L’Angolino dell’Autrice:
Yo! Un saluto
affettuoso da Alhia! Che sarei io, fra l’altro…
Eccomi qui, ad annoiarvi con un’altra delle mie fic.
Ok, ok! Scherzavo! In realtà, lo scopo di questa piccola
raccolta sarebbe di strapparvi un sorriso, o addirittura una risata – che
presunzione! XD
Volevo scusarmi fin da ora per la lentezza con cui aggiorno.
Purtroppo lavoro a tempo pieno, e la sera arrivo a casa che sono sfiancata! Tra
la cliente che vuole “un lucidalabbra che sia lucido, rosa ma non troppo rosa e
senza brillantini” e l’altra che cerca un profumo “agrumato secco” e che alla
fine compra il J’adore – che è fiorito -, uno
si esaurisce! XD In compenso è stra-divertente!
Cercherò comunque di fare del mio meglio J.
Ad ogni modo, le
storie – basate su alcuni fra i capolavori disneyani – saranno sei, salvo
aggiunte straordinarie.
Questo dipenderà principalmente dall’”indice di gradimento”
XD
Perciò, spero davvero che qualche buon anima decida di
lasciarmi una recensioncina! Mi fareste felice,
davvero :)
Premetto che la
protagonista sarà sempre Nami… Ma fossi in voi non mi preoccuperei del ruolo
che ricopre lei! (Ahahahah! Nda)
Approfitto di questo angolino per ringraziare FraRock47, Akemichan, M e l y C h a n e Bibi_OnePiece per le loro graditissime
recensioni – veramente! Grazie!!! –, mangafan1 e QueenSango per aver inserito la storia fra le preferite; Jemanuele8891, LadySaika, Bibi_OnePiece, larix, MelyChan, Ne_chan
e VaMpIrA89 per averla messa fra le
seguite. Nonché tutti coloro che hanno letto la mia breve introduzione! Spero
di non deludervi con il resto!
Bene, ho scritto quello che dovevo scrivere… Ed ora mi
eclisso!
Auguro a tutti una buona lettura!
Saluti
Alhia
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Namirentola
C’era una volta, in un regno
lontano e rigoglioso…
Una bambina, che viveva con il padre in un maestoso castello, poco fuori
città.
Preoccupato che la bambina soffrisse la mancanza di una figura materna, il
buon uomo decise di risposarsi con una nobil donna, anch’ella vedova, e con due
figlie.
Purtroppo, il padre morì, e la
matrigna, consapevole che la bellezza della figlia adottiva fosse superiore di
quella delle sue, cominciò a trattarla con freddezza e a farla lavorare come
domestica; mentre lei sperperava la fortuna del marito per se stessa e per le
sue figlie.
Così, la poveretta, si ritrovò a
dover fare da serva nella sua stessa casa.
Per questo, prese il nome di…
«Namirentola? Namirentola!
Namirentola!!!».
«Mmm… Ma chi è che urla…»,
borbottò nel dormiveglia una ragazza, mentre si rigirava nel letto, cercando di
riaddormentarsi.
«Namirentola!!! Dove ti sei
cacciata?!».
«Aaargh! Ma insomma! Cosa c’è da
urla-… AAARGH!».
Nami urlò, osservando disorientata la stanza in cui si trovava.
«Ma…! Dove sono?? Qui non sono
sulla Sunny!… E perché sono vestita di stracci???», abbaiò, alzandosi dal letto
furiosamente, e fiondandosi allo specchio.
«Oddio… Ma che…?».
«Insomma, Namirentola!!!», trillò
la stessa voce di poco prima, sempre più irritata.
«N-nami…rentola?… Aaahn! Ora
capisco! Robin mi stava raccontando una storia… A-allora… Mi devo essere
addormentata. Quindi questo è un sogno! Ahahah!», rise Nami, sollevata.
«NAMIRENTOLAAA!», ulularono in
coro due voci – piuttosto sgraziate.
«Mmm… Immagino che dovrò seguire
la storia. Waaa! Chissà chi è il principe! Ok! Cominciamo!», dichiarò Nami,
avviandosi verso la porta.
Ma prima che potesse aprirla, due figure l’anticiparono, sbattendo il
portone con violenza e facendo ingresso nella stanza.
«INSOMMA! È MEZZORA CHE TI
CHIAMIAMO! COSA STAI FACENDO DISGRAZIATA! ASPETTA CHE LO DICA ALLA MAMMA!!!»,
sbottò una voce, che Nami riconobbe all’istante.
«Già! FORZA! HO FAMEEE! Voglio
una bella bistecca al sangue per colazione!», si aggiunse il secondo
personaggio. E anche in questo caso, Nami lo riconobbe.
Spalancò la bocca fino
all’inverosimile e le sue pupille si strinsero, cercando di focalizzare ciò che
aveva davanti.
«PFFFAHAHAHAH! OH MIO DIO!
AHAHAH!».
«COME OSI RIDERCI IN FACCIA?!».
«Ahahah! Usop! Rufy! Che accidenti ci
fate vestiti da donna? Ahahah! E Rufy, con quei codini! Ahahah! Oddio, siete
orribili!!! Ahahah!», rise Nami, accasciandosi a terra e tenendosi la pancia
con una mano.
«ORRIBILI?? Scusa cara, ti sei
vista?», ribatté Usop, indicando i vestiti della ragazza.
«Namirentola! Preparami da
mangiare!».
«PREPARATELO DA SOLO!», lo
rimbeccò Nami, scocciata.
«Credo che sia in quel periodo del
mese…», sussurrò Usop a Rufy.
«Comunque…», aggiunse poi «Non ho
la più pallida idea di chi siano Usop e Rufy. Io sono Usopeffa e lei è mia
sorella Rufasia!».
«E ho fame!», si lamentò Rufasia.
«Mpf… Ahahah! I nomi sono ancora
più orribili! Ahahah!».
«SCUSA! In cosa saremmo
orribili??», chiese Usopeffa.
Nami li squadrò uno ad uno, cercando di non crollare in un altro attacco di
risate. Usop, o come aveva chiarito lui, Usopeffa, teneva i capelli ricci e
neri sciolti, tirati su con un cerchietto verde; un vestito verde e pomposo; e
il viso pesantemente truccato – tanto che le sue labbra, già carnose, con quel
rossetto viola sembravano ancora più gonfie.
Che dire di Rufasia: alla pari
della “sorella”, aveva un vestito ingombrante rosso, stesso colore del rossetto
che aveva tentato di mettersi – “tentato”, perché era tutto sbavato –, e i
capelli raccolti in due buffi codini.
«Lasciamo perdere…», sentenziò
Nami.
«Tsk! Ora vado a dirlo alla
mamma! Lei ti punirà! Andiamo!», disse Usopeffa, guidando i due come fosse il
capitano di una nave.
«Cibo! Cibo! Cibo!».
Dopo aver sceso le scale –
infinite –, che componevano la torre dov’era stata confinata, Nami, e
sorellastre, attraversarono a grandi passi l’ampio cortile pieno zeppo di
galline, fino a giungere all’interno del castello tramite una porticina di
legno.
«Ma che…».
«NAMIRENTOLA!… TESORO!!!».
«EEEH?? S-SANJI??? MA QUESTO È UN
INCUBO!!!», guaì Nami, mettendosi le mani nei capelli.
«Oh, povera cara! Sei ancora
assonnata! Chi è Sanji? L’uomo dei tuoi incubi?».
«Non è un ipotesi da escludere…»,
mormorò Nami, affranta. Quindi fissò quel…uomo? Donna?… Trans?… di fronte a
lei.
Sì, era Sanji in tutto e per tutto (all’incirca!): capelli lunghi e biondi
– una parrucca forse. Chi può dirlo? –, trucco abbondante – specialmente sulle labbra –, vestito da gran
dama… e i classici due occhi a cuoricino. L’unica cosa che lasciò perplessa
Nami, fu il sesso confuso della persona che aveva davanti.
«Sentiamo… Chi dovresti essere
tu?», chiese Nami, già pronta al peggio.
«Aaah! La mia dolce Namirentola
non si ricorda della sua mammaaa!», singhiozzò Sanji, piangendo come una
fontana.
M-mamma??? Ah,
benone!!!, pensò Nami.
«Mamma! Ho fame!», disse Rufasia.
«STA’ ZITTA!», lo rimproverò la
“donna”, con voce roca da uomo.
«Ma… Scusa? Non dovrei essere io
quella maltrattata?», domandò Nami molto cautamente.
L’espressione di Sanji cambiò improvvisamente. Strabuzzò gli occhi e
allargò la bocca per lo stupore.
«Ma che dici??? Maltrattare una
crostatina come te??? Giammai! Piuttosto… Cara, che ti servo per colazione?»,
rispose Sanji-la-matrigna, con tono disgustosamente carezzevole.
«Ehm… Quello che vuoi…», rispose
Nami, perplessa.
«Ma! Mamma! Anche io ho fame!»,
si lagnò Rufasia.
Sanji-la-matrigna si voltò, infuriato. «Preparati da sola la colazione!
Scansafatiche!».
Rufasia e Usopeffa lo fissarono disperate. «Ehi! Siamo anche noi tue
figlie!», pronunciò Usopeffa.
«Siete matte? È IMPOSSIBILE CHE
ABBIA DELLE FIGLIE COSI’ BRUTTE!».
«E DOVE SARESTI BELLA TU!»,
ribatterono i due, arrabbiati.
«ORA VI FACCIO VEDERE IO!».
Mentre i tre si azzuffavano per bene, Nami prese qualche biscotto e se ne
andò in perlustrazione.
Arrivata al salone, salì la
grande scalinata, per poi percorrere i molteplici corridoi, sbirciando nelle
stanze.
Ma non appena vide l’arredamento scelto da quei tre… decise di lasciar
perdere. Così tornò alla cucina, dove Sanji-la-matrigna l’accolse con un ampio
sorriso – mentre Rufasia e Usopeffa, gonfi come palloni, restarono in silenzio.
«Mia cara! Esco a fare la spesa!
Desideri qualcosa di particolare per pranzo?».
«Scegli pure tu. Confido nelle
tue abilità di cuoc-».
«Aaaa! La mia dolce Namirentola!
Cara! Cara! Cara!».
Non è cambiato
di una virgola nemmeno nel sogno…, pensò Nami.
«A me compri la carne?», chiese
Rufasia, con gli occhi lucidi e speranzosi.
«Uff… D’accordo, vedrò di
accontentare anche te».
«Grazie!».
«Io vorrei -», provò Usopeffa.
«NO! TU, NO!».
«Perché? Non è giusto!!!».
«TORNA A LAVARE I PIATTI! A dopo
Namirentola! Smack!», disse il biondo.
«Brr… Mi vengono i brividi…»,
mormorò Nami, tra sé e sé.
«Uhuhuh… Ora che mamma non c’è…
Decido io! LAVA TU I PIATTI! AHAHAH!», dichiarò Usopeffa, indicando Nami con
espressione soddisfatta.
«Poi», continuò «metterai in
ordine le nostre stanze, strapperai le erbacce in cortile, darai da mangiare
alle galline, mi aiuterai con la ceret-».
-SBAM!-
«TE LO PUOI SCORDAREEE!», esclamò
Nami, assestandogli un pugno.
«Ora ascoltate me… Tu! – e indicò
Rufasia – vammi a prendere un vestito decente!».
«Certo!», rispose “lei” con un
sorriso.
Usopeffa fissò la sorella a bocca spalancata. «COME CERTO??», sbottò.
«E TU!!!», tuonò Nami.
Usopeffa deglutì.
«Tu farai esattamente ciò che
volevi facessi io. Buon lavoro! Ah! E prima preparami qualcosa da bere!»,
ordinò Nami.
Usopeffa si avvicinò al piano della cucina borbottando chissà cosa…
«Eccomiii!», cantilenò la voce di Sanji-la-matrigna dalla cucina.
Quindi, con un largo sorriso stampato sulla faccia, si affacciò al salotto.
«La mamma è tornata a cas-…aaa».
Fu allora che Sanji-la-matrigna si soffermò sulla scena che gli si
prospettava davanti: Nami, bellamente distesa sul divano e con una bibita in
mano, si rilassava; nel frattempo gli altri due sgobbavano come muli in
risposta ai suoi ordini.
«Ecco Namirentola. Il tuo tè
fresco», disse Usopeffa, porgendole un nuovo bicchiere.
«Mh, grazie. Ora puoi andare… Ah,
no! Dimenticavo! Ho avuto modo di notare che il tappeto d’ingresso è pieno di
polvere…».
«E… Con ciò?».
«Mi sembra ovvio… Sbattilo!».
«C-cosa?? Ma se è lungo cinque
metri!!!».
«Osi forse contraddirmi?», ribatté lei con sguardo truce.
«N-no. Lo sbatterò dalla finestra
della torre…».
«Brava! Vedi che le idee le
trovi?».
Usopeffa se ne andò avvilita.
Sanji-la-matrigna si avvicinò a Nami volteggiando, tutta presa da chissà quali
pensieri… Che immediatamente manifestò (Non riesce proprio a contenersi XD
Nda).
«Oh mia cara!!! Come si vede che
sei figlia mia!!!», gongolò.
«Ma anche no…», mormorò lei.
In quello, sopraggiunse Rufasia, armata di secchio e straccio e ansimante.
«Ho terminato di “pulire tuuutto
il castello”», la informò, citando quello che la rossa aveva detto poco prima.
«Mmm…Bene. Puoi riposarti ora»,
rispose Nami, congedando la sorellastra con un gesto della mano. Quindi sbuffò.
«N-namirentola… Tutto bene?»,
chiese Sanji-la-matrigna.
La ragazza si portò le dita alle tempie, massaggiandole.
«No. Sono distrutta. Che fatica
dare ordini…– contemporaneamente Usopeffa, impegnata nell’arrotolamento del
tappeto, imprecò –. Però starò meglio dopo aver mangiato qualcosa…».
«Ti preparo subito il pranzooo!»,
esclamò l’altro, trottolando allegramente verso la cucina.
Dopo essersi riempita lo stomaco
con i manicaretti di Sanji-la-matrigna, Nami tornò a rilassarsi sul divano,
cominciando a vagare con la fantasia…
«Chissà come sarà il principe!
Uhuhuh! Sicuramente sarà ricco! E affascinante!… Anche se… Viste come sono
andate le cose finora, il seguito non sembra promettere bene…», disse la rossa
fra sé e sé.
Fu in quel momento che un sonoro
– Toc! Toc! –, rimbombò nel castello.
«Mh? Chi sarà?», fece
Sanji-la-matrigna, intento ad asciugarsi le mani con un panno.
«Non so…», ribatté Nami.
«Usopeffa! USOPEFFA! Cosa ti ci
vuole ad aprire un portone di legno massiccio alto venti metri e largo cinque!
EH???».
«Ma io che ho fatto di male???»,
singhiozzò Usopeffa, scendendo rapidamente dalle scale, con il tappeto appena
sbattuto sulle spalle. Solo che all’ultimo gradino inciampò, rotolando per
tutto l’ingresso con il tappeto, il quale si distese perfettamente in tutta la
sua lunghezza, fino al portone.
«Bellissima performance!!!»,
esclamò Nami, applaudendo.
«Hai sistemato il tappeto in un
colpo solo!!!», aggiunse Sanji-la-matrigna.
«Che forte!!! RIFALLO!!!»,
continuò Rufasia.
«Scordatelo!», ringhiò Usopeffa,
sebbene fosse mezzo stordito e a terra.
Comunque si rialzò, ed aprì il portone. Non fece in tempo a dire nulla, che
una busta bianca, chiusa da un sigillo rosso, comparve saettante sotto il suo
naso.
«Un dispaccio di Sua Maestà!»,
gracchiò un uomo in divisa, a cavallo di una bicicletta (E già qui…).
«Seh, certo. Come n-».
Ma venne interrotto dallo stesso personaggio che, rivolgendosi ad una
telecamera inesistente, disse: «Bene, Maria. Abbiamo consegnato l’invito. Ora
c’è solo da sperare che lei accetti! – e qui abbassò la voce – Anche se spero
di no, perché è veramente l’essere più rivoltante che abbia mai visto!».
«Forza!», aggiunse, alzando
nuovamente la voce e avvicinando un microfono invisibile alla bocca di
Usopeffa. «Ripeta con me! C’è posta per te!».
«C-c’è pos… MA VATTENE!», esclamò
Usopeffa, facendolo volare con un calcio.
«Mariaaaaaa…», ululò il
poveretto, mentre diventava un puntino nel cielo azzurro.
Usopeffa chiuse il portone e tornò in salotto.
«Dunque? Chi era?», chiese
Rufasia.
«Uffa! Scommetto che era il
solito tizio che vuole rifilarci la batteria di pentole! Anche se questa volta
era diverso…», rispose Usopeffa.
«Mh? Ma quella cos’è?», domandò
Nami, indicando la lettera.
«Sarà un buono sconto…».
Sanji-la-matrigna gli si avvicinò, squadrando la busta.
«Ma quale buono sconto!!! È un
messaggio di Sua Altezza! IDIOTA!», gridò, procedendo con il rituale pestaggio.
Nami approfittò del caos per prendere la lettera e leggerla.
«Vediamo… S’informa che bla bla
bla, saranno invitate a…WAAAAAA!», urlò Nami, attirando l’attenzione di tutti.
«Che succede?», chiese Rufasia,
con un dito nel naso.
«Il ballo!!! Finalmente conoscerò
il fantomatico principe! Ahahah! SOLDI! SOLDI! SOLDI!».
«Aaah! Tesoro! Il principe cadrà
ai tuoi piedi!», esclamò Sanji-la-matrigna, entusiasta.
«Uhuhuh! Puoi starne certo
Sanji…».
«Sanji?», ripeté l’altro,
confuso.
La sera non tardò ad arrivare, e
Sanji-la-matrigna, Rufasia ed Usopeffa, vestite di tutto punto – per quanto
possibile –, s’avviarono alla carrozza che attendeva di sotto.
Notando che Nami non si era
ancora fatta viva, il biondo si fermò.
«Crostatina della mamma? Dove
sei? Dai! Che voglio vedere quanto sei bella!!!».
Nami si affacciò dal piano superiore, ancora in intimo.
«Voi andate avanti! Io vi
raggiungo! Mi raccomando: non conquistatene troppi!», disse, facendo
l’occhiolino.
Sanji-la-matrigna s’illuminò. «Tesorooo! Sei deliziosa anche in intimo! La
tua mamma è così fiera di te! Ti ho trasmesso il meglio di me! Cosa che non è
successa con queste due racchie…».
«RACCHIE A NOI?», ribatté
Usopeffa.
«RACCHIE?? Si mangia?», chiese
Rufasia.
«Argh! Andiamo!», sbottò l’altro
uscendo, non prima di aver detto a Nami: «A DOPOOO!».
Nami sospirò, per poi
sogghignare.
«Hihihi! Scatta l’operazione
“Sfrutta-Fata-Madrina!”».
Detto ciò, re-indossò gli stracci con cui si era svegliata al mattino,
assunse un’aria disperata e, singhiozzando in maniera teatrale – «BWAHAHAH!» –,
corse in giardino, accasciandosi sulla panchina posta ai piedi del grande
salice e di fronte alla fontana.
Dovrebbe arrivare
ora, pensò Nami, sbirciando con un occhio.
Passarono una decina di minuti… ma di fate o simili, neanche l’ombra. Così,
provò a singhiozzare più forte, ma niente.
Al che sbuffò, sedendosi, seccata
e imbronciata, sulla panchina.
«Dove diavolo sarà? Perché non
viene?», brontolò lei.
Quand’ecco che dinanzi a lei comparvero delle bollicine. Sì… Delle piccole
bollicine, che poco a poco cominciarono ad unirsi, fino a creare una schiuma
effervescente, simile a quella della…
«Coca-cola? Ma che…?».
«Suuuuuupeeer!», esclamò una
voce, proveniente dalla schiuma.
E fu così che, proprio da quella, comparve la Fata Madrina!
O meglio…
«F-FRANKY??? Ma non è possibile!
Di questo passo andrà a finire che il principe è Chopper!!!», singhiozzò Nami,
crollando a terra.
«Che succede sorella?», chiese
un’improbabile Franky, alzandosi gli occhiali.
«SUCCEDE CHE MI TORMENTATE ANCHE
IN SOGNO, ACCIDENTI!».
«Mmm… Non sei molto femminile,
sai?».
«PURE! Ma tu guarda…Piuttosto!
Veramente tu saresti la mia Fata Madrina?», domandò a Franky, osservando la sua
tenuta molto “fatalosa”: una maglietta del pigiama, striminzita, che gli
arrivava sopra l’ombelico, e con un orsacchiotto disegnato sopra; il solito
paio di slip blu; un cappellino da notte col pon-pon; delle ciabatte pelose
turchesi ai piedi; e un peluche in mano.
«Fata della Caffeina, se
permetti. Ci tengo al mio titolo!».
«Ah… E quello chi sarebbe? La
mascotte?», chiese Nami, indicando l’orsetto di pezza.
«No! Questo è Teddy!!! Teddy,
saluta Namirentola!».
«Hi!», salutò Teddy – ovviamente
era Franky che si divertiva a fare il ventriloquo.
«Mi mancava il Mr. Bean de’
noantri!», sbuffò Nami.
«Ok! Bando alle ciance! Devo
andare al ballo, ma non ho né vestito, né carrozza. Che si fa?», aggiunse poi, spazientita.
Franky ghignò, spavaldo come
sempre. Quindi fece apparire una bottiglia di Coca-Cola.
«Adesso… trasformerò questa
bottiglia di Cola… in una zucca!!!».
– SDENG! –
«A COSA SERVE?!», abbaiò Nami,
dopo aver tirato un potente gancio sinistro a Franky.
«È il tuo vestito!».
«NON SCHERZIAMO!».
«Uff… D’accordo. Teddy, cliente
difficile stasera… Ok, si comincia!».
«Era ora!».
Franky fece apparire un’altra bottiglia di Cola ed insieme a quella, una
specie di pillola bianca.
«Sei pronta?», chiese Franky.
Nami annuì decisa, e chiuse gli occhi.
Franky ghignò ancora una volta.
«Molto bene! Allora… Magia delle
Mentooos!», e dopo questa battuta, inserì la pillola nella bottiglia di Cola,
che cominciò ad eruttare come un vulcano addosso a Nami.
Solo che… Non accadde niente!
«MA COSA FAIII?!?!», gridò Nami,
ormai zuppa e appiccicosa.
«Ops…».
«Ops??? È la sola cosa che sai dire???».
«Ho sbagliato! Mi serviva
questa!». Detto ciò, dal nulla apparve un oggetto di plastica blu, lungo e
sottilissimo.
Che sia la
bacchetta?, si chiese Nami.
Seguì con lo sguardo Franky, intento a fissare con molta attenzione e
concentrazione l’oggetto, chiuso in un religioso silenzio. Continuò così per
tre minuti buoni, e man mano che il tempo passava, lui sgranava sempre di più
gli occhi.
Quindi, aprì la bocca.
Ecco, ci siamo!, pensò Nami.
«Mmm!… CANNUCCIA!!!», esclamò.
Nami crollò a terra, cominciando a piangere. «Waaa! Con un cretino del
genere non riuscirò mai a conoscere il principeee!».
Franky, accortosi delle lacrime della giovane, riacquistò lucidità.
«Tranquilla sorella! Sono carico
ora! Dunque… le parole magiche… Com’erano… Bidibi Bobidi… No, no, no! Quelle
sono di mia nonna! Ah, già! Ora ricordo!».
Si voltò deciso verso Nami e, sventolando la cannuccia scandì le parole
magiche:
«CUDECU’! CUDECHIS! CUDECA’!!!».
Dalla cannuccia sgorgò una luce che avvolse Nami, facendola brillare.
Quando la luce svanì, Nami indossava uno splendido abito turchese, ricamato
in argento… Insomma, molto elaborato! I capelli, più lunghi, erano sciolti e
mossi, impreziositi con dei fiori freschi (ovviamente blu…XD). Ai piedi, le
immancabili scarpette di cristallo.
Nami, emozionata, corse a
specchiarsi alla fontana; quindi si girò in direzione della sua Fata e alzando
un pollice esclamò: «Bellaaaaaa!».
Franky sghignazzò, assumendo la sua classica posa e gridando:
«Suuuuuupeeer!».
Nami rise. «Bene! Ora, però, manca la carrozza!».
«Ho quello che fa al caso tuo!».
Franky agitò nuovamente la
“bacchetta”, e in un attimo comparve un ENOOORME mandarino cavo, dotato di un
motore a cinquecento Cole e sei ruote con cerchi in lega.
«Ehm…Non puoi fare di meglio,
vero?».
«Stai scherzando? È la più
venduta sul mercato!», le disse indicando la carrozza con le braccia.
«Certo! Come no! Insieme alle
arance, ai limoni e ai pompelmi…».
«Coraggio, sali! Non te ne
pentirai! Questo gioiellino va veloce come un razzo!», la rassicurò Franky.
Nami sospirò, e insieme a Franky vi salì.
«Siii parte!!!».
«WAAA!».
Il mandarino partì ad una velocità inaudita, percorrendo tutte le stradine
di città in un attimo.
«Ahahah! Visto? Che ti avevo
detto?».
«S-sì! M-ma… CHI È CHE STA
GUIDANDO QUESTO AFFARE???».
«TEDDY!».
«OH MIO DIOOO!».
«YU-HUUU!».
Nel mentre, si poté vedere Teddy dare di frustino sul mandarino
(sbucciandolo)…
«Eccoci! Puoi scendere!», disse
Franky.
Nami si precipitò fuori dalla “carrozza”, rigettando tutto quello che aveva
mangiato poco prima, dietro un cespuglio.
«Ehi sorella! Tutto bene?».
«NO CHE NON VA BENE, PAZZO!»,
sbraitò Nami, sbattocchiando Franky per la maglietta. «Già che ci sei… Fai
qualcosa per l’alito…».
«…Mentos?», suggerì,
porgendogliela.
Nami alzò gli occhi al cielo, ma la prese.
«Bene. Vai! O farai ancora più
tardi di quanto non sei già!».
«E di chi è la colpa, secondo
te???».
«…Ricorda che all’una e
ventisette l’incantesimo finirà!», le disse, ignorandola. «E comunque, la colpa
è di Teddy!».
«L… L’una e ventisette? Ma che
orario è??… TEDDY???».
«Allora io vado! Teddy! Saluta!».
«Bye!», disse Teddy, facendo
”ciao” con la zampetta.
A quel punto, sparirono in una schiuma di Cola.
Nami fissò per qualche istante le bollicine scoppiare una ad una; quindi
fece di corsa la grande scalinata e raggiunse il portone.
Nel frattempo, all’interno, la
festa era già iniziata.
«Uff! Dove sarà la mia dolce
fragolina di bosco! Sono già le otto passate!», sbuffò preoccupato
Sanji-la-matrigna.
«Gnum! Gnum! Gnon lo sho! Gnum!
Gnum! Forshe ha dovuto ashpettare che la shua Fatva Maduina l’aiutasshe col
veshtito!», disse Rufasia, con la bocca piena di regali prelibatezze.
«Bwahahah! Quanto sei scema! Ahahah!
Una Fata Madrina! Ma che vai cianciando! Ahahah!», la derise Usopeffa,tenendosi
la pancia per le risate.
«Gnuuum! Che bbuona queshta
caunne!».
«MI STAI ASCOLTANDO???».
«VOLETE CHIUDERE QUELLE VECCHIE
CIABATTE???», tuonò Sanji-la-matrigna (che d’ora in poi chiamerò Sanjitrigna
per comodità! Nda).
Detto ciò i tre cominciarono ad azzuffarsi e a dar spettacolo… Fino a
quando una voce richiamò l’attenzione di tutti i presenti.
«Signore e signori! Benvenuti!»,
salutò una voce raffinata ed elegante.
Migliaia di sguardi si alzarono verso l’alto, precisamente verso l’ampio
matroneo dove sedeva solitamente il Re. Lì, in piedi, con il suo monocolo fra
le dita, vestito sontuosamente, e con i suoi capelli afro, si trovava il
Granduca Brookolao.
Piombò il silenzio.
«AAAAARGH! UNO SCHELETRO CHE
PARLA!!!», sbraitò una donna, svenendo poi fra le braccia del compagno.
«AAAAAH!». Le dame cominciarono
ad urlare spaventate, mentre i signori cercarono di calmarle.
«CHE FORZA! UNO SCHELETRO
PARLANTE!!! MAMMA, LO ADOTTIAMO???», disse Rufasia, con gli occhi che gli
brillavano.
«MA CHE COSA DICI???», ribatté
Sanjitrigna.
«M-m-m-mamma m-mia! C-c-che
p-p-pauraaa!», balbettò Usopeffa, nascondendosi sotto il tavolo, tremante come
una foglia.
Intanto, il Granduca, si voltò
verso l’interno del matroneo.
«Uff… Sire, con tutto il
rispetto… Ma io gliel’avevo detto che non era una buona idea far presentare a
me…».
«Sciocchezze!», squittì una
vocina stridula, ma gentile. «Ora ci penso io!».
E fu così, che il Re entrò in scena. S’affacciò dalla balaustra, e con
tutta la voce che aveva urlò: «SILEEENZIO!».
Tutti tacquero, e si voltarono nuovamente.
«Miei sudditi! Non dovete temere!
Nonostante le apparenze, il Granduca è un ottimo consigliere, nonché musicista!
State tranquilli, dunque! E godetevi la festa!».
«M-ma… DIO CI PROTEGGA! QUALCUNO
HA SOSTITUITO IL NOSTRO RE CON UN PROCIONE!!!», esclamò un uomo.
«UN PROCIONE SU UNO SGABELLO, PER
GIUNTA!».
Il Re s’innervosì. «NON SONO UN
PROCIONE! SONO UNA RENNA! RENNAAA!», dichiarò, ingigantendosi all’improvviso e
assumendo le sembianze di un uomo.
Quindi tornò normale.
«Sire, piano. Si ricordi della
pressione…», lo ammonì il Granduca.
«Sì, sì. Lo so, grazie».
«U-una renna col naso blu, che
parla e si trasforma…? MAMMA! ADOTTIAMOLO!», sbottò Rufasia.
«LA VUOI FINIRE?!», ribatté
Sanjitrigna.
«Ma dove siamo finite! Dove siamo
finite! DOVE SIAMO FINITEEE!», si lamentava Usopeffa, dondolandosi sulle punte,
raggomitolata.
«Un po’ ti contegno!!!», disse
l’altro.
Alla fine, dopo il primo
disguido, la festa riprese serenamente.
«Dicevo…», riprese il Granduca
Brookolao «Il Re ringrazia tutti voi per la presenza. In particolare le
signorine. Come ben sapete, c’è un motivo per cui siete state invitate qui...
Il nostro Principe, cerca una moglie e-».
«NAMIRENTOLA! SCEGLI
NAMIRENTOLA!», disse Sanjitrigna ad alta voce e sbracciandosi.
«Ehm-hem… Dunque, avrei una
domanda da sottoporre a tutte le rappresentanti del gentil sesso, a nome di Sua
Altezza Reale, Re Chopper…».
Ci fu un silenzio tombale, colmo di attesa e curiosità. Tutte tesero
l’orecchio.
«A tutte le dame del Regno…
Potrei vedere le vostre mutandine?».
Shh.
«È PURE MANIACO!», sentenziò una
donna.
«YAHLALALALAAAA!». Ora, delle
eleganti dame raccolte nel salone non c’era più traccia; davanti gli occhi del
Granduca Brookolao, c’erano solo copie su copie di Xena.
Cominciarono a volare scarpe, stivali, i cappelli dei mariti, sigari,
piatti e bicchieri; tutto in direzione del povero Granduca, che evitava i colpi
con maestria.
Tuttavia, presto i colpi
finirono, e le donne si ricomposero.
Fu allora che Re Chopper lo colpì con una delle tante scarpe che aveva
addosso.
«COME HAI OSATO PRONUNCIARE UNA
SIMILE SCONCEZZA A NOME MIO?!».
«Perdono Maestà! Ora procederò
seriamente! Yohohoho!», si scusò lo scheletro, con un enorme bernoccolo sulla
testa.
«La richiesta è la seguente: ora
il nostro Ciambellano porgerà a ciascuna di voi una rosa. La rosa non è per
voi: dovrete consegnarla al Principe. Che sta esattamente…QUI SOTTOOO!», disse
indicando la tenda sottostante.
Inaspettatamente partì la sigla
di Uomini e Donne e il telo rosso, poco a poco si aprì, rivelando il
Principe… Principe che dormiva seduto su un trono dotato di pesi, così mentre
ronfava, poteva anche tonificare le braccia!
La musica non si fermò, ma le persone ammutolirono.
«SCHERZAVO! NON PERMETTERO’ MAI
CHE NAMIRENTOLA SPOSI UN CRETINO SIMILE!», fece Sanjitrigna, additando il
Principe.
Ai piani alti, il Granduca e il
Re, si fissarono interdetti.
«Grr… QUALCUNO SVEGLI QUEL
CRETINOOO!», sancì Re Chopper, ingrandendosi di nuovo.
«Altezza, la prego… La
pressione!».
«Hai ragione…». E tornò piccino.
Alle donne, che avevano assistito alla scena, s’illuminarono gli occhi.
«C-CHE CARINOOO!».
«Il Re è così dolce!».
«Tenero e morbidoso!».
«”Morbidoso?”… E TU COME LO SAI? EHI! QUELLA BRUTTA
CIABATTA HA TOCCATO IL RE!».
«PARLA QUELLA CHE HA TOCCATO
TUTTI!».
«COME OSI, ARPIA!».
«YAHLALALAAAA!».
E fu così che cominciò una rissa fra donne.
«Ehm… Qualcosa non è andata per
il verso giusto…Non credete Si…Re…», commentò il Granduca Brookolao.
«Oooo! Non dite così! Che mi
mettete in imbarazzo!!! Odio i complimenti!!! Wahahah! Non dovete combattere
per me! Ohohoh!».
«MA SIRE!!! C’è poco da
fare…».
E fu in quel trambusto, che una donna fece il suo ingresso…
– SBAM! –
«FERMI TUTTI!».
Un esercito di donzelle inferocite e armate di mazze chiodate, bastoni e
forconi, si voltò in direzione di Nami, che non si fece intimorire.
«Potete combattere quanto volete…
TANTO IL PRINCIPE SARA’ SOLO MIO!», ringhiò.
Silenzio.
«NAMIRENTOLAAA! COME SEI
BELLAAA!», trillò Sanjitrigna, facendo oscillare il bacino a destra e a manca.
A quel punto le donne si calmarono. «Il Principe?? Te lo puoi tenere
dolcezza! IO VOGLIO SOLO IL RE! E SARA’ MIO, CHIARO??», disse una.
«COL CAVOLO!», fece un’altra.
E così la battaglia riprese.
«Il… Re? E chi sareb…BEEE!». Gli
occhi di Nami uscirono dalle orbite, dopo essersi accorta di Chopper e Brook.
«Fa’ niente! Principe! Sei mio!».
Detto ciò, il tempo rallentò improvvisamente.
A quel punto, il Granduca Brookolao fece un gesto in direzione del
direttore d’orchestra. Fu così che una nuova melodia risuonò nella sala.
E mentre Nami percorreva a grandi passi il salone – sempre a rallentatore
–, facendosi strada tra le altre donne inferocite – da cui di tanto in tanto
riceveva delle gomitate o degli spintoni –, un gridò si levò:
«IMPOSSIBLE IS NOTHING!!!».*
Finalmente Nami riuscì ad emergere dalla folla e si
fiondò verso il trono, ma…La musica s’interruppe e il tempo tornò normale,
perché Nami si era resa conto di chi aveva di fronte…
«ZORO?!?! Perché lui??? No, senti!
REWIND!».
Così, come per magia, il tempo rallentò di nuovo…e la scena si ripeté al
contrario.
«!!!GNIHTON SI
ELBISSOPMI».
Nami tornò indietro a rallentatore, fino ad arrivare a quando era entrata
in scena nel palazzo.
«STOP! Allora, ragioniamo. È
Zoro! Però è il principe, quindi è ricco! Però è Zoro! Però è RICCO! Soldi,
Zoro, soldi, Zoro…SOLDI! OK! APPOSTO! TORNATE AVANTI!».
E di nuovo…
«IMPOSSIBLE IS NOTHING!!!».
Finalmente Nami riuscì ad emergere dalla folla – ancora una volta… –, e si
fiondò verso il trono, dove stava Zoro.
«INCREDIBILE! PURE QUI DORME!». E
prima che Nami potesse tirargli un calcione, una mano di donna spuntò da dietro
il trono, andando a pizzicare la guancia di Zoro.
«Svegliati pigrone!», disse una
voce gentile.
«Robin!!!», esclamò la rossa,
entusiasta.
La mora le sorrise. «Navigatrice», salutò.
«Che? Mi riconosci allora??».
«Così pare».
«Dì, ma… Chi interpreteresti
tu?».
«Praticamente sono la consigliera
del principe».
«Mmm… Nel caso di Zoro, direi che
sei più la sua tata…Beh…Ti prego! Fammi uscire di qui! È un covo di matti!».
Robin ridacchiò. «C’è un solo modo, credo».
«Sarebbe?».
«Concludere la storia. Sposati
con Zoro, e finirai il sogno».
«Sposarmi?? Con Zoro??? COSA??
Oh, dai! Robin, non posso!».
«Perché no? Dopotutto è solo un
sogno. Senza contare che a te Zoro pia-».
«Ba-ba-baaa! Non ti sentooo!», la
sovrastò Nami, tappandosi le orecchie.
«E allora che proponi?».
«Ah… Io… Uffa! D’accordo!».
«Hehe… Su! Altezza! Sveglia!».
Finalmente, Zoro si svegliò.
Si guardò intorno, per poi
scattare in piedi.
«Ah! Mio figlio si è
svegliato!!!», esclamò Re Chopper.
Gli invitati si calmarono ed osservarono la scena.
Zoro, in silenzio, voltò la testa
a destra.
«Un momento… Dove sono?».
Quindi la voltò a sinistra, e notando un “paesaggio” diverso da quello di
prima, disse:
«Ehi! Dove sono?».
Infine portò la concentrazione davanti a se. E si accorse di nuovo che il
luogo non era lo stesso del precedente.
«E qui dove sono??».
«SEI SEMPRE NELLO STESSO PUNTO,
IMBECILLE!!!», gli urlarono Nami e Re Chopper.
Gli invitati svennero in quello stesso momento.
«Per essere mio figlio ha un
senso dell’orientamento pessimo!», borbottò Re Chopper.
A quel punto Zoro guardò verso l’alto, in direzione del Re.
«Che cosa?? Perché…HO PER PADRE
UN PROCIONE???».
«NON SONO UN PROCIONE! SONO UNA
RENNAAA!».
«NON HA SENSO COMUNQUE!».
«Effettivamente… Come dargli
torto…», mormorò Nami.
«E mia madre cos’era, allora?!»,
domandò Zoro.
«Eccola qui!!! Com’era bella!
Affascinante come una sirena!!!», disse Re Chopper tirando fuori un piccolo
ritratto della defunta moglie.
«SIRENA??? QUELLA È UNA TRIGLIA
CON LA PARRUCCA!!!», sbottò Sanjitrigna improvvisamente, facendo ridere Rufasia
a crepapelle (Quanto ho amato questa battuta! Nda).
«COME OSATE, VOI!!! BRUTTA
MEGERA!», gridò il Re, rivolto a Sanjitrigna.
«MEGERA A ME???».
«Non sei certo uno splendore,
mammina…», disse Usopeffa.
«TU STA’-».
«ZITTA! LO SO! SEMPRE ZITTA DEVO
STARE IO!», s’infuriò Usopeffa.
Insomma, mentre il trio battibeccava, e gli invitati si riprendevano dal
mancamento con un giro di mojito, Robin, Nami e il principe Zoro, si fissarono.
«Ad ogni modo, non ho ancora
capito chi siete voi…», disse Zoro indicando Nami.
«Eh? Ah, ecco, io sono-».
«Robin, chi è?», chiese Zoro,
rivolgendosi alla mora.
«TE LO STAVO PER DIRE! No… Non ce
la posso fare…», sbottò Nami, per poi massaggiarsi le tempie.
Robin alzò gli occhi al cielo. «Altezza, lei è Namirentola, la vostra
futura sposa».
«Ah, d’accordo. COSA??? E chi
l’avrebbe deciso???».
«Beh, non avete molta scelta. A
meno che non preferiate una delle sue sorelle…», rispose Robin, indicando le
due “bellezze”.
Alla loro vista, Zoro sbiancò.
Quindi sfoderò in furia le sue tre katane gridando: «A MORTE I DEMONI!!! VI
AFFETTO!».
Sanjitrigna, alla vista del principe correre verso di loro, si mise in
posizione d’attacco.
«BRUTTO CARCIOFO! NON TI
PERMETTERO’ DI SPOSARE LA MIA BELLA NAMIRENTOLA! TI CUCINO CON LE LUMACHE!!!».
Ma prima che i due potessero scontrarsi, una ventina di mani sbucarono dal
nulla. Una parte mise Sanjitrigna fuori gioco, mentre il resto trascinò Zoro
indietro, ai piedi di Nami.
«Su, uscite in giardino a fare
due chiacchiere. Op!», proferì Robin, spingendo i due all’esterno del palazzo.
«M-ma…!», obiettò Nami, guardando
prima Zoro e poi Robin.
«Coraggio, è la tua occasione.
Ricorda che è solo un sogno», disse l’altra.
«Sai che consolazione… Beh!
Andiamo!», sancì Nami, trascinando per un piede Zoro.
«E-ehi!», sbottò lui, cercando di
aggrapparsi al suolo con le unghie.
Robin li osservò, ridacchiando fra sé e sé.
«Questa non me la voglio
perdere», mormorò.
«Uff! Tu guarda che
situazione…Anche qui devo badare a quei casinisti! Perché non posso sognare
come i comuni mortali? Insomma, non chiedo molto, no? È il mio sogno dopotutto.
Dovrei essere libera di decidere. E invece no! Anche mentre dormo mi
perseguita, questo scimmione! L’unica cosa positiva è che almeno qui non è
squattrinato!», borbottava Nami fra sé e sé, passeggiando furiosamente per il
giardino.
Zoro, intimorito dalla rossa, la seguiva da lontano, studiandola con
attenzione.
«Eh-hem!», tossì, cercando le
attenzioni della ragazza – che non tardarono ad arrivare.
«CHE VUOI!», sbottò Nami,
voltandosi di scatto.
«Lasciatemi dire che la rabbia
non si addice al vostro viso…», commentò il ragazzo.
Le labbra di Nami assunsero una forma ad “o”.
«Z-zoro…».
«Già… Diventate talmente orrenda
da far paura».
– SDENG! –
«MA COSA FATE?!», si lagnò Zoro,
indicando il potente bernoccolo spuntato sulla sua testa.
«SEI IL SOLITO SCEMOOO!», ribatté
seccata l’altra.
«HA PARLATO LA MOCCIOSA!».
«M-mocciosa??».
«Esattamente! Le mocciose come
voi, dovrebbero già essere a letto da un pezzo!».
«Ah sì? Beh, sappi che se prima
esisteva anche solo un millesimo di possibilità che io acconsentissi a
sposarti, ora è bruciato pure quello!».
«Sapete che m’importa! Chi mai
acconsentirebbe a sposare una donna rozza e violenta come voi?!».
«Come se al mondo esistesse una
donna così disperata da acconsentire a sposare te!».
«Infatti non ho mai detto di
volermi sposare!».
«Ma devi sposarti! Sei il futuro
re!».
«Ho detto che non voglio sposarmi
e non mi sposerò, chiaro? Tsk! Ma tu guarda…».
Nami lo fissò pensierosa.
«Non è che… Sei veramente gay?».
«MA CHE DITE??», esclamò,
sfoderando una dentatura a squalo.
«Ahahah! Ok, senti… Ti spiego
come stanno le cose…».
Nami, spiega come stanno le cose…
«Mh. Quindi, se noi ci sposiamo,
questa pagliacciata finisce. Giusto?».
Nami asserì col capo. «Esattamente. Allora? Tregua?».
Zoro sospirò. «D’accordo, affare fatto».
«Ok. Ehi, hai l’ora per caso?».
«No».
«Come sarebbe a dire? Non hai un
orologio da polso?».
«Un cosa??».
«Ah, già. Dimentico sempre dove
sono…».
«Mmm… È l’una meno cinque», disse
l’altro, guardando l’orologio da taschino.
«ALLORA CE L’HAI L’OROLOGIO,
BABBEO!».
«Scusate! Mi avete disorientato
un attimo con quel “da polso”!».
«Waaa! Dobbiamo tornare indietro
subito!».
«Perché?».
«Perché l’incantesimo svanirà tra
poco!».
«E allora?».
«Ma mi hai ascoltato prima mentre
ti parlavo, o no??».
«Proprio perché l’ho fatto, trovo
questa vostra fretta del tutto insensata!».
«C-che vuoi dire?».
«Ma insomma… Ormai so tutto no?
Quindi anche se vi vedo dopo l’incantesimo, cosa cambia? Anzi, mi risparmiate
la fatica di cercarvi».
Nami ci pensò su: effettivamente, per come la storia stava procedendo, non
aveva assolutamente senso scappare via; inoltre, se l’avesse fatto, e visto il
senso dell’orientamento di Zoro, sarebbero potuti addirittura passare anni
prima che lui la trovasse.
«Mmm. Per quanto mi costi
ammetterlo, tutto sommato il tuo ragionamento fila… E Franky non ha specificato
nulla al riguardo…».
«E adesso chi sarebbe codesto
Franky?».
«Ah, non farci caso. È la mia
Fata Madrina».
«Franky?».
«Hai ragione! Mi dimenticavo di
Teddy!».
«Teddy??».
«Il suo orsacchiotto…».
«Una Fata Madrina, che si chiama
Franky, e ha al suo seguito un peluche di nome Teddy? Bwahahah!».
«Non ci vedo niente da ridere,
visto che tu sei figlio di una renna!».
«Se permettete, anche la
sessualità di vostra madre mi sembra discutibile! Per non parlare delle
vostre…brrr… sorelle».
«Ehm… Torniamo al discorso di prima,
che è meglio…»
Zoro ghignò, soddisfatto della
sua vittoria – almeno nel sogno è fortunato!.
«Certo. In sostanza… Stanotte
dormite da me…», sancì lui, senza perdere il suo sorrisino.
Nami divenne improvvisamente una statua di marmo. E solo allora, Zoro capì
come la ragazza avesse interpretato la sua frase.
«Sc-sciocca! Cosa andate a
pensare??».
«Oh, andiamo! Perché non dici
apertamente che per un attimo avevi pensato a quella possibilità!»,
s’innervosì la rossa, mostrando il proprio pugno già pronto all’uso.
«Checcosa?? Ma come potete anche
solo – in quello, Nami lo fissò con l’aria di chi la sapeva lunga –… Sì, ad
essere sinceri ci ho pensato, sì»., ammise infine.
«MANIACO PERVERTITO!».
«Non è colpa mia se vi trovo
attraente!».
«Ah, non è colpa tua se mi trovi
attraen-… Cosa?».
Zoro arrossì, spostando lo sguardo altrove.
«Vi trovo attraente, sì. È così
sbagliato considerarvi una donna affascinante?».
Nami inghiottì saliva, cercando di riuscire ad articolare in maniera
sensata qualche parola.
«A… B-beh… Gra-zie…»,
rispose, arrossendo.
«Quindi… Che facciamo?», chiese
Zoro.
«Ecco…».
I due si guardarono negli occhi, senza dire altro. Poi, come attratto da
una calamita, Zoro le si avvicinò; mentre Nami restava immobile, vedendolo ad
ogni passo sempre più vicino. Le sue labbra, sempre più vicine.
Molto vicine.
Troppo vicine.
Decisamente più vicine del
dovuto.
Praticamente, quasi sulle sue…
Praticamente…
– TRRRRRR! –
«OK BASTA!
CIRCOLARE! CIRCOLARE!».
I due si allontanarono all’istante, mentre una luce accecante li abbagliava
e un rumore di elicottero – chissà se sanno cos’è un elicottero - li stordiva.
Nami sgranò gli occhi alla vista della sua Fata Madrina a cavallo di una
scopa di legno, e di Teddy che, munito di caschetto con torcia, faceva roteare
ad alta velocità un elica di plastica – non si sa con che forza.
«Coraggio giovanotto! Allontanati
immediatamente!», esclamò Franky, indicando Zoro, il quale si rivolse a Nami.
«Fammi indovinare… Un orsetto di
peluche, capelli assurdamente azzurri… È la tua Fata Madrina?».
Nami sospirò, annuendo.
«Vogliamo parlare dei tuoi di
capelli, testa d’alga??», lo rimbeccò Franky, indicandolo. (Da lontano si udì
la voce di Sanjitrigna gridare: «NON FREGARMI LE BATTUTE!!!». Ma venne
ignorato).
«Almeno io non giro con un
orsacchiotto indemoniato!».
Franky si voltò immediatamente verso Teddy.
«Tranquillo Teddy! Quel cattivone
non diceva sul serio! No, no, no!».
«STO PER FARE SFILACCI DI FATA
MADRINA CON CONTORNO DI ORSETTO!», disse Zoro, in direzione di Nami.
«PROVACI! TI STO ASPETTANDO!»,
fece Franky, battendosi le mani sul petto.
«FINITELAAA!», strillò Nami,
stufa della situazione.
«Ah-ha!!! Proprio te volevo,
McFly», disse Franky, indicando la ragazza – che lo fissò confusa.
«Dico! Hai visto che ore sono??
Senza contare che stavi per stravolgere il corso degli eventi! Devi prendere la
macchina del tempo, e tornare indietro nel futuro! Precisamente nel 1994!!!».
«Cri! Cri! Cri!».
(Per chi non
avesse capito, è il canto dei grilli, segno che era calato il silenzio).
«Andiamo», sentenziò Zoro,
prendendo per mano Nami, che rispose con un «Sono d’accordo».
«Ehi, voi due! Fermi dove siete!
Cudecù! Cudechis! Cudecà!», disse bloccandoli sul posto con una magia.
Quindi si avvicinò. «Dove pensavate di andare, eh? Visto che mi mancate di
rispetto, allora io-».
«CHE COSA SIGNIFICAAA!?»,
proruppe da lontano una voce.
Tutti si voltarono nella stessa
direzione, accorgendosi di una nuvoletta di fumo che si avvicinava molto
velocemente. Nella polvere, i tre riuscirono a distinguere la sagoma di
Sanjitrigna, correre a velocità inaudita, e subito dietro di lei Usopeffa – con
la corona del Re in testa; a rincorrere Usopeffa, Re Chopper, che a sua volta
veniva rincorso dal Granduca Brookolao; infine, a chiudere la fila, c’era
Rufasia – che si era portata appresso tutto il banchetto impacchettandolo nella
tovaglia, che ora teneva legata al collo.
«PERCHÉ NAMIRENTOLA È MANO NELLA
MANO CON QUEL BROCCOLO!», sbraitò ancora Sanjitrigna.
Dietro di lei, Usopeffa gorgheggiava.
«Ahahah! Ora dovrete eseguire i
miei ordini!», disse.
Chopper, seguiva Usopeffa con occhi sognanti: «Sì, Vostra Maestà!».
«Altezza! Ma che diteee! Siete
voi il Sovrano!!!», si affrettò a correggerlo Brookolao, reggendosi il cappello
con una mano.
«Ma che dite Granduca! Siete
cieco? Non vedete che ha la corona!!!», ribatté Chopper.
«Ma è la vostra! Ve l’ha rubata
prima!».
«Ahahah! Che gioco divertente!
Sììì! Corriamo tutti! Ahahah!», disse Rufasia, addentando un cosciotto di
pollo.
«Ma che diavolo…?». Franky
osservò bene la scena.
Vide Sanjitrigna correre verso di loro.
Verso di loro.
Verso di…
In quel preciso istante, lo sguardo di Franky divenne trasognato; alle sue
orecchie cominciarono a giungere solo rumori ovattati; davanti a lui, un prato
fiorito, scintillante… e lì la vide. Sanjitrigna, con le guance arrossate e gli
occhi lucidi, correre a braccia aperte
verso di lui. «Fraaanky!», poté sentire.
«Amore
miooo ! Vieni da me ! Vieni fra le mie braccia!!!», urlò Franky.
«Frankyyy!…-
VATIIIIIIIII!».
Il “levati” non giunse del tutto chiaro a Franky, che quindi si risvegliò
dal suo sogno ad occhi aperti troppo tardi, per accorgersi del tacco dodici di
Sanjitrigna – che andò a colpirlo inevitabilmente in mezzo agli occhi facendolo volare di qualche metro.
Nami e Zoro osservarono la scena
con gli occhi fuori dalle orbite.
Ma Sanjitrigna sembrò ignorare tutto questo, e andò dritta al punto
fondamentale della questione.
«CHE ACCIDENTI SIGNIFICA
QUESTO??», sbottò a due centimetri dall’orecchio di Zoro, indicando la sua mano
allacciata a quella di Nami (i due poveretti sono ancora fermi per via della
magia e non possono muoversi).
«Piantatela di starnazzare come
un’oca! Ho la testa che mi scoppia!», ringhiò Zoro, nonostante non potesse
ruotare la testa in direzione di Sanjitrigna.
«Spero davvero che succeda… E GUARDATEMI QUANDO VI PARLO!».
«COME FACCIO A GUARDARVI SE SONO
BLOCCATO?!».
Al che, Sanjitrigna si avvicinò a grandi passi a Franky. Lo prese per il
colletto del pigiama e cominciò a scuoterlo, urlando: «FA’ QUALCOSA, ESSERE
INUTILE!!!».
«Sono qui per servirti mia
Regina!», rispose Franky, in balia del fascino seducente della bionda. Seh…
Sanjitrigna lo trascinò sino ai due ragazzi; quindi indicò il “problema”.
«Scioglili!», sancì.
«EH? Wo-wo-wo! Calma, cara! Ok
che questo tizio dai capelli “verde ospedale” non piace nemmeno a me. E… Sì,
Namirentola è una mocciosa viziata… Ma addirittura liquefarli!!!».
«Non hai capito niente,
imbecille!», gridarono in coro Sanjitrigna, Nami e Zoro.
«Parlavo delle mani! Le mani!»,
aggiunse Sanjitrigna.
In quello, il Granduca Brookolao – giunto anche lui sul posto, insieme agli
altri – balzò in piedi.
«Su le mani?? CONGAAA!», urlò,
per poi cominciare un trenino assurdo con Chopper, Usopeffa e Rufasia.
«Realtà o sogno… Sempre da
manicomio sono…», disse Robin, sbucata all’improvviso.
Nami s’illuminò – d’immenso.
«Sorellonaaa! Fai qualcosa, ti
prego!!!», chiese implorante Nami, ormai al limite della sopportazione.
Robin rise della situazione decisamente comica.
«Non preoccuparti. Sistemo tutto
io», la rassicurò poi.
La donna si accostò all’orecchio di Franky, sussurrandogli qualcosa.
Qualcosa che alla Fata Caffeinomane piacque, perché sorrise.
«Sei pronto?», disse Robin a
Franky.
«Certo!», rispose l’altro
allegramente – pregustando già il seguito.
Allora, Robin sfruttò nuovamente il suo potere per prendere Sanjitrigna e
sistemarla sulla scopa di legno di Franky, il quale era già a bordo.
«C-che succede??».
«Ci facciamo un viaggetto,
bambola?», disse Franky, sistemandosi meglio i suoi occhiali neri.
«Bambola??? Non si può
fare! Rimettetemi giù immediatamente!!!».
«Hehehe! Si parteee!», disse
Franky accendendo il motore e partendo a tutta birra.
«Onolulu, arriviamo!!!».
«Onolulu un corno! Lasciami,
finocchio col pigiama! NAMIRENTOLAAA!»
– BLINK!! –
Tutti fissarono il luccichio, ormai distante, nel cielo terso della sera.
«Ce ne siamo
liberati», fece Robin.
«Finalmente!!!», disse Zoro.
«Finalmente??? E adesso chi ci
libera dalla magia, deficiente!!!», lo rimproverò Nami.
«…Ops».
«OPS? È la sola
cosa che sai dire???».
«Che altro
dovrei dire???».
«Ringrazia solo
che non posso muovermi…», disse Nami, digrignando i denti.
«Scusate, ma
dov’è il problema?», domandò candidamente Rufasia, ancora a bocca piena.
«Basta… Ci
rinuncio», fece Nami.
«Mmm… Potrei
tagliarvi nel mezzo con la spada!», propose Brookolao, sfoderandola dal suo
bastone.
«No!», dissero
in coro Nami e Zoro.
«Potrei
prendervi e tirarvi uno da una parte, e una dall’altra», provò Robin.
«No!!!».
«Potrei
prendervi a cornate!», s’illuminò Chopper.
«Potrei legarti
come un salame e gettarti nel fiume!», ribatté questa volta Zoro.
«Come osi
parlare così al tuo vecchio!».
«Ma non dire
idiozie! Tu non sei mio padre!».
«Fermi tutti!
Ho un’idea!», proruppe Usopeffa, con sguardo deciso.
«Cosa?»,
chiesero tutti, curiosi.
«Potrei… Prestarvi
la mia corona!».
«E A CHE
SERVIREBBE!?».
«Scusate! Era
un modo per mettervi a vostro agio!», si offese l’altra.
«Ma…
Scusate…Perché non provate a togliere quel dispositivo là sotto?», continuò
Rufasia, indicando un oggetto a terra.
Tutti gli
sguardi si rivolsero al punto indicato da Rufasia: un post-it con scritto sopra
“FERMI”.
Robin lo prese
e lo accartocciò, e i due ragazzi ripresero a muoversi.
Però regnava il silenzio. Tutti si guardarono fra loro.
«Io, non dico
più niente», disse Zoro.
Il gruppo annuì, e cominciò ad avviarsi, quando…
- DOONG! DOONG! DOONG! -
«Ah! Che ore sono??», chiese Nami.
«L’una e
ventisette. Perché?».
«Perché… Un
momento! Perché l’orologio suona ai ventisette?? Non ha senso!».
Tutti la fissarono con una faccia che pareva dire: «Ti
sembra che finora le cose abbiano avuto un senso?».
«Già… Wah! Ma
che…! Sto scomparendo??», esclamò, quando una luce bianca l’avvolse.
- DOONG! DOONG! DOONG! -
«A quanto pare ti stai svegliando», disse Robin.
«Che?? E tutta
quella storia sul matrimonio??».
Robin alzò le spalle, trattenendo una risata.
«ROOBIIIIIIN!»,
gridò Nami, prima di sparire in una nuvola bianca.
- DOONG! DOONG! DOONG! -
«AH!».
Nami si alzò di soprassalto, sudata e col fiatone.
Si guardò attorno, e si accorse di essere nella sua
stanza. Il sole filtrava dalle leggere tende bianco latte, andando ad
illuminare il letto vuoto e ormai rifatto di Nico Robin.
«Era davvero un
sogno…», disse.
Ma un suono, la fece rabbrividire…
- DOONG! DOONG! DOONG! -
«Ah… AAAAAAAAAARGH!».
«Ahahah! Franky! Il tuo
riproduttore di suoni è una bomba!», esclamò Rufy, entusiasta.
«Hehehe! Certo! Avevi dubbi?
Include tutti i suoni! Persino quello delle campane!».
«Foooorte!», aggiunse Usopp.
«AAAAAAAAAARGH!».
L’urlo di Nami echeggiò in tutta la nave, allarmando i presenti.
«Che succede?? Perché la mia
crostatina ha urlato?!», chiese Sanji.
«Avrà avuto un incubo.
Chissà… magari ti ha sognato…», commentò lo spadaccino.
«Ooooh! Magariii!… No,
aspetta… CHE COSA VORRESTI INSINUARE, CARCIOFO!».
«Forse sta male! Vado a
controllare!», disse Chopper.
«Vedrai che ho ragione io!»,
disse Zoro.
«VUOI TACERE!!!», gli
ringhiò contro Sanji.
«Mhmhmh», ridacchiò Robin,
sorseggiando la sua tazza di tè, che Brook le aveva gentilmente offerto.
«Perché ridi?», le chiesero
Sanji e Zoro.
«Oh, niente. Non fateci
caso. Hehehe».
Capitolo I – The End