Le dodici fatiche di Blaine di _opheliac (/viewuser.php?uid=27612)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lo sapevano entrambi ***
Capitolo 3: *** Gelosia ***
Capitolo 4: *** Preparativi ***
Capitolo 5: *** Solstizio d'Estate ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Le dodici fatiche di Blaine
Le
dodici fatiche di Blaine
Vi
era, un tempo, la credenza
che la natura, le stagioni, gli elementi naturali e tutto
ciò che accadesse nel
mondo, come anche l’amore e la guerra, fossero dettati dalle
azioni di alcuni
particolari esseri. Nessuno aveva mai avuto il privilegio di
incontrarli di
persona, almeno così si vociferava, eppure tanti erano i
templi a loro
dedicati, moltissimi i sacrifici per ottenere la loro benevolenza, e
ancor di
più erano le storie che si raccontavano di padre in figlio,
di famiglia in
famiglia, sulle incredibili gesta da loro compiute.
Si diceva che vivessero sulla cima del monte
più alto di tutto il territorio, la cui scalata nessuno
aveva mai tentato; la
loro casa doveva essere al di la delle nuvole, o forse ne faceva
addirittura
parte, perché pur alzando la testa ai limiti del possibile,
nessuno riusciva a
scorgere il minimo movimento o segno di vita. Nonostante fosse molta la
curiosità di vedere dal vivo questi esseri incredibili, che
gli uomini avevano
iniziato a chiamare Dei, nessuno si era mai avvicinato più
di tanto alle
pendici del monte, non volendo incorrere nelle loro ire e provocare
catastrofi
che avrebbero sconvolto la loro vita terrena, già difficile
di per sé.
- Erano uomini
semplici quelli che popolavano le terre di
quell’epoca, che vivevano dell’abilità
di cacciare con le
loro sole forze, e dei pochi mezzi che la
natura metteva loro a disposizione. Eppure non vi era popolo
più valoroso in
tutti gli angoli del mondo fino a quel momento conosciuti, nessun
popolo più
abile nell’arte della guerra, nella navigazione, perfino
nelle arti della magia
e della divinazione.
- Gli uomini erano
abili con la spada, forti e valorosi, le donne di
una bellezza e spirito d’animo impareggiabili.
- Benchè il sopravvivere
richiedesse notevoli sforzi giornalieri, chiunque poteva asserire che
nei loro
occhi vi era sempre la gioia.
- Era
un’epoca d’oro per il mondo stesso.
*******
A diversi metri di
altitudine, al di la delle nubi, circondate di
luce e armonia, vi erano veramente le
dimore degli Dei. Erano tanti edifici, alcuni più piccoli,
altri maestosi, il
più grande, al centro di tutto e sulla cima esatta
dell’Olimpo. Questo poteva
rassomigliare a uno dei grandi templi dei mortali, con le sue altissime
colonne
doriche, un tetto triangolare talmente massiccio che sembrava nessuno
potesse
scalfirlo, e una scalinata imponente, che portava
all’ingresso vero e proprio.
Non vi erano dei muri, la struttura era aperta e inondata dalla luce
che
proveniva direttamente dal cielo; il tempio si divideva in navate:
lungo
l’apertura principale si accedeva alla sala più
importante, dove vi erano,
posti in cerchio, dodici alti scranni, ognuno con un diverso simbolo
inciso nel
marmo in cui erano scolpiti. In mezzo, vi era un grosso cerchio in
quello che
sembrava oro, al cui interno vi era incastonata una grossa sfera
trasparente,
completamente vuota. La
navata sinistra
era destinata all’uso di pochi, poiché non tutti
avevano avuto il permesso di
potervi entrare; era protetta da uno scudo invisibile agli occhi, che
consentiva l’entrata soltanto a quelle persone designate. I
rimanenti non
soltanto non potevano attraversarlo, ma non potevano nemmeno vedere
cosa vi era
al di là; per
i non eletti, appariva
semplicemente come uno spazio vuoto.
Nella navata destra
si trovava un lungo tavolo, anch’esso
scolpito nel marmo e incastrato nel
pavimento, come
anche le panche che vi
stavano ai due lati. Una sola sedia, ben più piccola degli
scranni della sala
principale, ma comunque imponente, stava nel lato corto, ad indicare il
posto a
sedere per la figura più importante. Era il posto a sedere
del Padre degli Dei,
colui da cui quasi tutti gli altri erano stati generati, e che aveva
salvato i
suoi fratelli e sorelle da una morte dolorosa.
Egli era Finn, al
quale venivano rivolte le preghiere più solenni
e importanti.
Lo si dipingeva come
una personalità burbera e severa, l’indiscusso
sovrano dell’Olimpo, ma la verità era che aveva un
gran cuore, un
animo nobile e gentile, in grado di
prevedere ciò che sarebbe accaduto e spesso decidere in
anticipo quali
sarebbero state le conseguenze. A
volte,
però, egli riusciva anche a cambiare idea, se vi erano delle
motivazioni
adeguate.
*******
Gli
dei non scendevano spesso sulla Terra, se
non era strettamente necessario, perché rischiavano di
essere visti, e quando
accadeva le conseguenze erano quasi sempre spiacevoli.
Gli unici umani che avevano il permesso di
vederli e parlare con loro erano gli Oracoli; erano, comunque, momenti
che
accadevano in determinati giorni dell’anno, o in alcuni
particolari periodi, ad
esempio quando vi era in corso una guerra, o la carestia.
- Blaine era un
ragazzo che difficilmente
credeva alle storie che gli anziani raccontavano sulle loro
divinità: certo,
sacrificava gli animali quando lo si riteneva necessario –
benché non sempre
riuscisse a guardare quelle povere bestie morenti – e se
arrivava un periodo di
carestia allora pregava affinchè Brittany ridonasse la
fertilità alle terre, ma
lo faceva più per tradizione che per vero credo.
Ma un giorno dovette
ricredersi.
- La foresta era
brulicante di animali, e lui
cercava solo un capriolo da portare a casa per placare la fame della
madre e
della sorellina. Appostato tra gli alberi, le orecchie tese a captare
il minimo
movimento, si spostava con passi fluidi e leggeri, addentrandosi sempre
più
nella vegetazione fitta. La
caccia non
era soltanto un modo per procacciare il cibo, ma una vera e propria
arte, che
richiedeva una certa abilità, come destrezza,
velocità e soprattutto una certa
dose di furbizia, perché gli animali spesso erano anche
più scaltri degli
uomini, e non sempre era facile prenderli. Molti preferivano la pesca,
ma il
suo villaggio non era così vicino al mare come potevano
esserlo altri, ed era
più veloce e facile andare a caccia nella foresta li vicino.
I
suoi occhi scrutavano intorno a se con
attenzione, le mani stringevano l’arco con decisione, pronte
a scoccare una
freccia non appena avesse avvertito la presenza della sua preda.
Più si
addentrava tra gli alberi, più un forte rumore gli riempiva
le orecchie, come
una valanga di rocce in piena caduta, o un tumulto di zoccoli che
spezzavano
rami secchi.
- Dopo un
po’ si rese conto che non era nulla
di ciò che aveva potuto pensare lui, ma semplicemente si era
avvicinato, senza
neanche accorgersene, ad una piccola cascata, che andava a racchiudersi
in un
piccolo laghetto; lì, placidamente seduto tra un branco di
cuccioli di
capriolo, vi stava un uomo, un bellissimo uomo dalla pelle diafana.
- Blaine lo osservava
da dietro una roccia, la
freccia pronta a scoccare in direzione di un’esemplare un
po’ più distaccato
dal branco, quando l’uomo alzò appena lo sguardo,
incrociandolo per un momento
con il suo.
- Gli mancò un battito,
tanto che fece cadere l’arco
dalle mani, ormai dimentico dell’obiettivo per il quale si
era addentrato così
a fondo: mai aveva visto un viso tanto bello, dei tratti
così fini e delicati,
incorniciati da folti capelli castani; il corpo era al tempo stesso
esile e ben
definito, i muscoli tonici, il busto coperto da una tunica bianca, che
proseguiva fin quasi al ginocchio.
Ma
ciò che veramente lo lasciò basito, erano gli
occhi: di un azzurro intenso,
ancor più che del colore dell’acqua della cascata,
luminosi e, al tempo stesso,
impauriti.
- Aveva già
visto quel viso, benché mai di
persona, in una statua che di sicuro non rendeva giustizia a quella
bellezza
così perfetta: ne ebbe certezza quando l’uomo,
dopo avergli lanciato un ultimo
sguardo, sparì, illuminando per pochi istanti
quell’oasi di pace di una luce
intensa, facendo scappare il branco, che era stato completamente
ignorato dal
giovane.
- Blaine, ancora con
gli occhi spalancati, si
lasciò cadere sulla terra umida, una mano a stringere la
roccia dietro cui si
era appostato, come se cercasse un appiglio. Era abbastanza sicuro di
aver
appena visto il Dio Kurt.
Spazio
dell’autrice:
- Salve,
carissimi.
- Questa
è un’idea che mi è balenata per la
mente qualche giorno fa, in piena notte. No,
non avevo neanche bevuto tanto.
- E’
la prima fan fiction che scrivo dopo anni, ed è la
primissima in assoluto che
pubblico qui su Efp, nonché su Glee.
- Vi
sarei grati se, non so, commentaste per farmi sapere cosa ne pensate.
Le
critiche, in particolare, sono ben accette, so di averne bisogno.
- Si,
questo è solo il prologo, gli altri capitoli ( se ce ne
saranno, perché ho la
sensazione che non mi leggerà nessuno ) saranno SICURAMENTE
più lunghi.
- Beh
si, è tutto. *-*
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Capitolo 2 *** Lo sapevano entrambi ***
1-
Lo
sapevano
entrambi
Per quanto l’Olimpo si trovasse a diversi
metri di altitudine
dalla Terra, e la sua vista fosse completamente celata dalle nubi sia
di notte
che di giorno, gli Dei sapevano sempre ciò che accadeva nel
mondo mortale, a
volte anche prima che gli eventi si verificassero. L’incontro
del giovane umano
con Kurt non era un evento così scandaloso come si poteva
pensare: difatti il
presenziare dinanzi i mortali non era vietato, ne sconsigliato.
Semplicemente
era molto, molto raro, come d’altronde rare erano le volte
che gli Dei
scendevano sulla Terra, se si escludevano le visite ai templi a loro
dedicati,
e gli incontri con i loro sacerdoti, i quali avvenivano,
però, in periodi ben
precisi.
Ciò che però fu visto come
strano, e di cui ogni abitante
dell’Olimpo aveva iniziato a parlare, era stata la sua
bizzarra reazione: Kurt
era tra gli Dei uno dei più venerati, a cui ci si rivolgeva
più spesso, e,
certamente, quello che più spesso appariva ai suoi sacerdoti,
quindi era anche
colui che aveva il maggior contatto umano.
Qual’era, dunque, il motivo che
l’aveva spinto a tornare così in fretta
dalla sua pausa terrestre?
-Kurt!Kurt! Aspettami, per piacere!-
La voce cristallina di Rachel aveva ripetuto quella
frase già una
decina di volte, con sempre più impazienza, mentre lo
seguiva a passo spedito
tra i sentieri dell’Olimpo. Nonostante camminassero non
proprio
tranquillamente, le loro figure apparivano perfette, le lunghe vesti
bianche
seguivano i movimenti come se stessero semplicemente passeggiando, i
lunghi
boccoli di lei minimamente scomposti. Era parecchio divertente quando i
due
gemelli si ritrovavano a passeggiare insieme tra il popolo delle nubi,
perché
le loro voci allegre raggiungevano ogni abitazione, e si ritrovavano
spesso ad
essere seguiti dalle belle Ninfe, le quali danzavano intorno a loro
senza il
minimo sforzo, molte volte “istigate” dalla stessa
Rachel, che intonava per
loro una melodia. Le loro risate melodiose rendevano la scena
un interessante
quadretto per chi li osservava.
Quel giorno, però, Kurt non sembrava
esser dell’umore giusto, lui
che ai volteggi delle bellissime fanciulle sorrideva deliziato e non si
faceva
mai pregare per essere coinvolto. Quasi correva
nell’attraversare le vie, lo
sguardo diretto versa la sua meta, che altri non era che il tempio
stesso, le
orecchie sorde alla voce della sorella, il cui tono si faceva via via
più
insistente di minuto in minuto. Ormai giunto agli inizi della
scalinata, decise
finalmente di smettere di ignorarla, e si voltò stizzito
verso di lei, la quale
si fermò di scatto alla vista dello sguardo che le aveva
lanciato.
-Mia dolce sorella, che padre Finn mi dia la forza
per sopportare
i tuoi tormenti! E’ veramente così poco intuibile
il fatto che non voglia
parlare?- domandò, il tono di voce falsamente gentile,
l’indice della mano
destra steso verso di lei in maniera minacciosa.
Rachel sorrise, socchiudendo i begli occhi color
cioccolato, così
diversi da quelli del gemello, e con entrambe le mani racchiuse quella
di lui,
abbassando poi le braccia, così da potersi avvicinare senza
ostacoli.
-Kurtie, lo sai che non è educato
indicare le persone?- gli chiese
con tono di voce divertito, ignorando completamente ciò che
le aveva detto
pochi secondi prima, e senza aspettare risposta lo trascinò
con se su per le
scale, una mano ancora stretta con quella di lui.
Si,per
chi li osservava era
senza dubbio un piacevole siparietto, ma il Dio non sembrava pensarla
allo
stesso modo, almeno a giudicare dal sospiro esasperato che si era
lasciato
sfuggire dalle labbra, e stanco si abbandonò
all’idea di seguirla.
*******
-Blaine, caro, dov’è il
capriolo?-
Una donna dall’aria materna lo accolse
sull’uscio di casa,
tenendogli aperta la porta di legno scheggiata, così da
farlo entrare. Aveva
folti capelli scuri e occhi color caramello, la stessa
tonalità del giovane,
solo un po’ più spenti. Ella lo squadrò
dal basso verso l’alto e, dopo alcuni
secondi, constatò che no, non vi era alcun capriolo, ne
accanto a lui ne da
qualche altra parte. Il suo sguardo divenne prima duro, portando le
braccia ad
incrociarsi sul petto, ma non ottenendo risposta si lasciò
andare ad un triste
sospiro. Senza dire una parola si fece da parte, permettendogli di
passare
senza difficoltà. Blaine mosse lentamente qualche passo, per
poi ritrovarsi
all’interno della piccola casa; spostando lo sguardo sui muri
che conosceva
alla perfezione, ma che in quel momento non vedeva davvero, si
avvicinò al
tavolo di legno in mezzo alla stanza, e si lasciò cadere
sulla sedia, portando
i gomiti a poggiarsi sulle ginocchia e i palmi delle mani a circondarsi
le
guancie, coperte dalla barba ispida. Aveva camminato come un automa
dalla
radura fin lì, ed era una fortuna che la loro casa si
trovasse al limitare
della foresta, poiché distratto com’era stato
avrebbe finito con il perdersi o
l’essere trovato a vagare come un matto dagli altri abitanti
del villaggio.
-Che Finn ti fulmini! Insomma, vuoi guardarmi
almeno?! Blaine!!!-
la donna aveva iniziato a sbraitare dopo l’insistente
silenzio del figlio, che
ormai durava da alcuni minuti, in cui lei era rimasta dapprima ad
osservarlo,
preoccupata che fosse successo qualcosa di grave nella foresta, ma poi,
non
riuscendo a trattenersi, aveva iniziato a chiedergli spiegazioni del
suo
mutismo e dello strano comportamento; come chiunque avrebbe potuto
prevedere,
il non rispondere del giovane l’aveva fatta maggiormente
innervosire, iniziando
ad urlare per cercare di smuoverlo. Tentativo che si era rivelato
alquanto
inutile.
Finalmente, Blaine decise di degnarla della propria
attenzione e
alzò il viso verso di lei, guardandola come se non la
vedesse realmente.
-Io vado a dormire.- disse soltanto, con voce
debole, e senza
attendere risposta si alzò dalla sedia, dirigendosi verso le
scale in pietra
che portavano alle camere della piccola casa dove viveva con la sua
famiglia.
La mente era così presa dai pensieri più
disparati che non si accorse nemmeno
che la madre aveva ripreso ad urlargli contro a voce sempre
più alta.
Una volta nella sua stanza, Blaine si chiuse dietro
la porta di
legno, lasciando fuori la voce della madre, e si lasciò
cadere in terra, la
schiena appoggiata ad essa, nella mente ancora gli occhi che aveva
incontrato
quel giorno.
Quello era il Dio Kurt, lo sapeva. Nonostante seguisse le
tradizioni e le
rispettasse perché era giusto
e non
per un vero e proprio culto, le statue che lo raffiguravano erano
conosciutissime. E quel viso, Blaine non riusciva a farlo sparire dai
suoi
occhi, come se si fosse attaccato alle iridi e non volesse andarsene;
nessun
essere umano, in tutta la Grecia e nel resto del mondo conosciuto,
poteva avere
una bellezza simile. Tratti delicati e al tempo stesso virili, occhi
così
profondi, come se potessero contenere tutta la sapienza del mondo, e
quel corpo
slanciato, tonico..solo un essere divino poteva possedere un dono
simile, e
quello il giovane lo aveva stabilito pochi istanti dopo che il suo
sguardo si
era soffermato per dei secondi di troppo sulle gambe muscolose e
pallide come
il più prezioso dei marmi.
Blaine represse un urlo di frustrazione quando
ripercorse
mentalmente quel corpo intravisto poche ore prima; non si era mai fatto
problemi nell’ammettere la sua attrazione per gli uomini, e
in quell’epoca d’oro
nessuno ne avrebbe mai fatto un problema. Ma una divinità
era semplicemente troppo su cui
fantasticare e, si disse,
probabilmente non era nemmeno decoroso. Magari
in quel preciso momento lo stava
osservando, dall’alto del monte Olimpo, e rideva di quello
sciocco mortale
rimasto sconvolto da un incontro durato a malapena cinque secondi e
che, quasi
certamente, non si sarebbe mai più ripetuto.
Quello che Blaine non poteva sapere, e che forse
non avrebbe mai
saputo, era che quella notte non fu l’unico a rimuginarci
sopra.
*******
Gli Dei non avevano bisogno di dormire come
facevano gli esseri
umani, potevano rimanere svegli per lunghi periodi senza che il loro
corpo ne
risentisse, poiché era l’ambrosia stessa che
riusciva a rifocillare di energie
i loro spiriti; nonostante ciò, alcuni, di tanto in tanto,
si concedevano delle
sedute di meditazioni e di contatto con la natura, scendendo sulla
Terra o
scomparendo nei remoti passaggi dell’Olimpo. Kurt mai come
in quel momento
aveva desiderato dormire e far passare quel cerchio alla testa che
aveva
iniziato ad esser presente dopo i primi minuti passati con Rachel.
Adorava la
gemella, forse anche più di tutti gli altri suoi fratelli,
ma parlare con lei
era sempre così stancante, non si accontentava mai di
ciò che lui le diceva,
almeno finchè la discussione non prendeva la piega che
desiderava lei.
Stava seduto scompostamente sul suo scranno nella
sala centrale
del tempio , il viso poggiato su un pugno chiuso, lo sguardo stanco
puntato
sulla grossa sfera al centro del cerchio. Lo strano oggetto emanava una
forte
luce bianca, e al suo interno si potevano scorgere delle immagini che
si
muovevano veloci, ma che era difficile distinguere se non vi si
prestava la
giusta attenzione. Fu lì che lo trovò David.
Rimase ad osservarlo dall’entrata del
tempio, in silenzio, gli
occhi che scrutavano attentamente la sua
espressione. L’aveva cercato per tutto l’Olimpo,
quando aveva sentito due ninfe
ridacchiare sui due gemelli che correvano trafelati per i sentieri,
discutendo
di qualche incontro con non sapeva chi. A Kurt non piaceva essere visto
dagli
umani, lo sapeva; finiva con il sentirsi a disagio, diverso. Inutile
ricordargli che lo era davvero, che era una divinità e
quindi lo veneravano,
per lui non faceva alcuna differenza.
Gli si avvicinò con passo lento,
premendo i sandali sul marmo quel
tanto che bastava da produrre un discreto rumore che annunciasse il suo
arrivo.
Come preavviso, Kurt lo sentì subito, e si
affrettò a distogliere lo sguardo
dalla sfera al centro della sala; le immagini si dissolsero.
-Ehi! Ti ho cercato per tutto l’Olimpo,
ho sentito del tuo
bizzarro incontro. Cos’è, stavi controllando
l’umano?- gli chiese, una volta
arrivatogli vicino, dall’alto della sua figura muscolosa e
imponente. Lo
osservò con gli occhi scuri, soffermandosi attentamente
sulle espressioni che
gli balenavano in viso quando parlava. Se mentiva, lo si notava subito
dalle
piccolissime rughe che si formavano ai lati degli occhi.
Kurt si sforzò di ridere, simulando
un’indifferenza che non gli
apparteneva. Il suo rapporto con Dave era poco chiaro, e gli suonava
strano che
proprio lui gli facesse quella domanda; si affrettò comunque
a rispondergli,
senza però sforzarsi troppo di nascondere la sua reale
agitazione.
-Oh figurati, stavo solo controllando la
sacerdotessa del tempio
di Delfi!-
Gli sorrise appena, e alzandosi in fretta lo prese
per un braccio,
portandoselo dietro verso la sala a destra, dove il lungo tavolo era
pieno di
buona frutta, sapendo che stava solo fingendo.
In realtà, lo sapevano entrambi.
Spazio
dell’autrice:
Bene, pensavo di metterci molto meno, ma non avevo
considerato che
sono tornata a casa dei miei con il mare a pochi metri da me *-*
Bene, che ne pensate? Ecco che entra in scena anche
Dave, un
personaggio che a me personalmente piace molto, anche se a periodi
alterni.
Sarà una presenza molto importante nella storia.
Ringrazio chi ha recensito, e le 88 persone che
hanno letto, mi
farebbe piacere se mi dessero un parere, anche piccolo! Insomma, ci
tengo,
ditemi se sto solo perdendo tempo e sto scrivendo una boiata!
Penso
comunque che il mio ritmo di aggiornamento sarà un capitolo
la settimana, salvo imprevisti. Ancora un po’ di stallo e
qualche curiosità in
più, entreremo nel vivo della storia fra qualche capitolo!
Non mi piace essere
frettolosa… niente, ho detto ciò che volevo dire,
ho farneticato abbastanza,
domani ho un matrimonio, vi abbandono *-*
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Capitolo 3 *** Gelosia ***
2-
Gelosia
La notte era stata piena di sogni confusi e sfuggenti,
così particolari da rendere
Blaine agitato perfino nel sonno, come dimostravano i suoi movimenti
repentini
tra le coperte e la sua espressione corrucciata. Si era anche svegliato
in un
momento particolare della nottata, alquanto spaesato, ma dopo essersi
guardato
intorno un paio di volte era ripiombato con la testa sul cuscino di
lana,
riprendendo immediatamente sonno. Il risultato era stato che, quando il
gallo
aveva cantato, il suo risveglio era stato contornato da un brutto mal
di testa
e un terribile senso di spossatezza, come se avesse camminato per ore e
ore
sotto il sole cocente senza mai riposarsi. Si
stropicciò appena il viso stanco, toccando
la barba incolta che non aveva ancora avuto modo di rasare e a petto
nudo si
diresse fuori dalla stanza; scendendo le scale, poteva già
sentire i rumori
tipici della madre, sicuramente sveglia già da molto. La sua
supposizione non
si rivelò sbagliata: il tavolo in legno sembrava ancora
più piccolo con sopra tanta
roba. Su un piccolo tagliere, anch’esso in legno, vi era
poggiata una pagnotta
di pane, vicino vi erano poggiate delle fette di formaggio, un piattino con
sopra
delle more fresche e dentro una scodella poteva già
intravedere il colorito
bianco del latte di capra appena munto. Sorrise leggermente al
premuroso
pensiero della donna, si
sedette e
cominciò a gustare la magra colazione che aveva preparato
appositamente per
lui. Dopo una decina di minuti in cui si era preso tutto il tempo
possibile per
rimuginare sul giorno prima, si alzò dal tavolo, e sotto
intimazione della
madre a lasciare tutto così com’era,
andò ad infilarsi un paio di calzoni, la
cui lunghezza arrivava sino al ginocchio, e una casacca in lino che
lasciava
libere le braccia muscolose e abbronzate; così vestito, si
diresse fuori casa,
nel piccolo campo dietro la costruzione dove coltivavano piccole dosi
di ciò
che ritenevano necessarie. Non era una coltura grande ne
particolarmente
produttiva, ma grazie ai loro sforzi quando arrivava la stagione il
raccolto era
abbastanza da sostenerli senza troppi sacrifici. Per fortuna, di anni
difficili
ve ne erano stati pochi, almeno da quello che Blaine ricordava: quando
accadeva
una qualche disgrazia che vanificava i mesi passati dietro al raccolto,
come ad
esempio un lungo periodo di siccità, allora ci si faceva
forza a tirare avanti
come meglio si poteva, oppure si barattava ciò che si poteva
con dell’altro
cibo. Non era una soluzione allegra o che si prendeva alla leggera, ma
quando
c’era bisogno andava fatto e nessun contadino poteva tirarsi
indietro senza
rischiare di soccombere e mandare la sua anima
nell’Aldilà.
Il lavoro manuale non gli dispiaceva, sebbene fosse
stancante.
Gli piaceva stare a contatto con la natura,
aspirando l’aria
pulita, beandosi del calore del sole e dei canti degli uccelli che
riempivano
il cielo; gli piaceva sentire i muscoli tesi sotto sforzo, il sudore
che gli
imperlava la fronte, le braccia che si tonificavano e abbronzavano
giorno per
giorno. Aveva una costituzione a suo dire particolare,
benché condivisa da
molti villani: una statura media, che confrontata con gli altri popoli
del
mondo sarebbe stata considerata alquanto bassa per un giovane uomo, un addome scolpito
dall’esercizio fisico
giornaliero, braccia e gambe muscolose quanto bastava a non dargli un
aspetto
tozzo. Le mani, nonostante la gran quantità di calli, erano
comunque curate e
affusolate, fattore alquanto strano per una persona che le utilizzava
giornalmente, maltrattandole nei modi più diversi. Blaine
non si riteneva un
uomo avvenente, benché molte donne del villaggio, con figlie
in età da marito,
lo osservassero spesso con occhi compiaciuti, studiandone la figura
come fosse
stato una statua; eppure nonostante la sua umiltà faceva
particolare attenzione
alla cura del suo corpo, unica arma che non lo avrebbe mai abbandonato.
Rimanere storpio avrebbe significato avere difficoltà nel
badare a se stesso e
alla famiglia per il resto della sua vita.
Ma il giovane sapeva che il suo fascino nulla era
messo a
confronto con quello degli Dei, i quali avevano tenuto per loro la
più
ammirevole delle bellezze, poiché solo essere divini ne
erano degni. La sua
mente vagò per alcuni istanti sul giorno prima, a rimuginare
ancora una volta
sul corpo del Dio Kurt, il sorriso stampato sulle labbra senza nemmeno
essersene reso conto; iniziò quindi a lavorare, le guance
rosse, riscaldate non
più soltanto dal sole.
*******
Le lenzuola bianche era scompostamente poggiate sul
grande letto
dalla struttura dorata, con il solo scopo di coprire, seppur in parte,
i due
corpi nudi che stavano distesi l’uno accanto
all’altro, le membra intorpidite
dalla piacevole stanchezza che il sesso portava con se, i capelli
scomposti, un
forte odore di passione nell’aria.
Kurt
aveva la testa poggiata sul soffice cuscino di piume, un braccio sotto
di essa
a sorreggerla, l’altro mollemente poggiato
sull’addome piatto, lasciato
scoperto dalla stoffa di cotone; il suo corpo era nudo fino alla linea
immaginaria che delimitava l’inizio del pube, una gamba
ripiegata, così che il
lenzuolo si alzasse, dando una forma alquanto strana a ciò
che stava sopra il
letto. Gli occhi azzurri di lui erano socchiusi, le labbra rese rosse
dai baci
ricevuti e dati fino a poco tempo prima, l’espressione sul
viso un misto di
piacere e soddisfazione. Si
stava
cullando nel dolce far nulla, complice la fioca luce che proveniva da
fuori la
stanza e che sembrava brillare a causa dell’arredamento
totalmente chiaro.
Un mugugno accanto a se lo distrasse dai pensieri
che fino a poco
prima gli affollavano la mente – pensieri talmente diversi
tra loro che
andavano dall’incontro del giorno prima, a una vecchia
chiacchierata con
Rachel, al sesso appena fatto fino alle parole che andavano dette
all’Oracolo
di Delfi. Voltò appena il capo verso sinistra, lasciando che
gli occhi
indugiassero qualche secondo di troppo sull’addome scoperto
dell’uomo che
sembrava essersi svegliato proprio in quel momento.
-Per Finn, concedimi almeno un’ora di
pausa, non vorrai già
ricominciare!- la voce era assonnata e leggermente lamentosa, segno che
il
proprietario era tutt’altro che contento di essere sveglio.
Il tono, però, era
ironico e divertito, come d’altronde notò subito
Kurt, il quale si avvicinò al
viso squadrato di lui, per toccargli le labbra morbide.
-Oh Dave, certo che vorrei, per quale motivo
altrimenti saresti
nelle mie stanze?- gli chiese il castano con aria maliziosa, dopo
avergli
posato quel casto bacio che tanto contrastava con le parole appena
pronunciate
dalla sua voce cristallina. In risposta ebbe solo un grugnito, che
nascondeva
il disappunto per la frase appena sentita.
Era un rapporto strano, il loro. A volte sembravano
mal
sopportarsi, a volte sembravano amiconi, e sempre più spesso
si ritrovavano a
rotolarsi tra il cotone delle fini lenzuola profumate. Quasi sempre i
luoghi
dell’incontro erano le stanze di Kurt, dove le ancelle erano
così abituate a
vedere uomini diversi entrare e uscire da non farci più
nemmeno caso; e poi
Dave doveva ammettere che era un ambiente completamente diverso da
quello dove
viveva lui. Li era tutto bianco e sembrava risplendere, contornato da
un’aura d’innocenza
simile a quella del proprietario, che però spariva
immediatamente quando si
ritrovava avvinghiato a un bell’uomo.
La dimora di Dave, invece, era un po’
diversa: era tutto più cupo,
con affreschi di lotte e caccia e rappresentazioni sanguinarie. Era
elegante e
lussuoso come ci si aspettava da un Dio, ma il tutto era molto
più crudo; c’era
da dire che lo rispecchiava alla perfezione.
-Hm. – il Dio rispose soltanto quello,
prima di portare un braccio
muscoloso ad afferrare il viso dell’altro e portarlo
più vicino a se,
nonostante tutto felice di ricominciare la loro attività
preferita. Al resto
avrebbero pensato dopo.
*******
Alcune ore dopo Kurt era seduto sul suo scranno,
accarezzando con
il dito il bracciolo su cui vi era inciso un cerchio dorato circondato
da raggi,
una riproduzione fedele ma più piccola del simbolo che stava
sullo schienale e
che rappresentava il Sole. L’aspetto era composto e ordinato,
il chitone bianco
a metà gamba che lo vestiva perfettamente, lo sguardo fisso
sulla sfera al
centro del cerchio. Immagini nitide di un uomo intento al lavoro si
palesavano
alla sua vista curiosa; non sapeva perché stava osservando
di nuovo quel
ragazzo: forse voleva sapere che effetti aveva avuto il loro incontro
sulla sua
fragile mente umana, o semplicemente voleva bearsi della vista di quel
corpo
muscoloso dalla carnagione tipicamente mediterranea, benché
il suo viso aveva
lineamenti vagamente orientali. La
linea
dei suoi pensieri deviò per alcuni secondi verso il discorso
intrapreso il
giorno prima con Rachel, la quale sosteneva che avrebbe dovuto vederlo
di
nuovo, anche se non aveva saputo dargli motivi precisi. Kurt sapeva che
la
sorella era in grado di prevedere ciò che sarebbe successo
prima ancora che
avvenisse, un fattore che molti tra loro Olimpi avevano in comune, ma
sapeva
anche che lei in particolare vi riusciva meglio degli altri. Quel fatto
lo
incuriosiva e al tempo stesso lo inquietava, perché quando
la gemella prevedeva
qualcosa che lo riguardava, di solito questo causava solo guai. Era
abituato ad
avere problemi a causa di Rachel sin dalla loro nascita, tanti secoli
prima.
Stava dunque osservando Blaine già da un
po’, lottando contro il
se stesso che gli suggeriva di scendere sulla terra e provare ad
incontrarlo,
quando sentì il forte rumore di una porta sbattuta e dopo
pochi istanti una
figura femminile si avvicinò a grandi passi verso di lui, il
camminare veloce e
pesante, il bellissimo viso deturpato dalla rabbia. Quella prese posto
sul suo
scranno, contrassegnato dalla figura di un’elegante uccello
dalla larga coda, ad
un paio di posti di distanza da Kurt, gli occhi acquamarina che
dardeggiavano
fissi davanti a se, i lunghi capelli raccolti all’indietro e
tenuti fermi dal
Polos, il copricapo che la identificava.
Il Dio sospirò senza farsi udire,
guardò un’ultima volta le
immagini che si muovevano velocemente all’interno della
sfera, prima che queste
sparissero nel preciso istante in cui alzava lo sguardo, posandolo
sulla bionda
donna.
-Quinn, forse non ti sei accorta che ero
impegnato..- buttò lì
come se nulla fosse, giusto per richiamare a se l’attenzione
della Dea. Ella lo
fulminò con lo sguardo.
-E tu forse non ricordi che sono la consorte di
Finn, tuo padre?
Dovresti portare un po’ di rispetto, tu che tanto lo
gradisci. – sbottò lei, un
sorriso cattivo sul bel volto, le parole taglienti come coltelli. Kurt
aggrottò
gli occhi, offeso: Quinn poteva anche essere la moglie di Finn, ma non
era
certo sua madre, e non l’aveva mai considerata tale. Certo,
in quanto compagna
del padre degli Dei tutti la guardavano con riverenza e ammirazione
–- cosa che
lei adorava – ma lui sapeva benissimo che quel rispetto non
era meritato.
Dopotutto, c’era un motivo se veniva ripetutamente tradita
dal marito; molti
degli Olimpi erano nati da quelle relazioni extraconiugali, e quasi
tutti
trattavano Quinn al pari, se non al di sotto, degli altri.
L’unico a cui
veramente venivano riservati trattamenti preferenziali era solo Finn.
-Sai, dovresti smetterla di farti del male con
questa gelosia immotivata.
Per Finn, siamo divinità! Nessuno può eguagliare
il nostro potere e il nostro
splendore, possiamo avere tutti gli uomini e le donne ai nostri piedi,
trovati
un po’ di compagnia!- esclamò il castano con
enfasi, gonfiando il petto d’orgoglio
mentre parlava. Nubi, doveva esser proprio lui a farle presente
quell’ovvietà?
Lui che tra tutti gli Olimpi era forse il più innocente, il
che era tutto dire,
a meno che non si prendeva in considerazione Rachel; ma lei non faceva
testo,
dato che era stata sua espressa richiesta di essere e rimanere vergine.
Il
fratello a volte la prendeva in giro Non
sai cosa ti perdi, tesoro!, ma quella rimaneva sulla sua
idea. E dire che,
per ironia del destino, era anche la prediletta di Finn.
-Come fai tu, Kurt? Sappiamo tutti che ti porti
perfino David
nelle tue stanze, le ancelle parlano, lo sai? Anche l’umano
che hai
incontrato.. vuoi fare entrare anche lui, nelle tue grazie?- Quinn
rise, divertita
dalle sue stesse parole – Io sono una regina, figliolo.
E sono devota ad un unico uomo, io.- detto ciò, si
alzò
con grazia, ergendosi in tutta la sua maestosa bellezza, e a passo
svelto
ritornò da dove era venuta, il lungo chitone di un chiaro
azzurro che le
carezzava le forme durante il passo.
Kurt sospirò nuovamente, appoggiando la
fronte sulla mano, stanco.
Aveva passato solamente cinque minuti in compagnia di quella donna, e
aveva già
un cerchio alla testa. Mentalmente, si chiese quanto male dovesse stare
Finn
dopo tutti quei secoli.
-Che cosa l’avrà fatto
innamorare, poi?- la voce gli uscì quasi
come un sussurro, così che nessuno a parte lui avrebbe
potuto sentirlo. Scosse
appena la testa, si alzò facendo perno sulle braccia e
lanciò un ultimo guardo
all’ Orasep ormai vuoto, prima di voltargli le spalle e
uscire dal tempio,
pensieroso.
Spazio
dell’autrice:
Buonasera, miei adorati! Si, so di essermi fatta
attendere più del
previsto, purtroppo non avevo considerato che torno a casa dei miei una
volta
ogni 4 mesi, e che questo comporta un gran numero di pranzi in
famiglia, pranzi
con i suoceri, con le nonne, gli zii.. aaaah, la famigghia!
Innanzitutto, dove
sono le recensioni? Ç_ç Il primo capitolo ha
superato le 160 letture, il
secondo le 100! Insomma, fatemi sapere se aprite la pagina e basta, o
se almeno
leggete!
Allora, in questo capitolo si vede un personaggio
nuovo. Io AMO
Quinn, specialmente quando è cattiva. Non ci sono molte
novità, e spero non vi
stiate annoiando, ma ci vorrà ancora un po’ per
entrare nel vivo… e posso solo
anticiparvi che Quinn sarà molto, molto utile al riguardo.
Come? Se sono impazzita per la scena Kurtofsky? Ma
no, no! Anche
quella mi serviva, infondo.
Piccole curiosità: il chitone
è la tipica tunica dell’antica
grecia, unisex, anche se gli uomini la portano a metà coscia
mentre le donne
fino alla caviglia. Il Pelos è un copricapo circolare che
indica la Madre, e lo
si può vedere nelle statue di Era, che come avrete capito
è rappresentata da
Quinn. Non lo avevate capito? Ripassate un po’ di storia, su!
Vi
lascio con il capitolo mentre io corro a prepararmi
all’ennesima
cena con i suoceri! Alla
prossima
settimana, spero!
|
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Capitolo 4 *** Preparativi ***
3-
Preparativi
I giorni passarono velocemente e così le
settimane, come trainati
da un carro in corsa, senza eventi particolari che potessero
sconvolgere la
quotidianità degli umani, ne degli Olimpi. L’aria
divenne sempre più afosa, le
coltivazioni invernali iniziarono a seccare e tutti i contadini si
riversavano
sui campi, pronti a raccogliere il frumento che avrebbero poi messo in
tavola.
Era un periodo dell’anno molto frenetico e tutti, donne e
bambini inclusi,
avevano il loro da fare per garantire la continuità del
raccolto così da non
perdere nemmeno un po’ del lavoro di un anno.
Nell’Olimpo non c’erano
raccolti a cui fare attenzione ne campi da
iniziare a coltivare, eppure la frenesia che caratterizzava gli umani
aveva
trapassato le soffici nubi fino a raggiungere la cima del monte e
contagiare
tutti gli abitanti del mondo divino, seppur per motivi diversi.
Targelione già
da tempo aveva timidamente fatto il suo ingresso nel mondo, rendendo
l’aria più
afosa, i fiori più brillanti, inondando tutti gli esseri di
una calura al tempo
stesso fastidiosa e piacevole, e mancavano ormai pochi giorni alla sua
fine, la
quale sarebbe stata contornata dalla grande festa per il Solstizio
d’estate,
che si sarebbe tenuto da li a pochi giorni. Tutto il mese era stato
dedicato
alle due divinità gemelle, i quali avevano risposto per
tutto il tempo a
preghiere, richieste, sacrifici e ciò che comportava il loro
essere; ma più
l’ultimo mese giungeva alla fine, così come un
altro anno, più la pressione
aumentava, in particolar modo per Kurt. Difatti, seppure per tutto il
mese
anche Rachel era coinvolta nelle adorazioni, quelli erano i giorni in
cui il
Dio era più adorato, in cui il suo potere raggiungeva il
culmine e doveva dedicarsi
con zelo alle meditazioni. Era sceso sulla terra quasi ogni giorno,
rimanendo
nascosto tra le fronde degli alberi più interni della
foresta, rimanendovi per
lunghe ore circondato dalla bellezza della natura, immerso nei suoi
più
profondi pensieri senza che l’esterno potesse scalfirlo.
Non aveva notato i fiori che sbocciavano intorno a
lui, ne gli
animali che gli danzavano intorno attirati dalla sua energia
scalpitante, ne
delle ombre intorno ai rami che scomparivano quando lui riapriva gli
occhi, e
che lo osservavano con grande interesse. La cosa strana era che nessuno
gliene
aveva parlato, nemmeno Rachel, la quale quando lo incontrava sembrava
sempre
nascondergli qualcosa, come si poteva notare dai sorrisi divertiti che
gli
lanciava quando lui non la guardava.
Anche quel giorno Kurt era sulla terra, seduto su
un masso che
sporgeva dalla superficie del piccolo lago all’interno della
foresta poco
distante dalla sua casa, la schiena poggiata sulla corteccia di una
grande
quercia, le pallide gambe incrociate, ricoperte da una sottile e poco
visibile
peluria; i folti capelli castani gli ricadevano scompostamente sul
viso, senza
intaccarne l’espressione distesa e serena. Il corpo era
immobile, mentre le
braccia erano dritte ai lati, cosi che le lunghe dita affusolate
arrivassero a
toccare appena l’acqua fresca, disegnando dei piccoli cerchi,
così lentamente,
però, che era difficile percepirne il movimento.
I movimenti concentrici si fecero via via
più veloci, senza però
che l’acqua si sollevasse più di qualche
millimetro, mentre la superficie che
veniva sfiorata da quel tocco iniziava lentamente a schiarirsi, come se
fosse stata
illuminata dal fondo e la luce si stesse innalzando verso
l’esterno, finchè
divenne totalmente trasparente. A
quel
punto la sua mano destra non stava più toccando il liquido
quasi invisibile,
poiché il braccio era ripiegato verso il corpo del Dio; egli
ruotò il polso, la
mano aperta che sembrava accarezzare l’aria, e un soffio di
vento scosse la
tranquillità della radura, mentre alcune piccole foglie si
staccavano dalla
quercia, scendendo fino a scontrarsi contro la superficie del lago.
A quel punto, Kurt aprì gli occhi,
fissando la scena che gli era
apparsa davanti, studiandone attentamente i dettagli, conscio di
doverli
interpretare al meglio. Benchè gli sembrasse di essere
rimasto in quella
posizione solo per una manciata di minuti, anche nella sua
concentrazione notò
come il sole fosse in una posizione molto diversa di quando aveva
iniziato;
sospirò, per poi immergere nuovamente le dita
nell’acqua e riprendere la
meditazione.
*******
Pythio, il villaggio di Blaine, si trovava in una
posizione di privilegio
rispetto a tutta la Grecia, considerando che soltanto una foresta,
seppur
imponente, lo separava dalle pendici del monte più
importante del territorio;
eppure quella posizione aveva anche degli svantaggi in determinati
periodi
dell’anno, in particolare quando vi erano delle feste sacre a
cui era
tradizione prender parte. In quei casi tutti i Pythiani, tranne coloro
che non
potevano abbandonare le loro dimore per seri motivi, o gli anziani e i
bambini
troppo piccoli, si incamminavano giorni prima per raggiungere le mete.
Anche quell’anno non vi fu alcuna
eccezione: Delfi distava almeno
un giorno di cammino senza sosta, anche due se si facevano delle utili
pause
per riposare, e quasi tutti i villani si erano incamminati con un
giorno di
anticipo, Blaine compreso, mentre sua madre era rimasta a casa a
vigilare e ad
occuparsi del campo per evitare che il resto del raccolto andasse
perso. Si era
sentito un po’ in colpa per quella decisione, ma poi la
voglia di partecipare
alla festa del Solstizio d’Estate, un evento a cui tutti
prima o poi dovevano presenziare,
e la voglia irresistibile di poter vedere di nuovo il Dio Kurt lo
avevano convinto
ad intraprendere quel breve pellegrinaggio, a sopportare il caldo umido
e la
freschezza della sera, la stanchezza alle gambe, il sudore, la sete e
la fame,
che poteva placare soltanto nelle poche pause che il gruppo di
compaesani si
concedeva, così da arrivare nel minor tempo possibile.
Ci misero comunque due giorni.
Arrivarono a Delfi il giorno prima della
celebrazione, e
dividendosi cercarono ognuno alloggio per il tempo che sarebbero
rimasti li. Il
giovane si diresse verso la più vicina e modesta locanda
della città, chiedendo
stremato alla donna dietro il bancone un piccolo anfratto ove riposare
per la
notte. Quella guardò il suo aspetto stanco, i vestiti
sporchi, la barba incolta
e lo zaino sulle spalle: capendo subito che aveva dinnanzi un
viaggiatore, come
molti altri che erano arrivati nelle ultime ore, gli indicò
una delle camere
più piccole e spoglie, facendogliela pagare più
oboli di rame del dovuto, che
Blaine cedette malvolentieri, troppo stanco per anche solo pensare di
contrattare il prezzo.
Una ragazzina – probabilmente la figlia
della locandiera – lo
accompagnò verso la stanzetta, la quale si trovava poco
distante dall’ingresso,
da cui arrivavano le voci dei numerosi avventori. La
giovane rimase con lui finchè non gli aprì
la porta della stanza, dopodiché si dileguò senza
il minimo cenno, lasciando
Blaine solo a rimirare il misero arredamento, composto da una sedia, un
piccolo
letto in legno, un tavolo traballante accanto ad esso, con sopra una
lampada ad
olio che illuminava lugubremente i muri di pietra, e un piccolo
armadio, se
così poteva chiamarsi. Degnò
la mobilia
di ben poca considerazione se si escludeva il letto, e fu lesto nel
togliersi
dalle spalle lo zaino e i vestiti, per poi buttarsi sul morbido letto
vestito
soltanto della stanchezza e un paio di braghe, scivolando in un sonno
carico di
aspettative.
*******
La cerimonia del Solstizio d’Estate era
un evento imperdibile
sotto molti aspetti, che spingeva gli abitanti di tutta la Grecia a
radunarsi a
Delfi, ad attendere con trepidazione che arrivasse la sera,
così da assistere alla
manifestazione dell’oracolo e, benchè la vera
attrazione fosse appunto la
cerimonia che
sarebbe iniziata con lo
spuntare della luna, tutta la città era in festa e offriva
ai visitatori
piacevoli intrattenimenti con cui distrarsi nell’attesa, come
tavolini in legno
pieni di strani oggetti, libricini sgualciti con scritti
all’interno gli antichi
riti, mercatini dove poter comprare le offerte da consegnare la sera
stessa. La
giornata passò velocemente tra gli schiamazzi della gente, e
fu solo verso il
calar della sera che i rumori si placarono, le strade si svuotarono dei
loro
occupanti, e una folla di gente iniziò a dirigersi verso il
grande tempio,
situato verso la parte alta della collina dove stava la
città. Era un edificio
semplice e al tempo stesso maestoso, il cui ingresso era sovrastato da
una grande
scritta che tutti mormoravano a bassa voce prima di entrare, come una
formula
magica che sarebbe servita per udire e vedere meglio ciò che
sarebbe accaduto.
Blaine vi si fermò sotto e dovette
prendersi qualche minuto per
decifrare le lettere che erano incise sul grosso cornicione: avendo
umili
origini non aveva mai imparato del tutto a leggere, ma gli erano solo
state
insegnate, dalla madre, le lettere dell’alfabeto,
così che con un po’ di
impegno, e pazienza, se mai si fosse trovato davanti qualcosa di
importante
avrebbe potuto almeno formare le parole.
Oh, Uomo,
conosci te stesso e conoscerai l’Universo degli Dei.
Ne fu così colpito che rimase immobile
per alcuni istanti dopo
averne compreso il pieno significato, riflettendo attentamente sulle
implicazioni che poteva considerare. Se avesse conosciuto meglio se
stesso
avrebbe avuto la possibilità di conoscere gli Dei?
Quel pensiero gli fece battere il cuore
più velocemente di prima,
al solo pensiero che una cosa del genere fosse possibile, ma dovette
poi
tornare bruscamente alla realtà. Non era un guerriero
valoroso degno degli
apprezzamenti degli Olimpi, ne un sacerdote dedito al loro volere, ne
una
qualsiasi altra persona che potesse meritare un privilegio del genere.
Per quel
che sapeva, chi non faceva nulla per meritarselo e conosceva ugualmente
gli dei
erano le donne umane con cui Zeus sceglieva di giacere. E lui non era
una
donna, anche se aveva con loro in comune i gusti sessuali.
-Farei meglio ad entrare- sussurrò a se
stesso, sottovoce,
scuotendo la testa come a togliersi dalla mente quegli sciocchi
pensieri senza
senso e muovendosi attraverso l’entrata del Santuario.
Restò per alcuni istanti abbagliato
dalla bellezza dell’interno,
il cui normale candore era modificato dalla luce rosata che emanavano
le grandi
lampade ad olio attaccate ad ogni colonna. La navata era grande e
larga, piena
di panche di legno già quasi completamente occupate; il giovane alzò
gli occhi verdastri verso il
tetto, da dove pendevano decine e decine di scintillanti ghirlande
d’alloro,
che sembravano muoversi scosse da una lieve brezza, nonostante non vi
fosse il
minimo alito di vento all’interno dell’edificio,
talmente stipato di gente che
l’aria era irrespirabile.
Il suo sguardo vagò poi verso il centro,
seguendo la lunga crepa
del pavimento, che terminava al di sotto del tripode ove sapeva che la
Pizia si
sarebbe seduta una volta che la cerimonia fosse iniziata. Blaine si
affrettò a prendere posto, conscio
che di li a poco il tempio sarebbe stato talmente pieno che avrebbe
avuto
difficoltà anche a rimanere in piedi.
Dopo alcuni minuti di attesa, in cui
l’eccitazione si faceva sempre
più palpabile, dal retro del tempio spuntarono due
sacerdotesse, con in mano
due vasi colmi di un liquido dal forte odore, e dietro loro avanzava
lenta la
Pizia, lo sguardo alto e orgoglioso nonostante
l’età avanzata. Ella osservò le
due giovani fanciulle versare il contenuto dei recipienti
all’interno delle
crepa, da cui quasi immediatamente iniziarono ad innalzarsi dei lievi
vapori,
ancora quasi invisibili agli occhi dei presenti; dopodiché
congedò le
fanciulle, le quali si affrettarono ad andare a prendere posto ognuna
ai lati
del tripode, su cui invece andò sedere
l’anziana
donna.
Tutti trattennero il fiato quando i vapori
iniziarono ad
innalzarsi sempre di più, avvolgendosi attorno al corpo
della donna, emanando
un odore pungente e inusuale. La Pizia alzò le braccia verso
l’alto, seguendo
il movimento con la testa, gli occhi dilatati più del
normale, mentre dalle sue
labbra fuoriuscirono le parole d’inizio del rito.
-La Porta degli Uomini è aperta!-
esclamò con voce forte, il tono
completamente diverso da quello che ci si sarebbe potuto aspettare da
una
donna, segno che la sua connessione era già iniziata.
Immerso nella sua meditazione, le stesse parole
erano state
pronunciate anche dalle rosee labbra del Dio Kurt, il quale
spalancò d’improvviso
i propri occhi azzurri, illuminati da una luce che sovrastava il
chiarore della
luna stessa.
Spazio
dell’autrice:
Si beh, buonasera, anzi, buonanotte!
Lo so che avevo detto che avrei aggiornato una
volta a settimana,
ma a quanto pare devo essermi dimenticata di avere degli esami da
preparare per
settembre.. e insomma, c’è caldo,
l’ispirazione viene meno, io sclero sugli
spoiler della terza stagione…
Dunque, per questo capitolo avevo in mente
tutt’altro, ma tantè
che mentre scrivevo ho improvvisamente cambiato idea e confinato la
cerimonia
vera e propria, e ciò che ne conseguirà, al
prossimo capitolo, dedicando questo
ai preparativi, altrimenti veniva troppo lungo e pesante.
In questo capitolo vi sono tante piccole cose che
avranno un loro
significato non appena gli avvenimenti prenderanno la loro piega!
Passiamo alle spiegazioni:
Targelione è l’ultimo mese del
calendario greco, e benché ho trovato
alcune incongruenze tra le informazioni che avevo io e quello che avevo
reperito ho preferito attenermi a questo perché altrimenti
cambiava anche il
primo mese. Esatto, per chi non lo sapesse gli antichi greci facevano
iniziare
l’anno d’estate, esattamente dopo il primo giorno
di luna piena che seguiva il
Solstizio d’Estate!
Inoltre questo è un giorno importante
perché si dice fosse il
giorno in cui si entrava nel mondo degli uomini e delle cose materiali,
un
tempo di passaggio, di buon auspicio per la divinazione!
Poi: gli oboli sono piccole monete di poco valore,
se considerato
che 6 oboli corrispondevano ad un dracma d’argento, che era
la paga giornaliera
di un uomo; la Pizia è come veniva chiamata la sacerdotessa
del tempio di
Delfi, che doveva essere una donna sulla cinquantina e vergine! Oh, gli
Dei se
li facevano tutti, però chissà perché
ogni donna importante doveva essere
vergine XD Scherzi
a parte, non mi pare
ci sia altro da chiarire, ecco. In
caso
non esitate a chiedermi anche via mp, perché magari ho
dimenticato qualcosa,
sapete com’è, sono le due e mezza
°_°
Detto
ciò spero il capitolo vi piaccia <3 Au revoir!
|
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Capitolo 5 *** Solstizio d'Estate ***
4-Solstizio
d’Estate
Blaine
non si rese conto di star trattenendo il fiato finchè il
suo corpo non iniziò ad avere bisogno di buttare fuori
l’aria accumulata, i
polmoni che iniziavano a pulsare dolorosamente, segnalando alla sua
mente che -
per Finn! - doveva espirare. Quando il bisogno si fece impellente parve
risvegliarsi dalla trance in cui era caduto, e sospirò
rumorosamente, mentre il
torace si abbassava vistosamente, vuoto; una volta che il bisogno
d’ossigeno fu
di nuovo impossibile da ignorare, inalò l’aria
densa di fumi all’interno del
tempio, sentendosi immediatamente stordito, le narici che bruciavano
leggermente, mentre i polmoni si espandevano per quella boccata di aria
sacra.
Considerata la distanza di parecchi metri a cui si trovava rispetto al
tripode,
si chiese inconsciamente che sensazioni dovesse provare la Pizia,
praticamente
seduta sul getto dei vapori. I suoi occhi, insieme a quelli delle
decine e
decine di persone che come lui stavano assistendo alla cerimonia, si
posarono
proprio sul viso della donna che, benché fosse difficile
riuscire a vedere bene
attraverso i vapori, appariva stravolto dall’estasi della
connessione divina
che stava avvenendo in quel momento.
Blaine
era attonito mentre una voce sconosciuta, antica e potente
iniziava a diffondersi per la navata e poi al di fuori di essa, come
trasportata e amplificata dall’aria stessa, raggiungendo nel
profondo la mente
di coloro che erano in grado di essere raggiunti; non fu facile,
all’inizio,
capire cosa stesse accadendo: la
maggior
parte degli uomini e le donne all’interno del tempio avevano
iniziato a
guardarsi in giro, perplessi, non appena la Pizia aveva spalancato la
bocca,
dando inizio alla cerimonia, osservando come alcuni parevano
completamente
concentrati verso l’anziana donna, come se fossero in grado
di sentire cose
sconosciute ai più. Inizialmente aveva pensato che doveva
essere soltanto una
sua impressione, perché quella voce era così forte, e si insinuava nella sua mente e
nel suo corpo in maniera
così intensa da scuoterlo dall’interno, ed era
impossibile che ci fosse
qualcuno che non riuscisse a sentirla.
Il
corpo della sacerdotessa era scosso da forti tremiti, mentre le
sue labbra parevano muoversi da sole, del tutto indipendenti dal corpo
che le
ospitava, soggiogate dalla voce divina. Ella, o chi per lei, stava
cantilenando
di storie antiche quanto il mondo, del dio del Caos che aveva generato
Gea, la
madre Terra, la quale aveva generato Urano, con il quale si era
congiunta per
dare al mondo i Titani. Narrò di come il figlio e consorte
Urano giacesse
costantemente su di lei e gettasse i figli nel profondo tartaro,
finchè il
minore dei Titani non lo evirò, salvando i suoi fratelli e
le sue sorelle.
-Egli
era Crono, colui che controllava il tempo e il suo
scorrimento. Ma il dio divenne un mostro ancor più cruento
del padre, divorando
i figli che la consorte Rea partoriva, finchè giunse Finn,
il minore degli
Olimpi, il più forte e il più valoroso, il quale
ebbe risparmiata la vita,
venendo affidato alle cure delle ninfe; quando fu cresciuto abbastanza,
avvelenò il custode del tempo, rinchiudendolo per
l’eternità, liberando i suoi
fratelli e le sue sorelle, divenendone il capo. E come fece suo padre
prima di
lui, e il padre di suo padre ancor prima, prese in sposa Quinn, sua
sorella, e
fu il Padre degli Olimpi. –
Blaine
ascoltava meravigliato quella storia di cui non aveva mai
saputo l’esistenza, essendo il suo villaggio troppo piccolo
per poter trovare
qualcuno che ne potesse essere a conoscenza. Era affascinato da quella
sequenza
di lotte per la supremazia, dalle dimostrazioni di forza e coraggio e
per la
prima volta si rese conto di ciò che davvero erano gli Dei e
cosa avevano fatto
per gli uomini. Cosa ancora continuavano a fare.
E
improvvisamente, parte della sua voglia di incontrare il dio
Kurt si trasformò in paura. Paura per un essere che non era
in grado di
comprendere neanche in minima parte, che probabilmente vedeva gli
uomini
soltanto come piccoli giocattoli che presto o tardi avrebbero lasciato
la loro
vita sulla Terra, abbracciando le mortali spire dell’Ade.
Sapeva che il suo
desiderio era infantile e mai avrebbe potuto realizzarsi, ma quelle
considerazioni erano, per lui, abbastanza tristi. Ed era quasi certo
che più
della metà degli uomini che ascoltavano la cerimonia non si
erano mai posti le
stesse considerazioni.
*******
Gli
occhi di Kurt erano spalancati e brillavano in maniera
innaturale, le pupille dilatate molto più del normale, ma
sembrava non vedere
realmente cosa c’era intorno a lui. Se lo si osservavano
attentamente, si
poteva notare il leggero velo opaco che ricopriva gli occhi chiari, il
quale
rendeva il suo sguardo vacuo e quasi senza vita, il che era
stupefacente se lo
si metteva in contrasto con la luce che emanavano.
La
sua presenza in quella radura, ormai, era solamente fisica. Il
suo spirito, la sua mente, il suo intero essere era proiettato a
grandissima
distanza da quell’oasi di benessere in mezzo alla foresta.
Intorno a sé poteva
sentire gli esseri umani raccolti alla presenza della Sacerdotessa,
percependoli come piccoli, numerosi puntini. Più della
metà di essi erano grigi
e tristi, le luci delle loro anime completamente spente e chiuse alla
sua
presenza, incapaci di bearsi di un onore che non riuscivano nemmeno ad
immaginare, così sciocchi da non comprendere un indizio
talmente semplice da
essere sotto gli occhi di tutti; il resto delle piccole anime erano ai
suoi
occhi luminosi cerchi di vita, le cui sfumature variavano dal bianco,
al
giallo, all’azzurro, tanti colori diversi, alcuni creati
appositamente dalla
sua mente, a raffigurare e rispecchiare l’essenza stessa di
tanti uomini così
diversi tra loro, e il collegamento che riuscivano a raggiungere, in
quel
momento, con il dio. Riconosceva subito la Pizia tra
quell’intreccio di luci,
poiché il puntino che la rappresentava era il più
grande e il più luminoso di
tutti, poiché in quel momento la sua anima era strettamente
legata a quella di
Kurt, tanto da sentire ciò che sentiva lui, e dire
ciò che lui voleva.
Ma,
oh.
Del
verde brillante predominava improvvisamente la scena, meno
luminoso del bianco accecante della Sacerdotessa, ma molto
più di tutti gli
altri esseri.
Wow,
non se lo sarebbe mai aspettato.
Poteva
significare solo una cosa: un umano aveva compreso appieno
il significato di quel giorno, aveva capito e accolto dentro di
sé l’essenza
stessa del momento in cui la Porta degli Uomini veniva aperta; inutile
dire che
lo incuriosiva tantissimo quell’inaspettata
novità. Era
la prima volta, dacché riusciva a
ricordare, che accadeva una cosa simile, perché normalmente
coloro che
riuscivano ad ottenere un collegamento maggiore con lui erano le
sacerdotesse,
gli oracoli, qualcuno dotato di forte potere spirituale. Di solito, i
colori
che li rappresentavano erano le più vaste sfumature del
bianco, comunemente
associato dagli umani alle divinità.
La
curiosità che lo colpì in quel momento fu tale da
farlo
vacillare, solo per un istante, nel pronunciare il rito cerimoniale. I
suoi
vasti pensieri, di norma separati, si fusero tra di loro, creando un
vortice di
idee, sensazioni, suoni e immagini che avrebbero distrutto una mente
umana in
pochi istanti. Ebbe comunque un effetto del tutto inaspettato anche su
di lui,
poiché confuse le parole che fuoriuscirono dalle sue labbra,
facendole mischiare
in un intreccio completamente nuovo e imprevisto.
Quel
che accadde subito dopo non se lo sarebbe mai aspettato, ma
qualcosa gli diceva che Rachel lo aveva saputo e, volutamente, non
glielo aveva
rivelato.
Davanti
a lui, spaesato e totalmente sconvolto, vi era un umano.
E
- Kurt avrebbe voluto maledire il cielo per questo – non solo
era un umano, e si trovava li, dinnanzi a lui, senza la
benché minima idea di
come ci fosse finito, ma era il giovane che lo aveva visto settimane
prima.
-Oh
Finn, perché mi punisci?!- borbottò a mezza voce,
la concentrazione
ormai interrotta. Il suo pensiero vagò verso la
Sacerdotessa, la quale si era
improvvisamente ritrovata senza il collegamento mentale che si era
stabilito, e
cercò di calmarsi, pensando che in ogni caso la parte
più importante della
cerimonia era stata fatta – beh, in realtà non ne
era poi così sicuro, in quei
momenti si estraniava davvero dal
mondo; ad esempio non aveva idea di quanto tempo fosse passato da
quando aveva
iniziato la meditazione – e Kurt sperò che se la
sapesse cavare da sola.
In
ogni caso, in quel momento non è che poteva fare molto. Per
raggiungere lo stato di trance che permetteva il collegamento con la
Pizia
aveva meditato per giorni e giorni, dapprima a momenti alterni, facendo
delle
lunghe pause per riposare la mente e rifocillare il corpo, bisogno che
si
presentava più frequentemente in quei momenti rispetto a
quanto accadeva di
solito; il giorno prima della cerimonia, comunque, si era chiuso nella
meditazione e non ne era più uscito, e così
avrebbe continuato finché non
avesse finito.
Kurt
sospirò leggermente, osservando l’uomo ancora
spaesato, e
lentamente si alzò dal masso su cui era seduto dal giorno
prima, sentendo le
forze iniziare a scemare in maniera quasi impercettibile; incurante
dell’acqua
che gli lambiva le gambe nude, infilò i piedi dentro il
placido lago, creando
delle increspature sulla superficie fino a quel momento liscia, le
quali
andarono aumentando non appena egli iniziò a muoversi verso
la riva ove il
giovane era scompostamente seduto.
Blaine,
dal suo canto, era immobile, le mani appoggiate alla
fresca erba, gli occhi nocciola che non riuscivano a staccarsi dal
corpo
sinuoso del dio che avanzava verso di lui, gli schizzi
d’acqua sollevati al suo
passaggio che si attaccavano all’orlo del bianco chitone,
rendendone il tessuto
trasparente. Spaventato e confuso, continuava a chiedersi cosa ci
facesse li,
dove fosse di preciso, e soprattutto se ciò che stava
vedendo era reale;
magari, si disse, era svenuto per via dei vapori all’interno
del Tempio, e
adesso stava vivendo un’allucinazione. Una bellissima
allucinazione, doveva
dirlo.
Per
provare a se stesso che era veramente un sogno ad occhi aperti
prese una pietra appuntita a pochi centimetri di distanza dalla sua
mano, e
stringendola con forza se la sbatté sulla mano sinistra in
velocità, convinto
com’era che non avrebbe nemmeno sentito il colpo; peccato che
il dolore che si
espanse per tutta la superficie dell’arto fu alquanto reale,
e anche piuttosto
forte, e anche il gemito che era uscito dalla sua bocca lo sembrava,
così come
il colorito della pelle che cambiò in un rosa molto acceso.
-Per
Finn, ma voi umani non vi eravate evoluti?!- una voce dal
tono insolitamente alto e nervoso arrivò alle orecchie di
Blaine, il quale alzò
lo sguardo, fino a quel momento tenuto sulla mano dolorante, verso il
proprietario, che gli era ormai arrivato vicino e lo sovrastava con la
sua
presenza imponente.
Il
moro rimase senza parole, la bocca spalancata, incapace di
rispondere in maniera adeguata alla sagace provocazione del Dio, il
quale gli
sostava davanti, le braccia incrociate al petto, il cipiglio severo ed
altezzoso che induriva appena i suoi tratti delicati e quasi femminei,
senza
però deturparne la bellezza.
E,
da quella posizione, Blaine poteva osservare ben altre bellezze
del corpo del Dio.
-Sai
parlare? Hai un nome?Sembri più tonto di Sam quando si
inizia
a parlare di questioni sulla terra ferma!-
Blaine
non si era accorto che, mentre lui era perso a contemplare
il viso e le gambe del Dio, lì dinanzi a lui egli aveva
continuato a parlare,
chiedendogli informazioni che in quel momento non era in grado di
rivelare,
tanto era lo sconcerto che gli albergava in corpo. Deglutì
a vuoto un paio di volte mentre la
voce cristallina del Dio continuava incalzata ad essere rivolta verso
di lui, e
tentò di articolare una frase di senso compiuto nella mente.
-Voi,
ehm, vostra eccellenza, no, vostra divinità, uhm- beh, non
era propriamente sensata, ma era il meglio che riusciva a venir fuori
in quel
momento. Avrebbe voluto dirgli il suo nome e riuscire a rispondere al
Dio, ma
non aveva la minima idea di come rivolgersi a lui eh, ohpertuttiglidei,
doveva
sembrare ridicolo. Un bue avrebbe avuto più acume mentale.
E
da come le sopracciglia di Kurt si arcuarono, probabilmente
doveva pensarlo anche lui.
-Io
sono, cioè, Blaine- gli uscì a gran
velocità, gli occhi ancora
spalancati, il collo teso per osservarlo. Si rese conto soltanto in
quell’istante che era ancora inginocchiato ai suoi piedi,
anche se forse era la
cosa giusta da fare. Insomma, ci si inchinava davanti ai Re, cosa
avrebbe
dovuto fare dinanzi un Dio? Sdraiarsi per terra? Osannarlo? Per la
prima volta
maledì la sua poca conoscenza degli Olimpi, che in quel
momento si sarebbe rivelata
estremamente utile.
Probabilmente
Kurt dovette intuire il suo spaesamento perché il
suo sguardo si addolcì lievemente e un piccolo sospiro
lasciò le sue labbra
prima che una mano gli fosse porta in aiuto. Blaine la fissò
perplesso per
qualche secondo, alternando poi lo sguardo sul viso del dio, prima di
afferrarla e farsi tirar su; sentiva le ginocchia pericolosamente
instabili.
-Blaine,
dunque. Non siete un giovane molto sveglio, eh? Ma va
bene, non siete poi così diverso dal resto della vostra
specie, tutti così
sporchi, senza cultura, e così
bassi..
ma cosa stavo dicendo? Ohibò, non ha importanza. Chiamatemi
pure Kurt, se vi
aggrada. Anche per me, infondo, è la prima conversazione con
un umano, non
sentitevi troppo in imbarazzo.-
Il
giovane uomo era rimasto ad ascoltare quel fiume inarrestabile di
parole per un tempo che sembrava lungo una vita, ma lo trovò
stranamente
piacevole; la voce del dio – di Kurt, si corresse mentalmente
– possedeva una
tonalità diversa da tutte le voci che era abituato a
sentire, e pareva
rassomigliare molto più a una voce femminile,
benché fosse dotata di una certa
virilità che la rendeva, senza alcun dubbio, appartenente ad
un uomo. In ogni
caso, era di una musicalità e bellezza per lui
indescrivibile a parole, forse
l’unica similitudine che riusciva a rendergli giustizia era
il suono degli
uccellini che cinguettavano deliziati alle prime luci del giorno.
-Oh,
dunque. Kurt. Voi, uhm, sapreste dirmi.. come sono arrivato
qui? E dove sono?- ma nel momento in cui Blaine pose
quell’ultima domanda, ebbe
da sé la risposta. Quella era indubbiamente la foresta che
si trovava ai piedi
del monte Olimpo, a poca distanza dal suo villaggio. La foresta in cui
da anni
cacciava e si nascondeva, e dove aveva visto il dio per la prima volta.
Come
aveva fatto a non riconoscerla subito? Vi passava buona parte delle sue
giornate sin da quando era un bambino!
Kurt,
probabilmente, doveva aver visto lo sguardo di
consapevolezza negli occhi castani di lui – un castano
così strano, con
sfumature verdi e dorate – poiché decise di
rispondere soltanto ad una delle
sue domande. L’unica a cui non sapeva dare risposta.
-Oh,
questo è un quesito interessante. In realtà non
ho da darvi
una risposta concreta, mi duole ammetterlo. Devo aver perso
concentrazione durante
il rito e beh, aver sbagliato qualche passaggio. Non chiedetemi altro.
– buttò
fuori quella risposta in maniera piuttosto secca, quasi borbottando,
come se in
realtà si vergognasse di ciò che stava
raccontando. Blaine pensò che a creature
perfette come gli dei capitasse di rado di commettere degli errori.
Ovviamente,
non sapeva quanto si stava sbagliando.
In
ogni caso, adesso si trovava lì, nella foresta. Aveva
lasciato
lo zaino nella camera della locanda, convinto di tornare per la notte,
e oltre
a quello aveva anche pagato in anticipo la piccola stanzetta. La cosa
lo
infastidiva un poco, ma fortunatamente non aveva nulla di valore
all’interno
del bagaglio usato per viaggiare, preoccupato com’era che
potesse rovinarsi,
dunque ciò che vi aveva perso era lo zaino di tessuto e il
misero e logoro
cambio usato durante il pellegrinaggio. Nulla di particolarmente
rilevante.
Ciò
che lo faceva pensare, però, era il motivo per il quale
proprio lui fosse scomparso dalla
cerimonia e riapparso lì dinanzi al dio Kurt. O forse anche
altri avevano
viaggiato sino a finire nei misteri del mondo sconosciuto? E se invece
era
stato scelto perché qualcosa in lui non andava? Quei
pensieri irragionevoli
iniziarono a mandarlo in panico.
-Oh
santi numi, non è che mi è accaduto qualcosa di
strano durante
il viaggio? Mi avete lasciato della magia addosso? Dovrò
sacrificare qualche
parte di me, adesso?- chiese totalmente impaurito,
sgranando gli occhi e fissando ancor più
insistentemente il dio, avvicinandosi a lui di un paio di centimetri,
come se
la sua vicinanza lo rassicurasse.
Per
contro, egli si batté una mano sulla fronte pallida, in
segno
di evidente frustrazione.
-Ma
per gli Dei, ma quali amenità andate blaterando? Magia,
sacrificare voi stesso? Voi non siete molto esperto del nostro culto,
nevvero?
– gli chiese allora, riducendo gli occhi celesti in due
fessure severe e
spazientite. A
quello sguardo, Blaine
non poté che tirarsi appena indietro come a voler
rimpicciolire, e fece segno
di diniego con il capo.
Un
lungo sospiro lasciò allora le rosee labbra di Kurt, che,
dopo
averlo fissato per un paio di istanti in silenzio, volse il corpo alla
sua
destra, camminando per pochi passi fino a raggiungere dei grossi massi,
abbastanza grandi e lisci da permettere di star seduti in posizione
abbastanza
comoda. Prese posto e accavallò le gambe con un gesto
elegante, evitando così
che il chitone mettesse in mostra parti poco consone alla visione
altrui, e con
la mano sinistra batté sul masso accanto a lui, facendo
segno a Blaine di sedersi.
Il giovane lo guardò perplesso, ma impiegò solo
pochi secondi a decidersi a
raggiungerlo, andandosi ad accomodare con impazienza.
-Avete
molto da imparare. Iniziamo-
*******
Lo
scranno di Finn era il più grande e il più
luminoso, quasi a
volerne sottolineare l’importanza e la maestosità.
Era posizionato esattamente
davanti l’Orasep, in leggero rialzo rispetto a quello degli
altri Olimpi, così
che potesse osservare meglio ciò che vi scorreva
all’interno; tuttavia era un
evento alquanto raro trovarlo seduto al posto che gli spettava di
diritto,
poiché di norma preferiva osservare il mondo
nell’intimità delle sue stanze.
Quel giorno, però, qualcosa lo aveva spinto a continuare il
momento della vista lì
nella navata centrale del
Tempio.
Si
era seduto, un braccio poggiato sulla sedia, l’altro
lievemente
piegato all’esterno, la mano saldamente stretta attorno
all’impugnatura del
proprio scettro. Il chitone bianco, lungo sino ai piedi a differenza di
molti
del suoi simili, gli cingeva il corpo virile lasciandone scoperte
piccole
porzioni di pelle. Gli occhi scuri erano concentrati sulle immagini che
continuavano a susseguirsi all’interno della grande sfera,
tanto da creare
delle piccole rughe sulla fronte normalmente liscia del dio; nonostante
quello,
però, il suo sguardo appariva sereno e, stranamente, quasi
compiaciuto. Vi era
una dolcezza di fondo che, agli occhi
di un osservatore esterno, sarebbe stata inspiegabile. Ovviamene, nella
mente
del Padre degli Dei era tutto chiaro; forse fin troppo.
Era
solo nella sua contemplazione; rari erano i momenti in cui
qualcuno lo disturbasse con la sua presenza, a meno che egli stesso non
la
richiedesse. Erano ben pochi coloro che si presentavano al suo cospetto
per
motivi futili o senza che quelli fossero presenti, e ancor meno coloro
che lo
disturbavano con chiacchiere inutili solo per perder tempo. In effetti,
forse
l’unica persona che faceva una cosa simile era sua moglie
Quinn.
Finn
sospirò soltanto al pensiero della consorte, distraendosi
per
alcuni istanti da ciò che stava osservando, e accorgendosi
finalmente di una
figura a pochi passi di distanza, appoggiata ad una delle colonne che
separavano la navata centrale da quella destra. Per un attimo irritato
da non
essersene accorto prima, il sentimento sparì quasi
all’istante alla vista di chi fosse.
-Oh
Rachel, mia cara. Non vedo perché non ti avvicini,
così da
farmi godere della tua compagnia.- le disse sorridente, il tono di voce
caldo e
gentile. Gli occhi si erano staccati solo per un momento
dall’Orasep, e vi
tornarono quasi all’istante.
Rachel
rise a quella frase, ma non si mosse dalla sua posizione,
continuando a tenere gli occhi su di lui – Oh Finn, sapete
benissimo perché non
mi avvicino. Mi pare di avervelo ricordato giusto la notte scorsa, e la
notte
prima ancora, e credo che potrei proseguire all’infinito, se
ne avessi il
tempo.-
Nonostante
i modi formali che aveva utilizzato nel rispondergli,
il suo tono era alquanto divertito e – come negarlo
– piuttosto canzonatorio,
come se sapesse di poterlo prendere in giro senza rischiare conseguenze.
-Vorrei
solo farti ragionare, lo sai. – il tono di Finn era ancora
gentile, ma la risposta era stata data in maniera secca, come se fosse
stata
una frase detta milioni di volte, ormai impressa a memoria nella mente
e
rilasciata dalle labbra in maniera automatica.
-Ne
abbiamo già parlato. E’ una mia scelta, e ci
convivo più che
bene da secoli, ormai. Non saranno le tue voglie da soddisfare a farmi
cambiare
idea.-
Le
immagini dell’Orasep scomparvero completamente, e
l’attenzione
di Finn si volse completamente verso la dea bruna, le cui guancie si
erano
arrossate per la veemenza con cui aveva pronunciato quella frase. A
parte
Quinn, Rachel era l’unica persona in tutto l’Olimpo
che osasse rivolgersi a lui
in quei toni bruschi e che mostrasse una certa confidenza. I
battibecchi tra di
loro erano una routine ormai, un piccolo rito che andava avanti ormai
da tempo
immemore e che erano iniziati dapprima come imbarazzanti segnali e
balbettanti
richieste, per poi divenire giocose prese in giro; non vi era mai stato
un vero
e proprio litigio tra loro, se non qualche frustrato battibecco.
Era
la prima volta, da tantissimi anni, che la dea gli rispondeva
in quei termini. A sua memoria, Finn non ricordava fosse mai accaduto.
E, per la
prima volta, il suo sguardo, nel posarsi sul viso di lei, si
indurì a tal punto
da sembrare minaccioso.
-Non
osare rivolgerti a me in questi toni, Rachel! Solo perché
non
ho mai posto lamentela sui tuoi atteggiamenti, ciò non
significa che tu possa
trattarmi come un tuo pari.- si alzò di scatto a quelle
parole, la voce
rimbombante per tutta la navata. Era furente, e la mano attorno allo
scettro si
strinse convulsamente.
Rachel
lo guardò in silenzio per alcuni istanti, lo sguardo
indecifrabile, prima di abbassare lo sguardo, delusa.
-Siete
voi a desiderare ch’io lo faccia. Desiderate troppe cose
che non avverranno mai, Padre mio.-
E
a testa china, mosse il passo verso l’uscita, le parole
ancora
echeggianti in direzione di Finn, il quale rimase ad osservarla,
immobile,
finché le grandi porte non si richiusero dietro di lei.
Spazio
dell’autrice
*spunta
da un angolino*
Oh,
ehm, salve! Forse vi ricorderete di me come quella cretina che
pubblicò una storia dicendo che avrebbe aggiornato una volta
a settimana e poi
sparì per due mesi interi. Vi porgo le mie più
sincere scuse per questo
incredibile e ingiustificabile ritardo. A mia discolpa posso solo dire
che
questo capitolo mi ha fatto patire le pene dell’inferno per
la parte centrale,
che i dialoghi sono e resteranno sempre il mio cruccio
poiché sono
completamente incapace di scriverli, e che in realtà in
questo capitolo
dovevano esserci anche altre cose nel mio progetto iniziale; solo che,
una
volta iniziato a scrivere, non riuscivo a collocarle.
Semplicemente,
non dovevano starci.
Poi
l’università, la laurea del mio fidanzato, gli
esami, le
lezioni.. non sono riuscita a gestirmi con i tempi come speravo di
poter fare,
e mi sono ritrovata ad avere poco tempo e sfruttarlo in malo modo. Mi
spiace,
sul serio.
Che
altro posso dire? Mi spiace veramente tanto, ma spero
apprezzerete comunque questo capitolo,
dove FINALMENTE i nostri beniamini si incontrano come si
deve! So che
non dovrei nemmeno chiederlo dopo il lungo periodo di latitanza, ma mi
farebbe
piacere sapere cosa ne pensate.
Ringrazio
tantissimo Alba, alias Sashy qui su
efp che da ragazza gentilissima qual è ha accettato di
betarmi questo capitolo dandomi una grossa, enorme mano. Grazie cara,
probabilmente avrei impiegato altre due settimane senza te.
Insomma,
vi lascio. Continuerò a scrivere non appena finite queste
note, non preoccupatevi. Solo, mi sembra ovvio che non
riuscirò a pubblicare
ogni settimana. Spero ogni due, massimo tre. Lo so, forse è
troppo, ma sinceramente
spero si rivelino solo previsioni pessimiste.
Grazie
se siete arrivati fin qui, a presto!
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