K&K

di Leia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Premessa ***
Capitolo 2: *** Kristine e Kristian ***
Capitolo 3: *** Nel Passato e nel Presente ***
Capitolo 4: *** Una Gabbia Dorata ***
Capitolo 5: *** Il Nostro Ricordo ***
Capitolo 6: *** Tempo che Scorre ***
Capitolo 7: *** Anime Sole ***
Capitolo 8: *** Complicazioni ***
Capitolo 9: *** Silenzi ***
Capitolo 10: *** Forti e Fragili ***
Capitolo 11: *** Il Giusto Equilibrio ***
Capitolo 12: *** Notte Amara ***
Capitolo 13: *** Iniziano i Guai ***
Capitolo 14: *** Nuovi Arrivi ***
Capitolo 15: *** Inspiegabile ***
Capitolo 16: *** Ritrovarti ***
Capitolo 17: *** Interessi Pericolosi ***
Capitolo 18: *** Illusioni ***
Capitolo 19: *** La Fine del Sogno ***
Capitolo 20: *** Epilogo Parte Prima - Do we try or should we just say a good-bye? ***



Capitolo 1
*** Premessa ***


PREMESSA

 

K&K

 

Una fanfic di *Leia*

Ideazione personaggio di Kristine Grover di *Miki*

 

 

COPYRIGHTS:

 

CAPTAIN TSUBASA © 1981 by Yoichi Takahashi – all rights reserved. First published in Japan in 1981 by SHUEISHA INC., Tokyo.

 

KRISTINE GROVER e tutti gli altri personaggi estranei alla serie originale di Captain Tsubasa sono © mia e di Miki!! ^_- eh eh!

 

*****

 

NOTA: K&K è pubblicato già da diverso tempo su altri siti, fra cui l’IM-FA di Julie-chan, http://www.scrignodeisogni.it/IM-FA . La premessa che i lettori possono leggere qui di seguito è stata scritta soprattutto pensando all’IM-FA, che più di tutti ha portato “fortuna” a K&K, oltre al fatto che è il sito che da più tempo lo ospita, insieme a quello di Mario Ciampa. Forse avrei dovuto adattare questa introduzione per tutti gli altri siti che pubblicano la fanfic, ma non me la sentivo di cambiarla, quindi, anche se qualcosa non sarà molto chiaro, non fateci caso. Grazie!

 

***** 

 

-  Aprile 2001 -

 

- con modifiche & aggiunte dell’estate 2003… e vi dico anche che molto presto potrei riprendere in mano tutti i capitoli per rivederli e modificarli! *.* ndLeiaAgosto2003! -

 

 

Salve a tutti! ^_^

Dopo esattamente - o quasi - un anno, mi ritrovo qui a scrivere una nuova versione della premessa per K&K. Non ci sono particolari motivi per cui lo faccio, ma…non so, sentivo che quella precedente non era più adatta…

 

Ma iniziamo! Primo, devo ricordare ai lettori un paio di cose! ^__- mi rivolgo soprattutto a quelli nuovi…a chi arriva qui per la prima volta! Quindi… leggete con somma attenzione!! ^.^

 

1) Non aspettatevi una fanfic sportiva, incentrata, in questo caso, sul gioco del calcio, perché questa non lo è! K&K è principalmente una storia d’amore, d’amicizia ma anche di grandi e piccoli sogni ^-^

 

2) Mi sono concessa parecchie libertà sulla cronologia degli avvenimenti, sulle concordanze fra essi e le età dei protagonisti di CT, e su tante altre belle cose…^_^;; quindi, pliiis, non fateci troppo caso!! ^.^;;; purtroppo mi erano necessarie situazioni ben precise per poter realizzare K&K in questo modo…chiudete un occhio, ok? Grazieee!!

 

3) Potrei aver preso - e potrei prendere in futuro ^^;;; K&K proseguirà ancora per mooooolto tempo…(spero però di finirla prima di andare in pensione… )  - una marea di cantonate sul calcio, sulle sue regole, i lati tecnici, ecc…indi ragion per cui, anche in questo caso, fate finta di nienteee! ^_^;;; cercherò in ogni modo di descrivere solo le partite indispensabili… ehm… forse è meglio!! Fortunatamente il calcio fa solo da sfondo… ^O^; Yeeh! W le fanfic d’amore allora!!

 

4) Ho utilizzato i nomi Mediaset, prima di tutto perché ci sono affezionata *aaahhh la mia infanziaaa…Leia nostalgica* e per non creare confusione a coloro che non conoscono i nomi originali! Tra l’altro *Leia se ne accorge solo ora, dopo la bellezza di un anno e mezzo…^^;* se avessi usato i nomi jappo, K&K non avrebbe proprio funzionato… ^___^;;; secondo voi una ragazza/un ragazzo giapponese si potrebbe chiamare Kristine/Kristian Grover?? Ehhh, sì, lo ammetto, K&K ha i suoi difettucci… ^^;;; certo, si potevano ideare due nomi simili jappo, maschile e femminile, che iniziavano con la K… ma al tempo, nata l’idea per la fanfic e per la protagonista, mi ero già affezionata al nome di Kriiiiiiiiiiis! >____

 

Ehm, direi che, anche se rielaborati un pochetto, i punti son rimasti gli stessi della prima premessa! ^__^;

Bene,  che altro dire?

Mhh…credo che possa solo concludere… con la parte che mi sta più a cuore, che forse è il motivo vero di questa “riedizione” della premessa…

 

Come ho detto all’inizio, in un anno (circa^^) sono successe tantissime cose. Tante legate a questa fanfic, tante legate a me. Di queste ultime cose, quelle legate a me (e ad altri, ovviamente) alcune mi hanno resa felicissima, per altre sono stata molto male e ho sofferto… ma, di sicuro, tutto ha contribuito a una mia crescita interiore, che non si è conclusa, ma che procede piano piano, ogni giorno, anche se alcune volte in modo difficoltoso.

Ho conosciuto una marea di persone grazie a Internet, grazie a K&K, grazie alle fanfics e alle passioni in comune… e molte di queste persone sono diventate amici preziosi.

Ne ho molti da ringraziare… e altrettanto tante sono le cose che vorrei dire ad ognuno di loro… ma anche se non li elencherò tutti, sono certa che tutti quanti loro sapranno che li ho pensati ^.^

Qui, però, ci tengo particolarmente a ricordarne alcuni… chi, più di tutti, è diventato qualcuno di veramente importante per me, chi mi è stato accanto sempre, e mi è vicino tutt’oggi… sì, sento di doverlo fare qui, in questa premessa, perché molto devo anche a K&K, fanfic che è stata più volte un tramite fra me e gli altri, un modo con il quale ho potuto farmi conoscere meglio e al meglio, un biglietto da visita, una sorta di specchio della mia anima che, altrimenti, solo attraverso lo schermo di un PC e nelle battute di una chattata sarebbe stata difficilmente visibile.

 

Alcune volte mi sono commossa nel leggere i commenti e le parole di chi mi scriveva per la fic… perché, nelle frasi di quelle mails, riconoscevo e ritrovavo ciò che avevo dentro, e quello che avevo cercato di comunicare - di me - nella fanfic. Quindi… grazie, grazie e ancora grazie infinite a tutti i lettori che mi hanno scritto, grazie infinite a chi è riuscito a farmi piangere con qualche semplice riga… perché per me ha significato veramente tantissimo. Ora so che posso comunicare qualcosa a qualcuno, e tutto ciò mi spinge a continuare con entusiasmo… a scrivere, per realizzare un piccolo sogno da condividere con tanti. Grazie.

Adesso, ecco invece i ringraziamenti più specifici… eh eh!! ^_-

 

Grazie a Julie, la mia sorellina acquisita, perché senza di lei non so proprio come avrei fatto, tantissime volte…grazie, grazie perché ci sei, grazie per tutto quello che siamo riuscite a realizzare insieme noi tutte (questo “noi” è riferito alla mia piccola famiglia… ^_^), con te… tu, che sei stata l’elemento che ci ha unite…grazie. Ti auguro tutto il bene possibile, sis, perché te lo meriti davvero… io ci sarò sempre, ricordatelo.

 

Grazie a Lory, Sara, Alina (e anche Cleucci e Lisuccia, mia nipote *_* ndLeiaAgosto2003), le mie cuginette, perché sono delle ragazze e amiche fantastiche che mai, insieme alla mia sister, mi fanno sentire sola. Grazie per quello che sapete darmi sempre, grazie per le vostre meravigliose storie, grazie per i galattici giorni trascorsi insieme, e perché, semplicemente, esistete! ^__^

 

Grazie a Tania e Amidala, le mie fidate zia & mamma, che sono dei saldi punti di riferimento per me e le altre… grazie, Tania, per la tua ineguagliabile personalità e perché sei incredibile ^.^ grazie ad Ami, amica fantastica e donna matura della family ^_- la mia mamminaa devo imparare tanto da te! (e dalla ziaaa! O forse è meglio di no? Uahahah!!!)

 

Grazie a zie a Saeko e Chilahe pubblicano la fanfic Giuccina, altra sorellina mia e di Julie e “piccolina” del gruppo (insieme a Saeko *_* altra sis!! ndLeiaAgosto2003), che ha costruito un sito bellissimo per K&K, rendendola una fanfic speciale. Grazie per i bellissimi giorni trascorsi insieme, Giuccina, sei una ragazza dolcissima, piena di energia, sempre disponibile per tutti e un’amica grandiosa! ^-^ mi raccomando, non cambiare e continua così… sempre!!! ^_-

 

Grazie a Klau, Katy, Trinity, Laura e tutte quelle persone, membri della family e non, che potrei aver dimenticato…GRAZIE!!

 

Grazie a Mario, il primo che ha pubblicato K&K nel suo grandioso sito… sei stato forse la mia prima vera conoscenza on the Web, e mi hai insegnato taaante cose!! ^-^ non ti dimenticherò mai! Grazie grazie grazie, e continua ad essere il… prezzemolo che sei!! Eh eh! ^^;;

 

Grazie infine alla mia adorata Mikina, “manager” di fiducia di K&K, senza la quale questa fanfic non esisterebbe… ho sempre saputo che prima o poi un’idea geniale ti sarebbe venuta, GIOIAAA!! Ahaha!! ^O^;; ok, ok, scherzavo!! Seriamente, grazie infinite per tutto quello che sei, e cioè una terribile mente logica nel corpo di una pazza completa… ^^;; ma anche una delle persone migliori della mia vita! ^-^

 

Ok, prima che questa lista diventi infinita, mi fermo qui… eh eh!

Allora… un grosso saluto e buona lettura a chi si appresta a leggere K&K! ^_^ a preeeeeessto!

 

Leia^^

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Capitolo 2
*** Kristine e Kristian ***


K&K

PARTE PRIMA

 

Una figura snella e di media statura camminava velocemente per la strada principale della città di Fujisawa, che si stava poco a poco affollando con l’avvicinarsi dell’ora di rientro per la maggior parte dei lavoratori. Nonostante ciò, però, Fujisawa era una luogo tranquillo e vivibile anche nei momenti di maggior traffico, grazie soprattutto alle numerose e vaste aree di verde presenti e alla sua fama di splendida località turistica.

La misteriosa figura attese ancora qualche secondo vicino ad un semaforo, ancora rosso, prima di poter attraversare la via e raggiungere il marciapiede dall’altra parte della strada. Era vestita con una normale tuta da ginnastica e il capello, abbassato sul viso, nascondeva alla vista lo sguardo e parte dei lineamenti. Il corpo era ben proporzionato, e i movimenti, agili e scattanti, rivelavano il fisico di un ragazzo adolescente, giovane e pieno di energia.

La campana di un liceo suonò i caratteristici rintocchi per annunciare il termine delle lezioni. Mentre la folla degli studenti si avviava verso l’uscita della scuola, il ragazzo in tuta passò davanti ad un gruppo di studentesse che, ferme al cancello, lo stavano osservando.

“Hai visto quel ragazzo?”.

“Sì…ma chi è? Non l’ ho mai visto!”.

“Beh…non ne ho idea…ma è da alcuni giorni che passa ogni pomeriggio di qui, e sempre alla stessa ora…”.

“Sul serio? Chissa’ dove va…comunque mi sembra davvero carino!”.

“Già! E poi guarda che fisico…tra l’altro è così misterioso…e sembra che faccia di tutto per nascondersi…”.

“Hm…che ne dite di fermarlo e di chiedergli qualcosa…diciamo…il suo numero di telefono?”.

Le ragazze cercarono di soffocare delle timide risatine. Una di loro, però, evidentemente la più audace fra le amiche, si avvicinò al giovane che, fermatosi un momento accanto alla cinta della scuola,  guardava ansiosamente l’orologio al polso.

“Ehm…scusami…”, mormorò la studentessa, cercando lo sguardo del ragazzo sotto alla visiera del cappello.

Al suono di quella voce, il misterioso sportivo si scosse dai suoi pensieri e, indietreggiando velocemente di qualche passo, calcò ancora di più il cappello sulla testa, evitando accuratamente di guardare in faccia l’ammiratrice.

“Ehi, ma…”, disse stupefatta la ragazza quando il giovane corse improvvisamente via, percorrendo il lungo marciapiede davanti a lei alla massima velocità e scomparendo, poi, dietro l’angolo della strada. “…non ti avevo ancora chiesto niente!”.

 

Nonostante fossero già le cinque di un caldo pomeriggio di inizio settembre, il cielo era ancora di un azzurro chiaro, e il sole illuminava l’erba verde e rigogliosa dei numerosi parchi cittadini alla periferia di Fujisawa. La zona, quel giorno,  era stranamente deserta, e solo una persona correva veloce in mezzo ai sentieri.

“Ma perché devo fare colpo proprio su delle stupide ragazzine? Mi chiedo se quella di fingermi un maschio sia stata una buona idea…”, disse Kristine Grover, quasi senza fiato,  fermandosi davanti ad una panchina. Si tolse finalmente il cappello, lasciando così cadere sulle spalle una cascata di lunghi capelli castano chiaro, prima raccolti sopra la nuca. Alzò il viso sudato verso le mille nuvole bianche sopra di lei. “Beh…non è di certo quello lo scopo per cui mi travesto, ma…”. Riabbassò la testa, volgendo gli occhi verso il grande campo da calcio davanti a lei, pieno di giocatori che si stavano allenando. Sorrise.“… è questo”.

Mentre raccoglieva nuovamente la folta chioma sotto al berretto bianco, si diresse a passo veloce verso il vasto campo d’erba rada, da dove arrivavano grida e voci di ragazzi.

Kris aveva quasi 17 anni, e la sua famiglia si era da poco trasferita a Fujisawa, dove era stato appena costruito un nuovo albergo fra quelli della vasta catena di proprietà dei genitori, famosa in tutto il Giappone. I Grover avevano quindi deciso di gestire personalmente l’ultima costruzione, attratti soprattutto dalla verde e rilassante cittadina; i due figli, Kris e Alex, di due anni più grande della sorella, li avevano seguiti.

La ragazza, però, all’inizio non era stata particolarmente entusiasta del trasloco: a Kyoto, dove prima viveva, aveva dovuto lasciare amici e compagni di scuola, per non parlare poi della squadra di pallavolo di cui era capitano. Per giorni, dopo l’arrivo a Fujisawa, non aveva voluto guardare in faccia il padre e la madre, interessati soprattutto ai loro affari e non alla felicità della figlia, e solo qualche tempo dopo Kristine si era rassegnata a vivere nella nuova città.

Improvvisamente, poi,  qualcosa le aveva fatto iniziare ad amare Fujisawa. Ma non erano né il mare, né le verdi colline intorno al paese…era invece ciò che non avrebbe mai sognato di poter avere lì vicino, accanto a sé: uno sport, il calcio,  secondo molti riservato unicamente agli uomini, ma che Kris sentiva suo come nessun altro. E una squadra, la New Team, che lei seguiva e sosteneva da anni.

La ragazza si avvicinò al perimetro del prato, cercando di non farsi notare dall’uomo di mezza età, probabilmente l’allenatore, seduto in panchina, e da un giovane ragazzo coi capelli scuri di fianco a lui. Entrambi guardavano concentrati i giocatori in campo, che si stavano affrontando in una partita d’allenamento.

Da quando aveva scoperto che la New Team aveva la sua sede proprio a Fujisawa, Kris non si era lasciata sfuggire l’occasione di andare ad assistere tutti i giorni agli allenamenti nei quali la squadra era impegnata in vista dell’imminente campionato nazionale. La ragazza era felicissima di poter seguire i suoi idoli da così vicino, ed in particolare uno di loro, che da sempre, per lei, costituiva un modello da seguire. Certo, erano tutti dei campioni, a cominciare dal grande Oliver Hutton, capocannoniere della squadra, ormai conosciuto in tutto il mondo per la sua straordinaria tecnica perfezionata negli ultimi anni in Brasile.

Grover ammirava ognuno di loro, ma l’unico ruolo che Kristine aveva sempre desiderato di poter avere, se avesse potuto giocare a calcio, era quello di portiere. Ed era per questo motivo che il suo idolo, la persona che rappresentava per la ragazza il massimo a cui poter arrivare, era l’imbattibile Benjiamin Price. Eccezionale e infallibile, era forse l’unico portiere juniores che aveva alle spalle una preparazione atletica e tecnica assolutamente perfetta,  e una specializzazione di anni e anni praticata in Germania. Per anni Kris aveva potuto seguirlo solo da lontano, leggendo gli articoli sui giornali e guardando le sue foto, e immaginando soltanto di incontrarlo, un giorno, di persona. Adesso, invece, quello che era sempre stato solo un bel sogno era diventato realtà: Benji Price era lì, a poca distanza da lei, seduto su una panchina…il solito cappello con visiera in testa, la felpa con, sul petto, la N di New Team bene in vista, pantaloni leggermente aderenti, neri, con righe laterali bianche, e scarpini neri da calcio. Gli occhi scuri, profondi e concentrati, guardavano davanti a sé, e il profilo, dai lineamenti marcati ma allo stesso tempo dolci, circondava il viso assorto nella partita. Un ragazzo dal fascino selvaggio e dal fisico statuario ma che, sfortunatamente, pensò Kris, non avrebbe potuto prendere parte alla prima parte del campionato a causa di un trauma subito alla gamba sinistra durante una recente partita d’allenamento.

“Peccato”, disse sottovoce la ragazza, guardando il portiere. “Non potrò vederti subito in  campo…”. 

Kris rimase una attimo a fissarlo, quasi in adorazione, voltando però subito la testa dopo aver pensato che Benji avrebbe potuto accorgersi della sua attenzione. Decise quindi di seguire la partita in corso, naturalmente dominata, in quel momento, dalla squadra capeggiata da Hutton. Il giovane dai capelli neri, leggermente lunghi e un po’ mossi, correva attraverso il campo con la velocità di un fulmine, dribblando gli avversari con una tecnica perfetta quanto inimitabile. Giunto davanti alla porta,  si preparò a tirare, concentrando nella gamba destra tutta la forza possibile: al momento dell’impatto, la palla sembrò quasi sparire, per ricomparire un attimo dopo come una lunga scia di luce, che si dirigeva verso l’angolo della porta con una potenza inaudita. Alan Crocker, secondo portiere della New Team e sostituto di Benjiamin Price, fissò per qualche secondo il velocissimo bolide, prima di gettarsi  con tutto il corpo a destra per cercare di pararlo; la palla, però,  lo anticipò, e si insaccò in rete passando a pochi centimetri dalle sue dita.

Ormai il goal era stato fatto, ma il portiere non riuscì a bloccare in tempo il suo salto: la mano destra, stretta a pugno, andò a sbattere violentemente contro il palo della porta, evitando però così che la testa subisse un forte colpo. Immediatamente il ragazzo crollò a terra, stringendosi con l’altra mano le cinque dita, in preda a un forte dolore.

“Alan!”, gridò Holly Hutton, accorrendo subito l’amico. Anche gli altri giocatori arrivarono, correndo, dal centrocampo. Ben presto l’intera squadra era stretta intorno a Crocker, in ginocchio davanti alla porta.

“Scusa, Holly, non sono riuscito a parare il tuo tiro…”, mormorò il ragazzo a denti stretti, guardando mortificato il proprio capitano.

Hutton scosse la testa, preoccupato. “Ma cosa stai dicendo, Alan.! Hai corso un grande rischio, lo sai? E, in ogni caso,  ora, la tua mano ora è ferita…potresti esserti fatto male seriamente…”.

Alan sospirò, triste. “Mi dispiace, ragazzi”, disse quindi, rivolgendosi ai compagni di squadra, mentre anche l’allenatore e Price arrivavano nei pressi dell’area di rigore.

Il mister si inchinò e prese la mano di Alan. Dopo avergli sfilato il guanto, tastò le dita immobili per il forte dolore; dopo pochi istanti di silenzio teso, l’allenatore si rialzò in piedi,  lo sguardo basso. Tutta la squadra aspettava, muta, il responso.

“Sono rotte”, disse alla fine serio,  alzando nuovamente lo sguardo e guardando prima Alan e poi Holly. “Per fortuna è qualcosa che può guarire in pochi mesi, ma…”.

Benji cercò gli occhi del mister, preoccupato. “Ma?”.

“…ma Alan non potrà partecipare al campionato. Purtroppo questo è sicuro”, concluse amaramente.

Nessuno parlò. La sfortuna si era nuovamente abbattuta sulla New Team per la seconda volta. Prima Benji, ora Alan. E non c’era nessuno, questa volta, che potesse sostituire Parker. Nessuno.

“Cosa faremo adesso?”, disse sconsolato Bruce Harper, un ragazzo dalla faccia simpatica e dai radi capelli neri. “Dovremo rinunciare al campionato di quest’anno?”.

Price voltò la testa verso l’amico. “Non dirlo nemmeno per scherzo, Bruce! Noi giocheremo…e sarò io a sostituire Alan, sin dalle prime partite se questo è indispensabile…”.

“Smettila, Benji, sai bene che nelle tue condizioni questo non è possibile!”, esclamò, a quelle parole, il mister in direzione del portiere titolare. “…Troveremo un’altra soluzione, ragazzi. Ci deve essere qualcosa che possiamo fare…”.

I membri della New Team si scambiarono qualche occhiata sconsolata. Ognuno di loro sapeva bene che ci sarebbe stato ben poco da fare…purtroppo la carenza di sostituti era sempre stato l’unico aspetto negativo della loro squadra. E,  soprattutto, la mancanza di portieri. Avevano sempre fatto affidamento solo sulla bravura di Price, senza considerare il fatto che, un giorno, avrebbe potuto infortunarsi, senza poter più giocare per lungo tempo. Era stato questo il più grande errore, ed ora il mister se ne stava accorgendo. No, la New Team, la squadra giovanile più forte del Giappone, che aveva alle spalle decine e decine di vittorie, non poteva ritirarsi così dal campionato…se solo fosse arrivato un colpo di fortuna…

“Ehm…scusate…”, disse timidamente una voce dietro al gruppo raccolto intorno alla porta. L’intera squadra si girò di scatto.

In piedi in mezzo all’erba verde, Kris sorrideva impacciata, con una mano alzata in segno di saluto. “Non vorrei intromettermi, ma per quello che ho capito siete in difficoltà…”.

Holly guardò la ragazza, sorpreso. “E tu chi sei?”.

Grover, rendendosi conto che era stato il grande Hutton a rivolgerle la parola, deglutì emozionata, abbassando leggermente lo sguardo da lui. “Devo fare a tutti i costi una buona impressione…non so a quanto potrà servire, ma…”, pensò decisa, stringendo i pugni con forza.

“Mi chiamo Kris Grover e ho 17 anni”, disse quindi sicura.

Ci fu un attimo di silenzio. “Adesso mi sbattono fuori dal campo…me lo sento…”, sussurrò Kristine, tesissima, immobile davanti ai giocatori che la fissavano.

All’improvviso, però,  Holly fece qualche passo avanti, avvicinandosi alla ragazza. “Piacere, Kristian…è il tuo nome, vero?”, chiese quindi il giovane fuoriclasse tendendo la mano a Kris. “Sono Oliver Hutton, il capitano di questa squadra. Giochi anche tu a calcio?”.

Kristine fissò per qualche istante, incredula, il viso cordiale di Hutton, prima di riuscire a stringergli la mano. Allora il travestimento aveva funzionato! Riusciva a passare veramente per un ragazzo, e non solo agli occhi delle studentesse di prima liceo…

“Sì, so benissimo chi sei…” rispose così Kris. “Seguo da lungo tempo sia te che il resto della squadra, e vi trovo fantastici…ehm…e…beh…sì, sì, diciamo che…ho giocato per molto tempo a calcio nella squadra locale della mia città prima di trasferirmi qui a Fujisawa, circa un mese fa. Ecco, io…facevo…facevo il portiere”.

Un forte brusio si alzò subito fra i giocatori della New Team. Forse non tutto era ancora perduto.

“Davvero?”esclamò entusiasta Holly, posando una mano sulla spalla di Kris. “Quindi…potresti sostituire Alan in porta? Te la sentiresti?”.

La ragazza esitò, rendendosi conto di aver appena detto una grossa bugia. Non aveva mai giocato seriamente come portiere in una squadra, e anche se aveva imparato le tecniche principali giocando spesso a calcio, a Kyoto, con dei suoi amici, non poteva certo considerarsi esperta. Gli anni passati a pallavolo avrebbero potuto esserle d’aiuto, ma l’agilità non era l’unica qualità che doveva possedere un bravo portiere di calcio.

Mentre, indecisa, abbassava gli occhi da Hutton, un altro giocatore si avvicinò a lei. “Aspetta, Holly. In qualità di portiere titolare ritengo che spetti a me decidere se questo ragazzo è abbastanza dotato da poter entrare a far parte della squadra…”.

Sentendo quella voce, Kris rialzò subito la testa, felice. Price. Era Price.

“Certo, Benji, hai perfettamente ragione…”, disse scherzosamente  Hutton facendosi da parte. “E’ tutto tuo”.

Il portiere sorrise divertito, guardando l’amico di fianco a lui. Poi, continuando a sorridere, volse gli occhi su Kris. “Beh, io sono Benjiamin Price, ma penso, da ciò che hai detto, che tu lo sappia già. Ecco, anche se siamo in una situazione davvero critica,  non possiamo di certo far entrare in squadra la prima persona che si presenta. Mi capisci, non è vero Kristian? Per questo, penso che prima di decidere dovrò farti affrontare…ecco, una prova”.

“Ehm…sì, certo, è…è giusto…”, balbettò lei,  cercando di nascondere l’emozione che stava provando nel trovarsi faccia a faccia con Price.

Era indecisa…accettando di verificare la sua competenza come portiere,  avrebbe rischiato di fare una brutta figura,  ma se invece le fosse andata bene…lei…lei…

“Ok. Accetto…sottoponetemi pure ad un qualunque test”,  esclamò allora Kris senza esitazioni, decidendosi a guardare finalmente negli occhi Benji.

Un’occasione del genere non si sarebbe più ripresentata. Doveva cogliere al volo quell’opportunità. Senza ripensamenti.

“Bene! La sicurezza, almeno, non ti manca…”, disse allegro il ragazzo bruno, voltandosi verso i compagni di squadra. “Allora, ragazzi, preparatevi a fare qualche tiro!”.

Il mister, ancora accanto ad Alan, sospirò. “A quanto pare il colpo di fortuna è arrivato…”, disse, voltandosi verso il secondo portiere.

“Già”, rispose il ragazzo,  sforzandosi di sorridere, anche se realmente felice dell’arrivo di Kristian Grover. “Sono sicuro che ce la farà”.

“Ne sono certo anch’io…forza, seguimi adesso”, disse il mister dando una pacca sulla schiena di Crocker. “E’ necessario ingessarti subito quella mano”.

Mentre i due si allontanavano dal campo, Benji accompagnò Kris fra i due pali. “Allora, è semplice: a turno, cinque giocatori tireranno in porta e tu, naturalmente, dovrai fermare più palloni possibili. Saranno come dei calci di rigore…”,  spiegò quindi alla ragazza, porgendogli un paio di guanti da portiere. “Ecco, usa questi”.

Kris lì guardò un attimo, riconoscendoli immediatamente. “Ma…sono quelli che usi molto spesso, non è vero?”, mormorò, prendendoli in mano. “Sei sicuro che posso usarli? In fondo, per te, devono essere importanti…”.

Benji alzò lo sguardo per fissare negli occhi, stupito, la ragazza. “Beh…se mi hai seguito talmente assiduamente da riuscire a riconoscere in questi guanti quelli che uso solitamente…posso dire di essere felicissimo di poterli prestare al mio più grande fan!”.

A quelle parole, anche Kris alzò gli occhi su Price. “Gra…grazie”, riuscì solo a mormorare, mentre Benji si allontanava. “Buona fortuna, allora!”, gridò infine il portiere, alzando un braccio. 

La ragazza lo vide arrivare a bordo campo. Sarebbe stato lui a fischiare i tiri, visto che il mister si era assentato per andare ad accompagnare Alan in infermeria.

Mentre si infilava i guanti di Price, le parve di sentire, dentro di lei, una forza di volontà e una sicurezza che non aveva mai posseduto prima. Sì, ne era sicura…sarebbe riuscita a superare il test. Non avrebbe deluso Benji. E il posto di portiere della New Team sarebbe diventato suo.

Kris si posizionò tra i due pali, concentrata. Chi sarebbero stati i cinque giocatori? Beh, sicuramente, fra di loro, non poteva mancare Hutton, e anche se era quello che più temeva,  non vedeva l’ora di poter confrontarsi con lui. Ma gli altri?

Tirò leggermente indietro la visiera del cappello, per avere la visuale intorno alla porta più libera possibile. Il primo giocatore era già pronto fuori dall’area di rigore, e stava studiando attentamente sia Kris che lo spazio fra i due pali.

La ragazza lo riconobbe: si trattava di Ted Carter,  il più veloce attaccante della New Team. I suoi tiri non erano però mai stati particolarmente potenti, e Kris pensò che non sarebbe stato difficile fermare il pallone.

Al fischio di Price, Ted prese la rincorsa: la sfera, dopo essere stata calciata, si diresse velocemente verso l’angolo destro della porta. Consapevole che Benji la stava guardando, la ragazza attese che il pallone si avvicinasse, per poi saltare con un’agilità e una velocità sorprendente,  bloccandolo con sicurezza.

Mentre Kris si rialzava, Price, a bordo campo, la osservava attentamente. “Si muove molto bene”, disse a voce alta, sorridendo compiaciuto. “Penso  che se la caverà egregiamente…”.  Proprio in quel momento, Benji sentì una mano posarsi sulla propria spalla.

“A quanto pare quest’anno non avremo l’onore di affrontarti, Price” disse quindi una voce familiare. Il portiere si girò.

Davanti a lui c’erano due ragazzi: il primo, di media altezza, aveva i capelli neri, lisci e leggermente lunghi. Gli occhi erano neri e profondi, lo sguardo sicuro e deciso. L’altro ragazzo, dietro di lui,  era un po’ più alto e muscoloso, i capelli folti di un castano chiaro; il viso, dai lineamenti decisi ma non troppo marcati, era cordiale e aperto. Nonostante ciò, nel complesso il giovane appariva fiero e sicuro di sé, e comunicava un senso di grande rispetto a chi gli stava vicino.

“Philip! Julian! Che bello vedervi…come mai siete qui?”, esclamò Benji, avvicinandosi ai due amici. “Tutti credevamo che vi avremmo visti solo in campionato…”.

Julian si tirò indietro un ciuffo di capelli castani. “Beh, naturalmente siamo venuti a spiare i vostri allenamenti…”, disse in tono serio. Philip Callaghan  guardò Ross, per poi scoppiare a ridere. “Ma no…avevamo solo voglia di vedere come ve la passavate…e di  sapere come stavi, Benji”.

Price sospirò. “Purtroppo sia il mister che Freddie dicono che potrò rientrare in campo solo per le semifinali…ma…”. Il ragazzo voltò la testa per guardare Kris. “…ma forse ci sarà qualcuno che potrà sostituirmi”.

Julian alzò lo sguardo verso la porta. “Non è Alan…”, disse stupito.

“Già”, mormorò pensieroso Philip. “E’ un nuovo portiere?”.

Benji incrociò le braccia. “Beh…spero proprio che lo diventi. Sta affrontando…il test d’ammissione, diciamo”.

Mentre i tre amici parlavano, Kris, in porta, si stava preparando a parare il tiro di Mason. Questa volta la palla si diresse appena sotto alla traversa, ma la ragazza, senza alcuna difficoltà, la fermò, raggiungendola con un balzo felino.

La stessa scena si ripeté, più o meno simile, anche con Paul Diamond: la forza del tiro, però, non permise a Kris di bloccare il pallone con le mani, che venne soltanto respinto. Quando la ragazza si rialzò da terra, c’era Holly, pronto, davanti alla porta.

“Sei pronto, Kristian?”, gridò il ragazzo, mentre,  arcuando la schiena, si preparava a calciare.

Kris guardò decisa il capitano della New Team. “Certo”, rispose concentrata.

Hutton tirò. Il pallone, dapprima, salì velocemente sopra la testa dei giocatori,  per poi ritornare giù dirigendosi con una potenza inaudita verso un angolo della porta. Kristine alzò gli occhi, socchiudendoli. Individuò subito la sfera, anche se in controluce rispetto al sole che brillava sopra di lei. “Ce la faccio, se mi lancio in anticipo”, pensò risoluta, in una frazione di secondo. Ma fece male i suoi calcoli.

La palla, dopo essere arrivata a poco più di un metro dai pali, cambiò improvvisamente direzione, insaccandosi qualche istante dopo nell’angolo opposto della rete. La ragazza rimase a fissare in ginocchio, incredula, il pallone, mentre questo rotolava lentamente sull’erba.

“Era…era ad effetto”, mormorò, mentre Holly si avvicinava ai pali. Una volta che fu arrivato accanto a lei, Kris alzò la testa. “Complimenti”, disse quindi un po’ abbattuta al ragazzo. “Davvero un gran tiro, Hutton…sei davvero un campione”.

“Grazie”, rispose lui, guardandola. “Ma anche tu potrai diventarlo. Ne sono certo…hai le doti e le qualità necessarie, e penso che anche Benji sarà del mio stesso parere. Hai della stoffa, Kris”.

Detto questo, Holly tese una mano a Grover, per aiutarlo a rialzarsi. “Questo vuol dire…che ho superato il test?”, chiese felice Kristine, quando fu di nuovo in piedi. Oliver la osservò per qualche istante, pensieroso, prima di distendersi con un sorriso. “Beh…non lo so ancora con sicurezza…come hai sentito prima, è Benji che comanda, in questo caso. E, comunque, c’è ancora un tiro che devi parare…”.

“Cosa?”. La ragazza guardò Holly in cerca di spiegazioni, prima di ricordarsi che, effettivamente, Price aveva detto che i giocatori sarebbero stati cinque. Cercò quindi con lo sguardo l’ultimo attaccante, che doveva essere, probabilmente,  già pronto in area di rigore.

E infatti era lì. Non troppo alto, di media corporatura, teneva il pallone fermo con un piede. Il sole batteva sopra la sua testa, illuminando i corti capelli castani…Kris cercò di capire chi fosse, nonostante avesse l’impressione di averlo già visto. Di averlo già…conosciuto.

Hutton volse gli occhi verso il giocatore misterioso. “Ed ecco il tuo ultimo sfidante, Kristian…dopo cinque anni, finalmente, è tornato a far parte della New Team, e spero per sempre, questa volta. Tu che ne dici, Tom?”.

Il ragazzo davanti alla porta, che aveva sulla schiena il numero 11, sorrise ad Holly. “Certo, ci puoi scommettere. Ho smesso di fare il calciatore viaggiante…”.

Kris guardò meglio il viso del giocatore. Lo fissò per alcuni istanti, per poi ricordarsi, all’improvviso, di ogni cosa.

“Ma che…no…non è possibile…lui è…”, mormorò, come paralizzata. Non poteva crederci. Non poteva essere successo. “E’…è lui…è Tom…il mio Tom…ma…è quel Tom Becker!”.

Persa nei suoi pensieri e troppo sconvolta per poter reagire,  Kris non si accorse del fischio di Benji e del conseguente tiro di Becker. La palla, infatti, le passò accanto senza essere fermata, finendo così in rete.

Solo quando la sfera, rotolando, le toccò un piede, la ragazza ritornò nella realtà; Kris voltò la testa, e, fissando il pallone, si rese conto che Tom aveva segnato. Lei, invece, non aveva neanche provato a muoversi.

“Oh, no…”, pensò disperata, sistemandosi il cappello sulla testa. “Questo…questo potrebbe aver rovinato tutto…però…”. Abbassò gli occhi, amareggiata.

Si diresse così a bordo campo, dove Benji e gli altri la stavano aspettando. Evitò di guardare Tom Becker, che, probabilmente, era qualche metro dietro a lei insieme ad Holly. Anzi, forse sarebbe stato meglio se neanche lui l’avesse vista.

Si avvicinò a Price. Sentiva il suo sguardo e quello dell’intera squadra puntati su di sè, ma cercò di non farci caso. In ogni modo, dopo quell’ultimo tiro, l’avrebbero sicuramente rifiutata… l’occasione della sua vita era così sfumata. Per sempre.

“Benji…ti restituisco i tuoi guanti…”, mormorò Kris, triste, togliendoseli e porgendoli al ragazzo. “Non so se hai fatto bene a prestarmeli…io…non ne sono stata degna. Il fatto è che…ecco…io…non so cosa mi sia preso…”, cercò di dire, stringendo i pugni per la rabbia. “Io…”.

Invece, contrariamente a ciò che si aspettava, Benji le mise le mani sulle spalle. “Ma cosa dici? Sei stato grandioso…non ho mai visto nessun portiere muoversi veloce come te. La tua incredibile agilità mi ricorda molto lo stile di Ed Warner, ma tu…tu hai qualcosa che non ho mai visto prima in nessun giocatore. Sembri…sembri quasi trovarti a tuo agio in porta…sei scaltro e abile, ma allo stesso tempo ti muovi con grande eleganza. Sì, forse hai qualche lacuna nella preparazione atletica…ma con un po’ d’allenamento, sono sicuro che potresti raggiungere un buon livello. Per quanto riguarda la tecnica, invece…beh, quella davvero non ti manca”.

Kris, sentendo quelle parole, spalancò gli occhi per lo stupore. “Da…davvero la pensi così? Quindi…”.

Benji sorrise. “Quindi considerati pure il numero 1 della New Team…da oggi sei con noi, Kristian Grover!”.

L’intera squadra esultò, stringendosi subito intorno al nuovo membro. Anche Philip e Julian si scambiarono un’occhiata compiaciuta, felici di aver trovato in Kristian un degno avversario, in grado di sostituire al meglio Price.

Il neoportiere, dal canto suo, non poteva ancora crederci. Tutto quello che aveva sempre voluto…anzi, l’unica cosa che aveva sempre desiderato…ora…ora si era avverata. Kris girò cautamente la testa per cercare Becker. Lo vide ancora in campo che, insieme ad Holly, parlava con Ross e Callaghan, che avevano poco prima raggiunto i due amici.

Rimase a guardarlo a lungo. Il viso gentile, dai lineamenti delicati e perfetti. Gli occhi dolci e luminosi, di un intenso color nocciola. Il fisico equilibrato, da modello, il corpo ben proporzionato e slanciato…e, infine, incredibilmente bello. Sì, era come lo ricordava.

E adesso, finalmente, lo aveva ritrovato.

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Capitolo 3
*** Nel Passato e nel Presente ***


“Kristine! Dai, è da ieri sera che sei rinchiusa in camera…non vuoi raccontarmi cosa ti è successo? Fammi entrare…”.

Il fratello di Kris, Alex, era in piedi davanti alla porta della camera della ragazza, e da ben cinque minuti bussava ripetutamente nel tentativo di ricevere una qualche risposta.

“Allora, Kris! Vuoi rispondermi o no??”, esclamò infine, disperato, colpendo violentemente l’anta con un pugno. Dopo qualche secondo si girò, e con un lungo sospiro si appoggiò al muro. “Uff…penso sia inutile continuare…però…”, mormorò, preoccupato.

Alex aveva 19 anni, ed era un ragazzo sicuramente dotato di innumerevoli pregi. Per prima cosa, era alto e slanciato, e grazie alla sua corporatura era diventato un vero campione nello sport che praticava da diversi anni, il basket. Inoltre, era giudicato da molti bellissimo, soprattutto perché, pur avendo entrambi i genitori di origine giapponese, aveva alcuni tratti del viso inequivocabilmente occidentali, per non parlare di due luminosi occhi verdi ombreggiati da folti capelli castani.

Nonostante tutto, però, Alex era un ragazzo come ce ne n’erano tanti…sempre allegro e di buon umore, amava scherzare e divertirsi. C’era solo una cosa per la quale veniva molto spesso preso in giro dai suoi amici, e cioè il profondo affetto che provava per la sorella. Più che altro, Alex manifestava palesemente il suo spirito di protezione nei confronti di Kris, ma quello che dicevano su di lui non gli interessava minimamente…per il ragazzo, sua sorella era più importante di qualsiasi altra cosa.

Quando, il giorno prima, l’aveva vista rientrare in casa con lo sguardo perso nel vuoto, il viso stravolto e nel più totale silenzio, aveva subito capito che doveva esserle accaduto qualcosa di molto serio…qualcosa in cui, Alex ne era quasi certo, c’entrava un ragazzo. Troppe volte Kris aveva dovuto soffrire a causa di stupidi playboy che non avevano avuto nessun rispetto per i suoi sentimenti…e per questo motivo, adesso, Alex aveva giurato a se stesso che se fosse ricapitato un’altra volta, non l’avrebbe fatta passare liscia a chi avesse fatto del male a sua sorella.

“Proverò a ripassare più tardi…”, disse quindi a se stesso, lanciando un’ultima occhiata alla porta della camera di Kris. Arrivato alla fine del corridoio, esitò un attimo prima di scendere le scale. Voltò la testa di lato.

“Ehm…”, mormorò, titubante. “Kris, se…se hai voglia di mangiare, in ogni caso…ecco, ho preparato la colazione…è sul tavolo in cucina!”, gridò Alex, cercando di farsi sentire dalla ragazza. Attese per qualche secondo la risposta, per poi scendere, rassegnato,  al piano terra.

 

Kris, chiusa in camera, era distesa sul letto. Fissava, sognante, un grande poster appeso alla parete a lato, in cui era raffigurato un famoso portiere di fama internazionale che si lanciava per parare un forte tiro.

“E’ la realtà…sì, lo è…”, mormorò, affondando il viso nel cuscino che stringeva a sé. “Faccio parte della New Team…sono…il portiere della squadra…”.

Per un attimo il silenzio ritornò a regnare nella stanza, accompagnato solamente dal ticchettio continuo delle lancette dell’orologio sulla scrivania di Kris. Poi, improvvisamente, la ragazza fece un lungo sospiro, girandosi a pancia in su per stiracchiarsi fra le lenzuola.

“Sarò al fianco di Oliver Hutton…di Benjiamin Price e…”. Sorrise dolcemente, mentre, ricordando gli avvenimenti del giorno prima, le si formava davanti agli occhi l’immagine del numero 11 della New Team. “…Tom…Tom Becker”.

Strinse ancora più forte il cuscino, ridendo. “Uaaah! Come sono felice!”, esclamò Kris, in preda all’entusiasmo. Saltò giù dal letto per andare ad affacciarsi alla finestra, e, appoggiandosi al davanzale, guardò il cielo. Era di un azzurro intenso, con qualche nuvola bianca qua e là. La ragazza respirò profondamente l’aria fresca, mentre un uccello iniziava a cantare sulla cima dell’albero davanti alla sua stanza.

“Non avrei mai pensato che ti avrei rivisto, Tom…a quanto pare il mondo è davvero piccolo…”, disse Kris con una punta di tristezza nella voce. “Purtroppo…non potrò farmi riconoscere da te…non devo…se voglio continuare ad essere…Kristian”.

Abbassò lo sguardo dal cielo terso, rendendosi conto della crudeltà della situazione. Becker non doveva sapere che lei in realtà era Kristine…la Kristine che aveva conosciuto quattro anni prima. Non doveva…altrimenti tutto sarebbe finito. Sarebbe finito sia Kristian Grover che il sogno di una vita.

“Non è giusto…”. Senza quasi che la ragazza se ne accorgesse, le lacrime le avevano riempito gli occhi. “Ritrovarti per perderti di nuovo…perché?”, sussurrò, coprendosi, disperata, il viso. “Avrei voluto…”.

Proprio in quel momento qualcosa iniziò a suonare con insistenza. Kris si voltò di scatto, ricordandosi improvvisamente di avere puntato sul cellulare l’ora degli allenamenti per il primo giorno.

“Oh, cavoli! E’ vero!”, gridò, precipitandosi verso l’armadio per prendere tuta, scarpe e cappello. Si cambiò in un lampo, nascondendo con attenzione i lunghi capelli nel berretto. “Ecco”, disse sistemandoselo bene sulla testa e controllandosi nello specchio a muro di fianco all’armadio. “E’ arrivato Kristian, il portiere della New Team”.

Uscì dalla camera, percorse in tutta fretta il corridoio e scese al piano terra. Alex, stravaccato sul divano in salotto davanti alla TV accesa, la fissò allibito mentre si infilava la giacca appesa all’ingresso. “Ma…Kris…cosa fai? Stai…stai bene? Tu…ecco…”, balbettò.

La ragazza si girò, accorgendosi della sua presenza. “Ah, ciao fratellino! Scusa, ma adesso non ho proprio tempo…devo uscire, tornerò prima di pranzo…”, disse sorridendo.

Alex non riusciva a capire. “Ma…ma cosa? Esci? Ma è…è domenica mattina…dove accidenti devi andare? E…poi…poi si può sapere perché ultimamente ti vesti in modo così poco femminile? Cos’è quella tuta? E i capelli nel berretto? E ieri cosa diavolo ti è successo? Io…”.

Kris rise. “Ah, ma quante domande! Purtroppo ora non ho tempo per risponderti…mi spiace! Ciao!”. Detto questo, la ragazza uscì, sbattendo la porta.

Alex era rimasto senza parole. “Aehm…beh, sembrava allegra, perlomeno…”. Voltò la testa, per guardare lo schermo acceso. Dopo pochi istanti afferrò il telecomando abbandonato per terra, e spense la TV.

“Oh, al diavolo…”, esclamò con disappunto, lasciandosi quindi cadere nuovamente sul divano. “…e poi sto pure a preoccuparmi. Accidenti a te, Kris”.

 

Oliver Hutton si avviò verso le scale che portavano al campo, seguito da Carter, Mason e Bruce Harper, che li raggiunse correndo. “Ehi, ma si può sapere perché siete sempre tutti così di fretta?”, mormorò Bruce avvilito, avvicinandosi ad Holly.

Il ragazzo sorrise all’amico. “Non vuoi essere al massimo della forma per vincere anche quest’anno il campionato, Bruce?”.

Harper lo guardò con aria stanca. “Beh, certo…ma è talmente presto questa mattina…e tra l’altro è domenica! Era proprio necessario allenarsi anche oggi, Oliver?”.

Ted Carter, affiancandosi al difensore della New Team, lo bloccò circondandogli improvvisamente il collo con un braccio piegato.

“E…Ehi…Teeeed, non mi strozzareeee…”, cercò di dire Harper provando a liberarsi di quella stretta con le mani. Ted rise, così come Mason, di fianco a lui. “La verità, Bruce, è che sei solo un pigrone!”.

Carter lasciò finalmente il povero giocatore, che si massaggiò la gola indispettito. “Non è vero!”, disse quindi girandosi verso l’amico. “E’ solo che adesso, per tutti noi, è ricominciata anche la scuola…ed  è l’ultimo anno! Studiare, per me, è diventato sempre più duro…”.

Uscirono sul prato, dove gli altri giocatori si stavano già allenando. Holly respirò profondamente. “Hai ragione, Bruce…ma vedrai che troveremo il tempo per fare ogni cosa…comunque, il motivo per cui vi ho chiesto di venire ad allenarvi stamattina è…”. Fissò per qualche secondo i compagni in campo, poi distolse lo sguardo.  “Beh, diciamo che questa speciale riunione domenicale è in onore del nostro nuovo compagno di squadra, Kristian Grover…”.

“Sono qui, capitano”.

Holly, Bruce, Ted e Johnny si voltarono all’unisono. Grover era davanti a loro, trafelato e ansimante, che cercava di sorridere ai tre.

“Ti prego…ti prego di scusarmi…è che…abito dall’altra parte della città…e…”, mormorò Kris tra un respiro e l’altro, cercando di riprendere fiato. Holly sorrise comprensivo, mettendogli una mano sulla spalla. “Non preoccuparti, non sei in ritardo…in ogni caso, prima di iniziare gli allenamenti, c’è una cosa importante che bisogna fare…”.

“Cosa?”.

Hutton si incamminò verso il centrocampo, seguito da Grover e dagli altri tre giocatori. “Beh, ti devo presentare ufficialmente tutti i tuoi compagni di squadra, anche se forse già li conosci…”.

Kris sentì una fitta al cuore. Becker. Naturalmente c’era anche lui. Un suo compagno di squadra. Gli avrebbe stretto la mano. Gli avrebbe sorriso. L’avrebbe guardato nuovamente negli occhi. Becker. Tom Becker.

Holly riunì davanti a sé tutti i giocatori della New Team, disposti, secondo il numero sulla propria maglia, su una fila, dopodiché si girò verso Kris. Il neoportiere si avvicinò timidamente ai compagni, stringendo la mano ad ognuno di loro e provando a sorridere. Sapeva che tra poco si sarebbe ritrovata davanti a lui.

“Io sono Tom Becker, numero 11, centrocampista”.

Quella voce sicura e gentile…Kris provò a sollevare lo sguardo. Lentamente, i suoi occhi si posarono prima sulla N stampata sulla maglietta bianca, poi, salendo, arrivarono al collo del ragazzo, e infine al viso.

“Pia…piacere…”, disse quindi con estrema fatica, sentendo le dita di Becker stringersi intorno alla sua mano. Kristine cercò di assaporare quel contatto fino in fondo, quasi come se si fosse trovata davanti a una star mondiale che difficilmente poteva essere avvicinata dai fan. O, semplicemente, come davanti una persona che si era creduta persa per sempre.

Tom sorrise, ma quando incontrò gli occhi di Kris, rimase immobile.

La ragazza sentì un brivido correrle lungo la schiena. “Oh, no. Ti prego, Dio, no…”, implorò, mentre a sua volta sosteneva lo sguardo di Becker, incapace di muoversi. Tom la fissava.Kris ebbe come l’impressione che riuscisse a sentire anche la paura che si nascondeva dietro ai suoi occhi.

“Tu…” mormorò all’improvviso Tom continuando a guardarla pensieroso. Kris, rendendosi conto che Becker poteva avere intuito o ricordato qualcosa, si affrettò a passare oltre al ragazzo, senza lasciarlo finire di parlare.

La presentazione dei suoi compagni di squadra continuò quindi senza problemi, e arrivata alla fine della fila fece un ampio sorriso all’intera New Team. “Sono felice di essere il vostro portiere per questo campionato”, disse guardando Holly. “Farò del mio meglio per non deludervi”.

“Ne siamo sicuri, Kristian”, rispose Hutton, mentre gli altri giocatori, disperdendosi per il campo, si preparavano per iniziare l’allenamento.

Kris si guardò un attimo intorno. “Price oggi non c’è?”, domandò rivolgendosi ad Holly, continuando però a cercare Benji con lo sguardo. Il ragazzo si girò, e iniziò a camminare verso i margini del campo. Kristine lo seguì, affiancandosi a lui.

“Arriverà tra poco…sai, è andato a fare un controllo alla gamba. Purtroppo, anche con le migliori cure, sono sicuro che non potrà tornare a giocare prima della metà del campionato, se siamo ottimisti. Quindi, Grover…”. Holly voltò la testa e guardò Kris. “…contiamo su di te per vincere”.

Continuarono a camminare. Dopo le parole di Hutton, Kristine si sentiva addosso una grandissima responsabilità…avrebbe dovuto sostituire Benjiamin Price, il più grande portiere che il Giappone avesse mai avuto. Solo adesso se ne stava realmente rendendo conto. Venne colta improvvisamente da una grandissima ansia. Ne sarebbe stata capace?

“Holly, io…”, disse, spaventata, a testa bassa.

Ma il capitano della New Team non era più di fianco a lei. Erano arrivati davanti alle panchine, dove, su una di esse, erano posati dei vestiti piegati. Hutton li prese e, girandosi nuovamente verso Kris, glieli porse.

“Come portiere ufficiale ti spetta di diritto anche la divisa della nostra squadra. Spero sia della tua taglia…”.

Kristine prese i vestiti dalle mani di Holly. La divisa…come portiere della New Team. Fissò emozionata il numero 1 stampato sulla felpa piegata, lo stesso che aveva sempre avuto anche Benji. Beh, era naturale. L’avrebbe indossata come suo sostituto…un onore che non avrebbe mai sperato di poter avere…

Ogni paura svanì. Si sarebbe impegnata, e la New Team avrebbe vinto.

“Grazie”, disse felice sorridendo ad Holly.

Proprio in quel momento qualcuno comparve alle loro spalle. “Ciao Grover. Pronto per cominciare?”.

Kris riconobbe subito la voce di Benji, anche se, fino a quel momento, aveva parlato con lui una sola volta. D’altra parte, come poteva dimenticarla?

Anche Holly si girò. “Hei, Benji, bentornato. Come va la gamba?”.

“Beh…i dottori dicono che miglioro rapidamente, ma che devo continuare a non sforzarla. In ogni caso non mi preoccupo…ho un valido sostituto…”, disse Price guardando Kris.

La ragazza arrossì, anche se sperò che nessuno dei due giocatori se ne accorgesse. “Ehm…io…lo spero”, mormorò, nascondendo gli occhi sotto la visiera del cappello.

Benji osservò i compagni di squadra in campo. “Come ti ho già detto ieri, Kristian, la tecnica e le doti non ti mancano…è però necessario un allenamento speciale per potenziare il tuo fisico…”.

“Certo”.

“…Ho pensato, quindi, che la cosa migliore sarebbe quella di allenarti personalmente”, continuò Price incrociando le braccia.

Kris sgranò gli occhi. “Davvero? “.

Holly si avvicinò ai due. “Sì, anch’io sono d’accordo. Non c’è nessuno più indicato dello stesso Benji per allenarti”.

Price mise una mano sulla spalla di Grover. “Allora è deciso. Che ne dici di iniziare subito?”.

Kris sorrise.

 

La ragazza si sentiva a proprio agio fra i pali. Infilò velocemente i guanti di Price, mentre il ragazzo, fermo al dischetto, aspettava che fosse pronta.

“Da quello che ho potuto vedere ieri, Grover, il tuo problema è costituito dai tiri potenti. Non riesci a trattenere i palloni troppo forti, che puoi solo a deviare. Dovremo quindi lavorare sul potenziamento muscolare delle braccia…”.

Kris ascoltò attentamente Benji. In effetti aveva ragione…nonostante avesse praticato per diversi anni la pallavolo, le sue braccia non erano abbastanza forti per trattenere i palloni lanciati dai calciatori. “Va bene”, gridò quindi mettendosi in posizione e attendendo il primo tiro. Credeva che sarebbe stato Benji a tirare, visto che la gamba fuori uso era la sinistra, ma non fu così.

Il ragazzo si girò, e agitò una mano verso il centrocampo, dove erano concentrati gran parte dei giocatori. Uno di loro si staccò dal gruppo, e, correndo, arrivò davanti alla porta.

“Ok, Tom…i tuoi tiri sono perfetti per allenare Kris. Comincia quando vuoi”, disse Benji all’amico, allontanandosi poi dall’area di rigore.

Kristine avrebbe voluto scappare. Aveva fatto di tutto, fino a quel momento, per stare il più possibile lontano da Becker. Ma, evidentemente, il destino voleva che Tom fosse ancora lì, con lei, nel presente come lo era stato nel passato.

“Cerchiamo di rilassarci”, si disse. “Da adesso in poi Tom è solo un mio compagno di squadra. Solo un mio compagno di squadra. Non potrà mai riconoscermi. Non devo preoccuparmi”.

Becker fermò col petto il pallone che Benji gli lanciò, per poi bloccarlo col piede. Guardò Kris. “Non ti dispiace, vero, se aiuto Benji nel tuo allenamento?”.

Il sorriso di Tom incantò un’altra volta Kristine, che cercò di non pensare a quello che il ragazzo aveva significato per lei in passato. “No, no…ho appena promesso a me stessa che sarebbe stato solo…un compagno di squadra. Smettila, Kris, smettila”.

Strinse i pugni. “No di certo, Becker. Anzi, ne sono felice”.

“Bene!”. Tom si preparò a tirare. “Sono sicuro che questa volta la prenderai”.

Kris pensò un attimo alle parole del ragazzo. Di certo si riferiva al fatto che durante la prova del giorno prima non aveva neanche tentato di parare il suo tiro. “Stanne certo”.

Tom prese la rincorsa. Il pallone partì velocissimo, diretto verso un angolo della rete. Kris, concentratissima, attese il momento giusto per saltare, ma una volta che ebbe la sfera tra le mani, questa le sfuggì. Non era riuscita a trattenerla.

Cadde a terra, sapendo che il pallone era entrato ugualmente in porta, nonostante il suo tentativo di parata. “Accidenti”, disse a se stessa, rialzandosi.

Price si avvicinò. “Non abbatterti, Grover. Sei stato bravo, ma devi riuscire a trattenere questi tipi di tiri. Penso che dovremo trovarci anche fuori dagli allenamenti ordinari…”. Il ragazzo afferrò all’improvviso le braccia di Kristine, che trasalì.

“Come ti ho già detto, i tuoi muscoli sono piuttosto deboli”, disse Benji dopo aver stretto le mani intorno alle braccia del neo portiere, per verificare il loro stato di allenamento. Kristine si ritrasse velocemente, ricordandosi, dopo quel contatto ravvicinato, di essere una ragazza.

“…sarà dura, ma pensi di riuscire a venire tutti i giorni ad allenarti per un paio d’ore, verso sera? Io e Tom siamo disposti ad assisterti…”.

Kristine guardò in silenzio prima Benji, poi Tom. Fino a quel momento non aveva pensato ai sacrifici che avrebbe comportato essere portiere della New Team. Gran parte della giornata in campo, ad allenarsi fino a tardi. Meno tempo per studiare, per dormire, per rilassarsi. Si prospettava un periodo molto duro, questo era certo.

Anche per un’altra ragione. Una ragione molto seria…ma Kris preferì non pensarci, in quel momento.

“Sì, non ci sono problemi”, mentì.

Ormai, in ogni caso, non sarebbe più potuta tornare indietro.

 

Benji e Tom continuarono ad allenare Kris fino alla fine della mattinata. Solo quando il campanile di una chiesa vicina suonò mezzogiorno, la ragazza si rese conto di quanto fosse tardi.

L’intera squadra si avviò lentamente verso i margini del campo, per scendere negli spogliatoi a cambiarsi. Anche Price, Becker e Grover lasciarono l’area di rigore. “Come primo giorno non c’è male, Kris”, disse Benji soddisfatto, sorridendo alla ragazza.

Per tutta risposta, il portiere annuì, distrutto dall’intenso allenamento a cui era stato sottoposto. Non vedeva l’ora di tornare a casa per farsi una doccia e sdraiarsi sul letto. Era esausta, anche a causa del fatto che non mangiava dalla sera prima.

“Sei stanco, vero? Ti consiglio di farti una bella doccia…ti sentirai subito meglio, vedrai…”. Becker stese le braccia verso il cielo. “Penso che io farò la stessa cosa…”. Kris annuì nuovamente, troppo debole per cogliere le parole del ragazzo.

Arrivati davanti agli spogliatoi, Tom fece per scendere, ma prima si voltò per chiamare Kristine, che si era fermata vicino alle panchine con Benji. “Allora, Grover, che fai lì impalato? Forza, vieni…così ti faccio anche vedere qual è il tuo armadietto…”.

In quell’istante Kris capì finalmente cosa le aveva detto Becker pochi secondi prima. Tutti quanti lo credevano un ragazzo, e per Tom era naturale che lei si cambiasse nello stesso spogliatoio della squadra e che facesse la doccia con lui e gli altri loro compagni.

“Oh mio dio…questo piccolo aspetto non l’avevo considerato…”, pensò terrorizzata all’idea di spogliarsi davanti a una ventina di ragazzi.

Indietreggiò di qualche passo e, cercando di essere la più naturale possibile, sorrise ai due giocatori.

“Ehm…mi dispiace, ma purtroppo mi sono ricordata che devo ancora studiare una montagna di pagine di storia per domani…sapete com’è…devo correre a casa…”.

Tom la guardò un po’ stupito. “Oh…beh, va bene. Nessun problema”. Benji tentò di trattenerla ancora per qualche minuto, ma Kris, dopo aver preso la divisa appoggiata ancora su una delle panchine, si incamminò di tutta fretta verso l’uscita del campo.

Price la rincorse per un tratto, gridandogli l’ora fissata per l’allenamento speciale del giorno seguente. Grover rispose agitando una mano in segno di assenso, dopodiché scomparve oltre il cancelletto della rete che recintava il prato verde.

I due ragazzi rimasero per qualche momento in silenzio, sorpresi dal comportamento di Kristian. Poi, Benji si tolse il cappello, passandosi una mano fra i capelli scuri. “Che tipo strano. Non trovi, Tom?”.

Il giovane attaccante della New Team si appoggiò con un braccio allo stipite della porta che portava agli spogliatoi. “Già…”.

Non ne era sicuro, ma aveva la sensazione di avere provato una strano dejà vu…e non solo in quegli ultimi minuti insieme a Grover, ma anche durante quella mattinata…gli era come sembrato di aver già conosciuto Kristian…il suo viso, la sua voce…erano così…così familiari…

“Ehi”, esclamò Price avvicinandosi all’amico. “Va tutto bene?”.

Becker si scosse dai suoi pensieri. Alzò la testa. “Certo. Ascolta, che ne dici di proporre ad Holly e agli altri di andare a mangiare insieme da qualche parte? Oggi ho una fame…”.

Benji sorrise, battendo una mano sulla schiena di Tom. “Ottima idea”.

I due scesero quindi negli spogliatoi, lasciando il campo deserto.   

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Capitolo 4
*** Una Gabbia Dorata ***


Alex sentì la porta sbattere. Appoggiò i piatti sul tavolo, dirigendosi verso l’ingresso.

“Ah, sei tu…ho preparato il pranzo. Vieni a mangiare”, disse quindi dopo aver gettato un breve sguardo alla sorella, che, distrutta,  era appoggiata al muro della stanza per cercare di riprendere fiato.

“A…arrivo…”, mormorò Kris togliendosi il cappello e la giacca della tuta e buttandoli sul divano del salotto.

Raggiunse il fratello in cucina. Alex era in piedi davanti al lavandino, di spalle, che sbucciava lentamente delle carote. Kris si sedette al tavolo apparecchiato, osservando per qualche secondo il contenuto del suo piatto prima di prendere in mano la forchetta. Si fermò nuovamente.

“Cos’hai, Alex?”, disse improvvisamente alzando la testa.

Il ragazzo rimase immobile. “Cos’ho? Niente. Cosa dovrei avere, scusa?”.

“Smettila. So benissimo che sei arrabbiato. Ti conosco…”.

Per qualche istante il silenzio più totale regnò nella cucina. Poi, posando rumorosamente il coltello che aveva in mano sulla superficie metallica del lavello, Alex si girò.

“E’ da due settimane che sparisci ogni giorno per interi pomeriggi, vestendoti sempre con quell’orribile tuta…e poi raccogli i capelli per nasconderli sotto ad un cappello, ritorni a casa in uno stato tra lo shockato e il sognante e subito dopo ti rinchiudi in camera senza dirmi cosa ti è successo…mi fai preoccupare da morire, esci sempre e non ti porti mai via il cellulare, non so mai come rintracciarti e in teoria io dovrei tenerti d’occhio visto che sono il fratello maggiore e i nostri genitori non ci sono mai…e poi hai il coraggio di chiedermi che cos’ho?”.

Kris ascoltò quel fiume di parole senza dire nulla, conscia del fatto che Alex aveva perfettamente ragione. Troppo presa dagli ultimi avvenimenti che le erano capitati, non aveva pensato che le persone intorno a lei, e primo fra tutte suo fratello, avrebbero potuto notare qualcosa di strano nel suo comportamento. Ma, d’altra parte…

“Non posso certo spiegare ad Alex quello che mi è successo…se gli dicessi che mi fingo un ragazzo per poter giocare nella New Team non so proprio come reagirebbe…”, pensò Kris abbassando lo sguardo pensierosa.

Il fratello si avvicinò al tavolo. Improvvisamente, sbattè entrambe le mani sul piano di legno, facendo tintinnare piatti e bicchieri e scuotendo Kris dai suoi pensieri. La ragazza lo guardò stupita.

“Beh, mia cara, almeno uno ‘scusa’ sarebbe gradito!”, esclamò Alex fissandola infuriato.

Kris lo fissò a sua volta, poi sospirò, sorridendo. “Scusa, fratellino. Prometto che non ti farò più preoccupare”.

Il ragazzo la scrutò negli occhi ancora per qualche secondo, per poi scostarsi dal tavolo. “Brava”.

Ritornò verso il lavandino.

Nonostante quello che poteva sembrare, Kris sapeva che non bastava quell’unica frase per rassicurare Alex…decise quindi di rivelargli solo una parte di verità. La sola che, d’altronde, sarebbe riuscita a confessare.

“Ehm…vedi…è che in questi ultimi tempi…vado tutti i giorni ad assistere…agli allenamenti della New Team…”, mormorò, timorosa.

Kris attese la reazione del fratello, preparandosi al peggio. Alex non aveva mai compreso la sua passione per il calcio, ma probabilmente solo perché influenzato dalle idee dei loro genitori, totalmente contrari all’interessamento della loro unica figlia ad uno sport normalmente praticato solo da maschi. Anzi, la madre e il padre di Kris erano addirittura convinti che una ragazza non dovesse pensare a nessun tipo di sport…Kris detestava questi stupidi pregiudizi, allo stesso modo in cui detestava i suoi genitori. Certo, non poteva dire di odiarli. In fondo restavano pur sempre sua madre e suo padre, ma…il loro modo di pensare era troppo diverso dal suo. Da questo punto di vista le avevano sempre tarpato le ali, e non le avevano mai lasciato la libertà di decidere da sola, nemmeno nelle scelte personali.

Quando, a Kyoto, Kris aveva iniziato a giocare a pallavolo, c’erano voluti mesi prima di riuscire a convincere i suoi…beh, in realtà non li aveva convinti. Dopo una furiosa litigata, aveva semplicemente deciso di non ascoltarli.

Purtroppo, qualche anno più tardi, fu costretta a lasciare per sempre la sua squadra, in cui era entrata con tanta fatica, insieme a tutti i suoi amici, per trasferirsi a Fujisawa…con grande gioia, ovviamente, dei suoi genitori.

Proprio per questo motivo, adesso, Kris non poteva permettere che tutto si rovinasse un’altra volta. Non voleva più discutere, non voleva più che qualcuno gli negasse di credere nei suoi sogni…anzi, di vivere i suoi sogni.

Alex per un po’ non disse niente. Poi, girandosi verso la sorella, fece un largo sorriso.

“L’avevo sospettato, sai?” disse tranquillo.

Kris rimase per un attimo spiazzata dalla risposta, che sinceramente non si aspettava.

“…Davvero?”.

“Sì…era fin troppo evidente. Sapevo anch’io che qui si allenava la New Team…e ho pensato che, di certo, anche tu ne eri venuta subito a conoscenza. E così…non mi è stato difficile fare due più due…”, disse. Poco dopo la sua espressione diventò seria.

“Sta’ tranquilla, non dirò nulla a mamma e papà. So bene che ti proibirebbero di passare il tuo tempo ad assistere agli allenamenti della squadra. Personalmente anch’io non la trovo una cosa molto costruttiva, ma…”. Kris gli lanciò un’occhiataccia.

“…ma, in fondo, è solo grazie alla New Team se adesso hai riacquistato un po’ di serenità. Quando abbiamo lasciato Kyoto, eri davvero triste. Inconsolabile, direi. Adesso, invece…”. Alex la guardò con affetto. “Sembra che il calcio sia davvero la tua vita”.

Kristine restò in silenzio, piena di gratitudine per il fratello. Nei momenti di maggior sconforto, in quelli difficili, e durante i contrasti con i loro genitori, Alex l’aveva sempre sorretta e aiutata. Le era sempre stato vicino, e adesso, ancora una volta, era diventato suo complice…

“Grazie, Alex”, disse.

“Figurati, sorellina. Ma…”.

“Ma?”

Il ragazzo si avvicinò a lei, e agitando minacciosamente il coltello con il quale stava sbucciando le carote, esclamò: “Se però qualche bel giocatore della New Team si azzarda a metterti le mani addosso, ti assicurò che farò in modo che non possa più toccare un pallone per tutta la sua vita!”.

I due si fissarono un momento, per poi scoppiare a ridere insieme.

“Esagerato! Non devi preoccuparti di questo…vestita da ragazzo, penso che nessuno di loro mi noterà…”, disse quindi Kris riprendendo in mano la forchetta abbandonata poco prima accanto al piatto.

Alex sospirò, e, sedendosi di fianco alla sorella, appoggiò i gomiti al tavolo, sorreggendosi la testa con le mani. “Beh, questo è vero…ma non si sa mai…più che altro…la mia paura è che un altro stupido…beh, possa farti soffrire, come è già successo in passato. Quando ti innamori di qualcuno, l’amore che doni a questa persona è totale, sincero, profondo…ma vedi, molte volte questi tuoi sentimenti non vengono ricambiati allo stesso modo…e finisce che tutti se ne approfittano di te, per poi abbandonarti.

Purtroppo questo non ti è capitato una sola volta, e io lo so quanto dolore hai dovuto provare…quindi…ora…io mi preoccupo solo per te, capisci? Non voglio che questo ricapiti ancora…”.

Kris voltò la testa di scatto. Becker…

“…Beh…”, disse agitata, cercando di parlare normalmente. “…cosa…cosa ti fa pensare che io mi debba innamorare per forza di un giocatore della New Team?”.

Alex alzò le spalle. “Beh…nulla, in realtà. Però, sai, con tutti quei ragazzi belli e atletici…” disse, facendo poi una risatina.

“Eh eh…scusa…scherzavo…comunque…”. La guardò negli occhi. “Spero di non dovermi preoccupare di nuovo…Kris. Solo questo”.

La ragazza sostenne il suo sguardo per alcuni secondi, per poi tornare a mangiare. “Non lo farai…te lo assicuro”.

 

Kris salì in camera. La prima giornata di allenamenti era stata davvero dura…anche se sapeva bene che quello era stato solo l’inizio. Avrebbe dovuto resistere per tutto il campionato, e comunque fino a quando Benji non si fosse completamente ristabilito.

“Terrò duro”, promise a se stessa iniziando ad abbassare la cerniera della tuta e dirigendosi verso la porta del bagno. “La forza di volontà di certo non mi manca…”.

Immediatamente, però, si fermò.

Si girò verso il letto, sul quale era appoggiata una grossa scatola bianca.

“No…ancora un’altra volta…”, mormorò lentamente, fissando l’involucro freddamente. “Avevo detto loro che non ci sarei più  andata…ma allora non lo vogliono proprio capire!”, gridò, lanciando rabbiosamente un pugno sul muro.

Sulla porta comparve Alex.

“Sapevo che la tua reazione sarebbe stata questa…ecco perché non te lo volevo dire”.

Kris alzò la testa. “Beh, l’avrei saputo comunque, no?”.

“Già”.

I due rimasero in silenzio per qualche secondo. Poi, all’improvviso, Kristine afferrò uno dei cuscini che erano sul letto, per lanciarlo violentemente contro una parete.

“Non possono costringermi! Mi sono stancata!”.

“Kris…lo sai che questa volta non puoi rifiutarti…”.

“Questa volta? Ma se li ho sempre accontentati! Anche se sanno benissimo quanto odio gli stupidi ricevimenti che organizzano, e la loro fissazione di coinvolgermi nei loro affari…e poi sai meglio di me che fanno sempre di tutto per farmi conoscere ricchi quanto insopportabili giovani imprenditori! Mi usano come se fossi uno strumento, e puntualmente mi comprano un vestito da sera ovviamente firmato…”.

Sì fermò per riprendere fiato. Aveva gli occhi lucidi di lacrime, ma si impose di non piangere davanti al fratello.

Alex la guardava tristemente. A differenza della sorella, era sempre stato meno ribelle di lei nei confronti dei loro genitori, anche se doveva ammettere di aver disapprovato più di una volta certi loro atteggiamenti.

“Mi dispiace, Kris…stasera c’è l’inaugurazione del nuovo albergo…sai quanto mamma e papà tengono alla nostra presenza…ci saranno molte persone importanti, potenziali soci per i Grover. Dovremo fare di tutto per far fare una bella figura alla nostra famiglia…lo capisci, non è vero?”.

La sorella lo fissò furiosa. “No che non capisco! Mi sembra che siamo già abbastanza ricchi o mi sbaglio?”.

Alex la guardò a sua volta, cercando di farla ragionare. “Kris, lo fanno per noi”, disse lentamente.

A quelle parole, Kristine si avvicinò al ragazzo, fino a che non arrivò a pochi centimetri da lui. “Forse avrai anche ragione, ma ho sempre creduto che ‘avere una famiglia’ e ‘voler bene ai propri figli’ volesse dire soprattutto ‘presenza all’interno dell’ambito famigliare’! Fin da quando eravamo piccoli, non ci sono mai stati in casa…mai una gita insieme, una vacanza…solo il loro lavoro, i loro affari. Siamo cresciuti fra baby sitter e domestici, e adesso…adesso che siamo capaci di badare a noi stessi ci usano solo quando fa comodo a loro…e questo è insopportabile!”.

Alex ascoltò pazientemente lo sfogo della sorella. Per molte cose aveva perfettamente ragione…non poteva certo biasimarla. Era stato difficile per entrambi, ma soprattutto per Kris, crescere da soli…forse era per questo motivo che Alex si era sempre sentito in dovere di stare il più vicino possibile a lei, molto più di un semplice fratello maggiore.

Sospirò, avvicinandosi alla porta. “E’ per stasera alle nove. Io fra poco esco per andare all’albergo ad aiutare Nicole e gli altri ad organizzare la serata…tornerò prima delle sette per cambiarmi, e poi andremo insieme. Ciao, Kris”.

Il ragazzò uscì dalla camera della sorella. Kristine rimase immobile, gli occhi fissi sul pavimento. Dopo qualche istante, sentì la porta dell’ingresso sbattere, segno che Alex se n’era andato.

Subito dopo si buttò sul letto, disperata, finalmente libera di piangere.

“Li odio!”, urlò, dando sfogo a tutta la sua rabbia, e stringendo i lembi delle lenzuola fra le mani. “Adesso…li odio davvero!”.

 

Nonostante tutto, quella sera Kris si preparò per andare al ricevimento insieme ad Alex. Non sapeva bene perché, alla fine, aveva deciso di farlo…forse per suo fratello, o forse per evitare che i suoi genitori pensassero che fosse occupata a fare altre cose.

In questo modo, cioè, avrebbe potuto nascondere al meglio il “portiere Kristian” della New Team. In quel momento, era infatti l’unica cosa veramente importante…per mascherare la verità, sarebbe stata disposta a fare qualsiasi cosa. Anche ad assecondare il volere dei suoi genitori.

Si mise le scarpe, e avvicinandosi allo specchio si ricontrollò per un’ultima volta.

“Come odio dovermi vestire così”, si disse fissando infastidita la sua immagine riflessa. “Questa non sono io…”.

Di certo l’elegante vestito nero da sera sbracciato che indossava era molto differente dai comodi abiti sportivi che utilizzava normalmente…lungo fino ai piedi, aveva un unico spacco a lato, che arrivava fino a metà coscia. Il collo era circondato da un sottile filo d’oro, e i capelli castani, raccolti sulla nuca, erano fermati da un fermaglio con dei piccoli brillanti.

“Su, coraggio Kris…”, mormorò quindi rassegnata, afferrando la borsa e il cappotto con una mano guantata. “…passerà anche questa odiosa serata, alla fine, come tutte le cose…”.

Qualcuno bussò alla porta. “Sei pronta?”, domandò Alex, fuori dalla stanza.

Kris comparve improvvisamente davanti ai suoi occhi, aprendo subito l’anta. “Certo”.

Il ragazzo la guardò sbalordito, fischiando per l’ammirazione.

“Cavoli, sei proprio bellissima. E’ un peccato che tu non ti vesta mai così…”.

Kris gli lanciò un’occhiata storta. “Ah, ma ti prego…io detesto questi abiti…e poi, scusa, quando potrei vestirmi così? Di certo non a scuola, e nemmeno per uscire durante la giornata…”.

Alex alzò le spalle, un po’ deluso. “Beh, io dicevo così per dire…d’ora in poi non ti farò più nessun complimento…”, disse, avviandosi nel corridoio. Kristine lo raggiunse. “Dai…anche tu sei bellissimo con questo completo. La cravatta ti fa apparire molto distinto…”.

I due uscirono di casa ridendo, e solo una volta saliti sulla Mercedes ferma davanti al cancello, mandata dai genitori, ritornarono seri.

“Non volevo costringerti a venire,  Kris…”, disse Alex, una volta partiti, girandosi a guardare la ragazza, che, di fianco a lui, guardava assente fuori dal finestrino.

“No…figurati, non mi hai di certo costretta. Ho solo deciso di venirci e basta”, mormorò lei senza muovere la testa.

Il ragazzo fece per aggiungere qualcosa, ma poi, abbassando gli occhi dalla sorella, capì che sarebbe stato inutile continuare quella discussione. Si appoggiò alla schienale, sospirando. “E’ sempre così…”, pensò tristemente guardando, con aria stanca, oltre al vetro dell’auto. “…Kris si sente sempre come un animale in gabbia. Un animale imprigionato che cerca la propria libertà…”.

Il viaggio durò una ventina di minuti. L’albergo dei Grover era situato a qualche chilometro dalla costa, su una piccola altura, circondato da uno splendido giardino. La costruzione, altissima, dominava l’intera zona, e chiunque la guardava rimaneva intimorito di fronte all’imponenza del lussuoso hotel, riservato infatti solo a vip e a ricchi personaggi politici.

La Mercedes si fermò davanti all’immenso ingresso, illuminato da alti lampioni scuri. Una piccola folla di giornalisti era appostata lì vicino, in attesa, probabilmente, dell’arrivo di qualche personaggio famoso che avrebbe partecipato al ricevimento.

Kris e Alex scesero dalla macchina, camminando con passo spedito davanti alle telecamere e alle macchine fotografiche. Erano ormai abituati a quell’entrata in scena, che si ripeteva puntualmente ad ogni ricevimento e ad ogni festa organizzata dai loro genitori.

Varcarono le due altissime vetrate d’ingresso, che si aprirono silenziosamente al loro passaggio. Di fronte a loro si presentava una grande sala dal pavimento lucido simile a marmo, che rifletteva ogni oggetto e figura presente nella hall. Tre luminosi lampadari, dalla lavorazione elaborata e ricercata, pendevano dal soffitto a cassettoni dalla forma esagonale, che ricordavano quasi le cellette di un alveare.

Kris e Alex si avvicinarono al lungo banco di legno scuro situato in fondo alla sala, dove, dietro ad esso, due distinti signori vestiti con degli eleganti completi blu osservavano, seri e composti, l’ingresso delle persone nell’hotel.

“Salve Mike”, disse Alex rivolgendosi al primo dei due, un tipo sulla quarantina con un paio di spessi occhiali dalla montatura argentata. “Per caso siamo in ritardo?”.

Il buffo omino accennò un piccolo sorriso nel momento in cui riconobbe i due ragazzi. “Ah, signor Alex…signorina Kristine…I vostri genitori attendevano con impazienza il vostro arrivo. E’ da parecchi giorni che non vi vedono, mi è stato detto…in ogni caso non siete in ritardo…gli ultimi ospiti sono arrivati solo pochi minuti fa…”.

Alex sorrise, e, dopo aver salutato Mike, prese per un braccio Kris, che, in disparte, stava fissando il pavimento silenziosamente.

“Su…cerca almeno di sorridere…”, le bisbigliò quindi il fratello non appena furono entrati in un secondo salone, molto più grande della hall, situato alla destra di questa.

Un lungo tavolo, che circondava tre lati della stanza, era ricoperto da ogni tipo di piatto, fra dolci, antipasti, aperitivi, vini, bevande di ogni genere, bicchieri di cristallo trasparente e immensi vassoi…decine e decine di persone elegantemente vestite affollavano lo spazio intorno alle tavolate, parlando animatamente, mentre una piccola orchestra, in un angolo, creava il sottofondo musicale.

Kris si strinse al braccio di Alex. “Altro che sorridere…solo vedere questa gente mi fa venire l’angoscia”, mormorò la ragazza cercando di mantenere la calma. “E se penso a…”, fece per continuare, ma in quel momento qualcuno la chiamò.

I due fratelli si girarono. Una bella signora dai corti capelli neri un po’ mossi, leggermente truccata e con un lungo vestito azzurro li guardava sorridente; di fianco a lei un alto signore con uno smoking nero e sottili baffi scuri teneva in mano due bicchieri di vino rosso.

“Eccovi, finalmente! Oh, Kristine, sapevo che quel vestito ti sarebbe stato d’incanto…”, esclamò la signora avvicinandosi, allargando le braccia per stringere a sé Kris. Ma la ragazza si liberò subito da quell’abbraccio, scostando infastidita il viso profumato della madre da sé.

“Ciao”, disse solo abbassando lo sguardo, con voce incolore. “Spero che vi siate divertiti in questa settimana…”.

Alex si voltò a guardare la sorella che, ostinatamente, continuava a comportarsi come sempre. “Kris…”.

Il signor Grover si schiarì la voce, cercando con gli occhi lo sguardo della figlia. “Cara, lo sai che non ci assentiamo per divertirci…”, disse con una voce profonda e un po’ roca.

“…è proprio questo il problema…”, mormorò Kristine voltandosi dalla parte opposta, con un leggero sorriso sarcastico sulle labbra. “…ma tanto non lo capirete mai”.

La signora Grover si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. “Hai detto qualcosa, scusa?”.

“No, no…nulla”, rispose la ragazza, scomparendo in mezzo alle persone addensate al centro del salone, mentre l’orchestra attaccava con un motivo veloce e ritmato. Era meglio allontanarsi subito, prima di scoppiare…

“Ma…Kris! Dovevo presentarti delle persone! Accidenti…ma si può sapere che cos’ha sempre quella ragazza? Alex…per caso è successo qualcosa che non sappiamo?”, disse preoccupata la madre dei due ragazzi prendendo un bicchiere di vino dalla mano del marito.

Il ragazzo si passò una mano fra i capelli castani, sospirando. “No…non è successo niente. Forse…è solo un po’ stanca, tutto qua…”.

Il signor Grover corrucciò la fronte, guardando il figlio. “E’ stanca? E per cosa dovrebbe essere stanca? La scuola è appena ricominciata…”. La madre di Alex si associò al marito. “Già…non è che…per caso si è di nuovo iscritta a qualche club sportivo, o magari a una palestra? Sa bene che non sopporto che una ragazza come lei corra, salti e sudi…”.

Alex le lanciò un’occhiataccia, sorprendendosi ancora nel sentire che razza di idee avevano in testa i suoi genitori, specialmente sua madre. Forse era stata una fortuna, dopotutto, che lui e Kris non fossero stati cresciuti da lei…perlomeno avevano evitato di diventare snob e viziati, incredibilmente noiosi e pieni di mille pregiudizi.

“Non fa nulla del genere, mamma, tranquilla…volevo dire che sarà solo un po’ in ansia per il ritorno a scuola…”, rispose quindi il ragazzo cercando di sembrare sincero. Si girò.“Beh…ora è meglio che vada a vedere dove si è cacciata!”.

Detto questo, Alex si allontanò dai suoi genitori per confondersi tra la folla di invitati, proprio come aveva fatto la sorella pochi minuti prima. Di certo non moriva dalla voglia di essere presentato a mille uomini d’affari e a ricche signore per tutta la serata… era quella infatti l’occupazione preferita da sua madre e suo padre ad ogni ricevimento che organizzavano o al quale erano invitati. Sua sorella, naturalmente, la detestava…

Alex attraversò la sala superando gruppi di persone che chiacchieravano animatamente e coppie danzanti, fino ad arrivare davanti alla grande tavolata imbandita, ricoperta da ogni tipo di piatto e stuzzichino che si potesse immaginare.

Sorrise, mentre con una mano prendeva un piccolo panino da un vassoio. “Ecco l’unica cosa positiva di queste feste…”.

 

Intanto Kristine, salita sulla terrazza dell’hotel per allontanarsi il più possibile da quell’ambiente che non sopportava, osservava silenziosamente il curatissimo giardino sotto di lei che circondava l’edificio. Immerso ora nel buio della sera, era illuminato qua e là solo da qualche lampione: gli ultimi grilli estivi diffondevano il loro canto nella tiepida aria notturna e Kris, appoggiata coi gomiti sul davanzale della balconata, chiuse gli occhi, per ascoltare quel sommesso e tranquillizzante mormorio.

“Aah..qui fuori va molto meglio”, disse a se stessa con il viso fra le mani, rilassandosi finalmente dopo quel pomeriggio di nervosismo e tensione. “…qui dove non ci sono né i miei, né quegli insopportabili snob che non voglio nemmeno conoscere…”.

In quel momento qualcuno, dietro di lei, mosse un passo avvicinandosi al davanzale di pietra rosata. Kris si voltò.

“Sapevo che non saresti rimasta per più di cinque minuti in mezzo a quella gente”, disse una bella ragazza dai capelli rosso scuro,  un po’ mossi e con un corto tubino nero, venendole incontro sorridente. Arrivata di fianco a Kris, la guardò con aria stupita.

“Beh…sinceramente non pensavo nemmeno che saresti venuta”, continuò quindi.

Kristine le sorrise tristemente. “Oh, Nicole…se fosse stato per me ti assicuro che non mi avresti vista stasera…”.

“E per cosa sei venuta allora?”.

“Beh…per…no, …no…niente”, mormorò Kris stringendosi nelle braccia.

Nicole volse i grandi occhi castani verso un punto lontano all’orizzonte, rimanendo in silenzio per qualche secondo. Poi, dopo un grande sospiro, sorrise.

“Hai accontentato Alex, non è così? L’ultima volta mi avevi assicurato che non avresti più partecipato a nessun ricevimento dei tuoi…e invece…”.

“Già. Ma questa volta è davvero l’ultima. Sai, mi sono decisa a venire anche per un mio motivo personale, ma adesso sono giunta alla conclusione che non era affatto necessario…mah, forse cercavo solamente una ragione per ascoltare mio fratello…non volevo che ci rimanesse male. Lui non è come me…non è capace di dire di no ai miei…”.

Nicole buttò dietro alla spalla una ciocca di capelli rossi, girandosi per guardare Kris negli occhi.

“Non è che forse non volevi deludere nemmeno i tuoi genitori?”.

Kristine la fissò, spalancando gli occhi. “Ma nemmeno per sogno! Non mi importa niente di quello che pensano di me…e poi, figurati! Non si sono mai preoccupati né di me né di Alex!” esclamò quindi, allargando le braccia.

“Io non penso, Kris”.

Le parole di Nicole rimasero come nell’aria per qualche istante, per poi arrivare a Kris che, con una mano appoggiata sulla fronte, guardava il proprio braccio appoggiato sul davanzale, il viso immobile. Sentiva uno strano nodo formarsi lentamente in gola, bloccandole il respiro.

“E’ che…loro non capiscono. Non hanno mai capito. Pensano di farmi il bene maggiore lavorando come dei matti, guadagnando sempre più soldi…ogni giorno di più…ma io non l’ho mai voluto, e penso nemmeno Alex. Volevo solo…ho sempre voluto…solo dei genitori. Che mi leggessero delle favole la sera, o mi accompagnassero a scuola, o…o facessero una vacanza con me…non ho mai chiesto molto, in fondo. Tutto questo non è niente per me…feste, soldi, vestiti firmati…niente vale come una vera famiglia. Capisci ora perché sono arrivata ad odiare questa gente? Questo tipo di vita? Mi sento come imprigionata…imprigionata in qualcosa di costruito, di falso…non è quello che desidero. Mia madre e mio padre non riescono a capire quali sono i miei sogni…le mie aspirazioni…le cose che voglio fare…che desidero davvero!”.

Nicole guardava comprensiva Kris, che, coprendosi il viso con una mano, iniziava a piangere silenziosamente.

Si accostò a lei, circondandole le spalle con un braccio. “Non abbatterti, piccola. Ti capisco, sai? So cosa è significato per te stare da sola, e crescere senza dei punti di riferimento…per fortuna Alex ti è sempre stato vicino. Ma…alcune volte pensa a chi non è fortunato come te…pensa a chi non ha nulla, oppure a chi non ha neanche una famiglia. Sono queste le persone che soffrono veramente…”.

Si fermò un attimo, abbassando gli occhi. “E poi, ti assicuro che dietro a quell’apparenza un po’ superficiale i tuoi nascondono moltissimi lati positivi…parlo per esperienza, Kris. Ormai li conosco molto bene, anche se lavoro per loro solo da cinque anni. E’ vero…molte cose non riescono a comprenderle, certi atteggiamenti nei tuoi confronti sono sbagliati, ma…sicuramente ti vogliono un gran bene, come tutti i genitori verso i propri figli, del resto. Adesso, come dici tu, credono di fare il meglio per te e Alex, assicurandovi una futura e solida sicurezza economica…ma un giorno capiranno i loro sbagli, e vedranno in te quello che non avevano capito prima. Vedrai…per adesso, cerca di accontentarli dove è possibile e, anche se questa vita ti va un po’ stretta, stringi i denti e sopportala. Intanto, insegui i tuoi veri sogni con caparbietà e coraggio, mettici passione ed entusiasmo…e non mollare.

Sicuramente, alla fine, quando conquisterai ciò che hai sempre voluto, tutti si renderanno conto di qual è la vera Kris. E saranno orgogliosi di te…specialmente i tuoi genitori”.

Kris scostò la mano dal viso, e guardò l’amica, con gli occhi ancora lucidi.

“Nicole…”, riuscì a dire, anche se il nodo le stringeva ancora la gola.

La ragazza le sorrise, piena d’affetto. Allora Kristine le buttò le braccia al collo, per stringere una persona che era sempre stata per lei come una sorella maggiore, o una seconda madre.

“Grazie”, mormorò quindi, affondando il viso fra i folti capelli di Nicole che, intanto, le accarezzava rassicurante la testa. “Ora…sto molto meglio”, disse poi Kris guardandola, visibilmente risollevata. “Potrei anche riuscire a tornare là dentro”, aggiunse indicando la vetrata dietro di loro.

Scoppiarono a ridere. “Sì, forse è meglio ritornare in sala…altrimenti Alex potrebbe pensare che sei fuggita!”, disse Nicole avviandosi verso le scale che riportavano al piano di sotto.

Kris la raggiunse, prendendola sottobraccio. “No, impossibile! In questo momento sarà troppo occupato a mangiare…”.

“Sì, hai ragione!”.

Continuarono a ridere fino a che non ritornarono nel grande salone. Kris adesso era realmente più serena, anche se sapeva bene che quel discorso non avrebbe potuto cambiare nel concreto il rapporto fra lei e i suoi genitori…almeno per il momento.

In ogni caso, ora sapeva come avrebbe dovuto comportarsi.

E, per quanto riguarda i suoi sogni, beh…quelli non li avrebbe mai abbandonati. E in particolar modo uno.

“Ma la vera lotta per realizzarlo inizia domani…”, pensò, piena di rinnovato coraggio. “Un giorno…sarete fieri di me”.

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Capitolo 5
*** Il Nostro Ricordo ***


Dopo quella domenica, le giornate di Kris si fecero sempre più intense. La mattinata e parte del pomeriggio la passava naturalmente a scuola, e, tornata a casa, aveva solo un paio d’ore per studiare e per riposarsi. Dopodiché, doveva correre al campo per allenarsi fino a tardo pomeriggio insieme al resto della squadra. Dopo aver mangiato, verso le nove di sera, vi ritornava poi per gli allenamenti speciali supervisionati da Price e Becker.

Era una vita sicuramente molto faticosa, e Kris se ne rese conto alla fine della prima settimana, quando, quel sabato, arrivò come sempre, trafelata ma puntuale, per gli allenamenti di potenziamento.

Il campo, deserto, era illuminato solamente dai quattro grossi fari posizionati agli angoli del campo; l’erba era bagnata a causa della breve pioggia di quel pomeriggio, e Kris respirava a pieni polmoni quel fresco e piacevole odore di umido sospeso nell’aria senza suoni della notte.

Percorse un tratto del perimetro del rettangolo verde per arrivare davanti alla porta che portava agli spogliatoi, aspettandosi di trovare Price e Becker fermi ad aspettarla lì davanti,  come ogni sera.

Con sua grande sorpresa, però, si accorse che non c’era nessuno.

“Strano…”, si disse guardandosi intorno. “Dove saranno? Cavoli…forse avrei dovuto dare loro almeno il mio numero di cellulare…per rintracciarmi casomai fosse successo qualcosa…”.

Sospirò. “Fra l’intensità degli allenamenti e la paura di essere scoperta non ho per niente pensato a questo genere di cose…uff…”, pensò Kris sedendosi su una delle panchine a fianco. “Vorrà dire che me ne dovrò tornare a casa subito per questa sera…ora però sono stanca morta…mi riposerò un momento…”, disse ad alta voce, stiracchiando le braccia verso l’alto e appoggiandosi allo schienale.

Ad un tratto la porta dello spogliatoio si aprì, facendo trasalire Kristine, che saltò in piedi spaventata.

“Kristian!”esclamò Tom Becker. “Credevo di non essere riuscito ad arrivare in tempo e che tu te ne fossi già ritornato a casa…per fortuna sono risalito a controllare…mi stavo già cambiando per andarmene…”.

Kris rimase per qualche istante senza parole mentre il ragazzo, davanti a lei, la guardava con la maglietta della squadra buttata su una delle spalle nude, con indosso solo i pantaloncini bianchi della divisa e gli scarpini neri.

“Beh? Che c’è?”, disse Becker avvicinandosi. “C’è qualcosa che non va, Kris?”.

La ragazza, rossa in viso, si girò immediatamente dall’altra parte, portandosi le mani alle guance. “N - no, no! Nulla…”, rispose impacciata, cercando di nascondere l’imbarazzo. “Piuttosto…come…come mai sei da solo stasera?”.

Tom si infilò la maglietta. “Vedi, sono tornato qualche minuto fa dalla casa di Price…in questa settimana ha sforzato nuovamente troppo la gamba, e per questo motivo non potrà allenarti per i prossimi giorni. Ha bisogno di riposo assoluto, o almeno è questo che mi ha detto Freddie. Quindi…”. Sorrise. “…penso che dovrai accontentarti di un solo allenatore per un po’!”.

Sorrise nuovamente, e Kris sentì una fitta al cuore. Sapeva che se solo avesse potuto abbracciarlo nelle vesti di Kristine, non l’avrebbe più lasciato…

“Non preoccuparti…non mi lamento di certo, Becker…”, mormorò, guardandolo dolcemente.

Tom le rivolse uno sguardo stupito, e immediatamente la ragazza si rese conto di essersi lasciata trasportare dai sentimenti.

Sperò che i suoi occhi non l’avessero tradita: abbassò la testa, e senza aggiungere alcuna parola iniziò a camminare verso una delle porte.

Il numero 11 della New Team restò invece in piedi, fermo nello stesso punto. Poi, lentamente, si girò a guardare il compagno di squadra.

“Kristian…”, disse.

Kris si voltò. “…Sì?”

Anche se erano distanti ormai parecchi metri e Becker era immerso nella penombra, la ragazza capì che Tom la stava guardando negli occhi.

“Forse…forse ti sembrerà una sciocchezza, ma ho l’impressione di averti già conosciuto”, disse lui, avanzando di qualche passo.

Kristine trattenne il respiro. “Oh, cavoli…lo sapevo…”, pensò allarmata, mentre il ragazzo si avvicinava a lei.

Si schiarì la voce, cercando di rimanere calma. “Ehm…davvero? Beh…no, non penso…mi ricorderei di te…forse…forse mi stai confondendo con qualcuno che mi somiglia…”.

Tom si fermò accanto a lei. “Beh…sì…forse hai ragione…sai, è da quando ti ho visto la prima volta che…che il tuo aspetto mi dà una forte sensazione di deja-vù…e pochi secondi fa ho creduto per un attimo di ricordarmi…”.

Kris teneva lo sguardo abbassato, il cuore che le batteva all’impazzata. “…di…ricordarti cosa?”, disse piano.

Becker fece per finire la frase, per poi rinunciarci con un profondo sospiro. “No…niente, niente. Lascia perdere…”.

Il ragazzo si allontanò, per andare a procurarsi i palloni da utilizzare nell’allenamento in un angolo del campo. Kris lo guardò camminare, ringraziando dio che il tutto fosse finito lì…

“Tom…”, disse a bassavoce dirigendosi fra i pali. Tirò fuori i guanti di Price. “Non sai quanto vorrei poterti dire la verità, ma…”. Se li infilò con decisione, prima uno, poi l’altro. “…ma adesso c’è qualcosa di più importante a cui devo tenere…”.

Aspettò quindi che il ragazzo tornasse, preparandosi ai tiri che avrebbe dovuto parare quella sera. Alzò la testa, per guardare il cielo ormai scuro. “Possibile che Tom si ricordi ancora di me? In fondo…”.

Immersa nei suoi pensieri, Kris non sentì la voce di Becker gridarle di fare attenzione alla palla che aveva appena tirato, che si stava dirigendo a tutta velocità verso l’angolo della porta opposto a quello a cui Kris era vicina.

La ragazza vide la sfera solo all’ultimo momento, ma grazie a un poderoso colpo di reni riuscì lo stesso ad afferrarla prima che questa si insaccasse in rete.

Con il pallone stretto al petto, Kristine riaprì gli occhi, ma che subito dopo socchiuse a causa della forte folata di vento che le stava ferzando il viso. Riusciva a vedere l’ampia distesa di corta erba verde davanti a lei ondeggiare lievemente. Si rialzò, passandosi una mano sui pantaloni sporchi di terra.

“Ehi, Tom! Credevi di riuscire a farmi goal cogliendomi in un momento di distrazione? Eh eh…mi dispiace, ma come vedi ho parato il tuo tiro senza problemi…”, disse Kris sorridendo vittoriosa al ragazzo che, lentamente, si avvicinava a lei.

Ma Becker non stava sorridendo. Il suo viso era contratto in un’espressione di incredulità mista ad un velo di tristezza…gli occhi color nocciola erano fissi su Kristine, che a sua volta lo guardava senza capire.

“Becker…cosa…”.

Tom avanzò ancora di qualche passo, fermandosi a pochi metri dalla ragazza.

“Ora ricordo…Kristine. Tu sei Kristine di Kyoto”.

Il portiere della New Team pensò, per un attimo, di non aver ben capito ciò che Becker aveva appena detto. Poi, scorgendo il suo cappello bianco in terra, appena dietro al ragazzo, comprese immediatamente quello che era appena successo.

Si tolse un guanto, e portò la mano alla testa: i suoi lunghi capelli castani le scendevano sulle spalle e ai lati delle guance, sfiorandole la pelle.

Il vento le aveva strappato via il cappello senza che se ne accorgesse.

Tom aveva scoperto il suo segreto…e si era ricordato di lei.

 

Il vento continuava a soffiare, scompigliando i capelli di Kris che, immobile, guardava disperata Tom, anch’egli fermo davanti alla ragazza. Nessuno dei due riusciva a dire una parola.

Poi, finalmente, Kristine abbassò gli occhi da Becker. Ormai non c’era più niente da fare. Tanto valeva spiegargli come stavano le cose…

“Tom…” iniziò a dire, la voce che le tremava. “Mi…mi dispiace. Non volevo ingannare nessuno. L’occasione si è presentata e…e l’ho colta al volo. Volevo assolutamente giocare con voi…non ho pensato a ciò che avrebbe comportato tutto questo. Perdonami…”. La ragazza continuava a fissare il terreno. Non sarebbe più riuscita a guardarlo negli occhi…

Il giocatore della New Team rimase in silenzio. Poi, dopo essersi avvicinato ulteriormente a Kris, la abbracciò improvvisamente, tanto che la ragazza, colta alla sprovvista, rimase senza fiato.

“Sì, sei proprio tu…”, mormorò Tom, stringendola. “…non avrei mai pensato che un giorno…ti avrei rivista. Tutte…tutte le volte che ripartivo con mio padre…accettavo sempre, alla fine, di lasciare amici e compagni di classe, per seguirlo in giro per il mondo. Ma non ho mai sofferto come nel giorno in cui me ne andai da Kyoto…dove avevo conosciuto te…Kristine”.

Kris non si mosse. La sua guancia era appoggiata alla spalla di Becker, e la ragazza riusciva quasi a sentire il battito del suo cuore. Avrebbe voluto rimanere così per sempre…

Ma, purtroppo, poco dopo Tom la allontanò da sé, per cercare il suo sguardo nei due occhi castani, lucidi di lacrime. Ora più di prima, però, Kris non sarebbe riuscita a sostenere lo sguardo di Becker.

“Tom…non sapevo…che tu facevi parte della New Team…per me…è stata una sorpresa ritrovarti qui. Comunque…”. Sorrise, senza rendersi conto di essere diventata rossa. “…sono felice di averti incontrato”.

Becker sorrise a sua volta, un sorriso dolcissimo che però Kris non riuscì a vedere.

“Anch’io…e ti posso assicurare che non ti devi scusare di nulla. Non so perché tu non mi abbia detto la verità subito…ma…avrei dovuto in ogni caso capirlo che quel formidabile e agile portiere di nome Kristian eri in realtà tu, Kristine. Una volta…me l’avevi detto…”.

“Detto…detto cosa?”.

“Che un giorno o l’altro avresti fatto anche carte false per poter realizzare il tuo piccolo sogno”.

Kris alzò un po’ gli occhi, sorpresa. Tom non si era mai scordato di lei, e di ciò di cui, in quel breve ma intenso periodo, avevano parlato…

“Allora non sei arrabbiato?” disse lei con un po’ di timore.

“Ma certo che no! Come potrei? So bene quanto credi in quello che fai…sei sempre stata coraggiosa e decisa, Kristine. Ho pensato molte volte a te, dopo che ripartii da Kyoto. Sapevo che saresti riuscita sicuramente a diventare tutto quello che volevi. Sei una ragazza in gamba…come ce ne sono poche”. Tom avvicinò una mano al viso della ragazza, sollevandolo.

“Non hai motivo quindi di non guardarmi negli occhi…e neanche di piangere”.

Kristine sentì le dita di Becker alzarle il mento. Suo malgrado, si ritrovò a guardare in faccia il ragazzo.

“No…no…è che…non credevo che tu…capissi perché vi ho ingannato. E nemmeno…che ti ricordassi di me”. Fece un profondo sospiro, lasciando poi che le lacrime le scendessero finalmente sulle guance, libere.

“La verità è che mi sei mancato”, disse con la voce rotta da quel pianto di liberazione.

Tom si trattenne dall’abbracciarla nuovamente, limitandosi ad accarezzarle i folti capelli castani, per lungo tempo tenuti nascosti dalla ragazza. Un senso di infinita nostalgia lo assalì.

Continuò a passarle le dita fra i capelli. “Anche tu. Ho potuto stare con te solo per poco tempo, ma in realtà eri diventata la più cara amica che avessi mai avuto. Un’amica che adesso ho ritrovato e…”. Esitò. No, per ora era meglio non dire nulla.

“…e che non voglio più perdere”, preferì concludere.

Kris si asciugò le guance. “Grazie. Sai, in questi ultimi tempi non posso dire di avere molto fortuna con gli amici, nei rapporti sociali in generale e…beh, soprattutto con la mia famiglia…”.

Becker la guardò tristemente. “Hai sempre lo stesso problema con i tuoi genitori, vero?”.

La ragazza sospirò. “Già…adesso sto iniziando a sforzarmi di capire il loro atteggiamento. Ma loro…ecco, non penso proprio che loro capiranno mai il mio”.

Ci fu qualche secondo di silenzio assoluto. Il vento si era calmato, e al sua posto aveva iniziato a soffiare una brezza quasi tiepida, piacevole. I due ragazzi iniziarono a camminare lentamente per il campo, l’uno di fianco all’altra.

“Sai, quando ti sei presentata come Kristian Grover, al momento non ero riuscito a ricordarmi dove avevo già sentito quel cognome…solo poco fa, quando ti ho riconosciuta, ho capito ogni cosa. Eri per forza Kristine Grover…figlia dei proprietari della catena di alberghi Grover…”. Si girò a guardare l’amica, comprensivo. “Sono certo che i tuoi genitori abbiano a cuore la tua felicità più di quanto pensi…”.

Kris mise le mani nelle tasche dei pantaloni. “Una persona, qualche giorno fa, mi ha detto la stessa cosa…ma sai, è difficile da accettare quando tua madre e tuo padre ti costringono, ad esempio, a lasciare la città dove hai vissuto per una vita, insieme a tutti i tuoi amici…”.

Becker alzò lo sguardo al cielo. “Kristine…nessuno può capirti più di me…fin da quando ero piccolo, ho dovuto dire addio a moltissime persone, come ben sai. Ma non ci potevo fare nulla…scegliendo di vivere con mio padre, avevo accettato, di conseguenza, di seguirlo ovunque…gli volevo bene…anche se ad ogni partenza soffrivo, non mi sono mai pentito di essere rimasto con lui. Ma forse…forse il tuo caso è un po’ differente…”.

Kristine scosse la testa. “No…in questo hai ragione…i miei hanno deciso di venire qui per lavoro…ma vedi, penso che ci sarebbero state anche altre possibilità. Avrebbero potuto, ad esempio, lasciare l’amministrazione del nuovo albergo in mano a qualcun’altro…e invece hanno voluto dirigerlo personalmente…è questo che non mi va giù…”.

Il ragazzo preferì non dire più nulla sull’argomento. Ma Kris continuò.

“…comunque, non è solo la questione del trasferimento…sono anche i mille pregiudizi che hanno verso tutto e tutti…il loro stile di vita…l’ambiente in cui vivono e nel quale vogliono farmi vivere…ma io mi sento un’altra persona, capisci? Voglio essere libera di fare quello che voglio…come diventare portiere della New Team, ad esempio!”.

Becker la guardò. “E scommetto che loro non lo dovranno mai scoprire, non è vero?”.

“Già”.

Tom non disse nulla per qualche secondo.

“Sai…” riprese, poco dopo. “…di certo quello che hai fatto non è legale, ma io sono con te. Non intendo dire nulla…questo segreto un po’ mi peserà sicuramente sul cuore, ma nel tuo gesto non c’è niente di male. Tenti solo di realizzare un sogno, non è così? E poi…penso proprio che sarai il miglior portiere di questo campionato, Kris…ho molta fiducia in te”, disse lui sorridendole.

La ragazza abbassò gli occhi, imbarazzata. “Grazie…ma di sicuro non riuscirò mai a raggiungere il livello di un campione come Price…”.

“Lo ammiri molto, vero?”.

“Moltissimo. E’ sempre stato il mio modello da seguire…purtroppo, essendo una ragazza, non avrò mai le possibilità che invece si presentano, in questo sport, ai ragazzi. Per questo, come dici tu, sto tentando di realizzare il mio sogno in questo modo. Anche solo per un campionato”.

“Capisco. Rivelerai la verità alla squadra, alla fine di tutto?”.

Il viso di Kristine si rattristò improvvisamente. “Beh…ancora non lo so…potrebbero sentirsi traditi, e io non voglio…forse…forse sparirò semplicemente, senza farmi più vedere…anche se non sopporto l’idea di dire addio a Hutton e agli altri…sai…già mi sto affezionando a tutti loro…era da tanto che non sentivo vicino tanti amici”.

Tom annuì silenziosamente. Capiva bene quello che Kristine voleva dire. L’aveva provato anche lui, moltissime volte…

“Hai ragione…sono persone fantastiche. Io le conosco da molto tempo…e soprattutto Holly…sa essere un vero amico”. Tom sorrise al pensiero di tutto quello che, nel corso degli anni, aveva passato insieme ad Hutton.

“In ogni caso…” . Si fermò, voltandosi verso la ragazza. “…per adesso non pensarci. Dimentica i problemi, e vivi il presente fino in fondo. Assapora ogni momento…vedrai che non te ne pentirai. Impegnamoci insieme per portare la New Team alla vittoria…sono sicuro che ce la faremo. E poi, adesso non sei più sola. Ci sono io con te”.

Kristine guardò dolcemente il ragazzo. “Certo. E ti ringrazio tanto…”.

Camminarono fino agli spogliatoi. Kris era veramente molto stanca, tanto che, ad un certo punto, quasi cadde a terra per la debolezza. Per fortuna Tom la prese al volo per le braccia, sostenendola. La guardò preoccupato.

“Penso proprio che tu non ti regga più in piedi, dopo una settimana simile”, le disse quindi Becker, aiutandola a sedersi su una delle panche.

Kristine si portò le mani alla testa, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. “In effetti ho paura di non riuscire a sostenere questo ritmo per molto tempo…non ho che un’ora scarsa per riposarmi ogni giorno…e poi la scuola…lo studio…e mio fratello. Prima o poi sono sicura che verrà a conoscenza di quello che gli tengo nascosto. Sai…è un tipo molto apprensivo, protettivo nei miei confronti…non so più cosa inventarmi per giustificare, ogni sera, l’ora a cui rientro. E la mia casa è dall’altra parte della città…”.

Chiuse gli occhi, e Tom si sedette accanto a lei. “Stai facendo molti sacrifici, Kris. Non sono più tanto sicuro che…”.

Ma la ragazza lo interruppe, agitando una mano. “No, no…non dire altro. Ho sbagliato io a dirti queste cose…non preoccuparti. Ce la farò. Mi costerà molto questa vita, ma ne varrà la pena. Sono forte…molto più di quanto pensi”.

Becker la osservò. Fece per dire qualcosa, quando Kris, improvvisamente, si rialzò.

“Oh, cavoli, a forza di parlare, alla fine, stasera non mi sono allenata!”, esclamò, apparentemente piena di energia.

Si girò verso l’amico. “E’ tutta colpa tua! Se Benji lo sapesse!”, disse, fissandolo accigliata. Dopo un istante, però, scoppiò a ridere.

“Mi sa che davvero hai bisogno di una bella dormita…”, le rispose il ragazzo, divertito. “Per stasera, Kristine, basta così…è meglio!”.

Kris però continuava a ridere.

“Forza…ti accompagno. Non è bello che tu ritorni ogni sera a casa da sola…d’ora in poi verrò sempre con te. Anche i mezzi pubblici non sono molto affidabili…”.

La ragazza rise ancora per po’, poi si zittì. Senza incrociare il suo sguardo con quello di Tom, ad un tratto si aggrappò a lui. Nascose il viso nel petto del ragazzo, stringendolo come se non volesse più lasciarlo andare.

“Ehi, Kris…tutto bene?” disse Becker circondandole le spalle con un braccio.

Lei, con gli occhi semichiusi, sorrise. “Sono così contenta di averti ancora vicino…per me…significa molto”.

Tom la strinse forte. “Non sai quanto significhi per me…”, pensò, guardandola.

 

Dopo che Tom si fu vestito, i due lasciarono il campo. Pochi minuti dopo erano già sull’autobus.

Tom sperava che fossero saliti su quello giusto…Kristine, infatti, troppo stanca per continuare a parlare, si era sorretta al ragazzo per tutto il tragitto dal campo fino alla fermata del mezzo. Adesso, in uno stato fra il sonno e la veglia, era seduta di fianco a Tom, la testa appoggiata al vetro.

“Kris…dovresti dirmi dove abiti…”, mormorò a bassa voce Becker all’orecchio della ragazza.

Lei, per tutta risposta, si strinse nelle braccia conserte, pronunciando poi lentamente il proprio indirizzo.

“Beh, speriamo almeno che sia quello giusto”, si disse quindi Tom ridendo.

L’autobus viaggiava a velocità moderata, e procedeva per il tragitto senza fretta.  Quella sera era completamente vuoto, e loro due erano gli unici passeggeri. Anche se era sabato, poi, in giro non c’era un’anima viva. I lampioni lungo i marciapiedi illuminavano tristemente le vie, creando con la loro luce soffusa un forte senso di solitudine mista alla nostalgia per qualcosa che non c’è più. Tutto appariva vago, come sospeso nel tempo. 

Sembrava che il mondo si fosse fermato…ma per Tom, il silenzio di quella notte di fine estate era più bello di mille parole. Un silenzio pieno di ricordi, un silenzio dolce e caldo rotto solo dal respiro regolare di Kris, che dormiva tranquilla rannicchiata sul sedile di quell’autobus deserto, col sorriso sulle labbra.                

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Capitolo 6
*** Tempo che Scorre ***


“Ehi! Allora, parlo con te…ci sei o no?”.

Kristine alzò finalmente lo sguardo. Una delle sue compagne di classe, Judith, la stava osservando pensierosa.

“Ti sei innamorata, eh?”, disse alla fine la ragazza con un grande sorriso. “Ti si legge a caratteri cubitali in faccia…eh eh…”, continuò, ridacchiando, mentre Kris si voltava verso la finestra con un grande sospiro, alzando la testa dal banco. “Beh…”

Sabato sera, alla fine, era successo. Becker aveva scoperto tutta la verità…per fortuna, però, l’aveva presa bene. Anzi, molto bene…Tom non l’aveva mai dimenticata. Aveva sempre tenuto alla loro amicizia…un’amicizia che, adesso, era ancora presente, forse più forte di prima. E che magari si sarebbe trasformata, in futuro,  in qualcosa di più…

“…Chi lo sa!”, esclamò quindi allegra Kris guardando l’amica. “Può darsi…può darsi!”.

Judith squadrò Kristine allibita, cercando di dire qualcosa, ma proprio in quel momento suonò la campanella. Le lezioni erano terminate.

“Ciao Jude! Ci vediamo domani!”, disse Kris afferrando la cartella ai piedi del banco, per poi uscire, come un fulmine, dalla porta dell’aula insieme agli altri studenti.

L’amica dai corti capelli neri rimase ben presto l’unica persona presente nella classe.

“Ehi…ma che energia!”. Incrociò le braccia, volgendo gli occhi alla sedia dove, poco prima, era stata seduta Kristine.

Sorrise. “Kris felice. E’ la prima volta che la vedo così, da quando si è trasferita. Bene, molto bene…”.

 

Decine e decine di ragazzi si dirigevano verso il cancello del Liceo Superiore privato Syutetsu, attraversando velocemente il grande cortile circondato da alberi sempreverdi che li separava dall’uscita.

Kristine camminava da sola in mezzo alla folla, guardando soprappensiero il cielo sopra di lei, coperto da un’infinità di nuvole bianche. Il tempo stava lentamente cambiando e l’aria, fino a pochi giorni prima tiepida e piacevole, si era trasformata in un vento fresco, anche se raramente forte o pungente. Nonostante l’autunno fosse ormai alle porte, però, Kristine non era né malinconica, né triste. Anzi, forse, da quando era venuta a vivere a Fujisawa, non si era mai sentita così serena come in quel momento.

Il suo pensiero andò ai suoi compagni di squadra. A Holly, a Benji, a Tom. I suoi amici.

“Se Jude sapesse della mia seconda vita…chissà cosa direbbe…”, disse ad alta voce Kris, sorridendo. “Beh…magari un giorno gliene parlerò! Per adesso, è meglio non complicare maggiormente le cose…”.

Arrivata al cancello, superò un gruppo di studenti delle medie. Parlottavano sommessamente gettando, ogni tanto, delle occhiate in direzione di qualcuno dietro a loro.

Incuriosita, la ragazza li aggirò, per poi fermarsi, senza parole, di fronte a Tom Becker. Il ragazzo era appoggiato al muro della recinzione, e sembrava proprio che stesse aspettando una persona.

Nello stesso momento in cui Kristine lo riconobbe, lui si girò. “Kris!”.

Becker si staccò dal muro, avvicinandosi di qualche passo. Indossava un’elegante divisa blu, formata da pantaloni, giacca, camicia e cravatta. In una mano teneva una cartella nera. Vestito in quel modo, Kris si rese improvvisamente conto di quanti anni fossero passati dal giorno in cui, a Kyoto, l’aveva salutato per l’ultima volta. Ora Tom era cresciuto, sembrava addirittura un altro. Ma forse, si trattava solo di un’impressione dovuta al fatto che non le era mai capitato di vedere Becker in tenuta scolastica.

“…Tom…”, balbettò la ragazza, sorpresa ma, tuttavia, felicissima di quell’incontro. “Cosa ci fai qui?”.

Il giovane rise. “Non te lo saresti mai aspettato, vero? Beh, ho deciso di farti una sorpresa, venendo a prenderti a scuola…”.

“Oh”, mormorò Kris, portandosi una mano davanti alla bocca. “Grazie…ma, scusa…come facevi a sapere che frequentavo la Syutetsu?”.

“Non lo sapevo, infatti. L’ho intuito…ricordo che anche a Kyoto i tuoi ti costrinsero a frequentare una scuola privata. Quindi, visto che la Syutetsu è l’unica di Fujisawa, non mi è stato difficile scegliere dove cercarti…”.

Kristine annuì, pensierosa, per poi intristirsi improvvisamente. “Già…”.

Il ragazzo capì di aver toccato un tasto dolente. “Scusa, non avrei dovuto parlare di nuovo dei tuoi genitori. Comunque…”. Tom la guardò, sorridendole in quel suo solito modo, dolcissimo e irresistibile. “…la divisa della Syutetsu è perfetta su di te, Kristine”.

Grover arrossì, imbarazzata dal complimento. “Gra…grazie. Anche tu…cioè, anche a te sta benissimo quella divisa scolastica…”.

I due rimasero per qualche secondo in silenzio, non sapendo cosa dire. Gli studenti che poco prima stavano chiacchierando, dietro di loro, erano ancora lì, a parlare sottovoce. Kristine, però,  riusciva ugualmente a sentire quello che stavano dicendo.

“Sì, è proprio Tom Becker! Becker della New Team…”

“Lui e Oliver Hutton formano la formidabile Golden Combi! Non dirmi che non hai mai sentito parlare di loro neanche durante i mondiali giovanili?”.

“Ah, ma sì, certo!”.

“Si è trasferito definitivamente a Fujisawa da poco…cosa darei per avere abbastanza coraggio da riuscire a chiedergli un autografo! Sarebbe bello conoscerlo…”.

Kristine si strinse nelle spalle, ridacchiando. “Eh eh…poverini, mi dispiace per loro…io, invece, lo conosco Tom Becker…eccome se lo conosco!”, pensò.

Il ragazzo, intanto, la fissava senza capire. “Che c’è? Perché ridi?”.

“No, no! Nulla…”, rispose quindi Kris dopo averlo preso a braccetto, gongolando dalla felicità. “Su, andiamo!”.

Si avviarono in strada. Mentre camminavano, molti studenti si giravano verso di loro, fissandoli.

“Ehi, hai notato quanta gente ci guarda?”, disse Becker con una punta di ansia, sentendosi al centro dell’attenzione.

Kris sorrise. “Sono te che guardano. Anche se sei ritornato da poco a giocare con la New Team, tutti ti conoscono. Penso proprio che tu sia diventato famosissimo durante i mondiali giovanili di calcio a cui hai partecipato…”.

La ragazza volse gli occhi verso un punto lontano. “Non ho mai saputo che tu avessi giocato nella New Team per un anno…e anche nella Nazionale, Tom. Purtroppo, per vari motivi, non ho potuto seguire gli ultimi mondiali, in Francia…fino a una settimana fa, per me eri solo quel Tom Becker che avevo conosciuto a Kyoto. Un ragazzo che amava moltissimo il calcio, e un caro amico. Invece, eri anche un formidabile calciatore conosciuto in tutto il Giappone”.

Tom la guardò. “Sono sempre lo stesso ragazzo di quattro anni fa, Kris. Questo non scordarlo mai”.

“Certo…lo so bene”, disse Kris girandosi ancora verso Becker, in parte confortata da quelle parole. Ci sarebbero state, infatti,  molte altre cose che avrebbe voluto dire…ma per il momento era meglio così. Sì, era perfetto così…

Il ragazzo sbadigliò. “Cavoli…l’altra sera abbiamo fatto proprio tardi, vero?”.

Kris ritornò alla realtà. “Ah…ah, già…sì…senti, Tom, io non ti ho ancora ringraziato per avermi riaccompagnato a casa…”, balbettò confusa, abbassando gli occhi.

“Figurati! Non potevo certo lasciarti andare da sola…eri distrutta! A proposito, sei riuscita a riposarti un po’, ieri?”.

“Oh…beh, insomma…a dire la verità non molto…”. Fissò decisa l’amico. “In ogni caso, ho abbastanza energia da riuscire ad affrontare gli allenamenti di oggi e quelli dell’intera settimana!”.

Tom scoppiò a ridere. “Bene! Sono proprio contento…fra due settimane c’è la prima partita…e sono certo che per allora sarai in gran forma!”.

Kris assentì, soddisfatta. “Stanne certo…ah, a proposito…”.

“Dimmi”.

“Quando pensi che Benji potrà tornare ad allenarmi?”.

Tom si fermò. “Beh…non so...magari dalla prossima settimana…” disse, guardando un po’ sorpreso l’amica.

“Ah”. Kris sospirò, delusa, alzando gli occhi al cielo. “Capisco…sai, voglio cercare di imparare il più possibile da lui…il suo stile non ha eguali, e poi…”. La ragazza si interruppe improvvisamente. Si girò verso Becker, afferrandogli un braccio.

“Tom, scusa! Io non volevo dire che…insomma, io penso che tu…”, cercò di spiegare, impacciata e imbarazzata per la figura che aveva appena fatto.

Il ragazzo scosse il capo. “No, no…stai tranquilla…capisco benissimo che tu preferisca essere allenata da Price…è naturale, è lui il portiere della New Team, no? E poi lo ammiri così tanto…”.

“Davvero?”.

“Certo. Non preoccuparti, non mi sono offeso…”.

In realtà le cose non stavano così, e Becker lo sapeva. Se n’era reso conto subito…ora che aveva ritrovato Kris, avrebbe voluto che tutte le attenzioni dell’amica si concentrassero su di sé. Avrebbe voluto che per Kristine esistesse lui soltanto, solo lui…proprio come in quei tre mesi, quattro anni prima.

Ma forse, ora le cose erano cambiate. Non poteva più pretendere di essere l’unica persona di cui avesse bisogno Kris. No, purtroppo no…

La ragazza lo stava fissando, tesa. Accorgendosi del suo sguardo avvilito, Becker si affrettò a sorriderle, riprendendo poi a camminare con disinvoltura per la via quasi deserta. Kristine sembrò convinta, e, affrettando il passo, lo raggiunse.

“Senti…”, propose il ragazzo, continuando a sembrare allegro. “Se sei preoccupata per Benji, posso darti il suo indirizzo, se vuoi…vallo a trovare di persona. Sono sicuro che gli farà piacere!”.

Il viso della ragazza si rilassò improvvisamente, anche se l’espressione rimase seria. “Ne sei sicuro? Magari…”.

“Ne sono sicuro. Anzi, certissimo, Kris”. Detto questo, Becker aprì la cartella per estrarre una penna e un foglio, su cui scrisse l’indirizzo di Benji.

“Ecco fatto. Tieni”.

Porse il pezzo di carta a Kris. L’amica lo strinse fra le dita, leggendo mentalmente le parole.

“Grazie”.

Tom la guardò per qualche secondo con un’espressione indecifrabile, poi si voltò.

“Figurati…dai, ora forse è meglio che tu vada…riposati ancora per un paio d’ore…dirò io a Holly e agli altri che tarderai un po’. Penso anche che sia meglio annullare l’allenamento speciale di questa sera…anzi, diminuiremo tutti questi extra…sono davvero troppo stancanti. Ne parlerò con Benji…so bene che ce la puoi fare senza problemi, Kris, ma non è il caso che ti affatichi troppo. E poi, non vogliamo certo che tuo fratello pensi che esci ogni sera col tuo ragazzo segreto, vero? Ricordo bene quanto era geloso di te…”. Continuando a darle la schiena, Tom si mise a ridere. Una risata trasparente, schietta.

“…già…hai ragione”. Kristine era rimasta immobile ad ascoltarlo. Forse, anche se Becker aveva fatto di tutto per nasconderlo, lo aveva ferito.

“Accidenti a me…parlo sempre troppo…”, pensò Grover, abbassando leggermente lo sguardo.

Finalmente Tom si voltò nuovamente verso di lei. “Allora…beh, ci vediamo tra un po’! Vieni quando vuoi…”, concluse, allontanandosi per una via laterale. “Ciao, Kris!”.

Il neoportiere rimase a guardare tristemente il ragazzo andare via, agitando lentamente una mano a mezz’aria. “Ciao…Tom”.

 

“Holly!”.

L’intera New Team si girò nella direzione della voce squillante che aveva appena chiamato il loro capitano. Una ragazza dai capelli neri, tagliati circa alle spalle, si dirigeva, correndo, proprio verso Hutton che, ai margini del campo, stava descrivendo gli schemi di gioco ai compagni raccolti intorno a lui.

“Pa…Patty?”, balbettò Oliver, scorgendola.

La ragazza si buttò fra le sue braccia con un impeto tale che il numero 10 cadde, con lei, sull’erba verde del campo.

“A-aspetta! Calmati…!”, tentò di dire Hutton, arrossito improvvisamente dopo l’abbraccio della ragazza.

La squadra, che per un attimo era rimasta di sale, stava ora osservando la scena molto divertita…

“Ehi, Patty, lo sai che Holly non vedeva l’ora che tu tornassi da Tokyo? Tutti i giorni sospirava il tuo nome…”, esclamò Bruce chinandosi verso i due, finiti a terra insieme in una posizione un po’ equivoca.

“Davvero? Ooh, anche tu mi sei mancato, Holly!”, disse quindi raggiante Patty stringendo il ragazzo, sempre  più imbarazzato.

Oliver cercò di sorridere, ormai grondante di sudore: si rialzò a fatica insieme alla fidanzata,  per poi rivolgersi alla New Team, che continuava a fissarli ridacchiando.

“Ehm…ragazzi, io…beh…io e Patty andiamo un attimo fuori…torniamo tra una mezz’oretta…intanto voi continuate l’allenamento, eh?”, spiegò il capitano della squadra, cercando di apparire il più naturale possibile.

Tutti quanti scoppiarono in un’ennesima risata. Tutti, ad eccezione del numero undici, Tom Becker, che, un po’ in disparte dal resto della squadra, guardava i due ragazzi con un pizzico di invidia.

Holly e Patty si conoscevano da molti anni, e quello che avevano sentito nascere l’uno per l’altra era maturato a poco a poco, con il passare del tempo. Era cresciuto con loro…e adesso, dopo tanto, finalmente quell’estate avevano deciso di mettersi insieme.

Il ragazzo era stato ovviamente felicissimo per l’amico…ma osservandoli, Tom aveva capito che anche lui avrebbe desiderato qualcuno vicino…qualcuno da amare e da cui essere amato…

Becker alzò gli occhi verso il cielo. “Kristine…ora sei ritornata da me…ma forse, tu…”.

“Ciao a tutti, ragazzi!”, esclamò Grover comparendo all’entrata del campo. Si avvicinò con aria allegra ai compagni, che ancora stavano parlottando tra di loro, prendendo in giro il loro capitano.

“Oh, ciao Kris!”, la salutò Johnny Mason, cercando di soffocare le risa. “Ehi, non sai che scena ti sei perso!”.

“Eh?”. La ragazza lo guardò incuriosita. “Che cosa è successo?”.

Bruce si intromise come al suo solito. “Eh eh! Patty, la ragazza di Holly, è tornata da lui dopo mesi e mesi di lontananza! Se ne sono andati via per restare un po’ soli soletti…”.

Gli altri giocatori si scambiarono qualche occhiatina allusiva, sorridendo. Kristine li guardò per un attimo, poi, sgranando gli occhi, si portò una mano davanti alla bocca.

”Allora quella che ho visto con Hutton nel parco, qua fuori…è la sua fidanzata? Oh…cavoli! Non credevo che il nostro capitano stesse con una ragazza…”.

“Già! Vero che sembra incredibile per chi ha sempre avuto in mente solo il pallone?”, scherzò Carter.

“Hai proprio ragione!”, assentì Diamond.

Ormai l’intera squadra non riusciva più a smettere di ridere. Kris si unì a loro, ma dopo qualche secondo, accorgendosi dello sguardo di Becker su di lei, si staccò dai compagni per raggiungerlo.

“Ciao Tom…come vedi non ho tardato di molto!”, disse sorridendo.

L’amico ricambiò il sorriso forzatamente, anche se, fortunatamente, questa volta Kristine non se ne accorse.

“Sei sicura di esserti riposata abbastanza?”.

“Certo! Sono in perfetta forma!”, rispose lei, dirigendosi verso la porta che portava agli spogliatoi. Ammiccò verso Tom. “Aspettami qui, torno subito!”.

Becker la fissò impietrito. “Eeeeh? Ma…Kris…che…”, balbettò, non riuscendo a spiegarsi cosa ci andasse a fare l’amica. “Non…non mi sembra il caso che tu…”. Ma il neoportiere era già sparito.

Dopo qualche minuto la ragazza ricomparve.

“Ecco, così va molto meglio! Non pensi?”, esclamò quindi allargando le braccia. E solo allora Tom si rese conto che qualcosa in lei era cambiato…Kris non indossava più il solito cappellino con visiera, che aveva utilizzato fino a quel momento per nascondere la sua folta chioma. Inoltre, si era tolta la giacca della tuta…ma la t-shirt con cui era rimasta, inspiegabilmente, non rivelava le sue curve femminili.

“Ma…i tuoi capelli…tu…e poi, la maglietta non…”, disse Tom incredulo, guardando l’amica, e cercando di non farsi sentire dai compagni.

Grover abbassò gli occhi, un po’ imbarazzata. “Ahem…questo è…un piccolo accorgimento per evitare strani sospetti…” spiegò, portandosi una mano al petto. “Sai, qualche benda un po’ stretta e il gioco è fatto…al limite del possibile, magari, potrò anche utilizzare gli spogliatoi, anche se…beh, vedremo!”.  Poi si toccò le ciocche castane, appena sotto l’orecchio.

“E i capelli…ecco, questo pomeriggio, dopo che ci siamo salutati, ho deciso di andare a tagliarli…sai, non vorrei che accadesse ancora quello che è successo con te…non voglio più fare certi errori. Potrebbe davvero rovinarsi tutto…così, ho pensato di fare questi due cambiamenti drastici…”.

Becker continuò a fissare il nuovo look della ragazza, senza fare alcun commento. Il fatto è che non riusciva a dirle nulla…

Forse, ai suoi occhi, sarebbe sembrata una cosa stupida…forse si sarebbe messa a ridere, se glie l’avesse detto…ma per lui, quei lunghi capelli erano stati ciò che la aveva sempre contraddistinta…i capelli che quell’estate di quattro anni prima Tom aveva visto scompigliarsi nel vento, e brillare nel sole…l’ immagine stessa della sua Kris…

Adesso, invece, gli era sembrato che la ragazza che aveva sempre conosciuto, la Kristine dei suoi ricordi, se ne fosse andata. E che, al suo posto, fosse rimasto solo Kristian, il nuovo e determinato portiere della New Team.

“Cosa c’è, Tom? Forse…non sto bene?”, mormorò Grover delusa, accorgendosi dell’espressione sul suo viso.

Il ragazzo scosse la testa, fingendosi distratto. “No, no, sei molto carina con quel taglio…dico davvero…hai fatto bene…anche se è un vero peccato! Avevi dei capelli così belli…”.

Kris sorrise. “Grazie…beh, sì, un po’ mi è dispiaciuto…ma, dopotutto, era da tanto tempo che li portavo lunghi…forse era ora di cambiare…”.

Kristine si stiracchiò le braccia, portandole in avanti. “Uhm…ehi, Tom, mi sa che ci conviene cominciare ad allenarci! Tanto, penso proprio che Holly avrà da fare per molto!”, disse Kris con ironia.

Si girò, così, per raggiungere il resto della squadra, che finalmente, dopo aver preso in giro Hutton per una buona mezz’ora,  stava iniziando l’allenamento. Dopo qualche attimo, però, si voltò di nuovo verso l’amico.

“Tom…”.

Il ragazzo si avvicinò. “Sì?”.

“Se ti ho detto qualcosa che ti ha ferito, ti prego di perdonarmi. Non volevo…”.

“Non hai detto nulla di male, Kris. Va tutto bene…davvero!”, la rassicurò il ragazzo. “Dai, non perdiamo altro tempo…andiamo!”.

Detto questo, Becker la superò, raggiungendo poco dopo il centrocampo.

Kristine non sapeva cosa pensare. Non riusciva più a capire il comportamento di Tom…di certo quello che lei aveva detto, quel pomeriggio, su Benji, gli aveva dato fastidio. Ma c’era qualcos’altro…sicuramente, c’era qualcos’altro.

“La tua…è una semplice gelosia da amico?”. Kris si incamminò verso la porta. “O magari…”.

“Ehi Grover, tieniti pronto! Ora proveremo col dribbling!”, gridò Diamond passandole accanto. “Per un po’ faremo senza Holly!”.

Il portiere sorrise distrattamente a Paul. La sua mente era altrove, in quel momento…e un unico interrogativo dominava i suoi pensieri.

Si fermò accanto ad uno dei pali. Mentre si infilava i guanti,  fece un lungo sospiro.

“Io…non posso saperlo…potrei fraintendere tutto…e perdere Tom anche come amico. E…non voglio…”, pensò, combattuta. Alzò la testa, e cercò Tom con lo sguardo.

Il numero 11 della New Team correva sulla rada erba verde smeraldo del campo, dribblando agilmente i compagni che tentavano di ostacolarlo. Arrivato oltre la linea mediana, passò la palla a Mason, che avanzò. Il ragazzo proseguì fino all’area di rigore, poi ripassò nuovamente la sfera a Becker,  posizionato all’estrema sinistra rispetto alla porta.

Kristine si preparò a ricevere il tiro. “Adesso sei un calciatore”, disse a bassa voce, fissando gli spostamenti del pallone davanti a lei. “Ti devo considerare come tale. Un compagno di squadra. Ci stiamo allenando, e non devo più pensare ad altro, per ora. Basta…”. Strinse le dita a pugno e le rilasciò,  per poi piegare leggermente la schiena. Appoggiò saldamente i piedi sul terreno, pronta a muoversi fulmineamente in qualunque direzione. “Tira pure…Becker”.

Tom era pronto a calciare, anche se, dalla posizione in cui era, sarebbe riuscito a segnare abbastanza difficilmente.

Kris lo guardò con aria di sfida. “Vorrà vedere come mi comporto in un caso del genere…sicuramente ripasserà la palla a Johnny…vuole cogliermi impreparata…”.

E infatti, proprio come aveva previsto la ragazza, la sfera venne lanciata da Becker parallela alla porta, verso Mason, che era distante da Kris qualche metro.

Il giocatore dai ricci capelli scuri spiccò un balzo nel tentativo di colpire il pallone con un colpo di testa, ma, all’improvviso, qualcuno si mise fra lui e la sfera di cuoio…

La misteriosa figura saltò ancora più in alto di Johnny : l’attaccante, colpito da una gomitata del terzo calciatore, cadde a terra malamente.

Intanto Kris era rimasta a fissare il pallone che, dall’alto, si stava ora precipitando velocissimo verso di lei, dopo essere stato tirato di testa con una violenza inaudita. La ragazza, senza nemmeno provare a bloccarla,  venne presa in pieno viso dalla sfera: la potenza del tiro la fece cadere all’indietro, e, poco dopo, il portiere si ritrovò per terra, con la schiena dolorante

Il pallone, invece, senza perdere potenza, proseguì nella sua traiettoria, insaccandosi in rete.

Tutti i nove giocatori della New Team guardarono, senza dire una parola, prima il loro neo portiere, immobile fra i due pali, poi l’abbronzato e muscoloso ragazzo dai selvaggi capelli neri, in piedi davanti alla porta.

Freddo e altero, fissava Kris con disprezzo.

“E tu saresti quello che deve sostituire Price? Hmpft…ma non farmi ridere…sai cosa ti dico? Forse ti converrebbe abbandonare immediatamente la squadra. Vedi, per non fare brutte figure…che ne dici? Certo che, da come aveva parlato di te Philip, mi aspettavo qualcosa di meglio…che delusione…”, disse il giocatore a voce alta, con un sorrisetto derisorio sul viso affilato.

“Kris!”, esclamò Tom correndo allarmato dall’amica, ancora stordita per il colpo ricevuto. Anche Diamond e Carter si affrettarono a soccorrere il loro compagno di squadra, mentre Harper, con sguardo torvo, si dirigeva deciso verso il ragazzo bruno.

“Mark Landers!”, sentenziò quindi Bruce puntando l’indice sul capitano della Toho. “I tuoi modi sono come al solito molto garbati, non c’è che dire! E poi, si può sapere cosa cavolo vuoi? Il campionato non è ancora iniziato, quindi, lascia in pace Grover!”.

“Grover, eh? E questo il nome del vostro nuovo e infallibile portiere? Tze’…”, sbuffò Mark passandosi una mano fra i capelli corvini. “Mi spiace, Bruce…questo tipo non è neanche degno di confrontarsi con me…perché di certo non ci potrete mai battere, quest’anno, con una schiappa del genere! Non è riuscito a parare nemmeno un tiro di testa, a un metro dal suo naso! Eh eh…rimpiangerete Benji, ne sono sicuro…”. Gettò un’occhiata all’ intera squadra.

“Price è l’unico portiere, oltre a Ed, naturalmente, capace di bloccare i miei tiri. E questo lo sapete bene…”.

Il silenzio più assoluto calò sul campo. Nessuno osava ribattere. La maggior parte dei calciatori, infatti, non poteva contestare la verità. Senza il grande portiere del Giappone, senza Benji, sarebbero stati di sicuro in netto svantaggio nel campionato che stava per iniziare. Sì, dovevano ammetterlo, purtroppo. E Kristian, per quanto bravo, non avrebbe mai potuto compensare appieno la mancanza del numero uno della New Team…

Ma, in quel silenzio generale, alla fine qualcuno parlò.

“Mark, non cantare vittoria troppo presto. Noi, Holly e lo stesso Benji…crediamo tutti in Kristian Grover. Ancora non sai di cosa è capace…ti assicuro che non è molto saggio, da parte tua, sottovalutarlo…”, lo avvertì pacatamente Becker, inginocchiato di fianco a Kris, che, intanto, si stava massaggiando lentamente una guancia.

La ragazza guardava Landers con due occhi di ghiaccio, punta sul vivo dai suoi insulti.

“Lascia stare, Tom. Può dire quello che vuole. Ma solo in partita si vedrà chi ha ragione…”.

Becker si girò verso l’amica, sorpreso dalla sua fermezza. “Kris…”, mormorò.

Mark rise. “Ah, allora ce l’hai la lingua, per difenderti! Credevo utilizzassi Bruce e Tom per farlo al tuo posto…”, continuò il calciatore, avvicinandosi al portiere.

Kristine sosteneva il suo sguardo senza abbassare neanche per un attimo gli occhi.

“Ma che bel visino! Lo sai, Grover? Ora che ti guardo bene mi sembri un po’ troppo gracile e delicato per resistere all’intero campionato…dovresti davvero darmi retta…e tornartene a casa!”.

Il ragazzo mise le mani nelle tasche degli attillati jeans neri che indossava, e, giratosi, iniziò a incamminarsi verso l’uscita del campo, sfilando davanti alla New Team ammutolita.

Prima di scomparire dalla loro vista, Landers guardò Kris e Becker un’ultima volta.

“Dite a Holly che questa volta non avrò pietà. Sia con Benji in squadra, che senza di lui! Eh eh…l’unica cosa che davvero mi dispiace è che io e Price non potremo rinnovare la nostra consueta sfida, quest’anno…beh, pazienza!”.

Detto questo, se ne andò.

Per un po’ nessuno parlò, poi, improvvisamente, Kris si rialzò. Fissava il terreno, tenendo le braccia serrate lungo i fianchi. Tom, ancora inchinato , alzò lo sguardo verso il suo viso, aspettandosi di vedere l’amica in lacrime.

Invece, sorprendentemente, Kris non piangeva. Anzi, nei suoi occhi sembrava ardere uno spirito combattivo che Becker non si ricordava di aver mai visto in lei prima d’ora…

“Finalmente ho conosciuto di persona l’arrogante Mark Landers…beh, è stato un bell’incontro…”, disse Kris sospirando, passandosi una mano fra i capelli scompigliati.

Alcuni membri della squadra si avvicinarono al loro compagno. Paul Diamond le mise una mano sulla spalla.

“Kristian, non dare troppo peso a quello che ha detto Mark. Gli piace dare spettacolo…è fatto così. Non esita mai a criticare tutto e tutti…essendo nuovo, e soprattutto, essendo il sostituito del suo più acerrimo rivale con il quale non vedeva l’ora di confrontarsi, tu sei stato la vittima ideale sulla quale scaricare la sua rabbia…”.

Kris sorrise all’amico. “L’avevo capito…per questo non mi preoccupa ciò che ha detto. So di potercela fare, e non sarà certo Mark Landers a scoraggiarmi! Tranquilli, ragazzi…”.

Diamond, Harper, Carter, Mason, Vance, Denver, Kramer, Ship…tutti i compagni di Kris guardarono distesi il loro deciso portiere, rassicurati dalla sue parole.

“Sei sicuro di non essertela presa?”, disse però Becker, preoccupato dall’ultima frase che Mark aveva rivolto a Kristine. La ragazza guardò Tom, e, intuendo il motivo della sua insistenza, scosse il capo.

“So essere più forte di quanto pensi”.

Il numero undici rimase qualche secondo immobile, a riflettere sulla risposta dell’amica. Ricordò che quella frase era già stata pronunciata dalla stessa Kris quel sabato sera, quando avevano parlato…

“Ma adesso basta, scordiamo l’interruzione di Mark e riprendiamo l’allenamento!”, esclamò alla fine Grover rivolgendosi alla New Team. Alzò un braccio al cielo. “Forza!”.

Tutti i giocatori risposero con un grido affermativo, entusiasti. Si dispersero nel campo, assumendo nuovamente i loro ruoli. Becker li seguì, silenzioso, correndo lentamente verso il centro del rettangolo.

Aveva compreso, finalmente, quanto Kris fosse cambiata. Non era più quella ragazza triste, sola e debole che aveva conosciuto a Kyoto…la ragazza a cui era stato vicino, che aveva consolato e aiutato nei momenti difficili…ora era diventata davvero più forte. Più decisa, e pronta a lottare. Sì, capace di lottare da sola…senza l’aiuto di nessuno.

“Forse non hai più bisogno di me, Kristine”, mormorò triste Tom, lanciandole un’occhiata. “Ne è passato di tempo…in questi anni sei maturata…ma io…non me ne sono voluto rendere conto…”.

Era così. Kristine, la ragazza dai lunghi capelli mossi dal vento, che brillavano nel sole, non c’era più.

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Capitolo 7
*** Anime Sole ***


Erano passate le sei e mezza quando Kris uscì dal campo. Con la scusa di provare ancora qualche parata con Becker,  aveva lasciato che il resto della squadra si cambiasse per prima, così da poter utilizzare lo spogliatoio indisturbata, da sola, dopo che gli altri se n’erano andati. Tom aveva insistito per aspettarla, ma lei, gentilmente, gli aveva risposto che questa volta non sarebbe stato necessario…il ragazzo la aveva quindi salutata, senza chiederle altro.

Kristine aveva capito solamente qualche minuto dopo che, ancora una volta, aveva dato a Becker l’impressione di respingerlo. E si era pentita…ma troppo tardi. Il fatto era che…beh…alla fine si era resa conto che non voleva più che l’amico fosse per lei un qualcosa a cui aggrapparsi, un porto sicuro dove rifugiarsi di fronte ai problemi, alle difficoltà…come aveva sempre fatto in passato.

No. Ora…ora si sentiva più coraggiosa. Poteva farcela. Non era più giusto contare sempre su Tom…su di lui come su qualunque altra persona, fosse suo fratello Alex, o Nicole, Judith…no. Adesso che uno dei suoi più grandi desideri si era avverato, voleva viverlo fino in fondo, e utilizzando solo le proprie forze per superarne i problemi, le avversità...

Anche se teneva a Tom, non voleva più dipendere da lui per nessuna cosa…anche prima, quando Mark Landers la aveva insultata, era riuscita a resistere all’impulso di piangere e di scappare via, lontana da quel pallone gonfiato…aveva stretto i denti e si era imposta l’autocontrollo, scotendo il capo quando Tom le aveva chiesto se se l’era presa…

“Tu però sei sempre…così importante per me…non posso negarlo…”, mormorò, camminando lentamente per la strada illuminata dal debole sole pomeridiano, che, lentamente, si stava abbassando all’orizzonte.

“…vorrei che tu lo sapessi…ma…”. Si passò una mano tra i capelli. “…ma allo stesso tempo vorrei che tu mi considerassi un degno compagno di squadra…forte…che sa lottare… ”.

Sospirò, fermandosi. “Non voglio più sentirmi debole…forse è questa la verità. O forse…non lo so, non lo so…ormai…non so più neanch’io cosa sto facendo…cosa cerco davvero…”.

Ricominciò a camminare, confusa. Perché sentiva quel peso sul cuore?

“Ho sempre vissuto fra mille comodità…non ho mai avuto bisogno di nulla…ma proprio perché non ho mai camminato senza qualcuno che mi tenesse la mano…io…sono solo stufa…voglio dimostrare a tutti di cosa sono capace…non è così, Kristine?”.

Le ritornarono in mente le parole di Nicole.

“…sicuramente, alla fine, quando conquisterai ciò che hai sempre voluto,  tutti si  renderanno conto di qual è la vera Kris.  E  saranno orgogliosi di te…”

Sentì qualcosa di umido scivolarle sulle guance. Erano lacrime.

“Io…perché adesso piango?”, mormorò piano guardandosi la mano bagnata. “Ecco..io non voglio neanche più piangere…non voglio più essere quella Kristine Grover…ma…è così…doloroso…cambiare…soffocare…i sentimenti. Mi chiedo…se sia la cosa più giusta…”.

Continuò a vagare per le vie di Fujisawa, senza sapere dove si stava dirigendo, per una buona mezz’ora, fino a che, all’improvviso, non si fermò. 

Una grande villa in stile occidentale, circondata da un giardino con, al centro, un campo da calcio, aveva catturato la sua attenzione. Kris si dimenticò all’istante i pensieri di qualche minuto prima e, affascinata,  si avvicinò all’alta cancellata argentata che si ergeva imponente davanti a lei.

“Non avevo ancora visto questo posto…ma come ho fatto a non notarlo quando sono venuta a vivere qui? Che strano…”.

Appoggiò le dita delle mani su uno degli elaborati motivi floreali che componevano il cancello, e alzò lo sguardo verso la struttura.

“Cavoli…è addirittura più grande dell’hotel dei miei…e della nostra casa a Hokkaido…chi vive qui deve essere davvero  importante…”.

Troppo immersa nella contemplazione della lussuosa abitazione, la ragazza non si accorse che qualcuno, dietro di lei, la stava osservando già da un po’.

“Grover…sei tu?”, chiese una voce familiare, dal timbro un po’ basso.

Kris si girò improvvisamente, ritrovandosi faccia a faccia con Price.

“Oh…Benji!”, disse po’ spaventata dall’incontro improvviso, mentre il ragazzo la guardava con un’espressione altrettanto stupita. “C-ciao!…come mai da queste parti?”.

“Beh…”, disse lui sorridendo. “Perché ci abito”.

Kristine rimase zitta. Senza saperlo, si era ritrovata proprio davanti alla casa di Benji…e lui la aveva trovata lì, immobile, a fissare senza ritegno la sua villa…

“Oh…che figura…”, si disperò la ragazza, provando a guardare da un’altra parte. “Ma tanto, ormai, non penso che cambi molto…una più o una meno…eh eh…”, pensò con autoironia.

“Ahem…non…non lo sapevo…”, disse quindi, sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi. “Complimenti, è davvero una bellissima casa!”.

“Grazie…sai, i miei genitori hanno sempre amato l’Europa…e la sua cultura”, rispose il ragazzo, avvicinandosi a lei.

“Davvero?”.

“Già…da alcuni anni, infatti, vivono stabilmente in Germania”.

Kris, sorpresa, lo guardò negli occhi. “E  tu…hai deciso di rimanere in Giappone da solo?”.

Price annuì. “Non volevo abbandonare i miei sogni, il calcio per me era tutto…convinsi quindi la mia famiglia a lasciarmi qui. Freddie Marshall, oltre che mio allenatore, diventò, così, anche il mio tutore. Poi, per alcuni d’anni, ho comunque vissuto in Germania, come ben sai…ma sempre per una mia scelta. Ho potuto giocare nell’Amburgo, al fianco del grande Karl Heinz Schneider; è stata dura, ma quel periodo si è rivelato molto importante per me, per la mia tecnica. Ora, finalmente, sono ritornato in Giappone…per rimanerci. E’ la mia patria. Mi sono reso conto che è qui che voglio continuare a vivere…”.

Si fermò un attimo.

“Certo, in futuro dovrò sicuramente lasciarla per continuare la mia carriera calcistica,  e così faranno con molta probabilità anche tutti gli altri…non ci sono molte possibilità, in Giappone, per sfondare nel calcio professionistico purtroppo. Ma per adesso, o almeno fino a che non mi sarò laureato, voglio continuare ad essere io a scegliere per la mia vita…penserò solo fra qualche anno a cosa fare, seriamente, della mia passione”.

“Già…”. La ragazza tornò a guardare, triste, il giardino del palazzo. Le parole di Benji le avevano fatto ricordare qualcosa…con una piccola differenza, però.

Non sai decidere da sola, Kris. Non sai combattere per ciò che vuoi. Sei debole, Kristine, troppo debole.

“Hai fatto bene, Price…”, riuscì solo a commentare, resistendo all’impulso di sfogarsi anche con il portiere della New Team.

Doveva essere una nuova Kris, no? Sì, doveva, voleva cambiare…non aveva bisogno della compassione di nessuno…no, di nessuno.

I due ragazzi rimasero in silenzio, l’uno di fianco all’altra, per qualche tempo, fino a che Price non si girò nuovamente verso Grover.

“Allora”, le disse il portiere appoggiandosi con un gomito alla cancellata. “Come mai sei venuto qui, Kristian? Hai forse bisogno di qualche consiglio? Sai, mi spiace moltissimo non essere venuto gli scorsi giorni…e anche di non poter venire i prossimi…questa maledetta gamba mi da’ un sacco di problemi. Sono appena tornato da un altro controllo…ma la conclusione è sempre la stessa, riposo assoluto per un po’. Spero che la prossima settimana mi lascino tornare al campo. Così, potrò almeno assisterti negli allenamenti”.

Kris cercò di sembrare allegra. “Lo spero tanto anch’io…comunque, va tutto benissimo…non preoccuparti! E’ solo che…volevo sapere come stavi, tutto qui…”. Kris si interruppe, indecisa se continuare. Dopo pochi attimi, però, riprese a parlare.

“Però…si sente molto la tua mancanza in campo, Benji. Tu e Hutton siete molto importanti per il sostegno morale della squadra, e la tua presenza è indispensabile per tutti noi…spero davvero che torni presto. Soprattutto perché la prima partita si avvicina…”.

“Questo è vero. Sì…credo proprio che pregherò sia Freddie che il mister di lasciarmi uscire al più presto…”. Benji si tolse il cappello, passandosi una mano fra i capelli scuri.

“Ehi, che ne dici di entrare, Kristian?”, propose improvvisamente il ragazzo guardando Grover. “Penso che una bella chiacchierata sia necessaria per conoscerci meglio, no? Fino ad ora ci siamo parlati poche volte! E  poi, magari, potrò dirti qualcosa di utile per prepararti agli incontri che dovrai affrontare…”.

Kristine, che non si aspettava l’invito, rimase muta per qualche istante, non sapendo cosa rispondere.

“Ehm…vedi, ecco, non so se ho il tempo di…”, balbettò.

Price le battè una pacca sulla schiena. “Ma dai, Grover…solo per poco! O forse…”. Scrutò Kris sorridendo, malizioso.

“…forse hai un appuntamento con qualche ragazza, non è così? Ecco perché hai tanta fretta!”.

Kris avvampò. “Ma…ma cosa dici? Non è affatto vero! Io…ecco…”.

“Ma dai, scherzavo! Eh eh…sai, ormai molti della squadra hanno spesso la testa in altre cose, ben diverse dal calcio…per non parlare, poi, dei nostri più temibili avversari, come ad esempio Ross e Landers! Sono sempre in felice compagnia…quindi, mi chiedevo…”.

“Eeeh? Anche quell’antipatico di Landers??”, esclamò Kris fissando l’amico, incredula.

Benji, sorpreso dalla reazione di Grover, lo guardò a sua volta. “Beh…è solo una voce…me l’ha raccontato Philip…una certa Maki…ma scusa, quando hai conosciuto Mark?”.        

Kristine, allora, si ricordò di non aver ancora raccontato a Price del suo interessante incontro-scontro con il capitano della Toho, avvenuto poche ore prima.

“Beh…agli allenamenti, questo pomeriggio. Diciamo che ha fatto la sua comparsa in campo per…esprimere il suo immenso dispiacere per la tua assenza nel campionato di quest’anno…”. L’espressione sul viso di Kris si fece dura. “E’ davvero simpatico, devo ammetterlo. Molto socievole, poi…”.

Price osservò l’amico, capendo immediatamente cosa doveva esser successo.

“Si è messo in mostra come al suo solito, non è vero? Posso immaginare come si sarà comportato nei tuoi confronti, avrà tentato di umiliarti in tutti i modi…Grover, mi dispiace. Avrei dovuto esserci…”.

“No, Price, non importa. Quello che mi ha detto non mi ha fatto nessun effetto…”.

“E invece avrei dovuto prevederlo. Non sopporta che qualcuno mi sostituisca…non aspetta altro che il confronto con me e Hutton, ogni anno…la nostra sfida personale va avanti da tantissimo tempo. Comunque…”. Sorrise, deciso, alla ragazza. “…per l’incontro con la Toho ci sarò sicuramente. So che anche questa volta la finale sarà tra le nostre due squadre…perché tu, Kristian, porterai ogni volta la New Team alla vittoria,  fino a quando non sarò in grado di tornare a giocare. Giusto?”.

Kris rispose al sorriso, raggiante. La fiducia che Price riponeva in lei le dava una grande carica. “Certo!”.

“Ne sono felice”.

Detto questo, il ragazzo suonò al grande citofono installato ad un lato del cancello, e, rispondendo alla voce che parlò nel ricevitore, si fece aprire.

Entrò così con Kristian nell’immenso giardino, camminando lentamente per evitare altri sforzi alla gamba. Kris seguì il suo passo, affiancandosi all’amico che, pensieroso, guardava davanti a sè. 

Il profilo del portiere si stagliava contro la luce del tramonto, che, diffusa, riempiva il cielo tingendolo di rosa.

Il ragazzo indossava una t-shirt bianca, abbastanza aderente, che metteva così in risalto i muscoli del petto e delle spalle, perfettamente modellati dopo anni di gioco e di duro allenamento. I jeans erano di un grigio scuro, e le scarpe, bianche, naturalmente da ginnastica. Anche se illuminato dagli ultimi raggi del sole,  lo sguardo sembrava  lontano, e un po’ malinconico. Senza rendersene conto,  Kris si ritrovò a fissare quei profondi e magnetici occhi neri, come catturata dal mistero che sentiva circondare l’immagine dell’affascinante calciatore, un portiere senza pari, il suo modello da anni. 

E con, indubbiamente, un corpo incredibile, che solo adesso si ritrovava a guardare continuamente…

Sì, la attraeva…la attraeva come nessun ragazzo, mai, aveva fatto prima.

Ma…c’era qualcos’altro. Un presentimento…

L’aria sembrò più calda, il mondo intero più silenzioso…e una strana sensazione, in quel momento, colse Kris…o meglio, sentì, con assoluta certezza, di stare vivendo un istante irripetibile, fuggevole, ma che sarebbe rimasto per sempre con lei… 

“Cosa…cosa mi succede?”, si disse continuando a fissare sognante la figura accanto a lei. “Io…io non mi sono mai sentita, così, prima d’ora…Benji…questa sera…ti vedo…con altri occhi…e questa sensazione…”.

Kris si fermò. Il ragazzo, che non si era accorto di nulla, proseguì per qualche altro passo, prima di girarsi verso l’amico.

“Cos’hai, Kristian? Non vuoi entrare?”, disse Price indicando l’ingresso della villa qualche metro davanti a lui.

Kristine lo guardava senza riuscire a dire nulla. Aveva paura. Paura di stare iniziando a provare qualcosa di serio, troppo serio.

“Benji”, mormorò, senza muoversi. “Tu…tu, invece, ce l’hai la ragazza?”.

Lo disse con assoluta fermezza. Price rimase in silenzio qualche istante, poi alzò la testa, sorridendo tristemente.

“No, Grover. Per adesso…no. Sai, alcune volte invidio Holly, o Julian…ma…se devo dire la verità, non mi sono mai messo seriamente con nessuno”.

“E…come mai? ”.

Benji continuò a fissare un punto del cielo, sopra la sua testa.

“Chi lo sa…alcune volte, penso che non avrei abbastanza tempo da dedicare ad una ragazza…o…beh, forse, semplicemente, non ho ancora incontrato quella giusta”. Sospirò.

“Sai”, proseguì appoggiandosi al colonnato del portico. “Quand’ero piccolo, i miei spesso erano assenti per affari importanti…non li vedevo quasi mai. Ho vissuto per parecchi anni senza di loro, in questa grande casa, e prima che conoscessi il calcio,  la mia vita era…beh, molto triste. Non avevo interessi, passatempi, amici…ero circondato solo da domestici, balie, insegnanti, ma queste persone non mi davano nulla. Li sentivo freddi e distanti. Così, anch’io mi chiusi in me stesso…e imparai a stare da solo”.

Price si voltò di spalle. Kris non aveva smesso un attimo di guardarlo.

Erano…erano…così simili. Non l’avrebbe mai creduto….

“E poi…cosa successe?”, chiese, avvicinandosi al ragazzo di un passo.

Lui sospirò ancora, mettendosi le mani in tasca. “Beh…quello…fu uno dei periodi peggiori della mia vita. Avevo tutto, è vero, ma passavo le giornate a fare sempre le stesse cose, ad ascoltare tutte quelle persone che avrebbero dovuto, in qualche modo, sostituire la mia famiglia. Ma non era così…io mi sentivo un automa, alienato…ero solo un bambino, troppo piccolo, troppo confuso…non riuscivo più a capire nulla, chi era nel torto, se ero io che sbagliavo…I miei spesso tornavano dai loro viaggi per il Giappone e l’Europa, ma non si fermavano mai, nemmeno per pochi giorni, a casa. Non capivano cosa mi mancava. Non riuscivano a comprendere che per me, i soldi, il lusso in cui vivevo…non erano niente in confronto all’affetto, all’amore di due genitori…dei genitori presenti, sempre”.

Benji si fermò. Improvvisamente si girò nuovamente, guardando negli occhi Kristine, a pochi centimetri da lui.

“Ti sto annoiando, non è vero? Forse è meglio…”.

“No, no, affatto! Benji…”, disse lei, scotendo  il capo. “…io…ti posso capire. La tua storia…assomiglia moltissimo alla mia. Anch’io ho sempre vissuto come te, ma…ecco, purtroppo il momento peggiore lo sto forse vivendo in quest’ultimo periodo…i miei genitori pensano solo ai loro maledettissimi alberghi…mai alla loro famiglia”.

Ecco. L’aveva detto anche a lui. Accidenti, si era promessa di non farlo. Ma…

“Kris”, disse allora lui mettendogli una mano sulla spalla. “mi dispiace…allora, è vero  che sei il figlio dei proprietari della catena di Hotel Grover? L’avevo sospettato, ma non ne ero sicuro”.

Kris abbassò gli occhi, facendo un sorriso tirato. “Già…purtroppo”.

Subito, però, rialzò la testa. “Lasciamo perdere…comunque, dimmi, come…come è finita?”.

Price la guardò. “Beh…arrivò il secondo anno delle elementari”, continuò. “Iniziai a praticare il calcio, quasi per caso, forse solo per distrarmi…fu il mio primo, vero interesse, e, senza accorgermene, mi ci appassionai. Tutto quello che avevo sempre tenuto dentro, la mia rabbia, la mia tristezza, l’energia che non avevo mai utilizzato…tutto…diedi sfogo a tutto, dedicandomi totalmente all’attività di portiere. Anche il mio carattere cambiò. Divenni più sicuro, forse…anche se…egoista, e, devo ammetterlo, molto arrogante e presuntuoso. In fondo…io e Landers eravamo molto simili, qualche tempo fa. Ecco perché iniziammo a odiarci cordialmente…”.

A quel punto Benji rise, e Kris lo fissò stupita.

“Dici sul serio? Non ci credo…tu non assomigli per niente a quel tipo…”.

“Grazie…ma dici questo solo perché mi hai conosciuto da poco…infatti, ora penso di stare cambiando ancora. Ecco, il punto è proprio questo…”.

“Di cosa?”.

“Del perché…non ho la ragazza”.

Kristine non disse nulla. Voleva che Benji andasse avanti. Voleva sapere.

Price rimise le mani in tasca. Forse era indeciso se continuare a confidarsi con lei. Anzi, con lui, con Kristian.

“Vedi…anche se acquistai più sicurezza, anzi, forse fin troppa, continuai a essere un tipo solitario. E’ vero, avevo i miei compagni di squadra, certamente erano miei amici, ma…mi ostinai a non affezionarmi a loro. Non volevo…avevo sempre contato solo su me stesso, e volevo continuare a farlo. Credevo di non avere bisogno degli altri. Da solo…stavo bene. Ne ero assolutamente convinto. Anche per questo motivo, penso, decisi di rimanere in Giappone. Ormai, avevo imparato a non più ascoltare nessuno…il calcio, per me, era diventata l’unica cosa di cui mi importasse davvero, la sola che consideravo realmente importante”.

Kris continuava a guardare Price. Dentro, mille pensieri avevano iniziato ad affollarle la mente.

A differenza di Benji,  lei si era sempre aggrappata agli altri. Per non lasciarsi andare…aveva sempre cercato aiuto. Alex, Tom, Nicole…

Invece, adesso aveva deciso di comportarsi proprio come aveva sempre fatto Price.

Per cambiare, per essere, o forse per sembrare più forte. Ma soffrendo.

Era giusto?

Ora, finalmente, stava iniziando a capire…

“Quando conobbi Holly, Tom, e gli altri”, proseguì il ragazzo “ero ancora quel ragazzino orgoglioso e egoista…se lo ricordano tutti molto bene, credo…soprattutto Holly. Ma fu proprio lui, con il suo entusiasmo verso ogni cosa, il suo spirito sportivo, la sua allegria e il suo ottimismo a farmi capire cosa davvero era l’amicizia, e quanto fosse importante in una squadra affiatata, ma anche, semplicemente, nella vita di tutti i giorni. Così abbandonai quel mio odioso comportamento…non potevo più essere un’isola. Compresi, infatti,  che ognuno di noi ha bisogno degli altri. Però…”.

“Però?”.

“Ecco…ancora oggi, non…mi sento la persona che vorrei essere. Non sono…non mi sento ancora capace di dare a qualcuno qualcosa di mio, una parte di me. Soprattutto, ad una donna. Non saprei comunicarle nulla, credo. Nemmeno so, forse, amare davvero. Tutte le volte che avrei potuto avvicinarmi a una ragazza, ho sempre lasciato perdere. Anche per paura di avere un rifiuto, forse…per non sentirmi dire, appunto, di averla delusa. E di non essere il ragazzo che ha sempre desiderato”.

Ormai il sole era totalmente scomparso oltre la linea dell’orizzonte. Il cielo stava iniziando a colorarsi di un blu scuro.

Quell’alito di aria calda che prima Kris aveva avvertito, però, sembrò tornare ad avvolgere la ragazza.

O…forse era il suo cuore ad essersi riscaldato?

“Price…”, mormorò Grover. “Non devi, non devi assolutamente pensare di essere una persona vuota, perché non è affatto vero. Anche se non ti conosco da molto, mi sono reso conto che…”.

Benji sorrise triste. “Grazie”, disse, senza lasciarla finire. “Ma vedi…con gli amici mi comporto diversamente. Sai…”. La guardò negli occhi. 

Kris sostenne quello sguardo profondo, anche se con molta difficoltà. Forse era arrossita.

“…Sì?”.

“Sono contento di averti parlato di queste cose…è strano, ma non sono mai riuscito a dirle a nessuno, prima di adesso. Non so perché, ma sento di potermi fidare ciecamente di te. Sarà dovuto al fatto che noi due ci somigliamo molto”.

Kris continuava a fissarli. Quegli occhi. Occhi scuri, neri come la notte. Così tristi, ora, pieni di una tristezza infinita.

Non lo sapeva…non credeva…Benji era molto più fragile di quanto non sembrasse. 

“Hai ragione, Price…”.

Il suo cuore batteva forte. Il calore…sì, ora lo sentiva. Ne era certa.

“Siamo due anime sole”, pensò malinconicamente. “Voglio…vorrei starti vicina. Benji…cosa sto provando? Cos’è questa pena che sento…sto soffrendo…per entrambi…”.

Il ragazzo sembrò non accorgersi, però, dello stato d’animo di Kris.

“Ma ora basta parlare di tutto questo…penso che ci abbia solo depresso! ”,  disse infatti ridendo e girandosi verso la villa. “Ti ho tenuto qui fuori fino a quest’ora…adesso entriamo, e ti assicuro che cambiamo argomento! Ok?”.

Kris sorrise. “Ok!”.

Detto questo, i due salirono le scale dell’ingresso, scomparendo dietro all’alto portone.

 

Benji fece visitare a Kristine l’intera villa: in realtà era ancora più grande di quanto appariva all’esterno, e la ragazza rimase molto sorpresa nonostante conoscesse bene l’ambiente nel quale vivevano gli aristocratici, ed in particolare le loro lussuose abitazioni…la casa in cui ora stava, lì a Fujisawa, non aveva nulla a che fare con le ville e i residence che i suoi avevano comprato o avevano fatto costruire nelle più disparate località dell’arcipelago giapponese. Rispetto, ad esempio,  alla loro casa estiva a Hokkaido, questa era sicuramente molto modesta, e, proprio per questo, perfetta per i due fratelli Grover. Senza domestici e camerieri che giravano di continuo per le stanze, Kristine si sentiva più rilassata, e finalmente libera da quella fastidiosa sensazione di no-privacy che aveva dovuto sopportare per anni.

In fondo, i suoi genitori non erano praticamente mai a casa – come non lo erano mai stati, del resto - e sia Kris che Alex avevano quindi rifiutato un’altra villa dalle dimensioni esagerate, priva di qualsiasi utilità...un insensato spreco di denaro, aveva detto Alex alla madre. Quella era stata una delle poche cose positive che la ragazza aveva avuto dai genitori.

“E’ fantastica” esclamò Kris guardando sorridente l’amico. “In altri casi direi di non poter sopportare un posto del genere…ma la tua casa…ha un non so che di…affascinante. Dico sul serio!”.

Price ridacchiò. “Eh eh…questo non me l’aveva mai detto nessuno…comunque ti ringrazio. Anch’io preferirei vivere in un’abitazione meno monumentale, ma devo dire che, ormai, ci sono affezionato.  Nonostante il mio passato…”.

Si fermò davanti a una vetrata, sospirando. La sua espressione divenne indecifrabile.

Kris fece un cenno d’assenso, rimanendo in silenzio. Anche se Benji le aveva raccontato tutto,  il ragazzo continuava a sembrarle sfuggente…come circondato da una sorta di barriera, che lo difendeva dall’esterno.

Per non lasciare entrare nessuno. E  per non lasciare nemmeno uscire  alcuna emozione.

E’ vero. Lo sapeva bene. Non era semplice cambiare.

Benji lotta ancora, dentro di sé.

Non è così sicuro. C’è ancora tanta solitudine. Rabbia, forse. E  tristezza. Paura di non essere accettato, compreso, amato.

Lasciato solo. Respinto.

Ancora…essere un’isola.

Ora…cerca solo di capire…capire chi è. Cosa vogliono gli altri da lui, cosa vuole lui dagli altri, e da se stesso.

Come lei. Come tutti. Tutti cerchiamo. Tante, troppe cose.

Ma alla fine, non siamo mai felici. Desideriamo, senza mai fermarci, senza mai essere appagati.

E qual è, allora, la risposta? Dove sono la serenità e la gioia totali?

Nella realizzazione di un sogno?

Quale sogno?

Un’intera esistenza,  può essere un sogno. Ma come realizzarlo?

E’ così difficile vivere. Fare delle scelte. Scegliere chi essere, fra mille anime.

“Anche tu lo stai facendo, Benji. Come me. E intanto,  quella immensa tristezza…non ti lascia pace, vero?”, disse a bassa voce la ragazza.

Kristine si avvicinò al portiere. Avrebbe voluto rimanere ancora con lui. Ma purtroppo, se avesse tardato ancora una volta,  Alex non glie l’avrebbe perdonato.

 “Grazie mille della visita. Purtroppo, adesso, devo proprio andare…”.

Price si voltò di scatto, distogliendo lo sguardo assorto dalle lontane montagne che circondavano Fujisawa.

“Ma…magari potresti fermarti per cena…”.

“Mi piacerebbe…ma davvero, devo scappare. Mio fratello mi starà già aspettando a casa. Sai…non è il caso di litigare con lui…”.

Rise. Benji la fissò sorpreso. “Hai un fratello?”.

“Sì. Si chiama Alex…è più grande di me di 3 anni”.

“Ah”. Si girò nuovamente. “Mi sarebbe piaciuto avere un fratello o una sorella…”. Rimase in silenzio per qualche istante. “Secondo me sei molto fortunato, Kristian”, disse poi.

Kris sorrise. “Lo so”.

Price la guardò negli occhi. Forse avrebbe voluto aggiungere altro, ma non lo fece.

“Ti accompagno al cancello”.

 

I due attraversarono nuovamente l’intero giardino e il campo da calcio. Kris camminava silenziosamente di fianco a Benji, non sapendo cosa dire. Quella sera aveva visto il vero Price…ora sapeva che dietro a quell’immagine di portiere forte, infallibile e sicuro si sé c’era anche qualcos’altro. Paure mai raccontate a nessuno, tenute sempre nascoste da una maschera assolutamente insospettabile…

E adesso le aveva confessate a lei. O meglio, a Kristian Grover.

Arrivarono in strada. Benji sorrise all’amico, mettendo le mani nelle tasche dei jeans.

“Grazie della visita, allora. Spero…di non averti stufato con tutto quello che ti ho raccontato”.

Kristine scosse il capo. “Non mi hai affatto annoiato. E poi è vero che siamo simili. Forse abbiamo delle storie un po’ diverse…ma ho conosciuto anch’io la tua stessa solitudine”.

Si fermò un attimo. “In ogni caso…sono pronto ad ascoltarti ancora, qualunque cosa ti serva!”.

Benji Price lo guardò. “Grazie” disse. “Ma non penso che ce ne sarà più bisogno. Credo che quello di oggi sia stato solo un momento…di debolezza, ecco. Non capiterà più, te lo assicuro”.

Kris sapeva che quella non era la verità. L’orgoglio di Price serviva solo per sembrare più forte…lei lo capiva. Lo capiva bene. Anche lei si era comportata allo stesso modo.

“Ehi, alla fine, fra una cosa e l’altra, non abbiamo parlato del campionato!”, esclamò improvvisamente Price girandosi dall’altra parte, come per cambiare argomento.

Poi, invece, si rigirò verso di lei, guardandola negli occhi.

“Senti, potremmo incontrarci questi giorni, che ne dici? Magari ti potrei allenare qui a casa mia…”.  

Kris lo fissò incredula. “Eh? Davvero?”.

Benji sorrise. Un sorriso bellissimo. Sembrava essere ritornato il ragazzo di poche ore prima.

“Certo! Non credi sia la cosa migliore? Di certo non tutti i giorni, ma…”.

“Va benissimo! Non ci sono problemi!”, esclamò Kris entusiasta, prima di lasciarlo finire. “Ti assicuro che ce la metterò tutta!”.

“Mi fa piacere che tu abbia tanta grinta…”, disse lui guardandola. “Sono sicuro anch’io che non ci deluderai. Kris…”.

“Cosa?”.

“Penso proprio che diventeremo buoni amici”.

Amici…buoni amici. Kristine si portò una mano al petto. Il cuore stava ricominciando a batterle forte. Qualcosa le diceva che una profonda amicizia con Price la avrebbe portata unicamente in una direzione…già prima si era accorta di qualcosa. Una sensazione mai provata prima. Tanta confusione.

Improvvisamente si era resa conto di sentirsi incredibilmente attratta da Price. E questo no, non andava proprio bene. Avrebbe solo complicato ancora le cose. E  Tom? Cosa provava allora per Tom?

Non riusciva a capire.

Accidenti, lei doveva essere Kristian…doveva essere Kristian Grover, e basta. Non poteva rivelare la verità anche a Benji. Non avrebbe mai dovuto sapere nulla. Assolutamente. Era impensabile. No.

Scegliere chi essere, fra mille anime.

Perché doveva scegliere? Non era giusto.

“Ne sono certa…sì, saremo buoni amici”. Detto questo, sorrise a Price.

“Ti lascio il mio numero di cellulare…così potremo metterci d’accordo per quando vederci. Nel frattempo continuerò ad allenarmi al campo con il resto della squadra. Ok?”.

Dopo aver dato al ragazzo il numero per rintracciarla, Kris si allontanò in strada.

Benji la seguì per un po’ con lo sguardo, poi rientrò in giardino. Alzò lo sguardo verso la grande villa.

“Chissà cosa mi è preso…perché gli ho detto tutto?”.

Fissò le cifre del numero che Grover gli aveva scritto sul foglietto che ora teneva fra le dita.

“Già”. Infilò nuovamente le mani in tasca, insieme al foglietto. “Siamo simili”.

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Capitolo 8
*** Complicazioni ***


*We are islands, but never too far, we are islands…

Ore 7.15 del mattino. Kristine era distesa sul letto, ancora sotto le coperte, con il viso sprofondato nel cuscino. La musica di Mike Oldfield le teneva compagnia, riempiendo la stanza e la sua mente di note leggere, accompagnate da una voce femminile,  dolce ma appassionata…

Islands, from the first time we saw, we can wait for this moment, like rocks on the shore…

Price…era ancora un’isola?

L’aveva sempre creduto forte, molto più forte di lei.

Anche se in realtà, per stare da soli…si deve essere molto forti.

Solo in apparenza Benji era come l’aveva sempre conosciuto.

We can never be closer someone, for the moments that lasts, is this moment now…

Sì, e in quell’attimo si era sentita vicina a lui. Molto vicina.

When the night’s on fire, will you keep the candlelight burning, hold on to your hearts desire…

Era stato per poco, è vero, ma aveva visto dentro Benji. L’aveva capito.

When you see one bird into the wind, another’s ones turning…and the two can fly much higher…

Cavoli.

Qualcosa, però, non andava.

Si sentiva strana.

We are islands, but never too far, we are islands…

And I need your light tonight, and I need your light tonight…

Oh, accidenti. Oldfield sembrava leggerle nel cuore.

“Sì, siamo isole…ognuno per motivi e da punti di vista diversi, ma lo siamo. E…proprio per questo, ci attraiamo…forse abbiamo bisogno l’uno dell’altra?”.

Kris si alzò di scatto dal letto. “Mmh…non dovrei pensarci troppo…non ora…”, disse risoluta.

Ma la musica continuava…così le parole…

Islands, never been to before, and we climb so high

To where the wild birds soar, there’s a new path that

We found just today, I was lost in the forest, and you showed me the way…

“Forse…abbiamo perso entrambi la strada…uff…”. La ragazza sospirò, guardandosi allo specchio.

Si fissò a lungo, mentre il ritornello si ripeteva.

“Accidenti, forse penso troppo. Non mi fa bene pensare troppo, e dire che lo so…”, mormorò.

“Scusa…Kris, posso entrare?”.

Kristine girò la testa verso la porta.

“Oh, buongiorno, Alex…sì, vieni pure…”.

Il fratello della ragazza si avvicinò. L’espressione sul suo viso non era particolarmente allegra.

“Ascolta…”.

Kris lo guardò, mostrandogli invece il migliore dei sorrisi. “Che succede, fratellino?”.

“Beh…”, iniziò il ragazzo. Si sedette sulla sponda del letto. Per un attimo, titubante, fissò il pavimento. Poi rialzò il viso verso Kris e le parlò deciso.

“Sono preoccupato. So che mi nascondi qualcosa. Quello che mi hai raccontato non è la verità. Ne sono certo”.

“Eh?”, esclamò sorpresa l’altra, senza agitarsi minimamente. “E perché non dovrebbe essere la verità?”.

Alex si rialzò in piedi improvvisamente. “Perché non lo è!”.

Kristine fissò senza parole gli occhi verdi del ragazzo. Non se lo sarebbe aspettato. Almeno, non così presto.

Beh, in ogni caso, a questo punto, tanto valeva confessare subito…

Però…

“E’ vero”, mormorò abbassando gli occhi. “Non lo è. Scusa se ti ho mentito, ma…ancora adesso non posso dirti tutto”.

“E per quale motivo? Non riesco più a vederti ritornare a casa a orari impossibili…Ti sei cacciata in qualcosa di pericoloso? Guarda che se qualcuno ti infastidisce, o…”.

Kristine lo interruppe. “No, no! Niente di simile…è solo…qualcosa unicamente mio. Ti prego, Alex, fidati di me. Un giorno ti racconterò tutto, spero potrai capire le mie ragioni. Ma, per adesso, fidati. Ti scongiuro”.

Lui rimase immobile, a guardarla negli occhi. “Come posso fidarmi? Lo sai…io mi sento responsabile nei tuoi confronti. Sono responsabile nei tuoi confronti!”.

“Lo so. Ma questa volta, non devi. Non dire nulla a nessuno. E comunque…quella che ti ho raccontato…è una mezza verità”.

Lui sospirò. “Ah, e questo dovrebbe rassicurarmi? Kris, sei impossibile…”.

La sorella rise. “Dai, non esagerare. Se ti dico di non preoccuparti, non devi farlo! Ok?”.

Il ragazzo la guardò di traverso. “Uhm…uff, ci proverò”, disse infine, ormai arreso.  Mise le mani nelle tasche dei pantaloncini blu che indossava. “Adesso…ti prepari ed vai subito a scuola?”

Lei si stiracchiò, sbadigliando. “Sì, devo incontrarmi con Judith prima che inizino le lezioni. Deve farmi copiare matematica…”.

Alex le lanciò un’occhiataccia. “Come sempre non fai i compiti per conto tuo, eh? Sei la solita”.

La ragazza gli fece la linguaccia. “Ho preso da te, sai?”.

Scoppiarono entrambi a ridere. Subito dopo, però, Alex ritornò serio, e, dirigendosi verso il corridoio, salutò la sorella.

“Esco subito anch’io. Ci vediamo più tardi, allora. Chiudi tutto, mi raccomando”.

“Sì, ma…oggi non dovresti avere lezione così presto, all’università, o mi sbaglio?”.

“No, infatti. Devo incontrarmi prima con una persona”.

Kris lo punzecchiò. “Un appuntamento, eh? Con una ragazza?”.

Alex non sembrò  notare il tono scherzoso di Kris. “Sì, con Nicole”, disse dopo un po’.

“Cosa?”. Kristine non credeva di aver sentito bene. Nicole? Nicole, quella Nicole, la segretaria dei suoi? 28 anni, per metà giapponese e per metà olandese? Che era sempre stata una seconda sorella, una seconda madre, per loro? No, forse non era lei…non poteva essere lei…

“Nicole Henger”.

Kristine rimase un attimo immobile, shockata. “Ma…cosa…cosa vi lega esattamente? Voglio saperlo”, mormorò poi.

Alex, girato di spalle, le rispose duramente. “Non sono cose che ti riguardano”.

La sorella del ragazzo, a quelle parole, lo fissò negli occhi, fulminandolo con lo sguardo.

“Ah, non sono cose che mi riguardano? Scusami tanto…e allora per quale motivo tu, invece, volevi sapere cosa faccio io?”, esclamò Kristine  a voce alta, indignata.

“Sono due cose diverse”.

“Ma davvero? Ti informo, nel caso in cui non te ne fossi accorto, che Nicole è molto più grande di te! Vi distanziano quasi 10 anni! E poi, cosa diavolo è successo? E’ sempre stata una sorella, per noi, e tutto ad un tratto, tu…”.

“Non sai niente, Kristine. Non immischiarti”.

“Smettila! Mi fai schifo!”.

Le ultime parole gridate da Kris rimasero nella testa nel fratello, ripetendosi più volte, come un’eco. Per un po’ Alex non disse nulla, poi girò leggermente la testa di lato, guardando un’ultima volta la sorella prima di uscire dalla stanza.

“Hai ragione, su questo punto. Ho vergogna di me stesso. Scusami”, mormorò tristemente.

Detto questo, il ragazzo se ne andò, chiudendo piano la porta. Kris rimase ferma, con gli occhi spalancati, a fissare l’anta chiusa. Forse aveva esagerato. Non sapeva cosa le fosse preso, ma…no, non poteva crederci. Alex e Nicole avevano una storia. E poi, chissà da quanto questa andava avanti senza che lei ne avesse mai saputo nulla. Suo fratello…come aveva potuto essersi innamorato di Nicole? Era come…se davvero, si  fosse innamorato di una loro stretta parente…

O forse le cose erano ancora più complicate. E lei, non ne sapeva davvero nulla.

“Cavoli…ci mancava anche questa. Ma bene…”.

Si lavò e vestì in fretta, cercando di non pensare a quell’ennesima preoccupazione. Se suo fratello non voleva dirle nulla, va bene. Non erano affari suoi, vero. Certo, la cosa le dava fastidio, ma forse, in quel momento, non era il caso di crearsi altri problemi. Prima o poi si sarebbe anche scusata per come si era comportata prima. Ma adesso, basta.

Fece colazione, e andò a scuola.

 

I giorni seguenti passarono tranquilli. Mentre gli allenamenti con la squadra si erano limitati a tre giorni la settimana, Benji e Kris iniziarono a incontrarsi sempre più frequentemente alla villa del ragazzo…

Price insegnava a Grover ogni sua tecnica, ogni suo movimento e ogni suo trucco…lei imparava in fretta, impegnandosi con tutta se stessa. Doveva, voleva diventare ciò che il suo allenatore sperava. Per lui, per se stessa, per gli altri.

Non era mai stanca, e gli allenamenti non conoscevano soste.

Ma era contenta. Soprattutto, felice di poter stare con lui. Con Benji.

“Aspetta…no, Kristian, più inclinato in avanti. Così sei sbilanciato”, eclamò il portiere dopo aver osservato, critico, Grover che, fra i due pali, seguiva le sue istruzioni. Price si avvicinò quindi a Kristine, posizionandosi dietro a lei.

“Anche le braccia, e le mani…”, disse severo, prendendogli i polsi e spostandoglieli in avanti.

“Ehm…io…penso di aver capito…”, rispose imbarazzata Kristine. Non si era certo dimenticata di essere una ragazza, e la vicinanza con Benji  la metteva in agitazione. Soprattutto, quando era così vicino…e quando le sue mani la toccavano…

“Giusto…ecco, così. Il busto, dicevo, non va bene…”, continuò poi lui, abbassando le braccia e mettendo le mani sui fianchi e la vita di Grover. “Devi…”.

A quel tocco, Kris si allontanò improvvisamente da Price, girandosi poi verso di lui.

“Ah…ecco, vedi…dovrei andare un attimo in bagno…”.

Accidenti, non le era venuto in mente nient’altro da dire come scusa…

Price la fissò, un po’ stupito. “Oh…certo, figurati, fai pure…sai dov’è, vero?”.

“Ehm…sì, sì, grazie”.

Kristine corse via dal campo, entrando come un fulmine in casa. Una volta dentro la villa, richiuse il portone dietro di sé.

“No, no, no. Non ci devo far caso. Devo far finta di nulla…”, si disse, cercando di tranquillizzarsi. Respirò profondamente, chiudendo gli occhi. Li riaprì.

“Oh, ma cavoli, però non posso reprimere le mie sensazioni!”, gridò nel salone deserto, mentre la sua voce rimbombava, moltiplicandosi all’infinito. Alzò gli occhi al soffitto arabescato, disperata. “Quello che mi preoccupa…è che…stiamo diventando davvero…amici. Molto amici. E questo mi fa paura…”.

Aveva previsto che sarebbe successo.

E adesso, adesso…

Sospirò ancora. “Sono Kristian. Solo Kristian. Deve entrarmi in testa…assolutamente. Al diavolo le mie sensazioni ed emozioni…non mi comporterò come Kristine. In campo, Kristine non esisterà…mai…”.

Ma sapeva, dentro di sé, che non ce l’avrebbe fatta ad obbedire a quel comando a lungo.

Sarebbe bastato poco, molto poco, per rovinare tutto.

E sarebbe successo, purtroppo.

Anche se Kris, quel pomeriggio, non poteva immaginare neanche lontanamente come…

 

“Ehi, oggi non hai una gran bella faccia, sai?”, disse Judith guardando pensierosa Kristine che, con occhi vacui, camminava di fianco a lei, nel cortile interno del liceo Syutetsu.

“Eh?”, rispose l’altra, voltando lentamente la testa verso la graziosa ragazza bruna.

Jude quasi saltò davanti all’espressione spenta e assonnata dell’amica. “Mamma mia, fai davvero spavento…è tutta la mattina che hai quello sguardo…ma stanotte hai dormito?”.

Kris si fermò un attimo. “Uhm…sì…credo di sì…o forse no…”, borbottò.

Judith la fissò. “Senti, ma si può sapere che cosa ti sta succedendo?”. Mise entrambe le mani sulle spalle di Kris. “Sono seriamente preoccupata, davvero!”.

Kristine la guardò a sua volta negli occhi, questa volta seria. “Jude…”.

“…s…sì?”.

“…Hai presente il dottor Jekyll e Mr. Hyde? Ecco, mi sono resa conto di quanto sia interessante lo sdoppiamento della personalità…Certo, non penso che in me coesistano un mostro e una persona buona e gentile, però se analizziamo…”.

“Eeeeeh?”. L’altra la prese per mano. “Ehm…Kris, forse è meglio andare in classe…così mettiamo via le cose e ce ne torniamo a casa. Poi parliamo con calma, ok?”.

Kristine si lasciò condurre docilmente verso l’aula da Judith, mentre questi, sconsolata, scuoteva la testa, ormai convinta dell’instabilità mentale dell’amica…

Arrivarono nel corridoio. Una misteriosa folla di studenti di prima circondava la sezione C dell’ultimo anno, mentre alcuni professori e un paio di strani individui vestiti in nero cercavano di allontanare a forza i ragazzi, sia femmine che maschi, dalla porta dell’aula.

“Indietro, state indietro…fatelo uscire…”, diceva a voce alta uno degli insegnanti aprendo un varco tra il gruppo.

Kris e Judith si fermarono ad osservare la scena qualche metro distanti, incuriosite.

“Ma che cosa succede secondo te?”, domandò Kristine riprendendosi improvvisamente dalla catalessi. Cercò di vedere oltre la folla, alzandosi sulla punta dei piedi.

Jude si avvicinò un po’. “Mhh…forse ho capito…”.

“Capito che cosa?”.

“Chi è la persona che suscita tanto scalpore”.

“E cioè?”.

Proprio in quel momento il misterioso personaggio uscì dalla classe. Tutti gli studenti iniziarono a gridare, mentre le ragazze, spingendo nella ressa, allungavano le braccia nel tentativo di toccare l’alto giovane dai capelli bruni che stava sfilando davanti a loro.

“E’ mio! Lasciatemelo abbracciare!”.

“Ti prego! Facci un autografo!”.

Il ragazzo sorrideva, salutando con una mano i giovani ammiratori intorno a lui. Circondato da quelle che sembravano essere una sorta di guardie del corpo, si diresse verso l’atrio, proprio nella direzione delle due amiche. L’ammasso di studenti lo seguirono, tenuti però a distanza dai personaggi in nero.

Kristine sbiancò.

“Beh…è Benjiamin Price, il portiere più forte del Giappone nell’ambito del calcio giovanile…sai, ogni anno è la stessa storia! Tutti gli studenti di prima non credono ai loro occhi quando scoprono che frequenta la nostra scuola, anche perché la maggior parte di loro non sanno nemmeno che abita a Fujisawa e…”,  spiegò Judith.

Ma la ragazza non riuscì a terminare la frase, perché Kristine le afferrò violentemente un braccio, iniziando poi a correre nel corridoio opposto a quello da cui stava arrivando Price.

“Ma…ma che sei, impazzita??”, gridò Jude, guardando con occhi sgranati Kris. “Piano, mi farai caderee! Kristineee!”.

“Zitta, e vieni via! Ne va della mia esistenza…oh, ma dimmi se mi deve capitare anche questa…”, rispose l’altra, senza fermarsi.

Finalmente, uscite dalla visuale del ragazzo, le due si appoggiarono al muro dell’aula di chimica, la prima classe in cui Kris si era fiondata senza pensarci due volte. Rimasero qualche secondo a riprendere fiato, o almeno, così fece Judith, non certo allenata alla corsa come invece lo era l’amica.

“Ma…uff…che…che cavolo…uff…ti è preso? Si può sapere?”, mormorò poi con la poca voce che le era rimasta, sedendosi per terra.

“Prima voglio sapere che cavolo ci fa Price in questa scuola!”.

Judith alzò lo sguardo verso Kris, in piedi davanti a lei.

“Ah…è vero…tu non lo puoi sapere, visto che sei arrivata a Fujisawa questa estate”, disse quindi la ragazza, un po’ sorpresa dal tono di Kris. “Benjiamin Price frequenta da sempre la Syutetsu, ma a causa di un infortunio alla gamba capitatogli qualche tempo fa, ha dovuto abbandonare per un po’ la scuola. In tutto questo periodo lo hanno seguito degli insegnanti privati, e solo questa mattina è finalmente ritornato a frequentare le lezioni regolarmente. In ogni caso, visto che è ricco sfondato, non penso che la cosa sarebbe cambiata molto, anche se fosse rimasto a casa…però, non credi che sia un tipo incredibilmente affascinante? E poi…”.

Kris si inchinò all’improvviso, lanciandole uno sguardo di fuoco. “Questa mattina? E io dov’ero questa mattina? Perché non me ne sono accorta? Perché non me lo hai raccontato??”.

“Ehm…mi fai paura…calmati…”, balbettò l’altra, un po’ spaventata. “Se ben ti ricordi, stamattina sei arrivata in ritardo…se fossi stata puntuale, avresti assistito alla stessa scena di prima…e poi…beh, tu non mi hai chiesto nulla, perché avrei dovuto…”.

“Ma si può sapere che avete in questo periodo tutti quanti? Siete sempre a criticare il mio comportamento a scuola…”.

“Kristine…fa’ un bel respiro, ti prego…”.

Kris ascoltò il consiglio, sospirando, anche se per l’ esasperazione. Con le mani fra i capelli, si lasciò cadere di fianco alla ragazza.

“Sigh…le cose dovevano per forza complicarsi…mi sembra ovvio…”, gemette flebilmente, nascondendo il viso fra le ginocchia.

Judith, dopo aver atteso qualche secondo per assicurarsi che l’amica non reagisse in altri modi imprevisti, le mise una mano sulla spalla.

“Ehi…seriamente, non mi vuoi raccontare in che guaio enorme ti sei cacciata?”, le disse calma. “Qualcosa ti lega a Price, non è così?”.

Kris rialzò la testa, e, guardando l’amica,  sospirò nuovamente. “E non solo a lui. Jude, promettimi che quello che ti dirò ora non uscirà da questa stanza”.

L’altra sorrise, comprensiva. “Ma certo. Sai che di me ti puoi fidare, o no?”.

Kris ricambiò il sorriso. “Già”.

 

Alla fine del racconto, Jude scoppiò a ridere.

“Ah ah ah ah!! Mio dio, Kris, hai avuto un gran bel coraggio! Mi immagino in che situazioni fantastiche ti sarai trovata…”.

La ragazza si accasciò sul pavimento, piegata in due dalle risate.

“Smettila! Non c’è proprio niente da ridere….anzi, è una tragedia…”, disse a metà strada fra l’offeso e l’imbarazzato Kristine, incrociando le braccia e guardando di lato. “Una vera tragedia…”.

Jude si rialzò da terra, asciugandosi le lacrime. “Ah ah…ehm, no scusa…scherzavo…ma…dove la vedi la tragedia? Basta evitarlo qui a scuola, no? Tanto noi siamo del quarto anno, non c’è pericolo che ti veda in classe…”.

Kristine arrossì ancora di più. “Non è quella la tragedia, infatti”.

“Ah…beh, sì, è vero, quello aggrava solo la situazione…uhm, ok, ti sei innamorata perdutamente di lui, e quindi? Non trovo che…”.

Kris si rigirò subito verso l’amica. “Cosa??? Ma guarda che non mi sono innamorata di Benji! Come cavolo ti viene in mente?”.

“Eh eh…”, ridacchiò la ragazza dai corti capelli neri, un po’ mossi. “Non me la dai a bere…tutto quello che mi hai descritto e raccontato ne è una prova…Price è speciale…molto speciale! Non negarlo…”.

Kristine abbassò lo sguardo minaccioso che aveva rivolto a Jude qualche istante prima, per fissare tristemente il freddo pavimento bianco.

“Già. E il guaio è…”.

“…che tu devi rimanere un semplice amico per lui, visto che per tutta la New Team sei Kristian. Giusto?”.

L’altra assentì col capo. “Sì. Ma…c’è anche Becker. E non capisco, con Tom,  dove sia il confine tra l’amore e l’amicizia…non capisco dove si situa quello che provo per lui…e quanto è differente da quello che provo per Price…anzi…non capisco più nulla dei miei sentimenti. Sono…così confusa…e la mia vita sta diventando così complicata con questa mia doppia identità…”.

Judith rimase in silenzio per qualche secondo. “Lo so, Kris. Mi dispiace. Vedrai che…con il passare del tempo, capirai cosa realmente ti vuol dire il tuo cuore. E comunque, se ti può far star meglio, io sarò qui, accanto a te, pronta ad aiutarti. Avrai sempre il mio sostegno morale”.

“Grazie. Sei una vera amica”.

“Figurati. E poi, come posso non aiutare una ragazza combattiva e determinata come te? Oggi sono così poche le persone che inseguono quello in cui credono, soprattutto, poi, quando questo sogno sembra irrealizzabile! Ti ammiro molto, davvero”.

Le due ragazze si guardarono, sorridendo. “Ora forse è meglio andare. Tanto Price sarà già uscito!”.

“Ok!”. Si rialzarono. “Io devo scappare…oggi ho un altro allenamento”, disse Kristine sistemandosi la giacca della divisa. “Devo correre a casa a cambiarmi…”.

Judith alzò la testa. “Un allenamento? Questo pomeriggio?”, esclamò, interessata.

“S…sì…perché? “, rispose Kris con un po’ di timore. Guardò Judith: l’espressione dell’amica era completamente cambiata, e non prometteva nulla di buono!

“Jude, non penserai…”.

“E invece sììì!”, gridò l’altra, prendendo le mani di Kris. “Voglio venire con tee!”.

“No…no…senti…non mi pare proprio il caso…”.

“Ma dai! Che problemi ci sono? Voglio solo rifarmi un po’ gli occhi con qualche atletico calciatore…”.

“Ehhhh?”.

“Dai, scherzo!!”, disse subito Judith, ridendo. “Ma in questo modo potrò starti vicina e aiutarti, no?”.

Kris la guardò storto. “Ehm…e cosa…vorresti fare per aiutarmi?”

“Semplice! Ti darò il sostegno morale di cui ti parlavo!”. Judith battè allegra una mano sulla schiena di Kristine, che stava iniziando ad agitarsi, visibilmente preoccupata. Purtroppo, anche se conosceva Jude solo da pochi mesi, aveva già imparato a fondo il carattere dell’esuberante amica…

“Stai tranquilla, Kris!”.

“Non so perché…”, disse lei,  per niente rassicurata. “…ma qualcosa mi dice che non dovrei ascoltarti, proprio no…”.

Judith le strizzò un occhio. “Fidati, ti dico! La mia presenza accanto a te è  proprio quello che ti ci vuole!”.

* In questo capitolo:

© “Islands”, by Mike Oldfield, Vocals by Bonnie Tyler, Co produced by Mike Oldfield, Tom Newman and Alan Shacklock for Multi Media London Ltd. An Oldfield Music Production.

© 1987 Virgin Records Ltd.

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Capitolo 9
*** Silenzi ***


“Benji! Finalmente!”, esclamò Holly non appena vide l’amico arrivare dall’ingresso del campo, accompagnato da Freddie Marshall.

“Già…finalmente mi hanno lasciato venire a guardarvi”, disse il ragazzo sorridendo all’uomo di fianco a lui, sulla sessantina, i capelli quasi grigi. Freddie guardò prima Price, poi Hutton.

“Ma dov’è il tanto famoso Grover? Benji me ne ha parlato molto bene…anche se in teoria avreste dovuto chiedere al sottoscritto, prima di far entrare in squadra il primo venuto…”.

Il capitano alzò una mano, pronto a ribattere. “Ecco…”.

“…ma mi fido molto del giudizio di Benji, quindi credo che la sua sia stata un’ottima decisione”, continuò però Marshall, togliendosi gli occhiali scuri e infilandoli nella tasca della camicia azzurra. 

Holly incrociò le braccia, soddisfatto, gettando un’occhiata all’amico.

“Ad ogni modo, vedrò di conoscere personalmente questo Kristian Grover…almeno per sapere chi è, da dove viene, e così via…”.

Benji alzò leggermente la visiera del cappello.

“Ma, Holly, a proposito…Kris non è ancora arrivato?”, disse il ragazzo guardando verso la porta del campo, vuota. Gli altri giocatori, invece, stavano già palleggiavano sull’erba color smeraldo.

“No, non ancora…oggi è in ritardo”.

“Mmh...già, pare proprio di sì”.

Mentre i tre parlavano ai margini del prato, Tom Becker, al centro del rettangolo, stava seguendo distrattamente l’allenamento coi compagni, immerso completamente nei propri pensieri.

Da quel lunedì, dopo la visita di Mark Landers, Kristine era molto cambiata. O almeno, era cambiata con lui.

Tom non sapeva, in realtà, se ciò fosse dovuto proprio all’incontro che era avvenuto con il capitano della Toho. Forse Kris aveva solo voluto dimostrarsi forte e coraggiosa…aveva voluto fargli vedere che non aveva  paura di Landers…

Ma se era così, perché ancora adesso cercava di nascondere la vera Kristine? La Kris dei suoi ricordi…no, non poteva accettare che fosse davvero scomparsa. Non era possibile. Si stava allontanando sempre di più da lui…

Ma…forse…il motivo era un altro?

Gli allenamenti…

Gli incontri con Price…

Lo ammiri molto, vero?

L’intera settimana…Kris l’aveva visto tutta la settimana…loro due, nella sua villa, soli…

Moltissimo. E’ sempre stato il mio modello da seguire…sai, voglio cercare di imparare il più possibile da lui. Il suo stile non ha eguali…

Se le ricordava bene quelle parole. Kris ammirava Benji. Lo ammirava tanto, tantissimo.

Ma era davvero semplice e pura ammirazione?

Il numero 11 girò la testa verso il ragazzo che, in quel momento, stava scherzando e parlando vicino alle panchine, in piedi fra Marshall e Holly.

“Kris…tu…”, mormorò triste Becker, gli occhi fissi sul portiere titolare della New Team. “Ti stai forse in…”.

“Scusateeee!”, gridò in quel momento una voce. “Sono in ritardo, lo so, ma ho avuto qualche…ehm…problema tecnico…”.

Tom spostò veloce lo sguardo sull’ingresso del campo. Kris, accompagnata da una bella ragazza dagli occhi e dai capelli nerissimi, stava correndo in direzione di Holly, Benji e del signor Marshall, sorridendo nel tentativo di farsi perdonare dal suo capitano.

“Be’, su non preoccuparti…capita!”, le rispose Hutton cordiale, mettendo una mano nella tasca dei pantaloncini.

Kris sospirò risollevata. “Aah!…grazie, allora!”, esclamò contenta.

Price ridacchiò. “Io però non ammetto certe cose, Kristian! La prossima volta che arriverai in ritardo, ti caricherò di allenamenti extra!”.

Kris, che fino a quel momento non si era resa conto della presenza di Price, si girò a guardarlo entusiasta.

“Benji! Finalmente! Non mi avevi detto che oggi saresti ritornato!”.

Il ragazzo sorrise. “Già, infatti…in realtà non lo sapevo nemmeno io! Ed è solo grazie a Freddie se fin da adesso posso tornare a seguire gli allenamenti al campo…comunque, a dispetto di quello che possono dire i medici, io mi sento molto bene. Piuttosto, tu come stai, Grover? Ieri mi sei sembrato un po’ stanco…”.

Kristine scosse la testa. “Assolutamente no. Sto benissimo, te lo assicuro!”, esclamò.

“Beh, lo spero!”. Sorrise, mettendole una mano sulla spalla.  Poi girò la testa verso Marshall.

“…Kris, volevo presentarti da un po’ di tempo Freddie Marshall, mio allenatore e tutore. Sai, gli ho parlato di te, e gli farebbe piacere vedere di cosa sei capace. Oltretutto, vorrebbe anche conoscerti meglio. Sai, in effetti nessuno di noi sa molto sul tuo conto, e così…”.

“Eh…co…conoscermi meglio?”. Kristine si sentì mancare la terra sotto i piedi. Volevano farle delle domande? Domande su di lei?? Di sicuro…non poteva dire la verità…cosa poteva inventarsi? Magari le avrebbero chiesto perfino i documenti…anzi, di certo…perché non ci aveva pensato? E adesso…adesso cosa avrebbe fatto?

“Ecco…io…”, balbettò, agitata. All’improvviso, però, Judith le saltò al collo da dietro, facendola quasi cadere.

Kris, con gli occhi sgranati, fissò l’amica aggrappata a lei. “Ma...che…??”.

“Kriiiistiaaan, tesoroooo! Ma sono venuta fin qui solo per vederti in campo, e tu mi fai aspettare? Ti prego, fammi vedere quanto sei forte e atleticooooo!”, disse Jude con una vocina talmente mielosa e supplichevole che quasi Kris stentò a riconoscerla.

“Ju-Jude? Che…che cosa diavolo dici?”, rispose quindi, avendo il tremendo sospetto che fosse quello il modo in cui Judith voleva ‘aiutarla’…

L’amica la abbracciò. “Ma daiii! Non fare il modestoo, mio caro!!”.

Detto questo, la ragazza la strinse ancora di più, accostando la bocca all’orecchio di Kris.

“Ma sei idiota??”, le bisbigliò. “Reggimi il gioco, no?? Questo ti farà il terzo grado, non lo capisci?”.

Kris rimase un attimo senza parole, poi allontanò Jude da sé, sorridendo come meglio poteva.

“Ehem…giusto…”. Kristine stava pensando a come proseguire la recita con l’amica, quando ad un tratto si accorse degli sguardi di Price, Hutton, del signor Marshall e dell’intera squadra riunitasi intorno fissi su di lei e Jude. Le stavano osservando muti.

“E’…è la tua ragazza, Grover? E non ci hai mai detto nulla??”, esclamò improvvisamente Carter guardando sospettoso la studentessa bruna.

Subito Harper si accostò al compagno. “Giààà!! Dove la nascondevi una bellezza simile, eh? Non volevi farcela vedere, di’ la verità!”, disse il ragazzo spogliando letteralmente con gli occhi la povera Jude, che alla vista della faccia da maniaco di Bruce fece qualche passo indietro…

Kristine alzò le braccia. “No, no, no! Non è la mia ragazza! E’ solo una…una…”, cercò di spiegare, agitando le mani per cercare di trovare qualcosa di sensato da dire.

“…una…che cosa??”, esclamò in coro l’intera squadra, sorridendo maliziosamente.

Holly scosse la testa, e battè una pacca sulla schiena di Grover.

“Hai la mia più completa solidarietà”, mormorò serio. “L’ho passato anch’io…”.

“Eeeeh?? Ma siete tutti matti…”, continuò Kris, madida di sudore. Judith si aggrappò nuovamente a lei.

“Ma perché devi dire così? Cattivo!”.

“Juude!!”.

“Sìì?”.

Price e Freddie, qualche metro distante dalla folla di ragazzi, si guardarono.

“Beh, penso proprio che sarà per un’altra volta…”, disse il signor Marshall ridendo. “Credo che l’amica di Grover voglia vedere il tuo amico in campo al più presto!”.

Price sorrise, divertito dalla situazione. “Già, penso anch’io!”.

Detto questo, Benji si avvicinò a Kris. “Eh eh…ma Kristian, allora era vero che avevi la rag…”.

“Oh, no, ti prego, non metterti anche tu! E in ogni caso non è vero niente!”, disse l’altra ormai disperata, circondata dai compagni che ridevano.

“Ok, ok!”, rispose il portiere unendosi agli amici. “Che ne dici di iniziare l’allenamento, allora?”.

“Sì, sì, ti prego! Tutto, ma non voglio restare così un minuto di più!”, gridò quindi Kris, cercando di staccare il braccio dell’amica dal suo. Judith alzò gli occhi a guardarla per un istante.

“Oh, che noia che sei!”, le bisbigliò. “Io mi stavo divertendo un mondo a prenderti in giro…cavoli…e poi dovresti solo ringraziarmi!”.

Kris la guardò a sua volta, truce. “Grrrrazie…”.

Judith le sorrise, angelica. “Figurati…mio adorato Kristianuccio!”.

Diamond si accostò a Grover. “Dai”, disse ridacchiando. “Fai vedere alla tua fidanzata che sai fare!”.

“Non è la mia fidanzataaa!”, urlò nuovamente Kristine esasperata, mentre la New Team la trascinava in campo.

Arrivata nell’area di rigore, cercò con lo sguardo Becker. Era da parecchi giorni che non lo sentiva.

“Kris! Sono qui”, disse il ragazzo avvicinandosi a lei, correndo, dalla sinistra. La guardò stupito.

“Ehi ma…si può sapere chi è?”, le chiese, indicando Jude che, agitando un braccio, gridava a Kristine dolci frasettine d’incitamento.

Grover si passò una mano tra i capelli, sospirando.

“E’ una mia amica, si chiama Judith…purtroppo questa mattina sono stata costretta a raccontarle tutto…”. Rise. “Guarda, è una brava ragazza, ma un po’…pazza. Voleva aiutarmi a tutti i costi, e devo dire che c’è riuscita…il signor Marshall stava per interrogarmi, e grazie al suo intervanto sono riuscita a scamparla. Ma solo per ora. La chiacchierata è rimandata, e dovrò trovare in fretta un modo per modificare i miei documenti o qualcosa del genere…”.

“Uhm…già…”.

Tom rimase fermo davanti all’amica, mentre la ragazza si infilava i guanti.

“Kris…cambiando argomento…”, mormorò, gli occhi bassi.

Doveva chiederle dei suoi incontri con Benji? Prima…prima aveva notato la sua reazione non appena aveva rivisto Price. I suoi occhi si erano illuminati. E…Kris gli aveva sorriso…in un modo così dolce, e unico…un sorriso riservato solo a certe persone…non ad un semplice amico.

Tom…lo sapeva bene.

Perché…lui stesso…le sorrideva allo stesso modo.

E la guardava in quel modo…

Anche se lei non se ne era mai accorta…

Ma…per quale motivo…

Perché anche Kristine non lo guardava e gli sorrideva alla stessa maniera?

Cosa non possedeva lui che invece aveva Price?

Se solo…se solo…

“Tom!”.

Il ragazzo si scosse dai suoi pensieri. L’amica lo stava chiamando.

“Tom, cosa vuoi dirmi?”. Kris lo guardava, aspettando.

“Eh?”. Becker chiuse gli occhi, triste. Dopo un po’ li riaprì.

“No, no. Niente, non importa…non era…nulla di importante”.

“Sei sicuro?”.

“Certo!”, rispose. Tom si girò, e iniziò a correre.

“Vado al centrocampo…ehi, cerca di fare una bella figura di fronte alla tua ragazza, mi raccomando!”, le disse poi, voltandosi un’ultima volta a guardarla.

“Tooom!”, la rimproverò lei, indignata. Sospirò.

“Si divertono davvero tutti a prendermi in giro”.

Guardò nuovamente l’amico, ormai lontano parecchi metri.

“Becker…”, disse, chiedendosi ancora cosa realmente provasse per il ragazzo. Dopo qualche secondo, spostò gli occhi verso il margine del campo.

Price era seduto in panchina, di fianco al signor Marshall e a Judith. Il numero 1 della New Team stava chiacchierando coi due, gesticolando forse nel tentativo di spiegare qualcosa. A tratti sorrideva, o si metteva a ridere con Jude.

“Chissà se…chissà se Benji proverebbe qualcosa per me, se mi conoscesse come Kristine”, pensò. Continuò a guardarlo a lungo. Era così…così…così…

Ad un tratto distolse lo sguardo. “No”, si impose. “E poi…questo non succederà mai, quindi tanto vale non chiederselo nemmeno”.

Ritornò a concentrarsi sul campo. Fra pochi giorni ci sarebbe stata la sua prima partita. Non doveva distrarsi. Non poteva.

E non l’avrebbe fatto.

“Ehi! Io sono pronto!”, gridò alla squadra, guardando decisa i compagni.

Mentre i ragazzi iniziavano a passarsi la palla, Kris venne assalita da un’improvvisa, totale e profonda tristezza…e da un’angoscia che quasi le bloccava il respiro.

“Ho scelto io…tutto questo…”, sussurrò a denti stretti, cercando dentro di sé un po’ di forza.

Non poteva lasciar perdere tutto proprio ora.

A costo di sacrificare i suoi sentimenti. A costo di soffocarli.

Il suo sogno. Doveva fare vedere il suo valore, a tutti quanti. Doveva portare la New Team alla vittoria…

“Forza, Kris”.

Purtroppo, la verità era una.

Kristian l’aveva condannata a una dolorosa e solitaria prigionia.

 

“Avanti! Muoviti!” gridò Harper in direzione di Vans, agitando un braccio per farsi vedere. Mason e Carter, invece, nella parte opposta del campo, si stavano allenando con dei passaggi veloci, insieme a Diamond.

Erano passati alcuni giorni, e ormai la prima partita era alle porte. L’avversaria sarebbe stata la Majestic , una squadra certamente non forte, ma comunque da non sottovalutare…

O almeno, era questa l’opinione del capitano Oliver Hutton.

Molto, molto spesso era stata proprio questa sua umiltà a portare lui e la New Team alla vittoria, sia nei campionati degli anni passati che negli incontri internazionali.

Mai credersi più forti del nemico. Era questa la prima regola da seguire nel calcio per non perdere…   

Il ragazzo, quel pomeriggio, aveva raggiunto i suoi compagni molto tardi. Suo padre, infatti, era partito per un altro dei suoi viaggi per mare, e lui era andato a salutarlo a Shizuoka, insieme alla madre Maggie.

Hutton richiuse la porta degli spogliatoi, e tese entrambe le braccia verso il cielo terso.

“Buon viaggio, papà…”, pensò, un po’ malinconico anche se abituato, ormai, alle lunghe assenze del genitore. Inoltre, dopo aver trascorso due anni in Brasile, Oliver aveva imparato da molto tempo a vivere lontano da casa.

Girò la testa verso le panchine.

Quel giorno il mister, il signor Gunnell, era assente, e c’era un’unica persona seduta, i gomiti appoggiati sulle ginocchia: Benji Price stava osservando pensieroso i progressi dei suoi compagni e, soprattutto, quelli del suo “pupillo” Kristian Grover, ora in porta.

Benji si era infatti assunto la responsabilità totale sul rendimento dell’inesperto ma dotato Grover, di cui curava personalmente gli allenamenti speciali. Fino a che la gamba di Benji non fosse tornata a posto, infatti, sarebbe stato Kris a sostituirlo in porta.

E Holly doveva ammettere che il ragazzo non se la cavava affatto male, migliorando ogni giorno di più…

Il capitano della New Team distolse quindi lo sguardo da Kris, per spostarlo sugli altri suoi compagni che correvano in campo. Cercò Tom, ma non era insieme al resto della squadra.

“Strano”, pensò Holly guardandosi in giro. “Non è da lui assentarsi agli allenamenti…”.

Arrivò di fianco a Price. Benji, assorto nei suoi pensieri, si accorse solo dopo qualche secondo della presenza dell’amico.

“Qualcosa non va, Holly?”, disse guardandolo.

Holly si appoggiò con un braccio al palo di metallo di fianco alla panchina. “Beh…ecco, ti sei accorto che oggi Tom non c’è?”.

Price, sorpreso, guardò velocemente verso il rettangolo di gioco. “Hai ragione”, rispose dopo un po’. “Non è da lui”.

“Già, è quello che ho pensato anch’io. Non sai se per caso qualcuno ne sa niente? Magari ha lasciato detto che oggi non sarebbe potuto venire…”.

Benji incrociò le braccia. “No, non credo…ma possiamo sempre chiedere…”.

Fu così che l’intera New Team venne riunita a bordo campo per sapere dove fosse finito Tom. Tutti, però, negarono di sapere nulla.

“Sì, abbiamo notato subito la sua assenza. Forse non sta bene…chi lo sa”, disse Carter.

“Oppure semplicemente non ha voglia di allenarsi…con queste giornate ancora così calde lo capirei benissimo…”, mormorò Bruce cercando di farsi aria con una mano.

Holly scartò immediatamente le due ipotesi. “No, lo escludo…anche se fosse malato, ci avrebbe prima avvisato…e per quello che hai detto tu, Bruce, beh…”. Sorrise. “Guarda che Tom non è uno sfaticato come te!”.

Harper abbassò la testa, guardando supplichevole Holly. “Oh, uffaaaa…ma perché mi devi sempre dire certe cose?”.

Tutta la squadra scoppiò in una sonora risata. L’unico membro della New Team rimasto in disparte dal gruppo, però, non si stava per niente divertendo…

Kris, infatti, seriamente preoccupata per l’assenza di Becker, fissava il campo tesa. Sospirò, voltando poi la testa verso Judith, appoggiata, in piedi, alla rete che circondava il prato. Anche quel giorno l’amica era venuta ad assistere ai suoi allenamenti.

Le due si scambiarono un’occhiata, intendendosi alla perfezione. Jude alzò le spalle, guardando comprensiva Kris.

In realtà non sapeva che dirle…dopo l’altro giorno, il pomeriggio, cioè, in cui aveva accompagnato Kristine per la prima volta, la ragazza e Becker non si erano più parlati.

Anzi…in realtà, era stato lui a cominciare a evitare Kris.

Ma perché?

Lei…lei stava soffrendo terribilmente.

E Jude…non sapeva cosa fare per aiutarla.

“Mi dispiace, amica mia…”, mormorò.

Kristine, però, riportò di nuovo lo sguardo al campo. Socchiuse gli occhi per il sole, coprendosi con una mano la fronte.

Quel giorno era particolarmente forte, e dava quasi l’idea di un pomeriggio di pieno agosto. Invece, era già passata la metà di settembre...

La ragazza bruna decise di avvicinarsi all’amica per tentare di rassicurarla, ma Benji la raggiunse prima di lei.

“Ehi, Kris, a cosa pensi? Anche tu sei in pensiero per Tom?”, chiese quindi il ragazzo, le mani nelle tasche dei pantaloni neri.

Sentendo la voce di Price, Grover si scosse all’improvviso dai suoi pensieri.

“Eh? No, no, a niente! E’ tutto a posto!”, esclamò, gesticolando con le mani per concludere immediatamente il discorso. “Anzi…penso che non dovremo preoccuparci troppo…Tom sa badare a se stesso…quindi, adesso, la cosa migliore che possiamo fare è tornare ad allenarci…”. Si girò verso il resto della squadra, che ancora scherzava intorno a Bruce.

“Ehi, lavativi! Vediamo chi di voi mi riesce a segnare almeno un goal!”, disse allegra, prima di correre in campo in direzione della porta.

L’intera New Team rimase un attimo immobile, stupita dall’atteggiamento del compagno. Poi, alzando un pugno al cielo, fu proprio Bruce a farsi avanti.

“Ah – ah! Sarò io a farti il primo goal, mio caro Kris! Così farò vedere a tutti voi quanto vale il grande Bruce Harper…”.

Mentre il ragazzo tornava in campo seguito dal resto della squadra, Holly  guardò, pensieroso, un punto lontano dell’orizzonte.

“Dai, Holly, smettila di preoccuparti. Vedrai che Tom arriverà tra poco. Come ha appena detto Kris, Becker è abbastanza grande per badare a se stesso…”, disse Price sistemandosi il cappello sulla testa.

Il capitano strinse i pugni, nervoso.

“No, Benji…io conosco bene Tom, e ti ripeto che non è il tipo da sparire così, all’improvviso…e poi…”. Si fermò.

Il portiere girò la testa, curioso. “…e poi cosa?”.

“Beh…non so se te ne sei accorto, ma è da un paio di settimane che Tom non è più lo stesso…con me, almeno, cerca di nasconderlo, ma è evidente che c’è qualcosa che lo preoccupa. Ed è sicuramente qualcosa di serio…sai com’è il suo carattere, no? E’ sempre stato allegro, tranquillo e ottimista, ma ultimamente è diventato pensieroso, triste e taciturno. Non è stranissimo? Da quando lo conosco, niente ha mai scalfito la sua positività…beh…niente in modo così evidente”.

Benji rimase un attimo a guardare l’amico, riflettendo sulle sue parole.

“Sai…forse hai ragione” commentò, abbassando gli occhi verso il terreno. “Ora che ci penso…anch’io avevo notato qualcosa. E’ vero, non è più lo stesso. Parla molto poco, e ha spesso la testa altrove…” 

Holly, intanto, aveva afferrato i pantaloni e la giacca di una tuta appoggiata sulla panchina vicino, indossandoli velocemente. Price lo guardò sorpreso. “Ma…cosa stai facendo?”.

“Vado a cercarlo”, disse risoluto Hutton tirandosi fino in cima la zip della giacca. “Se davvero ha qualcosa di serio che lo preoccupa, non è giusto che se lo tenga dentro, senza sfogarsi con nessuno...devo assolutamente sapere cosa gli è successo. Non riuscirei, comunque, a non pensarci. Quindi, ti prego, Benji, dì tu agli altri dove sono andato…e dirigi gli allenamenti al posto mio. Ok?”.

Detto questo, il ragazzo corse via, lasciando Price senza parole.

“Ma…”, riuscì solo a mormorare il portiere. Dopo qualche secondo, però, sorrise e, tranquillo, tornò ad osservare i propri compagni.

“Non c’è niente da fare…quei due sono davvero legati da una fortissima amicizia”.

 

Il piacevole vento settembrino faceva ondeggiare leggermente l’alta erba verde del grande prato dove era disteso Tom Becker.

La vista che si poteva godere dall’alto della collina abbracciava l’intera Fujisawa, e il ragazzo, con gli occhi chiusi, respirava a pieni polmoni l’aria profumata e silenziosa della campagna, lontana dal fastidioso traffico cittadino.

“Dormi, Tom?”, chiese suo padre, distante da lui pochi metri, mentre, con una pennellata di colore, iniziava a ritrarre la valle sottostante su una tela bianca.

Il ragazzo aprì controvoglia gli occhi, guardando malinconico il cielo azzurro.

“No…no, papà”.

L’anziano signore, che però dimostrava di portare molto bene gli anni che aveva, si girò verso Tom, riuscendo però a scorgerne solo i piedi.

“Dimmi la verità, figliolo, cosa c’è che non va?”.

Per un po’ ci fu il silenzio. Era chiaro che a Tom non andava di parlare. Poi, però, sospirando, il ragazzo si girò da un lato.

“…Niente. Non preoccuparti, forse…ecco, forse ho solo bisogno di stare per un po’ per conto mio, tutto qui”.

Il pittore sorrise comprensivo. Non gli capitava spesso di vedere il figlio triste o preoccupato, ma sapeva bene che in certi casi era meglio lasciarlo da solo a riflettere. Tom era sempre riuscito a risolvere ogni tipo di problema aggrappandosi, spesso, solamente alle proprie forze…non amava, infatti, raccontare le proprie preoccupazioni ad amici o parenti. Era sempre stato un lato tipico del suo carattere: pur di non far impensierire le persone che amava, il ragazzo teneva sempre per sé i propri pensieri.

Il signor Becker si rendeva conto di avere accanto a sé un giovane speciale, altruista ma insospettabilmente forte. Anche se era dovuto crescere con un solo genitore viaggiando di continuo da un capo all’altro del mondo, Tom non si era mai lamentato della sua vita, ed era sempre stato felice…suo padre poteva essere orgoglioso di avere un figlio simile.

“Non vorrei intromettermi nelle tue decisioni…ma…”, disse poi il signor Becker tornando a concentrarsi sulla tela, “…i tuoi compagni di squadra si staranno sicuramente preoccupando per la tua assenza agli allenamenti di oggi. Non dovresti almeno andare ad avvisarli?”.

Tom si mise a sedere, emergendo dal mare ondeggiante di erba verde.

“…Sì, forse è vero, si staranno preoccupando, ma…se li andassi ad avvertire sarei costretto ad incontrarli, e, di conseguenza, mi chiederebbero i motivi della mia assenza. E oggi non mi va proprio di vedere nessuno…”.

Il padre annuì. Il ragazzo si alzò, allungando le braccia verso l’alto per stirarsi.

“Senti papà, io vado a fare un giro…magari dopo torno direttamente a casa, non so…”.

“Come vuoi, Tom”, rispose il pittore, intingendo il pennello nel colore preparato sulla tavolozza. “Io tornerò fra un paio d’ore al massimo”.

Mentre il sole veniva per un attimo coperto da una grossa nuvola bianca, Tom iniziò a camminare per il sentiero in mezzo al prato, che portava nelle campagne circostanti a Fujisawa.

Al piede, naturalmente, aveva un pallone da calcio, poco prima abbandonato di fianco a lui sul prato.

Palleggiò a lungo percorrendo il perimetro dei vasti campi coltivati, prima di arrivare alla strada che portava in città. La guardò, indeciso sul da farsi.

Da alcuni giorni, la sua mente era fissa unicamente su Kris e Benji…al solo pensiero che l’amica potesse davvero essersi innamorata del portiere, Tom cadeva nella disperazione più assoluta.

“Non posso confessarle i miei sentimenti…”, pensò, osservando il monte Fuji, che, alto e imponente, dominava la vallata.

“…e se…se la perdessi?”

Guardò ancora la strada, abbassando poi gli occhi.

“Non so se ancora mi va di tornare…”, mormorò, appoggiandosi allo steccato di legno di fianco alla via. “…ma…”.

Sospirò, sconsolato, per poi abbassare la testa.

“…ma prima o poi dovrò farlo. Anche se sarà dura continuare a giocare in questo stato d’animo…non posso abbandonare i miei compagni di squadra. E, soprattutto, non posso abbandonare Holly. Cosa penserebbe di me? ”.

“Giusto, cosa devo pensare?”, disse improvvisamente una voce familiare dietro al ragazzo.

Tom si girò, sorpreso. Holly era davanti a lui, e lo guardava serio.

“Ti ho cercato dappertutto, lo sai?”.

L’amico sorrise forzatamente, girandosi poi nuovamente verso la vallata.

“Scusami Holly. Scusami davvero, ma oggi non potevo venire ad allenarmi. Mi dispiace se vi ho fatto stare in pensiero”.

Oliver non disse nulla, ma rimase qualche secondo in silenzio. Poi, accostandosi a Tom, incrociò le braccia, appoggiandosi come lui alla staccionata.

“Non ti va di raccontarmi cosa c’è che non va, Tom? Ultimamente, ecco…non sei più lo stesso. Sono seriamente preoccupato per te. Non sto scherzando…”.

Becker guardò il ragazzo.

“Grazie, Holly, sei gentile. Ma, purtroppo, non puoi aiutarmi in nessun modo. Il problema che ho riguarda solo me…ed è qualcosa della quale devo trovare da solo la soluzione…”.

Il sole stava iniziando a calare lentamente. Si stava facendo tardi.

Holly sospirò. Soffriva nel vedere il suo più grande amico ridotto in quello stato, ma non c’era nulla che potesse fare. Tom non voleva confidarsi con lui.

“…Tom…”, tentò quindi di dire. “…dimmi solo una cosa: il problema di cui parli è in campo? C’entra per caso qualche nostro compagno?”.

A quelle parole, Becker alzò la testa. “Beh…”, mormorò, titubante. “…sì…più di uno. Ma soltanto in modo indiretto…ecco, in realtà loro non c’entrano niente, per questo ti ripeto che è un problema solo mio. Io…”. Si nascose il viso fra le braccia conserte, appoggiate sullo steccato.

“…io non posso spiegarti, Holly. Vorrei, lo vorrei davvero, te lo assicuro, ma per farlo sarei costretto a rivelarti un segreto che ho giurato di non dire a nessuno…purtroppo, è proprio questo il centro dell’intero problema. Vedi…”.

“Ho capito. Non è necessario che continui”, lo fermò Holly, posandogli una mano sulla spalla. “Se non puoi parlarmene, non importa. E’ giusto che tu mantenga questo segreto, soprattutto se la persona che te lo ha confidato ha fiducia in te. Mi dispiace solo di non poteri aiutare”.

Tom Becker sollevò il viso, volgendolo al ragazzo.

“E a me dispiace non dirti nulla. Però, non preoccuparti per il resto…in campo ho deciso di tenere da parte le mie preoccupazioni. Il clima della squadra non ne risentirà…e la coppia d’oro sarà efficiente come sempre…”.

Il numero 11, dopo tanto tempo, sorrise sincero.

“Quindi, chiudiamo pure l’argomento!”.

Holly osservò l’amico con un velo di tristezza negli occhi.

“Tom sa nascondere bene il proprio dolore…ma io so che, dentro, sta ancora soffrendo molto…”, pensò.

“Beh, che ne dici di palleggiare fino al campo, Holly?”, esclamò intanto Tom avvicinando il pallone a sé. “Forse riusciamo ad allenarci almeno per una mezz’ora, stasera…”.

Non ricevendo risposta, però, il ragazzo si girò.

“Holly?”.

L’amico era ancora fermo davanti alla staccionata, e lo guardava.

“Tom, come puoi pensare che in questo momento mi interessi il tuo rendimento in campo? Ora…l’unica cosa che conta è che tu torni ad essere il Tom Becker di sempre, e non perché sei il numero 11 della New Team…”. Hutton sorrise.

“…ma solo perché sei il mio più caro amico”.

Becker rimase un attimo immobile, sorpreso dalle parole del compagno di squadra.

“Oh, Holly…anche se non me lo dicevi, lo sapevo comunque... ”, disse Tom dopo qualche istante.

“Anche per me, naturalmente, sei il miglior amico che abbia mai sperato di avere, ma…proprio per questo, non posso permettermi di distrarmi in campo con dei problemi personali. Per rispetto verso la mia squadra e…per rispetto verso il mio amico Holly, che crede in me. Giusto?”.

Il capitano della New Team lo guardò sorridendo, rassegnandosi al carattere del ragazzo.

“Giusto”, ripetè, alzando le mani.

“Bene!”. Becker iniziò ad avviarsi giù per la strada.

“Comunque…”, continuò poi, girandosi per passare il pallone all’amico, ancora fermo vicino allo steccato. Holly lo bloccò prontamente, per poi raggiungere Tom sulla via.

“…comunque?”.

“…beh…comunque grazie. Grazie davvero. Questa chiacchierata mi ha risollevato il morale…”.

Oliver iniziò a correre più velocemente e, superando Tom, arrivò fino in fondo alla strada.

“Di niente!”, gridò quindi il numero 10 della New Team all’amico, agitando un braccio.

“Forza, dobbiamo recuperare l’allenamento perso!”.

Becker rispose con entusiasmo all’invito del proprio capitano. Sì, aveva fatto proprio bene a parlare con Holly. E anche se i suoi problemi non si erano risolti, sentiva che sarebbe almeno riuscito a guardare nuovamente in faccia sia Kris che Benji.

Avrebbe lasciato che le cose facessero il loro corso. Non si sarebbe più preoccupato per il futuro…e per i sentimenti che Kris provava.

O almeno…per il momento.

In ogni caso, adesso era lui la persona che più gli sarebbe potuta stare vicino.

E gli sarebbe bastato…non avrebbe chiesto altro.

Nient’altro.

Hutton, dal fondo della strada, osservava Tom correre verso di lui. Finalmente, dopo tanto tempo, l’amico sembrava aver riacquistato la solita serenità. Holly sospirò sollevato. Non gli era mai capitato di dover aiutare Becker a risolvere qualche problema…di solito, era sempre avvenuto il contrario.

“Ho visto un’altra faccia di Tom…quella che ha sempre nascosto dietro alla sua solita immagine. Non so se capiterà ancora…”.

Quando i ragazzi arrivarono al campo, ormai deserto, iniziarono immediatamente ad allenarsi, noncuranti dell’ora tarda.

Alcune stelle già splendevano nel cielo scuro, reso ancora più nero dalla quasi totale assenza di luci artificiali nella zona, mentre pochi rumori tenevano compagnia ai due giocatori, che correvano instancabili sull’erba rada.

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Capitolo 10
*** Forti e Fragili ***


“Ti prego, Jude, anche oggi, anzi…soprattutto oggi…coprimi le spalle!”.

“Ma sì…ho capito…in teoria sei qui da me, e comunque staccherò il telefono…io terrò il tuo cellulare…su, vedrai che Alex non scoprirà nulla!”.

“Uff…lo spero!”.

Kristine si infilò velocemente la maglia della divisa della New Team. Si guardò allo specchio.

Era da tanto, tantissimo tempo che sognava quel momento.

E adesso…

Il numero 1. Indossava…il numero 1.

Forse, era ancora un sogno.

Ma…no, no…era…la realtà.

Si allacciò gli scarpini. “Bè”, chiese poi girandosi verso l’amica, appoggiata pigramente al muro. “Come sto?”.

Jude fece un sorrisetto di sufficienza, sbuffando.

“Ehiii…adesso non ti esaltare troppo, eh? Mica sei diventata Price, lo sostituisci soltanto…”.

Fissò seria l’amica, per poi scoppiare a ridere.

“Ah ah! Scherzo, Kris…certo, stai molto bene…anche se sembri davvero un ragazzo, a tutti gli effetti!”. Incrociò le braccia, squadrandola. “Un ragazzo davvero…”.

Kristine mise le mani sui fianchi. “E’ quello che voglio”.

“Che cosa?”.

“Sembrare un ragazzo, mi sembra chiaro. E…sostituire Price, anche”.

Jude la guardò affettuosamente. “Vedrai che sarà fiero di un’allieva come te…sei diventata un grande portiere, Kris”.

“Grazie Judith. Ma ho ancora molto da imparare da lui…”.

Le due uscirono dalla casa della ragazza bruna, avviandosi la fermata dell’autobus per raggiungere, al campo, il resto della New Team. Presto sarebbero partiti verso il luogo del primo incontro…

Kris alzò lo sguardo verso il cielo trasparente, respirando a pieni polmoni l’aria fresca di quella domenica mattina.

Sorrise.

“Andiamo”.

 

Lo stadio era già pieno di gente, quando la squadra arrivò al campo. Sugli spalti, naturalmente in prima fila, erano presenti Patty e la madre di Holly, già armate di bandiere e striscioni per un tifo sfegatato.

I ragazzi scesero negli spogliatoi, ma prima di raggiungere i compagni, Kris si fermò qualche minuto fuori con Judith.

“Forza, io starò a guardarti. Parale tutte, mi raccomando…e buona fortuna!”, disse l’amica incoraggiando Kristine. “Non mi pare comunque che quella che dovete affrontare sia un’avversaria temibile, no?”.

Il neoportiere alzò le dita della mano destra verso Jude, mostrandole il segno della vittoria.

“Infatti! Sono sicura che ce la farò senza problemi! E poi, con campioni come Hutton e Becker, praticamente non vedrò nemmeno il pallone…sarà sempre nelle loro mani, vedrai!”.

“Sì, credo anch’io!”.

A pochi minuti dal fischio d’inizio, il mister riunì l’intera squadra a bordo campo. Kris tirò fuori i guanti di Price.

Sicuramente, quel giorno non li avrebbe usati molto…ma in ogni caso, la fiducia e la sicurezza che le infondevano la avrebbero di certo aiutata. Li fissò per qualche istante, poi alzò la testa verso il signor Gunnell.

“Sentite, non c’è bisogno che vi dica niente…sapete cosa dovete fare, è solo il primo incontro, e la Majestic non dovrebbe crearvi problemi”, disse l’uomo guardando i calciatori. “Puntate sull’attacco da subito, e cercate di portare a casa più goal possibili. Ok?”.

Tutta la squadra proruppe in un grido unanime. L’emozione era palpabile, e anche se quello che stava per iniziare era ormai  l’ultimo della lunga lista dei campionati disputati in tanti anni, la New Team dimostrava sempre il solito entusiasmo.

Intanto Benji, in disparte, stava osservando i compagni, e in special modo Kris. Sapeva che aveva preso un’ottima decisione accettando Grover come suo sostituto…il ragazzo possedeva notevoli capacità, tanta grinta e voglia di giocare. Aveva imparato in fretta tutto quello che gli aveva insegnato, e Price, adesso, non aspettava altro che vederlo in campo.

Si fidava di lui.

Inspiegabilmente, sentiva che Kristian non era come tutti gli altri.

Certo, tutti i membri della squadra erano suoi cari amici, ma…

C’era qualcosa in Grover.

E non era dato dal fatto che si somigliavano…

“Benji! Ehi, Benji! Mi senti?”, chiese Holly agitando una mano davanti al viso dell’amico. “Ci sei?”.

Price sorrise. “Sì, sì, certamente…scusa…stavo pensando”.

“Sei preoccupato per Grover?”.

Il ragazzo scosse la testa. “No, anzi…sono tranquillo. Penso che tutti resteranno molto sorpresi dalle sue prestazioni”.

“Già…”, rispose pensieroso Holly. “…anche se in questa partita non potrà dare larga prova della sua abilità. Per questo dovremo aspettare incontri più impegnativi…Callaghan, Ross, Everett, Peterson, Hume, i Derrick…non so chi ci capiterà di scontrarci, ma sono certo…che alla fine saranno delle partite memorabili”.

Il portiere sospirò. “Sì…spero solo…di poter ritornare in tempo in campo per disputare l’incontro con Landers…”.

L’espressione del ragazzo si fece seria.

“Non voglio che sia Grover ad affrontarlo”.

Hutton incrociò le braccia. “Credi che non riuscirebbe a fermare i suoi tiri?”.

Benji fissò l’amico negli occhi. “Non lo so…forse…con un allenamento molto duro potrei insegnargli come comportarsi, ma…non so cosa risponderti. Non voglio. Non è per la sfida personale fra me e Mark…sai bene che ormai questa si è conclusa da molto tempo…noi due siamo pari, anche se Mark non l’ ha mai digerita”.

Il ragazzo ridacchiò al ricordo di quegli anni. Holly lo guardò, ridendo con lui. “Già…”.

I giocatori rimasero per un po’ in silenzio. Il resto della squadra, dietro a loro, chiacchierava e scherzava, in attesa dell’inizio della partita. Alcuni salutavano amici e conoscenti sugli spalti, altri si stavano riscaldando.

“Dai, Benji, vedrai che per quel giorno ci sarai…non preoccuparti”.

“Speriamo”. Price guardò l’orologio a parete dietro a lui. 

“Forza, è ora…inizia un altro campionato…”, disse, posando una mano sulla spalla dell’amico. “…e lo vinceremo come sempre!”.

Holly strinse un pugno, determinato. “Puoi scommetterci!”.

 

Le due squadre si avviarono nel campo. Il pubblico gridava, e mille bandiere sventolavano per incitare i loro campioni preferiti. Jude, che aveva preso posto di fianco a Patty e a Maggie, osservava Kris camminare sull’erba verde smeraldo, i guanti di Price stretti in una mano. Non li aveva ancora indossati.

“Kris…”, mormorò, pensando all’avventura in cui l’amica si era cacciata. Sperava che tutto andasse bene…

Patty, che aveva conosciuto Jude il giorno prima in occasione dell’ultimo allenamento della squadra, la guardò curiosa.

“Ehi, Judith, pensi a Kristian?”, chiese.

L’altra, presa di sorpresa, si girò di scatto.

“Ahem…ecco…sì…mi chiedevo…se è agitato…”, disse balbettando, ricordandosi all’improvviso che tutti la credevano innamorata di Kris. Il Kris ragazzo, però…

“Oh, non credo”. Patty si fece aria con una mano per il gran caldo. “Mi sembra molto calmo…anche durante gli allenamenti non mi è mai sembrato preoccupato. Anzi, lo vedo molto determinato!”.

Jude assentì. “Sì…lo è, questo è sicuro…”. Sorrise, puntando nuovamente gli occhi verso il rettangolo di gioco. “Lo è”.

La ragazza dai grandi e vivaci occhi castani ridacchiò. “Mh…sai, ti devo confessare una cosa…ma tu…”. Si avvicinò a Jude. “…promettimi di non raccontarlo a Holly!”, le disse bisbigliando, attenta che Maggie non sentisse.

L’altra rise, un po’ sorpresa. “Ma certo, figurati!”.

“Ecco…”, continuò Patty. “…credo…di non aver mai visto un ragazzo più carino del tuo Kristian! Anzi, lo trovo bellissimo!”.

Il viso di Jude divenne di un pallore spettrale.

“Eeeeeeeh?!?!”, esclamò.

Sconvolta, spalancò gli occhi. “Nononono, assolutamente non…”, si affrettò a dire, agitando le mani.

“Ma dai, non voglio certo portartelo via!”, la interruppe invece Patty, rossa in viso. “Lo sapevo, mi hai fatto imbarazzare…il mio era solo un giudizio! Volevo dirti che hai fatto un’ottima scelta…in quanto a me, non ti devi preoccupare…non lascerei mai Holly!”.

Patty si mise a ridere, senza notare l’espressione assolutamente distrutta sul viso di Jude…

“Oh, mio dio…”, pensò, disperata, coprendosi il volto con una mano. “Ci manca solo che le ragazze si innamorino di lei…”.

Sospirò, per poi, però, sorridere divertita.

“Incredibile…in che razza di storia sono stata coinvolta…”. Appoggiò i gomiti alle ginocchia, la mano che sosteneva la testa.

“Vediamo cosa combinerai ancora, Kris”.

Nel frattempo, le due squadre, allineate l’una di fronte all’altra al centrocampo, si erano presentate prima fra di loro, poi alle centinaia di tifosi che gremivano lo stadio. Kris salutò il pubblico insieme ai compagni, per poi iniziare a camminare verso l’area di rigore.

Quella sarebbe stata solo una delle tante partite a cui avrebbe partecipato.

Il desiderio che aveva sempre portato nel cuore ora era la realtà…

“Ma fra le file della New Team c’è una faccia totalmente nuova…si tratta del portiere Kristian Grover, un giovane sbucato praticamente dal nulla di cui si sa poco o niente…l’unica cosa sicura, però, è che è stato lo stesso Benji Price, il formidabile portiere titolare della squadra, ad allenarlo personalmente! A quanto dicono certe voci, il cosiddetto Super Great Goal Keeper dovrà stare in panchina ancora per molto tempo a causa di un brutto infortunio alla gamba, così come il suo primo sostituto, Alan Crocker. Le speranze sono quindi tutte riposte in Grover, che vediamo raggiungere la porta che dovrà difendere…”.

“Kris, aspetta!”, la chiamò Becker, prima che arrivasse fra i due pali. Lei si girò, sorpresa.

“Ma…Tom…”, mormorò. “ tu…”.

Il ragazzo le diede una pacca sulla spalla.

“Vedrai che le prenderai tutte…naturalmente se io e Holly lasceremo arrivare qualche pallone fin qui, è chiaro!”.

Sorrise. Il suo solito, bellissimo, solare sorriso.

“Sì, ma…”, cercò di dire lei.

“Ci vediamo alla fine del primo tempo, ok?”.

Detto questo, il numero 11 si girò, per correre a raggiungere il suo posto. Kris, senza parole, rimase a guardarlo.

Non riusciva a capire…

Ma…fino al giorno prima l’aveva evitata…

Aveva cercato di non parlarle…

Di non guardarla negli occhi…

E ora…

Come se non fosse successo nulla…

Ma cosa aveva Tom?

Cosa gli era preso?

Si infilò i guanti, alzando gli occhi sull’area di gioco. L’arbitro fischiò.

L’incontro stava per cominciare.

 

La Majestic crollò a metà partita. La coppia Hutton-Becker, inarrestabile come sempre, segnò 4 volte, mentre altri due punti furono conquistati dal geniale Diamond e dal veloce Carter. I tiri in porta furono solo un paio, ma Kris seppe fermare con sicurezza il pallone entrambe le volte.

Sapeva bene che quella era stata solo una prova, e che la vera sfida sarebbe cominciata più tardi. Anche Price glie l’aveva detto…sarebbero stati ben altri gli avversari da temere…

E Landers…

Era Landers il suo obiettivo.

Voleva scontrarsi con lui.

E fargliela pagare.

Ma che bel visino! Lo sai, Grover?

Ora che ti guardo bene mi sembri un po’ troppo gracile e delicato per resistere all’intero campionato…

Dovresti davvero darmi retta…e tornartene a casa!

Non aveva dimenticato quelle parole.

“La vedremo”.

La ragazza chiuse la zip della borsa. Tutti i suoi compagni erano già usciti dagli spogliatoi da un bel pezzo, e forse si erano già avviati al ristorante che avevano adocchiato fuori dallo stadio per festeggiare la vittoria. Naturalmente, era stata un’idea di Harper…

“Kris, sei pronta?”.

La voce di Becker risuonò nello spogliatoio vuoto. La ragazza si alzò, prendendo in spalla la borsa.

“Sì, eccomi”.

Tom si avvicinò all’amica, ridendo. “Sai, Judith mi ha scongiurato di chiederti di fare presto, perché ha paura che Bruce possa assalirla…”. Il giovane attaccante della New Team guardò Kris. “Poverina…non la invidio!”.

Ma Kristine non sembrava molto allegra. Anzi, lo stava fissando con due occhi carichi di preoccupazione.

“Che c’è? Non sei contenta? Abbiamo vinto!”, chiese quindi Becker, aprendo le braccia.

L’altra abbassò lo sguardo. “Certo che sono contenta, stupido…”.

“E allora?”.

“E allora c’è che ho paura di averti fatto qualcosa. Ti prego, dimmi la verità. Che cosa ti succede in questi giorni? Prima sei triste, e nemmeno vuoi parlarmi, poi ad un tratto torni allegro…”. Si fermò un attimo. “Tom, raccontami perché fai così…”.

Il ragazzo dai capelli castani la guardò stupito. “Non so di cosa tu stia parlando! Tu non mi hai fatto nulla…”.

“Non è vero”.

Tom sospirò. “Invece è vero. Ascolta, Kris…tu non potresti mai, mai…farmi qualcosa di male. Lo so”.

Le posò una mano sulla testa, accarezzandole i capelli.

“Capito?”.

A quel tocco, Kris venne percorsa da un brivido. Era da tante settimane che lei e Tom non erano così vicini…

Il suo Tom. Il suo…amico Tom?

La ragazza sorrise tristemente. “Allora…perché?”, mormorò.

Becker chiuse gli occhi, sospirando ancora.

“Non preoccuparti. E’ stato un momento…un momento no, diciamo. Ma per fortuna, ora è passato…”.

“Davvero? Guarda che…”.

“Ti ho detto di sì! Se c’è una cosa che assolutamente non voglio che tu faccia, è preoccuparti per me. Non devi, non è necessario”.

Senza aggiungere altro, il ragazzo si girò, avviandosi verso l’uscita dello spogliatoio.

“Dai, vieni! Ci meritiamo una bella mangiata, non sei d’accordo?”.

Kris guardò l’amico, finalmente risollevata. “Certo!”, esclamò entusiasta.

“Benissimo! Allora andiamo!”.

Becker fece per uscire dalla stanza per precedere l’amica, quando Kris lo richiamò.

“Tom!”.

“Sì?”.

“Volevo dirti che…beh, sei stato fantastico oggi. Sei un vero e proprio campione. Se solo l’avessi saputo…ti avrei seguito già da tanto tempo nei Mondiali giovanili e negli Europei. Tu…farai tanta strada, ne sono sicura”.

L’amico la guardò con affetto. “Grazie, Kristine. Comunque…non pensare al passato. L’importante ora è il presente…e il futuro. Adesso che ci siamo ritrovati, non perderemo mai più i contatti. E questo…questo sarà il nostro campionato. Sarà molto, molto speciale…unico. Perché ci sarai anche tu”.

Kris sorrise. “Già, ci sarò anch’io”.

 

Le settimane seguenti passarono in un lampo, e la New Team vinse naturalmente altre due partite senza difficoltà. Fra le altre squadre, anche la Toho, la Mambo, la Flynet, la Hirado, la Hot Dog e la Artic ebbero buoni risultati.

Kris se la cavò entrambe le volte egregiamente, e il nuovo portiere della New Team iniziò così ad acquistare una notevole fama; i tifosi sembravano ancora non rimpiangere né il secondo portiere Crocker né il titolare Price, e Kristine poteva sicuramente sentirsi soddisfatta. Grazie agli allenamenti dell’amico, ogni giorno diventava sempre più sicura di sé, abile e veloce.

E anche Benji sembrava essere molto contento dei suoi progressi.

Sì, tutto stava andando benissimo…

Forse troppo bene.

“Credo che per oggi possa bastare”, disse Price passandosi una mano sulla fronte. “Vai pure a casa, Grover. Un po’ di riposo ti farà bene…”.

Kris sorrise. “Ok!”.

La ragazza si tolse i guanti, poi afferrò la felpa che aveva abbandonato vicino a uno dei pali. Mentre se la infilava sopra la T-shirt, il portiere si avvicinò a lei.

“Vedo che usi ancora i miei guanti, Kristian…”, disse il giovane raccogliendoli. Kris si girò a guardarlo.

“Sì…scusami…ecco, io non volevo!”, esclamò, imbarazzata. “Anzi, te li restituisco…”.

L’altro scosse il capo, e prendendo una mano della ragazza, glieli posò sul palmo.

“No, mi fa piacere che tu li abbia usati. Anzi, spero che continuerai a farlo…”.

Kris alzò lo sguardo. “Davvero?”.

“Certo. Sai, in un certo senso, in questo modo, sarò presente ugualmente in campo. Ci sarà…una parte di me, diciamo…e voglio che sia proprio tu a tenere questi guanti. Te li meriti, e so che li utilizzerai al meglio”.

Kristine li strinse, felice. Benji si fidava davvero così tanto di lei?

“Allora…allora grazie!”, gridò poi, allontanandosi dalla villa del ragazzo. L’altro la salutò un’ultima volta con un cenno della mano, poi rientrò nel giardino.

Grover iniziò a incamminarsi verso casa. Il tragitto era lunghissimo, e normalmente avrebbe preso l’autobus. Quel pomeriggio, però, decise di fare la strada a piedi. Voleva camminare…pensare…immaginare il prossimo futuro…

Una ventina di minuti più tardi, però, si fermò. Era da moltissimo tempo che non vedeva Nicole. Fra una cosa e l’altra, gli allenamenti, le partite, e gli impegni della segretaria, loro due non si erano più incontrate dal giorno del ricevimento.

“Ho deciso”, si disse, di buon umore. “Andiamo all’hotel!”.

Poco dopo, la ragazza arrivò all’edificio. Rispetto a casa sua, era molto più vicino alla casa di Price.

Entrò nella hall, e si guardò in giro. La gente in quel periodo dell’anno non era moltissima, e solo poche persone erano sedute, annoiate, nell’intimo salotto in un angolo del salone.

Kris lo attraversò, per giungere davanti alla reception, dove i soliti, composti, distinti e seri omini stavano osservando quasi immobili un punto indefinito davanti a loro.

La ragazza li salutò, per poi informarli velocemente della visita. I due la riconobbero e annuirono, indicandole il piano degli uffici. Kris li ringraziò, dicendo loro di conoscere bene l’hotel.

Salì quindi con l’ascensore, insieme a un altro paio di persone che si fermarono a uno dei livelli delle camere. Gli uffici erano situati agli ultimi due piani, incredibilmente in alto.

“Eccomi arrivata”, pensò, percorrendo il lungo corridoio ricoperto da una morbida moquette azzurra. “Se non mi sbaglio, Nicole dovrebbe essere nell’ultima stanza in fondo…”.

Giunta alla fine di una lunga serie di porte, Kris si ritrovò di fronte all’ufficio dell’amica. Sembrava che quella mattina il piano fosse deserto. Non avendo incontrato nessuno, alla ragazza sorse il sospetto che anche la segretaria non ci fosse.

Invece, accostandosi alla porta, si accorse che l’anta era socchiusa. Fece per entrare, quando sentì provenire delle voci dall’interno.

“Agitarsi non serve a nulla”.

“Sì, lo so…ma spiegami…come…come dovrò comportarmi? Non so neanche se riuscirò a guardarla nuovamente in faccia…”.

“Su, non esagerare”.

“Non esagero. Credo…che ormai mi odi”.

Kristine riconobbe immediatamente l’identità dei due interlocutori. Senza alcun dubbio, erano Nicole…e Alex.

Sì, la voce maschile era sicuramente di suo fratello.

Allora…

Il suo sospetto era vero?

Avevano davvero una relazione?

Decise di continuare ad ascoltare. Sapeva che non era corretto, ma…voleva assolutamente sapere come stavano le cose. Doveva saperlo. Cercò di sbirciare nella stanza.

“Non credo che ti odi”.

Nicole, vestita con un tailleur bordeaux, era appoggiata alla scrivania e parlava lentamente…forse stava cercando di tranquillizzare Alex. Sembrava che fosse successo qualcosa…con una terza persona. Ma chi poteva mai essere?

Il ragazzo in jeans e T-shirt, in piedi davanti a lei, sospirò sconsolato.

“Beh…forse no, ma…l’ ho molto delusa. Per lei sarò rimasto il quattordicenne egoista e viziato che ha conosciuto, e lo sarò per sempre. Questo è poco ma sicuro…e adesso che sta per realizzare il suo più grande desiderio, per me non c’è più posto…anzi, forse ha già trovato un altro in Inghilterra, vedrai…”.

Nicole si avvicinò al ragazzo, e gli posò le mani sulle spalle.

“Non dire così. Io…sono sicura che potrete rimettere tutto a posto! A quel tempo, tu non avevi capito…non riuscivi a capire. Lei era talmente importante, che avresti fatto di tutto per farla restare accanto a te…anche mia sorella non aveva compreso il tuo comportamento. Ma adesso, sono passati cinque anni…”.

“Troppi. Potrebbe anche avermi dimenticato, contando, poi, che in tutto questo tempo non ha mai chiesto una volta di me…mi sembra una prova sufficiente per dimostrare che non ne ha mai avuto bisogno. Keith è forte, sa cosa vuole, l’ ha sempre saputo…e io…sono solo uno stupido bambino viziato che non ha mai dovuto lottare per avere ciò che desiderava”.

Kris, dietro alla porta, spalancò gli occhi.

Keith?

Stavano parlando di Keith…

E suo fratello…lui…

Non ne aveva mai saputo nulla. Non l’aveva mai sospettato.

Tornò a guardare. 

Alex aveva abbassato lo sguardo, per evitare di incontrare quello dell’amica. 

“Anzi…”, continuò. “Per questo…mi devo scusare anche con te, Nicole. Hai faticato tanto per…”.

“Basta”. La bella ragazza dai capelli rossi sorrise dolcemente, accarezzando una guancia del viso del ragazzo.

“Non scusarti di nulla, perché non ce n’è motivo. Sei stupendo, Alex, e non devi farti nessuna colpa. Sono sicura che anche mia sorella l’ ha capito…”. Si tirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

“Quello che ho fatto io per Keith non ha importanza…certo, la nostra vita è stata dura, ma questo non vuol dire nulla. E’ solo grazie alla sua determinazione se adesso ha un brillante futuro davanti a sé…e sono veramente felice per lei. Felice e orgogliosa…”.

Il giovane dai folti capelli castani la guardò per qualche istante, poi le passò di fianco, per dirigersi verso l’ampia vetrata dietro alla scrivania. Oltre alla barriera trasparente, dopo la costa, una distesa azzurra dominava il panorama, perdendosi all’orizzonte…

Il ragazzo fissò un punto lontano, triste.

“Già…anch’io sono felice per lei. Quanto sono stato stupido…”, mormorò, appoggiandosi al davanzale di marmo. “Volevo…volevo impedirle di arrivare al suo sogno…è questa la verità…per il mio egoismo…”.

“No, non è vero”, lo interruppe Nicole. “Per il tuo amore”.

L’altro abbassò la testa, senza girarsi. “L’amore rende deboli, e io non ero abbastanza forte per lasciarla andare. Lei, invece…”.

“Ma questo non vuol dire che non ti amava a sua volta. Credimi, Keith ti ha amato. E di certo ti ama ancora”.

Alex fece un profondo sospiro. Si passò una mano tra i capelli, poi si voltò verso l’amica.

Si guardarono, poi la ragazza si avvicinò al giovane, abbracciandolo.

“Quando Keith tornerà, dovrete parlare. Solo così vi chiarirete…”.

“Grazie. Grazie infinite Nicole…sai sempre ascoltarmi”, disse l’altro stringendola. “Allora…fammi sapere il giorno esatto in cui sarà qui. Sarà dura, ma…la devo rivedere. Sì, le parlerò…”.

La segretaria sorrise, contenta. “Oh, bene! Così mi piaci!”. Poi, la sua espressione si fece affettuosa.

“Penso che Kris abbia davvero un fratello fantastico…ma…senti, perché non le hai mai detto nulla su Keith?”.

Il ragazzo alzò le spalle.

“Beh, per vari motivi. Non volevo che si preoccupasse per me, e…soprattutto, non volevo che l’amicizia che esisteva fra loro si rovinasse. Non so a che conclusioni sarebbe arrivata se avesse saputo cos’era successo…magari, avrebbe pensato che Keith mi aveva solo usato, e che il suo amore per me non era mai stato sincero. Chi lo sa…”.

Nicole rise. “E’ vero…voi due tenete l’uno all’altra in modo incredibile. Non sopportereste mai che qualcuno facesse soffrire l’altro…”. Sorrise nuovamente.

“Comunque, credo che sia una cosa bellissima!”.

Il ragazzo annuì. “Sai, credo che anche Kris mi stia tenendo nascosto qualcosa…non ho idea di cosa si tratti, ma sono certo che riguarda la sua passione nascosta…me l’ ha detto lei stessa…”.

La giovane dai capelli rossi lo guardò stupita. “La sua passione nascosta? Il calcio?”.

“Già…sono preoccupato perché ultimamente, è molto cambiata…fa orari strani, e non mi dice mai dove va. E si è anche tagliata i capelli! Assurdo…fino a poco tempo fa non l’avrebbe mai fatto…”, esclamò l’altro, aprendo le braccia esasperato.

“Mmmh…sì, è strano…ma non penso tu debba preoccuparti troppo. Kris è una ragazza responsabile…”.

Nicole abbassò gli occhi, e il suo pensiero ritornò alla chiacchierata che aveva fatto con la ragazza qualche settimana prima, al ricevimento.

“…ma ha tanti sogni da realizzare”, mormorò, sorridendo un po’ malinconica.

Alex, però, sembrò non aver sentito le sue ultime parole. Tornò a guardarla.

“…mmh…sì, spero davvero che lo sia abbastanza. Ascolta…io adesso devo proprio andare, altrimenti arriverò in ritardo agli allenamenti…e poi, credo anche che tu debba lavorare! Ti ho già rubato un sacco di tempo…e se i miei lo sanno mi fucilano!”.

“Sì, penso anch’io!”, rispose Nicole ridendo. “Va bene…allora ci sentiamo presto. E cerca di stare su, d’accordo?”.

“Va bene. Grazie ancora”.

“E di che?”.

Il ragazzo sorrise nuovamente, poi salutò l’amica. Si diresse verso la porta.

Kris, che aveva ascoltato tutta la conversazione, si affrettò a nascondersi dietro ad un armadio di un ufficio fortunatamente aperto, nel corridoio. Solo quando il fratello scomparve dietro alle porte metallizzate dell’ascensore, uscì dalla stanza.

Nicole, intanto, era rimasta qualche secondo immobile, le braccia conserte.

Quante cose erano successe fra quei due. Sperò ardentemente che ogni cosa si rimettesse a posto…infatti, l’unica cosa che davvero desiderava, era la loro felicità. Per sua sorella, e per Alex.

“Uff…”, sospirò, stendendo le braccia in avanti. “…beh, ora forse è davvero il caso di tornare al lavoro…avrò tempo poi per pensare ancora a tutta questa storia…”.

Detto questo, si staccò dalla scrivania, e, aggirandola, si sedette nella poltrona dietro ad essa.

“Allora…vediamo un po’ dove ho messo quelle pratiche…”.

Ad un tratto, qualcuno entrò nell’ufficio. Nicole alzò la testa, credendo di trovarsi di nuovo di fronte Alex.

“Per caso hai dimenticato qualcos…”, fece per chiedere. Si bloccò.

A pochi metri distante da lei, Kris la fissava seria.

“Noi due dobbiamo parlare”.

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Capitolo 11
*** Il Giusto Equilibrio ***


Nicole si avvicinò all’amica, e, con un sorriso tirato, mise una mano sul fianco.

“Scommetto che hai ascoltato tutto”.

Kris non si spostò di un passo, rimanendo inchiodata nello stesso punto.

“Già, ogni singola parola”.

La ragazza dai capelli rossi scosse il capo. “Mi dispiace”.

“Voglio sapere la verità”, esclamò decisa Kristine. “Cosa c’è…o cosa c’è stato tra mio fratello e Keith? Perché ora lei dovrebbe odiarlo? E poi…”. Kristine si fermò un attimo, per cercare gli occhi preoccupati di Nicole, che stava tentando di guardare da un’altra parte.

“…è vero che Keith sta per ritornare?”.

L’amica assentì col capo. “Sì…sì, fra pochi giorni tornerà…”. Sospirò, e voltando le spalle a Kris, si affacciò da una delle vetrate, aprendola leggermente. L’altra ragazza, invece, rimase in piedi in mezzo all’ufficio.

“Mia sorella…ha studiato impegnandosi con tutta se stessa, laggiù, a Londra…ha sfruttato quella borsa di studio, costatale tanta fatica…e ora, finalmente…”. Nicole respirò l’aria salata che il vento portava in alto, dalla costa.

“…Finalmente può realizzare il suo sogno”.

Kristine si accostò alla scrivania di legno lucido. “Vuoi dire…diventare medico?”.

“Sì. E’ uscita dal college con il massimo dei voti. E questo gli permetterà di frequentare una delle più prestigiose università londinesi…”. L’amica si girò improvvisamente verso Kris, guardandola entusiasta con i suoi luminosi occhi castani, dalle striature verdi.

“Ci pensi?”.

L’altra sorrise, ripensando con affetto alla sorellina dell’amica. “Certo. E sono davvero felice. Ma…”.

La sua espressione tornò seria. “…cosa ha fatto a mio fratello? O cosa ha fatto lui a Keith?”.

Ci fu un attimo di silenzio. La segretaria guardò la moquette azzurra sotto i suoi piedi, indecisa su cosa iniziare a dire. Poi, sospirando, si sedette sulla scrivania, appoggiando le mani sul bordo.

“Tu…non ne hai mai saputo niente, ma dopo pochi mesi dalla mia assunzione alle direttive dei tuoi, mia sorella e Alex si misero insieme”, cominciò.

Kris si sedette di fianco a lei. “Già, non ne ho mai saputo nulla…”.

Nicole però continuò a parlare. “Dopo che ci conoscemmo, fra noi quattro si instaurò una bella amicizia…ricordi? Per un po’ di tempo iniziammo a uscire tutti insieme…fu un bel periodo…”. La ragazza chiuse gli occhi.

“Poi, sia a causa del mio lavoro che dei vostri studi, quelle serate diminuirono…Alex e Keith, però, continuarono a vedersi. Me lo disse mia sorella. Si era innamorata di Alex…e anche ciò che lui provava per lei era sincero. Anzi…entrambi sapevano che, nonostante la loro età, il loro rapporto era serio, e sarebbe durato. Keith non aveva dubbi sui propri sentimenti, ma…”.

“…ma?”.

“…ma non aveva dubbi nemmeno su quello che voleva diventare. Su quello che si stava costruendo con le proprie mani. Un futuro…un futuro brillante, a cui non avrebbe rinunciato per nulla al mondo. Aveva conquistato quella borsa di studio, dopo averla desiderata per anni, e ora che finalmente aveva la possibilità di partire, di raggiungere Londra, beh…l’avrebbe fatto”.

Kristine cambiò espressione. “Anche…anche a costo di lasciare Alex?”.

Nicole la guardò grave. “Sì, anche a costo di lasciarlo. Vedi, il problema era che…ecco, Keith non aveva mai parlato a tuo fratello della borsa di studio. Lei sapeva da moltissimo tempo la data della partenza, avrebbe potuto dirgliela in qualsiasi momento…ma non l’ aveva mai fatto. Non aveva abbastanza coraggio. Alex avrebbe potuto pensare che l’aveva preso in giro…che era stato con lui per quei pochi mesi solo per puro divertimento…per non sentirsi sola. Ma non era così…mia sorella lo amava molto, moltissimo. Sai…una sera…Keith ritornò a casa per l’ennesima volta in lacrime. Aveva ancora tentato di parlare ad Alex, senza riuscirci…ricordo che si mise a gridare, dicendo che non sapeva che cosa fare…era disperata. Lei lo avrebbe aspettato per cinque anni…anche se fossero stati venti, cinquanta o mille, ce l’avrebbe fatta.  Ma Alex…era certa che lui non avrebbe mai sopportato tanti anni di lontananza…erano troppi. Lui, così…così possessivo, da avere il bisogno di vederla sempre, concreta, sorridente, accanto a lui…di poterla abbracciare, e sentire la sua presenza fisica, senza illusioni. Essere sicuro che lei c’era, che nessuno glie l’aveva portata via…capisci? Keith non poteva dirglielo…anche se sapeva bene che prima o poi avrebbe dovuto farlo”.

Kristine aveva ascoltato l’amica in silenzio, gli occhi bassi.

“E…mio fratello…quando lo seppe…si arrabbiò, non è vero?”, chiese, girando la testa verso la ragazza.

Nicole annuì. “Molto di più che arrabbiarsi…per alcuni giorni, addirittura, non volle nemmeno più vederla. Mia sorella aveva cercato di spiegargli le sue ragioni, aveva pregato Alex di capirla, ma…non ci fu nulla da fare. Lui si sentì tradito, respinto, non amato…proprio come Keith aveva previsto.  E lei…diventò sempre più triste…mentre la data della partenza si avvicinava. Nessuno dei due cercava di riappacificarsi con l’altro. Si era come alzato un muro, e io…non sapevo come aiutarli…”.

La ragazza, dopo qualche secondo, si girò improvvisamente per fissare Kris.

“Ad un certo punto, però, Keith seppe come comportarsi. Non mi disse niente…semplicemente, una mattina la vidi con un nuovo sguardo. Uno sguardo forte, deciso, determinato. Anche se…sapevo che quegli occhi avrebbero portato a un’unica conclusione. Una conclusione per niente felice. Conoscevo mia sorella, e conoscevo le vere ragioni per quel suo incredibile impegno nel cercare di realizzare i suoi sogni…”.

Kristine inclinò la testa. “Le vere ragioni?”.

“Proprio così…”. La segretaria si passò la fronte con il palmo di una mano, e abbassando il capo, appoggiò il gomito su una delle gambe accavallate, per sorreggere il viso. Illuminati dai tiepidi raggi del sole pomeridiano che entravano dalle alte finestre dietro la scrivania, i lunghi capelli rosso scuro di Nicole assunsero del caldi riflessi color rame. Le ciocche ondulate le scendevano sulla schiena e sulle spalle, incorniciandole il bellissimo viso dalla pelle chiarissima.

Dopo aver sospirato un’altra volta, si voltò ancora a guardare Kris, che stava aspettando spiegazioni.

“Kristine, tu sai che io e Keith non abbiamo origini unicamente giapponesi, vero?”.

“Certo…vostro padre era olandese, no?”.

“Esatto. Però…non conosci…la nostra storia. E credo tu non sappia neanche perché siamo venute qui in Giappone…”.

Sorpresa dalle ultime parole dell’amica, Kris osservò Nicole, scotendo la testa. “No…”.

Nicole sorrise forzatamente, cercando di allontanare le immagini dei dolorosi ricordi che stavano riaffiorando nella sua mente. “Kris…ora…penso sia giunto il momento di raccontarti alcune cose…”.

La ragazza scese lentamente dalla scrivania. Iniziò a camminare per l’ufficio, le braccia conserte, stette al petto contro l’elegante tailleur bordeaux. Il viso, teso, era immerso nel passato.

Kris, ancora seduta, guardava l’amica, preoccupata dalla sua espressione grave.

“Devi sapere”, iniziò la segretaria, “che nostra madre, mia e di Keith, morì quando noi eravamo ancora piccole. Mia sorella era nata da poco più di un paio d’anni, io, invece, ne avevo appena compiuti tredici. Dopo la morte della mamma, nostro padre si ritrovò da solo a gestire l’impresa siderurgica a cui era a capo da vari anni, a Rotterdam…disgraziatamente, fu proprio in quel periodo che tutto iniziò ad andare a rotoli. In realtà, già da parecchi mesi le cose non stavano andando molto bene. La ditta stava fallendo e i soldi erano sempre di meno…papà fu, oltretutto, ingannato da alcuni soci disonesti, che fecero in modo di scomparire all’inizio della crisi economica, senza lasciare alcuna traccia. Mio padre si sobbarcò così ogni spesa, tentò fino all’ultimo di salvare l’impresa, ma…ad un certo punto non riuscì più a sostenere i mille problemi che continuavano, ogni minuto, a presentarsi davanti a lui…riuscì per miracolo a pagare la liquidazione a tutti gli operai, prima di licenziarli. Era evidente che l’unica cosa possibile da fare era chiudere, chiudere per sempre”.

Nicole si fermò un attimo, alzando gli occhi.

“Non sapevo come saremmo andati avanti. Non c’erano più soldi, e mio padre non riusciva a trovare un altro lavoro…Keith era così piccola, e nostra madre le mancava…anzi, la mamma mancava a tutti, ma io cercavo di essere forte. Sai, mia madre…era una donna dolcissima…dolce e molto buona. Grazie a lei mio padre aveva sempre superato ogni difficoltà…sì, proprio grazie alla sua rassicurante presenza…e quando morì, lui perse la voglia di lottare. Si lasciò andare, giorno dopo giorno. Vedevo…vedevo che invecchiava…così in fretta…e io non sapevo, non sapevo assolutamente cosa fare. L’unica cosa fu di stare vicino a mia sorella…la crebbi con le mie forze…cercai di non farle pesare la tremenda situazione che stavamo vivendo…pensavo al suo futuro, a cosa ne sarebbe stato di lei…povera Keith. Di certo non se lo meritava. Mio padre si dimenticò perfino di noi…per la disperazione e la depressione, iniziò a bere, restando intere notti fuori casa. Alcune volte ritornava, altre no. Una volta, non si fece vedere persino per tre giorni. Io ero disperata…avevo poco più di 15 anni, e fui costretta a trovarmi un lavoro.

Mi presero come fotomodella, e anche se questo si rivelò un lavoro che detestavo, dovetti farlo,  pur di guadagnare quei pochi soldi che ci permettessero di vivere, o almeno, di dare da mangiare a mia sorella. In realtà, contrariamente a quanto puoi pensare, non fui pagata molto bene… ”.

La ragazza socchiuse tristemente gli occhi, immersa nei ricordi di quel difficile periodo. Poi guardò Kris che, muta, continuava ad ascoltarla.

“Tutto questo”, riprese Nicole avvicinandosi, “andò avanti per un po’, fino a che, una sera, mio padre ritornò a casa con una montagna di denaro, felice come non mai. Gli chiesi da dove provenisse, ma lui mi rispose di non preoccuparmi, dicendo che i nostri guai sarebbero finiti. A dire la verità, quei soldi ci permisero di vivere senza problemi per un po’, è vero, ma…naturalmente, finirono. Dopo qualche tempo, però, si ripeté la stessa scena: mio padre ritornò nuovamente a casa con quel misterioso denaro. La cosa continuò per svariati mesi, fino a che, una notte, un paio di uomini suonarono alla porta, chiedendo di vedere nostro padre. Io e Keith rimanemmo nell’altra stanza, ma io capii chiaramente che qualcosa non andava. Papà aveva mille debiti con quella gente, ed era stato coinvolto in uno strano giro…ancora adesso non ho idea di cosa si trattasse…”. 

Nicole appoggiò le mani sulla scrivania, fissando la sua sagoma riflessa sulla superficie lucida. La sua voce si fece più bassa e flebile…

“Papà…”,  mormorò. “…papà fu ferito gravemente da un colpo di arma da fuoco qualche settimana dopo…la polizia disse che si era trattato di una banda terroristica ma…ma io sapevo che non era la verità…quello era stato un piano premeditato, e attuato da persone che conoscevano molto bene mio padre, coinvolte in quel giro…”. Si fermò, la voce rotta.

Portandosi una mano al viso, cercò di nascondere le lacrime che avevano iniziato a riempirle gli occhi, scivolando poi sulle guance pallide.

“…e infatti…lui…morì durante il trasporto in ospedale…per una emorragia interna…impossibile da fermare”, riuscì a concludere, prima di scoppiare in un pianto disperato. “Per qualche motivo…papà era diventato un personaggio scomodo, e così…decisero di eliminarlo…”

Kristine, di fianco a lei, sollevò lentamente una mano per appoggiarla sulla sua schiena.

Aveva fissato Nicole per tutto il tempo, sconvolta. Né Keith, né Alex…nessuno le aveva mai raccontato il passato delle due sorelle Henger. Un passato…così…così terribile.

Perché doveva essere accaduto proprio a loro?

Perché…perché lei invece era stata così fortunata?

Ti capisco, sai? So cosa è significato per te stare da sola, e crescere senza dei punti di riferimento…

Si sentiva…un verme. Sì, un verme.

Un verme cresciuto nella bambagia…

Non sai cos’è la vera sofferenza, Kris.

E osi anche sentirti una vittima?

Saresti cresciuta da sola, senza affetto?

Ma non farmi ridere.

Non sai nemmeno cosa vuol dire, realmente, essere sola…

Alcune volte pensa a chi non è fortunato come te.

Pensa a chi non ha nulla, oppure a chi non ha neanche una famiglia. Sono queste le persone che soffrono veramente…

Quella sera Nicole si era tenuta tutto dentro…

E si era invece sorbita quel suo stupido sfogo…

Kris, non sai nulla della vita.

Non sei certo tu ad avere dei problemi!

Sei solo un’idiota…una bambina viziata…

“Nicole…io…mi dispiace…non sapevo…”.

La ragazza dai capelli rossi alzò il capo, e asciugandosi il viso con il dorso della mano si girò verso l’amica, cercando di sorridere.

“No, non…non devi scusarti. Non avrei dovuto raccontarti tutto questo…mi sono…lasciata andare. Comunque, ormai…è passato tanto di quel tempo…”. Si tirò i capelli indietro.

“Dopo la morte di nostro padre, io e Keith siamo vissute per un paio d’anni con un assistente sociale, e precisamente fino al compimento dei miei 18 anni. Infatti quell’anno ci è stato riferito che una nostra lontana e anziana zia, in Giappone, parente di nostra madre, era morta sola lasciando in eredità la sua villa di Kyoto…quella casa andò a me e a Keith, in quanto uniche nipoti rimaste.

Fu un colpo di fortuna, un miracolo…sì, un vero e proprio miracolo. Finalmente potevamo andarcene da Rotterdam, una città in cui eravamo cresciute, sì, ma alla quale erano legati anche ricordi che preferivamo entrambe cancellare dalla memoria per sempre…soprattutto, io non volevo che mia sorella vivesse in quel paese. Volevo ricominciare tutto da capo…da un’altra parte, lontano…”.

“E così…vi siete trasferite qui?”.

“Sì. Sai, il giapponese era la nostra seconda lingua, visto che nostra madre aveva origini orientali, quindi non avemmo molti problemi, e ci ambientammo subito. La casa lasciataci da nostra zia era davvero enorme, e per iniziare a guadagnare qualcosa decisi di affittare delle stanze…”.

Il viso della segretaria iniziò finalmente a distendersi.

“Direi che da quel momento tutto cominciò ad andare per il meglio. Io ripresi a studiare, scegliendo la facoltà di economia…mia sorella, invece, continuò il normale ciclo di studi, fino a che…”.

“Cosa?”.

Nicole sospirò. “Beh…gli insegnanti e io stessa…ci accorgemmo tutti che Keith possedeva un’intelligenza fuori dal comune. Era…un piccolo genio…portato allo studio in modo stupefacente. Amava imparare, più di ogni altra cosa”. Guardò Kristine.

“Già allora aveva il sogno di diventare un bravo medico…una persona che aiutasse la gente, che alleviasse le loro sofferenze. Mia sorella…è sempre stata così sensibile…però, vedi…lei preferiva rimboccarsi le maniche e fare concretamente qualcosa per gli altri, piuttosto che piangere per loro. Diceva sempre che le lacrime non avrebbero mai cambiato nulla, e che quindi era inutile disperarsi”.

Sorrise.

“Penso che Keith sia stata molto temprata da ciò che abbiamo dovuto passare durante la nostra infanzia…ecco da dove proviene la sua forza d’animo. Io l’ ho sempre ammirata per questo suo incredibile coraggio. E anche Alex…”.

Entrambe non dissero nulla per qualche secondo, poi Kristine alzò lo sguardo verso l’amica.

“Dimmi, Nicole…”, mormorò Kris. “Perché…alla fine Keith ha litigato con mio fratello?”.

L’amica contrasse le labbra chiuse, sapendo di dover spiegare la parte peggiore…

Girò intorno al tavolo di legno, tornando a sedersi sulla poltrona di pelle nera dietro alle vetrate. Incrociò le dita delle mani appoggiate in grembo, e accavallò le gambe con un sospiro.

“Mia sorella sapeva bene cosa voleva. Lo sapeva molto bene…dopo tanta sofferenza, finalmente aveva la possibilità di realizzare i suoi sogni. Per questo motivo litigò amaramente con tuo fratello…”.

“In che senso?”.

“Nel senso che…le parole che Keith gli rivolse furono davvero molto, molto dure. Quella mattina famosa…gli chiese di incontrarlo. Mancavano davvero pochissimi giorni alla partenza per Londra, e lei era decisa a dire ad Alex cosa aveva scelto di fare, in modo definitivo. Naturalmente, Keith voleva raggiungere l’Inghilterra, ma quando lo disse ad Alex, lui si rifiutò di lasciarla andare. Iniziarono a litigare e Keith, in un momento di rabbia, urlò a tuo fratello cose che non avrebbe mai dovuto dire…”.

Kris fissò Nicole tesa. “Che…cosa?”.

“Gli disse…che lui non poteva capire, e non sarebbe mai riuscito a capire a causa della vita ricca, facile e senza preoccupazioni che aveva sempre fatto…gli gridò che era un bambino viziato, che non sapeva cosa voleva dire lottare per costruirsi un avvenire, per realizzare i propri sogni. Lei, che non aveva mai avuto nulla per nulla…che aveva dovuto passare fra dolori e sofferenze…ora aveva lì, a pochissima distanza, qualcosa che aveva sognato da tanto…una grande possibilità per il suo futuro. E lui, invece di incoraggiarla, di esser felice per lei…la voleva tenere legata a sé, come un oggetto di sua esclusiva proprietà…da non spartire con nessuno.

Ma questa fu solo una minima parte delle cose che Keith gli disse…molte altre, né mia sorella, né tuo fratello, me le confessarono mai. Lei non tornò più sull’argomento, dopo che giunse a Londra. Le rare volte in cui ci sentivamo, parlavamo naturalmente d’altro…non mi chiese mai di Alex. E all’aeroporto, lui non venne a salutarla, se ben ricordi. Non ce la fece…non se la sentiva più nemmeno di guardarla negli occhi. Quel…quel periodo fu davvero terribile per tuo fratello. Si sentiva meschino, e…in colpa, tremendamente in colpa. Anche se amava Keith, non aveva capito nulla di lei…non aveva mai riflettuto su quello che aveva dovuto passare. Tu, Kris, hai sempre creduto che fra di loro c’era solo amicizia, vero? Beh, entrambi non ti hanno mai detto nulla perché ti volevano bene. Alex, come avrai sentito, oltre a non voler rovinare l’amicizia che c’era tra te e Keith, non voleva neanche che tu ti preoccupassi per lui, e anche per questo ha tenuto nascosto il suo dolore per così tanto tempo e così bene…Keith, invece, non voleva perderti, ed è comprensibile”.

Nicole abbassò gli occhi, triste. Poi li rialzò, sporgendosi oltre la scrivania per cercare il viso dell’amica.

“Piccola…tutto bene?”.

Kristine, in piedi, teneva la testa piegata, lo sguardo fisso nel vuoto. Gli occhi erano lucidi, la bocca serrata.

“Kris…ti prego, non fare così…”, mormorò la segretaria alzandosi velocemente dalla poltrona per avvicinarsi alla ragazza, abbracciandola.

“Non è colpa di nessuno…Alex non aveva capito, e nemmeno Keith…hanno sempre fatto parte di due mondi così diversi…”.

La ragazza dai corti capelli castani continuava a stare immobile, come una statua di marmo. Poi, lentamente, aprì le labbra.

“E’ questo…il punto…noi…siamo degli stupidi…viziati…ci lamentiamo della nostra situazione quando…quando…”.

Non ce la fece più. Kristine Grover si abbandonò ad un pianto disperato, stringendo forte Nicole.

“Mi dispiace, mi dispiace…se solo avessi saputo, io…”, singhiozzò, con la voce rotta.

L’altra cercò di calmarla, accarezzandole la testa.

“No, no…Kris, non devi scusarti…ci sono tanti, tantissimi problemi al mondo…e ognuno ha la sua gravità…nessuno è da considerarsi stupido, o da sottovalutare. Tu…non sei felice perché sei imprigionata in un mondo che non fa per te…hai bisogno di essere libera, e…”.

“No, non è vero…non è vero…i miei non sono problemi…”. Kris nascose il viso nella spalla dell’amica. “…sono solo le paranoie di una bambina che vuole esser compatita…una bambina che ha tutto, che ha sempre avuto tutto dalla vita, ma che non è mai contenta…ecco chi sono…un’egoista…”.

Nicole la strinse a sé ancora un po’, poi la allontanò, per guardarla negli occhi.

Scosse la testa.“Ascoltami. Tu e Alex siete dei ragazzi fantastici, e non avete proprio nulla da rimproverarvi. E poi, vedrai…tutto si risolverà fra tuo fratello e Keith”.

Kristine lasciò le braccia della segretaria. “Io…lo spero”.

Detto questo, si girò. Fece un paio di passi, per poi fermarsi.

L’altra, dietro di lei, la osservò tristemente. “Kris…”.

“Senti”, disse piano la ragazza, senza voltarsi, dopo qualche secondo. “Keith…ha fatto la scelta più giusta decidendo di inseguire il suo sogno?”.

Nicole incrociò le braccia.

“Beh…te l’ ho detto…lei non aveva capito Alex e Alex non aveva capito lei…quindi non…”.

“Intendo scegliendo di mettere in secondo piano i propri sentimenti”.

L’ufficio rimase per un po’ immerso nel silenzio. Anche la luce rossastra del tramonto inondava la stanza, entrando dalle grandi finestre che davano sulla costa.

Poi, lentamente, Nicole si avvicinò a Kris.

“No, non è giusto”, spiegò, sorridendo. “Siamo prima di tutto persone, persone con un cuore che batte nel petto. Persone che hanno bisogno degli altri, sempre…Puoi conquistare il mondo, puoi essere l’uomo più ricco del pianeta, puoi possedere ogni tipo di bene materiale, puoi realizzarti come hai sempre sognato, ma…ma senza l’amore, Kris…senza quei sentimenti e quelle emozioni che ci rendono quello che siamo, e cioè esseri umani con un’anima, non potrai mai essere davvero felice. I sogni, sì…sono importantissimi…ma c’è bisogno di trovare un equilibrio…di includere in tutto questo ciò che spesso dimentichiamo…”.

Kristine si girò. La guardò, gli occhi lucidi.

“…e cosa?”.

“Il cuore”.

La ragazza annuì piano, poi abbassò la testa .

“Ho…capito”.

“Bene…ne sono felice. Sai, non penso che Keith…abbia dimenticato l’amore che provava per Alex. Non avrebbe potuto. E quel giorno…si pentì sicuramente di quello che aveva detto a tuo fratello. Nonostante tutto, lui la ha aspettata, e così avrà fatto lei. Vedi, mia sorella non ha mai avuto l’ intenzione di scegliere tra il suo sogno e Alex…”.

“Sì, lo so”.

Nicole appoggiò un dito sotto al mento di Kris e, alzandoglielo leggermente, la guardò.

“Va tutto bene, piccola?”, chiese, preoccupata.

L’altra strinse le labbra, riabbassando con riluttanza il viso. “Credo”.

“Vuoi…parlarmi di qualcosa?”.

“No, stai tranquilla. Io…ora devo andare”.

“Ma…”.

“Ci sentiamo presto. Dimmi quando arriverà Keith e non preoccuparti, non dirò ad Alex che mi hai raccontato tutto”.

Così, senza dire nient’altro, Kristine uscì dall’ufficio di corsa, per dirigersi più in fretta che poteva agli ascensori.

Lì dentro, avrebbe potuto, finalmente, continuare a piangere.

 

Le giornate avevano iniziato lentamente a farsi più brevi. Il sole calava sull’orizzonte molto presto, e le strade di Fujisawa piombavano nell’oscurità già nel tardo pomeriggio.

Silenziosa e ferma, l’aria, quella sera, avvolgeva ogni cosa ricoprendola da una leggera seta invisibile.

Kris camminava per le vie quasi deserte, con la testa abbassata, gli occhi fissi sul terreno. Non sapeva nemmeno dove stava andando, le bastava camminare. Camminare, via, lontano da tutti.

Girò un angolo, ritrovandosi accanto a una piccola bancarella illuminata, che vendeva *okonomiyaki. Si fermò, e guardò con un po’ di invidia il venditore che stava ridacchiando con i due clienti seduti davanti a lui.

Le sarebbe piaciuto un okonomiyaki. Un buon, caldo okonomiyaki.

Ma…non se la sentiva di fermarsi alla bancarella. Non con quell’umore.

Non con le lacrime che le riempivano gli occhi, non facendole vedere più nulla…

Corse via. Si sentiva male…ma non era solo un dolore fisico…

Magari fosse stato solo quello…ah, sarebbe stato consolante.

Nicole e Keith…Alex e Keith…

Aveva saputo…aveva saputo cose che non avrebbe mai voluto ascoltare.

Cose che forse non avrebbero toccato e sconvolto altre persone…ma…per lei…era diverso.

E non si trattava solo del doloroso passato delle due sorelle Henger, ma di tante, tante altre cose. E, prima fra tutte, il comportamento di Keith.

La ragazza aveva inseguito il suo sogno…un sogno per il quale aveva sofferto, aveva lottato…

Proprio come aveva fatto lei.

Certo, il caso di Keith era stato naturalmente molto diverso, ma…

Non aveva necessariamente fatto una scelta. Non aveva deciso di diventare un’altra persona…di dimenticare quello che era stato…che aveva provato e vissuto…

Vedi, mia sorella non ha mai avuto l’ intenzione di scegliere tra il suo sogno e Alex…

Era vero. Keith non si era mai imposta di non amarlo…di dimenticarlo. Sapeva che era sbagliato. Sapeva che non poteva farlo…

I sogni, sì…sono importantissimi…ma c’è bisogno di trovare un equilibrio…

Di includere in tutto questo ciò che spesso dimentichiamo…

Gli aveva chiesto di aspettarla. Ma lui non aveva capito…

“Nemmeno io avevo capito…”. Kris continuò a correre, senza fermarsi.

“…ho cercato…di sopprimere i miei sentimenti…e adesso…adesso…”.

Senza l’amore, Kris…

Senza quei sentimenti e quelle emozioni che ci rendono quello che siamo, e cioè esseri umani con un’anima, non potrai mai essere davvero felice.

Nicole…

Oh, come aveva ragione…

Ma perché solo ora si era resa conto di aver sbagliato?

Aveva aspettato troppo…

Tom…Benji…

Kris si fermò, appoggiandosi violentemente contro un muretto di pietra, in fondo a una via. Le mani lungo i fianchi, aperte, sentivano la fredda superficie ruvida dei sassi.

Si accasciò, iniziando a piangere sommessamente.

Ecco che cos’era. Quel vuoto…

Ora sapeva…

Sapeva cosa le mancava.

Cosa le era sempre mancato.

Ma adesso, forse… era…troppo tardi.

Pianse a lungo. Pianse per Nicole, per Keith, per Alex.

Pianse per se stessa.

Versò tutte le sue lacrime, finché non rimase, immobile e in silenzio, a guardare nel vuoto.

Ormai si era fatto tardi. Forse erano le dieci…

Guardò l’orologio al polso, alzando lentamente il braccio. Sì, erano le dieci e venti.

Suo fratello era sicuramente preoccupato. Avrebbe dovuto tornare a casa.

Ma non poteva.

Come lo avrebbe guardato negli occhi?

Come sarebbe riuscita a salutarlo?

E se poi fosse nuovamente scoppiata a piangere davanti a lui? Che cosa gli avrebbe raccontato? No, non voleva che scoprisse che Nicole le aveva detto tutta la verità…non voleva più che suo fratello si preoccupasse per lei.

Era meglio tenere tutto per sé. Sì, era molto meglio soffrire da sola.

Chiuse gli occhi, nascondendo il viso tra le ginocchia, ma proprio in quel momento sentì il cellulare che teneva in tasca suonare. Lo prese, e guardò sul display.

Fissò il nome lampeggiante per qualche secondo con aria triste, poi, schiarendosi la voce, si decise a rispondere.

“Pronto?”, disse mascherando la voce tremante per il pianto. “Sì…scusa, ti stavo per telefonare…Jude mi ha pregato di rimanere a dormire da lei…già…non preoccuparti…mh…va, bene, ok…sì, sì, scusa…la prossima volta ti telefono subito. Grazie…va bene, ciao!”.

Scostò il telefonino dall’orecchio, e spinse con il pollice uno dei tasti, terminando la telefonata. Alex…

“Uff…”, sospirò, guardando per qualche secondo il cielo scuro, senza stelle, sopra di lei.

Rimise il cellulare in tasca, poi si rialzò. Non sapeva cosa avrebbe fatto quella notte…magari avrebbe potuto camminare per tutto il tempo. Ma forse, non era una buona idea.

Attraversò la strada, e proseguì per una delle vie laterali. Dopo qualche minuto, però, si accorse di trovare quella zona, in qualche modo, familiare.

“Qui c’è un sacco di verde…e tutti questi alberi…”, si disse, alzando gli occhi verso l’alto. Si avvicinò ad una solida recinzione in mattoni, che circondava una proprietà molto ampia. Non riuscì però a scorgere nulla, perché il muro, alto circa due metri e mezzo, copriva l’intera visuale. Il buio, poi, non aiutava di certo le cose.

Camminò lungo il perimetro della recinzione, finché non arrivò ad un piccolo cancello, posto proprio alla fine della via.

Sembrava l’unica via d’accesso al grande giardino dietro al muro.

“Sì…mi sembra proprio di conoscerlo…”, mormorò, cercando di vedere qualcosa oltre le sbarre, nell’oscurità. Molti alberi, un grande prato, una strana fontana sulla destra e, oltre a delle siepi, un portico in stile giapponese, illuminato da un paio di lampioni.

“Deve essere una bella casa”, commentò Kristine sorridendo. “Magari ci vive una famiglia…numerosa e felice”.

Rimase ferma, le mani sul cancelletto bianco. Poi, di scatto, abbassò la testa.

“Smettila…perché vuoi a tutti i costi fare la vittima?”, gridò, serrando le dita intorno alle piccole sbarre lisce.

Credeva di aver esaurito tutte le sue lacrime…e invece, si ritrovò ancora con gli occhi annebbiati.

Perché piangere ancora?

No…non sapeva nemmeno questo. In realtà, forse, era solo confusa.

Stanca, nervosa…sfinita. In quelle ultime settimane…aveva dovuto fare i conti con troppe domande, troppe scelte, troppe verità.

E adesso, non ne poteva più.

Avrebbe voluto solo seguire il suo cuore…per cercare di colmare quel vuoto opprimente che non le lasciava pace…

Smettendo di mascherarsi, smettendo di essere chi non era realmente.

Improvvisamente, un rumore di passi la scosse dai suoi pensieri. Con il volto ancora rigato dalle lacrime, si girò di lato, verso la figura che stava avanzando speditamente dall’altra parte della stradina, immersa nell’ombra.

Kristine si appoggiò alla recinzione, e, socchiudendo gli occhi, cercò di riconoscere la fisionomia del personaggio. Sicuramente, per una ragazza sola, quella non era un’ora particolarmente adatta per camminare nelle vie…Kris non ci aveva proprio pensato, e  pur sapendo di somigliare ad un ragazzo in tutto e per tutto, ebbe un attimo di paura.

Si voltò nuovamente, tentata di suonare al citofono della grande casa, quando lo sconosciuto si fermò dietro di lei.

“Ma…Kris?”, domandò.

“Tu…?”. La ragazza riconobbe i lineamenti dell’individuo. “Price!”.

Sì, era proprio Benji. Indossava un lungo impermeabile grigio chiaro, e i suoi intriganti occhi scuri la stavano guardando stupiti.

“Cosa ci fai in giro a quest’ora, Grover?”, domandò lui, mettendo le mani nelle tasche.

Kristine preferì evitare il suo sguardo. “Ecco…nulla di particolare”.

Benji inclinò la testa, sospettoso. “Mhh…non credo proprio”.

Cercò di vedere il viso dell’amico, che però girò di scatto il capo, per nascondere le lacrime.

“Ehi, Kristian…è successo qualcosa? Non mi pare che tu stia tanto bene”.

“No…no, sto benissimo”, rispose decisa Kris, continuando a guardare dall’altra parte.

Benji sorrise. “Piantala, si vede che stavi piangendo. Però, se non ti va di parlarne…”.

Rimase per un po’ in silenzio, in attesa di una parola dell’amico. Kris, però, rimase zitta. 

Price la osservò preoccupato, poi le mise una mano sulla schiena.

“So che non sono fatti miei, ma…per caso, hai altri problemi con la tua famiglia?”, chiese cautamente.

A quelle parole, Kristine rialzò la testa. Sentiva il calore della mano di Price sulla sua scapola. Un tepore che ora le sembrava irradiarsi per tutto il corpo, dopo tanto, solitario freddo… 

“…Sì, ho avuto dei problemi…”, mormorò.

Dio, come avrebbe voluto buttarsi nelle sue braccia. Stringerlo, sentire il battito rassicurante del suo cuore appoggiando la testa sul suo petto…anche solo per una volta. Solo una.

“Mi dispiace…”, disse quindi Benji rammaricato. “E…come mai sei qui? Se non mi sbaglio, casa tua è quasi dall’altra parte della città…”.

“Già. E per stanotte non penso che ci tornerò…”, rispose tristemente Kris, senza pensarci troppo. Dopodiché, si appoggiò al muro.

Il ragazzo dai corti capelli scuri fissò Kris, non sapendo cos’altro dire.  Poi, avvicinandosi al piccolo cancello bianco, tirò fuori dalla tasca sinistra dell’impermeabile un mazzo di chiavi, inserendone una nella serratura.

Kristine guardò la porta aprirsi, sorpresa.

“Ma…allora è casa tua?”.

Benji gli restituì lo sguardo, altrettanto sorpreso.

“Certo che lo è…non l’avevi riconosciuta? Questa è l’entrata sul retro. Sai, ero uscito per accompagnare Freddie al taxi che è appena partito per portarlo all’aeroporto di Narita. Deve prendere un volo per Parigi, dove incontrerà Kirk Parson…non so esattamente i motivi del loro incontro. Forse c’entrano i prossimi Europei…ma in ogni caso, credo che non si vedessero da molto tempo”.

Kristine annuì. “Sì…Kirk Parson…ne ho…sentito parlare”.

Price aprì il cancelletto, e dopo aver estratto la chiave, si rivolse ancora all’amico, dopo un attimo di esitazione.

“Senti, Grover…non pretendo che tu mi racconti cosa ti è successo, ma…di certo non me la sento di lasciarti vagabondare una notte intera a Fujisawa. Quindi, senti…perché non rimani a dormire da me? Non ci sarebbe alcun problema, te lo assicuro…e adesso che Freddie non c’è, mi farebbe piacere avere un po’ di compagnia”.

Kris si irrigidì.

Aveva…sentito bene?

“Dormire…da te?”, ripeté, sentendosi avvampare il viso.

Improvvisamente, il cuore iniziò a batterle all’impazzata...

“Sì…davvero, mi farebbe solo piacere”.

La ragazza si staccò dalla recinzione e si voltò, avvicinandosi all’amico.

Dormire da Price…beh, di sicuro non si sarebbe mai aspettata un invito simile. Certo, per Benji lei era solo il suo caro amico Kristian, quindi nulla di strano, ma…ma…

Ma lei…lei era una ragazza. E questo piccolo dettaglio complicava abbastanza le cose.

Ma non era solo questo…

Price…

Non gli era certo indifferente…

Era attratta da lui…perdutamente attratta.

Ecco, era un altro trascurabile, irrilevante problema.

“Kris? Allora, ci stai?”. Benji la stava guardando, sorridendole cordiale.

La ragazza incrociò le braccia, tremendamente indecisa.

Se da una parte aveva una paura terribile di essere scoperta, dall’altra…

Beh…

Non le sarebbe dispiaciuto così tanto passare una notte da Price…

“Il mio cuore…non devo dimenticare il mio cuore…”, pensò tra sé, ricordando le parole di Nicole. “Però…no, non posso di certo abbandonare i miei sogni”.

Cancellò subito dalla mente i ragionamenti di qualche ora prima. L’amica, infatti, non le aveva certo detto di seguire i propri sentimenti non considerando la realizzazione personale…

Strinse le braccia al petto, poi abbassò lo sguardo.

“Ma…se…se potrò passare questi pochi momenti con Price, io…sarò…sarò felice così. Per adesso…mi basterà”.

Kristine annuì.

“Va bene, Benji”, esclamò quindi, mostrando, finalmente, un sorriso sincero. “Mi dispiace solo che tu debba disturbarti per me…”.

L’altro scosse la testa, sorridendo a sua volta.

“Ma come te lo devo dire? Nessun disturbo! E poi, come posso non aiutare un amico in difficoltà? Forza, vieni dentro…ci faremo anche una bella chiacchierata”.

La ragazza varcò il cancello e, felice, si girò verso Benji. Dietro di lei, il ragazzo lo richiuse, spingendolo leggermente con una mano.

Kris aspettò che Price la raggiungesse, poi iniziò a camminargli a fianco, attraversando il piccolo giardino del retro per arrivare al delizioso ingresso nel portico. Opposto allo stile dell’immensa villa, grandiosamente occidentale, possedeva però, proprio per questo motivo, un qualcosa di consolante e pieno di calore….

Dei piccoli pipistrelli passarono silenziosamente qualche metro sopra le loro teste, veloci e scuri.

Kristine taceva. Sapeva che stava andando incontro a un grande rischio. Ma in quel momento, nulla le importava più.

Benji era comparso davanti a lei ancora una volta.

E, ancora una volta, in un momento difficile, lei era arrivata davanti a casa sua, per caso…

Proprio come un angelo, Price la proteggeva, la rassicurava…

La ritrovava…sempre.

O forse…era lei a ritrovare lui.

Senza l’amore, Kris…

Senza quei sentimenti e quelle emozioni che ci rendono quello che siamo,

e cioè esseri umani con un’anima, non potrai mai essere davvero felice.

La ragazza salì il piccolo scalino di legno, e, seguendo il portiere, scomparve con lui dietro agli *shoji che dividevano l’interno della villa dall’intimo giardino avvolto nelle ombre di quella strana e muta notte.

E l’aria, proprio come quella trasportata dalla costa fin su, all’ufficio di Nicole, sapeva di sale.

Un profumo lieve e nostalgico. Così triste.

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Capitolo 12
*** Notte Amara ***


“Carina quest’area della casa”.

“Grazie. Sai, anche la mia camera è in stile tradizionale…non rinuncerei ai *futon per nulla al mondo! Alcuni anni fa era arredata con mobili occidentali, ma di recente l’ ho trasformata”.

Benji si sedette sul divano beige del salotto, e appoggiando i gomiti sulle ginocchia guardò Kris, accomodatasi sulla poltrona davanti a lui. Composta e immobile, la ragazza teneva le braccia incrociate sullo stomaco e lo sguardo basso.

“Kristian…”, osservò Price preoccupato. “Te lo ripeto ancora…sei certo di stare bene? Sei molto pallido”.

Grover abbozzò un sorriso.

“Lo so”.

Allungò i piedi, e si appoggiò allo schienale. Sapeva sì di non stare bene. Aveva un gran mal di testa e, probabilmente, persino qualche linea di febbre. E già…andava sempre meglio…

“Non è stata una bella serata”. Disse quella frase senza intonazione, con voce piatta.

Price aveva imitato l’amico, appoggiandosi sui cuscini del divano. Lo guardò, per poi sospirare piano.

“Questo l’avevo capito”.

Rimase muto ad aspettare che Kris dicesse qualcosa, ma ancora una volta il ragazzo non aprì bocca.

“So che non ti va di parlare, e lo comprendo. Ma ti prego almeno di cercare di allontanare la tensione…non ti fa certo bene continuare a pensare ai tuoi problemi”, le disse quindi il portiere con calma.

Kristine alzò lentamente la testa. “Non ci riesco”.

“Mi dispiace. Vorrei poter fare qualcosa”.

“Figurati, non pensarci nemmeno. Per me vuol dire già tanto avere un amico come te”.

I due rimasero in silenzio. Ad un tratto, un ticchettio sommesso catturò l’attenzione di Kris, che si girò a guardare verso l’unica finestra del piccolo salotto, alla sua destra.

“Guarda, sta piovendo”.

“Già. Meno male che non sei là fuori a bagnarti”.

“E’ stata una bella fortuna essere capitato davanti a casa tua”.

Il rumore della pioggia, leggera e fitta, riempiva la stanza, creando fra quelle quattro pareti una sorta di dimensione sospesa, intoccabile, confinata in un tempo e in uno spazio unicamente per loro due…o almeno, era questo che avrebbe desiderato Kris. Sarebbe stato tutto perfetto. Tutto assolutamente perfetto…

Se solo, ovviamente, al posto di Kristian ci fosse stata Kristine.

Si trovava immersa in una strana sensazione, anzi, in più sensazioni. Come intontita da una droga, stava perdendo il contatto con la realtà, precipitando in uno strano stato. Di certo, la febbre faceva la sua parte.

Socchiuse gli occhi, concentrandosi sul suono continuo prodotto dall’acqua.

La dominava la tristezza per ciò che era accaduto quella sera…una tristezza che ormai sentiva radicata dentro di sé, difficile da estirpare.

Ma anche questa nuova felicità. Quella di trovarsi da sola con Price. Il calore che sapeva comunicarle, solo con la sua presenza.

Era incredibile.

“Kris…”, mormorò Benji, alzandosi. Proprio in quel momento, però, qualcuno bussò alla porta. Comparve sulla soglia una signora sulla sessantina, i capelli grigi raccolti sulla nuca, il viso gentile e materno, ormai pieno di rughe.

“Buonasera signorino, ecco…non l’ ho sentita rientrare”, disse con una voce un po’ roca. “Passando in corridoio ho sentito delle voci, e così sono venuta a controllare”.

Price sorrise all’anziana domestica. “Grazie Rose, scusami se non ti ho avvertito. Stasera abbiamo un ospite, si chiama Kristian, e si fermerà anche per la notte. Kris, questa è Rose, lavora qui da moltissimo tempo”.

La signora si voltò verso Kristine, e inchinandosi la salutò. La ragazza rispose al saluto, un po’ sorpresa da quella apparizione improvvisa.

“Vuole che prepari al suo amico la stanza accanto alla sua, signorino?”, chiese poi Rose avvicinandosi ai due.

Price rimase qualche secondo a pensare. Poi, girandosi verso Kris, scosse la testa.

“Mh, no, direi di no. Pensavo di far dormire Kristian nella mia stanza, basterà aggiungere un altro futon. Tu che ne pensi? Sei d’accordo?”.

La ragazza venne percorsa da un brivido. Nella stessa stanza??

“Dio santo”, pensò Kris, cercando però di apparire più calma possibile. “Cosa ti viene in mente, Benji?? Tu non lo sai, ma io…”.

Niente da fare. Come mentire a se stessa?

La cosa le appariva semplicemente, puramente splendida.

Altro che terrore di essere scoperta.

Era una proposta incredibilmente allettante…

“Certo! Non ci sono problemi!”, rispose quindi, senza mostrare l’eccessivo entusiasmo.

Price sorrise. “Bene. Come ti ho già detto, non ho mai avuto molta compagnia. E chiacchierare un po’ non mi dispiacerebbe”.

La signora Rose annuì, ma prima di uscire si rivolse un’ultima volta ai ragazzi, chiedendo loro se per caso gradissero del the.

Benji si girò verso Grover, ma l’amico agitò una mano rifiutando gentilmente l’offerta. Il portiere, allora, congedò Rose che, salutando, uscì dalla stanza.

“Mi dispiace, magari tu lo volevi”, disse Kris, staccandosi dallo schienale.

Il ragazzo scosse il capo. “No, tranquillo…sai, l’avrò detto a Rose un milione di volte, ma quella donna non ha una grande memoria, ecco. Io odio il the…lo odiavo fin da quando ero bambino, ma spesso e volentieri mi costringevano a berlo!”. Ridacchiò.

“Pregavo che anche tu rifiutassi, sai…altrimenti sarei stato costretto a prenderlo con te per educazione!”.

Continuò a ridere, mentre Kris, davanti a lui, lo osservava con due occhi pieni di dolcezza.

Quando rideva in quel modo…sereno, spensierato…era…era bellissimo.

Price era così oscuro, certe volte. Così chiaro e aperto, in altre.

Entrambe le sue facce avevano, però, un qualcosa di ugualmente affascinante, attraente, intrigante. Indispensabile.

E lei, si accorgeva di amarlo sempre di più anche per questo…

“Eh eh…anch’io non amo particolarmente il the…”, disse Kris improvvisamente di buon umore, contagiata da Price.

Il ragazzo alzò la testa di scatto, sporgendosi in avanti. “Cosa??”, esclamò.

“Che c’è?”.

“Hai riso!”.

“Beh…”.

Price incrociò le braccia, trionfante. “Sono riuscito a tirarti su, finalmente!”

Kris sorrise. “Mmmh…un po’, sì”.

L’amico la fissò. “Non so cos’altro fare per aiutarti”, mormorò piano, cambiando il tono di voce.

Benji aveva nuovamente posato il suo sguardo su di lei, e Kristine si accorse di non riuscire più a staccare gli occhi dai suoi.

Poteva tradirsi. Avrebbe voluto tradirsi. Parlare. Mormorare poche parole.

Non ci sarebbe voluto nulla…

Poi…

Alzarsi, avvicinarsi a lui…

Sedersi sulle sue ginocchia…

Accarezzargli una guancia…le labbra…facendo scendere le dita giù per il collo, il petto…

Risalire, portando la mano oltre la spalla…

Stringerla all’altro braccio, per stringere lui…

Avvicinare il viso, lentamente, al suo…

Guardarlo, cogliendo le emozioni e i pensieri nei suoi occhi neri…

Accostare la bocca alla sua…

E baciarlo. Baciarlo come non avrebbe mai pensato di fare…

Baciarlo…

E poi…

“Posso offrirti qualcos’altro?”.

Kris tornò alla realtà. A malavoglia…

“Eh?”. Appoggiò le mani sui braccioli della poltrona, avvinghiandosi alla stoffa che la ricopriva, nervosa. Si rese conto di avere, improvvisamente, un caldo terribile. Addirittura sudava.

“Kris…sei diventato rosso…che ti prende?”, chiese Benji alzandosi. Si avvicinò a lei.

La ragazza saltò in piedi, e sorridendo, scosse il capo. “Nulla, nulla!”.

Si voltò, cercando qualcosa, una qualunque cosa le potesse ispirare una frase intelligente da dire…

Si ritrovò davanti una cristalliera in legno, piena di alcolici, liquori e vini. Erano allineati con cura meticolosa, e si potevano notare diverse etichette molto pregiate e costose, alcune ancora sigillate.

“Uao”, commentò, osservando l’interno delle vetrine. “Bella scelta…”.

Benji si accostò a lei. “Queste sono le marche preferite da Freddie…mh…sì, devo ammetterlo. Nemmeno a me dispiace bere…sfortunatamente il mio caro allenatore non mi ha dato un bell’esempio. Ma devo dire che reggo bene l’alcool”.

Kris si voltò, esterrefatta.

“Scherzi?”.

“Eh eh…Sei scandalizzato?”.

“No, no! Non è questo…”.

Il ragazzo aprì uno dei vetri, prendendo una bottiglia di vodka alla pesca.

“Comunque io mi accontento di poco…che ne dici di questo?”. Anche se aveva posto una domanda, Price non attese nemmeno la risposta di Kris, e prendendo due bicchieri da un ripiano dell’armadio, ritornò verso il salotto.

Grover rimase in piedi accanto alla cristalliera. Sembrava proprio la tipica scena di un film…il ragazzo invita la ragazza a casa sua, i due chiacchierano un po’, poi lui offre innocentemente da bere all’amica…mh, finale scontato, ovviamente.

L’unica cosa che differiva, nel loro caso, era che lei, per Benji, non era una ragazza.

“Diamine”, pensò ironicamente, cercando di riderci su. “Che peccato”.

Già, riderci su. Riderci su e basta…

“Ok, non ho mai provato la vodka alla pesca”.

Price la guardò di traverso, mentre versava il superalcolico nei calici appoggiati sul tavolino fra i divani.

“Davvero? Non è che sei astemio?”.

“Oh, no…è solo che ho sempre bevuto altre cose”.

Beh, in realtà era vero…Kris non era mai andata al di là di un aperitivo, o al massimo di una birra. Beh, sì, le era capitato anche dello champagne…ma comunque non era il caso di specificarlo a Benji…

“Ah, bene. Beh, c’è sempre una prima volta, no?”.

Il ragazzo porse il bicchiere all’amico, per poi sedersi. Accostò il bordo alla bocca, e dopo aver dato il primo sorso, rise.

“Stavo pensando che forse preferiresti essere qui con la tua amica, Judith. Sicuramente sarebbe più sensato!”, esclamò con una punta di malizia.

Kris, con ancora il bicchiere in mano, lo guardò male. “Ehm…non credo…”, disse poi un po’ a bassa voce, riflettendo sull’assurdità di certe situazioni. Lei stava bevendo in compagnia di Benji, il ragazzo che le piaceva, da sola, mentre lui, a cui la cosa appariva assolutamente normale, le diceva che certamente sarebbe stato molto romantico se lei fosse stata in compagnia della sua amica Jude…

Il liquido denso, lievemente rosato, profumava intensamente di pesca. Kris avvicinò le labbra al vetro, e dopo aver mandato al diavolo i suoi pensieri, bevve.

 

“Ehm, Kristian, penso che tu ora stia un po’ esagerando…”.

Era passato diverso tempo da quando Benji e Kris avevano iniziato a bere. Ma mentre Price si era fermato a due soli bicchieri, Kristine…era arrivata a cinque.

E adesso, stava versandosi il sesto.

“Ma no, io non penso…”, mormorò con una strana intonazione la ragazza, cercando di tener ferma la bottiglia mentre la accostava al calice. “Posso beniss…benissimo berne…un altro…già…”.

Benji guardò preoccupato l’amico, e scotendo la testa, sospirò. “Mi sa che non avrei dovuti proporti la vodka…”.

“Ma che dici, è buonissima! Mh…”. La ragazza buttò giù in un attimo anche il sesto bicchiere, poi, abbassando lentamente il braccio, fissò Price.

“Dovremmo incontrarci più volte, noi due, sai? E’ stata una seratina fantastica…certo, ho avuto i miei…uhmm…sì, i miei problemi…ho sentito proprio di tuuutto…fidanzati che litigano, la storia di due orfane olandesi…cose dell’altro mondo! Mh…però è stato divertente”. Kristine strascicava le parole. 

“Dovresti sentirle anche tu…mh, ecco…un giorno te le racconterò…”.

Sorrise, per poi lasciarsi cadere a peso morto, sprofondando nella poltrona.

Benji strinse le labbra. Si passò una mano fra i capelli, la testa abbassata.

“Kristian, forse è meglio se andiamo a dormire, non credi? Un po’ di sonno ti farà bene”.

Rialzò il viso, per osservare tristemente Kris. L’alcool lo stava facendo sfogare…

L’amico, però, lo fulminò con un’occhiata urtata.

“Non te ne frega niente, eh?”, esclamò con irritazione. “Ma certo, a nessuno possono interessare i miei problemi…come potrebbero? Mi sento un fallimento da una vita…nessuno ha mai avuto bisogno di me…ho sempre dovuto chiedere sostegno agli altri…e oggi…oggi mi arriva il colpo di grazia…è stata una delle giornate più brutte della mia vita, e tu, la sola cosa che mi sai dire è ‘ forse è meglio se andiamo a dormire’? Bell’amico…non c’è che dire…”.

Improvvisamente, la ragazza si rialzò, e camminando decisa verso il portiere, si fermò davanti a lui. Si inchinò, e arrivando a venti centimetri dal suo viso, gli sussurrò poche parole.

“Tu non sai chi sono in realtà. Io mi odio”.

Price la fissò, gli occhi spalancati. Poi, seriamente, parlò all’amico, avvicinandosi ulteriormente.

“Perché ti odi, Kris?”.

“Perché nemmeno io so più chi sono, ormai, e nemmeno chi voglio essere”.

“Perché non provi a raccontarmelo?”.

La ragazza restò ferma qualche secondo, per poi allontanare i suoi occhi castani da quelli scuri di Price. Si voltò. Lentamente, giunse davanti ai vetri della cristalliera degli alcolici.

“Raccontartelo?”.

Kris guardò la sua immagine riflessa, in silenzio. Poi, ad un tratto, scoppiò a ridere.

“Ah ah ah! Raccontartelo! Se potessi raccontartelo non mi odierei, sai? Ah ah ah! La colpa, tu non lo sai, ma è tua! Sì, tua e di Kristian, che è nato solo per soddisfare il capriccio di un’idiota! Sì, uno stupido sogno di uno stupido idiota! E chi è a farne le spese, eh, chi? Chi soffre perché pur essendo vicinissimo a ciò che ama, non potrà mai averlo? Chi?! Chi??”.

Le parole urlate senza ritegno da Kris riempirono la stanza, risuonando nella grande villa. Poi, dopo pochi istanti di silenzio, Benji si alzò. Nei suoi occhi c’era dolore, e pena.

“Non lo so, Kris. Non so chi ne fa le spese. So solo che ora ciò di cui hai bisogno è riposo”.

Il ragazzo rimase immobile, mentre Kristine, dietro alla poltrona, respirava a fatica, appoggiata con una mano allo schienale.

Forse stava per svenire…ogni cosa, intorno a lei, girava. A tratti, delle macchie scure le coprivano la vista.

Ebbe un attimo di lucidità, e arrancando verso Price, afferrò con una mano un lembo della sua camicia.

Aggrappata a lui, riuscì a dire un’unica parola.

“Scusami”.

Il portiere non fece in tempo ad aprire bocca, che Kris perse i sensi, cadendo in avanti. Benji riuscì a prenderlo al volo, e sorreggendolo, passò poi un braccio del ragazzo dietro al collo.

Trascinandolo a forza, arrivò con lui al piano superiore. Dopo aver attraversato il lungo corridoio, entrò finalmente nella sua stanza, e, inchinandosi, lo fece sedere a terra, appoggiandolo momentaneamente contro una delle pareti.

Dopo aver preso dall’ *oshiire i futon, li stese a terra, l’uno a poca distanza dall’altro. Poi ritornò da Kris, che dormiva silenziosamente con la testa reclinata da un lato. Adesso, la sua espressione sembrava più rilassata, e il respiro era regolare.

“Non penso che mi debba più preoccupare per lui, o almeno per stasera”, si disse Benji riacquistando un po’ di tranquillità. Scostò la schiena dell’amico dal muro, e abbassando la cerniera della tuta, gli sfilò la giacca, lasciandolo in t-shirt.

Lo rialzò, fino a portarlo a uno dei futon. Dopo averlo fatto sdraiare, lo coprì con la trapunta.

“Ecco fatto”, disse quindi Price, stiracchiandosi le braccia. “Fortunatamente Kris pesa molto poco. Però, devo dire che queste settimane di allenamento gli sono servite. I suoi muscoli si sono inequivocabilmente sviluppati…”.

Il ragazzo sbadigliò, e portandosi una mano alla bocca, sorrise.

“E’ davvero pazzesco, sembriamo quasi due fratelli. Mah…”. Osservò addolorato il ragazzo.

“Chissà cosa ha passato…cosa non può dirmi. Kris deve avere molti problemi…purtroppo. E devono essere cose serie…”.

La pioggia continuava a scendere, incessante, e le gocce d’acqua scivolavano sul vetro delle finestre della camera di Price. Il portiere voltò la testa, e avvicinandosi ad una di esse, diede un’occhiata fuori.

“Il cielo è coperto. Non c’è…nemmeno una stella”.

Un fulmine, seguito immediatamente dal relativo tuono, illuminò per un attimo il cielo scuro.

Benji sussultò. Ebbe l’improvvisa, spiacevole sensazione che presto qualcosa…sarebbe cambiato.

Presto sarebbero cambiate molte cose.

Ma…

In che modo…sarebbero cambiate?

Si sbottonò la camicia e si sfilò i jeans. Dopo averli abbandonati su una sedia di fianco alla scrivania, in un angolo della stanza, indossò dei leggeri pantaloni di cotone per la notte. Dopodiché, si sdraiò nel suo futon, a destra rispetto a quello di Kristian.

Rimase per un po’ immobile, con gli occhi spalancati, ad ascoltare il silenzio, aspettando che l’inquietudine per quello strano presentimento si allontanasse. Poi, finalmente rasserenato, forse cullato dal ticchettio della pioggia, chiuse gli occhi, lasciando che il sonno si impadronisse di lui.

 

Erano forse le tre, quando Benji si svegliò di soprassalto. Per un attimo credette che la causa fosse stata un tuono molto forte, ma alzando leggermente lo sguardo verso la finestra vide, invece, che l’acqua aveva smesso di cadere. Il temporale si era allontanato.

Non udiva alcun rumore, tanto che il silenzio che regnava nella stanza sembrava appesantire l’aria, come una coltre di fumo densa ma invisibile. Si stropicciò gli occhi. Probabilmente doveva aver avuto caldo, perché la trapunta del futon gli copriva solamente le gambe, mentre il resto del corpo era scoperto.

“Fa più freddo, ora”, pensò fra sé, mentre, infastidito, allungava un braccio per afferrare la coperta. Improvvisamente, però, si rese conto che qualcosa gli bloccava i movimenti…girò il capo, e guardando all’altezza del costato vide una mano aperta.

Chiara nel buio della camera, illuminata lievemente solo dalle luci artificiali che entravano dalle finestre, lo stringeva con forza, impedendogli una torsione.

“Ma…”, sussurrò incredulo, non riuscendo a capire, per qualche istante, da dove provenissero quelle affusolate e pallide dita. Poi…

Poi si ricordò di Kris. Kris stava dormendo di fianco a lui, nel secondo futon.

“Kristian?”, mormorò Price lentamente, udendo dei fruscii dietro a sé.

Un altro lieve spostamento di lenzuola, un rumore e…

E Benji sentì il braccio dell’amico scendere sul suo stomaco…

Mentre lo stringeva sempre più…

Sulla schiena poteva sentire il tessuto della t-shirt di Grover, il corpo del ragazzo che aderiva alla sua pelle…

“Price…”.

Solo un bisbiglio. Kris stava parlando nel sonno…

“…non sono chi tu credi…io…”.

No!

Cosa…cosa stava facendo Grover?

Lo stava…lo stava toccando?

Dapprima ferma sullo stomaco, la mano salì lentamente sul petto. Leggera, questa volta. Sì, lieve, ma insieme decisa…

Decisa…lo accarezzava, delineando, con le dita, i contorni dei suoi muscoli, delle scapole, del collo…

Lo accarezzava, lo toccava…era…

Sensuale…

In quel tocco c’era qualcosa di indubbiamente sensuale…

No…non era possibile!

Perché?

Cosa…cosa stava succedendo??

“…io ti amo…”.

Seguirono alcuni secondi di silenzio. Benji, immobile, aveva gli occhi spalancati.

Gocce di sudore freddo gli scendevano giù, ai lati delle guance, e gli imperlavano la fronte.

Non poteva aver sentito bene. Non poteva aver sentito quelle parole, no…

Forse…forse Grover era ancora ubriaco…ma certo, doveva essere così…

Non sapeva quello che stava dicendo!

“Ti amo…”.

Le dita di Kris si mossero ancora, arrivando nuovamente sotto il petto, e poi ancora…scesero sul ventre…e…

“Ora basta!”.

Price, liberatosi seppur a fatica dalla stretta di Kris, era balzato in piedi, e adesso, di fianco al futon, fissava shockato l’amico.

L’amico…?

“No, non può essere, non…ci voglio credere!”, sussurrò accaldato il portiere, le mani strette a pugno lungo i fianchi.

Kristian…si era…davvero innamorato di lui?

No, no…era una follia…dopo tutto quello che si erano detti, dopo…quelle settimane, Benji aveva creduto di aver trovato qualcuno con il quale confidarsi, qualcuno simile a lui, così simile da potersi fidare di Kris come di se stesso…

Contava su di lui…

Pensava di aver trovato…sì, un vero amico…

E invece…

Quello che Kristian provava andava al di là di una semplice amicizia…

Tu non sai chi sono in realtà. Io mi odio…

Era sempre stato evidente…

Perché nemmeno io so più chi sono, ormai, e nemmeno chi voglio essere!

Se potessi raccontartelo non mi odierei, sai?

Non era riuscito a capirlo.

Chi soffre perché pur essendo vicinissimo a ciò che ama, non potrà mai averlo? Chi?! Chi??

“E così è questa la verità”, mormorò il ragazzo con voce incolore, guardando Kristian che, ancora steso nel suo futon, seguitava a dormire tranquillo, naturalmente ignaro di ciò che era appena successo… 

Benji avrebbe dovuto provare comprensione…

Avrebbe dovuto provare tolleranza…

Avrebbe dovuto provare tutto, tutto fuorché ciò che, in quel momento, sentì emergere dentro di sé.

Un sentimento che credeva allontanato…

Quel sentimento che l’aveva reso egoista, che l’aveva reso un’isola…

“Mi dispiace, Kris”, pensò fra sé il ragazzo bruno, chiudendo gli occhi. “Questo…non me lo dovevi fare. Non posso accettarlo. E’ stata una delusione, è stato…troppo, per me. Come posso considerarti ancora nello stesso modo di prima? Io…”.

Bloccò i suoi pensieri. Si impose di farlo. Non era giusto.

Kris avrebbe sofferto. Indubbiamente avrebbe sofferto…

Ma purtroppo, Benji sapeva fin troppo bene che quella era una situazione che non poteva reggere.

Sapeva fin troppo bene come era fatto. Sapeva…di non essere cambiato.

Scosse il capo con violenza, combattuto. Dopo pochi istanti, però, riaprì gli occhi.

Li abbassò ancora su Kris.

“Il mio orgoglio non mi permette di far finta di nulla. Spero riuscirai a perdonarmi, un giorno, ma…”.   

Occhi duri, occhi…gelidi. Gelidi e vuoti. Ecco com’era il nuovo sguardo di Price.

“…ma da stanotte, la nostra amicizia è finita. Per sempre”.

 

*NOTE:

 

futon: materassi e trapunte per la notte utilizzate dai giapponesi. Si stendono sul pavimento la sera, per riporli negli oshiire di giorno.

 

oshiire: l’armadio a muro della casa giapponese tradizionale. Chiuso da pannelli scorrevoli detti fusuma, simili agli shoji, oltre che per la biancheria e il vestiario vengono usati anche per riporvi i futon durante il giorno.

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Capitolo 13
*** Iniziano i Guai ***


Kristine si rese conto di non essere nella sua stanza nel momento in cui, socchiudendo gli occhi, vide il pavimento…o meglio, il *tatami, alla stessa altezza del suo sguardo.

E, improvvisamente, uscendo da uno stato a metà tra il sonno e la veglia, si ritrovò seduta sul materasso del futon, con i grandi occhi castani spalancati. La luce entrava da una finestra alla sua destra, aperta su una porzione di cielo che tristemente, quel mattino, appariva coperto e grigio.

“Ma…ma dove sono??”, si disse, agitata. “Qualcosa…non quadra nei miei ricordi…”.

Lei…la sera prima…

Aveva parlato con Nicole…all’hotel…era scappata via, aveva vagato per Fujisawa, e poi…poi…

“Ah, sei sveglio”, notò una voce conosciuta, di fianco a lui.

Kris Grover si voltò. Benjamin Price la fissava senza una particolare espressione, in piedi accanto allo shoji aperto. Indossava una felpa verde scuro, con colletto a zip, e dei jeans neri un po’ sbiaditi. Sul capo, il suo solito cappello portafortuna. Pensandoci bene, però, era da tanto che non lo indossava...

“P…Price?”, balbettò quindi la ragazza, fissando l’amico, in preda all’amnesia più totale.

Era…a casa di Price?

Nella sua stanza??

Cosa ci faceva lì??

Poi, ad un tratto…

Ad un tratto si ricordò dell’incontro con il portiere…e del suo invito…

Avevano passato la serata a parlare, in quel salotto…pioveva, e poi…Benji le aveva offerto da bere…vodka. Sì, era… stata vodka.

"Sono le nove e un quarto. E’ sabato, sicuramente avrai qualcosa da fare. La tua giacca è sopra la sedia, e il bagno sai dov’è…”.

Benji la fissò ancora per pochi istanti, poi si voltò, richiudendo il pannello scorrevole. Kris osservò esterrefatta l’ombra dell’amico allontanarsi dietro lo shoji, poi, sempre più incredula, si stropicciò gli occhi.

Era completamente spaesata…

Non riusciva a ricordare il momento in cui era salita nella stanza del portiere. Per quanto si sforzasse, non ci riusciva…

Cos’era successo?

Quei pochi bicchieri, la sera prima, e…

Stop. Nessun’altra immagine. Si ricordava solo di non essere stata molto bene…mh, sì, sicuramente su quello non si poteva sbagliare.

“Che confusione…e che mal di testa…”, mormorò piano la ragazza, portandosi una mano alla fronte. Un dolore continuo continuava a martellarle le tempie, impedendole di pensare. No, no…

Non era possibile…come poteva non ricordarsi nulla?

Si alzò lentamente, per poi, però, sbilanciarsi. Per non cadere, si appoggiò contro un muro. Si sentiva ancora male…probabilmente si trattava di un calo di zuccheri…era da poco meno di ventiquattro ore che non toccava cibo.

“Che fame…”, si disse, mentre cercava di avvicinarsi alla sedia sulla quale era appoggiata la giacca della sua tuta. Se la infilò, sospirando stanca.

“Nonostante tutto, però…mi pare che la situazione sia ok…per Benji sono ancora Kristian”, pensò, tornando con la mente al portiere. Si avvicinò al pannello, e lo aprì con forza. Diede un’occhiata al lungo corridoio, ma dell’amico nemmeno l’ombra. Decise allora di andarsi a dare una rinfrescata…sì, lo avrebbe cercato poi.

Dopo alcuni minuti uscì dal bagno, e attraversò il piano per arrivare, parecchi metri dopo, all’elegante scalone di marmo che troneggiava in mezzo all’ ingresso. Scese i gradini coperti da un morbido tappeto blu, e cercando con lo sguardo Price, lo notò in un angolo, fermo davanti a una vetrata a fissare un punto all’esterno.

Proprio come quella sera, la sera in cui lei era venuta a casa di Benji la prima volta, il suo sguardo era triste…

Ma quella mattina…

Quella mattina i suoi occhi nascondevano un altro sentimento.

“Benji…oggi è strano”, pensò Kris, guardando il portiere pensierosa. “Sembra…lontano…”.

Si avvicinò piano al ragazzo, e sorridendo come meglio poteva, lo salutò di nuovo.

“Ehm…senti…”, disse quindi. “Volevo ringraziarti…grazie davvero per avermi ospitato e…beh, se c’è un modo con cui potrò ricambiare, in futur…”.

“No, va bene così, non ce n’è bisogno. Non mi devi ringraziare”, la interruppe bruscamente Price, senza spostare il viso.

Kris rimase un attimo senza parole, interdetta, poi, alzando le spalle, riprese a parlare.

“Oh…beh…ok…comunque…io volevo chiederti anche una cosa…ecco, ti sembrerà stupido, ma…credo di avere una piccola amnesia…non ricordo più cos’è successo ieri sera, e quindi se tu…”.

Ma il ragazzo la bloccò nuovamente. Come irritato, si voltò, nascondendo il viso a Grover.

“E’ meglio che tu vada via, ora. Io ho molte cose da fare, e visto che domani abbiamo un altro incontro, faresti meglio a riposarti. O ad allenarti, se lo ritieni necessario”.

Price rimase fermo, di spalle rispetto a Kris che, incredula, lo fissava, cercando di convincersi che quello con cui stava parlando fosse davvero Benji. Il suo tono…sembrava…così duro. Ma soprattutto…scocciato.

“Ecco…posso allenarmi qui…se vuoi, io…”.

“No”.

La risposta secca del ragazzo risuonò nella sala, ripetendosi più volte. Un alito freddo, anzi, gelido, parve avvolgere Kristine, che si strinse nelle braccia. Cosa…cosa era successo a Benji?

“Non ti allenerai più qui. Lo farai solo al campo, anche se probabilmente lascerò che d’ora in poi ti aiuti Becker”.

“Tom? Ma tu non avevi detto che…”.

“Ma ora ho cambiato idea”.

“E’ per colpa della gamba? Hai bisogno di altro riposo? Perché se…”.

“No, non c’entra. E smettila di farmi domande”.

Detto questo, Price si girò e, superandola, arrivò a passo spedito al portone.

Kristine non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi, per capire che Price lo aveva aperto.

Sì, Benji le stava gentilmente chiedendo di andarsene.

“Allora…ciao”, mormorò a bassa voce la ragazza, fermandosi di fianco all’amico.

Ma Price non disse nulla. Lo sguardo, assente, era rivolto a lato, remoto, distante anni luce da lei...

L’atmosfera cupa e grigia di quel freddo mattino autunnale circondava i due ragazzi, come se niente ci fosse più, oltre a quella immensa tristezza, quel distacco. Oltre a quel dolore, che Kris sentiva crescere dentro di sé, e salire, come una marea inarrestabile…

Trattenendo a fatica le lacrime, corse via, attraversando il grande giardino della villa con gli occhi chiusi…

Basta…

Non voleva più piangere, no…

E quello…

No, no! Non era Price!

Lui non l’avrebbe mai trattata così…

Non avrebbe mai trattato in quel modo il suo…il suo amico Kristian…

Oltrepassato anche il cancello argentato, continuò a correre per qualche metro, per poi fermarsi. Si passò il dorso della mano sugli occhi. Cos’era successo? Cosa era successo a Benji? La sera prima…tutto…era andato così bene…lui…l’aveva consolata, le aveva parlato, come se davvero fosse preoccupato per i suoi problemi…

Perché allora…qual era il motivo di quel comportamento? Cosa gli aveva fatto? Cosa??

Rialzò piano la testa, e sollevò gli occhi al cielo. Minuscoli punti neri, uccelli lontani centinaia di metri, si muovevano senza fretta fra le nubi, tracciando archi continui sopra di lei. Kristine rimase a guardarli in silenzio, pensierosa.

Forse…forse aveva frainteso tutto…magari quello di Price era stato solo un momento negativo, o forse aveva ricevuto qualche brutta notizia…qualcosa di cui lei era all’oscuro. Ma sì…

Magari non era arrabbiato con lei, poteva essere stato solo un momento di nervosismo…

Certo, poteva capitare…

Iniziò a camminare. Doveva esser andata così…e, in fondo, era inutile agitarsi…avrebbe lasciato passare qualche giorno…e poi, certamente, anzi, sicuramente Benji sarebbe ritornato quello di prima, come se niente fosse mai accaduto…

Attraversò parte della città a piedi, poi, ad un angolo di una via, salì su un autobus. Si sedette in fondo, e appoggiando il capo al vetro, rimase ad aspettare, immobile, la partenza. Aveva talmente sonno, fame, e tanto, tanto mal di testa…

“Come farò ad affrontare la partita domani?”, disse a se stessa, conscia di non sentirsi fisicamente ed emotivamente pronta ad un altro incontro. Socchiuse gli occhi, stanca.

“Alcune volte vorrei solo…lasciar perdere tutto…tutto e tutti…”.

Il conducente attese qualche minuto, poi accese il motore. Proprio nel momento in cui stava per chiudere le porte, però, qualcuno salì di corsa e, dopo essersi scusato, si avviò a cercare un posto. Kristine, che ormai aveva chiuso gli occhi da diverso tempo, sentì solamente la voce dell’individuo…una ragazza.

Questa arrivò a metà, poi, improvvisamente, si accorse della presenza di Grover in fondo alla fila dei sedili, riconoscendola.

“Ma…ma…allora sei qui!!”, gridò quindi, indicando Kris con un dito.

Lei aprì stancamente gli occhi, con la sensazione di conoscere quella voce…

“Eh?”, disse, passandosi una mano sulla fronte per scostare i ciuffi castani dagli occhi. “…Judith?”.

La sottile ragazza bruna davanti a lei indossava dei panta-jazz neri e attillati, e un corto maglioncino blu e azzurro, leggermente aderente. In piedi fra le due file di sedili, la fissava con i suoi grandi occhi, neri e luminosi come perle rare.

Sì, un bellissimo sguardo, che sapeva però trasformarsi anche nel più severo mai visto…proprio come in quel momento.

“Ero preoccupatissima per te!”, escalmò. “Ma si può sapere dove sei stata stanotte? Ti stavo cercando per tutto il paese, e solo per pura fortuna ti ho vista seduta qui, da dietro il vetro!”.

Kristine sgranò gli occhi, e, terrorizzata, si raddrizzò, ignorando completamente le parole dell’amica.

“Non dirmi che Alex ha telefonato a casa tua?? Cosa gli hai detto? Cercava me, vero? Oddio, e ora…”, iniziò a disperarsi, portandosi per l’ennesima volta in poche ore le mani sugli occhi.

“Calmati, Kris, tuo fratello non sa nulla”, disse invece Jude improvvisamente calma. “Stamattina, è vero, ha chiamato chiedendomi di parlare con te, ma ho capito immediatamente che dovevi avergli raccontato una balla…gli hai detto che avresti dormito da me per la notte, giusto? Ho ragione?”.

“Beh…ecco, sì”.

“Sai, non è che io sia perspicace. Solo, non c’erano molte ipotesi. Come al solito hai lasciato spento il cellulare, eh? Beh, comunque…ho mentito, dicendogli che al momento eri in bagno e che stavamo per uscire…”.

Kristine guardò l’amica negli occhi, prudente, per paura di un rimprovero.

“…grazie. E…cosa voleva dirmi?”.

“Che oggi si ferma a pranzo da un suo compagno d’università, e che quindi non tornerà prima delle tre”.

“Ah, ok”.

Jude sospirò, per poi avvicinarsi a Kris. Si sedette accanto a lei, e aprendo le braccia, appoggiò gli arti affusolati color ambra sulle spalliere dei sedili. Incrociando le gambe, girò il capo verso la ragazza.

“Eh già, proprio una bella balla, Kristine. Sai, credo proprio che tu debba raccontarmi qualcosa”.

 

Tom richiuse l’anta dell’ armadietto con insolita violenza. Si sentiva nervoso…stranamente nervoso…ma era più che certo che l’incontro che stava per iniziare con la Artic non c’entrava con il suo stato d’animo. Sì, non era da lui agitarsi prima di una partita. Girò la testa per cercare Holly.

Il fuoriclasse, seduto su una panca, si stava allacciando gli scarpini. Il viso era come sempre disteso e tranquillo, e gli occhi scuri non tradivano alcuna preoccupazione. Becker guardò l’amico, indeciso se parlare, ma dopo pochi istanti abbassò il capo, girandosi nuovamente.

“Tom, oggi mi sembri teso”, disse però inaspettatamente Hutton, che nonostante tutto si era accorto del comportamento del ragazzo. “Cosa c’è? E’ per la partita?”.

Becker tese un braccio, appoggiando la mano sull’armadietto di ferro. “A te non si può nascondere niente, eh?”.

“Ti conosco meglio di chiunque altro, lo sai”.

“Sì…lo so. Comunque…no, figurati, non è per l’incontro”.

“Mhh…infatti, mi pareva strano. E quindi…ah, aspetta. Forse…riguarda ancora il problema di qualche settimana fa?”.

Tom volse lo sguardo all’amico. “Non lo so…sai, ultimamente mi sento in ansia, anche se non so esattamente per cosa. Mah”.

Il calciatore sospirò,  per poi sedersi a fianco del proprio capitano.

“Holly…dimmi, per caso hai parlato con Kris oggi?”.

Hutton appoggiò i gomiti sulle ginocchia. “No…sul pullman si è seduto da solo, in un angolo. Non mi sembrava avesse voglia di parlare…e così non gli ho chiesto nulla”.

“Già, anche a me ha fatto la stessa impressione”, mormorò tristemente Becker, fissando il pavimento. “Sono certo che non sta bene…”.

Quel mattino, infatti, quando l’intera squadra era partita da Fujisawa, Tom aveva notato che Kristine, dopo essere arrivata all’ultimo momento, si era seduta per conto suo, senza salutare nessuno. I suoi occhi avevano continuato a guardare fuori dal finestrino per tutto il tragitto, come se la sua mente fosse da un’altra parte…

Non aveva salutato nemmeno lui.

Holly si alzò, e, sospirando, mise le mani sui fianchi. “Se stesse male sarebbe un guaio…a proposito, ora dov’è?”.

“Mi pare sia fuori dagli spogliatoi, con Judith”.

“Mh…beh, speriamo davvero che giochi come sempre. Sai, Tom…Kris mi è sempre sembrato un tipo un po’ introverso, a dispetto della sua apparenza aperta e vivace. Non ci ha mai detto molto di sé…ho sempre pensato che possa avere qualche problema, ma che non ne voglia parlare con nessuno…”.

Tom evitò gli occhi del numero dieci.

“…già. Ecco…come ti avevo già detto…io l’ ho conosciuto anni fa a, Kyoto. Ma anche per me è sempre rimasto un ragazzo un po’…strano…”.

Spostò lo sguardo sul resto della squadra che, dall’altra parte della stanza, chiacchierava in attesa dell’inizio della partita.

Becker si stava lentamente, dolorosamente rendendo conto di quanto gli mancasse Kris…anche se non lo voleva ammettere a se stesso. Si era ripromesso, infatti, di non pensare a lei…per non rovinare la loro amicizia…e…per non scoprire che Kristine potesse essersi innamorata…di qualcun altro. 

Di qualcun altro…

Mio dio.

Era…così vigliacco.

Sì…aveva paura di un rifiuto.

Un rifiuto…

Si rigirò verso Holly.

“Senti…Benji oggi verrà ad assistere alla partita?”.

Hutton assentì. “Sì, mi ha detto che lo accompagneranno in auto. Dovrebbe esser qui a momenti”.

Proprio in quel mentre qualcuno aprì improvvisamente la porta degli spogliatoi, facendo calare per un momento il silenzio assoluto nella stanza.

“Ah, Benji!”, esclamò poi Diamond non appena riconobbe il Super Great Goal Keeper. Il portiere era comparso davanti alla squadra con una strana espressione sul volto…inusuale, severa. Quasi oscura, come se un’ombra fosse scesa su di lui per nascondere il suo solito sguardo deciso e forte, il suo sorriso ironico ma sempre ottimista…

“Salve ragazzi”, disse quindi Price osservando i compagni, fermo sulla porta. “Scusate se sono arrivato solo ora”. Dopodiché entrò, passando in mezzo al gruppo di giocatori.

“Tutto a posto?” chiese il capitano della squadra avvicinandosi a Price insieme a Tom, dopo essersi accorto del viso dell’amico . “Oggi non hai un bell’aspetto…”.

Il portiere, evitando di incontrare gli occhi di Hutton e quelli di Becker, sorrise tirato.

“No, sto bene”.

“Forse…era meglio se seguivi la partita da casa…”.

“Ti dico che sto bene, Holly. E’ solo la gamba che è infortunata, non sono mica malato”.

Il numero dieci e il numero undici della New Team si scambiarono un’occhiata stupita. Non era da Benji comportarsi in quel modo. Usare…quel tono.

“Ah, ok, ok…scusa, forse è stata solo una mia impressione…”, si affrettò quindi a dire Hutton, sorridendo al portiere. “Sai, anche Grover oggi ci è sembrato un po’ stanco…anzi, più precisamente…direi abbattuto”.

Benji sbuffò, quindi rivolse lo sguardo al muro.

“Allora spero che si riprenda, e in fretta anche. Non possiamo assolutamente farci fare dei goal in una partita del genere, sarebbe davvero vergognoso”.

Tom fissò il portiere. “Cosa…cosa stai dicendo?”.

“Come cosa sto dicendo?”.

“Vuoi dirmi che non t’importa se Kristian ha qualche problema? Ma…scusa, voi due non vi siete visti in queste settimane per il suo potenziamento? Dovresti conoscerlo bene ormai…”.

Benji rimase fermo, gli occhi fissi sull’intonaco grigio della parete dello spogliatoio. Dopo pochi istanti li chiuse, inspirando profondamente.

“Tom, senti…”.

Per la seconda volta in pochi minuti la porta della stanza si aprì. Kris, già pronta con indosso la divisa della squadra, entrò nello spogliatoio camminando lentamente. I soliti occhi dolci, vivaci e luminosi, questa volta apparivano spenti e stanchi, coperti da un velo di malinconica tristezza…

Nessun giocatore osò salutarla, o chiederle nulla…tutti avevano capito che qualcosa non andava nel loro portiere, quella mattina…proprio come se ne erano accorti Holly e Tom.

Kris aggirò la fila di panche per arrivare ad una vuota, in un angolo dello spogliatoio. Appoggiò la borsa, ma prima di sedersi, si girò, rivolgendo una profonda, tristissima occhiata al trio. Gli occhi castani della ragazza indugiarono poi su Price, che però non si girò nemmeno…

Tom, a sua volta,  guardò preoccupato Kristine. La sua Kristine…

Ridotta così…

No, non sembrava nemmeno lei…

Così pallida, triste…

Sempre così bella, bellissima…ma offuscata da una malinconia che il numero undici non si ricordava di avere mai visto sul suo volto…

Una malinconia, e forse un dolore che cercava di nascondere.

Dopo aver atteso invano un’occhiata di Price, Kris socchiuse per un attimo gli occhi. Riaprendoli, essi incontrarono quelli di Becker.

I due ragazzi si fissarono a lungo, e Tom capì che doveva essere successo qualcosa…sì, ora ne era davvero sicuro. Nello sguardo di Kristine era evidente il bisogno disperato di confidarsi con qualcuno…qualcuno che la capisse, che la confortasse…che la stringesse…

“Ci sono qui io. Kris, ci sono io”.

Tom la guardò intensamente. Voleva che quel pensiero la raggiungesse…

“Non sei da sola…io sono sempre stato accanto a te…e lo sarò sempre…anche se tu forse non te ne sei mai resa conto…anche se non sarò mai nulla per te…non m’importa…”.

Anche la ragazza continuò a guardarlo. Poi, sulla sua bocca comparve per un istante un lieve, triste, quasi impercettibile sorriso. Si sedette, e prese i guanti dalla borsa.

Tom fece quindi per avvicinarsi all’amica, quando il mister comparve sulla porta.

“Forza ragazzi, è ora!”, esclamò.

Mentre la squadra si riuniva per uscire in campo, gli occhi di Becker cercarono ancora una volta i due portieri. Era chiaro che qualcosa era successo fra i due…non una parola, non un’occhiata, un saluto da parte di Benji a Kris. Era davvero molto strano…e…quelle parole…le parole di Price…

In quel momento il portiere si avvicinò, passando davanti al ragazzo.

“In bocca al lupo, anche se so che come sempre ci stupirai, Tom”, disse unicamente prima di uscire dalla stanza, senza curarsi di dare alcuna raccomandazione a Grover che, ancora seduta sulla panca, stava sistemando la borsa.

“Benji, io…”.

“A fine partita, ok?”.

“…Beh…ok”.

L’alto giovane dai corti capelli scuri si avviò così per gli scalini che portavano al rettangolo di gioco, seguito da Carter, Mason e Harper, con cui iniziò a scherzare. Oliver arrivò invece alle spalle di Becker, battendogli una mano sulla schiena.

“Cerca di tirarti su, ok?”, disse il capitano all’amico, guardandolo comprensivo. “Se Grover non dovesse essere al massimo della forma come sospettiamo, noi due dovremo dare il meglio…lo capisci?”.

“Certo, Holly. Ma…mi chiedo cos’abbia Benji…sai…credo proprio che lui e Kris potrebbero aver litigato”.

Hutton sospirò. “Già, lo penso anch’io. Ho notato il loro comportamento…beh, per adesso non possiamo farci nulla…e forse non sarebbe nemmeno giusto metterci in mezzo…in fondo, non sono faccende nostre”.

“Non lo so. Sono seriamente preoccupato per entrambi”. Il ragazzo si girò a guardare nuovamente Kris, distante da lui alcuni metri.

Anche Holly si voltò. “Anch’io…”.

Il numero dieci attraversò lo spogliatoio. Giunto davanti a Grover, le sorrise affabilmente. La ragazza, che negli ultimi minuti era rimasta immersa nei suoi pensieri, a testa bassa, alzò lo sguardo non appena si accorse della presenza di Hutton.

“Kristian”, disse quindi Oliver.“Sei pronto?”.

Lei lo fissò, tanto pallida e bianca da sembrare fragile, come una bambola di porcellana…

Rimase ferma, con la bocca serrata. Poi, stancamente, come scoraggiata, si alzò. 

“Sì”.

 

Trentanovesimo minuto del secondo tempo…

 

“…Siamo giunti ormai verso la fine dell’incontro tra Artic e New Team. Entrambe le squadre si sono fino ad adesso comportate egregiamente, realizzando entrambe un ottimo gioco di squadra. Notevole davanti alla porta della Artic la prestazione di Ralph Peterson, che però, nonostante la strenua difesa dell’area, non è riuscito ad evitare i due goal messi in rete dalla formidabile coppia Hutton-Becker, come sempre padroni incontrastati del centro campo. Poco prima della fine del primo tempo, però, la partita ha preso una svolta sicuramente inaspettata da tutti i tifosi della squadra proveniente da Fujisawa, da molti considerata la favorita: Kris Grover, il neoportiere chiamato a sostituire per questo campionato il leggendario Benjiamin Price davanti alla porta della New Team, si è lasciato segnare due goal distanziati l’uno dall’altro da pochi minuti. E’ davvero strano che questo ragazzo, da molti considerato un promettente atleta dotato di incredibile agilità e scaltrezza, abbia avuto questo momento di debolezza…in realtà oggi non ci sembra affatto nel pieno della sua forma, e tutti i tifosi della New Team stanno visibilmente iniziando ad agitarsi…la partita potrebbe infatti avere una conclusione davvero imprevista, contando anche dello sconforto in cui la squadra sembra sprofondata…”. 

 

Tom correva. Correva più che mai, veloce come il vento, di fianco a Holly…dietro a loro, l’intera Artic era lanciata all’inseguimento della coppia d’oro, decisissima a fermare ogni tentativo della New Team di passare in vantaggio.

“Tieniti pronto, Tom”, gridò Hutton all’amico, ricevendo nuovamente il pallone dal ragazzo. “Ci dobbiamo provare ancora!”.

“Sì!”, rispose l’altro, annuendo con il capo.

Una grossa nuvola coprì per un momento il sole, mettendo così in ombra il rettangolo di gioco. Il tempo era instabile da quella mattina, e un alito di vento freddo era sceso già da parecchio tempo sullo stadio gremito di gente.

“Questa partita non doveva andare così”, pensò il numero undici, mentre continuava ad avanzare verso l’altra metà del campo, gli occhi che continuavano a muoversi prima sul pallone, poi su Hutton e sugli avversari. “Se Kris…se Kris non fosse stata in crisi, sono certo, anzi, certissimo che le avrebbe parate…”.

Il capitano della New Team, intanto, aveva superato senza difficoltà un altro giocatore ma, giunto a metà dell’area avversaria, venne bloccato da Peterson, insieme a altro paio di difensori.

“Hutton, di qui non passi”, disse l’alto ragazzo bruno dal viso ovale e dai lineamenti eleganti, fissando Holly negli occhi. “Il risultato è deciso…sarà un pareggio! Forse non segneremo più, ma di certo non ti permetteremo di superarci!”

L’altro deglutì. “La vedremo”.

Tom, accorgendosi della situazione, si avvicinò al gruppo, cercando un modo per aiutare il numero dieci.

“Accidenti…e adesso…”, mormorò, preoccupato.

Ma Peterson non si muoveva. Ogni tentativo di Hutton di liberarsi del giocatore risultava vano, e l’incontro sembrava davvero destinato a finire così…

No…non poteva rassegnarsi a un due a due…

“Non posso mollare in una partita del genere…sono ben altri gli avversari che potrebbero mettermi in difficoltà…non Peterson, no…”, pensò Oliver, madido di sudore per l’enorme tensione, più che per lo sforzo. “Il vero Oliver Hutton troverebbe una soluzione…non è da me comportarmi così!”.

Mentre la folla urlava sempre più, non rassegnandosi a un finale del genere, i minuti passavano.

Ormai…ne mancavano poco più di quattro alla fine…

“Holly…Tom…”, mormorò Harper, dall’altra parte del campo, guardando abbattuto la situazione da lontano. Anche Denver, poco distante da lui, sospirò scoraggiato. “Non è mai successa una cosa simile…”.

Il numero dieci, intanto, continuava a trattenere la palla sotto a un piede, impossibilitato a muoverla. Non sembrava che ci fossero vie d’uscita questa volta…era marcato in tutte le direzioni, e un passaggio a Ted, a Johnny o a David era impensabile…

“Non avete fatto un buon affare con quel Grover”, esclamò ad un tratto Ralph, ridendo. “E purtroppo Price può solo restare a guardare…avrebbe dovuto allenare meglio quel novellino!”.

Holly guardò l’avversario, conscio che non poteva dargli torto…non capiva, non sapeva cosa fosse preso a Kristian…due tiri…due tiri così semplici da parare…se li era lasciati sfuggire, non movendo addirittura un dito durante il primo goal, calciato a pochi metri dalla porta.

No, quello non era il Kristian Grover che, settimane prima, si era presentato, sorridente ed entusiasta, davanti a lui, chiedendogli di avere l’opportunità di dare una prova della sua abilità…non era il Kristian Grover che si era sempre allenato con costanza e impegno, per cercare di diventare degno di chi sostituiva…

Non era quel Kristian Grover…e questo suo improvviso, inspiegabile momento di debolezza e insicurezza aveva evidentemente abbattuto il resto della squadra, purtroppo. E…Holly stesso.

Improvvisamente, però, qualcuno iniziò a correre alla loro sinistra, venendo verso lui e Peterson. Oliver spostò lo sguardo verso la figura, riconoscendo immediatamente Tom.

“Reagisci, Holly! Dobbiamo vincere, e lo sai!”, gridò quindi il ragazzo castano, con una nuova, rinnovata sete di vittoria nei decisi occhi color nocciola. “Noi siamo la coppia d’oro, non devi dimenticarlo!”.

Detto questo, sotto gli sguardi sorpresi degli atleti, compreso quello dello stesso Hutton, Becker passò fra i due giocatori, portando via in un attimo la palla dai piedi di Holly . Poi il numero undici, dopo aver aggirato il resto del gruppo impietrito dall’inusuale azione, percorse la fascia laterale, dirigendosi quindi verso la porta della Artic.

Anche il capitano della New Team scattò senza attendere altri secondi, comprendendo che non c’era tempo da perdere…Tom aveva sbloccato quella situazione di stallo togliendo il pallone al suo stesso capitano…una mossa ai limiti dell’assurdo, ma che si era rivelata più che efficace!

“Bravo, Tom!”, esclamò così Hutton, rivolgendo al compagno un grande sorriso. “Non finirai mai di stupirmi!”.

“Lo so!”, rispose scherzando l’altro, ridacchiando.

Ormai solo un minuto separava la Artic dal pareggio. I due ragazzi giunsero a pochi metri dall’area di rigore, sguarnita dalle difese che erano rimaste indietro, dove prima avevano bloccato Holly.

Peterson strinse un pugno. “Insomma, ragazzi, muovetevi!”, gridò quasi in panico al resto dei compagni, precipitandosi, intanto, verso i due attaccanti della New Team. I calciatori, però, non furono purtroppo abbastanza veloci per raggiungere e fermare la coppia d’oro, che riuscì ad attuare la sua azione…l’ultima possibilità di passare in vantaggio.

“A te, Holly!”, esclamò Becker, calciando con precisione il pallone verso l’amico, alla sua destra. Hutton stoppò la sfera, e si preparò finalmente a tirare, caricando la gamba di tutta la potenza che sarebbe servita per segnare…

“Non te lo permetterò!”, gridò però ad un tratto Peterson, giungendo dietro il capitano della New Team. Si gettò quindi su di lui con una violenta scivolata, ma Holly, forse preparato al tentativo dell’avversario di fermarlo, saltò, passando al volo la palla a Becker, che già correva verso il portiere.

“Segna, Tom!”.

Il ragazzo, esattamente sulla traiettoria del tiro, saltò a sua volta, a pochi metri dalla rete. Sovrastando il portiere della Artic, il numero undici colpì il pallone di testa, che finì il rete insaccandosi nell’angolo sinistro in alto, sotto la traversa.

Ci fu un attimo di silenzio.

Poi, improvvisamente, dagli spalti proruppe un solo, unico grido di gioia.

Ciò che sembrava impossibile, alla fine, era successo…la New Team, che pareva ormai sprofondata nello conforto più totale e in uno stato d’animo che non lasciava sperare in alcuna reazione, era passata in vantaggio all’inizio del quarantacinquesimo minuto del secondo tempo.

E tutto grazie all’incredibile coppia d’oro, che ancora una volta aveva ribaltato il risultato alla fine di una partita…

“Ce l’abbiamo fattaa!!”, urlò Paul Diamond, dopo aver assistito quasi incredulo alle azioni dei due compagni. Anche gli altri giocatori imitarono il numero otto, esultando felici.

Trascorsero ancora pochi secondi, poi l’arbitro fischiò. Holly e Tom voltarono la testa, guardandosi negli occhi soddisfatti.

“Sei stato grande, Tom”, disse Hutton entusiasta, sorridendo all’amico. L’altro ricambiò il sorriso, e alzò il pollice vittorioso.

“Dovevo segnare…altrimenti ci chiamano coppia d’oro a fare? Ehe he!!”, rise il ragazzo, disteso come Holly non lo vedeva da giorni. “Dobbiamo tenere sempre alto il nostro titolo!”.

Il capitano si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. “Giusto!”.

Ralph Peterson, accovacciato a terra, battè con rabbia un pugno sul terreno ricoperto dalla rada erba verde.

“Accidenti”, mormorò a denti stretti, rendendosi conto dell’amara sconfitta. “Alla fine…non ce l’abbiamo fatta…”. Gli altri giocatori della Artic, lentamente, si avvicinarono al loro capitano, delusi quanto lui.

“Ci dispiace, Ralph”.

Il ragazzo scosse il capo in silenzio. Rimase fermo per alcuni istanti, poi si rialzò, deciso.

“La prossima volta andrà meglio”, disse quindi, a testa nuovamente alta. “E poi è inutile quindi piangerci addosso. Voi siete stati tutti bravi, quindi non scusatevi. L’importante, adesso, è cercare di entrare fra le otto squadre finali…solo così potremo, magari,  rincontrare la New Team, e avere la nostra rivincita”.

I dieci ragazzi sorrisero, guardandosi l’un l’altro. “Ok, capitano”.

Dall’altra parte del campo, ferma fra i due pali, Kristine Grover era immobile. Non riusciva ad essere felice, ad esultare come i suoi compagni di squadra. Gli occhi, fissi su Tom, erano spalancati, velati dalla paura e dall’angoscia, dalla tristezza e dal senso di colpa.

Se non fosse stato per lui…per Becker, il suo Tom Becker…la New Team, da sempre la squadra campione assoluta per anni di campionati, avrebbe fatto una bruttissima figura. E solo a causa di quei due, stupidi goal che lei non aveva avuto la forza, il coraggio di parare. E il suo stato d’animo aveva rovinato anche quello della squadra…

“Grazie”, sussurrò così la ragazza, prima di crollare per terra sfinita, finalmente libera dalla tensione.

Un’altra partita era finita.

 

“Bravi, ragazzi”. Il signor Gunnell era in piedi davanti alla New Team, e sorrideva soddisfatto. “Per un attimo ho creduto che vi foste lasciati andare, ma per fortuna vi siete ripresi…”.

“E’ tutto merito di Tom, poco ma sicuro”, esclamò Carter, incrociando le braccia.

Becker, a destra del mister, sorrise.

“Grazie, ma non dimenticate Holly!”.

I giocatori guardarono i due ragazzi, ma in quel momento Grover, che era rimasta in disparte rispetto al gruppo, si fece avanti, il capo chino.

“Mi…mi dispiace tanto”, mormorò piano, senza alzare gli occhi. “E’ stata tutta colpa mia…io…non so cosa mi è preso…scusatemi…la squadra si è lasciata andare solo a causa mia…”.

La stanza rimase per un po’ nel silenzio, quando Hutton si avvicinò a Kris.

“Ascolta…abbiamo visto tutti che oggi non eri al massimo della forma”, disse il capitano, aprendo un braccio. “Certo, i due goal ci hanno messi in difficoltà, ma tutti possono sbagliare, specialmente se anche lo stato d’animo non è dei migliori…dico bene, mister?”.

Il signor Gunnell assentì, ritrovandosi d’accordo con il capitano della squadra.

“Sì, Grover…da come hai giocato nei primi incontri, è assolutamente evidente che quello di oggi non era il portiere che tutti noi conosciamo. Quindi non devi preoccuparti…tra l’altro, anche se avessimo pareggiato, avremmo solo avuto meno punti. Non ci sarebbero stati grandi problemi”.

La ragazza sollevò piano lo sguardo.

“…Dite…sul serio?”.

“Certo. E sappi che se hai qualche problema e ne vuoi parlare con noi, siamo sempre pronti ad ascoltarti!”, esclamò Holly.

Gli altri giocatori annuirono, offrendo la loro disponibilità, sinceri. Tom invece si accostò ad Oliver, e guardò dolcemente Kris che, accorgendosi dell’occhiata dell’amico, si sentì improvvisamente rincuorata da quell’affetto…

“Grazie…grazie davvero”.

Non avrebbe mai creduto di ricevere tanta comprensione dai calciatori…da quei ragazzi, suoi compagni di squadra, che si stavano rivelando, giorno dopo giorno, i più cari amici che avesse mai sperato di avere. Amici che aveva per molto tempo sognato…amici che non la tradissero, che la sostenessero.

E fra loro, c’era Becker. Il suo…amico…

Sapeva che non l’avrebbe mai abbandonata, no. E proprio come quel giorno di quattro anni fa, a Kyoto, Kristine seppe improvvisamente che quella promessa non sarebbe mai stata rotta. Mai…

“I problemi personali, qualunque essi siano, si lasciano fuori dal campo”, sentenziò però una voce proveniente dall’ingresso dello spogliatoio. “E Grover, non facendolo, mi ha deluso. Profondamente deluso!”.

L’intera New Team si voltò, sorpresa da qual commento improvviso.

Benji Price, appoggiato allo stipite, fissava i proprio compagni, severo. Spostò gli occhi su ognuno di loro, lentamente, finché non arrivò a Kris, in piedi fra il Holly e Tom. Gli lanciò una durissima, fredda occhiata.

La ragazza sentì gli occhi di Benji ferirla, colpendola al cuore, dolorosamente…

Ancora…ancora quel viso gelido…

Perché…

Quel cambiamento?

Il Super Great Goal Keeper avanzò di qualche passo. Poi, fermatosi, si sistemò il cappello in testa, mettendo poi le mani nelle tasche dei jeans, come era suo solito fare.

“Quindi, non voglio assolutamente più vedere un simile, penoso spettacolo. Ti allenerai di più, se è necessario, starai al campo fino a tardi…non m’importa. Ma ricordati solo che questa squadra non accetta dei buoni a nulla”.

Attese qualche istante, poi, sotto lo sguardo shockato dei presenti, si girò. Fece per uscire, quando si voltò un’ultima volta.

“Ah, i miei complimenti a Holly e a Tom e…Becker, ho deciso di lasciarti il compito di seguire Grover al posto mio. Se te la senti, ovviamente. Io non penso di essere più adatto come allenatore. Beh, ci sentiamo”.

Il portiere si allontanò quindi silenziosamente, senza aggiungere più alcuna parola. Holly, Tom, Carter, Mason, Harper…tutti i giocatori della New Team, compreso lo stesso mister, fissavano senza parole il punto in cui, pochi secondi prima, c’era stato Price.

“Ma…quello era il Benji che conosciamo, ragazzi? Sembrava un alieno…”, balbettò Bruce indicando con un dito la porta.

Holly girò la testa pensieroso, verso Harper.

“Già…il Price che conosciamo si sarebbe trovato d’accordo con noi…”.

Mentre i calciatori chiacchieravano fra di loro, sorpresi dall’insolito comportamento dell’amico, Becker, di fianco a Kris, continuava a ripensare a ciò che Benji gli aveva detto prima di andarsene.

“Allenare Kristine? Seguirla…al posto suo? Ma per quale motivo non vuole più occuparsene?”, si domandò. “Non posso credere che l’unico motivo sia la partita di oggi…”.

Guardò la ragazza. Sembrava aver ripreso il pallore spettrale che aveva avuto sul viso prima della partita, e gli occhi, lucidi, fissavano il pavimento senza muoversi. Le labbra, quasi bianche dalla forza con cui erano strette, formavano una linea quasi indistinta.

“Kris…non prendertela…quello non era il vero Benji!”, disse Tom addolorato, guardandola in faccia.

Lei deglutì. Chiuse gli occhi, e dopo aver fatto un respiro profondo per controllarsi, li riaprì.

“Lo so bene. Io…”.

Ma non riuscì a terminare la frase. Improvvisamente corse via, passando violentemente in mezzo ai compagni, ancora riuniti a semicerchio, e uscendo dallo spogliatoio.

“Kris!”, gridò subito Becker inseguendola. Anche Diamond e Carter fecero per imitare il compagno, ma Holly li fermò.

“No, lasciate che sia Tom a parlarle. Mi ha detto che conosce Grover da molto tempo, e penso che possa fare molto di più di noi…”. I due ragazzi guardarono il loro capitano, poi annuirono,  comprendendo che aveva ragione.  

Nel corridoio, intanto, a pochi metri dall’uscita che dava sul campo, Tom aveva raggiunto Kris, e ora la stava trattenendo con un braccio.

“Kris…tu sai perché Benji si comporta in questo modo, non è vero?”, chiese il ragazzo calmo, cercando di farsi ascoltare dall’amica. “Non…non è giusto che tu soffra così…confidati con me, ti prego”.

Kristine, che fino a quel momento aveva cercato di divincolarsi da quella stretta, si fermò. Rimase a fissare il pavimento, non sapendo da cosa iniziare. Poi, lentamente, rialzò il viso, girandosi verso il ragazzo.

I suoi occhi la stavano guardando. Imploranti, preoccupati.

Dolci, dolcissimi…pieni di quell’affetto che la avrebbe potuta consolare, cullare…era…tutto ciò che in quel momento desiderava. Sì, qualcuno che la ascoltasse…

“Oh, Tom…”, mormorò, con un nodo alla gola.

E prorompendo in un pianto disperato, si abbandonò sul suo petto, stringendo i lembi della t-shirt del ragazzo fra le dita.

Becker la strinse forte, circondandole la vita con le braccia, e accostando una guancia al suo capo.

“Ci sono qui io. Kris…ci sono io”.

 

Lo stadio si stava svuotando. La partita era terminata ormai da più di quindici minuti, e solo poche persone erano ancora ferme sugli spalti di cemento. Il campo color smeraldo, ora deserto, si era ritrovato sotto ad un cielo scuro e grigio, che prometteva pioggia.

In alto, verso le ultime file delle tribune centrali, due ragazzi erano ancora seduti. Il primo di loro, un tipo abbastanza comune, dallo sguardo mite ma basso e minuto, portava i capelli a spazzola, scuri come gli occhi. Indossava una maglietta bianca e un paio di pantaloncini blu, e stava fissando l’amico di fianco lui.

Alto, slanciato, dal fisico muscoloso e tonico, con indosso un’attillata maglia grigia e dei jeans bianchi, il secondo giovane rideva senza alcun ritegno, una mano dalle lunghe dita abbronzate posata sullo stomaco. Rideva senza fermarsi, e dal capo piegato all’indietro, a poca distanza dal gradone di pietra della fila retrostante, scendeva una folta chioma di lunghi, lucidi e ribelli capelli corvini.

“Ahahaha! Ahaha! E questa…questa sarebbe stata…una partita di calcio?? Non ho mai visto nulla di più penoso in vita mia…ahaha!”, esclamò fra le risate, quasi a fatica, Mark Landers, e agitando l’altra mano nell’aria.

“Kristian Grover è un vero e proprio incapace…a suo confronto, addirittura quel sacco di patate di Alan Crocker è migliore…”.

Danny Mallow, che aveva guardato per tutto il tempo in silenzio il proprio capitano, alzò le spalle.

“Beh…questo potrebbe anche essere stato un caso…sai bene cosa hanno detto di lui nei precedenti incontri che ha disputato…”.

A quelle parole, Landers si raddrizzò improvvisamente, gettando un’occhiata urtata al compagno.

“Danny, è più che evidente che Grover non è, non è stato e non sarà mai in grado di sostituire Price. Non mi importa quanto possano aver detto di lui degli stupidi giornalisti e cronisti. La New Team ha affrontato, fin’ora, avversari quasi ridicoli, squadre che non avrebbero spaventato nessuno…Kristian Grover non mi ha per niente impressionato, e oggi ho avuto la prova della sua inesistente preparazione”.

Sorrise. Un sorriso odioso, fastidioso, divertito…sì, divertito dalle prospettive future, ben più che rosee.

Fantastiche.

Si alzò velocemente, con uno scatto felino, girandosi poi verso Mallow, ancora seduto di fianco a lui.

“Se la New Team riuscirà ad arrivare in finale, e contando che la gamba di Price ha avuto dei peggioramenti inaspettati”, disse tranquillo il ragazzo, “ penso proprio che vincere contro Hutton e soci sarà una vera passeggiata. Sì, la vittoria più facile in anni di campionati…certo, mi dispiacerà non incontrare Price, ma…sarà ancora più esaltante battere la New Team con Benji che guarda, impotente, la sua squadra andare allo sfacelo…”.

Inspirò profondamente, per poi scoppiare a ridere di nuovo.

“Non credi, Danny?”.

L’amico abbozzò un sorriso, un po’ imbarazzato.

“Hem…sì, capitano. Però…”.

“Però?”.

“Beh…ecco…non vorrei interrompere i tuoi pensieri, ma…ho l’impressione che tu sia in ritardo ad un certo appuntamento…mi avevi chiesto di ricordartelo, quindi…”.

Mark Landers fissò muto il ragazzo, gli occhi profondi e scuri spalancati. Poi, improvvisamente, alzò il braccio sinistro verso di sé, per controllare l’ora sull’orologio al polso.

Guardò nuovamente Mallow.

“Dannazione, Danny!”.

 

In quello stesso momento, ad alcuni chilometri di distanza, all’interno dell’aereoporto internazionale di Narita, tre figure femminili stavano camminando lentamente. Cariche di borse e valigie,  cercavano di farsi strada in mezzo alla fiumana di gente proveniente dall’uscita 19, dalla pista di atterraggio dove era appena atterrato il volo US 2336,  partito 16 ore prima da S. Francisco.

La prima delle tre, sulla destra, era una ragazza di media statura, snella, dai lunghi capelli lisci e castani raccolti in una coda a lato, gli occhi vivaci nascosti dietro ad un paio di occhiali con la montatura argentata. Anche se non particolarmente carina, possedeva un’aria sveglia, intellettuale, furba…imprevedibile. Gli ampi pantaloni di cotone beige che indossava erano completati da una semplice giacca dello stesso colore, sbottonata sul davanti.

Di fianco a lei, la seconda ragazza appariva un tipo molto più sportivo, agile, slanciato, dalle gambe toniche e mediamente abbronzate. Nonostante la stagione, indossava infatti dei corti pantaloncini di jeans, e un top rosso, sopra il quale portava unicamente una leggera felpa grigio chiaro con zip. I grandi e decisi occhi scuri, dalle lunghe ciglia nere, circondavano un viso ovale, grazioso, insieme a una bocca dalle labbra leggermente carnose e ricoperte da un velo di lucidalabbra. I capelli erano corti, appena sotto l’orecchio, lisci e castano scuro, dai riflessi rossicci, e una frangia appena accennata ombreggiava la fronte da un lato.

L’ultima del trio, completamente diversa per fisionomia dalle due amiche, avanzava con passi eleganti ma sicuri,  ed un portamento da indossatrice. Lucenti e folti capelli biondi le incorniciavano il viso perfetto, dai lineamenti un po’ affilati, e due profondi occhi azzurri, dalle palpebre perfettamente truccate, guardavano fieri davanti a sé. Il corpo era fasciato da un corto vestito rosso, che le lasciava ampiamente scoperte le lunghe gambe, e le curve prorompenti della ragazza catturavano l’attenzione di tutti gli uomini presenti nel raggio di miglia…

Camminarono ancora per un po’, e arrivate a poche decine di metri dall’uscita dell’aereoporto, le tre ragazze si fermarono.

Dopo aver posato le valigie, quella in mezzo, vestita con il top rosso e i pantaloncini, alzò le braccia verso l’alto, stiracchiandosi dopo tante ore di viaggio.

“Beh, ragazze”, disse con una mano sul fianco,  guardando le amiche. “Siamo in Giappone!”.

   

NOTE:

 

*tatami: stuoie imbottite di paglia compressa e rivestite di giunchi intrecciati. Sono fissate su una cornice di legno e ornate da un bordo di passamaneria. Costituiscono il pavimento delle stanze in stile giapponese.

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Capitolo 14
*** Nuovi Arrivi ***


“Accidenti, come se non bastasse sta anche per piovere”.

Un forte lampo, seguito alcuni attimi dopo da un rombo assordante, illuminò i cumuli scuri ammassati all’orizzonte del cielo di Tokyo, provocando un lieve sussulto alla ragazza rosso-castana seduta davanti al piccolo lago artificiale di un parco della città. Gli occhi erano scuri e penetranti e le labbra, perfettamente disegnate, erano contratte per il nervosismo. Mossi dal vento, i suoi capelli corti e lisci le sfioravano appena le spalle, agitandosi nell’aria. Vestita con una semplice maglia di cotone a maniche lunghe bianca e una minigonna dello stesso colore, rivelava un fisico asciutto ed atletico, un corpo che sapeva, però, mostrare ugualmente tutta la sua femminilità.

 “O è uno di quegli uomini per i quali la puntualità è un concetto relativo”, disse improvvisamente ad alta voce alzandosi, “oppure si è semplicemente scordato che oggi sarei arrivata…”.

Si avvicinò alla ringhiera che circondava l’argine del lago e, appoggiandosi ad essa, emise un profondo, sconsolato sospiro.

“Uff…”.

“Makiiiii!”, gridò in quel momento una profonda voce maschile, proveniente da uno dei vialetti alberati del parco, dietro alle panchine allineate. Si girò.

Mark Landers correva veloce verso di lei, con un braccio teso in alto per farsi vedere. Il bellissimo viso dai lineamenti affilati cercava di mostrare il migliore dei sorrisi, nel tentativo di riuscire a farsi perdonare il mostruoso ritardo con cui era arrivato…

Quando il calciatore giunse davanti alla ragazza, lei inclinò il capo, guardandolo.

“Mhh…beh, dai, almeno non ti sei dimenticato della tua ragazza…è una buona cosa…”, disse ironicamente. “…quindi, evita pure quei tuoi soliti sorrisetti…ti ho già perdonato, anche se alcune volte penso di essere troppo buona!”.

Il cannoniere della Toho ridacchiò.

“Grazie mille, allora, oh mia divina e bellissima dea! Prometto che non succederà mai più!”.

Maki non disse nulla, e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, posò nuovamente lo sguardo sul ragazzo, che la stava guardando a sua volta. Il suo viso abbronzato era distante pochi centimetri da lei.

“Son felice che tu sia qui”, disse poi Mark, prendendole una mano. “Spero che il viaggio da Okinawa sia stato tranquillo”.

Lei sorrise. “Sì, tutto ok…e…anch’io sono felice di essere qui. Saltare la gita scolastica a Hokkaido è stata la cosa migliore che potessi fare…”.  Si fermò, arrossendo di colpo.

“…così…ecco, per una settimana…mi fermerò a Tokyo…”.

A quella frase, Landers si girò. “Ehm…”, tossicchiò il ragazzo, schiarendosi la voce. “Già…”.

Seguirono alcuni secondi di pesante, imbarazzato silenzio. Mark e Maki avevano progettato e atteso quel periodo da moltissimo tempo…un tempo che era sembrato non terminare mai…fino a quel momento. Infatti, dopo parecchi mesi di lontananza dovuta ai rispettivi impegni scolastici e sportivi, i due ragazzi avrebbero potuto finalmente trascorrere un po’ di tempo insieme, soli…sì, completamente soli.

Landers, alcuni mesi prima, aveva proposto a Maki di andare a stare da lui, visto che sua madre e i suoi fratelli sarebbero stati via per un paio di settimane da amici di famiglia. Mark, per seguire il campionato, sarebbe stato costretto a rimanere a casa…quale occasione migliore per invitare la propria ragazza?

E Maki, quasi inaspettatamente, aveva subito accettato.

“Ma…senti, che…che ne dici di andare in centro a fare un giro? Potremo poi fermarci da qualche parte a prendere qualcosa…”, propose Mark quasi balbettando, agitato, cercando di cambiare per il momento discorso.

Nonostante tutto, infatti, con molta difficoltà il calciatore riusciva ad essere spontaneo e affettuoso con la propria ragazza, come un qualunque fidanzato avrebbe dovuto, invece, dimostrarsi. Forse a causa dei periodi troppo prolungati di lontananza fra lui e Maki o forse, semplicemente, per il proprio carattere da sempre orgoglioso e inflessibile , Landers trovava ora estremamente imbarazzante una qualunque dimostrazione di affetto, sia un bacio che un semplice abbraccio. Si sentiva spesso impacciato come un bambino, e anche se tentava in tutti i modi di nasconderlo alla ragazza, non ci riusciva di certo molto bene…   

Si avvicinò alla panchina sulla quale, pochi minuti prima, era stata seduta Maki. Afferrò quindi il borsone blu appoggiato su di essa, che costituiva l’unico bagaglio della ragazza.

“Andiamo?”, chiese poi, iniziando a incamminarsi verso l’uscita del parco, la borsa caricata su una delle larghe e muscolose spalle.  Maki gli rivolse una dolcissima occhiata, per seguirlo poi dopo alcuni istanti.

“Eccomi!”.

Si affiancò a lui. Mark Landers aveva, da sempre, la fama di essere uno dei calciatori più duri e inflessibili del Giappone, capace di contrastare qualunque avversario senza il minimo timore…un tipo con pochissimi punti deboli, insomma, sempre pronto ad ogni genere di sfida. Sì, un ragazzo forte, fortissimo. Temerario.

Ma nonostante questo, nonostante tutte le voci che avevano sempre descritto Landers severo e distaccato, freddo e sprezzante, Maki era fermamente convinta dell’esistenza di un lato, in lui, molto più dolce e sensibile di quanto chiunque potesse mai immaginare…un lato che lei stava scoprendo, e riportando alla luce a poco a poco…

Landers le sapeva comunicare sicurezza, protezione, fiducia…ma anche un qualcosa di speciale, unico, che era difficile spiegare a parole. Se ne era resa conto il giorno in cui si erano conosciuti, poco più di un anno prima…

Mark,  giunto a Okinawa per sottoporsi ad un duro allenamento intensivo in cima alle montagne, era riuscito a vincere i suoi limiti, creando un nuovo, formidabile tiro che gli avrebbe permesso di ritornare in Nazionale a testa alta, come capocannoniere nei prossimi Mondiali. Il tiro del dragone…ed era stata proprio lei a ispirargli un nuovo modo di calciare la palla…

Quella sera, quando era ritornato a valle, stanchissimo ma vittorioso, il ragazzo l’aveva ritrovata lì, ancora ferma e immobile, in mezzo a quel campo. Già…aveva perso, quella volta. La finale di softball più importante della sua vita. Si era allenata duramente, proprio come lui, ma…aveva perso. Era finita come mai si sarebbe aspettata.

E non poteva, non riusciva a farsene una ragione…

Piangeva. Piangeva sotto la pioggia incessante…se lo ricordava bene, eccome. Quelle fredde e taglienti gocce si mescolavano alle sue lacrime, lavandole via, senza però riuscire a cancellarne anche il dolore.

Mai si era sentita tanto sola, e vuota. Persa.

Tutto quello che aveva fatto, la sua fatica, i suoi sacrifici…non erano serviti proprio a nulla?  

Perché? Perché il suo sogno si era infranto? Per cosa aveva lottato?

E così, appena aveva rivisto Mark, giunto all’improvviso dietro a lei, non era riuscita a frenarsi. Lui, e quei suoi bellissimi occhi neri, che l’avevano guardata con un’ espressione triste, dolce, piena di infinito affetto e comprensione…

Sembravano essere apparsi lì, solo per lei.

Si era gettata sul calciatore, per affondare il viso in quel vasto petto…

Avrebbe voluto nascondersi, nascondersi per sempre…sì…ma in quel momento, fra le braccia di Mark, le sarebbe bastata una sua sola carezza, una sua sola parola per rendere la sconfitta, dentro di sé, meno amara.

E quella carezza, quelle parole erano venute davvero a confortarla.

“Non fare così. Vincerai la prossima volta, vedrai. Soltanto le sconfitte danno la forza per combattere fino in fondo…”.

Landers aveva pronunciato quella frase lentamente, ma con ferma convinzione. Maki non si ricordava di avere mai sentito nessuno dire qualcosa con tale forza e decisione…e fu proprio quell’unica frase a farle comprendere, quel giorno sotto la pioggia battente, il vero significato di una sfida, e il comportamento da adottare per diventare un vero campione…

Ed era questo che Mark era.

Un campione…

Stretta a lui,  capì che quel formidabile calciatore sarebbe stato per sempre il suo modello da seguire…e non solo…

Sentì la sua mano fra i suoi capelli, tiepida nonostante l’acqua. Il suo viso, così vicino al suo capo.

Desiderò che quel momento non finisse mai…

Mark…Mark Landers…

Si era innamorata di Mark Landers e adesso, voltandosi a guardarlo, Maki si rese conto che ciò che provava per lui stava crescendo, e facendosi ancora più forte…sempre più forte.

E mai si sarebbe stancata di amarlo.

 

Dopo poco più di un’ora trascorsa per le vie del centro di Tokyo, i due, uscendo dalla metropolitana, si avviarono a passi lenti verso la zona in cui abitava Mark, situata in un quartiere a nord della città.

Maki sembrava rilassata, serena…felice. Davvero felice. Il completo bianco che indossava, poi, la faceva apparire ancor più luminosa agli occhi di Mark. Candida, pareva avvolta da una nuvola.

Alzò lo sguardo verso il cielo nuvoloso, per poi riabbassare la testa e gettare un’altra occhiata alla frenetica, moderna, immensa metropoli intorno a lei, che continuava a muoversi, instancabile.

“Sai, per me è incredibile stare qui…uhm, direi strano, più che altro”, esclamò ad un tratto, continuando a camminare tra la folla e il traffico, insieme a Landers. “Okinawa è così lontana, così diversa da Tokyo…non credo che riuscirei mai ad abituarmi allo stile di vita della capitale, se ci vivessi”.

Sorrise, girandosi verso il ragazzo. “Ora capisco molto bene per quale motivo venisti ad allenarti a Okinawa, quella volta. Per sfuggire a questa realtà caotica, per andare a concentrarti in un luogo dove nulla ti avrebbe disturbato… e…beh, per me…è stata una vera fortuna…”.

Landers non fece alcun commento, rendendosi conto delle ultime parole della ragazza troppo tardi…come sempre, del resto. Suo malgrado, si ritrovò infatti a fissare un’altra volta Maki totalmente inebetito, senza sapere cosa rispondere.

“Hem…”.

“Mark”.

“Uh…sì?”.

“Lo so che essere romantico non è proprio il tuo forte, quindi non sforzarti”.

La ragazza rossa scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con una mano. Il calciatore, davanti a lei, continuò per qualche secondo a guardare la fidanzata senza afferrare le sue parole, poi, a metà fra l’imbarazzato e l’offeso, cambiò espressione.

“Ma…ma cosa dici! Guarda…guarda che ero solo distratto! Se lo voglio, so essere anche romantico…”.

“Mpf…eh eh...davvero?”.

“Certo!!”.

Maki gli sorrise affettuosamente, poi, voltandosi, ricominciò a ridere.

“Dai, numero dieci, lasciamo perdere e entriamo…”, propose alla fine, per concludere.

Svoltò quindi, all’improvviso, nel viale del giardino di una piccola, graziosa villetta su due piani, dopo aver imboccato una via laterale a sinistra della strada che i due avevano appena percorso.

Landers, stupito, la raggiunse. “Ma…come hai indovinato che è questa casa mia?”.

La ragazza gli rivolse un sorrisetto sapiente, strizzando l’occhio. “Non ci vuole molto, visto che ci scriviamo lettere da mesi…si presume che conosca il tuo indirizzo, o no?”.

Il cannoniere della Toho si fermò prima della soglia per guardarla, sconfitto.

“Chissà perché quando sono con te mi sento incredibilmente stupido…”. Rimase lì, in piedi, con un’espressione distrutta per un po’.

Poi, finalmente e con grande sollievo di Maki, scoppiò anche lui in una gran risata.

 

“Mi piace come è illuminata!”, esclamò la ragazza, mentre girava per le stanze. “Penso proprio che abbiate fatto un buonissimo acquisto! Il salotto risulta in luce in tutte le ore della giornata…”.

“Davvero?”, chiese Mark, avvicinandosi alla fidanzata. “Io non l’avevo mai notato…che occhio che hai!”.

L’altra si girò, fulminandolo con un’occhiataccia.

“Mio caro, sei sempre troppo impegnato con il tuo bel pallone per accorgerti di queste piccole cose…scommetto che a casa non ci sei mai!”. Si voltò nuovamente, e avvicinandosi a una delle finestre, emise un leggero e lento sospiro.

“Mark, seriamente…”.

“Sì?”.

“Ecco…mi sembri teso da quando ci siamo rivisti. Molto teso…non ti comporti come sempre. E penso che riguardi il calcio…dimmi, c’è qualche problema in campionato? Oppure in squadra?”.

Landers alzò le spalle. “Ma cosa ti viene in mente? Figurati, io…”.

“Smettila, ne sono sicura. Cerchi di nasconderlo, ma la tua distrazione è dovuta certamente a questo. Hai altro per la testa, ed è già da un po’ che mi chiedo che cosa…”.

Detto questo, Maki tese le braccia davanti a sé, appoggiandole al davanzale. A qualche metro di distanza, invece, Mark la guardava da dietro, dopo essersi seduto sul lungo divano blu notte, in fondo al salotto. Nessuno pronunciò nulla per un intero minuto, poi, rompendo il silenzio, il calciatore parlò. Si passò una mano tra i folti capelli corvini, sbilanciandosi in avanti e appoggiando i gomiti abbronzati sulle ginocchia.

“Quest’anno non affronterò Benjiamin Price”.

Il ragazzo fissava il pavimento, gli occhi persi in qualcosa che Maki potè solo intuire. Lo guardò, poi gli si avvicinò lentamente, rimanendo in piedi davanti a lui.

“Ah, avevo visto giusto allora…” disse, stendendo una delle lunghe gambe e spostando il peso sull’altra. Appoggiò una mano sul fianco. “Però credevo che Benji si sarebbe ripreso in tempo per la finale. Anzi…mi avevi detto che quasi sicuramente sarebbe tornato a giocare per i quarti, e che il suo infortunio non era poi così grave…come mai sei così sicuro che non vi scontrerete?”.

Mark alzò la testa verso il viso di Maki.

“Price non ha voluto dire a nessuno come stanno realmente le cose”, spiegò il cannoniere. “La sua gamba sta molto peggio di quanto non sembri…”.

“Come fai a saperlo?”

“L’altro giorno ho ascoltato per caso una conversazione tra Julian Ross, della Mambo, e la manager della sua squadra, Amy. Erano in un negozio di articoli sportivi, lo stesso che frequento spesso io, nel centro di Tokyo…ho sentito da loro la verità su Benji, e pare proprio che Ross sia l’unico a saperlo. Price naturalmente continua a sperare che le cose migliorino, ma le probabilità sono poche…molto poche”.

La ragazza dai corti capelli rossi annuì silenziosamente.

“Un normale avversario dovrebbe essere felice per l’assenza del suo peggior nemico…”, commentò. “La prospettiva di una vittoria facile farebbe piacere a chiunque. Ma so bene che per te non è così, Mark”.

Si abbassò, e appoggiando le braccia sulle gambe del ragazzo, gli sorrise.

“Ami troppo le sfide…e il tuo continuo confronto con Price è sempre stato uno stimolo a raggiungere vette e traguardi sempre più alti. Sei fatto così, e la notizia che Benji non ci sarà in questo ultimo scontro fra Toho e New Team  ti ha fatto perdere la voglia di giocare con la solita grinta…”.

Il numero dieci scosse la testa, con un sorriso rassegnato sulle labbra.

“Okay, mi conosci meglio di mia madre…”.

Fece una piccola risata, poi spostò una mano, posandola su quelle di Maki. La guardò.

“Ma…non si tratta solo di Price”.

“E di chi altro?”.

“Del suo sostituto, Kristian Grover”.

Maki si rialzò, sorpresa. “Vuoi dirmi che c’è qualcuno più bravo di Benjiamin Price, il Super Great Goal Keeper? Non ci credo! E non posso credere nemmeno che tu possa essere preoccupato!”.

“Infatti non è più bravo di Price. E’ solo che…”. Landers si passò una mano sul viso, nervoso.

“Solo che?”.

Il ragazzo sospirò. “Non lo so. Sai, prima di venire a prenderti, ho assistito ad una partita della New Team…Grover ha fatto un incontro disastroso, ma sono sicuro che quello che ho visto non era il portiere-rivelazione di cui tutti hanno parlato nelle sue precedenti apparizioni in campo. E non era nemmeno il Kristian Grover che ho osservato di nascosto durante i suoi allenamenti, tantomeno quello che ho conosciuto personalmente poche settimane fa. Questo è sicuro”.

Gli occhi scuri del ragazzo si fecero stretti, affilati, e alzando la testa guardò lontano.

“Quel tipo è diverso da tutti gli avversari che ho incontrato fin’ora. E per la prima volta nella mia vita non mi sento tranquillo…anche se non lo vorrei ammettere, sono nervoso. Grover ha qualcosa che non riesco ad afferrare, a comprendere. Ho sempre creduto di capire al volo chiunque…ho sempre fatto affidamento a questo, per vincere. Smascherare e indebolire il nemico. Far crollare le sue difese, abbattere la sua sicurezza. Ma con il sostituto di Price è totalmente differente…e non capisco assolutamente il perché…è una sensazione che non posso levarmi dalla testa, e che non sopporto”.

La ragazza ascoltava con attenzione il calciatore, anche se piuttosto stupita dall’inaspettato discorso di Mark. Questo Grover doveva essere un tipo davvero particolare per aver agitato in quel modo l’inflessibile e distaccato Landers…

Molto, molto particolare.

“Scommetto che già lo odi…e anche più di Benji, non è vero? Eh eh…stai attento a non fargli troppo male, altrimenti la New Team rimarrà davvero senza nessun portiere!”, rise improvvisamente Maki, alleggerendo, con quella battuta ironica, l’atmosfera carica di tensione della stanza.

Landers, dopo un attimo si silenzio, si distese in un sorriso divertito. Poi sollevò gli occhi, e guardando maliziosamente la ragazza si sollevò veloce dal divano.

Senza che Maki se lo aspettasse, ad un tratto il calciatore la attirò a sé con forza, cingendole la vita con le braccia abbronzate.

“In questo sport ci si fanno molti nemici…ed essere duri e violenti è necessario molte volte per vincere…”.

La ragazza circondò il collo di Mark.

“Ah, davvero? Mh…non mi pare un comportamento molto sportivo, signor capitano…”, mormorò.

Landers la strinse di più. Avvicinò la bocca all’orecchio di Maki, accostando poi le labbra al suo piccolo lobo.

“Lo so bene…ma il non rispettare le regole rende sempre tutto più eccitante…non trova, signorina?”, disse quindi con voce calda, sensuale. Spostò il viso e, scendendo, iniziò a baciarle il collo. Maki chiuse gli occhi. Gettò il capo all’indietro, attirando ancora di più il viso di Mark verso si sé, con una mano affondata nei suoi folti capelli scuri.

“Stare insieme a un calciatore è pericoloso…”, disse ancora Landers, arrivato a pochi centimetri dalla bocca socchiusa della ragazza. “Soprattutto se quel calciatore sono io…sono talmente pericoloso che nemmeno puoi immaginare…”.

Maki incrociò i suoi occhi penetranti, fissandolo con desiderio.

“Correrò il rischio, puoi giurarci”, sussurrò infine, prima che il calciatore la zittisse con un bacio appassionato.

Trascorsero alcuni secondi. Ad un tratto, però, la porta dell’ingresso, rimasta socchiusa da quando i due ragazzi erano entrati, si spalancò con violenza. Mark e Maki si staccarono, spaventati dal rumore improvviso.

“Ma chi…?”.

Sulla soglia apparve una figura femminile, dalla pelle ambrata: non molto alta ma magra e slanciata, indossava un corto top rosso, insieme a dei comodi pantaloncini. Lo sguardo era furbo, malizioso e attento, e i corti capelli castani le arrivavano appena sotto l’orecchio. Una tipa davvero carina, senza alcun dubbio, e che sicuramente, nonostante la statura, sapeva farsi notare.

Si guardò per un attimo intorno pensierosa, poi, notati Landers e Maki in fondo all’ingresso ancora abbracciati, alzò un braccio verso l’alto.

“Ohhh, hii! Konnichiwa! Finally I find youuu!”, esclamò quindi con voce squillante e con un forte accento americano, correndo letteralmente verso i due che, immobili come marmo, avevano fissato la sconosciuta dalla sua improvvisa entrata in scena.

Con grande shock della povera Maki, la misteriosa giovane si gettò su Mark, stringendosi a lui.

“My deaaar! Ohhh, I’m so happy!”, disse ancora sorridendo felice, con la guancia appoggiata su una delle spalle del calciatore. Poi alzò la testa verso il suo viso. Landers, sconvolto, la guardava senza parole.

“Ehm…scu-scusa…ti…ti conosco? Penso che…ehm…tu abbia sbagliato persona…”, mormorò lui poco dopo, imbarazzato, sentendosi addosso, pesante come un macigno, lo sguardo geloso della fidanzata.

“Marrrrk…”, ruggì infatti Maki, incrociando nervosamente le braccia. “Chi è?! Spero per te che…”.

“No, no! Ti giuro che non so chi sia!!”, negò il numero dieci, sempre più rosso e agitato, dato che la brunetta non sembrava intenzionata a staccarsi da lui…

Maki lo incenerì con un’occhiata. “Sicurooo?”.

A quelle parole, invece, la ragazza misteriosa mutò completamente espressione.

“Oh, Mark…allora davvero non ti ricordi di me? Sigh, che delusione…”, mormorò in perfetto giapponese, voltando tristemente lo sguardo.

“Ehm…veramente io…”.

In quel momento, altre due ragazze entrarono nella stanza. La prima, alta forse più di un metro e ottanta, sbuffò e, passandosi una mano fra i lunghi, lisci capelli dorati, guardò con sufficienza la casa. I penetranti occhi azzurri si chiusero per un attimo, e con atteggiamento altero mise una mano sul fianco, il viso bellissimo quasi disgustato.

“In che razza di posto ci hai portata, Miki? Mai visto un arredamento tanto orribile…è assolutamente squallido!”, parlò in americano, mentre Mark, la cui attenzione si era spostata sul corpo mozzafiato dell’incredibile bionda, cercava disperatamente di capire cosa stava succedendo.

Intanto però la seconda ragazza, un po’ timidamente, era uscita da dietro la prima, dove era rimasta nascosta. Di media statura, aveva i capelli lunghi e castano chiaro raccolti in una coda, un paio di occhiali sul naso e lo sguardo vivace e intelligente.

“Ragazze…ehm, come dire…credo proprio che li abbiamo disturbati…forse dovremmo scusarci e andarcene…”, mormorò imbarazzata.

“Ma cosa dici!! Non li abbiamo affatto disturbati, non è vero, Mark?”, esclamò ancora la prima ragazza, girandosi nuovamente verso il calciatore.

Maki era completamente rosa dalla gelosia, e quando anche la donna dal fisico da modella si avvicinò a Landers con passo sensuale e ancheggiante, le sembrò davvero di scoppiare. Stavano entrambe superando il limite…sì, decisamente…

“Ah…”, mormorò languidamente la bionda, studiando senza ritegno il corpo e i muscoli di Mark fin nei minimi dettagli. Si avvicinò ulteriormente a lui, e dopo essergli girata intorno, gli diede una breve pacca sul sedere. Poi si strinse al cannoniere, passandogli lentamente sul viso le dita dalle unghie smaltate e curatissime.

“Mhh…mica male il ragazzino, per essere giapponese…uhm…yeah, he’s really cool!”, disse con voce provocante. Lo stava visibilmente  spogliando con gli occhi, per non dire, poi, di come muoveva le mani su di lui…

Landers non si era mai sentito così imbarazzato prima d’ora…lui…lui imbarazzato?? Ma siamo pazzi?!? Non poteva perdere il controllo di fronte a…Ok, ok…anche con Maki gli succedeva…ma…ma…non aveva mai avuto a che fare con una ragazza del genere, smaliziata, senza alcuna inibizione e…così…così sexy, ammettiamolo!!

E la bruna, invece…lei…sembrava proprio che lo conoscesse…

Ovviamente il comportamento delle due, e in particolare della bionda, di certo non gli dispiaceva, anzi…

Ma…da dove erano saltate fuori??

E come erano arrivate lì, a casa sua??

Miki, la ragazza dai corti capelli castani, ridacchiò.

“Mhhh…sì, ti do ragione! Sai, l’avevo visto solo in foto, ma devo ammettere che dal vivo è molto, molto meglio!”.

L’ultima delle tre cercò ancora di fermare le amiche. “Ragazze…vi prego, smettetela…”.

“Ma dai Val! Anzi, vieni anche tu a conoscere questo fusto! Scommetto che non vedi l’ora…ti assicuro che questi muscoli sono qualcosa da provare…”, rispose la bionda, continuando letteralmente a strusciarsi contro il numero dieci della Toho.

“Bastaaaaaaaa!”, gridò però all’improvviso Maki che, giunta al limite della sopportazione, stava fissando con occhi di fuoco le misteriose straniere. “Allontanatevi immediatamente da Mark! VIAAAA!”.

Arrivò decisa di fronte alla ragazza dal fascino adulto e, con estrema violenza, la spostò, mettendo le mani sulle spalle coperte da una corta giacca bianca. Sotto, indossava un vestito rosso e attillatissimo, ai piedi delle lucide scarpe con un tacco vertiginoso.

“Oh, a quanto pare la piccola è gelosa…scusa, gioia”, mormorò la donna, intuendo le proteste di Maki.

Allungò le labbra rosse e carnose in un sorrisetto canzonatorio.

“E’ tutto tuo, anche se credo che tu sia un po’ piccina per lui…dovresti lasciarlo a qualcuno con più esperienza…eh eh…una che sappia come trattarlo…DAVVERO”.

A quelle parole Maki, ormai nera, fu tentata di mollarle un pugno, ma fortunatamente Mark la fermò, riuscendo a staccarsi dalla bionda.

“Maki…calmati”, cercò di farla ragionare il ragazzo, tenendole con presa ferma i polsi.

L’altra si divincolò facilmente, per poi fissarlo, gli occhi lucidi.

“Tu…tu…scommetto che non ti dispiacerebbe una come lei, vero!?! Ammettilo!”.

“Ma cosa dici? Lo sai che ci sei solo tu e…”.

“E allora perché non hai respinto quella gattina slavata mentre ti toccava in quel modo osceno, eh??”, urlò.

La ragazza fu sul punto di scoppiare a piangere, ma a quel punto, Miki intervenne e prendendo per un braccio Mark gli rivolse, stranamente, uno sguardo serio.

“Mark, penso sia il caso di spiegarti chi siamo”.

Landers si girò. “Beh, credo anch’io”, le rispose secco, chiaramente urtato.

La ragazza annuì e, rivolgendosi alle due amiche, indicò il divano.

“Martha, Val, aspettateci qui con questa ragazza. Vado un attimo nell’altra stanza con Mark a spiegargli tutto”, disse in inglese.

Maki, che aveva compreso perfettamente, strinse i pugni, e avvicinandosi a Miki si mise ancora a gridare.

“Te lo scordi, chiaro?! Io non ti lascio sola con il mio ragazzo, nemmeno morta!”.

Mark mise un braccio intorno alle spalle della fidanzata. “Dai, Maki…ti assicuro che non succederà niente…mi vuole solo parlare”.

“Ah, sì? E chi ci crede?!”.

“Ti prego, Maki!”, esclamò a quel punto Landers, aprendo le braccia esasperato. “Ora stai esagerando!”.

La ragazza dai corti capelli rossi lo fissò sull’orlo delle lacrime, senza riuscire a dire una parola. Poi, tesissima, si diresse verso il divano, lasciandosi cadere pesantemente sui cuscini. A braccia conserte, voltò la testa verso il muro.

“Oh…ok, Mikina bella, staremo qui…ma fai in fretta, abbiamo ancora le valigie da portare dentro e tra poco pioverà”, rispose Martha, agitando una mano davanti al viso. “Mamma mia, però qui dentro si muore di caldo…ma i giapponesi tengono i caloriferi a mille?”.

Val, ancora ferma davanti alla porta aperta, avanzò verso il gruppo e, arrivata al divano, si sedette a poca distanza da Maki.

“Sì, vai pure Miki!”, sorrise la ragazza con gli occhiali. “E tu, Martha, smettila di lamentarti e siediti qui con noi”.

L’altra sospirò, poi guardò Val. “E va bene…”.

Si mise fra l’amica e Maki e, dopo aver accavallato le gambe, allargò le braccia dietro, sulla spalliera del divano.

Poi, si voltò verso la ragazza di Mark che, ancora offesa e arrabbiatissima, guardava a lato.

“Ehi, darling, dimmi…fai ancora le elementari o sei già alle medie? Eh eh…”, domandò Martha per prenderla in giro, scoppiando poi a ridere sfacciatamente.

“Martha, ti prego…”, la riprese Val, lanciandole un’occhiata storta.

La bionda sbuffò. “Ooh…ok, ok…però che noia…”.

Miki ridacchiò, approvando entusiasta la battuta di Martha, e anche se fu incredibilmente tentata di punzecchiare come l’amica la giapponese dai capelli rossi, si girò nuovamente verso il calciatore, che la stava aspettando.

“Dai…andiamo”.

 

Miki si diede una leggera spinta con le gambe, sedendosi così sul tavolo della cucina. Mark la guardava con aria da sufficienza, il più possibile distaccato, mentre lei, al contrario, pareva incredibilmente rilassata e a suo agio.

“Allora…uhm…vediamo, da cosa posso cominciare?”, si chiese, portandosi l’indice alla bocca. Accavallò le belle gambe abbronzate, mostrando un tono muscolare assolutamente invidiabile.

L’attaccante della Toho, però, non ci fece troppo caso.

“Senti, da quello che vuoi, basta che ti muovi”, disse nervoso. “Si da il caso, se per caso non te ne fossi accorta, che tu sia piombata in casa mia con le tue due pazze amiche senza che nessuno ti avesse invitato. Inoltre mi hai leggermente disturbato, e fatto litigare con la mia ragazza”.

Mark ripensò alla figura fatta con Maki, e di come avrebbe potuto scusarsi, più tardi, con lei. E che cavolo…tra l’altro, tutto stava andando così bene…così bene…

Sempre più arrabbiato, Landers fissò scocciato l’americana.

“Anzi, hai due minuti esatti per dirmi cosa vuoi prima che vi sbatta tutte e tre fuori”.

Miki sostenne senza alcun problema lo sguardo del calciatore, poi la sua bocca si allargò in un sorriso tranquillo.

“Oh, credo che ti sbagli, mio caro Mark. Sono stata invitata, eccome. Da tua madre, molti anni fa”.

“Come?”.

Mark non poteva crederci. Che cosa poteva c’entrare sua madre con quella piccola scatenata?

“E’ proprio così”, assicurò invece la brunetta, scendendo dal tavolo con un breve salto. Si avvicinò a Landers, guardandolo.

“Circa quattordici anni fa io e te ci incontrammo”, iniziò a raccontare. “All’epoca io avevo undici anni, e tu solo quattro. Forse è per questo motivo che non ti ricordi di me. Venimmo qui a Tokyo per un fatto spiacevole, purtroppo, e cioè la morte di mio padre. La tua famiglia non poteva permettersi un viaggio fino a San Francisco, e così fummo noi, mia madre ed io, a venire in Giappone…”.

“Cosa vuoi dire?”. Mark continuava a non capire. “Come vi…conoscevamo?”.

Miki parve davvero sorpresa dalla domanda. “Sul serio non ne sai nulla, allora?”. Si girò, cominciando a camminare per la stanza.

“E’ strano…uhm…forse tuo padre non ha mai voluto dirti nulla di suo fratello James, visto i brutti rapporti che correvano fra di loro…uhm…sicuramente deve essere stato questo il motivo…”. Si fermò, tornando a guardare Mark.

“E anche dopo la sua morte di suo marito, tua madre non ti ha mai accennato nulla di tuo zio…beh…pazienza! L’importante è saperlo, prima o poi! No?”.

Ancora una volta sorrise pacatamente, in un modo apparentemente ingenuo ma incredibilmente divertito.

“Mark…dai, ti giuro che credevo lo sapessi! Non fare quell’espressione da ebete! Suu!”, esclamò allegra la ragazza, correndo verso Landers che, quasi shockato dopo le parole dell’americana, la fissava con gli occhi spalancati.

“Cosa…cosa vuoi dire?? Io…io avevo uno zio? Era…il fratello di mio padre?”, balbettò.

L’altra annuì con decisione. “Sì sì! Proprio così! Vedo che hai afferrato, bravo! E spero che tu abbia capito anche una cosuccia di fondamentale rilevanza…”.

“Quale…quale sarebbe?”.

La brunetta alzò una mano, mostrando il segno della vittoria. “Beh, che io sono la tua affascinante cuginetta, mi sembra ovvio!”.

Detto questo, saltò al collo di Mark, abbracciandolo, mentre il calciatore cominciava a ripetersi, disperato, che quella non poteva essere la verità…noo! Una come quella in famiglia?? Sua cugina? Un incubo…un incubo assoluto!

Cercò, con un grande sforzo di volontà, di riprendersi dal trauma subito.

“Ehi…ehi…ma…aspetta! Come poteva mio zio essere americano?”, domandò a Miki, tentando di restare calmo.

La ragazza smise di saltare come una pazza e, dopo un attimo di silenzio, si schiarì la voce, tornando seria.

Landers si passò una mano sulla fronte sudata, un po’ intimorito da quella incredibile tipetta dalla personalità più assurda che avesse mai incontrato. “Mamma mia, le ci vuole davvero poco per cambiare espressione…”.

Ma Miki, nel frattempo, aveva iniziato a spiegare.

“Tuo zio, mio padre, non era americano. Era giapponese a tutti gli effetti, e naturalmente viveva insieme alla sua famiglia, e con tuo padre. Poi, un giorno, decise improvvisamente di lasciare il Giappone. Come ben saprai, la famiglia Landers non è mai stata ricca, e mio padre si stufò di quella vita di stenti e sacrifici…voleva andare a fare fortuna negli Stati Uniti, sposarsi e farsi una famiglia felice. E così fece, senza ascoltare i pareri di nessuno…forse è proprio per questo che lui e suo fratello litigarono. Invece di rimanere qui a Tokyo ad aiutare la propria famiglia, mio padre se ne andò”.

Landers annuì lentamente, per poi girarsi e fare qualche passo verso la finestra. Rimase così per un minuto intero, con le mani in tasca e gli occhi fissi in un punto indefinito, finchè parlò di nuovo.

“Già, immagino anch’io”. Sospirò.

“E così…tu sei sua figlia”, disse, studiando la cugina. “Beh…ora che ti guardo bene ci assomigliamo vagamente…anche se i pochi tratti orientali che hai si notano davvero poco”.

Miki Landers rise.

“Sì, lo so! Infatti ho preso moltissimo da mia madre, Melanie Stepherd. E’ a capo, in America, di una rivista popolare di moda, e purtroppo, a causa del suo lavoro, vive a New York. Nonostante tutto, però, è la madre migliore del mondo, te lo posso assicurare! E comunque da alcuni anni vivo anch’io nella Grande Mela…eh eh…”.

La ragazza alzò gli occhi, la mente probabilmente proiettata verso casa.

“Sono vissuta per la maggior parte della mia vita a San Francisco, con i miei nonni materni”, proseguì poi, tornando a rivolgersi al cugino. “Quando mio padre è morto per malattia, mi hanno cresciuta loro. E sono stati sempre loro a raccontarmi di te, e dei miei parenti giapponesi…”. Allargò le braccia.

“E ora sono davvero felice di averti conosciuto!”.

Miki sembrava realmente sincera, e Landers la guardò, per la prima volta, con affetto. E così, oltre ai suoi fratellini, aveva anche una cugina…uhm…sì, è vero, una cugina completamente pazza…ma una cugina.

Forse non sarebbe stato, poi, così terribile…

“Ok, ora so chi sei”, disse il ragazzo. “Ma un paio di cose non mi sono chiare, ancora”.

“E quali?”.

“Ad esempio cosa ci fai qui e chi sono le tue due amiche”.

La cugina fissò Mark con aria interrogativa, per poi battersi una mano sulla fronte.

“Giàà! Questo ancora non te l’ho spiegato! Eh eh…che stupida!”, esclamò ridacchiando. “Comunque rimediamo subito!”.

A questo punto, Miki sfilò dalla scollatura del top, dove erano agganciati, un paio di eleganti occhiali da vista dalla montatura nera e dalle lenti sottili, a forma rettangolare. Li indossò, e sollevando nuovamente il viso verso Landers, sorrise.

“Allora…vediamo di presentarci dal punto di vista professionale: sono Miki Landers, ho 25 anni e faccio la giornalista sportiva per il New York Times…molto piacere!”.

Landers sgranò gli occhi, stupito.

“Giornalista?”.

“Eeeeh, giààà! Proprio così!”, trillò la cugina. La ragazza estrasse una piccola card plastificata, mostrandola al cugino. “Vedi? Ecco la mia tessera! E sono anche una leggenda, dalle mie parti! Sono giovane ma con un talento incredibile per questo lavoro, o almeno questo è quello che dicono di me…modestamente! Ah ah!!”.

Il ragazzo dai lunghi capelli neri si portò una mano alla testa, in preda a un’emicrania considerevole. Come dire…si sentiva sempre più schiacciato dall’ego della sua adorabile cuginetta, e la sensazione non era affatto piacevole per uno come lui…

Una donna…si sentiva inferiore a un donna! Roba da pazzi…

“Ah…beh, almeno siamo nello stesso campo…”, balbettò, sfinito psicologicamente. “Hem…il calcio, intendo…”.

Miki annuì. “Verissimo! E per essere precisi, è proprio il calcio il mio principale campo d’azione!”.

“Sul serio?”.

“Certo! E’ proprio per fare un mega-dossier sul calcio giapponese e magari anche qualche bello scoop che sono venuta qui! Sai, la fama della Nazionale Giovanile Giapponese e di molti giocatori del Sol Levante ha raggiunto anche gli Stati Uniti…e di certo non potevo lasciarmi scappare l’occasione di venire a verificare sul posto la loro bravura…”

Improvvisamente, la ragazza si avvicinò a Mark, che quasi trasalì per lo spavento.

“Mhh…cioè, chiariamo…questa è anche una fantastica scusa per approfittare della tua ospitalità e venirti a conoscere, mio bellissimo cugino!”. Scoppiò nuovamente ridere, mentre Mark la continuava a fissare, sconvolto.

“Uhh, dai, non guardarmi così! Stavo scherzando!”, disse subito Miki, agitando una mano. “Comunque tu sei fra i giocatori più interessanti…ed era evidente, visto che siamo parenti! Sì, insomma…buon sangue non mente!”.

Landers scosse il capo, rassegnato. “Ho capito…ho capito…e mi pare di aver afferrato anche che vorresti fermarti a casa mia per il periodo in cui resterai in Giappone…”.

“Esattamente! Anche perché ricordo, come ti ho già detto, che tua madre un giorno disse alla mia che ero sempre la benvenuta da voi…era il momento di accettare l’invito, non ti pare?”.

“Hem…già…”.

La cugina mise le mani nelle tasche dei pantaloncini. “Le altre due ragazze che ci sono con me, invece, si chiamano Martha e Valery, come penso avrai capito. Martha è un avvocato penale col pugno di ferro, e ha 27 anni. Metà italiana e metà americana, si è laureata in giurisprudenza prima di un qualunque studente normale: non ha mai perso una causa in vita sua, è un vero e proprio genio e ha una cultura spaventosa. E soprattutto, non perde mai con gli uomini, come avrai potuto vedere…in tutti i sensi. Sai…il suo appellativo è ‘La pantera dei tribunali’…”.

Miki sorrise ironica, prevedendo la reazione di Mark. Sì, era decisamente bello prenderlo in giro…anzi, fra lui e la sua permalosa fidanzata dai capelli rossi non sapeva proprio chi scegliere da prendere di mira…

Il numero dieci della Toho, infatti, dopo le parole della cugina avvampò di colpo, ricordandosi improvvisamente del comportamento di quella bionda pazzesca, pochi minuti prima.

E due, un’altra partita persa con una donna…no no, proprio non andava…Mark, stai perdendo colpi…

“Valery, invece, ha 25 anni, è americana ed è una giornalista come me, anche se si occupa di cronaca”, riprese intanto Miki, ritornando seria. “Come Martha, siamo amiche d’infanzia…mi hanno accompagnato qui a Tokyo perché, insieme, stanno lavorando ad uno scandalo che coinvolge una compagnia di telecomunicazioni giapponese, e che ultimamente sta interessando mezza America…Martha deve accertare ed indagare su alcune questioni legali, mentre Val ne vuole approfittare per scrivere un articolo che rilancerà, con uno scoop esclusivo, la testata a cui lavora, e dare nello stesso tempo una mano a Martha con il suo incredibile intuito”. Miki mise le mani sui fianchi, sorridendo.

“Sai, quelle due sono degli assi in queste cose! Alcune volte penso che avrebbero dovuto fare le agenti dell’FBI…ah ah!”.

Mark cercò di sorridere. Poi, fulminato da un certo pensiero, guardò storto la giornalista.

“Aspetta un attimo, cuginetta…spero per te che non avrai intenzione di chiedermi di ospitarle qui…vero?”, domandò con aria poco rassicurante alla ragazza che, facendo un passo indietro, scosse la testa.

“Ma…ma noooo!! Che dici?? Assolutamente…solo che…ecco…”.

“Solo che…cosa?!?”.

“Ecco…”, balbettò Miki, guardando il ragazzo dal basso, vista la differenza di statura tra i due. “…c’è stato un piccolo problema con l’albergo dove avevano prenotato…daai, Markuccio…si tratterebbe solo di ospitarle il tempo necessario per trovare un altro hotel dove possano stare…questione di giorni!!”.

Miki gli rivolse un sorrisetto angelico. Mark, però, voltò la testa, irremovibile.

No, non poteva dirle di sì!

Quel sorriso non lo commuoveva…no…ci voleva ben altro…lui, la tigre…vinto così da una ragazza…figurarsi!

“Ti pregoooo…”. La cugina lo stava fissando con due occhioni da cucciolo, e Landers si ritrovò a guardarla, suo malgrado…

Cavoli…come poteva rifiutarsi?

Ma…ma…NOO!

Quelle due…la bionda…fra lui e Maki! LUI E MAKI! Ma porc…

E poi…una settimana da soli…in fumo! Il loro progetto…il loro progetto perfetto…completamente in fumo!

Diavolo!

L’aveva sempre detto che le donne portavano solo guai… 

“E va bene”, mormorò infine, sconfitto, sorprendendosi del cuore schifosamente tenero che scopriva improvvisamente di possedere. “Ma non concedo a quelle due più di sette giorni, chiaro? Ok che abbiamo appena comprato la casa nuova, ma non possiamo certo ospitare un esercito…”.

A quelle parole, Miki esultò, entusiasta, e stringendo Mark gli stampò un bacione sulla guancia, facendolo quasi cadere.

“Grazie infinitee! Sapevo che eri un tesoro, cuginetto mio!”, gridò felice. “Vado subito a dirglielo!”.

La ragazza fece per correre fuori dalla stanza, quando Landers la afferrò per un braccio.

“Ehi, cugina”.

Miki si voltò. “Sì?”.

Il calciatore abbassò la testa, imbarazzato.

“Non provare mai più a chiamarmi Markuccio”.

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Capitolo 15
*** Inspiegabile ***


La superficie lucida del tavolo rispecchiava il cielo plumbeo che, oltre la vetrata del bar, ricopriva la città di Fujisawa di una coltre malinconica e grigia. La gente camminava frettolosa, stringendosi nei cappotti per non sentire il freddo pungente e fermandosi raramente di fronte a qualche vetrina illuminata. Solo i termosifoni del locale, posti sotto le grandi finestre, sembravano donare un po’ di calore in tutta quella gelida tristezza, in quel desolante, statico pomeriggio di inizio novembre.

Le mani di Kris, appoggiate su uno di essi, risultavano quasi bianche sotto la forte luce al neon delle lampade poste sopra ad ogni tavolino.

La bocca serrata, era immobile, impassibile. Fissava il vuoto. O forse, più probabilmente, un’immagine nella sua testa…

Tom Becker, seduto di fronte a lei, chinò il capo.

“Kris…devi finire di raccontarci come sono andate le cose”.

La ragazza alzò il palmo sinistro dalle tubazioni di ferro, ma non parlò. Jude, arrivando in quel momento con due caffè espressi nelle mani, si sedette di fronte all’amica, di fianco a Tom, e  appoggiò le tazzine sul ripiano. Becker avvicinò a sé una delle due, ringraziando Jude.

“Allora?”, chiese poi, stringendo una delle braccia di Kris nel tentativo di farla girare verso di sé. “Cos’è successo dopo che hai lasciato l’ufficio di Nicole?”.

Kristine esitò ancora qualche secondo, poi sollevò il viso, guardando prima Tom, poi Judith.

La giovane ragazza bruna la guardò a sua volta, preoccupata. “L’altro giorno non me l’hai voluto dire. Forse è giunto il momento di confidarti, non credi? Magari potremmo aiutarti…”.

La musica da camera, di sottofondo nel locale, ripeteva di continuo lo stesso, conosciutissimo motivo. Kris richiuse gli occhi, poi sospirò. 

“Ho incontrato Price che…mi ha invitata a fermarmi a dormire da lui”, disse con lentezza.

Becker, che stava avvicinando il caffè alle labbra, per poco non lo lasciò cadere. Judith, invece, spalancò gli occhi, incredula.

“Cosa ha fatto??”, chiese ad alta voce, sporgendosi verso Kristine. “Ma lui sa che tu sei…”.

“No, no!”, la interruppe l’amica, scotendo la testa. “Non è come pensate…ora vi dirò tutto…o, almeno, quello che ricordo”.

“Ciò che…ricordi?”.

“Già”.

Tom non disse nulla, limitandosi solamente a fare un cenno col capo. Lo stesso fece Judith, che, iniziando a girare il caffè con il cucchiaino, decise di lasciar parlare l’amica.

Anche se Becker non sapeva cosa fosse successo, le parole di Kris non l’avevano lasciato indifferente…un campanello d’allarme si era acceso già da tempo nella sua mente, e ora il suono continuava a farsi più forte. Aveva paura di ciò che avrebbe potuto sentire uscire dalla bocca della ragazza.

Nonostante tutto, cercò di sembrare il meno agitato possibile.

“Raccontaci”.

 

Kris si portò una mano alla fronte, appoggiando il gomito sul ripiano del tavolo.

“Ecco tutto”.

I due ragazzi, immobili davanti a lei, la fissavano senza parole.

“E…e da quella mattina ha cominciato a trattarti così?”, mormorò Judith.

“Sì”.

Massaggiandosi le tempie, Kristine chiuse gli occhi. Naturalmente, nel raccontare cos’era successo quella sera aveva evitato accuratamente di narrare alcuni particolari, come i suoi pensieri sui sentimenti che provava verso Price…

Non era il caso di complicare la situazione. Di complicarla con Tom.

“Evidentemente” disse ad un tratto proprio il ragazzo, “deve essere successo qualcosa…ed è proprio quello che non riesci a ricordare”. Becker si appoggiò allo schienale della sedia, posando poi il gomito su quella dove era seduta Jude.

“Ma sicuro!” gridò subito dopo l’amica, battendo un pugno sul tavolino. “E’ chiaro cos’è successo!”.

Kristine tolse le mani dalla fronte, mentre Tom la guardò. 

“Cioè?”.

Judith sospirò, e giocherellando con un ricciolo scuro dietro all’orecchio alzò le spalle.

“Quasi certamente devi essere crollata, ubriaca. Oppure…oppure hai iniziato a dire e fare cose che non voglio nemmeno provare a ipotizzare…”.

Immediatamente, però, si pentì di aver pronunciato quella frase.

Becker, come colpito ripetutamente alla schiena da qualcosa di veramente doloroso, abbassò il capo, abbattuto, i grandi occhi nocciola concentrati su un pensiero facilmente intuibile…

Tom aveva da poco scoperto che la ragazza che amava da sempre aveva passato la notte a casa di Benjiamin Price…e per di più, ora c’era anche il sospetto che fra i due ci potesse essere stato qualcosa…qualcosa che però non si poteva sapere…verificare. E il dubbio faceva male più di qualunque altra certezza.

Judith rivolse un’occhiata dispiaciuta in direzione del calciatore. Era fin troppo chiaro che Tom aveva capito benissimo che Price non era un semplice amico per Kris…e di certo, Becker non sapeva nascondere al meglio i suoi sentimenti.

La ragazza dalla pelle ambrata sorrise, anche se con un velo di tristezza sulle labbra. Solo Kris non se n’era accorta…Tom Becker la amava, la amava in un modo totale, profondo, sincero. Ora, restava solo da chiarire in che modo il neoportiere nella New Team volesse bene al numero undici… 

“Ehm…beh, naturalmente questa è solo una…vaga idea…”, mormorò Judith, tentando di rimediare all’errore. “Ecco, fate come se non avessi detto nulla, ok?”.

Ma Kris si era girata verso la vetrata, evitando di incrociare lo sguardo dei due amici. Se davvero…se davvero Jude avesse avuto ragione? Era una possibilità che non poteva essere esclusa. Sì, certamente era una di quelle più probabili…tra l’altro, la mattina seguente a quella serata si era svegliata con un mal di testa incredibile… 

A dire la verità…

Lei…ci aveva…già pensato.

Ma non aveva voluto crederci.

Price…che ragioni aveva per comportarsi così con lei?

Cosa…era successo quella notte?

Che cosa? Più tentava di ricordare, più…stava male…

“Io…vado via”.

Kristine si alzò con uno scatto veloce, spostando indietro la sedia. Becker la guardò allarmato.

“Perché? Su, stai ancora un po’, poi ti riaccompagno io…”.

“No, non posso restare.  E non preoccuparti, vado da sola, grazie”.

“Ma…”.

“A presto”.

Afferrando la giacca appoggiata sullo schienale e infilandosela, Kris salutò velocemente Jude e Tom. Percorse la sala, passando tra i tavolini abbastanza affollati, per poi arrivare alla porta e uscire.

Per qualche secondo solo la musica e il leggero brusio di sottofondo riempirono il silenzio che si era venuto a creare. Poi, dopo essersi passato una mano tra i capelli, anche Becker si alzò.

“Jude…ecco, andrei via anch’io…”.

Ma lei lo fermò. “Aspetta Tom”.

Il ragazzo faticò a voltare lo sguardo.

“Cosa c’è?”.

I profondi occhi neri di Judith erano colmi di tristezza, e lo guardavano, imploranti.

“Tu…devi dirglielo”. Si avvicinò a lui, afferrandogli un lembo della manica del maglione. “Non puoi continuare a soffrire in questo modo”.

Lui, incredulo, la osservò senza riuscire a parlare. “L’ hai…l’ hai capito?”, disse poco dopo.

Jude fece una leggera, dolce risata. “E chi non lo capirebbe? A parte Kris, naturalmente…”. Chiuse gli occhi, scuotendo la testa.

“Lei non lo vuole capire. Si ostinerà a credere che, per te, è e sarà per sempre solo una carissima amica…”.

Becker evitò di continuare a parlare direttamente faccia a faccia con Judith, spostando la testa. “Lo so…”.

“No che non lo sai. Kris è molto confusa”.

“Cosa…vuoi dire?”.

Jude abbassò gli occhi, fissando il pavimento. “Senti…”, mormorò, fermandosi un attimo.  Rialzò il viso.

“Io…non credo di dovermi intromettere in tutto questo, Becker. Penso che dobbiate risolvere da soli questa situazione…so che state soffrendo entrambi, e vorrei davvero aiutarvi. Ma…”.

La ragazza interruppe la frase, lasciando il braccio di Tom e abbandonando stancamente le mani lungo i fianchi.

“Ma?”. Becker afferrò uno dei polsi della ragazza.

Jude scosse il capo. “No, Tom. Dovete capire da soli quale è la cosa migliore da fare. Io non posso aiutarvi a scegliere i…vostri sentimenti. Non posso proprio”.

Il ragazzo contrasse le labbra, comprendendo, almeno in parte, il significato delle parole di Judith. Con un ennesimo sospiro, lasciò la mano della ragazza bruna.

“Non puoi chiedermi di confessarle che la amo…”, mormorò solamente, tornando a sedersi. “Io so…che la perderei…e non voglio…è l’ultima cosa che vorrei. Kris…è troppo importante, e… ”.

“E quindi ti accontenti della sua amicizia? Vuoi lasciarla a Price?”.

“No, ma…”.

“Come fai ad essere sicuro che la perderesti?”.

La domanda di Jude si udì distintamente in tutto il locale, in un attimo di silenzio assoluto. Alcuni clienti si girarono verso i ragazzi, commentando a bassa voce qualcosa. I due si guardarono, poi Tom allungò le braccia sul tavolo.

“Non lo sono, infatti. Per niente”.

“E allora?”.

“Ho paura. E mi rendo conto di non aver mai avuto tanta paura in vita mia”.

“E’ naturale”.

Judith si appoggiò con una mano sul tavolino, posando l’altra sulla spalla del ragazzo.

“Nelle partite dai tutto te stesso. Corri, combatti, lotti. Rischi. Non è forse vero?”.

L’altro annuì. “Certo”.

La ragazza sorrise. “E non vale la pena di farlo anche in amore? Gli obiettivi da raggiungere sono ugualmente importanti di quelli di una partita, mi pare…e forse anche di più. Lo sai bene”.

Becker lanciò un’occhiata stanca a Jude, sconfitto.

“Forse…sì”. 

Senza aggiungere nient’altro, il numero undici restò fermo ad osservare la strada oltre la vetrata, alla sua sinistra. Improvvisamente però, scoppiando a ridere, si girò ancora verso l’amica.

“E meno male che non potevi intrometterti in tutto questo, eh? Sei proprio un bel tipo…”, esclamò.

L’altra ridacchiò a sua volta, incrociando le gambe e mettendo una mano sul fianco.

“Oh, ma dai, ho fatto solo una piccola eccezione per metterti sulla ‘giusta via’…eh eh…puoi considerarmi il tuo angioletto custode o qualcosa di simile, no? E poi voi ragazzi siete così poco svegli…ci vuole una donna per farvi capire certe cose…”.

Becker allargò un braccio, fingendosi offeso. La fissò, accigliato.

“Ah, ma sentila…”.

“E’ la pura verità!”.

I due ragazzi continuarono a ridere ancora per un po’ poi, dopo aver pagato il conto ed essere usciti dal bar, iniziarono a camminare l’uno di fianco all’altra. Jude assunse nuovamente un’espressione seria.

“Qualunque cosa sceglierai di fare”, riprese, “io non ti criticherò, Tom. Figurati, sei libero di prendere qualsiasi decisione…non ho alcun diritto di dirti come devi comportarti”.

Becker infilò le mani nelle tasche della giacca di pelle lucida, color seppia.

“Stai tranquilla, lo so perfettamente”, annuì con un sorriso. “Ma direi proprio che mi hai… illuminato. Non so esattamente come mi comporterò con lei, ma…di una cosa sono sicuro. Kris ora sta male, e sta male per qualcosa che non sa. Non approvo il comportamento di Price, e qualunque cosa Kristine gli abbia fatto le deve, in ogni caso, una spiegazione”.

Judith si strinse nel cappotto. “E quindi?”.

“Quindi ora andrò da lui, e lo costringerò a raccontarmi cos’è successo. Anche se…la risposta dovesse farmi male…”.

L’altra lo guardò, non troppo convinta. “Sicuro?”.

Becker socchiuse gli occhi, assorto. Ma dopo pochi secondi rialzò il capo con decisione.

Il cielo, sempre più grigio, prometteva altra pioggia. Il calciatore sentì l’aria fredda sul viso.

“Sì”.

 

Price abbassò il cordless. Per un po’ lo tenne in mano, poi, sospirando, lo riposizionò sul tavolino in corridoio.

A passi lenti, quasi stanchi, arrivò in camera sua e, avvicinatosi alla sedia, buttò con noncuranza la camicia sopra la spalliera, dopo averla pigramente sbottonata.

Si sedette sul piccolo divano nell’angolo della stanza. Portando le braccia dietro la testa decise di sdraiarsi, lasciandosi cadere pesantemente fra i cuscini. Con gli occhi spalancati, fissava il soffitto.

Freddie l’aveva appena chiamato da Parigi per avere notizie sullo stato della sua gamba, sui risultati delle partite e…per avere notizie di Grover. Lui gli aveva mentito, assicurandogli che tutto stava andando perfettamente. Kris stava facendo grandi progressi, e l’incontro con la Artic era stata una passeggiata…

“Kristian è un grande portiere, Freddie. Farà molta strada…”. Era questo che aveva detto. Aveva elogiato Kris. Benji socchiuse gli occhi. Senza che se ne fosse accorto, la sua espressione era cambiata. Serrò le mascelle, voltandosi violentemente da un lato e portando vicino a sé un braccio per coprirsi il viso.

“Kristian Grover”, disse a voce alta. Il nome risuonò nella camera, disperdendosi però subito nell’aria ferma.

Rimase ad ascoltare, senza sapere bene cosa. Forse, aspettava soltanto di sentire un suono, un qualunque suono che lo facesse sentire meno solo. Già…il silenzio non era mai piaciuto a Benji. Perché nel silenzio si era costretti a pensare. Non sopportava il dover fare i conti coi propri ricordi, con le proprie colpe. E ora più che mai non avrebbe voluto farlo…

No, non avrebbe voluto pensare a nulla…

Perché gli risultava così difficile? Perché…perché tutto, ora, gli sembrava così…così dannatamente complicato?

Già…fare i conti con se stesso…con il vecchio Price…il Price che aveva trattato male Kristian.

Raccolse le gambe sullo stomaco nudo, stringendosi ancora di più la testa fra le mani.

Perché quella sera era accaduto?

Penso proprio che diventeremo buoni amici...

Chiuse gli occhi. Perché soffriva in quel modo?

Era rabbia? O… qualcos'altro?

Sono contento di averti parlato di queste cose...è strano, ma non sono mai riuscito a dirle a nessuno, prima di adesso. Non so perché, ma sento di potermi fidare ciecamente di te. Sarà dovuto al fatto che noi due ci somigliamo molto...

"Io credevo in te". Price strinse le dita, afferrando violentemente la stoffa del divano. "Io…mi fidavo".

…E’ vero, avevo i miei compagni di squadra, certamente erano miei amici, ma…mi ostinai a non affezionarmi a loro.

Non volevo…avevo sempre contato solo su me stesso, e volevo continuare a farlo.

Credevo di non avere bisogno degli altri.

Da solo…stavo bene. Ne ero assolutamente convinto.

Un dolore lancinante iniziò a martellargli le tempie.

Allora…è stato tutto un errore? Tutto quello che sono diventato è stato…un errore?

L’isola…l’isola che ero…

Forse è davvero meglio restare soli?

“Tu mi avevi capito. E io…ti avrei dovuto capire, ma…è stata una delusione troppo, troppo grande…”, mormorò.

Price non credeva che il vecchio Benji, il vecchio Super Great Goal Keeper, potesse riprendere il sopravvento sul suo corpo. Non dopo tutti quegli anni…

E la cosa peggiore era che…non sapeva come liberarsi dalla sua influenza.

Non poteva scacciarlo ancora. Non poteva più, ormai. Perché non c’era più nulla che potesse farlo….

Delusione, orgoglio…forse rabbia. Ogni cosa era tornata ad avere il controllo su di lui, proprio come un tempo. Quel Benjiamin Price che credeva sconfitto da tanto, che credeva aver reso inoffensivo, ora era risorto.

Si accorse di odiarlo. Di un odio profondo, totale. Non aveva mai odiato tanto nessuno come, in quel momento, se stesso.

Le parole dette da Kristian quel pomeriggio gli tornarono in mente.

Non devi, non devi assolutamente pensare di essere una persona vuota, perché non è affatto vero.

“Ti sbagli”, mormorò il portiere, scotendo la testa. “Lo sono…lo sono…lo sono sempre stato, e nessuno potrà cambiarmi. Non l’ hai fatto tu, non l’ ha fatto la New Team, non l’ ha fatto il calcio…nessuno…nessuno l’ ha fatto…”.

Rimase così, sdraiato e assolutamente immobile per diversi minuti. Lo sguardo era vacuo, le braccia dai muscoli perfettamente torniti leggermente piegate, a poco distanza dal viso. I profondi occhi neri, solitamente sicuri e fieri, illuminati da quella luce che solo Benjiamin Price da sempre possedeva, apparivano ora spenti, dominati da una tristezza che mai era apparsa sul volto del portiere.

Ad un certo punto, però, girò lentamente il capo, rivolgendo un’occhiata alla camera. Il punto in cui, quella notte, erano stati stesi i due futon ora era, naturalmente, sgombro. Improvvisamente il ragazzo si sollevò violentemente dal divano, fissando il tatami quasi in trance.

C’era anche un altro motivo.

Ed entrava in contrasto con il vecchio, insopportabile Price.

No, non poteva essere…

Benji spalancò gli occhi, coprendosi la bocca con una mano.

Era qualcosa che…

No…non era ammissibile. Non poteva neanche lontanamente essere considerato.

Non poteva…

Strinse i pugni, mentre gocce di sudore gelato gli imperlavano il viso.

Questo…questo non poteva essere vero!

“No! Mi rifiuto di crederlo!”, gridò nel silenzio. Si portò nuovamente una mano al viso, coprendolo. Non anche questo. E’ troppo, è davvero troppo…

“Tu…”, sussurrò a se stesso, cercando di convincersi. “Tu…sei Benjiamin Price. Sei Price. E tu…conosci Benji Price”.

Si avvicinò alla finestra, tentando di camminare senza perdere l’equilibrio. Si sentiva male…le forze gli venivano meno…cosa…cosa diavolo stava succedendo?

La fredda luce di quella triste giornata autunnale investì il corpo abbronzato del numero uno della New Team.

“Forse questa non è la realtà. Forse…questo non sono io…”

Gettò un’occhiata fuori. Il mondo sembrava quello di sempre, ma…le sensazioni…

Quelle…quelle no.

Erano…impensabili… 

“Kristian Grover…chi sei?”.

Pronunciò la domanda quasi con timore, anche se cosciente che l’interlocutore non era presente, e che non gli avrebbe mai risposto. Abbassò gli occhi, rigirandosi verso la stanza. Qualcosa non andava…qualcosa…non quadrava…

Tutto si faceva sempre più complicato.

Perché si sentiva diviso in due?

E non si riferiva ai due Benji…no…

Era qualcos’altro.

Ma…si rifiutava di crederci. Era certo che non potesse essere vero…anche se…

Qualcosa gli suggeriva il contrario. Qualcosa che non poteva non essere attendibile.

Con un filo di voce, emise due sole parole.

“Mio…dio”.

Ormai, il sudore gli stava colando giù per il collo. Cercò qualcosa per asciugarsi ma, nonostante tutto, quella sensazione alternata di caldo e di freddo non accennò a diminuire. Si passò una mano fra i lucenti capelli neri, altrettanto umidi.

Basta…

“Ehm…mi scusi, signorino…”. Ad un tratto una voce conosciuta, proveniente da dietro lo shoji, scosse Price dai suoi pensieri. Il ragazzo alzò ancora il capo, ma solo dopo qualche secondo riuscì a rispondere.

“S…sì Rose?”, mormorò tornando in sé, anche se con molta difficoltà.

L’anziana signora fece capolino da dietro il pannello scorrevole, e dopo un breve inchino, parlò.

“Mi perdoni se la disturbo, ma ha una visita. Si tratta di Tom Becker, e mi sembra anche che abbia molta fretta di parlarle”.

Benji ci mise un po’ per comprendere le parole della governante. Poi, con un sorriso tirato, annuì.

“Sì…certo, digli che arrivo subito”.

 

Decine di coppe dorate e argentate, allineate su un’antica credenza presente nel soggiorno, brillavano sotto il chiarore delle luci artificiali. Tom Becker le osservava attentamente, rendendosi conto di non averle mai notate in tutte le volte che era venuto a casa di Price. L’amico era senza dubbio il migliore portiere che Tom avesse mai conosciuto, ma quei premi confermavano la superiorità di Benjiamin Price nel calcio giovanile, e non solo nazionale. Dappertutto l’appellativo di ‘Super Great Goal Keeper’ era già conosciuto come soprannome dell’imbattibile Benji Price…in Germania il ragazzo aveva conquistato una notevole fama, e in Giappone era considerato una vera e propria leggenda. Ma Becker era più che certo che la carriera del numero uno della New Team fosse solo agli inizi.

“Quante ne abbiamo passate…”, mormorò il calciatore, con un lieve sorriso dipinto sulle labbra. Sfiorò con le dita il vetro che proteggeva una foto incorniciata appesa al muro, poco distante dalle coppe.

Un campo assolato. Un’estate…un’estate lontana. Holly, Bruce, Paul, Ted…e tutti gli altri…c’erano tutti…un gruppo affiatato, formato da dei ragazzini. Poco più che dei bambini…

Benji era in piedi a braccia conserte, di fianco a Marshall. Il sorriso ironico gli illuminava il viso, e lo sguardo, dagli occhi scuri, penetranti e pieni di aspettative verso il futuro, guardava fiero verso l’obiettivo.

E poi…c’era anche lui, inginocchiato di fianco ad Hutton. Sorridevano entrambi. Sembravano…davvero felici.

“Sesto Campionato Nazionale di calcio giovanile, New Team, 1982”, riportava la targa in metallo, sotto l’immagine. Gli occhi nocciola di Tom si fecero più sottili, mentre la mente veniva pervasa dai ricordi.

Era passato così…così tanto tempo. Il suo primo campionato…il primo anno che aveva trascorso a Fujisawa…

“Eravamo così ingenui”. Abbassò la mano dalla foto, senza però smettere di guardarla. Dietro alla nostalgia per quegli anni spensierati, quando tutto era solo all’inizio, Becker avvertì, però, anche un retrogusto amaro.

“Adesso non può più essere come allora”, sussurrò tristemente, abbassando lo sguardo. “Ora non c’è più solo il calcio. E i sogni non sono più riposti unicamente in una sfera di cuoio…”.

Ad un tratto, un rumore di passi rimbombò nella sala silenziosa, costringendo Tom a voltarsi e ad abbandonare i suoi pensieri. Alzò gli occhi.

Benji stava scendendo i gradini dello scalone, le mani nelle tasche dei jeans azzurri. Indossava una felpa bianca con una riga orizzontale blu sul petto, sotto la cerniera del collo che terminava, sulla schiena, con un cappuccio.

I corti capelli neri erano un po’ scompigliati, come se si fosse appena svegliato. Il viso, insolitamente pallido, guardava nella sua direzione con un’espressione stranita, vagamente assente.

Appena Price sembrò accorgersi di Becker gli sorrise, anche se era evidente che qualcosa non andava come sempre. Tom lo notò immediatamente.

“Ehi, Benji”, lo salutò, alzando velocemente un braccio. “Scusa se sono passato senza avvisarti”.

Lo fissò per qualche secondo, tentando di capire a cosa stesse pensando, cosa ci fosse oltre quello sguardo assorto. Ma proprio mentre stava per domandarglielo il portiere gli si avvicinò, distogliendo gli occhi da quel misterioso pensiero.

“Ciao Becker”, esclamò, fermandosi a pochi passi da lui. “No, figurati…dimmi pure. E’ successo qualcosa?”.

Tom inclinò il capo, continuando a fissarlo.

“Non esattamente. Però…vorrei parlarti di una cosa. Ti dispiace se ci sediamo?”.

Il ragazzo, un po’ sorpreso nel vedere il numero undici della New Team così serio, annuì lentamente.

“Oh, no…no di certo.  Accomodati”.

Si sedettero in salotto, lo stesso salotto dove, poche sere prima, Grover e Price avevano parlato. Per un attimo Benji sembrò esitante, poi si accomodò sulla poltrona, accavallando le gambe.

“Di cosa mi vuoi parlare?”.

Becker si sedette di fronte a lui. Non aveva idea di come affrontare la discussione, e in realtà non si era posto nemmeno il problema, prima di arrivare da Benji. Di certo non poteva esordire dicendo che non sopportava vedere Kris in quello stato…anche se…anche se avrebbe voluto farlo…

“Ecco…io…”.

“Sì?”.

“Vorrei…voglio sapere…perché ti sei comportato in quel modo, l’altro giorno”.

Price puntò gli occhi su Becker.

“Cosa intendi?”.

Tom deglutì. Era il momento di sapere cosa era successo…davvero.

Benji non si sarebbe potuto rifiutare di rispondere. O almeno, così credeva.

“Con Grover. Perché lo tratti in quel modo. Lo voglio sapere…non mi sembra giusto umiliarlo come hai fatto alla fine della partita con la Artic, e soprattutto senza una dovuta spiegazione”.

Strinse le dita appoggiate sulle ginocchia, chiudendole a pugno. Sentì i battiti del cuore farsi più veloci. Non aveva mai parlato in un modo simile a Benji…per un attimo, dubitò perfino che quello che stava agendo attraverso il suo corpo fosse davvero lui…

Adesso non può più essere come allora.

Già. Quegli allegri, innocenti undicenni…non potevano più tornare.

Siamo cambiati. Tutti.

Perché tutti desideriamo qualcosa che ci renda felici.

E spesso, per averla, bisogna saper lottare.

Ti accontenti della sua amicizia? Vuoi lasciarla a Price?

Kris…

“Non voglio più…vederti piangere…voglio tenerti con me…per sempre…”.

Bisogna rischiare in amore. Combattere e rischiare, ricordatelo.

Si schiarì la voce, cercando di allontanare le parole di Judith dalla mente. Sentiva lo sguardo di Price su di sé, ma non osava provare a sostenerlo. Tenne il capo basso, fisso sul tappeto della sala.

“Quindi…sarà il caso che ora me lo spieghi, oppure che tu vada a dirlo direttamente a lui, non m’importa. Devi però fornire una motivazione convincente, Price”.

Per parecchi secondi nella stanza non si udì nient’altro che il respiro dei due ragazzi, alternato al rumore delle lancette di un grosso orologio fissato al muro. Tom alzò piano gli occhi. Perché Benji non gli rispondeva?

“Becker…”.

Il portiere lo guardava. Ma non lo guardava né con rabbia, né con freddezza. Era…era uno sguardo agitato. Agitato e….triste. Come…se fosse perso in qualcosa che andava al di là della sua comprensione, qualcosa…di cui non riusciva a capacitarsi. E che lo faceva soffrire, terribilmente.

“…tu conoscevi già Grover, vero?”.

Tom annuì piano, disorientato dalla reazione dell’amico.

“Sì, l’avevo… incontrato a Kyoto, anni fa”.

“E non hai mai notato niente di strano in lui?”.

“Come?”.

“No… no, lascia perdere”.

Becker sentì un nodo formarsi in gola. A cosa voleva riferirsi, Price, con quella frase?

No, non poteva rinunciare adesso. Doveva arrivare fino in fondo a quella storia. Doveva sapere…ora più che mai, doveva conoscere la verità…era indispensabile…

“Benji”, si decise quindi a continuare. “Kristian…ecco…lui mi ha raccontato di quella sera. Ma non ha saputo dirmi cosa è successo quella stessa notte, dice…di non riuscire a ricordarsene. E io…io sono sicuro che esiste un nesso fra ciò di cui non mi vuoi parlare, quella serata e il tuo comportamento nei confronti di Grover”.

Silenzio.

“Cos’è successo quella notte?”.

Ancora una volta. Silenzio.

“Price!”.

Tom si era alzato, e adesso, in piedi davanti a Benji, lo fissava con rabbia.

“Perché non vuoi parlare? Non capisci che Kris ora soffre a causa tua?”.

Il ragazzo, ancora seduto in poltrona, teneva un gomito appoggiato al bracciolo, e la mano, aperta, copriva gli occhi. Era immobile.

“Price…?”.

Stava…stava davvero male come gli era parso, allora?

“Tom…”, mormorò con un sussurro il portiere, non accennando però a muoversi. “Sei…sicuro di volerlo sapere?”.

A quelle parole, il numero undici della New Team si irrigidì.

Sicuro?

Anche Jude glie l’aveva chiesto. Ma…aveva già dato anche una risposta. Ed era quella definitiva.

“Sì”.

Price allontanò le dita dal viso, voltando la testa verso l’amico. Il pallore che Tom aveva notato prima non era sparito e, anzi, adesso sembrava addirittura essersi accentuato.

“Va bene. Allora…ti dirò tutto”.

 

Il Super Great Goal Keeper si appoggiò all’intelaiatura della vasta vetrata della sala. La poca luce che da dietro le nuvole scure, cariche di pioggia, riusciva a filtrare, passava attraverso la barriera trasparente. 

Ora…era venuta la parte più difficile…

“…poi…lui…mi ha continuato a toccare, e…mi ha detto…”.

Esitò. Di certo, raccontare a Becker quello che era successo con Grover non poteva non metterlo in imbarazzo…

Ma…se fosse stata solo quella la causa della sua agitazione…sarebbe stato consolante. 

Deglutì, con uno sforzo estremo.

“…che…che mi amava”, concluse.

Ci volle un po’ perché l’effetto di quelle parole colpisse Tom, perché le comprendesse davvero. Ma quando queste entrarono nella testa del ragazzo, fu la fine.

Ciò che non avrebbe mai voluto sentire, alla fine era arrivato.

E gli era stato gettato addosso violentemente, come uno schiaffo…il più doloroso.

Fermo a pochi metri di distanza dal portiere, per poco non si sentì mancare. Si portò una mano alla testa, mentre tutto, intorno a lui, iniziava a girare…

Riuscì per fortuna ad avvicinarsi al divano, e a sedercisi, prima di credere di cadere a terra.

No…no…

No, non può essere vero…è solo un sogno…

“Kris…non puoi averlo fatto…non puoi…”.

Price, in piedi davanti alla finestra, si girò verso di lui.

“Tom, io…credo che ora potrai comprendermi. Scusa, forse è stato uno shock anche per te apprendere una notizia simile, ma…Kris non è quello che credevamo che fosse. E io…non posso fare finta che non sia successo nulla”.

Il ragazzo dai lisci capelli castano chiaro, però, scuoteva il capo.

“Senti…”.

“Non puoi trattare così Grover solo per questo”.

“Che…che cosa?”.

Tom rialzò la testa con decisione, lanciando un’occhiata gelida in direzione di Price. L’amico lo fissò sorpreso, non sapendo cosa rispondere. Che…che cos’era quello sguardo sul volto di Becker?

“C’è qualcos’altro. Sono sicuro che non è l’unico motivo. Tu e Kristian eravate troppo legati, e nemmeno dopo una cosa simile potresti cambiare così radicalmente il tuo atteggiamento verso di lui. Riponevi tutte le tue speranze in Grover, e ancora adesso lo fai”.

Benji rimase in silenzio.

“Come mai sei così sicuro?”.

“Perché conosco bene sia te che lui. E ho visto quanto eravate diventati amici. E’ innegabile che fra di voi c’era un feeling…ma non parlo di un affiatamento che può legare una coppia. Era…qualcosa che andava oltre, qualcosa…che non ho mai visto prima fra nessuno”.

Tom si portò una mano alle labbra. Il sudore gli colava giù per il viso, mentre un caldo incredibile iniziava a farsi sentire, soffocante. Che cosa…che cosa aveva detto? Lui…aveva ammesso che tra Grover e Benji c’era sempre stata un’intesa che lui…non avrebbe mai potuto raggiungere con Kris?

Ma Price sembrava essere rimasto come trafitto dalle sue parole. Fece qualche passo in avanti, fissandolo.

“Hai ragione”.

Tom lo fissò a sua volta. Aveva sentito bene?

“Cioè?”.

Il ragazzo scostò lo sguardo, abbassandolo per un attimo. Sembrava indeciso.

“Ecco…fra me e Grover c’è qualcosa che ci lega, è vero…e me n’ero accorto già da tempo io stesso, ma…non è solo questo…”.

“E cosa ancora?”.

“Beh…il fatto è che…hai ragione nel dire che c’è un altro motivo per il quale ho trattato Kristian a quel modo”.

In quel momento, Tom non poteva sapere che la risposta di Price l’avrebbe completamente spiazzato. Nonostante tutto, infatti, poteva ancora sperare di riuscire a conquistare Kris…lei per Benji sarebbe stato solo Kristian dopotutto, e non Kristine. Lui non ricambiava i sentimenti della ragazza…come poteva? Kristian era un maschio…

“E quale?”.

Price si voltò. Non sarebbe mai riuscito a confessare la verità guardando in faccia Becker. E non avrebbe mai pensato che la verità potesse essere quella…

Batté con violenza un pugno sul vetro.

“Quella notte, quando Kris mi ha toccato, mi sono sentito…attratto da lui. E non posso negare che…che ancora adesso lo sono, ma…non riesco a capirne…il perché”.

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Capitolo 16
*** Ritrovarti ***


…Oppure hai iniziato a dire e fare cose che non voglio nemmeno provare a ipotizzare…

La frase pronunciata da Jude continuava a ripetersi nelle orecchie di Kris. Senza tregua. Una volta, due, tre…

Quante probabilità ci potevano essere? E poi…tutto si incastrava alla perfezione…il suo mal di testa, l’amnesia, l’atteggiamento di Price…tutto era possibile…ma…ma…

Tutto poteva anche non essere tale. Già…erano solo ipotesi…ipotesi.

“Non conta più nulla…”, si disse però, a bassa voce. Camminava lungo il marciapiede, lentamente, senza far caso a chi incrociava, a chi urtava. Stretta nella giacca a vento blu, nel freddo di quell’autunno, Kris non sembrava accorgersi del mondo esterno. Ormai, lo capiva sempre di meno. E desiderava solo una cosa, in quel momento…nascondersi, sparire. Confondersi tra gli altri. Confondere Kristian, ma anche Kristine. E sparire.

“…non voglio più nemmeno saperlo…la verità non cambierebbe le cose”.

Affondò le mani nelle tasche. Non si era mai sentita così confusa. Confusa dalle sensazioni, dai pensieri, dalle persone. E anche adesso, non era in grado di definire ciò che sentiva. Tristezza? Amarezza? Forse, ma non era così semplice. No, decisamente no.

Ora…ora lo poteva percepire chiaramente. Pesante come un macigno, Kristian gli opprimeva il cuore.

 

Infilò la chiave nella serratura della porta di casa. Chissà se Alex era già rientrato…ultimamente, il tempo che suo fratello trascorreva all’università era aumentato. Da un certo periodo, infatti, era completamente immerso nello studio, una cosa non certo da lui, visto che negli anni del Liceo era sempre stato uno studente più o meno discreto. Insomma, Kris ricordava bene come Alex Grover non fosse certamente quello che poteva esser definito un “secchione”. E adesso, improvvisamente, la cosa che faceva più spesso era invece dare esami su esami.

“Dovrei prendere esempio da lui”, mormorò, pensando al proprio rendimento scolastico con un filo di vergogna. Entrò nell’ingresso, e dopo aver richiuso l’anta, si sfilò la giacca.

Il salotto era deserto. E perfettamente in ordine, anche. Probabilmente suo fratello non era ancora ritornato, allora…

Diede un’occhiata in cucina, anch’essa lucida come uno specchio. Addentando una mela, uscì, dirigendosi quindi verso il piano superiore. Un’idea più che allettante era quella di chiudersi in camera, per dormire almeno dodici ore filate.

“Ecco, per l’appunto…dovrei studiare, ma non credo proprio che avrei la forza di tenere gli occhi aperti sulle equazioni goniometriche…”, borbottò Kris a se stessa, reggendosi al corrimano della scala con gli occhi socchiusi per la stanchezza.

Arrivata circa alla metà dei gradini, però, si bloccò.

“Quindi…alle 20.45? Ok…allora…ti raggiungeremo lì. Certo, appena Kris arriva glielo dico, sarà qui a momenti. Senti…”.

La voce di Alex, dopo un attimo di esitazione, si incrinò improvvisamente. Suo fratello era al telefono con Nicole, senza dubbio. E, senza dubbio, stavano parlando di una certa persona…

“*Keith…”, sussurrò Kristine, portandosi una mano alle labbra. “Arriva…arriva stasera?”.

A quella notizia, d’impulso, fece per correre a chiedere maggiori informazioni a suo fratello, ma dopo qualche istante cambiò idea. Certo, lei era felicissima del ritorno dell’amica, aveva aspettato quel momento da anni, ma…Alex…lui…

L’ ho molto delusa. Per lei sarò rimasto il quattordicenne egoista e viziato che ha conosciuto, e lo sarò per sempre.

Adesso che sta per realizzare il suo più grande desiderio, per me non c’è più posto…

Kristine chiuse gli occhi, addolorata. Perché…perché si era tenuto tutto dentro? Perché…non si era mai confidato con lei? Se solo lo avesse saputo…forse…non avrebbe sofferto per cinque anni, da solo…

Potrebbe anche avermi dimenticato, contando, poi, che in tutto questo tempo non ha mai chiesto una volta di me…

Mi sembra una prova sufficiente per dimostrare che non ne ha mai avuto bisogno.

Keith è forte, sa cosa vuole, l’ ha sempre saputo…

E io sono solo uno stupido bambino viziato che non ha mai dovuto lottare per avere ciò che desiderava.

Suo fratello era una persona meravigliosa, la migliore del mondo…e lei era assolutamente certa che anche Keith lo sapesse. Se Alex aveva agito così, era stato solo per paura di perderla…

“Lui sa quanto sono importanti i tuoi sogni…lo sa, Keith…”, pensò tristemente, gli occhi castani lucidi.

Alzò la testa. Poteva vedere il profilo di suo fratello, chino sul telefono. La bocca serrata, lo sguardo preoccupato, i folti capelli che gli ombreggiavano la fronte…quel giorno, parevano incredibilmente chiari, quasi dorati. Era così strano. L’immagine di Alex  alcune volte lasciava stupita Kris. Non sapeva spiegarne esattamente il motivo, ma…spesso, in lui poteva percepire un qualcosa di angelico, di trasparente, puro. Sembrando fragile, così fragile da far quasi tenerezza.

Keith, invece, era talmente diversa da lui…combattiva, determinata, sicura. Ombrosa, a volte, ma mai triste. Kris non riusciva a ricordare una sola volta in cui l’aveva vista piangere, non una. Era così buffo…entrambi, sia Keith che Alex, potevano essere paragonati a creature ultraterrene,  anche se l’uno era l’opposto dell’altra. Ma proprio per questo, si equilibravano.    

Chissà…chissà se sarebbe stato possibile ritornare come ad un tempo? Loro quattro…lei, Alex, Keith e Nicole…insieme…le risate, quella serenità che da tempo non aveva più provato, che nessuno di loro aveva più provato. Serenità che lei non riusciva quasi a ricordare.

Era durata così poco…pochissimo, in quella vita che sembrava portare via tutto…e sempre troppo in fretta.

E quella sera…sarebbe tutto finito, o ricominciato? Non poteva saperlo. Nessuno avrebbe potuto dirlo, prima del ritorno di Keith.

“…io non so se riuscirò ad affrontarla…Sì, sì…Nicole, hai perfettamente ragione. Sì…uff, è che…è passato così tanto tempo…”.

Il ragazzo sospirò ancora. Si passò una mano fra i capelli, poi la abbassò, mettendola nella tasca del cappotto nero che ancora indossava.

“Certo”, continuò poi, con tono abbattuto, rassegnato. “Ci vediamo a Narita per le 20.30, all’ingresso. Va bene, a più tardi”.

Riposizionò il cordless sul sostegno, senza dire più nulla. Dopo alcuni secondi si appoggiò al muro con un lento movimento, fissando l’apparecchio.

“Kei…”.

Socchiuse gli occhi, senza accorgersi che qualcuno stava salendo le scale. Solo quando Kris giunse all’ultimo gradino, Alex si girò di scatto verso di lei.

“K…Kris…non…ti ho sentito rientrare”, esclamò preso alla sprovvista il ragazzo, guardando la sorella con la paura che potesse avere ascoltato la conversazione. Tentò di sciogliere il nodo che gli si era formato in gola, poi sorrise.

Lei, vestita stranamente con dei jeans femminili, aderenti, e un lupetto blu oltremare, avanzò verso di lui con le mani dietro la schiena, allegra.

“Ehilà fratellino! Che succede? E’ strano trovarti a casa così presto…con chi stavi parlando?”.

Alex, un po’ sorpreso ma sollevato, tentò di sembrare di buon umore. Riuscire ad essere spontaneo era, però, una vera impresa…in particolar modo con sua sorella. Erano un libro aperto, l’uno per l’altro.

“Beh…”, iniziò, non sapendo esattamente come comunicarle la notizia. “Mi ha…telefonato Nicole. Sembra che la nostra Keith ritornerà stasera da Londra, per fermarsi un mesetto circa in Giappone, e…”.

“Ma è fantastico!”, esclamò con un grido Kris, senza lasciarlo finire. “Sul serio sarà qui stasera? Quando?”.

“Per le ventuno, circa, a Narita”.

“Benissimo! Allora dobbiamo prepararci in fretta per essere là in tempo!”. Entusiasta, Kris sorrise ad Alex, poi lo superò, per dirigersi verso la propria camera. Ad un  tratto, però, si fermò. Si girò di nuovo.

“Ehi! Che ne dici di passare a comprare degli *obanyaki, prima di andare all’aereoporto? Sono sicura che Keith non vede l’ora di mangiare qualche dolce giapponese, dopo cinque anni di cucina inglese! Però questo significa che dobbiamo uscire ancora prima…”.  Alex guardava la sorella con un sorriso appena accennato, forse contagiato dalla sua allegria. Invece, dopo aver chiuso per un attimo gli occhi, il ragazzo si rivolse a Kris.

“Sai tutto, non è vero?”.

Lei, che stava per aprire la porta della sua stanza, a quella domanda si bloccò. Un po’ era sorpresa…ma, dall’altra parte, sapeva benissimo fin dall’inizio che recitare la parte della Kris “ignara ed entusiasta” non le sarebbe riuscito bene. E comunque, in ogni caso, ci aveva provato.

“Sì, lo so. Da un po’ di tempo”.

Alex spostò ulteriormente lo sguardo. Ci fu silenzio per qualche secondo.

“Kris…mi disprezzi per quello che ho fatto? Ho…ecco, ho bisogno di saperlo”, chiese con un mormorio.

Kristine si avvicinò a lui e, arrivatagli davanti, cercò i suoi occhi. Era chiaro. Alex si sentiva meschino per come si era comportato, per come aveva deluso Keith. E ora, arrivato il momento in cui si sarebbe dovuto confrontare nuovamente con quel passato che per  anni aveva tentato di dimenticare, aveva paura. Paura di deludere ancora qualcuno, paura di non poter più correggere gli errori che aveva commesso…e lei poteva capirlo fin troppo bene. Il peso delle proprie azioni, purtroppo, spesso diventa insostenibile. Spesso, si è costretti a cedere…si è costretti a mostrarsi. A mostrarsi…

“Perché dovrei disprezzarti? Hai fatto ciò che ti ha detto il cuore. Tu volevi molto bene a Kei…lo so. E’ naturale che non volessi lasciarla andare. Se fosse capitato anche a me, con chi amavo…beh, mi sarei comportata allo stesso modo”, disse Kris dolcemente.

Ma Alex non sembrava volesse ascoltarla.

“E’…è tutto finito…”, sussurrò.

“No!”. Kris si aggrappò al bavero del cappotto del fratello. Perché…aveva così poca fiducia?

Il ragazzo fece una breve, amara risata.

“Sono sicuro che si sarà felicemente fidanzata con un londinese intellettuale e preciso…magari già laureato in qualche incredibile facoltà…”.

A quella frase, Kristine fissò Alex accigliata. Lasciò violentemente la stoffa, poi, con freddezza, riprese a parlare.

“E’ questo che pensi di Keith? Credi veramente che abbia potuto dimenticarti così per scegliersi un altro senza pensarci due volte?”.

Alex non parlò, ma lei attese la risposta senza aggiungere nulla.

“Non uno qualunque”, disse lui infine, avvicinandosi alla ringhiera della scala.

“Cosa vuol dire?”.

“Non…uno come me. Ma qualcuno alla sua altezza”.

Kris guardò Alex senza capire, e solo dopo un po’ comprese cosa intendesse. Ma certo…era questo il motivo dell’incredibile impegno che suo fratello stava dimostrando nello studio…voleva essere all’altezza di Kei? Essere…degno di lei? Alex…si era sentito inferiore…ora…ora era tutto chiaro…

La ragazza scosse il capo, poi alzò le braccia, aprendole.

“Non dimostrerai mai il tuo amore con dei voti alti a degli esami!”, gridò, facendo alcuni passi avanti. “Se vuoi davvero che Keith capisca che tu sei l’unico ragazzo che potrà mai starle accanto, dovrai fare ben altro! Il valore di una persona non dipende certo da cose del genere, anzi…mi stupisco che tu possa aver ragionato in un modo tanto stupido!”. Kris riprese fiato, poi continuò, cambiando però tono.

“Alex…”, disse piano, giungendo di fronte al fratello. Lo guardò. I suoi occhi verdi erano velati di pianto, il bel viso contratto dalla tensione. La ragazza allungò una mano, stringendo quella del giovane fra le sue dita, che chinò il capo.

“Kris…mi dispiace. E’ evidente che non sono per niente un buon fratello. Dovrei…dovrei darti il buon esempio in tutto, dovrei poterti consigliare e aiutare, essere forte e starti vicino, ma…credo di non sapere fare nessuna di queste cose…”. Alex, dopo aver tentato inutilmente di cacciare indietro le lacrime, iniziò a piangere silenziosamente.

Senza dire una parola, Kris lo strinse. Non aveva mai abbracciato Alex in quel modo. Anzi, di solito era sempre stato lui a consolarla…ma vedere il fratello in quello stato, così vulnerabile e sfiduciato, non poteva lasciarla indifferente. Era talmente strano, talmente triste…qualcosa che mai avrebbe pensato sarebbe potuto succedere, ma che, invece, era successo. In fondo, anche Alex era un essere umano, una persona che provava dei sentimenti, e che poteva sbagliare, soffrire. Come tutti. Già…proprio come era successo a lei, moltissime volte. E adesso, forse, era venuto il momento che fosse lei ad aiutare chi, nel corso della sua vita, le era stato vicino come nessun altro. Si allontanò dalla spalla del ragazzo.

“Non è assolutamente vero. Ascolta…per diciassette anni tu mi sei stato accanto, e sei stato il fratello migliore che avessi mai sperato di avere. Sei una delle persone più importanti per me, sei un punto di riferimento, e lo sarai sempre. Non ho potuto mai contare né su mamma, né su papà…ma solo su di te”. Gli sorrise, guardandolo negli occhi.

“Non sarà certo quello che è successo tra te e Kei a farmi cambiare idea…e poi, per una volta, i ruoli cambieranno. Quella che non è mai stata forte sono io, tu non mi hai mai chiesto nulla. Per tutto questo tempo, mi hai nascosto molto bene quello che era successo, e adesso voglio fare di tutto perché tu possa essere di nuovo felice. Agli errori si può rimediare, e la soluzione per il tuo è molto più semplice di quanto sembri. E io so che la conosci anche tu, basta solo un po’ di coraggio…”.

Stese l’indice della mano destra, appoggiandone la punta sul petto del fratello.

“…e io so che ce l’ hai, qui dentro”.

Il ragazzo guardò la sorella, forse un po’ sorpreso dalle  sue parole. Dopo qualche secondo alzò anche lui una mano, posandola sulla testa di Kris.

“Grazie, piccola”, mormorò affettuosamente.

Kristine ricambiò il suo sguardo, augurandogli, in quel momento, che tutto si risolvesse nel miglior modo possibile…se lo meritava. Senza dubbio, Alex si meritava questo e altro.

“Prego. Ma devi promettermi che lotterai fino alla fine per riconquistare Keith!”, esclamò, strizzandogli l’occhio. “D’accordo? Ti voglio vedere combattivo, passionale e convincente!”.

Alex Grover si lasciò scappare una piccola risata. Quanto adorava sua sorella…

Da quando erano arrivati a Fujisawa, sembrava essere diventata un’altra. Più decisa, più bella. Forse anche più silenziosa, e nell’ultimo periodo molto malinconica. Ma certamente, in ogni caso, molto matura. Kristine, in pochi mesi, aveva subito un radicale cambiamento…per motivi che, forse, si sarebbe decisa a confessargli presto. Ma fino a quando non fosse stata lei a parlare, spontaneamente, lui non le avrebbe più chiesto nulla. Ormai Alex aveva capito che quella in cui Kris si trovava, qualunque fosse, era una situazione in cui voleva andare avanti da sola, con le sue sole forze.

“Spero solo che anche tu non debba soffrire per troppo tempo da sola come ho fatto io…”, pensò, guardandola. Poi, diede un’occhiata all’orologio al polso, cercando di distogliere la mente dal passato.

Ogni cosa sarebbe finita bene. Sì, ogni cosa, per tutti…doveva convincersene.

E, soprattutto, doveva guardare al futuro. Solo a quello.

“Direi che è davvero meglio darci una mossa, che ne dici? Se no rischiamo di fare tardi!”, esclamò con un sorriso.

La ragazza annuì, sorridendogli a sua volta, felice di vederlo, finalmente, più sereno. Kris, adesso, era sicura che suo fratello avrebbe fatto di tutto per riavere l’amore di Kei. Ne era assolutamente convinta.

E Alex, prima di andare a prepararsi, non poté fare a meno di abbracciarla, un’altra volta.

 

Appoggiata ad un pilastro dell’ingresso dell’aeroporto di Narita, Nicole guardava verso le porte a vetri automatiche, a pochi metri da lei. Ormai sarebbero arrivati a momenti.

“Ehi, eccola lì!”, sentì infatti poco dopo, alla sua destra.

Kris e Alex stavano camminando velocemente nella sua direzione. La prima sembrava tranquilla e serena, mentre il fratello era chiaramente teso. A quanto pare, non era riuscito a tranquillizzarsi nemmeno un po’…

“Oh, ciao ragazzi”, disse Nicole, sorpresa . “Ma…siete qui da molto? Magari ho sbagliato a darvi l’orario…”.

“Oh, no, no!”, esclamò Kris,  agitando una mano. “Siamo noi che siamo arrivati in anticipo…così ho chiesto ad Alex di accompagnarmi a fare un giro nell’aeroporto, per passare il tempo. Ci sono un sacco di negozi interessanti…non c’ero mai stata”.

“Ah, capisco. Trovato qualcosa?”.

“Mh, no, purtroppo. Però abbiamo comprato degli obanyaki per Kei!”.

“Oh, bene! Sono certa che se li divorerà…mi ha detto che la cucina giapponese le è mancata”.

A quel punto, nessuno disse più nulla. Anche se il brusio continuo di sottofondo nell’ambiente, le chiamate dei voli e i messaggi diffusi dagli altoparlanti riempivano le teste dei ragazzi, sembrava che nell’aria aleggiasse un silenzio opprimente. Alex fissava il pavimento lucido senza alzare gli occhi, Nicole e Kris invece si guardavano, tentando di trovare qualcos’altro di cui parlare per rendere l’attesa meno snervante.

Ma proprio quando la ragazza dai lunghi capelli rossicci stava per proporre ai due di andare a prendere qualcosa al caffè dell’aeroporto, una voce femminile annunciò l’arrivo del volo di Keith, proveniente da Londra. Alex alzò di scatto la testa, girandosi verso la vetrata da cui si potevano vedere le piste.

Kris lo guardò tristemente, poi si avvicinò a lui.

“Coraggio”.

Il fratello rimase immobile, come se non avesse sentito nulla. Scrutava l’esterno, l’asfalto grigio, il cielo nuvoloso. Alcuni aerei, appartenenti a varie compagnie, erano posteggiati in file ordinate a qualche decina di metri dalle finestrature, altri stavano lentamente percorrendo determinati percorsi, un altro, in lontananza, rollava rumorosamente su una pista di decollo, pronto ad alzarsi in volo. Alex restò così per molto tempo, e sua sorella non osò dirgli altro. Solo una decina di minuti più tardi il gruppo si spostò davanti all’uscita del volo.

Passò parecchio tempo. “Ma quando arriva?”, mormorò Kris con uno sbadiglio. Continuava ad arrivare un fiume interminabile di persone, ma, di Kei, nemmeno l’ombra.

Nicole,  appoggiata alla ringhiera di metallo, guardò la ragazza.

“In effetti, è strano che non sia ancora qui…però, magari le sue valigie sono in ritardo…chi lo sa”.

“Aspetteremo”. Kris alzò le spalle, rassegnata.

“Mi è…venuta una sete incredibile. Scusatemi, vado al bar un attimo a prendere qualcosa”, esclamò ad un tratto Alex, dietro di loro, girandosi e scomparendo in mezzo alla folla. La sorella fece per raggiungerlo, ma Nicole la fermò, afferrandole un braccio.

“Lascialo andare. Credo che non ce la faccia più a reggere la tensione. E’ meglio così”.

Kristine sospirò. “Ok…”.

Le due ritornarono a controllare l’uscita. La gente si stava ormai diradando, e solo ogni tanto qualcuno oltrepassava le porte.

Passarono un altro paio di minuti, e proprio quando Kris aveva ormai perso ogni  speranza, davanti a lei e Nicole comparve una ragazza dal viso familiare, con al seguito un carrello carico di bagagli di ogni tipo e dimensione. Sembrava stanca, e si stava guardando intorno un po’ spaesata. Abbastanza minuta, magra, era alta forse poco meno di Kris, il viso dalla pelle chiara era circondato da lucidi capelli neri, e le ciocche scalate le sfioravano le guance. Lo sguardo, dagli incredibili occhi azzurri, era dolce ma allo stesso tempo penetrante, sicuro, quasi fiero. Il naso piccolo finiva a punta, e le labbra, sottili, erano coperte da un velo di rossetto scuro. Nessuno avrebbe mai detto che aveva solo diciotto anni, e il vestito blu che indossava sotto ad un’elegante giacca beige mettendo in risalto le belle gambe dalle caviglie sottili, non sembrava certo suggerirlo. Ai piedi, aveva delle comode ma femminili scarpe scure, con un tacco medio.

Appena la riconobbe, Nicole si portò le mani alla bocca, soffocando un grido di gioia. Gli occhi le si riempirono improvvisamente di lacrime. Erano cinque anni che non vedeva Keith…cinque interminabili, lunghi anni. Sembrava così diversa, così adulta, eppure…eppure era sempre la stessa. Anche con una sola occhiata, anche se era ancora distante, Nicole seppe che era rimasta come l’aveva lasciata. Era sempre lei, sì, la sua sorellina. La piccola, forte, coraggiosa Kei.

“Keiiith!” gridò Kris, alzando un braccio per farsi vedere dalla ragazza, dopo aver capito che l’amica, di fianco a lei,  non sarebbe riuscita a parlare ancora per un po’. “Kei, siamo qui!!”.

Sentendo quella voce, la ragazza bruna si voltò nella loro direzione, e dopo pochi secondi le vide tutte e due. Agitò la mano, sorridendo.

Camminò il più velocemente possibile, spingendo il carrello, e dopo aver girato intorno al corrimano in metallo, abbandonò i bagagli per correre ad abbracciare sua sorella e Kristine. Nicole si gettò su di lei, piangendo ormai apertamente.

“Kei…”, mormorò, stringendola. Non avrebbe mai creduto di poter commuoversi. Forse, però…forse non si era mai resa conto di quanto sua sorella le fosse mancata…e solo adesso, rivendendola, aveva potuto capirlo davvero… 

“Su, Nicky, non fare così”, disse invece l’altra dolcemente, affondando il viso nei profumati e folti capelli della ragazza. Le accarezzò il capo.

“Sono tornata, sorellina”.

Glielo disse piano. Aveva una voce molto particolare, dal timbro un po’ basso. Carezzevole ma profonda come quelle appartenente alle cantanti dei piano bar, che raccontano quei blues tremendamente belli e struggenti. Sì, la voce di Keith Henger era così. Soft, rassicurante, e calda come una coperta.

Kris, un po’ in disparte, rimase ad osservare in silenzio le due amiche. Era veramente, sinceramente felice per loro. Dopo tutto…tutto quello che avevano passato…dopo la loro difficile vita…l’una era per l’altra la sola cosa rimasta. Ed era evidente quanto si volessero bene. La cosa strana era che sembrava fosse Keith a fare da madre alla sorella, nonostante fosse più piccola di lei di dieci anni. Ma forse, dopo quello che aveva saputo da Nicole, non avrebbe dovuto stupirsi più di tanto dell’incredibile forza della piccola Kei. Una forza immensa, che sapeva trasmettere. Ed era questa la cosa più importante.

“Su, adesso smettila, o allagherai Narita!”, esclamò in tono scherzoso la ragazza, allentando l’abbraccio e guardando negli occhi Nicole, che intanto stava cercando di asciugarsi le guance.

“Ok, ok…mi sono ripresa, non preoccupatevi”, disse poi lei, alzando finalmente la testa e mostrando un bel sorriso alla sorella. Keith, mettendo le mani nelle tasche della giacca, rise.

“Ah ah, non credevo fossi di lacrima facile, Nicky. Non ti riconosco più, e sono passati solo cinque anni!”.

“Mh, in effetti, credo di essere peggiorata…”.

“Sì, di sicuro!”.

“E tu? Sembri un’altra!”.

“Ma dai…forse sarà l’aria londinese…ho sentito che fa sempre questo effetto!”.

“No, sul serio! Sei cresciuta tantissimo…siamo sicuri che non ci sia stato nessun errore? Guarda che ti rispedisco indietro!”.

Le due scoppiarono nuovamente a ridere. Poi, ricordandosi che non aveva ancora salutato Kris, Keith si girò verso di lei. Lontana dalle altre, la ragazza non aveva avuto il coraggio di interrompere le sorelle. Beh, doveva ammetterlo…un po’ si era commossa anche lei.

“Kristine…”, disse Keith, avvicinandosi. “Sei proprio tu? Dio mio…”. Allargò le braccia, e Kris fece altrettanto.

Rimasero abbracciate per un po’. Una volta sciolta la stretta, Kei prese le mani dell’amica fra le sue.

“Tu sì che non ti riconosco…ma…cosa hai fatto hai capelli?”.

A quella domanda, Kris si strinse nelle spalle, un po’imbarazzata.

“Si nota subito, eh?”.

L’altra sorrise. “Ecco…hai sempre tenuto moltissimo alla tua folta chioma…eh eh. Ero convinta che non te li saresti mai tagliati. Però stai veramente bene, devo ammetterlo. Sembri più grande”.

“Ahh, io sembro più grande, eh? Tu assomigli a una perfetta lady inglese!”.

“Ah ah! Non cominciare anche tu!”.

Mentre Kris e Keith chiacchieravano, Nicole andò a recuperare il carrello dei bagagli.

“Sbaglio o queste valigie sono il doppio rispetto a quando sei partita? Che hai fatto, hai svaligiato mezza City?”.

Kei ridacchiò. “Ma no! Semplicemente un sacco di cose non mi servono più, e in altre non ci entro da tempo ormai…eh eh. Così ho pensato di riportarle a casa. E poi sai che sono una frana a fare le valigie, credo di avere occupato il doppio dello spazio necessario! Beh, sì, comunque ho fatto parecchio shopping, se volete saperlo!”.

“Davvero?? Spero che tu ti sia ricordata di noi, allora!”, esclamò Kris allegra, attaccandosi ad un braccio della ragazza.

“Ma certo! Ho mille souvenir da distribuire a tutti!”.

“Che bellezza!”.

“Eh eh, come potevo scordarmi di voi?”.

Continuarono a parlare. Nessuna delle tre si era però accorta di chi, già da parecchio tempo, le stava osservando senza dire nulla, distante qualche metro. In piedi, due bibite in lattina nelle mani, Alex Grover guardava in particolar modo una di loro.

Kris si girò prima delle altre, avvertendo qualcosa.

Anche se Alex era lontano, la ragazza vide brillare i suoi occhi di lacrime.

“Ke…Keith”. Solo un sussurro. Ma che lei udì lo stesso.

Anche le due sorelle si voltarono. Nicole trattenne il fiato, scambiando un’occhiata con Kristine. Lei fece un breve cenno con la testa. Il momento era arrivato…

Gli occhi color cielo di Kei si mossero lentamente. Poi, arrivati a incrociare quelli di Alex, si fecero più tristi.

“Sei tu”.

 

La luce delle candele illuminava fiocamente il viso di Oliver Hutton, che, appoggiato con i gomiti sul tavolo, fissava perso in chissà quali pensieri le fiamme dorate che si agitavano piano davanti ai suoi occhi. Intorno a lui, un parlottare sommesso, tintinnii di posate, bicchieri e una discreta musica da camera riempivano l’aria.

“Scusami”, disse ad un tratto una voce. Holly alzò lo sguardo, sorridendo alla ragazza dai corti capelli scuri che, fasciata da un corto abito rosso dallo scollo a v, si stava sedendo di fronte a lui, dopo aver avvicinato la sedia al tavolo.

“Certo che voi donne ci mettete sempre un secolo in bagno”, la prese in giro il ragazzo.

Patty rise. “Ma pensa, e da quando ti lamenti per queste cose? E poi…’voi donne’…come se avessi avuto a che fare con l’intero genere femminile!”.

“Oh, beh…”.

“Dai, lascia perdere…mmh, piuttosto, da quando sei così romantico?”.

“Uh?”. Hutton arrossì di colpo. “Hem…per…perché?”.

La ragazza si guardò intorno. “Perché? Mi hai invitata fuori a cena in questo ristorante stralusso…a lume di candela…e la cosa è davvero molto strana…non è che mi stai nascondendo qualcosa?”.

Il capitano della New Team, per l’occasione vestito in giacca e cravatta, girò la testa, fingendosi offeso.

“Uff…non ti nascondo nulla. Per una volta mi comporto come dovrebbe fare un vero fidanzato…e per te ci deve essere per forza qualcosa sotto…”.

“Ahhh, vedi che ammetti che non sei romantico? ‘Per una volta’…”.

“Patty, ma possibile che stasera devi ripetere tutto quello che dico? Non…”.

“Però sono tanto felice”. Glielo disse sporgendosi in avanti di una decina di centimetri, sfiorando una delle candele accese.

Holly la guardò, rendendosi conto di stare notevolmente sudando. Da…da quando Patty sorrideva in un modo così dolce?

“Accidenti…”. Deglutì.

Resi luminosi dalla luce delle candele, guardò i suoi occhi scuri, grandi quel tanto che bastava per perdercisi. Guardò il suo lungo collo bianco, circondato da una sottile catenina dorata…le spalline sottili dell’abito, e…e anche quella scollatura vertiginosa…beh, ecco…forse non lo era affatto, o forse…solo un pochino, ma…ma…la verità era che Holly non si era mai davvero reso conto di quanto Patty potesse essere…femminile. Incredibilmente femminile. E sensuale…

Ogni suo gesto, quella sera…

Ogni suo gesto…era così…così…

Così…

Fortunatamente per Holly, in quel momento, il cameriere arrivò di fianco a loro. Con grande cura, appoggiò davanti ad ognuno un piatto colmo di ogni tipo di antipasto.

Il ragazzo abbassò di colpo lo sguardo, rimanendo in silenzio, sempre più in imbarazzo. Per quanto si sforzasse, si sentiva sempre un perfetto imbecille in certe situazioni…lo doveva ammettere. Molte volte avrebbe voluto poter chiedere consiglio a Julian, che di sicuro ne sapeva molto più di lui su questo genere di cose, le ragazze e tutto il resto…

“Possibile che tutto mi vada meravigliosamente bene solo sui campi da calcio?”, pensò.

Patty, intanto, accortasi dello stato d’animo di Holly, rideva fra sé e sé. Tornò ad appoggiarsi allo schienale della propria sedia. Sapeva bene quanto il suo ragazzo fosse impacciato nelle questioni di cuore…non per niente aveva dovuto aspettare parecchi anni prima che si svegliasse, e si rendesse conto che oltre al pallone esisteva anche lei. Poteva considerarsi senza dubbio una santa…però, dopotutto doveva ammettere che adesso le cose stavano decisamente migliorando.

Diede un’occhiata all’ambiente intorno a loro, poi al candeliere posto in mezzo alla tavola…infine, al suo calciatore prediletto, davanti a lei. Il grande Oliver Hutton, la rivelazione del calcio giovanile, un fuoriclasse a livello mondiale…in giacca e cravatta. Certo che, nonostante tutto, faceva la sua figura.

Ridacchiò. Mh, sì, forse ne era valsa la pena aspettare tanto. Decisamente. 

Sorrise ancora, compiaciuta, decidendo di evitare, per ora, discussioni che avrebbero potuto mettere il povero Holly troppo in crisi. Ci sarebbe stato tempo per migliorare quel piccolo aspetto della loro relazione…e molti, molti altri aspetti…

“Mh, sembra buono”, disse quindi, cambiando volontariamente discorso. Hutton rialzò lo sguardo su di lei, sorpreso.

“Eh?”.

“Quello…quello che hai nel piatto, Holly”.

“Ah…già…”.

I due iniziarono a mangiare. Patty cercò di trattenersi per non scoppiare a ridere un’altra volta, riuscendoci anche se con molta difficoltà. Beh…insomma, meglio ridere che piangere, alla fin fine. E poi, quando Oliver si imbarazzava diventava distratto e imbranato. Era un vero e proprio spettacolo stare a guardarlo…

Nel prendere il sale, infatti, rovesciò la bottiglia dell’acqua. La ragazza si coprì la bocca con una mano.

“Scusa…”. Holly tentò di rimediare al danno, ma senza grandi risultati.

“Ehm…no, nulla…”.

Dopo un attimo di smarrimento, il capitano della New Team riprese in mano la forchetta. Calò il silenzio per alcuni minuti.

“Senti…come vanno le cose in squadra?”.

Una domanda qualunque perché ci fosse un qualunque dialogo…tutto ciò che riguardava il calcio o la New Team produceva un sicuro effetto su Hutton. Questa era una delle poche cose di cui era sicura…

A quella domanda, però, il ragazzo si incupì inaspettatamente.

“Beh…”.

Patty addentò una tartina. Strana reazione, pensò.

“E’ successo qualcosa che non so?”, chiese.

“No…non proprio, però…”.

“Però?”.

“Ecco, sono preoccupato per alcuni dei ragazzi”.

“Ah…”. Patty lo guardò, sinceramente sorpresa. Sembrava proprio preoccupato.

Lui sospirò, poi bevve un sorso d’acqua.

“Non capisco cosa stia succedendo. Ecco…Benji è diventato scostante, freddo, silenzioso. Tom, invece…beh, lui è sempre giù di morale, e distratto. Infine, Kristian, dalla partita con la Artic, è diventato insicuro, lento nei movimenti, pensieroso. E lui e Benji non si parlano praticamente più, mentre prima erano così amici…è chiaro, fra quei tre c’è qualcosa non va”.

“Mhh…”. La ragazza appoggiò una mano al viso, giocherellando con un lembo della tovaglia con l’altra. 

Era la prima volta che gli capitava di vedere Holly in pensiero per qualcuno della squadra. Oh, beh, alcune volte i ragazzi potevano essere sfiduciati e abbattuti per una partita andata male, e lui puntualmente riusciva a risollevarli con solo poche parole d’incitamento, ma…in questo caso la questione era molto differente. Per problemi di tipo personale, Holly, il grande capitano, non poteva fare molto.

“Un po’ di tempo fa mi avevi detto che Tom non stava troppo bene, in effetti”, proseguì quindi. “Anche a me non sembrava il solito”.

“Già. Ma non poteva dirmi niente, quella volta…uff, non mi piace vederlo così”.

Patty allungò un braccio, stringendo le dita del ragazzo fra le sue.

“Senti…penso che abbia delle buone ragioni per non dirti nulla”.

“Sì, lo so…”.

Rimasero per un po’ in silenzio. Oliver guardava la mano di Patty sulla sua, che, senza quasi accorgersene, si ritrovò a tenere stretta più saldamente. La manager della New Team ebbe un sussulto. Forse Holly si sentiva impotente, incapace di fare qualcosa per aiutare i suoi amici…e questa era una situazione completamente nuova per lui. Una situazione che non riusciva a reggere, perché non poteva capire.

“Non puoi pretendere di poter risolvere sempre tutto”, mormorò così, cercando di guardarlo negli occhi. “Ci sono cose che Tom, Benji, Kris devono sistemare da soli…tutti abbiamo dei problemi personali, che non possiamo o non vogliamo condividere con gli amici. Spesso lo si fa anche per non farli preoccupare, o perché non potrebbero comunque fare nulla”.

Hutton sospirò nuovamente, poi fece un lieve sorriso.

“Forse…hai ragione”.

Anche Patty sorrise, soddisfatta. Beh, almeno a qualcosa la sua presenza serviva, pensò. Tirare su di morale Holly, una cosa piuttosto rara, ma che a quanto pare poteva anche succedere.

“Mhh, che ne dici di ordinare il primo?”, esclamò con voce allegra, aprendo il menù che il cameriere aveva prima appoggiato di fianco a loro. Sì, sembrava che Holly stesse meglio, adesso. E anche lei era decisamente risollevata. Un Holly malinconico e preoccupato non era il vero Holly…e per un attimo doveva ammettere di essere stata presa dal panico.

“Vediamo…”.

Ma il ragazzo non si era mosso. Presumibilmente, stava continuando a fissarla.

Patty alzò gli occhi dai fogli plastificati. Che cosa gli era preso adesso? 

“…Holly?”.

Senza dire una parola, il capitano della New Team si sporse lentamente verso di lei e, dopo aver spostato il candeliere alla sinistra del tavolo, la baciò. La baciò a lungo.

“Grazie…”, le mormorò poi, staccandosi di pochi centimetri e non smettendo di guardarla.

L’altra, non sapendo bene se essere profondamente shockata o felice come una pasqua, si limitò a balbettare una breve risposta.

“P…prego”.

Sì, Oliver Hutton stava proprio migliorando. E sapeva anche stupirla, qualche volta. Piacevolmente stupirla.

 

 

*NOTE

 

obanyaki: focacce dolci farcite di marmellata di fagioli azuki, prima cotte al vapore e quindi arrostite su una piastra.

 

Il nome di Keith Henger: non l’ho detto nei capitoli precedenti, e in realtà non so nemmeno se lo dirò in modo chiaro nei prossimi. In molti credo che si saranno chiesti come mai la sorella di Nicole ha un nome maschile, perché in effetti ‘Keith’ lo è. Il fatto è che il suo personaggio è nato dal nickname di una mia cara amica, che lo usava perché così si chiamava la sua rockstar preferita (credo che in molti indovineranno chi è…^^;). Quindi l’ho lasciato così…perciò potete pensare che Keith, sorella di Nicole, abbia in realtà un altro nome, come Katherine, che poi ha  deciso di abbreviare facendosi chiamare Keith (Kate non le piaceva! ;P).

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Capitolo 17
*** Interessi Pericolosi ***


“Che diavolo è tutta questa roba?!?”.

La voce vagamente alterata di Mark Landers risuonò nell’aria, arrivando chiara e nitida fino in soggiorno.

“Eh?”.

Miki sollevò gli occhi dall’ultima delle ventiquattro riviste sportive che aveva esaminato attentamente per più di due ore. Buttò la testa all’indietro, facendola sporgere dal bracciolo del divano su cui era distesa.

“Di che parli?”, domandò quindi. Lanciò uno sguardo verso il corridoio, togliendosi gli occhiali e stiracchiandosi con uno sbadiglio. “E’ tutto il giorno che ti lamenti per ogni cosa, cuginetto…perché non provi a rilassarti un po’? Ti farebbe sicuramente meglio di continuare ad urlare…”, continuò pacata.

Si sentì qualcosa di simile ad un tonfo, seguito da un fiume di parole irripetibili. Poi, dopo pochi secondi, il cannoniere della Toho apparve sulla soglia del salotto.

“Rilassarmi? Come faccio a rilassarmi quando quel delizioso avvocato di sesso femminile che è la tua amica non fa altro che riempirmi il bagno di creme, profumi, shampoo, cosmetici e detergenti per la pelle, nonché di batuffoli di cotone e detestabili spugnette dai toni pastello?!?”. Mark, completamente nudo se non per un corto asciugamano bianco stretto alla vita, fissava la ragazza ansimando, un braccio alzato che indicava il corridoio.

Miki rimase un attimo a guardarlo a sua volta, ancora sdraiata, poi si alzò di scatto. Fece un fischio d’ammirazione.

“Uella, complimenti…”, commentò, scrutando le forme perfettamente modellate di Mark con un certo interesse. “Se ti vedesse Martha…ah, sul serio, è un peccato che tu sia mio cugino…”.

Lui avvampò, affrettandosi a controllare che l’asciugamano fosse al suo posto. Per un attimo aveva dimenticato che stava per andare a farsi la doccia.

“Senti, adesso non cambiare discorso!”, disse agitato, ringraziando il cielo che quel pomeriggio Maki fosse stata trascinata fuori dalle altre due svitate, desiderose di fare un giretto nella zona. Di certo, se fosse stata presente, a quest’ora ‘La Tigre’ sarebbe già finita spalmata dolcemente sul muro intonacato da poche settimane.

“Ha spostato tutte le mie cose, dio solo sa dove le ha messe…prima cercavo il rasoio, e ci è mancato poco che mi facessi la barba con la ceretta! LA CERETTA, CAPISCI?!? Ha riempito i cassetti di cerette e assorbenti!! E poi…poi…QUESTO SCHIFOSO PROFUMO ALLA VANIGLIA SPARSO PER LA CASA!! IO ODIO LA VANIGLIA!!”.

Miki assistette tranquilla all’intera sfuriata senza pronunciare una parola. Alla fine, quando Mark si passò una mano fra i capelli, esasperato, lei sorrise.

“Si vede che non hai mai avuto a che fare con le donne, eh?”.

“Cosa??”.

“Ma sì…dai, quella Maki non si può definire ‘donna’… andiamo…è un po’ manesca, magari è un uomo e nemmeno lo sai…”.

“COSA?!?”.

“Ok, ok, scherzavo…”.

Miki si diresse nuovamente verso il divano, mentre il ragazzo dai lunghi capelli corvini tentava a fatica di reprimere il primitivo impulso di assalirla alle spalle e strozzarla. Strinse i pugni lungo i fianchi fino a far diventare le nocche bianche, poi, con un profondo sospiro, decise che forse non ne valeva la pena. E poi, in fondo, era l’unica cugina che aveva.

Si girò, e fece per tornare verso il bagno.

“Ehiiii, e questo chi è?”, squittì in quel momento Miki, facendo voltare Landers di scatto.

“Che c’è ancora??”, gridò, nervoso.

La giornalista rimase ad esaminare la rivista che aveva ripreso in mano ancora per un po’, poi guardò il cugino, mostrandogli la pagina che stava fissando.

“C’è che questo qui non l’ho mai visto…è così bello che non sembra nemmeno un calciatore. A prima vista, avrei giurato che fosse uno di quegli idol che vanno tanto di moda qui in Giappone. Pare piuttosto famoso, eppure non mi risulta uno dei membri della Nazionale…mi sembra impossibile che mi sia sfuggito…mhh, aspetta, si chiama…”.

“Kristian Grover”, disse però Mark, anticipandola. Si avvicinò a lei, strappandole il giornale dalle mani.

Fissò l’immagine stampata in mezzo alla pagina con due occhi glaciali.

“Lo conosci?”, domando lei.

“Già”.

“E come mai è tanto celebre?”.

Gli occhi del ragazzo si strinsero fino a diventare due fessure.

“Puah…”.

Notevolmente infastidito da quella visione, Mark lanciò violentemente la rivista sul divano, immediatamente recuperata dalla cugina che ritornò a guardarla con grande interesse.

“Ha solo avuto la…grande fortuna di sostituire Benji Price per buona parte di questo campionato. Tutto qui. Come suo sostituto, si è guadagnato la fama senza faticare…”.

Miki restò un attimo in silenzio. Lesse qualche riga dell’articolo dedicato a Kristian, dopodiché sorrise.

“E poi?”.

“E poi cosa?”

“Non è che forse è anche bravo?”.

Landers la fulminò con un’occhiata. “Bravo?? Ma non farmi ridere…fra lui e Price c’è un abisso…ho assistito all’ultima partita in cui ha giocato, ed è stata una delle cose più penose che ho visto nella mia vita!”.

“Veramente qui c’è scritto che è una vera rivelazione…mh, per l’esattezza: ‘Kristian Grover, 17 anni, stile elegante e un’incredibile agilità: Benji Price non si fa certo rimpiangere, la New Team corre verso il titolo insieme alla rivelazione dell’anno…’ ”.

Lui sbuffò, per poi scomparire oltre il corridoio.

La ragazza dai corti capelli castani riprese invece a leggere, appoggiandosi al bracciolo del divano.

“E’ solo un ragazzino arrogante e presuntuoso!”, esclamò intanto il calciatore da una delle stanze della casa, con tono sempre più scocciato. “Il suo bel faccino pulito dalla pelle liscia e candida mi fa solo venir voglia di riempirlo di pugni… mi chiedo dove diavolo l’abbiano trovato quelli della New Team…sicuramente è un amico di Hutton o del suo inseparabile cagnolino Becker…”.

Miki annuì distante, continuando  a girare le pagine patinate una dopo l’altra, sempre più concentrata.

“Mh…”.

“Da un certo punto di vista non vedo l’ora di poter giocare contro Grover solo per questo…”, proseguì Landers, rientrando in soggiorno con addosso un paio di vecchi jeans scoloriti. “Certo, preferirei Price come avversario, mi sembra chiaro, ma anche dare una lezione a degli insulsi novellini come quel Grover è qualcosa di altamente allettante…”. Si allacciò il bottone sopra alla zip, poi fissò Miki, ancora persa nella lettura.

“Perdi solo del tempo interessandoti a quello lì”, le consigliò, notando che era ancora ferma all’articolo su Kristian.

La cugina alzò la testa.

“Sai nient’altro di lui?”.

“No”.

“Ah…”.

“Perché?”.

Lei lo guardò per un po’, pensierosa, poi scosse il capo. Tornò alla pagina.

“Beh…pare che di Grover si sappia davvero poco…qui dice che lo stesso Kristian odia parlare di sé, ed evita le interviste. Non gli piace farsi riprendere e fotografare, trascorre pochissimo tempo con i compagni anche se con tutti va splendidamente d’accordo…in particolar modo proprio con Tom Becker”.

Il ragazzo mise una mano in tasca.

“Farà lo schifoso snob proprio come il suo maestro Price…gli avrà insegnato anche questo, evidentemente. E comunque, sai cosa me ne frega...”.

Miki sorrise. Posò la rivista sul tavolino, poi si voltò ancora verso Landers.

“Markuccio…”.

L’espressione che il ragazzo aveva già visto pochi giorni prima, quando la cugina l’aveva scongiurato di ospitare Martha e Valery per un po’, spuntò nuovamente sul viso della giornalista. E la cosa terrorizzò Mark…profondamente.

“No, no e ancora no…qualunque cosa sia…”, esclamò, fissando con una certa ansia il faccino-da-cerbiattina di Miki, che intanto avanzava in modo preoccupante verso di lui.

“Questa volta non ti costa nulla…non ti puoi tirare indietro!”.

“T'HO DETTO DI NO!”.

“Come preferisci…allora dico a Martha che stanotte può entrarti nel letto con il delizioso completino che ha comprato in quel Sexy Shop di Amsterdam la scorsa estate…e visto che Val ha *casualmente* l'hobby della fotografia potrebbe...mhh, che so, scattare un paio di foto da mostrare ad una certa ragazza molto violenta di tua conoscenza...capelli rossi, parecchio gelosa...ti dici niente?”.

La faccia di Mark, a quelle parole, assunse un aspetto indefinibile.

“OK, COSA DIAVOLO VUOI?” gridò infine, incenerendola con un’occhiata. Il calciatore respirava a fatica.

“Ohh, così ragioniamo”. Miki era notevolmente soddisfatta. “Benissimo…allora, semplicemente…”.

Riprese in mano la rivista, aprendola sulla pagina dell’articolo dedicato a Kris. La alzò verso Mark, indicandola.

“Domani mi devi portare a Fujisawa. Voglio assistere ad un allenamento della New Team, e fare qualche domanda a Grover”. Fece un altro piccolo sorriso.

“Giusto per conoscere un po’ meglio la misteriosa star del momento”.

 

“E adesso passiamo alle principali notizie del giorno…”.

Una mano uscì lentamente da sotto le lenzuola bianche per allungarsi verso il comodino di fianco al letto, e cercare il regolatore del volume della radio. Dopo alcuni vani tentativi, però, il corpo nascosto dalle coperte si stufò di andare a tentoni.

Scoprendosi nervosamente, Tom Becker fece un profondo sospiro. Rimase fermo a guardare il soffitto, il petto dalla carnagione chiara che si alzava e abbassava al ritmo del suo respiro.

Girò la testa per dare un’occhiata fuori dalla finestra. Dopo tanti giorni, finalmente sembrava essere tornato un po’ di sole. Peccato, però,  che il cambiamento del tempo non coincidesse con quello del suo stato d’animo…

Anzi. Da “male”, in solo una serata era variato in “notevolmente male”.

Chiuse con stanchezza gli occhi color nocciola, poi si alzò leggermente dal materasso, per raggiungere con le dita la radio dalla forma circolare che continuava, noncurante dei suoi pensieri, a trasmettere le più o meno deprimenti notizie di quella mite mattina di fine novembre.

Dopodiché, Becker tornò a stendersi, ma proprio poco dopo essersi ritirato le coperte fin sopra al naso, qualcuno bussò alla porta della sua camera.

“Tom…”. Era la voce di suo padre. Sembrava preoccupato. “Tom…sei sicuro di non voler andare a scuola?”.

“Sì…non…mi sento molto bene stamattina”, rispose con un mormorio il ragazzo, girandosi di schiena rispetto all’anta chiusa.

“Come vuoi, allora. Rimani pure a letto a riposare…se hai bisogno di qualcosa sono in veranda a finire il quadro”.

“Certo, grazie papà”.

Il numero undici sentì i passi dell’uomo allontanarsi. Con un altro sospiro, affondò la guancia nel cuscino.

Di certo non sarebbe cambiato nulla decidendo di non uscire, quel giorno. Ma non era dell’umore per stare a scuola, per parlare, per incontrare della gente. No. Aveva bisogno…di pensare.

Sì, di pensare...cercando, allo stesso tempo, di non scoppiare a piangere come un bambino.

Poi…lui…mi ha continuato a toccare, e…mi ha detto…che…che mi amava.

Perché.

Per tutta la sera se l’era chiesto.

Per tutta la notte.

Perché…

Perché Kris si era innamorata di Price?

Perché di Benji…

E non di lui?

Cosa…cosa aveva in più, Benji?

“Tutto”, si rispose Becker con un sussurro, subito dopo, nascondendo il viso nel braccio. “Tutto. Ecco cos’ha in più di me…ha tutto quello che Kris cerca in un ragazzo…ha fascino, è determinato, forte, carismatico…e le è stato più vicino…di quanto non le sia stato mai vicino io…”.

Si strinse nelle spalle.

Ho visto quanto eravate diventati amici. E’ innegabile che fra di voi c’era un feeling…

Ma non parlo di un affiatamento che può legare una coppia.

Era…qualcosa che andava oltre, qualcosa…che non ho mai visto prima fra nessuno.

Come gli era venuto in mente di dire quelle cose? Come aveva potuto riconoscere…riconoscere che l’intesa esistente tra Kris e Price era perfetta? Come?

Kristine…quella sera…aveva deciso di rimanere a dormire da Price…e gli aveva confidato i suoi problemi…

Si sarebbe…comportata nello stesso modo con lui? Gli avrebbe parlato a cuore aperto, così come aveva fatto con Benji?

Il ragazzo chiuse gli occhi, poi li riaprì, lasciandoli socchiusi. Rimase a fissare una piastrella del pavimento della sua camera, poco distante dal letto, su cui si rifletteva un raggio di sole.

Forse…

Forse, semplicemente, l’aveva riconosciuto perché…era vero.

Perché l’aveva sempre saputo, perché se n’era accorto fin dall’inizio, anche se non aveva voluto ammetterlo. Quando aveva ritrovato Kris, aveva avuto bisogno di una speranza…di un appiglio al quale aggrapparsi, per convincersi che non l’avrebbe persa di nuovo. In fondo, Kristine avrebbe dovuto rimanere nascosta, legata all’identità di Kristian, e quindi Price sarebbe stato in ogni caso irraggiungibile per lei…sarebbe rimasto solo un allenatore, una figura dalla quale imparare, e stop.

Lui, invece, Tom Becker, avrebbe rappresentato il suo vecchio, caro amico.

L’amico ritrovato, l’unico al quale potersi confidare…

E che sarebbe diventato molto più, col tempo. Sì, di questo Tom si era inconsapevolmente convinto, ingenuamente convinto, in tutte quelle settimane, in quei mesi. E invece…

Come aveva potuto?

Era stato uno stupido…si era illuso, solamente illuso…

Ma la cosa peggiore, era stato ciò che aveva sentito alla fine. Di sicuro.

C’è un altro motivo per il quale ho trattato Kristian a quel modo.

Quella frase…sì, l’aveva distrutto.

Quella notte, quando Kris mi ha toccato, mi sono sentito…attratto da lui.

Dio…

E non posso negare che…che ancora adesso lo sono, ma…non riesco a capirne…il perché.

Benji sa che Kris è una ragazza…non l’ha ancora capito, ma dentro di sé lo sa…

Lo sa.

No...questo è solo un brutto sogno.

Un orribile incubo.

“L’unica ragazza che io abbia mai amato davvero…lei…”.

Con uno scatto si mise a sedere sul letto. Alcuni ciuffi dei lisci capelli castano chiaro gli ricadevano sugli occhi. Ormai, erano diventati lunghi. Uno di quei giorni si sarebbe dovuto decidere, e andare a tagliarli…

Senza che se ne accorgesse, una lacrima gli era scesa su una guancia.

Tom si portò una mano al viso e, dopo aver passato le dita sulla pelle bagnata, la abbassò di nuovo, guardandola.

“Dovrò farmi vedere. Da tutti”.

Saltare la scuola non era un problema, ma…non avrebbe potuto saltare gli allenamenti.

Né quelli con la squadra, né quelli fissati la sera, con Kris.

Quegli allenamenti che Price gli aveva incaricato di dirigere al suo posto.

Tom sorrise.

“Forse Benji sta peggio di me. Anzi, di sicuro. Posso capire come il suo orgoglio si sia rifiutato di accettare una cosa simile…magari, crede addirittura di essere diventato gay. Ma io…”.

Raccolse le gambe, ancora nascoste sotto le lenzuola, al petto nudo. Le circondò con le braccia, appoggiandovi sopra il mento.

I suoi occhi, lucidi di pianto, tornarono a guardare davanti a sé, verso i raggi del sole che, lentamente, stavano inondando la sua stanza.

Non poteva dimenticare che anche Kris, in quel momento, stava soffrendo. Stava soffrendo perché non conosceva la verità…

E lui…sapeva che aveva il dovere di raccontarle ogni cosa.

Kris, ne aveva il diritto.

Però…

 

Era veramente strano camminare in pieno novembre immersi in quell’aria piacevole, sotto ad un sole così caldo.

Kristine sollevò il viso al cielo finalmente azzurro, inspirando a pieni polmoni l'aria fresca di quel pomeriggio. Si sentiva bene, meravigliosamente bene, dopo tanti giorni trascorsi nella tristezza più nera. Non avrebbe creduto che le cose potessero migliorare solamente con il ritorno di Kei...il suo stato d'animo era infatti sceso ad un livello di depressione estrema, quando Price aveva iniziato a trattarla freddamente.

Le aveva fatto male. E ancora la ferita sanguinava, dentro di lei, copiosamente.

Non si poteva cicatrizzare...non ancora almeno. Ma di sicuro, forse merito del sole di quella mattina, o della meravigliosa notizia che il reincontro fra suo fratello e Keith sembrava aver avuto un esito più che positivo, Kris aveva acquistato la forza necessaria per accantonare i suoi problemi in un angolo. Per un po’.

"Ciao".

La ragazza, che si stava dirigendo verso il campo d'allenamento come ogni pomeriggio, si girò verso il proprietario della voce che l'aveva appena salutata.

Becker, appoggiato al muretto del parco che Kris stava costeggiando, la stava guardando con un'espressione indefinita. Indossava un paio di jeans e una camicia bianca, alla mano aveva il borsone da calcio.

"Tom...mi stavi aspettando?".

"Come ho sempre fatto, mi pare".

"Ah...sì, certo". Per un attimo, non seppe cosa dire. Rimase come imbambolata, a fissarlo.

Era come se non vedesse Tom da moltissimo tempo...anche se in realtà l'aveva lasciato solo il giorno prima, a quel caffè, con Jude.

Già, al caffè. Quella conversazione...

Quelle ipotesi.

E poi...lei se n'era andata. Senza dirgli nulla.

E forse…

Forse Becker si era preoccupato...

"Mi sembri allegra. Ne sono felice", disse lui ad un tratto, distogliendola dai suoi pensieri.

"Eh? Sì...sì, insomma...sto meglio", balbettò lei in risposta, correndogli di fianco. Tom aveva iniziato a incamminarsi verso il campo, lasciandola indietro.

"Sai...ieri è arrivata la ragazza di mio fratello, da Londra" continuò poi, sorridendo. "E' stata via per cinque anni e...beh, abbiamo fatto una piccola festa per il suo ritorno. E’ una mia cara amica".

Il ragazzo si coricò il borsone in spalla, tirandosi indietro alcuni ciuffi di capelli castani con una mano.

"Ah, ora capisco tutto".

"E tu?".

"Cosa?".

"Come stai?".

Tom continuò a guardare davanti a sé.

"Ci siamo visti ventiquattro ore fa, Kris".

Il portiere abbassò gli occhi, sentendosi inspiegabilmente in colpa.

"Lo so. E' per questo che te lo chiedo".

Un paio di moto dalla marmitta rumorosissima passò di fianco a loro, costringendoli a rimanere in silenzio per alcuni secondi. Quando si furono allontanate, Becker riprese a parlare.

"Ti preoccupi troppo per me, Kris. E' tutto okay, ero un po’ in pensiero per te...ma a quanto pare ti sei ripresa".

Kris si morsicò il labbro inferiore, lo sguardo ancora puntato sulle scarpe dell'amico.

"Non è vero, è esattamente il contrario. Mi preoccupo troppo poco per te, invece. Tu...fai sempre tanto, mentre io...beh...". Alzò le spalle. "Nemmeno me ne accorgo, quasi".

A quella frase, Tom la guardò, rendendosi improvvisamente conto di quello che stava facendo.

Perché si stava comportando così?

Come un ragazzino offeso...le stava tenendo il muso.

Perché ti sei innamorata di Price?

"Tom...scusami".

Il calciatore rimase un pò zitto, poi le sorrise tirato.

Era indubbiamente difficile continuare a tenere lo stesso atteggiamento di prima, con lei. Ma doveva sforzarsi. Doveva. Oppure, l'unica altra soluzione sarebbe stata quella di raccontarle tutto...sì, si era già promesso di farlo, quella mattina. Raccontargli di quella notte, della reazione di Price...

Sì, della sua...

Reazione...

Di quello che aveva provato...

Attratto.

"No...scusami tu, sono io che oggi sono un po’...strano".

Kris annuì.

"Capisco".

No. Non...non glie l'avrebbe detto. Era meglio, per lei. Se l'avesse saputo, cosa sarebbe cambiato? Avrebbe solo sofferto di più. Kris, di certo, non avrebbe potuto rivelare a Price di essere una donna. No, doveva...lei doveva... realizzare il suo sogno...

Era sicuramente meglio così.

Sì...

Mi ha detto che mi amava.

Ed io mi sono sentito attratto da lui.

Attratto.

"Forse è meglio sbrigarci".

"Ah, sì". Tom cacciò una mano nella tasca dei jeans. Ricominciarono a camminare, uscendo da un lungo viale alberato. Sopra le loro teste, le vaste fronde dei sempreverdi che si muovevano nell’aria lasciarono il posto ai raggi del disco luminoso, alto nel cielo. Il numero undici chiuse un attimo gli occhi. Il sole...era forte... molto forte.

Ancora adesso lo sono.

Attratto.  

Quelle sue parole.

Attratto.

Non era di certo l'idea che Kris soffrisse di più raccontandole come erano andate le cose, che spingeva Tom a non rivelarle i fatti. No, e lo sapeva bene.

Il vero motivo...era costituito dalla gelosia, dal suo egoismo…e dalla paura.

Una paura forse immotivata, ma paura. Non voleva dare speranze a Kris, ecco qual’ era la verità. E poi...chi può dire che Benji non avrebbe accettato di continuare ad averla in squadra, anche conoscendo come stavano le cose? Avere una ragazza di nome Kristine, e un sostituto dalle doti eccezionali di nome Kristian...

Mantenere il segreto...che problemi ci sarebbero stati?

No...non poteva...rischiare.

Era un verme, sì. Se ne rendeva perfettamente conto. Ma qualcosa...qualcosa lo faceva continuare a difendere il suo amore. Anche a costo di continuare a far soffrire Kris. Sì, perché alla fine...in questo modo, forse, si sarebbe accorta di lui. Avrebbe dovuto accorgersene. E dimenticare Price...

Improvvisamente, il ragazzo la prese per un braccio, iniziando a correre verso il campo, ormai a poche decine di metri da loro. Kristine lo fissò più che stupita, presa alla sprovvista da quel gesto.

"Che...che fai?", gli chiese, ormai correndo.

Lui si girò, una mano stretta intorno al suo polso, l'altra alla borsa. Le sorrise.

"Siamo in ritardo, numero uno".

 

Naturalmente, i due arrivarono ad allenamento già iniziato. Si avvicinarono al centrocampo, andando incontro a Bruce e Paul, impegnati nei palleggi. Nella metà destra, Holly dirigeva il riscaldamento di alcuni ragazzi della squadra. Appena vide Kris e Tom, fece un cenno nella loro direzione, salutandoli. Becker ridacchiò, e ricambiò alzando una mano.

“Ormai il nostro capitano chiude sempre un occhio ai tuoi ritardi, Kris. Anzi, ormai son diventati i nostri ritardi…”. Si volse a guardarla, ma lei teneva gli occhi fissi a terra, senza accennare nemmeno un sorriso.

Di fronte alla sua indifferenza, il ragazzo non provò a dirle nient’altro. Nonostante prima avesse cercato di scusarsi con lei per il suo atteggiamento, l’ atmosfera che da un po’ di tempo si era venuta a creare fra di loro era e sarebbe stata irreparabilmente tesa. Sempre.

“Forse, avrei dovuto dirti quello che provavo allora. Non soffrirei così. E forse…non ti farei soffrire così. Adesso…”.

Chiuse gli occhi un attimo, li riaprì.

“…adesso, tutto è difficile…troppo. Perdonami…”.

Perché non era capace di dirglielo?

Perché?

“Io…vado in porta…ci vediamo dopo”, mormorò in quel momento la ragazza, staccandosi da lui e allontanandosi verso una delle aree di rigore. Lui la guardò.

“…Ok”.

Dopo aver fatto qualche passo, Kris si girò, e alzando un braccio richiamò l’attenzione del gruppo di Holly, dal quale si staccarono alcuni giocatori che iniziarono a correre per aiutarla nell’allenamento. Becker la osservò ancora un po’, poi fece un ultimo, triste sospiro. Recuperò un pallone, andando ad unirsi a Paul e Bruce.

Intanto, Kristine si stava infilando i guanti con lentezza.

Non voleva ricominciare a torturarsi pensando a Tom ed ai suoi strani comportamenti, ma purtroppo non ci poteva far nulla. Ultimamente, tutte le volte che si rivedevano e parlavano, sentiva che qualcosa si sgretolava tra di loro. Un pezzo dopo l’altro, ad ogni parola, ad ogni sguardo.

Ogni cosa stava cambiando. Non poteva più negarlo a se stessa, soprattutto perché aveva capito che non le piaceva vedere Tom lontano. No, non le piaceva proprio.

Odiava quell’attrito che percepiva nelle sue parole, odiava quelle frasi che venivano fuori sempre con visibile sforzo. E poi, quelle scuse…scuse da entrambe le parti, continue, senza sapere esattamente per che cosa.

Già…era questo il punto.

Non lo capiva.

Non capiva perché, improvvisamente, aveva iniziato a sentire il bisogno di scusarsi con Tom.

Non sopportava quella sensazione. Non voleva più…sentire il bisogno di scusarsi con lui.

Certo, quel pomeriggio era andata via senza farsi più sentire…ma forse c’era qualcos’altro per cui si sentiva in colpa. E anche Becker doveva aver certamente altri motivi per comportarsi così.

Dopo essersi infilata entrambi i guanti, la ragazza si sistemò la felpa, tirandola verso il basso con un violento strattone. Non voleva nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi che le si era affacciata alla mente. Ma non perché non volesse crederci. Semplicemente, perché se fosse stata vera ogni cosa si sarebbe complicata ancora di più.

Alzò gli occhi verso i ragazzi che, dall’altra parte del campo, stavano arrivando, ma quando volse lo sguardo a lato incontrò purtroppo quello freddo dell’SGGK, che dalle panchine la stava stranamente osservando.

Socchiuse le palpebre, triste. Avrebbe voluto odiare Price, ma non riusciva nemmeno in quello.

Resse gli occhi scuri del portiere per qualche secondo, quando notò che Benji aveva iniziato a camminare verso di lei. Sentì il cuore farle un balzo, ma proprio in quell’istante qualcosa la spinse a voltarsi in direzione del gruppo di Hutton, arrivando forse anche a salvarla da un doloroso dialogo. Anche Price si era fermato.

Entrambi avevano spostato lo sguardo su una ragazza minuta e dai corti capelli scuri che sembrava essersi materializzata dal nulla a fianco del loro capitano. Gli altri giocatori, prima impegnati nel riscaldamento, si erano fermati, e sembravano piuttosto stupiti dalla scena, per non parlare di Holly. Kris era però troppo lontana per poter sentire cosa si stavano dicendo. Decise quindi di avvicinarsi, seguita subito dopo da Benji.   

“…adoro questo paese, sapete?”.

La mora rivolse un sorrisone candido al numero dieci della New Team. “Mh…certo che l’America è tutta un’altra cosa…dovresti venirci prima o poi. Questa la considero come una vacanza, anche se NATURALMENTE devo concentrarmi sul mio lavoro. Mh, secondo me il dovere viene prima di tutto…Ma lo sai che volevo conoscerti da un sacco di tempo, Oliver? A proposito, se non ti dispiace vorrei chiederti un paio di cose…”.

Kris cercò di capire chi potesse essere quella piccola furia umana, ma non sembrava che né Hutton, né gli altri ragazzi la conoscessero. Holly si schiarì la voce per rispondere.

“C-certo…ehm…”. Era chiaramente imbarazzato, ma si stava sforzando di sembrare il più possibile gentile.

Miki tirò fuori fulmineamente fuori un taccuino ed una penna, e preparandosi a scrivere tornò a guardarlo.

“Coraggio, caro, non essere timido! Dimmi tutto di te, l’America muore dalla voglia di conoscere i campioni nipponici. Tanto per cominciare, ti sembrerà una domanda banale, ma…qual è il segreto di Holly Hutton?”.

Il ragazzo fissò implorante Bruce, in cerca di aiuto. Avvicinatosi prima degli altri, era a qualche metro dal suo capitano.

Il difensore alzò le spalle, ridendo divertito dalla scena.

Holly lanciò un’occhiataccia all’amico, ma fortunatamente in quel momento Price arrivò alle spalle di Miki.

“Che succede?”, chiese il portiere, guardando Hutton.

“Oh, B-Benji…”.

Sentendo il nome dell’SGGK, Miki si girò.

“Waah! Che bellezzaa! Ci sei anche tu!”.

Sfoggiando un altro sorriso, con sicurezza tese la mano verso Price, che la fissò un attimo prima di stringerla.

“Beh…piacere mio. Saresti?”.

L’altra si avvinghiò al suo braccio, attirandolo a sé con un certo entusiasmo.

“Miki Landers, ma tu carissimo puoi chiamarmi solo Miki! Faccio la giornalista sportiva al New York Times e sono la splendida cuginetta di un tuo GRANDE  amico. Ma credo tu abbia già capito a chi mi riferisco”.

Senza dare tempo né a Benji, né al sempre più sconvolto Holly di dire nulla, da bordo campo tuonò una voce conosciuta.

“Chiariamo subito che qui NON CI VOLEVO VENIRE!!”.

Mark Landers sbattè il cancello metallico dell’ingresso del campo con violenza, facendo tremare buona parte della recinzione. L’intera squadra si zittì di colpo, e anche i pochi giocatori che avevano continuato a palleggiare anche dopo l’arrivo di Miki si fermarono.

“Maaark!”, trillò quindi Miki nel silenzio generale, agitando una mano.

“Mark?!?” ripetè Benji, non sapendo se iniziare già ad innervosirsi o a chiedersi come diavolo potessero essere parenti una tipetta del genere e quell’odioso di Landers.

Intanto, il ragazzo dalla pelle abbronzata aveva preso ad avvicinarsi con uno sguardo piuttosto torvo, in parte nascosto dai lunghi capelli scuri, le mani nelle tasche dei jeans.

“Ed eccolo qui il mio cugino campioneeh!” esclamò quindi la giornalista, abbandonando Benji e raggiungendo il braccio del capitano della Toho con quattro saltelli. Lui la fissò fra lo scocciato e il rassegnato, senza avere però il coraggio di scrollarsela di dosso. Alla fine fece un piccolo sospiro, rialzando la testa verso i calciatori.

“Ripeto, sono qui solo per accompagnare lei”, disse, rivolgendo un’occhiata ai calciatori e finendo ancora con gli occhi prima su Hutton, poi su Price. “Dopo l’incontro che ho visto tempo fa, ho deciso che non vale la pena nemmeno venire a spiare i vostri allenamenti. Tanto quest’anno non arriverete nemmeno ai quarti di finale…”.

Sorrise, glaciale, mentre alle spalle di Price anche Holly si fece cupo.

“Sei molto sicuro di te, a quanto pare”, mormorò Benji senza scomporsi, rispondendo a Mark con lo stesso sorriso. “Ma ti consiglio di non metterci la mano sul fuoco”.

“Ma davvero?”.

Landers avanzò di qualche passo. Miki si staccò da lui, e mentre lo guardava cambiò improvvisamente espressione, forse sorpresa da quel lato del cugino di cui aveva tanto sentito parlare senza averlo mai visto, fino a quel momento, di persona.

Bruce, Paul, Ted, Johnny e tutti i restanti membri della New Team si raccolsero intorno ai due giocatori. Tutti, incluso Becker, che assisteva allo scontro verbale serio, quasi impassibile, le braccia incrociate al petto.

“Mh…”. Mark si guardò in giro, continuando a sorridere. “Questa scena mi ricorda qualcosa. La squadra che si stringe intorno al suo portiere…commovente. Anche se l’altra volta non si trattava di te, mio caro Benji”.

Detto questo, il ragazzo si girò alla sua sinistra, dove Kris, leggermente in disparte, fissava Landers con due occhi carichi di sfida.

Gli stessi di quella volta.

“Tu non abbassi mai lo sguardo, eh?”.

“Mai”.

“Devo riconoscerlo, hai carattere. Ma non ti basterà il coraggio per arrivare in finale”.

Lo sguardo di Grover si fece ancora più concentrato. Non l’avrebbe distolto da quello di Mark per niente al mondo.

E poi, voleva che Benji la vedesse.

Che se ne accorgesse.

Che si accorgesse della sua determinazione.

“Non andrà come credi, Landers”, disse senza esitazione.

Mark rise.

“Vuoi sapere cosa credo? Una sola, semplice cosa. E cioè che il tuo guru Price abbia preso una cantonata enorme con te, Grover. Te l’ho già detto una volta, e te lo ripeto adesso. La New Team è messa male. E poi, diciamocelo…nemmeno Benji ci fa una gran bella figura con te. E’ brutto rovinarsi l’immagine e la reputazione, sai? Se fossi in te mi sentirei un po’ in colpa”.

Ci furono alcuni istanti di silenzio, riempiti solo da un brusio di sottofondo dei compagni più indietro. Il viso di Kristine non era solcato dal minimo segno di cedimento, ma continuava a rimanere sollevato e fiero, fisso su Landers. Solo per un attimo i suoi occhi castani si spostarono su quelli di Price, forse in cerca di appoggio.

Ma anche se probabilmente doveva essere stato toccato sul vivo dalle parole di Mark, Benji non reagì in alcun modo. Né disse nulla in difesa di Kris, per evitare che fosse umiliata ancora di più.

Nulla.

Incontrò lo sguardo della ragazza, ma dopo un paio di secondi tornò su Mark. Era difficile dire chi fosse stato il più gelido fra i due. Kris se lo era aspettato, ma sentì ugualmente gli occhi inumidirsi. Non voleva darla vinta a Landers, e nemmeno a Price. Ma nonostante tutto non seppe opporsi all’immensa amarezza che sentì improvvisamente invaderla.

Deglutì con sforzo, e fece per aprire bocca, ma Holly parlò per lei, rompendo il silenzio in cui era caduto il campo. Si mise fra il capitano della Toho e l’SGGK.

“Adesso basta, Landers. Se sei qui solo per accompagnare tua cugina limitati a fare quello. Grover non ha bisogno di essere giudicato da te”.

Il ragazzo dalla pelle scura sembrò tentato di iniziare un nuovo, simpatico scambio di battute con Hutton, ma all’ultimo momento ci ripensò. Sorrise con apparente distensione.

“Come vuoi, Oliver. Ma credo che Benji sia perfettamente d’accordo con me”.

A quelle parole, mezza squadra si voltò a guardare il loro primo portiere, che però sfuggì alle loro occhiate tenendo gli occhi bassi, immobili. Poi, senza dire una parola, oltrepassò Holly e Mark, dirigendosi verso la porta dello spogliatoio.

Landers lo osservò allontanarsi, poi rise.

“Mpfth…Miki, io ti aspetto fuori dal campo”, disse quindi, facendo un cenno a sua cugina. “Non ho alcuna ragione di restare qui. E poi…potrei disturbare gli allenamenti della favolosa New Team…”.

Bruce e un paio di altri ragazzi lo fulminarono con un’occhiata, ma Mark non se ne accorse nemmeno e, dando le spalle a tutti, si incamminò fuori. Scuoteva la testa, e quando oltrepassò la porta della recinzione la richiuse con la stessa delicatezza di quando era arrivato.

Nel silenzio totale Kris, che non si era mossa da quando Holly aveva parlato in sua difesa, allungò tremante un passo, con l’intenzione di tornare tra i pali. L’indifferenza di Price la opprimeva. La schiacciava, facendo sentire le gambe terribilmente pensanti, così tanto da sfinirla senza che nemmeno si fosse mossa. Ma doveva cercare di ignorarlo, di ignorare ogni cosa, di continuare per la sua strada avanzando su quel campo verde che per tanto tempo aveva sognato di raggiungere. E se davvero non poteva fare a meno di provare dolore e di sfogarsi lasciando scendere sulle guance le lacrime di Kristine, non poteva, non doveva farlo su quel campo.

Non con un Mark Landers, arrogante e presuntuoso, dal sorriso insopportabile, che la fissava.

Non con undici compagni di squadra intorno, che credevano in lei.

Anzi, in lui.

“Allora…sei tu Kristian Grover!!”.

“E…eh?”.

Persa nei suoi pensieri, Kris riuscì solo a captare il proprio nome. Quella vocina squillante alle sue spalle doveva averle probabilmente chiesto qualcosa, quindi, giratasi per vedere di chi si trattava, si ritrovò spaventosamente vicina la cugina dell’odiato capitano della Toho.

Gli occhi castano scuro della ragazza dalla pelle ambrata brillavano dall’entusiasmo, ma leggermente intimorita da quello sguardo vagamente spiritato, Kristine fece un passo indietro.

“C-che c’è?”.

“Ahh! Sii, sei proprio tuu!”.

Detto questo l’altra le afferrò le mani, stringendole fra le sue con una discreta forza, proprio come aveva fatto poco prima con Benji. Kris la fissò, imbarazzata. Tipo parecchio strano, pensò.

Continuando a tenerla per mano, Miki iniziò a camminare sull’erba chiara, portando Kris nell’altra metà del campo. Gli altri ragazzi, intanto, stavano per riprendere gli allenamenti.

“Senti…non dare ascolto a mio cugino…io sono convinta che tu sia una promessa in questo sport!”, esclamò con convinzione la brunetta, senza staccare per un attimo gli occhi da Grover. “E visto che ho chiesto a Mark di accompagnarmi qui proprio per fare due chiacchiere con te, direi che possiamo iniziare anche subito! Ti distrarrò dai tuoi allenamenti solo per…mh, diciamo mezz’ora, non di più, giusto il tempo di intervistarti…ehi, ma lo sai che dal vivo sei ancora più bello, Kristian? Già sei fotogenico…”.

Ma proprio quando Miki prese a tirare la mano di Kris per trascinarla a bordo campo, lei si liberò dalla presa con un violento strattone. Il fatto era che…

Che solo in quel momento aveva realizzato chi aveva davanti…

Una giornalista!

Una…una giornalista…

La giovane newyorkese, intanto, era rimasta a dir poco stupita.

“Che ti prende?”, chiese quindi a Kris, squadrandola.

Lei, improvvisamente pallida, iniziò ad indietreggiare, balbettando.

“N-no…nulla…è c-che…io non rilascio interviste…”.

Miki fece un piccolo sorriso, per nulla scoraggiata.

“Sì, l’ho sentito dire. Ma sono sicura che per me farai un’eccezione, mio bellissimo portiere!”. Si avventò nuovamente su Kris, stringendole i polsi in una morsa. L’altra fece una smorfia. La forza non le mancava di certo…quella piccoletta le faceva quasi male.

“Coraggio…che problemi ci sono?”.

La cugina di Mark si fece più vicina e, a voce più bassa, scandendo le parole, le sussurrò un’altra domanda. Un secondo sorriso, questa volta appena percettibile ed in qualche modo inquietante, si disegnò sulle labbra piene della ragazza.

“Non è che…per caso, hai qualche segreto da nascondere?”.

Iniziando a guardarsi intorno, come alla ricerca d’aria, Kristine si fece ancora più nervosa. Si sentiva in trappola, braccata, trafitta dallo sguardo inquisitore di Miki.

Una giornalista…una giornalista…

Nella sua mente, Kris continuò a ripetere la stessa parola, di continuo. Come aveva potuto lasciare che le si avvicinasse così? Ma dov’era con la testa? Quella…era una situazione decisamente troppo pericolosa. No, non poteva assolutamente avere a che fare con una giornalista…ed in particolare con una giornalista che, oltre ad essere appiccicosa come la colla, era parente di Landers.

Se avesse scoperto tutto…

Se avesse capito chi era in realtà…

“Allora?”.

“N-no…io…io non ho nessun…”.

“Benissimo, allora…per iniziare, dimmi dove vivi…mh, dove sei nato? E la tua famiglia?”.

“B-beh…ecco…veramente, io…non ho intenzione di…p-parlarne…”.

“Allora come ti sei appassionato al calcio? La New Team come ti ha scelto? E come mai sei così affiatato con Thomas Becker? Lo conoscevi?”.

“Ma…n-non voglio…”.

“Da dove nasce il tuo talento? Perché fino al tuo ingresso nella squadra di Hutton nessuno ti ha mai visto sui campi da gioco?”.

“I-io…”.

Kristine, pressata dalle incalzanti domande della giornalista, cercò di fare qualche passo indietro. Oltre a sentire il cuore batterle nel petto ad una velocità almeno tre volte maggiore a quella normale, le girava la testa. Stava per andare nel panico, lo sapeva. E non aveva idea di come uscire da quella situazione.

Arretrò, facendo scivolare per l’ennesima volta la suola di una delle Nike sul terreno del campo, ma nel momento in cui portò indietro anche l’altra, forse per l’umidità dell’erba sentì mancare la presa.

“Attento!”.

Quando ormai solo poche decine di centimetri distanziavano la sua schiena dal suolo, due mani bloccarono l’impatto sorreggendola da dietro, e afferrandola prontamente da sotto le braccia. Grazie al fortuito soccorritore, Grover ritornò lentamente in posizione eretta.

“Grazie…”.

Dopo essersi sistemata la felpa, Kris si voltò. Becker la stava guardando serio.

“Di nulla. Ma non credo sia il caso che tu perda tempo prezioso…”.

Le lanciò un’occhiata piuttosto strana. Lei, senza capire, fece per chiedergli spiegazioni, ma Tom continuò a parlare.

“…c’è una partita importante da giocare, la prossima settimana”.

Non aggiunse nient’altro, e senza troppi complimenti la trascinò via, afferrandola per un braccio.

Kristine non ebbe il tempo di replicare, ma prima di seguire l’amico riuscì a voltarsi per guardare un’ultima volta Miki, ferma a bordo campo, le mani nelle tasche dei jeans.

La fissava. Ed inspiegabilmente, sentì un brivido percorrerle la schiena.

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Capitolo 18
*** Illusioni ***


“Devi fare attenzione, Kris. Adesso più di prima”.

“Lo so. Sono stata veramente una stupida. E’ che in quel momento non ci ho pensato, capisci?”.

“Beh, avevi la testa altrove, giusto?”.

“Già”.

“Quindi pazienza. Tanto ormai è passata. E comunque il tuo angelo custode è venuto a salvarti in tempo. A proposito…l’hai almeno ringraziato, ingrata che non sei altro?”.

“Certo che…eehh? Quale angelo?”.

Dall’altro capo del telefono, Kris sentì Jude scoppiare in una risata piuttosto maliziosa.

“Ah ah…ma dai, parlo di Tom ovviamente. Non hai notato come ti tiene d’occhio di continuo? Non ti perde un secondo. E ieri mi pare di aver capito che lui ha afferrato prima di te cosa voleva quella ficcanaso di Miki Landers”.

“Questo è vero…e poi…”.

La ragazza si bloccò, tornando con la mente al giorno prima. Anche dopo la loro discussione…dopo la tensione che si era creata fra di loro, le sue parole fredde…Tom l’aveva tolta da un guaio con un tempismo a dir poco perfetto. Non si era allontanato, non aveva deciso di lasciarla per un po’ per conto suo…o se l’aveva fatto, era vero che non aveva smesso un attimo di guardarla.

Non l’aveva mai fatto…smettere di vedere cosa stava facendo, dove era diretto il suo sguardo, se era triste, o felice. Se era in lacrime, o se gli occhi le brillavano dalla felicità.

Tom la vegliava, proprio come un angelo. Un vero angelo.

“Ehii! Poi cosa?”.

La voce di Judith risuonò con tono insistente nel suo orecchio.

“Poi…”. Kris riprese, lentamente. “Ecco, nulla. E’ che proprio ieri io e lui abbiamo quasi litigato”.

“Quasi litigatoooo? Come sarebbe?”, esclamò l’altra. Sospirò con disapprovazione. “Kris, credo che solo tu sia capace di esasperare quel ragazzo. Cioè…dai, Tom è pacato come un laghetto di bosco…il suo equilibrio interiore di sicuro non viene scalfito da almeno un decennio e appena tu ritorni nella sua tranquilla vita combini un macello. Chissà come sta male, povero…credo non sia abituato a tutte queste emozioni…”.

Lo sguardo di Kris si incupì leggermente.

“Emozioni?”.

“...eh?".

“Cosa...vuoi dire?".

L’altro capo restò muto per un paio di secondi.

“Ehm…niente, cosa voglio dire…”, continuò quindi quella, evasiva, schiarendosi la voce.

“Jude, dimmelo. Ora”.

Kris si alzò dal letto, prendendo a camminare per la stanza, improvvisamente tesa. Cambiò la mano dove teneva il cordless, passandosi l’altra fra i capelli appena lavati. Il cuore iniziò a batterle più velocemente, ma forse lei non se ne accorse.

“Kris…ecco…son cose che non mi riguardano, ma…beh, tu non te ne saresti mai convinta. E comunque lui non so quando si sarebbe deciso a dirtelo. A questo punto, credo che sia giusto che tu lo sappia”.

La voce della ragazza si fece un po’ più bassa, grave, e le parole attraversarono il cavo telefonico, entrando direttamente nella testa di Kris.

“Tom ti ama. Ti ama da morire, da sempre”.

L’altra si fermò, i piedi nudi sulla moquette chiara. Scostò il cordless dall’orecchio, lasciando poi ricadere il braccio lungo il fianco, come un peso morto.

 

La tastiera di plastica grigia era illuminata dai raggi di un sole freddo. Filtravano fra le tende socchiuse della finestra a lato della scrivania, sembrando quelli di un tardo pomeriggio invernale, o di un paesaggio nordico.

In realtà erano invece appena passate le tredici, e le dita del numero undici della New Team, seduto davanti allo schermo del PC, si muovevano velocemente per comporre le lettere di un nome femminile, che apparvero, una dopo l’altra, nella casella del motore di ricerca a cui era connesso.

Miki Landers giornalista informazioni.

Il cursore lampeggiò una volta, poi, dopo un clic del mouse, una nuova pagina iniziò a caricare, riflettendosi negli occhi nocciola di Tom.

Mentre aspettava si gettò all’indietro, appoggiandosi allo schienale della sedia. Non sapeva bene perché stava facendo quella ricerca. In fondo la cugina di Mark si era presentata dicendo di lavorare per il New York Times, e senza nascondere la sua passione per i calciatori giapponesi. Beh, fissazione. Ma comunque, qualcosa gli diceva che non era il tipo da avere segreti.

La grafica si caricava lentamente. Leggermente nervoso, Tom iniziò a tamburellare le dita sul tavolo. Già, una tipa senza segreti…che fosse aperta ed estroversa non c’erano dubbi. Ma nonostante tutto, sentiva che era il caso di preoccuparsi. Il suo interesse nei confronti di Kris era stato fin troppo evidente, ed il pomeriggio prima Tom avrebbe giurato di aver visto negli occhi della giornalista qualcosa di simile al sospetto.

Ripensando alle sue iridi scure, così simili a quelle di Mark, rabbrividì. Non riusciva ad immaginare cosa sarebbe potuto succedere se avesse scoperto l’identità di Kris. Senza contare che, essendo la cugina del capitano della Toho, la cosa si sarebbe fatta ancor più disastrosa se lui avesse saputo come stavano le cose. Non avrebbe aspettato un secondo per distruggere la New Team, di sicuro. Lui, Benji, e soprattutto, Holly.

Finalmente i risultati della ricerca comparvero. Tom si avvicinò nuovamente allo schermo, e con il puntatore scorse velocemente le descrizioni dei vari siti dove compariva il nome di Miki. Ne visitò alcuni. Come in fondo si aspettava, non trovò nulla di interessante, o che comunque già non sapesse. Giornalista giovanissima…si occupa da sempre di sport…una delle migliori nel suo campo…un intuito naturale per il lavoro…autrice di numerosi articoli esclusivi su atleti famosi…

Rimase quasi un’ora a visitare sezioni e pagine di mezzo web, e quando fece per chiudere l’ennesima, i suoi occhi caddero su un paragrafo isolato. Si avvicinò alla superficie luminosa, lo sguardo concentrato che fissava le parole scritte con un carattere corsivo.

…Miki Landers, 25 anni, giornalista del New York Times, è ammirata dai colleghi e temuta nell’ambiente per aver portato a galla alcuni scandali legati al mondo del calcio. Sembra che l’investigazione sia pane per i suoi denti, e come lei stessa ha affermato preferirebbe riconsegnare la sua tessera da giornalista piuttosto che rinunciare ad andare in fondo ad un caso poco chiaro. Spesso si è avvalsa dell’aiuto di Martha Quinn, avvocato penale conosciuto in tutti gli Stati Uniti, per vincere cause portate da lei stessa in tribunale.

Becker rilesse più volte quelle quattro righe. A quanto pare le sue sensazioni non sbagliavano…c’era davvero da stare attenti a Miki Landers. Se possedeva davvero questo grandioso intuito, di sicuro aveva capito che Kris nascondeva qualcosa. Adesso ne era sicuro.

Girò la testa, dirigendo lo sguardo sul telefono. La prima cosa che gli era venuta in mente era stata quella di chiamare Kristine, ma in fondo le aveva già detto la sera prima di stare lontana dalla Landers. E poi, si sarebbero visti quella sera per gli allenamenti.

Come sempre, da quando Benji gli aveva…ordinato di dirigerli al suo posto.

Si scollegò, poi spense il computer. Si, glie ne avrebbe parlato più tardi.

Attraversò la stanza, e quando arrivò alla porta, esitò ad aprirla. Si girò di nuovo verso la scrivania, tornando quindi sui suoi passi. E proprio mentre stava per alzare la cornetta, l’apparecchio iniziò a squillare.

Un po’ stupito dalla coincidenza, rispose dopo un paio di secondi.

“Pronto?”.

“Tom?”.

“…Judith?”.

“Sì, io. Come va?”.

“Oh…beh…bene, direi. Cioè, no…non esattamente. Comunque…scusa, come hai avuto il mio numero?”.

“Ehehe…beh, me l’ha dato Harper”.

“Bruce??”.

“Già. Quando avevo accompagnato per la prima volta Kris al campo, mi aveva scongiurato di scambiarci i numeri… .però io non l’avevo mai chiamato, e quando prima l’ho fatto per la prima volta era felice come una pasqua…ehm, anche se quando gli ho detto che avevo bisogno del tuo numero non mi è sembrato più tanto felice. Mi sa che l’ho deluso un po’…”.

Il tono di Jude era più divertito che dispiaciuto. Tom fece una breve risata, rimproverando la ragazza per avergli dato false illusioni.

Jude rise un po’ con lui, poi tornò seria.

“…comunque…”.

“Dimmi”.

“…ecco…c’è una cosa che devo dirti. E se tu dovessi odiarmi per questo, ti assicuro che ti darei pienamente ragione. Però credo che fosse la cosa migliore da fare”. Fece una pausa, seguita da un sospiro.

“Scusami, già da ora. Anche se penso che le sue reazioni siano state molto positive, quindi…”.

“Hai detto a Kris la verità. Ho indovinato?”.

“Hem…esatto”.

Pausa dall’altro capo del telefono. Lunga.

“Capisco”.

La voce ferma, forse tranquilla.

“Tom…stai bene? Perché io…”.

“No, aspetta. Cosa…cosa hai detto prima?”. La interruppe, agitato. “Le reazioni…positive?”.

Judith si affrettò a continuare.

“Oh, si, si! Cioè…secondo me lo sono. Si è…messa a piangere”.

“A piangere?? E secondo te è positiva??”.

“Sicuramente, fidati”. Rise, tentando di sdrammatizzare la situazione. Beh, almeno era andata meglio di quello che si aspettava.

“Te l’ho già detto, Tom. E’ combattuta, molto. Ma adesso sta iniziando a rendersi conto cosa significhi per lei, e secondo me hai buone possibilità. Benji ora è lontano, troppo lontano. Kris mi ha raccontato di quello che è successo ieri, di come Price ha abbandonato il campo senza provare minimamente a difenderla dalle insinuazioni di Landers”.

“Già. Sinceramente, in quel momento avrei voluto riempirlo di pugni. Ma che rimanga fra me e te, mi raccomando”.

“Ahaha, certo. A proposito…Benji ti ha poi raccontato cos’è successo quella notte?”.

A quella domanda, Tom si bloccò. Era impreparato…non aveva ancora pensato se dirlo o no a Judith.

“Tom?”.

Da come si era comportata fino a quel momento, una cosa certa era che non era capace di tenere la bocca chiusa. Non che fosse un male…insomma, in qualche modo teneva per lui e Kris. Ma proprio per questo, parlargli di ciò che Benji aveva pensato e provato…di quello che Kris aveva fatto e detto…no, non era la cosa migliore. Forse Jude avrebbe creduto che dicendolo a Kristine l’avrebbe convinta a rinunciare a Benji, pensando che se lui avesse saputo come stavano le cose l’avrebbe sbattuta fuori dalla squadra. Le avrebbe detto che non era il ragazzo per lei qualcuno che, invece che parlare per risolvere le cose, si difendeva dietro ad una barriera di arroganza, bugie ed orgoglio, ferendo chi gli stava accanto. Anche se sconvolto da qualcosa che non capiva, anche se in qualche modo la ricambiava.

No…doveva tenerselo per sé. Doveva farlo, per non correre rischi.

Proprio adesso che…le cose stavano iniziando ad andare per il meglio…

O almeno, così sembrava.

Ringraziò mentalmente Judith, chiedendole di perdonarlo.

“Non c’è nulla di male a voler essere felici…”, pensò poi sedendosi sul letto, il telefono sulle ginocchia ed una mano aperta a sorreggere la fronte. “Ci devo…almeno provare”.

“Tom, sei ancora in linea?”.

“Ah…si, si, son qui. Scusa, era entrato mio padre. No…Benji…non mi ha voluto dire nulla. Ha detto che non erano fatti miei e che…non dovevo dirgli di come si doveva comportare con Kris”.

“Hum. Capisco…certo che è diventato veramente odioso. Chissà se sapremo mai cos’è successo…”.

Ci furono alcuni istanti di silenzio. Tom non sapeva cosa dire, ma Jude riprese a parlare, allegra.

“Ma in fondo che importa! Kris pensa a te, te lo assicuro. Quindi vedi di non buttare via le occasioni che si presentano con lei…non hai più niente da perdere. E comunque, Kristine sapeva da molto tempo che le volevi bene. E’ solo che non voleva accettarlo, era molto più facile per lei pensare che fosse solo un’amica per te”.

Il ragazzo alzò gli occhi dal pavimento, e senza dire nulla, tenne lo sguardo fisso davanti a sé.

“Mi raccomando. E’ ora di smetterla di stare in panchina, numero undici. Ricordi? Correre, combattere, lottare. Rischiare”.

“Certo. Grazie infinite, Jude”.

“Prego”. Tom potè immaginare le labbra della ragazza allargarsi in un sorriso quasi materno. “Forza”.

Dopo averla ringraziata di nuovo, Becker la salutò. Ripose la cornetta con delicatezza, lo sguardo ancora perso nei propri pensieri.

Rimise sul tavolo il telefono, quasi meccanicamente, dopodiché si buttò sul letto con un sospiro.

Per più di mezz’ora rimase così, immobile, con il viso affondato nel piumone, finché improvvisamente si girò di scatto, lanciando un’occhiata alla sveglia sul comodino.

“E’ ora…di smetterla di stare in panchina…”.

 

Eran da poco passate le nove di sera. Il campo degli allenamenti della New Team era già avvolto dal buio della notte, e l’ampia distesa, deserta ormai da qualche ora, faceva un effetto completamente diverso senza l’illuminazione dei fari artificiali.

Ma forse non era esatto dire che non c’era nessuno. Oltre la rete, infatti, seduta con la schiena appoggiata al muro degli spogliatoi, una figura se ne stava in silenzio, appena visibile fra le ombre proiettate dalla costruzione. Con le gambe raccolte sotto il mento, faceva fare dei piccoli rimbalzi al pallone da calcio che teneva da un lato, provocando un rumore minimo, attutito dal morbido manto d’erba del prato.

“...we couldn't find them...so we tried to hide them...”.

Con un filo di voce, quasi sussurrando, Kris iniziò a cantare. Era una vecchia canzone. L’ultima volta l’aveva sentita da Nicole, quando erano ancora a Kyoto. Una sera al karaoke…sì. C’erano anche Keith e Alex…forse, a quel tempo, potevano essere al massimo quattordicenni. Era stato appena prima che Kei partisse.

“…words that we couldn't say”.

Certo, lei non era brava come Nicole. Però adorava cantare. C’erano un sacco di cose che adorava fare, in effetti. Cose che aveva dimenticato da tanto. Le piaceva nuotare, ad esempio. O leggere.

“...sometimes baby, we make mistakes...dark and hazy, prices we pay...I sit here on my shelf, just talking to myself...words that we couldn’t sa-”.

La voce le si incrinò. Portandosi una mano alla bocca e lasciando rotolare la sfera di cuoio davanti alle sue scarpe da ginnastica, la ragazza abbassò le palpebre, ricacciando a forza le lacrime che le stavano bruciando negli occhi.

 

* ...someday maybe 

We'll make it right 

Until that day 

Long endless nights 

We couldn't say them 

So now we just pray them 

Words that we couldn't say... 

We couldn't say them 

So now we just pray them 

Words that we couldn't say... 

Someday maybe...

 

“Credevo…che non ci fossi”.

Al suono di quelle parole, Kris si riscosse, passandosi velocemente una mano sul viso. Nell’oscurità le voci assumono toni così carezzevoli, pensò, sollevando la testa dalle ginocchia. Sembrano capaci di espandere calore ad ogni parola, di portare la luce nella mente di chi le ascolta.

E’ bella, la notte.

“C’è un bel cielo, stasera…”.

La sagoma scura che si stagliava davanti a lei, in piedi, la stava sicuramente guardando. Rimase un attimo in silenzio, fissando a sua volta un punto che con molte probabilità corrispondeva al viso di Tom Becker. 

“…volevo lasciare le luci spente fino a che non fossi arrivato”.

Altro scambio di sguardi nel buio.

“Che cos’era?”. Tom si spostò di poco.

“Cosa?”.

“Quello che cantavi”.

Forse sta sorridendo, immaginò Kris.

“Non conosco il titolo. Ma la cantava spesso una mia cara amica”.

“Hai una bella voce”.

Kristine riportò gli occhi sulle proprie scarpe, forse in imbarazzo. Si alzò, ma dopo aver fatto qualche passo verso il centrocampo, oltrepassando Tom, si voltò di nuovo. Adesso riusciva a vederlo un po’ meglio, vagamente illuminato dal bagliore diffuso delle luci di Fujisawa, che oltre le file degli alberi all’esterno del campo si sfumava nel cielo nero.

“Sai…non riuscivo a ricordare quando era stata l’ultima volta che avevo cantato qualcosa… ”, mormorò, continuando a guardarlo. “Probabilmente è stato molto tempo fa”.

Tom non disse nulla. Anche intorno a loro il silenzio era assoluto, e l’aria ferma. Per la verità, Kris non si rendeva nemmeno conto se faceva freddo o no.

Così come, quando era uscita di casa, non aveva pensato che forse la felpa che aveva pescato a caso dall'armadio sarebbe stata un po' troppo leggera per una serata come quella. O che fare l'ultimo pezzo di strada correndo, invece che aspettare l'autobus, solo per paura di arrivare in ritardo era stato un po' esagerato.

Ma a lei non importava. Quando aveva finito di parlare con Jude, quel pomeriggio, aveva messo il mondo intero da parte. Accantonato, magari , solo per un po', solo per poco. Le ore erano passate così lentamente che aveva pensato che non sarebbero più arrivate le nove.

Tom avanzò di un passo, non staccando gli occhi dai suoi. L'atmosfera era diversa da quella delle altre sere, era indubbio. Era palpabile, la stessa aria aveva una consistenza differente, ma non se n'era accorta solo Kristine. Becker era perfettamente a conoscenza di quello che provava, ma lei non poteva saperlo, anche se da come la stava guardando sembrava volesse leggerle dentro, capire che cosa le stesse passando per la mente...

"Senti...forse sarebbe meglio...".

Quella di iniziare a parlare non era stata una mossa troppo azzeccata. La tensione si abbassò di colpo, e il portiere, rendendosene conto, si morsicò un labbro. Perché l'aveva fatto? Era tutto perfetto. Sarebbe potuta succedere…ogni cosa. Non ci sarebbe voluto niente, ora che era certa che Tom...

Che Tom...

Ti ama. Ti ama da morire, da sempre.

Già. La amava. Probabilmente, come aveva detto Judith, lei stessa l'aveva sempre saputo e non aveva mai voluto crederci davvero, anche se in fondo aveva solamente avuto paura di perdere il suo più caro amico, e quindi era stato comprensibile che...

"Dimmi".

"Ecco...io pensavo di...iniziare l'allenamento...se sei...d'accordo...".

Improvvisamente, Kris ebbe l'impressione che il suo cuore avesse smesso di battere per qualche secondo. Era certa di essere impallidita.

Perdere...il suo più caro amico?

"Oh...certo. Vado ad accendere tutto, allora...". Becker le stava sorridendo, un po' forzatamente. Magari era rimasto deluso.

"Ok...".

Era davvero quella la motivazione? 

Cercò di riacquistare un ritmo di respirazione regolare. Ma si...certo che era quella! Aveva sempre pensato che la loro amicizia si sarebbe rovinata sei lui non avesse ricambiato i suoi sentimenti. Era sempre stata quella la sua più grande paura...e non certo...l'indecisione.

We couldn't find them, so we tried to hide them, words that we couldn't say.

No. Non poteva più mentire a se stessa, lo sapeva. Se non ci fosse stato qualcun altro molte cose sarebbero andate in modo differente, fin dall'inizio. Avrebbe aperto gli occhi prima. Sì...se non ci fosse stato Benji a confonderla, magari...

Cercò il numero undici fra le ombre del campo, spinta dal bisogno immediato di guardarlo negli occhi, di verificare ancora una volta quello che provava per lui. 

Lei...cosa desiderava davvero, alla fine?

Era sicura di saperlo?

In quel momento quattro luci fortissime la investirono, costringendola a ripararsi gli occhi con le mani. Becker aveva acceso i fari posizionati lungo gli angoli del campo, spezzando completamente l'atmosfera intima che si era creata prima, nel buio.

Kris sospirò, questa volta davvero pentita. Ormai, per quella sera non sarebbe successo proprio nulla. Qualunque cosa avesse sperato che accadesse.

"Allora, vai in porta? Iniziamo come sempre con qualche tiro semplice...", disse Tom, riemergendo dal locale attiguo agli spogliatoi dove erano istallate le apparecchiature per il controllo delle luci. Fra le mani teneva due palloni.

"Va bene...".

Mentre Kristine si avvicinava ai pali della porta, però, Becker si bloccò, e mettendo a terra le sfere di cuoio richiamò la ragazza. Gli angoli della bocca del calciatore si allargarono in uno strano sorriso.

"Ehi, Kris...".

Lei si girò di nuovo.

"Sì?".

"Ho un'idea migliore. Voglio veder come te la cavi con una cosa nuova".

Un po' sorpresa, Kristine annuì.

"Oh, ok...di che si tratta?".

Per tutta risposta, Becker le lanciò di nuovo lo stesso, misterioso sorriso. Sembrava avesse in mente qualcosa di ben preciso. Calciando uno dei palloni, si allontanò dall'area di rigore fino ad arrivare a metà campo, dove si fermò ancora. Fece un cenno a Kris con una mano.

"Allora", le gridò. "Molto semplicemente, dovrai cercare di prendermi il pallone".

"Ehh??". L'altra sgranò gli occhi, incredula. "Ma...ma io non sono un attaccante! Non so coprire altri ruoli, lo sai!".

Tom rise. Era come se avesse completamente dimenticato gli istanti di poco prima, e adesso sembrava che lui e Kris fossero tornati ad essere i vecchi, soliti grandi amici che erano sempre stati.

"Insomma, che discorsi sono? Vuoi o no essere il degno portiere della New Team? Ti ricordo che chi sta fra i pali deve anche sapere uscire dall'area e perché no, segnare...guarda che Benji l'ha fatto parecchie volte. Quindi non fare storie".

"Sei davvero crudele", rispose intimorita lei, mostrando a Becker la più abbattuta delle sue espressioni nel vano tentativo di fargli cambiare idea. "Ma guarda che ho il sospetto di non esserci portata. Ho l'impressione che dovremo lavorarci molto su questo punto...".

"Mh, vedremo. Ma adesso basta frignare! Su, vienimi incontro!".

Senza lasciarle il tempo di rispondere, Tom iniziò a correre con appresso la sfera di cuoio. Era velocissimo come sempre, e Kristine, presa alla sprovvista, uscì dai pali anche se non troppo convinta.

"Ma cosa gli è venuto in mente...", si ritrovò a pensare, mentre la distanza fra loro si accorciava ogni secondo che passava. Lo sguardo di Tom non lasciava pensare ad uno scherzo, e Kris concluse che tanto valeva provarci. Ho sempre tempo per imparare, aggiunse, aumentando la velocità.

Ormai mancavano pochi metri al loro scontro, e Becker rallentò di poco, preparandosi a difendere il pallone dalla ragazza. Tutto avvenne però in pochi istanti, e Kris, avendo deciso di gettarsi senza troppi ripensamenti e in modo decisamente avventato sulla sfera, finì per trovarsi il passo bloccato dal piede di Tom, su cui inciampò, cadendo rovinosamente a terra.

"Ahia...", mormorò quindi poco dopo, distesa su un lato fra l'erba del prato e massaggiandosi energicamente un gomito. "Te l’avevo detto, vado meglio in porta. Ehe he...".

Si passò una mano sul viso, poggiandola poi sul terreno per rialzarsi. Sollevò la testa.

"Però è stato divert...".

Le parole le morirono in gola nel momento in cui, immobile a pochi centimetri dal suo volto, si accorse che Becker la stava guardando. Intensamente.

"T-Tom...", mormorò solo, ritrovandosi costretta a fissare, a sua volta, quegli incredibili occhi castani. Occhi dolcissimi, che nascondevano uno sguardo che Kristine non aveva visto mai, fino a quel momento, sul viso del ragazzo. Nemmeno quando si erano rivisti, due mesi prima, o quando si erano salutati a Kyoto, anni fa...

"Kristine...Grover".

Becker pronunciò il suo nome completo piano, come se l'avesse sentito per la prima volta o come se...volesse imprimerlo per sempre nella testa, per essere sicuro di ricordarlo.

Lui...era caduto insieme a lei? Oppure...oppure aveva fatto in modo che inciampasse apposta? Non lo sapeva, ma in qualunque caso adesso era lì, inginocchiatole accanto, le mani appoggiate sul terreno ai lati della sua testa. Kris si sentiva come un animale in trappola, e non osava muoversi, anche se forse...non voleva farlo.

Forse?

"Cosa...co-cosa s-stai...", balbettò di nuovo, notando che Becker si stava avvicinando ancora di più. Le sue intenzioni erano ormai chiare, e le labbra sottili del ragazzo erano adesso lontane solo un paio di centimetri dalle sue.

E proprio in quel momento, d'un tratto Kris fu presa dal panico più totale, rendendosi conto che in realtà quello che stava per succedere non era quello che voleva realmente. Iniziò ad agitarsi, muovendo la testa come se stesse soffocando, come per cercare aria.

"Lasciami!". Non avrebbe mai creduto di poterlo dire, ma lo fece, con tutto il fiato che aveva in gola. "Lasciami...lasciami andare!"

No, non era quello che voleva...non lo era...

Tom, come risvegliato dal grido della ragazza, allontanò il viso di scatto. Si rialzò velocemente, facendo, tremante, due passi indietro.

"Ma...tu...".

"Cosa...cosa diavolo volevi fare?".

Ansimando e con le lacrime agli occhi, Kris fissava l'amico. Anche lei si rimise in piedi. Le girava la testa, e se per un attimo perse l'equilibrio riuscì comunque a non cadere di nuovo.

Lui, invece, non sapeva cosa dire. Il fatto era che...non se l'era aspettato, un suo rifiuto. No. Era certo che...non l'avrebbe respinto.

Jude si era sbagliata?

Lanciò uno sguardo implorante a Kristine. Per quanto si sforzasse, dalla gola non riusciva a far uscire una parola, anche se sapeva che doveva dirle qualcosa, qualsiasi cosa servisse per scusarsi, per pregarla di perdonarlo. Ma non ne aveva la forza. Non riusciva...a reagire.

Lei continuò a guardarlo fino a che, lentamente, iniziò a scuotere il capo.

"Mi...dispiace...".

Con la voce rotta, Kris ripeté più volte le stesse parole, coprendosi il volto con le mani. Solo adesso aveva capito cos'era successo e...quello che aveva causato.

Perché...non aveva voluto che la baciasse? Perché si era comportata così?

L'aveva sognata per anni, e quando la situazione si era finalmente presentata, aveva rovinato ogni cosa. Tutto. Tutto quanto.

Ebbe voglia di scappare via, ma prima che potesse decidere di farlo qualcuno si avvicinò dal perimetro del campo.

"Credevo di averti detto che dovevi allenarlo al posto mio, Becker, e non di fare conversazione con lui".

Entrambi i ragazzi si voltarono, riconoscendo immediatamente la voce dura e profonda di Benjiamin Price. Tom chiuse gli occhi, sfinito. L'SGGK era certamente l'ultima persona che avrebbe voluto vedere quella sera, e adesso non era sicuro di poter reggere anche la sua presenza. Tra l'altro...perché era venuto?

"Price". Con un profondo respiro, cercò di riacquistare la calma. "Che ci fai qui?", gli domandò però, senza troppi complimenti.

Beh, per lo meno sembrava che Benji non avesse assistito alla scena di poco prima. Se fosse arrivato in quel momento le cose si sarebbero fatte ancora più difficili, pensò Becker. Irreparabili.

Il ragazzo dai capelli scuri, intanto, era rimasto in silenzio, dopo aver ignorato completamente il tono del compagno. Si limitò ad osservare prima lui, poi Grover, immobile e col viso stravolto a pochi passi dal numero undici. Tom attese per un po' una risposta da parte di Benji, e solo quando notò il modo insistente con cui continuava a fissare Kristine fu assalito da un dubbio.

"Benji...".

Si avvicinò all'amico. Lui finalmente tornò a guardarlo, ma quello che Tom lesse nei suoi occhi scuri non fece altro che confermare le sue peggiori ipotesi. Rendendosi conto di ciò che voleva fare, trapassò a sua volta il portiere con un'occhiata, mostrandogli un'espressione disgustata.

Price, ovviamente, non ci fece minimamente caso. Non era importante che Becker approvasse.

Non era necessario che nessuno approvasse.

"Tornerò ad allenare Kristian, Tom. Ci ho...ripensato. Grazie per avermi sostituito, ma adesso puoi anche andartene. Me ne occuperò io qui".

Sempre più gelido, il tono di Price fu un invito molto chiaro per Becker. E ormai, comunque, non avrebbe più potuto fare nulla né per Kris, né per se stesso. L'unica cosa che gli rimaneva, a quel punto, era davvero andarsene. Forse...Kristine si sarebbe resa conto da sola di come comportarsi. Sapeva che Benji non avrebbe cambiato idea per nulla al mondo, ma lei...lei avrebbe sicuramente reagito.

Sì, era forte. Ce la poteva fare da sola. Lui non aveva più alcun diritto su di lei...sapeva che avrebbe sofferto di nuovo, ma non poteva più immischiarsi nella sua vita, nelle sue scelte.

Il suo sogno era giocare fino alla fine del campionato nella New Team, e quel sogno sarebbe rimasto suo. Solo Kris avrebbe deciso se realizzarlo o no. Solo Kris.

Rivolse un ultimo, riprovato sguardo a Price, sperando, anche se inutilmente, che non avesse davvero intenzione di fare quello che pensava. E prima di andarsene definitivamente, Becker si voltò poi anche verso Kristine che, ancora ferma qualche metro dietro di loro, li stava guardando entrambi, confusa.

Era però certo che gli occhi le si fossero illuminati non appena aveva sentito che Benji sarebbe tornato ad allenarla. Su questo...non aveva dubbi, purtroppo. 

"Fai la scelta giusta", pensò tristemente Becker, mentre il cuore gli veniva stretto in una morsa. "Se potessi, ti eviterei questa sofferenza. Ma adesso so...perché prima mi hai respinto".

Mille sensi di colpa gli pesavano già sulla coscienza, ma lui tentò di ignorarli, cercando di convincersi che era meglio così.

Anche se la stava abbandonando.

Senza aggiungere una parola, Tom superò Benji e scomparve nel buio, oltre la recinzione. Kristine lo seguì con lo sguardo, continuando a non capire cos'era successo. Price era arrivato d'improvviso, interrompendoli, e adesso era fermo, a pochi passi da lei, con le braccia incrociate. Continuava a restare in silenzio, e sembrava la stesse studiando.

Ma prima...aveva parlato sul serio ? Sarebbe tornato davvero ad allenarla?

Non riusciva assolutamente a capire che cosa stesse provando. Ne era felice? Oppure le dispiaceva per Tom? Sospirò. Quando se n'era andato le era sembrato molto strano, e non poteva negare di aver provato un po' di amarezza. Avrebbe voluto parlargli, o almeno chiarire quello che era accaduto fra di loro. Ed invece lui l'aveva lasciata lì, da sola con Benji, senza dire una parola...

Ma in fondo era lei che l'aveva voluto. Magari, Tom aveva pensato che avrebbe preferito di gran lunga la compagnia di Price alla sua...

Si sentì colpevole, e abbassando gli occhi sull'erba si rese conto che non era del tutto falso. Anzi...non lo era affatto.

"Price...perché...vuoi tornare ad allenarmi?".

Il ragazzo, alle sue parole, fece finalmente qualche passo avanti, senza però risponderle. Anche Kris si avvicinò, mentre nel cuore le si riaccendeva la speranza.

Allora, non era più arrabbiato con lei? Ora...il loro rapporto sarebbe tornato ad essere quello di un tempo?

Sì, naturalmente...sarebbe stato così.

"...Benji?".

Altrimenti...perché sarebbe tornato?

Sul viso di Kris si allargò un sorriso quasi commosso. Giocava nervosamente coi guanti che aveva fra le mani, i suoi guanti, quelli di Price, ormai convinta che sarebbe tornata presto a considerarli il tesoro prezioso che erano stati fino a poco tempo prima. L'unica cosa che le mancava per esserne certa era un'occhiata da parte sua, o un sorriso. Anche solo accennato, anche breve...

Ma l'SGGK non la stava guardando. O meglio, era come se non lo stesse facendo. La fissava, ma i suoi occhi erano indecifrabili, impenetrabili. Era impossibile capire a cosa stesse pensando, o quale fosse il suo stato d'animo. Poi, quando Kris fece per chiedergli di nuovo delle spiegazioni, Benji si mosse, dirigendosi verso i due palloni abbandonati prima nei pressi dell'area di rigore da lei e Becker.

"Cominciamo".

Quella sera, fu la sua unica parola.

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Capitolo 19
*** La Fine del Sogno ***


“… così, stiamo valutando la possibilità di aprire una nuova catena di hotels anche in Europa. In ogni caso staremo via per un paio di settimane al massimo, il tempo di incontrare alcune persone e controllare dei terreni. A proposito, vuoi che ti portiamo qualcosa di particolare dall’Italia?”.

I lineamenti eleganti del viso senza l’ombra di una ruga della signora Grover erano, come sempre, perfettamente rilassati. Guardava il figlio con un’espressione che poteva essere definita quasi adorante, mentre il signor Grover, seduto accanto alla moglie, fumava un sigaro aggiungendo di tanto in tanto qualche parola a quelle di lei.

Non ricevendo però alcuna risposta dal suo interlocutore, la donna lo osservò stupita.

“… caro? Ma… mi hai sentita?”.

In effetti Alex Grover aveva chiaramente l’attenzione altrove. Anche se lo sguardo dagli intensi occhi verdi era fisso davanti a sé, non aveva sentito nemmeno una parola di quello di cui i suoi avevano parlato per almeno dieci minuti.

“Mh, dicevi?”.

“Sei… sicuro di stare bene?”.

Il ragazzo fece un largo sorriso.

“Certo. Scusatemi, ero solo un po’ distratto”, disse, alzandosi da tavola e appoggiando il tovagliolo che aveva sulle gambe accanto al piatto vuoto. “Comunque non preoccupatevi, e fatemi pure una sorpresa. Non conosco molto l’Italia”, continuò, indovinando senza troppa difficoltà la domanda di cui le sue orecchie avevano captato al massimo qualche sillaba.

“Va bene, come preferisci”, mormorò con un altro piccolo sorriso la madre, un po’ delusa. “E tu, Kris?”.

La donna si sbilanciò da un lato della sedia per cercare il viso di Kristine che, dall’altra parte della stanza, era rannicchiata fra i cuscini del divano, stretta in un maglione blu evidentemente troppo grande per lei di qualche taglia. Nell’angolo buio del salotto, il viso dalla pelle chiara era illuminato solamente dalla luce azzurrina dello schermo sul quale si muovevano i personaggi di un celebre varietà. Sembrava assorta, nonostante non avesse mai nemmeno sorriso alle battute del programma. Quella sera non aveva mangiato nulla.

“Niente”.

“Ma…”.

“Ho detto niente”.

Rimase immobile, ma dopo qualche attimo si sollevò dai cuscini con uno scatto nervoso, mettendosi in piedi. Con lo sguardo a terra fece quindi per dirigersi fuori dalla sala, ma la voce dura del padre la costrinse a fermarsi.

“Hai deciso di metterti in punizione da sola in questo modo, Kris?”.

Lei mosse lentamente lo sguardo, senza capire.

“Co… cosa?”.

L’uomo resse gli occhi della figlia senza problemi, e non disse altro. Continuò invece la signora Grover, dopo essersi scambiata un’occhiata col marito.

“Kris, i tuoi voti scolastici sono calati di molto nell’ultimo mese. Un tuo insegnante ci ha chiamato in ufficio, qualche tempo fa, dicendo che la cosa lo preoccupa molto. E ha anche aggiunto che salti spesso le lezioni…”.

Si fermò. Alex, in piedi fra il tavolo e il salotto, osservava i volti dei familiari, teso. Non sapeva nulla della situazione di sua sorella. Dalla sera in cui Kei era ritornata non aveva più avuto modo di parlarle, un po’ perché Kristine non era mai stata in casa, un po’ anche per colpa sua. Non poteva negare di averla trascurata in quell’ultimo periodo per cercare di rimettere a posto le cose con Keith, è vero, ma di sicuro il suo andamento a scuola non stava andando bene da molto prima. Da almeno qualche settimana, o forse di più. E lei non gli aveva mai detto niente.

“I professori esagerano. Non dovete preoccuparvi”.

“E invece ci preoccupiamo. Sinceramente la cosa non ci piace, Kris”.

Alex osservò la sorella, sapendo che nonostante l’espressione apparentemente distesa sarebbe tra non molto scoppiata. Comunque, anche il suo comportamento era molto strano, da alcuni giorni.

“E’ quello che non vuoi ancora raccontarmi, Kristine. E’ quel dannato segreto la causa di tutto. Che ti riduce così”.

Sospirò, tornando a guardare i genitori. Sua madre posò la forchetta sul piatto di porcellana ornato da un contorno dorato, di sicura provenienza occidentale.

“Dalla prossima settimana avrai un insegnante privato che verrà a farti ripetizioni ogni due giorni”.

Kris non mosse la testa, rifiutandosi di guardarli in faccia.

“Non voglio”.

“E io non accetto discussioni. La questione è chiusa”.

Nella stanza calò un silenzio pesante. Alex aveva praticamente la certezza che Kristine si sarebbe avvicinata da un momento all’altro al tavolo per rispondere ai suoi nel modo più insolente possibile, ma con suo grande sorpresa la scenata che si era immaginato non avvenne.

La sorella arrivò invece fino all’inizio delle scale, e prima di salire, con le dita sul corrimano, pronunciò amaramente una sola frase.

“Vi preoccupate per me solo quando vi fa comodo, non è vero? Già… avrei dovuto pensarci. Avere una figlia che va male a scuola sarebbe una vergogna per la famiglia Grover”.

Poi, solo i suoi passi veloci sui gradini, il breve tratto di corridoio, e il rumore sordo della porta che sbatteva.

Alex chiuse gli occhi, scuotendo il capo. I suoi non parlarono, ma lui li ignorò, decidendo di seguire la sorella su per le scale. Forse era meglio andare a calmarla. Ne avrebbe approfittato anche per capire che cosa avesse, da un po’ di tempo.

“Magari questa volta ti deciderai a dirmi come stanno le cose”.

Arrivò davanti alla sua camera, ma quando fece per bussare, esitò. Conoscendola, Kristine gli avrebbe di sicuro detto di andare via, di tornare più tardi, e Alex non voleva rimandare nulla. Un principio di senso di colpa si stava facendo strada dentro di lui, la sensazione di non esserle stato accanto quando più ne aveva bisogno. Kris non gli aveva mai chiesto aiuto apertamente, è vero. Non l’aveva mai fatto, non era da lei. Alex le aveva sempre dovuto tirare fuori tutto con la forza, fin da quando erano piccoli, anche quando i ragazzi con cui era stata l’avevano fatta soffrire. Quando l’avevano usata, abbandonandola poi come un oggetto di cui non avevano più bisogno.

Tutte le volte in cui i loro genitori l’avevano fatta sentire sola. Una figlia dimenticata.

Ma anche se Kris aveva sempre desiderato apparire forte, non lo era mai stata. Nessuno di loro due era abbastanza forte per poter andare avanti da solo, per non avere bisogno dell’appoggio dell’altro.

Ripensò alla serata in cui era tornata Keith. Se prima di andare all’aeroporto non avesse parlato con Kris, non sapeva se avrebbe ritrovato il coraggio necessario per affrontare gli errori che aveva commesso in passato.

Sì, glielo doveva. Le doveva tante cose.

Posò così la mano sulla maniglia, e la spinse con decisione.

“Kris…”, disse, immaginando di trovarla stesa sul letto e rannicchiata fra le coperte, come faceva ogni volta che si chiudeva in camera.

Ma non era lì. Si stava invece cambiando, e teneva fra le mani un maglione, quello che indossava poco prima. L’aveva appena sfilato. Alex ricordò che Kristine gliel’aveva chiesto in prestito tempo fa, quando aveva inspiegabilmente iniziato a mettersi spesso vestiti larghi e tute sportive.

Quando lo vide sulla porta, però, la sorella lasciò cadere la maglia a terra. Aveva gli occhi sbarrati.

Ed in quel momento Alex non poté fare a meno di notare dei segni, rossi e profondi ed in altri punti tendenti al violaceo, che le coprivano l’addome, nudo sotto il reggiseno, insieme alle braccia e alle spalle.

“Alex… co… come ti permetti di entrare in camera mia senza bussare?!?”, balbettò lei. Lo fissò per qualche istante senza sapere cosa fare, poi, chinandosi di scatto, raccolse il maglione ai suoi piedi. Si coprì come poteva per tentare di nascondere alla vista del fratello i lividi, ma lui, avvicinandosi, le strappò l’indumento dalle mani.

“Cosa DIAVOLO sono questi?!”, esclamò.

“Alex… ”.

“CHI TE LI HA FATTI?”.

“Per favore… non urlare… I-io… sono… sono caduta…”.

Il ragazzo la spinse contro il muro della stanza, afferrandola per le spalle.

“Non provare a raccontarmi altre balle”, disse quindi. Non gridava più, ma il tono che stava usando non era di certo pacato. “Perché non sono più disposto a lasciarti vivere un’altra vita di cui non so nulla. Mi ero promesso di non intromettermi, è vero, di non chiederti più spiegazioni, ma solo perché ti vedevo felice. Ora le cose sono diverse. ORA mi dirai CHI ti ha picchiata, e subito dopo IO andrò a restituirgli lo stesso trattamento”.

Kris guardava in basso, gli occhi castani pieni di lacrime. Tremava, e sembrava non riuscire a smettere.

“A-Alex… lasciami, mi fai male… ”.

“Ti ho detto di dirmi CHI è quel FOTTUTO BASTARDO. E in che RAZZA di giri ti sei messa”.

Alex continuò a tenerla contro il muro, senza accorgersi di starle stringendo sempre di più le braccia. Alcune lacrime scivolarono lungo le guance della ragazza, mentre una smorfia di dolore comparve sulle sue labbra sottili, diventate rosse a furia di essere morsicate per il nervosismo.

“Mi stai… MI STAI FACENDO MALE!”.

Kris urlò all’improvviso, e il suo grido sembrò far tornare in sé Alex, che la lasciò immediatamente. Indietreggiò di qualche passo, rendendosi conto solo in quel momento di essere stato troppo impulsivo. Guardò con orrore i segni che aveva lasciato sulla pelle di Kristine, sommati a quelli, innumerevoli, che già aveva, e si pentì della sua reazione violenta. Non credeva di poter arrivare a tanto. Non credeva di poter far del male a sua sorella perdendo il controllo a quel modo.

“Perdonami, io… ”.

“ESCI DI QUI!”.

Alex la guardò, mortificato. Gli occhi verdi del ragazzo erano lucidi, proprio come quelli che stava fissando. Kris sembrava però fuori di sé, ora, e continuava a tremare visibilmente. Era stravolta, e la voce scossa dai singhiozzi usciva a stento, seppur con rabbia, istericamente.

“S-sono… stanca… stanca di TUTTO! Tu credi di sapere come aiutarmi, ma non puoi sapere niente, NIENTE! E non puoi fare NIENTE!”.

Riprese fiato. Si passò una mano sugli occhi arrossati per asciugare le lacrime che ormai le impedivano di vedere, poi fece un passo in avanti, e riprese a parlare. Con tristezza, questa volta, e rassegnazione.

“Voglio solo essere lasciata in PACE. Tu… non puoi fare niente per me. Nessuno… può fare niente per me”.

Si girò.

“E ora vattene, per favore”.

Alex non aggiunse una parola. Fece ciò che gli era stato chiesto e, con lentezza, richiuse la porta alle sue spalle.

Ancora sconvolto percorse il corridoio, ma arrivato alla fine spostò piano gli occhi sul salotto sotto di lui, al piano terra, visibile dalla ringhiera in legno che precedeva le scale.

I suoi genitori erano seduti sul divano. La signora Grover stava piangendo sommessamente, mentre il marito tentava di calmarla, tenendola stretta a sé e dicendole a bassavoce parole che Alex non riuscì a sentire.

Li guardò con compassione. A quanto pare la frase detta prima da Kristine aveva prodotto qualche effetto, dopotutto. Anche se i loro genitori avevano parecchi difetti, non erano privi di sentimenti. Lui l’aveva sempre saputo, sapeva che tenevano ai loro figli più di quanto non sembrasse a prima vista, ma probabilmente solo ora si stavano rendendo conto di aver commesso degli sbagli. Soprattutto con Kris.

Socchiuse gli occhi. Avrebbero avuto tempo per rimediare.

“Chissà se è vero che non c’è nulla che non si possa risolvere…”.

Kris stessa aveva affermato che agli errori si può sempre riparare. Glie l’aveva detto quella sera, a proposito di Kei. Ma adesso, toccava solo ai loro genitori crederci.

Scosse la testa, e asciugandosi gli angoli degli occhi, umidi di lacrime non cadute, scese con fermezza le scale. Passando di fianco ai genitori, questi si voltarono verso di lui.

“Alex, Kris…”, mormorò timorosa sua madre.

“Per ora lasciatela stare. E’ meglio così, credetemi”, la anticipò lui, prendendo il montgomery appeso di fianco alla porta. Se lo infilò, chiudendo gli alamari fino in cima.

La donna lo fissò senza capire, gli occhi cerchiati dalla stanchezza, sfinita dal pianto.

“Ma… e tu dove vai a quest’ora?”.

Lui sorrise brevemente.

“Non vi preoccupate. Torno presto”.

Senza lasciar loro il tempo di protestare, Alex infilò la porta. Fuori soffiava un vento freddo, segnale che l’inverno si stava avvicinando velocemente. Percorse le strade semideserte con le mani affondate nelle tasche, fino a che giunse davanti ad una piccola, graziosa villetta, isolata in fondo ad una stradina non asfaltata.

Entrò nel cancello socchiuso, e dopo aver attraversato il modesto ma curatissimo giardino suonò una volta il campanello. Attese più di un minuto, poi una voce femminile rispose piano, chiedendo chi fosse.

Alex pronunciò il proprio nome, e dall’altra parte ci fu silenzio per un attimo. Si sentì un quasi sussurrato “arrivo”, poi la donna appese il citofono. Dopo qualche attimo comparve da dietro la porta, che aprì di poco.

“Ma lo sai che ore sono?”.

Lo fissò con aria di rimprovero, poi sembrò d’un tratto imbarazzata.

“Lo so che ti ho detto che ci avrei pensato, però non mi sembra il caso che tu… ecco… ”.

“Keith, non si tratta di noi, ma di Kris. Sono qui perché ho bisogno di parlare con te e Nicole”.

Lo sguardo della ragazza si allarmò, e le iridi azzurre tornarono a fissare Alex, brillando nel buio della sera.

“Oh…”.

“Ti prego. Solo un minuto”. Spostò un attimo la testa. “Sono… preoccupato”.

Implorante, il ragazzo continuò a guardare Kei, ma in quel momento la porta si aprì completamente.

“Kei, chi è?”.

Nicole apparve di fianco alla sorella, i fluenti capelli rossi raccolti sulla nuca. Indossava una vestaglia di seta bianca, ed era a piedi nudi, subito visibili sulle piastrelle scure dell’ingresso.

“Alex?”.

Rivolse un’occhiata interrogativa sia all’amico che a Keith, ma quest’ultima rientrò in casa, invitando il ragazzo oltre la soglia.

“Entra pure”.

 

 

Lo specchio le rimandava un’immagine di sé nella quale stentava a riconoscersi.

Il viso sciupato, gli occhi arrossati, i capelli scompigliati.

Il corpo magro, troppo magro, da troppo tempo.

I lividi.

Kris chiuse gli occhi, portandosi una mano al braccio destro, quello che più le faceva male. Il modo con cui Alex l’aveva afferrato aveva riacceso il dolore della sera prima. Anzi, di tutte le precedenti giornate.

Fissò ancora il riflesso davanti a lei con fastidio, poi si voltò, abbandonandosi sul letto come un peso morto. Non era propriamente disgustata da quello che era diventata, ma dal fatto che stesse permettendo di lasciarsi ridurre così.

Aveva visto gli occhi di suo fratello. Aveva visto la sua reazione. Ne aveva avuto paura ma l’aveva compresa, eccome se l’aveva compresa, anche se lei gli aveva risposto a quel modo.

Gli aveva detto di lasciarla stare, ancora una volta. Di non farle domande. Di non aiutarla.

“Non puoi chiedermi di dirti chi è stato, Alex…”, pensò, assaporando il sollievo dato dal fresco delle lenzuola contro il suo corpo dolorante. “Anche se io stessa…”.

Aprì gli occhi. Sì, avrebbe voluto mettere fine a tutto quanto, ma non poteva.

Anche se avrebbe voluto dire soffrire ancora, non poteva lasciare che vincesse lui.

Lui.

Ricomparso quella sera, emergendo dal buio.

Senza una spiegazione, mandando via Tom.

Guardandola senza vederla davvero.

Aprendo la bocca una sola volta.

Una.

Cominciamo.

I suoi occhi duri.

Gli occhi solitari di un lupo, gli occhi indecifrabili e ipnotici di un animale notturno.

E lei, dopo un attimo di smarrimento, pronta, alla porta.

L’unica cosa che potesse fare, che sapesse fare.

Felice, incredula.

Illusa.

Lui che fa pochi passi indietro per prendere la rincorsa, poi… la sua gamba destra che si solleva.

Il pallone sparire dall’erba in un attimo.

E’ diretto proprio verso di lei, nel mezzo… non è un tiro angolato, no…

Non è… angolato… è forte.

Ma non come quelli di Oliver Hutton, o di un altro attaccante. E’ diverso.

Le ci vuole poco per rendersene conto.

Molto poco.

La sfera che le centra lo stomaco, facendola finire in fondo alla porta.

Sì, basta questo. Ed il dolore.

Un dolore atroce.

Nel fisico, e nell’anima.

Era stata cattiveria pura.

L’hai fatto apposta.

Tossisce mentre lo dice, si porta una mano al ventre, tossisce ancora.

Ma da lui non riceve parole. Solo un altro pallone, insieme a dolore, e freddo.

Ecco ciò che sente ancora. Come se il cuoio fosse diventato ghiaccio.

Proprio come il cuore della persona a pochi metri da lei.

Perché?

Non sa cosa diavolo voglia. Che pari tiri impossibili? O semplicemente vederla distesa su quel prato, a sputare sangue?

Cosa pretendi che faccia? Dimmelo!

Proiettili crudeli.

Sulle braccia, sulle spalle, sulle gambe. Uno anche sul viso.

Tiri su tiri. Tutta la sera. Ripetutamente.

E alla fine, vederlo andare via all’improvviso.

Senza la forza per rialzarsi, osservarlo sparire nel buio, così come era apparso.

Lui, un animale notturno.

I giorni seguenti, poi, la stessa, spietata sequenza.

Con qualche parola in più, ma nulla di molto diverso da offese, insulti, provocazioni.   

Lui, Benjiamin Price.

Lui.

Come se non ce l’avesse più, un cuore.

 

 

“Hai detto proprio così?”.

“Certo. Ed è stato anche poco. Avrei potuto continuare a rinfacciare a tutti e due un milione di cose per ore…”.

“Immagino. Però ho come l’impressione che nonostante tutto non cambieranno idea”.

“Sull’insegnante? No, infatti. Ma non m’interessa. Sono sicura che hanno capito cosa intendevo, e questo mi basta”.

“Mh, lo credo anch’io… la lingua tagliente senza dubbio ce l’hai”.

Sentendo quell’ultima frase, Kristine si girò verso Jude per guardarla con lo stesso sorriso che era comparso anche sulle sue labbra.

“E con questo cosa vorresti dire?”.

L’amica dagli occhi da gatta avvicinò il viso al suo, facendole una smorfia.

“Voglio dire che è colpa tua se siamo qui fuori da un’ora! Potevi contenere il tuo nervosismo almeno per oggi e sfogarti per la prossima serata coi tuoi, no? La prof ha buttato fuori dall’aula anche me… ”.

“Non sono stata l’unica ad averle risposto, mi sembra!”.

“Ma il mio spirito di studentessa ribelle è sorto da quando ho iniziato a frequentare una certa persona… e indovina di chi si tratta?”.

Nel corridoio del secondo piano dell’Istituto privato Shyutetsu risuonò la risata chiara delle due amiche, che dovettero però subito zittirsi quando la professoressa si affacciò dalla porta dell’aula per riprenderle di nuovo.

“Credo che anche l’ultima ora a reggere questi secchi d’acqua non ce la toglie nessuno… ”, mormorò quindi Judith, scrutando il fondo rovinato del contenitore metallico con rassegnazione. Era pieno fino all’orlo, e piuttosto pesante.

Kris non disse nulla, ma sospirò. Quando poi rialzò la testa gli occhi le caddero sul piccolo cortile visibile sotto le finestre del corridoio, come sempre deserto a quell’ora. Erano infatti quasi le quindici, e la giornata scolastica stava fortunatamente giungendo al termine.

Si avvicinò al vetro.

“Che cosa guardi?”. Jude le si affiancò.

“Oh, nulla. Non c’è nessuno”.

Mentre la ragazza dai capelli scuri si sporgeva leggermente dal davanzale, Kris lasciò improvvisamente il secchio, che si posò sul pavimento con un tonfo sordo. A quel rumore, Judith si girò di scatto.

“Stai… stai bene?”.

Kris circondò di nuovo il manico del secchio con le dita, senza però muoverlo da terra.

“Sì… è solo… uhm, niente, mi facevano male le braccia”.

“Troppo allenamento?”.

“Uh… sì, immagino di sì”.

Si massaggiò velocemente le spalle, pensando che per sua fortuna la divisa invernale copriva completamente i lividi che aveva sulle braccia. Se Judith li avesse visti sarebbe stata costretta a spiegarle da dove venivano, e Kris non aveva la minima voglia di assistere ad un’altra scenata. La discussione della sera prima con suo fratello le era bastata… 

“Quand’è la prossima partita?”.

“Tra cinque giorni. Con la Flynet”.

Si appoggiò con la schiena al muro, rifiutandosi per il momento di tenere ancora in mano il contenitore ai suoi piedi.

Jude la osservò, pensando a cosa chiederle. Da quando le aveva parlato dei sentimenti che provava Becker per lei, non aveva più saputo cosa fosse successo. Kris non le aveva detto più nulla, e Tom era sempre stato irraggiungibile via telefono. Con molte probabilità non aveva accettato il suo consiglio di farsi avanti con Kristine. Anzi, di sicuro.

Fece per staccare gli occhi dal cortile che aveva ricominciato a fissare, annoiata, per guardare in faccia Kristine, ma qualcosa attirò la sua attenzione. Una figura familiare era infatti comparsa sotto gli alberi spogli, stretta in una giacca scura. Stava camminando con lentezza.

“Toh, c’è Price”, disse quindi, appoggiandosi ancora al davanzale. “Strano vederlo ancora in giro. Di solito se n’è già andato a quest’ora del pomeriggio”.

Kris si voltò.

“Dov’è?”.

L’altra glielo indicò con un cenno del capo.

“Laggiù”.

Rimasero entrambe in silenzio ad osservare Benji avvicinarsi ad un grosso ciliegio dai nudi rami scuri, per poi sedersi ai suoi piedi lasciandosi cadere mollemente. Da una tasca tirò fuori una sigaretta, la accese e dopo aver fatto un tiro sollevò la testa al cielo nuvoloso. Pareva stanco.

Judith notò con la coda dell’occhio il modo con cui Kris lo stava fissando. Non era capace di definirlo. Era uno sguardo triste, malinconico, come rassegnato a qualcosa di inevitabile, ma allo stesso tempo duro e distaccato, in qualche modo addirittura sprezzante. Uno sguardo dove sentimenti opposti si scontravano.

“Kris, hai capito… cosa provi per lui?”.

Jude le aveva fatto quella domanda quasi a bassavoce. L’altra però non spostò la testa, fece solo un piccolo sospiro e non parlò fino a quando risollevò il secchio d’acqua da terra. Solo allora, con un sorriso triste, guardò l’amica.

“Non ha più importanza, ormai”.

 

 

Il signor Gunnell, in piedi a braccia conserte a bordo campo, guardava concentrato i movimenti dei giocatori al centro del rettangolo. Poco distante da lui, intento invece a studiare lo schema di gioco del prossimo incontro, Oliver Hutton sollevava solo a tratti gli occhi dai fogli stampati fissati alla cartellina che aveva in mano.

Nonostante la temperatura si fosse abbassata notevolmente in quegli ultimi giorni, la New Team non sembrava essersene accorta. Gli allenamenti andavano sempre meglio, e tutti apparivano al massimo della forma. Holly era quasi certo che sarebbe riuscito a fronteggiare senza troppi problemi Callaghan, e magari anche a batterlo. L’intera squadra ne era convinta.

“Uhm… Oliver?”.

Il ragazzo alzò lo sguardo sull’allenatore.

“Sì?”.

L’uomo fece qualche passo verso di lui, mettendo una mano in tasca.

“Ecco… volevo chiederti se… anche tu ti sei accorto che da due giorni Kris Grover non si fa vedere”. Si massaggiò gli occhi con le dita, poi, stanco, tornò a guardare il numero dieci. “Credimi, non voglio darti l’impressione di essermi fissato con Grover. So che da un po’ di tempo lo rimproveravo in modo pesante per i suoi ritardi, e…”.

“Non si preoccupi mister. La capisco”. Hutton si alzò dalla panchina su cui era seduto, posando a lato la cartellina e la biro con la quale stava segnando alcuni appunti.

Già, Holly era certo che la New Team avrebbe battuto la Flynet, se solo… non ci fossero state un paio di cose a preoccuparlo.

Sospirò.

“Anch’io ho notato le assenza di Kris. Tempo fa le avevo detto di non essere troppo severo con lui solo perché credevo che avesse qualche problema personale che gli impediva di essere puntuale, ma…”. Gettò uno sguardo al cielo, plumbeo. “… è anche vero che non possiamo permetterci di avere il nostro primo portiere in forma discreta. Non adesso, a pochi giorni dalla partita”.

Il mister scosse il capo.

“E’ un guaio. Ma nessuno sa dove sia finito?”.

“No. Dovrei chiedere a Benji, ma oggi non è ancora arrivato. E’ lui che allena Grover la sera, anche se forse Kris ha smesso di andare anche ai loro incontri…”.

I due si guardarono, senza sapere che fare. Trascorse così un’altra mezz’ora di allenamento, e quando il sole tornò ad affacciarsi pallido fra le nuvole, il mister richiamò i ragazzi per una pausa.

Holly osservò il gruppo raccogliersi oltre la linea bianca del perimetro, seguendo con particolare attenzione i movimenti di uno dei membri della squadra, l’unico che, da troppo tempo ormai, pareva non essere più lo stesso. Lo vide staccarsi dagli altri e, scuro in volto, dirigersi verso gli spogliatoi, aprendo e chiudendo la porta senza farsi notare. Da nessuno, meno appunto da Oliver, che scusandosi velocemente con gli altri compagni seguì l’amico oltre il corridoio.

“Sei fra noi, Tom?”.

Il capitano si appoggiò al muro della stanza degli armadietti. Pronunciò quella domanda con tono severo e fissando Becker che, fermo davanti al proprio con l’anta aperta, stava controllando qualcosa all’interno del borsone appoggiato sul ripiano metallico.

“Oh…”. Il ragazzo dai capelli castani rimise subito a posto ciò che aveva preso dalla sacca, allontanandosi di colpo dall’armadietto. “Ciao Holly… io… torno su subito, stavo solo controllando che…”.

“Stavi chiamando Grover?”.

Hutton fece qualche passo nella sua direzione, le mani nelle tasche dei pantaloncini. Il suo viso era duro, ma anche preoccupato.

Tom aprì un poco la bocca, sorpreso.

“Io… non…”.

“Ho capito già da un po’ che Kristian c’entra in qualche modo coi tuoi problemi. Non è necessario che cerchi di nasconderlo”, lo interruppe l’altro. “Vi conoscete da tanto, siete amici da anni, e certe volte può succedere che si incrini qualcosa. In un’amicizia, intendo”.

Il capitano sorrise, continuando ad osservare il numero undici della New Team.

“Questo discorso… in parte l’abbiamo già fatto, lo so. E come quella volta, anche adesso non voglio chiederti cosa sia successo. Immagino che quel segreto che non potevi rivelare sia rimasto tale. Però…”.

Arrivò davanti a Tom, e l’altro, a labbra serrate, chinò la testa, già sapendo dove l’amico voleva arrivare.

“… ora la cosa si sta facendo troppo seria”, continuò Hutton. “Dovete risolvere ogni cosa, o l’intera squadra ne farà le spese. So che tu sei capace di giocare al meglio in ogni caso, nonostante il tuo stato d’animo… ma Kris no. Ne abbiamo avuto una prova nella partita con la Artic, se ricordi”.

Appoggiò le mani sulle spalle di Becker e lui, risollevando gli occhi, lo fissò tristemente.

“… Già”.

“Tu sei l’unico fra noi che sa come contattarlo. Ti prego, cerca di fare qualcosa. Riportalo agli allenamenti, cerca di fargli capire che non può lasciarsi andare in questo modo”.

Fece una pausa.

“E se vorrete… io sarò pronto a darvi una mano”.

Tom annuì piano, rivolgendo al proprio capitano un piccolo sorriso, grato.

“Okay”.

Hutton batté una mano sulla spalla del ragazzo, e scambiandosi un altro sorriso i due fecero per tornare in campo. Voltandosi, però, i calciatori dovettero fermarsi un’altra volta.

Perché, fermo sulla porta, c’era Price.

“Di sopra gli altri chiedono dove siete finiti”, comunicò il portiere, fissandoli. “Vi consiglio di sbrigarvi. Non è il caso di far perdere tempo prezioso al resto della squadra”.

Detto questo, Benji portò una mano alla tasca posteriore dei jeans, tirando fuori un pacchetto di sigarette e un accendino. Ne accese una.

Mentre con disinvoltura il ragazzo iniziava a fumare, Oliver e Tom rimasero a guardarlo, senza parole.

Price si voltò quindi per tornare nel corridoio, ma Hutton lo richiamò.

“Benji…”.

“Mh?”.

“Scusa, è che…”. Il numero dieci si schiarì la gola. Ultimamente, Price lo metteva a disagio molto spesso. “… ci stavamo domandando se, per caso, sapevi perché Kris non è venuto agli allenamenti di questi ultimi due giorni. Magari, visto che voi vi vedete ogni sera…”.

“Non ne so niente. Mi spiace”.

“…Ah”.

Benji riprese a camminare. Era visibilmente scocciato, ma la voce preoccupata di Hutton lo bloccò ancora.

“Mi sembra che… che tu… non abbia mai fumato”.

Silenzio.

“E allora?”.

“Ecco… beh, un… uno sportivo non dovrebbe fum…”.

“Fatti gli affari tuoi, Hutton”.

Il portiere lo guardò infastidito, ma non riprese a camminare, forse in attesa di una replica. Holly, però, letteralmente gelato dalla risposta secca e dura di quello che aveva sempre creduto un amico, non sapeva che altro dire. Era già la seconda volta in poco tempo che Price si comportava in quel modo, la seconda dal giorno della famosa partita con la Artic.

Era chiaro che anche il suo atteggiamento, in qualche modo, doveva c’entrare con Kris, ma il numero dieci non aveva idea di come affrontare la discussione con Benji. Non sembrava troppo disposto a parlare. Decisamente no…

Gettò così un’occhiata interrogativa a Tom, fermo a pochi passi da lui, speranzoso in un suo aiuto.

Ma Becker non era girato nella sua direzione. Stava infatti fissando con gli stessi, identici occhi di Price proprio l’SGGK.

Occhi gelidi, dallo sguardo tagliente come una lama.

“Holly, tu torna pure su. Di’ al signor Gunnell che arrivo tra un secondo”.

Il capitano osservò l’amico meravigliato, ma non si oppose alla sua richiesta. Probabilmente, anzi, molto probabilmente, lui e Price avevano qualcosa da chiarire. Ed era sicuramente meglio se lui ne restava fuori.

“Forse un giorno tutto questo mi risulterà più chiaro…”.

Superò i due giocatori e, con una breve corsa, sparì alla fine del corridoio.

Rimasti soli, Becker e Price restarono in silenzio per un lungo istante. Poi, facendo solo qualche passo in avanti, Tom sorrise sardonico.

“E così hai iniziato a fumare. Uhm, a quanto pare devi essere piuttosto nervoso. Ma Holly ha ragione, non dovresti”.

“Ed io non ho bisogno delle vostre prediche. Faccio quello che mi pare”.

“Sì, immagino… in fondo, l’hai sempre fatto”. Fece una pausa. “Cos’è successo, Benji?”.

“Di che stai parlando?”.

“Con Kris”.

Il portiere non rispose. Si limitò a fare un altro tiro, e mentre il fumo si disperdeva nell’aria, Becker si avvicinò ulteriormente a lui.

“Spero per te… che tu non abbia fatto quello che penso”, gli disse quindi con vago tono di minaccia, cercando di capire qualcosa dall’espressione del suo viso che, però, non sembrava tradire alcuna emozione. “Ti conosco, Benji. Come conosco il Benji di una volta. So cosa puoi esser capace di fare se viene risvegliato il tuo orgoglio. E l’idea mi spaventa”.

L’altro fece qualche passo nel corridoio, osservando le spirali grigie nelle quali era immerso muoversi al soffio del suo respiro.

“Anche se fosse, la cosa non ti riguarda”.

Becker strinse i pugni lungo i fianchi, spalancando gli occhi.

“Allora… l’ha fatto davvero…”.

Deglutì, pentendosi amaramente di essersene andato via, quella sera al campo. Di aver commesso un altro errore, l’ennesimo sbaglio che poteva essere evitato. Kris l’aveva respinto, Benji era tornato reclamando il suo posto come allenatore e il suo stato d’animo di quel momento aveva fatto il resto.

L’aveva deciso.

Aveva creduto che lasciarla lì, con Price, sarebbe stata la cosa migliore per lei, quello che desiderava, quello che Kristine voleva.

Ma per lui, invece, era stata la più comoda. La via più semplice per non soffrire ancora.

“Invece, è stata lei a soffrire. E la cosa peggiore è… che sapevo che sarebbe successo”.

Sentì un nodo formarsi in gola, ma capì che quello non era il momento di pensare ai rimorsi. Avrebbe avuto tempo dopo per rimettere a posto le cose, per parlare con Kris. Ora, c’era qualcun altro con cui doveva finire una chiacchierata.

Chiuse gli occhi con un profondo respiro e, una volta che li ebbe riaperti, fulminò Benji con un’occhiata.

“La cosa mi riguarda, invece”.

Fece per proseguire, ma senza avere nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo Tom si ritrovò spinto con violenza contro la parete alle sue spalle. Le dita di Benji tenevano stretta in una morsa ferrea la sua maglietta, appena sotto al collo, ed il calciatore poteva sentire la pressione contro il suo sterno farsi ogni secondo sempre maggiore.

“E perché dovrebbe? Decido io come allenare il mio sostituto, Becker”.

“Ma anche Kris ha un limite. Non è un robot, lo vuoi capire?! Andando avanti così potrebbe anche non riuscire a giocare, la prossima domenica”. Cercò di riprendere respiro. “Lo sfinirai, fisicamente e psicologicamente… non hai nessun diritto di trattarlo in un modo simile solo perché hai il sospetto che sia…”.

“Ne ho tutti i diritti, invece”, scandì sibilando il portiere, senza staccare lo sguardo da quello, furioso, di Tom. “Eccome se ne ho. Quel Grover ha bisogno che qualcuno gli faccia capire come ci si comporta in campo. Io non accetto né sfaticati, né femminucce che mi sostituiscano. Voglio uomini veri. E se lui non è capace di esserlo, glielo insegnerò io. Con le cattive, se necessario”.

L’espressione del numero undici, a quella frase, si fece ancora più aspra.

“Scommetto che non hai pensato nemmeno per un momento che potresti esserti sbagliato riguardo a quella notte, vero?”.

Price indebolì la spinta sul petto di Becker.

“No, e comunque non so proprio come potrei essermi sbagliato. In ogni caso per la partita con la Flynet Kristian ci sarà di sicuro, te lo garantisco. E sarà in piena forma”.

Price lasciò finalmente il calciatore. Lo guardò ancora con i suoi occhi scuri, e dopo essersi portato un’ultima volta alla bocca la sigaretta, ormai diventata un mozzicone, la spense sotto i piedi.

Si girò, dirigendosi all’uscita per il campo.

Becker, invece, rimasto fermo contro il muro, si passò con calma una mano sulla maglietta spiegazzata. Attese qualche secondo, poi ripuntò gli occhi sulla schiena del portiere che si allontanava.

“Sai, Benji, ero convinto che avessi capito da tempo certe cose. E cioè cosa c’è davvero di importante, da salvare, in questo mondo che ormai conosce solo parole come egoismo, potere, vittoria. Orgoglio”.

Il portiere mosse di poco il viso, senza però voltarsi.

“Ma a quanto pare mi illudevo. Le persone come te non sono capaci di cambiare. Sei rimasto lo stesso ragazzino odioso di otto anni fa. E stai certo che continuando così rimarrai di nuovo solo, proprio come lo eri allora”.

Tom non aggiunse altro. Si staccò dalla parete e, superato l’SGGK, immobile in mezzo al corridoio, si incamminò fuori dagli spogliatoi.

 

 

Quella sera, una notte senza luna. Freddo, un freddo secco, non un filo di vento. Nessuno in giro.

Con gli occhi bassi, Kris camminava lungo la rete del campo d’allenamento. Da almeno dieci minuti non si decideva ad entrare, ma non perché fosse arrivata in anticipo. Almeno, non solo per quello.

Mentre osservava il campo attraverso i piccoli rombi vuoti creati dai fili verdi incrociati, annusava attentamente l’aria. Non aveva mai fatto caso prima agli odori che c’erano la sera, ma ora che li aveva sentiti ne era rimasta disgustata.

Gas di scarico, e poco altro.

Infilò le dita nella rete, fissandosi la punta delle scarpe da ginnastica ormai consumate. In realtà aveva respirato bene i profumi di Fujisawa, quell’estate. Ma erano stati profumi. Piacevoli.

Quello dell’oceano, che arrivava fin nell’ufficio di Nicole, trasportato dal vento.

Quello dell’erba appena tagliata, proprio lì, al campo, durante gli allenamenti.

Sensazioni. Ricordi, in pochi mesi già così tanti. Ma che forse, adesso, era meglio prendere e gettare via.

Tutti.

“Ora nemmeno l’aria è più quella di quando sono arrivata”, pensò. “Niente. Niente è uguale a quando sono venuta qui”. Alzò gli occhi al cielo. Era nero come inchiostro, e per nulla consolante. “Forse sono arrivata davvero alla fine. E forse sarebbe meglio lasciar perdere ogni cosa”.

Si staccò dalla maglia metallica con un movimento improvviso, provocando una vibrazione lungo tutta la rete. Era veramente tentata ad andarsene, ma al tempo stesso… non ci riusciva.

Scosse la testa, pensando che era una stupida a continuare a sperare. In cosa, poi?

“Muoviti”.

La voce di Price, emersa dall’oscurità, fece sussultare Kris, che si voltò di scatto, facendo due passi indietro. Fissò la figura ferma a pochi passi da lei, e deglutì. A quanto pare anche lui era arrivato in anticipo. Fantastico…

“… arrivo”, mormorò piano, quasi per non farsi sentire. Stava iniziando a non poterlo più vedere, ma non avrebbe voluto che succedesse. Non voleva odiarlo.

O, più precisamente, non poteva. Nonostante tutto il male che le stava facendo.

“Iniziamo subito”.

La guardò un attimo. Anche Kris sollevò il viso, ma appena il suo sguardo incrociò quello di Benji, il ragazzo si voltò. Raggiunse l’ingresso del campo, e lei ne seguì i movimenti con occhi lucidi di lacrime che Price, di sicuro, non aveva notato.

Sì. Avrebbe continuato a subire quel calvario senza lamentarsi, e non solo per provare a se stessa che poteva farcela.

Si passò una mano sulle guance.

“Io ti amavo. E non posso dimenticarlo”.

Ora l’aveva capito. Non poteva sfuggirgli, non poteva opporsi.

E non se ne sarebbe andata. Qualunque cosa Price avesse fatto.

Qualunque…

Lentamente, entrò nel rettangolo di erba scura. Ma mentre si posizionava in porta, ormai preparata a ciò che avrebbe dovuto sopportare per le prossime ore, Kristine notò Benji avvicinarsi insolitamente a lei. Aveva lasciato i palloni dell’allenamento a terra, più indietro.

“Perché non stai più venendo agli incontri con la squadra, al pomeriggio?”, le chiese improvvisamente, rompendo il silenzio intorno a loro.

Kris lo fissò, stupita. Non le aveva mai fatto domande su nulla, in tutte quelle sere.

“Beh…”.

“Allora?”.

“Ecco, è che… non riesco… a riprendermi dai tuoi…”. Rimase per qualche istante a pensare a come chiamarli. “…a… allenamenti, in sola mezza giornata. E la mattina vado a scuola. Quindi…”.

“Non dire assurdità. Vedi di tornarci prima che decida di raddoppiarti le ore con me”.

“Ma…”.

“Ho detto”, la interruppe ancora, alzando la voce. “che ci tornerai. Nessun ma. Uhm, anzi…”

L’SGGK ridusse gli occhi a due fessure, fermandosi un attimo.  

“… Credo che le cose si possano tranquillamente fare entrambe. Perciò, da domani, le ore diventeranno tre. Siamo intesi?”.

Kristine mosse le labbra per replicare, ma dalla sua gola non uscì alcun suono.

“E’… è pazzo… tre ore… con lui?”.

Osservando l’espressione comparsa sul viso di Grover, Price fece un piccolo sorriso di soddisfazione. Non aveva avuto il coraggio di rispondergli, proprio come aveva immaginato.

“E’ così che alleno i miei sostituti, Becker”, sussurrò, prima di voltarsi d’improvviso. “Precisamente… in questo modo”.

Corse verso il gruppo di palloni abbandonati fra l’erba e, impossessatosi di una delle sfere, scattò in avanti, dirigendosi velocemente verso la porta.

Kris, ancora sconvolta per le sue parole di poco prima, vide con orrore il ragazzo avvicinarsi a lei. Non aveva nemmeno avuto il tempo di indossare i guanti, ma dubitò che a Benji importasse. Come sempre.

La palla si staccò dal piede del calciatore dopo pochi metri di corsa e raggiunse, con una violenza inaudita, lo stomaco della ragazza che, ferma fra i pali, crollò subito a terra.

La sfera rotolò davanti a lei. Kris la fissò, e appoggiando entrambe le mani sull’erba tentò di riprendere fiato. Ma non riuscì nemmeno a sollevare la testa perché un altro, fortissimo colpo la scagliò, dopo solo pochi secondi, col viso nella rete.

Riaprì gli occhi con fatica. Un dolore intenso le martellava le tempie, ma tentò di ignorarlo.

“Allora? Non sei più capace di bloccare il pallone? Su, rialzati!”.

Dopo altri tre tiri dello stesso genere, Benji ripeté ancora quella frase. E dopo altri due, ancora.

E ancora.

la cosa non ti riguarda" soffio del suo respiroIl portiere della New Team, visibilmente stremato, cercò di rimettersi in piedi per l’ennesima volta, ma un altro bolide lo anticipò. Il pallone lo colpì questa volta alla spalla destra, scaraventandolo brutalmente in fondo alla porta.

Kris rimase immobile, appoggiata con la schiena alla maglia di corda bianca, la mano sulla spalla dolorante.

“Vuoi iniziare a lavorare seriamente, Grover?”, esclamò allora Price, continuando a fissarla freddamente.

La voce del ragazzo risuonò nella mente di Kristine che, con la testa abbassata, tentava di controllarsi. Aveva una voglia disperata di scoppiare a piangere, ma non lo fece.

“Non era questo che volevo. Non era questo che volevo…”.

In quel momento, però, una nuova, feroce pallonata la colpì ancora allo stomaco, facendola tornare crudelmente nel presente. Si accasciò in ginocchio, tossendo.

“Dimmi…”.

Finalmente, Benji si fermò. Smise di calciare palloni, avvicinandosi senza fretta ai due pali bianchi.

Il freddo, adesso, iniziava a farsi insopportabile.

“… devo prendere in considerazione… l’idea di sbatterti fuori dalla squadra?”.

Kris sollevò lentamente lo sguardo. Price era a pochi centimetri da lei e la stava fissando, le ginocchia piegate per guardarla negli occhi. Nei suoi, glaciali, non c’era la minima compassione, e non accennavano a volersi distogliere dal suo viso.

Un brivido percorse la schiena di Kristine. Non sapeva se fosse colpa del freddo nell’aria o di quello nello sguardo di Price. Non riuscì a dire nulla, ma proprio allora il ragazzo mutò espressione, ed un sorriso beffardo gli comparve sulle labbra.

“Prima di offrirti come portiere ti saresti dovuto informare meglio, lo sai?”.

Kris dischiuse la bocca.

“Co… cosa vuoi dire?”, mormorò.

Benji la fissò ancora per un istante, poi si rialzò, iniziando a camminare lentamente, di nuovo, verso la linea mediana.

“Che il calcio non è uno sport per donnicciole”.

Quelle parole sprezzanti sembrarono aleggiare, per un attimo, in quella cupa notte senza luci, e a Kris parve che il proprio flusso sanguigno si fermasse, solo per poco. Che si fosse fermato il battito del suo cuore.

Ma che bel visino! Lo sai, Grover?

Ora che ti guardo bene mi sembri un po’ troppo gracile e delicato per resistere all’intero campionato…

Era quello che le aveva detto Mark Landers, mesi prima.

Si è messo in mostra come al suo solito, non è vero?

Posso immaginare come si sarà comportato nei tuoi confronti, avrà tentato di umiliarti in tutti i modi…

E Benji. Quello che aveva detto quando l’aveva saputo.

Nella sua mente, in quel momento. Quelle parole.

Se le ricordò.

Grover, mi dispiace. Avrei dovuto esserci.

Kris strinse le dita attorno ad un ciuffo d’erba, strappandolo.

Aveva creduto…

Aveva creduto che fossero diversi. Ne era convinta.

E invece…

Il calcio non è uno sport per donnicciole.

Price aveva detto le stesse cose.

Per donnicciole.

Price…

In fondo… io e Landers eravamo molto simili, qualche tempo fa. Ecco perché iniziammo a odiarci cordialmente…

Era sicura che fossero diversi. L’aveva sentito, percepito. Quel pomeriggio, a casa di Benji, nonostante quello che lui le aveva detto.

Dici sul serio? Non ci credo… tu non assomigli per niente a quel tipo…

Che idiota. Idiota. Idiota.

Non poteva dimenticare che l’aveva amato?

Non poteva… andarsene?

Sfuggirgli?

Strinse i denti, e fissò Price. Lo fissò, come volendolo trapassare. Come potesse lanciare delle lame, al posto di sguardi.

Lo fissò con un odio che non sapeva di poter provare e con una rabbia che ormai, da troppo tempo, stava trattenendo dentro di sé.

Affondò con forza le dita nel terreno. Strinse il pugno attorno alla terra umida, sentendosi ribollire.

Non l’aveva mai guardato così. Non aveva mai guardato nessuno così.

Lo sapeva, se ne rendeva conto, ma adesso…

Adesso…

Benji…

Aveva superato il limite.

Si alzò, reggendosi con una mano al palo.

“Tu… tu cosa vuoi saperne?”, iniziò prima piano, con un sussurro rabbioso. “Non sai… non sai proprio nulla… non sai assolutamente NIENTE di me, Price!”, continuò poi, gridandogli la stessa cosa che aveva detto a suo fratello, la sera prima. Si sentiva strana, ma probabilmente era colpa dell’ira che le stava annebbiando la vista o, ancora più probabilmente, del dolore che le pervadeva il corpo. Ebbe l’impressione di perdere l’equilibrio, e si riappoggiò contro il palo.

Intanto Price, per tutta risposta, aveva continuato a camminare, completamente indifferente alle sue parole. Solo dopo un po’ si fermò, girandosi.

“E questo cosa c’entra? ” disse.

Lei rimase immobile, incredula di fronte all’incredibile distacco con cui andava avanti a parlarle. Si portò una mano alla fronte, ormai sul punto di non capire più nulla.

Pazzesco. Era tutto assolutamente pazzesco…

Ma doveva finire.

Si lanciò furente dietro di lui, fino ad arrivare nei pressi delle panchine a bordo campo. Il dolore adesso non importava, anche se ad ogni passo le sembrava di non essere più in grado di continuare.

Quando afferrò Price ad una spalla il suo viso si contrasse in una smorfia di dolore ma, almeno, riuscì a bloccarlo.

“Mi sembra che fra uomini ci si debba parlare a viso aperto, o mi sbaglio? In questo caso sei tu la femminuccia, Benjiamin Price!”, lo accusò Kris col fiato corto, senza però smettere di fissarlo.

Ma il ragazzo, sempre estremamente calmo, a quel giudizio assunse un’espressione indecifrabile.

“No, ti sbagli. E’ solo che mi sembra stupido e inutile perdere la mia calma e il mio tempo per discutere con te di una cosa simile. I problemi, qualunque essi siano, si devono lasciare fuori dal campo. Te l’ho già detto una volta, mi pare. Per oggi, in ogni caso, è meglio che la smettiamo qui”.

Dopo queste parole, Benji si sistemò il cappello ma, nel momento in cui fece per avviarsi verso lo spogliatoio, Kris gli sbarrò la strada. Era sempre più furiosa.

Furiosa, e addolorata.

“Per quale motivo ti comporti così? Cosa DIAVOLO ti ho fatto?!”, urlò senza quasi più voce, fermandosi a pochi centimetri dal suo viso. Questa volta, Kristine stava piangendo.

Questa volta, non era riuscita a trattenersi.

“Perché non cerchi di capirmi, almeno un po’? Sei freddo e crudele, ma io non sono solo un tuo compagno di squadra, o un sostituto che devi allenare! Io…”. Kris si portò una mano al petto, abbassando un attimo gli occhi. La mano le tremava. “… una volta ero anche tuo amico, e tu lo eri per me… o forse hai solo finto di esserlo? Dimmi, è così?!”.

Tornò a guardarlo.

“Come… come puoi dirmi di lasciare da parte i miei problemi, senza neanche sapere cosa… mi fa star male, o la gravità delle mie preoccupazioni?! Rispondimi! Tu… non sei più la persona che conoscevo. Quella con cui avevo parlato tempo fa, a casa tua. Cosa… cosa ti ho fatto per essere trattato in questo modo?! DIMMELO!”.

Le parole le erano uscite dalla bocca come un fiume in piena. Non le importavano le conseguenze. Voleva… voleva solo capire.

Far terminare quella messa in scena crudele, e capire.

Benji l’aveva ascoltata muto. La guardò negli occhi, dopo un istante di pesante silenzio.

“I tuoi problemi non mi possono interessare. E poi, è giusto che prima o poi impari a crescere. Se i sentimenti ti rendono più debole, allora dovrai sbarazzartene. Non mi importa se per te sarà difficile, o doloroso… dovrai cambiare atteggiamento se vorrai continuare a giocare con la New Team. Altrimenti, ripeto, per me te ne puoi anche andare subito”.

Il silenzio calò ancora una volta sul campo immerso nelle ombre, ad eccezione fatta per i due fari accesi da Benji ai lati del rettangolo. Kris guardò quel vuoto scuro davanti a sé per un lungo, lunghissimo momento, riuscendo però a pensare ad una sola, unica cosa.

“No. Questo è davvero troppo”.

Basta. Basta.

La ragazza alzò un braccio e, con tutta la forza che aveva, diede uno schiaffo a Price.

Nell’aria si udì un rumore sordo, e l’SGGK rimase fermo. Immobile, allibito, con il viso piegato di lato.

Gli occhi, spalancati, fissavano il vuoto, proprio come Kris pochi attimi prima.

“Non ti preoccupare. Me ne vado immediatamente”, dichiarò quindi lei, a denti stretti. “Comunque, avrei dovuto immaginarlo che il grande e infallibile portiere Benjiamin Price, così orgoglioso e pieno di sé, allenatosi e specializzatosi per anni in Germania, non avrebbe mai accettato un principiante per sostituirlo. Ma penso proprio che nemmeno un professionista del tuo stesso livello si sognerebbe mai di presentarsi come tuo sostituto. Quindi, scordati pure la vittoria della New Team in questo campionato, perché nessuno verrà ad aiutare un pallone gonfiato come te”.

Kris si fermò per riprendere fiato. Non aveva idea di come potesse parlare in un modo tanto orribile proprio alla persona che per anni aveva considerato un modello da imitare. Che aveva amato con tutta se stessa, seppur senza rendersene conto davvero.

Ma in quel momento, niente contava più. Niente.

Son tutti ricordi da gettare via. Tutti quanti.

La ragazza fece un profondo respiro, poi passò di fianco a Benji, dirigendosi verso lo spogliatoio.

Prima di lasciare il campo, però, si girò un’ultima volta verso di lui.

“Ah, dimenticavo… l’unica ragione per cui ho accettato di entrare nella New Team è stato perché avrei potuto giocare al fianco di campioni del calibro di Oliver Hutton e Tom Becker. E ancora adesso sono convinta che questa squadra valga qualcosa solo grazie alla loro presenza. L’amicizia e l’intesa che c’è tra di loro sta alla base della loro forza e della loro determinazione. E se per te i sentimenti davvero non sono importanti, allora… beh, mi dispiace, ma non sarai mai nessuno. Addio, Benjiamin Price”.

Detto questo, Kristine aprì e richiuse la porta, scendendo nel corridoio che portava agli spogliatoi.

Price, ancora immobile, aveva la fronte imperlata da gocce di sudore. La decisione e la violenza con cui Kristian gli aveva detto quello che pensava l’aveva lasciato letteralmente senza parole. Non si sarebbe aspettato neanche lontanamente una simile reazione, e quella spietata sentenza aveva indubbiamente prodotto qualcosa in lui.

Quelle frasi, così simili a quelle di Becker.

Quelle maledette parole alle quali aveva cercato di non pensare per tutto il giorno.

Le persone come te non sono capaci di cambiare.

Si scosse, e sollevando gli occhi fissò uno dei fari accesi sopra il campo. Sorrise tristemente. Alla fine, la situazione si era ribaltata. Grover gli aveva restituito ogni parola, ma la differenza stava proprio nel fatto che tutto quello che Kris gli aveva detto era vero, dannatamente vero, mentre le sue crudeli recite erano sempre state solo penose mascherate.

Non era però mai arrivato agli estremi di quelle sere. E non aveva nemmeno mai creduto di essere in grado di diventare così.

E Tom, questo, non lo sapeva.

Sia Becker che Grover non sapevano che si era odiato, dio solo sa quante volte.

Ma aveva fatto finta di nulla e sempre, guardandosi allo specchio, aveva provato a convincersi di stare osservando il solito Benji. Un Benji che sapeva quello che faceva, quello che voleva.

Sì, aveva fatto finta di nulla… perché quello che era successo quella notte, quando Kris si era ubriacato, l’aveva costretto a commettere tutto ciò che aveva fatto subire a Grover.

Non aveva potuto farne a meno. Per difendersi.

Stai certo che continuando così rimarrai di nuovo solo, proprio come lo eri allora.

Lo sapeva. Dannazione, lo sapeva. Era stato più forte di lui.

Invece di parlare…

Invece di chiarire…

Aveva preferito crearsi uno scudo, per far guarire il suo orgoglio offeso.

E per dimenticare.

Quella notte, quando Kris mi ha toccato, mi sono sentito… attratto da lui.

E non posso negare che… che ancora adesso lo sono, ma… non riesco a capirne… il perché.

Ripensando a quelle parole, Benji si portò una mano sul viso, coprendosi gli occhi.

Era stata quella l’unica, vera ragione per tutto quanto.

Cosa aveva iniziato a provare, da quel momento, per Kristian?

Cosa?!

Grover era un ragazzo, è vero, ma c’era qualcosa nel suo atteggiamento, nel suo sguardo e nel suo modo di fare che lo attraeva. Lo attraeva in modo incredibile, innaturale per lui. Non poteva negarlo, anche dopo aver cercato mille volte di dimenticare quella sensazione. E poi, quando quella sera Kris lo aveva abbracciato… quando aveva sentito sul proprio corpo il tocco di quelle sue mani dalle lunghe dita pallide e affilate non sapeva più, esattamente, cosa avesse provato o pensato...

Una sola cosa gli era però stata chiara. E cioè che non sarebbe più riuscito a togliersi dalla testa quel contatto.

No, era assurdo. Lo era tutto quanto. Di sicuro non gli piacevano i maschi, ma… ecco, per Kris era differente. Era sempre stato differente, anche prima di quella notte. L’aveva capito solo più tardi, ma lo era sempre stato. Sempre.

Tornò con la mente al loro prima incontro.

Mi chiamo Kris Grover, e ho 17 anni.

I suoi occhi limpidi, la sua voce sicura, il suo corpo sottile.

Ecco, usa questi.

La fiducia che gli aveva dato.

Sei sicuro che posso usarli? In fondo, per te, devono essere importanti…

Quante volte ci aveva ripensato. Quante.

Sospirò. Comunque, aveva davvero esagerato. E come gli aveva detto Tom, non poteva nemmeno essere totalmente certo che Grover, quella notte, avesse agito con lucidità. In fondo era ubriaco, e magari non si stava rendendo conto di quello che stava facendo, di quello che stava dicendo…

Benji sollevò lo sguardo al cielo notturno. Non avrebbe dovuto giudicare subito Kris, anche se adesso il problema non riguardava più soltanto lui, ma soprattutto se stesso. Voleva assolutamente capire il perché delle sensazioni che aveva provato e che continuava a provare in presenza di Kris. Non aveva mai avuto alcun interesse per il sesso maschile, e allora… allora perché? Perché provava quella confusione?

Aveva come l’impressione che qualcosa gli fosse sfuggito.

Qualcosa di incomprensibile, nascosto proprio in Kristian Grover.

Iniziò a soffiare una corrente gelida, ed il portiere della New Team, con un altro sospiro, si tolse il cappello.

Avrebbe parlato con Kristian, si sarebbe scusato. Avrebbe fatto tutto ciò che avrebbe dovuto fare fin dall’inizio e forse, una volta per tutte, sarebbe riuscito a chiarire tutti i suoi dubbi.

E, infine, avrebbe chiesto a Kris di restare.

 

 

Nel frattempo, nello spogliatoio, la ragazza aveva appena sbattuto violentemente la porta del proprio armadietto.

“Perché… gli ho detto quelle cose?”.

La sua voce risuonò nella stanza, producendo un piccolo eco. “E poi, quello schiaffo…”.

Si coprì il viso con una mano, pentita, appoggiandosi all’armadietto con l’altra.

“Anche se non ce la facevo più… forse ho esagerato”. Sospirò, passandosi le dita tra i capelli.  “Ma purtroppo ora non posso più cambiar nulla. Ormai non m’importa più di sapere la verità sul comportamento di Benji. Anche se lo scoprissi, e cercassi di far tornare le cose come un tempo, lui mi odierebbe comunque dopo quelle mie parole orribili… ”.

Si guardò il palmo, e lo chiuse a pugno.

Forse sono arrivata davvero alla fine.

Scosse la testa. Portò il dorso della mano sulla guancia, e si asciugò una lacrima di rimorso che le era appena scesa sul viso.

“Già… è finita. E’ proprio finita. Non mi farò più vedere dalla New Team… e non saluterò nessuno, nemmeno…”.

Si bloccò.

“… nemmeno… Tom”.

La ragazza pronunciò il nome del giocatore ad alta voce, volgendo tristemente lo sguardo verso il suo armadietto, poco lontano dal proprio. Si avvicinò, e sfiorando con le dita la targhetta col su il nome del numero undici sorrise dolcemente.

“Grazie di tutto… mi mancherai, ma non voglio più crearti problemi. E anche per te sarà meglio se mi dimenticherai”.

Rimase un attimo ferma, gli occhi fissi su quel nome stampato che aveva contato e contava per lei più di quanto immaginasse. Poi, lentamente, iniziò a cambiarsi, consapevole che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe lasciato le sue vesti di portiere in quello spogliatoio.

Iniziò ad indossare la camicia. Quando impersonava Kristian si era sempre dovuta vestire con felpe abbondanti e di qualche taglia più grande per nascondere le sue curve femminili, nonostante utilizzasse comunque la fasciatura al petto. Ma, adesso, questo non sarebbe stato più necessario. Stava per ritornare per sempre solo Kristine. Solo lei, e più nessun altro.

Proprio in quel momento, però, sentì girare la maniglia della porta dello spogliatoio. Si irrigidì, coprendosi istintivamente davanti con le braccia. La camicia era infatti ancora slacciata.

L’anta si aprì, e qualcuno entrò. Kris udì alcuni passi, che poco dopo si arrestarono.

Si chiese chi potesse essere, ma non provò nemmeno a girarsi, né finì di allacciare la camicia. Non ci riusciva. Immobile, non si voltò. Sapeva che la persona misteriosa era adesso dietro di lei, distante solo pochi metri, ma la paura di essere scoperta l’aveva inchiodata davanti al proprio armadietto.

Cosa… cosa poteva fare?

“Dobbiamo parlare, Kristian. E’ importante”.

Era la voce di Benji.

“Non ero in me in queste settimane. E non avrei mai voluto ridurti così, credimi”. Una pausa. “Ma avevo… le mie ragioni”.

Kris trattenne il respiro.

“No, questo non deve succedere. Non deve”.

Chiuse gli occhi.

“Vattene…”, sussurrò, a denti stretti. “Vattene, Benji, prima che tutto si rovini davvero… ”.

Ma il ragazzo non l’aveva sentita.

“… Kris?”.

Lei non si mosse.

“VATTENE”, ripeté, a voce più alta.

A quel comando, Price fece invece un passo in avanti.

“Lo so, anche tu adesso hai… mille ragioni per non volermi più vedere, ma ci sono delle cose che devi assolutamente sapere… e altre, che ti devo chiedere. Quindi… ”.

“Fermati… n-non avvicinarti di più!”.

Kris si strinse ancora di più nelle braccia, e Benji, stupito, la fissò.

“E perché non dovrei? Avanti, girati e parliamone… adesso sei tu che non mi vuoi parlare guardandomi negli occhi. Di cosa hai paura? Forse…”. L’espressione del ragazzo si fece sospettosa.

“…forse mi stai nascondendo qualcosa?”.

L’altra spalancò gli occhi, nervosissima.

“… no… cosa… cosa ti dovrei nascondere?”, rispose, la voce tremante. “Voglio solo… che mi lasci in pace!”.

Price rimase in silenzio per qualche istante. Kristine pensò che, alla fine, avesse deciso di rinunciare a parlare. Invece, all’improvviso, si diresse velocemente verso di lei, afferrandole la spalla.

Kris trasalì.

“Son venuto qui per spiegarti tutto… a chiederti scusa dopo che te ne sei andato mollandomi quello… quello schiaffo, e adesso, proprio tu che fino a poco fa mi pregavi di capirti, non vuoi parlare?! C’è qualcosa di strano in te, Kristian… che cos’è che non mi hai detto? Rispondimi, maledizione… e almeno, se non vuoi parlare, girati! Forse ti vergogni a cambiarti di fronte ad un altro ragazzo?”.

Benji strattonò violentemente la spalla di Kristine, cercando di farla voltare. Lei tentò di opporsi con tutte le sue energie, ma il portiere le afferrò il collo della camicia, tirandolo con forza.

Tirò, e dopo tutti gli errori che aveva commesso, quella fu l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare.

Ci fu uno strappo, poi il silenzio.

Trascorsero alcuni secondi prima che Price si rendesse conto della realtà dei fatti. Davanti a lui Kris, sconvolta, era in piedi, le braccia incrociate sul petto nel tentativo di nascondere le bende sotto la camicia, ora mezza lacera.

Il ragazzo la fissò, shockato.

Così… era questo il segreto di Kris. Kris… Kristian, era una ragazza.

Una ragazza.

Ora… era tutto chiaro.

Dio santo, come… come aveva…

“Tu…”, cercò di dire.

Kris alzò lo sguardo, gli occhi lucidi.

“Mi dispiace, Benji… io… i-io non potevo dirtelo… cerca di capire… non… mi avreste mai fatto giocare… e questo era il mio sogno…”, mormorò, sull’orlo del pianto.

Lui strinse i pugni.

“Tu… tu mi hai ingannato… ci hai ingannato per tutto questo tempo…”. Puntò gli occhi per terra, cercando di contenere la rabbia. “Come… come hai potuto farlo? Volevi… prenderti gioco di ME? Cosa volevi dimostrare, eh? Dimmelo!”, gridò, avanzando di colpo di un passo e tornando a fissare la ragazza.

Lei sobbalzò indietreggiando, e si coprì il volto con le mani. Era disperata.

“No! Io non volevo prenderti in giro… io… io volevo solo…”, balbettò, mentre le lacrime le iniziavano a scendere lungo le guance. “…volevo…”. Ma la voce le morì in gola.

Ad un tratto, però, dopo un momento di pesante silenzio, il rumore della porta dello spogliatoio che sbatteva attirò l’attenzione di entrambi. Tom Becker era lì, vicino alla fila degli armadietti, e guardava addolorato Kris.

“Tom! Che ci fai qui?”, lo aggredì Benji.

Il compagno non gli rispose, fulminandolo, in compenso, con una severa occhiata. Poi lentamente si avvicinò a Kristine, ancora tremante. La ragazza lo guardò attraverso il velo opaco delle lacrime.

“Oh, Tom… ”, sussurrò.

Lui si tolse velocemente la giacca della tuta, mettendogliela sulle spalle nude.

“E’ tutto a posto… sta’ tranquilla. Ora ci sono qui io”, le mormorò con dolcezza. “E’ tutto a posto, Kristine”. La abbracciò, e lei si abbandonò al numero undici lasciandosi stringere senza opporre resistenza.

Price, di fronte a loro, aveva intanto osservato la scena allibito.

“Cosa? Kristine?”, ripeté il portiere, marcando il nome della ragazza. “E tu, Tom… tu lo sapevi? L’ hai sempre saputo e non mi…”. Deglutì.  “… non… ci hai mai detto niente?”.

Becker fissò, duro, il compagno di squadra.

“E’ stata lei a pregarmi di non dire nulla, e per la verità ho pensato anch’io che, alla fine, fosse la cosa migliore da fare. Kris non voleva rovinare l’amicizia che era nata con te, con gli altri. Inoltre, se vi avesse detto chi era veramente, non avrebbe più avuto la possibilità di giocare nella New Team. Io ho scoperto il suo segreto per caso, ma non l’ ho accusata di nulla. Anzi, ho compreso il motivo del suo gesto, e l’ ho sostenuta. Sappiamo tutti e due cosa significa avere un sogno, non è vero Price?”.

Fece una pausa, sperando che l’altro capisse, ma inutilmente. L’SGGK si limitò infatti a fissare sia lui che Grover con ancor più astio, e Becker scosse piano la testa.

“Anche tu dovresti capirla, e non prendertela come stai facendo ora”.

“Capirla? SOSTENERLA?”. Benji allargò le braccia, incredulo. “Tom, questa ragazza ci ha INGANNATI!”, sentenziò, puntando l’indice contro Kris, che, ancora, aveva il viso nascosto nel petto del calciatore. “Si è unita illegalmente alla squadra! E’ una donna, e non può giocare con noi! Se lo sapesse la Federazione, il signor Parson…”.

Ma l’altro lo interruppe, senza nemmeno far caso alle sue ultime parole.

“Mi dispiace davvero che la pensi così. Kris ti ha sempre ammirato. Per lei, tu sei sempre stato un modello da seguire. Possiede il talento e la volontà per diventare un grande portiere, e tutto ciò che sai dire è… ”.

“No, basta. Vi prego”.

Becker venne invece fermato dalla stessa Kris che, liberatasi dall’abbraccio rassicurante dell’amico, si mise fra i due ragazzi. “Non voglio che voi due litighiate. In fondo Benji ha ragione, Tom. Vi ho ingannati. Non merito più la vostra fiducia, né quella della squadra”.

Chiuse gli occhi per un lungo istante.

“Quindi, vi prego… lasciate stare. Me ne andrò”.

Detto questo, Grover spostò lo sguardo verso Tom. Sorrise, anche se con molta amarezza.

“Grazie per tutto quello che hai fatto per me. Non me lo dimenticherò mai, stanne certo. E poi… ”.

Non riuscì però a terminare la frase, perché Becker le prese le mani, stringendole. La guardò negli occhi.

“Non se ne parla, Kris. Tu non te ne andrai. La New Team ha bisogno di te, ci serve il tuo aiuto per vincere il campionato. Sono sicuro che tutti saranno d’accordo con me. Anche se sei una ragazza, vedrai che spiegando loro le cose capiranno…”.

Lei gli sorrise ancora, questa volta dolcemente, per poi stringergli le mani a sua volta.

“Grazie, ma… ”. Si intristì. “… ma non penso che Benji sia dello stesso parere”.

Ci fu un attimo di silenzio e Price, che aveva ascoltato la conversazione senza intervenire, rimase un attimo con la testa girata, gli occhi fissi sul muro.

Né Kris, né Tom riuscirono a capire quali pensieri gli fossero passati per la mente in quell’istante, ma pochi secondi dopo il ragazzo si voltò, iniziando a camminare verso l’uscita dello spogliatoio.

“No. Per me va bene”, disse con voce incolore, voltato di spalle rispetto ai due. “Ma non diremo nulla ad agli altri. Il clima della squadra si potrebbe rovinare. Meglio aspettare la fine del campionato”.

Il portiere sganciò dalla cintura a cui l’aveva fissato il cappello che aveva tolto poco prima in campo, e se lo rimise in testa, abbassandolo sulla fronte.

“In ogni caso”, precisò, prima di afferrare la maniglia, “quello che hai fatto, Grover, non ha la mia approvazione”.

Aprì la porta, ed in tono gelido aggiunse le ultime parole.

“E non l’avrà mai”.

Grover e Becker osservarono Benji uscire sbattendo la porta. I suoi passi risuonarono per un po’ in corridoio, poi la calma tornò a regnare nella stanza.

“Price…”, riuscì solo a dire Tom. “… ora… ora lo sa anche lui”.

Kris spostò lo sguardo indietro, nel punto in cui, un attimo prima, c’era stato Price.

“Ma perché… è dovuta finire così?”, mormorò.

Il numero undici, fermo dietro di lei, la osservò senza sapere che risponderle. In quel momento non poteva fare niente per alleviare il suo dolore. Niente.

Perché Becker ormai sapeva.

Sapeva cosa c’era nel cuore di Kristine Grover.

E Benjiamin Price, adesso, vi aveva lasciato una ferita profonda, forse impossibile da cancellare.

Impossibile da guarire.

La ragazza si strinse nelle braccia, mordendosi il labbro inferiore. Chiuse gli occhi, ed un’unica lacrima scese a rigarle il volto abbassato.

“Anche se potrò ancora giocare, il mio sogno è finito qui. E non tornerà più”.

 

 

NOTE

 

Weh ^_^ Sono Leia!! Volevo solo dire una cosuccia su questo capitolo, e più precisamente sul titolo. Credo renda bene l’idea che volevo dare con la parte finale del 18, e con il termine della prima parte in generale. Però è anche vero che molto altro si concentra nel capitolo… la rabbia, la tristezza, la solitudine, l’impotenza di fronte agli eventi, l’incontrollabilità della parte irrazionale di noi. Ho riunito un sacco di cose in queste ultime pagine, forse anche un po’ troppe, ed è per questo che, in teoria, sarebbero potuti andar bene un altro paio di titoli. Un po’ mi dispiace di non averli potuti usare!! Uffa!! ;_; basta, volevo solo dire questo… :P quindi siate comprensivi, fatemi felice e piangete la morte prematura degli altri titoli con me. BUUHHH!!! (quanto sono scema…)

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Capitolo 20
*** Epilogo Parte Prima - Do we try or should we just say a good-bye? ***


Una sola nota prima di iniziare: Giucci ha avuto e ha ancora grossi problemi di varia natura (tecnici e non), per cui le è stato impossibile aggiornare il sito. Per questo motivo mi son decisa a pubblicare, finalmente, l'epilogo della prima parte qui, in seguito alle vostre numerose richieste... mi scuso per la lunga attesa, ma fino all'ultimo ho sperato che la cosa potesse risolversi ^^; appena sarà possibile, comunque, anche il sito di K&K lo metterà online :) voi spargete pure la voce, ed i vari webmaster dove pubblico la fic prendano pure l'epilogo per pubblicarlo sul loro sito! Detto questo, ci risentiamo a fine epilogo...

Per qualunque cosa, scrivetemi a kris.grover@inwind.it

Leia, 15/2/2004

 

-

K&K

 

Epilogo Parte Prima

 

«... Do we try or should we just say good-bye? » 

[«… Dobbiamo provarci o dovremmo solo dirci addio?»]

 

 

“Torni in Germania? Ma… ma perché? Così all’improvviso, poi...”.

Benji rivolse un sorriso tirato ad uno stupito Bruce, poi riabbassò lo sguardo sull’erba.

“Sono sicuro che continuerete tranquillamente anche senza di me. E poi si tratterà solo di uno, due mesi al massimo”.

Harper e tutti i membri della New Team rimasero in silenzio a fissare il numero uno, che notando le loro facce deluse cercò di sdrammatizzare aprendo le braccia. Alzò le spalle.

“Su, ragazzi, non fate così… in ogni caso non è che abbia fatto un granché finora, con questa gamba, per la squadra… ”.

“Non è vero”, lo interruppe Carter. “Hai allenato Kristian. Senza di te non ce l’avrebbe mai fatta, e questo credo che potrebbe confermartelo lui stesso, se fosse qui”. Lo guardò speranzoso. “E penso anche che dovresti restare per lo stesso motivo. Sei un punto di riferimento per lui, lo sai!”.

Nel sentire il nome di Grover, Benji sussultò.

“Kris… lui, adesso, non ha più bisogno di me. Credetemi, siete voi la sua forza. Dovrete solo essere una squadra, come lo siete sempre stati, e andrà tutto alla grande”.

Price sorrise, e spostò gli occhi su ognuno dei suoi compagni, raccolti a bordo campo per ascoltarlo. C’erano anche Holly e Mister Gunnell che, sospirando, si avvicinò al portiere.

“Allora a presto, Benji. Non possiamo certo trattenerti. E poi son convinto che un po’ di riposo ad Amburgo farà bene alla tua gamba… spero tornerai in gran forma. Se lo vedrai, porta i miei saluti al signor Marshall ed anche ai tuoi, mi raccomando”.

“Certo. Non ne dubiti”.

Strinse la mano al mister con un sorriso di circostanza, ma con la coda dell’occhio si accorse che qualcun altro lo stava fissando. Proprio alle spalle del Signor Gunnell.

Seduto su una delle panchine con i gomiti appoggiati sulle ginocchia aperte e le dita incrociate sotto ad uno sguardo di ghiaccio, Tom Becker lo stava osservando in silenzio.

Price non mutò espressione, ma si congedò velocemente dal mister per avvicinarsi al compagno di squadra. Becker seguì il suo spostamento senza raddrizzarsi, ed anche quando Price si accostò al muro degli spogliatoi, di fianco a lui, il ragazzo non si mosse. Ripuntò invece gli occhi sul rettangolo di gioco, facendo finta di star seguendo, interessato, la partita di allenamento di una delle piccole squadre locali che alcuni pomeriggi al mese era solita prendere in prestito il loro campo per un paio d’ore.

“E tu non mi saluti, Becker?”.

Benji piegò una gamba, appoggiando la suola contro la parete grigia dietro di sé. Sorrideva ancora.

“Beh, se proprio vuoi, lo faccio”, rispose Tom, con voce monocorde. “Buon viaggio, Price”.

L’altro annuì con un lieve cenno del capo.

“Mhh, grazie. Scommetto che sei felice che me ne vada”.

“Ti sbagli. Personalmente, la cosa mi lascia piuttosto indifferente. Ciò che invece penso da quando hai annunciato la grande notizia è molto diverso…”.

La linea delle labbra di Benji si accorciò leggermente.

“E sarebbe?”.

“Che stai solo scappando da una grossa, insostenibile delusione. E anche da un bel po’ di vergogna”.

Trascorse qualche secondo. Immobili nell’ombra fredda offerta dal bordo campo, mentre gli altri ragazzi, fermi poco più in là, scherzavano distesi producendo un piacevole brusio, Benji e Tom parevano decisamente fuori posto. Il loro dialogo privato e duro, anche se mascherato da una facciata di distacco,  creava una tensione facilmente percepibile. Tom sperò che Oliver non li stesse guardando.

“Oggi non ho voglia di dare spettacolo…”, mormorò però d’un tratto l’SGGK, sillabando le parole con tono apparentemente calmo. “… altrimenti stai certo che a quest’ora ti avrei già sbattuto un’altra volta contro il muro, senza troppi complimenti”.

“Ho colpito nel segno, eh?”. Finalmente, Becker distese le braccia lungo i fianchi, appoggiandosi allo schienale della panca. Non poté trattenersi dal sorridere, sarcastico. “Perché non ammetti le tue debolezze, Price? Non sei capace di affrontare Kris, anche e soprattutto per ciò che le hai fatto. Sei troppo, schifosamente orgoglioso per chiederle scusa, ed oltretutto la lasci da sola in un momento del genere. Ha l’intero peso della squadra addosso, e tu vigliaccamente… ”.

“Piantala!”.

Tom si bloccò. Voltò lentamente la testa.

“Se c’è qualcuno che deve vergognarsi, non sono… di certo io”.

Price lo stava fissando. Aveva il respiro accelerato. Era chiaro che stava tentando di contenere la rabbia con enorme difficoltà, ma Becker non si sorprese.

“Stai dicendo un palla colossale, Benji. E lo sai benissimo”.

Si alzò. Questa volta lo guardò negli occhi.

“Ma se lo stare lontano per un po’ potrà aiutarti a riflettere su Kristine e sulle tue azioni, vattene. Parti, prendi quel cazzo di aereo e fatti coccolare per almeno quattro settimane dalla comoda indifferenza asettica di Amburgo. Dove nessuno ti può giudicare”.

Le iridi nocciola di Tom lo stavano trafiggendo. E da quelle parole, pronunciate tra i denti con un filo di disprezzo, Price non fu capace di difendersi.

“… ritorna solo quando sarai capace di non fare più del male alle persone… ”.

Di dire anche una sola sillaba.

“… e a te stesso”.

Benji dischiuse le labbra, ma spostò lo sguardo a lato. Proprio in quel momento, però, la voce di Bruce si alzò nell’aria per richiamare i due giocatori che, scuotendosi dalla dimensione in cui si erano rinchiusi, si voltarono verso l’amico con un piccolo, forzato sorriso.

“Forza, venite qui, asocialiii! Benji, sto parlando ai ragazzi delle mie innumerevoli fans, non puoi assolutamente perdertelo visto che stasera parti e torni a dicembre!!”, gridò Harper ai due compagni e circondandosi la bocca con le mani, mentre gli altri, raccolti intorno a lui, scoppiavano in una grande risata. “Anche se per allora, tranquillo… avrò molte altre chicche da raccontarti  sulla mia vita sentimentale!”.

Becker rise. Alzò un braccio.

“Eh eh, ok Bruce… arriviamo!”.

Fece per incamminarsi verso gli amici, ma Benji si voltò dalla parte opposta.

“No, io non vengo”.

Tom gli lanciò un’occhiata contrariata.

“Scappi anche da loro?”.

L’altro non rispose. Sfuggì però dallo sguardo di Becker voltando la testa e tenendola bassa, gli occhi verso il terreno.

“Dimentica… ”, riprese allora il portiere, ignorando l’ultima domanda del compagno e fermandosi, poi, per qualche secondo. “… dimentica ciò che ho detto quella sera, a proposito di Kris”.

Il numero undici aggrottò le sopracciglia.

“… eh?”.

“Quella sera… a casa mia. Quando sei venuto a chiedermi spiegazioni dopo la partita con la Artic”.

Finalmente, con un movimento lento, Benji si voltò. I suoi occhi scuri non tradivano alcuna emozione, così come i lineamenti del viso, che disegnavano una compostezza apparentemente imperturbabile. La gelida calma che aveva sempre caratterizzato il calcolatore ed introverso Price sembrava, adesso, essere tornata. Come se non l’avesse mai lasciato.

“Non provo nulla”, sentenziò, senza inflessioni nella voce. “Per Kris… non sento più niente”.

 

 

Nicole posò piano il vassoio con due tazze di the sul tavolo del soggiorno, poi sprofondò fra i cuscini del divano.

“Almeno bevi qualcosa…”, mormorò dolcemente guardando preoccupata Kris, seduta accanto a lei. “Alex… mi ha detto che è da ieri sera che non mangi”.

Kristine Grover teneva lo sguardo fisso a mezz’aria, le braccia conserte. Sbatté gli occhi una volta, ma non si voltò a guardare l’amica.

“No, grazie. Sto bene così”.

“Ne sei sicura?”.

L’altra abbassò di poco la testa per poi girarsi, con un sorriso sconsolato, verso la ragazza dai lunghi capelli rossi.

“Voi vi preoccupate tutti troppo. Comunque… grazie per essere venuta a farmi compagnia. Davvero”.

Nicole si sporse a prendere le tazze, offrendone quindi una a Kris che la tenne per un po’ fra le mani, assaporandone il calore. Rimase a fissare il liquido fumante, al profumo di gelsomino, mentre l’amica si accomodava meglio al suo fianco.

“Kris… Alex ha tutte le ragioni per preoccuparsi. E anch’io le ho”, disse Nicole. Sospirò. “Mi ha detto ogni cosa, ma credo che questo tu l’avessi già intuito”.

“Già”.

“E probabilmente immaginerai anche perché adesso ci sono qui io, e non lui”.

“Credo… di sì”.

“Si sente in colpa. Non voleva essere così impulsivo, l’altro giorno. Spera… che potrai perdonarlo”.

Kris scosse la testa, sorridendo stancamente.

“Ma certo che lo perdono. Di sicuro non è Alex quello che deve scusarsi…”.

Bevve un sorso di the, per poi riposarlo sul ripiano davanti a sé. Quindi raccolse le ginocchia contro il petto, appoggiando il mento sulle gambe piegate. Nicole credette che fosse sul punto di scoppiare a piangere ma invece, inaspettatamente, Kristine chiuse gli occhi, sorridendo ancora.

“Forse… hai ragione. E’ ora che gli dica come stanno le cose. A lui, e a te”. Risollevò le ciglia. “Non avevo intenzione di farvi soffrire, ma vedi, è che…”.

Lo squillo acuto del telefono interruppe Kris. Sia lei che Nicole spostarono gli occhi sul tavolino dell’ingresso sul quale era posato il cordless, ma nel momento in cui la ragazza dai corti capelli castani fece per alzarsi, l’altra la invitò a restare dov’era.

“Lascia, vado io”.

“Ok. Grazie”.

Nicole si avvicinò al telefono. Prima che lo potesse prendere in mano, però, Kristine la richiamò.

“Senti…”. Guardò l’amica. “… non… ci sono per nessuno, ok?”.

Lei annuì con un sospiro, e rispose. Ascoltò la richiesta dell’interlocutore, poi riprese a parlare.

“No... no, non c’è, mi dispiace, forse…”. Venne però interrotta, riuscendo a continuare solo dopo qualche istante. “Davvero, non… può rispondere... ”.

Si bloccò ancora, ma nonostante lo sguardo implorante di Kristine che la scongiurava di non tradirla, la giovane spostò il cordless dall’orecchio premendolo contro il petto.

“Kris... è un certo Tom Becker. Dice che è davvero molto importante, e che sa che sei in casa”, disse quindi Nicole, con tono piuttosto perentorio. “Secondo me devi parlargli. Mi sembra molto agitato”.

Kris rimase a fissare l’amica, indecisa sul da farsi. Poi, facendo forza sulle ginocchia si mise in piedi, raggiungendo Nicole e prendendo senza troppa convinzione il telefono dalla sua mano.

“Pronto…?”.

“Kris! Ma perché oggi non ti sei fatta vedere?”.

“Tom… oh, non… non so. Non mi andava, e…”.

“Si… si, scusa. Immagino. Però vedi, è successa... una cosa che... ”. Dall’altro capo del telefono la voce di Becker si fece impercettibilmente più bassa, quasi timorosa.

“Che... credo sia il caso che tu sappia…”.

Kris si irrigidì.

“Cosa…?”.

“Ecco… Benji… è partito… improvvisamente…”.

A quella frase, gli occhi della ragazza si fecero improvvisamente vacui.

Nicole, ferma davanti a lei con le braccia incrociate sul seno nel tentativo di capire che cosa fosse successo di così tanto grave, si accorse immediatamente del cambiamento sul suo viso.

Kristine era impallidita.

“… è partito per la Germania. Starà via un mese. O forse… di più”.

Tom si fermò, poi riprese.

“Kris, lo so che adesso ti sembra che le cose vadano sempre peggio, però… ”.

Un’altra pausa.

“Kris…? Kris, ci sei? Risp- ”.

Ma Becker non poté continuare, perché Kristine schiacciò improvvisamente il tasto rosso che terminava la chiamata. Senza che nemmeno Nicole avesse il tempo di dirle qualcosa, la ragazza abbandonò malamente il cordless sul tavolino, per poi correre verso le scale che portavano al primo piano.

Raggiunse il corridoio, e l’ultimo suono che l’amica riuscì a sentire fu il rumore di una porta che sbatteva violentemente.

“Kris!”, urlò Nicole una volta salite le scale, battendo ripetutamente i pugni sulla superficie in legno chiaro che separava il corridoio dalla stanza di Kristine. “Aprimi! Che cos’è successo? Kris! Ti prego, non fare così... aprimi, per l’amor del cielo!”.

Gli occhi castani della bellissima giovane originaria dei Paesi Bassi si velarono di lacrime di preoccupazione. Era arrivata tardi… troppo tardi. Avrebbe dovuto cercare di aiutarla prima… di stare più vicina a Kris da subito, nonostante i suoi continui rifiuti a confidarsi…

Tutti avrebbero dovuto cercare di aiutarla prima. Come avevano potuto permettere che si lasciasse ridurre così?

Posò debolmente il capo contro la porta. Kristine non rispondeva, ma qualcosa si udiva comunque al di là della barriera di legno.

Singhiozzi. Disperati.

 

 

Il mio sogno è finito qui.

E’ finito.

Kris liberò la fronte dalle braccia bagnate di lacrime. Aprì gli occhi annebbiati, fissando un punto invisibile davanti a sé.

Era proprio quello a cui aveva pensato la sera prima. Ciò che aveva detto a Tom. Anche se Benji ormai la odiava, anche se era rimasto completamente deluso da lei scoprendo la sua reale identità, avrebbe in ogni caso potuto continuare a giocare.

Perché era lei a sostituire ancora Price.

Alla fine, lui non l’aveva buttata fuori dalla squadra.

Le aveva detto di restare.

Non ne aveva capito subito il motivo, ma… le aveva detto che poteva rimanere. E quello… quello le aveva, nonostante tutto, fatto conservare ancora delle speranze…

Alle quali, come sempre e scioccamente, si era appigliata.

“E’ stata... solo una mossa… per punirmi…”, sussurrò, premendosi violentemente il palmo della mano contro gli occhi arrossati. “Te ne sei andato... senza dirmi nulla... ”.

Si mise lentamente seduta, chiedendosi con quali forze e con quale volontà riuscisse ancora a fare il benché minimo movimento. Il viso scavato dal pianto e da quei giorni terribili rimase immobile. Fermo, a fissare la parete in fondo alla stanza.

“Allora non te ne frega davvero più nulla di me. Adesso... lo so. Lo so davvero. Non mi è rimasto più niente… ”.

Rivoli caldi tornarono a rigarle le guance, più copiosi di quelli di prima.

“… nemmeno il calcio”, bisbigliò infine, con un filo di voce incrinata.

Non passò che qualche istante, che Kris scoppiò nuovamente in singhiozzi.

No… non ce la faceva…

Non riusciva a contenerlo.

Ormai, il dolore era insopportabile.

Il petto le faceva male. La testa, gli occhi… il corpo intero…

Dio… basta…

Non voleva più soffrire. Non avrebbe più voluto, ma purtroppo sapeva che la terribile sensazione che ora le stava dilaniando il cuore non sarebbe scomparsa presto. E la decisione che aveva appena preso, se da una parte forse l’avrebbe aiutata a dimenticare ogni cosa, sarebbe anche stata la causa del dolore più grande.

Le scelte esistono… le scelte sono necessarie…”, pensò Kris, nascondendo il viso nelle gambe. “… ed il cuore, Nicole… non serve a niente… e nemmeno i miei sogni valgono poi tanto, se ogni volta devono portarmi a questo…”.

Altri singhiozzi le morirono in gola. Fuori, il cielo era tornato nuvoloso.

Si accasciò sul materasso, senza accorgersi della leggera ma fitta pioggia che, battendo sui vetri, cominciò a produrre un crepitio sommesso. Riempì la stanza come una musica ipnotica, accompagnando la voce rotta e disperata di Kristine.

 

Era un grigio pomeriggio di fine novembre, e pochissimi giorni separavano la New Team dalla partita con la Flynet.

Benji Price aveva improvvisamente deciso di allontanarsi dal Giappone per un mese, partendo per Amburgo, mentre Kristine Grover, il solo portiere disponibile della leggendaria squadra di Fujisawa, aveva appena deciso di lasciarla.

Lei, il calcio, e tutti i suoi sogni.

Per sempre.

 

 

VECTOR

Maaya Sakamoto

 

Scelto come tema per K & K – prima parte

 

--

Told myself for a long time
Don't go there
You will only be sorry
Told myself so many times
I just had to take a look
In those faraway eyes
[Mi sono detta per lungo tempo
Di non andarci,
Tu sarai solo dispiaciuto
Me lo sono detta così tante volte
Ho solo gettato uno sguardo
A quegli occhi lontani]
In them I saw a longing
For something
Maybe I couldn't give you
Said it's all in my mind
"It ain't nothing"
[In essi ho visto il desiderio
Per qualcosa
Che forse non ti ho potuto dare
E' stato detto tutto nella mia mente
"Non è niente"]
Don't say that
Don't say that
Darling no
Don't say anything at all
Because I've seen it now
Can't pretend anymore
"It ain't nothing”
[Non dirlo
Non dirlo
Tesoro no,
Non dire nulla
Perché l' ho visto adesso
E non posso pretendere ancora che
“Non sia niente”]
Do you know what I mean?
And have you seen it too?
Do you know what I mean?
Do you know?
And I'll do anything
Just tell me what it means
Cause I can't live in doubt anymore
Do we try or should we
Just say good-bye?
[Capisci cosa voglio dire?
E l' hai visto anche tu?
Capisci cosa voglio dire?
Lo sai?
E farò qualsiasi cosa
Dimmi solo cosa significa
Perché non posso vivere ancora nel dubbio
Dobbiamo provarci, o dovremmo 
Solo dirci addio?]
If you'd rather be somewhere
That's not here
Then you just gotta tell me
Cause there's so much more to life
Than pretending
[Se tu fossi ancora da qualche parte
Che non è qui
Dovresti solo dirmelo
Perché c’è molto più da vivere
Che da pretendere]
Don't you know
Don't you know
Darling for you
I'd do anything at all
I wanna be with you
But that look in your eyes
Tells me something
[Non lo sai
Non lo sai
Tesoro per te
Farei di tutto
Voglio stare con te
Ma quello sguardo nei tuoi occhi
Mi dice qualcosa]
Do you know what I mean?
And have you seen it too?
Do you know what I mean?
Do you know?
And I'll do anything
Just tell me what it means
Cause I can't live in doubt anymore
Do we try or should we
Just say good-bye?
[Capisci cosa voglio dire?
E l' hai visto anche tu?
Capisci cosa voglio dire?
Lo sai?
E farò qualsiasi cosa
Dimmi solo cosa significa
Perché non posso vivere ancora nel dubbio
Dobbiamo provarci, o dovremmo 
Solo dirci addio?]
I wanna know
Can you tell me?
I wanna know
Will you tell me?
Is it hello
Is it good-bye?
[Voglio saperlo
Puoi dirmelo?
Voglio saperlo
Me lo dirai?
E' un addio
O è un arrivederci?]
I gotta know
Won't you tell me?
I gotta know
You can tell me
Is it hello
Or just good-bye?
[Devo saperlo
Non me lo dirai?
Devo saperlo
Mi puoi dire
Se è un addio
O solo un arrivederci?]
I gotta know
Can you tell me?
I gotta know
Will you tell me?
Is it hello is it good-bye?
[Devo saperlo
Puoi dirmelo?
Devo saperlo
Me lo dirai?
E' un addio o è un arrivederci?]
I gotta know
Won't you tell me?
I gotta know
You can tell me?
Is it hello
Is it good-bye?
[Devo saperlo
Non me lo dirai?
Devo saperlo
Mi puoi dire
se è un addio
o un arrivederci?]

 

Lyrics: Maaya Sakamoto

 

Testo: Tim Jensen
Composto e Arrangiato da:  Kanno Youko

 

 

 

 

-

 

QUALCHE PAROLA…

 

E alla fine ci siamo arrivati. La prima parte di K&K è giunta finalmente alla sua conclusione ^.^

Mi sembrava però doveroso concludere questo epilogo con qualche parola. Doveroso, e soprattutto necessario…

 

Per iniziare da argomenti meno felici, mi sono state innanzitutto mosse insinuazioni che non mi hanno resa troppo contenta, per cui vorrei specificare subito un paio di punti.

Primo, K&K continuerà (a me sembra tanto ovvio, chi l’ha seguita fin qui e ha capito quanto di me c’è in questa storia e quanto vale non ha certo bisogno di mie conferme… ma io dico ^^’ solo perché non pubblico ogni tot mi si deve accusare - o solo pensarla, una cosa simile - di prendere per il c**o la gente? Ma per favore…). Secondo, non ho però ancora scritto nessun capitolo della seconda parte, se non qualche scena messa giù a mano su fogli di carta volanti (come quella che ho trascritto qui sotto come anticipazione). Proprio per quest’ultimo motivo devo purtroppo annunciarvi che io e Miki saremo costrette a fare una lunga pausa per progettare bene i prossimi capitoli… la trama c’è già, c’è sempre stata fin dall’inizio, ma se vorrete che la seconda parte sia all’altezza di quella che avete appena finito di leggere, dovrete pazientare.

Inoltre, oltre a pensare ai prossimi capitoli, in questo periodo mi metterò anche a correggere e revisionare tutta la prima parte ^^’ in questi anni il mio stile è cambiato e si è evoluto, quindi vorrei rivedere alcuni passaggi che ora non mi convincono più. Senza contare che poi rileggendo certi pezzi ho notato errori (per me sono errori ^^’’) che mi hanno fatto alquanto rabbrividire :D a questo proposito invito tutti i webmaster/webmistress che pubblicano la fic sul loro sito di scrivermi, segnalandomi anche l’URL relativo (nel corso degli anni ho perso il conto delle pagine, sorry ^^’) così, non appena la nuova versione della prima parte sarà pronta, potrò mandare loro tutto quanto :)

Anche se dovrete aspettare un po’, però, non disperate ^.^ perché io e Miki prevediamo di preparare, in questo periodo d’attesa (che potrebbe anche durare un anno… o più :P tanto ormai siete abituati!! ^o^’),  dei capitoli “bonus” e di approfondimento su Kris&co.! ^_- per cui, come dice Giuccina… stay tuned :P

Che altro dire… potrei fare il punto di questi quattro anni, ma non voglio dilungarmi. Ringrazio solamente tutti/e coloro che mi son stati vicini e ovviamente i lettori più affezionati che si proclamano addirittura fan (esagerati :P però ammetto che mi diverte sta cosa ^o^). Sia io che Miki siamo commosse da tanto affetto, e più volte leggendo le mille mail che mi mandate mi sono venuti gli occhietti lucidi :°) quindi grazie davvero, di cuore. Perché è grazie a questo genere di lettori se continuo a scrivere con entusiasmo, anche se ammetto che altre volte, invece, a causa di mail piuttosto diverse, la mia voglia di continuare K&K è finita (e mi finisce ^^’) sotto le scarpe, per non dire peggio…

 

Passando all’epilogo, ve l’aspettavate che si concludesse così? ^_- con Benji cicci (cicci, oddio… in questo momento lo odio pure io :D) che se ne va? *_* e ora che succederà? Qualcosina credo che potrete già intuirla leggendo la piccola anticipazione che troverete di seguito… vi dico solo che più o meno la scena (che comunque non è ancora messa giù nella sua versione definitiva, questo è un abbozzo ^^) sarà situata verso il capitolo 4 o 5 della seconda parte!

Se invece vi state chiedendo quanti capitoli ci saranno ancora (miih potrei aprire lo spazio FAQ :D), potrei calcolarne per adesso da una decina fino ad un massimo di quindici… ma come sempre non prendete per oro colato quello che dico ^^’

 

Ok, credo di aver finito… mi dileguo, sperando di tornare molto presto a scrivere di Kris ^-^ devo ringraziare soprattutto lei (e Miki, che prima di me l’ha creata ^_-) se oggi sono arrivata fin qui (in tutti i sensi, sia come scrittrice che come persona… eccetera eccetera ^^) e se voi tutti amate tanto questa storia. E’ un personaggio che ormai è entrato dentro di me, e che non posso fare a meno di amare come una sorella. Per cui… grazie Kris ;P (ok, son molto idiota… hihihi).

Uh, ultima cosa… scaricatevi “Vector”, se potete ^.^ è una canzone che mi ha stregata. La adoro, e l’ho trovata perfetta per K&K… mi è sembrato quasi che fosse stata scritta apposta ^-^ è stata la mia colonna sonora durante tutta la stesura degli ultimi capitoli della fic, ed era inevitabile che la inserissi a fine epilogo ^_-

Ok… vado davvero!!

 

Buon 2004,

Leia e - ovviamente - Miki ^.^ (invisibile ma onnipresente °_° Miki osserva e SA!! ndMiki)

 

--

  

 

COMING SOON: K&K – PARTE SECONDA

 

*Spoiler/Anticipazione*

 

 

« … detto questo con estrema calma si girò, avvicinandosi ad una delle porte del lato sinistro del corridoio. Sfilò da una tasca invisibile situata in corrispondenza di una delle cuciture del vestito una card magnetica, che infilò poi in una fessura all’altezza della serratura. Con un clack la porta si aprì, e Kristine girò la maniglia dorata dell’anta.

“E ora lasciami stare… smettila di assillarmi. Torna dalla tua amica tedesca, sono certa che ti starà cercando. Buonanotte, e goditi la festa”.

La ragazza entrò nella stanza. Fece per richiudere la porta, ma proprio in quel momento Benji la bloccò con una mano, costringendo Grover a lasciare la presa. L’anta si spalancò, sbattendo contro il muro, mentre Kris, impietrita, fissava Benji avanzare verso di lei con uno sguardo indecifrabile.

“Ma cos-”, fece per dire, ma la bocca le fu subito chiusa dalle labbra del ragazzo che, spingendola verso la parete della stanza, le bloccò le spalle, impedendole di muoversi.

Troppo shockata per poter reagire, Kris rimase immobile con gli occhi spalancati. Il bacio di Price l’aveva totalmente colta di sorpresa.

Già, Benji…

Benji la stava baciando.

Quante… quante volte l’aveva sognato?

Quante, quando poteva essere solo Kristian, per lui?

Ed ora…

Quel sogno si era realizzato.

Era reale.

Kristine si impose di non lasciarsi trasportare. Non doveva.

Tom. Lei… amava Tom. Ma…

Price la strinse di più. Sollevò un braccio, posando una mano sulla guancia di Kris che, senza nemmeno rendersene conto, aveva chiuso gli occhi.

No, no…

Smettila, Kris. Respingilo.

Respingilo, dannazione…

Mosse lentamente una mano. Poi l’altra. Le alzò.

Si ritrovò, così, abbandonata a lui. Stretta a lui.

Cosa… stava facendo?

Cosa… stava provando?

Benji… si stava approfittando di lei…

Ma come poteva… opporsi ad un bacio simile?

Credette di perdere il controllo di se stessa. Per un momento, solo per poco, un unico pensiero le attraversò la mente.

Qualunque cosa Price le avesse fatto, qualunque cose avrebbe iniziato a farle… lei non si sarebbe opposta.

Gli avrebbe lasciato fare tutto.

Tutto… ».

 

… To be continued.

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