Who Killed The Queen?

di a Game of Shadows
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Who Killed the Queen? ***
Capitolo 2: *** II. It's always the same story! ***
Capitolo 3: *** III. Buckingham Palace. ***
Capitolo 4: *** IV. Under Pressure. ***
Capitolo 5: *** V. Ambassadors. ***
Capitolo 6: *** VI. Experiment. ***
Capitolo 7: *** VII. Like nothing happened. ***
Capitolo 8: *** VIII. Case closed. ***
Capitolo 9: *** IX. Another case has been solved. ***



Capitolo 1
*** I. Who Killed the Queen? ***


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Who Killed the Queen?

I. Who killed the Queen?

Il principe Edoardo, erede al trono d’Inghilterra, era uno dei figli prediletti della Regina Vittoria. Per motivi burocratici, ciò che comportò la morte della sua povera madre fu insabbiato e sostituito con la ormai celebre versione della sua dipartita del 22 gennaio 1901 a Osborne House all’Isola di Wight. Nessuno, chissà perché, si è mai chiesto perché si dicesse che la Regina fosse ancora sull’isola alla fine di Gennaio quando solitamente passava in quell’abitazione solo le vacanze di Natale. In realtà, il suo rientro in Inghilterra era stato mantenuto con una certa segretezza, pochi sudditi sapevano del suo rientro (io e Holmes eravamo tra questi, anche se non avremmo dovuto. In forma di grande fiducia, il fratello Mycroft ci confidava ogni tanto cosa succedesse a Buckingham Palace ma tutto era ovviamente avvolto nella riservatezza dei nostri alloggi di Baker Street.)
Il rientro in gran segreto della Regina era dovuto alla prossima riunione degli ambasciatori europei a Londra. Gli esiti della loro riunione, se degni di nota, erano rivelati in seguito alla conclusione, prima della quale non si veniva neanche a sapere che detta riunione aveva preso luogo nella residenza reale, diventata tale proprio sotto il regno di Vittoria.
Questo mio racconto non è destinato alla pubblicazione immediata, in quanto potrebbe sconvolgere gli equilibri europei così faticosamente conquistati, ma sarà comunque inserito nella mia personale raccolta così se, in futuro, qualcuno troverà le mie memorie, potranno non esserci ripercussioni negative sul Continente.
Il Principe e il resto della famiglia reale non sono mai stati biasimati per aver tenuto segreti gli avvenimenti e aver appoggiato quella montatura sulla morte della cara Regina, così come nessuno biasima gli ambasciatori degli altri stati che hanno mantenuto il silenzio nelle loro terre madre per proteggere la precaria pace creatasi, ma nessuno di loro poteva dire di essere in grado di ignorare quanto successe.
Quanto sto per narrare in questa prefazione, non è altro che quanto ci è stato riportato in quanto io e il mio collega non eravamo presenti, quindi, aimè, potrebbe avere alcune lacune su dei dettagli, fortunatamente non importanti per la comprensione delle indagini che ne seguirono.
E’ stato riferito che pressappoco all’ora di cena, è stata sentita dalle guardie una richiesta d’aiuto gridata da una voce maschile, presto riconosciuta proprio come quella del Principe Edoardo, andato dalla madre per portarle la cena, poiché non stava molto bene.
Quando le guardie sono accorse in suo soccorso, hanno capito perché avesse gridato in quel modo, lui che era da sempre conosciuto per la sua compostezza, ma anche quanto la richiesta di aiuto fosse inutile: l’amata Regina Vittoria pendeva dal lampadario della sua stanza da letto, legataci con un cappio per il collo.
Sulla sua scrivania era esposta una lettera in cui spiegava i motivi per cui avesse compiuto un simile gesto. Si scusava per l’aver abbandonato i figli, ma sosteneva che la sua vita senza il marito fosse priva di senso. All’inizio questa dichiarazione suonò plausibile alle orecchie di tutti, dall’ambasciata alla famiglia. Era noto, infatti, quanto la Regina soffrisse della perdita del marito, nonostante fosse avvenuta molti anni prima.
Ogni rappresentante di rilievo del governo britannico venne immediatamente messo a parte dell’accaduto e gli ambasciatori stranieri allertati.
Mycroft Holmes era uno dei rappresentanti convocati nell’immediato dopo il ritrovamento. Un avvenimento come la morte della Regina dello stato attualmente più potente del mondo, però, non poteva essere accettato solo tramite una lettera di disperazione lasciata su una scrivania, per quanto i figli avessero riconosciuto la calligrafia come quella della madre, quindi fu deciso di avviare un’indagine tenuta segreta alla stampa per avere degli accertamenti su cosa fosse successo davvero e se realmente si trattasse di suicidio.
Fu su raccomandazione di Mycroft Holmes che io e il suo fratellino venimmo a conoscenza di questi eventi.








[NdA]
Lo so. Avevo detto che avrei ricominciato a scrivere solo dopo la fine del periodo nero a scuola, ma non sono riuscita a resistere. Questa potrebbe essere la prima storia su Sherlock che potrebbe risultare un giallo decente.
Erica ha detto che come prefazione fa un po' "libro di storia" ma mi sono dovuta adattare al fatto che Watson non era presente al momento del ritrovamento, quindi è venuta fuori un po' come un racconto senza introspezione in terza persona, ma mi rifarò nei prossimi capitoli. L'intento è quello di seguire una linea di narrazione in stile canonico mantenendo i personaggi del film. Un'impresa, vero? Tenterò.
Mi piace anche così però.
Per questa fanfic mi sono documentata sulla vita della Regina, tutto ciò che ho scritto in questo capitolo è vero, dalla data e luogo di morte alla presenza di un figlio di nome Edorardo, erede al trono. L'unica cosa non vera (e molto importante, a dir la verità xD) è che non c'era una riunione dell'ambasciata. In questo capitolo è spiegato, comunque, perchè non si saprebbe niente di questa riunione quindi tutto segue perfettamente ciò che è scritto nei libri di storia.
Non darò un giorno d'aggiornamento per questa fanfic, la scriverò quando sarò libera dallo studio, così posso vedere di scrivere qualcosa di decente.
La fanfic è complessivamente composta da otto capitoli, prefazione esclusa. Quindi, a opera conclusa, saranno nove.
L'immagine in cima al capitolo è un cartellone della vetrina del negozio d'abbigliamento Bershka di qualche tempo fa. Era una delle prime volte che io e Erica (onnipresente xD ) uscivamo insieme, mi pare, perchè da quando ci siamo viste la prima volta (che è stata un'Odissea xD) ci siamo viste poche volte dopo per un po' di tempo, e questo cartello venne fuori poco dopo che iniziammo il roleplay. Dicemmo scherzosamente che questo era il nostro primo caso. Adesso è una fanfic, ovviamente a lei dedicata.
Credo di aver finito. Spero di aggiornare il prima possibile :)

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Capitolo 2
*** II. It's always the same story! ***


II. It’s always the same story.
Era il 23 gennaio 1901. Ormai erano passati sette anni dal ritorno del mio caro e molto facilmente detestabile amico dalle Reichenbach Falls e della dipartita della mia cara Mary.
Come noto a molti tramite i miei resoconti dei casi seguiti, quando Holmes ritornò da quella che lui definì ironicamente “vacanza senza garanzia di ritorno”, vendetti il mio studio e tornai a vivere a Baker Street, dove ripresi a seguire attivamente il suo lavoro.
Tuttavia mi tenni a disposizione per i pazienti cui ero più affezionato, fornendogli visite a domicilio quindi, se non ero occupato in una delle azioni suicide di Holmes, spesso mi assentavo da Baker Street per fornire dei favori a quegli amici.
Era quasi l’ora di pranzo quando rientrai da alcune visite mattutine la mattina di quel mercoledì 23 gennaio 1901.
Ogni volta che rientravo a casa, lo spettacolo che mi si prospettava davanti non variava; quando ero a casa, riuscivo a distrarre Holmes, anche parlando di argomenti futili, ma ogni volta che mi assentavo anche solo per poche ore, al mio rientro trovavo l’appartamento come se dentro ci fosse stato un plotone di guerra a sfogare le sue ire violente. Il dettaglio inquietante ai miei occhi era che il mio adorabile coinquilino era in grado di combinare tali disastri completamente da solo e in tempi che avrebbero potuto battere i più estremi record.
Quella mattina, al mio ritorno, appena aprii la porta dell’appartamento, mi ritrovai, come al solito, immerso nell’oscurità. La consueta cappa di fumo provocata dalle sue sigarette e dalla sua pipa, aggiunte alle finestre rigorosamente chiuse aleggiava nel salotto, minacciando con convinta malignità i polmoni di qualunque povero disgraziato avesse avuto il coraggio di varcare quella soglia e non fosse stato abituato a respirare un’aria così viziata. In pratica solo Holmes sarebbe stato in grado di sopravvivere in quel buco claustrofobico.
Tra l’odore del tabacco e di aria chiusa, riuscii a distinguere anche l’odore della polvere da sparo (cui, aimè, ero stato infelicemente abituato) e narcotici.
Avanzai a tentoni, portando il bastone avanti a me come un cieco, per evitare di calpestare il mio amico, fino a che raggiunsi una delle finestre, guidato solo dalla flebile luce della porta d’ingresso che mi ero premurato di lasciare aperta. La spalancai, tende e ante, ignorando completamente le lamentele, alle mie spalle, che si sollevavano da un punto imprecisato del pavimento.
Tornai a chiudere la porta dell’appartamento, per togliere il lusso a Holmes anche di insultare la nonn- Mrs. Hudson ogni volta che ci passava davanti con frecciatine ironiche o puro sarcasmo, per poi tornare a voltarmi verso l’appartamento e cercare con lo sguardo quel disgraziato, che di preoccupazioni me ne procurava fin troppe.
Ancora non mi capacitavo di come una persona intelligente come Sherlock Holmes non si rendesse conto che, comportandosi in modo così evidentemente masochistico, non era l’unico a stare male.
Lo trovai disteso a terra, con la testa appoggiata sullo stomaco di Gludstone, nuovamente morto per chissà quale esperimento si fosse premurato di dargli a colazione.
Il laccio emostatico, la siringa vuota e l’astuccio in cuoio della cocaina solo per metà pieno erano ancora a terra, vicino a lui, e la manica della sua camicia ancora sollevata fino al gomito.  Si copriva gli occhi dalla luce con un braccio, mugugnando ancora qualche malmessa lamentela sulla mia ormai ben nota poca gentilezza nei suoi riguardi.
Mi avvicinai e m’inginocchiai vicino a lui, nonostante la ferita alla gamba ne protestasse, per costatare le condizioni di salute sue e del cane; fortunatamente erano entrambi abbastanza stabili. Voltandomi appena, notai anche la pistola, ancora vicina a lui. Alzando lo sguardo, potei vedere delle nuove lettere ancora fumanti incinse nel muro.
“E’ sempre la stessa storia, Holmes! Quando si deciderà a mettersi in condizioni tali da poter sopravvivere almeno per un anno in più?” chiesi, non poco irritato.
Onestamente parlando, ciò che m’irritava di più era che non riuscivo a capirlo. Lui sembrava in grado di capire qualunque cosa di me, seguire ogni mio pensiero, mentre io, a distanza di tutti quegli anni, ancora non capivo come potesse essere possibile, per un uomo come lui, decidere di sottoporsi a tanta sofferenza.
Non capendo, non potevo aiutarlo.
“L’ha detto anche dieci anni fa, eppure sono ancora qui” rispose con un leggero tono critico, spostando il braccio per guardarmi in tralice.
Sospirai, rassegnato. Non sarei mai riuscito a dire qualcosa che lo facesse desistere da quel masochistico percorso che da sempre, ormai, caratterizzava la sua pausa tra due casi, neppure dirgli che così rischiava davvero di addormentarsi e non svegliarsi più.
Al tempo ero convinto che, in realtà, l’unica cosa che facesse allontanare Holmes dall’idea della morte come cosa positiva era la necessità di tenere attivo il cervello, la consapevolezza che, senza di lui, il più delle volte Scotland Yard avrebbe brancolato nel buio più assoluto, lasciando pericolosi criminali a piede libero; nessun affetto per se stesso, nessun affetto per nessun altro. Me compreso.
Mi rialzai a fatica e gli tesi la mano per aiutarlo a rialzarsi. In risposta, lui ripose nel mio palmo aperto il mio bastone da passeggio.
“Non credo che la sua gamba sosterrebbe anche il mio peso, Dottore” aggiunse, rialzandosi da solo.
Ammetto che mi sentii un po’ offeso. Era vero, la gamba doleva e duole ancora, ma non ritenevo di essermi indebolito al punto da non essere ritenuto in grado di sostenere il peso di una persona sì, più muscolosa di me, ma comunque di dimensioni inferiori.
Ci sedemmo entrambi sulle rispettive poltrone, lui con il suo adorato Stradivari adesso tra le mani ed io con il giornale della mattina che non ero ancora riuscito a leggere.
Lessi comunque poche righe prima che la musica iniziasse a invadere l’aria ed io mi ritrovai irrimediabilmente distratto da quel suono. Il giornale ancora tra le mani era ormai abbandonato, così come la mia testa contro lo schienale della poltrona mentre, a occhi chiusi, mi rilassavo, ascoltando.
Non glielo avrei mai detto, forse per orgoglio, forse per non dargli una soddisfazione in più, ma adoravo ascoltarlo suonare. Aveva un talento innato per l’improvvisazione, sembrava quasi che il violino parlasse.
Senza dubbio, però, se n’era già accorto da tempo.
Sfortunatamente, però, Holmes smise di suonare quando dei passi affrettati iniziarono a salire le scale.
“Lestrade e Mycroft” annunciò Holmes, prima ancora che la porta si aprisse.
Non feci in tempo ad aprire bocca per chiedere come fosse arrivato a dire che fossero l’ispettore e il suo fratellino (come adorava chiamarlo, nonostante fosse più grande) che i due menzionati apparvero sulla nostra soglia senza bussare.
Holmes si voltò verso di me per un attimo, con un sorriso vittorioso, per poi porgere la sua attenzione ai nostri ospiti.
“Mycroft! A cosa devo il piacere di questa visita?” chiese, ignorando completamente Lestrade.
Il fatto che lo ritenesse così insignificante se paragonato al fratello da non meritarsi neanche un saluto porto per educazione come al solito, mi fece sorridere. Ai miei occhi, questo manifestava un profondo senso di rispetto e affetto verso il congiunto.
“Ti sto per affidare il caso che decreterà il picco più alto della tua carriera, Sherlock”.
Questo sembrò destare la più totale e incondizionata attenzione del mio amico, il quale ripose il violino e l’archetto sul tavolinetto vicino alla sua poltrona e si sporse in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia. Il suo sguardo rimaneva fisso in quello di Mycroft, così come quello del fratello rimaneva nel suo, come in una specie di comunicazione mentale tra i due geni.
“Che cosa è successo?” chiese infine, forse non trovando informazioni necessarie negli occhi di Mycroft.
“Ieri sera la Regina Vittoria è stata trovata morta nella sua camera”.
Calò quello che ricordo come il più raggelante silenzio mai piombato sul nostro appartamento di Baker Street.
Sconvolto, mi voltai verso Holmes, che indirizzava il suo sguardo, invece, alla parete, dove le lettere V.R., annerite dalla polvere da sparo, spiccavano sulla carta da parati.

[NdA]
Volevo scrivere qualcosa, ma non ricordo cosa fosse ._.
Ah, si. Niente di che, volevo specificare che davvero il 23.01.01 era Mercoledì, e menzionare come riferimenti canonici alcuni punti,
Per chi non lo sapesse, le lettere V.R. che Holmes spara sul muro (si vede anche nel film oltre che nel canone) significano "Vittoria Regina".
Nel 1901 erano davvero sette anni passati dal ritorno di Holmes. Infatti, all'inizio dell'Avventura della casa vuota, Watson dice testualmente che si trovavano nel 1894.
Che altro? L'astuccio in cuoio della droga ormai è noto.
Ah, si. Nel film non si vede mai Holmes fumare sigarette, ma nel canone fuma indistintamente sigarette, sigari e pipa.
Mmmmmmmmmmumble... Penso sia tutto xD
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 3
*** III. Buckingham Palace. ***


III. Buckingham Palace.

Lestrade e Mycroft si fermarono da noi per il pranzo, che ci facemmo portare nell’appartamento anziché scendere noi in cucina per evitare di essere ascoltati su un caso ancora segreto alla stampa, raccontandoci di quanto era stato scoperto dal ritrovamento della Regina Vittoria del giorno prima al loro arrivo a Baker Street l’indomani. Non molto in effetti. Per quanto il caso fosse singolare e notevolmente importante, sempre di Scotland Yard stavamo parlando e di certo grandi progressi, da parte loro, non ce li saremmo aspettati in nessun caso.
“Devo ammettere” confessò Mycroft Holmes, voltandosi verso di me. “Che alcuni membri della famiglia Reale sono stati reticenti nell’accettare la sua presenza quando ho raccomandato loro Sherlock. Quando ho detto loro che segue le sue indagini da tempo, però, e che la sua discrezione è raccomandabile, hanno accettato.”
“Non ho intenzione di imporre la mia presenza se non sarà ben accetta” risposi, risoluto. Si trattava comunque della famiglia Reale e di certo non avrei mai voluto far credere loro di non provare un profondo rispetto e stima da presentarmi se non ben accetto. Non mi sarei mosso da Baker Street, sennonché il mio amabile coinquilino non avesse risposto alle mie parole con una negazione ben poco cordiale di fronte ai nostri ospiti.
“Non sia stupido, Watson! Questo si prospetta essere senza dubbio il caso più importante che potrà mai aggiungere ai suoi annali, non vorrà certo perderselo!”
Mi piaceva pensare, all’epoca, che non gliene fregasse proprio un accidenti dei miei annali e che gradisse soltanto che lo accompagnassi.
“Ovviamente” riprese subito il fratello, interrompendo sul nascere una mia qualunque risposta al più giovane, risposta che senza dubbio sarebbe stata poco cordiale, data la sua abitudine di trascinarmi in potenziali missioni suicide, per quanto questo, in realtà, mi lusingasse. Non glielo avrei mai detto, comunque. “Questa indagine deve rimanere segreta fino a che saremo sicuri che davvero si tratti di suicidio o altro. Non dovete farne parola con nessuno”
“Ovvio” rispose Sherlock fissando il fratello con aria offesa. “Spero tu non abbia scambiato me e Watson per due incompetenti, Mycroft” rivolse una fugace occhiata a Lestrade, di cui l’unico a non accorgersi fu molto probabilmente solo l’ispettore stesso “Se la stampa da per scontata la possibilità del suicidio, sulla casata Reale si creerebbe lo scompiglio, così come succederebbe se si venisse a sapere che sono state avviate delle indagini. Se si supponesse pubblicamente l’omicidio, l’Inghilterra intera cadrebbe nel panico”
Furono quelle parole a farmi rendere conto di quanto realmente gravi fossero i fatti avvenuti. Inizialmente avevo visto il caso come sì, riguardante la nostra Regina, ma solo dal punto di vista romantico, la donna disperata che vuole raggiungere il marito. Il punto di vista sociale e politico non mi aveva minimamente sfiorato, ragion per cui Holmes sarebbe stato ben felice di rimproverarmi.
Lestrade e Mycroft se ne andarono da Baker Street prima di noi per annunciare a Buckingham Palace il nostro imminente arrivo e concederci il tempo per renderci presentabili al fronte della famiglia Reale al completo e tutti gli ambasciatori europei. Persino Holmes si preoccupò di rendersi presentabile, il che è di per se un fatto straordinario.
Lo sentii sbuffare, spazientito, mentre lo aspettavo in salotto. Incuriosito, lo raggiunsi nel bagno, dove lo vidi fissare il proprio riflesso nello specchio quasi con disprezzo.
Non feci in tempo a dire niente.
“Stavo pensando con estrema serietà di farmi tagliare completamente i capelli” commentò, con una certa acidità nella voce che, tuttavia, sapevo non essere indirizzata a me.
Mi feci prendere da un leggero panico, anche se il mio temperamento da soldato mi aiutò notevolmente a nasconderlo; mi piacevano i suoi capelli, mai in ordine, del tutto indomati, che schizzavano da tutte le parti. Mi ero sempre chiesto come sarebbe stato toccarli.
“Non dica stupidaggini” commentai solo, con una leggera risata.
“Sono ingestibili!” esclamò, esasperato.
In fede mia, quella era in assoluto la prima volta in più di vent’anni che assistevo a una scena del genere di fronte a Holmes. Mai, mai, in vent’anni lo avevo visto così disperato per quanto riguardasse il suo aspetto.
Risi di nuovo e mi avvicinai.
“Mi lasci provare”
Mi avvicinai a lui, che mi guardava con aria stranita, e mi bagnai le mani nel lavandino. Stando ben accorto a non incontrare mai il suo sguardo, iniziai a passare le dita tra i suoi capelli, cercando di riordinarglieli. Erano morbidi, nonostante la tortura cui continuamente li sottoponeva. Mi piaceva averli tra le dita.
Dopo lunghissimi minuti di arduo lavoro, in cui dal mio compagno non provenne alcun suono, riuscii a dare una parvenza normale a quei capelli altrimenti ribelli e riabbassai lo sguardo sui suoi occhi. Mai avrei potuto fare errore più grande; avevo calcolato più che male le distanze e mi ritrovai con i suoi occhi troppo vicini ai miei e le mie mani erano ancora tra i suoi capelli. Non mi avrebbe occupato che un secondo per azzerare ogni distanza tra di noi e vederlo immobile, poco davanti da me, a guardarmi negli occhi, non mi dava un notevole aiuto.
Riuscii a distogliere lo sguardo, indirizzandolo alla parete opposta, e mi sgranchii la voce, ritirando le mani – come, in effetti, avrei dovuto fare prima.
“Dobbiamo… andare” borbottai, per poi uscire.
Presto fummo nella carrozza mandataci a prendere da Mycroft, che ci portò direttamente dentro il cancello del palazzo reale.
Ne rimasi del tutto affascinato. Noi, cittadini comuni, potevamo vedere solo la facciata di Buckingham Palace da oltre il cancello, attraverso l’immenso cortile, ma vedere il palazzo avvicinarsi, dall’altra parte del cancello rispetto al solito, era tutta un’altra cosa, nonostante le tragiche circostanze in cui ci trovavamo.
“Non sono mai stato dentro Buckingham” dissi, più a me che a lui.
“Io sì, quando mi hanno insignito della Legion d’Onore” si pavoneggiò Holmes con un sorriso compiaciuto, senza guardarmi.
Sbuffai, tuttavia lievemente divertito, e tornai a guardare fuori, fino a che la carrozza si fermo sul retro del palazzo.
Scendemmo dalla carrozza, dove Mycroft, Lestrade e alcune guardie reali ci aspettavano.
Ci condussero attraverso un immenso corridoio le cui pareti erano ricoperte di quadri di immenso valore che, per la passione artistica del mio amico, dovevano valere molto più di quanto fosse il loro valore reale, mentre Lestrade spiegava che l’indagine non aveva avuto progressi durante la sua assenza e che sembrava proprio suicidio.
Era affascinante vedere come, estasiato, Holmes passava velocemente lo sguardo da un quadro all’altro, analizzandoli tutti comunque con estrema attenzione e un lieve sorriso a increspargli le labbra. Sono convinto che, se non avessimo avuto altro cui pensare, sarebbe stato in grado di raccontarmi la storia di ognuno degli artisti che li avevano dipinti e dei quadri singolarmente.
La nostra attenzione fu comunque distratta dall’arte quando dei singhiozzi, vicini a quella che ci venne indicata come la stanza della Regina, ci portarono a distogliere lo sguardo dalle pareti. La sorpassammo di qualche passo, muovendoci silenziosamente, fino a sporgerci dal corridoio. Poco più in là, quella che riconoscemmo come la Principessa Alice, pupilla tra le figlie della Regina Vittoria, piangeva tra le braccia di un giovanotto, vestito elegantemente di un blu acceso.
“A lei penseremo dopo, lasciamola sfogare un po’” mi sussurrò Holmes, afferrandomi per un braccio e riportandomi alla porta della camera Reale.
Entrammo nella camera, ancora popolata da Yarders che si aggiravano senza effettivamente fare niente, facendo ben notare quanto, in realtà, non avessero idea di cosa fare.
In altri momenti avrei prestato tutta la mia attenzione alla bellezza della stanza reale, ma in quel frangente era come se la camera mi stesse opprimendo con il macabro segreto che custodiva agli occhi del resto del mondo.
Seguii lo sguardo di Holmes verso il prezioso lampadario da cui, ancora, penzolava un pezzo della corda utilizzata per il presunto suicidio. Era il cordone per tirare la tenda. La restante parte era stata tagliata, probabilmente allo scopo di rimuovere il corpo e portarlo all’obitorio. Come avesse fatto proprio Scotland Yard ha portarlo via senza che nessuno se ne accorgesse, è un mistero che né io né Holmes siamo mai stati in grado di risolvere.
“Il resto della corda?” chiese Holmes, spostando lo sguardo su uno dei poliziotti.
“E’ stata portata alla nostra centrale. E’ al nostro obitorio con il cadavere”
“Perché avete accettato di chiamarmi se mi sottraete prove, di grazia?” chiese ancora, fissandolo con un cipiglio vagamente irritato. “E la lettera?” chiese ancora, prima che l’imbarazzato Yarder potesse rispondere.
Quando voleva riusciva a intimorire i poveri poliziotti del distretto con la sua glaciale freddezza. Non capivo come potesse succedere. Forse era solo che io c’ero abituato.
Fatto sta che suddetto poliziotto fuggì verso la scrivania e tornò in meno di un secondo con la lettera tra le mani.
Non ci fu concesso di tenerla se non per analizzarla sul luogo e scribacchiai velocemente le parole sul mio taccuino perché non andassero perdute, quindi è possibile che alcune parole siano diverse dall’originale, poiché mi allontanai prima per concedere a Holmes il tempo di analizzarla.

Mia adorata Inghilterra,
Sono ormai sessantatré anni che regno su questo paese e trentasette che siedo al trono senza mio marito.
La sua morte ancora oggi non da pace al mio povero animo.
Amo i miei figli e dunque, adesso è giusto che io lasci loro la Corona e raggiunga il mio caro Alberto.
Il lutto non mi abbandona da anni e il dolore potrebbe impedirmi di regnare ancora in modo giusto.
Vi prego di ricordarmi, figli miei, non come la donna straziata dal dolore, né come la Regina, ma come vostra madre.

Alexandrina Victoria, Gennaio 02 1901.


Feci appena in tempo a riscrivere velocemente la firma sul mio taccuino quando vidi Holmes estrarre dalla tasca interna del cappotto la lente d’ingrandimento e sottrarre la lettera dalle mani dello Yarder.
In quel momento mi feci da parte e lo lasciai lavorare secondo i suoi metodi.
Analizzò la lettera, parola per parola per buoni dieci minuti.
“La calligrafia è stata riconosciuta come quella della Regina?” chiese, riponendo la lente d’ingrandimento nella tasca ma, tuttavia, senza staccare gli occhi dalla lettera.
“Si signore. Il Principe Edoardo in persona l’ha riconosciuta”
Annuendo distrattamente, estrasse da una delle tasche esterne del cappotto un fazzoletto bianco e lo passo sopra la carta, facendo lieve pressione, per poi analizzare anche quello.
Lo ripose in tasca senza dire niente e si voltò di nuovo verso di noi.
“Vedo che il pavimento ha una superficie lucida” osservò, tornando a guardare lo Yarder.
“La Reg-”
“Dovete riempire ogni concavità, ogni buco di questa stanza e del bagno di fianco con acqua bollente e chiudete tutte le porte e finestre che danno sull’esterno” lo interruppe subito.
“Perché?”
“Lo vedrete”
Uscimmo tutti dalla stanza mentre gli uomini di Scotland Yard e la servitù passavano davanti a noi per eseguire l’ordine seppur né loro né io ne capimmo il senso.
“Watson” mi chiamò.
Mi afferrò per un braccio e mi fece allontanare da Lestrade e Mycroft, che erano rimasti fuori dalla porta ad aspettarci per tutto il tempo. Considerai quell’allontanamento non una mancanza di fiducia in suo fratello, di qualunque cosa volesse parlarmi, quanto in Lestrade che, senza dubbio avrebbe usufruito di quella prova in modo estremamente sbagliato.
Mi avvicinai a lui, in modo che potesse sussurrare e nessuno sentisse quello che stava per dirmi.
“La calligrafia era quella della Regina ma era irregolare, come se la sua mano tremasse mentre scriveva. Per di più” estrasse il fazzoletto prima bianco dalla tasca, mostrandomi lievi striature nere “questa è polvere da sparo. Deve essere caduta dalla canna della pistola mentre la tenevano sotto tiro. La regina è stata forzata a suicidarsi, non l’ha fatto di sua spontanea volontà. E’ stata uccisa”
Rimasi raggelato da quella rivelazione. Dietro l’omicidio del regnante di uno degli stati più potenti del mondo potevno esserci mille moventi. Poteva benissimo anche esserci una guerra alle porte.
“Signor Holmes” lo chiamarono.
Si voltò di nuovo verso la camera, dove il solito Yarder di poco prima lo aveva richiamato. Mi lanciò una fugace occhiata prima di dirigersi di nuovo alla camera. Lo seguii, come il solito.
Appena entrammo, la prima cosa a cui mi rimandò l’ambiente fu la nebbia. Il vapore dell’acqua calda aveva invaso tutta la camera, annebbiandola.
“Accendete tutte le luci, chiudete la porta e muovetevi meno che potete” ordinò Holmes.
Alla luce la nebbia sembrava meno fitta e si resero ben evidenti, sul pavimento lucido le impronte delle scarpe. Holmes si chinò sul pavimento, osservando tutte le impronte, soprattutto quelle vicine alla porta.
“Queste sono le impronte delle scarpe degli Yarders…” mormorò. “Queste le mie… quelle di Watson… Il Principe aveva degli scarponcini a punta quadrata quando ha trovato la madre?”
“No, aveva le pantofole. Ha detto che sarebbe andato a dormire da lì a breve”
“Bene. Allora sappiamo che l’assassino è un uomo”


[Nda]
Sto già furteggiano dal roleplay per le fic xD
La scena in cui Watson sistema i capelli a Holmes, infatti, è stata derubata da lì xD

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Capitolo 4
*** IV. Under Pressure. ***


IV. Under Pressure.
Tornammo a casa poco dopo.
Durante tutto il tragitto in carrozza, Holmes era rimasto in silenzio con lo sguardo fisso fuori dal finestrino, la testa appoggiata pigramente sulla pugno. Avevo provato a più riprese a dare il via a una conversazione su qualunque argomento credevo potesse interessargli, dalla stupidità di Scotland Yard alla partita di rugby della sera prima, ma m’ignorava o rispondeva a monosillabi. Suppongo fosse normale, vista la portata del caso che aveva per le mani, ma devo ammettere che ci rimasi un po’ male quando mi vidi ignorato in quel modo.
In realtà ero preoccupato anche per il suo pallore; da quando lo avevo trovato a Baker Street dopo le mie solite visite non si era totalmente ripreso, la sua salute sembrava sul punto di crollare e lo stress causato da un caso così importate rischiava di contribuire in modo negativo. Le sue difese immunitarie erano già indebolite dalle droghe che era solito assumere e la pressione che questo caso poteva procurargli avrebbe potuto facilmente portarlo a un crollo fisico.
Non dubito affatto che si sentisse profondamente onorato per l’incarico avuto, senza dubbio il più importante della sua carriera e la lusinga che poteva portare essere considerato all’altezza di quella particolare situazione era tanta, ma Holmes, che lo accettasse o continuasse a rifiutarsi di farlo, era umano. E gli uomini cadono ogni tanto.
Appena arrivammo a Baker Street, Holmes salì fino ai nostri appartamenti senza dire una parola, ignorando ancora una volta il saluto di Mrs. Hudson, la quale non vi dette molto peso, come al solito, ma lei mi fermò prima che potessi seguirlo di sopra.
“Cosa è successo?” mi chiese.
Sapevo che non le piaceva il modo in cui Holmes conduceva la sua vita, ma alla fine si era affezionata ed anche lei doveva aver notato quanto fosse pallido.
“Non lo so” mentii, ricordandomi che avevamo promesso di non parlare a nessuno di questo caso. “Ci venga a chiamare per la cena” chiesi.
Mi lasciò andare e raggiunsi Holmes di sopra.
Abbandonò il cappello e il cappotto sullo schienale della poltrona, sulla quale poi si sedette, cercando di nascondere il suo lieve barcollare.
Accavallò elegantemente le gambe, per poi appoggiare i gomiti sui braccioli, le punte delle dita giunte e lo sguardo perso nel vuoto, l’espressione concentrata.
Anch’io mi tolsi il cappello e il cappotto, riponendoli poi nel legittimo posto e sedermi nella poltrona vicino alla sua, aspettando che dicesse qualcosa. Non mi azzardai neanche a prendere il giornale o un libro, sapevo benissimo che, appena lo avessi fatto, avrebbe immediatamente interrotto la mia lettura per il semplice gusto di farlo.
Rimase a lungo in quella posizione, a mala pena sbatteva le palpebre, probabilmente cercando di sfruttare ogni singola goccia della sua non trascurabile esperienza (tra i casi da me documentati, fino a quel momento ne avevamo seguiti insieme più di trenta) per riuscire a risolvere questo mistero in fretta, in modo da sbarazzarsi velocemente di questo peso inevitabile.
Ma, aimè, è difetto dell’uomo che le cose gli vengano fatte male se fatte di fretta e questo sembrò far crollare a picco le sue condizioni psichiche da lì a poco.
“Devo ammettere, Watson” interruppe poi il silenzio “che non so come reagire davanti a questo caso. E’ una questione importate e un eventuale fallimento potrebbe comportare disastrose conseguenze a livello mondiale” confessò.
Parlando, si era tolto anche il gilet, lanciandolo poi malamente sulla pelle di tigre sul pavimento e aveva arrotolato le maniche della camicia fino ai gomiti come se, in quella temperatura glaciale, sentisse invece caldo.
Come medico e come amico, mi preoccupai bene di osservarlo per capire quali fossero le sue vere condizioni, perché era certo come il sole che sorge al mattino che se si fosse sentito male, soprattutto se durante un’indagine, non me l’avrebbe detto.
“Non ha mai fallito prima, Holmes. Senza dubbio il suo immenso ego le impedirà di fallire in un caso così importante” risposi, in un vago tentativo di rassicurarlo.
In realtà, trovarmi in quella situazione comportava, per me, molte difficoltà; Sherlock Holmes non era il genere di persona che aveva mai avuto bisogno di conforto o rassicurazioni. Sarei stato in grado di confortare chiunque, ero pur sempre un medico, ma con lui non sapevo come comportarmi.
La mia attenzione, comunque, era dedicata molto più ai suoi movimenti che alle sue parole; il suo continuo agitarsi sulla poltrona, gli occhi che sembravano volessero chiudersi da soli, la pelle imperlata di sudore nonostante fossimo a fine gennaio.
“C’è sempre una prima volta. E se fosse questa, non oso immaginare quali sarebbero le conseguenze… Watson, che sta facendo?” aggiunse poi, quando mi sporsi verso la sua poltrona e, afferratogli un braccio, avevo posto due dita sul suo polso per sentirne il battito.
“Stia in silenzio”
Il battito del suo cuore era accelerato, poteva essere uno dei sintomi dell’influenza, ma poteva essere causato da molti motivi, come anche l’agitazione per via dello stress.
Gli lasciai il polso e mi avvicinai alla sua poltrona. Per quanto sembrasse reticente alla mia vicinanza, non si scostò, né mosse un solo muscolo. Il suo sguardo era fisso nel mio anche quando mi inginocchiai a terra per raggiungere la sua altezza e posai una mano sulla sua fronte ed una sulla mia per comparare le temperature.
“Lei ha la febbre, Holmes” costatai.
“Sto benissimo”
“Non si comporti come un bambino! Negare di avere la febbre di certo non gliela farà passare!”
“Non credo passerebbe neanche se lo ammettessi”
“Quindi lo ammette”
“Non ho fatto un bel niente!”
Sbuffai e mi rialzai, ritirando la mia mano. Cercare di discutere con lui si dimostrava ogni giorno sempre più inutile, gli spettava sempre e comunque l’ultima parola, a prescindere da quale fosse l’argomento di discussione.
“Holmes, si riposi” tentai ancora.
“Certo, ho il tempo di riposarmi. Ci pensa lei alle indagini sulla morte della Regina?” chiese, sarcastico.
Lo detestavo quando si comportava così anche se, in fondo, mi piaceva prendermi cura di lui; mi dava un certo senso di esclusività, sapevo che non avrebbe permesso a nessun altro di vederlo febbricitante e pieno di dubbi come in quel momento, mi faceva credere che s fidasse davvero solo di me. Forse era davvero così.
“Holmes-“
“Il ragazzo!” scattò in piedi.
Preso da un momentaneo spavento dovuto al suo scatto, mi alzai velocemente e feci un passo indietro, costringendo la mia gamba a lamentarsene.
Lo guardai, confuso, chiedendomi di cosa stesse parlando.
Dovette interpretare la mia espressione come quella stessa domanda, perché rispose.
“Il ragazzo che era con la principessa Alice! Non abbiamo chiesto di lui, non abbiamo parlato con lei-“
“Holmes!”
Mi avvicinai di nuovo e gli coprii la bocca con una mano. Normalmente non mi sarei mai permesso né di avvicinarmi tanto a lui né avrei azzardato un contatto fisico così improvvisamente essendo io bene a conoscenza delle sue capacità fisiche, dunque non so cosa mi spinse, in quel momento, a comportarmi in tale modo.
Lui non reagì come mi aspettavo, però. Se aggredito improvvisamente – perché sì, da certi punti di vista la mia poteva essere considerata un’aggressione – solitamente Holmes reagiva d’istinto, attaccando la parte del corpo dell’avversario entrata in contatto con lui, mentre in quel momento sembrava del tutto paralizzato. Mi fissava con gli occhi spalancati fissi nei miei, senza ribellarsi in nessun modo, al contrario di qualunque mia previsione, quasi come se fosse stato spaventato dalla mia azione.
“Stia calmo. Lei è umano, è normale che sbagli ogni tanto. E questo non è neanche un errore, può informarsi su chi fosse quel ragazzo anche domai quando torneremo” cercai di tranquillizzarlo, sfruttando anche il tono di voce.
Quando mi sembrò che si fosse appena un po’ rilassato, spostai la mano dalla sua bocca e la posai sulla sua spalla.
“Non avrei dovuto avere una dimenticanza simile, soprattutto non con un caso del genere… sto perdendo colpi, forse dovrei ritirarmi-“ abbassò lo sguardo in quello che quasi mi sembrò imbarazzo.
“Non dica stupidaggini. Non ha idea di quanto sarebbe più difficile vivere a Londra se non ci fosse lei come detective. Il corpo invecchia, la mente no”
Rialzò lo sguardo sul mio, gli occhi illuminati di qualcosa che sembrava molto simile a gratitudine. Se non si fosse trattato di Sherlock Holmes ne sarei stato certo. Mi sembrò addirittura di vederlo sillabare un grazie, perché della voce non so cosa ne avesse fatto.
Senza rendermene neanche conto, ritrovai il mio sguardo fisso sulle sue labbra socchiuse e il mio corpo che, istintivamente, si avvicinava al suo.
Non avevo mai voluto baciare qualcuno come in quel momento e il mio buon senso che avrebbe dovuto impedirmi di farlo sembrava essere scomparso.
Deglutì rumorosamente ma non si allontanò; il suo respiro si azzerò del tutto, così come successe con il mio quando lo vidi chiudere gli occhi, in attesa.
Riuscivo a sentire il suo lieve respiro sulle labbra quando dei passi su per le scale ci spinsero ai lati opposti del salotto.
“Signori! E’ pronta la cena!”




[Nda]
Lo so, ho fatto aspettare un'immensità di tempo per nulla, praticamente. In realtà non posso neanche giustificarmi ._.

Quindi, boh, me ne vado così xD

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Capitolo 5
*** V. Ambassadors. ***


V. Ambassadors.
Provai un immenso e immotivato odio verso Mrs. Hudson. D’altra parte, avevo detto io a quella povera donna di venirci a chiamare per la cena, non meritava che la detestassi così.
L’argomento, comunque, fu chiuso così.
Più tardi la ringraziai mentalmente per averci interrotti. Non sapevo quali sarebbero state le conseguenze se avessi baciato Holmes e forse sarebbe stato meglio non scoprirlo. Per di più, non era nel pieno della salute e quasi mi sarebbe sembrato di abusare di lui. L’imbarazzo subito dopo, poi, sarebbe stato troppo.
Non ne parlammo più, quel momento sembrò dimenticato da entrambi.
Dopo cena, quindi, parlammo solo del caso, come se niente fosse, anche se mi sembrava che Holmes fosse notevolmente più rigido del solito. Cercava di mantenere una parvenza di normalità, ma sentivo che qualcosa non andava.
Decisi, più per togliermi il peso che per una reale certezza, che avrei attribuito quel suo strano comportamento alla febbre.
La mattina dopo, Holmes si alzò di buon’ora, come suo solito quando aveva un caso particolarmente interessante tra le mani.
Erano appena le sette quando uscii dalla mia camera, ancora in pigiama e vestaglia, e lo trovai seduto sulla poltrona, di nuovo lo sguardo fisso nel vuoto, durante la riflessione, le mani giunte sotto il mento.
Non aveva suonato, quella notte. Mi ero svegliato alle tre, come il solito, per via dell’abitudine, ma non avevo sentito nulla. Probabilmente era troppo stanco e non era riuscito a rimanere sveglio.
Non si accorse neanche della mia presenza finché non mi sgranchii la voce.
“Buongiorno” salutai, quando lo vidi voltarsi verso di me.
“’giorno” mugugnò, tornando a guardare il muro.
Non ricevendo altra considerazione, tornai in camera mia per cambiarmi.
Quando rientrai in salotto, trovai il vassoio con la colazione appoggiato sulla mia poltrona e Holmes che leggeva il giornale.
Rimasi allibito.
“Mi dica che quello che leggo in prima pagina è dovuto a dei problemi ottici molto prossimi” chiesi.
Richiuse il giornale e lo posò sul vassoio sulla mia poltrona insieme alla colazione.
In prima pagina faceva bella mostra di sé il titolo che annunciava la morte della Regina di due giorni prima.
“Come hanno fatto a scoprirlo?”
“Non mi stupirei se qualcuno a Scotland Yard si fosse fatto scappare qualcosa… fatto sta che adesso ci ritroveremo immersi in una folla nel panico. C’è anche il mio nome nell’articolo”
Nessuno dei due aggiunse altro. Una volta che fossimo arrivati a Buckingham, sarebbe stato un inferno. Se tutti sapevano della morte della Regina, sotto il palazzo ci sarebbe stata una folla che a mala pena ci avrebbe permesso di passare con la carrozza.
“Holmes, può gentilmente togliere la sua colazione dalla mia poltrona?” chiesi, tanto per cambiare argomento.
“Ho già fatto colazione, più di un’ora fa. Quella è la sua”
Ammetto che forse non era una cosa che rientrava nei limiti di normalità della mente di un uomo comune, ma rimasi molto più stupito del fatto che Holmes mi avesse preparato la colazione che del fatto che la stampa avesse saputo tutto. Ovviamente dopo tanti anni di amicizia e convivenza, si penserebbe normale un gesto simile ogni tanto, ma non è da dimenticare che il mio coinquilino era pur sempre Sherlock Holmes.
“Oh. Grazie”
Non rispose. Non rispondeva mai ai ringraziamenti e ancora non ho capito perché.
“Faccia in fretta, dobbiamo andare” disse solo.
Normalmente avrei combattuto per farlo rimanere a casa, nelle condizioni in cui era, ma se non me l’avrebbe data vinta con un caso qualunque, ero certo che per continuare le indagini di questo caso avrebbe lottato fino allo stremo delle forze. Non glielo chiesi neanche. Una volta pronto per uscire, mi limitai semplicemente ad assicurarmi che avesse con sé almeno una sciarpa. Mi rivolse un sorriso divertito quando gliela passai, ma non disse niente. La afferrò soltanto e se la legò intorno al collo.
La carrozza che venne a prenderci veniva direttamente da Buckingham Palace, mandaci dal fratellino Mycroft.
La prospettiva che ci si presentò davanti era esattamente quella che ci aspettavamo. Una folla in delirio, composta di civili e sudditi, invadeva la piazza di fronte al palazzo, armata di macchine fotografiche, taccuini con penne o semplicemente domande cui nessuno poteva permettersi di rispondere.
Non entrammo dal cancello principale; quando il cocchiere vide la folla, cambiò strada e ci fece entrare dal cancello sul retro.
Non c’era nessuno ad aspettarci fuori, tutti si erano barricati dentro, lontani dai giornalisti e le loro fotocamere.
Ormai tutti sapevano che Sherlock Holmes stava seguendo il caso, quindi non ci preoccupammo di evitare di essere fotografati ed entrammo dalla porta principale.
Mycroft e Lestrade ci vennero subito incontro ma Sherlock non permise loro di parlare.
“Mi domando, Lestrade” iniziò subito “chi venga ammesso tra i suoi uomini, se per i giornalisti è stato così semplice avere tutte le informazioni. Mycroft-“ aggiunse, voltandosi verso il fratello.
“Come stai?” lo interruppe subito, con aria preoccupata “In quarantasette anni raramente ti ho visto con una sciarpa. Stai bene?”
“Sto benissimo” rispose, con un lieve sorriso di rassicurazione.
“Ha la febbre” lo corressi.
A quel punto Mycroft si voltò verso di me, ormai cosciente che Sherlock non avrebbe mai ammesso di stare male neanche se avessimo testimoniato misurandogli la febbre lì, davanti a tutti.
“Alta?”
“Non troppo, ma sarebbe meglio se riposasse”
“Lo riporti a casa, allora”
“Dubito che collaborerebbe”
“Stordiamolo”
“Signori” ci interruppe Sherlock, prima che potessi chiedermi come Mycroft intendesse stordire il fratello. Forse parlò in quel momento perché lui non voleva saperlo. “Vi ricordo che sono qui, accanto a voi”
Dopo di che ci superò e tornò verso la camera della Regina.
Passai lo sguardo tra lui che se ne andava e il fratello che ancora lo guardava, preoccupato.
Mi sembrava incredibile riuscire a scorgere quella traccia di umanità in entrambi gli Holmes in una sola volta. Lo sguardo preoccupato di Mycroft e il sorriso rassicurate di Sherlock mi avevano colpito, in qualche modo.
Lo raggiungemmo mentre parlava con uno Yarder e lo aspettammo sulla porta.
“Ci porteranno il cappio” comunicò, raggiungendoci “Intanto, Mycroft” abbassò la voce “dovresti portarmi i fascicoli contenenti le informazioni sugli ambasciatori”
“Niente donne” confutò l’altro.
“Niente donne” fu la conferma.
Quando Mycroft se ne andò, Sherlock si accomodò su una poltrona nella camera. Teoricamente non avrebbe dovuto, trattandosi di una scena del crimine e futura camera dell’erede al trono, ma nessuno gli disse niente, quindi mi avvicinai a lui, in attesa.
“Non possiamo fare niente finché non ci portano il cappio. Tanto vale riposarsi. Watson, dovrebbe sedersi, non credo che la sua gamba sia felice di tutto questo sforzo”
Prima che il mio orgoglio mi permettesse di protestare, Holmes era in piedi ed io seduto. Quasi non mi accorsi di quello che successe. Si era alzato, aveva premuto sulle mie spalle e mi aveva fatto sedere.
Una gentilezza simile da parte sua era del tutto innaturale ed era la seconda quella mattina. C’era qualcosa di strano nel suo atteggiamento, e non era niente che fosse riconducibile al caso o alla febbre, a meno che non fosse il suo modo di ringraziarmi per prendermi cura di lui.
Scartai subito questa ipotesi, in quanto non era certo la prima volta in cui mi ritrovavo con lui malato tra le braccia. Non riuscivo proprio a capire che cosa gli fosse preso.
Non so quanto tempo passò da quando mi ero misteriosamente scoperto seduto sulla poltrona a quando arrivo Clarkie con il cappio con cui era stata trovata impiccata la Regina, ma so che lo avevo trascorso tutto osservando Holmes, cercando di scovare qualcosa di anomalo nel suo atteggiamento. Niente.
Quando l’oggetto del delitto arrivò, Holmes non mi rivolse più uno sguardo e prese immediatamente la busta dalle mani dello Yarder. Estrasse velocemente il cappio, ma non spese più di un secondo per esaminarlo. Sorrise immediatamente, vittorioso.
“Watson” mi chiamò, così mi alzai e lo raggiunsi vicino alla porta “lei è un soldato, ha combattuto in guerra, quindi certamente avrà conosciuto ogni grado dell’esercito. Che cosa le dice questo cappio?” chiese, mostrandomi suddetto oggetto.
Capii immediatamente perché aveva sorriso. Una cosa simile era stata immediatamente evidente anche a me. Quello non era un cappio come tutti gli altri.
“E’ un nodo marinaio” osservai.
“Esatto, vecchio mio” si congratulò, sorridendo. Quel sorriso mi fece un effetto diverso dal solito, forse per via degli occhi che brillavano, febbricitanti, o per la sua pelle pallida imporporata lievemente sulle guance. “Dubito che la Regina sapesse fare un comune nodo a cappio, figuriamoci qualcosa del genere. Questo restringe la nostra lista degli indiziati”
Come se si fosse sentito chiamare, Mycroft rientrò nella stanza con una borsa che poco prima non aveva a tracolla.
Tutti gli Yarders lasciarono immediatamente la stanza e si chiusero la porta alle spalle.
“Tutti gli ambasciatori europei uomini” comunicò, posando la borsa sul letto. Entrambi ci si sedettero mentre io, non so perché, evitai. Forse, e dico forse perché era pur sempre il letto della nostra defunta Regina. Mi chiesi come si permettessero di comportarsi così.
Vidi Sherlock aprire la borsa e subito scartare un numero consistente di fascicoli senza neanche aprirli, solo leggendone i nomi nell’intestazione. Avvicinandomi, notai che erano gli ambasciatori degli stati che non avevano sbocchi sul mare o fiumi navigabili.
“Restano Spagna, Francia, il novello stato Italiano e la Grecia…” osservò a bassa voce, più parlando tra sé e sé che con noi.
Aprì tutti i quattro fascicoli sul letto, cercando un’informazione precisa che non si preoccupò di svelarci.
“Fammi indovinare” richiamò la sua attenzione Mycroft con un sorriso quando lui, sbuffando con aria seccata, li aveva richiusi tutti. “Nessuno di loro ha la misura del piede adeguabile all’impronta che hai trovato”
Quella era una delle situazioni in cui mi sentivo certamente di troppo tra di loro. Si capivano con un solo sguardo, ragionavano di pari passo ed io mi sentivo quasi come se venissi da un altro mondo e mi fossi intrufolato clandestinamente nel loro.
“Già…” Si rialzò, restituendo i fascicoli al fratello e riavviandosi alla porta. “Non credo che a Buckingham Palace ci sia altro da fare. Andiamo a casa, Watson”
Mi avviai con lui verso l’uscita, quando improvvisamente mi bloccò per un braccio.
“Aspetti un attimo”
Tornò indietro di corsa per raggiungere Mycroft. Si scambiarono poche parole, ma da dove ero, non riuscii a sentire niente. Quando mi raggiunse di nuovo, però, era ancora più pensieroso.


 

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Capitolo 6
*** VI. Experiment. ***


VI. Experiment.

“Non ha senso!” sbottò, camminando su e giù per il salotto.
Holmes ancora parlava del caso, ma io avevo smesso di seguirlo almeno un’ora e quindici minuti prima. Almeno, avevo smesso di seguirlo nelle sue spiegazioni perché fisicamente, invece, lo seguivo davvero. Per tutta la stanza, cercando di fermarlo e portarlo a letto ma credo non avesse sentito una parola di tutte le preoccupazioni che avevo espresso per la sua salute.
“Holmes, vada a dormire, è malato-”
“Allora” iniziò, fermandosi improvvisamente in mezzo alla stanza, causando uno scontro tra me e la sua schiena, di cui lui comunque non sembrò accorgersi, rimanendo immobile com’era prima della collisione. Era come andare contro un muro ad alta velocità; l’unico che si fa male sei tu, mentre il muro ti sbeffeggia con la sua impassibilità. Mi stava totalmente ignorando. Parlava ad alta voce solo per ragionare meglio, lo avrebbe fatto, anche se non ci fossi stato. “Un uomo, marinaio con le scarpe a punta quadrata irrompe nella stanza da letto della Regina dopo cena, in modo da non rischiare di avere incontri spiacevoli. Appena entra la minaccia con la pistola, fermandosi sulla porta – le impronte con il vapore erano più definite sulla porta e vicino allo scrittoio, per evitare un qualunque richiamo d’aiuto. La minaccia con la pistola da una distanza tanto ravvicinata da far cadere della polvere da sparo dalla canna al foglio, imponendole di scrivere una lettera d’addio in modo che sembri che si tratti di suicidio. Si procura la corda dalla stanza per non far credere che sia arrivato un oggetto dall’esterno, ma la Regina non è capace di fare un nodo scorsoio, non essendosi mai spostata se non per il tragitto Buckingham Palace – Wight, quindi annoda il cordone e la spinge a impiccarsi. Adesso” disse, andando a sedersi sulla poltrona. “Cosa c’entra il ragazzo? O, meglio: il rapporto di... intima amicizia che sembra avere con la Principessa Alice c’entra qualcosa con la morte della Regina? Non può mirare al trono, non è Alice l’erede ma Edoardo, e se avesse voluto uccidere anche lui, l’avrebbe fatto prima che scoppiasse lo scandalo, una persona che s’ingegna tanto per far passare un omicidio per suicidio non sarebbe tanto stupida da commettere un secondo delitto quando l’intero corpo di polizia ha messo le tende a Palazzo e senza dubbio non le toglierà fino all’elezione dell’erede. Però… però, anche se non ha intrapreso la carriera in marina, suo padre sì e senza dubbio un padre d’indole militare, qualunque sia il campo specifico, tende sempre a crescere i propri figli nello stesso modo in cui lui stesso è cresciuto. Potrebbe inconsciamente aver insegnato al figlio qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo nell’omicidio, ma non capisco il nesso…”
Per un attimo fui tentato di chiedergli chi fosse il ragazzo, ma cancellai immediatamente questa idea dalla mia testa. Chiunque fosse, le spiegazioni a riguardo avrebbero potuto benissimo attendere la carrozza del giorno dopo quando saremmo tornati a Buckingham. Ciò che mi premeva di più, al momento, era assicurarmi che Holmes andasse a riposare e, ovviamente, tenerlo lontano dall’astuccio in marocchino.
“Qualche teoria, Watson?” mi chiese, rialzando per la prima volta lo sguardo su di me in tutta la serata.
“Le mie teorie sarebbero talmente ridicole e sbagliate-”
“Come il solito” m’interruppe.
Presi un profondo respiro, stringendo i pugni, e ripresi. “-sarebbero talmente ridicole e sbagliate che sarebbe meglio che riposasse prima di subire un tale shock per la sua intelligenza. Per l’amor di Dio, Holmes, lei è umano! Se nelle sue già pessime condizioni di salute aggiunge tutto lo stress che si sta caricando sulle spalle, collasserà prima di domani! Vada a dormire, si riposi un po’!” esclamai, esasperato.
“Se fossi stato in grado di riposarmi in un momento simile lo avrei già fatto, non crede?” chiese di rimando.
“Lei è perfettamente in grado di riposarsi come qualunque altro essere umano malato e sotto stress, solo che se lo impedisce!”
“Non so se l’ha notato, Watson, ma in questo momento il destino del regno britannico dipende da me. Lei ha combattuto per l’Inghilterra, sa quanto sia importante”
“Lo so, ma mi dispiace informarla che tengo più alla salute del mio migliore amico che al futuro di un gruppo di funzionari soprappagati che restano seduti tutto il giorno all’interno di una stanza!”
Lo zittii. Per la prima volta, da quando lo conoscevo.
Molto probabilmente non si aspettava di sentirmi dire che lo ritenevo più importante della nostra Inghilterra, per cui avevo rischiato la vita.
Dunque, quando mi avvicinai alla sua poltrona, lui si alzò senza una parola. Gli posai una mano sulla spalla e lo condussi verso la sua camera.
Fu davvero un’impresa epica riuscire ad arrivare al suo letto senza calpestare niente sul pavimento. Ancora mi chiedo come faccia a vivere bene in quelle condizioni. In guerra, nei nostri accampamenti di fortuna, eravamo più ordinati.
Appena si sdraiò sul letto ancora disfatto dalla mattina, presi la sedia alla sua scrivania e la avvicinai.
“Sappia che non ho alcuna intenzione di andarmene fino a che non si sarà addormentato” annunciai.
Non disse niente ancora una volta, nonostante dovessi essere io a coprirlo, altrimenti lui non lo avrebbe fatto.
Contraddicendosi da solo, si addormentò nel giro di pochi minuti.
Non me ne andai, comunque. Rimasi seduto accanto al suo letto ad osservare le sue guance leggermente imporporate e il suo respiro regolare. Almeno finché lì, su quella sedia, il sonno vinse anche me.

Quando mi svegliai, non ero sulla sedia, ma avvolto dal calore delle coperte.
Non capii subito, quando mi misi seduto, perché fossi immerso nel caos della camera di Holmes, ma poi ricordai di averlo obbligato ad andare a dormire, seppur non sapessi come fossi arrivato nel letto.
Mi voltai dall’altro lato del letto, trovandolo vuoto. Mi resi conto, allora, che, come il solito, a svegliarmi erano state le note del violino che venivano dal salotto. Guardai l’orologio: le tre in punto.
Si era svegliato, mi aveva messo a letto, e si era alzato. Non riusciva proprio a dormire.
Caddi di nuovo con la testa nel cuscino prima di riuscire ad alzarmi. Il fatto era che quella stanza era lui; il caos, la stranezza degli oggetti, persino il suo profumo, impregnato nelle coperte in cui mi stavo crogiolando come un cucciolo in cerca di coccole.
Prima di rendermi conto di cosa stavo facendo, mi ritrovai ad abbracciare il suo cuscino. Quando me ne accorsi, me ne allontanai come se mi fossi scottato, guardandomi circospetto intorno sperando che non mi avesse visto.
Ma lui era ancora in soggiorno, sentivo ancora le note nell’aria.
Mi alzai, cercando di uscire dalla fase di stordimento immediata dopo un sonno profondo, e mi diressi verso il soggiorno.
Quando lo vidi, mi strappò un sorriso. Era a testa in giù sulla poltrona, gli occhi chiusi e, seppure in una posizione molto scomoda, continuava imperterrito a suonare quella melodia che lo avevo sentito suonare spesso anche quando non avrei dovuto essere a Baker Street, durante il matrimonio, che interrompeva ogni volta che si rendeva conto della mia presenza. Una delle mie preferite.
La musica si fermò quando aprì gli occhi, fermandosi a guardarmi, ancora sottosopra.
“Dovrebbe essere a riposare” asserii.
Sbuffò, distogliendo lo sguardo, ma non disse niente come risposta. Iniziai a pensare che soffrisse d’insonnia e non me lo avesse mai detto, perché per quanto stanco potesse essere, ogni notte, alle tre, si svegliava ed andava a suonare.
Ripose il violino a terra, rimanendo comunque in quella scomoda posizione.
“Watson, ho bisogno del suo aiuto per un esperimento molto importante” disse invece, con la voce arrochita dalle molte ore di muto.
“Non le sembra un po’ tardi per dedicarsi alla chimica?”
“Non ha a che vedere con la chimica, né con il caso. Può avvicinarsi per favore?”
Incuriosito – e, ammettiamolo, anche un po’ intimorito: quando mai, durante un caso importante, Sherlock Holmes si perdeva in esperimenti che non erano utili alla soluzione? – mi avvicinai, inginocchiandomi, nonostante le proteste della ferita, sul pavimento davanti alla sua poltrona.
Non aveva distolto lo sguardo da me neanche un attimo e adesso i suoi occhi ancora lucidi per la febbre sembravano brillare ancora di più. Forse per la vicinanza o forse perché, in un modo o nell’altro, brillavano di più davvero. Era quella particolare scintilla che aveva quando era vicino alla conclusione di un caso particolarmente complicato e mi guardava così, in quel momento, come se il caso su cui stava lavorando fossi stato io.
Forse anch’io lo stavo osservando allo stesso modo perché non riuscivo a capire quali fossero le sue intenzioni. Poi, oltre agli occhi luminosi, le sue guance erano ancora colorate di un lieve rossore e le labbra umide dischiuse. Era davvero bellissimo.
Ebbi la tentazione di sollevare una mano almeno fino a toccargli i capelli. Volevo sentirli scorrere tra le dita, ma non lo feci. Sarebbe stato troppo sconveniente.
“Che cosa devo fare?” chiesi.
Sembrò riflettere molto sulla risposta da darmi, nonostante mi avesse chiesto lui di partecipare. Lo vidi deglutire a vuoto, mentre lo sguardo rimaneva fisso nel mio.
“Deve baciarmi”
Mi sembrò che il tempo si fermasse.
Forse stavo ancora dormendo, forse avevo bevuto troppo a cena, ma non riuscivo a credere che quelle parole fossero uscite davvero dalle sue labbra.
Alla fine, uno di quei banalissimi luoghi comuni è vero. Aspetti qualcosa per tutta la vita e quando arriva, non sei mai abbastanza preparato.
“Cosa-?” mormorai, sconvolto.
Considerai di essere, sì, sveglio, ma ancora stordito dal sonno, quindi avergli sentito dire quello che io volevo sentire. Avevo bisogno di sentirglielo ripetere prima di rischiare di rovinare per sempre la nostra amicizia che, fino a quel momento, era quanto di più prezioso avessi.
“Mi ha sentito benissimo, non mi costringa a ripetermi”
Non ci pensai più.
Mi chinai su di lui e lo baciai.

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Capitolo 7
*** VII. Like nothing happened. ***


VII. Like nothing happened.

La mattina dopo, quando mi svegliai, sorridevo.
Adesso so che per i lettori questo potrebbe sembrare ambiguo, ma non l’è. Dormii in camera mia, da solo. Non successe niente oltre quel bacio ma solo il fatto che ci fosse stato mi aveva permesso di dormire bene.
L’avevo rivisto nella mia testa, una volta andato a letto, l’avevo sognato.

“Deve baciarmi.”
“Cosa-?”
“Mi ha sentito benissimo, non mi costringa a ripetermi”
Non ci pensai più.
Mi chinai su di lui e lo baciai.
Mi sembrò incredibilmente naturale, la cosa più giusta che avessi mai potuto fare in tutta la vita.
Come se un vuoto, dentro di me, di cui non conoscevo l’esistenza, si fosse riempito appena avevo sentito il calore delle sue labbra propagarmisi in tutto il corpo.
Sentivo distintamente il cuore fuori battito nel petto, rimbombare nelle orecchie e pulsare il sangue furiosamente in tutto il corpo.
Avrei pianto se non avessi avuto una dignità.
Mi tenevo in equilibrio in quella posizione purtroppo scomoda per le mie ferite poggiando le mani sulle ginocchia, ma appena le mie labbra si posarono sulle sue, sentii una delle sue, di mani, finire sulla mia nuca, tra i capelli, e spingermi leggermente verso di se.
Non sapevo che genere di esperimento potesse essere quello che richiedeva un bacio dal proprio migliore amico, ma da quel momento iniziai a ringraziare l’attitudine di Holmes a sperimentare cose nuove.
Quel bacio, per me, rappresentava la vita.
Le sue labbra avevano un sapore che era un misto di tabacco e cioccolata, strano ma delizioso.
Sarei potuto andare avanti così tutta la notte, continuare a muovere le labbra sulle sue, anche senza approfondire il bacio. Mi andava bene comunque. Era pur sempre Sherlock Holmes.
Allontanai la mano destra dal mio ginocchio, abbandonando uno dei miei preziosi sostegni in un gesto automatico, per andare a sfiorargli il viso.
Sentii un lieve mugolio di apprezzamento uscirgli dalle labbra e spegnersi sulle mie così, compiaciuto di fargli quell’effetto, pensai di poter rischiare; gli sfiorai le labbra con la lingua, labbra che subito ma lentamente, aprì, lasciandomi libero accesso.
Fui percorso dai brividi appena la mia lingua incontrò la sua, si sfioravano, si accarezzavano.
Pochi istanti dopo l’inizio di questo contatto, la mano che aveva tra i miei capelli scivolò fino alla mia spalla per allontanarmi gentilmente. Non opposi resistenza e lo lasciai fare.
Seppur avesse riaperto gli occhi, non mi guardava. Mi sfuggì un lieve sorriso, che mi preoccupai subito di far sparire; non volevo che pensasse che mi prendessi gioco di lui perché era imbarazzato.
Allontanai la mano dal suo viso, riprendendo la mia posizione originaria. Dopo aver passato qualche istante continuando a guardarlo, mi decisi ad alzarmi, tendendogli la mano perché facesse lo stesso.
Si ribaltò sulla poltrona, sedendosi compostamente e, non senza una certa titubanza, la afferrò, per poi alzarsi e lasciare che lo conducessi fino alla sua camera. Mi assicurai che si mettesse a letto, coperto per bene fino a sotto gli occhi.
“Buonanotte, Holmes”
Uscii dalla sua stanza e andai a dormire.


Quando uscii dalla mia stanza, dopo essermi dato un aspetto presentabile, trovai Holmes già seduto sulla sua poltrona, con le mani giunte sotto il mento e la pipa che pendeva dalle sue labbra.
Non sapendo quale fosse l’atteggiamento giusto da adottare dopo quello che era successo, decisi che avrei fatto bene a comportarmi come al solito. Se fosse stato necessario qualche cambiamento, lui certamente non avrebbe mancato di farmelo notare.
Avvicinandomi, notai che anche quella mattina, la mia colazione era su un vassoio sulla mia poltrona.
“Oggi non andremo a Buckingham Palace” annunciò all’improvviso. “Non prima di sera, almeno”
“E come mai?” chiesi, facendo del mio meglio per mantenere un tono di voce neutrale.
“Passerà Mycroft prima dell’ora di cena per informarmi riguardo a una cosa che gli ho chiesto. Gli ho mandato un telegramma questa mattina presto, mi è appena arrivata la risposta”
Non si era voltato verso di me neanche un secondo, ma sventolò nella mia direzione il suddetto telegramma con la risposta del fratello.
Sollevai il vassoio e, una volta seduto, iniziai a fare colazione.
“Credo di aver risolto il caso”
Ero felice per lui ma quell’indifferenza rispetto a cosa era successo, in verità, mi feriva.
Lo assecondai, fingendo, come lui, che niente fuori dall’ordinario fosse successo quella notte.

Dedicai l’intera giornata cercando ancora una volta di convincere Holmes a riposarsi, visto che non avremmo avuto niente da fare fino a sera. Ovviamente, fui del tutto ignorato.
Borbottava tra sé e sé, strimpellava del tutto casualmente il violino, lavorava a degli esperimenti lasciati a metà da mesi, pur di non mettersi a letto.
Mi aveva tenuto impegnato tutto il giorno, per questo non mi accorsi che la giornata era passata fino a quando Mycroft entrò nell’appartamento.
“Te lo posso assicurare, Sherlock” disse, sedendosi sul divano “Se mi fai muovere ancora una volta da casa mia ti uccido”
“Ed io che pensavo fosse qualcosa di relativo al caso!” lo prese in giro l’altro.
Con uno sbuffo seccato, l’altro comincio. “Non ho mai visto un ragazzo così innamorato in tutta la mia vita, posso giurartelo. Potrei farti un elenco dei motivi per cui lo è, ma ti annoieresti”
“Infatti. In conclusione, è un vero idiota”
“Sì, se ti riferisci al campo sentimentale. Non è un genio, ma neanche un vero idiota. Per alcune cose, il ragazzo è molto intelligente, per altre un totale inetto”
“Certamente l’Ambasciatore non si sarebbe portato in un viaggio d’affari nello Stato più potente del mondo un completo idiota”
“Esatto”
“Hai visto le sue scarpe?”
“Punta quadrata”
“Ottimo. Ci manca il movente”
“Signori” li interruppi, confuso “Di chi state parlando?”
“Si ricorda, Watson, il ragazzo che consolava Alice? Il primo giorno d’indagini mi sono imperdonabilmente dimenticato di informarmi su chi fosse e stavo per commettere lo stesso errore anche ieri, ma prima di andarcene mi sono ricordato e sono tornato indietro per chiedere a Mycroft. Era Pierre Rostand, figlio dell’Ambasciatore francese”
“Sembra” riprese Mycroft “che abbia iniziato una relazione con Alice poco dopo che lui e suo padre si stabilirono all’ambasciata, ma riuscendo a nasconderla alla Regina”
Mycroft rimase a cena da noi poi, con la sua carrozza, ci avviammo tutti insieme a Buckingham Palace, dove Lestrade ci attendeva.
“L’Ambasciatore Rostand?” gli chiese subito Holmes, senza neanche salutarlo.
“E’ nel salone principale, ma-”
Senza permettergli di proseguire, lo sorpassò e noi lo seguimmo.
Monsieur Rostand?” lo chiamò.
L’uomo, seduto sul divano, si voltò verso di lui. Aveva i capelli ben ordinati, dei leggeri baffetti e lo sguardo imperioso.
Nonostante le circostanze, l’uomo sedeva perfettamente rigido e composto nel suo abito turchese, mostrando quanto l’educazione militare avesse influito sulla sua caratterizzazione.
Oui? Nous le savons, monsieur?
No, pas encore. Je suis Sherlock Holmes, détective privé.
J'ai été invité à enquêter sur les circonstances suspectes concernant la mort de la reine Victoria
Capii per puro istinto che cosa avesse detto, ma vidi il figlio di Rostand irrigidirsi.
Et alors? Qu'est-ce que cela a à voir avec moi? Il est accusé par hasard?!
Bien sûr que non. Mais j'ai besoin de parler en privé vois elle et son fils
Rostand si voltò lentamente verso il figlio, il quale sembrò rimpicciolirsi sul divano ogni secondo di più.
Alice, rimasta in disparte fino a quel momento, si avvicinò al divano.
“Pierre, che cosa hai fatto?” chiese, sospettosa, in procinto di scoppiare a piangere. La principessa, evidentemente, conosceva il francese.
“Principessa Alice, mi spiace dirglielo, ma temo che non potremo dirle niente finché non saranno dichiarate chiuse le indagini. Monsieur?
Vous pouvez me suivre, s'il vous plaît ?” concluse, tornando a rivolgersi ai signori.
Il padre si alzò, afferrando con forza il braccio del figlio per indurlo a fare lo stesso.
Tu me fais mal, papa!” si lamentò il ragazzo, cercando di divincolarsi dalla stretta.

Tais-toi! Il nous semble que vous avez besoin d'une explication!
Holmes si diresse verso una porta chiusa poco avanti seguito da Rostand e il figlio e poi, pochi attimi dopo, raggiunto dall’Ispettore.
“No, Lestrade” lo fermò, per poi entrare con i due uomini dentro la stanza.


[NdA]
Strano vero? xD Un NdA!
In realtà sono qui solo per comunicarvi che il nome “Pierre” mi è stato suggerito da Erica perché non mi veniva in mente uno straccio di nome, mentre il cognome “Rostand” è stato preso in prestito dal poeta francese Edmond Rostand, vissuto proprio nell’epoca vittoriana, morto nel 1918.
Adesso, per la gioia di PepperP vi annuncio che non scriverò una parola di nessun altra fanfic  finchè non avrò postato il prossimo capitolo di 
Logic for the Hero.
Che altro? Si, il mio profilo EfP su Facebook.
http://www.facebook.com/profile.php?id=100002411997967
Vi segalo anche il mio profilo vero, ma non parlatemi di fanfic lì, ho creato l'altro apposta. Ve lo segnalo in caso vi interessasse sapere che razza di persona è la mente contorta che scrive certe cose:
http://www.facebook.com/profile.php?id=10000241199796

Credo sia tutto.
Alla prossima <3,

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Capitolo 8
*** VIII. Case closed. ***


VIII. Case Closed.


Non so dire con precisione quanto tempo Sherlock Holmes con l’Ambasciatore Rostand e il figlio rimasero chiusi in quella stanza.
Spesso, però, capitò di sentire Rostand alzare pericolosamente la voce, probabilmente inveendo contro il figlio, e il mio amico alzarla a sua volta, cercando di riportare l’ordine.
Decisi, nell’attesa, che avrei iniziato ad appuntare i passaggi fondamentali di questo caso sul mio taccuino per una futura trascrizione ma, frugando nelle tasche del mio cappotto, non trovai né quello, né la mia penna.
Quando uscirono dalla stanza, il ragazzo piangeva, l’Ambasciatore Rostand sembrava rischiare di scoppiare per l’ira da un momento all’altro, facendosi rosso in viso, mentre il mio amico a mala pena tratteneva un sorriso per il caso appena brillantemente risolto. Spesso trovavo strana la sua capacità di sorridere per delle disgrazie, se queste lo avevano stimolato mentalmente o particolarmente divertito.
Lo vidi estrarre dalla tasca del cappotto il mi taccuino, strapparne qualche pagina e porgerla a Lestrade. Non mi chiesi neanche come o quando mi avesse preso quello e la penna. Non capii neanche perché me li avesse sottratti, di certo se me li avesse chiesti, non glieli avrei negati. Non gli avevo negato neanche un bacio.
Era inquietante, in effetti, costatare che sorridesse per degli omicidi, ma era comunque una delle stranezze che lo rendevano così intrigante.
Je ne peux pas y croire! Vous avez tué la reine d'Angleterre! Pourquoi?! Pourquoi, vous damnés idiot, pourquoi?!” sbraitò l’Ambasciatore, dando le spalle al figlio.
Dopo quelle parole, di cui capii per puro istinto un possibile vago significato, la principessa Alice scoppiò in un pianto disperato.
“NO! Non puoi essere stato tu! NO!”
Sfortunatamente, la ragazza non venne ascoltata da nessuno dei due.
Papa, s'il vous plaît, écoutez-moi!” pianse il ragazzo, cercando di afferrare il braccio del padre.
NON! Je ne m'inquiète pas! Etes-vous une meurtrière, une poussière meurtrière! Pour une fille vous mettre la France dans un mauvais jour, après que nous ayons laborieusement retrouvé conformité après Napoléon!
Papa, je vais prier!”
Ne m'appelez pas «papa»! Je n'ai pas plus d'enfants, à partir de maintenant!
“Perché… ?” pianse ancora la ragazza.
Mosse qualche passo verso di loro, stringendo i pugni, ma non resistette oltre e cadde in ginocchio con il viso bagnato dalle lacrime nascosto tra le mani, cercando di occultare i singhiozzi, lasciando il giovane Rostand alla dovuta ira del padre.
Mycroft le si avvicinò e le afferrò dolcemente il braccio per farla rialzare, mormorandole qualche parola di conforto.
Appena fu in piedi, gli gettò le braccia al collo e continuò a piangere. Fino a quel momento, non mi ero mai accorto di quanto fosse stretto il legame tra il fratello maggiore del mio amico e la famiglia reale.
“Mycroft ha cercato di fare un po’ da padre ai più giovani negli ultimi anni. È parecchio tempo, ormai, che ha messo le tende a Buckingham e non le schioda più. I ragazzi si sono affezionati a lui, per qualche oscuro motivo” mi disse Sherlock, avvicinandomisi e rispondendo ai miei pensieri.
Mi porse il mio taccuino e la penna, che riposi di nuovo nella tasca, fulminandolo con lo sguardo per l’ennesimo furto.
“Lestrade” aggiunse poi, rivolgendosi all’ispettore “Il ragazzo deve tornare in Francia ed avere un processo. Non può essere tenuto qui, la stampa farebbe troppe domande. Dobbiamo sostenere la teoria del suicidio o, almeno, farla passare per morte naturale. Deve essere presente un Ambasciatore inglese al processo del ragazzo, però”
“Vado io” si propose subito Mycroft.
A quel punto, Sherlock gli si avvicinò. “Deve passare per un normalissimo processo, nessuno ne dovrà sapere niente o l’equilibrio Europeo andrà in pezzi. Non è passato molto da l’ultima guerra scatenata dalla Francia. Dobbiamo evitare lo scandalo”
“Ovvio. Potresti venire anche tu, sai? Credo che approfitterò della mia presenza nel Continente per fare un saluto alla famiglia”
Sherlock sbuffò, distogliendo lo sguardo dal fratello con fare annoiato.
“C’è un motivo per cui non sono più andato in Francia, non credi?”
“E’ un no?”
“Esatto. Watson” si voltò verso di me. “Abbiamo finito qui. Possiamo andare”
Strinsi velocemente la mano al fratello e lo seguii verso la porta, vedendo con la coda dell’occhio uno Yarder che ammanettava Pierre Rostand.
“Saluti questo posto, dottore, non credo che ci torneremo più”
Non feci neanche in tempo ad aprire bocca per rispondere o chiedere cosa si fossero detti in quella stanza che fummo fermati.
“Mister Holmes!”
Quado ci voltammo, con nostra grande sorpresa vedemmo il Principe Edoardo raggiungerci a passo svelto, ma sempre con la stessa postura elegante che contraddistingueva la casata Reale.
“Devo ringraziarla, Mister Holmes” gli strinse vigorosamente la mano.
Reagii piuttosto male. Sapevo che quel gesto non aveva secondi fini, era pura gratitudine, ma non potei impedire al mio corpo di irrigidirsi e distolsi lo sguardo.
“Lei ha reso giustizia alla mia povera madre. Le saremo eternamente grati. Riceverà al suo indirizzo il nostro assegno”
“Non l’ho fatto per denaro, Maestà” lo salutò, inchinandosi. “Sappia solo che è stato molto fortunato. Lei sarebbe stato il prossimo”
Prima che questi potesse ribattere con un’esclamazione di stupore che dalla sua espressione sembrava voler esprimere, afferrandomi per un braccio per portarmi con se, Holmes gli dette di nuovo le spalle, conducendoci entrambi fuori dal palazzo.
Non salimmo sulla carrozza che ci attendeva, proseguendo a piedi. La distanza tra Buckingham Palace e Baker Street non era poca, ma camminavamo lentamente, in modo che la mia gamba non potesse risentirne troppo.
“Spesso l’amore si manifesta come una colpa terribile, mio caro Watson” interruppe poi improvvisamente il silenzio. “Nel nostro caso, la sua colpa è aver ucciso la nostra Regina”
“Si può sapere cosa è successo?! Ha parlato per tutta la sera in francese, se sono stato fortunato ho capito tre parole! Perché ha portato l’Ambasciatore e il ragazzo in un’altra stanza?”
“Perché sapevo che era stato lui ma non ero a conoscenza del movente e si è sempre più predisposti a parlare se non ci sono troppe persone intorno. Il movente, per l’appunto, è l’amore. Il ragazzo ha ricevuto un’istruzione militare e in questo campo si è manifestato molto intelligente, ma è un po’ tardo riguardo a tutto ciò che non riguarda la nautica. Senza dubbio ricorderà di quando io e Mycroft parlavamo della possibilità che l’assassino fosse un idiota.
Pierre Rostand e la principessa Alice avevano una relazione a quanto pare molto seria. Lei ha commesso il grave errore di dire che le sarebbe piaciuto essere Regina. Il ragazzo, come ho già detto, tardo di mente, ha deciso che avrebbe fatto il possibile per far sì che Alice diventasse Regina, quindi ha costretto Vittoria a suicidarsi, sfruttando il suo perenne lutto nei confronti del marito.
L’errore del ragazzo è stato quello di credere che il suicidio della Regina sarebbe stato accettato senza ulteriori accertamenti se una lettera testimoniava che lo aveva fatto volontariamente.
Per fortuna Mycroft ha convinto la famiglia Reale a ingaggiarmi, perché non aveva portato a conclusione il suo piano: la seconda parte consisteva nel far mantenere la corona qualche mese a Edoardo, per poi ucciderlo e far passare anche questo come suicidio, obbligandolo a scrivere una lettera in cui dichiarava di non essere in grado di sopportare la pressione. In più, l’avrebbe costretto a scrivere che lasciava la Corona a Alice, pupilla di Vittoria da sempre.
Il ragazzo non conosce molto l’inglese, ma abbastanza da capire se quello che viene scritto è quello che lui vuole che venga letto.
Far passare quest’omicidio come suicidio non era un’azione fatta nel proprio interesse. Per qualche ragione, credeva che tutti sapessero che a Alice sarebbe piaciuto essere Regina e che sarebbe stata sospettata in caso si fosse sospettato proprio un omicidio. Non voleva proteggere se stesso, ma Lei.
E’ per questo che ho detto che l’amore spesso si manifesta come una grave colpa.
Ho trascritto tutta la confessione di Pierre preoccupandomi di tradurla in inglese e gliel’ho fatta firmare. Ho già consegnato tutto a Lestrade. Il caso è ufficialmente chiuso”
Cercai di ignorare le sue dichiarazioni sulla meschinità dell’amore che per me, da grande sentimentale quale sono sempre stato, erano una grande offesa. Soprattutto come persona profondamente innamorata in quello stesso momento.
“Quindi se lei non avesse accettato il caso, tra poco avremmo avuto un altro omicidio a Buckingham?”
“No. Mycroft ha fatto chiamare me perché sapeva che non mi sarei tirato indietro. Ma, nella remota ed improbabile possibilità che io non avessi accettato, credo che Mycroft stesso si sarebbe occupato delle indagini in modo più attivo di quanto non abbia fatto in realtà in questa vicenda. Forse non se n’è reso conto, Dottore, ma senza muoversi da dov’è, lui ha risolto il caso prima di me. Questo, a provarle quanto avessi ragione quando le dissi che è più bravo di me”
“Perché non va con lui in Francia a trovare i parenti?”
“Perché non ho bisogno di loro”
“Se venissero loro a Baker Street?”
“Dubito che aprirei la porta”
“Se lo facessi io?”
“La ucciderei”
Per quanto possa sembrare assurdo, quel “botta e risposta” mi stava incredibilmente divertendo.
“Non veniva neanche a trovare me a Cavendish Place”
“Ci pensava lei a venire”
“Quindi ha bisogno di me”
Pausa.
“Questa conversazione sta diventando un po’ scomoda”
Risi di gusto, guardandolo distogliere lo sguardo mentre apriva la porta di casa.

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Capitolo 9
*** IX. Another case has been solved. ***


IX. Another case has been closed.

Per quanto possa sembrare sadico ai miei lettori, sarò onesto e lo dirò comunque: vedere il grande Sherlock Holmes in imbarazzo, per me era una soddisfazione immensa. Quasi si apparava al ritorno vivo dalla Seconda Guerra.
Dopo quel veloce scambio di battute, sembrava quasi che mi avesse messo il broncio, colpevolizzandomi di averlo fatto rischiare troppo di dire qualcosa di molto compromettente per la sua mente strettamente logica.
Quella, per me, fu una grande vittoria.
Mi sarei ritenuto soddisfatto solo sentirlo ammettere che, almeno un po’, a me ci teneva. Ne avevo avuta ampia dimostrazione durane tutti quegli anni di sofferta convivenza (perché sì, convivere con lui e le sue eccentriche abitudini era davvero una sofferenza, molto spesso), ma le parole rendono concreto un fatto già dimostrato, ma cui si stenta a credere.
Nonostante sapessi che provava un profondo affetto verso di me, pensare a Sherlock Holmes come una persona in grado di legarsi a qualcuno mi sembrava comunque strano.
Sfortunatamente il primo impatto che si ha a proposito di una persona è ciò che condiziona il modo in cui si vede anche nel tempo a venire, per quanto profondamente poi si possa arrivare a conoscere, e la prima impressione che lui aveva dato a me era quella di una persona fredda, cinica, irritabilmente ironica e insensibile a qualunque cosa che non fosse una sfida.
Quale fosse stata la prima impressione che lui aveva avuto di me e che ancora lo condizionava, non so dirlo.
Forse, nella sua unicità, Holmes era l’unico essere umano a essere riuscito a superare quel velo di superficialità cui chiunque altro è sventuratamente sottoposto, e riusciva a vedermi completamente solo per quello che ero, e non per quello che gli ero sembrato. Sapevo per certo che chiunque mi avesse incontrato, a primo impatto mi aveva visto come una persona composta, ligia alla legge, cosa che con lui non ero stato. Mi chiese di baciarlo solo perché sapeva che lo avrei fatto, che avrei infranto la legge contro la sodomia, quindi ha cambiato del tutto la sua visione di me.
O, forse, mi aveva visto sin dalla prima volta, in modo perfettamente coerente alla mia persona.
Purtroppo sono solito divagare in monologhi interiori quando trovo un argomento che si presta facilmente a quest’azione quindi ho disperso l’argomento iniziale di questo dibattito.
Volevo vedere quanto Holmes potesse uscire dagli argini in cui lo avevo inconsciamente costretto nel giorno in cui c’eravamo conosciuti.
Mi superò velocemente appena entrammo in casa, cercando di sparire in camera sua senza neanche lasciare il cappotto sull’appendiabiti o togliersi il cappello dalla testa.
Istintivamente, mossi qualche passo più veloce e lo fermai a un soffio dalla sua porta, afferrandolo per un braccio. Incredibilmente, non obbiettò a questo mio gesto. Forse si aspettava che lo avrei fermato, anche se avrebbe senza dubbio preferito il contrario. Comunque non si voltò verso di me, né proferì parola.
“Holmes, ho bisogno di saperlo… lei ci tiene a me?”
La sua reazione fu esattamente quella che mi aspettavo: il silenzio. Non so quanto tempo rimasi in attesa, tenendo ben stretto il suo braccio tra le dita per impedirgli di andarsene, mentre lui, immobile, fissava il pavimento, il cappello calato sugli occhi.
“La risposta è scontata” disse finalmente, interrompendo il silenzio.
“Voglio sentirla comunque”
“Ha idea di quanto mi sta chiedendo, Watson?!”
M’immobilizzai a pensare un attimo; era questo che lo tratteneva, il suo orgoglio. Sapeva che sapevo (vi prego, perdonatemi il gioco di parole) che ci teneva a me, ma non riusciva a dirmelo per paura di sembrare debole. Sarebbe stato così per chiunque, forse, ma non per me. Certo, la freddezza che lo contraddistingueva gli regalava una gran dose di fascino, ma in tutti quegli anni di convivenza avevo avuto più di un’occasione per scoprire che non era l’unico elemento affascinante in lui. Semplicemente Lui lo era, ogni cosa che facesse parte della sua persona gli dava quel misterioso fascino. In conclusione, del suo orgoglio m’importava ben poco.
“Sì. E mi dispiace chiederle tanto, ma voglio sentirglielo dire. Per favore, Holmes”
Si liberò della mia mano con uno strattone e si voltò verso di me, seppur non guardandomi negli occhi. Quella fu la prima volta che vidi Holmes non del tutto sotto il proprio controllo.
“Si! Sì, ci tengo a lei, tengo a lei più di quanto non abbia mai tenuto a nessun altro! Contento adesso?”
Ebbi appena il tempo di vederlo arrossire che si voltò di nuovo per cercare ancora una volta di barricarsi in camera sua ma, preso da un improvviso slancio d’affetto e una buona dose di speranza, lo fermai ancora una volta, abbracciandolo da dietro. Lo sentii congelare tra le mie braccia, di nuovo immobile.
Rimasi in silenzio in quella posizione per qualche minuto, muovendo lentamente le mani in una carezza per cercare di farlo rilassare. Poco a poco, ci riuscii.
Avrei potuto accontentarmi del fatto che non si fosse ribellato perché era sicuro come il sole che sorge al mattino che sarebbe stato in grado di stendermi anche nelle sue precarie condizioni di salute, ma ormai non mi bastava più.
“Holmes” lo chiamai, cercando di mantenere un tono di voce dolce.
“Mh?”
“Sa cosa sto per chiederle, vero?”
“Qualunque sia la sua domanda, la mia risposta è ‘delirio da febbre’” rispose subito.
Sì, aveva capito, ma quella non era la risposta che volevo. Non era neanche la verità, ne ero sicuro.
Questo era il mio caso, quello che avevo seguito da solo in quasi quindici anni. Era lui il mio caso, e intendevo concluderlo quella notte.
“Non è vero”
Lo sentii irrigidirsi di nuovo e di nuovo ripresi la carezza per farlo rilassare, ma questa volta con scarso successo. Appoggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi, credendo quasi che forse sarebbe stato meglio gettare la spugna. Potersi dichiarare vincitore contro Holmes era più unico che raro, non sapevo quanto mi sarebbe stato utile sperare ancora.
Lo sentii barcollare leggermente nella mia stretta così ricordai che, stupidamente, mi ero dimenticato che aveva la febbre.
Allungai una mano oltre il suo corpo fino a girare la maniglia ed aprire la porta di camera sua. Non rinunciai al contatto con il suo corpo neanche un istante per paura che potesse scappare via da me, quindi quando gli girai intorno per raggiungere la porta, lasciai che il mio braccio seguisse il mio movimento intorno alla sua vita, per poi scivolare lungo il suo braccio ed afferrargli la mano.
Non ricambiò la stretta. Non si mosse ancora in nessun modo.
Cercai anche l’altra sua mano, per poi cominciare a camminare a ritroso nella sua stanza, trascinandomelo dietro.
La tesa del cappello mi impediva di vedere i suoi occhi, ma riuscivo a intravedere le sue guance ancora arrossate.
Mi fermai quando affiancammo il letto, avvicinandomi a lui del passo che aveva mantenuto di distanza tra di noi. Gli tolsi il cappello e lo posai ai piedi del letto, così come feci con il suo cappotto.
Affondai una mano tra i suoi capelli e lo portai verso di me per un nuovo abbraccio.
“Posso sapere almeno quale è stato l’esito dell’esperimento?” chiesi, affondando il viso tra i suoi capelli.
Lo sentii stringersi leggermente a me, seppur senza ricambiare l’abbraccio – non che mi aspettassi che lo facesse, strappandomi un sorriso.
Non rispose neanche questa volta.
Allontanai la mano dai suoi capelli e la portai sulla sua fronte: scottava ancora. Aveva bisogno di riposo, molto, e questa volta non avrei permesso che si alzasse solo per suonare alle tre della mattina, avessi dovuto bere caffè tutta la notte per rimanere sveglio.
Lo lasciai andare, allontanandomi lentamente, sempre con la paura di vederlo scappare da me, ma non si mosse. Scostai le coperte velocemente e tornai a fronteggiarlo. Gli afferrai delicatamente le spalle e lo obbligai a stendersi per poi coprirlo fino a sotto gli occhi.
Riuscii a mala pena a muovere qualche passo verso la porta, con la semplice intenzione di andare a prendere una pezza umida da mettergli sulla fronte che la sua voce mi fermò.
J’ai découvert que je t’aime
Sorrisi, appoggiando una mano sullo stipite della porta. Non avevo capito, ma almeno aveva detto qualcosa.
“Credo che ormai lo sappia, Holmes. Io non conosco il francese”
Sapevo perfettamente che non mi avrebbe ripetuto quanto mi aveva detto in quella lingua che per me rappresentava l’ignoto, quindi uscii e presi quanto sopra citato, per poi tornare da lui.
Adesso era letteralmente seppellito sotto alle coperte, solo qualche ciuffo di capelli spuntava fuori.
“Holmes?” lo chiamai.
La sua risposta fu un borbottio indistinto, probabilmente non fatto per essere capito quanto a segnalarmi che era ancora sveglio.
Mi sedetti sul bordo del letto e gli scoprii il viso. Un attimo dopo, non era più steso su un fianco, ma sulla schiena, con la pezza umida sulla fronte e gli occhi socchiusi fissi nei miei.
Non riuscivo a non sorridere. Credo che quello sia stato il contatto visivo che ho mai avuto con Sherlock Holmes. Nessuna parola, nessuno movimento.
Mi sembrava quasi di sentirlo parlare, solo guardandolo negli occhi. Quasi sentivo la musica che suonava parlare al posto delle parole.
“Perché mi ha baciato, Holmes?” ripetei infine la domanda, ancora speranzoso.
“Io non l’ho baciata” scosse leggermente la testa con un lieve sorriso.
Quel sorriso davvero rinnovò la mia speranza, nonostante la sua risposta.
“Perché mi ha chiesto di farlo?”
“In realtà gliel’ho già detto” distolse lo sguardo. Il nostro prezioso contatto visivo s’era interrotto. “Mentre tornavamo qui”
“Parlavamo del caso”
“Era affine al caso, infatti”
“In quale modo?”
“Può arrivarci da solo, dottore. Non mi deluda”
Ripercorsi mentalmente tutto quello che ci eravamo detti durante il tragitto, quando lui aveva interrotto il silenzio.
Mi aveva spiegato ciò che ancora non sapevo del caso e l’importanza dell’amore in esso.
Oh. fu l’unico pensiero che riuscii ad elaborare.
“Ha- ha a che fare con il movente del ragazzo?” balbettai, preda dell’emozione, ma lui continuava imperterrito a non rispondere.
Stava testando gli effetti dell’amore su di me.
Mi stesi accanto a lui, sopra alle coperte, cercando un contatto visivo che non riuscivo più a trovare. Continuava a rimanere voltato verso il muro, come se questo potesse dirgli qualcosa di più interessante di quanto potessi dirgli io.
Cercai di non essere troppo invadente quando portai due dita al suo mento e lo costrinsi a voltare il viso verso di me. La pezza umida gli cadde dalla fronte ed io, ormai disturbato dalla sua presenza, la tolsi dal cuscino a la lasciai cadere a terra.
Holmes continuava a non guardarmi, seppur adesso costretto a rimanere voltato verso di me.
“Lei… lei è innamorato di me, Holmes?” chiesi, esitante.
La sua risposta fu sostituita da un sospiro subito dopo il quale chiuse gli occhi con rassegnazione.
Portai una mano sul petto, sentendo il cuore pericolosamente fuori battito.
Un altro grave problema dell’essere umano è quello di essere costantemente colto impreparato a qualunque cosa.
Aspettati l’inaspettato e niente potrà sorprenderti. Non ricordo chi me lo disse. Forse mio padre, forse Harry ma mai come in quel momento avrei voluto essere stato in grado di seguire un consiglio apparentemente così elementare.
Il problema in sé dell’uomo è che dopo che aspetta un determinato momento da tutta la vita, quando quello arriva non è mai abbastanza preparato per reagire.
Dio solo sa quanto avevo sperato, un giorno, di sapere che Sherlock Holmes era innamorato di me, mi ero immaginato mille volte come avrebbe potuto essere, come avrei potuto reagire ad un’eventuale dichiarazione, ma non riuscivo a mantener fede a nessuna delle mie fantasie.
Riuscivo solo a rimanere immobile a fissare le sue palpebre chiuse, con il cuore che rimbombava nelle orecchie e senza la piena coscienza che il mio sogno da eterno romantico si era avverato come nella più bella delle favole in cui io mi rivedevo stupidamente nella principessa.
Il mio principe azzurro era finalmente arrivato.
Dopo qualche attimo (in realtà, non so quanto tempo passò. Potevano essere attimi, minuti o ore), lo vidi sedersi e cercare di scavalcarmi per alzarsi dal letto.
Mai fino a quel giorno avevo creduto che agire di puro istinto fosse un bene.
Il suo movimento mi aveva svegliato dallo stato di trance in cui ero caduto e, appena avevo visto che stava davvero cercando di allontanarsi da me, avevo strinto il colletto della sua camicia tra le mani e me lo ero spinto contro per un bacio.
Se all’inizio cercò di respingermi, cercando di portare anche l’altra gamba fuori dal letto per potersene andare, borbottando lamentele indistinte tra le mie labbra, dopo non molto la sua resistenza crollò e si lasciò andare.
Riuscii a ricordare distintamente tutto quanto successe solo quando, la mattina dopo, riaprii gli occhi.
Non voglio che ai miei lettori vengano strane idee, non successe nulla al di fuori dell’ordinario, quella notte, se non quel bacio.
Quando mi svegliai, però, lui era voltato su un fianco, l’opposto al mio, ancora profondamente addormentato, mentre la sua mano stringeva la mia, sul cuscino.




Fine.









[NdA]
Mumble mumble...
E' finita davvero.
Quanto tempo è passato dall'ultima long che ho concluso? Mi sembra un secolo, perchè davvero, non ricordavo che facesse così male staccarsi da una fanfic a cui ci si è affezionati così tanto.
Se Taking Care Of You è la mia bambina nel fandom RDJude, credo che questa rimarrà per sempre la mia piccola in questo.
Nove capitoli, solo 26 pagine di word, ed eccomi qui, a salutare con malinconia questa fanfic, nonostante sia passato solo un mese e 3 settimane esatte da quando è iniziata.

Che dire? Non voglio cliccare la casella "conclusa". Non voglio mai farlo quando mi affeziono ad una fanfic. Odio quando succede solo per questo. La fine si prospetta terribile.

Una precisazione: la frase in corsivo affidata ad uno degli Watson Sn. a vostra scelta, è stata pronunciata da Michael J Fox in uno degli episodi in cui è comparso nella sitcom "Scrubs", nel ruolo del dottore/chirurgo Kevin Casey.

I ringraziamenti. Saranno banali, come al solito, perchè non so mai come ringraziare chi segue quello che scrivo.
Sembra sempre di essere ingrati, di ringraziare solo per non perdere lettori, quando è proprio il fatto che qualcuno legga che da l'impulso a scrivere ancora e lo si farebbe anche se ci fosse una sola persona a dare sostegno.
Detto questo, si ringraziano calorosamente tutte le persone che hanno preferito, seguito, ricordato, recensito e anche solo letto e chiunque lo farà in futuro.

Il ringraziamento speciale nonché dedica va a Haibara Stark (ovviamente la dedica va a lei, non al negozio O.o) e il negozio d'abbigliamento Bershka (il suo sito --> http://www.bershka.com/) che hanno reso questa fanfic possibile.
Il nostro primo caso può essere inserito in archivio, Erica u.u

Adesso vi saluto, promettendo che con la conclusione di questa fanfic dedicherò più tempo a Logic for the Hero.

Conto di rivederci, stanotte, almeno altre due volte prima che io vada a dormire. :)

Grazie ancora a tutti.

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