A Step To The Paradise.

di Joix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


La musica partì, ed io iniziai a ballare. Ballavo. Ballavo per dimenticare, ballavo per fuggire, ballavo per lasciarmi alle spalle ogni disavventura, ballavo per avere un secondo, un minuto, un’ora solamente miei, e di nessun’altro. I miei piedi si muovevano a ritmo di musica sul pavimento, le mie mani disegnavano figure invisibili nell’aria, la mia bocca dopo tanto tempo finalmente si apriva in un sorriso; anche se per pochi minuti, ero libera, finalmente libera. La musica si fermò, e con lei io.
<< Juliet, sei stata meravigliosa! >>
Sentivo a malapena la mia amica strillarmi ciò dall’altra parte della stanza, ero ancora confusa da tutti quei salti e quelle piroette, ma ero felice, estremamente felice.
<< Non esageriamo Melanie, comunque grazie! >> Le urlai di rimando. Davanti a me lo specchio della sala prove rifletteva l’immagine di un’anonima ragazza dai capelli rossi e gli occhi blu, sudata e felice come non mai. Quella ragazza sorrise e se ne andò, quella ragazza ero io. Raggiunsi Mel e l’abbracciai: << Allora che ne pensi della coreografia? Voglio dire, so che è da perfezionare e che al provino ho ben poche chance se presento una cosa simile, ma questo è, diciamo il “modello di base”, cioè, ancora n… >>
<< Insomma, stai un po’ zitta! >> Ridacchiò << E’ meravigliosa e non ha bisogno di essere perfezionata. Se quei tizi di domani non t’ingaggeranno per il videoclip di quei tre saranno solo dei deficienti, ma noi non dobbiamo neanche prendere in considerazione l’ipotesi di una possibile non riuscita da parte tua: ce la farai. >>
<< Quei tre? Per Dio Mel, quei tre sono i Jonas Brothers! Se dovessero prendermi come ballerina per il loro video mi aprirebbero le porte al mondo della danza! >>
<< Oh, va bene, fai come ti pare, ma ce la farai, credimi. Ora, se non vuoi che tua madre prenda e se ne vada lasciandoti qui come un’allocca è meglio che ti vesti e vai, ti voglio bene!>> Sorrisi. << Già, hai ragione, ci vediamo domani, ti voglio bene anch‘io! >> Mi vestii il più veloce possibile e raggiunsi il parcheggio, dove mia madre mi aspettava abbondantemente scocciata dal mio lieve ritardo. << Si può sapere che stavi facendo? Cielo Julia, saranno venti minuti che t’aspetto!>>
<< Sì, perdonami, oggi mi sono allenata più del previsto, sai, per il provino di domani!>> Sembrava essersene scordata, ma sorrise ed iniziò anche lei con i discorsi di convincimento riguardo al fatto che il giorno dopo li avrei rapiti con i miei passi, ma io non l’ascoltavo, ormai erano mesi che non ascoltavo più frasi di quel tipo: dopo tanti fallimenti avevo imparato a non credere più nei sogni, ma ci provavo, lo facevo per la mia famiglia, per i miei amici, non lo facevo più per me, ma quando mi era stata offerta quella possibilità, la possibilità di ballare sulle note del mio gruppo preferito ed andare nelle televisioni di tutto il mondo con i miei passi.. Beh, non avevo potuto rifiutare, e una qualche speranza si era riaccesa in me. Persa nelle mie riflessioni non mi ero accorta che ormai eravamo arrivate. Scesi dalla macchina e mi diressi in casa, feci una doccia veloce ed andai a letto: il giorno dopo dovevo essere pronta.

La luce della luna mi illuminava il viso in quella fredda notte invernale. Non riuscivo a dormire, ma d’altronde, chi ci sarebbe riuscito? Il mio avvenire era nelle mani di tre persone, le quali il giorno dopo avrebbero giudicato la mia danza e avrebbero deciso se ero degna di ballare per i Jonas. Non sapevo proprio che aspettarmi. Ce l’avrei fatta? Mi avrebbero cacciato fuori a pedate? Ma soprattutto, ero pronta per una sfida simile? Non lo sapevo, si sarebbe visto tutto il giorno dopo.

La voce di mia madre mi fece uscire dal mondo dei sogni, erano appena le sei e mezza di mattina.
<< Svegliati, tra solo due ore devi essere in St. Julians Street! >>
Aprii gli occhi e ricordai ciò che le poche ore di sonno avevano cancellato dalla mia mente. Provino. Video. Jonas. Nel giro di mezz’ora ero già in taxi. Fuori dal finestrino New York mi mostrava tutta la sua magnificenza, i suoi palazzi imponenti, i suoi prestigiosi ristoranti, China Town, Little Italy … Amavo la mia città, non l’avrei rimpiazzato con nessun’altra! La sua frenesia, il caos, le persone; New York era il posto più bello del mondo. Persami con gli occhi tra i vicoli che si intersecavano e la gente che correva , non mi ero accorta che il taxi era arrivato a destinazione e il taxista sbuffava scocciato per il mio ritardo nel pagare. Porsi i soldi mormorando un “grazie” e scesi dal veicolo. Le sette e trentacinque. Mel doveva arrivare per le otto, quindi mi aspettavano venticinque minuti di angoscia totale. Allettante come idea. Stavo per dirigermi all’interno di un bar il quale, a quanto dicevano i cartelli, faceva “le ciambelle migliori della grande mela”, ma il mio sguardo fu attratto da una lunga limousine bianca che posteggiò esattamente ad un metro da me: dal suo interno scese un omone pesante sì e no due quintali, il quale mi spinse al di fuori delle transenne poste nell’ingresso dell’ American Dance urlando “Niente fan, ragazzina!”. Ammetto di non aver saputo resistere e di avergli risposto a tono. << Allora, chiariamoci: uno, ragazzina ci chiami tua sorella, e due, ti sarei grata se mi facessi passare, considerato che tra circa quaranta minuti ho un provino lì dentro! >> dissi indicando l’edificio posto alla mia destra. Lui si voltò e mi scrutò con un sorrisetto:
<< Certo, e io sono Maria Maddalena! >> replicò ironicamente.
<< Oh, con un centinaio di chili in meno magari potresti anche assomigliarci! >> Da dietro si levarono le risate di tre ragazzi, dei quali non avevo notato la presenza. Uno dei tre ridacchiando mi prese per il braccio e, sotto gli occhi scandalizzati dell’omone bisbetico, mi riportò all’interno della recinzione. << Rob, ora questa ragazza ci farà vedere il suo pass, tu calmati e non agitarti. E tu invece, se non vuoi che “Maria Maddalena” ti butti nuovamente fuori, è meglio che tiri fuori quella tessera, e alla svelta!>> Disse ridendo. Alzai gli occhi e per la prima volta lo vidi: il mondo attorno a me crollò in un istante. I suoi occhi, la sua pelle, i suoi capelli, il suo sorriso; Nick Jonas era davanti ai miei occhi, ma non un poster o una gigantografia, era lui, in carne ed ossa. Non svenni solo perché l’omone continuava a chiedermi il pass. Lo accontentai non appena la mia borsa, strappandosi e, di conseguenza, cadendo, lo sputò fuori, assieme a chiavi, telefono e portafoglio.
<< Merda, scusatemi, sono mesi ormai che dovrei cambiare quest’affare, ma non mi decido mai a comprarla nuova!>> Mi chinai a terra per raccogliere tutte le mie cianfrusaglie, e Nick fece lo stesso. << Non ti preoccupare, piuttosto, sei qui per il provino per il nostro video? >>
<< Perché, ci sono altri provini? >> Rise.
<< Effettivamente no, domanda piuttosto inutile. >>
<< Beh, gentaglia, se non vi dispiace ora dovremmo entrare, quindi datevi una mossa a raccoglier… Aspetta, ma quelli siamo noi? >>Joe Jonas aveva di colpo preso vita, ed ora stava fissando lo sfondo del mio cellulare, raffigurante i tre fratelli in una delle loro esibizioni più famose. << Sei una nostra fan? >> Aveva poi chiesto Kevin.
<< E’ così evidente? >> Avevo risposto io.
<< Diciamo che lo sfondo del tuo telefono, il tuo strano portafoglio con la mia faccia stampata sopra e il fatto che tu sia qui, beh, potrebbero portarci alla rapida conclusione che sì, è piuttosto evidente. >> Tutti risero alla battuta di Nick, ma quella strana situazione fu interrotta dall’urlo straziante di una ragazza che li aveva visti, e che ora implorava Joe di sposarla e\o avere una famiglia con lei. Non so come, ma meno di venti secondi dopo eravamo già nella hall dell’American Dance. Ancora confusa dal trambusto una domanda mi venne spontanea: << Aspettate.. E’ sempre così per voi? >> Joe mi guardò sorridendo e si affrettò a rispondermi scherzosamente:
<< Credimi quando ti dico che è anche peggio, e segui il mio consiglio: non diventare mai maledettamente affascinante come me, o sarai fregata per il resto della tua vita. >>
<< Grazie del consiglio, cercherò di non avere il tuo stesso sguardo dannatamente sexy o la tua stessa pelle morbida e setosa .>>
<< Questa ragazza ci capisce di uomini. >> Tutti scoppiammo a ridere.
Diedi una rapida scorsa al mio orologio e mi resi conto che oramai erano le otto meno cinque, che Mel stava per arrivare e che meno di mezz’ora dopo sarei dovuta entrare in scena. Io.
<< Sapete chi sono i giudici? >>
<< Dicono che siano tre tizi, i loro nomi mi pare che siano Nick, Joe e Kevin… O erano Nill, John e Katy? >> Questa volta era stato Nick a rispondere ironicamente.
<< Rispondere seriamente ad una domanda? >>
<< Naah, non è il nostro stile. >>
<< Ah ah, l’avevo capito. Comunque.. Sarete davvero voi i giudici?>>
<< Già, sai com’è, nostro video, nostro giudizio . >>
<< Mi pare un ragionamento abbastanza logico. Comunque non voglio favoritismi, so che vi siete perdutamente innamorati di me, ma io le gare le vinco lealmente. >>
<< Cercheremo di non farci distrarre dai tuoi lunghi e fluenti capelli. >> Sorrisi, e in un istante mi resi conto dell’irrealtà della situazione: io, che parlavo amabilmente, quasi flirtavo, con i tre fratelli per i quali da anni impazzivo al solo suono della loro voce; decisamente strano. <> Mel era appena corsa all’interno della sala urlando e strepitando contro il povero Rob, il quale ormai era in esaurimento nervoso.
<>
<< Oh oh oh, come siamo simpatiche oggi! >> Ribattè lei acida.
<< L‘hai notato anche tu? Comunque, ora vieni, andiamo negli spogliatoi, mi devo cambiare e tu mi devi aiutarmi psicologicamente, fisicamente e moralmente!>>
<< Dovrei farti da psichiatra? Mi spiace ma non mi assumo u.. >> La sua frase si spezzò a metà, li aveva visti. Mel non l’aveva mai esplicitamente confessato, ma io, che la conoscevo bene, potevo ammettere che lei era una delle fan più sfegatate dei Jonas, e solo vederli su carta stampata al mandava in fibrillazione, quindi l’avere davanti i tre, che la fissavano stupiti dal fatto che ancora lei non fosse in preda ad una crisi epilettica per averli a pochi metri di distanza, le bloccava decisamente ogni funzione cerebrale.
<< Va beene. Mel, vieni prima di morirmi davanti, ciao tizi ! >> Presi la mia amica per mano e mentre mi allontanavo sentii Joe borbottare “Tizi?!” scandalizzato, e, girandomi, notai che Nick ci fissava, divertito.
<< No, cioè, dico, ti rendi conto di chi stiamo parlando? Sono i… Oh mio Dio Juliet, non riesco neanche a pronunciare quel nome, devo riprendermi! >>
<< Mentre tu ti riprendi io vado a vedere cosa ne sarà del mio futuro, poi ti dico eh! >> Lei sorrise e mi abbracciò.
<< Ce la farai Jul, sono mesi che ti prepari per quel maledetto provino, ce la farai. Ti voglio bene! >> << Come mai non sono sicura quanto te? >> La sua bocca si aprì in un sorriso d’incoraggiamento, ma non bastava, l’agitazione mi aveva ormai pervasa. Muovevo ogni mio muscolo nel tentativo di farli smettere di tremare, ma non ci riuscivo: meno di dieci minuti ed il mio turno sarebbe arrivato.
Uno. Due. Tre. Quattro. Ripassavo mentalmente i passi, cercavo di non pensare a ciò che avrei dovuto affrontare, provavo a dimenticare chi mi aspettava nella stanza accanto, ma il tutto risultava piuttosto difficile. Non riuscivo a credere che a pochi metri da me c’era lui, il ragazzo che da quando l’avevo visto la prima volta occupava i miei sogni, giocava con i miei pensieri, mi lasciava senza respiro, il ragazzo dagli occhi ipnotici, che non riuscivi a smettere di fissare, occhi che ti incatenavano in una piacevole stretta, occhi capaci di farti sentire come se finalmente avessi trovato la serenità della quale una persona ha bisogno; gli occhi di Nick.

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Uno. Due. Tre. Quattro. Ripassavo mentalmente i passi, cercavo di non pensare a ciò che avrei dovuto affrontare, provavo a dimenticare chi mi aspettava nella stanza accanto, ma il tutto risultava piuttosto difficile. Non riuscivo a credere che a pochi metri da me c’era lui, il ragazzo che da quando l’avevo visto la prima volta occupava i miei sogni, giocava con i miei pensieri, mi lasciava senza respiro, il ragazzo dagli occhi ipnotici, che non riuscivi a smettere di fissare, occhi che ti incatenavano in una piacevole stretta, occhi capaci di farti sentire come se finalmente avessi trovato la serenità della quale una persona ha bisogno; gli occhi di Nick.
<< Julia Frost! >> Una donna di mezza età si era affacciata alla porta, ed ora urlava scocciata il mio nome. Mi alzai in piedi e con le gambe tremanti e la mia amica al seguito mi diressi dalla signora.
<< Sono io. >> Lei mi guardò poi mi condusse nella sala dove si svolgevano i provini.
<< Buona fortuna ragazza! >> Disse mentre si girava per andarsene. Guardai Mel, la quale, nervosa quanto me, mi abbracciò. Non c’era bisogno d’altro. Entrai. Era una sala prove. Una normalissima sala prove con uno specchio, il quale mi mostrava l’immagine di un’impacciata ragazza la quale camminava senza una meta precisa. Alzai lo sguardo ed incontrai il suo. Mi fece un mezzo sorriso d’incoraggiamento, sorrisi. Kevin e Joe stavano parlando tra di loro, ma si fermarono non appena la musica partì. Le mie gambe partirono che io quasi non me ne accorsi, il mio corpo si muoveva da una parte all’altra della sala con passi aggraziati, tutto intorno a me sparì. I ragazzi, lo specchio, la mia immagine riflessa, tutto, ma non lui. Nonostante mi girassi o il mio sguardo cadesse da un’altra parte della sala l’unica cosa che riuscivo a vedere era quel suo mezzo sorriso, quel sorriso che mi aveva rivolto pochi secondi prima, quel sorriso che mi aveva spinto a dare il meglio, quel sorriso che mi aveva fatto dimenticare ogni mia preoccupazione e pensare solo ad una cosa: ballare. La musica era ormai arrivata alla fine, e con lei io. Non guardai subito nella loro direzione, non ne avevo il coraggio. Dopo aver recuperato le forze provai a sbirciare nella loro direzione. Nick mi fissava ridendo, e Joe e Kevin facevano uguale. Tra le ristae Joe riuscì a pronunciare un “Le faremo sapere”.
Un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male. Una coltellata alle spalle non mi avrebbe abbattuta quanto quelle sue tre parole riuscirono a fare. Le lacrime iniziarono a bruciarmi negli occhi, ed io corsi via, non potevo sopportare un’umiliazione simile. Li avevo fatti ridere. Ero stata talmente assurda da farli ridere. Fosse stato un altro provino con altre persone la cosa non mi avrebbe toccato più di tanto, ma così non era. Non erano persone a me sconosciute, ma le tre persone che più mi facevano sognare, le tre persone che in diciotto anni di vita erano riuscite con poche note a rallegrarmi nei momenti migliori, erano le tre persone che con un solo sorriso riuscivano a farmi star bene; perché io in quattro minuti di frenetici passi su giù per una stanza non ero riuscita a stupirli? Perché in quattro minuti per i quali c’erano voluti mesi e mesi di preparazione non ero riuscita a suscitare in loro quello che loro suscitavano in me? Avevo molte, troppe domande, alle quali nessuno avrebbe mai dato risposta. Raggiunsi lo spogliatoio di corsa con Mel che m’inseguiva per i corridoi di quell’imponente palazzo.
<< Si può sapere che hai?! >> Sbraitò quando mi raggiunse dentro. Solo dopo si accorse che stavo piangendo.
<< Oh cielo, che è successo!? >>
<< Niente, il solito, ho fatto schifo, pensa che hanno anche riso. Ora, per favore, andiamocene. >>
<< Schifo!? Ti stavo guardando, se tu hai fatto schifo le altre si devono davvero dare all’ippica! >> Le altre ragazze presenti nello spogliatoio fulminarono la mia amica con uno sguardo di fuoco, al quale lei non badò per niente. Non risposi, non ce n’era bisogno.
<< Ora, se permetti, finiscila di sparare fesserie, io ti aspetto fuori dal palazzo, ho bisogno di fumare. >> Tipico di Mel. Avevo tentato più volte di rimpiazzare quel suo vizio con uno più sano, ma mai ero riuscita nel mio intento, per quanto lei s’impegnasse non resisteva più di due giorni senza nicotina. Mi vestii ed uscii più in fretta che potessi da quella camera piena di musi lunghi e ragazze piangenti: l’ultima cosa di cui avevo bisogno era di avere tristezza attorno a me.

<< E così ti chiami Julia Frost? Bel nome, davvero. >> Non avevo fatto in tempo ad uscire dallo spogliatoio che avevo già Nick Jonas alle spalle, intento a riaprire una conversazione on me.
<< Grazie. >> Risposi più fredda che potessi, nonostante la sua voce avesse un effetto rilassante su di me, che tendeva a farmi sembrare sballata. Ma, per fortuna, riuscii nel mio intento.
<< Ehi, che hai?>>
<< Nulla, che dovrei avere?! >> Dissi facendo in modo che la rabbia non fosse evidente.
<< Io proprio non saprei. >>
<< Bravo.>> Deciso a scoprire cosa non andasse in me mi superò e mi bloccò l’uscita.
<< Risulti un po’ invadente così, sai? >>
<< Se tu non mi costringessi a farlo, magari. >> Lo guardai.
<< Nessuno ti costringe a fare niente. Sei libero di andare ovunque tu voglia. >> Solo in quel momento si accorse delle lacrime che mi rigavano il volto.
<< Non mi piace vedere le ragazze piangere. Specialmente se non ne hanno motivo. >> Non potevo reggere oltre. << Già, avete semplicemente riso della mia esibizione, quale motivo dovrei avere!? Avevo detto niente favoritismi, ma non intendevo “Umiliatemi che tanto io non me la prendo.” Sai, non mi piace essere derisa, tantomeno se a farlo sono persone che non conosco. >> Alzò un sopracciglio leggermente confuso.
<< Oh, no! Quelle risate non erano per te, davvero! E’ che Joe ha fatto una delle sue solite battute, e dopo se n’è venuto fuori con quel “Le faremo sapere” perché gli piace dirlo. E’ un po’ fissato sulle battute classiche da cinema. >>
<< Tu ti aspetti che io ti creda?! Non sai quanto ho sudato in questi mesi per questo provino, ho provato e riprovato, l’idea di poter partecipare a quel video, l’idea di avere anche una sola chance su un milione di poter ballare per voi e con voi aveva riacceso in me un barlume di speranza che si era spento ormai da anni, mi ha fatto credere che forse c’era un posto anche per me in questo mondo, e probabilmente avrei accettato una sconfitta se questa non mi fosse stata annunciata in quel modo. >> Non mi controllavo più ormai. Parlavo in preda a singulti continui e a lacrime che mi offuscavano la vista.
<< No, Julia, davvero, tu sei stata meravigliosa. Mentre ballavi nei tuoi occhi si vedeva la speranza, la pazienza e la determinazione di una persona che pur di avere questa vittoria, una sola, misera vittoria, è stata capace di allenarsi giorno e notte, una vittoria che, a quanto hai detto tu, ti avrebbe finalmente riportato il sorriso sulle labbra, uno splendido sorriso ad illuminarti il viso e, Jul, questa vittoria .. Beh, l’hai ottenuta. >> Le sue parole ebbero come un effetto nebbia su di me. Fu come nascere per una seconda volta, fu come per un cieco riavere la vista, fu come per un muto riavere la voce, fu come per un morto riavere la vita. Avevo mille frasi che avrei potuto dire, diecimila parole che mi premevano sulle labbra aspettando di essere liberate, ma stetti muta; a volte il silenzio può essere il discorso più bello.
<< Ah, e dato che , come hai detto tu prima, non ci conosciamo, ti va di rimediare? >>
Sorrisi, non poteva essere vero.
<< Immagino sia un sì.. Pizza? Conosco giusto un locale a Little Italy.. Insomma, se dobbiamo lavorare insieme bisogna sapere più cose l’uno dell’altra, non credi? >> Ammiccò un sorriso.
<< Sicuro! >>

Sto forse sognando? I suoi occhi, la sua voce, la sua pelle mi stanno portando alla conclusione che forse questo è solo un sogno, che lui è solo un sogno. Beh, se così è lasciatemi dormire, lasciate che Morfeo mi culli tra le sue braccia per il resto dell’eternità, facendomi così godere della sua perenne presenza.

Little Italy era ad appena tre isolati di distanza, e per questo li facemmo a piedi. Fu un viaggio troppo corto, avrei voluto durasse anni, secoli, avrei voluto perdermi nel suono delle sue risate, cristallizzarmi in un suo sguardo, ma dopo appena dieci minuti fummo arrivati. Pochi minuti e avrei pranzato con il ragazzo che da anni si era incatenato alla mia mente, costringendomi a pensarlo perennemente.

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