Eadem Mutato Resurgo

di Shinji
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uovo - Bruco ***
Capitolo 2: *** Crisalide ***
Capitolo 3: *** Farfalla ***



Capitolo 1
*** Uovo - Bruco ***


Eadem Mutato Resurgo

Eadem Mutato Resurgo.

 

 

 

 

 



{00: Uovo}

Sono uguale a me stesso da secoli.

Io veglio sulla soglia dello scibile umano, nell’ombra senza fine.

Seppur mutato, risorgo.

La paura è parte integrante del mio potere, perché non c’è nascita senza orrore, e non c’è decadimento senza bellezza.

Seppur mutato, risorgo.

Io rinasco come guida silenziosa e come diafano presagio, come salvezza e come castigo. Qualcuno mi invoca, ma i più chiedono pietà.

Seppur mutato, risorgo.

Le mie ali sono squame colorate, scintillanti e velenose. Chi le vede è ammaliato, chi le vede ne ha paura.

Seppur mutato, risorgo.

Le mie squame sono una corazza, che mi protegge nella crescita. A un passo dalla vita, ma sconosciuto alla morte, io giaccio.

Seppur mutato, risorgo.

La mia corazza è nata dal filo sottile del bruco, che scivola silenzioso nella terra incantata. Sono colui che racconta segreti impenetrabili, nell’arco di una rapida vita.

Seppur mutato, risorgo.

 

 

 

 

 

 

{01: Bruco}

 

La mia vita è iniziata in un luogo caldo e umido, circondato da una foresta verde bottiglia.

Il mio primo ricordo cosciente è quello di due volti spaventati, e di un nome.

Meinwald. Presumo fosse il mio, di nome.

I volti spaventati erano dei miei genitori. Gli facevano paura i miei occhi, forse: splendevano troppo.

O forse era il fatto che piegassi i cucchiai, rompessi le sedie e le maniglie senza toccarle.

Non avevo una grande considerazione delle persone che avevo intorno: d’altronde, il meccanismo di vita-morte è qualcosa di troppo complesso perché possa essere compreso da un bambino, anche da uno come me. Rompere e uccidere erano per me cose naturali e indiscernibili, come è naturale che un bambino normale si diverti a smontare i suoi giocattoli.

Terrorizzati, i miei genitori a tre anni mi rinchiusero in cantina, dove non potessi nuocere. Avevano troppa paura per uccidermi a loro volta, e non potevano d’altro canto mostrarmi al mondo.

Mi legarono alla catena, costringendomi all’oscurità. A strisciare, come un bruco.

 

La mia prima esperienza di vita fu il riconoscere le imperfezioni del pavimento e gli scricchiolii del legno. Il suono della musica, dall’altra parte della massiccia porta della cantina, in cima alle scale.

Rumori, odori, colori, tutto mischiato nel grigio. Eppure io li discernevo.

Eppure io comprendevo.

 

Venivo nutrito regolarmente, cosicché ho continuato a vivere, nel buio dove ormai i miei occhi si erano abituati. Distinguevo i colori, ormai: ma tutto continuava a sembrarmi grigio, a discapito dei miei sensi.

Vivevo in una cantina piena di oggetti, a me perlopiù incomprensibili, e di libri e riviste: ho imparato a leggere grazie a loro. E grazie a una strana abilità, che mi permetteva di sentire quello che dicevano quelle persone, anche a distanza; assorbivo le loro conoscenze in maniera istintiva, per me naturale.

 

Scoprii che il luogo dove vivevamo si chiama Australia, e scoprii anche che non era la terra d’origine della mia famiglia: erano emigrati da un paese freddo, circondato da montagne, a migliaia di chilometri di distanza. Il nome era simile: Austria.

La parola “emigrare” mi piacque molto fin da subito, non saprei dire perché.

 

Li sentivo camminare sopra la mia testa; li sentivo far finta di ridere, in presenza di ospiti, e piangere e trattenere il respiro, una volta da soli.

 

Dovevano temermi molto, e non capisco ancora perché: ero solo un bambino incatenato.

Non sentivo la necessità di creargli problemi, così consumavo i miei pasti tranquillamente: i piatti venivano appoggiati in cima alle scale, io li portavo giù con quella strana forza, fatta di mille braccia che mi sgorgavano come dagli occhi, mi nutrivo, e lo riportavo su.

Oltre a quella distanza non arrivavo ancora, d’altronde.

 

Rimasi lì per almeno cinque anni. Forse di più. In attesa.

 

Piano piano, la mia forza cresceva, la sentivo bene. Cresceva, cresceva, cresceva, fino a che non riuscii a rompere le catene. Le vidi accartocciate ai miei piedi nudi, e per un attimo mi mancarono.

Ma fu solo un momento.

 

Mi diressi su per le scale, non senza difficoltà: le mie gambe non erano abituate al moto. La mia forza interiore sì, però, e con quella non mi ci volle molto per aprire la porta. Si accartocciò come carta, e si schiantò contro la parete.

 

Era la prima volta da tanto tempo che vedevo quella che dovrebbe essere considerata la mia casa: la trovai molto aliena. Come ho trovato alieno l’urlo di mio padre, che vedendomi uscire aveva afferrato un attizzatoio, come per difendersi.

 

La cosa mi fece ridere. Glielo annodai intorno al braccio, prima di farlo schiantare contro il muro, come avevo appena fatto con la porta.

Come la porta, si accartocciò, e non si mosse più, colorandosi di rosso. Mi piace, il colore rosso.

Curioso: non riesco a ricordarmi la sua faccia.

 

Poi fu il turno di mia madre; anche lei urlò, arretrando lungo il muro.

Diceva tante cose, ma non me le ricordo bene, adesso. Credo che la parola ricorrente fosse “mostro”.

 

Si fermò un attimo a guardarmi, schiacciata contro l’angolo. Anche di lei non ho molta memoria, ma quello sguardo sì, lo rammento bene: per un secondo mi guardò come se si fosse resa conto che quello che aveva davanti era solo un bambino, un bambino che lei stessa aveva generato.

 

Che pensiero sciocco, pensai, mentre la sua testa rotolava sul pavimento.

 

Mi sentii sollevato, credo.

 

Non avevo più niente da fare in quel posto, non aveva per me senso restare lì.

Così, uscii dalla casa, e mi diressi verso la foresta, che vedevo all’orizzonte: era scura, densa e profumata, lo sentivo anche a distanza.

Mi nascosi lì, pensando che fosse la mia casa.

Non sapevo ancora di sbagliarmi.

 

 

 

 

Nothing stays the same.
Someday,
I hope you will make more lasting connections.

 

 

 

 

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T h e  B u t t e r f l y  E f f e c t:


Ciao a tutti! Sono secoli che non scrivo, chiedo venia, me ne rendo conto.

… nessuno mi parli del Canto. Lo so. LO SO! çOOOOOOOOOOç Sono bloccato. Ma riuscirò a finirlo, lo prometto. Ci riuscirò.

 

Intanto vi propongo questa cosina su Myu di Papillon, uno dei miei Spectre preferiti di sempre; saranno pochi capitoli, mi toglierò dalle scatole alla svelta. Soprattutto, i capitoli sono già tutti scritti, non temete. *C*


Passiamo alle note vere e proprie!

 

Eadem mutato resurgo: il titolo, traducibile con “seppur mutato, risorgo”, o anche “risorgo uguale eppure diverso” è uno specifico riferimento alla Spira mirabilis, la cosiddetta “spirale meravigliosa” teorizzata dal matematico Jakob Bernoulli: in sostanza si tratta della spirale logaritmica, che compare in natura in più forme (la curva della conchiglia del Nautilus, le ragnatele, i bracci dei cicloni tropicali, le galassie a spirale). Vi risparmierò noiose spiegazioni matematiche: ho fatto l’accostamento tra questo motto (“Eadem mutata resurgo” compare sulla tomba di Bernoulli a Basilea) e la spirale con Myu in quanto, come Spectre, risorge sempre uguale a stesso. Inoltre, la spirale è simbolo dei cicli infiniti della natura, oltre che delle reincarnazioni. L’ho trovata molto adatta.

 

La questione della nazionalità di Myu è un mio piccolo divertissement: nella edizione Granata Press, per un errore di traduzione, era segnata l’Austria come Paese d’origine. Nelle successive edizioni hanno corretto con Australia. Ho fatto una piccola fusione così. XD

 

La canzone citata alla fine del capitolo è Monochrome, di Ilaria Graziano. Verrà citata lungo tutta la storia. Aw, la amo.

 

Al prossimo capitolo!

 

Shinji a.k.a. Il Nemico Indomo

 

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Capitolo 2
*** Crisalide ***


Eadem Mutato Resurgo

Eadem Mutato Resurgo.

 

 

{02: Crisalide}

 

Il tempo che è passato da quando me ne sono andato è incalcolabile. Anni, forse.

Il mio tempo sono le stagioni, ne ho viste troppe passare, per tenerne conto: non è importante, d’altronde; la foresta verde bottiglia mi ha avvolto, e non ho più bisogno di nient’altro.

 

Poi, progressivamente, avviene qualcosa. Sento un richiamo, dapprima sordo, poi sempre più distinto: mi sento tirare all’altezza delle viscere, come da una forza senza braccia.

Le mie gambe non hanno più sensibilità. Le mie braccia, il mio corpo, tutto si intorpidisce.

 

È ora.

Non ho più tempo da perdere, ora lo so.

 

Cado per terra, incapace di usare né il mio corpo né la mia mente. Sono tutto istinto.

Striscio fino all’albero più vicino, afferro con le ultime forze un ramo, e tesso la mia tela.

 

Non ho più tempo da perdere, devo solo dormire.

È ora.

 

 

 

Sogno.

È curioso, non ho mai sognato prima, ma sono certo che si tratti di sogni.

Frammenti di immagini irregolari, come schegge di vetro, dietro i miei occhi chiusi.

La crisalide pulsa.

 

Chi è questo?

Questo sono io. Questa è la forma del mio essere.

Fino a che sarò in grado di sognarla, potrò tornare alla mia forma originaria.

 

Che strana impressione: non riesco a vedere neanche un colore; è tutto in bianco e nero.

 La crisalide pulsa.

 

No, adesso un colore c’è: è in fondo a tutti i bianchi, tutti i neri, tutti i grigi: è il colore rosso del sangue.

Il colore della vita che nasce soffrendo.

È a quello che devo anelare?

Io devo anelare alla vita che non versa sangue.

La crisalide pulsa.

 

I sogni si fanno più distinti.

Chi sono? I miei genitori? Le persone che mi hanno dato la vita?

No. Io mi sono dato la vita da solo. Sono rinato in una crisalide di carne e sangue e liquido amniotico, perché così doveva essere.

Ma la mia vita appartiene sono a me.

A me e a quella persona.

Quella persona che compare sempre più spesso, nei miei sogni, dietro al colore rosso.

La crisalide pulsa.

 

 

Muovo le mani: ora posso farlo, il mio corpo mi risponde. La forza, come quella di mille mani che sgorgano dai miei occhi, riemerge. La crisalide pulsa per l’ultima volta, mentre io la spezzo.

 

La luce della luna mi investe, ed è come se non fossi ancora nato, mentre cado in ginocchio.

Sono senza vestiti, ma non ha importanza, non ho più bisogno di un bozzolo.

L’aria è calda: bene, le mie ali si asciugheranno più in fretta. Le sbatto. Sono arancioni e verdi, questa volta.

 

Poi, davanti a me si staglia un’ombra; alzo gli occhi, ed è quella persona.

Le ali nere puntano verso l’alto, dritte come lame. Ha spuntoni, artigli e sporgenze: pare pesante e duro, ma io so che è atto al volo, come me.

 

Seppure sia tutto nero, da lui i colori cominciano di nuovo ad irradiarsi, tutto intorno. Un’altra strana impressione.

Credo di essere felice.

 

Mi sorride: “Hai riposato bene?”

Mi tende la mano.

Non ho bisogno di quella mano: potrei alzarmi con la forza delle mie gambe, o potrei alzarmi senza di essa, con la semplice volontà.

 

Eppure la prendo, e mi sollevo. La mia mano è bianchissima, nella sua così scura.

Vedo il bianco, e il nero. E il blu, e il viola e l’argento e il rosso e il verderame.

 

Sorrido e gli rispondo.

 

“Sì, Generale Aiacos.”

 

 

 

 

Be…
Can you be?
Something more than black, white and gray?

 

Being in monochrome…
Who taught you emotions?
Who taught you emotions?

 

 

 

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T h e  B u t t e r f l y  E f f e c t:


Wah. Che capitolo impegnativo. Spero vi sia piaciuto e che vi abbia messo almeno un po’ di brividini. <3 *si esprime come un bambino di dieci anni*

 

 

Ringrazio infinitamente beat, Meiou Hades, LeFleurDuMal, Kiki May e Ruri per i commenti e il loro supporto. Vi amo! Grazie! çOç <3 <3 <3

Un ringraziamento extra con bacino dalla Pecora Nera of Doom a Kiki May e Ruri per aver aggiunto la fic alle preferite, e a beat e a Meiou Hades per averla aggiunta alle seguite!

Ovviamente ringrazio anche i lettori silenziosi, che so che ci sono. Però, ecco, se diventasse meno silenziosi, vi vorrei ancora più bene! éOè *una bieca richiesta di attenzioni*

 

Per scrupolo ripeto i credits: la canzone citata è Monochrome, di Ilaria Graziano.

 

Al prossimo –e ultimo- capitolo! Si va avanti in ordine cronologico, il prossimo sarà al Santuario! *DAN DAN DAAAAAN*

 

 

Baci dal vostro Nemico Indomo,

 

Shinji

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Capitolo 3
*** Farfalla ***


Eadem Mutato Resurgo

Eadem Mutato Resurgo.

 

 

{03: Farfalla}

 

Il luogo in cui mi trovo è buio e umido, ma non è più la foresta verde bottiglia.

Ha una bellezza strana, che credo mi sollevi.

Tutto è morto: il solo colore è il rosso del sangue.

 

“Qual è il tuo nome, questa volta?”

 

Mi chiede quella persona, girando appena il capo. Mi accorgo che si tratta di quella che viene definita domanda di cortesia: non ha mai dato molta importanza ai nomi.

 

Meinwald”, rispondo.

 

Sbatte gli occhi: forse non so più parlare bene, anche se ne dubito. Glielo dico anche con la mente.

Non sembra capire meglio.

 

“Ah. Beh, da questa parte MeiMaiem- Myu.”

 

La comunicazione verbale è fallace, ma divertente. Decido che Myu mi piace: d’altro canto, è sempre lui a darmi un nome.

 

Mi porta negli alloggi, dove risiedono altre persone spaventate: è curioso non vedere differenza con il mondo esterno.

Incontro anche altre persone, non spaventate questa volta: come quella persona, hanno grandi ali –più grandi delle mie- e potere negli occhi e nelle mani. Ricordo cos’è il rispetto, quindi lo provo.

Sempre nella stessa struttura trovo –ritrovo- la Surplice, ed indossarla è come nascere ancora una volta: io, che dovrei essere abituato, gioisco come non mai.

O almeno, suppongo si tratti di gioia, questa sensazione di ritornare nell’unico vero bozzolo.

 

Mi sento umano, curiosamente.

Non credo mi piaccia.

 

Questa sensazione aumenta quando intorno a me si materializzano loro.

Schegge di vetro davanti agli occhi.

Luci.

Ali.

Le fairy emergono dalla mia forma, e mi rendo conto di essere completo nuovamente.

 

Il Generale sorride. Strana sensazione: sembra che sia lui a leggere in me, anche se so che non lo sa fare.

 

Ma non mi resta molto tempo da perdere in considerazioni: tutto sta per ricominciare.

 

Per Lui, che sta sopra ogni vita e ogni sogno.

Lui che nella manica destra ha tutti i bruchi e nella sinistra tutte le farfalle.

Lui, che schiuderà ogni crisalide e riporterà tutto alla sua forma originaria, come me.

 

Le Porte tremano, mentre l’esercito parte all’attacco.

Non è il mio, quindi resto in attesa.

Apro la mente e cerco, curioso di sentire questi nuovi nemici, che a me sembrano sempre tutti uguali.

 

No.

Non lo sono.

Qualcuno mi ha toccato.

Ho sentito dita senza mani, dietro gli occhi: mi hanno visto e mi hanno toccato.

C’è qualcun altro che può farlo, allora? Lo trovo offensivo.

Vado in profondità, mi espando e trovo il nome che cerco.

Mu di Aries.

Devo incontrarlo.

 

Colgo l’occasione: appena percepisco nell’aria che un altro Generale vuole convocarmi, chiedo il permesso al mio, per anticiparlo.

Me lo dà, serio in volto.

“Myu di Papillon.”

“Sì?”

“Ricordati di tornare.”

“Sì.”

Che sciocchezza: non c’è possibilità che io non ritorni, in ogni caso possibile.

 

Mentre emergo nel mondo di fuori, la mia forma cambia.

Voglio mostrare a Mu di Aries il mistero che ha osato toccare: mi chiedo se lo capirà.

O se riuscirà a sopravvivere abbastanza a lungo; tanto, di sicuro non sarà in grado di imitarlo.

 

Non mi curo delle altre persone: tutte spaventate, chi più o chi meno, uomini di ombra o uomini d’oro. Mi interessa solo lui.

 

“Sei il famoso Mu dell'Ariete… sono rimasto qui per combattere contro di te. Ti ho liberato proprio perché volevo combattere contro di te in condizioni di parità.

 

Mi guarda e nei suoi occhi vedo orrore.

Sorrido senza bocca –non ne ho, come non ho braccia o gambe o mani-: alla fine è solo un’altra persona spaventata. Ma so anche che non basta: devo tornare alla mia forma originale, per poterlo affrontare a pieno titolo.

Gli mostro il segreto della trasformazione e resta attonito. Umano. Sciocco.

 

Poi qualcosa cambia. Le sue mani invisibili sono forti, forti quanto le mie. Mi afferrano e mi scagliano via, con violenza.

Sento qualcosa di mai provato prima, e mi accorgo che si tratta di dolore.

 

Dolore. Dolore. Dolore.

Rosso sangue.

Come ha osato?

 

Sono arrabbiato e lo so con certezza: lui non sa, non capisce, ma osa fare. Su di me.

Alzo lo sguardo, intrappolato nella rete di cristallo che ha osato tessere

(non filo del bruco ma tela del ragno, orribile e insensata)

E non vedo più paura nei suoi occhi.

Mi sento umano e non capisco.

 

Mi sfida, e mi irride: pensa che io possa avere paura della morte.

Povero sciocco, ignorante e cieco: non c’è niente che mi incuti meno timore della morte, perché la morte per me non è che un battito di palpebre più lungo degli altri.

Però, allo stesso tempo, il mio corpo è di carne: glielo spiego, perché è importante che capisca. È importante che sappia cosa mi spinge a servire Lui, il Sire di ciò che si nasconde alla fine di ogni metamorfosi.

 

Ma lui rifugge tutto questo, non comprende. Chiude gli occhi e si rifiuta di capire.

Sono così furioso.

 

Ancora, non vedo paura nei suoi occhi.

Mi sento umano e non capisco.

 

 

Aries apre le mani e le stelle si infrangono su di me.

Vedo il bianco, e il nero. E il blu, e il viola e l’argento e il rosso e il verderame.

Poi solo il bianco, il nero e il grigio.

Poi solo il nero.

 

La crisalide pulsa.

La crisalide pulsa.

 

Non pulsa più.

 

 

Haven't been the same lately.
Wonder could it be a lack of devotion?

Feel…
Can you feel?
Might be why colours disappear?


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T h e  B u t t e r f l y  E f f e c t:

AIACOS SEI TROPPO CARINO. *Squeela*

 

Ah-ehm. *Si ricompone*

E con questa è fatta. Ah, che soddisfazione! Spero vi sia piaciuta questa mia piccola fatica. ç_ç

Chiedo scusa per il ritardo, ma questo periodo è terribile, tra esami e compagnia bella.

Non credo ci sia molto da aggiungere o da spiegare, lascio tutto a voi, come è giusto che sia.

 

Due piccole note:

 

La canzone citata è Monochrome, di Ilaria Graziano, again.

 

“Sei il famoso Mu dell'Ariete… sono rimasto qui per combattere contro di te. Ti ho liberato proprio perché volevo combattere contro di te in condizioni di parità.”: questa frase è una citazione diretta dal manga, edizione italiana Granata Press.

 

 

Rubo ancora un po’ di tempo per ringraziare i miei adorabili commentatori: beat, LeFleurDuMal, Rucci, Kiki May, Meiou Hades e Ruri.

 

Bacino dalla Pecora Nera of Doom a xEsterx per avere aggiunto anche lei la storia alle preferite, e a Rucci e a Meiou Hades per averla aggiunta alle preferite! Vi amo, vi adoro, vi venero. *heart*

 

Basta, ora me ne vado davvero. Vi ringrazio di cuore. Alla prossima fic!

Baci dal vostro Nemico Indomo,

 

Shinji

 

 

 

 

 

 

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