K&K di Leia (/viewuser.php?uid=310)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Kristine e Kristian ***
Capitolo 3: *** Nel Passato e nel Presente ***
Capitolo 4: *** Una Gabbia Dorata ***
Capitolo 5: *** Il Nostro Ricordo ***
Capitolo 6: *** Tempo che Scorre ***
Capitolo 7: *** Anime Sole ***
Capitolo 8: *** Complicazioni ***
Capitolo 9: *** Silenzi ***
Capitolo 10: *** Forti e Fragili ***
Capitolo 11: *** Il Giusto Equilibrio ***
Capitolo 12: *** Notte Amara ***
Capitolo 13: *** Iniziano i Guai ***
Capitolo 14: *** Nuovi Arrivi ***
Capitolo 15: *** Inspiegabile ***
Capitolo 16: *** Ritrovarti ***
Capitolo 17: *** Interessi Pericolosi ***
Capitolo 18: *** Illusioni ***
Capitolo 19: *** La Fine del Sogno ***
Capitolo 20: *** Epilogo Parte Prima - Do we try or should we just say a good-bye? ***
Capitolo 1 *** Premessa ***
PREMESSA
K&K
Una
fanfic di *Leia*
Ideazione
personaggio di Kristine Grover
di *Miki*
COPYRIGHTS:
CAPTAIN TSUBASA © 1981 by Yoichi Takahashi – all
rights reserved. First published in Japan in 1981 by SHUEISHA INC., Tokyo.
KRISTINE
GROVER e tutti gli altri personaggi estranei alla serie originale di Captain Tsubasa sono © mia e di Miki!! ^_- eh eh!
*****
NOTA: K&K è pubblicato già da diverso tempo su altri siti,
fra cui l’IM-FA di Julie-chan, http://www.scrignodeisogni.it/IM-FA . La premessa che i lettori possono leggere qui di seguito è stata scritta soprattutto pensando all’IM-FA, che
più di tutti ha portato “fortuna” a K&K, oltre al
fatto che è il sito che da più tempo lo ospita, insieme a quello di Mario Ciampa. Forse avrei dovuto adattare questa
introduzione per tutti gli altri siti che pubblicano la fanfic, ma non me la sentivo di cambiarla, quindi, anche se
qualcosa non sarà molto chiaro, non fateci caso. Grazie!
*****
-
Aprile 2001 -
- con
modifiche & aggiunte dell’estate 2003… e vi dico anche che molto presto
potrei riprendere in mano tutti i capitoli per
rivederli e modificarli! *.* ndLeiaAgosto2003! -
Salve
a tutti! ^_^
Dopo
esattamente - o quasi - un anno, mi ritrovo qui a scrivere una nuova versione
della premessa per K&K. Non ci sono particolari
motivi per cui lo faccio, ma…non so, sentivo che
quella precedente non era più adatta…
Ma
iniziamo! Primo, devo ricordare ai lettori un paio di cose! ^__- mi rivolgo
soprattutto a quelli nuovi…a chi arriva qui per la
prima volta! Quindi… leggete con somma attenzione!! ^.^
1)
Non aspettatevi una fanfic sportiva, incentrata, in
questo caso, sul gioco del calcio, perché questa non lo è! K&K
è principalmente una storia d’amore, d’amicizia ma anche di grandi e piccoli sogni ^-^
2) Mi sono concessa
parecchie libertà sulla cronologia degli avvenimenti, sulle concordanze fra essi e le età dei protagonisti di CT, e su tante altre belle
cose…^_^;; quindi, pliiis, non fateci troppo caso!!
^.^;;; purtroppo mi erano necessarie situazioni ben precise per poter
realizzare K&K in questo modo…chiudete un occhio,
ok? Grazieee!!
3) Potrei aver preso - e
potrei prendere in futuro ^^;;; K&K proseguirà
ancora per mooooolto tempo…(spero però di finirla
prima di andare in pensione… ) - una
marea di cantonate sul calcio, sulle sue regole, i lati tecnici, ecc…indi
ragion per cui, anche in questo caso, fate finta di nienteee! ^_^;;;
cercherò in ogni modo di descrivere solo le partite indispensabili… ehm… forse
è meglio!! Fortunatamente il calcio fa solo da sfondo… ^O^; Yeeh! W le fanfic d’amore allora!!
4) Ho utilizzato i nomi Mediaset, prima di tutto perché ci sono affezionata *aaahhh la mia infanziaaa…Leia nostalgica* e per non creare confusione a coloro che non conoscono i nomi originali! Tra l’altro *Leia
se ne accorge solo ora, dopo la bellezza di un anno e
mezzo…^^;* se avessi usato i nomi jappo, K&K non avrebbe proprio funzionato… ^___^;;; secondo
voi una ragazza/un ragazzo giapponese si potrebbe chiamare Kristine/Kristian Grover?? Ehhh, sì, lo
ammetto, K&K ha i suoi difettucci… ^^;;; certo,
si potevano ideare due nomi simili jappo, maschile e
femminile, che iniziavano con la K… ma al tempo, nata l’idea per la fanfic e per la protagonista, mi ero già affezionata al
nome di Kriiiiiiiiiiis! >____
Ehm, direi che, anche se
rielaborati un pochetto, i punti son
rimasti gli stessi della prima premessa! ^__^;
Bene, che altro dire?
Mhh…credo che possa solo concludere… con la parte che mi sta più a cuore, che forse è
il motivo vero di questa “riedizione” della premessa…
Come ho
detto all’inizio, in un anno (circa^^) sono successe tantissime cose.
Tante legate a questa fanfic, tante legate a me. Di
queste ultime cose, quelle legate a me (e ad altri, ovviamente) alcune mi hanno
resa felicissima, per altre sono stata molto male e ho sofferto… ma, di sicuro,
tutto ha contribuito a una mia crescita interiore, che
non si è conclusa, ma che procede piano piano, ogni
giorno, anche se alcune volte in modo difficoltoso.
Ho conosciuto una marea di
persone grazie a Internet, grazie a K&K, grazie alle fanfics e
alle passioni in comune… e molte di queste persone sono diventate amici
preziosi.
Ne ho molti da ringraziare…
e altrettanto tante sono le cose che vorrei dire ad ognuno di loro… ma anche se
non li elencherò tutti, sono certa che tutti quanti loro sapranno che li ho
pensati ^.^
Qui, però, ci tengo
particolarmente a ricordarne alcuni… chi, più di tutti, è diventato qualcuno di
veramente importante per me, chi mi è stato accanto sempre, e mi è vicino tutt’oggi… sì, sento di doverlo fare qui, in questa
premessa, perché molto devo anche a K&K, fanfic che è stata più volte un tramite fra me e gli altri,
un modo con il quale ho potuto farmi conoscere meglio e al meglio, un biglietto
da visita, una sorta di specchio della mia anima che, altrimenti, solo
attraverso lo schermo di un PC e nelle battute di una chattata
sarebbe stata difficilmente visibile.
Alcune volte mi sono
commossa nel leggere i commenti e le parole di chi mi scriveva
per la fic… perché, nelle frasi di quelle mails, riconoscevo e ritrovavo ciò che avevo dentro, e
quello che avevo cercato di comunicare - di me - nella fanfic.
Quindi… grazie, grazie e ancora grazie infinite a tutti i lettori che mi hanno
scritto, grazie infinite a chi è riuscito a farmi
piangere con qualche semplice riga… perché per me ha significato veramente
tantissimo. Ora so che posso comunicare qualcosa a qualcuno, e tutto ciò mi
spinge a continuare con entusiasmo… a scrivere, per realizzare un piccolo sogno
da condividere con tanti. Grazie.
Adesso, ecco invece i
ringraziamenti più specifici… eh eh!! ^_-
Grazie a Julie,
la mia sorellina acquisita, perché senza di lei non so proprio come avrei fatto,
tantissime volte…grazie, grazie perché ci sei, grazie per tutto quello che siamo riuscite a realizzare insieme noi tutte (questo “noi”
è riferito alla mia piccola famiglia… ^_^), con te… tu, che sei stata
l’elemento che ci ha unite…grazie. Ti auguro tutto il bene possibile, sis, perché te lo meriti davvero… io ci sarò sempre,
ricordatelo.
Grazie a Lory,
Sara, Alina (e anche Cleucci e Lisuccia,
mia nipote *_* ndLeiaAgosto2003), le mie cuginette,
perché sono delle ragazze e amiche fantastiche che mai, insieme alla mia sister, mi fanno sentire sola. Grazie per quello che sapete darmi sempre, grazie per le vostre meravigliose
storie, grazie per i galattici giorni trascorsi insieme, e perché,
semplicemente, esistete! ^__^
Grazie a Tania e Amidala, le mie fidate zia &
mamma, che sono dei saldi punti di riferimento per me e le altre… grazie,
Tania, per la tua ineguagliabile personalità e perché sei incredibile ^.^
grazie ad Ami, amica fantastica e donna matura della family ^_- la mia mamminaa devo imparare tanto da te! (e
dalla ziaaa! O forse è
meglio di no? Uahahah!!!)
Grazie a zie a Saeko e Chilahe pubblicano la fanfic Giuccina, altra sorellina mia e di Julie
e “piccolina” del gruppo (insieme a Saeko *_* altra sis!! ndLeiaAgosto2003), che ha
costruito un sito bellissimo per K&K, rendendola
una fanfic speciale. Grazie per i bellissimi giorni
trascorsi insieme, Giuccina, sei
una ragazza dolcissima, piena di energia, sempre disponibile per tutti e
un’amica grandiosa! ^-^ mi raccomando, non cambiare e continua così… sempre!!! ^_-
Grazie a Klau,
Katy, Trinity, Laura e
tutte quelle persone, membri della family e non, che potrei aver
dimenticato…GRAZIE!!
Grazie a Mario, il primo che
ha pubblicato K&K nel suo grandioso
sito… sei stato forse la mia prima vera conoscenza on the Web, e mi hai
insegnato taaante cose!! ^-^ non ti dimenticherò mai!
Grazie grazie grazie, e
continua ad essere il… prezzemolo che sei!! Eh eh!
^^;;
Grazie infine alla mia
adorata Mikina, “manager” di fiducia di K&K, senza la quale questa fanfic
non esisterebbe… ho sempre saputo che prima o poi
un’idea geniale ti sarebbe venuta, GIOIAAA!! Ahaha!! ^O^;; ok, ok, scherzavo!! Seriamente, grazie infinite per
tutto quello che sei, e cioè una terribile mente
logica nel corpo di una pazza completa… ^^;; ma anche una delle persone
migliori della mia vita! ^-^
Ok, prima che questa lista
diventi infinita, mi fermo qui… eh eh!
Allora… un grosso saluto e
buona lettura a chi si appresta a leggere K&K!
^_^ a preeeeeessto!
Leia^^
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Capitolo 2 *** Kristine e Kristian ***
K&K
PARTE
PRIMA
Una figura snella e di
media statura camminava velocemente per la strada principale della città di
Fujisawa, che si stava poco a poco affollando con l’avvicinarsi dell’ora di
rientro per la maggior parte dei lavoratori. Nonostante ciò, però, Fujisawa era
una luogo tranquillo e vivibile anche nei momenti di maggior traffico, grazie
soprattutto alle numerose e vaste aree di verde presenti e alla sua fama di
splendida località turistica.
La misteriosa figura attese
ancora qualche secondo vicino ad un semaforo, ancora rosso, prima di poter
attraversare la via e raggiungere il marciapiede dall’altra parte della strada.
Era vestita con una normale tuta da ginnastica e il capello, abbassato sul viso,
nascondeva alla vista lo sguardo e parte dei lineamenti. Il corpo era ben
proporzionato, e i movimenti, agili e scattanti, rivelavano il fisico di un
ragazzo adolescente, giovane e pieno di energia.
La campana di un liceo
suonò i caratteristici rintocchi per annunciare il termine delle lezioni. Mentre
la folla degli studenti si avviava verso l’uscita della scuola, il ragazzo in
tuta passò davanti ad un gruppo di studentesse che, ferme al cancello, lo
stavano osservando.
“Hai visto quel ragazzo?”.
“Sì…ma chi è? Non l’ ho mai
visto!”.
“Beh…non ne ho idea…ma è da
alcuni giorni che passa ogni pomeriggio di qui, e sempre alla stessa ora…”.
“Sul serio? Chissa’ dove
va…comunque mi sembra davvero carino!”.
“Già! E poi guarda che
fisico…tra l’altro è così misterioso…e sembra che faccia di tutto per
nascondersi…”.
“Hm…che ne dite di fermarlo
e di chiedergli qualcosa…diciamo…il suo numero di telefono?”.
Le ragazze cercarono di
soffocare delle timide risatine. Una di loro, però, evidentemente la più audace
fra le amiche, si avvicinò al giovane che, fermatosi un momento accanto alla
cinta della scuola, guardava ansiosamente l’orologio al polso.
“Ehm…scusami…”, mormorò la
studentessa, cercando lo sguardo del ragazzo sotto alla visiera del cappello.
Al suono di quella voce, il
misterioso sportivo si scosse dai suoi pensieri e, indietreggiando velocemente
di qualche passo, calcò ancora di più il cappello sulla testa, evitando
accuratamente di guardare in faccia l’ammiratrice.
“Ehi, ma…”, disse
stupefatta la ragazza quando il giovane corse improvvisamente via, percorrendo
il lungo marciapiede davanti a lei alla massima velocità e scomparendo, poi,
dietro l’angolo della strada. “…non ti avevo ancora chiesto niente!”.
Nonostante fossero già le
cinque di un caldo pomeriggio di inizio settembre, il cielo era ancora di un
azzurro chiaro, e il sole illuminava l’erba verde e rigogliosa dei numerosi
parchi cittadini alla periferia di Fujisawa. La zona, quel giorno, era
stranamente deserta, e solo una persona correva veloce in mezzo ai sentieri.
“Ma perché devo fare colpo
proprio su delle stupide ragazzine? Mi chiedo se quella di fingermi un maschio
sia stata una buona idea…”, disse Kristine Grover, quasi senza fiato,
fermandosi davanti ad una panchina. Si tolse finalmente il cappello, lasciando
così cadere sulle spalle una cascata di lunghi capelli castano chiaro, prima
raccolti sopra la nuca. Alzò il viso sudato verso le mille nuvole bianche sopra
di lei. “Beh…non è di certo quello lo scopo per cui mi travesto, ma…”. Riabbassò
la testa, volgendo gli occhi verso il grande campo da calcio davanti a lei,
pieno di giocatori che si stavano allenando. Sorrise.“… è questo”.
Mentre raccoglieva
nuovamente la folta chioma sotto al berretto bianco, si diresse a passo veloce
verso il vasto campo d’erba rada, da dove arrivavano grida e voci di ragazzi.
Kris aveva quasi 17 anni, e
la sua famiglia si era da poco trasferita a Fujisawa, dove era stato appena
costruito un nuovo albergo fra quelli della vasta catena di proprietà dei
genitori, famosa in tutto il Giappone. I Grover avevano quindi deciso di gestire
personalmente l’ultima costruzione, attratti soprattutto dalla verde e
rilassante cittadina; i due figli, Kris e Alex, di due anni più grande della
sorella, li avevano seguiti.
La ragazza, però,
all’inizio non era stata particolarmente entusiasta del trasloco: a Kyoto, dove
prima viveva, aveva dovuto lasciare amici e compagni di scuola, per non parlare
poi della squadra di pallavolo di cui era capitano. Per giorni, dopo l’arrivo a
Fujisawa, non aveva voluto guardare in faccia il padre e la madre, interessati
soprattutto ai loro affari e non alla felicità della figlia, e solo qualche
tempo dopo Kristine si era rassegnata a vivere nella nuova città.
Improvvisamente, poi,
qualcosa le aveva fatto iniziare ad amare Fujisawa. Ma non erano né il mare, né
le verdi colline intorno al paese…era invece ciò che non avrebbe mai sognato di
poter avere lì vicino, accanto a sé: uno sport, il calcio, secondo molti
riservato unicamente agli uomini, ma che Kris sentiva suo come nessun altro. E
una squadra, la New Team, che lei seguiva e sosteneva da anni.
La ragazza si avvicinò al
perimetro del prato, cercando di non farsi notare dall’uomo di mezza età,
probabilmente l’allenatore, seduto in panchina, e da un giovane ragazzo coi
capelli scuri di fianco a lui. Entrambi guardavano concentrati i giocatori in
campo, che si stavano affrontando in una partita d’allenamento.
Da quando aveva scoperto
che la New Team aveva la sua sede proprio a Fujisawa, Kris non si era lasciata
sfuggire l’occasione di andare ad assistere tutti i giorni agli allenamenti nei
quali la squadra era impegnata in vista dell’imminente campionato nazionale. La
ragazza era felicissima di poter seguire i suoi idoli da così vicino, ed in
particolare uno di loro, che da sempre, per lei, costituiva un modello da
seguire. Certo, erano tutti dei campioni, a cominciare dal grande Oliver Hutton,
capocannoniere della squadra, ormai conosciuto in tutto il mondo per la sua
straordinaria tecnica perfezionata negli ultimi anni in Brasile.
Grover ammirava ognuno di
loro, ma l’unico ruolo che Kristine aveva sempre desiderato di poter avere, se
avesse potuto giocare a calcio, era quello di portiere. Ed era per questo motivo
che il suo idolo, la persona che rappresentava per la ragazza il massimo a cui
poter arrivare, era l’imbattibile Benjiamin Price. Eccezionale e infallibile,
era forse l’unico portiere juniores che aveva alle spalle una preparazione
atletica e tecnica assolutamente perfetta, e una specializzazione di anni e
anni praticata in Germania. Per anni Kris aveva potuto seguirlo solo da lontano,
leggendo gli articoli sui giornali e guardando le sue foto, e immaginando
soltanto di incontrarlo, un giorno, di persona. Adesso, invece, quello che era
sempre stato solo un bel sogno era diventato realtà: Benji Price era lì, a poca
distanza da lei, seduto su una panchina…il solito cappello con visiera in testa,
la felpa con, sul petto, la N di New Team bene in vista, pantaloni leggermente
aderenti, neri, con righe laterali bianche, e scarpini neri da calcio. Gli occhi
scuri, profondi e concentrati, guardavano davanti a sé, e il profilo, dai
lineamenti marcati ma allo stesso tempo dolci, circondava il viso assorto nella
partita. Un ragazzo dal fascino selvaggio e dal fisico statuario ma che,
sfortunatamente, pensò Kris, non avrebbe potuto prendere parte alla prima parte
del campionato a causa di un trauma subito alla gamba sinistra durante una
recente partita d’allenamento.
“Peccato”, disse sottovoce
la ragazza, guardando il portiere. “Non potrò vederti subito in campo…”.
Kris rimase una attimo a
fissarlo, quasi in adorazione, voltando però subito la testa dopo aver pensato
che Benji avrebbe potuto accorgersi della sua attenzione. Decise quindi di
seguire la partita in corso, naturalmente dominata, in quel momento, dalla
squadra capeggiata da Hutton. Il giovane dai capelli neri, leggermente lunghi e
un po’ mossi, correva attraverso il campo con la velocità di un fulmine,
dribblando gli avversari con una tecnica perfetta quanto inimitabile. Giunto
davanti alla porta, si preparò a tirare, concentrando nella gamba destra tutta
la forza possibile: al momento dell’impatto, la palla sembrò quasi sparire, per
ricomparire un attimo dopo come una lunga scia di luce, che si dirigeva verso
l’angolo della porta con una potenza inaudita. Alan Crocker, secondo portiere
della New Team e sostituto di Benjiamin Price, fissò per qualche secondo il
velocissimo bolide, prima di gettarsi con tutto il corpo a destra per cercare
di pararlo; la palla, però, lo anticipò, e si insaccò in rete passando a pochi
centimetri dalle sue dita.
Ormai il goal era stato
fatto, ma il portiere non riuscì a bloccare in tempo il suo salto: la mano
destra, stretta a pugno, andò a sbattere violentemente contro il palo della
porta, evitando però così che la testa subisse un forte colpo. Immediatamente il
ragazzo crollò a terra, stringendosi con l’altra mano le cinque dita, in preda a
un forte dolore.
“Alan!”, gridò Holly Hutton,
accorrendo subito l’amico. Anche gli altri giocatori arrivarono, correndo, dal
centrocampo. Ben presto l’intera squadra era stretta intorno a Crocker, in
ginocchio davanti alla porta.
“Scusa, Holly, non sono
riuscito a parare il tuo tiro…”, mormorò il ragazzo a denti stretti, guardando
mortificato il proprio capitano.
Hutton scosse la testa,
preoccupato. “Ma cosa stai dicendo, Alan.! Hai corso un grande rischio, lo sai?
E, in ogni caso, ora, la tua mano ora è ferita…potresti esserti fatto male
seriamente…”.
Alan sospirò, triste. “Mi
dispiace, ragazzi”, disse quindi, rivolgendosi ai compagni di squadra, mentre
anche l’allenatore e Price arrivavano nei pressi dell’area di rigore.
Il mister si inchinò e
prese la mano di Alan. Dopo avergli sfilato il guanto, tastò le dita immobili
per il forte dolore; dopo pochi istanti di silenzio teso, l’allenatore si rialzò
in piedi, lo sguardo basso. Tutta la squadra aspettava, muta, il responso.
“Sono rotte”, disse alla
fine serio, alzando nuovamente lo sguardo e guardando prima Alan e poi Holly.
“Per fortuna è qualcosa che può guarire in pochi mesi, ma…”.
Benji cercò gli occhi del
mister, preoccupato. “Ma?”.
“…ma Alan non potrà
partecipare al campionato. Purtroppo questo è sicuro”, concluse amaramente.
Nessuno parlò. La sfortuna
si era nuovamente abbattuta sulla New Team per la seconda volta. Prima Benji,
ora Alan. E non c’era nessuno, questa volta, che potesse sostituire Parker.
Nessuno.
“Cosa faremo adesso?”,
disse sconsolato Bruce Harper, un ragazzo dalla faccia simpatica e dai radi
capelli neri. “Dovremo rinunciare al campionato di quest’anno?”.
Price voltò la testa verso
l’amico. “Non dirlo nemmeno per scherzo, Bruce! Noi giocheremo…e sarò io a
sostituire Alan, sin dalle prime partite se questo è indispensabile…”.
“Smettila, Benji, sai bene
che nelle tue condizioni questo non è possibile!”, esclamò, a quelle parole, il
mister in direzione del portiere titolare. “…Troveremo un’altra soluzione,
ragazzi. Ci deve essere qualcosa che possiamo fare…”.
I membri della New Team si
scambiarono qualche occhiata sconsolata. Ognuno di loro sapeva bene che ci
sarebbe stato ben poco da fare…purtroppo la carenza di sostituti era sempre
stato l’unico aspetto negativo della loro squadra. E, soprattutto, la mancanza
di portieri. Avevano sempre fatto affidamento solo sulla bravura di Price, senza
considerare il fatto che, un giorno, avrebbe potuto infortunarsi, senza poter
più giocare per lungo tempo. Era stato questo il più grande errore, ed ora il
mister se ne stava accorgendo. No, la New Team, la squadra giovanile più forte
del Giappone, che aveva alle spalle decine e decine di vittorie, non poteva
ritirarsi così dal campionato…se solo fosse arrivato un colpo di fortuna…
“Ehm…scusate…”, disse
timidamente una voce dietro al gruppo raccolto intorno alla porta. L’intera
squadra si girò di scatto.
In piedi in mezzo all’erba
verde, Kris sorrideva impacciata, con una mano alzata in segno di saluto. “Non
vorrei intromettermi, ma per quello che ho capito siete in difficoltà…”.
Holly guardò la ragazza,
sorpreso. “E tu chi sei?”.
Grover, rendendosi conto
che era stato il grande Hutton a rivolgerle la parola, deglutì emozionata,
abbassando leggermente lo sguardo da lui. “Devo fare a tutti i costi una buona
impressione…non so a quanto potrà servire, ma…”, pensò decisa, stringendo i
pugni con forza.
“Mi chiamo Kris Grover e ho
17 anni”, disse quindi sicura.
Ci fu un attimo di
silenzio. “Adesso mi sbattono fuori dal campo…me lo sento…”, sussurrò Kristine,
tesissima, immobile davanti ai giocatori che la fissavano.
All’improvviso, però,
Holly fece qualche passo avanti, avvicinandosi alla ragazza. “Piacere, Kristian…è
il tuo nome, vero?”, chiese quindi il giovane fuoriclasse tendendo la mano a
Kris. “Sono Oliver Hutton, il capitano di questa squadra. Giochi anche tu a
calcio?”.
Kristine fissò per qualche
istante, incredula, il viso cordiale di Hutton, prima di riuscire a stringergli
la mano. Allora il travestimento aveva funzionato! Riusciva a passare veramente
per un ragazzo, e non solo agli occhi delle studentesse di prima liceo…
“Sì, so benissimo chi sei…”
rispose così Kris. “Seguo da lungo tempo sia te che il resto della squadra, e vi
trovo fantastici…ehm…e…beh…sì, sì, diciamo che…ho giocato per molto tempo a
calcio nella squadra locale della mia città prima di trasferirmi qui a Fujisawa,
circa un mese fa. Ecco, io…facevo…facevo il portiere”.
Un forte brusio si alzò
subito fra i giocatori della New Team. Forse non tutto era ancora perduto.
“Davvero?”esclamò
entusiasta Holly, posando una mano sulla spalla di Kris. “Quindi…potresti
sostituire Alan in porta? Te la sentiresti?”.
La ragazza esitò,
rendendosi conto di aver appena detto una grossa bugia. Non aveva mai giocato
seriamente come portiere in una squadra, e anche se aveva imparato le tecniche
principali giocando spesso a calcio, a Kyoto, con dei suoi amici, non poteva
certo considerarsi esperta. Gli anni passati a pallavolo avrebbero potuto
esserle d’aiuto, ma l’agilità non era l’unica qualità che doveva possedere un
bravo portiere di calcio.
Mentre, indecisa, abbassava
gli occhi da Hutton, un altro giocatore si avvicinò a lei. “Aspetta, Holly. In
qualità di portiere titolare ritengo che spetti a me decidere se questo ragazzo
è abbastanza dotato da poter entrare a far parte della squadra…”.
Sentendo quella voce, Kris
rialzò subito la testa, felice. Price. Era Price.
“Certo, Benji, hai
perfettamente ragione…”, disse scherzosamente Hutton facendosi da parte. “E’
tutto tuo”.
Il portiere sorrise
divertito, guardando l’amico di fianco a lui. Poi, continuando a sorridere,
volse gli occhi su Kris. “Beh, io sono Benjiamin Price, ma penso, da ciò che hai
detto, che tu lo sappia già. Ecco, anche se siamo in una situazione davvero
critica, non possiamo di certo far entrare in squadra la prima persona che si
presenta. Mi capisci, non è vero Kristian? Per questo, penso che prima di
decidere dovrò farti affrontare…ecco, una prova”.
“Ehm…sì, certo, è…è
giusto…”, balbettò lei, cercando di nascondere l’emozione che stava provando
nel trovarsi faccia a faccia con Price.
Era indecisa…accettando di
verificare la sua competenza come portiere, avrebbe rischiato di fare una
brutta figura, ma se invece le fosse andata bene…lei…lei…
“Ok. Accetto…sottoponetemi
pure ad un qualunque test”, esclamò allora Kris senza esitazioni, decidendosi a
guardare finalmente negli occhi Benji.
Un’occasione del genere non
si sarebbe più ripresentata. Doveva cogliere al volo quell’opportunità. Senza
ripensamenti.
“Bene! La sicurezza,
almeno, non ti manca…”, disse allegro il ragazzo bruno, voltandosi verso i
compagni di squadra. “Allora, ragazzi, preparatevi a fare qualche tiro!”.
Il mister, ancora accanto
ad Alan, sospirò. “A quanto pare il colpo di fortuna è arrivato…”, disse,
voltandosi verso il secondo portiere.
“Già”, rispose il ragazzo,
sforzandosi di sorridere, anche se realmente felice dell’arrivo di Kristian
Grover. “Sono sicuro che ce la farà”.
“Ne sono certo
anch’io…forza, seguimi adesso”, disse il mister dando una pacca sulla schiena di
Crocker. “E’ necessario ingessarti subito quella mano”.
Mentre i due si
allontanavano dal campo, Benji accompagnò Kris fra i due pali. “Allora, è
semplice: a turno, cinque giocatori tireranno in porta e tu, naturalmente,
dovrai fermare più palloni possibili. Saranno come dei calci di rigore…”,
spiegò quindi alla ragazza, porgendogli un paio di guanti da portiere. “Ecco,
usa questi”.
Kris lì guardò un attimo,
riconoscendoli immediatamente. “Ma…sono quelli che usi molto spesso, non è
vero?”, mormorò, prendendoli in mano. “Sei sicuro che posso usarli? In fondo,
per te, devono essere importanti…”.
Benji alzò lo sguardo per
fissare negli occhi, stupito, la ragazza. “Beh…se mi hai seguito talmente
assiduamente da riuscire a riconoscere in questi guanti quelli che uso
solitamente…posso dire di essere felicissimo di poterli prestare al mio più
grande fan!”.
A quelle parole, anche Kris
alzò gli occhi su Price. “Gra…grazie”, riuscì solo a mormorare, mentre Benji si
allontanava. “Buona fortuna, allora!”, gridò infine il portiere, alzando un
braccio.
La ragazza lo vide arrivare
a bordo campo. Sarebbe stato lui a fischiare i tiri, visto che il mister si era
assentato per andare ad accompagnare Alan in infermeria.
Mentre si infilava i guanti
di Price, le parve di sentire, dentro di lei, una forza di volontà e una
sicurezza che non aveva mai posseduto prima. Sì, ne era sicura…sarebbe riuscita
a superare il test. Non avrebbe deluso Benji. E il posto di portiere della New
Team sarebbe diventato suo.
Kris si posizionò tra i due
pali, concentrata. Chi sarebbero stati i cinque giocatori? Beh, sicuramente, fra
di loro, non poteva mancare Hutton, e anche se era quello che più temeva, non
vedeva l’ora di poter confrontarsi con lui. Ma gli altri?
Tirò leggermente indietro
la visiera del cappello, per avere la visuale intorno alla porta più libera
possibile. Il primo giocatore era già pronto fuori dall’area di rigore, e stava
studiando attentamente sia Kris che lo spazio fra i due pali.
La ragazza lo riconobbe: si
trattava di Ted Carter, il più veloce attaccante della New Team. I suoi tiri
non erano però mai stati particolarmente potenti, e Kris pensò che non sarebbe
stato difficile fermare il pallone.
Al fischio di Price, Ted
prese la rincorsa: la sfera, dopo essere stata calciata, si diresse velocemente
verso l’angolo destro della porta. Consapevole che Benji la stava guardando, la
ragazza attese che il pallone si avvicinasse, per poi saltare con un’agilità e
una velocità sorprendente, bloccandolo con sicurezza.
Mentre Kris si rialzava,
Price, a bordo campo, la osservava attentamente. “Si muove molto bene”, disse a
voce alta, sorridendo compiaciuto. “Penso che se la caverà egregiamente…”.
Proprio in quel momento, Benji sentì una mano posarsi sulla propria spalla.
“A quanto pare quest’anno
non avremo l’onore di affrontarti, Price” disse quindi una voce familiare. Il
portiere si girò.
Davanti a lui c’erano due
ragazzi: il primo, di media altezza, aveva i capelli neri, lisci e leggermente
lunghi. Gli occhi erano neri e profondi, lo sguardo sicuro e deciso. L’altro
ragazzo, dietro di lui, era un po’ più alto e muscoloso, i capelli folti di un
castano chiaro; il viso, dai lineamenti decisi ma non troppo marcati, era
cordiale e aperto. Nonostante ciò, nel complesso il giovane appariva fiero e
sicuro di sé, e comunicava un senso di grande rispetto a chi gli stava vicino.
“Philip! Julian! Che bello
vedervi…come mai siete qui?”, esclamò Benji, avvicinandosi ai due amici. “Tutti
credevamo che vi avremmo visti solo in campionato…”.
Julian si tirò indietro un
ciuffo di capelli castani. “Beh, naturalmente siamo venuti a spiare i vostri
allenamenti…”, disse in tono serio. Philip Callaghan guardò Ross, per poi
scoppiare a ridere. “Ma no…avevamo solo voglia di vedere come ve la passavate…e
di sapere come stavi, Benji”.
Price sospirò. “Purtroppo
sia il mister che Freddie dicono che potrò rientrare in campo solo per le
semifinali…ma…”. Il ragazzo voltò la testa per guardare Kris. “…ma forse ci sarà
qualcuno che potrà sostituirmi”.
Julian alzò lo sguardo
verso la porta. “Non è Alan…”, disse stupito.
“Già”, mormorò pensieroso
Philip. “E’ un nuovo portiere?”.
Benji incrociò le braccia.
“Beh…spero proprio che lo diventi. Sta affrontando…il test d’ammissione,
diciamo”.
Mentre i tre amici
parlavano, Kris, in porta, si stava preparando a parare il tiro di Mason. Questa
volta la palla si diresse appena sotto alla traversa, ma la ragazza, senza
alcuna difficoltà, la fermò, raggiungendola con un balzo felino.
La stessa scena si ripeté,
più o meno simile, anche con Paul Diamond: la forza del tiro, però, non permise
a Kris di bloccare il pallone con le mani, che venne soltanto respinto. Quando
la ragazza si rialzò da terra, c’era Holly, pronto, davanti alla porta.
“Sei pronto, Kristian?”,
gridò il ragazzo, mentre, arcuando la schiena, si preparava a calciare.
Kris guardò decisa il
capitano della New Team. “Certo”, rispose concentrata.
Hutton tirò. Il pallone,
dapprima, salì velocemente sopra la testa dei giocatori, per poi ritornare giù
dirigendosi con una potenza inaudita verso un angolo della porta. Kristine alzò
gli occhi, socchiudendoli. Individuò subito la sfera, anche se in controluce
rispetto al sole che brillava sopra di lei. “Ce la faccio, se mi lancio in
anticipo”, pensò risoluta, in una frazione di secondo. Ma fece male i suoi
calcoli.
La palla, dopo essere
arrivata a poco più di un metro dai pali, cambiò improvvisamente direzione,
insaccandosi qualche istante dopo nell’angolo opposto della rete. La ragazza
rimase a fissare in ginocchio, incredula, il pallone, mentre questo rotolava
lentamente sull’erba.
“Era…era ad effetto”,
mormorò, mentre Holly si avvicinava ai pali. Una volta che fu arrivato accanto a
lei, Kris alzò la testa. “Complimenti”, disse quindi un po’ abbattuta al
ragazzo. “Davvero un gran tiro, Hutton…sei davvero un campione”.
“Grazie”, rispose lui,
guardandola. “Ma anche tu potrai diventarlo. Ne sono certo…hai le doti e le
qualità necessarie, e penso che anche Benji sarà del mio stesso parere. Hai
della stoffa, Kris”.
Detto questo, Holly tese
una mano a Grover, per aiutarlo a rialzarsi. “Questo vuol dire…che ho superato
il test?”, chiese felice Kristine, quando fu di nuovo in piedi. Oliver la
osservò per qualche istante, pensieroso, prima di distendersi con un sorriso.
“Beh…non lo so ancora con sicurezza…come hai sentito prima, è Benji che comanda,
in questo caso. E, comunque, c’è ancora un tiro che devi parare…”.
“Cosa?”. La ragazza guardò
Holly in cerca di spiegazioni, prima di ricordarsi che, effettivamente, Price
aveva detto che i giocatori sarebbero stati cinque. Cercò quindi con lo sguardo
l’ultimo attaccante, che doveva essere, probabilmente, già pronto in area di
rigore.
E infatti era lì. Non
troppo alto, di media corporatura, teneva il pallone fermo con un piede. Il sole
batteva sopra la sua testa, illuminando i corti capelli castani…Kris cercò di
capire chi fosse, nonostante avesse l’impressione di averlo già visto. Di averlo
già…conosciuto.
Hutton volse gli occhi
verso il giocatore misterioso. “Ed ecco il tuo ultimo sfidante, Kristian…dopo
cinque anni, finalmente, è tornato a far parte della New Team, e spero per
sempre, questa volta. Tu che ne dici, Tom?”.
Il ragazzo davanti alla
porta, che aveva sulla schiena il numero 11, sorrise ad Holly. “Certo, ci puoi
scommettere. Ho smesso di fare il calciatore viaggiante…”.
Kris guardò meglio il viso
del giocatore. Lo fissò per alcuni istanti, per poi ricordarsi, all’improvviso,
di ogni cosa.
“Ma che…no…non è
possibile…lui è…”, mormorò, come paralizzata. Non poteva crederci. Non poteva
essere successo. “E’…è lui…è Tom…il mio Tom…ma…è quel Tom Becker!”.
Persa nei suoi pensieri e
troppo sconvolta per poter reagire, Kris non si accorse del fischio di Benji e
del conseguente tiro di Becker. La palla, infatti, le passò accanto senza essere
fermata, finendo così in rete.
Solo quando la sfera,
rotolando, le toccò un piede, la ragazza ritornò nella realtà; Kris voltò la
testa, e, fissando il pallone, si rese conto che Tom aveva segnato. Lei, invece,
non aveva neanche provato a muoversi.
“Oh, no…”, pensò disperata,
sistemandosi il cappello sulla testa. “Questo…questo potrebbe aver rovinato
tutto…però…”. Abbassò gli occhi, amareggiata.
Si diresse così a bordo
campo, dove Benji e gli altri la stavano aspettando. Evitò di guardare Tom
Becker, che, probabilmente, era qualche metro dietro a lei insieme ad Holly.
Anzi, forse sarebbe stato meglio se neanche lui l’avesse vista.
Si avvicinò a Price.
Sentiva il suo sguardo e quello dell’intera squadra puntati su di sè, ma cercò
di non farci caso. In ogni modo, dopo quell’ultimo tiro, l’avrebbero sicuramente
rifiutata… l’occasione della sua vita era così sfumata. Per sempre.
“Benji…ti restituisco i
tuoi guanti…”, mormorò Kris, triste, togliendoseli e porgendoli al ragazzo. “Non
so se hai fatto bene a prestarmeli…io…non ne sono stata degna. Il fatto è
che…ecco…io…non so cosa mi sia preso…”, cercò di dire, stringendo i pugni per la
rabbia. “Io…”.
Invece, contrariamente a
ciò che si aspettava, Benji le mise le mani sulle spalle. “Ma cosa dici? Sei
stato grandioso…non ho mai visto nessun portiere muoversi veloce come te. La tua
incredibile agilità mi ricorda molto lo stile di Ed Warner, ma tu…tu hai
qualcosa che non ho mai visto prima in nessun giocatore. Sembri…sembri quasi
trovarti a tuo agio in porta…sei scaltro e abile, ma allo stesso tempo ti muovi
con grande eleganza. Sì, forse hai qualche lacuna nella preparazione atletica…ma
con un po’ d’allenamento, sono sicuro che potresti raggiungere un buon livello.
Per quanto riguarda la tecnica, invece…beh, quella davvero non ti manca”.
Kris, sentendo quelle
parole, spalancò gli occhi per lo stupore. “Da…davvero la pensi così? Quindi…”.
Benji sorrise. “Quindi
considerati pure il numero 1 della New Team…da oggi sei con noi, Kristian Grover!”.
L’intera squadra esultò,
stringendosi subito intorno al nuovo membro. Anche Philip e Julian si
scambiarono un’occhiata compiaciuta, felici di aver trovato in Kristian un degno
avversario, in grado di sostituire al meglio Price.
Il neoportiere, dal canto
suo, non poteva ancora crederci. Tutto quello che aveva sempre voluto…anzi,
l’unica cosa che aveva sempre desiderato…ora…ora si era avverata. Kris girò
cautamente la testa per cercare Becker. Lo vide ancora in campo che, insieme ad
Holly, parlava con Ross e Callaghan, che avevano poco prima raggiunto i due
amici.
Rimase a guardarlo a lungo.
Il viso gentile, dai lineamenti delicati e perfetti. Gli occhi dolci e luminosi,
di un intenso color nocciola. Il fisico equilibrato, da modello, il corpo ben
proporzionato e slanciato…e, infine, incredibilmente bello. Sì, era come lo
ricordava.
E adesso, finalmente, lo
aveva ritrovato. |
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Capitolo 3 *** Nel Passato e nel Presente ***
“Kristine! Dai, è da ieri sera
che sei rinchiusa in camera…non vuoi raccontarmi cosa ti è successo? Fammi
entrare…”.
Il fratello di Kris, Alex, era
in piedi davanti alla porta della camera della ragazza, e da ben cinque minuti
bussava ripetutamente nel tentativo di ricevere una qualche risposta.
“Allora, Kris! Vuoi rispondermi o no??”, esclamò infine,
disperato, colpendo violentemente l’anta con un pugno. Dopo qualche secondo si
girò, e con un lungo sospiro si appoggiò al muro. “Uff…penso
sia inutile continuare…però…”, mormorò, preoccupato.
Alex aveva 19 anni, ed era un
ragazzo sicuramente dotato di innumerevoli pregi. Per prima cosa, era alto e
slanciato, e grazie alla sua corporatura era diventato un vero campione nello
sport che praticava da diversi anni, il basket. Inoltre, era giudicato da molti
bellissimo, soprattutto perché, pur avendo entrambi i genitori di origine
giapponese, aveva alcuni tratti del viso inequivocabilmente occidentali, per
non parlare di due luminosi occhi verdi ombreggiati da folti capelli castani.
Nonostante tutto, però, Alex era
un ragazzo come ce ne n’erano tanti…sempre allegro e di buon umore, amava
scherzare e divertirsi. C’era solo una cosa per la quale veniva molto spesso
preso in giro dai suoi amici, e cioè il profondo affetto che provava per la
sorella. Più che altro, Alex manifestava palesemente
il suo spirito di protezione nei confronti di Kris, ma quello che dicevano su
di lui non gli interessava minimamente…per il ragazzo, sua sorella era più
importante di qualsiasi altra cosa.
Quando, il giorno prima, l’aveva vista rientrare in casa
con lo sguardo perso nel vuoto, il viso stravolto e nel più totale silenzio,
aveva subito capito che doveva esserle accaduto qualcosa di molto serio…qualcosa
in cui, Alex ne era quasi certo, c’entrava un
ragazzo. Troppe volte Kris aveva dovuto soffrire a causa di stupidi playboy che
non avevano avuto nessun rispetto per i suoi sentimenti…e per questo motivo,
adesso, Alex aveva giurato a se stesso che se fosse
ricapitato un’altra volta, non l’avrebbe fatta passare liscia a chi avesse
fatto del male a sua sorella.
“Proverò a ripassare più tardi…”, disse quindi a se
stesso, lanciando un’ultima occhiata alla porta della camera di Kris. Arrivato
alla fine del corridoio, esitò un attimo prima di scendere le scale. Voltò la
testa di lato.
“Ehm…”, mormorò, titubante. “Kris, se…se hai voglia di
mangiare, in ogni caso…ecco, ho preparato la colazione…è sul tavolo in
cucina!”, gridò Alex, cercando di farsi sentire dalla
ragazza. Attese per qualche secondo la risposta, per poi scendere,
rassegnato, al piano terra.
Kris, chiusa in camera, era distesa sul letto. Fissava,
sognante, un grande poster appeso alla parete a lato, in cui era raffigurato un
famoso portiere di fama internazionale che si lanciava per parare un forte
tiro.
“E’ la realtà…sì, lo è…”, mormorò, affondando il viso nel
cuscino che stringeva a sé. “Faccio parte della New Team…sono…il portiere della
squadra…”.
Per un attimo il silenzio ritornò a regnare nella stanza,
accompagnato solamente dal ticchettio continuo delle lancette dell’orologio
sulla scrivania di Kris. Poi, improvvisamente, la ragazza fece un lungo
sospiro, girandosi a pancia in su per stiracchiarsi fra le lenzuola.
“Sarò al fianco di Oliver Hutton…di Benjiamin Price e…”.
Sorrise dolcemente, mentre, ricordando gli avvenimenti del giorno prima, le si
formava davanti agli occhi l’immagine del numero 11 della New Team. “…Tom…Tom Becker”.
Strinse ancora più forte il cuscino, ridendo. “Uaaah! Come sono felice!”, esclamò Kris, in preda
all’entusiasmo. Saltò giù dal letto per andare ad affacciarsi alla finestra, e,
appoggiandosi al davanzale, guardò il cielo. Era di un azzurro intenso, con
qualche nuvola bianca qua e là. La ragazza respirò profondamente l’aria fresca,
mentre un uccello iniziava a cantare sulla cima dell’albero davanti alla sua
stanza.
“Non avrei mai pensato che ti avrei rivisto, Tom…a quanto pare il mondo è davvero piccolo…”, disse Kris
con una punta di tristezza nella voce. “Purtroppo…non potrò farmi riconoscere
da te…non devo…se voglio continuare ad essere…Kristian”.
Abbassò lo sguardo dal cielo terso, rendendosi conto della
crudeltà della situazione. Becker non doveva sapere
che lei in realtà era Kristine…la Kristine
che aveva conosciuto quattro anni prima. Non doveva…altrimenti tutto sarebbe
finito. Sarebbe finito sia Kristian Grover che il sogno di una vita.
“Non è giusto…”. Senza quasi che la ragazza se ne
accorgesse, le lacrime le avevano riempito gli occhi. “Ritrovarti per perderti
di nuovo…perché?”, sussurrò, coprendosi, disperata, il viso. “Avrei voluto…”.
Proprio in quel momento qualcosa iniziò a suonare con
insistenza. Kris si voltò di scatto, ricordandosi improvvisamente di avere
puntato sul cellulare l’ora degli allenamenti per il primo giorno.
“Oh, cavoli! E’ vero!”, gridò, precipitandosi verso
l’armadio per prendere tuta, scarpe e cappello. Si cambiò in un lampo,
nascondendo con attenzione i lunghi capelli nel berretto. “Ecco”, disse
sistemandoselo bene sulla testa e controllandosi nello specchio a muro di
fianco all’armadio. “E’ arrivato Kristian, il
portiere della New Team”.
Uscì dalla camera, percorse in tutta fretta il corridoio e
scese al piano terra. Alex, stravaccato sul divano in
salotto davanti alla TV accesa, la fissò allibito mentre si infilava la giacca
appesa all’ingresso. “Ma…Kris…cosa fai? Stai…stai bene? Tu…ecco…”, balbettò.
La ragazza si girò, accorgendosi della sua presenza. “Ah,
ciao fratellino! Scusa, ma adesso non ho proprio tempo…devo uscire, tornerò
prima di pranzo…”, disse sorridendo.
Alex non riusciva a capire.
“Ma…ma cosa? Esci? Ma è…è domenica mattina…dove accidenti devi andare?
E…poi…poi si può sapere perché ultimamente ti vesti in modo così poco
femminile? Cos’è quella tuta? E i capelli nel berretto? E ieri cosa diavolo ti
è successo? Io…”.
Kris rise. “Ah, ma quante domande! Purtroppo ora non ho
tempo per risponderti…mi spiace! Ciao!”. Detto questo, la ragazza uscì,
sbattendo la porta.
Alex era rimasto senza parole. “Aehm…beh, sembrava allegra, perlomeno…”. Voltò la testa,
per guardare lo schermo acceso. Dopo pochi istanti afferrò il telecomando
abbandonato per terra, e spense la TV.
“Oh, al diavolo…”, esclamò con disappunto, lasciandosi
quindi cadere nuovamente sul divano. “…e poi sto pure a preoccuparmi. Accidenti
a te, Kris”.
Oliver Hutton
si avviò verso le scale che portavano al campo, seguito da Carter, Mason e Bruce Harper,
che li raggiunse correndo. “Ehi, ma si può sapere perché siete sempre tutti
così di fretta?”, mormorò Bruce avvilito,
avvicinandosi ad Holly.
Il ragazzo sorrise all’amico. “Non vuoi essere al massimo
della forma per vincere anche quest’anno il campionato, Bruce?”.
Harper lo guardò con aria
stanca. “Beh, certo…ma è talmente presto questa mattina…e tra l’altro è domenica!
Era proprio necessario allenarsi anche oggi, Oliver?”.
Ted Carter, affiancandosi al
difensore della New Team, lo bloccò circondandogli improvvisamente il collo con
un braccio piegato.
“E…Ehi…Teeeed, non mi strozzareeee…”, cercò di dire Harper
provando a liberarsi di quella stretta con le mani. Ted
rise, così come Mason, di fianco a lui. “La verità, Bruce, è che sei solo un pigrone!”.
Carter lasciò finalmente il povero giocatore, che si
massaggiò la gola indispettito. “Non è vero!”, disse quindi girandosi verso
l’amico. “E’ solo che adesso, per tutti noi, è ricominciata anche la
scuola…ed è l’ultimo anno! Studiare, per
me, è diventato sempre più duro…”.
Uscirono sul prato, dove gli altri giocatori si stavano
già allenando. Holly respirò profondamente. “Hai
ragione, Bruce…ma vedrai che troveremo il tempo per
fare ogni cosa…comunque, il motivo per cui vi ho chiesto di venire ad allenarvi
stamattina è…”. Fissò per qualche secondo i compagni in campo, poi distolse lo
sguardo. “Beh, diciamo che questa speciale
riunione domenicale è in onore del nostro nuovo compagno di squadra, Kristian Grover…”.
“Sono qui, capitano”.
Holly, Bruce,
Ted e Johnny si voltarono
all’unisono. Grover era davanti a loro, trafelato e
ansimante, che cercava di sorridere ai tre.
“Ti prego…ti prego di scusarmi…è che…abito dall’altra
parte della città…e…”, mormorò Kris tra un respiro e l’altro, cercando di
riprendere fiato. Holly sorrise comprensivo,
mettendogli una mano sulla spalla. “Non preoccuparti, non sei in ritardo…in
ogni caso, prima di iniziare gli allenamenti, c’è una cosa importante che
bisogna fare…”.
“Cosa?”.
Hutton si incamminò verso il
centrocampo, seguito da Grover e dagli altri tre
giocatori. “Beh, ti devo presentare ufficialmente tutti i tuoi compagni di
squadra, anche se forse già li conosci…”.
Kris sentì una fitta al cuore. Becker.
Naturalmente c’era anche lui. Un suo compagno di squadra. Gli avrebbe stretto
la mano. Gli avrebbe sorriso. L’avrebbe guardato nuovamente negli occhi. Becker. Tom Becker.
Holly riunì davanti a sé tutti i
giocatori della New Team, disposti, secondo il numero sulla propria maglia, su
una fila, dopodiché si girò verso Kris. Il neoportiere si avvicinò timidamente
ai compagni, stringendo la mano ad ognuno di loro e provando a sorridere.
Sapeva che tra poco si sarebbe ritrovata davanti a lui.
“Io sono Tom Becker,
numero 11, centrocampista”.
Quella voce sicura e gentile…Kris provò a sollevare lo
sguardo. Lentamente, i suoi occhi si posarono prima sulla N stampata sulla
maglietta bianca, poi, salendo, arrivarono al collo del ragazzo, e infine al
viso.
“Pia…piacere…”, disse quindi con estrema fatica, sentendo
le dita di Becker stringersi intorno alla sua mano. Kristine cercò di assaporare quel contatto fino in fondo,
quasi come se si fosse trovata davanti a una star mondiale che difficilmente
poteva essere avvicinata dai fan. O, semplicemente, come davanti una persona
che si era creduta persa per sempre.
Tom sorrise, ma quando incontrò
gli occhi di Kris, rimase immobile.
La ragazza sentì un brivido correrle lungo la schiena.
“Oh, no. Ti prego, Dio, no…”, implorò, mentre a sua
volta sosteneva lo sguardo di Becker, incapace di
muoversi. Tom la fissava.Kris ebbe come l’impressione
che riuscisse a sentire anche la paura che si nascondeva dietro ai suoi occhi.
“Tu…” mormorò all’improvviso Tom
continuando a guardarla pensieroso. Kris, rendendosi conto che Becker poteva avere intuito o ricordato qualcosa, si
affrettò a passare oltre al ragazzo, senza lasciarlo finire di parlare.
La presentazione dei suoi compagni di squadra continuò
quindi senza problemi, e arrivata alla fine della fila fece un ampio sorriso
all’intera New Team. “Sono felice di essere il vostro portiere per questo
campionato”, disse guardando Holly. “Farò del mio
meglio per non deludervi”.
“Ne siamo sicuri, Kristian”,
rispose Hutton, mentre gli altri giocatori,
disperdendosi per il campo, si preparavano per iniziare l’allenamento.
Kris si guardò un attimo intorno. “Price oggi non c’è?”,
domandò rivolgendosi ad Holly, continuando però a
cercare Benji con lo sguardo. Il ragazzo si girò, e
iniziò a camminare verso i margini del campo. Kristine
lo seguì, affiancandosi a lui.
“Arriverà tra poco…sai, è andato a fare un controllo alla
gamba. Purtroppo, anche con le migliori cure, sono sicuro che non potrà tornare
a giocare prima della metà del campionato, se siamo ottimisti. Quindi, Grover…”. Holly voltò la testa e
guardò Kris. “…contiamo su di te per vincere”.
Continuarono a camminare. Dopo le parole di Hutton, Kristine si sentiva
addosso una grandissima responsabilità…avrebbe dovuto sostituire Benjiamin Price, il più grande portiere che il Giappone
avesse mai avuto. Solo adesso se ne stava realmente rendendo conto. Venne colta
improvvisamente da una grandissima ansia. Ne sarebbe stata capace?
“Holly, io…”, disse, spaventata,
a testa bassa.
Ma il capitano della New Team non era più di fianco a lei.
Erano arrivati davanti alle panchine, dove, su una di esse, erano posati dei
vestiti piegati. Hutton li prese e, girandosi
nuovamente verso Kris, glieli porse.
“Come portiere ufficiale ti spetta di diritto anche la
divisa della nostra squadra. Spero sia della tua taglia…”.
Kristine prese i vestiti dalle
mani di Holly. La divisa…come portiere della New
Team. Fissò emozionata il numero 1 stampato sulla felpa piegata, lo stesso che
aveva sempre avuto anche Benji. Beh, era naturale.
L’avrebbe indossata come suo sostituto…un onore che non avrebbe mai sperato di
poter avere…
Ogni paura svanì. Si sarebbe impegnata, e la New Team
avrebbe vinto.
“Grazie”, disse felice sorridendo ad Holly.
Proprio in quel momento qualcuno comparve alle loro
spalle. “Ciao Grover. Pronto per cominciare?”.
Kris riconobbe subito la voce di Benji,
anche se, fino a quel momento, aveva parlato con lui una sola volta. D’altra
parte, come poteva dimenticarla?
Anche Holly si girò. “Hei, Benji, bentornato. Come va
la gamba?”.
“Beh…i dottori dicono che miglioro rapidamente, ma che
devo continuare a non sforzarla. In ogni caso non mi preoccupo…ho un valido
sostituto…”, disse Price guardando Kris.
La ragazza arrossì, anche se sperò che nessuno dei due
giocatori se ne accorgesse. “Ehm…io…lo spero”, mormorò, nascondendo gli occhi
sotto la visiera del cappello.
Benji osservò i compagni di
squadra in campo. “Come ti ho già detto ieri, Kristian,
la tecnica e le doti non ti mancano…è però necessario un allenamento speciale
per potenziare il tuo fisico…”.
“Certo”.
“…Ho pensato, quindi, che la cosa migliore sarebbe quella
di allenarti personalmente”, continuò Price incrociando le braccia.
Kris sgranò gli occhi. “Davvero? “.
Holly si avvicinò ai due. “Sì,
anch’io sono d’accordo. Non c’è nessuno più indicato dello stesso Benji per allenarti”.
Price mise una mano sulla spalla di Grover.
“Allora è deciso. Che ne dici di iniziare subito?”.
Kris sorrise.
La ragazza si sentiva a proprio agio fra i pali. Infilò
velocemente i guanti di Price, mentre il ragazzo, fermo al dischetto, aspettava
che fosse pronta.
“Da quello che ho potuto vedere ieri, Grover,
il tuo problema è costituito dai tiri potenti. Non riesci a trattenere i
palloni troppo forti, che puoi solo a deviare. Dovremo quindi lavorare sul
potenziamento muscolare delle braccia…”.
Kris ascoltò attentamente Benji.
In effetti aveva ragione…nonostante avesse praticato per diversi anni la
pallavolo, le sue braccia non erano abbastanza forti per trattenere i palloni
lanciati dai calciatori. “Va bene”, gridò quindi mettendosi in posizione e
attendendo il primo tiro. Credeva che sarebbe stato Benji
a tirare, visto che la gamba fuori uso era la sinistra, ma non fu così.
Il ragazzo si girò, e agitò una mano verso il centrocampo,
dove erano concentrati gran parte dei giocatori. Uno di loro si staccò dal
gruppo, e, correndo, arrivò davanti alla porta.
“Ok, Tom…i
tuoi tiri sono perfetti per allenare Kris. Comincia quando vuoi”, disse Benji all’amico, allontanandosi poi dall’area di rigore.
Kristine avrebbe voluto
scappare. Aveva fatto di tutto, fino a quel momento, per stare il più possibile
lontano da Becker. Ma, evidentemente, il destino
voleva che Tom fosse ancora lì, con lei, nel presente
come lo era stato nel passato.
“Cerchiamo di rilassarci”, si disse. “Da adesso in poi Tom è solo un mio compagno di squadra. Solo un mio compagno
di squadra. Non potrà mai riconoscermi. Non devo preoccuparmi”.
Becker fermò col petto il pallone
che Benji gli lanciò, per poi bloccarlo col piede.
Guardò Kris. “Non ti dispiace, vero, se aiuto Benji
nel tuo allenamento?”.
Il sorriso di Tom incantò
un’altra volta Kristine, che cercò di non pensare a
quello che il ragazzo aveva significato per lei in passato. “No, no…ho appena
promesso a me stessa che sarebbe stato solo…un compagno di squadra. Smettila,
Kris, smettila”.
Strinse i pugni. “No di certo, Becker.
Anzi, ne sono felice”.
“Bene!”. Tom si preparò a
tirare. “Sono sicuro che questa volta la prenderai”.
Kris pensò un attimo alle parole del ragazzo. Di certo si
riferiva al fatto che durante la prova del giorno prima non aveva neanche
tentato di parare il suo tiro. “Stanne certo”.
Tom prese la rincorsa. Il
pallone partì velocissimo, diretto verso un angolo della rete. Kris, concentratissima, attese il momento giusto per saltare, ma
una volta che ebbe la sfera tra le mani, questa le sfuggì. Non era riuscita a
trattenerla.
Cadde a terra, sapendo che il pallone era entrato
ugualmente in porta, nonostante il suo tentativo di parata. “Accidenti”, disse
a se stessa, rialzandosi.
Price si avvicinò. “Non abbatterti, Grover.
Sei stato bravo, ma devi riuscire a trattenere questi tipi di tiri. Penso che
dovremo trovarci anche fuori dagli allenamenti ordinari…”. Il ragazzo afferrò
all’improvviso le braccia di Kristine, che trasalì.
“Come ti ho già detto, i tuoi muscoli sono piuttosto
deboli”, disse Benji dopo aver stretto le mani
intorno alle braccia del neo portiere, per verificare il loro stato di
allenamento. Kristine si ritrasse velocemente,
ricordandosi, dopo quel contatto ravvicinato, di essere una ragazza.
“…sarà dura, ma pensi di riuscire a venire tutti i giorni
ad allenarti per un paio d’ore, verso sera? Io e Tom
siamo disposti ad assisterti…”.
Kristine guardò in silenzio
prima Benji, poi Tom. Fino
a quel momento non aveva pensato ai sacrifici che avrebbe comportato essere
portiere della New Team. Gran parte della giornata in campo, ad allenarsi fino
a tardi. Meno tempo per studiare, per dormire, per rilassarsi. Si prospettava
un periodo molto duro, questo era certo.
Anche per un’altra ragione. Una ragione molto seria…ma
Kris preferì non pensarci, in quel momento.
“Sì, non ci sono problemi”, mentì.
Ormai, in ogni caso, non sarebbe più potuta tornare indietro.
Benji e Tom
continuarono ad allenare Kris fino alla fine della mattinata. Solo quando il
campanile di una chiesa vicina suonò mezzogiorno, la ragazza si rese conto di
quanto fosse tardi.
L’intera squadra si avviò lentamente verso i margini del
campo, per scendere negli spogliatoi a cambiarsi. Anche Price, Becker e Grover lasciarono l’area
di rigore. “Come primo giorno non c’è male, Kris”, disse Benji
soddisfatto, sorridendo alla ragazza.
Per tutta risposta, il portiere annuì, distrutto
dall’intenso allenamento a cui era stato sottoposto. Non vedeva l’ora di
tornare a casa per farsi una doccia e sdraiarsi sul letto. Era esausta, anche a
causa del fatto che non mangiava dalla sera prima.
“Sei stanco, vero? Ti consiglio di farti una bella
doccia…ti sentirai subito meglio, vedrai…”. Becker
stese le braccia verso il cielo. “Penso che io farò la stessa cosa…”. Kris
annuì nuovamente, troppo debole per cogliere le parole del ragazzo.
Arrivati davanti agli spogliatoi, Tom
fece per scendere, ma prima si voltò per chiamare Kristine,
che si era fermata vicino alle panchine con Benji.
“Allora, Grover, che fai lì impalato? Forza,
vieni…così ti faccio anche vedere qual è il tuo armadietto…”.
In quell’istante Kris capì finalmente cosa le aveva detto Becker pochi secondi prima. Tutti quanti lo credevano un
ragazzo, e per Tom era naturale che lei si cambiasse
nello stesso spogliatoio della squadra e che facesse la doccia con lui e gli
altri loro compagni.
“Oh mio dio…questo piccolo aspetto non l’avevo
considerato…”, pensò terrorizzata all’idea di spogliarsi davanti a una ventina
di ragazzi.
Indietreggiò di qualche passo e, cercando di essere la più
naturale possibile, sorrise ai due giocatori.
“Ehm…mi dispiace, ma purtroppo mi sono ricordata che devo
ancora studiare una montagna di pagine di storia per domani…sapete com’è…devo
correre a casa…”.
Tom la guardò un po’ stupito.
“Oh…beh, va bene. Nessun problema”. Benji tentò di
trattenerla ancora per qualche minuto, ma Kris, dopo aver preso la divisa
appoggiata ancora su una delle panchine, si incamminò di tutta fretta verso
l’uscita del campo.
Price la rincorse per un tratto, gridandogli l’ora fissata
per l’allenamento speciale del giorno seguente. Grover
rispose agitando una mano in segno di assenso, dopodiché scomparve oltre il cancelletto della rete che recintava il prato verde.
I due ragazzi rimasero per qualche momento in silenzio,
sorpresi dal comportamento di Kristian. Poi, Benji si tolse il cappello, passandosi una mano fra i
capelli scuri. “Che tipo strano. Non trovi, Tom?”.
Il giovane attaccante della New Team si appoggiò con un
braccio allo stipite della porta che portava agli spogliatoi. “Già…”.
Non ne era sicuro, ma aveva la sensazione di avere provato
una strano dejà vu…e non solo in quegli ultimi minuti insieme a Grover, ma anche durante quella mattinata…gli era come
sembrato di aver già conosciuto Kristian…il suo viso,
la sua voce…erano così…così familiari…
“Ehi”, esclamò Price avvicinandosi all’amico. “Va tutto
bene?”.
Becker si scosse dai suoi
pensieri. Alzò la testa. “Certo. Ascolta, che ne dici di proporre ad Holly e agli altri di andare a mangiare insieme da qualche
parte? Oggi ho una fame…”.
Benji sorrise, battendo una mano
sulla schiena di Tom. “Ottima idea”.
I due scesero quindi negli spogliatoi, lasciando il campo
deserto. |
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Capitolo 4 *** Una Gabbia Dorata ***
Alex sentì la porta sbattere.
Appoggiò i piatti sul tavolo, dirigendosi verso l’ingresso.
“Ah, sei tu…ho preparato il
pranzo. Vieni a mangiare”, disse quindi dopo aver gettato un breve sguardo alla
sorella, che, distrutta, era appoggiata
al muro della stanza per cercare di riprendere fiato.
“A…arrivo…”, mormorò Kris
togliendosi il cappello e la giacca della tuta e buttandoli sul divano del
salotto.
Raggiunse il fratello in cucina.
Alex era in piedi davanti al lavandino, di spalle, che sbucciava lentamente
delle carote. Kris si sedette al tavolo apparecchiato, osservando per qualche
secondo il contenuto del suo piatto prima di prendere in mano la forchetta. Si
fermò nuovamente.
“Cos’hai, Alex?”, disse
improvvisamente alzando la testa.
Il ragazzo rimase immobile.
“Cos’ho? Niente. Cosa dovrei avere, scusa?”.
“Smettila. So benissimo che sei
arrabbiato. Ti conosco…”.
Per qualche istante il silenzio
più totale regnò nella cucina. Poi, posando rumorosamente il coltello che aveva
in mano sulla superficie metallica del lavello, Alex si girò.
“E’ da due settimane che
sparisci ogni giorno per interi pomeriggi, vestendoti sempre con quell’orribile
tuta…e poi raccogli i capelli per nasconderli sotto ad un cappello, ritorni a
casa in uno stato tra lo shockato e il sognante e subito dopo ti rinchiudi in
camera senza dirmi cosa ti è successo…mi fai preoccupare da morire, esci sempre
e non ti porti mai via il cellulare, non so mai come rintracciarti e in teoria
io dovrei tenerti d’occhio visto che sono il fratello maggiore e i nostri
genitori non ci sono mai…e poi hai il coraggio di chiedermi che cos’ho?”.
Kris ascoltò quel fiume di
parole senza dire nulla, conscia del fatto che Alex aveva perfettamente
ragione. Troppo presa dagli ultimi avvenimenti che le erano capitati, non aveva
pensato che le persone intorno a lei, e primo fra tutte suo fratello, avrebbero
potuto notare qualcosa di strano nel suo comportamento. Ma, d’altra parte…
“Non posso certo spiegare ad
Alex quello che mi è successo…se gli dicessi che mi fingo un ragazzo per poter
giocare nella New Team non so proprio come reagirebbe…”, pensò Kris abbassando
lo sguardo pensierosa.
Il fratello si avvicinò al
tavolo. Improvvisamente, sbattè entrambe le mani sul piano di legno, facendo
tintinnare piatti e bicchieri e scuotendo Kris dai suoi pensieri. La ragazza lo
guardò stupita.
“Beh, mia cara, almeno uno
‘scusa’ sarebbe gradito!”, esclamò Alex fissandola infuriato.
Kris lo fissò a sua volta, poi
sospirò, sorridendo. “Scusa, fratellino. Prometto che non ti farò più
preoccupare”.
Il ragazzo la scrutò negli occhi
ancora per qualche secondo, per poi scostarsi dal tavolo. “Brava”.
Ritornò verso il lavandino.
Nonostante quello che poteva
sembrare, Kris sapeva che non bastava quell’unica frase per rassicurare
Alex…decise quindi di rivelargli solo una parte di verità. La sola che,
d’altronde, sarebbe riuscita a confessare.
“Ehm…vedi…è che in questi ultimi
tempi…vado tutti i giorni ad assistere…agli allenamenti della New Team…”,
mormorò, timorosa.
Kris attese la reazione del
fratello, preparandosi al peggio. Alex non aveva mai compreso la sua passione
per il calcio, ma probabilmente solo perché influenzato dalle idee dei loro
genitori, totalmente contrari all’interessamento della loro unica figlia ad uno
sport normalmente praticato solo da maschi. Anzi, la madre e il padre di Kris
erano addirittura convinti che una ragazza non dovesse pensare a nessun tipo di
sport…Kris detestava questi stupidi pregiudizi, allo stesso modo in cui
detestava i suoi genitori. Certo, non poteva dire di odiarli. In fondo
restavano pur sempre sua madre e suo padre, ma…il loro modo di pensare era
troppo diverso dal suo. Da questo punto di vista le avevano sempre tarpato le
ali, e non le avevano mai lasciato la libertà di decidere da sola, nemmeno
nelle scelte personali.
Quando, a Kyoto, Kris aveva
iniziato a giocare a pallavolo, c’erano voluti mesi prima di riuscire a
convincere i suoi…beh, in realtà non li aveva convinti. Dopo una furiosa
litigata, aveva semplicemente deciso di non ascoltarli.
Purtroppo, qualche anno più
tardi, fu costretta a lasciare per sempre la sua squadra, in cui era entrata
con tanta fatica, insieme a tutti i suoi amici, per trasferirsi a Fujisawa…con
grande gioia, ovviamente, dei suoi genitori.
Proprio per questo motivo,
adesso, Kris non poteva permettere che tutto si rovinasse un’altra volta. Non
voleva più discutere, non voleva più che qualcuno gli negasse di credere nei
suoi sogni…anzi, di vivere i suoi sogni.
Alex per un po’ non disse
niente. Poi, girandosi verso la sorella, fece un largo sorriso.
“L’avevo sospettato, sai?” disse
tranquillo.
Kris rimase per un attimo
spiazzata dalla risposta, che sinceramente non si aspettava.
“…Davvero?”.
“Sì…era fin troppo evidente.
Sapevo anch’io che qui si allenava la New Team…e ho pensato che, di certo,
anche tu ne eri venuta subito a conoscenza. E così…non mi è stato difficile
fare due più due…”, disse. Poco dopo la sua espressione diventò seria.
“Sta’ tranquilla, non dirò nulla
a mamma e papà. So bene che ti proibirebbero di passare il tuo tempo ad
assistere agli allenamenti della squadra. Personalmente anch’io non la trovo
una cosa molto costruttiva, ma…”. Kris gli lanciò un’occhiataccia.
“…ma, in fondo, è solo grazie
alla New Team se adesso hai riacquistato un po’ di serenità. Quando abbiamo
lasciato Kyoto, eri davvero triste. Inconsolabile, direi. Adesso, invece…”.
Alex la guardò con affetto. “Sembra che il calcio sia davvero la tua vita”.
Kristine restò in silenzio,
piena di gratitudine per il fratello. Nei momenti di maggior sconforto, in
quelli difficili, e durante i contrasti con i loro genitori, Alex l’aveva
sempre sorretta e aiutata. Le era sempre stato vicino, e adesso, ancora una
volta, era diventato suo complice…
“Grazie, Alex”, disse.
“Figurati, sorellina. Ma…”.
“Ma?”
Il ragazzo si avvicinò a lei, e
agitando minacciosamente il coltello con il quale stava sbucciando le carote,
esclamò: “Se però qualche bel giocatore della New Team si azzarda a metterti le
mani addosso, ti assicurò che farò in modo che non possa più toccare un pallone
per tutta la sua vita!”.
I due si fissarono un momento,
per poi scoppiare a ridere insieme.
“Esagerato! Non devi
preoccuparti di questo…vestita da ragazzo, penso che nessuno di loro mi
noterà…”, disse quindi Kris riprendendo in mano la forchetta abbandonata poco
prima accanto al piatto.
Alex sospirò, e, sedendosi di
fianco alla sorella, appoggiò i gomiti al tavolo, sorreggendosi la testa con le
mani. “Beh, questo è vero…ma non si sa mai…più che altro…la mia paura è che un
altro stupido…beh, possa farti soffrire, come è già successo in passato. Quando
ti innamori di qualcuno, l’amore che doni a questa persona è totale, sincero,
profondo…ma vedi, molte volte questi tuoi sentimenti non vengono ricambiati
allo stesso modo…e finisce che tutti se ne approfittano di te, per poi
abbandonarti.
Purtroppo questo non ti è
capitato una sola volta, e io lo so quanto dolore hai dovuto
provare…quindi…ora…io mi preoccupo solo per te, capisci? Non voglio che questo
ricapiti ancora…”.
Kris voltò la testa di scatto.
Becker…
“…Beh…”, disse agitata, cercando
di parlare normalmente. “…cosa…cosa ti fa pensare che io mi debba innamorare
per forza di un giocatore della New Team?”.
Alex alzò le spalle. “Beh…nulla,
in realtà. Però, sai, con tutti quei ragazzi belli e atletici…” disse, facendo
poi una risatina.
“Eh
eh…scusa…scherzavo…comunque…”. La guardò negli occhi. “Spero di non dovermi
preoccupare di nuovo…Kris. Solo questo”.
La ragazza sostenne il suo
sguardo per alcuni secondi, per poi tornare a mangiare. “Non lo farai…te lo
assicuro”.
Kris salì in camera. La prima
giornata di allenamenti era stata davvero dura…anche se sapeva bene che quello
era stato solo l’inizio. Avrebbe dovuto resistere per tutto il campionato, e
comunque fino a quando Benji non si fosse completamente ristabilito.
“Terrò duro”, promise a se
stessa iniziando ad abbassare la cerniera della tuta e dirigendosi verso la
porta del bagno. “La forza di volontà di certo non mi manca…”.
Immediatamente, però, si fermò.
Si girò verso il letto, sul
quale era appoggiata una grossa scatola bianca.
“No…ancora un’altra volta…”,
mormorò lentamente, fissando l’involucro freddamente. “Avevo detto loro che non
ci sarei più andata…ma allora non lo
vogliono proprio capire!”, gridò, lanciando rabbiosamente un pugno sul muro.
Sulla porta comparve Alex.
“Sapevo che la tua reazione
sarebbe stata questa…ecco perché non te lo volevo dire”.
Kris alzò la testa. “Beh,
l’avrei saputo comunque, no?”.
“Già”.
I due rimasero in silenzio per
qualche secondo. Poi, all’improvviso, Kristine afferrò uno dei cuscini che
erano sul letto, per lanciarlo violentemente contro una parete.
“Non possono costringermi! Mi
sono stancata!”.
“Kris…lo sai che questa volta
non puoi rifiutarti…”.
“Questa volta? Ma se li ho
sempre accontentati! Anche se sanno benissimo quanto odio gli stupidi
ricevimenti che organizzano, e la loro fissazione di coinvolgermi nei loro
affari…e poi sai meglio di me che fanno sempre di tutto per farmi conoscere
ricchi quanto insopportabili giovani imprenditori! Mi usano come se fossi uno
strumento, e puntualmente mi comprano un vestito da sera ovviamente firmato…”.
Sì fermò per riprendere fiato.
Aveva gli occhi lucidi di lacrime, ma si impose di non piangere davanti al
fratello.
Alex la guardava tristemente. A
differenza della sorella, era sempre stato meno ribelle di lei nei confronti
dei loro genitori, anche se doveva ammettere di aver disapprovato più di una
volta certi loro atteggiamenti.
“Mi dispiace, Kris…stasera c’è
l’inaugurazione del nuovo albergo…sai quanto mamma e papà tengono alla nostra
presenza…ci saranno molte persone importanti, potenziali soci per i Grover.
Dovremo fare di tutto per far fare una bella figura alla nostra famiglia…lo
capisci, non è vero?”.
La sorella lo fissò furiosa. “No
che non capisco! Mi sembra che siamo già abbastanza ricchi o mi sbaglio?”.
Alex la guardò a sua volta,
cercando di farla ragionare. “Kris, lo fanno per noi”, disse lentamente.
A quelle parole, Kristine si
avvicinò al ragazzo, fino a che non arrivò a pochi centimetri da lui. “Forse
avrai anche ragione, ma ho sempre creduto che ‘avere una famiglia’ e ‘voler
bene ai propri figli’ volesse dire soprattutto ‘presenza all’interno
dell’ambito famigliare’! Fin da quando eravamo piccoli, non ci sono mai stati
in casa…mai una gita insieme, una vacanza…solo il loro lavoro, i loro affari.
Siamo cresciuti fra baby sitter e domestici, e adesso…adesso che siamo capaci
di badare a noi stessi ci usano solo quando fa comodo a loro…e questo è
insopportabile!”.
Alex ascoltò pazientemente lo
sfogo della sorella. Per molte cose aveva perfettamente ragione…non poteva
certo biasimarla. Era stato difficile per entrambi, ma soprattutto per Kris,
crescere da soli…forse era per questo motivo che Alex si era sempre sentito in
dovere di stare il più vicino possibile a lei, molto più di un semplice
fratello maggiore.
Sospirò, avvicinandosi alla
porta. “E’ per stasera alle nove. Io fra poco esco per andare all’albergo ad
aiutare Nicole e gli altri ad organizzare la serata…tornerò prima delle sette
per cambiarmi, e poi andremo insieme. Ciao, Kris”.
Il ragazzò uscì dalla camera
della sorella. Kristine rimase immobile, gli occhi fissi sul pavimento. Dopo
qualche istante, sentì la porta dell’ingresso sbattere, segno che Alex se n’era
andato.
Subito dopo si buttò sul letto,
disperata, finalmente libera di piangere.
“Li odio!”, urlò, dando sfogo a
tutta la sua rabbia, e stringendo i lembi delle lenzuola fra le mani.
“Adesso…li odio davvero!”.
Nonostante tutto, quella sera
Kris si preparò per andare al ricevimento insieme ad Alex. Non sapeva bene
perché, alla fine, aveva deciso di farlo…forse per suo fratello, o forse per
evitare che i suoi genitori pensassero che fosse occupata a fare altre cose.
In questo modo, cioè, avrebbe
potuto nascondere al meglio il “portiere Kristian” della New Team. In quel
momento, era infatti l’unica cosa veramente importante…per mascherare la
verità, sarebbe stata disposta a fare qualsiasi cosa. Anche ad assecondare il
volere dei suoi genitori.
Si mise le scarpe, e avvicinandosi
allo specchio si ricontrollò per un’ultima volta.
“Come odio dovermi vestire
così”, si disse fissando infastidita la sua immagine riflessa. “Questa non sono
io…”.
Di certo l’elegante vestito nero
da sera sbracciato che indossava era molto differente dai comodi abiti sportivi
che utilizzava normalmente…lungo fino ai piedi, aveva un unico spacco a lato,
che arrivava fino a metà coscia. Il collo era circondato da un sottile filo
d’oro, e i capelli castani, raccolti sulla nuca, erano fermati da un fermaglio
con dei piccoli brillanti.
“Su, coraggio Kris…”, mormorò
quindi rassegnata, afferrando la borsa e il cappotto con una mano guantata.
“…passerà anche questa odiosa serata, alla fine, come tutte le cose…”.
Qualcuno bussò alla porta. “Sei
pronta?”, domandò Alex, fuori dalla stanza.
Kris comparve improvvisamente
davanti ai suoi occhi, aprendo subito l’anta. “Certo”.
Il ragazzo la guardò sbalordito,
fischiando per l’ammirazione.
“Cavoli, sei proprio bellissima.
E’ un peccato che tu non ti vesta mai così…”.
Kris gli lanciò un’occhiata
storta. “Ah, ma ti prego…io detesto questi abiti…e poi, scusa, quando potrei
vestirmi così? Di certo non a scuola, e nemmeno per uscire durante la
giornata…”.
Alex alzò le spalle, un po’
deluso. “Beh, io dicevo così per dire…d’ora in poi non ti farò più nessun
complimento…”, disse, avviandosi nel corridoio. Kristine lo raggiunse.
“Dai…anche tu sei bellissimo con questo completo. La cravatta ti fa apparire
molto distinto…”.
I due uscirono di casa ridendo,
e solo una volta saliti sulla Mercedes ferma davanti al cancello, mandata dai
genitori, ritornarono seri.
“Non volevo costringerti a
venire, Kris…”, disse Alex, una volta
partiti, girandosi a guardare la ragazza, che, di fianco a lui, guardava
assente fuori dal finestrino.
“No…figurati, non mi hai di
certo costretta. Ho solo deciso di venirci e basta”, mormorò lei senza muovere
la testa.
Il ragazzo fece per aggiungere
qualcosa, ma poi, abbassando gli occhi dalla sorella, capì che sarebbe stato
inutile continuare quella discussione. Si appoggiò alla schienale, sospirando.
“E’ sempre così…”, pensò tristemente guardando, con aria stanca, oltre al vetro
dell’auto. “…Kris si sente sempre come un animale in gabbia. Un animale
imprigionato che cerca la propria libertà…”.
Il viaggio durò una ventina di
minuti. L’albergo dei Grover era situato a qualche chilometro dalla costa, su
una piccola altura, circondato da uno splendido giardino. La costruzione,
altissima, dominava l’intera zona, e chiunque la guardava rimaneva intimorito
di fronte all’imponenza del lussuoso hotel, riservato infatti solo a vip e a
ricchi personaggi politici.
La Mercedes si fermò davanti
all’immenso ingresso, illuminato da alti lampioni scuri. Una piccola folla di
giornalisti era appostata lì vicino, in attesa, probabilmente, dell’arrivo di
qualche personaggio famoso che avrebbe partecipato al ricevimento.
Kris e Alex scesero dalla
macchina, camminando con passo spedito davanti alle telecamere e alle macchine
fotografiche. Erano ormai abituati a quell’entrata in scena, che si ripeteva
puntualmente ad ogni ricevimento e ad ogni festa organizzata dai loro genitori.
Varcarono le due altissime
vetrate d’ingresso, che si aprirono silenziosamente al loro passaggio. Di
fronte a loro si presentava una grande sala dal pavimento lucido simile a
marmo, che rifletteva ogni oggetto e figura presente nella hall. Tre luminosi
lampadari, dalla lavorazione elaborata e ricercata, pendevano dal soffitto a
cassettoni dalla forma esagonale, che ricordavano quasi le cellette di un
alveare.
Kris e Alex si avvicinarono al
lungo banco di legno scuro situato in fondo alla sala, dove, dietro ad esso,
due distinti signori vestiti con degli eleganti completi blu osservavano, seri
e composti, l’ingresso delle persone nell’hotel.
“Salve Mike”, disse Alex
rivolgendosi al primo dei due, un tipo sulla quarantina con un paio di spessi
occhiali dalla montatura argentata. “Per caso siamo in ritardo?”.
Il buffo omino accennò un
piccolo sorriso nel momento in cui riconobbe i due ragazzi. “Ah, signor
Alex…signorina Kristine…I vostri genitori attendevano con impazienza il vostro
arrivo. E’ da parecchi giorni che non vi vedono, mi è stato detto…in ogni caso
non siete in ritardo…gli ultimi ospiti sono arrivati solo pochi minuti fa…”.
Alex sorrise, e, dopo aver salutato
Mike, prese per un braccio Kris, che, in disparte, stava fissando il pavimento
silenziosamente.
“Su…cerca almeno di sorridere…”,
le bisbigliò quindi il fratello non appena furono entrati in un secondo salone,
molto più grande della hall, situato alla destra di questa.
Un lungo tavolo, che circondava
tre lati della stanza, era ricoperto da ogni tipo di piatto, fra dolci,
antipasti, aperitivi, vini, bevande di ogni genere, bicchieri di cristallo
trasparente e immensi vassoi…decine e decine di persone elegantemente vestite
affollavano lo spazio intorno alle tavolate, parlando animatamente, mentre una
piccola orchestra, in un angolo, creava il sottofondo musicale.
Kris si strinse al braccio di
Alex. “Altro che sorridere…solo vedere questa gente mi fa venire l’angoscia”,
mormorò la ragazza cercando di mantenere la calma. “E se penso a…”, fece per
continuare, ma in quel momento qualcuno la chiamò.
I due fratelli si girarono. Una
bella signora dai corti capelli neri un po’ mossi, leggermente truccata e con
un lungo vestito azzurro li guardava sorridente; di fianco a lei un alto
signore con uno smoking nero e sottili baffi scuri teneva in mano due bicchieri
di vino rosso.
“Eccovi, finalmente! Oh,
Kristine, sapevo che quel vestito ti sarebbe stato d’incanto…”, esclamò la
signora avvicinandosi, allargando le braccia per stringere a sé Kris. Ma la
ragazza si liberò subito da quell’abbraccio, scostando infastidita il viso
profumato della madre da sé.
“Ciao”, disse solo abbassando lo
sguardo, con voce incolore. “Spero che vi siate divertiti in questa
settimana…”.
Alex si voltò a guardare la
sorella che, ostinatamente, continuava a comportarsi come sempre. “Kris…”.
Il signor Grover si schiarì la
voce, cercando con gli occhi lo sguardo della figlia. “Cara, lo sai che non ci
assentiamo per divertirci…”, disse con una voce profonda e un po’ roca.
“…è proprio questo il
problema…”, mormorò Kristine voltandosi dalla parte opposta, con un leggero
sorriso sarcastico sulle labbra. “…ma tanto non lo capirete mai”.
La signora Grover si sistemò una
ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Hai detto qualcosa, scusa?”.
“No, no…nulla”, rispose la
ragazza, scomparendo in mezzo alle persone addensate al centro del salone,
mentre l’orchestra attaccava con un motivo veloce e ritmato. Era meglio
allontanarsi subito, prima di scoppiare…
“Ma…Kris! Dovevo presentarti
delle persone! Accidenti…ma si può sapere che cos’ha sempre quella ragazza?
Alex…per caso è successo qualcosa che non sappiamo?”, disse preoccupata la
madre dei due ragazzi prendendo un bicchiere di vino dalla mano del marito.
Il ragazzo si passò una mano fra
i capelli castani, sospirando. “No…non è successo niente. Forse…è solo un po’
stanca, tutto qua…”.
Il signor Grover corrucciò la
fronte, guardando il figlio. “E’ stanca? E per cosa dovrebbe essere stanca? La
scuola è appena ricominciata…”. La madre di Alex si associò al marito. “Già…non
è che…per caso si è di nuovo iscritta a qualche club sportivo, o magari a una
palestra? Sa bene che non sopporto che una ragazza come lei corra, salti e
sudi…”.
Alex le lanciò un’occhiataccia,
sorprendendosi ancora nel sentire che razza di idee avevano in testa i suoi
genitori, specialmente sua madre. Forse era stata una fortuna, dopotutto, che
lui e Kris non fossero stati cresciuti da lei…perlomeno avevano evitato di
diventare snob e viziati, incredibilmente noiosi e pieni di mille pregiudizi.
“Non fa nulla del genere, mamma,
tranquilla…volevo dire che sarà solo un po’ in ansia per il ritorno a scuola…”,
rispose quindi il ragazzo cercando di sembrare sincero. Si girò.“Beh…ora è
meglio che vada a vedere dove si è cacciata!”.
Detto questo, Alex si allontanò
dai suoi genitori per confondersi tra la folla di invitati, proprio come aveva
fatto la sorella pochi minuti prima. Di certo non moriva dalla voglia di essere
presentato a mille uomini d’affari e a ricche signore per tutta la serata… era
quella infatti l’occupazione preferita da sua madre e suo padre ad ogni
ricevimento che organizzavano o al quale erano invitati. Sua sorella,
naturalmente, la detestava…
Alex attraversò la sala
superando gruppi di persone che chiacchieravano animatamente e coppie danzanti,
fino ad arrivare davanti alla grande tavolata imbandita, ricoperta da ogni tipo
di piatto e stuzzichino che si potesse immaginare.
Sorrise, mentre con una mano
prendeva un piccolo panino da un vassoio. “Ecco l’unica cosa positiva di queste
feste…”.
Intanto Kristine, salita sulla
terrazza dell’hotel per allontanarsi il più possibile da quell’ambiente che non
sopportava, osservava silenziosamente il curatissimo giardino sotto di lei che
circondava l’edificio. Immerso ora nel buio della sera, era illuminato qua e là
solo da qualche lampione: gli ultimi grilli estivi diffondevano il loro canto
nella tiepida aria notturna e Kris, appoggiata coi gomiti sul davanzale della
balconata, chiuse gli occhi, per ascoltare quel sommesso e tranquillizzante
mormorio.
“Aah..qui fuori va molto
meglio”, disse a se stessa con il viso fra le mani, rilassandosi finalmente
dopo quel pomeriggio di nervosismo e tensione. “…qui dove non ci sono né i
miei, né quegli insopportabili snob che non voglio nemmeno conoscere…”.
In quel momento qualcuno, dietro
di lei, mosse un passo avvicinandosi al davanzale di pietra rosata. Kris si
voltò.
“Sapevo che non saresti rimasta
per più di cinque minuti in mezzo a quella gente”, disse una bella ragazza dai
capelli rosso scuro, un po’ mossi e con
un corto tubino nero, venendole incontro sorridente. Arrivata di fianco a Kris,
la guardò con aria stupita.
“Beh…sinceramente non pensavo
nemmeno che saresti venuta”, continuò quindi.
Kristine le sorrise tristemente.
“Oh, Nicole…se fosse stato per me ti assicuro che non mi avresti vista
stasera…”.
“E per cosa sei venuta allora?”.
“Beh…per…no, …no…niente”,
mormorò Kris stringendosi nelle braccia.
Nicole volse i grandi occhi
castani verso un punto lontano all’orizzonte, rimanendo in silenzio per qualche
secondo. Poi, dopo un grande sospiro, sorrise.
“Hai accontentato Alex, non è
così? L’ultima volta mi avevi assicurato che non avresti più partecipato a nessun
ricevimento dei tuoi…e invece…”.
“Già. Ma questa volta è davvero
l’ultima. Sai, mi sono decisa a venire anche per un mio motivo personale, ma
adesso sono giunta alla conclusione che non era affatto necessario…mah, forse
cercavo solamente una ragione per ascoltare mio fratello…non volevo che ci
rimanesse male. Lui non è come me…non è capace di dire di no ai miei…”.
Nicole buttò dietro alla spalla
una ciocca di capelli rossi, girandosi per guardare Kris negli occhi.
“Non è che forse non volevi
deludere nemmeno i tuoi genitori?”.
Kristine la fissò, spalancando
gli occhi. “Ma nemmeno per sogno! Non mi importa niente di quello che pensano
di me…e poi, figurati! Non si sono mai preoccupati né di me né di Alex!”
esclamò quindi, allargando le braccia.
“Io non penso, Kris”.
Le parole di Nicole rimasero
come nell’aria per qualche istante, per poi arrivare a Kris che, con una mano
appoggiata sulla fronte, guardava il proprio braccio appoggiato sul davanzale,
il viso immobile. Sentiva uno strano nodo formarsi lentamente in gola,
bloccandole il respiro.
“E’ che…loro non capiscono. Non
hanno mai capito. Pensano di farmi il bene maggiore lavorando come dei matti,
guadagnando sempre più soldi…ogni giorno di più…ma io non l’ho mai voluto, e
penso nemmeno Alex. Volevo solo…ho sempre voluto…solo dei genitori. Che mi
leggessero delle favole la sera, o mi accompagnassero a scuola, o…o facessero
una vacanza con me…non ho mai chiesto molto, in fondo. Tutto questo non è
niente per me…feste, soldi, vestiti firmati…niente vale come una vera famiglia.
Capisci ora perché sono arrivata ad odiare questa gente? Questo tipo di vita?
Mi sento come imprigionata…imprigionata in qualcosa di costruito, di falso…non
è quello che desidero. Mia madre e mio padre non riescono a capire quali sono i
miei sogni…le mie aspirazioni…le cose che voglio fare…che desidero davvero!”.
Nicole guardava comprensiva
Kris, che, coprendosi il viso con una mano, iniziava a piangere
silenziosamente.
Si accostò a lei, circondandole
le spalle con un braccio. “Non abbatterti, piccola. Ti capisco, sai? So cosa è
significato per te stare da sola, e crescere senza dei punti di riferimento…per
fortuna Alex ti è sempre stato vicino. Ma…alcune volte pensa a chi non è
fortunato come te…pensa a chi non ha nulla, oppure a chi non ha neanche una
famiglia. Sono queste le persone che soffrono veramente…”.
Si fermò un attimo, abbassando
gli occhi. “E poi, ti assicuro che dietro a quell’apparenza un po’ superficiale
i tuoi nascondono moltissimi lati positivi…parlo per esperienza, Kris. Ormai li
conosco molto bene, anche se lavoro per loro solo da cinque anni. E’ vero…molte
cose non riescono a comprenderle, certi atteggiamenti nei tuoi confronti sono
sbagliati, ma…sicuramente ti vogliono un gran bene, come tutti i genitori verso
i propri figli, del resto. Adesso, come dici tu, credono di fare il meglio per
te e Alex, assicurandovi una futura e solida sicurezza economica…ma un giorno
capiranno i loro sbagli, e vedranno in te quello che non avevano capito prima.
Vedrai…per adesso, cerca di accontentarli dove è possibile e, anche se questa
vita ti va un po’ stretta, stringi i denti e sopportala. Intanto, insegui i
tuoi veri sogni con caparbietà e coraggio, mettici passione ed entusiasmo…e non
mollare.
Sicuramente, alla fine, quando
conquisterai ciò che hai sempre voluto, tutti si renderanno conto di qual è la
vera Kris. E saranno orgogliosi di te…specialmente i tuoi genitori”.
Kris scostò la mano dal viso, e
guardò l’amica, con gli occhi ancora lucidi.
“Nicole…”, riuscì a dire, anche
se il nodo le stringeva ancora la gola.
La ragazza le sorrise, piena
d’affetto. Allora Kristine le buttò le braccia al collo, per stringere una
persona che era sempre stata per lei come una sorella maggiore, o una seconda
madre.
“Grazie”, mormorò quindi, affondando
il viso fra i folti capelli di Nicole che, intanto, le accarezzava rassicurante
la testa. “Ora…sto molto meglio”, disse poi Kris guardandola, visibilmente
risollevata. “Potrei anche riuscire a tornare là dentro”, aggiunse indicando la
vetrata dietro di loro.
Scoppiarono a ridere. “Sì, forse
è meglio ritornare in sala…altrimenti Alex potrebbe pensare che sei fuggita!”,
disse Nicole avviandosi verso le scale che riportavano al piano di sotto.
Kris la raggiunse, prendendola
sottobraccio. “No, impossibile! In questo momento sarà troppo occupato a
mangiare…”.
“Sì, hai ragione!”.
Continuarono a ridere fino a che
non ritornarono nel grande salone. Kris adesso era realmente più serena, anche
se sapeva bene che quel discorso non avrebbe potuto cambiare nel concreto il
rapporto fra lei e i suoi genitori…almeno per il momento.
In ogni caso, ora sapeva come
avrebbe dovuto comportarsi.
E, per quanto riguarda i suoi
sogni, beh…quelli non li avrebbe mai abbandonati. E in particolar modo uno.
“Ma la vera lotta per
realizzarlo inizia domani…”, pensò, piena di rinnovato coraggio. “Un
giorno…sarete fieri di me”. |
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Capitolo 5 *** Il Nostro Ricordo ***
Dopo quella domenica, le giornate di Kris si fecero sempre
più intense. La mattinata e parte del pomeriggio la passava naturalmente a
scuola, e, tornata a casa, aveva solo un paio d’ore per studiare e per
riposarsi. Dopodiché, doveva correre al campo per allenarsi fino a tardo
pomeriggio insieme al resto della squadra. Dopo aver mangiato, verso le nove di
sera, vi ritornava poi per gli allenamenti speciali supervisionati da Price e Becker.
Era una vita
sicuramente molto faticosa, e Kris se ne rese conto alla fine della prima
settimana, quando, quel sabato, arrivò come sempre, trafelata ma puntuale, per
gli allenamenti di potenziamento.
Il campo, deserto,
era illuminato solamente dai quattro grossi fari posizionati agli angoli del
campo; l’erba era bagnata a causa della breve pioggia di quel pomeriggio, e
Kris respirava a pieni polmoni quel fresco e piacevole odore di umido sospeso
nell’aria senza suoni della notte.
Percorse un tratto
del perimetro del rettangolo verde per arrivare davanti alla porta che portava
agli spogliatoi, aspettandosi di trovare Price e Becker
fermi ad aspettarla lì davanti, come
ogni sera.
Con sua grande
sorpresa, però, si accorse che non c’era nessuno.
“Strano…”, si disse
guardandosi intorno. “Dove saranno? Cavoli…forse avrei dovuto dare loro almeno
il mio numero di cellulare…per rintracciarmi casomai fosse successo qualcosa…”.
Sospirò. “Fra
l’intensità degli allenamenti e la paura di essere scoperta non ho per niente
pensato a questo genere di cose…uff…”, pensò Kris
sedendosi su una delle panchine a fianco. “Vorrà dire che me ne dovrò tornare a
casa subito per questa sera…ora però sono stanca morta…mi riposerò un
momento…”, disse ad alta voce, stiracchiando le braccia verso l’alto e
appoggiandosi allo schienale.
Ad un tratto la
porta dello spogliatoio si aprì, facendo trasalire Kristine,
che saltò in piedi spaventata.
“Kristian!”esclamò Tom Becker. “Credevo di non essere riuscito ad arrivare in
tempo e che tu te ne fossi già ritornato a casa…per fortuna sono risalito a
controllare…mi stavo già cambiando per andarmene…”.
Kris rimase per
qualche istante senza parole mentre il ragazzo, davanti a lei, la guardava con
la maglietta della squadra buttata su una delle spalle nude, con indosso solo i
pantaloncini bianchi della divisa e gli scarpini neri.
“Beh? Che c’è?”,
disse Becker avvicinandosi. “C’è qualcosa che non va,
Kris?”.
La ragazza, rossa
in viso, si girò immediatamente dall’altra parte, portandosi le mani alle
guance. “N - no, no! Nulla…”, rispose impacciata, cercando di nascondere
l’imbarazzo. “Piuttosto…come…come mai sei da solo stasera?”.
Tom
si infilò la maglietta. “Vedi, sono tornato qualche minuto fa dalla casa di
Price…in questa settimana ha sforzato nuovamente troppo la gamba, e per questo
motivo non potrà allenarti per i prossimi giorni. Ha bisogno di riposo
assoluto, o almeno è questo che mi ha detto Freddie.
Quindi…”. Sorrise. “…penso che dovrai accontentarti di un solo allenatore per
un po’!”.
Sorrise nuovamente,
e Kris sentì una fitta al cuore. Sapeva che se solo avesse potuto abbracciarlo
nelle vesti di Kristine, non l’avrebbe più lasciato…
“Non
preoccuparti…non mi lamento di certo, Becker…”,
mormorò, guardandolo dolcemente.
Tom
le rivolse uno sguardo stupito, e immediatamente la ragazza si rese conto di
essersi lasciata trasportare dai sentimenti.
Sperò che i suoi
occhi non l’avessero tradita: abbassò la testa, e senza aggiungere alcuna
parola iniziò a camminare verso una delle porte.
Il numero 11 della
New Team restò invece in piedi, fermo nello stesso punto. Poi, lentamente, si
girò a guardare il compagno di squadra.
“Kristian…”, disse.
Kris si voltò.
“…Sì?”
Anche se erano
distanti ormai parecchi metri e Becker era immerso
nella penombra, la ragazza capì che Tom la stava
guardando negli occhi.
“Forse…forse ti
sembrerà una sciocchezza, ma ho l’impressione di averti già conosciuto”, disse
lui, avanzando di qualche passo.
Kristine
trattenne il respiro. “Oh, cavoli…lo sapevo…”, pensò allarmata, mentre il
ragazzo si avvicinava a lei.
Si schiarì la voce,
cercando di rimanere calma. “Ehm…davvero? Beh…no, non penso…mi ricorderei di
te…forse…forse mi stai confondendo con qualcuno che mi somiglia…”.
Tom
si fermò accanto a lei. “Beh…sì…forse hai ragione…sai, è da quando ti ho visto
la prima volta che…che il tuo aspetto mi dà una forte sensazione di deja-vù…e pochi secondi fa ho creduto per un attimo di
ricordarmi…”.
Kris teneva lo
sguardo abbassato, il cuore che le batteva all’impazzata. “…di…ricordarti
cosa?”, disse piano.
Becker
fece per finire la frase, per poi rinunciarci con un profondo sospiro.
“No…niente, niente. Lascia perdere…”.
Il ragazzo si
allontanò, per andare a procurarsi i palloni da utilizzare nell’allenamento in
un angolo del campo. Kris lo guardò camminare, ringraziando dio che il tutto
fosse finito lì…
“Tom…”, disse a bassavoce
dirigendosi fra i pali. Tirò fuori i guanti di Price. “Non sai quanto vorrei
poterti dire la verità, ma…”. Se li infilò con decisione, prima uno, poi
l’altro. “…ma adesso c’è qualcosa di più importante a cui devo tenere…”.
Aspettò quindi che
il ragazzo tornasse, preparandosi ai tiri che avrebbe dovuto parare quella
sera. Alzò la testa, per guardare il cielo ormai scuro. “Possibile che Tom si ricordi ancora di me? In fondo…”.
Immersa nei suoi
pensieri, Kris non sentì la voce di Becker gridarle
di fare attenzione alla palla che aveva appena tirato, che si stava dirigendo a
tutta velocità verso l’angolo della porta opposto a quello a cui Kris era
vicina.
La ragazza vide la
sfera solo all’ultimo momento, ma grazie a un poderoso colpo di reni riuscì lo
stesso ad afferrarla prima che questa si insaccasse in rete.
Con il pallone
stretto al petto, Kristine riaprì gli occhi, ma che
subito dopo socchiuse a causa della forte folata di vento che le stava ferzando il viso. Riusciva a vedere l’ampia distesa di
corta erba verde davanti a lei ondeggiare lievemente. Si rialzò, passandosi una
mano sui pantaloni sporchi di terra.
“Ehi, Tom! Credevi di riuscire a farmi goal cogliendomi in un
momento di distrazione? Eh eh…mi dispiace, ma come
vedi ho parato il tuo tiro senza problemi…”, disse Kris sorridendo vittoriosa
al ragazzo che, lentamente, si avvicinava a lei.
Ma Becker non stava sorridendo. Il suo viso era contratto in
un’espressione di incredulità mista ad un velo di tristezza…gli occhi color
nocciola erano fissi su Kristine, che a sua volta lo
guardava senza capire.
“Becker…cosa…”.
Tom
avanzò ancora di qualche passo, fermandosi a pochi metri dalla ragazza.
“Ora ricordo…Kristine. Tu sei Kristine di Kyoto”.
Il portiere della
New Team pensò, per un attimo, di non aver ben capito ciò che Becker aveva appena detto. Poi, scorgendo il suo cappello
bianco in terra, appena dietro al ragazzo, comprese immediatamente quello che
era appena successo.
Si tolse un guanto,
e portò la mano alla testa: i suoi lunghi capelli castani le scendevano sulle
spalle e ai lati delle guance, sfiorandole la pelle.
Il vento le aveva
strappato via il cappello senza che se ne accorgesse.
Tom
aveva scoperto il suo segreto…e si era ricordato di lei.
Il vento continuava
a soffiare, scompigliando i capelli di Kris che, immobile, guardava disperata Tom, anch’egli fermo davanti alla ragazza. Nessuno dei due
riusciva a dire una parola.
Poi, finalmente, Kristine abbassò gli occhi da Becker.
Ormai non c’era più niente da fare. Tanto valeva spiegargli come stavano le
cose…
“Tom…” iniziò a dire, la voce che le tremava. “Mi…mi
dispiace. Non volevo ingannare nessuno. L’occasione si è presentata e…e l’ho
colta al volo. Volevo assolutamente giocare con voi…non ho pensato a ciò che
avrebbe comportato tutto questo. Perdonami…”. La ragazza continuava a fissare
il terreno. Non sarebbe più riuscita a guardarlo negli occhi…
Il giocatore della
New Team rimase in silenzio. Poi, dopo essersi avvicinato ulteriormente a Kris,
la abbracciò improvvisamente, tanto che la ragazza, colta alla sprovvista,
rimase senza fiato.
“Sì, sei proprio
tu…”, mormorò Tom, stringendola. “…non avrei mai
pensato che un giorno…ti avrei rivista. Tutte…tutte le volte che ripartivo con
mio padre…accettavo sempre, alla fine, di lasciare amici e compagni di classe,
per seguirlo in giro per il mondo. Ma non ho mai sofferto come nel giorno in
cui me ne andai da Kyoto…dove avevo conosciuto te…Kristine”.
Kris non si mosse.
La sua guancia era appoggiata alla spalla di Becker,
e la ragazza riusciva quasi a sentire il battito del suo cuore. Avrebbe voluto
rimanere così per sempre…
Ma, purtroppo, poco
dopo Tom la allontanò da sé, per cercare il suo
sguardo nei due occhi castani, lucidi di lacrime. Ora più di prima, però, Kris
non sarebbe riuscita a sostenere lo sguardo di Becker.
“Tom…non sapevo…che tu facevi parte della New Team…per me…è
stata una sorpresa ritrovarti qui. Comunque…”. Sorrise, senza rendersi conto di
essere diventata rossa. “…sono felice di averti incontrato”.
Becker
sorrise a sua volta, un sorriso dolcissimo che però Kris non riuscì a vedere.
“Anch’io…e ti posso
assicurare che non ti devi scusare di nulla. Non so perché tu non mi abbia
detto la verità subito…ma…avrei dovuto in ogni caso capirlo che quel
formidabile e agile portiere di nome Kristian eri in
realtà tu, Kristine. Una volta…me l’avevi detto…”.
“Detto…detto
cosa?”.
“Che un giorno o
l’altro avresti fatto anche carte false per poter realizzare il tuo piccolo
sogno”.
Kris alzò un po’ gli
occhi, sorpresa. Tom non si era mai scordato di lei,
e di ciò di cui, in quel breve ma intenso periodo, avevano parlato…
“Allora non sei
arrabbiato?” disse lei con un po’ di timore.
“Ma certo che no!
Come potrei? So bene quanto credi in quello che fai…sei sempre stata coraggiosa
e decisa, Kristine. Ho pensato molte volte a te, dopo
che ripartii da Kyoto. Sapevo che saresti riuscita
sicuramente a diventare tutto quello che volevi. Sei una ragazza in gamba…come
ce ne sono poche”. Tom avvicinò una mano al viso
della ragazza, sollevandolo.
“Non hai motivo
quindi di non guardarmi negli occhi…e neanche di piangere”.
Kristine
sentì le dita di Becker alzarle il mento. Suo
malgrado, si ritrovò a guardare in faccia il ragazzo.
“No…no…è che…non
credevo che tu…capissi perché vi ho ingannato. E nemmeno…che ti ricordassi di
me”. Fece un profondo sospiro, lasciando poi che le lacrime le scendessero
finalmente sulle guance, libere.
“La verità è che mi
sei mancato”, disse con la voce rotta da quel pianto di liberazione.
Tom
si trattenne dall’abbracciarla nuovamente, limitandosi ad accarezzarle i folti
capelli castani, per lungo tempo tenuti nascosti dalla ragazza. Un senso di
infinita nostalgia lo assalì.
Continuò a passarle le dita fra i capelli. “Anche tu. Ho
potuto stare con te solo per poco tempo, ma in realtà eri diventata la più cara
amica che avessi mai avuto. Un’amica che adesso ho ritrovato e…”. Esitò. No,
per ora era meglio non dire nulla.
“…e che non voglio più perdere”, preferì concludere.
Kris si asciugò le guance. “Grazie. Sai, in questi ultimi
tempi non posso dire di avere molto fortuna con gli amici, nei rapporti sociali
in generale e…beh, soprattutto con la mia famiglia…”.
Becker la guardò tristemente.
“Hai sempre lo stesso problema con i tuoi genitori, vero?”.
La ragazza sospirò. “Già…adesso sto iniziando a sforzarmi
di capire il loro atteggiamento. Ma loro…ecco, non penso proprio che loro
capiranno mai il mio”.
Ci fu qualche secondo di silenzio assoluto.
Il vento si era calmato, e al sua posto aveva iniziato a soffiare una brezza
quasi tiepida, piacevole. I due ragazzi iniziarono a camminare lentamente per
il campo, l’uno di fianco all’altra.
“Sai, quando ti sei presentata come Kristian
Grover, al momento non ero riuscito a ricordarmi dove
avevo già sentito quel cognome…solo poco fa, quando ti ho riconosciuta, ho
capito ogni cosa. Eri per forza Kristine Grover…figlia dei proprietari della catena di alberghi Grover…”. Si girò a guardare l’amica, comprensivo. “Sono
certo che i tuoi genitori abbiano a cuore la tua felicità più di quanto
pensi…”.
Kris mise le mani nelle tasche dei pantaloni. “Una
persona, qualche giorno fa, mi ha detto la stessa cosa…ma sai, è difficile da
accettare quando tua madre e tuo padre ti costringono, ad esempio, a lasciare
la città dove hai vissuto per una vita, insieme a tutti i tuoi amici…”.
Becker alzò lo sguardo al cielo.
“Kristine…nessuno può capirti più di me…fin da quando
ero piccolo, ho dovuto dire addio a moltissime persone, come ben sai. Ma non ci
potevo fare nulla…scegliendo di vivere con mio padre, avevo accettato, di
conseguenza, di seguirlo ovunque…gli volevo bene…anche se ad ogni partenza
soffrivo, non mi sono mai pentito di essere rimasto con lui. Ma forse…forse il
tuo caso è un po’ differente…”.
Kristine scosse la testa. “No…in
questo hai ragione…i miei hanno deciso di venire qui per lavoro…ma vedi, penso
che ci sarebbero state anche altre possibilità. Avrebbero potuto, ad esempio,
lasciare l’amministrazione del nuovo albergo in mano a qualcun’altro…e invece
hanno voluto dirigerlo personalmente…è questo che non mi va giù…”.
Il ragazzo preferì non dire più nulla sull’argomento. Ma
Kris continuò.
“…comunque, non è solo la questione del trasferimento…sono
anche i mille pregiudizi che hanno verso tutto e tutti…il loro stile di vita…l’ambiente
in cui vivono e nel quale vogliono farmi vivere…ma io mi sento un’altra
persona, capisci? Voglio essere libera di fare quello che voglio…come diventare
portiere della New Team, ad esempio!”.
Becker la guardò. “E scommetto
che loro non lo dovranno mai scoprire, non è vero?”.
“Già”.
Tom non disse nulla per qualche
secondo.
“Sai…” riprese, poco dopo. “…di certo quello che hai fatto
non è legale, ma io sono con te. Non intendo dire nulla…questo segreto un po’
mi peserà sicuramente sul cuore, ma nel tuo gesto non c’è niente di male. Tenti
solo di realizzare un sogno, non è così? E poi…penso proprio che sarai il
miglior portiere di questo campionato, Kris…ho molta fiducia in te”, disse lui
sorridendole.
La ragazza abbassò gli occhi, imbarazzata. “Grazie…ma di
sicuro non riuscirò mai a raggiungere il livello di un campione come Price…”.
“Lo ammiri molto, vero?”.
“Moltissimo. E’ sempre stato il mio modello da
seguire…purtroppo, essendo una ragazza, non avrò mai le possibilità che invece
si presentano, in questo sport, ai ragazzi. Per questo, come dici tu, sto
tentando di realizzare il mio sogno in questo modo. Anche solo per un
campionato”.
“Capisco. Rivelerai la verità alla squadra, alla fine di
tutto?”.
Il viso di Kristine si rattristò
improvvisamente. “Beh…ancora non lo so…potrebbero sentirsi traditi, e io non
voglio…forse…forse sparirò semplicemente, senza farmi più vedere…anche se non
sopporto l’idea di dire addio a Hutton e agli
altri…sai…già mi sto affezionando a tutti loro…era da tanto che non sentivo
vicino tanti amici”.
Tom annuì silenziosamente.
Capiva bene quello che Kristine voleva dire. L’aveva
provato anche lui, moltissime volte…
“Hai ragione…sono persone fantastiche. Io le conosco da
molto tempo…e soprattutto Holly…sa essere un vero
amico”. Tom sorrise al pensiero di tutto quello che,
nel corso degli anni, aveva passato insieme ad Hutton.
“In ogni caso…” . Si fermò, voltandosi verso la ragazza.
“…per adesso non pensarci. Dimentica i problemi, e vivi il presente fino in
fondo. Assapora ogni momento…vedrai che non te ne pentirai. Impegnamoci
insieme per portare la New Team alla vittoria…sono sicuro che ce la faremo. E
poi, adesso non sei più sola. Ci sono io con te”.
Kristine guardò dolcemente il
ragazzo. “Certo. E ti ringrazio tanto…”.
Camminarono fino agli spogliatoi. Kris era veramente molto
stanca, tanto che, ad un certo punto, quasi cadde a terra per la debolezza. Per
fortuna Tom la prese al volo per le braccia,
sostenendola. La guardò preoccupato.
“Penso proprio che tu non ti regga più in piedi, dopo una
settimana simile”, le disse quindi Becker, aiutandola
a sedersi su una delle panche.
Kristine si portò le mani alla
testa, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. “In effetti ho paura di non
riuscire a sostenere questo ritmo per molto tempo…non ho che un’ora scarsa per
riposarmi ogni giorno…e poi la scuola…lo studio…e mio fratello. Prima o poi
sono sicura che verrà a conoscenza di quello che gli tengo nascosto. Sai…è un
tipo molto apprensivo, protettivo nei miei confronti…non so più cosa inventarmi
per giustificare, ogni sera, l’ora a cui rientro. E la mia casa è dall’altra
parte della città…”.
Chiuse gli occhi, e Tom si
sedette accanto a lei. “Stai facendo molti sacrifici, Kris. Non sono più tanto
sicuro che…”.
Ma la ragazza lo interruppe, agitando una mano. “No,
no…non dire altro. Ho sbagliato io a dirti queste cose…non preoccuparti. Ce la farò. Mi costerà molto questa
vita, ma ne varrà la pena. Sono forte…molto più di quanto pensi”.
Becker la osservò. Fece per dire
qualcosa, quando Kris, improvvisamente, si rialzò.
“Oh, cavoli, a forza di parlare, alla fine, stasera non mi
sono allenata!”, esclamò, apparentemente piena di energia.
Si girò verso l’amico. “E’ tutta colpa tua! Se Benji lo sapesse!”, disse, fissandolo accigliata. Dopo un
istante, però, scoppiò a ridere.
“Mi sa che davvero hai bisogno di una bella dormita…”, le
rispose il ragazzo, divertito. “Per stasera, Kristine,
basta così…è meglio!”.
Kris però continuava a ridere.
“Forza…ti accompagno. Non è bello che tu ritorni ogni sera
a casa da sola…d’ora in poi verrò sempre con te. Anche i mezzi pubblici non
sono molto affidabili…”.
La ragazza rise ancora per po’, poi si zittì. Senza
incrociare il suo sguardo con quello di Tom, ad un
tratto si aggrappò a lui. Nascose il viso nel petto del ragazzo, stringendolo
come se non volesse più lasciarlo andare.
“Ehi, Kris…tutto bene?” disse Becker
circondandole le spalle con un braccio.
Lei, con gli occhi semichiusi, sorrise. “Sono così
contenta di averti ancora vicino…per me…significa molto”.
Tom la strinse forte. “Non sai
quanto significhi per me…”, pensò, guardandola.
Dopo che Tom si fu vestito, i
due lasciarono il campo. Pochi minuti dopo erano già sull’autobus.
Tom sperava che fossero saliti
su quello giusto…Kristine, infatti, troppo stanca per
continuare a parlare, si era sorretta al ragazzo per tutto il tragitto dal
campo fino alla fermata del mezzo. Adesso, in uno stato fra il sonno e la
veglia, era seduta di fianco a Tom, la testa
appoggiata al vetro.
“Kris…dovresti dirmi dove abiti…”, mormorò a bassa voce Becker all’orecchio della ragazza.
Lei, per tutta risposta, si strinse nelle braccia
conserte, pronunciando poi lentamente il proprio indirizzo.
“Beh, speriamo almeno che sia quello giusto”, si disse
quindi Tom ridendo.
L’autobus viaggiava a velocità moderata, e procedeva per
il tragitto senza fretta. Quella sera
era completamente vuoto, e loro due erano gli unici passeggeri. Anche se era
sabato, poi, in giro non c’era un’anima viva. I lampioni lungo i marciapiedi
illuminavano tristemente le vie, creando con la loro luce soffusa un forte
senso di solitudine mista alla nostalgia per qualcosa che non c’è più. Tutto
appariva vago, come sospeso nel tempo.
Sembrava che il mondo si fosse fermato…ma per Tom, il silenzio di quella notte di fine estate era più
bello di mille parole. Un silenzio pieno di ricordi, un silenzio dolce e caldo
rotto solo dal respiro regolare di Kris, che dormiva tranquilla rannicchiata
sul sedile di quell’autobus deserto, col sorriso sulle labbra. |
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Capitolo 6 *** Tempo che Scorre ***
“Ehi! Allora, parlo
con te…ci sei o no?”.
Kristine
alzò finalmente lo sguardo. Una delle sue compagne di classe, Judith, la stava
osservando pensierosa.
“Ti sei innamorata,
eh?”, disse alla fine la ragazza con un grande sorriso. “Ti si legge a
caratteri cubitali in faccia…eh eh…”, continuò,
ridacchiando, mentre Kris si voltava verso la finestra con un grande sospiro,
alzando la testa dal banco. “Beh…”
Sabato sera, alla
fine, era successo. Becker aveva scoperto tutta la verità…per
fortuna, però, l’aveva presa bene. Anzi, molto bene…Tom
non l’aveva mai dimenticata. Aveva sempre tenuto alla loro amicizia…un’amicizia
che, adesso, era ancora presente, forse più forte di prima. E che magari si
sarebbe trasformata, in futuro, in
qualcosa di più…
“…Chi lo sa!”,
esclamò quindi allegra Kris guardando l’amica. “Può darsi…può darsi!”.
Judith squadrò Kristine allibita, cercando di dire qualcosa, ma proprio in
quel momento suonò la campanella. Le lezioni erano terminate.
“Ciao Jude! Ci vediamo domani!”, disse Kris afferrando la
cartella ai piedi del banco, per poi uscire, come un fulmine, dalla porta
dell’aula insieme agli altri studenti.
L’amica dai corti
capelli neri rimase ben presto l’unica persona presente nella classe.
“Ehi…ma che
energia!”. Incrociò le braccia, volgendo gli occhi alla sedia dove, poco prima,
era stata seduta Kristine.
Sorrise. “Kris
felice. E’ la prima volta che la vedo così, da quando si è trasferita. Bene,
molto bene…”.
Decine e decine di
ragazzi si dirigevano verso il cancello del Liceo Superiore privato Syutetsu, attraversando velocemente il grande cortile
circondato da alberi sempreverdi che li separava dall’uscita.
Kristine camminava
da sola in mezzo alla folla, guardando soprappensiero il cielo sopra di lei,
coperto da un’infinità di nuvole bianche. Il tempo stava lentamente cambiando e
l’aria, fino a pochi giorni prima tiepida e piacevole, si era trasformata in un
vento fresco, anche se raramente forte o pungente. Nonostante l’autunno fosse
ormai alle porte, però, Kristine non era né
malinconica, né triste. Anzi, forse, da quando era venuta a vivere a Fujisawa, non si era mai sentita così serena come in quel
momento.
Il suo pensiero
andò ai suoi compagni di squadra. A Holly, a Benji, a Tom. I suoi amici.
“Se Jude sapesse della mia seconda vita…chissà cosa direbbe…”,
disse ad alta voce Kris, sorridendo. “Beh…magari un giorno gliene parlerò! Per
adesso, è meglio non complicare maggiormente le cose…”.
Arrivata al
cancello, superò un gruppo di studenti delle medie. Parlottavano sommessamente
gettando, ogni tanto, delle occhiate in direzione di qualcuno dietro a loro.
Incuriosita, la
ragazza li aggirò, per poi fermarsi, senza parole, di fronte a Tom Becker. Il ragazzo era
appoggiato al muro della recinzione, e sembrava proprio che stesse aspettando
una persona.
Nello stesso
momento in cui Kristine lo riconobbe, lui si girò.
“Kris!”.
Becker
si staccò dal muro, avvicinandosi di qualche passo. Indossava un’elegante
divisa blu, formata da pantaloni, giacca, camicia e cravatta. In una mano
teneva una cartella nera. Vestito in quel modo, Kris si rese improvvisamente
conto di quanti anni fossero passati dal giorno in cui, a Kyoto,
l’aveva salutato per l’ultima volta. Ora Tom era
cresciuto, sembrava addirittura un altro. Ma forse, si trattava solo di
un’impressione dovuta al fatto che non le era mai capitato di vedere Becker in tenuta scolastica.
“…Tom…”, balbettò la ragazza, sorpresa ma, tuttavia,
felicissima di quell’incontro. “Cosa ci fai qui?”.
Il giovane rise. “Non
te lo saresti mai aspettato, vero? Beh, ho deciso di farti una sorpresa,
venendo a prenderti a scuola…”.
“Oh”, mormorò Kris,
portandosi una mano davanti alla bocca. “Grazie…ma, scusa…come facevi a sapere
che frequentavo la Syutetsu?”.
“Non lo sapevo, infatti.
L’ho intuito…ricordo che anche a Kyoto i tuoi ti
costrinsero a frequentare una scuola privata. Quindi, visto che la Syutetsu è l’unica di Fujisawa,
non mi è stato difficile scegliere dove cercarti…”.
Kristine
annuì, pensierosa, per poi intristirsi improvvisamente. “Già…”.
Il ragazzo capì di
aver toccato un tasto dolente. “Scusa, non avrei dovuto parlare di nuovo dei
tuoi genitori. Comunque…”. Tom la guardò,
sorridendole in quel suo solito modo, dolcissimo e irresistibile. “…la divisa
della Syutetsu è perfetta su di te, Kristine”.
Grover
arrossì, imbarazzata dal complimento. “Gra…grazie.
Anche tu…cioè, anche a te sta benissimo quella divisa scolastica…”.
I due rimasero per
qualche secondo in silenzio, non sapendo cosa dire. Gli studenti che poco prima
stavano chiacchierando, dietro di loro, erano ancora lì, a parlare sottovoce. Kristine, però,
riusciva ugualmente a sentire quello che stavano dicendo.
“Sì, è proprio Tom Becker! Becker della New Team…”
“Lui e Oliver Hutton formano la
formidabile Golden Combi! Non dirmi che non hai mai
sentito parlare di loro neanche durante i mondiali giovanili?”.
“Ah, ma sì,
certo!”.
“Si è trasferito
definitivamente a Fujisawa da poco…cosa darei per
avere abbastanza coraggio da riuscire a chiedergli un autografo! Sarebbe bello
conoscerlo…”.
Kristine
si strinse nelle spalle, ridacchiando. “Eh eh…poverini,
mi dispiace per loro…io, invece, lo conosco Tom Becker…eccome se lo conosco!”, pensò.
Il ragazzo,
intanto, la fissava senza capire. “Che c’è? Perché ridi?”.
“No, no! Nulla…”,
rispose quindi Kris dopo averlo preso a braccetto, gongolando dalla felicità.
“Su, andiamo!”.
Si avviarono in
strada. Mentre camminavano, molti studenti si giravano verso di loro,
fissandoli.
“Ehi, hai notato
quanta gente ci guarda?”, disse Becker con una punta
di ansia, sentendosi al centro dell’attenzione.
Kris sorrise. “Sono
te che guardano. Anche se sei ritornato da poco a giocare con la New Team,
tutti ti conoscono. Penso proprio che tu sia diventato famosissimo durante i
mondiali giovanili di calcio a cui hai partecipato…”.
La ragazza volse
gli occhi verso un punto lontano. “Non ho mai saputo che tu avessi giocato
nella New Team per un anno…e anche nella Nazionale, Tom.
Purtroppo, per vari motivi, non ho potuto seguire gli ultimi mondiali, in Francia…fino
a una settimana fa, per me eri solo quel Tom Becker che avevo conosciuto a Kyoto.
Un ragazzo che amava moltissimo il calcio, e un caro amico. Invece, eri anche
un formidabile calciatore conosciuto in tutto il Giappone”.
Tom
la guardò. “Sono sempre lo stesso ragazzo di quattro anni fa, Kris. Questo non
scordarlo mai”.
“Certo…lo so bene”,
disse Kris girandosi ancora verso Becker, in parte
confortata da quelle parole. Ci sarebbero state, infatti, molte altre cose che avrebbe voluto dire…ma
per il momento era meglio così. Sì, era perfetto così…
Il ragazzo
sbadigliò. “Cavoli…l’altra sera abbiamo fatto proprio tardi, vero?”.
Kris ritornò alla
realtà. “Ah…ah, già…sì…senti, Tom, io non ti ho
ancora ringraziato per avermi riaccompagnato a casa…”, balbettò confusa,
abbassando gli occhi.
“Figurati! Non
potevo certo lasciarti andare da sola…eri distrutta! A proposito, sei riuscita
a riposarti un po’, ieri?”.
“Oh…beh, insomma…a
dire la verità non molto…”. Fissò decisa l’amico. “In ogni caso, ho abbastanza
energia da riuscire ad affrontare gli allenamenti di oggi e quelli dell’intera
settimana!”.
Tom
scoppiò a ridere. “Bene! Sono proprio contento…fra due settimane c’è la prima
partita…e sono certo che per allora sarai in gran forma!”.
Kris assentì,
soddisfatta. “Stanne certo…ah, a proposito…”.
“Dimmi”.
“Quando pensi che Benji potrà tornare ad allenarmi?”.
Tom
si fermò. “Beh…non so...magari dalla prossima settimana…” disse, guardando un
po’ sorpreso l’amica.
“Ah”. Kris sospirò,
delusa, alzando gli occhi al cielo. “Capisco…sai, voglio cercare di imparare il
più possibile da lui…il suo stile non ha eguali, e poi…”. La ragazza si
interruppe improvvisamente. Si girò verso Becker,
afferrandogli un braccio.
“Tom, scusa! Io non volevo dire che…insomma, io penso che
tu…”, cercò di spiegare, impacciata e imbarazzata per la figura che aveva
appena fatto.
Il ragazzo scosse
il capo. “No, no…stai tranquilla…capisco benissimo che tu preferisca essere
allenata da Price…è naturale, è lui il portiere della New Team, no? E poi lo ammiri
così tanto…”.
“Davvero?”.
“Certo. Non
preoccuparti, non mi sono offeso…”.
In realtà le cose
non stavano così, e Becker lo sapeva. Se n’era reso
conto subito…ora che aveva ritrovato Kris, avrebbe voluto che tutte le
attenzioni dell’amica si concentrassero su di sé. Avrebbe voluto che per Kristine esistesse lui soltanto, solo lui…proprio come in
quei tre mesi, quattro anni prima.
Ma forse, ora le
cose erano cambiate. Non poteva più pretendere di essere l’unica persona di cui
avesse bisogno Kris. No, purtroppo no…
La ragazza lo stava
fissando, tesa. Accorgendosi del suo sguardo avvilito, Becker
si affrettò a sorriderle, riprendendo poi a camminare con disinvoltura per la
via quasi deserta. Kristine sembrò convinta, e,
affrettando il passo, lo raggiunse.
“Senti…”, propose
il ragazzo, continuando a sembrare allegro. “Se sei preoccupata per Benji, posso darti il suo indirizzo, se vuoi…vallo a
trovare di persona. Sono sicuro che gli farà piacere!”.
Il viso della
ragazza si rilassò improvvisamente, anche se l’espressione rimase seria. “Ne
sei sicuro? Magari…”.
“Ne sono sicuro.
Anzi, certissimo, Kris”. Detto questo, Becker aprì la cartella per estrarre una penna e un foglio,
su cui scrisse l’indirizzo di Benji.
“Ecco fatto.
Tieni”.
Porse il pezzo di
carta a Kris. L’amica lo strinse fra le dita, leggendo mentalmente le parole.
“Grazie”.
Tom
la guardò per qualche secondo con un’espressione indecifrabile, poi si voltò.
“Figurati…dai, ora
forse è meglio che tu vada…riposati ancora per un paio d’ore…dirò io a Holly e agli altri che tarderai un po’. Penso anche che sia
meglio annullare l’allenamento speciale di questa sera…anzi, diminuiremo tutti
questi extra…sono davvero troppo stancanti. Ne parlerò con Benji…so
bene che ce la puoi fare senza problemi, Kris, ma non è il caso che ti
affatichi troppo. E poi, non vogliamo certo che tuo fratello pensi che esci
ogni sera col tuo ragazzo segreto, vero? Ricordo bene quanto era geloso di
te…”. Continuando a darle la schiena, Tom si mise a
ridere. Una risata trasparente, schietta.
“…già…hai ragione”.
Kristine era rimasta immobile ad ascoltarlo. Forse,
anche se Becker aveva fatto di tutto per nasconderlo,
lo aveva ferito.
“Accidenti a
me…parlo sempre troppo…”, pensò Grover, abbassando
leggermente lo sguardo.
Finalmente Tom si voltò nuovamente verso di lei. “Allora…beh, ci
vediamo tra un po’! Vieni quando vuoi…”, concluse, allontanandosi per una via
laterale. “Ciao, Kris!”.
Il neoportiere
rimase a guardare tristemente il ragazzo andare via, agitando lentamente una
mano a mezz’aria. “Ciao…Tom”.
“Holly!”.
L’intera New Team
si girò nella direzione della voce squillante che aveva appena chiamato il loro
capitano. Una ragazza dai capelli neri, tagliati circa alle spalle, si
dirigeva, correndo, proprio verso Hutton che, ai
margini del campo, stava descrivendo gli schemi di gioco ai compagni raccolti
intorno a lui.
“Pa…Patty?”, balbettò Oliver, scorgendola.
La ragazza si buttò
fra le sue braccia con un impeto tale che il numero 10 cadde, con lei,
sull’erba verde del campo.
“A-aspetta! Calmati…!”, tentò di dire Hutton,
arrossito improvvisamente dopo l’abbraccio della ragazza.
La squadra, che per
un attimo era rimasta di sale, stava ora osservando la scena molto divertita…
“Ehi, Patty, lo sai che Holly non
vedeva l’ora che tu tornassi da Tokyo? Tutti i giorni sospirava il tuo nome…”,
esclamò Bruce chinandosi verso i due, finiti a terra
insieme in una posizione un po’ equivoca.
“Davvero? Ooh, anche tu mi sei mancato, Holly!”,
disse quindi raggiante Patty stringendo il ragazzo,
sempre più imbarazzato.
Oliver
cercò di sorridere, ormai grondante di sudore: si rialzò a fatica insieme alla
fidanzata, per poi rivolgersi alla New
Team, che continuava a fissarli ridacchiando.
“Ehm…ragazzi,
io…beh…io e Patty andiamo un attimo fuori…torniamo tra
una mezz’oretta…intanto voi continuate l’allenamento, eh?”, spiegò il capitano
della squadra, cercando di apparire il più naturale possibile.
Tutti quanti
scoppiarono in un’ennesima risata. Tutti, ad eccezione del numero undici, Tom Becker, che, un po’ in disparte
dal resto della squadra, guardava i due ragazzi con un pizzico di invidia.
Holly
e Patty si conoscevano da molti anni, e quello che
avevano sentito nascere l’uno per l’altra era maturato a poco a poco, con il
passare del tempo. Era cresciuto con loro…e adesso, dopo tanto, finalmente
quell’estate avevano deciso di mettersi insieme.
Il ragazzo era
stato ovviamente felicissimo per l’amico…ma osservandoli, Tom
aveva capito che anche lui avrebbe desiderato qualcuno vicino…qualcuno da amare
e da cui essere amato…
Becker
alzò gli occhi verso il cielo. “Kristine…ora sei
ritornata da me…ma forse, tu…”.
“Ciao a tutti,
ragazzi!”, esclamò Grover comparendo all’entrata del
campo. Si avvicinò con aria allegra ai compagni, che ancora stavano parlottando
tra di loro, prendendo in giro il loro capitano.
“Oh, ciao Kris!”,
la salutò Johnny Mason,
cercando di soffocare le risa. “Ehi, non sai che scena ti sei perso!”.
“Eh?”. La ragazza
lo guardò incuriosita. “Che cosa è successo?”.
Bruce
si intromise come al suo solito. “Eh eh! Patty, la ragazza di Holly, è
tornata da lui dopo mesi e mesi di lontananza! Se ne sono andati via per
restare un po’ soli soletti…”.
Gli altri giocatori
si scambiarono qualche occhiatina allusiva, sorridendo. Kristine
li guardò per un attimo, poi, sgranando gli occhi, si portò una mano davanti
alla bocca.
”Allora quella che
ho visto con Hutton nel parco, qua fuori…è la sua
fidanzata? Oh…cavoli! Non credevo che il nostro capitano stesse con una
ragazza…”.
“Già! Vero che
sembra incredibile per chi ha sempre avuto in mente solo il pallone?”, scherzò
Carter.
“Hai proprio
ragione!”, assentì Diamond.
Ormai l’intera
squadra non riusciva più a smettere di ridere. Kris si unì a loro, ma dopo
qualche secondo, accorgendosi dello sguardo di Becker
su di lei, si staccò dai compagni per raggiungerlo.
“Ciao Tom…come vedi non ho tardato di molto!”, disse sorridendo.
L’amico ricambiò il
sorriso forzatamente, anche se, fortunatamente, questa volta Kristine non se ne accorse.
“Sei sicura di
esserti riposata abbastanza?”.
“Certo! Sono in
perfetta forma!”, rispose lei, dirigendosi verso la porta che portava agli
spogliatoi. Ammiccò verso Tom. “Aspettami qui, torno
subito!”.
Becker
la fissò impietrito. “Eeeeh? Ma…Kris…che…”, balbettò,
non riuscendo a spiegarsi cosa ci andasse a fare l’amica. “Non…non mi sembra il
caso che tu…”. Ma il neoportiere era già sparito.
Dopo qualche minuto
la ragazza ricomparve.
“Ecco, così va
molto meglio! Non pensi?”, esclamò quindi allargando le braccia. E solo allora Tom si rese conto che qualcosa in lei era cambiato…Kris non
indossava più il solito cappellino con visiera, che aveva utilizzato fino a
quel momento per nascondere la sua folta chioma. Inoltre, si era tolta la
giacca della tuta…ma la t-shirt con cui era rimasta, inspiegabilmente, non
rivelava le sue curve femminili.
“Ma…i tuoi
capelli…tu…e poi, la maglietta non…”, disse Tom
incredulo, guardando l’amica, e cercando di non farsi sentire dai compagni.
Grover
abbassò gli occhi, un po’ imbarazzata. “Ahem…questo
è…un piccolo accorgimento per evitare strani sospetti…” spiegò, portandosi una
mano al petto. “Sai, qualche benda un po’ stretta e il gioco è fatto…al limite
del possibile, magari, potrò anche utilizzare gli spogliatoi, anche se…beh,
vedremo!”. Poi si toccò le ciocche
castane, appena sotto l’orecchio.
“E i capelli…ecco,
questo pomeriggio, dopo che ci siamo salutati, ho deciso di andare a
tagliarli…sai, non vorrei che accadesse ancora quello che è successo con te…non
voglio più fare certi errori. Potrebbe davvero rovinarsi tutto…così, ho pensato
di fare questi due cambiamenti drastici…”.
Becker
continuò a fissare il nuovo look della ragazza, senza fare alcun commento. Il
fatto è che non riusciva a dirle nulla…
Forse, ai suoi
occhi, sarebbe sembrata una cosa stupida…forse si sarebbe messa a ridere, se
glie l’avesse detto…ma per lui, quei lunghi capelli erano stati ciò che la
aveva sempre contraddistinta…i capelli che quell’estate di quattro anni prima Tom aveva visto scompigliarsi nel vento, e brillare nel
sole…l’ immagine stessa della sua Kris…
Adesso, invece, gli
era sembrato che la ragazza che aveva sempre conosciuto, la Kristine
dei suoi ricordi, se ne fosse andata. E che, al suo posto, fosse rimasto solo Kristian, il nuovo e determinato portiere della New Team.
“Cosa c’è, Tom? Forse…non sto bene?”, mormorò Grover
delusa, accorgendosi dell’espressione sul suo viso.
Il ragazzo scosse
la testa, fingendosi distratto. “No, no, sei molto carina con quel taglio…dico
davvero…hai fatto bene…anche se è un vero peccato! Avevi dei capelli così
belli…”.
Kris sorrise.
“Grazie…beh, sì, un po’ mi è dispiaciuto…ma, dopotutto, era da tanto tempo che
li portavo lunghi…forse era ora di cambiare…”.
Kristine
si stiracchiò le braccia, portandole in avanti. “Uhm…ehi, Tom,
mi sa che ci conviene cominciare ad allenarci! Tanto, penso proprio che Holly avrà da fare per molto!”, disse Kris con ironia.
Si girò, così, per
raggiungere il resto della squadra, che finalmente, dopo aver preso in giro Hutton per una buona mezz’ora, stava iniziando l’allenamento. Dopo qualche
attimo, però, si voltò di nuovo verso l’amico.
“Tom…”.
Il ragazzo si
avvicinò. “Sì?”.
“Se ti ho detto
qualcosa che ti ha ferito, ti prego di perdonarmi. Non volevo…”.
“Non hai detto
nulla di male, Kris. Va tutto bene…davvero!”, la rassicurò il ragazzo. “Dai,
non perdiamo altro tempo…andiamo!”.
Detto questo, Becker la superò, raggiungendo poco dopo il centrocampo.
Kristine
non sapeva cosa pensare. Non riusciva più a capire il comportamento di Tom…di certo quello che lei aveva detto, quel pomeriggio,
su Benji, gli aveva dato fastidio. Ma c’era
qualcos’altro…sicuramente, c’era qualcos’altro.
“La tua…è una
semplice gelosia da amico?”. Kris si incamminò verso la porta. “O magari…”.
“Ehi Grover, tieniti pronto! Ora proveremo col dribbling!”,
gridò Diamond passandole accanto. “Per un po’ faremo
senza Holly!”.
Il portiere sorrise
distrattamente a Paul. La sua mente era altrove, in
quel momento…e un unico interrogativo dominava i suoi pensieri.
Si fermò accanto ad
uno dei pali. Mentre si infilava i guanti,
fece un lungo sospiro.
“Io…non posso
saperlo…potrei fraintendere tutto…e perdere Tom anche
come amico. E…non voglio…”, pensò, combattuta. Alzò la testa, e cercò Tom con lo sguardo.
Il numero 11 della
New Team correva sulla rada erba verde smeraldo del campo, dribblando agilmente
i compagni che tentavano di ostacolarlo. Arrivato oltre la linea mediana, passò
la palla a Mason, che avanzò. Il ragazzo proseguì
fino all’area di rigore, poi ripassò nuovamente la sfera a Becker, posizionato all’estrema sinistra rispetto
alla porta.
Kristine
si preparò a ricevere il tiro. “Adesso sei un calciatore”, disse a bassa voce,
fissando gli spostamenti del pallone davanti a lei. “Ti devo considerare come
tale. Un compagno di squadra. Ci stiamo allenando, e non devo più pensare ad
altro, per ora. Basta…”. Strinse le dita a pugno e le rilasciò, per poi piegare leggermente la schiena.
Appoggiò saldamente i piedi sul terreno, pronta a muoversi fulmineamente in
qualunque direzione. “Tira pure…Becker”.
Tom
era pronto a calciare, anche se, dalla posizione in cui era, sarebbe riuscito a
segnare abbastanza difficilmente.
Kris lo guardò con
aria di sfida. “Vorrà vedere come mi comporto in un caso del genere…sicuramente
ripasserà la palla a Johnny…vuole cogliermi
impreparata…”.
E infatti, proprio
come aveva previsto la ragazza, la sfera venne lanciata da Becker
parallela alla porta, verso Mason, che era distante
da Kris qualche metro.
Il giocatore dai
ricci capelli scuri spiccò un balzo nel tentativo di colpire il pallone con un
colpo di testa, ma, all’improvviso, qualcuno si mise fra lui e la sfera di
cuoio…
La misteriosa
figura saltò ancora più in alto di Johnny :
l’attaccante, colpito da una gomitata del terzo calciatore, cadde a terra
malamente.
Intanto Kris era
rimasta a fissare il pallone che, dall’alto, si stava ora precipitando
velocissimo verso di lei, dopo essere stato tirato di testa con una violenza
inaudita. La ragazza, senza nemmeno provare a bloccarla, venne presa in pieno viso dalla sfera: la
potenza del tiro la fece cadere all’indietro, e, poco dopo, il portiere si
ritrovò per terra, con la schiena dolorante
Il pallone, invece,
senza perdere potenza, proseguì nella sua traiettoria, insaccandosi in rete.
Tutti i nove
giocatori della New Team guardarono, senza dire una parola, prima il loro neo
portiere, immobile fra i due pali, poi l’abbronzato e muscoloso ragazzo dai
selvaggi capelli neri, in piedi davanti alla porta.
Freddo e altero,
fissava Kris con disprezzo.
“E tu saresti
quello che deve sostituire Price? Hmpft…ma non farmi
ridere…sai cosa ti dico? Forse ti converrebbe abbandonare immediatamente la
squadra. Vedi, per non fare brutte figure…che ne dici? Certo che, da come aveva
parlato di te Philip, mi aspettavo qualcosa di
meglio…che delusione…”, disse il giocatore a voce alta, con un sorrisetto derisorio sul viso affilato.
“Kris!”, esclamò Tom correndo allarmato dall’amica, ancora stordita per il
colpo ricevuto. Anche Diamond e Carter si
affrettarono a soccorrere il loro compagno di squadra, mentre Harper, con sguardo torvo, si dirigeva deciso verso il
ragazzo bruno.
“Mark Landers!”, sentenziò quindi Bruce puntando l’indice sul capitano della Toho. “I tuoi modi sono come al solito molto garbati, non
c’è che dire! E poi, si può sapere cosa cavolo vuoi? Il campionato non è ancora
iniziato, quindi, lascia in pace Grover!”.
“Grover, eh? E questo il nome del vostro nuovo e infallibile
portiere? Tze’…”, sbuffò Mark
passandosi una mano fra i capelli corvini. “Mi spiace, Bruce…questo
tipo non è neanche degno di confrontarsi con me…perché di certo non ci potrete
mai battere, quest’anno, con una schiappa del genere! Non è riuscito a parare
nemmeno un tiro di testa, a un metro dal suo naso! Eh eh…rimpiangerete
Benji, ne sono sicuro…”. Gettò un’occhiata all’
intera squadra.
“Price è l’unico
portiere, oltre a Ed, naturalmente, capace di bloccare i miei tiri. E questo lo
sapete bene…”.
Il silenzio più
assoluto calò sul campo. Nessuno osava ribattere. La maggior parte dei
calciatori, infatti, non poteva contestare la verità. Senza il grande portiere
del Giappone, senza Benji, sarebbero stati di sicuro
in netto svantaggio nel campionato che stava per iniziare. Sì, dovevano
ammetterlo, purtroppo. E Kristian, per quanto bravo,
non avrebbe mai potuto compensare appieno la mancanza del numero uno della New
Team…
Ma, in quel
silenzio generale, alla fine qualcuno parlò.
“Mark, non cantare vittoria troppo presto. Noi, Holly e lo stesso Benji…crediamo
tutti in Kristian Grover.
Ancora non sai di cosa è capace…ti assicuro che non è molto saggio, da parte
tua, sottovalutarlo…”, lo avvertì pacatamente Becker,
inginocchiato di fianco a Kris, che, intanto, si stava massaggiando lentamente
una guancia.
La ragazza guardava
Landers con due occhi di ghiaccio, punta sul vivo dai
suoi insulti.
“Lascia stare, Tom. Può dire quello che vuole. Ma solo in partita si vedrà
chi ha ragione…”.
Becker
si girò verso l’amica, sorpreso dalla sua fermezza. “Kris…”, mormorò.
Mark
rise. “Ah, allora ce l’hai la lingua, per difenderti! Credevo utilizzassi Bruce e Tom per farlo al tuo
posto…”, continuò il calciatore, avvicinandosi al portiere.
Kristine
sosteneva il suo sguardo senza abbassare neanche per un attimo gli occhi.
“Ma che bel visino!
Lo sai, Grover? Ora che ti guardo bene mi sembri un
po’ troppo gracile e delicato per resistere all’intero campionato…dovresti
davvero darmi retta…e tornartene a casa!”.
Il ragazzo mise le
mani nelle tasche degli attillati jeans neri che indossava, e, giratosi, iniziò
a incamminarsi verso l’uscita del campo, sfilando davanti alla New Team
ammutolita.
Prima di scomparire
dalla loro vista, Landers guardò Kris e Becker un’ultima volta.
“Dite a Holly che questa volta non avrò pietà. Sia con Benji in squadra, che senza di lui! Eh eh…l’unica
cosa che davvero mi dispiace è che io e Price non potremo rinnovare la nostra
consueta sfida, quest’anno…beh, pazienza!”.
Detto questo, se ne
andò.
Per un po’ nessuno
parlò, poi, improvvisamente, Kris si rialzò. Fissava il terreno, tenendo le
braccia serrate lungo i fianchi. Tom, ancora inchinato
, alzò lo sguardo verso il suo viso, aspettandosi di vedere l’amica in lacrime.
Invece,
sorprendentemente, Kris non piangeva. Anzi, nei suoi occhi sembrava ardere uno
spirito combattivo che Becker non si ricordava di
aver mai visto in lei prima d’ora…
“Finalmente ho
conosciuto di persona l’arrogante Mark Landers…beh, è stato un bell’incontro…”, disse Kris
sospirando, passandosi una mano fra i capelli scompigliati.
Alcuni membri della
squadra si avvicinarono al loro compagno. Paul Diamond le mise una mano sulla spalla.
“Kristian, non dare troppo peso a quello che ha detto Mark. Gli piace dare spettacolo…è fatto così. Non esita mai
a criticare tutto e tutti…essendo nuovo, e soprattutto, essendo il sostituito
del suo più acerrimo rivale con il quale non vedeva l’ora di confrontarsi, tu
sei stato la vittima ideale sulla quale scaricare la sua rabbia…”.
Kris sorrise
all’amico. “L’avevo capito…per questo non mi preoccupa ciò che ha detto. So di
potercela fare, e non sarà certo Mark Landers a scoraggiarmi! Tranquilli, ragazzi…”.
Diamond,
Harper, Carter, Mason, Vance, Denver, Kramer, Ship…tutti i compagni di Kris guardarono distesi il loro
deciso portiere, rassicurati dalla sue parole.
“Sei sicuro di non
essertela presa?”, disse però Becker, preoccupato
dall’ultima frase che Mark aveva rivolto a Kristine. La ragazza guardò Tom,
e, intuendo il motivo della sua insistenza, scosse il capo.
“So essere più
forte di quanto pensi”.
Il numero undici rimase
qualche secondo immobile, a riflettere sulla risposta dell’amica. Ricordò che
quella frase era già stata pronunciata dalla stessa Kris quel sabato sera,
quando avevano parlato…
“Ma adesso basta,
scordiamo l’interruzione di Mark e riprendiamo
l’allenamento!”, esclamò alla fine Grover
rivolgendosi alla New Team. Alzò un braccio al cielo. “Forza!”.
Tutti i giocatori
risposero con un grido affermativo, entusiasti. Si dispersero nel campo,
assumendo nuovamente i loro ruoli. Becker li seguì,
silenzioso, correndo lentamente verso il centro del rettangolo.
Aveva compreso,
finalmente, quanto Kris fosse cambiata. Non era più quella ragazza triste, sola
e debole che aveva conosciuto a Kyoto…la ragazza a
cui era stato vicino, che aveva consolato e aiutato nei momenti difficili…ora
era diventata davvero più forte. Più decisa, e pronta a lottare. Sì, capace di
lottare da sola…senza l’aiuto di nessuno.
“Forse non hai più
bisogno di me, Kristine”, mormorò triste Tom, lanciandole un’occhiata. “Ne è passato di tempo…in
questi anni sei maturata…ma io…non me ne sono voluto rendere conto…”.
Era così. Kristine, la ragazza dai lunghi capelli mossi dal vento,
che brillavano nel sole, non c’era più. |
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Capitolo 7 *** Anime Sole ***
Erano passate le sei e mezza
quando Kris uscì dal campo. Con la scusa di provare ancora qualche parata con Becker, aveva
lasciato che il resto della squadra si cambiasse per prima, così da poter
utilizzare lo spogliatoio indisturbata, da sola, dopo che gli altri se n’erano
andati. Tom aveva insistito per aspettarla, ma lei,
gentilmente, gli aveva risposto che questa volta non sarebbe stato
necessario…il ragazzo la aveva quindi salutata, senza chiederle altro.
Kristine
aveva capito solamente qualche minuto dopo che, ancora una volta, aveva dato a Becker l’impressione di respingerlo. E si era pentita…ma
troppo tardi. Il fatto era che…beh…alla fine si era resa conto che non voleva
più che l’amico fosse per lei un qualcosa a cui aggrapparsi, un porto sicuro
dove rifugiarsi di fronte ai problemi, alle difficoltà…come aveva sempre fatto
in passato.
No. Ora…ora si sentiva più
coraggiosa. Poteva farcela. Non era più giusto contare sempre su Tom…su di lui come su qualunque altra persona, fosse suo
fratello Alex, o Nicole,
Judith…no. Adesso che uno dei suoi più grandi
desideri si era avverato, voleva viverlo fino in fondo, e utilizzando solo le
proprie forze per superarne i problemi, le avversità...
Anche se teneva a Tom, non voleva più dipendere da lui per nessuna cosa…anche
prima, quando Mark Landers
la aveva insultata, era riuscita a resistere all’impulso di piangere e di
scappare via, lontana da quel pallone gonfiato…aveva stretto i denti e si era
imposta l’autocontrollo, scotendo il capo quando Tom
le aveva chiesto se se l’era presa…
“Tu però sei sempre…così
importante per me…non posso negarlo…”, mormorò, camminando lentamente per la
strada illuminata dal debole sole pomeridiano, che, lentamente, si stava
abbassando all’orizzonte.
“…vorrei che tu lo
sapessi…ma…”. Si passò una mano tra i capelli. “…ma allo stesso tempo vorrei
che tu mi considerassi un degno compagno di squadra…forte…che sa lottare… ”.
Sospirò, fermandosi. “Non
voglio più sentirmi debole…forse è questa la verità. O forse…non lo so, non lo
so…ormai…non so più neanch’io cosa sto facendo…cosa
cerco davvero…”.
Ricominciò a camminare,
confusa. Perché sentiva quel peso sul cuore?
“Ho sempre vissuto fra mille
comodità…non ho mai avuto bisogno di nulla…ma proprio perché non ho mai
camminato senza qualcuno che mi tenesse la mano…io…sono solo stufa…voglio
dimostrare a tutti di cosa sono capace…non è così, Kristine?”.
Le ritornarono in mente le
parole di Nicole.
“…sicuramente, alla fine,
quando conquisterai ciò che hai sempre voluto,
tutti si renderanno conto di qual
è la vera Kris. E saranno orgogliosi di te…”
Sentì qualcosa di umido
scivolarle sulle guance. Erano lacrime.
“Io…perché adesso piango?”,
mormorò piano guardandosi la mano bagnata. “Ecco..io non voglio neanche più piangere…non
voglio più essere quella Kristine Grover…ma…è
così…doloroso…cambiare…soffocare…i sentimenti. Mi chiedo…se sia la cosa più
giusta…”.
Continuò a vagare per le vie di
Fujisawa, senza sapere dove si stava dirigendo, per
una buona mezz’ora, fino a che, all’improvviso, non si fermò.
Una grande villa in stile
occidentale, circondata da un giardino con, al centro, un campo da calcio,
aveva catturato la sua attenzione. Kris si dimenticò all’istante i pensieri di
qualche minuto prima e, affascinata, si
avvicinò all’alta cancellata argentata che si ergeva imponente davanti a lei.
“Non avevo ancora visto questo
posto…ma come ho fatto a non notarlo quando sono venuta a vivere qui? Che
strano…”.
Appoggiò le dita delle mani su
uno degli elaborati motivi floreali che componevano il cancello, e alzò lo
sguardo verso la struttura.
“Cavoli…è addirittura più
grande dell’hotel dei miei…e della nostra casa a Hokkaido…chi vive qui deve
essere davvero importante…”.
Troppo immersa nella
contemplazione della lussuosa abitazione, la ragazza non si accorse che
qualcuno, dietro di lei, la stava osservando già da un po’.
“Grover…sei
tu?”, chiese una voce familiare, dal timbro un po’ basso.
Kris si girò improvvisamente,
ritrovandosi faccia a faccia con Price.
“Oh…Benji!”,
disse po’ spaventata dall’incontro improvviso, mentre il ragazzo la guardava
con un’espressione altrettanto stupita. “C-ciao!…come
mai da queste parti?”.
“Beh…”, disse lui sorridendo.
“Perché ci abito”.
Kristine
rimase zitta. Senza saperlo, si era ritrovata proprio davanti alla casa di Benji…e lui la aveva trovata lì, immobile, a fissare senza
ritegno la sua villa…
“Oh…che figura…”, si disperò la
ragazza, provando a guardare da un’altra parte. “Ma tanto, ormai, non penso che
cambi molto…una più o una meno…eh eh…”, pensò con autoironia.
“Ahem…non…non
lo sapevo…”, disse quindi, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi.
“Complimenti, è davvero una bellissima casa!”.
“Grazie…sai, i miei genitori
hanno sempre amato l’Europa…e la sua cultura”, rispose il ragazzo,
avvicinandosi a lei.
“Davvero?”.
“Già…da alcuni anni, infatti,
vivono stabilmente in Germania”.
Kris, sorpresa, lo guardò negli
occhi. “E tu…hai deciso di rimanere in
Giappone da solo?”.
Price annuì. “Non volevo
abbandonare i miei sogni, il calcio per me era tutto…convinsi quindi la mia
famiglia a lasciarmi qui. Freddie Marshall,
oltre che mio allenatore, diventò, così, anche il mio tutore. Poi, per alcuni
d’anni, ho comunque vissuto in Germania, come ben sai…ma sempre per una mia
scelta. Ho potuto giocare nell’Amburgo, al fianco del grande Karl Heinz Schneider;
è stata dura, ma quel periodo si è rivelato molto importante per me, per la mia
tecnica. Ora, finalmente, sono ritornato in Giappone…per rimanerci. E’ la mia
patria. Mi sono reso conto che è qui che voglio continuare a vivere…”.
Si fermò un attimo.
“Certo, in futuro dovrò
sicuramente lasciarla per continuare la mia carriera calcistica, e così faranno con molta probabilità anche
tutti gli altri…non ci sono molte possibilità, in Giappone, per sfondare nel
calcio professionistico purtroppo. Ma per adesso, o almeno fino a che non mi
sarò laureato, voglio continuare ad essere io a scegliere per la mia
vita…penserò solo fra qualche anno a cosa fare, seriamente, della mia
passione”.
“Già…”. La ragazza tornò a
guardare, triste, il giardino del palazzo. Le parole di Benji
le avevano fatto ricordare qualcosa…con una piccola differenza, però.
Non sai decidere da sola, Kris.
Non sai combattere per ciò che vuoi. Sei debole, Kristine,
troppo debole.
“Hai fatto bene, Price…”,
riuscì solo a commentare, resistendo all’impulso di sfogarsi anche con il
portiere della New Team.
Doveva essere una nuova Kris,
no? Sì, doveva, voleva cambiare…non aveva bisogno della compassione di
nessuno…no, di nessuno.
I due ragazzi rimasero in
silenzio, l’uno di fianco all’altra, per qualche tempo, fino a che Price non si
girò nuovamente verso Grover.
“Allora”, le disse il portiere
appoggiandosi con un gomito alla cancellata. “Come mai sei venuto qui, Kristian? Hai forse bisogno di qualche consiglio? Sai, mi
spiace moltissimo non essere venuto gli scorsi giorni…e anche di non poter
venire i prossimi…questa maledetta gamba mi da’ un sacco di problemi. Sono
appena tornato da un altro controllo…ma la conclusione è sempre la stessa, riposo
assoluto per un po’. Spero che la prossima settimana mi lascino tornare al
campo. Così, potrò almeno assisterti negli allenamenti”.
Kris cercò di sembrare allegra.
“Lo spero tanto anch’io…comunque, va tutto benissimo…non preoccuparti! E’ solo
che…volevo sapere come stavi, tutto qui…”. Kris si interruppe, indecisa se
continuare. Dopo pochi attimi, però, riprese a parlare.
“Però…si sente molto la tua
mancanza in campo, Benji. Tu e Hutton
siete molto importanti per il sostegno morale della squadra, e la tua presenza
è indispensabile per tutti noi…spero davvero che torni presto. Soprattutto
perché la prima partita si avvicina…”.
“Questo è vero. Sì…credo
proprio che pregherò sia Freddie che il mister di
lasciarmi uscire al più presto…”. Benji si tolse il
cappello, passandosi una mano fra i capelli scuri.
“Ehi, che ne dici di entrare, Kristian?”, propose improvvisamente il ragazzo guardando Grover. “Penso che una bella chiacchierata sia necessaria
per conoscerci meglio, no? Fino ad ora ci siamo parlati poche volte! E poi, magari, potrò dirti qualcosa di utile
per prepararti agli incontri che dovrai affrontare…”.
Kristine,
che non si aspettava l’invito, rimase muta per qualche istante, non sapendo
cosa rispondere.
“Ehm…vedi, ecco, non so se ho
il tempo di…”, balbettò.
Price le battè
una pacca sulla schiena. “Ma dai, Grover…solo per
poco! O forse…”. Scrutò Kris sorridendo, malizioso.
“…forse hai un appuntamento con
qualche ragazza, non è così? Ecco perché hai tanta fretta!”.
Kris avvampò. “Ma…ma cosa dici?
Non è affatto vero! Io…ecco…”.
“Ma dai, scherzavo! Eh eh…sai, ormai molti della squadra hanno spesso la testa in
altre cose, ben diverse dal calcio…per non parlare, poi, dei nostri più
temibili avversari, come ad esempio Ross e Landers! Sono sempre in felice compagnia…quindi, mi
chiedevo…”.
“Eeeh?
Anche quell’antipatico di Landers??”, esclamò Kris
fissando l’amico, incredula.
Benji,
sorpreso dalla reazione di Grover, lo guardò a sua
volta. “Beh…è solo una voce…me l’ha raccontato Philip…una
certa Maki…ma scusa, quando hai conosciuto Mark?”.
Kristine,
allora, si ricordò di non aver ancora raccontato a Price del suo interessante
incontro-scontro con il capitano della Toho, avvenuto
poche ore prima.
“Beh…agli allenamenti, questo
pomeriggio. Diciamo che ha fatto la sua comparsa in campo per…esprimere il suo
immenso dispiacere per la tua assenza nel campionato di quest’anno…”.
L’espressione sul viso di Kris si fece dura. “E’ davvero simpatico, devo
ammetterlo. Molto socievole, poi…”.
Price osservò l’amico, capendo
immediatamente cosa doveva esser successo.
“Si è messo in mostra come al
suo solito, non è vero? Posso immaginare come si sarà comportato nei tuoi
confronti, avrà tentato di umiliarti in tutti i modi…Grover,
mi dispiace. Avrei dovuto esserci…”.
“No, Price, non importa. Quello
che mi ha detto non mi ha fatto nessun effetto…”.
“E invece avrei dovuto
prevederlo. Non sopporta che qualcuno mi sostituisca…non aspetta altro che il
confronto con me e Hutton, ogni anno…la nostra sfida
personale va avanti da tantissimo tempo. Comunque…”. Sorrise, deciso, alla
ragazza. “…per l’incontro con la Toho ci sarò
sicuramente. So che anche questa volta la finale sarà tra le nostre due
squadre…perché tu, Kristian, porterai ogni volta la
New Team alla vittoria, fino a quando
non sarò in grado di tornare a giocare. Giusto?”.
Kris rispose al sorriso,
raggiante. La fiducia che Price riponeva in lei le dava una grande carica.
“Certo!”.
“Ne sono felice”.
Detto questo, il ragazzo suonò
al grande citofono installato ad un lato del cancello, e, rispondendo alla voce
che parlò nel ricevitore, si fece aprire.
Entrò così con Kristian nell’immenso giardino, camminando lentamente per
evitare altri sforzi alla gamba. Kris seguì il suo passo, affiancandosi
all’amico che, pensieroso, guardava davanti a sè.
Il profilo del portiere si
stagliava contro la luce del tramonto, che, diffusa, riempiva il cielo
tingendolo di rosa.
Il ragazzo indossava una
t-shirt bianca, abbastanza aderente, che metteva così in risalto i muscoli del
petto e delle spalle, perfettamente modellati dopo anni di gioco e di duro
allenamento. I jeans erano di un grigio scuro, e le scarpe, bianche,
naturalmente da ginnastica. Anche se illuminato dagli ultimi raggi del
sole, lo sguardo sembrava lontano, e un po’ malinconico. Senza
rendersene conto, Kris si ritrovò a
fissare quei profondi e magnetici occhi neri, come catturata dal mistero che
sentiva circondare l’immagine dell’affascinante calciatore, un portiere senza
pari, il suo modello da anni.
E con, indubbiamente, un corpo
incredibile, che solo adesso si ritrovava a guardare continuamente…
Sì, la attraeva…la attraeva
come nessun ragazzo, mai, aveva fatto prima.
Ma…c’era qualcos’altro. Un
presentimento…
L’aria sembrò più calda, il
mondo intero più silenzioso…e una strana sensazione, in quel momento, colse
Kris…o meglio, sentì, con assoluta certezza, di stare vivendo un istante
irripetibile, fuggevole, ma che sarebbe rimasto per sempre con lei…
“Cosa…cosa mi succede?”, si
disse continuando a fissare sognante la figura accanto a lei. “Io…io non mi
sono mai sentita, così, prima d’ora…Benji…questa
sera…ti vedo…con altri occhi…e questa sensazione…”.
Kris si fermò. Il ragazzo, che
non si era accorto di nulla, proseguì per qualche altro passo, prima di girarsi
verso l’amico.
“Cos’hai, Kristian?
Non vuoi entrare?”, disse Price indicando l’ingresso della villa qualche metro
davanti a lui.
Kristine
lo guardava senza riuscire a dire nulla. Aveva paura. Paura di stare iniziando
a provare qualcosa di serio, troppo serio.
“Benji”,
mormorò, senza muoversi. “Tu…tu, invece, ce l’hai la ragazza?”.
Lo disse con assoluta fermezza.
Price rimase in silenzio qualche istante, poi alzò la testa, sorridendo
tristemente.
“No, Grover.
Per adesso…no. Sai, alcune volte invidio Holly, o Julian…ma…se devo dire
la verità, non mi sono mai messo seriamente con nessuno”.
“E…come mai? ”.
Benji
continuò a fissare un punto del cielo, sopra la sua testa.
“Chi lo sa…alcune volte, penso
che non avrei abbastanza tempo da dedicare ad una ragazza…o…beh, forse,
semplicemente, non ho ancora incontrato quella giusta”. Sospirò.
“Sai”, proseguì appoggiandosi
al colonnato del portico. “Quand’ero piccolo, i miei spesso erano assenti per
affari importanti…non li vedevo quasi mai. Ho vissuto per parecchi anni senza di
loro, in questa grande casa, e prima che conoscessi il calcio, la mia vita era…beh, molto triste. Non avevo
interessi, passatempi, amici…ero circondato solo da domestici, balie,
insegnanti, ma queste persone non mi davano nulla. Li sentivo freddi e distanti.
Così, anch’io mi chiusi in me stesso…e imparai a stare da solo”.
Price si voltò di spalle. Kris
non aveva smesso un attimo di guardarlo.
Erano…erano…così simili. Non
l’avrebbe mai creduto….
“E poi…cosa successe?”, chiese,
avvicinandosi al ragazzo di un passo.
Lui sospirò ancora, mettendosi
le mani in tasca. “Beh…quello…fu uno dei periodi peggiori della mia vita. Avevo
tutto, è vero, ma passavo le giornate a fare sempre le stesse cose, ad
ascoltare tutte quelle persone che avrebbero dovuto, in qualche modo,
sostituire la mia famiglia. Ma non era così…io mi sentivo un automa,
alienato…ero solo un bambino, troppo piccolo, troppo confuso…non riuscivo più a
capire nulla, chi era nel torto, se ero io che sbagliavo…I miei spesso
tornavano dai loro viaggi per il Giappone e l’Europa, ma non si fermavano mai,
nemmeno per pochi giorni, a casa. Non capivano cosa mi mancava. Non riuscivano
a comprendere che per me, i soldi, il lusso in cui vivevo…non erano niente in
confronto all’affetto, all’amore di due genitori…dei genitori presenti,
sempre”.
Benji
si fermò. Improvvisamente si girò nuovamente, guardando negli occhi Kristine, a pochi centimetri da lui.
“Ti sto annoiando, non è vero?
Forse è meglio…”.
“No, no, affatto! Benji…”, disse lei, scotendo il capo. “…io…ti posso capire. La tua
storia…assomiglia moltissimo alla mia. Anch’io ho sempre vissuto come te,
ma…ecco, purtroppo il momento peggiore lo sto forse vivendo in quest’ultimo
periodo…i miei genitori pensano solo ai loro maledettissimi alberghi…mai alla
loro famiglia”.
Ecco. L’aveva detto anche a
lui. Accidenti, si era promessa di non farlo. Ma…
“Kris”, disse allora lui
mettendogli una mano sulla spalla. “mi dispiace…allora, è vero che sei il figlio dei proprietari della
catena di Hotel Grover? L’avevo sospettato, ma non ne
ero sicuro”.
Kris abbassò gli occhi, facendo
un sorriso tirato. “Già…purtroppo”.
Subito, però, rialzò la testa.
“Lasciamo perdere…comunque, dimmi, come…come è finita?”.
Price la guardò. “Beh…arrivò il
secondo anno delle elementari”, continuò. “Iniziai a praticare il calcio, quasi
per caso, forse solo per distrarmi…fu il mio primo, vero interesse, e, senza
accorgermene, mi ci appassionai. Tutto quello che avevo sempre tenuto dentro,
la mia rabbia, la mia tristezza, l’energia che non avevo mai
utilizzato…tutto…diedi sfogo a tutto, dedicandomi totalmente all’attività di
portiere. Anche il mio carattere cambiò. Divenni più sicuro, forse…anche
se…egoista, e, devo ammetterlo, molto arrogante e presuntuoso. In fondo…io e Landers eravamo molto simili, qualche tempo fa. Ecco perché
iniziammo a odiarci cordialmente…”.
A quel punto Benji rise, e Kris lo fissò stupita.
“Dici sul serio? Non ci
credo…tu non assomigli per niente a quel tipo…”.
“Grazie…ma dici questo solo
perché mi hai conosciuto da poco…infatti, ora penso di stare cambiando ancora.
Ecco, il punto è proprio questo…”.
“Di cosa?”.
“Del perché…non ho la ragazza”.
Kristine
non disse nulla. Voleva che Benji andasse avanti.
Voleva sapere.
Price rimise le mani in tasca.
Forse era indeciso se continuare a confidarsi con lei. Anzi, con lui, con Kristian.
“Vedi…anche se acquistai più
sicurezza, anzi, forse fin troppa, continuai a essere un tipo solitario. E’
vero, avevo i miei compagni di squadra, certamente erano miei amici, ma…mi
ostinai a non affezionarmi a loro. Non volevo…avevo sempre contato solo su me
stesso, e volevo continuare a farlo. Credevo di non avere bisogno degli altri.
Da solo…stavo bene. Ne ero assolutamente convinto. Anche per questo motivo,
penso, decisi di rimanere in Giappone. Ormai, avevo imparato a non più
ascoltare nessuno…il calcio, per me, era diventata l’unica cosa di cui mi
importasse davvero, la sola che consideravo realmente importante”.
Kris continuava a guardare
Price. Dentro, mille pensieri avevano iniziato ad affollarle la mente.
A differenza di Benji, lei si era
sempre aggrappata agli altri. Per non lasciarsi andare…aveva sempre cercato
aiuto. Alex, Tom, Nicole…
Invece, adesso aveva deciso di
comportarsi proprio come aveva sempre fatto Price.
Per cambiare, per essere, o
forse per sembrare più forte. Ma soffrendo.
Era giusto?
Ora, finalmente, stava
iniziando a capire…
“Quando conobbi Holly, Tom, e gli altri”,
proseguì il ragazzo “ero ancora quel ragazzino orgoglioso e egoista…se lo
ricordano tutti molto bene, credo…soprattutto Holly.
Ma fu proprio lui, con il suo entusiasmo verso ogni cosa, il suo spirito
sportivo, la sua allegria e il suo ottimismo a farmi capire cosa davvero era
l’amicizia, e quanto fosse importante in una squadra affiatata, ma anche,
semplicemente, nella vita di tutti i giorni. Così abbandonai quel mio odioso
comportamento…non potevo più essere un’isola. Compresi, infatti, che ognuno di noi ha bisogno degli altri.
Però…”.
“Però?”.
“Ecco…ancora oggi, non…mi sento
la persona che vorrei essere. Non sono…non mi sento ancora capace di dare a
qualcuno qualcosa di mio, una parte di me. Soprattutto, ad una donna. Non
saprei comunicarle nulla, credo. Nemmeno so, forse, amare davvero. Tutte le
volte che avrei potuto avvicinarmi a una ragazza, ho sempre lasciato perdere.
Anche per paura di avere un rifiuto, forse…per non sentirmi dire, appunto, di
averla delusa. E di non essere il ragazzo che ha sempre desiderato”.
Ormai il sole era totalmente
scomparso oltre la linea dell’orizzonte. Il cielo stava iniziando a colorarsi
di un blu scuro.
Quell’alito di aria calda che
prima Kris aveva avvertito, però, sembrò tornare ad avvolgere la ragazza.
O…forse era il suo cuore ad
essersi riscaldato?
“Price…”, mormorò Grover. “Non devi, non
devi assolutamente pensare di essere una persona vuota, perché non è affatto
vero. Anche se non ti conosco da molto, mi sono reso conto che…”.
Benji
sorrise triste. “Grazie”, disse, senza lasciarla finire. “Ma vedi…con gli amici
mi comporto diversamente. Sai…”. La guardò negli occhi.
Kris sostenne quello sguardo
profondo, anche se con molta difficoltà. Forse era arrossita.
“…Sì?”.
“Sono contento di averti
parlato di queste cose…è strano, ma non sono mai riuscito a dirle a nessuno,
prima di adesso. Non so perché, ma sento di potermi fidare ciecamente di te.
Sarà dovuto al fatto che noi due ci somigliamo molto”.
Kris continuava a fissarli.
Quegli occhi. Occhi scuri, neri come la notte. Così tristi, ora, pieni di una
tristezza infinita.
Non lo sapeva…non credeva…Benji era molto più fragile di quanto non sembrasse.
“Hai ragione, Price…”.
Il suo cuore batteva forte. Il
calore…sì, ora lo sentiva. Ne era certa.
“Siamo due anime sole”, pensò
malinconicamente. “Voglio…vorrei starti vicina. Benji…cosa
sto provando? Cos’è questa pena che sento…sto soffrendo…per entrambi…”.
Il ragazzo sembrò non
accorgersi, però, dello stato d’animo di Kris.
“Ma ora basta parlare di tutto
questo…penso che ci abbia solo depresso! ”,
disse infatti ridendo e girandosi verso la villa. “Ti ho tenuto qui
fuori fino a quest’ora…adesso entriamo, e ti assicuro che cambiamo argomento! Ok?”.
Kris sorrise. “Ok!”.
Detto questo, i due salirono le
scale dell’ingresso, scomparendo dietro all’alto portone.
Benji
fece visitare a Kristine l’intera villa: in realtà
era ancora più grande di quanto appariva all’esterno, e la ragazza rimase molto
sorpresa nonostante conoscesse bene l’ambiente nel quale vivevano gli
aristocratici, ed in particolare le loro lussuose abitazioni…la casa in cui ora
stava, lì a Fujisawa, non aveva nulla a che fare con
le ville e i residence che i suoi avevano comprato o avevano fatto costruire
nelle più disparate località dell’arcipelago giapponese. Rispetto, ad
esempio, alla loro casa estiva a
Hokkaido, questa era sicuramente molto modesta, e, proprio per questo, perfetta
per i due fratelli Grover. Senza domestici e
camerieri che giravano di continuo per le stanze, Kristine
si sentiva più rilassata, e finalmente libera da quella fastidiosa sensazione
di no-privacy che aveva dovuto sopportare per anni.
In fondo, i suoi genitori non
erano praticamente mai a casa – come non lo erano mai stati, del resto - e sia
Kris che Alex avevano quindi rifiutato un’altra villa
dalle dimensioni esagerate, priva di qualsiasi utilità...un insensato spreco di
denaro, aveva detto Alex alla madre. Quella era stata
una delle poche cose positive che la ragazza aveva avuto dai genitori.
“E’ fantastica” esclamò Kris
guardando sorridente l’amico. “In altri casi direi di non poter sopportare un
posto del genere…ma la tua casa…ha un non so che di…affascinante. Dico sul
serio!”.
Price ridacchiò. “Eh eh…questo non me l’aveva mai detto nessuno…comunque ti
ringrazio. Anch’io preferirei vivere in un’abitazione meno monumentale, ma devo
dire che, ormai, ci sono affezionato.
Nonostante il mio passato…”.
Si fermò davanti a una vetrata,
sospirando. La sua espressione divenne indecifrabile.
Kris fece un cenno d’assenso,
rimanendo in silenzio. Anche se Benji le aveva
raccontato tutto, il ragazzo continuava
a sembrarle sfuggente…come circondato da una sorta di barriera, che lo
difendeva dall’esterno.
Per non lasciare entrare
nessuno. E per non lasciare nemmeno
uscire alcuna emozione.
E’ vero. Lo sapeva bene. Non
era semplice cambiare.
Benji
lotta ancora, dentro di sé.
Non è così sicuro. C’è ancora
tanta solitudine. Rabbia, forse. E
tristezza. Paura di non essere accettato, compreso, amato.
Lasciato solo. Respinto.
Ancora…essere un’isola.
Ora…cerca solo di capire…capire
chi è. Cosa vogliono gli altri da lui, cosa vuole lui dagli altri, e da se stesso.
Come lei. Come tutti. Tutti
cerchiamo. Tante, troppe cose.
Ma alla fine, non siamo mai
felici. Desideriamo, senza mai fermarci, senza mai essere appagati.
E qual è, allora, la risposta?
Dove sono la serenità e la gioia totali?
Nella realizzazione di un
sogno?
Quale sogno?
Un’intera esistenza, può essere un sogno. Ma come realizzarlo?
E’ così difficile vivere. Fare
delle scelte. Scegliere chi essere, fra mille anime.
“Anche tu lo stai facendo, Benji. Come me. E intanto,
quella immensa tristezza…non ti lascia pace, vero?”, disse a bassa voce
la ragazza.
Kristine
si avvicinò al portiere. Avrebbe voluto rimanere ancora con lui. Ma purtroppo,
se avesse tardato ancora una volta, Alex non glie l’avrebbe perdonato.
“Grazie mille della visita. Purtroppo, adesso,
devo proprio andare…”.
Price si voltò di scatto,
distogliendo lo sguardo assorto dalle lontane montagne che circondavano Fujisawa.
“Ma…magari potresti fermarti
per cena…”.
“Mi piacerebbe…ma davvero, devo
scappare. Mio fratello mi starà già aspettando a casa. Sai…non è il caso di
litigare con lui…”.
Rise. Benji
la fissò sorpreso. “Hai un fratello?”.
“Sì. Si chiama Alex…è più grande di me di 3 anni”.
“Ah”. Si girò nuovamente. “Mi
sarebbe piaciuto avere un fratello o una sorella…”. Rimase in silenzio per
qualche istante. “Secondo me sei molto fortunato, Kristian”,
disse poi.
Kris sorrise. “Lo so”.
Price la guardò negli occhi.
Forse avrebbe voluto aggiungere altro, ma non lo fece.
“Ti accompagno al cancello”.
I due attraversarono nuovamente
l’intero giardino e il campo da calcio. Kris camminava silenziosamente di
fianco a Benji, non sapendo cosa dire. Quella sera
aveva visto il vero Price…ora sapeva che dietro a quell’immagine di portiere
forte, infallibile e sicuro si sé c’era anche qualcos’altro. Paure mai
raccontate a nessuno, tenute sempre nascoste da una maschera assolutamente
insospettabile…
E adesso le aveva confessate a
lei. O meglio, a Kristian Grover.
Arrivarono in strada. Benji sorrise all’amico, mettendo le mani nelle tasche dei
jeans.
“Grazie della visita, allora.
Spero…di non averti stufato con tutto quello che ti ho raccontato”.
Kristine
scosse il capo. “Non mi hai affatto annoiato. E poi è vero che siamo simili.
Forse abbiamo delle storie un po’ diverse…ma ho conosciuto anch’io la tua stessa
solitudine”.
Si fermò un attimo. “In ogni
caso…sono pronto ad ascoltarti ancora, qualunque cosa ti serva!”.
Benji
Price lo guardò. “Grazie” disse. “Ma non penso che ce ne sarà più bisogno.
Credo che quello di oggi sia stato solo un momento…di debolezza, ecco. Non
capiterà più, te lo assicuro”.
Kris sapeva che quella non era
la verità. L’orgoglio di Price serviva solo per sembrare più forte…lei lo
capiva. Lo capiva bene. Anche lei si era comportata allo stesso modo.
“Ehi, alla fine, fra una cosa e
l’altra, non abbiamo parlato del campionato!”, esclamò improvvisamente Price
girandosi dall’altra parte, come per cambiare argomento.
Poi, invece, si rigirò verso di
lei, guardandola negli occhi.
“Senti, potremmo incontrarci
questi giorni, che ne dici? Magari ti potrei allenare qui a casa mia…”.
Kris lo fissò incredula. “Eh?
Davvero?”.
Benji
sorrise. Un sorriso bellissimo. Sembrava essere ritornato il ragazzo di poche
ore prima.
“Certo! Non credi sia la cosa
migliore? Di certo non tutti i giorni, ma…”.
“Va benissimo! Non ci sono
problemi!”, esclamò Kris entusiasta, prima di lasciarlo finire. “Ti assicuro
che ce la metterò tutta!”.
“Mi fa piacere che tu abbia
tanta grinta…”, disse lui guardandola. “Sono sicuro anch’io che non ci
deluderai. Kris…”.
“Cosa?”.
“Penso proprio che diventeremo
buoni amici”.
Amici…buoni amici. Kristine si portò una mano al petto. Il cuore stava
ricominciando a batterle forte. Qualcosa le diceva che una profonda amicizia
con Price la avrebbe portata unicamente in una direzione…già prima si era
accorta di qualcosa. Una sensazione mai provata prima. Tanta confusione.
Improvvisamente si era resa
conto di sentirsi incredibilmente attratta da Price. E questo no, non andava
proprio bene. Avrebbe solo complicato ancora le cose. E Tom? Cosa provava
allora per Tom?
Non riusciva a capire.
Accidenti, lei doveva essere Kristian…doveva essere Kristian Grover, e basta. Non poteva rivelare la verità anche a Benji. Non avrebbe mai dovuto sapere nulla. Assolutamente.
Era impensabile. No.
Scegliere chi essere, fra
mille anime.
Perché doveva scegliere? Non
era giusto.
“Ne sono certa…sì, saremo buoni
amici”. Detto questo, sorrise a Price.
“Ti lascio il mio numero di
cellulare…così potremo metterci d’accordo per quando vederci. Nel frattempo
continuerò ad allenarmi al campo con il resto della squadra. Ok?”.
Dopo aver dato al ragazzo il
numero per rintracciarla, Kris si allontanò in strada.
Benji
la seguì per un po’ con lo sguardo, poi rientrò in giardino. Alzò lo sguardo
verso la grande villa.
“Chissà cosa mi è preso…perché
gli ho detto tutto?”.
Fissò le cifre del numero che Grover gli aveva scritto sul foglietto che ora teneva fra
le dita.
“Già”. Infilò nuovamente le
mani in tasca, insieme al foglietto. “Siamo simili”. |
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Capitolo 8 *** Complicazioni ***
*We are islands, but never too
far, we are islands…
Ore 7.15 del mattino. Kristine
era distesa sul letto, ancora sotto le coperte, con il viso sprofondato nel
cuscino. La musica di Mike Oldfield
le teneva compagnia, riempiendo la stanza e la sua mente di note leggere,
accompagnate da una voce femminile,
dolce ma appassionata…
Islands, from the first time we
saw, we can wait for this moment, like rocks on the shore…
Price…era ancora un’isola?
L’aveva sempre creduto forte, molto più forte di lei.
Anche se in realtà, per stare da soli…si deve essere molto
forti.
Solo in apparenza Benji era come
l’aveva sempre conosciuto.
We can never be closer someone,
for the moments that lasts, is this moment now…
Sì, e in
quell’attimo si era sentita vicina a lui. Molto vicina.
When the night’s on fire, will
you keep the candlelight burning, hold on to your hearts desire…
Era stato per poco,
è vero, ma aveva visto dentro Benji. L’aveva capito.
When you see one bird into the
wind, another’s ones turning…and the two can fly much higher…
Cavoli.
Qualcosa, però, non
andava.
Si sentiva strana.
We are islands, but never too
far, we are islands…
And I need your light tonight, and I need your light
tonight…
Oh, accidenti. Oldfield sembrava leggerle nel cuore.
“Sì, siamo isole…ognuno per motivi e da punti di vista
diversi, ma lo siamo. E…proprio per questo, ci attraiamo…forse abbiamo bisogno
l’uno dell’altra?”.
Kris si alzò di scatto dal letto. “Mmh…non
dovrei pensarci troppo…non ora…”, disse risoluta.
Ma la musica continuava…così le parole…
Islands,
never been to before, and we climb so high
To
where the wild birds soar, there’s a new path that
We
found just today, I was lost in the forest, and you showed me the way…
“Forse…abbiamo perso entrambi la strada…uff…”. La ragazza sospirò, guardandosi allo specchio.
Si fissò a lungo, mentre il ritornello si ripeteva.
“Accidenti, forse penso troppo. Non mi fa bene pensare
troppo, e dire che lo so…”, mormorò.
“Scusa…Kris, posso entrare?”.
Kristine girò la testa verso la
porta.
“Oh, buongiorno, Alex…sì, vieni
pure…”.
Il fratello della ragazza si avvicinò. L’espressione sul
suo viso non era particolarmente allegra.
“Ascolta…”.
Kris lo guardò, mostrandogli invece il migliore dei
sorrisi. “Che succede, fratellino?”.
“Beh…”, iniziò il ragazzo. Si sedette sulla sponda del
letto. Per un attimo, titubante, fissò il pavimento. Poi rialzò il viso verso
Kris e le parlò deciso.
“Sono preoccupato. So che mi nascondi qualcosa. Quello che
mi hai raccontato non è la verità. Ne sono certo”.
“Eh?”, esclamò sorpresa l’altra, senza agitarsi
minimamente. “E perché non dovrebbe essere la verità?”.
Alex si rialzò in piedi
improvvisamente. “Perché non lo è!”.
Kristine fissò senza parole gli
occhi verdi del ragazzo. Non se lo sarebbe aspettato. Almeno, non così presto.
Beh, in ogni caso, a questo punto, tanto valeva confessare
subito…
Però…
“E’ vero”, mormorò abbassando gli occhi. “Non lo è. Scusa
se ti ho mentito, ma…ancora adesso non posso dirti tutto”.
“E per quale motivo? Non riesco più a vederti ritornare a
casa a orari impossibili…Ti sei cacciata in qualcosa di pericoloso? Guarda che
se qualcuno ti infastidisce, o…”.
Kristine lo interruppe. “No, no!
Niente di simile…è solo…qualcosa unicamente mio. Ti prego, Alex,
fidati di me. Un giorno ti racconterò tutto, spero potrai capire le mie
ragioni. Ma, per adesso, fidati. Ti scongiuro”.
Lui rimase immobile, a guardarla negli occhi. “Come posso
fidarmi? Lo sai…io mi sento responsabile nei tuoi confronti. Sono responsabile
nei tuoi confronti!”.
“Lo so. Ma questa volta, non devi. Non dire nulla a
nessuno. E comunque…quella che ti ho raccontato…è una mezza verità”.
Lui sospirò. “Ah, e questo dovrebbe rassicurarmi? Kris,
sei impossibile…”.
La sorella rise. “Dai, non esagerare. Se ti dico di non
preoccuparti, non devi farlo! Ok?”.
Il ragazzo la guardò di traverso. “Uhm…uff,
ci proverò”, disse infine, ormai arreso.
Mise le mani nelle tasche dei pantaloncini blu che indossava. “Adesso…ti
prepari ed vai subito a scuola?”
Lei si stiracchiò, sbadigliando. “Sì, devo incontrarmi con
Judith prima che inizino le lezioni. Deve farmi copiare matematica…”.
Alex le lanciò un’occhiataccia.
“Come sempre non fai i compiti per conto tuo, eh? Sei la solita”.
La ragazza gli fece la linguaccia. “Ho preso da te, sai?”.
Scoppiarono entrambi a ridere. Subito dopo, però, Alex ritornò serio, e, dirigendosi verso il corridoio,
salutò la sorella.
“Esco subito anch’io. Ci vediamo più tardi, allora. Chiudi
tutto, mi raccomando”.
“Sì, ma…oggi non dovresti avere lezione così presto,
all’università, o mi sbaglio?”.
“No, infatti. Devo incontrarmi prima con una persona”.
Kris lo punzecchiò. “Un appuntamento, eh? Con una
ragazza?”.
Alex non sembrò notare il tono scherzoso di Kris. “Sì, con Nicole”, disse dopo un po’.
“Cosa?”. Kristine non credeva di
aver sentito bene. Nicole? Nicole,
quella Nicole, la segretaria dei suoi? 28 anni, per
metà giapponese e per metà olandese? Che era sempre stata una seconda sorella,
una seconda madre, per loro? No, forse non era lei…non poteva essere lei…
“Nicole Henger”.
Kristine rimase un attimo
immobile, shockata. “Ma…cosa…cosa vi lega esattamente? Voglio saperlo”, mormorò
poi.
Alex, girato di spalle, le
rispose duramente. “Non sono cose che ti riguardano”.
La sorella del ragazzo, a quelle parole, lo fissò negli
occhi, fulminandolo con lo sguardo.
“Ah, non sono cose che mi riguardano? Scusami tanto…e
allora per quale motivo tu, invece, volevi sapere cosa faccio io?”, esclamò Kristine a voce
alta, indignata.
“Sono due cose diverse”.
“Ma davvero? Ti informo, nel caso in cui non te ne fossi
accorto, che Nicole è molto più grande di te! Vi
distanziano quasi 10 anni! E poi, cosa diavolo è successo? E’ sempre stata una
sorella, per noi, e tutto ad un tratto, tu…”.
“Non sai niente, Kristine. Non
immischiarti”.
“Smettila! Mi fai schifo!”.
Le ultime parole gridate da Kris rimasero nella testa nel
fratello, ripetendosi più volte, come un’eco. Per un po’ Alex
non disse nulla, poi girò leggermente la testa di lato, guardando un’ultima
volta la sorella prima di uscire dalla stanza.
“Hai ragione, su questo punto. Ho vergogna di me stesso.
Scusami”, mormorò tristemente.
Detto questo, il ragazzo se ne andò, chiudendo piano la
porta. Kris rimase ferma, con gli occhi spalancati, a fissare l’anta chiusa.
Forse aveva esagerato. Non sapeva cosa le fosse preso, ma…no, non poteva
crederci. Alex e Nicole
avevano una storia. E poi, chissà da quanto questa andava avanti senza che lei
ne avesse mai saputo nulla. Suo fratello…come aveva potuto essersi innamorato
di Nicole? Era come…se davvero, si fosse innamorato di una loro stretta parente…
O forse le cose erano ancora più complicate. E lei, non ne
sapeva davvero nulla.
“Cavoli…ci mancava anche questa. Ma bene…”.
Si lavò e vestì in fretta, cercando di non pensare a
quell’ennesima preoccupazione. Se suo fratello non voleva dirle nulla, va bene.
Non erano affari suoi, vero. Certo, la cosa le dava fastidio, ma forse, in quel
momento, non era il caso di crearsi altri problemi. Prima o poi si sarebbe
anche scusata per come si era comportata prima. Ma adesso, basta.
Fece colazione, e andò a scuola.
I giorni seguenti passarono tranquilli. Mentre gli
allenamenti con la squadra si erano limitati a tre giorni la settimana, Benji e Kris iniziarono a incontrarsi sempre più
frequentemente alla villa del ragazzo…
Price insegnava a Grover ogni
sua tecnica, ogni suo movimento e ogni suo trucco…lei imparava in fretta,
impegnandosi con tutta se stessa. Doveva, voleva diventare ciò che il suo
allenatore sperava. Per lui, per se stessa, per gli altri.
Non era mai stanca, e gli allenamenti non conoscevano
soste.
Ma era contenta. Soprattutto, felice di poter stare con
lui. Con Benji.
“Aspetta…no, Kristian, più
inclinato in avanti. Così sei sbilanciato”, eclamò il
portiere dopo aver osservato, critico, Grover che,
fra i due pali, seguiva le sue istruzioni. Price si avvicinò quindi a Kristine, posizionandosi dietro a lei.
“Anche le braccia, e le mani…”, disse severo, prendendogli
i polsi e spostandoglieli in avanti.
“Ehm…io…penso di aver capito…”, rispose imbarazzata Kristine. Non si era certo dimenticata di essere una
ragazza, e la vicinanza con Benji la metteva in agitazione. Soprattutto, quando
era così vicino…e quando le sue mani la toccavano…
“Giusto…ecco, così. Il busto, dicevo, non va bene…”,
continuò poi lui, abbassando le braccia e mettendo le mani sui fianchi e la
vita di Grover. “Devi…”.
A quel tocco, Kris si allontanò improvvisamente da Price,
girandosi poi verso di lui.
“Ah…ecco, vedi…dovrei andare un attimo in bagno…”.
Accidenti, non le era venuto in mente nient’altro da dire
come scusa…
Price la fissò, un po’ stupito. “Oh…certo, figurati, fai
pure…sai dov’è, vero?”.
“Ehm…sì, sì, grazie”.
Kristine corse via dal campo,
entrando come un fulmine in casa. Una volta dentro la villa, richiuse il
portone dietro di sé.
“No, no, no. Non ci devo far
caso. Devo far finta di nulla…”, si disse, cercando di tranquillizzarsi.
Respirò profondamente, chiudendo gli occhi. Li riaprì.
“Oh, ma cavoli, però non posso reprimere le mie
sensazioni!”, gridò nel salone deserto, mentre la sua voce rimbombava,
moltiplicandosi all’infinito. Alzò gli occhi al soffitto arabescato, disperata.
“Quello che mi preoccupa…è che…stiamo diventando davvero…amici. Molto amici. E
questo mi fa paura…”.
Aveva previsto che sarebbe successo.
E adesso, adesso…
Sospirò ancora. “Sono Kristian.
Solo Kristian. Deve entrarmi in testa…assolutamente.
Al diavolo le mie sensazioni ed emozioni…non mi comporterò come Kristine. In campo, Kristine non
esisterà…mai…”.
Ma sapeva, dentro di sé, che non ce l’avrebbe fatta ad
obbedire a quel comando a lungo.
Sarebbe bastato poco, molto poco, per rovinare tutto.
E sarebbe successo, purtroppo.
Anche se Kris, quel pomeriggio, non poteva immaginare
neanche lontanamente come…
“Ehi, oggi non hai una gran bella faccia, sai?”, disse
Judith guardando pensierosa Kristine che, con occhi
vacui, camminava di fianco a lei, nel cortile interno del liceo Syutetsu.
“Eh?”, rispose l’altra, voltando lentamente la testa verso
la graziosa ragazza bruna.
Jude quasi saltò davanti
all’espressione spenta e assonnata dell’amica. “Mamma mia, fai davvero
spavento…è tutta la mattina che hai quello sguardo…ma stanotte hai dormito?”.
Kris si fermò un attimo. “Uhm…sì…credo di sì…o forse no…”,
borbottò.
Judith la
fissò. “Senti, ma si può sapere che cosa ti sta succedendo?”. Mise
entrambe le mani sulle spalle di Kris. “Sono seriamente preoccupata, davvero!”.
Kristine la guardò a sua volta
negli occhi, questa volta seria. “Jude…”.
“…s…sì?”.
“…Hai presente il dottor Jekyll
e Mr. Hyde? Ecco, mi sono resa conto di quanto sia
interessante lo sdoppiamento della personalità…Certo, non penso che in me
coesistano un mostro e una persona buona e gentile, però se analizziamo…”.
“Eeeeeh?”. L’altra la prese per
mano. “Ehm…Kris, forse è meglio andare in classe…così mettiamo via le cose e ce
ne torniamo a casa. Poi parliamo con calma, ok?”.
Kristine si lasciò condurre
docilmente verso l’aula da Judith, mentre questi, sconsolata, scuoteva la
testa, ormai convinta dell’instabilità mentale dell’amica…
Arrivarono nel corridoio. Una misteriosa folla di studenti
di prima circondava la sezione C dell’ultimo anno, mentre alcuni professori e
un paio di strani individui vestiti in nero cercavano di allontanare a forza i
ragazzi, sia femmine che maschi, dalla porta dell’aula.
“Indietro, state indietro…fatelo uscire…”, diceva a voce
alta uno degli insegnanti aprendo un varco tra il gruppo.
Kris e Judith si fermarono ad osservare la scena qualche
metro distanti, incuriosite.
“Ma che cosa succede secondo te?”, domandò Kristine riprendendosi improvvisamente dalla catalessi.
Cercò di vedere oltre la folla, alzandosi sulla punta dei piedi.
Jude si avvicinò un po’. “Mhh…forse ho capito…”.
“Capito che cosa?”.
“Chi è la persona che suscita tanto scalpore”.
“E cioè?”.
Proprio in quel momento il misterioso personaggio uscì
dalla classe. Tutti gli studenti iniziarono a gridare, mentre le ragazze,
spingendo nella ressa, allungavano le braccia nel tentativo di toccare l’alto
giovane dai capelli bruni che stava sfilando davanti a loro.
“E’ mio! Lasciatemelo abbracciare!”.
“Ti prego! Facci un autografo!”.
Il ragazzo sorrideva, salutando con una mano i giovani
ammiratori intorno a lui. Circondato da quelle che sembravano essere una sorta
di guardie del corpo, si diresse verso l’atrio, proprio nella direzione delle due
amiche. L’ammasso di studenti lo seguirono, tenuti però a distanza dai
personaggi in nero.
Kristine sbiancò.
“Beh…è Benjiamin Price, il
portiere più forte del Giappone nell’ambito del calcio giovanile…sai, ogni anno
è la stessa storia! Tutti gli studenti di prima non credono ai loro occhi
quando scoprono che frequenta la nostra scuola, anche perché la maggior parte
di loro non sanno nemmeno che abita a Fujisawa
e…”, spiegò Judith.
Ma la ragazza non riuscì a terminare la frase, perché Kristine le afferrò violentemente un braccio, iniziando poi
a correre nel corridoio opposto a quello da cui stava arrivando Price.
“Ma…ma che sei, impazzita??”, gridò Jude,
guardando con occhi sgranati Kris. “Piano, mi farai caderee!
Kristineee!”.
“Zitta, e vieni via! Ne va della mia esistenza…oh, ma
dimmi se mi deve capitare anche questa…”, rispose l’altra, senza fermarsi.
Finalmente, uscite dalla visuale del ragazzo, le due si
appoggiarono al muro dell’aula di chimica, la prima classe in cui Kris si era
fiondata senza pensarci due volte. Rimasero qualche secondo a riprendere fiato,
o almeno, così fece Judith, non certo allenata alla corsa come invece lo era
l’amica.
“Ma…uff…che…che cavolo…uff…ti è preso? Si può sapere?”, mormorò poi con la poca
voce che le era rimasta, sedendosi per terra.
“Prima voglio sapere che cavolo ci fa Price in questa
scuola!”.
Judith alzò lo sguardo verso Kris, in piedi davanti a lei.
“Ah…è vero…tu non lo puoi sapere, visto che sei arrivata a
Fujisawa questa estate”, disse quindi la ragazza, un
po’ sorpresa dal tono di Kris. “Benjiamin Price
frequenta da sempre la Syutetsu, ma a causa di un
infortunio alla gamba capitatogli qualche tempo fa, ha dovuto abbandonare per
un po’ la scuola. In tutto questo periodo lo hanno seguito degli insegnanti
privati, e solo questa mattina è finalmente ritornato a frequentare le lezioni
regolarmente. In ogni caso, visto che è ricco sfondato, non penso che la cosa
sarebbe cambiata molto, anche se fosse rimasto a casa…però, non credi che sia
un tipo incredibilmente affascinante? E poi…”.
Kris si inchinò all’improvviso, lanciandole uno sguardo di
fuoco. “Questa mattina? E io dov’ero questa mattina? Perché non me ne sono
accorta? Perché non me lo hai raccontato??”.
“Ehm…mi fai paura…calmati…”, balbettò l’altra, un po’ spaventata.
“Se ben ti ricordi, stamattina sei arrivata in ritardo…se fossi stata puntuale,
avresti assistito alla stessa scena di prima…e poi…beh, tu non mi hai chiesto
nulla, perché avrei dovuto…”.
“Ma si può sapere che avete in questo periodo tutti quanti?
Siete sempre a criticare il mio comportamento a scuola…”.
“Kristine…fa’ un bel respiro, ti
prego…”.
Kris ascoltò il consiglio, sospirando, anche se per l’
esasperazione. Con le mani fra i capelli, si lasciò cadere di fianco alla
ragazza.
“Sigh…le cose dovevano per forza
complicarsi…mi sembra ovvio…”, gemette flebilmente, nascondendo il viso fra le
ginocchia.
Judith, dopo aver atteso qualche secondo per assicurarsi
che l’amica non reagisse in altri modi imprevisti, le mise una mano sulla
spalla.
“Ehi…seriamente, non mi vuoi raccontare in che guaio
enorme ti sei cacciata?”, le disse calma. “Qualcosa ti lega a Price, non è
così?”.
Kris rialzò la testa, e, guardando l’amica, sospirò nuovamente. “E non solo a lui. Jude, promettimi che quello che ti dirò ora non uscirà da
questa stanza”.
L’altra sorrise, comprensiva. “Ma certo. Sai che di me ti
puoi fidare, o no?”.
Kris ricambiò il sorriso. “Già”.
Alla fine del racconto, Jude
scoppiò a ridere.
“Ah ah ah
ah!! Mio dio, Kris, hai avuto un gran bel coraggio!
Mi immagino in che situazioni fantastiche ti sarai trovata…”.
La ragazza si accasciò sul pavimento, piegata in due dalle
risate.
“Smettila! Non c’è proprio niente da ridere….anzi, è una
tragedia…”, disse a metà strada fra l’offeso e l’imbarazzato Kristine, incrociando le braccia e guardando di lato. “Una
vera tragedia…”.
Jude si rialzò da terra,
asciugandosi le lacrime. “Ah ah…ehm, no
scusa…scherzavo…ma…dove la vedi la tragedia? Basta evitarlo qui a scuola, no?
Tanto noi siamo del quarto anno, non c’è pericolo che ti veda in classe…”.
Kristine arrossì ancora di più.
“Non è quella la tragedia, infatti”.
“Ah…beh, sì, è vero, quello aggrava solo la
situazione…uhm, ok, ti sei innamorata perdutamente di
lui, e quindi? Non trovo che…”.
Kris si rigirò subito verso l’amica. “Cosa??? Ma guarda
che non mi sono innamorata di Benji! Come cavolo ti
viene in mente?”.
“Eh eh…”, ridacchiò la ragazza
dai corti capelli neri, un po’ mossi. “Non me la dai a bere…tutto quello che mi
hai descritto e raccontato ne è una prova…Price è speciale…molto speciale! Non
negarlo…”.
Kristine abbassò lo sguardo
minaccioso che aveva rivolto a Jude qualche istante
prima, per fissare tristemente il freddo pavimento bianco.
“Già. E il guaio è…”.
“…che tu devi rimanere un semplice amico per lui, visto che
per tutta la New Team sei Kristian. Giusto?”.
L’altra assentì col capo. “Sì. Ma…c’è anche Becker. E non capisco, con Tom, dove sia il confine tra l’amore e
l’amicizia…non capisco dove si situa quello che provo per lui…e quanto è
differente da quello che provo per Price…anzi…non capisco più nulla dei miei
sentimenti. Sono…così confusa…e la mia vita sta diventando così complicata con
questa mia doppia identità…”.
Judith rimase in silenzio per qualche secondo. “Lo so, Kris. Mi dispiace. Vedrai
che…con il passare del tempo, capirai cosa realmente ti vuol dire il tuo cuore.
E comunque, se ti può far star meglio, io sarò qui, accanto a te, pronta ad
aiutarti. Avrai sempre il mio sostegno morale”.
“Grazie. Sei una vera amica”.
“Figurati. E poi, come posso non aiutare una ragazza
combattiva e determinata come te? Oggi sono così poche le persone che inseguono
quello in cui credono, soprattutto, poi, quando questo sogno sembra
irrealizzabile! Ti ammiro molto, davvero”.
Le due ragazze si guardarono, sorridendo. “Ora forse è
meglio andare. Tanto Price sarà già uscito!”.
“Ok!”. Si rialzarono. “Io devo
scappare…oggi ho un altro allenamento”, disse Kristine
sistemandosi la giacca della divisa. “Devo correre a casa a cambiarmi…”.
Judith alzò la testa. “Un allenamento? Questo
pomeriggio?”, esclamò, interessata.
“S…sì…perché? “, rispose Kris con un po’ di timore. Guardò
Judith: l’espressione dell’amica era completamente cambiata, e non prometteva
nulla di buono!
“Jude, non penserai…”.
“E invece sììì!”, gridò l’altra,
prendendo le mani di Kris. “Voglio venire con tee!”.
“No…no…senti…non mi pare proprio il caso…”.
“Ma dai! Che problemi ci sono? Voglio solo rifarmi un po’
gli occhi con qualche atletico calciatore…”.
“Ehhhh?”.
“Dai, scherzo!!”, disse subito Judith, ridendo. “Ma in
questo modo potrò starti vicina e aiutarti, no?”.
Kris la guardò storto. “Ehm…e cosa…vorresti fare per
aiutarmi?”
“Semplice! Ti darò il sostegno morale di cui ti parlavo!”.
Judith battè allegra una mano sulla schiena di Kristine, che stava iniziando ad agitarsi, visibilmente
preoccupata. Purtroppo, anche se conosceva Jude solo
da pochi mesi, aveva già imparato a fondo il carattere dell’esuberante amica…
“Stai tranquilla, Kris!”.
“Non so perché…”, disse lei, per niente rassicurata. “…ma qualcosa mi dice
che non dovrei ascoltarti, proprio no…”.
Judith le strizzò un occhio. “Fidati, ti dico! La mia
presenza accanto a te è proprio quello
che ti ci vuole!”.
*
In questo capitolo:
© “Islands”, by Mike Oldfield,
Vocals by Bonnie Tyler, Co produced by Mike Oldfield,
Tom Newman and Alan Shacklock for Multi Media London
Ltd. An Oldfield Music Production.
© 1987 Virgin Records Ltd. |
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Capitolo 9 *** Silenzi ***
“Benji! Finalmente!”, esclamò Holly non appena vide l’amico arrivare dall’ingresso del
campo, accompagnato da Freddie Marshall.
“Già…finalmente mi hanno lasciato venire a guardarvi”,
disse il ragazzo sorridendo all’uomo di fianco a lui, sulla sessantina, i
capelli quasi grigi. Freddie guardò prima Price, poi Hutton.
“Ma dov’è il tanto famoso Grover? Benji me ne ha parlato
molto bene…anche se in teoria avreste dovuto chiedere al sottoscritto, prima di
far entrare in squadra il primo venuto…”.
Il capitano alzò una mano, pronto a ribattere. “Ecco…”.
“…ma mi fido molto del giudizio
di Benji, quindi credo che la sua sia stata un’ottima
decisione”, continuò però Marshall, togliendosi gli
occhiali scuri e infilandoli nella tasca della camicia azzurra.
Holly incrociò le braccia,
soddisfatto, gettando un’occhiata all’amico.
“Ad ogni modo,
vedrò di conoscere personalmente questo Kristian Grover…almeno per sapere chi è, da dove viene, e così
via…”.
Benji
alzò leggermente la visiera del cappello.
“Ma,
Holly, a proposito…Kris non è ancora arrivato?”,
disse il ragazzo guardando verso la porta del campo, vuota. Gli altri
giocatori, invece, stavano già palleggiavano sull’erba
color smeraldo.
“No, non
ancora…oggi è in ritardo”.
“Mmh...già, pare proprio di sì”.
Mentre i tre
parlavano ai margini del prato, Tom Becker, al centro del rettangolo, stava seguendo
distrattamente l’allenamento coi compagni,
immerso completamente nei propri pensieri.
Da quel lunedì,
dopo la visita di Mark Landers,
Kristine era molto cambiata. O
almeno, era cambiata con lui.
Tom
non sapeva, in realtà, se ciò fosse dovuto proprio
all’incontro che era avvenuto con il capitano della Toho.
Forse Kris aveva solo voluto dimostrarsi forte e coraggiosa…aveva voluto fargli
vedere che non aveva paura di Landers…
Ma
se era così, perché ancora adesso cercava di nascondere la vera Kristine? La Kris dei suoi
ricordi…no, non poteva accettare che fosse davvero scomparsa. Non era
possibile. Si stava allontanando sempre di più da lui…
Ma…forse…il
motivo era un altro?
Gli allenamenti…
Gli incontri con
Price…
Lo ammiri molto,
vero?
L’intera
settimana…Kris l’aveva visto tutta la settimana…loro due, nella sua villa,
soli…
Moltissimo. E’ sempre stato il mio
modello da seguire…sai, voglio cercare di imparare il più possibile da
lui. Il suo stile non ha eguali…
Se le ricordava bene quelle parole.
Kris ammirava Benji. Lo ammirava tanto, tantissimo.
Ma era davvero semplice e pura
ammirazione?
Il numero 11 girò
la testa verso il ragazzo che, in quel momento, stava scherzando e parlando
vicino alle panchine, in piedi fra Marshall e Holly.
“Kris…tu…”, mormorò
triste Becker, gli occhi fissi sul portiere titolare della New Team. “Ti stai forse in…”.
“Scusateeee!”, gridò in quel momento una voce. “Sono in ritardo,
lo so, ma ho avuto qualche…ehm…problema tecnico…”.
Tom
spostò veloce lo sguardo sull’ingresso del campo. Kris, accompagnata da una
bella ragazza dagli occhi e dai capelli nerissimi, stava correndo in direzione
di Holly, Benji e del
signor Marshall, sorridendo nel tentativo di farsi
perdonare dal suo capitano.
“Be’, su non preoccuparti…capita!”, le rispose Hutton cordiale, mettendo una mano nella tasca dei
pantaloncini.
Kris sospirò
risollevata. “Aah!…grazie, allora!”, esclamò contenta.
Price ridacchiò.
“Io però non ammetto certe cose, Kristian! La
prossima volta che arriverai in ritardo, ti caricherò di allenamenti
extra!”.
Kris, che fino a
quel momento non si era resa conto della presenza di Price, si girò a guardarlo
entusiasta.
“Benji! Finalmente! Non mi avevi detto che oggi saresti
ritornato!”.
Il
ragazzo sorrise. “Già, infatti…in realtà non lo
sapevo nemmeno io! Ed è solo grazie a Freddie se fin
da adesso posso tornare a seguire gli allenamenti al campo…comunque,
a dispetto di quello che possono dire i medici, io mi sento molto bene.
Piuttosto, tu come stai, Grover? Ieri mi sei sembrato
un po’ stanco…”.
Kristine
scosse la testa. “Assolutamente no. Sto benissimo, te
lo assicuro!”, esclamò.
“Beh, lo spero!”.
Sorrise, mettendole una mano sulla spalla.
Poi girò la testa verso Marshall.
“…Kris, volevo
presentarti da un po’ di tempo Freddie Marshall, mio allenatore e tutore. Sai, gli ho parlato di
te, e gli farebbe piacere vedere di cosa sei capace.
Oltretutto, vorrebbe anche conoscerti meglio. Sai, in effetti
nessuno di noi sa molto sul tuo conto, e così…”.
“Eh…co…conoscermi meglio?”. Kristine
si sentì mancare la terra sotto i piedi. Volevano farle delle domande? Domande
su di lei?? Di sicuro…non poteva dire la verità…cosa poteva inventarsi? Magari le
avrebbero chiesto perfino i documenti…anzi, di
certo…perché non ci aveva pensato? E adesso…adesso
cosa avrebbe fatto?
“Ecco…io…”,
balbettò, agitata. All’improvviso, però, Judith le saltò al collo da dietro,
facendola quasi cadere.
Kris, con gli occhi
sgranati, fissò l’amica aggrappata a lei. “Ma...che…??”.
“Kriiiistiaaan, tesoroooo! Ma sono venuta fin qui solo per vederti in campo, e tu mi
fai aspettare? Ti prego, fammi vedere quanto sei forte
e atleticooooo!”, disse Jude
con una vocina talmente mielosa e supplichevole che quasi Kris stentò a
riconoscerla.
“Ju-Jude? Che…che cosa diavolo dici?”,
rispose quindi, avendo il tremendo sospetto che fosse quello il modo in cui
Judith voleva ‘aiutarla’…
L’amica la
abbracciò. “Ma daiii! Non
fare il modestoo, mio caro!!”.
Detto questo, la
ragazza la strinse ancora di più, accostando la bocca all’orecchio di Kris.
“Ma
sei idiota??”, le bisbigliò. “Reggimi il gioco, no?? Questo ti farà il terzo grado, non lo capisci?”.
Kris rimase un
attimo senza parole, poi allontanò Jude da sé,
sorridendo come meglio poteva.
“Ehem…giusto…”. Kristine stava
pensando a come proseguire la recita con l’amica, quando ad un tratto si
accorse degli sguardi di Price, Hutton, del signor Marshall e dell’intera squadra riunitasi intorno
fissi su di lei e Jude. Le stavano osservando
muti.
“E’…è
la tua ragazza, Grover? E
non ci hai mai detto nulla??”, esclamò improvvisamente Carter guardando
sospettoso la studentessa bruna.
Subito Harper si accostò al compagno. “Giààà!!
Dove la nascondevi una bellezza simile, eh? Non volevi farcela vedere, di’ la
verità!”, disse il ragazzo spogliando letteralmente con gli occhi
la povera Jude, che alla vista della faccia da
maniaco di Bruce fece qualche passo indietro…
Kristine
alzò le braccia. “No, no, no! Non è la mia ragazza! E’ solo
una…una…”, cercò di spiegare, agitando le mani per cercare di trovare
qualcosa di sensato da dire.
“…una…che cosa??”,
esclamò in coro l’intera squadra, sorridendo maliziosamente.
Holly
scosse la testa, e battè una pacca sulla schiena di Grover.
“Hai la mia più
completa solidarietà”, mormorò serio. “L’ho passato anch’io…”.
“Eeeeh?? Ma siete tutti matti…”, continuò
Kris, madida di sudore. Judith si aggrappò nuovamente a lei.
“Ma
perché devi dire così? Cattivo!”.
“Juude!!”.
“Sìì?”.
Price e Freddie,
qualche metro distante dalla folla di ragazzi, si guardarono.
“Beh, penso proprio
che sarà per un’altra volta…”, disse il signor Marshall ridendo. “Credo che
l’amica di Grover voglia vedere il tuo amico in campo al più presto!”.
Price
sorrise, divertito dalla situazione. “Già, penso
anch’io!”.
Detto questo, Benji
si avvicinò a Kris. “Eh eh…ma Kristian, allora era vero che avevi la rag…”.
“Oh, no, ti prego,
non metterti anche tu! E in ogni caso non è vero
niente!”, disse l’altra ormai disperata, circondata dai compagni che ridevano.
“Ok, ok!”, rispose
il portiere unendosi agli amici. “Che ne dici di
iniziare l’allenamento, allora?”.
“Sì, sì, ti prego!
Tutto, ma non voglio restare così un minuto di più!”, gridò
quindi Kris, cercando di staccare il braccio dell’amica dal suo. Judith alzò
gli occhi a guardarla per un istante.
“Oh, che noia che
sei!”, le bisbigliò. “Io mi stavo divertendo un mondo a prenderti in
giro…cavoli…e poi dovresti solo ringraziarmi!”.
Kris la guardò a
sua volta, truce. “Grrrrazie…”.
Judith le sorrise, angelica. “Figurati…mio adorato Kristianuccio!”.
Diamond
si accostò a Grover. “Dai”, disse ridacchiando. “Fai vedere alla tua fidanzata
che sai fare!”.
“Non è la mia
fidanzataaa!”, urlò nuovamente Kristine esasperata, mentre la
New Team la trascinava in campo.
Arrivata nell’area
di rigore, cercò con lo sguardo Becker. Era da parecchi giorni che non lo
sentiva.
“Kris! Sono qui”, disse il ragazzo avvicinandosi a lei, correndo,
dalla sinistra. La guardò stupito.
“Ehi ma…si può
sapere chi è?”, le chiese, indicando Jude che,
agitando un braccio, gridava a Kristine dolci frasettine d’incitamento.
Grover
si passò una mano tra i capelli, sospirando.
“E’
una mia amica, si chiama Judith…purtroppo questa mattina sono stata
costretta a raccontarle tutto…”. Rise. “Guarda, è una
brava ragazza, ma un po’…pazza. Voleva aiutarmi a tutti i costi, e devo dire che c’è riuscita…il signor Marshall stava per
interrogarmi, e grazie al suo intervanto sono riuscita a scamparla. Ma solo per ora. La chiacchierata è rimandata, e dovrò
trovare in fretta un modo per modificare i miei documenti o qualcosa del
genere…”.
“Uhm…già…”.
Tom rimase fermo
davanti all’amica, mentre la ragazza si infilava i
guanti.
“Kris…cambiando
argomento…”, mormorò, gli occhi bassi.
Doveva chiederle
dei suoi incontri con Benji? Prima…prima aveva notato la sua reazione non
appena aveva rivisto Price. I suoi occhi si erano illuminati. E…Kris gli aveva sorriso…in un modo così dolce, e unico…un
sorriso riservato solo a certe persone…non ad un semplice amico.
Tom…lo
sapeva bene.
Perché…lui
stesso…le sorrideva allo stesso modo.
E
la guardava in quel modo…
Anche se lei non se
ne era mai accorta…
Ma…per
quale motivo…
Perché
anche Kristine non lo guardava e gli sorrideva alla
stessa maniera?
Cosa
non possedeva lui che invece aveva Price?
Se
solo…se solo…
“Tom!”.
Il ragazzo si
scosse dai suoi pensieri. L’amica lo stava chiamando.
“Tom, cosa vuoi dirmi?”. Kris lo guardava, aspettando.
“Eh?”. Becker chiuse gli occhi, triste. Dopo un po’ li riaprì.
“No, no. Niente, non importa…non era…nulla di importante”.
“Sei sicuro?”.
“Certo!”, rispose. Tom si girò, e iniziò a correre.
“Vado al
centrocampo…ehi, cerca di fare una bella figura di fronte alla tua ragazza, mi
raccomando!”, le disse poi, voltandosi un’ultima volta a guardarla.
“Tooom!”, la rimproverò lei, indignata. Sospirò.
“Si divertono
davvero tutti a prendermi in giro”.
Guardò nuovamente
l’amico, ormai lontano parecchi metri.
“Becker…”, disse, chiedendosi ancora cosa realmente provasse
per il ragazzo. Dopo qualche secondo, spostò gli occhi verso il margine del
campo.
Price era seduto in
panchina, di fianco al signor Marshall e a Judith. Il
numero 1 della New Team stava chiacchierando coi due,
gesticolando forse nel tentativo di spiegare qualcosa. A tratti sorrideva, o si
metteva a ridere con Jude.
“Chissà se…chissà
se Benji proverebbe qualcosa per me, se mi conoscesse
come Kristine”, pensò. Continuò a guardarlo a lungo.
Era così…così…così…
Ad un tratto
distolse lo sguardo. “No”, si impose. “E poi…questo non succederà mai, quindi tanto vale non
chiederselo nemmeno”.
Ritornò a
concentrarsi sul campo. Fra pochi giorni ci sarebbe stata la sua prima partita.
Non doveva distrarsi. Non poteva.
E
non l’avrebbe fatto.
“Ehi! Io sono pronto!”, gridò alla squadra, guardando decisa i
compagni.
Mentre i ragazzi
iniziavano a passarsi la palla, Kris venne assalita da
un’improvvisa, totale e profonda tristezza…e da un’angoscia che quasi le
bloccava il respiro.
“Ho scelto io…tutto
questo…”, sussurrò a denti stretti, cercando dentro di sé un po’ di forza.
Non poteva lasciar
perdere tutto proprio ora.
A costo di
sacrificare i suoi sentimenti. A costo di soffocarli.
Il suo sogno.
Doveva fare vedere il suo valore, a tutti quanti. Doveva portare la New Team alla vittoria…
“Forza, Kris”.
Purtroppo, la
verità era una.
Kristian
l’aveva condannata a una dolorosa e solitaria
prigionia.
“Avanti! Muoviti!” gridò Harper in direzione di Vans,
agitando un braccio per farsi vedere. Mason e Carter,
invece, nella parte opposta del campo, si stavano allenando con dei passaggi
veloci, insieme a Diamond.
Erano passati alcuni giorni, e ormai la prima partita era
alle porte. L’avversaria sarebbe stata la Majestic , una squadra certamente non forte, ma comunque da non
sottovalutare…
O almeno, era questa l’opinione
del capitano Oliver Hutton.
Molto, molto spesso era stata proprio questa sua umiltà a
portare lui e la New Team alla vittoria, sia nei
campionati degli anni passati che negli incontri internazionali.
Mai credersi più forti del nemico. Era questa la prima
regola da seguire nel calcio per non perdere…
Il ragazzo, quel
pomeriggio, aveva raggiunto i suoi compagni molto tardi. Suo padre, infatti,
era partito per un altro dei suoi viaggi per mare, e lui era andato a salutarlo
a Shizuoka, insieme alla madre
Maggie.
Hutton
richiuse la porta degli spogliatoi, e tese entrambe le braccia verso il cielo
terso.
“Buon viaggio,
papà…”, pensò, un po’ malinconico anche se abituato, ormai, alle lunghe assenze
del genitore. Inoltre, dopo aver trascorso due anni in Brasile, Oliver aveva imparato da molto tempo a vivere lontano da casa.
Girò la testa verso
le panchine.
Quel giorno il
mister, il signor Gunnell, era assente, e c’era
un’unica persona seduta, i gomiti appoggiati sulle ginocchia: Benji Price stava osservando
pensieroso i progressi dei suoi compagni e, soprattutto, quelli del suo
“pupillo” Kristian Grover,
ora in porta.
Benji
si era infatti assunto la responsabilità totale sul
rendimento dell’inesperto ma dotato Grover, di cui
curava personalmente gli allenamenti speciali. Fino a che la gamba di Benji non fosse tornata a posto, infatti, sarebbe stato
Kris a sostituirlo in porta.
E Holly doveva ammettere che il ragazzo non se la cavava affatto male, migliorando ogni giorno di più…
Il capitano della New Team distolse quindi lo sguardo da Kris, per
spostarlo sugli altri suoi compagni che correvano in campo. Cercò Tom, ma non era insieme al resto della squadra.
“Strano”, pensò Holly guardandosi in giro. “Non è da lui assentarsi agli
allenamenti…”.
Arrivò di fianco a
Price. Benji, assorto nei suoi pensieri, si accorse
solo dopo qualche secondo della presenza dell’amico.
“Qualcosa non va, Holly?”, disse guardandolo.
Holly
si appoggiò con un braccio al palo di metallo di fianco alla panchina.
“Beh…ecco, ti sei accorto che oggi Tom non c’è?”.
Price, sorpreso,
guardò velocemente verso il rettangolo di gioco. “Hai ragione”, rispose dopo un
po’. “Non è da lui”.
“Già, è quello che
ho pensato anch’io. Non sai se per caso qualcuno ne sa niente? Magari ha
lasciato detto che oggi non sarebbe potuto venire…”.
Benji
incrociò le braccia. “No, non credo…ma possiamo sempre chiedere…”.
Fu così che l’intera New Team venne riunita a bordo campo per sapere
dove fosse finito Tom. Tutti, però, negarono di
sapere nulla.
“Sì, abbiamo notato
subito la sua assenza. Forse non sta bene…chi lo sa”, disse
Carter.
“Oppure
semplicemente non ha voglia di allenarsi…con queste giornate ancora così calde
lo capirei benissimo…”, mormorò Bruce cercando di
farsi aria con una mano.
Holly
scartò immediatamente le due ipotesi. “No, lo escludo…anche se fosse malato, ci avrebbe prima avvisato…e per quello che hai
detto tu, Bruce, beh…”. Sorrise. “Guarda che Tom non è uno sfaticato come te!”.
Harper
abbassò la testa, guardando supplichevole Holly. “Oh,
uffaaaa…ma perché mi devi sempre dire certe cose?”.
Tutta la squadra
scoppiò in una sonora risata. L’unico membro della New Team
rimasto in disparte dal gruppo, però, non si stava per niente
divertendo…
Kris, infatti, seriamente
preoccupata per l’assenza di Becker, fissava il campo tesa. Sospirò, voltando poi la testa verso Judith,
appoggiata, in piedi, alla rete che circondava il prato. Anche
quel giorno l’amica era venuta ad assistere ai suoi allenamenti.
Le due si scambiarono
un’occhiata, intendendosi alla perfezione. Jude alzò
le spalle, guardando comprensiva Kris.
In realtà non
sapeva che dirle…dopo l’altro giorno, il pomeriggio, cioè,
in cui aveva accompagnato Kristine per la prima
volta, la ragazza e Becker non si erano più parlati.
Anzi…in realtà, era
stato lui a cominciare a evitare Kris.
Ma
perché?
Lei…lei stava
soffrendo terribilmente.
E
Jude…non sapeva cosa fare per aiutarla.
“Mi dispiace, amica
mia…”, mormorò.
Kristine,
però, riportò di nuovo lo sguardo al campo. Socchiuse gli
occhi per il sole, coprendosi con una mano la fronte.
Quel giorno era
particolarmente forte, e dava quasi l’idea di un pomeriggio di pieno agosto.
Invece, era già passata la metà di settembre...
La ragazza bruna
decise di avvicinarsi all’amica per tentare di rassicurarla, ma Benji la raggiunse prima di lei.
“Ehi, Kris, a cosa
pensi? Anche tu sei in pensiero per Tom?”, chiese quindi il ragazzo, le mani nelle tasche dei
pantaloni neri.
Sentendo la voce di
Price, Grover si scosse all’improvviso dai suoi
pensieri.
“Eh? No, no, a
niente! E’ tutto a posto!”, esclamò, gesticolando con le mani per concludere immediatamente il discorso. “Anzi…penso
che non dovremo preoccuparci troppo…Tom sa badare a
se stesso…quindi, adesso, la cosa migliore che possiamo fare è tornare ad
allenarci…”. Si girò verso il resto della squadra, che ancora scherzava intorno
a Bruce.
“Ehi, lavativi!
Vediamo chi di voi mi riesce a segnare almeno un goal!”, disse
allegra, prima di correre in campo in direzione della porta.
L’intera
New Team rimase un attimo immobile, stupita
dall’atteggiamento del compagno. Poi, alzando un pugno al cielo, fu proprio Bruce a farsi avanti.
“Ah – ah! Sarò io a
farti il primo goal, mio caro Kris! Così farò vedere a tutti voi quanto vale il
grande Bruce Harper…”.
Mentre
il ragazzo tornava in campo seguito dal resto della squadra, Holly guardò,
pensieroso, un punto lontano dell’orizzonte.
“Dai,
Holly, smettila di preoccuparti. Vedrai che Tom arriverà tra poco. Come ha appena detto Kris, Becker è abbastanza grande per
badare a se stesso…”, disse Price sistemandosi il cappello sulla testa.
Il capitano strinse
i pugni, nervoso.
“No, Benji…io conosco bene Tom, e ti
ripeto che non è il tipo da sparire così, all’improvviso…e poi…”. Si fermò.
Il portiere girò la
testa, curioso. “…e poi cosa?”.
“Beh…non so se te
ne sei accorto, ma è da un paio di settimane che Tom
non è più lo stesso…con me, almeno, cerca di nasconderlo, ma è evidente che c’è
qualcosa che lo preoccupa. Ed è sicuramente qualcosa di
serio…sai com’è il suo carattere, no? E’ sempre stato allegro,
tranquillo e ottimista, ma ultimamente è diventato pensieroso, triste e
taciturno. Non è stranissimo? Da quando lo conosco, niente ha mai scalfito la
sua positività…beh…niente in modo così evidente”.
Benji
rimase un attimo a guardare l’amico, riflettendo sulle sue parole.
“Sai…forse hai
ragione” commentò, abbassando gli occhi verso il terreno. “Ora che ci
penso…anch’io avevo notato qualcosa. E’ vero, non è
più lo stesso. Parla molto poco, e ha spesso la testa
altrove…”
Holly,
intanto, aveva afferrato i pantaloni e la giacca di una tuta appoggiata sulla
panchina vicino, indossandoli velocemente. Price lo guardò sorpreso. “Ma…cosa stai facendo?”.
“Vado a cercarlo”,
disse risoluto Hutton tirandosi fino in cima la zip della giacca. “Se davvero ha
qualcosa di serio che lo preoccupa, non è giusto che se lo tenga dentro, senza
sfogarsi con nessuno...devo assolutamente sapere cosa gli è successo. Non
riuscirei, comunque, a non pensarci. Quindi, ti prego,
Benji, dì tu agli altri dove sono
andato…e dirigi gli allenamenti al posto mio. Ok?”.
Detto questo, il
ragazzo corse via, lasciando Price senza parole.
“Ma…”,
riuscì solo a mormorare il portiere. Dopo qualche secondo, però, sorrise e,
tranquillo, tornò ad osservare i propri compagni.
“Non c’è niente da
fare…quei due sono davvero legati da una fortissima amicizia”.
Il piacevole vento
settembrino faceva ondeggiare leggermente l’alta erba verde del grande prato dove era disteso Tom Becker.
La vista che si
poteva godere dall’alto della collina abbracciava
l’intera Fujisawa, e il ragazzo, con gli occhi
chiusi, respirava a pieni polmoni l’aria profumata e silenziosa della campagna,
lontana dal fastidioso traffico cittadino.
“Dormi, Tom?”, chiese suo padre, distante da lui pochi metri,
mentre, con una pennellata di colore, iniziava a ritrarre la valle sottostante
su una tela bianca.
Il ragazzo aprì
controvoglia gli occhi, guardando malinconico il cielo azzurro.
“No…no, papà”.
L’anziano signore,
che però dimostrava di portare molto bene gli anni che aveva, si girò verso Tom, riuscendo però a scorgerne solo i piedi.
“Dimmi la verità,
figliolo, cosa c’è che non va?”.
Per un po’ ci fu il
silenzio. Era chiaro che a Tom non andava
di parlare. Poi, però, sospirando, il ragazzo si girò da un lato.
“…Niente. Non
preoccuparti, forse…ecco, forse ho solo bisogno di stare per un po’ per conto
mio, tutto qui”.
Il
pittore sorrise comprensivo. Non gli capitava
spesso di vedere il figlio triste o preoccupato, ma sapeva bene che in certi
casi era meglio lasciarlo da solo a riflettere. Tom era sempre riuscito a risolvere ogni tipo di problema
aggrappandosi, spesso, solamente alle proprie forze…non amava, infatti,
raccontare le proprie preoccupazioni ad amici o parenti. Era sempre stato un
lato tipico del suo carattere: pur di non far impensierire le persone che
amava, il ragazzo teneva sempre per sé i propri pensieri.
Il signor Becker si rendeva conto di avere accanto a sé un giovane
speciale, altruista ma insospettabilmente forte. Anche se era
dovuto crescere con un solo genitore viaggiando di continuo da un capo
all’altro del mondo, Tom non si era mai lamentato
della sua vita, ed era sempre stato felice…suo padre poteva essere orgoglioso
di avere un figlio simile.
“Non vorrei
intromettermi nelle tue decisioni…ma…”, disse poi il signor Becker
tornando a concentrarsi sulla tela, “…i tuoi compagni di squadra si staranno
sicuramente preoccupando per la tua assenza agli allenamenti di
oggi. Non dovresti almeno andare ad avvisarli?”.
Tom
si mise a sedere, emergendo dal mare ondeggiante di erba
verde.
“…Sì, forse è vero,
si staranno preoccupando, ma…se li andassi ad
avvertire sarei costretto ad incontrarli, e, di conseguenza, mi chiederebbero i
motivi della mia assenza. E oggi non mi va proprio di
vedere nessuno…”.
Il padre annuì. Il
ragazzo si alzò, allungando le braccia verso l’alto per stirarsi.
“Senti papà, io
vado a fare un giro…magari dopo torno direttamente a casa, non so…”.
“Come vuoi, Tom”, rispose il pittore, intingendo il pennello nel colore
preparato sulla tavolozza. “Io tornerò fra un paio d’ore al massimo”.
Mentre
il sole veniva per un attimo coperto da una grossa nuvola bianca, Tom iniziò a camminare per il sentiero in mezzo al prato,
che portava nelle campagne circostanti a Fujisawa.
Al piede,
naturalmente, aveva un pallone da calcio, poco prima abbandonato di fianco a
lui sul prato.
Palleggiò a lungo
percorrendo il perimetro dei vasti campi coltivati, prima di arrivare alla
strada che portava in città. La guardò, indeciso sul da farsi.
Da alcuni giorni,
la sua mente era fissa unicamente su Kris e Benji…al
solo pensiero che l’amica potesse davvero essersi
innamorata del portiere, Tom cadeva nella
disperazione più assoluta.
“Non posso
confessarle i miei sentimenti…”, pensò, osservando il monte Fuji, che, alto e imponente, dominava la vallata.
“…e se…se la perdessi?”
Guardò ancora la
strada, abbassando poi gli occhi.
“Non so se ancora
mi va di tornare…”, mormorò, appoggiandosi allo steccato di legno di fianco
alla via. “…ma…”.
Sospirò,
sconsolato, per poi abbassare la testa.
“…ma prima o poi dovrò farlo. Anche se
sarà dura continuare a giocare in questo stato d’animo…non posso abbandonare i
miei compagni di squadra. E, soprattutto, non posso
abbandonare Holly. Cosa
penserebbe di me? ”.
“Giusto, cosa devo
pensare?”, disse improvvisamente una voce familiare dietro al ragazzo.
Tom
si girò, sorpreso. Holly era davanti a lui, e lo
guardava serio.
“Ti ho cercato dappertutto, lo sai?”.
L’amico
sorrise forzatamente, girandosi poi nuovamente verso
la vallata.
“Scusami Holly. Scusami davvero, ma oggi non potevo
venire ad allenarmi. Mi dispiace se vi ho fatto stare
in pensiero”.
Oliver
non disse nulla, ma rimase qualche secondo in silenzio. Poi, accostandosi a Tom, incrociò le braccia, appoggiandosi come lui alla
staccionata.
“Non ti va di
raccontarmi cosa c’è che non va, Tom? Ultimamente,
ecco…non sei più lo stesso. Sono seriamente preoccupato per te. Non sto
scherzando…”.
Becker
guardò il ragazzo.
“Grazie, Holly, sei gentile. Ma, purtroppo,
non puoi aiutarmi in nessun modo. Il problema che ho riguarda solo me…ed è
qualcosa della quale devo trovare da solo la soluzione…”.
Il sole stava
iniziando a calare lentamente. Si stava facendo tardi.
Holly
sospirò. Soffriva nel vedere il suo più grande amico ridotto in quello stato,
ma non c’era nulla che potesse fare. Tom non voleva
confidarsi con lui.
“…Tom…”, tentò quindi di dire. “…dimmi solo una cosa: il
problema di cui parli è in campo? C’entra per caso qualche nostro compagno?”.
A quelle parole, Becker alzò la testa. “Beh…”, mormorò, titubante. “…sì…più
di uno. Ma soltanto in modo indiretto…ecco, in realtà
loro non c’entrano niente, per questo ti ripeto che è un problema solo mio.
Io…”. Si nascose il viso fra le braccia conserte, appoggiate sullo steccato.
“…io non posso
spiegarti, Holly. Vorrei, lo vorrei davvero, te lo assicuro, ma per farlo sarei costretto a rivelarti un
segreto che ho giurato di non dire a nessuno…purtroppo, è proprio questo il
centro dell’intero problema. Vedi…”.
“Ho capito. Non è
necessario che continui”, lo fermò Holly,
posandogli una mano sulla spalla. “Se non puoi
parlarmene, non importa. E’ giusto che tu mantenga questo segreto, soprattutto
se la persona che te lo ha confidato ha fiducia in te. Mi dispiace solo di non
poteri aiutare”.
Tom
Becker sollevò il viso, volgendolo al ragazzo.
“E
a me dispiace non dirti nulla. Però, non preoccuparti
per il resto…in campo ho deciso di tenere da parte le mie preoccupazioni. Il
clima della squadra non ne risentirà…e la coppia d’oro sarà efficiente come
sempre…”.
Il numero 11, dopo
tanto tempo, sorrise sincero.
“Quindi,
chiudiamo pure l’argomento!”.
Holly
osservò l’amico con un velo di tristezza negli occhi.
“Tom sa nascondere bene il proprio dolore…ma io so che,
dentro, sta ancora soffrendo molto…”, pensò.
“Beh, che ne dici
di palleggiare fino al campo, Holly?”, esclamò
intanto Tom avvicinando il pallone a sé. “Forse
riusciamo ad allenarci almeno per una mezz’ora, stasera…”.
Non ricevendo
risposta, però, il ragazzo si girò.
“Holly?”.
L’amico era ancora
fermo davanti alla staccionata, e lo guardava.
“Tom, come puoi pensare che in questo momento mi interessi il tuo rendimento in campo? Ora…l’unica cosa
che conta è che tu torni ad essere il Tom Becker di sempre, e non perché sei il numero 11 della New Team…”. Hutton sorrise.
“…ma solo perché sei il mio più caro amico”.
Becker
rimase un attimo immobile, sorpreso dalle parole del compagno di squadra.
“Oh, Holly…anche se non me lo dicevi, lo sapevo comunque... ”, disse Tom dopo qualche
istante.
“Anche per me,
naturalmente, sei il miglior amico che abbia mai sperato
di avere, ma…proprio per questo, non posso permettermi di distrarmi in campo
con dei problemi personali. Per rispetto verso la mia squadra
e…per rispetto verso il mio amico Holly, che crede in
me. Giusto?”.
Il capitano della New Team lo guardò sorridendo, rassegnandosi al
carattere del ragazzo.
“Giusto”, ripetè, alzando le mani.
“Bene!”. Becker iniziò ad avviarsi giù per la strada.
“Comunque…”,
continuò poi, girandosi per passare il pallone all’amico, ancora fermo vicino
allo steccato. Holly lo bloccò prontamente, per poi
raggiungere Tom sulla via.
“…comunque?”.
“…beh…comunque grazie. Grazie davvero. Questa chiacchierata mi ha
risollevato il morale…”.
Oliver
iniziò a correre più velocemente e, superando Tom,
arrivò fino in fondo alla strada.
“Di niente!”, gridò
quindi il numero 10 della New Team all’amico, agitando
un braccio.
“Forza, dobbiamo
recuperare l’allenamento perso!”.
Becker
rispose con entusiasmo all’invito del proprio capitano. Sì, aveva fatto proprio
bene a parlare con Holly. E
anche se i suoi problemi non si erano risolti, sentiva che sarebbe almeno
riuscito a guardare nuovamente in faccia sia Kris che Benji.
Avrebbe lasciato
che le cose facessero il loro corso. Non si sarebbe più preoccupato per il
futuro…e per i sentimenti che Kris provava.
O
almeno…per il momento.
In ogni caso, adesso era lui la persona che più gli
sarebbe potuta stare vicino.
E gli sarebbe bastato…non avrebbe
chiesto altro.
Nient’altro.
Hutton,
dal fondo della strada, osservava Tom correre verso
di lui. Finalmente, dopo tanto tempo, l’amico sembrava aver riacquistato la
solita serenità. Holly sospirò sollevato. Non gli era
mai capitato di dover aiutare Becker a risolvere
qualche problema…di solito, era sempre avvenuto il contrario.
“Ho visto un’altra
faccia di Tom…quella che ha sempre nascosto dietro
alla sua solita immagine. Non so se capiterà ancora…”.
Quando
i ragazzi arrivarono al campo, ormai deserto, iniziarono immediatamente ad
allenarsi, noncuranti dell’ora tarda.
Alcune stelle già
splendevano nel cielo scuro, reso ancora più nero dalla quasi totale assenza di
luci artificiali nella zona, mentre pochi rumori tenevano compagnia ai due
giocatori, che correvano instancabili sull’erba rada. |
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Capitolo 10 *** Forti e Fragili ***
“Ti prego, Jude, anche oggi, anzi…soprattutto oggi…coprimi le
spalle!”.
“Ma sì…ho capito…in
teoria sei qui da me, e comunque staccherò il
telefono…io terrò il tuo cellulare…su, vedrai che Alex
non scoprirà nulla!”.
“Uff…lo spero!”.
Kristine
si infilò velocemente la maglia della divisa della New
Team. Si guardò allo specchio.
Era da tanto,
tantissimo tempo che sognava quel momento.
E
adesso…
Il numero 1.
Indossava…il numero 1.
Forse, era ancora
un sogno.
Ma…no,
no…era…la realtà.
Si allacciò gli
scarpini. “Bè”, chiese poi girandosi verso l’amica,
appoggiata pigramente al muro. “Come sto?”.
Jude
fece un sorrisetto di sufficienza, sbuffando.
“Ehiii…adesso non ti esaltare troppo, eh? Mica
sei diventata Price, lo sostituisci soltanto…”.
Fissò seria
l’amica, per poi scoppiare a ridere.
“Ah ah! Scherzo, Kris…certo, stai
molto bene…anche se sembri davvero un ragazzo, a tutti gli effetti!”. Incrociò
le braccia, squadrandola. “Un ragazzo davvero…”.
Kristine
mise le mani sui fianchi. “E’ quello che voglio”.
“Che
cosa?”.
“Sembrare un
ragazzo, mi sembra chiaro. E…sostituire Price, anche”.
Jude
la guardò affettuosamente. “Vedrai che sarà fiero di un’allieva come te…sei
diventata un grande portiere, Kris”.
“Grazie Judith. Ma ho ancora molto da imparare da lui…”.
Le due uscirono
dalla casa della ragazza bruna, avviandosi la fermata dell’autobus per
raggiungere, al campo, il resto della New Team. Presto
sarebbero partiti verso il luogo del primo incontro…
Kris alzò lo
sguardo verso il cielo trasparente, respirando a pieni polmoni l’aria fresca di
quella domenica mattina.
Sorrise.
“Andiamo”.
Lo stadio era già
pieno di gente, quando la squadra arrivò al campo. Sugli spalti, naturalmente
in prima fila, erano presenti Patty e la madre di Holly, già armate di bandiere e striscioni per un tifo
sfegatato.
I ragazzi scesero negli spogliatoi, ma prima di raggiungere i compagni, Kris
si fermò qualche minuto fuori con Judith.
“Forza, io starò a guardarti. Parale tutte, mi raccomando…e buona fortuna!”, disse l’amica incoraggiando Kristine.
“Non mi pare comunque che quella che dovete affrontare
sia un’avversaria temibile, no?”.
Il
neoportiere alzò le dita della mano destra verso Jude, mostrandole il segno della vittoria.
“Infatti!
Sono sicura che ce la farò senza problemi! E poi, con campioni come Hutton e Becker, praticamente non vedrò nemmeno il pallone…sarà sempre nelle
loro mani, vedrai!”.
“Sì, credo
anch’io!”.
A pochi minuti dal
fischio d’inizio, il mister riunì l’intera squadra a bordo campo. Kris tirò
fuori i guanti di Price.
Sicuramente, quel
giorno non li avrebbe usati molto…ma in ogni caso, la fiducia e la sicurezza
che le infondevano la avrebbero di certo aiutata. Li fissò per qualche istante, poi alzò la testa verso il signor
Gunnell.
“Sentite, non c’è
bisogno che vi dica niente…sapete cosa dovete fare, è solo il primo incontro, e
la Majestic non dovrebbe crearvi problemi”, disse
l’uomo guardando i calciatori. “Puntate sull’attacco da subito, e cercate di
portare a casa più goal possibili. Ok?”.
Tutta la squadra
proruppe in un grido unanime. L’emozione era palpabile, e anche se quello che
stava per iniziare era ormai l’ultimo
della lunga lista dei campionati disputati in tanti anni, la
New Team dimostrava sempre il solito entusiasmo.
Intanto Benji, in disparte, stava osservando i compagni, e in
special modo Kris. Sapeva che aveva preso un’ottima decisione accettando Grover come suo sostituto…il ragazzo possedeva notevoli
capacità, tanta grinta e voglia di giocare. Aveva imparato in fretta tutto
quello che gli aveva insegnato, e Price, adesso, non aspettava altro che
vederlo in campo.
Si fidava di lui.
Inspiegabilmente,
sentiva che Kristian non era come tutti gli altri.
Certo, tutti i
membri della squadra erano suoi cari amici, ma…
C’era qualcosa in Grover.
E
non era dato dal fatto che si somigliavano…
“Benji! Ehi, Benji! Mi senti?”,
chiese Holly agitando una mano davanti al viso
dell’amico. “Ci sei?”.
Price
sorrise. “Sì, sì, certamente…scusa…stavo pensando”.
“Sei preoccupato
per Grover?”.
Il ragazzo scosse
la testa. “No, anzi…sono tranquillo. Penso che tutti resteranno molto sorpresi
dalle sue prestazioni”.
“Già…”, rispose
pensieroso Holly. “…anche se
in questa partita non potrà dare larga prova della sua abilità. Per questo
dovremo aspettare incontri più impegnativi…Callaghan,
Ross, Everett, Peterson, Hume, i Derrick…non so chi ci capiterà di scontrarci, ma sono certo…che alla
fine saranno delle partite memorabili”.
Il portiere
sospirò. “Sì…spero solo…di poter ritornare in tempo in campo per disputare
l’incontro con Landers…”.
L’espressione del
ragazzo si fece seria.
“Non voglio che sia
Grover ad affrontarlo”.
Hutton
incrociò le braccia. “Credi che non riuscirebbe a fermare i suoi tiri?”.
Benji
fissò l’amico negli occhi. “Non lo so…forse…con un allenamento molto duro potrei insegnargli come comportarsi, ma…non so cosa
risponderti. Non voglio. Non è per la sfida personale fra me e Mark…sai bene che ormai questa si è conclusa
da molto tempo…noi due siamo pari, anche se Mark non
l’ ha mai digerita”.
Il ragazzo
ridacchiò al ricordo di quegli anni. Holly lo guardò,
ridendo con lui. “Già…”.
I giocatori
rimasero per un po’ in silenzio. Il resto della squadra, dietro a loro,
chiacchierava e scherzava, in attesa dell’inizio della
partita. Alcuni salutavano amici e conoscenti sugli spalti, altri si stavano
riscaldando.
“Dai, Benji, vedrai che per quel giorno ci sarai…non
preoccuparti”.
“Speriamo”. Price
guardò l’orologio a parete dietro a lui.
“Forza, è
ora…inizia un altro campionato…”, disse, posando una mano sulla spalla
dell’amico. “…e lo vinceremo come sempre!”.
Holly
strinse un pugno, determinato. “Puoi scommetterci!”.
Le due squadre si
avviarono nel campo. Il pubblico gridava, e mille bandiere sventolavano per
incitare i loro campioni preferiti. Jude, che aveva
preso posto di fianco a Patty e a Maggie, osservava
Kris camminare sull’erba verde smeraldo, i guanti di Price stretti in una mano.
Non li aveva ancora indossati.
“Kris…”, mormorò,
pensando all’avventura in cui l’amica si era cacciata. Sperava che tutto
andasse bene…
Patty,
che aveva conosciuto Jude il giorno
prima in occasione dell’ultimo allenamento della squadra, la guardò
curiosa.
“Ehi, Judith, pensi
a Kristian?”, chiese.
L’altra, presa di
sorpresa, si girò di scatto.
“Ahem…ecco…sì…mi chiedevo…se è agitato…”, disse balbettando,
ricordandosi all’improvviso che tutti la credevano innamorata di Kris. Il Kris
ragazzo, però…
“Oh, non credo”. Patty si fece aria con una mano per il gran caldo. “Mi
sembra molto calmo…anche durante gli allenamenti non mi è
mai sembrato preoccupato. Anzi, lo vedo molto determinato!”.
Jude
assentì. “Sì…lo è, questo è sicuro…”. Sorrise,
puntando nuovamente gli occhi verso il rettangolo di gioco. “Lo è”.
La ragazza dai
grandi e vivaci occhi castani ridacchiò. “Mh…sai, ti devo confessare una cosa…ma tu…”. Si avvicinò a Jude. “…promettimi di non raccontarlo a Holly!”,
le disse bisbigliando, attenta che Maggie non sentisse.
L’altra rise, un
po’ sorpresa. “Ma certo, figurati!”.
“Ecco…”, continuò Patty. “…credo…di non aver mai visto un ragazzo più carino
del tuo Kristian! Anzi, lo trovo bellissimo!”.
Il viso di Jude divenne di un pallore spettrale.
“Eeeeeeeh?!?!”, esclamò.
Sconvolta, spalancò
gli occhi. “Nononono, assolutamente non…”, si
affrettò a dire, agitando le mani.
“Ma
dai, non voglio certo portartelo via!”, la interruppe invece Patty, rossa in viso. “Lo sapevo, mi hai
fatto imbarazzare…il mio era solo un giudizio! Volevo dirti che hai fatto
un’ottima scelta…in quanto a me, non ti devi
preoccupare…non lascerei mai Holly!”.
Patty
si mise a ridere, senza notare l’espressione assolutamente distrutta sul viso
di Jude…
“Oh, mio dio…”,
pensò, disperata, coprendosi il volto con una mano. “Ci manca solo che le
ragazze si innamorino di lei…”.
Sospirò, per poi,
però, sorridere divertita.
“Incredibile…in che
razza di storia sono stata coinvolta…”. Appoggiò i gomiti alle ginocchia, la
mano che sosteneva la testa.
“Vediamo cosa
combinerai ancora, Kris”.
Nel frattempo, le
due squadre, allineate l’una di fronte all’altra al centrocampo, si erano
presentate prima fra di loro, poi alle centinaia di
tifosi che gremivano lo stadio. Kris salutò il pubblico insieme ai compagni,
per poi iniziare a camminare verso l’area di rigore.
Quella
sarebbe stata solo una delle tante partite a cui avrebbe
partecipato.
Il desiderio che
aveva sempre portato nel cuore ora era la realtà…
“Ma fra le file della New Team
c’è una faccia totalmente nuova…si tratta del portiere Kristian
Grover, un giovane sbucato praticamente dal nulla di
cui si sa poco o niente…l’unica cosa sicura, però, è che è stato lo stesso Benji Price, il formidabile portiere titolare della
squadra, ad allenarlo personalmente! A quanto dicono certe voci, il cosiddetto
Super Great Goal Keeper
dovrà stare in panchina ancora per molto tempo a causa di un brutto infortunio
alla gamba, così come il suo primo sostituto, Alan Crocker. Le speranze sono quindi tutte riposte in Grover, che vediamo raggiungere la porta che dovrà
difendere…”.
“Kris, aspetta!”,
la chiamò Becker, prima che arrivasse
fra i due pali. Lei si girò, sorpresa.
“Ma…Tom…”, mormorò. “ tu…”.
Il ragazzo le diede
una pacca sulla spalla.
“Vedrai che le
prenderai tutte…naturalmente se io e Holly lasceremo arrivare qualche pallone fin qui, è chiaro!”.
Sorrise. Il suo
solito, bellissimo, solare sorriso.
“Sì, ma…”, cercò di
dire lei.
“Ci vediamo alla
fine del primo tempo, ok?”.
Detto questo, il
numero 11 si girò, per correre a raggiungere il suo posto. Kris, senza parole,
rimase a guardarlo.
Non riusciva a
capire…
Ma…fino al giorno prima l’aveva evitata…
Aveva cercato di
non parlarle…
Di non guardarla
negli occhi…
E
ora…
Come se non fosse
successo nulla…
Ma
cosa aveva Tom?
Cosa
gli era preso?
Si
infilò i guanti, alzando gli occhi sull’area
di gioco. L’arbitro fischiò.
L’incontro stava
per cominciare.
La Majestic crollò a metà partita. La coppia Hutton-Becker, inarrestabile come sempre, segnò 4 volte,
mentre altri due punti furono conquistati dal geniale Diamond
e dal veloce Carter. I tiri in porta furono solo un paio, ma Kris seppe fermare
con sicurezza il pallone entrambe le volte.
Sapeva bene che quella era stata solo una prova, e che la vera sfida sarebbe
cominciata più tardi. Anche Price glie l’aveva
detto…sarebbero stati ben altri gli avversari da temere…
E
Landers…
Era Landers il suo obiettivo.
Voleva scontrarsi
con lui.
E
fargliela pagare.
Ma
che bel visino! Lo sai, Grover?
Ora che ti guardo bene mi sembri un po’ troppo gracile e delicato per
resistere all’intero campionato…
Dovresti davvero
darmi retta…e tornartene a casa!
Non aveva
dimenticato quelle parole.
“La vedremo”.
La ragazza chiuse la zip della borsa. Tutti i suoi compagni erano già usciti
dagli spogliatoi da un bel pezzo, e forse si erano già avviati al ristorante
che avevano adocchiato fuori dallo stadio per
festeggiare la vittoria. Naturalmente, era stata un’idea di Harper…
“Kris, sei
pronta?”.
La voce di Becker risuonò nello spogliatoio vuoto. La ragazza si alzò,
prendendo in spalla la borsa.
“Sì, eccomi”.
Tom
si avvicinò all’amica, ridendo. “Sai, Judith mi ha scongiurato
di chiederti di fare presto, perché ha paura che Bruce
possa assalirla…”. Il giovane attaccante della New Team
guardò Kris. “Poverina…non la invidio!”.
Ma
Kristine non sembrava molto allegra. Anzi, lo stava
fissando con due occhi carichi di preoccupazione.
“Che
c’è? Non sei contenta? Abbiamo vinto!”, chiese quindi Becker,
aprendo le braccia.
L’altra abbassò lo
sguardo. “Certo che sono contenta, stupido…”.
“E
allora?”.
“E
allora c’è che ho paura di averti fatto qualcosa. Ti prego,
dimmi la verità. Che cosa ti succede in questi
giorni? Prima sei triste, e nemmeno vuoi parlarmi, poi
ad un tratto torni allegro…”. Si fermò un attimo. “Tom,
raccontami perché fai così…”.
Il ragazzo dai
capelli castani la guardò stupito. “Non so di cosa tu stia
parlando! Tu non mi hai fatto nulla…”.
“Non è vero”.
Tom
sospirò. “Invece è vero. Ascolta, Kris…tu non potresti
mai, mai…farmi qualcosa di male. Lo so”.
Le posò una mano
sulla testa, accarezzandole i capelli.
“Capito?”.
A quel tocco, Kris venne percorsa da un brivido. Era da tante settimane che lei
e Tom non erano così vicini…
Il suo Tom. Il suo…amico Tom?
La
ragazza sorrise tristemente. “Allora…perché?”,
mormorò.
Becker
chiuse gli occhi, sospirando ancora.
“Non preoccuparti. E’ stato un momento…un momento no, diciamo. Ma per fortuna, ora è passato…”.
“Davvero? Guarda
che…”.
“Ti ho detto di sì!
Se c’è una cosa che assolutamente non voglio che tu
faccia, è preoccuparti per me. Non devi, non è necessario”.
Senza aggiungere
altro, il ragazzo si girò, avviandosi verso l’uscita dello spogliatoio.
“Dai,
vieni! Ci meritiamo una bella mangiata, non sei
d’accordo?”.
Kris guardò
l’amico, finalmente risollevata. “Certo!”, esclamò entusiasta.
“Benissimo! Allora
andiamo!”.
Becker
fece per uscire dalla stanza per precedere l’amica, quando Kris lo richiamò.
“Tom!”.
“Sì?”.
“Volevo dirti
che…beh, sei stato fantastico oggi. Sei un vero e proprio campione. Se solo l’avessi saputo…ti avrei seguito già da tanto tempo
nei Mondiali giovanili e negli Europei. Tu…farai tanta
strada, ne sono sicura”.
L’amico la guardò
con affetto. “Grazie, Kristine. Comunque…non
pensare al passato. L’importante ora è il presente…e il futuro. Adesso che ci
siamo ritrovati, non perderemo mai più i contatti. E
questo…questo sarà il nostro campionato. Sarà molto, molto speciale…unico. Perché ci sarai anche tu”.
Kris
sorrise. “Già, ci sarò anch’io”.
Le settimane seguenti passarono in un lampo, e la New Team vinse naturalmente altre due partite senza
difficoltà. Fra le altre squadre, anche la Toho, la Mambo, la Flynet, la Hirado, la Hot Dog e la Artic
ebbero buoni risultati.
Kris se la cavò
entrambe le volte egregiamente, e il nuovo portiere della New
Team iniziò così ad acquistare una notevole fama; i tifosi sembravano
ancora non rimpiangere né il secondo portiere Crocker
né il titolare Price, e Kristine poteva sicuramente
sentirsi soddisfatta. Grazie agli allenamenti dell’amico, ogni giorno diventava
sempre più sicura di sé, abile e veloce.
E
anche Benji sembrava essere molto contento dei suoi
progressi.
Sì, tutto stava andando
benissimo…
Forse troppo bene.
“Credo che per oggi
possa bastare”, disse Price passandosi una mano sulla fronte. “Vai pure a casa,
Grover. Un po’ di riposo ti farà bene…”.
Kris sorrise. “Ok!”.
La ragazza si tolse i guanti, poi afferrò la felpa che aveva
abbandonato vicino a uno dei pali. Mentre
se la infilava sopra la T-shirt, il portiere si avvicinò a lei.
“Vedo che usi ancora i miei guanti, Kristian…”,
disse il giovane raccogliendoli. Kris si girò a guardarlo.
“Sì…scusami…ecco, io non volevo!”, esclamò, imbarazzata.
“Anzi, te li restituisco…”.
L’altro scosse il capo, e prendendo una
mano della ragazza, glieli posò sul palmo.
“No, mi fa piacere che tu li abbia
usati. Anzi, spero che continuerai a farlo…”.
Kris alzò lo sguardo. “Davvero?”.
“Certo. Sai, in un certo senso, in
questo modo, sarò presente ugualmente in campo. Ci sarà…una parte di me,
diciamo…e voglio che sia proprio tu a tenere questi
guanti. Te li meriti, e so che li utilizzerai al meglio”.
Kristine li strinse, felice. Benji si fidava davvero così tanto di lei?
“Allora…allora grazie!”, gridò poi, allontanandosi dalla
villa del ragazzo. L’altro la salutò un’ultima volta con un
cenno della mano, poi rientrò nel giardino.
Grover iniziò a incamminarsi verso casa. Il tragitto era lunghissimo, e normalmente
avrebbe preso l’autobus. Quel pomeriggio, però, decise
di fare la strada a piedi. Voleva camminare…pensare…immaginare il prossimo
futuro…
Una ventina di minuti più tardi, però, si fermò. Era da
moltissimo tempo che non vedeva Nicole. Fra una cosa
e l’altra, gli allenamenti, le partite, e gli impegni della segretaria, loro
due non si erano più incontrate dal giorno del ricevimento.
“Ho deciso”, si disse, di buon umore. “Andiamo
all’hotel!”.
Poco dopo, la ragazza arrivò all’edificio. Rispetto a casa
sua, era molto più vicino alla casa di Price.
Entrò nella hall, e si guardò in
giro. La gente in quel periodo dell’anno non era moltissima, e solo poche
persone erano sedute, annoiate, nell’intimo salotto in
un angolo del salone.
Kris lo attraversò, per giungere davanti alla reception, dove i soliti, composti, distinti e seri omini
stavano osservando quasi immobili un punto indefinito
davanti a loro.
La ragazza li salutò, per poi informarli velocemente
della visita. I due la riconobbero e annuirono, indicandole il piano degli
uffici. Kris li ringraziò, dicendo loro di conoscere bene l’hotel.
Salì quindi con l’ascensore, insieme a
un altro paio di persone che si fermarono a uno dei livelli delle camere. Gli
uffici erano situati agli ultimi due piani, incredibilmente in alto.
“Eccomi arrivata”, pensò, percorrendo il lungo corridoio
ricoperto da una morbida moquette azzurra. “Se non mi
sbaglio, Nicole dovrebbe essere nell’ultima stanza in
fondo…”.
Giunta alla fine di una lunga serie di porte, Kris si ritrovò
di fronte all’ufficio dell’amica. Sembrava che quella mattina il piano fosse
deserto. Non avendo incontrato nessuno, alla ragazza sorse il sospetto che
anche la segretaria non ci fosse.
Invece, accostandosi alla porta, si
accorse che l’anta era socchiusa. Fece per entrare, quando sentì
provenire delle voci dall’interno.
“Agitarsi non serve a nulla”.
“Sì, lo so…ma spiegami…come…come dovrò comportarmi? Non
so neanche se riuscirò a guardarla nuovamente in faccia…”.
“Su, non esagerare”.
“Non esagero. Credo…che ormai mi odi”.
Kristine riconobbe
immediatamente l’identità dei due interlocutori. Senza alcun
dubbio, erano Nicole…e Alex.
Sì, la voce maschile era sicuramente di suo fratello.
Allora…
Il suo sospetto era vero?
Avevano davvero una relazione?
Decise di continuare ad ascoltare. Sapeva che non era
corretto, ma…voleva assolutamente sapere come stavano le cose. Doveva saperlo.
Cercò di sbirciare nella stanza.
“Non credo che ti odi”.
Nicole, vestita con un tailleur
bordeaux, era appoggiata alla scrivania e parlava lentamente…forse stava
cercando di tranquillizzare Alex. Sembrava che fosse
successo qualcosa…con una terza persona. Ma chi poteva
mai essere?
Il ragazzo in jeans e T-shirt, in piedi davanti a lei, sospirò sconsolato.
“Beh…forse no, ma…l’ ho molto delusa. Per lei sarò
rimasto il quattordicenne egoista e viziato che ha conosciuto, e lo sarò per
sempre. Questo è poco ma sicuro…e adesso che sta per realizzare il suo più grande desiderio, per me non c’è più posto…anzi, forse ha
già trovato un altro in Inghilterra, vedrai…”.
Nicole si avvicinò al ragazzo,
e gli posò le mani sulle spalle.
“Non dire così. Io…sono sicura che potrete rimettere
tutto a posto! A quel tempo, tu non avevi capito…non riuscivi
a capire. Lei era talmente importante, che avresti fatto di tutto per farla
restare accanto a te…anche mia sorella non aveva compreso il tuo comportamento.
Ma adesso, sono passati cinque anni…”.
“Troppi. Potrebbe anche avermi dimenticato, contando,
poi, che in tutto questo tempo non ha mai chiesto una volta di me…mi sembra una prova sufficiente per dimostrare che non ne ha
mai avuto bisogno. Keith è forte, sa cosa vuole, l’
ha sempre saputo…e io…sono solo uno stupido bambino viziato che non ha mai
dovuto lottare per avere ciò che desiderava”.
Kris, dietro alla porta, spalancò gli occhi.
Keith?
Stavano parlando di Keith…
E suo fratello…lui…
Non ne aveva mai saputo nulla.
Non l’aveva mai sospettato.
Tornò a guardare.
Alex aveva abbassato lo
sguardo, per evitare di incontrare quello dell’amica.
“Anzi…”, continuò. “Per
questo…mi devo scusare anche con te, Nicole. Hai
faticato tanto per…”.
“Basta”. La bella ragazza dai capelli
rossi sorrise dolcemente, accarezzando una guancia del viso del ragazzo.
“Non scusarti di nulla, perché non ce n’è motivo. Sei
stupendo, Alex, e non devi farti nessuna colpa. Sono
sicura che anche mia sorella l’ ha capito…”. Si tirò
una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Quello che ho fatto io per Keith non ha importanza…certo, la nostra vita è stata
dura, ma questo non vuol dire nulla. E’ solo grazie alla sua determinazione se
adesso ha un brillante futuro davanti a sé…e sono veramente felice per lei.
Felice e orgogliosa…”.
Il giovane dai folti capelli castani la guardò per qualche istante, poi le passò di fianco, per
dirigersi verso l’ampia vetrata dietro alla scrivania. Oltre alla barriera
trasparente, dopo la costa, una distesa azzurra dominava il panorama,
perdendosi all’orizzonte…
Il ragazzo fissò un punto lontano, triste.
“Già…anch’io sono felice per lei. Quanto sono stato stupido…”, mormorò, appoggiandosi al davanzale di
marmo. “Volevo…volevo impedirle di arrivare al suo
sogno…è questa la verità…per il mio egoismo…”.
“No, non è vero”, lo interruppe Nicole.
“Per il tuo amore”.
L’altro abbassò la testa, senza girarsi. “L’amore rende
deboli, e io non ero abbastanza forte per lasciarla
andare. Lei, invece…”.
“Ma questo non vuol dire che non
ti amava a sua volta. Credimi, Keith
ti ha amato. E di certo ti ama ancora”.
Alex fece un profondo sospiro.
Si passò una mano tra i capelli, poi si voltò verso
l’amica.
Si guardarono, poi la ragazza si
avvicinò al giovane, abbracciandolo.
“Quando Keith
tornerà, dovrete parlare. Solo così vi chiarirete…”.
“Grazie. Grazie infinite Nicole…sai
sempre ascoltarmi”, disse l’altro stringendola. “Allora…fammi sapere il giorno
esatto in cui sarà qui. Sarà dura, ma…la devo
rivedere. Sì, le parlerò…”.
La segretaria sorrise, contenta.
“Oh, bene! Così mi piaci!”. Poi, la sua espressione si fece affettuosa.
“Penso che Kris abbia davvero un fratello fantastico…ma…senti,
perché non le hai mai detto nulla su Keith?”.
Il ragazzo alzò le spalle.
“Beh, per vari motivi. Non volevo che si preoccupasse per
me, e…soprattutto, non volevo che l’amicizia che esisteva fra loro si
rovinasse. Non so a che conclusioni sarebbe arrivata se avesse saputo cos’era
successo…magari, avrebbe pensato che Keith mi aveva solo usato, e che il suo amore per me non era mai
stato sincero. Chi lo sa…”.
Nicole rise. “E’ vero…voi due tenete l’uno all’altra in modo incredibile.
Non sopportereste mai che qualcuno facesse soffrire l’altro…”. Sorrise
nuovamente.
“Comunque, credo che sia una
cosa bellissima!”.
Il ragazzo annuì. “Sai, credo che anche Kris mi stia
tenendo nascosto qualcosa…non ho idea di cosa si tratti,
ma sono certo che riguarda la sua passione nascosta…me l’ ha detto lei
stessa…”.
La giovane dai capelli rossi lo guardò stupita. “La sua
passione nascosta? Il calcio?”.
“Già…sono preoccupato perché ultimamente, è molto
cambiata…fa orari strani, e non mi dice mai dove va.
E si è anche tagliata i capelli! Assurdo…fino a poco tempo fa non l’avrebbe mai
fatto…”, esclamò l’altro, aprendo le braccia esasperato.
“Mmmh…sì, è strano…ma non penso
tu debba preoccuparti troppo. Kris è una ragazza
responsabile…”.
Nicole abbassò gli occhi, e il
suo pensiero ritornò alla chiacchierata che aveva fatto con la ragazza qualche
settimana prima, al ricevimento.
“…ma ha tanti sogni da
realizzare”, mormorò, sorridendo un po’ malinconica.
Alex, però, sembrò non aver
sentito le sue ultime parole. Tornò a guardarla.
“…mmh…sì, spero davvero che lo
sia abbastanza. Ascolta…io adesso devo proprio andare, altrimenti arriverò in
ritardo agli allenamenti…e poi, credo anche che tu debba
lavorare! Ti ho già rubato un sacco di tempo…e se i miei lo sanno mi
fucilano!”.
“Sì, penso anch’io!”, rispose Nicole
ridendo. “Va bene…allora ci sentiamo presto. E cerca di stare su, d’accordo?”.
“Va bene. Grazie ancora”.
“E di che?”.
Il ragazzo sorrise nuovamente,
poi salutò l’amica. Si diresse verso la porta.
Kris, che aveva ascoltato tutta la conversazione, si
affrettò a nascondersi dietro ad un armadio di un ufficio fortunatamente
aperto, nel corridoio. Solo quando il fratello scomparve dietro alle porte
metallizzate dell’ascensore, uscì dalla stanza.
Nicole, intanto, era rimasta
qualche secondo immobile, le braccia conserte.
Quante cose erano successe fra quei due.
Sperò ardentemente che ogni cosa si rimettesse a posto…infatti, l’unica cosa
che davvero desiderava, era la loro felicità. Per sua sorella, e per Alex.
“Uff…”, sospirò, stendendo le
braccia in avanti. “…beh, ora forse è davvero il caso di
tornare al lavoro…avrò tempo poi per pensare ancora a tutta questa
storia…”.
Detto questo, si staccò dalla scrivania, e, aggirandola,
si sedette nella poltrona dietro ad essa.
“Allora…vediamo un po’ dove ho messo quelle pratiche…”.
Ad un tratto, qualcuno entrò nell’ufficio. Nicole alzò la testa, credendo di trovarsi di nuovo di fronte Alex.
“Per caso hai dimenticato qualcos…”,
fece per chiedere. Si bloccò.
A pochi metri distante da lei, Kris la fissava seria.
“Noi due dobbiamo parlare”. |
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Capitolo 11 *** Il Giusto Equilibrio ***
Nicole
si avvicinò all’amica, e, con un sorriso tirato, mise una mano sul fianco.
“Scommetto che hai
ascoltato tutto”.
Kris non si spostò
di un passo, rimanendo inchiodata nello stesso punto.
“Già, ogni singola
parola”.
La ragazza dai
capelli rossi scosse il capo. “Mi dispiace”.
“Voglio sapere la
verità”, esclamò decisa Kristine. “Cosa c’è…o cosa
c’è stato tra mio fratello e Keith? Perché ora lei
dovrebbe odiarlo? E poi…”. Kristine si fermò un
attimo, per cercare gli occhi preoccupati di Nicole,
che stava tentando di guardare da un’altra parte.
“…è vero che Keith sta per ritornare?”.
L’amica assentì col
capo. “Sì…sì, fra pochi giorni tornerà…”. Sospirò, e voltando le spalle a Kris,
si affacciò da una delle vetrate, aprendola leggermente. L’altra ragazza,
invece, rimase in piedi in mezzo all’ufficio.
“Mia sorella…ha
studiato impegnandosi con tutta se stessa, laggiù, a Londra…ha sfruttato quella
borsa di studio, costatale tanta fatica…e ora, finalmente…”. Nicole respirò l’aria salata che il vento portava in alto,
dalla costa.
“…Finalmente può
realizzare il suo sogno”.
Kristine
si accostò alla scrivania di legno lucido. “Vuoi dire…diventare medico?”.
“Sì. E’ uscita dal
college con il massimo dei voti. E questo gli permetterà di frequentare una
delle più prestigiose università londinesi…”. L’amica si girò improvvisamente
verso Kris, guardandola entusiasta con i suoi luminosi occhi castani, dalle
striature verdi.
“Ci pensi?”.
L’altra sorrise,
ripensando con affetto alla sorellina dell’amica. “Certo. E sono davvero
felice. Ma…”.
La sua espressione
tornò seria. “…cosa ha fatto a mio fratello? O cosa ha fatto lui a Keith?”.
Ci fu un attimo di
silenzio. La segretaria guardò la moquette azzurra sotto i suoi piedi, indecisa
su cosa iniziare a dire. Poi, sospirando, si sedette sulla scrivania,
appoggiando le mani sul bordo.
“Tu…non ne hai mai
saputo niente, ma dopo pochi mesi dalla mia assunzione alle direttive dei tuoi,
mia sorella e Alex si misero insieme”, cominciò.
Kris si sedette di
fianco a lei. “Già, non ne ho mai saputo nulla…”.
Nicole
però continuò a parlare. “Dopo che ci conoscemmo, fra noi quattro si instaurò
una bella amicizia…ricordi? Per un po’ di tempo iniziammo a uscire tutti
insieme…fu un bel periodo…”. La ragazza chiuse gli occhi.
“Poi, sia a causa
del mio lavoro che dei vostri studi, quelle serate diminuirono…Alex e Keith, però, continuarono
a vedersi. Me lo disse mia sorella. Si era innamorata di Alex…e
anche ciò che lui provava per lei era sincero. Anzi…entrambi sapevano che,
nonostante la loro età, il loro rapporto era serio, e sarebbe durato. Keith non aveva dubbi sui propri sentimenti, ma…”.
“…ma?”.
“…ma non aveva
dubbi nemmeno su quello che voleva diventare. Su quello che si stava costruendo
con le proprie mani. Un futuro…un futuro brillante, a cui non avrebbe
rinunciato per nulla al mondo. Aveva conquistato quella borsa di studio, dopo
averla desiderata per anni, e ora che finalmente aveva la possibilità di
partire, di raggiungere Londra, beh…l’avrebbe fatto”.
Kristine
cambiò espressione. “Anche…anche a costo di lasciare Alex?”.
Nicole
la guardò grave. “Sì, anche a costo di lasciarlo. Vedi, il problema era
che…ecco, Keith non aveva mai parlato a tuo fratello
della borsa di studio. Lei sapeva da moltissimo tempo la data della partenza,
avrebbe potuto dirgliela in qualsiasi momento…ma non l’ aveva mai fatto. Non
aveva abbastanza coraggio. Alex avrebbe potuto
pensare che l’aveva preso in giro…che era stato con lui per quei pochi mesi
solo per puro divertimento…per non sentirsi sola. Ma non era così…mia sorella
lo amava molto, moltissimo. Sai…una sera…Keith
ritornò a casa per l’ennesima volta in lacrime. Aveva ancora tentato di parlare
ad Alex, senza riuscirci…ricordo che si mise a
gridare, dicendo che non sapeva che cosa fare…era disperata. Lei lo avrebbe
aspettato per cinque anni…anche se fossero stati venti, cinquanta o mille, ce
l’avrebbe fatta. Ma Alex…era
certa che lui non avrebbe mai sopportato tanti anni di lontananza…erano troppi.
Lui, così…così possessivo, da avere il bisogno di vederla sempre, concreta,
sorridente, accanto a lui…di poterla abbracciare, e sentire la sua presenza
fisica, senza illusioni. Essere sicuro che lei c’era, che nessuno glie l’aveva
portata via…capisci? Keith non poteva dirglielo…anche
se sapeva bene che prima o poi avrebbe dovuto farlo”.
Kristine
aveva ascoltato l’amica in silenzio, gli occhi bassi.
“E…mio
fratello…quando lo seppe…si arrabbiò, non è vero?”, chiese, girando la testa
verso la ragazza.
Nicole
annuì. “Molto di più che arrabbiarsi…per alcuni giorni, addirittura, non volle
nemmeno più vederla. Mia sorella aveva cercato di spiegargli le sue ragioni,
aveva pregato Alex di capirla, ma…non ci fu nulla da
fare. Lui si sentì tradito, respinto, non amato…proprio come Keith aveva previsto.
E lei…diventò sempre più triste…mentre la data della partenza si
avvicinava. Nessuno dei due cercava di riappacificarsi con l’altro. Si era come
alzato un muro, e io…non sapevo come aiutarli…”.
La ragazza, dopo
qualche secondo, si girò improvvisamente per fissare Kris.
“Ad un certo punto,
però, Keith seppe come comportarsi. Non mi disse
niente…semplicemente, una mattina la vidi con un nuovo sguardo. Uno sguardo
forte, deciso, determinato. Anche se…sapevo che quegli occhi avrebbero portato
a un’unica conclusione. Una conclusione per niente felice. Conoscevo mia
sorella, e conoscevo le vere ragioni per quel suo incredibile impegno nel
cercare di realizzare i suoi sogni…”.
Kristine
inclinò la testa. “Le vere ragioni?”.
“Proprio così…”. La
segretaria si passò la fronte con il palmo di una mano, e abbassando il capo,
appoggiò il gomito su una delle gambe accavallate, per sorreggere il viso.
Illuminati dai tiepidi raggi del sole pomeridiano che entravano dalle alte
finestre dietro la scrivania, i lunghi capelli rosso scuro di Nicole assunsero del caldi riflessi color rame. Le ciocche
ondulate le scendevano sulla schiena e sulle spalle, incorniciandole il
bellissimo viso dalla pelle chiarissima.
Dopo aver sospirato
un’altra volta, si voltò ancora a guardare Kris, che stava aspettando
spiegazioni.
“Kristine, tu sai che io e Keith
non abbiamo origini unicamente giapponesi, vero?”.
“Certo…vostro padre
era olandese, no?”.
“Esatto. Però…non
conosci…la nostra storia. E credo tu non sappia neanche perché siamo venute qui
in Giappone…”.
Sorpresa dalle
ultime parole dell’amica, Kris osservò Nicole,
scotendo la testa. “No…”.
Nicole
sorrise forzatamente, cercando di allontanare le immagini dei dolorosi ricordi
che stavano riaffiorando nella sua mente. “Kris…ora…penso sia giunto il momento
di raccontarti alcune cose…”.
La ragazza scese
lentamente dalla scrivania. Iniziò a camminare per l’ufficio, le braccia
conserte, stette al petto contro l’elegante tailleur bordeaux. Il viso, teso,
era immerso nel passato.
Kris, ancora seduta,
guardava l’amica, preoccupata dalla sua espressione grave.
“Devi sapere”,
iniziò la segretaria, “che nostra madre, mia e di Keith,
morì quando noi eravamo ancora piccole. Mia sorella era nata da poco più di un
paio d’anni, io, invece, ne avevo appena compiuti tredici. Dopo la morte della
mamma, nostro padre si ritrovò da solo a gestire l’impresa siderurgica a cui
era a capo da vari anni, a Rotterdam…disgraziatamente, fu proprio in quel
periodo che tutto iniziò ad andare a rotoli. In realtà, già da parecchi mesi le
cose non stavano andando molto bene. La ditta stava fallendo e i soldi erano
sempre di meno…papà fu, oltretutto, ingannato da alcuni soci disonesti, che
fecero in modo di scomparire all’inizio della crisi economica, senza lasciare
alcuna traccia. Mio padre si sobbarcò così ogni spesa, tentò fino all’ultimo di
salvare l’impresa, ma…ad un certo punto non riuscì più a sostenere i mille
problemi che continuavano, ogni minuto, a presentarsi davanti a lui…riuscì per
miracolo a pagare la liquidazione a tutti gli operai, prima di licenziarli. Era
evidente che l’unica cosa possibile da fare era chiudere, chiudere per sempre”.
Nicole
si fermò un attimo, alzando gli occhi.
“Non sapevo come
saremmo andati avanti. Non c’erano più soldi, e mio padre non riusciva a
trovare un altro lavoro…Keith era così piccola, e
nostra madre le mancava…anzi, la mamma mancava a tutti, ma io cercavo di essere
forte. Sai, mia madre…era una donna dolcissima…dolce e molto buona. Grazie a
lei mio padre aveva sempre superato ogni difficoltà…sì, proprio grazie alla sua
rassicurante presenza…e quando morì, lui perse la voglia di lottare. Si lasciò
andare, giorno dopo giorno. Vedevo…vedevo che invecchiava…così in fretta…e io
non sapevo, non sapevo assolutamente cosa fare. L’unica cosa fu di stare vicino
a mia sorella…la crebbi con le mie forze…cercai di non farle pesare la tremenda
situazione che stavamo vivendo…pensavo al suo futuro, a cosa ne sarebbe stato
di lei…povera Keith. Di certo non se lo meritava. Mio
padre si dimenticò perfino di noi…per la disperazione e la depressione, iniziò
a bere, restando intere notti fuori casa. Alcune volte ritornava, altre no. Una volta, non si fece vedere persino per tre giorni.
Io ero disperata…avevo poco più di 15 anni, e fui costretta a trovarmi un
lavoro.
Mi presero come
fotomodella, e anche se questo si rivelò un lavoro che detestavo, dovetti
farlo, pur di guadagnare quei pochi
soldi che ci permettessero di vivere, o almeno, di dare da mangiare a mia
sorella. In realtà, contrariamente a quanto puoi pensare, non fui pagata molto
bene… ”.
La ragazza
socchiuse tristemente gli occhi, immersa nei ricordi di quel difficile periodo.
Poi guardò Kris che, muta, continuava ad ascoltarla.
“Tutto questo”,
riprese Nicole avvicinandosi, “andò avanti per un
po’, fino a che, una sera, mio padre ritornò a casa con una montagna di denaro,
felice come non mai. Gli chiesi da dove provenisse, ma lui mi rispose di non
preoccuparmi, dicendo che i nostri guai sarebbero finiti. A dire la verità,
quei soldi ci permisero di vivere senza problemi per un po’, è vero,
ma…naturalmente, finirono. Dopo qualche tempo, però, si ripeté la stessa scena:
mio padre ritornò nuovamente a casa con quel misterioso denaro. La cosa
continuò per svariati mesi, fino a che, una notte, un paio di uomini suonarono
alla porta, chiedendo di vedere nostro padre. Io e Keith
rimanemmo nell’altra stanza, ma io capii chiaramente che qualcosa non andava.
Papà aveva mille debiti con quella gente, ed era stato coinvolto in uno strano
giro…ancora adesso non ho idea di cosa si trattasse…”.
Nicole
appoggiò le mani sulla scrivania, fissando la sua sagoma riflessa sulla
superficie lucida. La sua voce si fece più bassa e flebile…
“Papà…”, mormorò. “…papà fu ferito gravemente da un
colpo di arma da fuoco qualche settimana dopo…la polizia disse che si era
trattato di una banda terroristica ma…ma io sapevo che non era la verità…quello
era stato un piano premeditato, e attuato da persone che conoscevano molto bene
mio padre, coinvolte in quel giro…”. Si fermò, la voce rotta.
Portandosi una mano
al viso, cercò di nascondere le lacrime che avevano iniziato a riempirle gli
occhi, scivolando poi sulle guance pallide.
“…e
infatti…lui…morì durante il trasporto in ospedale…per una emorragia
interna…impossibile da fermare”, riuscì a concludere, prima di scoppiare in un
pianto disperato. “Per qualche motivo…papà era diventato un personaggio
scomodo, e così…decisero di eliminarlo…”
Kristine,
di fianco a lei, sollevò lentamente una mano per appoggiarla sulla sua schiena.
Aveva fissato Nicole per tutto il tempo, sconvolta. Né Keith, né Alex…nessuno le aveva
mai raccontato il passato delle due sorelle Henger.
Un passato…così…così terribile.
Perché doveva
essere accaduto proprio a loro?
Perché…perché lei
invece era stata così fortunata?
Ti capisco, sai? So cosa è significato per te stare da sola, e crescere
senza dei punti di riferimento…
Si sentiva…un
verme. Sì, un verme.
Un verme cresciuto
nella bambagia…
Non sai cos’è la
vera sofferenza, Kris.
E osi anche
sentirti una vittima?
Saresti cresciuta
da sola, senza affetto?
Ma non farmi
ridere.
Non sai nemmeno
cosa vuol dire, realmente, essere sola…
Alcune volte pensa a chi non
è fortunato come te.
Pensa a chi non ha nulla,
oppure a chi non ha neanche una famiglia. Sono queste le persone che soffrono
veramente…
Quella sera Nicole
si era tenuta tutto dentro…
E si era invece sorbita quel suo
stupido sfogo…
Kris, non sai nulla della vita.
Non sei certo tu ad avere dei
problemi!
Sei solo un’idiota…una bambina
viziata…
“Nicole…io…mi
dispiace…non sapevo…”.
La ragazza dai capelli rossi
alzò il capo, e asciugandosi il viso con il dorso della mano si girò verso
l’amica, cercando di sorridere.
“No, non…non devi scusarti. Non
avrei dovuto raccontarti tutto questo…mi sono…lasciata andare. Comunque,
ormai…è passato tanto di quel tempo…”. Si tirò i capelli indietro.
“Dopo la morte di nostro padre,
io e Keith siamo vissute per un paio d’anni con un
assistente sociale, e precisamente fino al compimento dei miei 18 anni. Infatti
quell’anno ci è stato riferito che una nostra lontana e anziana zia, in
Giappone, parente di nostra madre, era morta sola lasciando in eredità la sua
villa di Kyoto…quella casa andò a me e a Keith, in quanto uniche nipoti rimaste.
Fu un colpo di fortuna, un
miracolo…sì, un vero e proprio miracolo. Finalmente potevamo andarcene da
Rotterdam, una città in cui eravamo cresciute, sì, ma alla quale erano legati
anche ricordi che preferivamo entrambe cancellare dalla memoria per
sempre…soprattutto, io non volevo che mia sorella vivesse in quel paese. Volevo
ricominciare tutto da capo…da un’altra parte, lontano…”.
“E così…vi siete trasferite
qui?”.
“Sì. Sai, il giapponese era la
nostra seconda lingua, visto che nostra madre aveva origini orientali, quindi
non avemmo molti problemi, e ci ambientammo subito. La casa lasciataci da
nostra zia era davvero enorme, e per iniziare a guadagnare qualcosa decisi di
affittare delle stanze…”.
Il viso della segretaria iniziò
finalmente a distendersi.
“Direi che da quel momento tutto
cominciò ad andare per il meglio. Io ripresi a studiare, scegliendo la facoltà
di economia…mia sorella, invece, continuò il normale ciclo di studi, fino a
che…”.
“Cosa?”.
Nicole sospirò. “Beh…gli insegnanti e io stessa…ci accorgemmo
tutti che Keith possedeva un’intelligenza fuori dal
comune. Era…un piccolo genio…portato allo studio in modo stupefacente. Amava
imparare, più di ogni altra cosa”. Guardò Kristine.
“Già allora aveva il sogno di
diventare un bravo medico…una persona che aiutasse la gente, che alleviasse le
loro sofferenze. Mia sorella…è sempre stata così sensibile…però, vedi…lei
preferiva rimboccarsi le maniche e fare concretamente qualcosa per gli altri,
piuttosto che piangere per loro. Diceva sempre che le lacrime non avrebbero mai
cambiato nulla, e che quindi era inutile disperarsi”.
Sorrise.
“Penso che Keith
sia stata molto temprata da ciò che abbiamo dovuto passare durante la nostra
infanzia…ecco da dove proviene la sua forza d’animo. Io l’ ho sempre ammirata
per questo suo incredibile coraggio. E anche Alex…”.
Entrambe non dissero nulla per
qualche secondo, poi Kristine alzò lo sguardo verso
l’amica.
“Dimmi, Nicole…”,
mormorò Kris. “Perché…alla fine Keith ha litigato con
mio fratello?”.
L’amica contrasse le labbra
chiuse, sapendo di dover spiegare la parte peggiore…
Girò intorno al tavolo di legno,
tornando a sedersi sulla poltrona di pelle nera dietro alle vetrate. Incrociò
le dita delle mani appoggiate in grembo, e accavallò le gambe con un sospiro.
“Mia sorella sapeva bene cosa
voleva. Lo sapeva molto bene…dopo tanta sofferenza, finalmente aveva la
possibilità di realizzare i suoi sogni. Per questo motivo litigò amaramente con
tuo fratello…”.
“In che senso?”.
“Nel senso che…le parole che Keith gli rivolse furono davvero molto, molto dure. Quella
mattina famosa…gli chiese di incontrarlo. Mancavano davvero pochissimi giorni
alla partenza per Londra, e lei era decisa a dire ad Alex
cosa aveva scelto di fare, in modo definitivo. Naturalmente, Keith voleva raggiungere l’Inghilterra, ma quando lo disse
ad Alex, lui si rifiutò di lasciarla andare.
Iniziarono a litigare e Keith, in un momento di
rabbia, urlò a tuo fratello cose che non avrebbe mai dovuto dire…”.
Kris fissò Nicole
tesa. “Che…cosa?”.
“Gli disse…che lui non poteva
capire, e non sarebbe mai riuscito a capire a causa della vita ricca, facile e
senza preoccupazioni che aveva sempre fatto…gli gridò che era un bambino
viziato, che non sapeva cosa voleva dire lottare per costruirsi un avvenire,
per realizzare i propri sogni. Lei, che non aveva mai avuto nulla per nulla…che
aveva dovuto passare fra dolori e sofferenze…ora aveva lì, a pochissima
distanza, qualcosa che aveva sognato da tanto…una grande possibilità per il suo
futuro. E lui, invece di incoraggiarla, di esser felice per lei…la voleva
tenere legata a sé, come un oggetto di sua esclusiva proprietà…da non spartire
con nessuno.
Ma questa fu solo una minima
parte delle cose che Keith gli disse…molte altre, né
mia sorella, né tuo fratello, me le confessarono mai. Lei non tornò più
sull’argomento, dopo che giunse a Londra. Le rare volte in cui ci sentivamo,
parlavamo naturalmente d’altro…non mi chiese mai di Alex.
E all’aeroporto, lui non venne a salutarla, se ben ricordi. Non ce la fece…non
se la sentiva più nemmeno di guardarla negli occhi. Quel…quel periodo fu
davvero terribile per tuo fratello. Si sentiva meschino, e…in colpa,
tremendamente in colpa. Anche se amava Keith, non
aveva capito nulla di lei…non aveva mai riflettuto su quello che aveva dovuto
passare. Tu, Kris, hai sempre creduto che fra di loro c’era solo amicizia,
vero? Beh, entrambi non ti hanno mai detto nulla perché ti volevano bene. Alex, come avrai sentito, oltre a non voler rovinare
l’amicizia che c’era tra te e Keith, non voleva
neanche che tu ti preoccupassi per lui, e anche per questo ha tenuto nascosto
il suo dolore per così tanto tempo e così bene…Keith,
invece, non voleva perderti, ed è comprensibile”.
Nicole abbassò gli occhi, triste. Poi li rialzò, sporgendosi
oltre la scrivania per cercare il viso dell’amica.
“Piccola…tutto bene?”.
Kristine, in piedi, teneva la testa piegata, lo sguardo fisso nel
vuoto. Gli occhi erano lucidi, la bocca serrata.
“Kris…ti prego, non fare così…”,
mormorò la segretaria alzandosi velocemente dalla poltrona per avvicinarsi alla
ragazza, abbracciandola.
“Non è colpa di nessuno…Alex non aveva capito, e nemmeno Keith…hanno
sempre fatto parte di due mondi così diversi…”.
La ragazza dai corti capelli
castani continuava a stare immobile, come una statua di marmo. Poi, lentamente,
aprì le labbra.
“E’ questo…il punto…noi…siamo
degli stupidi…viziati…ci lamentiamo della nostra situazione quando…quando…”.
Non ce la fece più. Kristine Grover si abbandonò ad
un pianto disperato, stringendo forte Nicole.
“Mi dispiace, mi dispiace…se
solo avessi saputo, io…”, singhiozzò, con la voce rotta.
L’altra cercò di calmarla,
accarezzandole la testa.
“No, no…Kris, non devi
scusarti…ci sono tanti, tantissimi problemi al mondo…e ognuno ha la sua
gravità…nessuno è da considerarsi stupido, o da sottovalutare. Tu…non sei
felice perché sei imprigionata in un mondo che non fa per te…hai bisogno di
essere libera, e…”.
“No, non è vero…non è vero…i
miei non sono problemi…”. Kris nascose il viso nella spalla dell’amica. “…sono
solo le paranoie di una bambina che vuole esser compatita…una bambina che ha
tutto, che ha sempre avuto tutto dalla vita, ma che non è mai contenta…ecco chi
sono…un’egoista…”.
Nicole la strinse a sé ancora un po’, poi la allontanò, per
guardarla negli occhi.
Scosse la testa.“Ascoltami. Tu e
Alex siete dei ragazzi fantastici, e non avete
proprio nulla da rimproverarvi. E poi, vedrai…tutto si risolverà fra tuo
fratello e Keith”.
Kristine lasciò le braccia della segretaria. “Io…lo spero”.
Detto questo, si girò. Fece un
paio di passi, per poi fermarsi.
L’altra, dietro di lei, la
osservò tristemente. “Kris…”.
“Senti”, disse piano la ragazza,
senza voltarsi, dopo qualche secondo. “Keith…ha fatto
la scelta più giusta decidendo di inseguire il suo sogno?”.
Nicole incrociò le braccia.
“Beh…te l’ ho detto…lei non
aveva capito Alex e Alex
non aveva capito lei…quindi non…”.
“Intendo scegliendo di mettere
in secondo piano i propri sentimenti”.
L’ufficio rimase per un po’
immerso nel silenzio. Anche la luce rossastra del tramonto inondava la stanza,
entrando dalle grandi finestre che davano sulla costa.
Poi, lentamente, Nicole si avvicinò a Kris.
“No, non è giusto”, spiegò,
sorridendo. “Siamo prima di tutto persone, persone con un cuore che batte nel
petto. Persone che hanno bisogno degli altri, sempre…Puoi conquistare il mondo,
puoi essere l’uomo più ricco del pianeta, puoi possedere ogni tipo di bene
materiale, puoi realizzarti come hai sempre sognato, ma…ma senza l’amore,
Kris…senza quei sentimenti e quelle emozioni che ci rendono quello che siamo, e
cioè esseri umani con un’anima, non potrai mai essere davvero felice. I sogni,
sì…sono importantissimi…ma c’è bisogno di trovare un equilibrio…di includere in
tutto questo ciò che spesso dimentichiamo…”.
Kristine si girò. La guardò, gli occhi lucidi.
“…e cosa?”.
“Il cuore”.
La ragazza annuì piano, poi
abbassò la testa .
“Ho…capito”.
“Bene…ne sono felice. Sai, non
penso che Keith…abbia dimenticato l’amore che provava
per Alex. Non avrebbe potuto. E quel giorno…si pentì
sicuramente di quello che aveva detto a tuo fratello. Nonostante tutto, lui la
ha aspettata, e così avrà fatto lei. Vedi, mia sorella non ha mai avuto l’
intenzione di scegliere tra il suo sogno e Alex…”.
“Sì, lo so”.
Nicole appoggiò un dito sotto al mento di Kris e, alzandoglielo
leggermente, la guardò.
“Va tutto bene, piccola?”,
chiese, preoccupata.
L’altra strinse le labbra,
riabbassando con riluttanza il viso. “Credo”.
“Vuoi…parlarmi di qualcosa?”.
“No, stai tranquilla. Io…ora
devo andare”.
“Ma…”.
“Ci sentiamo presto. Dimmi
quando arriverà Keith e non preoccuparti, non dirò ad
Alex che mi hai raccontato tutto”.
Così, senza dire nient’altro, Kristine uscì dall’ufficio di corsa, per dirigersi più in
fretta che poteva agli ascensori.
Lì dentro, avrebbe potuto,
finalmente, continuare a piangere.
Le giornate avevano iniziato
lentamente a farsi più brevi. Il sole calava sull’orizzonte molto presto, e le
strade di Fujisawa piombavano nell’oscurità già nel
tardo pomeriggio.
Silenziosa e ferma, l’aria,
quella sera, avvolgeva ogni cosa ricoprendola da una leggera seta invisibile.
Kris camminava per le vie quasi
deserte, con la testa abbassata, gli occhi fissi sul terreno. Non sapeva
nemmeno dove stava andando, le bastava camminare. Camminare, via, lontano da
tutti.
Girò un angolo, ritrovandosi
accanto a una piccola bancarella illuminata, che vendeva *okonomiyaki.
Si fermò, e guardò con un po’ di invidia il venditore che stava ridacchiando
con i due clienti seduti davanti a lui.
Le sarebbe piaciuto un okonomiyaki. Un buon, caldo okonomiyaki.
Ma…non se la sentiva di fermarsi
alla bancarella. Non con quell’umore.
Non con le lacrime che le
riempivano gli occhi, non facendole vedere più nulla…
Corse via. Si sentiva male…ma
non era solo un dolore fisico…
Magari fosse stato solo
quello…ah, sarebbe stato consolante.
Nicole e Keith…Alex
e Keith…
Aveva saputo…aveva saputo cose
che non avrebbe mai voluto ascoltare.
Cose che forse non avrebbero
toccato e sconvolto altre persone…ma…per lei…era diverso.
E non si trattava solo del
doloroso passato delle due sorelle Henger, ma di
tante, tante altre cose. E, prima fra tutte, il comportamento di Keith.
La ragazza aveva inseguito il
suo sogno…un sogno per il quale aveva sofferto, aveva lottato…
Proprio come aveva fatto lei.
Certo, il caso di Keith era stato naturalmente molto diverso, ma…
Non aveva necessariamente fatto
una scelta. Non aveva deciso di diventare un’altra persona…di dimenticare
quello che era stato…che aveva provato e vissuto…
Vedi, mia sorella non ha mai
avuto l’ intenzione di scegliere tra il suo sogno e Alex…
Era vero. Keith
non si era mai imposta di non amarlo…di dimenticarlo. Sapeva che era sbagliato.
Sapeva che non poteva farlo…
I sogni, sì…sono
importantissimi…ma c’è bisogno di trovare un equilibrio…
Di includere in tutto questo
ciò che spesso dimentichiamo…
Gli aveva chiesto di aspettarla.
Ma lui non aveva capito…
“Nemmeno io avevo capito…”. Kris
continuò a correre, senza fermarsi.
“…ho cercato…di sopprimere i
miei sentimenti…e adesso…adesso…”.
Senza l’amore, Kris…
Senza quei sentimenti e
quelle emozioni che ci rendono quello che siamo, e cioè esseri umani con
un’anima, non potrai mai essere davvero felice.
Nicole…
Oh, come aveva ragione…
Ma perché solo ora si era resa
conto di aver sbagliato?
Aveva aspettato troppo…
Tom…Benji…
Kris si fermò, appoggiandosi
violentemente contro un muretto di pietra, in fondo a una via. Le mani lungo i
fianchi, aperte, sentivano la fredda superficie ruvida dei sassi.
Si accasciò, iniziando a
piangere sommessamente.
Ecco che cos’era. Quel vuoto…
Ora sapeva…
Sapeva cosa le mancava.
Cosa le era sempre mancato.
Ma adesso, forse… era…troppo
tardi.
Pianse a lungo. Pianse per Nicole, per Keith, per Alex.
Pianse per se stessa.
Versò tutte le sue lacrime,
finché non rimase, immobile e in silenzio, a guardare nel vuoto.
Ormai si era fatto tardi. Forse
erano le dieci…
Guardò l’orologio al polso,
alzando lentamente il braccio. Sì, erano le dieci e venti.
Suo fratello era sicuramente
preoccupato. Avrebbe dovuto tornare a casa.
Ma non poteva.
Come lo avrebbe guardato negli
occhi?
Come sarebbe riuscita a salutarlo?
E se poi fosse nuovamente
scoppiata a piangere davanti a lui? Che cosa gli avrebbe raccontato? No, non
voleva che scoprisse che Nicole le aveva detto tutta
la verità…non voleva più che suo fratello si preoccupasse per lei.
Era meglio tenere tutto per sé.
Sì, era molto meglio soffrire da sola.
Chiuse gli occhi, nascondendo il
viso tra le ginocchia, ma proprio in quel momento sentì il cellulare che teneva
in tasca suonare. Lo prese, e guardò sul display.
Fissò il nome lampeggiante per
qualche secondo con aria triste, poi, schiarendosi la voce, si decise a
rispondere.
“Pronto?”, disse mascherando la
voce tremante per il pianto. “Sì…scusa, ti stavo per telefonare…Jude mi ha pregato di rimanere a dormire da lei…già…non
preoccuparti…mh…va, bene, ok…sì,
sì, scusa…la prossima volta ti telefono subito. Grazie…va bene, ciao!”.
Scostò il telefonino
dall’orecchio, e spinse con il pollice uno dei tasti, terminando la telefonata.
Alex…
“Uff…”,
sospirò, guardando per qualche secondo il cielo scuro, senza stelle, sopra di
lei.
Rimise il cellulare in tasca,
poi si rialzò. Non sapeva cosa avrebbe fatto quella notte…magari avrebbe potuto
camminare per tutto il tempo. Ma forse, non era una buona idea.
Attraversò la strada, e proseguì
per una delle vie laterali. Dopo qualche minuto, però, si accorse di trovare
quella zona, in qualche modo, familiare.
“Qui c’è un sacco di verde…e
tutti questi alberi…”, si disse, alzando gli occhi verso l’alto. Si avvicinò ad
una solida recinzione in mattoni, che circondava una proprietà molto ampia. Non
riuscì però a scorgere nulla, perché il muro, alto circa due metri e mezzo,
copriva l’intera visuale. Il buio, poi, non aiutava di certo le cose.
Camminò lungo il perimetro della
recinzione, finché non arrivò ad un piccolo cancello, posto proprio alla fine
della via.
Sembrava l’unica via d’accesso
al grande giardino dietro al muro.
“Sì…mi sembra proprio di
conoscerlo…”, mormorò, cercando di vedere qualcosa oltre le sbarre,
nell’oscurità. Molti alberi, un grande prato, una strana fontana sulla destra
e, oltre a delle siepi, un portico in stile giapponese, illuminato da un paio
di lampioni.
“Deve essere una bella casa”,
commentò Kristine sorridendo. “Magari ci vive una
famiglia…numerosa e felice”.
Rimase ferma, le mani sul cancelletto bianco. Poi, di scatto, abbassò la testa.
“Smettila…perché vuoi a tutti i
costi fare la vittima?”, gridò, serrando le dita intorno alle piccole sbarre
lisce.
Credeva di aver esaurito tutte
le sue lacrime…e invece, si ritrovò ancora con gli occhi annebbiati.
Perché piangere ancora?
No…non sapeva nemmeno questo. In
realtà, forse, era solo confusa.
Stanca, nervosa…sfinita. In
quelle ultime settimane…aveva dovuto fare i conti con troppe domande, troppe
scelte, troppe verità.
E adesso, non ne poteva più.
Avrebbe voluto solo seguire il
suo cuore…per cercare di colmare quel vuoto opprimente che non le lasciava
pace…
Smettendo di mascherarsi,
smettendo di essere chi non era realmente.
Improvvisamente, un rumore di
passi la scosse dai suoi pensieri. Con il volto ancora rigato dalle lacrime, si
girò di lato, verso la figura che stava avanzando speditamente dall’altra parte
della stradina, immersa nell’ombra.
Kristine si appoggiò alla recinzione, e, socchiudendo gli occhi,
cercò di riconoscere la fisionomia del personaggio. Sicuramente, per una
ragazza sola, quella non era un’ora particolarmente adatta per camminare nelle
vie…Kris non ci aveva proprio pensato, e
pur sapendo di somigliare ad un ragazzo in tutto e per tutto, ebbe un
attimo di paura.
Si voltò nuovamente, tentata di
suonare al citofono della grande casa, quando lo sconosciuto si fermò dietro di
lei.
“Ma…Kris?”,
domandò.
“Tu…?”.
La ragazza riconobbe i lineamenti
dell’individuo. “Price!”.
Sì, era proprio Benji. Indossava un lungo impermeabile grigio chiaro, e i
suoi intriganti occhi scuri la stavano guardando stupiti.
“Cosa ci fai in giro a
quest’ora, Grover?”, domandò lui, mettendo le mani
nelle tasche.
Kristine preferì evitare il suo sguardo. “Ecco…nulla di
particolare”.
Benji inclinò la testa, sospettoso. “Mhh…non
credo proprio”.
Cercò di vedere il viso
dell’amico, che però girò di scatto il capo, per nascondere le lacrime.
“Ehi, Kristian…è
successo qualcosa? Non mi pare che tu stia tanto bene”.
“No…no, sto benissimo”, rispose
decisa Kris, continuando a guardare dall’altra parte.
Benji sorrise. “Piantala, si vede che stavi piangendo. Però, se
non ti va di parlarne…”.
Rimase per un po’ in silenzio,
in attesa di una parola dell’amico. Kris, però, rimase zitta.
Price la osservò preoccupato,
poi le mise una mano sulla schiena.
“So che non sono fatti miei,
ma…per caso, hai altri problemi con la tua famiglia?”, chiese cautamente.
A quelle parole, Kristine rialzò la testa. Sentiva il calore della mano di
Price sulla sua scapola. Un tepore che ora le sembrava irradiarsi per tutto il
corpo, dopo tanto, solitario freddo…
“…Sì, ho avuto dei problemi…”,
mormorò.
Dio, come avrebbe voluto
buttarsi nelle sue braccia. Stringerlo, sentire il battito rassicurante del suo
cuore appoggiando la testa sul suo petto…anche solo per una volta. Solo una.
“Mi dispiace…”, disse quindi Benji rammaricato. “E…come mai sei qui? Se non mi sbaglio,
casa tua è quasi dall’altra parte della città…”.
“Già. E per stanotte non penso
che ci tornerò…”, rispose tristemente Kris, senza pensarci troppo. Dopodiché,
si appoggiò al muro.
Il ragazzo dai corti capelli
scuri fissò Kris, non sapendo cos’altro dire.
Poi, avvicinandosi al piccolo cancello bianco, tirò fuori dalla tasca
sinistra dell’impermeabile un mazzo di chiavi, inserendone una nella serratura.
Kristine guardò la porta aprirsi, sorpresa.
“Ma…allora è casa tua?”.
Benji gli restituì lo sguardo, altrettanto sorpreso.
“Certo che lo è…non l’avevi
riconosciuta? Questa è l’entrata sul retro. Sai, ero uscito per accompagnare Freddie al taxi che è appena partito per portarlo
all’aeroporto di Narita. Deve prendere un volo per
Parigi, dove incontrerà Kirk Parson…non
so esattamente i motivi del loro incontro. Forse c’entrano i prossimi
Europei…ma in ogni caso, credo che non si vedessero da molto tempo”.
Kristine annuì. “Sì…Kirk Parson…ne ho…sentito parlare”.
Price aprì il cancelletto, e dopo aver estratto la chiave, si rivolse
ancora all’amico, dopo un attimo di esitazione.
“Senti, Grover…non
pretendo che tu mi racconti cosa ti è successo, ma…di certo non me la sento di
lasciarti vagabondare una notte intera a Fujisawa.
Quindi, senti…perché non rimani a dormire da me? Non ci sarebbe alcun problema,
te lo assicuro…e adesso che Freddie non c’è, mi
farebbe piacere avere un po’ di compagnia”.
Kris si irrigidì.
Aveva…sentito bene?
“Dormire…da te?”, ripeté,
sentendosi avvampare il viso.
Improvvisamente, il cuore iniziò
a batterle all’impazzata...
“Sì…davvero, mi farebbe solo
piacere”.
La ragazza si staccò dalla
recinzione e si voltò, avvicinandosi all’amico.
Dormire da Price…beh, di sicuro
non si sarebbe mai aspettata un invito simile. Certo, per Benji
lei era solo il suo caro amico Kristian, quindi nulla
di strano, ma…ma…
Ma lei…lei era una ragazza. E
questo piccolo dettaglio complicava abbastanza le cose.
Ma non era solo questo…
Price…
Non gli era certo indifferente…
Era attratta da lui…perdutamente
attratta.
Ecco, era un altro trascurabile,
irrilevante problema.
“Kris? Allora, ci stai?”. Benji la stava guardando, sorridendole cordiale.
La ragazza incrociò le braccia,
tremendamente indecisa.
Se da una parte aveva una paura
terribile di essere scoperta, dall’altra…
Beh…
Non le sarebbe dispiaciuto così
tanto passare una notte da Price…
“Il mio cuore…non devo
dimenticare il mio cuore…”, pensò tra sé, ricordando le parole di Nicole. “Però…no, non posso di certo abbandonare i miei
sogni”.
Cancellò subito dalla mente i
ragionamenti di qualche ora prima. L’amica, infatti, non le aveva certo detto
di seguire i propri sentimenti non considerando la realizzazione personale…
Strinse le braccia al petto, poi
abbassò lo sguardo.
“Ma…se…se potrò passare questi
pochi momenti con Price, io…sarò…sarò felice così. Per adesso…mi basterà”.
Kristine annuì.
“Va bene, Benji”,
esclamò quindi, mostrando, finalmente, un sorriso sincero. “Mi dispiace solo
che tu debba disturbarti per me…”.
L’altro scosse la testa,
sorridendo a sua volta.
“Ma come te lo devo dire? Nessun
disturbo! E poi, come posso non aiutare un amico in difficoltà? Forza, vieni
dentro…ci faremo anche una bella chiacchierata”.
La ragazza varcò il cancello e,
felice, si girò verso Benji. Dietro di lei, il
ragazzo lo richiuse, spingendolo leggermente con una mano.
Kris aspettò che Price la
raggiungesse, poi iniziò a camminargli a fianco, attraversando il piccolo
giardino del retro per arrivare al delizioso ingresso nel portico. Opposto allo
stile dell’immensa villa, grandiosamente occidentale, possedeva però, proprio
per questo motivo, un qualcosa di consolante e pieno di calore….
Dei piccoli pipistrelli
passarono silenziosamente qualche metro sopra le loro teste, veloci e scuri.
Kristine taceva. Sapeva che stava andando incontro a un grande
rischio. Ma in quel momento, nulla le importava più.
Benji era comparso davanti a lei ancora una volta.
E, ancora una volta, in un momento
difficile, lei era arrivata davanti a casa sua, per caso…
Proprio come un angelo, Price la
proteggeva, la rassicurava…
La ritrovava…sempre.
O forse…era lei a ritrovare lui.
Senza l’amore, Kris…
Senza quei sentimenti e
quelle emozioni che ci rendono quello che siamo,
e cioè esseri umani con
un’anima, non potrai mai essere davvero felice.
La ragazza salì il piccolo
scalino di legno, e, seguendo il portiere, scomparve con lui dietro agli *shoji che dividevano l’interno della villa dall’intimo
giardino avvolto nelle ombre di quella strana e muta notte.
E l’aria, proprio come quella
trasportata dalla costa fin su, all’ufficio di Nicole,
sapeva di sale.
Un profumo lieve e nostalgico.
Così triste. |
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Capitolo 12 *** Notte Amara ***
“Carina quest’area
della casa”.
“Grazie. Sai, anche
la mia camera è in stile tradizionale…non rinuncerei ai *futon per nulla al
mondo! Alcuni anni fa era arredata con mobili occidentali, ma di recente l’ ho
trasformata”.
Benji si sedette
sul divano beige del salotto, e appoggiando i gomiti sulle ginocchia guardò
Kris, accomodatasi sulla poltrona davanti a lui. Composta e immobile, la
ragazza teneva le braccia incrociate sullo stomaco e lo sguardo basso.
“Kristian…”,
osservò Price preoccupato. “Te lo ripeto ancora…sei certo di stare bene? Sei
molto pallido”.
Grover abbozzò un
sorriso.
“Lo so”.
Allungò i piedi, e
si appoggiò allo schienale. Sapeva sì di non stare bene. Aveva un gran mal di
testa e, probabilmente, persino qualche linea di febbre. E già…andava sempre
meglio…
“Non è stata una
bella serata”. Disse quella frase senza intonazione, con voce piatta.
Price aveva imitato
l’amico, appoggiandosi sui cuscini del divano. Lo guardò, per poi sospirare
piano.
“Questo l’avevo capito”.
Rimase muto ad
aspettare che Kris dicesse qualcosa, ma ancora una volta il ragazzo non aprì
bocca.
“So che non ti va
di parlare, e lo comprendo. Ma ti prego almeno di cercare di allontanare la
tensione…non ti fa certo bene continuare a pensare ai tuoi problemi”, le disse
quindi il portiere con calma.
Kristine alzò
lentamente la testa. “Non ci riesco”.
“Mi dispiace.
Vorrei poter fare qualcosa”.
“Figurati, non
pensarci nemmeno. Per me vuol dire già tanto avere un amico come te”.
I due rimasero in
silenzio. Ad un tratto, un ticchettio sommesso catturò l’attenzione di Kris,
che si girò a guardare verso l’unica finestra del piccolo salotto, alla sua
destra.
“Guarda, sta
piovendo”.
“Già. Meno male che
non sei là fuori a bagnarti”.
“E’ stata una bella
fortuna essere capitato davanti a casa tua”.
Il rumore della
pioggia, leggera e fitta, riempiva la stanza, creando fra quelle quattro pareti
una sorta di dimensione sospesa, intoccabile, confinata in un tempo e in uno
spazio unicamente per loro due…o almeno, era questo che avrebbe desiderato
Kris. Sarebbe stato tutto perfetto. Tutto assolutamente perfetto…
Se solo,
ovviamente, al posto di Kristian ci fosse stata Kristine.
Si trovava immersa
in una strana sensazione, anzi, in più sensazioni. Come intontita da una droga,
stava perdendo il contatto con la realtà, precipitando in uno strano stato. Di
certo, la febbre faceva la sua parte.
Socchiuse gli
occhi, concentrandosi sul suono continuo prodotto dall’acqua.
La dominava la
tristezza per ciò che era accaduto quella sera…una tristezza che ormai sentiva
radicata dentro di sé, difficile da estirpare.
Ma anche questa
nuova felicità. Quella di trovarsi da sola con Price. Il calore che sapeva
comunicarle, solo con la sua presenza.
Era incredibile.
“Kris…”, mormorò Benji,
alzandosi. Proprio in quel momento, però, qualcuno bussò alla porta. Comparve
sulla soglia una signora sulla sessantina, i capelli grigi raccolti sulla nuca,
il viso gentile e materno, ormai pieno di rughe.
“Buonasera
signorino, ecco…non l’ ho sentita rientrare”, disse con una voce un po’ roca.
“Passando in corridoio ho sentito delle voci, e così sono venuta a
controllare”.
Price sorrise
all’anziana domestica. “Grazie Rose, scusami se non ti ho avvertito. Stasera
abbiamo un ospite, si chiama Kristian, e si fermerà anche per la notte. Kris,
questa è Rose, lavora qui da moltissimo tempo”.
La signora si voltò
verso Kristine, e inchinandosi la salutò. La ragazza rispose al saluto, un po’
sorpresa da quella apparizione improvvisa.
“Vuole che prepari
al suo amico la stanza accanto alla sua, signorino?”, chiese poi Rose
avvicinandosi ai due.
Price rimase
qualche secondo a pensare. Poi, girandosi verso Kris, scosse la testa.
“Mh, no, direi di
no. Pensavo di far dormire Kristian nella mia stanza, basterà aggiungere un
altro futon. Tu che ne pensi? Sei d’accordo?”.
La ragazza venne
percorsa da un brivido. Nella stessa stanza??
“Dio santo”, pensò
Kris, cercando però di apparire più calma possibile. “Cosa ti viene in mente,
Benji?? Tu non lo sai, ma io…”.
Niente da fare.
Come mentire a se stessa?
La cosa le appariva
semplicemente, puramente splendida.
Altro che terrore
di essere scoperta.
Era una proposta
incredibilmente allettante…
“Certo! Non ci sono
problemi!”, rispose quindi, senza mostrare l’eccessivo entusiasmo.
Price sorrise.
“Bene. Come ti ho già detto, non ho mai avuto molta compagnia. E chiacchierare
un po’ non mi dispiacerebbe”.
La signora Rose
annuì, ma prima di uscire si rivolse un’ultima volta ai ragazzi, chiedendo loro
se per caso gradissero del the.
Benji si girò verso
Grover, ma l’amico agitò una mano rifiutando gentilmente l’offerta. Il
portiere, allora, congedò Rose che, salutando, uscì dalla stanza.
“Mi dispiace,
magari tu lo volevi”, disse Kris, staccandosi dallo schienale.
Il ragazzo scosse
il capo. “No, tranquillo…sai, l’avrò detto a Rose un milione di volte, ma
quella donna non ha una grande memoria, ecco. Io odio il the…lo odiavo fin da
quando ero bambino, ma spesso e volentieri mi costringevano a berlo!”.
Ridacchiò.
“Pregavo che anche
tu rifiutassi, sai…altrimenti sarei stato costretto a prenderlo con te per
educazione!”.
Continuò a ridere,
mentre Kris, davanti a lui, lo osservava con due occhi pieni di dolcezza.
Quando rideva in
quel modo…sereno, spensierato…era…era bellissimo.
Price era così
oscuro, certe volte. Così chiaro e aperto, in altre.
Entrambe le sue
facce avevano, però, un qualcosa di ugualmente affascinante, attraente,
intrigante. Indispensabile.
E lei, si accorgeva
di amarlo sempre di più anche per questo…
“Eh eh…anch’io non amo
particolarmente il the…”, disse Kris improvvisamente di buon umore, contagiata
da Price.
Il ragazzo alzò la
testa di scatto, sporgendosi in avanti. “Cosa??”, esclamò.
“Che c’è?”.
“Hai riso!”.
“Beh…”.
Price incrociò le
braccia, trionfante. “Sono riuscito a tirarti su, finalmente!”
Kris sorrise.
“Mmmh…un po’, sì”.
L’amico la fissò.
“Non so cos’altro fare per aiutarti”, mormorò piano, cambiando il tono di voce.
Benji aveva
nuovamente posato il suo sguardo su di lei, e Kristine si accorse di non
riuscire più a staccare gli occhi dai suoi.
Poteva tradirsi.
Avrebbe voluto tradirsi. Parlare. Mormorare poche parole.
Non ci sarebbe
voluto nulla…
Poi…
Alzarsi,
avvicinarsi a lui…
Sedersi sulle sue
ginocchia…
Accarezzargli una
guancia…le labbra…facendo scendere le dita giù per il collo, il petto…
Risalire, portando
la mano oltre la spalla…
Stringerla
all’altro braccio, per stringere lui…
Avvicinare il viso,
lentamente, al suo…
Guardarlo,
cogliendo le emozioni e i pensieri nei suoi occhi neri…
Accostare la bocca
alla sua…
E baciarlo.
Baciarlo come non avrebbe mai pensato di fare…
Baciarlo…
E poi…
“Posso offrirti
qualcos’altro?”.
Kris tornò alla
realtà. A malavoglia…
“Eh?”. Appoggiò le
mani sui braccioli della poltrona, avvinghiandosi alla stoffa che la ricopriva,
nervosa. Si rese conto di avere, improvvisamente, un caldo terribile.
Addirittura sudava.
“Kris…sei diventato
rosso…che ti prende?”, chiese Benji alzandosi. Si avvicinò a lei.
La ragazza saltò in
piedi, e sorridendo, scosse il capo. “Nulla, nulla!”.
Si voltò, cercando
qualcosa, una qualunque cosa le potesse ispirare una frase intelligente da
dire…
Si ritrovò davanti
una cristalliera in legno, piena di alcolici, liquori e vini. Erano allineati
con cura meticolosa, e si potevano notare diverse etichette molto pregiate e
costose, alcune ancora sigillate.
“Uao”, commentò,
osservando l’interno delle vetrine. “Bella scelta…”.
Benji si accostò a
lei. “Queste sono le marche preferite da Freddie…mh…sì, devo ammetterlo.
Nemmeno a me dispiace bere…sfortunatamente il mio caro allenatore non mi ha
dato un bell’esempio. Ma devo dire che reggo bene l’alcool”.
Kris si voltò,
esterrefatta.
“Scherzi?”.
“Eh eh…Sei
scandalizzato?”.
“No, no! Non è
questo…”.
Il ragazzo aprì uno
dei vetri, prendendo una bottiglia di vodka alla pesca.
“Comunque io mi
accontento di poco…che ne dici di questo?”. Anche se aveva posto una domanda,
Price non attese nemmeno la risposta di Kris, e prendendo due bicchieri da un
ripiano dell’armadio, ritornò verso il salotto.
Grover rimase in
piedi accanto alla cristalliera. Sembrava proprio la tipica scena di un film…il
ragazzo invita la ragazza a casa sua, i due chiacchierano un po’, poi lui offre
innocentemente da bere all’amica…mh, finale scontato, ovviamente.
L’unica cosa che
differiva, nel loro caso, era che lei, per Benji, non era una ragazza.
“Diamine”, pensò
ironicamente, cercando di riderci su. “Che peccato”.
Già, riderci su.
Riderci su e basta…
“Ok, non ho mai
provato la vodka alla pesca”.
Price la guardò di
traverso, mentre versava il superalcolico nei calici appoggiati sul tavolino
fra i divani.
“Davvero? Non è che
sei astemio?”.
“Oh, no…è solo che
ho sempre bevuto altre cose”.
Beh, in realtà era
vero…Kris non era mai andata al di là di un aperitivo, o al massimo di una
birra. Beh, sì, le era capitato anche dello champagne…ma comunque non era il
caso di specificarlo a Benji…
“Ah, bene. Beh, c’è
sempre una prima volta, no?”.
Il ragazzo porse il
bicchiere all’amico, per poi sedersi. Accostò il bordo alla bocca, e dopo aver
dato il primo sorso, rise.
“Stavo pensando che
forse preferiresti essere qui con la tua amica, Judith. Sicuramente sarebbe più
sensato!”, esclamò con una punta di malizia.
Kris, con ancora il
bicchiere in mano, lo guardò male. “Ehm…non credo…”, disse poi un po’ a bassa
voce, riflettendo sull’assurdità di certe situazioni. Lei stava bevendo in
compagnia di Benji, il ragazzo che le piaceva, da sola, mentre lui, a cui la
cosa appariva assolutamente normale, le diceva che certamente sarebbe stato
molto romantico se lei fosse stata in compagnia della sua amica Jude…
Il liquido denso,
lievemente rosato, profumava intensamente di pesca. Kris avvicinò le labbra al
vetro, e dopo aver mandato al diavolo i suoi pensieri, bevve.
“Ehm, Kristian,
penso che tu ora stia un po’ esagerando…”.
Era passato diverso
tempo da quando Benji e Kris avevano iniziato a bere. Ma mentre Price si era
fermato a due soli bicchieri, Kristine…era arrivata a cinque.
E adesso, stava
versandosi il sesto.
“Ma no, io non
penso…”, mormorò con una strana intonazione la ragazza, cercando di tener ferma
la bottiglia mentre la accostava al calice. “Posso beniss…benissimo berne…un
altro…già…”.
Benji guardò
preoccupato l’amico, e scotendo la testa, sospirò. “Mi sa che non avrei dovuti
proporti la vodka…”.
“Ma che dici, è
buonissima! Mh…”. La ragazza buttò giù in un attimo anche il sesto bicchiere,
poi, abbassando lentamente il braccio, fissò Price.
“Dovremmo
incontrarci più volte, noi due, sai? E’ stata una seratina fantastica…certo, ho
avuto i miei…uhmm…sì, i miei problemi…ho sentito proprio di tuuutto…fidanzati
che litigano, la storia di due orfane olandesi…cose dell’altro mondo! Mh…però è
stato divertente”. Kristine strascicava le parole.
“Dovresti sentirle
anche tu…mh, ecco…un giorno te le racconterò…”.
Sorrise, per poi
lasciarsi cadere a peso morto, sprofondando nella poltrona.
Benji strinse le
labbra. Si passò una mano fra i capelli, la testa abbassata.
“Kristian, forse è
meglio se andiamo a dormire, non credi? Un po’ di sonno ti farà bene”.
Rialzò il viso, per
osservare tristemente Kris. L’alcool lo stava facendo sfogare…
L’amico, però, lo
fulminò con un’occhiata urtata.
“Non te ne frega
niente, eh?”, esclamò con irritazione. “Ma certo, a nessuno possono interessare
i miei problemi…come potrebbero? Mi sento un fallimento da una vita…nessuno ha
mai avuto bisogno di me…ho sempre dovuto chiedere sostegno agli altri…e
oggi…oggi mi arriva il colpo di grazia…è stata una delle giornate più brutte
della mia vita, e tu, la sola cosa che mi sai dire è ‘ forse è meglio se
andiamo a dormire’? Bell’amico…non c’è che dire…”.
Improvvisamente, la
ragazza si rialzò, e camminando decisa verso il portiere, si fermò davanti a
lui. Si inchinò, e arrivando a venti centimetri dal suo viso, gli sussurrò
poche parole.
“Tu non sai chi
sono in realtà. Io mi odio”.
Price la fissò, gli
occhi spalancati. Poi, seriamente, parlò all’amico, avvicinandosi
ulteriormente.
“Perché ti odi,
Kris?”.
“Perché nemmeno io
so più chi sono, ormai, e nemmeno chi voglio essere”.
“Perché non provi a
raccontarmelo?”.
La ragazza restò
ferma qualche secondo, per poi allontanare i suoi occhi castani da quelli scuri
di Price. Si voltò. Lentamente, giunse davanti ai vetri della cristalliera
degli alcolici.
“Raccontartelo?”.
Kris guardò la sua
immagine riflessa, in silenzio. Poi, ad un tratto, scoppiò a ridere.
“Ah ah ah!
Raccontartelo! Se potessi raccontartelo non mi odierei, sai? Ah ah ah! La
colpa, tu non lo sai, ma è tua! Sì, tua e di Kristian, che è nato solo per
soddisfare il capriccio di un’idiota! Sì, uno stupido sogno di uno stupido
idiota! E chi è a farne le spese, eh, chi? Chi soffre perché pur essendo
vicinissimo a ciò che ama, non potrà mai averlo? Chi?! Chi??”.
Le parole urlate
senza ritegno da Kris riempirono la stanza, risuonando nella grande villa. Poi,
dopo pochi istanti di silenzio, Benji si alzò. Nei suoi occhi c’era dolore, e
pena.
“Non lo so, Kris.
Non so chi ne fa le spese. So solo che ora ciò di cui hai bisogno è riposo”.
Il ragazzo rimase
immobile, mentre Kristine, dietro alla poltrona, respirava a fatica, appoggiata
con una mano allo schienale.
Forse stava per
svenire…ogni cosa, intorno a lei, girava. A tratti, delle macchie scure le
coprivano la vista.
Ebbe un attimo di
lucidità, e arrancando verso Price, afferrò con una mano un lembo della sua
camicia.
Aggrappata a lui,
riuscì a dire un’unica parola.
“Scusami”.
Il portiere non
fece in tempo ad aprire bocca, che Kris perse i sensi, cadendo in avanti. Benji
riuscì a prenderlo al volo, e sorreggendolo, passò poi un braccio del ragazzo
dietro al collo.
Trascinandolo a
forza, arrivò con lui al piano superiore. Dopo aver attraversato il lungo
corridoio, entrò finalmente nella sua stanza, e, inchinandosi, lo fece sedere a
terra, appoggiandolo momentaneamente contro una delle pareti.
Dopo aver preso
dall’ *oshiire i futon, li stese a terra, l’uno a poca distanza dall’altro. Poi
ritornò da Kris, che dormiva silenziosamente con la testa reclinata da un lato.
Adesso, la sua espressione sembrava più rilassata, e il respiro era regolare.
“Non penso che mi
debba più preoccupare per lui, o almeno per stasera”, si disse Benji
riacquistando un po’ di tranquillità. Scostò la schiena dell’amico dal muro, e
abbassando la cerniera della tuta, gli sfilò la giacca, lasciandolo in t-shirt.
Lo rialzò, fino a
portarlo a uno dei futon. Dopo averlo fatto sdraiare, lo coprì con la trapunta.
“Ecco fatto”, disse
quindi Price, stiracchiandosi le braccia. “Fortunatamente Kris pesa molto poco.
Però, devo dire che queste settimane di allenamento gli sono servite. I suoi
muscoli si sono inequivocabilmente sviluppati…”.
Il ragazzo
sbadigliò, e portandosi una mano alla bocca, sorrise.
“E’ davvero
pazzesco, sembriamo quasi due fratelli. Mah…”. Osservò addolorato il ragazzo.
“Chissà cosa ha
passato…cosa non può dirmi. Kris deve avere molti problemi…purtroppo. E devono
essere cose serie…”.
La pioggia
continuava a scendere, incessante, e le gocce d’acqua scivolavano sul vetro
delle finestre della camera di Price. Il portiere voltò la testa, e
avvicinandosi ad una di esse, diede un’occhiata fuori.
“Il cielo è
coperto. Non c’è…nemmeno una stella”.
Un fulmine, seguito
immediatamente dal relativo tuono, illuminò per un attimo il cielo scuro.
Benji sussultò.
Ebbe l’improvvisa, spiacevole sensazione che presto qualcosa…sarebbe cambiato.
Presto sarebbero cambiate
molte cose.
Ma…
In che
modo…sarebbero cambiate?
Si sbottonò la
camicia e si sfilò i jeans. Dopo averli abbandonati su una sedia di fianco alla
scrivania, in un angolo della stanza, indossò dei leggeri pantaloni di cotone
per la notte. Dopodiché, si sdraiò nel suo futon, a destra rispetto a quello di
Kristian.
Rimase per un po’
immobile, con gli occhi spalancati, ad ascoltare il silenzio, aspettando che
l’inquietudine per quello strano presentimento si allontanasse. Poi, finalmente
rasserenato, forse cullato dal ticchettio della pioggia, chiuse gli occhi,
lasciando che il sonno si impadronisse di lui.
Erano forse le tre,
quando Benji si svegliò di soprassalto. Per un attimo credette che la causa
fosse stata un tuono molto forte, ma alzando leggermente lo sguardo verso la
finestra vide, invece, che l’acqua aveva smesso di cadere. Il temporale si era
allontanato.
Non udiva alcun
rumore, tanto che il silenzio che regnava nella stanza sembrava appesantire
l’aria, come una coltre di fumo densa ma invisibile. Si stropicciò gli occhi.
Probabilmente doveva aver avuto caldo, perché la trapunta del futon gli copriva
solamente le gambe, mentre il resto del corpo era scoperto.
“Fa più freddo,
ora”, pensò fra sé, mentre, infastidito, allungava un braccio per afferrare la
coperta. Improvvisamente, però, si rese conto che qualcosa gli bloccava i
movimenti…girò il capo, e guardando all’altezza del costato vide una mano
aperta.
Chiara nel buio
della camera, illuminata lievemente solo dalle luci artificiali che entravano
dalle finestre, lo stringeva con forza, impedendogli una torsione.
“Ma…”, sussurrò
incredulo, non riuscendo a capire, per qualche istante, da dove provenissero
quelle affusolate e pallide dita. Poi…
Poi si ricordò di
Kris. Kris stava dormendo di fianco a lui, nel secondo futon.
“Kristian?”,
mormorò Price lentamente, udendo dei fruscii dietro a sé.
Un altro lieve
spostamento di lenzuola, un rumore e…
E Benji sentì il
braccio dell’amico scendere sul suo stomaco…
Mentre lo stringeva
sempre più…
Sulla schiena
poteva sentire il tessuto della t-shirt di Grover, il corpo del ragazzo che
aderiva alla sua pelle…
“Price…”.
Solo un bisbiglio.
Kris stava parlando nel sonno…
“…non sono chi tu
credi…io…”.
No!
Cosa…cosa stava
facendo Grover?
Lo stava…lo stava
toccando?
Dapprima ferma
sullo stomaco, la mano salì lentamente sul petto. Leggera, questa volta. Sì,
lieve, ma insieme decisa…
Decisa…lo
accarezzava, delineando, con le dita, i contorni dei suoi muscoli, delle
scapole, del collo…
Lo accarezzava, lo
toccava…era…
Sensuale…
In quel tocco c’era
qualcosa di indubbiamente sensuale…
No…non era
possibile!
Perché?
Cosa…cosa stava
succedendo??
“…io ti amo…”.
Seguirono alcuni
secondi di silenzio. Benji, immobile, aveva gli occhi spalancati.
Gocce di sudore
freddo gli scendevano giù, ai lati delle guance, e gli imperlavano la fronte.
Non poteva aver
sentito bene. Non poteva aver sentito quelle parole, no…
Forse…forse Grover
era ancora ubriaco…ma certo, doveva essere così…
Non sapeva quello
che stava dicendo!
“Ti amo…”.
Le dita di Kris si
mossero ancora, arrivando nuovamente sotto il petto, e poi ancora…scesero sul
ventre…e…
“Ora basta!”.
Price, liberatosi
seppur a fatica dalla stretta di Kris, era balzato in piedi, e adesso, di
fianco al futon, fissava shockato l’amico.
L’amico…?
“No, non può
essere, non…ci voglio credere!”, sussurrò accaldato il portiere, le mani
strette a pugno lungo i fianchi.
Kristian…si
era…davvero innamorato di lui?
No, no…era una
follia…dopo tutto quello che si erano detti, dopo…quelle settimane, Benji aveva
creduto di aver trovato qualcuno con il quale confidarsi, qualcuno simile a
lui, così simile da potersi fidare di Kris come di se stesso…
Contava su di lui…
Pensava di aver
trovato…sì, un vero amico…
E invece…
Quello che Kristian
provava andava al di là di una semplice amicizia…
Tu non sai chi sono
in realtà. Io mi odio…
Era sempre stato
evidente…
Perché nemmeno io
so più chi sono, ormai, e nemmeno chi voglio essere!
Se potessi
raccontartelo non mi odierei, sai?
Non era riuscito a
capirlo.
Chi soffre perché
pur essendo vicinissimo a ciò che ama, non potrà mai averlo? Chi?! Chi??
“E così è questa la
verità”, mormorò il ragazzo con voce incolore, guardando Kristian che, ancora
steso nel suo futon, seguitava a dormire tranquillo, naturalmente ignaro di ciò
che era appena successo…
Benji avrebbe
dovuto provare comprensione…
Avrebbe dovuto
provare tolleranza…
Avrebbe dovuto
provare tutto, tutto fuorché ciò che, in quel momento, sentì emergere dentro di
sé.
Un sentimento che
credeva allontanato…
Quel sentimento che
l’aveva reso egoista, che l’aveva reso un’isola…
“Mi dispiace,
Kris”, pensò fra sé il ragazzo bruno, chiudendo gli occhi. “Questo…non me lo
dovevi fare. Non posso accettarlo. E’ stata una delusione, è stato…troppo, per
me. Come posso considerarti ancora nello stesso modo di prima? Io…”.
Bloccò i suoi
pensieri. Si impose di farlo. Non era giusto.
Kris avrebbe
sofferto. Indubbiamente avrebbe sofferto…
Ma purtroppo, Benji
sapeva fin troppo bene che quella era una situazione che non poteva reggere.
Sapeva fin troppo
bene come era fatto. Sapeva…di non essere cambiato.
Scosse il capo con
violenza, combattuto. Dopo pochi istanti, però, riaprì gli occhi.
Li abbassò ancora
su Kris.
“Il mio orgoglio
non mi permette di far finta di nulla. Spero riuscirai a perdonarmi, un giorno,
ma…”.
Occhi duri,
occhi…gelidi. Gelidi e vuoti. Ecco com’era il nuovo sguardo di Price.
“…ma da stanotte,
la nostra amicizia è finita. Per sempre”.
*NOTE:
futon: materassi
e trapunte per la notte utilizzate dai giapponesi. Si stendono sul pavimento la
sera, per riporli negli oshiire di giorno.
oshiire: l’armadio
a muro della casa giapponese tradizionale. Chiuso da pannelli scorrevoli detti
fusuma, simili agli shoji, oltre che per la biancheria e il vestiario vengono
usati anche per riporvi i futon durante il giorno. |
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Capitolo 13 *** Iniziano i Guai ***
Kristine si rese conto di non
essere nella sua stanza nel momento in cui, socchiudendo gli occhi, vide il
pavimento…o meglio, il *tatami, alla stessa altezza
del suo sguardo.
E,
improvvisamente, uscendo da uno stato a metà tra il sonno e la veglia, si
ritrovò seduta sul materasso del futon, con i grandi
occhi castani spalancati. La luce entrava da una finestra
alla sua destra, aperta su una porzione di cielo che tristemente, quel mattino,
appariva coperto e grigio.
“Ma…ma
dove sono??”, si disse, agitata. “Qualcosa…non quadra nei miei ricordi…”.
Lei…la sera prima…
Aveva
parlato con Nicole…all’hotel…era
scappata via, aveva vagato per Fujisawa, e poi…poi…
“Ah, sei sveglio”,
notò una voce conosciuta, di fianco a lui.
Kris Grover si voltò. Benjamin Price
la fissava senza una particolare espressione, in piedi accanto allo shoji aperto. Indossava una felpa verde scuro, con colletto
a zip, e dei jeans neri un po’ sbiaditi. Sul capo, il
suo solito cappello portafortuna. Pensandoci bene, però, era da tanto che non
lo indossava...
“P…Price?”,
balbettò quindi la ragazza, fissando l’amico, in preda all’amnesia più totale.
Era…a casa di
Price?
Nella sua stanza??
Cosa
ci faceva lì??
Poi, ad un tratto…
Ad un tratto si
ricordò dell’incontro con il portiere…e del suo invito…
Avevano passato la
serata a parlare, in quel salotto…pioveva, e poi…Benji
le aveva offerto da bere…vodka. Sì, era… stata vodka.
"Sono le nove
e un quarto. E’ sabato, sicuramente avrai qualcosa da
fare. La tua giacca è sopra la sedia, e il bagno sai
dov’è…”.
Benji
la fissò ancora per pochi istanti, poi si voltò,
richiudendo il pannello scorrevole. Kris osservò esterrefatta
l’ombra dell’amico allontanarsi dietro lo shoji, poi,
sempre più incredula, si stropicciò gli occhi.
Era completamente
spaesata…
Non riusciva a
ricordare il momento in cui era salita nella stanza del portiere. Per quanto si
sforzasse, non ci riusciva…
Cos’era successo?
Quei pochi
bicchieri, la sera prima, e…
Stop. Nessun’altra
immagine. Si ricordava solo di non essere stata molto bene…mh, sì, sicuramente su quello non si poteva
sbagliare.
“Che
confusione…e che mal di testa…”, mormorò piano la ragazza, portandosi una mano
alla fronte. Un dolore continuo continuava a martellarle le tempie, impedendole
di pensare. No, no…
Non era
possibile…come poteva non ricordarsi nulla?
Si alzò lentamente,
per poi, però, sbilanciarsi. Per non cadere, si appoggiò contro un muro. Si
sentiva ancora male…probabilmente si trattava di un calo di zuccheri…era da
poco meno di ventiquattro ore che non toccava cibo.
“Che
fame…”, si disse, mentre cercava di avvicinarsi alla sedia sulla quale era
appoggiata la giacca della sua tuta. Se la infilò,
sospirando stanca.
“Nonostante
tutto, però…mi pare che la situazione sia ok…per Benji sono ancora Kristian”,
pensò, tornando con la mente al portiere. Si avvicinò al pannello, e lo aprì
con forza. Diede un’occhiata al lungo corridoio, ma
dell’amico nemmeno l’ombra. Decise allora di andarsi a dare
una rinfrescata…sì, lo avrebbe cercato poi.
Dopo alcuni minuti
uscì dal bagno, e attraversò il piano per arrivare, parecchi metri dopo,
all’elegante scalone di marmo che troneggiava in mezzo all’ ingresso.
Scese i gradini coperti da un morbido tappeto blu, e cercando con lo sguardo
Price, lo notò in un angolo, fermo davanti a una
vetrata a fissare un punto all’esterno.
Proprio come quella
sera, la sera in cui lei era venuta a casa di Benji
la prima volta, il suo sguardo era triste…
Ma
quella mattina…
Quella mattina i
suoi occhi nascondevano un altro sentimento.
“Benji…oggi è strano”, pensò Kris, guardando il portiere pensierosa. “Sembra…lontano…”.
Si avvicinò piano
al ragazzo, e sorridendo come meglio poteva, lo salutò di nuovo.
“Ehm…senti…”, disse
quindi. “Volevo ringraziarti…grazie davvero per avermi ospitato e…beh, se c’è
un modo con cui potrò ricambiare, in futur…”.
“No, va bene così,
non ce n’è bisogno. Non mi devi ringraziare”, la interruppe
bruscamente Price, senza spostare il viso.
Kris rimase un
attimo senza parole, interdetta, poi, alzando le spalle, riprese a parlare.
“Oh…beh…ok…comunque…io volevo chiederti
anche una cosa…ecco, ti sembrerà stupido, ma…credo di avere una piccola
amnesia…non ricordo più cos’è successo ieri sera, e quindi se tu…”.
Ma
il ragazzo la bloccò nuovamente. Come irritato, si voltò, nascondendo il viso a
Grover.
“E’ meglio che tu
vada via, ora. Io ho molte cose da fare, e visto che domani abbiamo
un altro incontro, faresti meglio a riposarti. O ad
allenarti, se lo ritieni necessario”.
Price rimase fermo,
di spalle rispetto a Kris che, incredula, lo fissava, cercando di convincersi
che quello con cui stava parlando fosse davvero Benji. Il suo tono…sembrava…così duro. Ma
soprattutto…scocciato.
“Ecco…posso
allenarmi qui…se vuoi, io…”.
“No”.
La risposta secca
del ragazzo risuonò nella sala, ripetendosi più volte. Un
alito freddo, anzi, gelido, parve avvolgere Kristine,
che si strinse nelle braccia. Cosa…cosa era
successo a Benji?
“Non ti allenerai più qui. Lo farai solo al campo, anche se probabilmente
lascerò che d’ora in poi ti aiuti Becker”.
“Tom? Ma tu non avevi detto che…”.
“Ma
ora ho cambiato idea”.
“E’ per colpa della
gamba? Hai bisogno di altro riposo? Perché
se…”.
“No, non c’entra. E smettila di farmi domande”.
Detto questo, Price
si girò e, superandola, arrivò a passo spedito al portone.
Kristine
non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi, per capire che Price lo aveva aperto.
Sì, Benji le stava gentilmente chiedendo di andarsene.
“Allora…ciao”,
mormorò a bassa voce la ragazza, fermandosi di fianco all’amico.
Ma
Price non disse nulla. Lo sguardo, assente, era rivolto a
lato, remoto, distante anni luce da lei...
L’atmosfera cupa e
grigia di quel freddo mattino autunnale circondava i
due ragazzi, come se niente ci fosse più, oltre a quella immensa tristezza,
quel distacco. Oltre a quel dolore, che Kris sentiva crescere dentro di sé, e
salire, come una marea inarrestabile…
Trattenendo a
fatica le lacrime, corse via, attraversando il grande
giardino della villa con gli occhi chiusi…
Basta…
Non voleva più
piangere, no…
E
quello…
No, no! Non era
Price!
Lui non l’avrebbe
mai trattata così…
Non avrebbe mai
trattato in quel modo il suo…il suo amico Kristian…
Oltrepassato anche
il cancello argentato, continuò a correre per qualche metro, per poi fermarsi.
Si passò il dorso della mano sugli occhi. Cos’era successo?
Cosa era successo a Benji?
La sera prima…tutto…era andato così bene…lui…l’aveva
consolata, le aveva parlato, come se davvero fosse preoccupato per i suoi
problemi…
Perché
allora…qual era il motivo di quel comportamento? Cosa
gli aveva fatto? Cosa??
Rialzò piano la
testa, e sollevò gli occhi al cielo. Minuscoli punti neri, uccelli lontani
centinaia di metri, si muovevano senza fretta fra le nubi, tracciando archi
continui sopra di lei. Kristine rimase a guardarli in silenzio, pensierosa.
Forse…forse aveva
frainteso tutto…magari quello di Price era stato solo un momento negativo, o
forse aveva ricevuto qualche brutta notizia…qualcosa di cui lei era all’oscuro.
Ma sì…
Magari non era arrabbiato con lei, poteva essere stato solo un momento
di nervosismo…
Certo, poteva
capitare…
Iniziò a camminare.
Doveva esser andata così…e, in fondo, era inutile agitarsi…avrebbe
lasciato passare qualche giorno…e poi, certamente, anzi, sicuramente Benji sarebbe ritornato quello di prima, come se niente
fosse mai accaduto…
Attraversò
parte della città a piedi, poi, ad un angolo di una via, salì
su un autobus. Si sedette in fondo, e appoggiando il capo al
vetro, rimase ad aspettare, immobile, la partenza. Aveva talmente sonno,
fame, e tanto, tanto mal di testa…
“Come farò ad
affrontare la partita domani?”, disse a se stessa, conscia di non sentirsi
fisicamente ed emotivamente pronta ad un altro incontro. Socchiuse gli occhi,
stanca.
“Alcune volte
vorrei solo…lasciar perdere tutto…tutto e tutti…”.
Il conducente attese
qualche minuto, poi accese il motore. Proprio nel momento in cui stava per
chiudere le porte, però, qualcuno salì di corsa e, dopo essersi scusato, si
avviò a cercare un posto. Kristine, che ormai aveva
chiuso gli occhi da diverso tempo, sentì solamente la voce dell’individuo…una
ragazza.
Questa arrivò a metà, poi, improvvisamente, si accorse della
presenza di Grover in fondo alla fila dei sedili,
riconoscendola.
“Ma…ma…allora
sei qui!!”, gridò quindi, indicando Kris con un dito.
Lei aprì
stancamente gli occhi, con la sensazione di conoscere quella voce…
“Eh?”, disse,
passandosi una mano sulla fronte per scostare i ciuffi castani dagli occhi.
“…Judith?”.
La sottile ragazza
bruna davanti a lei indossava dei panta-jazz neri e
attillati, e un corto maglioncino blu e azzurro,
leggermente aderente. In piedi fra le due file di sedili, la fissava con i suoi
grandi occhi, neri e luminosi come perle rare.
Sì, un bellissimo
sguardo, che sapeva però trasformarsi anche nel più severo mai visto…proprio
come in quel momento.
“Ero preoccupatissima per te!”, escalmò.
“Ma si può sapere dove sei stata stanotte? Ti stavo
cercando per tutto il paese, e solo per pura fortuna ti ho
vista seduta qui, da dietro il vetro!”.
Kristine
sgranò gli occhi, e, terrorizzata, si raddrizzò, ignorando
completamente le parole dell’amica.
“Non dirmi che Alex ha telefonato a casa tua?? Cosa
gli hai detto? Cercava me, vero? Oddio, e ora…”, iniziò a disperarsi,
portandosi per l’ennesima volta in poche ore le mani sugli occhi.
“Calmati, Kris, tuo
fratello non sa nulla”, disse invece Jude
improvvisamente calma. “Stamattina, è vero, ha chiamato chiedendomi di parlare
con te, ma ho capito immediatamente che dovevi avergli raccontato una balla…gli
hai detto che avresti dormito da me per la notte, giusto? Ho ragione?”.
“Beh…ecco, sì”.
“Sai, non è che io sia perspicace. Solo, non c’erano molte
ipotesi. Come al solito hai lasciato spento il
cellulare, eh? Beh, comunque…ho mentito, dicendogli
che al momento eri in bagno e che stavamo per uscire…”.
Kristine
guardò l’amica negli occhi, prudente, per paura di un rimprovero.
“…grazie. E…cosa voleva dirmi?”.
“Che
oggi si ferma a pranzo da un suo compagno d’università, e che quindi non
tornerà prima delle tre”.
“Ah, ok”.
Jude
sospirò, per poi avvicinarsi a Kris. Si sedette accanto a
lei, e aprendo le braccia, appoggiò gli arti affusolati color ambra
sulle spalliere dei sedili. Incrociando le gambe, girò il capo verso la
ragazza.
“Eh già, proprio
una bella balla, Kristine. Sai, credo proprio che tu debba raccontarmi qualcosa”.
Tom
richiuse l’anta dell’ armadietto con insolita
violenza. Si sentiva nervoso…stranamente nervoso…ma era più che certo che
l’incontro che stava per iniziare con la Artic non c’entrava con il suo stato d’animo. Sì, non era
da lui agitarsi prima di una partita. Girò la testa per cercare Holly.
Il fuoriclasse,
seduto su una panca, si stava allacciando gli scarpini. Il viso era come sempre
disteso e tranquillo, e gli occhi scuri non tradivano alcuna preoccupazione. Becker guardò l’amico, indeciso se parlare, ma dopo pochi
istanti abbassò il capo, girandosi nuovamente.
“Tom, oggi mi sembri teso”, disse però inaspettatamente Hutton, che nonostante tutto si era accorto del
comportamento del ragazzo. “Cosa c’è? E’ per la
partita?”.
Becker
tese un braccio, appoggiando la mano sull’armadietto di ferro. “A te non si può
nascondere niente, eh?”.
“Ti conosco meglio
di chiunque altro, lo sai”.
“Sì…lo so. Comunque…no, figurati, non è per l’incontro”.
“Mhh…infatti, mi pareva strano. E
quindi…ah, aspetta. Forse…riguarda ancora il problema di qualche settimana
fa?”.
Tom
volse lo sguardo all’amico. “Non lo so…sai, ultimamente mi sento in ansia,
anche se non so esattamente per cosa. Mah”.
Il calciatore
sospirò, per poi sedersi a fianco del
proprio capitano.
“Holly…dimmi, per caso hai parlato
con Kris oggi?”.
Hutton
appoggiò i gomiti sulle ginocchia. “No…sul pullman si è seduto da solo, in un
angolo. Non mi sembrava avesse voglia di parlare…e così non gli ho chiesto nulla”.
“Già, anche a me ha
fatto la stessa impressione”, mormorò tristemente Becker,
fissando il pavimento. “Sono certo che non sta bene…”.
Quel mattino,
infatti, quando l’intera squadra era partita da Fujisawa,
Tom aveva notato che Kristine,
dopo essere arrivata all’ultimo momento, si era seduta per conto suo, senza
salutare nessuno. I suoi occhi avevano continuato a guardare fuori
dal finestrino per tutto il tragitto, come se la sua mente fosse da
un’altra parte…
Non aveva salutato
nemmeno lui.
Holly
si alzò, e, sospirando, mise le mani sui fianchi. “Se stesse male sarebbe un guaio…a proposito, ora dov’è?”.
“Mi pare sia fuori dagli spogliatoi, con Judith”.
“Mh…beh, speriamo davvero che giochi come sempre. Sai, Tom…Kris mi è sempre sembrato un tipo un po’ introverso, a
dispetto della sua apparenza aperta e vivace. Non ci ha mai detto molto di
sé…ho sempre pensato che possa avere qualche problema,
ma che non ne voglia parlare con nessuno…”.
Tom
evitò gli occhi del numero dieci.
“…già. Ecco…come ti
avevo già detto…io l’ ho conosciuto anni fa a, Kyoto.
Ma anche per me è sempre rimasto un ragazzo un
po’…strano…”.
Spostò lo sguardo
sul resto della squadra che, dall’altra parte della stanza, chiacchierava in attesa dell’inizio della partita.
Becker
si stava lentamente, dolorosamente rendendo conto di quanto gli mancasse
Kris…anche se non lo voleva ammettere a se stesso. Si era ripromesso, infatti,
di non pensare a lei…per non rovinare la loro amicizia…e…per non scoprire che Kristine potesse essersi innamorata…di qualcun altro.
Di qualcun altro…
Mio dio.
Era…così vigliacco.
Sì…aveva paura di
un rifiuto.
Un rifiuto…
Si rigirò verso Holly.
“Senti…Benji oggi verrà ad assistere alla partita?”.
Hutton
assentì. “Sì, mi ha detto che lo accompagneranno in auto. Dovrebbe esser qui a
momenti”.
Proprio in quel
mentre qualcuno aprì improvvisamente la porta degli spogliatoi, facendo calare
per un momento il silenzio assoluto nella stanza.
“Ah, Benji!”, esclamò poi Diamond non
appena riconobbe il Super Great Goal Keeper. Il portiere era comparso davanti alla squadra con
una strana espressione sul volto…inusuale, severa.
Quasi oscura, come se un’ombra fosse scesa su di lui per nascondere il suo
solito sguardo deciso e forte, il suo sorriso ironico ma sempre ottimista…
“Salve ragazzi”,
disse quindi Price osservando i compagni, fermo sulla porta. “Scusate se sono
arrivato solo ora”. Dopodiché entrò, passando in mezzo al gruppo di giocatori.
“Tutto a posto?”
chiese il capitano della squadra avvicinandosi a Price insieme a Tom, dopo essersi accorto del viso dell’amico . “Oggi non hai un bell’aspetto…”.
Il
portiere, evitando di incontrare gli occhi di Hutton
e quelli di Becker, sorrise tirato.
“No, sto bene”.
“Forse…era meglio
se seguivi la partita da casa…”.
“Ti dico che sto
bene, Holly. E’ solo la gamba che è infortunata, non sono mica malato”.
Il numero dieci e
il numero undici della New Team si scambiarono
un’occhiata stupita. Non era da Benji comportarsi in
quel modo. Usare…quel tono.
“Ah, ok, ok…scusa, forse è stata solo una mia impressione…”, si affrettò quindi a
dire Hutton, sorridendo al portiere. “Sai, anche Grover oggi ci è sembrato un po’
stanco…anzi, più precisamente…direi abbattuto”.
Benji
sbuffò, quindi rivolse lo sguardo al muro.
“Allora spero che
si riprenda, e in fretta anche. Non possiamo assolutamente
farci fare dei goal in una partita del genere, sarebbe davvero
vergognoso”.
Tom
fissò il portiere. “Cosa…cosa stai dicendo?”.
“Come cosa sto
dicendo?”.
“Vuoi dirmi che non
t’importa se Kristian ha qualche problema? Ma…scusa, voi due non vi siete visti in queste settimane per
il suo potenziamento? Dovresti conoscerlo bene ormai…”.
Benji
rimase fermo, gli occhi fissi sull’intonaco grigio della parete dello
spogliatoio. Dopo pochi istanti li chiuse, inspirando
profondamente.
“Tom, senti…”.
Per la seconda
volta in pochi minuti la porta della stanza si aprì. Kris, già pronta con
indosso la divisa della squadra, entrò nello spogliatoio camminando lentamente.
I soliti occhi dolci, vivaci e luminosi, questa volta apparivano spenti e stanchi, coperti da un velo di malinconica tristezza…
Nessun giocatore
osò salutarla, o chiederle nulla…tutti avevano capito che qualcosa non andava
nel loro portiere, quella mattina…proprio come se ne erano
accorti Holly e Tom.
Kris aggirò la fila di panche per arrivare ad una vuota, in un
angolo dello spogliatoio. Appoggiò la borsa, ma prima di
sedersi, si girò, rivolgendo una profonda, tristissima occhiata al trio.
Gli occhi castani della ragazza indugiarono poi su Price, che però non si girò
nemmeno…
Tom,
a sua volta, guardò preoccupato Kristine. La sua Kristine…
Ridotta così…
No, non sembrava
nemmeno lei…
Così pallida,
triste…
Sempre così bella,
bellissima…ma offuscata da una malinconia che il numero undici non si ricordava
di avere mai visto sul suo volto…
Una
malinconia, e forse un dolore che cercava di nascondere.
Dopo
aver atteso invano un’occhiata di Price, Kris socchiuse per un attimo gli occhi.
Riaprendoli, essi incontrarono quelli di Becker.
I due ragazzi si
fissarono a lungo, e Tom capì che doveva essere
successo qualcosa…sì, ora ne era davvero sicuro. Nello
sguardo di Kristine era evidente il bisogno disperato
di confidarsi con qualcuno…qualcuno che la capisse, che la confortasse…che la
stringesse…
“Ci sono qui io.
Kris, ci sono io”.
Tom
la guardò intensamente. Voleva che quel pensiero la raggiungesse…
“Non sei da sola…io
sono sempre stato accanto a te…e lo sarò sempre…anche se tu forse non te ne sei
mai resa conto…anche se non sarò mai nulla per te…non
m’importa…”.
Anche
la ragazza continuò a guardarlo. Poi, sulla sua bocca comparve per un istante
un lieve, triste, quasi impercettibile sorriso. Si sedette, e prese i guanti
dalla borsa.
Tom
fece quindi per avvicinarsi all’amica, quando il mister comparve sulla porta.
“Forza ragazzi, è
ora!”, esclamò.
Mentre
la squadra si riuniva per uscire in campo, gli occhi di Becker
cercarono ancora una volta i due portieri. Era chiaro che qualcosa era successo fra i due…non una parola, non un’occhiata, un
saluto da parte di Benji a Kris. Era davvero molto strano…e…quelle parole…le parole di Price…
In quel momento il
portiere si avvicinò, passando davanti al ragazzo.
“In bocca al lupo,
anche se so che come sempre ci stupirai, Tom”, disse unicamente prima di uscire dalla stanza, senza curarsi di
dare alcuna raccomandazione a Grover che, ancora
seduta sulla panca, stava sistemando la borsa.
“Benji, io…”.
“A fine partita, ok?”.
“…Beh…ok”.
L’alto giovane dai
corti capelli scuri si avviò così per gli scalini che portavano al rettangolo
di gioco, seguito da Carter, Mason e Harper, con cui iniziò a scherzare. Oliver
arrivò invece alle spalle di Becker, battendogli una
mano sulla schiena.
“Cerca di tirarti
su, ok?”, disse il capitano all’amico, guardandolo
comprensivo. “Se Grover non dovesse
essere al massimo della forma come sospettiamo, noi due dovremo dare il
meglio…lo capisci?”.
“Certo, Holly. Ma…mi chiedo cos’abbia Benji…sai…credo proprio che lui e Kris potrebbero aver
litigato”.
Hutton
sospirò. “Già, lo penso anch’io. Ho notato il loro comportamento…beh, per
adesso non possiamo farci nulla…e forse non sarebbe
nemmeno giusto metterci in mezzo…in fondo, non sono faccende nostre”.
“Non lo so. Sono
seriamente preoccupato per entrambi”. Il ragazzo si girò a guardare nuovamente
Kris, distante da lui alcuni metri.
Anche
Holly si voltò. “Anch’io…”.
Il numero dieci attraversò
lo spogliatoio. Giunto davanti a Grover, le sorrise
affabilmente. La ragazza, che negli ultimi minuti era rimasta immersa nei suoi
pensieri, a testa bassa, alzò lo sguardo non appena si accorse della presenza
di Hutton.
“Kristian”, disse quindi Oliver.“Sei pronto?”.
Lei lo fissò, tanto
pallida e bianca da sembrare fragile, come una bambola di porcellana…
Rimase ferma, con la bocca serrata. Poi, stancamente, come
scoraggiata, si alzò.
“Sì”.
Trentanovesimo
minuto del secondo tempo…
“…Siamo giunti
ormai verso la fine dell’incontro tra Artic e New
Team. Entrambe le squadre si sono fino ad adesso
comportate egregiamente, realizzando entrambe un ottimo gioco di squadra.
Notevole davanti alla porta della Artic
la prestazione di Ralph Peterson,
che però, nonostante la strenua difesa dell’area, non è riuscito ad evitare i
due goal messi in rete dalla formidabile coppia Hutton-Becker,
come sempre padroni incontrastati del centro campo. Poco prima della fine del
primo tempo, però, la partita ha preso una svolta sicuramente inaspettata da
tutti i tifosi della squadra proveniente da Fujisawa,
da molti considerata la favorita: Kris Grover, il neoportiere chiamato a sostituire per questo campionato
il leggendario Benjiamin Price davanti alla porta
della New Team, si è lasciato segnare due goal distanziati l’uno dall’altro da
pochi minuti. E’ davvero strano che questo ragazzo, da molti considerato un
promettente atleta dotato di incredibile agilità e
scaltrezza, abbia avuto questo momento di debolezza…in realtà oggi non ci
sembra affatto nel pieno della sua forma, e tutti i tifosi della New Team
stanno visibilmente iniziando ad agitarsi…la partita potrebbe infatti avere una
conclusione davvero imprevista, contando anche dello sconforto in cui la
squadra sembra sprofondata…”.
Tom correva. Correva più che
mai, veloce come il vento, di fianco a Holly…dietro a
loro, l’intera Artic era lanciata all’inseguimento
della coppia d’oro, decisissima a fermare ogni tentativo della
New Team di passare in vantaggio.
“Tieniti pronto, Tom”, gridò Hutton all’amico, ricevendo nuovamente il pallone dal
ragazzo. “Ci dobbiamo provare ancora!”.
“Sì!”, rispose
l’altro, annuendo con il capo.
Una grossa nuvola
coprì per un momento il sole, mettendo così in ombra il rettangolo di gioco. Il
tempo era instabile da quella mattina, e un alito di vento freddo era sceso già
da parecchio tempo sullo stadio gremito di gente.
“Questa partita non
doveva andare così”, pensò il numero undici, mentre continuava ad avanzare
verso l’altra metà del campo, gli occhi che continuavano a muoversi prima sul
pallone, poi su Hutton e sugli avversari. “Se Kris…se
Kris non fosse stata in crisi, sono certo, anzi, certissimo che le avrebbe parate…”.
Il capitano della New Team, intanto, aveva superato senza difficoltà un
altro giocatore ma, giunto a metà dell’area avversaria, venne bloccato da Peterson, insieme a altro paio di difensori.
“Hutton, di qui non passi”, disse l’alto ragazzo bruno dal
viso ovale e dai lineamenti eleganti, fissando Holly
negli occhi. “Il risultato è deciso…sarà un pareggio!
Forse non segneremo più, ma di certo non ti permetteremo di superarci!”
L’altro deglutì.
“La vedremo”.
Tom,
accorgendosi della situazione, si avvicinò al gruppo, cercando un modo per
aiutare il numero dieci.
“Accidenti…e
adesso…”, mormorò, preoccupato.
Ma
Peterson non si muoveva. Ogni tentativo di Hutton di liberarsi del giocatore risultava
vano, e l’incontro sembrava davvero destinato a finire così…
No…non poteva
rassegnarsi a un due a due…
“Non posso mollare
in una partita del genere…sono ben altri gli avversari
che potrebbero mettermi in difficoltà…non Peterson,
no…”, pensò Oliver, madido di sudore per l’enorme
tensione, più che per lo sforzo. “Il vero Oliver Hutton troverebbe una soluzione…non è
da me comportarmi così!”.
Mentre la folla
urlava sempre più, non rassegnandosi a un finale del
genere, i minuti passavano.
Ormai…ne mancavano
poco più di quattro alla fine…
“Holly…Tom…”, mormorò Harper, dall’altra parte del campo, guardando abbattuto la
situazione da lontano. Anche Denver, poco distante da
lui, sospirò scoraggiato. “Non è mai successa una cosa simile…”.
Il numero dieci,
intanto, continuava a trattenere la palla sotto a un
piede, impossibilitato a muoverla. Non sembrava che ci fossero vie d’uscita
questa volta…era marcato in tutte le direzioni, e un passaggio a Ted, a Johnny o a David era
impensabile…
“Non avete fatto un
buon affare con quel Grover”, esclamò ad un tratto Ralph, ridendo. “E purtroppo Price
può solo restare a guardare…avrebbe dovuto allenare meglio quel novellino!”.
Holly
guardò l’avversario, conscio che non poteva dargli torto…non capiva, non sapeva
cosa fosse preso a Kristian…due tiri…due tiri così
semplici da parare…se li era lasciati sfuggire, non
movendo addirittura un dito durante il primo goal, calciato a pochi metri dalla
porta.
No, quello non era
il Kristian Grover che,
settimane prima, si era presentato, sorridente ed entusiasta, davanti a lui,
chiedendogli di avere l’opportunità di dare una prova della sua abilità…non era
il Kristian Grover che si
era sempre allenato con costanza e impegno, per cercare di diventare degno di chi sostituiva…
Non era quel Kristian Grover…e questo suo
improvviso, inspiegabile momento di debolezza e insicurezza aveva evidentemente
abbattuto il resto della squadra, purtroppo. E…Holly stesso.
Improvvisamente,
però, qualcuno iniziò a correre alla loro sinistra, venendo verso lui e Peterson. Oliver spostò lo
sguardo verso la figura, riconoscendo immediatamente Tom.
“Reagisci, Holly! Dobbiamo vincere, e lo sai!”, gridò
quindi il ragazzo castano, con una nuova, rinnovata sete di vittoria nei decisi
occhi color nocciola. “Noi siamo la coppia d’oro, non devi
dimenticarlo!”.
Detto questo, sotto
gli sguardi sorpresi degli atleti, compreso quello dello stesso Hutton, Becker passò fra i due
giocatori, portando via in un attimo la palla dai piedi di Holly . Poi il numero undici, dopo aver aggirato il resto del
gruppo impietrito dall’inusuale azione, percorse la
fascia laterale, dirigendosi quindi verso la porta della Artic.
Anche il capitano della New Team scattò senza attendere altri secondi,
comprendendo che non c’era tempo da perdere…Tom aveva
sbloccato quella situazione di stallo togliendo il pallone al suo stesso
capitano…una mossa ai limiti dell’assurdo, ma che si era rivelata più che
efficace!
“Bravo, Tom!”, esclamò così Hutton,
rivolgendo al compagno un grande sorriso. “Non finirai
mai di stupirmi!”.
“Lo so!”, rispose
scherzando l’altro, ridacchiando.
Ormai solo un
minuto separava la Artic dal
pareggio. I due ragazzi giunsero a pochi metri dall’area di rigore, sguarnita
dalle difese che erano rimaste indietro, dove prima avevano bloccato Holly.
Peterson
strinse un pugno. “Insomma, ragazzi, muovetevi!”, gridò quasi in panico al
resto dei compagni, precipitandosi, intanto, verso i due attaccanti della New Team. I calciatori, però, non furono purtroppo
abbastanza veloci per raggiungere e fermare la coppia
d’oro, che riuscì ad attuare la sua azione…l’ultima possibilità di passare in
vantaggio.
“A te, Holly!”, esclamò Becker, calciando
con precisione il pallone verso l’amico, alla sua destra. Hutton
stoppò la sfera, e si preparò finalmente a tirare, caricando la gamba di tutta
la potenza che sarebbe servita per segnare…
“Non te lo
permetterò!”, gridò però ad un tratto Peterson,
giungendo dietro il capitano della New Team. Si gettò
quindi su di lui con una violenta scivolata, ma Holly,
forse preparato al tentativo dell’avversario di fermarlo, saltò, passando al
volo la palla a Becker, che già correva verso il
portiere.
“Segna, Tom!”.
Il ragazzo,
esattamente sulla traiettoria del tiro, saltò a sua volta, a pochi metri dalla
rete. Sovrastando il portiere della Artic, il numero undici colpì il pallone di testa, che finì
il rete insaccandosi nell’angolo sinistro in alto, sotto la traversa.
Ci fu un attimo di
silenzio.
Poi,
improvvisamente, dagli spalti proruppe un solo, unico grido di gioia.
Ciò che sembrava
impossibile, alla fine, era successo…la New Team, che
pareva ormai sprofondata nello conforto più totale e in uno stato d’animo che
non lasciava sperare in alcuna reazione, era passata in vantaggio all’inizio
del quarantacinquesimo minuto del secondo tempo.
E
tutto grazie all’incredibile coppia d’oro, che ancora una volta aveva ribaltato
il risultato alla fine di una partita…
“Ce
l’abbiamo fattaa!!”, urlò Paul
Diamond, dopo aver assistito quasi incredulo alle
azioni dei due compagni. Anche gli altri giocatori
imitarono il numero otto, esultando felici.
Trascorsero
ancora pochi secondi, poi l’arbitro fischiò.
Holly e Tom voltarono la
testa, guardandosi negli occhi soddisfatti.
“Sei stato grande, Tom”, disse Hutton entusiasta,
sorridendo all’amico. L’altro ricambiò il sorriso, e alzò il pollice
vittorioso.
“Dovevo
segnare…altrimenti ci chiamano coppia d’oro a fare? Ehe
he!!”, rise il ragazzo, disteso
come Holly non lo vedeva da giorni. “Dobbiamo
tenere sempre alto il nostro titolo!”.
Il capitano si
avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. “Giusto!”.
Ralph
Peterson, accovacciato a terra, battè
con rabbia un pugno sul terreno ricoperto dalla rada erba verde.
“Accidenti”,
mormorò a denti stretti, rendendosi conto dell’amara sconfitta. “Alla fine…non ce l’abbiamo fatta…”. Gli altri giocatori della
Artic, lentamente, si avvicinarono al loro
capitano, delusi quanto lui.
“Ci dispiace, Ralph”.
Il ragazzo scosse
il capo in silenzio. Rimase fermo per alcuni istanti, poi si
rialzò, deciso.
“La prossima volta
andrà meglio”, disse quindi, a testa nuovamente alta. “E
poi è inutile quindi piangerci addosso. Voi siete stati tutti bravi, quindi non
scusatevi. L’importante, adesso, è cercare di entrare fra le otto squadre
finali…solo così potremo, magari,
rincontrare la New Team, e avere la nostra
rivincita”.
I dieci ragazzi
sorrisero, guardandosi l’un l’altro. “Ok, capitano”.
Dall’altra parte
del campo, ferma fra i due pali, Kristine Grover era immobile. Non riusciva ad essere felice, ad
esultare come i suoi compagni di squadra. Gli occhi, fissi su Tom, erano spalancati, velati dalla paura e dall’angoscia,
dalla tristezza e dal senso di colpa.
Se non fosse stato
per lui…per Becker, il suo Tom
Becker…la New Team, da
sempre la squadra campione assoluta per anni di campionati, avrebbe fatto una
bruttissima figura. E solo a causa di quei due, stupidi goal
che lei non aveva avuto la forza, il coraggio di parare. E il suo stato d’animo aveva rovinato anche quello della
squadra…
“Grazie”, sussurrò
così la ragazza, prima di crollare per terra sfinita, finalmente libera dalla
tensione.
Un’altra partita
era finita.
“Bravi, ragazzi”.
Il signor Gunnell era in piedi davanti alla New Team, e sorrideva soddisfatto. “Per un attimo ho
creduto che vi foste lasciati andare, ma per fortuna
vi siete ripresi…”.
“E’ tutto merito di
Tom, poco ma sicuro”, esclamò Carter, incrociando le
braccia.
Becker,
a destra del mister, sorrise.
“Grazie, ma non
dimenticate Holly!”.
I giocatori
guardarono i due ragazzi, ma in quel momento Grover,
che era rimasta in disparte rispetto al gruppo, si fece avanti, il capo chino.
“Mi…mi dispiace
tanto”, mormorò piano, senza alzare gli occhi. “E’ stata tutta colpa mia…io…non
so cosa mi è preso…scusatemi…la squadra si è lasciata andare solo a causa
mia…”.
La stanza rimase
per un po’ nel silenzio, quando Hutton si avvicinò a
Kris.
“Ascolta…abbiamo
visto tutti che oggi non eri al massimo della forma”, disse il capitano,
aprendo un braccio. “Certo, i due goal ci hanno messi
in difficoltà, ma tutti possono sbagliare, specialmente se anche lo stato
d’animo non è dei migliori…dico bene, mister?”.
Il signor Gunnell assentì, ritrovandosi d’accordo con il capitano
della squadra.
“Sì, Grover…da come hai giocato nei primi incontri, è
assolutamente evidente che quello di oggi non era il
portiere che tutti noi conosciamo. Quindi non devi
preoccuparti…tra l’altro, anche se avessimo pareggiato, avremmo solo avuto meno
punti. Non ci sarebbero stati grandi problemi”.
La ragazza sollevò
piano lo sguardo.
“…Dite…sul serio?”.
“Certo. E sappi che se hai qualche problema e ne vuoi parlare con
noi, siamo sempre pronti ad ascoltarti!”, esclamò Holly.
Gli altri giocatori
annuirono, offrendo la loro disponibilità, sinceri. Tom invece si accostò ad Oliver,
e guardò dolcemente Kris che, accorgendosi dell’occhiata dell’amico, si sentì
improvvisamente rincuorata da quell’affetto…
“Grazie…grazie
davvero”.
Non avrebbe mai creduto
di ricevere tanta comprensione dai calciatori…da quei ragazzi, suoi compagni di
squadra, che si stavano rivelando, giorno dopo giorno, i più cari amici che
avesse mai sperato di avere. Amici che aveva per molto tempo
sognato…amici che non la tradissero, che la sostenessero.
E
fra loro, c’era Becker. Il suo…amico…
Sapeva che non
l’avrebbe mai abbandonata, no. E proprio come quel
giorno di quattro anni fa, a Kyoto, Kristine seppe improvvisamente che quella promessa non
sarebbe mai stata rotta. Mai…
“I problemi
personali, qualunque essi siano, si lasciano fuori dal
campo”, sentenziò però una voce proveniente dall’ingresso dello spogliatoio. “E Grover, non facendolo, mi ha
deluso. Profondamente deluso!”.
L’intera
New Team si voltò, sorpresa da qual commento
improvviso.
Benji
Price, appoggiato allo stipite, fissava i proprio
compagni, severo. Spostò gli occhi su ognuno di loro, lentamente, finché non
arrivò a Kris, in piedi fra il Holly
e Tom. Gli lanciò una durissima, fredda occhiata.
La ragazza sentì
gli occhi di Benji ferirla, colpendola al cuore,
dolorosamente…
Ancora…ancora quel
viso gelido…
Perché…
Quel cambiamento?
Il Super Great Goal Keeper avanzò di
qualche passo. Poi, fermatosi, si sistemò il cappello in testa, mettendo poi le
mani nelle tasche dei jeans, come era suo solito fare.
“Quindi,
non voglio assolutamente più vedere un simile, penoso spettacolo. Ti allenerai
di più, se è necessario, starai al campo fino a
tardi…non m’importa. Ma ricordati solo che questa
squadra non accetta dei buoni a nulla”.
Attese
qualche istante, poi, sotto lo sguardo shockato dei presenti, si girò.
Fece per uscire, quando si voltò un’ultima volta.
“Ah, i miei
complimenti a Holly e a Tom
e…Becker, ho deciso di lasciarti il compito di
seguire Grover al posto mio. Se te
la senti, ovviamente. Io non penso di essere
più adatto come allenatore. Beh, ci sentiamo”.
Il portiere si
allontanò quindi silenziosamente, senza aggiungere più alcuna parola. Holly, Tom, Carter, Mason, Harper…tutti i giocatori della New Team, compreso lo stesso mister, fissavano senza
parole il punto in cui, pochi secondi prima, c’era stato Price.
“Ma…quello era il Benji che conosciamo, ragazzi? Sembrava un alieno…”, balbettò Bruce
indicando con un dito la porta.
Holly
girò la testa pensieroso, verso Harper.
“Già…il Price che
conosciamo si sarebbe trovato d’accordo con noi…”.
Mentre i calciatori
chiacchieravano fra di loro, sorpresi dall’insolito
comportamento dell’amico, Becker, di fianco a Kris,
continuava a ripensare a ciò che Benji gli aveva
detto prima di andarsene.
“Allenare Kristine? Seguirla…al posto suo? Ma
per quale motivo non vuole più occuparsene?”, si domandò. “Non posso credere
che l’unico motivo sia la partita di oggi…”.
Guardò la ragazza.
Sembrava aver ripreso il pallore spettrale che aveva avuto sul
viso prima della partita, e gli occhi, lucidi, fissavano il pavimento
senza muoversi. Le labbra, quasi bianche dalla forza con cui erano strette,
formavano una linea quasi indistinta.
“Kris…non
prendertela…quello non era il vero Benji!”, disse Tom addolorato, guardandola in faccia.
Lei deglutì. Chiuse
gli occhi, e dopo aver fatto un respiro profondo per controllarsi, li riaprì.
“Lo so bene. Io…”.
Ma
non riuscì a terminare la frase. Improvvisamente corse via, passando
violentemente in mezzo ai compagni, ancora riuniti a semicerchio, e uscendo
dallo spogliatoio.
“Kris!”, gridò
subito Becker inseguendola. Anche Diamond
e Carter fecero per imitare il compagno, ma Holly li fermò.
“No, lasciate che
sia Tom a parlarle. Mi ha detto che conosce Grover da molto tempo, e penso che possa fare molto di più
di noi…”. I due ragazzi guardarono il loro capitano, poi annuirono, comprendendo che aveva ragione.
Nel corridoio,
intanto, a pochi metri dall’uscita che dava sul campo, Tom
aveva raggiunto Kris, e ora la stava trattenendo con un braccio.
“Kris…tu sai perché
Benji si comporta in questo modo, non è vero?”,
chiese il ragazzo calmo, cercando di farsi ascoltare dall’amica. “Non…non è
giusto che tu soffra così…confidati con me, ti prego”.
Kristine,
che fino a quel momento aveva cercato di divincolarsi da quella stretta, si
fermò. Rimase a fissare il pavimento, non sapendo da cosa iniziare. Poi,
lentamente, rialzò il viso, girandosi verso il ragazzo.
I suoi occhi la
stavano guardando. Imploranti, preoccupati.
Dolci,
dolcissimi…pieni di quell’affetto che la avrebbe potuta consolare,
cullare…era…tutto ciò che in quel momento desiderava. Sì, qualcuno che la
ascoltasse…
“Oh, Tom…”, mormorò, con un nodo alla gola.
E
prorompendo in un pianto disperato, si abbandonò sul suo petto, stringendo i
lembi della t-shirt del ragazzo fra le dita.
Becker
la strinse forte, circondandole la vita con le braccia, e accostando una
guancia al suo capo.
“Ci sono qui io.
Kris…ci sono io”.
Lo stadio si stava
svuotando. La partita era terminata ormai da più di quindici minuti, e solo
poche persone erano ancora ferme sugli spalti di cemento. Il campo color
smeraldo, ora deserto, si era ritrovato sotto ad un cielo scuro e grigio, che
prometteva pioggia.
In alto, verso le
ultime file delle tribune centrali, due ragazzi erano ancora seduti. Il primo
di loro, un tipo abbastanza comune, dallo sguardo mite ma basso e minuto,
portava i capelli a spazzola, scuri come gli occhi. Indossava una maglietta
bianca e un paio di pantaloncini blu, e stava fissando l’amico di fianco lui.
Alto, slanciato,
dal fisico muscoloso e tonico, con indosso un’attillata maglia grigia e dei jeans bianchi, il secondo giovane rideva senza alcun
ritegno, una mano dalle lunghe dita abbronzate posata sullo stomaco. Rideva
senza fermarsi, e dal capo piegato all’indietro, a poca distanza dal gradone di
pietra della fila retrostante, scendeva una folta chioma di lunghi, lucidi e ribelli capelli corvini.
“Ahahaha! Ahaha! E questa…questa sarebbe stata…una partita di calcio?? Non ho mai visto nulla di più penoso in vita mia…ahaha!”,
esclamò fra le risate, quasi a fatica, Mark Landers, e agitando l’altra mano nell’aria.
“Kristian Grover è un vero e
proprio incapace…a suo confronto, addirittura quel sacco di patate di Alan Crocker
è migliore…”.
Danny
Mallow, che aveva guardato per tutto il tempo in silenzio il proprio capitano, alzò le spalle.
“Beh…questo
potrebbe anche essere stato un caso…sai bene cosa hanno detto di lui nei
precedenti incontri che ha disputato…”.
A quelle parole, Landers si raddrizzò improvvisamente, gettando un’occhiata
urtata al compagno.
“Danny, è più che evidente che Grover
non è, non è stato e non sarà mai in grado di sostituire Price. Non mi importa quanto possano aver detto di lui degli stupidi
giornalisti e cronisti. La New Team ha affrontato,
fin’ora, avversari quasi ridicoli, squadre che non avrebbero spaventato
nessuno…Kristian Grover non
mi ha per niente impressionato, e oggi ho avuto la prova della sua inesistente
preparazione”.
Sorrise. Un sorriso odioso, fastidioso, divertito…sì, divertito dalle
prospettive future, ben più che rosee.
Fantastiche.
Si alzò
velocemente, con uno scatto felino, girandosi poi verso Mallow,
ancora seduto di fianco a lui.
“Se la New Team riuscirà ad arrivare in finale, e contando che
la gamba di Price ha avuto dei peggioramenti inaspettati”, disse tranquillo il
ragazzo, “ penso proprio che vincere contro Hutton e
soci sarà una vera passeggiata. Sì, la vittoria più facile in anni di
campionati…certo, mi dispiacerà non incontrare Price, ma…sarà ancora più
esaltante battere la New Team con Benji
che guarda, impotente, la sua squadra andare allo sfacelo…”.
Inspirò
profondamente, per poi scoppiare a ridere di nuovo.
“Non credi, Danny?”.
L’amico abbozzò un
sorriso, un po’ imbarazzato.
“Hem…sì, capitano. Però…”.
“Però?”.
“Beh…ecco…non
vorrei interrompere i tuoi pensieri, ma…ho l’impressione che tu sia in ritardo ad un certo appuntamento…mi avevi chiesto di
ricordartelo, quindi…”.
Mark
Landers fissò muto il ragazzo, gli occhi profondi e
scuri spalancati. Poi, improvvisamente, alzò il braccio sinistro verso di sé,
per controllare l’ora sull’orologio al polso.
Guardò nuovamente Mallow.
“Dannazione, Danny!”.
In quello stesso
momento, ad alcuni chilometri di distanza, all’interno dell’aereoporto
internazionale di Narita, tre figure femminili
stavano camminando lentamente. Cariche di borse e valigie, cercavano di farsi strada in mezzo alla
fiumana di gente proveniente dall’uscita 19, dalla pista di atterraggio
dove era appena atterrato il volo US 2336,
partito 16 ore prima da S. Francisco.
La prima delle tre,
sulla destra, era una ragazza di media statura, snella, dai lunghi capelli
lisci e castani raccolti in una coda a lato, gli occhi vivaci nascosti dietro
ad un paio di occhiali con la montatura argentata. Anche se non particolarmente carina, possedeva un’aria
sveglia, intellettuale, furba…imprevedibile. Gli ampi pantaloni di cotone beige
che indossava erano completati da una semplice giacca dello stesso colore,
sbottonata sul davanti.
Di fianco a lei, la
seconda ragazza appariva un tipo molto più sportivo,
agile, slanciato, dalle gambe toniche e mediamente abbronzate. Nonostante la
stagione, indossava infatti dei corti pantaloncini di
jeans, e un top rosso, sopra il quale portava unicamente una leggera felpa
grigio chiaro con zip. I grandi e decisi occhi scuri, dalle lunghe ciglia nere,
circondavano un viso ovale, grazioso, insieme a una
bocca dalle labbra leggermente carnose e ricoperte da un velo di lucidalabbra.
I capelli erano corti, appena sotto l’orecchio, lisci e
castano scuro, dai riflessi rossicci, e una frangia appena accennata
ombreggiava la fronte da un lato.
L’ultima del trio,
completamente diversa per fisionomia dalle due amiche, avanzava con passi
eleganti ma sicuri, ed un portamento da
indossatrice. Lucenti e folti capelli biondi le incorniciavano
il viso perfetto, dai lineamenti un po’ affilati, e due profondi occhi azzurri,
dalle palpebre perfettamente truccate, guardavano fieri davanti a sé. Il
corpo era fasciato da un corto vestito rosso, che le lasciava ampiamente
scoperte le lunghe gambe, e le curve prorompenti della ragazza catturavano
l’attenzione di tutti gli uomini presenti nel raggio di miglia…
Camminarono ancora
per un po’, e arrivate a poche decine di metri dall’uscita dell’aereoporto, le tre ragazze si fermarono.
Dopo aver posato le
valigie, quella in mezzo, vestita con il top rosso e i pantaloncini, alzò le
braccia verso l’alto, stiracchiandosi dopo tante ore di viaggio.
“Beh, ragazze”,
disse con una mano sul fianco, guardando
le amiche. “Siamo in Giappone!”.
NOTE:
*tatami: stuoie imbottite di paglia compressa e rivestite di
giunchi intrecciati. Sono fissate su una cornice di legno e ornate da un bordo
di passamaneria. Costituiscono il pavimento delle stanze in stile giapponese. |
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Capitolo 14 *** Nuovi Arrivi ***
“Accidenti, come se non bastasse sta anche per piovere”.
Un forte lampo, seguito alcuni attimi dopo da un rombo
assordante, illuminò i cumuli scuri ammassati all’orizzonte del cielo di Tokyo,
provocando un lieve sussulto alla ragazza rosso-castana seduta davanti al
piccolo lago artificiale di un parco della città. Gli occhi erano scuri e
penetranti e le labbra, perfettamente disegnate, erano contratte per il
nervosismo. Mossi dal vento, i suoi capelli corti e lisci le sfioravano appena
le spalle, agitandosi nell’aria. Vestita con una semplice maglia di cotone a
maniche lunghe bianca e una minigonna dello stesso colore, rivelava un fisico
asciutto ed atletico, un corpo che sapeva, però, mostrare ugualmente tutta la
sua femminilità.
“O è uno di quegli
uomini per i quali la puntualità è un concetto relativo”, disse improvvisamente
ad alta voce alzandosi, “oppure si è semplicemente scordato che oggi sarei
arrivata…”.
Si avvicinò alla ringhiera che circondava l’argine del
lago e, appoggiandosi ad essa, emise un profondo, sconsolato sospiro.
“Uff…”.
“Makiiiii!”, gridò in quel
momento una profonda voce maschile, proveniente da uno dei vialetti alberati
del parco, dietro alle panchine allineate. Si girò.
Mark Landers correva veloce verso
di lei, con un braccio teso in alto per farsi vedere. Il bellissimo viso dai
lineamenti affilati cercava di mostrare il migliore dei sorrisi, nel tentativo
di riuscire a farsi perdonare il mostruoso ritardo con cui era arrivato…
Quando il calciatore giunse davanti alla ragazza, lei
inclinò il capo, guardandolo.
“Mhh…beh, dai, almeno non ti
sei dimenticato della tua ragazza…è una buona cosa…”, disse ironicamente.
“…quindi, evita pure quei tuoi soliti sorrisetti…ti
ho già perdonato, anche se alcune volte penso di essere troppo buona!”.
Il cannoniere della Toho
ridacchiò.
“Grazie mille, allora, oh mia divina e bellissima dea!
Prometto che non succederà mai più!”.
Maki non disse nulla, e chiuse gli occhi. Quando li riaprì,
posò nuovamente lo sguardo sul ragazzo, che la stava guardando a sua volta. Il
suo viso abbronzato era distante pochi centimetri da lei.
“Son felice che tu sia qui”,
disse poi Mark, prendendole una mano. “Spero che il
viaggio da Okinawa sia stato tranquillo”.
Lei sorrise. “Sì, tutto ok…e…anch’io
sono felice di essere qui. Saltare la gita scolastica a Hokkaido è stata la
cosa migliore che potessi fare…”. Si
fermò, arrossendo di colpo.
“…così…ecco, per una settimana…mi fermerò a Tokyo…”.
A quella frase, Landers si
girò. “Ehm…”, tossicchiò il ragazzo, schiarendosi la voce. “Già…”.
Seguirono alcuni secondi di pesante, imbarazzato
silenzio. Mark e Maki
avevano progettato e atteso quel periodo da moltissimo tempo…un tempo che era
sembrato non terminare mai…fino a quel momento. Infatti, dopo parecchi mesi di
lontananza dovuta ai rispettivi impegni scolastici e sportivi, i due ragazzi
avrebbero potuto finalmente trascorrere un po’ di tempo insieme, soli…sì,
completamente soli.
Landers, alcuni mesi prima, aveva proposto a Maki
di andare a stare da lui, visto che sua madre e i suoi fratelli sarebbero stati
via per un paio di settimane da amici di famiglia. Mark,
per seguire il campionato, sarebbe stato costretto a rimanere a casa…quale
occasione migliore per invitare la propria ragazza?
E Maki, quasi inaspettatamente,
aveva subito accettato.
“Ma…senti, che…che ne dici di andare in centro a fare un
giro? Potremo poi fermarci da qualche parte a prendere qualcosa…”, propose Mark quasi balbettando, agitato, cercando di cambiare per
il momento discorso.
Nonostante tutto, infatti, con molta difficoltà il
calciatore riusciva ad essere spontaneo e affettuoso con la propria ragazza,
come un qualunque fidanzato avrebbe dovuto, invece, dimostrarsi. Forse a causa
dei periodi troppo prolungati di lontananza fra lui e Maki
o forse, semplicemente, per il proprio carattere da sempre orgoglioso e
inflessibile , Landers trovava ora estremamente
imbarazzante una qualunque dimostrazione di affetto, sia un bacio che un
semplice abbraccio. Si sentiva spesso impacciato come un bambino, e anche se
tentava in tutti i modi di nasconderlo alla ragazza, non ci riusciva di certo
molto bene…
Si avvicinò alla panchina sulla quale, pochi minuti
prima, era stata seduta Maki. Afferrò quindi il
borsone blu appoggiato su di essa, che costituiva l’unico bagaglio della
ragazza.
“Andiamo?”, chiese poi, iniziando a incamminarsi verso
l’uscita del parco, la borsa caricata su una delle larghe e muscolose
spalle. Maki
gli rivolse una dolcissima occhiata, per seguirlo poi dopo alcuni istanti.
“Eccomi!”.
Si affiancò a lui. Mark Landers aveva, da sempre, la fama di essere uno dei
calciatori più duri e inflessibili del Giappone, capace di contrastare
qualunque avversario senza il minimo timore…un tipo con pochissimi punti
deboli, insomma, sempre pronto ad ogni genere di sfida. Sì, un ragazzo forte,
fortissimo. Temerario.
Ma nonostante questo, nonostante tutte le voci che
avevano sempre descritto Landers severo e distaccato,
freddo e sprezzante, Maki era fermamente convinta
dell’esistenza di un lato, in lui, molto più dolce e sensibile di quanto
chiunque potesse mai immaginare…un lato che lei stava scoprendo, e riportando
alla luce a poco a poco…
Landers le sapeva comunicare sicurezza, protezione, fiducia…ma
anche un qualcosa di speciale, unico, che era difficile spiegare a parole. Se
ne era resa conto il giorno in cui si erano conosciuti, poco più di un anno
prima…
Mark, giunto a Okinawa per sottoporsi ad un duro allenamento intensivo in
cima alle montagne, era riuscito a vincere i suoi limiti, creando un nuovo,
formidabile tiro che gli avrebbe permesso di ritornare in Nazionale a testa
alta, come capocannoniere nei prossimi Mondiali. Il tiro del dragone…ed era
stata proprio lei a ispirargli un nuovo modo di calciare la palla…
Quella sera, quando era ritornato a valle, stanchissimo
ma vittorioso, il ragazzo l’aveva ritrovata lì, ancora ferma e immobile, in
mezzo a quel campo. Già…aveva perso, quella volta. La finale di softball più
importante della sua vita. Si era allenata duramente, proprio come lui,
ma…aveva perso. Era finita come mai si sarebbe aspettata.
E non poteva, non riusciva a farsene una ragione…
Piangeva. Piangeva sotto la pioggia incessante…se lo
ricordava bene, eccome. Quelle fredde e taglienti gocce si mescolavano alle sue
lacrime, lavandole via, senza però riuscire a cancellarne anche il dolore.
Mai si era sentita tanto sola, e vuota. Persa.
Tutto quello che aveva fatto, la sua fatica, i suoi
sacrifici…non erano serviti proprio a nulla?
Perché? Perché il suo sogno si era infranto? Per cosa
aveva lottato?
E così, appena aveva rivisto Mark,
giunto all’improvviso dietro a lei, non era riuscita a frenarsi. Lui, e quei
suoi bellissimi occhi neri, che l’avevano guardata con un’ espressione triste,
dolce, piena di infinito affetto e comprensione…
Sembravano essere apparsi lì, solo per lei.
Si era gettata sul calciatore, per affondare il viso in
quel vasto petto…
Avrebbe voluto nascondersi, nascondersi per sempre…sì…ma
in quel momento, fra le braccia di Mark, le sarebbe
bastata una sua sola carezza, una sua sola parola per rendere la sconfitta,
dentro di sé, meno amara.
E quella carezza, quelle parole erano venute davvero a
confortarla.
“Non fare così.
Vincerai la prossima volta, vedrai. Soltanto le sconfitte danno la forza per
combattere fino in fondo…”.
Landers aveva pronunciato quella frase lentamente, ma con ferma
convinzione. Maki non si ricordava di avere mai
sentito nessuno dire qualcosa con tale forza e decisione…e fu proprio
quell’unica frase a farle comprendere, quel giorno sotto la pioggia battente,
il vero significato di una sfida, e il comportamento da adottare per diventare
un vero campione…
Ed era questo che Mark era.
Un campione…
Stretta a lui,
capì che quel formidabile calciatore sarebbe stato per sempre il suo
modello da seguire…e non solo…
Sentì la sua mano fra i suoi capelli, tiepida nonostante
l’acqua. Il suo viso, così vicino al suo capo.
Desiderò che quel momento non finisse mai…
Mark…Mark Landers…
Si era innamorata di Mark Landers e adesso, voltandosi a guardarlo, Maki si rese conto che ciò che provava per lui stava
crescendo, e facendosi ancora più forte…sempre più forte.
E mai si sarebbe stancata di amarlo.
Dopo poco più di un’ora trascorsa per le vie del centro
di Tokyo, i due, uscendo dalla metropolitana, si avviarono a passi lenti verso
la zona in cui abitava Mark, situata in un quartiere
a nord della città.
Maki sembrava rilassata, serena…felice. Davvero felice. Il
completo bianco che indossava, poi, la faceva apparire ancor più luminosa agli
occhi di Mark. Candida, pareva avvolta da una nuvola.
Alzò lo sguardo verso il cielo nuvoloso, per poi
riabbassare la testa e gettare un’altra occhiata alla frenetica, moderna,
immensa metropoli intorno a lei, che continuava a muoversi, instancabile.
“Sai, per me è incredibile stare qui…uhm, direi strano,
più che altro”, esclamò ad un tratto, continuando a camminare tra la folla e il
traffico, insieme a Landers. “Okinawa
è così lontana, così diversa da Tokyo…non credo che riuscirei mai ad abituarmi
allo stile di vita della capitale, se ci vivessi”.
Sorrise, girandosi verso il ragazzo. “Ora capisco molto
bene per quale motivo venisti ad allenarti a Okinawa,
quella volta. Per sfuggire a questa realtà caotica, per andare a concentrarti
in un luogo dove nulla ti avrebbe disturbato… e…beh, per me…è stata una vera
fortuna…”.
Landers non fece alcun commento, rendendosi conto delle ultime
parole della ragazza troppo tardi…come sempre, del resto. Suo malgrado, si
ritrovò infatti a fissare un’altra volta Maki
totalmente inebetito, senza sapere cosa rispondere.
“Hem…”.
“Mark”.
“Uh…sì?”.
“Lo so che essere romantico non è proprio il tuo forte,
quindi non sforzarti”.
La ragazza rossa scoppiò a ridere, coprendosi la bocca
con una mano. Il calciatore, davanti a lei, continuò per qualche secondo a
guardare la fidanzata senza afferrare le sue parole, poi, a metà fra
l’imbarazzato e l’offeso, cambiò espressione.
“Ma…ma cosa dici! Guarda…guarda che ero solo distratto!
Se lo voglio, so essere anche romantico…”.
“Mpf…eh eh...davvero?”.
“Certo!!”.
Maki gli sorrise affettuosamente, poi, voltandosi, ricominciò
a ridere.
“Dai, numero dieci, lasciamo perdere e entriamo…”,
propose alla fine, per concludere.
Svoltò quindi, all’improvviso, nel viale del giardino di
una piccola, graziosa villetta su due piani, dopo aver imboccato una via
laterale a sinistra della strada che i due avevano appena percorso.
Landers, stupito, la raggiunse. “Ma…come hai indovinato che è
questa casa mia?”.
La ragazza gli rivolse un sorrisetto
sapiente, strizzando l’occhio. “Non ci vuole molto, visto che ci scriviamo
lettere da mesi…si presume che conosca il tuo indirizzo, o no?”.
Il cannoniere della Toho si
fermò prima della soglia per guardarla, sconfitto.
“Chissà perché quando sono con te mi sento
incredibilmente stupido…”. Rimase lì, in piedi, con un’espressione distrutta
per un po’.
Poi, finalmente e con grande sollievo di Maki, scoppiò anche lui in una gran risata.
“Mi piace come è illuminata!”, esclamò la ragazza, mentre
girava per le stanze. “Penso proprio che abbiate fatto un buonissimo acquisto!
Il salotto risulta in luce in tutte le ore della giornata…”.
“Davvero?”, chiese Mark,
avvicinandosi alla fidanzata. “Io non l’avevo mai notato…che occhio che hai!”.
L’altra si girò, fulminandolo con un’occhiataccia.
“Mio caro, sei sempre troppo impegnato con il tuo bel
pallone per accorgerti di queste piccole cose…scommetto che a casa non ci sei
mai!”. Si voltò nuovamente, e avvicinandosi a una delle finestre, emise un
leggero e lento sospiro.
“Mark, seriamente…”.
“Sì?”.
“Ecco…mi sembri teso da quando ci siamo rivisti. Molto
teso…non ti comporti come sempre. E penso che riguardi il calcio…dimmi, c’è
qualche problema in campionato? Oppure in squadra?”.
Landers alzò le spalle. “Ma cosa ti viene in mente? Figurati,
io…”.
“Smettila, ne sono sicura. Cerchi di nasconderlo, ma la
tua distrazione è dovuta certamente a questo. Hai altro per la testa, ed è già
da un po’ che mi chiedo che cosa…”.
Detto questo, Maki tese le
braccia davanti a sé, appoggiandole al davanzale. A qualche metro di distanza,
invece, Mark la guardava da dietro, dopo essersi
seduto sul lungo divano blu notte, in fondo al salotto. Nessuno pronunciò nulla
per un intero minuto, poi, rompendo il silenzio, il calciatore parlò. Si passò
una mano tra i folti capelli corvini, sbilanciandosi in avanti e appoggiando i
gomiti abbronzati sulle ginocchia.
“Quest’anno non affronterò Benjiamin
Price”.
Il ragazzo fissava il pavimento, gli occhi persi in
qualcosa che Maki potè solo
intuire. Lo guardò, poi gli si avvicinò lentamente, rimanendo in piedi davanti
a lui.
“Ah, avevo visto giusto allora…” disse, stendendo una
delle lunghe gambe e spostando il peso sull’altra. Appoggiò una mano sul
fianco. “Però credevo che Benji si sarebbe ripreso in
tempo per la finale. Anzi…mi avevi detto che quasi sicuramente sarebbe tornato
a giocare per i quarti, e che il suo infortunio non era poi così grave…come mai
sei così sicuro che non vi scontrerete?”.
Mark alzò la testa verso il viso di Maki.
“Price non ha voluto dire a nessuno come stanno realmente
le cose”, spiegò il cannoniere. “La sua gamba sta molto peggio di quanto non
sembri…”.
“Come fai a saperlo?”
“L’altro giorno ho ascoltato per caso una conversazione
tra Julian Ross, della
Mambo, e la manager della sua squadra, Amy. Erano in
un negozio di articoli sportivi, lo stesso che frequento spesso io, nel centro
di Tokyo…ho sentito da loro la verità su Benji, e
pare proprio che Ross sia l’unico a saperlo. Price
naturalmente continua a sperare che le cose migliorino, ma le probabilità sono
poche…molto poche”.
La ragazza dai corti capelli rossi annuì silenziosamente.
“Un normale avversario dovrebbe essere felice per
l’assenza del suo peggior nemico…”, commentò. “La prospettiva di una vittoria
facile farebbe piacere a chiunque. Ma so bene che per te non è così, Mark”.
Si abbassò, e appoggiando le braccia sulle gambe del
ragazzo, gli sorrise.
“Ami troppo le sfide…e il tuo continuo confronto con
Price è sempre stato uno stimolo a raggiungere vette e traguardi sempre più
alti. Sei fatto così, e la notizia che Benji non ci
sarà in questo ultimo scontro fra Toho e New
Team ti ha fatto perdere la voglia di
giocare con la solita grinta…”.
Il numero dieci scosse la testa, con un sorriso
rassegnato sulle labbra.
“Okay, mi conosci meglio di mia madre…”.
Fece una piccola risata, poi spostò una mano, posandola
su quelle di Maki. La guardò.
“Ma…non si tratta solo di Price”.
“E di chi altro?”.
“Del suo sostituto, Kristian Grover”.
Maki si rialzò, sorpresa. “Vuoi dirmi che c’è qualcuno più
bravo di Benjiamin Price, il Super Great Goal Keeper? Non ci credo!
E non posso credere nemmeno che tu possa essere preoccupato!”.
“Infatti non è più bravo di Price. E’ solo che…”. Landers si passò una mano sul viso, nervoso.
“Solo che?”.
Il ragazzo sospirò. “Non lo so. Sai, prima di venire a
prenderti, ho assistito ad una partita della New Team…Grover
ha fatto un incontro disastroso, ma sono sicuro che quello che ho visto non era
il portiere-rivelazione di cui tutti hanno parlato nelle sue precedenti
apparizioni in campo. E non era nemmeno il Kristian Grover che ho osservato di nascosto durante i suoi
allenamenti, tantomeno quello che ho conosciuto
personalmente poche settimane fa. Questo è sicuro”.
Gli occhi scuri del ragazzo si fecero stretti, affilati,
e alzando la testa guardò lontano.
“Quel tipo è diverso da tutti gli avversari che ho
incontrato fin’ora. E per la prima volta nella mia vita non mi sento
tranquillo…anche se non lo vorrei ammettere, sono nervoso. Grover
ha qualcosa che non riesco ad afferrare, a comprendere. Ho sempre creduto di
capire al volo chiunque…ho sempre fatto affidamento a questo, per vincere.
Smascherare e indebolire il nemico. Far crollare le sue difese, abbattere la
sua sicurezza. Ma con il sostituto di Price è totalmente differente…e non
capisco assolutamente il perché…è una sensazione che non posso levarmi dalla
testa, e che non sopporto”.
La ragazza ascoltava con attenzione il calciatore, anche
se piuttosto stupita dall’inaspettato discorso di Mark.
Questo Grover doveva essere un tipo davvero particolare
per aver agitato in quel modo l’inflessibile e distaccato Landers…
Molto, molto particolare.
“Scommetto che già lo odi…e anche più di Benji, non è vero? Eh eh…stai
attento a non fargli troppo male, altrimenti la New Team rimarrà davvero senza
nessun portiere!”, rise improvvisamente Maki,
alleggerendo, con quella battuta ironica, l’atmosfera carica di tensione della
stanza.
Landers, dopo un attimo si silenzio, si distese in un sorriso
divertito. Poi sollevò gli occhi, e guardando maliziosamente la ragazza si
sollevò veloce dal divano.
Senza che Maki se lo
aspettasse, ad un tratto il calciatore la attirò a sé con forza, cingendole la
vita con le braccia abbronzate.
“In questo sport ci si fanno molti nemici…ed essere duri
e violenti è necessario molte volte per vincere…”.
La ragazza circondò il collo di Mark.
“Ah, davvero? Mh…non mi pare un
comportamento molto sportivo, signor capitano…”, mormorò.
Landers la strinse di più. Avvicinò la bocca all’orecchio di Maki, accostando poi le labbra al suo piccolo lobo.
“Lo so bene…ma il non rispettare le regole rende sempre
tutto più eccitante…non trova, signorina?”, disse quindi con voce calda,
sensuale. Spostò il viso e, scendendo, iniziò a baciarle il collo. Maki chiuse gli occhi. Gettò il capo all’indietro, attirando
ancora di più il viso di Mark verso si sé, con una
mano affondata nei suoi folti capelli scuri.
“Stare insieme a un calciatore è pericoloso…”, disse
ancora Landers, arrivato a pochi centimetri dalla
bocca socchiusa della ragazza. “Soprattutto se quel calciatore sono io…sono
talmente pericoloso che nemmeno puoi immaginare…”.
Maki incrociò i suoi occhi penetranti, fissandolo con
desiderio.
“Correrò il rischio, puoi giurarci”, sussurrò infine,
prima che il calciatore la zittisse con un bacio appassionato.
Trascorsero alcuni secondi. Ad un tratto, però, la porta
dell’ingresso, rimasta socchiusa da quando i due ragazzi erano entrati, si
spalancò con violenza. Mark e Maki
si staccarono, spaventati dal rumore improvviso.
“Ma chi…?”.
Sulla soglia apparve una figura femminile, dalla pelle
ambrata: non molto alta ma magra e slanciata, indossava un corto top rosso,
insieme a dei comodi pantaloncini. Lo sguardo era furbo, malizioso e attento, e
i corti capelli castani le arrivavano appena sotto l’orecchio. Una tipa davvero
carina, senza alcun dubbio, e che sicuramente, nonostante la statura, sapeva
farsi notare.
Si guardò per un attimo intorno pensierosa, poi, notati Landers e Maki in fondo
all’ingresso ancora abbracciati, alzò un braccio verso l’alto.
“Ohhh, hii! Konnichiwa! Finally I find youuu!”,
esclamò quindi con voce squillante e con un forte accento americano, correndo
letteralmente verso i due che, immobili come marmo, avevano fissato la
sconosciuta dalla sua improvvisa entrata in scena.
Con grande shock della povera Maki,
la misteriosa giovane si gettò su Mark, stringendosi
a lui.
“My deaaar!
Ohhh, I’m so happy!”, disse
ancora sorridendo felice, con la guancia appoggiata su una delle spalle del
calciatore. Poi alzò la testa verso il suo viso. Landers,
sconvolto, la guardava senza parole.
“Ehm…scu-scusa…ti…ti conosco?
Penso che…ehm…tu abbia sbagliato persona…”, mormorò lui poco dopo, imbarazzato,
sentendosi addosso, pesante come un macigno, lo sguardo geloso della fidanzata.
“Marrrrk…”, ruggì infatti Maki, incrociando nervosamente le braccia. “Chi è?! Spero
per te che…”.
“No, no! Ti giuro che non so chi sia!!”, negò il numero
dieci, sempre più rosso e agitato, dato che la brunetta non sembrava
intenzionata a staccarsi da lui…
Maki lo incenerì con un’occhiata. “Sicurooo?”.
A quelle parole, invece, la ragazza misteriosa mutò
completamente espressione.
“Oh, Mark…allora davvero non ti
ricordi di me? Sigh, che delusione…”, mormorò in
perfetto giapponese, voltando tristemente lo sguardo.
“Ehm…veramente io…”.
In quel momento, altre due ragazze entrarono nella
stanza. La prima, alta forse più di un metro e ottanta, sbuffò e, passandosi
una mano fra i lunghi, lisci capelli dorati, guardò con sufficienza la casa. I
penetranti occhi azzurri si chiusero per un attimo, e con atteggiamento altero
mise una mano sul fianco, il viso bellissimo quasi disgustato.
“In che razza di posto ci hai portata, Miki? Mai visto un arredamento tanto orribile…è
assolutamente squallido!”, parlò in americano, mentre Mark,
la cui attenzione si era spostata sul corpo mozzafiato dell’incredibile bionda,
cercava disperatamente di capire cosa stava succedendo.
Intanto però la seconda ragazza, un po’ timidamente, era
uscita da dietro la prima, dove era rimasta nascosta. Di media statura, aveva i
capelli lunghi e castano chiaro raccolti in una coda, un paio di occhiali sul
naso e lo sguardo vivace e intelligente.
“Ragazze…ehm, come dire…credo proprio che li abbiamo
disturbati…forse dovremmo scusarci e andarcene…”, mormorò imbarazzata.
“Ma cosa dici!! Non li abbiamo affatto disturbati, non è
vero, Mark?”, esclamò ancora la prima ragazza,
girandosi nuovamente verso il calciatore.
Maki era completamente rosa dalla gelosia, e quando anche la
donna dal fisico da modella si avvicinò a Landers con
passo sensuale e ancheggiante, le sembrò davvero di scoppiare. Stavano entrambe
superando il limite…sì, decisamente…
“Ah…”, mormorò languidamente la bionda, studiando senza
ritegno il corpo e i muscoli di Mark fin nei minimi
dettagli. Si avvicinò ulteriormente a lui, e dopo essergli girata intorno, gli
diede una breve pacca sul sedere. Poi si strinse al cannoniere, passandogli
lentamente sul viso le dita dalle unghie smaltate e curatissime.
“Mhh…mica male il ragazzino,
per essere giapponese…uhm…yeah, he’s
really cool!”, disse con
voce provocante. Lo stava visibilmente
spogliando con gli occhi, per non dire, poi, di come muoveva le mani su
di lui…
Landers non si era mai sentito così imbarazzato prima
d’ora…lui…lui imbarazzato?? Ma siamo pazzi?!? Non poteva perdere il controllo
di fronte a…Ok, ok…anche
con Maki gli succedeva…ma…ma…non aveva mai avuto a
che fare con una ragazza del genere, smaliziata, senza alcuna inibizione
e…così…così sexy, ammettiamolo!!
E la bruna, invece…lei…sembrava proprio che lo
conoscesse…
Ovviamente il comportamento delle due, e in particolare
della bionda, di certo non gli dispiaceva, anzi…
Ma…da dove erano saltate fuori??
E come erano arrivate lì, a casa sua??
Miki, la ragazza dai corti capelli castani, ridacchiò.
“Mhhh…sì, ti do ragione! Sai,
l’avevo visto solo in foto, ma devo ammettere che dal vivo è molto, molto
meglio!”.
L’ultima delle tre cercò ancora di fermare le amiche.
“Ragazze…vi prego, smettetela…”.
“Ma dai Val! Anzi, vieni anche tu a conoscere questo
fusto! Scommetto che non vedi l’ora…ti assicuro che questi muscoli sono
qualcosa da provare…”, rispose la bionda, continuando letteralmente a
strusciarsi contro il numero dieci della Toho.
“Bastaaaaaaaa!”, gridò però
all’improvviso Maki che, giunta al limite della
sopportazione, stava fissando con occhi di fuoco le misteriose straniere.
“Allontanatevi immediatamente da Mark! VIAAAA!”.
Arrivò decisa di fronte alla ragazza dal fascino adulto
e, con estrema violenza, la spostò, mettendo le mani sulle spalle coperte da
una corta giacca bianca. Sotto, indossava un vestito rosso e attillatissimo, ai piedi delle lucide scarpe con un tacco
vertiginoso.
“Oh, a quanto pare la piccola è gelosa…scusa, gioia”,
mormorò la donna, intuendo le proteste di Maki.
Allungò le labbra rosse e carnose in un sorrisetto canzonatorio.
“E’ tutto tuo, anche se credo che tu sia un po’ piccina
per lui…dovresti lasciarlo a qualcuno con più esperienza…eh eh…una
che sappia come trattarlo…DAVVERO”.
A quelle parole Maki, ormai
nera, fu tentata di mollarle un pugno, ma fortunatamente Mark
la fermò, riuscendo a staccarsi dalla bionda.
“Maki…calmati”, cercò di farla
ragionare il ragazzo, tenendole con presa ferma i polsi.
L’altra si divincolò facilmente, per poi fissarlo, gli
occhi lucidi.
“Tu…tu…scommetto che non ti dispiacerebbe una come lei,
vero!?! Ammettilo!”.
“Ma cosa dici? Lo sai che ci sei solo tu e…”.
“E allora perché non hai respinto quella gattina slavata
mentre ti toccava in quel modo osceno, eh??”, urlò.
La ragazza fu sul punto di scoppiare a piangere, ma a
quel punto, Miki intervenne e prendendo per un
braccio Mark gli rivolse, stranamente, uno sguardo
serio.
“Mark, penso sia il caso di
spiegarti chi siamo”.
Landers si girò. “Beh, credo anch’io”, le rispose secco,
chiaramente urtato.
La ragazza annuì e, rivolgendosi alle due amiche, indicò
il divano.
“Martha, Val, aspettateci qui con questa ragazza. Vado un
attimo nell’altra stanza con Mark a spiegargli
tutto”, disse in inglese.
Maki, che aveva compreso perfettamente, strinse i pugni, e
avvicinandosi a Miki si mise ancora a gridare.
“Te lo scordi, chiaro?! Io non ti lascio sola con il mio
ragazzo, nemmeno morta!”.
Mark mise un braccio intorno alle spalle della fidanzata.
“Dai, Maki…ti assicuro che non succederà niente…mi
vuole solo parlare”.
“Ah, sì? E chi ci crede?!”.
“Ti prego, Maki!”, esclamò a
quel punto Landers, aprendo le braccia esasperato.
“Ora stai esagerando!”.
La ragazza dai corti capelli rossi lo fissò sull’orlo
delle lacrime, senza riuscire a dire una parola. Poi, tesissima, si diresse
verso il divano, lasciandosi cadere pesantemente sui cuscini. A braccia
conserte, voltò la testa verso il muro.
“Oh…ok, Mikina
bella, staremo qui…ma fai in fretta, abbiamo ancora le valigie da portare
dentro e tra poco pioverà”, rispose Martha, agitando una mano davanti al viso.
“Mamma mia, però qui dentro si muore di caldo…ma i giapponesi tengono i
caloriferi a mille?”.
Val, ancora ferma davanti alla porta aperta, avanzò verso
il gruppo e, arrivata al divano, si sedette a poca distanza da Maki.
“Sì, vai pure Miki!”, sorrise
la ragazza con gli occhiali. “E tu, Martha, smettila di lamentarti e siediti
qui con noi”.
L’altra sospirò, poi guardò Val. “E va bene…”.
Si mise fra l’amica e Maki e,
dopo aver accavallato le gambe, allargò le braccia dietro, sulla spalliera del
divano.
Poi, si voltò verso la ragazza di Mark
che, ancora offesa e arrabbiatissima, guardava a lato.
“Ehi, darling, dimmi…fai ancora le elementari o sei già
alle medie? Eh eh…”, domandò Martha per prenderla in
giro, scoppiando poi a ridere sfacciatamente.
“Martha, ti prego…”, la riprese Val, lanciandole
un’occhiata storta.
La bionda sbuffò. “Ooh…ok, ok…però che noia…”.
Miki ridacchiò, approvando entusiasta la battuta di Martha, e
anche se fu incredibilmente tentata di punzecchiare come l’amica la giapponese
dai capelli rossi, si girò nuovamente verso il calciatore, che la stava
aspettando.
“Dai…andiamo”.
Miki si diede una leggera spinta con le gambe, sedendosi così
sul tavolo della cucina. Mark la guardava con aria da
sufficienza, il più possibile distaccato, mentre lei, al contrario, pareva
incredibilmente rilassata e a suo agio.
“Allora…uhm…vediamo, da cosa posso cominciare?”, si
chiese, portandosi l’indice alla bocca. Accavallò le belle gambe abbronzate,
mostrando un tono muscolare assolutamente invidiabile.
L’attaccante della Toho, però,
non ci fece troppo caso.
“Senti, da quello che vuoi, basta che ti muovi”, disse
nervoso. “Si da il caso, se per caso non te ne fossi accorta, che tu sia
piombata in casa mia con le tue due pazze amiche senza che nessuno ti avesse
invitato. Inoltre mi hai leggermente disturbato, e fatto litigare con la mia
ragazza”.
Mark ripensò alla figura fatta con Maki,
e di come avrebbe potuto scusarsi, più tardi, con lei. E che cavolo…tra
l’altro, tutto stava andando così bene…così bene…
Sempre più arrabbiato, Landers
fissò scocciato l’americana.
“Anzi, hai due minuti esatti per dirmi cosa vuoi prima
che vi sbatta tutte e tre fuori”.
Miki sostenne senza alcun problema lo sguardo del calciatore,
poi la sua bocca si allargò in un sorriso tranquillo.
“Oh, credo che ti sbagli, mio caro Mark.
Sono stata invitata, eccome. Da tua madre, molti anni fa”.
“Come?”.
Mark non poteva crederci. Che cosa poteva c’entrare sua madre
con quella piccola scatenata?
“E’ proprio così”, assicurò invece la brunetta, scendendo
dal tavolo con un breve salto. Si avvicinò a Landers,
guardandolo.
“Circa quattordici anni fa io e te ci incontrammo”,
iniziò a raccontare. “All’epoca io avevo undici anni, e tu solo quattro. Forse
è per questo motivo che non ti ricordi di me. Venimmo qui a Tokyo per un fatto
spiacevole, purtroppo, e cioè la morte di mio padre. La tua famiglia non poteva
permettersi un viaggio fino a San Francisco, e così fummo noi, mia madre ed io,
a venire in Giappone…”.
“Cosa vuoi dire?”. Mark continuava
a non capire. “Come vi…conoscevamo?”.
Miki parve davvero sorpresa dalla domanda. “Sul serio non ne
sai nulla, allora?”. Si girò, cominciando a camminare per la stanza.
“E’ strano…uhm…forse tuo padre non ha mai voluto dirti
nulla di suo fratello James, visto i brutti rapporti
che correvano fra di loro…uhm…sicuramente deve essere stato questo il motivo…”.
Si fermò, tornando a guardare Mark.
“E anche dopo la sua morte di suo marito, tua madre non
ti ha mai accennato nulla di tuo zio…beh…pazienza! L’importante è saperlo,
prima o poi! No?”.
Ancora una volta sorrise pacatamente, in un modo
apparentemente ingenuo ma incredibilmente divertito.
“Mark…dai, ti giuro che credevo
lo sapessi! Non fare quell’espressione da ebete! Suu!”,
esclamò allegra la ragazza, correndo verso Landers
che, quasi shockato dopo le parole dell’americana, la fissava con gli occhi
spalancati.
“Cosa…cosa vuoi dire?? Io…io avevo uno zio? Era…il
fratello di mio padre?”, balbettò.
L’altra annuì con decisione. “Sì sì!
Proprio così! Vedo che hai afferrato, bravo! E spero che tu abbia capito anche
una cosuccia di fondamentale rilevanza…”.
“Quale…quale sarebbe?”.
La brunetta alzò una mano, mostrando il segno della
vittoria. “Beh, che io sono la tua affascinante cuginetta,
mi sembra ovvio!”.
Detto questo, saltò al collo di Mark,
abbracciandolo, mentre il calciatore cominciava a ripetersi, disperato, che
quella non poteva essere la verità…noo! Una come
quella in famiglia?? Sua cugina? Un incubo…un incubo assoluto!
Cercò, con un grande sforzo di volontà, di riprendersi
dal trauma subito.
“Ehi…ehi…ma…aspetta! Come poteva mio zio essere
americano?”, domandò a Miki, tentando di restare
calmo.
La ragazza smise di saltare come una pazza e, dopo un
attimo di silenzio, si schiarì la voce, tornando seria.
Landers si passò una mano sulla fronte sudata, un po’ intimorito
da quella incredibile tipetta dalla personalità più
assurda che avesse mai incontrato. “Mamma mia, le ci vuole davvero poco per
cambiare espressione…”.
Ma Miki, nel frattempo, aveva
iniziato a spiegare.
“Tuo zio, mio padre, non era americano. Era giapponese a
tutti gli effetti, e naturalmente viveva insieme alla sua famiglia, e con tuo
padre. Poi, un giorno, decise improvvisamente di lasciare il Giappone. Come ben
saprai, la famiglia Landers non è mai stata ricca, e
mio padre si stufò di quella vita di stenti e sacrifici…voleva andare a fare
fortuna negli Stati Uniti, sposarsi e farsi una famiglia felice. E così fece,
senza ascoltare i pareri di nessuno…forse è proprio per questo che lui e suo
fratello litigarono. Invece di rimanere qui a Tokyo ad aiutare la propria
famiglia, mio padre se ne andò”.
Landers annuì lentamente, per poi girarsi e fare qualche passo
verso la finestra. Rimase così per un minuto intero, con le mani in tasca e gli
occhi fissi in un punto indefinito, finchè parlò di
nuovo.
“Già, immagino anch’io”. Sospirò.
“E così…tu sei sua figlia”, disse, studiando la cugina.
“Beh…ora che ti guardo bene ci assomigliamo vagamente…anche se i pochi tratti
orientali che hai si notano davvero poco”.
Miki Landers rise.
“Sì, lo so! Infatti ho preso moltissimo da mia madre, Melanie Stepherd. E’ a capo, in
America, di una rivista popolare di moda, e purtroppo, a causa del suo lavoro,
vive a New York. Nonostante tutto, però, è la madre migliore del mondo, te lo
posso assicurare! E comunque da alcuni anni vivo anch’io nella Grande Mela…eh eh…”.
La ragazza alzò gli occhi, la mente probabilmente
proiettata verso casa.
“Sono vissuta per la maggior parte della mia vita a San
Francisco, con i miei nonni materni”, proseguì poi, tornando a rivolgersi al
cugino. “Quando mio padre è morto per malattia, mi hanno cresciuta loro. E sono
stati sempre loro a raccontarmi di te, e dei miei parenti giapponesi…”. Allargò
le braccia.
“E ora sono davvero felice di averti conosciuto!”.
Miki sembrava realmente sincera, e Landers
la guardò, per la prima volta, con affetto. E così, oltre ai suoi fratellini,
aveva anche una cugina…uhm…sì, è vero, una cugina completamente pazza…ma una
cugina.
Forse non sarebbe stato, poi, così terribile…
“Ok, ora so chi sei”, disse il
ragazzo. “Ma un paio di cose non mi sono chiare, ancora”.
“E quali?”.
“Ad esempio cosa ci fai qui e chi sono le tue due
amiche”.
La cugina fissò Mark con aria
interrogativa, per poi battersi una mano sulla fronte.
“Giàà! Questo ancora non te
l’ho spiegato! Eh eh…che stupida!”, esclamò
ridacchiando. “Comunque rimediamo subito!”.
A questo punto, Miki sfilò
dalla scollatura del top, dove erano agganciati, un paio di eleganti occhiali
da vista dalla montatura nera e dalle lenti sottili, a forma rettangolare. Li
indossò, e sollevando nuovamente il viso verso Landers,
sorrise.
“Allora…vediamo di presentarci dal punto di vista
professionale: sono Miki Landers,
ho 25 anni e faccio la giornalista sportiva per il New York Times…molto
piacere!”.
Landers sgranò gli occhi, stupito.
“Giornalista?”.
“Eeeeh, giààà!
Proprio così!”, trillò la cugina. La ragazza estrasse una piccola card
plastificata, mostrandola al cugino. “Vedi? Ecco la mia tessera! E sono anche
una leggenda, dalle mie parti! Sono giovane ma con un talento incredibile per
questo lavoro, o almeno questo è quello che dicono di me…modestamente! Ah ah!!”.
Il ragazzo dai lunghi capelli neri si portò una mano alla
testa, in preda a un’emicrania considerevole. Come dire…si sentiva sempre più
schiacciato dall’ego della sua adorabile cuginetta, e
la sensazione non era affatto piacevole per uno come lui…
Una donna…si sentiva inferiore a un donna! Roba da pazzi…
“Ah…beh, almeno siamo nello stesso campo…”, balbettò,
sfinito psicologicamente. “Hem…il calcio, intendo…”.
Miki annuì. “Verissimo! E per essere precisi, è proprio il
calcio il mio principale campo d’azione!”.
“Sul serio?”.
“Certo! E’ proprio per fare un mega-dossier sul calcio
giapponese e magari anche qualche bello scoop che sono venuta qui! Sai, la fama
della Nazionale Giovanile Giapponese e di molti giocatori del Sol Levante ha
raggiunto anche gli Stati Uniti…e di certo non potevo lasciarmi scappare
l’occasione di venire a verificare sul posto la loro bravura…”
Improvvisamente, la ragazza si avvicinò a Mark, che quasi trasalì per lo spavento.
“Mhh…cioè, chiariamo…questa è
anche una fantastica scusa per approfittare della tua ospitalità e venirti a
conoscere, mio bellissimo cugino!”. Scoppiò nuovamente ridere, mentre Mark la continuava a fissare, sconvolto.
“Uhh, dai, non guardarmi così!
Stavo scherzando!”, disse subito Miki, agitando una
mano. “Comunque tu sei fra i giocatori più interessanti…ed era evidente, visto
che siamo parenti! Sì, insomma…buon sangue non mente!”.
Landers scosse il capo, rassegnato. “Ho capito…ho capito…e mi
pare di aver afferrato anche che vorresti fermarti a casa mia per il periodo in
cui resterai in Giappone…”.
“Esattamente! Anche perché ricordo, come ti ho già detto,
che tua madre un giorno disse alla mia che ero sempre la benvenuta da voi…era
il momento di accettare l’invito, non ti pare?”.
“Hem…già…”.
La cugina mise le mani nelle tasche dei pantaloncini. “Le
altre due ragazze che ci sono con me, invece, si chiamano Martha e Valery, come penso avrai capito. Martha è un avvocato
penale col pugno di ferro, e ha 27 anni. Metà italiana e metà americana, si è
laureata in giurisprudenza prima di un qualunque studente normale: non ha mai
perso una causa in vita sua, è un vero e proprio genio e ha una cultura
spaventosa. E soprattutto, non perde mai con gli uomini, come avrai potuto
vedere…in tutti i sensi. Sai…il suo appellativo è ‘La pantera dei tribunali’…”.
Miki sorrise ironica, prevedendo la reazione di Mark. Sì, era decisamente bello prenderlo in giro…anzi, fra
lui e la sua permalosa fidanzata dai capelli rossi non sapeva proprio chi
scegliere da prendere di mira…
Il numero dieci della Toho,
infatti, dopo le parole della cugina avvampò di colpo, ricordandosi
improvvisamente del comportamento di quella bionda pazzesca, pochi minuti
prima.
E due, un’altra partita persa con una donna…no no, proprio non andava…Mark, stai
perdendo colpi…
“Valery, invece, ha 25 anni, è
americana ed è una giornalista come me, anche se si occupa di cronaca”, riprese
intanto Miki, ritornando seria. “Come Martha, siamo
amiche d’infanzia…mi hanno accompagnato qui a Tokyo perché, insieme, stanno
lavorando ad uno scandalo che coinvolge una compagnia di telecomunicazioni
giapponese, e che ultimamente sta interessando mezza America…Martha deve
accertare ed indagare su alcune questioni legali, mentre Val ne vuole
approfittare per scrivere un articolo che rilancerà, con uno scoop esclusivo,
la testata a cui lavora, e dare nello stesso tempo una mano a Martha con il suo
incredibile intuito”. Miki mise le mani sui fianchi,
sorridendo.
“Sai, quelle due sono degli assi in queste cose! Alcune
volte penso che avrebbero dovuto fare le agenti dell’FBI…ah ah!”.
Mark cercò di sorridere. Poi, fulminato da un certo pensiero,
guardò storto la giornalista.
“Aspetta un attimo, cuginetta…spero
per te che non avrai intenzione di chiedermi di ospitarle qui…vero?”, domandò
con aria poco rassicurante alla ragazza che, facendo un passo indietro, scosse
la testa.
“Ma…ma noooo!! Che dici??
Assolutamente…solo che…ecco…”.
“Solo che…cosa?!?”.
“Ecco…”, balbettò Miki,
guardando il ragazzo dal basso, vista la differenza di statura tra i due. “…c’è
stato un piccolo problema con l’albergo dove avevano prenotato…daai, Markuccio…si tratterebbe
solo di ospitarle il tempo necessario per trovare un altro hotel dove possano
stare…questione di giorni!!”.
Miki gli rivolse un sorrisetto
angelico. Mark, però, voltò la testa, irremovibile.
No, non poteva dirle di sì!
Quel sorriso non lo commuoveva…no…ci voleva ben altro…lui,
la tigre…vinto così da una ragazza…figurarsi!
“Ti pregoooo…”. La cugina lo
stava fissando con due occhioni da cucciolo, e Landers si ritrovò a guardarla, suo malgrado…
Cavoli…come poteva rifiutarsi?
Ma…ma…NOO!
Quelle due…la bionda…fra lui e Maki!
LUI E MAKI! Ma porc…
E poi…una settimana da soli…in fumo! Il loro progetto…il
loro progetto perfetto…completamente in fumo!
Diavolo!
L’aveva sempre detto che le donne portavano solo
guai…
“E va bene”, mormorò infine, sconfitto, sorprendendosi
del cuore schifosamente tenero che scopriva improvvisamente di possedere. “Ma
non concedo a quelle due più di sette giorni, chiaro? Ok
che abbiamo appena comprato la casa nuova, ma non possiamo certo ospitare un
esercito…”.
A quelle parole, Miki esultò,
entusiasta, e stringendo Mark gli stampò un bacione sulla guancia, facendolo quasi cadere.
“Grazie infinitee! Sapevo che
eri un tesoro, cuginetto mio!”, gridò felice. “Vado
subito a dirglielo!”.
La ragazza fece per correre fuori dalla stanza, quando Landers la afferrò per un braccio.
“Ehi, cugina”.
Miki si voltò. “Sì?”.
Il calciatore abbassò la testa, imbarazzato.
“Non provare mai più a chiamarmi Markuccio”. |
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Capitolo 15 *** Inspiegabile ***
La superficie lucida del tavolo rispecchiava il cielo
plumbeo che, oltre la vetrata del bar, ricopriva la città di Fujisawa di una
coltre malinconica e grigia. La gente camminava frettolosa, stringendosi nei
cappotti per non sentire il freddo pungente e fermandosi raramente di fronte a
qualche vetrina illuminata. Solo i termosifoni del locale, posti sotto le
grandi finestre, sembravano donare un po’ di calore in tutta quella gelida
tristezza, in quel desolante, statico pomeriggio di inizio
novembre.
Le mani di Kris, appoggiate su uno di essi,
risultavano quasi bianche sotto la forte luce al neon delle lampade poste sopra
ad ogni tavolino.
La bocca serrata,
era immobile, impassibile. Fissava il vuoto. O forse,
più probabilmente, un’immagine nella sua testa…
Tom Becker, seduto
di fronte a lei, chinò il capo.
“Kris…devi finire
di raccontarci come sono andate le cose”.
La ragazza alzò il
palmo sinistro dalle tubazioni di ferro, ma non parlò. Jude, arrivando in quel
momento con due caffè espressi nelle mani, si sedette di fronte all’amica, di
fianco a Tom, e appoggiò le tazzine sul
ripiano. Becker avvicinò a sé una delle due, ringraziando Jude.
“Allora?”,
chiese poi, stringendo una delle braccia di Kris nel tentativo di farla girare
verso di sé. “Cos’è successo
dopo che hai lasciato l’ufficio di Nicole?”.
Kristine esitò ancora qualche secondo, poi sollevò il viso, guardando
prima Tom, poi Judith.
La giovane ragazza
bruna la guardò a sua volta, preoccupata. “L’altro giorno non me l’hai voluto
dire. Forse è giunto il momento di confidarti, non credi?
Magari potremmo aiutarti…”.
La musica da
camera, di sottofondo nel locale, ripeteva di continuo lo stesso,
conosciutissimo motivo. Kris richiuse gli occhi, poi
sospirò.
“Ho incontrato Price
che…mi ha invitata a fermarmi a dormire da lui”, disse con lentezza.
Becker, che stava
avvicinando il caffè alle labbra, per poco non lo lasciò cadere. Judith,
invece, spalancò gli occhi, incredula.
“Cosa
ha fatto??”, chiese ad alta voce, sporgendosi verso Kristine. “Ma lui sa che tu sei…”.
“No, no!”, la
interruppe l’amica, scotendo la testa. “Non è come pensate…ora
vi dirò tutto…o, almeno, quello che ricordo”.
“Ciò che…ricordi?”.
“Già”.
Tom non disse
nulla, limitandosi solamente a fare un cenno col capo. Lo stesso fece Judith,
che, iniziando a girare il caffè con il cucchiaino, decise di lasciar parlare
l’amica.
Anche se Becker non
sapeva cosa fosse successo, le parole di Kris non l’avevano lasciato
indifferente…un campanello d’allarme si era acceso già da
tempo nella sua mente, e ora il suono continuava a farsi più forte.
Aveva paura di ciò che avrebbe potuto sentire uscire dalla bocca della ragazza.
Nonostante
tutto, cercò di sembrare il meno agitato possibile.
“Raccontaci”.
Kris si portò una
mano alla fronte, appoggiando il gomito sul ripiano del tavolo.
“Ecco tutto”.
I due ragazzi,
immobili davanti a lei, la fissavano senza parole.
“E…e
da quella mattina ha cominciato a trattarti così?”, mormorò Judith.
“Sì”.
Massaggiandosi le
tempie, Kristine chiuse gli occhi. Naturalmente, nel raccontare cos’era
successo quella sera aveva evitato accuratamente di narrare alcuni particolari,
come i suoi pensieri sui sentimenti che provava verso Price…
Non era il caso di
complicare la situazione. Di complicarla con Tom.
“Evidentemente”
disse ad un tratto proprio il ragazzo, “deve essere successo qualcosa…ed è
proprio quello che non riesci a ricordare”. Becker si appoggiò allo schienale
della sedia, posando poi il gomito su quella dove era seduta Jude.
“Ma
sicuro!” gridò subito dopo l’amica, battendo un pugno sul tavolino. “E’ chiaro cos’è successo!”.
Kristine tolse le
mani dalla fronte, mentre Tom la guardò.
“Cioè?”.
Judith sospirò, e
giocherellando con un ricciolo scuro dietro all’orecchio alzò le spalle.
“Quasi certamente
devi essere crollata, ubriaca. Oppure…oppure hai iniziato a dire e fare cose
che non voglio nemmeno provare a ipotizzare…”.
Immediatamente,
però, si pentì di aver pronunciato quella frase.
Becker, come
colpito ripetutamente alla schiena da qualcosa di veramente doloroso, abbassò
il capo, abbattuto, i grandi occhi nocciola concentrati su un pensiero
facilmente intuibile…
Tom aveva da poco
scoperto che la ragazza che amava da sempre aveva passato la notte a casa di
Benjiamin Price…e per di più, ora c’era anche il sospetto che fra i due ci potesse essere stato qualcosa…qualcosa che però non si
poteva sapere…verificare. E il dubbio faceva male più
di qualunque altra certezza.
Judith rivolse
un’occhiata dispiaciuta in direzione del calciatore. Era fin troppo chiaro che
Tom aveva capito benissimo che Price non era un
semplice amico per Kris…e di certo, Becker non sapeva nascondere al meglio i
suoi sentimenti.
La
ragazza dalla pelle ambrata sorrise, anche se con un velo di tristezza sulle
labbra. Solo Kris non se n’era
accorta…Tom Becker la amava, la amava in un modo totale, profondo,
sincero. Ora, restava solo da chiarire in che modo il
neoportiere nella New Team volesse bene al numero undici…
“Ehm…beh,
naturalmente questa è solo una…vaga idea…”, mormorò
Judith, tentando di rimediare all’errore. “Ecco, fate come se non avessi detto
nulla, ok?”.
Ma
Kris si era girata verso la vetrata, evitando di incrociare lo sguardo dei due
amici. Se davvero…se davvero Jude avesse avuto
ragione? Era una possibilità che non poteva essere esclusa. Sì, certamente era
una di quelle più probabili…tra l’altro, la mattina seguente a quella serata si
era svegliata con un mal di testa incredibile…
A dire la verità…
Lei…ci aveva…già
pensato.
Ma
non aveva voluto crederci.
Price…che ragioni aveva per comportarsi così con lei?
Cosa…era
successo quella notte?
Che
cosa? Più tentava di ricordare, più…stava male…
“Io…vado via”.
Kristine si alzò
con uno scatto veloce, spostando indietro la sedia. Becker la guardò allarmato.
“Perché?
Su, stai ancora un po’, poi ti riaccompagno io…”.
“No, non posso
restare. E non
preoccuparti, vado da sola, grazie”.
“Ma…”.
“A presto”.
Afferrando la
giacca appoggiata sullo schienale e infilandosela, Kris salutò velocemente Jude
e Tom. Percorse la sala, passando tra i tavolini abbastanza affollati, per poi
arrivare alla porta e uscire.
Per qualche secondo
solo la musica e il leggero brusio di sottofondo riempirono il silenzio che si
era venuto a creare. Poi, dopo essersi passato una mano tra i capelli, anche
Becker si alzò.
“Jude…ecco, andrei
via anch’io…”.
Ma
lei lo fermò. “Aspetta Tom”.
Il ragazzo faticò a
voltare lo sguardo.
“Cosa
c’è?”.
I profondi occhi
neri di Judith erano colmi di tristezza, e lo guardavano, imploranti.
“Tu…devi
dirglielo”. Si avvicinò a lui, afferrandogli un lembo della manica del
maglione. “Non puoi continuare a soffrire in questo modo”.
Lui, incredulo, la
osservò senza riuscire a parlare. “L’ hai…l’ hai capito?”, disse poco dopo.
Jude fece una
leggera, dolce risata. “E chi non lo capirebbe? A
parte Kris, naturalmente…”. Chiuse gli occhi, scuotendo la testa.
“Lei non lo vuole
capire. Si ostinerà a credere che, per te, è e sarà
per sempre solo una carissima amica…”.
Becker evitò di
continuare a parlare direttamente faccia a faccia con Judith, spostando la
testa. “Lo so…”.
“No che non lo sai.
Kris è molto confusa”.
“Cosa…vuoi
dire?”.
Jude abbassò gli
occhi, fissando il pavimento. “Senti…”, mormorò, fermandosi un attimo. Rialzò il viso.
“Io…non credo di
dovermi intromettere in tutto questo, Becker. Penso che dobbiate risolvere da
soli questa situazione…so che state soffrendo entrambi, e vorrei davvero
aiutarvi. Ma…”.
La ragazza
interruppe la frase, lasciando il braccio di Tom e abbandonando stancamente le
mani lungo i fianchi.
“Ma?”.
Becker afferrò uno dei polsi della ragazza.
Jude scosse il
capo. “No, Tom. Dovete capire da soli quale è la cosa
migliore da fare. Io non posso aiutarvi a scegliere i…vostri sentimenti. Non
posso proprio”.
Il ragazzo
contrasse le labbra, comprendendo, almeno in parte, il significato delle parole
di Judith. Con un ennesimo sospiro, lasciò la mano della ragazza bruna.
“Non puoi chiedermi
di confessarle che la amo…”, mormorò solamente, tornando a sedersi. “Io so…che
la perderei…e non voglio…è l’ultima cosa che vorrei. Kris…è troppo importante,
e… ”.
“E
quindi ti accontenti della sua amicizia? Vuoi lasciarla a Price?”.
“No, ma…”.
“Come fai ad essere
sicuro che la perderesti?”.
La domanda di Jude
si udì distintamente in tutto il locale, in un attimo di silenzio assoluto.
Alcuni clienti si girarono verso i ragazzi, commentando a bassa voce qualcosa.
I due si guardarono, poi Tom allungò le braccia sul
tavolo.
“Non lo sono,
infatti. Per niente”.
“E
allora?”.
“Ho paura. E mi rendo conto di non aver mai avuto tanta paura in vita
mia”.
“E’ naturale”.
Judith si appoggiò
con una mano sul tavolino, posando l’altra sulla spalla del ragazzo.
“Nelle partite dai tutto te stesso. Corri, combatti,
lotti. Rischi. Non è forse vero?”.
L’altro annuì.
“Certo”.
La ragazza sorrise. “E non vale
la pena di farlo anche in amore? Gli obiettivi da raggiungere sono ugualmente importanti di quelli di una partita, mi pare…e
forse anche di più. Lo sai bene”.
Becker lanciò
un’occhiata stanca a Jude, sconfitto.
“Forse…sì”.
Senza aggiungere nient’altro,
il numero undici restò fermo ad osservare la strada oltre la vetrata, alla sua
sinistra. Improvvisamente però, scoppiando a ridere, si girò ancora verso
l’amica.
“E
meno male che non potevi intrometterti in tutto questo, eh? Sei proprio un bel tipo…”,
esclamò.
L’altra ridacchiò a
sua volta, incrociando le gambe e mettendo una mano sul fianco.
“Oh, ma dai, ho
fatto solo una piccola eccezione per metterti sulla ‘giusta via’…eh eh…puoi
considerarmi il tuo angioletto custode o qualcosa di simile, no? E poi voi ragazzi siete così poco svegli…ci vuole una donna
per farvi capire certe cose…”.
Becker allargò un
braccio, fingendosi offeso. La fissò, accigliato.
“Ah, ma sentila…”.
“E’ la pura
verità!”.
I due ragazzi continuarono a ridere ancora per un po’ poi, dopo aver pagato il
conto ed essere usciti dal bar, iniziarono a camminare l’uno di fianco
all’altra. Jude assunse nuovamente un’espressione seria.
“Qualunque cosa
sceglierai di fare”, riprese, “io non ti criticherò, Tom. Figurati, sei libero
di prendere qualsiasi decisione…non ho alcun diritto di dirti come devi
comportarti”.
Becker infilò le
mani nelle tasche della giacca di pelle lucida, color seppia.
“Stai tranquilla,
lo so perfettamente”, annuì con un sorriso. “Ma direi
proprio che mi hai… illuminato. Non so esattamente come mi comporterò con lei,
ma…di una cosa sono sicuro. Kris ora sta male, e sta male per qualcosa che non
sa. Non approvo il comportamento di Price, e qualunque cosa Kristine gli abbia fatto le deve, in ogni caso, una spiegazione”.
Judith si strinse
nel cappotto. “E quindi?”.
“Quindi
ora andrò da lui, e lo costringerò a raccontarmi cos’è successo. Anche se…la risposta dovesse farmi male…”.
L’altra lo guardò,
non troppo convinta. “Sicuro?”.
Becker socchiuse
gli occhi, assorto. Ma dopo pochi secondi rialzò il
capo con decisione.
Il cielo, sempre
più grigio, prometteva altra pioggia. Il calciatore sentì l’aria fredda sul
viso.
“Sì”.
Price abbassò il
cordless. Per un po’ lo tenne in mano, poi, sospirando, lo
riposizionò sul tavolino in corridoio.
A passi lenti,
quasi stanchi, arrivò in camera sua e, avvicinatosi alla sedia, buttò con
noncuranza la camicia sopra la spalliera, dopo averla pigramente sbottonata.
Si sedette sul
piccolo divano nell’angolo della stanza. Portando le braccia dietro la testa
decise di sdraiarsi, lasciandosi cadere pesantemente fra i cuscini. Con gli
occhi spalancati, fissava il soffitto.
Freddie l’aveva
appena chiamato da Parigi per avere notizie sullo stato della sua gamba, sui
risultati delle partite e…per avere notizie di Grover. Lui gli aveva mentito,
assicurandogli che tutto stava andando perfettamente. Kris stava facendo grandi
progressi, e l’incontro con la Artic era stata una
passeggiata…
“Kristian è un grande portiere, Freddie. Farà
molta strada…”.
Era questo che aveva detto. Aveva elogiato
Kris.
Benji socchiuse gli occhi. Senza che se ne fosse accorto, la sua espressione era cambiata. Serrò le
mascelle, voltandosi violentemente da un lato e portando vicino a sé un braccio
per coprirsi il viso.
“Kristian Grover”, disse a voce alta. Il nome risuonò
nella camera, disperdendosi però subito nell’aria ferma.
Rimase ad
ascoltare, senza sapere bene cosa. Forse, aspettava soltanto
di sentire un suono, un qualunque suono che lo facesse sentire meno solo.
Già…il silenzio non era mai piaciuto a Benji. Perché nel
silenzio si era costretti a pensare. Non sopportava il dover fare i
conti coi propri ricordi, con le proprie colpe. E ora più che mai non avrebbe voluto farlo…
No, non avrebbe
voluto pensare a nulla…
Perché gli risultava così difficile? Perché…perché
tutto, ora, gli sembrava così…così dannatamente complicato?
Già…fare i conti
con se stesso…con il vecchio Price…il Price che aveva trattato male Kristian.
Raccolse le gambe
sullo stomaco nudo, stringendosi ancora di più la testa fra le mani.
Perché
quella sera era accaduto?
Penso
proprio che diventeremo buoni amici...
Chiuse
gli occhi. Perché soffriva in quel modo?
Era
rabbia? O… qualcos'altro?
Sono
contento di averti parlato di queste cose...è strano, ma non sono mai riuscito
a dirle a nessuno, prima di adesso. Non so perché, ma sento di potermi fidare
ciecamente di te. Sarà dovuto al fatto che noi due ci
somigliamo molto...
"Io
credevo in te". Price strinse le dita, afferrando violentemente la stoffa
del divano. "Io…mi fidavo".
…E’ vero, avevo i miei compagni di squadra,
certamente erano miei amici, ma…mi ostinai a non
affezionarmi a loro.
Non volevo…avevo sempre contato solo su me
stesso, e volevo continuare a farlo.
Credevo di non avere bisogno degli altri.
Da solo…stavo bene. Ne ero
assolutamente convinto.
Un
dolore lancinante iniziò a martellargli le tempie.
Allora…è
stato tutto un errore? Tutto quello che sono diventato
è stato…un errore?
L’isola…l’isola
che ero…
Forse
è davvero meglio restare soli?
“Tu
mi avevi capito. E io…ti avrei dovuto capire, ma…è
stata una delusione troppo, troppo grande…”, mormorò.
Price
non credeva che il vecchio Benji, il vecchio Super Great Goal Keeper, potesse
riprendere il sopravvento sul suo corpo. Non dopo tutti quegli anni…
E la cosa peggiore era che…non sapeva come liberarsi dalla
sua influenza.
Non
poteva scacciarlo ancora. Non poteva più, ormai. Perché
non c’era più nulla che potesse farlo….
Delusione,
orgoglio…forse rabbia. Ogni cosa era tornata ad avere il controllo su di lui,
proprio come un tempo. Quel Benjiamin Price che credeva sconfitto da tanto, che
credeva aver reso inoffensivo, ora era risorto.
Si
accorse di odiarlo. Di un odio profondo, totale. Non aveva mai odiato tanto
nessuno come, in quel momento, se stesso.
Le
parole dette da Kristian quel pomeriggio gli tornarono in mente.
Non devi, non devi assolutamente pensare di
essere una persona vuota, perché non è affatto vero.
“Ti sbagli”, mormorò il
portiere, scotendo la testa. “Lo sono…lo sono…lo sono sempre stato, e nessuno
potrà cambiarmi. Non l’ hai fatto tu, non l’ ha fatto la New
Team, non l’ ha fatto il calcio…nessuno…nessuno l’ ha fatto…”.
Rimase così, sdraiato e
assolutamente immobile per diversi minuti. Lo sguardo era vacuo, le braccia dai
muscoli perfettamente torniti leggermente piegate, a poco
distanza dal viso. I profondi occhi neri, solitamente sicuri e fieri,
illuminati da quella luce che solo Benjiamin Price da sempre possedeva,
apparivano ora spenti, dominati da una tristezza che mai era apparsa sul volto
del portiere.
Ad un certo punto, però, girò
lentamente il capo, rivolgendo un’occhiata alla camera. Il punto in cui, quella
notte, erano stati stesi i due futon ora era, naturalmente,
sgombro. Improvvisamente il ragazzo si sollevò violentemente dal divano,
fissando il tatami quasi in trance.
C’era anche un altro motivo.
Ed
entrava in contrasto con il vecchio, insopportabile Price.
No, non poteva essere…
Benji spalancò gli occhi,
coprendosi la bocca con una mano.
Era qualcosa che…
No…non era ammissibile. Non
poteva neanche lontanamente essere considerato.
Non poteva…
Strinse i pugni, mentre gocce
di sudore gelato gli imperlavano il viso.
Questo…questo non poteva
essere vero!
“No! Mi rifiuto
di crederlo!”, gridò nel silenzio. Si portò nuovamente una mano al viso,
coprendolo. Non anche questo. E’ troppo, è davvero
troppo…
“Tu…”, sussurrò a se stesso,
cercando di convincersi. “Tu…sei Benjiamin Price. Sei Price. E
tu…conosci Benji Price”.
Si avvicinò alla finestra,
tentando di camminare senza perdere l’equilibrio. Si sentiva
male…le forze gli venivano meno…cosa…cosa diavolo stava succedendo?
La fredda luce di quella
triste giornata autunnale investì il corpo abbronzato del numero uno della New Team.
“Forse questa non è la realtà.
Forse…questo non sono io…”
Gettò un’occhiata fuori. Il
mondo sembrava quello di sempre, ma…le sensazioni…
Quelle…quelle no.
Erano…impensabili…
“Kristian Grover…chi sei?”.
Pronunciò la domanda quasi con
timore, anche se cosciente che l’interlocutore non era presente, e che non gli
avrebbe mai risposto. Abbassò gli occhi, rigirandosi verso la stanza. Qualcosa
non andava…qualcosa…non quadrava…
Tutto si faceva sempre più
complicato.
Perché
si sentiva diviso in due?
E non
si riferiva ai due Benji…no…
Era qualcos’altro.
Ma…si
rifiutava di crederci. Era certo che non potesse essere vero…anche se…
Qualcosa gli suggeriva il
contrario. Qualcosa che non poteva non essere attendibile.
Con un filo di voce, emise due
sole parole.
“Mio…dio”.
Ormai, il sudore gli stava
colando giù per il collo. Cercò qualcosa per asciugarsi ma, nonostante tutto, quella sensazione alternata di caldo e di freddo non
accennò a diminuire. Si passò una mano fra i lucenti capelli neri, altrettanto
umidi.
Basta…
“Ehm…mi scusi, signorino…”. Ad
un tratto una voce conosciuta, proveniente da dietro lo shoji, scosse Price dai suoi pensieri. Il ragazzo alzò ancora il
capo, ma solo dopo qualche secondo riuscì a rispondere.
“S…sì Rose?”, mormorò tornando
in sé, anche se con molta difficoltà.
L’anziana signora fece capolino da dietro il pannello scorrevole, e dopo un breve
inchino, parlò.
“Mi perdoni se la disturbo, ma
ha una visita. Si tratta di Tom Becker, e mi sembra anche che abbia molta
fretta di parlarle”.
Benji ci mise un po’ per
comprendere le parole della governante. Poi, con un sorriso tirato, annuì.
“Sì…certo, digli che arrivo
subito”.
Decine di coppe dorate e
argentate, allineate su un’antica credenza presente nel soggiorno, brillavano
sotto il chiarore delle luci artificiali. Tom Becker le osservava attentamente,
rendendosi conto di non averle mai notate in tutte le volte che era venuto a
casa di Price. L’amico era senza dubbio il migliore portiere che Tom avesse mai conosciuto, ma quei premi confermavano la
superiorità di Benjiamin Price nel calcio giovanile, e non solo nazionale.
Dappertutto l’appellativo di ‘Super Great Goal Keeper’ era
già conosciuto come soprannome dell’imbattibile Benji Price…in Germania il
ragazzo aveva conquistato una notevole fama, e in Giappone era considerato una
vera e propria leggenda. Ma Becker era più che certo che la carriera
del numero uno della New Team fosse solo agli inizi.
“Quante ne abbiamo
passate…”, mormorò il calciatore, con un lieve sorriso dipinto sulle labbra.
Sfiorò con le dita il vetro che proteggeva una foto incorniciata appesa al
muro, poco distante dalle coppe.
Un campo assolato. Un’estate…un’estate lontana. Holly, Bruce, Paul, Ted…e tutti gli
altri…c’erano tutti…un gruppo affiatato, formato da dei ragazzini. Poco più che
dei bambini…
Benji era in piedi a braccia
conserte, di fianco a Marshall. Il sorriso ironico gli illuminava il viso, e lo
sguardo, dagli occhi scuri, penetranti e pieni di aspettative
verso il futuro, guardava fiero verso l’obiettivo.
E poi…c’era anche lui,
inginocchiato di fianco ad Hutton. Sorridevano
entrambi. Sembravano…davvero felici.
“Sesto Campionato Nazionale
di calcio giovanile, New Team, 1982”, riportava la targa in metallo, sotto
l’immagine. Gli occhi nocciola di Tom si fecero più sottili, mentre la mente veniva pervasa dai ricordi.
Era passato così…così tanto
tempo. Il suo primo campionato…il primo anno che aveva
trascorso a Fujisawa…
“Eravamo così ingenui”.
Abbassò la mano dalla foto, senza però smettere di guardarla. Dietro alla
nostalgia per quegli anni spensierati, quando tutto era solo all’inizio, Becker
avvertì, però, anche un retrogusto amaro.
“Adesso non può più essere
come allora”, sussurrò tristemente, abbassando lo sguardo. “Ora non c’è più
solo il calcio. E i sogni non sono più riposti
unicamente in una sfera di cuoio…”.
Ad un tratto, un rumore di
passi rimbombò nella sala silenziosa, costringendo Tom a voltarsi e ad
abbandonare i suoi pensieri. Alzò gli occhi.
Benji stava scendendo i
gradini dello scalone, le mani nelle tasche dei jeans
azzurri. Indossava una felpa bianca con una riga orizzontale blu sul petto,
sotto la cerniera del collo che terminava, sulla schiena, con un cappuccio.
I corti capelli neri erano un
po’ scompigliati, come se si fosse appena svegliato. Il viso,
insolitamente pallido, guardava nella sua direzione con un’espressione
stranita, vagamente assente.
Appena Price sembrò accorgersi
di Becker gli sorrise, anche se era evidente che
qualcosa non andava come sempre. Tom lo notò immediatamente.
“Ehi, Benji”, lo salutò,
alzando velocemente un braccio. “Scusa se sono passato senza avvisarti”.
Lo fissò per qualche secondo,
tentando di capire a cosa stesse pensando, cosa ci
fosse oltre quello sguardo assorto. Ma proprio mentre stava per domandarglielo
il portiere gli si avvicinò, distogliendo gli occhi da
quel misterioso pensiero.
“Ciao Becker”, esclamò,
fermandosi a pochi passi da lui. “No, figurati…dimmi pure. E’ successo
qualcosa?”.
Tom inclinò il capo,
continuando a fissarlo.
“Non esattamente. Però…vorrei parlarti di una cosa. Ti dispiace se ci sediamo?”.
Il ragazzo, un po’ sorpreso
nel vedere il numero undici della New Team così serio,
annuì lentamente.
“Oh, no…no di certo. Accomodati”.
Si sedettero in salotto, lo
stesso salotto dove, poche sere prima, Grover e Price avevano
parlato. Per un attimo Benji sembrò esitante, poi si accomodò
sulla poltrona, accavallando le gambe.
“Di cosa mi vuoi parlare?”.
Becker si sedette di fronte a
lui. Non aveva idea di come affrontare la discussione, e in realtà non si era
posto nemmeno il problema, prima di arrivare da Benji. Di certo non poteva
esordire dicendo che non sopportava vedere Kris in quello stato…anche se…anche
se avrebbe voluto farlo…
“Ecco…io…”.
“Sì?”.
“Vorrei…voglio
sapere…perché ti sei comportato in quel modo, l’altro giorno”.
Price puntò gli occhi su
Becker.
“Cosa
intendi?”.
Tom deglutì. Era il momento di
sapere cosa era successo…davvero.
Benji non si sarebbe potuto
rifiutare di rispondere. O almeno, così credeva.
“Con Grover. Perché lo tratti in quel modo. Lo voglio sapere…non mi
sembra giusto umiliarlo come hai fatto alla fine della partita con la Artic, e soprattutto senza una dovuta spiegazione”.
Strinse le dita appoggiate
sulle ginocchia, chiudendole a pugno. Sentì i battiti del cuore farsi più
veloci. Non aveva mai parlato in un modo simile a Benji…per un attimo, dubitò perfino che quello che stava agendo attraverso il suo
corpo fosse davvero lui…
Adesso non può più essere
come allora.
Già. Quegli allegri, innocenti
undicenni…non potevano più tornare.
Siamo cambiati. Tutti.
Perché tutti desideriamo qualcosa che ci renda felici.
E
spesso, per averla, bisogna saper lottare.
Ti accontenti della sua
amicizia? Vuoi lasciarla a Price?
Kris…
“Non voglio
più…vederti piangere…voglio tenerti con me…per sempre…”.
Bisogna rischiare in amore.
Combattere e rischiare, ricordatelo.
Si schiarì la voce, cercando
di allontanare le parole di Judith dalla mente. Sentiva lo sguardo di Price su
di sé, ma non osava provare a sostenerlo. Tenne il capo basso, fisso sul
tappeto della sala.
“Quindi…sarà
il caso che ora me lo spieghi, oppure che tu vada a dirlo direttamente a lui,
non m’importa. Devi però fornire una motivazione convincente, Price”.
Per parecchi secondi nella
stanza non si udì nient’altro che il respiro dei due ragazzi, alternato al
rumore delle lancette di un grosso orologio fissato al muro. Tom alzò piano gli
occhi. Perché Benji non gli rispondeva?
“Becker…”.
Il portiere lo guardava. Ma non lo guardava né con rabbia, né con freddezza. Era…era uno sguardo agitato. Agitato e….triste. Come…se
fosse perso in qualcosa che andava al di là della sua
comprensione, qualcosa…di cui non riusciva a capacitarsi. E
che lo faceva soffrire, terribilmente.
“…tu conoscevi già Grover,
vero?”.
Tom annuì piano, disorientato
dalla reazione dell’amico.
“Sì, l’avevo… incontrato a
Kyoto, anni fa”.
“E non
hai mai notato niente di strano in lui?”.
“Come?”.
“No… no, lascia perdere”.
Becker sentì un nodo formarsi
in gola. A cosa voleva riferirsi, Price, con quella frase?
No, non poteva rinunciare
adesso. Doveva arrivare fino in fondo a quella storia. Doveva sapere…ora più
che mai, doveva conoscere la verità…era indispensabile…
“Benji”, si decise quindi a
continuare. “Kristian…ecco…lui mi ha raccontato di quella sera. Ma non ha saputo dirmi cosa è successo quella stessa notte,
dice…di non riuscire a ricordarsene. E io…io sono sicuro che esiste un nesso
fra ciò di cui non mi vuoi parlare, quella serata e il
tuo comportamento nei confronti di Grover”.
Silenzio.
“Cos’è successo
quella notte?”.
Ancora una volta. Silenzio.
“Price!”.
Tom si era
alzato, e adesso, in piedi davanti a Benji, lo fissava con rabbia.
“Perché
non vuoi parlare? Non capisci che Kris ora soffre a causa tua?”.
Il ragazzo, ancora seduto in
poltrona, teneva un gomito appoggiato al bracciolo, e la
mano, aperta, copriva gli occhi. Era immobile.
“Price…?”.
Stava…stava
davvero male come gli era parso, allora?
“Tom…”, mormorò con un
sussurro il portiere, non accennando però a muoversi. “Sei…sicuro di volerlo
sapere?”.
A quelle parole, il numero
undici della New Team si irrigidì.
Sicuro?
Anche Jude glie l’aveva chiesto. Ma…aveva già dato
anche una risposta. Ed era quella definitiva.
“Sì”.
Price allontanò le dita dal
viso, voltando la testa verso l’amico. Il pallore che Tom aveva notato prima
non era sparito e, anzi, adesso sembrava addirittura essersi accentuato.
“Va bene. Allora…ti dirò
tutto”.
Il Super Great Goal Keeper si
appoggiò all’intelaiatura della vasta vetrata della sala. La poca luce che da
dietro le nuvole scure, cariche di pioggia, riusciva a filtrare, passava
attraverso la barriera trasparente.
Ora…era venuta la parte più
difficile…
“…poi…lui…mi ha continuato a
toccare, e…mi ha detto…”.
Esitò. Di certo, raccontare a
Becker quello che era successo con Grover non poteva
non metterlo in imbarazzo…
Ma…se fosse stata solo quella
la causa della sua agitazione…sarebbe stato
consolante.
Deglutì, con uno sforzo
estremo.
“…che…che
mi amava”, concluse.
Ci volle un po’ perché
l’effetto di quelle parole colpisse Tom, perché le comprendesse davvero. Ma quando queste entrarono nella testa del ragazzo, fu la
fine.
Ciò che non avrebbe mai voluto
sentire, alla fine era arrivato.
E gli
era stato gettato addosso violentemente, come uno schiaffo…il più doloroso.
Fermo a pochi metri di
distanza dal portiere, per poco non si sentì mancare. Si portò
una mano alla testa, mentre tutto, intorno a lui, iniziava a girare…
Riuscì per fortuna ad
avvicinarsi al divano, e a sedercisi, prima di credere di cadere a terra.
No…no…
No, non può
essere vero…è solo un sogno…
“Kris…non puoi
averlo fatto…non puoi…”.
Price, in piedi davanti alla
finestra, si girò verso di lui.
“Tom, io…credo che ora potrai
comprendermi. Scusa, forse è stato uno shock anche per te apprendere una
notizia simile, ma…Kris non è quello che credevamo che fosse. E io…non posso fare finta che non sia successo nulla”.
Il ragazzo dai lisci capelli
castano chiaro, però, scuoteva il capo.
“Senti…”.
“Non puoi trattare così Grover
solo per questo”.
“Che…che
cosa?”.
Tom rialzò la testa con
decisione, lanciando un’occhiata gelida in direzione di Price. L’amico lo fissò
sorpreso, non sapendo cosa rispondere. Che…che cos’era
quello sguardo sul volto di Becker?
“C’è qualcos’altro. Sono
sicuro che non è l’unico motivo. Tu e Kristian eravate
troppo legati, e nemmeno dopo una cosa simile potresti cambiare così
radicalmente il tuo atteggiamento verso di lui. Riponevi tutte le tue speranze
in Grover, e ancora adesso lo fai”.
Benji rimase in silenzio.
“Come mai sei così sicuro?”.
“Perché
conosco bene sia te che lui. E ho visto quanto eravate
diventati amici. E’ innegabile che fra di voi c’era un
feeling…ma non parlo di un affiatamento che può legare una coppia. Era…qualcosa
che andava oltre, qualcosa…che non ho mai visto prima fra nessuno”.
Tom si portò una mano alle
labbra. Il sudore gli colava giù per il viso, mentre un caldo incredibile
iniziava a farsi sentire, soffocante. Che cosa…che
cosa aveva detto? Lui…aveva ammesso che tra Grover e Benji c’era
sempre stata un’intesa che lui…non avrebbe mai potuto raggiungere con Kris?
Ma
Price sembrava essere rimasto come trafitto dalle sue parole. Fece qualche
passo in avanti, fissandolo.
“Hai ragione”.
Tom lo fissò a sua volta.
Aveva sentito bene?
“Cioè?”.
Il ragazzo scostò lo sguardo,
abbassandolo per un attimo. Sembrava indeciso.
“Ecco…fra me e Grover c’è qualcosa
che ci lega, è vero…e me n’ero accorto già da tempo io
stesso, ma…non è solo questo…”.
“E
cosa ancora?”.
“Beh…il fatto è che…hai
ragione nel dire che c’è un altro motivo per il quale ho trattato Kristian a
quel modo”.
In quel momento, Tom non poteva
sapere che la risposta di Price l’avrebbe completamente spiazzato. Nonostante
tutto, infatti, poteva ancora sperare di riuscire a conquistare Kris…lei per Benji sarebbe stato solo Kristian dopotutto, e non Kristine.
Lui non ricambiava i sentimenti della ragazza…come poteva? Kristian era un
maschio…
“E
quale?”.
Price si voltò. Non sarebbe
mai riuscito a confessare la verità guardando in faccia Becker. E non avrebbe mai pensato che la verità potesse essere
quella…
Batté con violenza un pugno
sul vetro.
“Quella notte, quando Kris mi
ha toccato, mi sono sentito…attratto da lui. E non
posso negare che…che ancora adesso lo sono, ma…non riesco a capirne…il perché”. |
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Capitolo 16 *** Ritrovarti ***
…Oppure hai iniziato a dire e fare cose che non voglio nemmeno provare a ipotizzare…
La frase
pronunciata da Jude continuava a ripetersi nelle
orecchie di Kris. Senza tregua. Una volta, due, tre…
Quante probabilità
ci potevano essere? E poi…tutto si incastrava alla
perfezione…il suo mal di testa, l’amnesia, l’atteggiamento di Price…tutto era
possibile…ma…ma…
Tutto poteva anche
non essere tale. Già…erano solo ipotesi…ipotesi.
“Non conta più
nulla…”, si disse però, a bassa voce. Camminava lungo il marciapiede,
lentamente, senza far caso a chi incrociava, a chi urtava. Stretta nella giacca
a vento blu, nel freddo di quell’autunno, Kris non sembrava accorgersi del
mondo esterno. Ormai, lo capiva sempre di meno. E
desiderava solo una cosa, in quel momento…nascondersi, sparire. Confondersi tra
gli altri. Confondere Kristian, ma anche Kristine. E sparire.
“…non voglio più
nemmeno saperlo…la verità non cambierebbe le cose”.
Affondò le mani
nelle tasche. Non si era mai sentita così confusa. Confusa dalle sensazioni,
dai pensieri, dalle persone. E anche adesso, non era
in grado di definire ciò che sentiva. Tristezza? Amarezza? Forse, ma non era
così semplice. No, decisamente no.
Ora…ora lo poteva
percepire chiaramente. Pesante come un macigno, Kristian
gli opprimeva il cuore.
Infilò la chiave
nella serratura della porta di casa. Chissà se Alex
era già rientrato…ultimamente, il tempo che suo fratello trascorreva
all’università era aumentato. Da un certo periodo, infatti, era completamente immerso
nello studio, una cosa non certo da lui, visto che
negli anni del Liceo era sempre stato uno studente più o meno discreto.
Insomma, Kris ricordava bene come Alex Grover non fosse certamente quello che poteva esser
definito un “secchione”. E
adesso, improvvisamente, la cosa che faceva più spesso era invece dare esami su
esami.
“Dovrei prendere
esempio da lui”, mormorò, pensando al proprio rendimento scolastico con un filo
di vergogna. Entrò nell’ingresso, e dopo aver richiuso
l’anta, si sfilò la giacca.
Il salotto era
deserto. E perfettamente in ordine, anche.
Probabilmente suo fratello non era ancora ritornato, allora…
Diede
un’occhiata in cucina, anch’essa lucida come uno
specchio. Addentando una mela, uscì, dirigendosi quindi verso il piano superiore.
Un’idea più che allettante era quella di chiudersi in camera,
per dormire almeno dodici ore filate.
“Ecco, per
l’appunto…dovrei studiare, ma non credo proprio che avrei la forza di tenere
gli occhi aperti sulle equazioni goniometriche…”, borbottò Kris a se stessa,
reggendosi al corrimano della scala con gli occhi socchiusi per la stanchezza.
Arrivata circa alla
metà dei gradini, però, si bloccò.
“Quindi…alle
20.45? Ok…allora…ti raggiungeremo lì. Certo, appena
Kris arriva glielo dico, sarà qui a momenti. Senti…”.
La voce di Alex, dopo un attimo di
esitazione, si incrinò improvvisamente. Suo fratello era al telefono con Nicole, senza dubbio. E, senza
dubbio, stavano parlando di una certa persona…
“*Keith…”, sussurrò Kristine,
portandosi una mano alle labbra. “Arriva…arriva
stasera?”.
A quella notizia,
d’impulso, fece per correre a chiedere maggiori informazioni a suo fratello, ma
dopo qualche istante cambiò idea. Certo, lei era felicissima del ritorno
dell’amica, aveva aspettato quel momento da anni, ma…Alex…lui…
L’ ho molto delusa. Per lei sarò rimasto il
quattordicenne egoista e viziato che ha conosciuto, e lo sarò per sempre.
Adesso che sta per realizzare il suo più grande desiderio, per me non c’è più posto…
Kristine chiuse gli occhi,
addolorata. Perché…perché si era tenuto tutto dentro? Perché…non si era mai confidato con lei? Se solo lo avesse
saputo…forse…non avrebbe sofferto per cinque anni, da
solo…
Potrebbe anche avermi dimenticato, contando, poi, che
in tutto questo tempo non ha mai chiesto una volta di me…
Mi sembra una prova sufficiente per dimostrare che non
ne ha mai avuto bisogno.
Keith è forte, sa
cosa vuole, l’ ha sempre saputo…
E io sono solo uno
stupido bambino viziato che non ha mai dovuto lottare per avere ciò che
desiderava.
Suo fratello era una persona meravigliosa, la migliore
del mondo…e lei era assolutamente certa che anche Keith lo sapesse. Se Alex aveva agito così, era stato solo per paura di
perderla…
“Lui sa quanto sono importanti i tuoi sogni…lo sa, Keith…”, pensò tristemente, gli occhi castani lucidi.
Alzò la testa. Poteva vedere il profilo di suo fratello,
chino sul telefono. La bocca serrata, lo sguardo preoccupato, i folti capelli
che gli ombreggiavano la fronte…quel giorno, parevano incredibilmente chiari,
quasi dorati. Era così strano. L’immagine di Alex alcune volte
lasciava stupita Kris. Non sapeva spiegarne esattamente il motivo, ma…spesso,
in lui poteva percepire un qualcosa di angelico, di
trasparente, puro. Sembrando fragile, così fragile da far quasi tenerezza.
Keith, invece, era talmente
diversa da lui…combattiva, determinata, sicura. Ombrosa, a volte, ma mai
triste. Kris non riusciva a ricordare una sola volta in cui l’aveva vista
piangere, non una. Era così buffo…entrambi, sia Keith
che Alex, potevano essere
paragonati a creature ultraterrene,
anche se l’uno era l’opposto dell’altra. Ma
proprio per questo, si equilibravano.
Chissà…chissà se sarebbe stato possibile ritornare come
ad un tempo? Loro quattro…lei, Alex, Keith e Nicole…insieme…le risate,
quella serenità che da tempo non aveva più provato,
che nessuno di loro aveva più provato. Serenità che lei non riusciva quasi a
ricordare.
Era durata così poco…pochissimo, in quella vita che
sembrava portare via tutto…e sempre troppo in fretta.
E quella sera…sarebbe tutto
finito, o ricominciato? Non poteva saperlo. Nessuno avrebbe potuto dirlo, prima
del ritorno di Keith.
“…io non so se riuscirò ad affrontarla…Sì, sì…Nicole, hai perfettamente ragione. Sì…uff,
è che…è passato così tanto tempo…”.
Il ragazzo sospirò ancora. Si passò una mano fra i
capelli, poi la abbassò, mettendola nella tasca del cappotto nero che ancora
indossava.
“Certo”, continuò poi, con tono abbattuto, rassegnato.
“Ci vediamo a Narita per le 20.30, all’ingresso. Va
bene, a più tardi”.
Riposizionò il cordless sul
sostegno, senza dire più nulla. Dopo alcuni secondi si appoggiò al muro con un
lento movimento, fissando l’apparecchio.
“Kei…”.
Socchiuse gli occhi, senza accorgersi
che qualcuno stava salendo le scale. Solo quando Kris giunse all’ultimo
gradino, Alex si girò di scatto verso di lei.
“K…Kris…non…ti ho sentito rientrare”, esclamò preso alla
sprovvista il ragazzo, guardando la sorella con la paura che potesse avere
ascoltato la conversazione. Tentò di sciogliere il nodo che gli si era formato
in gola, poi sorrise.
Lei, vestita stranamente con dei
jeans femminili, aderenti, e un lupetto blu oltremare, avanzò verso di lui con
le mani dietro la schiena, allegra.
“Ehilà fratellino! Che succede?
E’ strano trovarti a casa così presto…con chi stavi parlando?”.
Alex, un po’ sorpreso ma
sollevato, tentò di sembrare di buon umore. Riuscire ad essere spontaneo era,
però, una vera impresa…in particolar modo con sua sorella. Erano un libro
aperto, l’uno per l’altro.
“Beh…”, iniziò, non sapendo esattamente come comunicarle
la notizia. “Mi ha…telefonato Nicole. Sembra che la
nostra Keith ritornerà stasera da Londra, per
fermarsi un mesetto circa in Giappone, e…”.
“Ma è fantastico!”, esclamò con
un grido Kris, senza lasciarlo finire. “Sul serio sarà qui stasera? Quando?”.
“Per le ventuno, circa, a Narita”.
“Benissimo! Allora dobbiamo prepararci in fretta per
essere là in tempo!”. Entusiasta, Kris sorrise ad Alex, poi lo superò, per dirigersi verso la propria camera.
Ad un tratto, però, si fermò. Si girò di
nuovo.
“Ehi! Che ne dici di passare a
comprare degli *obanyaki, prima di andare all’aereoporto? Sono sicura che Keith
non vede l’ora di mangiare qualche dolce giapponese, dopo cinque anni di cucina
inglese! Però questo significa che dobbiamo uscire
ancora prima…”. Alex
guardava la sorella con un sorriso appena accennato, forse contagiato dalla sua
allegria. Invece, dopo aver chiuso per un attimo gli occhi, il ragazzo si
rivolse a Kris.
“Sai tutto, non è vero?”.
Lei, che stava per aprire la porta della sua stanza, a
quella domanda si bloccò. Un po’ era sorpresa…ma, dall’altra parte, sapeva
benissimo fin dall’inizio che recitare la parte della Kris “ignara ed
entusiasta” non le sarebbe riuscito bene. E comunque, in ogni caso, ci aveva provato.
“Sì, lo so. Da un po’ di tempo”.
Alex spostò ulteriormente lo
sguardo. Ci fu silenzio per qualche secondo.
“Kris…mi disprezzi per quello che ho fatto? Ho…ecco, ho bisogno di saperlo”, chiese con un mormorio.
Kristine si avvicinò a lui e,
arrivatagli davanti, cercò i suoi occhi. Era chiaro. Alex
si sentiva meschino per come si era comportato, per come aveva deluso Keith. E ora, arrivato il momento
in cui si sarebbe dovuto confrontare nuovamente con quel passato che per anni aveva tentato di dimenticare, aveva
paura. Paura di deludere ancora qualcuno, paura di non poter
più correggere gli errori che aveva commesso…e lei poteva capirlo fin troppo
bene. Il peso delle proprie azioni, purtroppo, spesso diventa
insostenibile. Spesso, si è costretti a cedere…si è
costretti a mostrarsi. A mostrarsi…
“Perché dovrei disprezzarti? Hai
fatto ciò che ti ha detto il cuore. Tu volevi molto bene a Kei…lo so. E’ naturale che non volessi
lasciarla andare. Se fosse capitato anche a me, con
chi amavo…beh, mi sarei comportata allo stesso modo”, disse Kris dolcemente.
Ma Alex
non sembrava volesse ascoltarla.
“E’…è tutto finito…”, sussurrò.
“No!”. Kris si aggrappò al bavero del cappotto del
fratello. Perché…aveva così poca fiducia?
Il ragazzo fece una breve, amara risata.
“Sono sicuro che si sarà felicemente
fidanzata con un londinese intellettuale e preciso…magari già laureato
in qualche incredibile facoltà…”.
A quella frase, Kristine fissò Alex accigliata. Lasciò violentemente la stoffa, poi, con
freddezza, riprese a parlare.
“E’ questo che pensi di Keith?
Credi veramente che abbia potuto dimenticarti così per scegliersi un altro
senza pensarci due volte?”.
Alex non parlò, ma lei attese
la risposta senza aggiungere nulla.
“Non uno qualunque”, disse lui infine, avvicinandosi alla
ringhiera della scala.
“Cosa vuol dire?”.
“Non…uno come me. Ma qualcuno
alla sua altezza”.
Kris guardò Alex senza capire,
e solo dopo un po’ comprese cosa intendesse. Ma
certo…era questo il motivo dell’incredibile impegno che suo fratello stava
dimostrando nello studio…voleva essere all’altezza di Kei?
Essere…degno di lei? Alex…si era
sentito inferiore…ora…ora era tutto chiaro…
La ragazza scosse il capo, poi
alzò le braccia, aprendole.
“Non dimostrerai mai il tuo amore con dei voti alti a
degli esami!”, gridò, facendo alcuni passi avanti. “Se
vuoi davvero che Keith capisca che tu sei l’unico
ragazzo che potrà mai starle accanto, dovrai fare ben altro! Il valore di una
persona non dipende certo da cose del genere, anzi…mi stupisco che tu possa
aver ragionato in un modo tanto stupido!”. Kris riprese
fiato, poi continuò, cambiando però tono.
“Alex…”, disse piano, giungendo
di fronte al fratello. Lo guardò. I suoi occhi verdi erano velati di pianto, il
bel viso contratto dalla tensione. La ragazza allungò una mano, stringendo
quella del giovane fra le sue dita, che chinò il capo.
“Kris…mi dispiace. E’ evidente che non sono per niente un
buon fratello. Dovrei…dovrei darti il buon esempio in
tutto, dovrei poterti consigliare e aiutare, essere forte e starti vicino,
ma…credo di non sapere fare nessuna di queste cose…”. Alex,
dopo aver tentato inutilmente di cacciare indietro le lacrime, iniziò a
piangere silenziosamente.
Senza dire una parola, Kris lo strinse. Non aveva mai
abbracciato Alex in quel modo. Anzi, di solito era
sempre stato lui a consolarla…ma vedere il fratello in quello stato, così
vulnerabile e sfiduciato, non poteva lasciarla indifferente. Era talmente
strano, talmente triste…qualcosa che mai avrebbe pensato sarebbe
potuto succedere, ma che, invece, era successo. In
fondo, anche Alex era un essere umano, una persona
che provava dei sentimenti, e che poteva sbagliare, soffrire. Come
tutti. Già…proprio come era successo a lei, moltissime
volte. E adesso, forse, era venuto il momento che fosse
lei ad aiutare chi, nel corso della sua vita, le era stato vicino come nessun
altro. Si allontanò dalla spalla del ragazzo.
“Non è assolutamente vero. Ascolta…per diciassette anni
tu mi sei stato accanto, e sei stato il fratello migliore che avessi mai sperato di avere. Sei una delle persone più
importanti per me, sei un punto di riferimento, e lo sarai sempre. Non ho
potuto mai contare né su mamma, né su papà…ma solo su di te”. Gli sorrise, guardandolo negli occhi.
“Non sarà certo quello che è successo tra te e Kei a farmi cambiare idea…e poi, per una volta, i ruoli
cambieranno. Quella che non è mai stata forte sono io, tu non mi hai mai
chiesto nulla. Per tutto questo tempo, mi hai nascosto molto bene quello che
era successo, e adesso voglio fare di tutto perché tu possa essere di nuovo
felice. Agli errori si può rimediare, e la soluzione per il tuo è molto più
semplice di quanto sembri. E io so che la conosci
anche tu, basta solo un po’ di coraggio…”.
Stese l’indice della mano destra, appoggiandone la punta
sul petto del fratello.
“…e io so che ce l’ hai, qui
dentro”.
Il ragazzo guardò la sorella, forse un po’ sorpreso
dalle sue parole. Dopo qualche secondo
alzò anche lui una mano, posandola sulla testa di Kris.
“Grazie, piccola”, mormorò affettuosamente.
Kristine ricambiò il suo
sguardo, augurandogli, in quel momento, che tutto si risolvesse nel miglior
modo possibile…se lo meritava. Senza dubbio, Alex si
meritava questo e altro.
“Prego. Ma devi promettermi che
lotterai fino alla fine per riconquistare Keith!”,
esclamò, strizzandogli l’occhio. “D’accordo? Ti voglio vedere combattivo,
passionale e convincente!”.
Alex Grover
si lasciò scappare una piccola risata. Quanto adorava sua sorella…
Da quando erano arrivati a Fujisawa,
sembrava essere diventata un’altra. Più decisa, più bella. Forse anche più
silenziosa, e nell’ultimo periodo molto malinconica. Ma
certamente, in ogni caso, molto matura. Kristine, in
pochi mesi, aveva subito un radicale cambiamento…per motivi che, forse, si
sarebbe decisa a confessargli presto. Ma fino a quando
non fosse stata lei a parlare, spontaneamente, lui non le avrebbe più chiesto
nulla. Ormai Alex aveva capito che quella in cui Kris
si trovava, qualunque fosse, era una situazione in cui voleva andare avanti da
sola, con le sue sole forze.
“Spero solo che anche tu non debba soffrire per troppo
tempo da sola come ho fatto io…”, pensò, guardandola. Poi, diede
un’occhiata all’orologio al polso, cercando di distogliere la mente dal
passato.
Ogni cosa sarebbe finita bene. Sì, ogni cosa, per
tutti…doveva convincersene.
E, soprattutto, doveva guardare
al futuro. Solo a quello.
“Direi che è davvero meglio darci una mossa, che ne dici?
Se no rischiamo di fare tardi!”, esclamò con un
sorriso.
La ragazza annuì, sorridendogli a sua volta, felice di
vederlo, finalmente, più sereno. Kris, adesso, era sicura
che suo fratello avrebbe fatto di tutto per riavere l’amore di Kei. Ne era assolutamente
convinta.
E Alex,
prima di andare a prepararsi, non poté fare a meno di abbracciarla, un’altra
volta.
Appoggiata ad un pilastro dell’ingresso dell’aeroporto di Narita, Nicole
guardava verso le porte a vetri automatiche, a pochi metri da lei. Ormai
sarebbero arrivati a momenti.
“Ehi, eccola lì!”, sentì infatti
poco dopo, alla sua destra.
Kris e Alex stavano
camminando velocemente nella sua direzione. La prima sembrava tranquilla e
serena, mentre il fratello era chiaramente teso. A quanto
pare, non era riuscito a tranquillizzarsi nemmeno un po’…
“Oh, ciao ragazzi”, disse Nicole,
sorpresa . “Ma…siete qui da
molto? Magari ho sbagliato a darvi l’orario…”.
“Oh, no, no!”, esclamò Kris, agitando una mano. “Siamo noi che siamo
arrivati in anticipo…così ho chiesto ad Alex di
accompagnarmi a fare un giro nell’aeroporto, per passare il tempo. Ci sono un sacco di negozi interessanti…non c’ero mai stata”.
“Ah, capisco. Trovato qualcosa?”.
“Mh, no, purtroppo. Però abbiamo comprato degli obanyaki
per Kei!”.
“Oh, bene! Sono certa che se li divorerà…mi ha detto che
la cucina giapponese le è mancata”.
A quel punto, nessuno disse più nulla. Anche
se il brusio continuo di sottofondo nell’ambiente, le chiamate dei voli e i
messaggi diffusi dagli altoparlanti riempivano le teste dei ragazzi, sembrava
che nell’aria aleggiasse un silenzio opprimente. Alex
fissava il pavimento lucido senza alzare gli occhi, Nicole
e Kris invece si guardavano, tentando di trovare qualcos’altro di cui parlare
per rendere l’attesa meno snervante.
Ma proprio quando la ragazza dai
lunghi capelli rossicci stava per proporre ai due di andare a prendere qualcosa
al caffè dell’aeroporto, una voce femminile annunciò l’arrivo del volo di Keith, proveniente da Londra. Alex
alzò di scatto la testa, girandosi verso la vetrata da cui si potevano vedere
le piste.
Kris lo guardò tristemente, poi si
avvicinò a lui.
“Coraggio”.
Il fratello rimase immobile, come se non avesse sentito
nulla. Scrutava l’esterno, l’asfalto grigio, il cielo nuvoloso. Alcuni aerei,
appartenenti a varie compagnie, erano posteggiati in file
ordinate a qualche decina di metri dalle finestrature,
altri stavano lentamente percorrendo determinati percorsi, un altro, in
lontananza, rollava rumorosamente su una pista di decollo, pronto ad alzarsi in
volo. Alex restò così per molto tempo, e sua sorella
non osò dirgli altro. Solo una decina di minuti più tardi il gruppo si spostò
davanti all’uscita del volo.
Passò parecchio tempo. “Ma
quando arriva?”, mormorò Kris con uno sbadiglio. Continuava ad arrivare un
fiume interminabile di persone, ma, di Kei, nemmeno
l’ombra.
Nicole, appoggiata alla ringhiera di metallo, guardò
la ragazza.
“In effetti, è strano che non sia ancora qui…però, magari
le sue valigie sono in ritardo…chi lo sa”.
“Aspetteremo”. Kris alzò le spalle, rassegnata.
“Mi è…venuta una sete incredibile. Scusatemi,
vado al bar un attimo a prendere qualcosa”, esclamò ad un tratto Alex, dietro di loro, girandosi e scomparendo in mezzo alla
folla. La sorella fece per raggiungerlo, ma Nicole la
fermò, afferrandole un braccio.
“Lascialo andare. Credo che non ce la faccia più a
reggere la tensione. E’ meglio così”.
Kristine sospirò. “Ok…”.
Le due ritornarono a controllare l’uscita. La gente si
stava ormai diradando, e solo ogni tanto qualcuno oltrepassava le porte.
Passarono un altro paio di minuti, e proprio quando Kris
aveva ormai perso ogni speranza, davanti
a lei e Nicole comparve una ragazza dal viso
familiare, con al seguito un carrello carico di
bagagli di ogni tipo e dimensione. Sembrava stanca, e si stava guardando intorno un po’ spaesata. Abbastanza minuta, magra, era alta
forse poco meno di Kris, il viso dalla pelle chiara era circondato da lucidi
capelli neri, e le ciocche scalate le sfioravano le guance. Lo sguardo, dagli
incredibili occhi azzurri, era dolce ma allo stesso tempo penetrante, sicuro,
quasi fiero. Il naso piccolo finiva a punta, e le labbra,
sottili, erano coperte da un velo di rossetto scuro. Nessuno avrebbe mai
detto che aveva solo diciotto anni, e il vestito blu che indossava sotto ad
un’elegante giacca beige mettendo in risalto le belle gambe dalle caviglie
sottili, non sembrava certo suggerirlo. Ai piedi,
aveva delle comode ma femminili scarpe scure, con un tacco medio.
Appena la riconobbe, Nicole si
portò le mani alla bocca, soffocando un grido di gioia. Gli occhi le si riempirono improvvisamente di lacrime. Erano cinque
anni che non vedeva Keith…cinque interminabili,
lunghi anni. Sembrava così diversa, così adulta, eppure…eppure era sempre la
stessa. Anche con una sola occhiata, anche se era
ancora distante, Nicole seppe che era rimasta come
l’aveva lasciata. Era sempre lei, sì, la sua sorellina. La piccola, forte,
coraggiosa Kei.
“Keiiith!” gridò Kris, alzando
un braccio per farsi vedere dalla ragazza, dopo aver capito che l’amica, di
fianco a lei, non sarebbe riuscita a
parlare ancora per un po’. “Kei, siamo qui!!”.
Sentendo quella voce, la ragazza bruna si voltò nella
loro direzione, e dopo pochi secondi le vide tutte e
due. Agitò la mano, sorridendo.
Camminò il più velocemente possibile, spingendo il
carrello, e dopo aver girato intorno al corrimano in metallo, abbandonò i
bagagli per correre ad abbracciare sua sorella e Kristine.
Nicole si gettò su di lei, piangendo ormai
apertamente.
“Kei…”, mormorò, stringendola.
Non avrebbe mai creduto di poter commuoversi. Forse, però…forse non si era mai
resa conto di quanto sua sorella le fosse mancata…e solo adesso, rivendendola,
aveva potuto capirlo davvero…
“Su, Nicky, non fare così”,
disse invece l’altra dolcemente, affondando il viso nei profumati e folti
capelli della ragazza. Le accarezzò il capo.
“Sono tornata, sorellina”.
Glielo disse piano. Aveva una voce molto particolare, dal
timbro un po’ basso. Carezzevole ma profonda come quelle
appartenente alle cantanti dei piano bar, che raccontano quei blues
tremendamente belli e struggenti. Sì, la voce di Keith
Henger era così. Soft, rassicurante, e calda come una
coperta.
Kris, un po’ in disparte, rimase ad osservare in silenzio
le due amiche. Era veramente, sinceramente felice per loro.
Dopo tutto…tutto quello che avevano passato…dopo la
loro difficile vita…l’una era per l’altra la sola cosa rimasta. Ed era evidente
quanto si volessero bene. La cosa strana era che
sembrava fosse Keith a fare
da madre alla sorella, nonostante fosse più piccola di lei di dieci anni. Ma
forse, dopo quello che aveva saputo da Nicole, non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto
dell’incredibile forza della piccola Kei. Una forza immensa, che sapeva trasmettere. Ed era questa la cosa più importante.
“Su, adesso smettila, o allagherai Narita!”,
esclamò in tono scherzoso la ragazza, allentando l’abbraccio e guardando negli
occhi Nicole, che intanto stava cercando di
asciugarsi le guance.
“Ok, ok…mi
sono ripresa, non preoccupatevi”, disse poi lei, alzando finalmente la testa e
mostrando un bel sorriso alla sorella. Keith,
mettendo le mani nelle tasche della giacca, rise.
“Ah ah, non credevo fossi di
lacrima facile, Nicky. Non ti riconosco più, e sono
passati solo cinque anni!”.
“Mh, in effetti, credo di
essere peggiorata…”.
“Sì, di sicuro!”.
“E tu? Sembri un’altra!”.
“Ma dai…forse sarà l’aria londinese…ho sentito che fa
sempre questo effetto!”.
“No, sul serio! Sei cresciuta tantissimo…siamo sicuri che
non ci sia stato nessun errore? Guarda che ti rispedisco indietro!”.
Le due scoppiarono nuovamente a ridere. Poi, ricordandosi
che non aveva ancora salutato Kris, Keith si girò verso
di lei. Lontana dalle altre, la ragazza non aveva avuto il coraggio di
interrompere le sorelle. Beh, doveva ammetterlo…un po’ si era
commossa anche lei.
“Kristine…”, disse Keith, avvicinandosi. “Sei proprio tu?
Dio mio…”. Allargò le braccia, e Kris fece altrettanto.
Rimasero abbracciate per un po’. Una
volta sciolta la stretta, Kei prese le mani
dell’amica fra le sue.
“Tu sì che non ti riconosco…ma…cosa hai fatto hai
capelli?”.
A quella domanda, Kris si strinse nelle spalle, un
po’imbarazzata.
“Si nota subito, eh?”.
L’altra sorrise. “Ecco…hai
sempre tenuto moltissimo alla tua folta chioma…eh eh.
Ero convinta che non te li saresti mai tagliati. Però stai veramente bene, devo ammetterlo. Sembri più
grande”.
“Ahh, io sembro più grande, eh?
Tu assomigli a una perfetta lady inglese!”.
“Ah ah! Non cominciare anche
tu!”.
Mentre Kris e Keith chiacchieravano, Nicole
andò a recuperare il carrello dei bagagli.
“Sbaglio o queste valigie sono
il doppio rispetto a quando sei partita? Che hai
fatto, hai svaligiato mezza City?”.
Kei ridacchiò. “Ma no! Semplicemente un sacco di cose non mi servono più, e in altre non ci entro da tempo ormai…eh eh. Così ho pensato di riportarle a casa. E poi sai che
sono una frana a fare le valigie, credo di avere
occupato il doppio dello spazio necessario! Beh, sì, comunque
ho fatto parecchio shopping, se volete saperlo!”.
“Davvero?? Spero che tu ti sia
ricordata di noi, allora!”, esclamò Kris allegra, attaccandosi ad un
braccio della ragazza.
“Ma certo! Ho mille souvenir da
distribuire a tutti!”.
“Che bellezza!”.
“Eh eh, come potevo scordarmi
di voi?”.
Continuarono a parlare. Nessuna delle tre si era però
accorta di chi, già da parecchio tempo, le stava osservando senza dire nulla,
distante qualche metro. In piedi, due bibite in lattina nelle mani, Alex Grover guardava in
particolar modo una di loro.
Kris si girò prima delle altre, avvertendo qualcosa.
Anche se Alex
era lontano, la ragazza vide brillare i suoi occhi di lacrime.
“Ke…Keith”.
Solo un sussurro. Ma che lei udì lo stesso.
Anche le due sorelle si
voltarono. Nicole trattenne il fiato, scambiando
un’occhiata con Kristine. Lei fece un breve cenno con
la testa. Il momento era arrivato…
Gli occhi color cielo di Kei si
mossero lentamente. Poi, arrivati a incrociare quelli
di Alex, si fecero più tristi.
“Sei tu”.
La luce delle candele illuminava fiocamente il viso di Oliver Hutton,
che, appoggiato con i gomiti sul tavolo, fissava perso in chissà quali pensieri
le fiamme dorate che si agitavano piano davanti ai suoi occhi. Intorno a lui,
un parlottare sommesso, tintinnii di posate, bicchieri e una discreta musica da
camera riempivano l’aria.
“Scusami”, disse ad un tratto una voce. Holly alzò lo sguardo, sorridendo alla
ragazza dai corti capelli scuri che, fasciata da un corto abito rosso dallo
scollo a v, si stava sedendo di fronte a lui, dopo aver avvicinato la
sedia al tavolo.
“Certo che voi donne ci mettete sempre un secolo in
bagno”, la prese in giro il ragazzo.
Patty rise. “Ma
pensa, e da quando ti lamenti per queste cose? E poi…’voi donne’…come se avessi avuto a che fare con l’intero genere
femminile!”.
“Oh, beh…”.
“Dai, lascia perdere…mmh,
piuttosto, da quando sei così romantico?”.
“Uh?”. Hutton arrossì di colpo.
“Hem…per…perché?”.
La ragazza si guardò intorno. “Perché?
Mi hai invitata fuori a cena in questo ristorante stralusso…a lume di candela…e
la cosa è davvero molto strana…non è che mi stai
nascondendo qualcosa?”.
Il capitano della New Team, per
l’occasione vestito in giacca e cravatta, girò la testa, fingendosi offeso.
“Uff…non ti nascondo nulla. Per
una volta mi comporto come dovrebbe fare un vero fidanzato…e per te ci deve
essere per forza qualcosa sotto…”.
“Ahhh, vedi che ammetti che non
sei romantico? ‘Per una volta’…”.
“Patty, ma possibile che
stasera devi ripetere tutto quello che dico? Non…”.
“Però sono tanto felice”. Glielo
disse sporgendosi in avanti di una decina di centimetri, sfiorando una delle
candele accese.
Holly la guardò, rendendosi
conto di stare notevolmente sudando. Da…da quando Patty
sorrideva in un modo così dolce?
“Accidenti…”. Deglutì.
Resi luminosi dalla luce delle candele, guardò i suoi occhi scuri, grandi quel tanto che bastava per
perdercisi. Guardò il suo lungo collo bianco, circondato da una sottile
catenina dorata…le spalline sottili dell’abito, e…e anche quella scollatura
vertiginosa…beh, ecco…forse non lo era affatto, o forse…solo un pochino,
ma…ma…la verità era che Holly non si era mai davvero
reso conto di quanto Patty potesse essere…femminile.
Incredibilmente femminile. E sensuale…
Ogni suo gesto, quella sera…
Ogni suo gesto…era così…così…
Così…
Fortunatamente per Holly, in
quel momento, il cameriere arrivò di fianco a loro. Con grande
cura, appoggiò davanti ad ognuno un piatto colmo di ogni tipo di antipasto.
Il ragazzo abbassò di colpo lo sguardo, rimanendo in
silenzio, sempre più in imbarazzo. Per quanto si sforzasse,
si sentiva sempre un perfetto imbecille in certe situazioni…lo doveva
ammettere. Molte volte avrebbe voluto poter chiedere consiglio a Julian, che di sicuro ne sapeva molto più di lui su questo
genere di cose, le ragazze e tutto il resto…
“Possibile che tutto mi vada meravigliosamente bene solo
sui campi da calcio?”, pensò.
Patty, intanto, accortasi dello
stato d’animo di Holly, rideva fra sé e sé. Tornò ad
appoggiarsi allo schienale della propria sedia. Sapeva bene quanto il suo
ragazzo fosse impacciato nelle questioni di cuore…non per niente aveva dovuto
aspettare parecchi anni prima che si svegliasse, e si
rendesse conto che oltre al pallone esisteva anche lei. Poteva considerarsi
senza dubbio una santa…però, dopotutto doveva ammettere che adesso le cose stavano decisamente migliorando.
Diede un’occhiata all’ambiente
intorno a loro, poi al candeliere posto in mezzo alla tavola…infine, al suo
calciatore prediletto, davanti a lei. Il grande Oliver Hutton, la rivelazione del
calcio giovanile, un fuoriclasse a livello mondiale…in giacca e cravatta.
Certo che, nonostante tutto, faceva la sua figura.
Ridacchiò. Mh, sì, forse ne era valsa la pena aspettare tanto. Decisamente.
Sorrise ancora, compiaciuta, decidendo
di evitare, per ora, discussioni che avrebbero potuto mettere il povero Holly troppo in crisi. Ci sarebbe stato tempo per
migliorare quel piccolo aspetto della loro relazione…e molti, molti altri
aspetti…
“Mh, sembra buono”, disse
quindi, cambiando volontariamente discorso. Hutton
rialzò lo sguardo su di lei, sorpreso.
“Eh?”.
“Quello…quello che hai nel piatto, Holly”.
“Ah…già…”.
I due iniziarono a mangiare. Patty
cercò di trattenersi per non scoppiare a ridere un’altra volta, riuscendoci
anche se con molta difficoltà. Beh…insomma, meglio ridere che piangere, alla
fin fine. E poi, quando Oliver si imbarazzava
diventava distratto e imbranato. Era un vero e proprio spettacolo stare a
guardarlo…
Nel prendere il sale, infatti, rovesciò la bottiglia
dell’acqua. La ragazza si coprì la bocca con una mano.
“Scusa…”. Holly tentò di
rimediare al danno, ma senza grandi risultati.
“Ehm…no, nulla…”.
Dopo un attimo di smarrimento, il capitano della New Team riprese in mano la forchetta. Calò il
silenzio per alcuni minuti.
“Senti…come vanno le cose in squadra?”.
Una domanda qualunque perché ci fosse un qualunque
dialogo…tutto ciò che riguardava il calcio o la New Team
produceva un sicuro effetto su Hutton. Questa era una
delle poche cose di cui era sicura…
A quella domanda, però, il ragazzo si incupì
inaspettatamente.
“Beh…”.
Patty addentò una tartina.
Strana reazione, pensò.
“E’ successo qualcosa che non so?”, chiese.
“No…non proprio, però…”.
“Però?”.
“Ecco, sono preoccupato per alcuni dei ragazzi”.
“Ah…”. Patty lo guardò,
sinceramente sorpresa. Sembrava proprio preoccupato.
Lui sospirò, poi bevve un sorso
d’acqua.
“Non capisco cosa stia succedendo. Ecco…Benji è diventato scostante, freddo, silenzioso. Tom, invece…beh, lui è sempre giù di morale, e distratto.
Infine, Kristian, dalla partita con la Artic, è diventato insicuro,
lento nei movimenti, pensieroso. E lui e Benji non si
parlano praticamente più, mentre prima erano così
amici…è chiaro, fra quei tre c’è qualcosa non va”.
“Mhh…”. La ragazza appoggiò una
mano al viso, giocherellando con un lembo della tovaglia con l’altra.
Era la prima volta che gli capitava di vedere Holly in pensiero per qualcuno della squadra. Oh, beh,
alcune volte i ragazzi potevano essere sfiduciati e abbattuti per una partita
andata male, e lui puntualmente riusciva a risollevarli con solo poche parole
d’incitamento, ma…in questo caso la questione era molto differente. Per
problemi di tipo personale, Holly, il grande capitano, non poteva fare molto.
“Un po’ di tempo fa mi avevi detto che Tom non stava troppo bene, in effetti”, proseguì quindi. “Anche a me non sembrava il solito”.
“Già. Ma non poteva dirmi
niente, quella volta…uff, non mi piace vederlo così”.
Patty allungò un braccio,
stringendo le dita del ragazzo fra le sue.
“Senti…penso che abbia delle buone ragioni per non dirti
nulla”.
“Sì, lo so…”.
Rimasero per un po’ in silenzio. Oliver
guardava la mano di Patty sulla sua, che, senza quasi
accorgersene, si ritrovò a tenere stretta più saldamente. La manager della New Team ebbe un sussulto. Forse Holly
si sentiva impotente, incapace di fare qualcosa per aiutare i suoi amici…e
questa era una situazione completamente nuova per lui. Una situazione che non
riusciva a reggere, perché non poteva capire.
“Non puoi pretendere di poter risolvere sempre tutto”,
mormorò così, cercando di guardarlo negli occhi. “Ci sono cose che Tom, Benji, Kris devono sistemare
da soli…tutti abbiamo dei problemi personali, che non
possiamo o non vogliamo condividere con gli amici. Spesso lo
si fa anche per non farli preoccupare, o perché non potrebbero comunque
fare nulla”.
Hutton sospirò
nuovamente, poi fece un lieve sorriso.
“Forse…hai ragione”.
Anche Patty
sorrise, soddisfatta. Beh, almeno a qualcosa la sua presenza serviva, pensò. Tirare
su di morale Holly, una cosa piuttosto rara, ma che a quanto pare poteva anche succedere.
“Mhh, che ne dici di ordinare
il primo?”, esclamò con voce allegra, aprendo il menù che il cameriere aveva
prima appoggiato di fianco a loro. Sì, sembrava che Holly
stesse meglio, adesso. E anche lei era decisamente
risollevata. Un Holly malinconico e preoccupato non
era il vero Holly…e per un attimo doveva ammettere di
essere stata presa dal panico.
“Vediamo…”.
Ma il ragazzo non si era mosso.
Presumibilmente, stava continuando a fissarla.
Patty alzò gli occhi dai fogli
plastificati. Che cosa gli era preso adesso?
“…Holly?”.
Senza dire una parola, il capitano della
New Team si sporse lentamente verso di lei e, dopo aver spostato il
candeliere alla sinistra del tavolo, la baciò. La baciò a lungo.
“Grazie…”, le mormorò poi, staccandosi di pochi
centimetri e non smettendo di guardarla.
L’altra, non sapendo bene se essere profondamente
shockata o felice come una pasqua, si limitò a balbettare una breve risposta.
“P…prego”.
Sì, Oliver Hutton
stava proprio migliorando. E sapeva anche stupirla,
qualche volta. Piacevolmente stupirla.
*NOTE
obanyaki: focacce dolci
farcite di marmellata di fagioli azuki, prima cotte
al vapore e quindi arrostite su una piastra.
Il nome di Keith Henger: non l’ho detto nei capitoli precedenti, e in realtà non so
nemmeno se lo dirò in modo chiaro nei prossimi. In molti
credo che si saranno chiesti come mai la sorella di Nicole
ha un nome maschile, perché in effetti ‘Keith’ lo è.
Il fatto è che il suo personaggio è nato dal nickname
di una mia cara amica, che lo usava perché così si chiamava la sua rockstar preferita (credo che in molti indovineranno chi
è…^^;). Quindi l’ho lasciato
così…perciò potete pensare che Keith, sorella di Nicole, abbia in realtà un altro nome, come Katherine, che poi ha
deciso di abbreviare facendosi chiamare Keith
(Kate non le piaceva! ;P). |
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Capitolo 17 *** Interessi Pericolosi ***
“Che diavolo è tutta questa
roba?!?”.
La voce vagamente alterata di Mark Landers risuonò nell’aria,
arrivando chiara e nitida fino in soggiorno.
“Eh?”.
Miki sollevò gli occhi dall’ultima delle ventiquattro riviste
sportive che aveva esaminato attentamente per più di due ore. Buttò la testa
all’indietro, facendola sporgere dal bracciolo del divano su cui era distesa.
“Di che parli?”, domandò quindi.
Lanciò uno sguardo verso il corridoio, togliendosi gli occhiali e stiracchiandosi
con uno sbadiglio. “E’ tutto il giorno che ti lamenti per ogni cosa, cuginetto…perché non provi a rilassarti un po’? Ti farebbe
sicuramente meglio di continuare ad urlare…”, continuò pacata.
Si sentì qualcosa di simile ad un
tonfo, seguito da un fiume di parole irripetibili. Poi, dopo pochi secondi, il
cannoniere della Toho apparve sulla soglia del
salotto.
“Rilassarmi? Come faccio a
rilassarmi quando quel delizioso avvocato di sesso femminile che è la tua amica
non fa altro che riempirmi il bagno di creme, profumi, shampoo, cosmetici e
detergenti per la pelle, nonché di batuffoli di cotone e detestabili spugnette
dai toni pastello?!?”. Mark, completamente nudo se
non per un corto asciugamano bianco stretto alla vita, fissava la ragazza
ansimando, un braccio alzato che indicava il corridoio.
Miki rimase un attimo a guardarlo a sua volta, ancora
sdraiata, poi si alzò di scatto. Fece un fischio d’ammirazione.
“Uella,
complimenti…”, commentò, scrutando le forme perfettamente modellate di Mark con un certo interesse. “Se ti vedesse Martha…ah, sul
serio, è un peccato che tu sia mio cugino…”.
Lui avvampò, affrettandosi a
controllare che l’asciugamano fosse al suo posto. Per un attimo aveva
dimenticato che stava per andare a farsi la doccia.
“Senti, adesso non cambiare
discorso!”, disse agitato, ringraziando il cielo che quel pomeriggio Maki fosse stata trascinata fuori dalle altre due svitate,
desiderose di fare un giretto nella zona. Di certo, se fosse stata presente, a quest’ora ‘La Tigre’ sarebbe già
finita spalmata dolcemente sul muro intonacato da poche settimane.
“Ha spostato tutte le mie cose, dio
solo sa dove le ha messe…prima cercavo il rasoio, e ci è mancato poco che mi
facessi la barba con la ceretta! LA CERETTA, CAPISCI?!? Ha riempito i cassetti
di cerette e assorbenti!! E poi…poi…QUESTO SCHIFOSO PROFUMO ALLA VANIGLIA
SPARSO PER LA CASA!! IO ODIO LA VANIGLIA!!”.
Miki assistette tranquilla all’intera sfuriata senza
pronunciare una parola. Alla fine, quando Mark si
passò una mano fra i capelli, esasperato, lei sorrise.
“Si vede che non hai mai avuto a che
fare con le donne, eh?”.
“Cosa??”.
“Ma sì…dai, quella Maki non si può definire ‘donna’…
andiamo…è un po’ manesca, magari è un uomo e nemmeno lo sai…”.
“COSA?!?”.
“Ok, ok, scherzavo…”.
Miki si diresse nuovamente verso il divano, mentre il ragazzo
dai lunghi capelli corvini tentava a fatica di reprimere il primitivo impulso
di assalirla alle spalle e strozzarla. Strinse i pugni lungo i fianchi fino a
far diventare le nocche bianche, poi, con un profondo sospiro, decise che forse
non ne valeva la pena. E poi, in fondo, era l’unica cugina che aveva.
Si girò, e fece per tornare verso il
bagno.
“Ehiiii, e
questo chi è?”, squittì in quel momento Miki, facendo
voltare Landers di scatto.
“Che c’è ancora??”, gridò, nervoso.
La giornalista rimase ad esaminare
la rivista che aveva ripreso in mano ancora per un po’, poi guardò il cugino,
mostrandogli la pagina che stava fissando.
“C’è che questo qui non l’ho mai
visto…è così bello che non sembra nemmeno un calciatore. A prima vista, avrei
giurato che fosse uno di quegli idol che vanno tanto di moda qui in Giappone.
Pare piuttosto famoso, eppure non mi risulta uno dei membri della Nazionale…mi
sembra impossibile che mi sia sfuggito…mhh, aspetta,
si chiama…”.
“Kristian Grover”, disse però Mark,
anticipandola. Si avvicinò a lei, strappandole il giornale dalle mani.
Fissò l’immagine stampata in mezzo
alla pagina con due occhi glaciali.
“Lo conosci?”, domando lei.
“Già”.
“E come mai è tanto celebre?”.
Gli occhi del ragazzo si strinsero
fino a diventare due fessure.
“Puah…”.
Notevolmente infastidito da quella
visione, Mark lanciò violentemente la rivista sul
divano, immediatamente recuperata dalla cugina che ritornò a guardarla con
grande interesse.
“Ha solo avuto la…grande fortuna di
sostituire Benji Price per buona parte di questo
campionato. Tutto qui. Come suo sostituto, si è guadagnato la fama senza
faticare…”.
Miki restò un attimo in silenzio. Lesse qualche riga
dell’articolo dedicato a Kristian, dopodiché sorrise.
“E poi?”.
“E poi cosa?”
“Non è che forse è anche bravo?”.
Landers la fulminò con un’occhiata. “Bravo?? Ma non farmi
ridere…fra lui e Price c’è un abisso…ho assistito all’ultima partita in cui ha
giocato, ed è stata una delle cose più penose che ho visto nella mia vita!”.
“Veramente qui c’è scritto che è una
vera rivelazione…mh, per l’esattezza: ‘Kristian Grover, 17 anni, stile
elegante e un’incredibile agilità: Benji Price non si
fa certo rimpiangere, la New Team corre verso il titolo insieme alla rivelazione
dell’anno…’ ”.
Lui sbuffò, per poi scomparire oltre
il corridoio.
La ragazza dai corti capelli castani
riprese invece a leggere, appoggiandosi al bracciolo del divano.
“E’ solo un ragazzino arrogante e
presuntuoso!”, esclamò intanto il calciatore da una delle stanze della casa,
con tono sempre più scocciato. “Il suo bel faccino pulito dalla pelle liscia e
candida mi fa solo venir voglia di riempirlo di pugni… mi chiedo dove diavolo
l’abbiano trovato quelli della New Team…sicuramente è un amico di Hutton o del suo inseparabile cagnolino Becker…”.
Miki annuì distante, continuando a girare le pagine patinate una dopo l’altra,
sempre più concentrata.
“Mh…”.
“Da un certo punto di vista non vedo
l’ora di poter giocare contro Grover solo per
questo…”, proseguì Landers, rientrando in soggiorno
con addosso un paio di vecchi jeans scoloriti. “Certo, preferirei Price come
avversario, mi sembra chiaro, ma anche dare una lezione a degli insulsi
novellini come quel Grover è qualcosa di altamente
allettante…”. Si allacciò il bottone sopra alla zip, poi fissò Miki, ancora persa nella lettura.
“Perdi solo del tempo interessandoti
a quello lì”, le consigliò, notando che era ancora ferma all’articolo su Kristian.
La cugina alzò la testa.
“Sai nient’altro di lui?”.
“No”.
“Ah…”.
“Perché?”.
Lei lo guardò per un po’,
pensierosa, poi scosse il capo. Tornò alla pagina.
“Beh…pare che di Grover
si sappia davvero poco…qui dice che lo stesso Kristian
odia parlare di sé, ed evita le interviste. Non gli piace farsi riprendere e fotografare,
trascorre pochissimo tempo con i compagni anche se con tutti va splendidamente
d’accordo…in particolar modo proprio con Tom Becker”.
Il ragazzo mise una mano in tasca.
“Farà lo schifoso snob proprio come
il suo maestro Price…gli avrà insegnato anche questo, evidentemente. E
comunque, sai cosa me ne frega...”.
Miki sorrise. Posò la rivista sul tavolino, poi si voltò
ancora verso Landers.
“Markuccio…”.
L’espressione che il ragazzo aveva
già visto pochi giorni prima, quando la cugina l’aveva scongiurato di ospitare
Martha e Valery per un po’, spuntò nuovamente sul
viso della giornalista. E la cosa terrorizzò Mark…profondamente.
“No, no e ancora no…qualunque cosa
sia…”, esclamò, fissando con una certa ansia il faccino-da-cerbiattina
di Miki, che intanto avanzava in modo preoccupante
verso di lui.
“Questa volta non ti costa nulla…non
ti puoi tirare indietro!”.
“T'HO DETTO DI NO!”.
“Come preferisci…allora dico a
Martha che stanotte può entrarti nel letto con il delizioso completino che ha
comprato in quel Sexy Shop di Amsterdam la scorsa estate…e visto che Val ha
*casualmente* l'hobby della fotografia potrebbe...mhh,
che so, scattare un paio di foto da mostrare ad una certa ragazza molto
violenta di tua conoscenza...capelli rossi, parecchio gelosa...ti dici
niente?”.
La faccia di Mark,
a quelle parole, assunse un aspetto indefinibile.
“OK, COSA DIAVOLO VUOI?” gridò
infine, incenerendola con un’occhiata. Il calciatore respirava a fatica.
“Ohh, così
ragioniamo”. Miki era notevolmente soddisfatta.
“Benissimo…allora, semplicemente…”.
Riprese in mano la rivista,
aprendola sulla pagina dell’articolo dedicato a Kris. La alzò verso Mark, indicandola.
“Domani mi devi portare a Fujisawa. Voglio assistere ad un allenamento della New
Team, e fare qualche domanda a Grover”. Fece un altro
piccolo sorriso.
“Giusto per conoscere un po’ meglio
la misteriosa star del momento”.
“E adesso passiamo alle principali
notizie del giorno…”.
Una mano uscì lentamente da sotto le
lenzuola bianche per allungarsi verso il comodino di fianco al letto, e cercare
il regolatore del volume della radio. Dopo alcuni vani tentativi, però, il
corpo nascosto dalle coperte si stufò di andare a tentoni.
Scoprendosi nervosamente, Tom Becker fece un profondo
sospiro. Rimase fermo a guardare il soffitto, il petto dalla carnagione chiara
che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro.
Girò la testa per dare un’occhiata
fuori dalla finestra. Dopo tanti giorni, finalmente sembrava essere tornato un
po’ di sole. Peccato, però, che il
cambiamento del tempo non coincidesse con quello del suo stato d’animo…
Anzi. Da “male”, in solo una serata
era variato in “notevolmente male”.
Chiuse con stanchezza gli occhi
color nocciola, poi si alzò leggermente dal materasso, per raggiungere con le
dita la radio dalla forma circolare che continuava, noncurante dei suoi
pensieri, a trasmettere le più o meno deprimenti notizie di quella mite mattina
di fine novembre.
Dopodiché, Becker
tornò a stendersi, ma proprio poco dopo essersi ritirato le coperte fin sopra
al naso, qualcuno bussò alla porta della sua camera.
“Tom…”.
Era la voce di suo padre. Sembrava preoccupato. “Tom…sei
sicuro di non voler andare a scuola?”.
“Sì…non…mi sento molto bene
stamattina”, rispose con un mormorio il ragazzo, girandosi di schiena rispetto
all’anta chiusa.
“Come vuoi, allora. Rimani pure a
letto a riposare…se hai bisogno di qualcosa sono in veranda a finire il
quadro”.
“Certo, grazie papà”.
Il numero undici sentì i passi
dell’uomo allontanarsi. Con un altro sospiro, affondò la guancia nel cuscino.
Di certo non sarebbe cambiato nulla
decidendo di non uscire, quel giorno. Ma non era dell’umore per stare a scuola,
per parlare, per incontrare della gente. No. Aveva bisogno…di pensare.
Sì, di pensare...cercando, allo
stesso tempo, di non scoppiare a piangere come un bambino.
Poi…lui…mi ha continuato a toccare,
e…mi ha detto…che…che mi amava.
Perché.
Per tutta la sera se l’era chiesto.
Per tutta la notte.
Perché…
Perché Kris si era innamorata di
Price?
Perché di Benji…
E non di lui?
Cosa…cosa aveva in più, Benji?
“Tutto”, si rispose Becker con un sussurro, subito dopo, nascondendo il viso
nel braccio. “Tutto. Ecco cos’ha in più di me…ha tutto quello che Kris cerca in
un ragazzo…ha fascino, è determinato, forte, carismatico…e le è stato più
vicino…di quanto non le sia stato mai vicino io…”.
Si strinse nelle spalle.
Ho visto quanto eravate diventati
amici. E’ innegabile che fra di voi c’era un feeling…
Ma non parlo di un affiatamento che
può legare una coppia.
Era…qualcosa che andava oltre,
qualcosa…che non ho mai visto prima fra nessuno.
Come gli era venuto in mente di dire
quelle cose? Come aveva potuto riconoscere…riconoscere che l’intesa esistente
tra Kris e Price era perfetta? Come?
Kristine…quella sera…aveva deciso di rimanere a dormire da Price…e
gli aveva confidato i suoi problemi…
Si sarebbe…comportata nello stesso
modo con lui? Gli avrebbe parlato a cuore aperto, così come aveva fatto con Benji?
Il ragazzo chiuse gli occhi, poi li
riaprì, lasciandoli socchiusi. Rimase a fissare una piastrella del pavimento
della sua camera, poco distante dal letto, su cui si rifletteva un raggio di
sole.
Forse…
Forse, semplicemente, l’aveva
riconosciuto perché…era vero.
Perché l’aveva sempre saputo, perché
se n’era accorto fin dall’inizio, anche se non aveva voluto ammetterlo. Quando
aveva ritrovato Kris, aveva avuto bisogno di una speranza…di un appiglio al
quale aggrapparsi, per convincersi che non l’avrebbe persa di nuovo. In fondo, Kristine avrebbe dovuto rimanere nascosta, legata
all’identità di Kristian, e quindi Price sarebbe
stato in ogni caso irraggiungibile per lei…sarebbe rimasto solo un allenatore,
una figura dalla quale imparare, e stop.
Lui, invece, Tom
Becker, avrebbe rappresentato il suo vecchio, caro
amico.
L’amico ritrovato, l’unico al quale
potersi confidare…
E che sarebbe diventato molto più,
col tempo. Sì, di questo Tom si era inconsapevolmente
convinto, ingenuamente convinto, in tutte quelle settimane, in quei mesi. E
invece…
Come aveva potuto?
Era stato uno stupido…si era illuso,
solamente illuso…
Ma la cosa peggiore, era stato ciò
che aveva sentito alla fine. Di sicuro.
C’è un altro motivo per il quale ho
trattato Kristian a quel modo.
Quella frase…sì, l’aveva distrutto.
Quella notte, quando Kris mi ha
toccato, mi sono sentito…attratto da lui.
Dio…
E non posso negare che…che ancora
adesso lo sono, ma…non riesco a capirne…il perché.
Benji sa che Kris è una ragazza…non l’ha ancora capito, ma
dentro di sé lo sa…
Lo sa.
No...questo è solo un brutto sogno.
Un orribile incubo.
“L’unica ragazza che io abbia mai
amato davvero…lei…”.
Con uno scatto si mise a sedere sul
letto. Alcuni ciuffi dei lisci capelli castano chiaro gli ricadevano sugli
occhi. Ormai, erano diventati lunghi. Uno di quei giorni si sarebbe dovuto
decidere, e andare a tagliarli…
Senza che se ne accorgesse, una
lacrima gli era scesa su una guancia.
Tom si portò una mano al viso e, dopo aver passato le dita
sulla pelle bagnata, la abbassò di nuovo, guardandola.
“Dovrò farmi vedere. Da tutti”.
Saltare la scuola non era un
problema, ma…non avrebbe potuto saltare gli allenamenti.
Né quelli con la squadra, né quelli
fissati la sera, con Kris.
Quegli allenamenti che Price gli
aveva incaricato di dirigere al suo posto.
Tom sorrise.
“Forse Benji
sta peggio di me. Anzi, di sicuro. Posso capire come il suo orgoglio si sia
rifiutato di accettare una cosa simile…magari, crede addirittura di essere
diventato gay. Ma io…”.
Raccolse le gambe, ancora nascoste
sotto le lenzuola, al petto nudo. Le circondò con le braccia, appoggiandovi
sopra il mento.
I suoi occhi, lucidi di pianto,
tornarono a guardare davanti a sé, verso i raggi del sole che, lentamente,
stavano inondando la sua stanza.
Non poteva dimenticare che anche
Kris, in quel momento, stava soffrendo. Stava soffrendo perché non conosceva la
verità…
E lui…sapeva che aveva il dovere di
raccontarle ogni cosa.
Kris, ne aveva il diritto.
Però…
Era veramente strano camminare in
pieno novembre immersi in quell’aria piacevole, sotto
ad un sole così caldo.
Kristine sollevò il viso al cielo finalmente azzurro, inspirando
a pieni polmoni l'aria fresca di quel pomeriggio. Si sentiva bene,
meravigliosamente bene, dopo tanti giorni trascorsi nella tristezza più nera.
Non avrebbe creduto che le cose potessero migliorare solamente con il ritorno
di Kei...il suo stato d'animo era infatti sceso ad un
livello di depressione estrema, quando Price aveva iniziato a trattarla
freddamente.
Le aveva fatto male. E ancora la
ferita sanguinava, dentro di lei, copiosamente.
Non si poteva cicatrizzare...non
ancora almeno. Ma di sicuro, forse merito del sole di quella mattina, o della
meravigliosa notizia che il reincontro fra suo
fratello e Keith sembrava aver avuto un esito più che
positivo, Kris aveva acquistato la forza necessaria per accantonare i suoi
problemi in un angolo. Per un po’.
"Ciao".
La ragazza, che si stava dirigendo
verso il campo d'allenamento come ogni pomeriggio, si girò verso il
proprietario della voce che l'aveva appena salutata.
Becker, appoggiato al muretto del parco che Kris stava
costeggiando, la stava guardando con un'espressione indefinita. Indossava un
paio di jeans e una camicia bianca, alla mano aveva il borsone da calcio.
"Tom...mi
stavi aspettando?".
"Come ho sempre fatto, mi
pare".
"Ah...sì, certo". Per un
attimo, non seppe cosa dire. Rimase come imbambolata, a fissarlo.
Era come se non vedesse Tom da moltissimo tempo...anche se in realtà l'aveva
lasciato solo il giorno prima, a quel caffè, con Jude.
Già, al caffè. Quella
conversazione...
Quelle ipotesi.
E poi...lei se n'era andata. Senza
dirgli nulla.
E forse…
Forse Becker
si era preoccupato...
"Mi sembri allegra. Ne sono
felice", disse lui ad un tratto, distogliendola dai suoi pensieri.
"Eh? Sì...sì, insomma...sto
meglio", balbettò lei in risposta, correndogli di fianco. Tom aveva iniziato a incamminarsi verso il campo,
lasciandola indietro.
"Sai...ieri è arrivata la
ragazza di mio fratello, da Londra" continuò poi, sorridendo. "E'
stata via per cinque anni e...beh, abbiamo fatto una piccola festa per il suo
ritorno. E’ una mia cara amica".
Il ragazzo si coricò il borsone in
spalla, tirandosi indietro alcuni ciuffi di capelli castani con una mano.
"Ah, ora capisco tutto".
"E tu?".
"Cosa?".
"Come stai?".
Tom continuò a guardare davanti a sé.
"Ci siamo visti ventiquattro
ore fa, Kris".
Il portiere abbassò gli occhi,
sentendosi inspiegabilmente in colpa.
"Lo so. E' per questo che te lo
chiedo".
Un paio di moto dalla marmitta
rumorosissima passò di fianco a loro, costringendoli a rimanere in silenzio per
alcuni secondi. Quando si furono allontanate, Becker
riprese a parlare.
"Ti preoccupi troppo per me,
Kris. E' tutto okay, ero un po’ in pensiero per te...ma a quanto pare ti sei
ripresa".
Kris si morsicò il labbro inferiore,
lo sguardo ancora puntato sulle scarpe dell'amico.
"Non è vero, è esattamente il
contrario. Mi preoccupo troppo poco per te, invece. Tu...fai sempre tanto,
mentre io...beh...". Alzò le spalle. "Nemmeno me ne accorgo,
quasi".
A quella frase, Tom
la guardò, rendendosi improvvisamente conto di quello che stava facendo.
Perché si stava comportando così?
Come un ragazzino offeso...le stava
tenendo il muso.
Perché ti sei innamorata di Price?
"Tom...scusami".
Il calciatore rimase un pò zitto, poi le sorrise tirato.
Era indubbiamente difficile
continuare a tenere lo stesso atteggiamento di prima, con lei. Ma doveva
sforzarsi. Doveva. Oppure, l'unica altra soluzione sarebbe stata quella di
raccontarle tutto...sì, si era già promesso di farlo, quella mattina.
Raccontargli di quella notte, della reazione di Price...
Sì, della sua...
Reazione...
Di quello che aveva provato...
Attratto.
"No...scusami tu, sono io che
oggi sono un po’...strano".
Kris annuì.
"Capisco".
No. Non...non glie l'avrebbe detto.
Era meglio, per lei. Se l'avesse saputo, cosa sarebbe cambiato? Avrebbe solo
sofferto di più. Kris, di certo, non avrebbe potuto rivelare a Price di essere
una donna. No, doveva...lei doveva... realizzare il suo sogno...
Era sicuramente meglio così.
Sì...
Mi ha detto che mi amava.
Ed io mi sono sentito attratto da
lui.
Attratto.
"Forse è meglio sbrigarci".
"Ah, sì". Tom cacciò una mano nella tasca dei jeans. Ricominciarono a
camminare, uscendo da un lungo viale alberato. Sopra le loro teste, le vaste
fronde dei sempreverdi che si muovevano nell’aria lasciarono il posto ai raggi
del disco luminoso, alto nel cielo. Il numero undici chiuse un attimo gli
occhi. Il sole...era forte... molto forte.
Ancora adesso lo sono.
Attratto.
Quelle sue parole.
Attratto.
Non era di certo l'idea che Kris
soffrisse di più raccontandole come erano andate le cose, che spingeva Tom a non rivelarle i fatti. No, e lo sapeva bene.
Il vero motivo...era costituito
dalla gelosia, dal suo egoismo…e dalla paura.
Una paura forse immotivata, ma
paura. Non voleva dare speranze a Kris, ecco qual’
era la verità. E poi...chi può dire che Benji non
avrebbe accettato di continuare ad averla in squadra, anche conoscendo come
stavano le cose? Avere una ragazza di nome Kristine,
e un sostituto dalle doti eccezionali di nome Kristian...
Mantenere il segreto...che problemi
ci sarebbero stati?
No...non poteva...rischiare.
Era un verme, sì. Se ne rendeva
perfettamente conto. Ma qualcosa...qualcosa lo faceva continuare a difendere il
suo amore. Anche a costo di continuare a far soffrire Kris. Sì, perché alla
fine...in questo modo, forse, si sarebbe accorta di lui. Avrebbe dovuto
accorgersene. E dimenticare Price...
Improvvisamente, il ragazzo la prese
per un braccio, iniziando a correre verso il campo, ormai a poche decine di
metri da loro. Kristine lo fissò più che stupita,
presa alla sprovvista da quel gesto.
"Che...che fai?", gli
chiese, ormai correndo.
Lui si girò, una mano stretta
intorno al suo polso, l'altra alla borsa. Le sorrise.
"Siamo in ritardo, numero
uno".
Naturalmente, i due arrivarono ad
allenamento già iniziato. Si avvicinarono al centrocampo, andando incontro a Bruce e Paul, impegnati nei
palleggi. Nella metà destra, Holly dirigeva il
riscaldamento di alcuni ragazzi della squadra. Appena vide Kris e Tom, fece un cenno nella loro direzione, salutandoli. Becker ridacchiò, e ricambiò alzando una mano.
“Ormai il nostro capitano chiude
sempre un occhio ai tuoi ritardi, Kris. Anzi, ormai son
diventati i nostri ritardi…”. Si volse a guardarla, ma lei teneva gli occhi
fissi a terra, senza accennare nemmeno un sorriso.
Di fronte alla sua indifferenza, il
ragazzo non provò a dirle nient’altro. Nonostante prima avesse cercato di
scusarsi con lei per il suo atteggiamento, l’ atmosfera che da un po’ di tempo
si era venuta a creare fra di loro era e sarebbe stata irreparabilmente tesa.
Sempre.
“Forse, avrei dovuto dirti quello
che provavo allora. Non soffrirei così. E forse…non ti farei soffrire così. Adesso…”.
Chiuse gli occhi un attimo, li
riaprì.
“…adesso, tutto è difficile…troppo. Perdonami…”.
Perché non era capace di dirglielo?
Perché?
“Io…vado in porta…ci vediamo dopo”,
mormorò in quel momento la ragazza, staccandosi da lui e allontanandosi verso
una delle aree di rigore. Lui la guardò.
“…Ok”.
Dopo aver fatto qualche passo, Kris
si girò, e alzando un braccio richiamò l’attenzione del gruppo di Holly, dal quale si staccarono alcuni giocatori che
iniziarono a correre per aiutarla nell’allenamento. Becker
la osservò ancora un po’, poi fece un ultimo, triste sospiro. Recuperò un
pallone, andando ad unirsi a Paul e Bruce.
Intanto, Kristine
si stava infilando i guanti con lentezza.
Non voleva ricominciare a torturarsi
pensando a Tom ed ai suoi strani comportamenti, ma
purtroppo non ci poteva far nulla. Ultimamente, tutte le volte che si
rivedevano e parlavano, sentiva che qualcosa si sgretolava tra di loro. Un
pezzo dopo l’altro, ad ogni parola, ad ogni sguardo.
Ogni cosa stava cambiando. Non
poteva più negarlo a se stessa, soprattutto perché aveva capito che non le
piaceva vedere Tom lontano. No, non le piaceva
proprio.
Odiava quell’attrito
che percepiva nelle sue parole, odiava quelle frasi che venivano fuori sempre con
visibile sforzo. E poi, quelle scuse…scuse da entrambe le parti, continue,
senza sapere esattamente per che cosa.
Già…era questo il punto.
Non lo capiva.
Non capiva perché, improvvisamente,
aveva iniziato a sentire il bisogno di scusarsi con Tom.
Non sopportava quella sensazione.
Non voleva più…sentire il bisogno di scusarsi con lui.
Certo, quel pomeriggio era andata
via senza farsi più sentire…ma forse c’era qualcos’altro per cui si sentiva in
colpa. E anche Becker doveva aver certamente altri
motivi per comportarsi così.
Dopo essersi infilata entrambi i
guanti, la ragazza si sistemò la felpa, tirandola verso il basso con un
violento strattone. Non voleva nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi che
le si era affacciata alla mente. Ma non perché non volesse crederci.
Semplicemente, perché se fosse stata vera ogni cosa si sarebbe complicata
ancora di più.
Alzò gli occhi verso i ragazzi che,
dall’altra parte del campo, stavano arrivando, ma quando volse lo sguardo a
lato incontrò purtroppo quello freddo dell’SGGK, che dalle panchine la stava
stranamente osservando.
Socchiuse le palpebre, triste.
Avrebbe voluto odiare Price, ma non riusciva nemmeno in quello.
Resse gli occhi scuri del portiere
per qualche secondo, quando notò che Benji aveva
iniziato a camminare verso di lei. Sentì il cuore farle un balzo, ma proprio in
quell’istante qualcosa la spinse a voltarsi in
direzione del gruppo di Hutton, arrivando forse anche
a salvarla da un doloroso dialogo. Anche Price si era fermato.
Entrambi avevano spostato lo sguardo
su una ragazza minuta e dai corti capelli scuri che sembrava essersi
materializzata dal nulla a fianco del loro capitano. Gli altri giocatori, prima
impegnati nel riscaldamento, si erano fermati, e sembravano piuttosto stupiti
dalla scena, per non parlare di Holly. Kris era però
troppo lontana per poter sentire cosa si stavano dicendo. Decise quindi di
avvicinarsi, seguita subito dopo da Benji.
“…adoro questo paese, sapete?”.
La mora rivolse un sorrisone candido
al numero dieci della New Team. “Mh…certo che
l’America è tutta un’altra cosa…dovresti venirci prima o poi. Questa la
considero come una vacanza, anche se NATURALMENTE devo concentrarmi sul mio
lavoro. Mh, secondo me il dovere viene prima di
tutto…Ma lo sai che volevo conoscerti da un sacco di tempo, Oliver?
A proposito, se non ti dispiace vorrei chiederti un paio di cose…”.
Kris cercò di capire chi potesse
essere quella piccola furia umana, ma non sembrava che né Hutton,
né gli altri ragazzi la conoscessero. Holly si
schiarì la voce per rispondere.
“C-certo…ehm…”.
Era chiaramente imbarazzato, ma si stava sforzando di sembrare il più possibile
gentile.
Miki tirò fuori fulmineamente fuori un taccuino ed una penna,
e preparandosi a scrivere tornò a guardarlo.
“Coraggio, caro, non essere timido!
Dimmi tutto di te, l’America muore dalla voglia di conoscere i campioni
nipponici. Tanto per cominciare, ti sembrerà una domanda banale, ma…qual è il
segreto di Holly Hutton?”.
Il ragazzo fissò implorante Bruce, in cerca di aiuto. Avvicinatosi prima degli altri,
era a qualche metro dal suo capitano.
Il difensore alzò le spalle, ridendo
divertito dalla scena.
Holly lanciò un’occhiataccia all’amico, ma fortunatamente in
quel momento Price arrivò alle spalle di Miki.
“Che succede?”, chiese il portiere,
guardando Hutton.
“Oh, B-Benji…”.
Sentendo il nome dell’SGGK, Miki si girò.
“Waah! Che
bellezzaa! Ci sei anche tu!”.
Sfoggiando un altro sorriso, con
sicurezza tese la mano verso Price, che la fissò un attimo prima di stringerla.
“Beh…piacere mio. Saresti?”.
L’altra si avvinghiò al suo braccio,
attirandolo a sé con un certo entusiasmo.
“Miki Landers, ma tu carissimo puoi chiamarmi solo Miki! Faccio la giornalista sportiva al New York Times e sono la splendida cuginetta
di un tuo GRANDE amico. Ma credo tu
abbia già capito a chi mi riferisco”.
Senza dare tempo né a Benji, né al sempre più sconvolto Holly
di dire nulla, da bordo campo tuonò una voce conosciuta.
“Chiariamo subito che qui NON CI
VOLEVO VENIRE!!”.
Mark Landers sbattè
il cancello metallico dell’ingresso del campo con violenza, facendo tremare
buona parte della recinzione. L’intera squadra si zittì di colpo, e anche i
pochi giocatori che avevano continuato a palleggiare anche dopo l’arrivo di Miki si fermarono.
“Maaark!”,
trillò quindi Miki nel silenzio generale, agitando
una mano.
“Mark?!?” ripetè Benji, non sapendo se
iniziare già ad innervosirsi o a chiedersi come diavolo potessero essere
parenti una tipetta del genere e quell’odioso
di Landers.
Intanto, il ragazzo dalla pelle
abbronzata aveva preso ad avvicinarsi con uno sguardo piuttosto torvo, in parte
nascosto dai lunghi capelli scuri, le mani nelle tasche dei jeans.
“Ed eccolo qui il mio cugino campioneeh!” esclamò quindi la giornalista, abbandonando Benji e raggiungendo il braccio del capitano della Toho con quattro saltelli. Lui la fissò fra lo scocciato e
il rassegnato, senza avere però il coraggio di scrollarsela di dosso. Alla fine
fece un piccolo sospiro, rialzando la testa verso i calciatori.
“Ripeto, sono qui solo per
accompagnare lei”, disse, rivolgendo un’occhiata ai calciatori e finendo ancora
con gli occhi prima su Hutton, poi su Price. “Dopo
l’incontro che ho visto tempo fa, ho deciso che non vale la pena nemmeno venire
a spiare i vostri allenamenti. Tanto quest’anno non
arriverete nemmeno ai quarti di finale…”.
Sorrise, glaciale, mentre alle
spalle di Price anche Holly si fece cupo.
“Sei molto sicuro di te, a quanto
pare”, mormorò Benji senza scomporsi, rispondendo a Mark con lo stesso sorriso. “Ma ti consiglio di non
metterci la mano sul fuoco”.
“Ma davvero?”.
Landers avanzò di qualche passo. Miki
si staccò da lui, e mentre lo guardava cambiò improvvisamente espressione,
forse sorpresa da quel lato del cugino di cui aveva tanto sentito parlare senza
averlo mai visto, fino a quel momento, di persona.
Bruce, Paul, Ted,
Johnny e tutti i restanti membri della New Team si
raccolsero intorno ai due giocatori. Tutti, incluso Becker,
che assisteva allo scontro verbale serio, quasi impassibile, le braccia
incrociate al petto.
“Mh…”. Mark si guardò in giro, continuando a sorridere. “Questa
scena mi ricorda qualcosa. La squadra che si stringe intorno al suo
portiere…commovente. Anche se l’altra volta non si trattava di te, mio caro Benji”.
Detto questo, il ragazzo si girò
alla sua sinistra, dove Kris, leggermente in disparte, fissava Landers con due occhi carichi di sfida.
Gli stessi di quella volta.
“Tu non abbassi mai lo sguardo,
eh?”.
“Mai”.
“Devo riconoscerlo, hai carattere.
Ma non ti basterà il coraggio per arrivare in finale”.
Lo sguardo di Grover
si fece ancora più concentrato. Non l’avrebbe distolto da quello di Mark per niente al mondo.
E poi, voleva che Benji la vedesse.
Che se ne accorgesse.
Che si accorgesse della sua
determinazione.
“Non andrà come credi, Landers”, disse senza esitazione.
Mark rise.
“Vuoi sapere cosa credo? Una sola,
semplice cosa. E cioè che il tuo guru Price abbia preso una cantonata enorme
con te, Grover. Te l’ho già detto una volta, e te lo
ripeto adesso. La New Team è messa male. E poi, diciamocelo…nemmeno Benji ci fa una gran bella figura con te. E’ brutto
rovinarsi l’immagine e la reputazione, sai? Se fossi in te mi sentirei un po’
in colpa”.
Ci furono alcuni istanti di
silenzio, riempiti solo da un brusio di sottofondo dei compagni più indietro.
Il viso di Kristine non era solcato dal minimo segno
di cedimento, ma continuava a rimanere sollevato e fiero, fisso su Landers. Solo per un attimo i suoi occhi castani si
spostarono su quelli di Price, forse in cerca di appoggio.
Ma anche se probabilmente doveva
essere stato toccato sul vivo dalle parole di Mark, Benji non reagì in alcun modo. Né disse nulla in difesa di
Kris, per evitare che fosse umiliata ancora di più.
Nulla.
Incontrò lo sguardo della ragazza,
ma dopo un paio di secondi tornò su Mark. Era
difficile dire chi fosse stato il più gelido fra i due. Kris se lo era
aspettato, ma sentì ugualmente gli occhi inumidirsi. Non voleva darla vinta a Landers, e nemmeno a Price. Ma nonostante tutto non seppe
opporsi all’immensa amarezza che sentì improvvisamente invaderla.
Deglutì con sforzo, e fece per
aprire bocca, ma Holly parlò per lei, rompendo il
silenzio in cui era caduto il campo. Si mise fra il capitano della Toho e l’SGGK.
“Adesso basta, Landers.
Se sei qui solo per accompagnare tua cugina limitati a fare quello. Grover non ha bisogno di essere giudicato da te”.
Il ragazzo dalla pelle scura sembrò
tentato di iniziare un nuovo, simpatico scambio di battute con Hutton, ma all’ultimo momento ci ripensò. Sorrise con
apparente distensione.
“Come vuoi, Oliver.
Ma credo che Benji sia perfettamente d’accordo con
me”.
A quelle parole, mezza squadra si
voltò a guardare il loro primo portiere, che però sfuggì alle loro occhiate
tenendo gli occhi bassi, immobili. Poi, senza dire una parola, oltrepassò Holly e Mark, dirigendosi verso
la porta dello spogliatoio.
Landers lo osservò allontanarsi, poi rise.
“Mpfth…Miki, io ti aspetto fuori dal campo”, disse quindi, facendo
un cenno a sua cugina. “Non ho alcuna ragione di restare qui. E poi…potrei
disturbare gli allenamenti della favolosa New Team…”.
Bruce e un paio di altri ragazzi lo fulminarono con
un’occhiata, ma Mark non se ne accorse nemmeno e,
dando le spalle a tutti, si incamminò fuori. Scuoteva la testa, e quando
oltrepassò la porta della recinzione la richiuse con la stessa delicatezza di
quando era arrivato.
Nel silenzio totale Kris, che non si
era mossa da quando Holly aveva parlato in sua
difesa, allungò tremante un passo, con l’intenzione di tornare tra i pali.
L’indifferenza di Price la opprimeva. La schiacciava, facendo sentire le gambe
terribilmente pensanti, così tanto da sfinirla senza che nemmeno si fosse
mossa. Ma doveva cercare di ignorarlo, di ignorare ogni cosa, di continuare per
la sua strada avanzando su quel campo verde che per tanto tempo aveva sognato
di raggiungere. E se davvero non poteva fare a meno di provare dolore e di
sfogarsi lasciando scendere sulle guance le lacrime di Kristine,
non poteva, non doveva farlo su quel campo.
Non con un Mark
Landers, arrogante e presuntuoso, dal sorriso
insopportabile, che la fissava.
Non con undici compagni di squadra
intorno, che credevano in lei.
Anzi, in lui.
“Allora…sei tu Kristian
Grover!!”.
“E…eh?”.
Persa nei suoi pensieri, Kris riuscì
solo a captare il proprio nome. Quella vocina squillante alle sue spalle doveva
averle probabilmente chiesto qualcosa, quindi, giratasi per vedere di chi si
trattava, si ritrovò spaventosamente vicina la cugina dell’odiato capitano
della Toho.
Gli occhi castano scuro della
ragazza dalla pelle ambrata brillavano dall’entusiasmo, ma leggermente
intimorita da quello sguardo vagamente spiritato, Kristine
fece un passo indietro.
“C-che
c’è?”.
“Ahh! Sii,
sei proprio tuu!”.
Detto questo l’altra le afferrò le mani,
stringendole fra le sue con una discreta forza, proprio come aveva fatto poco
prima con Benji. Kris la fissò, imbarazzata. Tipo
parecchio strano, pensò.
Continuando a tenerla per mano, Miki iniziò a camminare sull’erba chiara, portando Kris
nell’altra metà del campo. Gli altri ragazzi, intanto, stavano per riprendere
gli allenamenti.
“Senti…non dare ascolto a mio
cugino…io sono convinta che tu sia una promessa in questo sport!”, esclamò con
convinzione la brunetta, senza staccare per un attimo gli occhi da Grover. “E visto che ho chiesto a Mark
di accompagnarmi qui proprio per fare due chiacchiere con te, direi che
possiamo iniziare anche subito! Ti distrarrò dai tuoi allenamenti solo per…mh, diciamo mezz’ora, non di più, giusto il tempo di
intervistarti…ehi, ma lo sai che dal vivo sei ancora più bello, Kristian? Già sei fotogenico…”.
Ma proprio quando Miki prese a tirare la mano di Kris per trascinarla a bordo
campo, lei si liberò dalla presa con un violento strattone. Il fatto era che…
Che solo in quel momento aveva realizzato
chi aveva davanti…
Una giornalista!
Una…una giornalista…
La giovane newyorkese,
intanto, era rimasta a dir poco stupita.
“Che ti prende?”, chiese quindi a
Kris, squadrandola.
Lei, improvvisamente pallida, iniziò
ad indietreggiare, balbettando.
“N-no…nulla…è
c-che…io non rilascio interviste…”.
Miki fece un piccolo sorriso, per nulla scoraggiata.
“Sì, l’ho sentito dire. Ma sono
sicura che per me farai un’eccezione, mio bellissimo portiere!”. Si avventò
nuovamente su Kris, stringendole i polsi in una morsa. L’altra fece una
smorfia. La forza non le mancava di certo…quella piccoletta le faceva quasi
male.
“Coraggio…che problemi ci sono?”.
La cugina di Mark
si fece più vicina e, a voce più bassa, scandendo le parole, le sussurrò
un’altra domanda. Un secondo sorriso, questa volta appena percettibile ed in
qualche modo inquietante, si disegnò sulle labbra piene della ragazza.
“Non è che…per caso, hai qualche
segreto da nascondere?”.
Iniziando a guardarsi intorno, come
alla ricerca d’aria, Kristine si fece ancora più
nervosa. Si sentiva in trappola, braccata, trafitta dallo sguardo inquisitore
di Miki.
Una giornalista…una giornalista…
Nella sua mente, Kris continuò a
ripetere la stessa parola, di continuo. Come aveva potuto lasciare che le si
avvicinasse così? Ma dov’era con la testa? Quella…era una situazione decisamente
troppo pericolosa. No, non poteva assolutamente avere a che fare con una
giornalista…ed in particolare con una giornalista che, oltre ad essere
appiccicosa come la colla, era parente di Landers.
Se avesse scoperto tutto…
Se avesse capito chi era in realtà…
“Allora?”.
“N-no…io…io
non ho nessun…”.
“Benissimo, allora…per iniziare,
dimmi dove vivi…mh, dove sei nato? E la tua
famiglia?”.
“B-beh…ecco…veramente,
io…non ho intenzione di…p-parlarne…”.
“Allora come ti sei appassionato al
calcio? La New Team come ti ha scelto? E come mai sei così affiatato con Thomas Becker? Lo conoscevi?”.
“Ma…n-non voglio…”.
“Da dove nasce il tuo talento?
Perché fino al tuo ingresso nella squadra di Hutton
nessuno ti ha mai visto sui campi da gioco?”.
“I-io…”.
Kristine, pressata dalle incalzanti domande della giornalista,
cercò di fare qualche passo indietro. Oltre a sentire il cuore batterle nel
petto ad una velocità almeno tre volte maggiore a quella normale, le girava la
testa. Stava per andare nel panico, lo sapeva. E non aveva idea di come uscire
da quella situazione.
Arretrò, facendo scivolare per
l’ennesima volta la suola di una delle Nike sul
terreno del campo, ma nel momento in cui portò indietro anche l’altra, forse
per l’umidità dell’erba sentì mancare la presa.
“Attento!”.
Quando ormai solo poche decine di
centimetri distanziavano la sua schiena dal suolo, due mani bloccarono
l’impatto sorreggendola da dietro, e afferrandola prontamente da sotto le
braccia. Grazie al fortuito soccorritore, Grover
ritornò lentamente in posizione eretta.
“Grazie…”.
Dopo essersi sistemata la felpa,
Kris si voltò. Becker la stava guardando serio.
“Di nulla. Ma non credo sia il caso
che tu perda tempo prezioso…”.
Le lanciò un’occhiata piuttosto
strana. Lei, senza capire, fece per chiedergli spiegazioni, ma Tom continuò a parlare.
“…c’è una partita importante da
giocare, la prossima settimana”.
Non aggiunse nient’altro, e senza
troppi complimenti la trascinò via, afferrandola per un braccio.
Kristine non ebbe il tempo di replicare, ma prima di seguire
l’amico riuscì a voltarsi per guardare un’ultima volta Miki,
ferma a bordo campo, le mani nelle tasche dei jeans.
La fissava. Ed inspiegabilmente,
sentì un brivido percorrerle la schiena. |
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Capitolo 18 *** Illusioni ***
“Devi fare attenzione, Kris. Adesso
più di prima”.
“Lo so. Sono stata veramente una
stupida. E’ che in quel momento non ci ho pensato, capisci?”.
“Beh, avevi la testa altrove, giusto?”.
“Già”.
“Quindi pazienza. Tanto ormai è passata.
E comunque il tuo angelo custode è venuto a salvarti in tempo. A
proposito…l’hai almeno ringraziato, ingrata che non sei altro?”.
“Certo che…eehh? Quale angelo?”.
Dall’altro capo del telefono, Kris
sentì Jude scoppiare in una risata piuttosto maliziosa.
“Ah ah…ma dai, parlo di Tom
ovviamente. Non hai notato come ti tiene d’occhio di continuo? Non ti perde un
secondo. E ieri mi pare di aver capito che lui ha afferrato prima di te cosa
voleva quella ficcanaso di Miki Landers”.
“Questo è vero…e poi…”.
La ragazza si bloccò, tornando con
la mente al giorno prima. Anche dopo la loro discussione…dopo la tensione che
si era creata fra di loro, le sue parole fredde…Tom l’aveva tolta da un guaio
con un tempismo a dir poco perfetto. Non si era allontanato, non aveva deciso
di lasciarla per un po’ per conto suo…o se l’aveva fatto, era vero che non
aveva smesso un attimo di guardarla.
Non l’aveva mai fatto…smettere di
vedere cosa stava facendo, dove era diretto il suo sguardo, se era triste, o
felice. Se era in lacrime, o se gli occhi le brillavano dalla felicità.
Tom la vegliava, proprio come un
angelo. Un vero angelo.
“Ehii! Poi cosa?”.
La voce di Judith risuonò con tono
insistente nel suo orecchio.
“Poi…”. Kris riprese, lentamente.
“Ecco, nulla. E’ che proprio ieri io e lui abbiamo quasi litigato”.
“Quasi litigatoooo? Come sarebbe?”,
esclamò l’altra. Sospirò con disapprovazione. “Kris, credo che solo tu sia
capace di esasperare quel ragazzo. Cioè…dai, Tom è pacato come un laghetto di
bosco…il suo equilibrio interiore di sicuro non viene scalfito da almeno un
decennio e appena tu ritorni nella sua tranquilla vita combini un macello.
Chissà come sta male, povero…credo non sia abituato a tutte queste emozioni…”.
Lo sguardo di Kris si incupì
leggermente.
“Emozioni?”.
“...eh?".
“Cosa...vuoi dire?".
L’altro capo restò muto per un paio
di secondi.
“Ehm…niente, cosa voglio dire…”,
continuò quindi quella, evasiva, schiarendosi la voce.
“Jude, dimmelo. Ora”.
Kris si alzò dal letto, prendendo a
camminare per la stanza, improvvisamente tesa. Cambiò la mano dove teneva il
cordless, passandosi l’altra fra i capelli appena lavati. Il cuore iniziò a
batterle più velocemente, ma forse lei non se ne accorse.
“Kris…ecco…son cose che non mi
riguardano, ma…beh, tu non te ne saresti mai convinta. E comunque lui non so
quando si sarebbe deciso a dirtelo. A questo punto, credo che sia giusto che tu
lo sappia”.
La voce della ragazza si fece un po’
più bassa, grave, e le parole attraversarono il cavo telefonico, entrando
direttamente nella testa di Kris.
“Tom ti ama. Ti ama da morire, da
sempre”.
L’altra si fermò, i piedi nudi sulla
moquette chiara. Scostò il cordless dall’orecchio, lasciando poi ricadere il
braccio lungo il fianco, come un peso morto.
La tastiera di plastica grigia era illuminata
dai raggi di un sole freddo. Filtravano fra le tende socchiuse della finestra a
lato della scrivania, sembrando quelli di un tardo pomeriggio invernale, o di
un paesaggio nordico.
In realtà erano invece appena
passate le tredici, e le dita del numero undici della New Team, seduto davanti
allo schermo del PC, si muovevano velocemente per comporre le lettere di un
nome femminile, che apparvero, una dopo l’altra, nella casella del motore di
ricerca a cui era connesso.
Miki Landers giornalista informazioni.
Il cursore lampeggiò una volta, poi,
dopo un clic del mouse, una nuova pagina iniziò a caricare, riflettendosi negli
occhi nocciola di Tom.
Mentre aspettava si gettò
all’indietro, appoggiandosi allo schienale della sedia. Non sapeva bene perché
stava facendo quella ricerca. In fondo la cugina di Mark si era presentata
dicendo di lavorare per il New York Times, e senza nascondere la sua passione
per i calciatori giapponesi. Beh, fissazione. Ma comunque, qualcosa gli diceva
che non era il tipo da avere segreti.
La grafica si caricava lentamente.
Leggermente nervoso, Tom iniziò a tamburellare le dita sul tavolo. Già, una
tipa senza segreti…che fosse aperta ed estroversa non c’erano dubbi. Ma
nonostante tutto, sentiva che era il caso di preoccuparsi. Il suo interesse nei
confronti di Kris era stato fin troppo evidente, ed il pomeriggio prima Tom
avrebbe giurato di aver visto negli occhi della giornalista qualcosa di simile
al sospetto.
Ripensando alle sue iridi scure,
così simili a quelle di Mark, rabbrividì. Non riusciva ad immaginare cosa
sarebbe potuto succedere se avesse scoperto l’identità di Kris. Senza contare
che, essendo la cugina del capitano della Toho, la cosa si sarebbe fatta ancor
più disastrosa se lui avesse saputo come stavano le cose. Non avrebbe aspettato
un secondo per distruggere la New Team, di sicuro. Lui, Benji, e soprattutto,
Holly.
Finalmente i risultati della ricerca
comparvero. Tom si avvicinò nuovamente allo schermo, e con il puntatore scorse
velocemente le descrizioni dei vari siti dove compariva il nome di Miki. Ne
visitò alcuni. Come in fondo si aspettava, non trovò nulla di interessante, o
che comunque già non sapesse. Giornalista giovanissima…si occupa da sempre di
sport…una delle migliori nel suo campo…un intuito naturale per il
lavoro…autrice di numerosi articoli esclusivi su atleti famosi…
Rimase quasi un’ora a visitare
sezioni e pagine di mezzo web, e quando fece per chiudere l’ennesima, i suoi
occhi caddero su un paragrafo isolato. Si avvicinò alla superficie luminosa, lo
sguardo concentrato che fissava le parole scritte con un carattere corsivo.
…Miki Landers, 25 anni, giornalista
del New York Times, è ammirata dai colleghi e temuta nell’ambiente per aver
portato a galla alcuni scandali legati al mondo del calcio. Sembra che
l’investigazione sia pane per i suoi denti, e come lei stessa ha affermato
preferirebbe riconsegnare la sua tessera da giornalista piuttosto che
rinunciare ad andare in fondo ad un caso poco chiaro. Spesso si è avvalsa
dell’aiuto di Martha Quinn, avvocato penale conosciuto in tutti gli Stati
Uniti, per vincere cause portate da lei stessa in tribunale.
Becker rilesse più volte quelle
quattro righe. A quanto pare le sue sensazioni non sbagliavano…c’era davvero da
stare attenti a Miki Landers. Se possedeva davvero questo grandioso intuito, di
sicuro aveva capito che Kris nascondeva qualcosa. Adesso ne era sicuro.
Girò la testa, dirigendo lo sguardo
sul telefono. La prima cosa che gli era venuta in mente era stata quella di
chiamare Kristine, ma in fondo le aveva già detto la sera prima di stare
lontana dalla Landers. E poi, si sarebbero visti quella sera per gli
allenamenti.
Come sempre, da quando Benji gli
aveva…ordinato di dirigerli al suo posto.
Si scollegò, poi spense il computer.
Si, glie ne avrebbe parlato più tardi.
Attraversò la stanza, e quando
arrivò alla porta, esitò ad aprirla. Si girò di nuovo verso la scrivania,
tornando quindi sui suoi passi. E proprio mentre stava per alzare la cornetta,
l’apparecchio iniziò a squillare.
Un po’ stupito dalla coincidenza,
rispose dopo un paio di secondi.
“Pronto?”.
“Tom?”.
“…Judith?”.
“Sì, io. Come va?”.
“Oh…beh…bene, direi. Cioè, no…non
esattamente. Comunque…scusa, come hai avuto il mio numero?”.
“Ehehe…beh, me l’ha dato Harper”.
“Bruce??”.
“Già. Quando avevo accompagnato per
la prima volta Kris al campo, mi aveva scongiurato di scambiarci i numeri… .però
io non l’avevo mai chiamato, e quando prima l’ho fatto per la prima volta era
felice come una pasqua…ehm, anche se quando gli ho detto che avevo bisogno del
tuo numero non mi è sembrato più tanto felice. Mi sa che l’ho deluso un po’…”.
Il tono di Jude era più divertito
che dispiaciuto. Tom fece una breve risata, rimproverando la ragazza per
avergli dato false illusioni.
Jude rise un po’ con lui, poi tornò
seria.
“…comunque…”.
“Dimmi”.
“…ecco…c’è una cosa che devo dirti.
E se tu dovessi odiarmi per questo, ti assicuro che ti darei pienamente
ragione. Però credo che fosse la cosa migliore da fare”. Fece una pausa,
seguita da un sospiro.
“Scusami, già da ora. Anche se penso
che le sue reazioni siano state molto positive, quindi…”.
“Hai detto a Kris la verità. Ho
indovinato?”.
“Hem…esatto”.
Pausa dall’altro capo del telefono.
Lunga.
“Capisco”.
La voce ferma, forse tranquilla.
“Tom…stai bene? Perché io…”.
“No, aspetta. Cosa…cosa hai detto
prima?”. La interruppe, agitato. “Le reazioni…positive?”.
Judith si affrettò a continuare.
“Oh, si, si! Cioè…secondo me lo
sono. Si è…messa a piangere”.
“A piangere?? E secondo te è
positiva??”.
“Sicuramente, fidati”. Rise, tentando
di sdrammatizzare la situazione. Beh, almeno era andata meglio di quello che si
aspettava.
“Te l’ho già detto, Tom. E’
combattuta, molto. Ma adesso sta iniziando a rendersi conto cosa significhi per
lei, e secondo me hai buone possibilità. Benji ora è lontano, troppo lontano.
Kris mi ha raccontato di quello che è successo ieri, di come Price ha
abbandonato il campo senza provare minimamente a difenderla dalle insinuazioni
di Landers”.
“Già. Sinceramente, in quel momento
avrei voluto riempirlo di pugni. Ma che rimanga fra me e te, mi raccomando”.
“Ahaha, certo. A proposito…Benji ti
ha poi raccontato cos’è successo quella notte?”.
A quella domanda, Tom si bloccò. Era
impreparato…non aveva ancora pensato se dirlo o no a Judith.
“Tom?”.
Da come si era comportata fino a
quel momento, una cosa certa era che non era capace di tenere la bocca chiusa.
Non che fosse un male…insomma, in qualche modo teneva per lui e Kris. Ma
proprio per questo, parlargli di ciò che Benji aveva pensato e provato…di
quello che Kris aveva fatto e detto…no, non era la cosa migliore. Forse Jude
avrebbe creduto che dicendolo a Kristine l’avrebbe convinta a rinunciare a
Benji, pensando che se lui avesse saputo come stavano le cose l’avrebbe
sbattuta fuori dalla squadra. Le avrebbe detto che non era il ragazzo per lei
qualcuno che, invece che parlare per risolvere le cose, si difendeva dietro ad
una barriera di arroganza, bugie ed orgoglio, ferendo chi gli stava accanto.
Anche se sconvolto da qualcosa che non capiva, anche se in qualche modo la
ricambiava.
No…doveva tenerselo per sé. Doveva
farlo, per non correre rischi.
Proprio adesso che…le cose stavano
iniziando ad andare per il meglio…
O almeno, così sembrava.
Ringraziò mentalmente Judith,
chiedendole di perdonarlo.
“Non c’è nulla di male a voler
essere felici…”, pensò poi sedendosi sul letto, il telefono sulle ginocchia ed
una mano aperta a sorreggere la fronte. “Ci devo…almeno provare”.
“Tom, sei ancora in linea?”.
“Ah…si, si, son qui. Scusa, era
entrato mio padre. No…Benji…non mi ha voluto dire nulla. Ha detto che non erano
fatti miei e che…non dovevo dirgli di come si doveva comportare con Kris”.
“Hum. Capisco…certo che è diventato
veramente odioso. Chissà se sapremo mai cos’è successo…”.
Ci furono alcuni istanti di
silenzio. Tom non sapeva cosa dire, ma Jude riprese a parlare, allegra.
“Ma in fondo che importa! Kris pensa
a te, te lo assicuro. Quindi vedi di non buttare via le occasioni che si
presentano con lei…non hai più niente da perdere. E comunque, Kristine sapeva
da molto tempo che le volevi bene. E’ solo che non voleva accettarlo, era molto
più facile per lei pensare che fosse solo un’amica per te”.
Il ragazzo alzò gli occhi dal
pavimento, e senza dire nulla, tenne lo sguardo fisso davanti a sé.
“Mi raccomando. E’ ora di smetterla
di stare in panchina, numero undici. Ricordi? Correre, combattere, lottare.
Rischiare”.
“Certo. Grazie infinite, Jude”.
“Prego”. Tom potè immaginare le
labbra della ragazza allargarsi in un sorriso quasi materno. “Forza”.
Dopo averla ringraziata di nuovo,
Becker la salutò. Ripose la cornetta con delicatezza, lo sguardo ancora perso
nei propri pensieri.
Rimise sul tavolo il telefono, quasi
meccanicamente, dopodiché si buttò sul letto con un sospiro.
Per più di mezz’ora rimase così,
immobile, con il viso affondato nel piumone, finché improvvisamente si girò di
scatto, lanciando un’occhiata alla sveglia sul comodino.
“E’ ora…di smetterla di stare in
panchina…”.
Eran da poco passate le nove di
sera. Il campo degli allenamenti della New Team era già avvolto dal buio della
notte, e l’ampia distesa, deserta ormai da qualche ora, faceva un effetto
completamente diverso senza l’illuminazione dei fari artificiali.
Ma forse non era esatto dire che non
c’era nessuno. Oltre la rete, infatti, seduta con la schiena appoggiata al muro
degli spogliatoi, una figura se ne stava in silenzio, appena visibile fra le
ombre proiettate dalla costruzione. Con le gambe raccolte sotto il mento,
faceva fare dei piccoli rimbalzi al pallone da calcio che teneva da un lato,
provocando un rumore minimo, attutito dal morbido manto d’erba del prato.
“...we couldn't find them...so we tried to hide them...”.
Con un filo di voce, quasi
sussurrando, Kris iniziò a cantare. Era una vecchia canzone. L’ultima volta
l’aveva sentita da Nicole, quando erano ancora a Kyoto. Una sera al karaoke…sì.
C’erano anche Keith e Alex…forse, a quel tempo, potevano essere al massimo
quattordicenni. Era stato appena prima che Kei partisse.
“…words that we couldn't say”.
Certo, lei non era brava come
Nicole. Però adorava cantare. C’erano un sacco di cose che adorava fare, in
effetti. Cose che aveva dimenticato da tanto. Le piaceva nuotare, ad esempio. O leggere.
“...sometimes baby, we make mistakes...dark and hazy, prices we pay...I
sit here on my shelf, just talking to myself...words that we couldn’t sa-”.
La voce le si incrinò. Portandosi
una mano alla bocca e lasciando rotolare la sfera di cuoio davanti alle sue
scarpe da ginnastica, la ragazza abbassò le palpebre, ricacciando a forza le
lacrime che le stavano bruciando negli occhi.
* ...someday maybe
We'll make it right
Until that day
Long endless nights
We couldn't say them
So now we just pray them
Words that we couldn't say...
We couldn't say them
So now we just pray them
Words that we couldn't say...
Someday maybe...
“Credevo…che non ci fossi”.
Al suono di quelle parole, Kris si
riscosse, passandosi velocemente una mano sul viso. Nell’oscurità le voci
assumono toni così carezzevoli, pensò, sollevando la testa dalle ginocchia.
Sembrano capaci di espandere calore ad ogni parola, di portare la luce nella
mente di chi le ascolta.
E’ bella, la notte.
“C’è un bel cielo, stasera…”.
La sagoma scura che si stagliava
davanti a lei, in piedi, la stava sicuramente guardando. Rimase un attimo in
silenzio, fissando a sua volta un punto che con molte probabilità corrispondeva
al viso di Tom Becker.
“…volevo lasciare le luci spente
fino a che non fossi arrivato”.
Altro scambio di sguardi nel buio.
“Che cos’era?”. Tom si spostò di
poco.
“Cosa?”.
“Quello che cantavi”.
Forse sta sorridendo, immaginò Kris.
“Non conosco il titolo. Ma la
cantava spesso una mia cara amica”.
“Hai una bella voce”.
Kristine riportò gli occhi sulle
proprie scarpe, forse in imbarazzo. Si alzò, ma dopo aver fatto qualche passo
verso il centrocampo, oltrepassando Tom, si voltò di nuovo. Adesso riusciva a
vederlo un po’ meglio, vagamente illuminato dal bagliore diffuso delle luci di
Fujisawa, che oltre le file degli alberi all’esterno del campo si sfumava nel
cielo nero.
“Sai…non riuscivo a ricordare quando
era stata l’ultima volta che avevo cantato qualcosa… ”, mormorò, continuando a
guardarlo. “Probabilmente è stato molto tempo fa”.
Tom non disse nulla. Anche intorno a
loro il silenzio era assoluto, e l’aria ferma. Per la verità, Kris non si
rendeva nemmeno conto se faceva freddo o no.
Così come, quando era uscita di
casa, non aveva pensato che forse la felpa che aveva pescato a caso
dall'armadio sarebbe stata un po' troppo leggera per una serata come quella. O
che fare l'ultimo pezzo di strada correndo, invece che aspettare l'autobus,
solo per paura di arrivare in ritardo era stato un po' esagerato.
Ma a lei non importava. Quando aveva
finito di parlare con Jude, quel pomeriggio, aveva messo il mondo intero da
parte. Accantonato, magari , solo per un po', solo per poco. Le ore erano
passate così lentamente che aveva pensato che non sarebbero più arrivate le
nove.
Tom avanzò di un passo, non
staccando gli occhi dai suoi. L'atmosfera era diversa da quella delle altre
sere, era indubbio. Era palpabile, la stessa aria aveva una consistenza
differente, ma non se n'era accorta solo Kristine. Becker era perfettamente a
conoscenza di quello che provava, ma lei non poteva saperlo, anche se da come
la stava guardando sembrava volesse leggerle dentro, capire che cosa le stesse
passando per la mente...
"Senti...forse sarebbe
meglio...".
Quella di iniziare a parlare non era
stata una mossa troppo azzeccata. La tensione si abbassò di colpo, e il
portiere, rendendosene conto, si morsicò un labbro. Perché l'aveva fatto? Era
tutto perfetto. Sarebbe potuta succedere…ogni cosa. Non ci sarebbe voluto
niente, ora che era certa che Tom...
Che Tom...
Ti ama. Ti ama da morire, da sempre.
Già. La amava. Probabilmente, come
aveva detto Judith, lei stessa l'aveva sempre saputo e non aveva mai voluto
crederci davvero, anche se in fondo aveva solamente avuto paura di perdere il
suo più caro amico, e quindi era stato comprensibile che...
"Dimmi".
"Ecco...io pensavo
di...iniziare l'allenamento...se sei...d'accordo...".
Improvvisamente, Kris ebbe
l'impressione che il suo cuore avesse smesso di battere per qualche secondo.
Era certa di essere impallidita.
Perdere...il suo più caro amico?
"Oh...certo. Vado ad accendere
tutto, allora...". Becker le stava sorridendo, un po' forzatamente. Magari
era rimasto deluso.
"Ok...".
Era davvero quella la
motivazione?
Cercò di riacquistare un ritmo di
respirazione regolare. Ma si...certo che era quella! Aveva sempre pensato che
la loro amicizia si sarebbe rovinata sei lui non avesse ricambiato i suoi
sentimenti. Era sempre stata quella la sua più grande paura...e non
certo...l'indecisione.
We couldn't find them, so we tried to hide them, words
that we couldn't say.
No. Non poteva più mentire a se
stessa, lo sapeva. Se non ci fosse stato qualcun altro molte cose sarebbero
andate in modo differente, fin dall'inizio. Avrebbe aperto gli occhi prima.
Sì...se non ci fosse stato Benji a confonderla, magari...
Cercò il numero undici fra le ombre
del campo, spinta dal bisogno immediato di guardarlo negli occhi, di verificare
ancora una volta quello che provava per lui.
Lei...cosa desiderava davvero, alla
fine?
Era sicura di saperlo?
In quel momento quattro luci
fortissime la investirono, costringendola a ripararsi gli occhi con le mani.
Becker aveva acceso i fari posizionati lungo gli angoli del campo, spezzando
completamente l'atmosfera intima che si era creata prima, nel buio.
Kris sospirò, questa volta davvero
pentita. Ormai, per quella sera non sarebbe successo proprio nulla. Qualunque
cosa avesse sperato che accadesse.
"Allora, vai in porta? Iniziamo
come sempre con qualche tiro semplice...", disse Tom, riemergendo dal
locale attiguo agli spogliatoi dove erano istallate le apparecchiature per il
controllo delle luci. Fra le mani teneva due palloni.
"Va bene...".
Mentre Kristine si avvicinava ai
pali della porta, però, Becker si bloccò, e mettendo a terra le sfere di cuoio
richiamò la ragazza. Gli angoli della bocca del calciatore si allargarono in
uno strano sorriso.
"Ehi, Kris...".
Lei si girò di nuovo.
"Sì?".
"Ho un'idea migliore. Voglio
veder come te la cavi con una cosa nuova".
Un po' sorpresa, Kristine annuì.
"Oh, ok...di che si
tratta?".
Per tutta risposta, Becker le lanciò
di nuovo lo stesso, misterioso sorriso. Sembrava avesse in mente qualcosa di
ben preciso. Calciando uno dei palloni, si allontanò dall'area di rigore fino
ad arrivare a metà campo, dove si fermò ancora. Fece un cenno a Kris con una
mano.
"Allora", le gridò.
"Molto semplicemente, dovrai cercare di prendermi il pallone".
"Ehh??". L'altra sgranò
gli occhi, incredula. "Ma...ma io non sono un attaccante! Non so coprire
altri ruoli, lo sai!".
Tom rise. Era come se avesse
completamente dimenticato gli istanti di poco prima, e adesso sembrava che lui
e Kris fossero tornati ad essere i vecchi, soliti grandi amici che erano sempre
stati.
"Insomma, che discorsi sono?
Vuoi o no essere il degno portiere della New Team? Ti ricordo che chi sta fra i
pali deve anche sapere uscire dall'area e perché no, segnare...guarda che Benji
l'ha fatto parecchie volte. Quindi non fare storie".
"Sei davvero crudele",
rispose intimorita lei, mostrando a Becker la più abbattuta delle sue
espressioni nel vano tentativo di fargli cambiare idea. "Ma guarda che ho
il sospetto di non esserci portata. Ho l'impressione che dovremo lavorarci
molto su questo punto...".
"Mh, vedremo. Ma adesso basta
frignare! Su, vienimi incontro!".
Senza lasciarle il tempo di
rispondere, Tom iniziò a correre con appresso la sfera di cuoio. Era
velocissimo come sempre, e Kristine, presa alla sprovvista, uscì dai pali anche
se non troppo convinta.
"Ma cosa gli è venuto in
mente...", si ritrovò a pensare, mentre la distanza fra loro si accorciava
ogni secondo che passava. Lo sguardo di Tom non lasciava pensare ad uno
scherzo, e Kris concluse che tanto valeva provarci. Ho sempre tempo per
imparare, aggiunse, aumentando la velocità.
Ormai mancavano pochi metri al loro
scontro, e Becker rallentò di poco, preparandosi a difendere il pallone dalla
ragazza. Tutto avvenne però in pochi istanti, e Kris, avendo deciso di gettarsi
senza troppi ripensamenti e in modo decisamente avventato sulla sfera, finì per
trovarsi il passo bloccato dal piede di Tom, su cui inciampò, cadendo
rovinosamente a terra.
"Ahia...", mormorò quindi
poco dopo, distesa su un lato fra l'erba del prato e massaggiandosi
energicamente un gomito. "Te l’avevo detto, vado meglio in porta. Ehe
he...".
Si passò una mano sul viso,
poggiandola poi sul terreno per rialzarsi. Sollevò la testa.
"Però è stato divert...".
Le parole le morirono in gola nel
momento in cui, immobile a pochi centimetri dal suo volto, si accorse che
Becker la stava guardando. Intensamente.
"T-Tom...", mormorò solo,
ritrovandosi costretta a fissare, a sua volta, quegli incredibili occhi castani.
Occhi dolcissimi, che nascondevano uno sguardo che Kristine non aveva visto
mai, fino a quel momento, sul viso del ragazzo. Nemmeno quando si erano
rivisti, due mesi prima, o quando si erano salutati a Kyoto, anni fa...
"Kristine...Grover".
Becker pronunciò il suo nome
completo piano, come se l'avesse sentito per la prima volta o come se...volesse
imprimerlo per sempre nella testa, per essere sicuro di ricordarlo.
Lui...era caduto insieme a lei?
Oppure...oppure aveva fatto in modo che inciampasse apposta? Non lo sapeva, ma
in qualunque caso adesso era lì, inginocchiatole accanto, le mani appoggiate
sul terreno ai lati della sua testa. Kris si sentiva come un animale in
trappola, e non osava muoversi, anche se forse...non voleva farlo.
Forse?
"Cosa...co-cosa s-stai...",
balbettò di nuovo, notando che Becker si stava avvicinando ancora di più. Le
sue intenzioni erano ormai chiare, e le labbra sottili del ragazzo erano adesso
lontane solo un paio di centimetri dalle sue.
E proprio in quel momento, d'un
tratto Kris fu presa dal panico più totale, rendendosi conto che in realtà
quello che stava per succedere non era quello che voleva realmente. Iniziò ad
agitarsi, muovendo la testa come se stesse soffocando, come per cercare aria.
"Lasciami!". Non avrebbe
mai creduto di poterlo dire, ma lo fece, con tutto il fiato che aveva in gola.
"Lasciami...lasciami andare!"
No, non era quello che voleva...non
lo era...
Tom, come risvegliato dal grido
della ragazza, allontanò il viso di scatto. Si rialzò velocemente, facendo,
tremante, due passi indietro.
"Ma...tu...".
"Cosa...cosa diavolo volevi
fare?".
Ansimando e con le lacrime agli
occhi, Kris fissava l'amico. Anche lei si rimise in piedi. Le girava la testa,
e se per un attimo perse l'equilibrio riuscì comunque a non cadere di nuovo.
Lui, invece, non sapeva cosa dire.
Il fatto era che...non se l'era aspettato, un suo rifiuto. No. Era certo
che...non l'avrebbe respinto.
Jude si era sbagliata?
Lanciò uno sguardo implorante a
Kristine. Per quanto si sforzasse, dalla gola non riusciva a far uscire una
parola, anche se sapeva che doveva dirle qualcosa, qualsiasi cosa servisse per
scusarsi, per pregarla di perdonarlo. Ma non ne aveva la forza. Non
riusciva...a reagire.
Lei continuò a guardarlo fino a che,
lentamente, iniziò a scuotere il capo.
"Mi...dispiace...".
Con la voce rotta, Kris ripeté più
volte le stesse parole, coprendosi il volto con le mani. Solo adesso aveva
capito cos'era successo e...quello che aveva causato.
Perché...non aveva voluto che la
baciasse? Perché si era comportata così?
L'aveva sognata per anni, e quando
la situazione si era finalmente presentata, aveva rovinato ogni cosa. Tutto.
Tutto quanto.
Ebbe voglia di scappare via, ma
prima che potesse decidere di farlo qualcuno si avvicinò dal perimetro del
campo.
"Credevo di averti detto che
dovevi allenarlo al posto mio, Becker, e non di fare conversazione con
lui".
Entrambi i ragazzi si voltarono,
riconoscendo immediatamente la voce dura e profonda di Benjiamin Price. Tom
chiuse gli occhi, sfinito. L'SGGK era certamente l'ultima persona che avrebbe
voluto vedere quella sera, e adesso non era sicuro di poter reggere anche la sua
presenza. Tra l'altro...perché era venuto?
"Price". Con un profondo
respiro, cercò di riacquistare la calma. "Che ci fai qui?", gli
domandò però, senza troppi complimenti.
Beh, per lo meno sembrava che Benji
non avesse assistito alla scena di poco prima. Se fosse arrivato in quel
momento le cose si sarebbero fatte ancora più difficili, pensò Becker.
Irreparabili.
Il ragazzo dai capelli scuri, intanto,
era rimasto in silenzio, dopo aver ignorato completamente il tono del compagno.
Si limitò ad osservare prima lui, poi Grover, immobile e col viso stravolto a
pochi passi dal numero undici. Tom attese per un po' una risposta da parte di
Benji, e solo quando notò il modo insistente con cui continuava a fissare
Kristine fu assalito da un dubbio.
"Benji...".
Si avvicinò all'amico. Lui
finalmente tornò a guardarlo, ma quello che Tom lesse nei suoi occhi scuri non
fece altro che confermare le sue peggiori ipotesi. Rendendosi conto di ciò che
voleva fare, trapassò a sua volta il portiere con un'occhiata, mostrandogli
un'espressione disgustata.
Price, ovviamente, non ci fece
minimamente caso. Non era importante che Becker approvasse.
Non era necessario che nessuno
approvasse.
"Tornerò ad allenare Kristian,
Tom. Ci ho...ripensato. Grazie per avermi sostituito, ma adesso puoi anche
andartene. Me ne occuperò io qui".
Sempre più gelido, il tono di Price
fu un invito molto chiaro per Becker. E ormai, comunque, non avrebbe più potuto
fare nulla né per Kris, né per se stesso. L'unica cosa che gli rimaneva, a quel
punto, era davvero andarsene. Forse...Kristine si sarebbe resa conto da sola di
come comportarsi. Sapeva che Benji non avrebbe cambiato idea per nulla al mondo,
ma lei...lei avrebbe sicuramente reagito.
Sì, era forte. Ce la poteva fare da
sola. Lui non aveva più alcun diritto su di lei...sapeva che avrebbe sofferto
di nuovo, ma non poteva più immischiarsi nella sua vita, nelle sue scelte.
Il suo sogno era giocare fino alla
fine del campionato nella New Team, e quel sogno sarebbe rimasto suo. Solo Kris
avrebbe deciso se realizzarlo o no. Solo Kris.
Rivolse un ultimo, riprovato sguardo
a Price, sperando, anche se inutilmente, che non avesse davvero intenzione di
fare quello che pensava. E prima di andarsene definitivamente, Becker si voltò
poi anche verso Kristine che, ancora ferma qualche metro dietro di loro, li
stava guardando entrambi, confusa.
Era però certo che gli occhi le si
fossero illuminati non appena aveva sentito che Benji sarebbe tornato ad
allenarla. Su questo...non aveva dubbi, purtroppo.
"Fai la scelta giusta",
pensò tristemente Becker, mentre il cuore gli veniva stretto in una morsa.
"Se potessi, ti eviterei questa sofferenza. Ma adesso so...perché prima mi
hai respinto".
Mille sensi di colpa gli pesavano
già sulla coscienza, ma lui tentò di ignorarli, cercando di convincersi che era
meglio così.
Anche se la stava abbandonando.
Senza aggiungere una parola, Tom
superò Benji e scomparve nel buio, oltre la recinzione. Kristine lo seguì con
lo sguardo, continuando a non capire cos'era successo. Price era arrivato
d'improvviso, interrompendoli, e adesso era fermo, a pochi passi da lei, con le
braccia incrociate. Continuava a restare in silenzio, e sembrava la stesse
studiando.
Ma prima...aveva parlato sul serio ?
Sarebbe tornato davvero ad allenarla?
Non riusciva assolutamente a capire
che cosa stesse provando. Ne era felice? Oppure le dispiaceva per Tom? Sospirò.
Quando se n'era andato le era sembrato molto strano, e non poteva negare di
aver provato un po' di amarezza. Avrebbe voluto parlargli, o almeno chiarire
quello che era accaduto fra di loro. Ed invece lui l'aveva lasciata lì, da sola
con Benji, senza dire una parola...
Ma in fondo era lei che l'aveva
voluto. Magari, Tom aveva pensato che avrebbe preferito di gran lunga la
compagnia di Price alla sua...
Si sentì colpevole, e abbassando gli
occhi sull'erba si rese conto che non era del tutto falso. Anzi...non lo era
affatto.
"Price...perché...vuoi tornare
ad allenarmi?".
Il ragazzo, alle sue parole, fece
finalmente qualche passo avanti, senza però risponderle. Anche Kris si
avvicinò, mentre nel cuore le si riaccendeva la speranza.
Allora, non era più arrabbiato con
lei? Ora...il loro rapporto sarebbe tornato ad essere quello di un tempo?
Sì, naturalmente...sarebbe stato
così.
"...Benji?".
Altrimenti...perché sarebbe tornato?
Sul viso di Kris si allargò un
sorriso quasi commosso. Giocava nervosamente coi guanti che aveva fra le mani,
i suoi guanti, quelli di Price, ormai convinta che sarebbe tornata presto a
considerarli il tesoro prezioso che erano stati fino a poco tempo prima.
L'unica cosa che le mancava per esserne certa era un'occhiata da parte sua, o
un sorriso. Anche solo accennato, anche breve...
Ma l'SGGK non la stava guardando. O
meglio, era come se non lo stesse facendo. La fissava, ma i suoi occhi erano
indecifrabili, impenetrabili. Era impossibile capire a cosa stesse pensando, o
quale fosse il suo stato d'animo. Poi, quando Kris fece per chiedergli di nuovo
delle spiegazioni, Benji si mosse, dirigendosi verso i due palloni abbandonati
prima nei pressi dell'area di rigore da lei e Becker.
"Cominciamo".
Quella sera, fu la sua unica parola. |
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Capitolo 19 *** La Fine del Sogno ***
“… così,
stiamo valutando la possibilità di aprire una nuova catena di hotels anche in Europa. In ogni caso staremo via per un
paio di settimane al massimo, il tempo di incontrare alcune persone e
controllare dei terreni. A proposito, vuoi che ti portiamo qualcosa di
particolare dall’Italia?”.
I
lineamenti eleganti del viso senza l’ombra di una ruga della signora Grover erano, come sempre, perfettamente rilassati.
Guardava il figlio con un’espressione che poteva essere definita quasi adorante,
mentre il signor Grover, seduto accanto alla moglie,
fumava un sigaro aggiungendo di tanto in tanto qualche parola a quelle di lei.
Non
ricevendo però alcuna risposta dal suo interlocutore, la donna lo osservò
stupita.
“… caro? Ma…
mi hai sentita?”.
In effetti Alex Grover
aveva chiaramente l’attenzione altrove. Anche se lo
sguardo dagli intensi occhi verdi era fisso davanti a sé, non aveva sentito nemmeno
una parola di quello di cui i suoi avevano parlato per almeno dieci minuti.
“Mh, dicevi?”.
“Sei… sicuro
di stare bene?”.
Il ragazzo
fece un largo sorriso.
“Certo.
Scusatemi, ero solo un po’ distratto”, disse,
alzandosi da tavola e appoggiando il tovagliolo che aveva sulle gambe accanto
al piatto vuoto. “Comunque non preoccupatevi, e fatemi
pure una sorpresa. Non conosco molto l’Italia”, continuò,
indovinando senza troppa difficoltà la domanda di cui le sue orecchie avevano
captato al massimo qualche sillaba.
“Va bene,
come preferisci”, mormorò con un altro piccolo sorriso la madre, un po’ delusa.
“E tu, Kris?”.
La donna
si sbilanciò da un lato della sedia per cercare il viso di Kristine
che, dall’altra parte della stanza, era rannicchiata
fra i cuscini del divano, stretta in un maglione blu evidentemente troppo
grande per lei di qualche taglia. Nell’angolo buio del salotto, il viso dalla
pelle chiara era illuminato solamente dalla luce azzurrina dello schermo sul
quale si muovevano i personaggi di un celebre varietà. Sembrava assorta,
nonostante non avesse mai nemmeno sorriso alle battute del programma. Quella
sera non aveva mangiato nulla.
“Niente”.
“Ma…”.
“Ho detto
niente”.
Rimase
immobile, ma dopo qualche attimo si sollevò dai cuscini con uno scatto nervoso,
mettendosi in piedi. Con lo sguardo a terra fece quindi per dirigersi fuori dalla sala, ma la voce dura del padre la costrinse a
fermarsi.
“Hai
deciso di metterti in punizione da sola in questo modo, Kris?”.
Lei mosse
lentamente lo sguardo, senza capire.
“Co… cosa?”.
L’uomo
resse gli occhi della figlia senza problemi, e non disse altro. Continuò invece
la signora Grover, dopo essersi scambiata un’occhiata
col marito.
“Kris, i
tuoi voti scolastici sono calati di molto nell’ultimo mese. Un tuo insegnante
ci ha chiamato in ufficio, qualche tempo fa, dicendo che la cosa lo preoccupa
molto. E ha anche aggiunto che salti spesso le
lezioni…”.
Si fermò. Alex, in piedi fra il tavolo e il salotto, osservava i
volti dei familiari, teso. Non sapeva nulla della situazione di sua sorella. Dalla
sera in cui Kei era ritornata non aveva più avuto modo
di parlarle, un po’ perché Kristine non era mai stata
in casa, un po’ anche per colpa sua. Non poteva negare di averla
trascurata in quell’ultimo periodo per cercare di
rimettere a posto le cose con Keith, è vero, ma di
sicuro il suo andamento a scuola non stava andando bene da molto prima. Da
almeno qualche settimana, o forse di più. E lei non
gli aveva mai detto niente.
“I professori
esagerano. Non dovete preoccuparvi”.
“E invece ci preoccupiamo. Sinceramente la cosa non ci piace,
Kris”.
Alex osservò la sorella, sapendo che nonostante
l’espressione apparentemente distesa sarebbe tra non
molto scoppiata. Comunque, anche il suo comportamento
era molto strano, da alcuni giorni.
“E’ quello che non vuoi ancora
raccontarmi, Kristine. E’ quel dannato segreto la
causa di tutto. Che ti riduce così”.
Sospirò,
tornando a guardare i genitori. Sua madre posò la forchetta sul piatto di
porcellana ornato da un contorno dorato, di sicura provenienza occidentale.
“Dalla
prossima settimana avrai un insegnante privato che verrà a farti ripetizioni
ogni due giorni”.
Kris non
mosse la testa, rifiutandosi di guardarli in faccia.
“Non
voglio”.
“E io non accetto discussioni. La questione è chiusa”.
Nella
stanza calò un silenzio pesante. Alex aveva praticamente la certezza che Kristine
si sarebbe avvicinata da un momento all’altro al tavolo per rispondere ai suoi
nel modo più insolente possibile, ma con suo grande sorpresa la scenata che si
era immaginato non avvenne.
La sorella
arrivò invece fino all’inizio delle scale, e prima di salire, con le dita sul
corrimano, pronunciò amaramente una sola frase.
“Vi
preoccupate per me solo quando vi fa comodo, non è vero? Già… avrei dovuto
pensarci. Avere una figlia che va male a scuola sarebbe una vergogna per la
famiglia Grover”.
Poi, solo
i suoi passi veloci sui gradini, il breve tratto di corridoio, e il rumore
sordo della porta che sbatteva.
Alex chiuse gli occhi, scuotendo il capo. I suoi non parlarono,
ma lui li ignorò, decidendo di seguire la sorella su per le scale. Forse era
meglio andare a calmarla. Ne avrebbe approfittato
anche per capire che cosa avesse, da un po’ di tempo.
“Magari questa volta ti
deciderai a dirmi come stanno le cose”.
Arrivò
davanti alla sua camera, ma quando fece per bussare, esitò. Conoscendola, Kristine gli avrebbe di sicuro detto di andare via, di
tornare più tardi, e Alex non voleva
rimandare nulla. Un principio di senso di colpa si stava facendo strada dentro
di lui, la sensazione di non esserle stato accanto quando più ne aveva bisogno. Kris non gli aveva mai
chiesto aiuto apertamente, è vero. Non l’aveva mai
fatto, non era da lei. Alex le aveva sempre dovuto tirare fuori tutto con la forza, fin da quando erano
piccoli, anche quando i ragazzi con cui era stata l’avevano fatta soffrire. Quando l’avevano usata, abbandonandola poi come un oggetto di cui
non avevano più bisogno.
Tutte le volte in cui i loro genitori l’avevano
fatta sentire sola. Una
figlia dimenticata.
Ma anche se Kris aveva sempre desiderato apparire
forte, non lo era mai stata. Nessuno di loro due era abbastanza forte per poter andare avanti da solo, per non avere bisogno dell’appoggio
dell’altro.
Ripensò
alla serata in cui era tornata Keith. Se prima di andare all’aeroporto non avesse parlato con Kris,
non sapeva se avrebbe ritrovato il coraggio necessario per affrontare gli
errori che aveva commesso in passato.
Sì, glielo
doveva. Le doveva tante cose.
Posò così la
mano sulla maniglia, e la spinse con decisione.
“Kris…”,
disse, immaginando di trovarla stesa sul letto e rannicchiata fra le coperte,
come faceva ogni volta che si chiudeva in camera.
Ma non era lì. Si stava invece cambiando, e teneva fra
le mani un maglione, quello che indossava poco prima. L’aveva appena sfilato. Alex ricordò che Kristine gliel’aveva
chiesto in prestito tempo fa, quando aveva
inspiegabilmente iniziato a mettersi spesso vestiti larghi e tute sportive.
Quando lo vide sulla porta, però, la sorella lasciò cadere
la maglia a terra. Aveva gli occhi sbarrati.
Ed in quel momento Alex non
poté fare a meno di notare dei segni, rossi e profondi ed in altri punti
tendenti al violaceo, che le coprivano l’addome, nudo sotto il reggiseno, insieme
alle braccia e alle spalle.
“Alex… co… come ti permetti di
entrare in camera mia senza bussare?!?”, balbettò lei.
Lo fissò per qualche istante senza sapere cosa fare, poi, chinandosi di scatto,
raccolse il maglione ai suoi piedi. Si coprì come poteva per tentare di
nascondere alla vista del fratello i lividi, ma lui, avvicinandosi, le strappò
l’indumento dalle mani.
“Cosa DIAVOLO sono questi?!”, esclamò.
“Alex… ”.
“CHI TE LI
HA FATTI?”.
“Per
favore… non urlare… I-io… sono… sono
caduta…”.
Il ragazzo
la spinse contro il muro della stanza, afferrandola per le spalle.
“Non provare
a raccontarmi altre balle”, disse quindi. Non gridava più, ma il tono che stava
usando non era di certo pacato. “Perché
non sono più disposto a lasciarti vivere un’altra vita di cui non so nulla. Mi
ero promesso di non intromettermi, è vero, di non
chiederti più spiegazioni, ma solo perché ti vedevo felice. Ora le cose sono
diverse. ORA mi dirai CHI ti ha picchiata, e subito
dopo IO andrò a restituirgli lo stesso trattamento”.
Kris
guardava in basso, gli occhi castani pieni di lacrime. Tremava, e sembrava non
riuscire a smettere.
“A-Alex… lasciami, mi fai male… ”.
“Ti ho
detto di dirmi CHI è quel FOTTUTO BASTARDO. E in che
RAZZA di giri ti sei messa”.
Alex continuò a tenerla contro il muro, senza accorgersi
di starle stringendo sempre di più le braccia. Alcune lacrime scivolarono lungo
le guance della ragazza, mentre una smorfia di dolore comparve sulle sue labbra
sottili, diventate rosse a furia di essere morsicate per
il nervosismo.
“Mi stai…
MI STAI FACENDO MALE!”.
Kris urlò
all’improvviso, e il suo grido sembrò far tornare in sé Alex,
che la lasciò immediatamente. Indietreggiò di qualche passo, rendendosi conto
solo in quel momento di essere stato troppo impulsivo. Guardò con orrore i
segni che aveva lasciato sulla pelle di Kristine, sommati a quelli, innumerevoli, che già aveva, e
si pentì della sua reazione violenta. Non credeva di poter arrivare a tanto.
Non credeva di poter far del male a sua sorella perdendo il controllo a quel
modo.
“Perdonami,
io… ”.
“ESCI DI
QUI!”.
Alex la guardò, mortificato. Gli occhi verdi del ragazzo
erano lucidi, proprio come quelli che stava fissando. Kris sembrava però fuori
di sé, ora, e continuava a tremare visibilmente. Era stravolta, e la voce
scossa dai singhiozzi usciva a stento, seppur con rabbia, istericamente.
“S-sono… stanca… stanca di TUTTO! Tu credi di sapere come
aiutarmi, ma non puoi sapere niente, NIENTE! E non
puoi fare NIENTE!”.
Riprese
fiato. Si passò una mano sugli occhi arrossati per asciugare le lacrime che
ormai le impedivano di vedere, poi fece un passo in avanti, e riprese a
parlare. Con tristezza, questa volta, e rassegnazione.
“Voglio
solo essere lasciata in PACE. Tu… non puoi fare niente per
me. Nessuno… può fare niente per me”.
Si girò.
“E ora vattene, per favore”.
Alex non aggiunse una parola. Fece ciò che gli era stato
chiesto e, con lentezza, richiuse la porta alle sue spalle.
Ancora
sconvolto percorse il corridoio, ma arrivato alla fine spostò piano gli occhi
sul salotto sotto di lui, al piano terra, visibile dalla ringhiera in legno che precedeva le scale.
I suoi
genitori erano seduti sul divano. La signora Grover
stava piangendo sommessamente, mentre il marito tentava di calmarla, tenendola
stretta a sé e dicendole a bassavoce parole che Alex non riuscì a sentire.
Li guardò
con compassione. A quanto pare la frase detta prima da Kristine aveva prodotto qualche effetto, dopotutto. Anche se i loro genitori avevano parecchi difetti, non erano
privi di sentimenti. Lui l’aveva sempre saputo, sapeva
che tenevano ai loro figli più di quanto non sembrasse a prima vista, ma probabilmente
solo ora si stavano rendendo conto di aver commesso degli sbagli. Soprattutto
con Kris.
Socchiuse
gli occhi. Avrebbero avuto tempo per rimediare.
“Chissà se è vero che non c’è
nulla che non si possa risolvere…”.
Kris stessa aveva affermato che agli errori si può sempre riparare.
Glie l’aveva detto quella sera, a proposito di Kei. Ma adesso, toccava solo ai
loro genitori crederci.
Scosse la testa, e asciugandosi gli angoli degli occhi,
umidi di lacrime non cadute, scese con fermezza le scale. Passando di fianco ai
genitori, questi si voltarono verso di lui.
“Alex, Kris…”, mormorò timorosa sua madre.
“Per ora
lasciatela stare. E’ meglio così, credetemi”, la
anticipò lui, prendendo il montgomery appeso di fianco alla porta. Se lo infilò, chiudendo gli alamari fino in cima.
La donna lo
fissò senza capire, gli occhi cerchiati dalla stanchezza, sfinita dal pianto.
“Ma… e tu dove vai a quest’ora?”.
Lui
sorrise brevemente.
“Non vi
preoccupate. Torno presto”.
Senza
lasciar loro il tempo di protestare, Alex infilò la
porta. Fuori soffiava un vento freddo, segnale che l’inverno si stava
avvicinando velocemente. Percorse le strade semideserte con le mani affondate
nelle tasche, fino a che giunse davanti ad una piccola, graziosa villetta,
isolata in fondo ad una stradina non asfaltata.
Entrò nel
cancello socchiuso, e dopo aver attraversato il modesto ma curatissimo giardino
suonò una volta il campanello. Attese più di un minuto, poi una voce femminile
rispose piano, chiedendo chi fosse.
Alex pronunciò il proprio nome, e dall’altra parte ci fu
silenzio per un attimo. Si sentì un quasi sussurrato “arrivo”, poi la donna
appese il citofono. Dopo qualche attimo comparve da dietro la porta, che aprì
di poco.
“Ma lo sai che ore sono?”.
Lo fissò
con aria di rimprovero, poi sembrò d’un tratto imbarazzata.
“Lo so che
ti ho detto che ci avrei pensato, però non mi sembra il caso che tu… ecco… ”.
“Keith, non si tratta di noi, ma di Kris. Sono qui perché ho
bisogno di parlare con te e Nicole”.
Lo sguardo
della ragazza si allarmò, e le iridi azzurre tornarono
a fissare Alex, brillando nel buio della sera.
“Oh…”.
“Ti prego.
Solo un minuto”. Spostò un attimo la testa. “Sono… preoccupato”.
Implorante,
il ragazzo continuò a guardare Kei, ma in quel
momento la porta si aprì completamente.
“Kei, chi è?”.
Nicole apparve di fianco alla sorella, i fluenti capelli
rossi raccolti sulla nuca. Indossava una vestaglia di seta bianca, ed era a
piedi nudi, subito visibili sulle piastrelle scure dell’ingresso.
“Alex?”.
Rivolse
un’occhiata interrogativa sia all’amico che a Keith, ma
quest’ultima rientrò in casa, invitando il ragazzo
oltre la soglia.
“Entra
pure”.
Lo
specchio le rimandava un’immagine di sé nella quale stentava a riconoscersi.
Il viso
sciupato, gli occhi arrossati, i capelli scompigliati.
Il corpo
magro, troppo magro, da troppo tempo.
I lividi.
Kris
chiuse gli occhi, portandosi una mano al braccio destro, quello che più le
faceva male. Il modo con cui Alex l’aveva afferrato
aveva riacceso il dolore della sera prima. Anzi, di tutte le precedenti
giornate.
Fissò ancora il riflesso davanti a lei con fastidio,
poi si voltò, abbandonandosi
sul letto come un peso morto. Non era propriamente disgustata da quello che era
diventata, ma dal fatto che stesse permettendo di lasciarsi ridurre così.
Aveva
visto gli occhi di suo fratello. Aveva visto la sua reazione. Ne aveva avuto paura ma l’aveva compresa, eccome se l’aveva
compresa, anche se lei gli aveva risposto a quel modo.
Gli aveva
detto di lasciarla stare, ancora una volta. Di non farle domande. Di non
aiutarla.
“Non puoi chiedermi di dirti
chi è stato, Alex…”, pensò, assaporando il sollievo dato dal fresco
delle lenzuola contro il suo corpo dolorante. “Anche se io stessa…”.
Aprì gli
occhi. Sì, avrebbe voluto mettere fine a tutto quanto, ma non poteva.
Anche se avrebbe voluto dire soffrire ancora, non poteva
lasciare che vincesse lui.
Lui.
Ricomparso
quella sera, emergendo dal buio.
Senza una
spiegazione, mandando via Tom.
Guardandola
senza vederla davvero.
Aprendo la
bocca una sola volta.
Una.
Cominciamo.
I suoi
occhi duri.
Gli occhi solitari di un lupo, gli occhi indecifrabili
e ipnotici di un animale notturno.
E lei, dopo un attimo di smarrimento, pronta, alla
porta.
L’unica
cosa che potesse fare, che sapesse fare.
Felice, incredula.
Illusa.
Lui che fa
pochi passi indietro per prendere la rincorsa, poi… la sua gamba destra che si
solleva.
Il pallone
sparire dall’erba in un attimo.
E’ diretto proprio verso di lei, nel mezzo… non è un tiro angolato, no…
Non è… angolato… è forte.
Ma non come
quelli di Oliver Hutton, o di un altro attaccante. E’ diverso.
Le ci
vuole poco per rendersene conto.
Molto poco.
La sfera
che le centra lo stomaco, facendola finire in fondo alla porta.
Sì, basta
questo. Ed il dolore.
Un dolore
atroce.
Nel
fisico, e nell’anima.
Era stata
cattiveria pura.
L’hai fatto apposta.
Tossisce
mentre lo dice, si porta una mano al ventre, tossisce ancora.
Ma da lui non riceve parole. Solo un altro pallone,
insieme a dolore, e freddo.
Ecco ciò che sente ancora. Come se il cuoio fosse
diventato ghiaccio.
Proprio
come il cuore della persona a pochi metri da lei.
Perché?
Non sa cosa diavolo voglia. Che pari
tiri impossibili? O semplicemente vederla distesa su
quel prato, a sputare sangue?
Cosa pretendi che faccia? Dimmelo!
Proiettili
crudeli.
Sulle
braccia, sulle spalle, sulle gambe. Uno anche sul viso.
Tiri su
tiri. Tutta la sera. Ripetutamente.
E alla fine, vederlo andare via all’improvviso.
Senza la
forza per rialzarsi, osservarlo sparire nel buio, così come era
apparso.
Lui, un animale
notturno.
I giorni seguenti,
poi, la stessa, spietata sequenza.
Con qualche parola in più, ma nulla di molto diverso
da offese, insulti, provocazioni.
Lui, Benjiamin Price.
Lui.
Come se
non ce l’avesse più, un cuore.
“Hai detto
proprio così?”.
“Certo. Ed è stato anche poco. Avrei potuto continuare a rinfacciare
a tutti e due un milione di cose per ore…”.
“Immagino.
Però ho come l’impressione che nonostante tutto non cambieranno
idea”.
“Sull’insegnante?
No, infatti. Ma non m’interessa. Sono sicura che hanno capito cosa intendevo, e questo mi basta”.
“Mh, lo credo anch’io… la lingua tagliente senza dubbio ce l’hai”.
Sentendo quell’ultima frase, Kristine si
girò verso Jude per guardarla con lo stesso sorriso
che era comparso anche sulle sue labbra.
“E con questo cosa vorresti dire?”.
L’amica
dagli occhi da gatta avvicinò il viso al suo, facendole una smorfia.
“Voglio
dire che è colpa tua se siamo qui fuori da un’ora!
Potevi contenere il tuo nervosismo almeno per oggi e sfogarti per la prossima
serata coi tuoi, no? La prof ha buttato fuori dall’aula anche me… ”.
“Non sono stata l’unica ad averle risposto, mi sembra!”.
“Ma il mio spirito di studentessa ribelle è sorto da quando
ho iniziato a frequentare una certa persona… e indovina di chi si tratta?”.
Nel
corridoio del secondo piano dell’Istituto privato Shyutetsu
risuonò la risata chiara delle due amiche, che dovettero però subito zittirsi
quando la professoressa si affacciò dalla porta dell’aula per riprenderle di
nuovo.
“Credo che
anche l’ultima ora a reggere questi secchi d’acqua non ce la toglie nessuno… ”,
mormorò quindi Judith, scrutando il fondo rovinato del contenitore metallico con
rassegnazione. Era pieno fino all’orlo, e piuttosto pesante.
Kris non
disse nulla, ma sospirò. Quando poi rialzò la testa gli occhi
le caddero sul piccolo cortile visibile sotto le finestre del corridoio, come
sempre deserto a quell’ora. Erano infatti
quasi le quindici, e la giornata scolastica stava fortunatamente giungendo al
termine.
Si
avvicinò al vetro.
“Che cosa guardi?”. Jude le si affiancò.
“Oh,
nulla. Non c’è nessuno”.
Mentre la ragazza dai capelli scuri si sporgeva
leggermente dal davanzale, Kris lasciò improvvisamente il secchio, che si posò
sul pavimento con un tonfo sordo. A quel rumore, Judith si girò di scatto.
“Stai… stai bene?”.
Kris
circondò di nuovo il manico del secchio con le dita, senza però muoverlo da
terra.
“Sì… è
solo… uhm, niente, mi facevano male le braccia”.
“Troppo
allenamento?”.
“Uh… sì,
immagino di sì”.
Si
massaggiò velocemente le spalle, pensando che per sua fortuna la divisa
invernale copriva completamente i lividi che aveva
sulle braccia. Se Judith li avesse visti sarebbe stata
costretta a spiegarle da dove venivano, e Kris non aveva la minima voglia di
assistere ad un’altra scenata. La discussione della sera prima con suo fratello
le era bastata…
“Quand’è
la prossima partita?”.
“Tra
cinque giorni. Con la Flynet”.
Si
appoggiò con la schiena al muro, rifiutandosi per il momento di tenere ancora
in mano il contenitore ai suoi piedi.
Jude la osservò, pensando a cosa chiederle. Da quando le
aveva parlato dei sentimenti che provava Becker per lei, non aveva più saputo cosa fosse successo.
Kris non le aveva detto più nulla, e Tom era sempre stato irraggiungibile via telefono. Con
molte probabilità non aveva accettato il suo consiglio di farsi avanti con Kristine. Anzi, di sicuro.
Fece per
staccare gli occhi dal cortile che aveva ricominciato a fissare, annoiata, per
guardare in faccia Kristine, ma qualcosa attirò la
sua attenzione. Una figura familiare era infatti
comparsa sotto gli alberi spogli, stretta in una giacca scura. Stava camminando
con lentezza.
“Toh, c’è
Price”, disse quindi, appoggiandosi ancora al davanzale. “Strano vederlo ancora
in giro. Di solito se n’è già andato a quest’ora
del pomeriggio”.
Kris si
voltò.
“Dov’è?”.
L’altra glielo
indicò con un cenno del capo.
“Laggiù”.
Rimasero
entrambe in silenzio ad osservare Benji avvicinarsi
ad un grosso ciliegio dai nudi rami scuri, per poi sedersi ai suoi piedi
lasciandosi cadere mollemente. Da una tasca tirò fuori una sigaretta, la accese
e dopo aver fatto un tiro sollevò la testa al cielo nuvoloso. Pareva stanco.
Judith
notò con la coda dell’occhio il modo con cui Kris lo stava fissando. Non era
capace di definirlo. Era uno sguardo triste, malinconico, come rassegnato a
qualcosa di inevitabile, ma allo stesso tempo duro e distaccato,
in qualche modo addirittura sprezzante. Uno sguardo dove sentimenti opposti si
scontravano.
“Kris, hai
capito… cosa provi per lui?”.
Jude le aveva fatto quella
domanda quasi a bassavoce. L’altra però non spostò la
testa, fece solo un piccolo sospiro e non parlò fino a quando risollevò il
secchio d’acqua da terra. Solo allora, con un sorriso triste, guardò l’amica.
“Non ha
più importanza, ormai”.
Il signor Gunnell, in piedi a braccia conserte a bordo campo,
guardava concentrato i movimenti dei giocatori al centro del rettangolo. Poco
distante da lui, intento invece a studiare lo schema di gioco del prossimo
incontro, Oliver Hutton
sollevava solo a tratti gli occhi dai fogli stampati fissati alla cartellina
che aveva in mano.
Nonostante
la temperatura si fosse abbassata notevolmente in quegli ultimi giorni, la New Team non sembrava essersene accorta. Gli allenamenti
andavano sempre meglio, e tutti apparivano al massimo della forma. Holly era quasi certo che sarebbe riuscito a fronteggiare
senza troppi problemi Callaghan, e magari anche a
batterlo. L’intera squadra ne era convinta.
“Uhm… Oliver?”.
Il ragazzo
alzò lo sguardo sull’allenatore.
“Sì?”.
L’uomo
fece qualche passo verso di lui, mettendo una mano in tasca.
“Ecco…
volevo chiederti se… anche tu ti sei accorto che da due giorni Kris Grover non si fa vedere”. Si massaggiò
gli occhi con le dita, poi, stanco, tornò a guardare il numero dieci. “Credimi, non voglio darti l’impressione di essermi fissato
con Grover. So che da un po’ di tempo lo rimproveravo
in modo pesante per i suoi ritardi, e…”.
“Non si
preoccupi mister. La capisco”. Hutton si alzò dalla
panchina su cui era seduto, posando a lato la cartellina e la biro con la quale
stava segnando alcuni appunti.
Già, Holly era certo che la New Team
avrebbe battuto la Flynet, se solo… non ci fossero
state un paio di cose a preoccuparlo.
Sospirò.
“Anch’io
ho notato le assenza di Kris. Tempo fa le avevo detto
di non essere troppo severo con lui solo perché credevo che avesse qualche
problema personale che gli impediva di essere
puntuale, ma…”. Gettò uno sguardo al cielo, plumbeo. “… è anche vero che non possiamo
permetterci di avere il nostro primo portiere in forma discreta. Non adesso, a pochi
giorni dalla partita”.
Il mister
scosse il capo.
“E’ un
guaio. Ma nessuno sa dove sia finito?”.
“No.
Dovrei chiedere a Benji, ma oggi non è ancora arrivato. E’ lui che allena Grover
la sera, anche se forse Kris ha smesso di andare anche ai loro incontri…”.
I due si
guardarono, senza sapere che fare. Trascorse così un’altra mezz’ora di allenamento, e quando il sole tornò ad affacciarsi
pallido fra le nuvole, il mister richiamò i ragazzi per una pausa.
Holly osservò il gruppo raccogliersi oltre la linea bianca
del perimetro, seguendo con particolare attenzione i movimenti di uno dei
membri della squadra, l’unico che, da troppo tempo
ormai, pareva non essere più lo stesso. Lo vide staccarsi dagli altri e, scuro
in volto, dirigersi verso gli spogliatoi, aprendo e chiudendo la porta senza
farsi notare. Da nessuno, meno appunto da Oliver, che
scusandosi velocemente con gli altri compagni seguì l’amico oltre il corridoio.
“Sei fra
noi, Tom?”.
Il
capitano si appoggiò al muro della stanza degli armadietti. Pronunciò quella
domanda con tono severo e fissando Becker che, fermo
davanti al proprio con l’anta aperta, stava controllando qualcosa all’interno
del borsone appoggiato sul ripiano metallico.
“Oh…”. Il
ragazzo dai capelli castani rimise subito a posto ciò che aveva preso dalla
sacca, allontanandosi di colpo dall’armadietto. “Ciao Holly…
io… torno su subito, stavo solo controllando che…”.
“Stavi chiamando
Grover?”.
Hutton fece qualche passo nella sua direzione, le mani
nelle tasche dei pantaloncini. Il suo viso era duro, ma anche preoccupato.
Tom aprì un poco la bocca, sorpreso.
“Io… non…”.
“Ho capito
già da un po’ che Kristian c’entra in qualche modo coi tuoi problemi. Non è necessario che cerchi di nasconderlo”,
lo interruppe l’altro. “Vi conoscete da tanto, siete
amici da anni, e certe volte può succedere che si incrini
qualcosa. In un’amicizia, intendo”.
Il capitano sorrise, continuando ad osservare il
numero undici della New Team.
“Questo
discorso… in parte l’abbiamo già fatto, lo so. E come quella volta, anche adesso non voglio chiederti cosa
sia successo. Immagino che quel segreto che non potevi rivelare sia rimasto
tale. Però…”.
Arrivò
davanti a Tom, e l’altro, a labbra serrate, chinò la
testa, già sapendo dove l’amico voleva arrivare.
“… ora la
cosa si sta facendo troppo seria”, continuò Hutton. “Dovete
risolvere ogni cosa, o l’intera squadra ne farà le spese. So che tu sei capace
di giocare al meglio in ogni caso, nonostante il tuo stato d’animo… ma Kris no. Ne abbiamo avuto una prova
nella partita con la Artic, se ricordi”.
Appoggiò
le mani sulle spalle di Becker e lui, risollevando
gli occhi, lo fissò tristemente.
“… Già”.
“Tu sei
l’unico fra noi che sa come contattarlo. Ti prego, cerca
di fare qualcosa. Riportalo agli allenamenti, cerca di fargli capire che non
può lasciarsi andare in questo modo”.
Fece una
pausa.
“E se vorrete… io sarò pronto a darvi una mano”.
Tom annuì piano, rivolgendo al proprio capitano un
piccolo sorriso, grato.
“Okay”.
Hutton batté una mano sulla spalla del ragazzo, e scambiandosi
un altro sorriso i due fecero per tornare in campo. Voltandosi, però, i
calciatori dovettero fermarsi un’altra volta.
Perché, fermo sulla porta, c’era Price.
“Di sopra
gli altri chiedono dove siete finiti”, comunicò il portiere, fissandoli. “Vi
consiglio di sbrigarvi. Non è il caso di far perdere tempo prezioso al resto
della squadra”.
Detto
questo, Benji portò una mano alla tasca posteriore dei jeans, tirando fuori un pacchetto di sigarette e un
accendino. Ne accese una.
Mentre con disinvoltura il ragazzo iniziava a fumare, Oliver e Tom rimasero a guardarlo,
senza parole.
Price si
voltò quindi per tornare nel corridoio, ma Hutton lo
richiamò.
“Benji…”.
“Mh?”.
“Scusa, è
che…”. Il numero dieci si schiarì la gola. Ultimamente, Price lo metteva a
disagio molto spesso. “… ci stavamo domandando se, per caso, sapevi perché Kris
non è venuto agli allenamenti di questi ultimi due giorni. Magari,
visto che voi vi vedete ogni sera…”.
“Non ne so
niente. Mi spiace”.
“…Ah”.
Benji riprese a camminare. Era visibilmente scocciato, ma
la voce preoccupata di Hutton lo bloccò ancora.
“Mi sembra
che… che tu… non abbia mai fumato”.
Silenzio.
“E allora?”.
“Ecco… beh,
un… uno sportivo non dovrebbe fum…”.
“Fatti gli
affari tuoi, Hutton”.
Il
portiere lo guardò infastidito, ma non riprese a camminare, forse in attesa di una replica. Holly, però,
letteralmente gelato dalla risposta secca e dura di quello che aveva sempre
creduto un amico, non sapeva che altro dire. Era già la seconda volta in poco
tempo che Price si comportava in quel modo, la seconda dal giorno della famosa
partita con la Artic.
Era chiaro
che anche il suo atteggiamento, in qualche modo, doveva
c’entrare con Kris, ma il numero dieci non aveva idea di come affrontare la
discussione con Benji. Non sembrava troppo disposto a
parlare. Decisamente no…
Gettò così
un’occhiata interrogativa a Tom, fermo a pochi passi
da lui, speranzoso in un suo aiuto.
Ma Becker non era girato nella
sua direzione. Stava infatti fissando con gli stessi,
identici occhi di Price proprio l’SGGK.
Occhi
gelidi, dallo sguardo tagliente come una lama.
“Holly, tu torna pure su. Di’ al signor Gunnell
che arrivo tra un secondo”.
Il
capitano osservò l’amico meravigliato, ma non si oppose alla sua richiesta. Probabilmente, anzi, molto probabilmente, lui e Price avevano qualcosa
da chiarire. Ed era sicuramente meglio se lui
ne restava fuori.
“Forse un giorno tutto questo
mi risulterà più chiaro…”.
Superò i
due giocatori e, con una breve corsa, sparì alla fine del corridoio.
Rimasti
soli, Becker e Price restarono in silenzio per un
lungo istante. Poi, facendo solo qualche passo in avanti, Tom sorrise sardonico.
“E così hai iniziato a fumare. Uhm, a
quanto pare devi essere piuttosto nervoso. Ma Holly ha ragione, non dovresti”.
“Ed io non ho bisogno delle vostre prediche. Faccio quello
che mi pare”.
“Sì,
immagino… in fondo, l’hai sempre fatto”. Fece una pausa. “Cos’è successo, Benji?”.
“Di che
stai parlando?”.
“Con
Kris”.
Il
portiere non rispose. Si limitò a fare un altro tiro, e mentre il fumo si
disperdeva nell’aria, Becker si avvicinò
ulteriormente a lui.
“Spero per
te… che tu non abbia fatto quello che penso”, gli disse quindi con vago tono di
minaccia, cercando di capire qualcosa dall’espressione del suo viso che, però, non
sembrava tradire alcuna emozione. “Ti conosco, Benji. Come conosco il Benji di
una volta. So cosa puoi esser capace di fare se viene
risvegliato il tuo orgoglio. E l’idea mi spaventa”.
L’altro
fece qualche passo nel corridoio, osservando le spirali grigie nelle quali era
immerso muoversi al soffio del suo respiro.
“Anche se fosse, la cosa non ti riguarda”.
Becker strinse i pugni lungo i fianchi, spalancando gli
occhi.
“Allora… l’ha fatto davvero…”.
Deglutì,
pentendosi amaramente di essersene andato via, quella sera al campo. Di aver commesso un altro errore, l’ennesimo sbaglio che poteva
essere evitato. Kris l’aveva respinto, Benji
era tornato reclamando il suo posto come allenatore e il suo stato d’animo di
quel momento aveva fatto il resto.
L’aveva deciso.
Aveva
creduto che lasciarla lì, con Price, sarebbe stata la cosa migliore per lei,
quello che desiderava, quello che Kristine voleva.
Ma per lui, invece, era stata la più comoda. La via
più semplice per non soffrire ancora.
“Invece, è stata lei a soffrire.
E la cosa peggiore è… che sapevo che sarebbe successo”.
Sentì un
nodo formarsi in gola, ma capì che quello non era il momento di pensare ai
rimorsi. Avrebbe avuto tempo dopo per rimettere a posto le cose, per parlare
con Kris. Ora, c’era qualcun altro con cui doveva finire una chiacchierata.
Chiuse gli
occhi con un profondo respiro e, una volta che li ebbe riaperti, fulminò Benji con un’occhiata.
“La cosa
mi riguarda, invece”.
Fece per
proseguire, ma senza avere nemmeno il tempo di capire cosa fosse
successo Tom si ritrovò spinto con violenza contro
la parete alle sue spalle. Le dita di Benji tenevano
stretta in una morsa ferrea la sua maglietta, appena sotto al
collo, ed il calciatore poteva sentire la pressione contro il suo sterno
farsi ogni secondo sempre maggiore.
“E perché dovrebbe? Decido io come allenare il mio sostituto,
Becker”.
“Ma anche Kris ha un limite. Non è un
robot, lo vuoi capire?! Andando avanti così potrebbe anche non riuscire
a giocare, la prossima domenica”. Cercò di riprendere respiro. “Lo sfinirai,
fisicamente e psicologicamente… non hai nessun diritto
di trattarlo in un modo simile solo perché hai il sospetto che sia…”.
“Ne ho
tutti i diritti, invece”, scandì sibilando il portiere, senza staccare lo
sguardo da quello, furioso, di Tom. “Eccome se ne ho.
Quel Grover ha bisogno che qualcuno gli faccia capire come ci si comporta in campo. Io non accetto né sfaticati, né femminucce che mi sostituiscano.
Voglio uomini veri. E se lui non è capace di esserlo,
glielo insegnerò io. Con le cattive, se necessario”.
L’espressione del numero undici, a quella frase, si fece
ancora più aspra.
“Scommetto
che non hai pensato nemmeno per un momento che potresti esserti sbagliato
riguardo a quella notte, vero?”.
Price
indebolì la spinta sul petto di Becker.
“No, e comunque non so proprio come potrei essermi sbagliato. In
ogni caso per la partita con la Flynet Kristian ci sarà di sicuro, te lo
garantisco. E sarà in piena forma”.
Price
lasciò finalmente il calciatore. Lo guardò ancora con i suoi
occhi scuri, e dopo essersi portato un’ultima volta alla bocca la sigaretta,
ormai diventata un mozzicone, la spense sotto i piedi.
Si girò, dirigendosi
all’uscita per il campo.
Becker, invece, rimasto fermo contro il muro, si passò con
calma una mano sulla maglietta spiegazzata. Attese qualche secondo, poi ripuntò gli occhi sulla schiena del portiere che si
allontanava.
“Sai, Benji, ero convinto che avessi capito da
tempo certe cose. E cioè cosa c’è davvero di
importante, da salvare, in questo mondo che ormai conosce solo parole come egoismo,
potere, vittoria. Orgoglio”.
Il
portiere mosse di poco il viso, senza però voltarsi.
“Ma a quanto pare mi illudevo. Le persone come te non sono capaci di cambiare. Sei rimasto lo stesso
ragazzino odioso di otto anni fa. E
stai certo che continuando così rimarrai di nuovo solo, proprio come lo eri allora”.
Tom non aggiunse altro. Si staccò dalla parete e,
superato l’SGGK, immobile in mezzo al corridoio, si incamminò
fuori dagli spogliatoi.
Quella
sera, una notte senza luna. Freddo, un freddo secco, non un filo di vento. Nessuno
in giro.
Con gli
occhi bassi, Kris camminava lungo la rete del campo
d’allenamento. Da almeno dieci minuti non si decideva ad entrare, ma non perché
fosse arrivata in anticipo. Almeno, non solo per quello.
Mentre osservava il campo attraverso i piccoli rombi vuoti
creati dai fili verdi incrociati, annusava attentamente l’aria. Non aveva mai
fatto caso prima agli odori che c’erano la sera, ma
ora che li aveva sentiti ne era rimasta disgustata.
Gas di
scarico, e poco altro.
Infilò le
dita nella rete, fissandosi la punta delle scarpe da ginnastica ormai consumate.
In realtà aveva respirato bene i profumi di Fujisawa,
quell’estate. Ma erano stati
profumi. Piacevoli.
Quello
dell’oceano, che arrivava fin nell’ufficio di Nicole,
trasportato dal vento.
Quello dell’erba appena tagliata, proprio lì, al
campo, durante gli allenamenti.
Sensazioni.
Ricordi, in pochi mesi già così tanti. Ma che forse,
adesso, era meglio prendere e gettare via.
Tutti.
“Ora nemmeno l’aria è più
quella di quando sono arrivata”, pensò. “Niente.
Niente è uguale a quando sono venuta qui”. Alzò
gli occhi al cielo. Era nero come inchiostro, e per
nulla consolante. “Forse sono arrivata
davvero alla fine. E forse sarebbe meglio lasciar
perdere ogni cosa”.
Si staccò
dalla maglia metallica con un movimento improvviso, provocando una vibrazione
lungo tutta la rete. Era veramente tentata ad andarsene, ma al tempo stesso…
non ci riusciva.
Scosse la
testa, pensando che era una stupida a continuare a
sperare. In cosa, poi?
“Muoviti”.
La voce di
Price, emersa dall’oscurità, fece sussultare Kris, che si voltò di scatto,
facendo due passi indietro. Fissò la figura ferma a pochi passi da lei, e
deglutì. A quanto pare anche lui era arrivato in
anticipo. Fantastico…
“…
arrivo”, mormorò piano, quasi per non farsi sentire. Stava iniziando a non
poterlo più vedere, ma non avrebbe voluto che
succedesse. Non voleva odiarlo.
O, più precisamente, non poteva. Nonostante
tutto il male che le stava facendo.
“Iniziamo
subito”.
La guardò
un attimo. Anche Kris sollevò il viso, ma appena il
suo sguardo incrociò quello di Benji, il ragazzo si
voltò. Raggiunse l’ingresso del campo, e lei ne seguì i movimenti con occhi
lucidi di lacrime che Price, di sicuro, non aveva notato.
Sì. Avrebbe
continuato a subire quel calvario senza lamentarsi, e non solo per provare a se
stessa che poteva farcela.
Si passò
una mano sulle guance.
“Io ti amavo. E non posso dimenticarlo”.
Ora
l’aveva capito. Non poteva sfuggirgli, non poteva
opporsi.
E non se ne sarebbe andata. Qualunque cosa Price
avesse fatto.
Qualunque…
Lentamente,
entrò nel rettangolo di erba scura. Ma mentre si posizionava in porta, ormai preparata a ciò che avrebbe
dovuto sopportare per le prossime ore, Kristine notò Benji avvicinarsi insolitamente a lei. Aveva lasciato i
palloni dell’allenamento a terra, più indietro.
“Perché
non stai più venendo agli incontri con la squadra, al
pomeriggio?”, le chiese improvvisamente, rompendo il silenzio intorno a loro.
Kris lo
fissò, stupita. Non le aveva mai fatto domande su nulla,
in tutte quelle sere.
“Beh…”.
“Allora?”.
“Ecco, è
che… non riesco… a riprendermi dai tuoi…”. Rimase per qualche istante a pensare
a come chiamarli. “…a… allenamenti, in sola mezza giornata. E
la mattina vado a scuola. Quindi…”.
“Non dire
assurdità. Vedi di tornarci prima che decida di raddoppiarti le ore con me”.
“Ma…”.
“Ho
detto”, la interruppe ancora, alzando la voce. “che ci
tornerai. Nessun ma. Uhm, anzi…”
L’SGGK ridusse gli occhi a due fessure, fermandosi un
attimo.
“… Credo che
le cose si possano tranquillamente fare entrambe. Perciò,
da domani, le ore diventeranno tre. Siamo intesi?”.
Kristine mosse le labbra per replicare, ma dalla sua gola
non uscì alcun suono.
“E’… è
pazzo… tre ore… con lui?”.
Osservando
l’espressione comparsa sul viso di Grover, Price fece
un piccolo sorriso di soddisfazione. Non aveva avuto il coraggio di
rispondergli, proprio come aveva immaginato.
“E’ così
che alleno i miei sostituti, Becker”, sussurrò, prima
di voltarsi d’improvviso. “Precisamente… in questo modo”.
Corse verso
il gruppo di palloni abbandonati fra l’erba e, impossessatosi di una delle
sfere, scattò in avanti, dirigendosi velocemente verso la
porta.
Kris,
ancora sconvolta per le sue parole di poco prima, vide con orrore il ragazzo
avvicinarsi a lei. Non aveva nemmeno avuto il tempo di indossare i guanti, ma dubitò che a Benji importasse.
Come sempre.
La palla si
staccò dal piede del calciatore dopo pochi metri di corsa e raggiunse, con una
violenza inaudita, lo stomaco della ragazza che, ferma fra i pali, crollò subito
a terra.
La sfera rotolò
davanti a lei. Kris la fissò, e appoggiando entrambe le mani sull’erba tentò di riprendere fiato. Ma non
riuscì nemmeno a sollevare la testa perché un altro, fortissimo colpo la scagliò,
dopo solo pochi secondi, col viso nella rete.
Riaprì gli
occhi con fatica. Un dolore intenso le martellava le tempie, ma tentò di
ignorarlo.
“Allora?
Non sei più capace di bloccare il pallone? Su,
rialzati!”.
Dopo altri
tre tiri dello stesso genere, Benji ripeté ancora
quella frase. E dopo altri due, ancora.
E ancora.
la cosa non ti riguarda" soffio del suo respiroIl portiere della New Team, visibilmente stremato, cercò di rimettersi
in piedi per l’ennesima volta, ma un altro bolide lo anticipò. Il pallone lo
colpì questa volta alla spalla destra, scaraventandolo brutalmente in fondo
alla porta.
Kris
rimase immobile, appoggiata con la schiena alla maglia di corda bianca, la mano
sulla spalla dolorante.
“Vuoi iniziare a
lavorare seriamente, Grover?”, esclamò allora Price,
continuando a fissarla freddamente.
La
voce del ragazzo risuonò nella mente di Kristine che,
con la testa abbassata, tentava di controllarsi. Aveva una voglia disperata di
scoppiare a piangere, ma non lo fece.
“Non era questo che volevo. Non era
questo che volevo…”.
In
quel momento, però, una nuova, feroce pallonata la colpì ancora allo stomaco,
facendola tornare crudelmente nel presente. Si accasciò in ginocchio, tossendo.
“Dimmi…”.
Finalmente,
Benji si fermò. Smise di calciare palloni,
avvicinandosi senza fretta ai due pali bianchi.
Il
freddo, adesso, iniziava a farsi insopportabile.
“…
devo prendere in considerazione… l’idea di sbatterti fuori
dalla squadra?”.
Kris
sollevò lentamente lo sguardo. Price era a pochi centimetri da lei e la stava
fissando, le ginocchia piegate per guardarla negli occhi. Nei suoi, glaciali,
non c’era la minima compassione, e non accennavano a volersi distogliere dal
suo viso.
Un
brivido percorse la schiena di Kristine. Non sapeva
se fosse colpa del freddo nell’aria o di quello nello sguardo di Price. Non
riuscì a dire nulla, ma proprio allora il ragazzo mutò espressione, ed un
sorriso beffardo gli comparve sulle labbra.
“Prima
di offrirti come portiere ti saresti dovuto informare meglio,
lo sai?”.
Kris dischiuse la bocca.
“Co… cosa vuoi dire?”, mormorò.
Benji la fissò ancora per un istante, poi si rialzò, iniziando a
camminare lentamente, di nuovo, verso la linea mediana.
“Che il calcio non è uno sport per donnicciole”.
Quelle
parole sprezzanti sembrarono aleggiare, per un attimo, in quella cupa notte
senza luci, e a Kris parve che il proprio flusso sanguigno si fermasse, solo per poco. Che si fosse fermato il
battito del suo cuore.
Ma che bel visino! Lo sai, Grover?
Ora che ti guardo
bene mi sembri un po’ troppo gracile e delicato per resistere all’intero
campionato…
Era
quello che le aveva detto Mark
Landers, mesi prima.
Si è messo in mostra come al suo solito, non è vero?
Posso immaginare come si sarà comportato nei tuoi
confronti, avrà tentato di umiliarti in tutti i modi…
E Benji.
Quello che aveva detto quando l’aveva saputo.
Nella
sua mente, in quel momento. Quelle parole.
Se le ricordò.
Grover, mi
dispiace. Avrei dovuto esserci.
Kris
strinse le dita attorno ad un ciuffo d’erba, strappandolo.
Aveva
creduto…
Aveva
creduto che fossero diversi. Ne era convinta.
E invece…
Il calcio non è uno sport per donnicciole.
Price
aveva detto le stesse cose.
Per donnicciole.
Price…
In fondo… io e Landers
eravamo molto simili, qualche tempo fa. Ecco perché iniziammo
a odiarci cordialmente…
Era
sicura che fossero diversi. L’aveva sentito, percepito. Quel pomeriggio, a casa
di Benji, nonostante quello che lui le aveva detto.
Dici sul serio? Non ci credo… tu non
assomigli per niente a quel tipo…
Che idiota. Idiota.
Idiota.
Non poteva dimenticare
che l’aveva amato?
Non poteva… andarsene?
Sfuggirgli?
Strinse i denti, e
fissò Price. Lo fissò, come volendolo trapassare. Come potesse
lanciare delle lame, al posto di sguardi.
Lo fissò con un odio
che non sapeva di poter provare e con una rabbia che ormai, da troppo tempo, stava
trattenendo dentro di sé.
Affondò con forza le
dita nel terreno. Strinse il pugno attorno alla terra umida, sentendosi
ribollire.
Non l’aveva mai
guardato così. Non aveva mai guardato nessuno
così.
Lo sapeva, se ne
rendeva conto, ma adesso…
Adesso…
Benji…
Aveva
superato il limite.
Si
alzò, reggendosi con una mano al palo.
“Tu…
tu cosa vuoi saperne?”, iniziò prima piano, con un sussurro rabbioso. “Non sai…
non sai proprio nulla… non sai assolutamente NIENTE di me, Price!”, continuò
poi, gridandogli la stessa cosa che aveva detto a suo fratello, la sera prima. Si
sentiva strana, ma probabilmente era colpa dell’ira che le stava annebbiando la
vista o, ancora più probabilmente, del dolore che le pervadeva il corpo. Ebbe
l’impressione di perdere l’equilibrio, e si riappoggiò contro il palo.
Intanto
Price, per tutta risposta, aveva continuato a camminare, completamente
indifferente alle sue parole. Solo dopo un po’ si fermò, girandosi.
“E
questo cosa c’entra? ” disse.
Lei
rimase immobile, incredula di fronte all’incredibile distacco con cui andava
avanti a parlarle. Si portò una mano alla fronte, ormai sul punto di non capire
più nulla.
Pazzesco.
Era tutto assolutamente pazzesco…
Ma doveva
finire.
Si
lanciò furente dietro di lui, fino ad arrivare nei pressi delle panchine a
bordo campo. Il dolore adesso non importava, anche se ad ogni passo le sembrava di non essere più in grado di continuare.
Quando
afferrò Price ad una spalla il suo viso si contrasse
in una smorfia di dolore ma, almeno, riuscì a bloccarlo.
“Mi
sembra che fra uomini ci si debba parlare a viso aperto, o mi sbaglio? In questo caso sei tu la femminuccia, Benjiamin
Price!”, lo accusò Kris col fiato corto, senza però smettere di fissarlo.
Ma
il ragazzo, sempre estremamente calmo, a quel giudizio
assunse un’espressione indecifrabile.
“No,
ti sbagli. E’ solo che mi sembra stupido e inutile perdere la mia calma e il
mio tempo per discutere con te di una cosa simile. I problemi, qualunque essi
siano, si devono lasciare fuori dal campo. Te l’ho già detto una volta, mi pare. Per oggi, in ogni caso, è
meglio che la smettiamo qui”.
Dopo
queste parole, Benji si sistemò il cappello ma, nel
momento in cui fece per avviarsi verso lo spogliatoio, Kris gli sbarrò la
strada. Era sempre più furiosa.
Furiosa,
e addolorata.
“Per
quale motivo ti comporti così? Cosa DIAVOLO ti ho fatto?!”,
urlò senza quasi più voce, fermandosi a pochi centimetri dal suo viso. Questa
volta, Kristine stava piangendo.
Questa
volta, non era riuscita a trattenersi.
“Perché non cerchi di capirmi, almeno un po’? Sei freddo e crudele, ma io non sono solo un tuo compagno di
squadra, o un sostituto che devi allenare! Io…”. Kris si portò una mano al
petto, abbassando un attimo gli occhi. La mano le tremava. “… una volta ero
anche tuo amico, e tu lo eri per me… o forse hai solo
finto di esserlo? Dimmi, è così?!”.
Tornò
a guardarlo.
“Come…
come puoi dirmi di lasciare da parte i miei problemi, senza neanche sapere
cosa… mi fa star male, o la gravità delle mie preoccupazioni?! Rispondimi! Tu…
non sei più la persona che conoscevo. Quella con cui avevo
parlato tempo fa, a casa tua. Cosa… cosa ti ho
fatto per essere trattato in questo modo?! DIMMELO!”.
Le
parole le erano uscite dalla bocca come un fiume in piena. Non le importavano
le conseguenze. Voleva… voleva solo capire.
Far
terminare quella messa in scena crudele, e capire.
Benji l’aveva ascoltata
muto. La guardò negli occhi, dopo un istante di pesante silenzio.
“I
tuoi problemi non mi possono interessare. E poi, è giusto che prima o poi impari a crescere. Se i
sentimenti ti rendono più debole, allora dovrai sbarazzartene. Non mi importa se per te sarà difficile, o doloroso… dovrai
cambiare atteggiamento se vorrai continuare a giocare con la New Team.
Altrimenti, ripeto, per me te ne puoi anche andare
subito”.
Il
silenzio calò ancora una volta sul campo immerso nelle ombre, ad eccezione
fatta per i due fari accesi da Benji ai lati del
rettangolo. Kris guardò quel vuoto scuro davanti a sé per un lungo, lunghissimo
momento, riuscendo però a pensare ad una sola, unica cosa.
“No. Questo è davvero troppo”.
Basta. Basta.
La
ragazza alzò un braccio e, con tutta la forza che aveva, diede uno schiaffo a
Price.
Nell’aria
si udì un rumore sordo, e l’SGGK rimase fermo. Immobile,
allibito, con il viso piegato di lato.
Gli
occhi, spalancati, fissavano il vuoto, proprio come Kris pochi attimi prima.
“Non
ti preoccupare. Me ne vado immediatamente”, dichiarò quindi
lei, a denti stretti. “Comunque, avrei dovuto
immaginarlo che il grande e infallibile portiere Benjiamin
Price, così orgoglioso e pieno di sé, allenatosi e specializzatosi per anni in
Germania, non avrebbe mai accettato un principiante per sostituirlo. Ma penso proprio che nemmeno un professionista del tuo
stesso livello si sognerebbe mai di presentarsi come tuo sostituto. Quindi,
scordati pure la vittoria della New Team in questo
campionato, perché nessuno verrà ad aiutare un pallone gonfiato come te”.
Kris
si fermò per riprendere fiato. Non aveva idea di come potesse
parlare in un modo tanto orribile proprio alla persona che per anni aveva
considerato un modello da imitare. Che aveva amato con
tutta se stessa, seppur senza rendersene conto davvero.
Ma in quel momento, niente contava più. Niente.
Son tutti ricordi da gettare via. Tutti
quanti.
La
ragazza fece un profondo respiro, poi passò di fianco
a Benji, dirigendosi verso lo spogliatoio.
Prima
di lasciare il campo, però, si girò un’ultima volta verso di lui.
“Ah,
dimenticavo… l’unica ragione per cui ho accettato di
entrare nella New Team è stato perché avrei potuto giocare al fianco di
campioni del calibro di Oliver Hutton
e Tom Becker. E ancora adesso sono convinta che questa squadra valga
qualcosa solo grazie alla loro presenza. L’amicizia e l’intesa che c’è tra di loro sta alla base della loro forza e della loro
determinazione. E se per te i sentimenti davvero non
sono importanti, allora… beh, mi dispiace, ma non sarai mai nessuno. Addio, Benjiamin Price”.
Detto questo, Kristine aprì e richiuse
la porta, scendendo nel corridoio che portava agli spogliatoi.
Price,
ancora immobile, aveva la fronte imperlata da gocce di sudore. La decisione e
la violenza con cui Kristian gli aveva detto quello
che pensava l’aveva lasciato letteralmente senza parole. Non si sarebbe
aspettato neanche lontanamente una simile reazione, e quella spietata sentenza aveva indubbiamente prodotto qualcosa in lui.
Quelle
frasi, così simili a quelle di Becker.
Quelle
maledette parole alle quali aveva cercato di non pensare
per tutto il giorno.
Le persone come te non sono capaci di cambiare.
Si
scosse, e sollevando gli occhi fissò uno dei fari accesi sopra il campo.
Sorrise tristemente. Alla fine, la situazione si era ribaltata. Grover gli aveva restituito ogni parola, ma la differenza stava proprio nel fatto che tutto quello che Kris
gli aveva detto era vero, dannatamente vero, mentre le sue crudeli recite erano
sempre state solo penose mascherate.
Non
era però mai arrivato agli estremi di quelle sere. E non
aveva nemmeno mai creduto di essere in grado di diventare così.
E Tom,
questo, non lo sapeva.
Sia
Becker che Grover non sapevano che si era odiato, dio solo sa quante volte.
Ma aveva fatto finta di nulla e sempre, guardandosi
allo specchio, aveva provato a convincersi di stare osservando il solito Benji. Un Benji
che sapeva quello che faceva, quello che voleva.
Sì,
aveva fatto finta di nulla… perché quello che era successo quella notte, quando
Kris si era ubriacato, l’aveva costretto a commettere tutto ciò che aveva fatto
subire a Grover.
Non
aveva potuto farne a meno. Per difendersi.
Stai certo che continuando così rimarrai di nuovo solo, proprio come lo
eri allora.
Lo sapeva. Dannazione, lo
sapeva. Era stato più forte di lui.
Invece di parlare…
Invece di chiarire…
Aveva preferito crearsi uno
scudo, per far guarire il suo orgoglio offeso.
E per dimenticare.
Quella notte, quando Kris mi ha toccato, mi sono sentito…
attratto da lui.
E non
posso negare che… che ancora adesso lo sono, ma… non riesco a capirne… il perché.
Ripensando
a quelle parole, Benji si portò una mano sul viso,
coprendosi gli occhi.
Era
stata quella l’unica, vera ragione per tutto quanto.
Cosa aveva iniziato a
provare, da quel momento, per Kristian?
Cosa?!
Grover era un ragazzo, è
vero, ma c’era qualcosa nel suo atteggiamento, nel suo sguardo e nel suo modo
di fare che lo attraeva. Lo attraeva in modo incredibile, innaturale per lui.
Non poteva negarlo, anche dopo aver cercato mille volte di dimenticare quella
sensazione. E poi, quando quella sera Kris lo aveva
abbracciato… quando aveva sentito sul proprio corpo il tocco di quelle sue mani
dalle lunghe dita pallide e affilate non sapeva più, esattamente, cosa avesse
provato o pensato...
Una
sola cosa gli era però stata chiara. E cioè che non
sarebbe più riuscito a togliersi dalla testa quel contatto.
No,
era assurdo. Lo era tutto quanto. Di sicuro non gli piacevano i maschi, ma… ecco,
per Kris era differente. Era sempre stato differente,
anche prima di quella notte. L’aveva capito solo più tardi, ma lo era sempre
stato. Sempre.
Tornò
con la mente al loro prima incontro.
Mi chiamo Kris Grover, e ho
17 anni.
I suoi
occhi limpidi, la sua voce sicura, il suo corpo sottile.
Ecco, usa questi.
La fiducia che gli aveva
dato.
Sei sicuro che posso usarli? In fondo, per te, devono
essere importanti…
Quante
volte ci aveva ripensato. Quante.
Sospirò.
Comunque, aveva davvero esagerato. E
come gli aveva detto Tom, non poteva nemmeno essere
totalmente certo che Grover, quella notte, avesse
agito con lucidità. In fondo era ubriaco, e magari non si stava rendendo conto
di quello che stava facendo, di quello che stava dicendo…
Benji sollevò lo sguardo
al cielo notturno. Non avrebbe dovuto giudicare subito Kris, anche se adesso il
problema non riguardava più soltanto lui, ma
soprattutto se stesso. Voleva assolutamente capire il perché delle sensazioni
che aveva provato e che continuava a provare in presenza
di Kris. Non aveva mai avuto alcun interesse per il sesso maschile, e allora… allora
perché? Perché provava quella confusione?
Aveva
come l’impressione che qualcosa gli fosse sfuggito.
Qualcosa
di incomprensibile, nascosto proprio in Kristian Grover.
Iniziò
a soffiare una corrente gelida, ed il portiere della New Team,
con un altro sospiro, si tolse il cappello.
Avrebbe parlato con Kristian,
si sarebbe scusato. Avrebbe fatto tutto ciò che avrebbe
dovuto fare fin dall’inizio e forse, una volta per tutte,
sarebbe riuscito a chiarire tutti i suoi dubbi.
E, infine, avrebbe chiesto a Kris di
restare.
Nel
frattempo, nello spogliatoio, la ragazza aveva appena sbattuto violentemente la
porta del proprio armadietto.
“Perché… gli ho detto quelle cose?”.
La
sua voce risuonò nella stanza, producendo un piccolo eco. “E
poi, quello schiaffo…”.
Si
coprì il viso con una mano, pentita, appoggiandosi all’armadietto con l’altra.
“Anche se non ce la facevo più… forse ho esagerato”. Sospirò,
passandosi le dita tra i capelli. “Ma purtroppo ora non posso più cambiar nulla. Ormai non
m’importa più di sapere la verità sul comportamento di Benji.
Anche se lo scoprissi, e cercassi di far tornare le cose come un tempo, lui mi
odierebbe comunque dopo quelle mie parole orribili… ”.
Si
guardò il palmo, e lo chiuse a pugno.
Forse sono arrivata davvero alla fine.
Scosse
la testa. Portò il dorso della mano sulla guancia, e si asciugò una lacrima di
rimorso che le era appena scesa sul viso.
“Già…
è finita. E’ proprio finita. Non mi farò più vedere dalla New
Team… e non saluterò nessuno, nemmeno…”.
Si
bloccò.
“…
nemmeno… Tom”.
La
ragazza pronunciò il nome del giocatore ad alta voce, volgendo tristemente lo
sguardo verso il suo armadietto, poco lontano dal proprio. Si avvicinò, e sfiorando
con le dita la targhetta col su il nome del numero undici
sorrise dolcemente.
“Grazie
di tutto… mi mancherai, ma non voglio più crearti
problemi. E anche per te sarà meglio se mi
dimenticherai”.
Rimase
un attimo ferma, gli occhi fissi su quel nome stampato
che aveva contato e contava per lei più di quanto immaginasse. Poi, lentamente,
iniziò a cambiarsi, consapevole che quella sarebbe stata l’ultima volta che
avrebbe lasciato le sue vesti di portiere in quello spogliatoio.
Iniziò
ad indossare la camicia. Quando impersonava Kristian
si era sempre dovuta vestire con felpe abbondanti e di qualche taglia più
grande per nascondere le sue curve femminili, nonostante utilizzasse comunque la fasciatura al petto. Ma,
adesso, questo non sarebbe stato più necessario. Stava per ritornare per sempre
solo Kristine. Solo lei, e più nessun altro.
Proprio
in quel momento, però, sentì girare la maniglia della porta dello spogliatoio. Si irrigidì, coprendosi istintivamente davanti con le
braccia. La camicia era infatti ancora slacciata.
L’anta
si aprì, e qualcuno entrò. Kris udì alcuni passi, che poco dopo si arrestarono.
Si
chiese chi potesse essere, ma non provò nemmeno a
girarsi, né finì di allacciare la camicia. Non ci riusciva. Immobile, non si
voltò. Sapeva che la persona misteriosa era adesso dietro di lei, distante solo
pochi metri, ma la paura di essere scoperta l’aveva inchiodata davanti al
proprio armadietto.
Cosa… cosa poteva fare?
“Dobbiamo
parlare, Kristian. E’ importante”.
Era
la voce di Benji.
“Non
ero in me in queste settimane. E non avrei mai voluto
ridurti così, credimi”. Una pausa. “Ma avevo… le mie
ragioni”.
Kris
trattenne il respiro.
“No, questo non deve succedere. Non
deve”.
Chiuse
gli occhi.
“Vattene…”,
sussurrò, a denti stretti. “Vattene, Benji, prima che
tutto si rovini davvero… ”.
Ma il ragazzo non l’aveva sentita.
“…
Kris?”.
Lei
non si mosse.
“VATTENE”,
ripeté, a voce più alta.
A
quel comando, Price fece invece un passo in avanti.
“Lo
so, anche tu adesso hai… mille ragioni per non volermi più vedere, ma ci sono
delle cose che devi assolutamente sapere… e altre, che
ti devo chiedere. Quindi… ”.
“Fermati…
n-non avvicinarti di più!”.
Kris
si strinse ancora di più nelle braccia, e Benji,
stupito, la fissò.
“E perché non dovrei? Avanti, girati e parliamone… adesso sei
tu che non mi vuoi parlare guardandomi negli occhi. Di cosa hai paura? Forse…”.
L’espressione del ragazzo si fece sospettosa.
“…forse
mi stai nascondendo qualcosa?”.
L’altra
spalancò gli occhi, nervosissima.
“…
no… cosa… cosa ti dovrei nascondere?”, rispose, la voce tremante. “Voglio solo…
che mi lasci in pace!”.
Price
rimase in silenzio per qualche istante. Kristine
pensò che, alla fine, avesse deciso di rinunciare a parlare. Invece,
all’improvviso, si diresse velocemente verso di lei, afferrandole la spalla.
Kris
trasalì.
“Son venuto qui per spiegarti tutto… a chiederti scusa dopo
che te ne sei andato mollandomi quello… quello schiaffo, e adesso, proprio tu
che fino a poco fa mi pregavi di capirti, non vuoi
parlare?! C’è qualcosa di strano in te, Kristian… che
cos’è che non mi hai detto? Rispondimi, maledizione… e almeno, se non vuoi
parlare, girati! Forse ti vergogni a cambiarti di fronte ad un altro ragazzo?”.
Benji strattonò
violentemente la spalla di Kristine, cercando di
farla voltare. Lei tentò di opporsi con tutte le sue energie, ma il portiere le
afferrò il collo della camicia, tirandolo con forza.
Tirò,
e dopo tutti gli errori che aveva commesso, quella fu l’ultima cosa che avrebbe
dovuto fare.
Ci
fu uno strappo, poi il silenzio.
Trascorsero
alcuni secondi prima che Price si rendesse conto della
realtà dei fatti. Davanti a lui Kris, sconvolta, era in
piedi, le braccia incrociate sul petto nel tentativo di nascondere le bende
sotto la camicia, ora mezza lacera.
Il
ragazzo la fissò, shockato.
Così…
era questo il segreto di Kris. Kris… Kristian, era
una ragazza.
Una
ragazza.
Ora…
era tutto chiaro.
Dio
santo, come… come aveva…
“Tu…”,
cercò di dire.
Kris
alzò lo sguardo, gli occhi lucidi.
“Mi
dispiace, Benji… io… i-io non potevo dirtelo… cerca
di capire… non… mi avreste mai fatto giocare… e questo era il mio sogno…”,
mormorò, sull’orlo del pianto.
Lui
strinse i pugni.
“Tu…
tu mi hai ingannato… ci hai ingannato per tutto questo
tempo…”. Puntò gli occhi per terra, cercando di contenere la rabbia. “Come…
come hai potuto farlo? Volevi… prenderti gioco di ME? Cosa
volevi dimostrare, eh? Dimmelo!”, gridò, avanzando di
colpo di un passo e tornando a fissare la ragazza.
Lei
sobbalzò indietreggiando, e si coprì il volto con le mani. Era disperata.
“No!
Io non volevo prenderti in giro… io… io volevo solo…”, balbettò, mentre le lacrime
le iniziavano a scendere lungo le guance. “…volevo…”. Ma
la voce le morì in gola.
Ad
un tratto, però, dopo un momento di pesante silenzio, il rumore della porta
dello spogliatoio che sbatteva attirò l’attenzione di entrambi. Tom Becker era lì, vicino alla
fila degli armadietti, e guardava addolorato Kris.
“Tom! Che ci fai qui?”, lo aggredì Benji.
Il
compagno non gli rispose, fulminandolo, in compenso, con una severa occhiata.
Poi lentamente si avvicinò a Kristine, ancora tremante.
La ragazza lo guardò attraverso il velo opaco delle lacrime.
“Oh,
Tom… ”, sussurrò.
Lui
si tolse velocemente la giacca della tuta, mettendogliela sulle spalle nude.
“E’ tutto a posto… sta’ tranquilla. Ora ci sono
qui io”, le mormorò con dolcezza. “E’ tutto a posto, Kristine”.
La abbracciò, e lei si abbandonò al numero undici
lasciandosi stringere senza opporre resistenza.
Price,
di fronte a loro, aveva intanto osservato la scena allibito.
“Cosa? Kristine?”, ripeté il
portiere, marcando il nome della ragazza. “E tu, Tom… tu lo sapevi? L’ hai sempre saputo e non mi…”.
Deglutì. “… non… ci hai mai detto
niente?”.
Becker fissò, duro, il
compagno di squadra.
“E’
stata lei a pregarmi di non dire nulla, e per la verità ho pensato anch’io che,
alla fine, fosse la cosa migliore da fare. Kris non
voleva rovinare l’amicizia che era nata con te, con gli altri. Inoltre, se vi
avesse detto chi era veramente, non avrebbe più avuto la possibilità di giocare
nella New Team. Io ho scoperto il suo segreto per
caso, ma non l’ ho accusata di nulla. Anzi, ho
compreso il motivo del suo gesto, e l’ ho sostenuta. Sappiamo tutti e due cosa significa avere un sogno, non è vero Price?”.
Fece
una pausa, sperando che l’altro capisse, ma inutilmente. L’SGGK
si limitò infatti a fissare sia lui che Grover con
ancor più astio, e Becker scosse piano la testa.
“Anche tu dovresti capirla, e non prendertela come stai
facendo ora”.
“Capirla?
SOSTENERLA?”. Benji allargò le braccia, incredulo. “Tom, questa ragazza ci ha INGANNATI!”,
sentenziò, puntando l’indice contro Kris, che, ancora, aveva il viso nascosto
nel petto del calciatore. “Si è unita illegalmente alla squadra! E’ una donna,
e non può giocare con noi! Se lo sapesse la Federazione, il
signor Parson…”.
Ma l’altro lo interruppe, senza nemmeno
far caso alle sue ultime parole.
“Mi
dispiace davvero che la pensi così. Kris ti ha sempre ammirato. Per lei, tu sei
sempre stato un modello da seguire. Possiede il talento e la volontà per
diventare un grande portiere, e tutto ciò che sai dire
è… ”.
“No,
basta. Vi prego”.
Becker venne
invece fermato dalla stessa Kris che, liberatasi dall’abbraccio rassicurante
dell’amico, si mise fra i due ragazzi. “Non voglio che voi due litighiate. In
fondo Benji ha ragione, Tom.
Vi ho ingannati. Non merito più la vostra fiducia, né
quella della squadra”.
Chiuse
gli occhi per un lungo istante.
“Quindi, vi prego… lasciate stare. Me ne andrò”.
Detto
questo, Grover spostò lo sguardo verso Tom. Sorrise, anche se con molta amarezza.
“Grazie
per tutto quello che hai fatto per me. Non me lo
dimenticherò mai, stanne certo. E
poi… ”.
Non
riuscì però a terminare la frase, perché Becker le
prese le mani, stringendole. La guardò negli occhi.
“Non
se ne parla, Kris. Tu non te ne andrai. La New Team ha bisogno di te, ci serve il tuo aiuto per
vincere il campionato. Sono sicuro che tutti saranno d’accordo con me. Anche se
sei una ragazza, vedrai che spiegando loro le cose capiranno…”.
Lei
gli sorrise ancora, questa volta dolcemente, per poi
stringergli le mani a sua volta.
“Grazie,
ma… ”. Si intristì. “… ma non
penso che Benji sia dello stesso parere”.
Ci
fu un attimo di silenzio e Price, che aveva ascoltato la conversazione senza
intervenire, rimase un attimo con la testa girata, gli occhi fissi sul muro.
Né
Kris, né Tom riuscirono a
capire quali pensieri gli fossero passati per la mente in quell’istante,
ma pochi secondi dopo il ragazzo si voltò, iniziando a camminare verso l’uscita
dello spogliatoio.
“No.
Per me va bene”, disse con voce incolore, voltato di spalle rispetto ai due. “Ma
non diremo nulla ad agli altri. Il clima della squadra
si potrebbe rovinare. Meglio aspettare la fine del campionato”.
Il
portiere sganciò dalla cintura a cui l’aveva fissato il cappello che aveva
tolto poco prima in campo, e se lo rimise in testa, abbassandolo sulla fronte.
“In
ogni caso”, precisò, prima di afferrare la maniglia, “quello che hai fatto, Grover, non ha la mia approvazione”.
Aprì
la porta, ed in tono gelido aggiunse le ultime parole.
“E non l’avrà mai”.
Grover e Becker osservarono Benji uscire sbattendo
la porta. I suoi passi risuonarono per un po’ in corridoio,
poi la calma tornò a regnare nella stanza.
“Price…”,
riuscì solo a dire Tom. “… ora… ora lo sa anche lui”.
Kris
spostò lo sguardo indietro, nel punto in cui, un attimo
prima, c’era stato Price.
“Ma
perché… è dovuta finire così?”, mormorò.
Il
numero undici, fermo dietro di lei, la osservò senza sapere che risponderle. In
quel momento non poteva fare niente per alleviare il suo dolore. Niente.
Perché Becker ormai sapeva.
Sapeva
cosa c’era nel cuore di Kristine Grover.
E Benjiamin
Price, adesso, vi aveva lasciato una ferita profonda, forse impossibile da
cancellare.
Impossibile
da guarire.
La
ragazza si strinse nelle braccia, mordendosi il labbro inferiore. Chiuse gli
occhi, ed un’unica lacrima scese a rigarle il volto abbassato.
“Anche se potrò ancora giocare, il mio sogno è finito qui. E non tornerà più”.
NOTE
Weh ^_^
Sono Leia!! Volevo solo dire una cosuccia su questo capitolo, e più
precisamente sul titolo. Credo renda bene l’idea che volevo
dare con la parte finale del 18, e con il termine della prima parte in
generale. Però è anche vero che molto altro si
concentra nel capitolo… la rabbia, la tristezza, la solitudine, l’impotenza di
fronte agli eventi, l’incontrollabilità della parte irrazionale di noi. Ho
riunito un sacco di cose in queste ultime pagine, forse anche un po’ troppe, ed
è per questo che, in teoria, sarebbero potuti andar
bene un altro paio di titoli. Un po’ mi dispiace di non averli potuti usare!!
Uffa!! ;_; basta, volevo solo dire questo… :P quindi siate
comprensivi, fatemi felice e piangete la morte prematura degli altri titoli con
me. BUUHHH!!! (quanto sono scema…) |
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Capitolo 20 *** Epilogo Parte Prima - Do we try or should we just say a good-bye? ***
Una sola nota prima di iniziare: Giucci ha avuto e ha ancora grossi problemi
di varia natura (tecnici e non), per cui le è stato impossibile aggiornare il
sito. Per questo motivo mi son decisa a pubblicare, finalmente, l'epilogo della
prima parte qui, in seguito alle vostre numerose richieste... mi scuso per la
lunga attesa, ma fino all'ultimo ho sperato che la cosa potesse risolversi ^^;
appena sarà possibile, comunque, anche il sito di K&K lo metterà online :) voi
spargete pure la voce, ed i vari webmaster dove pubblico la fic prendano pure
l'epilogo per pubblicarlo sul loro sito! Detto questo, ci risentiamo a fine
epilogo...
Per qualunque cosa, scrivetemi a
kris.grover@inwind.it
Leia, 15/2/2004
-
K&K
Epilogo Parte Prima
«...
Do we try or should we just say good-bye?
»
[«…
Dobbiamo provarci o dovremmo solo dirci addio?»]
“Torni in Germania?
Ma… ma perché? Così all’improvviso, poi...”.
Benji rivolse
un sorriso tirato ad uno stupito Bruce, poi riabbassò lo sguardo sull’erba.
“Sono sicuro che continuerete tranquillamente
anche senza di me. E poi si tratterà solo di uno, due mesi al massimo”.
Harper e
tutti i membri della New Team rimasero in silenzio a fissare il numero uno, che
notando le loro facce deluse cercò di sdrammatizzare aprendo le braccia. Alzò le
spalle.
“Su, ragazzi, non fate così… in ogni caso non è
che abbia fatto un granché finora, con questa gamba, per la squadra… ”.
“Non è vero”, lo interruppe Carter. “Hai allenato
Kristian. Senza di te non ce l’avrebbe mai fatta, e questo credo che potrebbe
confermartelo lui stesso, se fosse qui”. Lo guardò speranzoso. “E penso anche
che dovresti restare per lo stesso motivo. Sei un punto di riferimento per lui,
lo sai!”.
Nel sentire il nome di Grover, Benji sussultò.
“Kris… lui, adesso, non ha più bisogno di me.
Credetemi, siete voi la sua forza. Dovrete solo essere una squadra, come lo
siete sempre stati, e andrà tutto alla grande”.
Price sorrise, e spostò gli occhi su ognuno dei
suoi compagni, raccolti a bordo campo per ascoltarlo. C’erano anche Holly e
Mister Gunnell che, sospirando, si avvicinò al portiere.
“Allora a presto, Benji. Non possiamo certo
trattenerti. E poi son convinto che un po’ di riposo ad Amburgo farà bene alla
tua gamba… spero tornerai in gran forma. Se lo vedrai, porta i miei saluti al
signor Marshall ed anche ai tuoi, mi raccomando”.
“Certo. Non ne dubiti”.
Strinse la mano al mister con un sorriso di
circostanza, ma con la coda dell’occhio si accorse che qualcun altro lo stava
fissando. Proprio alle spalle del Signor Gunnell.
Seduto su una delle panchine con i gomiti
appoggiati sulle ginocchia aperte e le dita incrociate sotto ad uno sguardo di
ghiaccio, Tom Becker lo stava osservando in silenzio.
Price non mutò espressione, ma si congedò
velocemente dal mister per avvicinarsi al compagno di squadra. Becker seguì il
suo spostamento senza raddrizzarsi, ed anche quando Price si accostò al muro
degli spogliatoi, di fianco a lui, il ragazzo non si mosse. Ripuntò invece gli
occhi sul rettangolo di gioco, facendo finta di star seguendo, interessato, la
partita di allenamento di una delle piccole squadre locali che alcuni pomeriggi
al mese era solita prendere in prestito il loro campo per un paio d’ore.
“E tu non mi saluti, Becker?”.
Benji piegò
una gamba, appoggiando la suola contro la parete grigia dietro di sé. Sorrideva
ancora.
“Beh, se proprio vuoi, lo faccio”, rispose Tom,
con voce monocorde.
“Buon viaggio, Price”.
L’altro annuì con un lieve cenno del capo.
“Mhh, grazie. Scommetto che sei felice che me ne
vada”.
“Ti sbagli. Personalmente, la cosa mi lascia
piuttosto indifferente. Ciò che invece penso da quando hai annunciato la grande
notizia è molto diverso…”.
La linea delle labbra di Benji si accorciò
leggermente.
“E sarebbe?”.
“Che stai solo scappando da una grossa,
insostenibile delusione. E anche da un bel po’ di vergogna”.
Trascorse qualche secondo. Immobili nell’ombra
fredda offerta dal bordo campo, mentre gli altri ragazzi, fermi poco più in là,
scherzavano distesi producendo un piacevole brusio, Benji e Tom parevano
decisamente fuori posto. Il loro dialogo privato e duro, anche se mascherato da
una facciata di distacco, creava una tensione facilmente percepibile. Tom sperò
che Oliver non li stesse guardando.
“Oggi non ho voglia di dare spettacolo…”, mormorò
però d’un tratto l’SGGK, sillabando le parole con tono apparentemente calmo. “…
altrimenti stai certo che a quest’ora ti avrei già sbattuto un’altra volta
contro il muro, senza troppi complimenti”.
“Ho colpito nel segno, eh?”. Finalmente, Becker
distese le braccia lungo i fianchi, appoggiandosi allo schienale della panca.
Non poté trattenersi dal sorridere, sarcastico. “Perché non ammetti le tue
debolezze, Price? Non sei capace di affrontare Kris, anche e soprattutto per ciò
che le hai fatto. Sei troppo, schifosamente orgoglioso per chiederle scusa, ed
oltretutto la lasci da sola in un momento del genere. Ha l’intero peso della
squadra addosso, e tu vigliaccamente… ”.
“Piantala!”.
Tom si bloccò.
Voltò lentamente la testa.
“Se c’è qualcuno che deve vergognarsi, non sono…
di certo io”.
Price lo stava fissando. Aveva il respiro
accelerato. Era chiaro che stava tentando di contenere la rabbia con enorme
difficoltà, ma Becker non si sorprese.
“Stai dicendo un palla colossale, Benji. E lo sai
benissimo”.
Si alzò. Questa volta lo guardò negli occhi.
“Ma se lo stare lontano per un po’ potrà aiutarti
a riflettere su Kristine e sulle tue azioni, vattene. Parti, prendi quel cazzo
di aereo e fatti coccolare per almeno quattro settimane dalla comoda
indifferenza asettica di Amburgo. Dove nessuno ti può giudicare”.
Le iridi nocciola di Tom lo stavano trafiggendo. E
da quelle parole, pronunciate tra i denti con un filo di disprezzo, Price non fu
capace di difendersi.
“… ritorna solo quando sarai capace di non fare
più del male alle persone… ”.
Di dire anche una sola sillaba.
“… e a te stesso”.
Benji
dischiuse le labbra, ma spostò lo sguardo a lato. Proprio in quel momento, però,
la voce di Bruce si alzò nell’aria per richiamare i due giocatori che,
scuotendosi dalla dimensione in cui si erano rinchiusi, si voltarono verso
l’amico con un piccolo, forzato sorriso.
“Forza, venite qui, asocialiii! Benji, sto
parlando ai ragazzi delle mie innumerevoli fans, non puoi assolutamente
perdertelo visto che stasera parti e torni a dicembre!!”, gridò Harper ai due
compagni e circondandosi la bocca con le mani, mentre gli altri, raccolti
intorno a lui, scoppiavano in una grande risata. “Anche se per allora,
tranquillo… avrò molte altre chicche da raccontarti sulla mia vita
sentimentale!”.
Becker rise.
Alzò un braccio.
“Eh eh, ok Bruce… arriviamo!”.
Fece per incamminarsi verso gli amici, ma Benji si
voltò dalla parte opposta.
“No, io non vengo”.
Tom gli
lanciò un’occhiata contrariata.
“Scappi anche da loro?”.
L’altro non rispose. Sfuggì però dallo sguardo di
Becker voltando la testa e tenendola bassa, gli occhi verso il terreno.
“Dimentica… ”, riprese allora il portiere,
ignorando l’ultima domanda del compagno e fermandosi, poi, per qualche secondo.
“… dimentica ciò che ho detto quella sera, a proposito di Kris”.
Il numero undici aggrottò le sopracciglia.
“… eh?”.
“Quella sera… a casa mia. Quando sei venuto a
chiedermi spiegazioni dopo la partita con la Artic”.
Finalmente, con un movimento lento, Benji si
voltò. I suoi occhi scuri non tradivano alcuna emozione, così come i lineamenti
del viso, che disegnavano una compostezza apparentemente imperturbabile. La
gelida calma che aveva sempre caratterizzato il calcolatore ed introverso Price
sembrava, adesso, essere tornata. Come se non l’avesse mai lasciato.
“Non provo nulla”, sentenziò, senza inflessioni
nella voce. “Per Kris… non sento più niente”.
Nicole posò
piano il vassoio con due tazze di the sul tavolo del soggiorno, poi sprofondò
fra i cuscini del divano.
“Almeno bevi qualcosa…”, mormorò dolcemente
guardando preoccupata Kris, seduta accanto a lei. “Alex… mi ha detto che è da
ieri sera che non mangi”.
Kristine
Grover teneva lo sguardo fisso a mezz’aria, le braccia conserte. Sbatté gli
occhi una volta, ma non si voltò a guardare l’amica.
“No, grazie. Sto bene così”.
“Ne sei sicura?”.
L’altra abbassò di poco la testa per poi girarsi,
con un sorriso sconsolato, verso la ragazza dai lunghi capelli rossi.
“Voi vi preoccupate tutti troppo. Comunque… grazie
per essere venuta a farmi compagnia. Davvero”.
Nicole si
sporse a prendere le tazze, offrendone quindi una a Kris che la tenne per un po’
fra le mani, assaporandone il calore. Rimase a fissare il liquido fumante, al
profumo di gelsomino, mentre l’amica si accomodava meglio al suo fianco.
“Kris… Alex ha tutte le ragioni
per preoccuparsi. E anch’io le ho”,
disse Nicole. Sospirò. “Mi ha detto ogni cosa, ma credo che questo tu l’avessi
già intuito”.
“Già”.
“E probabilmente immaginerai anche perché adesso
ci sono qui io, e non lui”.
“Credo… di sì”.
“Si sente in colpa.
Non voleva essere così impulsivo, l’altro
giorno. Spera… che potrai perdonarlo”.
Kris scosse la testa, sorridendo stancamente.
“Ma certo che lo perdono. Di sicuro non è Alex
quello che deve scusarsi…”.
Bevve un sorso di the, per poi riposarlo sul
ripiano davanti a sé. Quindi raccolse le ginocchia contro il petto, appoggiando
il mento sulle gambe piegate. Nicole credette che fosse sul punto di scoppiare a
piangere ma invece, inaspettatamente, Kristine chiuse gli occhi, sorridendo
ancora.
“Forse… hai ragione. E’ ora che gli dica come
stanno le cose. A lui, e a te”. Risollevò le ciglia. “Non avevo intenzione di
farvi soffrire, ma vedi, è che…”.
Lo squillo acuto del telefono interruppe Kris. Sia
lei che Nicole spostarono gli occhi sul tavolino dell’ingresso sul quale era
posato il cordless, ma nel momento in cui la ragazza dai corti capelli castani
fece per alzarsi, l’altra la invitò a restare dov’era.
“Lascia, vado io”.
“Ok. Grazie”.
Nicole si
avvicinò al telefono. Prima che lo potesse prendere in mano, però, Kristine la
richiamò.
“Senti…”. Guardò l’amica. “… non… ci sono per
nessuno, ok?”.
Lei annuì con un sospiro, e rispose. Ascoltò la
richiesta dell’interlocutore, poi riprese a parlare.
“No... no, non c’è, mi dispiace, forse…”. Venne
però interrotta, riuscendo a continuare solo dopo qualche istante. “Davvero,
non… può rispondere... ”.
Si bloccò ancora, ma nonostante lo sguardo
implorante di Kristine che la scongiurava di non tradirla, la giovane spostò il
cordless dall’orecchio premendolo contro il petto.
“Kris... è un certo Tom Becker. Dice che è davvero
molto importante, e che sa che sei in casa”, disse quindi Nicole, con tono
piuttosto perentorio. “Secondo me devi parlargli. Mi sembra molto agitato”.
Kris rimase a fissare l’amica, indecisa sul da
farsi. Poi, facendo forza sulle ginocchia si mise in piedi, raggiungendo Nicole
e prendendo senza troppa convinzione il telefono dalla sua mano.
“Pronto…?”.
“Kris! Ma perché oggi non ti sei fatta vedere?”.
“Tom… oh, non… non so.
Non mi andava, e…”.
“Si… si, scusa. Immagino.
Però vedi, è successa... una cosa
che... ”. Dall’altro capo del telefono la voce di Becker si fece
impercettibilmente più bassa, quasi timorosa.
“Che... credo sia il caso che tu sappia…”.
Kris si irrigidì.
“Cosa…?”.
“Ecco… Benji… è partito… improvvisamente…”.
A quella frase, gli occhi della ragazza si fecero
improvvisamente vacui.
Nicole, ferma
davanti a lei con le braccia incrociate sul seno nel tentativo di capire che
cosa fosse successo di così tanto grave, si accorse immediatamente del
cambiamento sul suo viso.
Kristine era
impallidita.
“…
è partito per la Germania. Starà via un mese. O
forse… di più”.
Tom si fermò,
poi riprese.
“Kris, lo so che adesso ti sembra che le cose
vadano sempre peggio, però… ”.
Un’altra pausa.
“Kris…?
Kris, ci sei? Risp- ”.
Ma Becker non poté continuare, perché Kristine
schiacciò improvvisamente il tasto rosso che terminava la chiamata. Senza che
nemmeno Nicole avesse il tempo di dirle qualcosa, la ragazza abbandonò malamente
il cordless sul tavolino, per poi correre verso le scale che portavano al primo
piano.
Raggiunse il corridoio, e l’ultimo suono che
l’amica riuscì a sentire fu il rumore di una porta che sbatteva violentemente.
“Kris!”, urlò Nicole una volta salite le scale,
battendo ripetutamente i pugni sulla superficie in legno chiaro che separava il
corridoio dalla stanza di Kristine.
“Aprimi! Che cos’è successo? Kris!
Ti prego, non fare così... aprimi, per l’amor del
cielo!”.
Gli occhi castani della bellissima giovane
originaria dei Paesi Bassi si velarono di lacrime di preoccupazione. Era
arrivata tardi… troppo tardi. Avrebbe dovuto cercare di aiutarla prima… di stare
più vicina a Kris da subito, nonostante i suoi continui rifiuti a confidarsi…
Tutti avrebbero dovuto cercare di aiutarla prima.
Come avevano potuto permettere che si lasciasse ridurre così?
Posò debolmente il capo contro la porta. Kristine
non rispondeva, ma qualcosa si udiva comunque al di là della barriera di legno.
Singhiozzi. Disperati.
Il mio sogno è finito qui.
E’ finito.
Kris liberò la fronte dalle
braccia bagnate di lacrime. Aprì gli
occhi annebbiati, fissando un punto invisibile davanti a sé.
Era proprio quello a cui aveva pensato la sera
prima. Ciò che aveva detto a Tom. Anche se Benji ormai la odiava, anche se era
rimasto completamente deluso da lei scoprendo la sua reale identità, avrebbe in
ogni caso potuto continuare a giocare.
Perché era lei a sostituire ancora Price.
Alla fine, lui non l’aveva buttata fuori dalla
squadra.
Le aveva detto di restare.
Non ne aveva capito subito il motivo, ma… le aveva
detto che poteva rimanere. E quello… quello le aveva, nonostante tutto, fatto
conservare ancora delle speranze…
Alle quali, come sempre e scioccamente, si era
appigliata.
“E’ stata... solo una mossa… per punirmi…”,
sussurrò, premendosi violentemente il palmo della mano contro gli occhi
arrossati. “Te ne sei andato... senza dirmi nulla... ”.
Si mise lentamente seduta, chiedendosi con quali
forze e con quale volontà riuscisse ancora a fare il benché minimo movimento. Il
viso scavato dal pianto e da quei giorni terribili rimase immobile. Fermo, a
fissare la parete in fondo alla stanza.
“Allora non te ne frega davvero più nulla di me.
Adesso... lo so.
Lo so davvero. Non mi è rimasto più niente…
”.
Rivoli caldi tornarono a rigarle le guance, più
copiosi di quelli di prima.
“… nemmeno il calcio”, bisbigliò infine, con un
filo di voce incrinata.
Non passò che qualche istante, che Kris scoppiò
nuovamente in singhiozzi.
No… non ce la faceva…
Non riusciva a contenerlo.
Ormai, il dolore era insopportabile.
Il petto le faceva male. La testa, gli occhi… il
corpo intero…
Dio… basta…
Non voleva più soffrire.
Non avrebbe più voluto, ma purtroppo sapeva
che la terribile sensazione che ora le stava dilaniando il cuore non sarebbe
scomparsa presto. E la decisione che aveva appena preso, se da una parte forse
l’avrebbe aiutata a dimenticare ogni cosa, sarebbe anche stata la causa del
dolore più grande.
“Le scelte esistono… le scelte sono
necessarie…”, pensò Kris, nascondendo il viso nelle gambe. “… ed il
cuore, Nicole… non serve a niente… e nemmeno i miei sogni valgono poi tanto, se
ogni volta devono portarmi a questo…”.
Altri singhiozzi le morirono in gola. Fuori, il
cielo era tornato nuvoloso.
Si accasciò sul materasso, senza accorgersi della
leggera ma fitta pioggia che, battendo sui vetri, cominciò a produrre un
crepitio sommesso. Riempì la stanza come una musica ipnotica, accompagnando la
voce rotta e disperata di Kristine.
Era un grigio pomeriggio di fine novembre, e
pochissimi giorni separavano la New Team dalla partita con la Flynet.
Benji Price
aveva improvvisamente deciso di allontanarsi dal Giappone per un mese, partendo
per Amburgo, mentre Kristine Grover, il solo portiere disponibile della
leggendaria squadra di Fujisawa, aveva appena deciso di lasciarla.
Lei, il calcio, e tutti i suoi sogni.
Per sempre.
VECTOR
Maaya
Sakamoto
Scelto come
tema per K & K – prima parte
--
Told myself for a long
time
Don't go there
You will only be sorry
Told myself so many times
I just had to take a look
In those faraway eyes
[Mi sono detta per lungo tempo
Di non andarci,
Tu sarai solo dispiaciuto
Me lo sono detta così tante volte
Ho solo gettato uno sguardo
A quegli occhi lontani]
In them I saw a longing
For something
Maybe I couldn't give you
Said it's all in my mind
"It ain't nothing"
[In essi ho visto il desiderio
Per qualcosa
Che forse non ti ho potuto dare
E' stato detto tutto nella mia mente
"Non è niente"]
Don't say that
Don't say that
Darling no
Don't say anything at all
Because I've seen it now
Can't pretend anymore
"It ain't nothing”
[Non dirlo
Non dirlo
Tesoro no,
Non dire nulla
Perché l' ho visto adesso
E non posso pretendere ancora che
“Non sia niente”]
Do you know what I mean?
And have you seen it too?
Do you know what I mean?
Do you know?
And I'll do anything
Just tell me what it means
Cause I can't live in doubt anymore
Do we try or should we
Just say good-bye?
[Capisci cosa voglio dire?
E l' hai visto anche tu?
Capisci cosa voglio dire?
Lo sai?
E farò qualsiasi cosa
Dimmi solo cosa significa
Perché non posso vivere ancora nel dubbio
Dobbiamo provarci, o dovremmo
Solo dirci addio?]
If you'd rather be somewhere
That's not here
Then you just gotta tell me
Cause there's so much more to life
Than pretending
[Se tu fossi ancora da qualche parte
Che non è qui
Dovresti solo dirmelo
Perché c’è molto più da vivere
Che da pretendere]
Don't you know
Don't you know
Darling for you
I'd do anything at all
I wanna be with you
But that look in your eyes
Tells me something
[Non lo sai
Non lo sai
Tesoro per te
Farei di tutto
Voglio stare con te
Ma quello sguardo nei tuoi occhi
Mi dice qualcosa]
Do you know what I mean?
And have you seen it too?
Do you know what I mean?
Do you know?
And I'll do anything
Just tell me what it means
Cause I can't live in doubt anymore
Do we try or should we
Just say good-bye?
[Capisci cosa voglio dire?
E l' hai visto anche tu?
Capisci cosa voglio dire?
Lo sai?
E farò qualsiasi cosa
Dimmi solo cosa significa
Perché non posso vivere ancora nel dubbio
Dobbiamo provarci, o dovremmo
Solo dirci addio?]
I wanna know
Can you tell me?
I wanna know
Will you tell me?
Is it hello
Is it good-bye?
[Voglio saperlo
Puoi dirmelo?
Voglio saperlo
Me lo dirai?
E' un addio
O è un arrivederci?]
I gotta know
Won't you tell me?
I gotta know
You can tell me
Is it hello
Or just good-bye?
[Devo saperlo
Non me lo dirai?
Devo saperlo
Mi puoi dire
Se è un addio
O solo un arrivederci?]
I gotta know
Can you tell me?
I gotta know
Will you tell me?
Is it hello is it good-bye?
[Devo saperlo
Puoi dirmelo?
Devo saperlo
Me lo dirai?
E' un addio o è un arrivederci?]
I gotta know
Won't you tell me?
I gotta know
You can tell me?
Is it hello
Is it good-bye?
[Devo saperlo
Non me lo dirai?
Devo saperlo
Mi puoi dire
se è un addio
o un arrivederci?]
Lyrics:
Maaya Sakamoto
Testo:
Tim Jensen
Composto e Arrangiato da:
Kanno Youko
-
QUALCHE PAROLA…
E
alla fine ci siamo arrivati. La prima parte di K&K è giunta finalmente alla sua
conclusione ^.^
Mi
sembrava però doveroso concludere questo epilogo con qualche parola. Doveroso, e
soprattutto necessario…
Per iniziare da argomenti meno felici, mi sono state innanzitutto mosse
insinuazioni che non mi hanno resa troppo contenta, per cui vorrei specificare
subito un paio di punti.
Primo, K&K continuerà (a me sembra tanto ovvio, chi l’ha seguita fin qui e ha
capito quanto di me c’è in questa storia e quanto vale non ha certo bisogno di
mie conferme… ma io dico ^^’ solo perché non pubblico ogni tot mi si deve
accusare - o solo pensarla, una cosa simile - di prendere per il c**o la gente?
Ma per favore…). Secondo, non ho però ancora scritto nessun capitolo della
seconda parte, se non qualche scena messa giù a mano su fogli di carta volanti
(come quella che ho trascritto qui sotto come anticipazione). Proprio per quest’ultimo
motivo devo purtroppo annunciarvi che io e Miki saremo costrette a fare una
lunga pausa per progettare bene i prossimi capitoli… la trama c’è già, c’è
sempre stata fin dall’inizio, ma se vorrete che la seconda parte sia all’altezza
di quella che avete appena finito di leggere, dovrete pazientare.
Inoltre, oltre a pensare ai prossimi capitoli, in questo periodo mi metterò
anche a correggere e revisionare tutta la prima parte ^^’ in questi anni il mio
stile è cambiato e si è evoluto, quindi vorrei rivedere alcuni passaggi che ora
non mi convincono più. Senza contare che poi rileggendo certi pezzi ho notato
errori (per me sono errori ^^’’) che mi hanno fatto alquanto rabbrividire :D a
questo proposito invito tutti i webmaster/webmistress che pubblicano la fic sul
loro sito di scrivermi, segnalandomi anche l’URL relativo (nel corso degli anni
ho perso il conto delle pagine, sorry ^^’) così, non appena la nuova versione
della prima parte sarà pronta, potrò mandare loro tutto quanto :)
Anche se dovrete aspettare un po’, però, non disperate ^.^ perché io e Miki
prevediamo di preparare, in questo periodo d’attesa (che potrebbe anche durare
un anno… o più :P tanto ormai siete abituati!! ^o^’), dei capitoli “bonus” e di
approfondimento su Kris&co.! ^_- per cui, come dice Giuccina… stay tuned :P
Che altro dire… potrei fare il punto di questi quattro anni, ma non voglio
dilungarmi. Ringrazio solamente tutti/e coloro che mi son stati vicini e
ovviamente i lettori più affezionati che si proclamano addirittura fan
(esagerati :P però ammetto che mi diverte sta cosa ^o^). Sia io che Miki siamo
commosse da tanto affetto, e più volte leggendo le mille mail che mi mandate mi
sono venuti gli occhietti lucidi :°) quindi grazie davvero, di cuore. Perché è
grazie a questo genere di lettori se continuo a scrivere con entusiasmo, anche
se ammetto che altre volte, invece, a causa di mail piuttosto diverse, la mia
voglia di continuare K&K è finita (e mi finisce ^^’) sotto le scarpe, per non
dire peggio…
Passando all’epilogo, ve l’aspettavate che si concludesse così? ^_- con Benji
cicci (cicci, oddio… in questo momento lo odio pure io :D) che se ne va? *_* e
ora che succederà? Qualcosina credo che potrete già intuirla leggendo la piccola
anticipazione che troverete di seguito… vi dico solo che più o meno la scena
(che comunque non è ancora messa giù nella sua versione definitiva, questo è un
abbozzo ^^) sarà situata verso il capitolo 4 o 5 della seconda parte!
Se
invece vi state chiedendo quanti capitoli ci saranno ancora (miih potrei aprire
lo spazio FAQ :D), potrei calcolarne per adesso da una decina fino ad un massimo
di quindici… ma come sempre non prendete per oro colato quello che dico ^^’
Ok,
credo di aver finito… mi dileguo, sperando di tornare molto presto a scrivere di
Kris ^-^ devo ringraziare soprattutto lei (e Miki, che prima di me l’ha creata
^_-) se oggi sono arrivata fin qui (in tutti i sensi, sia come scrittrice che
come persona… eccetera eccetera ^^) e se voi tutti amate tanto questa storia. E’
un personaggio che ormai è entrato dentro di me, e che non posso fare a meno di
amare come una sorella. Per cui… grazie Kris ;P (ok, son molto idiota… hihihi).
Uh, ultima cosa… scaricatevi “Vector”, se potete ^.^ è una canzone che mi ha
stregata. La adoro, e l’ho trovata perfetta per K&K… mi è sembrato quasi che
fosse stata scritta apposta ^-^ è stata la mia colonna sonora durante tutta la
stesura degli ultimi capitoli della fic, ed era inevitabile che la inserissi a
fine epilogo ^_-
Ok…
vado davvero!!
Buon 2004,
Leia e - ovviamente - Miki ^.^ (invisibile
ma onnipresente °_° Miki osserva e SA!! ndMiki)
--
COMING SOON:
K&K – PARTE SECONDA
*Spoiler/Anticipazione*
«
… detto questo con estrema calma si girò, avvicinandosi ad una delle porte del
lato sinistro del corridoio. Sfilò da una tasca invisibile situata in
corrispondenza di una delle cuciture del vestito una card magnetica, che infilò
poi in una fessura all’altezza della serratura. Con un clack la porta si
aprì, e Kristine girò la maniglia dorata dell’anta.
“E ora lasciami stare… smettila di assillarmi.
Torna dalla tua amica tedesca, sono certa che ti starà cercando. Buonanotte, e
goditi la festa”.
La ragazza entrò nella stanza. Fece per richiudere
la porta, ma proprio in quel momento Benji la bloccò con una mano, costringendo
Grover a lasciare la presa. L’anta si spalancò, sbattendo contro il muro, mentre
Kris, impietrita, fissava Benji avanzare verso di lei con uno sguardo
indecifrabile.
“Ma cos-”, fece per dire, ma la bocca le fu subito
chiusa dalle labbra del ragazzo che, spingendola verso la parete della stanza,
le bloccò le spalle, impedendole di muoversi.
Troppo shockata per poter reagire, Kris rimase
immobile con gli occhi spalancati. Il bacio di Price l’aveva totalmente colta di
sorpresa.
Già, Benji…
Benji la
stava baciando.
Quante… quante volte l’aveva sognato?
Quante, quando poteva essere solo Kristian, per
lui?
Ed ora…
Quel sogno si era realizzato.
Era reale.
Kristine si
impose di non lasciarsi trasportare. Non doveva.
Tom. Lei… amava Tom. Ma…
Price la strinse di più. Sollevò un braccio,
posando una mano sulla guancia di Kris che, senza nemmeno rendersene conto,
aveva chiuso gli occhi.
No, no…
Smettila, Kris. Respingilo.
Respingilo,
dannazione…
Mosse lentamente una mano. Poi l’altra. Le alzò.
Si ritrovò, così, abbandonata a lui. Stretta a
lui.
Cosa… stava facendo?
Cosa… stava provando?
Benji… si
stava approfittando di lei…
Ma come poteva… opporsi ad un bacio simile?
Credette di
perdere il controllo di se stessa. Per un momento, solo per poco, un unico
pensiero le attraversò la mente.
Qualunque cosa Price le avesse fatto, qualunque
cose avrebbe iniziato a farle… lei non si sarebbe opposta.
Gli avrebbe lasciato fare tutto.
Tutto…
».
… To be continued. |
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