Non imparerò mai

di bianfre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***
Capitolo 25: *** 25 ***
Capitolo 26: *** 26 ***
Capitolo 27: *** 27 ***
Capitolo 28: *** 28 ***
Capitolo 29: *** 29 ***
Capitolo 30: *** 30 ***
Capitolo 31: *** 31 ***
Capitolo 32: *** 32 ***
Capitolo 33: *** 33* ***
Capitolo 34: *** 34 ***
Capitolo 35: *** 35 ***
Capitolo 36: *** 36 ***
Capitolo 37: *** 37 ***
Capitolo 38: *** 38 ***
Capitolo 39: *** 39 ***
Capitolo 40: *** 40 ***
Capitolo 41: *** 41 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


-Sei un buono a nulla-.
Disse proprio così, mentre stringeva ancora la canna fumante sulla destra e con l’altro braccio mi bloccava a terra, furioso.
Un pallottola mi aveva per poco trapassato il cranio e io me ne stavo steso lì, sorridente, con la testa immersa nella fanghiglia.
Germania aveva una faccia così buffa.
-Finiscila una buona volta di fare l’idiota-.
Mi fissò collerico ed esasperato, mollando la presa.
Io mi misi seduto, massaggiandomi distrattamente il capo.
-Veeeh..- dissi solo, spettinandomi la chioma bruna imbrattata dal pantano e dall’erba. -Quando si mangia?- chiesi innocentemente,
ricevendo in cambio un pugno dritto nello stomaco, segno che la pazienza del tedesco era giunta al limite.
-Ti ho detto di piantarla!- soggiunse secco.
E ancora lo vidi voltarsi verso il fronte, osservando i movimenti del nemico oltre i grossi sacchi di sabbia. Non badando più a me.
Sudava freddo. Me ne accorsi.
Ma decisi di non dire nulla, mentre ancora mi massaggiavo lo stomaco dolorante.
Era troppo violento, a volte.
Silente, mi misi al suo fianco, scrutando sereno nella stessa direzione.
Era l’unica cosa che mi riusciva meglio, non perdere l’ottimismo.
 
 

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Capitolo 2
*** 2 ***


“Ehi, ehi Germania!”
“Sta zitto! Si può sapere che cosa vuoi?!”
“Un uomo dall’altra parte sta guardando in questa direzione! Ho paura!!!”
“Sciocco! E’ normale che guardi qui, noi siamo il nemico!”
“Il nemico?”
“Esattamente”
“Ma Germania…”
“Che c’è ancora!?”
 
 
-…noi non abbiamo fatto niente…-

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Capitolo 3
*** 3 ***


 
“Dormiamo qui per stanotte, abbiamo camminato abbastanza”. 
Poggiò stancamente a terra la bisaccia, accovacciandosi appresso, cominciando a rovistare all’interno con i vari arnesi da campo.
Lo osservavo silente, rapito dai suoi gesti fermi e precisi, la cura con cui riponeva al suolo ogni singolo attrezzo.
Mi guardò, stranamente seccato.
“Vieni a darmi una mano invece di startene lì impalato, Italia!” e come se mi avesse trovato a rubare caramelle arrossii, gettai
la mia sacca a terra e raggiunsi il tedesco che nel contempo aveva conficcato il palo a terra. Nel giro di una decina di minuti la tenda
era ben fatta e noi ci apprestavamo a rimettere il tutto a posto.
“ehi”, mi richiamò mentre dava un’ultima controllata in giro “vado a prendere della legna per il fuoco. Tu stai qui fermo, ok?” disse
con uno sguardo eloquente che non ebbi temerarietà di ribattere. Annuì convinto e leggermente spaventato.
Imboccando la strada appena percorsa lo vidi inoltrarsi tra gli alberi, inghiottito dalla nube cupa che stava già calando. Restai qualche
secondo a fissare in quella direzione fino a quando non udii più i suoi passi, riprendendo così a mettere le cose al loro posto.
Una quindicina di minuti dopo il teutonico fece ritorno con una catasta di legna tra le braccia che depositò al fianco della tenda.
Insistei per aiutarlo ma fu tutto inutile. Con un ordine categorico mi obbligò a starmene buono a terra, osservandolo mentre mi spiegava
come fare, cominciando a posizionare i vari cocci di legna gli uni sugli altri, inserendo poi nelle fessure dei pezzi di carta, aizzandoli con l’accendino.
“Come se cose del genere non sapessi farle” borbottai tra me e me. Germania sembrò accorgersene e mi lanciò un’occhiataccia che
non ammetteva altre lamentele mal celate. Misi il broncio, non riuscendo comunque a sostenere il suo sguardo, voltandomi verso
la boscaglia, sentendo un brivido percorrermi lungo la schiena. Le calde fiamme del falò giocavano brutti effetti tra le trame degli
alberi, con le loro ombre, dando forme a mostri inesistenti.
Come se avesse compreso le mie paure, Germina mi si mise a fianco, porgendomi un panino imbottito di wurstel e crauti.
Arricciando leggermente il naso, mangiai biascicando un ‘grazie’ che si perse nel silenzio dell’aria. Ludwig masticò semplicemente.
 

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Capitolo 4
*** 4 ***


“Lo stai davvero facendo?”
“Hai detto di avere fame, no? Cosa c’è di sbagliato?”
“Italia… siamo nel mezzo del deserto, stanchi, affamati e con un’ultima borraccia d’acqua… e tu vuoi fare la pasta?”
Feliciano lo guardò palesemente accondiscendente.
Ludwig pensò di non aver mai avuto a che fare con una nazione simile.

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Capitolo 5
*** 5 ***


 
“un bambino?”
La domanda era parsa così normale che si sentì quasi offeso da quella sua leggerezza.
Non era un bambino.
“E’ stato tanto tempo fa. Un mio vecchio compagno di giochi” spiegò brevemente il moretto voltando rapido la ruvida pagina dell’album.
Peccato che il suo alleato non fosse dello stesso avviso, il quale poggiando il palmo della mano sul foglio restò fermo a fissare la fotografia.
“a casa…”
“uhm?”
“a casa credo di averne una uguale”
“perché dovresti avere la mia stessa foto?”
Ora fu il tempo del teutonico di sentirsi offeso.
Che i ruoli si fossero invertiti?

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Capitolo 6
*** 6 ***


“Le stelle..”
“Mmh?”
Il silenzio fu rotto dalla flebile voce del compagno che riposava al suo fianco, volto a guardare il manto nero.
 -Che centrano le stelle ora?-
“Questa notte si vedono benissimo, in cielo non c’è una nuvola” e sorrise realmente
felice
, inspirando a pieni polmoni l’odore fresco di pino, percependo l’aroma di muschio provenire dal tronco
d’acero appresso.
Germania preferì non proseguire quel discorso inutile e si voltò dalla parte opposta, chiudendo gli occhi.
“Veeh, Germania...”
 -Ma che aveva, la parlantina di mezzanotte?-
“Dormi Italia”
“Come si fa a dormire in una notte così bella?”
“Appunto perché è così bella vale la pena godersela con un buon sonno ristoratore, che dici?” disse
duro, accomodandosi sul posto, serrando le palpebre seccato.
Italia non rispose.
Italia stette ad osservare silente la schiena possente del compagno.
Italia… non dormì, durante quella notte così bella.

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Capitolo 7
*** 7 ***


 
“Posso sapere perché ogni sacrosanta sera ti ritrovo nel mio letto?”
La domanda venne abbastanza spontanea. Non appena il tedesco fu uscito dal bagno si ritrovò il compagno italiano leggere un libro, completamente stravaccato nel bel mezzo del suo materasso.
Quest’ultimo alzò lo sguardo verso il biondo, fissandolo interrogativo.
“beh… ci si fa compagnia” disse francamente, riponendo il segnalibro all’interno del piccolo opuscolo. Il tedesco grugnì poco convinto, sedendosi al margine del letto, strofinandosi i capelli umidi con l’asciugamano.
“Ma russiamo entrambi” buttò lì.
“non mi pare che nessuno dei due abbia mai avuto da ridire su questo” lo rimbeccò il veneziano gattonando verso il proprio cuscino, scostando le lenzuola.
Ludwig lo guardò di sottecchi.
“e se non mi lavassi?”
“non credo lo farai Lud, non sarebbe proprio da te!” rise.
Il berlinese stette ancora a pensarci.
“E se semplicemente me ne volessi stare da solo?”
A quelle parole il maggiore Vargas lo fissò sbigottito e lievemente avvilito.
“ti do fastidio, Germania?” chiese con una nota leggermente incrinata nella voce.
Ludwig si agitò subito: “no, no, no, che dici, era solo per dire!”
“ah ok!” esclamò sollevato Feliciano portandosi il lembi delle lenzuola fino al mento, acciambellandovisi dentro.
Il tedesco si arrese. Riponendo l’asciugamano sulla sedia indossò il pigiama e dopo aver spento la luce si coricò accanto all’italiano, il quale si mosse leggermente di lato per fargli spazio.
“non hai detto una cosa però” riprese il discorso il moretto, ridacchiando sul cuscino. Ludwig si voltò verso di lui.
“e cioè?”
“non hai menzionato il fatto che siamo due uomini~”
Non lo aveva detto?
 

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Capitolo 8
*** 8 ***


 
“è stata una pessima idea”
“e da quando in qua le tue non sono pessime idee?”
A quell’affermazione il tedesco ricevette uno sguardo offeso dall’italiano, che sospirando mollò di sana pianta il volante, appoggiandovi
sopra il capo.
“Che palle, Lud”
“La prossima volta non prendere iniziative del tipo ‘tranquillo questa è una scorciatoia, facciamo prima’ ok?” disse sporgendo di poco
il capo oltre il cruscotto, fissando preoccupato lo strapiombo al di sotto.
“E se provassi a fare la retro?”
“Feliciano”
“ok, come non detto, come non detto” –sigh-.


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Capitolo 9
*** 9 ***



Pensò che quello fosse il periodo più bello dell’anno.
Se ne convinse davvero.
Il sole risplendeva alto nel cielo, una dolce brezza rinfrescava le bianche pareti caserecce e l’unico rumore era il canto solitario di una cicala appostata al ramo di un qualche albero.
Inspirò a fondo, sorseggiando piano la birra bionda dal boccale, ripulendosi poi le labbra dalla schiuma, fremendo al fresco passaggio del liquido nell’esofago.
Le vacanze estive.
Non avrebbe mai ringraziato abbastanza il suo capo per avergli concesso un simile paradiso.
Lontano dalle scartoffie, dai problemi… dal Caos.
Si, con la maiuscola. Perchè il Caos era facilmente riconducibile a un certo ciuffo castano che proprio in quei giorni si era deciso ad andare a trovare il suo adorato fratellone nei mari dei Sud.
Una saggia decisione, a suo parere.
Una settimana senza Feliciano Vargas.
Cosa avrebbe dovuto desiderare di più?

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Capitolo 10
*** 10 ***


 
 
Era bellissimo.
Mein Gott, era bellissimo!
Per l’ennesima volta il tedesco non poter far a meno di strabuzzare gli occhi sulla pagina, chiudendosi
in un mutismo pieno d’ammirazione. Solo il suo cervello era andato in tilt.
Deglutì.
-Non è possibile che quel cretino d’Italia possa fare cose simili, non stanno né in cielo né in terra!-
E proprio in quel momento fece la sua comparsa l’artista prediletto, che guardò curioso il compagno
dargli le spalle.
“Veeh Germania, che fai?” chiese avvicinandosi, notando il foglio che il teutonico teneva tra le mani.
“Oh…” esclamò, rubandogli il pezzo di carta.
“Feliciano…ma come fai?” chiese questo, impotente.
“Cosa, questo? Ma và, è solo un abbozzo, è orribile!”e lo strappò.
Ludwig sentì improvvisamente mancargli un battito.
“ITA—“ ma prima ancora che potesse emettere un qualsiasi sbraito, il moretto gli piantò davanti
il disegno riprodotto ad olio su un’ampia tela.
“Questo è bello!!! Però sono indeciso per il nome… che ne dici di ‘Giudizio Universale’?”
Forse non era vero che non stesse né in cielo né il terra… ne era palesemente al di sopra.
“...ma neanche questo m’ispira… forse lo regalerò ad Austria!”
La sua stupidità, dicevo.
 

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Capitolo 11
*** 11 ***


 
“solo un altro Germania, uno solo~”
“Italia, no! insomma ma ti sei visto??? A stento stai seduto come si deve!”
“veeeh~” e sfuggendo per un pelo alla mano dell’altro corse incontro alla cameriera, chiedendole
se per cortesia potesse portare altro vino al tavolo n°5. Ludwig si schiaffò una mano in faccia, sospirando.
“eh eh eh” ridacchiò il veneziano, tornando al tavolo, sedendosi di fronte all’amico.
“che ci trovi da ridere? Cristo, mi toccherà portarti a casa in braccio…” disse questo, fissando preoccupato
il moretto sorridere più rosso del solito.
“Ooohhh andiamo Germania! Questa è una notte di festeggiamenti! Avanti avanti, bevi anche tu!!!” disse
battendo una pacca sulla spalla del teutonico, il quale si limitò a fissarlo minaccioso.
“I-il vino, prego…” alzando il capo Ludwig potè vedere la cameriera di poc’anzi porgere imbarazzata la
bottiglia al giovane italiano che la ringraziò sorridendo il più suadente possibile, strizzandole l’occhio.
Potè giurare di sentire come una morsa allo stomaco.
Non appena se ne andò, il veneziano si voltò interrogativo verso il compare, che era rimasto a fissare
malamente la ragazza .
“Veeeh Germania, è tutto ok?”
Questo, accorgendosi di essersi incantato, arrossì di botto, borbottando un ‘si si è tutto ok’ voltando
lo sguardo oltre lo spesso vetro della finestra.
Feliciano sorrise.
“ti piace?”
“cos- chi!?”
“quella ragazza… ho visto che la guardavi molto intensamente”
-Cretino, la fissavo perché mi dava fastid—
Ma non finì la frase.
E mentre l’italiano era partito in uno sproloquio sull’amore e i colpi di fulmine, lui era rimasto
ammutolito su se stesso.
Fastidio.
Perché Italia le aveva sorriso.
 

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Capitolo 12
*** 12 ***


Certo che si era ripromesso di non ficcanasare nei suoi affari, ma non era colpa sua se quell’italiano qual era lasciava
sempre tutto in giro! Come non fu sua la colpa di ritrovarsi tra le mani una candida tunica cristiana, con tanto di spola
e turibolo. Trattenne un riso, mentre si voltava in direzione del moretto.
“Hai fatto il chierichetto, Feliciano?” chiese, sganasciandosi dalle risate nel vedere il viso del veneziano sbiancare
in modo spaventoso.
“N-n-non sono affari tuoi!!!” sbraitò questo, balzando addosso al compagno per riprendersi le sue cose.
Germania credette di non averlo mai visto così sconvolto e imbarazzato.
Sarà per colpa di quello che la Chiesa stava passando in quel momento?
 



(Lo so, Germania che si sbellica dalle risate non è cosa da tutti i giorni.. XD)

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Capitolo 13
*** 13 ***


 
Ancora.
“Germania mi dispiace, non volevo!”
Ancora.
“Italia, lo hai fatto di proposito… non dire non volevo!”
“Ma ma ma…” purtroppo per il povero italiano non ci fu modo di ribattere. Il tedesco aveva
ragione. Ma lui l’aveva fatto senza cattive intenzioni e di certo non voleva che finisse in questo
modo! Anche se, in quella situazione, che poteva fare ormai?
“D-d-domani riparo tutto, te lo prometto…” singhiozzò.
Il teutonico lo guardò scuro in volto.
“Italia, non promettermi niente! Non sappiamo neanche se ci saremo ancora, domani!”
Lo sapeva sin dall’inizio che non doveva dargli corda, ma più di fidarsi che doveva fare?
Non fidarsi, certo.
Ma chi poteva immaginare che, che… insomma, non era mica la prima volta che lo faceva!
‘Germania che ne dici di costruire una gabbia per gli uccellini?’ E che ci poteva mai essere
di così spaventoso nel fabbricare una semplicissima gabbia per uccelli!? Nulla!
Se solo l’italiano non ebbe deciso di costruirne una più grande per le tartarughe.
E fin qui avrebbe potuto anche passarci sopra! Ma non erano tartarughe qualsiasi…
Testuggini giganti. Ora, ovviamente, scappate dal recinto e sparse a divorare tutto ciò che c’era in casa del povero Ludwig.
 
“Beh.. sniff.. guarda il lato positivo…” disse in un attimo di calma il castano “..almeno non moriranno di fame~”.
Da qualche parte aveva letto che alcuni tipi di tartarughe arrivavano a cibarsi di carne umana.
Pensò che fosse il momento di testare se fosse vero.
 

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Capitolo 14
*** 14 ***



Sul fatto che fosse un lavoro fatto come si deve, non vi era alcun dubbio.
Notti in bianco, interi pomeriggi e mattine incoronate dalla flebile luce diurna.
Ci aveva messo così tanto impegno.
“Ottimo lavoro, Italia”. Il tono di voce non era cambiato di una virgola dal dialogo appena concluso.
Dietro alla schiena il giovane meridionale poteva sentire lo sguardo del compagno scrutare i colori in
modo meccanico e attento (non c’è nulla da studiare; è arte, Germania).
Ritirandosi composto, il teutonico passò leggero il palmo della mano sulla chioma bruna, spettinandola
appena, ritornando poi alle sue pratiche.
Feliciano lo fissò allontanarsi.
Teneva ancora tra le mani il pennello sporco di colore e lui se ne stava andando.
Il grembiule emanava ancora il fresco odore d’olio e lui non aveva detto altro.
Una stretta allo stomaco, il proprio sentirsi inutile.
Ludwig non se n’era dato pensiero.
Non aveva capito.
“…Grazie…” e affondando le dita nella tela ne strappò il tessuto.

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Capitolo 15
*** 15 ***


             

Credeva di conoscerlo, ormai.
 
 Credeva che lui lo conoscesse abbastanza.

Forse non era così

Le luci erano spente. Le chiavi non erano sotto il vecchio vaso di magnolie.
Tutto era buio.
Si era dimenticato di lui.
Tutto era silenzioso.
Si era dimenticato di lui.
Feliciano sorrise amaro, ritirandosi appena, mentre con un piede liberava
il gradino dalla fredda neve invernale.
Vi si sedette sopra, portandosi le gambe al petto, abbracciandole.
Faceva così freddo.
Il campanello aveva smesso di funzionare ormai da giorni. Anche bussando, non
sarebbe accorso nessuno. Germania non sapeva che Italia fosse lì.
Non poteva saperlo, eppure Feliciano ci sperava tanto.
Desiderava un improvviso cigolio, due calde braccia che lo stringessero al petto, lo
scaldassero, e che due labbra gli sussurrassero dolci parole di conforto. Perché ne
aveva bisogno. Perché aveva bisogno di stare con lui.
Le ore passavano, i candidi balocchi scendevano sempre più silenziosi. Il marmo
non si scaldò e il giovane italiano continuò a sperare fino a che le prime luci dell’alba
non brillarono oltre i freddi tetti berlinesi.
Sorrise, mentre le prime lacrime cominciarono a solcare il suo giovane viso.
Eccolo.
Impercettibile, sentì dei passi oltre la spessa porta d’ebano, un mazzo di chiavi
tintinnare su di essa e un caldo tepore investirgli il costato.
“Cos—Italia! Che ci fai qui, a quest’ora del mattino?”
Veneziano si voltò e sorrise, asciugandosi le lacrime con la manica del giubbotto.
“ti aspettavo, Germania!”
 
Germania non seppe mai quanto lo abbia aspettato. E quanto lo aspetti ancora
adesso, benchè mi sia di fronte.
 
 
 
 
 
 
Feli ha deciso all'ultimo di passare la notte da Germania ma non avendolo avvisato è rimasto fuori ad aspettare. Sperava che il tedesco potesse avere il 'sentore' di captare la sua presenza sotto casa sua (per questo le prime 3 frasi 'credevo mi conoscesse abbastanza') ma ciò non avviene e il tedesco troverà l'alleato solo alla mattina, quando apre il portone di casa.
Feliciano dapprima è deluso ma potendo poi rivedere l'amico, sorride e piange dalla gioia. 

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Capitolo 16
*** 16 ***


 
Non aveva più detto una parola.
Era rimasto in silenzio, fermo a fissare il cesto di rose ai suoi piedi.
Erano bianche.
 
Non ebbe alcun motivo per piangere, eppure lo fece. Senza cognizione, senza sentimento.
Pianse il corpo, non la mente. Perché questa non arrivava, non ricordava.
Strinse le mani al petto, sentendo male.
Il corpo gridava le sue memorie, non aveva dimenticato. Era rimasto aggrappato a quel vano
calore mondano, chiudendolo al suo interno. Silenzioso. Quasi nullo.
Non se ne era accorto.
 
Cos’è che aveva dimenticato?
 
 
 
… una bambina..
 
 

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Capitolo 17
*** 17 ***


“Posso ora?”
“Aspetta, ancora un minuto…”
Etchù!!!”
“Salute Italia”
Sniff- mi passeresti i fazzoletti per piacere?” disse il moretto alzando di poco il mento, facendo cenno
al compagno di guardare oltre la sua spalla. Ludwig si voltò e afferrò il pacchetto colorato dalla scrivania.
“tieni” glielo porse.
“grazie”.
Quel giorno era davvero ridotto a uno straccio, Italia.
Germania lo fissò cercare di soffiarsi il naso, inutilmente visto che tutto il catarro si era bloccato all’interno
senza alcuna intenzione di uscire.
“babba bia…” esalò nasale l’italiano, sprofondando ancora di più nel cuscino. “Gerbania non so quando di convenga
a stare qui con be…” disse deglutendo a fatica. Pure il mal di gola ci si metteva di brutto.
“non preoccuparti, su.. dai fammi vedere il termometro”.
A fatica il giovane ubbidì, trafficando tra le lenzuola, estraendo l’oggetto da sotto il braccio. Si tirò su appena, scrutando
la linea bluastra sorpassare di brutto il 38.
“caboli non credebo di stare cobì male!” esclamò con un tono appena più alto di voce. Ludwig lesse con cipiglio l’oggetto
in questione, fissando preoccupato il veneziano.
“dobbiamo farla abbassare… dai vieni, hai bisogno di una doccia fredda”
“f-fredda? No no no io non boglio uscire ba qui!!!” piagnucolò questo stringendosi spaventato nelle lenzuola. Germania
fece un profondo respiro. “Italia non lo dirò una seconda volta… alzati”.
Aveva paura. Oh si, Germania gli faceva davvero paura! Però non voleva muoversi, voleva stare al caldo!
 “… non voglio…” neanche seppe con che coraggio si permise di controbattere.
Inutile insistere, questo era ovvio. In un attimo il tedesco gli fu addosso, scostò in malo modo le lenzuola e si caricò in spalla
il compagno febbricitante, che a fatica cercava di convincerlo a lasciarlo. Percorse a falcate lo stretto corridoio, spalancando
la porta del bagno, facendolo accomodare sul coperchio del water.
“avanti spogliati. Non serve che ti lavi i capelli, basta solo un getto veloce, tanto per attenuare il rossore” spiegò meccanico
mentre prese a far scorrere il getto d’acqua. Feliciano lo fissò terrorizzato.
“n-no gerbania sto male, non voglio bagnarbi—“
“ITALIA! Te l’ho detto, è per il tuo bene!”
“coff coff—no GErman—COFF COFF”
Per Dio, imprecò mentalmente il teutonico mentre prendeva a sfilare la maglia del pigiama al compagno, prendendo anche
la canotta, lasciandolo a torso nudo.
“H-ho freddo Gerbania, ti prego, ho fred—“ ma non finì la frase che si ritrovò in piedi con i pantaloni alle ginocchia, sfilati
in pochi secondi dal biondo che avendo almeno la decenza di lasciargli i boxer, lo spinse verso la cabina.
“Pochi secondi Italia. Poi ti asciughi e ritorni a dormire, ok?” disse con un tono che doveva sembrare rassicurante ma che risultò
molto più simile a un ordine e il giovane italiano si ritrovò sotto il getto ghiacciato.
“AAARGH è fredda E’ FREDDA!!!”
“restaci un attimo sotto, è per far scendere la febbre!!!” urlò il biondo premunendosi di tenere chiuso lo sportello della doccia.
“basta basta Gerbania, mi gira la testa, ti brego basta!!!” e sotto l’ennesimo improprio da parte del minore il tedesco lo lasciò uscire
porgendogli immediato un asciugamano sopra il capo.
“Tieni, asciugati” disse impacciato, ritrovandosi davanti un italiano bagnato e tremante.
sigh ma che hai intenzione di fare di ucci..ucci---- ETCHU’!!!”
“si si lo so scusami, dai mi farò perdonare…” e avvolgendolo in un telo più grande lo prese per la vita e lo accompagnò di nuovo a letto.
Lì gli fece indossare un nuovo pigiama e lo rimise sotto le coperte.
“veeeehhh~” sospirò distrutto il moretto, incapace di muovere neanche un muscolo “mi gira la testa Gerbania...”
“ora cerca di dormire, più tardi verrò con la medicina” disse sedendosi sul bordo del letto, passando la mano sulla fronte del castano
“sei meno caldo ora”.
“grazie al cabolo Lud, chi non lo sabebbe dobo una doccia ghiacciaba!?”
“oh su, niente polemiche e ora dormi, vado a preparare qualcosa” e detto questo si incamminò verso la porta. Spense la luce e poco prima
di uscire sentì Feliciano chiamarlo. “Ehi Lud”
“mmmh?”
“… grazie”
Ludwig sorrise. “Di nulla”.
“ah, Germania!”
“si?”
“niente wurstel o patate, ti supplico…”
“va bene, va bene” ridacchiò divertito il biondo chiudendo la porta.
 
 

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Capitolo 18
*** 18 ***


Era logico che lui non ne volesse parlare.
Si ammutoliva, continuamente.
Non diceva niente, cambiava stanza.
In modo composto, cortese... ipocrita.
La sua bocca rimaneva ferma, serrata. Gli angoli leggermente stirati e le palpebre
parevano due fessure. Non era arrabbiato, no.
Solo gli occhi che… rallentavano.
     Vagavano.
Piano, si svuotavano.
L’attenzione catturata da un qualcosa oltre la parete, oltre il mondo.
Fantasticava, assente.
Pensava a qualcosa.
Qualcosa.
Qualcuno.
Più di uno, più di molti.
Li vedeva tutti.
Li sentiva, tutti.
E piano a piano alzava la corolla al cielo.  E piangeva.
 
 
(…)
 
 
A Germania non sono mai piaciuti i treni.
 
 
Così veloci, così stretti e bui.
Così lunghi, così infiniti.
… così arrugginiti.
Così sporchi.
 
Lui piangeva e forse tutto sarebbe cessato.
Le fredde lacrime avrebbero potuto dare sollievo a quelle vecchie rotaie.
Ma non bastava.
Non sarebbe mai bastato.
 
 
Germania non diceva niente e cambiava stanza.
Serio, freddo.
Triste.
Piangeva.
Eppure i treni stavano ancora lì, sotto la neve, fermi.
Immobili.
.
Morti.
 
   
 

Eppure… vibravano.
 


 
‘Ssshhh… li senti?’
 
 

turtum-turtum turtum-turtum turtum-turtum turtum-turtum…
 
 
 
 
 
 
 

 

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Capitolo 19
*** 19 ***


“Andrò via per 5 giorni”
“Ah, anche io anche io!!!”
E dire che l’aveva buttata lì, pregando tutti i santi in cielo che la prendesse bene. 
Una normale colazione al bar a base di pasticcini e caffè, piccola routine della
domenica, giusto per ingraziarselo un po’. Già si era preparato al pianto ininterrotto
del compagno, tanto che si era premunito di fazzoletti e quant’altro. Ma tutto questo
lo aveva lasciato disarmato.
“Come sarebbe a dire ‘anche io’? Dove diavolo vai??”… e leggermente arrabbiato
per aver fatto cilecca. 
“Beh, perché quella faccia sconvolta!?” come al solito Feliciano aveva deliberatamente
ignorato l’umore del compagno. “Vado a casa di Francis! Mi ha chiesto se lo aiuto a fare
un affresco! Se uniamo entrambe le nostre arti sono convinto che verrà un bellissimo
quadro veeeehh-~” disse inclinando leggermente il capo, sorridendo sornione.
Ludwig lo guardò sbigottito.
Andava da Francia. Gli si accapponava la pelle.
“C’è da fidarsi…?” bofonchiò ingoiando una pasta alle mandorle. 
“Certo! E’ il fratellone Francia dopotutto!”
Appunto, pensò nervoso il biondo rigirando il cucchiaino nella tazza, portandola alla
bocca, sorseggiandone il contenuto. L’italiano lo guardò poco convinto. 
“Oh andiamo Germania! Ok, magari Francis non sarà un santo ma che vuoi che succeda! Siamo due uomini veeeh~“
“credi che a lui cambi qualcosa?”
“certo!!!”
“anche noi siamo due uomini, Italia”
“…eh”
“eh, appunto!” replicò nervoso.
Feliciano sorrise, unendo le falangi sotto il mento: “appunto cosa, Ludwig?
Oh…
Dove diamine si stava infognando?

“ehm… appunto… nel senso… beh, quand’è che parti?”
“quando parti tu parto anche io, ma continua pure il discorso” lo incitò curioso il moretto, sorridendo
sotto i baffi. Germania tossì un poco, finendo di bere il caffè e alzandosi in tutta fretta. 
“era solo per dire che bisogna comunque stare attenti con quel tipo” tagliò corto il teutonico, prendendo
il cappotto e incamminandosi verso la cassa, lasciando repentinamente un tavolo ingombro di cartine e
un Feliciano fischiettante. 
“uuuhhh Germania non vuole ammettere di volermi beneeeee”
“NON DIRE IDIOZIE ITALIA!”
“eh eh eh” rise felice il veneziano, raccogliendo gli ultimi rimasugli di schiuma rimasti nella sua tazzina. 
Avrebbe approfittato di quella vacanza per parlottare di questo con Francia.



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Capitolo 20
*** 20 ***


Probabilmente la colpa era sua.
“hai mai fatto l’amore, Lud?”
Probabilmente non avrebbe dovuto esporre tale questione così, a cuor leggero.
Ok, lui era un tipo diretto e notoriamente curioso (un ficcanaso, forse…?) ma ciò non lo giustificava
a fare, con noncuranza, quel genere di domande a un suo amico.
… anche su questo avrebbe avuto di che discutere.
“…ti sembrano domande da fare?”
Risposta scontata. Il fatto di non aver subito replicato era uno dei molti aspetti che poco gli andavano
a genio di Germania. Forse la domanda era un po’ troppo spinta, ma perché tergiversare? Erano
entrambi grandi e vaccinati e… sverginati, presumeva.
Era stato proprio quel suo dubbio a fare tanto scalpore.
“Hai giustamente ragione, però non si risponde a una domanda con un'altra domanda. Hai mai fatto
l’amore, Lud?”
Forse il fatto che il compagno lo avesse guardato scocciato e si fosse alzato dal materasso dove stavano
comodamente stesi a prendere l’aria della ventola, avrebbe dovuto in un qualche modo farlo desistere
dal continuare. Si vedeva lontano un miglio che la cosa lo seccava.
“Dai Germania”  sempre così irriverente.
“Si Italia, SI” disse il biondo spalancando le persiane, lasciando entrare nella stanza la caldissima luce
diurna, ansimando dal caldo in modo sgradevole. Feliciano si girò supino.
“e con chi?” secondo atroce dubbio nato nel caso la risposta fosse stata positiva.
“… non la conosci”
LA.
L’italiano spalancò gli occhi, fissando intensamente il compagno appoggiato al bordo della finestra.
Aveva usato il femminile.
Non poteva mollare proprio ora.
“non importa, dimmi anche solo il nome” disse con il tono di voce più cortese e senza alcuna sfumatura
d’insistenza. In realtà fremeva dentro per sapere chi fosse questa misteriosa donna.

Germania si voltò a fissarlo: “il nome... non lo ricordo, sai?” e sorrise.
Italia non ricambiò il sorriso. Restò solo fermo a fissare l’immagine della nazione splendere sotto la luce blanda.


Probabilmente non era sudore la goccia che piano scivolava sulla sua guancia.
 

Probabilmente… la colpa era sua.
 


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Capitolo 21
*** 21 ***


 
La. Forza. Delle. Parole.
Arricciò il naso, accartocciando l’ennesimo foglio, gettandolo dietro di sé. Gli girava la testa.
“Sono stanco...” ammise ma restò comunque a fissare il blocco da disegno sulla scrivania.
Si dondolò appena sulle gambe, lasciando le braccia a penzoloni, facendosi pensieroso.
Germania era stato categorico. -Sta volta ci pensi tu, ok?-
Poteva vantare tutta una serie di artisti e scrittori eccezionali, ma lasciare carta bianca al povero
italiano risvegliava in lui tutta quella fantasia colorata che non lasciava certo spazio per attestati
burocratici o pratiche troppo complicate.
L’ennesimo sospiro lo portò a reclinare indietro il capo, trovandosi a fissare un punto impreciso
sul soffitto. Avrebbe voluto raggiungere il fratello per andare a comprare le birre per la partita
di calcio di quella sera, accidenti.
Chiuse le palpebre, scacciando quel pensiero scomodo e rimettendosi composto sulla seggiola, prendendo
in mano la matita, cominciando a scribacchiare sul pezzo di carta.
Due colpi alla porta lo fecero sussultare, e voltandosi appena rispose con un ‘avanti’. Vide
così la figura del tedesco stagliarsi all’interno del piccolo studio, richiudendosi la porta alle spalle.
Ccome sta andando?” chiese avvicinandosi con discrezione verso la scrivania.
“Eh, va che non ho fatto ancora un accidente, che mi gira la testa e che ho fame~” piagnucolò l’altro
buttandosi sullo schienale, girando la sedia verso il biondo, che lo guardava per nulla sorpreso.
“Me l’aspettavo” ammise ovvio, poggiando la mano destra sul bordo del tavolo “in compenso hai fatto
un bel po’ di casino, eh?” disse alludendo alle varie cartine appallottolate ai piedi della scrivania.
Feliciano sorrise colpevole. “Lo so, lo so, dopo pulisco non preoccuparti~ Piuttosto che ne dici
se per ‘sta volta non te ne occupi tu?? Davvero Lud, non ce la faccio!” cantilenò esasperato pregando
con lo sguardo il compagno, il quale annuii arreso. Italia sorrise il doppio e si alzò per andare ad abbracciare
l’amico che però repentino lo bloccò per un braccio e lo spostò senza difficoltà nella direzione opposta, verso
la porta, lasciando che l’italiano si ritrovasse ad abbracciare l’aria. “Ma Lud…!” s’imbronciò questo
mentre di risposta il tedesco gli faceva cenno di andarsene: “sciò sciò niente storie, fila a lavarti che poi
ti accompagno a casa” disse chinandosi a raccogliere le cartacce. Italia sorrise il triplo e se andò saltellando
qua e là per il corridoio, intonando una qualche canzoncina che al tedesco arrivava  ovattata.
Il biondo prese il corbello sotto la finestra e cominciò a cestinare tutti i fogli e foglietti quando un pezzo
di carta più sobrio degli altri non lo incuriosì. -Vuoi vedere che per lo meno ci ha provato a scrivere..?-pensò
divertito aprendo il cartoccio, notando una serie di parole scritte una sotto l’altra, con grafiche e stili diversi.
Alcune ripetevano più volte la parola ‘signore’, scritte con curvature e spessori vari, seguiti da piccole cornici
floreali o schematizzate geometricamente. A fianco stavano alcune bozze che rappresentavano il barattolo
di penne sulla scrivania o la stessa mano dell’italiano mentre scriveva “ho fameeee” strascicando la lettera
alla fine. Ludwig sorrise e scorgendo lo sguardo più in basso trovò una piccola strofa in corsivo ripetersi per 4 volte.
 
Quello che penso
quello che sono
quello che lui è per me.
Dio, perché deve essere così?
Io lo amo…
Oh, se solo lui si accorgesse, forse—
 
Ma il resto era stato cancellato e il tedesco era rimasto fermo a fissare la carta rattrappita tra le mani.
 
 
 
Non avrebbe dovuto sentir mancare un battito, vero?
 
 

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Capitolo 22
*** 22 ***


“Ho avuto paura”
“Quando è successo di preciso?”
“E’ stato durante il terzo Reich. Non volevo crederci, Germania lo aveva fatto.
Lui… posizionava le persone, gli ebrei, uno ad uno, uomini, donne, perfino i bambini. Li metteva con la testa
rivolta al muro, urlava che gli fossero puntati i fucili addosso. E ordinava di sparare.
Bam, così, e una trentina di persone erano ben che morte, stese sul terreno. Le faceva alzare e buttava le loro
carcasse in profonde buche e li lasciava lì. Poi mi passava al fianco, e mi ordinava di seguirlo. Se ne andava, e
io con lui.”
“Ma le visioni, le visioni Signor Vargas… quando—“
“Ah si è vero, mi scusi, mi sono lasciato trasportare. E’ solo che è stata una cosa così impressionante, mi creda, che
anche poi… non so come feci, badate, io sono una persona tutt’altro che cinica e fredda e… – sta di fatto che mi ci abituai.
La scena era sempre la stessa, gente contro i muri e ‘bam’ – forse il fragore degli spari non sono mai riuscito a sopportare.
Altri cadaveri in giro. Era più la gente morta che quella viva ma Germania ripeteva ‘ancora, ancora e ancor—“
“ehm, Messer Vargas”
“si, mi scusi… le visioni dicevamo… credo, si , fosse in uno di quei giorni. Non è stato nulla di così particolare, in vero.
Solo, lo vidi. Lì, in piedi di fronte a me. Vestito con lo stesso lungo abito nero, cresciuto. Non era più il bambino paffuto
dei miei ricordi. Nonostante l’età i capelli erano rimasti corti e gli occhi erano—“
“Cosa successe?”
“Scusi, continuo a tergiversare. Beh, lui, come ho detto, se ne stava lì in piedi, silente. Io non riuscii a dire nulla, tale
la sorpresa. Non seppi muovermi subito, ma quando questo mi porse la sua mano, sentì scoppiarmi il petto e in un impeto
folle mi alzai e lo abbracciai, scoppiando in lacrime.”
“Riusciva a toccarlo?”
“Oh si, era proprio calore umano, quello. Sentii il suo profumo, la consistenza delle sue vesti e non avrei voluto lasciarlo
mai. Però fu anche questo che mi inquietò. Io sapevo che era morto, in guerra, tanti secoli fa. E non mi spiegavo davvero
come fosse possibile che lui fosse lì. Ovviamente, in quel momento non m’importò granchè e restammo abbracciati per
una decina di minuti e--“
“Cosa le disse?”
“Prego?”
“Il ragazzo… cosa le disse?”
“Un momento, un momento ci sto arrivando… Beh, ero ancora perso nei miei sentimenti e tutto a un tratto sciolse
l’abbraccio e mi fissò dritto negli occhi –sempre quell’azzurro smeraldino- e guardando oltre la mia spalla mi indicò
la pistola”
“Ti ha detto di prenderla?”
“Il suo sguardo fu un chiaro invito, ma non capivo. Comunque andai a prenderla, e voltandomi verso di lui lo vidi
indicare se stesso. Era talmente serio che m’impaurii.”
“Non ha mai detto una parola? Per tutto il tempo?”
“No, lui… si esprimeva a gesti. Se ci ripenso ora, effettivamente era un fantasma, e i fantasmi non parlano, no?
“Mmh”
“Beh, fatto sta che lì per lì, preso ancora dall’ansia, restai fermo a fissarlo. Non capivo cosa volesse davvero. Ma
la risposta era più che semplice, insomma, mi stava chiedendo di sparargli. Ovviamente non volevo – chi mai
sparerebbe alla persona che ama?- e ritirandomi l’arma al petto scossi forte la testa. Lui allora spostò la mano
dietro di sé, indicando la porta.”
“La porta?”
“Si, la porta”
“Quale porta ha indicato?”
“Vediamo, quella vicino alla finestra, vicino alla scrivania.”
“Vicino alla finestra…”
“Si, insomma, pensai anche io che fosse strano. Era uno sgabuzzino, non c’era nulla là. Mi fissò più intensamente
di prima, facendomi sempre intuire che avrei dovuto sparare. Mi faceva paura in quel momento. Mi ricordava
così tanto Germania.”
“Germania?”
“Si, lui. Sa, ero sempre stato convinto che infondo lui e Germania fossero la stessa persona ma—insomma, i fatti
parlano in modo diverso. Comunque lui stava lì a indicarmi la porta. E se ci fosse stato dentro qualcuno?,mi chiesi.
Allora, sotto il suo sguardo vigile, andai prima a controllare cosa vi fosse dentro. Non mi stupii poi molto
nell’aprirla e nel notare che dentro non c’erano che poche scatole e qualche scopettone impolverato.”
“Cianfrusaglie?”
“Si e molte! Un’infinità, tutte impacchettate e legate per bene. Ora che ci penso... c’era solo il ciondolo che mi aveva
regalato Germania fuori posto. Lo avevo buttato alla rinfusa lo stesso pomeriggio, me lo ero completamente
dimenticato, eh eh!”
“La croce?”
“Essì, proprio quella! Fatto sta che richiusi la porta e girandomi verso di lui lo vidi ancora lì ad indicare la porta.
Mi sorrideva, stavolta. Forse si era rasserenato anche lui nel vedere che non vi era pericolo. Gli sorrisi
di rimando, era così bello! Allora feci qualche passo indietro, puntai l’arma al centro del portone e sparai.”
“Ha sparato?”
“Beh, si… ma non accadde nulla. Cioè, appena mi voltai lui non c’era più. Se n’era andato, e da allora non l’ho più visto.”
“… se ne è andato”
“Già… devo ammettere che mi manca, ma forse è meglio così. Non era qui in suo posto”, sorrise.
Il medico finì di trascrivere le ultime annotazioni e salutando composto uscì dalla camera. Feliciano gli sorrise:“Ah scusi!”
“Si?”
“Ecco, potrebbe avvisare Germania che sono ancora qui? Non vorrei che si preoccupasse inutilmente non vedendomi
arrivare per l’ora di cena!”
Sorrise di rimando.“lo farò senz’altro”e salutandolo ancora uscii.
 
 
 
Chiusa la porta, l’uomo venne raggiunto da un giovane. “E’ andato tutto bene?”
“Si, non preoccuparti. Ha detto tutto quello che sapeva e sembra stare bene”
“Ha detto anche com’è successo?“
“Gli ha sparato un colpo, era incosciente. Crede di aver visto il fantasma del suo amico d’infanzia. Dice che è stato lui a dirgli di sparare”.
“Il signor Beilschmidt—“
“Ha passato dei momenti orribili, non mi stupisco che sia finita così… ha parlato di uno sgabuzzino vicino alla finestra”
“Ma non ci sono sgabuzzini nella stanza“
“Appunto. E’ lo stesso punto dove abbiamo rinvenuto il corpo… sai, lui ha continuato a sorridere, per tutto il tempo.
Ha chiesto di Germania”.
“Come facciamo a dirgli che è stato lui ad ucciderlo?”
“… non lo so”
 
 
 
“Quando verrà a prendermi Germania?”
“Ecco lui… è molto impegnato al momento”
“Però verrà… vero?”
Le lacrime cominciarono a scorrere copiose.
Il ricordo di un dolore passato, una promessa mai mantenuta.
 
“me lo ha promesso”
 
 

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Capitolo 23
*** 23 ***


 
“ho detto no”
“ma German—“
“ho detto NO”
“per—“
“NO!”
“AAARGHHH!”
Non ce la faceva più. Non lo sopportava più.
Italia non era tipo da arrabbiarsi tanto facilmente, ma Ludwig ci si stava
davvero mettendo d’impegno.
“almeno durante la pubblicità!”
“Italia, sei a casa mia e in casa mia si guarda quello che voglio IO”
“sono un ospite”
“no, sei un parassita, è diverso”
“cos—“
“zitto che comincia”
E si rodeva l’anima per esserci ancora cascato. Era stata una semplice
proposta: “vuoi stare da me questa sera?”. Forse avrebbe dovuto pensarci bene
prima di rispondere, dopotutto se era Germania a proporre certe cose, qualcosa
sotto ci stava. Però, insomma, se il suo migliore amico gli chiedeva di passare la
domenica sera con lui era suo diritto sperare in qualcosa… quel qualcosa che
il biondo bellamente  ignorava.
“ho fame”
“se inizi subito a parlare ti butto fuori casa, ok?”
 “mmmmmhhh”
Il teutonico prese nervoso il telecomando alzando il volume delle casse. Feliciano
lo guardò sconvolto e senza sopportare oltre si alzò dal divano, raggiunse veloce
la scala e cominciò a salire i gradini a due a due. Germania lo fissava con la coda dell’occhio.
“dove vai?”
“a cagare”
“se aspettavi un po’ ti ci avrei mandato io”
Quasi inciampò nell’ultimo scalino. Che aveva detto?
“scherzo Italia. Dai che tra un po’ inizia”
“fottiti te, e il tuo film di merda!”
Ora fu il turno del tedesco di boccheggiare allibito.
Era da quando si erano seduto sul comodo sofà che i due non facevano che pungolarsi
con piccole battutine. Ora però si era passati agli insulti.
E Germania era sì un tipo serio e composto. Ma fino ad un certo punto.
“Feliciano ritira subito quello che hai detto”
“lo farò se mi lascerai vedere la partita!”
Perché, come al solito, l’ostilità era nata per una semplice questione. Domenica sera… il CALCIO.
“ti ho invitato per passare una tranquilla serata a casa per vedere la televisione”
“appunto, non per vedere Via col vento!”
“la partita te la puoi riguardare domani in Internet!”
“non è la stessa cosa!”
E come sempre il tutto era finito col causare un pianto isterico al moretto, che furioso
andò in camera dell’amico, sbattendo la porta.
Germania sospirò, convincendosi del fatto di essere la persona più matura e lo raggiunse.
“Feliciano dai” lo chiamò mentre apriva la porta, trovando il diretto interessato con la testa  
immersa nel cuscino, ancora singhiozzante. “Vattene via” bofonchiò tra le piume.
Germania si sedette sul bordo del letto, sospirando.
“Scusa avrei dovuto specificare bene il tema della serata e...  anche ricordarmi che era
domenica e che ci fosse la partita, ma non muori mica se per una volta la salti!”
“..non ti sopporto…” rispose l’altro di rimando, alzandosi sui gomiti e fissando malevolo il biondo.
Questo non si scompose e si coricò al fianco dell’amico, prendendo il telecomando e accendendo
la televisione sulla partita.
“contento?”
 “mmhh…” mugolò l’italiano girandosi prono, poggiando il capo sulla spalla del compagno, “grazie”.
 

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Capitolo 24
*** 24 ***


(ho aggiunto dei miei disegni nei capitoli 8 e 11 )





“Posso ritrarti?”
Le ceneri scoppiettarono piano dentro l’antro scuro del camino, proiettando le loro ombre
tanto lontane quasi col timore di staccarsene.
“Ora?” aveva già accettato. E cos’altro avrebbe dovuto fare dopo che l’italiano aveva già sistemato
fogli, matite e quant’altro sul tavolino del salotto e… erano candele quelle?
“Proprio ora~” canticchiò allegro il giovane, fissando comunque serio l’amico, che intimorito
si mise composto sulla sedia.
Fiamme nei suoi occhi già luminosi e poteva sentire il tocco della sua mano sul braccio, che sicura
lo guidava ad una forma conserta.
“Stai pure così, incrocia le braccia. I tuoi occhi, fissi sui miei” enfatizzò indicando prima le sue 
poi le mie pupille cerulee.
E mentre il mio viso diventava un tutt’uno col focolare lui andò dietro la grande tela, brandendo
la matita, fissandomi serio.
Ed era così profondo che mi sembrò di cadere.
Sciolse il muto discorso e prese a graffiare la ruvida superficie con la cera.
Non un ripensamento, non un’indecisione. Occhi fissi su di me per tutto il tempo
e sarei potuto morire. Accarezzavano, toglievano e mi spogliavano con un colpo di polso.
Prese i tozzi gessi, cromatismi disposti sull'ampia tavolata e non una goccia d’acqua toccò mai quelle
pietre immacolate.
Deglutii, ritrovando i suoi occhi fissarmi. Distolsi lo sguardo, fingendo interesse per un vecchio
candelabro. Eppure un dolore fastidioso in volto, e lo sentivo, lui mi stava ancora guardando e…
Si era alzato, la sedia spostata a lato e il suo viso era umido di pioggia.
Feci per raggiungerlo ma lui si ritrasse, spaventato.
Gemette, portandosi subito le mani alla bocca.
Io non mi muovevo più ormai. Lo vidi scoppiare in un pianto trattenuto, cadendo in ginocchio,
preso dagli spasmi. Restai a guardarlo ancora, e piano mi alzai.
Andai da lui, ma fu come se non ci fossi. Continuò anche quando lo stinsi forte a me, e non capii.
Mi voltai e non capii.
Vidi il quadro… ed ebbi paura.



Cosa aveva visto… in me? 
 
 
 

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Capitolo 25
*** 25 ***


 
“li hai invitati!?”
Due secondi.
Non fece neanche in tempo e socchiudere la porta di casa che rientrò alla velocità della luce.
Beccato, pensò sconsolato il povero italiano mentre riponeva la cornetta al suo posto.
“Veeeeeh Germania stammi distante, mi fai paura!” strepitò arretrando di qualche passo
mentre il teutonico riponeva il borsello sulla mensola della cucina, senza mai staccargli gli occhi di dosso.
“Italia, ti rendi conto di quello che hai fatto!? Chi ti ha detto che potevi chiamarli, eh!?!?” sbraitò
irato prendendo un cuscino dal divano, rigirandoselo tra le mani.
“E-e-e da quando in qua devo chiedere a te!? Questa è anche casa mia!” ribadì sulla difesa l’italico,
spostandosi quatto quatto verso le scale del piano superiore.
Ludwig lo fissò truce: “abitiamo IN DUE, è CONDIVISA. E tu… tu…” reclinò il braccio all’indietro,
prendendo bene la mira “tu sai perfettamente che non li sopporto!” prendendo, come era
plausibile, il veneziano in pieno volto. Reggendosi a malapena sulle ginocchia, Feliciano buttò il morbido
guanciale sulla poltrona e in 3 veloci falcate raggiunse le scala, cominciando a salire il più veloce possibile.
“Dai Lud ti prego, è solo per una sera, ti scongiuro!!!” urlò arrivando all’ultimo gradino, vedendo preoccupato
che il tedesco era salito all’inseguimento.
“AAARGHHHH VAI VIA, VAI VIAAAAAA!!!” urlò in preda alla paura, richiudendosi nel bagno in fondo al corridoio.
“Apri subito Italia!”
“neanche morto!”
“ora tu li chiami e disdici tutto!”
“non voglio! Possibile che non posso neanche vedere i miei amici in casa mia!?”
“quelli non sono amici, sono disturbatori della quiete pubblica!!”
“ma che quiete pubblic—“
“LA MIA QUIETE PUBBLICA!”
 
 
 
Din dlon~
 
 
 
“Chèriiii siamo arrivatiiii~“
 

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Capitolo 26
*** 26 ***


 
 
“oh, piove!”
“eh? Ma c’era un sole che spaccava le pietre due secondi fa!”
“davvero Lud, guarda che roba!” disse eccitato il moretto scostando le tende, mostrando
una bora mastodontica stravolgere l’intero parco cittadino.
“accidenti è fortissimo… Italia come farai a tornare a casa?” chiese seriamente
preoccupato il biondo.
“semplice, non ci andrò~“ rispose ovvio il veneziano, sorridendo a 32 denti al tedesco
comodamente seduto alla sua scrivania.
“beh, ti posso accompagnare in macchia“ ribadì questo, riponendo il plico di documenti
nel cassetto, chiudendolo.
“naaa piove davvero un sacco e poi ho anche la scusa per stare qui a farti compagnia, no?”.
A farmi compagnia, pensò affranto il povero Ludwig, massaggiandosi le tempie.
Non si era mai posto il problema che forse lui di compagnia non ne avesse bisogno.
La sua poi, era tutta un programma.
“Va bene, allora aiutami a fare il giro della casa per chiudere le finestre” disse raggiungendolo,
allungando appena fuori il braccio per fissare gli scuri.
“veeeh, ok!” squittì partendo in quarta l’italiano, correndo al piano superiore, causando uno
sbattere continuo di vetri e porte.
Sfascerà tutto, pensò rattristato il teutonico mentre saliva le scale nel soggiorno.
“Italia, ce la fai?” chiese preoccupato, entrando nella camera da letto e vedendo l’italiano sporsi
in modo esagerato fuori dalla finestra.
“cos—FELI!!!” sbraitò il biondo prendendo il compagno per la vita, buttandoselo
appresso “ma sei scemo?! E se fossi scivolato!?”
“veeee~” esalò senza capire l’italico “che c’è, stavo fissando le persiane!” si giustificò.
“se non ci arrivi lascia fare a me, che ti metti a fare l’uomo ragno sul bagnato!?”
“era una battuta? Non sei affatto divertente”
“no, purtroppo era una constatazione e ora fila ad asciugarti!” sentenziò spingendolo fuori
dalla stanza, tornando poi a chiudere gli infissi.
“Ma Lud~“ piagnucolò il giovane dal corridoio.
“cosa?” rispose seccato il teutonico mentre tirava le tende.
“… ti ci sei davvero impegnato?“
“a fare che!?”
“quella pessima constatazione”
“… Italia, fila in bagno altrimenti ti ci accompagno io a forza di pedate!” e spaventato
il moretto acconsentì e se ne andò.
Germania stette a fissare il punto in cui era scomparso, rigirandosi sul posto, chiudendo i vetri.
Sbuffò.
“… era carina, però….!”
 
 

Dedicata a questi assurdi giorni di pioggia -__-" Se si può chiamare estate questa...
 

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Capitolo 27
*** 27 ***


 
 
Avevo da subito pensato che fosse un bel ragazzo.
Alto, muscoloso, biondo e con gli occhi azzurri. L’uomo ideale, insomma!
E non ero stato certo l’unico ad essersene accorto.
Germania era davvero un tipo che piaceva alle donne: fiero, misterioso e tremendamente
affascinante. Sempre sicuro in tutto ciò che faceva, calcolatore, affidabile... Tutto il contrario di me!
Però anche io, nonostante non sia un tipo così fascinoso, ho il mio seguito di ammiratrici eh eh~!
Forse ciò che manca a Ludwig è l’essere più spigliato e meno… serio!
Mai che faccia un sorriso, per carità! Le volte in cui l’ho visto anche di poco alzare le labbra
le posso contare sulle dita di una mano!
Neanche fosse un tipo riservato e taciturno comunque. Germania parla, si altera spessissimo
(almeno nei miei confronti lo è perennemente… mi chiedo perché!) e s’imbarazza per un nonnulla.
In questo mi ricorda molto Giappone, sempre così composto!
 
Ed eccolo lì, tutto serio, chino su quel plico di fogli ingialliti dal tempo.
Strategie di guerra e cose simili… si leggesse qualche bella commediola ogni tanto!
 
“Veeeh Germania~”
 
“Zitto Italia, che sto studiando anche per te!”
 
Non mi pare di avergli mai chiesto nulla del genere… Lo fa spesso di saltarsene fuori con
simili constatazioni, assurde di per sé: ‘se non ci fossi io causeresti il finimondo’,
se non pensassi ad organizzare tutto chissà dove finiremo’, ‘se non pensassi io al cibo
moriremo di fame
’ (oh beh, questa è bella).
Se qua, se … si calmasse un attimo!
E’ che lui tende sempre a preoccuparsi di cose di primaria importanza, cercando sempre
di calcolare tutto e tutti.
Peccato che non abbia fatto i conti con il sottoscritto!
 
“Dai Germaniaaaaa, sei proprio un uomo noioso!” e detto ciò misi le gambe sulle sue
ginocchia, sentendolo sbuffare sempre più innervosito.
Non nego che mi faccia paura, ma mi diverto troppo ad importunarlo.
 
“Dovresti pensare più a te stesso che agli altri! Sii meno Germania e più Ludwig, ok?” dissi
sorridente, sicuro di essere stato abbastanza convincente. Tutto inutile.
 
“Sentimi un po’, Italia.” Lo vidi riporre le varie scartoffie sul tavolino, voltandosi torvo verso di me.
 
“Noi siamo Nazioni. La nostra priorità è quella di pensare per il bene del popolo. ‘Ludwig’ può
aspettare” e senza sentire alcuna obiezione si alzò, andando in cucina a bersi una birra.
Lo fissai da sopra il poggiaschiena, ridacchiando. 
 
“Allora il tuo è davvero un popolo di alcolizzati, capitano~”
 
“E il tuo di gente ridicola
 
 
He he, così bello~
 

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Capitolo 28
*** 28 ***


Amici invan cerchiam che sian perfetti,
io sopporto i tuoi, tu sopporta i miei difetti!”
“Anche il fatto che ti sei addormentato dimenticando il fuoco accesso, incendiando mezza casa?
E del water intasato dal rigurgito dei miei wurstel, ne vogliamo parlare?“
 
Forse in quel caso i proverbi non lo avrebbero tirato fuori dai guai.
 
 
 

(Visto che molti/e hanno insistito per vedere altri miei disegni, qui ne ho messo alcuni ^^)
p.s. aggiunto anche un fumettino nel capitolo 19 =)

 
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Capitolo 29
*** 29 ***


Non aveva mai dato bado a quel genere di cose.
Detti, proverbi, antiche dicerie o quant’altro ne conseguisse.
Quel giorno però Italia aveva detto una cosa che non aveva effettivamente capito -non che
lo avesse dato a vedere, era abbastanza orgoglioso da aver annuito anche se ignorante
delle parole pazze dell’italiano.
Perché sebbene molti detti fossero gli stessi, quella lingua era pazza e giocava troppo
di metafore, e lettere e…
Il vaso vuoto è quello che rende il suono più ampio.”
Il soggetto della frase lo aveva capito. Era il senso che –sfugge, no?
Almeno lo era nel contesto in cui si trovavano.
 
“Tieni”
Era un pomeriggio qualsiasi, di un giorno qualsiasi in un mese qualsiasi.
Si era presentato con un regalo impacchettato di tutto punto, fiocchetto rosso e carta brillante.
Guardò prima il regalo, poi lui.
“Eh?cosa—“
“Un pensierino~” canticchiò sorridente il moretto, porgendogli la scatola.
Non riusciva davvero a capire.
“Perché?” chiese il teutonico prendendo il pacchetto, guardandolo confuso.
Giurò di aver visto le gote dell’italico imporporarsi. “Non c’è un motivo particolare. Quando
l’ho visto ho solo pensato che sarebbe potuto piacerti“ e ridacchiò.
Era ancora più confuso, ma ad ogni modo incuriosito. Scartò il colorato involto, estraendone
un’altra piccola scatola. La fissò stranito. Italia rise.
Aprii anche quella e fu lo stesso. Una più piccola, un’altra ancor più minuscola fino ad aprirne
una grande quanto un pollice. Vuota.
“Che scherzo è questo, Italia?” ribadì seccato il tedesco per quell'inutile perdita di tempo.
Fu in quel momento che l’italiano rispose con quella strana frase.
 
Il vaso vuoto… il suo regalo, suppose.
Rende il suono più ampio.
Non vi era nulla che dovette sentire, ma…
Rivide il suo imbarazzo nel porgli la scatola, le risa nervose, lo sguardo attento e forse, forse alla fine lui…
Non un suono. Ma…
In una scatola così minuscola.
 
 

Un sussurro.
Piccolo, piccolo.
 
 
 

-Ti voglio bene-
 
 










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Capitolo 30
*** 30 ***


“potresti smetterla?”
“cosa?”
“ti ho chiesto di smetterla”
“di fare cosa?”
“di starmi così attaccato!”
“veee, non è colpa mia Germania~”
“fa qualcosa allora!!! Questa è un’evidente molestia fisica!!!”
“ma sei stato tu ad organizzare!”
“ti sembra che all’entrata ci fosse scritto ‘questo è tutto per te Italia, fa pure quel che ti pare’!?”
“beh, no…”
“e allora staccati!”
“non posso!”
“si che puoi!”
“e tu avresti il coraggio di dire alla mia gente di andarsene a casa e rinunciare a tutto questo!?”
“tutto questo E’ MIO!”
“l’entrata è libera!!!”
 
 
 
Pure l’Oktoberfest arrivava a fargli detestare.
 












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Capitolo 31
*** 31 ***


 
 
“da bambino… cosa avresti voluto essere da grande?”
Sono sempre più convinto che ci pensi durante la notte, e che poi se le scriva
da qualche parte.
ma secondo te!?
L’unica cosa che gli perdono è l’assurda originalità.
“ok che siamo Nazioni ma… non ci hai mai pensato? Insomma, è una cosa normale
disse premendo l’acceleratore, esalando un veee~mentre curvava brusco uscendo
dal casello autostradale, inchiodando dietro una jeep.
Abbassò di poco il finestrino, prendendo una boccata d’aria fresca. Io me ne stavo
letteralmente incollato al sedile.
“Spero che tu invece non abbia mai pensato di fare l’autista” biascicai, stringendomi
una mano al petto.
Feliciano si mise a ridere.
“no di certo! La paga non è molta e poi da bambino, dai… uno di solito pensa a fare
grandi cose, come l’astronauta o il ballerino!”
Davvero la stessa cosa, pensai prestando attenzione alla coda di macchine immobile.
“Andiamo Lud, qualcosa devi pur aver pensato! Che ne so, l’avvocato o il presidente!
Essendo sempre un musone nevrotico, un lavoro in un ufficio ti sarebbe davvero
piaciuto o magari---” 
“Volevo fare lo scrittore… credo”
Non lo ricordavo affatto ma fu una cosa che di sicuro ebbi pensato da giovane.
Mi voltai verso l’italiano, ritrovandolo stranamente interessato a fissare il mio viso.
Lo guardai di rimando, inquietato.
“che c’è?”
L’altro se possibile si avvicinò di più. “Oh Lud, ti ci vedrei così bene~” disse sorridendo
incantato, ritornando a posto e trafficando sotto il sedile. Ne estrasse un indelebile
nero, porgendomelo a mo’ di microfono: “dica Signor Ludwig, come le sembra di essere
diventato uno scrittore di successo!?”
Ma che sta…?
“Italia, che diamine—“
“i suoi libri sono celebri in tutto il mondo, che ne direbbe di dedicarci una qualche
sua strofa spassionata?” disse interpretando un cronista, passando il pennarello dalle
sue alle mie labbra.
Lo fissai realmente preoccupato.
“io… Italia vuoi che guidi io?”
“oh su su, non sia imbarazzato! Solo qualche piccolo verso!”
Intanto il traffico stava procedendo oltre, mentre i due rimanevano fermi sulla strada.
“Feli la macchina---“
“se lei non dice nulla io non mi muovo~” e detto ciò le auto dietro cominciarono a
inveire e a suonare all’impazzata.
“Italia non mi sembra il caso di fare queste scenate ora, avanti parti!”
“dedicami qualcosa e sii meno scorbutico. Se siamo in questa situazione è colpa tua~”
“cosa!? sei stato tu a chiedere per primo!!”
“e ora tu rispondi veee
Altri strombazzamenti e qualcuno stava pure scendendo dalla macchina.
“ma che mi tocca--…

Più volte ho creduto di vederti
Di udire dolci parole giungere nella notte.
Ma dell’ombra oscura del cielo altro non ho
Che un frammento di ricordo tra le ciglia mie.
E piango tra le bianche coltri
In attesa di cosa non so, ma…
..PUOI PARTIRE ORA PER PIACERE!??!” e seguito da un fischio da parte del moretto
i due si ritrovarono in due secondi in marcia verso Berlino.
Germania fece finalmente un respiro di sollievo, abbandonandosi sul sedile.
“che Dio ti maledica Feliciano” esalò col cuore in gola.
“maledicimi con un’altra dedica e morirò felice~!”.
 
Era il solito tono scherzoso.
Però Ludwig ci si imbarazzò davvero.
 
 
 

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Capitolo 32
*** 32 ***


Fare una domanda.
Neanche troppe, solo una.
Corta, quattro parole in tutto.
Con un tono semplice e pulito, lievemente indifferente (non urlato o sussurrato
appena, ma con un timbro di voce normale).
Neanche fossi stato raffreddato, eravamo in pieno Luglio!
Eppure… quello che ne uscì fu più simile ad un grugnito.
Sarà stata la mia tipica intonazione tedesca, ma lui rise.
Rise, mentre io avevo passato le ultime settimane a dannarmi come un ladro
per decidermi a chiederglielo.
La sua voce cristallina riecheggiava tra le spesse mura, espandendosi all’esterno,
ritornando più fastidiosa e pungente della nascita.
Cretino di un italiano.
 
“ridillo ti prego, ridillo!!!”
 
 
“… mi dedichi una preghiera?”
 
 
Rincarò la dose, stavolta rotolandosi per terra, piangendo dalle risate.
 
 
 
Giurai a me stesso di prenderlo a pedate non appena avesse finito.
 







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Capitolo 33
*** 33* ***


(interposizione di Austria/Roderich Edelstein)





“Hai mai pensato al fatto che potrebbe andarsene?”
Sicuramente il Signor Austria aveva di nuovo bevuto quello strano liquore alle mele.
Glielo si sentiva nella voce, quel grazioso aroma di frutto.
Anche il fatto stesso che se ne stesse seduto in quel modo: schiena contro il piano,
una gamba piegata sulla spalliera e l’altro piede piantato a terra. Sedere, almeno
quello, al suo posto sulla seggiola.
Corrugai lievemente la fronte, riprendendo le faccende, non dandogli bado.
“Ita-chan, parlo con te”.
Non era solito usare quel genere di suffisso con me. Ma per quella volta sorvolai.
Era ubriaco.
 “Chi dovrebbe andarsene, Signor Austria?” chiesi più per fargli piacere che per reale
interesse. Lo preferivo composto e serioso a suonare il piano.
Quella maschera non gli donava affatto.
 “Sacro Romano Impero”.

Bam.

Oh, non mi era certo caduto il secchio dalle mani, chi avrebbe poi ripulito quel macello?
Era qualcosa di più pesante e interno.
Non sopportavo davvero, vederlo così.
“Shinsei Roma non se ne andrà”.
Dovevo pur rispondere, no? Prima che potesse anche solo pensare di rinchiudermi in una
qualche cella per la mia irriverenza.
Come se mi fossi mai permesso di non ubbidire.
“Forse hai ragione” e  lo vidi sorridere, mentre a fatica prendeva la bottiglia da terra, fissando
la trasparenza in modo triste.
Era vuota.
“E’ vuota” -perspicace l’austriaco-pensai ironico, mentre riponevo il secchio e lo straccio a terra.
“E’ vuota… lui se ne andrà, e qui rimarrà un grande vuoto. Proprio come questa bottiglia…”

Non so dire cosa mi fece più male, se il fragore del vetro infranto al suolo o le sue rivelatrici parole.
Fatto sta che non esitai dal rannicchiarmi su me stesso, tappandomi le orecchie.
 
Non volevo sentire nulla.
Neanche il buon sapore delle mele appena colte.
 
Un odore così dolce da far venire la nausea.



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Capitolo 34
*** 34 ***


 

“voglio andare al mare~“
“vai“
“… voglio andare al mare, Lud“
“vacci, dove sta il problema?“
“ma ci voglio andare davvero!“
“e io che ti ho detto!? V-A-I  P-U-R-E!”
“si ma…”
“cosa non ti è chiaro del verbo ‘andare’?”
“non sei divertente Germania”
“mi maledico per questo, se fossi più simpatico forse ti avrei già convinto
ad andartene”
“dai, pensa all’acqua cristallina, l’odore di salsedine nell’aria e la calda
spiaggia inumidita dalle onde”
“tutto ciò è fantastico, davvero”
“allora ci vieni con me?”
“no”
“ecco, lo sapevo che andava a finire così!!! Ma perché non vuoi, me lo spieghi???”
“Feli… devo ricordarti l’estate scorsa?”
“ma quella—“
“devo ricordarti l’ESTATE SCORSA? Te la ricordi, si? Oh, ma come avresti potuto
dimenticarla, proprio tu, che ti stavi divertendo un mondo!”
“Lud io—“
“non credere che ripeterò lo stesso errore”
“ma ma ma…!”
“Italia la risposta è NO!”
“ma insomma è colpa mia se tu quando prendi il sole diventi rosso peggio di un gambero!?
Avevi pure il costume arancione, per Dio, chi è che non ha riso in quella dannata spiaggia!?”
 

 

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Capitolo 35
*** 35 ***


 
 
I gradini erano umidi di pioggia.
 
Aveva ragione Germania, si sarebbe messo a piovere.
Eppure non sembrava, davvero! C’erano nuvole, questo si, ma erano così bianche
che nessuno avrebbe potuto…
Di certo tutte quelle persone, l’ombrello, l’avevano tenuto per puro caso nella borsa.
Non c’era altra spiegazione!
Non sono io ad essere uno sprovveduto, il cielo era davvero limpido quella mattina.
Ora è tutto così grigio e smorto.
Sigh.
 
 
Guardò verso la strada, fissando malinconico il via vai della gente muoversi in massa.
Starnutì, tappandosi repentino la bocca, poggiando poi il capo sulla porta d’entrata
della chiesa. Sospirò.
Chissà quando smetterà.
Aprendo gli occhi notò un ombrello turchese e un braccio alzato fargli cenno.
Acuì di poco la vista, vedendo tra le righe umide il cappotto scuro di Germania, fermo
dall’altra parte della strada. Lo stava chiamando.
“Lud!!!” urlò sorpreso l’italiano, sporgendo il busto in avanti. “Che ci fai qui!?” chiese
mentre il tedesco, ficcando la testa nel colletto come una tartaruga, attraversò la strada
e lo raggiunse sotto l’abitacolo.
Era già arrabbiato.
“Ma insomma ti sembra il modo!? Urlare nel bel mezzo del paese!” sussurrò seccato
mentre chiudeva l’ombrello, girandosi a guardare la pioggia che scendeva incessante.
All’italico brillarono gli occhi. “Sei venuto a prendermi~???” chiese abbracciandolo
di slancio, facendo allarmare il tedesco che cercò subito di staccarselo di dosso.
“I-I-Italia per piacere non qui!” sbottò rosso come un semaforo, allontanando il moretto da se.
“Si comunque, sono venuto a prenderti! Anche perché ero di strada e visto che dovevo passare
anche al supermercato per la cena di stasera, ho pensato che sarebbe stato meglio andarci insieme
a decidere” disse sbattendo poco l’ombrello, chiudendolo poi con l’apposito spaghetto.
“Ora come ora però ci conviene aspettare, sta davvero peggiorando” disse spostandosi più sotto
il parapetto.
Italia lo fissò poco convinto. “Veee ma il supermercato è proprio dietro l’angolo!” constatò con
cipiglio, “potremmo fare una corsetta!”
“una corsetta? Feliciano, se usciamo ora arriveremo zuppi come due spugne!”
“eddaiiii~”
“non ho intenzione di muovermi ho detto!”
Feliciano lo guardò seccato.
“beh allora ‘aspetta e spera’ ” e alzando il colletto della giacca fin sopra la testa, guardò prima a destra poi a sinistra,
incamminandosi in seguito verso il suddetto luogo.
Ludwig restò basito a guardarlo correre lungo il marciapiede.
E adesso?
 
Le auto sfrecciavano senza sosta per le umide strade asfaltate. Gruppi di persone camminavano
ammassate tra loro, desiderose di correre al riparo nelle loro case. Pozzanghere come pozzi e
pioggia come brodo.
E ancora si chiedeva chi gliel’aveva fatto fare di correre dietro ad un simile individuo.
 

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Capitolo 36
*** 36 ***


 
 
“Romano e Antonio hanno fatto sesso”.
Parto col dire che non c’era alcun nesso o valido motivo per iniziare
una simile conversazione.
Feliciano era comodamente steso sul divano a sonnecchiare, mentre
io me ne stavo sulla poltrona a leggere le ultime notizie di cronaca sul ‘Die Welt’.
L’orologio a muro aveva appena scoccato le 3 del pomeriggio e il suddetto
italiano si era leggermente stiracchiato, mugolando, girandosi poi
con il dorso verso lo schienale, fissando fermo un punto indefinito davanti a se.
E parlò.
Subito non gli diedi bado, ma poi.
“Scusa?”
“Ieri pomeriggio Romano mi ha confessato di essere andato a letto con
Antonio” si rigirò nuovamente, stendendosi supino, poggiando il mento
sul bracciolo del sofà, fissandomi calmo.
“Tu che ne pensi?”
Cosa ne pensavo io? Neanche pensavo. C’ero rimasto letteralmente di sasso.
“Bhe…” chiusi il giornale, poggiandolo poi sul tavolino adiacente, “infondo,
se si amano… si amano, no?” chiesi per paura di aver capito male e che
quella di Antonio fosse stata una violenza.
Feliciano sbuffò, incrociando le braccia sotto il mento.
“Si si, si amano da un sacco di tempo… Lo immaginavo ma non credevo che
fossero arrivati a tanto… Ci sono rimasto male perché Romano non me l’ha detto subito”
“E da quando stanno insieme in quel senso?” chiesi abbastanza incuriosito.
Capitava che li vedessi durante le conferenze mondiali, ma da sempre li avevo visti
battibeccare in continuazione. Non riusciva davvero a capire da quando—
“Cinque mesi”
Ah… allora hanno davvero uno strano modo di dimostrarsi affetto.
“Cinque mesi… beh, sono contento per loro” dissi accennando un sorriso, incrociando
le gambe e fissando dubbioso il broncio di Feliciano.
“Dai Italia, se non te l’ha detto subito è perché si vergognava o magari non era ancora
sicuro della sua relazione con Spagna”
“Ah no no, non è per quello…” disse sospirando.
Lo fissai interrogativo: “allora che cos’hai?”
Il moretto restò fermo a fissarmi, deluso.
Cosa…?
“E’ che Romano… insomma, ieri dopo avermelo detto, mi fa: ‘ora puoi ammetterlo anche tu’.
Io ero rimasto fermo a guardarlo, senza capire. Lui ha continuato dicendo che non si sarebbe
incazzato ma che avrebbe fatto di tutto per mandare giù la cosa, ma davvero non riuscivo
a capire dove voleva andare a parare… Finchè non mi ha detto: ‘ma tu e Ludwig non state
insieme?’. Mi ha spiazzato, credeva che io e te stessimo assieme in quel senso”.
La lancetta dell’orologio restò per un paio di secondi unica protagonista indiscussa della stanza.
Si sentiva solo il suo dolce ticchettio, e io non sapevo davvero come interpretare quella frase.
Non c’è nulla da interpretare, mi dissi più e più volte, ma lo sguardo deluso che mi stava
rivolgendo Feliciano mi lasciava un sapore amaro in bocca.
Cosa devo rispondere ora?
“S-strano che abbia pensato una cosa simile…” ridacchiai nervoso.
Feliciano restò immobile a guardarmi, rispondendo con un mugugno, alzandosi mogio dal divano.
“Vado al bagno” disse con un tono di voce atono, strascicando i piedi durante tutto il tragitto.
Appena ebbe chiuso la porta tirai un sospiro di sollievo, affondando il capo nello schienale.
 
Cosa avrebbe dovuto rispondere, insomma, loro non erano amanti.
Eppure sentiva una stretta allo stomaco fastidiosa. Scomoda.
Un sentimento represso nel cuore, che mano a mano sarebbe diventato sempre più difficile da ignorare.
 
Perché in fondo, se n’era accorto.









 
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Capitolo 37
*** 37 ***


 
Fonte d'ispirazione (sad song):

http://www.youtube.com/watch?v=NIS1Tt_afY4

 
 
 
 


Mi è stata detta una cosa strana.
Mi è stata detta una cosa sbagliata.
Mi è stata detta una cosa… che è meglio che non ti dica.
 
Riguarda te, riguarda me.
Riguarda una piccola bambina.
Riguarda un coraggioso bambino.
 
Che se ne andò, lasciando tutto.
Che se ne andò, promettendo tutto.
Che se ne andò… e che non tornò mai più.
 
Le foglie d’autunno fecero in tempo a lasciare i caldi viali di maggio,
la neve primaverile a investirne il giovane volto come petali di ghiaccio.
La bambina stette ad aspettare.
Per giorni, mesi, anni.
Le mani congiunte in preghiera, il capo chino. In silenzio.
Il tempo mutò, il paesaggio non fu più lo stesso.
Ora spazi un po’ più grandi, ora cieli ancora più luminosi.
Ma lei era rimasta immobile.
Incapace di difendersi dai suoi aguzzini, incapace di lottare per se stessa.
Aspettava.
Il bambino l’avrebbe protetta.
Il bambino l’avrebbe amata.
Il bambino…
 
 
è morto
 
 
… non sarebbe più tornato.
 
 
 
Cosa le era successo?
Lei sorrise.
Cosa le era successo?
Il bambino non c’era più.
Ma lei ora rideva.
Lei ora cantava.
Lei ora… piangeva.
 
Ora lei… moriva.
 
 
E fu un attimo.
Colore più bruno dei capelli.
Una voce greve si alzò all’interno della stanza.
Il corpo così efebico e ‘lei’ rideva del suo forte riso maschile.
 
 
Lei era Lui.
 
 
 
I medici la chiamarono regressione corporea1.
 
 
 
 
 
Mi è stata detta una cosa strana.
Mi è stata detta una cosa sbagliata.
Mi è stata detta una cosa… che è meglio che non ti dica.
 
Riguarda te, riguarda me.
Riguarda il me stesso di un tempo.
Riguarda un amore mai vissuto.
 
 
 
 
Mi è stato detto… che lui è ancora vivo.
Qui.
 
 
 
 
Premette sul suo cuore.
 
 
 
 
Qui.
 
 
 
 
 
 
 
 
1Un periodo dell’infanzia si presenta alla ribalta della coscienza del paziente con una speciale forza corporea (…). E’ più immediata del solito incontro terapeutico con i ricordi. Per qualche istante il paziente ha quasi l’impressione d’essere proprio lì, come se si stessero svolgendo davanti a lui, qui e ora, certi eventi del passato. Egli sa che non è vero, proprio come lo spettatore di un film sa che si tratta di una finzione filmica, eppure avverte un coinvolgimento del corpo: la caratteristica essenziale è lo sviluppo di sintomi tipici che seguono l’esposizione ad un fattore traumatico estremo, che causa o può comportare morte o lesioni gravi o altre minacce all’integrità fisica.  (Dowring - Allen Frances).

 

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Capitolo 38
*** 38 ***


 
*(interposizione di Sud Italia/Romano Vargas)
 
 
 
 
Non avrebbe dovuto incolpare il povero fratello.
“Sei un idiota” –anche se forse se lo meritava.
Se ne stava lì, impalato come uno stoccafisso a fissare la sagoma del treno
allontanarsi lentamente, beffarda.
Si sarebbe messo a correrle dietro se non avesse abbastanza coscienza da
non fare cose avventate.
Come se non ne avesse mai fatte.
“Sei un idiota!” trovando in compenso altro modo per sfogarsi.
Il soggetto delle sue ire se ne stava tranquillamente seduto su una delle tante
panchine, masticando piano il suo panino con la mortadella. Prima o poi
avrebbe smesso
, pensava questo.
“E’ tutta colpa tua! Sempre, sempre devi dilungarti così tanto per salutare
quello stupido spagnolo!!!” sbraitò rabbioso Romano con un misto di
gelosia- “e non guardarmi così!”.
Feliciano alzò il capo sinceramente sorpreso, la bocca sporca di maionese e –guardarlo come…?
“Neanche ti stavo guardand—“ “E non parlarmi con quel tono sai!? Sono troppo
incazzato, Dio Dio Dio… non farti neanche vedere!”
Accigliato.
Sorpreso.
Ridicolo.
Scoppiò a ridere il minore Vargas, tanto da accucciarsi sopra il proprio
stomaco, timoroso di rimettere la pagnotta appena ingurgitata.
 “Ma… ma sei scemo!?” esalò guardando divertito il maggiore -che di divertente
non ci stava trovando nulla.
“Piantala di ridere Feli, ora che facciamo!?!?”
“Torniamo da Antonio, no?” rispose ovviamente il moretto, alzandosi e sfregando
le mani sulle ginocchia per togliere le ultime briciole.
Romano lo fissò malamente. “Non voglio tornare a casa di quello sfigato!”
“Si, dai muoviti” ridacchiò il Nord Italia, prendendo il maggiore sottobraccio che
ancora imprecava nella sua direzione, incamminandosi verso l’uscita della stazione.
Spagna era davvero una bellissima persona, così sinceramente innamorata di suo
fratello da far quasi venire invidia. Perché non era tanto Romano, quanto Feliciano ad invidiarli.
Entrambi. Del loro rapporto, delle loro litigate anche. Un modo così aperto di esprimersi.
Poteva dirsi lo stesso, con Ludwig?
 
 
 
 
 
 
(per mettere un po’ d’allegria)
 
 
 

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Capitolo 39
*** 39 ***


 
 
 
Si sveglia sempre tardi alla mattina.
 
“Ma porc---“
“Fa meno casino, Italia…”
 
Tutte le volte, tranne la domenica.
 
Mi rigiro pigro dentro le lenzuola, fissando seccato la sveglia. Sono le 6 del mattino.
“Sono le 6 del mattino, potresti almeno avere la cortesia di brontolare fuori da
questa stanza?” chiedo inutilmente.
L’italiano si gira inviperito, con due borse sotto gli occhi da far invidia ad un panda.
Lo vedo traballare, mentre a fatica cerca di allacciarsi la cravatta.
Ha ancora in corpo il doposbornia del sabato sera.
“Per quelle poche volte che faccio lo sforzo di alzarmi, devi sempre essere pronto
ad ammonirmi comunque!” risponde seccato, mugugnando mentre si appoggia alla
testiera del letto per non cadere.
Sbuffo di rimando, strofinandomi la chioma bionda, sbadigliando.
 
Non lo fa certo per se stesso, lui adora dormire. Se fosse per lui starebbe tutto il
giorno ad oziare a letto ma…
 
“Ricordati di chiudere la porta quando esci. E salutami Vaticano”
“Che si strozzi con l’acqua santa quel—“
“Feliciano…!”
“Oohh che diamine, ok ok!!!”
 
E dire che sarebbe un giorno di riposo, ma soprattutto di pace.
 
“Aaargh!!! Dove sono le chiavi della macchina!?” lo odo sbraitare dal salotto,
sentendolo trafficare tra i cuscini del divano.
“Le hai laschiate vicino al fornello!!!” urlo a gran voce mentre mi alzo dal
materasso, stropicciandomi gli occhi.
Ho capito che per quella mattina non si dormirà più di così.
Mi avvicino pesante alla finestra, vedendo il mio autoproclamato inquilino
andarsene in modo trafelato, sbattendo il cancello che dal contraccolpo si riapre,
causandogli maggior nervosismo così che, imprecando piano, torna indietro a richiuderlo.
Ed eccolo uscire di casa con i capelli completamente andati, l’abito da festa
rattrappito e con qualche macchia di vino sulla camicia.
Italia non la può sopportare, la domenica mattina.
 
 
Ma non è sempre stato così.
 
 

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Capitolo 40
*** 40 ***


Beep… beep…. Beep…
 
 
“Pronto?”
 
“Oh sia lodato il cielo, Germania!!! Ma si può sapere che cavolo stavi facendo!? Sapevi che ti avrei chiamato nel pomerigg--”
 
 
 
Beep – beep – beep – beep – beep
 
 
 

 
 
Aveva sempre odiato questo lato infantile di Ludwig.












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Capitolo 41
*** 41 ***


 
 
 
Signori e signore (specifico entrambi i sessi perché con stì nick-name non si capisce mai un cappero)
vi ringrazio dal più profondo del cuore per aver continuato a leggere e seguire questa benedetta fanfiction
che è finalmente giunta al termine!!! (YEEEEEHHH!!!!)
Allora, siccome non è mia intenzione annoiare nessuno, andrò dritta al sodo:
 
Per l’Amor del signor Gesu Cristo che è sceso in terra e poi risorto, siete almeno una TRECENTINA,
o voi uomini e donne disgraziate (bonariamente) che mi seguite, ma mai un commentino mi avete lasciato!
Neanche una singola parola come ‘no’ ‘si’ ‘eh?’ o anche essere fin troppo cortesi nel dire cose del tipo
‘veramente bello’, ‘wow’ o altre esaltazioni onomatopeiche che trovo esilaranti!
Poi ci sono state invece delle sante donne (a cui dire grazie non basterebbe) che mi hanno dedicato
interi papiri di belle parole e consigli tanto che il mio Ego ne ha risentito troppo *si abbraccia da sola.
 
Insomma, questa storiella è giunta alla fine (senza un finale concreto, intendiamoci; dopo tutta una serie
di scenette e spettacolini di varietà, non potevo certo finire con un ‘e vissero tutti felici e contenti’, no?)
così mi sono posta un quesito che riguarda voi… o meglio, che voi vi siete posti.
Anche se sono sempre più convinta che questa sia una mia mera fantasia, forse qualcuno si chiesto
il PERCHE’ del titolo.
 “Non imparerò mai”.
Non ha molto senso, lo ammetto. Almeno, nel contesto!
Però il tutto è nato dall’idea originale, ossia dalla somma (ora che la rileggo mica tanto) fanfict con cui
sarebbe dovuta iniziare questa interminabile collezione di barzellette e poetiche stentate.
 
Ma il tema era un po’ troppo triste e giù di tono, insomma, se qualcuno l’avesse letto di certo non avrebbe
continuato a leggerne il seguito (non che il primo capitolo scelto in seguito sia stato più allegro o spensierato)
ma cominciare con un tono così, come dire, macabro e triste non pareva il caso.
Così, dopo mille peripezie, ho deciso di terminare tutto in questo modo!!!
 
Ancora un enorme GRAZIE a tutti/e!!! E se almeno per l’ultimo capitolo potreste dirmi come vi è parsa
la storia, se vi è piaciuta o vi ha fatto letteralmente andare al bagno a vomitare, mi fareste davvero
felice =)  (in entrambi i casi!!!)
 
(Mi sono pure permessa di andar fuori tema pubblicando qualche mio disegno, me ne rammarico un
pochino a dire il vero) ad ogni modo quel che è fatto è fatto!!!! Buona lettura!!!!!!!
 
 
 
 
 
 

 
Non imparerò mai.
Forse è anche per questo che ancora stringo la tua mano.
 
E’ così calda.
 
 
E dire che me l’hai anche detto… oh, ordinato, scusa.
Mi hai guardato negli occhi, scandendo le parole, fissandomi serio. Sibilando, quasi cattivo.
 
“Non seguirmi”
 
Mi conosci, Germania.
Sapevi che ti sarei stato appresso, anche se avessi dovuto trasportare un’intera montagna.
Anche se ciò avesse comportato l’abbandonare tutto.
Perché non mi sarebbe importato.
Perché non avrei perso nulla.
Tutto quello che volevo era qui.
Tu, eri qui.
 
Risparmiandoti le mie solite cantilene, decisi di seguirti silente.
La tua grande schiena si stagliava poderosa nell’immensa luce del mattino.
Calda, bella, nuova.
Avrei voluto vederla.
Sarei dovuto crescere, però.
Avrei voluto davvero essere più alto, per poter scorgere oltre le tue possenti spalle, per  
poter vedere attraverso quel mero bagliore che t’incorniciava il capo.
Ma forse non me lo avresti mai permesso, come a stento ti ostinavi ad ignorare la mia presenza.
Ma io sono qui.
Sono qui, lo capisci?
Non avresti dovuto comportarti come se io non ci fossi, come se stessi indietro, come se avessi capito.
Come se avessi potuto realmente capire.
Ti sei convinto di questo, e hai lasciato correre.
Come hai potuto essere così crudele?
Come hai anche solo pensato di puntarti la pistola alla tempia, premendo il grilletto?
 
Io ero dietro di te.
 
D’un tratto, quello piccolo spazio che ci divideva è stato nullo, e la strada è stata sgombra.
Da tutto.
Tu non c’eri più.
L’infinità di un mondo sconosciuto, che con una luce abbagliante mi ha accecato.
Non era così come l’avevo sempre sognata.
Ne ero spaventato.
(Tu non c’eri più.)
Lo scudo che mi proteggeva dal mondo, che come un velo nascondeva ciò che di più orribile
esistesse sotto le mie mere convinzioni di giovane sprovveduto qual ero.
Ora lo era egli stesso.
Steso a terra, fermo.
Un rosso carminio colava dalla sommità del berretto, scivolando lungo la mandibola, solcando
le fosche pupille rivolte al cielo.
Ti stava chiamando, ma tu non rispondevi.
Non rispondevi alle mie richieste di aiuto.
(Nonostante ora non ci fosse più una fredda cornetta tra di noi)
Mi chinai verso di te, chiamandoti.
Poggiai una mano sul tuo petto, movendolo appena.
Stesi il mio intero corpo sopra il tuo, facendo leva con le braccia.
Il tuo viso era immobile, sembravi preoccupato.
Te ne eri accorto alla fine, troppo tardi però.
Perché l’hai fatto?
“Ecco, hai visto? Ora ti proteggo io, Germania”
Ma la voce roca e le lacrime tradivano il mio falso coraggio.
Lo fissavo, e pareva che sorridesse.
Sorrisi anch’io, poggiando le mie labbra sulle sue, ritirandomi poi.
 
Stava ancora dormendo.
Sssshhh…
 
 


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