Nessuno te lo spiega perchè sia successo a te.

di loralichiario
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


EMMA
Mi guardo allo specchio. Un camice bianco mi copre quel piccolo corpo. Salgo su con lo sguardo e vedo il mio viso. Spoglio. Non ci sono più quelle ciocche di capelli selvagge che mi coprivano un parte del viso. Ho perso una parte della mia personalità per colpa di questa malattia che si sta così tanto affezionando al mio corpo che non vuole andarsene, anzi si espande sempre di più. Convive con me da 6 mesi. Istintivamente butto l’aqua che è nel bicchiere contro lo specchio, tentando di eliminare quell’immagine. Ma torna.
-Emma- mi chiama mia madre – ma cosa fai?- mi rimprovera mentre si accuccia a raccogliere l’acqua scivolata giù. Non le rispondo e mi vado a infilare sotto le lenzuola, facendomi cullare da Morfeo.
Il sole sta ormai scendendo su Lecce ma io mi sono appena svegliata da un sonno di ben 4 ore. Stanotte come ogni notte non dormirò. La notte è l’unico momento in cui sono davvero sola. Sola lo sono sempre: circondata continuamente da medici, infermiere e dai miei genitori. Ma di notte non c’è nessuno. Posso esprimermi, posso cantare, posso parlare con me stessa, posso ricordare, posso pensare al motivo per cui Dio mi abbia tolto tutto quello che avevo, rinchiudendomi in una stanza di ospedale con un tumore maligno che occupa l’interno del mio corpo. Molte persone nella situazione in cui sono io si avvicinano alla fede per la guarigione ma non io perché mi chiedo come Dio mi abbia potuto voler bene per 18 anni della mia vita e poi, improvvisamente, sei mesi fa si è rivoltato contro di me. Non me lo spiego e mai me lo spiegherò. Anche perché con i pensieri che sto facendo in quest momento l’unico posto che mi spetterà sarà l’inferno. Però a volte penso anche che, forse, mi sta facendo conoscere tutte le facce della vita.
-Emma ohi? Ci sei?- Mia madre mi distoglie dai miei pensieri. La guardo annuendo.
-Mm.. si è fatto tardi! Devo andare a casa! Per favore dormi questa notte. Ciao!- mi stampa un bacio sulla fronte e esce dalla stanza. Intanto il buio è sceso. Mi viene portata la cena che, come ogni sera, non mangio. Mi stendo sul letto e inizio a pensare.
STEFANO
-O ragà, a volte penso alla povera Emma… Sì, la odiavo fino al midollo osseo però mi dispiace…- dice Luca. Emma è una ragazza della nostra età che da qualche mese ha scoperto di avere un tumore, era una ragazza molto scontrosa con chi non conosceva ma vedendo la moltitudine di amici che la circondavano penso proprio che, conoscendola, era ed è una ragazza speciale. I miei amici parlano, parlano ma non sanno. Non sanno che il loro amico è affetto dalla stessa malattia di Emma. Dovrei dirglielo ma non ce la faccio. L’ho scoperto ormai da una settimana e fra due mi devono operare, quindi dovrei dirglielo. In questa settimana ho pensato ad Emma, a come è potuta essere la sua reazione alla scoperta della malattia, a come l’ha detto ai suoi amici, a come la sta vivendo. Purtroppo non la conosco, ho sempre girato alla larga dal suo gruppo: non mi erano per niente simpatici, super altezzosi. Ma ora vorrei conoscerla, vorrei parlarle, vorrei sapere se anche lei all’inzio come me ha sofferto moltissimo e vorrei sapere andando avanti si peggiora, vorrei farmi spiegare per capire meglio perché non ci sto capendo nulla. So solo che è una sofferenza continua ed è come lo si vede nei film.
-Gente…- dico in modo trionfale, attirando l’attenzione di tutti – non è il modo corretto per dirvelo, non è il momento giusto né il luogo adatto. Ma visto che fra due settimane mi devo operare ve lo dico il più veloce e schietto possibile: ho un tumore anche io-  Otto occhi puntati su di me, gli otto occhi che conosco meglio, gli occhi che ho guardato per 18 anni della mia vita e che ora sono diventati lucidi, tutti. Di conseguenza anche i miei si velano di lacrime, ma le rimando subito indietro.
-Ragà tranquilli.. io sono un guerriero, no? L’avete sempre detto. Non mi fa paura niente, tanto meno una stupida malattia.- mento. Ho paura. Una fottuta paura.  

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


DOPO DUE SETTIMANE
I giorni sono passati lentamente. Ogni giorno che passava era sempre più sofferente e distruttivo. Sono arrivato al punto che di me me ne frega ben poco, ma tornare a casa e vedere i miei abbracciati che piangono mi distrugge il cuore, vederli soffrire per il loro unico figlio. Quel figlio che hanno pregato tanto per avere. Mia madre infatti non poteva avere figli, ma ne voleva uno a tutti i costi. Pregava ogni giorno. Fin quando un giorno mio padre tornò a casa con due biglietti per Lourdes: era la loro ultima speranza. Un mese dopo essersi stati a Lourdes mia madre scoprì di essere incinta di me. Fu una gioia immensa. Ogni giorno non fanno altro che ripetermi che sono un dono di Dio. Siamo una famiglia molto credente, la fede ci ha accompagnato in tutta la nostra vita famigliare e ora più che mai.
Sono sdraiato su una lastra di ferro completamente gelata. Mi hanno stordito con l’anestesia, non riesco a smuovere un muscolo. Mi stanno facendo domande a raffica e stupide per farmi addormentare, del tipo “come ti chiami?”. Guardo il medico che si sta infilando i guanti e penso proprio che sia un lavoro atroce. La mia vita e quelle di tantissime altre persone sono nelle sue mani. E’ una responsabilità troppo grande. Sono sicuro che sono grandi persone. Persone forti che si vedono molto spesso morire fra le braccia bambini, ragazzi. Persone con un grande cuore e una grande intelligenza. Lentamente chiudo gli occhi e il mondo dei sogni mi accoglie.
Sono stordito. Mi fa male la testa, mi sento debole. Forse sono morto.
-Ehi tesoro…- la voce di mia madre: è morta anche lei? O forse non sono morto io. Provo ad aprire gli occhi, ma la luce mi acceca e non ho la forza neanche di sollevare le palpebre. Decido di non aprirle e di abbandonare tutti i pensieri. Non sono debole solo fisicamente, anche mentalmente. Sembra che un camion mi sia passato sopra 5 volte di seguito e contemporaneamente mi sia drogato.
EMMA
Sono le 17.00. Decido di alzarmi dal letto e fare due passi. Molto lentamente e facendo attenzione a non muovere molto il braccio poiché mi avevano appena prelevato il sangue. La cosa che mi rattrista di più è passare davanti al reparto di pediatria e vedere tutti quei bambini così piccoli e innocenti che non hanno neanche potuto assaporare la vita, che non sanno neanche cosa vuol dire vivere normalmente. In questi momenti mi sento fortunata: io ho costruito qualcosa in questi 18 anni della mia vita, me la sono goduta fin quando non sono stata rinchiusa qui, ho riso, mi sono divertita. E loro? Non hanno avuto il tempo di uscire dalla pancia della proprio madre che sono stati sballottolati da una sala operatoria a un’altra. Poi ci sono quelli più grandicelli e quando parli con loro o incroci semplicemente i loro sgaurdi capisci che loro sanno, che loro hanno capito cosa sta succedendo. Parlando con loro capisco che gli manca uscire con gli amici, gli manca andare ai mercatoni di domenica pomeriggio e gli manca perfino andare a scuola. Forse sono proprio loro quelli che soffrono di più perché hanno assaporato neanche metà della vita e sono curiosi, vogliono sapere cosa c’è dopo, ma non possono. Decido di fermarmi: se vado avanti ci sono le stanze di rianimazione, post-operazione e non me la sento di conoscere i nuovi arrivati. Una cosa che la malattia sicuramente non mi ha tolto è la curiosità. Infatti non mi fermo, ma continuo a camminare fino ad arrivare ad una porta con le tendine alzate. Dentro c’è una stanza identica alla mia: un letto con le lenzuola bianco latte che accoglie un ragazzo. Sembra piccolo, penso abbia 16 anni. Ha un viso dolce, anche se si vede che non ce la fa proprio più. Dopo la prima operazione è sempre così. Ti danno così tanto anestetico che dopo sei in uno stato di incoscienza per almeno due giorni. Il primo pensiero che mi viene in mente è che ce la farà. Non so perché, è istintiva la cosa. Mi volto e torno in camera.

               

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Finalmente sta sorgendo il sole. Sono sul terrazzo dell’ultimo piano dell’ospedale: da qui si vede il mare e il solo che sta sorgendo. E’ uno spettacolo unico. Amo questo momento della giornata. Forse sono come proprio il sole: sono sorta, sono arrivata fino al punto massimo del cielo che mi ha lasciato splendere, poi sono tramontata. Forse questo periodo è il mio tramonto. Sto tramontando. O forse sto solo andandomi a riposare per poi risorgere nuovamente un domani mattina? Stronzate Emma, grandissime stronzate. Sai che morirai presto. E’ inutile che continui a sperare. La speranza poteva esserci 5 mesi fa, quanto tutto ancora sembrava appannato, ma ora è tutto così nitido.
Guardo il cielo, chiedo solo una cosa: fatemi morire adesso, non voglio soffrire e far soffrire più.
STEFANO
Che ore saranno? La luce flebile che entra dalla finestra mi fa capire che è alba. Non riesco a muovere un muscolo. Abbasso lo sguardo e vedo mia madre seduta su una sedia e con la testa appoggiata al letto che dorme. Sarà sfinita: mi ha vegliato tutta la notte. Penso subito che sia una grande donne. E’ forte ma tutta questa forza non so davvero da dove gli arrivi. E’ buffa: piccoletta piccoletta, con i capelli che le arrivano fino alle spalle e degli occhiali di un fucsia acceso, ma è meravigliosa nella sua semplicità. Mio padre ancora non lo rivedo, penso sia venuto ieri sera. Purtroppo non può starmi vicino come la mamma perché lui deve lavorare. Deve mandare avanti l’unica famiglia che ha e sicuramente sta lavorando il doppio pensando a tutte le spese mediche che io comporterò. Mi sento un peso per loro, mi sento un peso per me stesso e per gli altri.  Questo peso devo riuscire a eliminarlo e sono consapevole che ci riuscirò. Ora sto male, malissimo. Mi sento uno schifo ma è normale,no? Ho appena subito un’operazione di sei ore e sarebbe strano il contrario.
Non posso alzarmi, non posso muovermi, non ho neanche la forza di alzare un braccio per prendere l’ipood ed ascoltare un po’ di musica. Quindi decido i chiudere nuovamente gli occhi ed aspettare che il sole sorga completamente.
Sono in un prato coperto di fiori bianchi e sto camminando, piano a piano rallento sempre di più. Fin quando non appare davanti ai miei occhi una creature meravigliosa, contornata da un’aurea bianca. Si avvicina di più a me e capisco che è una ragazza, forse un angelo. Si accuccia verso di me, che ormai ero caduto poiché non ce la facevo più a camminare, e stampa le sue morbide labbra sulle mie.
-Ma… chi sei tu?- le chiedo. Non mi risponde. Mi prende la mano e mi aiuta a tirarmi su. Inizia a correre ed io ancora afferrato alla sua mano, la seguo. In un momento ho riconquistate tutte le forze.
-Stefano ehi svegliati…- la dolce voce di mia madre mi sveglia. – Amore della mamma… Buongiorno!-
-Mh-mh… ngiorno…- mugugno io.
-Come stai oggi? Un po’ meglio?-
-Sisi oggi decisamente meglio.- non è vero, mi sento uno schifo, ma non posso dirglielo sennò soffrirebbe ancora di più a vedermi stare male.
-Bene, figlio mio. Ti ho svegliato perché ora ti vengono a prelevare il sangue e poi arriva il medico a farti una piccola visita per vedere se stai meglio.- Annuisco.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sono passati dieci giorni dalla mia operazione e pensavo di essere in tutti i posti possibili, ma non ancora in ospedale. Domani inizio la chenio. Ho paura. Mi sono documentato e ho letto che per molti è così dolorosa che preferirebbero morire, invece per altri non è stata poi così tragica.                                                                                 
Oggi ci sarà un incontro con uno pscologo e saranno presenti tutti i ragazzi malati come me. Malati. Ho proprio detto così? E’ orribile, un bruttissimo aggettivo. Eppure lo siamo…
Siamo pochi: una quindicina di ragazzi più o meno della mia stessa età. Alcuni hanno il viso affranto, gli occhi pieni di disperazione che gridano e pregano di fermare quella tortura, ma purtroppo ancora nessuno è in grado di fermarla. Invece nei visi di altri leggo speranza, ottimismo, voglia di vivere. Ma sugli sguardi di tutti leggo una domanda:” Perché è successo a me?”
“quando tiri in mezzo Dio o il destino o chissà che 
che nessuno se lo spiega perché sia successo a te”
 
Iniziamo l’incontro. Lo pscologo sembra simpatico: è un uomo sulla cinquantina piuttosto paffuto. Ci chiede da quando più o meno l’abbiamo saputo e riesce ad interagire con tutti, essendo pochi. Si crea un vero e proprio discurso a più voci.
Nel bel mezzo del discorso una ragazza, a cui non avevo neanche fatto caso, si alza ed esce dalla sala, sbattendo la porta.
EMMA
No basta. Ma cosa sta dicendo questo? E’ venuto qui per cosa? Per alleviarci il dolore? Per farci capire meglio cosa? Se lui è il primo che non può capire cosa si prova, come può cercare di farlo capire alle altre persone? Non lo reggo più questo strizzacervelli. Mi alzo ed esco, sbattendo con forza la porta. Corro subito verso la terrazza all’ultimo piano per prendere una boccata d’aria e anche perché non vorrei che qualcuno esca a cercarmi.
C’è un sole che spacca le pietre. Il mare è sereno e già si vedono sulla spiaggia i primi bagnanti. Vorrei proprio tuffarmi in quel mare limpido, nuotare, tuffarmi da quegli scogli. Ma sono qui. A desiderare di farlo su un tetto di un ospedale. Mi manca la quotidianità, mi manca andare a scuola, uscire con gli amici, mi manca andare a fare colazione con gli amici ed entrare sempre in ritardo a scuola dietro le prediche dei bidelli che ci intimavano di un 7 in condotta. Mi manca quando era ricreazione e correvo al bar della scuola per vedere Antonio o quelli dell’ultimo anno bellissimi e sbavargli dietro come un san bernardo. Mi manca quando pranzavo insieme alle mie amiche nella solita pizzeria e nelle nostre bocche entrava meno pizza di quanta non ne era per terra o fra i nostri capelli. Mi manca andare a fare la spesa il sabato pomeriggio per comprare le cose più schifose e gli alcolici più assurdi per passare una serata in qualche casa a divertirci. Mi manca il profumo di mia madre quando, dopo l’ennisimo litigio con papà, mi faceva dormire con lei nel lettone e il mattino mi ritrovavo attaccata al suo braccio, a ispirare quel buonissimo profumo materno. Mi manca tutto, mi mancano tutti.
Prendo la mia testa fra le mani e mi rannicchio sempre di più contro le mie ginocchie. Le mie mani accolgono la mia testa fredda, spoglia, gelida. A quel tocco, istantaneamente, una lacrima mi riga il viso.
Un rumore mi distoglie dai miei pensieri.
Vedo entrare sulla terrazza un ragazzo. Non mi sembra la prima volta che lo vedo ma ora voglio stare da sola e l’ultima cosa che voglio è fare amicizia con una persona che so che o farò soffrire perché tra poco me ne andrò o che esso mi farà soffrire perché se ne andrà.
-Posso?- mi chiede.
-No, scusami ma…-
-tranquilla, tranquilla! Ho capito. Vuoi stare da sola.- lo guardo annuendo – ma io rimango qui!-
Lo guardo basita. Ma come? Ma forse non capisce? Si avvicina e si siede a terra accanto a me.
-Nono.. forse non hai capito! Voglio stare da sola.- non dice una parola e mi fissa.
-Senti la smetti di fissarmi? Lo so che faccio schifo visto che sono senza capelli. Ma non posso farci niente! Sono malata: ho un tumore. Come te tra l’altro, no? Voglio stare da sola. Non voglio avere nessuno accanto a me. Non voglio soffrire più di quanto io non stia già facendo. Quindi se puoi…- gli indico la porta.
-No… non posso-
-E rimani qui allora…-
-Hai finito? Posso farti delle domande?-
-Se proprio devi…-
-Perché sei scappata così? Mi sembrava interessante.-
-Sai dopo sei mesi che sei rinchiusa in un ospedale, dopo mesi che ti sottopongono a chenio, a analisi, a prelievi, dopo che capisci che Dio ti vuole male, dopo che capisci che la maggior parte dei tuoi amici se ne frega altamente di te… poche cose ti sembrano ancora interessanti-
-Quindi è molto che sei qui? Io vorrei farti una domanda.. ma non vorrei risultarti sfrontato-
-Prova! Tanto già mi sei risultato sfrontato-
-Che acidità, signorina. Io volevo fare solo conoscenza. Comunque la chenio… com’è?-
-La chenio,eh? E’ la parte più dolorosa, ti distrugge. Quello che hai sofferto fino ad ora non è nulla in confronto a quello che ti aspetta. E’ una battaglia continua. Arriverai al punto di capire che le medicine che ti dnano, ti fanno solo male e quindi ti riufeterai di prenderle. Ma soffrirai, la notte soprattutto…-
Lo vedo passarsi la mano sui capelli come per strapparli e delle lacrime iniziano a bagnarli il volto.
Ed ecco un’altra vita che sta volando via…

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


-Bimbi fate piano, dai!- sono nella sala giochi dell’ospedale a svariarmi un po’ con i bambini. Sono in fribillazione perché arrivano i clown con la clownterapy. Come se servisse a qualcosa! Ridere fa bene, ma non fa guarire da un tumore.
-Ehi ciao…- il ragazzo dell’altro giorno sulla terrazza, si siede affianco a me.
-Ciao…- rispondo fredda, continuando a dar retta a una piccola bimba che mi dice che Babbo Natale l’anno prossimo le porterà la nuova Barbie.
-Possiamo parlare?- annuisco e ci alziamo dirigendoci verso la terrazza.
Fa un caldo assurdo e il solo batte proprio sulla terrazza, quindi ci sediamo nel lato opposto per non rimanere accecati. Lo guardo, ma lui non parla.
-Di cosa dobbiamo parlare, allora?- lo incito a parlare, - su…-
-Ho iniziato la chenio…- mi risponde freddo.
-E il tuo corpo come l’ha presa?-
-Male. Avevi ragione tu. Soprattutto pscologicamente sono a terra-
-Benvenuto nel mio mondo!-
-Sai io ora sono pieno di speranze, pieno di vita, ottimismo. Però guardando te ho paura che con il passare del tempo svaniranno…-
-Grazie,eh! Comunque dipende dal carattere. Io non sono mai stata una battagliera. Mi sono sempre abbattuta giù al primo ostacolo…-
-Forse perché non avevi nessun vero motivo che ti spingeva ad andare avanti, a superare quell’ostacolo-
-Se neanche la mia stessa vita mi spinge ad andare avanti, cosa o chi dovrebbe farlo?-
-Forse perchè nella tua vita non c’è nessuno così importante per te, per cui daresti la vita, non c’è quella persone che ti faccia pensare “se me ne vado io, lei cosa fa?”…-
-Potrebbe anche essere, ma se non l’ho incontrata fino ad adesso, quando dovrei incontrarla? Sono in un ospedale e sono circondata sempre dalle stesse persone. A meno che domani il dottore si tagli la barba e mi si presenti più sexy, non penso ci sarà mai qualcuno ormai.- sorridiamo entrambi.
-E’ la prima volta che ti vedo sorridere.- mi dice – posso sapere il tuo nome?-
-Emma piacere- gli tendo la mano.
-Piacere Stefano-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
EMMA
E’ notte e non riesco a dormire, come sempre dopo tutto. Sento un fortissimo dolore alla testa e mia madre mi sta provando a farmi prendere le medicine, ma è inutile. Non le voglio prendere perché so che mi possono fare solo male. Mi fanno stare bene per ora, per qualche ora ma mi danno dei danni irreversibili. Mi indeboliscono. E poi se voglio davvero combatterla questa malattia, devo riuscirci con le mie forze, non con inutile pasticche.
-Mamma senti è inutile che ci provi. Vai a casa da papà e fatti una bella dormita. Io qui me la cavo da sola. Se ho bisogno di certo non mancano gli aiuti qui.- le do un bacio sulla fronte per salutarla e la vedo uscire dalla camera con le lacrime agli occhi. Penso sia diventata depressa e una dormita le farebbe proprio comodo. Proprio quando vedo queste cose mi verrebbe voglia di andarmene subito via, di morire. Vedo mia madre che soffre per me, vedo gli altri che soffrono per me. La causa della loro sofferenza sono solo io.
 Sono qui a far male alla gente?
Decido di farmi due passi. Prendo le stampelle che mi sorreggono e mi dirigo verso il corridoio. Più arrivo verso il fondo, più sento delle urla di dolore. Non mi vengono neanche più i brividi, ci ho fatto l’abitudine. Ora sono proprio davanti alla stanza da cui provengono le urla. Stanza 512. Penso sia quella di Stefano. Mi ricordo che era quella in fondo al corridoio. Molto probabilmente è lui, ha appena iniziato la chenio: è normale faccia così. Dopo ci si fa l’abitudine. O meglio capisci che urlare è inutile e soffri silenziosamente.
La porta si apre improvvisamente facendomi sussultare. Ne esce una signora sulla quarantina con il viso completamente bagnato di lacrime, con gli occhi completamente sbarrati. E’ così sconvolta che non fa neanche caso a me. Si allontana, molto probabilmente a cercare un medico.
Mi avvicino all’uscio della porta e lo vedo lì, sul letto a contorcersi dal dolore. Le lacrime scorrono sul suo volto. Le vene sul suo collo sembrano vogliano uscire fuori. E’ completamente rosso. Urla. Mi avvicino di più verso il suo letto. Non ero mai entrata nella sua camera. Sul suo comodino ci sono scatole di cioccolatini, caramelle, mazzi di fiori, bigliettini.
Mi vede e mi guarda storto.
-Stefano devi prendere le medicine….- gli dico, sfiorandoli una guancia.
Non ce la fa a parlare. Scuote la testa.
-Si Stefano. Ne hai bisogno… So che starai pensando che fino ad ora ti ho sempre detto che è meglio non prenderle. Però stai troppo male. Promettimi che le prenderai- quest’ultima frase la dico completamente fra i singhiozzi. Ora capisco mia madre quando mi dice di prendere le medicine. Fa male vedere una persona a cui tieni soffrire in questo modo. Lo fanno per farci stare tranquilli. Ma io tengo a Stefano? Si evidentemente si. Mi fa male vederlo così: contorcersi tra le lenzuale ad ansimare, ad urlare. Non mi era mai capitato. Ho conosciuto tante persone qui e tante altre le ho sentite soffrire qui. Ma con lui è diverso. Voglio farlo stare bene e in questo momento, l’unica cosa che posso fare è alleviarli il dolore, cosa che solo le medicine possono fare.
Scuote la testa.
-Stefano basta. Tu le prenderai. Non voglio vederti così.- Forse in questo momento sono un’egoista ma non ce la faccio a vederlo così.
-v..vabò..-  mi risponde.
Esco dalla stanza poiché ho sentito dei passi. Ma non torno nella mia stanza. Mi siedo sul divanetto proprio di fronte la stanza di Stefano e mi stendo.  Voglio rimanere qui, se soffre voglio stargli accanto.
Questo ragazzo ha un effetto strano su di me. Mi fa piacere quando siamo vicini, mi fa piacere quando mi abbraccia, quando mi ascolta. Mi fa stare bene. Mi fa sorridere. Con il suo pensiero mi addormento.
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


STEFANO
Ho passato una notte tremenda. Non ho mai sofferto così tanto. È iniziato con un semplice mal di testa, poi con il passare dei minuti, le mie gambe sono state prese d’assalto da dei crampi, non riuscivo a respirare regolarmente e un dolore lancinante al petto ha completato il quadro generale. Ieri notte è venuta Emma qui a dirmi che dovevo prendere le medicine perché non voleva vedermi soffrire. Non è da lei. Ma dopotutto io non la conosco, non posso sapere cosa è o non è da lei. Forse l’ho sognata. Non ne ho idea. Fatto sta che ieri sera ho preso le medicine e sono stato subito meglio, stamattina anche sto abbastanza bene, anche se le gambe tremano un po’.
Mi volte e vedo mia madre che dorme su una “poltrona” estensibile, ha il viso distrutto e credo anche la schiena. Quella poltrona sembra tutto furchè comoda.
La scrollo delicatamente per svegliarla. La chiamo fin quando non si sveglia.
-Mamma vai a casa, dai! Sei distrutta e poi la tua povera schiena ha bisogno di un materasso comodo- le dico sorridendo.
-Ma tu come stai? Meglio da ieri notte?- mi chiede apprensiva.
-Si mamma sto decisamente meglio. Se qualcosa non va sei la prima che chiamerò-
-No prima chiama i medici e poi a me-
-Mamma è ovvio -.-..Ciao!-
La vedo uscire dalla camera e decido anche io farmi due passi per il corridoio. Magari vado a trovare Emma. Esco dalla camera e trovo davanti a me la visione più dolce e struggente che io abbia mai visto. Emma che dorme sul divanetto con le gambe nstrette dalle sue braccia sul petto ed un piccolo sorriso sulle labbra.  Struggente, si, perché dietro a quel sorriso così innoquo c’è tanta sofferenza. Sofferenza che una ragazza di 18 anni non dovrebbe neanche sapere cosa significa. E’ l’età del divertimento, delle cazzate, degli amori, delle amicizie e non è giusto che una bella ragazza come lei deba stare chiusa in un ospedale aspettando una cura alla malattia che forse non arriverà mai.
E io sono nella sua stessa situazione.
Mi avvicino e le accarezzo la guancia delicatamente cercando di non farla svegliare. Ma fallisco e infatti si sveglia.
-Buongiorno-
-‘ngiorno- mi dice stiracchiandosi. Si mette a sedere e io mi siedo accanto a lei.
-Hai dormito qui?- mi guarda annuendo. –E come mai?-
-Così, il divanetto era così comodo e invitante..-
-Se vabè Emma trova una scusa migliore! Questo divanetto è più duro di un sasso.-
Mi guarda, più che altro mi fissa. Mi inizio a sentire in soggezione. Passo una mano sul viso, forse sono sporco. Mi sorride.
-Come sta stamattina?- finalmente rompe il silenzio che iniziava a diventare imbarazzante.
-Meglio, grazie. Le medicine sono servite. Grazie mille, davvero-
Fa spallucce.
-Saliamo su in terrazza tesoro?- le chiedo. Non ce la faccio più a stare qui con questa puzza di medicinale e disinfettante, poi voglio vedere un po’ di sole.
Dice di sì con la testa e ci incamminiamo verso la terrazza. Le cingo il collo con il braccio.
-Ti stai prendendo troppa confidenza per i miei gusti..-
-Ma mi fanno ancora un po’ male le gambe e mi aggrappo a te per aiutarmi-
Scoppia in una fragorosa risata. Ride di gusto. E’ stupenda, meravigliosa.
Mi piazzo davanti a lei e la cingo per i fianchi.
-Mamma quanto sei bella mentre ridi…- Improvvisamente diventa completamente rossa. –…ma ti indisponi se ti fanno i complimenti?-
-A quanto pare…-
-Non fare l’acida. E poi abituatici perché te ne farò di complimenti- ci guardiamo e sorridiamo.
Le prendo la mano e così saliamo sulla terrazza.
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Il rapporto con Emma è sempre più stretto. Ogni giorno ci vediamo sulla terrazza, è diventato un po’ il nostro posto segreto, lontano da tutto e tutti. Quando siamo lì ci dimentichiamo che siamo in un ospedale, ci dimentichiamo il motivo per cui siamo in un ospedale. Siamo solo io e lei e stiamo bene, molto. A volte parliamo molto, parliamo di noi, della nostra vita prima, invece ci sono volte in cui ci basta stara entrmabi voltati dalla stessa parte in silenzio. E non è un silenzio di quelli imbarazzanti, che si cerca di rompere con un colpo di tosse o introducendo un qualunque discorso inutile, è un silenzio che contiene tante di quelle parole ma che per noi sono inutile da dire visto che l’uno sa quasi tutto dell’altro. Abbiamo imparato a conoscerci.
Non stiamo insieme, siamo semplicementi amici, confidenti.
La sto andando a prendere in camera. Ho appena fatto la chenio e nelle 3,4 ore successive non senti dolore, quindi ne approfitto per stare un po’ con lei.
È sdraiata nel letto e le stanno prelevando il sangue. Ad un certo punto all’infermiera squilla il telefono e lascia la siringa nel braccio di Emma penzolante. Il sangue mi si fredda nelle vene.
-ma cosa cazzo fai?- entro nella camera furente, urlando contro l’infermiera.
-Stia calmo-
-Sto calmo se lei fa il suo lavoro. Finisca immediatamente di prelevare il sangue a questa ragazza-
L’infermiera scocciata, finisce di fare il prelievo ad Emma e poi esce dalla stanza senza neanche salutare.
Emma nel frattempo è rimasta sbalordita. Mi guarda però sorridente.
-vieni qua..- mi dice battendo la mano sul letto. Mi avvicino a lei e la stringo forte, facendo attenzione a non farle piegare il braccio.
-Grazie- mi sussurra.- ma non serviva difendermi così. Non mi faceva male-
-Si invece serviva. Quella non ha fatto il suo lavoro. Ti sembra normale che per rispondere a suo marito o a uno dei tanti che si porta a letto lasci una siringa nel braccio di una ragazza mentre lei beatamente chiacchera e si fa i cavoli suoi? A me no. – gli rispondo brusco.
-Okay però stai calmo. Ti ho semplicemente detto che non serviva fare tutta quella scenata-
-Scusami la prossima volta allora ti lascerò far male dai medici e dalle infermiere. Magari sarai più contenta- mi alzo e me ne vado. Mi ha fatto innervosire. La stavo difendendo e che mi viene a dire? Che ho esagerato. Uno va a far del bene…

EMMA
Sono passati due giorni da quella discussione fra me e Stefano e da quel giorno non ci calcoliamo quasi più. Sono qui sul terrazzo a pensare. Penso che Stefano mi è mancato, che ora accanto a me dovrebbe esserci lui e non il vuoto. Ma cosa dovrei fare io? Andare da lui e chiedergli scusa. E per cosa? Io non gli ho fatto niente.
Ho capito di voler bene a Stefano e anche tanto. L’unica cosa che mi confonde sono le farfalle nello stomaco che ho quando sto con lui o il sorriso da ebete stampata in faccia dopo esser stata con lui. Anche mia madre mi ha detto che in questo periodo sono cambiata, sorrido di più. Ma se davvero provassi qualcosa di più per Stefano? Io non posso, io non devo.
Devo allontanarmi da questo ragazzo. So che soffrirò.
Sento la portafinestra aprirsi ed entrare lui, Stefano. Si avvicina a me e si siede accanto a me. Siamo di spalla alla porta. Entrambi guardiamo il mare e il sole sta tramontando proprio davanti ai nostri occhi.
-Emma senti ti chiedo scusa se ho usato toni bruschi- decido di interromperlo subito. Metto la mia mano sopra la sua.
-Stefano ascoltami. Il nostro rapporto sta andando oltre quello che dovrebbe andare. Non ho voglia di legarmi ad una persona per poi soffrire di nuovo. Quindi è meglio se iniziamo a limitare il nostro saluto ad una semplice chiaccherata per il corridoio. Ok?-
Lo vedo incupirsi.
-Emma non soffriremo…-
-Stefano lo stiamo già facendo..-
-Possiamo aiutarci a vincenda. Lo vedi anche tu che quando stai con me stai meglio..-
-Stefano veramente, è inutile..dai ci vediamo domani!- mi alzo, ma prima gli lascio un bacio sulla guancia e vado via, torno nella mia camera.
 
EMMA
Ha ragione lui. Con lui sto meglio, sto bene. Sorrido, rido, mi diverto. Mi allontana dalla mia solita negatività. Quando sto con lui non penso che sono in un ospedale con una malattia. No, quando sto con lui torno ad essere la Emma di sempre, la Emma che usciva con gli amici e si divertiva. Ma per quanto ancora potrà durare questa felicità? Poco e lo sappiamo entrambi. Meglio fermarlo prima di farlo nascere questo rapporto perché so come sarebbe andato a finire.  
Sono le 2.30. Sono passate appena poche ore da quando ho parlato con Stefano. Come ogni notte non dormo, prendo l’ipood e metto le cuffiette nelle orecchie cercando di dimenticare quello che mi circonda. Ligabue mi ribomba nelle orecchie. La sua musica è stato un appiglio, come un ancora in questi mesi.

“Scelti da chissa' che mano per esser buttati in mezzo alla nebbia
 con chi alla nebbia s'e' gia' rassegnato ed ha spalle curve e vestiti umidi


STEFANO
Lei è testarda, ma io sono più testardo da lei. Quindi ora vado in camera sua. Si va bene: siamo malati, siamo in un ospedale ma dopotutto siamo ragazzi e non dobbiamo dimenticarcelo. E poi io a marcire dentro una camera di ospedale proprio non voglio stare, almeno ho conosciuto lei e insieme stiamo bene, ci divertiamo. Penso ci faccia bene.
 Arrivo davanti la sua porta, la apro facendo abbastanza rumore ma lei nulla, non si gira, rimane voltata su un fianco nel letto. E’ impossibile che stia dormendo, lei non dorme mai di notte. Mi avvicino di più al suo letto e noto che ha le cuffiette nelle orecchie e gli occhi chiusi. Ma non sta dormendo. Lo noto dal fatto che si sta facendo una sottospecie di grattini al braccio da sola. Allora le scanso la mano e in quel momento apre gli occhi.
-Che ci f..-
-Stai zitta un po’ stasera- la zittisco. Lei mi guarda sbalordita.
Salgo sul letto e mi stendo dietro a lei a mò di cucchiaio e inizio a farle i grattini, so che le piacciono. Affero una cuffietta da un suo orecchio e la metto nel mio. Rimaniamo così accocolati fin quando la sua playlist non finisce. Saranno stati 20 brani e tutti rigorosamente di Ligabue.
Si toglie la cuffia, io la imito e si volta verso di me. Ora siamo vicini, troppo vicini. Le accarezzo una guancia e le scende una lacrima che prontamente asciugo con un mio bacio. Mi guarda.
-Ho paura Stè- mi sussura con un fil di voce.
-Emma anche io, anche io…- le rispondo – ma ormai ci siamo dentro e combattiamo. O no leonessa?- le dico sorridendo.
Allunga le sue braccia verso il mio collo e mi stringe, io faccio altrettanto. Rimaniamo così per un paio di minuti fin quando lei non decide di staccarsi.
-Limitiamo così il nostro rapporto?- mi chiede con un sorriso sghembo.
-Non ti piace? Se vuoi torno nella mia stanza..-
-No no no.. – la guardo sorridendo, lo sapevo che sta bene quando è con me e che le piace,- Cioè se vuoi rimanere, rimani…- cerca di rimediare. Scoppio in una risata che poco dopo contagia anche lei.
-Che ti ridi?- dice cercanco di trattenere le risate, am con scarsi risultati. Le prendo il viso e gli stringo la bocca a mò di bacio.
-Rido perché sei una bellissima scemotta- le do un bacio sul naso.
-Per stasera può bastare, mister Dema!- si alza dal letto –mi accompagni a prendere qualcosa alla macchinetta e poi entrambi a letto?-
Annuisco sorridendo e ci diregiamo verso la macchinetta. Prende il suo solito cappuccino e ci salutiamo.

EMMA
Mi butto a letto con un sorriso stampato in volto. Sto bene. Sono felice. Ha ragione lui dobbiamo combattere. Penso di non aver mai avuto così tanti brividi e penso anche che nel mio stomaco ci sia un allevamento di farfalle. Prendo l’ipood e metto all’istante una canzone.

La luna che mi guarda 
ha un viso da lontano 
che scruta misteriosamente 
tutto quanto andare piano 
e passa in mezzo ai tetti 
e bussa bussa alle finestre 
in cerca di una stella 
ma le stelle stanno in cielo 
mentre tu mi sfiori piano 
Brividi brividi 
mentre tu mi sfiori 
così segretamente 
così violentemente piano 
Brividi brividi 
... 
Doveva essere soltanto un gioco 
volevo non pensarci dopo. 
La luna mi aspetta 
per un interno giorno 
è il giorno dei ripensamenti 
che mi dicono vai piano 
e passo tra le case 
mi perdo fra la gente 
in cerca di una stella 
ma le stelle stanno in cielo 
mentre tu mi sfiori piano 
Brividi brividi 
mentre tu mi sfiori 
così segretamente 
così violentemente piano 
Brividi brividi 

la luna che mi guarda 
un viso da lontano 
che scruta misteriosamente 
tutto quanto andare

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


STEFANO
-Oh grandeeee!- i miei amici urlano entrando nella mia camera. Sono tutti sorridenti, ma si vede che lo fanno solo per rassicurarmi. Ricambio loro il saluto ed uno alla volta si avvicinano dandomi una pacca sulla spalla.
-Allora come stai?- mi chiedono mentre si siedono tutti affianco a me.
-Ragà io sto bene. Chemio a parte, sto da Dio. Certo vorrei poter uscire da qui ma per fortuna c’è chi mi rende la permanenza qui piacevole, molto piacevole-
-Non ci credo. Te la fai con un’infermiera?- mi dice incredulo Daniele. Gli tiro uno schiaffo dietro la testa ridendo.
-Cretino no -.-“ è una ragazza.. e la conoscete anche voi:Emma. È davvero straordinaria, bellissima-
Otto occhi spalancati mi guardano increduli.
-Stefano..- inizia a parlare Antonio – è meglio non legarsi ad una persona qui.. lo sai no?-
-Non me ne importa nulla. E’ l’unica cosa buona che mi è successa in questi ultimi mesi. Penso che insieme ci facciamo bene a vicenda. Ce la faremo, ne sono certo-
Continuiamo a chiaccherare fin quando l’orario delle visite termina e li cacciano letteralmente fuori. Nel frattempo mi portano la cena che solo a guardare quello schifo di brodo e yougurt mi viene il voltastomaco. Non consumo un pasto decente da quando sono qui.
Sento la porta aprirsi e poco dopo apparire Emma con in mano una piccola busta bianca.
-Ehi..- si avvicina a me, stampandomi un bacio sulla guancia.
-Cosa c’è lì dentro?- gli chiedo indicando la busta bianca.
-La tua cena- gli occhi mi si illuminano mentre fa uscire dalla busta un panino che strabocca di pomodoro, prociutto e mozzarella.
-Grazie- la ringrazio staccando un morso al panino.
Mi guarda mentre mangio. Finisco di mangiare e la tiro a me facendola accoccolare sul mio petto.

E va sempre così... 
che tanto indietro non si torna 
E va sempre così... 
che parli ma nessuno ascolta 
E va sempre così... 
che vuoi cambiare ma non servirà 
soltanto una promessa... 
 

-Stefano io delle promesse non me ne faccio niente. Mi ha fatto piacere quello che mi hai detto, di combattere insieme, che non mi prendi in giro. Ma io non ti conosco..- mi dice rimanendo sempre stretta a me, ma io la allontano per far sì che i nostri occhi si guardino, si intreccino nel loro colore nocciola.

Salvami e allunga le tue mani verso me 
Prendimi e non lasciarmi sprofondare 
Salvami ed insegnami ad amare come te 
e ad essere migliore 


-Devi star tranquilla con me. Io sono pronto a rischiare per te, ti voglio, mi piaci, con te sto bene. Ti farò tornare a sorridere come prima. Ci salveremo vedrai-
-Ti prego non lasciarmi. Salvami- mi dice tra le lacrime. La stringo ancora di più a me.

E va sempre così... 
che tanto lei POI non ritorna 
E va sempre così... 
CHE aspetti il sole e cade pioggia 
E va sempre così... 
che credi di aver tempo e invece è già 
invece è primavera 


Mi alzo facendo alzare anche lei che era beatamente accoccolata sul mio petto. Ci sarei voluto rimanere in eterno ma non ce la faccio più ad aspettare. Intreccio la mia mano nella sua e la “trascino” ai piani superiori. Per tutto il tragitto non ha detto una parola, non ha mostrato preoccupazione. Si fida di me e ha capito che non le farei mai del male. Arriviamo nella terrazza. È ormai notte fonda. Tira un leggero venticello ma non fa freddo.
-Aspettami qui…- le dico. Corro verso la prima stanza vuota del piano e prendo due coperte. Torno da lei e stendo una coperta per terra, lei mi guarda non capendo ma sorride. Mi siedo sulla coperta e le faccio segno di sedersi accanto a me. Apro l’altra coperta e la stendo sui nostri corpi.
-Voglio passare la notte abbracciato con te a guardare le stelle-
Si mette a sedere, passandosi una mano sulla testa.
Forse ho fatto male. È troppo presto. Dopotutto mi aveva detto di limitare il rapporto.
La vedo guardarmi, avvicinarsi sempre di più a me. I nostri respiri si fondano in uno solo. I nostri nasi si scontrano, li facciamo sfregare. Ha gli occhi chiusi e il suo respiro è corto.

Salvami e allunga le tue mani verso me 
Prendimi e non lasciarmi sprofondare 
Salvami ed insegnami ad amare come te 
e ad essere migliore... 
Salvami e allunga le tue mani verso me 
Prendimi e non lasciarmi sprofondare 
Salvami ed insegnami ad amare come te 
e ad essere migliore.

In un attimo le nostre bocche si sfiorano. Abbiamo entrambi voglia e approfondiamo subito il bacio. Rimaniamo persi in quel bacio fin quando l’ossigeno ci inizia a mancare. Ci stacchiamo mal volentieri. Ci guardiamo fissi negli occhi. Sfrego il mio naso contro il suo e la stringo facendola stendere accanto a me.
Siamo qui a guardare le stelle in un cielo infinito. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


EMMA
Un lieve venticello scontra sulla mia faccia, facendomi svegliare, ma un braccio mi impedisce di muovermi. Mi volto e vedo Stefano che dorme concentrato abbracciato a me. Ci siamo addormentati guardando le stelle in terrazza. Qui è un po’ come il nostro rifugio, dove ci abbandoniamo a noi stessi, dove ci scordiamo chi siamo, perché siamo qui, dove siamo Emma e Stefano. In questa terrazza abbiamo parlato la prima volta, qui abbiamo pianto, riso, ci siamo consolati e qui, ieri sera, ci siamo dati il nostro primo bacio. E’ banale dirlo, ma è stato bellissimo. Un vortice di emozioni mi ha trapassato il corpo. È stato come se i miei polmoni avessero ricominciato a pompare aria, come se nelle mie vene fosse ricominciato a passare sangue. Lui ha fatto cadere tutte le mura che mi ero costruita attorno per difendermi. Sto bene.
Cerco di scansare il suo braccio ma lo faccio svegliare.
-mmm buongiorno- mi dice con la voce impastata dal sonno.
-Buongiorno! Scusa non volevo svegliarti..-
-Tranquilla-
Mi metto a sedere, pronta ad alzarmi, ma lui mi tira per un braccio facendomi arrivare dritta sul suo viso. Siamo vicinissimi.
-Ti penti di quello che è successo ieri sera?-
-De Martino io non mi pento mai- gli rispondo maliziosamente. Quando gli arriva la mia risposta fa combaciare di nuovo le nostre labbra e ci perdiamo nel nostro bacio. Un bacio romantico, tenero ma sicuramente pieno di sentimento.
 * * *
-… Mamma era da tanto che non mi sentivo così bene! Sembrerà strano: sono in un ospedale, malata di tumore da sei mesi, non ho neanche più i capelli e un briciolo di difesa, ma l’unica cosa che ora come ora mi dà la forza di continuara è lui, siamo noi. Voglio avere un futuro con lui e non qui, lì fuori- dico indicando la finestra con lo sguardo. Mia madre mi guarda commossa.
-Sono felice per te amore. Ma non posso nasconderti a cosa andate incontro. –
-Mamma già lo so.. lo so che se uno dei due morirà poi uno soffrirà molto! Ma ora voglio vivermi la giornata e grazie a lui mi sta tornando la voglia di vivere!-
Ci abbracciamo solo come una madre e una figlia possono fare. È l’unica persona che mi è stata realmente vicina.
Mio padre mi è stato “vicino” semplicemente pagando le spese mediche che mia madre, essendo una semplice ostetrica, non poteva permettersi. Ed ora è in giro per il mondo, forse a Cuba o in Australia, con qualche bella ventenne. Le uniche cose che ho di lui sono gli assegni mensili e le cartolini che mi invia periodicamente da un posto all’altra del mondo. Tra di noi non c’è mai stato un rapporto e non lo considero un vero e proprio padre. Perché dovrei farlo? Non mi ha cresciuta, non mi ha insegnato a vivere e a comportarmi con gli altri.
-Ehm.. buonasera!- Stefano fa il suo ingresso nella mia camera, bello come il sole, anche se non indossa un braccialetto di pelle e un jeans stretto. Io e mia madre ci stacchiamo dal nostro abbraccio, entrambe sorridendo.
-Ciao Stefano!- lo saluto mia madre dandogli una carezza sulla spalla. Lo vedo avvicinarsi a me e stamparmi un tenero bacio sulla fronte.
-Ragazzi io torno ai miei piccolo neonati di sotto! Ci vediamo.. Ciao!- Aspettiamo che esce dalla camera per poi baciarci in un modo così delicato e romantico.
Mi guarda in un modo così sublime, in un modo che mi fa venir voglia di prenderlo, scappare insieme e viverci la vita com’è giusto che sia.
-Come stai?- gli chiedo dolcemente
-Ora meglio..- mi bacia - ..tu?-
-Anche..-
Stiamo meglio solo standoci vicino.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


-Signora sua figlia è qui da molto tempo. Le cure le ha finite devo solo procedere con la cheniotenrapia, quindi è meglio lasciare la sua camera a qualcuna che ha bisogno prima che sia troppo tardi. Tornerà in ospedale solo per fare la chenio.-
Il medico dice queste parole fuori dalla stanza dell’ospedale di Emma alla madre.
-Si ha ragione. Quanto tempo abbiamo per lasciare la camera?-
-Signora tranquillamente fino a dopodomani. Buona serata!-
-Arrivederci-
Dopodomani vuol dire due giorni e poi Emma andrà a casa. Corro un po’ a fatica verso il mio medico.
-Dottore.. dottore… - dico ansimando.
-Stefano non devi affaticarti però.. sei ancora fragile!-
-Si lo so.. senta io ho finito le cure? Potrei tornare a casa se volessi e venire qui solo per fare la chenio?-
-Stefano si però è meglio se rimani qui ancora per qualche settimana!-
Senza rispondergli corro verso la camera di Emma , ignorando le urla del medico che mi dice di andare piano. I pensieri scorrono velocemente. Ora posso vedere tutti i giorni Emma, posso stare sempre con lei.Se le andasse a casa non potrò vederla più. E se io non la vedo più, sto male. Dobbiamo stare vicini. Io voglio andare a casa con lei, voglio che la mia cura sia lei e io per lei.
La vedo mentre è di spalle che guarda fuori dalla finestra. Mi avvicino, la faccio girare e la stringo forte.
 
“Sei la perfezione in un nome, l'alba di un nuovo sole la voce del mio cuore musa delle mie parole,
quell'emozione che sorvola la ragione, la spiegazione , in una sola parola semplicemente amore, una bellezza indescrivibile
senza rivali magari siamo lontani, ma dentro i cuori legati, i tuoi occhi danno brividi, vivimi, senza limiti,
fidati che siamo spiriti liberi, vuoi?,
viaggiare un po con me persi nei tuoi sogni poi, sognarti ad occhi aperti essenza dei miei giorni tu,
indispensabile tu, indescrivibile, tu l'unico amore che è sempre più impossibile...tu...”
 
-Dimmi che non mi lascerai mai..-
-Mai..Mai…- mi risponde sussurando.
-Voglio che tu sappia una cosa.. mi sto innamorando di te!- lo dico emozionandomi e poco dopo vedo anche i suoi occhi inumidirsi.
-Ti aspettavo da tempo… Sei la mia salvezza!- mi risponde.
Questa sua risposta è l’ennesima conferma che io e lei non possiamo stare separati.
“I tuoi occhi cosi caldi, il modo in cui mi guardi sai che non basta mai,
ogni volta che mi cerchi perso nei tuoi sogni,
sai che mi troverai, NON LASCIARMI MAI, no mai, ti amo e lo sai”
-Devo tornare a casa..- dice in un sussurro.
-Io vengo con te..-
-No tu devi ancora finire le cure..-
-No le ho già finite! Ho chiesto al medico poco fa..-
-Stefano non è possibile…-
-Emma secondo te è possibile che io e te siamo fidanzati in un ospedale malati di tumore entrambi? Noi siamo l’impossibilità fatta persona.. ma stiamo bene così.. solo se stiamo insieme!-
-Hai ragione- la vedo sorridere ed è quella la cosa che mi piace di più.

Vorrei restare ancora un po qui con te, amore,
per dirti quelle parole che non ti ho detto mai...
Vorrei restare ancora un po qui con te, amore,
per dirti quelle parole che non ti ho detto mai...
 

-Quindi che facciamo?-
-vieni a stare da me?- mi chiede Emma.
-Complicato… dobbiamo parlare con i nostri… stasera!-
-Per forza amore..-
-Amore..-

* * *
EMMA
All’inizio i nostri genitori erano molto contrari ma poi gli abbiamo fatto capire che stiamo bene stando insieme e hanno accettato pur di vederci sorridere e essere “felici”. Ora stiamo a casa mia. Stefano si è trasferito da poco. Dormiamo nella mia cameretta e abbiamo più spazio, abbiamo più svago, stiamo meglio qui.
-Ooh ti sei incantata?- Stefano mi risveglia dai miei pensieri.
-Stavo pensando che qui fuori nel giardino c’è una piscina. Fuori fa caldo. Potremmo andare, no?- gli propongo. Ho sempre amato nuotare. Certo il mare sarebbe il massimo ma non possiamo andare e quindi ci accontentiamo.
-ehm.. ma no dai!-
-ma come no? Sisi andiamo. Ho deciso ormai. Dai andiamo a metterci il costume.-
Mi infilo velocemente il costume mentre Stefano ancora lo sta cercando.
-Muoviti amòò!-
-Sisi con calma arrivo. Tu intanto vai io ti raggiungo-
Arrivo sul bordo della piscina e mi tuffo. Quando riemergo vedo Stefano che mi guarda interdetto sotto al porticato.
-Non vieni? Si sta da Dio qui..-
-Amore senti, ecco.. – lo guardo confusa –io non so nuotare! Ecco l’ho detto!-
Scoppio a ridere.
-No ma grazie eh? Ridi delle mie fobie? Stronza..- dice offeso.
-Dai che sto scherzando! Fa ridere però.. un ragazzone come te di 1.90 quasi, tutto muscoloso che ha paura di una piscina.- dico cercando di non ridere ma non riuscendoci.
-Chiamami quando hai finito eh? Ridi pure..-
-Dai scemo sto scherzando.. Io sono una bravissima nuotatrice-
-E mbè?-
-Ti insegno, cretino!-
-Ma quant’è alta l’acqua?-
-Vieni qui vicino alle scalette che è bassa intanto e poi ti insegno dai- gli dico dolcemente.

"Sei, l'acqua che bevo tutto cio che vedo cio, in cui credo, il respiro per cui vivo ogni mattina al mio risveglio, la dolcezza piu immensa che a volte il cuore mi spezza nella mia testa solo te, nel cuore la speranza, non ha importanza dove sei o che cosa fai ha importanza che tu ci sia in qualsiasi posto andrai, sempre e solo noi dove vuoi come puoi fare cio che fai? piu mi dai piu non mi basti mai i nostri corpi caldi i tuoi baci devastanti perso nei tuoi abbracci il tuo modo di guardarmi, non puoi immaginare tutto cio che sei, semplicemente tu proprio come ti vorrei... "

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