Le dodici fatiche di Blaine

di _opheliac
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Lo sapevano entrambi ***
Capitolo 3: *** Gelosia ***
Capitolo 4: *** Preparativi ***
Capitolo 5: *** Solstizio d'Estate ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Le dodici fatiche di Blaine

Le dodici fatiche di Blaine

 

Vi  era, un tempo, la credenza che la natura, le stagioni, gli elementi naturali e tutto ciò che accadesse nel mondo, come anche l’amore e la guerra, fossero dettati dalle azioni di alcuni particolari esseri. Nessuno aveva mai avuto il privilegio di incontrarli di persona, almeno così si vociferava, eppure tanti erano i templi a loro dedicati, moltissimi i sacrifici per ottenere la loro benevolenza, e ancor di più erano le storie che si raccontavano di padre in figlio, di famiglia in famiglia, sulle incredibili gesta da loro compiute.  Si diceva che vivessero sulla cima del monte più alto di tutto il territorio, la cui scalata nessuno aveva mai tentato; la loro casa doveva essere al di la delle nuvole, o forse ne faceva addirittura parte, perché pur alzando la testa ai limiti del possibile, nessuno riusciva a scorgere il minimo movimento o segno di vita. Nonostante fosse molta la curiosità di vedere dal vivo questi esseri incredibili, che gli uomini avevano iniziato a chiamare Dei, nessuno si era mai avvicinato più di tanto alle pendici del monte, non volendo incorrere nelle loro ire e provocare catastrofi che avrebbero sconvolto la loro vita terrena, già difficile di per sé.

Erano uomini semplici quelli che popolavano le terre di quell’epoca, che vivevano dell’abilità di cacciare con  le loro sole forze, e dei pochi mezzi che la natura metteva loro a disposizione. Eppure non vi era popolo più valoroso in tutti gli angoli del mondo fino a quel momento conosciuti, nessun popolo più abile nell’arte della guerra, nella navigazione, perfino nelle arti della magia e della divinazione.
Gli uomini erano abili con la spada, forti e valorosi, le donne di una bellezza e spirito d’animo impareggiabili.
Benchè  il sopravvivere richiedesse notevoli sforzi giornalieri, chiunque poteva asserire che nei loro occhi vi era sempre la gioia.
Era un’epoca d’oro per il mondo stesso.

 

*******

 

A diversi metri di altitudine, al di la delle nubi, circondate di luce e armonia, vi erano veramente le dimore degli Dei. Erano tanti edifici, alcuni più piccoli, altri maestosi, il più grande, al centro di tutto e sulla cima esatta dell’Olimpo. Questo poteva rassomigliare a uno dei grandi templi dei mortali, con le sue altissime colonne doriche, un tetto triangolare talmente massiccio che sembrava nessuno potesse scalfirlo, e una scalinata imponente, che portava all’ingresso vero e proprio. Non vi erano dei muri, la struttura era aperta e inondata dalla luce che proveniva direttamente dal cielo; il tempio si divideva in navate: lungo l’apertura principale si accedeva alla sala più importante, dove vi erano, posti in cerchio, dodici alti scranni, ognuno con un diverso simbolo inciso nel marmo in cui erano scolpiti. In mezzo, vi era un grosso cerchio in quello che sembrava oro, al cui interno vi era incastonata una grossa sfera trasparente, completamente vuota.  La navata sinistra era destinata all’uso di pochi, poiché non tutti avevano avuto il permesso di potervi entrare; era protetta da uno scudo invisibile agli occhi, che consentiva l’entrata soltanto a quelle persone designate. I rimanenti non soltanto non potevano attraversarlo, ma non potevano nemmeno vedere cosa vi era al di là;  per i non eletti, appariva semplicemente come uno spazio vuoto.

Nella navata destra si trovava un lungo tavolo,  anch’esso scolpito nel marmo e incastrato nel pavimento,  come anche le panche che vi stavano ai due lati. Una sola sedia, ben più piccola degli scranni della sala principale, ma comunque imponente, stava nel lato corto, ad indicare il posto a sedere per la figura più importante. Era il posto a sedere del Padre degli Dei, colui da cui quasi tutti gli altri erano stati generati, e che aveva salvato i suoi fratelli e sorelle da una morte dolorosa.

Egli era Finn, al quale venivano rivolte le preghiere più solenni e importanti.

Lo si dipingeva come una personalità burbera e severa, l’indiscusso sovrano dell’Olimpo, ma la verità era che aveva un gran cuore,  un animo nobile e gentile, in grado di prevedere ciò che sarebbe accaduto e spesso decidere in anticipo quali sarebbero state le conseguenze.  A volte, però, egli riusciva anche a cambiare idea, se vi erano delle motivazioni adeguate.

 

 

*******

Gli dei non scendevano spesso sulla Terra, se non era strettamente necessario, perché rischiavano di essere visti, e quando accadeva le conseguenze erano quasi sempre spiacevoli.  Gli unici umani che avevano il permesso di vederli e parlare con loro erano gli Oracoli; erano, comunque, momenti che accadevano in determinati giorni dell’anno, o in alcuni particolari periodi, ad esempio quando vi era in corso una guerra, o la carestia.
Blaine era un ragazzo che difficilmente credeva alle storie che gli anziani raccontavano sulle loro divinità: certo, sacrificava gli animali quando lo si riteneva necessario – benché non sempre riuscisse a guardare quelle povere bestie morenti – e se arrivava un periodo di carestia allora pregava affinchè Brittany ridonasse la fertilità alle terre, ma lo faceva più per tradizione che per vero credo.

Ma un giorno dovette ricredersi.

 

La foresta era brulicante di animali, e lui cercava solo un capriolo da portare a casa per placare la fame della madre e della sorellina. Appostato tra gli alberi, le orecchie tese a captare il minimo movimento, si spostava con passi fluidi e leggeri, addentrandosi sempre più nella vegetazione fitta.  La caccia non era soltanto un modo per procacciare il cibo, ma una vera e propria arte, che richiedeva una certa abilità, come destrezza, velocità e soprattutto una certa dose di furbizia, perché gli animali spesso erano anche più scaltri degli uomini, e non sempre era facile prenderli. Molti preferivano la pesca, ma il suo villaggio non era così vicino al mare come potevano esserlo altri, ed era più veloce e facile andare a caccia nella foresta li vicino.
I suoi occhi scrutavano intorno a se con attenzione, le mani stringevano l’arco con decisione, pronte a scoccare una freccia non appena avesse avvertito la presenza della sua preda. Più si addentrava tra gli alberi, più un forte rumore gli riempiva le orecchie, come una valanga di rocce in piena caduta, o un tumulto di zoccoli che spezzavano rami secchi.
Dopo un po’ si rese conto che non era nulla di ciò che aveva potuto pensare lui, ma semplicemente si era avvicinato, senza neanche accorgersene, ad una piccola cascata, che andava a racchiudersi in un piccolo laghetto; lì, placidamente seduto tra un branco di cuccioli di capriolo, vi stava un uomo, un bellissimo uomo dalla pelle diafana.
Blaine lo osservava da dietro una roccia, la freccia pronta a scoccare in direzione di un’esemplare un po’ più distaccato dal branco, quando l’uomo alzò appena lo sguardo, incrociandolo per un momento con il suo.
Gli  mancò un battito, tanto che fece cadere l’arco dalle mani, ormai dimentico dell’obiettivo per il quale si era addentrato così a fondo: mai aveva visto un viso tanto bello, dei tratti così fini e delicati, incorniciati da folti capelli castani; il corpo era al tempo stesso esile e ben definito, i muscoli tonici, il busto coperto da una tunica bianca, che proseguiva fin quasi al ginocchio.  Ma ciò che veramente lo lasciò basito, erano gli occhi: di un azzurro intenso, ancor più che del colore dell’acqua della cascata, luminosi e, al tempo stesso, impauriti.
Aveva già visto quel viso, benché mai di persona, in una statua che di sicuro non rendeva giustizia a quella bellezza così perfetta: ne ebbe certezza quando l’uomo, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo, sparì, illuminando per pochi istanti quell’oasi di pace di una luce intensa, facendo scappare il branco, che era stato completamente ignorato dal giovane.
Blaine, ancora con gli occhi spalancati, si lasciò cadere sulla terra umida, una mano a stringere la roccia dietro cui si era appostato, come se cercasse un appiglio. Era abbastanza sicuro di aver appena visto il Dio Kurt.

 

 

 

Spazio dell’autrice:

Salve, carissimi.
Questa è un’idea che mi è balenata per la mente qualche giorno fa, in piena notte. No, non avevo neanche bevuto tanto.
E’ la prima fan fiction che scrivo dopo anni, ed è la primissima in assoluto che pubblico qui su Efp, nonché su Glee.
Vi sarei grati se, non so, commentaste per farmi sapere cosa ne pensate. Le critiche, in particolare, sono ben accette, so di averne bisogno.
Si, questo è solo il prologo, gli altri capitoli ( se ce ne saranno, perché ho la sensazione che non mi leggerà nessuno ) saranno SICURAMENTE più lunghi.
Beh si, è tutto.  *-*

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Capitolo 2
*** Lo sapevano entrambi ***


1-  Lo sapevano entrambi

Per quanto l’Olimpo si trovasse a diversi metri di altitudine dalla Terra, e la sua vista fosse completamente celata dalle nubi sia di notte che di giorno, gli Dei sapevano sempre ciò che accadeva nel mondo mortale, a volte anche prima che gli eventi si verificassero. L’incontro del giovane umano con Kurt non era un evento così scandaloso come si poteva pensare: difatti il presenziare dinanzi i mortali non era vietato, ne sconsigliato. Semplicemente era molto, molto raro, come d’altronde rare erano le volte che gli Dei scendevano sulla Terra, se si escludevano le visite ai templi a loro dedicati, e gli incontri con i loro sacerdoti, i quali avvenivano, però, in periodi ben precisi.

Ciò che però fu visto come strano, e di cui ogni abitante dell’Olimpo aveva iniziato a parlare, era stata la sua bizzarra reazione: Kurt era tra gli Dei uno dei più venerati, a cui ci si rivolgeva più spesso, e, certamente, quello che più spesso appariva ai suoi sacerdoti, quindi era anche colui che aveva il maggior contatto umano.  Qual’era, dunque, il motivo che l’aveva spinto a tornare così in fretta dalla sua pausa terrestre?

-Kurt!Kurt! Aspettami, per piacere!-

La voce cristallina di Rachel aveva ripetuto quella frase già una decina di volte, con sempre più impazienza, mentre lo seguiva a passo spedito tra i sentieri dell’Olimpo. Nonostante camminassero non proprio tranquillamente, le loro figure apparivano perfette, le lunghe vesti bianche seguivano i movimenti come se stessero semplicemente passeggiando, i lunghi boccoli di lei minimamente scomposti. Era parecchio divertente quando i due gemelli si ritrovavano a passeggiare insieme tra il popolo delle nubi, perché le loro voci allegre raggiungevano ogni abitazione, e si ritrovavano spesso ad essere seguiti dalle belle Ninfe, le quali danzavano intorno a loro senza il minimo sforzo, molte volte “istigate” dalla stessa Rachel, che intonava per loro una melodia. Le loro risate melodiose rendevano la scena un interessante quadretto per chi li osservava.

Quel giorno, però, Kurt non sembrava esser dell’umore giusto, lui che ai volteggi delle bellissime fanciulle sorrideva deliziato e non si faceva mai pregare per essere coinvolto. Quasi correva nell’attraversare le vie, lo sguardo diretto versa la sua meta, che altri non era che il tempio stesso, le orecchie sorde alla voce della sorella, il cui tono si faceva via via più insistente di minuto in minuto. Ormai giunto agli inizi della scalinata, decise finalmente di smettere di ignorarla, e si voltò stizzito verso di lei, la quale si fermò di scatto alla vista dello sguardo che le aveva lanciato.

-Mia dolce sorella, che padre Finn mi dia la forza per sopportare i tuoi tormenti! E’ veramente così poco intuibile il fatto che non voglia parlare?- domandò, il tono di voce falsamente gentile, l’indice della mano destra steso verso di lei in maniera minacciosa.

Rachel sorrise, socchiudendo i begli occhi color cioccolato, così diversi da quelli del gemello, e con entrambe le mani racchiuse quella di lui, abbassando poi le braccia, così da potersi avvicinare senza ostacoli.

-Kurtie, lo sai che non è educato indicare le persone?- gli chiese con tono di voce divertito, ignorando completamente ciò che le aveva detto pochi secondi prima, e senza aspettare risposta lo trascinò con se su per le scale, una mano ancora stretta con quella di lui.

 Si,per chi li osservava era senza dubbio un piacevole siparietto, ma il Dio non sembrava pensarla allo stesso modo, almeno a giudicare dal sospiro esasperato che si era lasciato sfuggire dalle labbra, e stanco si abbandonò all’idea di seguirla.

 

*******

 

-Blaine, caro, dov’è il capriolo?-

Una donna dall’aria materna lo accolse sull’uscio di casa, tenendogli aperta la porta di legno scheggiata, così da farlo entrare. Aveva folti capelli scuri e occhi color caramello, la stessa tonalità del giovane, solo un po’ più spenti. Ella lo squadrò dal basso verso l’alto e, dopo alcuni secondi, constatò che no, non vi era alcun capriolo, ne accanto a lui ne da qualche altra parte. Il suo sguardo divenne prima duro, portando le braccia ad incrociarsi sul petto, ma non ottenendo risposta si lasciò andare ad un triste sospiro. Senza dire una parola si fece da parte, permettendogli di passare senza difficoltà. Blaine mosse lentamente qualche passo, per poi ritrovarsi all’interno della piccola casa; spostando lo sguardo sui muri che conosceva alla perfezione, ma che in quel momento non vedeva davvero, si avvicinò al tavolo di legno in mezzo alla stanza, e si lasciò cadere sulla sedia, portando i gomiti a poggiarsi sulle ginocchia e i palmi delle mani a circondarsi le guancie, coperte dalla barba ispida. Aveva camminato come un automa dalla radura fin lì, ed era una fortuna che la loro casa si trovasse al limitare della foresta, poiché distratto com’era stato avrebbe finito con il perdersi o l’essere trovato a vagare come un matto dagli altri abitanti del villaggio.

-Che Finn ti fulmini! Insomma, vuoi guardarmi almeno?! Blaine!!!- la donna aveva iniziato a sbraitare dopo l’insistente silenzio del figlio, che ormai durava da alcuni minuti, in cui lei era rimasta dapprima ad osservarlo, preoccupata che fosse successo qualcosa di grave nella foresta, ma poi, non riuscendo a trattenersi, aveva iniziato a chiedergli spiegazioni del suo mutismo e dello strano comportamento; come chiunque avrebbe potuto prevedere, il non rispondere del giovane l’aveva fatta maggiormente innervosire, iniziando ad urlare per cercare di smuoverlo. Tentativo che si era rivelato alquanto inutile.

Finalmente, Blaine decise di degnarla della propria attenzione e alzò il viso verso di lei, guardandola come se non la vedesse realmente.

-Io vado a dormire.- disse soltanto, con voce debole, e senza attendere risposta si alzò dalla sedia, dirigendosi verso le scale in pietra che portavano alle camere della piccola casa dove viveva con la sua famiglia. La mente era così presa dai pensieri più disparati che non si accorse nemmeno che la madre aveva ripreso ad urlargli contro a voce sempre più alta.

Una volta nella sua stanza, Blaine si chiuse dietro la porta di legno, lasciando fuori la voce della madre, e si lasciò cadere in terra, la schiena appoggiata ad essa, nella mente ancora gli occhi che aveva incontrato quel giorno.

Quello era il Dio Kurt, lo sapeva.  Nonostante seguisse le tradizioni e le rispettasse perché era giusto e non per un vero e proprio culto, le statue che lo raffiguravano erano conosciutissime. E quel viso, Blaine non riusciva a farlo sparire dai suoi occhi, come se si fosse attaccato alle iridi e non volesse andarsene; nessun essere umano, in tutta la Grecia e nel resto del mondo conosciuto, poteva avere una bellezza simile. Tratti delicati e al tempo stesso virili, occhi così profondi, come se potessero contenere tutta la sapienza del mondo, e quel corpo slanciato, tonico..solo un essere divino poteva possedere un dono simile, e quello il giovane lo aveva stabilito pochi istanti dopo che il suo sguardo si era soffermato per dei secondi di troppo sulle gambe muscolose e pallide come il più prezioso dei marmi.

Blaine represse un urlo di frustrazione quando ripercorse mentalmente quel corpo intravisto poche ore prima; non si era mai fatto problemi nell’ammettere la sua attrazione per gli uomini, e in quell’epoca d’oro nessuno ne avrebbe mai fatto un problema. Ma una divinità era semplicemente troppo su cui fantasticare e, si disse, probabilmente non era nemmeno decoroso.  Magari in quel preciso momento lo stava osservando, dall’alto del monte Olimpo, e rideva di quello sciocco mortale rimasto sconvolto da un incontro durato a malapena cinque secondi e che, quasi certamente, non si sarebbe mai più ripetuto.

Quello che Blaine non poteva sapere, e che forse non avrebbe mai saputo, era che quella notte non fu l’unico a rimuginarci sopra.

 

*******

 

Gli Dei non avevano bisogno di dormire come facevano gli esseri umani, potevano rimanere svegli per lunghi periodi senza che il loro corpo ne risentisse, poiché era l’ambrosia stessa che riusciva a rifocillare di energie i loro spiriti; nonostante ciò, alcuni, di tanto in tanto, si concedevano delle sedute di meditazioni e di contatto con la natura, scendendo sulla Terra o scomparendo nei remoti passaggi dell’Olimpo. Kurt mai come in quel momento aveva desiderato dormire e far passare quel cerchio alla testa che aveva iniziato ad esser presente dopo i primi minuti passati con Rachel. Adorava la gemella, forse anche più di tutti gli altri suoi fratelli, ma parlare con lei era sempre così stancante, non si accontentava mai di ciò che lui le diceva, almeno finchè la discussione non prendeva la piega che desiderava lei.

Stava seduto scompostamente sul suo scranno nella sala centrale del tempio , il viso poggiato su un pugno chiuso, lo sguardo stanco puntato sulla grossa sfera al centro del cerchio. Lo strano oggetto emanava una forte luce bianca, e al suo interno si potevano scorgere delle immagini che si muovevano veloci, ma che era difficile distinguere se non vi si prestava la giusta attenzione. Fu lì che lo trovò David.

Rimase ad osservarlo dall’entrata del tempio, in silenzio,  gli occhi che scrutavano attentamente la sua espressione. L’aveva cercato per tutto l’Olimpo, quando aveva sentito due ninfe ridacchiare sui due gemelli che correvano trafelati per i sentieri, discutendo di qualche incontro con non sapeva chi. A Kurt non piaceva essere visto dagli umani, lo sapeva; finiva con il sentirsi a disagio, diverso. Inutile ricordargli che lo era davvero, che era una divinità e quindi lo veneravano, per lui non faceva alcuna differenza.

Gli si avvicinò con passo lento, premendo i sandali sul marmo quel tanto che bastava da produrre un discreto rumore che annunciasse il suo arrivo. Come preavviso, Kurt lo sentì subito, e si affrettò a distogliere lo sguardo dalla sfera al centro della sala; le immagini si dissolsero.

-Ehi! Ti ho cercato per tutto l’Olimpo, ho sentito del tuo bizzarro incontro. Cos’è, stavi controllando l’umano?- gli chiese, una volta arrivatogli vicino, dall’alto della sua figura muscolosa e imponente. Lo osservò con gli occhi scuri, soffermandosi attentamente sulle espressioni che gli balenavano in viso quando parlava. Se mentiva, lo si notava subito dalle piccolissime rughe che si formavano ai lati degli occhi.

Kurt si sforzò di ridere, simulando un’indifferenza che non gli apparteneva. Il suo rapporto con Dave era poco chiaro, e gli suonava strano che proprio lui gli facesse quella domanda; si affrettò comunque a rispondergli, senza però sforzarsi troppo di nascondere la sua reale agitazione.

-Oh figurati, stavo solo controllando la sacerdotessa del tempio di Delfi!-

Gli sorrise appena, e alzandosi in fretta lo prese per un braccio, portandoselo dietro verso la sala a destra, dove il lungo tavolo era pieno di buona frutta, sapendo che stava solo fingendo.

In realtà, lo sapevano entrambi.

 

 

Spazio dell’autrice:

Bene, pensavo di metterci molto meno, ma non avevo considerato che sono tornata a casa dei miei con il mare a pochi metri da me *-*

Bene, che ne pensate? Ecco che entra in scena anche Dave, un personaggio che a me personalmente piace molto, anche se a periodi alterni. Sarà una presenza molto importante nella storia.

Ringrazio chi ha recensito, e le 88 persone che hanno letto, mi farebbe piacere se mi dessero un parere, anche piccolo! Insomma, ci tengo, ditemi se sto solo perdendo tempo e sto scrivendo una boiata!

Penso comunque che il mio ritmo di aggiornamento sarà un capitolo la settimana, salvo imprevisti. Ancora un po’ di stallo e qualche curiosità in più, entreremo nel vivo della storia fra qualche capitolo! Non mi piace essere frettolosa… niente, ho detto ciò che volevo dire, ho farneticato abbastanza, domani ho un matrimonio, vi abbandono *-*

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Capitolo 3
*** Gelosia ***


2-  Gelosia

 

La notte era stata piena di sogni confusi  e sfuggenti, così particolari da rendere Blaine agitato perfino nel sonno, come dimostravano i suoi movimenti repentini tra le coperte e la sua espressione corrucciata. Si era anche svegliato in un momento particolare della nottata, alquanto spaesato, ma dopo essersi guardato intorno un paio di volte era ripiombato con la testa sul cuscino di lana, riprendendo immediatamente sonno. Il risultato era stato che, quando il gallo aveva cantato, il suo risveglio era stato contornato da un brutto mal di testa e un terribile senso di spossatezza, come se avesse camminato per ore e ore sotto il sole cocente senza mai riposarsi.  Si stropicciò appena il viso stanco, toccando la barba incolta che non aveva ancora avuto modo di rasare e a petto nudo si diresse fuori dalla stanza; scendendo le scale, poteva già sentire i rumori tipici della madre, sicuramente sveglia già da molto. La sua supposizione non si rivelò sbagliata: il tavolo in legno sembrava ancora più piccolo con sopra tanta roba. Su un piccolo tagliere, anch’esso in legno, vi era poggiata una pagnotta di pane, vicino vi erano poggiate delle fette di formaggio, un piattino con sopra delle more fresche e dentro una scodella poteva già intravedere il colorito bianco del latte di capra appena munto. Sorrise leggermente al premuroso pensiero della donna,  si sedette e cominciò a gustare la magra colazione che aveva preparato appositamente per lui. Dopo una decina di minuti in cui si era preso tutto il tempo possibile per rimuginare sul giorno prima, si alzò dal tavolo, e sotto intimazione della madre a lasciare tutto così com’era, andò ad infilarsi un paio di calzoni, la cui lunghezza arrivava sino al ginocchio, e una casacca in lino che lasciava libere le braccia muscolose e abbronzate; così vestito, si diresse fuori casa, nel piccolo campo dietro la costruzione dove coltivavano piccole dosi di ciò che ritenevano necessarie. Non era una coltura grande ne particolarmente produttiva, ma grazie ai loro sforzi quando arrivava la stagione il raccolto era abbastanza da sostenerli senza troppi sacrifici. Per fortuna, di anni difficili ve ne erano stati pochi, almeno da quello che Blaine ricordava: quando accadeva una qualche disgrazia che vanificava i mesi passati dietro al raccolto, come ad esempio un lungo periodo di siccità, allora ci si faceva forza a tirare avanti come meglio si poteva, oppure si barattava ciò che si poteva con dell’altro cibo. Non era una soluzione allegra o che si prendeva alla leggera, ma quando c’era bisogno andava fatto e nessun contadino poteva tirarsi indietro senza rischiare di soccombere e mandare la sua anima nell’Aldilà.

Il lavoro manuale non gli dispiaceva, sebbene fosse stancante.

Gli piaceva stare a contatto con la natura, aspirando l’aria pulita, beandosi del calore del sole e dei canti degli uccelli che riempivano il cielo; gli piaceva sentire i muscoli tesi sotto sforzo, il sudore che gli imperlava la fronte, le braccia che si tonificavano e abbronzavano giorno per giorno. Aveva una costituzione a suo dire particolare, benché condivisa da molti villani: una statura media, che confrontata con gli altri popoli del mondo sarebbe stata considerata alquanto bassa per un giovane uomo,  un addome scolpito dall’esercizio fisico giornaliero, braccia e gambe muscolose quanto bastava a non dargli un aspetto tozzo. Le mani, nonostante la gran quantità di calli, erano comunque curate e affusolate, fattore alquanto strano per una persona che le utilizzava giornalmente, maltrattandole nei modi più diversi. Blaine non si riteneva un uomo avvenente, benché molte donne del villaggio, con figlie in età da marito, lo osservassero spesso con occhi compiaciuti, studiandone la figura come fosse stato una statua; eppure nonostante la sua umiltà faceva particolare attenzione alla cura del suo corpo, unica arma che non lo avrebbe mai abbandonato. Rimanere storpio avrebbe significato avere difficoltà nel badare a se stesso e alla famiglia per il resto della sua vita.

Ma il giovane sapeva che il suo fascino nulla era messo a confronto con quello degli Dei, i quali avevano tenuto per loro la più ammirevole delle bellezze, poiché solo essere divini ne erano degni. La sua mente vagò per alcuni istanti sul giorno prima, a rimuginare ancora una volta sul corpo del Dio Kurt, il sorriso stampato sulle labbra senza nemmeno essersene reso conto; iniziò quindi a lavorare, le guance rosse, riscaldate non più soltanto dal sole.

 

*******

 

Le lenzuola bianche era scompostamente poggiate sul grande letto dalla struttura dorata, con il solo scopo di coprire, seppur in parte, i due corpi nudi che stavano distesi l’uno accanto all’altro, le membra intorpidite dalla piacevole stanchezza che il sesso portava con se, i capelli scomposti, un forte odore di passione nell’aria.  Kurt aveva la testa poggiata sul soffice cuscino di piume, un braccio sotto di essa a sorreggerla, l’altro mollemente poggiato sull’addome piatto, lasciato scoperto dalla stoffa di cotone; il suo corpo era nudo fino alla linea immaginaria che delimitava l’inizio del pube, una gamba ripiegata, così che il lenzuolo si alzasse, dando una forma alquanto strana a ciò che stava sopra il letto. Gli occhi azzurri di lui erano socchiusi, le labbra rese rosse dai baci ricevuti e dati fino a poco tempo prima, l’espressione sul viso un misto di piacere e soddisfazione.  Si stava cullando nel dolce far nulla, complice la fioca luce che proveniva da fuori la stanza e che sembrava brillare a causa dell’arredamento totalmente chiaro.

Un mugugno accanto a se lo distrasse dai pensieri che fino a poco prima gli affollavano la mente – pensieri talmente diversi tra loro che andavano dall’incontro del giorno prima, a una vecchia chiacchierata con Rachel, al sesso appena fatto fino alle parole che andavano dette all’Oracolo di Delfi. Voltò appena il capo verso sinistra, lasciando che gli occhi indugiassero qualche secondo di troppo sull’addome scoperto dell’uomo che sembrava essersi svegliato proprio in quel momento.

-Per Finn, concedimi almeno un’ora di pausa, non vorrai già ricominciare!- la voce era assonnata e leggermente lamentosa, segno che il proprietario era tutt’altro che contento di essere sveglio. Il tono, però, era ironico e divertito, come d’altronde notò subito Kurt, il quale si avvicinò al viso squadrato di lui, per toccargli le labbra morbide.

-Oh Dave, certo che vorrei, per quale motivo altrimenti saresti nelle mie stanze?- gli chiese il castano con aria maliziosa, dopo avergli posato quel casto bacio che tanto contrastava con le parole appena pronunciate dalla sua voce cristallina. In risposta ebbe solo un grugnito, che nascondeva il disappunto per la frase appena sentita.

Era un rapporto strano, il loro. A volte sembravano mal sopportarsi, a volte sembravano amiconi, e sempre più spesso si ritrovavano a rotolarsi tra il cotone delle fini lenzuola profumate. Quasi sempre i luoghi dell’incontro erano le stanze di Kurt, dove le ancelle erano così abituate a vedere uomini diversi entrare e uscire da non farci più nemmeno caso; e poi Dave doveva ammettere che era un ambiente completamente diverso da quello dove viveva lui. Li era tutto bianco e sembrava risplendere, contornato da un’aura d’innocenza simile a quella del proprietario, che però spariva immediatamente quando si ritrovava avvinghiato a un bell’uomo.

La dimora di Dave, invece, era un po’ diversa: era tutto più cupo, con affreschi di lotte e caccia e rappresentazioni sanguinarie. Era elegante e lussuoso come ci si aspettava da un Dio, ma il tutto era molto più crudo; c’era da dire che lo rispecchiava alla perfezione.

-Hm. – il Dio rispose soltanto quello, prima di portare un braccio muscoloso ad afferrare il viso dell’altro e portarlo più vicino a se, nonostante tutto felice di ricominciare la loro attività preferita. Al resto avrebbero pensato dopo.

 

*******

 

Alcune ore dopo Kurt era seduto sul suo scranno, accarezzando con il dito il bracciolo su cui vi era inciso un cerchio dorato circondato da raggi, una riproduzione fedele ma più piccola del simbolo che stava sullo schienale e che rappresentava il Sole. L’aspetto era composto e ordinato, il chitone bianco a metà gamba che lo vestiva perfettamente, lo sguardo fisso sulla sfera al centro del cerchio. Immagini nitide di un uomo intento al lavoro si palesavano alla sua vista curiosa; non sapeva perché stava osservando di nuovo quel ragazzo: forse voleva sapere che effetti aveva avuto il loro incontro sulla sua fragile mente umana, o semplicemente voleva bearsi della vista di quel corpo muscoloso dalla carnagione tipicamente mediterranea, benché il suo viso aveva lineamenti vagamente orientali.  La linea dei suoi pensieri deviò per alcuni secondi verso il discorso intrapreso il giorno prima con Rachel, la quale sosteneva che avrebbe dovuto vederlo di nuovo, anche se non aveva saputo dargli motivi precisi. Kurt sapeva che la sorella era in grado di prevedere ciò che sarebbe successo prima ancora che avvenisse, un fattore che molti tra loro Olimpi avevano in comune, ma sapeva anche che lei in particolare vi riusciva meglio degli altri. Quel fatto lo incuriosiva e al tempo stesso lo inquietava, perché quando la gemella prevedeva qualcosa che lo riguardava, di solito questo causava solo guai. Era abituato ad avere problemi a causa di Rachel sin dalla loro nascita, tanti secoli prima.

Stava dunque osservando Blaine già da un po’, lottando contro il se stesso che gli suggeriva di scendere sulla terra e provare ad incontrarlo, quando sentì il forte rumore di una porta sbattuta e dopo pochi istanti una figura femminile si avvicinò a grandi passi verso di lui, il camminare veloce e pesante, il bellissimo viso deturpato dalla rabbia. Quella prese posto sul suo scranno, contrassegnato dalla figura di un’elegante uccello dalla larga coda, ad un paio di posti di distanza da Kurt, gli occhi acquamarina che dardeggiavano fissi davanti a se, i lunghi capelli raccolti all’indietro e tenuti fermi dal Polos, il copricapo che la identificava.

Il Dio sospirò senza farsi udire, guardò un’ultima volta le immagini che si muovevano velocemente all’interno della sfera, prima che queste sparissero nel preciso istante in cui alzava lo sguardo, posandolo sulla bionda donna.

-Quinn, forse non ti sei accorta che ero impegnato..- buttò lì come se nulla fosse, giusto per richiamare a se l’attenzione della Dea. Ella lo fulminò con lo sguardo.

-E tu forse non ricordi che sono la consorte di Finn, tuo padre? Dovresti portare un po’ di rispetto, tu che tanto lo gradisci. – sbottò lei, un sorriso cattivo sul bel volto, le parole taglienti come coltelli. Kurt aggrottò gli occhi, offeso: Quinn poteva anche essere la moglie di Finn, ma non era certo sua madre, e non l’aveva mai considerata tale. Certo, in quanto compagna del padre degli Dei tutti la guardavano con riverenza e ammirazione –- cosa che lei adorava – ma lui sapeva benissimo che quel rispetto non era meritato. Dopotutto, c’era un motivo se veniva ripetutamente tradita dal marito; molti degli Olimpi erano nati da quelle relazioni extraconiugali, e quasi tutti trattavano Quinn al pari, se non al di sotto, degli altri. L’unico a cui veramente venivano riservati trattamenti preferenziali era solo Finn.

-Sai, dovresti smetterla di farti del male con questa gelosia immotivata. Per Finn, siamo divinità! Nessuno può eguagliare il nostro potere e il nostro splendore, possiamo avere tutti gli uomini e le donne ai nostri piedi, trovati un po’ di compagnia!- esclamò il castano con enfasi, gonfiando il petto d’orgoglio mentre parlava. Nubi, doveva esser proprio lui a farle presente quell’ovvietà? Lui che tra tutti gli Olimpi era forse il più innocente, il che era tutto dire, a meno che non si prendeva in considerazione Rachel; ma lei non faceva testo, dato che era stata sua espressa richiesta di essere e rimanere vergine. Il fratello a volte la prendeva in giro Non sai cosa ti perdi, tesoro!, ma quella rimaneva sulla sua idea. E dire che, per ironia del destino, era anche la prediletta di Finn.

-Come fai tu, Kurt? Sappiamo tutti che ti porti perfino David nelle tue stanze, le ancelle parlano, lo sai? Anche l’umano che hai incontrato.. vuoi fare entrare anche lui, nelle tue grazie?- Quinn rise, divertita dalle sue stesse parole – Io sono una regina, figliolo. E sono devota ad un unico uomo, io.- detto ciò, si alzò con grazia, ergendosi in tutta la sua maestosa bellezza, e a passo svelto ritornò da dove era venuta, il lungo chitone di un chiaro azzurro che le carezzava le forme durante il passo.

Kurt sospirò nuovamente, appoggiando la fronte sulla mano, stanco. Aveva passato solamente cinque minuti in compagnia di quella donna, e aveva già un cerchio alla testa. Mentalmente, si chiese quanto male dovesse stare Finn dopo tutti quei secoli.

-Che cosa l’avrà fatto innamorare, poi?- la voce gli uscì quasi come un sussurro, così che nessuno a parte lui avrebbe potuto sentirlo. Scosse appena la testa, si alzò facendo perno sulle braccia e lanciò un ultimo guardo all’ Orasep ormai vuoto, prima di voltargli le spalle e uscire dal tempio, pensieroso.

 

Spazio dell’autrice:

Buonasera, miei adorati! Si, so di essermi fatta attendere più del previsto, purtroppo non avevo considerato che torno a casa dei miei una volta ogni 4 mesi, e che questo comporta un gran numero di pranzi in famiglia, pranzi con i suoceri, con le nonne, gli zii.. aaaah, la famigghia! Innanzitutto, dove sono le recensioni? Ç_ç Il primo capitolo ha superato le 160 letture, il secondo le 100! Insomma, fatemi sapere se aprite la pagina e basta, o se almeno leggete!

Allora, in questo capitolo si vede un personaggio nuovo. Io AMO Quinn, specialmente quando è cattiva. Non ci sono molte novità, e spero non vi stiate annoiando, ma ci vorrà ancora un po’ per entrare nel vivo… e posso solo anticiparvi che Quinn sarà molto, molto utile al riguardo.

Come? Se sono impazzita per la scena Kurtofsky? Ma no, no! Anche quella mi serviva, infondo.

Piccole curiosità: il chitone è la tipica tunica dell’antica grecia, unisex, anche se gli uomini la portano a metà coscia mentre le donne fino alla caviglia. Il Pelos è un copricapo circolare che indica la Madre, e lo si può vedere nelle statue di Era, che come avrete capito è rappresentata da Quinn. Non lo avevate capito? Ripassate un po’ di storia, su!

Vi lascio con il capitolo mentre io corro a prepararmi all’ennesima cena con i suoceri!  Alla prossima settimana, spero!

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Capitolo 4
*** Preparativi ***


3-  Preparativi

I giorni passarono velocemente e così le settimane, come trainati da un carro in corsa, senza eventi particolari che potessero sconvolgere la quotidianità degli umani, ne degli Olimpi. L’aria divenne sempre più afosa, le coltivazioni invernali iniziarono a seccare e tutti i contadini si riversavano sui campi, pronti a raccogliere il frumento che avrebbero poi messo in tavola. Era un periodo dell’anno molto frenetico e tutti, donne e bambini inclusi, avevano il loro da fare per garantire la continuità del raccolto così da non perdere nemmeno un po’ del lavoro di un anno. 

Nell’Olimpo non c’erano raccolti a cui fare attenzione ne campi da iniziare a coltivare, eppure la frenesia che caratterizzava gli umani aveva trapassato le soffici nubi fino a raggiungere la cima del monte e contagiare tutti gli abitanti del mondo divino, seppur per motivi diversi. Targelione già da tempo aveva timidamente fatto il suo ingresso nel mondo, rendendo l’aria più afosa, i fiori più brillanti, inondando tutti gli esseri di una calura al tempo stesso fastidiosa e piacevole, e mancavano ormai pochi giorni alla sua fine, la quale sarebbe stata contornata dalla grande festa per il Solstizio d’estate, che si sarebbe tenuto da li a pochi giorni. Tutto il mese era stato dedicato alle due divinità gemelle, i quali avevano risposto per tutto il tempo a preghiere, richieste, sacrifici e ciò che comportava il loro essere; ma più l’ultimo mese giungeva alla fine, così come un altro anno, più la pressione aumentava, in particolar modo per Kurt. Difatti, seppure per tutto il mese anche Rachel era coinvolta nelle adorazioni, quelli erano i giorni in cui il Dio era più adorato, in cui il suo potere raggiungeva il culmine e doveva dedicarsi con zelo alle meditazioni. Era sceso sulla terra quasi ogni giorno, rimanendo nascosto tra le fronde degli alberi più interni della foresta, rimanendovi per lunghe ore circondato dalla bellezza della natura, immerso nei suoi più profondi pensieri senza che l’esterno potesse scalfirlo.

Non aveva notato i fiori che sbocciavano intorno a lui, ne gli animali che gli danzavano intorno attirati dalla sua energia scalpitante, ne delle ombre intorno ai rami che scomparivano quando lui riapriva gli occhi, e che lo osservavano con grande interesse. La cosa strana era che nessuno gliene aveva parlato, nemmeno Rachel, la quale quando lo incontrava sembrava sempre nascondergli qualcosa, come si poteva notare dai sorrisi divertiti che gli lanciava quando lui non la guardava.

Anche quel giorno Kurt era sulla terra, seduto su un masso che sporgeva dalla superficie del piccolo lago all’interno della foresta poco distante dalla sua casa, la schiena poggiata sulla corteccia di una grande quercia, le pallide gambe incrociate, ricoperte da una sottile e poco visibile peluria; i folti capelli castani gli ricadevano scompostamente sul viso, senza intaccarne l’espressione distesa e serena. Il corpo era immobile, mentre le braccia erano dritte ai lati, cosi che le lunghe dita affusolate arrivassero a toccare appena l’acqua fresca, disegnando dei piccoli cerchi, così lentamente, però, che era difficile percepirne il movimento.

I movimenti concentrici si fecero via via più veloci, senza però che l’acqua si sollevasse più di qualche millimetro, mentre la superficie che veniva sfiorata da quel tocco iniziava lentamente a schiarirsi, come se fosse stata illuminata dal fondo e la luce si stesse innalzando verso l’esterno, finchè divenne totalmente trasparente.  A quel punto la sua mano destra non stava più toccando il liquido quasi invisibile, poiché il braccio era ripiegato verso il corpo del Dio; egli ruotò il polso, la mano aperta che sembrava accarezzare l’aria, e un soffio di vento scosse la tranquillità della radura, mentre alcune piccole foglie si staccavano dalla quercia, scendendo fino a scontrarsi contro la superficie del lago.

A quel punto, Kurt aprì gli occhi, fissando la scena che gli era apparsa davanti, studiandone attentamente i dettagli, conscio di doverli interpretare al meglio. Benchè gli sembrasse di essere rimasto in quella posizione solo per una manciata di minuti, anche nella sua concentrazione notò come il sole fosse in una posizione molto diversa di quando aveva iniziato; sospirò, per poi immergere nuovamente le dita nell’acqua e riprendere la meditazione.

 

*******

Pythio, il villaggio di Blaine, si trovava in una posizione di privilegio rispetto a tutta la Grecia, considerando che soltanto una foresta, seppur imponente, lo separava dalle pendici del monte più importante del territorio; eppure quella posizione aveva anche degli svantaggi in determinati periodi dell’anno, in particolare quando vi erano delle feste sacre a cui era tradizione prender parte. In quei casi tutti i Pythiani, tranne coloro che non potevano abbandonare le loro dimore per seri motivi, o gli anziani e i bambini troppo piccoli, si incamminavano giorni prima per raggiungere le mete.

Anche quell’anno non vi fu alcuna eccezione: Delfi distava almeno un giorno di cammino senza sosta, anche due se si facevano delle utili pause per riposare, e quasi tutti i villani si erano incamminati con un giorno di anticipo, Blaine compreso, mentre sua madre era rimasta a casa a vigilare e ad occuparsi del campo per evitare che il resto del raccolto andasse perso. Si era sentito un po’ in colpa per quella decisione, ma poi la voglia di partecipare alla festa del Solstizio d’Estate, un evento a cui tutti prima o poi dovevano presenziare, e la voglia irresistibile di poter vedere di nuovo il Dio Kurt lo avevano convinto ad intraprendere quel breve pellegrinaggio, a sopportare il caldo umido e la freschezza della sera, la stanchezza alle gambe, il sudore, la sete e la fame, che poteva placare soltanto nelle poche pause che il gruppo di compaesani si concedeva, così da arrivare nel minor tempo possibile.

Ci misero comunque due giorni.

Arrivarono a Delfi il giorno prima della celebrazione, e dividendosi cercarono ognuno alloggio per il tempo che sarebbero rimasti li. Il giovane si diresse verso la più vicina e modesta locanda della città, chiedendo stremato alla donna dietro il bancone un piccolo anfratto ove riposare per la notte. Quella guardò il suo aspetto stanco, i vestiti sporchi, la barba incolta e lo zaino sulle spalle: capendo subito che aveva dinnanzi un viaggiatore, come molti altri che erano arrivati nelle ultime ore, gli indicò una delle camere più piccole e spoglie, facendogliela pagare più oboli di rame del dovuto, che Blaine cedette malvolentieri, troppo stanco per anche solo pensare di contrattare il prezzo.

Una ragazzina – probabilmente la figlia della locandiera – lo accompagnò verso la stanzetta, la quale si trovava poco distante dall’ingresso, da cui arrivavano le voci dei numerosi avventori.  La giovane rimase con lui finchè non gli aprì la porta della stanza, dopodiché si dileguò senza il minimo cenno, lasciando Blaine solo a rimirare il misero arredamento, composto da una sedia, un piccolo letto in legno, un tavolo traballante accanto ad esso, con sopra una lampada ad olio che illuminava lugubremente i muri di pietra, e un piccolo armadio, se così poteva chiamarsi.  Degnò la mobilia di ben poca considerazione se si escludeva il letto, e fu lesto nel togliersi dalle spalle lo zaino e i vestiti, per poi buttarsi sul morbido letto vestito soltanto della stanchezza e un paio di braghe, scivolando in un sonno carico di aspettative.

 

*******

 

La cerimonia del Solstizio d’Estate era un evento imperdibile sotto molti aspetti, che spingeva gli abitanti di tutta la Grecia a radunarsi a Delfi, ad attendere con trepidazione che arrivasse la sera, così da assistere alla manifestazione dell’oracolo e, benchè la vera attrazione fosse appunto la cerimonia  che sarebbe iniziata con lo spuntare della luna, tutta la città era in festa e offriva ai visitatori piacevoli intrattenimenti con cui distrarsi nell’attesa, come tavolini in legno pieni di strani oggetti, libricini sgualciti con scritti all’interno gli antichi riti, mercatini dove poter comprare le offerte da consegnare la sera stessa. La giornata passò velocemente tra gli schiamazzi della gente, e fu solo verso il calar della sera che i rumori si placarono, le strade si svuotarono dei loro occupanti, e una folla di gente iniziò a dirigersi verso il grande tempio, situato verso la parte alta della collina dove stava la città. Era un edificio semplice e al tempo stesso maestoso, il cui ingresso era sovrastato da una grande scritta che tutti mormoravano a bassa voce prima di entrare, come una formula magica che sarebbe servita per udire e vedere meglio ciò che sarebbe accaduto.

Blaine vi si fermò sotto e dovette prendersi qualche minuto per decifrare le lettere che erano incise sul grosso cornicione: avendo umili origini non aveva mai imparato del tutto a leggere, ma gli erano solo state insegnate, dalla madre, le lettere dell’alfabeto, così che con un po’ di impegno, e pazienza, se mai si fosse trovato davanti qualcosa di importante avrebbe potuto almeno formare le parole.

Oh, Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo degli Dei.

Ne fu così colpito che rimase immobile per alcuni istanti dopo averne compreso il pieno significato, riflettendo attentamente sulle implicazioni che poteva considerare. Se avesse conosciuto meglio se stesso avrebbe avuto la possibilità di conoscere gli Dei?

Quel pensiero gli fece battere il cuore più velocemente di prima, al solo pensiero che una cosa del genere fosse possibile, ma dovette poi tornare bruscamente alla realtà. Non era un guerriero valoroso degno degli apprezzamenti degli Olimpi, ne un sacerdote dedito al loro volere, ne una qualsiasi altra persona che potesse meritare un privilegio del genere. Per quel che sapeva, chi non faceva nulla per meritarselo e conosceva ugualmente gli dei erano le donne umane con cui Zeus sceglieva di giacere. E lui non era una donna, anche se aveva con loro in comune i gusti sessuali.

-Farei meglio ad entrare- sussurrò a se stesso, sottovoce, scuotendo la testa come a togliersi dalla mente quegli sciocchi pensieri senza senso e muovendosi attraverso l’entrata del Santuario.

Restò per alcuni istanti abbagliato dalla bellezza dell’interno, il cui normale candore era modificato dalla luce rosata che emanavano le grandi lampade ad olio attaccate ad ogni colonna. La navata era grande e larga, piena di panche di legno già quasi completamente occupate;  il giovane alzò gli occhi verdastri verso il tetto, da dove pendevano decine e decine di scintillanti ghirlande d’alloro, che sembravano muoversi scosse da una lieve brezza, nonostante non vi fosse il minimo alito di vento all’interno dell’edificio, talmente stipato di gente che l’aria era irrespirabile.

Il suo sguardo vagò poi verso il centro, seguendo la lunga crepa del pavimento, che terminava al di sotto del tripode ove sapeva che la Pizia si sarebbe seduta una volta che la cerimonia fosse iniziata.  Blaine si affrettò a prendere posto, conscio che di li a poco il tempio sarebbe stato talmente pieno che avrebbe avuto difficoltà anche a rimanere in piedi.

Dopo alcuni minuti di attesa, in cui l’eccitazione si faceva sempre più palpabile, dal retro del tempio spuntarono due sacerdotesse, con in mano due vasi colmi di un liquido dal forte odore, e dietro loro avanzava lenta la Pizia, lo sguardo alto e orgoglioso nonostante l’età avanzata. Ella osservò le due giovani fanciulle versare il contenuto dei recipienti all’interno delle crepa, da cui quasi immediatamente iniziarono ad innalzarsi dei lievi vapori, ancora quasi invisibili agli occhi dei presenti; dopodiché congedò le fanciulle, le quali si affrettarono ad andare a prendere posto ognuna ai lati del tripode, su cui invece andò  sedere l’anziana donna.

Tutti trattennero il fiato quando i vapori iniziarono ad innalzarsi sempre di più, avvolgendosi attorno al corpo della donna, emanando un odore pungente e inusuale. La Pizia alzò le braccia verso l’alto, seguendo il movimento con la testa, gli occhi dilatati più del normale, mentre dalle sue labbra fuoriuscirono le parole d’inizio del rito.

-La Porta degli Uomini è aperta!- esclamò con voce forte, il tono completamente diverso da quello che ci si sarebbe potuto aspettare da una donna, segno che la sua connessione era già iniziata.

 

Immerso nella sua meditazione, le stesse parole erano state pronunciate anche dalle rosee labbra del Dio Kurt, il quale spalancò d’improvviso i propri occhi azzurri, illuminati da una luce che sovrastava il chiarore della luna stessa.

 

Spazio dell’autrice:

Si beh, buonasera, anzi, buonanotte!

Lo so che avevo detto che avrei aggiornato una volta a settimana, ma a quanto pare devo essermi dimenticata di avere degli esami da preparare per settembre.. e insomma, c’è caldo, l’ispirazione viene meno, io sclero sugli spoiler della terza stagione…

Dunque, per questo capitolo avevo in mente tutt’altro, ma tantè che mentre scrivevo ho improvvisamente cambiato idea e confinato la cerimonia vera e propria, e ciò che ne conseguirà, al prossimo capitolo, dedicando questo ai preparativi, altrimenti veniva troppo lungo e pesante.

In questo capitolo vi sono tante piccole cose che avranno un loro significato non appena gli avvenimenti prenderanno la loro piega!

Passiamo alle spiegazioni:  Targelione è l’ultimo mese del calendario greco, e benché ho trovato alcune incongruenze tra le informazioni che avevo io e quello che avevo reperito ho preferito attenermi a questo perché altrimenti cambiava anche il primo mese. Esatto, per chi non lo sapesse gli antichi greci facevano iniziare l’anno d’estate, esattamente dopo il primo giorno di luna piena che seguiva il Solstizio d’Estate!

Inoltre questo è un giorno importante perché si dice fosse il giorno in cui si entrava nel mondo degli uomini e delle cose materiali, un tempo di passaggio, di buon auspicio per la divinazione!

Poi: gli oboli sono piccole monete di poco valore, se considerato che 6 oboli corrispondevano ad un dracma d’argento, che era la paga giornaliera di un uomo; la Pizia è come veniva chiamata la sacerdotessa del tempio di Delfi, che doveva essere una donna sulla cinquantina e vergine! Oh, gli Dei se li facevano tutti, però chissà perché ogni donna importante doveva essere vergine XD  Scherzi a parte, non mi pare ci sia altro da chiarire, ecco.  In caso non esitate a chiedermi anche via mp, perché magari ho dimenticato qualcosa, sapete com’è, sono le due e mezza °_°

Detto ciò spero il capitolo vi piaccia <3 Au revoir!

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Capitolo 5
*** Solstizio d'Estate ***


4-Solstizio d’Estate

 

Blaine non si rese conto di star trattenendo il fiato finchè il suo corpo non iniziò ad avere bisogno di buttare fuori l’aria accumulata, i polmoni che iniziavano a pulsare dolorosamente, segnalando alla sua mente che - per Finn! - doveva espirare. Quando il bisogno si fece impellente parve risvegliarsi dalla trance in cui era caduto, e sospirò rumorosamente, mentre il torace si abbassava vistosamente, vuoto; una volta che il bisogno d’ossigeno fu di nuovo impossibile da ignorare, inalò l’aria densa di fumi all’interno del tempio, sentendosi immediatamente stordito, le narici che bruciavano leggermente, mentre i polmoni si espandevano per quella boccata di aria sacra. Considerata la distanza di parecchi metri a cui si trovava rispetto al tripode, si chiese inconsciamente che sensazioni dovesse provare la Pizia, praticamente seduta sul getto dei vapori. I suoi occhi, insieme a quelli delle decine e decine di persone che come lui stavano assistendo alla cerimonia, si posarono proprio sul viso della donna che, benché fosse difficile riuscire a vedere bene attraverso i vapori, appariva stravolto dall’estasi della connessione divina che stava avvenendo in quel momento.

Blaine era attonito mentre una voce sconosciuta, antica e potente iniziava a diffondersi per la navata e poi al di fuori di essa, come trasportata e amplificata dall’aria stessa, raggiungendo nel profondo la mente di coloro che erano in grado di essere raggiunti; non fu facile, all’inizio, capire cosa stesse accadendo:  la maggior parte degli uomini e le donne all’interno del tempio avevano iniziato a guardarsi in giro, perplessi, non appena la Pizia aveva spalancato la bocca, dando inizio alla cerimonia, osservando come alcuni parevano completamente concentrati verso l’anziana donna, come se fossero in grado di sentire cose sconosciute ai più. Inizialmente aveva pensato che doveva essere soltanto una sua impressione, perché quella voce era così forte, e si insinuava nella sua mente e nel suo corpo in maniera così intensa da scuoterlo dall’interno, ed era impossibile che ci fosse qualcuno che non riuscisse a sentirla.

Il corpo della sacerdotessa era scosso da forti tremiti, mentre le sue labbra parevano muoversi da sole, del tutto indipendenti dal corpo che le ospitava, soggiogate dalla voce divina. Ella, o chi per lei, stava cantilenando di storie antiche quanto il mondo, del dio del Caos che aveva generato Gea, la madre Terra, la quale aveva generato Urano, con il quale si era congiunta per dare al mondo i Titani. Narrò di come il figlio e consorte Urano giacesse costantemente su di lei e gettasse i figli nel profondo tartaro, finchè il minore dei Titani non lo evirò, salvando i suoi fratelli e le sue sorelle.

-Egli era Crono, colui che controllava il tempo e il suo scorrimento. Ma il dio divenne un mostro ancor più cruento del padre, divorando i figli che la consorte Rea partoriva, finchè giunse Finn, il minore degli Olimpi, il più forte e il più valoroso, il quale ebbe risparmiata la vita, venendo affidato alle cure delle ninfe; quando fu cresciuto abbastanza, avvelenò il custode del tempo, rinchiudendolo per l’eternità, liberando i suoi fratelli e le sue sorelle, divenendone il capo. E come fece suo padre prima di lui, e il padre di suo padre ancor prima, prese in sposa Quinn, sua sorella, e fu il Padre degli Olimpi. –

Blaine ascoltava meravigliato quella storia di cui non aveva mai saputo l’esistenza, essendo il suo villaggio troppo piccolo per poter trovare qualcuno che ne potesse essere a conoscenza. Era affascinato da quella sequenza di lotte per la supremazia, dalle dimostrazioni di forza e coraggio e per la prima volta si rese conto di ciò che davvero erano gli Dei e cosa avevano fatto per gli uomini. Cosa ancora continuavano a fare.

E improvvisamente, parte della sua voglia di incontrare il dio Kurt si trasformò in paura. Paura per un essere che non era in grado di comprendere neanche in minima parte, che probabilmente vedeva gli uomini soltanto come piccoli giocattoli che presto o tardi avrebbero lasciato la loro vita sulla Terra, abbracciando le mortali spire dell’Ade. Sapeva che il suo desiderio era infantile e mai avrebbe potuto realizzarsi, ma quelle considerazioni erano, per lui, abbastanza tristi. Ed era quasi certo che più della metà degli uomini che ascoltavano la cerimonia non si erano mai posti le stesse considerazioni.

 

*******

 

Gli occhi di Kurt erano spalancati e brillavano in maniera innaturale, le pupille dilatate molto più del normale, ma sembrava non vedere realmente cosa c’era intorno a lui. Se lo si osservavano attentamente, si poteva notare il leggero velo opaco che ricopriva gli occhi chiari, il quale rendeva il suo sguardo vacuo e quasi senza vita, il che era stupefacente se lo si metteva in contrasto con la luce che emanavano.

La sua presenza in quella radura, ormai, era solamente fisica. Il suo spirito, la sua mente, il suo intero essere era proiettato a grandissima distanza da quell’oasi di benessere in mezzo alla foresta. Intorno a sé poteva sentire gli esseri umani raccolti alla presenza della Sacerdotessa, percependoli come piccoli, numerosi puntini. Più della metà di essi erano grigi e tristi, le luci delle loro anime completamente spente e chiuse alla sua presenza, incapaci di bearsi di un onore che non riuscivano nemmeno ad immaginare, così sciocchi da non comprendere un indizio talmente semplice da essere sotto gli occhi di tutti; il resto delle piccole anime erano ai suoi occhi luminosi cerchi di vita, le cui sfumature variavano dal bianco, al giallo, all’azzurro, tanti colori diversi, alcuni creati appositamente dalla sua mente, a raffigurare e rispecchiare l’essenza stessa di tanti uomini così diversi tra loro, e il collegamento che riuscivano a raggiungere, in quel momento, con il dio. Riconosceva subito la Pizia tra quell’intreccio di luci, poiché il puntino che la rappresentava era il più grande e il più luminoso di tutti, poiché in quel momento la sua anima era strettamente legata a quella di Kurt, tanto da sentire ciò che sentiva lui, e dire ciò che lui voleva.

Ma, oh.

Del verde brillante predominava improvvisamente la scena, meno luminoso del bianco accecante della Sacerdotessa, ma molto più di tutti gli altri esseri.

Wow, non se lo sarebbe mai aspettato.

Poteva significare solo una cosa: un umano aveva compreso appieno il significato di quel giorno, aveva capito e accolto dentro di sé l’essenza stessa del momento in cui la Porta degli Uomini veniva aperta; inutile dire che lo incuriosiva tantissimo quell’inaspettata novità.  Era la prima volta, dacché riusciva a ricordare, che accadeva una cosa simile, perché normalmente coloro che riuscivano ad ottenere un collegamento maggiore con lui erano le sacerdotesse, gli oracoli, qualcuno dotato di forte potere spirituale. Di solito, i colori che li rappresentavano erano le più vaste sfumature del bianco, comunemente associato dagli umani alle divinità.

La curiosità che lo colpì in quel momento fu tale da farlo vacillare, solo per un istante, nel pronunciare il rito cerimoniale. I suoi vasti pensieri, di norma separati, si fusero tra di loro, creando un vortice di idee, sensazioni, suoni e immagini che avrebbero distrutto una mente umana in pochi istanti. Ebbe comunque un effetto del tutto inaspettato anche su di lui, poiché confuse le parole che fuoriuscirono dalle sue labbra, facendole mischiare in un intreccio completamente nuovo e imprevisto.

Quel che accadde subito dopo non se lo sarebbe mai aspettato, ma qualcosa gli diceva che Rachel lo aveva saputo e, volutamente, non glielo aveva rivelato.

Davanti a lui, spaesato e totalmente sconvolto, vi era un umano.

E - Kurt avrebbe voluto maledire il cielo per questo – non solo era un umano, e si trovava li, dinnanzi a lui, senza la benché minima idea di come ci fosse finito, ma era il giovane che lo aveva visto settimane prima.

-Oh Finn, perché mi punisci?!- borbottò a mezza voce, la concentrazione ormai interrotta. Il suo pensiero vagò verso la Sacerdotessa, la quale si era improvvisamente ritrovata senza il collegamento mentale che si era stabilito, e cercò di calmarsi, pensando che in ogni caso la parte più importante della cerimonia era stata fatta – beh, in realtà non ne era poi così sicuro, in quei momenti si estraniava davvero dal mondo; ad esempio non aveva idea di quanto tempo fosse passato da quando aveva iniziato la meditazione – e Kurt sperò che se la sapesse cavare da sola.

In ogni caso, in quel momento non è che poteva fare molto. Per raggiungere lo stato di trance che permetteva il collegamento con la Pizia aveva meditato per giorni e giorni, dapprima a momenti alterni, facendo delle lunghe pause per riposare la mente e rifocillare il corpo, bisogno che si presentava più frequentemente in quei momenti rispetto a quanto accadeva di solito; il giorno prima della cerimonia, comunque, si era chiuso nella meditazione e non ne era più uscito, e così avrebbe continuato finché non avesse finito.

Kurt sospirò leggermente, osservando l’uomo ancora spaesato, e lentamente si alzò dal masso su cui era seduto dal giorno prima, sentendo le forze iniziare a scemare in maniera quasi impercettibile; incurante dell’acqua che gli lambiva le gambe nude, infilò i piedi dentro il placido lago, creando delle increspature sulla superficie fino a quel momento liscia, le quali andarono aumentando non appena egli iniziò a muoversi verso la riva ove il giovane era scompostamente seduto.

Blaine, dal suo canto, era immobile, le mani appoggiate alla fresca erba, gli occhi nocciola che non riuscivano a staccarsi dal corpo sinuoso del dio che avanzava verso di lui, gli schizzi d’acqua sollevati al suo passaggio che si attaccavano all’orlo del bianco chitone, rendendone il tessuto trasparente. Spaventato e confuso, continuava a chiedersi cosa ci facesse li, dove fosse di preciso, e soprattutto se ciò che stava vedendo era reale; magari, si disse, era svenuto per via dei vapori all’interno del Tempio, e adesso stava vivendo un’allucinazione. Una bellissima allucinazione, doveva dirlo.

Per provare a se stesso che era veramente un sogno ad occhi aperti prese una pietra appuntita a pochi centimetri di distanza dalla sua mano, e stringendola con forza se la sbatté sulla mano sinistra in velocità, convinto com’era che non avrebbe nemmeno sentito il colpo; peccato che il dolore che si espanse per tutta la superficie dell’arto fu alquanto reale, e anche piuttosto forte, e anche il gemito che era uscito dalla sua bocca lo sembrava, così come il colorito della pelle che cambiò in un rosa molto acceso.

-Per Finn, ma voi umani non vi eravate evoluti?!- una voce dal tono insolitamente alto e nervoso arrivò alle orecchie di Blaine, il quale alzò lo sguardo, fino a quel momento tenuto sulla mano dolorante, verso il proprietario, che gli era ormai arrivato vicino e lo sovrastava con la sua presenza imponente.

Il moro rimase senza parole, la bocca spalancata, incapace di rispondere in maniera adeguata alla sagace provocazione del Dio, il quale gli sostava davanti, le braccia incrociate al petto, il cipiglio severo ed altezzoso che induriva appena i suoi tratti delicati e quasi femminei, senza però deturparne la bellezza.

E, da quella posizione, Blaine poteva osservare ben altre bellezze del corpo del Dio.

-Sai parlare? Hai un nome?Sembri più tonto di Sam quando si inizia a parlare di questioni sulla terra ferma!-

Blaine non si era accorto che, mentre lui era perso a contemplare il viso e le gambe del Dio, lì dinanzi a lui egli aveva continuato a parlare, chiedendogli informazioni che in quel momento non era in grado di rivelare, tanto era lo sconcerto che gli albergava in corpo.  Deglutì a vuoto un paio di volte mentre la voce cristallina del Dio continuava incalzata ad essere rivolta verso di lui, e tentò di articolare una frase di senso compiuto nella mente.

-Voi, ehm, vostra eccellenza, no, vostra divinità, uhm- beh, non era propriamente sensata, ma era il meglio che riusciva a venir fuori in quel momento. Avrebbe voluto dirgli il suo nome e riuscire a rispondere al Dio, ma non aveva la minima idea di come rivolgersi a lui eh, ohpertuttiglidei, doveva sembrare ridicolo. Un bue avrebbe avuto più acume mentale.

E da come le sopracciglia di Kurt si arcuarono, probabilmente doveva pensarlo anche lui.

-Io sono, cioè, Blaine- gli uscì a gran velocità, gli occhi ancora spalancati, il collo teso per osservarlo. Si rese conto soltanto in quell’istante che era ancora inginocchiato ai suoi piedi, anche se forse era la cosa giusta da fare. Insomma, ci si inchinava davanti ai Re, cosa avrebbe dovuto fare dinanzi un Dio? Sdraiarsi per terra? Osannarlo? Per la prima volta maledì la sua poca conoscenza degli Olimpi, che in quel momento si sarebbe rivelata estremamente utile.

Probabilmente Kurt dovette intuire il suo spaesamento perché il suo sguardo si addolcì lievemente e un piccolo sospiro lasciò le sue labbra prima che una mano gli fosse porta in aiuto. Blaine la fissò perplesso per qualche secondo, alternando poi lo sguardo sul viso del dio, prima di afferrarla e farsi tirar su; sentiva le ginocchia pericolosamente instabili.

-Blaine, dunque. Non siete un giovane molto sveglio, eh? Ma va bene, non siete poi così diverso dal resto della vostra specie, tutti così sporchi, senza cultura, e così bassi.. ma cosa stavo dicendo? Ohibò, non ha importanza. Chiamatemi pure Kurt, se vi aggrada. Anche per me, infondo, è la prima conversazione con un umano, non sentitevi troppo in imbarazzo.-

Il giovane uomo era rimasto ad ascoltare quel fiume inarrestabile di parole per un tempo che sembrava lungo una vita, ma lo trovò stranamente piacevole; la voce del dio – di Kurt, si corresse mentalmente – possedeva una tonalità diversa da tutte le voci che era abituato a sentire, e pareva rassomigliare molto più a una voce femminile, benché fosse dotata di una certa virilità che la rendeva, senza alcun dubbio, appartenente ad un uomo. In ogni caso, era di una musicalità e bellezza per lui indescrivibile a parole, forse l’unica similitudine che riusciva a rendergli giustizia era il suono degli uccellini che cinguettavano deliziati alle prime luci del giorno.

-Oh, dunque. Kurt. Voi, uhm, sapreste dirmi.. come sono arrivato qui? E dove sono?- ma nel momento in cui Blaine pose quell’ultima domanda, ebbe da sé la risposta. Quella era indubbiamente la foresta che si trovava ai piedi del monte Olimpo, a poca distanza dal suo villaggio. La foresta in cui da anni cacciava e si nascondeva, e dove aveva visto il dio per la prima volta. Come aveva fatto a non riconoscerla subito? Vi passava buona parte delle sue giornate sin da quando era un bambino!

Kurt, probabilmente, doveva aver visto lo sguardo di consapevolezza negli occhi castani di lui – un castano così strano, con sfumature verdi e dorate – poiché decise di rispondere soltanto ad una delle sue domande. L’unica a cui non sapeva dare risposta.

-Oh, questo è un quesito interessante. In realtà non ho da darvi una risposta concreta, mi duole ammetterlo. Devo aver perso concentrazione durante il rito e beh, aver sbagliato qualche passaggio. Non chiedetemi altro. – buttò fuori quella risposta in maniera piuttosto secca, quasi borbottando, come se in realtà si vergognasse di ciò che stava raccontando. Blaine pensò che a creature perfette come gli dei capitasse di rado di commettere degli errori. Ovviamente, non sapeva quanto si stava sbagliando.

In ogni caso, adesso si trovava lì, nella foresta. Aveva lasciato lo zaino nella camera della locanda, convinto di tornare per la notte, e oltre a quello aveva anche pagato in anticipo la piccola stanzetta. La cosa lo infastidiva un poco, ma fortunatamente non aveva nulla di valore all’interno del bagaglio usato per viaggiare, preoccupato com’era che potesse rovinarsi, dunque ciò che vi aveva perso era lo zaino di tessuto e il misero e logoro cambio usato durante il pellegrinaggio. Nulla di particolarmente rilevante.

Ciò che lo faceva pensare, però, era il motivo per il quale proprio lui fosse scomparso dalla cerimonia e riapparso lì dinanzi al dio Kurt. O forse anche altri avevano viaggiato sino a finire nei misteri del mondo sconosciuto? E se invece era stato scelto perché qualcosa in lui non andava? Quei pensieri irragionevoli iniziarono a mandarlo in panico.

-Oh santi numi, non è che mi è accaduto qualcosa di strano durante il viaggio? Mi avete lasciato della magia addosso? Dovrò sacrificare qualche parte di me, adesso?- chiese totalmente impaurito,  sgranando gli occhi e fissando ancor più insistentemente il dio, avvicinandosi a lui di un paio di centimetri, come se la sua vicinanza lo rassicurasse.

Per contro, egli si batté una mano sulla fronte pallida, in segno di evidente frustrazione.

-Ma per gli Dei, ma quali amenità andate blaterando? Magia, sacrificare voi stesso? Voi non siete molto esperto del nostro culto, nevvero? – gli chiese allora, riducendo gli occhi celesti in due fessure severe e spazientite.  A quello sguardo, Blaine non poté che tirarsi appena indietro come a voler rimpicciolire, e fece segno di diniego con il capo.

Un lungo sospiro lasciò allora le rosee labbra di Kurt, che, dopo averlo fissato per un paio di istanti in silenzio, volse il corpo alla sua destra, camminando per pochi passi fino a raggiungere dei grossi massi, abbastanza grandi e lisci da permettere di star seduti in posizione abbastanza comoda. Prese posto e accavallò le gambe con un gesto elegante, evitando così che il chitone mettesse in mostra parti poco consone alla visione altrui, e con la mano sinistra batté sul masso accanto a lui, facendo segno a Blaine di sedersi. Il giovane lo guardò perplesso, ma impiegò solo pochi secondi a decidersi a raggiungerlo, andandosi ad accomodare con impazienza.

-Avete molto da imparare. Iniziamo-

 

*******

Lo scranno di Finn era il più grande e il più luminoso, quasi a volerne sottolineare l’importanza e la maestosità. Era posizionato esattamente davanti l’Orasep, in leggero rialzo rispetto a quello degli altri Olimpi, così che potesse osservare meglio ciò che vi scorreva all’interno; tuttavia era un evento alquanto raro trovarlo seduto al posto che gli spettava di diritto, poiché di norma preferiva osservare il mondo nell’intimità delle sue stanze. Quel giorno, però, qualcosa lo aveva spinto a continuare il momento della vista lì nella navata centrale del Tempio.

Si era seduto, un braccio poggiato sulla sedia, l’altro lievemente piegato all’esterno, la mano saldamente stretta attorno all’impugnatura del proprio scettro. Il chitone bianco, lungo sino ai piedi a differenza di molti del suoi simili, gli cingeva il corpo virile lasciandone scoperte piccole porzioni di pelle. Gli occhi scuri erano concentrati sulle immagini che continuavano a susseguirsi all’interno della grande sfera, tanto da creare delle piccole rughe sulla fronte normalmente liscia del dio; nonostante quello, però, il suo sguardo appariva sereno e, stranamente, quasi compiaciuto.  Vi era una dolcezza di fondo che, agli occhi di un osservatore esterno, sarebbe stata inspiegabile. Ovviamene, nella mente del Padre degli Dei era tutto chiaro; forse fin troppo.

Era solo nella sua contemplazione; rari erano i momenti in cui qualcuno lo disturbasse con la sua presenza, a meno che egli stesso non la richiedesse. Erano ben pochi coloro che si presentavano al suo cospetto per motivi futili o senza che quelli fossero presenti, e ancor meno coloro che lo disturbavano con chiacchiere inutili solo per perder tempo. In effetti, forse l’unica persona che faceva una cosa simile era sua moglie Quinn.

Finn sospirò soltanto al pensiero della consorte, distraendosi per alcuni istanti da ciò che stava osservando, e accorgendosi finalmente di una figura a pochi passi di distanza, appoggiata ad una delle colonne che separavano la navata centrale da quella destra. Per un attimo irritato da non essersene accorto prima, il sentimento sparì quasi all’istante alla vista di chi fosse.

-Oh Rachel, mia cara. Non vedo perché non ti avvicini, così da farmi godere della tua compagnia.- le disse sorridente, il tono di voce caldo e gentile. Gli occhi si erano staccati solo per un momento dall’Orasep, e vi tornarono quasi all’istante.

Rachel rise a quella frase, ma non si mosse dalla sua posizione, continuando a tenere gli occhi su di lui – Oh Finn, sapete benissimo perché non mi avvicino. Mi pare di avervelo ricordato giusto la notte scorsa, e la notte prima ancora, e credo che potrei proseguire all’infinito, se ne avessi il tempo.-

Nonostante i modi formali che aveva utilizzato nel rispondergli, il suo tono era alquanto divertito e – come negarlo – piuttosto canzonatorio, come se sapesse di poterlo prendere in giro senza rischiare conseguenze.

-Vorrei solo farti ragionare, lo sai. – il tono di Finn era ancora gentile, ma la risposta era stata data in maniera secca, come se fosse stata una frase detta milioni di volte, ormai impressa a memoria nella mente e rilasciata dalle labbra in maniera automatica.

-Ne abbiamo già parlato. E’ una mia scelta, e ci convivo più che bene da secoli, ormai. Non saranno le tue voglie da soddisfare a farmi cambiare idea.-

Le immagini dell’Orasep scomparvero completamente, e l’attenzione di Finn si volse completamente verso la dea bruna, le cui guancie si erano arrossate per la veemenza con cui aveva pronunciato quella frase. A parte Quinn, Rachel era l’unica persona in tutto l’Olimpo che osasse rivolgersi a lui in quei toni bruschi e che mostrasse una certa confidenza. I battibecchi tra di loro erano una routine ormai, un piccolo rito che andava avanti ormai da tempo immemore e che erano iniziati dapprima come imbarazzanti segnali e balbettanti richieste, per poi divenire giocose prese in giro; non vi era mai stato un vero e proprio litigio tra loro, se non qualche frustrato battibecco.

Era la prima volta, da tantissimi anni, che la dea gli rispondeva in quei termini. A sua memoria, Finn non ricordava fosse mai accaduto. E, per la prima volta, il suo sguardo, nel posarsi sul viso di lei, si indurì a tal punto da sembrare minaccioso.

-Non osare rivolgerti a me in questi toni, Rachel! Solo perché non ho mai posto lamentela sui tuoi atteggiamenti, ciò non significa che tu possa trattarmi come un tuo pari.- si alzò di scatto a quelle parole, la voce rimbombante per tutta la navata. Era furente, e la mano attorno allo scettro si strinse convulsamente.

Rachel lo guardò in silenzio per alcuni istanti, lo sguardo indecifrabile, prima di abbassare lo sguardo, delusa.

-Siete voi a desiderare ch’io lo faccia. Desiderate troppe cose che non avverranno mai, Padre mio.-

E a testa china, mosse il passo verso l’uscita, le parole ancora echeggianti in direzione di Finn, il quale rimase ad osservarla, immobile, finché le grandi porte non si richiusero dietro di lei.

 

 

Spazio dell’autrice

*spunta da un angolino*

Oh, ehm, salve! Forse vi ricorderete di me come quella cretina che pubblicò una storia dicendo che avrebbe aggiornato una volta a settimana e poi sparì per due mesi interi. Vi porgo le mie più sincere scuse per questo incredibile e ingiustificabile ritardo. A mia discolpa posso solo dire che questo capitolo mi ha fatto patire le pene dell’inferno per la parte centrale, che i dialoghi sono e resteranno sempre il mio cruccio poiché sono completamente incapace di scriverli, e che in realtà in questo capitolo dovevano esserci anche altre cose nel mio progetto iniziale; solo che, una volta iniziato a scrivere, non riuscivo a collocarle.

Semplicemente, non dovevano starci.

Poi l’università, la laurea del mio fidanzato, gli esami, le lezioni.. non sono riuscita a gestirmi con i tempi come speravo di poter fare, e mi sono ritrovata ad avere poco tempo e sfruttarlo in malo modo. Mi spiace, sul serio.

Che altro posso dire? Mi spiace veramente tanto, ma spero apprezzerete comunque questo capitolo,  dove FINALMENTE i nostri beniamini si incontrano come si deve! So che non dovrei nemmeno chiederlo dopo il lungo periodo di latitanza, ma mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate.

Ringrazio tantissimo Alba, alias Sashy qui su efp che da ragazza gentilissima qual è ha accettato di betarmi questo capitolo dandomi una grossa, enorme mano. Grazie cara, probabilmente avrei impiegato altre due settimane senza te.

Insomma, vi lascio. Continuerò a scrivere non appena finite queste note, non preoccupatevi. Solo, mi sembra ovvio che non riuscirò a pubblicare ogni settimana. Spero ogni due, massimo tre. Lo so, forse è troppo, ma sinceramente spero si rivelino solo previsioni pessimiste.

Grazie se siete arrivati fin qui, a presto!

 

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