Hysteria

di Sunset on Mars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Aria di cambiamenti ***
Capitolo 3: *** Andiamo via? ***
Capitolo 4: *** Benvenuti a Los Angeles! ***
Capitolo 5: *** Ricordi passati. ***
Capitolo 6: *** Segui l'orizzonte ***
Capitolo 7: *** Resteremo insieme? ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 


HYSTERIA



Prologo



Eccomi, alla fine di un viaggio difficile. Non so spiegarvi il motivo per cui sono qui. Credo che alla fine, tutto si abbandoni.
Sono seduta nella panchina di un parco da circa mezza giornata. Il sole caldo del mezzogiorno mi riscalda la pelle bianca. Ho scrutato a lungo i volti della folla cercando un viso familiare, ma la mia mente si perde nei loro tratti e dimentica il suo scopo, impegnata com’è a rispondere alla domanda che il mio cuore infantile gli pone: Qual è la ragione che spinge la gente ad andare avanti?
E’ una domanda sorda al cuore, perché non ho con me la risposta.
Se avessi ancora la determinazione di un tempo non avrei problemi a risponderle.
Una ragione per vivere.
Ricordo che un tempo l’avevo cercata dappertutto, ricordo di aver affrontato un viaggio e cento avventure, per trovare le mie ragioni.
Ragioni che si sono sciolte come neve al sole.
Oggi ho messo in rassegna la mia vita, sto cercando i motivi che mi hanno spinto anni fa a lasciare ogni certezza. L’unica cosa che sono riuscita a capire, è che da quel giorno è cambiato tutto.
Ho preso una strada diversa da quella che ho sempre immaginato, mi sono arresa alla vita senza chiedermi perché. In un certo senso, ho sempre continuato a combattere, ma in un modo così lontano da quello che avevo creduto mio.
Si cresce, ecco cosa mi sono sempre ripetuta. In fondo, chi ha davvero la fortuna di essere da grande ciò che sperava da bambino? E non posso dire che la colpa di questo derivi da altri. Ho scelto da sola la mia strada, e non l’ho persa più di vista. Tanti obbiettivi e poche pause, più ti tieni occupato meno tempo hai per reagire.
La rivolta. Un sorriso mi attraversa il viso solo al pensiero. Ecco cosa ho sempre cercato, e ora lo so, la cerco ancora. Certe cose non cambiano con l’età, dopotutto.
Un viso irrompe nella mia mente e conclude ogni pensiero. Un sorriso infantile pare portarmi in un’altra era, in un altro luogo, in tempi ormai lontani e irraggiungibili, per poi spegnersi tra le fiamme del ricordo.
 
La storia che vi racconterò è cominciata molti anni fa, ma non è finita mai, anche se ora mi sembra solo un vecchio sogno ricorrente.
 

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Capitolo 2
*** Aria di cambiamenti ***


 
A volte non è importante avere un posto dove andare, a volte devi solo scappare.
 
Ecco cosa facevo. Scappavo. Aprii la porta di casa e la chiusi alle mie spalle. In una mano la custodia della chitarra e nell'altra un vecchio zaino in cui tenevo qualche foglio, una penna e qualcosa da mangiare. Non credevo mi servisse altro, non mi serviva altro. L’ira mi accecava, nelle mie vene scorreva l’adrenalina. Cominciai a correre giù per la strada, attraversai il centro e mi diressi verso il mare. Non ricordo bene quando smisi di correre, e ricordo ancora peggio il momento in cui capii di fare una cazzata, fatto sta che arrivai nella spiaggia, uscii la mia chitarra acustica e cominciai a suonare qualcosa. Erano le nove di sera quando riaccesi il cellulare. Nessuna chiamata. Ecco, quello fu il momento in cui capii che non sarei tornata a casa.


Era un Sabato sera. Notte, ormai.
Ero sdraiata sulla schiena, la chitarra alla mano, guardavo il cielo e pensavo a cosa avrei fatto. Non riuscii a chiudere occhio, ma la notte passò velocemente. Fu strano. Mi svegliai insieme al sole quella mattina, era fantastico.
Che cosa avevo fatto? Avevo preso le mie cose, ero andata via senza una ragione.
Mi accorsi solo in quel momento della determinazione delle mie scelte. Non ero tornata a casa, non avevo fatto nessuna chiamata. Non avevo paura. Sono pronta, mi ripetevo. Sono pronta a cambiare, sono pronta ad andare avanti, ad affrontarla come viene, questa vita. Sono abbastanza cresciuta per questo.
Diciassette anni quasi del tutto andati via, ideali e sogni in una mano, ingenuità nell’altra. Matura, si, mi credevo matura. Ma ero davvero pronta a lasciare tutto? Ero pronta a non tornare più in casa? Ero capace di cavarmela da sola? Ormai ero decisa, ma un velo di rimorso mi attraversò la schiena in un brivido. Pensai a tutto quel che avevo, a tutto quello a cui tenevo. Poco, era vero, ma non sembrava importante ora. Non volevo tornare a casa.
Avevo finito di sistemare le poche cose che avevo, e mi sedetti sulla spiaggia. L’aurora era ancora limpida nel cielo. Sentii dei passi, ma non ci feci caso.
 “Ehi?”
Saltai quasi in aria. Fui sorpresa da quel ragazzo che mi si avvicinava sicuro. Sorpresa, non impaurita. Aveva un viso familiare e parlare con lui quel giorno mi sembrò la cosa più naturale del mondo.
“Ehi.”
“Non credevo ci fosse qualcuno a quest’ora, da queste parti. Credevo davvero di essere l’unico.”
“Credevi male.”
Sentii i suoi occhi penetrarmi l’anima, tanto che dovetti spostare lo sguardo. Mi scrutava, cercava in me qualcosa. Mi aspettavo una sua domanda, da un momento all’altro. Infondo era normale che gli venisse qualche dubbio su chi ero o cosa ci facevo lì. Ma mi sorprese ancora. Quel silenzio che prima mi angosciava ora mi faceva sentire stranamente al sicuro, come non mi sentivo da tempo. Nessuna domanda sfiorò le sue labbra. Volse lo sguardo all’orizzonte e sorrise mesto.
“E’ bellissimo, questo posto. Mi sorprende ogni volta che lo vedo. E’ calmo, sai? Anche in piena estate, è difficile che le grandi famiglie o le comitive di ragazzi passino di qui. Forse è per questo che mi piace, lo sento mio fino in fondo. E credo sia per questo che vederti qui mi ha sorpreso molto.”
Non risposi a quelle parole. Conosceva quel luogo come le sue tasche, sapeva che non c’ero mai stata. Pensai al giorno prima, ricordai di avere sceso delle scale quando ero troppo stanca per camminare ancora. Nulla che mi avesse attirato in quel posto.
Passarono pochi minuti di silenzio prima che ci decidessimo a parlare. Il tempo sfuma i ricordi, e non ho memoria di cosa successe quel giorno. Ricordo solo che parlammo a lungo, ma mai mi chiese perché ero in quel luogo, e lo stesso feci io. Ma sapevo che era diverso. Glielo leggevo negli occhi chiari.
 
 
Mars.
 
 
 
 
 
“ E' una follia, è una follia.”
“Non credo che tu mi sia d'aiuto.”
“Pazza. Ci sta di scappare, tutti siamo scappati, ma non puoi farlo per sempre. Presto tornerai a casa.”
“Io in quel buco non ci torno! Senti Erica non farmi arrabbiare, sono in un bar pieno di ubriaconi e questo solo per chiamarti, ti sarei grata se tu cercassi almeno di aiutarmi.”
“Ok, senti, torna a casa eh? Almeno affronta le cose, se non è cambiato niente...troveremo una soluzione.”
“Ok...non prometto nulla però..”
“Ci vediamo alle 5 e mezza davanti casa tua.”
“Ok.. grazie.”
 Mars riattaccò e uscì dal bar.

“Com'è andata?” Christian era fuori ad aspettarla da circa mezz'ora.
“Non lo so. Credo che tornerò a vedere come sono messe le cose. Non penso che rimarrò.”
“Se vuoi ti accompagno.”
“Non c'è bisogno che ti disturbi..”
“Per me non sarebbe un disturbo.. e poi così mi distraggo un po' e sto lontano da questo posto. Dobbiamo starci poco.”

Mars quel giorno non fu facile da convincere. Christian però ci provò comunque e alla fine ci riuscì. Sembrava giusto anche a lui che le cose andassero così. Non voleva che buttasse via tutto, era giusto tornare a casa a vedere come erano andate le cose, a parlare con la madre. Erano le sei quando si decise ad andare. Presero la vecchia punto di Christian che cercò di andare più lentamente possibile. Non ci stesero molto ad arrivare, ma Erica era comunque su tutte le furie per quel ritardo. La cosa sembrò non sorprendere Mars e Christian provò a essere indifferente nonostante i continui sguardi della ragazza.
Ormai si conoscevano da mesi, ma non avevano mai avuto il bisogno di presentarsi ad altra gente. Di solito passavano i loro pomeriggi in riva al mare o su una panchina a parlare. Parlavano di tutto, ed era una sensazione che piaceva ad entrambi, conoscere l’altro come le proprio tasche.
Si erano conosciuti in un giorno come quello, quando, mesi prima, Mars in preda alla rabbia aveva lasciato casa per andare via. Alla fine però era tornata a casa, Christian l’aveva convinta che era meglio così. Fuggire non sarebbe servito in quel momento, ma ora sembrava tutto diverso anche a lui. Si stupiva quando si guardava indietro, accorgendosi di quanto l’amica fosse cambiata in quei mesi. Ora la guardava aprire la porta di quella casa che ormai conosceva bene, si stupiva che la diciassettenne un po’ impaurita dalla vita fosse diventata maggiorenne e decisa di ogni movimento. Due giorni fa aveva lasciato quella casa. Avevano passato quei giorni insieme, come tanti altri, la notte Christian l’aveva convinta a stare da lui. Per lui non era difficile, viveva con due amici che di solito tornavano a casa alle prime luci del mattino. Spesso anche lui lo faceva, ma quel tempo lo doveva trascorrere con lei. Ne aveva più bisogno.


Mars non rispondeva alle provocazioni dell’amica. Battutine e frasi scomode la caratterizzavano quando era arrabbiata, e ora era furiosa, perciò lei non vi diede peso. Entrò decisa in casa posando le chiavi nell’ingresso, aprì la porta del salotto e rimase immobile a guardare un punto di fronte a lei.
“Che succede?” Christian si fece spazio e sbirciò la stanza. Vide subito dei borsoni per terra, accanto c'erano la chitarra elettrica che lui conosceva bene, l'amplificare, qualche foglio e uno zaino. Era senza parole. 
“Ti hanno preparato la roba!” Erica avrebbe fatto meglio a stare zitta. 
Christian le posò una mano sulla spalla, ma Mars si scansò subito. Attraversò il corridoio fino ad arrivare a quella che era la sua stanza, aprì lentamente la porta scorrevole e guardò attentamente quella camera come per l'ultima volta. Era semplice, c'erano un letto, un armadio, una scrivania e una piccola libreria piena di libri. I muri erano pieni di poster, scritte, foto e una bandiera italiana su cui aveva scritto: "This place of ignorance". Le fece un po' strano vederla così.. svuotata. Perché sua madre l'aveva svuotata. Perché da quando era morto suo padre era cambiato tutto. Sentì la rabbia iniettarsi nelle vene, si sentì soffocare dentro quella stanza che spesso le era sembrata l’unico posto davvero suo in quella casa, l’unico luogo in cui poteva essere se stessa senza dar retta a nessuno. Adesso sentiva che tutto questo le stava stretto, lo sentiva estraneo e lontano. Aveva appena realizzato quel che era successo. L’aveva cacciata, la voleva via da quella casa, via da quel posto che era sempre stato suo. Urlò con tutta la voce che aveva in gola, saltò e strappò tutti i poster, tutto quello in cui aveva creduto. La sua A cerchiata, i suoi gruppi preferiti, quei fogli sparsi a terra. Quando si fermò intorno a lei c'erano solo pezzi di carta ormai insignificanti. Non riuscì a trattenere le lacrime, e si stupì di sé stessa e di quella perdita del controllo che di solito sapeva tenere sempre a bada. Questa volta avevano vinto le lacrime, e lei si abbandonò completamente a loro senza provare ad opporsi.
Le ginocchia le cedettero e lei si ritrovò a terra con il capo chino. Lo sguardo rivolto alla bandiera, che ormai giaceva a terra insieme a tutto ciò che aveva avuto il tempo di staccare dal muro. Una figura si distinse dalle altre, un volto sorridente la chiamava silenzioso. Avvicinò la mano a quel viso e lo raccolse. Era il viso di suo padre. Gli occhi sereni, il braccio attorno al collo di lei. Ridevano. Ridevano insieme. Non ricordava più l'ultima volta che aveva riso senza essere ubriaca.
 
 
 
Quando uscirono di casa pioveva. Mars odiava la pioggia. Era quasi "strano”, di solito quando si è tristi la pioggia aiuta. A lei non piaceva, era inutile, quell’acqua le prosciugava l’anima, le faceva venire voglia di rientrare. Era un po’ come odiava piangere. Era una cosa che non faceva mai, in cui non riusciva nemmeno. A volte ci provava, ma non poteva. Era come se gli occhi si rifiutassero. Adorava quando il cielo era scuro, sul punto di piovere, ma senza pioggia. Quando l'aria era così fredda da far venire voglia di restare in casa. Così sperò in una tempesta. Si, quella sarebbe servita.
Mars e Erica erano sedute nei gradini della porta di "casa". Christian era andato a prendere la macchina, così avrebbero potuto prendere la roba lasciata all’entrata dalla madre.
Le due ragazze restarono così, in silenzio. Non era un silenzio piacevole, ma non era imbarazzante. Era piuttosto necessario, non c'era nulla da dire, ed ogni parola avrebbe fatto male, più male di quanto già faceva quel silenzio assordante. Cominciò a fare davvero troppo freddo per essere Giugno, così Mars aprì la porta ed entrò in casa. Erica non si curava di lei, non si curava della pioggia, accese una sigaretta e le si rivolse con indifferenza. “Non troverai niente.”
“Non cerco niente.”
Entrata in casa aprì il frigo, come per cercare qualcosa da fare nell'attesa di Christian. Non prese niente, non aveva fame.
Alzando lo sguardo notò un foglio attaccato con una calamita. Era piegato e c'era scritto " X MARS"


"Vieni al nostro posto al mare. Stefan."


Non riusciva a capire, Stefan non lo vedeva da circa un anno, quando era andato via dalla città. Era un vecchio amico, un ribelle fuggito per rincorrere i suoi sogni. Lei lo aveva sempre ammirato, non tutti avrebbero avuto il coraggio di fare una cosa del genere, di lasciare la città, di sparire senza dire nulla, con una valigia colma di sogni e fregature. Era una di quelle persone che hanno quel filo di mistero attorno, che non parlano molto, ma quando lo fanno ti lasciano sempre con il fiato sospeso. Stava sempre ad ascoltare e sembrava attento ad ogni piccolo particolare, non dava nulla per scontato. Era stato il suo migliore amico, Mars lo ricordava bene. Ricordava del suo viso ogni dettaglio, e vedendo quel nome sul cartoncino sperava che non fosse cambiato per niente. Doveva aver fatto da poco 20 anni. Chiuse gli occhi e lo rivide sopra un muretto, con un foglio in mano. Aveva la mania di scrivere ogni pensiero, così da non dimenticarlo. Sfoggiava sempre un sorriso beffardo e aveva le mani grandi. Ricordò nel dettaglio l’ultimo giorno che lo vide,  al loro posto al mare. Le aveva lasciato un biglietto sotto casa, quel giorno. Da tempo aveva un comportamento strano.
Ricordò di averlo rivisto, sotto quel muretto, e di essere corsa ad abbracciarlo. Aveva capito.
“Verrò a prenderti” le aveva giurato.
E ora era tornato. Forse voleva mantenere la sua promessa, o forse era tornato per restare, ma ricordandolo ogni dubbio le svanì. Stefan era sempre stato una cometa; prima che tu possa accorgerti del suo passaggio, lui era già andato via.
 
 
Christian era arrivato, Mars non ci pensò due volte prima di uscire. Aveva quella convinzione che non avrebbe più rivisto quella casa, e non vedeva l'ora di lasciarla. Sentiva un peso allo stomaco, ma non le importava nemmeno di questo. Voleva solo andare via da quel posto per sempre. 
Caricarono le cose nel bagagliaio di una punto grigiastra vecchia edizione.
“Dove andrete?”
Mars non si curò della domanda dell'amica e salì in macchina.
“Non lo so, credo da nessuna parte,” Christian cercò di sorridere, come per fingere di avere appena fatto una battuta. Ma non lo era, lo sapeva bene.
“Statemi bene..”
“Ci sentiamo presto Erica.”
Non appena Christian partì Mars gli mise il biglietto sotto gli occhi.
“E' un tuo amico?”
“Diciamo così..”
Lei si limitò a spiegargli la strada e per il resto del viaggio rimasero in silenzio. Erano le nove di sera ormai, non pioveva più, ma ogni tanto si sentiva qualche goccia sbattere contro il tettuccio della macchina.
Quando arrivarono Christian non scese.
“Faccio subito..”
“Ti aspetto,” disse, e mise su un cd anni 70.


Mars scese sulla spiaggia e camminò per qualche metro fino ad una lampadina, era già notte e non si vedeva nulla che non rientrasse nel suo campo di luce. Si sedette sulla spiaggia, appoggiata al muro, e quasi si sorprese della tranquillità che le scorreva nelle vene.
“Ehi” disse.
Dal buio emerse un’ombra di cui si vedevano con chiarezza solo gli anfibi.  Lei allungò un braccio e prese la mano della figura nera, fino a tirarla a sedere.
“Ehi” rispose l’ombra che finalmente aveva un volto.
Quando gli occhi di Mars si abituarono al buio riuscì a distinguere anche i suoi colori.Si fermò a fissarla, come per cercare in quel viso qualcosa di familiare.
Ricordava bene lo Stefan diciassettenne, lo Stefan dell'ultima volta che l'aveva visto. 
Era cambiato davvero. 
Aveva i capelli rosso sbiadito rasati ai lati della testa. Non riusciva a riconoscere i suoi occhi, li ricordava verdi, ma dopo due anni la memoria ti gioca brutti scherzi, o forse c'era solo troppo buio. 
Fisicamente non era cambiato molto, era solo più sviluppato, ma lo stesso di sempre.
Mars si voltò a guardare il mare.
“Come stai?”
“Ho saputo che eri andata via.”
“Sparisci per anni e non mi dici nemmeno come stai?”
“Così ho deciso di chiederti di venire con me.”
Dritto al punto.
“Dove?”
“A Los Angeles.”
“Come?”
“Mi sono stabilito lì, sai? Ho una casa, e anche un lavoro. Io con un lavoro, ma mi ci vedi?”
“No, in effetti no” si lasciò scappare una risata.
“Ripartirò domani. In realtà, non so nemmeno perché sono venuto. Sai, avevo voglia di staccare un po’ la spina, e tornato qui ho ritrovato tutto il mio passato, tutto quello che mi ero lasciato alla spalle. Così mi sono accorto delle cose che mi sono mancate, di questo posto. E non potevo andare via senza un souvenir.”
“Idiota, io sarei il tuo souvenir?”
“Sì, sei il mio passato, e mi sei mancata molto. Sarebbe fantastico averti lì con me, e so che vuoi venire.”
“Non è così semplice..”
“Lo è invece. Ho aspettato i tuoi diciotto anni per tornare, e quando Erica mi ha detto quello che era successo non ho avuto più dubbi.”
Allora lei sapeva.
“Non è facile lasciare tutto, così, di punto in bianco..”
“Domani alle sei sarò davanti al bar.”
“Ho sempre odiato quel bar.”
“Non mi presenti il tuo amico?”
“No.”
“Verrà anche lui?”
“Non so nemmeno se verrò io.”
“Se non ti vedrò, capirò che hai fatto un’altra scelta. Sappi che sei la benvenuta.”
“Idiota.”

Stefan si alzò senza dire una parola e prima che lei potesse accorgersene, era già andato via, sparendo nell’ombra esattamente come era arrivato.
Mars restò a fissare l’oscurità accanto a sé, e desiderò rivedere la figura dell’amico al suo fianco. Desiderò che lui rimanesse. Si sentì terribilmente egoista per questo, ma sapeva che non avrebbe potuto fare altrimenti. Le era mancato, e rivederlo gli aveva fatto riaffiorare tanti ricordi. Voleva tenerlo con sé.
Non sentiva più i passi di Stefan sulla sabbia, doveva andare.
 

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Capitolo 3
*** Andiamo via? ***


 
"Andare via."
"E’ questa la proposta."
Christian si stava massaggiando le tempie per cercare di ragionare, magari sarebbe anche riuscito a scacciare quel terribile mal di testa .
"Andare via."
"Sì, Chris, andare via."
"In un’altra città.."
"Sì."
"Un altro paese.."
"Sì."
"Diamine. Non sono cose che puoi decidere così."
"Lo so."
"Perché dovrei venire anche io?"
"Te l’ho detto, è questa la proposta. So che vuoi anche tu, comunque."
"Si, ma dirlo, sognarlo, era una cosa, avere l’opportunità di farlo, è diverso.."
"Ehi, dormiamoci su, ti va?"
 
 
Quella sera Christian aveva cacciato di casa i suoi coinquilini. Lo faceva spesso, quando Mars lasciava casa. Era sempre stato normale, loro non ci facevano più caso, era solo una scusa per passare la notte a fare baldoria. Durava qualche giorno, magari una settimana, loro dormivano di giorno e di notte lasciavano la casa. Non avevano problemi a farlo, come se fosse stata una vacanza. Ma le vacanze, si sa, finiscono, e Mars tornava a casa. Lei era così, andava via, ma dopo tornava sempre. Questa volta sembrava diverso, ma nessuno ci credeva davvero.
 

 
Era l'alba. Mars aveva sentito un rumore e si era svegliata. Dalla finestra della stanza vide Christian, era seduto sul muretto del balcone che si affacciava sulla spiaggia.
Per un momento guardò il mare, era colorato di una sfumatura arancione. Era bellissimo. Quando i suoi occhi si abituarono alla luce guardò bene Christian. Aveva il viso tra le mani aperte che gli scoprivano gli occhi. Non stava piangendo, ma aveva le palpebre chiuse. Mars si alzò per andargli incontro ma lui la sentì, la guardò per qualche secondo e dopo le sorrise. Lei ricambiò. Era confusa. 
 


Stefan guardava Christian con un sorriso beffardo.
"Ciaao!" disse col solito ghigno.
"Ciao.." rispose lui un po’ confuso.
"Io e te non ci siamo mai visti."
"Già."
"Oh bene," gli scappò un altro sorriso. "E dimmi, partirai con noi? No, no. Non dire niente. Partirai con noi" rise. 
Mars sospirò.
"Sai, non prenderla male. Io sono qui per portare Mars con me."
"Lo so."
"Quindi, dimostrami quanto vali."
"Cosa intendi?"
"Dimostrami che vale la pena portarti con me."
"Io non so se voglio venire."
"Sai, Mars mi ha detto qualcosa di te, prima."
"Non so se voglio venire.."
"Non accetti passaggi dagli sconosciuti?" Ghignò Stefan.
"Non fare lo stupido, ora. Non te ne venire fuori con una frase umoristica perché non fai ridere. Sai quanto potrebbe cambiare la nostra vita se davvero veniamo con te? E poi, sinceramente, chi ti conosce? Chi mi dice che cosa fai davvero lì?"
"Ehi, ragazzo, io ti sto dando l’opportunità di dare una svolta alla tua vita. Tu puoi accettare, come puoi tirarti indietro. Nessuno ti costringe. Ma se hai le palle di buttarti in questa cosa, non te ne pentirai mai. Ah, e dovete darmi 100 euro a testa."
"Ah?" Christian sobbalzò.
"Si, avete capito bene. Non avevo contato una seconda persona, non mi bastano i money."
"Che ci devi fare con 200 euro?" Mars si svegliò dal suo letargo.
"Fatti miei che ci devo fare. Ti vuoi fidare per una volta? Datemi 100 euro e chiudete il becco."
"Non è facile lasciare tutto, Steff."
"Oh, nessuno ha chiesto il vostro parere. Volete venire o no?"
I due ragazzi lo guardavano come si guarda un pazzo.
"Ma vedi un po’ te, a questi gli sto facendo un favore enorme, e mi guardato manco fossi malato," disse tra sé e sé.
"Ma se tu almeno ti spiegassi.."
"Porca la miseria! E che v’ho chiesto, la vita? Guarda, lasciate stare. Non datemi niente. Penso che dopo questi strazianti minuti andrò a fare una visita ai pesce cani."
Mars alzò gli occhi al cielo e poi si avvicinò alla macchina di Chris, aprì il bagagliaio e uscì 200 euro.
"Trattameli bene, sarò a secco per molto tempo."
Stefan si mise in ginocchio con le mani congiunte e guardò il cielo "Dio, allora esisti!"
Il ragazzo aveva ancora quel suo sorriso. Salì in macchina, mise in moto e andò via, dopo un’ultima risata.
 
 
Ci volle una settimana intera per preparare tutti i documenti e comprare i biglietti.
In una settimana hai il tempo di assaporare per bene la tua decisione, non puoi partire e lasciarti tutto dietro senza pensarci.
"Il segreto è non pensarci. Così hai meno probabilità di accorgerti che è tutta una follia." Aveva detto Mars a Chris uno dei primi giorni.
"E' molto irrazionale."
"Odio essere razionale."
"Non ho nulla da perdere, no?"
Quella convinzione era forse il motivo principale che li aveva convinti a partire. Cosa avevano da perdere? Una volta andati via, chi avrebbe sentito la loro mancanza? E soprattutto, a loro chi sarebbe mancato? La risposta era sempre una; nessuno. Si, c’era qualche amico che gli dispiaceva lasciare, ma la voglia di affrontare un’avventura così grande, di realizzare un sogno, era di gran lunga più grande.
Mars non rispose. Accese lo stereo della macchina e inserì un CD. Partì "Welcome To Paradise" dei Green Day, sentiva le parole di quella canzone così vicine a lei.
"Dear mother can you hear me whining?" Cantò fuori musica ad alta voce, come per sottolineare le parole.
"Non sto piagnucolando!"
"Pay attention to the cracked streets and the broken homes,
    Some call it the slums, some call it nice.
    I want to take you through a wasteland I like to call my home.
    Welcome To Paradisee."
"Ha davvero poco del paradiso questo posto."Christian ridacchiò.
"Dear mother can you hear me LAUGHING?"
"It makes me wonder why I'm still here!"
"Braaavo Chriss!"
"For some strange reason it's now feeling like my home.
     And I'm never gonna gooo!"
"Ecco, ora cambiamo quest'ultima parte, ci stai?"
"Ci sto!"



Una settimana dopo,alle sei di mattina, si ritrovarono all'aeroporto. Stefan li accolse con il solito ghigno beffardo.
"Ti sei deciso."
"Diciamo di si."
"Ok. Andiamo allora!"

Il viaggio era davvero troppo lungo. Con un po’ di musica e qualche discorso inutile cercarono di far passare il tempo più velocemente, ma finirono con l’addormentarsi a causa della noia.
All'arrivo a LA erano distrutti. 
"Dove andremo ora?"
Stefan non rispose alla domanda e si incamminò verso l'uscita dell'aeroporto, dove c'era una macchina ad aspettarli. A differenza di quella che aveva usato Stefan mentre erano in Italia, questa sembrava uscita da un vecchio film anni 70. Una cabrio grigiastra che avrebbe fatto invidia a chiunque.
Dall’auto uscì una ragazza biondo-tinta che corse verso Stefan e lo baciò. Quando lo lasciò andare, sfoggiò un sorriso a 32 denti guardando Mars.
"Tu devi essere Mars, io sono Lucia.>"Aveva un accento strano, forse romano.
"Piacere." Mars ricambiò il sorriso.
"E tu sei.."
"Christian, piacere"
"Piacere tutto mio Chrì! E.. benvenuti a Los Angeles ragazzi! Dove vi porto?"
"Credo che vogliano andare a dormire ora." Stefan sfoggiava un sorriso diverso ora, aveva gli occhi quasi lucidi.
"Si, giusto! Salite in macchina!"
Mentre Chris saliva, Stefan bloccò Mars.
"Ti piacerà qui, non devi avere paura. Ci farai l’abitudine, e  sono contento di riaverti con me" le baciò la guancia e salì in fretta in macchina senza darle il tempo di rispondere.
 Il viaggio in auto sembrò davvero lungo, tanto che Mars si addormentò di nuovo.
Alla fine arrivarono in una strada buia, probabilmente non solo a causa dell'ora. C'era quella che sembrava l'insegna di un locale. Non riuscirono a leggere il nome a causa della mancanza di luce, ma si sentiva il suono di una chitarra e delle urla. Fuori dal locale c'erano dei ragazzi con delle birre in mano e uno di loro si avvicinò a Stefan.
"Bentornato a casa, amico!"
Era evidente che Steff era del posto, ormai.
Dopo qualche saluto si diressero in un'altra strada. Lucia aprì una porta alla quale seguirono delle scale, gli altri tre non si reggevano nemmeno in piedi, ma dovettero salire tre piani. 
Finalmente entrarono in un appartamento che sembrava un po' piccolo. La ragazza mise le chiavi in mano a Christian e si diresse fuori dalla porta.
"Noi stiamo qui vicino, se avete bisogno di qualcosa ci direte quando verremo a prendervi, qui non c’è il telefono. Ci vediamo dopo." Stefan chiuse la porta andando via.
"Vuoi vedere che questo ha una bella vita qui?"
"Mars, io fossi in te cercherei il letto e basta in questo momento."
"Ok, hai ragione" sbadigliò, "ero solo curiosa."

Chris esplorò l'appartamento. Scoprì che la porta principale dava sulla cucina-salotto, in fondo alla quale c'erano due porte, che davano su due camere da letto, in mezzo c’era un bagno. Non era grande, ma sembrò sentirlo suo. Le camere era spoglie, c’era solo lo stretto necessario.
"Buonanotte Mars."
Christian si infilò in una delle camere e chiuse la porta.
"Notte" sussurrò lei, prima di lasciarsi cadere sul divano.
 
 
 

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Capitolo 4
*** Benvenuti a Los Angeles! ***


Non era stata una di quelle notti riposanti dopo un viaggio. Il sonno di Mars era agitato e breve. Si svegliava così spesso da non capire più se stava davvero dormendo o se chiudeva solo gli occhi per sbattere le palpebre. A metà nottata si alzò e andò a mettersi nel letto. Le sembrò di dormire sulla pietra. Probabilmente il letto non aveva niente che non andava, probabilmente era lei che si sentiva inadatta, non era di certo una bella sensazione. Era tormentata da mille domande a cui non trovava nessuna risposta.Forse non aveva la voglia di ricominciare tutto da capo. Quando arrivò il sole decise di alzarsi, non aveva idea di che ora fosse. Spalancò la finestra e andò in bagno. Decise di farsi una doccia, immancabilmente fredda, nonostante gli sforzi. Ma va bene, poteva ancora essere una bella giornata quella. Aveva deciso quantomeno di provarci, anche se magari non era iniziata bene. Quando finì di prepararsi si affacciò alla finestra, per la strada non c'era nessuno. La sua camera era oscurata dall'ombra di un palazzo lì vicino e su un albero c'era qualche uccello che cantava. 
"Ma che avete da cantare di prima mattina, solo voi lo potete sapere!"
Di certo non erano le migliori "prime parole" di una giornata cominciata male che voleva rendere perfetta, ma attirarono l'attenzione di Christian che le piombò in stanza. 
"Buongiorno."
"Ehi."
Era imbarazzante trovarsi lì per loro. Non era la prima volta che vivevano insieme, dopotutto Mars non avrebbe trovato persona migliore con cui affrontare un viaggio del genere, e sapeva che anche per lui era o stesso. Però tra di loro c’era un timore silenzioso che nessuno dei sue aveva voglia di ammettere. Avevano paura per quello che sarebbe successo.
Christian covava già da un po' una domanda ma era evidentemente imbarazzato. Quando il discorso si sbloccò smise di trattenerla.
"Mars ma..il tuo vero nome..di battesimo, intendo. Qual è?"
Per un momento la spiazzò. Era da tanto che nessuno la chiamava con il vero nome. Di solito era usato solo in famiglia...già, in famiglia.
"Maria. Ma nessuno mi chiama così da tempo."
"Oh, è..strano."
"Mica tanto. Solo a casa mi chiamavano così," nel nominare la parola casa si sentì un evidente disprezzo nella voce della ragazza.
"Capisco…"
"Forse dovremmo..fare qualcosa. Dio, sono a pezzi, non mi sento più le ossa, ci credi?"
"Beh siamo stati…nove? Nove ore in aereo, credo. Non è mica facile."
"Non ho voglia di stancarmi oggi..eppure sono elettrizzata. Siamo a Los Angeles! Sto cominciando a credere che sia solo un sogno. Come può essere vero?"
"Non chiederlo a me. Queste cose solo con te possono capitare. Conosco un tuo amico e una settimana dopo mi ritrovo su un aereo. Non presentarmi più nessuno, ti prego!"
Mars gli tirò un cuscino in faccia.
"Mi stai dichiarando guerra? Non so quanto questo ti possa fare bene!"
Scoppiarono a ridere prima di sentire bussare alla porta di casa.
"Vado io"
Christian si avvicinò alla porta.
"Chi è?"
"L’uomo nero. Ma chi deve essere secondo te? Cristo, sono un povero incompreso."
Non appena Christian aprì la porta Stefan ruzzolò per terra, dato che vi si era appoggiato.
"No, ma non è possibile!"
Mars aveva visto la scena da lontano e ora era piegata in due dalle risate.
"Non si ride dei disagi altrui, brutte bestie!"
"Si, facciamo poco gli spiritosi."
Stefan le lanciò un’occhiataccia e si buttò a peso morto sul divano di pelle nera.
"Comunque, bando alle ciance," cominciò a massaggiarsi la testa evidentemente dolorante per la caduta. "Che volete fare oggi? Io sono qui, esclusivamente per voi. Esaudirò qualsiasi vostro desiderio, entro certi limiti di “potere” e “volere”. Soprattutto il secondo, sono reduce da due voli tra Italia e America, vi ricordo."
"Io propongo un dormire-fino-all’una seguito da svegliarsi-mezz’ora-e-ricominciare-a-dormire."
"Pigro al massimo, eh Chris?"
"Si, direi proprio di si, Steff."
Mars li guardava ridendo.
"Allora, un giretto per Downtown, che ne dite?"
"Secondo te noi sappiamo cos’è Downtown?" Lei alzò un sopracciglio.
"Non temere, presto conoscerete questa città meglio di me. Avete qualche soldo messo da parte?"
"Io ho dato tutto per un biglietto d’aereo, dimentichi?"
"Questo non va bene. Chris, a te ci pensavo giusto questa mattina, ti ho trovato qualcosa da fare, ma lo vedremo poi."
"Uhm..certo."
"Mars..Mars niente. Sei troppo scansafatiche."
"Ma se ti mando affanculo?"
Si misero a ridere.
"Usciamo, dai."


 
 
Passarono il resto della giornata nel centro di Los Angeles. La cosa che più preferirono era senza dubbio il M.O.C.A. , il museo di arte contemporanea. Fu una giornata fantastica, indimenticabile.
Di sera comprarono degli hot dog e rientrarono in quella che ormai era la casa di Christian e Mars.
 
"E’ stata una bella giornata," disse Christian lasciandosi andare in una sedia al bancone della cucina.
"Non avete visto ancora nulla. Questo è solo l’inizio e oggi vi siete comportati da turisti. Domani cambierà tutto, sarà come se viveste qui da anni, con l’unica differenza che sarà tutto diverso. Farete quello che io faccio tutti i giorni."
"Cioè un cazzo."
Scoppiarono a ridere.
"Uno cerca di fare un discorso serio, e tu lo interrompi così rozzamente! Che ragazza."
"Ma dai, a chi vuoi prendere in giro, scaricatore di porto!"
Continuarono a battibeccare per una mezz’ora buona, finché Stefan decise che si era fatto tardi e doveva andare via. La loro giornata finiva lì, ma ancora non sapevano che la sua era solo a metà.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Ricordi passati. ***


 

Christian si guardò intorno.
La prima cosa che richiamò la sua attenzione fu il viso di una donna.

Lo guardava con dolcezza e qualcosa nei suoi occhi gli fece capire cosa stava per succedere: stava andando via.

Vide le sue mani alzarsi verso di lei, come per acchiapparla, e solo in quel momento si accorse che erano davvero piccole. Vide il suo corpo da bambino crescere sotto i suoi occhi. Le sue mani ora erano poco più grandi e reggevano un pallone. Rivide la figura adulta della madre e inciampò correndole incontro. Suo padre era lì accanto, erano forse tornati a prenderlo? Quel posto grigio non gli era mai piaciuto.

Prima che riuscisse ad afferrare la mano della mamma, il piccolo Christian la vide crescere un’altra volta.

Era sdraiato nel letto. Un libro in mano e le cuffie nelle orecchie. Sulla porta ricomparve la figura di sua madre. Notò qualche ruga nel suo volto, ma quando la vide spostò subito lo sguardo. La sua bocca si  contorceva in un mucchio di parole che lui non voleva ascoltare.

Sentì i sentimenti cambiargli dentro. Ricordò la voglia di afferrare quella mano tanto più grande che aveva fino a pochi minuti prima. Ora c’era solo rabbia dentro di sé. Alzò il volume dell’mp4 e chiuse gli occhi così da non vedere più quella figura tanto desiderata, e poi tanto odiata.

Cosa poteva importargli di lei? Aveva avuto il suo tempo, l’aveva usato male. Adesso Christian si sentiva stanco. Stanco di promesse vuote, stanco di speranze distrutte dal tempo, e da lei. Da loro. Ma suo padre non c’era mai, lui non c’era mai stato. Come poteva sapere cosa succedeva a casa? Come poteva dargli una pacca sulla spalla e dirgli che era fiero di lui? Fiero di una persona che non conosceva nemmeno, per la quale non aveva mai avuto interesse.

Christian ora stava pensando a quando aveva conosciuto i suoi genitori. Tre anni già compiuti, due signori erano andati a prenderlo per portarlo a casa con loro. All’inizio fu un trauma, ma cominciò a farci l’abitudine. Quando compì sette anni, fu rispedito in orfanotrofio per cause che non capì mai. Mamma e papà non lo volevano più? Era di nuovo in quel posto grigio e buio, e tutte le sere pregava che tornassero per portarlo a casa, magari dicendogli che c’era stato solo un errore. Ricordava vaghe notti in cui mamma e papà non stavano bene. A volte vomitavano, altre volte gli sembravano svenuti. Gli era stato detto che era tutto normale, che però quando succedevano doveva chiamare la nonna, lei li avrebbe saputi aiutare, ma lui non poteva. A undici anni tornò in quella che era stata casa sua, quattro lunghissimi anni fa. All’inizio era tutto perfetto, ma dopo qualche anno i suoi genitori ricominciarono a stare male, e lui dovette riprendere a chiamare la nonna. Una volta che compi quattordici anni, però, non ci credi più che sia normale.

Saltò fuori che i suoi erano dei tossicodipendenti. Durante la loro assenza erano stati ricoverati in un centro di disintossicazione, ma non era mai servito. Certo, i “crolli”, come li chiamava sempre la nonna, andavano via via diminuendo, ma non erano mai finiti davvero, finché lui non seppe. Allora, forse per vergogna, forse perché volevano essere un buon esempio per la prima volta, quando lui scoprì tutto trovarono la forza di smettere, ma Christian perse la sua di combattere per loro.

Delusione, rabbia, risentimento, ancora oggi non sa descrivere ciò che ha provato, ma non poteva più cercare le attenzioni di qualcuno che gli aveva mentito per anni. E poco importa che dicessero che era per il suo bene, lui odiava quelle figure così assenti, non c’erano mai stati, e non ci sono stati neanche dopo.

Il padre sempre impegnato a lavoro, tornava a casa tardi e spesso dimenticava anche di salutarlo. La madre impegnata a fare la mamma perfetta, non si era mai accorta dei problemi che affliggevano la mente del figlio. Per la prima volta, non ne sentiva nemmeno la mancanza. Si era convinto di stare bene da solo, non voleva nessun genitore alla partita di basket e nessuno che gli augurasse la buonanotte. Non aveva bisogno di queste cose da bambocci, lo sapeva.

Ecco perché non fece altro che chiudere gli occhi per ignorare quelle labbra che cercavano di dargli solo altri stupidi comandi. Le ignorò fino a quando, aprendo gli occhi, scoprì che erano scomparse. Ed ecco che la sua mano mutava ancora, ecco il suo corpo crescere sotto io suo sguardo.

Nella mano reggeva uno zaino, lo sguardo fisso all’orizzonte.

"Te ne vai?"

Ecco la voce tanto amata, la voce che ora non sopportava più. La sentiva per la prima volta, ricordava di averla creduta calda e amorevole un tempo, ora sembrava solo irritante.

Si limitò a gettare lo zaino in macchina, tra le altre cose. Entrò e mise in moto, per non tornare più.

 

 

 

 



Christian si sentiva debole, spezzato.
Ripensò a tutto quello che aveva visto, ricollegò i ricordi al sogno, adesso gli piombavano in mente tutte quelle cose che aveva cercato di dimenticare. Gli sembrò di rivivere ogni istante dall'inizio alla fine, ma tutto successe in pochi secondi. Presto si accorse di non aver mai dimenticato la prima volta che aveva visto i suoi genitori, prima di quel giorno ricordava pochissimo.

Ricordava la sua stanza del "centro sociale". Un odiatissimo orfanotrofio. 
La stanza era buia e stretta. Di fronte alla porta c'era una finestra, nel lato destro c'era un letto a castello e in quello sinistro una scrivania con una lampada. Il tutto rigorosamente grigio. Ecco spiegato perché odiava quel colore. Odiava quell’assenza di colore.
Ricorda quei due individui sconosciuti in quella stanza grigia,un << assomiglia a te >> e un << ora ti portiamo via>>. I due tizi lo presero per mano e lo portarono in una macchina, senza fargli nemmeno salutare gli amici di gioco. Non parlò per mesi, lo credevano muto.
"Noi siamo la tua mamma e il tuo papà!" Lui non aveva una mamma e un papà, era cresciuto senza queste figure e dopotutto si trovava bene. Aveva il suo equilibrio, e quei due tizi gliel’avevano distrutto senza pietà.
Quando si abituò alla situazione andarono di nuovo via e lui tornò in una di quelle stanze grigie, dove vi rimase per anni così da convincersi che quella con i genitori era stata solo una breve vacanza.

Christian tornò per un breve istante alla realtà. Aveva gli occhi lucidi.

Rivide i suoi genitori prenderlo dal centro sociale, dopo il suo primo graffito, a 13 anni. Li rivide all’uscita da scuola ed ad un pranzo domenicale. Nulla di che, ma quando succedeva per lui era davvero tanto.

Ricordò di come le mamme degli altri bambini raccomandavano loro di non avvicinarlo, era pericoloso, ma lui non sapeva ancora il perché. Ricordò di essersi sentito un escluso, di non riuscire a trovare qualche amico sincero. Una volta alle scuole superiori la situazione cambiò, finalmente. Il suo carattere forte affascinava i coetanei, che lo credevano quasi un mito. Ma il suo vivere alla leggera quasi li spaventò, così molti continuarono a tenere le distanze. Ma tutto sommato aveva finalmente trovato qualcuno con cui passare bene i pomeriggi, qualcuno che si preoccupasse di non fare domande così da non perdere la fiducia di quel ragazzo così misterioso. E gli piaceva, non doversi raccontare. Finché non conobbe Mars, lei era diversa.

Presto si accorse che quasi tutti i suoi ricordi erano ambientati al centro. Non capì se era davvero tutto grigio, magari era lui che attribuiva quel colore ai ricordi spiacevoli. Rivide anche la rassegnazione negli occhi dei suoi genitori quando guardandolo vedevano i propri errori, finché smisero di farlo credendo che si sarebbero sentiti meno in colpa.
Quel bambino instabile era cresciuto. Era diventato un ragazzo ricercato, uno che non capisce più cos’è giusto e cos’è sbagliato, sempre che l'abbia mai capito.

Le lacrime solcavano il suo viso ormai nascosto dal cuscino, non riuscì più a chiudere occhio.
Sì, il bambino senza casa era cresciuto. Ora era un ragazzo senza passato.
Ricordò le parole che Mars gli aveva detto mesi prima:

"Dimentica, Chris. Dimentica il dolore che hai subito. Hai tanto tempo da vivere, non puoi viverlo nel rimpianto, non puoi viverlo nella vergogna, non puoi restare nell'ombra del passato. Dimentica. Devi solo imparare a dimenticare. Con questo non intendo dire che devi cancellare tutto, non devi cancellare niente. Tu sei una persona fantastica che ha attraversato l'inferno. Ma lo sei grazie a quell'inferno. E' un paradosso micidiale, ma è la realtà. 
E' qualcosa che non puoi cambiare, il passato. Ma puoi far si che il futuro sia diverso. Non ti serve cancellare. Ti serve superare. Supera il dolore del tuo passato, Chris. E io prometto di starti accanto il più possibile."


Christian aveva di nuovo le lacrime agli occhi. Era lei di cui aveva bisogno, quel qualcuno con cui affrontare la tempesta.

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Capitolo 6
*** Segui l'orizzonte ***


Christian era fermo sotto l'acqua fredda. Si scoprì fragile, non ne era abituato. Di solito si mostrava sempre forte agli altri, adesso aveva scoperto tutte le sue ferite, le cicatrice gli bruciavano di nuovo. Quella ragazza aveva il suo cuore in mano, lo poteva usare a suo piacimento. Questa cosa gli faceva paura, e non perché ne fosse innamorato, come avrebbe pensato chiunque, ma perché sapeva tutto di lui. Avrebbe potuto fargli del male, avrebbe potuto farlo soffrire, ma in certo senso sapeva che non lo avrebbe fatto mai, si fidava di lei e sapeva che avrebbe custodito le sue confidenze come la perla più preziosa dei mari. Aveva il suo cuore in mano perché ne poteva regolare i battiti, ma lo teneva con tanta grazia che l’impatto con le unghie non pungeva e non graffiava, le sue mani lo avvolgevano e lo tenevano al caldo, come se stessero cullando un bambino appena nato.
Erano le dieci del pomeriggio quando Christian finì di vestirsi  ed entrò nella camera di Mars. Aveva i capelli bagnati, e non li avrebbe asciugati. Erano corti con un ciuffo quasi accennato, castani e lisci. I suoi occhi erano di un colore fantastico, indimenticabile : turchese chiaro. Alto più o meno 1 e 70, la carnagione non era particolarmente chiara, anzi, era quasi dorata. 
Mars contò le loro differenze. Lei era 1 e 60 a stento. Aveva i capelli castano chiaro, con i riflessi dorati, ma li aveva storpiati con del rosso sparso tra ciuffo e punte. I suoi occhi erano per lei di un comunissimo castano, ma in realtà erano èarticolari, di un colore simile al miele. Era davvero bianca lei. Magari in questo luogo pieno di sole sarebbe cambiato qualcosa, ma ormai le piaceva quel colore.. spento.
Sembrò squadrarlo dalla testa ai piedi, ma lui non se la prese. 
"Che dici.. la facciamo una passeggiata?"
"Probabilmente ci perderemmo."
Christian sorrise voltandosi dal lato opposto a Mars, come per non darlo a vedere, ovviamente non riuscendoci. Trattene le risate a stento. 
"Non essere così pessimista!"
"SSì,ssì, andiamo và."

I due uscirono dall'appartamento e si diressero verso la strada. Presto si trovarono vicino ad una spiaggia e decisero di scendere. 
Mars fu la prima ad arrivare, si sedette di fronte al mare ed abbracciò le ginocchia, Chris le si sedette accanto.
Restarono in silenzio per un paio di minuti, fu lei a romperlo.
"Guarda l'orizzonte." Disse indicando un punto imprecisato difronte a lei. "E' lì che finiscono i sogni."
Chris si girò verso Mars come per ascoltarla meglio, per seguire il suo ragionamento.
"Lo vedi?"
"Sì.."
"E' così lontano. A volte ti sembra vicino, ti sembra possibile arrivarci. Ma la verità è che quando raggiungi l'orizzonte che stai guardando ora, ne vedrai un altro. E dovrai di nuovo metterti in cammino, fino a raggiungerlo. 
Probabilmente questa storia non finirà mai, finché sarai contento del posto che hai trovato, dei risultati che hai raggiunto. Lì raggiungerai quella cosa chiamata felicità. E' questa la strada per trovarla: seguire l'orizzonte."

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Capitolo 7
*** Resteremo insieme? ***


Quando la mattina dopo Mars si svegliò, la prima cosa che fece fu guardare fuori dalla finestra. Lo faceva sempre, e probabilmente non si sarebbe mai potuta spiegare il perché, sempre che ci avesse mai fatto caso. Da quando era morto il padre, lei inconsciamente andava a cercarlo dalla finestra della sua stanza, dove di solito parcheggiava la macchina dopo una notte di lavoro. Era piccola e cercava di non farsi vedere, ma le piaceva vederlo tornare a casa con quell’aria tutto sommato sempre allegra, quella che riconosceva sempre in lui, e che ora non c’era più. Così anche dopo la sua morte andava a cercarlo fuori dalla finestra, convinta che prima o poi sarebbe tornato, ma lui non tornò, e lei prese l’abitudine di affacciarsi alla ricerca di qualcosa senza più domandarsi perché.
Quel giorno non c’era nulla fuori, come tutti i giorni degli ultimi anni. Non ci fece caso, ma un filo di malinconia invase l’aria che respirava, così andò da Christian. 
 
Lui dormiva ancora. La coperta era quasi del tutto per terra ed era abbandonato in una posa poco elegante, che la fece scoppiare a ridere. Christian la sentì e saltò in aria, balzando a sedere sul letto, e questo la fece ridere ancora più forte. Chris la guardò con gli occhi spalancati, ansimante si toccava il petto a causa dello spavento, come se stesse cantando l’inno durante chissà quale partita di calcio. Gli ci volle un po' di tempo prima di calmarsi. Appena riprese fiato, si alzò dal letto e guardò Mars sdraiata a terra respirare a stento. La guardò come si fa con una bambina che è appena caduta ma non si è fatta del male, con quello sguardo dolce e apprensivo. Inclinò la testa e cominciò ad agitarla avanti e indietro.
"No, no, no. Tu hai qualche problema!"
"Nessuno ha mai affermato il contrario! Mars si asciugò una lacrima dovuta alle risate.
Chris sorrise guardandola.
Sentirono dei rumori alla finestra, sembravano dei sassolini lanciati lì da chissà chi. 
Mars aveva ancora il sorriso stampato sulla faccia quando si affacciò alla finestra.
"Heeeey Stefaaan!"
"Mars, scendete?"
"Si,si."
Chris in cinque minuti era già pronto, a Mars le ci vollero dieci minuti per raggiungerli.
"Ok, ora vi faccio vedere il mare"
"L'abbiamo già visto ieri!"
"Oggi siamo più gente, sarà diverso."


Presto arrivarono nella spiaggia. Il mare era cristallino, di una sfumatura verde, l'acqua così limpida da sembrare una di quelle foto famose.
Poco tempo dopo cominciarono ad arrivare più persone, quel giorno i due ragazzi ne conobbero più o meno una ventina. Persone di cui di sicuro non avrebbero ricordato il nome il giorno dopo. Passarono il pomeriggio chiacchierando del più e del meno e facendo un bagno ogni tanto, senza sentire il trascorrere del tempo. Quella gente era incuriosita da loro e nemmeno per un momento sembrarono infastiditi o turbati, come se fossero abituati. Se non furono i ragazzi, fu la situazione ad estrianarli. L’eccitazione c’era, ma spesso e volentieri Mars e Chistian si ritrovavano a scambiarsi occhiate d’intesa, capivano di non sentirsi a casa.
La sera, dopo una doccia, Stefan li riportò in quel locale della prima sera. Si esibiva un gruppo punk-rock, nella città erano molto conosciuti, ma non erano famosi. Si chiamavano "Rebels", i ribelli. Un nome che attirò molto Mars, come i loro testi. Un giorno sarebbero stati importanti quei tre ragazzi, come quel locale sconosciuto. O almeno lei ne era convinta.
Quando tornarono a casa erano molto stanchi, ma non andarono a dormire. Si fermarono nel divano e parlarono. Cominciarono a fare il resoconto della giornata, a parlare di qualcuno conosciuto il giorno stesso con un po’ di difficoltà. Non accennarono a quell’argomento che tanto li premeva, non dissero nulla riguardo come si sentivano davvero. Sapevano che l’altro provava la stessa stretta sotto il cuore, e questo in certo senso li faceva già stare meglio.

Chris ricordava ancora quelle parole, quando ancora si conoscevano da poco:
"So cosa cerchi. Stai cercando qualcosa, qualcuno con cui affrontare tutto quello che ti riserva la vita. Io non ho più bisogno di sapere se mi posso fidare di te, perchè lo so, l'ho sempre saputo, dalla prima volta che ti ho visto. Ho sempre saputo che saresti stato speciale. Puoi sempre contare su di me."
"Sono contento che tu dica ciò, spero che non lo dimentichi mai. So che non hai bisogno di sentirtelo dire, ma io per te ci sarò sempre. Qualunque cosa accada." Christian mise il braccio attorno alle spalle di Mars e la strinse a sé in modo da baciarle la fronte. <
"Ora è meglio che andiamo a letto," disse allontanandola.

Non sapevano ancora, ciò che gli riservava la vita. Guardavano ancora il mondo con ingenuità, ignorando che spesso la vita non va come vorremmo.

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