Inganni alla Corte di Francia

di Rowena
(/viewuser.php?uid=1880)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. La Cenerentola ***
Capitolo 3: *** 2. Il patto ***
Capitolo 4: *** 3. Addestramento ***
Capitolo 5: *** 4. Cambio di piani ***
Capitolo 6: *** 5. Segreti e minacce ***
Capitolo 7: *** 6. Il duello ***
Capitolo 8: *** 7. Colui a cui nulla sfugge e che tutto sa ***
Capitolo 9: *** 8. Il ballo all'Opera ***
Capitolo 10: *** 9. Novità e riflessioni ***
Capitolo 11: *** 10. Amiche vecchie e nuove ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Angoletto dell'autrice: Sembra folle? Lo è. XD
Ho cominciato questa storia per un contest su Writers Arena, ma alla fine non l'ho consegnata per drammatici motivi, ossia A) la paura di finire come al solito fuori tema B) la mia patologica tendenza a essere prolissa ben oltre i termini del contest. Ne ho così scritta un altra per il contest, ma questa mi stuzzicava troppo per lasciarla da parte... Spero che piaccia anche a chi legge. Ho segnalato l'OOC perché data la complessa caratterizzazione dei personaggi di Host Club sono sempre un po' in forse, quando si tratta di scrivere di loro, e poiché sono piazzati in un contesto così diverso dal loro che probabilmente saranno un po' differenti da come li conosciamo nel manga. Spero però che vi piacciano, l'angoscia da OOC mi viene sempre! XD Questa storia è dedicata a Lely1441, giudiciA abituata a dovermi cazziare per il mio sempre patologico modo di inviare solo all'ultimissimo minuto prima della scadenza e appena sopravvissuta alla maturità. Brava, polletta! <3

Rowi



Versailles. La corte più sfarzosa, più divertente e più spendacciona d’Europa. I giovani nobili che la frequentavano erano sempre alla ricerca di nuovi espedienti per non abbandonarsi alla noia. Era difficile divertirsi – almeno così pensavano loro – e anche con i loro soldi e la loro voglia di divertirsi spesso non c’era niente da fare se non adagiarsi sulle comode poltroncine di velluto a mangiare bonbon e ascoltare pettegolezzi.
Nemmeno la reintroduzione della roulette a corte, grazie alla Regina che aveva chiesto a Luigi XVI di permetterle di giocare, aveva portato quella ventata di novità che tutti si erano aspettati.
E proprio al tavolo da gioco, un pomeriggio, sei ragazzi diedero il via a una serie di eventi che non si sarebbero mai aspettati. «Nero, ancora? Accidenti, ho perso di nuovo!»
Erano tutti rampolli di buona famiglia, amici dai tempi dell’infanzia, noti a corte per il loro amore per gli scherzi e la loro capacità di affascinare le donne di qualunque età con i loro modi galanti. Questo non era molto apprezzato tra i cortigiani di sesso maschile, perché spesso erano costretti a desistere dal corteggiamento della dama di cui si erano invaghiti, dato che questa era persa dietro a un membro del sestetto. Se gli amici avevano evitato duelli con la spada o le pistole, era solo perché Maria Antonietta non gradiva simili spargimenti di sangue inutili.
Almeno nel gioco d’azzardo, però, quei ragazzi non avevano particolarmente talento, erano a volte baciati dalla fortuna come molti, e gli altri gentiluomini si divertivano a sfidarli per avere una piccola rivalsa. In quel caso, il Conte di Vichy si stava facendo beffe del capetto del gruppo, il Duca Tamaki, un giovane affascinante dai capelli biondi e dai grandi occhi blu che facevano palpitare il cuore di tante splendide dame.
«La roulette non fa proprio per voi, caro Duca… Ma che fate là in un angolo?»
Tamaki, infatti, non appena aveva compreso di aver perso si era annichilito al punto di smettere di parlare, ritirandosi in un mondo tutto suo.
«Non badate a lui, Monsieur, fa sempre così quando le cose non vanno come desidera», risposero i suoi amici senza badare al giovane nobile che si era rannicchiato contro la parete e bofonchiava cose incomprensibili. Effettivamente aveva perso una vera e propria fortuna al gioco, per cui era comprensibile la sua disperazione.
«Ragazzi… Queste cose mi hanno stancato».
«Siamo d’accordo, ma che possiamo fare? Abbiamo già fatto tutto il giro del parco e dei giardini a cavallo».
«Abbiamo giocato con tutte le dame che sono a corte, facendole capitolare ai nostri piedi».
«Abbiamo intrattenuto con il nostro spettacolino la Regina, prima che i suoi precettori ci cacciassero».
«E ora…» I due gemelli si guardarono negli occhi, prima di concludere all’unisono. «Ora ci annoiamo».
«Potremmo fare un giro in carrozza e andare al ballo in maschera all’Opera, è un po’ che manchiamo a queste cose».
«Ma non abbiamo i costumi!», esclamò il duca dai capelli biondi riprendendosi dal suo stato di depressione con la stessa velocità con cui c’era caduto. «Questo tipo di avvenimenti richiede settimane, no, MESI di preparazione e studio per avere i vestiti migliori e…»
«Quanto la fai lunga, Tamaki: basterà comprare una mascherina all’ingresso come fanno in tanti, il denaro certo non ci manca. Anche se per una volta non saremo i più eleganti della festa, non morirà nessuno».
Il ragazzo sembrò sul punto di controbattere, soprattutto conoscendo l’importanza di presentarsi a qualunque evento con la massima cura anche per i più piccoli particolari, ma alla fine vedendo che gli altri erano abbastanza d’accordo su quella proposta rimase in silenzio.
Ancora scherzando su quanto avrebbero potuto combinare alla festa, il sestetto si allontanò lungo il corridoio giusto in tempo per sfuggire all’occhio vigile e sospettoso del comandante delle guardie reali.
«Quegli individui non mi piacciono. Dovremo tenerli d’occhio con più attenzione, André, d’ora in poi».
L’attendente del comandante scosse il capo: «Perché? Sono damerini a cui piace divertirsi senza freno, come molti altri. È una merce che non manca mai a Versailles, purtroppo».
«Non dovrebbero avvicinarsi troppo alla Regina. Maria Antonietta li ha presi in simpatia, ma ha già abbastanza individui poco degni di fiducia intorno a sé».
«Ti preoccupi troppo, Oscar: sono ragazzi annoiati, non cospiratori. Sono altri i soggetti di cui è meglio sospettare, anche ben più vicini ai reali».
«Li invidi?»
«Non lo so, non credo che mi piacerebbe essere così stanco della vita, in un certo senso. Per fortuna non ci mancano le avventure».
André conosceva il modo di Oscar di essere un nobile dai mezzi quasi senza limiti: una vita di studio, di esercizio e di piacere per l’arte e la cultura. Una vita passata anche all’aria aperta, con i cavalli, una vita in cui non c’era modo di annoiarsi. I modi dei cortigiani non lo interessavano, li trovava frivoli e senza scopo.
E se fosse stato un nobile, che rapporto avrebbe avuto con Oscar? Probabilmente distante, freddo, forse addirittura non avrebbe compreso la sua forza e il sacrificio che si celava dietro la sua uniforme, e l’avrebbe trattata come molti dei signorotti che sentiva chiedersi cosa nascondesse sotto i vestiti. No, André preferiva allora aver avuto la fortuna di crescere con lei e di conoscerla tanto a fondo.
«Tra poco ci deve essere il cambio della guardia, meglio affrettarsi», commentò Oscar con un mezzo sorriso, facendogli segno di seguirla.
I due scivolarono con eleganza lungo il corridoio, senza che però il comandante riuscisse a togliersi dalla testa quel gruppetto di nobili rampolli dai modi sconsiderati. Avrebbe indagato al più presto: con Luigi XVI appena salito al trono, la Francia non poteva permettersi disordini.



È solo un piccolo prologo, ma spero di avervi incuriosito. Che ne pensate?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1. La Cenerentola ***


A Parigi, intanto, le cose non andavano per niente bene. Nonostante le speranze che tutti riponevano nel nuovo Re e nel corso innovativo che la sua ascesa al trono avrebbe dovuto inaugurare, sempre più persone erano ormai in una condizione di povertà estrema.
Le rivolte si susseguivano a Parigi, tanto che Luigi XVI aveva preferito farsi incoronare a Reims per evitare problemi, e il prezzo del pane saliva sempre di più.
Mancava il denaro per ogni cosa e se la carne per alcuni era un lusso, per molti di più era ormai un sogno, un ricordo di un’altra vita.
La gente attendeva un cambiamento, un monarca dalla diversa visione del mondo che smettesse di scialacquare per occuparsi del proprio popolo, e nel frattempo non si poteva fare altro se non aspettare e pregare per tempi migliori.
«Haruhi, dove sei?»
Una donna sulla trentina e con la voce troppo profonda si affacciò sulla porta della sua casa, alla ricerca della propria figlia sedicenne.
La ragazza era in cortile, stava spazzando l’uscio del misero appartamento che condivideva con il genitore, due stanze minuscole e mal aerate con una pigione troppo alta. Poco distante, il bucato asciugava al sole, steso nelle corde, mentre dall’interno proveniva un buon odore di porri.
«Eccoti qua, Haruhi! Dovresti essere in casa a studiare, con tutta la fatica che mi è costato convincere il rigattiere perché mi donasse quei volumi, lo sai?»
La giovane si voltò e scosse il capo, facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli scuri. «È inutile, papà, avere un’istruzione completa, come dicono i tuoi filosofi, non mi aiuterà a essere assunta in qualche bottega».
Le spiaceva dirlo ad alta voce, perché sembrava così terribile, eppure era la verità: già a molti sembrava strano che una ragazza sapesse leggere e scrivere tanto speditamente, specie molti artigiani e negozianti. Avevano paura che pretendesse un salario più alto, forse, e Haruhi non trovava lavoro.
In realtà, le sarebbe piaciuto studiare fino a consumarsi gli occhi alla luce delle candele, leggere ogni libro pubblicato in Francia e diventare avvocato, ma era consapevole che fosse un sogno senza speranza. Era una donna ed era povera: anche se improvvisamente si fosse trovata piena di denaro, cosa comunque impossibile, non avrebbe potuto far nulla per l’altro suo impedimento.
«Fidati», proseguì, «è meglio se non rimango indietro con le faccende e se continuo a cercare un impiego».
Haruhi aveva sentito che la sarta presso la quale si rifornivano molte nobili e la stessa Regina Maria Antonietta, Madame Bertin, era sempre alla ricerca di nuove commesse o apprendiste per il suo negozio, e sperava che ci fosse anche per lei un posto.
Il padre raggiunse la ragazza facendo agitare le sue sottane. «Non ti ho tirato su così perché tu ti accontentassi di questa vita».
«Non mi sto accontentando, papà, ma voglio contribuire con un po’ di denaro. Il prezzo del pane è sempre più alto…»
«Non devi preoccupare di queste cose, hai il tuo papà che ci pensa. Non ti avrei cresciuto puntando sulla tua istruzione se avessi voluto una brava donnina di casa che pensa soltanto a sbarcare il lunario e a contrarre il miglior matrimonio possibile. Ora torna a studiare, ci sarà tempo per lavorare quando sarai più grande».
Intenerita, Haruhi annuì e rientrò mentre il padre si allontanava per andare in teatro. Rioji, in arte Ranka, era un attore e posava anche per ritratti in abiti femminili, sfruttando i suoi lineamenti fini e i modi eleganti che aveva di natura. Nel quartiere si vociferava che facesse anche altro per guadagnare qualcosa in più, ma la giovane era troppo ingenua per cogliere simili allusioni e attribuirvi il giusto significato.
In ogni caso, sapeva che suo padre era un brav’uomo che non aveva nulla di cui vergognarsi, per cui non dava peso alle malelingue. Sapeva che alcune vicine erano gelose della bellezza di Ranka, neanche fossero in competizione, e lo trovava molto stupido: chissà, forse inacidirsi su simili sciocchezze permetteva alle altre donne del quartiere di dimenticarsi quanto fosse grigia la loro situazione.
Stava rimescolando la minestra, quando qualcuno bussò alla porta. «Haruhi, disturbo? Posso chiederti in prestito un poco di carbone?»
Rosalie, la figlia della sua vicina preferita, Nicole Lamorliére. «Certamente, vieni pure», rispose con gentilezza.
«Sei sempre così buona… Ti ringrazio, la mamma si sente di nuovo male e deve stare al caldo».
«Per lei questo e altro, lo sai», si giustificò Haruhi sentendosi in imbarazzo.
Come avrebbe potuto comportarsi altrimenti con la donna che si era presa cura di lei dopo la morte di sua madre, quando Ranka stava ancora troppo male per il lutto per occuparsi della sua bambina?
Sconvolta dalla schiettezza della giovane padrona di casa, Rosalie arrossì. «No, la tua bontà è davvero commovente. Grazie ancora, io devo tornare al lavoro e non ho il tempo per andare a comprare il carbone», spiegò raccogliendo dal vano sotto il focolare diversi pezzi scuri e mettendoli nel grembiule senza paura di sporcarsi le mani.
O forse non avevano i soldi, pensò Haruhi assaggiando un poco della zuppa. Le tre Lamorliére erano perfino più povere dei Fujioka, era risaputo.
«Non preoccuparti, davvero. Piuttosto, perché non hai mandato Jeanne? Dovrebbe aiutarti di più».
Rosalie arrossì di nuovo, ma questa volta per l’imbarazzo. «Oh… Sai com’è fatta, è sempre in giro a fantasticare su come sarebbe la nostra vita se nostro padre non fosse caduto in disgrazia. Sogna la vita di corte: non riesce proprio ad accettare la nostra condizione e così si rovina l’esistenza».
Prevedibile. Haruhi schioccò la lingua, infastidita.
«Non la capisco proprio: che può trovare d’interessante nel vivere in attesa di uno sguardo o di un cenno di approvazione da parte del Re? E poi i balli, e tutte le altre sciocchezze di cui scrivono sui giornali!»
No, lei non avrebbe resistito nemmeno un minuto in quel mondo.
«Neanche a me piacerebbe, abituata come sono a questa vita. Mi sembrerebbe strano non lavorare e permettere che un altro mi lavi le vesti o mi prepari il cibo, a te no?» domandò Rosalie con un mezzo sorriso.
Haruhi annuì: «A proposito: nel caso ci fosse bisogno di una persona in più nel posto in cui lavori, fammelo sapere. Non voglio essere di peso un altro giorno».
«Contaci», le assicurò la ragazza, «anche se non ho capito perché ti abbiano licenziato».
Tasto dolente. «Non mi stava bene il modo che il padrone aveva di allungare le mani, ma non dirlo a mio padre o farà una scenata per niente».
La giovane Lamorliére promise che non avrebbe detto nulla: Ranka era uno strano personaggio, ma sua madre lo aveva in simpatia e le aveva insegnato a non giudicare i suoi modi un po’ particolari, così non si esprimeva a riguardo.
Dopo essersi assicurata che il suo segreto rimanesse tale, Haruhi salutò l’amica, spense il fuoco e uscì. Decise di andare dal fornaio e usare gli ultimi spiccioli per comprare un po’ di pane e qualche libbra di farina da tenere da parte per tempi ancora più bui, come Nicole le aveva insegnato; in più, gli acquisti le avrebbero permesso di chiedere con maggiore disinvoltura se nella bottega stessero cercando aiuti.
Armata delle migliori intenzioni, la ragazza prese la via maestra: camminava rasente ai muri, schivando i mendicanti e i venditori ambulanti, così da tenersi lontana dal centro della strada, dove passavano le carrozze. Bastava un attimo per finire sotto le ruote e morire, e spesso i responsabili degli incidenti non si fermavano nemmeno per capire cosa fosse successo, temendo uno scandalo.
Che schifo di mondo, pensò facendo attenzione a un rigagnolo di un colore imprecisato che fendeva la strada.
«E quella?»
«No, che brutta! Neanche gli abiti di Madame Bertin potrebbero renderla affascinante. Guarda quella che sta lavando le scale, invece».
Forse fu il nome della celebre stilista a interessare Haruhi, che improvvisamente si mise ad ascoltare.
«No, con quel neo peloso sulla guancia? Che schifo!»
Ma che cafone! La giovane tirò su il capo per capire chi stesse facendo quel discorso così idiota e si accorse che una carrozza di nobili, riconoscibile per gli stemmi e i fregi dorati, stava procedendo lentamente per la strada e che due ragazzi identici nell’aspetto erano seduti a cassetta, una posizione perfetta per osservare tutta la strada e fare quei commenti ridicoli.
Infastidita, Haruhi tentò di allontanarsi di corsa, quando la coppia la notò: «Ehi, guarda là!»
«È un po’ rozza, ma ci si può lavorare. Mori, prendila prima che scappi».
Fu un attimo: anche se la ragazza avesse voluto fare qualcosa, in un istante due forti braccia la afferrarono e la tirarono all’interno della carrozza. I gemelli ripartirono a tutta velocità non appena gli sportelli si richiusero.
Nessuno si accorse di nulla, avvenne tutto troppo in fretta. Solo alcune ore dopo, rientrando a casa, Ranka avrebbe gridato al rapimento della sua amata figliola, quando della povera Haruhi non era ormai rimasta traccia a Parigi.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2. Il patto ***


Sulla via di Parigi, l’idea dell’Opera era venuta a noia, anche grazie all’intervento infervorato del duca Tamaki che aveva ribadito l’importanza di presentarsi alle feste in maschera con costumi pensati appositamente che lasciassero tutti senza fiato.
Aveva insistito, soprattutto, che avevano il dovere di vestirsi in maniera appropriata per non deludere nessuno, visto che ormai il loro gruppetto era diventato abbastanza celebre per il modo che avevano di attirare l’attenzione di tutti a ogni ballo e festa di corte. La cosa strana era che nessuno di loro si riforniva da Madame Bertin, sempre più in voga a Versailles, e che si rifiutavano di rivelare il nome della stilista che firmava i loro abiti.
Nessuno avrebbe confessato che tutti i loro meravigliosi completi erano stati disegnati dalla Contessa Hitachiin, la madre di Hikaru e Kaoru, che si divertiva molto nel ruolo di stilista. Non stava bene però che una donna del suo rango si mettesse a commerciare come una qualunque borghesuccia, perciò la dama si divertiva ad abbigliare i figli e i loro amici.
Da lì era nata la discussione sulla possibilità che col giusto abito qualunque donna, perfino una popolana, sarebbe apparsa più bella e sofisticata, specie con un modello di Madame Bertin o della Contessa. Tamaki era un estimatore della bellezza in quanto tale e sosteneva che sì, poiché la grazia sarebbe emersa anche dal camuffamento più bieco, mentre i gemelli e Kyouya erano convinti del contrario.
«Puoi prendere un brocco e strigliarlo, pettinarlo, mettergli una sella nuova e i finimenti più eleganti, ma non diventerà un purosangue per questo», aveva sentenziato il ragazzo prima di tornare al suo libro.
Hikaru e Kaoru avevano allora proposto di provare quella teoria e di cercare una ragazza carina ma non eccezionale, chiaramente povera, da trasformare in una signorina. Avrebbero provato a portarla a corte, così da vedere se era in grado di confrontarsi con le donne che erano addestrate fin dalla nascita a comportarsi come prevedeva l’etichetta.
E così avevano fatto: i due fratelli si erano issati a cassetta per vedere meglio le giovani che passeggiavano per le vie di Parigi così da trovare la candidata più adatta. Quando avevano notato quella ragazza dai lunghi capelli scuri, piatta e magrolina, entrambi avevano deciso che era lei quella giusta per il loro piano.
Se acchiappare quella popolana era stato semplice – con la forza di Mori non sarebbe mai potuta scappare – una volta tirata sulla carrozza questa aveva cominciato a dibattersi con tutte le sue energie.
«Lasciatemi andare!» gridava come un’aquila, decisa a non arrendersi. «Che cosa volete da me?»
Il gruppetto cercò di spostarsi per non essere colpito: si erano aspettati una resistenza, ovviamente, ma nessuno dei sei avrebbe creduto che una ragazzina così magra e minuta provasse a difendersi con tanta forza e coraggio. Era goffa nei movimenti e tentava di colpire a casaccio, ma nello spazio ristretto della carrozza rischiava di essere pericolosa.
Tamaki tentò di calmarla con le paroline che sussurrava alle dame di corte, ma ricavò soltanto un pugno sul naso, e si sistemò sul sedile foderato più lontano a massaggiarsi il viso piagnucolando. Honey parò alcuni colpi e le gettò tra le braccia il suo coniglietto rosa.
«Usa-chan, pensaci tu!», gridò come se il suo pupazzo avesse dei miracolosi effetti rilassanti.
Inaspettatamente, la sua mossa prese la giovane di sorpresa al punto che si fermò all’istante per acchiappare il coniglio al volo.
«Nessuno vuole farti del male, ragazzina», disse alla fine Kyouya, che fino a quel momento si era tenuto il più possibile in disparte per non essere colpito, «in realtà, vorremmo proporti un accordo».
«Che genere di accordo comincia con un rapimento?», sbottò Haruhi, ostinata.
Tamaki intervenne, sempre tenendosi il naso dolorante. «Uno che non potrete rifiutare, Mademoiselle: siete stata scelta per la nostra scuola di etichetta e portamento!»
«Che cosa?»
«Vogliamo istruire una ragazza del popolo e introdurla a corte spacciandola per una nostra parente», spiegò Honey, riprendendosi Usa-chan che già gli mancava.
«Farle mettere i più bei vestiti…»
«E gioielli!»
«Insegnarle a conversare e a danzare, in modo che possa sembrare una dama di alta classe senza destare sospetti».
La ragazza sembrava perplessa. «E perché?»
Ora erano i giovani nobili a essere confusi: non si aspettavano una reazione del genere, nel loro immaginario – specie in quello di Tamaki – la giovane avrebbe dovuto prostrarsi in ringraziamenti e accettare senza nemmeno chiedere un guadagno personale, felice dell’incredibile occasione che le era offerta. La fanciulla che avevano prelevato, però, non era affatto colpita da quello che le stavano spiegando, e nemmeno la proposta di poter indossare abiti e gemme pregiatissimi sembrava averla toccata.
«Perché sarebbe divertente?» rispose uno dei gemelli dallo spioncino. «E poi, abbiamo fatto una scommessa: il duca Tamaki ha scommesso che perfino una fanciulla rozza e senza istruzione come voi potrebbe passare per una vera donna di classe, con l’addestramento e gli abiti giusti».
Haruhi si sentiva rabbrividire di rabbia: ma come osavano essere così maleducati? Solo perché avevano un titolo nobiliare si permettevano di offendere senza badare al peso delle parole? Era inaccettabile! «E se io mi rifiutassi?»
Questa era una possibilità che i sei ragazzi non avevano nemmeno calcolato. «Perché dovresti farlo? Non puoi avere di meglio da fare».
«Devo finire le faccende, preparare la cena per mio padre…» cominciò a elencare la ragazza sulla punta delle dita, cercando di ricordare tutto ciò che aveva da fare in casa. «E il mio bucato! Se si mettesse a piovere? Ore di lavoro buttate».
Ai sei annoiati non sembrava vero: come poteva quella sciocchina preferire quelle occupazioni così materiali e degne soltanto di una serva ad andare con loro a Versailles?
«E inoltre», continuò Haruhi senza badare alle loro facce sconvolte, «non vedo che vantaggio mi porterebbe darvi retta. Una volta tornata a casa, a cosa mi servirebbero i vostri vestiti? Si rovinerebbero al primo lavaggio dei pavimenti. Per non parlare dei gioielli: se tentassi di venderli per comperarmi da mangiare, il gioielliere chiamerebbe i soldati e mi accuserebbe di averli rubati».
Una mente pratica e attenta al domani, qualcosa che ai giovani nobili capitava di rado d’incontrare. Si erano aspettati una ragazza frivola e molto felice di accontentare le loro richieste, e invece avevano probabilmente trovato l’unica donna di Parigi senza interesse per gli oggetti di lusso e i balli di corte.
Anche Haruhi trovava che fosse ridicolo: avevano acchiappato lei, quando la sua vicina di casa avrebbe fatto carte false per salire su quella carrozza e correre a Versailles. Cielo, se Jeanne lo avesse saputo!
«E se il nostro accordo prevedesse un tuo guadagno economico?»
La giovane si voltò: quel tipo dai capelli scuri e dall’espressione furba parlava poco, ma sapeva attirare la sua attenzione.
«Di che genere?», domandò ancora, continuando a fidarsi poco.
«Ci sarà un ballo tra due settimane a corte, un ballo molto importante: parteciperai all’evento spacciandoti per mia cugina e avrai il tuo carnet, su cui segnerai i nomi di tutti i gentiluomini che vorranno danzare con te. Ti darò dieci luigi d’oro per ogni nome».
Haruhi rimase a bocca aperta: dieci luigi d’oro per ogni firma sul suo registro? Non aveva mai visto tanto denaro tutto insieme in vita sua! Quel ragazzo doveva sguazzare nell’oro, se glielo offriva con così tanta facilità e senza porsi problema.
Dall’altro lato della carrozza, Kyouya sorrise con aria diabolica: «Ma per ogni signore che verrà a lamentarsi con me o con uno dei miei amici per i tuoi modi sgarbati, ti toglierò i soldi che avresti guadagnato per lui. Sta a te, dunque».
La ragazza ci pensò con attenzione: poteva rifiutare ancora e chiedere di essere lasciata in strada, per poi rimettersi a cercare lavoro dal fornaio, o negli atelier delle sarte nei dintorni, ma in quanto tempo avrebbe messo insieme i soldi che poteva guadagnare in due settimane con la proposta di quei ragazzi? Forse mai, e se il prezzo delle cose più basilari continuava a crescere con la stessa rapidità degli ultimi tempi…
Gli altri la stavano fissando, in attesa di una risposta: «L’accordo è tutto qui, non è vero? Non prevede niente di più… Infamante?»
Poteva essere una ragazza povera, ma non avrebbe mai commesso nessun atto che avrebbe fatto vergognare i suoi genitori, questo ci teneva a chiarirlo.
Tamaki sembrò offeso da quella domanda e si sbracciò per afferrarle le mani e giurare che nessuno di loro si sarebbe mai permesso di toccarla anche solo con un dito, se lei non gradiva.
«Non gradisco che mi si afferri per mano senza il mio permesso, allora», replicò fredda, infastidita da quel contatto.
Il giovane crollò di nuovo depresso, stroncato da tanta acredine.
Haruhi era certa che se ne sarebbe pentita, eppure… «Accetto».




Eccomi di nuovo qua! Ma che bello avere una riserva di capitoli per un aggiornamento continuo... Non mi capita spesso di essere in questa situazione e non è bello, me ne rendo conto, ma questa volta posso essere contenta. L'importante è non far esaurire la scorta prima di completare la storia... Capitolo tutto su Host Club, questa volta, ma spero che sia piaciuto anche ai fan di Lady Oscar. Alla prossima settimana! Rowi

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3. Addestramento ***


«No no no, così non va!»
Dopo tre giorni, Haruhi si chiedeva se non avesse commesso la più grossa stupidaggine della sua vita. Le lezioni che le impartivano i vari ragazzi erano sempre più pesanti, noiose e ai suoi occhi senza senso.
Ebbe l’occasione di scoprire che non sapeva danzare, né parlare né camminare, figuriamoci poi mangiare in maniera adeguata. La sera del suo arrivo alla magione del Duca Tamaki, i suoi ospiti erano rimasti sdegnati dal modo in cui aveva addentato una coscia di pollo, per dirne una. Era stato inutile spiegare da quanto tempo lei non vedesse un pezzo di carne, quasi non ci volevano credere.
Haruhi si domandò come fosse possibile vivere in due mondi così diversi pur vivendo a sole poche miglia di distanza, le sembrava davvero irreale. Allora era vero che i sovrani neanche conoscevano le misere condizioni in cui il loro popolo tirava avanti…
Le preoccupazioni che la affliggevano erano visibili sul suo viso, eppure era spronata a non crogiolarsi nei pensieri cupi. Per quei nobili era facile parlare così, ma come avrebbe potuto lei tornare alla sua vita sapendo tutte quelle cose? Non sapeva darsi risposta.
Scosse la testa e si concentrò a camminare nel modo in cui voleva il piccolo Honey, che a dispetto dell’apparenza era molto severo, forse il peggiore di tutti i suoi nuovi precettori.
«Haruhi, se non t’impegni non avrai neanche un nome sul tuo carnet, lo sai?» domandò Kyouya che stava leggendo un libro. Anche senza guardarla, sapeva sempre cosa stava combinando, gli errori che aveva commesso, le espressioni del suo viso.
«È più difficile di quanto credessi», ripeté per l’ennesima volta grattandosi la schiena. Maledetto corsetto, ma perché le nobili avevano bisogno di torturarsi in quel modo? Per non parlare della struttura che serviva a mantenere gonfia la gonna, si sentiva una vera sciocca conciata in quel modo.
«Nessuno di noi ha detto che sarebbe stato facile, ora ricomincia, da brava», ribadì facendo cenno a Honey di riprendere la lezione.
«Tu corri, Haruhi, non cammini: credi che le nobildonne si muovano davvero in quel modo?»
Perché incedere con quei passettini lenti e affettati, si chiedeva lei. «Non arriverò da nessuna parte, così», si lamentò, «se questo fosse il mio passo, normalmente non combinerei nulla in una giornata».
Era vero, aveva una camminata abbastanza selvatica, ma questo perché era cresciuta correndo nei vicoli stretti di Parigi sbrigandosi a tornare a casa, o a scappare da un gendarme quando era stata accusata di furto per aver raccolto la frutta caduta da un banco – che sarebbe comunque stata buttata via – oppure a fuggire quando un uomo ubriaco aveva tentato di metterle le mani addosso. In città si correva e si faceva modo di non perdere tempo, non s’incedeva in quella maniera ridicola!
«Devi mettere in mostra il tuo bellissimo vestito, farti notare da tutti quando entri in una stanza, ma non perché sembra che tu stia scappando da un incendio!», rimarcò Honey agitando il coniglietto in aria.
«Spiegami come devo camminare, ancora una volta», lo implorò Haruhi, sebbene le facesse ribrezzo l’idea di pregarlo per una cosa del genere.
Il ragazzo si sistemò il pupazzo sulla testa e le fece vedere una passeggiatina dimostrativa, guardando prima da una parte e poi dall’altra, e si esibì addirittura in una piroetta e in una riverenza, tutte mosse che una perfetta dama di corte doveva saper eseguire senza incertezze.
«Devi essere morbida e seducente, e sorridere sempre. Adesso la tua faccia urla sofferenza, neanche ti stessi torturando», commentò però quando la sua allieva tentò di ripetere i suoi movimenti. «Tieni, usa il coniglietto per avere un buon equilibrio».
Honey le posò Usa-chan sull’elaborata acconciatura che la cameriera le aveva fatto quella mattina e le ordinò di ricominciare da capo.
La ragazza fece qualche passo, terrorizzata all’idea che il coniglio di pezza le cadesse per terra: visto l’amore che il suo insegnante provava per quel giocattolo, non osava pensare a che punizione le sarebbe toccata per un’onta del genere.
Mentre la poverina tentava di svolgere il compito al meglio delle possibilità, qualcuno la spiava dalla finestra.
«Secondo me è senza speranza, se non riesce neanche a camminare, figuriamoci il resto», commentò Hikaru annoiato.
Anche il suo gemello era della stessa opinione: «Insomma, credevo che con un bel vestito fatto da nostra madre e la pettinatura giusta sarebbe sbocciata, eppure sembra proprio in difetto di femminilità».
Del terzetto di spioni, però, quello più strano era Tamaki: il giovane stava fissando la ragazza con aria stralunata, come se non avesse mai visto un’esponente del gentil sesso prima di allora. «Non lo so… Voi non la trovate carina?»
I due fratelli si fissarono e seppero che avevano appena avuto la stessa idea. Se avevano un passatempo preferito per sconfiggere la noia, quello era prendere in giro Tamaki e approfittare del suo carattere alla mano e dei sentimenti che tendeva a esternare senza porsi problemi. Se era interessato a quella popolana, anche se in maniera platonica, quella era un’occasione da sfruttare.
«Beh, abbiamo dovuto farle tenere le mani a bagno nell’acqua di rose per ore, prima che la sua pelle si ammorbidisse un poco», si lagnò Kaoru stando ben attendo a osservare le reazioni del suo amico. «E poi davvero, è così rozza… Non saprebbe sostenere alcun tipo di conversazione».
«Per non parlare di come tiene il ventaglio: se capitassi sulla sua traiettoria, potrebbe ucciderti!»
Tamaki scosse il capo come se fosse stato offeso lui stesso: «Che sciocchezze! Possibile che non sappiate vedere oltre le apparenze?»
La ragazza di Parigi lo aveva molto colpito, anche se non sapeva bene perché. Forse per il modo troppo onesto che aveva per esprimersi, diverso da quello delle donne di corte che frequentava abitualmente, forse perché in fondo era davvero carina anche senza tutti quei belletti. Certo stava benissimo in quell’abito così elaborato, ma lui avrebbe qualcosa provato qualcosa di più semplice e delicato, fluttuante come le ali di una fata…
Quando si riscosse da quella fantasia, il giovane si accorse che i suoi due compari non erano più al suo fianco, bensì avevano approfittato della sua distrazione e avevano raggiunto Honey e Haruhi, interferendo nella lezione.
«Secondo me il problema è che non si sente sensuale», stava dicendo Hikaru avvicinandosi alla ragazza in maniera un po’ troppo licenziosa. Le prese una mano e se la portò alle labbra, ma a quel contatto Haruhi si scostò all’istante, come se avesse toccato per errore la fiammella di una candela.
Anche Kaoru si pose al suo fianco, bloccandola così tra sé e il fratello, e le sorrise con aria maliziosa. «Insomma, sei agghindata al tuo meglio, hai tutto in mostra… Anche se il tuo décolleté non è poi così fornito».
Ma che le toccava sentire… Già era imbarazzante che la sua guardarobiera – aveva scoperto solo dopo che era la madre di quei due insopportabili, pestiferi gemelli – avesse insistito per imbottirle la scollatura per sopperire a quello che madre natura si era dimenticata di darle, ma rimarcare la cosa in quel modo, davanti a tutti!
Hikaru e Kaoru si stavano divertendo a metterla in imbarazzo in quel modo, anche perché era stato subito chiaro che la ragazza era più pudica di quello che i suoi modi un po’ aggressivi lasciassero intendere, e in più erano consapevoli che Tamaki stava guardando e che probabilmente stava già friggendo di rabbia.
«Tu pensi troppo, piccola Haruhi… Se cercassi di divertirti, secondo noi, ti verrebbe tutto più naturale».
Era fin troppo chiaro a che genere di trastullo stavano parlando quei due. Haruhi arrossì e cercò di ribattere, ma fu interrotta dal tonfo che fece Tamaki nel tentativo di entrare dalla finestra.
«Smettetela, voi due, non vedete che la state mettendo in difficoltà?» riuscì a gridare anche dalla posizione in cui si trovava. A quel punto riuscì a balzare fino ai piedi di Haruhi e, mettendosi in ginocchio, fu il suo turno di farle il baciamano. «Mademoiselle, finché ci sarò io questi due non vi arrecheranno disturbo, ve lo giuro sul mio onore».
Era una serie di attenzioni a cui Haruhi non era abituata e che la mettevano in difficoltà. Normalmente, a Parigi avrebbe evitato di concedere anche solo un minuto del suo tempo a cascamorti del genere, poeti e scrittori da quattro soldi che passavano le giornate a ubriacarsi nelle taverne della città, e in diverse occasioni non si era fatta scrupoli a colpirli se non desistevano a parole, però… In quella casa, così ricca e sfarzosa, e in quegli abiti che non le appartenevano e che la facevano sentire a disagio, Haruhi non sapeva come comportarsi.
Sentendosi messa alle strette, la giovane si divincolò dalla presa di Tamaki e scappò via fino alla stanza che le era stata assegnata. Fu un’impresa non da poco su quelle scarpe, che calciò via non appena la porta si chiuse alle sue spalle.
Era frustrata: non si era mai sentita così impotente, sebbene la sua condizione sociale non le permettesse di godere di alcuna sicurezza. Persino vagare da una bottega all’altra cercando un lavoro era meno vergognoso, a pensarci bene, perché almeno quello le era naturale, tentare di trovare un modo per sostenere la propria esistenza. Eppure, in quel mondo… Aveva senso affannarsi tanto per delle simili sciocchezze?
Prima che se ne potesse accorgere, era stesa sul letto col guanciale sulla testa, cercando di scacciare tutti i cattivi pensieri che le passavano per la testa e quel senso di tristezza che l’aveva avvinta.



Angoletto dell'Autrice: Un capitolo che mi sono davvero divertita a scrivere: ci voleva il modo di tradurre l'attitudine alle arti marziali (e da capetto spaccaossa che aveva nel club di karate) di Honey... Che ne dite, lo vedete bene come insegnante di portamento? XD
Spero che anche questo capitolo sia piaciuto: sono contenta di vedere che ci sono tante persone a seguire questa storia, specie lettori di lady Oscar, che per ora è stata un po' sacrificata... Abbiate ancora un po' di pazienza e torneremo a Versailles! ^^

Rowi

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4. Cambio di piani ***


Dopo appena qualche minuto, stanca di quel far nulla a cui non era abituata, Haruhi decise di approfittare di quel tempo per sé che si era ricavata con la sua piccola fuga per guardarsi meglio in giro: non aveva ancora avuto modo di curiosare nella camera in cui era stata alloggiata, poiché c’era sempre qualcuno con lei. Al suo arrivo e ogni mattina, era ostaggio delle cameriere, che la prendevano e la maltrattavano in ogni modo: le infilavano strati su strati di stoffa, il corsetto, poi quegli abiti pesantissimi che la obbligavano a stare curva, quindi una ragazza che doveva avere la sua età le tirava i capelli fino a farle venire le lacrime agli occhi e li acconciava in quelle pettinature tanto ridicole quanto alla moda. Una vera e propria tortura, se pensava che a casa impiegava a malapena qualche minuto a prepararsi per la giornata.
Lasciando da parte quei pensieri, Haruhi cominciò ad aprire gli armadi, incuriosita, e si trovò davanti un’infinità di abiti maschili. Sembravano le vesti smesse di qualche anno da Tamaki, ora di certo gli erano troppo piccole…
Che spreco, pensò, con tutte quelle stoffe avrebbe potuto vestire per anni tutto il suo quartiere! Era quasi nauseata dal distacco che c’era tra la vita che conduceva lei e quella dei ragazzi che aveva appena conosciuto.
Poi, improvvisamente, le venne un’idea: si svestì più in fretta che poté – anche se emergere dal corsetto non fu per niente semplice – e s’infilò un paio di comodi pantaloni e una camicia bianca. Sì, così stava davvero comoda! Si era appena messa la giacca e i lunghi stivali, quando qualcuno bussò alla porta.
«Possiamo entrare?»
Oh no, c’erano tutti! Haruhi riuscì appena a voltarsi con un’espressione colpevole. Che cosa avrebbero detto nel vederla vestita in quel modo?
Inaspettatamente, però, i sei ragazzi sembrarono colpiti dalla sua trasformazione.
Perfino Mori fu così sorpreso che commentò la cosa. «Ehi, così funziona molto meglio!»
Honey si trovò d’accordo e le chiese di esibirsi in un giretto su se stessa, per mostrare meglio la sua mise, cosa che la ragazza completò senza inciamparsi né cadere, una vera novità. Fece anche un inchino come aveva visto eseguire dai suoi nuovi compari quando entrava in una stanza agghindata da dama con una semplicità che lasciò tutti a bocca aperta.
«Incredibile a dirsi», rincarò Kaoru, «sembri più naturale in queste vesti che nell’abito da nobildonna di prima».
Anche Hikaru era d’accordo: «Già, a quanto pare…»
Haruhi non sapeva se sentirsi contenta per aver trovato una soluzione che le permetteva di non uccidersi ogni volta che tentava di muoversi o se offendersi per il malcelato insulto dei gemelli, l’ultimo dei tanti che aveva ricevuto.
«Allora che suggerite di fare?» sbuffò con aria annoiata, cercando di riavviarsi con le dita i capelli che iniziavano a cadere dalla sua pesante acconciatura.
Era la domanda sbagliata, ma se ne accorse troppo tardi, quando i sei la fissarono con un’aria molto, molto divertita. Una cameriera fu chiamata per finire al volo di sistemare la nuova tenuta della ragazza, specie per liberare i suoi capelli da tutti quei ricci ottenuti con così tanto duro lavoro, dai fiocchi e dai nastri che li tenevano legati in quelle onde delicate, mentre i suoi ospiti le mostravano come camminare e fare l’inchino, una manovra ben più semplice della lezione di portamento tenuta da Honey.
Quando fu vestita di tutto punto, Haruhi si cimentò in quella nuova prova, riuscendo al primo colpo per la contentezza di tutti.
«Bisognerebbe insegnarle anche a danzare correttamente, almeno… Sono le basi per portare avanti una buona mascherata» si lamentò Tamaki, poiché quell’argomento gli stava molto a cuore. «Come possiamo portarla a Versailles così?»
Kyouya scosse il capo, però: «Non c’è tempo, manca ormai una decina di giorni al ballo, deve vedere con i suoi occhi». Doveva vedere Versailles, spiegò, e osservare la corte, vedere come si comportavano le dame – ammirare la regina Maria Antonietta perfino! – e capire in cosa sbagliava. «Cambiamo le carte in tavola, per rendere il gioco più interessante. Interpreterai due ruoli: sarai un nobile dalle scarse finanze che cerca un marito per la sua bella sorellina, è chiaro?»
Certo che era chiaro, eppure Haruhi era dubbiosa. «Ma alla sera del ballo come farò a essere due persone?»
«Il fratello si darà malato e noi lo sostituiremo per fare da chaperon alla bella contessina», rispose annoiato il ragazzo, come se fosse ovvio. «Devi anche vedere quali sono i normali atteggiamenti degli uomini, a corte: nessuno si sognerebbe di alzare le mani su di te, ma come risponderesti a un commento spinto a un’allusione troppo volgare?»
La giovane lo sapeva benissimo: nel mondo da cui veniva, avrebbe risolto con un bello schiaffone, ma anche con la sua scarsa educazione sapeva benissimo che quel comportamento non sarebbe mai stato perdonato. Doveva essere preparata, così da non commettere errori che le impedissero di avere il denaro.
Agli altri, il piano piacque molto: un doppio inganno sarebbe stato due volte divertente.
«Diremo che ti sei appena rimessa da una brutta malattia, così non sarai obbligata a cavalcare o a compiere qualunque attività fisica che potrebbe smascherarti», suggerì Kaoru, che aveva notato subito come la ragazza non fosse portata per alcun genere d’impegno che richiedesse del movimento, se non correre in maniera del tutto sgraziata. «E la buona notizia è che finalmente ballerai nel modo giusto».
A quel commento Haruhi arrossì ricordando l’unica lezione di danza con Tamaki che aveva affrontato fino a quel punto: gli aveva pestato i piedi di continuo, incapace di lasciarsi portare, tanto che era dovuto intervenire Mori con la sua presenza fisica e la presa salda per condurla nella maniera corretta.
«Posso farcela», commentò semplicemente. Stava a lei vincere la scommessa, per cui doveva smettere di lasciarsi trattare come una bambola e prendere in mano il gioco, anche se ancora quasi non conosceva le regole.
Poiché erano tutti d’accordo, fu fatta preparare a tempo di record una carrozza e tutta la combriccola si mise in viaggio, mentre continuavano a tempestare la giovane di consigli e suggerimenti. Arrivarono ai cancelli Versailles in poco tempo, col cocchiere che spronava i cavalli, ma la strada per giungere al palazzo era ancora lunga.
La conversazione si era spostata sulla decisione di dove far alloggiare Haruhi. Ognuno dei ragazzi aveva degli appartamenti alla reggia, come si confaceva alle famiglie dei nobili che giungevano da lontano: nacque in fretta una gara per stabilire chi avrebbe ospitato nei propri alloggi la ragazza, la quale per altro fu subito tranquillizzata sul fatto che ciascuno potesse contare su più d'una camera, per cui sarebbe stata mantenuta una certa intimità. Haruhi osservava tutto ciò che aveva intorno con occhi sgranati, sempre più sorpresa, emozionata ma al contempo furiosa. Non era mai stata alla reggia, ovviamente, ma aveva sentito parlare del lusso sfrenato della corte, avvertiva una pessima sensazione vedendola così da vicino. Era sempre più convinta che la vita dei nobili non facesse per lei, tuttavia…
«Qualcosa non va, Haruhi?»
«Non saprei da dove cominciare», tagliò corto lei preferendo non entrare nei dettagli e continuando a guardare fuori dal finestrino della carrozza.
«Devi toglierti questo atteggiamento negativo, o nessuno crederà mai che sei di nobili origini».
«Ma se hai deciso che sono un nobile sul lastrico!»
I modi di Kyouya sapevano essere davvero pungenti.
«Se ti presenti così, però, nessuno vorrà neanche conoscere tua sorella!» sbottò Tamaki. «Forse hai pensato che fingerti un uomo fosse più semplice, ma anche i gentiluomini devono essere impeccabili nei modi e nell'atteggiamento che tengono, specie nei confronti delle signore».
Che fare, ricordare a quello sciocco che anche lei era una signora, almeno tecnicamente, o soprassedere e non rimarcare l'ennesimo inutile commento di Tamaki? Forse era meglio la seconda scelta…
Ogni suo pensiero però si dissipò quando vide la reggia. Rimase a bocca aperta: «Non ero mai stata a Versailles, neanche all’incoronazione, poiché non avevamo vestiti abbastanza nuovi per l’occasione e… Accidenti, è come se fosse una piccola città!»
Il suo stupore intenerì i compagni, lo trovavano così genuino e sincero… Quando mai avevano incontrato una persona simile? «Andiamo, cominceremo a presentarti ai nostri amici».




Angoletto dell'Autrice: Ci siamo, stiamo arrivando a Versailles! Inizialmente non avevo pensato che sarebbe stato così lungo, ma questo gruppetto di personaggi mi prende sempre molto la mano... Vogliono che segua i loro ordini e mi danno pure della plebea, sigh!
Grazie a tutte le persone che mi seguono e recensiscono, temevo che questa storia così particolare non sarebbe piaciuta... Felice di essere stata contraddetta! ^^
Alla prossima settimana! Rowi

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5. Segreti e minacce ***


Oscar aveva appena finito la rassegna dei plotoni, completando così le esercitazioni a cui sottoponeva i suoi soldati ogni giorno per temprarne la resistenza e la disciplina, e stava controllando le sale più vicine agli appartamenti della regina, che come al solito stava tenendo una festa.
«Chi sarebbe il nuovo amico dei nostri burloni?» domandò ad André che la seguiva come un’ombra. Molti avevano parlato male della sua scelta di avere sempre un popolano con sé alla reggia, un onore esagerato per una persona che non poteva contare nemmeno una goccia di sangue nobile nelle sue vene, eppure la donna sapeva che il suo compagno d’infanzia era particolarmente bravo a carpire informazioni e pettegolezzi, oltre a essere un buon amico e confidente. Non avrebbe mai fatto a meno di lui, sarebbe stato come rinunciare a un pezzetto della propria anima.
«Intendi quel ragazzo magro e sperduto? Lo hanno presentato poco fa, è appena arrivato dalla provincia», commentò André sporgendosi per osservare meglio la scena. «Pare che abbia una sorella da maritare ma pochi soldi per metterle insieme la dote, oltre a un rapporto di sangue con una famiglia antica».
«Compito difficile, non c'è che dire. Di giovani in età da marito è piena Versailles, e molte possono vantare ben altre credenziali per trovare uno o più pretendenti…» Oscar era felice di non dover preoccuparsi di questo genere di cose: essere stata cresciuta come un uomo le aveva evitato tutta la trafila che le dame di corte affrontavano pur di trovare un marito e sistemarsi. Molte vivevano l'attesa del matrimonio con angoscia, sapendo di essere solo un peso per la propria famiglia, altre invece cercavano di divertirsi in ogni modo per evitare di pensare al destino inevitabile, gli sponsali con uomini che non amavano e in molti casi ben più anziani di loro. 
Non erano problemi del comandante delle guardie che, con la sua educazione maschile e il suo ruolo nell'esercito, era salvo dal dramma del matrimonio che affliggeva le sue coetanee. «Teniamo d'occhio anche lui, in ogni caso. Non mi fido, te l'ho detto».
«Ha un aspetto molto delicato per un uomo, non ti pare? Non è particolarmente elegante, a differenza dei suoi amici, eppure non sembra proprio un ragazzo…»
Oscar fissò l'amico senza intuire il senso della sua allusione. L'attendente a sua volta le sorrideva, aspettando che capisse l'ovvio: forse perché aveva vissuto fin da quand'era bambino al fianco della giovane De Jarjayes e sapeva notare dettagli che agli occhi degli altri erano privi di significato.
«Secondo me abbiamo a che fare con una ragazza travestita» spiegò alla fine, vedendo che Oscar non aveva colto.
«Cosa? Da che sapresti dirlo?»
«Per come si muove e osserva le persone che ha intorno: sembra avere un certo timore degli uomini, se mi passi il termine».
Oscar tornò a fissare il nuovo arrivato chiedendosi se André avesse ragione. C’erano donne a Versailles che indossavano panni maschili per rendersi interessanti agli occhi degli altri cortigiani, ma nessuna di loro si presentava con un nome maschile. E il titolo nobiliare, quello era autentico, almeno? A questo punto voleva saperne decisamente di più.
Ma Oscar non era la sola interessata a Haruhi e al suo strano ruolo. Un giovane sconosciuto e senza mezzi alla corte di Francia poteva essere una pedina interessante per molti che stavano nell'ombra a tirare i fili non visti.
Un paio d'ore più tardi, Haruhi si offrì di accompagnare Honey a prendere il tè con i pasticcini in giardino, tanto per cambiare un poco situazione. Il ragazzo la incuriosiva: aveva notato che non si vedevano bambini in giro a corte, per cui l'aspetto tenero e infantile del giovane conte Haninozuka attirava l'attenzione nei saloni di Versailles, specie quella delle dame. 
«Andiamo a prendere il tè con il coniglietto!» canticchiava contento mentre saltellava per i corridoi.
Alla ragazza venne istintivamente da sorridere: non era poi diverso dai ragazzini che correvano per le ruelles di Parigi, tolti il titolo nobiliare, i vestiti eleganti e la condizione di primogenito destinato a ereditare una fortuna. Teoricamente Honey aveva già l'età per sposarsi, essendo un principe del sangue, l’erede di una famiglia nobile molto antica e dai mezzi praticamente illimitati, eppure convolare a nozze era proprio l’ultimo dei suoi pensieri. Haruhi sapeva che aveva una fidanzata, ma non ne parlava mai.
«Non ti sembra strano vestire questi panni? Io con una sottana sarei a disagio».
«Saresti molto carino, ma no. Di tutte le cose strane che vedo in questo posto, l’idea di fingermi un uomo è quella che mi crea meno problemi».
«Comunque scommetto che per le tue nozze…»
Haruhi tagliò corto, per evitare l’argomento. «Non c’è matrimonio in vista per me: non ho niente, neanche un soldo per la mia dote, perciò nessuno mi prenderebbe», gli rispose senza mezzi termini, con la sua lingua schietta e la consapevolezza di quello che il mondo le aveva riservato. «Comunque a me non dispiace troppo, in questo modo posso leggere e occupare il tempo come più mi aggrada, mentre se avessi un marito dovrei vivere in funzione sua e della casa. La libertà che mi ha concesso mio padre è qualcosa a cui difficilmente saprei rinunciare».
«Che strano, sei la prima persona che conosco a cui non importa… Voglio dire, a nessuno di noi importa, ma prima o poi dovremo farlo. A parte Tamaki, ovviamente».
«A parte Tamaki? Ma lui è un duca!»
Honey sembrò indeciso sul continuare il discorso, ma alla fine sospirò: «Sua madre non è nobile, è una domestica della sua famiglia ed è l’unica donna che il Duca di Suoh abbia mai amato. Non può sposarla, perché darebbe scandalo e la famiglia non glielo permetterebbe mai, ma allo stesso tempo non vuole accettare un’altra moglie. Così non avrà mai altri eredi, e Tamaki è stato accolto dalla nonna perché ripudiandolo avrebbe estinto il casato».
«Un illegittimo?» domandò con un filo di voce Haruhi, allibita.
«Hanno raccontato che sua madre è morta di parto, quando in realtà gli ha fatto da balia. Ora Anne-Sophie lavora in una tenuta della famiglia dove Tamaki non può recarsi senza autorizzazione, per evitare ogni pettegolezzo, eppure non è bastato, le voci sono circolate lo stesso…»
Non riusciva a capire: Tamaki aveva accesso alla reggia e veniva chiamato duca, sebbene suo padre fosse ancora in vita… Che fosse un modo per disprezzare le sue origini? «Ma è stato riconosciuto, se si fregia del titolo».
«Se la nonna riuscisse a trovare il modo per obbligare Yuzuru a sposarsi e ad avere altri figli, sarebbe subito ripudiato. E forse anche questo sotterfugio è stato possibile solo perché i Grantaine sono nobili decaduti» rispose con una certa acredine Honey, stringendo più forte Usa-chan. «Non mi piace cosa succede a casa sua, suo padre si comporta da debole e la nonna è una strega».
Forse il mondo dorato in cui era stata catapultata non era poi così brillante… Haruhi pensò a suo padre e al periodo, seppure breve, di felicità che aveva vissuto con la madre. Erano stati contenti, anche se con scarsi mezzi, e anche così si arrangiavano come potevano ma senza mai perdere il sorriso. Suo padre, almeno, che era un inguaribile ottimista.
Non sapeva che pensare. «Perché me lo hai raccontato così? Sono cose personali e magari non voleva nemmeno che lo sapessi».
«Trattalo meno male: lui si affeziona davvero nel giro di un minuto, neanche i miei cani da caccia sono così rapidi», commentò Honey con un sorriso, riprendendo a canticchiare il motivetto di prima.
«Ma perché… Perché permette tutto questo?»
«Potrebbe ribellarsi, dici? Certo, potrebbe correre dalla madre e vederla, e poi? Anne-Sophie verrebbe licenziata e cacciata via: come potrebbe vivere sapendo che sua madre non ha un tetto sulla testa né un soldo, o un lavoro?»
Non potrebbe, capì Haruhi con uno strano groppo in gola. Lo aveva giudicato troppo in fretta e con cinismo. Eppure, c’era qualcosa in Tamaki che ancora non riusciva a comprendere: come poteva essere così sereno e scherzare di gusto tutto il giorno, se non gli era permesso vedere la propria madre? Lei sarebbe impazzita.
Era vittima di un ricatto bello e buono… Perpetuato dai suoi stessi parenti!
«Scusami un minuto, Honey, ti raggiungo subito» gli disse piano fermandosi in mezzo al corridoio.
Il suo amico sembrò in dubbio sul da farsi: «Gli altri mi hanno chiesto di non lasciarti mai sola, per assicurarci che il piano non vada a monte».
«Capisco, ma non ti devi preoccupare: voglio solo schiarirmi le idee, altrimenti non riuscirò a recitare al meglio la mia parte» spiegò Haruhi cercando di controllarsi. Fortunatamente riuscì a convincere Honey, che le mostrò la via per trovare anche da sola la zona dei giardini in cui sarebbe stata servita la merenda, per poi sparire con qualche balzo dietro un angolo.
La ragazza era turbata, avvertiva dei sentimenti che le erano totalmente estranei: perché provava quel bisogno insensato di vedere Tamaki felice? Non ne aveva motivo, lo conosceva appena e in ogni caso in confronto a lei svolgeva una vita senza affanni né preoccupazioni… Ma lo si poteva definire felice?
Haruhi si appoggiò alla parete, guardando di sbieco la bellezza pura e geometrica dei giardini della reggia, attraverso una finestra dalla magnifica cornice dorata.
No, non poteva essere felice se era obbligato a tenersi lontano da sua madre o se doveva trattarla come una domestica di fronte al mondo. Allo stesso tempo, però, non le pareva concepibile che giocasse, ridesse e facesse il cascamorto con tutte le dame della corte.
Quando lei e Honey si erano allontanati, Tamaki stava sussurrando qualcosa all’orecchio di una ragazza con un nido d’uccelli in testa, che rideva come una sciocca alle sue parole.
C’era anche un'altra domanda che le balenava spesso in mente: quanto erano spregiudicati i suoi compagni d’intrighi?
Dai discorsi che aveva sentito negli ultimi giorni, sembrava che trattassero le giovani donne di cui si circondavano come galline senza cervello, da usare e prendere in giro, senza alcun rispetto. Nessuno aveva tentato di metterle le mani addosso, sebbene si divertissero molto a coinvolgerla in quei siparietti che lei trovava vergognosi, ma forse era solo perché non volevano sporcarsi con una popolana… Haruhi non desiderava quel tipo di attenzioni – anche perché non sapeva nulla in maniera e voleva continuare su quella strada – eppure sentiva una barriera tra lei e il sestetto di nobili, il che la rendeva triste, in un certo senso.
Era ancora concentrata su tutte quelle riflessioni, quando due mani forti l’afferrarono all’improvviso e la trascinarono via.
«Ancora? Che succede?» domandò senza allarmarsi. Non vedeva chi l’aveva acchiappata, ma i gemelli erano piuttosto avvezzi a quei modi, per cui diede per scontato che fossero loro.
«Fa’ silenzio, o ti taglio la gola».
Haruhi si sentì gelare il sangue: chi era e cosa voleva da lei? Non aveva messo in conto di farsi dei nemici a Versailles, specie in così tempo poi.
«Chi siete? Lasciatemi, o chiamerò aiuto» tentò di minacciare lei, pur sapendo di non essere credibile. Non riusciva nemmeno a divincolarsi tanto era forte la stretta dello sconosciuto, per cui non poteva fare niente. La sua sola speranza era che qualcuno passasse e intravedesse la loro figura dietro la tenda dove era stata portata, ma improvvisamente la reggia sembrava deserta.
«Ascoltami con attenzione, ragazzino, dovrai fare una cosa per me», sibilò quello senza neanche prendersi la briga di risponderle. «Tu e tua sorella andrete al ballo della Regina, non è così?»
«Perché, è forse un crimine?» rispose asciutta cercando di non mostrare la sua paura.
«Affatto: a quel ballo dovrai uccidere la Regina».
Haruhi spalancò gli occhi, sotto shock. «Come? Non posso, io…»
«Lo farai, altrimenti mi occuperò di persona di tua sorella, e ti assicuro che quando avrò finito non riuscirai a farle sposare neanche l’ultimo mendicante di Parigi».
L’uomo misterioso fece un breve sunto di cosa aveva in mente per la fantomatica Contessina di Tolone, che fece venire le lacrime agli occhi della giovane donna, si assicurò che il malcapitato prigioniero avesse inteso cosa rischiava e scomparve com’era arrivato.
Tutto si era svolto così in fretta che Haruhi era assolutamente frastornata: cosa doveva fare? Si sentì improvvisamente le gambe molli e si lasciò cadere a terra, improvvisamente sconfitta e impotente.
«Signor Conte, va tutto bene?»
Un giovane dai capelli scuri e dagli occhi verdi si era inginocchiato accanto a lei, accorso a vedere che cosa stesse succedendo. Sentendo quella voce gentile e aperta Haruhi scoppiò a piangere, abbandonandosi alla disperazione tra le braccia dello sconosciuto.





Angoletto dell'Autrice: Ed eccoci, finalmente (direte voi ^^) siamo tornati a Versailles. Oscar mi viene sospettosa in questa storia, ma del resto con sette soggetti del genere... Chi starebbe tranquillo?
Ho voluto trasformare un po' la storia di Tamaki e inserirla nella fic, vista soprattutto l'importanza che ha nel manga mi sembrava fondamentale inserirla.
Grazie a tutte le persone che hanno letto e commentato la storia fin qui, spero continui a piacervi! ^^

Alla prossima settimana per l'aggiornamento, con il capitolo: 6. Doppio gioco e duelli

Rowi

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6. Il duello ***


Angoletto dell'Autrice: Anticipo l'aggiornamento perché domani ho un matrimonio e non so se e quando tornerò a casa, e soprattutto in che stato, visto che mi aspetta un pranzo megagalattico... Mi sa che andrò dritta a dormire, giusto dopo aver preso il bicarbonato! XD
Spero vi piaccia anche questo capitolo, avete indovinato chi ha soccorso Haruhi (ma chi di noi non si farebbe soccorrere da Andre? Mannaggia! XD), vedremo come aiuterà la nostra sfigatissima eroina.
A voi, buona lettura!

Rowi



Quando la ragazza si fu calmata, André si fece raccontare cos’era successo e, interpretando subito la gravità dei fatti, la convinse a parlare subito con Oscar perché il comandante fosse informato di tutta la faccenda. L’attendente cercò di nascondere la sua soddisfazione – non vedeva l'ora di gongolare con la sua amica, i suoi sospetti sulla natura del nuovo arrivato si erano rivelati esatti! – e condusse Haruhi fino al cospetto del suo superiore, che per fortuna era nei paraggi.
Non fu semplice far parlare ancora la ragazza, però, perché davanti alla divisa del comandante si bloccò terrorizzata dalle conseguenze che il suo patto avrebbe potuto comportare. Fingersi un nobile senza avere nemmeno una goccia di sangue blu nelle vene era pericoloso e comportava pene esemplari. Avrebbe capito cosa l’aveva spinta a tanto quella donna travestita da uomo proprio come lei?
«Spostiamoci in un luogo più appartato», propose André con gentilezza, così da invogliare Haruhi a rivelare ciò che le era capitato. «Non ti succederà nulla, hai la mia parola».
Oscar comprese all'istante che la questione era delicata, eppure fremeva nel sapere cosa aveva scoperto il suo attendente, che aveva una faccia grave e preoccupata: nonostante i toni pacati del suo parlare, infatti, s'intuiva subito che in ballo ci fosse una questione molto seria. Dovette appellarsi a tutto il suo contegno per non incalzare il giovane di domande perché le rivelasse tutta la storia.
Quando Haruhi si decise a chiedere aiuto – perché di questo si trattava – la donna rimase stupefatta: non riusciva a credere che si potesse ordire un simile intrigo a Versailles senza che lei se ne accorgesse, era davvero assurdo!
Era una fortuna che André fosse comparso nel giusto momento per carpire quell’informazione… Cosa avrebbe fatto, senza di lui?
«Qualcuno deve aver deciso di sfruttare la vostra precaria posizione per compiere il più efferato dei delitti», aveva sentenziato Oscar François De Jarjayes dopo aver sentito della minaccia, «ma, anche eseguendo agli ordini di quest’uomo, non risolvereste nulla. Con un congiunto accusato di regicidio, vostra sorella…»
«Sono io, la sorella!» sbottò Haruhi cercando di controllarsi per quanto le era possibile, che fino a quel momento aveva evitato di svelare quel dettaglio, perché in fondo per lei i sessi non erano importanti. Da suo padre aveva imparato che non erano importanti le apparenze fisiche, e nel luogo da dove proveniva… Beh, si moriva di fame a prescindere dall’essere uomo o donna. Raccontò tutto l’inganno che aveva contribuito a mettere in piedi, sperando di poter ottenere una qualche forma di perdono senza che i suoi gesti subissero qualche punizione, così che il comandante avesse tutta la situazione ben chiara.
Oscar era a dir poco furente, ma André seppe mitigare la sua rabbia. «Per quanto questa storia non mi piaccia, al momento questo stratagemma sull’identità della Contessina è l’unico vantaggio che abbiamo su questo misterioso cospiratore. Non hai notato alcun dettaglio per aiutarci a trovare quest’uomo, Haruhi?»
«No, ero troppo spaventata. Solo… Le mani gli puzzavano di tabacco, ho distinto l’odore chiaramente quando me le ha premute sul viso per farmi tacere».
«Il tabacco da fiuto è un’abitudine molto diffusa tra i nobili, purtroppo non è identificativo» sospirò Oscar. «Ci conviene portare avanti la mascherata».
«Cosa?» Era l’ultima cosa che Haruhi avrebbe pensato di udire.
Il comandante cominciò a passeggiare per la sala, pensieroso. «André ha ragione: se chi ti ha incaricato di uccidere Maria Antonietta scopre che sono a conoscenza della verità, tenterà di ucciderti alla prima occasione. Non deve sospettare di nulla fino al momento in cui sarà possibile conoscere la sua identità e catturarlo. Per evitare di subire nuove pressioni, tra qualche giorno potresti annunciare che ti recherai ad accogliere tua sorella sulla via e comparirai in abiti femminili dicendo che tuo fratello si è dovuto assentare per motivi di affari».
Iniziava a non capirci più nulla, povera Haruhi! «Ma così non sarà troppo rischioso? Se mi ha avvicinato in maniera così spregiudicata credendomi un uomo, potrebbe minacciarmi anche più seriamente vedendo che il Conte è sparito».
«Uno di noi ti seguirà sempre, in modo da controllare i tuoi movimenti e vigilare su di te», rispose con dolcezza André. «Se rimarrai con i tuoi amici, non ti succederà nulla di male».
Già, i suoi amici. «A loro che dovrò dire?»
«Nulla» il comandante era deciso e senza mezzi termini. «Meno persone sono a conoscenza di quello che sta succedendo e meglio sarà. Faresti meglio a tornare a quanto stavi facendo, così da non insospettire nessuno».
Il tono di voce non lasciava spazio per altre discussioni, ma Haruhi fu colpita più dall’assenza di formalismo nel modo di rivolgersi a lei, il voi rispettoso che la donna le aveva rivolto fino a quando non le aveva svelato la sua vera identità e che subito era scomparso.
Stava rischiando grosso, lo sapeva. «Signor Oscar…»
«Ho già sentito abbastanza, per oggi. Farò finta di esser stata sorda per la maggior parte del tempo, ma non approfittare della mia clemenza. Se non fosse in pericolo la vita della mia Regina, ti rispedirei subito a Parigi».
Haruhi chiuse la bocca e piegò la testa in un inchino, per non cercare altri guai. Fece per andare in giardino, dove di certo Honey si stava chiedendo che dove fosse finita, quando André si offrì di accompagnarla.
«Per evitare altri brutti incontri, e poi abbiamo promesso di proteggerla ovunque» disse a Oscar, che sembrava indispettita da quella disponibilità.
Si avviarono per il corridoio, con la ragazza che sembrava mortificata. «Sapevo che questa storia sarebbe finita in un disastro» mormorò con voce funerea.
André scosse il capo, per confortarla. «No, adesso sei al sicuro. Puoi fidarti di Oscar, non ti succederà niente».
«E quando i cospiratori saranno presi, cosa accadrà a me? Impersonare un nobile è un reato, io ne interpreto addirittura due!»
«Non ti succederà nulla di male, te lo prometto, nemmeno per questo piccolo inganno. Certo non avresti dovuto accettare: in altre circostanze, saresti finita nei guai e quegli sciocchi l’avrebbero fatta franca» la rimproverò l’attendente, ottimista sul fatto che non ci sarebbero state conseguenze per la giovane.
Haruhi fece per ringraziare il suo salvatore, che sembrava davvero onesto e deciso ad aiutarla a tornare a casa sana e salva, quando in fondo al corridoio comparve Honey, che corse loro incontro e si gettò tra le sue braccia. «Ma dov’eri? Ti stavo cercando… Oh, salve, André».
«Ho trattenuto io il Conte, signore» rispose l’attendente piegandosi in un inchino come si conveniva per il rango di sangue del ragazzo, sebbene dimostrasse l’aspetto di un bambino. «Dato che è appena arrivato dalla provincia, volevo mostrargli qualche scorcio tipico della reggia».
Honey annuì, ma con il suo solito modo lo congedò con un sorriso. «Sei stato gentile, ma il Conte era atteso per il tè. Andiamo, su».
Haruhi annuì e si separò da André, che continuò comunque a seguirli a una certa distanza per mantenere fede al loro patto. La ragazza era molto agitata: non le piaceva l’idea di avere un segreto con i suoi amici – sempre che potesse definirli così – ma se quelle erano le condizioni del signor Oscar per proteggerla… Non aveva molta scelta, purtroppo.
Per fortuna, Honey non si accorse di nulla e la condusse a prendere il tè, dove fu presentata a un’altra decina di nobili e si ritrovò a rispondere a un mare di domande.
S’inventò un sacco di storie su dove proveniva, quante generazioni di sangue nobile poteva vantare, quanto sua sorella era bella e istruita, come mai non si era mai recato alla reggia…
Imbarazzata per essere così al centro dell’attenzione, Haruhi tentò di trovare una risposta sensata per ognuno, con la massima educazione e deferenza che riusciva a esprimere. L’amico si sorprese nel notare che spesso molte delle sue repliche erano acide e condite di sarcasmo, ma dette in un modo che venivano interpretate dagli estranei in maniera del tutto opposta. Era un talento strano, ma che sfruttato nel giusto modo sicuramente poteva tornare utile.
«E quindi non avete nemmeno mai imparato a duellare, sul serio?» la provocò un giovane che doveva avere solo qualche anno più di lei. «Mi sembra ridicolo che una persona del vostro lignaggio rifiuti d’impratichirsi nelle pratiche più eleganti e nobili».
Difficilmente agitare una spada fingendo di voler uccidere l’avversario – per vantarsi poi con le nobildonne – sarebbe mai stata considerata un’arte elegante da Haruhi, ma la ragazza prese un bel respiro e spiegò che la sua salute fragile gli aveva impedito a lungo tempo di praticare alcun tipo di attività fisica, per non rischiare ricadute. «Sapete, non tollero più di tre salassi al mese» concluse con un sorrisetto sarcastico.
«È un peccato, ma forse vi vergognate soltanto della vostra tecnica e cercate una scusa per non mostrarcela», continuò il signorotto, che evidentemente si divertiva mettendo in difficoltà i suoi pari più provinciali e meno certi del loro status.
«Questo non è vero!» saltò su Honey, che fino a quel punto aveva soltanto ascoltato preferendo dedicarsi alla sua fetta di torta. «Il Principe Mori sfiderà il Conte e vi farà vedere che le vostre insinuazioni sono del tutto ridicole».
Ah beh, se quello era il suo modo di aiutarla… Haruhi fissò l’interpellato e rabbrividì: Mori era buono e molto quieto, ma era alto e robusto e aveva una tecnica eccellente con la spada. Forse il suo cuginetto credeva di aver avuto un’ottima idea, ma in quel modo l’avrebbe soltanto fatta vergognare davanti a tutti.
«Voglio proprio vedervi, il Principe Mori è un ottimo schermidore».
«Se permettete», s’intromise una voce amica, «mi propongo io come avversario al posto del Principe».
André comparve praticamente dal nulla e s’inchinò davanti ai presenti, facendo però l’occhiolino ad Haruhi. «Sono abituato ad allenarmi con un peso leggero» disse alludendo al suo Comandante «inoltre, se il Principe si ferisse durante il duello, potrebbero esserci delle conseguenze severe, anche per una sola goccia di sangue».
Era una considerazione che non era passata neanche per la mente alla giovane: Mori era un Principe del sangue ed era imparentato con la famiglia reale, anche se non poteva aspirare al trono. Ferirlo avrebbe comportato un grave problema al responsabile.
«Per me sta bene. Siate clemente con me» disse cercando di mantenersi seria, prima di chiedere una spada in prestito.
Era tranquilla, sebbene in effetti la sua tecnica fosse pessima: aveva a malapena capito come doveva tenere la spada e come attaccare senza uccidere – le sue lezioni per diventare una perfetta dama non comprendevano la scherma, stranamente – ma assunse la posizione che aveva visto tenere da Tamaki mentre fingeva di battersi con i gemelli e si preparò al primo affondo di André.
L’attendente sembrò deciso a studiarla e a divertirsi, per quanto il suo intento iniziale fosse tirarla fuori dai guai. Accennò qualche colpo semplice, che Haruhi parò con facilità, poi provò una mossa già più complessa e questa volta la giovane fu costretta ad arretrare.
Nonostante tutto, la ragazza si sentiva a suo agio: forse perché il suo avversario era una persona normale come lei, ma le sembrava una versione un po’ più elaborata dei giochi che faceva da bambina. Stava giusto provando a rispondere, quando arrivarono Tamaki, Kyouya e i gemelli, che si sedettero vicino ai loro amici e s’informarono su come diavolo la loro protetta fosse finita a duellare con il cagnolino del Comandante Oscar.
«Quello là» disse Honey indicando col dito il nobile che aveva sfidato la sua amica «ha detto che non duellava per vergogna del suo stile, per cui abbiamo dovuto dimostrargli il contrario».
«E non ti è passato per la mente che potrebbe essere pericoloso?» domandò astioso Kyouya, che seguiva le mosse di Haruhi con attenzione.
L’interpellato finì la sua fetta di torta e lanciò in alto la fragola che l’aveva guarnita, per inghiottirla al volo, un gesto non proprio da nobile, ma nessuno avrebbe osato contestarlo visto il suo rango «E perché? André sa che non deve ferire un nobile, non succederà nulla».
A volte l’ottimismo del ragazzino era davvero snervante, ma effettivamente la giovane non se la stava cavando male, anche se la sua tecnica, neanche a dirlo, era davvero rude. Sembrava quasi stesse brandendo una clava, piuttosto che un leggero fioretto…
André s’impegnava perché la sua prova risultasse buona, ma nel frattempo stava davvero saggiando le sue abilità come per insegnarle a difendersi con la spada. Notando che Haruhi se la cavava, Hikaru suggerì al gemello di piazzare al volo un giro di scommesse sull’esito della sfida tra il piccolo capannello che si era formato intorno a loro.
Indecifrabile era l’espressione di Tamaki, invece: se Kyouya era preoccupato dalle possibilità che il loro inganno venisse svelato, il suo amico sembrava disturbato da qualcos’altro. Il suo sguardo era fisso sulla ragazza, ma si concentrava più sul modo che aveva di ridacchiare tra un colpo e l’altro e di scambiarsi battute con il giovane attendente, come se si conoscessero già. Quella confidenza non gli piaceva, così come la familiarità con cui i due scherzavano.
Qualche scambio ancora e André disarmò la rivale, che incassò comunque la sconfitta con eleganza e dichiarò semplicemente aveva bisogno di fare più pratica.
«Non siate severo con voi stesso, Conte, per non aver quasi mai duellato siete davvero bravo. E io mi alleno con uno dei migliori, non è facile stare al suo passo, per cui posso dirvi che siete davvero portato» concluse con una riverenza cortese.
«Vi ringrazio, André, è stata una bella prova» ripeté comunque la ragazza, sentendosi felice per essersela cavata anche in quella situazione. Inoltre, quel piccolo duello le aveva fatto bene, aveva sfogato la frustrazione che aveva accumulato per la minaccia ricevuta.
Solo in quel momento si accorse della strana espressione di Tamaki, ma finse di non farvi caso: quel ragazzo era davvero strano, non sarebbe riuscita a togliersi quel pensiero dalla testa nemmeno tenendo presente la storia pietosa che le aveva raccontato Honey.
Non poteva immaginare che in quel momento il giovane Duca illegittimo stava elucubrando su cosa potesse esserci tra lei e l’attendente del comandante delle guardie reali, immaginando situazioni assurde che non potevano essere accadute in quel poco tempo in cui la ragazza era stata a Versailles, ma che nella sua testa avevano tutte disgraziatamente senso.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7. Colui a cui nulla sfugge e che tutto sa ***


Invischiata in una rete d’inganni che mai avrebbe creduto possibile, Haruhi zoppicava su un paio di scarpette troppo strette per i suoi piedi e si guardava intorno senza riuscire a tranquillizzarsi. Da giorni avvertiva un certo malessere, comprensibile visto il pericolo che stava correndo, e non riusciva a rilassarsi. Fortunatamente aveva dei buoni alleati, pensò incrociando lo sguardo vigile di Oscar che percorreva i corridoi come ogni giorno.
Se le avessero detto che tra tutti i dignitari di Versailles avrebbe trovato aiuto in quel comandante delle guardie, Haruhi non vi avrebbe mai creduto. Meno che mai se le avessero rivelato che quella era una donna, travestita proprio come lei.
In ogni caso, Oscar stava mantenendo i patti: erano passati quattro giorni dal loro colloquio, e finalmente Haruhi aveva fatto il suo debutto nei panni di una nobildonna. Tamaki e gli altri erano rimasti sorpresi sentendo che voleva anticipare la sua entrata in scena, ma evidentemente in quel poco tempo aveva osservato abbastanza da reggere il ruolo.
Da parte di Haruhi, si era impegnata al suo massimo per imparare a copiare al meglio le dame di corte, e pur sapendo di non essere davvero credibile ce la metteva tutta per non farsi scoprire, anche grazie ai suggerimenti che spesso i ragazzi le sussurravano all’orecchio per evitare brutte figure.
Quella sera si sarebbero recati a Parigi a vedere l’opera e poi a una festa in maschera, cosa che la preoccupava per la propria incolumità: a Versailles avvertiva sempre la presenza rassicurante di Oscar o di André a controllare i suoi movimenti, ma come avrebbe fatto in un posto diverso?
«Devo dire, mia cara, che voi e vostro fratello vi assomigliate davvero molto. Siete per caso gemelli, come i nostri amici?» le domandò una duchessa di mezza età che era evidentemente infatuata dei giovani Hitachiin. Erano molte le donne che correvano dietro ai suoi amici, Haruhi se ne era resa conto molto in fretta, ma quando si trattava di signore così attempate, che probabilmente avrebbero potuto prendere il tè con le loro nonne, aveva davvero difficoltà a controllarsi. In ogni caso, anche la sua apparizione in abiti maschili aveva fatto colpo tra la popolazione femminile di Versailles…
«A dire il vero no, signora» rispose con educazione cercando di non riderle in faccia. «Ma ci dicono molto spesso che siamo due gocce d’acqua».
In realtà, quel doppio ruolo e la consapevolezza di aver imbrogliato i nobili di Versailles le sembrava molto divertente.
Il suo portamento era molto migliorato dalle disastrose lezioni di Honey, malgrado lui asserisse candidamente che era ancora legnosa e sgraziata, e si sentiva anche più sicura.
Con un piccolo cenno del capo si scostò dal capannello che stava conversando, giusto per godere un minimo di solitudine, quando la sua attenzione fu attratta da un’altra discussione.
«Credevo che significasse qualcosa…»
«Allora credevate male, Mademoiselle. Mi pareva di essere stato franco sulle mie intenzioni: sono un terzogenito, di norma avrei dovuto prendere la tonaca monacale e togliere a mio padre l’impiccio della mia presenza, ma io intendo ereditare il suo titolo, anche se non ne avrei il diritto. Non sarà sposando una dama di lignaggio infimo e dalle sostanze misere come voi che riuscirò nell’impresa. Se vi siete illusa che potessi cambiare idea… Non è certo un mio problema».
I due amanti erano dietro una pesante tenda e Haruhi tentò di spostarsi in modo da non essere colta ad origliare, quando una giovane dama ne uscì con le lacrime agli occhi e scappò via di corsa. Dopo qualche istante, ne venne fuori Kyouya, con la solita espressione gelida, per niente turbato.
Haruhi si sentì in colpa e abbassò subito lo sguardo, cercando di scusarsi. «Kyouya, io…»
«Hai sentito tutto?» domandò senza scomporsi. «Mi dispiace che tu abbia assistito, sono scene ridicole e inutili».
«L’hai trattata malissimo» commentò la ragazza, ora rimasta di sale alla mancanza di emozioni dell’altro.
Il giovane la guardò e sorrise in modo freddo e sarcastico, come se non gli importasse affatto: «Sapeva quali erano le mie intenzioni ed è stata comunque al gioco, non dovrebbe comportarsi come una stupida adesso perché non ho intenzione di comportarmi come lei desidera».
Quel carattere così di ghiaccio… Non riusciva a spiegarsi come un ragazzo della sua età potesse essere tanto gelido e distaccato da tutto. Era evidente che provava un certo divertimento nel giocare con le altre persone – l’idea del pagamento per ogni nome sul carnet da ballo era sua, per convincerla ad accettare – ma era un senso dell’umorismo crudele e canzonatorio.
«Le giovani donne come quella s’illudono in fretta che i sentimenti che provano siano vero amore, e lo sai. Me lo hai detto tu stesso, quando abbiamo iniziato le lezioni», gli ricordò con un tono sempre più rigido, segno di quanto non capisse, ma a quel punto Kyouya sembrò irritato e le fece segno di allontanarsi, così da continuare il discorso in maniera più privata. Passeggiarono per il corridoio quel tanto da non essere visti dagli altri amici, camminando abbastanza vicini da passare per una coppia d’innamorati, tanto che un paio di signore si voltarono e sussurrarono quanto fossero carini insieme, quindi il giovane si fermò di botto e le cinse la vita con un braccio.
«Tieni più tu alla tua preziosa virtù, che non la maggior parte delle ragazzine che girano in questa reggia imbellettate e travestite da donne», le sussurrò all’orecchio quando furono a una certa distanza dagli altri. «Tu che non hai alcun motivo di preservarti: non ti sposerai mai, no? È quello che hai detto a Honey».
Che tono sempre più offensivo e canzonatorio! Improvvisamente Haruhi non si trovava a suo agio. «Ho detto che per ora non ci sono pretendenti alla mia porta e che non ho nulla da offrire perché un uomo voglia sposarmi, non è la stessa cosa», replicò divincolandosi dalla presa del ragazzo. «Non sta a te giudicare quello che faccio della mia vita, comunque».
«Allora tu non fare lo stesso con me».
Possibile che la situazione stesse diventando pericolosa? Haruhi non si sentiva tranquilla: conosceva Kyouya come una persona controllata, ma improvvisamente gli sembrava estraneo e molto più istintivo del solito.
Si guardò le mani, imbarazzata. «Volevo solo capire… Sembri uno che si muove solo per personale vantaggio, allora perché maltrattare in quel modo la ragazza di prima?»
Il giovane nobile la strinse tra le braccia, avvicinandosi al muro: «Forse non tutti i vantaggi che posso trarre sono materiali, non ci hai mai pensato?»
Haruhi chiuse gli occhi, ora davvero spaventata, quando improvvisamente Kyouya si ritrasse come se non fosse successo nulla. «Che sciocca: ho promesso che non ti avrei toccato, no? Però devi imparare a stare attenta a stuzzicare un uomo, se poi non sai come reagire. Ah, vorrei anche sapere come mai l’attendente del Comandante Oscar ci segue come un cagnolino da quando ci siamo allontanati».
La ragazza si voltò di scatto cercando lo sguardo di André, che si era rapidamente nascosto dietro una tenda nel vedere che la nuova amica non stava correndo pericoli. «Quando te ne sei accorto?»
«Il comandante delle guardie reali ci tiene sempre d’occhio, crede che siamo dei parassiti pronti ad approfittare della Regina e della sua benevolenza», rispose Kyouya con una strizzatina d’occhio, «ma improvvisamente da qualche giorno non ci mollano per un istante. Ho voluto allontanarmi per vedere se questo dipendeva da te, e me l’hai appena confermato. Allora, che cosa sta succedendo?»
A lui non si nascondeva niente, Haruhi avrebbe dovuto saperlo. «Non c’entri tu, né gli altri. Qualcuno mi ha minacciato, vuole che compia una cosa orribile», spiegò sistemando una piega della gonna, nervosa.
«Una cosa orribile? Spiegati meglio».
André, che si era avvicinato di soppiatto, rispose per Haruhi: «Il crimine più grave in Francia, signore, indovinate visto che siete così bravo. Chi è la persona più amata, ammirata, invidiata e allo stesso tempo odiata, a Versailles?»
A Kyouya bastarono pochi istanti per capire: sgranò gli occhi, per una volta incredulo. «Qualcuno vuole uccidere Maria Antonietta… E vuole che sia tu a farlo?» domandò rivolgendosi alla ragazza.
Sentendosi messa all’angolo, Haruhi sospirò e decise di raccontare tutto: «La storia che abbiamo messo in piedi è sembrata interessante, a quanto pare. L’idea di un giovane Conte senza quasi idee del mondo e con una sorella nubile e praticamente indifesa deve essere sembrata ghiotta».
«Ma perché non hai detto niente… Loro», sibilò l’amico voltandosi verso André. «Seriamente, che vantaggio avrei da un simile crimine? E anche se volessi, mi credete così stupido da prendere la prima ragazzina trovata per strada a Parigi per compiere il delitto del secolo?»
In qualche modo era offensivo nei suoi confronti, la ragazza era sicura.
«Ad ogni modo stasera andremo all’opera, pensavate davvero di mandarla fuori senza protezione? Ridicolo. Ce ne occuperemo noi, è fuori questione» concluse Kyouya gettando un ultimo sguardo sprezzante al giovane attendente e trascinando via Haruhi.
«Era necessario comportarsi così?» domandò lei con lo stesso tono di prima. «André è una brava persona, non devi trattarlo male».
«Haruhi, accusarmi in questo modo di voler compiere un regicidio in maniera assolutamente idiota, per altro, è davvero troppo. Non è certo colpa mia se Maria Antonietta non svolge al meglio il suo ruolo regale e non sta a me buttarla giù dal trono» esclamò in maniera troppo veemente il ragazzo. «Non sono come la contessa di Polignac: non voglio approfittarmi della Regina, non in maniera così volgare e plateale almeno, e di certo non utilizzando il denaro dello stato. La mia famiglia si è già inimicata il popolino della regione da cui provengo, so cosa succede se la gente affamata decide di non stare più al proprio posto. Non voglio essere aggredito solo perché esco in carrozza a Parigi».
Ragionamento sensato, e chi poteva comprenderlo meglio di Haruhi, che faceva parte del popolino? Sapeva perfettamente che la tensione in città stava raggiungendo livelli sempre più alti e che era solo questione di tempo perché quella rabbia sfociasse in violenza contro chi incarnava il potere.
«Mi dispiace, ho permesso che qualcuno mi facesse dubitare di te» ammise sentendosi un po’ in colpa.
Kyouya scosse il capo: «No, era sensato. Potevi anche non credere che ti volessimo portare qui solo per il gusto di ingannare tutti quanti, io l’avrei fatto».
Parlare con quel ragazzo era come darsi automaticamente dell’idiota davanti allo specchio.
«Va bene, ora che si fa?»
Anche con quel contrattempo, il loro programma della serata non doveva subire ritardi. «Le nostre domestiche ti aspettano nei tuoi alloggi per prepararti per l’Opera, cambiati d’abito e fatti acconciare i capelli».
Haruhi annuì e si lasciò scortare fino all’appartamento – più grande dello spazio che a Parigi condivideva col padre – che le avevano ricavato dalle stanze di Tamaki. I suoi familiari erano tutti nella residenza di campagna, probabilmente a discutere del futuro del casato, per cui era subito stato indicato come il migliore per dare alloggio alla loro ospite.
«Pensi che dovrei diffidare del comandante Oscar e di André?»
«Il ragazzo non è una cima, ma visto il vostro piccolo spettacolino dell’altro giorno direi che ha preso a cuore il tuo destino, per cui ti aiuterà. Quanto al suo mandante…» Kyouya sospirò, meditabondo. «Oscar è sveglia, ma è troppo sospettosa: spero che capisca che deve fidarsi di noi e permetterci di collaborare, perché anche se può non sembrare lampante, credimi, posso dire a nome di tutti che abbiamo a cuore la tua sicurezza. Ti abbiamo portato noi qui e per questo siamo responsabili della tua incolumità».
Era il suo modo per dire che si era affezionato e che voleva proteggerla? Incredibile. Arrivati sulla soglia, Haruhi lo ringraziò e concordò l’appuntamento per l’ora successiva, così da poter uscire per tempo e recarsi all’opera.
Kyouya sorrise di sbieco: «Una vera nobildonna avrebbe preteso almeno tre ore per farsi bella… In questo senso è apprezzabile la tua compagnia, non farò le ragnatele in corridoio».
Un altro esempio del contorto modo di fare complimenti del giovane… La ragazza scosse il capo ed entrò, inspiegabilmente di buon umore.
Il suo sorriso però si spense nel vedere che dalle stanze private di Tamaki stavano uscendo il Duca in persona e una delle dame che lo aveva visto corteggiare solo qualche ora prima. Entrambi avevano i capelli arruffati, un’aria strana… E la crinolina dell’abito della donna era tutta in disordine, come se l’abito fosse stato tolto in fretta e indossato di nuovo con ancora meno pazienza.
«Oh, Duca, e lei chi è, una mia rivale?» cinguettò la sconosciuta fingendosi offesa, mentre Haruhi desiderava soltanto scomparire.
«Niente affatto, cherie, sto solo facendo un favore a un amico. Lei e il fratello non possono permettersi di alloggiare qui, così…»
La giovane popolana non volle sentire di più: salutò con un cenno del capo e corse nella stanza dove le cameriere la stavano aspettando, chiudendosi la porta alle spalle.
«Eccovi, signorina, vi stavamo aspettando… Qualcosa non va, signorina?» disse una delle servette notando che aveva gli occhi pieni di lacrime.
«Nulla» mentì Haruhi non sapendo esprimere a parole la tristezza che l’aveva colta capendo cos’avesse fatto Tamaki. «Allora, dov’è l’abito che devo indossare?»




Angoletto dell'Autrice: Spero che le fan di Tamaki, sempre che qualcuna mi legga, non me ne vogliano per quello che il Lord ha fatto. So che nel manga pur giocando molto ad affascinare le ragazze non ha alcun fine recondito, se non quello di portare avanti l'Host Club, ma inserito nel contesto di Versailles ho voluto dare un po' a tutti un lato più spregiudicato... Ecco, nella mia testa i personaggi hanno uno o due anni in più rispetto al manga per questa storia, non so se l'avevo detto.^^
Grazie a tutte le persone che mi seguono, davvero grazie!
Alla prossima settimana,

Rowi

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8. Il ballo all'Opera ***


In tutta sincerità, Haruhi non riusciva a capire perché mai avesse dovuto prepararsi in tutta fretta, cambiarsi e mascherarsi per correre al ballo dell’Opera. Cosa ci fosse mai di così straordinario in quella festa rispetto al tipico gozzovigliare di Versailles, proprio non lo sapeva.
La ragazza stava almeno imparando in fretta a fingere di divertirsi; era ancora sconvolta per la situazione in cui aveva colto Tamaki, anche se non riusciva a capirne il motivo. Aveva visto di peggio nei vicoli di Parigi ed era stato chiaro fin da subito che i sei nobili che l’avevano avvicinata non si facevano molti problemi prima di ruzzolare nel letto di una dama diversa ogni sera, eppure…
«Posso danzare con voi, Mademoiselle? Sarebbe un onore graditissimo».
Haruhi si riscosse dai propri pensieri e mise a fuoco il giovane che l’aveva invitata a ballare: era un signorotto magro e dai capelli mossi e castani, che sorrideva in maniera affabile e cortese. Una maschera scura dalla foggia semplice gli copriva il resto del volto, rendendolo irriconoscibile.
«Solo se mi direte il vostro nome» rispose facendo un inchino, decisa a osservare le nuove maniere ma, nel frattempo, prestando ad attenzione a non cacciarsi in altri guai.
«A una festa in maschera mi chiedete di rivelarvi il mio nome? Non sia mai!» scherzò lo sconosciuto. «Chiamatemi come più vi piace e venite a danzare con me».
Probabilmente qualunque altra fanciulla presente alla festa sarebbe capitolata ai suoi piedi per molto meno, ma Haruhi si limitò a sorridere forzatamente e decise di accettare l’invito: in fondo doveva fare pratica…
Mentre cominciavano a scambiarsi le posizioni seguendo la cadenza del minuetto, il cavaliere le confidò di essere stato mandato da un’amica comune a proteggerla al suo posto, poiché ella non poteva assentarsi dal palazzo reale così all’improvviso. «In realtà l’ha fatto anche per allontanarmi per qualche ora dalla reggia, ma non lo ammetterebbe mai» concluse con un’aria malinconica.
Piuttosto restia a fare conversazione per non distrarsi dai passi di danza, Haruhi fu contenta di sentire che Oscar si era preoccupata per lei fino a quel punto. Solo quando il primo giro della danza fu completato, si permise di rispondergli, incuriosita dal suo ultimo commento. «E perché avrebbe voluto mandarvi via da Versailles?»
Il gentiluomo sorrise nel vedere che la fanciulla cominciava a mostrarsi meno timida, era l’altro scopo per cui era stato mandato a vigilare su Haruhi: aiutarla a prendere un poco di confidenza per recitare al meglio la sua parte. «Qualche anno fa, a un ballo come questo incontrai una dama che stregò il mio cuore. Posso vederla quando desidero, ma purtroppo il fato è contrario al nostro amore».
«Per caso corteggiate le donne sposate, Monsieur?» domandò con un tono di rimprovero nella voce la giovane, mentre cominciava a ridisegnare la figura prestabilita della danza con tutti i passettini che il minuetto richiedeva.
«Non è mia abitudine, dovete credermi: la notai tra gli altri ospiti e seppi subito che si trattava di una persona speciale. Ero venuto in Francia per completare i miei studi, ma mio padre aveva già in mente il progetto di trovarmi una moglie, per cui pensai di poterlo battere sui tempi… Ma ahimè, sono stato preceduto».
Haruhi ebbe dei seri dubbi sentendo che il primo pensiero passato nella mente dell’uomo fosse davvero il matrimonio, ma non osò contraddirlo per paura di una figuraccia. Decise di assecondarlo e lasciarlo perdere non appena la danza fosse finita, anche se era stato mandato da Oscar: in fondo, poteva proteggerla anche senza starle appresso, così come avevano fatto gli altri suoi angeli custodi in quegli ultimi giorni.
«Ahi, signore, un poeta scriverebbe dei versi… Ehm, sublimi dalle vostre pene».
La musica finì in quell’esatto momento e l’uomo sorrise amaramente prima d’inchinarsi per il commiato dalla dama, com’era previsto, quando comparve Tamaki a rivendicare la danza successiva.
I suoi modi erano un po’ troppo bruschi perfino per la ragazza, che non l’aveva ancora visto così risoluto e poco attento all’eleganza, ma che ebbe comunque l’accortezza di salutare come di dovere il compagno precedente per non apparire maleducata a chi stava guardando.
«Arrivederci, messere, e grazie per la vostra compagnia».
Il suo cavaliere aveva sempre la stessa espressione mesta in volto: «Addio, dopo stasera lascerò la Francia. Spero che questo piccolo favore migliori l’opinione che la nostra amica comune ha di me, è stato davvero un piacere».
Il senso criptico nella risposta dell’uomo fece stranamente arrabbiare Tamaki, che condusse Haruhi lontano dalla sala dove si stava svolgendo il ballo per parlare più tranquilli. Aveva un’espressione che non piacque affatto alla ragazza.
«Si può sapere che ti prende?» si lamentò quando il Duca le lasciò il braccio.
Tamaki però non rispose, preferendo concentrarsi su altro: «Che cosa ti ha detto? Cos’ha fatto lo svedese?»
Lo svedese. Per quanto Haruhi badasse poco ai pettegolezzi, perfino lei sapeva che a Parigi girava la voce che la Regina avesse un amante. E se era proprio l’uomo con cui aveva ballato… La donna sposata di cui le aveva parlato era proprio Maria Antonietta!
«Allora? Come hai fatto a entrare tanto in intimità con lui?» sbottò ancora il giovane, infastidito dal non aver subito ricevuto risposta.
Il suo tono infastidì la fanciulla, che si scostò dal suo accompagnatore quasi soffiando come un gatto: «Intimità?», ripeté quasi ridendo, «Sei diventato cieco, per caso? Abbiamo danzato e le nostre dita si sono a malapena sfiorate, o non hai visto?»
«Ridevi in maniera così frivola…» fu la laconica risposta, che Haruhi trovò ipocrita e meschina.
A prescindere che lei gli credesse o meno, era davvero troppo sentirsi dare dell’ochetta da un personaggio del genere. «È quello che volevate tutti, mi pare!»
Sembrava una di quelle scenate di gelosia che Haruhi era costretta a sorbirsi quando il suo vicino di casa rientrava ubriaco e la moglie perdeva le staffe, con la differenza che Tamaki non aveva alcun diritto di comportarsi in quel modo con lei.
Per non parlare di quello che la giovane aveva visto soltanto quel pomeriggio! Come si permetteva di trattarla così, quando era lui a saltare da un letto all’altro senza la minima preoccupazione?
«Potete stare certo, Duca, che non ruzzolerò tra le lenzuola di nessuno dei vostri pari all’ora del tè, come certe donne di facili costumi», disse in tono gelido, «né mi lascerò avvicinare da certi pervertiti che seducono le fanciulle ingenue con le loro parole sciocche. Ora gradirei tornare alla festa, per cui vogliate perdonarmi».
Detto questo, si voltò e tornò alla sala principale, lasciando lì un Tamaki davvero basito. Per un qualche strano motivo, sentiva che la frecciatina sibilata dalla ragazza era indirizzata a lui. Aveva previsto che in qualche modo il malaugurato, spiacevole incidente del pomeriggio si sarebbe rivoltato contro di lui, e aveva immaginato uno scenario perfetto in cui si sarebbe discolpato agli occhi di Haruhi, così che l’ammirazione che lei provava nei suoi confronti – perché non poteva non ammirarlo, insomma! – non si sarebbe dissolta. L’idillio nella sua mente si sarebbe dovuto svolgere il giorno seguente, nel parco di Versailles: si sarebbe buttato in ginocchio e si sarebbe dichiarato pronto a togliersi la vita, visto il grave disonore di cui si era macchiato ai suoi occhi, e Haruhi si sarebbe lanciata a fermarlo, piangendo e dichiarando che non aveva importanza, perché lui era tutto, nel suo mondo…
Poi, però, l’aveva vista danzare con Fersen – a dire il vero era stato Kyouya a riconoscerlo, lui si era messo a inveire contro il misterioso cavaliere – e non aveva capito più nulla. Non sapeva esattamente perché fosse stato tanto turbato al punto da trascinare la ragazza in disparte e farle la morale in quel modo, non riusciva a spiegarselo: forse si sentiva in dovere di guidare Haruhi nel suo viaggio a corte in maniera responsabile e assennata, poiché Haruhi era così ingenua e ancora ignara del mondo? Eppure la fanciulla non aveva fatto nulla di disdicevole, anzi, si era comportata in maniera impeccabile. Era davvero determinata a mantenere il patto stipulato con lui e i suoi amici.
Forse era stata la rivelazione dell’identità del suo compagno di ballo: non riusciva a capire perché Fersen, l’uomo che stava causando gravi danni all’immagine della Regina – la cui posizione era davvero precaria a corte, visto che il matrimonio con Luigi XVI ancora non era stato consumato – avesse avvicinato proprio la sua protetta, e in maniera così smaccata, per di più! Possibile che volesse usare Haruhi per dissipare le dicerie su di lui e Maria Antonietta?
«Ehi, Tamaki, ti sei imbambolato?»
«Guarda che la festa è di là!»
Le voci di Hikaru e Kaoru lo riportarono alla realtà e Tamaki si rese conto di essere finito in un angolo, rannicchiato con le ginocchia sotto al petto, senza neanche sapere come. I gemelli si piegarono verso di lui e ghignando cominciarono a punzecchiarlo e a tirare pizzichi, cosa che gli diede parecchio fastidio, anche se avevano le mani avvolte da morbidi guanti.
«Che volete? Lasciatemi qui, non servo a nessuno» biascicò con voce disperata.
«Come vuoi», rispose Kaoru, incrociando le braccia dietro la testa, «ma credevo che volessi fare da chaperon a Haruhi, e invece è di là da sola. Ha ricevuto un altro invito a danzare, ma ha rifiutato e sembra molto rabbuiata».
«Posso occuparmene io, se vuoi» rincarò la dose Hikaru, «oppure potremmo farlo insieme, che dici, Kaoru?»
«La piccola Haruhi sta così bene in mezzo a noi…» rispose il suo gemello con un sorriso divertito. «Forse potremmo tirarle su il morale, poverina!»
Tamaki si riscosse e prese di corsa il corridoio, mentre i suoi due amici lo seguivano ridacchiando soddisfatti: era troppo divertente prendere in giro quello stupidotto, cascava in qualunque burla mettessero in piedi!
Con sua sorpresa, Haruhi stava danzando con Mori, che le faceva intuire i giusti passi con naturalezza, e sembrava ben più serena di come i gemelli l’avevano descritta. Un po’ deluso – aveva pensato di riadattare il piano originale alla serata, così da farsi perdonare dalla fanciulla e riconquistare la sua ammirazione – Tamaki tornò a conversare con alcune dame che stava intrattenendo in precedenza, scusandosi per il suo comportamento, senza smettere però di tenere d’occhio la ragazza.
Non riusciva davvero a comprendere i sentimenti che provava nei suoi confronti: trovava Haruhi graziosa, ma era innegabile che avesse un’aria adorabile in tutto e per tutto. Il Duca trovava sempre doveroso mettersi in mezzo quando Hikaru e Kaoru si divertivano a prenderla un poco in giro, sebbene la ragazza avesse imparato in fretta a difendersi da sola.
Il vero problema, in realtà, era la rabbia che provava quando la vedeva in compagnia di estranei con cui entrava in sintonia con un’incredibile facilità. Era stato un dolore per lui osservarla duellare con André, e ora Fersen… Ma non aveva già il suo bel daffare con la Regina?
Per non parlare del suo fastidio nel vedere che, anche se non aveva più chiesto a Haruhi di ballare, il Conte continuava a osservarla da lontano, con uno sguardo molto attento, non la perdeva d’occhio neanche un istante.
«Non fare scenate» gli sussurrò alle spalle Kyouya, notando lo stato d’animo di Tamaki. «Lui e Oscar sono amici da prima che Luigi XVI salisse al trono, l’avrà mandato lei per garantire una certa protezione a Haruhi, nonostante non possa presenziare di persona alla festa».
L’acume dell’amico, come sempre, sapeva metterlo in difficoltà: «Kyouya, che mi succede? Non so che mi prende, forse è il senso di responsabilità nei suoi confronti che mi opprime? Dopo che ci hai rivelato cosa le sta capitando, mi sento davvero in colpa».
Ovviamente, il giovane Ootori aveva ben altra spiegazione, ma decise di tenerla per sé. Tamaki non era pronto per ascoltare quella verità: aveva un carattere troppo contorto e non l’avrebbe accettata.
«Non dobbiamo comportarci in maniera inconsulta, ricordati questo», gli consigliò glissando sulla domanda, «questo ballo potrebbe essere la perfetta occasione per inviarle un secondo avvertimento, per cui dobbiamo essere pronti a notare qualunque tipo sospetto potrebbe avvicinarla».
La vera intenzione di Kyouya, in realtà, era acciuffare di persona il responsabile al posto del comandante Oscar: questo gli avrebbe dato un’immensa soddisfazione.
Tamaki non rispose, ma rimase turbato per tutta la sera. Quando la festa finì, nessun malintenzionato aveva avvicinato la ragazza: il piano di Kyouya si rivelò un fallimento, ma non lo diede a vedere e valutò come sarebbe stato meglio muoversi nei giorni seguenti.
Quanto a Haruhi, durante il viaggio in carrozza si limitò a fissare con aria offesa Tamaki, che ci rimase molto male e tentò di scusarsi un’infinità di volte, senza successo.
La ragazza sospirò, una volta messasi a letto, ormai a notte fonda. Che accidenti le stava succedendo?




Angoletto dell'Autrice: Eccomi di nuovo qua, esami permettendo! Sigh, questa settimana due in due giorni di fila, anche se sono andati bene sono davvero provata. XD
Fersen è un personaggio che nel manga mi ha sempre fatto un po' pena: voglio dire, non capisce che Oscar è una donna, non capisce che Oscar è innamorata di lui, non capisce che è Oscar alla festa... Insomma, ok che l'amore acceca specie se è impossibile, ma è un po' tanardo il ragazzo! XDDD
Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo, alla prossima! ^^
Rowi

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 9. Novità e riflessioni ***


Angoletto dell'autrice: Prima di tutto, mi scuso davvero tanto per la lunga interruzione. Pensavo di riuscire a tenere il ritmo, ma tra gli ultimi esami, il lavoro e la preparazione della tesi al fotofinish sono stata davvero impegnata. Spero di riuscire a riprendere gli aggiornamenti regolari, magari uno ogni dieci giorni, perché non voglio lasciare a metà questa storia. Secondo, spero che questo capitolo meriti l'attesa. È un po' fermo, ma dal prossimo riprenderanno le emozioni! ^^
Rowi



Con gran sorpresa dell’intera corte, il giorno seguente Maria Antonietta annullò il ballo per posticiparlo di alcune settimane. Probabilmente l’unica rinfrancata dalla notizia fu Haruhi, pensando che in quel modo avrebbe avuto più tempo per studiare un piano per mettersi al sicuro dal suo ricattatore, sebbene allo stesso tempo non si sentisse tranquilla. Aveva uno strano presentimento che non riusciva a spiegarsi.
«Ho convinto la Regina – con l’aiuto di mia madre e di Fersen, che ti manda i suoi saluti, Haruhi – a rimandare la grande festa. Così avremo almeno una decina di giorni in più per indagare e trovare i responsabili della cospirazione», spiegò quello stesso pomeriggio Oscar alla ragazza e a Kyouya, che aveva preteso di prendere parte all’incontro. Se il comandante delle guardie reali voleva stabilire una strategia, lui avrebbe detto la sua.
André versò il caffè proprio in quel momento e portò l’elegante vassoio sul tavolino che divideva il suo superiore e i due ospiti: «La Contessa di Polignac non è stata molto felice di questa decisione, ma quando è stato fatto presente che la priorità deve sempre essere la sicurezza dei reali ha dovuto tacere» disse facendo l’occhiolino a Haruhi.
Adorava quando Oscar chiudeva la bocca a quella strega, specie se in realtà non faceva altro che suggerire un consiglio alla Regina e assentire ai suoi ordini, con la Contessa che doveva rimanere in silenzio e ingoiare la propria bile. Detestava quella donna, era superfluo dirlo.
Kyouya fece cenno di essere d’accordo: senza la reale mucca da spremere fino all’ultimo luigi d’oro, la Contessa avrebbe dovuto rinunciare alla sua scalata sociale, per cui aveva dovuto ingoiare il rospo. Gli spiaceva non aver presenziato a quell’incontro, doveva essere stato molto divertente.
«Quindi ora cosa consigliate, comandante? Volete continuare a usare la ragazza come esca per stanare i colpevoli?» domandò tuttavia prima di servirsi una tazza di caffè.
Haruhi lo fissò accigliata, chiedendosi come mai la gente a Versailles parlasse spesso di lei come se fosse invisibile. Si era svegliata male, quel giorno, e si era impegnata ore a convincersi che non fosse per colpa di Tamaki. Quell’idiota… Si era vestita da uomo, sperando che la sua doppia identità non desse troppo nell’occhio, perché in abiti femminili proprio non si trovava. Non con quei pizzi e le tante sottogonne che era obbligata a indossare!
«Non abbiamo altri elementi su cui indagare» rispose Oscar fingendo di non notare il fastidio della ragazza. «Forse potreste mettere in giro la voce che il Conte e la Contessina vogliano tornare in provincia all’improvviso, perché ancora non hanno ricevuto proposte per la mano di lei».
Il giovane nobile storse il naso: «Provocare così esplicitamente? Rischiamo di metterla in serio pericolo».
«Sono già in serio pericolo, Kyouya» gli rispose la diretta interessata. «Non posso rimanere qui per sempre in attesa che quest’uomo misterioso mi minacci ancora. Potremmo dire che solo la mia versione femminile si è allontanata qualche giorno da Versailles, magari invitata da una vostra parente? Non ti ho mai chiesto se hai sorelle, o se qualcuno di voi ne ha».
La spontaneità e la confidenza con cui la fanciulla si rivolgeva al giovane Ootori mise un poco in difficoltà Oscar: l’ultima volta che l’aveva vista, Haruhi tremava come un topolino, spaventata dalle minacce ricevute e dall’eventualità di essere punita per la sua mascherata. Ora mostrava un carattere deciso e un atteggiamento tipico di chi non si lasciava sopraffare dagli eventi. Malgrado le differenze di rango non rispettate, quel lato della ragazza le piaceva molto di più.
«Ho una sorella maggiore, che è sposata e non fa molta vita mondana, e che abita poco distante dalla reggia» rispose Kyouya con un sorriso. «Parlerò con lei per spiegarle la situazione».
«Sarebbe meglio non dire nulla di questa faccenda alla signora, per il bene di…»
«Perdonatemi, signori, ma non ho intenzione di mettere in pericolo il sangue del mio sangue per proteggere nessuno, nemmeno la Regina» continuò a voce più alta il giovane, interrompendo André. Il suo sguardo era gelido. «Mia sorella Fuyumi è un’ottima padrona di casa, saprà gestire la sicurezza del palazzo senza neanche bisogno di spiegare la situazione al marito. Non avrei proposto questa soluzione, se così non fosse».
Oscar concordò: «Non possiamo mettere a repentaglio altre vite. Se i malfattori tenteranno di penetrare in casa di vostra sorella per cercare la Contessina fantasma, dovrà essere preparata a ogni evenienza».
Se si fosse trattato di una delle sue amate sorelle, che vedeva così di rado, avrebbe fatto lo stesso. «Inoltre», continuò rivolgendosi a Haruhi, «così ti libererai per un po’ degli abiti da dama, ho sentito che non li ami molto. Neanche io, se devo dire la verità».
Non che avesse dubbi, ma l’interpellata cercò lo sguardo di André, che in quel momento stava facendo l’indifferente, e lo fissò con tanta intensità quasi a volerlo incenerire: spione, riportare la sua goffaggine in quelle scomodissime vesti!
«È così, comandante, mi sento troppo impacciata rispetto alla vita di tutti i giorni» rispose comunque in maniera cortese, sempre un po’ intimidita dall’altra donna nella stanza, che di femminile non aveva nulla.
Il comandante smise di sorridere, tornado seria e concentrata sul piano. «Sono d’accordo con la vostra idea, comunque: nei panni di una dama, corresti davvero dei pericoli che non sono disposta a rischiare. E una volta acciuffati i cospiratori, tornerai a Parigi di volata».
«Certamente, dopo il ballo, però» sibilò fissando Kyouya. «Abbiamo un accordo».
«Se sarai d’aiuto, ti menzionerò alla Regina e ti farò ricompensare, ma quest’inganno deve cessare al più presto».
La Regina. Forse l’unica persona che Haruhi non voleva neanche incontrare a Versailles. «Vi ringrazio, ma non sarà necessario» si scusò senza spiegare il suo disappunto. Oscar di certo non avrebbe reagito bene alle critiche nei confronti della sua amata sovrana. «Dovrò soltanto fare da esca, non credo sia un grosso aiuto, non sono nemmeno molto portata con la spada».
«Forse, ma ci sono molti altri modi per servire la tua Regina e aiutare a porre fine a questo intrigo. Monsieur Ootori, posso rubarvi Haruhi per qualche minuto? André ve la riporterà sana e salva tra poco».
Il giovane non sembrò particolarmente entusiasta a quella richiesta, ma in fondo, replicò, toccava a Haruhi decidere cosa fare, non era certo lui a dover concedere chissà quale permesso. La ragazza annuì, così il nobile si alzò dal divanetto e, dopo un lieve inchino, lasciò la stanza. Di certo avrebbe preteso di sapere ogni minima parola di quello scambio, pensò lei con un sospiro…
Ora che erano sole, più André, Oscar sembrò rilassarsi. «Volevo scusarmi per il mio comportamento dell’altro giorno: è stata la rabbia per tutti questi intrighi a farmi parlare in quel modo, ma ho sbagliato. È mio compito garantire la sicurezza qui a Versailles e sapere di aver fallito in qualche modo mi ha davvero sconvolto».
Haruhi rimase perplessa e cercò lo sguardo dell’attendente per assicurarsi che fosse tutto a posto. «Non dovete scusarvi di nulla, comandante: sono consapevole che non dovrei trovarmi qui, la vostra reazione è stata più che lecita e comprensibile. A dire la verità, credevo che avreste trovato il modo per punirmi…»
«Ci ho pensato, in realtà», rispose subito Oscar, come a ricordarle l’autorità che rappresentava. «Ma riflettendoci, ho deciso che lo spavento che hai provato e lo stato in cui ti trovi siano sufficienti per convincerti a non spacciarti mai più per un nobile, quindi non farò nulla, quando questa storia sarà finita».
Per qualche strano motivo, Haruhi ebbe la certezza che dietro quella decisione si nascondesse un’ampia opera di convincimento da parte di André, eppure il giovane stava in disparte e guardava fuori dalla finestra, come se non volesse intervenire. Ad ogni modo, quella decisione le piaceva: le era data la possibilità di tornare a casa senza rogne, sempre che avessero scoperto l’identità del suo ricattatore. Si lasciò sfuggire perfino un sorriso, tanto quella notizia l’aveva messa di buon umore, anche se era perfettamente consapevole che il pericolo era sempre dietro l’angolo.
Oscar continuò: «Mi devo complimentare con te, ed è risaputo che non sono prodiga di elogi. Nessuna delle donne che conosco avrebbe avuto la capacità di reagire che hai dimostrato tu in una situazione così pericolosa, né la tua forza d’animo».
Haruhi alzò le spalle: aveva paura per la sua vita, ma non aveva intenzione di lasciarsi sopraffare: in quel modo, sarebbe stata certamente spacciata. «È quello che sono abituata a fare, nel luogo in cui vivo nessuno risolve i problemi al mio posto».
Oscar volle sapere di più della sua storia e delle condizioni di vita che avevano portato la giovane ad accettare un simile folle accordo.
«Oh beh,» continuò allora la ragazza, «mio padre vorrebbe che passassi le mie giornate a studiare e a leggere, ma purtroppo i soldi non bastano mai. Da quando abbiamo perso mia madre, cerco di aiutarlo quanto mi è possibile, occupandomi delle faccende domestiche e lavorando nei negozi del quartiere, quando hanno bisogno di un aiuto in più».
«Studi?», domandò la donna interessata. Le donne del suo lignaggio tendevano a essere ignoranti – era ritenuto più importante saper ballare e civettare, per una dama, piuttosto che conoscere la storia o la filosofia – e purtroppo la stessa Maria Antonietta era stata indisciplinata e poco interessata alle lezioni dei suoi precettori. Oscar ricordava benissimo i tempi in cui era ancora delfina e veniva rincorsa per tutta la corte dai suoi maestri di francese e di matematica…
Haruhi annuì: «Vorrei poter diventare avvocato, in qualche modo», spiegò con voce più allegra, pur sapendo che di certo avrebbe ricevuto altre critiche. «Ho sentito di alcuni dottori della legge che cominciano a offrire i loro servigi a tariffe irrisorie quando è un povero a chiedere loro aiuto. Vorrei essere una di loro, a Dio piacendo».
«E come? Non vi sono mai stati avvocati donne». Persino André questa volta sembrava un po’ scettico: la sua amica aveva condotto una vita maschile ed era entrata sotto le armi solo perché era figlia di un generale molto potente che non era riuscito a procreare un erede maschio, ed era comandante delle guardie reali, un corpo d’elite scelto, dove tutti i camerati erano nobili, di buone maniere e disciplinati.
Difficilmente in un’altra sede Oscar sarebbe stata ammessa così facilmente, in un altro reparto dell’esercito, ad esempio… Anche se di certo avrebbe fatto di tutto per conquistarsi gli uomini, era caparbia come pochi e l’attendente lo sapeva bene.
«Ora fanno gli amici del popolo», commentò Oscar a sua volta con un certo disprezzo, «ma sono una casta chiusa come tutte le altre. Non ti accetterebbero mai».
«Come voi non avreste dovuto diventare ufficiale delle guardie reali», replicò con semplicità la ragazza e con una logica stringente che avrebbe spiazzato anche il più colto dottore di legge di Parigi. In quei giorni aveva riflettuto molto sulla comodità degli abiti maschili e sulle porte che le avrebbero aperto, soprattutto vista la naturalezza con cui vi si era calata. «Fingermi un maschio per diventare avvocato, perché no? Per me non esiste differenza tra uomo e donna».
La spontaneità della giovane era un’arma che spiazzava totalmente Oscar. Il comandante si spostò nella stanza, andando a guardare fuori dalla finestra. Le dame in giardino passeggiavano lente e composte, impacciate dai loro voluminosi e coloratissimi abiti, e i damerini conversavano con loro come ogni giorno. Davvero non vi era differenza? Tutta la sua vita diceva il contrario. «Saremmo uguali, dici?»
Haruhi sembrò non scomporsi, seduta in maniera totalmente sconveniente per una giovane della sua età, a dimostrazione delle mancanze della sua educazione, con le mani unite in grembo. «È stato deciso che noi donne non potessimo fare molte cose, ma esiste davvero qualcosa che ci rende inferiori? Da parte mia, se per realizzare il mio sogno dovrò indossare una casacca e un paio di braghe nere e legarmi i capelli, lo farò. Sarebbe peggio se fossi un cattivo avvocato e non sapessi difendere i miei clienti, a mio avviso».
Educatamente, la ragazza domandò a quel punto se ci fossero altre questioni importanti da discutere e, poiché Oscar non riuscì quasi a proferire parola, persa nei suoi pensieri, André si offrì di riaccompagnarla dai suoi amici.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 10. Amiche vecchie e nuove ***


Angoletto dell'Autrice: Buongiorno a tutte (e tutti, se ci fossero dei lettori!) e buon 25 aprile. Vorrei scusarmi per aver fatto passare tanto tempo. Ricordate quando dicevo "Ah, ho una buona scorta di capitoli, aggiornerò continua"... SHAME ON ME, lo so. Per qualche strano motivo ero convinta che dopo la laurea sarei stata libera come un friguello... Invece tra l'iscrizione alla Magistrale e il primo esame (Marianna, che parto rimettersi a dare esami dopo mesi di panciolle! ç_____ç) prima, e il lavoro in e per la casa editrice, anche se saltuario e svolto da casa, mi hanno un po' fulminata. Il nuovo semestre di lezioni è stata la ciliegina sulla torta a coronare il tutto. Nel mezzo sono stata anche a Parigi, anche se per mancanza di tempo non sono riuscita ad andare a Versailles (SHAME ON ME AGAIN), e me ne sono innamorata ancora di più. Mi ha fatto strano passare là dove c'era la Bastiglia, anche se con tutti i lavori di riedificazione voluti prima da Napoleone e poi ai suoi successori immaginare la Parigi della storia non è semplice. Ringrazio chiunque vorrà continuare a seguirmi malgrado questo buco di mesi tra un capitolo e l'altro, e scusatemi again. Farò del mio meglio per essere più costante.

Rowi




Il finto trasferimento a casa di Madame Fuyumi, per liberare Haruhi da una delle sue parti almeno per un po’, sembrò un’idea azzeccata a tutti: ciò che Oscar non aveva messo in conto, tuttavia, fu che la signora decise per ospitare davvero per un paio di giorni la ragazza, insieme al fratello minore e tutti i suoi amici.
Per Haruhi fu una vera boccata d’aria: nonostante fosse nobile, la donna si mostrò subito aperta e lieta di vedere Kyouya e tutti gli altri, rimproverandoli di non andarla a trovare abbastanza spesso per i suoi gusti, e fu gentilissima anche con lei, accogliendola quasi fosse un membro della famiglia.
Fuyumi non faceva molta vita di corte: una donna sposata, secondo il suo nobile padre, non doveva esporsi come una ragazzina né mettersi in situazioni imbarazzanti per il marito, per cui conduceva un’esistenza abbastanza ritirata a occuparsi della casa e dell’economia delle tenute della famiglia. Quando il suo sposo era in viaggio, tuttavia, la giovane tendeva a sentirsi sola e allora ne approfittava per andare a trovare il fratello a corte, senza badare se il suo abito non era all’ultima moda, e si divertiva un mondo.
«Beh, finalmente avremo qualche giorno per stare tra amici, senza gli occhi della corte addosso», esordì Tamaki mentre erano ancora in carrozza.
Haruhi, che aveva portato avanti la sua testarda decisione di ignorare il giovane Duca, alzò le spalle. «Mi sembrava che ti piacesse avere altro addosso, dovendo dire», e a quelle parole gelide il giovane si fece piccolo piccolo, «ma sì, anche per me è bello un contesto un po’ più informale».
No, decisamente la sceneggiata di Tamaki all’Opera non aveva fatto colpo. Specie dopo l’imbarazzante situazione in cui era stato colto dalla ragazza solo un paio d’ore prima del ballo. Se lui era combattuto tra la stranezza delle sensazioni che provava, il bisogno di farsi ben volere da Haruhi e il senso di colpa che gli aveva preso la bocca dello stomaco… Beh, lei era intenzionata a non farsi mettere i piedi in testa.
«Suvvia, Haruhi, secondo me voleva soltanto proteggerti… A nessuno di noi piace molto il Conte di Fersen, non ha una bella reputazione», borbottò Honey, deciso a fare da paciere tra i due. «Certo i suoi modi sono un po’ rozzi e impulsivi, ma voleva agire per il meglio, non è vero, Tamaki?»
L’interpellato annuì impercettibilmente, indeciso se quell’intervento fosse davvero servito allo scopo. Haruhi fissava un punto sopra la sua testa indefinito, dimostrazione che non aveva la minima intenzione di dargli un briciolo di fiducia, il che lo rendeva infelice.
A peggiorare le cose, la ragazza sedeva tra i gemelli che, come al solito, avevano deciso di approfittare della situazione per tentare di coinvolgerla in una delle loro scenette torbide. Il Duca sentiva tanto il bisogno di confidarsi con Kyouya, che però quella mattina li aveva preceduti a cavallo per porgere i dovuti omaggi alla sorella maggiore.
Per fortuna il viaggio fu breve – Madame Fuyumi abitava davvero vicino alla reggia, così come la famiglia Jarjayes – e, una volta giunti di fronte alla villa, i ragazzi poterono uscire presto dallo spazio angusto della carrozza. La padrona di casa era in piedi ad attenderli, insieme al fratello e a tutta la servitù.
La donna e Kyouya si assomigliavano davvero molto, notò Haruhi scendendo dal veicolo, ma se il giovane era sempre serio e controllato, la sorella sembrava molto più aperta e solare.
«Siete arrivati, finalmente!», esclamò quando tutti e sei gli ospiti furono scesi dalla carrozza. «È una vera gioia avervi tutti qui, e Kyouya, poi! Questo ragazzaccio non mi fa mai visita, ci credereste?», e nel dirlo, Fuyumi si appese al braccio del fratello ridendo, sebbene quest’ultimo sembrasse un po’ infastidito da quella dimostrazione di affetto così plateale.
«Sei davvero sicura di volerli ospitare tutti per una settimana intera? Dovremo tornare a corte e creeranno disturbo per niente», replicò infatti come se gli amici non fossero stati presenti.
«Ma certo! Un po’ di baccano in questa grande casa così vuota metterà solo allegria», replicò la nobildonna sempre con il sorriso sulle labbra. Alle sue spalle, notò Haruhi, le domestiche sembravano meno entusiaste. «Venite dentro, ora, presto il pranzo sarà servito, dovete vedere le vostre stanze e rinfrescarvi».
Se il palazzo di Tamaki le era sembrato enorme, prima di vedere Versailles, ora la popolana provava la stessa sensazione di quando aveva scorto la reggia. La residenza di Fuyumi era immensa, avrebbe probabilmente potuto accogliere tutte le persone che vivevano nel suo quartiere con ampio spazio: ai suoi occhi, era incredibile che ci vivesse soltanto una coppia di sposi, ancora senza figli per di più, ma la giovane decise di nascondere quella sensazione di disagio. La sorella di Kyouya era davvero gentile, soprattutto con lei, per cui non desiderava affatto darle l’impressione di essere una gran maleducata. Nonostante quel pensiero un po’ cupo, la situazione che si era creata era davvero favorevole per recuperare la tranquillità, passando almeno qualche giorno senza l’ansia di essere seguita, spiata e minacciata per portare avanti quel piano criminale in cui era stata coinvolta.
Fu mostrato agli ospiti il corridoio su cui erano situate le loro stanze, e Tamaki pigolò qualcosa riguardo al fatto che la sua camere e quella di Haruhi erano le più distanti tra loro. Beh, a lei non poteva fare che piacere: era sicura che ci fosse sotto lo zampino di Kyouya, ma non disse nulla e si ritirò a darsi una sciacquata con l’acqua della brocca che le fecero trovare su un tavolino in un angolo, vicino a un catino e a un asciugamano candido.
Passarono un paio di giorni, un vero balsamo per la giovane popolana e la sua tranquillità. Quella breve pausa fu ottima per continuare l’addestramento di Haruhi nell’uso della spada: Mori, che era il più bravo tra i sei amici nel duello, obbligò la ragazza a esercitarsi almeno un paio d’ore ogni giorno, sotto lo sguardo degli altri, che la incitavano o commentavano divertiti i suoi movimenti un po’ esitanti e goffi – i gemelli in particolare. L’allieva terminava quelle lezione sfinita e un po’ amareggiata, poiché con la bravura del giovane neanche esercitandosi per decenni sarebbe riuscita a colpirlo, ma suoi i progressi erano notevoli e la sua sicurezza, divenuta vacillante dall’arrivo a Versailles, stava aumentando. Certo il suo assalitore non avrebbe preteso un duello per regolare i conti, ma quanto meno non si sarebbe più lasciata aggredire senza reagire.
Durante le sue lezioni di scherma, ma anche per il resto delle giornate a dire il vero, Tamaki continuava a osservarla in silenzio: si erano rivolti raramente la parola – ormai più che altro perché la giovane non aveva nulla da dirgli in particolare, non perché fosse ancora offesa – e il Duca cominciava a deprimersi in maniera preoccupante. La seguiva con l’aria di un cucciolo abbandonato, salvo voltarsi all’ultimo minuto facendo finta di niente, e cercava in ogni modo di convincerla a perdonarlo. Le teneva un posto accanto a sé a ogni pasto, litigava con Hikaru e Kaoru per riservarle i bocconi migliori di ogni portata e si prodigava perché stesse bene. Non riusciva a capire che non fosse necessario e che, anzi, con le sue attenzioni inutili rischiava soltanto di indisporla ancora di più.
Gli unici momenti in cui Haruhi riusciva ad apprezzare Tamaki un poco, ma proprio in rari casi, erano quando il giovane Duca si poneva al pianoforte la sera e intratteneva gli altri con il suo talento musicale. Allora si toglieva la maschera e metteva da parte gli atteggiamenti eccessivi, così da mostrarsi per quello che era davvero, agli occhi della ragazza, o quanto meno lasciar emergere un lato del proprio carattere più tranquillo e contenuto, più apprezzabile.
Una sera, tirò fuori tutti gli spartiti che la padrona di casa si faceva arrivare dall’Austria e dalla Germania, e si fece accompagnare proprio da Madame Fuyumi, che cantava discretamente, mentre gli altri sedevano nel salottino privato della donna. Avevano consumato la cena da un paio d’ore, ormai, e i più grandi si erano concessi un cognac tra una chiacchiera e l’altra. Davanti al camino acceso, mentre Tamaki terminava di accompagnare una magnifica cantata, si stava cercando di trovare un degno finale per la serata, quando una cameriera comparve nella sala per annunciare il comandante delle guardie reali alla porta.
I ragazzi si guardarono tra loro, chiedendosi cosa fosse successo da richiedere una visita a quell’ora, ma Fuyumi non si scompose e si alzò dal suo divanetto per andare ad accogliere il nuovo ospite, com’era suo dovere.
«Forse lo hanno preso», azzardò Kaoru, senza spiegarsi meglio perché tutti avevano intuito a chi pensasse. Haruhi lo fissò per un attimo e poi si concentrò sulla porta, da cui pochi istanti dopo Oscar la chiamò pregandola di seguirla.
«Sono venuta con la carrozza a prenderti, Haruhi, per cui ti pregherei di venire con me».
I ragazzi si alzarono tutti protestando: era tardi e poteva essere pericoloso anche in compagnia di un militare ben addestrato com’era la madamigella, ma l’ospite non ascoltò nemmeno. «Vogliate scusarmi, ma è una faccenda personale e non desidero coinvolgervi. Ho bisogno dell’aiuto di Haruhi presso la dimora della mia famiglia. Non la tratterrò molto, perciò non c’è da preoccuparsi: la riaccompagnerò qui entro un paio d’ore o, se si farà troppo tardi per rimettersi per strada, la ospiterò a casa mia e la riporterò qui domani prima di prendere servizio alla reggia».
«Non dovete chiedere il permesso a nessuno di loro, Comandante», disse con tranquillità Haruhi ignorando i commenti degli altri. «Se avete bisogno di me, sarò felice di aiutarvi».
E con quelle semplici parole, si alzò e seguì Oscar, rifiutando che qualcuno l’accompagnasse alla residenza dei Jarjayes. Le sembrava doveroso mostrare fiducia in quella donna così particolare e forte che si era impegnata a proteggerla pur non condividendo i motivi che l’avevano portata alla reggia.
Sulla carrozza, il Comandante delle guardie reali raccontò per filo e per segno cos’era accaduto quella sera: la ragazza sbucata dai cespugli con un coltello, l’aggressione a sua madre per un malinteso… Era così surreale che Oscar ascoltando la sua stessa voce faticava a credere alle proprie parole.
«Con tutti i problemi che devi già affrontare, non ti coinvolgerei anche in queste faccende, ma questa ragazza non smette di piangere e…»
E voi non sapete come consolarla, pensò Haruhi. Di certo la donna si era offerta di aiutare quella giovane sventurata a trovare la vera responsabile della morte della madre, certa che questo bastasse a farla tranquillizzare, ed era rimasta disarmata a vedere che l’altra aveva comunque tante lacrime da piangere.
«Avete pensato che tra popolane ci saremmo intese con più facilità, non è vero?», commentò con voce tranquilla e neutra. Quando assumeva quel tono, così privo di qualunque colore o inflessione, riusciva a mettere le persone in difficoltà più di quanto avrebbe ottenuto urlando o battendo i piedi.
Oscar annuì, sebbene la sua trovata improvvisamente sembrasse sciocca, spiegata in quel modo dalla ragazza. Forse era stata maleducata?
«Avete fatto bene», continuò Haruhi senza badare al suo imbarazzo, «anche se l’avete trattata con la massima gentilezza, comandante, il vostro mondo ha l’effetto di un ceffone ben dato, per persone come noi. Mi dispiace se anche vostra madre è stata coinvolta, probabilmente questa poverina pensava che il colore dei capelli e la fantasia del vestito fossero elementi già indicativi per riconoscere il mostro che ha investito la sua povera mamma e l’ha lasciata a morire in mezzo alla strada».
La sua grande paura, finire sotto le ruote di una carrozza e spirare prima che qualcuno potesse prestarle soccorso. Haruhi si guardò le mani, ora avvolte da guanti pregiati: neanche un mese prima camminava rasentando i muri per evitare i mezzi che correvano per le strade. Era ancora quella popolana? O, una volta tornata a casa, avrebbe iniziato a lamentarsi per il cattivo odore delle strade, le stanze anguste che avevano in affitto, i vestiti poveri che avrebbe dovuto di nuovo indossare?
Ma con l’oro che mi daranno potremo cambiare vita, io e mio padre… Forse anche lasciare la città, se dovesse diventare troppo violenta e pericolosa.
Oscar, che si era voltata a guardare fuori, fece un cenno d’assenso: «Capisco che sia rimasta spaesata, è arrivata davanti alla mia casa credendo di essere a Versailles, ci crederesti?»
Haruhi tacque, un po’ perché era lo stesso pensiero che era passato nella sua mente vedendo la residenza di Tamaki, un po’ perché non sapeva come spiegare elegantemente che qualunque persona abituata a dividere tre camerette minuscole a Parigi con tutta la famiglia, spesso numerosa, avrebbe immaginato vedendo quel palazzo sfarzoso che il Comandante chiamava casa. Perché il Re non avrebbe dovuto vivere in un posto del genere, per chi non possedeva niente quella residenza era già un sogno principesco. Questione di punti di vista, si disse. Purtroppo Oscar sembrava non rendersi davvero conto delle condizioni di miseria in cui erano costretti molti sudditi di Francia.
«Sapete», esordì piuttosto quando scesero dalla carrozza. «Anch’io ho un’amica che piange di continuo, a prescindere che sia triste o felice. Le lacrime partono senza freni ogni volta che prova un’emozione forte».
«Posso immaginare», rispose il Comandante facendo strada nella grande casa, «per di qua».
Spontanea come Maria Antonietta, si disse Oscar, la vera Antonietta che ben pochi potevano dire di conoscere: quante volte l’aveva vista disperarsi per il suo destino, o non riuscire a sostenere la maschera di perfetta Regina con le persone che le erano care? Ma quello era un lato di lei che il suo popolo non poteva conoscere e che probabilmente, anche se ne fosse stato testimone, avrebbe rifiutato.
Attraversarono un enorme salone, che in realtà faceva da androne, e presero le scale che portavano alle stanze private. Davanti a una porta a metà del corridoio, André montava la guardia con un mezzo sorriso.
«Non si è mossa dal punto del pavimento dove l’hai lasciata», esordì guardando Oscar. «Ciao, Haruhi, grazie. Ho provato a parlarle ma credo si trovi un po’ in difficoltà con me… Sai, essendo un uomo».
«Non sono tutte abituate alla compagnia maschile, André, specie le giovani donne nubili. Non essere antipatico», lo riprese l’amica. «Entriamo, avanti».
Bussò, come se fosse lei l’ospite, o l’intrusa, e senza aspettare risposta aprì la porta. «Rosalie? Ti ho portato una persona».
Haruhi, che la seguiva, rimase immobile per un attimo: possibile che fosse lei? No, era assurdo. Eppure lo stesso abito, i capelli biondi che conosceva…
«Rosalie, vorrei presentarti…»
La ragazza sollevò il capo da terra e sgranò i suoi grandi occhi azzurri pieni di lacrime. «Haruhi? Sei proprio tu?»
«Rosalie!»

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=756456