Se non sei l'inferno, chi sei?

di agatha90
(/viewuser.php?uid=77729)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La danza ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il giudice Claude Frollo era un uomo dai gusti piuttosto difficili. Il suo disprezzo nei confronti di ben più della metà degli esseri di cui il mondo era popolato era noto praticamente a tutti quelli che l’avevano conosciuto personalmente, mentre per coloro che invece avevano avuto la fortuna di scorgerlo solo in lontananza non era difficile il palesarsi di concreti sospetti.
Tuttavia solo i pochi che erano addetti a faccende a lui molto vicine sapevano che quella non era la verità. O meglio, non del tutto. Era vero che riteneva inferiori alla propria persona quasi tutti gli esseri umani viventi, ma con gli zingari era diverso. In quel caso il sentimento che provava non era più disprezzo, era odio.
Come esiste l’amore puro, racchiuso nei petali di un fiore donato da un cavaliere alla sua donna, così esiste l’odio puro, scuro e lucente come l’ossidiana levigata, e la spada che Frollo aveva ordinato ai suoi uomini di usare contro gli zingari negli ultimi venti anni lo emanava senza ombra di dubbio.
Probabilmente il sentimento non sarebbe stato così profondo se venti anni prima non gli fosse capitato di essere coinvolto in una vicenda che era riuscita a mutare per sempre la sua esistenza.
Frollo amava definirsi tra sé e sé un timorato di Dio, per cui tutte le difficoltà che incontrava nella vita non disdegnava considerarle come personalissimi attacchi del Diavolo nei confronti della sua persona. Che fosse vera oppure no, questa sua convinzione gli dava la forza di scagliarsi contro le cause delle sue disgrazie con estrema violenza e caparbietà. Ogni volta che ne eliminava una, eliminava una parte di Satana nel mondo e questo lo soddisfaceva pienamente. Non era certamente il piacere della vendetta a guidarlo. Naturalmente. Tuttavia nel suo intimo a volte ne godeva, ma riusciva a ignorare l’insegnamento cristiano di non peccare neanche nei pensieri perché lo considerava semplicemente il giusto premio che il Signore aveva voluto concedergli per aver difeso la sua eterna gloria.
Le sue convinzioni non erano mai venute meno, se non proprio venti anni prima.

Era un sabato di dicembre e la sera era scesa gelida su Parigi, svuotando ogni strada e ogni vicolo. Era arrivata una soffiata da un povero straccione che sperava di ricavare, grazie alla sua lealtà nei confronti del giudice, almeno un tozzo di pane e un giaciglio per la notte.
Frollo in ogni caso aveva gradito le informazioni e quindi semplicemente aveva deciso, avvicinandosi il Natale, che poteva anche esentarsi dal farlo uccidere e che era meglio lasciar decidere a Dio e al suo alito gelato le sorti del vagabondo.
Zingari. Una barca piena, a quanto pareva dalle informazioni.
Li intercettò appena in tempo, sulla riva sinistra della Senna, appena prima che riuscissero ad organizzarsi per arrivare in qualcuna delle loro tane in città.
C’era anche una donna tra loro. Piuttosto bella a dire il vero. Molto bene, avrebbe fatto in modo che quel pericolo per la sua carne inviato dal Diavolo fosse eliminato per primo.
Gli altri uomini che erano scesi insieme a lei dalla barca si disposero intorno a lei, per farle scudo, per deviare da lei lo sguardo penetrante del giudice che probabilmente avevano interpretato in maniera piuttosto diversa.
Anche Frollo fraintese. Dopo aver notato il gesto di difesa degli uomini, si accorse che la donna stringeva a se un fagotto.
Ecco, naturalmente. Zingari venali e ingordi. Prima di ogni altra cosa c’erano i loro ignobili traffici, i loro furti, i loro denari sudici.
“Merce rubata, senza dubbio. Levategliela dalle mani.”
Toccò a lui, tuttavia inseguire la donna a causa dell’incompetenza dei suoi uomini. Sarebbero stati puniti anche loro, naturalmente.
Benché Frollo si muovesse a cavallo, lei era veloce come il vento. Dentro di lei albergava il fiato di Satana, senza dubbio. Con maggiore determinazione Frollo le stette dietro nella corsa.
Fu un attimo: lei si era fermata di fronte alla cattedrale di Notre Dame per chiedere asilo, picchiando con le nocche ormai bluastre per il freddo sul legno del portone; Frollo, recuperato terreno, afferrò il fagotto con violenza. Per il contraccolpo la zingara cadde all’indietro e batte la testa sui gradini del sagrato.
Era morta? Probabilmente si, il tonfo era stato piuttosto forte e la sorte aveva voluto che cadesse su un gradino dove la neve caduta nel pomeriggio era stata pressata di recente e quindi si era indurita in maniera notevole.
Meglio così, nessuno avrebbe capito, se lui avesse violato il diritto di asilo, che lo faceva in nome di Dio e per il bene spirituale di tutta Parigi.
La neve ricominciò a cadere silenziosa, in quel momento, rendendo più ovattati anche i pensieri del giudice.
Di colpo però i suoi sensi si risvegliarono: un pianto esigente proveniente dal fagotto che teneva in mano lo incuriosì. Sollevò un lembo della coperta che avvolgeva il pacchetto. Era un neonato in carne ed ossa, in lacrime. Era tuttavia il neonato più orribile che Frollo avesse mai visto. Era deforme e mostruoso. Degno figlio di una zingara peccatrice. Dopo aver visto il bambino, Frollo era ancora più soddisfatto della misera fine di quella donna. Di sicuro doveva essersi macchiata di ignobili perversioni perché il Diavolo infine avesse trovato la strada per incarnarsi nel suo seno.
Era un demonio, quella creatura. Doveva sparire, la terra doveva essere epurata da un simile essere. In ogni caso, comunque, Frollo non avrebbe saputo che altro farne del figlio di una zingara.
I suoi occhi caddero sul pozzo congelato al centro della piazza.
Era ormai sul punto di gettare il fagotto nell’acqua quando udì la voce dell’arcidiacono della cattedrale.
“Crescetelo come vostro. Notre Dame vi sta guardando.”
Frollo tentennò. Alzò lo sguardo e lo incrociò con quello di una statua raffigurante Nostra Signora di Parigi. Era severa, era dura, era di pietra. Lo guardava tristemente, con un misto di delusione e minaccia. Il terrore si impadronì di lui.
Che si fosse sbagliato? Che quel mostro maledetto fosse finito tra le sue mani per un motivo ben preciso?
Forse era un dono del Signore, dopotutto. Forse Dio aveva deciso di consegnargli quel figlio di Satana attraverso le immonde mani di una zingara perché sapeva che lui avrebbe saputo trarne beneficio. Lui avrebbe avuto l’acutezza e l’umiltà di usare quel mostro per glorificare il Signore, per salvare la città dalle fiamme dell’inferno. Solo lui ci sarebbe potuto riuscire. Solo lui, che era più puro di tutto il gregge di peccatori che popolavano Parigi. In fondo non ci sarebbe stato nulla di strano se Dio l’avesse scelto per portare a termine una missione. Dalla disgrazia di doversi addossare quella creatura deforme, sarebbe riuscito a estrarre tutto quello che avrebbe potuto giovargli.
Il Signore aveva tramutato quella maledizione zingaresca in un miracolo.
Bene, dato che di quello si trattava, Frollo intuì che Dio in quel modo volesse anche indicargli il suo obiettivo: gli zingari.
L’ira del Signore si sarebbe scagliata su di loro, attraverso di lui.
Non avrebbero avuto più pace finché Frollo fosse stato in vita.
E così era stato.

Aveva costretto l’arcidiacono a ospitare il suo orrendo figlio adottivo, che aveva battezzato Quasimodo, all’interno della torre campanaria sinistra.
Lo andava a trovare ogni settimana e si assicurava che crescesse conscio della sua deformità e maledizione affinché non uscisse dalla chiesa per nessun motivo.
Nessuno doveva sapere del suo legame con lui. Avrebbero frainteso. Avrebbero pensato che il Diavolo gli avesse portato via l’intelletto. Solo lui sapeva che non era così e nessun altro lo avrebbe capito.
Niente avrebbe potuto distrarlo dalla sua missione, ne era certo, e l’avrebbe portata a termine ad ogni costo.
Eppure il giudice, così sicuro di sé, si stava nuovamente sbagliando e un evento che gli avrebbe sconvolto la vita per la seconda volta, dopo vent’anni dalla prima, stava per accadergli di lì a poco.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La danza ***


Era ancora un sabato, ma era mattina e, soprattutto, era primavera inoltrata.
Per la città quel giorno era speciale, nella piazza antistante la cattedrale di Notre Dame si sarebbero tenuti i diversi spettacoli che componevano la Festa dei Folli, evento popolare in cui cittadini, vagabondi, zingari e stranieri si sarebbero uniti in festeggiamento, per una volta all’anno, senza liti né recriminazioni. Era un’occasione di svago e divertimento e praticamente tutti i parigini, quel giorno, si sarebbero radunati in piazza per assistere alle esibizioni e partecipare ai giochi.
Il giudice Claude Frollo era di tutt’altro parere, naturalmente.
Quella mattina si era svegliato con l’ombra della festa, che sarebbe iniziata entro poche ore, che incombeva sulla pace dei suoi pensieri come una pesante spada di Damocle.
Come ogni anno era obbligato a partecipare, in quanto rappresentante delle istituzioni, ma tutta la situazione gli era estremamente odiosa, in quanto, essendo lo scopo della festa proprio quello di violare le comuni regole di comportamento, non poteva neanche intervenire come avrebbe voluto per ristabilire una situazione che il suo animo rigoroso avrebbe certamente tollerato meglio.

All’ora di pranzo andò a fare visita al suo figliastro e ciò che trovò non migliorò il suo umore tempestoso.
“Festa. Tu vorresti andare alla festa.”
“Voi ci andate tutti gli anni e…”
Certo che ci andava tutti gli anni, ma solo un idiota avrebbe potuto pensare che si divertisse. Un raduno orgiastico, gli abitanti della sua città che si lasciavano trascinare nei balli sacrileghi ideati per loro dalla feccia dell’umanità per traviarli e allontanarli dalla retta via. Era convinto che gli zingari usassero quell’occasione per prendersi gioco di lui impunemente. E il peggio era che non poteva in alcun modo impedirlo. La sua unica consolazione era il fatto che se qualche incauto zingaro fosse finito tra le sue mani nei giorni successivi alla festa avrebbe pagato per tutto e per tutti.
Fu piuttosto duro con Quasimodo. Doveva imparare a stare al proprio posto e non doveva più permettersi di esprimere certi desideri: doveva imparare a reprimerli. Solo così poteva sperare di rimanere sulla giusta via da cui il suo destino maledetto cercava sempre di deviarlo.

Una volta ritornato al Palazzo di Giustizia, Frollo fece conoscenza con il suo nuovo capitano delle guardie.
Al giudice (dovette ammetterlo) il capitano Febo non dispiacque: aveva lo sguardo fermo e determinato di chi aveva il carattere giusto per comandare e farsi obbedire senza indugio. Nei suoi occhi scorse anche una buona dose di lealtà verso la persona a cui prestava il suo servizio. Probabilmente, comunque, Febo era così per natura e non gli stava offrendo la sua fiducia perché lui era Frollo, il ministro di giustizia. Il giudice, tuttavia, era convinto che presto sarebbe riuscito a imporsi totalmente sul suo nuovo capitano e che avrebbe in breve tempo ricevuto una lealtà assoluta.
L’unico suo cruccio era che questi suoi progetti sarebbero potuti essere rovinati da una certa ingenuità che permeava ogni gesto e ogni risposta che Febo dava alle sue domande: doveva tenerlo d’occhio e istruirlo come si conveniva per evitare che venisse trascinato da qualche stupida e pericolosa fantasia che poco poteva avere a che fare con la vera giustizia.
Bene, avrebbe iniziato immediatamente: l’ora di recarsi in piazza era ormai giunta e avrebbe portato il capitano con sé.

Lo scranno sopraelevato dove Frollo avrebbe dovuto prendere posto era a pochissimi passi di distanza dal palco dove si sarebbero tenuti gli spettacoli. Anche il fatto che lo avessero sistemato così vicino sembrava una presa in giro e Frollo si sedette con un’aria di profonda irritazione.
Sotto di lui la gente era addobbata con colori sgargianti e fiumi di vino scorrevano tra la folla.
Con un cenno fece capire al suo capitano che voleva avere le guardie ancora più strettamente vicine a sé.
Lo spettacolo cominciò.
Il giudice prestava solo una vaghissima attenzione a ciò che aveva iniziato a succedere sul palco. La musica era iniziata in modo molto allegro e vivace, ma Frollo cercava in ogni modo di lasciar penetrare meno note possibili nella sua testa. Si sentiva sempre più sporco ogni minuto che trascorreva lì, ma l’unica cosa che poteva fare era appunto chiudersi in se stesso e aspettare.
A un tratto però la musica allegra cessò e ne iniziò una che involontariamente attirò l’attenzione di Frollo: era vivace, ma sensuale.
Il giudice cercò faticosamente di ignorarla, ma invano e la situazione peggiorò quando sul palco apparve, avvolta in un inebriante profumo di incenso la creatura più incredibile che Frollo avesse mai visto in vita sua.
Il giudice seguì con gli occhi spalancati le forme ben definite che si intravedevano attraverso il morbido abito rosso. La vista dei tratti di pelle abbronzata che non erano nascosti dai veli scarlatti e dei piedi nudi fecero deglutire Frollo in maniera indecente.
I capelli neri e lucenti erano sparsi in modo ingenuamente provocante sulla schiena castamente coperta e il giudice osservava i riflessi creati dai raggi del sole con le pupille che ormai avevano raggiunto la larghezza di due piattini.
Era una bellezza tutt’altro che divina. Era terrena, avvolgente e seducente.
Ma Frollo non ebbe il tempo di rendersene conto: la donna aveva iniziato a danzare e il lampo smeraldino, proveniente dai suoi occhi audaci, che lo raggiunse lo costrinsero a socchiudere la bocca per lo stupore.
Lei, nel vortice della danza, si avvicinò a lui. Ora Frollo la vedeva chiaramente. Ancora di più. Poteva distinguere le diverse sfumature di colore che la luce donava alla sua chioma. Sempre di più. Ormai poteva individuare tutte le tonalità di verde che componevano le sue iridi. Così vicina. Le labbra di lei erano a un passo dalle sue e il giudice fremette, spinto da un impulso ancestrale.
Era sua.
Ma tutto passò con la velocità di un lampo.
Lei fece un sorriso beffardo davanti agli occhi rapiti del giudice e si allontanò di nuovo verso il centro del palcoscenico e terminò la sua danza.
Frollo aveva l’espressione di chi aveva appena ricevuto un duro colpo.
Ma si riprese in fretta.
Zingara lussuriosa e oscena. Come aveva osato ridurlo in una condizione così indegna e vergognosa? Avrebbe pagato carissima la sua insolenza.
Era colpa sua se si era riscoperto debole. Era colpa sua se aveva peccato, se la sua carne era stata viziata. Per di più l’aveva anche deriso con quel suo potere demoniaco.
Il giudice era furioso. L’avrebbe punita di persona, quando i suoi uomini l’avessero catturata.
La voleva viva, ma non voleva assolutamente mostrarle il motivo vero della sua cattura. Farlo voleva dire scoprirsi e dare in pasto a lei le sue debolezze. No, doveva morire con l’ombra scura del terrore sopra di lei. Niente doveva esserle anche solo di vaga soddisfazione.
“Ecco a voi Esmeralda!”
Il nome le rendeva merito, pensò senza riflettere Frollo, pentendosene amaramente una frazione di secondo dopo. Si portò le mani alla fronte.
Cosa gli aveva fatto quella donna?
Nonostante fosse senza dubbio adirato nei suoi confronti, il ricordo di quelle labbra di fuoco a pochi centimetri dalle sue gli provocava un brivido lungo e profondo e sentiva la gola farsi secca e arida.
Non riusciva a darsi una spiegazione. Il desiderio carnale era per uomini comuni senza troppi scrupoli morali, non certo per lui che era il prediletto del Signore: l’incantesimo che aveva usato su di lui quella zingara doveva essere stato ben potente.
Stava per immergersi nuovamente nel pozzo buio delle sue minacce silenziose quando un frastuono rimbombò nella piazza.
Il giudice sollevò lo sguardo: c’era Quasimodo sul palco ed era appena stato acclamato Re dei folli e per di più gli stava rivolgendo un largo sorriso!
Frollo era fuori di sé: non si sarebbe mai aspettato una così grave disobbedienza dal suo figliastro. Credeva di essere sufficientemente temuto da lui, tanto da non aspettarsi particolari colpi di testa.
Quasimodo sembrava felice, circondato da quella marmaglia adorante.
Frollo, tuttavia, era convinto di conoscere abbastanza bene i parigini per indovinare quale sarebbe stata la prossima mossa.
Il giudice si sistemò meglio sulla sua sedia, per godersi comodamente la scena che era sicuro sarebbe iniziata a breve. Sarebbe stata la giusta medicina per far capire a Quasimodo quale fosse il prezzo della disobbedienza.
Quando vide il primo pomodoro attraversare l’aria seppe di aver avuto ragione.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=763338