicuro. Cominciavo a rendermi conto di non essere più una bambina, anche se quella vena iraconda e impetuosa non mi abbandonava. Dopo qualche minuto mi ritrovai dentro quella boutique a guardare le affusolate gambe di Gaelle che uscivano da un vestito leggero e verde acqua. Girava e si rigirava, guardandomi entusiasta. Poi le spuntò sulle labbra quel sorriso da furbetta. Posai le mani sulle sue spalle, sfiorando il collo morbido con le dita. Guardai dritto nello specchio la sua figura.
“ Allora ti piace? “ chiesi in modo molto retorico.
“ Dici che mi sta bene? Non mi ingrassa secondo te? “. Strabuzzai gli occhi. Lei arrossì. Feci scivolare le mani sui suoi fianchi. “ Non dire cavolate. Ti sta benissimo “. Le abbassai piano la zip della schiena e voltandomi le dissi di cambiarsi velocemente, che avevamo altri negozi da vedere. Immaginai il suo sguardo, e subito dopo mi abbracciò da dietro inondandomi telepaticamente la testa di felicità.
Vederla così umana, con quei colori mi faceva uno strano effetto. Da un lato ero felice: era di una bellezza straordinaria, e sembrava veramente essere rinata a nuova vita, ma al contempo mi mancava il mio Gardevoir. Non perché smaniassi e godessi nel farla combattere, anzi! Ma perché mi mancava quel suo essere presente nella mia mente. Per carità, in un certo qualmodo riuscivamo ancora a trasmetterci i pensieri e le emozioni, ma non riuscivo più a sentire il suo dolore, la sua gioia, il suo rancore, odio e amore nello stesso modo in cui facevo prima. Era come se fossimo un’unica entità, un solo essere pensante. D’altra parte, io mi ero innamorata di un Gardevoir, non di quella ragazzina. Ero spezzata in due. Quasi come se dovessi scegliere tra amore carnale e spirituale.
Gaelle sapeva cosa stava succedendo, lo avvertiva dalle mie vibrazioni, dal tremito delle mie dita quando la sfioravo. E io sapevo che lei stava tramando qualcosa. Lo leggevo nei suoi occhi arancio scuro.
Una mattina di scirocco lei lasciò il letto prima che mi alzassi, mi preparò la colazione e mi lasciò un biglietto. “Sono a fare delle commissioni, torno per pranzo”. Appena poggiai il foglietto sul tavolo mi si aprì una voragine nello stomaco. Dovevo trovarla. Dovevo dirle che tutte quelle cose che pensavo erano solo idiozie, che in realtà non valevano niente, non valevano quanto valeva il mio amore per lei. Che ero stata egoista. Egoista, ripetevo mentre mangiavo in fretta e furia. Maledettamente stupida e non curante, mi schiaffeggiavo ripetutamente mentre infilavo la maglietta e stringevo la cinta dei pantaloni. Stupida e cieca. Chiudevo la porta di casa con la borsa a tracolla. Sono proprio una stupida. Scesi le scale a quattro a quattro per poterla trovare. Mi precipitai fuori dal centro e , sorpresa!, la vidi dall’altro lato della strada, appoggiata al parapetto che dava sulla spiaggia, la gonna del vestito ceruleo al vento di scirocco. Con una noncuranza preoccupante per le macchine, attraversai correndo e la abbracciai da dietro. Le spiegai che ero stata stupida e che...
“Claire.”
E che ero un’idiota se pensavo che cambiasse qualcosa se aveva un corpo diverso, perché l’avrei amata comunque e che...
“Claire...”
no, tutte quelle cose erano solo invenzioni, capricci da bambina. La verità era che io l’amavo troppo, e anche solo il pensiero che avrei potuto perderla mi ammazzava da dentro come un cancro. Lei posò le sue mani sul mio viso e posò l’indice sulle mie labbra. Lo allontanò piano. Notai che aveva i capelli più corti: le arrivavano poco sopra sle spalle. Sospirò e chiuse le labbra, con uno sguardo quasi addolorato.
“Claire mi ami. E so che quello che dici è vero, ma questa trasformazione è stata improvvisa, troppo repentina. E come ha causato in te queste riflessioni, le ha portate in me” fece una pausa e guardò a terra. Rialzò lo sguardo lucido. Sapevo che erano lacrime. E riprese “Chi sono Claire. Dimmi chi sono. Sono un pezzo di carne? Sono solo una stupida ragazzina come tante? Cosa ho di speciale? Dov’è la mia testa? Cosa è successo alla mia mente? Mi hanno tarpato le ali o me le hanno slegate?” la sua voce andava diventando via via più roca, e dagli occhi cominciavano a sgorgare le lacrime. Portò la mano sulla mia clavicola. “Perché ogni volta che sfioro la tua pelle so che questo è il mio corpo... Ma la mia mente!? Dov’è?! Sono divisa in due parti... Dannazione... È una vita che mi sento incompleta, e ora che credevo... Sono ancora più incompleta... una mezza baccamela...” Cominciò a piangere a dirotto. Le presi la testa e la poggiai sul mio petto. Ogni parola era superflua, non avrei potuto colmare quella voragine nel suo cuore, rispondere a quelle domande così intime. Dopo qualche minuto smise di singhiozzare e mi abbracciò stretta.
“Gaelle...” provai a dire ma lei mi zittì scuotendo la testa. Mi prese le mani e mi guardò con gli occhi rossi gonfi di lacrime. “Claire, devo sapere”. Sapevo che non aveva paura. E sapevo che aveva bisogno di me.
“Vieni, facciamo una passeggiata”.

Parlammo di quello che sentiva lei da un po’. Aveva paura. Paura di non essere più lei, di essere cambiata. Le chiesi se aveva riacquisito memoria dell’evento. Lei mi disse che c’era una voragine nella sua testa, una voragine che l’aveva inghiottita, o almeno che aveva provato a farlo. Ricordava di aver liberato una quantità di energia enorme in uno spazio minimo e in un tempo quasi impercettibile, e che ne aveva perso il controllo e poi una luce bianca.
“Avevi detto che Arceus ti ha addormentata, io pensavo stessi delirando” disse con un leggero sorriso. Il sole dava un bel riflesso ramato ai capelli biondi. Certo. Magari stessi delirando.
“No Gaelle. C’era sul serio. Ti teneva sospesa a mezz’aria, il tempo di vedere che cambiava le tue forme e mi ha addormentata”.
Nella sua mente accadde qualcosa. Come se si fosse sbloccato qualcosa. Forse ero riuscita ad evocare in lei ricordi che erano stati rimossi. Si fermò. Mi misi davanti a lei e le alzai piano il volto. Sudava freddo ed era sbiancata di botto. Ero dannatamente preoccupata.
“La pressione... a terra....” disse con la bocca asciutta. La mano le era diventata gelida. La feci sedere su una panchina. Stava per svenire tra le mie braccia. Cercai di farla respirare regolarmente, e lentamente prese colore. Si era ricordata.

Con calma mi raccontò. “Ho creato un buco nero”. Sarò franca. Mi misi a ridere. Lei. Certo. Un buco nero. Un affarino di un metro e sessanta secco come un filo d’erba che crea un buco nero. E a sentirla doveva essere pure bello grosso! No. Non ci credevo proprio. Così come non credevo più di aver visto Arceus. Tutto stava diventando così irrazionale, così assurdo. Le risi in faccia, in maniera molto poco galante. Ricordo ancora il fischio dell’aria e lo schiaffo che mi diede.
“Gaelle! Porca troia!” le urlai portandomi la mano sulla guancia sinistra. Lei si alzò dalla panchina e se ne andò. La guardai qualche secondo e poi la rincorsi. La afferrai per un polso e lei si girò adirata verso di me. Tolse il braccio a forza dalla mia presa e continuò a camminare.
“Sei proprio una bambina Claire” disse spostandosi i capelli.
“Avanti, Gaelle, lo sai che è assurdo! Un Gardevoir non può mica creare un buco nero!”. Ricordo anche come lei si fermò, venne verso di me e mise la mia mano sul suo fianco. Mi guardò dritta negli occhi, con quelle fiamme che aveva al posto dell’iride. Avvicinò le labbra rosse al mio orecchio “Invece è normale che si trasformi magicamente in donna e che sia donna in tutto. Sai, me lo ricorderò la prossima volta che andiamo a letto”. Mi spinse con foga e continuò a camminare.
“Fammi sapere appena hai voglia di fare un discorso serio”.
Le corsi dietro. Eravamo quasi alla fine del lungomare.
“Scusami... ti ho mancata di rispetto”.
“Non sempre tutto va come pianifichi tu, e non puoi pretendere di dettare le leggi del mondo.” pausa “E potresti anche fidarti di più di me” sputò quasi dai denti questa affermazione con un amaro in bocca palpabile.
Se l’era presa. E come darle torto. In una giornata avevo fatto più minchiate che in diciotto anni. Credo fu quel giorno che mi accorsi di essere la testa di cazzo più fortunata del mondo. Perché lei mi amava. E non si meritava certo che io mi comportassi in quel modo assurdo.
“Non brillo certo di intelligenza...”
“Vedi? È questo che sbagli! Tu sei intelligente, molto intelligente! Ma ogni tanto te ne dimentichi o fai finta di non esserlo. Avere delle capacità comporta responsabilità. E tu stai cercando di rimandare il giorno in cui te ne farai carico”.
Fissai il tubo di ferro della ringhiera alla quale eravamo affacciate. Rimasi in silenzio. Lei mi rivolse uno sguardo dolce e affettuoso e mi prese una mano. E poi telepaticamente mi disse: Scusami. Sono stata troppo dura. Alzai gli occhi e vidi i suoi muscoli contratti per lo sforzo.
“Non sforzarti di stabilire un contatto telepatico. E comunque hai ragione. In ogni caso, non posso sempre far finta che qualcosa non ci sia. E poi ho diciotto anni, diamine! Un po’ di sale in zucca lo dovrei pur mettere!”. Lei rise. E allora mi ricordai per cosa vale la pena soffrire, battersi e lottare.
Quel momento rimase impresso nella mia mente a fuoco. Si dice spesso che il crescere è un lungo processo continuo, che inizia e finisce fino alla morte, ma io sono del parere che in certe occasioni si cresca un po’ di più. In quell’occasione sono cresciuta parecchio.
“Allora Gaelle, hai un piano?” chiesi con una certa nota di divertimento nella voce, e negli occhi tanta voglia di mettersi in gioco. Lei sorrise in modo furbetto, e anche con un po’ di finta arroganza. “Stavo per farti la stessa domanda, signorina nonmisonoinnamoratadiunastupidaragazzina”. Spalancai la bocca. Tagliente, come sempre. Decisi di non rispondere alla provocazione.
“Io direi di comincare le ricerche proprio da dove è iniziato tutto”. Gaelle annuì e approvò la mia proposta. Ci fissammo per qualche secondo. “Claire, grazie.” arrossì lievemente. Le stampai un bacio sulla guancia “Grazie a te Gaelle. Allora? Lo facciamo!? Scopriamo chi ti ha dato le gambe, sirenetta”. Lei rise, prese il mio braccio e iniziammo a camminare indietro, per tutto il lungomare. Non sapevo cosa mi aspettasse. Non ero nè ottimista nè pessimista. Sapevo solo che lei era con me, e finché avessi avuto la fortuna di averla accanto, avrei fatto qualunque cosa per lei. Le guardai le cosce. Ancora ricordo i capogiri che mi faceva venire. Eccome se li ricordo.
Avevo voglia di lottare. Portai la mano nella cintura e toccai la tasca delle pokeball. Ad ogni tocco vibravano, sentivo l’elettricità che emanavano. Ero nata per quello. Ed ero nata per difenderla.
“A quanto pare la partita ricomincia”. Chiamai fuori dalla Ball Ignis. Gaelle ebbe solo il tempo di imprecare, poi la issai sul dorso del mio Rapidash per scattare in direzione dello spiazzo che tempo prima era stato il luogo dell’incontro tra me e Derek. Le fiamme. Le fiamme Erano tornate nei miei occhi.

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Capitolo 7
*** Chapter VI - Moi, enfant de l'univers ***


VI

 

< Sbrigati Claire! >.

Cavolo. Quando correva sembrava più veloce di un Lopunny! Mi misi a correre più veloce, per quanto me lo permettevano i miei polmoni, attraverso la radura facendo scricchiolare l’erba lievemente umida sotto la suola di gomma delle scarpe. C’erano delle tracce... dei segni neri, come di bruciato. Sembravano cerchi concentrici. Mi chiedevo come avessi fatto a non accorgermene. Gaelle era molto più avanti di me, e aveva già raggiunto il centro di quei cerchi irregolari e non uniformi. Si guardò i piedi e si piegò sulle ginocchia, sedendosi sui talloni e toccando per terra. La raggiunsi ansimando e le posai una mano sulla spalla. Il cielo era lievemente nuvoloso, e da una veloce occhiata pensai che stesse velocemente diventando plumbeo. Scherzi primaverili. Guardai anche io ai miei piedi. Rimasi senza parole.

< Gaelle... Tu... Non ti ricordi di quella tavola di pietra... vero? >. Ammetto che in quell’istante iniziai a sudare freddo, e mi rimproverai di non aver seguito quel maledetto corso sugli Unown a scuola. Maledizione.

Era una fottuta tavoletta di pietra grigia -direi granito, ma molto probabilmente mi sbaglio- dove erano stati raffigurati centinaia di caratteri Unown, con i loro occhietti quasi spiritati. Gaelle mi chiese di aiutarla a tirarla su. Era mezza sotterrata e mezza no, messa in obliquo rispetto al terreno. Dopo cinque minuti circa riuscimmo ad appoggiarla contro un albero, lontano dal centro della radura. Pesava un botto! Da sole non riuscimmo a portarla, chiesi perciò aiuto ad Alex.

Dopo di che, iniziammo ad analizzarla.

< Non ti ricordi proprio niente? > mi chiese Gaelle con quello sguardo triste tipicamente suo.

< Riesco a leggere quello che c’è scritto, ma l’interpretazione non sarà la più corretta del mondo >.

Insomma, dopo qualche ora di analisi e traduzione, riuscimmo a intuire che parlava della creazione del mondo grazie ad Arceus. In particolare si soffermava su qualcosa come “Un fiume di anime” che scorreva nella sua mente e pioveva poi sulla terra. Mi venne il mal di testa.

Quando arrivammo a rileggere la lastra per l’ultima volta, notammo una frase che prima non avevamo notato. Stranamente questa aveva una grammatica più facile. Me la ricordo ancora. Come si fa a dimenticarla?!

 

“Scaglia la Lancia contro la Vetta: vedi così la luce”

 

Restammo in religioso silenzio per un minuto o due. Poi successe qualcosa. Vidi con la coda dell’occhio Gaelle che alzava la mano destra e la dirigeva verso la lastra. Sembrava avere gli occhi spiritati. Capì subito che qualcosa non andava. Provai a fermarle il braccio preoccupata da morire ma lei accelerò immediatamente e toccò le iscrizioni che si illuminarono di violetto. Lei non urlò. Io però avvertii come un’onda d’urto sul petto, che mi fece indietreggiare di qualche centimetro. Sempre più velocemente gli Unown si staccarono dalla lastra e cominciarono a roteare vorticosamente attorno a noi. Gaelle mi guardò. Aveva gli occhi che brillavano di quella luce violetta. Lo ammetto. Ero terrorizzata. Mi afferrò per un polso e mi sussurrò all’orecchio di stare tranquilla... che aveva tutto sotto controllo... che sentiva di nuovo parte dei suoi poteri. Poi sentii anche io nella mia testa una sensazione. Un enorme accumularsi di energia pronta per essere scaricata di botto, distorcendo spazio e tempo. L’avevo già provata altre volte. Quella era la mossa “Teletrasporto”. Ma non poteva essere opera di Gaelle! Quegli affarini acceleravano sempre più e iniziai a sentire un fischio nelle orecchie. Era insopportabile. La frequenza divenne così alta che ad un tratto non la sentii proprio più. In quel momento lei mi abbracciò, io la strinsi a me e con un “Crack!” tutto diventò nero e mi ritrovai pochi secondi dopo stesa a terra su un pavimento di roccia color senape, con Gaelle in piedi. Ricordai tutte le volte che le facevo usare questa mossa. Mi ritrovavo sempre ai suoi piedi, e lei si accovacciava su di me con il suo meraviglioso sorriso. Lo fece anche stavolta. Ma senza sorriso. Era tesa. E si notava. Le carezzai il viso e le dissi di stare tranquilla. Lei non parve molto convinta, ma annuì e cercò di sorridere. Mi alzai e guardandomi intorno notai un tempio a cielo aperto: delle colonne di pietra spezzate, rovine ovunque e un leggero ululato del vento... o almeno, sperai fosse del vento. Cominciò un ronzio. Gli Unown adesso componevano parole in aria. Gaelle sembrava come stregata da quei movimenti. Mi concentrai per sentire i suoi pensieri. Era tesa come una corda di violino. Le presi la mano.

< Claire leggi cosa scrivono in aria > sputò fuori dai denti. Si stava sforzando un sacco. Iniziai a farfugliare a bassa voce parole arcane, e sperai di pronunciarle con gli accenti e i suoni corretti.

Quei dannati affari continuavano a cambiare posizione! Accelerai la lettura. Alla fine aveva anche un che di melodico... quasi come una poesia. D’un tratto sentii i respiri di Gaelle diventare irregolari, mi girai e… “Oh cazzo”. D’un tratto iniziò ad ansimare, in un modo che conoscevo perfettamente. Cercai di concentrarmi con tutte le mie forze. Il nostro contatto mentale si ampliava. Diventava sempre più solido, più simile a quando era ancora la mia Gardevoir.

Cominciò anche lei a cantilenare con quell’andamento ansimante le mie parole. Credetemi, è stato straziante. Poi urlò delle parole incomprensibili, e dalla sua esile figura uscì una sfera d’energia psichica che investì tutta la sala dando vita ad alcune scritte -prima invisibili- su tutta la superficie di roccia lì presente. Allora un rumore nauseante investì le mie orecchie. Erano i versi degli Unown che si disponevano in file, poi in circonferenze, una sopra l’altra in verticale, creando un cilindro alto circa sette-otto metri. Gaelle stava per perdere l’equilibrio a causa dello sforzo, ma io la presi tra le mie braccia. Stava succedendo l’inferno, ma io ero lì solo per farle aprire gli occhi.

< Gaelle... Gaelle svegliati > sussurravo mentre le baciavo piano le guance e la fronte. Lei aprì piano gli occhi e corrugò la fronte per la troppa luce. La misi seduta e si guardò intorno spaesata. < Ma.. ma non eravamo a casa... sul letto...? > chiese con voce roca. Deglutì a fatica. Non sapevo cosa risponderle.

Porca miseria. Mi chiedo ancora come riesca ad avere il coraggio di raccontarvi queste cose. Finirò in manicomio.

Poi d’un tratto sembrò ricordarsi tutto d’improvviso. Si sollevò da terra e portandosi la mano sulla fronte disse < Mi sa che non eravamo a letto > con una risata amara.

Scossi la testa sorridendo e la aiutai ad alzarsi. Dietro di noi gli Unown avevano davvero creato una specie di corrente Psichica ascensionale. Ma sapevo che non ci avrebbero fatto entrare lì dentro da svegli. Ovviamente già con Gaelle avevano usato questo trucchetto: come ampliare la capacità mentale e conoscitiva del reale e del trascendente degli uomini?! Semplice. Con il subconscio. Addormenta qualcuno, iniettagli dei sogni e avrai sicuramente il 120% dei risultati in più. Gaelle doveva sprigionare una grandissima quantità di energia psichica, ma con limitazioni umane. Eh beh, il piacere rende più veloce e più potente qualsiasi attività mentale.

< Credo che ci addormenteranno > sospirai guardando in alto. Quella colonna spariva tra le nuvole nere. Rivolsi lo sguardo a lei. Ci fissammo negli occhi. < Sta arrivando l’ipnosi > disse calma Gaelle. Era bellissima. Le presi il volto con la mano e la baciai. < Ti amo Gaelle >.

 

Il sogno mi sembrò durare ore, per no dire giorni. Sapevo che era abilmente orchestrato dai Pokemon, e che aveva il preciso scopo di spiegare qualcosa. Era come se fossimo in una specie di cinema a cielo aperto. Gaelle mi spiegò che le immagini che vedevamo erano quelle del fiume di anime che passava attorno ad Arceus e veniva smistato nei vari mondi. Era davvero enorme. Una scia scintillante e argentea che si divideva in tanti piccoli ruscelli che si immettevano in quelle che sembravano piccole ampolle di vetro. Ce n’erano un sacco. Questo probabilmente era collegato alla teoria del multiverso di cui avevo letto qualche mese prima che Gaelle si trasformasse. Lei nel sogno aveva ancora la forma umana, ma il nostro contatto telepatico era invece come un tempo. Non ero più convinta che fosse un vero e proprio sogno. Quando glielo dissi telepaticamente lei mi sorrise. < No, non è un semplice sogno >.

Apparve di botto Arceus davanti ai nostri occhi assieme alla stanza strana di prima, ma senza Unown. In effetti sembrava tutto molto più luminoso. Senza molti convenevoli si intrufolò nella nostra mente. Non fece nemmeno male. Gaelle era molto delicata a entrare, ma ogni tanto mi causava un blando mal di testa . Con lui manco quello. Come dire, un nome una garanzia.

< Gaelle > disse lui con un filo di pensieri tranquillo e quasi paterno. Cambiò l’ambiente all’interno della sala. Sparirono le pareti e al loro posto spuntò il gelido universo pieno di luci e nebulose, vicine e lontane. In quel momento tutto era così calmo e pacato che mi sembrava addirittura plausibile. O meglio. Per me era la pura verità. Il fatto che l’avesse chiamata per nome non mi sorprendeva. Conosceva tutti. Persino me. Lei era come rapita dall’aspetto e dalla mente di Arceus. Ripetè di nuovo il suo nome < Gaelle. Sei troppo pericolosa >.

< Ho creato un buco nero >

< Hai alterato l’equilibrio dei multiversi >

< Perché sono nata Ralts? Sento che negli altri mondi sono umana >. A quel punto mi investì una specie di conoscenza istantanea. Esistevano tanti mondi paralleli che coesistevano senza sapere l’uno nulla dell’altro o insomma, qualcosa del genere. Non c’era contatto diretto tra questi mondi. Tale contatto può essere creato solo da un rilascio particolarmente grande di energia. In questi mondi si possono assumere aspetti diversi, ma l’anima di un pokemon è essenzialmente diversa da quella di un umano. Non è inferiore o superiore. Semplicemente diversa. Lei è stato l’unico caso in cui l’anima ha avuto “un problema di collocamento”. Appresi che i Ralts sono pokemon molto complessi, a tal punto da poter essere considerati umanoidi. il fatto di essere cromatica ha reso le cose ancora più difficili. Gaelle è andata verso il corpo a lei più affine nelle vicinanze. La mia Gaelle… Le strinsi forte la mano.

< Ti ho dato il corpo che ti spettava trasformandoti >

< Ma non la testa che la mia anima merita >

< Errori simili non sono permessi. Ho indugiato troppo a lungo >

< Fammi tornare com’ero > disse stavolta con forza Gaelle, tanto che mi fischiarono le orecchie per la forza del suo pensiero.

< Anime come la tua non ne capitano spesso >. Arceus si voltò di lato e iniziò a mostrarci scene di vita quotidiana che avevamo, avremmo, abbiamo in tempi e spazi diversi. Tentava di persuaderla a cedere al suo volere, ma ad ogni immagine, ad ogni ricordo di un altro tempo e spazio lei serrava ancora di più la sua mente, e la mia testa scoppiava. Ogni immagine nuovo la morsa stringeva ancora di più la mia testa. Mi partì qualche urlo credo, perché notavo l’espressione preoccupata e al tempo stesso decisa a non cedere di Gaelle. Lei stessa si mise ad urlare. < Come posso essere sbagliata!? Mi hai creata tu, mi hai dato tu un corpo! > e si gettò in ginocchio al mio fianco cominciando a singhiozzare. Dannazione, odio vederla singhiozzare così, e non potevo nemmeno fare qalcosa! Era lei stessa a immobilizzarmi. Ci fu una specie di esplosione e le immagini si frantumarono in piccoli raggi di luce che si riassemblarono nella forma di un Gardevoir che splendeva di luce bianca e dorata. Si avvicinò a Gaelle e si piegò ad asciugarle le lacrime. Freno l’istinto di andare verso le due, e osservo in silenzio. In qualche modo so che non le farà del male, so che vuole solo mettere chiarezza in questa enorme confusione.

< No figlia mia, non sei un errore. Nell’universo che ho creato alcune leggi hanno “precedenza” su altre e sapevo che sarebbe successo. Non è il tuo corpo o la tua anima il problma, ma il fatto che hai creato un varco nel tessuto stesso degli universi che ho dato alla luce > dice la Gardevoir carezzando il volto di Gaelle che per un istante smette di singhiozzare e mi guarda. < Volevo solo che non le facesse del male > dice quasi sussurrando.

Arceus - Gardevoir le prende il viso con una mano e le gira piano il volto guardadola negli occhi. < Facciamo un patto, ti restituisco il tuo corpo, ma promettimi di non creare mai più quel varco >.

< Lo giuro >.

A quel punto la Gardevoir mi rivolse il suo sguardo e sorrise - o almeno, mi sembrò essere un sorriso - e tutto intorno prese a girare, le stelle e le nebulose attorno a me fino a qando non diventò tutto nero e le mie palpebre si fecero pesanti. L’ultima cosa che ricordo prima di chiudere gli occhi è stata un’enorme lampo di luce colpire Gaelle. Credo di aver anche urlato, e poi la sua voce nella mia mente, come prima, che mi diceva di dormire.



 

Sento dei rumori di sottofondo, clacson, voci e schiamazzi vari, e poi percepisco l’aria salmastra e ancora un rumore particolarmente vicino di serranda che si alza. Stringo gli occhi prima di aprirli e cerco di fare mente locale, ma l’unica domanda che mi tormenta è “Ma dove cavolo sono?!”. Allora apro di botto gli occhi e mi ritrovo nella stanza ad Austropoli. Alla destra del letto Gaelle stava alzando la serranda, e i raggi rossi del sole che tramonta illuminavano il suo collo bianco con alcuni riflessi lilla. Si accorse che mi stavo svegliando e mi guardò con i suoi splendidi occhi arancioni, sorridendo impercettibilmente e a quel punto la sentì, scivolava nella mia testa con la sessa delicatezza di un tempo e per poco non mi misi a piangere.

“Non ricordavo fossi così bella” le dissi mentalmente. Lei mi sorrise ancora di più e credo che in quel momento mi si sciolse lo stomaco. Mi misi seduta sul letto e notai di essere ancora vestita, alzai di nuovo lo sguardo e mi trovai la faccia di Gaelle a due centimetri dalla mia, e aveva una mano sul mio petto. Ingoiai piano e mi accorsi di avere il suo piccolo corpicino sopra il mio. A quel punto con  la sua voce disse piano e dolcemente < Dopo le domande, abbiamo un paio di lezioni in sospeso >. Mi invase il suo profumo di baccanguria e mi abbandonai alle sue labbra.

 

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


I giorni successivi gli avvenimenti asurdi con Arceus Gaelle sembrava quasi rinata, e sembrò metterci un po’ per ristabilire un equilibrio dei suoi poteri, e io ovviamente feci la mia piccola parte. Era di nuovo serena e felice, e lo ero anche io. Improvvisamente mi sentivo quasi “riabilitata” dal mostro che pensavo di essere. D’altra parte non si sceglie chi amare, ci si innamora e basta. E anche adesso, che sono passati quasi tre anni tutto mi sembra così assurdo che neanche io riesco a crederci, ma ogni volta che la guardo negli occhi mi ricordo che tutto ciò che ho vissuto era reale. Sarebbe bello se dicessi che tutto è rimasto immutato da allora, ma non è così. Le persone - e anche i pokemon! - cambiano col tempo, ma se all’inizio  si ha difficoltà ad accettare l’altro per chi è diventato, si ha anche l’opportunità di innamorarsene di nuovo. La mia idea di stabilirmi in modo fisso alla fine è diventata realtà, ma insieme abbiamo optato per una casetta poco fuori Austropoli, nascosta nel boschetto lì vicino. Idea non male devo dire, così i pokemon possono stare liberi e divertirsi e io e Gaelle possiamo godere di una… certa intimità. Ogni tanto ci chiamano per qualche masterclass in qualche palestra o manifestazioni tipo campionati di qualche genere… Insomma niente di impegativo, ma ci si deve pur sfamare!

Ma ancora adesso mi manca girare il mondo zaino in spalla, e spesso penso di ricominciare a farlo, ma voglio godermi ancora un po’ questa pace, questa dolce monotonia di lavorare la mattina alla Lotta S.p.A. e fare l’amore di sera. Ma Gaelle comincia ad essere stanca di questa monotonia, e mi ricorda che l’avventura ha sempre i suoi lati positivi. Magari un giorno metterò qusto diario in borsa, un paio di vestiti, affitteremo casa e partiremo di nuovo in sella ad Alex per raggiungere la regione Kalos. Gaelle ha sempre voluto visitare Luminopoli.. E quando mi guarda con quegli occhioni non riesco a dirle di no.


Mi si avvicina alle spalle: riesco a sentire le sue braccia delicate attorno al mio collo e mi stampa un bacio sulla guancia. Io giro la testa per guardarla e baciarla di rimando.

< Beh, se andassimo a Kalos? > le chiedo. Le si illminano gli occhi.

< Ammettilo, ti manca farlo nelle stanze del centro pokemon > risponde con la sua voce argentina mentre si siede sulle mie gambe.

< Piuttosto mi mancano le tue urla, quando Ignis va troppo veloce! >

< Sei sempre la solita > risponde scuotendo la testa.

< Fai i bagagli, partiamo domattina >.

 

Non è ancora arrivata la fine per le nostre avventure, non sono pronta ad abbandonarmi ad una poltrona. Voglio portarti ai confini del mondo e poi ricominciare da capo.

Guardami Gaelle, guarda la ragazza che hai fatto diventare donna.

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