Haunted

di AnUnderdog
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo capitolo. ***
Capitolo 3: *** Secondo capitolo. ***
Capitolo 4: *** 4. Terzo capitolo ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo. ***
Capitolo 6: *** 6. Quinto capitolo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Haunted
 

 


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Camminando velocemente per raggiungere la casetta isolata nella campagna vidi un manifesto appeso sulla vetrina di un negozio d’abbigliamento.

Diceva “Taylor Alison Swift: Ricercata. Ricompensa di 5.000 dollari”.
Al di sotto della scritta c’era un mio ritratto perfetto, quasi come se fosse uno specchio per me.
Irritata alzai il cappuccio sui miei lunghi capelli biondi, mi guardai furtivamente intorno, e strappai il manifesto.
Quando scattò la luce verde del semaforo m’incamminai nuovamente verso quella che per un po’  di tempo sarebbe stata la mia casa: quando gli agenti di polizia si avvicinavano pericolosamente al luogo  dove mi nascondevo, fuggivo grazie al prezioso contributo di un infiltrato.
Questo mese mi era toccato affittare una topaia in mezzo alla campagna in Ohio, ma alla fine la cosa non mi dispiaceva più di tanto.
Il mese precedente mi ero spacciata per Mrs. Avantgarde, una ricca signora snob che un  tempo era stata un’amica di  famiglia, ed avevo risieduto in un hotel a cinque stelle, ma ero continuamente sotto stress. Dovevo indossare parrucche, truccarmi in modo esagerato e vestirmi con abiti sempre diversi e assolutamente non nel mio stile per non essere riconosciuta.
Qua, invece, non dovevo preoccuparmi eccessivamente di essere scoperta: andavo raramente in città, solo per comprare lo stretto indispensabile. Nessuno mi riconosceva, anche perché lì la popolazione, prevalentemente costituita da anziani, rifiutava totalmente l’uso della televisione, o come la definivano loro, “l’aggeggio infernale”.
In tutta la cittadina c’erano al massimo tre cartelli che mi ritraevano, ed io li avevo strappati tutti.
 
Ogni tanto, quando pensavo a quello che  la polizia mi stava facendo, avevo delle fitte di rabbia, di odio.
Avrei voluto vederli. Avrei voluto vedere come avrebbero reagito tutti  quelli che mi davano la caccia al mio posto…
 
Non ero mai stata una ragazza violenta, non avevo mai dato problemi.
Ero una semplice ragazza come tante: amavo la musica pop, leggere, e suonare la chitarra. Insomma, tutte cose normali.
Ma poi arrivò quel giorno…
A diciannove anni impugnai una pistola per la prima volta, e da allora mi diedi alla fuga, consapevole che se avessi raccontato la verità alla polizia, sarei andata a finire in carcere…
Perché era fatta così la “giustizia” dello Stato: si occupava solo delle cose minori come i piccoli furti, o dei “casi eclatanti” come li  definivano i giornalisti, avidi di  notizie all’interno delle quali ci sia almeno un po’ di sangue sparso da vittime.
Quando invece si trattava di omicidi, o cose del genere, allora erano sempre  gli innocenti ad andarci di mezzo.
 
Sapevo  di aver ucciso molta gente, ma sapevo anche precisamente perché lo avevo fatto.
Non avevo  intenzione di andare in prigione.
Almeno non prima di aver raggiunto  il mio obiettivo. 



Note dell'autrice:

Salve, eccomi qui con un'altra Long che, come mi sembra ovvio, è stata ispirata dalla canzone "Haunted"!
Questa volta la protagonista è la nostra Taylor, un'assassina. Lei uccide, ma lo fa per un motivo ben preciso... che scoprirete nei prossimi capitoli. :D
In seguito ci saranno scene più movimentate, ma abbiate pazienza: questo è solamente il prologo!
La trama mano a mano si farà sempre più interessante, credetemi.
Per adesso posso solo dirvi di  credere in questa storia, e... dirmi cosa ne pensate.
Sono molto curiosa di  scoprire i vostri commenti...
Un bacione


AnUnderdog

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Capitolo 2
*** Primo capitolo. ***


Haunted




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2.
 
Un rumore mi destò dal sonno in cui ero caduta mentre mi  ero stesa sul divano.
Mi guardai intorno per identificare la fonte del rumore… Era il mio cellulare.
Guardai l’ora. Chi diavolo poteva avermi scritto alle due di notte?!?!
Aprii il messaggio.
 
<< Stanno venendo. Scappa.  >>
Mi ci volle qualche secondo per realizzare quello che stava accadendo.
Merda! La polizia era stata veloce questa volta!
Raccattai tutta la mia roba e la gettai frettolosamente nella mia sacca da viaggio, mi assicurai che la casa fosse a posto e che non vi avessi lasciato alcuna traccia, ma lasciai appositamente una sciarpa sul letto: volevo prendermi  gioco di quei poliziotti, volevo umiliarli dimostrando loro che ero stata lì, ma che ancora una volta gli ero sfuggita, perché ero troppo scaltra per loro.
 
Chiusi la porta della casetta e lasciai la chiave sotto il tappetino davanti all’entrata. Neanche per degli imbecilli come quei poliziotti sarebbe stato difficile trovarla.
Passai davanti alla macchina e la guardai di  sfuggita.
Non potevo di certo fuggire a bordo di quella Ford Anglia! Non perché fosse un pezzo da museo, ma perché sicuramente la polizia aveva messo numerosi posti  di blocco alle uscite della cittadina, ed io non potevo certo rischiare di essere beccata in tale modo!
Ma non avevo altra scelta.
Tirai fuori dalla tasca esterna della giacca il mio portafogli e da lì estrassi il mazzo di patenti false che il mio amico della polizia mi aveva preocurato.
Da lì scelsi la più adatta alla situazione: una vecchia signora smunta con pochi capelli in testa. Avrebbero  senz’altro  fatto passare un’adorabile vecchietta.
Estrassi dalla borsa la parrucca con i  capelli grigi  che si addiceva all’occasione, me l’applicai frettolosamente in testa e sopra vi misi uno scialle colorato. Ultimo tocco: degli occhialoni giganteschi che coprivano metà della faccia.
Saltai su quella vecchia e fedele macchina che mi aveva scarrozzata per tre quarti del continente, ed ingranai la quinta.
Ben presto arrivai al posto di blocco, dove un agente grasso con l’aria annoiata insieme ad un assistente mingherlino mi fecero segno di accostare la macchina.
“Prego, fornisca la patente” disse quello grasso, che aveva un distintivo appuntato sulla camicia sgualcita che diceva “Agente Vernon Keelan”.
“Certo signor Keelan” dissi imitando la voce tremolante di un’anziana signora.
Gli porsi la patente, lui la osservò attentamente, e poi passò ad osservare me.
“Potrebbe togliersi gli occhiali?” chiese con fare sospettoso l’agente.
“Oh caro ragazzo, mi dispiace, ma ho appena subito un intervento di cataratta all’occhio sinistro, e queste luci abbaglianti dei lampioni mi accecherebbero senz’altro. C’è qualche problema?” dissi col tono da innocente vecchietta più convincente che riuscissi ad imitare.
“No signora. Ma mi dica: perché alla  sua età esce dalla città a quest’ora di notte? Potrebbe essere pericoloso andare in giro per lei…”
“Vede caro, sto andando a trovare mio marito all’ospedale della qui vicina cittadina di Lima. E’ li che è stato ricoverato. Sa, nell’ospedale di  questa piccola città non hanno i macchinari approprati per curare il diabete, e lui ha avuto un improvviso calo di zuccheri, e mio nipote l’ha portato lì ieri. Potrebbe essergli stato fatale, ma invece è ancora vivo, devo  andare a trovarlo…”
“Capisco signora, ma noi abbiamo avuto dei chiari ordini dal dipartimento: non  possiamo far uscire nessuno.”
“E perché, di grazia?” dissi con tono sorpreso.
“Vede, si aggira un serial killer da queste parti e…”
“Le sembro forse un serial killer?”
“No signora, niente affatto, ma…”
“E allora mi lasci uscire caro Vernon, è una questione di massima urgenza!” dissi.
Il poliziotto, visibilmente in difficoltà, si girò verso il mingherlino, che però scosse la testa in segno di negazione.
Ok, adesso bisognava iniziare con le solite minacce da vecchietta incallita: “Vi denuncerò, vi farò mandare in carcere! Anzi, no, peggio! Andrò dal parroco e gli chiederò di non assolvervi mai più dalle vostre colpe! Andrete a finire dritti all’inferno, marcirete lì, e  rimpiangerete quando avete negato il passaggio ad una povera vecchia…”
“Signora, si calmi!” disse agitato il grassone.
“Senta, se suo marito non  è in pericolo di vita, dove la vede tutta questa urgenza di andare alle tre di notte a trovarlo? Scommetto che gli orari di visita sono anche finiti…” cominciò a dire il poliziotto magro, ma non lo lasciai finire.
Era ora di gettare all’aria qualsiasi forma di prudenza, e di passare alle maniere forti.
Da sotto il pastrano in cui mi ero avvolta estrassi la mia pistola e la puntai contro di loro, che erano palesemente sorpresi di vedere una vecchietta estrarre di punto in bianco un’arma da sotto  la giacca.
“Se non mi lasciate passare, giuro che raggiungerete mio marito  molto prima di quanto pensiate” dissi con la voce da anziana malefica.
“S..signora…”
I due non davano segni di cedimento, seppure spaventati, ma indietreggiarono lentamente.
Quel momento di esitazione mi  bastò: spinsi l’acceleratore al massimo, ruppi la sbarra del casello e mi diedi alla fuga.
Mi  affacciai fuori dal finestrino: i due mi stavano osservando con stupore.
Mi misi a ridere e gridai loro: “Au revoire!” mentre mi tolsi lo scialle e la parrucca facendo vedere i miei lunghi capelli biondi.
I babbei avrebbero certamente chiamato i rinforzi, ma quelli sarebbero stati talmente lenti ad arrivare che avrei perfino fatto in tempo ad arrivare in North Carolina.
Mi rilassai ed accesi la radio.
 
I'm in the middle of nothing
and it's where I want to be
I'm at the bottom of everything
and I finally start to live

this is the story of my life
these are the lies I have created
I created

 
Appena sentii quella canzone, una lacrima salì ai miei occhi, ed un  ricordo affiorò alla  mia mente.
Proprio il ricordo che per tutto quel tempo avevo cercato di seppellire nei meandri del mio animo, ma che costantemente tornava ogni notte a turbare i miei sogni.
 
Io e mia madre eravamo in salotto. Alla radio c’era quella canzone, ed io alzai il volume perché era una delle mie preferite.
Lei  si alzò improvvisamente dal  divano ed  iniziò a ballare in modo bizzarro davanti ai miei  occhi.
Io cercavo di cantare, ma non  ci riuscivo: il modo in cui ballava mi faceva ridere troppo.
Entrambe ridevamo come matte, quando all’improvviso si sentì un rumore forte.
Abbassai il volume, ma non  spensi la radio.
“Amore, sei tu?” gridò la mamma, un po’ preoccupata.
Nessuno rispose.
“Papà?” urlai.
Nulla.
“Veniva dal vialetto” dissi e mi incamminai verso la finestra del salone ch sie affacciava proprio sul vialetto che portava al garage.
Guardai fuori dal vetro e rimasi impietrita.
“Cosa succede?” chiese mamma, che stava arrivando. Non riuscivo ad emettere alcun suono. La mia bocca era impastata. La mia gola si rifiutava di parlare, le mie corde vocali erano come state recise.
Mamma si affacciò e…quell’ urlo di disperazione risuona ancora nelle mie orecchie.
Aveva visto, come me, il corpo di mio padre steso a terra agonizzante. Le gambe perdevano sangue a fiotti.
Ma io avevo visto anche un’altra cosa: una macchina fuggire a tutta velocità.
La canzone finì ed io e mia madre ci precipitammo di sotto ad aiutare mio padre ed a chiamare l’ambulanza.
Mio padre era stato gambizzato.
Avevo appena diciassette anni.
 
Asciugai le lacrime dal mio viso e spensi la radio.
Dopo un po’ afferrai il  cellulare e cercai sulla rubrica “X”.
Premetti il tasto verde ed ascoltai il  cellulare squillare.
“Pronto?”
“Ciao. Sono io.” Non potevamo né dire i nostri nomi durante le conversazioni via telefono, né memorizzarli su di  esso.
“Oh, come è andata?”
“Tutto bene, sono riuscita a scappare. Di nuovo. Grazie per il messaggio” Un sorriso  stiracchiato comparve sul mio volto.
“Benissimo! Allora, volevi sapere la tua prossima destinazione?”
In verità non mi ero neanche accorta di stare guidando senza una meta precisa, e l’avevo chiamato automaticamente, senza pensarci.
“Oh… Sì…” dissi.
“Ok, la prossima città si  trova in uno Stato occidentale prevalentemente agricolo, che fu una colonia inglese. La parola chiave è ‘State of Franklin’. La città si affaccia sull’Oceano. Il rebus questa volta è: primo: il nome di un famoso Smith; secondo: dinastia che governò la Cina dal 1368 al 1644; terzo:‘tuo’ in francese. Buona fortuna!” disse sghignazzando.
Oh no! Odiavo questa parte! In caso fossimo intercettati, lui ogni volta che mi spostavo  mi dava le coordinate del posto in cui dovevo andare tramite degli indovinelli. Era la parte che odiavo di più.
“No, dai, dammi una mano! Di Stati occidentali agricoli ce ne sono a miliardi! Per una volta potresti anche aiutarmi!” dissi esasperata. Secondo me si divertiva con questi indovinelli.
Lui rise: “Sai che è la prassi, T. Adesso devo andare!”
“Aspetta!!” urlai. Aveva attaccato. Sbuffai. Anche questa volta me la sarei dovuta cavare da sola… 



Note dell'autrice:
Allora, cosa ne pensate di questo capitolo?
Io ne sono abbastanza soddisfatta: iniziamo ad entrare un pò di più nel vivo dell'azione e scopriamo qualcosina di più su Taylor...
Scusate se vi ho fatto aspettare così tanto per il primo capitolo, ma meglio tardi che mai, no? u.u
Grazie per tutte le recensioni che ho ricevuto! **
Spero che questo capitolo ne abbia altrettante!
Ah, la canzone che Taylor sente alla radio è "The story" dei 30 second to Mars.
Un bacio
AnUnderdog

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Capitolo 3
*** Secondo capitolo. ***


3.



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Fermai la macchina al più vicino autogrill e spensi il motore.

Ancora una volta formulai silenziose maledizioni dirette a quel bastardo che si divertiva a farmi penare con i suoi stupidi rebus. Che senso aveva? Entrambi i nostri cellulari avevano il segnale criptato, non c’era bisogno di prendere tutte quelle precauzioni! Ma era inutile discutere con lui…

Con un sospiro scesi dalla macchina, la chiusi e riposi le chiavi in borsa.

Entrando nell’edificio mi fermai al tavolino del bar, estrassi il mio portatile di ultima generazione dalla sacca, e mi misi al lavoro …

Allora, cosa mi aveva detto a proposito dello stato? Che era prevalentemente agricolo, e che era occidentale … Mmmmh, non ero mai stata brava in geografia, e quelle informazioni non mi aiutavano affatto…

Meglio provare prima con la città.

Primo: un famoso Smith. Beh, questo era piuttosto facile. Smith, era il cognome del famoso attore Will.

Secondo: dinastia che governò in Cina dal 1368 al 1644. Dunque, la dinastia cinese … Oddio, come si chiamava? … Ma chi diavolo se lo ricordava?

Accesi il mio portatile, e su Google scrissi “dinastia cinese 1368-1644”. Ming. Giusto, la dinastia Ming, la più duratura dinastia imperiale che si instaurò in Cina.

Terzo: “tuo” in francese. Questo era semplice: ton.

Perciò: Will…ming…ton. Wilmington.

Inserii sempre sul mio fidato Google “Wilmington city”, ma le uniche informazioni che vennero furono che era una località marittima, eccellente per passare una vacanza in serenità. Peccato che io non fossi né in vacanza, né serena…

“Salve, desidera che le porti qualcosa al tavolo signorina?” chiese una voce cortese. Era un simpatico anziano cameriere che aveva un sorriso aperto e gentile.

Gli sorrisi di rimando: “No, grazie. Però saprebbe dirmi dove si trova la località di Wilmington?” chiesi speranzosa.

“Ma certo, si trova in North Carolina! Mia moglie è originaria di una cittadina vicina…”

Cavoli, quando dicevo che avrei fatto in tempo a seminare la polizia anche se avessi dovuto guidare fino al North Carolina, non dicevo sul serio!

Evidentemente quel vecchio signore si era accorto del mio turbamento, perché disse: “C’è qualcosa che non va, cara?”

“No, no, è solo che non so proprio come fare. Devo arrivare a Wilmington nel minor tempo possibile, ma è troppo lontano, e sono quasi sicura che la mia macchina non ce la farà…” dissi angustiata.

“Oh, non ti preoccupare di questo! Posso chiedere a mio nipote di portarti fino a lì! Sono sicuro che vedendo una donna affascinante come te non rifiuterà!” disse e mi fece l’occhiolino mentre entrava nelle cucine.

Chiamò ad alta voce un certo Eric. Dalla stanza uscì fuori un bel ragazzo, più o meno della mia età, alto, con i capelli scuri, e degli occhi neri bellissimi.

Il vecchio cominciò a spiegargli la situazione, e ad un certo punto lo vidi indicarmi al giovane. Io sorrisi nervosa mentre aspettavo il verdetto. Non avevo tempo da perdere, altrimenti la mia preda mi sarebbe sfuggita, ed io l’avrei dovuta rincorrere nuovamente per tutti gli Stati Uniti.

Eric mi si avvicinò con un sorriso smagliante stampato in faccia, si pulì la mano sporca di cucinato sul grembiule immacolato che indossava, e me la porse.

“Piacere, Eric Anderson. Mio nonno mi ha spiegato la situazione, signorina, sarei felice di aiutarla”

“Il piacere è tutto mio signor Anderson, la ringrazio infinitamente. Io mi chiamo Juliet. Juliet Johnson.” Non potevo di certo svelare la mia vera identità al primo sconosciuto che passava, per quanto gentile e affascinante fosse.

“Voi due smettetela di darvi del lei! Siete giovani, datevi del tu, prendete confidenza!” disse l’anziano avvicinandosi. Risi: il vecchio sembrava deciso a preparare il nostro matrimonio.

“Grazie signore, davvero” dissi riconoscente.

“Di nulla, cara. Se ti servisse qualcosa ricordati di nonno John Bell”

Lo salutai con una stretta di mano calorosa mentre il nipote si andava a cambiare. Quando Eric tornò, borbottò al nonno qualcosa come “Devo parlarti” e lo tirò in disparte.

Il suo sguardo non mi piaceva affatto, perciò mi avvicinai il più possibile ai due senza farmi notare.

Sentii uno stralcio di conversazione: “…ma come? Stai sempre a vedere la tv la sera e non la riconosci! La sua somiglianza con quella ricercata, Taylor Swift, mi sembra troppo evidente per essere casuale! Dobbiamo avvertire i carabinieri…” Stavo per fuggire a gambe levate, quando sentii John rispondergli: “Ma cosa dici, sembra così gentile e carina! Non è possibile! E poi sai che ti dico? E’ bella e giovane, fossi in te ci proverei anche se fosse una criminale…” disse scherzosamente. Provai un moto di gratitudine per il vecchio, e lo ringraziai mentalmente. Il giovane sbuffò, ma sembrò cedere. Dovevo comunque stare attenta.

Entrambi mi si avvicinarono, ed Eric disse: “Allora, Juliet, avviamoci. Il viaggio non è poi così corto, e noi, se ho capito bene, dobbiamo sbrigarci.” Annuii e mi incamminai verso l’uscita.

Di fuori mi lasciai guidare da lui verso la sua macchina, la mia l’avrei lasciata lì. Mi dispiaceva, ma non sapevo davvero in che altro modo fare.

La sua macchina era una Volvo grigia. Mi aprì lo sportello, ed io entrai portando con me la mia sacca.

“Vuoi che la metta nel portabagagli?” chiese lui.

Mi aggrappai alla borsa e dissi: “No, grazie. Sto bene così” Non mi separavo mai da quella sacca da viaggio, dentro c’erano cose troppo importanti.

Lui alzò le spalle, chiuse la portiera, fece il giro della macchina ed entrò dalla parte del guidatore.

Dopo aver messo in moto, restammo in silenzio per qualche minuto.

“Allora… Cosa fai nella vita?” chiese lui dopo un po’.

“Sto studiando per diventare un’estetista, ma lavoro part time in un negozio d’animali…” dissi prontamente. Quella era la risposta standard alla domanda.

“Bello… E perché stai andando a Wilmington, se posso saperlo?” chiese facendo trapelare un po’ di curiosità dal suo tono di voce.

“Beh, lì si è trasferita una mia amica d’infanzia, e volevo farle una sorpresa andando a trovarla, ma non sapevo quale fosse lo stato in cui si trovasse la città… Non che lei non me l’abbia detto, ma la mia memoria fa cilecca ogni tanto…” Che balla penosa … Comunque, con mio grande sollievo, lui sembrò crederci.

Adesso era il mio turno. “E tu? Lavori in cucina per tuo nonno tutto l’anno?” chiesi, sinceramente curiosa.

“No, no. Aiuto mio nonno solo occasionalmente. Ho un lavoro stabile nella polizia.”

Sono sicura che se avessi mangiato qualcosa, l’avrei vomitata sicuramente. Sbiancai improvvisamente, e mi venne il sudore freddo. Merda. Merda, merda, merda. Avevo accanto un poliziotto che sospettava di me. L’unica cosa che potevo fare era tenere duro. Quel passaggio mi serviva.

“Che bel lavoro! E dimmi…. Succede mai qualcosa di interessante?” chiesi mascherando il mio tono di voce.

“No, è un lavoro estremamente noioso. Io mi occupo principalmente di multe e cose del genere. Sai, nella città in cui vivo non accade quasi mai di trovarsi faccia a faccia con un assassino, o che so io.”

Notai che scrutava attentamente la mia reazione, ma nonostante il mio cuore battesse a mille, rimasi impassibile.

“Capisco…” dissi. Era meglio chiudere là quel discorso: era un campo minato. “Posso accendere?” dissi indicando la radio. Lui fece un cenno d’assenso, ed io cominciai a premere i bottoni. Alla fine trovai una canzone che mi piaceva, la lasciai, ed incominciai a canticchiare:

If I could, then I would
I'll go wherever you will go
Way up high or down low
I'll go wherever you will go

“Wow… Sei brava!” disse lui in tono sorpreso.

Io sorrisi e dissi: “Grazie! Dai canta anche tu, sono curiosa di sentire come canti!”

“Non ti conviene, sai. Ho spaccato molti timpani in passato, e non dubito del fatto che io abbia ancora questa capacità .”

“Dai, ti prometto che non ti prenderò in giro se fai schifo!” dissi ridendo.

Lui con un sospiro cedette e cominciò a cantare:

And maybe, I'll find out
The way to make it back someday
To watch you, to guide you
Through the darkest of your days

Non era affatto male a cantare. Anzi, non era affatto male in generale… Ma cosa andavo a pensare? Lui era un poliziotto! Me la sarei dovuta squagliare appena si fosse presentata l’occasione…

E l’occasione si presentò quando ci fermammo in un angusto motel sul ciglio dell’autostrada perché entrambi eravamo troppo stanchi per continuare. Ormai il clima si era scongelato, ed entrami ridevamo e scherzavamo di gusto. Mi trovavo benissimo con lui.

Ci eravamo dovuti sistemare in una camera matrimoniale perché era l’unica rimasta. Appena arrivati in stanza separammo i due letti uniti, poi andai in bagno. Mi guardai allo specchio e mi vidi raggiante.

Oh no, conoscevo quell’espressione. Quella stupida espressione di quando mi innamoravo di qualcuno. Non potevo innamorarmi di lui, cazzo! Era un POLIZIOTTO, ed io una criminale! E poi, lo conoscevo solo da poche, pochissime ore. Era impossibile innamorarsi di qualcuno che si conosce a malapena!!!

Avevo un vero e proprio radar per gli amori pericolosi ed impossibili… Mi sciacquai il viso con dell’acqua gelida, mi infilai il pigiama ed uscii.

“Vai, il bagno è tutto tuo” dissi guardandomi i piedi.

Quando alzai lo sguardo vidi che era in piedi davanti a me in boxer e lo riabbassai subito. Cazzo, era tremendamente sexy, e se non volevo che la faccenda andasse a finire male, mi sarei dovuta dileguare.

Lui mi sorrise, entrò in bagno e chiuse la porta. Quello era il momento giusto! Dovevo scappare.

E allora perché le mie gambe non eseguivano quello che il cervello ordinava loro di fare? Forse perché avevano voglia di stringersi alle gambe affusolate di colui che era chiuso in bagno…

Ma che erano quei pensieri? Avevo decisamente bisogno di sbollire. Cercai un telefono da dove chiedere alla reception se non erano proprio disponibili altre stanze, ma non lo trovai, perciò mi stesi sul letto e mi nascosi sotto le coperte. Forse se non l’avessi visto la situazione sarebbe migliorata…

Eric uscì dal bagno, mi vide sotto le coperte, e chiese in un sussuro: “Ehm.. Juliet, stai dormendo?”

Mi scoprii la testa e dissi: “No”, ma quando riemersi dal buio delle coperte per poco non mi prese un infarto, e scattai già dal letto: Eric aveva in mano una pistola.

“Non ti preoccupare,è solo la pistola di servizio! Non voglio mica spararti!” mi disse sorridente.

Cavolo. Era sexy anche quando aveva in mano un’arma potenzialmente mortale. Comunque tirai un sospiro di sollievo e mi rassicurai un pochino.

“Allora buonanotte” dissi.

“Buonanotte, Juliet”.

Gli voltai le spalle, e cercai di non pensare al fatto che quel ragazzo terribilmente sexy avrebbe potuto uccidermi da un momento all’altro.


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Eeeeeeeeeeeeeeeeed eccoci  qua con il terzo capitolo di "Haunted"!
La nostra cara Taylor ha a che fare con un ragazzo che sembra attrarla molto, ma che potrebbe essere pericoloso per lei...
Cosa potrà succedere?!?!?
Per saperlo non vi  resta altro che aspettare il prossimo capitolo! Ehhh già, io non mi sbottono più di tanto, ormai dovreste saperlo XD
Però mi piacerebbe molto sapere le vostre opinioni, sono curiosa!
Perciò finisco ringraziando chi ha recensito fino ad ora, a quelli che l'hanno messa tra le preferiti o tra le seguite!!!! *-*
Grazie infinite! Arigatò!!!! :D
Ah, la  canzone che Tay  canticchia in auto con Eric è "Wherever you will go" by The Calling.
Adesso vi saluto, bye bye!
Al prossimo capitolo!

AnUnderdog

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Capitolo 4
*** 4. Terzo capitolo ***


Capitolo 4



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Stavo correndo lungo un molo affollato con il respiro affannato ed i fianchi che mi duolevano da morire, ma non potevo fermarmi. Se mi fossi fermata sarei morta, e se fossi morta avrei potuto dire addio all’unico obiettivo della mia vita: uccidere quel bastardo.
Eccola lì in lontananza, la barca sulla quale dovevo salire. Se ci fossi riuscita sarei stata salva!
Cominciai a correre ancor più velocemente, per quanto le mie gambe lo permettessero. La gente attorno a me mi urlava insulti e rimproveri, ma non avevo di certo il tempo necessario per fermarmi a chiedere scusa!
Poi un colpo di pistola. Caddi a terra. Sapevo che non avrei più potuto risvegliarmi, sapevo che il mio piano era sfumato…

 
Improvvisamente mi destai. Ci misi qualche secondo a capire che era tutto un sogno, ma anche dopo averlo compreso non riuscii a rasserenarmi. C’era qualcosa che mi turbava, come se avvertissi qualcosa di strano attorno a me.
Sentii degli strani rumori dietro di me. Mi voltai lentamente.
Eric stava ancora dormendo tranquillamente nel suo letto.
Tirai un sospiro di sollievo: quel dannato sogno mi aveva condizionata…
Controllai il cellulare, come facevo ogni mattina. Nuovo messaggio da X.
Osservai lo schermo inespressiva. Il messaggio era breve e semplice, ma ebbe il potere di mozzarmi il fiato comunque.
“Uccidi il ragazzo prima che sia troppo tardi. Fidati…”
No… Perché? Eric non aveva fatto nulla di male! Certo, aveva una pistola, ma la portava solo perché era un poliziotto, no? Avevo ucciso parecchie volte prima, ma solo persone che lo meritavano, mai degli innocenti. E poi cosa diavolo voleva X? Era stato lui a starmi accanto durante il mio periodo più difficile, e lui era l’unico a conoscenza del mio piano e che ne facesse parte attivamente. Anzi, era stato proprio lui ad elaborarlo insieme a me. Ma questo non gli dava certo il diritto di controllare la mia vita.
Decisa ad ignorare quello stupido messaggio, andai in bagno per lavarmi. Quando uscii trovai Eric sveglio.
“Buongiorno!” mi disse sorridente.
Gli sorrisi di rimando. “Ciao.”
“Senti, cosa ne dici, se non hai nulla da fare, se ti faccio da guida turistica per oggi? Questo posto lo conosco come le mie tasche.” Mi propose lui.
“Perché no? La mia amica può aspettare” risposi, sorpresa.
Attesi che lui fosse pronto, poi uscimmo dal pulcioso motel, risalimmo in macchina e passammo il tempo rimanente per arrivare a Wilmington ridendo e scherzando.
Una volta arrivati alla cittadina, Eric parcheggiò davanti ad uno stupendo molo.
Scendemmo e ci avviammo verso la spiaggia. Mi tolsi le scarpe: la sensazione della sabbia calda sui piedi era fantastica. Una leggera brezza mi scompigliò piacevolmente i capelli facendomi sentire libera come non mai.
Mi accorsi che lo sguardo di Eric vagava sul mio viso. “Sei bellissima” sussurrò.
Non sapevo che cosa rispondere. Mi fermai e lo guardai intensamente. Lui afferrò una ciocca dei miei capelli e dolcemente me la mise dietro l’orecchio. I nostri visi erano vicini. Estremamente vicini. Riuscivo a sentire il suo respiro sulla mia bocca, che cercò avidamente la sua.
 
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“Non è possibile! Ve la siete fatti sfuggire ANCORA? E’ solo una ragazza, come diavolo è possibile che riesca a farla franca ogni singola volta? NOI SIAMO POLIZIOTTI, GENTE!”
Quella volta il superiore Joseph era davvero arrabbiato. Gli agenti erano afflosciati su alcune sedie dietro la scrivania del capitano, senza il coraggio di replicare.
Joseph continuava a girare attorno al tavolo con fare talmente frenetico da far venire il mal di mare ai poveri poliziotti, afflitti dall’ennesima sconfitta.
Nessuno fiatò per qualche minuto. Il cervello del generale sembrava essere al lavoro, e d’altra parte la squadra non osava parlare.
“Bene… Bene… Allora non rimane altro da fare. Gerard, vai a chiamare la squadra A e C. Dovremo utilizzare tutte le forze possibili.”
“Sì, signore” scattò Gerard.
Proprio in quel momento il cellulare del capitano squillò brevemente.
Con aria contrariata a causa dell’improvviso suono che aveva interrotto il suo flusso di pensieri, Joseph estrasse il cellulare dalla tasca del pantalone e lo osservò per qualche secondo. Poi un sorriso vittorioso si aprì sul suo volto.
“Siamo a cavallo. Sbrigati Gerard!” urlò Joseph, sempre con quel sorriso quasi folle sulla bocca.
Il messaggio diceva: “ Sono Eric. L’ho presa. Siamo a Wilmington, inviate la Squadra Speciale.” 




Salve, eccomi qui tornata dopo un luuuuuungo periodo di vacanza x)
Scusate se non ho aggiornato prima, ma proprio non avevo ispirazione e voglia. Adesso invece mi sono tornate entrambe, perciò sto cercando di rimettermi alla pari...
Lo so: questo capitolo è corto e forse vi farà anche schifo... Beh, l'azione sarà nel prossimo capitolo... Ne vederemo delle belle!
Ditemi sinceramente come credete sia questo capitolo, accetto qualsiasi tipo di critica purchè non contenga insulti: io rispetto gli altri e pretendo che loro facciano lo stesso con me.
Detto questo me ne vò.
P.S. Notare la versione poliziotto di Joe inserita nell'immagine u.u

AnUnderdog

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Capitolo 5
*** Quarto capitolo. ***


 

CAPITOLO 4

 

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Era perfetto. Era semplicemente perfetto. Cosa? Quel momento con lui, Eric, il ragazzo più bello e dolce di questo mondo. Cosa avrebbe potuto rovinarlo?

Come a rispondere a quel pensiero, il mio cellulare suonò facendomi sobbalzare.

Ero sicura di chi fosse: ormai era da mesi che tenevo contatti solo con lui.

Non volevo leggere quello che mi diceva: sapevo che non mi sarebbe piaciuto. Avrebbe senz'altro detto che stavo commettendo un errore, che Eric era pericoloso, ma io sapevo che non era così...

Che fai, non leggi il messaggio?” chiese Eric in tono indecifrabile.

Sì...” Estrassi il cellulare dalla tasca, lo aprii e lessi. E' possibile che in due secondi possa caderti il mondo addosso facendoti sprofondare nelle viscere della terra?

Il messaggio era ovviamente di X e diceva: “Stiamo arrivando a prenderti. E' stato lui.”

Non c'era bisogno di spiegazioni: la polizia stava venendo a Wilmington perchè era stato Eric ad avvertirla.

Com'era possibile? Allora... Tutto quello che aveva detto... Il nostro bacio... Era stata una finzione per indurmi a fidarmi di lui?

Non ci potevo, non ci volevo credere!

 

Allora... Chi era?” disse lui in tono piatto. Non lo avevo mai sentito così. Alzai lo sguardo per scrutare il suo volto, ma alla sua vista il cuore mi balzò in gola: la sua espressione era terrificante.

Lo vidi mettere la mano nella tasca dei pantaloni, ma fui più veloce di lui: presi la mia pistola dalla tasca interna del giaccone che indossavo e gliela puntai addosso.

Con gli occhi sbarrati lui puntò la sua dritta al mio petto e disse con un sorriso inquietante sulle labbra: “Cosa vorresti fare adesso, Juliette? Spararmi? Dopo tutti i bei momenti che abbiamo passato insieme?”

Bastardo... Perchè?” dissi con un fil di voce.

Perchè? Perchè io sono la giustizia, e inquanto tale ho il dovere di punire i criminali come te.”

Con lacrime di rabbia che mi offuscavano la vista urlai: “La giustizia? Cos'è la giustizia? Dov'era la giustizia quando mio padre è stato prima minacciato, poi menomato ed infine ucciso? Dov'era la giustizia quando mia madre è stata assassinata davanti ai miei occhi quando avevo solo diciassette anni? La giustizia me la sono costruita da sola.”

Lui non sembrava aver afferrato una sola parola di quello che avevo detto, perchè rispose: “Ma di cosa stai parlando? Tu sei fuori di testa... Dovevi essere rinchiusa in un manicomio proprio come tutti dicevano quando chiamasti la polizia dicendo che tua madre era stata ammazzata dalla mafia, senza che ci fosse alcun testimone oculare!”

Emisi un ruggito di frustrazione e rabbia. Proprio in quel momento un nuovo messaggio fece vibrare il mio telefono, ma questa volta non c'era bisogno di leggerlo per sapere che c'era scritto”uccidilo”.

Diedi un ultimo sguardo a quegli occhi che fino a poco fa erano stati il sogno più bello per me e poi, senza pensare a nulla, premetti il grilletto.

 

Mi asciugai le lacrime che colavano: non c'era tempo. Stavano arrivando, e prima che giungessero dovevo cogliere di sorpresa la mia vittima ed eliminarla da questo mondo.

Presi il mio cercapersone. Il nome dell'uomo era Ichigo Kurosaki*. Il luogo era nel cuore del quartiere giapponese della cittadina. Ci sarei arrivata in dieci minuti circa, ma mi occorreva un travestimento.

Con la mente fredda e lucida, staccai i piedi che improvvisamente risultavano stranamente pesanti, e mi avvicinai alla borsa che mi portavo sempre dietro.

Scelsi il travestimento più adatto all'occasione: una parrucca di capelli lunghi di un verde quasi abbagliante, dei pantaloni ed una maglia bianchi e lunghi. Era da tempo che volevo indossare quegli abiti, e dato che nei quartieri giapponesi girano sempre cosplay**, quale occasione migliore di quella?

Indossai il tutto e mi avviai di corsa, dopo appena due minuti di camminata a passo spedito intravidi una volante, ma mi limitai a passarvi davanti velocemente. Appena misi piede nella stradina laterale di Tokyo Street mi risultò evidente che il piano era un po' più complicato del previsto: era in pieno svolgimento una parata con tanto di carri e travestimenti vari. Di sicuro sarei passata inosservata, ma non mi sarebbe stato facile trovare Ichigo.

Note:
*Ichigo Kurosaki: ho palesemente rubato il nome al protagonista di Bleach, ma mi ispirava perciò... XD
**Cosplay: è un travestimento da personaggio di fumetto/cartone animato. Quello che Taylor indossa qui corrisponde a questo qui
http://www.milanoo.com/it/p10621.html .
 
Scusate, scusate, scusate: vi ho fatto aspettare un mese anche per questo nuovo schifosissimo capitolo... Mi dispiace, ma oltre al fatto che la scuola mi sta uccidendo, il computer ha deciso di fare degli scherzetti, perciò non ho avuto materialmente la possibilità di scriverlo prima...
Non vi preoccupate: cercherò di regolarizzare le uscite dei capitoli. Inizierò con una promessa: venerdì/sabato prossimo avrete un nuovissimo capitolo di "Haunted"!
Spero che nonostante la mia lentezza infinita nel pubblicare vogliate continuare a seguire questa storia...
Grazie a tutti coloro che leggono/recensiscono!
Alla prossima settimana

AnUnderdog

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Capitolo 6
*** 6. Quinto capitolo ***


 


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Capitolo 5

Come diavolo avrei potuto trovare Ichigo in quella massa di gente orientale?

L'unica speranza che mi rimaneva era che fosse rimasto a casa, della quale avevo le coordinate precise...

Cominciai a percorrere la strada verso sinistra, ma avanzare era pressochè impossibile: la larga via era ristretta da transenne dietro alle quali erano ammassate decine e decine di persone che impedivano il passaggio.

Cercavo di farmi largo tra la folla, ma ad ogni gomitata che sferravo tentando di passare, ricevevo insulti in una lingua sconosciuta e niente più.

Mi fermai a riflettere. L'unico modo per riuscire a raggiungere la mia destinazione era salire su un carro della sfilata, ma l'impresa non si prospettava affatto facile... Un poliziotto giapponese si aggirava con un manganello in mano che agitava leggermente in aria ad ogni minimo segnale di movimento sospetto, ed anche gli altri sembravano pronti a seguire il suo esempio.

Intravidi in lontananza il magazzino da cui sarebbero usciti gli enormi carri, ma sembrava irraggiungibile...

Mi sento male, mi sento male! Aiuto!” urlai cadendo carponi. Attorno a me si formò uno spazio vuoto,mi stesi e dissi debolmente: “Qualcuno mi aiuti, sento che sto per svenire...”

Il poliziotto giapponese si avvicinò e chiese: “Cosa succede qui?”

Mi sento male, devo assolutamente uscire da questa folla...”

Lui, perplesso, disse: “Si avvicini”

Una signora mi aiutò ad alzarmi, mi aggrappai ad una transenna, e dall'altra parte il signore mi aiutò a scavalcare.

Lo ringraziai e gli chiesi se poteva accompagnarmi fino ai bagni pubblici. Lui accettò.

Percorremmo la strada in silenzio. Ogni tanto lui mi guardava di sottecchi, poi riprendeva a scrutare torvo la folla schiacciata ai lati della via.

Giunti all'altezza di quella specie di garage dentro al quale c'erano i carri dipinti e decorati, girai l'angolo per entrare, ma il poliziotto mi bloccò.

Signorina, lei non ha il permesso di varcare quella soglia! I bagni sono più avanti...”

Oh, ma adesso mi sento molto meglio! Grazie per la scorta, generale Hayase”dissi sorridendo mentre leggevo il nome scritto sulla targa della camicia.

Con lo sguardo confuso ma sicuro lui impugnò minacciosamente il manganello in mano, ma fui più veloce: gli diedi un calcio fra le gambe e lui si abbassò, lo immobilizzai con le mani e gli diedi un colpo in testa abbastanza forte da fargli perdere conoscenza. <> pensai.

Mi guardai attorno, poi corsi verso il carro più vicino: sopra c'era un enorme e bellissimo drago rosso di cartapesta fatto molto accuratamente.**

Ehi, tu sei una di quelle che alla fine deve uscire fuori?” disse un ragazzo dall'aria professionale. Aveva degli occhiali appuntati sul naso lungo e dritto, il suo viso aveva dei tratti semi-occidentali ed era piuttosto attraente. Aveva una cartellina ed una penna in mano.*

Sì, esatto”.

Allora muoviti, cambiati in fretta” disse con calma, ma decisione. Chiaramente era l'organizzatore della festa, ma era possibile che un ragazzo così giovane potesse amministrare tutto così perfettamente?

Afferrai il kimono rosso e oro che mi stava porgendo e mi avviai verso la porta con una scritta in giapponese.

Dove vai?”

Secondo te? A cambiarmi! Oppure vuoi che lo faccia qui davanti a te?”sbottai.

Lui non si scompose, ma per un attimo mi sembrò che un lampo avesse attraversato i suoi occhi...

Non è ciò che intendevo: quello è lo spogliatoio dei maschi.”

Arrossii violentemente, mi avviai verso l'altra porta che sopra aveva una scritta indecifrabile a caratteri cubitali, e silenziosamente maledissi quei caratteri incomprensibili che mi avevano fatta passare per una stupida.

La stanza era un vero e proprio camerino in comune, dotato di specchi e trucchi di tutti i tipi.

Ero affascinata da tutto ciò, ma mi riscossi in fretta: dovevo prepararmi se volevo che il piano andasse a buon fine.

Persa nei miei pensieri, mi infilai il kimono e mi sedetti su uno sgabello davanti ad uno specchio. Arrivò di corsa una donna bellissima chiaramente orientale che mi sorrise e, senza una parola, iniziò a truccarmi. Quando ebbe finito ero praticamente bianca come il latte e le mie labbra erano rosse come le ciliege.

Suonò un campanello e tutte le ragazze attorno a me si misero in fila e rapidamente iniziarono ad uscire. Mi unii a loro, uscimmo tutte dalla stanza e ci fermammo davanti al carro del drago. Il ragazzo di prima diede uno sguardo d'insieme a tutte noi, disse qualcosa e la fila riprese a scorrere: dovevamo entrare dentro al drago.

Evidentemente era previsto un finale spettacolare, perché per quanto avevo capito l'unico modo che avevamo di uscire era premere un pulsante rosso al centro della struttura del drago che lo avrebbe fatto scoppiare facendo rimanere solo noi in piedi sul carro.

Potevamo vedere ciò che c'era fuori attraverso tre piccole fessure sul ventre della creatura di cartapesta.

Al suono di una tromba il carro cominciò a muoversi.

Mi avvicinai ad una di quei buchi ed osservai la folla attorno al carro: erano tutti in delirio, anche se non ne capivo esattamente il motivo.

Mi ritirai in un angolino aspettando il momento in cui avrei dovuto fare la mia uscita trionfale insieme alle altre ragazze, ma dopo una decina di minuti il mio cercapersone incominciò a vibrare. Furtivamente lo guardai e mi accorsi che il punto d'arrivo previsto per il nostro carro e la conseguente mia uscita erano molto più in là rispetto a dove era la casa di Ichigo... Ormai l'avevamo superata già da cinque minuti!

Non c'erano altre soluzioni...

Silenziosamente avanzai verso il bottone rosso sul fianco destro della struttura e sorpassai le giapponesine... Ero sempre più vicina...

Quando spinsi il pulsante si sentì un forte “bam” ed il drago esplose in una montagna di coriandoli rossi ed oro. Intorno a me sentii urla di sorpresa e versi di stupore, poi degli applausi. Le mie compagne si ripresero velocemente dallo spavento e cominciarono a tirare baci al pubblico, ma io non rimasi insieme a loro: mi lanciai fra la folla coperta dai numerosi coriandoli che ancora volavano in aria con la speranza che nessuno avesse fatto caso a me ed iniziai a correre. Mi voltai indietro e mi accorsi che il ragazzo di prima, l'organizzatore, mi stava indicando con precisione ad una massa di gente... Erano i poliziotti giapponesi! No... In mezzo a loro c'era anche lui... Il comandante Joseph! Oh merda!

Anche continuando a correre, anche essendo ad una distanza notevole da lui, quando il ragazzo mi inidicò vidi i suoi occhi brillare e lo sentii chiaramente urlare ai suoi uomini: “Prendetela!”

Note:
*dovrebbe essere così nel mio immaginario http://www.google.it/imgres?q=ouran+host+club+kyoya&hl=it&gbv=2&biw=1024&bih=464&tbm=isch&tbnid=HEDnG5c_-16WOM:&imgrefurl=http://www.animeclick.it/anime/Ohran%2BKoko%2BHost%2BClub&docid=7RbUyoAf4bJZcM&imgurl=http://www.animeclick.it/prove/serie/OhranKokoHostClub/OhranKokoHostClub13.jpg&w=400&h=300&ei=8MOlTrnYIM_BtAbzhJj6Ag&zoom=1&iact=hc&vpx=89&vpy=126&dur=578&hovh=194&hovw=259&tx=167&ty=105&sig=108939161946227050599&page=1&tbnh=121&tbnw=161&start=0&ndsp=10&ved=1t:429,r:0,s:0
Lo so: è solo un disegno ma che ci devo fare.. Io lo adoro <3

**
Ave popolo di EFP!
Avete visto? Alla fine sono riuscita a postare (più o meno) in tempo per la scadenza di una settimana! Yeaaaaah!
In questo capitolo esprimo il mio amore per il Giappone e cerco di trasmetterlo anche a voi... Come avrete notato anche l'immagine del capitolo è ispirata a ciò che succede: le foto sono tutte estratte da un raro video blog di Taylor che ha fatto durante il suo Speak Now World Tour in Oriente (Singapore, Giappone e Filippine)... Dunque  mi auguro che vi sia piaciuto e... Che altro dire? Fatemi sapere con una recensione!
Grazie mille a tutti voi, un bacione
AnUnderdog

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