L'Angelo dell'Oscurità

di SusanTheGentle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo-Essere padre ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Pensieri docli e amari ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Voglio conoscerti ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: Il Primo dei Mangiamorte ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: Un regalo per Christine ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: Riley ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: Dolce Melodia ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: L'Angelo della Musica ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: Domande senza risposta ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: Grimmauld Place ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: Un rifugio sicuro ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: Le tre Voci ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: Interrogatorio ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: Mio padre ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: Il volto ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: Lo specchio ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16: Sangue puro e sangue sporco ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17: Un padre e una madre ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18: La promessa ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19: L'angelo e il demone ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20: L'inizio del piano ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21: Un'amara sconfitta ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22: Ritorno a casa ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23: Ricongiungimento ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24: I due medaglioni ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25: Vite separate ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26: In fondo al cimitero ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27: Colui che avrà il tuo cuore ***



Capitolo 1
*** Prologo-Essere padre ***


Questa è la mia prima fanfic che viene pubblicata su questo sito. Dovrei doverosamente dire che i personaggi usati sono di prorpietà degli auotri e che non ho nessun diritto su di loro, giuto?
Comunque, spero che possa piacervi o almeno interessarvi. L'ho scritta quando ho letto il sesto libro di Harry Potter, ma è ambientata a cavallo tra il quarto e il quinto.
Il personaggio della protagonista è ispirato alla bellissima e bravissima Emmy Rossum ne "Il Fantasma dell'Opera" film che adoro!
Buona lettura e siate clementi! ^^ By Usagi

 




L’Angelo dell’Oscurità



Prologo:
      Essere padre

 

 
           

 

Quando aprì la porta della sua modesta casa in Spinners End e la vide, non riuscì ancora a capacitarsi di avere una figlia.
L’unica donna che avesse mai amato nella sua vita, la ragazza più bella e elegante che avesse mai visto e conosciuto sedici anni prima gli aveva dato una figlia. Si erano conosciuti quando Severus Piton era un Mangiamorte al servizio di Lord Voldemort quando era nel pieno delle sue forze.
Lui era un giovane sconsiderato, desideroso solo di diventare più potente possibile, cosa che il suo signore gli aveva promesso.
Piton era pronto per la sua prima missione, che l’aveva portato nei paesi del nord Europa, più precisamente in Svezia. Si era dovuto confondere con i babbani, gente che lui odiava con tutto se stesso, benché nella sua famiglia scorresse sangue di quel genere. Ma Severus voleva dimenticare quella parte della sua vita e voleva divenire un mago degno di portare questo appellativo. Aveva appena diciannove anni all’epoca.
E là, in un paesino piccolo e sconosciuto nel quale era stato costretto a nascondersi per via di una grave ferita, conseguenza di un contrattempo nella sua missione, l’aveva conosciuta.
Elisabet Christine Anders, la figlia unica di un contadino, che l’aveva trovato sul ciglio del fiume. L’aveva portato a casa semi incosciente, con grande sconcerto del padre, ma entrambi se erano dati da fare per curare quello sconosciuto come meglio potevano.
Severus era stato in stato di incoscienza per tre giorni e tre notti e quando si era finalmente svegliato, la prima cosa che vide fu un angelo dai capelli biondi. Credeva di aver visto proprio una di quelle meravigliose creature celesti, venute a portarlo in paradiso nonostante fosse un Mangiamorte. Davanti ai suoi occhi, l’angelo si alzò e andò da lui con un sorriso che gli fece battere il cuore più forte di quanto avesse mai provato, e allora seppe che era ancora vivo, perché si sentì bruciare il volto quando lei gli tolse la pezza bagnata dalla fronte ancora calda per la febbre.
La bella fanciulla, Elisabet, viveva sola con il padre nella loro piccola fattoria nella campagna svedese. Erano una famiglia modesta, la madre di Elisabet era morta di malattia quando lei aveva dieci anni, ma suo padre non le aveva fatto mancare mai nulla, allevandola con tutto l’amore possibile.
Severus rimase a casa loro per due mesi, i quali gli servirono per riprendere del tutto l’uso di entrambe le gambe, rimaste lese a causa di un incantesimo molto potente opera degli Auror.
Più di una, volta la ragazza mentì ad alcuni starni uomini venuti a cercare un giovane dai capelli neri, e questo perché lei si era già innamorata di lui. Provava un forte sentimento per quel giovane misterioso di cui sapeva solo il nome, ma che accudiva con tutto l’amore possibile sotto tutti i punti di vista. Capì che lui aveva un segreto inconfessabile, che forse aveva a che fare con lo strano tatuaggio sul suo braccio.
L’estate dei suoi diciannove anni, Severus la passò con lei, passeggiando, ridendo come mai aveva riso in vita sua, confidandosi segreti, problemi e sogni per il futuro…il loro futuro. Lui le rivelò anche il suo di segreto, perché orami non poteva più tenerglielo nascosto e si fidava di lei ciecamente. Elisabet non ebbe starne reazioni quando seppe che il suo Severus era un mago, perché aveva intuito già da tempo che era una persona speciale, del tuto fuori dal comune.
Fu in quel periodo che Piton cominciò ad avere dei tentennamenti riguardo a Voldemort. Come poteva il mondo in cui viveva una creatura così meravigliosa come Elisabet essere così orribile come lui lo descriveva? Non voleva che lei ne avesse a soffrire per lui.
Quando ormai si fu rimesso completamente, l’amore aveva già preso il sopravvento nei loro cuori, e i due ragazzi avevano già vissuto quel sentimento in modo completo.
Lui l’aveva lasciata con la promessa che un giorno sarebbe tornato a prenderla. Lei gli disse che l’avrebbe aspettato e sancirono con un bacio quella promessa…mai mantenuta.
Il villaggio di Elisabet venne bruciato poco tempo dopo dai Mangiamorte. Severus apprese la notizia che la sua missione, non portata a termine da lui a causa delle sue gravi ferite, fu adempiuta da qualcun altro dei suoi compagni. In quel luogo si nascondeva uno dei maghi più potenti d’Europa, che con il suo intervento avrebbe potuto rovesciare l’ascesa di Lord Voldemort, per questo bisognava eliminare il problema alla radice. E così fu.
Se fosse stato lui a uccidere quel mago, forse il villaggio non sarebbe stato bruciato, perché lui avrebbe risparmiato tutta quella gente…avrebbe almeno risparmiato Elisabet e suo padre.
Pensò che lei era stata uccisa per colpa sua, che tutte le cos che toccava prima o poi svanivano. Si sentì svuotato, il suo cuore, quel cuore che aveva scoperto da poco di possedere, si era come spento.
Non seppe mai che Elisabet era ancora viva, con lei il padre e pochi altri abitanti del villaggio, che erano riusciti a fuggire la notte dell’incendio.
La ragazza lo cercò, ma non aveva nessun indizio su di lui. Severus le aveva rivelato qualcosa sulla sua vita, ma senza entrare mai troppo in dettagli, perché era troppo pericolosa e spietata per lei che era così pura e innocente. Ma a Elisabet non importava, e concentrandosi anima e corpo sulla sua ricerca. Si recò in Inghilterra, ma non riuscì mai a incontrarlo. Ormai, lì la prima guerra del mondo magico infuriava e lei era totalmente impotente davanti a ciò, perché non possedeva alcun potere magico. Fu costretta a tornare a casa, in Svezia, poiché ne andava della sua salute. Rischiava di perdere il bambino che portava in grembo.
Per nove mesi fu costretta a letto, sempre con il pensiero costante del suo Severus in pericolo. Doveva dirgli che era padre, che la bambina che nacque sana e forte era il frutto del loro amore di quell’unica notte…Ma non poté mai confessaglielo. Rimase molto cagionevole dopo la nascita della bambina, non poté mai più viaggiare e nessuno, oltre a suo padre, conosceva l’esistenza di quel giovane mago.
La madre e la bimba, dopo la morte del padre della prima, andarono a vivere con una parente, un’anziana zia, e fu a lei che la ragazza, ormai donna di trentatré anni, rivelò tutta la storia prima di morire.
Elisabet Christine Anders morì nel dicembre del 1994, lasciando una figlia di quindici anni e senza mai aver rivisto Severus.
La zia della bambina pensò che la cosa migliore da fare era far vivere la ragazzina con il padre. Ci vollero due anni di ricerche e alla fine riuscirono a trovarlo.
Ed ora era davanti a lui. Christine era lì, sulla soglia della casa di suo padre, con uno sguardo di assoluto smarrimento negli occhi castani, gli stessi della madre. Lo stesso colore l’avevano i lunghi capelli , molto mossi, che teneva sempre sciolti.
Se ne stava lì e osservava quell’uomo sconosciuto al quale era stata affidata, che sapeva essere suo padre, ma che non conosceva per niente. La zia le aveva detto che era giusto che lui la conoscesse. Solo due mesi, luglio e agosto, se poi avesse voluto sarebbe potuta tornare a casa in Svezia.
Piton la osservava, cercando il lei delle somiglianze con lui. Ma più la osservava più vedeva Elisabet. I lineamenti morbidi, lo sguardo dolce, il corpo esile e flessuoso, ma non troppo magro.
Non sapeva cosa fare, cosa dire, era stato avvertito all’improvviso due giorni prima da una lettera firmata Karin Anders. Il nome della zia di Christine, sorella del padre di Elisabet.
Quel nome aveva ridestato in lui tutti i ricordi, tutte le sensazioni e apprendere di avere una figlia era stata la parte che più l’aveva lasciato sconcertato.
Non sapeva come, ma giurò a se stesso di poter fare tutto il possibile per quella ragazza che cominciava ad arrossire per l’imbarazzo. L’avrebbe aiutata a superare il dolore che attanagliava il cuore di entrambi. L’avrebbe accudita, protetta e cresciuta, recuperando,  almeno provandoci, tutti gli anni che avevano perso. Sperò con tutto il cuore che lei non glielo rimproverasse. Certo, non sarebbe stato facile, ma era un padre ed era suo dovere farlo. E poi, le voleva già bene solo a guardarla. Severus Piton si concesse lo sguardo più dolce della sua vita insieme a un sorriso che mai avrebbe rivolto ai suoi studenti. Una nuova vita stava per iniziare. Un nuovo futuro pieno di sorprese si apriva davanti a lui.
“Ciao” la salutò, in modo stentato, con la voce roca.
Lei allora alzò lo sguardo che aveva improvvisamente fissato sui gradini e gli sorrise lievemente a sua volta.
“Ciao, papà”.
  

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Pensieri docli e amari ***


Capitolo 1:
Pensieri dolci e amari

 


“Vieni, entra” disse Severus, prendendo dalle mani della ragazza una delle sue due valigie.
Christine oltrepassò la soglia e si ritrovò in un piccolo salotto.
Una poltrona, un divano a due posti e un tavolo con due sedie di legno facevano da arredamento assieme a due grandi librerie stipate di tomi, la prima sulla sinistra e l’altra di fronte a lei. Accanto ad essa vi era una porta di legno che conduceva in un piccolo corridoio che dava sulla cucina e che accedeva alle scale che portavano al piano superiore.
Severus la condusse al secondo piano per mostrarle la sua stanza. Era piccola, c’era soltanto un letto, a sinistra, accanto alla finestra che dava su un balconcino che guardava sull’argine del fiume. Poi un armadio appoggiato alla parete di desta e una scrivania.
“Non ho avuto molto tempo per organizzarmi” si giustificò l’uomo, che era nervoso benché non lo volesse dare a vedere.
Lei gli rivolse un sorriso incoraggiante. “Va benissimo”
Christine appoggiò a terra la sua borsa e un’altra più piccola che teneva in spalla.
“Hai solo questi tre bagagli?”
“Si” disse semplicemente la ragazza.
“Certo, in fondo ti fermerai qui solo due mesi”. Non era una domanda.
Padre e figlia rimasero un istante a guardarsi, senza sapere cosa dire. Non si conoscevano, di cosa avrebbero potuto parlare?
“Io allora ti lascio sistemare le tue cose” disse Severus tornando verso la porta. “Il bagno è la porta in fondo al corridoio. L’altra è la mia camera. Se hai bisogno di qualcosa chiamami”
Christine annuì. Lui richiuse la porta e ridiscese le scale diretto in salotto.
La ragazza si guardò un momento attorno, poi si sedette sul copriletto a righe bianche e azzurre.
Non sapeva cosa aspettarsi da quella nuova convivenza, ma sapeva che il suo posto, almeno per un certo tempo sarebbe stato lì con lui, con tutto quello che le rimaneva della sua famiglia.
Si inginocchiò accanto alle tre valige e aprì quella più piccola. Estrasse il suo diario, che non era segreto, non aveva bisogno di diari segreti, perché la sua vita non ne aveva. Era una ragazza che non si chiudeva in se stessa, parlava dei suoi problemi con chi le voleva bene, perché sapeva che l’avrebbero ascoltata e consigliata. Quel diario era più una specie di album di ricordi. Lì c’era tutta la sua vita: poesie, che era sua consuetudine scrivere, annotazioni di eventi importanti, fotografie...
Andò a una delle ultime pagine, dove c’era l’ultima foto che la ritraeva insieme alla madre. Il dolore nel cuore si concretizzò in gocce di pianto che cominciarono a sgorgare dai suoi occhi. Strinse il diario al petto, abbassò il capo su di esso, e i lunghi capelli le coprirono il volto.
In quel momento, Piton entrò di nuovo dalla porta. Stava per dire qualcosa ma si bloccò quando vide la ragazza seduta sul pavimento, con il viso rigato di lacrime.
“Perdonami, dovevo bussare. Non sono abituato a farlo”
Lei non disse nulla. Restarono immobili, poi l’uomo si inginocchiò di fronte a lei.
“Vuoi tornare a casa?”
“No. Non piango per questo” disse Christine scuotendo la testa.
Piton le prese dolcemente dalle mani il diario. “Cosa stavi facendo?”
Lei lasciò la presa dal libricino e lasciò che lui guardasse.
Il sorriso di Elisabet lo travolse come una tempesta. Lui non aveva mai avuto una sua foto, la sua amata aveva vissuto per tutti quegli anni nei suoi ricordi. Non era cambiata affatto in sedici anni.
“Era bellissima” disse Piton, riporgendole il diario.
E’ bellissima. Perché lei non ci ha lasciato” mormorò la ragazza asciugandosi le lacrime con il dorso delle mani.
“Le somigli. Moltissimo”
Christine alzò gli occhi scuri su suo padre. Di nuovo Severus sorrideva.
“Posso davvero stare qui? Solo per un pò”
“Puoi stare qui per tutto il tempo che vuoi. Non ho una dimora che si può definire accogliente nel senso comune della parole, ma se qualcosa non ti va puoi cambiarla. Ad esempio, la tua stanza o i mobili, o un’altra cosa qualsiasi, soprattutto la mia arte culinaria, che lascia molto a desiderare, ti avverto”
Christine si concesse una risata sommessa.
“A quello posso pensare io. Aiuto mamma da quando ero piccola e sono piuttosto brava”
“Allora alzati, perché credo che non ci sia molto di commestibile in casa”
“Posso andare a fare la spesa, se vuoi?”
“Si. Credo sia una buona idea. Comunque, fai pure con calma, manca ancora all’ora di cena”
 
Christine sistemò la sua biancheria nel vecchio armadio. Suo padre le aveva detto che potava cambiare quello che voleva, ma lei non avrebbe toccato una singola cosa di quello che lui aveva preparato per lei.
La casa, al contrario di come l’aveva definita lui, alla ragazza sembrava carina. Certo, mancavano la televisione, il telefono, e tutti gli elettrodomestici che avrebbero dovuto essere fondamentali in una casa, specie per una persona che vive da sola. Probabilmente suo padre si arrangiava in qualche modo, magari aiutato da qualche amico o vicino. Ma di vicini non ce n’erano molti, sospettava.
Quando era scesa dal taxi che l’aveva portata lì, con in mano solo un indirizzo scritto su un biglietto, aveva faticato a trovare la via. Era un vicolo più che una strada. C’erano palazzi, abbandonati per lo più, una grande fabbrica in disuso da chissà quanti anni che torreggiava sulle case e un fiume che scorreva a dividere le varie stradine che si diramavano nella più nascosta periferia di Londra.
Era come se quel posto dovesse passare inosservato ai più, per questo credeva che i vicini, anche se fosse andata a bussate alle loro porte, non avrebbero risposto. Perché non ce n’erano.
Era un luogo strano, quasi permeato da un’aura di mistero, ma non le incuteva timore, curiosità semmai.
Sapeva che sarebbe stato un percorso lungo quello tra lei e suo padre. Sedici anni non erano pochi, e lei aveva così tante cose da chiedergli…di lui, di sua madre, del loro incontro, e di come mai non si fossero più rivisti. Anche se lui abitava in un luogo così sperduto, avrebbe potuto ugualmente ritrovala.
Elisabet le aveva parlato spesso di suo padre, ma senza mai entrare in dettagli. Diceva sempre che era un uomo di cui non conosceva niente se non l’essenziale per amarlo anche se dovevano stare separati.
Christine era una bambina, ma aveva sentito dire la madre alla zia che non poteva andare a cercarlo.
Si era chiesta il perché, per tanti anni. Forse suo padre nascondeva un segreto di qualche tipo, le era persino capitato di immaginare che fosse un criminale di chissà quale risma, ma poi vedeva Elisabet piangere, esattamente come aveva fatto lei qualche istante prima, piangere accasciata a terra, solo che lei non aveva foto da stringere e ricordi da guardare e immortalare su un diario. Eppure il suo amore per quell’uomo non era mai vacillato per sedici anni, quindi, non poteva assolutamente essere una persona malvagia.
Chiuse il cassetto della scrivania, dove vi aveva riposto il suo diario e il cofanetto con tutti i suoi pochi tesori, e si avviò alla finestra. Aprì la porta e uscì sul balcone. Si appoggiò alla ringhiera e respirò l’aria umida di Londra. Confronto a dove viveva lei, a Uppsala, a circa 40 km a nord di Stoccolma, quella città le sembrava troppo diversa. Christine abitava nella parte vecchia di Uppsala, in campagna. Là, ogni volta che guardava fuori scorgeva davanti a sé il verde dei boschi, le colline, in contrasto con il freddo e grigio panorama che vedeva ora. Però voleva restare, nonostante la sua terra le mancasse già un poco.
“Mamma, dimmi tu cosa devo fare? Mi sento così perduta”
Nuove lacrime affiorarono nei grandi occhi castani della ragazza. Era solita parlare con sua madre da quando lei era morta, perché aveva l’assoluta certezza che lei non l’avrebbe mai abbandonata. Elisabet sarebbe rimasta al suo fianco, se non fisicamente, almeno dentro al suo cuore. Christine ci credeva, l’aveva sempre creduto, e non era una speranza la sua, era una certezza, profonda e immutabile.
Il vento si alzò e cominciò a cadere qualche goccia di pioggia estiva.
Christine riaprì gli occhi e sorrise al cielo.
Sua madre le diceva sempre che Dio è nella pioggia. E forse Dio le stava mandando un messaggio da parte di sua madre. Il vento le girò attorno, producendo una specie di minuscolo vortice. Partì dalla strada e si alzò fino a d arrivare lassù fino al balcone, facendo volteggiare i suoi lunghi capelli. Sembrava volerle dire: sono qui, non ti arrendere.
La zia le diceva che erano sciocche fantasie, ma la ragazza sapeva che non era così, non se le immaginava quelle cose. Lei chiedeva aiuto e i segni arrivavano sempre.
Si concesse un sorriso più ampio e lasciò che una lacrima scendesse lungo la guancia rosea.
Le ritornarono in mente alcune parole che sua madre le aveva rivolto, quelle pronunciate nei suoi ultimi giorni di vita.
“Non lasciarti sconfiggere dalla solitudine. Sorridi! La tristezza non ti si addice bambina mia, perché il sorriso è la tua migliore qualità. Il dono più prezioso che Dio ti abbia concesso”.
La mamma le parlava spesso di Dio, leggevano insieme le scritture, andavano in chiesa ogni domenica, e anche quando Elisabet non aveva più potuto alzarsi dal letto, Christine vi si recava per tutte e due.
Dio e sua madre, quel giorno, erano con lei.
“Grazie” disse con voce chiara e limpida, non più rotta dal pianto.
Si voltò e tronò in casa facendo una promessa a se stessa: dall’indomani avrebbe cominciato la sua nuova vita pensando solo alle cose belle, come sua madre avrebbe voluto. 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Voglio conoscerti ***


Capitolo 2:
Voglio conoscerti

 
La luce del sole penetrava leggera dalla finestra aperta. La brezza scompigliò una ciocca di capelli di Christine, finendo a solleticarle il viso e questo la svegliò.
Si stropicciò gli occhi, ancora assonnata. La notte prima si era addormentata piangendo, come le succedeva di consueto da diverso tempo.
Si stiracchiò con grazia e scostò le coperte mettendo i piedi giù dal letto. Il suo sguardo cadde subito sul calendario.
Domenica.
La ragazza aprì l’armadio cercando un vestito adatto al giorno di festa, per andare in chiesa, poi uscì dalla sua stanza diretta al bagno.
Chissà se suo padre dormiva ancora? Di solito era molto mattiniero.
La doccia la ristorò e le ridiede il sorriso che nei giorni precedenti si era ripromessa di far riapparire sul suo volto d’angelo.
Indossò un sobrio abito blu scuro, si pettinò i capelli e si recò al piano di sotto. Scese le scale in punta di piedi, perché aveva sempre paura di disturbare in un qualche modo la quiete e le abitudini del padre.
Come aveva previsto era già alzato, sentiva la sua voce profonda provenire dal salotto e si accorse che non era solo. Una voce di uomo, più acuta e tentennante proveniva dall’ingresso.
Christine si avvicinò piano alla porta aperta e sbirciò un momento nella stanza.
Piton era in piedi sulla soglia, con la mano sulla maniglia della porta d’ingresso, come se aspettasse di richiuderla in faccia al visitatore da un momento all’altro. Ma l’ospite sembrava non volersene andare e lui sembrava scocciato.
“Non puoi sbattermi fuori!” disse la voce più alta.
Christine non riusciva a vedere chi fosse il suo proprietario, perché a quanto pareva era molto più basso di suo padre, che lo nascondeva del tutto.
“Ti ho detto di andartene, Codaliscia. Non posso più ospitarti qui, come ho già detto”
“Ero il tuo aiutante, fino a prova contraria!”
“Eri. Esattamente. Al passato. Ora, se non ti dispiace, ho delle cose da fare”
Piton fece per chiudere la porta, ma l’altro era insistente.
“So che trami qualcosa!” si azzardò a dire Codaliscia, tremante, subito pentendosi delle sue parole.
Piton lo fulminò con lo sguardo.
Christine non poté vederlo, perché le dava le spalle, ma spostandosi di pochi centimetri a sinistra, vide più chiaramente la figura che stava parlando con suo padre. Era un ometto basso, quasi calvo, vestito in modo molto strano. Nonostante fosse estate, portava un lungo mantello nero.
Un movimento dello sconosciuto la costrinse a indietreggiare per non essere vista, ma non era sicura di essere riuscita nell’intento, perché Codaliscia allungò il collo verso l’interno della casa, con sguardo sospettoso.
Piton se ne accorse e si voltò allarmato. Nel salotto non c’era nessuno. Per precauzione, uscì di casa e richiuse l’uscio. Poi si rivolse di nuovo all’ometto.
“Tornatene al maniero dei Malfoy, Codaliscia, e fai il tuo dovere invece di andare in giro a zonzo per la città senza uno scopo”
“Io…io ce l’ho uno scopo, e lo sai qual’ è!”
“No, non lo so. Ma so qual è il mio”
“Non lo stai facendo molto bene,  pare. N-non ti sei presentato alla riunione di ieri sera, e il Signore Oscuro ne è molto scontento”
“Davvero? Bè, non mi pare”
“C-che cosa vuoi dire?” chiese Codaliscia nervoso.
“Il Signore Oscuro non dubita della mia lealtà. Ho comunicato a lui e a lui solo ciò che mi ha trattenuto dal venire alla riunione di ieri. Non mancherò alla prossima comunque” disse Piton con la sua solita calma.
Codaliscia non rispose e si dondolò un momento sui piedi, indeciso, ma poi gli occhi di Piton lo costrinsero ad arretrare.
“Molto bene, molto bene…ora…ora devo andare. Ad ogni modo, ricordati che lui ti aspetta oggi stesso”
Piton non disse nulla e rientrò in casa solo quando l’altro girò l’angolo.
Trovò Christine che lo guardava sulla soglia del salotto, con un’espressione un po’ incerto.
“Ben alzata” la salutò Severus, cercando di abbandonare il tono freddo che aveva usato poco fa con Codaliscia.
“Buongiorno. Ehm…io sto…stavo preparando la colazione. Non so se tu l’hai già fatta”
“Si, io ho già mangiato, grazie”. Piton la osservò un attimo. “Stai uscendo?”
Christine si lisciò le pieghe dell’abito. “Si. Sai, è domenica. Vorrei andare in chiesa, se per te va bene”
Piton non rispose subito. Aveva paura a farla uscire. Non lo aveva mai concretizzato come quella mattina.
Nessuno doveva sapere che era lì, specialmente gente come Peter Minus.
La loro convivenza durava solo da pochi giorni, ma di solito era lui che usciva, lei stava in casa a studiare e a fare i compiti delle vacanze della sua scuola babbana.
“Senti, papà…per oggi, poi…” cominciò Christine incerta. Le sembrava ancora strano chiamarlo così. Non credeva nemmeno che avrebbe mai associato quella parola a qualcuno.
“Stai pensando che ti aveva promesso che oggi saremmo usciti insieme, vero?”
Lei arrossì un poco. “Bè…si. Ma solo se ti va”
Piton fece qualche passo nel salotto e la raggiunse. “Purtroppo è spuntato un impegno improvviso”
“Non dirmi che lavori anche oggi? E’ domenica!” protestò debolmente la ragazza, un po’ delusa.
Severus allungò una mano e la posò delicatamente sulla spalla della figlia.
“Fai colazione. Poi ti accompagno in chiesa. Non devo andare subito”
Christine annuì sorridendo lievemente.
“Scusa. Non posso pretendere di rivoluzionare la tua vita da un giorno all’altro”
Si sentivano tutti e due un pò strani per quella vicinanza. Lui ancora con la mano appoggiata sulla spalla di lei. Il primo contatto da quando la ragazza era arrivata a casa sua. Non si erano ancora abbracciati, come sarebbe invece consueto tra padre e figlia, ma non si conoscevano. Entrambi temevano di fare sempre qualcosa di sbagliato, di dire una parola di troppo e offendere l’altro.
Nella lettera che aveva recapitato a Severus, la zia aveva descritto la nipote come una ragazza tranquilla  e obbediente, e forse lo era fin troppo. Non replicava mai, non diceva mai di no, faceva i lavori di casa e studiava con profitto. Era sempre gentile e negli ultimi giorni le era tornato il sorriso. Anche quello, come moltissime altre cose in lei, identico a quello di Elisabet.
 
La chiesa di Saint Mary era una parrocchia di media grandezza, non certo sfarzosa come le bella cattedrale.
La raggiunsero in poco tempo e quando arrivarono sulla breve scalinata, Christine si accorse che Severus rimaneva indietro.
“Tu non entri?” chiese voltandosi.
Piton stava osservando l’alto campanile, e poco più sotto, la statua della Vergine che accoglieva i fedeli. Riabbassò lo sguardo sulla figlia e fece un ceno negativo con il capo.
“Ti aspetto fuori”
“Si, capisco” disse la ragazza, entrando poi insieme agli ultimi parrocchiani.
Piton si si incamminò nel parco poco distante, mentre cominciava a sentire i canti provenire dalla chiesa.
Passeggiò tra gli alberi e i cespugli. Uno scoiattolo si rifugiò sul ramo più alto quando l’uomo in nero gli passò accanto.
Severus non indossava il suo solito mantello da mago, ma un semplice abbigliamento babbano, come doveva sempre fare quando usciva in città. Camicia e pantaloni, ma sempre scuri.
Tra i mille pensieri, primo fra tutti l’incontro con Voldemort nel pomeriggio, pensò anche a quando si era ritrovato davanti alla chiesa. Non era mai stato quello che si definisce un uomo di fede. Forse credeva in qualcosa, ma nemmeno lui sapeva in cosa, a differenza di Christine, che era più che convinta dell’esistenza di uno spirito creatore che vegliava sull’umanità.
Ricordava che quand’era bambino i genitori lo avevano portato a sentire le funzioni, ma non se le ricordava.
Comunque, preferiva non ripensare mai a quella parte della sua vita. La sua infanzia non era stata per nulla felice. Da adulto, d’altra parte, non aveva conservato le tradizioni che avevano cercato di passargli. Forse non si era mai nemmeno interessato.
Però, quella mattina, gli era parso che il suono dell’organo, la struttura stessa dell’edificio e persino gli sguardi della gente, non lo ritenessero adatto ad entrare là dentro. Aveva avuto la netta impressione che non potesse restare.
Era un Mangiamorte. Che si fosse ravveduto poco importava. Lo era stato, e di sua scelta.
Le cose atroci che aveva commesso non si cancellavano semplicemente chiedendo perdono, lo sapeva, per questo aveva accettato di essere la spia di Silente, per redimersi almeno con se stesso.
Silente era stata la prima persona, e fin ora ultima, a parte Christine, che gli avesse mai dato il beneficio del dubbio, che gli avesse parlato con tono gentile, donandogli un sorriso.
Avrebbe dovuto recarsi al più presto anche dal vecchio Preside, perché aveva bisogno del suo aiuto. Gli avrebbe esposto la necessità di nascondere sua figlia. Lei non sapeva e non doveva sapere, almeno per il momento, che cosa succedeva realmente attorno alla vita di suo padre. Quella mattina aveva davvero rischiato.
Rifletté per un momento, guardandosi intorno. Non c’era nessuno, così si smaterializzò.
 
Alla fine della funzione, Christine si fece largo tra la folla e individuò suo padre dall’altra parte della strada, all’entrata del parco. Gli si fece incontro veloce con un bel sorriso sulle labbra.
“Andiamo?” disse lui e lei annuì.
Lo affiancò mentre entravano e percorrevano il sentiero ghiaioso, dove adesso i bambini gridavano e giocavano.
Severus li osservò e poi parlò rompendo il silenzio.
“Avrei voluto vederti così piccola”
Christine alzò gli occhi su di lui, presa alla sprovvista da quella affermazione.
“Non sono ancora poi tanto grande. Ho solo sedici anni” disse lei con un sorrisetto.
Piton la guardò a sua volta. “Non so nemmeno quando sei nata!” le disse, allibito nel rendersene conto.
“Il dodici maggio”
“Quindi, mi sono perso un altro compleanno…”
Christine si fermò un passo dietro di lui. Severus si voltò quando si accorse di ciò.
Lei lo fissava coi begli occhi scuri, grandi e luminosi.
“Non è colpa tua! Non devi pensare che sei stato un cattivo padre o…”
Piton scosse il capo amaramente. “No, io non sono stato un padre e basta” scandì con foga quella frase.
“Non è vero…non perché tu lo volessi”
“Christine, io non c’ero quando sei nata. Non c’ero quando hai detto la prima parola, quando hai iniziato a camminare, al tuo primo giorno di scuola…non c’ero, e avrei dovuto”.
Piton era in preda a un sentimento del tutto nuovo, provato in precedenza solo rare volte: il senso di colpa.
La ragazza sentì una morsa stringerle il petto.
“La mamma mi parlava spesso di te. Mi raccontava del vostro incontro. Se non c’eri è perché te ne sei dovuto andare, ma non certo perché volevi abbandonarci”
Lei gli si avvicinò e gli appoggiò una mano sull’avambraccio sinistro.
Inconsciamente, Severus provò una scarica di terrore. La ragazza poggiava le dita nel punto esatto dov’era situato il tatuaggio del Marchio Nero.
Lui si premurava di portare sempre le maniche lunghe, nonostante la temperatura elevata, per non mostrarlo.
Christine si accorse di qualcosa, perché suo padre si era irrigidito all’improvviso, e lo interpretò come un senso di fastidio nei confronti di quell’imprevisto gesto da parte sua. Forse lui non era così pronto ad aprirsi come lo era lei.
Spostò immediatamente la mano, stringendo la gonna con entrambe, abbassando lo sguardo.
“Ascolta…potresti…raccontarmi qualcosa di te? Così non potrai più dire di non essere un padre” disse titubante, poi rialzò gli occhi e sorrise apertamente.
“Ti va un gelato?”
“Un…?” chiese Piton stupito.
“Dopo essere uscite dalla messa, io e mamma ne prendevamo sempre uno insieme in estate” spiegò lei.
Si sedettero su una panchina, sotto un albero in fiore che rinfrescava l’aria con la sua enorme ombra.
“Sicuro di non volerne?”
Piton scosse la testa. “No, grazie”.
Il mago guardava il profilo della figlia gustarsi il dolce. Tutto ciò era tremendamente babbano, ma non gli dispiaceva.
“Anche tu e la mamma vi siete conosciuti in estate, vero?” proruppe la ragazza, cominciando a sciogliere i nervi così come il suo gelato faceva al sole.
“Si. Lei…mi salvò la vita, e in tutti i sensi”
I ricordi dell’uomo corsero al passato, accavallandosi.
La mente della ragazza era invasa, invece, di domande che avrebbe voluto porre senza fermarsi, ma cercò di trattenersi per non essere troppo invadente.  C’era tempo.
“Se parlo di lei ti da fastidio? Non voglio risvegliare brutti ricordi”
Severus le sorrise lievemente. “Non ho brutti ricordi con tua madre, solo memorie felici, per cui non preoccuparti”
“Sono contenta, perché la mamma diceva che quei due mesi sono stati i più belli della sua vita prima che nascessi io”
Piton si oscurò in volto e guardò lontano.
“Che cosa ti ha detto di me?”
“Bè, non so…tante cose. Che sei sempre stato tanto dolce e gentile con lei, sempre. Che volevi tornare a prenderla, ma che purtroppo non hai potuto, anche se lei non mi ha mai detto la ragione. Comunque, pensava sempre a te, e mi ha insegnato a volerti bene perché era sicura che un giorno saresti tornato a vivere con noi”
“Ma io non sono tornato” disse Piton con voce afona.
Christine finì il suo gelato e sbriciolò l’ultimo pezzo del cono per donarlo a un paio di insistenti piccioni che camminavano nei pressi della loro postazione, guardandola con gli occhietti neri.
“La ami ancora?” chiese Christine, inginocchiandosi accanto alle bestiole e porgendo in avanti la mano. Subito i due cominciarono a becchettare, da prima incerti, poi rassicurati dalla clama della loro nuova amica.
Evitava di guardare suo padre, credendo di aver detto qualcosa che potesse far scaturire ricordi dolorosi.
“Si” disse Piton in quello che fu quasi un sussurro, perché pensare a Elisabet faceva male. “Si, l’amo ancora come il primo giorno”
Il silenzio calò di nuovo tra di loro, purtroppo non riuscivano ancora a comunicare con elasticità.
“Senti…io non voglio che tu ti debba sforzare per essere il padre perfetto. A me va bene così come sei. Io ti sono piombata in casa da un giorno all’altro e non è stato facile ne per te  ne per me”
“Ha ragione. Ti confesso che quando ho saputo della tua esistenza sono rimasto quasi scioccato” disse l’uomo concedendosi un sorriso divertito.
Christine rise. “Si, lo immagino! Anch’io sarei rimasta scossa da una notizia simile”
I due uccelli finirono il loro spuntino e Christine ritrasse la mano, appoggiandole entrambe alle ginocchia che aveva portato al mento, continuando a guardarli rannicchiandosi sull’erba.
Severus vedeva la schiena della figlia e i lunghi capelli mossi ondeggiare al vento.
“Voglio essere un buon padre per te, Christine. Vorrei poterti donare tutto quello che non ti ho dato per tutta una vita. Se avessi avuto al mio fianco te e tua madre da subito, probabilmente, non sarei diventato la persona che sono ora”
“Che vuoi dire?” chiese la ragazza perplessa, voltandosi, ma sempre rimanendo nella stessa posizione.
Piton cercò di correggersi. Aveva parlato senza accorgersi di quello che diceva. Il problema era che lei lo faceva sentire vulnerabile, riuscendo a farlo uscire dal suo guscio di pietra nel quale si era protetto per tanti anni. Ma la sua dolcezza era tale che non riusciva ad esserne indifferente. Era proprio come con Elisabet, che aveva fatto cadere tutti i muri.
“No, niente. Solo che, forse, sarei stato meno…”
“Solo?” chiese lei esitando.
Si, lui era solo. Lo era sempre stato. Avrebbe potuto non esserlo, avere una famiglia, ma non era andata così.
“Mi dispiace” esclamò la ragazza alzandosi.
“A te dispiace?” disse Severus incredulo. “Tu non hai nulla di cui dispiacerti”
“Si, perché non è bello essere soli. Nessuno dovrebbe mai stare solo. I legami, di qualsiasi natura siano, sono importanti nella vita”
“I legami dici?”
Christine annuì con convinzione. “Me ne sono accorta appena entrata in casa tua. Ho come avuto la sensazione che ci fosse qualcosa. Vivi lì, senza televisore, senza telefono, senza contatti col mondo, come se tu voglia stare isolato. Tutto ciò alla fine rende soli”
“E cosa te lo fa pensare?” disse Severus, sfoderando per abitudine il suo sguardo penetrante e indagatore.
“Io…” balbettò la ragazza mortificata. “Scusa, lo so che non ho diritto di giudicarti, non so niente di te e non posso permettermi di tirare conclusioni. Scusa, davvero. Forse è meglio che non ti chieda più nulla”
Christine si rivoltò, riaccucciandosi sul prato, sentendo le lacrime cominciare ad affiorare.
“Però mi piacerebbe che ti aprissi un po’ di più con me, che fossi più naturale. Voglio conoscerti”
Severus aggrottò le sopracciglia. “Ti sembra che io non sia naturale con te?”
“Bè…per dire la verità, si. Magari…non so, prova a comportarti come facevi con mamma. Forse ti verrà più facile”
Il vento si alzò lieve, muovendo le foglie del grande albero.
“Anch’io vorrei conoscerti meglio” ammise Piton, cercando di schiudere il suo cuore che aveva allenato a corazzarsi da qualsiasi tipo di emozione.
“Vorrei sapere tutto quello che hai fatto, com’è la tua vita ora, se hai degli amici”
Christine lo guardò, sicura che i suoi occhi ora non fossero più lucidi. Inclinò la testa da un lato facendo un sorriso sbieco.
“Mmm…una sola. Non sono una persona tanto espansiva. Mamma diceva che in questo assomiglio a te”
“A me sembra invece che tu somigli a lei anche nei modi di fare”
La ragazza alò le spalle. “Non so, però mamma sosteneva che a volte ero troppo chiusa e poi diceva che tu non avessi un bel carattere”
“Ah, diceva così?”
Padre e figlia risero insieme e si sentirono entrambi il cuore leggero.
“E dimmi, ti manca la tua  amica?” chiese l’uomo, riacquistando lo sguardo che sempre rivolgeva alla figlia, molto più dolce e meno freddo e serio.
“Un po’, ma ha promesso di chiamarmi spesso. Ho già ricevuto un sacco di suoi messaggi sul cellulare, infatti!” esclamò Christine felice.
A Piton piaceva vederla così, come era Elisabet, entusiasta anche delle piccole cose. Si alzò dalla panchina e le sorrise a sua volta.
“E’ ora di andare”
“Oh, di già?” disse lei, un po’ delusa.
“Temo di si”
Piton le porse una mano e l’aiutò ad alzarsi. Non che ne avesse bisogno, ma era un gesto d’affetto che a entrambe piacque molto. Li fece sentire in un qualche modo più vicini di prima, complici le piccole confidenze di quella mattina.
“Posso farti una domanda io, adesso?” chiese Severus sulla via del ritorno.
“Certo!”
“Stamattina, quando ho rifiutato di entrare in chiesa, hai detto ‘capisco’…Che cosa volevi dire?”
“Bè, ho pensato che ce l’avessi con Dio” rispose Christine con una nota di amarezza.
“No, non sono arrabbiato con lui. E’ che…penso di non essere gradito”
Christine spalancò i grandi occhi scuri. “In chiesa? Non dire sciocchezze, papà! In chiesa si è sempre graditi”
Si fermarono vicino all’argine del fiume a pochi passi da casa.
“E’ così?” chiese la ragazza dopo alcuni minuti di silenzio. “Sei in collera con Lui? Perché se lo sei non ne hai motivo. La mamma è morta perché si è ammalata dopo avermi dato alla luce. Nessuno l’ha scelto, è successo e basta”
Severus la osservò. “Tu confidi nel destino, Christine?”
Lei ci pensò un attimo. “ Bè, dipende. Non credo al destino scritto, quello già deciso, come molti affermino che sia. Non penso che tutto quello che facciamo, ogni singola azione, sia stata già stabilita. Ma forse, alcune cose importanti che devono ancora accadere, vengono in qualche modo indirizzate sulla via giusta da qualcuno”
Severus le posò le mani sulle spalle continuando a sorriderle.
“Sei una ragazza molto matura per la tua età, lo sai?”
“Anche mamma me lo diceva sempre. Credeva che fossi addirittura più adulta io di lei!” rise la ragazza.
“Oh, a proposto: non hai risposto alla mia domanda”
“Un’altra volta. Adesso andiamo”
Suo padre l’accompagnò fino alla porta di casa e si assicurò che la richiudesse per bene mentre stava sola.
“Ti spiace se non pranziamo insieme? Prometto che mi rifarò”
“Ma si, non preoccuparti. Dovremmo anche rifare più spesso passeggiate come quella di oggi. E parlare ancora di tante cose”
“Vedremo di organizzarci” disse il mago, poi la guardò serio. “Non aprire a nessuno, capito? Non è una zona sicura questa. Non si può mai sapere che gente c’è in giro”
“Lo farò. Mi metterò comoda sul divano con i miei compiti”
“Brava. Tornerò il prima possibile”
Lei lo salutò dalla soglia e poi entrò in casa.
Piton non si allontanò dalla porta finchè non ebbe sentito il rumore delle chiavi che davano le due mandate previste e il chiavistello chiudersi. Dopo di che, estrasse la bacchetta e tracciò in aria un segno veloce e una strana nebbiolina vorticante andò a ricoprire l’intera abitazione, proteggendola come un involucro trasparente.
Christine non avrebbe potuto aprire neanche volendo, poiché quell’incantesimo era usato principalmente per intrappolare un nemico in un luogo preciso e precludergli ogni via di fuga.
Sapeva che non era il metodo più giusto, perché era come se l’avesse intrappolata, ma era quello più sicuro al momento.
La mattina, mentre la figlia era in chiesa, si era smaterializzato a Hogwarts, con l’urgenza di parlare a Silente. L’argomento era stato ovviamente Christine e l’assoluto bisogno di preservare la sua sicurezza.
Silente aveva ascoltato con attenzione tutta la storia e aveva offerto il suo aiuto senza indugiare. Aveva spiegato a Severus ciò che doveva fare, quello che avrebbe rischiato anche, ma al professore di Pozioni non importava, faceva già un lavoro abbastanza pericoloso per l’Ordine e un rischio in più o in meno non faceva la differenza, tantomeno se si trattava di correre dei rischi per la propria figlia.
C’era un punto però, ed era quello che lo turbava di più: se Voldemort avesse scoperto che lui era una spia si sarebbe limitato a torturarlo e ucciderlo, e lui a questo era pronto, perché era il pericolo che correva ogni volta che passava le informazioni dei maghi oscuri alla fazione nemica. Ma se si fosse saputo che Severus Piton aveva una figlia, anche senza che il suo doppio gioco venisse alla luce e Voldemort avesse continuato a crederlo il più fedele dei suoi seguaci, lei ci sarebbe andata di mezzo. Lui avrebbe voluto che la ragazza fosse portata al suo cospetto, così com’era toccato a molti altri figli di Mangiamorte, ed un giorno l’avrebbe voluta tra le sue file.
Ma se questa versione era atroce, la seconda lo era mille volte di più.
Severus si immaginava già di poter essere smascherato, che qualcuno venisse a conoscenza dell’esistenza di sua figlia, babbana per parte di madre per giunta, in più senza alcun potere magico, cosa le avrebbero fatto? Lui avrebbe subito senza dubbio la stesa sorte della prima ipotesi, ma lei?
Non voleva pensare a cosa lei sarebbe potuta andare incontro. Questo era anche il motivo che l’aveva spinto a non cercare più Elisabet. Per proteggerla, lei come ora la loro unica figlia.
Christine. La sua bella e dolce bambina.
Piton si allontanò incamminandosi a passo svelto diretto al suo appuntamento con Lord Voldemort e gli altri Mangiamorte. Svuotò la mente da ogni pensiero che avrebbe potuto tradirlo davanti alla legilimanzia che Voldemort usava costantemente e senza preavviso su ognuno di loro.
Silente gli aveva insegnato bene come fare, e anche se questo pensieri erano più intensi di tutti quelli che aveva mai avuto prima, ci riuscì.
Appena svoltò l’angolo fece apparire il suo lungo mantello e vi si avvolse, dando un colpo di bacchetta ai suoi abiti babbani sostituendoli con quelli a mago. Dopodiché si smaterializzò
.
 
 
 
 
 
  
 
  
Spero di essere riuscita bene anche con questo capitolo, al quale non sono state apportate modifiche.
Come ho già detto, questa ff è di qualche anno fa, ma credo che la posterò quasi immutata (bè, qualche correzioncina la dovrò fare).
Noterete che nomino spesso Dio, è che sono molto credente  e per me è normale introdurre l’argomento nelle mie storie, perché nella mia vita è sempre presente.
Ringrazio di cuore tutti coloro che la leggono, sperando che continui a piacervi.
Non pensavo che potesse toccare così tanto il cuore al punto di commuovere, ma mia ha fatto piacere saperlo, davvero, perché questa storna è molto importante per me.
Grazie per i complimenti, io cerco di fare del mio meglio (per questo la devo correggere, e a volte ci vorrà più tempo e se posterò in ritardo, scusate!!!)
In ultimo, voglio dedicare questa storia a mio padre.
Ti voglio bene papà, tanto, tanto, tanto.
Un bacio, By Usagi ^^

    
  

  

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: Il Primo dei Mangiamorte ***


Capitolo 3:
Il Primo dei Mangiamorte
 

 
Apparve sulla soglia della bella, antica villa dei Riddle. Alzò lo sguardo sul portone principale e quello si aprì da solo per accoglierlo nell’atrio poco illuminato, nonostante fosse pieno giorno.
Nessun mangiamorte nei paraggi, probabilmente Voldemort voleva vederlo da solo.
Si diresse a sinistra, verso il salone principale, la cui porta era aperta, e immediatamente la voce fredda del suo signore lo invitò ad entrare.
“Avvicinati, Severus”
Piton si accostò subito alla poltrona dove era seduto lo stregone e fece un inchino profondo.
“Mio signore. Sono giunto come mi avete ordinato”
Si raddrizzò un poco, giusto per guardare l’uomo di fronte a lui…anche se dell’uomo gli rimaneva ben poco.
Il volto di teschio, più bianco della neve, al posto del naso due fessure strette da rettile, gli occhi infossati che brillavano sinistramente, le cui pupille erano sottili e verticali. La faccia di un demone.
Le iridi rosso sangue lo fissavano, pareva, senza emozione alcuna. Piton sapeva che egli stava cercando di sondare innanzitutto i suoi pensieri, per capire se ci fosse qualcosa di nascosto in essi.
“Siedi accanto a me, Severus” disse piano Voldemort, molto seriamente.
Mosse lievemente la bacchetta, che estrasse dal lungo mantello, e fece apparire una poltrona davanti a sé, dove Piton si accomodò subito.
“A cosa devo l’onore di questo gesto?” chiese rispettosamente.
Voldemort storse in quello che voleva essere un sorriso la sua bocca bianca, priva di labbra, sul viso di teschio.
“Devo parlarti di qualcosa di molto urgente. Qualcosa che riguarda il mio ritorno al potere”
“Se permettete, mio signore” lo interruppe Piton, “non c’è nessuno con voi, qui?”
Voldemort fece un ampio gesto col la mano prima di parlare. “No, come vedi ci siamo solo io e te. Ho chiesto espressamente che non vi fosse alcun disturbatore, perché dobbiamo discutere di cose che non devono subire interruzioni. E inoltre, questo silenzio mi aiuta a pensare, e devo farlo molto in questi ultimi tempi”
Piton conosceva bene il mago, e sapeva che voleva che con quelle parole voleva destare la sua curiosità. Stette al gioco, così come Silente aveva sempre detto. Assecondare il più possibile il suo volere, così che il nemico potesse tornare a fidarsi di lui come all’inizio.
“E cosa turba i pensieri del mio padrone?” chiese infine.
 Voldemort tacque qualche istante ancora, guardando fuori dal grande finestrone aperto che dava vista sul parco di casa Riddle. I suoi pensieri vagavano al grande cimitero che da quel lato della villa non si vedeva, poiché posto sul lato posteriore, dove era avvenuto lo scontro con Harry Potter. Il suo sguardo di sangue si rabbuiò.
“Mi sono rigenerato da poco più di un mese, grazie soprattutto al sangue di Potter, ma mi serve ancora del potere, Severus, e sto praticamente passando insonni tutte le notti, invece di riposare e riprendermi, per rimembrare tutta la magia di cui ho bisogno”
“Se io posso fare qualcosa per voi, mio signore, lo farò”
Voldemort smorzò il suo ghigno intrappolando i neri occhi del suo servitore con il suo sguardo di serpente.
“E’ il minimo che tu possa fare. Tu mi hai rinnegato, Severus. Dopo la mia scomparsa, tu e molti altri, ma soprattutto tu, che eri uno dei miei seguaci più promettenti, mi avete abbandonato. Avete preferito seguire Silente, ma per questo siete già stati puniti a dovere”
Piton rimase in silenzio, sostenendo lo sguardo dell’altro.
 Ricordò con orrore le ore passate a subire ininterrottamente la maledizione Cruciatus e molte altre punizioni che Voldemort aveva inflitto a coloro che erano stati ‘disubbidienti’.
Il mago dal volto di teschio strinse gli occhi due fessure, vedendo senza difficoltà nella mente dell’altro.
“Te lo ricordi?”
Piton abbassò la testa. “Si, mio signore”
“Molto bene. Ma adesso lasciamo al passato ciò che è passato, perché ho bisogno che vicino a me ci siano gli amici di un tempo, coloro a cui avrei affidato la mia stessa vita”
Voldemort si alzò dalla sua sedia e si mise davanti al suo servo.
“Imploro ancora il vostro perdono”
Lo stregone voltò le spalle all’uomo camminando per la stanza. “E’ un tuo dovere farlo, ma come ti ho già detto, adesso dobbiamo dedicarci al futuro e al grande piano che mi permetterà una volta per tutte di ottenere ciò che più di ogni altra cosa desidero al mondo”
Negli occhi di Voldemort si accese una luce di pura eccitazione.
“Un compito è stato assegnato ad alcuni dei miei più fidati mangiamorte, ieri…tranne a uno. Tu. Poiché mancavi alla nostra riunione, che era così importante”
Piton abbassò di nuovo il capo. “Lo so, e me ne rammarico, ma come vi ho già spiegato, Silente mi ha trattenuto all’Ordine della Fenice perché anche lui, come voi, si sta preparando a qualcosa”
Voldemort annuì. “Lo so, lo so…Ma Silente e i suoi hanno lo svantaggio che il Ministero della Magia non vuole affatto credere al ritorno del Signore Oscuro, e da ciò ne traiamo beneficio noi. Ad ogni modo…Ora hai tutto il tempo di redimerti e di dimostrare al tuo padrone tutto il tuo valore”
Se non lo avesse conosciuto così bene, a Piton parve quasi di vedere passare un’ombra di malinconia nello sguardo del lago oscuro.
“Mi ricordo com’eri. Me lo ricordo bene. Giovane e volenteroso, di combattere, di imparare, per poter diventare il migliore. Eri il mio pupillo, senza dubbio”. Lo sguardo di Voldemort tornò freddo e distaccato.
 “E’ ancora così? Guardami negli occhi, Severus!” ordinò.
Piton alzò lo sguardo e fece un grande sforzo per allontanare il pensiero che si stava insinuando in lui.
Il vento si alzò ed entrò nella grande sala, scompigliando le tende pesanti appese alle finestre.
“Si, mio signore” disse deciso, scacciando il viso di Christine e di Elisabet dalla sua mente.
Era un grande Legilimens, così come lo era Voldemort, ma oltre a saper leggere i ricordi altrui, sapeva anche nasconderli e celarli nella parte più oscura di se stesso. Era quello che si era allenato a fare per tutti quegli anni. Silente gli aveva insegnato, come Voldemort prima di lui.
Ancora con gli occhi rossi che incatenavano quelli neri di Piton, il Signore Oscuro si convinse delle parole dell’altro.
“Sto per darti un compito che tutti vorrebbero. Spero che ne sarai all’altezza”
Lo stregone alzò la bacchetta e la puntò verso l’uomo seduto davanti a lui. “Alzati, Severus. Poiché ora verrai investito del nome di Primo tra i Mangiamorte”
Piton si alzò, attonito a quella affermazione, ma senza darlo a vedere.
“Sono onorato, mio signore. Molto onorato” disse, prostrandosi ai piedi di Lord Voldemort.
Quest’ultimo passò la bacchetta magica su ciascuna della spalle del suo servitore, e poi lo fece alzare.
“Come tale, ora tu hai il permesso di stare in piedi di fronte a me senza chinare il capo, anche se, ovviamente, non ti sono concesse repliche riguardo ai miei ordini, anche se ti è concesso di intervenire sulle mie decisioni, poiché sarai anche il mio più stretto confidente. Il Primo dei Mangiamorte gode della mia piena fiducia. Per questo, tu prenderai il comando della squadra di fidati che ho scelto. D’ora in avanti, sarà tua priorità guidare quel gruppo a compimento di ciò che sto per dirti”
Severus Piton fece un inchino. “Farò tutto ciò che mi ordinerete”
Sapeva cosa significava accettare quell’investitura. Quando era un giovane mago, prima di tornare tra le file del Bene, l’aveva sognata con tutto se stesso. Il Primo dei Mangiamorte veniva istruito da Voldemort in persona. Erano magie potentissime quelle a cui si poteva accedere, potenti e misteriose sopra ogni altra. Tutti i tabù del mondo magico, tutte le restrizioni erano nulla per colui che era il migliore, il più potente tra le file dei sostenitori del Male. Sempre al fianco del proprio capo, sempre consultato e avvertito di qualsiasi cosa prima di chiunque altro, sempre nelle prime file nei combattimenti e nelle missioni. Voldemort gli aveva già dimostrato in precedenza che lui era il più indicato per quel titolo, quando lo aveva mandato alla ricerca di quel mago in Svezia, dove poi Piton aveva incontrato Elisabet, e lei lo aveva risvegliato dalla sua accecante sete di potere.
Ma bisognava meritarsi quel titolo, e Piton non capiva perché proprio ora Voldemort glielo dava. O forse lo capiva. Lo faceva perché non sapeva ancora se fidarsi appieno di lui e del suo giuramento di fedeltà. Voleva vedere coi suoi occhi quanto Severus era disposto a esporsi per lui e a obbedire ai suoi ordini.
Il Signore Oscuro invitò di nuovo Piton a sedersi. Erano di nuovo uno di fronte all’altro.
“Ho bisogno di più forze per fronteggiare l’esercito di maghi e Auror che Silente sta radunando in ogni dove”
“Avete molti seguaci tra le vostre file”
“Lo so, ma non abbastanza. Devo radunare i Giganti, i Vampiri, e tutte le creature dell’oscurità presenti nel nostro mondo. Ho scelto anche di risvegliare gli Inferi”
“E’ un’ottima scelta, mio signore”
Voldemort fece una risatina sprazzante. “Già, ma non basta. Queste creature mi sostengono nella mia ascesa al potere, ma non mi danno ciò che più desidero. Non possono trovarla, perché non è una cosa materiale”
“Di cosa parlate?”
Gli occhi di Voldemort si spalancarono di emozione. “Sto parlando dell’Eterna Giovinezza!”
Piton sussultò impercettibilmente, ma lo stregone se ne accorse e sorrise ancora quel suo orribile ghigno.
 “Signore, una volta mi avete parlato di alcuni oggetti in vostro possesso che vi impediscono di morire, per quante volte vi si possa sconfiggere” intervenne Piton, con il cuore in petto che si agitava furioso. Silente doveva assolutamente venire informato al più presto di quella conversazione.
“Tu parli degli Horcrux, che mi custodiscono l’anima. Ma non è quello che cerco”
“E allora, cosa intendete fare?”
 “Hogwarts” proruppe Voldemort con decisione. “Non appena vi tornerai nelle solite vesti di insegnante, laggiù ti aspetterà la parte cruciale del mio piano, che ora ti spiegherò”
Piton restò fermo e immobile sulla poltrona scura, ascoltando attentamente il suo padrone senza mai interromperlo.
“Per quasi un anno ho cercato nei meandri della mia mente, provando a ricordare quale strano incantesimo avevo appreso a mio tempo. Ho pensato e ripensato, ma ripercorrere studi e apprendimenti di ogni singola magia di quasi una vita intera è un compito faticoso anche per me” fece una risatina, poi riprese.
“Credevo di aver trovato la soluzione nel sangue di Harry Potter, e ci sono andato vicino con il rito che ho fatto, ma mi ha ridato solo questo corpo. Io voglio molto di più che restare in vita per sempre. E il sangue, è la strada giusta. Il ritorno di Lord Voldemort sarà qualcosa di grandioso!”
 
Albus Silente sedeva alla sua scrivania, nello studio di preside. Per lui le vacanze erano un lusso che non si poteva permettere, specialmente dopo gli avvenimenti delle settimane precedenti. Lord Voldemort era tornato, Cedric Diggory morto assassinato, Harry senza più la protezione di sua madre a proteggerlo, la ricerca degli Horcrux, la scuola che era vittima di calunnie e lettere dei genitori e del Ministero che arrivavano in continuazione per sapere questo o quest’altro.
Il vecchio mago si passò una mano sul volto, scostando gli occhiali dal naso e massaggiandosi gli occhi chiusi, che riaprì un attimo dopo al suono delle ali della sua Fenice.
Fanny si era agitata sul trespolo all’improvvisa apparizione di una cerva d’argento.
Silente guardò la figura evanescente attraversare lo studio e dirigersi verso di lui. La bella creatura parlò con voce profonda.
“Infine l’ha trovato. Ha trovato il rito per l’Eterna Giovinezza. Verrò da te appena possibile”
La cerva scomparve piano davanti agli occhi di Silente, che rimasero fissi in quel punto.
“Ah,Tom…potresti essere ancora in tempo se volessi, ma quando attuerai il tuo piano, allora sarà la dannazione eterna”
Il mago scosse il capo sconsolato.
Aveva bisogno ancora una volta del pensatoio, perché le cose a cui pensare erano troppe.
Bussarono allo studio, ed egli con voce un po’ stanca disse “Avanti”
La professoressa McGranitt si fermò sulla soglia, guardandolo preoccupata.
“Albus, quando vuoi partire, io sono pronta”
Silente sorrise benevolo. “Grazie, ma non c’è ragione che tu venga con me”
“A cosa servono i colleghi?”
“Io e te siamo molto più che colleghi, Minerva” sorrise lui.
La McGranitt sospirò. “Proprio per questo intendo venire. La nostra amicizia dura da più di trent’anni, non posso abbandonarti ora che hai più bisogno di me”
Silente annuì. “E sia. Ma solo per stavolta. La ricerca degli Horcrux è cosa assai pericolosa”
“Lo so bene. Come so capire quando mi nascondi qualcosa”.
La donna lo osservò critica e lui le si avvicinò prendendo il lungo mantello da viaggio. Se lo mise sulle spalle e poi parlò.
“Un messaggio di Severus”
“Porta notizie nuove?”
Silente annuì grave. “Quello che più di terribile sembra già accaduto, è in realtà appena cominciato. Speravo davvero che non ricordasse, ma invece…”
La McGranitt si coprì la bocca con una mano, soffocando un urlo.
“Dimmi che non è quello che penso!” esclamò terrorizzata.
Silente non rispose e ciò era una muta affermazione.
“Il Rito! Mio Dio…E sarà Harry, vero? Sarà lui il designato”
“No, Minerva. Non sarà solo Harry, stavolta. Questa è la sua vendetta contro tutti i maghi”
“Ma allora…i nostri ragazzi sono tutti in pericolo!”
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti!
In questo capitolo Christine non si vede, ma mi serviva accantonarla un momento per dare un calcio d’inizio alla storia cominciando a scrivere qualche indizio importante per sapere cosa succederà. Non sono una che la tira tanto per le lunghe, l’avventura presto entrerà nel vivo, e non solo quella.
Ringrazio tutti quelli che mi seguono e spero che anche questo capitolo vi piaccia. A presto!
By Usagi^^
  

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: Un regalo per Christine ***


Capitolo 4:
Un regalo per Christine

 
Era insolito che la voce di suo padre si incrinasse per l’impazienza.
“Non ti sei ancora alzata? Farai tardi alla funzione!”
“Arrivo! Arrivo!”
Christine balzò giù dalla scale, splendida nel suo abito color crema con ricami floreali sulla gonna.
Piton la osservò con un tuffo al cuore. Era un fiore in primavera.
“Scusa, papà, ma ci ho messo un po’ a decidere cosa mettermi” disse la ragazza sorridendo timidamente. “Ti piace?” chiese, facendo un giro su se stessa. “Era della mamma”
Severus, che fino a quel momento aveva avuto un’espressione corrucciata, rilassò i muscoli del volto.
“Ecco perché mi sembrava di averlo già visto”
“Era uno dei suoi preferiti”
Padre e figlia si sorridevano. Erano dieci giorni esatti che si erano incontrati. Christine, quel giorno, lo voleva tutto per sé, e gli aveva fatto promettere di non lasciarla con un palmo di naso, abbozzando qualche scusa come straordinari del lavoro o altri impegni improvvisi, come al solito.
Camminavano fianco a fianco, diretti verso la Cattedrale di Londra. Christine aveva desiderio di vederla e quale occasione migliore della domenica? Piton l’aveva accontentata, seguendo anche l’istinto che gli diceva di comportarsi con lei nel modo più naturale possibile, per non farla insospettire troppo sui suoi cambiamenti di umore degli ultimi giorni, cosa che la ragazza aveva già notato.
Proprio la sera prima avevano avuto una discussione, che col senno di poi, era stata davvero stupidissima. Christine aveva rotto un piatto nel sparecchiare la tavola e lui era andato su tutte le furie per qualche coccio in giro per la cucina. Ma il fatto era che il nervosismo si era impadronito di lui. Era preoccupato, sempre all’erta. Ogni giorno rinnovava l’incantesimo protettivo che aveva apposto attorno alla casa, ma non senza l’angoscia costante che qualche altro Mangiamorte potesse essere lì a spiare ogni suo movimento, magari nascosto nell’ombra del vicolo accanto. Era vero che Voldemort lo aveva investito del tiolo più nobile tra i maghi oscuri, e che gli aveva dimostrato che si fidava ciecamente di lui, ma Severus non poteva farci nulla. Stare all’erta era una necessità, per quanto, infine, poteva rivelarsi stressante.
Christine, invece, aveva tutt’altri pensieri. Camminava da braccetto a suo padre, al quale stava imparando a voler bene ogni giorno di più. Lui era dolce con lei, l’assecondava in tutto, le sembrava fin troppo protettivo, e lei attribuiva questo atteggiamento al fatto che non era abituato a essere genitore, e instaurare da zero un rapporto con una figlia già grande non doveva sembrare facile.
Ma erano proprio quei suoi gesti e comportamenti premurosi, quasi imbarazzati, che lei amava tanto.
Era felice. L’estate era ormai entrata nel pieno della sua bellezza, il caldo non era opprimente, la brezza soffiava leggera e rinfrescante, grazie anche alle caratteristiche tipiche della capitale inglese, alle quali, ormai, la ragazza si era ormai abituata.
I primi giorni, quando si affacciava alla finestra di primo mattino, le veniva da sospirare. Nonostante fosse luglio, la lieve nebbia londinese era sempre presente nell’aria, e a lei non piaceva. Ma col passare dei giorni, grazie al suo inguaribile ottimismo, Christine aveva imparato a godersi la sua nuova vita, tanto diversa da quella che era abituata a vivere in Svezia, e non le dispiaceva più la nebbia o le piogge improvvise quando era a spasso per il parco, tant’è che aveva anche imparato a familiarizzare con il suo ombrello, sempre a portata di mano.
“Eccola, siamo arrivati” disse Severus.
Davanti all’immensa Cattedrale, Christine trattenne il fiato.
Severus lasciò che la figlia entrasse da sola. Lei aveva insistito sul fatto che non c’era niente di male se lui non conosceva i passi della messa, ma le sarebbe piaciuto che assistesse con lei.
“Mi sento un po’ un pesce fuor d’acqua, tutta sola. Non conosco nessuno”
Ma Piton aveva declinato, dicendo che per il momento non se la sentiva. Probabilmente, non se la sarebbe sentita mai di entrare là dentro.
Christine varcò la soglia della chiesa, e la frescura del luogo le diede sollievo. La Cattedrale era praticamente piena, solo le ultime panche erano semi vuote. Si sedette lì, perché aveva meno possibilità di essere preda degli sguardi della gente. Non le era mai piaciuto stare troppo in mezzo alla massa.
L’organo iniziò a suonare, per annunciare che di lì a pochi minuti sarebbe cominciata la messa, e proprio in quel momento, accanto a lei si avvicinò qualcuno.
La ragazza non spostò lo sguardo per guardare chi era, poiché era stata momentaneamente rapita dal rosone della navata centrale, che era un vero capolavoro.
“Scusa, è libero questo posto?”
Christine girò allora il capo, e i bei capelli ricci e scuri ondeggiarono a quel movimento.
Il ragazzo moro chinato in avanti verso di lei arrossì appena quando gli occhi d’ebano di lei incontrarono quelli blu di lui.
“No, è libero” rispose la fanciulla, spostando la borsetta che aveva appoggiato vicino a sé.
Il ragazzo si sedette e si appoggiò allo schienale di legno.
Quando tutti i fedeli si alzarono per intonare il primo canto, le loro mani si sfiorarono appena. Entrambi si guardarono per una frazione di secondo, ma subito dopo si concentrarono su altro.
 
Severus Piton si arrovellava il cervello in quello che era un gesto che non aveva mai fatto in vita sua: un regalo.
Per tutti i suoi quasi trentasei anni di vita, mai ricordava di aver donato qualcosa a qualcuno, nemmeno alla sua Elisabet.
Non sapeva perché era tanto complicato, si vergognava quasi nel solo pensarlo, ma voleva farlo.
Girò in lungo e in largo per i negozi attorno alla piazza, sbirciando le vetrine, maledicendosi per due cose: primo, non era avvezzo ai punti vendita babbani; secondo, che alcuni di loro, dove aveva adocchiato qualche oggetto che lo soddisfava, fossero chiusi.
Un altro dubbio atroce gli salì alla mente: c’erano cose che secondo lui andavano bene, ma che cosa piaceva realmente a Christine? Non era più una bambina, anche se lui la considerava tale, era una sedicenne, coetanea di molte sue studentesse. Si concentrò allora su di loro, ripensando a ciò che erano solite portare in giro con sé per i corridoi di Hogwarts.
Che cosa mai portavano nascosto nelle borse di scuola? Aveva intravisto specchietti, trucchi vari, diari segreti, svariati manufatti magici…Non andava bene. Molte di quelle cose, probabilmente, Christine le possedeva già. Meno che mai, poteva regalare a sua figlia un cappello a punta da strega!
“Ci sono!” esclamò, per poi accorgersi di averlo detto a voce troppo alta. Si schiarì la gola, mettendo le mani nelle tasche anteriori dei pantaloni scuri e tornando sui suoi passi diretto verso un negozio che aveva già sorpassato.
 
Le campane suonavano a festa, la messa era finita e la Cattedrale si svuotava a poco a poco.
Christine era ferma sul sagrato,. Si era portata una mano sopra gli occhi, strizzandoli un poco, per ripararli dalla luce del sole troppo forte, cercando di scorgere tra la folla la figura di suo padre. Si spostò nell’angolo più in ombra, quando venne investita da un paio di bambini poco attenti, che correvano come matti. La ragazza venne spinta in vanati, e sarebbe caduta a terra se due forti braccia non l’avessero presa al volo.
Per una frazione di secondo immaginò che fosse stato suo padre, ma la voce che sentì un attimo dopo non era la sua.
“Tutto bene?”
Christine venne tirata in piedi senza sforzo e quando si voltò vide il ragazzo che era seduto vicino a lei in chiesa.
“Meno male che ero dietro di te, o avresti potuto farti male” sorrise lui.
“Grazie” rispose Christine liberandosi dolcemente dalla sua presa.
“Signorina, si è fata male?” esclamò uno dei due bambini.
La fanciulla si voltò verso di loro. Avevano un’espressione sinceramente dispiaciuta e lei non poté fare a meno di sorridere. Si chinò leggermente, appoggiando le mani alle ginocchia.
“No, sto bene, ma non si corre con tutta questa gente attorno. Potete farvi male anche voi, sapete?”
“Ci scusi!” esclamarono i due piccoli in coro.
Christine scosse il capo. “Non fa niente”
“Bè, allora se non sei arrabbiata…Ciao!” e corsero via di nuovo, imperterriti.
“Mi pare che non ti abbiano nemmeno sentito” disse il ragazzo accanto a Christine.
“Già, pare anche a me” rise lei. Una risata cristallina.
“Tutto a posto?” chiese nuovamente lo sconosciuto, guardandola con i grandi occhi blu.
“Si, non sono nemmeno caduta grazie a te”
“Bene”.
Il giovane le sorrise di nuovo e poi le voltò le spalle allontanandosi e sparendo tra le persone che ancora affollavano l’uscita della Cattedrale.
Christine rimase un momento lì, immobile, poi mosse un passò gridando “Aspetta!”, ma il ragazzo sembrava già sparito nel nulla. Sospirò con un sorriso e poi si avviò per la piazza.
Severus era seduto sull’ultima panchina a destra, proprio in fondo. La cercava con lo sguardo, con la paura che gli stava crescendo nel cuore, quando la vide apparire e correre verso di lui.
“Ci ho messo un po’ per trovarti, scusa, ma c’è un sacco di gente!” esclamò la ragazza sedendosi accanto a lui. “Gelato?” chiese.
“Si” sorrise lui, e anche sul volto della figlia se ne allargò uno stupendo. “Ma prima…questo”
Piton estrasse da dietro la schiena un cappello in paglia, con un bel fiocco rosa, non troppo grande, e un mazzetto di margherite bianche a ornare il tutto.
“Ah! Che bello! E’ per me?” esclamò raggiante la ragazza, prendendo il cappello dalle mani del padre.
“E’ un regalo” spiegò titubante Piton, decisamente fuori dal suo ruolo di uomo tutto d’un pezzo, serio e riservato. “E’ per festeggiare la nostra prima settimana di convivenza”
“Dieci giorni e due ore, per la precisione” rise Christine, mettendosi subito indosso il cappello.
Severus fece una faccia stupita “Dieci giorni e due ore? Accidenti, come sei precisa!”
“Come mi sta?” chiese la ragazza, che non aveva smesso un secondo di sorridere, girando la testa prima a destra e poi a sinistra.
“Sei incantevole!”
“Grazie papà!” disse Christine, abbracciando forte Piton.
Lui la strinse a sé, felice. Felice come non lo era mai stato. Lei si staccò all’improvviso.
“Però io non ti ho regalato nulla!”
“Non importa, cara” disse Severus guardandola dolcemente. “Tu sei il regalo più bello”
Padre e figlia si abbracciarono di nuovo, restando così per un po’, assaporando quella nuova sensazione che sembrava a entrambi essere mancata per troppo tempo.
Piton si fece serio in volto, mentre accarezzava la chioma fluente di Christine.
Lei era la sua bambina, non avrebbe mai permesso a nessuno di portargliela via, per niente al mondo.
“Mi prometti una cosa?” le disse poi, guardandola negli occhi.
La ragazza notò subito il cambiamento che era avvenuto in Severus. Come nei giorni precedenti, si rabbuiava e diventava stranamente serio e pensieroso da un momento all’altro. Non sapeva perché, ma questo la spaventava un po’.
“Certo, tutto quello che vuoi”
“Stai sempre attenta. Londra è una grande città, bella quanto pericolosa. Promettimi che non uscirai mai senza dirmi prima dove vai o con chi vai”
“Bè, con chi vado non c’è problema, tanto qui non conosco nessuno. Comunque, si, te lo prometto. Mi sembrava di averlo già fatto”
“Lo so, ma non sono tranquillo”
“Si, te lo giuro” rincarò Christine. “Però non essere più così scontroso con me per motivi inutili” aggiunse abbassando lo sguardo.
“Cosa intendi dire?”
“Mi sembra che tu sia una persona diversa, ogni tanto. Non so, anche ieri, sei tornato dal lavoro e eri scontroso, agitato…Non è che lavori troppo?”
Christine lo guardò attentamente con gli occhi grandi e luminosi.
Piton fece un sorriso sbieco. “Quando fai quella faccia sei tutta tua madre. Anche lei mi squadrava in quel modo, ogni tanto”
“Per scoprire segreti di te che non le rivelavi?” scherzò Christine, ma Piton ebbe un nuovo repentino cambio di sguardo, penetrante e più nero della pece.
“Sto scherzando!” si affrettò a dire la ragazza.
“Certamente” rispose l’uomo immediatamente, sfoderando un sorriso un po’ forzato. “Andiamo?”
Christine si alzò con lui, ma dopo pochi attimi di silenzio, non poté non rivolgergli la domanda che da un po’ di tempo le frullava nella mente.
“Papà, tu che lavoro fai di preciso?”
Severus si voltò velocemente, con gli occhi atterriti. Doveva controllarsi, o rischiava di far trasparire qualcosa, ma con lei era difficile, perché sembrava leggergli dentro, come se fosse trasparente.
“Insomma, non hai quasi un giorno di vacanza, devi sempre fare degli straordinari, a volte persino a tarda sera…Non voglio farmi i fatti tuoi, solo…mi preoccupo per te. Mi sembri alquanto stressato”
Piton rilassò i muscoli tesi, ma non sapeva bene come rispondere, non era preparato, anche se immaginava che, prima o dopo, la domanda sarebbe arrivata. Lei gli aveva raccontato mille cose di sé, lui praticamente nulla.
“E’ un lavoro duro e mi porta via parecchio tempo , specialmente in quest’ultimo periodo. Purtroppo posso dirti solo che devo tenermelo stretto o non saprei che fare. Ora devo pensare anche te, e chi non lavora non mangia”
Tentò di sdrammatizzare, ma non era bravo in queste cose. Le sue frasi erano stupide e banali.
Christine lo fissava seria, ma non era per niente convinta e tantomeno soddisfatta.
“Io…ti do fastidio?” disse a bassa voce la ragazza. “Sto sconvolgendo la tua vita”
“Cos…No! No Christine, no! Assolutamente!” Piton l’abbracciò di nuovo, stringendola al petto. “Non pensarlo mai, neanche per un secondo! Sei mia figlia!”
“Lo so, scusa. Non so perché l’ho detto”
Amare lacrime cominciarono a scendere sulle guance della ragazza.
“Non fa niente se non mi vuoi dire  niente su di te, papà. Va bene così. Basta che mi vuoi bene”
“Certo che ti voglio bene, bambina. Ti voglio bene come non ne ho mai voluto a nessuno!”
Ed era vero. Mai c’era stata persona così dolce accanto a lui. Christine era il suo tesoro e non voleva avere segreti con lei, ma purtroppo c’erano cose che non era ancora pronta a sapere e a capire, perché il suo animo era troppo puro e semplice, e anche perché, probabilmente, molto probabilmente, lei non sarebbe più riuscita a volergli bene se avesse saputo quello che lui realmente era stato ed era tutt’oggi. Un assassino. 





Rieccomi con il quarto capitolo!
Salve a tutti, come va? Spero vi piaccia anche questo.
Ringrazio tutti quelli che recensiranno, in particolare rum43coach, che non manca mai di farlo e mi segue costantemente nonostante sia solo all'inizio. Grazie!
By Usagi^^ 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: Riley ***


 
By UsagiTsukino010

 

Capitolo 5:
Riley

 
 

Nel fresco del mattino, Londra si svegliava piano nella sua nebbia che l’avvolgeva costantemente, dolce e delicata. Le prime automobili si muovevano sulle strade del centro e della periferia, bagnate da una lieve pioggerella che era scesa per tutta la notte.
Una giornata come le altre in apparenza, ma non proprio come un comune abitante di Londra poteva aspettarsi.
Il mondo, da qualche tempo, sembrava avvolto da una strana coltre di tristezza e grigiore, così come il cielo, sempre nuvolo e minaccioso di temporali in arrivo.
Nessuno sospettava che opera di tutto ciò fossero creature oscure chiamate Dissennatori, perchè i babbani non potevano vederli, ma ne percepivano ugualmente la presenza.
I Dissennatori erano tra i seguaci del Signore Oscuro, attualmente ancora sotto il controllo del Ministero della Magia, anche se alcuni di essi avevano già abbandonato le loro postazioni di guardie della prigione dei Maghi di Azkaban.
I Maghi sapevano bene che un Dissennatore in libertà era un pericolo per chiunque, poiché amavano banchettare con le anime degli esseri umani, traendo la loro forza dalla paura, e negli ultimi tempi, specialmente nel mondo della Magia, ce n’era molta.
E c’era una persona che quella mattina si svegliò bruscamente, con la paura nel cuore, benché lieve, poiché si trovava in una situazione alquanto complicata e pericolosa.
Dormiva ancora quando sentì le scale tremare sotto di sé, mosse da passi pesanti accompagnati da voci tonati di uomini.
Aprì di scatto gli occhi blu e si rizzò a sedere svelto.
“Si, ha preso una camera qui ieri sera, ma non dovrebbe fermarsi, non ha bagaglio con sé”
Riconobbe la voce del portiere del piccolo alberghetto dove si era fermato. L’aveva fregato, maledizione! Sapeva di non essergli andato a genio fin da quando era entrato, ma aveva fatto tutto ciò che era in suo potere che non gli avrebbe dato alcun problema.
“Non mi piacciono i vagabondi, ragazzo!” aveva esclamato il vecchio portiere contrariato.
“Solo stanotte. Domattina devo partire presto”
Aveva cercato apposta un albergo poco in vista nella periferia di Londra e quello gli era sembrato adatto. Avrebbe dovuto trovare un altro posto per dormire.
Al diavolo la diffidenza di certe persone e la sua scomoda attuale posizione.
E pensare che avrebbe potuto stare in hotel a cinque stelle se solo avesse voluto…
In quel momento, tre uomini si fermarono appena fuori dalla porta della camera interessata. Uno di loro era il vecchio portiere, gli altri due avevano indosso larghi mantelli neri. Il secondo aveva la pelle scura, l’altro era biondo e più giovane degli altri due.
“Stia fuori, per favore” disse l’uomo scuro col mantello.
“Basta che non mi rovinate nulla e non lo ammazzate” protestò il vecchio. “Non voglio grane qui!”.
Scoccò due occhiatacce a quegli individui e poi tornò di sotto.
Il Kingsley sfoderò la bacchetta magica scambiandosi uno sguardo d’intesa con il collega.
“Al mio tre, Thompson” disse Kingsley a bassa voce, l’altro annuì.
Pochi attimi e la porta si spalancò con un gran tonfo.
“Vuota!” ringhiò Thompson, camminando in tondo spostando le coperte del letto perfettamente in ordine. “Il vecchio ha mentito, non ha dormito qui”
“No, io credo che invece ci sia stato, eccome” disse Kingsley andando verso la finestra aperta.
Guardò fuori, in basso e poi in alto. “Può aver preso le scale antincendio”
Non fece quasi tempo a finire la frase che l’urlo di Thompson lo fece voltare in un gran svolazzare di mantelli.
Il suo collega giaceva a terra sopraffatto da un ragazzo si e no di diciotto anni, che era sbucato da chissà dove.
“Sei furbo” disse Kingsley lanciando uno schiantesimo.
Il ragazzo si scostò, o parò il colpo non si sa come, ma ne uscì illeso.
Guardò il mago scuro con sfida, come a dirgli di provare di nuovo.
“Dov’è il medaglione?”
“Quale medaglione?” chiese il giovane dagli occhi blu con un sorriso.
“Non fare il finto tonto, ragazzo!” sbottò Thompson ancora bloccato a terra da funi invisibili.
“Non ci avevano detto che eri un mago!”
Il ragazzo fece un sorrisetto. “E che cosa dovrei essere, secondo te?”
Thompson cercò di liberarsi dall’incantesimo che il giovane gli aveva fatto, ma senza riuscirci.
“Non volgiamo farti del male” disse Kingsley calmo tentando di avvicinarsi, ma il ragazzo fece uno scatto fulmineo e si fiondò fuori dalla porta.
“Fermalo, prima che si smaterializzi!” urlò Thompson.
Kingsley si fiondò in corridoio, ma l’unica persona che vide fu una cameriera alquanto spaventata.
“Il ragazzo che è uscito di qui…” iniziò l’Auror rivolto a lei.
“Sp-sparito” disse la donna con voce flebile.
Il mago tornò dentro la stanza, non prima di aver eseguito l’Oblivion sulla cameriera. Liberò il collega con un colpo di bacchetta e Thompson si alzò dolorante.
“Potevi farlo prima! Non sarebbe scappato!”
“Scusa, ma ero troppo concentrato sul nostro obbiettivo. E sul fatto che non sarebbe scappato non ne sarei così sicuro. E’ veloce e astuto. Ha anche usato una fattura piuttosto potente su di te. Sa il fatto suo”
“Ma si può sapere chi diavolo è? Ci hanno dato l’incarico di acchiapparlo dalla sera alla mattina, e non è un modo di dire!”
Kingsley si rabbuiò. “E’ questo il punto. Nessuno lo sa”
“Come sarebbe? Il Ministero ci manda a fare un lavoro al buio?”
“A quanto pare non conoscono nemmeno il suo nome. Sanno solo che ha dei poteri magici non registrati e che possiede qualcosa di estremo valore”
“Quel medaglione a cui hai accennato prima?”
Kingsley annuì serio. Intanto, scesero giù nell’atrio, ringraziarono in vecchio padrone per il disturbo e lasciarono l’albergo con quello che ancora borbottava contro di loro.
Thompson camminava con le mani affondate nelle tasche del mantello.
“Non capisco perché non mi dici niente” protestò imbronciato.
“Perché sei un Auror ancora tirocinante e poi perché non c’è niente da aggiungere a quello che ti ho già spiegato”
Svoltarono in una vietta laterale arrivando fino in fondo ad essa, a un vicolo cieco.
“Tu non mi dici qualcosa” ricominciò Thompson con fare sospettoso.
“Smettila e abbassa la cresta. Non sei diverso dagli altri tuoi compagni di corso. Attieniti solo agli ordini se non vuoi cacciarti nei guai”
“Non cambiare discorso!” esclamò il giovane Auror.
“Abbassa la voce…”
“Si, si, d’accordo, ma mi dici perché a un Auror come te, uno dei migliori, affidano l’inseguimento di un ragazzino?”
Kingsley sospirò e mise le mani sulle spalle del collega. “Richard, ascoltami, tu sei un Auror promettente, ti ho voluto sotto la mia custodia perché sei il più irrequieto della squadra”
“Ah, è così? Bè, dovevi mettere sotto sorveglianza Tonks, che rischia un giorno si e uno si di mettere k.o. tutti quanti nelle esercitazioni pratiche, non me perché so il fatto mio!” gridò arrabbiato il ragazzo biondo.
“Tu sei troppo impaziente, non ascolti. Per questo Tonks si diplomerà a breve, nonostante i suoi pasticci, mentre tu sei stato bocciato all’esame per la seconda volta di seguito”
Thompson arrossì con irritazione e abbassò lo sguardo senza ribattere. Tanto, se c’era qualcosa di più lo avrebbe scoperto anche da solo. Lui voleva l’avventura, non degli stupidi inseguimenti da  polizia babbana!
Kingsley lo conosceva bene e non aggiunse altro. Il suo allievo si infervorava per nulla e aveva un carattere molto orgoglioso, quindi, la ramanzina mattiniera si concluse lì.
Richard Thompson era un bravo mago, coraggioso, ma troppo immaturo nonostante i suoi vent’anni.
“Torniamo al Ministero e facciamo rapporto” disse Kingsley.
Si smaterializzarono dal piccolo vicolo al Ministero della Magia lasciando dietro di loro solo il fruscio dei lunghi mantelli.
 
Christine aprì la finestra della sua camera e il cuore le si allargò. Aveva smesso di piovere, quindi quel pomeriggio sarebbe potuta uscire.
Era sempre stata abituata a vivere all’aria aperta, per cui, rimanere chiusa in casa per ben tre giorni era stata una tortura per lei.
Si affacciò sul bancone e respirò l’aria ancora piena del profumo della pioggia. Chiuse gli occhi un istante e la strana, spiacevole sensazione di tristezza che l’aveva accompagnata lungo quei giorni grigi e umidi si affievolì a poco a poco. Li riaprì quando sentì un raggio di sole che le scaldava il viso. Sorrise al cielo come per ringraziarlo, poi tornò dentro e si vestì.
Quando scese le scale e andò in cucina, Piton era già pronto per recarsi al lavoro.
“Vai di già?” disse la ragazza dandogli un bacio sulla guancia e augurandogli il buongiorno.
“C’è una lettera per te” disse Severus porgendogliela.
“E’ di Meg!” esclamò Christine al colmo della felicità. Poi guardò suo padre mordendosi le labbra. “Non ti dispiace se le ho dato l’indirizzo di casa tua, vero?”
“No, assolutamente”
Piton si guardò bene dal dirle che nessuno, a parte pochi, sapevano di preciso dove abitasse, ma se si trattava della migliore amica di sua figlia non credeva ci fossero problemi, soprattutto perché anche Meg non era una strega.
“Hai molte amiche a scuola?”
Christine fece un a piccola smorfia. “Bè, a dire il vero no, ho solo Meg. Però non fa niente, a me va bene così  e lei è un’ottima amica!” sorrise la ragazza.
“Sai, anch’io a scuola non era quello che si definisce un tipo popolare. Tutt’altro” disse Piton infilandosi la giacca.
“Te l’avevo detto che mamma diceva sempre che il carattere l’ho preso tutto da te. Però io non sono così scorbutica. Il mio problema è che sono troppo timida” disse Christine cominciando a prepararsi la colazione.
“Come hai detto? Scorbutico?” disse Severus, corrugando la fronte ogni secondo di più.
La ragazza scoppiò a ridere vedendo la faccia di suo padre.
“Sciocca” fece lui scuro in volto. Il solito Piton.
“Scusa, scusa! Non volevo riderti in faccia!” si affrettò a dire la figlia cercando di trattenersi.
Severus non poté non lasciarsi andare a un bieco sorriso, perché la risata di Christine era contagiosa. Tutto in lei lo rallegrava e lo stava pian piano cambiando…di nuovo.
Il ghiaccio nel suo cuore si era già sciolto un tempo, sedici anni prima, poi il freddo era tornato più intenso che mai e c’era stato l’inverno nella sua vita, lungo e solitario. Ormai aveva quasi rinunciato all’idea di poter essere felice come quando aveva conosciuto la sua amata Elisabet. Ma all’inverno segue sempre la primavera, e la sua vita, il suo cuore, erano tornati a splendere grazie al raggio di sole che li avevano illuminati e scaldati. Christine era il suo raggio di sole, la sua stella splendente nel cielo oscuro. Lei, così piccola, perché così lui la vedeva, ingenua, sognatrice, buona, gentile, ma così forte dentro l’anima.
Ogni tanto la sentiva ancora piangere nella sua camera, quando lui tornava tardi e saliva piano le scale per temere di svegliarla. Ma Christine sorrideva sempre davanti a lui, c’erano solo rari momenti in cui gli occhi scuri di lei si velavano di tristezza e malinconia, ma poi rievocava i momenti lieti vissuti con la madre in Svezia e allora, quando gli raccontava com’era, tornava a ridere come avrebbe dovuto fare ogni ragazza della sua età.
La osservava sempre con un sorriso appena accennato e i suoi occhi neri si illuminavano di una luce nuova. Essere un padre era la gioia più grande della sua vita.
“Torni per cena?” chiese Christine voltandosi.
“Ah, non lo so, ma credo di si. Non voglio fare tardi”
“Ok” rispose lei semplicemente.
Aveva rinunciato a forzare la mano di suo padre e farlo parlare di cose di cui lui non ne aveva il desiderio, anche se tutto quel mistero la incuriosiva. Non voleva farlo arrabbiare di nuovo. Forse col tempo sarebbe stato lui il primo a riavviare il discorso.
“Tu che programmi hai per oggi?” chiese Piton.
“Vediamo…prima finisco la colazione, poi lavo i piatti, metto a posto la casa e poi faccio una passeggiata nel parco qua vicino. Nel pomeriggio, compiti di scuola”
“Ti impegni molto, vedo”
“Con la scuola? Bè, vado abbastanza bene. Non sono una cima, ma me la cavo” disse lei alzando le spalle.
Piton scosse il capo. “No, intendevo…non solo a scuola. Voglio dire, con tutto il resto”
Christine si sedette al tavolo versandosi il latte nella tazza.
“Non è una questione di impegno. E’ che mi viene naturale. Sarà perché a casa l’ho sempre fatto, ho sempre aiutato la mamma e la zia con u lavori domestici. O forse…semplicemente perché comincio a considerare anche questa casa mia”
Piton si avvicinò al tavolo e si sedette accanto a lei. Christine sorrideva timidamente.
“Questa è casa tua. E voglio che d’ora in poi la consideri tale”
La ragazza allungò la mano sul tavolo e prese quella di suo padre, appoggiata a pochi centimetri dalla sua.
“Ti voglio bene papà”. Il suo sorriso si allargò.
Severus si alzò e la baciò sulla fronte. “Anch’io. Ma ora devo scappare”
“Buon lavoro!” esclamò lei mentre lui usciva dalla cucina e poco dopo sentì il rumore della porta che si chiudeva.
Una volta fuori, Severus circondò per l’ennesima volta la sua casa di Spinner’s End con l’Incantesimo di Protezione, poi si preparò a smaterializzarsi in Grimmauld Place, al quartier generale dell’Ordine della Fenice.
Rimasta sola, Christine cominciò a leggere la lettera di Meg. Non poteva aspettare.
Meg scriveva innanzitutto che non vedeva l’ora di riabbracciarla e poi si lanciava in una descrizione dettagliata di tutte le novità e i pettegolezzi possibili. Era una gran chiacchierona Meg.
Piena di nuova allegria, cominciò a leggere e a magiare con gran appetito. Qualunque cosa sarebbe accaduta non avrebbe potuto rendere la giornata più bella di così.
 
“Finito!” esclamò la ragazza contemplando il salotto che splendeva come uno specchio.
Si sciolse i capelli che aveva raccolto in una comoda coda di cavallo.
Era una perfetta donna di casa Christine, la zia Karin diceva ‘da sposare’, ma di fare il grande passo lei non se la sentiva proprio, figuriamoci! Aveva sedici anni, anche se la zia diceva che ai suoi tempi ci si sposava molto giovani. Poco importava l’età se c’era l’amore. In questo aveva ragione, probabilmente.
Christine si vergognava un po’ ad ammetterlo, lo aveva confidato solo a Meg, che era cresciuta con lei e sapevano tutto l’una dell’altra. Entrambe erano figlie uniche e da subito si erano sentite legate come due sorelle.
Christine sognava il Principe Azzurro e sperava, un giorno, di incontrare un uomo buono, gentile e premuroso.
Non si soffermava a pensare al suo aspetto, quello non era rilevante, perché quando ci si innamora, la persona che si ama diviene la più bella in assoluto.
Ma quelli erano solo sogni per il momento, aveva tanto tempo per innamorarsi, e sicuramente da quando sua madre era morta era stato l’ultimo dei suoi pensieri.
Si accorse di essere ancora lì in piedi in mezzo al piccolo soggiorno a fantasticare. Ma il perché era presto detto: colpa della lettera della sua amica, che le aveva scritto di aver conosciuto un ragazzo splendido nel luogo di villeggiatura marittimo dov’era andata in vacanza con i genitori.
Ecco perché si era messa a pensare a quelle cose.
Christine si ridestò dai pensieri e salì in camera sua e si cambiò d’abito indossando uno dei suoi preferiti. Semplice, bianco con piccole balze sulla gonna che le arrivava sopra il ginocchio, con una striscia di pizzo nero a bordare l’estremità superiore del corpetto. I capelli erano sciolti come sempre.
Controllò che tutto fosse in ordine e poi uscì di casa canticchiando.
Il sole splendeva e illuminava quella aggraziata figura che passeggiava per il parco tranquillo. Non c’erano schiamazzi di bambini quel giorno, tutto era calmo. Solo il canto degli uccelli rompeva di tanto in tanto il silenzio.
Christine si guardò attorno per individuare una panchina sulla quale sedersi e cominciare a scrivere le sue poesie. Adorava farlo all’aria aperta, perché la natura era per lei grande fonte di ispirazione e oggi era particolarmente in vena.
Vide un grande albero poco distante da lei, che buttava la sua immensa ombra sul prato. Da quel punto si scorgevano il laghetto e la fontana , dove i cigni e le oche selvatiche nuotavano allegri. Era il luogo adatto.
La fanciulla si accomodò sull’erba fresca e aprì il suo diario. Da quando era arrivata il primo giorno a Spinner’s End non l’aveva più preso in mano, perché rivedere le foto della madre faceva ancora troppo male.
Lo sfogliò alle ultime pagine e rilesse le poesie che aveva composto più recentemente. Erano tristi e malinconiche, ma ora…ora voleva scrivere qualcosa di diverso, come quando sua madre era ancora viva e le chiedeva spesso di leggere per lei i suoi versi.
Alla mamma piaceva tanto anche quando Christine cantava con lei la canzone da loro preferita, quella che Elisabet aveva appreso da suo padre quando era bambina e che la donna aveva insegnato a sua volta alla figlia.
Christine aveva una voce d’angelo che si estendeva per oltre tre ottave. Quando abitava ancora a Uppsala faceva parte del coro della chiesa, ma con la morte di Elisabet aveva abbandonato. Ormai era più di un anno.
Improvvisamente le tornò la voglia d’intonare quel canto, così cercò il testo sfogliando veloce le pagine all’indietro. Ed eccolo lì, scritto dalla calligrafia della madre su un semplice foglio di carta che era stata costretta a ripiegare a metà per attaccarlo sulle pagine del diario. Lo rilesse e gli occhi le si inumidirono per un istante, ma non voleva piangere, così le ricacciò indietro. Poi fece un gran respiro chiudendo gli occhi e rievocando i bei momenti della sua infanzia, iniziando a cantare.
Per qualche istante il parco si riempì dei dolci toni della bella voce di Christine che, sempre con gli occhi chiusi, non si avvalse della presenza di qualcuno accanto a lei.
Un ragazzo era steso sull’erba al riparo dei cespugli proprio dietro a Christine.
Quando si accorse che qualcosa si muoveva vicinissimo alla sua postazione, la fanciulla si interruppe e si voltò aprendo gli occhi sorpresa.
“Non fermarti. Era bellissimo” disse il ragazzo dagli occhi blu che lei riconobbe subito.
“Ma tu sei..?” cominciò allibita, poi sorrise.
Lui ricambiò, ma era più un tentativo forzato che un sorriso vero.
“Scusa, ti ho disturbato”  disse Christine chiudendo il suo diario e tenendolo appoggiato sulle ginocchia.
“In effetti stavo dormendo” ribadì il giovane passandosi una mano nei capelli scuri.
“In un posto del genere?”
“Conosci un luogo migliore e più tranquillo di questo?” disse lui, poi si risdraiò sull’erba con le mani dietro la nuca.
“Pensavo che nessuno vedesse questa macchia di cespugli. Di solito la gente ci passa accanto e se ne va” aggiunse voltandosi verso la ragazza, guardandola interrogativo. “Tu come ci sei arrivata?”
“Bè, cecavo anch’io un posto tranquillo dove stare un po’ sola” rispose lei -non sapeva perché- un po’ intimidita.
Il ragazzo si puntellò sui gomiti. “Sei una cantante?”
Christine scosse il capo. “No, decisamente no!”
“Bè, hai la voce più bella che abbia mai sentito”
Lui era serio e lei arrossì impercettibilmente senza rendersene conto. Quegli occhi blu avevano qualcosa di magnetico.
In quell’istante alla ragazza vennero in mente le parole di suo padre.
“Stai sempre attenta. Londra è una grande città, bella quanto pericolosa”
Santo cielo! E se quel ragazzo avesse avuto cattive intenzioni?
Si sentì inquieta e si guardò attorno, ma non c’era anima viva. Si alzò velocemente, afferrando il suo diario e spazzolandosi via i fili d’erba dalle balze della gonna.
“Credo che per me si sia fatto tardi”
Il ragazzo non si mosse di un millimetro ma la guardò in ogni sua mossa.
“Ho detto qualcosa di male?” chiese.
“Come? No…no, no, è che devo tornare a casa”
“Ah, capisco”
Christine, che già gli dava le spalle, si voltò nuovamente per guardarlo. Lui, che un secondo prima era sdraiato, adesso era in piedi dietro di lei, serio in volto, le mani nelle tasche dei jeans scoloriti.
“Comunque” proruppe all’improvviso il giovane, “è già la seconda volta che ci vediamo ma non ci siamo mai presentati”
Restarono lì a guardarsi. Christine non riusciva a decidere che cosa fare. Presentarsi o no?
Era maleducato fissarlo in quel modo senza dire nulla, così decise di agire come l’istinto le suggeriva. In fondo, che male ci poteva essere?
“Hai ragione” disse sfoderando un altro sorriso. “L’altra domenica avrei voluto chiederti il tuo nome, ma tu eri già sparito”
“Si, so dileguarmi velocemente” disse il giovane senza guardarla, con una strana espressione sul volto.
La fanciulla non capì il significato delle sue parole, ma poco importava. Si avvicinò di nuovo a lui e porse la mano in avanti.
“Mi chiamo Christine”
Il ragazzo la strinse.
“Io sono Riley. Piacere, Christine”

 
 
 
Siamo al quinto capitolo!
Ho postato leggermente in ritardo da quello che mi era prefissata, ma ho dovuto revisionarlo un poco, anche se non sono mai stata particolarmente soddisfatta del quinto capitolo…Va bè, spero che a voi invece piaccia.
Chi sarà mai questo bel ragazzo che la nostra Christine ha incontrato? Perché gli Auror lo cerca?
Eh eh…mica ve lo dico subito. Vedrete vedrete!!!
Grazie a chi recensisce già e a chi recensirà, a chi ha messo la storia nelle preferite e nelle seguite. Insomma, grazie a tutti, continuate a leggere la mia fic fino alla fine! XD
Vorrei commenti anche sulla foto che ho messo a inizio capitolo, vi piace? Ne metterò altre così da darvi indizi sulla trama tramite quelle. Preciso che a volte rispecchieranno ciò che accadrà nel capitolo e a volte no. Che dite, è una buona idea?
Vi lascio come sempre mandandovi un baciotto! Ciao!
By Usagi^^

 
 
  

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Capitolo 7
*** Capitolo 6: Dolce Melodia ***


Capitolo 6:
Dolce Melodia

 
Piton arrivò in Grimmauld Place come sempre materializzandosi nella piazzetta dalla parte opposta della strada, in faccia  alla casa dei Black.
Se non fosse stato per gente come Sirius, l’Ordine della Fenice poteva essere molto più attivo e scoprire molte più cose sui movimenti dei Mangiamorte. Non capiva perché Silente continuasse a radunare degli inetti come quelli. Si, d’accordo, erano abili maghi, Black in particolare conosceva i Dissennatori come nessun altro, dato che era l’unico di cui si sapeva essere sopravvissuto ad Azkaban senza impazzire e uscito per raccontare di esserci stato.
Fortunatamente c’erano anche Auror esperti e che ragionavano prima di passare all’attacco, come Kingsley.
Era rimasto anche colpito dalle potenti e precise magie del suo allievo Richard Thompson, ma era una testa calda e pensava più a come farsi bello davanti alle ragazze piuttosto che agire di testa.
Per non parlare di Tonks, sbadata e pasticciona. Queste due parole bastavano a far capire che forse gli esami di Auror erano diventati assai scarsi per riuscire a far passare una come lei.
Con questi pensieri attraversò la strada e bussò piano due volte. Il campanello era severamente vietato a casa Black, se non si voleva rischiare di svegliare la madre di Sirius addormentata nel quadro appeso alla parete del corridoio d’ingresso.
Molly Weasley accolse il professore di Pozioni a bassa voce e lo fece entrare in fretta.
“Sono già tutti di là” sussurrò.
“Grazie” disse semplicemente Piton.
Col la signora Weasley al seguito, si diresse verso le scale che portavano alla cucina. Il mago sentì uno scricchiolio provenire dal bordo delle scale che portavano ai piani superiori, ma era solo il persiano rosso di Hermione Granger che scappò su per qualche gradino quado l’uomo ammantato di nero gli passò davanti.
Piton alzò piano lo sguardo e li vide, anche se si nascosero in fretta ritirandosi dalla balaustra più alta della scala.
Potter e i suoi amici. Li spiavano, volevano ascoltare quello che l’Ordine aveva da dire a proposito di Voldemort, ma gli adulti non glielo permettevano e a maggior ragione. Non avevano bisogno di un’altra testa calda come quella di Potter o di Weasley.
“C’è anche Piton oggi” disse Fred.
“Piton fa parte dell’Ordine?!” esclamò Harry allibito. Perché lui no e l’ex mangiamorte si? Era ingiusto. Terribilmente ingiusto.
 Fred, George, Harry, Ron, Hermione e Ginny tornarono in camera dei gemelli a fare congetture su cosa potessero mai trattare le importanti riunioni dell’Ordine della Fenice.
“Piton è strano in questi ultimi tempi” osservò Ginny.
“In che senso?” chiese Harry che già sentiva l’irritazione salire alle stelle.
“Non saprei, ma mamma dice che sembra avere molte preoccupazioni”
Ron fece una risatina sprezzante. “Si, deve preparare le lezioni di quest’anno e deve pensare bene a come avvelenare gli studenti”
I maschi si lasciarono tutti andare a una risata.
“Ron!” lo rimproverò come sempre Hermione. “Non fare lo stupido! Il professor Piton sta svolgendo forse il lavoro più rischioso di tutti, lo sai!”
Il ragazzo dai capelli rossi rimase in silenzio, perché la sua amica aveva ragione in fondo.
“La spia di Silente” mormorò Harry tra se e se, ma tutti lo sentirono. “Conosce segreti di Voldemort che nemmeno il nostro preside sa”
Gli altri rabbrividirono un secondo al nome di Voldemort, poi toccò a George parlare.
“Io e Fred abbiamo sentito una cosa con le orecchie oblunghe”
L’atmosfera si fece densa di curiosità. Tutta l’attenzione era catalizzata sul ragazzo.
George continuò, con il fratello che annuiva al suo fianco.
“A quanto pare Tu-Sai-Chi lo ha incaricato di un compito abbastanza importante tra le file dei maghi oscuri. Lo diceva Moody. L’ha chiamato ‘Il Primo dei Mangiamorte’ , ma non sappiamo cosa significhi”
Hermione si portò una mano alla bocca. “Io si!” disse con una vocina piccola e acuta.
“Dovrebbero stare più attenti a parlare di queste cose. Almeno che usino un codice” disse Ron sistemandosi meglio sul letto.
“Di cosa si tratta Hermione?” chiese Harry molto interessato.
Lei li guardò tutti e poi si accinse a spiegare.
 
Giù in cucina, il grande tavolo di legno era pieno di cartine di Londra e dintorni.
Silente aveva ordinato di stregarne una in modo da avere sempre sotto controllo lo spostamento di tutti i membri delle due fazioni. L’idea era venuta a Sirius e a Lupin, presa ovviamente dalla loro famigerata Mappa del Malandrino. L’onore di attuare l’incantesimo era stato dato proprio a loro.
Dopo averlo eseguito, i due si sorrisero con soddisfazione.
I maghi presenti alla riunione cominciarono ad alzare le proprie bacchette e ad apporre ciascuno il suo nome sulla mappa più gande che poi venne appesa alla parete.
"Poi faremo delle copie più piccole, una per ciascuno"
“Che genio, Black. Ci potevi arrivare solo tu” commentò Piton mentre si risedeva.
“E’ già, il Primo dei mangiamorte non può abbassarsi a tanto, non è vero?”
Severus lo guardò con occhi neri penetranti ma Sirius sostenne lo sguardo, come sempre. Poi, il primo dei due lo distolse.
“Sto solo dicendo che è un’idea alquanto approssimativa. Perché Silente l’ha approvata non vuol dire che sia buona”
“Stai mettendo in dubbio gli ordini di Silente?” esclamò Sirius drizzandosi sulla sedia e sporgendosi verso il rivale.
Piton era impassibile ma tornò a guardarlo. “No, ovviamente, ma capirai anche tu che portarsi appresso una mappa, anche se camuffata, sarà la prima cosa che i Mangiamorte troveranno se qualcuno di noi viene catturato e perquisito, e quanto pensi che gli ci vorrà per capire di cosa si tratta?”
L’intera stanza li ascoltava. Molti convennero che aveva ragione Piton, anche se l’idea di una cartina era buona. 
“E allora cosa pensavi di fare?” chiese Sirius arrabbiato.
Bill Weasley prese parola. “Ascoltate, la mappa più che altro serve per vedere dove si spostano i nemici. Direi che per ora è meglio tenerne una qui e basta. Al quartier generale c’è sempre qualcuno, per cui se succede qualcosa gli altri lo sapranno subito, perché come è stato detto, il nome da nero diventerà rosso. Per ora lasciamo le cose così, Sirius. Piton ha ragione, non possiamo rischiare di portare con noi un oggetto tanto approssimativo”
“Approssimativo?”
“E’ un’idea un po’ bambinesca se ci pensi bene” disse di nuovo Piton. “Quanti anni aveva quando l’hai inventata? Quindici?”
“Taci, Mocciosus!”
“Basta ora!” gridò Moody al di sopra della folla, picchiando la gamba finta a terra.
“Si, è vero, l’idea è un po’ infantile, ma è un’idea buona, considerato che non ne abbiamo di migliori. Abbiamo avuto poco tempo per organizzare una difesa. Dobbiamo seguire sempre i movimenti gli uni degli altri e l’idea Sirius e Remus è stata approvata dalla maggioranza”
“E quando riuscirete ad entrare nei territori di Voldemort?” disse Piton alzando un sopracciglio. “Casa Riddle è protetta, lo sapete”
“E’ vero, non appare nemmeno sulla mappa” osservò Tonks. “E qui abbiamo svariati borghi attorno alla capitale” alzò il capo e guardò Moody.
“Per ora non ci avvicineremo” disse l’ex Auror. Poi si voltò verso altri due membri dell’Ordine, mettendo così fine ai battibecchi di Piton e Sirius.
“Kingsley e Thompson, voi cos’avete scoperto riguardo a quel mago?”
Richard si lanciò subito in un resoconto dettagliato di ciò che era accaduto la mattina, ma il mago dalla pelle scura lo fermò.
“Lascia spiegare me, vai troppo veloce”
“Ma…E va bene!”
Thompson si buttò pesantemente su una sedia. Tonks gli si avvicinò dolcemente e gli parlò.
“Non te la prendere. Lo fa per il tuo bene. Anche malocchio mi riprende in continuazione e dice che sono lenta e goffa. Sono i nostri maestri, hanno a cuore la nostra incolumità”
“Mmm…si forse hai ragione” disse l’Auror dai capelli biondi facendo un lungo sospiro. Voleva dimostrare a Kingsley quanto valeva ma non ci era ancora riuscito.
Quest’ultimo intanto, stava raccontando com’era andata a vuoto la missione impartitagli dal Ministero.
“E’ solo un ragazzo. Avrà più o meno l’età dei vostri figli” disse rivolto ai coniugi Weasley.
“Perché mai il Ministero dovrebbe incaricarvi di una cosa simile?” chiese Arthur perplesso. “Cos’ha un ragazzo che può interessargli tanto?”
“Il medaglione di Serpeverde” disse una voce dal fondo della cucina.
“Silente!” esclamarono tutti alzandosi in piedi sbigottiti.
 
Di sopra, Ron era troppo impaziente di sapere ciò che dicevano i suoi genitori e tutti gli altri di sotto. Di tanto in tanto sbirciava dalla porta della stanza dei suoi fratelli per vedere se sua madre li controllava ancora o avevano via libera di uscire di nuovo sul pianerottolo e srotolare le orecchie oblunghe.
Guardò all’esterno per l’ennesima volta, sembrava non esserci nessuno, ma quando si affacciò piano alla ringhiera e guardò di sotto incontrò un paio di occhi azzurri contornati da occhiali a mezzaluna.
Il Preside, come se sapesse che lui sarebbe stato là, lo stava guardando con un sorrisetto divertito, gli strizzò l’occhio e poi si avviò in cucina.
Ron tornò di corsa in camera sbattendo la porta più forte di quanto avrebbe voluto.
“Miseriaccia, è arrivato Silente!”
“Cosa???” gridarono tutti gli altri precipitandosi fuori dalla camera.
Fred e George presero subito le orecchie e le fecero cadere fino a terra. La voce della signora Weasley arrivava forte e chiara.
“N-non ci avevi detto…”
“Lo so, è stato improvviso anche per me, ma dovevo assolutamente venire. Si tratta del medaglione che interessa a tutti quanti”
Silente guardò Piton, che annuì.
“Anche a lui, allora” disse Remus.
“Si” annuì il vecchio mago. “E noi dobbiamo trovarlo prima di Voldemort, anche perché è un oggetto molto importante. Anzi, preferirei correggermi e dire che è di vitale importanza per Voldemort”
La signora Weasley alzò una mano all’improvviso.
“Un momento per favore, torno subito” disse correndo più veloce che poté fuori dalla cucina.
“Arriva, arriva!” esclamò Ginny spaventata.
“Voi altri!” tuonò Molly come solo lei sapeva fare. “Tornate immediatamente in camera e chiudetevi dentro! Subito!”
Hermione si buttò sul letto accanto a Ginny.
“Credo che per oggi basti così. L’abbiamo già fatta infuriare a sufficienza”
“Si” convenne Harry. “Ma abbiamo sentito un paio di cose davvero interessanti. Dobbiamo setacciare la biblioteca di Sirius, sono certo che se cerchiamo libri oscuri, in casa Black ce ne sono a bizzeffe”
Hermione lo guardò stupita. “Vuoi davvero metterti sui libri?” tentò di scherzare, ma l’idea di Harry era ben chiara e non solo a lei.
Informazioni. Ecco a cosa puntava. Avrebbero scoperto ugualmente cosa faceva l’Ordine anche senza farne parte.
 
Riley aveva insistito per accompagnare Christine fino a casa e  la ragazza decise che non ci sarebbe stato nulla di male nel fermarsi ancora un po’ con lui. Si fidava ora di quel giovane e sapeva che non aveva alcuna cattiva intenzione, come inizialmente aveva pensato. Che stupida era. Come potevano quegli occhi incantarti e appartenere a una persona pericolosa? Le due cose non potevano combaciare.
Camminarono fianco a fianco, restando all’ombra degli alberi del parco inizialmente, poi tornando alle zone riscaldate dal sole perché il vento si era alzato improvvisamente.
Passeggiarono ancora per le vie di Londra, che stavano riassumendo quello strano grigiore dei giorni precedenti.
“Ho idea che stia per piovere di nuovo” disse Christine guardando il cielo.
“E’ un modo per dirmi che ora devi proprio andare a casa?”
La ragazza guardò Riley e sorrise.
“Sei stato molto gentile ad accompagnarmi fin qui, ma ora posso anche proseguire da sola”
“Hai detto che non conosci Londra”
“Si, è vero, ma sto cominciando a imparare le strade vicino a casa mia e poi basta guardare i cartelli”
Da serio, Riley tornò a sorridere lievemente. “Allora arrivederci”
“Ciao” rispose Christine guardandolo allontanarsi, per la terza volta in pochi giorni.
“Ti rivedrò domenica?” chiese poi alzando la voce.
Lui si voltò e scosse la testa. “No non credo”
La fanciulla rimase perplessa e voleva chiedere perché, ma d’un tratto le mancò la voce e il respiro.
C’era qualcosa nell’aria, lo percepiva distintamente. Tanta tristezza. Non trovò la forze di dire nulla e lasciò che Riley sparisse in mezzo alla folla di passanti.
La ragazza si trascinò verso casa, ma l’enorme sconforto che si era fatto largo nel suo cuore la invase come un’ondata di gelo improvviso. Si sedette su un basso muretto nei pressi del fiume. Ormai era quasi arrivata a casa.
Il vento si alzò ancora di più, grosse gocce di pioggia cominciarono a cadere, ma Christine non si mosse e quando cominciò a piovere sul serio, solo allora decise che doveva tornare a casa.
Lei non poteva sapere, ma un’orda di Dissennatori era sopra la città, assetati di anime.
Erano furiosi, affamati, perché gli stupidi umani erano stati per troppo tempo inavvicinabili. I maghi li vedevano, sapevano come combatterli, ma i non maghi no. Erano prede facili.
E così i Dissennatori attaccarono.
 
Al quartier generale dell’Ordine della Fenice, Silente stava parlando seduto a capotavola. Occhi e orecchie erano puntati su di lui.
“Serpeverde possedeva molti tesori che  penso possano interessare a Voldemort. Lui, in fondo, è un suo diretto discendente. Ne è l’erede, e Salazar Serpeverde sarebbe fiero se sapesse a chi potrebbero andare i suoi averi”
Piton prese parola a un’occhiata del vecchio mago.
“Il medaglione è il pezzo forte della collezione perché possiede poteri magici”
“E scommetto che tu sai anche quali, vero?” chiese Sirius.
“No, non lo so”
“Non eri diventato il suo più stretto consigliere?”
“Basta Sirius, ti prego” disse Lupin a bassa voce.
“Perdonami Albus” interruppe Kingsley. “Il medaglione come può servirgli? Che tipo di poteri ha?”
Richard Thompson prese subito la palla al balzo.
“Già! Se sapessimo di che cosa si tratta saremmo più preparati. Possiamo fare delle ricerche…”
Silente alzò una mano per fermare il fiume di parole che sapeva ne sarebbe seguito.
“Non posso essere sicuro fino in fondo di ciò che davvero il medaglione rappresenta. Ho delle ipotesi ma non ho conferme, non ancora. Mi sto impegnando per trovarle e questo dovere spetta a me”
Il mago li guardò tutti. Sapeva cosa passava per la mente di ognuno di loro, ed era la stessa cosa che pensavano i sei ragazzi al piano di sopra, che sicuramente avevano ascoltato, se non tutta, parte della conversazione tanto da carpirne qualcosa che li avrebbe soddisfatti.
“So che vorreste aiutarmi o addirittura prendere il mio posto” continuò Silente con voce calma e ferma, “ma non posso permettervelo. A nessuno. Io sono colui che Voldemort teme di più, lo so bene, e so-perdonate la modestia- di avere capacità per compiti pericolosi che voi non avete. Il medaglione va trovato se è in  mano a questo ragazzo di cui parlate” disse Silente rivolto a Kingsley e Thompson.
“Andrete avanti a fare ciò che vi è stato richiesto dal Ministero e ci informerete dei progressi”
“E se scopriamo qualcosa su questo oggetto magico” disse Thompson. Non era una domanda.
Kingsley mugugnò un rimprovero, ma Silente sorrise.
“Ti ringrazio Richard, ma no. Non cercherete assolutamente di scoprire nulla. Se troverete il medaglione lo porterete da me e io lo distruggerò”
Un lieve mormorio si diffuse per la stanza.
“Perché distruggerlo?” chiese Sirius.
“Perché non ho idea di quali siano i suoi poteri e non ci tengo a scoprirli, anche se devo ammettere che la cosa mi alletta molto. Ma è magia molto oscura ed è meglio tenersene alla larga”
Remus incrociò le dita delle mani appoggiandole sul tavolo.
“Chi è il ragazzo che ha il medaglione?” chiese.
Kingsely sospirò scuotendo il capo.
“Non lo sappiamo. Stiamo cercando di scoprirlo, ma pare che non esista nulla su di lui. Niente certificati di nascita, niente residenza, nemmeno il nome”
“Com’è possibile?” fece Molly sbalordita.
“E’ questo il punto. E’ impossibile! Ma nessuno sa spiegarlo”
“Stiamo dando la caccia a un fantasma” disse Thompson.
Tonks alzò la mano come a scuola.
Moody gliela abbassò. “Se devi dire qualcosa non dilla Dora” disse un po’ imbarazzato.
Certe volte la sua protetta si comportava in modo strano.
“Ehm…si, scusate” arrossì lei. “Volevo sapere, come ha fatto il Ministero a sapere che un ragazzo di cui non si sa nulla ha il medaglione di Salazar Serpeverde? Insomma, se non si sa nulla, come l’hanno rintracciato?”
“Non hanno rintracciato lui” spiegò Kingsely “Hanno rintracciato il potere del medaglione. Sono stati quelli dell’Ufficio Misteri. Non ho idea di come abbiano fatto, perché non so cosa combinino là dentro, ma hanno scoperto che il monile era nelle mani di una persona precisa, l’hanno rintracciata con i loro metodi segreti..”
“E poi hanno mandato noi Auror a fare il lavoro sporco” concluse Richard.
“Precisamente!” esclamò Moody. “Tsk! E’ sempre così!”
“Allora quali sono i prossimi piani?” chiese il signor Weasley.
Silente sia alzò appoggiandosi al tavolo
“Priorità assoluta: il medaglione”
Tutti quanti annuirono, quando l’enorme sagoma di un orso apparve nella cucina.
Molly, Arthur e Bill si allarmarono.
“Il Patronus di Charlie!” esclamò il maggiore dei Weasley.
“I Dissennatori hanno attaccato dei cittadini nei pressi di Church Street! Sono in troppi, abbiamo bisogno di rinforzi. Stavolta vogliono uccidere!”
Il Patronus svanì e tutti si alzarono svelti, decidendo chi doveva andare e chi restare.
“Molly, tu rimani qui con i ragazzi insieme a Tonks” disse Arthur.
“No! Io vengo!” esclamò quest’ultima risentita.
Moody fece cenno di si con il capo al signor Weasley. Tonks era capace e astuta all’occasione, c’era bisogno anche di lei.
“Va bene”
Piton incrociò lo sguardo di Silente che lo congedò. Church Street era vicino a Spinners End.
“Vai, Severus”
Piton si alzò e con velocità uscì per primo dalla cucina.
“Te la fili, Mocciosus?” fece Sirius sprezzante.
“Vai al diavolo Black!” ribattè l’altro.
Aveva cose molto più importanti a cui pensare che stare lì a litigare come un ragazzino come Sirius Black.
 
Il temporale esplose su Londra. Era come se il cielo volesse cadere sulla terra.
Un fulmine aveva colpito un grande albero al centro di un marciapiede ed era caduto ferendo due persone. Il vento faceva mulinelli di foglie che si erano staccate dalle piante. I tronche più esili e leggere si piegavano sotto la sua forza.
Christine correva a perdifiato su per la strada, ma l’unica via che portava a casa era bloccata da due ambulanze e decine di persone ammassate sul suo ciglio.
C’era gente che correva e si spintonava in preda al panico. Altre mormoravano qualcosa su una bambina che si era sentita male all’improvviso.
Non seppe cosa la spinse a raggiungere la donna e la bambina, ma doveva fare qualcosa per loro.
Sua madre Elisabet non le avrebbe lasciate sole. La mamma le avrebbe detto di aiutarle.
Christine si fece largo tra i passanti curiosi ma che se ne stavano lì impalati e si inginocchiò accanto alle due.
 “Che cosa è successo?”
“Non lo so! Un momento prima stava bene e poi è caduta a terra! Non respira!”
“Dove sono i medici?” chiese Christine a un uomo vicino a lei.
“Non lo so! Abbiamo chiamato un’altra ambulanza perché quelle le altre sono occupate con i feriti, ma non è ancora arrivata!”
Christine si rivoltò verso a donna.
 “Come si chiama sua figlia?”
L’altra restò un momento sbalordita dalla domanda, poi rispose con voce strozzata.
“D-Daisy. Si chiama Daisy”
Christine sollevò la testa della bambina e le parlò dolcemente. “Daisy, mi senti?”
Appoggiò delicatamente le mani al suo piccolo viso. Era fredda come il ghiaccio.
Come la mamma…
Il pensiero le attraversò la mente come un lampo.
Elisabet stesa in un letto d’ospedale , la sua mano in quella di Christie che diventava sempre più fredda…sempre più fredda…
Daisy aprì lentamente gli occhi sentendo chiamare il suo nome più volte.
“Mi vedi piccola?” chiese Christine, mentre la madre della bimba si concedeva un momento di sollievo nel vedere la figlia ancora in vita.
“…tanto…freddo” balbettò.
Christine prese la giacchetta che la donna prontamente si tolse e la mise sopra la bambina.
“Lo so, ora passa”
“Loro…sono orribili. E’ colpa loro” disse debolmente Daisy.
“Loro chi, tesoro?” chiese la donna.
Più di prima, Christine percepì che qualcosa non quadrava. C’era una specie di presenza sopra di lei e le persone che le stavano intorno. Se solo il sole fosse tornato a splendere come solo un’ora prima…
Finalmente l’ambulanza arrivò a sirene spiegate. Subito un paramedico mise alla bambina una mascherina di ossigeno.
“Sembra ipotermia” sentenziò allibito. “Com’è possibile?”
“Li senti anche tu, vero?” chiese Daisy a Christine afferrandole la mano.
Ancora quel freddo glaciale. Freddo di morte.
“Che cosa?”
“Loro” Daisy guardò in alto. “Quelli che coprono il sole e mandano via la felicità”
Christine non capì.
“Continuate a parlarle” disse il paramedico. “Io preparo qualcosa per tenerla al caldo”
“Solo questo?’” chiese la madre di Daisy.
“Signora, è l’unica cosa che posso fare”
Christine guardò le lacrime calde della donna cadere sulle guance pallide della bambina.
“Daisy, devi pensare alle cose più belle che ti vengono in mente. Non badare a…quelli lassù”
“Io ci provo, ma è difficile”
“A te piace il sole non è vero?” disse Christine sorridendo.
La piccola annuì.
“Allora pensa alla sua luce. Lo sai? La mia mamma mi diceva sempre che dopo un temporale arriva sempre l’arcobaleno. Sono sicura che anche oggi succederà, ma tu devi tenere gli occhi ben aperti per vederlo, hai capito?”
“S-si” rispose la bambina sempre più debole.
Il paramedico tronò poco dopo con una coperta pesante di lana e dell’acqua bollente. Trasportarono poi la bambina a bordo dell’ambulanza, le misurarono la temperatura corporea che si rivelò essere bassissima e le attaccarono anche una flebo, ma non servì a molto.
Christine le aveva seguite, perché Daisy continuava a tenerle la mano e non accennava a lasciargliela.
“Signorina, come ti chiami?” chiese la bambina stancamente.
“Christine” sorrise lei.
“Dov’è la tua mamma?”
La fanciulla si sforzò di continuare a sorriderle.
“Purtroppo è volta in cielo”
Daisy la guardò triste. “Ti manca?”
“Si, tanto”
“Però adesso la tua mamma è un angelo, vero?”
Christine prese la mano della bimba con entrambe tra le sue.
“Si, penso di si”
Daisy si voltò verso la madre. “Mi canti la canzone dell’angelo, mamma?”
“Non ora, tesoro. Quando starai meglio”
“Se vuoi te ne canto una io” disse Christine incrociando lo sguardo della donna che annuì, e la bella voce di Christie si alzò di nuovo verso il cielo, mentre da lontano, in mezzo alla folla, un uomo ammantato di nero la fissava e poi spariva tra le ombre.
 
Piton si era smaterializzato direttamente davanti a casa per scoprire che sua figlia non era ancora tornata. Aveva provato al parco allora, dove a lei piaceva tanto andare, ma con quell’acquazzone era assurdo che fosse ancora lì.
Non avendola trovata neppure lì, ora correva a perdifiato per Church Street. Forse l’avrebbe incrociata mentre rientrava.
Era una gran scocciatura non potersi smaterializzare da un posto all’altro, doveva fidarsi alle sue sole gambe per cercare Christine.
I Dissennatori che uccidevano così di punto in bianco! A quante persone avevano già dato il loro bacio disgustoso? Non alla sua Christine, non a lei!
Per la prima volta nella sua vita si ritrovò a pensare Dio, fa che non sia qui.
Infine, quando le forze gli vennero meno per la lunga corsa, sentì la sua voce dolce. La riconobbe all’istante perché l’aveva già sentita canticchiare per casa.
Era nel centro esatto di Church Street, dove era il caos più totale. C’erano stati gravi danni, ma nessuno era morto, o almeno così sembrava.
Piton li vide, i Dissennatori che volavano alti sopra la folla di persone in strada, molte delle quali si erano fermate ad ascoltare la ragazza che cantava.
Ma più le persone sorridevano e i loro cuori tornavano sereni, più i Dissennatori si dissolvevano e infine volarono via sparendo nel cielo quando il sole tronò a splendere più forte che mai e il temporale cessò all’improvviso così com’era iniziato.
 
 
Scusate il lieve ritardo, ma le ferie sono finite e sono tornata al lavoro che mi prende cinque giorni su sette ù.ù
Il capitolo è un pò lunghetto ma era necessario per spiegare bene un pò di cose. Spero di essere stata chiara. Perdonate anche evantuali errori di battitura, perchè mi sono accorta di averne fatti nei capitoli precedenti. Sorry!!!
Detto questo, ringrazio tutti quelli che mi seguono e recensiscono. Continuate a leggere! Un bacio
By Usagi^^
 

  

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: L'Angelo della Musica ***


Capitolo 7:
L’Angelo della Musica

 
Credevo che fossi davvero il mio angelo custode…ma ora scopro che non sei come ti immaginavo.
E questo mi spezza il cuore…
 
 
Si faceva largo tra la folla spingendo senza chiedere permesso. Aveva ancora addosso il mantello da mago, m non gliene importava nulla se la gente lo guardava stranita.
Christine si era voltata immediatamente quando aveva sentito la voce di suo padre chiamarla forte e chiara. Era spaventato come mia l’aveva visto prima.
“Papà?”
Piton corse vicino all’ambulanza e l’abbracciò stretta facendole quasi male. Poi l’allontanò da sé per constatare coi suoi occhi che non avesse un graffio. Le accarezzò le spalle, i capelli, il volto. La strinse di nuovo, con meno foga, tirando il più grande dei sospiri.
“E’ il tuo papà?” chiese la piccola Daisy scendendo dalla branda e facendo un passo verso le due figure abbracciate.
Christine si girò verso la piccola e annuì. La bambina sorrise.
“Non so come ringraziarla” disse la madre di Daisy.
“Io non ho fatto nulla” si schermì subito la fanciulla, ancora stratta tra le braccia del padre che sembrava non volerla lasciare mai. Ma fu costretto nel momento in cui Daisy abbracciò la ragazza in vita e la madre ne prese le mani ringraziandola infinite volte.
Il paramedico si avvicinò con una mano dietro la nuca, pensieroso.
“Non capisco. E’ assurdo”
“Che cosa?” chiese Christine dopo essersi liberata dolcemente dall’abbraccio della bambina.
“Certo, la signorina ha avuto una presenza di spirito incredibile” disse lui indicando Christine “ma non è questo, è stato…”
“Una magia!” esclamò Daisy.
Piton si irrigidì all’istante osservando la piccola babbana sorridere.
“Daisy, che dici?”
“Ma si, mamma! Non te ne sei accorta? Prima c’era il sole, poi è venuto buio e pioveva e poi quando è arrivata Christine il sole è tornato!”
La piccola si voltò verso la ragazza. “Tu sei una maga!”
Christine sorrise e si chinò verso di lei. “Ho paura di no. Ma può darsi che sia stato un angelo”
”Si! “Come quello della canzone che mi hai cantato?”
“Si, come quello”
La madre prese da mano la figlia. “Tesoro, dobbiamo andare ora. I medici devono ancora visitarti”
“Perché? Io sto bene, adesso!”
Il paramedico fece come Christine e si chinò su di lei. “Lo so Daisy, ma devo ancora accertarmi su un paio di cose. Inoltre” aggiunse poi rivolto anche agli altri “ci sono altre persone che hanno avuto gli stessi sintomi e non solo oggi. Anche nei giorni scorsi si sono verificati strani casi”
“Che cosa vuol dire?” chiese Severus con la sua voce profonda.
“Che potrebbe essere scoppiato qualche virus starno. Molte persone, quest’estate, si sono presentati all’ospedale con gli stessi sintomi di Daisy. Debolezza improvvisa, pallore, alcuni con crisi di pianto. Non sappiamo cosa sia, ma volgiamo scoprirlo”
La madre di Daisy era piuttosto preoccupata. “Quindi mia figlia potrebbe essere stata contagiata da questo virus?”
“Non so signora, ma per scoprirlo devo visitarla ancora”
Il giocane uomo in camice bianco si allontanò verso la ambulanza, mentre Daisy salutava Christine.
“E’ stato un piacere conoscerti” disse la ragazza.
“Anche per me! Senti, come si chiama l’angelo che mi ha salvato?”
Christine le sorrise. “L’Angelo della Musica”
 
Severus si allontanò insieme a Christine e si incamminarono verso casa. Lui le teneva una mano sulla spalla per paura che potesse accaderle qualcosa. Aveva l’aria strana, abbattuta. Guardandola bene si accorse che le sue guance erano rigate di lacrime. Perché mai aveva pianto?
Pensò  a quello che la bambina di nome Daisy aveva detto a proposito di sua figlia: una maga.
Possibile che anche Christine fosse come lui?
Per un attimo l’idea gli sfiorò la mente, ma un attimo dopo sfumò. Non poteva essere…i poteri magici si manifestavano in un mago dai sei agli otto anni, Christine ne aveva ormai sedici.
E se sua figlia fosse stata un caso particolare? Ce n’erano stati anni addietro, anche se molto rari. Casi di maghi e streghe che scoprivano di possedere un potere solo dopo essere stati a contatto con un latra persona con dei poteri.
Daisy, lei senz’altro sarebbe divenuta una strega. Christine strada facendo gli aveva raccontato che la piccola babbana aveva detto di aver visto degli starni esseri volare sopra la gente in strada. Aveva visto i Dissennatori, e solo i maghi potevano vederli. Christine non li aveva visti.
Piton si ridestò dai suoi pensieri quando arrivarono a casa. Entrarono senza dire una parola. Christine si sedette sul divano ancora con i vestiti bagnati di pioggia e il viso tirato e pallido.
“Fatti un bagno caldo, o ti prendi un malanno”
Si tolse il mantello cercando di far finta di nulla. Lo appoggiò sulla spalliera della poltrona e poi si sedette accanto alla figlia.
“Stai bene?” chiese apprensivo.
Lei annuì e basta, lo sguardo fisso sul pavimento.
“Hai voglia di raccontarmi cos’è successo?”
Ci fu silenzio per qualche minuto, turbato solo dai grossi goccioloni di pioggia che aveva ricominciato a scendere impetuosa. I Dissennatori erano di nuovo all’attacco, questo spiegava anche perché il buonumore che Christine aveva manifestato solo poco prima nei confronti della bambina babbana era svanito da un momento con l’altro.
“Sono andata a fare una passeggiata al parco, oggi” disse d’un tratto Christine con voce flebile. “Stavo tornando a casa quando ha cominciato a piovere. Sembrava un comune temporale, ma poi è cambiato”
Severus ascoltava con attenzione, serio in volto.
“Io…no so cos’è successo. Mi sono messa a piangere senza motivo. Quando il cielo si è oscurato mi sono sentita come se…”
“Come se tutta la felicità ti avesse abbandonata” disse automaticamente Piton.
Padre e figlia si voltarono di scatto l’uno verso l’altra.
“Si, è così” affermò la ragazza guardando Severus attonita. “Come lo sai?”
“Perché è capitato anche a me di sentirmi così”
Christine conosceva sua padre abbastanza bene da capire che non avrebbe aggiunto altro a quella frase.
Il suo sguardo indugiò sul mantello nero appoggiato alla poltrona, poi di nuovo lo rivolse al genitore. Stava per dire qualcosa ma lui sia alzò costringendola a fare altrettanto.
“Ora va a cambiarti. Io preparo qualcosa da mangiare”
“Non ho fame” disse lei a bassa voce.
Piton si diresse verso la porta che portava in cucina. “Non fare storie. Devi mangiare” disse autoritario.
“No, papà, davvero”
“Christine, non discutere. Ti preparo qualcosa e te lo porto in camera. Hai bisogno di riposare e di mangiare”
La guardò dritto negli occhi e lei sembrò riprendere colore.
“Va bene” obbedì e poi si voltò verso le scale salendole lentamente.
 
Il bagno fu davvero ristoratore. Il calore la rilassò e le diede un senso di pace.
Si sentiva depressa e senza forse come le era successo nei primi mesi dopo la morte di sua madre.
Suo padre le portò su la cena, ma lei la rifiutò ostinatamente. Aveva la bocca dello stomaco completamente chiusa. Non le andava giù nemmeno un goccio d’acqua. Voleva solo stendersi e dormire.
Severus non la costrinse più di tanto vedendo che era davvero provata.
Possibile che i Dissennatori avessero quell’effetto così devastante su chi non possedeva poteri magici? Non aveva mai sentito dire una cosa simile. L’effetto che provocavano quelle creature era sempre lo stesso, su qualunque individuo. Eppure Christine sembrava essere in qualche modo più sensibile alla loro presenza anche se non poteva vederli.
Passò l’intera serata sul divano, come sempre, a passare in rassegna i suoi tanti libri.
Non quelli che teneva sulla libreria, quelli erano volumi di ogni genere ma non certo di magia. Christine non doveva vedere questi ultimi, così Piton li aveva spostati tutti nell’antro segreto dietro la libreria stessa. Era un passaggio segreto che portava chissà dove, ma a lui non importava scoprirlo. Per Severus fingeva principalmente da nascondiglio per i suoi molti oggetti magici che non poteva lasciare in giro per casa.
Cercò informazioni sul famigerato medaglione che tutti stavano cercando. Poteva benissimo essere uno degli oggetti usati da Voldemort per ottenere l’eterna giovinezza, quelli chiamati Horcrux, ma non ne era sicuro al cento per cento. Il Signore Oscuro non aveva ancora parlato con lui di tutto ciò. Ci voleva del tempo per riconquistare appieno la fiducia di Voldemort come ai vecchi tempi, ma Piton era più che deciso a farlo.
Tuttavia, non riusciva a concentrarsi perché nella sua mente c’era solo il pensiero di sua figlia.
Non doveva indugiare così tanto su di lei. Rischiava di farsi scoprire da Voldemort se la sua mente diventava troppo vulnerabile e piena di cose inutili.
Ma Christine era sua figlia!
Si ripeté nella mente quelle parole che erano state il suo stile di vita per tanti anni.
Svuota la mente. Non pensare a niente. Tutto attorno a te diventa nulla. Non rimuginare troppo sulle cose che non contano. Tieni a ente la tua missione che è l’unica cosa importante. L’unica cosa per la quale vivi ancora.
Ma ora aveva qualcos’altro per cui dare la vita, per cui valeva la pena appartenere ancora a questo mondo. La sua missione stava sempre più venendo in secondo piano davanti all’amore che provava per Christine. Quell’amore che solo un padre può provare. Perché lei era sangue del suo sangue, carne della sua carne, la prova dell’esistenza di un sentimento che era stato vero e reale da parte dell’uomo freddo che era Severus Piton. Quell’amore che aveva sempre creduto non esistesse e che fosse solo la futile fantasia di gente troppo stupida per non capire che erano solo tutte illusioni.
Ma l’amore che lui aveva donato a Elisabet era cresciuto e divenuto reale insieme a lui in quell’unica notte d’estate di sedici ani prima. Era divenuto una vita, e la vita non è una fantasia irreale, è qualcosa di vero e concreto.
Guardò l’ora. La mezzanotte era ormai passata. Christine già dormiva, sicuramente, ma voleva controllare ugualmente che fosse tranquilla.
Fece piano più che poté e salì le scale diretto alla porta della camera della ragazza. Nessun rumore.
Si diresse allora verso il bagno e poi si coricò, stanco nella mente più che nel fisico.
Era un periodo davvero stressante. In poche settimane tutto era stato rivoluzionato.
Il ritorno di Voldemort, la riforma dell’Ordine, l’arrivo di Christine e infine il titolo di Primo Mangiamorte. Ora c’era la faccenda del medaglione e del ragazzo misterioso che probabilmente lo possedeva.
Sospirò guardando fuori dalla finestra scura. I contorni delle case attorno alla sua si vedevano appena. Sentiva il rumore del fiume che rischiava di uscire dagli argini, perché il temporale si era trasformato in poche ore in una tempesta vera e propria.
Chiuse gli occhi cercando di prendere sonno, ma poi li riaprì subito dopo a causa di un bussare alla porta della sua camera.
Severus si alzò e andò ad aprire e il cuore gli sprofondò nel petto.
“Christine?” sussurrò vedendola in lacrime e completamente sconvolta.
“Posso dormire con te?” chiese la ragazza titubante.
“Certo, tesoro” rispose Severus.
Christine si buttò tra le sue braccia iniziando a singhiozzare forte, le spalle scosse dai singulti.
Piton chiuse la porta e la fece sedere sul suo letto abbracciandola.
“Cosa c’è?” chiese molto preoccupato. “Christine per favore, dimmi cos’hai!”
“Non lo so!” esclamò lei. “Non riesco a smettere di piangere, è più forte di me! Appena chiudo gli occhi vedo il volto della mamma morta! La vedo come quando era malata in ospedale! Papà, è morta tenendomi la mano e io non ho potuto fare niente!”
Severus non disse nulla perché anche il suo cuore fu invaso dal dolore al pensiero della sua Elisabet morta.
“Non è colpa di nessuno. Lo hai detto anche tu, ricordi?” disse con voce dolce e profonda.
“Lo so, ma...questa pioggia…la tempesta…è tutto come quel giorno!” gridò Christine tra le lacrime e la disperazione. “Oggi, quando ho stretto la mano di quella bambina…è cominciato tutto da lì. Ho sentito freddo, paura, angoscia. Mi sembrava di essere ancora in quella stanza d’ospedale e io non voglio riprovare quelle sensazioni un’altra volta!”
“Hai sognato la mamma?” chiese Severus lasciandola sfogare.
“No, la vedo quando chiudo gli occhi, te l’ho detto. Mi era già successo, nei mesi seguenti da quando se né andata. Non riuscivo a dormire perché tutte le volte che provavo a farlo rivedevo il suo viso tanto bello e tanto pallido. E sento ancora il freddo della sua mano nella mia. Ho paura!”
Piton baciò la figlia sul capo cercando di dire parole di conforto, ma sapeva che quello che provava Christine era difficile da combattere solo con le parole. Era il potere dei Dissennatori che la faceva sentire così. Erano furiosi e ciò aumentava la loro forza. C’era un solo modo per scacciare tutto quel dolore e quella tristezza.
“Christine, stenditi un momento. Io torno subito”
La ragazza lo guardò terrorizzata.
Piton sorrise lievemente e le posò le mani sulle spalle.
“Non vado da nessuna parte. Sta tranquilla. Sdraiati”
Christine fece come suo padre le aveva detto e poi lo guardò uscire dalla camera.
Non voleva stare sola. Ma che cosa le stava succedendo? Che diamine succedeva al mondo?
Guardò fuori dalla finestra come aveva fatto suo padre poco prima di lei, ma la fanciulla non vide coloro che aleggiavano fuori dalla casa e che bramavano la sua paura e i suoi sentimenti negativi come un uomo brama l’acqua nel deserto.
 
Piton indossò il suo ampio mantello per non bagnarsi e uscì di casa dalla porta sul retro che dava sull’argine del fiume che ormai era fuori controllo e allagava le strade.
Camminò con passo sicuro verso il nugolo di creature nere e alzò la bacchetta enunciando a voce alta la formula per evocare il Patronus.
La luce argentea esplose come un lampo accecante, i Dissennatori scemarono impauriti. I più temerari tentarono di nuovo di avvicinarsi alla casa ma la creatura argentata colpì gli esseri uno dopo l’altro correndo nell’aria.
Poco dopo i Dissennatori erano scomparsi, ma probabilmente sarebbero tornati. Per il momento però, la loro presenza non si avvertiva più.
Il fiume si acquietò e le acque tornarono a scorrere normalmente, solo leggermente gonfie. La pioggia divenne meno irruenta, il vento non soffiava più aggressivo e non ululava più. I tuoni rombavano meno rabbiosi. Il peggio era passato…per ora.
Piton tornò verso casa e si apprestò a tornare in camera da letto dopo aver riposto bacchetta e mantello nel loro nascondiglio.
“Cos’è stato?” chiese Christine attonita appena lui entrò.
“Che cosa?” chiese l’uomo evasivo, reggendo tra le mani due tazze di cioccolata calda.
“Quel lampo incredibile di poco fa! Non dirmi che non l’hai visto?”
“Si, l’ho visto, ma ero molo più preoccupato per te che non per un lampo”
“Grazie” disse Christine prendendo la bevanda che il mago le porgeva. “Ma non mi va”
Severus appoggiò la sua tazza sul comodino. “Niente storie. Non dormirai finché non l’avrai bevuta tutta. Un mio…collega, dice che è un buon rimedio per far passare la tristezza.”
“E tu credi che sia vero?” chiese la ragazza mettendosi seduta e appoggiandosi ai cuscini.
“Non lo so. Ma tu bevila comunque. Hai mangiato veramente poco stasera”
Christine prese un sorso e sorrise. “Stai diventando bravo. Come padre, intendo”
“Davvero?”
“Si. Ti occupi di me, mi ricopri di attenzioni…Sai, personalmente non ci speravo. Quando la zia Karin mi h mandato qui credevo che avremmo solo litigato. Non so perché”
Piton prese posto sedendosi vicino a lei. “Forse perché ho un brutto carattere”
“No, non è poi così brutto. Mamma diceva che eri scontroso e intrattabile all’inizio, quando ti ha conosciuto. Poi però col tempo sei cambiato e sei diventato l’uomo di cui si è innamorata”
La ragazza divenne di nuovo triste e le lacrime presero di nuovo il sopravvento.
Piton le prese la tazza dalle mani e l’appoggiò sul comodino accanto alla sua ancora intatta. Poi l’abbracciò facendole poggiare la testa sul suo petto.
 “Non lo trovo affatto giusto. Avete condiviso così poco insieme”
“Vieni, sdraiati qui con me”
Christine si rannicchiò sotto le coperte stringendosi a suo padre e affondando il viso nella sua maglia.
 “Io posso fare ancora poco per te, piccola mia, ma c’è una cosa che ti prometto: non ti lascerò mai sola”
 “Tu fai già tanto. Io non pretendo di più. Sei l’unica famiglia che mi è rimasta. Mi sentivo così sola quando mamma se n’è andata, ma poi ho scoperto che c’eri tu e il mio cuore si è riempito di tanta speranza! Volevo conoscerti più di ogni altra cosa la mondo. Volevo che tu mi accettassi. Volevo sentirmi ancora a casa”
Piton la cullò dolcemente tra le bracca accarezzandole i lunghi capelli.
“E ci sei riuscita?” chiese non senza paura.
Sapeva che Christine gli voleva bene, ma aveva sempre timore che lui non fosse all’altezza di essere un buon genitore.
“Si” rispose lei immediatamente.
“Lo sai, quando la mamma era sul letto di morte, mi disse che quando sarebbe stata in cielo mi  avrebbe mandato un angelo a proteggermi”
Lo guardò sorridendo.
“Era l’angelo di cui parlava la bambina di oggi?”
“Già” disse la fanciulla appoggiandosi meglio al cuscino.
“E questo angelo ha un nome?”
“Bè…” fece Christine pensierosa. “Dipende. Lei disse che il mio sarebbe stato l’Angelo della Musica. Mi cantava sempre una canzone su di lui e io ci ho sempre creduto.
“Quando calava la sera, nella calma del tramonto io e mamma ci mettevamo sempre sedute al bordo del laghetto che c’è poco lontano da casa. Era il nostro momento, il preferito di tutta la giornata, perché sapevo che lei aveva sempre qualche nuova leggenda da raccontarmi.
“La mamma diceva che le leggende hanno sempre un fondo di vero, e mi piaceva ascoltare le vecchie storie Svedesi. Me le raccontava a bassa voce, quasi come se temesse di risvegliare le stesse creature delle quali mi narrava”
Christine sorrise a quel ricordo.
Severus vide tutta l’innocenza nello sguardo di sua figlia. Lei non poteva sapere che la madre conosceva per davvero l’esistenza di starne e misteriose creature che da qualche parte abitavano sul serio. Elisabet era entrata i contatto col mondo della magia, sebbene per brevissimo tempo, quando era andata  cecare Severus.
“Sono cresciuta con la magia di queste storie” riprese Christine,” ma la mia preferita è sempre stata quella dell’Angelo della Musica”
Piton si puntellò su un gomito e la guardò. “Parlami di quest’angelo”
La ragazza lo guardò stupito.
“Sul serio ti interessa?”
“Si, sul serio”
Lei sorrise. Non era ancora il suo vero sorriso, ma la tristezza stava passando. Era triste parlare di Elisabet, ma se erano insieme potevano sopportarlo.
Severus restò in silenzio ascoltando la strana storia di questo Custode celeste.
Christine si apprestò ad iniziare il suo racconto e cercò di ripeterlo con le stesse parole che usava sua madre. Non le era difficile ricordarle e la voce di Elisabet risuonava ancora forte e chiara nella sua mente…
 
“La piccola Lottie pensava a tutto e a niente. Era una dolce bambina con l’animo puro, i capelli color del sole e gli occhi come due laghi azzurri del nord. Era tenera con sia madre, premurosa con la sua bambola, a dorava ascoltare il nonno suonare il violino. Ma quello che amava dipiù, era ascoltare, mentre si addormentava, l’Angelo della Musica.
Qualche volta egli sta con noi fin dalla culla, come era accaduto alla piccola Lottie.
Spesso però, ci sono individui che non hanno un animo puro e gentile, il loro cuore è corrotto, e l’Angelo da loro non si reca mai, poiché non crederebbero senz’altro alla sua presenza.
L’Angelo non si vede, ma i predestinati lo sentono spesso nei momenti in cui meno se lo aspettano o quando hanno l’animo più triste e avvilito. All’ora l’orecchio e il cuore odono armonie celesti, una voce divina che li conforta, e non la dimenticano per tutta la vita.”
 
“Chiedevo continuamente a mamma di raccontarmi questa storia” disse Christine con voce rotta dall’emozione ma sempre con il sorriso sulle labbra.
“Le chiesi anche se lei avesse mai sentito l’Angelo, ma mi disse di no. Però mi promise che un giorno, quando ne avessi avuto più bisogno, lei lo avrebbe mandato per proteggermi”
“E’ una bella storia” disse Piton con sincerità.
“Sai, io credo che esista davvero” disse Christine chiudendo gli occhi.
Severus la guardò addormentarsi, imprimendosi ogni centimetro del suo volto nella mente.
La missione di cui si era fatto carico poteva portarlo alla morte, lo sapeva da anni, e se fosse accaduti lei sarebbe rimasta nuovamente sola e sperduta.
Christine era ingenua, dolce e buona. Non concepiva la cattiveria, non sapeva cos’era la malizia e non era arrogante o presuntuosa. Non avrebbe mai potuto far fronte a una situazione come quella in cui si trovava lui.
Aveva promesso a Karin di prendersi cura di lei, ma avrebbe dovuto rimandarla alla casa materna se la situazione fosse precipitata. A meno che questo Angelo della Musica non fosse giunto sul serio a proteggerla.
La strinse dolcemente e si addormentò assieme a lei. Si sentiva felice. Davvero felice.
Forse era Christine l’Angelo di cui Elisabet parlava nelle sue storie. L’Angelo che aveva salvato la vita di un uomo che credeva che valesse la pena vivere solo per espiare le proprie colpe.
La ragazza, tra le braccia di suo padre, stava ancora tra il sonno  e la veglia, in quel momento della notte in cui non sei ancora entrata nel regno dei sogni e sei ancora nel mondo terreno.
Le aveva fatto bene parlare dell’Angelo. Tutte le volte che lo pensava e si ripeteva la sua favola nella mente diveniva più serena.
“Christine…” sussurrò una voce al suo orecchio.
Non capì se era la voce di suo padre o quella di qualcun altro, ma prima di addormentarsi definitivamente, percepì chiaramente il suo nome pronunciato da un suono misterioso.
“Christine…”
 
Little Angleton era pervasa ancora dalla tempesta. I Dissenntaori erano tornati al cospetto del loro padrone.
Un uomo incappucciato varcò la soglia della grande villa e lasciò impronte e gocce di pioggia che colavano dai lembi del lungo mantello nero.
Salì la grande scalinata diretto all’elegante salotto del primo piano dove Voldemort attendeva in piedi davanti alla grande finestra che dava sul cimitero.
“Ce l’ho mio signore” disse il mangiamorte porgendo inchinandosi.
Voldemort si girò verso di lui e gli andò incontro a passo lento.
“Molto bene, mio giovane apprendista. Fammi vedere”
Il mangiamorte estrasse dal mantello uno scrigno color ghiaccio, non molto grande, che rifletté la luce del fuoco acceso nel camino.
Il Signore Oscuro sorrise e prese delicatamente lo scrigno poggiandolo sul tavolo e passando le lunghe dita bianche sui ricami.
“Recupera le altre due e poi portami le informazioni che ti ho chiesto”
“Ho anche quelle, padrone”
Lo stregone si voltò nuovamente verso il suo interlocutore.
“Ormai è praticamente certo. Severus Piton ha una figlia”
Sul volto di Voldemort si formò piano un sorriso maligno e soddisfatto.
“Trovala”
 

 
 
 
Rieccomi qua! Scusate il lieve ritardo!
Per questo capitolo devo doverosamente mettere una nota: la leggenda dell’Angelo della Musica non è di mia invenzione, ma è presente sia libro di Gaston Leroux (dal quale ho preso la descrizione) sia nel film di Joel Shumacher de “Il Fantasma dell’Opera” (oddio, spero di aver scritto per bene i nomi).
Detto ciò, vi lascio con un bacione sperando che anche stavolta siate soddisfatti di questa ff!
A presto!
By Usagi^^ 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: Domande senza risposta ***


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Capitolo 8:
Domande senza risposta
 

 
Io di te so poco o niente, ma non m’importa…
 
Si svegliò stanca, provata e con un gran mal di testa. Si stropicciò gli occhi e poi si passò una mano sul viso accorgendosi di averlo ancora rigato di lacrime. Si era addormentata più o meno serenamente, ma aveva sognato la madre e sicuramente pianto nel sonno.
Era stato bello dormire abbracciata a suo padre. Era una sensazione nuova, benché avesse l’abitudine di infilarsi spesso nel letto di Elisabet da piccola, ma non aveva mai sentito il calore di un padre. Sentiva che si erano avvicinati ancora di più.
Christine avrebbe desiderato parlargli ancora a lungo, ma il sonno aveva preso subito il sopravvento.
Si alzò e guardò fuori. Quella mattina il cielo ospitava un sole accecante e le sembrò pazzesco che Londra fosse la stessa città cupa del giorno prima. Era come se ci fossero due mondo opposti che ogni tanto si alternavano.
Uscì di corsa dalla camera del padre diretta al bagno, e poi di volata in camera sua a vestirsi. Jeans e maglietta rosa pallido per quel giorno.
Discese le scale diretta in cucina chiamando ad alta voce.
“Papà?”
Ma non ricevette risposta.
Entrò in cucina e trovò un biglietto sul tavolo già apparecchiato. Era consuetudine di Severus darle il buongiorno in quel modo quando non poteva farlo di persona.
Con il sorriso sulle labbra, Christine cominciò a mangiare, facendo piani per la giornata che l’aspettava.
.
A un certo punto, il suo cellulare squillò da qualche parte di sopra.
Christine alzò istintivamente gli occhi al soffitto e poi si alzò tornando in camera. Il telefono era appoggiato sul comodino e sul display brillava il nome di Meg.
Il cuore di Christine si allargò. La tristezza del giorno prima era solo un mero ricordo.
“Pronto?”
“Ciao Chris! Come stai?!”
La voce di Meg era squillante come sempre.
“Benissimo!” rispose la ragazza tornando in cucina.
“Stavi ancora dormendo?”
“No, in realtà stavo facendo colazione”
“Ah, scusa”
“No, nulla. Dimmi pure”
Christine si rimise seduta sulla sedia e si appoggiò allo schienale.
“Volevo sapere come andava” chiese un po’ timidamente l’amica.
“Tutto ok. Londra mi piace, anche se è una città un po’ strana, a volte”
Meg aveva una voce perplessa. “Starna in che senso?”
“Bè, non saprei dirti” Christine alzò le spalle. “Ogni tanto succedono cose strane, inspiegabili. Ieri si è scatenata una tempesta incredibile!”
“Sul serio? Anche qui! Ha fatto grossi danni, ma per fortuna nessuno si è fatto nulla”
“Davvero? Anche li?”
“Gia!”
Meg esitò un momento e poi parlò di nuovo.
“Ehm, senti, io però volevo sapere…con tuo padre? Tutto a posto? Tua zia mi raccomanda di chiedertelo di continuo”
Christine sorrise al pensiero di zia Karin, sempre così apprensiva per tutto.
“Lo so, mi telefonava cinque volte al giorno la prima settimana che ero qui” ricordò Christine.
“No, lui è meraviglioso, Meg, sul serio. E’ gentile e affettuoso. Parliamo molto e di tante cose. E’ una persona piena di sorprese”
“Andate d’accordo allora!”
“Si, decisamente si!” esclamò Christine felice.
Meg fece un gran sospiro.
“Chris sono contentissima per te, davvero!”
“Grazie”
Ci fu un attimo di silenzio in cui nessuna delle due disse più nulla, ma quel silenzio era pieno di affetto.
“Sei come una sorella per me, lo sai. Ti voglio bene più che a chiunque altro!”
“Lo so, Meg. Anch’io ti voglio bene”
“Oh, accidenti Chris! Adesso basta, se no va a finire che mi metto a piangere!”
Christine rise e Meg sospirò di nuovo a fondo.
“Allora, che novità dalle parti di Uppsala?” chiese Christine mentre reggeva con una mano il telefono e con l’altra cominciava a sparecchiare e a mettere le stoviglie nel lavello.
“Ma, niente di che, a parte che da un po’ di tempo gira gente bizzarra”
Christine aggrottò le sopracciglia. “Bizzarra come?”
“Bho, con lunghi mantelli e l’aria sospetta…tua zia ha dato fuori di matto quando uno di loro è venuto a casa tua”
Christine fissò lo sguardo in un punto imprecisato del muro davanti a lei. Gente con indosso mantelli lunghi…Si voltò verso la porta e la sua mente tornò alla sera prima. Poteva ancora vederlo, il lungo mantello che suo padre aveva appoggiato alla poltrona del salotto.
“Chris, ci sei?”
“S-si, Meg, scusa”
La fanciulla marciò verso il salotto, ma ovviamente niente mantello.
“Ascolta, hai detto che sono andati a casa mia?”
“Si…bè, non solo a casa tua, un po’ dappertutto a dir la verità. Hanno girato per tutta la campagna. La gente dice che potrebbero essere parte di qualche strana setta e di non avvicinarli. Io non ci penso nemmeno, mi fanno paura”
“Ma cosa volevano? Insomma, cos’hanno detto a mia zia?”
La paura cominciò a crescere senza motivo dentro Christine.
“Non lo so”Meg fece una pausa. “C’era mia madre con tua zia quando quegli uomini si sono presentati. Quando è tornata a casa me l’ha raccontato. Karin li ha cacciati letteralmente come si potrebbe fare con dei lupi feroci. Mia madre mi ha detto che sembrava quasi che li conoscesse”. Un ‘altra pausa. “Non so che dirti” concluse Meg.
Christine non parlò. La sua mente pensava. Era ferma in piedi in salotto, l’unico rumore era quello del respiro regolare della sua migliore amica dall’altra parte del telefono.
“Oddio Christine, spero di non averti messo in agitazione! Guarda che tua zia sta bene!”
Meg si scusò a lungo, mortificata.
“M-ma no, non devi. Non sono preoccupata. Sono solo un po’…”
“Perplessa?”
“Si, diciamo così”
“Sapessi noi! Non immagini il putiferio che si è scatenato tra i più anziani. Mia nonna ha ricominciato a raccontare quelle assurde storie sulle creature della notte. Te le ricordi?”
“Si, me le ricordo” disse Christine afona.
“Chris, davvero, non ti devi preoccupare! Io, come la maggior parte delle persone qui,  non credo che dobbiamo allarmarci più di tanto. Si, abbiamo avuto paura, ma solo all’inizio, quando sono passati di casa in casa a fare strane domande sugli abitanti. Però ora pare che abbiano smesso. Insomma, non importunano nessuno, se ne stano per conto loro.”
“Hai fatto bene a dirmelo. Magari telefonerò alla zia Karin e mi farò spiegare meglio”
“Si, penso sia il caso. C’è un’aria strana qui, ultimamente”
“Già, anche a Londra. Molto strana” mormorò la ragazza pensierosa.
“Meg, scusami, ora devo andare. Ci sentiamo presto, ok?” disse in fretta Christine, così in fretta che la sua amica rimase un po’ spiazzata.
“Certo, va bene. Allora…ciao”
“Scusa ancora. Ciao”
Christine riattaccò e guardò il cellulare finché la luce sullo schermo non si spense.
Perché era così angosciata? Perché ad un tratto nella sua mente era riaffiorato il confuso ricordo- ma era un ricordo?- di uomini avvolti in mantelli neri che si presentavano alla porta di casa sua? Ricordò la zia Karin li cacciava via urlando, mentre sua madre la spingeva su per le scale.
Quanti anni avrebbe potuto avere? Cinque, sei al massimo. O forse era più piccola?
Si, era un ricordo,  non l’aveva sognato, ne era certa. C’erano voci nella sua testa che urlavano. La zia e la mamma. Impaurite ma decise.
Era accaduto una volta sola, ma rammentò i volti delle due donne scambiarsi sguardi pieni di parole non dette. Parole che forse non potevano pronunciare davanti a lei.
Era uno dei primi ricordi chiari che aveva della sua infanzia. Forse aveva davvero meno di cinque anni.
Non rammentava i volti degli uomini, non di tutti almeno. Non aveva fatto tempo a vederli in volto. Solo uno di loro, quello che stava davanti alla porta e fronteggiava zia Karin, si era voltato un secondo a guardarla prima che Elisabet la spingesse via e l’uomo dai capelli chiari era sparito alla sua vista. Ma in quella frazione di secondo gli occhi scuri di Christine bambina si erano incrociati con quelli di ghiaccio del tizio col mantello lungo e nero.
L’uomo l’aveva guardata interessato, poi si era rivoltato verso Karin che gli urlava contro.
Christine si accorse di aver percorso lentamente tutto il salotto in tondo, con il cellulare ancora stretto in mano. Lo appoggiò sul tavolino ma lo riprese subito dopo perché squillò per la seconda volta in pochi minuti.
Zia Karin.
“Zia!” esclamò subito la ragazza senza nemmeno salutare. Si chiese di nuovo perché era così agitata.
“Christine ciao, come stai tesoro?”
La donna cercava di mantenere clamo il tono della voce, ma era piuttosto agitata.
“Sto bene. Ascolta…”
Stava per lanciarsi in mille domande, ma la zia l’anticipò
“Devo parlare con tuo padre, tesoro, è in casa?”
“Ahm…no, a dire il vero è uscito presto stamattina”
“Capisco…Mi puoi richiamare quando torna?”
A Christine sembrò piuttosto starna quella richiesta, terribilmente coincidente con ciò che Meg le aveva detto poco prima. La zia che riceveva strane visite, la zia preoccupata, e adesso, la zia che voleva parlare con suo padre…
“Si, certamente” rispose la ragazza. Tentennò un secondo e poi, prima che l’altra potesse riattaccare, parlò di nuovo, velocemente.
“Zia Karin, mi ha chiamato Meg stamattina. Mi ha raccontato delle cose”
Silenzio. Un lungo sospiro e poi ancora nulla.
“Tu stai bene, vero?” chiese la ragazza agitata.
“Si, cara, sto bene”rispose Karin con un tono forzatamente rilassato.
“Zia, che cosa è successo?”
Un altro sospiro. “Fammi chiamare da Severus, d’accordo?”
Christine sapeva che quelle parole volevano dire che la zia avrebbe parlato solo ed esclusivamente con lui, di qualsiasi cosa si trattasse.
“Si, va bene” si arrese infine.
“Ciao cara, riguardati”
“Ciao”
Di nuovi niente risposte alle sue domande. Meg non era stata in grado di dirle nulla perché sicuramente i suoi genitori e sua nonna non le raccontavano niente, perché la ritenevano troppo piccola. Lo stesso la zia Karin.
E suo padre come si sarebbe comportato?
Christine si trascinò di sopra per iniziare a fare le solite faccende di casa prima dello studio, ma non riuscì a concentrarsi.
In fondo era stata una semplice telefonata quella di Meg. Le raccontava le novità di Uppsala, come sempre, ma allora perché questa volta ne era rimasta così scossa?
Gli uomini coi mantelli neri le avevano fatto crescere dentro il bisogno di sapere chi fossero. Il problema in sé non erano quegli individui, anche se potevano essere pericolosi, ma era il fatto che indossassero mantelli lunghi e neri, gli stessi del suo ricordo, lo stesso indumento che indossava suo padre il giorno prima, e che fossero andati a bussare alla porta di casa sua, di quella di Meg e di un sacco di altre famiglie. O forse non era nemmeno questo, ma tutti i fattori insieme.
Cosa volevano? Oppure era meglio dire cosa cercavano? O chi cercavano?
Avrebbe benissimo potuto ignorare la faccenda e pensare alla sua giornata, ma non era possibile perché sentiva nell’aria qualcosa che non andava. Come il pomeriggio scorso, aveva percepito un cambiamento e dopo si era scatenata la tempesta e tutto il suo susseguirsi di avvenimenti.
Un pensiero le si contorceva come una serpe nella mente. Non avrebbe dovuto farlo, ma doveva sapere, il perché non lo conosceva neppure lei, ma non poteva reprime la sua curiosità.
Finì di riordinare le lenzuola nella camera di suo padre e poi si fermò davanti  all’armadio di legno scuro. Prese un respiro e lo aprì.
Cosa si aspettava di trovare? Niente mantelli neri, comunque. Nulla di strano e fuori posto.
“Stupida!” sbuffò verso se stessa. Ora si sentiva anche in colpa per aver sbirciato tra le cose del genitore.
Fece per richiudere le ante, quando dal ripiano più alto vide spuntare il retro di una fotografia.
Si mise in punta di piedi e la prese allungando un braccio.
Immaginava che cosa potesse essere, e infatti vide raffigurata sua madre sorridente con i capelli biondi al vento.
Christine aveva donato a Severus quella foto alcuni giorni prima. Strano posto i cui tenerla, comunque.
Richiuse l’armadio e scese al piano di sotto, diretta alla libreria in salotto.
Suo padre doveva aver pure un album di foto da qualche parte, no?
Passò al setaccio tutti gli scaffali e si fermò con gli occhi puntati su un vecchio libro un po’ rovinato…che non era un libro ma un album di fotografie. Quello che cercava.
Allungò il braccio come poco prima, ma non ci arrivava. Fece un altro tentativo saltando sul posto per provare ad afferrare al volo il bordo più alto della copertina e riuscire a tirarlo giù dallo scaffale.
Fu una pessima idea, perché non solo l’album di foto cadde sul suo piede, ma portò con sé altri tre o quattro libri che produssero un gran frastuono.
“Ahi!” gridò Christine saltellando sul piede sano e facendo uno stentato passo indietro.
Per fortuna il peso finitole addosso non era granché, ma si massaggiò ancora per un istante guardando torva i libri caduti.
“Accidenti, che disastro!”
Scavalcò i volumi polverosi e prese una sedia. La portò vicino alla libreria. Raccolse i tre libri e l’album di foto. Quest’ultimo lo appoggiò sul tavolo del salotto, gli altri li prese sotto braccio e poi si arrampicò sulla sedia fino allo scaffale da cui erano caduti.
Ora ci arrivava meglio. Fece per mettere a posto il primo quando si bloccò. Uno spiffero d’aria muoveva lentamente un ciuffo dei suoi capelli. Il fresco le sfiorava il volto.
Christine appoggiò di nuovo a terra i tre volumi e tornò in fretta dov’era prima. Si, era decisamente aria. Ma da dove arrivava? Guardò attentamente nel punto lasciato vuoto dai tomi del padre. All’inizio non vide nulla, ma poi eccolo lì, un cardine spuntava chiaramente da dietro un altro libro. La ragazza tolse anche quello lanciandolo sul divano senza tante cerimonie, dove atterrò con un tonfo sordo.
L’unica cosa che potesse venirle in mente era che dietro la libreria di casa c’era un qualche passaggio segreto.
Ancora una volta la curiosità crebbe dentro di lei. Si morse il labbro inferiore indecisa su cosa fare.
In questi casi i passaggi segreti erano sempre attivabili tramite un qualche libro strategico, che al solo muoverlo attivava il meccanismo. O almeno, questo era quello che accadeva nei film.
Christine provò e riprovò, ma nulla. La libreria non si mosse.
Fece altri tentativi alche sugli scaffali più bassi, ma il risultato fu sempre lo stesso.
Sbuffando rinunciò per il momento e andò a sedersi sul divano. Il libro che vi aveva buttato stava ancora lì. Lo scostò e poi prese dal tavolino l’album di foto, la sua prima occupazione.
Lo aprì incuriosita. Non vi trovò molto, ma quel che vide le fece saltare il cuore nel petto.
Non tante, ma abbastanza fotografie di suo padre da bambino, adolescente e poco più grande.
Sull’interno della copertina vi trovò scritto un nome: Eileen Prince. A Severus, con amore.
Sua nonna.
Il sorriso di Christine fu radioso e si mise a sfogliare febbrilmente le pagine per cercarne una di lei, ed eccola! Insieme a Severus. Ma la foto era strappata.
Il sorriso di Christine si spense piano piano.
Suo Severus le aveva raccontato di sua madre, ma mai di suo padre. Forse era la parte di foto in cui veniva ritratto il nonno che era stata strappata. Ma da chi? Dalla moglie o dal figlio?
Christine sospirò, poi prese la foto di Elisabet e la infilò nell’ultima pagina. Si alzò dal divano chiudendo l’album  e lo infilò di nuovo al suo posto sullo scaffale.
Clack.
Christine rimase immobile come una statua a guardare ciò che accadeva, ancora con il braccio per metà alzato.
La parete della libreria si aprì piano, rivelando davvero un passaggio segreto.
“Waw!” mormorò la ragazza, mentre l’aria fresca ora si faceva più forte e le scompigliava i capelli.
Fece un passo avanti, poi subito uno indietro.
“Non fare mai ciò di cui poi sai che ti potresti pentire”
Le parole della mamma risuonarono forti e chiare nelle sue orecchie.
Il cuore di Christine batteva più veloce pieno di eccitazione. Che male c’era se entrava appena a dare un’occhiata?
Per precauzione rimise la sedia di poco prima accanto al passaggio della libreria, in modo che se anche si fosse richiuso su se stesso, quella l’avrebbe bloccato.
Non successe, fortunatamente.
Christine, munita di fiammiferi, sbirciò prima a sinistra, dove intravide una scala di pietra scendere nell’oscurità, e a destra il corridoio di nuda pietra si estendeva per chissà quanto.
“E adesso?” pensò.
Scartò categoricamente l’idea di discendere i gradini, voleva invece vedere fin dove portava quel cunicolo, ma se si fosse persa? Impossibile se continuava dritto.
Decise così: se il passaggio avesse svoltato sarebbe tronata indietro.
Controllò che la sedia fosse ben salda contro la libreria, poi si incamminò nell’oscurità.
Camminò per alcuni minuti, e poi, come volevasi dimostrare, il corridoio deviò a sinistra.
Christine si bloccò e accese in fretta un altro fiammifero. No, non avrebbe continuato.
Diede solo un’occhiata all’interno della svolta, ma uno strano rumore, la fece sobbalzare.
Forse erano state le tubature? Non sembrava, però…
L’eccitazione si era trasformata in paura così si affrettò a girarsi e ripercorrere suoi passi con un lieve senso di claustrofobia.
Quando vide la luce del salotto sospirò felice. Spense il fiammifero e risorpassò la libreria, spostò la sedia e il passaggio si chiuse su se stesso.
Un’altra stranezza da aggiungere a quelle già accadute.
Christine scosse la testa. Doveva smetterla di pensarci, ma non poteva, non ci riusciva.
Sempre più dubbi, sempre più misteri. La vita in Spinner’s End era una continua fonte di domande tutte senza risposta.
Provò a mettersi sui libri, prendendo i compiti di biologia, che erano quelli con cui faceva più fatica. Così almeno sarebbe stata costretta a lambiccarsi il cervello su altre cose.
Ci riuscì, bene o male, e studiò fino all’ora di pranzo.
Una campana suonò in lontananza e la ragazza chiuse il libro stiracchiandosi sulla sedia della sua scrivania.
Il sole era un invito per lei e quindi decise che avrebbe mangiato fuori quel pomeriggio. Magari sarebbe andata di nuovo al parco.
I suoi pensieri volarono direttamente in direzione di un volto ormai a lei noto, quello di Riley.
Perché pensare a lui le faceva battere il cuore? Tutte le volte che pensava ai suoi occhi era come se sentisse come un vuoto nello stomaco e non riuscisse più a fare nient’altro.
Erano belli, magnetici, ma strani
Riley…le aveva detto che aveva la voce più bella che avesse mai sentito. Era il complimento più bello che le avessero mai fatto.
Prese il suo diario e lo sfogliò alla pagina dov’era scritta la canzone che aveva intonato senza sapere che lui la stava ascoltando…ma il foglio con la canzone non era al suo posto. La pagina era vuota.
Christine sgranò gli occhi sconcertata. Fissava la colla rappresa e ingiallita ornare i bordi della pagina, ma niente altro.
Si abbassò per guardare sotto il letto. Forse si era staccato ed era caduto, ma come poteva essere? Non l’aveva più aperto dal pomeriggio prima…
“Ma certo!” esclamò ad alta voce.
Chiuse i libri di scuola, afferrò il suo zainetto e vi infilò dentro il diario. Scese le scale di corsa e afferrò al volo le chiavi di casa e il giubbotto di jeans appeso vicino alla porta.
Se c’era un posto dove poteva essere il foglio scritto da sua madre era solo nel parco, sotto i cespugli dove lei e Riley si erano incontrati.
Sperò con tutto il cuore che fosse ancora laggiù, che la pioggia non l’avesse rovinato, che il vento non l’avesse spazzato via. Non avrebbe saputo come ritrovarlo altrimenti.
Pensando a ciò, superò il cancelletto che divideva i giardinetti dalla strada. La ghiaia scricchiolava sotto le sue scarpe da tennis, mentre Christine si recava svelta vicino al laghetto.
Come sempre quell’angolo di parco era semi vuoto e tranquillo. Non c’era nessuno, come ieri, tranne la figura di un ragazzo appoggiato di schiena a un grosso albero, intento a leggere qualcosa scritto su un semplice foglio di carta.
Quando sentì i passi avvicinarsi, Riley alzò lo sguardo e sorrise. Si spostò mettendosi di fronte a Christine, che lo osservava con un misto di felicità e stupore.
Riley allungò il foglio verso di lei.
“Ciao. Ci incontriamo ancora, eh? Credo che questo sia tuo”
 

 
 
 
Ciao! Un saluto a tutti i mie lettori, come state?
Questo capitolo è un po’ monotono, forse, ma sono riuscita a sistemare ben poco della mia storia. Considerate che posso farlo solo di sera e a volte torno dal lavoro stanchissima. Perdonatemi!!! >.< ugh…!
Mi scuso se i miei tempi sono diventati leggermente più lunghi e posto un po’ più lentamente (sempre motivi citati sopra).
Voi però continuate a seguirmi e a sostenermi, mi raccomando! Ce la sto mettendo davvero tutta!
Un abbraccio e un bacio,
By Usagi^^
 
P.S:Volevo aggiungere anche una foto ma non ce l'ho fatta...sigh 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: Grimmauld Place ***


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By UsagiTsukino010 
 

Capitolo 9
 Grimmauld Place

 
Riley fissava il volto sorridente di Christine. Era bella. Lo aveva notato subito la prima volta che l’aveva vista, ma ogni volta che la rivedeva lo sembrava ancora di più.
La fanciulla prese delicatamente il foglio che lui le porgeva e le loro dita si sfiorarono. Provò un lieve brivido lungo la schiena.
“L’hai trovato tu? E l’hai tenuto?”
“Non capisco. Perché tanto attaccamento a quel semplice foglio di carta? Quella canzone la sai a memoria, no?”
Christine abbassò lo sguardo e sfiorò la pagina strappata lungo il bordo sinistro.
“Perché l’ha scritta mia madre. Per me è una cosa molto preziosa”
Riley la guardò serio. “Vuoi molto bene a tua madre” non era una domanda.
“Era fantastica” rispose la ragazza rialzando lo sguardo e rivolgendolo di nuovo a lui.
“E’ morta un anno fa” aggiunse.
Riley non mostrò reazione alcuna a quella affermazione, sembrava impassibile, ma Christine non lo notò perché aveva di nuovo abbassato lo sguardo. Non sapeva se perché si sentisse triste o si sentisse un po’ in soggezione a continuare a fissare Riley.
“Mi dispiace”
Lei gli sorrise. “Ti ringrazio. E grazie anche per avermi restituito questo. Non mi sarei mai perdonata se l’avessi perso”
“E’ il tuo tesoro?”
“Si, lo è” rispose lei ripiegando con cura il foglio e riponendolo al suo posto, dentro al diario.
Riley la osservò in quei piccoli gesti e notò che era diversa dal giorno prima. Il viso sembrava stanco, forse un po’ tirato, gli occhi di solito così luminosi, velati di preoccupazione, ancora lievemente arrossati. Probabilmente la causa erano i Dissennatori, i quali avevano attaccato Londra il giorno prima.
Ma gli Auror li avevano scacciati con i loro Patronus. In particolare un Patronus, luminoso più di tutti gli altri, impregnato di una forza mai vista prima.
“E’ incredibile” disse la ragazza a un tratto.
“Cosa?”
“Ti incontro spesso ma solo per pochi attimi. Scambiamo qualche parola e poi tu sparisci come per magia”
A quelle parole, il ragazzo si mosse a disagio.
“Avremo mai modo di poter parlare più a lungo di come abbiamo fatto fin’ora?”
Christine arrossì un poco per aver espresso ciò che desiderava. Parlare con lui, chiacchierare del più e del meno come buoni amici, conoscersi e scambiarsi informazioni. Si, le sarebbe davvero piaciuto, ma forse lui non era della stessa idea.
Riley affondò le mani nelle tasche anteriori dei jeans.
“Se non devi scappare subito a casa possiamo fare una passeggiata nel parco. Ti va?”
Lei lo guardò stupita. Era esattamente quello che stava pensando. Sembrava che lui le avesse letto nel pensiero.
Sorrise e rispose : “Si, accetto con piacere. E non devo scappare a casa oggi”
“Bene” sorrise lui a sua volta.
Il parco si riempì presto di persone di molti tipi. C’erano bambini vocianti con i genitori, coppie di anziani, di giovani fidanzati, e Christine e Riley avrebbero potuto benissimo passare per una di queste.
“Credi nella magia, Christine?” proruppe Riley all’improvviso.
“Non…lo so. Come mai questa domanda?” disse lei sorpresa.
Lui alzò le spalle. “Niente, è solo che prima hai detto che appaio e scompaio come per magia. Quindi io volevo sapere…” si fermò e la fissò intensamente. “Tu credi in esseri dotati di poteri soprannaturali?”
La ragazza restò in silenzio, senza sapere cosa dire.
Vedendo la sua titubanza, lui ne approfittò per continuare.
“Non sto parlando di forme di vita provenienti da un altro mondo, né di quelli che si fanno chiamare illusionisti o maghi, i quali poi fanno solo trucchi ben congeniati ma spiegabili tecnicamente. No, io parlo di persone dotate di qualcosa di speciale, che le rende diverse dagli altri esseri umani. Persone che appartengono a un’altra categoria. Tu ci credi?”
Christine aveva ascoltato attentamente il discorso, ma ancora era senza risposta.
“Mi guardi come se dalla mia risposta dipendesse la vita di entrambi” tentò di scherzare, ma senza riuscirci bene. “Ti dico di nuovo non lo so. Però ti posso dire che credo in qualcosa di superiore, ma non si tratta di magia”
Riley si fece scuro in volto. “Qualcosa di superiore che non sia magico?”
Lei fece una faccia stupita. “Ma come? Credevo ci credessi anche tu. Non ti ho forse incontrato in chiesa la prima volta?”
Il ventò si alzò e scompigliò le foglie dei grandi alberi facendo trasparire i raggi di sole che scaldarono il viso di entrambi. Riley si spostò infastidito al contatto con la luce.
“Ah, ti riferisci a quel tipo di superiorità”
Christine scosse la lunga chioma scura. “Non capisco dove vuoi arrivare con questo discorso”
Riley si rilassò e le sorrise apertamente. “Scusami, non volevo spaventarti con discorsi strani, volevo solo sapere se credi nella magia o meno”
La fanciulla si guardò attorno per un istante.
“Vedi, il fatto che ci sia un essere superiore è indubbio, basta che ti guardi attorno. Gli alberi, gli animali, noi stessi, tutto ciò che esiste non esiste per caso, deve averlo creato qualcuno. L’intero universo è il frutto di un grande progetto di cui tutti noi facciamo parte. Purtroppo sono sempre meno le persone che credono seriamente in un Creatore”
“E’ legittimo. Nessuno lo ha mai visto”
Christine rimase spiazzata da quelle parole. “Perché tu non lo vedi non significa che non ci sia davvero”
Riley la osservò e le piacque ciò che vide nel suo sguardo: fermezza e determinazione. Era una ragazza che credeva seriamente in ciò che diceva.
“Se io ti dicessi che invece non ci credo, come reagiresti?”
“Bè…ti chiederei perché allora eri in chiesa l’altra domenica”
“E se io ti dicessi che ero lì per incontrare te?”
Le guance della ragazza si tinsero di rosso improvvisamente. Riley se ne accorse e si avvicinò di più a lei.
“Non mi conoscevi ancora” rispose Christine fissando quei meravigliosi occhi d’oceano.
“Forse sapevo che ti avrei conosciuta. Sei speciale, Christine, lo sai?”
Lei rimase immobile quando lui le sfiorò uno dei riccioli sfuggito davanti al viso e glielo mise con delicatezza dietro l’orecchio.
“Ho letto il testo della tua canzone, parla di un angelo. L’Angelo della Musica. Hai mai pensato che quest’angelo esista davvero?”
La voce di Riley era bassa, profonda, e le fece riprovare quel brivido dietro la schiena.
“Si, ci ho sempre creduto”
“Ma non lo hai mai visto”
“No”
“E sei assolutamente sicura che questo angelo non sia solo frutto di una tua fantasia? E’ solo una canzone, in fondo”
“E’ una leggenda e le leggende hanno sempre un fondo di verità”
Riley sorrise e si allontanò tornando a distanza debita da lei.
“Accidenti, hai sempre la risposta pronta!”
Quelle parole suonavano molto come un complimento alle orecchie di Christine.
“E qui torniamo al mio discorso” continuò il ragazzo. “Le leggende, le favole, sono storie che si raccontano ai bambini per farli addormentare, o per farli star buoni. Ma se una o più di queste storie fossero reali?”
“Bè, nel modo accadono molte cose strane, quindi potrebbe benissimo essere. Purtroppo non posso esserne certa perché non ne ho le prove”
“E hai le prove di quel che affermavi prima? Che esiste qualcuno al disopra di noi?”
“Si. La prova tangibile è che sono viva”
Riley annuì serio.
“La vita” ripeté. Il suo sguardo si perse in un punto lontano alle spalle di Christine.
La fanciulla era confusa “Riley, cosa stai cercando di dirmi?”
Lui spostò lo sguardo di nuovo su di lei.
“Lo sai mantenere un segreto?”
La ragazza tacque e Riley lo prese come un si.
“Ho bisogno del tuo aiuto, Christine. Non so a chi altri rivolgermi. Sei l’unica persona che conosco qui a Londra e mi fido di te benché ti conosca pochissimo”
“Ti ascolto” disse lei seria.
“Non è granché, devi solo custodire questo per me”
Riley estrasse una lunga catena dorata dalla tasca dei jeans e prese la mano di Christine posandovi un medaglione finemente decorato.
Lei osservò il monile, poi lui.
“Devi tenerlo con te. Non devi per forza indossarlo, ma lo devi nascondere in un posto in cui nessuno lo troverà. E’ un oggetto molto importante per me”
“Riley, io…”
Il ragazzo le prese le mani e gliele chiuse attorno al medaglione stringendole forte.
“Ti prego!”
Non stava mentendo, lo vedeva dalla sua espressione. Anche se prima era sembrata fredda, ora era decisamente preoccupata. Riley sapeva cambiare i suoi sguardi in meno di un secondo. Era un ragazzo misterioso, ma non era cattivo. Non sapeva come, ma lo sentiva in qualche modo.
“Questo ha a che fare con il tuo discorso di prima?” chiese Christine. “Riley, non farò nulla se prima non mi spieghi che cosa nascondi”
Lui lasciò le mani di lei e sospirò. “D’accordo”. Si guardò attorno un istante e poi la prese per un braccio “Vieni” disse portandola al riparo di un tronco particolarmente grande.
Christine lo seguì senza esitare. Riley si chinò a terra e prese un sasso. Non capiva cosa avrebbe potuto dimostrare con una pietra. Ma un secondo dopo quella si librò in aria sospesa nel nulla sopra la manao di Riley. Poi cominciò a risplendere, diventò rossa, come incandescente, e in pochi sitanti era cenere che cadeva a terra attraverso le dita di lui.
Con gli occhi sbarrati per lo stupore, Christine cercò di parlare.
“C- come…coma hai…?”
“Non è un trucco. Non è illusionismo. Io so fare questo e molto altro”
“Altro? Ad esempio cosa?”
Lo sguardo di Riley si accese di emozione. “Qualsiasi cosa!”
Un rumore frusciante li fece voltare entrambi.
Christine li riconobbe all’istante: uomini con lunghi mantelli neri. Somigliavano in modo sorprendente a quelli del suo ricordo.
“Maledizione!” imprecò Riley in un sibilo che la spaventò.
“Ti ho trovato! Consegnami il medaglione, subito!” esclamò il giovane uomo dai capelli biondi di fronte a Christine.
“Corri!” gridò Riley tirandola per un braccio.
Gli Schiantesimi cominciarono a volare da tutte le parti.
“Non in mezzo ai babbani, Thompson! Rischi di colpire anche loro!” esclamò una voce alle sue spalle.
“Scusami tanto Kingsley, ma non è questo il momento per le prediche!”
“Già, così poi tocca sempre a me obliviare tutti quanti. Vai a destra, Richard!”
Kingsley e Thompson si divisero.
Christine e Riley continuavano a correre a perdifiato per il parco. Le persone li guardavano con espressioni attonite.
Un'altra scintilla rossa passò vicinissimo a Christine, che urlò.
Riley l’afferrò e la spinse dietro un cespuglio di fiori.
“Resta qui e poi vattene a casa. Controlla che non ti seguano!”
“Ma che cosa sta succedendo?!” esclamò lei impaurita.
“Non ho tempo per spiegarti. Corri a casa e non raccontare nulla a nessuno, chiaro?!”
Lei era completamente persa. Balbettò qualcosa. Riley la scosse forte per le spalle.
“Chiaro?!” ripeté con più foga.
“S-si”
Riley si alzò e riprese a correre velocissimo. Anche lui, Christine non capiva come,  sparava scintille rosse in direzione degli inseguitori.
Si appiattì sull’erba con il cuore che le batteva fortissimo, mentre il lembo di un lungo mantello scorreva davanti a lei.
Poi silenzio. I lampi rossi non si vedevano più, il rumore di passi in corsa era svanito.
La ragazza provò a sbirciare attraverso le foglie, ma non si vedeva nessuno.
Piano si spostò verso destra e uscì da dietro il cespuglio. Guardò un solo istante nella direzione in cui erano spariti Riley e i due uomini, poi corse verso casa come le aveva detto Riley.
Avrebbe voluto aiutarlo, ma gli aveva promesso di custodire il suo medaglione e forse quello era l’unico aiuto che poteva darlgi.
Cercò di mettere insieme i pezzi mentre correva giù per l’argine del fiume.
Lo strano discorso di Riley sul credere alla magia, la pietra che si era sgretolata nelle sue mani, gli uomini con i mantelli neri, gli stessi, ne era sicurissima, che lei ricordava erano stati a casa sua tanti anni fa e dei quali Meg aveva parlato la mattina al telefono. Il medaglione che Riley doveva nascondere forse era la causa dell’inseguimento, perché aveva sentito distintamente uno dei due intimare a Riley di consegnarglielo.
Afferrò le chiavi nello zaino, con mani tremanti, aprì la porta di casa e se la richiuse con un tonfo alle spalle appoggiandovisi contro.
Respirava veloce, la gola secca e i polmoni che bruciavano per la folle corsa.
La sua mente lavorava frenetica. Non sapeva se doveva dirlo a suo padre o no. In fondo aveva fatto una promessa a Riley, e infrangerla voleva dire far si che lui non si sarebbe fidato più di lei. Christine desiderava aiutarlo, non sapeva come, ma voleva farlo. Aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno, e suo padre era l’unica persona a cui poteva rivolgersi. O forse, zia Karen…
Christine aveva i muscoli ancora paralizzati dal terrore di ciò che era appena successo, ma si costrinse a muoversi e a salire al piano di sopra per raggiungere la sua camera e il cellulare…Ma a metà delle scale si bloccò.
Forse se l’era immaginato, ma le sembrava che di sopra ci fosse qualcuno. Che fosse suo padre?
Percorse piano gli ultimi gradini, aveva quasi il piede sul pianerottolo quando provò a chiamare piano: “Papà? Papà sei tu?”
La porta della camera di Piton si aprì in quel momento e Christine vide davanti a sé un uomo che non conosceva.
Era piuttosto basso, anche lui con indosso un lungo mantello nero, con una faccia da topo e una mano argentata.
“Ciao, bambolina” sorrise sinistramente l’uomo. “Sapevo che nascondeva qualcosa, ma non credevo un bocconcino così carino”
Christine si rivoltò terrorizzata e scese le scale più in fretta che poté. Ma l’uomo era già dietro di lei, e quasi riuscì ad afferrarla per un braccio se lei non avesse chiuso la porta del salotto.
Lo sconosciuto rise divertito.
Christine spinse con tutte le sue forze, ma quell’altro era più forte di lei, benché dall’aspetto non sembrasse granché. Infine riuscì a sbattere la porta e a chiuderla a chiave.
Una serie di imprecazioni e rumori provenivano da parte dell’uomo.
Forse anche lui cercava Riley e il medaglione che-solo ora si accorse- lei aveva ancora in mano. Lo infilò in fretta nella tasca del giubbotto di jeans che non si era nemmeno levata.
Velocissima andò alla libreria sperando con tutto il cuore che il passaggio segreto funzionasse. Tolse l’album di fotografie e il meccanismo si attivò.
Un rumore simile a uno sparo provenne da dietro la porta del salotto.
La ragazza si voltò. Lampi rossi e verdi si intravedevano da sotto lo spiraglio in basso.
“Paparino è stato molto bravo, vedo” sentì la voce ridacchiare.
Si infilò svelta nel passaggio e quello si richiuse proprio nell’istante in cui la porta saltò in aria.
Christine strinse al petto l’album di fotografie, pregando che arrivasse qualcuno, che ci fosse un modo per sfuggire a quell’individuo. Quanto ci avrebbe messo a far saltare anche la libreria e scoprirla?
“Bambolina, vieni fuori” disse la voce attutita dell’uomo.
Christine indietreggiò finendo contro la parete opposta.
Le possibilità erano poche. O restare lì e aspettare, o scendere le scale di sinistra, o percorrere il passaggio. Nessuna delle tre era allettante.
La prima ipotesi venne subito scartata, ma nemmeno la seconda era granché. Se fosse scesa di sotto, probabilmente in cantina ( che non era affatto una cantina, lo sapeva, o non sarebbe stata nascosta in un passaggio segreto) e vi si fosse nascosta, sarebbe rimasta comunque chiusa in casa e lei voleva uscire. L’ultima possibilità era percorrere il corridoio buio e poi svoltare in quel punto in cui non si era azzardata a inoltrarsi quella mattina, senza sapere dove andasse a finire. E se si fosse trovata davanti un vicolo cieco? In fondo non era del tutto certo che quel passaggio portasse fuori.
Alla fine si decise. Prima di tutto scese le brevi scale di sinistra. Trovò una porta di legno vecchio e impregnato d’umidità. Era aperta.
Aveva ancora in mano l’album di foto. Si tolse di spalla lo zaino e lo infilò dentro per poter avere le mani libere.
Entrò in una stanza buia, ma i suoi occhi si abituarono presto all’oscurità. Strani oggetti erano stati posti sulle mensole appese alle pareti. Vasetti di vetro, rotoli di pergamena, libri. La stanzetta era piccola e ingombra di cose bizzarre, tra cui una grande pentola che ricordò tanto a Christine uno di quei calderoni da strega presenti nelle favole per bambini.
Ma non c’erano oggetti con cui difendersi, niente di utile. Aveva sperato di poterne trovare qualcuno. Si voltò per uscire e andò contro a qualcosa che scivolò a terra contro i suoi piedi. Dal rumore sembrava legna. Meglio di niente, pensò.
Afferrò uno dei ceppi caduti e tornò su per le scale. Il passaggio era aperto.
L’uomo non si vedeva, ma avrebbe potuto spuntare da un momento all’altro.
Christine afferrò saldamento il pezzo di legno, pur sapendo che probabilmente non sarebbe servito a nulla, ma valeva la pena tentare.
Si arrischiò a lanciare un’occhiata al salotto. Tutto era al suo posto, eccetto la porta abbattuta.
Camminando lentamente andò verso la porta principale, le chiavi erano appoggiate sul tavolino lì vicino. Se fosse stata fulminea avrebbe potuto prenderle e uscire di corsa di casa…ma per andare dove? Di nuovo al parco con quegli uomini in giro?
Era nel panico più totale.
Poi rumore di passi dal passaggio aperto.
Christine corse alla libreria e vi si buttò contro con tutta la forza che aveva facendo leva per chiudere, quando una mano argentata entrò nel suo campo visivo, bloccando i suoi sforzi.
Christine urlò e indietreggiò velocemente. L’uomo uscì dal passaggio con un ghigno soddisfatto sul volto. La guardò interrogativo brandire il pezzo di legno.
“Non avvicinarti!” gridò lei.
“Oh, se no cosa mi fai?” la canzonò lui.
Cominciò ad avanzare puntandole addosso un lungo pezzo di legno anch’esso.
“Lo sai che cos’è questa? No, vero? Il papino non te l’ha raccontato? No, suppongo di no”
L’uomo si gettò su di lei, ma Christine era pronta e si avventò a sua volta su di lui colpendolo in volto.
Lo sconosciuto barcollò in avanti, sanguinante. “Piccola…sudicia…mezzosangue!”
Christine tentò di colpirlo di nuovo, ma lui afferrò il legno con la sua orribile mano d’argento e lo frantumò in mille pezzi.
La ragazza rimase sconcertata, poi si sentì afferrare da quelle dita fredde come il ghiaccio. Le faceva male. Cercò di divincolarsi, ma fu impossibile.
In quel momento, la porta principale si spalancò e un uomo dalla pelle scura enunciò una parola a Christine incomprensibile.
L’uomo con la mano d’argento volò per la stanza sbattendo contro la parete.
La fanciulla cadde a terra e fissò con gli occhi sbarrati l’alta figura che era appena comparsa. Uno dei due inseguitori di Riley.
Egli la trasse in piedi velocemente ma con delicatezza, afferrandola per un polso.
“Stai dietro di me!”
Lei obbedì, completamente attonita.
L’uomo dalla mano argentata si era rialzato e ora sparava scintille rosse contro il suo difensore.
Poi uno scoppio, e di nuovo il primo cadde a terra.
“Vieni!” esclamò il secondo uomo, spingendo la ragazza verso la libreria ancora aperta, perché il tentativo di Christine di richiuderla era fallito.
Lui la spinse all’interno di nuovo, mentre altre scintille colpivano il mobile.
“Di me ti puoi fidare, conosco tuo padre e ora ti manderò da lui, quindi ascoltami bene: prendi questo” disse mettendole in mano un foglietto ingiallito. “Percorri il passaggio. Svolta sempre a destra e non fermarti fino al secondo tratto di luce. Quando ci arrivi, spingi il soffitto ed esci. Ti troverai in una piazzetta. Attraversala, e quando sarai davanti alle abitazioni dalla parte opposta della strada leggi il biglietto che ti ho dato. Hai capito?”
Christine non disse nulla, si limitò ad annuire.
“Brava. Ora vai!”
La spinse per la schiena e lei cominciò di nuovo a correre, si guardò indietro una volta per vedere cosa succedeva. L’uomo che l’aveva salvata era uscito dal passaggio ed era rientrato in casa chiudendoselo definitivamente alle spalle.
Christine si fermò di botto. Era nell’oscurità più completa. Ascoltava  i tonfi e gli scoppi dei colpi dei due uomini che combattevano al di là del muro.
Percorse il passaggio nel buio completo, tastando con le mani la parete umida di pietra. Non era particolarmente difficile anche se non ci vedeva, il cunicolo era stretto.
D’un tratto sentì l’aria sfiorarla delicatamente. Era arrivata al bivio. Prese quello di destra e si accorse che era in pendenza. Scese sempre di più, poi tornò piano. La corrente d’aria era sparita. C’era solo puzzo di umido e sentiva qualche volta un gocciolio di acqua. Forse si trovava sotto il fiume.
Corse a lungo, per quanto l’oscurità glielo permetteva. Camminò ancora per un tempo che sembrò non finire mai, quando trovò un altro bivio, riconoscibile per via di una nuova brezza che le solleticò il viso.
Incontrò altri due bivi, quindi di nuovo a destra e poi finalmente eccolo, il primo tratto di luce. Proveniva dal soffitto che ora Christine poteva vedere. Era basso, se avesse allungato un braccio l’avrebbe toccato senza difficoltà. La luce del sole penetrava da una fessura orizzontale. Non seppe dire se si trattava di un tombino o cos’altro. Ma quelle non erano fognature, per cui non era possibile.
Le vene in mente una grossa pietra, o qualcosa di simile, messo lassù apposta per coprire quel buco nel terreno quel tanto che bastava a nasconderlo a chi stava di sopra, e a orientarsi tramite la luce per chi stava di sotto.
Camminò per altri dieci minuti, cominciava a provare un senso di claustrofobia, poi trovò il secondo tratto. Tastò il soffitto e sentì che era mobile. Spinse forte e la presunta pietra si spostò. La luce del tardo pomeriggio entrò nel cunicolo.
Christine sentì uno strano rumore e indietreggiò all’istante quando alcuni gradini presero forma nella roccia.
Senza pensare troppo (ormai quel giorno niente avrebbe potuto stupirla di più) li salì trovandosi dentro un albero cavo. Davanti a lei si intravedeva la piazzetta di cui quell’uomo aveva parlato.
Non vide nulla di simile a una pietra per ricoprire il passaggio segreto. Ma non le servi neppure cercarla, perché il buco dal quale era uscita si richiuse da solo. La terra si riunì formando uno strato solido e compatto come se il passaggio non fosse mai esistito.
Fissò il terreno senza parole. I discorsi di Riley cominciavano ad avere un senso ora.
Si guardò attorno. La gente andava e veniva dalla strada, normalmente. Sembravano comuni passanti, ma Christine si sentiva inquieta, con la paura che qualcuno la vedesse e la aggredisse di nuovo.
Fece come le aveva detto l’uomo dalla pelle scura. Attraversò la piazza e la strada e si mise proprio di fronte alle case che guardavano su di essa.
Aprì la mano e spiegò il pezzetto di carta ingiallita che sembrava pergamena e lese ciò che vi era scritto:
 
Il quartier generale dell’Ordine della Fenice potrebbe trovarsi al numero dodici di Grimmauld Place 
 
Non aveva assolutamente idea di ciò che potesse significare, e nemmeno come poteva esserle utile.
Grimmauld Place era il nome di una strada, molto probabilmente quella in cui si trovava lei, ma il numero dodici non c’era affatto.
Si guadò indietro un momento, ma quando tornò a fissare i numeri undici e tredici, in mezzo a loro era appena apparso un muro…un muro che presto si allargò prendendo la forma di una vera casa.
Sempre più attonita, agitata e impaurita, la ragazza salì i tre gradini e suonò il campanello.
Trasalì quando dall’interno della casa provennero urla strepitanti.
Pochi secondi dopo la porta si aprì. Le urla erano cessate.
Christine si ritrovò a fissare una donnetta grassottella, non molto alta, con i capelli rossi e l’aria dolce, ma in quel momento alquanto perplessa.
“M-mi scusi signora, ho bisogno di vedere Severus Piton, è qui?”
La voce cominciava ad incrinarsi e la fanciulla sentì le lacrime affiorare.
“La prego, è molto urgente! Mi stanno seguendo, non so chi siano, ma…per favore, devo parlare con lui!”
Inspirò a fondo, gli occhi lucidi, ormai vedeva la donna sfuocata attraverso le lacrime che tratteneva a stento.
“Io sono…mi chiamo Christine Anders, sono sua figlia. Lui è qui?” ripeté di nuovo.
La donna dai capelli rossi la fissò meravigliata.
“Santo cielo!” esclamò guardando alle spalle della ragazza. “Presto, vieni dentro!”
 
 
 
 
Siamo entrati nel vivo della storia con questo nono capitolo. Ormai la nostra Christine sta per scoprire i segreti di un mondo fantastico ma alquanto pericoloso.
Spero proprio che siate soddisfatti. Recensite in tanti! XD
Ringrazio tutti quelli che mi seguono sempre e mando un bacio a tutti loro!
Vostra Usagi^^

 

 
  

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Capitolo 11
*** Capitolo 10: Un rifugio sicuro ***


Capitolo 10:
Un rifugio sicuro

 
Christine venne condotta in un antro poco illuminato. Una tenda copriva gran parte di una parete, e si muoveva ancora leggermente come se fosse appena stata toccata. Uno strano portaombrelli a forma di zampa di un animale che non riconosceva era posto poco lontano dalla porta.
“Vieni con me” disse la donna concitata. “Non preoccuparti, ora sei al sicuro” aggiunse, accorgendosi che la ragazza tremava.
La condusse lungo il corridoio verso due rampe di scale. Una che portava di sotto e una che portava ai piani superiori. Era un luogo all’apparenza silenzioso, ma dopo un secondo che lo ebbe pensato, Christine sentì un gran trambusto.
Una porta al piano superiore si aprì e una voce maschile chiamò: “Mamma?”
Lei e la donna dai capelli rossi, che le cingeva con un braccio le spalle, guardarono in su.
Sei volti di ragazzi circa dell’età di Christine osservavano con un misto di curiosità la fanciulla dai lunghi ricci castani accanto a Molly.
“Ron, venite giù. Andate a chiamare il professor Piton!” disse la signora Weasley piuttosto agitata.
Professore?pensò Christine senza capire.
Il tendaggio alle loro spalle si mosse all’improvviso e una donna urlò.
“Sudici mezzosangue! Traditori! Babbani! Feccia che infesta la mia casa e la dimora dei miei antenati! Via di qui!”
“Oh, per l’amor del cielo!” esclamò Molly.
Christine urlò di spavento. Si voltò e vide la donna nel quadro…che stava parlando!
Tre ragazzi  e una ragazza con i capelli rossi scesero le scale seguiti da un altro ragazzo dai capelli neri e una ragazza bionda.
“Ci pensiamo noi alla signora Black” dissero quelli che , sicuramente, erano gemelli.
Quando la tenda fu di nuovo al suo posto, tutti loro concentrarono l’attenzione su Christine. Lei abbassò lo sguardo a disagio cercando di rimanere clama. Ma adesso che aveva fermato la sua corsa e aveva tempo per metabolizzare ciò che le era accaduto, sentì che i nervi le cedevano. Non le era mai capitato di essere inseguita e, forse, quasi uccisa.
“Che cosa è successo?” chiese Ginny.
“Andate a chiamare Piton, subito!” ordinò Molly un’altra volta. “Non c’è tempo per…”
Ma non ci fu bisogno di chiamare nessuno. Dalla scala che portava di sotto apparvero alcune persone.
“Si può sapere chi suona il campanello?” chiese Tonks.
Dietro di lei, Lupin, Malocchio e Sirius.
“Tonks, per favore vai a chiamare…oh!” fece Molly accorgendosi che dietro Sirius c’era Piton.
“Papà!” esclamò Christine liberandosi dalle braccia della signora Weasley per tuffarsi in quelle rassicuranti di suo padre.
Severus spalancò gli occhi dallo stupore nel vederla lì. “Christine! Cosa…?” ma la domanda gli morì in gola non appena la strinse a sé e lei cominciò a piangere a dirotto.
“Un uomo è entrato in casa! Non so chi era! Mi ha aggredita!” disse la fanciulla tra i singhiozzi e gli sguardi allibiti degli spettatori.
“Stai bene?!” chiese Piton scostandola da sé per studiarla attentamente da capo a piedi.
Le guance rosee della figlia erano pallide ora, un graffio sul volto, i jeans sporchi all’altezza delle ginocchia, il respiro veloce e irregolare.
L’angoscia di Severus crebbe a dismisura.
“S-sto bene…” assicurò lei “ma se non fosse arrivato quell’atro uomo, io non so…non so cos’avrei fatto. Mi ha aiutata, mi ha dato in mano questo foglio e mi ha detto di venire qui!” continuò la ragazza parlando velocemente. “Ho camminato per un sacco di tempo, al buio, non sapevo dove sarei finita! Ho avuto tanta paura!”
“Va bene, stai calma, ora. Va tutto bene”
Severus la strinse di nuovo a sé incrociando lo sguardo con quello di Sirius, sperando che per una volta possedesse un po’ di sale in quella testa vuota e che non avesse lasciato lì in corridoio una ragazza in lacrime.
Sirius sembrò comprendere la muta richiesta di aiuto e si mosse di nuovo verso la scala che portava di sotto.
“Venite giù” disse soltanto.
“Molly, cosa…?” cominciò Tonks.
La signora Weasley scosse il capo. “Non so, ma è sconvolta, povera cara”
Harry, Ron e Hermione si scambiarono un sguardo.
Avevano sentito bene, la ragazza aveva chiamato Piton papà. Piton?!
“Da quando…insomma…” balbettò Ron.
Hermione scosse il capo, sbalordita quanto lui.
Harry si mosse per primo e seguì la signora Weasley e Tonks giù per le scale, in cucina.
Christine era seduta al grande tavolo di legno e teneva lo sguardo fisso sulle sue mani serrate strette. Ogni tanto lanciava sguardi furtivi a tutte quelle persone sconosciute. Si sentiva terribilmente a disagio.
Suo padre, in piedi accanto a lei, le teneva una mano su una spalla. Aveva ancora indosso quel lungo mantello nero. Scambiò qualche parola a bassa voce con i tre uomini presenti in quella stanza. Lo spavento della ragazza, nel vedere l’occhio magico di Moody, la indusse a trattenere il respiro, ma lo fece troppo rumorosamente.
“Per l’amor del cielo, Alastor!” disse Molly offrendo a Christine un bicchiere d’acqua. “Copriti quell’occhio. La stai spaventando!”
Moody sbuffò e si girò in modo che quello strano, roteante, bulbo blu elettrico non fosse più nel campo visivo della ragazza.
“Christine” disse dolcemente Piton, ma con voce ferma e sicura. “Dimmi cosa è successo esattamente”. Si abbassò mettendosi in ginocchio di fronte a lei e prendendole le mani.
Harry non riuscì a credere che quel Piton fosse lo stesso che lo odiava così tanto a Hogwarts. Era gentile con quella ragazza. Incredibilmente gentile.
Il calore di suo padre la calmò all’istante. La sua presenza era rassicurante. Ora sapeva che era davvero al sicuro.
Raccontò tutto ciò che le era successo, dalla sua passeggiata nel parco fino al ritorno a casa. Non accennò volontariamente al suo incontro con Riley, credendo che fosse meglio non parlarne.
“La cosa che non capisco è perché l’uomo che mi ha inseguita al parco mi ha salvata” concluse la ragazza. Ebbe un nuovo sussulto e ricominciò a piangere. “Non capisco nulla!”
C’era silenzio in cucina, ma fu interrotto da nuovi strepiti della signora Black.
“Di nuovo!” imprecò Sirius.
“Piton!” chiamò una voce profonda dall’atrio.
Pochi istanti dopo la porta si spalancò e Kingsley scese in cucina. La voce della madre di Sirius era nuovamente cessata. Probabilmente ci aveva pensato lui.
Christine balzò in piedi spaventata.
“No, non devi avere paura di me” si affrettò a dire Kingsley. “Ti chiedo scusa per prima. So che ti ho inseguita e spaventata, ma avevo le mie ragioni”
L’Auror avanzò in un gran svolazzare di mantello e si rivolse a Severus cambiando totalmente tono di voce. Se con Christine aveva mantenuto un tono pacato, con suo padre non fu altrettanto gentile.
“Potevi anche avvertire l’Ordine di una cosa così importante!”
Osservò la ragazza accanto al professore di Pozioni e tirò un respiro. “Per fortuna sta bene. Ma se non fossi arrivato io avrebbero potuto farle le cose peggiori!”
“Di questa faccenda ne era al corrente Silente” disse Severus molto serio, come se il nome del Preside fosse una garanzia.
“Dovrebbe bastarmi?! Sai cosa ha rischiato questa ragazza? Tua figlia?! Non pensare di liquidare così ciò che è accaduto oggi con il fatto che basti che lo sappia Silente!”
Kingsley gridava furente, così come nessuno lo aveva mai visto, Piton invece era della sua consueta calma.
“Ti pregherei di parlarne in privato” disse Severus.
Kingsley trattene un nuovo scoppio d’ira. “Va bene, ma vorrei chiedere alcune cose tua figlia, prima”
“Tu sapevi che questa ragazza è la figlia di Piton?” chiese Remus stupito.
“No, l’ho scoperto questo pomeriggio” disse Kingsley voltandosi poi verso Christine, che lo guardava attentamente.
“L’ho seguita quando è corsa via. Quando l’ho vista entrare in casa di Piton e chiamare papà…bè, ho fatto due più due. Sei stata fortunata” concluse rivolto direttamente  a lei.
“Mi…dispiace” sussurrò la fanciulla, stanca e scombussolata.
“Non devi scusarti di nulla” disse Piton accarezzandole una guancia.
“Devo parlare con te…ehm…” fece Kingsley.
“Christine”
“Christine”. ripeté l’Auror.
La ragazza ebbe un fremito. Sapeva cosa quell’uomo voleva chiederle. Voleva sapere del medaglione. Suo padre l’avrebbe scoperto, ma lei non voleva tradire Riley.
“Da quanto conosci il ragazzo con cui eri oggi al parco?”
Alle parole di Kinglsey, Piton si voltò rapido verso di lei.
Christine si impose di non guardare ne lui ne nessun altro, o la sua fermezza sarebbe crollata. Non era mai stata brava a mentire. Era una cosa che non le piaceva, eppure per Riley l’avrebbe fato. Per un ragazzo che nemmeno conosceva.
“Non lo conosco. Ci siamo incontrati per caso” cercò di rispondere senza far tremare la voce.
Kingsley la fissò. Christine non abbassò lo sguardo. Non doveva, o l’uomo avrebbe capito che la sua era una bugia.
“Non puoi rimandare a un’altra volta il tuo interrogatorio?” chiese Piton infastidito. “Per favore” aggiunse.
Kingsley si avvicinò alla ragazza dando l’impressione di non averlo sentito.
“Sei sicura di non averlo mai visto prima? Assolutamente sicura?”
“Si”
“Eppure stavate parlando”
“E con ciò?”
“Se stavi parlando con lui è perché lo conosci”
“N-no”
“Basta ora!” intervenne Severus deciso. “Black, ti chiedo il permesso di tenere qui con te Christine per un pò ”
Sirius lo guardò come se non avesse capito, poi disse: “Si, certamente”
Piton non lo ringraziò, si limitò ad annuire.
“Ho bisogno di conoscere ancora alcuni particolari”
“Kinglsey, non oggi” disse Piton alzando il tono della voce che fino a quel momento era stata pacata e controllata.
“D’accordo” sbuffò l’Auror osservando attentamente la ragazza. Nascondeva qualcosa, lo sapeva.
Molly si mosse immediatamente.
“Vieni tesoro…Ginny, Hermione, lei dormirà con voi”
Le due amiche si scambiarono uno sguardo. Non sapevano che dire se non si e va bene.
Christine volse gli occhi verso il padre. Piton annuì rassicurante.
Tonks chiese: “Ma Richard dov’è?”
“Ancora sulle tracce del ragazzo misterioso” rispose Kingsley indugiando di nuovo su Christine, che usciva in quell’istante dalla cucina assieme a Molly, Ginny, Hermione e Piton.
La signora Weasley tronò indietro poco dopo.
“Ehm-ehm…ragazzi? Di sopra anche voi, per favore. La riunione non è ancora terminata”
Fred e George alzarono gli occhi al cielo. Ron storse il naso in una delle sue famose smorfie quando la madre lo riprendeva. Harry, invece, si fece avanti. Stava per dire qualcosa ma Sirius lo fermò.
“Anche tu, Harry. Vai con Molly”
“Ma io…” il ragazzo rimase immobile un istante, poi si limitò a risalire le scale della cucina.
E così anche il suo padrino lo voleva fuori dall’Ordine. Ma lui aveva così tante domande da porre a tutti loro! Non era forse per colpa di Voldemort che stava accadendo tutto questo? Quindi era una faccenda che lo riguardava in prima persona. Perché allora nessuno voleva dirgli nulla? “L’avevamo quasi preso, ma si è smaterializzato” aggiunse continuò Kingsley ora che i ragazzi se n’erano andati.
“Smaterializzato?” chiese Remus. “Interessante, quindi sa già fare incantesimi piuttosto avanzati”
“A quanto pare. Richard è ancora sulle sua tracce” Kingsley sospirò con aria stanca.
Moody si fece avanti. “E’ la prima volta che lo lasci solo a svolgere un incarico. Stai cominciando a fidarti di lui?”
Kingsley sorrise. “Mi fidavo già da prima di Richard. Ma oggi se n’è stato buono e non si è cacciato nei guai, per cui gli ho dato la possibilità di riscattarsi per l’altra volta. E’ molto preso da questa ricerca”
“Ma chi diavolo sarà quel ragazzo? E perché ha il medaglione di Serpeverde?” rimuginò Remus percorrendo la cucina avanti e indietro. “Tu sei direttamente andato a casa di Piton?” chiese poi a Kingsley.
“Non era mia intenzione andarci. Ho semplicemente seguito la ragazza. Li ho visti insieme e credevo che se l’avessi fermata lei avrebbe parlato. Sembrava molto spaventata”
“E lo è” disse Tonks provando un moto di compassione per Christine. “ Ma tu credi che lei sappia qualcosa?”
“No, io non penso” disse Moody. “La ragazza non sa niente, potete fidarvi”
“Come fai a dirlo?” chiese Kingsley aggrottando le sopracciglia.
“Perché non è una strega. La figlia di Severus Piton non possiede poteri magici” l’ex Auror si voltò verso la porta dove una figura scura se ne stava immobile ad ascoltare. “Non è cosi?”
Piton si mosse e tornò alla luce guardandoli tutti in volto come sfidandoli a dire qualcosa, specialmente Sirius, il quale però non fiatò, ma si limitò a restituirgli lo stesso sguardo allibito di tutti gli altri.
“Esatto” rispose. “Christine non sa niente di me. Non le ho raccontato nulla”
“E’…sua figlia. Deve sapere” disse titubante Tonks. “Non ha fatto domande?”
“Si, ne ha fatte, ma non volevo dirle nulla proprio perché, come sua madre, Christine non ha il dono della magia. Non potevo esporla, dirle cosa stavo facendo…Chi sono”
“Cioè che sei un Mangiamorte?” disse Sirius senza riuscire a trattenersi.
Piton gli scoccò una delle sue occhiate penetranti.
Scese un silenzio imbarazzante.
“Ad ogni modo” intervenne Remus “non abbiamo indizi. Voldemort non si fa vedere i giro, e a parte l’attacco a sorpresa dei Dissennatori dell’altra notte, niente dalle sue fila si muove”
“Ora capisco!” esclamò Tonks. “Il Patronus dell’altra sera…il più grande e luminoso di tutti” si voltò verso Piton. “Era il suo!”
Remus, Sirius, Moody e Kinglsey osservarono Severus sbalorditi.
“Professor Piton, sua figlia chiede di lei” disse Molly entrando di nuovo in cucina.
“Vado subito”
Kingsley si alzò dalla sua postazione. “Si sarà meglio che anch’io torni al Ministero e recuperi il mio allievo. Arrivederci a tutti”
“Non ti fermi qui, stasera?” chiese la signora Weasley già alle prese con i fornelli, mentre Lupin, Sirius e Tonks cominciavano a riordinare le sedie.
“No, Molly, grazie. Devo ancora fare rapporto. Sarà un’altra lunga nottata. Salutami Arthur”
L’Auror si congedò e risalì nell’atrio di casa Black.
“Piton?” chiamò, vedendolo salire le scale del piano superiore.
Severus si fermò e si voltò a guardarlo.
“Vorerei parlare con lei appena possibile” insisté di nuovo.
“Cosa devi chiedere ancora a mia figlia?”
“Alcune cose”
Piton discese qualche gradino e andò verso Kinglsey. Dalle posizioni in cui erano, Severus lo sovrastava.
“Non chiederai nulla a Christine se prima no saprò di cosa si tratta”
“Lo sai chi era l’uomo che l’ha aggredita?”
“Posso averne un’idea” rispose Piton con calma, ma dentro di lui l’agitazione cominciava a crescere tanto che temeva di non riuscire a schermare i suoi pensieri al prossimo incontro con Voldemort.
“Peter Minus”
Quel nome fece crollare tutte le sicurezze di Severus. Era finita. Voldemort ora avrebbe saputo di Christine.
 
“Non è giusto” mormorò Harry quando fu di nuovo in camera con Ron, Fred e George.
“Lo pensiamo anche noi” disse quest’ultimo. “Ma mamma è irremovibile e credo che tra poco assoggetterà anche Sirius”
“E se lui molla…” disse Fred.
“Noi non scopriremo più nulla”
“Perché non avremo più nessuno che ci dia una mano a carpire i segreti dell’Ordine”
Hermione entrò in camera loro in quel momento.
“Smettetela di scherzarci sopra! E’ una cosa seria, e noi non dovremmo assolutamente sapere niente!”
“Quanto sei noiosa Hermione!...A proposito, dov’è Ginny?”
“Con Christine”
Fred si buttò a pancia in su sul letto con le mani dietro la nuca. “No, non può essere la figlia di Piton. E’ troppo carina”
“Spariamo non tenti di avvelenarci anche lei”
“Smettila Ron e statemi a sentire!” li interruppe Hermione molto seria. “Quello che vi ho raccontato sul Primo dei Mangiamorte l’altro giorno deve restare dentro questa stanza, è chiaro?”
“Perché?” esclamarono tutti i ragazzi in coro.
Hermione alzò gli occhi al soffitto. “Come perché?! Siete stupidi?! Non dobbiamo dire a nessuno quello che sappiamo. Non tanto perché potrebbero rimproveraci di aver ficcato il naso negli affari dell’Ordine, ma soprattutto perché se ci sfugge una parola, solo una, la copertura di Piton cadrà all’istante! E adesso che ha una figlia da proteggere non se lo può permettere!”
Hermione aveva ragione, pensò Harry. Per un istante pensò a Piton che si prendeva cura di quella ragazza, che cercava di difenderla da Voldemort così come i suoi genitori avevano difeso lui.
Se Piton fosse caduto per mano del Signore oscuro, ci sarebbe stata un’altra ragazza orfana per colpa sua.
Per quanto detestasse Piton , Harry non voleva che accadesse.
“Hai ragione, Hermione” disse. “Non diremo nulla” si voltò verso i tre fratelli Weasley che annuirono convinti.
“Quindi la nostra ricerca finisce qui?” chiese Ron un po’ deluso. “Non dovevamo frugare nella libreria di Sirius?”
“No” disse Hermione perentoria.
Harry annuì, ma non era molto sicuro su quest’ultimo punto. Voleva ugualmente scoprire cosa c’era sotto i piani dell’Ordine della Fenice e non si sarebbe fermato. E se doveva farlo da solo, così sarebbe stato. Quella guerra era anche, e soprattutto, la sua guerra.
 
Ginny e Christine stavano parlando sedute comodamente sul letto che sarebbe appartenuta a quest’ultima.
“Mi dispiace darvi disturbo”
“No, non preoccuparti. Io e Hermione dormiremo nello stesso letto. Sarà solo per una notte, anche se staremo un po’ scomode” sorrise. “Mamma ha detto che domani sistemerà una stanza per te”
Christine sorrise a sua volta. “Avete una bella casa” disse poi guardandosi attorno nella stanza.
“Ah, no, non è nostra…ehm…è un po’ complicato”
Bussarono alla porta e Ginny saltò giù dal materasso andando ad aprire.
“Oh! B-buonasera professore” disse vedendo davanti a sé Piton.
“Signorina Weasley” salutò lui, poi lei si spostò per lasciarlo entrare.
“Io torno dopo. Ciao”
Ginny salutò Christine e chiuse la porta. Aveva una voglia matta di stare ad ascoltare quello che si dicevano, ma poi cambiò idea e scese salì le scale diretta dagli altri.
Severus si sedette accanto alla figlia studiandola ancora con attenzione.
“Sto bene” sorrise lei stancamente. “Ora mi dirai che cosa succede professore?” chiese poi, ma sempre sorridendo.
Piton gliene fu grato, perché questo voleva dire che non gli rimproverava niente.
“Perdonami Christine. Io volevo solo proteggerti. Ma non ci sono riuscito!” esclamò l’uomo maledicendosi di non essere stato con lei quel pomeriggio.
Christine lo abbracciò forte. “Non è colpa tua, papà! Sono stata stupida io ad andarmene in giro da sola quando tu mi avevi detto di non uscire, perché poteva essere pericoloso. Avrei dovuto darti retta”
“Bambina, tu sei il mio tesoro più prezioso. Se ti perdessi, Christine, non me lo perdonerei mai!”
La ragazza risentì le parole di Riley nella sua testa.
“E’ il tuo tesoro più prezioso?” le aveva chiesto quello stesso pomeriggio in riferimento alla canzone dell’Angelo della Musica.
“Io sono una sciocca” mormorò guardando Piton in volto con un  espressione mortificata. “Sono andata al parco oggi, perché mi ero accorta di aver perso una cosa. Una canzone che mamma aveva scritto per me quando ero piccola. Credevo di poterla ritrovare, e così è stato, perché è il mio tesoro. Ma adesso…sentendo le tue parole, capisco che non dovrei dare così peso a un semplice foglio di carta. Mi dovevo preoccupare di ascoltare i consigli di mio padre, invece. Se non fossi uscita oggi, forse ora saremmo ancora a casa”
Piton l’ascoltava attentamente.
“Scusami, è tutta colpa mia!”
Avrebbe voluto aggiungere che era stata sciocca anche a non aver raccontato di Riley, ma nonostante sapesse che doveva farlo, non lo voleva fare. Il ragazzo che quegli uomini con il mantello cercavano era lui, l’aveva capito ormai, e benché uno di loro l’avesse slavata, non era del tutto certa che potessero essere altrettanto gentili con Riley.
“Christine, io ti devo delle spiegazioni. Molte spiegazioni” disse Piton guardandola negli occhi. “Non sarà facile capire tutto, ma ti prego di provarci”
“Quando sarai pronto io ti ascolterò” disse la fanciulla sorridendogli. “Ma non pria che tu lo sia davvero. Papà, la mamma mi diceva spesso dei tuoi tanti segreti che nemmeno lei sapeva tutti, ma le andava bene così. E se andava bene a lei, andrà bene a me”
“Piccola mia” mormorò Severus stingendola. “Ti voglio, tato, tanto bene”
Fu come liberarsi di un peso. Come se l’ultimo muro fra loro fosse caduto. Dirle apertamente ti voglio bene era la cosa più bella di questo mondo. Silente aveva sempre avuto ragione a sostenere che l’amore era il sentimento più grande di tutti.
L’amore che lui provava per quella bellissima creatura che Elisabet gli aveva donato era qualcosa che non si poteva immaginare. La morte non sarebbe stata nulla se era per proteggere quel raggio di sole che era arrivato a illuminare finalmente la sua vita.
Christine appoggiò la testa alla sua spalla e calde lacrime, di sollievo, adesso, scesero a bagnarle in volto provato dalle tante emozioni di quel giorno.
“Lo so, papà. Anch’io te ne voglio tanto”
Padre e figlia si separarono e si sorrisero. Lui le passò una mano su una guancia asciugando le nuove lacrime.
“Ora basta piangere”
“Ok” disse lei. Poi, quando suo padre si alzò, sorse spontanea una domanda. “Ora dove vai?”
“Prometto che non starò via molto, ma devo andare a vedere com’è la situazione a casa. Devo accertarmi se è sicuro tornarci. Tenterò anche di recuperare le tue cose se mi sarà possibile”
Christine scosse il capo. “Non mi interessa. Purché stasera torni”
Piton si chinò a baciarle la fronte. “Promesso”
La porta della camera si aprì. Era la signora Weasley.
“Professore, mio marito la aspetta giù. Verrà lui con lei”
“Molto bene. Arrivo tra un minuto”
Molly si rivolse a Christine. “Tesoro, la cena è quasi pronta” sorrise.
Christine si strinse nelle spalle. “Veramente, non ho fame”
“Oh” fece la dona un po’ delusa. “Bè, non importa, se vuoi posso tenerti qualcosa in caldo per più tardi e…”
“Niente storie. Tu vai giù e mangi insieme agli altri” disse Piton categorico.
Christine e Molly lo fissarono un momento, poi la ragazza sospirò.
“Va bene”
Scesero tutti e tre insieme in cucina, poi Piton e il signor Weasley uscirono.
Christine era inquieta. Tonks le mie su una mano sulla spalla.
“Non ti preoccupare. Tuo padre è un grande mago!” sorrise.
“Mago?” Christine era a dir poco allibita. Ma poi sorrise.
“Non te l’ha ancora detto?”
“A dire il vero, ci sono ancora un mucchio di cose che non mi ha detto”
E anch’io non ne ho dette a luipensò con una stretta al cuore, forse al pensiero di suo padre o forse al pensiero di Riley.
Il suo medaglione era ancora nella sua tasca.

 
 
Ohilà! Ho aggiornato prima del previsto, visto che brava? Così mi faccio perdonare!!! ^^
Sono lanciatissima in questi giorni e ne approfitto.
Vi anticipo che uno dei prossimi capitolo (se non proprio il prossimo) sarà completamente dedicato a Voldemort (per la gioia dei suoi fans…tra cui io!!!)
Grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono, che hanno messo questa fic nei preferiti, nelle seguite o nelle ricordate. Siete fantastici, vi adoro!
Spero di postare ancora prestissimo, ma non abituatevi (scusate se sono un pò incostante!)
Continuate a seguirmi e sostenermi!
Baci, by Usagi^^

 
  

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: Le tre Voci ***


Capitolo 11:
Le tre Voci
 


Little Hangleton era sempre stata una cittadina tranquilla nella verde campagna inglese. L’unico fatto veramente inquietante che aveva minato la serenità dei suoi abitanti era accaduto molti anni prima. La leggenda la conoscevano tutti, e ormai i nonni la narravano ai nipoti come una storia per mettere paura e null’altro, anche se alcuni dei più anziani che ancora ricordavano, dicevano che la storia della villa fosse vera.
Ad ogni modo, tutto ciò che i ragazzi di Little Hangleton sapevano oggi era che una notte, un giovane ammantato di nero salì fino alla grande casa sula cima della collina. Egli era il figlio del signore del luogo, Tom Riddle, che abitava lassù con i vecchi genitori. Chi fosse il giovane pallido e alto nessuno lo sapeva, ma fatto sta che dopo il suo passaggio, la mattina seguente, i tre Riddle furono trovati morti…di paura.
Sconcerto, spavento, inquietudine. Questi erano i sentimenti provati dagli allora abitanti della cittadina, e se pensavano che tutto fosse finito, si sbagliavano.
Nel presente erano accaduti ancora dei fatti molto strani, primo fra tutti l’omicidio-se così si poteva definire- del vecchio custode della villa, Frank, morto in circostanze misteriose, proprio come i signori a cui era appartenuta la bella dimora.
Ma stavolta, la paura che attanagliava i cuori dei più superstiziosi non si smorzò così facilmente.
Gli strani avvenimenti che accadevano attorno a casa Riddle, da qualche tempo, si erano rinnovati.
Le luci delle finestre parevano brillare sinistramente di tanto in tanto. C’era chi diceva che le tende si spostavano come se dentro la villa soffiasse una brezza lieve. O addirittura, chi sosteneva di veder apparire la morte in persona nel cimitero dietro il giardino.
Chi era costretto a passare sul viottolo davanti alla casa, per andare o venire da Great Hangleton, stava ben attento a non capitarci nelle ore di buio, perché era quello il momento in cui si sentiva bisbigliare attorno alle mura di casa Riddle, anche se poteva benissimo essere il vento…
Insomma, da ormai quasi dodici mesi, ciò che gli hangletoniani si sussurravano quando calava il tramonto era ‘non passare davanti a casa Riddle. Non guardare là dentro, o la morte ti risucchierà’
I bambini più coraggiosi, spinti spesso dai fratelli più grandi, amavano fare sfide di coraggio e giochi simili, ma non si spingevano mai oltre il grande cancello che divideva la dimora dalla strada principale. Meno che mai osavano avvicinarsi al cimitero abbandonato.
Ma quando tutto taceva, quando la coltre notturna calava sul paese, uomini con cappucci e mantelli neri vagavano per le vie della cittadina. Ombre che non avevano consistenza, perché non appartenevano affatto a uomini, ma erano semplicemente ombre. Silenziose, attente, erano sempre in tre. Non erano mangiamorte, per cui non avevano nulla da temere dai maghi. Non erano maghi loro stesse, perché non erano di questo mondo, e finchè il loro padrone non avesse voluto, sarebbero state invisibili a tutti.
Le tre ombre strisciarono lontane dal centro di Little Hangleton, e risalirono lentamente la collina da dove erano scese. Varcarono la porta della villa poco illuminata. Solo un candelabro antico era posto su un mobile accanto all’entrata. Le tre sagome scure voltarono a sinistra verso un corridoio, dirette al salone principale che era ampio e spazioso.
Niente luna quella notte, ma il volto dell’unica presenza nella stanza riluceva come se fosse illuminata dal satellite stesso.
Bianco, scheletrico, occhi rossi, alto, avvolto in un lungo mantello nero.
Le tre forme ammantate si inchinarono ai piedi di Lord Voldemort. Poi, senza che egli dicesse nulla, si alzarono e si misero allineate davanti a lui.
I mangiamorte non avevano il permesso di tenere i cappucci di fronte al Signore Oscuro. Dovevano mostrare il loro volto e guardare negli occhi Voldemort, chinare il capo ossequiosamente davanti a lui. Ma le tre ombre non abbassarono i loro cappuccio, perché probabilmente non avevano nessun volto da mostrare.
Voldemort, allora, parlò con voce chiara e forte, guardandole una per una, da sinistra a destra.
“Voce Rossa”
Il primo abbassò il capo e uno scintillio cremisi saettò nella stanza da sotto il cappuccio.
“Voce Azzurra”
Il secondo si chinò piano, e dalla sua cintura provenne un lieve tintinnio di campanelli.
“Voce Verde”
Il terzo mormorò “Ai vostri ordini” e dai suoi piedi parve levarsi una nebbia verdastra.
Voldemort sorrise soddisfatto. Anche senza alcuna fonte di luce poteva veder i suoi nuovi servitori, perché loro erano creature delle tenebre. A loro la luce non serviva.
Voldemort si voltò. Sul tavolo di marmo bianco presente in sala brillavano di luce propria tre piccoli scrigni.
Le tre Voci si avvicinarono piano al mobile, contemplando ognuno il proprio.
La Voce Rossa si avvicinò allo scrigno dorato con rifiniture complicate su tutti i lati.
La Voce Azzurra passò una mano guantata di nero sopra il coperchio di quello color ghiaccio.
La Voce Verde guardò attentamente il suo, nero come la pece.
“Le vostre dimore, signori” disse Voldemort sarcastico. “Dalle quali siete stati liberati per mano mia. Ora, se la memoria non mi inganna, colui che vi incatenò a questi scrigni si faceva chiamare Salazar Slytherin”
Le tre Voci ascoltavano voltando il capo coperti verso il Signore Oscuro.
“Solo colui che ha nelle vene sangue di Serpeverde può accedere a tutti i suoi segreti” continuò Voldemort. “E io, in quanto su legittimo erede, ho il diritto a tale privilegio”
“Voi possedete già molti poteri che nessun mago ha mai sognato” disse la Voce Rossa. “Ne è la dimostrazione il fatto che avete avuto il potere di aprire le serrature di questi scrigni” dicendolo passò una mano su quello dorato, che sembrò fremere al tocco. “Lui ci portò alla vita risvegliando la Magia Nera. Slytherin, il nostro antico signore, ci protesse da coloro che volevano la nostra fine. Noi lo seguivamo come devoti consiglieri svolgendo tutto ciò di cui ci incaricava”
“Noi tre lo servimmo fino al giorno della sua dipartita”,  continuò la Voce Verde, il cui parlare era simile a un roco gorgoglio “ma il padrone ci disse che sarebbe passato molto tempo prima che potessimo servire un altro mago potente quanto lui, forse più di lui. Il suo legittimo erede.”
“Avevamo il compito di trovarlo e portarlo via con noi quando fosse nato, in modo da istruirlo. Così ci disse il padrone Salazar” disse la Voce Rossa, che aveva la voce più simile a quella di un uomo.
“Ma” continuò Voldemort, “voi foste relegati da qualcuno di votato verso il bene dentro questi scrigni e non poteste adempiere al compito che lui vi affidò”
Percorse a grandi passi il salone, mentre il mantello frusciava sul pavimento lucido che rifletteva il bagliore dei tre monili sul tavolo.
“Io, l’erede di Serpeverde, vi ho svegliati dal sonno secolare in cui eravate caduti, e ora, voi sarete mie servitori”
La Voce Azzurra si inchinò a lungo. “Voi ci onorate. Il nostro unico desiderio è servire le forze del male”
“Ditemi, volete conoscere il nome di colui che vi segregò dentro dei piccoli insignificanti oggetti?” chiese Voldemort con voce disgustata.
“Mio signore” continuò la Voce Azzurra, calma e pacata. “Se solo potessimo conoscere il suo nome, ci permettereste di vendicarci di lui o sui suoi discendenti?”
Il viso da scheletro di Voldemort si contrasse dal piacere di quelle parole. “Ma certo”
Voldemort osservò quei tre figuri completamente coperti dai loro mantelli scuri, nei quali però si poteva scorgere lievemente il colore dei loro stessi nomi.
“Scopriremo chi è stato tanto potente da soggiogare i vostri poteri, non temete. Sarà la mia ricompensa per i vostri servigi. Ma prima abbiamo altro da fare”
“Qualunque cosa padrone”
Voldemort si rivolse a tutti e tre.
“Voglio sapere se Salazar Slytherin vide il futuro quando vi parlò del suo erede”
“Possedeva quella che viene chiamata la Vista” disse la Voce Azzurra. “Egli aveva poteri incommensurabili. Vide molto in là nel tempo, perché aveva bisogno di sapere se ci sarebbe stato qualcuno in grado di mandare avanti il grande progetto da lui cominciato: la conquista del mondo magico”
Voldemort portò le mani dietro la schiena, pensieroso. C’erano poche cose che lo preoccupavano, ma da un po’ di tempo a questa parte erano diventate più di quelle che era disposto ad ammettere. “Oggi, i maghi e le streghe credono di poter vedere nel futuro con stupidi trucchetti che ricordano fin troppo quelli usati dai babbani” disse Voldemort fermandosi davanti al camino, dando le spalle agli incappucciati. “Anche il mio antenato faceva questo?”
Non voleva credere che il grande Slytherin potesse aver letto nel futuro e visto il suo erede con la semplice lettura delle carte.
“Padrone” disse la Voce Verde con una nota di sarcasmo. “Non dovete preoccuparvi di sfere di cristallo o simili. La vera Vista appartiene solo a quei rarissimi scelti che ereditano tale potere per via sanguigna”
“Lo so” disse Voldemort voltandosi, le fessure che aveva per pupille si restrinsero ancora di più, i suoi occhi ardevano minacciosi. “Eppure, una misera indovina ha fatto una profezia”
Le tre voci si mossero sconcertate.
“Un mio fedele servitore l’ha sentita distintamente, quindici anni fa, ma purtroppo non è riuscito a sapere la conclusione di tale profezia. E’ di vitale importanza saperla”
La Voce Rossa si fece di nuovo avanti. “Padrone, con i nostri poteri possiamo scoprire tutto ciò che voi desiderate”
“Il contenuto di questa profezia vi inquieta, padrone?” chiese la Voce Azzurra.
“Si, e non poco. Da essa può dipendere la mia sopravvivenza” ammise Voldemort.
“Gli indovini non hanno nulla a che vedere con chi possiede la Vista” continuò la Voce Verde.
“I primi sono solo dei meri racconta sogni. Scorgono tramite visioni o trance ciò che potrebbe succedere nel tempo, ma che può essere cambiato tramite una serie di eventi. Ma non c’è alcuna certezza in ciò che viene loro mostrato. Essi percepiscono.
“Invece, coloro che hanno la Vista, vedono. Così come ora io vedo voi e i miei compagni in questa stanza. Vedono attraverso le barriere del tempo ciò che deve succedere. Vedono quello che non può mutare”
Voldemort sorrise soddisfatto. “Era quello che volevo sentirmi dire”
Quindi, la profezia su Harry Potter poteva essere cambiata. Anche se non ne conosceva il contenuto per intero, era chiaro ora che non avrebbe significato nulla per nessuno.
Per quanto Silente avesse potuto mettere in guardia il ragazzo, niente era sicuro. Tutto era ancora da decidere. Anche se avesse rivelato i più oscuri presagi, Voldemort sapeva che quelli sarebbero stati solo un’ombra sul futuro, non più una certezza. Poteva essere tutto cambiato, qualsiasi cosa fosse.
“Ho un incarico per voi” disse l’Oscuro Signore guardando i volti invisibili delle tre Voci.
“Vi ho fatti tornare perché so che sarte dei degni servitori”
La Voce Rossa si inchinò, e così fecero le altre due.
“I servigi che vi presteremo no chiedono alcuna ricompensa. Noi siamo completamente disinteressati a queste futilità umane”
I signore oscuro fu soddisfatto da quelle parole. Salazar Slytherin li aveva incontrati sul suo cammino secoli prima senza sapere da dove venissero, con la sola certezza che erano stati mandati da qualcuno per servirlo. Ora, avrebbero servito lui senza che rischiasse tradimenti o ripensamenti com’era successo con i Mangiamorte. Questo aumentava le sue certezze di vittoria. Le tre Voci erano lì per lui, e sarebbero arrivate molto prima se qualcuno non le avesse rinchiuse.
“Io conosco molti tipi di magia. Anche se molti dei miei nemici affermano che io mi sia spinto al di là di ogni sapere, e non do loro torto, ci sono ancora parecchie cose che devo assimilare.
“Per colpa di Harry Potter ho dovuto interrompere la mia ascesa e i miei esperimenti, ma adesso che ho di nuovo un corpo è tutta un’altra cosa”
Estrasse la bacchetta e la passò tra le mani.
“Il progetto a cui sto lavorando, e che mi aspetto di portare a termine al più presto, è quello di recuperare la suddetta profezia dall’Ufficio Misteri, nei meandri del Ministero della Magia”
Le tre Voci si voltarono una verso l’altra.
Voldemort fece un sorriso di comprensione. “So che non conoscete nulla di questo mondo in cui vi siete risvegliati, per questo però avrete tempo. Ora dobbiamo concentrarci sul il recupero di quella profezia, racchiusa sotto forma di una sfera”
Alzò la bacchetta e la mostrò ai suoi interlocutori.
“Parla di quel ragazzo, Harry Potter. Colui che vi ha sconfitto anni fa” disse la Voce azzurra, per poi prostrarsi immediatamente ai piedi di Voldemort. “Perdonatemi padrone. Non volevo mancarvi di rispetto”
“Accetto le tue scuse, ma non dire mai più di me come se fossi un debole” disse Voldemort con voce calma ma infervorandosi. “Si, è vero. Quel ragazzino è riuscito a sconfiggermi una volta. Di lui vi racconterò meglio più tardi, prima dobbiamo discutere d’altro…e ti consiglierei di non interrompermi, Voce Azzurra” sibilò Voldemort.
“Perdonate la mia ignoranza, signore” disse si nuovo l’essere.
Lo stregone fece fluttuare il mantello sedendosi su una poltrona dall’alto schienale.
“Voi tre vi unirete alla squadra dei miei fidati mangiamorte, a capo della quale è Severus Piton”
Il mago si accertò di non essere interrotto anche stavolta, ma le tre Voci erano in ascolto.
“Il giugno scorso ho recuperato il mio corpo grazie a un rito di resurrezione, ma non mi basta questo corpo per essere invincibile. Ho imbrogliato la morte creando oggetti magici potentissimi che nessun mago prima di me si era mai sognato di fabbricare”
La Voce Rossa non poté non parlare. Fece un passo avanti rispetto alle altre.
“Mio padrone” disse con un tono pieno di ammirazione. “Voi avete carpito il segreto degli Horcrux!”
Voldemort fece una risata senza allegria, ma molto compiaciuta.
“Si, l’ho fatto. Ma…” disse alzando un dito scheletrico e bianco come la neve, “ancora non mi basta”
Il vento si era alzato, come se la natura stessa volesse impedire al signore del male di continuare il suo discorso.
“C’è un modo ancor più efficace di gabbare la morte. Un modo assai difficile a dire il vero, perché comprende un piano ben architettato e bisogna che siate cauti”
Alzò la bacchetta e con un gesto chiuse la grande finestra, infastidito dal fischiare insistente del vento.
“Gli Horcrux mi tengono in vita, ma possono essere distrutti e scoperti. Solo pochi anni fa, Harry Potter distrusse uno dei miei preziosi oggetti. Se dovesse venire aiutato ancora una volta da chi lo protegge e scoprire cosa sono-dubito che lo sapesse, all’epoca- allora sarei in serio pericolo. Inoltre, non mi sono ancora ripreso del tutto da quella magia che fu opera della madre di Potter. Non sono ancora nel pieno delle mie forze. Ho bisogno…come dire” Si alzò dalla poltrona e allargò le braccia. “di liberarmene definitivamente e tronare com’ero un tempo”
 “Ne conveniamo, padrone e faremo tutto il possibile per esaudire ogni suo desiderio” disse la Voce Verde, mentre le altre emettevano una specie di basso gorgoglio che poteva essere una risata.
“Allora” disse Voldemort. “Devo chiedervi di mostrarvi a questi miei più fidati Mangiamorte. Con i vostri poteri varcherete le mura della scuola di magia di Hogwarts. La conoscete bene, vero?”
“Fondata dal nostro signore e padrone insieme ad altri tre potenti maghi” disse la Voce Azzurra. “Come potremmo non ricordarla?”
“Benissimo. Allora vi sarà facile far cedere gli incantesimi che vi sono posti a protezione”
“Assolutamente si. Quegli incantesimi sono opera dei quattro fondatori”
“E non sono mai cambiati” sussurrò Voldemort con una sorta di felicità sempre crescente.
“Laggiù si trovano le pedine principali del mio piano, tra cui proprio Harry Potter. Ma lui non dovete toccarlo, perché sarà il ragazzo a venire da me, prima o poi”
Voldemort si voltò di nuovo verso il camino e guardò le fiamme danzare, che si rispecchiavano nei suoi occhi, dello stesso colore.
Il silenzio calò nella sala. Voldemort non parlò per parecchi minuti, al che la Voce Rossa chiese: “E’ tutto, padrone?”
“No” disse Voldemort con voce chiara. “C’è un’altra cosa…Una ragazza”
“Mio signore?”
“Una splendida fanciulla. Con gli occhi d’ebano e la pelle del colore delle rose. Il suo nome è Christine”
Voldemort si voltò verso le Voci ancora una volta.
“Ho dato ordini precisi ad un mio apprendista, su di lei. Voi state attenti che non le venga fatto alcun male. Custodisce qualcosa che mi è molto caro”
Le tre Voci si inchinarono per l’ultima volta, poi vennero congedate.
Dove sarebbero andate, Voldemort non lo sapeva, ma non gli importava.
Si avvicinò al tavolo di marmo bianco e con un tocco di bacchetta magica fece sparire uno dopo l’altro i tre scrigni appartenuti alle Voci.
Ci era voluto molto tempo per trovarle, ma il suo apprendista sapeva dove cercare, soprattutto perché egli era insospettabile agli occhi altrui, anche se qualche grattacapo l’aveva avuto.
Ma imparava in fretta, era astuto e scaltro, tanto che Voldemort l’aveva preferito al figlio di Lucius.
Certo, Draco avrebbe avuto la sua occasione di dimostrare le sue capacità, ma non ora.
Adesso, le priorità erano due: la profezia e il Rito.
E poi c’era lei. La bella figlia di Severus Piton, apparsa dal nulla, avvolta nel mistero, perché il primo dei suoi Mangiamorte non ne aveva mai parlato. Perché? Questo era qualcosa che doveva chiarire faccia a faccia con Severus in persona e al più presto. Che Piton volesse nasconderla? Certo era possibile, dato che la ragazza era diversa da loro. Non era del loro mondo.
Presto avrebbe chiesta a Piton di portarla al suo cospetto, perché i figli dei suoi mangiamorte dovevano avere il privilegio di conoscere il loro padrone.  Poco importava se lei non era una strega, perché tra poco tempo, Lord Voldemort sarebbe divenuto il signore del mondo intero, magico e non.
Il giorno in cui aveva saputo della sua esistenza aveva sentito subito che in lei non c’era nessun potere magico, ma ciò nonostante, aveva avuto come un presentimento, e cioè che quella ragazza che del mondo della magia non sapeva nulla di nulla, avrebbe potuto esserle utile.
Ingenua, dolce e buona. Le sue qualità erano queste. Le qualità che servivano a lui per conquistarsi la sua fiducia. E ci era riuscito! Con un piano ben architettato, con situazioni apparentemente casuali, ma studiate al dettaglio, la fanciulla aveva giurato a Riley di aiutarlo custodendo per lui il medaglione di Salazar Slytherin.
Voldemort sorrise tra sé.
Ah, l’amore, a quale stupidità può portare gli uomini?






 
Eccoci! Vi avevo promesso un capitolo tutto su Voldemort ed eccolo qua! Che ve ne pare? Spero di averlo scritto bene e che sia tutto chiaro (a me personalmente soddisfa molto).
Altri misteri e altre domande per voi (alcuni si stanno mangiando le unghie, lo so)
Ho intenzioni di farvi stare incollati allo schermo!!! :-3
Come sempre ringrazio tutti quelli che leggono, recensiscono, e hanno messo la fic nelle preferite/seguite/ricordate. Vedo che siete i molto che mi seguite e ciò non può che farmi felice!!!
Resteremo insieme ancora per molto, perché siamo solo all’inizio!!!
Un grazie di cuore a tutti voi e un gande abbraccio e bacio.
By Usagi^^

 
  

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Capitolo 13
*** Capitolo 12: Interrogatorio ***


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By UsagiTsukino010
 


Capitolo 12:
Interrogatorio

 
Si materializzarono sul margine del fiume che scorreva sereno nella notte silenziosa e tranquilla. Troppo tranquilla.
Arthur e Severus camminarono a passo svelto verso l’intrico di vicoli che si dipanavano lungo Spinner’s End, fino ad arrivare alla casa di Piton. Apparentemente nulla sembrava essere stato toccato.
Severus alzò la bacchetta e pronunciò sottovoce poche parole, ma non accadde nulla. L’incantesimo di protezione era svanito quando Codaliscia era entrato in casa, il punto stava nel capire come era stato possibile ciò.
Piton si portò un dito alle labbra intimando il silenzio all’altro. Il signor Weasley si guardò attorno nervoso, poi il professore di Pozioni aprì la porta della casa e accese la bacchetta.
Arthur lo imitò e lo segui cauto dentro l’abitazione.
La porta cigolò sui cardini per un secondo, poi tornò il silenzio. Opprimente era la parola giusta.
Non si sentivano i consueti suoni estivi, quella notte. Di solito, il vento portava i rumori dei grilli, dei piccoli animaletti notturni, dei pipistrelli e dei gufi. Ma quei suoni erano come svaniti quella notte, come se gli stessi animali e insetti fossero all’erta come i due maghi, pronti a percepire il minimo cambiamento attorno a loro.
Piton chiuse la porta, piano, accese le lampade con un altro colpo di bacchetta magica e invitò il signor Weasley ad avanzare nel salotto.
Lo spettacolo che si presentò davanti ai due uomini non fu dei migliori.
Il salotto era totalmente in disordine. La libreria rivelava molti spazi vuoti sui suoi scaffali, i cui libri erano rovinati a terra. La porta che divideva salotto e cucina era stata abbattuta con un incantesimo; il lampadario era pericolosamente in procinto di staccarsi dal soffitto e le poltrone, il divano e il tavolo erano rovesciati.
Kingsley e Codaliscia avevano combattuto in uno spazio evidentemente troppo ristretto, e Shaklebolt era un tipo che non ci andava giù leggero.
“Rinfoderi la bacchetta” disse Severus, mentre con un gesto della sua faceva tornare tutto come nuovo, cercando di non pensare alla sua Christine e a cosa avesse provato trovandosi in una situazione simile. “Non credo che dovremo combattere contro qualche Mangiamorte” aggiunse infine.
Arthur Weasley non fu molto rassicurato dalle parole del professore, ma fece come aveva detto. Rimise la bacchetta magica nella giacca e poi si spostò per la stanza cercando di ripercorrere con la mente ciò che era stato raccontato nella cucina del quartier generale dalla figlia di Piton.
“Che cosa poteva cercare Peter Minus in questa casa?”
Severus fu percorso da un brivido impercettibile agli occhi dell’altro. Forse la frase giusta poteva essere non cosa cercava, ma chi cercava.
Sentiva che la situazione stava per sfuggirgli di mano.
Senza dire una parola si diresse alle scale per raggiungere il piano superiore. Arthur andò invece verso la cucina risfoderando la bacchetta per precauzione.
A Piton non piaceva affatto che qualcuno girasse per casa sua. Non voleva che il signor Weasley perquisisse qua e là quando non c’era assolutamente nulla da perquisire e soprattutto da scoprire.
Anche il piano di sopra era un poco in disordine, ma solo per via di alcuni oggetti spostati.
Entrò in camera sua e sentì Arthur salire le scale dietro di lui e fermarsi sul pianerottolo.
“C’è qualcosa, qui?” chiese.
Piton scosse il capo, calmo. Domanda inutile, pensò, dato che era evidente il fatto nulla era stato spostato, niente era stato rubato o messo sottosopra di proposito. Severus sapeva benissimo che se Codaliscia fosse riuscito nel suo intento di rapire Christine non ci sarebbe stato il minimo indizio che facesse presagire l’intrusione di un estraneo. La battaglia e il disordine del salotto era stato un inconveniente, tutto qui.
Si spostarono verso la camera della ragazza, ma nulla di fatto.
“Può tornare a Grimmauld Place a riferire che non c’è nulla di sospetto” disse Piton.
Arthur guardò perplesso l’insegnante mentre lo sorpassava.
“Come?”
“Non sembra che abbiano toccato nulla”
“Lei che cosa crede che cercasse allora?”
I due uomini, i due padri, si scambiarono uno sguardo silenzioso, fermi sul pianerottolo, e Arthur comprese l’angoscia nell’espressione apparentemente impassibile di Piton.
“Sua figlia? E perché mai? Non è dotata di nessun potere!” osservò Weasley incredulo.
“Proprio per questo”
I due scesero le scale. Solo quando furono di nuovo in salotto Severus parlò di nuovo.
“Il Signore oscuro vuole che i figli dei suoi seguaci seguano la stessa strada dei genitori, la sua strada. Ora che ha scoperto la sua esistenza non la lascerà in pace. Vorrà conoscerla, incontrarla, esattamente come molto altri ragazzi prima di lei”
“Ma lei non crede che se sapesse…se Tu-Sai-Chi sapesse che è una babbana di nascita…”
Piton lo guardò come a volerlo sfidare. Aveva la stessa sensazione che aveva provato in Grimmauld Pace poco prima.
Si, Christine non era una strega, non lo sarebbe mai diventata, così come non lo era Elisabet.
“Proprio per questo motivo ho bisogno che lei sia al sicuro” disse deciso. “Non può tornare qui ora che Voldemort sa dove potrebbe trovarla”
“E lei, professore? Lei cosa farà? Non potrà negare”
Piton fece nuovamente un passo verso le scale dando le spalle al signor Weasley.
“Parlerò con Silente e deciderò sul da farsi”
La conversazione era conclusa, Arthur se ne accorse dal momento che Piton ripeté: “Torni dalla sua famiglia. Io arriverò tra poco. Il tempo di raccogliere qualche effetto personale di mia figlia”
Il signor Weasley accennò un si con la testa e poi tolse il disturbo.
 
Severus tornò in camera di Christine e prese una delle valigie con cui era arrivata cominciando a riempirla con lo stretto indispensabile. Se doveva vivere per un po’ in casa Black era bene che potesse avere almeno ciò che le apparteneva. Non avrebbe creato problemi all’Ordine della Fenice, non avrebbe cercato di scoprire con l’inganno che cosa accadeva durante le riunioni, a differenza di Potter e i suoi amici.
Non potè fare a meno di ripensare al medaglione di cui aveva parlato Kinglsey, il quale insinuava potesse essere in possesso di Christine.
E c’era un ragazzo anche, un ragazzo nella vita di sua figlia di cui lui non conosceva l’esistenza.
L’Auror aveva insistito sul fatto che lei sapesse chi era, ma la ragazza aveva detto che si erano incontrati per caso solo il pomeriggio precedente.
Ma se anche così non fosse stato, se Christine avesse incontrato questo giovane in una delle sue passeggiate nel parco, che ci poteva essere di male? Niente, se si fosse trattato di un semplice appuntamento romantico, sua figlia aveva sedici anni, era normale, ma i dubbi salivano piano facendosi strada nella mente di Severus, che si scopriva più apprensivo di quanto avesse mai immaginato di poter essere.
Se davvero questo ragazzo era un mago, quello sulle cui tracce era il Ministero da qualche settimana e che custodiva il medaglione di Salazar Serpeverde, forse allora aveva a che fare con Voldemort e i suoi?
Se così era, Christine forse era in pericolo più di quanto già non fosse.
Se davvero lei era coinvolta nella storia del medaglione però, allora perchè non glielo diceva? Perché non gli aveva accennato nulla?
No, lei non sapeva nulla, o se sapeva, forse era troppo spaventata per parlarne. Christine era dolce e ingenua, agiva sempre a fin di bene credendo di poter aiutare tutti, ma il mondo era meno roseo di quello che la fanciulla aveva conosciuto fino a qualche mese prima.
In Svezia c’erano Karin, c’era la sua amica Meg, c’era stata Elisabet, e il nonno. Nei momenti di confidenza, Christine raccontava di com’era meraviglioso averli tutti attorno, del periodo della sua infanzia in cui correva per i prati con Meg senza che niente turbasse la loro serenità.
Ma lì era diverso. Londra era divenuta una fonte costante di guai, perché i Mangiamorte si aggiravano per le vie della città, i Dissennatori erano a piede libero, e presto centinaia di nuovi adepti e creature oscure votate a lui. E in mezzo a tutto ciò una ragazzina di sedici anni, più matura della sua età certo, ma pur sempre troppo giovane e senza le difese necessarie.
Era tutta la sera che Severus ci pensava e anche se a malincuore decise che avrebbe riamndato Christine a casa a Uppsala prima della fine dell’estate.
 
L’eco nella sua testa era un sussurro sommesso. Non capiva cosa quella voce le stesse dicendo, ma di tanto in tanto sentiva distintamente il suo nome, da lontano.
 
Christine…Christine…
 
Avrebbe voluto chiedere chi era, ma come al solito si svegliò prima di poterlo fare.
Aprì piano gli occhi stanchi, sbatté le palpebre un paio di volte prima di rendersi conto di dove si trovasse. Poi ricordò la giornata precedente, l’incontro con Riley, l’inseguimento, l’aggressione, il medaglione e la corsa verso quella strana casa. E poi, finalmente, suo padre.
L’unico suo punto di riferimento, la persona che per lei era ormai diventata insostituibile nella sua vita, così come lo era sempre stata sua madre Elisabet.
Christine si tirò su a sedere sul letto. Ginny e Hermione, che avevano dormito con ei, si erano già alzate.
La finestra era aperta e lei andò ad affacciarvisi.
La piazzetta nella quale era arrivata la sera prima ora era luccicante nel sole del mattino. La brezza estiva faceva volteggiare le alte chiome degli alberi sulla piazza e sulla strada dove un brulicare di gente faceva a vanti e indietro per andare al lavoro. Un gruppo di ragazzini passò a tutta velocità in sella alle proprie biciclette. Li seguì con lo sguardo fin dive poté, poi tornò a fissare la strada e in quel momento vide suo padre apparire dalla folla.
Senza pensarci due volte corse attraverso la stanza e si precipitò fuori dalla porta andando a sbattere contro Ginny e Hermione e a quest’ultima cadde di mano un involto di indumenti.
“Scusami!” si affrettò a dire Christine chinandosi per raccogliere i vestiti.
“Vedo che stai bene stamattina” sorrise Ginny entrando nella camera.
“Si, grazie, molto meglio”
“Dove correvi così di fretta’” chiese Hermione posando gli abiti sul materasso del letto più vicino.
“Ho visto mio padre arrivare” rispose Christine con un gran sorriso.
Le due streghe si scambiarono uno sguardo incomprensibile. Il fatto era che credevano ancora impossibile che una persona come Piton potesse essere un padre premuroso e  affettuoso come invece la loro nuova amica aveva raccontato la sera precedente a cena.
Aveva parlato poco a dire il vero e mangiato ancora meno, ma sembrava che raccontare di Piton la rasserenasse.
“Bè, prima è meglio se ti vesti. Ecco” disse Hermione indicando gli indumenti. “Questi sono i tuoi vestiti. La madre di Ginny ha detto che li ha portati tuo padre ieri sera molto tardi”
“Allora casa mia…”
“Presto potrai tornarci, vedrai”
Christine annuì sorridendo. “A proposito Hermione, grazie per avermi prestato il pigiama ieri sera”
“Figurati! Nessun disturbo”
“Va bene, allora noi ti aspettiamo giù” disse Ginny, poi le due streghe uscirono dalla camera.
 
Severus aveva passato tutta la notte insonne, senza riuscire mai a chiudere occhio.
Aveva avuto il desiderio di parlare a Silente, ma in quel momento il preside non era a Hogwarts. Anche la professoressa McGranitt era assente, sicuramente per affari riguardanti l’Ordine.
Dopo aver lasciato Spinner’s End era tornato immediatamente a Grimmauld Place, ma Christine era già addormentata. Era salito solo per guardarla un momento prima di lasciarla di nuovo, come per assicurarsi che fosse davvero lì e che lui potesse toccarla. La sua bambina, il suo tesoro, il suo angelo.
Piton entrò in casa Black dove, come al solito, c’era tanta di quella confusione da fargli venire mal di testa.
“Severus” lo salutò Lupin. Anche lui era appena arrivato.
Piton fece un breve cenno col capo, nulla di più.
La signora Weasley era affacciata alle scale e guardava in su gridando ai suoi figli di scendere.
“Sbrigatevi! La colazione è pronta da un pezzo!...Oh, professore, buongiorno!”
“Buongiorno”
“Gradisce una tazza di tè?”
“No, grazie”
La donna non insisté oltre, sapendo che era inutile con Piton. Era un uomo di poche parole.
“Grandi novità!” esclamò una voce dalla porta principale.
“Richard, per favore, lo sai che non devi…” cominciò Kingsley
Crash
“Scusate tanto!”
“Tonks!” gridò Moody.
“…urlare nell’ingresso”
Ed ecco la voce della signora Black riempire la casa di urla e strepiti.
Piton si portò una mano alla tempia. Questo di certo non faceva bene ai suoi nervi, già troppo tesi.
“E’ un miracolo che questi due scansafatiche siano divenuti Auror” disse Moody zoppicando verso il quadro con Sirius e chiudendo le tende.
“Davvero? Eccellente Richard!” esclamò Sirius dando al ragazzo biondo delle gran pacche sulle spalle.
“Ho appena dato l’esame e stavolta l’ho superato a pieni voti! Adesso posso dare la caccia a quel bastardo quanto e come voglio!”
“Richard!”
“Mi scusi signora Weasley”
“Modera i termini, giovanotto” disse Kingsley mettendogli una mano su una spalla in segno di ammonimento. “Ricorda che hai ancora un superiore a cui devi dare retta: il sottoscritto. E non farai nulla se non sarò io a dirtelo”
“Sissignore” sbuffò Richard Thompson alzando gli occhi al cielo.
“Bè, signori io devo scappare” disse il signor Weasley subito seguito da Bill.
Molly salutò marito e figlio, poi scortò gli altri verso la cucina.
“Stasera devi rimanere a cena, farò quello stufato che ti piace tanto. Bisogna festeggiare!”
“Grazie, sono lusingato!”
“Papà!”
Gridò una voce cristallina dalle scale, producendo un nuovo risveglio della signora Black.
Christine scese le scale e corse ad abbracciare Piton.
“Ciao tesoro” disse lui abbozzando un sorriso.
La ragazza sorrise raggiante nel ritrovarlo. Non sapeva perché ma le era mancato moltissimo, come se non lo vedesse da anni.
Dietro di lei si trascinavano giù per i gradini i gemelli, Harry e Ron.
“Come fate ad avere così tanta energia di prima mattina?” ciese Fred sbadigliando.
“Papà è già andato al lavoro?” chiese Ron.
“Si, e voi sbrigatevi a fare colazione! Dobbiamo continuare la disinfestazione stamattina”
I ragazzi sbuffarono.
“Non discutete!”
“E voi perché non sete al lavoro?” chiese George a Kingsley, Tonks e Thompson. “L’ufficio Auror è in sciopero?”
“No, siamo venuti a dare la notizia della promozione di Richard!” rispose Tonks tutta pimpante.
Ci fu una specie di ovazione mentre scendevano tutti in cucina.
“Festa! Festa!” gridarono i gemelli.
Richard, così come Tonks, era uno degli acquisti più nuovi dell’ordine della Fenice. Aveva legato subito con tutti i ragazzi e gli adulti, in particolare con Fred e George. Forse ciò era dovuto al suo carattere che assomigliava per molti versi a quello dei gemelli Weasley.
Ammirava Harry, venerava Silente e aveva un debole per la cucina di Molly (come tutti del resto).
Era un ragazzo socievole, spiritoso, un po’ pungente a volte, ma anche coraggioso e senza peli sulla lingua.
E per tutto il tempo, dal momento in cui era scesa dalle scale fino a questo preciso istante, Richard Thompson non aveva fatto altro che fissare la bella fanciulla che sedeva accanto a Piton.
“E quella visione chi è?”
Fred si voltò per vedere di chi parlava.
“E’ la figlia di Piton” disse ridacchiando.
“Non sapevo avesse una figlia” disse Richard stupito.
“Nemmeno noi” disse Harry.
“Certo, è stata una sorpresa” ammise Ron cominciando a mangiare.
George sorrise. “Thompson l’implacabile! Lui le ragazze le fa cadere tutte ai suoi piedi, dico bene?”
I cinque ragazzi risero.
“Ah, smettetela!” fece Thompson, ma poi tornò a guardare Christine.
“Allora smettila di fissarla” disse Harry.
Christine, dal canto suo, non si era accorta di tutto quell’interesse per lei. Sorrideva a tutta quell’allegria, ma si accorse che suo padre non era dello stesso parere.
“Non ti piace la confusione eh?” gli chiese sorridendo.
Lui la guardò alzando un sopracciglio con fare sarcastico. “Da cosa lo capisci?”
La ragazza alzò un dito per indicare un punto preciso della fronte di suo padre.
“Non lo so, da quella vena penso. Pulsa pericolosamente quando sei arrabbiato o nervoso”
Lui le rivolse un sorriso più ampio e si sciolse un po’.
“Ti dovrai abituare a tutto questo se dovrai rimanere qui per un po’”
La ragazza alzò le spalle. “Non mi dispiace. Hermione e Ginny sono carine con me”
Piton la osservò critico, indugiando specialmente sul graffio ancora ben visibile sul viso.
“Stai bene?”
“Si, non preoccuparti”
“Allora Piton, com’è andato il sopralluogo di ieri sera” chiese Moody tra le chiacchiere che immediatamente si spensero.
“Non c’era niente di strano. Tutto è al suo posto, come sempre”
“Possiamo parlarne più tardi?” disse Molly scoccando un’occhiata a i membri dell’Ordine. “Quando sarete soli?”
Moody grugnì infastidito, Kingsley invece era deciso a riprendere l’argomento della sera precedente.
“Io più che altro vorrei parlare in provato con Christine, se mi è concesso”
Tutta la serenità che la ragazza aveva ritrovato al suo risveglio svanì come una bolla di sapone.
Alzò gli occhi scuri sull’uomo di nome Kingsley e poi guardò suo padre.
“Solo se ci sono anch’io, lo sai, te l’ho già detto” disse Piton perentorio.
“No, Severus, da solo. Ci ho riflettuto e penso sia meglio che io parli con lei in separata sede”
Christine era preparata a questo nuovo scontro verbale.
“Mi scusi, ma io non ho nulla da raccontarle.  Ho già detto tutto quello che so” disse tranquilla.
Kinglsey si appoggiò allo schienale della sedia e si voltò verso Thompson.
“Mi spiace, ho un testimone che ti ha vista con quel ragazzo”
“Ancora con questa storia…”
“Si, Piton, ancora con questa storia”
“Kinglsey…” fece piano Moody.
“Non ho intenzione di mollare finché tutto non mi sarà chiaro!” disse l’Auror levando una mano per fermare Malocchio. “Io e Richard ti abbiamo visto in compagnia di quel giovane, questo non  lo puoi negare”
L’uomo dalla pelle scura cercò conferma nel suo nuovo collega dai capelli biondi che annuì.
“E’ vero. Stavi parlando con lui”
Per la prima volta, gli sguardi del giovane Auror e di Christine si incrociarono. Lui provò come una morsa allo stomaco.
“Ascoltate, io non so niente” ripeté la ragazza un po’ esasperata. “Davvero, quella è stata la prima volta in vita mia che vedevo quel ragazzo. Forse ho dato l’impressione di conoscerlo, ma non è così”
Stava mentendo spudoratamente, non le piaceva, ma era necessario.
“Tu sai che con le informazioni che ci puoi dare possiamo riuscire a catturarlo, vero?” disse Kingsley.
Lei non aprì bocca e annuì soltanto.
Thompson ne approfittò per prendere parola in quella frazione di silenzio.
“E’ un individuo potenzialmente pericoloso. Non ricordi se ti ha detto il suo nome, o se ha parlato di qualcosa di particolare? Ad esempio un medaglione”
“No”  Christine scosse il capo. “Mi spiace, no. Abbiamo scambiato poche parole”
Cercò di non arrossire o di non abbassare mai lo sguardo. Ormai aveva dato quella versione, e benché si sentisse in colpa non poteva ritirarla.
“Ti stai ripetendo Kingsley” disse Piton acido.
“Si, ma lei sai cosa rischia sua figlia, vero?” intervenne Thompson. “Kingsley ha parlato di un mangiamorte in casa sua!”
Un mormorio si diffuse per la cucina. Il giovane si era spinto troppo oltre, lui stesso se ne accorse e si maledisse par aver parlato.
Christine fece scattare svelta lo sguardo verso suo padre, confusa.
Kinglsey si alzò da tavola con clama.
“Severus, te lo chiedo per favore. Devi farmi parlare con lei. Solo per qualche minuto”
“No” insisté Piton.
“No, va bene” disse invece lei. “Ma non si aspetti niente da me” disse in tono di scusa.
“C’è un posto dove possiamo stare da soli?” chiese l’uomo.
“Certo” disse Sirius. “Il salotto del secondo piano”
“Grazie”
“Posso…” cominciò Thompson alzandosi per metà.
“No, Richard, per favore”
Il giovane indugiò qualche istante guardando Christine, lei se ne accorse e lo fissò interrogativa.
“Mi spiace, stiamo solo cercando di fare il nostro lavoro”
Kingsley e Christine lasciarono i loro posti e uscirono dalla cucina sotto lo sguardi indagatore di Piton.
Salirono le scale in silenzio fino a che non raggiunsero il salotto indicato. Entrarono, poi l’Auror chiuse la porta.
“Siediti”
Christine si accomodò su una poltrona un po’ malconcia.
“Ascoltami, io voglio solo la verità”
“Gliel’ho detta la verità”
“Davvero, Christine? Davvero?”
“Si” disse lei deglutendo.
Pensò improvvisamente al medaglione di Riley, di sopra sotto il suo cuscino. Che stupida! L’aveva lasciato incustodito! Se qualcuno l’avesse trovato?
L’uomo interruppe i suoi pensieri.
“Raccontami ancora cosa facevi ieri nel parco, prima che tornassi a casa”
“Sono andata a cercare una cosa che avevo perso e…”
“Cosa?” la interruppe Kingsley.
“Un foglio. Una pagina del mio diario”
“Va bene, e in quel parco ci sei stata altre volte?”
“Si, un sacco di volte”
“E non hai mai visto quel ragazzo prima?”
“No”
“Sicura?”
Riecco le stesse identiche domande della sere precedente. Suo padre aveva ragione, quell’uomo si stava ripetendo. Inoltre le sembrava di essere sotto un vero interrogatorio. Lui non le lasciava quasi il tempo di rispondere.
“Senta, forse posso averlo incrociato qualche volta, non dico di no, ma io non lo ricordo”
Si sforzò di dirlo senza tradire il tremore della voce.
“E quando l’hai incontrato?”
“Ieri pomeriggio”
“Intorno a che ora?”
“Io…non me lo ricordo. Ehm…circa nel primo pomeriggio, credo”
“Credi? Quindi non se sicura”
“No, non sono sicura. Non ho fatto caso all’ora”
“Sei uscita di casa e sei andata al parco, va bene. E lì che è successo?”
“Bè, mi sono messa a cercare quello che avevo perso e l’ho trovato”
Alzò le spalle e guardò Kinglsey per far capire che la cosa non poteva essere più semplice.
“L’hai trovata da sola?”
“Come?” fece lei presa alla sprovvista da quella domanda fin troppo indagatrice.
“La cosa che avevi perso, la pagina del tuo diario. L’hai trovata da sola o qualcuno ti ha aiutato?”
Ecco dove voleva arrivare…
“No, l’ho trovata da sola”
“E allora quando hai incontrato quel ragazzo?”
“Dopo”
“Dopo aver ritrovato la pagina?”
“Si”
Christine si sentì improvvisamente strana. La stanza stava cominciando a diventare opprimente.
“E come vi siete incontrati? Ti ha chiesto qualcosa?”
“Si, mi ha chiesto come arrivare alla cattedrale”
Fu la pria cosa che le venne in mente. In fondo, lei e Riley si erano visti là per la prima volta. Questa non era propriamente una bugia.
“E dopo?”
“Niente. Io gliel’ho detto e poi site arrivati lei e l’altro ragazzo. Lui si è spaventato ed è scappato”
“Mmm”
Kingsley girò per la stanza a braccia conserte.
Christine desiderò che quella conversazione finisse in fretta.
“Torniamo indietro un momento” continuò l’uomo voltandosi e mettendosi di fronte a lei. “Ti ha chiesto come arrivare alla cattedrale, giusto? E tu hai saputo indicargli la strada senza difficoltà? Non hai detto di essere arrivata a Londra da poche settimane?”
“Si, ma c’ero stata con mio padre e sapevo come ci si arriva”
“Questo lo chiederò a Severus”
“Le dirà che è vero”
Kingsley la guardò annuendo “Oh, non ne dubito”
Un’atra pausa, poi una nuova domanda.
“Quindi, dopo averti chiesto una semplice informazione, vi siete messi a parlare?”
“No, non proprio. Abbiamo solo scambiato qualche parola, poi gliel’ho detto, siete arrivati voi”
“E questo è il pezzo che mi interessa di più”
Kingsley prese un pouff e lo portò davanti al divano sedendoci sopra, in modo da poter essere alla stessa altezza della ragazza.
“Perché sei scapata con lui?”
Christine faticò per non trattenere il fiato. “Perché mi ha detto di scappare”
“Lui ti ha detto così? Perché?”
“Io…non lo so. Mi ha presa e mi ha urlato di andarmene  a casa e io ci sono andata”
“Ha detto che eravamo, che so, dei nemici? Che lo stavamo inseguendo?”
La fanciulla macchinò in fretta la sua risposta. Poteva dire di no, che Riley le avesse semplicemente detto di fuggire, ma poi le venne in mente che quando aveva visto Kingsley in Spinner’s End si era spaventata riconoscendolo come uno degli inseguitori.
“Si, qualcosa del genere” rispose incerta.
“Ti sei fidata di un perfetto sconosciuto?”
“Bè, mi avete fatto paura”.
Anche questo era vero e non una menzogna, ma non avrebbe accennato alla storia degli uomini dai mantelli neri.
“E dopo sei corsa a casa, allora?”
“Si. E il resto di quello che è successo lo sa”
Christine ebbe un fremito ripensando a quell’uomo dalla mano d’argento.
“Si, non voglio farti rivivere quell’esperienza. Non ti chiederò cosa ha fatto Codaliscia prima che arrivassi io, perché posso immaginarlo”
“Chi?” chiese perplessa la ragazza.
“L’uomo che ti ha aggredita, si chiamava così”
Lei si strinse nelle spalle. “Bè, non mio interessa”
“Ah, va bene” disse Kingsley abbassando il capo.
Purtroppo dovette ammettere la sconfitta. Il racconto di Christine non faceva una piega, anche se c’erano dei punti che lo insospettivano non poco.
“Possiamo tornare di sotto. Scusami”
Lei si alzò e lo seguì di nuovo in cucina.
“Scusi, lei è…un collega di mio padre?”
Kinglsey si voltò. “No, io non sono un professore. Sono un Auror”
Christine era di nuovo molto confusa.
“Ahm…ok, credo che anch’io dovrò fare un interrogatorio a mio padre”
Kingsley le sorrise. “Colpito e affondato. Te lo concedo. Ti chiedo ancora scusa”
”Se promette di non tartassarmi più di domande, accetto le scuse” sorrise lei in risposta.
Non sapeva ancora farsi un’idea a proposito di quell’uomo, ma nonostante tutto le aveva salvato la vita elei gli era riconoscente.
“Andiamo?” disse la voce roca di Moody, mentre usciva dalla cucina con Tonks e Thompson.
“Si, vengo subito. Arrivederci Christine”
“Arrivederci”
 Tonks e Richard salutarono con un cenno della mano, Moody con cenno del capo.
“Signorina”
“Ma sono improvvisamente diventati amici?” chiese Tonks a Richard in un sussurrò.
Thompson alzò le spalle in risposta. “Non so, però sembra che Kingsley sia soddisfatto. Vorrà dire che è andata bene”
“Muovetevi, siamo in ritardissimo!” disse lui prendendoli per la collottola del mantello.
Christine li guardò andare via, poi ridiscese in cucina.
 
 “Non una parola Black!” esclamò Severus alzandosi in piedi improvvisamente.
“Ormai è coinvolta, non te ne rendi conto?”
“No!”
“Se la vuoi proteggere devi essere sincero con lei!” rincarò Sirius. “Deve sapere cosa succede intorno a lei! O non glielo vuoi dire perché hai paura che scopra chi sei?”
“Felpato, no!” intervenne Lupin.
Piton guardava Sirius come se avesse voluto colpirlo.
“Tu non ti devi permettere…non devi…”
Harry e gli altri ragazzi seguivano il litigio dei tre uomini in piedi davanti al tavolo. Nessuno diceva nulla, ma la maggior parte parteggiava per Sirius, tranne Hermione, che si asteneva da un giudizio troppo affrettato.
 La signora Weasley cercava di appianare le acque con scarsi risultati.
“Professore, non voleva essere un insulto! Non intendeva…”
“Molly, per favore” la zittì dolcemente Lupin.
“Non intendeva cosa? Dire che non sono un buon padre? Perché è questo che stai insinuando, vero Black?”
Sirius si passò una mano tra i lunghi capelli neri.
“Si!” esclamò poi. “Si è questo che voglio dire. Le hai mentito dal primo momento che l’hai conosciuta. Lei non sa chi è suo padre!”
“E che cosa dovrei dirle?” esclamò Piton a sua volta.
“Non puoi nasconderti per sempre, devi dirle la verità! Glielo devi!”
“Non venirmi a dire come crescere mia figlia, non ti permettere!”
“Non l’hai cresciuta, Mocciosus, l’hai solo accolta in casa tua per un’estate!”
“Tu non sei padre Black, tu non capirai mai!”
“Cosa non capirò? L’hai abbandonata per sedici anni!”
“E tu ti sei fatto sbattere in prigione invece di badare al tuo figlioccio! Bell’esempio di padre il tuo!”
“Io almeno non sono un assassino!”
“SIRIUS!!!” scattò Lupin fermandolo in tempo prima che afferrasse la bacchetta da sotto la camicia.
Piton invece era immobile.
“Lei non…deve sapere” disse Piton trattenendosi a fatica. “Non deve…”
“Non devo cosa?” disse Christine apparendo all’improvviso sulla porta. “Papà?”
Severus incontrò  grandi occhi della figlia.
“Da quanto sei lì?”
“Da un paio di minuti”
La ragazza guardava i tre uomini.
“Papà?” ripeté. “Che cosa intendeva dire?” chiese rivolta a Sirius.
Molly era troppo sconvolta per dire ai ragazzi di andarsene dalla stanza, o in quel caso l’avrebbe fatto.
Remus imprecò a bassa voce, mentre Sirius guardava a terra, il volto coperto dai lunghi capelli neri.
“Papà?” ripeté ancora Christine.
Le parole che aveva sentito l’avevano messa in agitazione. Un assassino? No, doveva aver capito male. Non poteva essere…
Severus scostò gli occhi neri da quelli castani di lei. Non riusciva a sostenere il suo sguardo, non adesso.
Era certo, al cento per cento, che quei begli occhi non lo avessero più guardato come quella mattina. Quando Christine era scesa dalle scale correndogli incontro erano raggianti, pieni di gioia.
Si costrinse a voltarsi di nuovo verso di lei e dentro le iridi color dell’ebano scorse angoscia, paura, e  presto sarebbero state piene d’odio e di disprezzo.
 
 
 
 
Sono arrivata al dodicesimo capitolo e mi sto impegnando molto per non lasciarvi mai a mani vuote.
Per i nostri (miei adorati) Christine e Severus è giunto infine il momento della verità!
Come reagirà la ragazza? Secondo voi?
Bè, dovrete aspettare il prossimo capitolo!
Ho il pallino per le foto se avete notato. Ne ho fatte tantissime di questa ff e ci tengo a metterle, un po’ come se fossero immagini tratte da un film XD
Un bacio e un abbraccio e come sempre grazie a tutti!!!
By Usagi^^

 
  

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: Mio padre ***


Capitolo 13:
Mio padre

 
L’estate sembrava non voler finire quell’anno. I verdi prati della Svezia splendevano ancora del colore di fiori gialli che crescevano di fronte alla casa.
Se non fosse stato per il colore delle colline già per metà adorne di neve la mattina presto, avrebbe potuto essere giugno e non settembre.
Due bambine, l’una bruna e l’altra bionda, ridevano felici con le loro vocette acute rincorrendosi sul prato sotto lo sguardo attento di due donne sedute sui gradini del portico della fattoria.
La più anziana era intenta a ricamare, gli occhialetti posati sulla punta del naso, aveva i capelli raccolti in una crocchia ben ordinata, impeccabile, alta sul capo.
Karin Anders era ancora una di quelle vecchie zie con la mentalità dei ‘suoi tempi’ e stava giusto borbottando a proposito di una questione con la giovane donna accanto a lei di quello che mormorava la gente del paese.
“E non racconterò più frottole in tua vece, mia cara ragazza! Nossignore! Ne va anche della mia di reputazione”
Elisabet sospirò e alzò i begli occhi azzurri verso il cielo del medesimo colore.
“Va bene zia, d’accordo. Non racconterai più niente. Guarda che non mi importa, comunque” disse rassegnata.
Karin lasciò per un attimo il suo ricamo lasciandolo cadere in grembo con uno sbuffo rabbioso.
“Liz, per l’amor del cielo! Lo sai cosa pensano la signora Astorm e le altre!”
“Zia, non mi interessa cosa dicono le tue amiche pettegole”
Karin arricciò le labbra mentre Elisabet le sorrideva non senza una nota di quasi disperazione nello sguardo e nella voce.
“Non ho alcuna intenzione di sposarmi, e lo sai” disse perentoria.
“Cara, non puoi aspettarlo per tutta la vita!”
“Si invece, lo aspetterò, perché ha detto che sarebbe tornato”
Gli occhi di Elisabet dardeggiarono di determinazione e di qualcos’altro che se non era cieca certezza e fede nella promessa fattale da quell’uomo, Karin non seppe che altra spiegazione darsi.
“Hai ventinove anni” continuò Karin imperterrita. “E Jorg Sandberg ti ha già fatto la sua proposta diverse volte. Non sarebbe il caso di accettare?”
“No” disse Elisabet voltando la testa verso le due bambine, facendo ondeggiare alla brezza fresca i lunghi capelli dorati. “E poi non mi sembra un buon momento per sposarmi. Papà è morto da poco meno di un anno e io porto ancora il lutto per lui”
“Cara, questo mi sembra proprio il momento più adatto allora” Karin allungò una mano verso quelle della nipote e ve la pose sopra con delicatezza. “Oh, tesoro, il lutto si portava ai miei tempi”
“Non rigirare le carte in tavola zia, mi hai insegnato tu queste tradizioni e io non le seguo perché è un obbligo o per far piacere a te, lo sai. Lo faccio perché è un mio volere e dovere in rispetto a mio padre”
Karin ritirò la mano tornando al suo cucito, riafferrando ago e filo con gesti bruschi.
“A me pare che tu usi questa scusa per non maritarti”
Elisabet si voltò di nuovo verso la zia, costernata.
“Questo non è vero! Non cerco scuse! Semplicemente non voglio!”
Sapeva che tutto questo non avrebbe fatto desistere la zia, così come ella sapeva che Elisabet non avrebbe ceduto facilmente.
“Non metto in dubbio che il tuo sia stato un grande amore” riprese Karin senza guardarla. “Ma non sempre l’amore della tua vita è colui con cui passi la vecchiaia”
“Severus tornerà”
Karin sospirò. “Mio fratello sarebbe felice di spere che finalmente sua figlia possa avere un marito e sua nipote u padre. E l’uomo più adatto è Jorg Sandberg” scandì il nome con forza.
“Papà non me ne ha mai parlato” rispose Elisabet con gli occhi azzurri fissi sulla figlioletta che giocava spensierata con la figlia dei vicini. “Era molto affezionate a Severus”
“Questo non vuol dire che auspicava che restassi zitella”
Parlare del padre faceva ancora tanto male al cuore già malato di Elisabet.
“Perché dobbiamo sempre andare su questo discorso tutte le volte che parliamo da sole?” chiese allargando le braccia e poi facendole ricadere.
“Perché la gente mormora”
“E tu lasciali fare!”
“Christine ha già dieci anni!”
“E con ciò?” chiese Elisabet aggrottando la fronte.
“Ha bisogno di un padre” balbettò Karin imbarazzata.
“E che altro?”
Karin non rispose e continuò a tenere gli occhi fissi sul suo lavoro.
“Bè…” esalò poco dopo, accompagnando il monosillabo con un sospiro profondo. “Eri già sulla bocca di tutti quando sei stata una ragazza madre e…”
“Ancora? Zia, non me ne importa niente dell’opinione degli altri! Niente!” esclamò Elisabet risentita. “Ne allora, ne adesso!”
Detestava la gente bigotta di Uppsala, e purtroppo tutti, nessuno escluso, di quelli che conosceva erano diversi.
Elisabet era rimasta incinta a diciannove anni, senza un marito, senza un compagno, aveva dato alla luce la bambina e l’aveva cresciuta da sola, senza che mai nessun uomo apparisse all’orizzonte.
Eppure, la bella Elisabet, la ragazza più desiderata di tutta Uppsala e dintorni, non voleva saperne di prendere marito.
Il suo caso non era né il primo né l’ultimo, ma se eri una ragazza madre eri sfortunata e le persone all’inizio cercavano di aiutarti ben volentieri. Ma se entro un certo lasso di tempo rimanevi sola, iniziavi a diventare una poco di buono con un figlio a carico, e allora la gente cominciava ad inventarsi le storie più scandalose sul tuo conto. Storie che le vecchie pettegole- vedi le amiche di zia Karin- tenevano buone per i raduni della domenica dopo la messa, o per qualche ritrovo quali feste di paese o semplicemente un tè con le comari di periferia.
Ed erano spietate, in particolare lo erano state con Elisabet.
La povera ragazzina era divenuta una donna con un passato oscuro e misterioso. Lei, giustamente, non aveva potuto raccontare al paese la verità, così ci aveva pensato Karin, dicendo che il padre della piccola Christine era lontano, in Inghilterra, per lavoro.
Ma la domanda era: chi era quest’uomo?
E inoltre, sarebbe mai tornato? Sapeva di avere una figlia? O forse la bambina dai ricci castani e dagli occhi scuri, per niente somigliante alla madre se non negli sguardi e nel sorriso, era figlia di uno sconosciuto?
Poteva darsi che la giovane Anders si fosse lanciata in una storia con un uomo sposato, il quale, venuto a sapere della gravidanza di Elisabet, l’avesse abbandonata non volendone più sapere di lei e della bambina.
O ancora, la ragazza non sapeva chi era il padre di sua figlia, ed era per quello che non raccontava mai nulla su di lui, che non si sbilanciava mia sul suo conto, ed ecco anche spiegato il motivo per cui ella non voleva sposarsi. Quale rispettabile giovane uomo avrebbe condotto all’altre una poco di buono?
Ovviamente, certe storie non si ripetevano mai ad alta voce, ma sempre sussurrando, anche se, chissà come, tutta Uppsala lo sapeva.
Dei pettegolezzi, Elisabet e Christine non sapevano che farsene, perché non ne erano minimamente toccate.
La bambina in particolare, sapeva che erano tutte bugie. Lei sapeva chi era suo padre, e la mamma e il nonno le avevano raccontato tutto di lui.
Ma la domanda sorgeva spontanea: perché non tornava?
Elisabet le aveva spiegato che non le aveva abbandonate, lui le amava entrambe, ma c’era qualcosa di più forte che lo tratteneva al di là del mare. Ma quanto ci avrebbe messo a sbrigare le difficili faccende delle quali si stava occupando in Inghilterra?
Christine tutte le sere pregava per lui, chiedeva a Dio di farlo tornare presto.
Il vero motivo per cui non fosse lì con loro non lo aveva mai saputo.
“Quando sarai più grande, allora capirai” disse la mamma.
Qualche volta le mancava avere un padre ed era un po’ invidiosa di Meg.
“Tu puoi abbracciarlo, giocare e passeggiare con lui” diceva Christine con gli occhi scuri pieni di lacrime.
“Un giorno lo conoscerai! Ti aiuterò io a cercarlo!” rispondeva la bionda amica stringendo l’altra in un abbraccio.
Gli anni passavano, Christine sbocciava come una rosa e ben presto compì quindici anni, e fu quello il periodo in cui Elisabet si aggravò ulteriormente.
La zia Karin l’aveva preparata al peggio quando i dottori dissero che il cuore di Elisabet era ormai troppo debole.
“Tu devi essere forte, piccola” disse la zia abbracciandola forte. “Devi farti coraggio”
“Non voglio rimanere sola!” gridò Christine mentre la neve cominciava a cadere su Uppsala e portava via la primavera…e portava via sua madre.
“Io starò sempre con te. Non piangere, tesoro mio” mormorò Elisabet nel suo letto d’ospedale, pallida e stanca.
Ogni parola era uno sforzo immenso, ma doveva farsi forza, doveva dire qualcosa di molto importante a Karin prima che fosse troppo tardi.
“Chiamami la zia, per favore”
Christine annuì e uscì dalla stanza lasciando il posto all’anziana donna.
Ella si sedette accanto all’amata nipote e le strinse una mano.
Non pianse Karin, non piangeva mai se poteva evitarlo, era una donna forte e altera, ma con un gran cuore, anche se il più delle volte cercava di non darlo a vedere.
Il rimanere vedova a soli trent’anni e aver visto il suo unico figlio morire a diciassette doveva averla temprata parecchio.
“Devi farmi una promessa” cominciò Elisabet.
Karin sbuffò trattenendo le lacrime e guardando torva la nipote.
“Non ho nessuna intenzione di ascoltare altre confessioni stupide” sbottò.
Elisabet fece un lieve sorriso. “Lo sappiamo entrambe come finirà, cara zia. Non fingiamo che sia solo un malore momentaneo”
“Oh, fa silenzio! Dovresti riposare invece di sprecare il fiato!”
Karin le sistemò le coperte giusto per fare qualcosa. Non sopportava di stare lì con le mani in mano. Si voltò dall’altra parte per asciugarsi in fretta una lacrima senza frasi notare.
Elisabet posò la pallida mano sul suo braccio e con uno sguardo deciso la indusse a risedersi.
“E va bene” sospirò Karin rassegnata.
“Non devi permettere che Christine viva nell’ignoranza” cominciò Elisabet. “Devi dirle chi è suo padre. Devi mandarla da lui, perché ne ha bisogno”
Karin l’ascoltava senza interromperla, capendo quanto lo sforzo le costasse.
Elisabet le aveva già raccontato tutto su Severus, che era un mago e tutto il resto, ma per quanto sostenesse che lui era una persona buona, Karin non poteva fare a meno di avere seri dubbi. Era immischiato in cose oscure e malvage, cose che non potevano portare a nulla di buono.
“Lo so che mi credi pazza” riprese Elisabet. “Ma io lo amo ancora”
Se non ci fosse stato silenzio, Karin non l’avrebbe sentita da quanto fu lieve il suo sussurro.
Elisabet chiuse gli occhi. “Lui non è un uomo come tutti gli altri. Lui è speciale, molto speciale”
E anche pericoloso, pensò la zia.
Gli occhi azzurri si riaprirono per posarsi in quelli grigi della zia.
Si fissarono per un attimo che fu interminabile. Karin non fiatò.
“La magia esiste zia, ma è un mondo separato dal nostro, un mondo in cui noi non metteremo mai piede. Ma non è una favola, e questo Christine dovrà capirlo. La magia può essere spietata al punto da indurre un padre a stare lontano da sua figlia”
Karin capì il significato di quell’ultima frase senza bisogno di ulteriori spiegazioni.
“Stai dicendo che non è mai tornato per…proteggervi?”
Elisabet annuì con forza. “Io non so nemmeno se Sev sia sopravvissuto”
Due lacrime silenziose scesero dagli occhi di Elisabet.
“Io prego Dio che sia così, perché almeno Christine deve avere la possibilità di essere felice con lui”
“Oh, cara!” esclamò Karin abbracciando la nipote sempre più debole.
“Lui non è malvagio, zia!” esclamò Elisabet cercando di tirarsi su dritta.
Karin la costrinse a ridistendersi.
“Forse non lo era quando lo conobbi, ma stava cambiando. Mi raccontò di questa guerra che stava nascendo nel suo mondo, guidata dal più malvagio degli uomini, un mago di nome Voldemort”
Un brivido percorse la schiena di Karin. Quel suono le aveva messo paura seppur non sapeva a chi appartenesse.
“Ci siamo fatti una promessa e io intendo mantenerla. Gli promisi- e Sev lo promise a me- che anche se la morte fosse sopraggiunta prima di poterci rivedere, nessuno dei due avrebbe mai tradito il nostro amore. Ora, io sto per morire zia, ma lui è ancora vivo, lo so! Lo sento! E tu devi promettermi che Christine lo conoscerà!”
“Liz, non sono sicura che sia la cosa più giusta. Non dopo quello che mi hai detto su di lui”
Elisabet si puntellò sui gomiti per guardare meglio Karin in volto.
“Devi avere fiducia in me, e devi averne in Severus. E’ un brav’uomo e sarà un bravo padre”
“E se Christine non volesse conoscerlo? Hai pensato a questo?”
“No, lo farà. Lo desidera così tanto”
Ed era vero. Christine lo desiderava come nient’altro in vita sua.
Elisabet si sdraiò e sorrise piano, con fatica. Il suo bel volto era smunto e solcato da occhiaie profonde.
“Promettimi che le racconterai tutto quello che ti ho detto”
Le due donne strinsero le mani l’ una in quelle dell’altra.
“Te lo prometto” disse Karin.
Poco dopo,  Christine tornò in camera da sua madre e la zia le lasciò di nuovo sole.
“Christine”
“Sono qui mamma”
La ragazza si sedette sul letto accanto a lei. Gli occhi le si riempirono di lacrime che presto presero a solcarle il viso roseo e addolorato.
“Ho paura, mamma!”
“Non devi, tesoro. Non piangere. Tu devi sorridere bambina mia, perché la tristezza non ti si addice mio piccolo angelo. Il sorriso è il dono più bello che Dio ti abbia concesso”
La ragazza si asciugò le lacrime, ma fu inutile.
“Christine, ascoltami”
Elisabet strinse la mano della figlia debolmente.
“Quando io non ci sarò più, tu andrai a vivere con tuo padre”
La fanciulla spalancò gli occhi castani e lucidi.
“L’hai trovato?” chiese con speranza.
“La zia Karin si sta impegnando per questo, ma vedrai che presto lo incontrerai”
“Mamma, io…” mormorò la ragazza incerta. “Io ho paura di conoscerlo. Lui non sa della mia esistenza. Se non volesse saperne di me? Se non mi accettasse?”
“Lo farà. Ti vorrà bene. Ti amerà perché sei parte di lui e di me”
“Mamma, io non voglio che tu muoia! Voglio che anche tu riveda papà! Devi guarire e venire con me, ti prego! Non lasciarmi da sola!” gridò la ragazza tra le lacrime appoggiandosi al grembo della madre.
“Io sarò sempre con te bambina mia. Veglierò su di voi e vi aiuterò”
Elisabet le accarezzò debolmente i lunghi ricci castani.
“Ricordi la leggenda dell’Angelo della Musica?”
Christine annuì senza scostarsi da lei.
“Quando volerò in cielo, ti prometto che ti manderò l’Angelo per farti coraggio. Io non vi abbandonerò mai, ne te  Christine, ne Severus. Vi amerò per sempre, anche se non potrò più dirvelo. Vi amerò per tutta l’eternità”
 
Poche ore dopo, Elisabet morì.
Christine si ritrovò seduta un secondo prima al fianco del corpo freddo di sua madre, e un secondo dopo a casa sotto le coperte.
Fu come un sogno stranissimo, dove tutto andava al rallentatore.
Era sola, completamente sola.
Quella notte non dormì, ma pregò, inginocchiata davanti alla finestra, dove il cielo pieno di neve era rischiarato dal riverbero di quest’ultima.
Con il passare dei giorni, delle settimane, dei mesi, la speranza di rivedere suo padre cresceva ogni giorno che sua zia Karin le portava notizie incoraggianti.
La mamma le aveva sempre raccontato di lui, Severus Piton, un uomo altamente misterioso, senza un passato, senza un volto. Solo un nome.
Ma quel nome apparteneva a suo padre, l’uomo che aveva amato Elisabet e grazie al quale lei esisteva.
L’aveva sempre immaginato come un uomo coraggioso, che aveva sacrificato la sua felicità, la possibilità di avere una moglie e una figlia a causa di circostanze ancor più misteriose che lo costringevano a rimanere lontano.
Ma la mamma la rassicurava tutte le volte che Christine chiedeva di lui. Dopo ogni racconto, Elisabet ci teneva a precisare che se Severus non era con loro non era colpa sua. Christine non glielo avrebbe mai dovuto rimproverare, perché col tempo avrebbe capito.
Quando lo aveva conosciuto, per lei era diventato tutto il suo mondo. La solitudine, preda della quale era stata dopo la morte di Elisabet, stava cominciando a dissiparsi, lasciando il cuore libero di affezionarsi al genitore che non aveva mai avuto.
Suo padre.
Mio padre.
Papà.
Era bello, bellissimo chiamarlo così. Gli voleva un bene immenso, non le interessava sapere nulla, solo essere amata e ricambiata in tutto il suo affetto.
Si fidava di lui, ciecamente, ma ora…ora c’era un dubbio, un insistente, odioso tarlo del dubbio insinuatosi nella sua testa tramite una parola: assassino.
Era dunque questo il vero passato di suo padre? Era per questo motivo che non aveva potuto stare con lei e con la mamma e se non era mai tornato? Non per proteggerle, ma perché, forse, si vergognava di essere quello che era? O magari non aveva mai avuto intenzione di ricomparire nelle loro vite, ma quando aveva saputo di avere una figlia, una specie di senso di colpa o del dovere si erano risvegliati in lui.
No, lui era buono, era gentile, era premuroso e amorevole con lei. Era suo padre.
Ma Severus aveva distolto lo sguardo. Non l’aveva guardata negli occhi per rassicurarla che erano tutte menzogne. Che quell’uomo, Sirius Black, semplicemente stava cercando, non sapeva perché, di screditarlo ai suoi occhi.
Fece un passo verso di lui, e Sirius parlò di nuovo, sprezzante.
“Diglielo, Mocciosus. Avanti, che aspetti?”
“La smetta di chiamarlo così!” esclamò Christine voltandosi verso Black furibonda.
“Potete lasciarci soli?” chiese Piton posando finalmente gli occhi scuri su Christine.
“Ragazzi, andate di sopra” sussurrò Molly ai suoi figli, Harry e Hermione.
Remus fece cenno a Sirius di seguirlo e poi la signora Weasley chiuse la porta.
Nelle orecchie di Christine fu come se il rumore si fosse amplificato mille e mille volte in un’eco assordante. Le penetrò nel cuore e questo cominciò a battere all’impazzata.
Il fatto che suo padre non avesse replicato ma, al contrario, avesse chiesto di lasciarli soli, era una conferma alle parole di Sirius.
Solo quando i passi si spensero definitivamente e sembrasse che la casa fosse disabitata, a parte loro due, Severus parlò.
“Non sono stato del tutto onesto con te, Christine. Perdonami”
Lei non disse nulla, lo osservò attenta, sperando qualcosa, non sapeva nemmeno lei cosa.
“Io non sono chi tu credi”
“E’ vero?” chiese subito lei con disperazione crescente. “E’ vero quello che ha detto? Che sei un assassino?”
Si avvicinò a lui e lo afferrò per la lunga veste nera.
“E’ così?! Papà devi dirmelo!” gridò.
Respirava veloce come dopo una lunga corsa, vedendo la sofferenza negli occhi di suo padre, che non riusciva a sostenere lo sguardo di lei per più di pochi secondi.
Ma per Piton, guardarla ora era insopportabile.
Le mise le mani sulle spalle, quasi facendole male.
“Non sono l’uomo che tua madre ti ha descritto. Lei sapeva che cosa sono, ma non le importava. Il fatto è che ha sempre creduto che in me ci fosse del buono”
“Ma tu sei buono!” esclamò la fanciulla per convincere più che altri se stessa.
Ma Sirius ha detto che è un assassino…
“Christine, perdonami. Io non posso essere un buon padre per te”
Quelle parole furono pronunciate con dolore.
Black aveva ragione, per quanto gli costasse ammetterlo. Lui si era illuso, ma la verità era che aveva già tracciato il suo destino vent’anni prima, quando aveva deciso di stare dalla parte di Voldemort. Nulla di buono poteva sostare sul suo cammino, perché prontamente veniva distrutto.
“Io non posso tenerti con me”
Lei lasciò la presa dal mantello e si allontanò di un passo guardandolo sgomenta.
Piton rimase con le mani alzate, come se la implorasse di tornare da lui.
“Vuoi…mandarmi via? Tu non mi vuoi”
“No, non è così!” esclamò Severus cercando di trovare le parole più giuste per spiegarle.
“Tu non puoi stare bene con me, non puoi vivere in modo spensierato. Ricordi quando mi hai chiesto che lavoro facevo?”
“Mi sembrava di aver capito che sei un professore” rispose la ragazza con le sopracciglia aggrottate.
“Si. Si è vero, ma quello che faccio davvero è altro. Tu non puoi capire” scosse la testa serrando con forza gli occhi.
“Allora aiutami a capire!”
Piton si voltò e le diede le spalle, percorrendo la cucina fino ad arrivare davanti al camino, dove vi si appoggiò come se le parole che stava per pronunciare gli costassero un enorme sforzo fisico.
“Non pretendo di essere un buon esempio di padre per te, ma la tua famiglia mi ha dato il beneficio del dubbio, accogliendomi in casa come uno di loro”
Christine se ne stava là, in piedi nel mezzo della cucina, guardando la schiena di suo padre e ascoltando la sua voce profonda che per lei era tanto rassicurante.
“Ho fatto degli errori, dei gravi errori, e me ne sono accorto quando ormai era tardi per rimediare. Fu incontrando tua madre, la prima persona al mondo a donarmi amore, che cominciai a capire che razza di vita stavo conducendo.
“All’epoca ero un ragazzo con in testa pensieri distorti, credevo che il mondo dei maghi fosse superiore a quello dei babbani- alle persone senza magia- ma Elisabet mi mostrò il lato migliore di quel mondo. Lei non era una strega, eppure era una persona meravigliosa, talmente tanto che me ne innamorai”
Christine non poté non fare la domanda che le era affiorata alla mente.
“E che differenza ci sarebbe stata se fosse stata una strega?”
Piton sorrise amaramente staccandosi dal camino ma ancora senza voltarsi.
“Un’immensa differenza. Ci sono maghi che odiano le persone che non hanno magia. Li considerano feccia. E io ero uno di loro. Il fatto è che persino oggi il mio orgoglio di essere mago mi spinge a rifiutare qualsiasi rapporto con i babbani.
“Non ne vado fiero, ma ero un ragazzo che credeva che perseguire la causa di liberare il mondo dai babbani per il ‘bene superiore’ fosse la cosa giusta da fare”
“Che cosa vuoi dire?” chiese Christine. Le parole di suo padre non le piacevano per niente.
“Io ero uno di quelli che vengono chiamati Mangiamorte”
“M-mangiamorte?” ripeté la ragazza incerta.
“I seguaci del Signore Oscuro. Gli adepti di Voldemort, il mago più pericoloso e spietato di questa terra”
Piton si voltò piano verso di lei.
“So che tu non sai affatto chi sia”
Lei scosse il capo.
Severus si sedette al tavolo incrociando le mani come per darsi la forza per continuare.
Christine lo imitò poco dopo, prendendo posto davanti a lui.
“La casa in cui ti trovi è il quartier generale di un’organizzazione di maghi chiamata l’Ordine della Fenice. Vi fanno parte coloro che cercano di rovesciare il Signore Oscuro e il suo ritorno al potere”
Gli occhi di Christine si illuminarono di speranza.
“Ma allora, tu non sei…” cominciò esclamando ad alta voce, ma il suo sorriso appena accennato si spense immediatamente a un gesto di Severus.
Lui alzò una mano per fermarla.
“Le persone che tu vedi qui sono considerate, come si dice di solito, i buoni. Loro non hanno un passato torbido alle spalle. Loro non hanno mai ucciso nessuno, o se l’hanno fatto, avevano di certo un buon motivo, ed è certo che era l’ultima possibilità a cui potevano ricorrere, perché mai si sognerebbero di commettere un atto tanto abominevole”
La mente di Christine urlava tanti ininterrotti no.
Non continuare, non dirlo, non voglio saperlo.
“Io invece ho ucciso, ho torturato. Non per difendermi. Non costretto dalle circostanze, ma per mia decisione. E lo faccio ancora”
Alzò la manica sinistra dell’abito mostrando uno strano tatuaggio che Christine non aveva mai notato prima.
Un teschio dalla lingua di serpente.
“Ero un seguace del Signore Oscuro, questo è il suo simbolo, inciso a fuoco sulla pelle di coloro che gli giuravano fedeltà. Come avrai capito, è il nemico comune del modo magico”
Si coprì di nuovo il braccio, con un’espressione di disgusto che alla ragazza non sfuggì.
“Io ero un suo alleato, fiero di esserlo, convinto che la magia fosse la garanzia che ci definiva superiori al resto del genere umano”
Ormai non poteva più fermarsi o tornate indietro, le parole gli uscivano senza freno e la cosa più assurda era che sentiva come attenuarsi un peso sul petto.
“Ma la mamma mi ha sempre detto che stavi cambiando da quando l’avevi conosciuta!” esclamò Christine sporgendosi verso di lui. “E l’hai detto anche tu!”
“Ed è così! Credimi! Io sto ancora cercando di espiare i miei peccati, e lo sto facendo svolgendo un lavoro per l’Ordine della Fenice”
“E cioè? Uccidere la gente?!” esclamò la ragazza costernata.
“Sono una spia, Christine” spiegò calmo Severus. “La spia dell’Ordine tra le file del Signore Oscuro. Lo so che non mi credi, dopo quello che ti ho detto è legittimo da parte tua, ma è vero. Ed è stata tua madre a farmi cambiare idea definitivamente. Ho capito che quello che stavo facendo era sbagliato. I motivi per cui ho chiesto al capo di quest’Ordine di accettarmi tra le sue fila e di perdonare, per quanto possibile, ciò che aveva fatto fino ad allora, sono diversi, ma il maggiore di questi è stato l’amore di tua madre. Un sentimento che mi è stato insegnato a disprezzare, ma che non ho potuto ignorare, mai, quando è apparso sulla mia strada”
Guardò la figlia davanti a lui, immobile, con gli occhi lucidi e straziati.
“Christine, devi credermi”
La sua voce profonda era spezzata dal dolore di perderla.
“Ne erano a conoscenza tutti, vero?” mormorò Christine fissando il tavolo di legno, ma senza vederlo davvero.
“La mamma lo sapeva, il nonno lo sapeva, la zia Karin lo sa…e io no”
“Non volevo dirtelo. Non potevo”
Christine guardò allora sua padre e una lacrima le solcò una guancia.
La fredda disperazione di Severus era per lei la concretizzazione delle sue paure. Aveva avuto il sospetto che nascondesse qualcosa di serio, ma mai avrebbe pensato qualcosa di simile.
Forse l’aveva immaginato, ma dall’immaginare a renderlo reale c’era un abisso nel quale lei si sentiva sprofondare.
“Perdonami. Ho solo cercato di proteggevi, non potevo tornare!”
“Lo so. So che non potevi, lo capisco in qualche modo, anche se non so neppure io cosa sto pensando in questo momento. Ma se la mamma ti ha amato così tanto un motivo ci sarà”
Piton alzò lo sguardo di scatto, cercando di trattenere il pianto che gli saliva dal petto in ondate dolorose.
“Siamo esseri umani, papà. Tutti siamo uguali, facciamo degli errori. Ma per quanto possano essere atroci, possiamo rimediare finché siamo vivi. Le persone sbagliano, ma le persone possono cambiare”
Christine si asciugò le lacrime con il palmo della mano.
“Ho già perso mamma, non voglio perdere anche te”
 Piton allora si lasciò andare, riversando tutta l’angoscia e il dolore, mentre le esili braccia di Christine, la sua dolce Christine, lo circondavano e lo stringevano.
“Perché non me l’hai detto? Credevi forse che se l’avessi scoperto ti avrei voluto meno bene?”
“Dovresti odiarmi per quello che sono”
“Io non posso odiarti”
“Non pretendo che tu mi perdoni, Christine, ma se puoi farlo, se puoi almeno tentare di capire…”
Lei lo guardò. “So che il tuo mondo è diverso dal mio. Funziona tutto in modo diverso qui. Ma non posso negare di essere spaventata all’idea che tu possa uccidere di nuovo qualcuno. Non posso accettarlo e non lo accetterò mai”
“Ti ho deluso, lo so. Non cercare altre parole per nasconderlo”
Lei aveva un’espressione rammaricata. “Mi dispiace, papà. Devi darmi un po’ di tempo per accettare la cosa”
“Io non sono l’uomo adatto a fare il padre. La mia vita è compromessa per sempre, non so nemmeno se uscirò mai da questa storia”
La fanciulla lo guardò sgomenta stringendogli un braccio.
 “Non volevo che tu lo sapessi. Non volevo coinvolgerti”
Severus si prese la testa tra le mani. Tutto ciò che si era promesso di fare era fallito miseramente. Non era riuscito a proteggerla.
“Hai odiato anche me?” chiese Christine ad un tratto.
Piton la fissò senza capire.
“Sono una di quelli che tu chiami babbani. Forse siamo pari, perché ti ho deluso anch’io. Probabilmente avresti preferito avere una figlia che fosse una strega”
Piton allungò una mano per accarezzarle il viso pensando a fondo a quelle parole.
Probabilmente era vero, una parte di lui desiderava che Christine fosse come lui, ma anche scoprendo che non possedeva nessun potere magico, non si era sentito deluso.
“No, piccola mia. Niente di ciò che sei e che farai potrà mai deludermi. Tu sei ciò che di più prezioso ho al mondo. Ho amato tua madre e l’amo ancora. Tu sei nostra figlia e tu non sai quanto io ti voglia bene”
Christine era consapevole di essere entrata a far parte di qualcosa di molto più grande di lei. Aveva paura, tanta paura, perché da quel momento in poi tutto sarebbe stato nuovo e pericoloso, lo sentiva. Il mondo non era più quello in cui lei credeva di vivere, perché nascosto da qualche parte ce n’era un altro, il mondo di cui faceva parte suo padre.
Elisabet si era scontrata per breve tempo con quel mondo ma non ne aveva mia parlato.
Christine capiva il perché, o almeno credeva di capirlo. Le persone comuni, di solito, non credevano nella magia. Lei aveva reagito fin troppo bene nell’apprenderne la reale esistenza, anche se qualcosa le diceva che non aveva ancora visto nulla.
Era delusa da suo padre, si, ma non poteva voltargli le spalle, non ci riusciva, non dopo averlo visto piangere. Se riusciva ancora, malgrado la freddezza con cui l’aveva raccontato, a versare lacrime non poteva essere malvagio.
Era sincero e lei lo aveva capito.
E quelle silenziose lacrime avevano spento la fiamma rabbiosa che aveva arso per un attimo nel cuore di Christine, che le aveva fatto provare l’impulso di fuggire da quella casa, da suo padre, dai suoi accusatori.
Si sentiva fuori posto, voleva tornare a vivere da sola con lui, ma dopo aver appreso la verità le furono chiare molte cose, prima fra tutte che quella grande casa era il luogo più sicuro per tutti al momento.
Le sarebbero mancati i giorni in Spinner’s End, nella modesta abitazione a cui era ormai affezionata.
Ora capiva anche perché suo padre era così apprensivo, perché le diceva sempre di fare attenzione quando usciva. Qualcuno avrebbe potuto vederla probabilmente e allora per lui sarebbero stati guai per entrambi.
“Ora devo andare” disse Piton alzandosi.
“Dove?” chiese la fanciulla agitata.
“Non posso dirti tutto quello che faccio. Non posso rischiare…”
“Che mi vedano?” finì lei per lui.
Piton annuì grave.
Lei abbozzò un sorriso. “Sii prudente”
Severus la strinse in un nuovo abbraccio chiedendole ancora perdono. Ma Christine sembrava in qualche modo più fredda e più distaccata del solito.
La guardò un attimo e poi la lasciò, uscendo svelto dalla cucina.
Christine rimase lì con mille pensieri che le attraversavano la mante confusa.
Quando sentì la porta chiudersi, la fanciulla scoppiò in lacrime senza riuscire a fermarsi, piegandosi su se stessa fino a inginocchiarsi sul freddo pavimento di pietra della cucina dei Black.
 
 
 
Ciao a tutti cari lettori!
Questo capitolo, visto che è piuttosto importante, è stato rivisto e corretto almeno tre volte prima di essere pubblicato, spero che siate soddisfatti anche stavolta.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Passiamo adesso ai ringraziamenti:

Grazie a Aylas, bimba3, Blankette_Girl (Michiru-san carissima!), chiara53, coccinella75, Eleonora2307, foffia, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, Ladyhawke25, laurana, LenShiro (la mia sorellona!), namina89, Phoebe76, Pollon0874, run43coach (dove sei finito? Sigh… :-( ) e zackaide per aver messo questa storia nei preferiti/segite/ricordate.
Recensite TUTTI!!! XDDD
Un baciotto e fatemi gli auguri perché il primo novembre è il mio compleanno…divento vecchia
A presto

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: Il volto ***


Capitolo 14:
Il volto

 
E quando lo vidi fu come un sogno, un orribile sogno nel quale mi sentii trascinare senza poter opporre resistenza…
 

Si trascinò al piano di sopra, cercando di frenare il pianto che sentiva ancora crescere dentro di lei.
Le sue certezze erano crollate in un istante. E ora cosa sarebbe successo?
Non riusciva a pensare bene a niente, tutto nella sua testa era confuso. Benchè si fosse alzata da poco, sentiva il bisogno di dormire. Si sentiva tradita e immensamente triste.
Aprì la porta della camera e vi trovò Ginny e Hermione, che non appena la videro andarono verso di lei.
La prima aprì la bocca come per dire qualcosa, ma la richiuse immediatamente non sapendo da che parte incominciare.
“Come stai?” tentò Hermione con voce flebile.
Christine scosse il capo provando ad accennare un sorriso. “Non lo so”.
“Noi ce ne andiamo se vuoi rimanere sola” disse Ginny in fretta.
“No, è la vostra stanza”
“Non importa. Tanto mamma tra poco ci metterà al lavoro con la disinfestazione della casa”
Sul volto di Christine prese forma una lieve incomprensione. “Disinfestazione?”
“Ehm…”
Le due amiche si guardarono.
“E’ che la casa dei Black è stata disabitata per molto tempo” spiegò Hermione. “Ha bisogno di una sistemata”
Le tre ragazze si scambiarono sguardi furtivi, poi la voce di Molly li chiamò tutti all’appello.
“Posso aiutare anch’io se volete” disse Christine.
“Non sei costretta” disse Ginny aprendo la porta.
La signora Weasley apparve sul pianerottolo in quell’istante.
“Forza ragazze, scendete. Ci sono un sacco di Doxy annidati nelle tende del salotto. E…Christine, cara, vieni ti mostro la tua stanza”
La ragazza seguì Molly su al terzo piano, la quale la condusse in una grande camera da letto molto elegante e antica.
La tappezzeria era di velluto, il letto a baldacchino, vi era una toilette con uno specchio tondo accanto al letto. Di fronte ad esso, un altro grande specchio alto come un uomo proprio a fianco all’armadio. La mobilia era di legno pregiato, un poco consumato dal tempo, ma estremamente in buone condizioni.
“Caspita. E’ tutta per me?” chiese Christine incredula.
“Si. Era della madre di Sirius. L’abbiamo sistemata alla bene e meglio” la donna la guardò ansiosa “Cosa c’è? Non ti piace?”
“No, è bellissima” rispose la fanciulla con voce afona.
Sentire il nome di Sirius le aveva fatto provare un moto di irritazione.
“Cara, io…mi dispiace immensamente per quello che è accaduto questa mattina”
Christine si irrigidì. Non voleva parlarne. Varcò la soglia della sua nuova camera e si voltò verso la donna dai capelli rossi.
“Grazie infinite, signora. E ringrazi anche Sirius”
Molly rimase titubante qualche secondo.
“Sono sicura che non intendeva far litigare te e tuo padre. Sirius è un uomo con un passato molto complicato, senza contare che tra lui e il professor Piton non è mai corso buon sangue…Bè, più avanti capirai”
“Non sono sicura di voler capire” mormorò la fanciulla a capo chino. “Bè, sarà meglio che vada a prendere le  mie cose e cominci a sistemarle”
Fece un piccolo sorriso alla signora Weasley, la sorpassò e tronò in camera di Ginny e Hermione.
Molly capì che non voleva essere disturbata oltre.
 
 
Da quando l’aveva lasciata nella cucina dei Black, Piton non pensava ad altri che a sua figlia.
Ora era tutto distrutto. La vita che aveva sperato egoisticamente di poter condurre insieme a lei era svanita nel giro di pochi istanti.
La colpa era sua, soltanto sua, perché non era stato sincero con lei. Ma avrebbe mai potuto esserlo se voleva proteggerla? La risposta era no.
C’erano cose che Christine non era ancora pronta a comprendere nel profondo e che forse non avrebbe compreso mai.
Non poteva illudersi che lei lo facesse, lo aveva sperato, ma lei non era una strega.
Non era una strega.
Gli immensi pericoli che il fatato regno della magia, raccontatole da Elisabet tramite le fiabe che avevano reso spensierata l’infanzia di Christine, in realtà erano storie di oscuri presagi di morte, ombre che si insinuavano piano nella vita delle persone, che ti seguivano, ti stavano alle spalle, pronte a colpirti quando eri più vulnerabile.
Severus percorreva le vie di Hogsmeade diretto verso il cancello del castello di Hogwarts con il cuore spezzato, ma lo sguardo fermo e il passo deciso.
Non poteva e non doveva lasciarsi sopraffare da pensieri non idonei alla sua missione.
Ma il suo pensiero era Christine. Erano i suoi grandi occhi castani che imploravano di dirle che le parole di Sirius erano menzognere. Erano le lacrime che per la prima volta la sua bambina aveva versato a causa sua.
La decisione ormai era presa, doveva rimandarla a casa il più presto possibile. Lì non era più al sicuro.
La prossima riunione a palazzo Malfoy era imminente e questa volta, di certo, i suoi pensieri più segreti e profondi sarebbero stati serviti a Voldemort su un piatto d’argento.
Percepiva lui stesso che nella sua testa non c’era posto per nient’altro, e per quanto gli era possibile non doveva permettere allo stregone di prendere Christine. Anche se, arrivati a questo punto, dopo che certamente Minus era andato a spifferare ogni cosa dello scontro avvenuto in Spinner’s End, le carte erano scoperte.
Entrò nel parco e lo percorse in fretta.
Gli alberi erano verdi e rigogliosi, le foglie si muovevano lentamente. Il loro frusciare, accompagnato dal canto degli uccelli, era come un concerto naturale di bellezza estrema.
Era come un canto di pace e tranquillità, come se niente e nessuno potesse disturbare la bella estate nel pieno del suo splendore.
Hogwarts era ancora un luogo sicuro e sereno. Severus provò conforto al pensiero che la sua prima casa (perché così lui la considerava dall’età di undici anni), fosse ancora il posto dove trovare tutte le risposte che cercava. E solo una persona poteva dargli quelle risposte. Lui, che era sempre là, pronto a dare una mano a chi la chiedeva.
“A Hogwarts, chi chiede aiuto riceve aiuto” era solito dire Silente.
La frescura della sala d’ingresso sembrò ridargli respiro. Non si era accorto che facesse così caldo finché non fu dentro le mura di pietra.
Salì la scalinata di marmo fino al corridoio in fondo al quale vi era il gargoyle di pietra che dava accesso all’ufficio del Preside.
C’erano solo i suoi passi, niente rumori di studenti schiamazzanti o altro. La scuola deserta dava una sensazione differente dal solito. Imponenza e magnificenza che da più di mille anni sorgevano su quelle montagne all’estremo confine tra Inghilterra e Scozia.
Quando Piton fu di fronte al gargoyle, quello si sposò senza chiedere la parola d’ordine.
“Ti sta a spettando” disse la statua.
L’uomo si limitò a un veloce sguardo dalla parte di essa, poi la superò e con estrema calma salì la scala a chiocciola.
Si stupì di come era sopraggiunta, improvvisa al solo pensiero che poteva parlare con Silente.
Per certi versi, qualvolta gli sembrava di essere ancora il ragazzo che era corso a chiedergli pietà quando si era reso conto di ciò che aveva fatto nell’aver riferito a Voldemort la prima parte della profezia.
Si ritrovò a fissare la grande porta a due ante, ma non fece tempo a mettere mano sul battente che la voce del mago provenne dall’interno un po’ attutita.
“Entra, Severus”
Il Preside era chino sulla sua scrivania, intento a fissare qualcosa con lo sguardo corrucciato, le sopracciglia candide contratte così come la fronte. Sembrava preoccupato.
Dopo aver chiuso la porta, Piton avanzò fino a una delle due poltrone di velluto e vi si sedette senza aspettare.
I suoi incontri con il vecchio mago erano divenuti negli anni più che semplici colloqui tra colleghi o alleati. Il loro stesso rapporto non poteva essere considerato tale.
Probabilmente, Albus Silente era sempre stato il suo punto di riferimento. Quel qualcuno su cui sai che puoi sempre contare.
Anche sua figlia aveva un punto di riferimento: lui. L’assassino. Il Mangiamorte. La spia. Il bugiardo travestito da padre.
“Perché questa urgenza di vedermi?” chiese Silente alzando gli occhi azzurri, non prima però di aver fatto scomparire l’oggetto che stava esaminando dentro a un cassetto della scrivania che chiuse accuratamente a chiave. Probabilmente conosceva già la risposta.
Severus lo fissò molto seriamente.
“Ho bisogno del tuo aiuto ancora una volta”
“Lo sai che non ti dirò di no”
“Christine l’ha scoperto. Sa chi sono”
Silente assunse un’aria alquanto greve a si appoggiò allo schienale della sua poltrona.
“Severus…”
“Non so come è stato possibile. Non chiedermelo. Ho posto tutti i sigilli, ogni giorno li rinnovavo, ma li hanno elusi”
“Avevi un custode segreto”
“Lo so bene. L’unica spiegazione è che mi abbia tradito”
“Impossibile”
Severus alzò gli occhi dardeggianti verso il vecchio mago, ma la sua voce era sempre contenuta.
“E’ pur sempre un lupo mannaro. Se avesse cambiato idea come il suo vecchio amico, non me ne stupirei. Non ero convinto a dare a Remus Lupin la salvaguardia di casa mia e di mia figlia, ma se proprio dovevo scegliere tra i due, allora, piuttosto che Sirius Black…”
“Severus, la tua avversione per gli amici di James Potter non svanirà mai?”
Piton strinse le labbra per costringersi a non dire quello che pensava.
Mai e poi mai avrebbe considerato degni della sua completa fiducia Black e Lupin.
“Mi chiedo se ho fatto bene a seguire il tuo consiglio” disse Piton con una punta di irritazione nella voce.
Silente, malgrado tutto, si concesse un breve sorriso.
“Non c’è nulla di divertente in questo”
“Perdonami, non stavo ridendo di te”.
Silente si alzò e mise le mani dietro la schiena andando ad aprire la grande finestra dietro di sé. Per un attimo sembrò ammirare il parco nel suo tripudio di colori, soprattutto il verde dei prati e l’azzurro del cielo che si specchiava nel lago rendendolo dello stesso colore.
Una sirena fendette l’acqua in quel moment, poi si rituffò lasciando grandi cerchi sull’acqua limpida.
“Come l’ha presa Christine?” disse dopo molto tempo.
“Non bene, è logico” rispose cupamente Severus guardando distrattamente il piano della scrivania.
“E’ molto matura per la sua età. Non è così?”
Silente si rivolse direttamente a Piton guardandolo con ancora il sorriso sulle labbra.
“Si. Tanto che mi ha quasi perdonato. E’ come se avesse detto che non le importa, ma io so che non è così”
Piton abbassò il capo lasciando che lo sconforto prendesse di nuovo il sopravvento.
“Da quando ti lasci andare così, Severus?”
Lui alzò di nuovo la testa tonando a guardare il Preside.
“Da quado sei così vulnerabile? Non è da te”
“Questo lo so” rispose il professore seccato.
“Non è un rimprovero il mio, sappilo”
Il vecchio mago si risedette alla sua scrivania, facendo ondeggiare la lunga veste rossa e oro.
“Quella ragazza sta cambiando la tua vita e le tue priorità”
“E’ mia figlia”
Lo disse con così tanto amore nella voce che Silente ne fu stupito.
Nemmeno di Lily Potter aveva mai parlato così.
“Tu hai cuore, Severus. Te lo dissi già una volta, ricordi? Quando mi chiedesti di proteggere Lily Potter”
“Non stavamo parlando di questo, non sviare di nuovo il discorso”
“Il tuo Patronus ne è la prova” continuò il Preside.
“La prova di cosa?”
“Che la tua forza è aumentata”
Piton rimase stupito.
“E’ l’amore che ti da la forza. Non te ne sei accorto? Nessuno degli Auror più capaci è stato in grado di battere quei Dissennatori l’altra notte, ma tu si. Tu, da solo Severus, li hai scacciati tutti, uno a uno. E non sono più riapparsi”
“Che cosa stai cercando di dirmi?”
Silente abbassò il capo, appoggiando gli avambracci ai braccioli della sedia.
“Al tuo terzo anno a Hogwarts hai prodotto il tuo primo Patronus. Mi stupii nell’apprendere che era uguale a quello di Lily Evans. Il tuo legame con lei era molto profondo, lo so bene. Hai persino accettato di vegliare su Harry Potter per lei. Ma…- perdonami se sono così diretto- l’hai perduta nel peggiore dei modi, così come hai perso Elisabet”
“Il sentimento che provavo, e che provo tutt’oggi per Elisabet è differente da quello che provavo per Lily Era la donna con cui avrei voluto passare la vita. Volevo tornare a prenderla e chiederle di sposarmi. Ma sono state entrambe molto importanti per me”
Silente fissò Piton, ma lui non batteva ciglio. Fermo sulla poltrona, impassibile come sempre, mostrava il frutto di anni di insegnamento per poter essere una perfetta spia.
“Vedi bene allora. Quello che sto cercando di dirti, Severus, è che nonostante avessi già un cuore provato da molte sofferenze eri capace di amare. Non una, ma molte volte ancora. Anche amare è una forma di coraggio, perché comporta lo scontrarsi inevitabilmente con moltissime difficoltà e dolori. E tua figlia ha il tuo stesso grande cuore”
Gli occhi di Silente brillavano di commozione.
“Tu parli sempre di queste cose” disse Piton piano, “e credo che tu abbia sempre avuto ragione. Me ne sto rendendo conto solo ora” fece una risatina senza sentimento. “Mi chiedo perché ci accorgiamo delle cose importanti solo quando rischiamo di perderle”
“Lei ti perdonerà”
“No, non tanto presto. Non so come affrontarla. Che cosa le dirò d’ora in poi? Quando mi vedrà comparire sulla soglia di casa a cosa credi che penserà? Che suo padre è appena andato ad ammazzare qualcuno perché è il compito che gli è stato affidato? Credi che penserà questo e non batterà ciglio?”
Piton si sporse in avanti stringendo i braccioli della sedia. “No. Penserà che sono un uomo spietato, freddo e bugiardo. E proverà vergogna nell’avere un padre così, e probabilmente mi disprezzerà, se non lo fa già adesso”
“E’ compassionevole” aggiunse il Preside guardandolo fisso da sopra i suoi occhiali. “Se ha avuto la forza di perdonarti, allora puoi star certo che non ti disprezza”
“Io non voglio che mia figlia abbia compassione di me! Io dovrei proteggerla, dovrei pensare a crescerla nel migliore dei modi, non farmi commiserare da lei!”
“Credi di essere un cattivo padre?” chiese Silente molto serio.
“Si. Per quanto mi costi ammettere che le parole di Black sono veritiere. Non sono in grado di fare il genitore. Non posso…”
“Si che puoi” annuì l’anziano mago. “Puoi farlo come hai prodotto quel Patronus”
Piton assunse un’aria seccata. “Cosa diavolo centra il mio Patronus, adesso?!”
“E’ stato grazie a Christine se hai potuto aumentare la tua forza magica. Pensaci!” esclamò il Preside eccitato. “Pensa a quello che hai fatto! Non è forse merito di Christine? Non hai forse evocato un Patronus tanto luminoso da rischiarare il cielo a girono per proteggerla? E questo perché le vuoi bene”
Piton abbassò lo sguardo nuovamente, perso nei ricordi di quella mattina.
“Quando ho saputo che Elisabet era morta è stato come se fossi morto anche io. Non posso permettere che avvenga la stessa cosa anche con mia figlia. E io non ho la garanzia che tutto vada sempre bene per lei.”
“Non privarti ora della sua presenza”
“Devo rimandarla a casa. Non trovo altra soluzione. Ero venuto apposta per chiederti se posso chiedere a qualcuno dell’ordine di scortarla”
Silente annuì. “Certo, capisco” sospirò. “Severus, lo vuoi veramente?”
Piton non rispose e si alzò. “Sarebbe meglio farlo in fretta, prima che possa accadere qualcos’altro”
“O prima che tu cambi idea”
Il mago si voltò verso il Preside ancora una volta senza dire nulla. Poi si avviò alla porta.
 “Severus” lo richiamò l’altro.
“Non cambierò idea. E’ l’unica cosa che posso fare per lei. Devo vedere l’Oscuro Signore da qui a due giorni. Sappiamo entrambi che non posso permettermi distrazioni”
“Devo andare. Devo finire di preparare la pozione per Lupin. Ti avverto se succede qualcosa. Arrivederci Silente”.
Rischiuse la porta dietro di sé e l’ultima cosa che il vecchio mago vide fu il lembo del mantello nero di Piton.
Poco dopo, quando fu di nuovo solo, riaprì il cassetto dove aveva richiuso l’oggetto che stava esaminando con tanta cura e perplessità.
Era un semplice libricino nero, consunto, con uno squarcio verticale al centro.
Lo aprì e sfogliò le pagine bianche. Prese poi la penna e l’inchiostro e il calamaio, riprovando di nuovo a far cadere una singola goccia di inchiostro come poco prima che Severus si annunciasse.
Era successo per caso, nell’atto di firmare una missiva del Ministero che riguardava il processo che Harry avrebbe dovuto sostenere in agosto.
La punta non aveva trattenuto il liquido, che era andato a posarsi sulla pagina immacolata e un po’ ingiallita del diario.
Lo aveva tenuto chiuso in quel cassetto per anni dopo che Harry lo aveva riportato dalla Camera dei Segreti, completamente innocuo. Ma un giorno, l‘impulso di vederlo era stato fortissimo, come se potesse rivelargli qualcosa. E qualcosa gli aveva rivelato.
Intinse la penna d’oca nella boccetta e la portò poi al di sopra della prima pagina e attese che l’inchiostro colasse.
Ed esso venne assorbito, cosa che non avrebbe dovuto assolutamente avvenire.
“Perché?” disse Silente ad alta voce fissando la pagina di nuovo vuota, senza una macchia. “Perché?”

Il pranzo venne servito alle dodici in punto.
Christine mangiò molto poco, non era in vena di parlare, tant’è che dopo pochi minuti si ritirò di nuovo al piano superiore scusandosi con i presenti.
Aveva portato tutte le sue cose in camera della madre di Sirius. L’enorme guardaroba era aperto, i colori degli abiti della ragazza risaltavano contro il legno scuro.
Chiuse l’anta dopo aver finito di riordinare per bene, poi si sedette sul letto, lentamente, come per paura di rovinare la coperta finemente decorata.
Si allungò sul materasso rovistando sotto il cuscino e ne estrasse il medaglione dorato. Doveva cambiargli nascondiglio, ma per il momento quello le sembrava il più sicuro.
Forse avrebbe dovuto dire tutta la verità a suo padre sul conto di quell’oggetto. Ma ormai come poteva, soprattutto dopo aver assicurato che non conosceva affatto Riley?
Strinse il monile e poi se lo infilò al collo.
Sospirò andando ad affacciarsi alla grande finestra che dava in parte sullla strada e su un pezzo del giardino poco curato di casa Black.
Scostò la pesante tenda, guardando il cielo annuvolarsi di tanto in tanto, per poi far posto di nuovo al sole caldo dell’estate.
Non aveva nessuno con cui parlare, nessuno con cui confidarsi ed esternare le sue paure.
In quel posto non conosceva nessuno. Prima c’era Severus, ma ora…poteva ancora fidarsi di lui?
Voleva fidarsi, voleva provare a farlo, ma aveva paura di una nuova delusione.
Appoggiò la fronte al vetro a chiuse gli occhi.
Aveva voglia di vedere Riley, ma come avrebbe fatto a ritrovarlo? Di solito era lui che andava da lei, o che in qualche modo riusciva sempre a trovarla.
Sapeva benissimo che non le avrebbero dato il permesso di uscire di casa, ma tentare non costava nulla.
Scese al piano di sotto poco più tardi, quando fu certa che i ragazzi fossero nuovamente alle prese con la disinfestazione di quegli strani esserini chiamati Doxy.
Sulle scale incrociò Sirius, l’ultima persona che in quel momento avrebbe voluto vedere.
Non dissero nulla, si limitarono a fissarsi. Christine sostenne il suo sguardo con fermezza, con rabbia.
“Posso passare?” chiese dopo un po’, vedendo che lui non si spostava.
“Come?...Ah, certo”
Sirius si appiattì contro la parete e lei scese le scale.
“Dovevi sapere” disse l’uomo alle sue spalle.
Lei si rigirò con espressione arrabbiata.
“Meglio ora che mai”
La fanciulla non rispose e continuò a scendere. Sirius la seguì.
“Per quello che vale, mi dispiace”
“Credi che non me ne sia accorta? Lo so che disprezzi mio padre”
“Te l’ha detto lui?”
“No, è che si vede lontano un miglio. Molti di coloro che vivono in questa casa non tollerano la sua presenza”
Christine sentì di nuovo le lacrime salirgli agli occhi. Lo stava difendendo perché era suo padre, questo era ciò che di più giusto poteva fare, era ciò che le diceva il suo cuore.
Lui era la sua famiglia, tutto ciò che le rimaneva nella vita.
“Perché te la prendi con me? E’ a lui che dovresti rivolgere tutta questa rabbia”
“Voi non lo conoscete come lo conosco io. E non sono arrabbiata con lui”
No, non poteva definirsi assolutamente rabbia.
“No, evidentemente no” disse Sirius.
“Lui sapeva che non ero pronta per capire, per questo non me lo ha detto” sussurrò comprendendo solo adesso le intenzioni di Severus.
“E comunque, io non lo odio”.
L’ira si dissolse. Christine guardò Sirius con sguardo triste.
“Ad ogni modo, stavo per venire a chiedere se mi è possibile uscire”
“No, mi rincresce” rispose subito Sirius. “Tuo padre me l’ha tassativamente proibito. A chiunque, a dire il vero”
La fanciulla abbassò il capo annuendo una volta. “D’accordo, non importa”
Si diresse di nuovo su per le scale per tornare in camera e superò nuovamente il mago.
“Dove volevi andare?” chiese lui sospettoso.
La ragazza gli rispose con sincerità. “In chiesa”
 
Il pomeriggio passò infruttuoso. Non riuscì a studiare, non voleva vedere nessuno. Aveva fatto solo una breve chiacchierata con Ginny e Hermione quando le avevano portato il tè che Christine aveva sorseggiato volentieri assieme ai biscotti della signora Weasley. Per il resto se ne stava lì a pensare, ma non riusciva a concretizzare i suoi pensieri. Le immagini correvano veloci, senza che potesse afferrarne una e analizzarla.
Pensava a suo padre, a come si era potuto sentire nel raccontarle il principio della sua tormentata storia. Presto, lo sapeva, avrebbero riaffrontato l’argomento. Lei era pronta ad ascoltarlo, voleva conoscere ogni parte di lui, anche la più oscura. Ma chi è l’essere umano che può definirsi perfetto?
Era anche preoccupata perché suo padre non tornava.
Certo, anche nei giorni passati stava sempre fuori casa fino  a tardi, ma il sapere adesso dove lo conducevano i suoi impegni facevano salire la paura in lei.
Lui rischiava la vita ogni giorno.
Ogni tanto si assopiva, vinta dalla stanchezza psicologica che le toglieva ogni energia.
Molly salì in camera a bussare all’ora di cena e la trovò addormentata. Non ebbe il cuore di svegliarla.
Con un sorriso, la coprì per bene e chiuse la finestra dalla quale entrava la brezza troppo fresca della sera.
 
Non seppe che ore erano quando si svegliò, ma la sera era calata. I rumori della casa erano attutiti e da ciò capì che non era così tardi se c’era ancora qualcuno alzato.
Non c’era corrente elettrica in quella casa, i maghi facevano tutto con la magia, glielo aveva spiegato Hermione.
Prese il cellulare appoggiato sul comodino e guardò il display più luminoso che mai nell’oscurità. Le undici e trenta.
Si alzò dal letto per infilarsi la lunga camicia da notte bianca, e quando si voltò non poté reprimere l’esclamazione di spavento misto a stupore.
Qualcuno che non aveva sentito entrare la fissava vicino alla porta. Due enormi occhi gialli appartenenti a una creaturina tutta ossa che venne illuminata piano piano dal chiarore del candelabro che reggeva in mano.
“Kracher si chiedeva chi fosse la piccola sfrontata che occupa la stanza della sua nobile padrona. La figlia della spia di Silente. Puah!” sbottò l’elfo attraversando la camera e pensando il candelabro sulla toilette.
“Orribili traditori del loro sangue che si mischiano con babbani e danno vita a sudici ibridi” borbottò la creatura lanciando occhiatacce a Christine. “Oh, se la nobile padrona sapesse! Ma per fortuna non può vedere. Una ragazza che non ha nemmeno un briciolo di potere magico, quale vergogna per il nostro popolo”
“Ehm, scusami, ma tu chi saresti?” non poté fare a meno di chiedere la fanciulla fissando con tanto d’occhi.
“Kracher” si inchinò lui. “L’elfo domestico di casa Black. L’unico ancora fedele alla famiglia. Sono venuto a portarle un po’ di luce” poi sussurrò maligno “visto che non è capace nemmeno di produrre uno dei più semplici incantesimi al mondo” e ridacchiò.
Christine aggrottò le sopracciglia, ma poi lasciò perdere.
Il fatto di non essere una maga come suo padre cominciava a pesarle.
“Grazie Kracher” disse.
L’elfo si inchinò. “La signorina desidera che posi le candele da un’altra parte?”
“Faccio da sola. Io non sono la tua padrona, quindi non devi servirmi” disse lei prendendo il candelabro dalla toilette e posandolo sul comodino.
Ora c’era molta più luce e riusciva a distinguere bene i contorni di ogni cosa.
Kracher saltellò all’indietro fino alla porta in modo da poter stare il più lontano possibile da lei.
“Grazie” ripeté Christine vedendo che la creatura continuava a fissarla insistentemente.
L’elfo fece saettare gli occhi per tutta la camera, come per assicurarsi che nulla fosse stato spostato. Poi vide lo specchio e gli si aprì un ghigno sul volto.
“La signorina deve stare attenta ai grandi e vecchi specchi”
“Come?” Christine si voltò automaticamente verso l’oggetto, la cui cornice dorata brillava sinistramente al danzare delle fiammelle delle candele.
“Niente, niente. Kracher avverte. Kracher è un umile elfo domestico. Buona notte signorina”
La ragazza non fece tempo a dire nulla che la creatura era già sparita oltre la soglia.
Guardò il suo riflesso per un attimo e distolse subito lo sguardo.
Ricordava le vecchie leggende del nord che parlavano degli specchi.
Non guardare in uno specchio nelle notti di luna nuova, o verrai risucchiato dal mondo oscuro che c’è al suo interno.
Credeva ciecamente a queste storie ora, molto più di quando era bambina, perché aveva potuto constatare con i suoi occhi che certe stranezze potevano accadere veramente.
Forse Elisabet aveva voluto in qualche modo iniziarla a capire quel mondo narrandole molteplici racconti come un avvertimento.
Non era luna nova comunque, sarebbe stato luna piena proprio domani notte. Non aveva niente da temere.
Si diresse verso la finestra e tirò le tende, sbirciando appena nella speranza di scorgere la figura di suo padre spuntare tra la folla come quella mattina.
Ma a quell’ora, tutto in Grimmauld Place taceva. Non un’anima si muoveva per la strada e la piazza…o forse no.
Qualcuno c’era in realtà. Una figura scura che guardava in alto verso le case numero undici e tredici. Scrutava quelle mura come sentendo che lei era là, nascosta per bene
Il ragazzo mormorò solo una parola.
“Christine”
Ma lei non poteva sapere che lui era lì.
Christine si piegò in avanti per spegnere con un soffio le candele sul comodino. Per un attimo, il suo sguardo cadde sulla specchiera della toilette li vicino e il grido le morì in gola.
Lo specchio più piccolo rifletteva il suo compagno più grande dalla vernice dorata, alle spalle di Christine. E riflesso nel secondo vi era un volto. Bianco, scarno, due fessure serpentesche per narici, due occhi rossi come il sangue.
Christine si girò terrorizzata. Il petto le si alzava in movimenti affannosi e irregolari.
Nulla. Il volto non c’era più.
Forse era stata la sua immaginazione, magari la tensione accumulata durante il giorno he, mista alle strani farsi dell’elfo avevano risvegliato in lei un po’ di superstizione per le vecchie leggende.
Eppure, lo aveva visto chiaramente, non se l’era immaginato. O forse si?
“Smettila di penarci” si disse.
Si tolse il medaglione e lo pose sotto al cuscino. Poi si mise sotto le coperte e lesse qualche passo delle sacre scritture per calmarsi. Infine, spense le candele e cercò di prendere sonno.
Rimase sveglia per ancora una buona mezzora, lanciando sguardi inquieti alla superfice liscia e scura dello specchio. Niente.
Sentì suonare la mezzanotte e finalmente il sonno prese il sopravvento.
Le sembrò di sentire la mano di qualcuno poggiare delicatamente sul suo capo. Forse era suo padre che era tornato ed era salito a darle la buonanotte.
Christine sorrise sprofondando nei suoi sogni, che erano puri e innocenti.
Ma la mano che si era posata sui suoi ricci castani non era la mano di Severus. Non era nemmeno quella di un uomo.
Era una mano dalle lunghe dita, bianca, spettrale e scheletrica.
 
 
 
Buonasera a tutti cari lettori!
Questo capitolo è venuto più lungo del previsto, ma c’erano un po’ di cose da dire.
Spero di aver descritto bene tutto e di non aver fatto molti errori.
Come sempre, devo doverosamente ringraziare tutti voi:

Aylas, bimba3, Blankette_Girl, chiara53, coccinella75, Eleonora2307, foffia, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde,  jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, Ladyhawke25, Latis Lensherr, laurana, LenShiro, namina89, Phoebhe76, Pollon0874, rum43coach e zackaide.
Vi ho messo in ordine alfabetico così non faccio torto a nessuno.
Fatemi sapere cosa pensate e recensite in tanti!!!

A prestissimo gente!!!
Baci, by Usagi^^
 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: Lo specchio ***


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By UsagiTsukino010
 


Capitolo 15:
Lo specchio

 
Non avevano più avuto modo di parlare Christine e Severus, dopo la fatidica mattina in cui la fanciulla era venuta a conoscenza dell’atroce verità su suo padre.
Lei era tornata ad essere triste e sconsolata come i primi giorni del suo soggiorno a Londra, l’unico avvenimento positivo finora era stata la festa di compleanno di Harry.
Era di nuovo spaesata, persa e senza sapere cosa sarebbe accaduto nel suo futuro.
Voleva recuperare con suo padre, dirgli che gli voleva bene, che non lo avrebbe giudicato senza prima sapere tutta la storia. Ma voleva che fosse lui a raccontargliela. Non avrebbe creduto a una delle parole che uscivano dalle bocche degli altri abitanti di casa Black. Parole sussurrate il più delle volte quando lei non era nei paraggi e che si spegnevano bruscamente al suo arrivo.
Christine cercava di far finta di nulla, di non dar loro peso, anche se risultava difficile qualche volta.
Però non c’era stata più occasione di parlare.
Severus non tornava in Grimmauld Place se non per sporadiche visite che duravano quel tanto per riferire che non c’erano stati più attacchi di Dissennatori o sparizioni di babbani, e per avere il tempo necessario per chiedere alla figlia come stava.
Lei gli sorrideva sempre, con gli occhi luminosi e pieni di parole non dette. Parole che alla fine si riunivano in una sola: scusa.
Piton, in qualche modo l’aveva capito, perché la sera di sabato aveva lasciato Christine con una carezza sul volto e un sorriso appena percettibile per gli altri, ma che per lei significava molto.
“Grazie, tesoro mio” aveva sussurrato Severus con estrema dolcezza. Poi era sparito di nuovo alla vista della ragazza, il lungo mantello da mago svolazzante.
Tutte le volte che si salutavano era una stretta al cuore.
Poco dopo il congedo, Christine si lanciava su per le scale, e si fiondava in camera sua a guardare il padre attraversare la strada e sparire tra gli alberi della piazzetta all’altro capo di Grimmauld Place.
Si vedeva solo per metà dalla camera che occupava adesso, ma lei si sporgeva il più possibile, anche se forse rischiava che qualcuno potesse vederla. O forse non potevano, ma non le importava scoprirlo.
Guardava la schiena di suo padre e si rese conto che da un po’ di tempo riusciva a scorgerlo solo di spalle. La cosa non le piaceva, ma doveva accettarla per quanto difficile e ancora incomprensibile.
Era come un bizzarro sogno dal quale non riusciva a svegliarsi.
E le pareva anche che la lontananza di Severus facesse avvicinare la voce di uomo che albergava ogni notte nei suoi sogni.
Era cominciato tutto la notte in cui gli esseri chiamati Dissennatori (Ginny e Hermione le avevano spiegato qualcosa a riguardo) avevano attaccato la città.
Il sogno, pian pano, era cambiato.
Inizialmente, appena dopo essersi addormentata si ritrovava in un luogo buio, eppure riusciva a vedersi. Ma l’individuo che la chiamava non lo vedeva mai, però lo sentiva. Pronunciava parole che lei non riusciva ad afferrare. C’era una sorta di eco, come se ella si trovasse in una grande stanza in penombra, troppo grande perché una voce così flebile potesse essere udita.
Ma più passavano i giorni più la voce diveniva nitida e comprensibile.
“Vieni da me, Christine. Non aver paura. Tu mi conosci” chiamava la voce col suo suono ipnotico.
Anche la stanza si schiariva, la notte prima ne aveva visto, sebbene ancora vagamente, i contorni. C’era una strana luce verde e aveva persino sentito rumore di acqua, esattamente come quando si era trovata a percorrere il passaggio segreto che da Spinner’s End l’aveva condotta a Grimuauld Place.
Era un sogno strano, dove la voce d’umo che le pareva di conoscere la chiamava, e lei si sentiva attirata da quella voce così famigliare come in uno stato di ipnosi. E non le dispiaceva.
Era rassicurante, era confortante, tanto da desiderare che, notte dopo notte, il suo visitatore misterioso ricomparisse nei suoi sogni a farle visita.
Gli aveva chiesto chi era, ma non c’era stata risposta.
Quella notte, però, aveva visto il fondo della stanza. Ogni sera la percorreva e riusciva pian piano a spingersi sempre più in là, finché riuscì a scorgere la sua sagoma e lo vide: un uomo con indosso un lungo mantello nero con cappuccio, girato di spalle, davanti a un muro di pietra che riluceva di quella strana luce smeraldina, come tutto il resto…e lì si era svegliava.
La mano tesa in avanti, come per cercare di attirare l’attenzione dell’uomo, ora era sollevata sopra di lei, verso il soffitto pieno di scrostature.
Christine abbassò il braccio piano, posandoselo in grembo e sospirò.
Di solito, il songo si dissolveva subito appena sveglia, lasciandole solo la vaga sensazione di freddo e umido della grande sala buia. Quella mattina invece, le sembrò per un momento di essere ancora là, perché sentiva uno spiffero gelido sfiorarle il viso.
Sciocca, certo che è così, la finestra è aperta. Che cosa credevi Christine?
Guardò verso destra, ancora sdraiata a pancia in su, ed emise una breve risata.
La zia Karin aveva ragione quado le diceva che a volte l’immaginazione gioca brutti scherzi.
Ma non aveva forse riscontrato quanto potesse essere sottile il confine tra fantasia e realtà?
Era o non era figlia di un mago?
La magia esiste, si ripeté nella testa per l’ennesima volta. Esiste davvero. Da bambina ci credeva fermamente.
Non erano forse lei e Meg che scorrazzavano per il boschetto vicino al lago, a casa, mentre cercavano fate e spiritelli della natura nascosti dietro le foglie o nelle corolle dei fiori?
Si alzò con un lieve sorriso stampato sul volto e i caldi raggi di sole che filtravano nella camera la scaldarono.
Lo spifferò però era gelido, eppure era estate…
Si voltò di scatto verso la finestra aperta al suono delle campane che arrivava dalla chiesa più vicina. Si era completamente dimenticata di che giorno era.
Guardò in fretta l’orologio sul suo telefono. La prima funzione ormai l’aveva persa, avrebbe fatto in tempo per quella delle dieci.
Si lavò e vestì in fretta, indossando un leggero abito di mussola verde acqua. Districò i riccioli che si erano annodati durante la notte, sedendosi di fronte alla specchiera.
Il suo sguardo cadde involontariamente sul grosso specchio dorato in fondo alla camera.
Sentì un brivido di paura percorrerle la schiena. Ricordava  fin troppo bene il volto che vi aveva scorso alcune sere prima. Fortunatamente non era più accaduto, ma lei, se poteva evitare di guardare in quel grande specchio, si sentiva meglio. Le metteva ansia pensare che sarebbe potuto accadere ancora. Avrebbe chiesto alla signora Weasley se era possibile spostarlo in un'altra sala della casa.
Scese giù in cucina che erano tutti già svegli.
“Ah, buongiorno Christine!” la salutò allegramente il signor Weasley.
L’aveva presa molto in simpatia, soprattutto per il fatto che era babbana e sapeva di tutto e  di più su di loro.
Molly gli aveva proibito di interrogarla su sciocchi argomenti quando la ragazza aveva ben altro per la testa, ma alla fanciulla non dispiaceva perdersi in conversazioni che la facevano ridere tanto, specie quando Arthur cercava di armeggiare con il suo cellulare e chiedeva delucidazioni.
Christine si sedette accanto a lui e subito si sciolse in un sorriso.
“Buongiorno”
Di fronte a lei c’era Sirius, ma non lo guardò di proposito.
Non avevano più scambiato una parola da giorni. Parlare con lui voleva dire litigare.
Forse stava assimilando l’antipatia per quell'uomo da suo padre. Era possibile. Ma Sirius non le stava antipatico, non era esatto. Non sapeva neanche lei come definire il tutto. Incompatibilità di carattere, probabilmente.
“Hai fame, cara?” chiese Molly porgendole praticamente ogni cosa che era presente sulla tavola.
Christine sorrise. “Si, ma non so se riuscirò a mangiare tutto”
“Mamma, non vorrai farla star male?” disse Fred.
“Oh, zitto. Mi sembri piuttosto magrolina, sai?”
La ragazza si strinse nelle spalle. “Sono così di costituzione”
“Christine è carina così com’è” disse una voce squillante alle sue spalle.
In cucina stavano entrando Richard, Malocchio e Tonks.
Si sedettero con i Weasley, Hermione e Harry.
Molly si alzò in fretta per prendere altri piatti.
“Non vi aspettavamo! Santo cielo! Ragazze, mi date una mano?”
Hermione e Ginny la seguirono e con loro Christine, che rimase come sempre molto affascinata quando vide che la donna dai capelli rossi agitava la bacchetta, e portava la teiera fumante e altre tre tazze fino al tavolo facendole volteggiare in aria.
“E’ fantastico” disse la fanciulla guardandola con un po’ di invidia.
“Che cosa, cara?” chiese Molly voltandosi. “Siediti, non c’è bisogno che aiuti”
“No” Christine scosse il capo. “Anche se non posso fare come voi, visto che non so usare la magia, voglio aiutare di più finché resto qui. Se non faccio niente mi sento davvero inutile”
“Ma tu non sei inutile!” esclamò Molly conducendola di nuovo al suo posto, con un braccio affettuosamente attorno alle sue spalle.
Richard incontrò lo sguardo della ragazza e lei non gli rifiutò un sorriso.
“Come mai così elegante?” chiese lui osservandola fin troppo insistentemente.
Ron gli tirò una gomitata sotto il tavolo. Harry, Fred e George sorrisero divertiti. Il palese interesse di Richard per la bella figlia di Piton era risaputo ai tre Weasley e a Potter.
“Vorrei uscire questa mattina” mormorò Christine guardando fissa il suo piatto. Sapeva che il no era in arrivo.
Gli occhi di Richard si spalancarono.
“Stai scherzando?”
“No” la ragazza alzò le spalle.
“Non puoi uscire. Piton ha detto…” cominciò Harry.
“Il Professor Piton, caro” lo corresse la signora Weasley.
“Voglio andare in chiesa!” implorò Christine. “Per favore! Potete accompagnarmi se non vi fidate. Tonks mi ha detto che sarebbe possibile se mi fate un…un incantesimo…accidenti, non mi ricordo” ammise imbarazzata.
“Un incantesimo di disillusione?” chiese Hermione.
“Si, quello”
Moody scoccò un’occhiataccia alla sua allieva. “Tu parli troppo, Ninfadora!”
Lei sbuffò. “Non chiamarmi…Oh, bè, poteva essere un’idea!”
“Ma il professor Piton non approva, vero?” disse di nuovo Hermione.
“Certo che no!” scattò Thompson. “Non devi assolutamente lasciare questa casa, quante volte te l’abbiamo detto?!”
“Ma io…”
Christine guardò Moody. Si era abituata al suo occhio magico, ormai.
“No. Tu padre non approverebbe”
“Lui sa quanto è importante per me! Sono certa che se qualcuno di voi membri dell’Ordine glielo chiedesse, forse…”
Thompson era a dir poco furioso. “Non se ne parla! Ma lo sai cosa rischi?”
“Si, me l’avete già spiegato” sospirò la ragazza rassegnata.
Aveva tentato ma aveva perso di nuovo.
“Scusate, non volevo…sono stata stupida. Non importa”
Abbassò il capo. Poi, poco dopo si mise a mangiucchiare qualcosa della sua colazione. Molly era una cuoca provetta, non c’era dubbio. Anche se l’appetito era poco, le sue pietanze ti invogliavano ugualmente ad assaggiarle.
“Ma in fondo, che male ci sarebbe?” disse la voce di Sirius a un tratto.
Christine non lo stava guardando, ma non poté fare a meno di farlo per essere sicura che quelle parole fossero uscite proprio dalla sua bocca.
“Sirius, non è prudente” disse Arthur.
“Perché dobbiamo impedirle di andare in chiesa? Mi sembra che ci tenga molto, non è vero?”
La guardò e lei stupita disse solo si.
“Lo impediremo perché rischia di essere catturata dai mangiamorte, o peggio, uccisa!” esclamò Thompson alzandosi in piedi.
Christine ebbe un fremito e la forchetta le cadde di mano.
“Richard!” gridò Moody con rimprovero.
“Scu-scusate” disse il ragazzo biondo risedendosi.
Era la prima volta che lo sentiva dire così esplicitamente e questo non l’aiutò.
L’aveva inteso, certo, ma sentirlo pronunciare ad alta voce rendeva la cosa più reale che mai.
Suo padre si scontrava con quella vita tutti i giorni. Una via fatta di percoli costanti, azioni vicinissime alla morte.
“Non…non fa niente. Non litigate per colpa di un mio stupido capriccio” disse Christie cercando di tornare calma.
“Non possiamo rischiare che tu venga aggredita com’è già successo, capisci?” disse gentilmente Remus.
“Si, certamente. Scusate”
“Non devi chiedere sempre scusa” disse Molly. “Non è successo nulla, è solo che siamo tutti in pensiero per te, cara”
“Tu sei indifesa” disse Moody. “Incredibilmente vulnerabile e senza una protezione magica. Niente di quello che puoi imparare di tecniche di difesa del tuo mondo ti aiuterà a far fronte a quello che succede qui. Severus ti vuole bene, e non vuole che tu vada incontro a pericoli maggiori di quelli in cui ti sei già trovata. Mi capisci?”
“Si” disse ancora la ragazza.
“Sei stata aiutata da una buona dose di fortuna e…forse chissà, anche dalla divina provvidenza”
Christine sorrise malgrado tutto. “Forse da mia madre” sussurrò.
Calò il silenzio, poi tutti nella stanza sussultarono, tranne Hermione e Harry.
Thompson sfoderò la bacchetta e si alzò di nuovo. “Cosa diamine è stato?”
“Ehm…perdonatemi” disse Christine alzando il cellulare che brillava a ogni trillo. “E’ il mio telefono”
Tutta la tensione dei presenti si sciolse con una gran risata.
 
La zia Karin tempestò la nipote di domande e le fece una specie di interrogatorio.
Un altro, pensò la ragazza. Ne aveva abbastanza di gente che faceva domande. Per fortuna, in territorio magico, gli aggeggi babbani non funzionavano come avrebbero dovuto e la telefonata fu piuttosto breve, poiché il telefono perdeva la linea.
“Ti richiamerò io appena posso, zia”
“Voglio parlare con tuo padre. L’ultima volta non sono stata per nulla soddisfatta dalla nostra conversazione!”
“A papà non piace parlare al telefono”
“Bè, allora che venga qui! Può farlo anche subito se vuole!” disse Karin risentita. “Non può farsi negare a lungo”
Christine sospirò. “Lo so, ma non è colpa sua se è sempre così impegnato. Lo sai, vero?”
Le ultime tre parole vennero pronunciate dalla ragazza con un tono molto eloquente.
La vecchia donna sospirò a lungo dall’altro capo.
“Si. Lo so fin troppo bene. Comunque, mi chiedo quando si deciderà a mandarti a casa”
Christine non capì e aggrottò la fronte.
“Come? Bè, ho ancora un mese intero da passare qui. Tornerò verso gli ultimi giorni di agosto, come avevamo programmato”
“Ma no, cara. Severus mi ha assicurato che saresti tornata a giorni”
Ci fu una lunga pausa in cui nessuna delle due disse più nulla. Entrambe stupite, ma per motivi diversi.
“Non te l’ha detto?”
Christine fissava un punto vuoto della grande camera assegnatale, poi si vide riflessa nello specchio dalla cornice dorata. In quel momento non trovò il tempo di pensare a strani volti che si riflettevano in esso. Vedeva solo il suo viso sbigottito e deluso.
Suo padre voleva mandarla a casa.
“No…non me l’ha detto”
“Non pensare che non ti voglia con sé, ma dopo gli ultimi avvenimenti di cui mi hai parlato…bè, è legittimo che desideri saperti al sicuro. E anch’io!”
“Qui sono al sicuro!” disse Christine con enfasi.
“No, tornerai a casa. E’ quello che abbiamo deciso”
“E la mia opinione non conta?” disse la fanciulla ferita. “Zia, io voglio rimanere!”
“Tesoro, non puoi. Non discutere”
“Ne parlerò prima con papà” disse risoluta la ragazza. “Sono sicura che se gli dirò che non voglio andarmene, lui non mi manderà indietro”
“Fa come vuoi, tesoro. Ma fammi chiamare ugualmente” disse Karin piccata.
“Si. Ciao zia” salutò freddamente Christine.
Spense il cellulare e lo buttò sul letto senza tanti complimenti.
No, non sarebbe andata via. Capiva perché lui lo voleva, ma anche se lei aveva paura non voleva tornare in Svezia.
Inoltre, aveva un brutto presentimento. Se fosse andata via non era sicura di rivedere suo padre tanto presto. Se fosse andata via, non avrebbe più visto Riley…
Si alzò dal letto e  si sedette alla specchiera, sulla quale erano posati i suoi piccoli tesori. Il diario e il cofanetto. Lo aprì e spostò lo scomparto mobile soprastante, dov’erano riposti gli orecchini, per accedere a quello di sotto, molto più capiente. Qui, in mezzo a pochi ciondoli e bracciali vi era una fascia per capelli, avvolto nella quale si trovava il medaglione di Riley. Christine la prese e la srotolò e si mise il monile dorato al collo. Non poteva nasconderlo sotto il vestito, la catena si notava troppo.
D’un tratto bussarono alla porta.
“Un momento!” disse lei agitata, togliendosi immediatamente il gioiello e rimettendolo al suo posto.
Quando andò ad aprire si ritrovò davanti l’ultima persona che si aspettava.
“Sirius”
“Posso parlarti un momento?”
Christine esitò, poi lo fece entrare.
L’uomo si guardò attorno con un certo disprezzo.
“Era la stanza di mia madre, lo sai?”
“Si, la signora Weasley me l’ha detto”
“E’ ancora tutto al suo posto, vedo”
“Mi va bene così. La camera mi piace. A parte lo specchio”
Lui la guardò con stupore. “Che cos’ha che non va?”
“Non so, non mi piace. Potreste toglierlo? Mi mette a disagio”
Sirius si passò una mano nei capelli, pensieroso. “Non credo di poterti accontentare. La casa è piena di incantesimi che non permettono di toccare più del dovuto. Stiamo cercando di buttare via un sacco di roba inutile giù nel salotto del primo piano, ma molti oggetti si rifiutano di uscire dalle vetrine”
“Si rifiutano?”
“Eh già”.
Sirius si voltò verso lo specchio e vide riflessa la sua immagine e quella di Christine. “Ad ogni modo vedremo. Comunque, sono venuto a dirti che ti aspettiamo giù”
Christine lo guardò perplessa attraverso lo specchio. Sirius sorrise e si voltò per fronteggiarla personalmente.
 “Non volevi andare in chiesa?”
Lei aprì a bocca e Sirius sorrise di nuovo.
“Che vuoi dire?” chiese la fanciulla sospettosa.
“Che andiamo in chiesa” disse Sirius con calma. “Capisco quanto sia frustrante rimanere sempre chiusi in casa, io ne sono la prova. Il problema è che persone come noi che amano l’aria aperta odiano essere rinchiuse. Non è così?”
Christine annuì. “Si, ma…non capisco”
“Facciamo ancora in tempo per la funzione delle dieci”
“Sirius, sono le dieci”
Lui cercò di trattenersi dallo scoppiare a ridere. “Esatto. Un motivo in più per sbrigarsi”
Dalle scale provenne un rumore di passi e la chioma rosa cicca di Tonks fece capolino nella camera. “Allora, scendete? Non abbiamo tutto il giorno”
Sirius rise di nuovo. Tonks notò il suo divertimento e l’espressione confusa dell’altra ragazza.
“Ah, sei impossibile!” esclamò e poi entrò prendendo Christine per mano. “Non dargli retta, si diverte a prenderti in giro”
“Non la sto prendendo in giro”
Christine guardò entrambi ancora un poco confusa, seguendoli poi in corridoio.
“Ti portiamo fuori, ma nessuno deve saperlo, intesi?” spiegò Ninfadora.
“Ma…non posso!” esclamò la fanciulla.
Era un poco agitata, ma sotto sotto sentiva che la felicità di ritrovarsi finalmente all’aperto stava prendendo il sopravvento sulla paura di cosa avrebbero potuto dire suo padre e gli altri scoprendo ciò che stava per fare.
“E chi lo dice?” fece Sirius con un sorrisetto furbo. “Non è quello che vuoi?”
“Si, ma…”
“Non preoccuparti” la rassicurò Tonks. “Abbiamo almeno due ore a nostra disposizione. Richard non è tra i piedi perché fa gli straordinari al Ministero, i ragazzi, Molly e Arthur sono andati a Diagon Alley a prendere l’occorrente per il nuovo anno a Hogwarts, e Moody e Remus e sono con loro”
“Ehm…dove?” chiese Christine
“Diagon Alley, la via di negozi magici…”
“Oh, certo! Ron parlava di comprarsi una scopa. E’ li che andavano?”
Sirius si strofinò le mani eccitato. “Già. Un bel colpo quello di prefetto. Comunque sarà meglio sbrigarsi, più tardiamo, più rischiamo di perderci davvero la funzione”
Sirius aveva uno sguardo furbo sul viso e fremeva dall’emozione. “Lascia fare a noi e nessuno lo scoprirà”
Christine li seguì, quando si ricordò di una cosa molto importante. “Aspettate solo un attimo, ho dimenticato una cosa in camera”
Liberò la sua mano da quella di Tonks e salì veloce le scale, aprì la porta e poi il cofanetto, riprendendo il medaglione. Si guardò attorno per cercare la sua borsetta dove poterlo mettere, insieme alla Bibbia. La promessa era stata di non lasciarlo mai, e così avrebbe fatto. Quando fu pronta, scese nell’atrio dove i suoi complici di fuga l’aspettavano.
“Come ci arriviamo? Non faremo mai in tempo” chiese agitata.
“Ci smaterializziamo” spiegò Tonks allacciandosi per bene il mantello.
L’agitazione di Christine divenne panico.
Sirius, invece, sembrava divertirsi un mondo. Per lui trasgredire le regole era una sfida abituale alla quale non sapeva rinunciare.
Christine, dal canto suo, non era avvezza a queste cose. Se poi suo padre l’avesse scoperto…
Lui le aveva proibito di uscire per la sua incolumità, ma lei desiderava davvero andare in chiesa. Quelle quattro mura erano per lei come le braccia confortanti di una madre. Quando aveva il cuore ferito, Christine pregava tanto, da sola e in silenzio. Il suo desiderio era quello di poter alleggerire il suo cuore ascoltando i passi della Bibbia, cosa che sicuramente l’avrebbe aiutata in quel periodo così stressante.
Ma non era l’unico motivo, ce n’era un altro molto più egoistico ma che non riusciva a ignorare.
Tonks sbirciò fuori dalla porta, poi si rivolse  a Sirius.
“Direi che devi farlo ora” poi guardò Christine. “Non ti spaventare, d’accordo?”
“P-perché?” balbettò la ragazza incerta.
Dopodiché, davanti ai suoi occhi, la forma di uomo di Sirius cambiò, mutò e si rimpicciolì fino a diventare quella di un grosso cane nero.
“Ti presento Felpato!” esclamò Tonks sorridendo.
Christine rimase impalata a guardare il cane per un minuto buono, il quale si avvicinò e le leccò una mano per poi buttarsi a pancia all’aria. La fanciulla rise di cuore.
“E’ incredibile!”
“Dai, Sirius, non c’è tempo! Christine, dammi la mano e metti l’altra sopra il dorso di Sirius”
“D’accordo”
Aveva imparato a non fare troppe domande quando qualcuno le spiegava come comportarsi in situazioni che non conosceva, così fece come l’amica le aveva detto.
“Dove andiamo, allora?” disse Tonks.
Christine sorrise. “Alla cattedrale di Londra”
C’erano un pensiero e una speranza che la tormentavano. Là si erano incontrati la prima volta, e forse Riley, dopotutto, sarebbe tornato prima o poi sul sagrato della chiesa, sotto il sole che faceva risplendere i suoi begli occhi color del cielo.
Ninfadora fece un giro su se stessa trascinando con sé gli altri due in un vortice scuro e pressante.
Christine si sentì soffocare per un secondo, e quello successivo si trovava con Tonks e Felpato in St. James Park.
“Noi restiamo nei paraggi, tu vai avanti, ti raggiungiamo tra poco all’interno” la rassicurò Tonks estraendo la bacchetta.
“Non avremmo dovuto” disse Christine quasi pentita, mentre guardava Sirius riprendere le sue sembianze umane.
“Sbrigati” la incoraggiò, dopodiché, la fanciulla li ringraziò di cuore e corse via verso la sua destinazione.
Tonks sospirò. “Se le succede qualcosa, Piton ci uccide, è poco ma sicuro”
“Cosa vuoi che le capiti là dentro? E pieno di babbani, tranquilla. Un mangiamorte non si sognerebbe mai di recarsi in una chiesa, ti pare?”
Seguirono la figura esile di Christine finché non la videro entrare dalla grande porta principale.
 
Piena di fedeli, come al solito, la cattedrale riluceva dei colori dell’arcobaleno che i raggi del sole producevano tramite i vetri clorati del rosone centrale.
La messa era cominciata da un pò. Christine si sedette nell’ultima panca in fondo a destra.
Si guardava attorno con attenzione, ricordando la prima volta che era stata lì. Riley le aveva detto che non credeva che sarebbe tornato di nuovo alla cattedrale, e lei ne era rimasta delusa. Aveva sperato in una specie di appuntamento fisso una volta alla settimana, in cui loro avrebbero potuto conoscersi pian piano sempre meglio, diventare buoni amici. Niente di tutto ciò però si poteva avverare, ormai. Stupida lei a sperare ancora.
Sospirò, perdendosi nei pensieri senza più ascoltare le parole della funzione . Il suo sguardo vagò lontano, sull’altra fila di panche alla sua sinistra. Lui avrebbe potuto benissimo essere in mezzo a quella gente.
Si alzò e si diresse piano, senza farsi vedere, verso una piccola stanzetta isolata, dove c’era la statua di Maria e una serie di file di ceri posti su posatoi semi circolari che percorrevano tutta la circonferenza della stanza.
Pregò Dio di perdonarla se quella mattina i suoi pensieri non erano concentrati sulla Sua parola, ma vagavano indisturbati senza che lei riuscisse a fermarli.
Accese una candela e disse una preghiera per Elisabet, come sempre era solita fare. Era piacevole starsene lì da sola. A parte la voce un poco sommessa del parroco, nulla turbava la sua orazione.
Dei passi risuonarono alle sue spalle, Christine non se ne avvide, ma il ragazzo si bloccò a guardarla estasiato.
L’aveva vista entrare e l’aveva seguita fin lì senza farsi vedere.
Mai visione più perfetta era apparsa davanti ai suoi occhi: le mani giunte, gli occhi chiusi, il volto rilassato incorniciato dai lunghi ricci castani che ricadevano sulla schiena sfiorando la stoffa del leggero vestito di mussola che la fanciulla indossava e che le conferivamo ancora maggior grazia delle volte precedenti.
Ma lei era aggraziata qualunque cosa facesse.
I pensieri di Riley erano incoerenti, dato che praticamente non la conosceva, ma c’era qualcosa in quella ragazza che lo stregava. Se non avesse creduto che al mondo esisteva un solo Signore, che non era di certo quello del cielo, avrebbe potuto essere certo che ella fosse un angelo sceso dal paradiso per prendersi gioco di lui e dei suoi sentimenti.
Ma Christine era bella e lui non poteva fare nulla se non continuare a guardarla.
Sentendosi osservata, lei aprì gli occhi e si voltò di lato incontrando gli occhi di Riley. Sembravano diversi, più chiari, forse per via di qualche gioco di luce.
La sua esclamazione di stupore venne amplificata dall’eco della chiesa. Uno splendido sorriso si dipinse sul suo viso e fece per muovere un passo verso di lui e parlargli. Era felice di vederlo. Tutto qui. Non le importava altro. Sentiva il cuore batterle nel petto sempre più forte, ma che cos’era quell’altra sensazione che provava? Quella strana, piacevole e triste morsa alla bocca dello stomaco?
“Riley! Sei tornato ancora” sussurrò piano la fanciulla.
“Dovevo vederti” disse il ragazzo, rimanendo immobile sulla soglia della stanza.
Lei abbassò il capo e poi lo alzò di nuovo, estraendo qualcosa dalla borsetta.
“Lo so, sei venuto per questo” disse, mostrando il medaglione. “Sapevo che prima o poi l’avresti voluto indietro, ma speravo non tanto presto, così avrei avuto più scuse per vederti” ammise arrossendo un poco.
Riley teneva le mani abbassate, le braccia immobili, fissandola con espressione corrucciata.
“Non sono venuto per il medaglione”
Lei, che stava osservando i ricami del prezioso dono del ragazzo, alzò gli occhi incredula.
“Allora perché sei qui? Io credevo…”
Riley si avvicinò a lei. Ora erano entrambi al centro della stanza.
“Volevo sapere se stavi bene dopo quello che è accaduto l’ultima volta”
Christine sorrise. “Sto bene. Grazie” poi lo osservò attenta  e preoccupata. “Tu, piuttosto. Ho avuto davvero paura per te, quel giorno”
Lui cercò di rispondere al sorriso di lei, ma ne uscì una smorfia sarcastica.
“Io me la cavo sempre. Quei due però sono degli ossi duri, lo devo ammettere”
Christine si avvicinò ancora, finendo proprio davanti a lui e guardandolo negli occhi.
“Riley, tu sei un mago, vero?”
Lui rimase immobile e non rispose. Lei continuava a fissarlo.
“Non devi temere, non lo dirò a nessuno”
“Se lo farai, per te ci saranno problemi Christine, problemi seri”
Lei rabbrividì, sentendo il gelo di quelle parole che nascondevano quasi una minaccia.
“Te lo giuro. Nessuno sa di te. Non l’ho detto nemmeno a mio padre”
Il giovane parve stupito da ciò che sentì.
“Davvero?” sembrava sospettoso.
“Ho mentito alla persona a cui voglio più bene al mondo”. La fanciulla abbassò il capo e strinse le pieghe dell’abito. “Mi sento terribilmente in colpa per questo, eppure non ho fiatato” rialzò la testa guardandolo sconcertata. “Riley, io nemmeno ti conosco! E il problema è che non mi importava in quel momento, ma ho mentito per te, per proteggerti!”
“Avresti potuto non farlo” replicò lui freddamente.
“Lo so, ma non ci sono riuscita. Per quanto fossi consapevole che avrei dovuto raccontare tutto  a mio padre, specialmente dopo l’aggressione…”
“Lo so, è colpa mia” esclamò il ragazzo a voce troppo alta, e senza pensarci strinse le mani sulle spalle di Christine.
“Come lo sai?” esalò lei stupita.
“Lo so e basta. Non farmi troppe domande, è meglio per te”
Allentò la presa su di lei e si soffermò a guardare ogni centimetro del suo volto.
“Hai visto chi è stato?”
“Si, aveva il volto scoperto. Chiunque fosse non aveva paura di farsi vedere”
Erano giorni che non ripensava alla sua brutta avventura in Spinner’s End e ciò le fece venire i brividi. Riley se ne accorse.
“Stai bene?”
“S-si. E’ solo che è ancora difficile parlarne. Ho avuto così paura!” Christine sospirò cercando di clamarsi, ma fu Riley a farlo per lei, rassicurandola con poche parole.
“Non preoccuparti. Sono più che sicuro che chiunque fosse quell’individuo, è già stato punito come merita”
Christine lo guardò  e lo vide accennare uno strano sorriso.
“E come fai a esserne sicuro?”
“Te l’ho detto. Non farmi domande”. Il tono con cui Riley l’aveva detto sembrava quasi un comando, ma poi la sua voce si addolcì.  Alzò una mano e afferrò una lunga ciocca di capelli della fanciulla giocherellandoci un po’.
Christine arrossì come non mai. Quel semplice contatto aveva suscitato in lei strane emozioni ma sentite prima.
“Sai, anch’io mi preoccupo per te” sorrise il ragazzo.
“Ma io sono al sicuro, ora. Ci sono persone che si prendono cura di me. Tu invece…tu sei solo”
Nella voce dolce di Christine c’era tutta la sua angoscia per l’incolumità del giovane.
“No, non sono solo. Ho anch’io un paio di amici che mi proteggono, sta tranquilla”
“Davvero?”
Riley guardò nei suoi scuri occhi castani. “Si. E ti assicuro che nessuno può toccarmi. Nemmeno quei due Auror” affermò con fin troppa sicurezza.
La ragazza capì che si stava riferendo a Kinglsey e Thompson.
“Per quanto possano cercarmi, non mi troveranno mai”
L’organo si mise a suonare in quel momento. La messa era finita.
“Non voglio che ti catturino” ammise Christina mentre sentiva che Riley lasciava andare i suoi capelli.
“Non succederà” era tornato serio, spaventosamente serio. “Tu continuerai a custodire il medaglione per me?”
“Si, se ti fidi”
“Mi fido, Christine. Sarà il nostro segreto. Non dire mai ad anima viva che lo hai tu. Neanche se scoprissi di cosa si tratta, intesi?”
“Si” disse lei, poi lo guardò divenendo un po’ triste. “Ora devo andare. Ci rivedremo ancora?”
“Le tue guardie del corpo ti stanno addosso, eh?” sorrise lui sarcastico.
“Riley?” insisté la ragazza.
Il giovane allacciò lo sguardo dolce di Christine al suo.
“Presto”
“Quando?”
“Presto, Christine. Il tuo angelo ha voluto che ci incontrassimo di nuovo, forse ci aiuterà ancora, non pensi?”
La voce di Riley era un sussurro basso che solo lei poteva sentire.
Christine sorrise raggiante. “Allora ci credi?”
“Forse” sorrise lui. “Ora vai. Questa volta sarò io a guardarti sparire tra la folla”
La fanciulla gli rivolse un altro dei suoi splendidi sorrisi, e dopo lo sorpassò. Poi si voltò un’ultima volta verso di lui.
“Allora, la prossima volta sarò io a trovarti”
“Vedremo” disse il giovane alzando le spalle. “Arrivederci”
“Stai attento, ti prego” implorò Christine sulla porta della stanzetta.
Lui annuì in silenzio, poi lei uscì dalla stanza e dalla cattedrale in cerca di Tonks e Sirius.
 
Quando tornarono in Grimmauld Place, Sirius fece appena in tempo a riprendere le sue sembianze umane prima che la porta di casa si aprì, e tutti i Weasley, Harry, Hermione, Moody e Remus comparirono nell’atrio.
Per fortuna nessuno si chiese cosa facesse Tonks ancora lì a quell’ora, anche se si domandarono come mai Christine rivolgeva la parola a Sirius e lui non litigava con lei. La risposta fu che avevano deciso di darci un taglio con quelle inutili discussioni. In fin dei conti, ammise la ragazza, il padrone di casa non era poi così antipatico.
“Quindi siete diventati amici?” disse Harry.
“Più o meno. Non è male come suo padre, in fondo”
“Guarda che ti ho sentito” disse Christine passando alle sue spalle per salire la piano di sopra.
Non sapeva ancora come ringraziare lui e Ninfadora per averle permesso di recarsi in chiesa, anche se poi non aveva avuto tempo per ascoltare la messa, ma era più che felice per aver incontrato Riley.
L’aveva desiderato così tanto che quando se l’era visto comparire davanti le era sembrato quasi un sogno.
Forse, l’Angelo della Musica centrava davvero. La mamma gliel’aveva promesso e, magari, era egli che Christine sentiva di notte nei suoi sogni. Non le diceva forse di non aver paura? Che lei lo conosceva? E se fosse davvero lui? Per quel che aveva scoperto sulla magia, poteva benissimo darsi. Dopotutto aveva sempre avuto tanta fede nelle creature di Dio, quindi perché no? Non era impossibile. Se quella notte le fosse capitato ancora di sognarlo, avrebbe provato a chiedergli se era effettivamente l’Angelo della Musica.
“Christine, cara?” la chiamò Molly dal fondo delle scale.
La ragazza si affacciò subito alla balaustra del secondo piano. “Sono qui!”
“Ho una buona notizia per te, tesoro. Stasera arriva tuo padre. Farà un po’ tardi forse, ma credo che…abbia terminato per il momento ciò che doveva fare”
“Davvero?!” gridò Christine scendendo precipitosamente i gradini fino ad andare ad abbracciare la signora Weasley. “Davvero?! Oh, sono felice!”
La donna era piacevolmente imbarazzata per quello spontaneo e improvviso gesto d’affetto. Era felice però di vedere di nuovo sorridere la ragazza .
 
Christine fremeva d’impazienza per l’arrivo di suo padre. Non vedeva l’ora di riabbracciarlo e questa volta niente lacrime. Voleva dirgli che lo avrebbe appoggiato, che lo avrebbe aiutato se fosse stato possibile. Il senso di colpa per non avergli detto di Riley era forte, ma voleva bene a entrambi e non voleva essere costretta a scegliere. Questo era fare il doppio gioco, lo sapeva, e non le piaceva, ma sapeva pure che anche se avesse provato, non avrebbe potuto ignorare Riley. Non ci sarebbe mai riuscita.
Doveva anche convincere suo padre a non rimandala a casa, lei non voleva allontanarsi da lui. Non ci aveva più pensato da quando la zia Karin l’aveva chiamata. Avrebbero risolto anche quella.
Il pomeriggio passò in fretta, a cena mangiò con gusto, per la prima volta da molti giorni. Continuava a lanciare occhiate furtive alla porta della cucina, tante di quelle volte e così spesso, che Fred e George le chiesero se aveva intenzione di farsi saltare gli occhi fuori dalle orbite.
“Arriverà, non essere impaziente” le disse Ginny. Lei e Hermione erano divenute molto amiche di Christine.
Alle undici e mezza, la signora Weasley li volle tutti a letto, così Christine salì di sopra assieme agli altri ragazzi. Molly l’assicurò che l’avrebbe avvertita quando Severus sarebbe arrivato.
Si fece un bel bagno caldo e poi indossò una lunga camicia da notte bianca che era stata di sua madre. Si mise sul letto e prese un libro che Hermione le aveva prestato. 'Storia di Hogwarts'.
Lo trovava davvero interessante. Scoprire tutte quelle cose sui maghi e il loro mondo non la faceva più sentire un pesce fuor d’acqua. Forse la sua bionda amica l’aveva capito, ed era per questo che l’aveva invogliata a leggere quel libro.
Il tempo passava e presto Christine venne vinta dal sonno. Sobbalzò, non ancora del tutto addormentata, e vide Kracher sgambettare nella camera col solito candelabro in mano.
“Il padron Black mi ha incaricato anche oggi di questo spiace…cioè, piacevole compito”
“Ho già detto che faccio da sola, non c’è nessun bisogno” rispose la ragazza scendendo dal letto. Quella scena si ripeteva tutte le sere, ma il vero motivo dell’elfo era solo curiosare e, qualche volta, cercare di spaventarla con strani racconti.
“Ancora qui lo specchio della padrona?” chiese Kracher sogghignando.
“Non siamo riusciti a toglierlo” rispose lei posando il candelabro.
“Niente più volti, signorina?”
Christine si immobilizzò, poi si rimise comoda sul letto . “N-no, ma non era niente. Me lo sono immaginata”
Ormai si era convinta di questo, anche se aveva ancora una certa paura a guardare nella cornice quando calava la notte
“Non ne sarei così sicuro, no no. No no no!” sghignazzò l’elfo domestico ballonzolando verso l’uscita. “Kracher augura la buona notte alla signorina ospite” fece un inchino toccando il pavimento con il lungo naso e poi chiuse la porta.
Christine lo sentì salire al terzo piano, probabilmente per disturbare i ragazzi e dire anche a loro qualche cattiveria per farli innervosire.
Lei non sapeva come valutare l’elfo, ma non le andava a genio.
Si alzò ancora dal letto per chiudere la porta a chiave. Anche quello era un gesto automatico che ripeteva ogni sera, se non voleva che Kracher venisse a sbirciare di notte.
Ma qualcosa di strano accadde in quel momento…
 
Severus si smaterializzò nella piazzetta di Grimmauld Place e si diresse subito a passo deciso verso la casa dei Black.
Troppi giorni senza vedere la sua Christine, troppo a lungo non aveva visto sorridere il suo piccolo angelo. L’emozione di potersi trovare di nuovo con lei finalmente poté esplodergli nel petto in ondate di felicità. Con sua filgia non era costretto a fingere e questo era estremamente rilassante. Aveva bisogno di passare ancora del tempo con Chrisitne, sapendo che sarebbe stato ancora per poco, perché la ragazza necessitava al più presto di essere rimandata a casa. Proprio quella mattina aveva deciso con Silente che sarebbe stato Severus stesso ad accompagnarla, insieme a Lupin, Charlie e Dedalus Lux, molto affidabile, ed esperto più di altri nell’organizzare scorte per viaggi magici.
Bussò alla porta una volta e attese che gli venisse aperto.
 
Un soffio di aria che non poteva venire dalla finestra chiusa, spense le candele in un istante lasciando la stanza nella più completa oscurità.
Christine aveva appena girato la chiave nella toppa e si immobilizzò, spaventata, con ancora la mano sullo stipite. Si voltò piano, impaurita. Sapeva di avere il grande specchio proprio alle sue spalle, e che nessuno poteva essere in quella camera eccetto lei. Se era qualche scherzo di Kracher, pensò, non era affatto divertente.
Ma non era così, lo sentiva, lo percepiva…e sentiva anche qualcos’altro. La voce! Era tornata e la chiamava.
Christine…Christine…
Mosse rapidamente gli occhi in alto, perché sembrava che il suono venisse da lassù…ma lassù dove? Dal paradiso? Era quindi davvero l’Angelo della Musica inviatole da Elisabet per proteggerla che si mostrava a lei? Ma allora, perché era così inquieta se era opera dell’Angelo tutto ciò?
“Non aver paura…Vieni, Christine”ripeteva la voce, che sembrava dappertutto nella stanza, con quel suo suono dolce e ipnotico.
Poi una luce rischiarò di nuovo la camera, ma non proveniva da nessuna candela, né dall’esterno. Derivava dallo specchio.
 
Severus entrò non appena la signora Weasley ebbe aperto e richiuso in fretta.
Arthur si premurò di sapere se tutto era andato bene, ma Piton mostrò prima di ogni altra cosa il desiderio di vedere la figlia.
“Sono certa che sarà felice di essere svegliata anche se starà già dormendo” sorrise Molly. “Venga con me” e insieme salirono al secondo piano.
 
La cornice dorata sembrò abbagliante in quella luce che scaturiva dal suo proprietario. Christine si vide riflessa meglio che in pieno giorno. I lunghi capelli sciolti facevano uno splendido contrasto con la camicia da notte candida e la sua pelle di porcellana.
Inizialmente scorse solo se stessa, ma ben presto, una nuova figura apparve accanto a lei. Poteva essere che fosse apparsa sulla soglia, dietro di lei, ma non era così, lo seppe anche senza voltarsi a controllare. Era apparso nello specchio. Era dentro lo specchio!
Com’era possibile ciò non se lo chiese, perché la voce sembrava trascinarla in una specie di sogno ad occhi aperti, tant’è che la fanciulla si chiese se per caso non stesse davvero sognando o si trattasse di un’allucinazione.
“Non temere, Christine”
Era l’uomo del suo sogno, quello con il mantello nero e il cappuccio, ma là lo aveva veduto solo di spalle, ora invece, si stagliava in tutta la sua altezza davanti a lei. Non riusciva a scorgere il suo viso, coperto per metà dalla pesante stoffa scura, ma quando una luce rossastra si accese alle spalle dell’Angelo, lei lo vide.
Occhi di brace risplendevano in quel volto di teschio. La pelle tirata sui lineamenti del volto ne escludevano la forma del naso e delle labbra. Lo stesso viso di morte che aveva scorto la prima volta.
“Vieni. Vieni con me e credi”
E lei credeva e camminava sempre più in avanti, ormai era proprio di fronte allo specchio.
“Sei tu?” chiese flebilmente la ragazza che era quasi senza fiato per lo stupore. “Sei l’Angelo della Musica?”
 
Piton arrivò sul pianerottolo assieme a Molly e la donna bussò un volta alla porta.
“Christine, cara? Sei sveglia?”
Nessuna risposta, così provò ad abbassare la maniglia.
“Ma…cosa?" Balbettò la signora Weasley confusa.
“Cosa c’è?” chiese Severus d’un tratto in quieto.
“Non capisco, è molto strano. La porta è chiusa a chiave. Di solito non lo fa mai”
Piton venne invaso da un orribile presentimento, quando una voce forte e chiara, come prodotta da una sinistra eco, arrivò sino alle loro orecchie.
“Chi c’è in quella stanza?” chiese Severus concitato.
“N-nessuno” balbettò Molly allarmata.
“Christine, apri la porta! Christine?” gridò il mago, ma inutilmente.
“Non temere. Non ti farò del male” implorava la voce in un dolce comando.
Allungò una mano guantata di nero e lei la prese, inaspettatamente senza alcun timore.
E poi, senza sapere come, improvvisamente, la stanza sembrò ingrandirsi, allungarsi, e infine Christine venne inghiottita dallo specchio stesso, proprio mentre Severus apriva la porta con un colpo deciso di bacchetta, ma era ormai troppo tardi.
 
 
 
Ispiratissima dal Fantasma dell’Opera, ho pensato questo capitolo proprio riprendendo alcune parti del libro e del film.
Finora è il più lungo, credo, spero non vi abbia annoiato. Dal canto mio, mi pace molto! ^^
Adesso comincia la vera storia signori e signore, restate sintonizzati sulla mia fanfic, per favore!
E ora i ringraziamenti:

Aylas, bimba3, Blankette_Girlchiara53coccinella75, Eleonora2307Faith18,  foffiaglenfry91, Grifondoro_Serpeverdejess97, JKEdogawaLadie KatjieLadyhawke25Lady_StormLatis Lensherr, LenShiro,  laurana, namina89, Phoebhe76Pollon0874rum43coach e  zackaide.
Grazie a tutti voi e alla prossima!
Baci, Usagi^^
 

  

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Capitolo 17
*** Capitolo 16: Sangue puro e sangue sporco ***


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By UsagiTsukino010
 

L'Angelo dell'Oscurità




Capitolo 16:
Sangue puro e sangue sporco

 
Non appena la porta cedette al contatto con il suo incantesimo, si lanciò dentro la stanza come in preda a una furia cieca, il cuore pieno di angoscia crescente.
Poi, il nulla.
I pochi secondi che avevano preceduto quel momento sembravano ormai lontani anni luce. Il trambusto, le grida, la Voce di uomo, o l’eco di essa. Ora regnava solo il vuoto, sia in quella grande stanza che nel suo animo.
La camera era immersa nella più completa oscurità, ma le candele poste sul comodino fumavano ancora, di conseguenza erano appena state spente da qualcuno. Ma da chi?
Con un altro colpo di bacchetta, Severus le riaccese, ma ancor prima di farlo seppe che cosa avrebbe trovato: niente.
Cominciò a muovere gli oggetti, scostò le coperte e le pesanti tende, aprì la finestra guardando su e giù per la strada deserta, lasciando entrare i rumori e la brezza serale.
Si voltò di qua e di là, con la disperazione palesemente dipinta sul volto, chiamando una volta il nome di Christine. Ma Christine non c’era.
“Professore?” chiamò debolmente la signora Weasley sul ciglio della camera.
Dietro di lei si stava già formando una fila di curiosi. Harry e gli altri erano scesi a vedere casa succedeva, chiaramente svegliati dalle grida di Piton e di Molly. Dal salotto arrivarono Sirius e Arthur.
“Dov’è?” chiese Severus, cercando di controllare l’agitazione. “Dov’è Christine?!”
Molly balbettò qualcosa sotto lo sguardo rovente di Severus. Scosse il capo e poi si volse verso il marito, in cerca di aiuto.
“Che cosa?” chiese Sirius avanzando nella stanza.
“E’ salita con noi, l’abbiamo vista entrare in camera sua” disse Harry.
Piton fissò il ragazzo che sostenne il suo sguardo.
“L’hai sentita uscire?”
“No” rispose Harry sicuro e il mago capì che era vero.
“La porta era chiusa dall’interno” disse Molly confusa. “Non può essere uscita. Deve essere per forza qui, ma…”
“Ma non c’è” finì Severus per lei.
Tutti i presenti si scambiarono sguardi perplessi.
“Non può essere andata lontano” disse la signora Weasley.
Poi, una risatina gracidante, proveniente da un angolo buio del pianerottolo.
Sirius individuò per primo il suo proprietario, e prendendolo per il bavero dello straccio consunto che portava addosso, trasse alla luce della stanza l’elfo domestico, senza tante cerimonie.
Hermione si trattene a stento, vedendo Kracher dibattersi a mezz’aria. Ancora rideva.
“Che cosa c’è di tanto divertente?” chiese Sirius, portando il viso dell’elfo a pochi centimetri dal suo.
La creatura scosse il capo, coprendosi la bocca con le mani.
“Kracher, non costringermi a farti parlare! Tu sai qualcosa, non è così?”
“Sirius, ti prego, non trattarlo in quel modo!” esclamò Hermione, ma l’uomo non l’ascoltava.
Scosse l’elfo ancor più forte, ma quello ancora taceva.
“E’ un ordine, Kracher!” Sirius lo portò allora nella stanza e lo mise davanti a Piton.
Quando l’elfo si ritrovò con la bacchetta di Severus a pochi centimetri dal lungo naso, si divincolò in fretta dalla presa del suo padrone, spaventato, e saltò a terra, dove indietreggiò fino a toccare la parete.
Severus lo osservava con distacco.
“Io non so nulla” disse l’elfo domestico, trattenendosi a stento da una nuova ondata di risatine. “Kracher fa solo ciò che gli viene detto di fare”
Sirius digrignò i denti e si chinò minaccioso “Che cosa hai fatto?!”
Passarono lunghi attimi di silenzio prima che la creatura si decidesse a proferire di nuovo parola.
“La padrona non era felice di sapere che la sua stanza era occupata da una mezzosangue”
Sirius inarcò le sopracciglia “Che cosa significa? Che centra mia madre, adesso?”
L’elfo non guardava Black, teneva gli occhi fissi su Piton, che ricambiava.
“La ragazza è stata imprudente. Non è colpa di Kracher”
Gli occhi di Severus si strinsero pericolosamente, mentre Sirius diceva: “Non è colpa tua che cosa? Dov’è Christine?!”
L’elfo si girò a guardare una per una le facce atterrite degli insulsi umani ospiti della casa. Poi alzò le spalle.
“Sparita. Andata”
“Andata dove? Com’è possibile se la porta era chiusa dall’interno!”
“Non so. Scomparsa nel nulla, magari”
L’elfo si guadò di nuovo intorno, facendo vagare gli occhi enormi su tutta la camera e fermandosi più volte in direzione del grande specchio, accanto al quale stava Severus.
Mentre le voci concitate dei presenti si alzavano spaventate a quella rivelazione, Piton capì che l’elfo, pur non volendo parlare, non poteva opporsi al potere che lo legava alla casa e che gli impediva di dire bugie ai padroni. Stava cercando di far capire la situazione- che sembrava trovare esilarante- per non essere costretto poi a punirsi per aver mentito e disobbedito.
La creatura non aveva smesso un secondo di fissarlo da quando la conversazione era cominciata, modo assai chiaro di far comprendere che le parole che venivano dette erano rivolte a Severus in prima persona.
Kracher si alzò in piedi e sgambettò fino alla cornice dorata dello specchio, appoggiandovisi, accarezzando la superficie liscia del vetro.
“Kracher l’ha avvertita, le aveva detto di non guardare, ma lei ha fatto di testa sua. Kracher non centra”.
“Lo specchio” enunciò il mago ad alta voce.
Il chiacchiericcio si spense all’istante.
“Come?” fece Sirius voltandosi, poi spalancò gli occhi.
Ricordò con precisione la mattina, quando la ragazza aveva chiesto di fare qualcosa per toglierlo, perché la inquietava. Possibile che lo specchio fosse la causa della misteriosa sparizione di Christine?
Le stesse cose sembrava pensarle Severus, ora là davanti, di spalle, la sua immagine che guardava Sirius, appena dietro di lui.
“Black, che cos’è questo specchio?” chiese Piton con una calma spaventosa.
Harry riconobbe il tono dietro al quale si nascondeva la rabbia travolgente come una tempesta, e che presto sarebbe scoppiata.
“E’ sempre stato qui, da che ricordo” disse Sirius.
“Lei pensa che sia una sorta di oggetto oscuro, professore?” chiese Arthur avvicinandosi a sua volta e studiando l’oggetto con molta attenzione.
Ma per quanto lo si guardava, sembrava sempre un normale specchio.
“Kracher non centra. Kracher non sa dove sia la ragazza. Kracher le ha detto di non guardare negli specchi, di notte” continuava a ripetere la creatura in una cantilena insopportabile.
“Non guardare negli specchi quando cala la notte, o gli incubi ti prenderanno col lor sentore di morte”
La voce di Hermione si levò forte e chiara nella stanza, e tutti la guardarono.
“E’ una vecchia leggenda del nord Europa” spiegò. “Ce ne sono diverse versioni”
“Cioè?” chiese Ron.
“Cioè, quella in cui si crede che i morti possano comunicare attraverso una superfice riflettente con chi è ancora vivo. Nei tempi antichi erano molto temuti, poiché si pensava che fossero il collegamento tra due mondi: uno di luce e uno di tenebre. Si narra anche che gli specchi possano assorbire l’anima di chi vi si riflette, o addirittura la persona stessa, imprigionandola per sempre in un altro mondo. Per questo c’è chi dice che non bisogna guardare mai dritto in uno specchio, specie nelle notti di luna nuova, quando il cielo è più scuro, o le tenebre ti assaliranno”
Ginny tremava. Fred e George si guardarono per una volta senza la battuta pronta. Ron deglutì e Harry si voltò verso Piton per vedere la sua reazione.
Hermione, che si aspettava dal professore il solito rimprovero per aver parlato troppo, rimase stupita quando lui le parlò.
“Sono attendibili le fonti da cui ha tratto queste informazioni, signorina Granger?”
“Come? Io…io, non ne sono sicura. Insomma, le ho lette su un libro ad Hogwarts, ma erano solo leggende, non c’erano prove tangibili che sia successo veramente qualcosa del genere. Ho letto però di strane sparizioni, di morti improvvise collegate all’argomento specchi, ed è possibile, no? Insomma, Christine è scomparsa nel nulla! E…e questo specchio…proprio nella sua stanza...”
“Se è così, si deve trattare di magia estremamente oscura” disse Arthur inquieto.
“E infatti casa mia è piena di oggetti oscuri” ammise Sirius. “Il punto è cosa le è successo e come”
“E se l’avessero trovata di nuovo?” esclamò Harry, e prontamente gli occhi di tutti puntarono su di lui. “Se i mangiamorte fossero riusciti a prenderla?”
Severus si voltò svelto verso Kracher, e questi credette per un secondo che volesse avventarglisi contro.
“Ma se così fosse” esclamò Ron “vorrebbe dire che hanno anche trovato l’ubicazione del quartier generale!”
“Potrebbero attaccarci da un momento all’altro” mormorò Harry, scambiandosi un’occhiata con il suo migliore amico.
Il terrore era dipinto su ogni volto presente, ma Severus riportò la calma.
“No, è impossibile. L’Incanto Fidelius può essere infranto solo ed esclusivamente se il Custode Segreto tradisce il patto magico stipulato per la protezione del luogo o della persona. Il nostro Custode è Silente”
“Ma allora come?” chiese la signora Weasley quasi sopraffatta dal pianto.
Ma nessuno sapeva rispondere.
“Vado a chiamare Malocchio, forse lui saprà aiutarci” disse Arthur correndo giù in cucina.
Nella camera tornò silenzio. Poi Piton si volse verso Kracher, ancora immobile accanto alla cornice dorata.
“Che cosa è successo a mia figlia?”
“Kracher, rispondi” disse Sirius furioso.
“Non so. Io non so nulla”
“Allora chi?”
“La padrona, forse…oh si, lei lo sa di certo. Ma non parlerà”
L’elfo ricominciò a ridacchiare, e nemmeno quando Sirius lo afferrò di nuovo minaccioso lo indusse a smettere.
“Che cosa ti ha detto di fare mia madre?!”
“Sirius, ti prego!”
“Hermione, sta zitta, per favore!”
Piton li sorpassò tutti, concentrandosi con tutte le sue forze per mantenere la calma.
“Black, vieni giù!”
“Cosa? Vuoi parlarle sul serio? Con un quadro?” disse Sirius attonito.
“E’ una faccenda che riguarda mia figlia, per cui, so io ciò che devo o non devo fare. Perciò parlerò con tua madre, Black, quadro o meno”
Scese le scale seguito dagli altri e arrivò nell’atrio davanti alla pesante tenda di velluto, dietro la quale era nascosto il ritratto della signora Black.
Sirius, trascinò con sé l’elfo domestico che, non appena vide la sua padrona, si divincolò dalla stretta di lui e si buttò in ginocchio davanti a lei.
Madame Black fu stupita di ritrovarsi fissata da dieci paia d’occhi curiosi, spaventati e furiosi.
Li osservò con malcelato disprezzo, gli orribili invasori della sua nobilissima dimora. Il tanto odiato figlio era lì, in prima fila, affiancato dall’uomo che aveva tradito il Signore Oscuro.
“Miei antenati!” esclamò indignata. “Cosa accade, dunque, di così importante da svegliarmi nel cuore della notte?!”
Severus, che non l’aveva mai vista prima d’ora, la guardò con molta attenzione.
Benché fosse solo un quadro, riusciva a percepire tutto l’astio e la cattiveria presenti in quella donna. Trasparivano in modo realistico anche attraverso la tela.
“Voglio sapere dove si trova mia figlia Christine, e mi creda, ho già aspettato abbastanza”
La madre di Sirius lanciò un’occhiata sprezzante al mago di fronte a lei.
“Ah, la ragazza babbana. Quale vergogna per il Primo dei Mangiamorte!”. La signora Black rise con la sua orrenda voce roca. “Che c’è, è scomparsa per caso?”
“Lei allora lo sa?” non poté fare a meno di esclamare Harry.
Piton storse le labbra in una smorfia di disprezzo. “Io credo, Potter, che in quanto la casa venga usata come quartier generale dell’ordine delle Fenice, sia più che normale che colei che veglia su di essa sappia ogni cosa di ciò che accade al suo interno”
La signora Black guardò il professore di Pozioni con un sorrisetto.
“Vedo che qualcuno comincia a capire che non sono del tutto inutile. Voi mi tenete celata dietro questa orribile tenda per non vedermi, ma io invece vi vedo eccome, signori miei. Vedo e sento tutto quanto! Non sottovalutatemi!”
“Oh, si, e hai anche un servo fedele che fa i tuoi lavoretti sporchi, vero madre?”
“Kracher è sempre stato un elfo obbediente, ma non ho idea di cosa stiate parlando. Quali lavori? Io sono solo un quadro”
Sirius spinse avanti l’elfo che si prostrò di nuovo ai piedi della cornice.
“Ha detto che la padrona sapeva ogni cosa
“Ah, ma non è stata un’idea nostra, caro figlio, io ho solo dato una mano”
“Per mano, intendi lo specchio?”
“Se la ragazza è stata maldestra…” cantilenò la signora Black con noncuranza. “In fondo, non è una gran perdita. Figlia di un mago, ma nata senza un briciolo di magia nelle sue schifose vene”
Piton sfoderò la bacchetta così in fretta che gli altri se ne accorsero in ritardo, e solo quando lo videro puntarla al centro del quadro capirono.
“Lo so bene che se anche ti scagliassi addosso una maledizione non riuscirò a fare nulla, sei solo un ritratto” disse Severus, con la voce rotta dalla rabbia che lo invadeva, e che avrebbe voluto riversare fuori dal suo corpo scagliando incantesimi contro tutto e tutti. “Ma distruggerò questo maledettissimo quadro se non mi direte dov’è Christine. E se non lo farete ORA!” gridò furente.
La signora Black sorrise compiaciuta. “Credete forse che il mio orribile figlio traditore, qui presente, sia l’unico padrone che Kracher serve? Luridi invasori della mia dimora! Voi non sapete niente! Il sangue puro dei Black scorre anche in altre vene, fortunatamente!”
“Sta zitta, maledetta strega!” esclamò Sirius, mentre Kracher, che si dibatteva tra le sue braccia, gemeva preoccupato per la sorte della padrona.
“Schifoso ipocrita!” esclamò la donna “Sirius Black III, tu sei la causa di tutto! Severus Piton, chiedi a lui dov’è ora tua figlia! Lui e quella lurida figlia di babbani di un’Auror! Loro due, insieme, hanno spinto la tua preziosa sanguesporco tra le braccia dei tuoi nemici!”
Un silenzio, rotto solo dalle rinnovate risatine di Kracher, calò sulla casa.
Severus e Sirius si guardavano, l’uno in preda a una rabbia incontrollabile, l’altro con un’espressione mortificata ma decisa.
Black, spiegati!” gridò Piton scagliandosi sul rivale e afferrandolo per il bavero della camicia.
“Aspetta, non è come pensi!”
Arthur e Harry cercarono di dividere i due uomini, ma con scarso successo.
“Non pensavo…non credevo…” balbettò Sirius.
Molly avanzò tra loro, e rivolse uno sguardo penetrante e pieno di rimprovero verso il padrino di Harry.
“L’avete portata fuori?”
Sirius non rispose.
“L’avete portata fuori!!! Mio Dio, SIRIUS! Come hai potuto!”
“Molly, no, io…mi dispiace!”
Sirius afferrò i polsi di Piton impedendogli di mettergli le mani addosso.
Dopo tutte le raccomandazioni, Black! Dopo che ho cercato aiuto in casa tua! Non ti ho chiesto niente! Niente! Solo un misero aiuto da parte tua! E tu l’hai messa in pericolo! Era l’unica cosa che dovevi fare: tenerla al sicuro!E ora…ora…”
La scena era surreale e straziante. Vedere Piton in quelle condizioni, completamente in balia della rabbia e della sofferenza, della paura, perdere ogni controllo e accusare, gridare. La sua era disperazione mista a impotenza di fronte a una situazione in cui non vedeva vie d’uscita. Perché non c’era soluzione. Anche se l’avessero cercata in lungo e in largo non l’avrebbero trovata. Christine era scomparsa, dove non lo sapevano. Del come avevano solo una vaga idea.
“Siete stati degli ingenui” disse d’un tratto la signora Black. “Ma cosa credevate, che avreste potuto tenerla nascosta per sempre?”
Severus lasciò andare Sirius, e lo spinse via in modo talmente brusco che, se non fosse stato sostenuto da Harry e Ron, sarebbe caduto a terra.
“Lui…” disse trattenendo un nuovo grido. “Che cosa vuole da lei?”
“Nulla. Il punto è che cosa vuole da te. Tu sei il suo braccio destro, Severus Piton, e devi stare attento. Sei un traditore che fa il doppio gioco e lui sta sondando la tua fedeltà”
La signora Black fece un ghigno, e le rughe sul suo volto si accentuarono ancor di più.
“Ti chiedi come so tutte queste cose, vero? Bè, perché mio figlio Regulus era un mangiamorte. E quando lo sei, diventi parte di una famiglia che va allargandosi sempre di più. Tu ora hai una figlia, e lui la vuole con sé. Io, se fossi in te, sarei stata onorata di offrire i miei figli alla sua causa!” esclamò convinta, poi di nuovo quel ghigno, ancor più largo, e a lei si unì Kracher. “Anche se non credo che la tua abbia un grande futuro tra i Mangiamorte, perché non appena scopriranno che cos’è, la faranno fuori!” rise sguaiatamente, sembrando quasi pazza. “Che la caccia al babbano abbia inizio!”
Severus estrasse di nuovo la bacchetta, ma non la puntò contro il quando, come tutti avevano pensato, si precipitò invece su per le scale, di nuovo diretto in camera di Christine, e la puntò contro lo specchio, pronto a distruggerlo, ma Harry lo fermò afferrandogli un braccio. Lo aveva seguito.
“No! Non lo faccia professore! Questo specchio potrebbe essere l’unico modo per riportarla indietro! Se lo fa, potrebbe non rivederla mia più!”
Ma Piton non dava segno di volerlo ascoltare e ingiuriava contro il ragazzo, quando una voce autoritaria ma estremamente gentile disse: “Ora basta, Severus”
Il mago si fermò, guardando gli occhi azzurri chiari di Albus Silente.
“Professore!” esclamò Harry molto stupito. “Che cosa ci fa lei qui?”
“Arthur ha mandato un messaggio ad Alastor, e lui ha avuto l’accortezza di avvertire subito anche me” rispose il Preside, ma senza guardarlo.
“La ritroveremo” disse poi, posando una vecchia mano sulla spalla di Piton. “La riporteremo a casa. Se è vero che Voldemort tiene in considerazione anche i figli dei suoi seguaci, per il momento è al sicuro. Non le faranno niente”
Piton allora rilassò i muscoli del braccio destro e si liberò dalla presa di Harry.
“Fatela star zitta! Fatela tacere!” esclamò furibondo, perché le grida e le risate della signora Black riecheggiavano per tutta la casa.
 
Pensieri orribili attraversavano come una tempesta la sua mente e i suoi occhi. Era evidente che Voldemort sospettasse di lui e avesse scoperto i suoi due segreti: l’essere una spia di Silente  e Christine. Sapeva di essere stato tradito e ora voleva vendetta. Ma il Signore Oscuro, invece di scomodarsi a uccidere lui di persona, aveva deciso di torturarlo nell’anima rivolgendo la sua vendetta contro l’innocente Christine.
Perché aveva esitato? Perché non aveva ascoltato Karin e non aveva acconsentito a rimandare subito la figlia a casa? Perché avevano sfidato la sorte beffandosi dell’inferno e del diavolo che vi albergava?
Tastava la superficie del grande specchio come se potesse ridargli ciò che gli aveva portato via. Vi si appoggiò, studiò con cura ogni particolare, ogni ricamo, tentò con l’incanto Revelio, ma nulla. Lo specchio restava immobile e soltanto uno specchio.
Dal salotto del primo piano, provenivano le grida di Moody, che rimproverava Tonks per la sua stupidità,  la quale, a testa china seduta sul divano, non tentava nemmeno di replicare.
“Per quello che hai fatto dovrei sospenderti dagli Auror!”
Quando apprese la notizia della scomparsa di Christine, Ninfadora scoppiò in lacrime, mortificata, incapace di smettere di chiedere scusa a Severus.
Lui si rifiutava di guardarla in viso anche solo per un secondo. Sapeva che se l’avesse fatto, con lei o con Sirius, tutta l’ira da cui era stato preso poco prima, sarebbe tornata più forte ancora.
Aveva desiderato distruggere non solo quel maledetto specchio, ma ogni cosa si parasse sul suo cammino.
Continuava a pensare a Christine, a dov’era in quel momento, a quanto era spaventata, se fosse stata richiusa.
Tonks e Sirius avevano raccontato tutto ciò che era accaduto la mattina, e non era nulla di speciale, almeno dal loro punto di vista.
Christine era andata in chiesa, non si era mai allontanata dalla cattedrale.
“Io l’ho raggiunta poco dopo e sono entrata a mia volta. Sirius è rimasto fuori di guardia”
“Ti sei seduta vicino a lei?”
“No, perché non l’ho trovata. Io l’ho cercata, ma c’era tanta di quella gente! L’ho vista solo alla fine della funzione e siamo uscite insieme”
“E allora come fate a essere certi che non sia uscita?”
Sirius si passò una mano sul viso stanco. “Non è uscita, Malocchio. L’avrei vista”
Moody espirò forte e poi, dopo aver fatto un giro del salotto, portò il discorso su un punto che lo tormentava fin da quando l’avevano cominciato.
“E…non ha incontrato nessuno?”
Sirius, Tonks e Severus si voltarono verso di lui.
“Stai pensando ancora a quel ragazzo di cui parlava Kinglsey?” chiese Tonks.
“Precisamente”
“No. Non credo. Io non ho visto nessuno”
“Tu non hai visto neppure Christine, se è per questo. Come puoi dire se non fosse con qualcuno o no?”
“Perché l’ho cercata prima di sedermi! Cosa credi? Che mi sia accomodata su una panca senza preoccuparmi per lei?!”
“Se tu e Black vi foste sul serio preoccupati per lei, l’avreste protetta!” intervenne Severus.
“Christine non è stupida, sa badare a se stessa”
“Questo lo so, ma non conta quando parliamo di Christine e di magia”
Tonks abbassò il capo.
“Non potevi pretendere che se ne stesse qui dentro tutto il tempo, come chiusa in gabbia” disse Sirius irritato.
Piton si mosse verso di lui. “Ti ho già detto una volta di non venirmi a dire come devo comportarmi con mia figlia. E il fatto che tu sia frustato dal fatto di startene sempre in casa, non ti dava il diritto di coinvolgere lei nelle tue bravate da tredicenne, Black! Hai approfittato del fatto che anche lei desiderasse un po’ di libertà per avere la scusa di evadere dalla noiosa esistenza che conduci qui dentro. Metti un po’ di sale in quella zucca vuota, e smettila di atteggiarti a migliore amico con chiunque e comportati da adulto responsabile!”
I due uomini si fronteggiavano alla stessa altezza.
Sirius si costrinse a ignorare l’ultima provocazione di Piton e tenne lo sguardo e la voce fermi.
“Non ho approfittato di Christine. Lei lo desiderava. Ed è benissimo in grado di capire cosa è bene per lei fare. Voleva semplicemente…”
“Non è ancora in grado di decidere da sola per se stessa”
“Non è una bambina!”
“Ha sedici anni”
“E’ molto più matura della sua età!”
“Ma non ha dimestichezza in questo mondo. Mettiti in testa una volta per tutte che non è una strega!”
“Allora insegnale a difendersi come può! Dovresti farlo se vuoi che lei continui a vivere con te. Tu sottovaluti Christine. Potrebbe farcela!”
“Ragiona, Black: con cosa potrebbe difendersi da una maledizione senza perdono? Con cosa? Persino i maghi più capaci, gli Auror più preparati, sono periti sotto le maledizioni senza perdono. Lei-non-ha-poteri. E’ chiaro?”
“Questo lo so, me lo hai già ripetuto mille volte!”
“E tu l’hai messa in pericolo pur sapendolo!”
Sirius aprì la bocca per ribattere, ma non trovò null’altro da dire.
Ormai era quasi l’alba, ma nessuno era riuscito a dormire.
“Va bene, smettiamola di litigare e andiamo tutti a fare colazione, ne abbiamo bisogno” disse Molly entrando in salotto e tenendo la porta aperta.
“Aspetta, Molly” disse Silente, che fino a quel momento aveva studiato con attenzione l’albero genealogico appeso in fondo al salotto. “Devo parlare con Severus ancora un po’ ”
La signora Weasley non disse niente e richiuse la porta dopo che Sirius fu uscito con lei.
“Devo dirti una cosa. E’ importante”
Severus si avvicinò al mago, che era voltato di spalle, le mani incrociate dietro la schiena.
“Sei al corrente che un elfo domestico è legato a tutti i membri della famiglia ancora in vita? E che deve fare tutto ciò che questi gli ordinano?”
“Ovviamente” rispose Severus calmo.
“Sirius ha detto che sua madre ha parlato di altre persone in cui scorre il sangue dei Black”
“Si, lo so cosa vuoi dire” rispose Piton guardando a sua volta l’arazzo pieno di nomi e date.
“Vuoi andare da loro, Severus? Se davvero Narcissa è coinvolta, si insospettirà. Rischi di far cadere la tua copertura”
“Forse è già caduta. Comunque, devo rischiare. Raggiungerò Malfoy Manor oggi stesso”
Silente si voltò allora verso Piton.
“Credi che Christine sia laggiù?”
“No” rispose Piton pensieroso. “Ma spero di ottenere qualche buona informazione”
“Non farti prendere dall’agitazione. Lo so che è difficile, e ti sembrerà alquanto strano che io ti parli con questi termini proprio in questo momento, ma è necessario che tu rimanga lucido”
“Come faccio a stare calmo in questo istante?! Dimmelo tu, perché io non lo so!”
“Ritrova il tuo sangue freddo, Severus, e rifletti!” esclamò Silente con fervore. “Tieni salda la mente. Voldemort si sta preparando a qualcosa di grandioso, e tu dovrai stare a stretto contatto con lui, allora. Te ne avrà parlato”
Il vecchio mago si mosse per il salotto, percorrendo avanti e indietro pochi passi davanti a Piton.
“Stai parlando del Rito?”
Silente di fermò e lo guardò. “Si. Ma quello che è importante sapere, è che l’Eterna Giovinezza è la dannazione eterna per chiunque decida di intraprendere questo cammino. Nessuno, mai, si è spinto a tanto. Non so nemmeno come abbia potuto trovare il modo, perché ti confesso che nemmeno io lo conosco. E’ qualcosa di grandioso, ma di estremamente pericoloso. Se qualcosa andasse storto, lui morirebbe. Nemmeno gli Horcrux potrebbero salvarlo”
“Mi ha parlato anche di questo. Ma cosa centra Christine con tutto ciò?”
“Centra il fatto che è tua figlia. Sappiamo che Voldemort ha creato gli Horcrux servendosi di oggetti che per lui erano di alto valore. Lo stesso farà con il Rito. Prenderà il sangue di persone molto vicine a lui, e di persone  a loro volta legate a queste. Tra di loro, i suoi Mangiamorte e i loro figli”
Severus fissò Silente con molta intensità.
“Quindi, mi stai dicendo che Christine sarà una delle vittime sacrificali di questo Rito? E credi di rassicurarmi dicendomi questo?”
Silente si avvicinò a Piton e gli mise le mani sulle spalle.
“Ascolta, Severus: Lord Voldemort è risorto da poco, ha bisogno di forze maggiori, di molti seguaci. Anche gli eredi dei suoi servi sono di vitale importanza per lui. Christine non verrà toccata, su questo puoi starne certo. Voldemort non vuole uccidere i suoi servitori”
“No, non è certo!” esclamò Piton di nuovo in preda alla rabbia, scostandosi da Silente. “In lei scorre il sangue di un mago e una babbana, Albus. Lui la odierà e la vorrà vedere morta piuttosto che al suo fianco!”
“Quanti Purosangue crede che possano servirgli per il suo Rito? Rispondimi”
Piton rimase perplesso per qualche istante.
“Che cosa vuoi dire?”
“Nel mondo magico ci sono meno Purosangue di quanto si creda.  Se Voldemort vuole diventare davvero immortale, deve anche fare i conti con il suo di sangue. Tom Riddle senior era un babbano, di conseguenza, anche le sue vittime dovranno esserlo”
“Metà sangue puro” mormorò Piton con voce afona. “E metà sangue sporco”
Silente annuì grave.
“Si, ma noi lo fermeremo prima che possa trovare tutte le vittime che gli occorrono. Non sarà un’impresa facile, credimi, gli costerà parecchio del suo tempo. Ci sono regole complicate da rispettare”
“Ma io non starò ad aspettare, lo sai. Io rivoglio mia figlia, Albus! Adesso!”
“Io non ho il potere né il diritto di impedirtelo, ma stai molto attento, Severus. Potresti essere scoperto. Il rapimento di tua figlia è una prova a cui lui ti sta sottoponendo. Dalle tue reazioni capirà molte cose. Agisci cautamente”
Il vecchio mago posò ancora la sua mano sulla spalla di Piton, rivolgendogli uno sguardo gentile.
“Presto i nostri ragazzi torneranno a Hogwarts. Laggiù non saranno al sicuro come una volta. Non più”
Severus non parlò, perché già sapeva che molti dei giovani maghi che il Signore Oscuro avrebbe selezionato si sarebbero presto trovati al castello.
“Troverà il modo di varcarne le mura” continuò Silente. “Dobbiamo essere preparati, non abbassare mai la guardia. Non fatevi mettere l’uno contro l’altro. So che ora sei furioso con Sirius e Tonks per quello che hanno fatto, e ti do pienamente ragione. Hanno fatto una sciocchezza e probabilmente la colpa è in parte loro, ma Christine è scomparsa per altre ragioni”
Gli occhi di Piton si accesero di rabbia.
“Ma chi può essere riuscito a varcare la soglia di questa casa? E come?”
Con grande stupore di Piton, Silente accennò un sorriso.
“Con un paio di espedienti molto semplici. Io temo, che lo specchio della signora Black sia come un portale”
“Quindi è come pensavo. Deve avere un gemello da qualche parte”
“Ah, non necessariamente. Vedi, Severus, una delle nuove capacità di Lord Voldemort è quella di riuscire a spostarsi nelle superfici riflettenti o trasparenti. Specchi, acqua…e ce ne sono dappertutto, ne convieni”
Lo stupore si dipinse sul volto di Piton “Quindi lo specchio non è un oggetto oscuro. Non è stregato” constatò.
“Esatto. Il problema più grande è chi ha permesso a qualcuno di entrare in questa casa”
I due maghi si fissarono per un istante, poi Piton chiese: “Chi?”
Ma la risposta che venne, era l’ultima che si aspettava.
“Christine”





Ciao a tutti cari lettori!
Che dire, sarò ripetitiva ma devo sempre ringraziarvi tutti quanti per l’interesse che dimostrate per la mia storia. Io cerco sempre di soddisfare le vostre aspettative, e sono felicissima nel vedere che la mia ff vi piace e ogni volta mi dite che non vedete l’ora di sapere come continua.
Vorrei chiedervi di dirmi cosa ne pensate di Christine, visto che è il personaggio a cui tengo di più di quelli di cui ho scritto. Mi piacerebbe sapere il vostro parere anche su come sto descrivendo gli altri e sulla storia in generale, perché a volte ho paura di non riuscire a descrivere bene tutto quello che voglio dire.
Infine ringrazio tutti voi:

Aylasbimba3, Blankette_Girl, chiara53, coccinella75, Eleonora2307, Faith18, foffia, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, Ladyhawke25, Lady_Storm, Latis Lensherr, laurana17, LenShiro, namina89Phoebhe76, Pollon0874, rum43coach e zackaide, e chiunque voglia aggiungersi a loro in futuro.
Un bacio a tutti,
By Usagi^^ 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17: Un padre e una madre ***


Capitolo 17
Un padre e una madre

 
Arrivò a Malfoy Manor materializzandosi direttamente di fronte alla cancellata in ferro battuto.
Come di consueto, i complicati ricami di essa si snodarono, si spostarono, fino a che il cancello si aprì silenzioso lasciando entrare Piton che, con passo deciso e svelto, attraversò il pezzetto del grande giardino che si estendeva per settanta ettari intorno a tutto il maniero.
Una volta davanti al portone d’entrata, batté un paio di volte, picchiando sul legno scuro con uno dei due pesanti anelli di ferro. Poco dopo, un elfo domestico aprì uno spioncino dal quale sbirciò furtivo.
“Cosa desiderate, signore?” disse con una vocetta acuta.
“Desidero incontrare la signora Malfoy. Dille che Severus Piton ha grande urgenza di parlarle” rispose il mago con tutta l’educazione possibile.
Non aveva mai avuto tanto astio per quelle creature in tutta la sua vita. A dire il vero, il più delle volte tendeva ad ignorarle. Ma da quando aveva avuto a che fare con Kracher, poteva dire di aver cominciato ad odiarle. Lo infastidiva il solo vederle di sfuggita.
“Il padrone non è in casa. Ho l’ordine di non far entrare nessuno, sono spiacente, signore”
“Non ti ho chiesto di Lucius, ma di Narcissa”
“Ma, il padrone…”
“Tu diglielo!” insisté l’uomo risoluto.
L’elfo lo osservò in tralice dalla fessura.
“Aspettate qui, signore” rispose.
Chiuse lo sportellino e per alcuni minuti non si fece più vivo.
Severus attese, facendo vagare lo sguardo sulla piccola porzione di giardino che da lì si vedeva.
L’aveva visto sporadiche volte, e sempre e solo durante la stagiona invernale. Ora però, in estate, era un tripudio di colori, di fiori, e di profumi. Un paio di bianchi pavoni becchettavano in terra e poi lisciandosi col becco le belle piume candide.
Poco dopo, lo scatto della serratura, e di diversi chiavistelli che venivano sganciati e spostati, provennero da dietro la porta a due battenti, e poi, finalmente, questa si aprì.
“Prego, signore. Benvenuto a Malfoy Manor”
L’elfo domestico fece un profondo inchino facendo cenno a Piton di entrare.
Lui sorpassò la creatura e mise piede sul morbido tappeto dell’entrata. Dietro di lui, la creatura richiuse il portone chiudendo fuori la luce del sole mattutino. Ma il palazzo non era certo meno illuminato. Grandi finestre proiettavano piacevoli giochi di luce sul pavimento di legno facendolo risplendere. I mobili antichi recavano soprammobili in oro e argento, anch’essi risplendenti e quasi accecanti. Il tutto era in perfetto contrasto con i suoi proprietari, gente tanto oscura da far apparire una dimora così bella alquanto inquietante.
Piton sostò per qualche secondo nell’ampio atrio. L’elfo gli si avvicinò dicendogli di seguirlo, quando una voce li fece fermare e voltare entrambi.
“Griz, lasciaci. Penso io al nostro ospite”
Narcissa Malfoy, l’aria altezzosa, lo sguardo di ghiaccio e i capelli biondissimi e impeccabilmente in ordine, legati in una pettinatura complicata, dall’alto della scalinata in marmo bianco, troneggiava su di loro.
Al suo fianco, poco più indietro, il figlio Draco. Somigliava al padre, ma aveva anche molto della madre. Il ragazzo fu molto stupito di vedere il professore di Pozioni. Era raro per lui incontrarlo fuori dalle mura della scuola.
“Si, signora. Come desiderate, signora” mormorò l’elfo inchinandosi due volte mentre indietreggiava.
In casa Malfoy era severamente vietato ai servitori voltare le spalle ai padroni, tant’è che gli elfi erano costretti a camminare all’indietro quando uscivano da una stanza.
Narcissa stava immobile e fissava Severus con espressone indecifrabile.
“Cosa ti porta qui?” disse la donna, mentre cominciava a scendere le scale e andava verso di lui.
“Ho bisogno di parlarti, se permetti. Da solo” disse Severus, guardando per un momento Draco, che era sceso accanto alla madre.
“E’ molto urgente? Io e Draco stavamo uscendo”
“Si, Narcissa. E’ estremamente urgente” rincarò il mago.
Narcissa sospirò e poi si volse verso il figlio, ma senza staccare gli occhi da Piton, come aspettandosi chissà quale mossa da parte sua.
“Draco, torna di sopra e aspettami nella biblioteca. Io e il professor Piton non ci metteremo molto”
“Si, madre” obbedì immediatamente il ragazzo.
Ripercorse i suoi passi e risalì la scalinata, mentre Narcissa si volgeva nuovamente a Severus indicando educatamente con la mano alla sua sinistra.
“Seguimi. Parleremo nel salone”
I due maghi attraversando un breve corridoio dove erano esposti alcuni quadri degli antenati dei Malfoy, poi sparirono oltre una porta ad arco.
Draco, nascosto appena dietro la curva del corridoio del primo piano, si azzardò a sbirciare dall’alto della balaustra dello scalone. Vide solo l’ultimo svolazzare del mantello nero di Piton, poi aspettò qualche secondo, infine, ridiscese per la seconda volta lo scalone cautamente, senza fare rumore.
Il fatto che Piton si presentasse a casa sua, e di mattina così presto, era molto insolito e più che raro.
Strano anche il fatto che volesse parlare con sua madre e non con suo padre.
Che cosa mai avevano da dirsi? Lei non era una Mangiamorte come la sorella Bellatrix.
Controllando che non ci fossero in giro Griz o altri elfi, si diresse fino al salone del pian terreno, da dove provenivano le voci di Piton e Narcissa.
“Desideri qualcosa da bere?” disse la donna, vagamente agitata. Lo si capiva dalla voce.
“Non ti sembra un po’ presto per bere?” insinuò Severus. “Mi farebbe pensare che sei nervosa”
“No” disse lei in fretta, voltandosi verso di lui.
“Mi pare che la mia visita non ti faccia piacere”
Narcissa si mosse a disagio verso una poltrona e invitò il suo ospite ad accomodarsi, ma Piton non si mosse e rimasero così in piedi a fronteggiarsi, come se stessero per sfoderare le bacchette e cominciare un duello.
“Il fatto, è che Lucius non ha piacere che qualcuno venga in casa senza prima annunciarsi. La tua visita inaspettata non gli piacerebbe”
“Perché mai sembrate tutti aver paura che Lucius mi trovi qui? Anche il tuo elfo domestico non voleva aprirmi, sembra, per la stessa ragione. Mi chiedo come mai”
Narcissa si schiarì la voce prima di parlare di nuovo.
“Mio marito sarà di ritorno tra poco. Dobbiamo recarci a Diagon Alley per acquistare i nuovi libri di Draco per Hogwarts. Per cui, dimmi cosa vuoi Severus, perché non ho molto tempo”
Piton strinse gli occhi e fissò la donna insistente.
“Va bene, veniamo al dunque. C’è stato un rapimento. Un ragazza, più o meno dell’età di Draco. Tu ne sai niente, Narcissa?”
Lei alzò la testa con fare altezzoso, ricambiando lo sguardo, seria, ma con un sentore di panico negli occhi.
“Io non ti posso aiutare, Severus, mi dispiace”
Piton si avvicinò a lei così velocemente che sembrava essersi materializzato da un punto all’altro del salotto.
“Ti tradisci, Narcissa. Con questa frase potrei pensare che tu sai chi è la ragazza in questione”
La donna distolse spaventata i suoi occhi da quello sguardo nero come un pozzo oscuro senza fondo.
 “Io non sono al corrente di tutto quello che accade tra i Mangiamorte, non se il Signore Oscuro non ne vuole parlare. Ma tu dovresti saperlo. Sei il Primo di Mangiamorte. Il suo braccio destro. Perché vieni a cercare delucidazioni da me?”
“Dimmi cosa sai, Narcissa”
Lei lo gradò di nuovo, i begli occhi chiari velati di panico.
“Anche tu ti tradisci, Severus. Chi è la ragazza?”
Piton  non rispose. Si appoggiò con una mano allo schienale vellutato di una delle poltrone del grade salone.
Doveva decidere.
Narcissa sembrava non sapere di chi stese parlando. Piton dubitava che molti sapessero dell’esistenza di Christine, ma Codaliscia ne era al corrente, invece, e da un bel pò.
Minus poteva averlo scoperto soltanto spiando i movimenti attorno alla casa di Spinner’s End, ma Piton dubitava che avesse agito da solo, di sua iniziativa. Minus era stato mandato da qualcuno, qualcuno che sapeva già di Christine. Forse proprio Voldemort, ma come avrebbe potuto scoprirlo?
Severus aveva schermato la sua mente con tutti gli sforzi possibili, con esercizi costanti. Il Signore Oscuro non aveva letto i suoi pensieri, non quella parte riguardanti Christine, almeno.
Ad ogni modo, Codaliscia aveva senz’altro riferito immediatamente a Voldemort l’esistenza della figlia di Severus Piton, e adesso sempre più persone l’avrebbero scoperto.
I Malfoy, erano probabilmente stati i primi dopo Minus. E qui si tornava alla certezza che Severus aveva riguardo a Narcissa.
La madre di Sirius aveva parlato di altri membri della famiglia Black da cui Kracher poteva prendere ordini. Le uniche rimaste erano Narcissa e Bellatrix. Ma la seconda era ad Azkaban, per cui, la moglie di Lucius Malfoy rimaneva l’unica candidata possibile.
Ora, Severus doveva scegliere se esporsi, ed esporre Christine, del tutto, rivelando che, si, era effettivamente sua figlia. Se l’avesse fatto, avrebbe avuto una possibilità di trovarla, altrimenti, si sarebbe di nuovo trovato a brancolare nel buio.
La cosa più assurda, era che doveva metterla in pericolo per salvarla.
“Chi è questa ragazza, Severus?” chiese di nuovo Narcissa.
“E’…mia figlia”
Si fissarono per un lungo istante, nel quale, inaspettatamente, gli occhi della donna si riempirono di quella che sembrava compassione, e di lacrime.
“Tua figlia?” mormorò in un sussurro appena udibile. “Dunque, è così. Codaliscia diceva il vero”
“Voglio sapere, Narcissa”
Lei si volse, atterrita dal tono di voce di Piton, preda di una nuova furia mal controllata.
“Solo tu potevi sapere come fare”
La signora Malfoy voltò le spalle al suo ospite, fissando lo sguardo nelle braci consumate, fredde e scure del caminetto.
“Mi è stato ordinato. Non potevo rifiutare”
“Narcissa, te lo sto chiedendo per favore!” esclamò Severus in un modo che lei non aveva mai sentito.
Rimase stupita e confusa davanti a quella nuova maschera di angoscia che Piton portava ora.
“Non posso. Se Lucius sapesse che ho parlato, mi ucciderebbe”
“Ascoltami!”
Cercando di darsi un contegno, Severus avanzò fino a lei e la costrinse a girarsi per guardarlo in faccia.
“Cosa faresti se fosse Draco? Cosa faresti se tuo figlio, il tuo unico figlio, sparisse davanti ai tuoi occhi da un giorno all’altro e tu non sapessi cosa ne è stato di lui? Cosa tenteresti per ritrovarlo?”
Lei gli rimandò uno sguardo fiero. “Qualsiasi cosa!”
“Allora aiutami a ritrovarla, Narcissa”
“Questo ti costerà, Severus, lo sai vero?”
Piton annuì. Si, lo sapeva. Un giorno, forse vicino, o forse lontano, lei sarebbe tornata a riscuotere la somma. Ciò che Narcissa stava facendo, era tradire il marito e il suo padrone.
“Cosa ti fa credere che non lo dirò a Lucius?” intimò la donna.
“Perché mi fido di te, Narcissa, e so che se fossi al mio posto faresti lo stesso”
La signora Malfoy sorrise amaramente.
“Forse presto lo sarò”
Poi i suoi occhi si riempirono di nuovo di lacrime, che questa volta non riuscì a trattenere.
“Presto, Severus, i nostri figli saranno parte del grande progetto del Signore Oscuro. Tu, più di me, sai di cosa sto parlando. Sono stati scelti. Sono speciali”
Lo disse con un tono sofferto, tormentato, al contrario di quello che Severus si aspettava dalla moglie di uno dei seguaci più vicini a Voldemort. O forse no.
Forse aveva sempre saputo che Narcissa non abbracciava del tutto la causa, quando di mezzo ci andava anche suo figlio.
Lucius, accecato dal potere e affannato nel tentare di conquistare più benevolenza possibile da parte del suo padrone, non vedeva le cose nella giusta prospettiva. Ma lei si. Forse era l’unica tra i Mangiamorte a riuscirci ancora.
“Sono solo ragazzi!” disse con voce spezzata. “A cosa gli possono mai servire? Non hanno la nostra esperienza, non ha bisogno di loro!”
“Forse” disse il mago in tono molto serio, “cerca di farli suoi il prima possibile”
“Ma tu la pensi come me, vero? Tu comprendi il mio timore. Neanche tu vuoi che tua figlia…Oh!” esclamò sgomenta, accasciandosi su una poltrona e coprendosi la bocca con una mano. “Che cosa ho fatto!? Perdonami, Severus! L’ho mandata a lui senza riflettere. Se fosse Draco…se fosse Draco!”
Narcissa si passò svelta una mano sugli occhi, cercando di riprendere il controllo di se stessa.
“Perché proprio lei?” chiese Piton.
“Non lo so. Il Signore Oscuro mi ha solo ordinato di trovarla”
“Come hai fatto?”
Lei o guardò pensierosa. “A cosa ti serve saperlo?”
“Perché voglio ritrovarla”
Narcissa annuì. Capiva perfettamente i sentimenti che Piton provava in quel momento.
 “E va bene. Ma non credo, però, di poter esserti di molto aiuto”
Piton continuava però a fissarla insistente, e alla fine, lei fece un lungo sospiro passandosi una mano sul viso.
“Non sapendo come arrivare a lei, ho cercato di scoprire come fare tramite l’unico essere che ha il potere di materializzarsi e smaterializzarsi a piacimento da un luogo all’altro. Il mio vecchio elfo domestico, Kracher.
“Il Signore Oscuro sa bene che ora lui è sotto la padronanza di mio cugino Sirius Black, e che molto probabilmente, il covo dell’Ordine della Fenice, del quale egli fa parte, era il nascondiglio più sicuro per chiunque.
“Ho ordinato a Kracher dirmi se laggiù c’era anche una ragazza che corrispondeva alla descrizione che era stata fornita al Signore Oscuro, e lui disse di si. Gli ordinai, quindi, di fare in modo che si trovasse sola, senza protezione, così che il Signore Oscuro avrebbe potuto prenderla, e così è stato”
La mente di Severus correva all’impazzata. Voldemort sapeva dove trovare Christine.
L’unico ad averla vista era Codaliscia, che prontamente gli aveva fornito ogni prezioso particolare. L’unica cosa positiva, era che il quartier generale era al sicuro, perché Kracher, benché avesse la libertà di materializzarsi e smaterializzarsi fuori e dentro casa Black, non poteva rivelarne i segreti a nessuno.
“La ucciderà?” non poté fare a meno di chiedere Severus, mentre il terrore si impadroniva i lui.
Cercò di mascherarlo come meglio riuscì. Non poteva farsi vedere vulnerabile da Narcissa Malfoy.
“Non so nient’altro. Il mio compito termina qui” rispose lei.
 “Comprendo i tuoi timori, ma il Signore Oscuro non sarebbe felice se sapesse ciò che pensi di fare. Severus, sei il suo pupillo, non credo che torcerà un capello a tua figlia. Potrebbe pensare che stai interferendo con i suoi piani”
“Voglio assicurarmi che stia bene”
Narcissa emise una risatina isterica.
“Sei proprio come me, non l’avrei mai creduto. Tu, sempre così impassibile e controllato…”
Scosse la lunga chioma bionda, incredula, poi tornò seria.
“Io lo so, Severus. So che tua figlia è diversa”
Piton si immobilizzò a quella parole.
“Che cosa vuoi dire?”
“Ho sentito quel giovane Mangiamorte, Lazaar, parlarne con lui. E’ babbana di nascita”
Severus sentì la paura e la rabbia salirgli in corpo.
Se mai quella donna avesse avuto il coraggio di dire qualcosa, lui si sarebbe scagliato contro di lei immediatamente, senza pesare alle conseguenze.
“Cos’avevi nella testa? A quanti anni l’hai avuta? Diciotto?”
“Ero molto giovane” rispose a fatica.
Un’altra parola e sarebbe esploso, lo sentiva.
Narcissa si alzò e si lisciò la lunga gonna scura.
“Prega allora che sia davvero ancora viva. Io, almeno, con Draco non rischio nulla. D’altra parte, tutti commettiamo degli errori. Ma una babbana, Severus…”
La donna si mosse verso l'entrata del salone, mentre scuoteva di nuovo la testa.
Draco, nascosto ai loro occhi, dietro la porta, in corridoio, si affrettò a raggiungere la stanza adiacente, lasciando però una piccola fessura nella porta per vederli allontanarsi ed essere sicuro di avere poi via libera e non essere scoperto.
Quello che aveva udito aveva dell’incredibile. Piton aveva una figlia, babbana, nata da un unione proibita. Il Signore Oscuro l’aveva rapita. Forse a quest’ora era già morta, perché poco importava se era figlia del Primo dei suoi Mangiamorte o no, era una sudicia sanguesporco.
Ma la cosa più inquietante, e che lo faceva pensare, era che Voldemort avrebbe voluto presto al suo fianco anche i figli dei suoi seguaci. Sarebbe toccato anche a lui. Ma sarebbe stato pronto? Ne sarebbe stato in grado? Lo aveva sempre immaginato, ma solo fantasticando di tanto in tanto; essere nelle prime file delle battaglie, assieme a suo padre la fianco di sua madre. Ma era davvero così? Sarebbe stato davvero così semplice e magnifico come credeva?
Piton e sua madre passarono davanti a lui senza accorgersi della sua presenza. Non parlavano, ma esibivano sul volto due espressioni serie e preoccupate.
Lei condusse il professore alla porta e lo congedò. Poi lo chiamò, cominciando a salire la scalinata principale.
Draco corse in fondo al corridoio, imboccandone un altro, e poi salendo una stretta scala secondaria che portava al primo piano. Sgattaiolò nella biblioteca appena in tempo, poco prima che sua madre apparisse sul pianerottolo.
“Sono qui, madre”
Narcissa andò verso di lui e gli passò il mantello per uscire.
“Vestiti, tuo padre sarà qui a momenti”
“Si” disse lui piano, guardandola intensamente.
Le aveva sempre voluto bene, ma in quel momento, dopo ciò che le aveva sentito dire, la vedeva con occhi un poco diversi. Per lui, lei avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Quando aveva pronunciato quella parole, Draco aveva sentito come una morsa piacevole stringergli il cuore.
Lui voleva essere tenuto in piena considerazione da suo padre, le opinioni di Lucius erano quasi vitali, ma dei due genitori, era lei quella che era sempre dalla sua parte.
Mai, Narcissa, aveva alzato le mani su di lui. Mai gli aveva dato quella sensazione di quasi paura, con la sua presenza, come quella che invece il ragazzo provava parlando con il padre.
Lei era la persona che per lui avrebbe donato la vita.
“Cosa c’è, tesoro?” chiese Narcissa dolcemente, accarezzandogli una guancia.
Il suo tocco era delicato, caldo e profumato. Non sapeva esattamente di cosa, ma quello era il suo profumo, il profumo di sua madre.
Gli riservava spesso delle carezze o dei piccoli baci sulla guancia, e a lui non davano fastidio, come invece accadeva a molto dei suoi amici.
“Mamma, il professor Piton…” cominciò, ma lei lo zittì alzando appena una mano.
“Non dire nulla a tuo padre. Non dirgli che è venuto. Intesi?”
“Come vuoi”
“Bene” Narcissa gli sorrise lievemente. “Andiamo, ora. Siamo già in ritardo”
Draco la seguì, gli occhi fissi sui suoi capelli biondi che ondeggiavano sulla schiena a ogni passo.
 
Tornato a Grimmauld Place, Severus vi trovò l’ultima persona che avrebbe creduto di vedervi.
Furente, minacciosa, con gli occhi grigi fiammeggianti di collera, Karin Anders, aveva fiutato il pericolo a chilometri di distanza ed era volata a Londra con il primo aereo.
Christine non rispondeva al telefono, né a lei né all’amica Meg. Cosa davvero insolita dato che si mandavano messaggi praticamente tutti i giorni.
L’ultima volta che aveva sentito la nipote, era stato il pomeriggio precedente. Karin si era fatta promettere da Christine di richiamarla entro sera, perché desiderosa di parlare con Severus.
Non potendo sopportare ulteriormente di essere deliberatamente ignorata, Karin era piombata in Grimmauld Place con grande sconcerto di tutti.
Quando il campanello aveva suonato, Molly era andata ad aprire, mentre la signora Black strepitava dalla sua cornice.
Una donna di circa sessant’anni, con i capelli che un tempo dovevano essere stati biondi dorati, ora leggermente ingrigiti, legati in una crocchia austera, sostava sui gradini della casa dei Black con espressione sicura e per nulla impacciata.
“Buon giorno signora, sono qui per vedere mia nipote Christine. Posso entrare?”
“I-io…ah, certamente” balbettò Molly lasciandola passare.
“Grazie”
La donna aveva uno strano accento, piuttosto marcato quando pronunciava certe parole.
Dietro di lei apparve qualcun altro.
“Oh! Kingsley!”
“Ciao, Molly. Perdonami, l’ho incontrata in Spinner’s End e…”
“Mi perdoni signora” disse Karin, guardandosi attorno. “Non conosco alla perfezione la vostra lingua, le sarei grata quindi se facesse smettere quel quadro di urlare, così che possa capire meglio ciò che si dice”
Molly, senza spiccicare parola, richiuse le tende con un colpo di bacchetta. Poi guardò la donna sconosciuta, sapendo che anche lei era una babbana, e credendo di averla spaventata. Di solito i babbani reagivano così. Ma non Karin Anders, che mai avrebbe dato a vedere il suo stupore per ciò che sapeva esisteva ma che non aveva mai provato sulla sua pelle.
“Molto bene. Posso vedere mia nipote?”
Molly assunse allora un’espressione terribile. Sembrava che dovesse scoppiare a piangere da un momento all’altro.
“Signora, io…non so come dirglielo…Forse…forse dovrebbe parlare con il professor Piton. Si”
Le sopracciglia di Karin si inarcarono a tal punto da risultare unite l’una all’altra.
“Va bene” rispose secca.
Molly la condusse giù in cucina, e non appena aprì la porta, Karin e Severus si trovarono faccia a faccia.
Karin?!” esclamò il mago sconcertato
Tutti si votarono accogliendo la nuova arrivata con sguardi perplessi.
“Ah, bene. Cercavo proprio te. Dov’è Christine?” chiese la donna in fretta, entrando nella stanza.
Calò un pesante silenzio in cui tutti aspettavano che Piton parlasse di nuovo.
“Non c’è” ammise lui.
Karin si volse velocemente con occhi dardeggianti. “Come?”
“Perché sei venuta? Come sei arrivata qui?
“Sono stata a casa tua, ma non vi ho trovato nessuno. Ho incontrato il signor Shaklebolt, al quale ho chiesto informazioni. Non appena ha capito chi ero mi ha subito accompagnata qui”
Kinglsey assunse uno sguardo rassegnato.
“Non ho potuto fare altrimenti”
“Va bene, adesso potrei vedere Christine?” interruppe Karin senza troppe cerimonie. Era una donna spiccia e senza peli sulla lingua. “O c’è qualcosa che devi dirmi a proposito di lei?” aggiunse con un’occhiata eloquente alla signora Weasley.
Scese ancora il silenzio nella grande cucina, dove tutti si scambiavano occhiate guardinghe.
“Lei è la zia di Christine?” chiese Hermione titubante.
“Si, mia cara”
“Oh…” il viso della ragazza sbiancò all’improvviso.
Molly intervenne per cercare di smorzare l’imbarazzo e distrarre Karin dal viso pallido di Hermione.
“Ehm, gradisce una tazza di tè?”
“No, la ringrazio” Karin fece vagare gli occhi tutto attorno, poi il suo sguardo si fermò su Severus.
“Non sono una sciocca, nonostante non abbia i tuoi straordinari poteri”
“Karin, siediti, per cortesia”
“No, Severus. Sono piuttosto preparata, in verità. Ma voglio sentirlo uscire dalla tua bocca”
La donna sapeva. Del come, non ne aveva idea, ma sapeva che c’era qualcosa che non quadrava. A Karin Anders sfuggivano davvero poche cose.
“Christine è stata rapita” disse Severus con tono calmo.
Tutti trattennero il respiro e fissarono con tanto d’occhi la signora Anders. Ma lei non si mosse. Rimase immobile nel mezzo della cucina a fissarsi con Piton. Non un muscolo del suo viso si contraeva.
“E immagino che tu sia la causa”
La sua voce era rabbia palpabile, ma faceva ancor più paura perché non gridava.
Si avvicinò piano a lui, che non rispose.
“Vorrei prenderti a schiaffi, Severus Piton. Lo sapevo che non dovevo permetterle di venire da te. Se non avessi fatto a Elisabet quella promessa, Christine ora sarebbe a casa, al sicuro!”
“Hai ragione” mormorò Piton che, incredibilmente, abbassò lo sguardo davanti a quella donna all’apparenza fragile e indifesa.
Ma Severus conosceva Karin. Nel periodo in cui era stato convalescente a casa di Elisabet e suo padre, la zia veniva spesso ad aiutare la nipote con le medicazioni che servivano al giovane dai capelli neri.
A Karin, Severus non era mai piaciuto. Non seppe dire perché, fu antipatia al primo sguardo.
Lui, dal canto suo, non poteva certo dire di adorarla, anche perché erano praticamente due estranei.
“Continuavo a ripetere a Christine di stare attenta, e avevo ragione. Lo sapevo che prima o poi sarebbe successo qualcosa. Da quando mi ha parlato di quegli strani uomini dai mantelli neri, gli stessi che erano già venuti a casa nostra”
“Quali uomini?” chiese Piton aggrottando le sopracciglia.
“Maghi. Adesso che conosco la verità so chi erano. Sono venuti qualche settimana fa a Uppsala. Non so cosa cercavano. Successe anche quando Christine era piccola. Bussarono alla nostra porta cercando qualcuno. Cecavano te”
“Me?”
“Si, Severus, te. La prima volta almeno. Ora, presumo, si siano messi sulle tracce di tua figlia”
Lei lo accusava, ma lui non sapeva di cosa stava parlando. Non aveva mai saputo nulla di simile da Christine.
“Karin, devi spiegarmi meglio questa storia, perché non ho idea di cosa tu stia parlando”
“Ah no?" disse lei sarcastica, e per nulla convinta. “Va bene, parliamone. Ma sappi che se non riavrò indietro mia nipote, se le è successo qualcosa, Severus Piton, io ti ucciderò con le mie stesse mani”
 

 
 
 
Mi sono discostata un attimo dai personaggi principali per introdurne altri che prenderanno abbastanza piede nella storia, anche se non è ancora il loro vero momento. Sto parlando dei Malfoy.
Mi sono sempre immaginata Narcissa come una moglie devota e una madre amorevole, invece Lucius, credo sia tutto il contrario di lei, benché voglia ugualmente bene al figlio, ma in un modo tutto suo.
Dovevo fra apparire Voldemort in questo capitolo, perché nella prima stesura di questa storia, il numero 17 era totalmente diverso. Però mi sono accorta che devo dilungarmi un poco di più per approfondire i caratteri di tutti. I ruoli, le sfaccettature, la crescita dei personaggi, sono importanti. Non è facile come sembra, perché non voglio uscire troppo da quello che sono in realtà.
Fans di Voldemort, pazientate ancora un poco. Tornerà, vedrete. Eccome se tornerà! ;-) Presto non ve ne libererete più!
Spero che il capitolo non vi abbia annoiato, aspetto commenti.
Ringraziamenti a:

Allice_rosalie_blak, Aylas, bimba3, Blankette_Girl, chiara53, coccinella75, Eleonora2307, Faith18, foffia, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, Ladyhawke25, Lady_Storm, Latis Lensherr, laurana, LenShiro, namina89, Phoebhe76, Pollon0874, rum43coach e zackaide.
Un bacio a tutti voi e grazie!
By Usagi^^

  

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Capitolo 19
*** Capitolo 18: La promessa ***


Capitolo 18:
La promessa

 
 Lo aveva seguito senza esitare un solo istante. Aveva preso la sua mano e si era fatta condurre da quell’uomo…ma era un uomo? Di certo era un essere mandatole da qualcuno, che fosse uomo, voce, ombra, o angelo.
Attraversarono un lungo corridoio con muri di pietra, illuminato solo da candelabri appesi alle pareti.
Nella semi oscurità, Christine non riusciva a scorgere dettagliatamente i contorni del suo viso, sempre coperto dal largo cappuccio, ma giurò di scorgere bagliori scarlatti al posto dei suoi occhi, quando lui si voltava indietro come per assicurarsi che lei lo stesse seguendo.
Ma come poteva non farlo?
Le teneva la mano in una salda ma gentile presa. La guidava attraverso quel labirinto che assomigliava tanto ad un sotterraneo. Non capiva ancora com’era stato possibile, ma lei aveva attraversato la parete solida dello specchio, per poi trovarsi a vagare in quella specie di strano sogno. Come quello che faceva sempre. Solo che, stavolta, era sveglia.
Non dissero una parola per tutto il tragitto. La ragazza era incantata, ipnotizzata dalla figura scura che camminava davanti a lei. Un’ombra nelle ombre. Christine non guardava nemmeno dove metteva i piedi, tanta era la sicurezza che provava in quel momento. Lui sapeva benissimo dove la stava portando e la fanciulla si faceva guidare.
Lo fissava e basta, con milioni di domande in testa, ma attese che si fermassero, per paura di disturbarlo in qualche modo.
Christine si chiese come avrebbe potuto ritrovare la strada di casa, come sarebbe tornata indietro. Ma il pensiero l’abbandonò, perché in quell’istante, il tunnel finì e una nuova fantastica sorpresa si aggiunse alle altre.
Sentì uno strano peso invaderle il petto, le sembrò per un momento di non respirare, poi il paesaggio cambiò.
La galleria terminava sbucando in un giardino grandissimo, forse un cimitero, perché Christine, voltandosi intorno, vide le lapidi e le statue. Come ci erano arrivati?
“Dove siamo?” chiese in un sussurro.
Vedeva un sentiero risalire la collina dove svettava una bella dimora antica.
“Qui siamo nelle mie terre” rispose l’uomo con voce calma. “Quaggiù nessuno potrà toccarti e aggredirti” il suo volto brillò bianco e scarno nella luce della luna.
Christine ebbe un fremito, e la sua esclamazione riecheggiò nella notte. Liberò la sua mano da quella di lui istintivamente.
“Perdonami” mormorò lui, calandosi meglio il cappuccio sul volto e riprendendo a camminare.
Lei lo seguì a poca distanza.
“Tu…chi sei?” chiese Christine senza poter più aspettare.
L’altro fece un lieve movimento come se volesse voltarsi, ma lo fece solo per metà, in modo che lei non fosse costretta a vederlo.
“Tu sai già chi sono, Christine. Io sono colui che a lungo hai cercato”
“Sei davvero l’Angelo della Musica?”
“Tu mi hai chiamato a te, e io sono giunto. Ho faticato per trovarti”
Io ti ho chiamato?” chiese la ragazza incredula. “No, non è possibile. Non sono in grado”
“Col tempo capirai”
Egli allungò un braccio e le porse nuovamente la mano. “Vieni. Non devi temermi. Non voglio farti del male”
Christine non poteva ignorare la sua richiesta. Doveva sapere se era realmente chi credeva che fosse. Voleva seguirlo.
Uscirono in fretta dal cimitero e percorsero un sentiero in salita, verso la villa che dominava il camposanto. Era consumata dal tempo, probabilmente disabitata da anni e anni.. Vi entrarono e allora lui le lasciò la mano.
Le dava ancora le spalle. Lei lo vide alzare una mano guantata di nero e con un sol gesto accendere poche deboli luci.
“Mi temi, Christine?”
La fanciulla continuava a guardarlo. “No”
Egli chiuse gli occhi e sentì che era vero. Non mentiva.
“Tu sei l’uomo del mio sogno, vero? Come sai il mio nome?” chiese Christine andandogli incontro e girandogli attorno per poterlo guardare, paura o meno.
Ci fu un lungo silenzio, poi lui parlò, con un tono dolce e profondo.
“La piccola Lottie pensava a tutto e a niente. Era una dolce bambina con l’animo puro, i capelli color del sole e gli occhi come due laghi azzurri del nord”
Il volto di teschio brillò sinistramente, gli occhi dardeggiarono, ma stavolta la fanciulla non si ritrasse, non provò brividi di paura, tanto era lo stupore nel sentire le parole pronunciate dall’uomo sconosciuto. Stava ripetendo a memoria la favola di Elisabet e questa era una rsposta più che concreta.
“Era tenera con sua madre” continuò Christine, con emozione.
“Premurosa con la sua bambola” disse lui.
“Adorava ascoltare il nonno suonare il violino”
E poi, le loro voci, insieme, pronunciarono le ultime, magiche parole.
“Ma quello che amava di più, era ascoltare, mentre si addormentava, l’Angelo della Musica”
Un lieve sorriso si aprì su quel poco di viso che Christine riusciva a intravedere da sotto l’ampio cappuccio.
Il cuore della ragazza cominciò a battere forte. Un sorriso radioso si aprì sul suo bel viso.
Era lui! Era veramente lui! Sua madre aveva mantenuto la promessa.
“Tu credi davvero in me, Christine?” chiese l’angelo avvicinandosi un poco di più.
“Si!” esclamò lei con gli occhi luminosi di commozione “Ho sempre creduto che saresti apparso”
“Non ti chiedi perché io abbia questo aspetto spaventoso?”
“No” sussurrò Christine. “Non mi interessa”
Qualcosa accadde allora, nel volto di morte. Un’espressione attonita, confusa, disorientata. Sembrò più umano di ciò che appariva.
A lei non importava. Lui aveva creduto diversamente. Si era sbagliato.
“Tu sei venuto  nel momento in cui avevo più bisogno” disse la ragazza avvicinandosi ancora. “Forse ti immaginavo in modo un po’ diverso, è vero, ma se sei tu -io credo che sei tu- allora non ho paura!”
“Gli angeli hanno questo aspetto, secondo te?” chiese lui, divenendo d’un tratto ostile.
“Non lo so. Ma che importanza ha?” rispose la ragazza spegnendo il suo sorriso.
“Piccola, dolce, ingenua Christine”
E il nome di lei sembrò riecheggiare per il grande atrio in cui si trovavano.
Christine…Christine…
“Tu hai un cuore che gli uomini definiscono grande. Io sento cosa provi. Tu vuoi credere a quello che sogni”
“Questo è un sogno, allora?” l’espressione della fanciulla divenne triste all’improvviso.
“La notte aumenta l’immaginazione. Le cose che vediamo nel buio non sempre ci appaiono per quello che sono”
Christine ascoltava, rapita da ogni sua parola.
“Ma tu devi vedere per credere? O hai fiducia anche in ciò che non puoi toccare?”
L’Angelo allungò una mano e prese ancora quella di Christine tra le sue, portandosela alle labbra, poi la allontanò, delicatamente, ma senza lasciargliela.
Lei, immobile, estasiata, sentiva un vortice di emozioni inspiegabili invaderla.
“Nel buio è facile fingere e ingannare. Ma i tuoi occhi potranno vedere la verità se lascerai che la tua mente si apra su un nuovo mondo. Un mondo che non hai mai neppure sognato. Chiudi gli occhi Christine” sussurrò dolcemente.
Lei li chiuse e sentì che lui si portò il palmo morbido contro il suo viso dai lineamenti duri e spigolosi.
“Non temermi” e anche l’Angelo chiuse gli occhi.
Fu strano vedere con gli occhi della mente. Capire come lui si beasse di quel contatto. Il contatto di una cosa viva contro la sua pelle di morto.
Senza accorgersene, si avvicinarono di più l’uno all’altra. Egli sfiorò senza toccarli i capelli soffici di Christine, ricordando la sensazione che aveva provato la prima vota che le lunghe dita bianche si erano posate su di essi.
Gli occhi rossi si aprirono di scatto.
Che cosa stava accadendo? Che cosa gli stava facendo?
L’allontano da sé, piano, ma con fermezza.
Christine riaprì gli occhi confusa. Che cosa era successo? Quanto tempo era passato?
Provò ancora un lieve brivido guardando direttamente negli occhi di brace dell’Angelo, ma si stava già abituando al suo strano aspetto.
“C’è un motivo per cui ti ho portata qui” disse lui dopo un po’. “Ho bisogno che tu rimanga con me per un po’”
La ragazza si allarmò a quelle parole.
“Perché?”
“Ho bisogno del tuo aiuto” disse lui con tono grave. “Vedi, questo non è il mio vero aspetto”
“E come posso aiutarti?” chiese incerta.
“Lo saprai presto. Ma adesso, dolce Christine, è ora che riposi”
La ragazza stava per replicare che non voleva, aveva moltissime domande da fargli, ma prima che potesse parlare, l’Angelo, sorridendo, alzò una mano che mise davanti al viso di lei e la fanciulla si abbandonò subito al sonno.
Voldemort l’afferrò e la prese tra le bracca, trasportandola su per la scalinata che portava al piano superiore di casa Riddle. Aprì, con la sola forza del pensiero, la porta di una camera sontuosamente arredata. Stese Christine sul grade letto a baldacchino, piano, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Con il guanto nero che ricopriva la laidezza delle sue mani, accarezzò il profilo di quel volto color delle rose. Poi tirò le cortine del letto, chiudendola dentro quel soffice e caldo giaciglio.
“Buona notte, mio dolce angelo” sussurrò prima di lasciare la stanza.
 
*
Karin ricordava perfettamente quando la signora Anny Larsen, la madre di Meg, aveva raccontato di strani uomini che facevano il giro delle campagne attorno a Uppsala.
“Cercano un uomo” mormorò spaventata alla porta di casa Anders.
Lo sguardo delle due ricadde sulla figura di Elisabet, che scendeva le scale in quel momento.
“Che succede?” chiese la giovane donna.
Le altre due si guardarono allarmate, poi Anny entrò in casa.
“Liz, sei in pericolo!”
“Cosa?”
Anny fissò gli occhi in quelli azzurri dell’altra. Era la sua migliore amica, così come lo sarebbero diventate le loro figlie.
“Hai sentito di quegli strani individui in nero?”
“No. Chi sono?”
Anny cercava di tenere ferma la voce, ma era molto agitata.
“Fanno il giro delle case, Liz, cercano lui” la precedette Karin.
Le due ragazze si voltarono spaventate, ma per due ragioni differenti.
Elisabet aveva capito al volo. Quel ‘lui’ era riferito a Severus. Lo capì anche dal modo in cui gli occhi della zia lampeggiavano.
Anny, che non era a conoscenza del segreto dell’innamorato dell’amica, era più che altro spaventata che potesse succedere qualcosa di spiacevole agli Anders.
“Che cosa farete se si presentano qui?”
Elisabet mise le mani sulle spalle dell’amica, sorridendole rassicurante.
“Ci comporteremo come buone padrone di casa e gli offriremo il tè”
Anny si concesse un sorriso lieve, ma Karin non era dello stesso umore scherzoso.
“Sciocca” esclamò in direzione della nipote. “Credono che Severus sia ancora qui, è evidente”
“Bè, noi non abbiamo nulla da nascondere, tantomeno qualcuno” rispose Elisabet con una stretta al cuore.
Pensare a Sev le faceva male.
“Ma chi è, Liz?” chiese Anny agitata. “Perché viene inseguito?”
Elisabet non rispose. Fu Karin a parlare.
“Una sottospecie di criminale, mi pare ovvio. O non avrebbe mai lasciato la ragazza che diceva di amare con un figlio in grembo”
Anny sentì le mani di Elisabet, poggiate ancora sulle sue spalle, irrigidirsi all’istante. A disagio, le guardò entrambe, poi si scostò dall’amica.
“Sarà meglio che torni a casa, ora”
“Torna presto a trovarci, cara” disse Karin. “Saluta tuo marito e la piccola Meg”
“Certo. E…Liz” chiamò Anny dalla soglia di casa Anders. “Stai attenta”
Elisabet sorrise, ma non appena la porta si fu richiusa, scattò immediatamente verso la zia.
“Non ti permetto di parlare così di Severus, lo sai!”
“Non ha portato altro che guai a questa famiglia. Più lontano sta da noi e meglio è”
“Non puoi giudicare le sue scelte di vita! Tu non sai cos’ha passato!” gridò la ragazza a voce sempre più alta.
“No, non lo so. E non mi interessa saperlo. Non ne ho bisogno”
“Ma certo, perché tu credi di avere già tutto chiaro, vero? Tu non sai nulla zia Karin! Nulla!”
Elisabet era rossa in volto, il respiro affannoso per aver urlato a squarcia gola.
“Non ti fa bene agitarti così, mia cara. Il tuo cuore è malato”
“Non sono così debole”
Karin andò verso la ragazza e allungò una mano cingendole le spalle, ma Elisabet si spostò.
“No, ascoltami” riprese con più calma. “Non puoi giudicare senza prima conoscere, ma sappi, zia, che Severus non è una cattiva persona”
“E allora perché gente di quella risma lo cerca? Questo, almeno, puoi dirmelo?”
“Non sappiamo se sia davvero lui colui che cercano” ribatté Elisabet, risoluta a difendere il suo innamorato.
“Bene. Allora, quando quegli individui busseranno a questa porta, ti lascerò da sola con loro per convincerli di quello che hai appena detto”
Karin la sorpassò e si diresse verso la cucina.
“Non li temo, zia, se è questo che credi”
La donna si voltò verso Elisabet. “Hanno appiccato il fuoco a una casa, uccidendo una bambina”
La ragazza dai capelli biondi si portò una mano al petto, scioccata.
“Se non temi per te stessa, almeno, temi per tua figlia”
 
Christine aveva quattro anni. Era una bambina allegra, vivace, con molta immaginazione.
Parte di questa ‘colpa’ era da attribuire al nonno Mikael, che era solito raccontarle, prima di addormentarsi, le fantastiche e misteriose storie del nord.
Elisabet non era da meno. Era sempre stata un sognatrice, e a sua volta aveva appreso dal padre quanto più si poteva sapere su ogni leggenda scandinava.
Christine somigliava molto alla madre, nei modi di fare, nel sorriso, anche se per certi versi, Elisabet affermava che era come suo padre. La bimba, infatti, sembrava preferire la sola compagnia di Meg, la sua amica del cuore e vicina di casa, e di nessun altro. Era timida, ma tanto dolce e buona. Il nonno diceva che il suo animo era limpido e trasparente come i grandi laghi che stavano lassù, ai più alti confini del mondo.
In un giorno particolarmente freddo, la piccola dai ricci capelli castani, se ne stava affacciata alla finestra della sua camera, seduta su una sedia a dondolo che era stata di nonna Anders, muovendo avanti e indietro le gambe penzoloni, perché era ancora troppo bassa di statura per stare seduta come si deve.
Il padre di Elisabet entrò in quel momento con due tazze di tè bollenti.
“Che fai qui, Chris?”
Lei voltò il capo sospirando. “Niente. Mi annoio”
“Perché non vai da Meg? Sono certo che vi divertireste un mondo a giocare con la neve”
“Non posso, è malata. Volevo andare a trovarla, ma la mamma non vuole, e la zia Karin dice che prenderei una febbre da cavallo”
L’uomo annuì sedendosi sul letto della nipotina, appoggiando le tazze sul comodino.
“Bè, hanno ragione”
Christine saltò giù dalla sedia. “Nonno Mikael, mi racconti una storia?”
Lui la guadò e le sorrise. “Vuoi che ti legga un libro, o preferisci una delle mie?”
“Una delle tue!” esclamò la bambina saltandogli in braccio e accomodandosi sulle sue ginocchia.
Passarono così il pomeriggio, mentre fuori la neve cadeva fitta e lenta.
Sulla strada che si allungava lungo le campagne fuori da Uppsala, risaliva un gruppo di cinque uomini.
Anche nell’oscurità, le loro figure erano ben visibili, poiché indossavano lunghi mantelli neri con cappuccio, e le strade attorno alle fattorie erano totalmente e coperte di bianco.
Per giorni avevano vagato per quel paese, setacciandolo da cima a fondo, e infine erano arrivati alla città di Uppsala, dove le loro ricerche li avevano guidati. Erano diretti all’unica abitazione che non avevano ancora visitato. Le luci della casa erano accese, dal comignolo usciva del fumo.
Arrivarono alla porta silenziosi come fantasmi. La loro intenzione non era uccidere, solo trovare ciò che cercavano.
Quello che poteva essere il loro capo, suonò il campanello.
“Phua! Babbani!” disse uno degli altri dietro di lui, sputando a terra.
Il viso di una donna sulla cinquantina si affacciò alla finestra del pian terreno, scostando la tendina di pizzo. La sua espressione, all’inizio perplessa, si fece immediatamente ostile, e non era cambiata quando aprì la porta.
L’uomo che stava davanti a tutti si abbassò il cappuccio. Aveva capelli biondi, lunghi fino alle spalle, occhi azzurri.
Karin lo guardò di sotto in su. “Si?”
L’uomo sfoderò un sorriso affettato.
“Buonasera madame, mi perdoni se la disturbo. Abbiamo l’ordine di perquisire tutte le case di questa zona. Non vorrei allarmarla, ma c’è un pericoloso criminale in libertà, e la sicurezza dei cittadini deve essere tenuta sotto controllo”
Lui e Karin si fissarono a lungo.
“Siete della polizia?” chiese lei a un tratto, secca e sicura.
“Mi rincresce, ma non sono autorizzato a dire niente”
“Allora sono spiacente, ma sono costretta a chiedere a lei a ai suoi compagni di andarsene. Io non so chi voi siate”
Karin fece per chiudere la porta, ma la mano dell’altro la bloccò con una forza incredibile.
“Ah, non credo sia possibile. Il fatto è, temo, che lei e la sua famiglia dobbiate rispondere ad alcune nostre domande”
 “E su che cosa, se mi è concesso chiederlo?” chiese sarcastica.
Elisabet, sulla soglia della cucina, osservava la scena con il cuore in gola.
 “Signora, forse lei non comprende la gravità della situazione” 
Karin alzò un sopracciglio squadrandoli di nuovo da capo a piedi, indugiando più volte sulle lunghe maniche e il cappuccio dello strano mantello.
“Avete delle strane divise”
L’uomo le sorrise di nuovo. “Fa molto freddo, signora”
“Va bene, va bene. Che cosa volete?” tagliò corto lei.
“Cerchiamo un uomo. Dalle informazioni di cui siamo in possesso, abbiamo potuto dedurre che sia passato da queste parti qualche anno fa. Si è macchiato di crimini molto gravi, e potrebbe essere possibile che si rifaccia vivo. Avrà sentito di quello spaventoso incendio”
“Si, purtroppo si”
“Temiamo sia opera sua”
Elisabet si portò una mano alla gola sentendosi soffocare.
No, non poteva essere! Non il suo Severus. Nemmeno se fosse stato costretto dal suo padrone in persona. Non l’avrebbe fatto, ne era certa.
Gli occhi dell’uomo biondo si posarono su di lei.
“Forse la ragazza sa qualcosa”
Karin si voltò allarmata, ma rimase immobile sulla porta per non lasciare entrare quegli uomini. Non voleva che mettessero un piede in quella casa.
“Il criminale in questione” riprese l’uomo, sempre guardando Elisabet, “risponde al nome di Piton. Severus Piton”
Karin dava le spalle ai cinque uomini, e loro non poterono vedere quando rivolse una sguardo di puro terrore alla nipote. Ma Elisabet rimase immobile, senza, all’apparenza, celare alcuna emozione. Ma dentro era scossa da un brivido irrefrenabile.
“Non ha mai sentito questo nome, signorina?”
“No, mai” rispose Elisabet, scuotendo piano il capo. Si augurò di essere stata abbastanza naturale.
“Vi prego di andarvene, signori” disse Karin molto in fretta. Il tono della sua voce tradiva l’impazienza
“Ne è sicura?”
Lo sconosciuto fece un passo avanti e Elisabet ne fece uno indietro, benché si trovassero ad alcuni metri di distanza.
Lui strinse gli occhi e la fissò sospettoso. La giovane nascondeva qualcosa.
“Signorina, lei capisce, vero, che se si scoprisse che nascondete un assassino in casa, voi e la vostra famiglia passerete momenti difficili?”
“Non conosco nessuno con quel nome. La prego di non insistere” disse Elisabet sempre più agitata.
“Sene vada” esclamò Karin. “Tutta questa agitazione non fa bene a mia nipote”
“E’ malata?”
“Non sono affari suoi!”
“Signora, con il suo atteggiamento scontroso non otterrà nulla”
“Nemmeno lei se continua a insistere! Noi non sappiamo nulla, non nascondiamo nessuno, e non abbiamo mai sentito parlare di questo Piton”
L’uomo biondo fissò ancora Elisabet, che incapace di guardare oltre in quegli occhi chiari e accusatori, distolse lo sguardo.
“Allora non avrete nulla in contrario se perquisiamo la casa”
“Voi non perquisirete proprio nulla!” gridò Karin.
Lei e Elisabet pensarono alla stessa, medesima cosa: Christine. Qualcosa diceva alle due donne che non dovevano assolutamente vederla. Quegli uomini sospettavano già più del dovuto. Erano a un passo dalla verità.
Karin non sapeva, ma Elisabet si. Erano maghi, senza ombra di dubbio. Cercavano Sev, che probabilmente aveva abbandonato quelli che venivano chiamati Mangiamorte. Glielo aveva giurato. Aveva promesso che non appena avesse sistemato le cose con loro sarebbe tornato a prenderla.
Ma certo, era chiaro! I Mangiamorte volevano vendicarsi di Sev per averli abbandonati. Forse stava già tornando da lei, e quegli uomini che ora stavano sulla soglia di casa sua sapevano già dove si sarebbe recato. Erano in pericolo. Specialmente Christine.
“La ragazza sembra star male, non dovrebbe occuparsi di lei?”
Karin seguì lo sguardo del suo interlocutore. Elisabet era pallida come un cadavere. Gli occhi azzurri spalancati.
“Va di sopra, cara. Và!” e la fissò come per comunicarle mentalmente di raggiungere immediatamente la figlioletta.
“Io non credo che la biondina ce la racconti giusta” disse sprezzante un altro degli uomini alle spalle del biondo.
“Ho detto che non potete entrare!”
“Mamy?” chiamò una vocina dalle scale.
Gli sguardi di tutti, interessati o spaventati, si posarono sulla bambina dai capelli castani.
“Tesoro, và di sopra!” esclamò immediatamente Elisabet, raggiungendola più in fretta che poté.
“Perché urlate?”
“Amore, vai in camera, immediatamente!”
L’uomo biondo fece un passò avanti, eccitato, ma Karin allargò le braccia e le potrò ai due lati della porta bloccando il passaggio.
“Andatevene! Fuori di qui! Subito!”
E mentre Elisabet sospingeva la figlia al piano di sopra, per una frazione di secondo, gli occhi scuri di Christine incrociarono quelli color ghiaccio dell’uomo dal mantello nero.
La bambina si strinse alla madre, spaventata, perché lui la guardava come se volesse trapassarla da parte a parte con il suo sguardo malefico.
“FUORI!” gridò Karin per l’ennesima volta, riuscendo finalmente a chiudere la porta di casa. Girò la chiave due volte, e mise il chiavistello.
“Ma che cosa succede?” chiese Mikael apparendo dalle scale.
“Zia Karin” disse Elisabet “porta di sopra Christine con te. Devo parlare con papà”
Mikael assunse un’espressione molto preoccupata.
Karin prese in braccio la nipotina e rivolse alla nipote e al fratello uno sguardo truce.
“E immagino che non mi direte nulla di quello che vi frulla in testa, dico bene?”
“Perdonami, zia” implorò Elisabet davvero dispiaciuta.
“Oh, fate come volete!” sbottò, marciando su per le scale.
“Chi erano quelle persone?” chiese la piccola Christine.
La zia le rivolse un sorriso rassicurante. “Nessuno cara. Nessuno...”
 
Karin si portò una mano al viso, mentre Severus percorreva avanti e indietro la camera di Christine.
“Dopo quell’episodio, Mikael e Elisabet decisero che era meglio andarsene per un po’. Passammo le vacanze di Natale insieme ai Larsen, lontano da Uppsala. Credemmo che fosse la cosa migliore sparire per un po’, e così fu, in effetti” Karin sospirò. Poi, il suo tono di voce divenne astioso. “Elisabet era più che convinta che tu stessi tornando, ma sono passati alti anni e tu non ti sei più presentato”
“Non potevo tornare, Karin”
Lei sbuffò sprezzante. “Certo! Questa è la classica, patetica scusa”
“Tu non sai veramente com’è andata!”
“Oh, si che lo so. Hai semplicemente pensato che fosse molto più semplice così. Non hai mai avuto intenzione di tornare da lei”
“Non è vero, e lo sai. Sai che l’amavo…e che la amo”
Il volto di Severus traboccava di dolore. Stava perdendo tutto. Prima Lily, poi Elisabet, ora Christine.
Karin rimase disorientata “Non metto in dubbio tutto ciò, ma ti sei mai anche solo preoccupato di sapere come stava?”
“Karin, se l’avessi fatto, sareste stati tutti in pericolo. Non potevo tornare. E inoltre, credevo foste stati tutti uccisi”
La donna si alzò dal letto dov’era stata seduta per tutta la durata del suo racconto.
“Chi ti disse ciò?”
“Quando seppi che l’incendio che scoppiò in paese aveva ucciso tutti gli abitanti, credetti che anche lei fosse morta quel giorno. Tornai per accertarmene, e difatti non c’era più nessuno”
Karin si mosse a disagio.
“Ma noi eravamo in salvo. E’ vero che morirono in molti, ma la nostra famiglia, con pochi altri superstiti, si salvò”
“Vi ho cercato, ho chiesto in giro, ma nessuno sembrava sapere nulla. Io non potevo stare troppo a lungo lontano dall’Inghilterra, per cui non tornai mia più in Svezia. E non seppi mai niente. Né che Elisabet fosse ancora viva, né che aveva avuto una bambina”
“Oh, Severus” esclamò la donna commossa. Per la prima volta gli rivolse uno sguardo comprensivo, poggiando una mano sulla sua spalla.
“Dovrò dirti tutta la verità, prima o poi” sospirò stanco Piton.
“E’ il minimo” rispose lei ritornando al suo solito modo di fare austero.
Per un istante, Severus pensò se tutto fosse stato diverso. Se fosse tronato, se avesse tenuto fede al giuramento che aveva sperato fino alla fine di poter mantenere. Sposare Elisabet, crescere Christine insieme a lei.
“Ti voglio fare una promessa Karin” disse Piton molto serio, lasciandola piacevolmente perplessa. “Ti riporterò Christine. Fosse l’ultima cosa che faccio”
 
 
 
 
Salve cari lettori, come state?
Dalle ultime modifiche che sto apponendo a questa storia, ho idea che verrà piuttosto lunga, molto più della prima stesura. Spero ne siate felici quanto me!
Gli ultimi avvenimenti renderanno felice soprattutto una lettrice, lo so! XD
Per il primo pezzo del capitolo mi sono aiutata con la stupenda canzone “The Music Of The Night” ovviamente dal musical “Il Fantasma dell’Opera” (ma va? Direte voi XD). Lo so, sono fissata con questo film, ma è così bello, che volete farci? <3
Recensite in tanti e fatemi pubblicità occulta!   ^.^
Un grazie a:

Alice_rosalie_black, Aylas, bimba3, Blankette_Girl, chiara53, coccinella75, Eleonora2307, Faith18, foffia, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, Ladyhawke25, Lady_Storm, Latis Lensherr, laurana, LenShiro, namina89, Phoebe76, Pollon0874, rum43coach e zackaide.
Un bacio a tutti e alla prossima!
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Capitolo 20
*** Capitolo 19: L'angelo e il demone ***


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by UsagiTsukino010
 


Capitolo 19:
L’angelo e il demone

 
Quando si era svegliata, tutto era ancora vivido nella sua mente. Ricordava gli avvenimenti della notte precedente come un sogno molto strano, fatto di ombre e luci che si alternavano, della voce dell’uomo che le parlava come un angelo, o la voce dell’Angelo che le parlava come un uomo.
Non ancora del tutto conscia di dove si trovasse, si era messa a sedere sul letto e aveva scostato i tendaggi del baldacchino.
La camera da letto le si era presentata in tutta la sua magnificenza. Una grande finestra faceva entrare la luce del sole a illuminare il lucido pavimento scuro, la mobilia elegante, di legno antico. L’enorme armadio e la cassettiera di fronte al letto a due piazze, assomigliavano i qualche modo alla fattura di quelli di casa Black, ma al contempo apparivano molto più ricchi e finemente decorati.
Christine scese dal letto e poggiò i piedi su un morbido tappeto, accorgendosi solo in quel momento di avere addosso ancora la camicia da notte. Non poteva certo presentarsi così.
Andò verso il grande armadio ma lo trovò vuoto.
Si guardò attorno, incerta. Poco lontano, vide una seconda porta, che aprì. Scoprì in questo modo che, adiacente alla stanza da letto, vi era un piccolo bagno privato, dotato di tutti i comfort che avrebbero potuto servirle. Ma non c’erano abiti.
Rigirandosi, notò allora una vestaglia bianca appoggiata sulla sponda del letto. L’afferrò e vi si avvolse pensando che fosse meglio di niente.
Senza indugiare oltre, camminò verso la porta e abbassò la maniglia.
Per una frazione di secondo credette di trovarla chiusa a chiave, invece era aperta.
Si incamminò per il lungo corridoio, al quale si affacciavano le porte di decine di stanze. La villa era molto grande, piena di passaggi e curve, che per il momento, la ragazza trovò saggio non esplorare. L’ultima volta che aveva avuto a che fare con accessi sconosciuto, non era andata a finire bene. L’Angelo però le aveva assicurato che lì nessuno l’avrebbe aggredita. Lei gli credeva. Se lui era l’Angelo promesso dalla madre, non doveva temere e doveva fidarsi. Questo, almeno, era quello che le diceva il suo cuore.
Scendendo nell’atrio, notò anche come la casa sembrasse diversa dalla sera prima. Non appariva più rovinata, decadente. Era una dimora elegante, con tappeti di velluto deposti sulle scale, quadri dipinti a olio, statue e meravigliosi soprammobili. Anche il giardino, che circondava tutti e quattro i lati della villa, non era più infestato dalle erbacce, ma ben curato e rigoglioso.
Magia, pensò lei. Non poteva essere altrimenti. A meno che, come le aveva detto l’Angelo, la notte non avesse giocato strani scherzi alla sua vista, facendole apparire tutto molto strano e sinistro, quando invece non lo era mai stato.
Ad ogni modo, tutto questo la affascinava, al contrario di quello che aveva detto suo padre a proposito delle altre persone comuni, che erano spaventati al solo pensiero che potesse esserci nel mondo qualcuno in grado di compiere magie e incantesimi.
Papà…
Pensò la ragazza con una morsa a stringerle il cuore.
La razionalità fece capolino nella sua mente, risvegliandola un poco dal sogno ad occhi aperti al quale si stava abituando pian piano.
Anche se era attirata dal mistero di questa strana vicenda di cui era partecipe, cosa la assicurava che non fosse tutta una trappola ben architettata, un sistema dettagliatamente studiato dei nemici di suo padre per indurlo a uscire allo scoperto?  Perché Christine sapeva che Severus la stava cercando, e non osava immaginare la sua preoccupazione nel non trovarla al suo posto, dove l’aveva lasciata.
Divisa tra i dubbi e le incertezze, raggiunse il grande atrio e lì si fermò. Dove poteva essere l’Angelo? Ma la risposta arrivò con il suono della sua voce.
“Buongiorno, mia cara”
Christine si volse e lo vide finalmente alla luce del giorno. Portava ancora il cappuccio calato sul volto, le mani dietro la schiena, avvolto in un mantello verde scuro.
“Hai dormito bene?”
Christine si sentiva ancora intimorita da quel figuro ammantato.
“Si, grazie”
“Vieni”. La sua voce era gentile, ma sembrava averle impartito un ordine nascosto sotto la cortesia.
La condusse per un altro corridoio e poi dentro una grande sala da pranzo, dove, sopra un lungo tavolo di legno lucido, c’erano le più svariate leccornie.
“Hai fame?” chiese lui indicando con la mano la tavola imbandita.
Christine, gli occhi palesemente colmi di una sorpresa che a Voldemort non sfuggì, ammise che, si, aveva fame. Le emozioni a cui era stata sottoposta le avevano messo appetito, così sedette a un’estremità del tavolo, l’Angelo dall’altra, uno di fronte all’altra.
La ragazza iniziò a gustare ogni cosa con un senso di soddisfazione, sentendosi già più rilassata a ogni boccone. Poi vide che egli non toccava nulla, ma se ne stava là, i gomiti appoggiati ai braccioli dell’alta sedia, le mani intrecciate. La osservava con interesse.
“Tu, non…” cominciò la ragazza.
“Non ne ho bisogno” disse semplicemente, sorridendo di sbieco allo stupore di lei.
Christine non voleva essere indiscreta, e rifletté a lungo su se fare altre domande o no. Da un lato pensava che fosse meglio aspettare che fosse l’Angelo a spiegarle ciò che l’aveva spinto a portarla lì con lui, ma non poteva fare a meno di cedere alla sua grande curiosità, che la rendeva impulsiva.
“Posso chiederti una cosa?” provò infine, posando coltello e forchetta.
“Prego” rispose l’Angelo sempre fissandola con quegli occhi rossi più del fuoco. “Puoi chiedermi qualsiasi cosa, Christine. A ogni tua domanda, darò una risposta. A ogni tuo dubbio, ti darò certezza. Non ci saranno segreti per te, qui”
Niente segreti…questo la fece sentire più sicura.
“Bè, mi chiedevo se potevo avvertire mio padre di dove mi trovo” disse tutto d’un fiato. “Sarà preoccupatissimo nel non avermi trovato a casa. E sarà anche furioso”
Voldemort la guardò dritto negli occhi con aria critica, cercando di sondare la sua mente, ma non riuscì  a percepire nulla a riguardo del luogo che lei aveva chiamato casa.
Purtroppo, i suoi dubbi erano reali: i luoghi protetti dall’Incanto Fidelius non permettevano di essere scovati nemmeno con la Legilimanzia.
“Mi rincresce, ma non puoi dire a nessuno che ti trovi qui. E nessuno sa che sei qui”
A quelle ultime parole, Christine spalancò gli occhi allarmata.
“Ma io devo dirglielo! Ti prego!”
Lui si alzò e andò verso di lei. Scostò la sua sedia e la fece alzare.
“Christine, ti chiedo di non insistere” disse con la sua voce più persuasiva. “Io ho bisogno di te, mia piccola, bellissima sognatrice. Hoassoluto bisogno del tuo aiuto, e non posso permetterti di andartene”
Alla ragazza sembrò tanto una supplica. Gli rivolse uno sguardo gentile.
“Ma come posso aiutarti? Io non ho nessun potere!” ripeté come la sera prima.
L’Angelo si allontanò un poco da lei. “E’ meglio che prima tu ti vesta. Non è un abbigliamento consono, il tuo” osservò severo.
Christine si osservò abbassando gli occhi sulla vestaglia e le ciabatte da camera.
“Decisamente no”
“Troverai tutto quello che ti serve nella tua stanza”
“Ma nella mia stanza non ci sono abiti!”
L’Angelo rise sommessamente. “Io non ne sarei così sicuro”
Christine aprì la bocca, ma la richiuse subito.
 “Va a controllare e scegli il vestito che più ti piace. Io ti aspetto qui. Abbiamo molte cose di cui parlare”
Scuotendo un poco il capo, ancora non del tutto avvezza a quel genere di sorprese, risalì al piano di sopra facendo le scale di corsa.
Una volta in camera, aprì le ante dell’armadio e rimase senza fiato.
“E’…impossibile” mormorò, ma con un grande sorriso che le si apriva sul volto.
Il mobile era pieno di colori e stoffe diverse. Ce n’era per tutti i gusti e lei non seppe quale scegliere. Li passò tutti i rassegna, sembravano non finire mai.
Infine optò per un vestito molto semplice, color rosa chiaro, dalla lunga gonna leggera di satin, a maniche corte, con una scollatura leggermente accennata. Era privo di ricami, fatta eccezione per la cintura costituita di una fascia della stessa stoffa dell’abito, bianca, che le ornava graziosamente la vita e si chiudeva sulla schiena in un fiocco, le cui code ricadevano per alcuni centimetri.
Si chiese di nuovo se tutto quello che stava vivendo non fosse davvero opera di un sinistro sortilegio. Tanto più che l’Angelo si mostrava più simile a un uomo di quanto avesse creduto possibile. Ma in fondo, che cosa sapeva davvero degli angeli, lei?
Quando scese di nuovo, l’Angelo l’aspettava nella sala da pranzo, ora priva di piatti e cibo.
Christine si chiese chi mai potesse aver provveduto ad apparecchiare e sparecchiare la tavola, ma fu attirata da un gesto della mano scarna dell’Angelo. Solo adesso si accorse che non portava più i guanti della sera prima, così che le sue spaventose mani apparivano proprio come quelle di uno scheletro.
“Vieni. Andiamo fuori” disse lui conducendola in un’altra stanza.
Un salone grandissimo, le cui portefinestre si aprivano su una veranda rialzata. Discesero i pochi gradini di pietra e misero piede sull’erba soffice.
“So che ti piace stare all’aria aperta”
Lei annuì e sorrise, grata per quel piccolo regalo.
“Sono giorni che non esco di casa” ammise.
Sarebbe stato strano per chiunque assistere a una scena simile. Un angelo e un demone fianco a fianco nella luce del giorno.
Lui lasciò che lei si muovesse liberamente per il parco. La guardava, la studiava a fondo.
Si, lei era ciò che gli serviva, più di tutti gli altri. Cresciuta nell’innocenza e nella semplicità, circondata dall’amore e dalla famiglia.
Conosceva già tutto di quella ragazza, e questo era tornato a suo favore per imbastire a pennello la storia dell’Angelo della Musica, favola che aveva indotto Christine a cedere subito a lui. Le sciocche favole babbane potevano tornare utili.
Se fosse riuscito a trattenerla lì quel tanto che gli bastava per avere la sua completa fiducia, sarebbe stato a metà dell’opera.
Ma la ragione non riguardava soltanto il Rito, c’era n’era più d’ una che lo spingeva a volere che Christine rimanesse lì.
Piton era una di queste.
Molti dei suoi seguaci avevano ancora molti dubbi su di lui, ma Voldemort no. Era anche vero, però, che non si era mai troppo sicuri di qualcosa, specialmente nella sua posizione. Traditori e doppiogiochisti erano sempre dietro l’angolo, e così, grazie al suo giovane apprendista, Lazaar, l’idea era nata: rapire la figlia del Primo dei suoi Mangiamorte e studiare il comportamento e le reazioni che egli avrebbe assunto alla notizia della scomparsa di Christine.
La stava cercando, ovviamente, Voldemort ne era certo, ma questo era normale perché lei non era una strega, e Piton ben sapeva l’odio che l’Oscuro Signore nutriva nei confronti dei mezzosangue e simili. La paura che le accadesse qualcosa aveva suscitato in Severus la brama di proteggerla. Ciò era comprensibile, ma quello che a Voldemort interessava era come avrebbe agito.
Sarebbe andato a cercarla aiutato da qualche membro dell’Ordine della Fenice?
Inoltre, Piton non era uno stupido, aveva già sicuramente capito dove avrebbe potuto trovarsi la figlia, ma il fatto di non venire a reclamarla significava che era fedele al suo signore.
Avrebbe dovuto attendere per riaverla, e questo era un altro pretesto per sondare la fedeltà de suo braccio destro. Ma non solo. Avrebbe dato conferma a dubbi riguardanti una parte del tanto desiderato Rito della Giovinezza Eterna.
Aveva bisogno, di ragazzi giovani dal sangue puro e non, e con requisiti particolari. I primi che aveva scelto erano stati i figli dei suoi Mangiamorte poiché avevano in loro il sangue era immacolato come una parte del suo, e poi perché erano la discendenza dei suoi servi.
Poi c’era stata la parte più divertente, ma anche la più fastidiosa: scegliere coloro che erano gli eredi dei suoi nemici. I traditori di sangue, i figli dei suoi peggiori nemici, che avevano osato opporsi a lui e che ancora perseveravano. Ma la parte di sangue corrotto, sangue babbano, che scorreva nelle sue vene per colpa di suo padre, Tom Riddle senior, era una cosa che non poteva ignorare. Per questo gli servivano anche i nati babbani e i mezzosangue.
Ma non era finita. C’era un’ultima cosa da fare, un’ultima pedina da scegliere, che avrebbe guidato a sé le altre e poi fatto innescare il meccanismo di tutto.
All’inizio aveva creduto fosse sempre lui, Potter, ma poi aveva capito che il ragazzo avrebbe avuto un altro ruolo in tutto questo. Non era lui l’innesco del gioco, era qualcun altro. E quando l’aveva vista là, in Church Street, dove si era recato assieme ai suoi amati Dissennatori per assistere allo spettacolo dell’annientamento di decine e decine di Babbani grazie al loro micidiale bacio, aveva capito.
Non aveva poteri magici, nessun tipo di magia, eppure stava allontanando la miriade di creature con la sola forza del suo animo puro e semplice.
Con un insignificante canto di speranza, aveva assistito alla momentanea ritirata dei Dissennatori a carico di una sudicia mezzosangue.
C’era qualcosa di misterioso in lei, di preoccupante, che lui non si era mai preso nemmeno la briga di esaminare e di considerare un potere.
Silente avrebbe detto che era l’amore, ma Voldemort non aveva veduto solo questo.
In quella fanciulla c’erano gioia, speranza, bontà, compassione. Mai aveva percepito tata voglia di vivere in qualcuno. Christine era altruista, semplice e pura.
Questo era l’ultimo ingrediente che avrebbe permesso all’oscuro Rito di compiersi.
Gli serviva un cuore. Lui non ne aveva più uno, o se c’era, ormai era marcio e devastato, e ciò non era ammissibile. Ma quando lo avrebbe avuto, avrebbe potuto tornare a essere del tutto sé stesso.
Ciò non significava rubare letteralmente il cuore di Christine, ma indurla a donarglielo. E la storia dell’Angelo della Musica era il primo passo verso la vittoria.
Se lei avesse giurato di essere per sempre sua, di sua volontà, allora il rito avrebbe potuto compiersi.
Non doveva farla necessariamente innamorare, no, non ce nera assoluto bisogno, ma doveva dimostrare alla Magia stessa di essere degno di rimanere in vita. Che almeno una persona al mondo desiderava la sua vita.
E quale modo migliore c’era di dimostrarlo? Christine non avrebbe mai permesso a nessuno di fare del male al suo amato Angelo della Musica.
Lui le mostrava il grande giardino che girava attorno a tutti e quattro i lati della casa. Presto, però, Christine lo superò e fu lei a guidarlo sul suo stesso terreno, attirata dai meravigliosi cespugli di rose che crescevano rigogliosi. C’erano grandi alberi dalle fronde ondeggianti, sui cui rami gli uccelli cinguettavano e avevano fatto il nido.
C’erano scoiattoli che, di tanto in tanto, saltavano fuori dai cespugli o scendevano a curiosare e subito dopo tornavano ad arrampicarsi sui tronchi.
Sopra una magnolia, due candide colombe tubavano indisturbate.
“Adoro gli uccelli” sorrise Christine. “Per me rappresentano la libertà. Loro possono volare dove vogliono e solcare i cieli. Arrivare dove noi uomini non possiamo nemmeno sognarci”
“Anche tu puoi andare dove vuoi” rispose l’Angelo. “Non sei imprigionata, è bene che tu lo sappia. Tutta la casa e il giardino sono a tua disposizione. Non ci sono stanze proibite, non ci sono luoghi inaccessibili. Tutte le porte sono e saranno sempre tenute aperte”
Christine ascoltava attenta e ben felice di sentirlo. “Nessuna restrizione? Nessun compromesso?” chiese stupita.
“No, anche se un compromesso ci sarebbe”
Voldemort la imprigionò con i suoi occhi rossi, splendenti come braci al sole del mattino.
“Non devi mai uscire dai confini del parco. E’ per il tuo bene”
Lei annuì senza dire nulla.
“So che là fuori ci sono persone che vorrebbero farti del male”
“Si, lo so. Farò come vuoi, però…”
Voldemort attese, ma quando vide che la fanciulla esitava la incalzò.
“Però? Non aver paura, puoi dirmi tutto ciò che vuoi”
“Non ho paura. Non è questo, è che sto pensando ancora a mio padre” disse lei abbassando il capo.
“Quanto dovrò stare qui?”
Voldemort non parlò per qualche secondo, sempre guardandola fissa negli occhi scuri. E successe di nuovo. Un brivido, una sensazione inspiegabile, come una scarica elettrica, quando la brezza si alzò e portò il suo profumo verso di lui.
“Cinque giorni” disse infine il Signore Oscuro voltandole le spalle. “Ho bisogno che tu rimanga qui per questo lasso di tempo, poi potrai tornare a casa da tuo padre…Te lo prometto”
Lei annuì, ma lui non poteva vederla così disse: “Si. Va bene”
“Ma non dovrai dire mai a nessuno di me” disse l’Angelo voltandosi di nuovo, scuro in volto. “Nessuno dovrà mai sapere della mia esistenza”
“Perché?”
“Perché non capirebbero. Non crederebbero”
“Mio padre ci crede. Gli ho parlato di te”
L’Angelo scosse il capo. “No, nessuno deve venire a conoscenza di questo posto”
Suonava proprio come un ordine, e chi era lei per venire meno al volere dell’Angelo?
“Va bene. Non lo dirò a nessuno, se è questo che vuoi”
Lui sorrise soddisfatto, ma Christine non lo vide perché si era voltato di nuovo.
 

 
 
 Rieccomi qua! Come state cari lettori?
Scusate il giorno di ritardo, ma ho avuto un paio di imprevisti, ma come potete vedere, sono riuscita a postare lo stesso molto presto.
Allora, questo capitolo comincia a delineare il complicato rapporto Voldemort/Christine.
(ndUsagi: era ora!!!) Come si evolverà la cosa secondo voi? Eh eh...
Ho spiegato meglio anche il famigerato Rito dell’Eterna Giovinezza, ma non è finita qui, ci saranno altri punti da illustrare.
Nel prossimo capitolo tornerà Severus (per la gioia di molte di voi). Piton alla riscossa! XD e lo farò penare un po’ povero Sev…<3
Ringrazio come sempre tutti quelli che mi seguono e recensiscono:

Alice_rosalie_black, Aylas, bimba3, Blankette_Girl, chiara53, coccinella75, Eleonora2307, Faith18, Femke, foffia, francesca88, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, Ladyhawke25, Lady_Storm, Latis Lensherr, laurana, LenShiro, namina89, Phoebe76, Pollon0874, rum43coach e zakaide.
 

Un benvenuto alle new entry!
Un bacio a tutti voi!
By Usagi^^ 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20: L'inizio del piano ***


Capitolo 20:
L’inizio del piano

 
Non dormiva da quarantott’ore, tanto era concentrato nella sua ricerca.
Due giorni in cui, ininterrottamente, aveva vagato in ogni dove, cercato indizi che non sopraggiungevano mai. Non un briciolo di speranza gli veniva data, non una frase incoraggiante.
Li vedeva, là riuniti al quartier generale, intenti a parlare di qualcosa un secondo prima, e un secondo dopo che lui appariva alla loro vista essi fingevano di fare altro. Lo sapeva, Severus, che nessuno, uomini o donne, ragazzi o ragazze, credeva più che ci fosse una speranza per Christine.
Moody aveva parlato chiaramente, era stato l’unico.
“Ritrovarla sarebbe un miracolo. Ma devi prepararti all’eventualità che non la rivedrai mai più, o al massimo, potresti ritrovarla in chissà quali condizioni. Il meno peggio sarebbe aspettarsi una pazzia permanente come i Paciock, ma almeno la riavresti indietro”
Sapeva che le parole di Malocchio potevano rivelarsi veritiere, e l’ex Auror era famoso per non nascondersi dietro le perifrasi. Se glielo diceva era perché cercava di farlo reagire a modo suo.
Ma Severus non lo accettava. Christine non era così debole, dannazione a loro! Doveva convincersi di questo, o non avrebbe avuto più la forza di andare avanti.
Le poche volte che si fermava nella sua folle ricerca non sostava a Spinner’s End. La sua vecchia casa era ormai stata rimessa a nuovo, ma finiva sempre a casa Black, in una maniera o nell’altra, e vagava con lo sguardo sulla mappa magica che avevano applicato alla parete della cucina di Sirius, sulla quale si muovevano decine di cartigli con nomi diversi. Ma Christine non appariva mai. Era come svanita nel nulla, peggio che morta, perché almeno avrebbe avuto un corpo su cui piangere.
E di tutti i momenti, la notte era il peggiore, quello che sembrava passare più lento. Talvolta, i rintocchi dell’orologio che suonava la mezzanotte, parevano martellate alle sue orecchie. Il piccolo, leggero ticchettio della lancetta dei secondi gli dava sui nervi.
Si volse di scatto e con un deciso movimento della bacchetta fermò la pendola sopra il camino del salotto di casa Black. Un altro giorno era passato, era mercoledì. Christine era sparita la domenica sera.
Severus tornò a guardare il buio inondare la strada. Pensava. Pensava in continuazione a una soluzione che non arrivava mai. Il suo cervello era in continuo movimento, non poteva concedersi  nemmeno un’ora di riposo. Ogni secondo era prezioso. E poi, in questo modo, continuando a tenere la mente occupata, evitava che le immagini peggiori lo assalissero.
Ogni qualvolta smetteva, anche per un solo istante, esse ricomparivano davanti ai suoi occhi senza nemmeno bisogno che li chiudesse, funeste e inquietanti.
Sua figlia in balia di quell’uomo mostruoso, forse richiusa da qualche parte, forse torturata, forse morta.
Era un tormento, ma erano eventualità da non scartare.
Pochi erano coloro che, incontrato il cammino di Lord Voldemort, erano sopravvissuti. Persino Lily, che l’Oscuro Signore non riteneva necessario uccidere, era perita per mano sua solo perché gli aveva sbarrato la strada.
Si era ritrovato a pensare moltissimo alle tre donne che aveva amato più di tutto nella sua vita, specialmente a Lily. I ricordi correvano veloci come lampi abbaglianti nella sua mente stanca e provata dalla mancanza di sonno.
Una volta, aveva pregato Voldemort di risparmiare la giovane strega dai capelli rossi, ed egli aveva acconsentito. Se fosse andato in ginocchio a implorare ora la salvezza della figlia- se era salva- il mago oscuro avrebbe assecondato tale richiesta da parte del Primo dei suoi Mangiamorte?
In fondo, Lily era una babbana di nascita, Christine una mezzosangue. Tra loro, in base alla scala di considerazione che Voldemort aveva degli esseri umani, non c’era differenza. Christine non avrebbe dovuto avere né maggiore né minore valore rispetto a Lily.
Ma c’era da mettere in conto che quest’ultima possedeva poteri magici. A qualche scopo sarebbe potuta servire. Christine no. Christine era la normalità fatta persona. Contava comunque che fosse la figlia di Severus Piton? Il braccio destro del Male?
Non ne era certo. Ma tutto poteva essere.
Oh, se il Dio del cielo avesse ascoltato le sue preghiere! Se davvero, come affermava sempre la sua Christine, Lui ascoltava, allora Severus si sarebbe prostrato per la prima volta in ginocchio, e avrebbe giunto le mani e pregato di restituirgliela al più presto.
Se esisti, ascoltami!Gridò la sua mente.
Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, stringendo nella mano, con forza, un lembo della lunga tenda del salotto.
Non ho mai chiesto niente per me stesso. Te lo sto chiedendo per lei.
“Ti prego” disse con voce sommessa. “Ti prego”
Ci fu un lieve movimento alla porta semi aperta e una voce che lo chiamò piano.
“Professore, mi scusi”
Piton si volse di malavoglia. Non desiderava vedere nessuno, tantomeno parlare.
Richard Thompson lo fissava alla lieve luce della lampada accesa in corridoio. Il giovane dai capelli biondi avanzò anche senza permesso ed entrò in salotto, accendendo un paio di altre luci con la bacchetta.
Severus strizzò gli occhi. Dopo un tempo prolungato al buio, il bagliore dei lumi era fastidioso.
Richard se ne accorse. “Scusi, ma credo che così potremo parlare meglio”
Piton gli voltò le spalle, continuando a guardare fuori. Richard aspettò.
“Parlare di cosa?” chiese infine.
“Di sua figlia”
Severus percorse in pochi istanti la distanza che lo separava dal giovane Auror e si immobilizzò a guardare nei suoi occhi azzurri.
“Cos’è, uno scherzo di cattivo gusto?” chiese furente. Senza nemmeno accorgersene aveva sfoderato la bacchetta.
Richard, con calma, l’allontano scostandola con una mano, ma mai senza distogliere lo sguardo dall’uomo.
“No, parlo seriamente. Io so come possiamo trovarla”
Piton allontanò la punta della bacchetta dal viso del giovane, ma senza metterla giù.
“Sai dov’è?”
L’altro scosse la chioma bionda che gli arrivava alle spalle.
“Purtroppo no, ma ho una vaga idea di come raggiungerla. O almeno, di capire come possiamo provarci”
Piton si stupì di vedere apparire un lieve sorriso sul volto di Thompson, però non lo interruppe, e lo lasciò continuare ascoltando attentamente.
“Kingsley non me lo permetterebbe mai, per questo sono venuto a esporre la mia idea a lei. Perché oltre ad essere coinvolto in prima persona- essendo Christine sua figlia- sono sicuro che mi presterà ascolto almeno un po’ ”
Di nuovo silenzio da parte di Piton.
Richard annuì. “Grazie, professore!”
Severus fece una smorfia. “Non ringraziarmi, aspetta che abbia prima valutato se la tua idea è sciocca o meno”
Ma il ragazzo fece come se non avesse sentito e si lanciò subito nel suo discorso.
“Mi ascolti bene, il piano è molto semplice: dobbiamo solo seguire una persona”
Piton credeva già di sapere cosa sarebbe uscito dalle labbra di Richard, ma lasciò che lui si aprisse in un uovo sorriso prima di pronunciarlo.
“Il giovane mago ricercato dal Ministero”
“Sei ossessionato da questo ragazzo. Kingsley ha ragione a dire che hai sviluppato una vera e propria antipatia per lui”
Richard alzò gli occhi al cielo, spazientito. “Lasci perdere quel che dice King e mi ascolti! So che sembra stupido, approssimativo e tutto il resto, Kinglsey l’ha già ripetuto mille volte, ma io invece penso sia la soluzione più logica! Ci pensi attentamente: questo ragazzo arriva così, dal nulla, ha con sé il medaglione di Salazar Serpeverde, che a detta di Silente serve a Voldemort per i suoi scopi. Non è logico pensare che sia coinvolto nei loschi piani di Voldemort?”
Richard stava parlando molto in fretta per non permettere a Piton di interromperlo nuovamente, e in qualche modo stava anche ottenendo tutta la sua attenzione.
 “Io non ho mai visto ragazzi così giovani al fianco del Signore Oscuro. E non è sicuro che abbia davvero il medaglione. Nessuno lo ha mai visto con quell’oggetto in mano”
“Ma io e Kingsley l’abbiamo visto! Ed era con Christine, al parco…il giorno in cui l’hanno aggredita”
Piton trasalì alle parole di Richard.
“Io ho visto sua figlia con quel ragazzo, professore” ripeté Thompson.
“Hai visto anche il medaglione? Perché in questo caso, Silente deve esserne informato subito”
“No purtroppo” disse Richard abbassando il capo. “So a cosa sta pensando. Abbiamo insinuato che fosse Christine ad averlo, ma forse non è così”
“Adesso non è importante” tagliò corto Piton.
“Già, non è importante” ripeté l’Auror rialzando la testa. “Lo so che non c’è alcuna certezza, ma io sono convinto che sia stato lui a rapire Christine”
“Che prova hai per affermare quello che insinui?” chiese Piton guardando scettico Richard.
“Non ne ho, ma…”
“Basta così. Lo sapevo, la tua è un’idea sciocca e sconclusionata”
Severus fece per muovere un passo verso la porta, ma l’altro lo fermò parandoglisi davanti.
“No, aspetti! E se Christine le avesse mentito a proposito di quel ragazzo? Kingsley ha detto che sembrava alquanto nervosa nel parlare di lui”
“Io lo saprei” disse Severus con sicurezza.
“Ma se avesse ragione Kingsley? Se si conoscessero? Ci pensi”
Severus rifletté molto seriamente sulle congetture di Thompson.
Poteva essere realmente così. In fondo, non  si poteva scartare nessuna ipotesi, era quello che continuava a  ripetersi. Ma perché mai sua figlia avrebbe dovuto tenergli nascosto di conoscere quel giovane?
La risposta arrivò da sola quasi subito: perché Christine era come sua madre.
Elisabet non aveva forse accolto in casa lui, Severus, un perfetto sconosciuto, credendo alle sue parole senza battere ciglio? Non aveva tenuto nascosto a Karin, e inizialmente anche al padre, che lui era un mago? Si, lo aveva fatto. Per cui, Christine avrebbe potuto comportarsi allo stesso modo. Un ragazzo bisognoso di aiuto aveva inventato una storia di qualche tipo e lei era caduta in trappola.
“D’accordo, ammettiamo che sia stata rapita da questo…ha un nome?”
Richard strinse gli occhi in due fessure, irritato. “No, non ancora. Ma lo scopriremo presto se è davvero lui”
“Va bene, ma hai idea di dove trovarlo?”
“Certo! Si ricordi che io e King siamo sempre sulle sue tracce. A volte è difficile capire i suoi spostamenti, è furbo e veloce, ma non è impossibile”
“E se non fosse come dici?”
I due maghi si fissarono negli occhi.
“Si, c’è anche questa da tenere in conto. Ma è una pista, almeno. L’unica che abbiamo”
Piton lo fissò ancora a lungo, tanto che Richard si sentì quasi sopraffatto da quello sguardo nero e impenetrabile.
“Cosa ti spinge a prendere tanto a cuore questa situazione?”
“Sono un Auror. E’ il mio lavoro”
“Sei mosso solo dal senso del dovere, dunque? Oppure, è il fatto che finalmente puoi riuscire a catturare il tuo rivale e godere del meritato successo? Non vedi l’ora di prenderlo, è risaputo da tutti”
Richard si sentì profondamente offeso da quelle parole. Raddrizzò le larghe spalle, assumendo un’espressione determinata.
“Professore, mi creda se le dico che sono mosso dai più sinceri sentimenti verso sua figlia e non cerco la fama, ma solo la salvezza di Christine”
Piton non lo diede a vedere, ma fu molto colpito dalle parole del giovane, che capì, erano sincere.
“Lo so che praticamente non so nulla di lei” riprese Richard abbassando gli occhi. “Ma sarei lieto se mi permettesse di approfondire la mia amicizia con Christine…quando tornerà” aggiunse rapido, cercando di non pensare al peggio.
Passarono ancora alcuni istanti, poi Severus mormorò un lieve “Vedremo” lasciando il tutto in sospeso.
“Allora…accetta la mia proposta?” chiese Richard titubante.
“Voglio solo riportare a casa Christine viva. Il resto non mi interessa”
L’Auror sorrise compiaciuto e annuì. “Certo. Ma dovrà sostenermi quando lo diremo all’Ordine. Non saranno d’accordo”
“Lo credo bene!” esclamò Piton uscendo dal salotto. “Il tuo piano è senza né capo né coda. Dobbiamo rivedere il tutto con precisone”
Richard lo seguì di corsa giù per le scale, senza preoccuparsi di che ore fossero e alzando la voce un po’ troppo.
“Ma non abbiamo tempo da perdere in dettagli!”
“Non possiamo nemmeno buttarci nella mischia senza calcolare i rischi, se è per questo. Cosa credevi, di partire stanotte?”
Richard si bloccò ai pedi delle scale con un’espressione di palese delusione.
“Bè…si”
“Sciocco ragazzino. Abbiamo a che fare con il lato oscuro, te ne sei scordato?”
Piton aprì la porta della cucina e vi trovò solo Lupin, chino sulla sua personale mappa di Londra.
“Ma quel tizio si sposta in continuazione! Non abbiamo tempo!” ripeté per l’ennesima volta Thompson esasperato.
“Oh no, ancora con questa tua assurda idea, Richard?” mormorò stancamente Remus.
“L’assurda idea è stata accettata dal Professor Piton!” annunciò il giovane con orgoglio.
Che cosa?!” esclamò incredulo Lupin alzandosi in piedi. “Severus, non puoi davvero…”
“Se hai un’idea migliore, ti consiglio di esporla” ribatté Piton.
L’altro scosse il capo. “Ma non è sicuro. Non abbiamo una pista sicura su cui muoverci” aggiunse indicando la mappa.
“Che cosa stavi guardando?” Piton si avvicinò all’ex professore di Difesa Contro le Arti Oscure, osservando i nomi che si muovevano sulla pergamena.
“Tonks e Malocchio. Sono di pattuglia stanotte nei pressi di Hogsmeade. Niente di fatto, comunque”
Richard afferrò una sedia e si sedette su di essa al contrario, poggiando gli avambracci sullo schienale.
“Perché non pattugliano Spinner’s End, invece?”
“Perché dovrebbero?” chiese Remus.
Il ragazzo fece un’espressione furba. “Perché l’assassino torna sempre sul luogo del delitto” poi guardò Piton sorridendo. “E’ da lì che cominceremo noi”
 
 
 
 
Save cari lettori!
Il Natale è ormai alle porte e io non vedo l’ora di scartare i miei pacchettini sotto l’albero! :D
Questo capitolo è un po’ più corto degli altri, ma non volevo lasciarvi senza nulla, così ho pensato di mettere ugualmente queste paginette. Volevo farci stare anche Riley ma non ci sono riuscita…T.T
Come al solito, il lavoro mi prende moltissimo e non ho tempo di scrivere come vorrei. Diciamo poi che siamo arrivati quasi al punto di svolta della storia, (forse il rating si alzerà a giallo) e mi sono accorta che la prima stesura non era granché, così devo rileggerla e poi sistemarla come si deve. Non voglio certo deludere chi mi ha seguito fin qui!
Aspetto tante recensioni, mi raccomando! ^^
 
Ringraziamenti a voi tutti:

Allice_rosalie_black, Aylas, bimba3, Blankette_Girl, CarolineEverySmile, chiara53, coccinella75, Eleonora2307, Faith18, Femke, foffia, francesca88, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, ladyhawke25, Lady_Storm, Latis Lensherr, laurana, LenShiro, namina89, Phoebe76, Pollon0874, rum43coach e zackaide.
 
Un bacio a  tutti e un augurio di BUON NATALE!
By Usagi^^
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21: Un'amara sconfitta ***


Capitolo 21:
Un’amara sconfitta

 
Era dunque di nuovo là, dove tutto era iniziato. Munito del consueto mantello scuro indossato per confondersi con l’oscurità della notte. Il colletto alzato, il cappuccio calato sul viso. Chiunque fosse passato di lì non avrebbe avuto sentore di una figura umana appostata all’angolo della via. Severus si trovava in una posizione che lo rendeva invisibile, a meno che non avesse deciso di muoversi e uscire allo scoperto.
Un giorno ancora era trascorso da quando Richard gli aveva esposto il suo piano per salvare Christine.
Un giorno solo il ragazzo era stato disposto a concedergli per pianificare ogni azione che avrebbero compiuto quella sera stessa.
Un giorno per trovare i giusti luoghi in cui nascondersi, i giusti tempi in cui agire e muoversi.
Severus aveva passato ore chiuso nel salotto di Spinner’s End assieme a Richard, illustrandogli ogni angolo, ogni viottolo e scorciatoia del quartiere londinese che il giovane non conosceva, nel quale, invece, Piton si poteva muovere a occhi chiusi.
Thompson aveva a sua volta esposto al professore le informazioni utili che lui e Kingsley erano riusciti a scovare.
I due Auror erano tornati al vecchio albergo dove si erano scontrati con il misterioso ragazzo la prima volta, per chiedere ragguagli al proprietario. Questi, però, li aveva riconosciuti all’istante, e li aveva cacciati in malo modo, affermando di non aver mai più visto il giovane dai capelli neri.
Un’informazione utile l’avevano invece ricevuta dal parroco della chiesa di St. Mary, la stessa dove Christine si recava ogni settimana.
Padre Grey non appena Richard gli aveva fornito una descrizione dettagliata del giovane in questione, aveva confermato con convinzione che si trattasse proprio di lui. Il giovane era stato visto gironzolare lì intono qualche giorno addietro, più precisamente la domenica, lo stesso giorno in cui era sparita Christine. Da allora, tonava al parco tutte le sere intorno alle dieci.
Questo, per Richard, era un inequivocabile fatto: quel tizioera coinvolto.
Invece, i dubbi dentro Severus crescevano ogni minuto che passava.
Che Kingsley avesse ragione? Che sua figlia gli avesse effettivamente mentito sul fatto di conoscere questo ragazzo? Ma se si, perché mai?
Costui possedeva il medaglione di Serpeverde e ciò sembrava preoccupare non poco Silente. Chi era e da dove veniva?
Aveva davvero rapito Christine?
Ma questi misteri si sarebbero potuti benissimo risolvere una volta che sua figlia fosse tornata a casa sana e salva. La priorità era questa ora, benché Silente l’avesse tassativamente data al ritrovamento del medaglione di Salazar.
L’orologio del campanile suonò le dieci di sera. Piton contò i rintocchi regolari fino all’ultimo. Poi, accanto a lui, una figura comparve dal nulla, avvitandosi in un frusciare di mantello scuro e capelli biondi.
Richard Thompson si era appena materializzato.
“E’ arrivato. L’ho visto entrare nel parco vicino alla chiesa”
“Legati quei capelli e nascondili sotto il cappuccio” ammonì Severus con una smorfia contrariata. “Sei troppo appariscente”
L’Auror sbuffò e eseguì estraendo un semplice elastico che portava al polso, mentre seguiva il professore di Pozioni muoversi a zig- zag tra le strette viuzze.
“Volevo essere il più affascinante possibile quando porterò in salvo sua figlia” scherzò con un sorriso sbieco.
Piton si bloccò all’improvviso e si avvicinò pericolosamente a lui, stringendo gli occhi in due fessure scure e minacciose.
“Stammi a sentire, piccolo arrogante. Non ti ho dato nessun permesso di corteggiare mia figlia, non ancora. E se continui su questa strada, mai te lo darò. E’ chiaro il concetto?”
“Chiarissimo, signore” deglutì il giovane, acquistando un postura come se stesse sull’attenti.
Piton indugiò ancora un momento sulla figura alta di Thompson, poi si voltò e ricominciò a percorrere con passo svelto Spinner’s End.
Richard si tirò su il cappuccio e lo seguì a distanza debita. Aveva un certo timore di quell’uomo, non poteva negarlo. C’era qualcosa di assolutamente autoritario in lui che ti faceva abbassare gli occhi ogni volta che ti scontravi con i suoi, così neri e intimidatori, che sembravano leggerti dentro l’animo. Non era certo, Richard, che Piton non lo facesse qualche volta. In fondo era un Legilimens.
Per alcuni minuti non parlarono, il più giovane si limitò a seguire le orme del più anziano, finché non si fermarono in prossimità di un vicolo cieco. Le tre mura di mattoni che lo circondavano erano lisce e prive di finestre. Nessun Babbano avrebbe potuto vedere nulla.
“E ora?” chiese Richard.
“Dietro l’angolo si entra in Church Street” Severus estrasse la bacchetta. “Per prima cosa, chiuderò tutte le strade che portano fuori dal quartiere con un incantesimo. Saremo dentro un cerchio, un’area delimitata dove nessuno potrà entrare o uscire. Non potremo nemmeno smaterializzarci. Mi assicurerò anche che i Babbani non sentano quello che succede al di fuori delle loro abitazioni”
“Sarà in trappola!” sorrise Thompson.
“Si” mormorò Severus.
Sapeva quello che stava facendo, anche se era molto rischioso. Se Richard Thompson aveva ragione e il ragazzo misterioso era alleato di Voldemort, una volta che Piton si fosse fatto vedere, il giovane Mangiamorte avrebbe riferito ogni cosa al suo padrone. Per questo motivo, per la sua copertura, e per l’incolumità dell’Ordine e di Christine, avrebbe dovuto combattere nell’ombra qualora si fosse reso necessario. Il corpo a corpo spettava a Richard, cosa che lo entusiasmava moltissimo, neanche a dirlo.
“Lei è un uomo davvero coraggioso. Silente ha ragione” disse il giovane Auror a un tratto.
Piton si voltò a guadarlo.
“Sta mettendo in gioco una vita di sacrifici. Lei è una spia, e stasera rischia di far cadere la maschera”
“E’ di mia figlia che stiamo parlando. Quando un giorno sarai padre, capirai anche tu” disse Severus sbirciando dall’angolo la tranquillità della strada. “Tu procedi verso l’entrata ovest del parco, io ti raggiungerò da destra” continuò.
Tornò al riparo del vicolo, dove le ombre sembravano più scure. Subito iniziò a far scaturire una lunga striscia trasparenti dalla punta della bacchetta che si mosse verso l’alto, assumendo una forma a spirale, aleggiando con delicatezza sopra le loro teste ed emettendo un suono cristallino quando un'altra striscia lucente la raggiunse e si unì a lei.
Il piano era cominciato.
Richard guardava ammirato l’Incantesimo Imprigionante che il professore di Pozioni stava attuando, mormorando a bassa voce una lenta litania di arcane parole.
Man mano che continuava, le strisce divenivano sempre di più e si univano alle loro compagne, allacciandosi perfettamente l’una all’altra, formando pian piano un ampio cerchio. Infine, anche l’ultima salì verso il cielo scuro e si unì alla circonferenza, chiudendola. Si colorarono tutte quante di rosso, poi cominciarono a vorticare, sempre più veloce, sempre più veloce, e il cerchio si allargò, poi discese verso il basso, circondando i due maghi. In ultimo, quando toccò terra, svanì all’istante, e Severus e Richard videro scintille, di nuovo trasparenti e chiare come cristallo, sfrecciare lontano da loro in tutte le direzioni.
“Ricordi bene tutto quello che abbiamo detto oggi?” disse Piton voltandosi a guardare l’Auror.
“Si, signore” annuì sicuro Thompson.
“Adesso estrai la mappa, io mi occuperò di occultare le nostre posizioni ovunque ci muoviamo. Controllala di tanto in tanto, però ricorda: se dovessi trovarmi in svantaggio in qualche modo, non tentare di raggiungermi. Non fare l’eroe, insegui solo l’obbiettivo”
“Si”. Richard annuì un’altra volta.
Piton era calmo, lui invece era nervoso anche se non lo dava a vedere. Pensò di nuovo che era un uomo estremamente coraggioso, e un grande mago.
Fece un cenno di assenso col capo a Richard, che si mosse in avanti estraendo la bacchetta.
Severus, guardandolo allontanarsi, pregò che tutto andasse bene.
 
Richard proseguì verso Church Street. Sbucò poi in vista del parco, dove si intravedeva dalle alte fronde la vetta del campanile della St. Mary.
Attraversò rapidamente la strada ed entrò, scavalcando con un balzo il cancello di ferro che di notte veniva chiuso. Si precipitò con passo più leggero possibile verso l’erba. Camminare sulla ghiaia non era appropriato, lo scricchiolio dei sassi sotto i suoi stivali si percepiva troppo distintamente nella notte tranquilla. Se qualcuno si fosse avvicinato l’avrebbe sentito subito.
Si nascose dietro il tronco di un albero e attese. Erano le dieci passate da poco, e se il parroco aveva ragione, il giovane sconosciuto sarebbe apparso da un momento all’altro.
Si appoggiò al tronco con la schiena, rigirandosi nervosamente la bacchetta nella mano destra.
Si guardò attorno. Per un po’ nulla si mosse. Il silenzio era opprimente. Chissà, poteva darsi che fosse un effetto causato dall’incantesimo di Piton, che chiudeva fuori dal cerchio magico non solo gli esseri viventi, ma anche i rumori.
 Non c’era nemmeno un alito di vento, non si sentiva neppure il rumore dell’acqua che zampillava allegramente nella fontana, la quale si riversava poi nel laghetto vicino al quale Christine e quel ragazzo stavano parlando il giorno in cui Richard l’aveva veduta per la prima volta.
Lo stomaco gli si contorse a quel pensiero. Per quanto ne sapeva lui, quei due avrebbero potuto benissimo essere là per incontrarsi di nascosto. Questo avrebbe spiegato il perché la fanciulla era restia ad ammettere un qualsiasi tipo di rapporto con il giovane dagli occhi blu.
Si conoscessero o meno, Richard veniva pervaso da una furiosa gelosia tutte le volte che pensava che Christine potesse avere rapporti molto stretti con quella persona.
Era stato palese l’interesse che subito il giovane Auror aveva nutrito per la dolce fanciulla. Tutti in Grimmauld Place se n’erano accorti.
Lui e Christine non si erano visti spessissimo a dire il vero. Avevano avuto modo di parlare solo nelle ore dei pasti, ma il più delle volte diveniva difficoltoso farlo senza venire interrotti.
La pensava spesso, il suo viso delicato era sempre nei suoi sogni, perché Christine gli aveva rubato il cuore con un solo sguardo.
Per giorni e notti, Richard Thompson, colui che aveva fatto strage di cuori a Hogwarts e poi al corso di preparazione per divenire Auror, era stato tormentato dai dubbi che derivavano da chi è innamorato, ma non è sicuro di essere corrisposto.
Si, perché Christine non aveva mai dato segno di interesse per lui. Non un gesto, non uno sguardo o una parola a fargli intendere che fosse solo lontanamente attratta da lui in qualche modo.
Si, era gentile, gli sorrideva, ma la fanciulla aveva sempre un sorriso per tutti. Si comportava nei suoi confronti come in quelli di Harry, Ron o dei gemelli.
Probabilmente, lei pensava già a qualcun altro, e anche se Richard non ne aveva la certezza, credeva di sapere chi fosse colui che era divenuto il suo rivale in tutto e per tutto. O almeno, lo sarebbe divenuto presto.
Non era più solo una questione di dimostrare il suo coraggio, era per Christine che si stava impegnando anima e corpo nella missione che gli era stata affidata. Avrebbe preso quel bell’imbusto, e sarebbe accaduto quella notte.
Ancora nulla, solo calma e silenzio, ma Richard aggrottò la fronte a un luccichio accanto a un cespuglio poco lontano da lui, che si scoprì in un secondo tempo essere solo una lucciola.
Thompson rilassò i muscoli sospirando piano, ma quell’attimo di distrazione gli bastò per non accorgersi dell’ombra che si avvicinava alle sue spalle…quando percepì alla base della nuca, coperta dal nero cappuccio, una specie di lieve scossa elettrica.
Lo stupore iniziale si trasformò pian piano in adrenalina.
“Ti aspettavo” disse, facendo comparire sul volto il suo sorriso sbieco.
“Voltati lentamente. Non ho intenzione di uccidere nessuno, ma lo farò se sarò costretto” rispose l’altro.
Richard non si mosse e rise sprezzante. “Che nobiltà d’animo” mormorò a bassa voce, poi con uno scatto fulmineo spigionò lo schiantesimo dalla punta della bacchetta, mentre si voltava.
Il rivale fu più svelto però, e si abbassò appena in tempo per non essere colpito in pieno.
La magia rimbalzò su una panchina, mandandola in mille pezzi.
Richard e Riley erano uno di fronte all’altro. Si fissavano, si studiavano, pronti entrambi a parare la prossima mossa dell’avversario.
Lo sguardo di Thompson ricadde sulla bacchetta che era stretta nel pugno del giovane dai capelli neri.
“Allora lo sei”
“Che cosa?” chiese pigramente l’altro.
“Un Mangiamorte”
“Se così si può dire…”
Richard sparò un nuovo schiantesimo, ma anche questo andò a vuoto.
 “Sei lento” lo canzonò Riley sfoderando un sorrisetto sarcastico. “Però devo ammettere che sei piuttosto capace. Un ottimo apprendista per chiunque”
Richard strinse gli occhi furioso. “Potrei dire la stessa cosa di te” esclamò scagliandosi contro Riley con magia e forza fisica, mancandolo di pochi centimetri. “Con una differenza, però: io sono migliore di te!”
“E in cosa saresti migliore?”.
Ora era Riley ad aver assunto un’aria divertita, e Richard era serio e concentrato.
“Io non mi abbasso a rapire una ragazza innocente”
Nuovi incantesimi, ma Riley li parò tutti, stavolta senza nemmeno muoversi.
“Non so di cosa parli, mi dispiace”
“Parlo di Christine, maledetto!” gridò Thompson, mentre la rabbia e la gelosia si facevano nuovamente strada dentro di lui. “Se le hai fatto del male, me la pagherai!”
“Io non ho fatto assolutamente nulla alla ragazza”
Riley colpì senza preavviso, frustando l’aria con uno schiocco invisibile che colpì Richard a un braccio.
L’Auror trattenne un grido di dolore, mentre cominciava a perdere sangue.
“Vattene” intimò Riley.
“Non ci penso nemmeno”
Riley sorrise e compì un gesto con la bacchetta, bloccando Thompson a terra con qualcosa di invisibile.
Richard digrignò i denti, riconoscendo con precisione lo stesso trucco usato anche all’albergo la prima volta.
“Sei qui per liberarla, vero? Mi spiace, ma non c’è niente di simile che tu possa fare”
“Cosa stai dicendo? Perché non potrei…” balbettò Thompson, non capendo come l’altro ragazzo avesse intuito la natura dei suoi pensieri. Ma soprattutto, pervaso da funesti presentimenti.
Niente di simile che tu possa fare
Cosa voleva dire? Che forse Christine era già perduta?
“Ma guardati. Ti comporti già come se foste fidanzati” osservò Riley con aria seccata.
 “Non sono affari tuoi!” disse Richard sempre più confuso, senza riuscire a liberarsi, maledicendosi per essere già stato messo al tappeto senza nessuna fatica.
Cominciò ad armeggiare con la sua bacchetta, sperando che l’altro non lo notasse.
“Non ci provare” ammonì Riley disarmandolo all’istante.
La bacchetta di Richard venne scagliata qualche metro più in la.
Il ragazzo dai capelli neri si avvicinò di qualche passo a Richard e lo guardò dritto negli occhi.
Thompson provò uno strano brivido lungo la schiena. Notò qualcosa che lo lasciò molto, molto perplesso. Dall’ultima volta che lo aveva visto da vicino, gli occhi dello sconosciuto erano mutati dal blu più profondo all’azzurro più glaciale. Erano penetranti, sembravano leggerti dentro, come…
Come quelli di un Legilimens disse la sua mente.
Si, era lo stesso sguardo di Piton e di Silente. Forse anche di Voldemort, perché anche lui era un grande lettore della mente.
Richard cercò di riprendere il controllo di sé, e desiderò che il rivale si allontanasse al più presto, perché da lui scaturiva un’aura sinistra, inquietante.
In quanto Auror, Richard ci era abituato. Nel suo apprendistato aveva avuto a che fare con creature molto oscure, ma mai come in quel momento aveva avuto la sensazione di venire risucchiato dalle ombre stesse. Le ombre che attorno a loro sembrarono allungarsi e divenire più profonde…
“Non sei venuto da solo, vero?” chiese Riley serio.
“No, hai ragione. Ci sono altri con me, e sono tutti pronti a venire fuori e catturarti” ribatté Richard con tutta la sicurezza possibile.
“Bugiardo” sorrise Riley divertito. “C’è solo un altro con te, anche se non riesco a percepirne la presenza”
Riley divenne pensieroso, poi si avvicinò ancor più al rivale biondo, lanciandogli uno sguardo ostile.
“Te lo ripeto: vattene”
“Vai al diavolo!” esclamò Richard assestandogli un calcio all’altezza dello stomaco. La vicinanza gli era stata d’aiuto, anche se riuscire a contrastare la magia che gli immobilizzava il corpo gli era costato un enorme sforzo.
Appena Riley si distrasse, l’incantesimo svanì di dosso da Thompson, che poté così rialzarsi in piedi e correre a recuperare la sua bacchetta.
Un lampo di luce verde saettò a pochi centimetri da lui.
Richard si voltò con gli occhi chiari spalancati. Faceva sul serio. Aveva riconosciuto di che oscura magia si trattava, ma non credeva che quel giovane avesse osato tanto.
“Non mi piace ripetermi” disse tranquillo Riley con il braccio teso in avanti, la punta della bacchetta rivolta proprio contro il petto di Thompson.
“Non me e andrò finché non mi dirai dov’è lei!” esclamò quest’ultimo.
“Non devi temere per la sua incolumità”
“Oh, certo, e io dovrei crederti!”
Un altro incantesimo arrivò da dietro gli alberi alla sinistra dei ragazzi.
Riley si voltò svelto in quella direzione, ma non vide nessuno.
Richard sorrise. Piton era arrivato. Ma entrambi ebbero una bruta sorpresa.
Quando Severus, si avvicinò di qualche passò, Riley fece un gesto velocissimo e inaspettato. Alzò la bacchetta in alto, e subito dopo la riabbassò fino a toccare terra con la punta. Un secondo dopo, l’Incantesimo di Imprigionamento si disattivò, restringendo il cerchio di luce, e si riattivò immediatamente riducendo il suo campo attivo solo attorno ai due ragazzi.
Severus, che osservava la scena nascosto dietro gli alberi, fu colpito come da un’onda d’urto quando Riley richiamò la stessa magia che lui aveva evocato nel vicolo.
Venne sbalzato a terra, scioccato da quanto era avvenuto.
Non poteva essere. L’Incantesimo Imprigionante poteva essere disattivato soltanto da colui che l’aveva compiuto. Ma quel ragazzo, non solo lo aveva arrestato, lo aveva persino manipolato a suo piacimento.
Ed ora, Severus era impotente, poteva solamente osservare ciò che accadeva nello spiazzo d’erba dove sostavano i due giovani.
“Fatti sotto, avanti!” incitò Richard con i muscoli tesi.
Ora erano solo lui e il ragazzo. Piton era stato tagliato completamente fuori dalla loro battaglia. Non avrebbe potuto aiutarlo in nessun modo, né gridargli consigli. Niente.
Riley scosse il capo. “Non voglio ucciderti, non sono qui per questo. Almeno non ancora”
“E allora cosa diavolo sei venuto a fare?”
Thompson provò più volte a colpirlo, ma egli parò di nuovo tutti i colpi.
“Ad accertarmi di una cosa” rispose Riley con un sorriso appena accennato. “Adesso ascoltami bene, perché parlerò una volta sola.
“Primo: quello che faccio qui non vi riguarda” scandì stancamente, come se fosse una gran scocciatura spiegare cose assolutamente ovvie.
“Secondo: non darmi più la caccia. Né tu, né quell’altro tuo amico Auror, o chiunque tu abbia portato con te questa sera.
“E terzo: la ragazza sta bene, non temete per lei”
“Hai detto che non possiamo fare nulla per lei” provò Richard, con una nota di panico nella voce.
“Si, l’ho detto”
“Dove si trova?”
“Ma lo sai. Non sei forse qui per liberarla da lui? O forse da me?”. Riley rise divertito scuotendo la testa. “Si, Voldemort l’ha presa con sé, ma non la tiene prigioniera. Quando non avrà più bisogno di lei, la rimanderà da dove è venuta”
Che cosa?!” fece Richard completamente confuso. “Rispondi almeno a questa domanda: l’hai rapita tu, non è vero?”
Riley soppesò l’idea di dargli una riposta.
“Si e no” disse infine.
“Smettila con gli indovinelli!” gridò Thompson, scagliando l’ennesimo incantesimo.
Il rivale lo rispedì prontamente al mittente e colpì Richard in pieno petto, facendolo cadere a terra boccheggiante.
Riley si avvicinò con passo lento, torreggiando su di lui.
“Porta un messaggio di Christine a suo padre. Digli che tornerà e che non deve preoccuparsi, lei sta benissimo. Ma digli anche- e questo è da parte mia- che prima o poi, tornerà da lui, e di sua volontà”
Richard avrebbe voluto scagliare contro il ragazzo, di cui ancora una volta non aveva carpito il nome, ogni sorta di insulto e maledizione. Ma non riusciva a parlare, tanto gli mancava il fiato per il colpo subito. A ogni respiro, le fitte allo sterno erano sempre più dolorose.
“Sei libero di non credermi” concluse Riley allontanandosi da lui senza più degnarlo di uno sguardo.
Disattivò l’Incantesimo Imprigionante e si smaterializzò prima che Piton o Thompson potessero tentare di fermarlo.
Severus si mosse immediatamente al di fuori dal suo nascondiglio, correndo verso Richard e inginocchiandosi accanto a lui. Tastò il torace del giovane, che emise un nuovo gemito di dolore, ma il professore aveva pronte per lui parole di conforto.
“Non è grave, ma hai due costole rotte e un’altra incrinata. Muoviti il meno possibile”
“Mi…dispiace” mormorò Richard tossendo.
“Il piano era approssimativo, è normale che te lo sia fatto scappare” disse Severus con il suo consueto tono mellifluo, mentre esaminava il braccio ancora sanguinante dell’Auror.
Thompson abbozzò un sorriso che poi si trasformò in una smorfia.
“Mi fa male dappertutto. C-che razza di incantesimi usa q-quello?” disse con fatica.
Piton non rispose. Fece apparire delle bende e gli fasciò alla bene e meglio la ferita, pensando a quello che aveva visto quella sera.
Il possessore del medaglione di Serpeverde…Adesso riusciva a capire perché il Ministero era sulle sue tracce. Mille erano i motivi, ma il primario era probabilmente legato ai poteri di cui disponeva. Poteri immensi, mai visti prima, uniti a una presenza di spirito che mai aveva scorto in un individuo così giovane. Erano bastati pochi minuti per capire che Richard Thompson, per quanto tentasse, non avrebbe mai avuto uno straccio di possibilità di batterlo, tantomeno di catturarlo.
Non espresse a parole questi pensieri, anche perché poteva capire come si sentiva il giovane Auror in quel momento. E così si sentiva lui.
Sconfitto su tutti i fronti. Inutile. Completamente inutile.
“Andiamo” disse Severus aiutando Richard ad alzarsi e facendogli passare un braccio attorno alle sue spalle. “Molly Weasley saprà curarti nel migliore dei modi”
“Christine sta bene” mormorò Richard a mezza voce.
Piton si votò a guardarlo. “Te l’ha detto quel ragazzo?”
“S- si, ma è un m-messaggio di sua figlia. Ha detto che Christine aveva un m-messaggio per lei”
Severus non rispose. La conversazione che Richard aveva avuto all’interno del cerchio magico gli era del tutto estranea, forse erano solo parole per confondere.
“Non hai pensato che possa essere un modo per…”
“No” interruppe il giovane sicuro. “Ha d-detto che…”
“D’accordo, d’accordo” disse in fretta Severus. “Mi racconterai tutto una volta che ti sarai riposato”
“P-professore…ha detto che sta bene. E che tornerà”
Piton camminò lentamente senza proferire parola, guardando dritto davanti a sé.
Le speranze e le incertezze si mischiavano apparendo nella sua mente sotto forma di immagini confuse e vorticanti. Silente sosteneva che il rapimento di Christine fosse un modo per sondare la fedeltà del Primo dei Mangiamorte. Era una trappola quindi? O era qualcos’altro, un piano più sinistro? Era possibile che Voldemort stesse tenendo vicino a sé Christine solo per studiare le sue reazioni? E dopo questo periodo di prova l’avrebbe lasciata andare? Il Rito per possedere l’Eterna Giovinezza centrava qualcosa in tutto questo?
Le risposte a queste e altre domande poteva essere molto lontane o molto vicine. Solo il passare del tempo avrebbe mostrato a Severus la via da percorrere e le nuove decisioni da prendere.
Raggiunsero l’ombra di uno degli alberi tra i quali era nascosto Piton poco prima, e si prepararono a smaterializzarsi in Grimmauld Place.  
 

 

I’m back!
Finalmente, eh? Credevate vi avessi abbandonato, e invece sono qui cari lettori! Non sia mai che mi azzardi ad abbandonare questa storia. Non preoccupatevi, non lo farò mai.
Ci ho messo un sacco per sistemare questo pezzo. Ammetto di avere un po’ di difficoltà nel descrivere i pezzi d’azione. Ho sempre paura di farli troppo piatti. Ma stavolta devo dire che mi piace com’è venuto. Sono soddisfatta dello scontro tra Richard e Riley. Volevo farne un vero e proprio combattimento, ma mi sono un po’ trattenuta per mostrare la differenza di poteri che hanno i due ragazzi.
A malincuore ho dovuto non far agire Severus, ma non è ancora giunto il suo momento!
Christine si vedrà nel prossimo capitolo e…bè, avrà un po’ di cosucce da chiarire con il papino…
Ditemi cosa pensate dei miei personaggi, specie di Christine, Richard e Riley, che sono totalmente estranei alla saga di Harry Potter.
Ora i ringraziamenti!

 
Allice_rosalie_black, Ary g,  Aylas, bimba3, Blankette_Girl, CarolineEverySmile, chiara53, coccinella75, Eleonora2307, Faith18, Femke, foffia, francesca88, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, ladyhawke25, Lady_Storm, Latis Lensherr, laurana, LenShiro, namina89, Phoebe76, Pollon0874, rum43coach e zackaide.
 
Grazie infinite e spero mi seguirete costantemente fino alla fine ( che è ancora parecchio lontana).
Un bacio enormissimo,
vostra Usagi^^

 
P.S: ho raggiunto le 74 recensioni…mi inchino a voi e ringrazio con le lacrime agli occhi, perché mai avrei sperato tanto! Grazie!!!  

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Capitolo 23
*** Capitolo 22: Ritorno a casa ***


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Capitolo 22:

Ritorno a casa
 

Da quel giorno ti donai il mio destino. Ti donai tutto di me. Tutto ciò che sono
 
Se ne stava comodamente seduta sul divano accanto alla grande finestra del salotto del pian terreno, che guardava sul giardino. Ignara di tutto ciò che accadeva fuori dai confini del maniero. Inconsapevole della situazione in cui si era trovato suo padre due notti prima.
Cinque giorni erano volati via, ma c’erano state così tante cose da fare in quella grande casa!
Passava le giornate esplorando la villa e il giardino. La biblioteca, dove vi aveva trovato con suo enorme piacere anche un pianoforte, era divenuta la sua stanza prediletta. Si era persino avventurata nei sotterranei, dove aveva avuto la sfortuna di imbattersi in un enorme serpente.
Inizialmente si era tenuta lontana dal cimitero, ma poi si era fatta coraggio e aveva girato in lungo e in largo anche in esso, leggendo le date e i nomi sulle lapidi. Tutte, per gerarchia maschile, riportavano lo stesso: Riddle.
Christine aveva pregato per tutti loro, ornando le lapidi rovinante del tempo con tutti i tipi di fiori che era riuscita a trovare nel grande parco.
Qualcuno ne era rimasto molto colpito, ma senza darlo a vedere, non riuscendo a comprendere la compassione della sua giovane ospite per dei completi estranei.
“Molte persone hanno timore dei cimiteri” aveva detto l’Angelo, che la seguiva sempre come se fosse la sua ombra.
“Perché mai dovrei averne?”
“Perché ci sono credenze popolari in cui i morti, di notte, parrebbero risvegliarsi”
“Mia madre diceva sempre che bisogna aver paura dei vivi, non dei morti” aveva risposto Christine, che godeva di quei giorni di completa libertà respirando l’aria dell’ormai tarda estate, restando all’aperto quasi tutto il giorno.
Per un po’ era riuscita a non pensare a suo padre. Ma prepotente, il suo cuore chiamava le immagini dei loro giorni felici in Spinner’s End. Quanto avrebbe voluto tornare laggiù!
L’Angelo le dava piena libertà in tutto, ma non la perdeva di vista un momento. Egli le parlava come un vecchio amico, al quale la ragazza si era presto abituata. E una volta superata l’avversione per il suo aspetto, gli aveva aperto la sua amina.
Lui l’aveva rassicurata che non fosse un sogno. Che non fosse nemmeno un qualche tipo di sortilegio.
Era cresciuta nell’ingenuità, come poteva accorgersi che era tutto un piano calcolato? Senza contare che Voldemort sapeva bene quali tasti premere con maggior forza.
“Tu continuavi a chiamarmi. Io ho udito una voce, ed eri tu, dolce Christine”
Le si rivolgeva spesso in quel modo, e a lei piaceva molto.
La fanciulla lo guardava con i grandi occhi castani spalancati, pendendo letteralmente dalle sue labbra.
 “Sono stato inviato quaggiù per proteggerti, per consolarti. Ti ho osservata a lungo. Ti ho visto felice, ti ho visto soffrire. Ho percepito la tua paura, il dolore quando è morta tua madre. Ho tentato di raggiungerti ma per quanto tentassi, tu non dimostravi di credere in me abbastanza da permettermelo”
“Io ho sempre creduto in te, Angelo!” aveva esclamato la ragazza con fervore.
“Lo so, ma evidentemente, qualcuno ha smorzato la tua fede in me. Non è forse vero?”
Christine aveva abbassato il capo, rabbuiandosi, pensando istintivamente alla zia Karin. Lei era sempre stata così severa…non aveva mai prestato attenzione alle storie di Elisabet. Non si era mai nemmeno presa la briga di meditare sopra quelle parole che per Christine erano diventate l’unica ancora di salvezza dopo la morte della madre.
 “Ora però sei qui davanti a me. E sei vero! Non ho più motivo di dubitare”
E non l’aveva più fatto, nemmeno per un attimo, perché adesso i suoi sogni, le sue fantasie si erano mostrate a lei, divenendo vere. L’incredulità iniziale aveva lasciato il posto a un’assoluta certezza.
Per cinque giorni era rimasta con l’Angelo perché così lui aveva chiesto.
“Capirai. Col tempo saprai tutto” aveva detto al loro primo incontro, ma ancora non sapeva in cosa sarebbe potuta essergli davvero utile.
L’Angelo le aveva mostrato molti dei prodigi che era in grado di compiere, e quando lei aveva chiesto se si trattava di magia, egli aveva voluto a tutti i costi sapere cosa lei conosceva riguardo ad essa.
Christine ne sapeva molto poco, in verità, e di questo, Voldemort non aveva saputo se essere soddisfatto o meno. Qualche informazione in più gli sarebbe stata utile, ma evidentemente, i maghi con cui era venuta in contatto, erano ben lungi dal parlare di faccende importanti in presenza di una babbana.
Il Signore Oscuro non dimenticava di certo le origini della ragazza, ma se voleva adempiere il suo scopo doveva venire a certi compromessi. Il fatto strano, che lo aveva turbato non poco, nei giorni precedenti, era che non era stato difficile accettare l’idea che la figlia di Piton fosse una sangue sporco.
La cosa non gli piaceva. Non gli piaceva per niente. Quella ragazza gli faceva un effetto strano. Avvicinarsi a lei era facile ma difficile allo stesso tempo.
Facile, perché la mente di Christine, grazie all’espediente dell’Angelo della Musica, era come un libro aperto per lui, ed ogni informazione era alla sua portata.
Difficile, perché la sua sola presenza riusciva a fargli abbassare la guardia per un secondo. Era un infinitesimo attimo, ma era sufficiente per perdere il controllo di sé. Per venire in contatto con quegli occhi scuri che avevano un qualche strano potere sulla sua persona.
Forse era il legame che aveva scoperto di avere con quella insignificante ragazza. Lei era la chiave per il completamento del Rito, anche se ancora non si capacitava com’era possibile che avesse quel ruolo se non aveva un briciolo di magia nelle vene.
Ad ogni modo, si convinse che doveva essere così. Era quel legame che aveva da subito creato quell’affinità tra loro.
Mancavano meno di ventiquattr’ore e poi avrebbe dovuto lasciarla andare. Dunque, era giunto il momento di parlarle.
Quand’egli entrò nel salotto, rimase ad osservarla per un istante.
Vestita di un semplice abito verde chiaro con le maniche corte a sbuffo, senza particolari ricami e pizzi, le gambe rialzate sulla poltrona. Mai occhi più belli si erano posati sulle pagine consunte del libro che teneva appoggiato in grembo. Mai viso più perfetto si era chinato su una lettura a sua memoria.
Aveva conosciuto molte donne nella sua vita, ma nessuna poteva essere paragonata in grazia e bellezza alla giovane Christine.
Avanzò lentamente, ma lei subito alzò lo sguardo dal libro e lo guardò interrogativa, aspettando.
La sera prima, l’Angelo le aveva accennato qualcosa a proposito di un importante discorso che avrebbero dovuto affrontare.
Lord Voldemort si sedette elegantemente di fianco alla ragazza.
La fanciulla chiuse il libro e si mise seduta in modo più composto.
“Christine, stasera ci dobbiamo salutare” cominciò l’Angelo della Musica. “Pensi di essere stata felice qui con me?”
“Oh, si” rispose lei con un sorriso, ma che subito si spense.
“Cosa c’è?”
“Bè…mi manca mio padre. Mi manca casa mia”
“Ma certo, capisco” rispose egli con espressione grave.
Christine se ne accorse. “Tu sei stato molto gentile e buono, ma ho bisogno di ritornare”
“E da me? Da me tornerai?”
“Si, se tu vuoi”
L’Angelo non rispose. Si alzò e si volse verso di lei a guadarla dritta negli occhi.
Christine, ancora un po’ intimorita, puntò a sua volta i suoi in quelli rossi del suo amico.
In lei, un senso di inquietudine cresceva tutte le volte che guardava in viso l’Angelo della Musica.
“Ricordi il giorno in cui ti ho portata qui?” proseguì allora Voldemort. “Quando ti dissi che c’era una cosa che avrei dovuto chiederti di fare per me?”
Lei annuì senza smettere di guardarlo. “Si. E io ti chiesi a mia volta in che modo avrei potuto esserti utile”
“In un solo modo potrai esserlo”
“E come?” esclamò la ragazza con eccitazione crescente.
Voldemort percepiva la devozione che la fanciulla gli dimostrava-o meglio, che dimostrava all’Angelo della Musica.
“Avrei voluto parlartene giorni fa, ma non volevo turbarti. La verità è che ti ho condotta con me perché tu sei speciale Christine, lo sai?”
A quella frase, qualcosa scattò dentro di lei. Qualcuno le aveva già rivolto quelle parole.
Il pensiero di Riley apparve all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno. Solo adesso si rendeva conto di una cosa. Di quanto erano simili il ragazzo e l’Angelo.
Ecco dove aveva provato quella sensazione di incredibile sicurezza, di fiducia totale, di desiderio di conoscerlo.
“Prima devo sapere se sei pronta. Non voglio farti fare niente se non te la senti.”
La voce dell’Angelo interruppe il corso della breve riflessione. Breve ma estremamente intensa.
La ragazza si alzò e andò di qualche passo verso di lui. “Ti ascolto”
Lord Voldemort inclinò la linea delle labbra sottilissime in modo impercettibile.
“Christine” disse con voce suadente prendendole la mano e stingendola nelle sue. “Ho bisogno che tu mi prometta che non rivelerai mai a nessuno ciò che sto per dirti”
“Certo!”
Era chiaro come il sole che non avrebbe mai e poi mai tradito l’Angelo.
“Mi hai parlato di persone in grado di compiere magie sorprendenti. Bada bene, magie diverse da quelle che posso compiere io”
Su questo punto, egli era stato molto chiaro. Christine non doveva confondere la magia degli uomini dai prodigi divini.
La ragazza aveva capito subito la differenza. Ai maghi come suo padre servivano bacchette e parole arcane per compiere diversi tipi di incantesimi. Invece, l’Angelo, non solo non pronunciava nemmeno una parola, ma non si limitava a muovere oggetti, trasfigurarli, farli sparire. Niente di tutto ciò. Lui le aveva mostrato che poteva far crescere un fiore dal nulla, controllare gli agenti atmosferici se avesse voluto. Persino guarire una ferita con il solo tocco di una mano.
Quella non era magia, era molto di più.
“Sulla Terra esistono milioni di persone dotate di forze straordinarie” proseguì Voldemort. “Saresti sorpresa di sapere quante forme di magia esistono. E io ho bisogno della forza che viene dal tuo cuore”
Christine si portò una mano al petto. “Ma io non ho nessun potere!” disse confusa.
“Oh, si che ce l’hai. Non devi avere paura, perché io ti guiderò nel percorso angusto che dovrai intraprendere d’ora in poi”
“Aspetta” disse lei. “Tu aiuterai me, ma io come posso fare lo stesso per te?”
“Ti spiegherò tutto, ma con calma. Devi avere fiducia in me”
“Con tutto il mio cuore!” rispose la fanciulla d’impulso.
“Abbiamo bisogno del sostegno l’uno dell’altra” disse Voldemort afferrandole le mani.
Lo sguardo di Christine cadde sulla forma delle mani dell’Angelo.
“Che cosa ti è successo?” chiese alzando poi lo sguardo, carico di compassione. “Tu non sei così, vero?”
Cercò di allungare una mano verso quel viso di morte.
“Una maledizione” rispose lui, fermandola prima che potesse appoggiare le dite sulla sua guancia scarna.
“Perché?” chiese la ragazza confusa.
L’Angelo inspirò e la guardo gravemente.
“Devi sapere che esistono tipi di magie che vanno al di là della nostra immaginazione. Magie che possono colpire anche gli angeli”
“E tu come sei venuto in contatto con esse?”
“Il luogo in cui eri quando ho cercato di raggiungerti era protetto da sortilegi potenti. Tuo padre sta cercando di proteggerti da pericoli ai quali non puoi fare fronte, questo lo capisco, ma sono stati devastanti per me”
“Che cosa vuoi dire?”. Christine sentiva l’ansia crescere in lei.
“La maledizione mi ha colpito quando cercavo di parlarti attraverso i tuoi sogni. Tentando di penetrare attraverso le protezioni poste sulla tua persona, nonché sul luogo dove ti trovavi”
“E io come posso aiutarti, dunque?”
L’Angelo tacque per quello che sembrò un minuto interminabile.
“Sto morendo, Christine”
La ragazza non riuscì a reprimere un grido di costernazione.
“Ma non è possibile! Tu non puoi morire!”
“Sono imprigionato dentro questo corpo putrido e laido che non mi appartiene, ma devo mantenere questo aspetto se voglio continuare a vegliare su di te, soltanto che…”
“Soltanto che la maledizione ti ha colpito e ti ha…io non so come spiegarmi, ma ho capito ora! E’ colpa mia! E’ colpa della mia stupidità! Mio padre ha posto protezioni su di me e sul luogo dove abitiamo per non farmi trovare da nessuno. Anche se comprendo ancora poco di tutto quello che mi sta accadendo attorno, capisco che se tu non avessi tentato di raggiungermi, non saresti incorso in quelle magie! Non saresti mai stato colpito da questo maleficio! E colpa mia!”
I begli occhi di Christine minacciarono di riempirsi di lacrime.
“No, mia cara, tu non centri” disse l’Angelo in tono rassicurante. “Non potevi sapere. Ma non temere, non tutto è perduto. Certo, se non ti avessi trovata, la mia situazione sarebbe stata alquanto drammatica. Ma adesso sei qui, e potrai aiutarmi”
“Iovoglio aiutarti! Desidero fare tutto il possibile! Oh ti prego, dimmi cosa devo fare!”
“Calma. Prima di tutto devi mantenere salda la tua fede in me.  Non farti sviare da racconti calunniatori, da scetticismi. Devi coltivare il tuo amore e la serenità. Il tuo cuore possiede la chiave della mia salvezza”
“Ma io sono così debole! Come posso…”
“Affatto! Sei più forte di quanto tu non creda. Abbi fiducia in te stessa”
“Tu ne hai?” chiese Christine con occhi spalancati dall’angoscia.
“Molta. Tu possiedi una forza che non ti si è ancora manifestata. Non è magia, ma qualcosa di molto simile”
“Anche io ho dei poteri?!” chiese Christine attonita.
“In un certo senso si. Devi coltivare questa forza dentro di te per potermi aiutare. Io ti insegnerò come fare”
La ragazza fece un profondo sospiro e cercò di concentrarsi sulle parole dell’Angelo, senza pensare a quanto grave fosse la situazione del suo caro amico.
“So che ti chiedo molto. Tu sei di animo semplice e non hai familiarità con certi fenomeni prodigiosi”
La ragazza alzò le spalle abbozzando un mezzo sorriso.
“Oh, bè, ormai non posso stupirmi più di nulla. Ho scoperto che mio padre è un mago. Mi hanno inseguita per uccidermi,. Ho conosciuto te, un angelo, inviatomi da mia madre dal cielo. Credo di poter sopportare oltre”
“Per cui mi aiuterai?”
“Mio caro, carissimo Angelo” disse lei con dolcezza. “Mi hai donato la tua amicizia, io ora ti dono il mio aiuto senza riserve! Non voglio che anche tu mi lasci”
Una perla salata solcò piano la guancia di Christine. “Tutto ciò a cui tengo di più sembra non poter rimanere con me troppo a lungo. Farò ciò che mi hai detto. Continuerò ad avere fiducia e tornerò da te per farmi insegnare ciò che devo apprendere per salvarti”
Era stato facilissimo. Voldemort provò un moto di soddisfazione e eccitazione. Era sua! Se non ancora completamente, almeno per una buona parte.
La ragazza sembrava davvero credere a quella stupidissima storia dell’Angelo della Musica. Aveva ceduto con semplicità alle sua prole, che non erano del tutto fuori luogo. Il Signore Oscuro rischiava sul serio di incorrere nell’odiosa morte, specialmente ora che le sue Voci gli avevano dato notizia che Silente era in cerca degli Horcrux. Infine, il vecchio mago aveva scoperto il suo più rande segreto. Il Rito andava affrettato.
Ad ogni modo, anche se li avesse recuperati tutti e sette, uno di questi non avrebbe funzionato. Il medaglione di Serpeverde, custodito nella grotta in mezzo al mare, era un falso.
Le mani di Voldemort stavano ancora stringendo quelle di Christine. Lui la lasciò andare e si allontanò di un passo.
“Allora, è venuto il momento di salutarci”
Gli occhi di lei vennero velati di tristezza.
Il pomeriggio volgeva al termine. Le loro ombre si allungavano sul prato del parco della villa.
Christine si guardava attorno con malinconia.
“Aspetta!” esclamò a un tratto.
Voldemort, avanti a lei, si votò a osservarla raggiungere l’albero di magnolie che ospitava il nido delle due colombe bianche che alla fanciulla piacevano tanto, e delle quali si era presa cura per quei giorni.
Christine si arrampicò sulla base leggermente contorta del tronco, che presentava delle sporgenze sulle quali ella poteva piantare per bene i piedi, come fossero scalini scolpiti nel legno, e raggiungere così uno dei rami più bassi dove gli uccelli candidi la osservarono con curiosità con gli occhietti neri.
“Addio miei piccoli amici” li salutò la fanciulla, accarezzando le morbide piume del loro dorso.
Con un balzo, tornò sull’erba e non poté non esprimere ciò che sentiva.
“Mi mancherà questo posto”
“Allora devi ritornare più spesso”
“Si, te lo prometto”
La ragazza e l’Angelo rifecero all’inverso il tragitto che cinque giorni prima avevano percorso per giungere alla bella dimora gentilizia, che ora, lontana, con il sole del tramonto che rimandava bagliori arancioni sui vetri delle finestre, sembrava brillare come di luce propria.
Christine non aveva capito come fosse stato possibile passare dallo specchio della sua camera a Grimmauld Place direttamente nel cimitero della villa dell’Angelo. Era stata troppo impegnata a fissare il suo ‘rapitore’, a chiedersi se fosse sul serio chi credeva, a domandarsi questa e mille altre cose per accorgersi di qualsiasi altro particolare le stesse attorno. Inoltre era notte. Ma adesso, alla luce del tardo giorno, la vide.
Lei e l’Angelo avevano attraversato il cancello sul retro del cimitero. Si trovavano adesso in uno spiazzo d’erba piuttosto grande, circondato dai primi alberi del bosco che fungevano come da protezione per quel luogo nascosto. Erano appena fuori dai confini della giardino di casa Riddle. E lì, crosciava leggera tra due colonne di pietra una piccola cascata apparentemente nascente dal nulla o dalla pietra stessa, che si riversava in un laghetto poco profondo. Non c’era nulla là, solo la cascata, il lago e le colonne.
Sembrava un ponte tra due diversi mondi. E forse o era. Tra il mondo della realtà e quello dei sogni.
“Attraverserai da sola” disse l’Angelo smorzando il silenzio.
Christine annuì soltanto, sorpassandolo e guardandolo un’ultima volta.
Rivolse poi la sua attenzione alla cascata, chiedendosi come avessero potuto attraversarla la prima volta senza bagnarsi. Ma la risposta arrivò prontamente quando allungò una mano fendendo il muro d’acqua, per poi ritirarla e vederla e sentirla completamente asciutta.
Guardò attraverso l’acqua le figure distorte degli alberi e anche se non sapeva spiegarsi come, percepì con certezza che se  fosse passata attraverso la cascata si sarebbe magicamente ritrovata a casa.
Quante cose ancora non capiva! Forse non avrebbe capito mai.
“Con il tempo. Io ti insegnerò” sussurrò la voce dell’Angelo alle sue spalle, come se le avesse letto nella mente.
Christine si voltò.
“Tornerò. E’ una promessa!” ripeté con enfasi.
“Lo so” rispose con clama l’Angelo.
Un secondo dopo, Christine chiuse gli occhi e entrò nel laghetto. L'acqua bassa bagnava appena le sue cavilgie. Poi attraversò il muro liquido, sparendo alla vista di Lord Voldemort.
All’istante, le tre Voci apparvero dietro di lui.
“Da quanto tempo, amici miei”
“Maestro” dissero quelle inchinandosi.
“Abbiamo notizie allarmanti” incominciò la Voce Verde.
Voldemort diede un’ultima scorsa al passaggio magico che aveva creato appositamente per muoversi facilmente all'esterno di Riddle Manor senza che nessuno vedesse o spaesse. Il maniero era protetto da decine  e decine di incantesimi illusori. Era una fastidiosa costrizione che però gli permetteva di tenere fuori dai piedi Silente e i suoi. Era stato anche costretto a cambiare la sua base dei suoi Mangiamorte spostandosi a villa Malfoy.
Scacciando questi fastidiosi pensieri, si volse verso i suoi servitori.
“Ditemi”
“Silente ha trovato l’Anello di Gaunt”
Gli occhi del Signore Oscuro dardeggiarono pericolosamente. La Voce Verde si profuse in un nuovo inchino.
“Sono spiacente, ma non abbiamo osato intervenire”
“Va bene così. Era quello che vi avevo ordinato”
“Che cosa dobbiamo fare adesso?” chiese la Voce Azzurra.
“Nulla. Che li cerchi pure. Per quanti ne potrà trovare, presto gli saranno del tutto inutili. Comunque, continuate a sorvegliare Silente e la ragazza. Io nel frattempo penserò alla prossima mossa. Il mio apprendista, in primo luogo, deve essere punito per la sua mossa azzardata”
“Ma grazie a quello che ha fatto Lazaar, nessuno sospetta la verità sul nostro piano. O almeno non tutta” continuò la Voce Azzurra.
“Lazaar” ripeté Voldemort, scoppiando in una risata. “Oh, certo che non sospettano. Come potrebbero? Non conoscono nulla di lui” poi tornò serio. “Ad ogni buon conto, benché abbia depistato l’Ordine della Fenice con maestria, deve sottostare ai miei ordini e non fare di testa sua come sempre”
“L’amore è la fonte primaria della stupidità degli esseri umani” commentò la Voce Verde.
Un’espressione indecifrabile apparve sul volto di Voldemort.
“Perdonatemi. Ma rallegratevi, voi tra poco non farete più parte di questa cerchia di deboli”
“Si, e accadrà presto. Molto più presto di quanto credevo”
“Mio maestro, la ragazza ha ceduto a voi, dunque?” chiese la Voce Rossa.
“Oh si. E con facilità anche. E’ così ingenua e piena di bontà. Crede che il mondo si possa salvare con l’amore”
“Vi ha aperto il suo cuore?”
“Il suo cuore?” ripeté il Signore Oscuro con un sorriso maligno. “Non solo. Presto, mi donerà l’anima”

 
 
Eccomi ritornata! In ritardo mostruoso, lo so XP.  Complice anche il lavoro, quindi vi avverto che non riuscirò a postare con regolarità ogni settimana come facevo prima. Spero siate pazienti e che continuiate lo stesso a seguire questa storia a cui tengo moltissimo. Ci tengo a rassicurarvi che non l’abbandonerò mai e poi mai, cascasse il mondo! (bè, la terra ha tremato nei giorni scorsi qui da me…AIUTO!)
Il capitolo di stavolta…non mi piace granché se devo essere sincera... Ho cercato di sistemarlo al meglio, ma non mi viene fuori nient’altro. Siate clementi, vi prego e fatemi sapere cosa pensate voi. Perdonate anche eventuali errori, andavo un pò di fretta.
Ringrazio di cuore:
 

Allice_rosalie_black, Ary g,  Aylas, bimba3, Blankette_Girl, CarolineEverySmile, chiara53, coccinella75, Eleonora2307, Faith18, Femke, foffia, francesca88, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, ladyhawke25, Lady_Storm, Latis Lensherr, laurana, LenShiro, Mary_Jane_, namina89, Phoebe76, Pollon0874, rum43coach e zackaide.
 
Un bacio a tutti dalla vostra Usagi^^ 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23: Ricongiungimento ***


Capitolo 23:
Ricongiungimento

 
Il rumore della cascata si attenuò sempre più. Il passaggio attraverso l’acqua durò meno di un secondo. Aveva chiuso gli occhi quand’era passata e non sentì e non vide più nulla fino a che la luce non penetrò anche attraverso le palpebre chiuse e così riaprì gli occhi. Non vide il corridoio dalle pareti di pietra illuminato dalle candele che avevano percorso per arrivare fino alla dimora dell’Angelo della Musica. C’era solo il baluginio del grande specchio attraverso il quale era sparita cinque giorni addietro. La luce proveniva dalla cornice dorata che rifletteva gli ultimi raggi del sole che entravano dalla finestra aperta.
Christine si ritrovò a fissare la sua camera da letto. Tutto era rimasto come la notte in cui l’aveva lasciata. Forse si aspettavano che lei tornasse da un momento all’altro.
Fece un passo incerto in vanti e mise piede sul pavimento di pietra. D’un tratto, fu come se le calasse addosso  qualcosa di pesante e fastidioso, freddo e impalpabile. Il senso di libertà che aveva albergato in lei per il tempo trascorso con il suo nuovo, misterioso amico, si dissolse. La protezione di Grimmauld Place tornava ad attivarsi. La segretezza del luogo era imposta anche ai suoi abitanti.
Si volse indietro, fissando adesso la sua immagine nello specchio. Non gli appariva più tanto sinistro adesso. E anche lei era diversa. Si guardò attentamente, vestita dell’abito lungo e leggero, verde chiaro. Sembrava un’altra. Si sentiva un’altra. Ma perché mai, poi? E che cos’era quel senso di manchevolezza che percepiva all’altezza del cuore? L’Angelo non le aveva detto addio. Poteva tornare da lui quando voleva. Eppure…
Forse si sentiva confusa e smarrita perché le sembrava si essersi appena svegliata da un lungo, lunghissimo sogno. E come tutti i sogni era destinato a finire.
Ma era tornata a casa! Forse Severus l’avrebbe rimproverata, era vero, ma avrebbe rivisto suo padre! Non era quello che desiderava? Le sarebbe bastato aprire quella porta e scendere in cucina per vederlo là, seduto al tavolo con gli altri membri dell’Ordine della Fenice. Tutti gli amici ai quali aveva cominciato ad affezionarsi sempre più.
Si guardò di nuovo nello specchio e si rivide di più simile a se stessa, quando si rese conto di una cosa che cominciò a farle battere il cuore dolorosamente. Non aveva più pensato a loro.
Si era soffermata sporadiche volte a chiedersi se fossero preoccupati- e certamente lo erano, dato che era svanita senza lasciare traccia- ma poi arrivava lui, L’Angelo della Musica, e Christine dimenticava tutto: gli amici, la sua vita, la sua famiglia. Tutto.
Un rumore simile al cigolare di una porta la risvegliò dai suoi pensieri. Fece un lungo sospiro e poi guardò un’ultima volta lo specchio e sorrise. Si-si disse- sarebbe potuta tornare da lui quando voleva. Non doveva essere triste.
Percorse velocemente la stanza e aprì la porta, trovandosi sul pianerottolo buio. Nulla si muoveva per casa. Cominciò a scendere le scale diretta al pian terreno e quando raggiunse il corridoio d’ingresso chiamò a voce alta.
“Papà?” disse, guardando in su e in giù i piani deserti. Quando una porta si aprì con uno scatto violento sopra la sua testa.
La ragazza alzò gli occhi e vide i volti di Harry, Ron, Hermione, Ginny e i gemelli sbucare dalla balaustra.
“Christine” mormorò Harry senza fiato.
Ron era a bocca aperta. “Miseriaccia, è tornata!”
Hermione si portò le mani alla bocca soffocando un singhiozzo. “Ve l’avevo detto! Ve l’avevo detto!” strillò.
Christine rimandò loro un enorme sorriso pieno di felicità e fece per raggiungerli, quando anche l’uscio della cucina si spalancò all’istante. Pochi secondi dopo, la signora Weasley apparve nel suo campo visivo.
“Che avete da urlare? Quante volte devo dirvi di rimanere…”
Era pronta all’ennesima ramanzina, ma come Hermione, emise un grido portandosi una mano sul cuore. “Santo cielo! Arthur! Arthur, vieni presto!”
“Molly, cosa…?”
Dalla soglia comparve il signor Weasley e poi Malocchio, Tonks, Bill, Lupin, Sirius, un mago dall’aria trasandata che Christine non aveva mai visto, e infine Piton. Mancavano solo Kingsley e Richard, ma per il resto, c’erano proprio tutti.
Christine li guardò uno alla volta e si liberò dolcemente dalla stretta di Hermione che era corsa ad abbracciarla. Erano tutti lì per lei, lo sapeva, ma la ragazza non aveva occhi che per una persona.
“Papà!” esclamò al culmine della felicità, compiendo i pochi passi che la separavano da lui.
Severus non parlò, si limitò a restituire l’abbraccio di Christine.
Per tutto il tempo in cui di lei non si era saputo più nulla, Severus non aveva fato altro che pensare e ripensare alle cose più atroci. Ipotesi su ipotesi. Dov’era stata, cosa aveva fatto; per un istante sembrarono non contare più nulla, perché lei era lì. Era tornata. Ed era viva.
La scostò da sé per guardarla in viso attentamente. Quanto le era mancata!
“Stai bene?” chiese studiandola da capo a  piedi, cercando in lei qualcosa che non andasse. Segni visibili di una qualche tortura opera di qualche maledizione. Oppure scorgere il terrore nei suoi occhi…ma gli occhi di Christine non erano mai stati più luminosi. Il suo viso più splendente.
“Sto bene. Sto benissimo!” rispose la ragazza stringendo le mani di suo padre e sorridendogli.
Attorno a loro scoppiò una gran confusione, ma le voci festanti dei presenti, ancora increduli per l’improvvisa ricomparsa di Christine, vennero sovrastate da quella di Karin Anders.
La ragazza, che riusciva a vedere ciò che accadeva alle spalle di suo padre, spalancò gli occhi incredula, scorgendola là tra la piccola folla.
“Zia Karin?” esclamò stupita.  “Ma che cosa ci fai qui?!”
“Christine! “Dio, ti ringrazio!” esclamò la donna, stringendo a sé la nipote.  “Non potevo rimanere a Uppsala dopo quello che ti era successo. Quando Severus mi ha detto che eri stata rapita…”
“No, nessuno mi ha rapita”  Christine si separò da Karin, la quale si voltò perplessa verso Piton.
“Tuo padre mi ha detto che un certo Voldemort ti ha preso e tu sei scomparsa nel nulla”
“No, quel mago non centra nulla. Oh, zia, è una storia così strana!”
C’era un fremito nella sua voce. Un’emozione che le fece crescere un enorme sorriso sul volto.
Mai meno di ora, Severus si aspettò di vederla ridere.
“Ma dove sei stata, allora?” chiese Harry d’impeto. “E soprattutto, come hai fatto a tronare?”
Christine non rispose.
Quanto, e soprattutto a chi poteva raccontare del suo incontro con l’Angelo della Musica? Lui le aveva intimato di non dire nulla, ma almeno alla zia doveva farlo sapere. Raccontare a lei e a papà che i racconti di Elisabet si erano avverati.
“Le domande a dopo” disse Molly, che aveva preso Christine sotto la sua ala protettrice “Vieni cara, sarai scossa dopo tutto quello che hai passato”
“No, sto bene” ripeté per l’ennesima volta Christine. “Non mi è successo niente”
Il chiacchiericcio si spense e divenne un silenzio attonito.
“A quanto sembra, abbiamo preso tutti una gran cantonata, eh?” esclamò l’uomo che la ragazza non conosceva, reprimendo una risatina. “Meglio così! Ah, a proposito, sono Mundungus Fletcher. Piacere di conoscerti, cara” le porse una mano, ma Piton la scansò.
“Dobbiamo parlare, Christine” le disse in tono severo “Io e te da soli”
La ragazza vide lo sguardo cupo e deciso di suo padre e il suo sorriso si spense. Era pronta a quella possibilità.
“Si, papà” annuì.
“Un momento!” esclamò una voce in modo feroce.
Christine si sentì afferrare per un braccio e senza tante cerimonie fu sbattuta contro una parete da Malocchio Moody che, con gran stupore di tutti, aveva sfoderato la bacchetta magica e l’aveva puntata contro la ragazza.
Quasi istantaneamente, anche la bacchetta di Piton saettò in avanti.
“Ma che cosa stai facendo?!” esclamò Tonks indignata.
“Controllo che questa ragazza sia davvero chi dice di essere”
“Mettila giù, Moody. Non te lo ripeterò” intimò Piton con la sua consueta calma.
“Come osa comportarsi in questo modo! Tolga subito le mani di dosso a mia nipote!” gridò Karin, adirata e allibita.
 “Con tutto il dovuto rispetto, signora, io non penso che lei capisca la gravità della situazione”
“Non mi seve capire nulla, se non che lei è completamente impazzito!”
“Moody!”. La voce di Piton suonò come il rombo del tuono. “Lasciala”
“Potrebbe benissimo essere una spia di Voldemort, non ci hai pensato? Magari qualcun sotto l’effetto della Pozione Polisucco”
Malocchio fece vagare l’occhio magico sul volto ora spaventato di Christine.
“Non è come credete. Lasciatemi spiegare, per favore” disse lei.
Non era una strega, ma sapeva qualcosa a proposito di pozioni e incantesimi che potevano cambiare l’aspetto delle persone. Avere Hermione come amica aveva i suoi vantaggi.
“Non c’è nessun incantesimo!”.
“Prima dobbiamo accertarcene, ragazzina” Moody strinse la presa sul braccio della ragazza, bloccandola sul posto. “Che aspetti, Severus. Sei un Legilimens, no?”
Christine cercò con lo sguardo sua padre, in cerca del suo aiuto, e lo vide fissarla…con incertezza.
Piton non muoveva un muscolo. Continuava a guardarla. Non voleva usare la Legilimanzia con Christine, non lo aveva mai fatto. Sarebbe parsa come una mancanza di fiducia nei confronti di lei, ma era necessario. Per quel che ne sapeva, per quanto gli costasse ammetterlo, Moody poteva avere anche ragione. Tutta l’euforia che era scoppiata al numero dodici di Grimmauld Place si spense all’improvviso. Calò come un’ombra lugubre, che andò ad annebbiare il volto della fanciulla, che guardava il padre incredula.
Con gran sconcerto di tutti, Piton allungò la bacchetta verso la figlia, ma poi la riabbassò subito.
“E’ ridicolo!” disse sprezzante.
“Ti sei rammollito, Piton. Hai messo da parte la prudenza solo perché si tratta di tua figlia? Ma io non mi lascio ingannare. Se non voi leggerle nella mente tu, lo farò io, ma non sarò tanto garbato”.
“Che sta succedendo qui?”
Kingsley e Richard varcavano la soglia di casa Black in quel momento e osservavano la scena attoniti.
Gli occhi di Thompson si mossero veloci da Christine a Moody. Senza pensarci due volte afferrò la sua bacchetta e gridò: “Expelliarmus!”
La bacchetta di Moody volò in aria e atterrò qualche metro più in là.
“Allontanati da lei!”
“Calma, ragazzo” disse Kingsley superandolo. “Malocchio, lascia andare Christine”
“No. Non finché non saprò con sicurezza che non è un’impostora!”
“Vecchio pazzo” disse Piton con gli occhi che dardeggiavano su Moody.
“Pazzo io?”
“Calmatevi tutti, per favore” disse Lupin alzando la voce. “Severus, Richard, mettete giù le bacchette. Io so come dimostrare che Christine è davvero se stessa”
Piton guardò il mago con un vago cipiglio. Lupin sorrise e si rivolse alla ragazza.
“Dimmi Christine, tu sai cosa sono in realtà?”
La ragazza scosse piano il capo senza capire il senso della domanda “C-come?”
“Andiamo, tutti lo sanno. Di certo ti avranno messo al corrente di una cosa così importante”
“Non so di cosa sta parlando”
Lupin sorrise soddisfatto. “Ora lasciala andare, Malocchio”
Moody mollò la presa e subito Karin fu accanto a Christine, mormorando a bassa voce imprecazioni contro di lui. La ragazza continuava a fissare Lupin con tanto d’occhi.
“Dovrebbe bastarmi, Remus?” ringhiò Moody.
“Eccome! Nessuno ha detto a Christine quello che sono, e sono stato io a pregare tutti quanti di non raccontarglielo. Non è ancora così pronta a sapere anche questo”
“E’ una cosa così sconvolgente?” chiese la ragazza con una certa preoccupazione.
“Abbastanza” ammise Remus.
“Potrebbe stare fingendo!” esclamò Moody.
“Ti assicuro che non è così” disse Severus pacato, fissando l’ex Auror. “Io sono stato il primo a cui Lupin ha chiesto di non approfondire certi argomenti. E non l’ho fatto”
“Ma perché? Cosa c’è ancora che non devo sapere?” chiese Christine senza riuscire a fermarsi.
“Lupin è un lupo mannaro” scandì Moody con foga, e scrutò insistente la fanciulla per vedere come avrebbe reagito.
Per tutta risposta, Christine spalancò gli occhi e represse un grido coprendosi la bocca con la mano.
“Adesso sei convinto?” chiese Severus.
“Non ancora”
“Ora basta, Malocchio!” esclamò Sirius. “Credo che siamo tutti più che sicuri che Christine sia davvero lei”
“Ma allora siete proprio tutti ciechi in questa casa? Non vi siete resi conto del suo comportamento? Vi pare possibile che una qualsiasi persona che sia stata rapita da Voldemort possa tornare per raccontarlo, per di più affermando che non le sia successo niente?”
“Ma non sono stata rapita!” disse Christine ritrovando la voce. “N-non proprio”
“Oh, e allora dove hai trascorso i precedenti cinque giorni?”
La fanciulla fissò il vorticante bulbo blu elettrico. “Non posso dirlo. Mi dispiace. Non a lei”
Moody agitò la mano. “Bene! Allora a chi avrà l’onore di raccontare il suo magnifico incontro con Lord Voldemort, signorina?”
“Non ho incontrato Lord Voldemort!” esclamò la ragazza un po’ esasperata. “Non sono stata portata via dai suoi seguaci ne da nessun altro!”
“Allora, dove diavolo sei stata?” chiese Harry confuso.
“Potter, fa silenzio” disse Piton rinfoderando la bacchetta magica. “Christine, vieni di sopra con me” e senza aggiungere altro cominciò a marciare su per le scale.
La ragazza guardò di nuovo tutti i presenti. Sul volto di ognuno c’era un’espressione diversa, per lo più indecifrabile. Non disse nulla e seguì suo padre fin nella propria camera.
Severus accese le luci con un colpo di bacchetta e di nuovo il grande specchio rimandò i suoi bagliori dorati, che ora erano meno splendenti via via che la notte calava su Londra.
“Dove sei stata?” chiese immediatamente il mago, senza troppi giri di parole.
“Non so se posso dirtelo”
“Christine, tu ti rendi conto di quello che tutti hanno passato?”
Parlare al plurale gli veniva più facile. Era un modo per non scoprirsi, per non ammettere che quel tutti in realtà voleva dire soltanto io.
“Mi dispiace, non volevo causare problemi” la ragazza si strinse nelle spalle.
“Ma ne hai causati. E tanti. Cinque giorni non sono pochi, Christine, quando si crede che qualcuno sia stato rapito dal Signore Oscuro. Cinque giorni possono voler dire la fine. Se a te sembrano pochi, a noi sono sembrati un’eternità. Di solito, chi cade nelle mani di Voldemort non dura più di ventiquattr’ore”
Suo padre parlava con quel suo tono sempre così profondo e pacato, a che se adesso le sembrava di percepire una nota di rabbia dentro la sua voce.
“Lo so” rispose la fanciulla a testa china.
“No, non lo sai! Tu non sai nulla di come…”
“Invece lo so. Gli altri me ne hanno parlato” esclamò la ragazza alzando gli occhi e fissando suo padre con rimprovero.
Un sopracciglio di Severus si alzò impercettibilmente. “Chi? Potter?”
“No, non prendertela con Harry, e nemmeno con Sirius, loro non centrano. Hermione e Ginny. Ho chiesto a loro e mi hanno raccontato qualcosa a riguardo”. Christine sospirò. Non voleva arrabbiarsi con suo padre. Non proprio ora che si erano finalmente ritrovati. “Tu continuavi a tenermi all’oscuro di tutto, così ho pensato di domandare a qualcun altro. E so che loro ne sanno abbastanza”
“E si saranno vantate dei loro atti eroici, immagino, o ti avranno esposto le magnifiche gesta di Harry Potter. Ma sappi che non è un’avventura così magnifica come te l’avranno dipinta”
“Non hanno fatto niente del genere. Per la verità Ginny sembrava anche piuttosto spaventata nel raccontarmi quello che ha passato a proposito di uno strano diario”
“Basta così!” esclamò Piton. “Non dovrai sapere più niente da loro”
“Perché no?”
“Perché è troppo pericoloso”
“Io voglio sapere com’è il tuo mondo, papà!”
“E credi sia meglio scoprirlo da altri invece che aspettare che sia io a parlartene?”
“Si, se tu non mi dici mai niente!”
Si fissarono per qualche istante. Non avevano mai litigato, quella era la prima volta.
“Credevo che ti andasse bene così” disse Severus.
“Lo credevo anch’io”
Severus tirò un gran sospiro tornando sul discorso principale.
“Ascoltami, Christine. Voglio sapere dove sei stata”
“Io…”
“Dove hai preso quell’abito?” la interruppe il mago.
Solo ora si accorgeva dei particolari. Era sicuro che lei non possedesse vestiti simili. La stoffa sembrava pregiata e Christine si vestiva sempre in modo molto semplice.
“E’ il regalo di un amico”. Un lieve sorriso si dipinse sul volto della fanciulla quando abbassò lo sguardo sulla gonna e ne lisciò la stoffa con le mani. “Non mi crederesti mai”
“Dimmelo”
Lei lo fissò mortificata. “Mi dispiace, non posso. L’ho promesso”
“A chi? Devi dirmelo!”. Severus le mise le mani sulle spalle e la guardò dritta negli occhi.
Christine stava per parlare, ma una folata di vento fece sbattere la finestra, che si chiuse e si riaprì con un tonfo.
Un sussurrò, una voce –la sua voce- arrivò alle orecchie della ragazza. O forse era solo nella sua testa.
“Christine”
Solo il suo nome, che sembrò riecheggiare all’infinito, finché non si spense mischiandosi al fischio del vento che tornò ad acquietarsi, ma questo bastò a  riscuoterla.
“Non posso” La fanciulla abbassò il capo così che i lunghi riccioli le ricaddero sul volto.
Quanto avrebbe voluto raccontare tutto a suo padre, ma come avrebbe fatto a evitare la delusione che l’Angelo avrebbe dimostrato sapendo che l’aveva tradito?
Rialzò il capo e lo guardò implorante. “Devi fidarti della mia parola. Forse un giorno te ne parlerò, ma non oggi. Non adesso”
Piton sospirò guardandola con severità, ma che altro poteva fare? Costringerla con la forza?
“Puoi almeno assicurarmi che non ti è successo niente di male?”
“Si, certo. Non devi aver paura. Guardami, sto bene! Mi sono stati dati abiti meravigliosi! E non mi hanno tenuta prigioniera, se è questo che temi. Controlla tu stesso se non ci credi. Ma vorrei che ti fidassi sulla parola. Perché dovrei raccontarti una bugia?”
Già, perché? pensò Severus. Non avrebbe avuto alcun senso. Se si fosse trovata veramente tra le grinfie di Lord Voldemort o qualcuno vicino a lui sarebbe stata letteralmente terrorizzata come era successo quando Codaliscia era penetrato in casa loro a Spinner’s End. In quel frangente, Christine si era mostrata completamente differente da come appariva adesso.
Ma allora, con chi era stata e dove? Il ragazzo misterioso che lui e Thompson avevano pedinato poche sere addietro sapeva benissimo che Christine sarebbe presto ritornata da loro. Era forse stata con lui? Quell’individuo lasciava dietro di sé continui indizi che portavano a pensare che fosse in qualche modo legato al lato oscuro, per cui, poteva essere che Christine fosse una vittima ignara di un piano diabolico ben architettato. Dopotutto, forse, Moody ci aveva visto giusto. Qualcosa che non tornava c’era. Anzi per la verità niente era chiaro in quella faccenda. Lei era salva, e questo era ciò che contava, ma per non permettere più che accadesse una situazione analoga, Severus doveva fare ciò che era più giusto per lei.
“Avevo promesso a tua zia che ti avrei riportato a casa. In qualche modo credo di aver mantenuto la parola, anche se non l’ho fatto personalmente. Ma credo che il solo riaverti con lei le basti”
“Papà, mi dispiace” disse Christine con gli occhi pieni di tenerezza.
Severus le passò una mano sul viso e l’abbracciò. “Mi hai fatto stare in pena, piccola sciocca”
“Scusa” Christine si scostò dall’abbraccio. “Te lo dirò. Giuro che ti racconterò tutto!”.
 “Indagherò a fondo su questa faccenda, Christine,  e scoprirò comunque con chi sei stata. Si sono dati tutti molto da fare per trovarti. Tutti credevano di trovarti. Gli altri membri dell’Ordine non accetteranno una spiegazione così carente come la tua”
Lei si fece seria in volto “Se lo farai, se cercherai di scoprire il mio segreto, non potrò dirti nulla. Perché non vuoi fidarti di me?”
“Christine, io vorrei farlo, ma il fatto che tu sia scomparsa nel nulla, non mi rassicura. Io voglio scoprire cosa è successo. Devo essere sicuro che non si tratti di Voldemort e-perdonami- non ci credo affatto”
“L’aveva detto che non avresti ci avresti mai creduto”
“Chi te l’ha detto?”
La ragazza lo fissava con emozione sempre più crescente. Un’emozione che irradiava tutta la sua persona, crescendo in ondate dentro al suo petto.
“Devi promettermi di non dirlo a nessuno. Nemmeno a zia Karin. E’ estremamente importante”
Severus attese qualche istante, poi l’assecondò.
“Te lo prometto” disse sospirando, ma lo fece più che altro per farla desistere, non tanto perché volesse mantenere davvero quella promessa. Per quanto sapesse che l’avrebbe ferita, non poteva agire altrimenti.
“L’Angelo della Musica” sorrise la fanciulla nel pronunciare quel nome.
Si, solo un nome. Che male ci poteva essere se suo padre lo sapeva? Aveva promesso, ma pronunciare il suo nome non equivaleva a un tradimento. Non avrebbe raccontato niente. Niente di niente. Solo un nome. Per spiegare a suo padre, unicamente a lui, la verità. Per rassicurarlo sulla sua situazione. E poi sapeva già dell’Angelo. Ne avevano parlato una volta, alcune settimane prima, quindi non era nulla di nuovo…a parte l’incredibile fatto che era stato proprio l’Angelo a creare tutto quello scompiglio portandola con sé.
Questa era la parte fondamentale da omettere: la storia, la vera storia dell’Angelo della Musica. Non la fiaba di Elisabet, ma la terribile situazione in cui incorreva il suo sfortunato amico.
Anche Christine si era trovata negli stessi panni di Severus, dopotutto. Senza sapere nulla di ciò che lui facesse, dove andasse, e nemmeno ora lo sapeva nei particolari. Perché a volte non si può rivelare tutto di sé stessi, perché tutti hanno segreti che non possono o non vogliono rivelare.
Piton la guardò completamente attonito.
“Lo so che sembra assurdo, ma ti ricordi della leggenda che ti ho raccontato? Io ho sempre creduto in questo e ora scopro che è tutto vero! Papà, non capisci? Mamma mi disse che mi avrebbe mandato l’Angelo, e io l’ho visto! E’ venuto da me quando avevo più bisogno di lui. Quando mi sono sentita triste e smarrita. Non lo sto inventando, perché dovrei?”
“Io so che tu ci credi veramente, ma è una pazzia te ne rendi conto?”
“Cosa?” il sorriso di Christine si spense.
“Moody aveva ragione, in fondo. Non come intendeva lui, chiaro, ma questo è tutto un inganno. Un inganno ben architettato, non c’è dubbio”. Piton si allontanò da lei e andò alla porta.
Christine capì immediatamente le sue intenzioni e cercò di fermarlo.
“No!” gridò la ragazza afferrandolo per un braccio, impedendogli così di aprire. “Hai promesso! Non devi dirlo a nessuno! Non dovevo dirlo nemmeno a te, perché l’Angelo non vuole che si sappia di lui!”
“Non c’è nessun Angelo, Christine!” esclamò Severus liberandosi dalla sua presa.
“Perché non vuoi crederci?!”
“Perché sono sicuro che se mi raccontassi anche com’è fatto questo tuo Angelo, vi troverei l’esatta descrizione di Lord Voldemort!”
“Io…io non l’ho visto. Non l’ho mai visto in volto” si affrettò a mentire la ragazza. “Ricordi? L’Angelo non si vede mai. Esiste solo sotto forma di voce”
Piton scosse la testa. “Vuoi farmi credere che sei stata prigioniera di una voce?”
“Non sono stata prigioniera! Io…”
“Ora so cos’è accaduto. Finalmente riesco a mettere insieme i pezzi. Sei stata vittima di un inganno, Christine. Non ti rendi conto di essere stata presa in giro? Il tuo Angelo non esiste”
“Come puoi giudicare qualcuno che non hai mai visto e che neppure conosci?”
“E tu? Lo conosci?”
“Si, perché non era la prima volta che lo incontravo”
Gli occhi neri di Piton fissarono a lungo quelli castani della figlia. La studiò attentamente e fu tentato di usare la Legilimanzia, ma poi desistette.
“Da quanto va avanti questa storia?”
“Da quando sono arrivata qui”
“Silente aveva ragione. E’ come diceva lui” mormorò Severus più a se stesso che a Christine. “Senza sapere, gli hai aperto le porte del tuo cuore ed egli vi si è introdotto senza difficoltà. Devo parlare con lui immediatamente”
“Papà, aspetta!” lo richiamò la fanciulla, ma Piton stava già scendendo le scale quando lo raggiunse.
“Che cosa succede?” chiese Karin apparendo dal salotto.
Severus non rispose, ma si voltò ancora verso la figlia, parlandone con un tono che non aveva mai usato.
“Prepara le valigie Christine. Torni a casa. Subito”
La ragazza guardò Severus, poi la zia. “No”
“Non discutere” disse il mago, marciando verso la porta d’ingresso.
“Aspetta, Severus” disse Karin. “Non abbiamo nemmeno prenotato il volo, come faremo…”
“Non volevi riportare Christine in Svezia?”
“Si, certamente, ma credevo che non fosse una cosa così immediata”
“Dovrà esserlo invece. Christine non è più al sicuro qui”
“Avevi detto che era uno dei luoghi più sicuri per nasconderla” disse Karin, cominciando a preoccuparsi.
“Non più. Kingsley, accompagnale tu, insieme a Thompson. Con una Passaporta. Puoi farlo?”
“Certamente” Shaklebolt si scambiò un’occhiata con Piton. “E’ come credevamo, allora?”
Severus non rispose e questa era una muta conferma. Si voltò e mise mano sulla maniglia della porta, pronto, una volta fuori, a smaterializzarsi.
“Dove stai andando?” chiese Sirius.
“A Hogwarts” rispose Piton per poi uscire nella notte.
Il silenzio calò all’istante. Hogwarts voleva dire Silente e ciò significava che Christine era incorsa in un grave pericolo.
Moody sbuffò. “Io ve l’avevo detto che qualcosa non quadrava” disse puntando un dito accusatore verso Christine. “Per colpa delle tue azioni sconsiderate, ora la copertura di tuo padre rischia di saltare!”
“Allora è stato davvero Voldemort” disse Harry. Non era una domanda.
Christine non rispose. Non sapeva cosa dire.
“Vieni tesoro, andiamo di sopra” disse Karin prendendo la nipote per le spalle e conducendola di nuovo su per le scale.
La donna cominciò ad armeggiare con i cassetti e la biancheria di Christine, che se ne stava sul suo letto con lo sguardo basso.
“Avevamo detto fino a settembre” protestò debolmente la ragazza. “Avevamo deciso che potevo rimanere fino ad allora”
“Tuo padre è un professore e deve tornare ad insegnare, non avrà tempo di occuparsi di te. Torni al lavoro il primo di settembre, non è vero?”
“Si, ma mancano ancora più di due settimane!” esclamò la ragazza, ma Karin parve non averla nemmeno sentita.
“Coraggio, cara, non star lì impalata!”
“Non voglio tornare a casa. Non ancora”.
“Oh, bé, prima o poi dovrai farlo. Inoltre, io e tuo padre abbiamo discusso su se era meglio farti partire subito o meno. Aggiungici che non sapevo nemmeno se fossi tornata e capirai che è davvero meglio pe rutti se torni subito a casa. Alla tua vera casa”
“Io non voglio andar via”
Non voleva lasciare su padre in quel modo.
“Non è un addio, cara. Lo rivedrai. Questa è anche casa tua adesso, per quanta gente stramba ci sia”
“So che stai pensando a Remus. Non ha niente di strano, è sempre stato una persona deliziosa”
Karin si irrigidì e Christine se ne accorse. “Il mondo non è bianco e nero, zia”
“Oh, mi sembra di sentire tua madre. Sempre pronta a trovare il buono in tutti”
Karin si spostò verso la specchiera dove vi era appoggiato, insieme alle altre cose, il cofanetto di Christine…all’interno del quale c’era il medaglione di Riley.
“Lascia, zia, grazie. Continuo da sola” La ragazza scattò in avanti, ma la donna lo stava già  aprendo.
“Controlla se c’è tutto. Non voglio dover tornare indietro a prendere oggetti mancanti”
Christine osservò l’interno del portagioie, constatando con orrore che il medaglione non era al suo posto. Era sicurissima di non averlo lasciato sotto il cuscino. Assolutamente sicura. Lo aveva riposto all’interno del cofanetto prima che succedesse di venire risucchiata dallo specchio. Aveva deciso di non lasciarlo troppo esposto, perché la signora Weasley, o Kracher, nel riordinare avrebbero potuto trovarlo. Ma non c’era più.
Si sedette sul letto, cercando di non pensare cosa avrebbe dovuto inventarsi stavolta per non rivelare la vera provenienza del medaglione, ma soprattutto, a come avrebbe fatto se non l’avesse trovato in tempo.
“Zia Karin?”
“Mm?”
“Per caso…sai se qualcuno è entrato in camera mia mentre non c’ero?”
La zia la osservò perplessa. “Si, è probabile. Soprattutto perché l’unico indizio che avevano per capire come sei sparita nel nulla era questo specchio, che ad essere sincera mi da i brividi”
“Posso almeno salutare i miei amici?”
“Va bene, ma fai in fretta. Credo che partiremo non appena il signor Kingsley avrà pronta…oh, cielo, non ricordo come si chiama!”
“Una Passaporta, credo…Non guardarmi così, me l’ha insegnato la mia amica Hermione”
La ragazza uscì dalla camera, ma non appena fu sola sul pianerottolo buio, pronta a scendere nuovamente in cucina a cercare la signora Weasley per chiederle del medaglione, una figura apparve dalle ombre. Due grandi occhi gialli si posarono su di lei.
“Kracher si domandava quando la signorina ficcanaso sarebbe ricomparsa”
“Lasciami scendere, per favore. Non ho molto tempo”
“Oh, la signorina mezzosangue chiede ‘per favore’ ” cominciò a ridacchiare l’elfo.
Christine fece finta di nulla e lo sorpassò.
“Ma Kracher sa cosa sta cercando Christine”
Al sentirlo pronunciare il suo nome per la prima volta, la fanciulla si voltò. Perplessità e sospettò apparvero sul suo volto e divennero stupore quando la creaturina estrasse da sotto il suo cencioso indumento il medaglione dorato.
“E’ questo”
“Dammelo, ti prego!”. La ragazza allungò una mano, ma Kracher zampettò dentro una stanza completamente buia, dove si nascose chissà dove. Lei lo seguì, ma non riuscì più a vederlo.
“Kracher?”
“Chiedi per favore”
“Kracher, ti prego, è importante”
“Per fa-vo-re
Christine sospirò guardandosi intorno esasperata. “Per favore”
L’elfo emise ancora la sua risatina gracchiante, poi sbucò fuori da dietro il mobile di legno accanto alla finestra sprangata. L’unica stentata forma di luce che lasciava intravedere all’uno i lineamenti dell’altro erano il baluginio degli occhi di Kracher e del medaglione…o meglio dei due medaglioni.
“Kracher ha una proposta da fare alla signorina ficcanaso, o andrà a dire a padron Black che è una bugiarda e che non ha raccontato la verità sul ragazzo che la ha regalato il ciondolo”
“Tu come le sai tutte queste cose?” chiese la fanciulla sempre più confusa.
“Kracher ascolta, ficcanaso. Kracher ascolta…”
 

 
 
Ciao a tutti! Siete sempre lì? Si, vi vedo, vi vedo tutti. Voi non lo sapete, ma io ho potei nascosti eh? Eh eh eh…
La pubblicazione di questa ff va un po’ a rilento ultimamente, lo riconosco, ma mi sono sbloccata su un punto e adesso andrò per un po’ liscia come l’olio.
Allora, che capitolo tosto vero? Il primo litigio tra Chris e Sev, la partenza della ragazza, Kracher che spunta con due medaglioni…ne sa una più del diavolo quell’elfo. Dal prossimo chappy si comincia a uscire dalla trama tranquilla a cui siete abituati per entrare nel regno dell’Oscuro Signore. Non è ancora tempo per il Rito, vi anticipo però che avverrà nella stagione invernale. Ci sta bene secondo me, molto più che in una assolta giornata estiva, no? Attenti a passare delle stagioni, quindi!
Commenti, commenti, ne aspetto a valanghe, non deludetemi! E spero io di non deludere mai voi!
Ringrazio:

Allice_rosalie_black, Ary g,  Aylas, bimba3, Blankette_Girl, CarolineEverySmile, chiara53, coccinella75, Eleonora2307, Faith18, Femke, foffia, francesca88, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, ladyhawke25, Lady_Storm, Latis Lensherr, laurana, LenShiro, Mary_Jane_, namina89, Phoebe76, Pollon0874, rum43coach
e zackaide. Grazie, grazie, grazie.
 
Un bacio a tutti dalla vostra Usagi^^ 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24: I due medaglioni ***


Capitolo 24:
I due medaglioni

 
Christine osservava confusa le catene dorate che pendevano dalla mano di Kracher. L’elfo le teneva ben strette nel pugno rugoso e quelle ondeggiavano lente e silenziose, mostrando i due gioielli perfettamente identici. Le S ricamate sulla superfice ovale somigliavano a piccoli serpenti che parevano muoversi sinuosi alla debole luce della stanza.
Christine aspettava che Kracher parlasse, ma lui indugiò ancora qualche secondo assaporando l’effetto che le sue parole stavano avendo su quell’insignificante ragazza babbana, ancora troppo inesperta per capire tutti i segreti che ruotavano intorno a lei e dei quali stava divenendo pian piano protagonista a sua insaputa.
“Kracher sa quanto la signorina ficcanaso ha a cuore il medaglione. E sa anche che ha tanto a cuore chi glielo ha regalato”. Una risatina cattiva gli salì in gola.
“Tu conosci…?” cominciò Christine, fermandosi in tempo prima di pronunciare il nome di Riley.
“Io? No, no, Kracher non ha la presunzione di incontrare un mago tanto grande. Ma i miei padroni…loro sì, lo conoscono, e bene”.
Christine cercò di mettere insieme i pezzi di tutta la faccenda, che le sembrava ora più intricata di prima.
I padroni di Kracher erano i Black. Una famiglia di maghi da sempre devoti al lato oscuro (così le avevano detto). Sirius era il primo e ultimo membro del casato di cui si sapesse essersi ribellato alla ‘tradizione’, di famiglia. Lui era in questo momento l’unico padrone che Kracher serviva, ma potevano benissimo esservi altri membri dei Black ancora in vita, per quel che ne sapeva lei. Di una cosa però cosa era certa: se così fosse stato, di sicuro erano seguaci di Lord Voldemort.
Ma cosa centravano il medaglione e Riley con il Signore Oscuro? Chi era davvero quel ragazzo? Un Mangiamorte? Oppure una vittima, esattamente come lo erano stati molti prima di lui? C’erano state persone costrette a fare di tutto per ordine di Lord Voldemort, obbligate con la tortura o con incantesimi di svariato tipo, che in realtà agivano più per paura nei suoi confronti che per vera devozione.
Come stavano le cose, dunque?
Sarebbe potuta rimanere per ore ad arrovellarsi il cervello nelle congetture più svariate, ma sarebbe sempre stata lontanissima dalla verità. I pezzi del puzzle non combaciavano a dovere, c’era sempre qualche tassello mancante che le impediva di scorgerne l’immagine completa.
La ragazza allungò di nuovo la mano verso Kracher, impaziente, sapendo di avere pochissimo tempo a disposizione. Da un momento all’altro, zia Karin sarebbe venuta a cercarla e avvertirla che tutto era pronto per la partenza.
“Kracher, non ho molto tempo, per cui ti prego…”.
“Ooohhh, adesso implora! La ficcanaso sta supplicando Kracher!” gracchiò l’elfo con un’altra risatina.
“Ti ho già chiesto per favore!” insistette lei.
L’elfo alzò il lungo indice della mano libera e lo mosse avanti e indietro in senso di diniego.
“No, no, no, il medaglione appartiene a sua signoria. E poi, quale sarà quello che Christine ha tenuto con sé tutto questo tempo? Quale? Quale?” cantilenò la creatura in tono divertito, voltando lo sguardo in lato, verso il soffitto della stanza buia.
Christine, esasperata e innervosita dai modi di fare dell’elfo domestico, approfittò di quel momento di distrazione da parte di Kracher per lanciarsi in avanti vero di lui, il braccio proteso il più possibile verso i due medaglioni d’oro. Poco importava se non avesse afferrato quello giusto, qualcosa le diceva che bastava riuscire a sottrargli uno dei due preziosi tesori per farlo finalmente parlare.
Riuscì quasi a toccarne la superfice levigata, ma Kracher fu più svelto. L’elfo si scostò, facendo un balzo indietro nel buio.
“AH!” esclamò rabbioso. “Ecco! E pensare che Kracher era disposto a cedere il medaglione alla signorina. Kracher si era quasi convinto. Ma la ficcanaso ha cercato di ingannarlo e lui adesso non lo farà più!”.
“Kracher, ridammi il mio medaglione, per favore!” esclamò a sua volta Christine con fervore e meno gentilezza di quanto avrebbe voluto.
 “Non è il tuo medaglione! Piccola e presuntuosa mezzosangue!” sbottò Kracher furioso. I suoi grossi occhi gialli si assottigliarono e la fissarono maligni. “Appartiene a sua signoria! Lui è il solo e unico, vero padrone! Tu non sei proprio niente!”
Christine trasalì a quello scoppio d’ira da parte della creatura. Doveva davvero essere molto importante quel piccolo e all’apparenza innocuo oggetto, per mandarlo così fuori dai gangheri.
La ragazza trasse un lungo sospiro e si inginocchiò sul pavimento per essere alla stessa altezza dell’elfo.
“Dimmi cosa vuoi da me, Kracher. Hai detto di avere una proposta da farmi, non è così?” chiese con calma.
Kracher continuò a fissarla senza mai battere le palpebre. Christine sentiva che il tempo a sua disposizione era ormai finito e pregò che facesse in fretta.
“Indovina” disse infine l’elfo con voce dura. “Devi indovinare quale dei due è quello che ti è stato donato”.
Spinse in avanti il pugno rugoso e i medaglioni oscillarono scontrandosi tra di loro, producendo un dolce tintinnio e riflettendo il chiarore che entrava nella camera buia attraverso la porta socchiusa. L’unica fonte di luce, oltre a quel bagliore dorato, erano gli occhi dell’elfo domestico, che non abbandonavano mai la figura della ragazza davanti a lui per paura di un nuovo tentativo di sottrargli i gioielli.
Quello che Kracher le chiedeva era impossibile. Come avrebbe riconosciuto un medaglione dall’altro?
“Non credo di essere in grado di fare ciò che mi chiedi” ammise la ragazza a malincuore. “Senti Kracher, io non ti piaccio, lo so. Ma dato che sei al corrente tutto quello che accade in questa casa…e anche al di fuori, saprai che non mi avrai tra i piedi ancora per molto. Parto tra pochi minuti e probabilmente non mi rivedrai. Perciò ti chiedo solo questo: ridammi il medaglione e dimmi quello che mi devi dire”.
L’elfo emise un fischio dal lungo naso appuntito, riflettendo. Assottigliò ancor più gli occhi e poi si decise ad abbassare la guardia.
Christine allungò d’istinto le mani quando lui le lanciò uno dei due medaglioni, e lei lo prese al volo stringendolo forte.
“In effetti, Kracher deve ridare ugualmente il medaglione a Christine” e pronunciò il nome della ragazza con un accento di disgusto. “Quello che Kracher vuole non è un gran che, ficcanaso. Devi solo custodire il medaglione ancora una volta per conto di sua signoria”.
“Quando dici sua signoria, a chi ti riferisci?” chiese Christine con trepidazione. Il cuore accelerò i battiti nel pensare a Riley.
“Tu lo sai. Tu l’hai incontrato, Kracher no, mai. Kracher fa solo ciò che gli viene detto di fare, lui non ficca il naso in altri affari…affari di maghi e streghe. Kracher è stato incaricato di dire alla signorina di tenere ancora il medaglione e l’ha fatto. Glielo ha detto. Kracher è un bravo e fedele elfo domestico”.
Christine aprì le mani e guardò il medaglione di nuovo in suo possesso. Era stato troppo facile riaverlo. A cosa era servita tutta quella messa in scena da parte dell’elfo se poi aveva ceduto tanto facilmente?
“E’ tutto qui?” chiese scettica. “Mi hai trascinata in questa stanza buia solo per dirmi che devo di nuovo riprendere il medaglione e…”
“Ricordati cosa ha fatto Kracher per te, ficcanaso!” sbottò l’elfo offeso. “Ha preso il medaglione e l’ha nascosto per non farlo trovare al padron Black e agli altri. L’ha custodito. Dovresti ringraziarmi”
Christine si morse le labbra e non disse niente. In fondo era la verità. Se Kracher non avesse avuto la prontezza di nasconderlo, forse qualcuno lo avrebbe trovato e lei si sarebbe stata nei guai. Suo padre prima di tutti avrebbe voluto sapere come fosse finito in mano sua.
“Si, hai ragione. Credo di doverti ringraziare. Perché anch’io avevo paura che qualcuno lo trovasse, sai?”
“E fai bene, signorina. Ma se ti preoccupavi tanto prima che nessuno trovasse il medaglione, adesso dovrai preoccupartene il doppio. Quello che tieni in mano non è più lo stesso. E’ un altro” la avvertì l’elfo, ritrovando il suo malevolo sorriso. “Un altro medaglione. Uno più potente di quello di prima. Quello vero
“Che significa?” chiese Christine, sentendo uno strano formicolio invaderle la mano che reggeva il gioiello.
“Che devi stare attenta, signorina ficcanaso. Quello che tieni tra le mani è il vero e solo medaglione. L’altro è una copia”.
“Una copia? Vuoi dire…che non ha poteri magici, per caso?” chiese con trepidazione.
Ricordò improvvisamente le ultime raccomandazione fattele da Riley.
Non dire mai ad anima viva che lo hai tu. Neanche se scoprissi di cosa si tratta.
Christine spostò velocemente lo sguardo dall’uno all’altro dei medaglioni. Il primo in mano a Kracher, il secondo in mano a lei. Lo sapeva! Non l’aveva mai concretizzato nella sua mente, ma lo aveva sempre saputo, così come aveva capito da subito che Riley era speciale. Quel medaglione era imbevuto di magia. Magia molto potente.
Il formicolio che aveva percepito prima invaderle la mano, ora si propagò a tutto il braccio, quasi come se il gioiello rispondesse affermativamente ai suoi pensieri.
“E’ uno scambio quello che mi chiedi. Tra il vero e il falso”
“Si, ma Kracher non sa nient’altro, quindi non chiedere. A Kracher non piacciono troppe domande”
Christine si trattenne a stento, perché era ansiosa di capire, sapere tutto, ma non aveva tempo. Non più.
“E dell’altro che ne farai?” chiese ancora, con amarezza. Ormai si era affezionata al monile che le aveva donato Riley. Non avrebbe voluto separarsene.
“Questo andrà in un luogo sicuro” rispose l’elfo accarezzando la superfice liscia con affetto. “Ma a te non interessa un bel niente!”
“Non è vero. Mi interessa, invece. Mi dispiace separarmene quanto dispiace a te te, perché chi me l’ha donato è una persona speciale”.
L’elfo sbuffò infastidito. “Allora pensa bene come trattare quello nuovo. Non devi lasciarlo incustodito come hai fatto con l’altro. Ricordati che nessuno deve vederlo. Nessuno deve sapere niente. Non devi parlare o non rincontrerai mai più sua signoria. Così ha detto lui ”.
“Si, lo so!” disse Christine con enfasi.
Non rivedere mai più Riley… Il suo cuore accelerò i battiti. No, lei doveva, voleva incontrarlo di nuovo!
“Christine?” sentì la zia Karin chiamare da qualche parte di sopra.
“Vengo subito!” gridò, per poi rivoltarsi svelta verso l’elfo. “Kracher, ascoltami” disse in fretta. “Io farò quello che mi hai detto, ma tu puoi fare qualcosa pe me?”. Lo sapeva che la risposta sarebbe stata no, ma tentare non costava nulla. “Un favore per un favore”.
L’elfo non parlò né si mosse. Sembrava attento e in attesa che lei continuasse.
“Dì a…a lui, al ragazzo che mi ha regalato il medaglione, che devo vederlo. Assolutamente! Riferiscigli il mio messaggio: se anche lui vuole rivedermi, se davvero lo desidera, deve recarsi fra tre giorni al cimitero di Uppsala, davanti alla tomba di Elisabet Anders. Glielo dirai? Per favore!”
Quelle erano le parole magiche, perché a quanto pareva Kracher aveva appena fatto un breve cenno di si con la testa.
Christine non disse altro. Si alzò e si voltò per uscire dalla stanza, quando si sentì afferrare per un lembo dell’abito. Guardò in basso verso Kracher e vide che lui aveva ripuntato i suoi enormi occhi gialli in quelli castani di lei.
“Un favore per un favore” ripeté l’elfo.
La ragazza si concesse un breve sorriso. “Grazie” mormorò, poi uscì in fretta dalla camera.
Si diresse veloce verso la cucina e quando vi entrò, fu accolta da un silenzio imbarazzante. Ebbe come l’impressione che fino a un attimo prima stessero parlando di lei. Lo capì dagli sguardi furtivi e curiosi che le rimandavano.
“Christine, cara” disse Molly andando verso di lei a braccia aperte, non prima di aver lanciato uno sguardo eloquente ai presenti.
La ragazza si lasciò abbracciare con affetto.
“Ci mancherai”
“Anche voi”
Hermione e Ginny erano appena dietro la signora Weasley e anche loro abbracciarono Christine.
“Ti scriveremo” disse la rossa. “Penso che almeno per questo ci diano il permesso”
“Guarda che non parte mica per la guerra, torna solo a casa” disse Fred allegramente.
“Sì, e quando verrà di nuovo a trovarci, la inviteremo alla Tana” aggiunse George facendole l’occhiolino. “A casa nostra”
“Mi piacerebbe!” disse Christine con un sorriso.
Quando anche zia Karin fu scesa al piano di sotto, lei e la nipote aspettarono il ritorno di Piton in Grimmauld Place. Con lui sarebbe giunto un mago di nome Dedalus Lux, e poi Richard, che aveva tanto insistito per accompagnare la ragazza.
“Vai a cambiarti, tesoro. Non vorrai partire così?” disse Karin indugiando con lo sguardo sul bell’abito verde chiaro della nipote.
Christine salì allora in camera, sempre accompagnata da Ginny e Hermione. S’infilò in fretta un paio di jeans e un maglioncino bianco. Le altre due si trattennero dal chiederle qualsiasi cosa sul bel vestito che ora Christine stava ripiegando con cura e infilava in una delle sue due valigie.
“Cedo che a Richard si spezzerà il cuore vedendoti partire” fece Ginny evasiva.
“Come?” chiese Christine senza capire bene cosa insinuasse.
Richard ha una cotta per te, se non te ne fossi accorta” disse Hermione timidamente.
Christine scosse la testa. “Non dire sciocchezze”
“E’ vero, invece! Non hai notato come ti guarda?” aggiunse Ginny. “Cerca sempre di attirare la tua attenzione, ma tu non lo degni di uno sguardo, poveretto”
“Ma io…davvero, non mi sono accorta di nulla” ammise Christine sentendosi un po’ in colpa. Era davvero stupita da quella rivelazione.
“Oh bè, naturalmente, se tu hai già qualcuno, lui non potrà far altro che rassegnarsi” disse Hermione spiccia.
“Richard è un gran rubacuori, non penso si darà per vinto. O almeno, così dicono Fred e George” disse Ginny sedendosi sul letto. “Hanno frequentato Hogwarts insieme per tre anni. Quando loro hanno iniziato gli studi lui era al quarto anno”.
Christine quasi non sentì l’ultima frase, stava ancora pensando a quello che aveva detto poco prima Hermione.
Qualcuno…si, in effetti, c’era qualcuno nel suo cuore, ma non era sicura che quel qualcuno provasse le stesse cose che sentiva lei nei suoi confronti.
“Posso chiedervi una cosa?”
“Certo” dissero quasi incoro le altre due.
“Credete che si debba per forza conoscere a fondo una persona per innamorarsene?”
Ginny e Hermione si scambiarono uno sguardo.
“Oh…non lo so. No, non credo” rispose Hermione. “Io penso che esista quello che viene comunemente chiamato colpo di fulmine. I tuoi genitori non si conoscevano, sono stati insieme per breve tempo, eppure si sono amati per tutta la vita, non è vero?”.
Christine la guardò e la bionda si portò una mano alle labbra.
“Perdonami! Non volevo parlare di cose private!”
Christine scosse il capo e sorrise. “No, non fa niente. E comunque, hai perfettamente ragione”
“Non ti fa soffrire parlare di tua madre?” chiese Ginny con cautela.
“Non più come prima. Sai, in effetti, da quando sono arrivata a Londra, ho cominciato a sentirmi il cuore più leggero. Forse è perché ho trovato tante persone care come voi”.
Le tre ragazze si sorrisero apertamente.
“Allora…sei innamorata di qualcun altro?” chiese poi Hermione.
Christine non rispose ma continuò a sorridere.
Forse era così, non avrebbe saputo come altro definire l’emozione che la invadeva tutte le volte che vedeva Riley e incontrava i suoi begli occhi azzurri.
“Christine, posso rubarti un attimo?” chiese una voce maschile alle spalle delle tre ragazze.
Harry era sulla soglia della camera e fissava la figlia di Piton con insistenza e serietà…finché un cuscino non lo colpì in pieno viso.
“Si bussa prima di entrare in camera di una ragazza!”
“Accidenti, Hermione! Mi hai fatto male”
Ginny e Christine scoppiarono a ridere, mentre la loro amica recuperava il guanciale e lo rimetteva al suo posto inveendo contro i maniaci.
“Ho dovuto sgattaiolare quassù senza farmi vedere da tua madre, Ginny” aggiunse Harry massaggiandosi il naso.
“Si, me lo immagino. Ci sorveglia tutti come fossimo criminali”.
Harry e Christine si guardarono. Poi il ragazzo parlò di nuovo.
“Possiamo parlare, allora?”
“Certamente”
“Da soli”
Ginny e Hermione si scambiarono uno sguardo.
“Aspetta Harry, per favore…” proruppe quest’ultima.
“No Hermione, devo parlare con lei prima che se ne vada. E’ importante”
“Ma…”
“No, va bene. D’accordo” intervenne Christine.
“Allora noi aspettiamo fuori” disse Ginny dirigendosi alla porta con Hermione, che lanciava sguardi severi a Harry. “Cercherò di non far insospettire mamma”
“Grazie Ginny” disse Harry.
Lei chiuse la porta e il giovane si ritrovò da solo con Christine che lo guardava nervosa.
Sapeva già cosa lui voleva chiederle, ma non avrebbe tradito un’altra volta l’Angelo della Musica. Non prima di sapere chi effettivamente era. Aveva già tanti dubbi Christine, e non desiderava certo che se ne aggiungessero altri.
“So che non vuoi parlarne, forse per te è difficile” cominciò Harry in tono di scusa.
“Sta tranquillo. E’ normale che tu voglia sapere, come tutti gli altri- più di tutti gli altri- se ho incontrato Lord Voldemort”
Il giovane si stupì nel sentirla pronunciare quel nome come se niente fosse, a differenza di tutti quelli che aveva conosciuto fin’ora, eccezion fatta per Silente, Christine era la prima che non rabbrividiva al suo suono. Ma d’altra parte, lei era nata e cresciuta la di fuori da quella minaccia.
Christine fece un profondo respiro. “No, Harry, non l’ho incontrato”
“Questo è quel che credi tu”
“Senti, come devo farvelo capire?”
“No, sei tu che non capisci!”
“Io so quello che ho visto!”
Christine non voleva ripetere la stessa identica scena anche con Harry. Moody e suo padre erano stati più che sufficienti. Senza contare che, ne era certa, sarebbe successo anche con zia Karin. 
“Dove sei stata allora? Con chi? Che cosa hai fatto?”
Christine alzò le mani per interrompere il fiume di domande. “Ok, ho capito. Voi pensate tutti a cosa possa essermi successo, ma lo ripeto ancora una volta, e giuro che è l’ultima: non mi è successo niente. E ti prego di riferirlo anche agli altri, a tutti. Harry, io so che non siete convinti, ma ti assicuro che Voldemort non centra…Non può centrare”.
Non sapeva che altro dire. Non poteva raccontare niente, solo persuadere i suoi amici che il mago oscuro era completamente estraneo a quella faccenda.
Purtroppo però, Christine doveva sforzarsi di crederci lei stessa. I dubi avevano cominciato ad affiorare pian piano da quando suo padre le aveva detto che non esisteva nessun Angelo della Musica.
“Ma saprai almeno chi ti ha portata via. Insomma, non insinuerai che non ti ricordi nulla di quello che è successo?”
“Non ho mai detto questo”
“Dimmi allora che aspetta aveva la persona che ti ha dato quel vestito. Avrà pur avuto un volto! Non puoi essere sparita nel nulla ed essere rimasta isolata per cinque giorni! Ovunque tu sia stata, avrai incontrato qualcuno, no?”.
Harry era deciso a non mollare. Anche se non avevano trascorso insieme molto tempo, ormai considerava Christine una sua amica. Non voleva che divenisse l’ennesima vittima delle macchinazioni del suo nemico. Non l’avrebbe permesso.
“Non ho visto il suo volto”
“Come sarebbe?”
“Lui…”
Gli occhi verdi di Harry si spalancarono.
Lui. Quindi era un uomo. Harry sapeva di avere ragione, ma lei negava, forse inconsciamente perché non conosceva Voldemort.
Christine si fermò accorgendosi dello sguardo attento che Harry le rivolgeva. Stava per dire che portava un mantello lungo e che il grande cappuccio ne copriva il volto, ma pensò bene di non nominare mantelli o altri indumenti che potessero associare l’immagine di Voldemort al suo Angelo.
“Portava una maschera” mentì in fretta. Fu la prima cosa che le vene in mente, perché non trovò di meglio.
“Una maschera? D’argento per caso?”
“No, era…era bianca. Perché?”
“Perché i Mangiamorte portano delle maschere argentate”
“Era bianca, te l’ho detto”
“Sei sicura?”
“Si”
“Non se l’è mai tolta?”
“No”
Christine rispondeva a monosillabi. Aveva paura di tradirsi e rivelare troppe cose, e inoltre aveva paura di tradire il turbamento che sentiva parlando dell’Angelo.
Mio Dio, se davvero fosse stato tutto un inganno?
Perché ora dubitava? No, non doveva! Aveva sempre avuto completa fiducia nell’Angelo, così come l’aveva Elisabet. Doveva credere in lui e non sospettare. L’aveva già tradito dopo pochi istanti che si erano separati, raccontando di lui a suo padre e ora, probabilmente, l’Angelo non sarebbe tornato.
Inoltre, perché mai, Lord Voldemort avrebbe dovuto interessarsi a lei? Non era una strega. Forse perché era la figlia di uno dei suoi seguaci più stretti. No, impossibile…Non era Voldemort il mago più malvagio e spietato del mondo? Odiava quelli come lei, senza magia, senza poteri speciali. Perché avrebbe dovuto prendersi la briga di risparmiarla? Non aveva detto Moody che quelli come lei perivano per mano di Voldemort? Si, l’aveva fatto, per cui non poteva assolutamente trattarsi della stessa persona, perché l’Angelo della Musica si era mostrato premuroso, gentile, buono con lei.
Restarono in silenzio per molto tempo, Harry non era soddisfatto, ma qualunque cosa dicesse, Christine sembrava essere convinta che non si trattasse di Voldemort. Perché?
“Posso farti un’altra domanda?”
“Si, certo” rispose lei un po’ stanca.
“Com’era il luogo in cui ti hanno portato?”
“Non saprei dirti con precisone dove mi trovavo, ma non di certo in una prigione”. Di nuovo non aggiunse altro e non nominò la grande casa con il giardino e il cimitero.
“Christine, lo diresti se fosse lui vero? Non è che per caso ti ha minacciata, o…”
Lei scosse il capo, ma prima che potesse dire altro, la porta della camera si spalancò con un tonfo e sulla soglia si stagliò la nera figura di Piton, che lanciò a Harry uno sguardo penetrante.
“Che cosa fate qui voi due?”
“Niente. Parliamo” rispose Harry fissando gli occhi neri del professore.
“Ci stavamo solo salutando papà” disse Christine calma.
Severus fissò ancora Harry per un paio di secondi, poi si voltò verso la figlia. “Sei pronta?”
“Si” disse la ragazza prendendo le sue valigie.
“Ti aiuto” disse Harry afferrandone una.
“Grazie” Christine gli sorrise. “Scrivimi anche tu, d’accordo?”
Nel lasciare la stanza, Christine diede un’occhiata veloce verso il grande specchio dorato. Come avrebbe fatto a rivedere l’Angelo? Forse quello era l’unico passaggio che la portava da lui. Sperò con tutto il cuore che egli si manifestasse di nuovo e al più presto. Sapeva che se avrebbe chiesto spiegazioni all’Angelo, lui le avrebbe dato risposte concrete e rassicuranti. Una volta le aveva detto che a ogni sua domanda avrebbe ottenuto risposta, bene ora lei ne voleva e tante. Il problema era riacquistare la sua fiducia, perché aveva tutte le ragioni di creder che l’avesse persa.
Scesero le scale e mentre passavano davanti alle altre camere chiuse, la ragazza voltò la testa per guardare la porta di quella in cui lei e Kracher avevano parlato. Non l’aveva notato prima, ma sul legno era affissa una targhetta con un nome: Regulus Acturus Black.
Quel nome non le disse nulla, ma s’immaginò che potesse essere il fratello di Sirius, del quale lui non parlava mai. Un membro della famiglia Black…un mangiamorte, presumibilmente…uno dei padroni di Kracher. Chissà se era ancora in vita, si chiese la ragazza, e chissà se conosceva Riley…
Infine, giunsero nel corridoio dell’ingresso. Un mago piccolo dl mantello viola si tolse il cappello a cilindro quando baciò la mano di Christine e s’inchinò.
“Dedalus Lux, piacere di conoscerla Sarò io a condurvi a casa”.
Dietro di lui c’erano Charlie Wesley e Richard, che sorrise a Christine.
La ragazza si soffermò a guardarlo attentamente. Richard era certamente un bel ragazzo, non le era difficile immaginare che grazie ai suoi capelli biondi e gli occhi azzurro chiaro, le ragazze della scuola si interessassero a lui. A lei Richard era simpatico, ma niente di più.
“Andiamo?” disse Charlie, mentre la signora Weasley raccomandava prudenza baciandolo sulla guancia.
“Non posso venire con voi, Severus” disse Kinglsey. “Affari urgenti al Ministero. Ad ogni modo non hai niente da temere”
“E’ certo che non sia più sicuro viaggiare con i nostri metodi?” chiese Karin ansiosa, fissando la tabacchiera che Dedalus Lux reggeva in mano. L’aveva chiamata con un nome come Passaporta.
“Non si preoccupi signora”, disse Kingsley in tono rassicurante. “E poi in questo modo farete molto prima. sarete a casa in meno di un secondo”
“Oh, cielo” esalò la donna per niente sollevata.
“E’ un modo molto sicuro di viaggiare, mi creda” disse il signor Weasley.
Christine abbracciò ancora tutti gli abitanti di Grimmauld Place, rifiutando e scuse di Tonks che si sentiva ancora in colpa per la storia della loro uscita clandestina la domenica mattina precedente.
Ma Christine era grata a lei e Sirius, anche se non lo disse apertamente, perché quel giorno aveva rivisto ancora una volta Riley.
Poi fu il turno di Severus, che la ragazza guadò con occhi diversi. Se agli altri aveva regalato un sorriso, a lui rivolse lo sguardo più mortificato del mondo.
“Vieni anche tu, vero?”
“No, ho molte cose da fare” rispose Piton, la voce sommessa nella confusione della partenza. Le mise una mano su una spalla e la guardò con una leggera tristezza negli occhi neri.
Faceva sempre così suo padre quando voleva comunicarle un gesto d’affetto. Non era una persona espansiva e non era avvezzo agli abbracci, ma le andava bene. Le andava benissimo.
“Quando credi che potrò tornare qui?”
“Non lo so Christine”
“Papà, mi dispiace tanto. Ti ho creato solo problemi. Scusami”. Gli occhi scuri di Christine si inumidirono al pensiero di separarsi da lui. “Non voglio andare a casa. Vorrei rimanere qui con te”
“Non è ancora il momento”
“Christine, cara, presto!” la chiamò la signora Weasley.
La ragazza si voltò in fretta verso la donna e poi ancor averso suo padre e senza pensarci due volte, gli buttò le braccia al collo sentendo che le lacrime cominciavano a bagnarle il viso.
“Ti voglio bene papà. Ti voglio tanto bene”
“Lo so tesoro. Lo so” mormorò Piton piano, così che solo lei udisse quelle parole.
Poi si separò da lei e la guadò sparire nel vortice creato dalla Passaporta, velocemente, all’improvviso, esattamente com’era arrivata.
Poi più niente. Gli sembrava che la casa si fosse svuotata. E quel luogo che gli era sembrato più piacevole, in un qualche modo, da quando c’era anche lei, tornò a essergli insopportabile sotto tutti i punti di vista. Non si recava mai a Grimmauld Place se poteva evitarlo, ma lì c’era Christine che lo aspettava. Adesso non ci sarebbe stata più, così come non sarebbe mai più apparsa sulla soglia della casa di Spinner’s End. Laggiù, nell’ultimo mese, aveva ritrovato di nuovo la ragione della sua esistenza. Ma i giorni felci erano finiti in fretta, troppo in fretta e adesso nemmeno a casa Black poteva sperare di ritrovare il sorriso che inondava il suo cuore di calore.
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e si voltò per incontrare lo sguardo preoccupato di Kinglsey.
“Che cosa ti ha detto Silente?” chiese l’Auror senza preamboli.
Gli occhi di tutti si posarono su Piton, in attesa.
“Niente. Non ho potuto incontrarlo. Non era a Hogwarts”
Severus mise automaticamente una mano nella tasca del suo mantello, dove teneva una missiva recapitatagli da Minerva McGranitt per conto del Preside. Una lettera che Severus non avrebbe mai voluto ricevere.
 
 
 
 

Dopo un mese di inattività, rieccomi da voi cari lettori. Vi chiedo perdono per la mia prolungata assenza, ma se molti di voi devono fare i conti con lo studio, esami e tesi, io devo farli con il lavoro, come ho già detto tante volte. Purtroppo capita che, anche se vorrei, non ho proprio il tempo di mettermi a computer, complice anche la stanchezza. Mi capite, vero? E mi scuserete ancora una volta. Chiedo venia, chiedo venia, chiedo venia, chiedo venia!!!!!
Ok…che mai ci sarà scritto nella lettera che Silente ha lasciato a Severus? E Christine e Riley si incontreranno davvero al cimitero di Uppsala? E se si, cosa accadrà tra i due? Ricordiamoci che ora la ragazza ha in mano il VERO medaglione di Salazar Serpeverde, uno Horcrux. Cosa le succederà?
Noi siamo ormai in primavera, ma la storia volge all’autunno e il Rito di Voldemort si avvicina inesorabile.
Spero sempre in tante recensioni, fatemi sempre sentire che ci siete e che non mi abbandonate nonostante la pubblicazione un po’ a singhiozzo. Ringrazie tutti voi che mi seguite con pazienza e ancora scuse infinite!!!
Alla prossima!
Baci Usagi^^ 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25: Vite separate ***


Capitolo 25:

Vite separate

 
Richard Thompson aveva ventuno anni, mago purosangue, figlio unico rimasto purtroppo orfano di genitori all’età di sette anni. Infanzia e adolescenza le aveva trascorse con la nonna materna che l’aveva viziato e coccolato come nessuno al mondo, la quale era mancata poco più di due anni prima. Rimpianto di Richard era di non averle mostrato di essere divenuto un cacciatore di maghi oscuri come suo padre prima di lui.
Di bell’aspetto, di statura superiore alla media, capelli biondi lunghi fino alle spalle, un sorriso accattivante, occhi di un limpido azzurro cielo. Era stato un Grifondoro a Hogwarts, dove aveva fatto strage di cuori, cosa che continuava a ripetere con orgoglio.
Poteva sembrare arrogante e vanesio al primo impatto, ma era anche un giovane uomo di grande coraggio. Brillante al corso di Auror così come lo era stato a scuola, un asso negli incantesimi di qualunque tipo, prometteva bene tra gli Auror poiché il suo spirito ardito lo  portavano a lanciarsi in missioni pericolose.
Un buon caposquadra, diceva Kingsley, suo grande amico e maestro, se non fosse stato troppo impulsivo.
L’unica pecca di Richard, secondo Shaklebolt, e il principale motivo delle discussioni che molto spesso nascevano tra i due e ragione per la quale Richard era stato rimandato due volte all’esame finale del corso.
Tendeva a non ubbidire agli ordini impartiti, spesso lanciandosi in azioni sconsiderate e inventate di testa propria. Era questo ciò che frenava Kingsley nel conferirgli l’incarico di caposquadra, ruolo che Richard anelava da quando aveva cominciato il suo apprendistato nel corpo speciale magico. E per tenerlo buono, Shaklebolt aveva partorito l’idea di affidargli l’incarico di guardia del corpo di Christine al suo ritorno a casa, compito che il giovane aveva accettato subito e senza remore per via soprattutto del grande interesse che provava per lei.
Chissà, forse avrebbe potuto prendersi il tempo di pensare un po’ di più alle ramanzine ricevute in passato o alle raccomandazioni che Kinglsey gli aveva ripetuto fino allo sfinimento prima della partenza per la Svezia. Ma l’Auror dalla pelle scura dubitava che Richard ci riflettesse sul serio.
Kinglsey non aveva avuto scelta, dunque. Il suggerimento non solo era venuto da Malocchio, ma era stato proposto come un ordine vero e proprio, sebbene celato dalla cortesia, dal capo degli Auror in carica: se Shaklebolt non voleva riportare Thompson al Dipartimento degli Auror in una di quelle piccole urne che si usano per contenere le ceneri di qualcuno dopo che lo si è cremato, allora, in quanto suo maestro, avrebbe dovuto prendere delle precauzioni, perché Richard aveva rischiato il collo già diverse volte.
Queste erano state le testuali parole, e così si era deciso sul da farsi.
Come già detto, Richard aveva accettato con estrema felicità, anche se non ne era stato felice per più di un paio d’ore.
Quando Dedalus Lux e Charlie Weasley, una volta accompagnate a destinazione Christine e sua zia si erano preparati per tornare in Inghilterra, a lui era stato detto di rimanere. Charlie gli aveva spiegato la situazione con un mezzo sorriso che al biondino non era piaciuto per niente. Si sentiva preso in giro, si sentiva escluso dalle attività dei cacciatori di maghi oscuri. Ormai quello era il suo lavoro, con che diritto Kingsley sceglieva per lui? Non era più un ragazzino! Non potevano tenerlo lì, si sarebbe smaterializzato e allora gliele avrebbe cantate!
Ma Charlie aveva saputo giocare la carta giusta coinvolgendo anche Christine.
“Sei qui per difendere lei” aveva detto il secondogenito dei Weasley con fare convincente. “Non è un castigo, Rich, è una missione vera e propria. Probabilmente la prima che affronti da solo. Ho ragione?”
Thompson aveva aperto la bocca un paio di volte per replicare, ma effettivamente le parole di Charlie erano vere. E poi c’era Christine.
“E’ cotto a puntino” aveva sussurrato Dedalus Lux all’orecchio di Charlie e così Richard aveva accettato di restare in Svezia almeno per un po’.
 
La Stazione Centrale di Stoccolma era un composto brulicare di gente, soprattutto turisti.
La Passaporta che li aveva portati laggiù era stata adibita da un mago Svedese, -neanche a dirlo, amico di Silente- con un nome davvero così impronunciabile che tutti si rivolsero a lui solo con l’appellativo di ‘signore’, dopo svariate figuracce. Solo Christine e Karin lo chiamavano in modo corretto. Il mago parlava l’inglese perfettamente, ma si intrattenne con la ragazza in una breve conversazione mentre scortava il gruppo fuori dal vicolo deserto che avevano usato come punto di arrivo.
Era la prima volta che Richard sentìivala gioane conversare nella sua lingua madre. La sua parlata era sciolta e si notava benissimo quanto fosse felice di poter di nuovo esprimersi come aveva fatto per tutta la vita. Il ragazzo si chiese all’improvviso come avesse imparato così bene l’inglese. Comunicare con lei non era mai stato un problema, a differenza della signora Anders, che con alcune terminologie aveva ancora difficoltà.
“E’ merito di mia madre” spiegò la ragazza, una volta che furono entrati nella stazione. “Mi ha sempre detto che dovevo imparare alla perfezione la lingua di mio padre, così quando l’avrei incontrato avrei potuto parlare con lui senza nessun tipo di problema”
“Che stupido. Era logico” rispose Richard. La osservò per qualche istante e si accorse che nonostante tutto sorrideva. Era incredibile come riuscisse ad affrontare ogni cosa con calma e serenità.
“Presto si sistemerà tutto. A Londra, dico. E tornerai a vivere con il professor Piton”
Lei continuò a fissare la strada davanti  a sé e rispose solo con un grazie. A lui bastò.
Camminarono sotto lo sguardo curioso dei passanti, che fissavano con tanto d’occhi il mantello viola acceso di Dedalus.
“Bene, noi vi lasciamo qui” disse Charlie. “Richard, affidiamo le signore  a te”
“Come? Ve ne andate di già?” chiese il giovane sperduto.
“Non mi dirai che ora ti tiri indietro?”
“Certo che no. Stavo solo pensando…insomma, credevo che le scortassimo tutti insieme fino a Uppsala”
“No, dobbiamo tornare indietro al più presto. E comunque, adesso non c’è più pericolo”
Fu il momento dei saluti e il mago Svedese ricondusse nuovamente Charlie e Dedalus fuori dall’edificio.
“Dì a mio padre che è andato tutto bene. E che mi manca già” disse Christine a Charlie.
“Non mancherò. A presto”
I tre uomini sparirono tra la folla e Christine, Karin e Richard si mossero immediatamente verso il loro treno. La signora Anders restò volontariamente un po’ più indietro rispetto alla nipote, prendendo Richard da braccetto e rivolgendosi a lui sussurrando.
“Sono felice che tu sia con noi. Devo ammettere che non mi sarei sentita troppo tranquilla a restar sola con Christine, specie dopo gli ultimi avvenimenti. Sei certo che qui non arriverà nessuno? Se la mia piccola dovesse sparire un’altra volta…”
“Non si preoccupi signora, ci sono io con voi” la rassicurò Richard, entrato perfettamente nella parte di guardia del corpo personale.
Il vagone su cui presero posto era piuttosto affollato. Karin amava viaggiare accanto al finestrino e Richard cedette volentieri il posto per accomodarsi a fianco a Christine.
 “Dovremo prendere un autobus quando scenderemo dal treno” ricordò Karin alla nipote.
“Non arriveremo direttamente nella vostra città?” chiese Richard.
“No” rispose Christine. Una volta scese alla stazione di Uppsala dovremo fare ancora un po’ di strada per arrivare a casa”
 Fu un viaggio piacevole, senza fermate intermedie. La luce del sole era ancora molto intensa anche se ormai dovesse essere tramontato. Quando avevano lasciato Londra, invece, il cielo era già color arancio. Richard si chiese se avrebbe effettivamente sopportato le quasi diciannove ore di luce dell’estate svedese, anche se questa ormai giungeva al termine. In compenso non faceva così freddo come aveva creduto. Sapeva che le temperature di solito non raggiungevano i venticinque gradi centigradi nemmeno ad agosto, probabilmente però, quell’anno il clima aveva fatto un’eccezione.
Con la scusa di saperne di più sul nuovo paese che lo avrebbe ospitato, Richard riuscì con sua somma soddisfazione ad intavolare una piacevole conversazione con Christine, la quale si profuse in complimenti per la terra natia.
“Quando scenderemo potrai vederlo con i tuoi occhi” disse.
Il treno arrestò la sua corsa con un grande stridore di freni. La Karin era assai ansiosa di perdere l’ultimo bus e fece a tutti una gran fretta. La donna era davvero grata alla provvidenza per aver fatto si che con lei e la nipote ci fosse il giovane Auror.
“Di questi tempi, una ragazzina e una donna della mia età non sono tranquille se viaggiano sole”
“Sciocchezze” esclamò Richard. “Siete tutte e due molto in gamba. E Christine non è poi così piccola”
“Lo è abbastanza per me” rincarò la zia.
Quella in autobus si rivelò essere una sorta di gita turistica, dove Christine faceva da guida e Richard da visitatore. Karin osservava i due ragazzi con aria vigile.
Attraversarono il centro di Uppsala, passando di fronte alla Cattedrale in stile gotico, le cui alte guglie svettavano contro il cielo.
“Guarda! Ecco il fiume laggiù. Lo vedi?” esclamò Christine affacciata al finestrino.  L’autobus curvò a destra e la valle del fiume Fyris. Sulla pianura Fyris Wolds sorgeva Gamla Uppsala, ovvero la città vecchia, a quattro chilometri dalla nuova.
“E’ uno dei luoghi storici più importanti dell’intera Scandinavia” spiegò la fanciulla. “E’ ricca di scavi archeologici. I ricercatori hanno ritrovato tumuli reali risalenti al VI-VII secolo. E’ davvero affascinante”.
Videro da lontano il Gamla Uppsala Museum, e poco lontano un bellissimo parco.
Un’altra chiesa apparve di fronte a loro, la Old Chuch, dove Christine cantava nel coro e che frequentava abitualmente.Dietro di essa si trovava il cimitero con i tre grandi tumuli funerari degli antichi re, chiamate anche le ‘colline dei vichinghi’ , o ancora ‘alture dei re’ , ricoperti di erba di un verde brillante.
La vallata era immersa nella quiete di campagna. I comodi sentieri e la vegetazione erano come un invito per un turista come Richard, perché in fondo si sentiva tale: si stava quasi dimenticando del perché era lì.
La campagna svedese era il luogo più tranquillo che Richard avesse mai visitato. Interi chilometri di strade, sentieri e viottoli circondati da migliaia di ettari di boschi, dai quali provenivano i canti degli uccelli. Sembravano più forti che in Inghilterra, più allegri, e i fiori più colorati, il celo più azzurro, l’erba più verde e lucente. Ad ogni angolo, nascosto tra la vegetazione, si trovava uno splendido lago dove i turisti si bagnavano nelle giornate troppo calde. Era un luogo incantevole. Sembra di essere in un’altra epoca.
Il giovane si soffermò a riflettere a come era naturale che Christine fosse cresciuta così com’era, con l’anima pura di una sognatrice e forse anche un po’ ingenua. Ma non poteva essere diversamente i se nascevi in un luogo dove era difficile trovare più di una mezza dozzina di automobili, ma molto più probabile incontrare una lepre o un cervo selvatico, che la ragazza chiamava ‘i suoi piccoli amici’.
“Preparatevi. Siamo arrivati” annunciò infine Karin.
Christine scese per prima dal bus e percorsero ancora un tratto a piedi prima di arrivare a casa Anders.
Era un’antica fattoria risalente all’inizio del novecento, un tempo abitata da una famiglia di contadini, ma che il nonno di Christine aveva ristrutturato dopo la prima guerra mondiale, quando si era sposato. Nonostante ciò, manteneva il suo aspetto antico e dal quale traspariva un certo fascino.
Le facciate erano in calce bianca e il tetto rosso, e facevano un bellissimo effetto contro il verde circostante.
L’interno era rustico e accogliente. La casa presentava quattro stanze da letto, salotto e cucina molto spaziosi, due bagni e un’altra stanza per gli ospiti. La cura e l’amore con cui era stata restaurata e arredata si notavano in ogni particolare anche all’interno: dai mobili d’epoca in legno ai letti in fero battuto, all’abbinamento dei colori, ai riquadri di mattoni vecchi in contorno alle finestre, al grande camino di pietra, fino alla cucina, dove c’erano vecchi mobili e molti utensili tipici delle attività contadine del tempo passato.   
“Mi piace qui” disse Richard guardandosi attentamente intorno.
“Vieni, ti faccio vedere dove dormirai” disse Christine conducendolo al piano di sopra.
“Porto io le sue valigie, signora” disse ancora il giovane rivolto alla signora Anders.
Karin lo ringraziò e lo lasciò fare.
La casa era luminosa per via delle finestre alte e grandi.
“La mia camera è questa, ora posso fare da sola, ti ringrazio”. Karin aprì la porta appena alla loro destra.
“La tua è quella in fondo al corridoio” disse Christine andandovi.
Richard sbirciò qua e là e poi chiese: “Le altre di chi erano?”
“Dopo quella della zia c’è la stanza della mamma, e in fondo di qua c’era quella dei miei nonni”
“Avete sempre abitato tutti insieme?”
“No, la zia Karin si è trasferita qui da quando sono nata io, sai, per aiutare mamma e il nonno…Eccoci” .La ragazza entrò per prima. “Era la camera degli ospiti. E’ un po’ più piccola delle altre, spero che non ti dispiaccia”
“No, no, andrà più che bene. Ma tu dove dormi?”
“Di sopra. La mansarda è la mia stanza”
“Vuoi che aiuti anche te con le valigie?”
Christine gli sorrise gentilmente ma fece cenno di no col capo. “Ce la faccio da sola, grazie”
“Ah…ok”. Thompson era abbastanza deluso.
“Senti Richard, io ti sono riconoscente per aver preso così a cuore la mia protezione, ma ti assicuro che non ci sarà nessun bisogno di proteggermi da nulla”
Lui assunse un’espressione severa. “Non scherzare, la situazione è molto più grave di quanto credi. Tu non sai ancora bene che cosa succede nel nostro mondo”
Christine non disse nulla e abbassò gli occhi al pavimento. “Si, lo so. Non fate altro che ripetermelo”
“Scusa, non volevo farti star male”
“E’ che è un po’ frustrante a volte. Non sapere che cosa davvero accade attorno a me. Insomma, sono consapevole ormai che dietro alle città del mondo, di tutto il mondo, si cela un altro luogo che nessuno conosce al di fuori di chi vi abita. Non pretendo di conoscere tutti i segreti di maghi e streghe, probabilmente è un modo di vivere che non comprenderò mai fino in fondo perché non vi sono cresciuta in mezzo, però sarei felice se mi spiegaste una volta per tutte l’intera storia”
“Non so se sono la persona più giusta per farlo”
Christine sospirò. “Si, sapevo che avresti detto così. Avrei voluto chiedere a mio padre, ma lui mi tiene in disparte ormai”
“No, non è vero. Ha solo paura per te. Sta cercando di proteggerti”
“Mi pare invece che non si fidi id me se ti ha mandato a sorvegliarmi” disse lei risentita nei confronti del genitore, e pensando ciò provò anche un lieve senso di colpa. Suo padre doveva sapere cosa era meglio per lei, o no?
“In realtà” spiegò Richard, risentito a sua volta, “l’idea di mandarmi qui è stata di Kingsley per tenermi buono. Dice che ne combino troppe e che sono troppo impulsivo. Sono stanco però di sentirmelo ripetere. Io sono così! Che posso farci? Amo il pericolo e l’avventura”
“Si, ma non penso che tu debba strafare”
“Strafare? Strafare?! Christine, io faccio il mio lavoro! Sono un cacciatore di maghi oscuri!”
“Appena laureato, mi è sembrato di capire”
Richard mugugnò qualcosa e si voltò dandole le spalle. “Va bene, sarà meglio che metta a posto la mia roba”
“Non ti fermerai molto” disse la ragazza facendo per uscire.
“Eh?” Richard si voltò.
“Vedrai, Kingsley ti dirà presto di tornare in Inghilterra”
“Si, come no”
Christine gli sorrise, ma lui non la vide perché aveva ricominciato ad armeggiare con i bagagli. Estrasse la bacchetta e la ragazza lo fermò.
“Ah, no! No, non puoi!”
Richard la guardò stranito. “Che cosa? Non posso fare magie?”
“Ecco…si. Esattamente. Charlie mi ha raccomandato di dirti che è meglio se ne usi il meno possibile visto che sei in mezzo ai babbani. Restrizione della sicurezza di…non mi ricordo bene”
Thompson strinse nel pugno la bacchetta e poi la gettò sul materasso. Era furente.
“Perfetto…perfetto. Va bene. Trattatemi come un maghetto minorenne!”
Christine rimase ferma un attimo sulla soglia della camera, la mano sulla maniglia della porta semi aperta. Non seppe cosa dire vedendo il ragazzo così arrabbiato.
“Christine!” chiamò la voce della zia Karin.
“Si?”
“Non è meglio che tu vada ad avvertire Meg che sei tornata?”
Un sorriso radioso si aprì sul volto della ragazza.
 
Meg Larsen lanciò un urlo stratosferico e si precipitò ad abbracciare la sua migliore amica non appena si affacciò alla porta di casa per vedere chi aveva suonato il campanello.
Era bionda, i capelli lunghissimi e lisci, gli occhi di un azzurro intenso. Era diversa da Christine ma nello stesso tempo era uguale a lei.
La stessa voglia di sognare, lo stesso spirito ottimista, con però meno giudizio, un po’ più frivola, meno matura e tranquilla. Christine era sempre sorridente, ma era anche timida e riservata, Meg invece era un treno in corsa. Non stava ferma un secondo e parlava a raffica.
“Oh mio dio! Oh mio dio! Non sapevo che arrivassi oggi? Quando sei partita? E’ andato tutto bene? Tuo padre? Oh, Chris, devi raccontarmi tutto!”
Non appena entrò in casa dei Larsen, Christine si sedette sul divano con Meg e non si mossero finché non fu ora di cena.
“Vi prego, fermatevi da noi” disse Meg. “Sono certa che i mei genitori non diranno di no”
“Va bene. Vado a dirlo alla zia e a Richard”. Christine si alzò in piedi e anche Meg schizzò come una molla.
“Chi è Richard?!”
“Oh, ecco, è una storia lunga”.
Meg fece un sorrisetto furbo e diede una lieve gomitata all’amica.
“Ma guarda! E io che credevo andassi a Londra a conoscere tuo padre! E invece sei andata a fare conquiste!”
“Ma no, che dici! Sei sempre la solita. Non ho fatto nessuna conquista”
“Bè, lascia giudicare a me. E poi perché allora ti sei portata a casa un ragazzo?”
In realtà, ciò che preoccupava di più Christine non era cosa potesse pensare Meg o i suoi genitori sul fatto che un sconosciuto fosse arrivato dall’Inghilterra e si fosse fermato a casa Anders, ma che non scoprissero che era un mago. Per la prima volta si ritrovò a dover fare i conti con il segreto che suo padre e i suoi amici di Grimmauld Place dovevano costantemente stare attenti a non rivelare. E si rivelò davvero difficile.
Cominciò anche a capire meglio il perché di tante restrizioni tra i maghi e del perché suo padre aveva esitato tanto nel dirle la verità sulla sua vita, tralasciando il fatto che fosse una spia dell’Ordine della Fenica e tutto il resto.
ritrovò a pensare che se Richard si fosse messo a sparare incantesimi a casa di Meg (non che lo volesse fare davvero), probabilmente lei avrebbe urlato, la signora Larsen sarebbe svenuta e il signor Larsen sarebbe corso a prendere il fucile.
Ok, forse quest’ultimo era un pensiero fin troppo esagerato, ma non si poteva mai sapere. Insomma, cosa mai avrebbero potuto fare? E se l’avessero raccontato in giro? Richard si sarebbe trovato nei guai.
Fortunatamente la cena andò più che bene, Richard parlò poco e lasciò che fosse Christine a raccontare di Londra. Lui intanto si teneva occupato con la fantastica cucina della madre di Meg. Ere però difficile raccontare all’amica la sua vacanza tralasciando ogni particolare che riguardasse la magia. Doveva reinventarsi intere giornate, specie le ultime, e non le piaceva mentire, soprattutto se si trattava di Meg. Ma c’aera poco da fere e lei doveva accettarle che per la prima volta nella vita avrebbe avuto dei segreti con la sua migliore amica.
Si sentì di nuovo in colpa, tremendamente stavolta, per aver litigato con suo padre a causa dei segreti di lui. Era più che logico che le avesse tenuto nascosto la sua reale identità (tralasciando il fatto che fosse una spia e tutto il resto). Severus avuto paura che lei non capisse, che non lo accettasse. Non doveva essere stato facile sembrare di essere naturale anche quando si raccontavano bugie per paura di ferire le persone che amavi, e proprio perché volevi bene a queste persone era ancora più difficile e doloroso.
Gli avrebbe scritto, immediatamente. Si sarebbe scusata con lui. Forse scrivere si sarebbe rivelato più facile che parlare.
 
 
Era di nuovo davanti a Silente. Ormai vi si recava più volte di quante avesse voluto e ritenuto necessarie.
La scuola era cominciata da un paio di giorni e Severus Piton era rientrato pienamente nel suo ruolo di insegnate di Pozioni, freddi, distaccato e terrificante specialmente per gli alunni del primo anno.
“Credevo di essere stato chiaro quando ti ho scritto che non avremmo dovuto parlarne ad alta voce” disse il preside dando le spalle a Severus, e guardando fuori dalla grande finestra.
La sera era calata da tempo. Piton aveva atteso che la scuola fosse addormentata prima di recarsi lassù.
“Non puoi continuare a ignorarmi Albus. Non lo tollero”.
Piton era irremovibile. Non batteva ciglio e se ne stava immobile, in attesa.
Il vecchio mago sospirò. “Siamo arrivati al punto cruciale. Voldemort sa della profezia e sa a che dove poterla trovare ovviamente”. Silente si voltò e fronteggiò Piton, immobile in piedi davanti a lui, solo la scrivania a dividerli.
“Non è di questo che voglio parlare”.
Nella lettera che Albus Silente gli aveva fatto recapitare erano scritte tre ose fondamentali che sarebbero potute accadere nei prossimi mesi: la ricerca della profezia riguardante Il Signore Oscuro e Harry Potter, la cacia a gli Horcrux, dei quali Piton doveva scoprire il più possibile e ovviamente la salvaguardia di Christine. Decine e decine di raccomandazioni che assumevano un tono paterno alquanto irritante per Severus, che aveva sempre tirato avanti da solo, senza mai l’aiuto di nessuno, tantomeno di suo padre.
“Perché mi hai mandato questa lettera, Albus? Non ho bisogno dei tuoi consigli” esclamò Piton.
“Devi rimanere saldo, Severus”
“Lo so”
“Non sei solo”
Aveva sbuffato e si era mosso a disagio, prendendo un po’ le distanze dal preside.
“Voldemort sta cominciando a muovere le sue fila. Devi essere pronto a ogni sua richiesta. Sei il suo braccio destro, si fida di te ciecamente. Devi rimanere concentrato”
“Non c’è niente che mi turbi”
“Davvero?”
Il tono calmo del preside lo irritava. Cosa credeva di sapere lui di quello che provava? Nessuno sapeva niente. Non avevano la minima idea di cosa volesse dire svegliarsi nel cuore della notte con il respiro affannoso, con l’immagine di sua figlia torturata nel peggiore die modi da Voldemort e i suoi Mangiamorte, o rapita, o morta, per poi ricordarsi, un attimo dopo, che era in salvo, a casa. Lontano da lui, ma almeno sarebbe stata bene. Era un incubo ormai ricorrente.
Le mancava terribilmente, ma non era solo questo.
Non l’aveva più accanto, non sapeva cosa faceva, dove andava. Christine era giovane e libera, e tornare in Svezia era la cosa più giusta che avesse fatto per lei. A Londra avrebbe dovuto tenerla chiusa in casa, come un uccello in gabbia. Lei non voleva questo. Lui nemmeno. Il saperla lontana dal pericolo costante a cui era stata sottoposta nei due mesi precedenti era di estremo conforto, ma la preoccupazione, il terrore e l’ansia rimanevano.
Gli erano già arrivate due lettere cariche di notizie. Christine aveva a cuore di scrivergli ogni singola azione compiuta durante le sue giornate, le ultime prima dell’inizio della scuola.
Era come stare lì con lei a volte e allora Severus si concedeva un momento di serenità e un breve sorriso.
 “Non la porterò mai al suo cospetto” disse infine Severus in tono duro e deciso.
“Ecco perché ti ho mandato quella lettera, Severus”
“Non mi serve il tuo aiuto”
“Forse non serve a te, ma sappiamo tutti e due che Voldemort ha interesse per tua figlia”
“Non dirlo nemmeno per scherzo!” sbottò Piton con gli occhi ridotti a due fessure.
“Lo sappiamo entrambe che Christine è stata vittima di un qualche sortilegio messo a punto da Voldemort per attirarti in una trappola, o chissà per che cos’altro. Non sappiamo esattamente cos’abbia un mente, ma è per tenerla lontano da lui…”
“E da me” aggiunse Severus a bassa voce.
“…che l’hai rimandata a casa” terminò il vecchi mago senza dar segno di averlo sentito. “Ma riportala qui, Severus, e avrà tutta la protezione di cui questa scuola dispone”
“Non posso. Non voglio rivoluzionare la sua vita più di così”
“Perché?!” esclamò il preside. “Sai bene che laggiù non è più al sicuro che se fosse ancora con te. Se lui vuole, la troverà comunque”
“No, ormai ho deciso. Christine e io avremo una vita diversa. Non sarà più costretta a sopportare tutti i segreti e le bugie di suo padre” disse risoluto Piton.
Silente abbassò il capo sospirando, fissando lo sguardo in un punto imprecisato della scrivania. “Non posso intromettermi allora. Ma se mai cambiassi idea…”
“Si, ho capito. Grazie” furono le ultime parole frettolose di Severus prima che si apprestasse a raggiungere l’uscita, ma Silente lo fermò.
“C’è una cosa che ti devo mostrare Severus”
Piton si rivotò piano verso il mago.
“Severus, quando il Rito avverrà sai cosa accadrà vero?”
“Tornerà finalmente in possesso dei suoi poteri e gliene verranno donati di nuovi” disse Piton automaticamente. “Diventerà l’essere più potente della terra”
“E con l’aggiunta degli Horcrux” proseguì Silente con una nota di panico nella voce che Piton mai gli aveva sentito, “con quegli oggetti oscuri, si assicurerà di non venire spazzato via anche se il Rito dovesse fallire. Si è salvaguardato da un possibile fallimento, che lui sa potrebbe avvenire. Ha sette tentativi a disposizione”
“Sette?” gli fece eco Piton guardando il preside confuso. “Credevo che il diario fosse stato distrutto e che tu fossi già sulle tracce di un certo anello”
Silente assunse un’aria molto grave. “No, sono ancora lontano dal ritrovamento di quell’anello. Non ho ancora abbastanza informazioni. Credevo di esserci vicino, dannazione” esclamò il preside con frustrazione. Aprì un cassetto chiuso a chiave della scrivania, ne estrasse il diario di Riddle e lo mostrò a Severus.
Quest’ultimo lo riconobbe subito e l'afferrò in fretta con espressione assi confusa.
“Cosa…? Lo squarcio…lo squarcio che Potter gli ha inflitto con la zanna di Basilisco si sta…”
“Rimarginando, si”
“Non è possibile” Piton fissò sbalordito gli occhi azzurri di Silente, poi li posò di nuovo sul libricino “Nella tua lettera credevo che non intendessi davvero questo. Credevo solo che il diario avesse ripreso in un qualche modo i suoi poteri perché l’Oscuro Signore si appresta fortificare i suoi oggetti oscuri prima del Rito, a credevo che sarebbero rimasto danneggiato per sempre”
“Si, lo credevo anch’io” ammise il preside. “Ma a quanto pare mi sono sbagliato”
“Perché non ne hai informato tutto l’Ordine?”
“Perché se Harry sapesse quello che sta succedendo- e credimi, avrebbe trovato il modo per farlo, lui e i suoi amici sano già fin troppo- credo che si precipiterebbe a cercare Voldemort, e questo non deve succedere. Il tuo compito si sta facendo troppo gravoso Severus. Ora hai due ragazzi da difendere, non più uno”
“So quello che devo fare. E sarò anche in prima fila quando il Signore Oscuro mi chiamerà. Ho la situazione sotto controllo”
“Non riuscirai a tenergliela nascosta” disse Silente in tono più grave che mai.
“Si, so anche questo” sibilò Piton guardandolo in faccia.
I due uomini si guardarono per qualche istante. Gli occhi di Piton dardeggiavano.
“Non vuoi sapere come il diario ha ripreso possesso dei suoi poteri? Non l’hai capito, Severus?”
Silente lo guardava con occhi tristi. Ma quella tristezza non era per lui.
  
E dopo milioni di secoli, cari lettori, eccomi ritornata su quese pagine! Sono spiacente di essermi assentata così a lungo, ma ho avuto gravi problemi col lavoro e non avevo tempo per pensare ad altro. In tempi di crisi le cose non sono facili per nessuno. Oltretutto mi si è pure rotto il pc per cola di un virus e ho dovuto aspettare per poterne prendere uno nuovo (se poi non ti danno lo stipendio...). Per fortuna le cose sembrano essere tornate a girare per il verso giusto e quindi sono felice di annuncairvi che da questo mese posterò regolarmente ogni due settimane, anche se vorrei farlo ogni settimana, ma non so se riesco...sigh.
Voi tiratemi pure tutte le maledizioni senza perdono che volete, comprenderò. Chiedo venia!!!! >.<
Ok, che dire? Spero che il capitolo vi sddisfi. Non ho riletto, non ne ho avuto il tempo, per cui troverete di sicuro un mucchio di errori. Lo ricontrollerò al più presto e correggerò quello che devo.
Ho penato non poco perchè volevo che Christine e Riley si incontrassero in questo capitolo, ma ho preferito rimandare la prossimo.
A voi piacendo, aspetto recensioni.
Un bacio a tutti
vostra Usagi^^

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Capitolo 27
*** Capitolo 26: In fondo al cimitero ***


Capitolo 26:
In fondo al cimitero

 
Rilesse la lettera un paio di volte e poi la chiuse in una busta con aria soddisfatta.
Le missive che mandava a suo padre non erano mai troppo lunghe, ma agosto era finito, ancora tre giorni e avrebbe ricominciato ad andare a scuola e allora era sicura che ne avrebbe avute di cose da scrivergli!
A volte pensava che tutto questo non potesse interessare poi tanto a suo padre, ma era un bisogno che lei provava ed era incontrollabile. Era un modo per sapere che lui c’era, perché a volte si svegliava e pensava che fosse stato tutto un sogno.
Era leggermente inquieta da quando era tornata a casa, ma non era per i sogni, era perché quello che era appena iniziato era il terzo dal suo rientro in Svezia, e se Kracher aveva mantenuto la promessa, quella sera lei e Riley si sarebbero rivisti al cimitero di Uppsala.
Christine si alzò dalla scrivania e andò a sedersi sulla vecchia sedia a dondolo che era stata di sua nonna, proprio accanto alla finestra aperta. Appoggiò le braccia al davanzale e guardò fuori sospirando.
Era pronta? No, non lo era. In realtà non sapeva nemmeno cosa gli avrebbe detto o cosa avrebbe fatto, tutto quello che voleva era rivederlo.
Rabbrividì per l’aria fredda che all’improvviso era scesa sulla penisola, spazzando via gli ultimi scorci d’estate in un baleno. La temperatura era scesa e la sera faceva ancora più freddo.
Si ritrasse e si alzò, decisa a chiudere la finestra, ma si bloccò di colpo al tubare di una colomba che si posò sul ramo di un albero poco lontano.
Christine rimase immobile a osservarla.
“Impossibile” mormorò a occhi spalancati e poco dopo allungò il braccio all’esterno e l’uccello spiccò il volo verso di lei, posandosi delicatamente sulla sua mano.
Non poteva averne la conferma, ma era quasi sicura al cento per cento che si trattasse di una delle due colombe che aveva accudito nel giardino della dimora dell’Angelo della Musica. Nel becco portava il bocciolo di rosa rossa più splendido che avesse mai visto.
La ragazza lo prese e se lo portò vicino al volto per annusarne il profumo delicato e inebriante. Si mosse con cautela per poi accarezzare il collo morbido del volatile che la guadò con gli occhietti neri e dolci, tubando ancora una volta. Arruffò le piume candide e poi si lanciò di nuovo al di fuori della stanza in un frullare d’ali.
Christine la guardò sparire oltre le nuvole che lente e corpose decoravano il cielo della vecchia Uppsala quella mattina. Infine pose ancora lo sguardo sulla rosa e il suo cuore ebbe un tuffo quando si accorse che attorno al gambo vi era legato un sottilissimo rotolo di carta giallastra simile a pergamena.
 
*
 
Severus era certo di conoscere già la risposta, ma gli costava ammetterlo.
Chi aveva permesso a Voldemort di entrare attraverso le protezioni dell’Incanto Fidelius a Grimmauld Place?
Chi aveva fatto entrare nel suo cuore tanto facilmente gli inganni del falso Angelo della Musica?
“Christine” mormorò Piton in un sussurro, gli occhi fissi su diario nel punto in cui c’era quel taglio verticale prodotto dalla zanna di Basilisco.
Per molto, molto tempo, né lui né Silente proferirono parola.
Severus allungò una mano per prendere il libricino, ma all’ultimo momento decise che non lo avrebbe toccato.
“Non ha nessun potere. Come può…”
Silente si sedette al suo posto, sottraendo il diario alla vista dell’altro mago e richiudendolo di nuovo al suo posto, nel cassetto della scrivania.
“Non è un potere vero e proprio” disse. “Lei non è una strega, ne ha in se qualche magia latente. Tuttavia, possiede la forza più grande di ogni altro incantesimo esistente al mondo. Potrà sembrare banale, ma ha la capacità di amare più sconfinata e profonda che abbia mai visto. E nemmeno la conosco, lo so solo da quello che tu mi hai detto di lei. E se io, Severus, che non ho mai incontrato tua figlia, posso sentire tutto questo amore, Lord Voldemort, che l’ha tenuta con sé per diversi giorni, che viaggia nei suoi sogni, può averlo sentito molto più di me”.
“Lei gli serve per il Rito, questo già lo so. Ma cosa può indurre un tipo come Voldemort a interessarsi a una ragazza babbana, Albus? Cosa? Solo il suo animo gentile?”
Piton non capiva.
“Non è possibile che il mago più spietato e malvagio del mondo possa avere a cuore una…”.
Avere a cuore ripeté mentalmente Severus.
Era una questione di cuore, non esplicitamente di amore nel senso comune della parola.
“Hai capito?” chiese Silente serio. “Sì, esatto. Non è l’amore tra due persone, tra un uomo e una donna, il più comune a cui si può pensare a interessare a Voldemort. E’ l’amore in sé. Si sta avvicinando a lei. Ne è incuriosito. Non vedo un altro motivo che questo per cui possa averla trattenuta tutti quei giorni. Se fosse solo una questione che riguarda il Rito, poteva risolverla in molto meno tempo, di questo sono certo”.
Allora era così, pesò Severus. Era per studiarla che l’aveva rapita. Per conoscerla. Capire com’era.
“Intendiamoci” proseguì il preside, “sì, la sta prendendo a cuore in un certo senso, come hai detto tu, ma in un modo del tutto contorto, è ovvio. Lord Voldemort non potrà mai provare davvero amore per qualcuno, chiunque sia. E questo gli sarà fatale nel Rito dell’Eterna Giovinezza”.
Un lampo di trionfo apparve negli occhi azzurri del mago.
“Ascoltami attentamente, Severus: ci sono tre punti fondamentali da considerare in questo Rito”.
Silente alzò la grande mano sottile alzando tre dita.
“Con rammarico, devo ammettere che non conoscevo a fondo i passaggi di questa magia proibita, ma ho pensato che sarebbe stato meglio entrare un po’ più in confidenza con le forze oscure per capirlo. Un vecchio proverbio babbano dice, se non erro: se non puoi combatterli, fatteli amici”.
Silente ridacchiò per smorzare tutta quella tensione, poi tornò serio.
“Tre cose, Severus. Tienile a mente.
“La prima consiste nel cercare vittime -sacrificali o no, questo ancora è da appurare- per prendere loro il sangue che dovrà essere versato nella notte più lunga dell’anno. Queste persone devono avere requisiti particolari”.
“Ricordo” disse Piton, che non guardò mai il preside durante tutto il discorso.
Silente annuì soddisfatto e proseguì nonostante quel passaggio lo avessero già affrontato.
“Devono avere metà sangue puro e metà sangue sporco. Figli di Mangiamorte, di maghi purosangue, mezzosangue o figli di babbani. Questo perché Tom Riddle è a sua volta figlio di una strega e un babbano.
“Il secondo punto, è il cuore. Voldemort si è spinto in tali e tanti esperimenti che non è quasi più un essere umano, tanto nell’aspetto quanto nell’animo. Un cuore che batte è simbolo di vita, ma un cuore vuoto e pietrificato dall’odio non è nulla in confronto a uno pieno di speranza e amore.
“La Magia ha bisogno di una conferma: deve essere certa che chi gli sta chiedendo di vivere per sempre sia degno di questo dono da parte della Magia stessa. Un uomo come Voldemort- perché nonostante tutto è ancora un uomo a tutti gli effetti- fallirebbe all’istante in un compito come questo.
“Non è mai stato possibile per nessuno attuare questo Rito. Molti maghi che hanno provato non ne sono stati degni e hanno pagato con la morte. Non si può ingannare la Magia.
“I più hanno ignorato questo secondo passaggio fondamentale perché lo ritenevano inutile. L’amore, per i malvagi, è incomprensibile. Per essi esiste solo il potere, nient’altro, e questa è stata la rovina di chi ha intrapreso il Rito”.
“Allora” disse Piton cauto, “forse c’è una possibilità che il Signore Oscuro fallisca nell’intento”.
“Ah, io…temo proprio di no, Severus. Questo è il problema: Tom Riddle è un malvagio e un assassino, è potente e arrogante, ma non stupido. Il secondo ostacolo va superato e non aggirato come hanno fatto gli altri. Trovare delle vittime è stato facile, ma non altrettanto trovare un cuore puro”.
Piton fece una risatina sprezzante. “Oh, sì. La maggior parte dei Mangiamorte gli si è gettata ai piedi dicendogli che avrebbero donato i loro figli al loro padrone in qualsiasi momento e che sarebbero stati fieri di farlo. Lucius Malfoy era in prima fila”
“Per quanto riguarda Lucius, direi che la sua è ormai più paura che pura fedeltà, ma immagino che gli altri saranno ben contenti, anche se dovessero vedere i loro cari morire per il loro padrone. Lo so bene come si sentono, io stesso ero come loro molti anni fa” ammise Silente grave. “Avrei fatto qualsiasi cosa per quello che credevo essere il bene superiore”.
Piton gli rivolse uno sguardo truce. Non gli piaceva quando Silente parlava così.
“Tu hai accettato di aver fatto un errore e hai saputo tornare indietro e rimediare. Hai insegnato anche a me che è possibile, in qualche modo, e di questo te ne sono grato, Albus. Non dire più che li capisci o che sei come loro. Neanche prima lo eri”
“Davvero, Severus? Davvero?”
I due uomini si fissarono un istante, il più giovane molto serio, il più vecchio sorridente.
Piton scosse il capo. “Non era questo quello di cui dovevamo parlare” tagliò corto.
“Hai ragione, perdonami se ho divagato”. Silente fece una pausa, poi continuò. “Voldemort sa bene che una volta che avrà compiuto il Rito gli Horcrux non gli serviranno più, però è vero che gli sarebbero ben utili se mai dovesse fallire. Oltre al modo di divenire immortale, sta anche pensando a come schermarsi da morte certa e per quest’ultima cosa occorre che i suoi oggetti siano tutti in perfetto stato. Ora, abbiamo visto che sta riuscendo nel suo intento, dato che il diario sta tornando com’era prima. E questo grazie a cosa? All’ingenuità di una semplice ragazza.
“Christine gli sta dando fiducia, lo ha dimostrato credendo alla storia dell’Angelo della Musica che lui ha inventato. Non mi riesce difficile credere che tua figlia, cresciuta in un mondo quasi incantato, oserei dire, abbia creduto alle sue parole. Voldemort è un ottimo stratega e manipolare la mente di Christine dev’essere stato molto facile”.
Piton guardò torvo il preside.
“Non è tanto stupida” sbottò irritato.
“Perdonami, forse mi sono espresso male” si scusò il vecchio mago. “Non intendo dire che Christie sia sciocca, ma è buona e la bontà, spesso porta a gesti inconsulti. Tu stesso mi hai raccontato cosa ti ha detto quando è tornata. Non credeva che la storia del suo adorato Angelo potesse essere una menzogna e Voldemort esulta di questa sua certezza che è per i suoi Horcrux e per se stesso un passo fondamentale”.
Piton corrugò la fronte, ma ormai era chiaro.
“Quindi era quello che lui voleva. Entrare in contatto con lei, non solo perché è mia figlia, ma perché in lei ha visto una potenziale pedina per il suo piano. Perché il cuore di Christine può ridonare vita agli Horcrux”.
“Sì, purtroppo. Credo non fosse sua intenzione arrivare proprio a lei, penso si accaduto per caso. Deve aver percepito che tra tutti quelli che stava cercando, guarda caso, proprio tua figlia- oltre che una buona esca per sondare la tua fedeltà- era in grado di amare a tal punto da ridonare la vita anche a esseri immondi come gli Horcrux, che sono una parte di lui.
“Questo Severus, fa di lei la pedina fondamentale di tutto il gioco.
“E qui arriviamo al terzo punto, quello che vede l’importanza di tre persone più di altre per il completamento dell’opera. Tre tra i prescelti da Voldemort che avranno un ruolo fondamentale, un ruolo diverso”.
Piton attese che Silente continuasse, ma non lo fece. Si fermò invece a guardarlo fisso con occhi luminosi ma preoccupati.
“Qual è il ruolo di queste tre persone?”
“Purtroppo, Severus, non so ancora molto su di esse e credo non scoprirò chi sono poiché non è qualcosa che posso trovare sui più antichi libri di magia. Questo dovrai scoprirlo tu”
Piton, impassibile, lo sguardo fermo, annuì una volta sola.
“Ho capito. E’ un’informazione che solo a chi gli è vicino può essere rivelata”.
“Proprio così. Io posso solo fare delle supposizioni, e conoscendo Tom Riddle e l’importanza che da alle cose per lui preziose, sono sicuro che una di queste persone prescelte sia senza dubbio Harry”.
Potter. Era più che ovvio.
Severus non accennò alla profezia che anni prima aveva sentito enunciare dalla professoressa Cooman alla Testa di Porco, quando aveva spiato l’insegnante di Divinazione e Silente in quel loro incontro.
Nemmeno il preside accennò nulla, anche se quel breve silenzio poteva aver detto tutto da solo.
“La seconda persona, a questo punto” continuò il vecchio mago, “potrebbe, ripeto potrebbe, essere Christine. Come abbiamo già ripetuto, Voldemort le sta dando molta importanza, forse anche perché è tua figlia. Ma sono solo ipotesi, per cui non è il caso di allarmarsi prima del tempo. Ad ogni modo, Severus, ti ripeto l’offerta che ti ho già fatto si a voce che per lettera: portala a Hogwarts e non le accadrà mai nulla. Ho già pensato a tutto”
“Sì. Grazie Albus” rispose Piton con la gola secca.
Per un attimo, Silente credette che il professore di Pozioni accettasse la sua offerta, ma si sbagliava.
“Ma credo sia meglio che resti dov’è ora. Se la riportassi qui, non solo c’è la possibilità che Voldemort la trovi molto più facilmente che non in Svezia, ma anche perché sono più che convinto che se le capitasse ancora qualcosa, Karin Anders porrebbe fine alla mia vita molto volentieri”.
Un sorriso si aprì sul volto di Silente.
“Accidenti, devo proprio conoscerla questa donna. Somiglia in modo impressionante alla professoressa McGranitt. Sono certo che mi sarà simpatica. Se è necessario, possiamo invitare qui anche lei”.
Piton rispose al sorriso stiracchiando le labbra di mala voglia.
“No, non credo accetterebbe”
“Mm…molto bene allora. Speriamo che Richard porti buone notizie quando tornerà in Inghilterra”.
“Cosa? Thompson ritorna?” esclamò Piton allibito. “Credevo l’avessimo mandato con Christine e sua zia per proteggerle”.
“Oh, sì, ma non può certo restare tutta la vita laggiù. La sua casa è qui” Silente sembrava divertito. “In ogni caso, non tornerà prima di novembre, quando…” sospirò, “quando spero di avere qualcosa di più in mano riguardo ai piani di Voldemort”.
“Quanto credi che gli ci vorrà ancora?”
“Non lo so. Anche questo dovrai sapermelo dire tu. Scopri i segreti del Rito che non possono esser scoperti se non divulgati da Voldemort stesso, ti prego, Severus. Per la salvaguardia di tua figlia e per il figlio di Lily Potter, che hai giurato di proteggere”.
“Lo farò” disse Piton con un tono di voce e un atteggiamento così fiero che Silente non gli aveva mai visto.
“Servilo fedelmente Severus. Stagli vicino più di quanto tu non abbia fatto finora. Non mancare più a nessuna riunione. Prestati per qualsiasi incarico. Qualsiasi cosa, purché egli ritrovi finalmente l’assoluta fiducia che aveva in te prima che passassi dalla nostra parte. Devi tornare ad essere il Mangiamorte che lui vuole”.
“Sono il suo braccio destro. Mi ha fatto Primo dei Mangiamorte” rispose Severus con meno orgoglio di prima.
Quel ruolo lo aveva desiderato più di tutto, ora lo disprezzava.
“Allora devi svuotare la tua mente da tutti i pensieri. Per questo ti dico: conduci Christine qui a Hogwarts!”.
“No, Albus”
“Pensaci almeno!”
Piton sospirò. “E va bene. Ci penserò”
 
*
Il breve messaggio era firmato R.
Semplicemente R.
Ma lei non aveva alcun bisogno di conferme per sapere che era di Riley.
 
Mi è stato recapitato il tuo messaggio.
In contriamoci stasera al luogo da te deciso.
R.
 
E chi altri se non lui?
La porta della camera si aprì all’improvviso e Christine cercò di far sparire velocemente la lettera, riuscendo però soltanto a nasconderla dietro la schiena.
C’era una sola persona al mondo che non bussava mai prima di entrare. E quella persona era Meg Larsen, che le si parò davanti con le mani sui fianchi e un largo sorriso sul volto.
“Il sole splende ed è una giornata meravigliosa! E tu ancora sei ancora in pigiama?” esclamò inorridita.
“Arrivo subito” disse in fretta la fanciulla dai capelli scuri.
“Che cosa nascondi lì dietro?” chiese subito Meg sospettosa.
“N-niente”
“Oh, andiamo, non fare la misteriosa”
Meg si avvicinò rapida verso l’amica e le girò attorno per cercare di vedere cosa celasse dietro la schiena.
“dai, Chris, fammi vedere”
“No, Meg, davvero non è niente”
“Ah, allora perché lo nascondi?”
“Non nascondo nulla”
Christine e Meg ora giravano in tondo per la stanza, un po’ serie e un po’ ridendo. Dopo alcuni tentativi la bionda amica riuscì finalmente a strappare dalle mani dell’altra ciò che tanto le premeva scoprire.
“No!” esclamò Christine tentando di riprendersi il biglietto. Non voleva che Meg scoprisse di Riley. Non voleva che nessuno scoprisse, ma troppo tardi…
“Oh-mio-Dio!” scandì Meg ad alta voce guardando con tanto d’occhi la lettera.
“TU HAI UN AMMIRATORE SEGRETO!”
“Ssssstt! Non gridare, sei impazzita!”
Christine corse a tappare letteralmente la bocca della sua amica temendo che sopraggiungesse la zia o Richard.
Quando tolse le mani dal viso di Meg, quest’ultima aveva un sorriso enorme.
“Perché non me l’hai detto?! Oh, Christine, è fantastico!”
“Meg…Meg smettila di saltellare e stammi a sentire. MEG!” stavolta toccò alla mora urlare e l’amica si fermò all’istante.
“Scusa, scusa, ma questa è…Oh mamma mia! E’…è…”
“Ok, grazie, sei stata chiarissima” sorrise Christine con le mani sui fianchi. “Ora riddami la lettera, per favore”
“Come? Oh, certo, che scema. Tieni”. Meg non riuscì a trattenersi per più di dieci secondi che subito chiese: “ma dimmi, chi è? Dove l’hai conosciuto? Devi dirmi tutto!”
“Ehm…sì, io…Senti Meg, non sono sicura di potertelo dire” ammise Christine a malincuore. Tra lei e Meg non c’erano mai stati segreti ma non poteva raccontarle di lui, non ancora almeno.
Per tutta risposta, la bionda amica la fissò con il sorriso che le si spegneva e un’aria davvero delusa.
“Meg, perdonami, ma è una cosa complicata”
“Ho capito” ammise quest’ultima abbassando il capo e annuendo.
“Davvero?”
“Sì, certo. Insomma, è il tuo primo amore…E poi è chiaro: non vuoi dirmelo perché stai pensando di scappare con lui in capo al mondo. Mmm certo, chiarissimo” annuì di nuovo Meg ad occhi chiusi con l’aria di chi la sa davvero lunga.
Christine scoppiò a ridere.
“Almeno è bello?”
Christine arrossì un poco. “Si” disse infine. “Ed è gentile. Guarda” disse ancora recuperando il bocciolo di rosa che aveva lasciato sul davanzale della finestra.
“Ooohhh! Che meraviglia!” esclamò Meg deliziata. “Ah, che invidia! Anch’io voglio un ragazzo che mi mandi dei fiori! Al giorno d’oggi non se ne trovano più”
Christine sorrise ancora.
“Stasera lo devo incontrare, Meg”
“Wow! Un appuntamento! Lo voglio conoscere pima, però”
“Ehm…no, non credo lo conoscerai. Lui non…verrà qui”
Meg rimase un attimo perplessa. “Eh? Come, non capisco”
Christine sospirò e si rigirò piano il fiore tra le mani, stando attenta a non pungersi. Solo adesso si rendeva conto di come avrebbe dovuto fare per incontrare Riley.
Non le piaceva. No, non le piaceva per niente quel che stava per chiedere a Meg, ma non c’era scelta. Nessuno doveva scoprire, c’era già stato quel fuori programma e non dovevano venire a conoscenza altri di quell’appuntamento, tantomeno Richard che odiava Riley con tutto il cuore.
“Meg, devo chiederti un favore. Un grande favore”
“Certo, Chris, tutto quello che vuoi”
“Devi mentire per me”
Le due rimasero un attimo in silenzio a guardarsi, poi la bionda annuì.
“Dimmi cosa devo fare”
Christine si stupì non poco nell’ascoltare quelle parole. Credeva fosse stato più difficile convincere Meg, ma avrebbe dovuto saperlo che il mantenere un segreto ed essere parte di una storia alquanto intricata, alla sua amica piaceva da pazzi.
Meg era un po’ pettegola, un po’ impicciona, e tanto quanto Christine, dava all’amore una grande importanza.
“Meg, grazie!” esclamò Christine abbracciandola. “Sei l’amica migliore del mondo!”
“Eh, lo so” sospirò l’altra con fare da finta modesta. “Ok, dimmi che devo fare” disse poi guardando Christine.
Lei gli restituì il sorriso e le due si apprestarono ad attuare il piano per quella sera.
E mentre parlavano, Christine non poté non sentirsi in colpa di nuovo, come le era già successo molte volte negli ultimi tempi. Il rimorso era dovuto alle bugie che aveva cominciato a raccontare a tutti quelli che le stavano attorno, bugie per proteggere, a ben vedere, due persone che nemmeno sapeva con esattezza chi fossero né da dove venissero: Riley e l’Angelo della Musica.
Sentimenti sconosciuti si agitavano per la prima volta nel suo cuore di sedicenne. Tutte le volte che ripensava ai begli occhi blu di Riley il suo cuore batteva forte come mai aveva fatto prima.
Meg le aveva chiesto se era bello. Oh, sì, lo era, ma non era solo quello. Sì, era gentile anche se molto misterioso e a volte aveva usato un tono di voce strano, quasi intimidatorio. C’era però qualcosa…qualcosa che non era niente di definibile ma tutto un insieme di cose, un misto di sentimenti che la invadevano. Riley. Semplicemente Riley. Solo un nome, nessuna origine, nessuna identità definita, solo lui, così come l’aveva incontrato quel giorno al parco.
Non era nulla di concreto, solo lui in tutto il suo insieme. La sua sola presenza, il fatto di sapere che guardavano lo stesso cielo e respiravano la stessa ria era per Christine motivo di emozione, un’emozione così forte che le faceva esplodere il cuore.
Sapeva che in questo modo avrebbe ferito Richard, Hermione e Ginny le avevano detto che il giovane Auror non aveva avuto occhi che per lei da quando l’aveva vista, ma Christine non poteva farci niente. Il suo cuore e la sua amina erano divisi in parti uguali per tre uomini che nella sua vita erano divenuti importanti quasi quanto la sua stessa esistenza: suo padre, Riley e l’Angelo della Musica.
Nessun altro.
E Riley, al momento, era così vicino a lei da non farle capire più nulla. Voleva solo vederlo, incontrarlo ancora una volta, dirgli che aveva il suo medaglione e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per mantenere il segreto.
Avrebbe tanto voluto dirgli che pensava sempre a lui, ma non era certa che il ragazzo avesse gradito. Riley non pareva provare verso di lei le stesse cose, anche se c’erano stati momenti in cui era sembrato di sì.
“Allora chiediglielo!” aveva consigliato Meg.
Sì, si disse Christine, quella sera poteva essere il momento adatto, o altrimenti chissà quanto tempo sarebbe ancora trascorso prima del loro prossimo incontro.
 
La giornata passò tranquilla, le due amiche, sempre seguite da Richard ovviamente, scesero a Uppsala nuova per fare gli ultimi acquisti per la scuola.
Christine si sentiva sempre più emozionata man mano che la sera si avvicinava e purtroppo a Richard non sfuggì questo particolare.
“Che confabulate sempre voi due oggi?”
“Non essere sempre così sospettoso”
“Cose da ragazze!” tagliò corto Meg con un gesto spazientito della mano.
“Non è che state architettando qualcosa, vero?”
“Architettando che? Non farmi ridere, cosa potremmo mai architettare: una fuga d’amore?”
Christine lanciò all’amica un’occhiataccia e le pestò un piede.
“AHIA!”
“Meg…”
“Scu-scusa” disse la bionda con nel lacrime agli occhi. “E’ più forte di me, adoro tormentarlo”
“Sì, l’ho notato. Povero Richard”
“Oh, Chris non t’arrabbiare, stavo solo scherzando”
Christine sospirò. Forse non avrebbe dovuto raccontare tutto a Meg, era davvero troppo pettegola.
Inoltre era vero, verissimo. Meg amava in modo particolare fare battute di goni sorta ogni volta che sorprendeva il giovane Auror guardare l’amica di capelli ricci. Non era cattiveria, Meg era fatta così. Forse era un po’ perfida, forse era solo un po’ sciocca, ma tanto buona e dolce che Christine non era capace di arrabbiarsi sul serio con lei, mai.
“Oh, io so quanto ti piacerebbe fuggire con la mia Chris. Ma sta attento, se la fai piangere ti ucciderò!”
“Accidenti! Le vuoi proprio bene”
“Certo! E’ come una sorella per me”
“Faresti qualunque cosa per lei?”
“Ovvio. Se non può contare sulla sua migliore amica, su chi può farlo?”
Meg non capì la domanda di Richard, ma la risposta che diede soddisfò il giovane.
Era convinto che non doveva lasciare Christine sola nemmeno per un secondo. Aveva il sospetto, l’orribile sospetto, che qualcuno venisse a cercarla. E qual qualcuno purtroppo era il suo peggior rivale.
Thompson era consapevole del fascino che quel tipo suscitava in Christine, sebbene lei non l’avesse mai ammesso ne tantomeno mai nominato in sua presenza.
Ma Richard era più che convinto che qualcosa tra i due c’era. Forse non di concreto, ma c’era.
E la sua paura più grande era che quel tipo potesse piombare di nuovo nella vita di Christine e portargliela via.
Anche se effettivamente Christine non era interessata a lui in nessun modo, era garbatamente indifferente ai suoi tentativi di corteggiamento.
Richard ne soffriva, perché ormai era innamorato di Christine ma lei non lo ricambiava. Ma non si dava per vinto nonostante tutto.
 
Verso le nove di sera, Christine andò a passare la serata a casa di Meg, almeno così disse.
Zia Karin on si oppose, era normale amministrazione che la nipote stesse dall’amica per ore prima di andare  a dormire, specie in vacanza. In fondo le loro case distanziavano non più di qualche metro, non c’era nessun pericolo, anche se Richard non era dello stesso parere.
E fu così che decise di seguirla.
Salì nella camera che gli era stata assegnata e si affacciò alla finestra per seguire con lo sguardo le due ragazze. Purtroppo scoprì che da quell’prospettiva la casa di Meg non si vedeva.
Decise allora che l’unica cosa da fare era andare nella stanza di Christine, dalla parte opposta della fattoria (ebbene sì, zia Karin aveva scelto di tenere i due ragazzi lontani il più possibile. Non che non si fidasse di sua nipote, ma aveva ben chiaro cosa a Richard poteva passare per la testa. I giovani erano davvero imprevedibili a quell’età).
Maledicendo l’ossessione della signora Anders per le buone maniere, Thompson percorse a passi felpati il corridoio fino alla stanza della ragazza…per trovarla chiusa. Naturale.
Estrasse la bacchetta senza pensarci due volte.
Kingsley gli aveva raccomandato niente magia in presenza di babbani, ma in quel momento non solo non c’erano persone comuni in giro, non c’era anima viva, neppure un insetto.
Alohomoa” sussurrò e la serratura scattò.
Richard non era mai stato nella camera di Christine. Era piuttosto grande. Sulla destra, rispetto alla porta, c'era un mobile pieno di libri, cd, quaderni di scuola e album di fotografie. In faccia ad esso c’era il letto, accanto al quale stava il comodino che esibiva un vaso con un unico bocciolo di rosa. Sulla sinistra l’armadio, anch’esso di legno antico, di quei tipi che hanno uno specchio situato all’interno di una delle ante. Sempre a sinistra, in un angolo vi era una vecchia cassapanca di medie dimensioni, in legno scuro e dipinta di motivi floreali rosa e verdi, e vicino uno specchio appeso alla parete che rifletteva per metà chi vi si specchiava. Quasi sotto la finestra c’era la scrivania e una vecchia sedia a dondolo che era stata della nonna di Christine.
Richard aprì le persiane e spiò fuori. Nulla si mosse per un bel po’, tanto che stava quasi pensando di tornare in camera sua. Si sentiva anche un po’ sciocco per quello che stava facendo. Si comportava quasi come un fidanzato geloso.
A furia di pensare e ripensare a più cose, finì per assopirsi. Non seppe per quanto restò nel dormiveglia, ma fu il suono della sveglia.
Richard si voltò a guardare l’orologio sul comodino: le undici meno un quarto. Perchè era stata puntata a quel'ora?
Scrutò di nuovo dalla finestra. Tutto era immobile, quando a un certo punto dall’oscurità apparve una figura illuminata dalla luce che proveniva dalla casa di Meg.
Scivolò dal fascio luminoso all’oscurità. Camminò svelta sul prato uscendo dal giardino e poi si diresse verso la strada.
Richard non si chiese chi fosse, lo sapeva. L’aveva sempre saputo. Qualcosa gli diceva che prima o dopo sarebbe successa una cosa simile.
A quell’ora dove mai poteva andare una persona?
Senza pensarci due volte attraversò la casa buia. La signora Anders era già andata a dormire.
Un istante dopo uscì dalla porta sul retro e fece il giro della casa, sperando di non aver perso l’ombra di Christine.
La ritrovò poco più avanti. La vide voltare un angolo e sparire ancora nel buio.
Il pedinamento durò a lungo, attraverso la campagna fredda. Il giovane seguiva da lontano la fanciulla, avvolta in un cappotto scuro che le scendeva fino a metà gamba, i ricci che si muovevano nell’aria notturna le ondeggiavano sulla schiena, liberi.
Faceva ancora più freddo di quanto avesse fatto durante il giorno. L’estate ormai se n’era andata e l’autunno sarebbe piombato sulla campagna svedese accorciando le ore di luce sempre più.
L’inseguimento cessò così com’era iniziato, all’improvviso. Richard si bloccò di colpo quando si rese conto di dov’era finito.
Davanti a lui c’era l’entrata del cimitero di Uppsala. Il cancello del cimitero era aperto e questo lo sorprese un po’, ma non sembrò stupire la ragazza.
Non c’era nessuno nel cimitero. L’unica fonte di luce era la luna, quella sera splendente come non mai; non era nemmeno possibile nascondersi dietro le tombe, banche e spettrali in quella luce. Richard non aveva mai visto una tale luminosità di notte.
Rabbrividì senza sapere perché. Non era superstizioso. Non c’erano fantasmi lì, non era un cimitero di maghi.
C’era però qualcosa di ugualmente spaventoso in quel posto che sembrava abbandonato. Forse erano le ombre degli alberi sopra le tombe, che sembravano strane figure in movimento, come demoni della notte. O forse era colpa dell’ossario in fondo al sentiero, proprio accanto alla chiesa, illuminata in pieno dalla luna.
Non era mai entrato in un cimitero di notte e non aveva idea che vi si potesse trovare una pace così completa. Nemmeno gli animali notturni si facevano sentire, come se fosse vietato disturbare i morti addormentati nel loro sonno eterno.
Il fatto che Christine si trovasse lì non era strano. Andava almeno una volta al giorno a trovare la madre che era sepolta là, vicino ai nonni, ma certo era strano che si recasse laggiù a quell’ora.
Dopotutto, però, si disse che forse quel giorno la ragazza sentiva il bisogno di andare a sciogliere un voto sulla tomba della madre. Trovò la cosa naturale, anche se strano a tarda sera, ma si convinse così tanto che riacquistò tutto il suo sangue freddo.
Non c’era assolutamente niente in quel posto. Solo lui e Christine.
Era soltanto stupito che ancora non si fosse accorta di lui, perché la ghiaia del sentiero principale scricchiolava sotto le scarpe. Richard non aveva fatto attenzione di mascherare il rumore dei suoi passi. Voleva che lei lo sentisse, che si girasse. Ma forse era tutta assorta nei suoi pensieri…
Decise comunque di non disturbarla e, quando lei arrivò presso la tomba della madre, rimase ad alcuni passi di distanza, accanto al muro della chiesa che faceva angolo in quel punto.
La vedeva di schiena, non poteva scorgere il suo viso.
Christine si inginocchiò sul terreno duro per il freddo, si fece il segno della croce e cominciò a pregare. Allora suonò la mezzanotte. L’ultimo rintocco vibrava ancora nelle orecchie di Richard quando, all’improvviso, vide la ragazza rialzare la testa.
La giovane si alzò di nuovo in piedi e cominciò a camminare sempre più velocemente verso la parte più profonda del cimitero, dove non c’erano tombe, solo alberi. La ragazza sembrava come in preda a una forte emozione, e Richard si chiese quale fosse la ragione di tanta fretta nel raggiungere un vicolo cieco, perché da quella parte del cimitero non si accedeva a nessuna uscita secondaria e nemmeno a una porta nascosta che avrebbe potuto condurla all’interno della chiesa. Christine avrebbe trovato solo le solide mura di pietra dell’edificio.
La fanciulla voltò infine un angolo apparentemente nascosto. Richard rimase perplesso e per un attimo credette che fosse sparita nel nulla. La seguì subito e bastarono pochi passi per scorgerla mentre si tuffava tra gli arbusti secchi, scostandoli con le braccia perché non le ferissero gli occhi, e infine raggiungere un punto nascosto del camposanto dove qualcuno l’aspettava.
Fu allora che Richard si nascose. Arrestò il suo passo bruscamente, sperando che lo sconosciuto non avesse udito e si appoggiò con la schiena al muro di pietra, spiando da lì la scena di cu era partecipe.
Oh, lo riconobbe subito, non potevano esserci dubbi. Era lui! Allora si incontravano di nascosto! Ora era chiaro perché era uscita così furtivamente, e Meg la copriva! Meg sapeva tutto.
Richard non seppe fin dove si spinse la sua immaginazione in quel momento di rabbia e gelosia, in fondo a quel piccolo cimitero di campagna, circondato da teschi sghignazzanti che sembravano
prendersi gioco di lui.
E quando il ragazzo, suo rivale in battaglia e ora più che mai in amore, alzò gli occhi verso di lui, a Richard sembrò di sentire un rumore provenire dalla parte dov’erano ammucchiati gli scheletri. Sembrava davvero che i teschi ridessero e non poté trattenere un nuovo brivido di paura.
Il suo rivale dai capelli scuri sorrise. Forse a lui, ma non lo seppe con certezza perché riabbassò subito dopo lo sguardo su Christine che lo aveva raggiunto e i due cominciarono tranquillamente a conversare come buoni amici, in tranquillità.
Richard rimase immobile, gli occhi fissi sull’ossario, sulla strana ombra che sembrava vegliare sui due innamorati- si, perché ormai gli era chiaro che Christine amasse quel ragazzo.
Era deciso ad andare fino in fondo, questa volta, a quell’incredibile mistero e conoscere l’identità del giovane mago oscuro.
Il giovane dai capelli biondi si mosse e si fermò quasi nello stesso istante, perché un cranio era scivolato fuori dell’ossario rotolando si suoi piedi. Poi un altro e un altro ancora. Le teste dei morti cadevano una dopo l’altra bersagliandolo.
Il suo rivale aveva riso nella sua direzione e ora ridevano anche i teschi, poteva persino sentirne il loro sghignazzare riecheggiante. O era la sua immaginazione?
Richard cercò di non cadere, pensando giustamente che un solo movimento brusco avesse rotto l’equilibrio della catasta di ossa dietro la quale si nascondeva.
Fu allora che accadde, quando scivolò su un nuovo teschio e cadde sul terreno freddo.
Un’ombra incappucciata gli passò accanto facendogli gelare il sangue nelle vene.
Forse era lei ad aver cominciato quello strano gioco dei teschi, liberandoli facendoli ruzzolare al suolo. Quell’ipotesi gli sembrò ancor più ragionevole quando si mise a ridere sotto l’ampio cappuccio che ne copriva il viso.
Il ragazzo si alzò in fretta, stanco di quel gioco macabro, inciampando ancora nei teschi e poi si precipitò verso l’ombra, che adesso stava per entrare nella sacrestia.
Prima che la porta si richiudesse, Richard riuscì ad entrare a sua volta e a rincorrerla fino all’altare maggiore.
Il giovane allungò una mano e afferrò un lembo del mantello, con l’altra estrasse la bacchetta dalla tasca della giacca.
Ma non riuscì a fare nulla.
Erano lui e l’ombra, proprio di fronte all’altare maggiore, con i raggi della luna che cadevano dentro la chiesa attraverso la vetrata dell’abside, dritti su di loro.
Teneva ancora stretto l’orlo del mantello quando l’ombra si voltò. Il cappuccio scivolò via, si aprì, e Richard vide, proprio come aveva visto l’altro ragazzo poco prima, una faccia spaventosa.
Ma non era affatto una faccia. Non c’era nulla. Solo pelle giallastra, tesa sulle ossa di un viso privo di naso e bocca. Solo due cavità oscure potevano essere gli occhi di quella creatura infernale, che dardeggiavano su di lui come i fuchi dell’inferno.
E una nuova ombra scivolò improvvisa lungo il muro illuminato della sacrestia. E poi una terza.
Ora erano lì, tutte e tre e lo fissavano.
Non era possibile…ne aveva sentito parlare, ma non era assolutamente possibile.
Nonostante tutto il suo coraggio, Richard perse molti battiti del suo cuore.
Christine sapeva con chi si era immischiata? Perché certo era che l’ombra e le sue compagne erano i guardiani di quel ragazzo, ecco perché era inavvicinabile. Loro erano sempre con lui per non permettere a nessuno di trovarlo e toccarlo, lo nascondevano.
Chi era mai costui, dunque, per avere al suo servizio le famigerate Tre Voci di Voldemort? Quale importante ruolo ricopriva tra le file dei Mangiamorte per essere così strettamente sorvegliato dalle creature che il Signore Oscuro, si diceva, avesse richiamato, così come fece Serpeverde a suo tempo, direttamente dal mondo dei morti?
Ci fu un movimento, un sibilo, poi l’ombra dal volto scoperto alzò la mano guantata di rosso e Richard cadde ai suoi piedi, non sapendo né ricordando più nulla finché si svegliò nella mattina già inoltrata nella sua camera a casa Anders.

 
 
 
 
Allora allora allora? Cosa ne dite?
Cari lettori, mi sto davvero impegnando per non lasciarvi senza niente, spero di non averci messo troppo rispetto alle vostre aspettative.
Questo è un capitolo che mi è costato parecchio tempo. Non sapevo mai come farlo, e alla fine ho preso ancora una volta lo spunto dal mio amatissimo Fantasma dell’Opera. Per chi avesse visto il film non sarà difficile immaginarsi il pezzo del cimitero, peccato che manchi la neve nel mio, ma è ancora presto.
Il pover Richard, a furia di volersi immischiare in faccende che non lo riguardano, ha finito per incappare nelle Tre Voci. Verranno davvero dal mondo dei morti?
E Christine e Riley? No, non temete, non vi lascerò senza una bella scena tra i due, ma dovrete aspettare la prossima volta. Voleva già descrivere l’incontro tra i due in questo capitolo, ma poi veniva troppo lungo secondo me. Il prossimo sarà tuuutto dedicato a loro.
Ora un quesito per tutti coloro che lasceranno un commento: avete capito chi è infine questo Riley? No? Pensate, non è difficile. Sparate un nome a caso e se avete indovinato ve lo dirò nella risposta alla vostra recensione. Fatemi anche sapere se questa ff continua a piacervi, please.
Scusate tanto se ho fatto degli errori, ma non ho riletto stavolta. Segnalateli pure che li correggio appena riesco.
 
Ringrazio:
Allice_rosalie_black, Ary g,  Aylas, bimba3, Blankette_Girl, CarolineEverySmile, chiara53, coccinella75, Eleonora2307, Faith18, Femke, foffia, francesca88, glenfry91, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, Ladie Katjie, ladyhawke25, Lady_Storm, Latis Lensherr, laurana, LenShiro, namina89, Phoebe76, Pollon0874, rum43coach e zackaide.
 
Un bacio a tutti, vostra Usagi^
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Capitolo 28
*** Capitolo 27: Colui che avrà il tuo cuore ***


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Capitolo 27:
Colui che avrà il tuo cuore

 
 
 
Silenzio e pace.
Non aveva mia avuto paura della solitudine né dell’oscurità. Da quando sua madre era morta, l’unico luogo dove aveva trovato un po’ di quel conforto che l’aveva aiutata ad andare avanti era lì, in quel vecchio cimitero accanto alla chiesa.
Molti la consideravano una cosa strana per una ragazza di sedici anni, ma Christine si sentiva bene quando era sola, più che quando era in compagnia. Non era mai stata molto espansiva nemmeno prima. Era timida per natura. Ma da quando la mamma l’aveva lasciata, la giovane aveva rischiato di chiudersi in sé stessa. L’unica cosa che glielo aveva impedito era sapere che sua madre era ancora con lei, che non l’aveva abbandonata per sempre e poi c’era stata la storia di suo padre.
Il ricordo di Elisabet e l’esistenza di Severus avevano fatto si che Christine ritrovasse la forza di vivere.
Meg e la zia Karen le erano state vicine più di ogni altro. A volte le era un po’ pesata la loro presenza, anche se non lo aveva mai detto ad alta voce per paura di offenderle.
Nei primi mesi dopo la perdita della mamma, la ragazza spariva per ore in camera sua, al buio.
Nelle tenebre, Christine si sentiva avvolta, protetta. Nel silenzio riusciva a pensare tutto ciò che non si affacciava nella sua mente quando era in mezzo alla confusione.
In quei momenti si sentiva tranquilla come quando era bambina. Senza un pensiero.
Meg invece aveva una paura folle del buio, ancora oggi. Christine no. Mai.
Inginocchiata davanti alla tomba di Elisabet, disse una preghiera mentalmente. Tutto taceva e era immobile. Tutto tranne il cuore della giovane che si agitava frenetico nel suo petto.
“Perdonami se i miei pensieri non sono tutti per te stasera, mamma” sussurrò appena con le mani giunte.
Aspettava. Aspettava ancora e intanto le campane scoccavano la mezzanotte.
E doveva essere quello il momento in cui avrebbe saputo se lui fosse venuto davvero. Sì, perché un dubbio lo aveva ancora. Lo avrebbe avuto sempre, finché non avesse visto con i suoi occhi che Riley veniva da lei e per lei.
Al dodicesimo rintocco fu come se qualcosa nell’aria cambiasse. Come se il mondo si muovesse in una diversa direzione, o forse come se si fermasse o rallentasse. Non seppe descriverlo ma era qualcosa che lei avvertiva con tutti i suoi sensi.
Qualcosa era cambiato. Qualcuno era arrivato e tutto si era fatto ancor più silenzioso.
Christine si voltò verso il rumore dolce e frusciante che l’erba produce quando viene calpestata. Un suono che si amplifica di mille volte nella quiete della notte.
La ragazza si alzò e voltò le spalle all’entrata del cimitero e alla tomba di sua madre.
Dal fondo di uno dei vialetti secondari, da dietro gli alberi, un’ombra si faceva sempre più distinta finché non riuscì a vedere l’intera figura alla luce della luna.
Era lui. Non potevano esserci dubbi.
Lo conosceva così poco eppure così bene.
Ancor prima che si rivelasse, solo dalla sagoma aveva capito che era  Riley. La sua andatura, l’altezza…come avrebbe potuto sbagliarsi? L’immagine di lui era rimasta scolpita nella sua mente fin dal primo giorno.
Christine si mosse rapida verso di lui, quasi correndo. Il giovane si fermò appena fuori dagli alberi, con un sorriso appena accennato sulle labbra e attese che lei lo raggiungesse
“Sei venuto” non era una domanda.
“Ovviamente. Dubitavi che sarei arrivato?”
Christine abbassò lo sguardo, come sempre, davanti a quello troppo intenso del ragazzo.
“Oh…bè sì. Forse un po’. Perdonami, Riley”
Lui si avvicinò e le sorrise più apertamente, ma sempre in quel modo un po’ strano.
“E perché avevi dei dubbi?”
“Non lo so. Forse perché mi sembra ancora strano che tu abbia accettato di vedermi”
Riley le prese le mani e le strinse nelle sue. Aveva dei modi così raffinati ed eleganti che sembravano appartenere ad un ragazzo d’altri tempi.
“Non è affatto strano. Volevo rivederti anch’io, sai? Sono rimasto molto male quando ho saputo che te n’eri andata. Temevo di non rivederti più”
Le guance di Christine si accesero del colore delle rose.
“Davvero?” chiese trepidante.
“Davvero”
Spostò lo sguardo da lei a un punto imprecisato alle sue spalle e sorrise ancora.
“Forse è uno strano posto per incontrarsi. Un cimitero” disse poi, tornando a guardarla.
“Sì, forse hai ragione. Ma non sapevo dove altro avremmo potuto”
Riley continuò a tenerla per mano. “Vieni” disse tranquillamente conducendola attraverso la vegetazione.
Christine non chiese dove avesse voluto portarla, ma non le interessava poi molto, purché stesse con lui.
Oh, come avrebbe voluto esprimere certi sentimenti ad alta voce! Perché non ci riusciva?
“Dimmi una cosa” fece lui sempre dirigendo il passo per entrambi.
“Che cosa?”
“Sei sempre così silenziosa o solo quando sei con me?”
Lei non seppe cosa dire e si limitò a fissarlo. Lui fece lo stesso.
“A volte penso che tu sia davvero un tipo strano” ammise un poco più tardi la ragazza. “Sei così misterioso, così schivo che non so come prenderti. Non so nemmeno cosa dirti. Hai uno strano potere su di me, ma mi piace”
Una mano andò veloce a coprirle le labbra.
Che cosa aveva detto? Troppo forse, perché si accorse che le sopracciglia di Riley si incurvavano.
“Tu pensi di darmi fastidio, in realtà. Non è così?”
“No…io…non so…forse”
Non era così che avrebbe voluto fosse stato il loro incontro.
Un velo di tristezza passò sul suo bel volto, il quale venne sfiorato un istante dopo dalla mano libera di Riley.
“Perché sei andata via?”. I suoi occhi azzurri si specchiarono in quelli scuri di lei.
“Ho dovuto. In realtà non avevo intenzione di tornare a casa così presto, ma non ho avuto scelta. Sai, mio padre…”
“Non sei costretta a raccontarmi tutto se non vuoi” la interruppe lui. “In fondo è vero: neppure ci conosciamo”
“Ma io voglio raccontarti ogni cosa di me”
“Anche se io non ti dicessi nulla a mio riguardo? Perché sai, questo è importante. Vorrei che tu avessi fiducia in me, Christine, anche se non posso ancora dirti molte cose”
“Non m’importa, davvero. Purché…” arrossì, cambiando idea all’ultimo momento sull’ultima parte della frase. “Purché tu mi sia amico”
“Solo un amico?” fece Riley emettendo una risatina soffocata.
La ragazza arrossì ancora un poco.
“Non importa. Non devi rispondermi adesso” si fermò e le si parò difronte senza mai lasciarle la mano. “Raccontami. Raccontami chi sei, dolce Christine”
La fanciulla trasalì. Una strana e famigliare sensazione la invase e un ricordo affiorò nella sua mente…
Già qualcuno l’aveva chiamata in quel modo, qualche settimana prima. Qualcuno che le ricordava Riley. O forse era Riley a ricordarle lui…L’Angelo della Musica.
Anche il loro incontro era vagamente simile. Il ragazzo che la prendeva per mano e la conduceva dove voleva e lei non aveva paura di dove avesse potuto portarla, perché si fidava.
Si sedettero all’ombra di un grande albero, sull’erba umida della notte e la fanciulla accantonò in fretta questi curiosi pensieri.
Christine si aprì come avrebbe sempre voluto fare e per la prima volta, ora, trovava il coraggio.
Raccontò la sua storia. Di come fosse cresciuta senza un padre, che sua madre l’aveva conosciuto quando erano solo due ragazzi di diciannove anni. Poi lui era tornato in Inghilterra e Elisabet non l’aveva mia più rivisto. La ragazza sapeva della sua esistenza ma non l’aveva mai conosciuto fino a quell’estate. Ne era stata così felice e impaurita al tempo stesso, perché finalmente poteva conoscerlo ma temendo che lui non la volesse nella sua vita.
Disse della malattia di sua madre e di come si fosse sentita smarrita e triste, senza più voglia di vivere, ma che lo stare lontana da casa per un po’ di tempo le aveva anche fatto bene. Aveva conosciuto tanti amici, benché le mancasse terribilmente la migliore di quegli amici: Meg, la sola che avesse mai avuto a Uppsala.
“E sono tanto, tanto felice di essere venuta a Londra, o non ci saremmo mai incontrati. Anche se, purtroppo, per una serie di circostanze complicate sono dovuta partire”
Riley l’aveva ascoltata senza mai interromperla ma sempre guardandola. Non era riuscito a staccare gli occhi da lei un momento e la sua espressione si era fatta più seria che mai, quasi impenetrabile.
“Riley? Che cosa c’è?” chiese la fanciulla con aria grave. “Ho…ho detto qualcosa di male?”
“No, ma…Sai, mi sembra assurdo che una ragazza che sia passata attraverso a tutte queste cose- essere cresciuta senza una vera famiglia, con praticamente nemmeno un amico a cui appoggiarsi, addiatata da tutti come la figlia di nessuno e il resto- possa essere così ottimista per quanto riguarda il futuro. Come puoi essere soddisfatta della vita? Come fai a credere che tutto vada sempre bene?”
“Tu mi credi un’ingenua, vero? Lo so. Credo che lo pensino in molti. Forse solo Meg non lo pensa”
Riley continuò a fissarla insistente, la fronte aggrottata. “Sì, è vero, lo credo”
Christine annuì e si alzò da terra spazzolandosi i pantaloni dai fili d’erba umida.
“Ti spiegherò com’è possibile tutto questo. Vieni con me” disse la ragazza allungando una mano e attendendo che Riley la prendesse. Ma lui non lo fece.
Il giovane si alzò a sua volta ma le affondò nelle tasche del cappotto.
La ragazza rimase un po’ delusa. Per un attimo aveva pensato che lui fosse più disposto ad aprirsi per il semplice fatto che aveva accettato di incontrarla.
Ad ogni modo, decise che bisognava andare per gradi. Non era nemmeno sicura che lui provasse sentimenti speciali per lei, anche se le sembrava sempre più probabile. ma Riley era così enigmatico...
Cominciarono a camminare verso est dal punto in cui si trovavano.
Uscirono dal perimetro del cimitero e della chiesa, trovandosi in aperta campagna. Camminarono a lungo senza dire nulla e poi si arrampicarono sul ripido pendio di una collina.
“Questo posto lo conosco solo io” disse Christine quando furono finalmente sulla cima.
Riley rimase affascinato da quel che vide.
La regione dell’Uppland, si estendeva per buona parte sotto i loro occhi. Non era un paesaggio vasto, ma bastava per rendersi conto di quanto fosse incantevole quel luogo.
C’erano macchie di luce argentea che, Riley capì più tardi, erano in realtà svariati laghi grandi e piccoli le cui acque risplendevano grazie alla luce della luna. Ancora più lontano si scorgevano altre tre colline più basse di quella sopra la quale si trovavano loro.
“Lo vedi? Questo è il mio mondo. La mia terra, la mia casa” disse la fanciulla con voce melodiosa, lo sguardo acceso di emozione.
“La valle che stai osservando ora, è meravigliosa in ogni stagione dell’anno. D’inverno è di un bianco questi abbagliante sia di giorno che di notte. In primavera è verde come lo smeraldo; d’estate si colora di fiori gialli, blu e rossi e si riempie di vita; ora che siamo quasi in autunno diverrà presto del colore del fuoco e sembrerà bruciare alla luce del tramonto.
“E infine, laggiù in fondo, dritto davanti a noi, puoi scorgere le tre alture dei re, risalenti al VI secolo. E’ lì che affondano le radici della mia patria, nelle antiche civiltà vichinghe”
La ragazza si voltò verso Riley con un sorriso radioso. I lunghi capelli ricci si gonfiavano al vento forte che soffiava sulla cima del colle, conferendole un aspetto diverso dal solito. Più vivo e splendente.
“Ancora non comprendo, però. Cosa vorresti che capissi?”
Lei sorrise ancora e gli si avvicinò.
“Quando mia madre è morta stavo spesso sola. A volte sparivo da casa per ore e nessuno sapeva dove andassi. Ho fatto preoccupare parecchie volte mia zia, anche se non ne avevo l’intenzione, ma sentivo il bisogno di restare sola con me stessa. Un giorno percorsi una strada che non avevo mai visto. Spinta dalla curiosità continuai a camminare e mi ritrovai qui. Divenne il mio posto segreto. Nessuno lo conosce, almeno credo. E qui ho capito una cosa”
“Che cosa?”
“Che al mondo non si è mai soli. Che c’è sempre qualcosa per cui vale la pena vivere. La vista di questa valle meravigliosa- all’ora, la prima volta che la vidi, era completamente coperta di neve, sembrava un immenso cristallo, o un diamante splendente-  mi fece capire che niente al mondo è scontato. Tanta magnificenza non poteva che essere opera di qualcuno più gande di noi, qualcuno che ha avuto e avrà sempre amore per questo mondo e le sue creature. Anche se queste ultima lo stanno rovinando.
"L’universo intero è frutto di un enorme progetto, un qualcosa di più grande di quanto l’uomo si crede oggi. Noi non capiamo la vera importanza della vita. Ci affanniamo alla ricerca di qualcosa e quando la otteniamo non siamo ancora soddisfatti. Se invece le persone sapessero vedere cosa il mondo può offrire…Sono cose semplici, che ci stanno intorno ma che noi nemmeno guardiamo. Non ci facciamo caso e le consideriamo inutili, ma in realtà sono le più importanti: un posto da chiamare casa, amici sinceri, la felicità, l’amore”
“L’amore?”
“Sì, l’amore, Riley. Oggi non ci sono quasi più persone in gradi di amare davvero. La gente è malvagia, piena di sé, arrogante e presuntuosa. Se il mondo vivesse nell’amore e si soffermasse a guardare solo un piccolo fiore che ha breve esistenza, capirebbe quanto la vita è preziosa e forse ne avrebbe più cura”
Christine guardò il volto confuso del ragazzo e sorrise. “Probabilmente pensi che quello che io abbia detto non ha alcun senso”
“Più che altro non riesco a capire, sul serio. Se fosse per me potrebbero andare tutti al diavolo”
“Oh, no, no dire così” disse lei appoggiando una mano sul braccio di Riley. “Lo so che probabilmente sono solo una sciocca sentimentale. Mia zia ha sempre pensato che lo fossi, e in questo somiglio a mia madre, però non posso farne a meno. E sono sicura che a tutto c’è rimedio, per questo sono così ottimista nella vita nonostante tutto”
“Non a tutto” mormorò il giovane, lo sguardo fisso sulla valle alle spalle della ragazza. I suoi occhi azzurri lampeggiarono di una strana luce.
“Come?”
“Non è vero che a tutto c’è un rimedio. Per esempio, alla morte non si può sfuggire”
“No, però…”
“Però cosa? La morte ti ha portato via tua madre. Credi che questo sia giusto?”
“No, non lo è” rispose Christine abbassando gli occhi.
“La vita è ingiusta. La vita non riserva mai niente di buono. Forse può sembrare, a volte, ma è tutta una farsa in realtà. Nessuno è mai veramente felice e l’amore non salva il mondo”
“Questo non è vero. Se le persone imparassero…”
“Le persone odiano, Christine, non amano. Non sono capaci di amare. E non imparano mai. Nessuno ha mai dimostrato un amore incondizionato per qualcosa o per qualcuno. Alla fine gli uomini sono degli egoisti e nient’altro, questa è la verità”
“Perché dici questo?”
Riley scosse la testa incredulo. “Sai, è davvero incredibile la tua fiducia nell’amore”
“Ho fiducia che il mondo possa divenire migliore, un giorno”
“Ma non ne sei certa”
“No, ma ho tanta speranza”
“La speranza non porta a niente se non ci sono fatti concreti a cui aggrapparsi”
“Hai torto. La speranza è l’unica cosa in cui possiamo ancora credere”
“Hai sempre la risposta pronta” sorrise il giovane.
“Me l’avevi già fatto notare” sorrise lei a sua volta.
Riley si mosse e la sorpassò, camminando fino al limitare della cima della collina.
“E così mi hai potato quassù per spiegarmi quanto è meraviglioso il mondo?” disse con una nota sarcatsica nella voce.
“In un certo senso. Almeno dal mio punto di vista” rispose la fanciulla raggiungendolo. Le loro spalle quasi si toccavano.
“Ci sono tante piccole cose che rendono la vita degna di essere vissuta. Una frase un po’ fatta lo so, ma io penso sia vero” sorrise.
Riley si voltò a guardarla. “Dimmene una”
Christine si perse in quegli splendidi occhi color del cielo, che splendevano anche nell’oscurità. Anzi, forse la notte li rendeva ancora più misteriosi e affascinanti. Affascinanti come Riley, la cui figura la sovrastava di parecchi centimetri.
Christine si accorse solo in quel momento di quanto erano vicini.
“Allora?” la incalzò lui.
“Una cosa che mi rende felice adesso?”
“Sì”
“Essere qui con te” mormorò la fanciulla abbassando rapidamente lo sguardo.
Riley la osservò a lungo e poi si mise nuovamente di fronte  a lei, per guardarla bene. Per far questo fu costretto a porle una mano sotto il mento per farle alzare il viso.
Quando i loro occhi si incontrarono- mai intensamente per tutta la notte come in quel momento- Riley sorrise ancora.
“Forse non hai tutti i torti, lo sai, dolce Christine? Forse c’è davvero qualcosa per cui vale la pena avere fiducia nell’amore. Qualcosa di prezioso di cui un uomo ha assoluto bisogno. Sarà fortunato colui che avrà il tuo cuore”
“Riley…” sussurrò la fanciulla completamente persa in quei meravigliosi occhi.
E forse furono le parole appena pronunciate dalla voce profonda del giovane che le fecero venire i brividi, oppure il modo in cui la guardava…nessuno l’aveva mia guardata così, come se sapesse leggerle dentro, ma in quel momento non riuscì a pensare più a nulla se non a quello che voleva fare in quel preciso istante. E i loro volti erano davvero troppo vicini…
Si sporse verso di lui, mettendo le mani sulle sue spalle, chiudendo gli occhi e appoggiando appena le labbra contro quelle calde del ragazzo.
Riley ebbe uno strano scatto e prese la distanza di un passo da lei, guardandola stupito e forse infastidito.
Christine non seppe bene come definire l‘espressione che si dipinse sul suo bel volto.
Il fischio del vento era un sussurro cupo e ululante. Giocava con le foglie ancora verdi degli alberi facendole cadere. Una di esse precipitò proprio sui lunghi riccioli della ragazza, ma lei non se ne accorse, almeno finché Riley non allungò una mano e la rimosse.
La fanciulla rabbrividì quel lieve tocco.
Lui non parlava, continuava a fissarla sempre con quello sguardo a metà tra lo stupore e la collera. O forse nessuno dei due e forse entrambi.
Lei non aveva il coraggio di dire niente, ma non si pentiva di averlo baciato. In realtà avrebbe voluto farlo già quella volta in cui Sirius e Tonks l’avevano portata alla cattedrale di Londra.
“Devo andare” riuscì a dire dopo un po’.
“Va bene” fu l’unica risposta che ottenne da lui.
“Non mi scuserò” aggiunse la ragazza fissandolo e sentendo il cuore battere all’impazzata.
“Non devi farlo”
“Riley…”
“A presto” disse il giovane interrompendola.
“No, aspetta. Io volevo dirti…ecco…il medaglione…”
“Tienilo se ti fa piacere”
“Sì…” Christine lo estrasse da sotto il cappotto e se lo rigirò un po’ tra le dita. “Vorrei sapere che cos’è”
“Non posso dirtelo”
Lei annuì. “Non importa. E…volevo chiederti un’altra cosa”
“Dimmi”
Riley parlava freddamente, come se stesse cercando di reprimere qualcosa.
“La rosa…”
“Ti è piaciuta?”
Christine sorrise lievemente. “Molto”
“Allora te ne manderò un’altra, la prossima volta”
Queste poche parole, come una specie di promessa, alleviarono un poco le paure di Christine. Allora non era in collera con lei!
“Sì” rispose speranzosa. “Devo proprio andare adesso, è molto tardi”
Lo guardò ancora un istante e poi si voltò per correre via.
“Christine?”
Rapida, si girò nuovamente nella direzione di Riley.
“Sì?”
Lui era lì che la guardava, immobile, ma il sorrisetto furbo era ritornato sul suo volto.
“Nemmeno io ti chiederò scusa”
Lei non capì subito, ma in meno di un secondo le fu chiaro.
Avvertì improvvisamente una forte sensazione di agitazione, ma non era fastidiosa, e aumentò a dismisura quando vide Riley venire verso di lei con passo rapido e sicuro.
E di nuovo i loro visi si trovarono a pochi centimetri di distanza.
Lui la strinse a sé mettendole le mani dietro la schiena e schiudendo un poco le labbra per incontrare meglio quelle di lei.
Christine rispose appena al bacio, che durò troppo poco.
Subito dopo, Riley si allontanò, dolcemente e la lasciò andare.

 
 
 
I’m back!!!!!!!
E allooooooooooraaaaaaaaaaa??????????? Vi prego ditemi cosa pensate di questo capitolo, che è quello che darà una svolta a tutta la storia! Sì, perché dal prossimo sarà un casino completo!
Inoltre, spero di aver accontentato molti di voi con questo primo bacio tra Christine e Riley! Ve lo aspettavate? Lo so, non è proprio questo gran ché come bacio, ma non preoccupatevi, ne arriveranno di più appassionati…ghe eh eh…
So anche che non è un capitolo così romantico come magari alcuni si aspettavano, ma non è nello stile di Riley essere romantico. Proprio no!
Please-please-please- recensite che voglio un parere!!! E vorrei anche sapere se la coppa vi piace.

 
 Ringraziamenti a tutti voi: Allice_rosalie_black, Aylas, Blankette_Girl, CarolineEverySmile, chiara53, coccinella75, Cucciola 95, Eleonora2307, Eliana Lilian Piton, ellinor, Elynn, Faith18, Femke, francesca88, Gabrielle Pigwidgeon, Grifondoro_Serpeverde, jess97, JKEdogawa, KlaineHP91, Ladie Katjie, Ladyhawke25, Lady_Erato, Latis Lensherr, laurana, LenShiro, muck_muck, Phoebe76, Pollon0874, rum43coach, ValeDowney, valepassion95 e zackaide.
 
Alla prossima gente!
Baci Usagi^^

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