Il torneo Trecolonie

di Beatrix Bonnie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La corruzione del tempo ***
Capitolo 2: *** L'uomo in giacca ***
Capitolo 3: *** La vacanza in campeggio ***
Capitolo 4: *** Il figlio del Presidente ***
Capitolo 5: *** I campioni del mondo ***
Capitolo 6: *** Baldoria! ***
Capitolo 7: *** Il Marchio Nero ***
Capitolo 8: *** Festa in bianco ***
Capitolo 9: *** Nobili parentele ***
Capitolo 10: *** Il Torneo Trecolonie ***
Capitolo 11: *** Il Gargoyle ***
Capitolo 12: *** I tre campioni ***
Capitolo 13: *** Il peso della fama ***
Capitolo 14: *** La paura della solitudine ***
Capitolo 15: *** I doveri di un Campione ***
Capitolo 16: *** I due presidi ***
Capitolo 17: *** Il Ballo di Capodanno ***
Capitolo 18: *** Gelosia e amicizia ***
Capitolo 19: *** Non è tutto oro quello che luccica ***
Capitolo 20: *** Drastiche soluzioni ***
Capitolo 21: *** Il potere dell'ossessione ***
Capitolo 22: *** Tempi oscuri in arrivo ***
Capitolo 23: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** La corruzione del tempo ***


CAPITOLO 1

La corruzione del tempo






La donna osservò la sua immagine riflessa nello specchio. I suoi capelli, un tempo rossi e vaporosi, ora ricadevano flosci sulle sue spalle, creando sinuose curve argentate. I suoi occhi verdi erano offuscati da una patina dovuta alla vecchiaia e circondati da una ragnatela di rughe che si espandevano su tutto il volto. Non c'era più traccia della bellezza della gioventù. Il tempo l'aveva corrotta, l'aveva ridotta ad un ammasso di pelle secca e ossa, ricoperte da un lussuoso vestito di raso.

La donna si raccolse i capelli in uno nodo dietro la testa con rassegnazione. Non voleva accettare l'idea che l'immagine di quella vecchia strega fosse proprio lei, ma la decadenza in cui era piombata non era solo una decadenza fisica. Quella donna provata dall'età e disillusa dalla vita era davvero il suo riflesso. Era proprio lei.

«Madre?» la richiamò una voce che sembrava venire dal piano di sotto. La donna si sistemò le pieghe dell'abito e il colletto di pizzo, proprio quando un mago bussò alla porta e, senza aspettare risposta, entrò nella stanza con passo deciso. «Madre» disse nuovamente, ma la donna non si voltò. I suoi stanchi occhi verdi si posarono sul riflesso di lui, sul grande specchio che aveva di fronte. I lunghi capelli corvini, ormai striati da qualche ciocca grigia, erano stati raccolti con un nastro di velluto nero. Anche la sua pelle cominciava ad essere attraversata da qualche ruga, ma il volto era ancora abbastanza giovanile per la sua età. L'unico vero segno che lo faceva sembrare più vecchio di quanto non fosse, era lo sguardo tagliente e intransigente.

«I nostri ospiti stanno arrivando. È gradita la vostra presenza in ingresso.» disse rivolto alla madre, con un tono che più che un invito, faceva apparire la frase come un ordine. La vecchia si limitò ad un cenno del capo.

Quando il figlio fu uscito dalla stanza, la donna lanciò un ultimo sguardo al suo riflesso sullo specchio, poi si affrettò a seguirlo. La grande casa era buia e tetra, forse a causa delle spesse tende di velluto nero che impedivano di penetrare all'interno a quei timidi raggi di sole che fossero riusciti a bucare la spessa coltre di nubi. La cupa tappezzeria delle pareti era intervallata da antichi arazzi e dipinti di antenati illustri. La donna si sentì addosso gli occhi degli occupanti dei ritratti, che la seguivano lungo il corridoio, ma lei non abbassò il mento. Non temeva il loro giudizio, né aveva paura che potesse esserle rinfacciata qualche colpa. Si era sempre comportata da nobile Purosangue, per cui non aveva alcun motivo per essere rimproverata. In fin dei conti, la stirpe continuava, gli eredi erano validi e numerosi e lei avrebbe dovuto sentirsi orgogliosa di essere la capostipite, eppure uno strano senso di inquietudine l'aveva assillata in quegli ultimi anni. Era convinta che ci fosse qualcosa di... sbagliato nella sua famiglia. Un conto era essere nobili, un conto era essere degli assassini. Sembrava che la massima aspirazione dei suoi discendenti fosse quella di epurare il mondo magico dai sasanachfiul. Certo, anche per lei il sangue inglese era qualcosa di ripugnante, ma mai e poi mai si sarebbe abbassata a massacrare Nati Inglesi, come un bieco sicario, o un boia prezzolato. Nobiltà significava anche decoro, onore e rispetto. Possibile che fosse l'unica a ricordarselo?

Scese le scale lentamente, sfiorando il corrimano con le dita. «Nonna» la richiamò una voce. Un ragazzo moro le si fece incontro reggendo tra le mani una coccarda rossa. «L'ho appena ricevuta dal Trinity. Sono diventato dictator» disse il nipote, mostrando orgoglioso il distintivo.

La donna gli rivolse un breve sorriso, poi commentò: «Tieni alto l'onore della nostra famiglia. È così che si comporta un Deamundi».

Eibhean gonfiò il petto con evidente orgoglio e la nonna si concedette un raro gesto di affetto, sfiorandogli la guancia con le dita. «Nonna.» la chiamò un'altra voce dall'ingresso. Dalla porta fece capolino un viso sottile, incorniciato da morbidi capelli rossi. Andalysia, la penultima dei fratelli Deamundi, ma anche l'unica della famiglia che avesse ereditato i tratti degli O'Brian, occhi verdi e capelli rossi. Inoltre Evangeline aveva notato come la nipotina avesse la stessa grinta che aveva caratterizzato lei da giovane.

«Nonna, vi stiamo aspettando in ingresso» disse Andalysia, accennando con il capo alla sala. Eibhean si affrettò a raggiungere gli altri, mentre Evangeline vi si diresse con un passo lento, ma non abbassò lo sguardo. Un nobile Purosangue non abbassa mai lo sguardo.

Suo figlio e sei dei fratelli Deamundi erano schierati in ingresso, pronti ad accoglierla. Alla sua sinistra Eibhean, e poi Tricolon con quei suoi riccioli scuri, Liutpridus, il più energico dei fratelli e infine Cassian, primogenito e erede del titolo di conte di Con Cetchthach. Alla sua destra invece Andalysia e Luisdel, così diverse come poche sorelle: la prima, rossa di capelli, aveva il carattere forte degli O'Brian, la seconda, mora e con gli occhi scuri, era pudica e aggraziata come si conveniva ad una nubile Purosangue. L'altra sorella, Rosmerta, era già andata in sposa a Vladimir Destesky, principe di Russia, sebbene avesse solo ventitré anni.

Tra le due ali create dai suoi figli, stava Meccorin Daemundi, conte di Con Cetchthach. Stava facendo girare un bicchiere di vino rosso, roteando con un lieve colpo del polso il calice di cristallo. Il suo sguardo era puntato sulla madre, ma non aveva nulla di benevolo nei suoi confronti. Era uno sguardo di avvertimento. Non osare sfidarmi, diceva.

Evangeline restò impassibile. Era conscia di aver generato un assassino e non aveva più l'illusione di poter influenzare in qualche modo le sue scelte. Ormai era tardi. Tardi per lei, vecchia e stanca della vita, ma tardi anche per lui, convinto di essere nel giusto. Ma questo non significava che avrebbe mai abbassato gli occhi di fronte a suo figlio.

Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta. «Andalysia, vai ad aprire» ordinò il conte, senza distogliere lo sguardo da sua madre.

La ragazza si affrettò ad eseguire gli ordini del padre. «Signor O'Duibne, prego» sussurrò in un tono strano, troppo dolce per lei, facendo entrare un giovane signore di bell'aspetto.

«Conte Deamundi» salutò l'uomo, con un inchino, mentre Maccorin si limitò ad un cenno del capo.

Dopo di lui, arrivarono molti altri maghi e streghe, ma Evangeline non era particolarmente interessata a seguire le presentazioni. Preferì ascoltare i bisbigli dei suoi due nipoti più giovani. «Da quando in qua fai gli occhi dolci a O'Duibne?» sibilò Eibhean, rivolto alla sorella.

Andalysia assunse un'aria di superiorità. «Non sono affari tuoi».

«Lo sai che nostro padre vorrebbe che sposassi Belisar MacGaril» rispose il fratello, accennando con il capo ad un ragazzetto biondo dall'aria non tanto sveglia che era appena arrivato al magione dei Daemundi.

Andalysia lo incenerì con lo sguardo. «MacGaril è un idiota» sibilò con astio. Evangeline non poté darle torto: Belisar non sembrava un tipo tanto arrivato. Forse era il risultato di qualche strano incrocio tra parenti, visto che le famiglie nobili erano tutte imparentate tra loro. Anzi, se non ricordava male, la madre di Belisar doveva essere Grainne O'Brian, una sua cugina di secondo grado.

«Almeno MacGaril è un nobile» rispose Eibhean, con un'occhiata d'intesa.

Ma a quelle parole Andalysia gli rivolse un sorriso provocatorio. «Nemmeno la tua Ailionora è nobile, a quel che mi risulta» insinuò.

Eibhean le lanciò un'occhiataccia e fece per rispondere qualcosa, ma Evangeline non riuscì ad ascoltarlo, perché suo figlio la chiamò. «Madre, è gradita anche la vostra presenza, alla riunione».

Evangeline si diresse con passo da funerale verso il salotto, dove gli ospiti stavano cominciando a prendere posto intorno ad un lungo tavolo di legno scuro. Il conte Deamundi, seduto a capotavola, fece segno alla madre di occupare la sedia alla sua sinistra. Proprio di fronte ad Evangeline, alla destra di Meccorin, stava Giustinianus MacGaril, quell'idiota borioso che aveva sposato sua cugina Grainne O'Brian, e il cui figlio ritardato Belisar era il miglior partito per Andalysia. Oltre a suo figlio Meccorin, anche i tre nipoti più grandi, Cassian, Liutpridus e Tricolon, erano stati ammessi alla riunione.

Quando tutti ebbero preso posto, il conte Deamundi sollevò la bacchetta verso il soffitto e recitò: «Glan na fuil..

«...tri bas na sasanachfuil!» risposero gli ospiti in coro, imitando il gesto del capotavola. Evangeline si meritò un'occhiataccia del figlio per non aver preso parte a quel rito, ma non aveva intenzione di unirsi a quel gruppo di fanatici assassini. Se evitare di gridare il motto “Purezza di sangue attraverso la morte dei sasanachfuil” era l'unico modo per sottolineare la sua indipendenza, era disposta anche a sopportare le occhiate di rimprovero da parte del figlio. Lui doveva sapere che lei disapprovava completamente quelle riunioni e tutto ciò che ne conseguiva.

«Fratelli, possa un giorno la nostra amata patria essere liberata da coloro che hanno il sangue impuro» esclamò il conte Deamundi, appoggiando le mani con le dita incrociate sul tavolo.

«Dio lo voglia!» risposero gli altri membri del gruppo.

Dopo un attimo di silenzio, il conte espose il problema per cui aveva indetto quella riunione: «Fratelli, un grave attentato al nostro orgoglio di celti ci è stato mosso contro» annunciò in tono drammatico, osservando uno ad uno i suoi ospiti. «Fratello Scipio, vuoi esporre tu il problema».

Scipio Diablaiocht annuì con serietà. «Come Capo del Dipartimento Affari Esteri, ho saputo che la finale di Coppa del Mondo di Quidditch, alla quale partecipa la nostra nazionale, si terrà in Inghilterra, nonostante le proteste irlandesi».

Un cupo silenzio seguì quelle parole. «Come si permettono?» esclamò indignata una donna mora, seduta poco lontano da Evangeline.

«Sorella Daireen ha ragione, è un vero oltraggio. Noi, costretti a disputare una gara sul suolo dei nostri oppressori!» protestò Giustinianus MacGaril, riscuotendo il consenso generale.

«Fratelli, vi prego» disse mollemente il conte Deamundi, per tranquillizzare gli animi. Il lungo tavolo piombò nuovamente nel silenzio. «L'unica cosa che possiamo fare, per evitare di esporsi troppo, è boicottare in toto l'evento» spiegò ai suoi ospiti.

«Boicottare?» protestò la donna mora di nome Daireen. «Io chiedo che cadano delle teste per questo affronto!»

«La sicurezza sarà altissima» intervenne O'Duibne, in tono serio. «Il mio superiore Claiomh, Capo del Dipartimento della Difesa, è già stato interpellato dal suo corrispettivo britannico per accordarsi sugli Auror che saranno presenti allo stadio. È praticamente impossibile penetrare».

«Ma soprattutto è rischioso» aggiunse il conte Deamundi, con serietà. «Ricordate che la nostra copertura non deve saltare. O vogliamo fare la fine di Xavier O'Costal?» domandò ai suoi compagni, in tono provocatorio. Tutti rabbrividirono di fronte a quell'agghiacciante prospettiva: O'Costal, il traditore che, per smania di potere, aveva finito per farsi beccare insieme ai suoi compagni e ora si ritrovava a marcire in prigione.

«Questo è quanto, fratelli» concluse il conte Deamundi, dopo aver appurato che tutti i compagni erano ancora fedeli all'ideale per il quale combattevano. «Se qualcuno di voi, come fratello Scipio, dovesse essere obbligato a presentarsi alla partita, finga un malore improvviso, qualsiasi cosa: nessuno di noi deve mettere piede sul suolo britannico» commentò il mago, scandendo per bene le ultime parole.

«Preferirei morire» sentenziò con astio sorella Daireen.

Il conte Deamundi annuì soddisfatto. «Per il secondo punto in programma, lascio la parola a fratello Sigfrid».

Un uomo pelato, con i tratti del volto taglienti, si schiarì la gola, poi cominciò a parlare: «Sono venuto a sapere, tramite dei miei informatori, che presto in Parlaimint ci verrà presentata la proposta di legge di Aletheia O'Gara, il Capo del Dipartimento dell'Istruzione Magica».

A quell'informazione, le persone sedute attorno al tavolo si lanciarono occhiate preoccupate: per quanto la O'Gara fosse membro del Partito della Tradizione, sembrava particolarmente incline a fare favoritismi per i sasanachfuil. «Cosa dice il testo della legge?» domandò Cassian Deamundi, seduto a fianco di Evangeline.

L'uomo pelato scosse la testa. «Non lo conosco nei dettagli, ma pare che l'idea fondamentale sia quella di istituire dei corsi di cultura irlandese per favorire l'integrazione dei sasanachfuil attraverso la conoscenza delle nostre tradizioni».

«È uno scandalo! Come se, per essere irlandesi, fosse sufficiente la cultura!» protestò Giustinianus MacGaril, battendo il pugno sul tavolo. Alcuni mormorii d'assenso accolsero quell'esclamazione.

«Credo che la cosa migliore da fare sia convincere gentilmente miss O'Gara che non è una buona idea presentare in Parlaimint quella legge» propose sorella Daireen, con un tono falsamente gentile che fece rabbrividire Evangeline.

Il conte Deamundi annuì con serietà. «Volontari?»

«Possiamo farlo noi, padre» intervenne Liutpridus, accennando a sé e ai suoi fratelli. Evangeline si voltò verso i suoi nipoti con il cuore infranto: aveva tanto sperato che almeno loro si salvassero da quella trappola infernale, ma, evidentemente, l'ascendente del padre su di loro aveva provocato effetti devastanti.

Il conte Deamundi fece un segno d'assenso con il capo. «Agite con discrezione: minacciatela quanto necessario, ma non fatevi scoprire» ordinò loro, con tutta la naturalezza del mondo. Liutpridus sorrise e gonfiò il petto con orgoglio, scambiando occhiate fugaci con i fratelli Cassian e Tricolon.

Il conte Deamundi osservò per un attimo i suoi ospiti, scrutandoli con i suoi occhi blu come un cielo stellato. «Molto bene, la riunione è finita» annunciò poco dopo, alzandosi dal tavolo. «Glan na fuil...»

«...tri bas na sasanachfuil!» completarono gli altri, alzandosi a loro volta. Gli ospiti lasciarono lentamente la sala, seguendo il gentile invito di Cassian Deamundi, che indicava loro un altro salotto dove gli elfi domestici avevano preparato calici di vino e piccole prelibatezze.

«Sorella Daireen» chiamò il conte Deamundi. La giovane donna si voltò verso il mago con sguardo interrogativo. Meccorin aspettò che tutti gli altri avessero lasciato la sala, poi chiuse il portone per non essere udito da orecchie indiscrete. Fece segno alla donna di sedersi nuovamente, poi si accomodò a capotavola. «Ho un compito per te, Daireen» annunciò in tono serio. «Ma è una cosa che deve restare tra noi».

«Avete la mia parola, conte» annuì la donna, immaginando che la faccenda si sarebbe rilevata interessante.

Meccorin Deamundi sembrava piuttosto a disagio, come se dovesse ammettere qualcosa di terribile. «La presenza della figlia di mio cugino si sta rivelando decisamente ingombrante» disse alla fine, con lo stesso risentimento che avrebbe usato un peccatore penitente davanti al suo confessore. «Prima rovinò il piano per recuperare la lancia di Lugh, poi interferì con quello della setta degli Eletti, portando alla cattura di O'Costal».

Daireen si fece più attenta: aveva come l'impressione di sapere dove sarebbe andato a finire quel discorso. Il conte Deamundi fece una piccola pausa, poi riprese: «All'inizio, considerato che era solo una bambina, potevo anche essere magnanimo e ignorare la sua presenza, ma ora sta cominciando ad essere davvero intollerabile».

«Mi state chiedendo di ucciderla?» sussurrò Daireen, mentre uno strano brillio le illuminò per un attimo gli occhi scuri. La ragazzina era una lurida sasanachfuil, ma era sempre stata intoccabile, almeno fin quando non l'avesse deciso il conte Deamundi. In pochi sapevano il reale motivo di quella assurda tutela e probabilmente il conte stesso non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, ma la stretta parentela tra di loro faceva sì che avessero parte del patrimonio genetico in comune e non una singola goccia di sangue dei Deamundi di Con Cetchthach, per quanto impuro e contaminato da quello inglese, doveva andare sprecato. Ma ora... be', la ragazzina si era dimostrata davvero inopportuna e Meccorin era disposto a sacrificarla. Se si fosse comportata in modo più discreto, avrebbe anche potuto sopportare la puzza del suo sangue impuro che sporcava il suo prezioso casato, ma non era disposto a tollerare una presenza così molesta. Dopotutto, se una mano ti è motivo di scandalo, tagliata.

Ora come ora, gli erano completamente indifferenti le sorti della piccola sasanachfuil: gli bastava che la smettesse di intralciare i piani dell'EIF. «Fa' quello che credi» rispose a Daireen, scuotendo leggermente la testa con disinteresse. «Dopotutto, non fosti sempre tu ad occuparti della madre?»

Un sorriso di vittoria si allargò sulla bocca della donna. Sì, fu lei ad occuparsi della madre. Quella sgualdrina inglese che le aveva rubato il suo uomo. Non si meritava altro, per aver osato portare l'odioso puzzo dei dominatori inglesi nell'Isola Smeralda, per aver infangato l'onore di un mago irlandese rispettabile, seducendolo con i suoi trucchi. Con quanto piacere le aveva strappato la vita dal petto! In fin dei conti, era solo per vendetta contro di lei che Daireen Cumhacht era entrata a far parte dell'EIF.

E ora, finalmente, il conte Deamundi aveva allentato le reti di protezione intorno a quella lurida sasanachfuil della figlia.

Oh, la vendetta non sarebbe potuta essere più dolce.



Uau, ragazzi, io mi sento quasi emozionata! Mi mancava troppo questa saga e sono felicissima di aver cominciato il nuovo racconto. In questo capitolo, ho pensato di dare un po' di spazio all'EIF (così come all'inizio del quarto la Rowling aveva inserito quell'agghiacciante capitolo intitolato “casa Riddle”). Il trio ricomparirà dal prossimo lunedì, promesso!

Ora vi lascio un po' di cosette da sbirciare e leggiucchiare:

  • La legge proposta dalla O'Gara potrebbe apparire favorevole per i Nati Inglesi (e così certamente la interpreta l'EIF), ma in realtà è comunque discriminatoria: comporta l'idea di mettere tutti coloro che hanno sangue inglese (fosse anche per un nonno) in classi separate per un corso intensivo di cultura irlandese; questo certo non è il modo migliore per favorire l'integrazione!

  • Per facilitarvi la comprensione delle intricate parentele magiche, QUI l'albero genealogico degli O'Brian e QUI quello dei MacGaril. Siete riusciti a scoprire chi è la mano motivo di scandalo che Meccorin Deamundi vuole tagliare? E avete riconosciuto qualcuno dei vecchi personaggi negli alberi genealogici? =)

  • QUI, invece, l'immagine del capitolo: si tratta di una rappresentazione della famiglia Deamundi.

  • Questo è l'approfondimento sulla nobiltà irlandese che avevo promesso tempo fa:

    In origine le schiatte non avevano nulla di nobile, erano semplicemente clan: gruppi di famiglie magiche unite dall'appartenenza tribale. Ogni clan era in lotta con gli altri, ma le famiglie che appartenevano ad uno stesso clan non erano necessariamente imparentate.

    Col passare del tempo, alcuni clan divennero più importanti di altri e in particolare tra il V-VI secolo d.C. spiccò il clan dei Con Cetchthach.

    Con l'avvento del dominio normanno prima e inglese poi (a partire dal XII secolo d.C.), le famiglie magiche irlandesi più importanti si chiusero in un orgoglioso isolamento, facendo crollare l'antico sistema tribale. Alcune famiglie si estinsero, altre si mescolarono con i babbani o, peggio ancora, con gli inglesi.

    All'inizio del XV secolo, furono i Deamundi, dell'antico clan di Con Cetchthach, a riportare in auge le vecchie tribù, dandogli il nome di schiatte e richiamando le famiglie di origine a farne parte. Ma ben poche erano sopravvissute immuni all'invasione britannica, ancora pure nel loro orgoglio di celti. Così i Deamundi salvarono dalla rovina solo otto schiatte, ciascuna composta da quattro o cinque famiglie; ad ogni famiglia venne inoltre assegnata ad una delle quattro contee in cui era stato formalmente diviso il territorio irlandese, solitamente quella in cui si trovava la dimora di famiglia (Maillen, Gulbain, Luachra e Temair). Per i maghi irlandesi era un modo per sostenersi a vicenda, per opporsi al dominio britannico e alle sue strutture governative attraverso la rievocazione dell'antico legame tribale.

    Con il tempo, alcune schiatte si svuotarono per l'estinzione in linea maschile delle famiglie che la componevano. Fu così istituito ilUasal Comhairle Uachtarach (Nobile Consiglio Supremo) composto dai capifamiglia, che dovevano giudicare se una famiglia fosse idonea ad entrare nella nobiltà, per rimpolpare le schiatte. L'ultima famiglia a meritare tale onore fu quella dei Saiminiu, che entrò a far parte della schiatta di Mes Gergra nel 1694. Dopodiché il sistema del Nobile Consiglio Supremo cadde in disuso.

    Con la liberazione dell'Irlanda Magica nel 1897 e la stesura della Carta Costituzionale, le schiatte nobili furono formalmente abolite, ma continuano tuttora ad esistere agli occhi di tutta la società magica irlandese.

Perdonate le note chilometriche! A lunedì prossimo (o a domani per quelli che seguono anche il corollario “Vita da Fuorilegge”).

Grazie a tutti,

Beatrix


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Capitolo 2
*** L'uomo in giacca ***


CAPITOLO 2

L'uomo in giacca






Mairead ricontrollò per la ventesima volta di aver messo in valigia tutto ciò di cui aveva bisogno. Spazzola, ciabatte, un paio di completi da babbana, la bandiera dell'Irlanda che cantava l'inno nazionale quando veniva sventolata, la felpa verde con il cappuccio decorato da trifogli e il simbolo della nazionale di Quidditch stampato sul petto, e lo strumento indispensabile di ogni vero tifoso: la trombetta che urlava a squarciagola il nome di Sean Troy.

Non riusciva ancora a credere che stava per andare a vedere la finale Coppa del Mondo di Quidditch, in cui l'Irlanda avrebbe affrontato la Bulgaria. Benedetto san Patrizio, avrebbe visto Sean Troy e gli altri giocatori dal vivo! Magari sarebbe anche riuscita strappare loro un autografo!

«Mairead, sei pronta?» la richiamò la voce di suo padre dal piano di sotto. La ragazza chiuse la valigia, controllò che la stanza fosse in ordine, accarezzò per un'ultima volta la sua Nimbus e poi si affrettò a raggiungere Reammon. Strano ma vero, lui era già pronto.

Mairead gli lanciò un'occhiata di sbieco. «Papà, la bacchetta?» gli domandò con l'aria di chi la sa lunga.

Reammon si toccò la tasca interna del mantello ed esclamò soddisfatto: «C'è!»

«E le chiavi di casa?»

«Ci sono!» rispose con maggiore soddisfazione, indicando la tasca dei pantaloni. Fece un sorriso compiaciuto alla figlia, per mostrarle che per una volta doveva essere fiera di lui, dopodiché si incamminò verso la porta e la aprì davanti a Mairead, indicandole di uscire con un inchino, come un perfetto gentiluomo.

«Papà» disse invece la ragazza in tono piatto. «La valigia».

«Oh!» esclamò Reammon, battendosi la fronte con il palmo della mano. Corse in camera sua a recuperare il bagaglio e ridiscese velocemente in ingresso con un sorriso, come se nulla fosse successo. Mairead alzò gli occhi al cielo sconsolata, poi uscì di casa con uno sbuffo.

I due Boenisolius si incamminarono in silenzio verso il metrombino, nel vicolo dietro la piazza principale di Boyle, ognuno immerso nei propri pensieri. «Fai il bravo, babbo» gli raccomandò Mairead, quando furono arrivati davanti al passaggio magico.

«Sono io che dovrei dirti di fare la brava!» protestò Reammon, fingendosi offeso.

Mairead scosse la testa. «Io sarò con il signor Maleficium, la persona più seria e responsabile sulla faccia della terra: non mi accadrà nulla. Mentre tu...» cominciò a dire, ma non concluse la frase. Suo padre odiava il Quidditch quindi, mentre lei, Edmund, Laughlin e Bearach sarebbero stati scarrozzati dal santo signor Maleficium alla Coppa del Mondo, lui ne avrebbe approfittato per andare a trovare il suo amico Septimius Saiminiu. Ma Mairead non vedeva affatto di buon occhio quell'accoppiata: era certa che sarebbero stati in grado di combinare qualche bel pasticcio, peggio di due bambini scapestrati.

Meglio non pensarci, si disse. Ora la sua testa era occupata da un solo pensiero: la finale della Coppa del Mondo di Quidditch! Ancora non riusciva a credere che il signor Maleficium fosse riuscito a trovare i biglietti per la partita e, soprattutto, che si fosse offerto di portare loro quattro disgraziati in campeggio. Lanciò un'occhiata piena di entusiasmo al padre.

«Divertiti» le rispose con un sorriso benevolo.

Ci puoi contare!” pensò e poi con un ultimo respiro si buttò nel metrombino gridando: «Cearnog na Stiuradh!»

Arrivò al metrombino della piazza centrale di Dubh Cliathan, dove avevano sede i palazzi del Parlamento e del Governo. «Oh, ecco Mairead» esclamò il signor Maleficium, seduto su una panchina poco distante, non appena la vide arrivare con la sua valigia sottobraccio. L'uomo indossava un elegante completo gessato da Babbano corredato di cravatta in tinta, panciotto e mocassini neri. L'abito aveva tutta l'aria di essere appena uscito dal negozio.

Poco lontano, due ragazzini biondi con una strana accozzaglia di abiti Babbani e da mago (felpa con cappuccio e pantaloncini irlandesi da mago) saltellavano in giro in preda all'euforia. «Laughlin!» lo chiamò Mairead divertita, nel vedere come il suo amico assomigliasse all'esuberante fratellino Bearach più di quanto volesse ammettere.

«Maireeeed!» esclamò Laughlin, con una vocetta resa stridente dall'eccitazione. Aveva un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia, gli occhi sgranati e le mani chiuse a pugno: sembrava che qualcuno gli avesse lanciato addosso una dose eccessiva di Incantesimi Rallegranti. Mairead gli andò incontro correndo e si ritrovò anche lei a emettere gridolini isterici talmente acuti da raggiungere gli ultrasuoni. «Andremo alla finale della Coppa del Mondo!» ripetevano tutti e tre, saltellando in giro come dei pazzi scalmanati.

«Che il cielo mi aiuti!» sospirò invece il signor Maleficium, con un sospiro sconsolato.


Come apprese Mairead, una volta calmata e represso l'entusiasmo eccessivo, l'abito Babbano che portava il signor Maleficium era quello che avrebbe indossato anche la mattina successiva, quando si sarebbero recati al campeggio per la Coppa del Mondo. «Devo testare il travestimento, sai» le rivelò in tono serio, come se la sua sopravvivenza dipendesse dalla sua capacità di mimetizzazione. A parte il codino di capelli biondi che ricadeva morbido sulla nuca, dandogli un tono un po' eccentrico, il signor Maleficium pareva un perfetto uomo d'affari Babbano.

Tutto preso dalla parte, il signor Maleficium costrinse i ragazzi a prendere i mezzi di trasporto Babbani per raggiungere l'orfanotrofio di Edmund. Era convinto che se fosse passato inosservato su un tram, avrebbe potuto sembrare un Babbano anche alla Coppa del Mondo.

Raggiunsero la loro destinazione senza intoppi, anche se la valigia di Mairead era decisamente troppo scomoda da portarsi in giro in mezzo a tutti quei Babbani, senza poterla sollevare con la magia. Il cancello dell'orfanotrofio era grigio e squallido esattamente come Mairead se lo ricordava: non invidiava affatto Edmund che doveva tornare in quel luogo triste tutte le estati. Quando il signor Maleficium suonò il campanello, venne ad accoglierli la stessa babbana acida che l'anno scorso di era presentata a lei e suo padre e si era intascata il paipear ban, il foglio bianco rilasciato dal Dipartimento dei Rapporti con i Babbani su cui potevi far credere ad un Babbano che c'era scritto tutto quello che voleva (e che, per fortuna, aveva un meccanismo di rimpicciolimento in modo da diventare delle dimensioni di un coriandolo entro un paio di giorni se restava in mano Babbana).

«Ho già detto e ripeto che Edmund non può venir portato via da chiunque quando...» cominciò a dire con la sua vocetta acuta, ma si interruppe subito alla vista del signor Maleficium. «Lei è qui per Edmund?» domandò in tono melenso.

«Sì, e ho l'autorizzazione» rispose il signor Maleficium, mettendo una mano nella tasca interna della giacca, evidentemente alla ricerca di un altro paipear ban.

L'assistente sociale pareva incantata dall'uomo elegante che si era presentato alla sua porta. «Oh, non credo che ce ne sarà bisogno» mormorò la donna, con gli occhi sognanti. «Lei è un uomo molto ligio alle regole, vero?» gli chiese, sbattendo le ciglia.

Il signor Maleficium si guardò attorno a disagio, senza capire l'improvviso tono zuccheroso dell'assistente sociale, ma per fortuna gli fu risparmiato di dover rispondere alla domanda, perché Mairead richiamò l'attenzione di tutti gridando: «Edmund!»

Un ragazzino con la divisa dell'orfanotrofio decisamente troppo corta per la sua età era appena sbucato in giardino. Mairead gli corse incontro e lo stritolò in un abbraccio. «Santo folletto, Ed... ma quanto sei cresciuto in questi due mesi?» domandò la ragazzina, constatando che l'amico si era alzato di quasi dieci centimetri dall'ultima volta che lo aveva visto. Edmund alzò le spalle in segno di innocenza, come se temesse che gli fosse imputata qualche strana colpa, ma non ebbe tempo di rispondere perché fu presto circondato dai fratelli Maleficium che saltellavano in giro esaltati.

«Ed, andiamo alla Coppa del Mondo di Quidditch!» continuavano a ripetere in coro. Laughlin non era mai assomigliato tanto a suo fratello Bearach. Edmund evitò di far notare a suoi amici che lui non era poi così eccitato dal Quidditch, perché ciò che lo incuriosiva maggiormente era tutto il resto: la prospettiva di trascorrere una settimana in campeggio, la possibilità di conoscere maghi di tutte le nazionalità e di fare tante nuove esperienze; per non parlare del fatto che avrebbe passato il resto dell'estate a villa Maleficium.

«Forza, giovanotti, muoviamoci» li richiamò il signor Maleficum, con un cenno della mano. Edmund si fece aiutare a trascinare il baule con tutte le sue cose verso l'uscita; passando davanti alla signorina Quinn, la sua assistente sociale, le rivolse un sorriso compiaciuto, per essere riuscito a spuntarla anche per quell'estate, ma lei nemmeno ci badò, intenta com'era a lanciare sguardi sognanti a Eoin Maleficium. Edmund si chiuse il cancello dell'orfanotrofio alle spalle e lanciò un ultimo sguardo al giardino che anche per quell'anno aveva finalmente abbandonato.

Il gruppetto percorse le strade della Dublino Babbana perfettamente inosservato, con sommo compiacimento del signor Maleficium, e arrivò al metrombino che si trovava in una viuzza laterale poco frequentata. Uno ad uno si buttarono dentro e raggiunsero incolumi villa Maleficium. Ad aspettarli a casa c'era la signora Maleficium, che accolse con calore i suoi due giovani ospiti. In realtà, Eoin spiegò che si sarebbero fermati lì a dormire solo per quella notte, perché il giorno successivo avrebbero dovuto recarsi al campeggio. «Ci saranno moltissimi maghi provenienti da tutte le parti del mondo e quindi gli arrivi allo stadio sono stati scaglionati» spiegò ai ragazzi, durante la cena. «Quelli che hanno un biglietto più a buon mercato, sono stati costretti a raggiungere il proprio campeggio due settimane prima».

«E noi, quanto prima andiamo?» chiese Laughlin, che sembrava decisamente preoccupato all'idea di lasciare le comodità della sua villa per scambiarle con salamine cotte sul fuoco e tende umidicce.

«Solo cinque giorni» rispose il padre. «Abbiamo i biglietti nella curva verde, proprio dietro gli anelli irlandesi».

«Ganzo!» esultò Bearach che, in prospettiva della vacanza in campeggio e della conseguente finale di Quidditch, sembrava anche più esaltato del solito.

Edmund, tuttavia, era ancora perplesso su una cosa. «Signore, ma... come raggiungiamo il campeggio? Usiamo la Metrombino?» domandò incuriosito. Immaginò che per radunare tanti maghi in un solo punto, senza farsi notare dai Babbani, doveva essere stata preparata un'organizzazione capillare e notevole.

«Oh, no, la Metrombino funziona solo all'interno del territorio irlandese. Il governo britannico si è dato un gran da fare in questi ultimi mesi: una piccola parte di maghi userà i mezzi Babbani; molti si materializzeranno, ma anche questa è un'operazione complicata perché bisogna trovare un luogo dove far materializzare la gente senza che possa essere vista dai Babbani. Per tutti gli altri sono state predisposte numerosissime Passaporte in tutto il mondo» spiegò il signor Maleficium, sempre contento di poter soddisfare la briosa curiosità del giovane Edmund.

«Che cos'è una Passaporta?» chiese ancora il ragazzino.

«È un oggetto magico che ti trasporta in un dato luogo ad una data ora. Di solito si tratta di rifiuti o cose che i Babbani non notano» rispose il signor Maleficium, anche se Edmund non era affatto convinto di aver capito.

Ma prima che potesse chiedere altri chiarimenti, Daire esclamò: «Forza, forza, tutti a nanne, che domani dovete alzarvi presto».

E così i ragazzi si ritirarono ognuno nella propria camera, eccitati alla prospettiva della loro prima vacanza insieme.



Eccoci qui! Allora, non siete eccitati all'idea di andare alla Coppa del Mondo di Quidditch? Io sì, assolutamente sì!!! ahahah! Credo di essere più emozionata di Mairead... il problema è che il 4 film (che mi fa orrore, tra parentesi) non ha affatto reso giustizia ai campioni irlandesi e la scena della finale mi ha lasciato molto delusa: ergo, vedrò di rimediare!

Quanto alla cotta della signorina Quinn per Eoin Maleficiu... che volete farci, è il fascino della giacca e cravatta! Qui il link di un'immagine appositamente confezionata per l'occasione.

Ah, nota tecnica: sabato prossimo parto per una mini vacanza-studio (nel senso che vado al lago dalla mia amica, ma dobbiamo studiare per l'esame di latino!), quindi pubblicherò il prossimo capitolo in anticipo, venerdì 29/07 invece di lunedì.

Grazie a tutti coloro che hanno già cominciato a seguire questa storia! Alla prossima,

Beatrix B.


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Capitolo 3
*** La vacanza in campeggio ***


CAPITOLO 3

La vacanza in campeggio





La mattina successiva si alzarono tutti di buona ora, fecero una colazione leggera, presero ognuno il proprio zaino e si incamminarono verso la collina, dopo aver salutato allegramente la signora Maleficium. Sembravano dei veri Babbani che andavano in capeggio, se non fosse stato per il signor Maleficium che indossava il suo completo gessato, sicuramente poco adatto ad un'allegra scampagnata.

Camminarono di buona lena per più di un'ora, finché non raggiunsero la sommità di una collina poco distante dalla villa. Il signor Maleficium disse che il posto migliore per nascondere una Passaporta era vicino al ruscello che scorreva poco lontano, perché lì c'era un minimo di vegetazione che permetteva di ripararsi dagli occhi dei Babbani. Si avvicinarono e cominciarono a cercare la Passaporta, quando un altro terzetto si unì a loro: due ragazze piuttosto bruttine, che potevano essere sorelle, e un altro tizio allampanato.

«Ciao» li salutò la ragazza più giovane, che aveva una indomabile cresta di capelli rossicci e un paio di occhiali piuttosto spessi. Edmund strizzò gli occhi, sicuro di averla già vista da qualche parte: doveva essere una tipa dei Llapac, del loro anno, una certa O'Callaghan qualcosa.

«Ciao, Moira» rispose gentilmente Mairead.

Ecco, Moira, Moira O'Callaghan. Laughlin diceva sempre che era la studentessa più brutta del castello. In effetti, Laughlin aveva risposto al saluto di lei con un sorrisetto imbarazzato, come se fosse stato colto in flagrante. «Anche voi qui per la finale?» domandò Mairead, tanto per fare un po' di conversazione.

Moira annuì. «Il ragazzo di mia sorella ha trovato i biglietti e ci porta con lui» rispose, accennando con il capo al tizio allampanato.

Proprio in quel momento, il signor Maleficium mostrò soddisfatto un sacchetto di plastica stracciato. «Ecco, credo di aver trovato la Passaporta» annunciò agli altri.

Tutti si avvicinarono, ma il più circospetto era Edmund, che non aveva mai provato quel tipo di trasporto magico. «Cosa dovremmo fare?» domandò perplesso, mentre gli altri si disponevano a cerchio allungavano una mano verso il sacchetto, ancora tenuto in mano da Eoin.

«Basta che lo tocchi, anche solo con un dito» spiegò Laughlin. Edmund si ritrovò pressato tra Mairead e Moira, con una mano poggiata sul sacchetto. Per una frazione di secondo non successe nulla e Edmund pensò che dovevano sembrare dei veri idioti, tutti lì appiccicati in cerchio intorno ad un sacchetto rotto.

«Ci siamo quasi» commentò il signor Maleficium, controllando l'orologio che portava al polso, un bel esemplare d'oro con dei piccoli diamanti al posto dei numeri. Edmund non capì che cosa sarebbe dovuto succedere finché, all'improvviso, non sentì una strana forza che gli strattonava l'ombelico e lo trascinava in avanti. Fu risucchiato in un vortice confuso di colore, fino a quando i suoi piedi non toccarono nuovamente qualcosa di solido. Non fu l'unico a barcollare e cadere: anche Moira e lo spilungone, che forse a causa dell'altezza sproporzionata aveva uno scarso equilibrio, si ritrovarono per terra.

«Ecco quella delle otto e mezza dal Colle Mugnaio» disse una voce annoiata. Edmund si guardò intorno: erano arrivati in una brughiera nebbiosa e solitaria; ad attenderli, solo due maghi malamente agghindati da Babbani, uno con un grosso orologio d'oro, l'altro con un foglio di pergamena in mano. «Nome, prego» chiese con voce stanca il mago con la pergamena. Il signor Maleficium, che ovviamente era atterrato con grazia sull'erba, si fece avanti e disse il nome all'impiegato, mentre l'altro buttava il loro sacchetto in uno scatolone di Passaporte usate.

«Eoin Maleficium?» domandò il mago con la pergamena.

«Si pronuncia “Owen”, è irlandese» spiegò il signor Maleficium, in tono calmo: forse era abituato al fatto che gli inglesi storpiassero il suo nome.

L'impiegato nemmeno badò alla correzione. «Voi siete al primo campeggio da quella parte, a circa cinquecento metri. Il direttore si chiama Roberts» spiegò, indicando sbrigativamente la strada che dovevano prendere.

«Grazie mille» rispose educato il signor Maleficium, anche se il mago aveva già smesso di ascoltarlo ed era passato a chiedere il nome allo spilungone.

Il signor Maleficium condusse i ragazzi lungo la brughiera. Camminarono in silenzio per quasi venti minuti, circondati solo dalla nebbiolina fine e da qualche verso di uccello che gracchiava lontano. Poi, pian piano, cominciarono ad intravedere il profilo di una casetta in pietra e in seguito dell'intero campeggio, che si estendeva in centinaia di tende distribuite sul dolce declivio di una collina, al limitare di un bosco. Il signor Maleficium si avvicinò al Babbano che stava all'ingresso. «Il signor Roberts, immagino» gli domandò in tono educato.

«Oh, sì» rispose quello, che aveva l'aria decisamente stralunata, forse causa di alcuni incantesimi di memoria. Eoin sorrise in modo affabile.

«Ho chiamato qualche settimana fa, per prenotare il posto per una tenda al nome Maleficium».

«Tuo padre sa usare un telefono?» domandò sorpreso Edmund, rivolto a Laughlin.

L'amico annuì con un espressione sconcertata. «Ho scoperto che lui aveva frequentato il corso di Babbanologia quand'era al Trinity. Diceva che per un giornalista era bene conoscere le abitudini dei propri vicini» rivelò annuendo con aria sbigottita.

«Dai, ragazzi, andiamo» li richiamò il signor Maleficium, dopo aver pagato il signor Roberts e essersi fatto indicare il posto che era stato loro assegnato.

Capirono subito che erano finiti nella zona prenotata esclusivamente da irlandesi: arrivati ad un certo punto, tutte le tende erano state ricoperte da veri trifogli verdi e parevano tante collinette che sbucavano dal terreno. «Ganzosissimo!» esclamò Bearach, con un saltello entusiasta. Edmund immaginò che il signor Maleficium avrebbe disapprovato completamente, invece sul suo volto sempre serio comparve un sorriso compiaciuto.

«La nostra è anche meglio» sussurrò a mezza voce, appoggiando a terra lo zaino, sotto il cartello con il loro nome. La strega con i capelli color sabbia, che aveva il posto vicino a loro, li squadrò con occhio critico, come se volesse carpire tutti i loro segreti con una sola occhiata. Il signor Maleficium le rivolse un sorrisetto di superiorità, poi estrasse dal suo zaino un enorme telo di stoffa, che non poteva materialmente starci dentro, senza un incantesimo che ne aumentasse le capacità. Una volta appoggiato a terra, il telo cominciò a muoversi da solo, a gonfiarsi e agitarsi, finché non si alzò a formare una tenda a due posti, con tanto di pali e bandiera irlandese che sventolava placida sulla cima. In un batter d'occhio, il tessuto si ricoprì di trifogli vivi, fino a diventare simile alle altre tende irlandesi. Il signor Maleficium osservò il tutto con un sorriso soddisfatto. Tutta la sua preoccupazione per l'abito Babbano strideva non poco con quei trifogli vivaci che decoravano il tessuto della tenda.

«Non credo che il Ministero sarà molto contento» commentò sconsolato Edmund.

Eoin gli rivolse un sorriso smagliante. «Suvvia, giovanotto, un po' di orgoglio per la nostra nazione non possiamo non mostrarlo!» gli disse, facendogli l'occhiolino.

«Yeppy!» esultò Bearach. «Diamoci dentro!»

All'interno, la tenda era grande come un piccolo bilocale: un ingresso con il divano e l'angolo cottura, una stanza con due letti a castello e un piccolo bagno. Il signor Maleficium avrebbe dormito sul divano, mentre i ragazzi avevano a disposizione i letti a castello. Ci fu una piccola scaramuccia per chi avrebbe avuto i posti in alto, ma alla fine riuscirono a conquistarli Mairead e Laughlin. Bearach rimase arrabbiato per tre ore consecutive per quella faccenda, ma a Edmund non importava nulla di dove avrebbe dormito: per lui, quella era la prima vera vacanza e se la voleva godere appieno.

La cosa più divertente di quei giorni, fu gironzolare per il campeggio per vedere i tanti maghi di diverse nazionalità che si erano radunati per quell'evento. Man mano che passavano i giorni, il numero di campeggianti aumentava e i ragazzi si divertivano ad osservare quelli che venivano dai paesi più lontani, portandosi con sé le proprie abitudini. Mairead era la più esperta, visto che aveva sempre girato il mondo al seguito del padre, nelle sue pazze avventure da archeologo; al contrario, Edmund era affascinato da ogni cosa che vedeva, dai maghi egiziani che svolazzavano per il campeggio su un tappeto volente, mandando su tutte le furie gli ispettori, a un gruppo di streghe africane che attaccavano a suonare i bonghi al sorgere del sole.
Scoprirono che la strega con i capelli color sabbia che aveva la tenda a fianco della loro, aveva un figlio di nome Seamus, venuto insieme ad un suo amico di colore, un certo Dean. Entrambi frequentavano Hogwarts, anche se Seamuns era irlandese, ed era piacevole chiacchierare con loro. Edmund chiedeva un sacco di cose sulla loro scuola, mentre Mairead, Laughlin e Bearach discutevano solo di Quidditch.

Oltre ad aver visto Moira O'Callaghan alla Passaporta, i ragazzi incontrarono anche altri compagni e amici, come Cecelia Allen, ex capitana della squadra dei Llapac, che aveva finito il Trinity l'anno scorso, o i quattro fratelli Connery; Leonard e Beatrix erano compagni di squadra di Mairead, mentre i gemelli Nicolaj e Lucius avevano ormai concluso gli studi da due anni e il primo stava studiando Legge Magica per diventare giudice, il secondo giocava come riserva nei Kenmare Kestrels.

Fu l'ultimo giorno prima della partita che Mairead propose ai suoi amici qualcosa di diverso. «Stamattina dovrebbero essere arrivati al campeggio i parenti di mia mamma. Io non li ho mai visti e vorrei andare a conoscerli» spiegò, leggermente a disagio.

«Ti accompagniamo» rispose Laughlin senza esitare. Così si incamminarono verso l'entrata, per chiedere al signor Roberts dove alloggiassero i Weasley. L'uomo aveva un'aria anche più stralunata di quando erano arrivati, segno che la frequenza degli incantesimi di memoria doveva essere drasticamente aumentata. Riuscirono comunque a farsi dire vagamente dove stava la tenda dei Weasley e vi si incamminarono, mentre anche il resto del campeggio cominciava a svegliarsi.

Raggiunsero il limitare della foresta e individuarono due tende innocue posizionate a destra e a sinistra di un paletto con il nome “Weezly”. Mairead si avvicinò ad una ragazzina con i capelli rossi e l'aria piuttosto assonnata, che armeggiava con della legna. «Ehm, scusa... il signor Weasley?» le domandò Mairead titubante.

L'altra alzò gli occhi su di lei con l'aria perplessa, ma alla fine rispose: «È dentro. Te lo chiamo». Dopodiché sparì in una tenda.

Riapparse poco dopo, seguita da un uomo dalla faccia allegra, con una calvizie incipiente; quel poco di capelli che gli restava era rosso carota, come quelli della ragazzina. Il mago, agghindato alla babbana, la squadrò per qualche secondo come se fosse sovrappensiero, poi un sorriso gli balenò sulle labbra. «Mairead!» esclamò allegro, riconoscendo i tratti della ragazza che aveva davanti.

«Arthur» rispose quella, timidamente.

Ma Arthur non ebbe nemmeno un secondo di dubbio: si avvicinò a lei e la strinse in un abbraccio. «È bello rivederti» esclamò, quasi emozionato. «L'ultima volta eri alta così» continuò, facendo segno con la mano. Erano passati quasi dieci anni, ormai.

Per Mairead era piuttosto strano, conoscere finalmente l'uomo con cui si era scambiata moltissime fitte lettere nell'ultimo mese. Era stata lei a contattarlo, ma lui aveva risposto con molto entusiasmo, felice di riallacciare i rapporti con quella che aveva sempre considerato una nipotina. Da quando era morta Mary, Reammon si era chiuso in se stesso, isolato dal resto del mondo, interrompendo qualsiasi contatto con la famiglia di lei. Ma Mairead era desiderosa di saperne di più sui suoi parenti inglesi, sul cugino Arthur e la sua famiglia, sui nonni materni, su Reg. Per questo lo aveva contattato e aveva scoperto che si sarebbero potuti incontrare alla finale della Coppa del Mondo.

«Papà, ma chi è?» si intromise la ragazzina dai capelli rossi, piuttosto perplessa. «Mairead, la figlia di mia cugina Mary» spiegò Arthur entusiasta, come se stesse presentando al mondo il vincitore del Premio Incantesimo dell'Anno.

«Tu hai una cugina che si chiama Mary?» domandò la figlia, in tono indagatore.

«Aveva. È morta» rispose Mairead glaciale. Cominciava a starle poco simpatica la ragazzina dai capelli rossi, con quel suo sguardo critico e quelle domande curiose.

«Ehi, chi ha una cugina?» esclamò un altro ragazzo rosso, sbucando da una tenda.

«È carina e single?» domandò lo stesso identico ragazzo, uscendo dalla tenda a fianco. Poi Mairead capì: erano due gemelli.

«Oh, sei tu la cugina?» chiesero in coro i gemelli, avvicinandosi a lei.

«Piacere, io sono Fred» disse il primo, allungando la sua mano con fare gioviale.

«Ehi, io sono Fred! Tu sei George!» sbottò il secondo, spingendolo di lato.

«No, tu sei George, io sono Fred!» replicò l'altro.

Si fissarono in cagnesco per una manciata di secondi, poi si voltarono verso di lei con un sorriso smagliante. «Siamo Fred e George!» esclamarono all'unisono, stringendole assieme uno la mano destra, l'altro la sinistra. A quella buffa scena, Mairead non riuscì a trattenere una risata.

«Oh, smettetela!» borbottò Arthur, spingendoli di lato. «Reammon dov'è?» chiese poi a Mairead.

La ragazza sorrise divertita. «Papà è a casa. Sono qui con degli amici» rispose, accennando con il capo a Edmund, Laughlin e Bearach, che erano rimasti in disparte.

Arthur si batté il palmo sulla fronte, ridacchiando. «Certo, Reammon ha sempre odiato il Quidditch. Ma, comunque, venite, venite» esclamò, indicando loro lo spazio sulle seggioline pieghevoli da campeggio e sulle panchine intorno alla catasta di legno che doveva fare da base per il fuoco. «Volete fermarvi per il pranzo?» domandò allegro Arthur.

«No, grazie; abbiamo lasciato da solo il papà, alla tenda» intervenne Laughlin.

«Be', ma almeno venite, fermatevi un po'».

I ragazzi irlandesi e i quattro Weasley si sedettero intorno al fuoco, o meglio, intorno alla legna spenta. Laughlin e Bearach cominciarono subito a discutere con i gemelli dell'imminente partita e su chi fossero i favoriti. Laughlin sosteneva che la Bulgaria era riuscita a vincere tutte le partite fino alla finale solo grazie a Krum, il loro cercatore, ma che l'Irlanda non aveva un solo buon giocatore, ne aveva sette. E i cacciatori dell'isola smeralda, abituati alle mischie e al Quidditch irlandese, erano veramente imbattibili.

Mairead avrebbe voluto partecipare alla discussione, ma era più interessata ad ascoltare Arthur. «Ti ho riconosciuta subito, anche se sono passati ormai dieci anni» le stava dicendo, con gli occhi leggermente lucidi per la commozione. «Assomigli moltissimo a tuo padre, gli stessi occhi, la stessa fisionomia, perfino le stesse piccole rughe intorno alla bocca quando sorridete».

«Non me l'hanno mai detto» commentò Mairead, in tono sommesso. «In realtà, è che non conosco molte persone che hanno conosciuto mio padre da giovane» mormorò poco dopo.

Arthur prese a giochicchiare con un bastoncino di legno raccolto da terra. «Da quando è morta tua madre, Mon si è chiuso in se stesso e temo che abbia tagliato i ponti non solo con noi ma anche con molti dei suoi vecchi amici» disse in tono mesto, senza guardarla negli occhi. «Non credo che te l'abbia nemmeno detto, ma io sono il suo testimone di nozze e... il tuo padrino».

«Il mio padrino?» gli fece eco Mairead, sorpresa. No, suo padre non glielo aveva mai detto e certo non se lo sarebbe mai immaginata. Pensò che doveva esserci un legame molto forte tra i suoi genitori e la famiglia Weasley, un legame non di semplice parentela, ma di affinità. Lo sguardo allegro e spensierato di Arthur le ricordava tanto quello del padre; sembravano avere in comune l'entusiasmo per le loro passioni folli, entrambi purosangue ma in realtà ai limiti della comunità magica per le loro stranezze.

«Padrino, già. Temo di non essere stato molto presente in questi anni» mormorò Arthur, con un mezzo sorriso.

Mairead gli appoggiò una mano sul ginocchio con fare incoraggiante. «Be', da ora in avanti abbiamo tutto il tempo per rimediare».



Eccoci qui! Ve la aspettavate la comparsa dei Weasley? Be', non potevo non metterli, soprattutto Arthur e i gemelli (con serio rimpianto per Fred, sigh!). Il momento in cui il trio e Bearach vanno a trovare i Weasley coincide con quello in cui Harry, Ron e Hermione sono a prendere l'acqua alla fontana; ovviamente mi inserisco nei momenti liberi lasciati dalla Rowling, in modo che tutto sia perfettamente plausibile! ;-) Quanto a Ginny, negli ultimi libri non mi sta molto simpatica perché diventa decisamente troppo perfetta, ma qui non volevo dipingerla male: semplicemente, credo che sia curiosa di scoprire chi sia la ragazza che il padre ha accolto con tanto entusiasmo, mentre Mairead non è abituata a competere con delle ragazze e la percepisce come una rivale impicciona.

La signora con i capelli color sabbia e il figlio Seamus sono ovviamente i personaggi della Rowling: Seamus Finnegan e Dean Thomas. Infine, non perdete d'occhio Moira O'Callaghan, perché presto diventerà un personaggio importante per la saga! ;-)

Non ho un immagine per questo capitolo, ma ho qualcosa d'altro che vorrei mostrarvi: QUI il link del Trinity college tour! Trattasi di una serie di immagini schizzate a matita di alcuni ambienti del Trinity. Spero che vi piacciano!

Domani parto per una mini vacanza, quindi risponderò alle vostre recensioni nel prossimo weekend. Buona settimana a tutti!

Beatrix B.



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Capitolo 4
*** Il figlio del Presidente ***


CAPITOLO 4

Il figlio del Presidente





Lasciarono Arthur e i figli Weasley alle prese con i fiammiferi, nel vano tentativo di accendere il fuoco. Arthur sembrava particolarmente divertito dalla possibilità di produrre scintille sfregando un bastoncino di legno. «Davvero ingegnosi questi Babbani!» aveva commentato, osservando la scatoletta di fiammiferi. Ogni volta che provava, senza riuscirci, ad accenderne uno, si metteva a ridere. I figli, in compenso, scuotevano la testa rassegnati.

I quattro ragazzi irlandesi li salutarono allegramente e si incamminarono di nuovo verso la loro tenda. Dopo un pranzo veloce preparato da Mairead (che era l'unica in grado di cucinare, avendo imparato dal padre), il signor Maleficium li intrattenne un po' suonando ballate irlandesi alla cornamusa. Ma, in realtà, la tensione cominciava a farsi sentire. Di lì a poche ore si sarebbe svolta la finale e tutto il campeggio iniziava a fremere per l'attesa. Persino Edmund, che non era particolarmente interessato alla partita, si sentiva un po' su di giri, causa l'atmosfera eccitata che respirava.

Fu quando il sole era ormai tramontato e l'oscurità cominciava a calare sull'enorme distesa di tende, che Edmund incontrò la persona che più detestava al mondo: Adolfus McPride, il Presidente della Repubblica Magica d'Irlanda. L'uomo si faceva strada verso di lui, spalleggiato da due Auror come guardie del corpo: indossava un abito elegante di seta nera, con i ricami dorati, la sua coccarda rossa da Presidente e un lungo mantello che ondeggiava sinuoso alle sue spalle, facendolo sembrare un'aquila che plana verso la sua preda. La gente si spostava al suo passaggio, lo salutava, gli rivolgeva educati inchini, e lui rispondeva a tutti con gesti posati e sorrisi accattivanti.

Edmund rimase ritto in piedi ad aspettarlo, freddo e immobile come un blocco di ghiaccio. «Edmund» lo salutò McPride, quando gli fu proprio di fronte.

«Signor Presidente» rispose con astio il giovane. Proprio in quel momento, anche gli altri uscirono dalla tenda, per ritrovarsi davanti niente meno che il Presidente della Magia.

«Signor Maleficium, ragazzi» disse l'uomo, con un cenno del capo a mo' di saluto. Nessuno rispose.

«Sono venuto a sequestrarvi il mio Edmund per la partita» continuò affabile McPride, apparentemente non scalfito dalla loro freddezza.

Edmund si irrigidì e strinse i pugni. «Non sono suo» sibilò a denti stretti, fissando i glaciali occhi blu di McPride.

Lui si lasciò sfuggire un sorriso. «Lo sarai molto presto».

«Andiamo, signor Presidente, lasci che Edmund si goda la partita insieme ai suoi amici» provò a dire Eoin, in tono ragionevole.

McPride sospirò e scosse la testa. «Sarebbe estremamente scortese: io e lui abbiamo due posti riservati in tribuna d'onore insieme al Ministro della Magia inglese e quello bulgaro» spiegò con un sorriso, come se fosse dispiaciuto. «Non possiamo certo lasciare dei posti vuoti» continuò, con un tono che doveva essere bonario, ma che fece rabbrividire Edmund. Improvvisamente capì che McPride non era affatto un uomo con cui si poteva scherzare, se non correndo un rischio molto alto. «Allora, andiamo?» disse infine, poggiandogli una mano sulla spalla e rivolgendogli un sorriso incoraggiante. Edmund deglutì. Si voltò un'ultima volta per lanciare una disperata richiesta d'aiuto ai suoi amici, ma loro non poterono fare altro che guardarlo impotenti mentre veniva portato via.

E infine, Edmund si lasciò condurre lontano da McPride.

«Per prima cosa, ragazzo mio, ti togliamo di dosso questi insulsi abiti Babbani e ti facciamo mettere qualcosa di più adatto al tuo rango» disse il Presidente, osservando con occhio critico la divisa grigia dell'orfanotrofio, che gli era decisamente corta.

«Dovremmo mimetizzarci da Babbani» rispose Edmund a denti stretti.

«Andiamo, sei il figlio del Presidente. Pensi davvero che io ti lasci andare in giro conciato a questo modo?» sghignazzò McPride, conducendolo verso la sua tenda.

All'apparenza, sembrava una squallida tenda Babbana, ma al suo interno era immensa, curata e con un mobilio elegante ed essenziale. «Nelly, porta l'abito» ordinò l'uomo, conducendo Edmund verso la sua stanza, con la mano sulla spalla che faceva una lieve pressione per indirizzarlo dove voleva. Una minuscola elfa domestica, con due acquosi occhi nocciola, li raggiunse nella camera, portando tra le braccia un sontuoso abito di sartoria verde e argento.

«Io non indosserò nessun vestito» sentenziò Edmund, incrociando le braccia al petto. Forse non era una grande dimostrazione di maturità impuntarsi a quel modo, ma era il suo unico mezzo per contrastare il volere di McPride. Inoltre non avrebbe mai accettato nulla da lui, tanto meno un abito.

McPride gli rivolse un sorriso falsamente benevolo. «Molto bene, Edmund. Non indossare quel vestito» gli disse, imitandolo nell'incrociare le braccia al petto. «Possiamo pure aspettare qui, fintanto che non ti decidi».

L'elfa domestica si avvicinò con l'abito in mano e lo tese verso Edmund con il volto supplichevole. Il ragazzo distolse lo sguardo da quella scena patetica e tornò a fissare McPride con astio. Lui sorrideva tranquillamente, come se avesse un asso nella manica che non aveva ancora scoperto. «Mi chiedevo soltanto...» cominciò a dire l'uomo, rivolto verso di lui. «Poi lo spieghi tu al giornalista del Corriere, al Ministro della Magia britannico e all'intera comunità magica perché il Presidente della Repubblica Magica d'Irlanda non si è presentato alla partita?» lo provocò. Edmund strinse i pugni, ma non rispose. Non era certo colpa sua se McPride aveva scelto di sfidarlo e non avrebbe ceduto al suo ricatto. Passarono alcuni minuti di silenzio, durante i quali McPride continuò a fissarlo con quel suo odioso sorriso di vittoria stampato sulle labbra. Edmund non si mosse.

L'elfa domestica cominciò a pigolare ai suoi piedi, sicuramente spaventata dall'idea di essere incolpata per il fatto che Edmund non voleva indossare l'abito. Da fuori provenivano i rumori di passi frettolosi, voci e richiami: la folla si stava mobilitando verso lo stadio. Edmund e McPride erano ancora intenti a fissarsi, quando il secondo proruppe: «Sai, credo che la mia assenza ad una partita su suolo inglese sarà notata soprattutto dai nazionalisti... saranno felici di poter mostrare come anche i vertici politici dell'Irlanda approvino il loro boicottaggio».

Nemmeno questa volta Edmund rispose alla provocazione, ma un fastidioso dubbio stava cominciando ad insinuarsi nella sua mente: quello era un ricatto bello e buono, e lui non avrebbe voluto cedere, ma se McPride non si fosse presentato alla partita... la responsabilità di ciò che sarebbe potuto conseguirne gravava sulle sue spalle.

Per un attimo il suo sguardo indugiò sul prezioso abito di sartoria: in quel preciso momento McPride capì di aver vinto. Quando Edmund tornò a fissarlo, era meno determinato. Dopo alcuni altri minuti di silenzio, si decise a strappare il vestito dalle mani della piagnucolante elfa e, senza una parola, si diresse verso l'altra stanza per indossarlo. McPride osservò la scena con sguardo decisamente compiaciuto.

Alla fine, anche il metallo più duro si può piagare.

Edmund tornò nella camera dove lo aspettava McPride qualche minuto dopo. Con indosso quel ricco abito di sartoria, non sembrava più nemmeno lo stesso ragazzo: era elegante, curato e gradevole. Un'ottima mascotte da presentare alle alte cariche dello stato: l'orfanello brillante e di bell'aspetto che aveva trovato nel Presidente della Magia irlandese una nuova casa e un nuovo padre. McPride prese Edmund per le spalle e lo costrinse a voltarsi verso il grande specchio che si trovava in un angolo della stanza. «Ti vedi, Edmund? La vedi questa?» gli chiese, indicandogli la sua immagine riflessa. «Questa è la faccia che devi mostrare al mondo. Questa è l'immagine di un vincitore. Non importa quello che sei, ma ciò che gli altri vedono in te» gli rivelò in un sussurro. Il volto di Edmund era una maschera impassibile. Per lui, quella era l'immagine dell'ipocrisia.

«Forza, ora andiamo. O la partita comincerà senza di noi» lo incitò McPride, con un buffetto sulla guancia. Quel gesto non aveva nulla di tenero: sembrava un predatore che si diverte con il suo cibo. Edmund si lasciò condurre apatico fuori dalla tenda e poi verso il bosco al cui centro si trovava lo stadio.

Il bigliettaio all'ingresso fu piuttosto colpito dalla loro apparizione e si produsse in una serie infinita di inchini per tentare di compiacerli. «Prego, prego, dritto fino in cima» disse loro, indicando la strada da precorrere per raggiungere la tribuna d'onore. Edmund e McPride salirono le scale ricoperte da tappeti viola, fino ai gironi più in alto: la tribuna d'onore si trovava a metà esatta del campo. Edmund lanciò un'occhiata al resto dello stadio e vide migliaia di maghi minuscoli come formiche che prendevano posto nei vari settori. Si riconosceva immediatamente quali fossero gli anelli irlandesi, perché in quella zona sembrava che fosse cresciuto del muschio sui sedili: tutti indossavano qualcosa di verde.

«Ah, Presidente McPride. Temevo che non sarebbe venuto» esclamò una voce proprio in quel momento. L'uomo che aveva parlato era un tipo basso e tarchiato, con i capelli grigi tutti arruffati e gli occhietti ansiosi.

«Ministro Caramell» rispose gentilmente McPride, stringendogli la mano. «Ho avuto un piccolo... contrattempo» si scusò.

Il Ministro della Magia inglese fece uno strano sorrisetto. «Non fa niente, non fa niente. E questo deve essere...» cominciò a dire, guardando Edmund.

«Mio figlio Edmund» completò McPride, con aria soddisfatta. Edmund sibilò qualche parola astiosa nei suoi confronti, ma il Ministro Caramell parve non accorgersene.

«Ma che bel giovanotto» esclamò, stingendogli la mano calorosamente. «Vi presento il signor Oblansk-qualcosa, il Ministro della Magia bulgaro» aggiunse poco dopo, indicando un uomo rispettabile che indossava un lussuoso completo nero di velluto. Mentre McPride gli stringeva la mano, Caramell si accostò a Edmund con una risatina nervosa. «Sto impazzendo: il Ministro bulgaro non capisce una parola di inglese, sia dannato Merlino!» gli sussurrò all'orecchio. Edmund gli rivolse un'occhiata perplessa: l'organizzazione della finale delle Coppa del Mondo doveva avergli risucchiato tutte le energie, se aveva cominciato a parlare in quel modo.

«I vostri due posti sono lì, Presidente» aggiunse poco dopo il Ministro Caramell, indicando due posti vuoti a fianco di un uomo biondo. «Ah, Lucius, questo è McPride, il Presidente irlandese» lo presentò Caramell.

Il mago si alzò in piedi con una espressione benevola talmente finta che McPride a confronto sembrava il paladino dell'onestà. «Lucius Malfoy» disse l'uomo, con una voce profonda e strisciante, stingendo la mano al Presidente. La sua pomposa aria di superiorità per poco non fece scoppiare a ridere Edmund. Chi diavolo si credeva di essere quel Malfoy?

«Ah, Lucius, sarebbe carino se tu e Draco vi scambiaste di posto, così i due ragazzi stanno vicini» propose il Ministro Caramell. Il ragazzino in questione, un biondino con la faccia appuntita e gli occhi grigi, non sembrava per nulla entusiasta, a giudicare dalla sua faccia disgustata, ma il signor Malfoy non perse l'occasione di compiacere il Ministro e obbligò il figlio a cambiare posto.

«Draco Malfoy» si presentò quello, con un'espressione di superiorità stampata in faccia.

«Edmund Burke» rispose l'irlandese, senza scomporsi troppo per l'aria da gran nobile dell'altro.

«Burke? Ma tuo padre non si chiama McPride?» gli chiese Draco perplesso e schifato insieme. Edmund incrociò le braccia al petto.

«Signore e signori... benvenuti! Benvenuti alla finale della quattrocentoventiduesima Coppa del Mondo di Quidditch!» esclamò una voce poco sopra di loro, che rimbombò magicamente in tutto lo stadio.

La folla scoppiò in un boato.

Draco era ancora intento a fissarlo. Edmund allora gli rivolse uno dei suoi sguardi più terribili, tanto che l'altro sgranò gli occhi e rabbrividì appena. Gli bastarono poche parole per mettere a tacere uno spaurito Draco per tutto il resto della serata.

«Lui non è mio padre».



Ebbene sì, non poteva mancare Adolfus McPride alla partita di Quidditch! E ovviamente non poteva evitare di esibire la sua mascotte preferita: il brillante orfanello Edmund Burke! Lo so che lo odiate però, dai, dovete ammetterlo, è un cattivo che ha il suo fascino! Ahahah!QUI il link dell'immagine confezionata ad hoc!

Scherzi a parte, l'arrivo in tribuna d'onore coincide con il minuscolo buchetto lasciato dalla Rowling tra l'arrivo dei Malfoy e l'inizio della partita. Be', insomma, avevo l'occasione di dilettarmi un po' con Malfoy senior e jr, quindi non potevo farmela scappare. In barba a tutte le ff dove Draco è un figo da paura, volevo rendergli un po' di giustizia: il Draco della Rowling ha il mento appuntito e è un fifone! Quanto a Lucius... be', lui trasuda strisciante figosità! XD

Ah, ho visto che il personaggio di Moira ha riscosso molto successo! Sono felice perché avrà un ruolo importante... nel frattempo, se volete, andare a gustarvi qui il primo capitolo in cui appare il personaggio (capitolo 4 de “La Lancia di Lugh”, nell'ultima parte) e qui il suo nome sull'albero genealogico dei MacGaril! Scommetto che non ci avevate fatto caso! ;-)

Infine, un avviso: lunedì prossimo sarò di nuovo in vacanza (ebbene sì, di nuovo!) e considerato che il capitolo 5 è ancora tutto da scrivere, salterò l'aggiornamento di una settimana. Ci rivediamo lunedì 22 agosto per la Coppa del Mondo di Quidditch. E forza Irlanda!

A presto,

Beatrix




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Capitolo 5
*** I campioni del mondo ***


CAPITOLO 5

I campioni del mondo





«Signore e signori... benvenuti! Benvenuti alla finale della quattrocentoventiduesima Coppa del Mondo di Quidditch!» rimbombò una voce nello stadio.

Mairead, Laughlin e Bearach si sgolarono per ruggire la loro approvazione. Bearach sventolava con entusiasmo una bandiera dell'Irlanda che lasciava una scia di trifogli luminosi e portava al collo la trombetta di Mairead. Tutti e tre si erano dipinti la faccia per sottolineare la loro passione per la Nazionale di Quidditch. Mairead, oltre ad indossare la felpa verde con i trifogli sul cappuccio, aveva in mano una vecchia macchina fotografica che aveva ritrovato in soffitta, con l'intenzione di non lasciarsi sfuggire nessun attimo della partita. Il signor Maleficium, dimenticata ogni decorosa compostezza, urlava e si agitava insieme ai ragazzi per appoggiare la sua squadra.

«E ora, senza altri indugi, permettetevi di presentarvi... le Mascotte della Nazionale Bulgara!»

Una serie penetrante di fischi partì dalla curva irlandese, tanto assordanti da coprire perfino gli schiamazzi provenienti dalla zona rossa della Bulgaria.

«Attenti ragazzi, se hanno portato le Veela, cercheranno di fregarci» esclamò il signor Maleficium, cercando di sovrastare il rumore dello stadio.

Laughlin incrociò le braccia al petto. «Non basteranno delle biondine sgambettanti a gabbare Laughlin Malefcium» sentenziò in tono risaputo. Ovviamente non aveva considerato quanto potessero essere influenti le biondine sgambettanti.

Non appena la Veela fecero il loro ingresso nello stadio e cominciarono a danzare con le loro movenze sinuose, perfino gli irlandesi più agguerriti meditarono seriamente di tifare per la Bulgaria. Laughlin sgranò gli occhi, si aggrappò alla balaustra e prese a dondolare avanti e indietro, come se fosse sul punto di tuffarsi. «Sono... sono... sono...» cominciò a balbettare, incantato dalla grazia dei loro visi e dalla morbidezza dei biondi capelli.

«Bulgare!» completò Mairead tirandogli un sonoro colpo sulla nuca. Laughlin parve riscuotersi, forse più per il fatto che le Veela avevano smesso di danzare, piuttosto che per lo scappellotto ricevuto. Pareva comunque piuttosto confuso e non capiva il motivo per cui stava cercando di cancellarsi dalle guance i trifogli verdi che vi aveva disegnato. Mairead si lasciò sfuggire un risolino divertito.

«E ora, gentilmente puntate in aria le bacchette...» riprese a dire il commentatore. «Per le Mascotte della Nazionale Irlandese!»

Improvvisamente dimentichi delle Veela, i tifosi irlandesi si sgolarono per accogliere le loro Mascotte: una specie di cometa oro e verde entrò scintillando nello stadio. Bearach sventolò la bandiera con foga, esclamando: «Sono Lepricani! Sono Lepricani!»

La cometa fece un giro dello stadio, poi si divise in due più piccole, ognuna delle quali si lanciò verso gli anelli sul fondo del campo, formando un arcobaleno colorato. La folla ammirò lo spettacolo a bocca aperta e con il naso all'insù. L'arcobaleno sbiadì lentamente, dopodiché i Lepricani si riunirono per creare un immenso trifoglio verde che ballonzolava sulle tribune dello stadio, facendo piovere scintillanti monete d'oro. Molti maghi non irlandesi, che non potevano sapere come l'oro sarebbe sparito di lì a poche ore, si azzuffarono per recuperare le grosse monete.

«Questa è l'Irlanda!» ruggì il signor Maleficium, battendo le mani con evidente soddisfazione, mentre i Lepricani andavano a sedersi sul campo, dal lato opposto alle belle Veela.

«E ora, signore e signori, vogliate dare il benvenuto... alla Nazionale Bulgara di Quidditch! Ecco a voi... Dimitrov!» annunciò il presentatore, ma il resto dei nomi fu sovrastato dai lunghi fischi di disapprovazione dei tifosi irlandesi.

«Buuuh! Buuuh!» gridava Bearach ogni volta che una saetta rossa entrava in campo a cavallo di Firebolt nuove fiammanti.

«Eeeee... Krum!» esclamò la voce, presentando il Cercatore Bulgaro.

«Perché applaudi?» si lagnò Laughlin, tirando una gomitata nel fianco a Mairead, che alla comparsa del torvo giocatore aveva cominciato ad applaudire con entusiasmo.

La ragazza gli rivolse un sorriso eccitato. «Be', è pur sempre Vicktor Krum! Il miglior Cercatore del mondo!» spiegò, ma non fece a tempo ad aggiungere nulla, perché il presentatore annunciò la squadra irlandese.

«E ora, vi prego di salutare... la Nazionale Irlandese di Quidditch! Ecco a voi... Connolly! Ryan! Troy!»

«È Troy, è Troy! È Sean Troy!» strillò Mairead, quasi con le lacrime agli occhi per l'emozione, quando un bel giovanotto con i riccioli sfrecciò all'interno dello stadio. Mairead si sbracciò dalla tribuna, si sgolò a furia di urlare e agitò le bandierine con foga per esprimere il suo entusiasmo.

«Mullet! Moran! Quigley! Eeeeee... Lynch!»

A ogni nome annunciato dal presentatore, una freccia verde saettava nel campo, accolta da ruggiti di approvazione da parte dei tifosi irlandesi.

«Sono spettacolari!» strillò Mairead, cominciando a scattare foto all'impazzata. «Sono i Cacciatori migliori del mondo! Il Quidditch come lo giocano loro... ah!» sospirò ammirata, mentre il presentatore annunciava l'ingresso in campo dell'arbitro, Hassan Mustafà, un omino calvo con un paio di enormi baffoni e un ridicolo vestito d'oro. Portava sotto un braccio un'enorme cassa di legno e dall'altra parte il suo manico di scopa. Lo stadio si acquietò magicamente, tutti in febbrile attesa dell'inizio della partita. Mustafà poggiò la cassa a terra, montò sulla scopa, e la aprì con un calcio: quattro palle schizzarono in alto, subito seguite dal fischio acuto dell'inizio della partita.

«Paaartiti!»

I Cacciatori verdi, abituati alla mischia del Quidditch irlandese, al fischio erano scattati in avanti in formazione con una velocità e una prontezza di riflessi impressionante. In una frazione di secondo avevano acciuffato la Pluffa e ora se la lanciavano con dei passaggi talmente precisi e veloci che il presentatore riusciva a mala pena a dire i loro nomi.

«Mullet! Troy! Moran! Dimitrov! Ancora Mullet! Troy!»

I Cacciatori irlandesi si scagliarono con la formazione a Testa di Falco contro gli avversari, verso gli anelli. La Moran perse la Pluffa per un tiro di bolide di Volkov, ma pochi secondo dopo la palla scarlatta era tornata nelle mani degli irlandesi.

«TROY SEGNA!»

Lo stadio scoppiò in un boato. Mairead, Laughlin e Bearach si sgolarono, mentre il Cacciatore faceva un giro dello stadio per raccogliere le urla di giubilo dei suoi tifosi.

«Santo folletto, quanto è bello e bravo e... bello!» piagnucolò Mairead quando Troy passò davanti alla curva verde.

Il gioco riprese veloce e entusiasmante come prima. I complimenti di Mairead ai Cacciatori irlandesi non erano solo dettati da spirito nazionalista: erano realmente straordinari. Cambiavano gli schemi d'attacco con una rapidità impressionante e agivano come se si leggessero nel pensiero, come un sol uomo. I loro passaggi erano precisi e puliti, veloci tanto da far sembrare la Pluffa uno sfuocato proiettile rosso. Tempo dieci minuti e l'Irlanda era in testa per trenta a zero.

«Spettacolari! Spettacolari!» ruggì Mairead, sognando di poter imparare a giocare in quel modo.

La partita si fece più violenta: i Battitori bulgari cercarono di arginare la schiacciante bravura dei Cacciatori avversari spedendo contro di loro i bolidi con una violenza tale che avrebbero potuto disarcionare un elefante. Riuscirono a sabotare alcune delle loro azioni, tanto che Moran fu costretta a lasciar cadere la Pluffa, che venne raccolta dalla Ivanova, la quale riuscì a scartare i giocatori avversari e a segnare il primo punto per la Bulgaria. La danza festante delle Veela fu coperta dai fischi rabbiosi dei tifosi della curva verde.

Il gioco riprese, con i Bulgari in possesso di palla.

«Dimitrov! Leviski! Dimitrov! Ivanova... oh, cielo!» esclamò il commentatore.

Tutto lo stadio trattenne il fiato come un sol uomo, mentre i due Cercatori si tuffavano in picchiata verso il terreno. E poi Krum virò all'ultimo secondo, mentre Lynch si schiantò rovinosamente al suolo.

«Benedetto san Patrizio!» esclamò Mairead, mentre la curva verde scoppiava in un alto lamento che attraversò tutto lo stadio.

«Era una finta, brutto imbroglione!» gridò Laughlin, battendo i pugni sulla balaustra con rabbia. I medimaghi accorsero in campo per verificare le condizioni del Cercatore Irlandese, ancora riverso a terra.

«Poverino, si sarà fatto male?» domandò Bearach, portandosi le mani alla bocca.

«Bene no di certo» rispose Laughlin, ancora arrabbiato per la finta di Krum. I medimaghi, a suon di pozioni, riuscirono a rianimare Lynch, che si rialzò barcollante, salutato dalle urla di giubilo dei suoi tifosi. «Fagliela vedere a quel maledetto!» lo incitò Laughlin, sventolando la sua sciarpa verde.

La partita riprese con nuovo entusiasmo da parte dei Cacciatori irlandesi: le loro azioni erano talmente spettacolari che, tempo quindici minuti, erano riusciti a segnare altri dieci goal, portando il punteggio ad un meraviglioso trecentotrenta a dieci. Mairead si sgolava ed esultava per ogni punto segnato dall'Irlanda, specie se era merito di Sean Troy. Ogni azione era talmente emozionante che la faceva saltare sulla tribuna in preda all'euforia, sognando di ritrovarsi su una scopa fianco a fianco con i suoi eroi.

All'ennesimo attacco dei Cacciatori irlandesi, mentre Mullet sfrecciava verso i pali, il Portiere avversario gli si fece incontro con eccessivo entusiasmo, tanto che nel tentativo di afferrare la Pluffa, gli tirò una sonora gomitata nello stomaco. I tifosi irlandesi scoppiarono in un boato.

«Punizione per l'Irlanda!» informò la voce presentatrice, quando Mustafà fischiò l'interruzione della partita. I Lepricani si alzarono in volo e formarono le parole “HA, HA, HA”, in evidente tono di scherno. Le Veela, dal canto loro, ricominciarono a danzare tanto dolcemente da incantare perfino Mustafà, che era sceso dalla scopa e gonfiava il petto davanti alle Veela.

«Insomma, non possiamo tollerarlo! Qualcuno schiaffeggi l'arbitro!» commentò in tono divertito il presentatore. Uno dei medimaghi allora si avvicinò e tenendo le orecchie tappate per non subite il fascino delle Veela, tirò un calcio dritto negli stinchi di Mustafà. L'arbitro si riprese con evidente imbarazzo e cercò in tutti i modi di cacciare le Mascotte Bulgare fuori dallo stadio.

«Questa sì che è una cosa a cui non abbiamo mai assistito... oh, le cose potrebbero mettersi al peggio...» esclamò il commentatore, proprio quando i due Battitori Bulgari planarono verso l'arbitro e cominciarono a lamentarsi delle sue decisioni. Mustafà gesticolò con foga, ma quando i due giocatori si rifiutarono di salire nuovamente a cavallo delle loro scope, fischiò una seconda punizione per l'Irlanda.

«Ah, ben vi sta!» esultò Bearach, soffiando nella trombetta di Mairead che strillava il nome di Sean Troy.

Da quel momento, la partita divenne estremamente violenta. I Battitori di entrambe le squadre sembravano impazziti e spedivano i Bolidi contro gli avversari con violenza inaudita. Uno dei Cacciatori Bulgari, Dimitrov, volò dritto contro la Moran che tentava un tiro, quasi disarcionandola dalla scopa.

«Fallo!» fu l'urlo che si alzò dalla curva irlandese.

«Fallo!» riecheggiò la voce del commentatore, proprio mentre Musrtafà fischiava la punizione.

I Lepricani, nel frattempo, si alzarono in volo a formare un gestaccio maleducato in direzione delle Veela. Bearach lo indicò e scoppiò a ridere, ma le Mascotte avversarie non parvero accettare il gesto con altrettanta ilarità: cominciarono a scagliare palle di fuoco in direzione dei Lepricani, trasformando i loro bei visi in orribili e affilate teste di uccello, mentre sulla schiena cominciavano a spuntare ali squamose.

«Che schifo! Vatti a fidare delle bionde!» esclamò Laughlin, osservando la scena con disgusto.

Gli uomini del ministero si riversarono in campo per tentare di arginare la furia delle Veela e separare le Mascotte delle due squadre; nel frattempo, nella porzione di cielo sopra le loro teste, la violenza non era minore. La Pluffa passava di mano in mano ai Cacciatori con una velocità impressionante: Mairead non faceva a tempo ad esultare per un goal, che già la Pluffa sfrecciava per il campo.

«Leviski! Dimitrov! Moran! Troy! Mullet! Ivanova! Ancora Moran!»

«Dai, dai!» esultò Mairead, mentre la Cacciatrice Irlandese schizzava verso i pali avversari.

«Moran segna!» commentò il presentatore.

Il boato dei tifosi irlandesi fu quasi coperto dagli schiamazzi della scaramuccia che si stava svolgendo a terra tra gli uomini del Ministero e le Veela.

La partita riprese immediatamente. I Bulgari erano in possesso di palla, ma gli occhi di tutti furono rapiti dal maestrale colpo del Battitore Irlandese Quigley, che spedì un Bolide dritto in faccia a Krum.

«Ah! Ben gli sta!» esultò Laughlin, mentre buona parte dello stadio scoppiò in un boato assordante: non che tutti tifassero Bulgaria, ma Krum era sempre Krum. Dall'abbondanza di sangue che gli macchiava la divisa, pareva proprio che si fosse rotto il naso. L'arbitro tuttavia non fischiò una pausa, perché era occupato in ben altre faccende: una Veela gli aveva colpito la scopa con una palla di fuoco e ora il manico stava bruciando.

«Guardate Lynch!» strillò Mairead, con il cuore in gola per l'emozione.

Il Cacciatore Irlandese si era lanciato in picchiata verso il fondo del campo, dove infuriava ancora la battaglia.

«L'ha visto, l'ha visto! Ha visto il boccino!» gridò Bearach, saltellando sulla tribuna. Tutta la curva irlandese parve accorgersi dell'impresa e si alzò in piedi per strillare incitamenti al suo Cacciatore.

Krum sarebbe dovuto essere fuori gioco, ma, nonostante la ferita al volto, si lanciò all'inseguimento di Lynch.

Lo raggiunse... ora erano testa a testa.

«No! No! No!» gridò Mairead, in preda ad un attacco di panico per il pericoloso rimontare di Krum.

«Acciuffa quel maledetto Boccino!» urlò Laughlin, sporgendosi dalla balaustra per vedere meglio la scena.

«Oddio, si ammazzano!» strillò Bearach, coprendosi il volto con le mani.

E, in effetti, Lynch si schiantò al suolo per la seconda volta, con un sordo boato. Ruzzolò giù dalla scopa e fu subito circondato da Veela feroci.

«Qualcuno lo aiuti!» strillò Mairead, indicando il povero Lynch stramazzato al suolo.

Tutti i tifosi irlandesi erano troppo preoccupati per la sorte del loro Cercatore, per realizzare davvero quello che era successo. Finché...

«Krum ha preso il Boccino!» ululò Bearach sovrastando il rumore della folla e indicando il Cercatore Bulgaro che risaliva lentamente dalla sua picchiata, stringendo nel pugno un minuscolo pallino d'oro.

E Mairead realizzò: era finita! E...

«ABBIAMO VINTO!» ruggì in preda all'euforia, mentre una gioia selvaggia le invadeva il cuore. Scoppiò il caos nella curva verde: urla di giubilo, sventolio di bandiere, abbracci, grida e inni rimbombavano in tutto lo stadio.

«ABBIAMO VINTO!» cantilenava Laughlin, abbracciando prima suo fratello e poi Mairead in continuazione.

I Lepricani si alzarono in volo e sparsero sullo stadio la loro polvere d'oro, mente i giocatori ballavano in mezzo al campo, sorreggendo un intontito Lynch per le spalle. Applausi e grida erano quasi assordanti, nel mezzo dell'onda verde festante.

«E mentre la Nazionale Irlandese fa un giro d'onore, accompagnata dalle sue Mascotte, la Coppa del Mondo di Quidditch viene portata in Tribuna d'Onore» esclamò il commentatore. Tutta la tribuna venne illuminata per magia, mentre due uomini portavano dentro un enorme coppa d'oro.

Per un attimo lo sguardo di Mairead si posò sulla nuca di un ragazzino smilzo, vestito elegante, che, ritto in piedi di fianco a McPride, applaudiva educatamente. Poi lui si voltò, i loro sguardi si incrociarono e Mairead gli sorrise.

Non ci voleva un mago per intuire le parole che Edmund aveva scandito lentamente: “abbiamo vinto”.



Ecco qui, un po' in anticipo (perché domani pomeriggio non so se sarò a casa) il nuovo capitolo! Mi era mancato aggiornare questa storia, visto che la settimana scorsa non c'ero... ma eccomi pronta a rimediare!

Be', spero che il capitolo vi sia piaciuto! Ok, il risultato lo sapevate già, ma ho cercato di rendere il tutto più emozionante, visto che la partita si segue con gli occhi di accaniti tifosi irlandesi! Io mi sono agitata insieme a Mairead quando Krum passa in testa, mi sono impaurita con Bearach quando Lynch si schianta, mi sono emozionata con gli irlandesi quando la squadra vince... spero valga lo stesso per voi! QUI l'immagine di Mairead, Laughlin e Bearach in tribuna!

Ah, Laughlin non ha niente contro le bionde (e io nemmeno...quasi!), ma quella battuta sulle Veela in bocca a lui ci stava proprio bene! E poi a lui piacciono le more... ;-)

A presto, e W L'IRLANDA!!

Beatrix


ps. Ho anche scoperto di recente, partecipando ad un contest, che tutte le volte che parla un personaggio diverso, bisognerebbe andare a capo. È una regola che mi scoccia parecchio, perché ho sempre odiato andare a capo in continuazione, e quindi ci ho impiegato parecchio ad accettarla, ma... è una REGOLA! Non ci posso fare niente, sono troppo ligia al mio dovere! Ergo, nella pubblicazione del racconto Ulysses (ripresa in questi giorni) mi sono attenuta a tale norma. Idem intendo fare con i prossimi capitoli di questa storia... e presto o tardi, sistemerò anche i capitoli passati! Un applauso per me! XD



EDIT: ho appena terminato la sistemazione della storia, introducendo le virgolette fighe per tutti i dialoghi... ho anche incominciato a rivedere il primo racconto, La Lancia di Lugh; con calma, ho intenzione di sistemare tutte le storie già edite!

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Capitolo 6
*** Baldoria! ***


CAPITOLO 6

Baldoria!





Ci volle più di un'ora perché i festanti tifosi irlandesi si lasciarono convincere da solleciti uomini del Ministero ad abbandonare lo stadio che era stato teatro del loro successo. Lungo le scale, attraverso il bosco e per tutto il percorso che li separava dal campeggio, era un tripudio di colori, canti e grida che si levavano verso il cielo stellato. Nessuno sembrava aver voglia di ritirarsi nelle proprie tende, come avevano gentilmente suggerito gli Auror: quella notte si doveva festeggiare. Musica, canti, Burroguinness e tanta allegria... sarebbe stato difficile convincere gli entusiasti Irlandesi a rinunciare alla propria serata di baldoria.

«Ehi, Laugh!» esclamò Mairead, afferrando l'amico per il braccio, mentre stavano attraversando il bosco in direzione del campeggio. «Andiamo a salvare Edmund.» gli sussurrò, con una strizzata d'occhio.

Sul volto di Laughlin si allargò un sorrisetto complice. «Ci puoi contare!»

I due amici approfittarono della folla per sfuggire al controllo del signor Maleficium e sgattaiolare verso la tenda del Presidente della Magia. Ma, quando arrivarono, non trovarono nessuno, nemmeno i consueti Auror di guardia all'ingresso, segno che McPride non era ancora tornato dallo stadio. «Sarà in giro a farsi intervistare.» mormorò Laughlin, ben consapevole di come fossero affamati di notizie i giornalisti del Corriere. «È meglio se lo andiamo a cercare, o potremmo passare la serata qui ad attenderlo.» propose infine. Mairead annuì con il capo e insieme ripercorsero la strada a ritroso verso lo stadio.

Lo trovarono effettivamente in una piccola radura attorniato da giornalisti e fotografi; pareva compiaciuto e soddisfatto per la vittoria, ma non si scomponeva troppo, sempre perfettamente politically correct. Elogiava i giocatori e i tifosi che avevano sostenuto la squadra, ma non si dimenticava di inserire qua e là qualche complimento per i Bulgari o brevi parole di merito per il Ministero britannico che aveva organizzato l'evento. Un discorso da vero politico, insomma.

Ritto in piedi al suo fianco, con uno sguardo apatico, si trovava Edmund. Ogni tanto McPride lo prendeva per le spalle e lo avvicinava a sé, per permettere ai fotografi di immortalarli entrambi, ma Edmund sembrava ignorare completamente tutto quello che gli stava attorno.

«Ehi, Ed! Psss!» provò a chiamarlo Laughlin, senza dare troppo nell'occhio.

Edmund nemmeno la vide.

«Maledizione!» imprecò Mairead, conscia che ci sarebbe voluto ben altro per richiamare l'attenzione dell'amico. Si guardò in giro e il suo occhio cadde su una pigna abbandonata a terra.

Laughlin, vedendo dove puntava il suo sguardo, si sfregò le mani con aria complice. «Ottima idea. Attenta però a non beccare qualcun altro, specie McPride.» le raccomandò.

Mairead si chinò a terra per afferrare la pigna, poi sorrise. «Laugh, sono una Cacciatrice. Saprò cavarmela.» e con quelle parole spedì il proiettile dritto sulla nuca di Edmund.

«Ahi! Che diavolo...» bofonchiò quello, colpito in pieno dalla pigna. La sua mano saettò immediatamente verso la tasca dove teneva la bacchetta, ma quando si voltò per vedere chi lo aveva attaccato, si lasciò sfuggire un sorriso: Mairead e Laughlin gli stavano rivolgendo segni concitati, semi nascosi dietro un albero. Edmund controllò che l'attenzione di tutti fosse puntata su McPride, che stava rispondendo alle domande dei giornalisti, poi sgattaiolò via il più silenziosamente possibile. Una volta raggiunti i suoi amici, si lanciò una fugace occhiata alle spalle e i suoi occhi azzurri incontrarono quelli severi di McPride. L'aveva visto, ma non poteva inseguirlo abbandonando i giornalisti. Edmund gli rivolse un sorriso di vittoria, poi si affrettò a squagliarsela.

Mairead e Laughlin non fecero altro che commentare entusiasti la partita per tutto il tragitto verso il campeggio, tanto che Edmund avrebbe voluto far notare che aveva assistito anche lui alla finale e quindi non c'era bisogno che gli raccontassero tutte le azioni, ma alla fine li lasciò parlare, anche solo per sentire il suono piacevole delle loro voci.

«Oh, il goal della Moran è stato spettacolare!» esclamò Mairead.

«E il bolide di Quigley che ha beccato Krum in faccia?» rincarò la dose Laughlin.

«E quel passaggio maestrale di Mullet?»

«E le Veela che incendiavano la scopa dell'arbitro?»

Edmund ridacchiò: certo, era stato uno spettacolo interessante, ma lui non si era emozionato così tanto nel vedere quattordici giocatori che sfrecciavano per il campo inseguendo quattro palle. Ad un certo punto notò un gruppo di Auror che sembravano scortare qualcuno via dallo stadio. «Ehi, quello non è Troy, il capitano della Nazionale?» domandò, indicando il gruppetto.

Gli occhi di Mairead si illuminarono. «Sì, è lui! Sean Troy!» cinguettò entusiasta.

«Be', vai a chiedergli un autografo.» propose Laughlin, in tono pratico. Non sarebbe capitata ancora un'occasione simile.

Mairead sgranò gli occhi, spaventata alla sola idea di incontrare il suo eroe. «Oh, no, io non posso farlo!» strillò in preda al panico. «Lui è così... così... così bello! Morirei di vergogna!»

«Mah!» sbottò Edmund, estraendo la bacchetta di tasca. Con una certa stizza, fece apparire dal nulla un foglio di pergamena e una penna, poi si diresse senza esitazione verso gli Auror.

«Ehi, giovanotto, fermo dove sei.» gli ordinò una delle guardie del corpo del famoso giocatore.

«Voglio solo chiedere un autografo.» rispose educatamente Edmund, mostrando il foglio di pergamena.

Il mago scosse la testa. «Non mi interessa. Abbiamo precisi ordini di scortare il signor Troy al sicuro.»

Edmund allora si lasciò sfuggire un sorriso che non aveva nulla di angelico. «Ma io sono il figlio del Presidente McPride, e sono sicuro che a mio padre non piacerebbe sapere che dei solerti Auror mi hanno impedito di chiedere un autografo a Sean Troy. Sa, lui vuole sempre il meglio per me e...» Edmund si interruppe, per ammiccare furbescamente in direzione del mago. «...non vorrei mai ritrovarmelo contro.»

L'Auror rimase interdetto, con la bocca semi aperta e una smorfia indecisa sul volto. «Io...» biascicò a mezza voce.

«Che succede, Gerald?» domandò allora Sean Troy, in tono affabile avvicinandosi alla sua guardia del corpo.

Edmund fu più veloce a rispondere del solerte Gerald. «Mi farebbe un autografo?» chiese, allungando verso il giocatore foglio e penna. Nel vedere il sorriso accattivante che gli rivolse Troy, Edmund capì immediatamente perché fosse tanto adorato dalle sue fan: una naturale bellezza un po' trasandata, un talento davvero niente male per il Quidditch, un alone di fama e dei modi gentili verso il suo pubblico adorante. Nessuna avrebbe potuto resistere al suo fascino.

«Come ti chiami?» gli domandò Troy, prendendo in mano la penna per firmare la pergamena.

«Non è per me, è per una mia amica.» rispose Edmund, accennando con il capo ad una ragazza poco distante. «Mairead.»

Troy gli rivolse un sorriso complice, come se avesse capito molte cose sottintese e mai rivelate. «Questo autografo vale almeno un bacio, giovanotto.» gli disse, restituendogli il foglio con una strizzatina d'occhio.

«Come?» farfugliò Edmund senza capire, ma Troy e gli Auror si erano già allontanati.

«Edmund, Edmund! Glielo hai chiesto?» esclamò eccitata Mairead. Edmund allora le sventolò il foglio con l'autografo sotto il naso. Mairead lo afferrò al volo e lo contemplò in religioso silenzio per una manciata di secondi. «Uau...» commentò alla fine, con un sospiro.

Edmund sbuffò. Ma prima che potesse in qualche modo commentare la cosa, Mairead gli gettò le braccia al collo e gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia. «Grazie, Ed! È fantastico!» esclamò con un sorriso.

Edmund rimase impietrito, congelato, immobilizzato, mentre il punto esatto dove era stato baciato bolliva come se le labbra di Mairead fossero state di fuoco. Balbettò qualcosa di insensato, ma per fortuna Mairead era troppo eccitata dall'autografo di Sean Troy per rendersi conto dell'effetto devastante del suo innocente bacio.

Laughlin, dal canto suo, ridacchiò sotto i baffi. «Dai, andiamo, o ci perderemo tutta la festa.» bofonchiò alla fine fingendosi scocciato; ma gli angoli della sua bocca erano ancora incrinati in un sorriso divertito.


Prima di unirsi alla festa, Edmund insistette perché passassero dalla tenda di McPride per permettergli di cambiarsi: voleva levarsi di dosso il sontuoso abito di sartoria per tornare ad indossare la sua vecchia divisa un po' malandata. Era un modo come un altro per disfarsi dell'identità di figlio del Presidente.

Anche Mairead si tolse la felpa della Nazionale Irlandese, per non rischiare di rovinare il cappuccio di trifogli, e ne mise indosso una qualsiasi che avesse un'apparenza Babbana. Dopodiché tutti e tre si avviarono verso il cuore del divertimento.

Arrivarono al campo degli irlandesi che era in corso una festa con i fiocchi: qualcuno aveva stregato le tende, perché perfino i trifogli vivi che le decoravano ballassero al tempo della musica. Dal cielo piovevano coriandoli colorati e i Lepricani sfrecciavano in aria lanciando manciate del loro oro fasullo; alcuni musicisti avevano improvvisato un concerto di musiche popolari, e la piazzetta vicino alla fontana dell'acqua si era trasformata in una pista da ballo. Edmund ebbe l'impressione che l'intera Irlanda si fosse riversata in quei pochi metri quadrati di campeggio per festeggiare la vittoria (e forse questa idea non era poi così lontana dalla realtà, visto che la gente presente era decisamente più numerosa di quella mattina).

«Andiamo a cercarci qualcosa da bere.» propose Laughlin, sgomitando in mezzo alla folla, per raggiungere un chiosco (comparso dal nulla in occasione della festa) che vendeva bibite fresche. «Tre Burroguinness.» ordinò Laughlin, posando sul banco un paio di dobloni d'argento.

Edmund, che non aveva mai bevuto quella roba, osservò il contenuto del suo boccale con aria scettica: sopra una bevanda dal colore scuro, galleggiava una densa schiuma bianchiccia. «Che cosa sarebbe?» domandò preoccupato ai suoi amici.

«È roba buona, fidati.» rispose Laughlin, bevendo un sorso della sua. «È la versione irlandese della Burrobirra. Un po' più forte, ma decisamente più gustosa.»

Edmund rimase parecchio diffidente alla spiegazione dell'amico, ma alla fine si risolse ad assaggiarla: aveva un aroma intenso e aggressivo, forse un po' dolciastro. Però non era male.

«Ehi! Ehi!» li salutò Bearach, saltellando incontro ai tre amici. Aveva ancora la faccia dipinta di verde e sembrava anche più esaltato del solito. Il che è tutto dire.

Si avvicinò a Laughlin e gli strappò la Burroguinnes dalle mani. «Fammi bere un sorso!» esclamò allegro, poggiando le labbra sul boccale. Ma prima che potesse sorseggiare la bevanda, comparve alle sue spalle il signor Maleficium, che gli sfilò il bicchiere da sotto il naso.

«Papà!» protestò il ragazzino.

«Questa roba è alcolica, tu non la bevi.» sentenziò il padre senza troppi giri di parole.

«Ma ho quasi undici anni!» si lagnò Bearach. «E l'Irlanda ha vinto la Coppa del Mondo di Quidditch!»

«La vittoria dell'Irlanda non ti autorizza in nessun modo a bere alcolici, alla tua età.» replicò il signor Maleficium. E con quelle parole, scolò il restante contenuto del boccale in un sol sorso. «Bella fresca, ci voleva proprio.» commentò poi, con un sorriso.

«Era la mia Burroguinness!» si lamentò Laughlin, con il volto crucciato.

Prima che la discussione degenerasse, Edmund indicò dei tizi che erano appena stati ricondotti al campo su delle barelle, in condizioni piuttosto malandate. «Che è successo a quelli?» domandò a nessuno in particolare.

Un uomo barbuto si voltò verso di loro. «Be', sapete, no, della tradizione alla fine delle partite di Quidditch irlandese?» disse il mago, anche se non era una vera e propria domanda.

«Ehm... no.» rispose Edmund con sincerità.

«Quella che i vincitori offrano un giro da bere ai vinti?» chiese invece Mairead.

«Proprio quella.» asserì il mago barbuto. «Be', quei poveretti erano andati ad offrire delle Burroguinnes ai Bulgari, ma loro non l'hanno presa molto bene...»

Non l'hanno presa molto bene” era decisamente riduttivo per lo stato in cui versavano quei disgraziati. Mentre passavano loro in parte, Edmund notò che uno aveva delle orribili pustole violacee che gli ricoprivano tutta la faccia.

L'uomo che aveva parlato prima si mise ad arricciarsi la barba intorno al dito. «Vai a sapere te in che mondo viviamo! Uno cerca di essere gentile e poi...»

Nonostante l'incidente ai poveri Irlandesi che erano andati ad offrire da bere ai Bulgari, la festa procedette nel migliore dei modi. Verso le due di notte arrivarono gli ufficiali del Ministero britannico a dire che era proprio ora di terminare con quella baldoria, ma non ottennero alcun risultato, anzi, finirono per unirsi ai canti goliardici dei vincitori, con un boccale di Burroguinness in mano e qualche pinta di troppo nello stomaco.

«Ehi, ragazzi, forza! Venite a farci un ballo irlandese!» li chiamò ad un certo punto il mago che stava suonando il violino.

Edmund indietreggiò di un passo, inorridito da quella proposta. «Io non so ballare.» bofonchiò come scusa, nel tentativo di non farsi coinvolgere in imbarazzanti danze popolari.

«Ma che irlandese sei?» si lamentò il violinista.

Per fortuna, prima che potesse aggiungere altro, intervenne Laughlin. «Io ballo!» esclamò entusiasta, sfilando la bacchetta di tasca. Si guardò un po' in giro, per controllare che nessun uomo del Ministero lo stesse guardando (visto che non era consentito ai minorenni fare magie fuori dal scuola) e, quando fu sicuro di non essere visto, si colpì i tacchi delle scarpe mormorando: «Ferrendus

«Che fa Laughlin?» mormorò Edmund sottovoce, rivolto a Mairead.

«È l'incantesimo per indurire i tacchi delle scarpe e ballare così le danze irlandesi.» spiegò la ragazzina, accennando con il capo a Laughlin, che nel frattempo si era posizionato sul piccolo palco di legno che qualche mago sapiente aveva fatto apparire a metà serata.

Non appena iniziò la musica, il ragazzo si lanciò in movimentati passi di danza. Tacco, punta, calcio... il cadere ritmico delle sue acrobazie era ipnotizzante e insieme magnifico. Sembrava che la musica stessa fosse prodotta dai suoi passi e si vedeva che stava davvero ballando con il cuore.

Quando l'esibizione finì, tutti si ritrovarono ad applaudire con entusiasmo, mentre Laughlin si inchinava per ringraziare il suo piccolo pubblico.

«Il mio ragazzo!» proruppe il signor Maleficium, con orgoglio e ammirazione, battendo le mani più forte di chiunque altro.

Ma poi, improvvisamente, un boato riempì l'aria, seguito da grida, urla acute e fiamme.

E si scatenò l'inferno.



Be', immagino di non tenervi troppo sulle spine con l'interruzione di questo capitolo... sapete tutti cosa succederà dopo, non è vero? ;-)

Spero che vi sia piaciuto il bacio inaspettato tra Mairead e Edmund... non sono una persona particolarmente romantica, ma mi diverte immaginare la faccia del povero Edmund di fronte all'esuberanza dell'amica! Infatti, QUI il disegno che li rappresenta!

Ah, quanto a Laughlin che balla le danze irlandesi, mi sembrava il tipo adatto, visto che è appassionato di musica come il padre e è orgogliosamente celtico! Qui, se vi interessa, un video spettacolare di danza irlandese, così vi fate un'idea di come ha ballato Laughlin, se non conoscete il tipo di passi.

Questo è tutto! Alla prossima settimana!

Beatrix


ps. notate le virgolette serie di questo capitolo! Le ho ufficialmente adottate per tutta la storia!


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Capitolo 7
*** Il Marchio Nero ***


CAPITOLO 7

Il Marchio Nero






Scoppi e improvvisi lampi di luce riempirono il cielo di quella serata d'estate. Una tenda venne incendiata completamente e alla luce del fuoco si distinsero delle figure incappucciate che avanzavano a ranghi serrati con la bacchetta puntata in alto. Sopra di queste, quattro sagome che si divincolavano a mezz'aria, contorcendosi e agitandosi in modo innaturale.

A quella vista, la folla di irlandesi festanti fu presa dal terrore. Alcuni si smaterializzarono, la maggior parte cominciò a correre alla cieca, travolgendo chiunque gli impedisse il passaggio.

Altri maghi andavano via via unendosi al gruppo degli incappucciati, ridendo e agitando le bacchette. Molti avevano l'aria di essere ubriachi fradici.

«Che cosa...?» provò a dire Mairead, terrorizzata da ciò che stava vedendo.

Ma il signor Maleficium la interruppe, gridando con foga: «Laugh, prendi Bearach per mano e correte tutti verso la foresta.»

«Papà, e tu...»

«Subito!» proruppe il signor Maleficium. Nessuno l'aveva mai visto così fuori di sé.

Laughlin prese il fratellino per mano senza farselo ripetere un'altra volta e i quattro ragazzi cominciarono a correre verso il bosco dove si trovava lo stadio. Ma la folla terrorizzata era più pericolosa dei maghi incappucciati, perché tutti scappavano in ogni direzione, spintonando e calpestando qualunque cosa intralciasse il cammino.

Edmund si voltò indietro, quando un lampo rosso illuminò la serata, rivelando l'identità delle figure sospese in aria: era la famiglia Roberts, i direttori del campeggio. I maghi incappucciati sembravano dei burattinai che si divertivano a maltrattare le loro marionette.

«È una cosa terribile!» piagnucolò Bearach, stringendosi al fratello.

Tutti e quattro si fermarono ad osservare la scena, inorriditi. Mairead era terrorizzata e insieme scandalizzata da quello che stava succedendo, ma il suo sguardo fu presto rapito dalla smorfia che attraversava il volto di Edmund: aveva la bacchetta in pugno e il corpo teso, pronto a scattare. Sembrava sul punto di scagliarsi contro quei maghi incappucciati.

«Andiamo che è meglio.» mormorò alla fine Mairead, afferrando Edmund per una manica e trascinandolo via.

I ragazzi ricominciarono a procedere con passo spedito verso la foresta. Ad un certo punto furono investiti da una folla urlante che proveniva dalla zona degli inglesi e si persero d'occhio. Mairead fu travolta e fu costretta a lasciare la presa sulla manica di Edmund. Si ritrovò circondata da gente che correva all'impazzata.

Là, in piedi per miracolo in mezzo alle gambe frenetiche di quelli che scappavano, una bambina di qualche anno piangeva e cercava la mamma. Mairead si guardò intorno, scrutando i volti delle persone che passavano, alla ricerca della madre della piccola. Laughlin, Bearach e Edmund erano già lontani, ma non poteva lasciarla lì.

«Ehi, ehi! Vieni qui!» gridò Mairead, sgattaiolando verso la bambina, in mezzo alle gambe della gente. La piccola strillò ancora più forte, e allora Mairead si avvicinò e la strinse a sé in un abbraccio. «Tranquilla, adesso troviamo la mamma.» le sussurrò all'orecchio.

Ma era tardi. Gli uomini incappucciati erano ormai ad un soffio. Uno notò Mairead che, inginocchiata a terra, stringeva la bambina al petto e puntò decisamente verso di loro, la bacchetta levata davanti a sé, un modo di divertirsi decisamente sadico.

Mairead se ne accorse, ma non c'era tempo per scappare. Estrasse la bacchetta di tasca e gridò: «Pietrificus totalus

L'uomo non ebbe nemmeno bisogno di parlare per parare il pallido tentativo di attacco della ragazzina. Un ghigno divertito si dipinse sul suo volto, anche se nessuno poteva scorgerlo, visto che era nascosto dalla maschera bianca. «Stupida mocciosetta coraggiosa.» commentò, levando la bacchetta verso di lei.

Mairead strinse a sé la bambina piangente che aveva tentato di salvare. Sciocca, sciocca coraggiosa. Aveva ragione il mago incappucciato: che modo stupido di attirare i guai.

Mairead attese il colpo.

Ma invece di partire dalla bacchetta del mago mascherato, giunse da qualche parte alle sue spalle e centrò il tizio in pieno. Questo stramazzò al suolo in un istante, pietrificato.

Mairead si voltò con il cuore in gola. Edmund stava ritto dietro di lei, con la bacchetta ancora levata.

La ragazza si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. «Edmund, mi hai salvata.» sussurrò, aòzandosi in piedi e rivolgendogli un sorriso.

Edmund era ancora immobile a fissare la sua bacchetta con aria sorpresa. «Io non ho pronunciato le parole magiche.» mormorò perplesso, senza capire come avesse potuto scagliare la fattura.

«Il tuo incantesimo... era silente.» sussurrò Mairead, stupita. Magia parecchio avanzata, per quello che ne sapeva lei.

Ma non ebbero tempo di commentare ulteriormente l'accaduto, perché sopraggiunse una donna che strappò la bambina dalle braccia di Mairead. «Irina!» esclamò nello stringerla a sé con foga. La piccola smise di piangere e riempì di baci il volto della strega: aveva ritrovato sua madre. «Danke, danke!» ringraziò la donna, rivolta verso Mairead. Dopodiché sparì risucchiata dalla folla.

«Muoviamoci.» sentenziò Edmund, finalmente ripresosi dallo shock. Decise che tenere la bacchetta in mano era più prudente, così afferrò Mairead per la manica della felpa e ricominciò a correre verso il bosco.

In poco tempo raggiunsero Laughlin e Bearach, che li stavano aspettando al limitare della foresta. «Qui dovremmo essere al sicuro.» decretò Edmund, respirando affannosamente per la recente corsa. I ragazzi si tranquillizzarono, ritrovandosi finalmente lontani dalla folla impazzita e dalle urla.

«Burke.» commentò una voce sarcastica alle loro spalle. Gli irlandesi si voltarono verso chi aveva parlato, per trovarsi di fronte un ragazzetto pallido, con il viso appuntito e un sorrisetto sprezzante stampato in volto.

«Malfoy.» rispose Edmund, in tono duro. «Scommetto che tuo padre è uno di quelli là incappucciati, vero?» gli domandò poco dopo, ricordandosi dell'aria di falsità che emanava il signor Malfoy.

Quella fastidiosa arietta di superiorità non scomparve dalla faccia del biondino. «E dov'è il tuo di padre, il Presidente della Repubblica Irlandese?» chiese con una nota di scherno nella voce, senza negare l'accusa dell'altro.

Edmund storse il naso. «Te l'ho già detto: lui non è mio padre.»

«Come vuoi.» rispose Malfoy, senza scomporsi troppo. «Fossi in voi, però, non me ne starei qui tutto tranquillo, tanto più se c'è un Sanguesporco tra di voi. O volete finire a gambe per aria?» domandò con finta innocenza.

«Ma dove l'hai trovato uno così, Ed?» sbottò Laughlin, scuotendo la testa. Deamundi gli sembrava un simpaticone, a confronto. Almeno quello si faceva i fatti suoi, seppur considerandosi superiori a tutti gli altri.

«Ah, allora ho ragione!» esultò invece Malfoy, con uno sguardo trionfante. «Sangueporco?» gli chiese, con quella sua odiosa espressione di superiorità.

Laughlin sbuffò, guardando il biondino con aria compassionevole. Dare del Sanguesporco a lui era, francamente, la cosa più ridicola che si fosse mai sentito imputare. «Li fanno sempre più imbecilli, in Inghilterra.» commentò con un sorrisetto rivolto ai suoi amici.

Malfoy non la prese per niente bene. «Imbecille lo dirai al tuo lurido padre Babbano!» sbottò con malagrazia.

«Non ci provare.» gli intimò Laughlin, facendosi improvvisamente serio. L'inglesino pallido poteva anche prendere in giro lui, ma non doveva azzardarsi a toccare i suoi genitori. O ne avrebbe pagato le conseguenze. Gli si piazzò davanti e lo fissò negli occhi, con quello sguardo che solo un nobile Purosangue sapeva fare. «Mio padre non è Babbano.» gli sussurrò. «Ed è là fuori a combattere contro gli idioti incappucciati come il tuo di padre.»

L'altro deglutì, ma non si tolse dalla faccia quell'espressione schifata. «Bada a come parli, sei di fronte ad un Malfoy.» gli rispose, con un tono che voleva essere pomposamente autoritario.

Laughlin non smise di fissarlo con decisione. Non era il tipo da andare in giro a vantare le sue nobili origini, ma quel Malfoy si meritava proprio una bella lezione. Forse allora si sarebbe tolto quel ghignetto irritante dalla faccia. Per quanto potesse contare la famiglia Malfoy nella comunità magica, per la barba di san Patrizio, i Maleficium erano nobili!

Nel vedere lo sguardo determinato dell'amico, Mairead capì che era giunto il momento di intervenire. «Laugh, lascia perdere.» mormorò, allungando la mano verso Bearach perché l'afferrasse.

Il bambino lanciò uno sguardo di sprezzante superiorità al ragazzo inglese e poi si affrettò a stringere la mano di Mairead.

«Su, andiamo.» ordinò la ragazza, incamminandosi insieme a Bearach verso il folto del bosco.

Edmund mise una mano sulla spalla dell'amico. «Laugh, sinceramente... non ne vale la pena.» gli sussurrò all'orecchio.

Laughlin sbuffò, ma alla fine si lasciò condurre via da Edmund.

Non avevano fatto neanche due metri, che un urlo squarciò il cielo notturno.

«MORSMORDRE!»

A quel grido, Edmund sentì una fitta lancinante al braccio sinistro, che come un fuoco vivo si diffuse in tutto il corpo, consumandolo dall'interno. Ansimò di dolore, si accartocciò a terra e represse un urlo in fondo allo stomaco. Non sapeva che diavolo gli era preso, ma era certo che avrebbe preferito morire piuttosto che sopportare tutta quella sofferenza.

E poi apparve in cielo. Un teschio verde, fumoso e terrificante, con un serpente che gli fuoriusciva dalla bocca. Si ingrandiva sempre di più, si innalzava contro il blu scuro della notte, sovrastando tutto il bosco con i suoi occhi malefici, brillante di una luce verdastra.

Bearach scoppiò a piangere e tuffò la testa tra le braccia di Mairead. Laughlin si inginocchiò al fianco del suo amico, posandogli una mano sulla spalla, ma i suoi occhi erano fissi al cielo, verso quello strano simbolo che vi era apparso. Malfoy, dal canto suo, sgranò gli occhi terrorizzato e si appiattì contro un albero alle sue spalle, come se sperasse di essere inglobato dal tronco e scomparire.

«Mi ricorda tanto la Croce Celtica dell'EIF...» mormorò Mairead, spaventata non tanto dal teschio apparso in cielo, quanto dalla somiglianza con quell'altro simbolo, collegato al ricordo più brutto della sua vita: la morte della madre.

«Quello non è il simbolo dell'EIF.» rispose Laughlin, in un sussurro flebile.

«È il Marchio Nero di Tu-sai-chi.»


Eccomi qui! Un pochino in ritardo rispetto a quando volevo aggiornare, ma il pc mi fa impazzire....

Comunque, ovvio che sarebbe comparso il marchio nero ma... le reazioni dei presenti? E Malfoy? Insomma, io adoro il very-original-Malfoy-rowlingiano, cioè quello sprezzante e odioso ma fifone come pochi. Ho sempre desiderato farlo scontrare con il mio Laughlin! Lui sì che è un vero nobile!

QUI il disegno del capitolo! Spero vi piaccia!

Alla prossima,

Beatrix

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Capitolo 8
*** Festa in bianco ***


CAPITOLO 8

Festa in bianco





Reammon si stava ingozzando di ottimi plumcake preparati dall'elfo domestico Wolly, quando entrò in sala da pranzo il suo amico Septimius. Teneva in mano il Corriere di quel giorno e aveva una stana faccia, che non pareva dipendere dal fatto che la sera prima erano stati svegli fino alle quattro di mattina per finire la partita a biliardo da Boe's, il piccolo pub Babbano del paese vicino. No, era decisamente più strana che assonnata.

«Allora, abbiamo vinto?» domandò Reammon, come se le sorti della Nazionale di Quidditch irlandese gli interessassero davvero.

Septimius abbassò il giornale e lo guardò dritto negli occhi. «Tua figlia era alla partita, vero?» gli chiese in tono serio.

Reammon quasi si strangolò con il plumcake. Non gli piaceva per niente la faccia del suo amico. «Sì, perché?»

Non ci fu bisogno di parole. Septimius voltò la prima pagina del giornale verso di lui: una grossa foto mostrava un inquietante teschio di fumo verde che aleggiava sopra un bosco. “Caos e terrore alla Coppa del Mondo di Quidditch.” recitava il titolo in grande; e sotto: “Insufficiente la sicurezza del Ministero Britannico, i Mangiamorte scatenano il panico e il Marchio Nero di Voi-sapete-chi brilla nel cielo.

«Tu credi che...?» sussurrò Reammon, con il cuore in gola. Non riusciva nemmeno a pensare alla prospettiva che fosse successo qualcosa a Mairead. Non voleva nemmeno contemplare l'idea.

Septimius scosse la testa. «Nessun ferito grave, ma fossi in te, mi affretterei ad andare dai Maleficium.» gli consigliò in tono serio.

Non ci fu bisogno di ripeterlo una seconda volta. Reammon, per una volta incredibilmente lucido e attento, ficcò in valigia tutta la sua roba, salutò l'amico e si gettò nel metrombino dietro villa Saiminiu. Arrivato a casa Maleficium, si catapultò in ingresso senza troppi complimenti: non voleva essere maleducato, ma c'era in ballo sua figlia. Se li ritrovò tutti lì, appena tornati con la Passaporta dal campeggio della Coppa del Mondo.

Mairead, un po' scossa ma completamente incolume, gli corse incontro e gli gettò le braccia al collo. «Sto bene, papà, non preoccuparti.» gli sussurrò. Reammon ricambiò la stretta, mentre lo spiacevole senso di oppressione che provava al petto sparì. Era tutto a posto.

«Signor Maleficium, grazie di avermela riportata a casa sana e salva.» mormorò, sciogliendosi dall'abbraccio.

Eoin pareva mortalmente mortificato per quello che era successo, come se fosse stata in qualche modo colpa sua. Non se lo sarebbe mai perdonato se fosse successo qualcosa ai ragazzi. «Sono terribilmente dispiaciuto per quel maledetto incidente. Ci saremmo divertiti, non fosse stato per...» cominciò a dire.

«Ci siamo divertiti, signor Maleficium.» lo interruppe Mairead con un sorriso sincero.

Eoin annuì, un modo come un altro per ringraziarla della sua onestà. «È davvero una brava ragazza, Reammon. Dovresti essere fiero di lei.» aggiunse poco dopo, mettendo da parte le formalità. A Reammon parve che i suoi occhi azzurri brillassero di una luce di... onestà. E giustizia.

«Lo sono, infatti.» rispose con un sorriso di gratitudine.

«Bene!» esclamò Eoin, d'un tratto di nuovo allegro. Sembrava che fosse calato un sipario sullo spiacevole episodio della Coppa del Mondo e che i presenti avessero tacitamente deciso di lasciarselo alle spalle. Laughlin e Edmund si alzarono dal divano per salutare la loro amica.

«Il diciotto agosto, Laughlin compirà i suoi quindici anni.» spiegò Eoin, in tono gioviale. «Pensavamo di organizzare una piccola festa. Niente di serio, ma così, per incontrarsi un po' con gli amici. Saremmo lieti se voi voleste partecipare.»

Reammon annuì, leggermente a disagio: dopo quello slancio di sincera commozione, Eoin pareva tornato tutto cordialità e modi formali. «Volentieri.» mormorò infine.

Allora Eoin allungò la sua mano verso di lui. Reammon esitò un attimo, poi gliela strinse. Guardando i suoi luminosi occhi azzurri, capì che qualcosa si era spezzato tra di loro: non erano più i rispettivi genitori di due amici. Erano entrambi padri preoccupati e questo li rendeva in un certo senso simili. Quasi amici.

Eoin gli sorrise. Reammon era davvero un po' strambo, ma, in fin dei conti, era un brav'uomo.


Edmund si accostò il prezioso completino di sartoria che Laughlin gli aveva portato e osservò la sua immagine riflessa allo specchio. Sembrava un pinguino caduto nella neve. E quell'abito di seta doveva valere più di tutti i suoi vestiti messi assieme. «Davvero, Laugh, non posso accettare.» mormorò, scuotendo il capo e porgendo il completo all'amico.

«Avanti, Ed. Almeno provalo!» lo incoraggiò Laughlin, con un sorriso. «Ti starà un po' stretto perché l'ho indossato un paio di anni fa, ma la mamma te lo aggiusterà con la magia in meno di un secondo.»

Edmund tornò a fissare lo specchio. Si sentiva a disagio a dover chiedere in prestito un abito ai suoi ospiti per il compleanno di Laughlin, solo perché lui non aveva altro che la divisa dell'orfanotrofio e il completo scolastico. Fino a quel momento non gli era importato proprio nulla di quello che indossava, ma ora gli era richiesto di partecipare ad una festa dell'alta società magica e non voleva sembrare un poveraccio Babbano.

«Senti, è il mio quindicesimo compleanno.» decretò Laughlin con un tono che voleva essere pomposo. «La Signoria Vostra è pregata di attenersi alle tradizioni e di indossare l'abito bianco come richiesto.»

Edmund rise. «Va bene, va bene. Metterò l'abito bianco.» si arrese alla fine, provando il vecchio completo di Laughlin. Non aveva mai partecipato ad una festa del genere ed era rimasto stupito quando aveva scoperto che la tradizione prevedeva che si festeggiasse il quindicesimo compleanno dei giovani maghi, come soglia importante prima del raggiungimento della maggiore età, vestiti di bianco.

L'abito che gli aveva prestato Laughlin gli era stretto e corto, ma Daire Maleficium glielo aggiustò con pochi colpi di bacchetta, tanto che pareva cucito apposta per lui. Dopodiché i due amici si recarono in ingresso ad accogliere gli ospiti.

I primi ad arrivare furono dei parenti di Laughlin che Edmund non aveva mai visto: un giovane signore di nome Wollace MacLuan con la moglie e la figlia, una bimbetta con dei lunghi capelli biondi e gli occhi vispi. Tutti e tre, ovviamente, vestiti di bianco. La bambina gettò le braccia intorno alla vita di Laughlin ed esclamò: «Buon compleanno, ciccione!»

«Ehi, grazie Eileen, ma così mi stritoli.» bofonchiò Laughlin con un mezzo sorriso. Arruffò i capelli della bambina finché quella non si sciolse dall'abbraccio e gli porse il pacchetto regalo che la madre teneva in mano. Laughlin ringraziò a dovere e solo quando i suoi ospiti furono invitati dal signor Maleficium a raggiungere il salotto, osò sussurrare all'orecchio dell'amico: «Wollace è il cugino di mio padre. Ed Eileen è una peste peggio di Bearach, il che è tutto dire...»

Edmund ridacchio. Ma l'arrivo di un nuovo ospite gli impedì di commentare la cosa. Per una frazione di secondo, Edmund fu convinto di conoscere il mago dal volto scavato che si presentò alla porta, infagottato in un goffo abito bianco da mago. E poi realizzò: lo conosceva davvero. Era il professor Saiminiu.

Solo che... be', non sembrava affatto lui. Innanzitutto il suo vestito non era nero come suo solito e la sua espressione non era torva o dannata; sembrava... imbarazzata.

«Septimius è qui su mio invito.» intervenne il signor Maleficium, tornando in ingresso.

Il sorriso tirato del professore divenne più disteso. «Eoin.» mormorò, varcando la porta d'ingresso. Erano secoli che non si vedevano, ed erano invecchiati, certo, eppure gli pareva che Eoin emanasse lo stesso etereo fascino. Non c'era nulla da fare: era un ottima persona, nobile d'animo oltre che anagraficamente.

«Professor Saiminiu.» mormorò invece Laughlin, a disagio. Aveva sempre odiato la sua materia. Noiosamente inutile.

«Cerca di essere educato, Laughlin. Non fosse stato per lui, tu non saresti qui.» replicò il signor Maleficium, con un sorrisetto. Tutti lo guardarono con aria piuttosto perplessa, cosicché fu costretto a spiegarsi: «È stato grazie a Septimius che io e tua madre ci siamo conosciuti.»

«Niente smancerie, ragazzo. Non ho voglia di commuovermi questa sera.» intervenne una voce un po' roca. Era appena entrato in casa un mago anziano, che sembrava la copia invecchiata del signor Maleficium.

A braccetto aveva una signora distinta con i capelli grigi tagliati corti e un sorriso dolce. «Smettila di fare il mammoletto, Abharrach. Tu piangi davvero per qualsiasi cosa.» gli rispose la moglie, con un risolino divertito. Tutti risero per la battuta della anziana strega e Abharrach si finse decisamente offeso.

«Nonno!» esclamò allora Laughlin, abbracciando il vecchio mago con entusiasmo. «Ehi, ti ricordo che mi avevi promesso il regalo più grosso del mondo?»

«Piccolo subdolo arrivista.» commentò Abharrach Maleficium, ma i suoi occhi stavano ridando.

«Nagard.» rispose Laughlin, con un sorrisetto furbo.

In effetti, il regalo dei nonni per Laughlin fu palesemente il più grosso di tutti: gli avevano portato un pianoforte verticale per la sua stanza, in cambio della promessa che avrebbe imparato a tenerla sempre in ordine.

Edmund ridacchiò. Dubitava seriamente che sarebbe riuscito a mantenerla.

Il signor Maleficium guardò il suo orologio d'oro con aria perplessa: ormai, all'appello mancavano solo Mairead e suo padre. «Dove si sono cacciati i Boenisolius?» domandò a nessuno in particolare.

Il professor Saiminiu gli mise una mano sulla spalla con fare rassegnato. «Sinceramente, non sperare che Reammon possa arrivare in orario.» mormorò, in tono di chi la sapeva lunga.

E aveva ragione: i Boenisolius arrivarono quasi mezz'ora dopo. Ad accoglierli in ingresso c'erano solo Edmund e il signor Maleficium: videro che Reammon aveva l'aria decisamente colpevole, di qualcuno che ha combinato qualche grosso guaio.

«Vi assicuro, preferite non saperlo.» annunciò Mairead in tono piatto. Anche perché in quella storia c'entravano il water e la bacchetta di Reammon. Che c'era finita dentro. E lui aveva tirato l'acqua.

«No, davvero, non vogliamo saperlo. Comunque, benvenuti.» esclamò il signor Maleficium, con un sorriso, facendosi consegnare i mantelli.

«A Boyle piove.» spiegò Mairead, spiegando il motivo per cui erano bagnati. Sotto il mantello, indossava un abitino alla greca, stretto sotto il seno da un nastro dorato, completato da un paio di sandali incrociati sul polpaccio. Aveva i capelli raccolti da una mezzacoda e un leggero trucco sugli occhi. L'esagitata bambina Mairead era stata nascosta, e quasi sparita, sotto quella ragazza aggraziata.

Edmund pensò che stesse decisamente bene. Avrebbe dovuto dirglielo.

Avanti, dille che sta bene. gli sussurrò una vocina dentro la testa, che assomigliava molto a quella di Laughlin. Edmund aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. No, davvero. Non poteva farlo.

Avanti, diglielo!

«Sei davvero carina, Mairead.» intervenne Laughlin, sopraggiunto in ingresso proprio in quel momento.

Edmund serrò la bocca di scatto. Idiota.

«Grazie, Laugh.» replico Mairead con un gran sorriso. «Buon compleanno!» aggiunse; e poi si lasciò scortare verso il salotto.

La festa fu un gran successo. L'elfo domestico Lappy aveva davvero dato il meglio di sé con le decorazioni bianche come fiocchi di neve e con le ricche pietanze servite a buffet. Aveva un certo fascino vedere tutti quei maghi vestiti di colori chiari aggirarsi per l'immenso salone illuminato da preziosi lampadari. Edmund ebbe come l'impressione di essere stato risucchiato in un film in costume ambientato nella corte dello zar di Russia.

Quando fu portata la faraonica torta con la panna montata e le fragole, Laughlin spense con entusiasmo le sue quindici candeline che, a differenza di quelle Babbane, ardevano con fiamme di tutti i colori alte almeno dieci centimetri.

Bearach tuffò la testa nella sua fetta di torta con tale entusiasmo che si riempì naso e baffi di panna montata. Nonna Helvia, la moglie di Abharrach, si divertiva a scattare foto a tutti i momenti migliori della serata e, ovviamente, non si lasciò sfuggire il nipotino ricoperto di panna.

Abharrach Maleficium era un'ottima compagna: uomo di cultura istruito e raffinato, amante del bello e dell'arte, rendeva piacevole qualsiasi conversazione. Raccontava aneddoti divertenti sulla sua giovinezza o buffe storie che aveva sentito dai maghi e streghe dipinti nei ritratti che aveva restaurato.

Solo verso metà serata Edmund riuscì ad ottenere di parlare con i suoi amici senza che nessuno li interrompesse. «Avete saputo?» domandò loro in un sussurro. «Erano Mangiamorte quelli alla Coppa del Mondo. I sostenitori di Lord Voldemort!»

«Non pronunciare il suo nome!» lo rimbeccò Laughlin.

«E comunque li leggiamo anche noi i giornali, Edmund.» rincarò la dose Mairead, con un tono stizzito.

Edmund decise di ignorarli entrambi: aveva come l'impressione che ci fosse qualcosa di strano nell'aria e voleva che i suoi amici gli credessero. «Sì, ma non vi pare strano che si siano presentati proprio alla Coppa del Mondo, quando la sicurezza era altissima?»

«Saranno stati ubriachi.» replicò Mairead, osservando la festa con aria vogliosa, come se non desiderasse altro che ritornarvi e lasciar perdere quelle inutili speculazioni.

«Ma allora perché sono scappati tutti alla vista del Marchio Nero? Voglio dire, è il loro simbolo! Perché sarebbero dovuti fuggire? La cosa non vi puzza?» li incalzò Edmund, scrutandoli in volto con aria seria.

«Sinceramente, no, Edmund.» rispose Mairead in tono duro. «E siamo al compleanno di Laugh, quindi piantala con queste macchinazioni.» e con quelle parole si affrettò a raggiungere la festa.

Laughlin gli rivolse un sorrisetto a mo' di scusa, come se fosse in qualche modo colpa sua. «Mairead ha ragione, sai? Siamo qui per divertirci.» mormorò, alzandosi dal divanetto di velluto sul quale erano sprofondati. «Vieni?»

Edmund sbuffò. «Tu vai, io vi raggiungo subito.» rispose dirigendosi verso il corridoio.

Perché non volevano mai dargli ascolto? Stava davvero succedendo qualcosa di strano: aveva letto sul giornale che erano tredici anni che non si vedeva comparire quel marchio in cielo. Possibile che nessuno si preoccupasse della cosa?

«Che è quel muso lungo, giovanotto?» esclamò qualcuno con una voce profonda.

Edmund si voltò, ma non c'era nessuno alle sue spalle. Chi diavolo aveva parlato?

«Ehi, sono qui.» continuò a voce. «Nel quadro.»

Edmund si ritrovò di fronte il ritratto di un uomo biondo, sulla quarantina, con numerose cicatrici che gli attraversavano il volto e la manica destra annodata all'altezza del gomito. Portava orgogliosamente appuntata al petto una spilla nera, circolare, con disegnata la Croce Celtica in verde. Edmund la osservò meglio, stupito. Eppure, non c'erano dubbi, quello era il simbolo dell'EIF.

«Signore... portate al petto il marchio dell'EIF.» gli fece notare Edmund, in tono ragionevole. Era assolutamente impossibile che i Maleficium avessero in casa il quadro di un membro di quella setta di assassini.

«Per le mutande di Merlino, giovanotto, per cosa credi che abbia perso la vita Aelredus Maleficium? Per un indigestione di dolcetti?» tuonò l'uomo ritratto, agitando il braccio come un predicatore dell'antica Roma.

«Ehm... no?» provò a dire Edmund.

«Certo che no, per Giove!» replicò il mago. Ma poi si fece più piccino, avvicinandosi alla cornice con fare circospetto, come se dovesse rivelare un gran segreto. «Quello fu mio cognato Chretien, in effetti. Morì per aver mangiato troppa cioccolata... era diabetico, sai. Una morte davvero imbarazzante.» confessò in un sussurro.

«Oh.» commentò Edmund, che non sapeva se doveva essere dispiaciuto o divertito dalla faccenda.

«Ah, Edmund.» esclamò Abharrach, con un sorriso gioviale, apparendo in corridoio. «Hai fatto conoscenza con mio nonno Aelredus.» commentò, accennando con il capo al mago ritratto nel quadro.

Edmun annuì, poi domandò con aria circospetta: «Perché suo nonno indossa la spilla dell'EIF, signore?»

«Perché era un membro dell'EIF, ovviamente.» rispose Abharrach Maleficium, con evidente orgoglio. Ma, nel vedere la faccia esterrefatta del ragazzo, fu costretto a spiegarsi. «Non l'EIF che pensi tu. Sai, quello originale fondato da...» si interruppe e si accostò quatto quatto a Edmund. «Zaocoonte O'Saoirse.» rivelò in un sussurro.

«Oh.» mormorò Edmund di rimando, curioso di saperne di più ma preoccupato dall'improvviso atteggiamento sospettoso del signor Maleficium. «Fu lui a fondare l'EIF?» sussurrò lentamente.

«Certo.» rispose Abharrach, sempre sussurrando. «E non si trattava affatto di un gruppo di folli assassini, ma di maghi irlandesi pronti a combattere per la loro libertà. Non usavano la violenza se non quando era necessaria e il loro unico scopo era rendere indipendente la loro amata patria.» proclamò icon serietà, ma sempre in un tono poco più che udibile. «Ciò che è diventato adesso l'EIF è uno obbrobrioso stupro del ricordo di quegli eroi che hanno combattuto e sono morti per darci la libertà.» sussurrò ancora Abharrach.

«Signore, ma... perché stiamo bisbigliando?» domandò Edmund perplesso.

Abharrach rispose con un sorrisetto tirato. «Be', sai, mio nonno è un po' infiammato da queste cose, visto che lui stesso morì nel 1897, l'anno dell'Indipendenza. Quando sente parlare di... tu-sai-chi e della fondazione di tu-sai-cosa si scalda un pochino e comincia a predicare.» rispose saggiamente il vecchio mago, ammiccando in direzione dell'uomo rappresentato nel quadro, che li stava scrutando con interesse per carpire i loro discorsi.

Edmund si voltò verso il ritratto e rivolse un sorrisetto innocente ad Aelredus Maleficium.

«Per fortuna è un po' sordo.» bisbigliò infine Abharrach, con un sospiro. Dopodiché mise una mano sulla spalla di Edmund. «Comunque, giovanotto, sento della buona musica provenire dalla sala. Che ne dici di unirsi alle danze?»

«Io non ballo, signor Maleficium.» rispose educatamente Edmund, lasciandosi condurre verso il salone dall'anziano mago.

La sua mente era catturata dalle informazioni che aveva ricevuto: aveva come l'impressione che Abharrach Maleficium fosse un po' troppo infervorato e avesse un'idea decisamente troppo nobile dell'EIF originario. Forse, era vero, avevano pagato con il sangue e il sudore la libertà dell'Irlanda, ma non dovevano certo essersi risparmiati nel contraccambiare le maledizioni degli oppressori inglesi. Edmund si ritrovò a chiedersi fino a che punto fosse lecito usare la violenza per nobili ideali.

Il professor Captatio, una volta, gli aveva detto che il fine non giustificava mai i mezzi.

E, grazie al cielo, lui ne era ancora convinto.



Ecco a voi il nuovo capitolo!

La vesta di compleanno biancovestiti è una mia completa invenzione! Ma, ho pensato, se gli americani hanno la fissa di festeggiare i 16 anni prima dei 18, se nel mondo magico si diventa maggiorenni a 17, bisogna festeggiare i 15! Il ragionamento fila, no? XD

In realtà volevo una scusa per inserire un po' di personaggi, come nonno Abharrach e la piccola Eileen MacLuan, che mi servirà più avanti. Inoltre, avevo bisogno di una scusa per parlare delle origini dell'EIF. Ho pensato che, come l'IRA Babbana, potesse essere nato come fronte di liberazione con ideali anche nobili, ma che poi sia degenerato in ciò che tutti ben sappiamo. E, anche alle origini, comunque, erano un po' dei terroristi. Mossi da nobili ideali, sì, ma non poi così pacifici...

Comunque, qui le foto scattate da nonna Helvia per il compleanno di Laughlin! Spero che vi piacciano!

Lunedì prossimo si torna al Trinity, promesso, con una new entry davvero interessante! A presto!

Beatrix

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Capitolo 9
*** Nobili parentele ***


CAPITOLO 9

Nobili parentele





Mairead si catapultò nello scompartimento del treno e si lasciò cadere sul sedile al fianco di Laughlin. Indossava già la sua divisa dei Raloi e aveva un'espressione esterrefatta.

«Che è successo stavolta?» domandò urbanamente Laughlin, visto che l'amica era di nuovo arrivata con un pericoloso ritardo alla stazione. Prima o poi l'espresso per il Trinity sarebbe partito senza di lei.

Mairead sbuffò. «Papà non trovava più le scarpe» spiegò in tono rassegnato. «Erano in forno. E non chiedetemi come diavolo ci siano finite».

Edmund e Laughlin ridacchiarono, ma preferirono non commentare la cosa, a meno che non volessero rischiare di essere sbranati dall'amica. Proprio in quel momento il treno cominciò la sua corsa verso il Trinity e i ragazzi furono distratti dal paesaggio che mutava velocemente, mentre uscivano dalla stazione e attraversavano la città di Dublino.

«Caspita, siamo già al quarto anno. Non vi sembra solo ieri che abbiamo iniziato?» mormorò Mairead, pensando a quante ne avevano passate insieme in quegli ultimi tre anni.

«Già...» sospirò Laughlin. «E c'è da dire che abbiamo una certa qual naturale predisposizione ad attirare guai» soggiunse poco dopo, con un tono serio, come se stesse diagnosticando una qualche strana malattia. Dopo un attimo di silenzio, i tre amici scoppiarono a ridere.

«Non quest'anno» decretò Mairead al termine della risata, raggomitolandosi con le gambe incrociate sul sedile del treno. «Quest'anno lo passeremo tranquilli, vedrete».

Edmund e Laughlin si scambiarono un'occhiata, poi il volto del primo si aprì in un sorrisetto furbo, un sorrisetto che di solito significava guai. Sapevano benissimo tutti e tre che il pronostico di Mairead era pressoché... irrealizzabile.

Mairead sbuffò e si appoggiò allo schienale. «Siete due mascalzoni» li insultò, ma aveva uno sguardo esasperato che tradiva il suo reale entusiasmo nel condividere le cosiddette mascalzonate con i suoi amici.

«Ehi, ciao a tutti!» esclamò qualcuno, aprendo la porta dello scompartimento.

Edmund sibilò quando riconobbe il qualcuno in questione: Leonard Connery, il capitano della squadra di Quidditch dei Raloi. Il sorriso accattivante, i riccioli castani e i luminosi occhi blu lo rendevano un'irritante copia più giovane di Sean Troy. Ed era pure bravo a cavallo di una scopa.

Edmund lo trovava particolarmente fastidioso.

Mairead lo trovava particolarmente carino.

Laughlin, semplicemente, lo ignorava.

«La finale di Quidditch è stata grandiosa, vero?» domandò Leonard, sedendosi a fianco di Laughlin, proprio di fronte a Mairead.

«Oh, sì! Spettacolare!» rispose la ragazza, esaltata al solo ricordo della partita. Lei e Leonard cominciarono a scambiarsi appassionati pareri sul gioco e sulle mosse migliori a cui avevano assistito. Solo dopo un buon quarto d'ora, quando Edmund inscenò un ampio sbadiglio in direzione di Laughlin, Leonard si accorse di aver monopolizzato la conversazione. Si sentì quasi a disagio, sotto lo sguardo accusatore che gli lanciò Edmund: aveva un che di inquietante.

«Be', io vado!» esclamò, alzandosi dal sedile con un sorrisetto imbarazzato. «Cominceremo presto con le selezioni, quest'anno» aggiunse rivolto a Mairead, prima di uscire. «Dobbiamo trovare un sostituto per Milo, che era un ottimo giocatore oltre che un ottimo Cacciatore di ala».

«Grossa perdita, immagino» commentò Edmund. Il suo tono era assolutamente normale, ma a Leonard sembrò di potervi leggere un certo astio misto a sarcasmo. Quando vide il sorriso sottilmente enigmatico che gli rivolse, non seppe bene il perché, ma gli vennero i brividi lungo la schiena.

«Ci vediamo a scuola, eh?» riuscì a borbottare, prima di svignarsela dallo scompartimento.

«Un po' invadente, no?» sibilò Edmund, quando furono di nuovo soli. Sembrava una cosa buttata lì a caso, ma vi era una sottile accusa nascosta nelle sue parole.

«È il mio capitano, Ed. Faccio volentieri due chiacchiere con lui» replicò Mairead, senza notare l'atteggiamento ostile dell'amico.

Edmund sbuffò. «È un tantino pieno di sé, per i miei gusti».

«Non è affatto pieno di sé» esclamò Mairead, arrabbiata per quel cattivo commento ingiustificato. «E anche se lo fosse, ne avrebbe tutti i diritti: è un gran giocatore di Quidditch, è bravo a scuola ed è pure discretamente carino».

Edmund si alzò di botto dal sedile. Aveva il volto duro, i pugni contratti e gli occhi furenti. «Bene» decretò. «Allora perché non vai a chiedere l'autografo anche a lui?»

E con quelle parole uscì dallo scompartimento.

«Dove te ne vai, idiota?» gli urlò dietro Mairead, affacciandosi sul corridoio del treno.

Edmund sbuffò. Che diavolo gli era saltato in mente? Perché si era arrabbiato così per una sciocchezza? Cosa gliene importava poi, a lui, di quel borioso di Connery?

Quando si voltò verso Mairead, era decisamente più tranquillo. «Vado a mettermi la divisa della scuola» rispose, per mascherare la sua poco aggraziata uscita di scena.

Mairead ridacchiò. «Con la valigia ancora qui?» gli chiese, accennando con il capo allo scompartimento.

Idiota, idiota, idiota. si ripeté Edmund nella testa.

Ma quando Mairead sorrise, Edmund la ricambiò, con il cuore decisamente più leggero.


Quando arrivarono al Trinity, i tre amici furono costretti a separarsi: Edmund e Mairead si diressero verso destra, al tavolo dei Raloi, Laughlin si unì a Dominique tra i Nagard.

La solita sfilza di primini passò attraverso il cerchio magico per essere smistata in una delle tre case. A Mairead parevano davvero tutti uguali, con la loro divisa grigia che si colorava di volta in volta di verde, blu o rosso. Solo un ragazzo biondino, con un improponibile tagli a scodella da paggetto, attirò la sua attenzione: le era in un certo senso familiare, come se lo avesse già visto da qualche parte, ma non sapesse dire dove. Solo quando la professoressa O'Connel lo chiamò, realizzò di chi si trattava.

«Ehi, quello è mio cugino!» bisbigliò Mairead rivolta ad Edmund.

«Nagard!» gridò la voce del cerchio magico, proprio mentre le ormai familiari fiamme azzurrine avvolgevano il biondino. La divisa del ragazzino si colorò di rosso, mentre questo si univa con aria tonfa al tavolo sulla sinistra.

«Quel piccolo lord sarebbe tuo cugino?» sussurrò Edmund in tono perplesso.

Mairead annuì con convinzione. «Sì... cioè, in realtà suo nonno Childerich e mia nonna Joey erano cugini» rivelò, ricordandosi dei nomi che aveva letto nell'albero genealogico della famiglia O'Brian.

«Bei parenti che hai!» ghignò Edmund, sempre sotto voce.

Anche Mairead ridacchiò, vedendo l'aria snob del lontano cugino. Ma quello non era niente se confrontato ai parenti ben più prossimi che Mairead aveva scoperto da poco di avere. Si chinò verso Edmund e sussurrò: «Se vuoi saperla tutta, anche i Deamundi sono miei cugini».

«I Deamudi?» ripeté Edmund, perfino più scioccato di prima.

Mairead annuì con gravità, lanciando qualche sguardo a Eibhean, l'ultimo dei sette figli del Conte di Con Cetchthach nonché l'unico a frequentare ancora il Trinity. «Meccorin Deamundi è il cugino dritto di mio padre» spiegò in un sussurro.

Anche Edmund osservò per un attimo Eibhean, seduto al tavolo dei Nagard con aria torva. «Quindi tua zia Evangeline.... sposò Cassian Deamundi! Era lui il mago Purosangue che tua nonna non approvava!» intuì Edmund, ricordandosi di non aver mai scoperto chi avesse sposato Evangeline O'Brian.

Mairead fece un cenno d'assenso con il capo, ma prima che potessero ulteriormente commentare la cosa, lo smistamento finì e il preside Captatio si alzò da tavola per il solito discorso introduttivo. Indossava un buffo cappello a punta color verde acido, intonato con le decorazioni della sua lunga veste da mago. Edmund pensò che fosse la persona più ridicola che avesse mai visto, con quei baffoni e il naso spropositato, eppure il suo sorriso genuino e i suoi occhi sorridenti inspiravano immediatamente fiducia.

«Bentornati ad un nuovo anno al Trinity, figlioli!» salutò gli studenti, allargando le braccia come se volesse abbracciarli tutti. «Lasciatemi spiegare ai più piccoli e ricordare ai più grandi (- e in quel momento i suoi occhi azzurri indugiarono su Edmund, Mairead e Laughlin, che si lasciarono sfuggire un sorrisetto-) che non è permesso combinare casini a scuola e l'elenco completo dei casini-non-combinabili-al-Trinity è appeso fuori dal mio studio e dalla segreteria. Il custode Armandus mi ricorda gentilmente di dire che non si possono lanciare magie per i corridoi, pena una punizione di tutto rispetto» mormorò il preside, ma il suo finto tono di rimprovero svanì immediatamente. «Ma, mi raccomando, ragazzi, studiate con passione e cercate di imparare più cose possibili, perché questa sarà la vostra scuola di vita; una volta finito il vostro periodo al Trinity, non avrete più occasioni tanto proficue per il vostro apprendimento» li incitò con un gran sorriso. «E ora, buon appetito!»

A quelle parole i Lepricani in livrea da camerieri si diedero un gran da fare per servire le succulente pietanze preparate dagli elfi domestici. La cena fu molto piacevole: Iulius McEwan, un ragazzo del quarto anno dei Raloi, tenne banco a tavola raccontando le sue disavventure estive in Kenia.

«E io ero lì, no...» stava appunto dicendo, con gesti accorati. «E questo mago di colore mi dà la sua strana pipa e mi dice di aspirare. Be', io aspiro... e, insomma, non ricordo più molto di quello che successe dopo, se non che ballavo intorno al fuoco con una maschera enorme di legno, delle piume in testa e un gonnellino di paglia».

«Mi ricorda quando mio padre si lasciò convincere da un mago nativo americano a fumare la pipa dell'amicizia» intervenne Mairead. «Vi assicuro, preferite non sapere cosa successe dopo».

«Oh, no! Dai, racconta!» insistette Anneus Secula, un altro compagno del quarto anno.

Mairead bevve un sorso di succo d'arancia dal suo bicchiere, poi spiegò: «Vi basti sapere che diede fuoco per sbaglio alla tenda del capo tribù, ruppe l'urna contenente le sacre ceneri degli antenati e bevve una pozione d'amore alterata che lo fece invaghire di un bufalo imbizzarrito. Da quella volta, mio padre non si è più interessato alle tradizioni dei nativi americani».

Al racconto di Mairead risero tutti quanti, in particolar modo Edmund, che riusciva ad immaginarsi perfettamente Reammon immerso in tutti quei disastri.

Al termine della cena, il professor Captatio si alzò nuovamente da tavola e la Sala Mor piombò nel silenzio. «Ho un breve annuncio da fare: lasciatemi dire a tutti gli appassionati di Quidditch che quest'anno il torneo scolastico verrà sospeso» annunciò agli studenti.

Quelle parole provocarono parecchi mormorii di dissenso e non poche esclamazioni indignate e stupite. «Com'è possibile? È oltraggioso!» si lagnò Leonard, seduto poco distante da Mairead.

«Lo so, lo so» mormorò Captatio, nel tentativo di tranquillizzare la platea, con un molle gesto della mano. «Ma ci sarà un altro importante evento scolastico che vi terrà occupati, quest'anno!» spiegò con un gran sorriso, destando la curiosità dei suoi ascoltatori. Ma quel sorriso era troppo furbo...

«Ma di questo evento vi parlerò prossimamente!» aggiunse, infatti, poco dopo, provocando altri mormorii delusi. «Ora forza, tutti a nanna!»

Il rumore di parecchie panche strisciate sul pavimento coprì i commenti degli studenti. Mairead sentì solo i borbottii di Leonard, che si stava lamentando con sua sorella Beatrix per l'annullamento del torneo di Quidditch.

Leonard non era l'unico, in realtà. Mairead incrociò anche Era e Seamus, i due battitori dei Raloi, che commentavano la novità. «Non mi interessa molto sapere quale altro evento ci terrà occupati» stava appunto dicendo Era. «Il Quidditch è il Quidditch. Fine della storia».

«Be', guardate il lato positivo» si intromise Beatrix, che li aveva raggiunti insieme a Leonard. «La Coppa resterà nostra per un altro anno».

«Non mi interessa!» sbottò il fratello, spostandosi dagli occhi un ricciolo ribelle che gli era caduto davanti. «Questo è il mio ultimo anno al Trinity, io volevo vincere di nuovo!»

«Tu, Mairead, che dici?» la interpellò Seamus.

Mairead fece per dire qualcosa, ma poi vide passare i ragazzi del primo anno dei Nagard ed esclamò: «Io... non lo so. Devo andare».

E si dileguò.

«Faonteroy, Faonteroy O'Brian!» chiamò a gran voce.

Un ragazzetto biondo si voltò verso di lei con un'aria a dir poco scocciata. «Sì?» mormorò con poca convinzione.

«Ciao, io sono Mairead Boenisolius!» si presentò allegra la ragazza, tendendo la mano verso di lui.

Faonteroy soppesò per un attimo l'ipotesi di non stringerla, ma poi l'indottrinamento verso la buona educazione che aveva ricevuto ebbe la meglio e ricambiò il saluto. «Sei la nipote di Josephine O'Brian, giusto?» le domandò, anche se conosceva già la risposta.

«In persona!» esclamò Mairead con un gran sorriso. «Siamo quasi cugini, noi due!»

«Quasi...» mormorò Faonteroy, non del tutto convinto. Certo, erano pur sempre parenti, anche se un po' alla lontana, e quindi c'era la dovuta solidarietà tra nobili, ma non gli piaceva per niente l'idea di avere a che fare con una Raloi iper-agitata che andava in giro a dire che erano cugini. Certe cose andavano trattate con il dovuto tatto.

«Be', di qualsiasi cosa tu abbia bisogno, non esitare a chiamare la tua super-cugina!» esclamò Mairead, tirandogli un pugno affettuoso sulla spalla.

Faonteroy si massaggiò il punto dove era stato colpito e indietreggiò di un passo con gli occhi sgranati. «Si, certo...» sussurrò con un'aria perplessa. Dopodiché indicò i compagni Nagard che si stavano allontanando verso il dormitorio. «Ora devo proprio andare».

«Ci vediamo, eh?» lo salutò Mairead, mentre questo si affrettava a svignarsela.

«Non sembrava affatto convinto» commentò Edmund, che aveva assistito a tutta la scena, standosene in disparte.

«No, lo so» rispose Mairead, mentre un sorriso stranamente beffardo si disegnava sulle sue labbra. «Ma lo stuzzicherò finché non avrà imparato a sopportarmi» rivelò poco dopo. «D'altronde, è meglio che subisca la mia influenza, piuttosto che quella dell'altro cugino» sussurrò, proprio mentre Eibhean Deamundi passava davanti a loro. La sua aria di superiorità era veramente irritante, ma almeno il suo considerarsi migliore di ogni altro essere sulla crosta terrestre, faceva sì che lui si rifiutasse di entrare in contatto con creature inferiori. Al contrario di Ailionora Diablaiocht, che invece si divertiva a infastidire tutti gli altri.

«In fin dei conti» sospirò Mairead, dirigendosi verso il dormitorio dei Raloi. «Faonteroy è un O'Brian. C'è un qualche germe di follia, in lui; e io devo solo aizzarlo».




Buonasera a tutti!

Scusate il ritardo nell'aggiornare, i soliti problemi di connessione...

ah, che cosa non può fare la gelosia, eh? Povero Edmund, è una lotta persa contro Connery... andiamo, un irritante copia più giovane di Sean Troy... chi non lo ammirerebbe?

Quanto a Faonteroy... è la new entry di questo racconto! Andiamo, non è adorabile? Mairead lo stuzzicherà per bene, temo... e io mi divertirò a trascinarlo in situazioni davvero imbarazzanti! Se ve lo state chiedendo, sì, è il figlio di Teudilascius O'Brian e Aretè MacGaril (per chi ha letto “Vita da fuorilegge”); e sì di nuovo, il suo nome è ispirato al libro Little Lord Fauntleroy di Frances Hodgson Burnett. QUI, comunque, una sua immagine.


Vi annuncio anche che sto scrivendo una piccola raccolta con tre one short su tre episodi dell'infanzia dei nostri protagonisti (un racconto ciascuno); per adesso ho scritto solo quella di Edmund, che sarà l'ultima, ma per la fine di questa settimana o l'inizio della prossima potrei cominciare a pubblicare la raccolta con la storia di Laughlin. Vi spiegherò a tempo debito come è nata quest'idea!


A presto e grazie a tutti quelli che mi seguono!

Beatrix

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Capitolo 10
*** Il Torneo Trecolonie ***


CAPITOLO 10

Il Torneo Trecolonie





Ben presto tutti gli studenti si dimenticarono della promessa del preside Captatio di spiegare quale evento li avrebbe tenuti occupati quell'anno. Con l'arrivo di ottobre, la vita al Trinity aveva ripreso il suo normale ritmo e i ragazzi erano troppo impegnati a sopravvivere alle montagne di compiti assegnati, per pensare ad altro.

Gli studenti del quarto anno avevano imparato a memoria la storiella che tutti i professori avevano propinato loro all'inizio del semestre: era necessario impegnarsi al massimo, stavano diventando grandi e quindi si pretendeva tanto da loro, anche perché l'anno prossimo avrebbero avuto la P.R.O.B.A.T.I.O e bla bla bla.

«Voglio dire, mancano due anni ai nostri esami, che senso ha tartassarci adesso?» si era lamentato un giorno Iulius, quando la professoressa O'Connel aveva assegnato loro un tema di tre rotoli di pergamena sui molteplici utilizzi degli Incantesimi di Rivelazione.

Ma peggiori si rivelarono le lezioni di Trasfigurazione con il professor Cumhacht: sembrava che l'uomo volesse spremerli fino all'ultima goccia di magia, richiedendo di volta in volta compiti che nessuno riusciva ad eseguire, ad eccezione di Edmund. Avevano incominciato a trasfigurare gli oggetti in animali ed era assolutamente più difficile dell'operazione contraria, perché bisognava creare qualcosa di vivo da una materia inanimata. Solo i corvi di Edmund avevano delle lucide penne nere e gracchiavano in modo accettabile.

«L'anno prossimo dovrete imparare a padroneggiare gli incantesimi silenti e non siete nemmeno capaci di trasfigurare una tazzina da tè in uno stupido pennuto!» sbottò il professore, durante una noiosa lezione di fine ottobre. «Che immagine scadente della scuola offrite in questo modo?»

Laughlin, seduto in ultima fila a fianco di Mairead, gettò un'occhiata esplicita alla sua tazzina, con il becco e le zampe, che passeggiava placida sul banco. «L'unica cosa che mi fa sopportare questa lezione è la prospettiva del banchetto di Halloween di stasera!» mormorò sottovoce, strappando una risatina alla compagna.

«Boenisolius, lo trovi divertente?» tuonò il professor Cumhacht, facendoli trasalire entrambi.

«No, signore» rispose prontamente Mairead, anche se, essendosi persa l'ultima parte del discorso, non sapeva esattamente che cosa avrebbe dovuto trovare divertente.

«Bene, allora dimostrami che ho torto» sentenziò il professore, avvicinandosi al suo banco. «Trasfigura la tua tazzina. Ora».

Mairead deglutì. Non ci sarebbe mai riuscita, lo sapeva.

Ma fu salvata per un soffio dal professor Ballerinus, che bussò proprio in quel momento e, senza aspettare la risposta, entrò in aula. «Oengus, è ora di andare» annunciò in tono accorato, come se avesse appena fatto una corsa.

Cumhacht si voltò verso di lui con uno sguardo furente. «Bene» fu l'unica cosa che riuscì a dire.

I ragazzi si scambiarono occhiate perplesse. Dove bisognava andare?

«Tutti gli studenti prendano la propria borsa, lascino i libri nei rispettivi dormitori e si presentino con la divisa in ordine e il mantello invernale in ingresso fra...» il professor Ballerinus controllò il suo orologio da taschino. «Esattamente cinque minuti».

A quelle parole ci fu un eccitato fuggifuggi verso le sale comuni. Nessuno sapeva cosa stesse succedendo, ma qualsiasi scusa era buona per saltare l'ultima mezz'ora di lezione del pomeriggio. Tanto più se si trattava di Trasfigurazione.

Quando Mairead, Laughlin e Edmund si ritrovarono in ingresso, molti studenti vi si erano già radunati e parlottavano sottovoce con aria eccitata.

«Secondo me ci portano a vedere la Stele della Vergogna!» esclamò estasiato Dedalus Consolatus, un tipo piuttosto strano dei Llapac, anche lui al quarto anno. Numerose facce perplesse si voltarono verso di lui. Dedalus li guardò sconvolto. «Ma sì, la leggenda dei cinque avventurieri inglesi... seriamente, nessuno la conosce?»

«Lascia perdere, Dedalus» gli consigliò il suo amico Henry Alabacor, mettendogli una mano sulla spalla. Saggio consiglio; dopotutto, Dedalus era già considerato sufficientemente strano senza mettersi a raccontare oscure leggende.

I professori li condussero fuori, attraverso il ponte fino alla terraferma, e poi li fecero disporre in ordine, divisi per casa, davanti i più piccoli e in fondo quelli dell'ultimo anno, come se attendessero l'arrivo di qualcuno. I ragazzi si scambiarono numerose occhiate perplesse, senza capire il motivo di tanta agitazione da parte dei professori. Sembrava proprio che ci tenessero a fare una bella figura. Ma con chi?

Passò una mezz'ora abbondante prima che succedesse qualcosa di interessante. I ragazzi cominciavano ad essere intorpiditi per il freddo, nonostante il mantello di lana che indossavano. Se almeno avessero saputo che cosa stavano aspettando!

«Guardate là!» esclamò ad un tratto un bambino del primo anno, dei Llapac, indicando un punto nel cielo plumbeo. Tutti si ritrovarono con il naso all'insù a scrutare le nuvole, in attesa di chissà cosa. Lentamente (anzi, neanche troppo lentamente, in realtà) il puntino nel cielo divenne sempre più grosso finché non apparve chiaramente che non si trattava di un uccello: sembrava più che altro una specie di... elefante volante.

«Dumbo!» esclamò allegro Dedalus, ricordando i cartoni animati Babbani della sua infanzia da mezzosangue. Perfino chi aveva origini Babbane e sapeva benissimo a cosa si riferiva il grido di Dedalus preferì non commentare la cosa.

In effetti, la sagoma di un elefante bianco, con una specie di baldacchino sul dorso, era ormai perfettamente visibile nel cielo. L'animale volante stava decisamente puntando verso la scuola. Gli studenti irlandesi si lasciavano sfuggire ogni tanto qualche esclamazione di sorpresa o di perplessità, ma i professori non se ne curavano affatto, come se loro fossero perfettamente a conoscenza del fatto che un elefante stesse per piombare giù dal cielo e trovassero la cosa assolutamente normale.

«Ora ci schiaccia!» gridò un ragazzino del primo anno, in preda al panico.

Tutta la scuola trattenne il fiato come un sol uomo, quando l'elefante ormai vicinissimo, virò all'improvviso per atterrare con grazia sul prato a fianco del campo da Quidditch.

Quella storia stava diventando veramente assurda.

Proprio in quel momento, dal baldacchino sul dorso dell'animale, si srotolò una scaletta magica che arrivò fino a terra. Gli studenti allungarono il collo, curiosi di scoprire chi sarebbe comparso. E non furono affatto delusi quando un mago indiano, con tanto di sciabola al fianco, turbante in testa e folta barba nera, scese le scale a passo di marcia. Dietro di lui, seguivano una manciata di ragazzi con dei coloratissimi vestiti della tradizione indiana.

A Edmund parve di essere finito dentro un film di Sandokan.

Il professor Captatio, che per l'occasione indossava un completo color prugna con ricami dorati, si fece incontro all'altro mago con un gran sorriso, come se accogliesse un vecchio amico. «Fanciulli miei, lasciate che vi presenti Ajitabh Singh, il preside della scuola indiana di magia Dashi Mahal» esclamò allegro.

Il mago fece un inchino educato verso gli studenti del Trinity, poi si rivolse a Captatio. «È un piacere essere qui alla vostra illustre scuola» salutò con un tono di voce delicato, che pareva il soffio lontano del vento. Eppure quell'uomo che emanava pacatezza e rispettabilità, dava come l'impressione di essere in grado di scatenare un uragano qualora venissero attaccati i suoi principi.

«È uno scambio culturale» mormorò Edmund all'orecchio di Mairead, con un tono decisamente annoiato, osservando gli studenti indiani della Dashi Mahal. Si era aspettato un evento ben più eccitante, da come l'aveva annunciato il preside Captatio, invece era un banalissimo scambio culturale. Sai che emozione.

Ma non fece a tempo ad aggiungere altro, che un grosso pulmino arancione si materializzò nel viale che collegava il cancello d'uscita con il ponte. Il mezzo ricordava molto uno di quegli scuolabus americani, con tanto di seggioline rosse e finestrini lungo tutti i lati.

«Oh, bene, questa deve essere Mama Hope!» esclamò Captatio, felice come un bambino goloso davanti ad un'enorme torta al cioccolato. Gli occhi di tutti erano puntati sullo scuolabus arancione, dal quale scese una signora di colore che come dimensioni non aveva nulla da invidiare all'elefante indiano della Dashi Mahal. Nello scendere dal pulmino, il mezzo si inclinò pericolosamente verso terra e non appena lei toccò il terreno, questo ondeggiò come una nave in balia di una tempesta. La donna indossava un variopinto abito tradizionale africano, con tanto di turbante coordinato. Dietro di lei scese un gruppo di ragazzi, tutti di colore tranne un biondino slavato che stava in fondo. La donna si avvicinò agli altri due presidi: Captatio le arrivava a stento alla spalla e sembrava un folletto a confronto, mentre il professor Singh, sebbene fosse poco più alto di lei, era largo meno della metà.

«Se ti dà un ceffone quella giri per tre giorni!» ridacchiò Iulius, proprio alle spalle di Mairead e Edmund. I ragazzi sogghignarono.

«Caius!» esclamò la donna, facendo scomparire il piccolo professor Captatio nel suo abbraccio. Questo bofonchiò qualcosa, ma ogni sua parola venne soffocata. Edmund fu sicuro di udire un sinistro crack, come se Captatio si fosse rotto qualche vertebra, e quasi sentì lui stesso il male alla schiena. Quando il professore riemerse da quell'ecosistema di stoffa e ciccia, aveva gli occhiali sbilenchi e il cappello storto.

«È sempre un piacere rivederti, Mama Hope!» ridacchiò il preside aggiustandosi gli occhiali sul naso. Il professor Singh, invece, optò per un più diplomatico inchino con baciamano.

«Ragazzi, vi presento Hope Machinegun, la preside della scuola sudafricana Reclife Magic High School» esclamò il professor Captatio, rivolto ai suoi studenti, con un sorriso allegro. «E ora, forza, tutti dentro al caldo, che c'è un lussuoso banchetto che ci aspetta!» aggiunse battendo le mani con aria compiaciuta

Gli studenti del Trinity si trascinarono verso la Sala Mor, soddisfatti di poter tornare finalmente al caldo con la prospettiva di godersi le prelibatezze preparate dagli elfi domestici. Ciascuno si sedette al proprio tavolo, provocando sinistri cigolii a causa delle panche di legno che venivano strisciate sul pavimento di cocciopesto. Gli studenti stranieri, invece, si guardarono attorno un po' a disagio, senza sapere bene dove avrebbero dovuto mettersi.

«Sedetevi ai tavoli insieme agli altri, dove volete o dove c'è posto!» li incitò allora il professor Captatio, mentre i tre presidi si dirigevano insieme agli altri professori verso il tavolo in fondo alla sala. Alcuni ragazzi sudafricani si unirono al tavolo dei Llapac, che era quello centrale proprio di fronte all'entrata.

«A Laughlin piacciono le more!» sibilò divertita Mairead all'orecchio di Edmund, accennando con il capo al loro amico dall'altra parte della sala, che si era alzato con galanteria e aveva fatto posto ad un gruppo di ragazze indiane. Edmund ammirò la nonchalance con cui si rapportava con quelle ragazze, il modo di fare rilassato e i sorrisetti accattivanti. Prima o poi avrebbe dovuto chiedergli delle lezioni sull'argomento.

«Possiamo?» domandò un ragazzo di colore, indicando i posti vuoti davanti a Mairead.

«Certo» rispose quella con un sorriso.

Tre ragazzi sudafricani e il biondino slavato si sedettero al tavolo dei Raloi, con un cenno di ringraziamento. Mairead notò che le divise che indossavano avevano tutte lo stesso taglio (una camicia a maniche corte lunga fino a metà coscia e un paio di calzoni), ma ognuna era di colore diverso, quasi tutte variopinte e con stampe e disegni geometrici come decorazioni. Il ragazzo che aveva parlato era un bel giovanotto di colore, alto, con le treccine attaccate alla testa che partivano dalla fronte e arrivavano fino alla nuca.

Mairead fece per presentarsi ai nuovo arrivati, così, giusto per essere gentile, ma proprio in quel momento il professor Captatio si alzò da tavola e la sala piombò nel silenzio.

«Un caldo benvenuto a tutti i nostri ospiti!» esclamò il preside; a quelle parole, la professoressa O'Connel fece partire un educato applauso che si sparse per tutta la sala. Quando l'applauso si spense, il preside Captatio riprese a parlare: «Spero che vi troverete bene e che il vostro soggiorno al Trinity si rivelerà piacevole. Lo scopo di tutto questo è ovviamente quello di imparare a conoscerci meglio, ad apprendere tradizioni e cultura di paesi lontani e soprattutto, attraverso questa reciproca conoscenza, imparare a rispettaci. Ma, evidentemente, questo non è l'unico motivo».

Il professor Captatio fece una pausa studiata per accrescere la tensione e gli studenti si scambiarono occhiate eccitate.

«Sono lieto di annunciarvi che quest'anno il Trinity College ospiterà il Torneo Trecolonie!» esclamò infine il professor Captatio, pieno di entusiasmo. Ma la notizia non eccitò particolarmente gli studenti, visto che nessuno aveva la più pallida idea di che cosa si trattasse. Il preside si accorse della freddezza con cui i ragazzi avevano accolto la notizia e ne rimase un po' deluso; ma subito dopo riprese a sorridere con giovialità ed esclamò: «Forse la cosa necessita di una piccola spiegazione!»

Captatio batté le mani estasiato, come se fosse sul punto di raccontare una bella favola a dei bambini curiosi, poi cominciò a narrare: «Dovete sapere che nell'anno 1794, esattamente cinque secoli dopo la prima edizione del Torneo Tremaghi, una competizione che vedeva affrontarsi i campioni delle tre più importanti scuole di magia europee, l'allora preside del Trinity College, Eusebius O'Toole, mandò un gufo formale ad Hogwarts per chiedere che anche la sua scuola venisse riconosciuta all'interno del Torneo e che avesse anch'essa un campione per rappresentarla. Il preside di Hogwarts rispose che il Torneo si chiamava Tremaghi, perché tre erano i campioni e non c'era alcuna possibilità che una scuola secondaria di una colonia britannica come il Trinity potesse partecipare».

A quelle parole, molti studenti si indignarono. Perfino Mairead, che non aveva alcun folle sentimento nazionalistico, ritenne che una risposta del genere fosse decisamente troppo offensiva per l'orgoglio irlandese.

«Come potete ben immaginare» riprese a dire Captatio, «O'Toole si incavolò parecchio, per essere gentili. Mandò anche un cappello stregato al preside di Hogwarts che gli fece crescere due enormi orecchie da goblin. Oh, non riuscirono più a rimpicciolirgliele!» raccontò divertito, suscitando qualche risatina anche tra gli studenti. «Sed de hoc satis! La cosa più importante che fece O'Toole fu quella di istituire un contro-torneo, invitando le tre scuole delle più importanti colonie inglesi di allora: l'Irlanda, l'India e il Sud Africa. Chiamò questo torneo “Torneo Trecolonie” e lo organizzò ogni cinque anni in una delle tre scuole, in concomitanza con la versione originale inglese.

«Tre campioni si sarebbero dovuti affrontare in tre difficilissime prove per dimostrare il loro coraggio, la loro astuzia e la loro intraprendenza di fronte a situazioni avverse. Il vincitore, o sarebbe meglio dire il sopravvissuto, avrebbe ottenuto la gloria eterna per sé e per la propria scuola, oltre ad una discreta somma in denaro. Quando il Torneo Tremaghi fu interrotto a causa del troppo elevato rischio di morte, anche il Torneo Trecolonie subì la stessa sorte e per oltre cent'anni non vi fu nessuna sfida.

«Ma il Ministero della Magia britannico ha deciso che i tempi sono maturi per un altro tentativo. E i due tornei sono stati riportati in vita!»



Ecco spiegato cos'è il torneo Trecolonie e quali sono le tre colonie! Spero che la storia sia risultata credibile e che vi sia piaciuta. I tre presidi sono adorabili---> QUI un'immagine dei tre mitici elementi!

Dai, oggi non vi stresso con le note d'autrice... vi dico solo che DOMANI pubblicherò il primo racconto della raccolta dedicata all'infanzia dei miei protagonisti!

Un bacione, a presto!

Beatrix

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Capitolo 11
*** Il Gargoyle ***


CAPITOLO 11

Il Gargoyle





L'annuncio del professor Captatio sconvolse la sala per parecchi minuti. L'idea che il Torneo Trecolonie fosse stato riportato in vita e che si sarebbe tenuto proprio lì al Trinity era quanto di più eccitante gli studenti potessero pensare.

«Dobbiamo ammettere che potrebbe essere meglio del Quidditch!» ridacchiò Beatrix, seduta a fianco di Mairead.

«Forse niente mischie, ma è sicuramente grandioso!» ammise Mairead. «Soprattutto se vieni scelto come campione» aggiunse poi, già fantasticando sulla gloria eterna che sarebbe spettata al vincitore.

«Ehi, io ci sto!» esclamò Iulius, entusiasta, seduto di fronte a Beatrix. «Voglio provare a diventare il campione del Trinity!»

«Presumo che ci sarà una giuria che valuterà le capacità degli aspiranti» intervenne in tono logico Edmund.

«Silenzio, silenzio!» li richiamò il preside, in tono bonario. Dopo qualche secondo il brusio si spense e la sala si preparò ad ascoltare quello che il professore aveva da dire. L'uomo sorrise alla platea di studenti, poi spiegò: «Per frenare i vostri bollenti spiriti, vi avverto già che seri motivi di sicurezza ci hanno indotto ad introdurre un limite di età per gli aspiranti campioni ai 17 anni».

Quell'annunciò causò sonore proteste da tutti i tavoli: gli esclusi si sentirono in dovere di esprimere ad alta voce le proprie lamentele.

«Prima ci tolgono il Quidditch, poi ci impediscono di partecipare al Torneo!» sbottò indignata Beatrix, piuttosto risentita dal fatto che le sarebbero bastati pochi mesi per raggiungere la maggiore età.

«È per ragioni di sicurezza» intervenne saggiamente Edmund. «Captatio ha detto che ci sono stati dei morti!»

«Noi sapevamo già questo» si intromise il ragazzo di colore con le treccine. Aveva un accento particolare, duro, tipico degli africani che parlavano l'inglese. «Infatti noi aspiranti campioni siamo tutti maggiorenni» spiegò, accennando a sé e ai suoi amici.

«Noi saremmo dovuti nascere due anni prima» sbuffò invece Mairead, incrociando le braccia al petto.

Il professor Captatio li lasciò sfogare per qualche minuto, poi richiamò l'attenzione su di sé. «Mi dispiace ragazzi, ma è per la vostra sicurezza» spiegò in tono serio. «Comunque» aggiunse poco dopo, di nuovo allegro, mentre il custode Armandus attraversava la sala facendo fluttuare davanti a sé quello che sembrava il piedistallo di una statua. «Dovete sapere che non saremo noi a giudicare gli aspiranti campioni delle rispettive scuole» spiegò il preside Captatio, aspettando che Armandus posizionasse il piedistallo davanti al tavolo dei professori.

«Questo compito è affidato al Gargoyle!»

A quelle parole, un enorme gargoyle di pietra, che fino a quel momento era rimasto acquattato, senza essere visto, sopra la grande trifora sulla parete dietro il tavolo dei professori, spalancò le sue gigantesche ali e planò verso terra. Qualche studente dei primi anni si lasciò sfuggire un urlo per la sorpresa.

Il gargoyle andò ad accucciarsi sul piedistallo predisposto da Armandus e rimase immobile a scrutare gli studenti con il suo orribile ghigno da mostro.

«Questo sarà il giudice per scegliere il campione più adatto» spiegò il professor Captatio, indicando la statua. «Lui saprà valutare le vostre capacità magiche e sceglierà colui che riterrà più adatto a diventare il campione della propria scuola. Tutti coloro che intendono farsi avanti, non devono fare altro che mettere la mano destra nella bocca del Gargoyle e dire chiaramente il proprio nome e la scuola di appartenenza. Avete due giorni: durante il banchetto del giorno dei morti, il 2 novembre, il Gargoyle dichiarerà la sua scelta» continuò a spiegare il professore.

«Ma vi prego di fare molta attenzione!» soggiunse con un tono di voce accorato. «Il Gargoyle è perfettamente in grado di riconoscere la vostra reale età e non pensate di imbrogliarlo con pozioni invecchianti o altre diavolerie del genere. Non cercate di ingannarlo: saprà sempre riconoscere quanti anni avete effettivamente!»

I suoi occhi saettarono su tutta la sala e Edmund ebbe la spiacevole sensazione che stesse fissando proprio lui.

«Ma, bando alle ciance!» esclamò il professore dopo un attimo di silenzio. «Sarete affamati, immagino!»

E con quelle parole i Lepricani in livrea da camerieri fecero il loro ingresso nella sala reggendo i vassoi con le prelibatezze preparate dagli elfi domestici. Il banchetto fu particolarmente piacevole, perché i quattro ragazzi sudafricani che si erano seduti al tavolo dei Raloi si presentarono e raccontarono della loro scuola. Quello con le treccine si chiamava Hewa Wedge ed era un tipo affabile, anche se forse un tantino pieno di sé. Il ragazzo biondino, invece, disse di chiamarsi Koen Jansen e rivolò di essere un boero, un discendente degli antichi coloni olandesi. Mairead pensò che aveva l'aria un po' apatica e passiva, ma forse era solo un'impressione.

Laughlin, nel frattempo, si dilettava nel fare conoscenza delle studentesse indiane che si erano sedute vicino a lui e Dominique. Aveva evitato di specificare che aveva appena compiuto i quindici anni, visto che le ragazze dovevano essere tutte maggiorenni, per poter aspirare a diventare campionesse della Dashi Mahal. Poteva fingere di averne sedici, o comunque puntare su altre qualità che non fossero l'età.

In fondo, aveva un bel sorriso.


Nei due giorni successivi non si parlò d'altro. I quindici aspiranti campioni della Dashi Mahal si presentarono la mattina dopo in Sala Mor tutti impettiti e si misero in fila di fronte al Gaogoyle per dire il loro nome. Il preside Singh si posizionò a braccia incrociate di fianco alla statua e li osservò con aria compiaciuta, rivolgendo loro sorrisi incoraggianti.

Lo stesso cerimoniale avvenne all'ora di pranzo per gli studenti della Reclife High School, anche se la preside non attese in silenzio che i ragazzi dicessero il loro nome, ma anzi li incitava in una lingua che era un misto di inglese e sudafricano. Edmund fu anche abbastanza certo di sentire un insulto che suonava molto come “sterco di troll”.

I primi studenti del Trinity a presentarsi al Gargoyle furono Leonard Connery e Seamus O'Sharey, tutti e due compagni di squadra di Mairead. La sera del primo giorno di novembre, prima di cena, i due ragazzi entrarono in Sala Mor con un gran sorriso sulle labbra e un'aria tonfa. Gli altri studenti capirono subito che i due avrebbero tentato di proporsi come campioni e dal tavolo dei Nagard partirono alcuni fischi. Leonard non solo li ignorò, ma addirittura il disprezzo dei suo rivali lo rese ancora più desideroso di dire il suo nome al Gargoyle. Attraversò la sala a passo di marcia e, messa la mano in bocca al mostro di pietra, esclamò: «Leonard Connery, Trinity College».

Un applauso entusiasta partì dal tavolo dei Raloi, per sostenere il proprio candidato. Seamus imitò l'amico e poi i due furono accolti al tavolo come dei veri conquistatori.

L'impresa di Leonard e Seamus risvegliò gli animi eroici e il desiderio di gloria di altri studenti del Trinity: il giorno successivo, a colazione, Lucy Patterson, la giocatrice di punta dei Nagard, tentò l'impresa di proporsi come campionessa. Una volta detto il suo nome al Gargoyle, lanciò un'occhiata sprezzante al tavolo dei Raloi e in particolare alla sua avversaria Mairead, che tanto non aveva l'età adatta per partecipare.

Dopo di lei anche altri ragazzi dei Llapac e dei Raloi vennero a proporsi per la selezione. In particolare Titus Judge, il grosso battitore dei Llapac, fu accolto con grande entusiasmo dai suoi compagni di casa, che patteggiavano per lui come campione del Trinity.

Alla conclusione del pranzo di quel giorno, Deamundi si alzò dal tavolo dei Nagard e si diresse verso il Gargoyle, lanciando occhiatine di superiorità per tutta la sala. Mise la sua mano nella bocca della creatura e disse con voce incolore: «Eibhean Con Cetchthach Deamundi di Sir Eriu Temair, Tinirty College».

Ma la scena più divertente si verificò a metà pomeriggio, quando Cosimo Brandebelli, il Cacciatore dei Nagard, che era dello stesso anno di Dominique, si presentò con un ghignetto divertito in Sala Mor, attirando su di sé non pochi sguardi.

Dominique, che stava cercando Laughlin dopo la fine delle lezioni, lo squadrò con aria preoccupata. «Non credo che basti un po' di pozione invecchiante» commentò in tono critico, accennando al Gargoyle.

Ma Cosimo non gli diede retta. Attraversò la sala con aria furba, come se sperasse davvero di imbrogliare l'incantesimo che imponeva il limite d'età. Mise la sua mano nella bocca e per una frazione di secondo non successe nulla. L'intera sala trattenne il respiro, ma durò solo un attimo.

Perché il Gargoyle serrò di scatto la bocca, imprigionando la mano di Cosimo tra le sue fauci. Il ragazzo urlò per il dolore e strattonò per liberarsi il braccio, senza troppi successo, in realtà.

«Te l'avevo detto» commentò Dominique, con un sorrisetto divertito. Dopodiché, appurato che Laughlin non era in Sala Mor, se ne andò alla ricerca del suo amico.

Ritrovò Laughlin, Mairead e Edmund seduti nel giardino del chiostro interno, imbacuccati nei loro mantelli di lana, a cercare di catturare quei pochi raggi di sole che riuscivano a bucare la coltre di nubi. Edmund, tanto per cambiare, aveva appoggiato sulle gambe un libro dalle dimensioni ciclopiche.

«Ehilà!» li salutò Dominique, sedendosi con loro sull'erba leggermente umida. «Vi siete appena persi la scena di Brandebelli che cercava di dire il suo nome al Gargoyle».

«Che gli è successo?» domandò Laughlin, incuriosito.

Dominique scrollò le spalle e tirò fuori il libro di Trasfigurazione dalla borsa. «Il Gargoyle gli ha morso la mano e non credo che abbia intenzione di lasciarlo senza l'intervento di un professore» spiegò con disinteresse, cercando le pagine che il professor Cumhacht aveva assegnato loro da studiare.

«Che idiota!» commentò sarcastico Edmund. «Scommetto che avrà usato della pozione invecchiante sperando di farla franca».

«Già...» mormorò Dominique, sovrappensiero. «Voi chi vorreste che diventasse il campione del Trinity?» domandò poco dopo, giochicchiando con le orecchie delle pagine del suo libro di Trasfigurazione, per nulla invogliato a studiarle.

«A me van bene tutti, purché non sia Deamundi» sbottò Laughlin. «Non sopporterei la sua aria tonfa!»

In quel momento passarono per il portico Wedge e il boero Jansen così Mairead alzò una mano per salutarli. Wedge rivolse loro un sorriso radioso, ma anche un po' malizioso. Edmund li scrutò mentre si allontanavano, avendo come la sensazione che presto avrebbe avuto un buon motivo per odiare il sorrisetto di Wedge.

«E tu, Mairead?» domandò ancora Dominique, sbadigliando.

«Be', l'anno scorso avrei detto sicuramente Cecelia Allen, che aveva tutte le carte in regola per essere campionessa» rispose Mairead, non senza un pizzico di invidia per l'ex-capitana della squadra di Quidditch dei Llapac. «Ora come ora... direi Leonard Connery».

«Quello sbruffone di Connery?» la rimbeccò immediatamente Edmund, storcendo il naso.

«Senti, io non so che cosa tu abbia contro di lui, ma sarebbe un ottimo campione!» replicò Mairead, in un tono piuttosto acido. «È bravo, è carino ed è un Raloi. Praticamente perfetto».

Edmund si alzò di scatto da terra, facendo cadere il libro che aveva sulle ginocchia. «Vuoi sapere una cosa?» sbottò in un tono molto poco aggraziato. «Anche io sarei un ottimo campione».

«Non fare l'idiota, Captatio ha preso tutte le misure per impedire ai minorenni di partecipare» rispose Mairead, con uno sbuffo per quella sciocca pantomima.

«Credo che Brandebelli perderà l'uso della mano per un bel po'» commentò Dominique, cercando di essere ragionevole. «Vuoi fare la sua stessa fine?»

«Mi stai paragonando a Brandebelli?» lo rimbeccò Edmund, ormai visibilmente scocciato. Al momento non gli era importato un gran che della storia del Torneo, ma qui lo stavano apertamente sfidando. E Edmund Burke non si tira mai indietro di fronte ad una sfida.

«Sono più furbo di lui, troverò il modo!» decretò alla fine, prendendo il libro da terra e mettendoselo in borsa. Non che ci tenesse a diventare campione, ma era una questione di principio: nessuno poteva dirgli che era meno di quel pallone gonfiato di Leonard Connery.

Con quelle parole, lasciò il cortile diretto verso la biblioteca, stampandosi in faccia un'aria tonfa.

«Idiota» sbuffò Mairead, scuotendo la testa.


Quando, quella sera, Edmund si presentò in Sala Mor, la notizia che volesse presentarsi come campione aveva già fatto il giro della scuola; e anche per chi non ne era ancora stato informato, era bastato guardare il suo volto determinato e il sorrisetto beffardo che gli attraversava le labbra per capire che cosa fosse sul punto di fare.

«Ehi, Burke, attento al moncherino!» sghignazzò Finan Best, il piccoletto tanto amico di Ailionora Diablaiocht, sventolando il braccio destro, dopo aver ritirato la mano dentro la manica. Il suo commento suscitò parecchie risatine per tutta la sala, ma Edmund non se ne curò.

Mairead sbuffò quando lo vide percorrere lo spazio che lo separava dal Gargoyle con aria tonfa. Una parte di lei sperava che fosse riuscito a trovare il modo di superare il limite di età, perché fallire sarebbe stato estremamente doloroso e imbarazzante, ma l'altra parte era desiderosa di vederlo a terra in ginocchiato nel fango, perché odiava quel suo sorrisetto beffardo e la sua sciocca coraggiosa determinazione nel voler dimostrare che aveva sempre ragione e che era più bravo degli altri.

Lato che, tra l'altro, era inconfondibilmente Raloi.

E anche terribilmente affascinante.

Il tempo parve come fermarsi quando Edmund allungò il braccio verso il Gargoyle e gli infilò lentamente la mano in bocca. Tutta la sala trattenne il fiato e si sporse per vedere meglio.

Passò una frazione di secondo.

Passò una manciata di secondi.

E le fauci del Gargoyle rimasero perfettamente immobili.

Un beffardo sorriso di vittoria si disegnò sulle labbra sottili di Edmund. Ce l'aveva fatta.

Nemmeno sentì l'applauso ammirato che si levò dal tavolo dei Raloi. Semplicemente disse: «Edmund Burke, Trinity College».



Su, avanti, diteglielo anche voi, a Edmund, che è un idiota... dice il suo nome al Gargoyle solo per ripicca, ma non sa a cosa sta andando incontro! Comunque, voi per chi tifate? Chi volete che diventi il campione del Trinity? ;-)

QUI, l'immagine del capitolo, ovvero il caro Edmund con la mano destra nelle fauci del Gargoyle.

Ora, piccola nota tecnica: dalla settimana prossima comincio ad aggiornare di martedì pomeriggio, perché lunedì sono in università!

Alla prossima,

Beatrix


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Capitolo 12
*** I tre campioni ***


CAPITOLO 12

I tre campioni





«Idiota!» sbuffò Mairead, quando Edmund venne a sedersi di fronte a lei al tavolo dei Raloi. Ma al suo sbuffò seguì un sorriso: alla fine, aveva vinto la parte di lei che lo voleva seduto sugli allori. In fin dei conti, era stata una scena epica.

Lo sguardo trionfante di Edmund aveva un che di odiosamente saccente. Anzi, no, quella era piena coscienza delle proprie qualità e estrema volontà di volerle mettere in mostra, in un modo stupidamente coraggioso.

«Ehi, amico, sei stato grande!» esclamò Laughlin, sedendosi al suo fianco, noncurante del fatto che un Nagard non poteva stare al tavolo dei Raloi.

«Grazie, Laugh» rispose Edmund, scivolando sulla panca per fargli posto.

«Come diavolo hai fatto?» gli chiese l'amico, ancora eccitato dalla scena che si era appena svolta.

Edmund si guardò intorno con fare circospetto, poi si chinò sul tavolo verso i suoi amici. «È stato piuttosto facile, in realtà» rivelò in un sussurro. «Mi è bastato ripensare all'insistenza con cui il professor Captatio ha sottolineato il fatto che il Gargoyle sa riconoscere l'età dei candidati. Ho creduto che fosse come una sorta di indizio» spiegò ai suoi amici, ricordando dell'occhiata densa di sottintesi che gli aveva lanciato il preside in quell'occasione. «Allora ho capito che bisognava osservare il problema da un punto di vista completamente nuovo e mi sono detto che se non potevo ingannare il giudice sulla mia età, forse avrei potuto convincerlo che bastavano 15 anni per partecipare alle selezioni».

«E come hai fatto a convincerlo?» si informò Laughlin.

Edmund si strinse nelle spalle. «Il Gargoyle è una trasfigurazione, ovviamente: mi è bastato compiere un'altra trasfigurazione con un incantesimo silente prima di entrare in Sala Mor. Diciamo che... l'ho riprogrammato».

«Geniale, Ed. Io non ci sarei mai arrivato!» sussurrò Laughlin, ammirato.

Edmund gli rivolse un sorriso. «Infatti non è tuo il nome che ora si trova nella rosa dei canditati a diventare campioni».

«Sbruffone!» sbottò Mairead, alzando gli occhi al cielo. Ma alla fine lanciò un sorriso esasperato all'amico.

Edmund si rilassò. Aveva raggiunto il suo obiettivo: distogliere l'attenzione di Mairead da quel bellimbusto di Connery con qualche azione spettacolare e dimostrare di essere meglio di tutti gli altri, perché aveva saputo superare il limite d'età.

Non appena Laughlin intercettò l'occhiataccia del professor Cumhacht che stava entrando in sala proprio in quel momento, capì che era ora di squagliarsela. Si alzò dal tavolo dei Raloi, fece in cenno di saluto ai suoi amici e si affrettò a raggiungere Dominique tra i Nagard.

Ormai tutti gli studenti si erano radunati in Sala Mor e non per la prospettiva del lauto banchetto per la festa dei morti: quella sera il Gargoyle avrebbe decretato il nome dei tre campioni.

Proprio in quel momento Wedge e Jansen si sedettero a fianco di Edmund, al posto che Laughllin aveva appena lasciato libero.

«Abbiamo saputo che ti sei proposto come campione» commentò Jansen, senza un reale entusiasmo nella voce. La notizia aveva fatto il giro della scuola ad una velocità impressionante.

«Sei minorenne, non potevi dire il tuo nome al Gargoyle» fece notare Wedge, in un tono fastidiosamente puntiglioso.

Ecco, Edmund aveva finalmente scovato un motivo per trovare antipatico Wedge: il suo odiosissimo modo di impicciarsi nelle faccende altrui e di dire sempre la sua.

«Sta di fatto che l'ho detto» replicò con un filo di durezza nella voce.

Wedge fece un'espressione piuttosto contrariata. «Be', le misure di sicurezza sono state decisamente insufficienti».

«O io sono stato più furbo» rispose Edmund, con un sorriso beffardo.

Ma la conversazione si interruppe lì perché in quel momento arrivarono i tre presidi, accompagnati da una donna asciutta e dall'aria contrariata e da Scipio Diablaiocht, inconfondibile per il suo ghigno disgustato e le occhiatine sprezzanti che lanciava verso gli studenti.

«Idiota, pallone gonfiato, borioso che non è altro!» sibilò con astio Mairead, puntandolo con lo sguardo mentre attraversava la sala.

Edmund, invece, era intento ad osservare la strega, cercando di ricordare dove l'avesse già vista. Improvvisamente gli vennero in mente pavimenti di marmo e alte onorificenze. «Quella è il Capo del Dipartimento per l'Istruzione Magica» sussurrò rivolto a Mairead, ricordando che gli era stata presentata l'anno scorso da Laughlin prima di ricevere l'Encomio della Repubblica. Però non sapeva il suo nome.

Proprio in quel momento Captatio richiamò l'attenzione della sala battendo delicatamente il bicchiere con il fondo del coltello. In realtà, più che il rumore, fu il gesto in sé a far calare il silenzio tra gli studenti eccitati.

«Miei cari figlioli, so che siete tutti in fervente attesa dei risultati, ma mi dispiace dirvi che li avrete solo dopo il banchetto» annunciò il professor Captatio, provocando numerosi mormorii di dissenso. «Comunque, lasciate che vi presenti Aletheia O'Gara, Capo del Dipartimento per l'Istruzione Magica, e Scipio Diablaiocht, Capo del Dipartimento Affari Esteri, che questa sera ceneranno con noi e presiederanno alla scelta dei campioni».

A quelle parole un applauso educato ma non particolarmente entusiasta attraversò la sala. Mairead si rifiutò categoricamente di battere le mani.

«Sei adorabile quando ti impunti» sogghignò Edmund, rivolto all'amica.

«Oh, taci!»

All'ordine del preside Captatio, i Lepricani si riversarono in sala, ognuno reggente un vassoio con le diverse portate. Il banchetto fu ovviamente piacevole, ma la tensione era alle stelle e l'aria che si percepiva era talmente densa da poter essere tagliata con un coltello. I più ansiosi, ovviamente, erano coloro che si erano proposti al Gargoyle: da un lato c'era la speranza di essere scelti, dall'altro la preoccupazione per ciò che avrebbe comportato il titolo di campioni.

Finalmente, al termine della cena, il preside Captatio si alzò da tavola e la sala piombò nel silenzio più assoluto. Si sarebbe potuto sentire il crepitio di una foglia secca schiacciata da una scarpa.

«Cari studenti e gentili ospiti, è arrivato il momento che tutti stavano aspettando: la scelta dei tre campioni!» annunciò il professore e le sue parole non fecero altro che aumentare l'eccitazione. Il preside sorrise bonario e alzò una mano per calmare i bollenti spiriti dei ragazzi. «Lasciatemi aggiungere qualche indicazione pratica» mormorò poco dopo. «Quando i campioni verranno chiamati dal Gargoyle, si presenteranno davanti al tavolo delle autorità e accetteranno il loro ruolo. Dopodiché, insieme ai rispettivi presidi si recheranno nella segreteria vicino all'entrata, dove ci aspettano un fotografo e un simpatico giornalista del Corriere, e dove vi daremo alcune informazioni utili sullo svolgimento del torneo».

Il professore fece un attimo di pausa, per abbracciare tutta la sala con il suo sguardo calmo e rassicurante. «Ma ora, lasciamo la parola al Gargoyle!»

La creatura di pietra sbatté le sue enormi ali un paio di volte, come se si stesse risvegliando da un sonno profondo. Poi cominciò a parlare, con una voce roca e arcana, che pareva provenire dagli anfratti più ancestrali di una lugubre caverna: «Il campione della Reclife Magic High School è...»

Gli studenti interessati si sporsero impercettibilmente verso il mostro di pietra.

«HEWA WEDGE!»

Il ragazzo di colore, seduto di fianco a Edmund si alzò dal tavolo con un gran sorriso, mentre la sala veniva investita da un applauso entusiasta.

«Ben fatto, amico» mormorò Jansen, dandogli una pacca sulla schiena, anche se si capiva benissimo che era rimasto deluso per non essere stato scelto come campione.

«Fantastico, ora chi lo sopporta più?» mormorò invece Edmund, rivolto a Mairead, in tono sarcastico. La ragazzina gli lanciò uno sguardo eloquente: in effetti, Wedge era un tantino pieno di sé e l'essere diventato campione certo non l'avrebbe aiutato a diminuire l'autostima.

Il ragazzo si avvicinò con aria tonfa al tavolo degli insegnanti. A giudicare dalle occhiate soddisfatte che gli lanciava Mama Hope, la preside doveva approvare in pieno la scelta. Wedge si inchinò davanti alle autorità e poi recitò: «Sono pronto ad assumermi i miei doveri di campione e ad affrontare tutte le prove che mi saranno richieste».

Un secondo applauso seguì quelle parole, mentre Wedge si voltava verso gli studenti con un sorriso trionfante.

Ma poi l'attenzione di tutti tornò sul Gargolye, che dopo un attimo scandì: «Il campione della Dashi Mahal è... CHAITALY HIRANMAY!»

Una ragazza indiana decisamente carina, che faceva parte di quel gruppetto seduto al tavolo dei Nagard vicino a Laughlin e Dominique, si alzò con aria deliziata. A giudicare dall'entusiasmo con cui Laughlin batteva le mani, doveva essere molto soddisfatto della scelta del Gargoyle.

«Lo fa perché crede che Hiranmay sia effettivamente la candidata migliore per rappresentare la sua scuola, o perché vuole solo fare colpo?» ridacchiò Edmund, indicando l'amico con un cenno del capo.

Mairead sogghignò. «Temo proprio che sia la seconda» confessò divertita, mentre la ragazza indiana raggiungeva il tavolo degli insegnanti.

Si prostrò in un inchino aggraziato, che fece volare la seta leggera del suo abito arancione, poi recitò con voce musicale: «Sono pronta ad assumermi i miei doveri di campionessa e ad affrontare tutte le prove che mi saranno richieste».

L'applauso che seguì si spense molto rapidamente, perché gli studenti del Trinity erano ora in fervente attesa di sapere chi sarebbe stato il loro campione.

«Speriamo che sia Connery» bisbigliò Anneus Secula, rivolto al suo amico Iulius.

Edmund storse il naso. Non che sperasse di essere scelto come campione, perché, sebbene il Gargoyle avesse accettato la sua richiesta, era impossibile che scegliesse proprio lui, il più giovane tra i tanti candidati, però avrebbe preferito qualcun altro al posto di Connery. Magari Seamus O'Sharey, o perfino Judge, il Battitore dei Llapac. Ma non Leonard Connery.

«Il campione del Trinity College è...»

Edmund rivolse un sorriso eccitato a Mairead. Buffo, il cuore aveva cominciato a battergli piuttosto allegramente nel petto. Ma lui... non era agitato.

«EDMUND BURKE!»

Quella volta non partì nessun applauso. Calò un silenzio teso, sulla sala, mentre gli occhi increduli e accusatori di tutti si puntavano di Edmund.

Lui rimase immobile, scioccato. Era stato scelto come campione? Lui, tra tutti? Lui che era almeno di due anni più giovane di tutti gli altri candidati?

Da qualche parte, dentro di lui, esplose una gioia selvaggia e quasi grottesca. La sua mente elaborò la scena di se stesso che si alzava da tavola con un sorriso derisorio, esclamava a gran voce qualcosa come: “Ah! Sono meglio di tutti voi, mezze cartucce!” e si metteva a ballare qualche danza tribale. Ma subito scartò quell'ipotesi.

Si alzò invece lentamente, sotto lo sguardo dell'intera sala, e si trascinò davanti al tavolo degli insegnanti.

Per una manciata di secondi nessuno disse nulla, poi Mama Hope sbottò: «Ma andiamo, tutto questo è ridicolo!»

A giudicare dai mormorii che seguirono quell'affermazione, molti presenti dovevano pensarla allo stesso modo.

«È solamente un ragazzino! Non può partecipare al Torneo!» rincarò la dose la preside, esasperata da quella situazione.

«Se il Gargoyle l'ha scelto come campione, noi non possiamo opporci» disse invece il preside Singh, con un tono apparentemente tranquillo.

Ma a Edmund non interessava il parere di tutti gli altri: a lui interessava esclusivamente quello di Captatio. Solo dopo un'eternità osò alzare gli occhi su di lui. Il preside non lasciava trapelare nulla dal volto. Sembrava serio e tranquillo, come sempre. Un po' troppo tranquillo, in effetti, e Edmund ebbe la terribile sensazione che quell'apparente serenità servisse a nascondere qualcosa d'altro. Rabbia, forse? Era per caso arrabbiato con lui?

«Credo che dovremmo discuterne con calma nel mio studio» propose infine Captatio. Sembrò a tutti l'idea migliore, e così i tre presidi, Diablaiocht e la O'Gara, insieme con i tre campioni, si diressero verso la presidenza.

Quando arrivarono nell'ampio ufficio, disordinato e caotico come sempre, scoppiò il finimondo: ognuno sosteneva la propria tesi e sembrava proprio che il modo migliore per dimostrare di aver ragione fosse gridare più forte degli altri. Mama Hope e la O'Gara sostenevano che fosse troppo giovane per partecipare, visto che il limite di età era stato imposto a tutti proprio per motivi di sicurezza. Il preside Singh diceva che non potevano ribellarsi alle decisioni del Gargoyle, perché altrimenti si sarebbero messi in discussione anche i risultati delle altre scelte.

I tre ragazzi, intanto, se ne stavano in disparte in silenzio. Wedge mandava delle occhiate indignate verso Edmund, ma lui non se ne curava più di tanto, perché era concentrato nel cercare di capire la reazione di Captatio, che se ne restava tranquillo ad osservare i litigi.

Alla fine fu Diablaiocht a trovare un modo per risolvere la situazione. «Non possiamo contestare il giudizio del Gargoyle, ma Burke è davvero troppo giovane. Chiediamo al ragazzo se se la sente di partecipare» propose, con un sorriso che voleva essere affabile. «Allora, giovanotto, hai detto tu il tuo nome al Gargoyle?» gli chiese, voltandosi verso di lui.

«Sì, ma non pensavo...» farfugliò Edmund.

«Vuoi tirarti indietro?» lo provocò sottilmente Diablaiocht. «Nessuno ti biasima, se hai troppa paura...»

«No!» lo interruppe Edmund, con foga. Non si era certo aspettato di venir scelto, ma non era disposto a farsi dare del codardo e a fare la figura dell'idiota di fronte a tutta la scuola. «Sono pronto ad assumermi i miei doveri di campione e ad affrontare tutte le prove che mi saranno richieste» recitò con convinzione, mettendo a tacere qualsiasi protesta. Mama Hope gli lanciò delle occhiate risentite, la O'Gara sbuffò con disapprovazione, Diablaiocht gli rivolse un sorriso sottilmente perfido. Forse stava sperando che ci lasciasse la pellaccia.

«Be', direi che è fatta!» esclamò il professor Captatio, dopo un attimo di silenzio. «Ecco qui i nostri tre giovani campioni!»

La sua parola fu quella definitiva: alcuni a malincuore, ma tutti furono costretti ad accettare il fatto che Edmund Burke fosse il campione per il Trinity. Ci furono le foto di rito, qualche sobrio commento da parte delle autorità per l'articolo del Corriere, e le indicazioni pratiche su quando e dove si sarebbe svolta la prima prova (il 24 novembre, nello spiazzo vicino al campo da Quidditch).

Solo dopo un'ora abbondante, il professor Captatio congedò i suoi ospiti. Edmund finse di essere particolarmente interessato alle decorazioni del soffitto e lasciò che uscissero tutti. Ci impiegò parecchio tempo a decidere di voltarsi verso Captatio: non era sicuro di quello che avrebbe trovato.

Ma lui sorrideva allegro.

«Professore, a lei va bene che io sia campione?» gli chiese a bruciapelo. Aveva bisogno di sentire la sua rassicurazione.

Il preside gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla. «Ti ha scelto il Gargoyle e, pensa, ha scelto proprio te, il più giovane e il più inesperto di tutti i candidati. Forse perché ha visto in te molta più forza di volontà e capacità magiche di quante gli altri, e Mama Hope in particolare, vogliano ammettere».

Edmund abbassò gli occhi sul pavimento. Sì, lo sapeva che era stato scelto perché era migliore, e questo gli dava una sensazione di selvaggia onnipotenza, ma lui aveva bisogno di sentire il parere di Captatio. «Lo so, ma... per lei va bene?» domandò ancora, tornando a guardare il professore.

Captatio gli rivolse un sorriso furbo. «Edmund, se avessi voluto impedirti di provare a dire il tuo nome al Gargoyle, avrei trovato il modo di farlo».

E allora Edmund capì: Captatio gli aveva lasciato appositamente l'opportunità di tentare, di candidarsi come campione. Gli aveva offerto una possibilità, come se avesse dimenticata aperta la porta delle buone occasioni. Era stato poi il Gargoyle a sceglierlo e questo non dipendeva da Captatio, ma solo da lui e dalle sue qualità.

Il ragazzo si lasciò sfuggire un sorriso. «Grazie, signore».

Captatio rispose dandogli un buffetto su una guancia. «Avanti Edmund, sono sicuro che i Raloi avranno preparato una festa con i fiocchi in sala comune. Sarebbe un peccato farli attendere!»


Edmund dubitava fortemente che qualcuno avesse preparato una festa per lui, ma dovette ricredersi quando, varcata la soglia della sala comune dei Raloi, si ritrovò circondato da compagni ululanti. Erano stati preparati degli striscioni verdi con incitamenti per il campione, qualcuno aveva trafugato dalla cucina bevande, torte e tartine, dei piccoli fuochi d'artificio del dottor Filibuster volteggiavano sibilando per la stanza.

«Ben fatto, Edmund!» esclamò Iulius, dandogli amichevoli pacche sulla spalla.

«Complimenti!» gli disse un tizio più grande del quale non sapeva nemmeno il nome, stringendogli la mano.

«Un campione Raloi, alla facciaccia delle altre case!» gridò Seamus, il battitore della squadra, alzando il boccale verso il soffitto per un brindisi.

Dopodiché fu il turno di Peig Kenneth, una sua compagna del quarto anno, che gli prese il viso tra le mani e gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia.

«E questo cos'era?» domandò Edmund, preoccupato, guardandola con gli occhi sgranati.

Peig ridacchiò deliziata. «Il premio per il campione!»

E non fu l'unica. Dopo di lei, anche la sua amica Ailis lo baciò, e poi anche Beatrix Connery, e Era McKonnit, la battitrice della squadra di Quidditch e poi una miriade di ragazze che non aveva neanche mai visto.

Solo quando riuscì a liberarsi dai festeggiamenti, raggiunse Mairead, accoccolata su una poltroncina in un angolo a sorseggiare della Burroguinness. Stava ridacchiando della sua faccia esasperata. «Non ti aspetterai che ti baci anche io, vero?» gli domandò con un sogghigno.

«No, certo che no!» esclamò Edmund di getto. Però, forse, un pochino ci aveva sperato. «Ne ho ricevuti abbastanza per una vita intera, di baci» borbottò alla fine, per giustificarsi, lasciandosi cadere sulla poltrona a fianco dell'amica.

«Come ti senti?» gli chiese Mairead, porgendogli la sua Burroguinness.

Edmund la prese e ne bevve un lungo sorso. «Un po' frastornato» rivelò infine, con un sospiro.

«Sei spaventato per la faccenda delle prove?» indagò la ragazza, guardandolo di sottecchi. Sembrava aver intuito che, sotto l'euforia per essere diventato campione, doveva nascondersi una certa preoccupazione.

Edmund le rivolse un sorriso tirato. «Un tantino» confessò in un sussurro.

Mairead allora gli afferrò la mano che teneva adagiata sul bracciolo della poltrona e gliela strinse con forza. «Ed, qualsiasi cosa succeda, puoi sempre contare su di noi» gli disse, rivolgendogli un sorriso incoraggiante.

Edmund annuì con riconoscenza. Quel semplice contatto con la mano sottile di Mairead valeva più di mille baci.



Et voilà! (sarà scritto giusto? Bah...)

Comunque, avevo detto ad alcuni di voi che il modo in cui Edmund aveva superato la linea d'età era piuttosto semplice, in verità... bastava solo analizzare il problema da un'altra prospettiva! ;-)

Insomma, avevate dei dubbi sul fatto che avrei fatto partecipare Edmund come campione? Lui è... be', molto meglio di Connery o Deamundi! Certo, si lamenta tanto della boria di Wedge ma neanche lui è da meno!

QUI, tanto per cambiare, l'immagine del capitolo: i tre campioni, ovviamente, con le rispettive divise scolastiche. È colorato a matita perché io mando influssi negativi per cui ogni apparecchio tecnologico più complesso di una calcolatrice (non scientifica) va in palla quando entra in contatto con me. Per dirla semplice, il mio tablet per disegnare è morto e defunto (e anche lo scanner, in realtà... insomma, mi odiano tutti!). Per cui, tutti i prossimi disegni saranno a matita! Abbiate pazienza!

Bene, spero di avervi stupiti almeno un po' con questo capitolo. Alla settimana prossima!

Beatrix



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Capitolo 13
*** Il peso della fama ***


CAPITOLO 13

Il peso della fama





Nelle settimane successive, Edmund ebbe l'impressione che, dovunque andasse, c'era qualcuno che lo seguiva con lo sguardo. A quanto pare, anche i muri avevano imparato che lui era Edmund-Burke-quarto-anno-Raloi-campione-troppo-giovane-ma-ugualmente-scelto-dal-Gargoyle. E gli sembrava proprio che la gente avesse preso a fissarlo, come se si aspettassero di vederlo compiere magie oscure e straordinarie da un momento all'altro. Un giorno sentì un ragazzino dei Llapac che spergiurava di averlo visto lanciare fiamme dalle dita.

«È assurdo tutto questo!» sbottò Edmund un pomeriggio di metà novembre, mentre sedeva in una delle aule studio per ripassare Pozioni insieme a Mairead e Laughlin. Proprio in quel momento, alcune ragazzine del primo anno che lo fissavano da parecchio tempo distolsero lo sguardo con dei risolini imbarazzati.

«Ah, la fama ha un prezzo!» recitò Laughlin, forse con un pathos eccessivo. Scambiò un'occhiata eloquente con Mairead, poi i due scoppiarono a ridere, facendo imbestialire ancora di più Edmund.

«Oh, Burke, eccoti dov'eri!» esclamò Chaitaly, comparendo dal nulla.

«Ciao» la salutò Laughlin, rivolgendole un sorriso luminoso.

«Oh, ciao Laughlin» rispose Chaitaly e poi rivolse un cenno di saluto anche a Mairead. La campionessa indiana aveva uno sguardo calamitante e movenze aggraziate, che emanavano un fascino orientale. Non era difficile capire perché Laughlin le sorridesse.

«Che succede, Chaitaly?» domandò Edmund, chiudendo il libro di Pozioni.

«Il professor Captatio ci sta cercando» spiegò la ragazza.

Edmund ripose il libro in borsa con aria rassegnata, poi salutò gli amici e fu costretto a seguire Chaitaly verso la presidenza.

Dopo qualche minuto di silenzio, Chaitaly si voltò verso Edmund con un sorriso. «Sai, non è male il tuo amico» ridacchiò deliziata.

«È il fascino del biondo» rispose saggiamente Edmund, quando ormai erano arrivati davanti all'ufficio del preside. I due ragazzi salirono la scala a chiocciola che portava allo studio del professor Captatio e non furono affatto stupiti di trovarvi anche gli altri presidi e Hewa Wedge. C'era anche un altro mago piuttosto anziano, con due occhi grandi ma stranamente incolori e uno strano sorrisetto che gli arricciava gli angoli della bocca.

«Ecco qui i due ritardatari!» esclamò allegro Captatio. «Guardate cosa è stato preparato per voi!» disse, mostrando loro un piccolo scrigno di velluto con tre spille.

Tutte e tre recavano la scritta “Campione”, ma Edmund immaginò che la sua fosse quella al centro, perché aveva disegnato lo stemma del Trinity College. Wedge afferrò con orgoglio quella a sinistra, con uno stemma simile ad una bandiera e al centro un pugno nero. Chaitaly, invece, prese quella a destra, sulla quale era raffigurato un elefante bianco su sfondo azzurro. Solo quando gli altri campioni si furono orgogliosamente appuntati la spilla al petto, Edmund si rassegnò a prendere la sua. Captatio gli rivolse un'occhiata divertita: evidentemente trovava la cosa particolarmente spassosa.

Edmund sbuffò.

Fantastico. Così, se qualcuno avesse avuto dubbi sul fatto che Edmund Burke era il campione del Trinity, gli sarebbe bastato gettare lo sguardo sulla spilla-a-prova-di-stupidi.

«Siete davvero carini» ridacchiò il professor Captatio, osservandoli insieme. «Comunque, questo è il signor Olivander, il fabbricante di bacchette. Deve controllare che le vostre siano a posto prima che cominci il Torneo» spiegò, indicando il mago anziano.

«Vogliamo cominciare da lei, signor Wedge?» chiese l'uomo, facendosi dare la bacchetta dal ragazzo di colore. La analizzò per qualche istante, poi sussurrò: «Dodici pollici e mezzo, legno di baobab e piuma di Fwooper, abbastanza rigida. Niente male».

La agitò in aria e, pronunciando un incantesimo, rimise in ordine i libri sparsi sulla scrivania del professor Captatio.

Il preside ridacchiò. «Troppo buono, signor Olivander. Se vuole venire più spesso a mettere in ordine» mormorò, dopodiché strizzò l'occhio in direzione di Edmund, che represse una risatina.

«La bacchetta è in buone condizioni» decretò il signor Olivander, ignorando completamente la battuta di Captatio e restituendola a Wedge. «Signorina Hiranmay?»

Chaitaly porse al mago la sua bacchetta, che era decorata da riccioli di legno e aveva incastonata sul fondo una pietra azzurra. Nel complesso era aggraziata, perfetta per la sua padrona.

«Mmmm... dieci pollici e mezzo, legno di betulla e pelo di Demiguise, piuttosto flessibile. Interessante» commentò il signor Olivander, pensieroso. «È in grado di rendersi invisibile, vero?»

«Sì, signore» rispose Chaitaly, nascondendo perfettamente il suo compiacimento. «È per questo che ha quella pietra sul fondo: se desidero nascondere la mia bacchetta, essa si rende invisibile e l'unica cosa che rimane è l'acquamarina».

«Un oggetto magico molto raro, almeno quanto il pelo di animale che contiene. Di solito il manto dei Demiguise viene filato per fare i mantelli dell'invisibilità» commentò il signor Olivander, visibilmente colpito.

«Appartiene alla mia famiglia da secoli» spiegò Chaitaly, con un certo orgoglio.

L'anziano mago la agitò in aria, sussurrando: «Avio» e una mancata di canarini gialli riempì lo studio di Captatio. «In ottime condizioni» appurò soddisfatto, restituendola a Chaitaly.

Infine, il signor Olivnder si voltò verso Edmund. «Signor Burke, il più giovane campione» disse l'uomo, facendosi avanti con quei suoi inquietanti occhi color dell'argento. Sembrava che volesse studiarlo come una cavia da laboratorio. «A lei, ora».

Edmund estrasse la sua bacchetta di tasca con riluttanza: non gli piaceva per nulla quel tizio.

Il signor Olivander osservò la bacchetta per qualche attimo. «Un lavoro di O'Tunnel, vero?» domandò, ma non attese una risposta. «Non lavora male, ma ovviamente il suo giro è limitato ai clienti irlandesi. Nessun altro potrebbe accettare bacchette con anima di piume di Augurey» borbottò, come se i presenti fossero interessati alla conversazione. «Comunque, signor Burke, tredici pollici, legno di abete e crine di Kelpie, rigida. Un bel lavoro, non c'è che dire, ma di solito il crine di Kelpie, per la natura ingannevole dell'animale, viene usato per bacchette molto potenti ma particolarmente volubili. Deve avere un cuore saldo per dominarla...»

Il signor Olivander la agitò nell'aria pronunciando un semplice incantesimo che fece sbucare un fazzoletto rosso dalla punta della bacchetta. Poi tornò a fissare Edmund con quei suoi occhi velati.

«... o rischia di essere sopraffatto dal suo devastante potere» concluse, restituendo la bacchetta al suo proprietario.

Edmund la afferrò saldamente e fissò il mago dritto negli occhi. «Non tema, ne farò buon uso».


La mattina della prima prova, Mairead si svegliò piuttosto presto, ma di Edmund non c'era già più traccia, né in sala comune né in Sala Mor. Probabilmente la tensione lo aveva indotto a cercare di evitare i compagni prima della sua prova.

Quando Mairead scese per fare colazione, comunque, molti studenti erano già in piedi, perché nessuno voleva perdersi lo spettacolo. Mairead bevve in silenzio il suo latte, ascoltando i discorsi dei suoi compagni Raloi Iulius e Anneus, che stavano ipotizzando in che cosa consistesse la prova. Anneus sembrava più che convinto che si trattasse di dover affrontare creature pericolose come dullahan o cose del genere.

«Se', draghi adesso!» sbottò Iulius, dopo l'ennesima ipotesi folle dell'amico. «Ma ti pare che possano prevedere delle prove così pericolose?»

Finita colazione, Mairead lasciò i suoi compagni a discutere e si avviò verso l'ingresso, per cercare di intercettare Laughlin. Lo dovette aspettare quasi per mezz'ora, tanto che ormai quasi tutti gli studenti si stavano dirigendo verso il luogo dove si sarebbe svolta la prova.

«Laugh! Muoviti!» gli strillò contro, quando lo vide arrivare insieme a Dominique con tutta calma.

«Sì, sì, dammi almeno il tempo di fare colazione!» replicò Laughlin, con uno sbuffo.

«Veloce, però!» gli concesse Mairead, ben sapendo quando fosse importante il primo pasto della giornata per il suo amico. Nel frattempo, si sedette sui gradini ad aspettali, osservando le persone che passavano dirette verso l'esterno.

«Ehi, Faonteroy!» chiamò Mairead quando vide il cugino.

Il ragazzo si fermò più per buona educazione, che per reale intenzione di conversare con l'esuberante Raloi. Si era addirittura presa la libertà di salutarlo quando si incontravano per i corridoi! Senza nemmeno chiedergli il permesso!

«Ehi, perché non vieni con me ad assistere alla prima prova?» gli chiese Mairead con un grosso sorriso.

«Credo che sarebbe più conveniente restare divisi per casa» replicò Faonteroy, in tono diplomatico.

«Non dire scemenze!» lo rimbeccò Mairead. «Aspettiamo Laughlin e Dominique e poi andiamo tutti assieme».

Faonteroy soffocò una protesta: aveva realizzato da tempo che era perfettamente inutile ribellarsi alla volontà di Mairead. Mugugnò qualcosa, ma alla fine accettò di andare insieme ad assistere alla prova. Dopo qualche attimo di silenzio, aggiunse, come sovrappensiero: «È un tipo strano, sai, il tuo amico Maleficium. Voglio dire, è un nobile ma non si comporta come tale».

«Laughlin è un grande!» replicò Mairead, con convinzione. «Ha imparato da suo padre a non andare in giro a vantarsi per quello che è; lui è nobile qui» e con queste parole sfiorò con l'indice il petto di Faonteroy, proprio all'altezza del cuore. «Questa è la vera nobiltà, cugino. Tienilo sempre a mente».

Faonteroy osservò per qualche momento la mano di Mairead, ancora poggiata sul suo petto, poi annuì. Era ancora troppo piccolo per capire quelle parole, ma le aveva interiorizzate e, anche se non poteva saperlo, presto o tardi gli sarebbero tornate utili.

«Ehilà!» esclamò Laughlin, sopraggiungendo proprio in quel momento insieme a Dominique. Mairead si alzò da terra e i quattro ragazzi si unirono alla colonna di gente che usciva da scuola.

«Padre Rafael, buongiorno!» salutò Dominique, quando riconobbe il cappellano del Trinity che sbucava dalle scale che conducevano ai sotterranei.

«Buongiorno a voi, ragazzi» rispose il mago, con un sorriso sincero.

«Viene anche lei ad assistere alla prima prova?» domandò educatamente Laughlin.

«Non posso certo perdermi un evento del genere» rispose il prete, allegro. Poi i suoi occhi saettarono su Faonteroy, che si trascinava apatico dietro a Mairead. «Ah, O'Brian. Sei il figlio di Teudilascius, non è vero?» gli chiese.

«Sì, signore» rispose Faonteroy, felice che qualcuno riconoscesse le sue origini nobili.

Padre Rafael sogghignò. «Conoscevo tuo padre. A scuola noi eravamo...» soppesò per un attimo le parole più adatte, infine scelse per un: «...buoni amici».

Sorrise. «A parte forse per quell'episodio increscioso in cui gliele diedi di santa ragione...» soggiunse poco dopo, come ripensandoci. «Ma quella volta se le era proprio meritate».

Faonteroy inorridì di fronte alla prospettiva che qualcuno avesse malmenato suo padre. Alla Babbana. E quel qualcuno ora era un prete che ricordava l'accaduto con un sorriso divertito, come se parlasse delle sue ultime vacanze. Era estremamente imbarazzante.

«Ma fu appunto... un episodio» esclamò allegro padre Rafael. «Per il resto, ottimi amici. A parte, forse, quando la fidanzata del mio amico Reammon aggredì a tradimento quella di tuo padre perché era gelosa di lei, o quando, durante una lezione di Cura delle Creature Magiche gli feci ingoiare una lumaca carnivora che quasi lo strangolò» il prete si interruppe per una frazione di secondo. «Ma anche quella volta se l'era meritata» sentenziò infine, con un sorriso soddisfatto.

Faonteroy, in compenso, era sempre più inorridito, gli occhi verdi sgranati verso il cappellano, la bocca semiaperta.

«Oh, be', bei tempi!» mormorò nostalgico padre Rafael. «Salutamelo tanto, eh!» soggiunse poco dopo, con una pacca sulla spalla di Faonteroy. Infine rivolse a tutti un gran sorriso e si affrettò a raggiungere il professor Saiminiu che stava passando proprio in quel momento.

Ci fu un attimo di silenzio. E poi Faonteroy, inorridito, realizzò: «Mio padre era oggetto di bullismo a scuola».

«Ma no!» cercò di rincuorarlo Mairead, passandogli il braccio intorno alle spalle. «E tu, comunque, non ti devi preoccupare: puoi sempre contare sulla tua cuginona!» aggiunse, con una strizzata d'occhio.

Faonteroy si irrigidì, incerto se essere più inorridito dalla possibilità di essere aggredito da qualche bullo o dall'offerta di aiuto dell'esuberante cugina.

Laughlin, nel vedere la sua smorfia allarmata, sogghignò. «Forza, ora, muoviamoci, o la prova comincerà senza di noi».

E i quattro ragazzi attraversarono insieme il grande portone d'ingresso della scuola.



Ecco qui, un capitolo un po' di passaggio, in realtà!

Però, devo ammettere, mi sono divertita un sacco a improvvisarmi fabbricante di bacchette! Ho scelto il legno con cognizione di causa: baobab per Wedge perché è una pianta tipicamente africana, betulla per Chaitaly perché il suono di questa parola mi sembra aggraziato (lo so, è una cosa stupida, ma mai sottovalutare il potere delle parole!) e abete per Edmund perché è un albero che mi piace (e mi pare fosse lo stesso della bacchetta della McGranitt, quindi particolarmente inclinata alle trasfigurazioni!). Quanto agli animali, mi sono ispirata al libro “Animali fantastici: dove trovarli”; li ho scelti in base alla terra di appartenenza dei campioni e poi ho cercato di far corrispondere ad ogni bacchetta delle particolari caratteristiche legate all'animale. Qui l'articolo che si trova in internet sui Kelpie, qui quello sui Demiguise (o Camufflone in alcune versioni), qui quello sui Fwooper.

QUI, invece, il disegno delle spille-a-prova-di-stupidi di ciascun campione (così vedete gli stemmi delle varie scuole!).

Quanto a Faonteroy, ve l'avevo detto che Mairead l'avrebbe tartassato per bene! Povero, mi fa quasi pena! ^^ Ovviamente, le disavventure di cui parla padre Rafael sono le stesse di “Vita da Fuorilegge”, più qualche new entry (quella della lumaca carnivora!). Per chi non avesse letto l'altro racconto, be'... padre Rafael non era proprio un tipino tranquillo da ragazzo! XD

Ok, basta con queste chilometriche note d'autore! Alla prossima!

Beatrix

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Capitolo 14
*** La paura della solitudine ***


CAPITOLO 14

La paura della solitudine





La mattina della prima prova Edmund si svegliò talmente presto che fuori era ancora completamente buio. Aveva dormito male, continuando a svegliarsi e rigirarsi nel letto, con lo stomaco in gola. Razionalmente cercava di calmarsi, dicendo a se stesso che la prova non poteva rivelarsi nulla di così tragico, ma il suo corpo aveva smesso di obbedirgli: non poteva impedire al suo cuore di battere all'impazzata o al suo stomaco di contorcersi in modo innaturale.

Dopo aver affondato la testa sotto il cuscino per almeno dieci minuti, nella speranza di riaddormentarsi, si rassegnò ad alzarsi. Approfittò dell'ora mattutina per fiondarsi a fare una doccia bollente senza nessuno in giro, cercando di rilassarsi. Dopo aver indossato divisa e mantello e aver appuntato la spilla al petto, si diresse verso la Sala Mor, anche se, in realtà, il solo pensiero di fare colazione gli faceva venire l'urto del vomito: il suo stomaco era accartocciato su se stesso. Rimase seduto sulla panca a fissare il suo toast con la marmellata per almeno dieci minuti, mentre gli studenti più mattinieri cominciavano a riempire la sala. Parecchi lanciavano sguardi divertiti a Edmund, che realizzò di dover avere una gran brutta cera.

«Ehi, Burke! Hai ingoiato cacca di Thestral o quella è proprio la tua faccia?» sghignazzò Ailionora Diablaiocht, entrando in sala, spalleggiata come sempre dai suoi amici Leida O'Hara e Finan Best.

«No, sai... è che non sei una bella visione di prima mattina, Diablaiocht» rispose Edmund con sagacia, strappando qualche risatina ai compagni Raloi. Dopodiché si alzò da tavola e lasciò la Sala Mor senza nemmeno aver toccato il suo toast. Sapeva che fra qualche ora il suo stomaco si sarebbe ribellato, ma ora era decisamente sull'orlo di una crisi di nervi.

Quando uscì dalla scuola per raggiungere lo spiazzo a fianco del campo da Quidditch, capì subito che c'era qualcosa che non andava. Da quando in qua, in quel prato c'era una foresta? A dir la verità, era sempre stata una zona piuttosto spelacchiata. Ma, soprattutto, com'era possibile che quel bosco fosse cresciuto in una sola notte? Doveva essere il risultato di una qualche magia.

«Inquieta, non è vero?» domandò Chaitaly, sopraggiunta alle sue spalle proprio in quel momento.

Edmund annuì, troppo agitato per parlare. Quella foresta incantata doveva sicuramente avere qualcosa a che fare con la prima prova. I due ragazzi si scambiarono un'occhiata, poi insieme si diressero verso il padiglione che era stato eretto poco fuori dall'entrata del bosco.

Quando entrarono, vi trovarono solo il preside Singh che fumava placidamente una lunga pipa. «Siete in anticipo, ragazzi» li salutò, con tranquillità. Sembrava perfettamente imperturbabile. Anche se, ragionò Edmund, non era lui che stava per sostenere una prova.

I due campioni si sedettero sulle panchine ad attendere gli altri, troppo tesi per parlare. La presenza del preside Singh e della sua aurea di tranquillità, inizialmente, fu confortante, ma poi divenne quasi snervante: possibile che nulla potesse turbarlo? Edmund avrebbe preferito sfogarsi, invece che sopportare quella silenziosa serenità.

Per fortuna, dopo circa tre quarti d'ora arrivarono anche gli altri e il padiglione divenne un po' più movimentato. Captatio era allegro ed eccitato: sembrava un bambino che non vedeva l'ora di provare il suo nuovo giocattolo. «Allora, ragazzi!» esclamò, richiamando l'attenzione dei tre campioni. «La prova che dovrete affrontare è molto semplice: attraversare la foresta, recuperare il piccolo scrigno che si trova nella radura al centro e uscirne indenni. Il primo ad arrivare otterrà un punteggio più alto. Semplice, no?»

Edmund lanciò una veloce occhiata a Chaitaly e capì che anche lei sospettava che ci fosse sotto qualcosa di più.

«Nella foresta, sarete seguiti da degli Argo» aggiunse Mama Hope, estraendo da un sacchetto di pelle tre sofisticati macchinari d'argento.

«Strumenti per catturare maghi oscuri?» borbottò Edmund, convinto che fosse un'esagerazione. Aveva letto di quei macchinari in un libro che parlava degli Auror: erano specie di sfere argentate che rilevavano tutto ciò che avevano intorno e ricreavano le stesse immagini su un disco a specchio appoggiato in terra, come degli ologrammi. Di solito venivano camuffati e messi alle calcagna di sospettati. La cosa gli sembrava decisamente eccessiva.

«È per la vostra sicurezza» spiegò il professor Capatio, regolando i tre Argo perché ognuno seguisse un campione. «Comunque, per qualsiasi problema, sparate in aria scintille rosse e saremo subito da voi».

Captatio rivolse a tutti loro un sorriso incoraggiante, poi li fece posizionare al limite della foresta, distanti ciascuno una decina di metri. «Noi vi attendiamo dall'altra parte del bosco. Quando sentite il fischio, partite» spiegò. «Buona fortuna a tutti!» e con un ultimo occhiolino rivolto a Edmund, si affrettò a seguire i suoi colleghi verso la carrozza che li avrebbe portati alla tribuna.

Edmund era stato posizionato per ultimo sul lato destro. Lanciò una veloce occhiata a Chaitaly, alla sua sinistra, che gli rivolse un sorriso teso. Circa cinque minuti dopo, si sentì un fischio penetrante provenire da qualche parte più a est. I tra campioni si gettarono a capofitto nel bosco. Nel frattempo, la mente di Edmund fece dei rapidi calcoli: se la carrozza ci aveva impiegato poco meno di cinque minuti, con una velocità media di 20 km all'ora, la foresta doveva essere lunga tra i due e i tre chilometri. Ci sarebbe voluta quasi un'ora per attraversarla tutta.

Per i primi metri, gli alberi erano abbastanza radi e lasciavano filtrare raggi di luce, tanto che riusciva perfettamente a scorgere la sagoma di Chaitaly che procedeva con la bacchetta levata davanti a sé.

Ma dopo pochi minuti di cammino, il sottobosco divenne fitto, i rami degli alberi intricati e nodosi, le radici sporgenti. L'ambiente si trasformò in uno scenario cupo, in cui la luce faticava a penetrare. Edmund cominciò ad agitarsi, la mano sudaticcia che stringeva convulsamente la bacchetta. Non si sentiva nessun verso di animale, nessun suono, se non il tranquillo pigolare del suo Argo e lo scricchiolare dei rami e delle foglie cadute sotto i suoi piedi. L'umidità era talmente perforante che sembrava di sentirla fin dentro alle ossa. Edmund si strinse nel mantello di lana per ripararsi dal gelo. Il suo fiato si condensava in nuvolette di vapore davanti ai suoi occhi e nonostante cercasse di inumidire le labbra con la lingua, gli bruciavano e gli si screpolavano per il freddo.

Procedette per parecchio tempo nel silenzio più assoluto, con il suo battito cardiaco accelerato come unica compagnia. Aveva i nervi a fior di pelle, pronto a scattare di fronte a qualsiasi evenienza. Possibile che non ci fosse nulla di mostruoso? Avrebbe preferito affrontare uno stormo di draghi, piuttosto che restare lì sospeso in quell'oscura foresta, ad attendere chissà cosa.

Improvvisamente un qualcosa di bagnato piombò in testa a Edmund, che scattò come se avesse visto un Gramo e sollevò in alto la bacchetta.

Pioggia. Era solo pioggia: dei grossi goccioloni di acqua, che erano riusciti a trapassare la coltre fitta di rami, piovevano placidi dal cielo.

Calmati, Edmund, calmati. si disse il ragazzo, prendendo dei lunghi respiri. Rimase immobile per qualche secondo, lasciando che la pioggia gli bagnasse il viso, nel tentativo di tranquillizzarsi. D'un tratto gli venne una terribile voglia di piangere, ma si trattenne ricordandosi che tutti lo stavano guardando grazie ad Argo.

Avanti, sei un coraggioso Raloi o sei un pisciasotto? cercò di convincersi Edmund. In quel momento si sentiva più un pisciasotto, in realtà. Si calò il cappuccio sul capo e cercò di distinguere le sagome degli alberi davanti a sé, ma con la pioggia la foresta era diventata ancora più spettrale. «Lumus» sussurrò, nel tentativo di farsi un po' di luce.

Procedette a casaccio nel bosco per ancora qualche metro, quando sentì un rumore improvviso alle sue spalle. Si voltò di scatto con la bacchetta levata pronta a colpire, ma si fermò appena in tempo: la figura di Chaitaly, imbacuccata in uno scialle, era appena comparsa tra due alberi.

«Santo folletto, Chaitaly, mi hai quasi fatto venire un infarto!» sbottò Edmund, abbassando la bacchetta, visibilmente rincuorato. L'adrenalina si sciolse in un attimo e gli venne l'irrefrenabile impulso di svuotare la vescica. Stupidi bisogni fisiologici! pensò contrariato, reprimendo una smorfia.

«Scusami, Edmund» mormorò Chaitaly, in tono flebile. A giudicare dalla sua voce, lei si che doveva aver pianto. «Io vado di là, ok?» soggiunse e con quelle parole sparì nel folto del bosco.

Edmund sospirò. Non c'era nulla di pericoloso in quella maledetta foresta, ma erano tutti terribilmente spaventati. Come se avessero paura della paura stessa. Quando aveva riconosciuto Chaitaly si era sentiti rinfrancato, perché la sua vicinanza gli aveva ricordato che non era solo, ma ora che lei era sparita, il suo cuore nuovamente atterrito aveva ricominciato a battere all'impazzata.

Deglutì. Buio, pioggia e silenzio.

Avanti, doveva trovare quel maledetto scrigno. Cercò di vincere la paura con dei ragionamenti logici: non c'era nulla da temere, era solo frutto della sua immaginazione. Tutto era dato dal fatto che, in qualsiasi cultura del mondo, le foreste avevano una pessima fama: lupi mannari, ragni giganti, spiriti dei morti, ogni sorta di pessima creatura viveva in un bosco. Era la foresta stessa a fare paura. Ma non c'era nulla di pericoloso.

Vano tentativo. Il suo corpo aveva ormai smesso di rispondere ai suoi ordini: lo stomaco contratto, il cuore che batteva a mille, la vescica che premeva... sospirò. Poteva dire di essere completamente terrorizzato.

E poi accadde. Un rumore, alle sue spalle, qualcuno che si stava muovendo. Agì d'impulso. «Stupeficium!» gridò puntando la bacchetta a casaccio.

«Impedimenta!»

E un raggio di luce gli sfiorò l'orecchio.

Ma aveva riconosciuto la voce che aveva lanciato l'incantesimo. «Chaitaly, fermati, sono io!» gridò preparandosi a parare con un sortilegio scudo, se fosse stato necessario. Per fortuna la ragazza indiana lo sentì e abbassò la bacchetta. Edmund le rivolse un sorriso tirato. «È meglio se non ci incontriamo più, o finiremo per ammazzarci» buttò sul ridere.

«No!» strillò Chaitaly, con la voce rotta dall'ansia. «Ti prego, non mi lasciare!»

«Cosa?»

Chaitaly represse un singhiozzo. «Io... non ce la faccio ad andare avanti, ma non voglio ritirarmi. Ti prego, non mi lasciare qui» mormorò, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

Edmund sapeva che non avrebbe dovuto darle retta, perché erano avversari e stavano gareggiando uno contro l'altra, ma Chaitaly sembrava sul punto di avere una crisi di panico. E non ebbe il cuore di lasciarla lì. Fece la cosa più spontanea che gli venne in mente: allungò il braccio verso di lei e le rivolse un sorriso incoraggiante. «Forza, su, dammi la mano».

Chaitaly si lasciò sfuggire un sospiro. Poi si asciugò velocemente le lacrime e afferrò la mano che le veniva offerta. «Grazie» mormorò con un cenno del capo.

Edmund non era affatto sicuro che quello fosse permesso. Insomma, erano sfidanti! Eppure la mano fredda e sottile di Chaitaly stretta nella sua lo rassicurava e gli infondeva forza, non perché lei rappresentasse in qualche modo una difesa, ma più che altro per il fatto che la sua presenza faceva scivolare lontano la sciocca paura della foresta. Era meglio affrontarla in due.

Insieme raggiunsero indenni la radura al centro del bosco. Tre piccoli scrigni erano stati adagiati ai piedi di un grosso salice.

«Cielo, siete campioni, non una coppia di fidanzatini!»

Edmund si girò con la bacchetta ritta davanti a sé: Hewa Wedge era appena giunto alla radura e aveva un ghigno di scherno stampato in faccia. Edmund lasciò immediatamente la mano di Chaitaly, come se fosse stato colto in flagrante a compiere qualche orribile delitto.

«Puoi giocare al grande campione quanto vuoi, Burke, ma non mi inganni: sei solo un ragazzino e non riuscirai a vincere» decretò Wedge, chinandosi a prendere lo scrigno con lo stemma della sua scuola stampato sul coperchio.

«Lo vedremo» rispose Edmund, con astio.

Ma proprio in quel momento il salice tremò e uno dei suoi rami piombò a terra, ad un soffio dal naso di Wedge. Chaitaly strillò e Wedge si scansò di lato appena in tempo per evitare un secondo colpo. Ma poi un ramo più sottile frustò l'aria e si attorcigliò attorno alla caviglia del nero, sollevandolo da terra a testa in giù di un paio di metri.

Edmund agì d'impulso: qualcuno era in pericolo. Alzò la bacchetta e gridò: «Recido!»

L'incantesimo colpì in pieno il ramo del salice, che si tagliò di netto, facendo crollare malamente a terra Wedge. Ma il ragazzo non perse tempo: si mise sotto braccio il suo scrigno e si allontanò velocemente dall'albero.

Edmund rimase immobile a fissarlo. Si aspettava almeno un “grazie” per averlo salvato. La sua attesa, però fu mal ricompensata. Invece di ottenere i ringraziamenti dell'avversario, restò fermo troppo a lungo e un grosso ramo del salice lo frustò in piena faccia.

Il dolore fu accecante. Edmund boccheggiò, indietreggiando di qualche passo, mentre gli occhi cominciavano a lacrimare involontariamente. Si portò una mano al volto e si tastò naso e bocca, ma quello che vide non gli piacque per niente: la mano era inzuppata di sangue, molto sangue. Il suo sangue. «Ahi» mugugnò, mezzo tramortito dal colpo.

Dopodiché un altro ramo gli si arrotolò intorno alla vita e lo strattonò via da terra.

«Ci vediamo, pivello!» sghignazzò Wedge, dandosela a gambe.

«Edmund!» esclamò invece Chaitaly.

«Aiutami!» biascicò Edmund, con la voce mozzata per quel maledetto ramo che gli stritolava i polmoni. Lui l'aveva aiutata, prima, nel bosco. Sperava che fosse un tantino più riconoscente di quell'idiota di Wedge.

Nel vedere il compagno in difficoltà, Chaitaly ritrovò la sua determinazione. «Incendio!» strillò e dalla sua bacchetta si sprigionò un getto di fuoco. L'albero si ritrasse al contatto con le fiamme, lasciando cadere Edmund a terra.

Il ragazzo aveva i senti un po' intontiti, ma riuscì a mormorare: «Accio scrigni» e i due bauletti gli piombarono in pancia. «Ohi» mormorò, con il fiato mozzo, trascinandosi lontano dalla portata del salice. Chaitaly, nel frattempo, copriva la sua ritirata, spedendo vampate di fuoco contro i rami che osavano avvicinarsi a loro. Solo quando furono entrambi sufficientemente lontani, Edmund si concesse di riprendere fiato. Sentiva in bocca sapore ferroso del sangue e aveva la vista annebbiata. Oltre al fatto che sentiva dolore su tutta la faccia.

«Edmund, è meglio se ci muoviamo» lo richiamò Chaitaly, cercando di aiutarlo ad alzarsi da terra. Il ragazzo era un po' intontito e dovette appoggiarsi all'avversaria per restare in piedi. Chaitaly avrebbe anche potuto abbandonarlo lì, come aveva fatto Wedge, ma non le sembrava giusto. Era vero, erano sfidanti, ma lui l'aveva aiutata prima e doveva ricambiare il favore. «Forza, muoviamoci, prima che mi muori dissanguato» tentò di scherzarci sopra.

«Grazie Chaitaly» mormorò Edmund, con un sorriso confuso. «Non ce l'avrei mai fatta senza di te».

Chaitaly annuì. «Nemmeno io ce l'avrei fatta, senza di te, prima» confessò, sistemando meglio il suo braccio intorno alla vita di lui.

E poi, insieme, si avviarono verso l'uscita del bosco.

Quando finalmente videro che gli alberi si stavano diradando, tirarono un sospiro di sollievo. O meglio, Chaitaly se ne accorse e cercò di farlo notare anche a Edmund, che pareva vagare in un altro mondo. «Siamo quasi fuori, forza!» lo incoraggiò. Man mano che procedevano, si udivano sempre più chiaramente le grida degli spettatori che si trovavano sulla piccola tribuna coperta, allestita per l'occasione.

Quando i due ragazzi sbucarono dal folto della foresta, furono accolti da un'ovazione. I presidi, insieme alla O'Gara e a Diablaiocht, erano posizionati dietro al tavolo dei giudici, proprio davanti alla tribuna; ai loro piedi i tre dischi degli Argo. A fianco di Mama Hope, se ne stava Wedge con un'aria trionfante stampata in faccia. I due Argo che ruotavano ancora intorno ai campioni si spensero e le rispettive figure sul disco d'argento sparirono. Una donna grassoccia con un vestito bianco da infermiera si fece loro incontro per soccorrere Edmund. Lo trascinò in un piccolo gazebo che era stato adibito a pronto soccorso. Il ragazzo, troppo intontito per protestare, la lasciò fare.

«Dimmi che gusto c'è a mettere la gente in pericolo e poi guardarla mentre si fa male!» borbottò la donna fermando con un incantesimo il flusso di sangue che gli usciva dal naso.

«Sono stato ganzo, eh?» biascicò Edmund, con un mezzo sorriso.

«Oh, sia zitto signor Burke. Lei è sempre in mezzo ai casini, quando accadono!» replicò l'infermiera Flanders: quattro anni che conosceva Burke, quattro anni che si cacciava nei guai insieme ai suoi due amici. Prima quella storia della Lancia di Lugh, poi la setta degli Eletti e l'anno scorso, addirittura, gli avevano portato in infermeria Maleficium schiantato. Santi numi, un po' di decenza!

Il sorriso di Edmund si allargò. «Sono io che li creo, i casini».

Ma le parole che il professor Captatio stava rivolgendo al pubblico richiamarono la sua attenzione. «Silenzio, silenzio per favore!» ordinò il preside, per acquietare gli animi.

«La prova era individuale, Caius!» sbottò una voce profonda, che Edmund identificò come quella di Mama Hope. «Il tuo campione avrebbe dovuto abbandonare Hiranmay fin da subito!»

Ahi, le cose si stavano mettendo male.

«Ti ricordo, cara Mama Hope, che se Burke avesse abbandonato la mia Chaitaly, non avrebbe nemmeno dovuto aiutare Wedge, quando è stato colpito dal salice» intervenne saggiamente il preside Singh, sempre con quella sua aria pacata. «E poi, da quando l'altruismo è considerato un difetto?»

«Sono nei guai, eh?» bofonchiò Edmund, rivolto all'infermiera Flannery.

«Se non te ne stai zitto, ora, ti rifilo un sonnifero!» sbottò la donna, ficcandogli una pallina di cotone per narice.

Edmund mugugnò qualcosa, ma capì che non era il caso di infierire. Lo sguardo gli cadde quasi per caso sul piccolo scrigno, abbandonato sulla panca affianco a lui. Approfittò del momento in cui l'infermiera si girò per recuperare i medicinali, e si gettò sullo scrigno. «Alohobora» borbottò a fatica, per via del naso tappato. Il bauletto si aprì ugualmente. Dentro, era arrotolato un piccolo foglio di pergamena. Edmund lo afferrò, lo stese, e lesse le seguenti parole:


Se nel vuoto ti dovessi tuffare

per dimostrare valore e coraggio,

rifletteresti su ogni passaggio

e l'ingegno tu dovresti affinare.


Forza campione, hai da dimostrare

a ogni persona quanto sei saggio!

Vorresti forse subire l'oltraggio,

o codardo, di cadere nel mare?


Dove la terra finisce nel nulla,

una ferita nel fianco la spacca,

là, dove la nuda terra è più brulla.


Entra nell'antro prima della risacca,

non credere ad immagine fasulla

e torna con d'oro piena la sacca.


Non gli ci volle molto per riconoscere la forma del sonetto, come quelli di Shakespeare che una volta aveva letto all'orfanotrofio.

Che cosa diavolo voleva dire?



Ecco qui la famigerata prima prova! No, non sono pazza... lo so, non succede nulla di pericoloso! Ma, vedete, mi sono ispirata un po' a Star Wars (Episodio V, quando Luke viene invitato da Yoda ad andare in quel punto della foresta dove il Lato Oscuro della Forza è potente), un po' ad un libro che ho letto tempo fa. Non vi dico di che libro si tratta, se no scateno pregiudizi riguardo all'autore (no, non è Moccia, non temete!), ma vi rivelo che ad un certo punto si parlava della paura più grande dell'uomo e l'autore sosteneva che fosse essenzialmente la paura della solitudine (e della morte, che altro non è che l'eterna solitudine). Per questo il bosco spaventa così tanto i bambini: perché sono da soli! Lo spiegherà anche Captatio a Edmund fra un paio di capitoli.

QUI l'immagine di una foresta che mi ha aiutato molto nella stesura del capitolo, mentre QUI il disegno fatto da me medesima (non è un gran che, ma i mezzi tecnologici che ho sono quelli che sono!).

La frase sbruffonissima che Edmund dice alla povera infermiera (“Sono io che li creo, i casini”) è un omaggio alla frase detta da Harry, l'eroe-dal-cuore-puro (“Non vado in cerca di guai, di solito sono i guai che trovano me”), giusto per farvi notare quanto i due protagonisti siano differenti! Aahahah!

Infine, sì, il sonetto l'ho scritto io. Endecasillabi rimati, una vera figata detta così, un incubo da scrivere. Abbiate pazienza, non sono Dante! C'è anche un dodecasillabo da qualche parte perché non sono proprio riuscita a ridurlo, ma non lo scoverete, tanto... quindi non vi dico qual è! XD

A martedì prossimo!

B.B.

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Capitolo 15
*** I doveri di un Campione ***


CAPITOLO 15

I doveri di un campione





Il sonetto ritrovato dentro lo scrigno, si rivelò essere un indizio per la seconda prova. Dopo un buon quarto d'ora di discussioni, i presidi chiamarono davanti a sé i campioni per annunciare il punteggio. Ogni giudice poteva dare al massimo dieci punti, per un totale di cinquanta. Wedge, essendo riuscito ad uscire per primo, ottenne la votazione più alta, di 43 punti. Chaitaly, invece, ottenne un punteggio piuttosto basso, di 34 punti: probabilmente avevano penalizzato la sua paralisi nella foresta.

Quando fu il turno di Edmund, il ragazzo capì che si sarebbe ritrovato in fondo alla classifica. Mama Hope alzò la bacchetta al cielo e ne fuoriuscì un misero cinque. Alcuni fischi acuti partirono dalle tribune, ma la preside li ignorò. Captatio, invece, spedì in alto un bel nove, con una strizzata d'occhio. Il preside Singh gli diede un otto, evidentemente per premiare il suo aiuto nei confronti degli altri due campioni, anche quando avrebbe potuto benissimo abbandonarli a loro destino. Fu poi il turno della O'Gara che, con aria stizzita gli assegnò un sei. Il peggio, però venne da Diablaiocht, che, con un ghignettò di sfida, gli rifilò un quattro, causando grida di protesta da parte degli studenti del Trinity.

«Buoni, buoni» cercò di tranquillizzarli il professor Captatio, sorridendo bonario. «Ora, campioni, dentro lo scrigno c'è un indovinello: risolvetelo e avrete degli indizi su come affrontare la seconda prova, che si terrà il 24 di febbraio» spiegò il professore.

Portandosi le mani al viso per sfregarsi gli occhi, Edmund notò che aveva ancorai i due tamponi di cotone nel naso. Se li levò in tutta fretta, ben sapendo che doveva avere proprio l'aria da idiota.

Fantastico, ultimo in classifica e tre mesi per decifrare un sonetto. Il suo inverno si sarebbe rivelato piuttosto intenso.

Quella sera, in sala comune dei Raloi, era stata organizzata un'altra festa per il campione del Trinity. Qualcuno aveva appeso al muro una gigantografia di Scipio Diablaiocht, che li squadrava con astio: il divertimento maggiore era quello di lanciargli contro freccette infuocate per riuscire a prenderlo prima che si scansasse.

Edmund tuttavia era parecchio stanco, perché l'adrenalina che lo aveva sostenuto durante la prova, abbandonandolo di colpo, lo faceva sentire come se avesse corso dieci maratone di seguito. Lasciò che fossero gli altri a divertirsi per lui, mentre se ne restava sprofondato in uno dei divanetti davanti al fuoco. Mairead continuava a lanciargli delle occhiatine divertite. Dopo la prova si era complimentata con lui, aveva insultato pesantemente Diablaiocht e gli aveva detto che era stato un grande, nella foresta. Edmund realizzò con estrema soddisfazione che le occhiatine le stava lanciando a lui e non a Leonard-Bellimbusto-Connery. Vendetta, dolce vendetta.

Certo non poteva immaginare che presto gli sarebbe stata richiesta una prova ulteriore, che ai suoi occhi era anche peggiore di dover affrontare una foresta incantata. Alla fine dell'ultima lezione di dicembre prima delle vacanze di Natale, il professor Ballerinus richiamò la loro attenzione. Avevano passato due ore a cercare di capire il modi migliori per contrastare le Maledizioni Permanenti e nessuno sembrava invogliato ad ascoltare il professore un attimo di più.

«Consiglio a tutti voi di restare al Trinity per le vacanze di Natale» cominciò a dire Bellerinus, con un sorrisetto. «Dovete sapere che il Torneo Trecolonie prevede, per tradizione, che la notte di capodanno ci sia... un ballo» spiegò allegro, con una strizzatina d'occhio. Sembrava che la cosa lo divertisse profondamente.

La notizia, com'era ovvio, provocò mormorii eccitati soprattutto da parte della metà femminile della classe. Peig Kenneth, addirittura, lanciò un gridolino estasiato.

«Si trattenga, signorina Kenneth!» la rimproverò il professor Ballerinus, ma stava sogghignando.

«Che cosa da femminucce!» sbottò Mairead, con uno sbuffo. Emdund le lanciò un'occhiata di sbieco, ma in realtà tirò un sospiro di sollievo: se Mairead non ci voleva andare, avrebbe potuto risparmiarselo anche lui. Odiava tutto ciò che era legato alla danza.

«Comunque» riprese a dire Ballerinus, «È d'obbligo l'abito da cerimonia. Il ballo durerà dalle otto di sera all'una, con brindisi di capodanno compreso. Siete pregati di comportarvi in modo corretto e di non lasciarvi andare a comportamenti licenziosi, o mi prenderò la briga di togliervi tanti di quei punti che la scala del numeri negativi non sarà abbastanza lunga. Sono stato chiaro?»

Gli studenti annuirono e quando suonò la campanella ci fu un veloce fuggifuggi dall'aula. «Burke, fermati un attimo, per favore» lo richiamò il professore, prima che Edmund potesse defilarsela. Ballerinus aveva una strana espressione in viso, a metà tra il serio e il divertito. «È tradizione che siano i campioni delle tre scuole ad aprire le danze» gli annunciò.

Edmund ci mise parecchi secondi a realizzare la cosa, ma alla fine sbottò un: «Io non ballo, signore».

Il professor Ballerinus ridacchiò. «Be', fossi in te comincerei a prendere lezioni, perché hai due settimane per prepararti».

Edmund storse il naso all'idea di dover volteggiare in sala per aprire le danze. Ma poi, un'altra terribile prospettiva si delineò nella sua testa. «Questo vuol dire... signore... che devo invitare una ragazza al ballo?» domandò scioccato.

Il professor Ballerinus alzò un sopracciglio. «Be', se non vuoi ritrovarti a ballare con un troll di caverna, ti consiglio proprio di sì» e con quelle parole chiuse la conversazione.


Edmund passò la prima settimana di vacanze a scervellarsi non tanto sull'indovinello quando sul trovare le parole migliori per invitare una ragazza al ballo. Che cosa avrebbe dovuto dirle? Ma, soprattutto, chi avrebbe dovuto invitare?

La mattina dell'antivigilia di Natale, Laughlin, Edmund e Mairead si trovavano in un'aula studio al primo piano, quando una ragazzina dei Raloi del secondo anno quasi si catapultò sul loro tavolo. «Vuoi venire al ballo con me?» chiese tutto d'un fiato, rivolta a Edmund.

Lui la fissò con gli occhi sgranati, come se le fosse cresciuto un tentacolo sulla fronte. «No!» esclamò di getto, più che altro per lo sconcerto che gli aveva causato la proposta. La ragazzina scappò via in lacrime.

Mairead e Laughlin si scambiarono un'occhiata, poi scoppiarono a ridere.

«Fai uno strano effetto alle ragazze, Ed» commentò Laughlin, quando si fu finalmente ripreso dalla risata. Ma subito dopo vide passare in corridoio un gruppo di ragazze della Dashi Mahal, tra cui riconobbe anche Chaitaly. «Ehi, ci vediamo a pranzo, eh?» esclamò rivolto ai suoi amici, poi si affrettò a mettere i libri in borsa e ad uscire dall'aula.

«Ma che gli è preso?» domandò Mairead, accennando con il capo a Laughlin.

«E che ne so!» replicò Edmund, anche se ne aveva una vaga idea.

Quel pomeriggio, visto che aveva smesso di nevicare, i tre amici, insieme a Dominique, si ritrovarono in riva al lago per passare il pomeriggio all'aperto. Non si sa bene come, Mairead riuscì anche ad andare a ripescare suo cugino Faonteroy e a trascinarlo fuori.

Edmund, seduto su un masso in riva al lago, era intento a rileggere il sonetto per la centesima volta, tanto che lo sapeva quasi a memoria. Aveva intuito che la prova doveva consistere nel calarsi in una grotta che verosimilmente si trovava nel fianco delle scogliere di Moher, ma il problema era trovare il modo di raggiungerla senza cadere nel mare, come gli ricordava gentilmente la poesia.

«Facciamo una partita a palle di neve!» propose d'un tratto Mairead.

La smorfia terrorizzata che si disegnò sul volto di Faonteroy fu impareggiabile.

«Avanti, i cugini O'Brian contro Dom e Laugh!» esclamò Mairead, ignorando completamente le proteste di Faonteroy.

«Ci sto!» replicò Laughlin, accettando la sfida.

Edmund ringraziò il cielo che Mairead avesse cominciato a tartassare Faonteroy, lasciandolo così in pace. Fino all'anno scorso, sarebbe stato lui a essere trascinato controvoglia in una battaglia all'ultimo sangue, per poi ritrovarsi bagnato fradicio a causa della neve. Questa volta, invece, toccava a Faonteroy.

Lui se ne restò tranquillo accoccolato dentro il suo mantello di lana con un libro tra le braccia. Di tanto in tanto, sbirciava la battaglia in corso: Faonteroy le stava prendendo di santa ragione e ogni volta che veniva colpito piagnucolava rassegnato; i più agguerriti erano senza dubbio Laughlin e Mairead. Edmund si perse via a fissarla: scagliava i suoi proiettili con forza, come se ne andasse della sua stessa vita. Aveva carattere.

Improvvisamente Edmund realizzò che voleva invitare Mairead al ballo. Che idiota che era stato, come aveva fatto a non pensarci prima? Erano amici da anni, sarebbe stato tutto così semplice!

Più o meno.

Al termine della battaglia, quando cominciava ormai a esserci buio, i ragazzi si avviarono nuovamente verso il castello. Faonteroy era completamente fradicio. Piagnucolò per tutto il percorso sulla sua misera condizione, poi si trascinò verso la sala comune dei Nagard per cambiarsi la divisa e mettersi addosso qualcosa di asciutto.

«Come minino si becca un raffreddore colossale» commentò Dominique, con un sorrisetto.

Mairead si strinse nelle spalle. «No, è un O'Brian. È forte come una roccia» rispose risoluta.

Visto che era ancora presto per andare a cena, Edmund chiese agli amici di accompagnarlo in biblioteca, dove doveva riportare il libro che aveva preso in prestito. Così i quattro ragazzi si incamminarono per i corridoi.

Solo dopo aver riconsegnato il volume, Edmund capì che era arrivato il momento di fare la sua mossa, prima che fosse troppo tardi. «Voi che pensavate di fare per il ballo?» buttò lì, con noncuranza.

Mairead si bloccò di botto in mezzo al corridoio. «Senti, io pensavo di non andarci... voglio, dire è una cosa da femminucce» protestò, storcendo il naso alla sola idea di indossare un abito elegante. Edmund e Laughlin si scambiarono un'occhiata perplessa, mentre Dominique tratteneva a stento una risata. Mairead li fulminò con lo sguardo. «Perché, voi pensavate di andarci?» si informò con un tono di voce tagliente.

Edmund era a disagio: come poteva chiedere all'amica di accompagnarlo ad un ballo al quale lei non aveva alcuna intenzione di partecipare?

«Ehm, vedi... è che io sono uno dei Campioni del Torneo e quindi devo aprire le danze. Ci devo andare per forza» disse a mezza voce.

Laughlin gli batté una mano sulla schiena. «In tal caso ti accompagniamo!» esclamò con giovialità. Forse ci mise troppo entusiasmo nella frase, tanto che Edmund sospettò che lui fosse l'unico realmente interessato a quel ballo.

Ma Mairead non ebbe tempo di rispondere perché qualcun altro richiamò la sua attenzione.

«Mairead, posso parlarti un attimo?» domandò Leonard Connery con un mezzo sorriso. La ragazza fu colta impreparata, ma si lasciò condurre in disparte da Leonard.

Edmund li fissò per tutto il tempo con gli occhi ridotti a due fessure.

«Dai, andiamo avanti, se no non resterà più niente da mangiare a cena» disse Laughlin, trascinando via l'amico.

«E questo sì che è preoccupante» soggiunse Dominique, ben sapendo come Laughlin fosse suscettibile quando era a stomaco vuoto.

Mairead li raggiunse poco dopo con un enorme sorriso stampato in faccia. «Sai, Ed, credo che verrò con te al ballo!» esclamò con aria sognante.

«Oh, davvero?» rispose Edmund sorpreso. Fantastico, non aveva nemmeno dovuto chiederglielo!

«Sì, mi ha invitata Leonard Connery!» continuò Mairead con entusiasmo.

«Connery?» le fece eco Edmund fermandosi di botto, improvvisamente incupito. Certo, che stupido era stato: come poteva pensare che Mairead avesse improvvisamente cambiato idea? Dicendo che andava al ballo “con lui”, intendeva semplicemente che ci sarebbe venuta per non lasciarlo andare da solo.

Ma Mairead era troppo estasiata per far caso al cambiamento d'umore dell'amico, così continuò: «Sì, Connery! Ti rendi conto che ogni ragazza del castello vorrebbe essere invitata al ballo da Leonard Connery, e lui ha scelto me? Così ho pensato, visto che Ed ci deve andare per forza, perché rifiutare l'invito?»

Edmund non rispose.

Stupido Connery. Come si permetteva di invitare la sua amica? Loro erano amici da un secolo e quello là pensava di avere la precedenza?

«Devo assolutamente dirlo a Beatrix!» esclamò Mairead, battendosi la mano sulla fronte. A quelle parole, corse via per il corridoio, alla ricerca della ragazza.

Laughlin, che aveva intuito i progetti andati in fumo di Edmund, ora non sapeva cosa dire per tentare di consolare l'amico.

«Chi pensate di invitare voi?» buttò lì Dominique, una trovata sicuramente poco felice.

Edmund era furente di rabbia: non avrebbe voluto andare al ballo con nessun altro che non fosse Mairead, ma era costretto a scegliere qualcuno perché doveva aprire le danze in qualità di campione.

Stava passando in corridoio in quel momento un gruppetto di Llapac. «Ehi Moira!» chiamò Edmund.

Una ragazza bruttina, con una cresta indomabile di capelli rossi, si staccò dal gruppo. «Sì, Burke...» rispose, guardandolo con aria interrogativa. Sebbene fossero dello stesso anno, dovevano essersi parlati, sì e no, un paio di volte, l'ultima delle quali alla Coppa del Mondo.

«Ti va di venire al ballo con me?» disse di getto Edmund. Moira sgranò gli occhi, nascosti dietro un paio di spessi occhiali, e non rispose. «Come amici, intendo» aggiunse subito Edmund, per chiarire la situazione.

Moira non riusciva a crederci: Burke era un bel ragazzo, alto, moro e intelligente e per di più era uno dei Campioni del Torneo... perché invitava lei al ballo?

«Allora? Ti va o no?» la incalzò Burke con un sorriso, che ai suoi occhi lo fece apparire ancora più bello.

Moira si sciolse ai suoi piedi. «Certo...» sussurrò con un sospiro.

«Ottimo» annuì Edmund soddisfatto. Moira rimase immobile ancora per un attimo, incapace di credere alla propria fortuna, poi si affrettò a raggiungere le sue amiche per raccontare loro quello che era successo.

Appena quella si fu allontanata, Laughlin fissò l'amico con aria allibita. «Lei?» domandò incredulo, incapace di muoversi. «Perché lei? Fra tutte, perché lei? Moira O'Callaghan, una delle ragazze più brutte di tutto il castello!» protestò Laughlin. Edmund alzò le spalle con disinteresse e riprese a camminare verso la Sala Mor. «Edmund!» lo richiamò l'amico, inseguendolo con un sospiro di rassegnazione, mentre Dominique tratteneva a sento una risata.

Edmund si fermò nuovamente in mezzo al corridoio, sbuffando. «Senti, Laughlin. A me non interessa niente di quello stupido ballo. E proprio perché la O'Callaghan è così brutta non la inviterà mai nessuno. Io almeno posso farla felice per una sera. Tanto, a me che cambia, lei o un'altra?»

Certo, il discorso di Edmund era perfettamente logico, come sempre d'altronde, ma Laughlin non riusciva proprio a capacitarsene. «Sì, ma... perché lei?» domandò, sgranando gli occhi incredulo. Edmund scosse la testa sconsolato e riprese a camminare. «Voglio, dire, l'hai vista? Occhiali spessi come due fondi di bottiglia, apparecchio ai denti, monosopracciglio, e criniera di capelli rossi! Le manca solo la gamba di legno!» protestò l'amico, inseguendolo con aria scocciata.

Ormai arrivati davanti alla Sala Mor, Edmund mise una mano sulla spalla di Laughlin e gli rivolse un sorriso sereno. «Lascia stare, Laugh, a me va bene così» e con quelle parole si diresse al tavolo dei Raloi, lasciando lì un Laughlin piuttosto scioccato e un Dominique piuttosto divertito.



Ebbene sì, sono malefica! Maltratterò Edmund ancora per secoli, quindi tranquillizzate i vostri bollenti spiriti!

Ve l'avevo detto, no, che Moira avrebbe avuto un ruolo importante nella storia... damigella ufficiale del ballo per Edmund! Povero Laughlin, non riuscirà mai a capacitarsi del fatto che l'amico ho invitato proprio Moira al ballo! QUI, l'immagine che li riguarda... non sono teneri? E indovinate chi ha invitato Laugh! Dai, è facile! ;-)

Lo ammetto, non potevo non cadere anche io nel cliché del ballo scolastico... ogni scrittrice di ff sa che prima o poi dovrà affrontare questa impresa! Almeno, il mio ha senso nel contesto del Torneo (spero!). Ho cercato di non essere banale nel descriverlo; anzi, aspettatevi una sorpresina finale! XD

A martedì prossimo!

Beatrix

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Capitolo 16
*** I due presidi ***


CAPITOLO 16

I due presidi





«I Llapac dicono che l'abito da cerimonia della O'Callaghan sembra una torta nuziale a tre piani» fu la prima cosa che Laughlin disse a Edmund dopo cena. Mairead era rimasta seduta vicina a Beatrix per tutto il tempo, quasi si fosse dimenticata dei suoi amici, così appena Edmund aveva finito di mangiare, si era avvicinato al tavolo del Nagard, senza nemmeno rivolgerle la parola.

«Te lo sei inventato» sbuffò in risposta a Laughlin, sulla questione del vestito di Moira per il ballo. Tra l'altro, lui nemmeno ce l'aveva un abito da cerimonia perché quando aveva comprato il nuovo materiale scolastico a settembre, sebbene l'abito fosse presente nella lista inviatagli dal Trinity, non gli erano avanzati abbastanza soldi per comprarsene uno decente. Ma ci avrebbe pensato fra un po'.

Laughlin si ficcò in bocca un pezzo di pane e disse, sputacchiando briciole sul tavolo: «Non l'ho inventato! Me l'ha detto Dedalus».

«Ma Consolatus è un maschio! Non può essere entrato nel dormitorio femminile e aver visto il vestito di Moira. E poi non è tanto a posto con la testa, quello» protestò Edmund, usando come arma la sua logica infallibile.

Laughlin bevve un bicchiere di succo d'arancia per ingoiare il boccone di pane che gli era andato di traverso. «Non c'è bisogno di essere a posto con la testa per dire che la O'Callaghan è un cesso» sentenziò con l'aria di chi la sa lunga.

Edmund sbuffò rassegnato: Laughlin l'avrebbe tormentato fino al giorno del ballo, ne era certo. «Puoi anche smetterla, tanto io non torno indietro» disse con sicurezza; poi nel tentativo di cambiare argomento, domandò: «Tu piuttosto, chi pensi di invitare?»

Laughlin interruppe il suo pranzo, cosa che accadeva di rado, visto che mangiare era una delle poche certezze che aveva nella vita. «Ehm... io ho già invitato qualcuno...» farfugliò a disagio.

«Ah, sì? E chi?»

«Chaitaly» rispose Laughlin con un mezzo sorrisetto, sondando la reazione dell'amico.

Edmund non sembrava per niente turbato. «Ah, ok» disse semplicemente con una alzata di spalle.

Laughlin lo guardò di sottecchi, poi domandò in un sussurro: «Non sei arrabbiato?»

«E perché dovrei?» rispose Edmund, con il tono più naturale del mondo.

«Be'... è la tua avversaria» continuò Laughlin, ancora leggermente a disagio, nonostante le rassicurazioni dell'amico.

Edmund scoppiò a ridere divertito. «Ci contendiamo solo mille eire d'oro e la gloria eterna, che vuoi che sia?» rispose con una strizzata d'occhio.

Passando davanti al tavolo dei Nagard, il professor Cumhacht lanciò un'occhiataccia a Edmund, ma non gli disse nulla. Privilegi di essere il campione della scuola. O forse, semplicemente, lui non era Mairead. Il ragazzo rivolse al professore un sorriso innocente e quello lasciò correre. Dopotutto, era il migliore alle sue lezioni.

«E tu, Dom, chi pensi di invitare?» chiese poi, rubando un acino d'uva dal piatto di Laughlin.

«Ehi!» protestò Laughlin, che era disposto a cedere tutto tranne che il suo cibo.

«Ah, io ho già invitato Era McKonnit, la Battitrice dei Raloi» rispose tranquillamente Dominique.

Edmund si incupì. Lui era stato l'unico idiota che ci aveva messo una settimana prima di decidersi ad invitare una ragazza? Per poi, tra l'altro, farsela fregare sotto il naso da quel Bellimbusto di Connery e ritrovarsi con la O'Callaghan. Bell'affare!

«Burke?» domandò proprio in quel momento un ragazzino minuscolo dei Raloi. Doveva essere al primo anno, ma era davvero piccolo e minuto anche per la sua età. O forse dava quell'impressione perché era titubante e spaventato.

«Sì?» rispose Edmund, sorpreso.

«Il preside Captatio vuole vederti nel suo ufficio» pigolò il bambino, poi scappò via.

Edmund sbuffò. Bastava che non si trattasse di un'altra stupida spilla: lui non l'avrebbe messa. Si alzò da tavola rassegnato, salutò gli amici e si trascinò verso la scala a chiocciola che conduceva allo studio del preside.

Quando bussò alla porta, la voce allegra di Captatio gli disse di entrare. Ma, non appena mise piede nella caotica stanza, i suoi occhi furono rapiti dal mago anziano che sedeva di fronte al preside. Aveva una rigogliosa barba bianca, come bianchi erano i lunghi capelli che gli ricadevano sulla schiena. Indossava anche lui un cappello a punta come quelli di Captatio, ma forse per l'aurea di nobiltà che emanava, forse per l'altezza considerevole o forse anche solo per la fluente barba, nessuno avrebbe mai osato definirlo buffo. Sul naso aquilino portava un paio di occhialetti a mezzaluna, che nascondevano a stento due vispi occhi azzurri.

Quando il mago si voltò a guardarlo, per un attimo, un velo di preoccupazione gli attraversò il volto, come se avesse visto un fantasma appartenente al suo passato. Lo scrutò con interesse e con una certa preoccupazione, ma Edmund sostenne il suo sguardo: non era tipo da abbassare gli occhi a terra.

«Edmund, questo è il professor Silente» lo presentò Captatio, con un sorriso. «È il preside di...»

«Hogwarts» completò Edmund, ricordandosi di averlo letto da qualche parte.

Il professor Silente annuì e allungò la sua mano verso il ragazzo. «È un piacere conoscerti» gli disse, senza smettere di fissarlo con quel suo sguardo indagatore, come se cercasse chissà cosa nascosto sotto la sua apparenza di ragazzino. «Caius parla sempre molto bene di te» gli rivelò, con una strizzata d'occhio.

Finalmente Edmund spostò lo sguardo sul professor Captatio e vide che sogghignava, ma un lieve rossore gli aveva colorito le guance. «Sciocchezze, Albus, io non elogio mai nessuno oltre a me stesso» replicò con un ridolino.

Silente gli rivolse un sorriso, ma poi tornò a guardare Edmund. «E così tu sei il giovane Campione del Trinity, eh?» gli chiese.

«Sì, signore».

«Succedono cose sempre più strane, in questi Tornei» commentò sovrappensiero il professor Silente.

«Perché?» domandò di getto Edmund, senza pensare che forse non era molto educato fare una domanda così a bruciapelo a uno dei più grandi maghi di tutti i tempi. Ma, dopotutto, Silente aveva passato buona parte del tempo a squadrarlo.

Il professore rimase indeciso per un attimo, ma alla fine domandò: «Il nome Harry Potter, ti dice niente?»

«Il Ragazzo che È Sopravvissuto» commentò Edmund con un certo astio. Santo cielo, le notizie arrivavano anche in Irlanda!

«Esatto» rispose il professor Silente «È stato scelto come Campione per il Torneo Tremaghi, come quarto Campione. Qualcuno ha messo il suo nome nel Calice di Fuoco, perché venisse scelto. Qualcuno che lo vuole morto».

La mente di Edmund cominciò a lavorare a ritmo frenetico: chi poteva volere morto Potter, se non un accanito sostenitore di Voldemort? Magari lo stesso che aveva lanciato il Marchio Nero alla Coppa del Mondo di Quidditch.

Il professor Silente aveva ragione: ultimamente stavano succedendo cose strane.

L'anziano mago sospirò. «Viviamo in tempi difficili, Edmund» gli rivelò in tono serio. «Ma non possiamo scegliere noi il momento in cui venire al mondo; possiamo solo cercare di fare il nostro meglio nel tempo che ci è stato assegnato».

Edmund si guardò le mani, sovrappensiero. Negli ultimi tempi, non stava propriamente dando il meglio; si era proposto come campione per ripicca contro Connery e aveva preso la cosa un po' sotto gamba: non si stava impegnando al massimo. Si era montato la testa e si era convinto di riuscire a superare le prove solo perché lui era bravo. Gli conveniva darsi una regolata, seriamente.

«Cercherò di ricordarmelo» mormorò, tornando a guardare Silente dritto negli occhi.

Lui gli sorrise con fare incoraggiante. «Bravo, ragazzo» gli disse. Dopodiché guardò l'orologio d'oro che aveva al polso (anche se Edmund notò che era fermo alle ore mezzogiorno e un quarto) ed esclamò: «Si è fatto proprio tardi! È meglio che vada» e con quelle parole si alzò dalla sedia. «Caius, ci teniamo aggiornati» salutò, allungando la mano verso Captatio.

«Certo, Albus» rispose il preside, ricambiando la stretta.

«Edmund» aggiunse il professor Silente, con un sorriso di congedo.

«Signore».

Solo quando il preside di Hogwarts ebbe chiuso la porta alle sue spalle, Captatio esclamò: «Ah, grand'uomo, Silente!» Sospirò, mentre Edmund prendeva posto sulla sedia che Silente aveva appena lasciata libera. «Me ne ha raccontata una niente male su un troll, una megera e un Lepricano che vanno insieme al bar...» cominciò a dire, ma poi si interruppe. «Forse, però, questo non è il momento più adatto! Non ti ho certo chiamato per raccontare barzellette!»

«Credo di no, signore» ridacchiò Edmund. Si sentiva più sereno, ad essere solo con Captatio. Silente era sicuramente un grande mago, saggio e giusto, ma i suoi penetranti occhi azzurri lo mettevano a disagio; mentre con Captatio era tutto più naturale, più tranquillo. Lui sorrideva sempre, e ridacchiava anche; era buffo, ma nel contempo riusciva ad essere autorevole.

«No, infatti!» replicò Captatio, sogghignando. Ma poi si fece serio. «Volevo chiederti se avevi risolto l'indovinello».

«Signore, non le è permesso di aiutarmi» rispose Edmund, con circospezione.

«Non voglio aiutarti» replicò Captatio, facendogli l'occhiolino. «Mi sto solo interessando discretamente al mio campione».

Edmund trattenne a stento un sogghigno. «Comunque l'ho risolto, signore. Dobbiamo tuffarci dalle scogliere di Moher e entrare in una grotta, giusto?»

«Non posso aiutarti, ricordi?» replicò il professor Captatio, ma i suoi occhi brillavano di furbizia. Era una risposta affermativa.

«Il mio problema è come fare a raggiungere la grotta» spiegò Edmund, esprimendo tutti i suoi dubbi. «Non esistono incantesimi per volare e siamo troppo distanti dal castello per appellare una scopa o qualcosa di simile. E non ci è permesso portare nessun oggetto oltre alla nostra bacchetta».

Il professor Captatio arricciò le pagine del libro che aveva aperto sulla scrivania con fare pensieroso. «Tenta di analizzare la situazione da un punto di vista diverso: non cercare direttamente un incantesimo che possa farti volare, ma pensa piuttosto in modo creativo. Sono sicuro che ti verrà in mente qualcosa» gli consigliò il professore.

«Comunque» aggiunse poco dopo, con un sorriso. «Volevo complimentarmi con te per l'eccellente modo in cui hai superato l'ultima prova».

«Ma se sono ultimo in classifica!» protestò Edmund, in tono piuttosto sconsolato. Era solo un punteggio provvisorio, lo sapeva, ma ritrovarsi già in fondo non era poi così incoraggiante.

«Io credo che gli altri giudici non abbiano capito nulla della prova, sai, Edmund» rispose invece il professor Captatio, unendo la punta delle dita. «Vedi, l'unica cosa davvero spaventosa, in quella foresta, era la foresta stessa. La paura più grande dell'uomo, non è altro che la paura della solitudine. Perché i bambini hanno paura del buio? Perché non sanno che cosa vi si nasconda e temono di dover affrontare tutto da soli; l'unico modo per superare questa paura è la presenza di un altro essere umano che ci stia vicino. Così tutto ci sembra più semplice».

Dopo quel breve discorso, Captatio osservò Edmund di sottecchi, come se stesse aspettando di ricevere una contestazione che, sapeva benissimo, non avrebbe avuto.

«È ciò che avete fatto tu e la signorina Hiranmay, magnificamente. Ma nessuno l'ha capito» gli rivelò infine, in tono dispiaciuto. «Il preside Singh ti ha premiato più per l'altruismo che hai dimostrato che per il reale significato del gesto in sé. Tutti gli altri... be', hai visto com'è andata».

«Già...» mormorò Edmund. Gli bruciava ancora per il quattro che gli aveva rifilato Scipio Diablaiocht ed era più che certo che il voto non dipendesse affatto per il modo in cui aveva superato la prova. Semplicemente lo voleva vedere ultimo. Però era contento che il professor Captatio gli avesse motivato il suo nove con una spiegazione seria: al momento aveva pensato che il voto dipendesse dal fatto che, be', era il suo campione.

«Grazie, signore» soggiunse poco dopo, con franchezza.

I baffoni del professor Captatio si mossero su e giù, rivelando un sogghigno. «Ah, Edmund, sei un ragazzo meraviglioso!» esclamò allegro.

«Credevo che lei non elogiasse nessuno oltre a se stesso» rispose sagacemente Edmund, con un sorriso.

Captatio fece un gesto con la mano, come se volesse scacciare una mosca molesta. «Sciocchezze!» sbottò con un'aria offesa, ma i suoi occhi brillavano per un sorriso represso. «A proposito, hai già una dama per il ballo?»

Edmund pensò a Moira, ai suoi capelli crespi, agli occhiali e all'apparecchio. Sospirò. «Sì, signore, ma non ho ancora l'abito da cerimonia».

«Oh, accidenti! Quello te lo posso procurare io, se vuoi. Ti presto uno dei miei di quando ero giovane» propose il preside, ma Edmund non era del tutto convinto: voleva forse fargli indossare una delle sue imbarazzanti vesti colorate con tanto di cappello coordinato?

«Forse dovrai allungarlo un po' con la magia. Sai, non sono mai stato molto alto» ridacchiò Captatio, mentre frugava nei suoi immensi armadi.

Edmund era piuttosto preoccupato, ma l'abito che gli mostrò il professore non era poi così male: verde scuro, con il colletto alto, camicia bianca e cravatta nera, i soliti pantaloncini irlandesi e un paio di calze dai toni scuri. Forse era un po' vecchiotto e non era certo raffinato come quelli della signora Maleficium, ma nel complesso era accettabile. Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo. Almeno, non avrebbe fatto la figura dell'idiota.


Il giorno successivo, quando Edmund incontrò Moira per i corridoi, la salutò allegramente, forse più per far incavolare Laughlin che per vero interesse verso di lei. L'amico, infatti, borbottò qualcosa di incomprensibile e alzò gli occhi al cielo, ma Edmund non se ne preoccupò. Anzi, trovava il tutto molto divertente.

«Ehi, Moira, spero che tu sappia ballare perché io sono uno schifo e, non so se lo sai, ma dobbiamo aprire le danze» le disse, con giovialità.

La ragazza sgranò gli occhi, piuttosto preoccupata. «Dobbiamo aprire le danze? Noi?»

«Già» rispose Edmund, alzando una spalla con naturalezza. Ma poi si guardò in giro, con la spiacevole sensazione di essere osservato: almeno una ventina di occhi curiosi li stavano fissando più o meno avidamente. «Perché ci guardano tutti?» sussurrò con rabbia.

Moira alzò leggermente le spalle, poi disse: «Sai com'è... sei un bel ragazzo e sei il Campione del Trinity. Io penso che almeno mezzo milione di studentesse vorrebbero venire al ballo con te».

Già, e l'altro mezzo milione ci voleva andare con Leonard Connery. Peccato che l'unica ragazza che gli interessasse, avesse scelto il mezzo milione sbagliato.

«Credo che tu ne abbia lasciate deluse parecchie quando l'hai chiesto a me, che... be', non sono proprio la più carina del castello» farfugliò Moira a disagio. Non riusciva ancora a credere che Edmund l'avesse invitata al ballo e aveva il terrore che lui cambiasse idea prima della fatidica notte. Ma quando lo guardò nuovamente in volto, il suo sorriso era sereno.

«Senti Moira, non mi interessa niente di quello che pensano gli altri. Io sono contento di aver invitato te. E la storia si chiude qui».



Ecco qui che Laughlin torna alla carica! Non accetterà mai l'invito di Moira da parte di Edmund... ma il nostro protagonista ne è convinto, per fortuna!

Mi spiace aver deluso chi si aspettava già il ballo, ma avevo bisogno di inserire un capitolo di passaggio, dove spiegare bene la prima prova. Inoltre, volevo che il caro Silente incontrasse Edmund, perché mi servirà per il prossimo racconto... vedrete! ;-) Spero che vi sia piaciuta la sua caratterizzazione (è sempre difficile descriverlo quando non sono gli occhi di Harry a vederlo!).

Quanto alla dama di Dominique, ho fatto un po' di economia: gli ho fatto invitare un personaggio che avevo già creato, pensando che fosse abbastanza adeguato a lui. Tanto, mica se la deve sposare!

Mi spiace, ma non ho un immagine per questo capitolo... intanto, però, vi prometto che martedì prossimo avrete il ballo!

A presto e grazie a tutti,

Beatrix

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Capitolo 17
*** Il Ballo di Capodanno ***


CAPITOLO 17

Il Ballo di Capodanno





Qualcuno bussò alla porta del bagno con insistenza. «Mairead, vuoi darti una mossa? Devo prepararmi anche io!» esclamò esasperata Peig. Cosa diavolo stava combinando la sua compagna lì dentro? Lei poi, che non aveva mai messo nemmeno il mascara in tutta la sua vita!

La porta si aprì di scatto, ma la ragazza che ne uscì non aveva nulla a che fare con Mairead: era carina, elegante nel suo vestito rosso, truccata e ben pettinata. Peig la osservò stranita per qualche secondo, ma alla fine si concesse un ridolino estasiato. «Ah, cosa non fa l'amour!» ridacchiò, fondandosi in bagno.

Prima che Mairead potesse ribattere in qualche modo, sul pianerottolo comparve Ailis, la migliore amica di Peig. Anche lei rimase piuttosto sorpresa dalla trasformazione della compagna di stanza da esuberante giocatrice di Quidditch a dama raffinata. «Carino il tuo abito» commentò alla fine, osservando il vestito rosso con occhio critico.

Mairead si lisciò le pieghe della gonna, imbarazzata e un po' a disagio. «Grazie» mormorò con un mezzo sorriso. «Anche il tuo non è male».

Ailis annuì a mo' di ringraziamento. «Peig è super agitata» confessò poi, accennando con il capo alla porta del bagno. «Sai, no, che l'ha invitata Hewa Wedge?»

«Sì, me l'aveva detto» rispose Mairead, in tono vago. Era da una settimana che Peig non faceva altro che ripeterlo. Ovviamente, Mairead aveva evitato di farle notare che Wedge aveva invitato prima lei al ballo; all'epoca aveva rifiutato perché pensava fosse una stupida cosa da femminucce. Non l'aveva detto nemmeno a Edmund, in realtà, perché sapeva che c'era un po' di attrito tra i due campioni e non voleva che l'amico si offendesse.

Certo, quando poi l'aveva invitata Leonard Connery al ballo, non aveva potuto rifiutare. Chi mai avrebbe avuto il coraggio di dire di no a quei due occhioni così blu?

«Ehilà!» esclamò Beatrix Connery, comparendo anche lei sul pianerottolo. «Che ve ne pare?» domandò, facendo un giro su se stessa per farsi ammirare. Indossava un grazioso abito azzurro e aveva i capelli mossi raccolti in una mezzacoda.

«Stai davvero bene» la rassicurò Mairead. Sinceramente, non riusciva a capire tutta quella agitazione dal parte della sua amica: era stata invitata da Titus Judge che non si poteva definire una gran bellezza. Be', era alto e muscoloso, quello sì, ma decisamente grosso. Niente a confronto con il bel raffinato Leonard.

«Se sei pronta anche tu, scendiamo» propose Beatrix, con un gran sorriso. «So che mio fratello non vede l'ora di uscire con te!» aggiunse poi, con una strizzatina d'occhio.

Mairead trattenne il respiro e sentì il cuore che accelerava nel petto. Santo cielo, stava per uscire con Leonard Connery! Il suo primo appuntamento!

«Andiamo!» squittì eccitata, con gli occhi che brillavano.


Laughlin si sistemò la giacca elegante che sua madre aveva disegnato appositamente per lui, lanciando sguardi ammiccanti al suo riflesso nello specchio.

«Hai finito di pavoneggiarti?» domandò Dominique, spingendolo di lato per riuscire a conquistare un angolo di specchio per pettinarsi. «Lo sai che se Era metterà i tacchi sarà più alta di me?» mugugnò rassegnato, constatando che l'amico era decisamente più alto e non sembrava uno gnomo vestito a festa.

«Ho sentito dire che l'abito da cerimonia della McKonnit sono in realtà un paio di attillati pantaloni di pelle di drago» replicò Laughlin in tono disinteressato, spruzzandosi una goccia di profumo sul collo.

«Baggianate» replicò imbronciato Dominique. Era vero, non aveva invitato una ragazza particolarmente femminile, ma Era McKonnit gli piaceva proprio per quello: niente smancerie e stupidate romantiche. Era una tipa tosta, insomma.

«Dai, muoviamoci. Le nostre dame ci aspettano» esclamò Laughlin, ammirando con aria soddisfatta il suo riflesso allo specchio. «Andiamo a fare strage di cuori!»

Dominique scosse la testa rassegnato: Laughlin aveva davvero una considerazione troppo alta delle sue qualità. Orgoglio e superbia tipico dei Nagard.

«Sì, muoviamoci» mormorò infine, abbandonando il tentativo di darsi un'aria da grande.

La sala comune dei Nagard era stranamente variopinta, quella sera. Gli occhi di Laughlin indugiarono per un attimo su Ailionora Diablaiocht, che indossava un abito tradizionale irlandese, e se ne stava letteralmente appesa al braccio di Eibhean Deamundi. «Alla fine la Diablaiocht è riuscita ad acchiappare il suo nobile» malignò con un sogghigno. «Suo padre sarà contento, finalmente. Dopotutto, un po' di nobiltà non si nega a nessuno, di questi tempi».

«Arrivista, la ragazza» rispose Dominique, con un certo disinteresse.

Laughlin si strinse nelle spalle. Non dubitava che ad Ailionora piacesse sinceramente Deamundi, perché non si poteva negare che lui avesse un certo fascino tenebroso, ma era sicuro che tra i molti fattori avesse giocato un ruolo importante anche la nobiltà.

«Be', puoi star certo che Chaitaly non ti ha detto di sì perché sei nobile» ridacchiò Dominique, pensando che il suo amico era proprio un tipo originale se, con tutte le belle ragazze che c'erano al Trinity, era andato a scegliersi proprio una straniera.

Anche Laughlin sogghignò. «Credo proprio che tu abbia ragione» asserì, con una pacca sulle spalle del suo amico. «Mi ha detto di sì perché sono incommensurabilmente figo».

«E modesto» aggiunse Dominique.

Laughlin sorrise allegro. «E modesto!» concesse, con una strizzata d'occhio. Dopodiché i due amici si recarono insieme verso la sala d'ingresso.


Edmund si torse le mani con aria nervosa. Stava cominciando ad agitarsi, come una scolaretta al suo primo appuntamento. Gli altri studenti gli lanciavano occhiatine divertite, mentre lui se ne stava ritto in piedi davanti al portone della Sala Mor, impalato nel suo abito da cerimonia. Stava aspettando Moira e gli sembrava che tutti avessero preso ad osservarlo. Perché non si spicciava? E se non fosse venuta, lasciandolo lì come un idiota?

E poi Edmund vide Mairead, stretta a braccetto con Connery: indossava un abito rosso e oro, elegante nella sua semplicità, e aveva i capelli raccolti in un nodo dietro la testa, con qualche tenero boccolo che le ricadeva sulle spalle. Edmund pensò che era bellissima, ma non era destinata a lui. Perché non era riuscito ad invitarla al ballo? Improvvisamente le sue ansie si moltiplicarono. Perché aveva scelto proprio Moira? E se Laughlin avesse avuto ragione sul suo abito? Se si fosse presentata a lui infagottata in una torta nuziale a tre piani? Sarebbe stata tutta un'altra cosa, se al suo fianco ci fosse stata Mairead.

«Edmund?» lo richiamò una voce sottile. Il ragazzo si voltò, ma ci mise parecchio tempo a riconoscere nella giovane che aveva davanti proprio Moira. Non aveva più i capelli crespi e indomabili, ma lisci ed elegantemente tenuti indietro da un cerchietto scuro. Gli occhiali a fondo di bottiglia erano spariti, così come l'apparecchio. L'abito era rosa salmone e certamente un po' ingombrante, ma almeno non sembrava una torta da matrimonio.

«Sei... davvero carina» esclamò Edmund con un sospiro di sollievo. Alla fine non era poi così male.

Moira arrossì e sorrise. «Grazie, ci ho impiegato tre ore a prepararmi».

«I campioni qui con me» esclamò proprio in quel momento il professor Captatio, sventolando il suo cappello a punta per farsi vedere. Per l'occasione indossava un abito da mago rosso brillante, con tanto di strani decori luccicanti che si muovevano per la stoffa creando un vorticoso gioco di luce. Sembrava un albero di natale ambulante. Ma la cosa più luminosa era il suo sorriso.

I tre campioni con i rispettivi compagni si avvicinarono al preside. Peig, agganciata al braccio di Wedge, si guardava in giro con occhiatine deliziate; Laughlin, con lo sguardo fiero e il portamento regale, teneva al fianco un'aggraziatissima Chaitaly che indossava un grazioso sari indiano.

Il professore li fece posizionare di lato, mentre apriva le porte della Sala Mor per permettere a tutti gli altri studenti di entrare. Quando rimasero soli, il preside si posizionò davanti al portone d'ingresso della sala e disse: «Mettetevi in ordine qui di fronte a me. Prima il signor Burke con la sua dama O'Callaghan, poi la signorina Hiranmay e il signor Maleficium e infine il signor Wedge con la signorina Kenneth».

Edmund offrì il braccio a Moira e poi eseguì l'ordine di Captatio, anche se con una certa riluttanza. Spiando dentro la sala, vide che era stata addobbata con graziose decorazioni rosse e oro; quelle che parevano grosse lucciole saettavano per l'aria rendendo il luogo allegro e colorato. I tavoli delle case erano spariti per lasciar posto ad un centinaio di tavoli rotondi da sei posti; al centro della sala si trovava un tavolo più grande con un imponente centrotavola di agrifoglio e tre candele rosse.

Poco dopo sopraggiunsero anche gli altri due presidi, insieme alla O'Gara e a Diablaiocht. Mama Hope indossava un enorme e variopinto abito africano, mentre il preside Singh aveva un completo da cerimonia sikh, impreziosito da sontuosi ricami. I due capi dei rispettivi Dipartimenti, in compenso, sebbene indossassero entrambi abiti eleganti, avevano l'aria di non aver gradito particolarmente l'invito per quel ballo.

«Eccoci qui tutti!» esclamò allegro Captatio. «Direi proprio che è ora di entrare».

Quando fecero il loro ingresso in sala, gli studenti li accolsero con un applauso scrosciante. Edmund prese posto al grande tavolo centrale e tirò un sospiro di sollievo quando alla sua destra si posizionò Laughlin insieme a Chaitaly. Il ragazzo spiò il resto della sala e individuò subito Mairead, seduta al tavolo con il suo cavaliere, Beatrix Connery, Titus Judge, Dominique e Era McKonnit. Non invidiò per nulla Dominique, costretto a restare in mezzo a cinque fanatici giocatori di Quidditch. Anche se, Edmund ebbe l'impressione che l'argomento principale di quella sera non sarebbe stato lo sport.

La cena fu abbastanza piacevole, nonostante tutto. Moira era silenziosa e impacciata, ancora incredula di essere la dama del Campione del Trinity. Laughlin, dal canto suo, dimostrò di essere un ottimo ospite, caratteristica che doveva aver appreso dal ramo paterno della famiglia: conversava amabilmente con tutti, era educato ma mai noioso e sembrava avere sempre la cosa giusta da dire.

Tuttavia era proprio il professor Captatio l'anima della festa: raccontò un paio di aneddoti piuttosto buffi e, alla barzelletta del Troll e della Megera, ci mancò poco che Edmund si strozzasse con l'agnello arrosto. Bevve velocemente un bicchiere d'acqua per evitare di strangolarsi e si meritò un'occhiatina divertita da parte di Laughlin.

Ma la cosa che Edmund temeva di più era l'apertura delle danze. Quando tutti ebbero terminato di mangiare, il professor Captatio fece sparire tavoli e sedie con un colpo di bacchetta e un quartetto di archi entrò in sala. Edmund mugugnò.

«Stai tranquillo» sussurrò Laughlin, con un sorriso incoraggiante. «Basta che segui la musica».

La faceva facile, lui che era un ballerino nato! Edmund non aveva nemmeno la più pallida idea di dove incominciare. Si ritrovò in mezzo alla sala insieme agli altri campioni, con gli occhi di tutti puntati addosso. A giudicare dall'espressione terrorizzata di Moira, neppure lei doveva essere una gran ballerina.

La musica partì. Laughlin e Chaitaly presero a volteggiare con grazia, mentre loro due restavano lì impalati a guardarsi. Fu Moira a prendere l'iniziativa: afferrò la mano destra di Edmund e se la mise sul fianco, poi prese l'altra e cominciò a trascinarlo per la sala. Non andavano a ritmo con la musica né non seguivano i passi: semplicemente roteavano in modo un po' scoordinato. Ogni tanto Edmund pestava i piedi o l'orlo del vestito a Moira, e la sotterrava di scuse. Alla fine, si arresero entrambi alla loro goffaggine e decisero che il modo migliore per uscirne indenni era riderci sopra. Per fortuna, ad un certo punto il professor Captatio invitò a ballare Mama Hope, dando il via alle danze, cosicché i campioni non furono più al centro dell'attenzione. Tra l'altro, il povero Captatio sembrava sparire completamente tra le braccia della preside africana, come se fosse stato ingoiato dalle fauci di un mostro. Quando finalmente quello strazio di musica finì, Edmund si lasciò sfuggire un sospiro si sollievo. «Meglio se ci fermiamo, sai» suggerì con un sorriso.

Moira ridacchiò, annuì e, tenendo per mano il compagno, lo condusse lontano dalla pista da ballo, verso il tavolo con i cocktail. Per fortuna Moira non era interessata alle danze, così i due ragazzi poterono starsene tranquilli a chiacchierare. Edmund constatò che era piuttosto piacevole fare due parole con lei, perché era gentile, sapeva ascoltare le persone e non pretendeva di aver sempre ragione.

Edmund era immerso nei suoi pensieri su Moira, quando Mairead e Connery gli passarono davanti volteggiando. Il suo sguardo si incupì e gli occhi ridotti a due fessure seguirono le figure danzanti che si allontanavano. Avrebbe voluto dare fuoco a quel faccino angelico tutto riccioli e occhioni blu, con quel suo irritante sorriso da vincitore.

Moira seguì la direzione di quello sguardo e sembrò cogliere il messaggio sottinteso che vi si nascondeva. Mise una mano sulla spalla di Edmund nel tentativo di fargli sentire la sua vicinanza: capiva benissimo che si poteva provare un'immensa sofferenza nell'essere lasciati in disparte.

In quel momento la musica cambiò: da valzer un po' lagnoso si trasformò in allegra danza popolare irlandese. Il quartetto di archi era sparito, sostituito da un violino, una cornamusa, un'arpa e un banjo, anche se i musicisti parevano gli stessi. Edmund vide che Laughlin ballava con maestria, muovendo i passi tradizionali di danza intorno a Chaitaly, che rideva deliziata.

«È un bravo ballerino, il tuo amico» commentò Moira, anche lei intenta a guardare Laughlin.

«Il migliore» asserì Edmund, in tono assorto. Era magnifico il modo in cui Laughlin riusciva a far sembrare il ballo una cosa assolutamente naturale e innata. E non era da sottovalutare la presa che faceva sulle ragazze.

Quando terminò la canzone, tutti applaudirono e il tizio che suonava il violino esclamò: «La prossima canzone è dedicata a tutte le ragazze! Abbandonate il vostro cavaliere e invitate chi più preferite per questo ballo: la scelta alle dame!»

L'annuncio scatenò il caos: uno sciame di ragazze eccitate si aggirava per la sala alla ricerca de compagno migliore da invitare per la danza. Edmund notò che Moira fece qualche passo verso la pista da ballo, ma poi sembrò ripensarci e si fermò. «Vai, Moira, non preoccuparti» la incoraggiò, con un sorriso. «La scelta è alle dame».

La ragazza si voltò verso di lui con uno sguardo ansioso. «Mi spiace lasciarti qui da solo» mormorò, con un sorrisetto a mo' di scusa.

«Non temere, vai».

Moira allora fece qualche altro passo verso il centro della sala, ma poi si fermò di nuovo. «Pensi che potrei chiederlo a... Henry?» mormorò, con tono incerto.

Edmund le rivolse un gran sorriso. «Son sicuro che non potrà rifiutare».

Guardando Moira che, finalmente convinta, si avviava verso Henry Alabacor, Edmund fu colpito da un'idea: forse avrebbe potuto farsi invitare da Mairead. Un solo ballo, meglio di niente. Dopotutto, chi altri avrebbe potuto invitare l'amica?

Arrivò al centro della pista e si guardò in giro. «Laugh, hai visto Mairead?» domandò, alzandosi in punta di piedi per scrutare meglio i presenti: della ragazza non c'era traccia.

«Io... no» rispose Laughlin, che pareva più che altro preoccupato di trovarsi una dama per la danza.

«Edmund, mi concedi questo ballo?» domandò Chaitaly, facendo tintinnare i ricchi orecchini che indossava.

Il ragazzo si guardò in giro, alla disperata ricerca di Mairead. Lei era chissà dove.

Chaitaly era ancora lì a guardarlo, in attesa di una risposta.

Nel frattempo Era McKonnit si avvicinò a Laughlin e lo invitò a ballare con un secco: «Maleficium... zit!» che il ragazzo non poté rifiutare.

«Edmund, allora?» lo incalzò Chaitaly.

Il ragazzo si rassegnò: Mairead era chissà dove e evidentemente non era intenzionata a invitarlo per quel ballo. Alla fine si voltò verso la campionessa indiana e le rivolse un sorriso triste. «Come vuoi».

Mairead, nel frattempo, aveva abbandonato Leonard con un'idea folle in testa. Attraversò la sala in fretta, per raggiungere un uomo vestito di nero, che aveva passato la serata in piedi contro il muro, lanciando sguardi torvi a chiunque gli capitasse a tiro. Mairead gli si avvicinò e gli rivolse un gran sorriso. «Professor Saiminiu, mi concede questo ballo?» gli chiese tutto d'un fiato.

L'uomo sgranò gli occhi e la guardò come se avesse appena preso a declamare poesie in antico sumero. Il professor Cumhacht, appena invitato a ballare dalla professoressa O'Connel, lanciò loro un'occhiata di puro disgusto.

Captatio, invece, ridacchiò allegro. «Mi sembra un'ottima idea, Septimius!» esclamò, mentre si lasciava condurre in pista dalla paciotta professoressa Blath, che insegnava Erbologia.

Saiminiu osservò Mairead con crescente terrore, ma la ragazzina non demordette. Allungò la sua mano verso di lui con fare incoraggiante, nel tentativo di scollare il professore dal suo angolo.

Alla fine, rassegnato, Saiminiu si lasciò condurre al centro della pista dalla ragazzina. Piccolo demonietto. Tale e quale a suo padre.

Il ballo fu piuttosto imbarazzante, a dir la verità, perché il professor Saiminiu la teneva a debita distanza, manco stesse danzando con un troll puzzolente appena caduto in una latrina. Ma Mairead fu convinta di aver fatto la scelta giusta quando, finita la musica, la professoressa di Artimanzia si avvicinò a Saiminiu e lo costrinse ad un altro ballo. Soddisfatta della sua opera, Mairead andò a strappare una danza anche al cugino Faonteroy, tanto per rompergli un po' le scatole. Dopodiché ritornò da Leonard, che la stava aspettando con due bicchieri di champagne in mano.

«Sono per il brindisi» spiegò il ragazzo, scostandosi una ciocca di capelli che ricadeva davanti agli occhi. «Ormai manca poco a mezzanotte».

In effetti, guardandosi in giro, Mairead notò che quasi tutti i ragazzi si stavano procurando da bere per il brindisi di Capodanno. Negli ultimi minuti che li separavano dalla mezzanotte, l'attesa divenne frenetica. Mairead si strinse a Leonard e partecipò al clima di tensione che permeava la sala.

Qualcuno cominciò a fare il conto alla rovescia. «Dieci... nove... otto...»

Mairead rivolse a Leonard un sorriso luminoso ed eccitato.

«Quattro... tre... due... uno... AUGURI!»

Urla di giubilo esplosero nella sala. Mairead bevve tutto d'un sorso il suo champagne, dopodiché si sentì decisamente più allegra. Leonard era ad un soffio da lei.

I due ragazzi si guardarono negli occhi e fu lui a fare il primo passo.

Si avvicinò a Mairead, le cinse la vita con un braccio e la baciò.

Per una frazione di secondo il mondo sembrò fermarsi. E poi Mairead rispose al bacio, eccitata e folle come non lo era mai stata, un po' per via dello champagne, un po' per l'euforia di quel bacio.

Quando si separarono, gli occhi verdi di Mairead brillavano di una luce pura. Arrossì violentemente solo quando si accorse che un sacco di gente li aveva guardati mentre si baciavano e molti di questi avevano cominciato ad applaudire.

Non sentì il rumore di vetri infranti, in lontananza.

Era stato Edmund, che aveva lasciato cadere a terra il suo bicchiere, mandandolo in frantumi. Trattenne a stendo l'impulso omicida che gli era scoppiato nel petto. Una rabbia folle, dettata da un sentimento di gelosia che non riusciva nemmeno a riconoscere, si impossessò di lui. Digrignò i denti, strinse i pugni e abbandonò la festa, così, di punto in bianco, piantando lì da sola Moira, che lo guardò allontanarsi con uno sguardo addolorato.




Come promesso... il ballo! E con tanto di sorpresa finale! Ve la sareste aspettata? Be', forse sì... non è un'idea tanto originale, temo. Ma va be'!

QUI, intanto, il disegno sul ballo, che ritrae Leonard e Mairead che ballano, osservati da un Edmund piuttosto imbronciato, in compagnia della sua dama Moira.

Volevo dire due parole sui nostri protagonisti. Prima di tutti Mairead, alla quale possiamo concedere un po' di stupidità da quindicenne al primo appuntamento, no? Non è certo diventata la reginetta del ballo, ma credo che tutti si sarebbero preparati al meglio sapendo di dover uscire con uno come Leonard! Quanto a Laughlin, è assolutamente il mio preferito: la naturalezza con cui si pavoneggia è magnifica! Edmund, infine... be', credo che le sue reazioni siano piuttosto motivate: prima l'ansia, poi l'imbarazzo, la gelosia e infine la rabbia. Povero, mi fa quasi pena!

Anche il personaggio di Moira mi piace molto in questo capitolo. Lei sa che Edmund è un bel ragazzo ma non ha mire nei suoi confronti (anche perché capisce che a lui piace qualcun'altra... anche se non lo ammetterebbe mai!). E non è diventata una gnocca (termine tecnico!) per il ballo, ma semplicemente carina.

Va bene, basta spammare con commenti inutili! La settimana prossima vedremo come si evolve la situazione.... e preparate i fazzoletti, perché maltratterò per bene il povero Eddy! XD

A presto e grazie a tutti,

Beatrix

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Capitolo 18
*** Gelosia e amicizia ***


CAPITOLO 18

Gelosia e amicizia





La mattina del primo gennaio, sembrava che le cose si muovessero a rallentatore: tutti si erano alzati tardi e, nonostante questo, parevano parecchio assonnati. Edmund, in realtà, era andato a letto piuttosto presto, ma era talmente immusonito che il suo malumore poteva benissimo essere scambiato per sonno.

La notizia più interessante che girava in sala comune dei Raloi, ovviamente, era il fatto che il capitano di Quidditch avesse baciato davanti a tutti la giovane promessa della sua squadra. Era esattamente il tipo di piacevole pettegolezzo che poteva rendere più frizzante quella fredda e nevosa giornata di gennaio. I due interessati, almeno, ebbero il buon gusto di non farsi vedere in sala comune per tutta la mattina.

Edmund, esasperato dalle continue voci che giravano e dai commentini romantici di Peig su quanto fossero carini insieme, prese la pergamena con l'indovinello e si ritirò in biblioteca. Proprio sull'uscio della porta, incontrò Moira, appena uscita dalla sala comune dei Llapac che si trovava nello stesso corridoio della biblioteca. Edmund si sentì in dovere di scusarsi per il suo comportamento della sera precedente, così sorrise in direzione della ragazza e le fece capire che voleva parlarle. Lei si limitò ad un cenno alle sue amiche, che afferrarono al volo di doversela defilare, anche se alcune rivolsero loro dei risolini divertiti.

«Eh, senti, Moira...» cominciò a dire Edmund, sentendosi stupidamente a disagio. «Mi dispiace di essermene andato così, ieri sera. Non è stato per nulla carino».

I capelli di Moira erano tornati crespi e indomabili, così come erano ricomparsi apparecchio e occhiali. Eppure Edmund non riusciva più a vederla solo come la ragazza più bruttina del castello: sapeva che era una persona gentile, di animo aperto e di buon cuore. E forse quello superava anche il fatto che non era particolarmente gradevole di aspetto.

Lei sorrise, gli si avvicinò e gli prese la mano. Stranamente, Edmund non sentì l'impulso di ritrarsi a quel contatto, né si sentì arrossire per l'imbarazzo. Era una cosa normale, da amici.

«Stai tranquillo, Edmund. Ho capito» gli rivelò Moira, anche se il ragazzo non aveva ben afferrato che cosa lei avesse capito. O che cosa ci fosse da capire, in generale.

Però Moira era stata gentile con lui. Doveva dirglielo. «Sei davvero una bella persona, Moira» mormorò, con un sorriso sincero. «Sono contento di potermi dire tuo amico».

Moira arrossì leggermente per il commento, ma poi ricambiò il sorriso. «Grazie, Edmund. Anche io sono contenta di essere tua amica» gli rispose.

E poi Edmund fece una cosa piuttosto stupida, che non gli sarebbe mai saltata in mente. Abbracciò Moira.

Lei rimase rigida per i primi secondi, imbarazzata e colta di sorpresa, ma poi ricambiò la stretta.

Quando si sciolsero dall'abbraccio, erano entrambi un po' impacciati, ma felici di aver trovato un nuovo amico su cui poter contare.


Laughlin scoprì che Edmund era in biblioteca, tanto per cambiare. Da quando era sparito, la sera prima al ballo, non l'aveva più visto. Non era difficile intuire il motivo per cui aveva lasciato la festa in fretta e furia, anche se Laughlin era certo che non lo avrebbe mai ammesso. In effetti, si comportava come se nulla fosse successo: era concentrato sulla soluzione del sonetto e quasi non si accorse che l'amico si era seduto di fronte a lui.

«Ehilà! Buon anno!» esclamò Laughlin, sventolandogli le mani davanti al naso.

«Ohi» borbottò in risposta Edmund, passandosi una mano sulla faccia.

«Qualche problema?» buttò lì Laughlin, nella speranza di farlo sfogare un po'.

Edmund mugugnò ma non rispose. Si limitò a fare un cenno con la testa verso il foglio di pergamena dove era scritta la poesia. Laughlin sbirciò le prime righe, ma era ovvio che la sua domanda non era riferita all'indovinello per il Torneo. Che razza di zuccone!

Non migliorò la situazione l'arrivo di Mairead e Faonteroy: lui, come al solito, aveva la faccia di uno che si è fatto trascinare controvoglia, mentre lei aveva un sorriso beato sul volto. Si sedettero entrambi allo stesso tavolo di Laughlin e Edmund, ma nessuno dei due sembrava molto intenzionato a studiare.

«Così tu e Mr Quidditch, adesso, siete una coppia?» indagò Edmund, con un tono sarcastico che non era da lui.

Per fortuna Mairead non se ne accorse. Arrossì leggermente, ma sorrise. «Be', tecnicamente sì. Non è meraviglioso?»

«Meraviglioso» confermò Edmund, inclinando indietro la sedia e piazzando i piedi sul tavolo, con le braccia incrociate sotto la testa, in una posa da vero machio. Aveva l'aria maliziosa e menefreghista.

Mairead, Laughlin e Faonteroy gli lanciarono un'occhiata sbalordita. Quel comportamento era così poco da... Edmund!

«Che stai facendo?» gli chiese Mairead, scandendo bene le parole per assicurarsi che Edmund capisse quello che stava dicendo.

Il ragazzo si strinse nelle spalle. «Sono il Campione del Trinity, posso fare quello che voglio» rispose, come sfidandola a dire il contrario.

Mairead scosse la testa, scioccata. «Dovresti essere felice per me, invece di fare il geloso perché io ho il ragazzo e tu no!» sbottò furibonda.

Edmund le rivolse un sorriso fastidiosamente beffardo. «Grazie, ma non sono interessato ad avere il ragazzo» replicò, facendo brillare gli occhi per la sua risposta sagace.

Mairead si alzò di scatto dalla sedia. «Sei un completo idiota!» lo insultò.

Edmund la ignorò, stringendosi nelle spalle. Ormai, dargli dell'idiota era diventato un piacevole passatempo per Mairead. Non che lui si offendesse più di tanto, dopo l'ennesima volta.

«Faonteroy, andiamo!» ordinò la ragazza, facendo un cenno al cugino.

«Ma ci siamo appena seduti» protestò debolmente quello, ben sapendo che comunque si sarebbe lasciato trascinare dalla cugina anche controvoglia.

Solo quando i due ragazzi si furono allontanati, Laughlin riservò un'occhiata di rimprovero a Edmund.

«Che c'è?» chiese quello, come se il suo comportamento fosse il più naturale del mondo.

«Burke, leva immediatamente i piedi dal tavolo!» ordinò scandalizzata la professoressa O'Connel che stava girovagando per gli scaffali della biblioteca alla ricerca di un libro sugli Incantesimi di Appello e Esilio da consigliare a Henry Alabacor, l'unico a non essere ancora riuscito a padroneggiarli.

«Mi scusi, professoressa!» esclamò Edmund, quasi cadendo a terra per la fretta di eseguire l'ordine.

Laughlin represse una risatina. «Quando passa la O'Connel, la gente fugge da lei come se avesse le ali ai piedi!» sussurrò divertito, osservando come gli studenti si prendessero la briga di assumere comportamenti rispettosi solo in presenza dell'insegnante di Incantesimi.

Improvvisamente Edmund si illuminò. «Che cosa hai detto?» chiese a Laughlin, con gli occhi sgranati per l'eccitazione.

«Io?»

«Sì, sulla O'Connel!»

Laughlin lo guardò perplesso. «Che la gente fugge da lei come se avesse le ali ai piedi?» ripeté con aria confusa. Non capiva davvero cosa ci fosse di emozionante in quella frase.

«Le ali ai piedi...» sussurrò Edmund, colto dall'estasi, manco avesse visto una schiera di cori angelici. In realtà, gli era solo venuta un'idea.

«Laughlin, ti amo!» esclamò di getto, afferrando il volto dell'amico tra le mani e schioccandogli un sonoro bacio sulla guancia.

Laughlin si impietrì, gli occhi sgranati per la sorpresa. «Bleah!» sbottò, asciugandosi la guancia con il dorso della mano. «Ed, com'era quella storia del ragazzo?»

Ma non ottenne alcuna risposta, perché Edmund se l'era già defilata.


Con il passare dei giorni, Mairead si era ormai rassegnata al fatto che sarebbe stata oggetto di pettegolezzo almeno per un po'. Trovava particolarmente odiosa non la cosa in sé, quanto più l'impressione che Leonard ne godesse. Certo, lui era carino e quando la baciava Mairead sentiva lo stomaco attorcigliarsi e il cuore battere forte nel petto, ma non sopportava le pubbliche manifestazioni d'affetto che la facevano sempre restare al centro dell'attenzione. La ragazza era stata costretta a mettere il veto ai baci in pubblico, soprattutto nella sala comune dei Raloi. Non riusciva a reggere il fatto che la gente la squadrasse da mattina a sera solo perché stava con il ragazzo più carino della scuola.

C'era poi un altro problema: Edmund aveva praticamente smesso di parlarle dall'inizio di gennaio. Mairead ogni tanto si sedeva con i suoi vecchi amici e cercava di fare conversazione ma, se Laughlin non aveva nulla contro di lei, Edmund si era chiuso in un ostinato mutismo che la ragazza non riusciva più a sopportare. E questo andava unito al fatto che, a volte, spariva per delle ore intere e nessuno sapeva dove fosse finito.

Una sera di inizio febbraio, mentre se ne stava accoccolata su una poltrona insieme a Leonard a leggere il Corriere, vide passare Edmund con sotto braccio una scatola di cartone. Le pianse il cuore quando lui le lanciò un'occhiata piena di disprezzo e se la defilò nel dormitorio. Era arrivato il momento di porre rimedio a quella situazione.

Mairead si alzò dalla poltrona e si affrettò a salire le scale a chiocciola sulla destra, che portavano alle stanze maschili. Salì al quarto piano e, ignorando le proteste di Anneus che era appena uscito dalla stanza, vi si fiondò dentro.

Edmund era seduto sull'unico letto a baldacchino che aveva le tende tirate su tre lati. Quando vide entrare la sua amica, non poté trattenere un'espressione sorpresa. «Mairead, che diavolo...?»

«Edmund, dobbiamo parlare» decretò la ragazza, sedendosi sul letto al suo fianco.

«Non ho niente da dirti» replicò Edmund, in tono duro.

Ma questo non fermò la determinazione di Mairead. «Senti, lo so che Leonard non ti va a genio, però credo che sia stupido gettare la nostra amicizia alle ortiche per una cosa del genere» gli disse, guardandolo con intensità.

Edmund deglutì, quando si sentì puntati addosso quegli occhi verdi così profondi.

«Almeno prova ad essere felice per me!» lo supplicò Mairead, afferrandogli la mano.

Nel momento stesso in cui le dita di Mairead sfiorarono le sue, Edmund si sentì bruciare. Perché solo lei gli faceva quell'effetto?

«Ti prego, Ed. Sei importante per me».

Oh, non sapeva nemmeno lontanamente quanto Edmund avrebbe voluto essere importante per lei.

Il ragazzo aveva la gola secca e non riusciva a parlare. Avrebbe voluto dire molte cose, avrebbe voluto rivelare che odiava Connery solo perché otteneva tutte le sue attenzioni, attenzioni che lui avrebbe voluto per sé. Ma non disse nulla. E non riuscì a resistere ancora a lungo allo sguardo intenso di Mairead.

Alla fine, semplicemente, annuì.

«Oh, grazie, Edmund!» scoppiò Mairead, gettandogli le braccia al collo.

Edmund mugugnò per quell'abbraccio inaspettato che gli aveva causato un'accelerazione di battito cardiaco. Ma alla fine ricambiò la stretta, con un unico, singolo singhiozzo.



Povero Eddy!! ç_ç

Ve l'avevo detto che l'avrei maltrattato per bene in questo capitolo... meno male che, almeno, ha trovato una nuova amica in Moria. Certo, bisogna ammettere che lui stesso si è comportato un po' da idiota! QUI, l'immagine dell'apoteosi della sua idiozia, quando cioè mette i piedi sul tavolo della biblioteca.

Quanto a Mairead, non è molto sveglia: è convinta che Edmund sia arrabbiato con lei perché non gli piace Connery, ma non capisce che a lui non piace Connery perché sta con lei! (che bel pensiero contorto!).

Laughlin, invece...be', lui è sempre lui! Il mio preferito, in tutte queste questioni di cuore, perché non si fa prendere da mille preoccupazioni. Insomma, è sciallo, come direbbe mia sorella! XD

Prossima settimana: seconda prova! Che cosa avrà intuito Edmund? ^^

A presto,

Beatrix B.

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Capitolo 19
*** Non è tutto oro quello che luccica ***


CAPITOLO 19

Non è tutto oro quello che luccica





La mattina della seconda prova, Edmund si svegliò presto, ma era ragionevolmente tranquillo: aveva risolto l'indovinello, sapeva in che cosa consisteva la prova e aveva trovato il modo per sopravvivere al tuffo dalle scogliere. Sarebbe andato tutto per il verso giusto, quella volta.

Sgattaiolò via dalla sala comune quando cominciarono a svegliarsi anche i suoi compagni, ma evitò accuratamente la Sala Mor, perché non aveva voglia di vedere gente; così decise di scendere nei sotterranei per andare nelle cucine (a cui si accedeva facendo l'inchino ad un quadro di Zaocoonte O'Saoirse, il liberatore dell'Irlanda Magica), dove gli elfi lo accolsero calorosamente e gli offrirono ogni genere di prelibatezze. Edmund si accontentò di un bicchiere di latte con una fetta di torta al cioccolato, dopodiché, controllando l'orologio appeso sopra i forni, vide che era ora di recarsi in ingresso, dove lo attendevano i giudici.

Quando arrivò, ovviamente, Wedge era già lì, con un'aria strafottente stampata in faccia. Poco dopo li raggiunse anche Chaitaly e, visto che erano arrivati tutti, il professor Captatio fece salire i giudici su una carrozza e i tre campioni su un'altra. Durante il viaggio, nessuno parlò, né furono azzardate ipotesi su dove si stesse andando, perché ciascuno sperava che gli avversari non avessero risolto l'indovinello e certo non intendeva facilitarli rivelando la destinazione.

Solo quando la carrozza si fermò, circa una ventina di minuti più tardi, Edmund osò aprire lo sportello e sbirciare fuori. Represse un selvaggio grido di compiacimento, quando riconobbe dove si trovavano: le scogliere di Moher, esattamente come aveva pensato.

Anche per quella prova, era stata predisposta una tribuna, un tavolo per i giudici e un padiglione dove i campioni avrebbero ricevuto le istruzioni. Dando un'occhiata veloce, Edmund notò che erano già arrivati parecchi spettatori, che dovevano essersi alzati molto presto, vista la lontananza delle scogliere di Moher dal castello. C'erano anche Mairead e Laughlin, insieme a Dominique, Faonteroy e, con suo grande dispiacere, Leonard. I suoi amici lo salutarono e gli rivolsero sorrisi di incoraggiamento, ai quali Edmund rispose con nervosi cenni del capo: l'ansia, ora, cominciava a farsi sentire.

Poi il professor Captatio richiamò i campioni nel padiglione per dare loro le istruzioni riguardo alla prova. «Come immagino abbiate capito dall'indovinello» cominciò a dire il preside, «Dovete buttarvi dalle scogliere di Moher, entrare in una caverna sul fianco della scogliera, recuperare quanto più oro riuscite e tornare qui entro il tempo limite di un'ora. Semplice, no?»

Edmund e Chaitaly si scambiarono un'occhiata densa di significati: anche l'altra volta Captatio aveva detto che la prova si sarebbe rivelata semplice.

Dopodiché, Mama Hope recuperò i soliti tre Argo e li programmò perché seguissero ognuno un campione. Il preside Singh, invece, consegnò a ciascuno di loro una sacca da mettere a tracolla, per poterla riempire di oro.

«Bene!» esclamò Captatio, battendo le mani. «Ora, tutti fuori che il pubblico ci aspetta!»

Quando i tre campioni uscirono, furono accolti da un'ovazione. Edmund cominciò a sentire le mani sudaticce e strinse convulsamente la bacchetta.

«Al mio fischio, partite!» annunciò il professor Captatio e poi soffiò con energia dentro il suo fischietto.

Chaitaly si levò lo scialle che portava sulle spalle e lo depositò a terra. Con un incantesimo che Edmund non aveva mai sentito, lo fece sollevare e questo vibrò a mezz'aria, come una specie di tappeto volante. La ragazza, infatti, vi salì sopra e sfrecciò giù dalla scogliera.

Wedge, invece, bevve un sorso da una strana pozione, che gli fece spuntare due enormi ali da aquila sulle spalle. Doveva essere un intruglio africano, perché Edmund non ne aveva mai sentito parlare. Prima di sparire alla vista, Wedge lanciò uno sguardo sprezzante a Edmund, il quale era rimasto immobile sul precipizio, a guardare il mare che si infrangeva contro le rocce. Non che soffrisse di vertigini, ma era piuttosto inquietante l'idea di buttarsi giù.

Deglutì. Aveva preparato un'entrata in scena epica, ma non era più tanto sicuro di volerla fare: se il suo incantesimo non avesse funzionato, si sarebbe spiattellato sugli scogli sottostanti. Forse era il caso di provarlo, prima.

E poi... «Mah!» e si buttò.

Le grida terrorizzate degli spettatori gli arrivarono in sordina alle orecchie, mentre il vento fischiava nei timpani e gli faceva sollevare la divisa e i capelli. Per un attimo rimase stordito, a sbattere contro il muro di aria, mentre gli scogli si avvicinavano sempre di più. Ma poi si riprese: batté i tacchi delle scarpe e ai lati delle caviglie comparvero due alette. Le ali cominciarono a sbattere frenetiche e arrestarono la caduta con un tale strattone che Edmund si ritrovò a fare una capriola in aria. La torta che aveva mangiato a colazione gli si rivoltò nello stomaco e fu costretto a trattenere un conato di vomito. Ci mise un po' a manovrare quegli strani calzari, ma alla fine riuscì ad avere la meglio.

Li aveva recuperati dal covo degli Extraiures, (l'idea gli era venuta in mente quando Laughlin aveva detto quella cosa delle “ali ai piedi”) ma aveva passato le ultime due settimane a sistemarli: entrambi erano piuttosto malconci, con le ali spezzate, e poi aveva bisogno di creare un meccanismo che nascondesse le ali fin tanto che non lo avesse deciso lui.

Quando finalmente riuscì a mantenersi in equilibrio, risalì per qualche metro, finché non ricomparve alla vista del pubblico, con un aria trionfante. Gli spettatori esplosero in un ruggito di approvazione e, forse, anche sollievo. Edmund aveva l'aria di un conquistatore di altri tempi.

Dopo aver raccolto gli applausi dei suoi ammiratori, Edmund decise che era tempo di dedicarsi alla prova. Così, si rituffò verso il mare, con la bacchetta in pugno. Inizialmente la cosa più difficile fu quella di mantenere l'equilibrio con quelle stupide ali ai piedi, ma poi accadde qualcos'altro che attirò la sua attenzione: un urlo acuto squarciò la tranquillità del limpido cielo di febbraio. Edmund strizzò gli occhi, e poi lo vide: Chaitaly era una ventina di metri sotto di lui e sembrava essere stata attaccata da una sorta di uccello di fuoco. Edmund osservò la scena dall'alto per qualche tempo: Chaitaly se la cavava abbastanza bene, con incantesimi mirati, ma presto arrivarono altri uccelli e anche Wedge, poco più sotto, venne attaccato.

Questa volta non aveva alcuna intenzione di andare in aiuto degli altri campioni, anche perché sembravano farcela anche da soli. Mentre loro erano alle prese con quelle creature, Edmund sfruttò il tempo che aveva a disposizione per cercare di individuare la caverna. Fu abbastanza sicuro di averla trovata quando riconobbe un grosso taglio nel fianco della roccia, poco distante da dove stava combattendo Chaitaly. Edmund pensò che fosse proprio il caso di sfruttare la situazione a lui favorevole, così si lanciò in direzione della grotta. Ma non aveva percorso in volo che pochi metri quando uno degli uccelli che stava attaccando Chaitaly si accorse di lui e gli si avventò contro.

Edmund non aveva mai visto niente del genere: le dimensioni erano quelle di una grossa aquila, ma la sagoma dell'animale era fatta completamente di fuoco; e, non contento, l'uccello sputava dal becco vampate di fiamme.

«Stupeficium!» provò a gridare Edmund, ma il volatile scansò con destrezza il suo pallido tentativo di incantesimo. Non aiutava, poi, il fatto che Edmund fosse completamente incapace di mantenere l'equilibrio o anche solo di muoversi rapidamente. Il primo getto di fuoco dell'uccello lo colpì di striscio, ma la giacca della sua divisa prese ugualmente fuoco. Edmund sentì la pelle del torace ustionarsi e soffocò a stento un urlo di dolore, mordendosi la lingua. «Aguamenti!» gridò soffocato, e un flusso di acqua si sprigionò dalla sua bacchetta, per spegnere le fiamme.

Quando osò alzare nuovamente gli occhi sulla creatura, per poco non gli venne un colpo: almeno dieci di quegli assurdi uccelli di fuoco stavano puntando dritto verso di lui. Di Chaitaly e Wedge non c'era più traccia, segno che dovevano essere riusciti ad entrare nella caverna, lasciando a lui la patata bollente.

«Aguamenti!» gridò ancora, puntando la bacchetta verso il più vicino. Ma, ben presto, capì che sarebbe stato accerchiato e allora non sarebbero bastati i suoi incantesimi. Grigliata di campione.

L'unica cosa sensata da fare era tuffarsi in mare. Edmund non aveva mai apprezzato molto l'acqua e, ad essere sinceri, non sapeva nemmeno nuotare. Tenersi a galla, niente di più. Ma non aveva molte alternative.

Sempre facendo attenzione a scagliare incantesimi verso qualsiasi creatura gli si avvicinasse troppo da minacciarlo, Edmund scese in picchiata verso gli scogli. Cercò di tuffarsi in mare aperto, per non rischiare di essere sbattuto contro le rocce dalla violenza delle onde. Serrò gli occhi e la bocca, quando sentì l'impatto con la superficie del mare. Ma non aveva tenuto conto che l'acqua era salata: non appena si bagnò il ventre, le ustioni gli bruciarono come se la sua carne fosse stata fatta rosolare sul fuoco. Ancora sott'acqua, Edmund aprì la bocca per urlare ma non ottenne altro che ingurgitare liquido salato. Le onde e le bollicine provocate dal suo tuffo erano un vortice intorno a lui e Edmund fu certo che sarebbe morto lì, affogato nell'oceano. Ma poi, le alette delle sue scarpe cominciarono a sbatacchiare frenetiche e gli diedero la spinta per ritornare in superficie, dove c'era l'aria.

La prima boccata di ossigeno fu quasi dolorosa: i suoi polmoni lo reclamavano. Edmund sputacchiò l'acqua che aveva bevuto e cominciò ad agitare le braccia per riuscire a stare a galla.

Gli uccelli di fuoco emettevano strani versi di lamento, ma non osavano avvicinarsi alla superficie del mare. «Venite a prendermi adesso!» li insultò Edmund, gridando con foga nella loro direzione.

Passarono quasi dieci minuti prima che i volatili si rassegnarono a lasciarlo in pace. Edmund cominciava ad essere scosso dai brividi per il freddo, le labbra violacee che tremavano. Ma, finalmente, con un ultimo richiamo stridulo, gli uccelli di fuoco si allontanarono.

Solo quando fu sicuro che non sarebbero tornati, Edmund si diede una forte spinta con le gambe e uscì dall'acqua. Risalì svolazzando il fianco della scogliera, ma le alette dei suoi calzari erano zuppe e faticavano a tenerlo in equilibrio. Inoltre, anche la sua divisa scolastica era impregnata di acqua e le raffiche di vento che ululavano tra le rocce lo facevano tremare da capo a piedi. Raggiunse la caverna che era stremato, sebbene non si fosse nemmeno minimamente avvicinato all'obiettivo della prova. E almeno metà del tempo doveva essere trascorso. Chaitaly, infatti, sul suo scialle volante, aveva già cominciato la risalita verso l'alto.

Non appena Edmund mise piede sul suolo umido e scivoloso della grotta, tirò un sospiro di sollievo. Batté i tacchi e le alette sparirono. «Lumus» sussurrò, anche se vi era solo una leggera penombra: non voleva rischiare di avere brutte sorprese. Avanzò per qualche metro nel cuore dell'antro, poi la sua bacchetta illuminò la sagoma china di Hewa Wedge.

«Ehilà, pivello!» esclamò il campione africano, con un cenno di saluto. Era intento a riversare frettolosamente qualcosa dentro la sua sacca. Fece rotolare tra le dita quella che pareva una moneta d'oro, poi la lanciò dentro la borsa e si voltò verso Edmund con un sorriso beffardo. «E questa era l'ultima, Mi dispiace Burke, ma sei arrivato tardi» gli disse, accennando con il capo alla sua sacca. «Sai, Hiranmay ha preso solo la sua parte, ma a me è bastato un Incantesimo Estensivo Irriconoscibile per intascarmi tutto quello che c'era» fece un cenno con gli occhi, poi sogghignò. «Ci vediamo, pivello!» ridacchiò, prima di defilarsela.

Edmund se ne rimase ritto lì in piedi, con aria apatica. Aveva fatto tardi, Wedge aveva preso tutto l'oro e a lui sarebbe toccato tornare indietro a mani vuote. In fondo alla classifica, di nuovo.

Scosso dai tremiti di freddo e abbattuto per la sconfitta, Edmund si lasciò scivolare a terra e vi rimase acquattato per un tempo che non seppe calcolare. Dopo un po', fu il pigolio ritmico del suo Argo a riscuoterlo. Anche se non aveva recuperato l'oro, non poteva arrendersi così: si sarebbe presentato alla giuria, e un po' di punti dovevano pur darglieli per aver risolto l'indovinello e aver trovato il modo di volare fino alla caverna.

Aspetta un attimo... l'indovinello!

Cosa diceva l'ultima terzina? Entra nell'antro prima della risacca, non credere ad immagine fasulla e torna con d'oro piena la sacca.

Non cedere ad immagine fasulla... possibile che l'oro che dovevano recuperare fosse lì in bella mostra, ad aspettare loro? E se quello fosse stato solo uno specchietto per le allodole? E se il vero oro fosse stato nascosto ben più in profondità?

Edmund si rialzò da terra con nuova decisione, la bacchetta in pugno e lo sguardo sicuro. Avanzò ancora verso il fondo della caverna, alla ricerca di qualcosa che potesse indicargli la giusta via. Per fortuna, l'antro era piuttosto stretto e la strada che stava percorrendo era anche l'unica: non c'era rischio di sbagliare. Procedette per almeno dieci minuti, finché non si trovò davanti una fenditura orizzontale nella roccia, attraverso cui ci sarebbe passato a stento. Possibile che avesse sbagliato? Ma no, aveva controllato attentamente il percorso. Forse si trattava solo di un restringimento, poi la caverna si sarebbe aperta nuovamente.

Così, Edmund decise di accucciarsi a terra e strisciare dentro la fenditura. Nello sfregare sulla roccia il ventre ustionato mugugnò di dolore, ma strinse i denti e andò avanti. Si ritrovò in una piccola cavità: non appena riuscì a rimettersi in verticale, sbatté violentemente la testa contro la roccia e si accorse di non poter restare dritto in piedi; avrebbe dovuto procedere chinato. Ma dopo pochi passi si ritrovò di fronte una parete di roccia che gli impediva il passaggio. Non era possibile.

La analizzò meglio, cercò fenditure, varchi, tracce di magia. Niente. La strada era bloccata.

Un senso di oppressione calò su di Edmund. Si sentì schiacciato, dentro quel piccolo antro chiuso e soffocante. Cominciò a respirare affannosamente, toccando la roccia che era tutto intorno a lui, come se potesse spingerla via. Sarebbe morto soffocato lì dentro. In una tomba. Iniziò a sudare freddo, le gambe molli come gelatina che non reggevano più il peso del suo corpo.

Bel momento per scoprire di soffrire di claustrofobia. Si lasciò cadere a terra, rannicchiandosi in posizione fetale. Doveva darsi una calmata, o non sarebbe più riuscito ad uscire da quel buco. Vedere tutta quella roccia intorno a sé lo opprimeva, quindi decise di spegnere la luce della bacchetta. «Nox» sussurrò e il buio lo avvolse.

Chiuse gli occhi e cercò di regolarizzare il suo respiro. Era scosso dai brividi, ma non sapeva se si trattava di panico o di freddo. Solo dopo parecchi minuti osò aprire nuovamente gli occhi. Per un attimo rimase scioccato: la parete di roccia alla sua sinistra luccicava per la debole luce che filtrava dalla fenditura. Prima non se n'era accorto, a causa dell'intensità dell'incantesimo Lumus. Mentre ora... era meraviglioso. Si avvicinò carponi a quelle strane venature che brillavano al buio, vi passò sopra un dito e realizzò. Era oro.

Un sorriso di vittoria si disegnò sulle sue labbra sottili. Ce l'aveva fatta.


I giudici e il pubblico seguivano le imprese del Campione del Trinity osservando la sua pallida immagine proiettata dal disco d'argento del suo Argo. Gli altri erano già tornati da un pezzo, mentre lui continuava a procedere all'interno della grotta. Sinceramente, che cosa diavolo stava cercando di fare?

E poi «Eccolo!» gridò qualcuno dalla tribuna, quando Burke rispuntò sulla scogliera, con l'aria di un grande conquistatore.

«Santo folletto barbuto!» sbottò l'infermiera Flanders, correndogli incontro. «Burke, seguimi immediatamente dentro il padiglione» gli ordinò, guardando con occhio critico la sua divisa bruciacchiata e fradicia.

«Ma...» provò a dire Edmund.

«Niente “ma”! O vuoi che ti faccia spogliare qui davanti a tutti?»

L'agghiacciante minaccia ebbe l'effetto di spegnere qualsiasi protesta. L'infermiera trascinò Edmund dentro il padiglione, gli fece togliere i vestiti bagnati, gli spalmò un unguento puzzolente sulla bruciatura e poi lo ricacciò fuori, in mutande e calzini, imbacuccato in enorme mantello di lana.

Lo sguardo di scherno che gli riservò Wedge (a cui erano sparite le ali dalla schiena), fece capire a Edmund che doveva avere un'aria ben poco eroica, infagottato in quel pastrano marrone. Si avvicinò al tavolo dei giudici, dove attendevano anche gli altri campioni di ricevere il punteggio. Captatio gli rivolse un fugace occhiolino, poi si puntò la bacchetta alla gola e sussurrò: «Sonorus».

«Forza, giovanotti, vuotate il vostro sacco!» esclamò il preside e la sua voce magicamente amplificata riempì la tribuna.

Chaitaly rovesciò sul tavolo dei giudici un bel gruzzolo di monete d'oro con evidente soddisfazione. Wedge, dal canto suo, riversò una piccola fortuna, strappando grida di ammirazione dalla folla. Edmund, infine, fece rotolare sul tavolo una decina di sassi.

«Questo è il tuo oro, Burke?» lo derise il campione africano.

«E questo è il tuo, Wedge?» replicò Edmund, prendendo una moneta dal mucchio. La osservò per una manciata di secondi, poi commentò: «Che buffo, non ha il numero di serie» e lanciò la moneta tra le altre. «Nemmeno questa, e neanche questa» aggiunse, controllando alcuni dobloni a caso. Un sorriso trionfante si allargò sulla bocca di Edmund, rendendo i suoi lineamenti quasi grotteschi. «Non è tutto oro quello che luccica, Wedge. Questi sono soldi dei Lepricani» rivelò infine, suscitando esclamazioni stupite da parte del pubblico.

«Queste, invece, sono pepite d'oro!» esclamò Edmund, puntando la sua bacchetta contro i sassi che aveva riportato indietro. «Recido» mormorò e uno di questi si spaccò esattamente a metà, rivelando al suo interno striature di oro luccicante. In quello stesso istante, le monete degli altri due campioni sparirono.

Un “oooh” ammirato si alzò dalla folla.

«Ma è comunque arrivato in ritardo di mezz'ora oltre il tempo massimo!» protestò Mama Hope, scatenando un'accesa discussione tra i giudici. Passarono dieci minuti buoni prima che i cinque membri della giuria riuscissero ad accordarsi sul punteggio da assegnare a ciascun campione.

«Abbiamo deciso di valutare su un massimo di cinquanta punti» annunciò infine Captatio, e su tutta la tribuna calò il silenzio. «Alla signorina Hiranmay, per il lodevole incantesimo di Advolatio eseguito sul suo scialle, per la maestria con cui si è battuta contro gli uccelli di fuoco e per essere ritornata per prima, assegniamo 40 punti» disse Captatio e un applauso educato seguì l'annuncio.

«Al signor Wedge, per l'efficacia della pozione utilizzata e per la sua bravura nel difendersi dagli attacchi degli uccelli, assegniamo 37 punti»

A giudicare dallo sguardo di Wedge, quel punteggio non doveva andargli molto a genio. Tuttavia, sommato a quello della prima prova, lo portava in testa alla classifica con 80 punti.

«Il signor Burke ha sforato di venticinque minuti sul tempo che gli era stato concesso e ha ricevuto una ferita dagli uccelli di fuoco» riprese infine Captatio. «È altresì stato l'unico ad interpretare correttamente tutto l'indovinello e a ritornare con la sacca piena d'oro. Per questo, gli assegniamo 41 punti».

Edmund rivolse un sorriso di gioia selvaggia al suo avversario Wedge. Era vero, sommati agli altri punti, Edmund si ritrovava comunque in fondo alla classifica, ma almeno questa volta lo aveva battuto.



Ecco a voi la seconda prova! Mi sono sbizzarrita parecchio nel descriverla, prima per gli incantesimi di volo, poi per gli uccelli di fuoco e infine per la parte nella caverna. Non so se qualcuno di voi soffra di claustrofobia, ma vi assicuro che mi mette l'ansia il solo pensiero di infilarmi in qualche buco roccioso come fanno gli speleologi, e perciò descrivere le emozioni di Edmund mi è venuto piuttosto naturale.

Quanto alla sua idea di utilizzare i calzari trovati nel covo degli Extraiures (qui il link del capitolo di riferimento!), vorrei dire che, forse, per coloro che hanno letto “Vita da fuorilegge” era un'associazione piuttosto facile, ma per Edmund è stato un vero colpo di genio. QUI l'immagine del suo trionfante apparire sulle scogliere con i calzari ai piedi (la sferetta che ha al fianco, è Argo).

Infine, ricordate miei cari, non è tutto oro quello che luccica! ;-)

La settimana prossima riprenderemo un po' in mano i “cattivi” della storia! A presto,

Beatrix

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Capitolo 20
*** Drastiche soluzioni ***


CAPITOLO 20

Drastiche soluzioni





Meccorin Deamundi, undicesimo conte di Con Cetchthach, sistemò le pieghe del suo lungo abito nero. Non che il suo guardaroba ospitasse vestiti di tanti altri colori, in realtà, ma quella volta la scelta cromatica era dettata dalle circostanze. Mentre si allacciava il cravattino del suo completo, i cupi occhi blu gli caddero sulla pagina del Corriere che aveva appena finito di leggere. Il suo sguardo si accigliò ulteriormente, nel vedere la foto seria della signora raffigurata sul giornale. Non c'era più religione, a quel mondo.

In quel momento qualcuno bussò alla porta e Meccorin ordinò di entrare. I suoi due figli Cassian, il più grande nonché futuro erede del titolo, e Tricolon entrarono rispettosamente nella stanza, chinando il capo in segno di sottomissione. «Padre, avete richiesto la nostra presenza?» chiese Cassian.

Il conte Deamundi prese il giornale dallo scrittoio e mostrò la pagina con l'articolo ai due figli. Il più grande afferrò il Corriere e lesse velocemente il trafiletto. «È un oltraggio al nostro orgoglio di Purosangue» commentò con disgusto, passando l'articolo al fratello. «Non c'è nulla che possiamo fare?»

«Quello che c'era da tentare, è stato tentato» rispose il conte, con un sospiro drammatico.

Cassian, allora, si guardò intorno con fare circospetto, poi osò sussurrare: «Padre, nemmeno discutendone con... voi-sapete-chi?»

Il conte di Con Cetchthach stritolò con un gesto convulso il bordo della sua veste. «Ci ho provato, ovviamente, ma non ha voluto sentire ragioni» rivelò, mentre una smorfia di repulsione gli attraversava il volto. «Dice che è una buona legge, lui!» sbottò, alzando il pugno al cielo. «Che salva le apparenze e fa contenti tutti. È un oltraggio, dico io! Un oltraggio al buon nome di maghi irlandesi!»

Dopo quello sfogo, il conte sembrò calmarsi. «Lui cerca sempre compromessi. Un vero uomo politico» mormorò con un sospiro rassegnato.

«No, ormai bisogna intervenire in modo drastico» decretò infine.

Tricolon finì di leggere l'articolo e ripiegò con cura il giornale, per appoggiarlo di nuovo sullo scrittoio. «Padre, dall'ultima volta le hanno messo addosso una scorta» commentò, con un certo rammarico nella voce.

«Lo so, ma...» cominciò a dire Meccorin Deamundi, ma fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta. «Avanti».

Daireen Cumhacht entrò nella stanza con un breve inchino. «Condoglianze, signor conte».

Deamundi le rivolse un accenno di sorriso, poi guardò con profondità i suoi figli e infine tornò a voltarsi verso Daireen. «È ora che cominciate a lavorare assieme e i vostri obiettivi diventino un unico obiettivo».

Daireen e i due figli Deamundi si scambiarono occhiate perplesse: nessuno sapeva quale compito fosse stato affidato agli altri e quindi non capivano come potessero collaborare.

«Colpirete i vostri due obiettivi quando saranno entrambi al Trinity» spiegò il conte, dirigendosi verso una piccola dispensa che si trovava nel suo studio.

«Ma, padre, come possiamo agire sotto il naso di Captatio?» si informò Tricolon, con una certa perplessità.

Meccorin Deamundi sussurrò una parola d'ordine e la credenza si aprì, rivelando una serie di ampolline e vasetti contenenti strani liquidi o cose galleggianti non meglio identificate. «Il naso di Captatio è sproporzionatamente grosso, ma non può tenere conto di tutto quello che entra ed esce dalla sua scuola, ora che c'è il Torneo» rispose Meccorin, con un sorriso di pura perfidia disegnato sulle sue labbra pallide. «Vediamo chi ha studiato pozioni, per oggi» sogghignò, afferrando un'ampolla contenente del liquido rosso scuro e una scatolina di legno. «Qual è l'undicesimo utilizzo del sangue di drago, unito alla Polvere dell'Ossessione?»

I tre allievi improvvisati si scambiarono sguardi d'intesa. Non c'era bisogno di rispondere a quella domanda: sapevano tutti dove sarebbe andato a parare il discorso del conte.

Solo una perplessità restava sospesa nell'aria: «Come possiamo, signore?» chiese in un sussurro Daireen Cumhacht.

Il conte Deamundi appoggiò gli ingredienti sullo scrittoio, poi spiegò: «Voi preparate la pozione, dopodiché basta solo farla bere a uno qualsiasi di coloro che avranno il permesso di entrare al Trinity per la preparazione dell'ultima prova del Torneo. Il resto verrà da sé».

Daireen annuì, anche se quello non era il suo modo preferito di agire: trame e sotterfugi per restare impuniti non le piacevano. Avrebbe preferito sporcarsi le mani con il sangue dei suoi avversari, piuttosto che agire nell'ombra e architettare piani ingegnosi.

Il conte Deamundi lo sapeva, ma era anche certo che convenisse usare prudenza. «Verrà il tempo, sorella Daireen, in cui non saremo più costretti a nasconderci» le rivelò, mettendole una mano sulla spalla. «L'EIF risorgerà grandioso a guida dell'Irlanda intera!» tuonò, ma poi tornò calmo. «Fino ad allora, però, ci conviene agire con discrezione».

Proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta e il volto serio di Andalysia fece capolino nella stanza. «Padre, è arrivata Sua Eminenza il cardinal Saiminiu» annunciò in un sussurro.

Il conte Deamundi annuì. Era richiesta la sua presenza per cominciare la cerimonia. «È ora di andare» decretò con un tono severo.

Quando raggiunse l'ingresso, Meccorin intercettò subito, tra gli altri ospiti, la figura corpulenta del cardinal Saiminiu. Riservando cenni di saluto a parenti e amici vari, si diresse senza esitazione verso il cardinale. «Vostra Eminenza, non sono più riuscito a farvi le condoglianze di persona per la perdita di vostro fratello» gli disse, baciando l'anello del mago.

L'uomo annuì con gravità. «Sextans* era ammalato da tempo e ha lasciato questo mondo forse troppo giovane. Ma chi siamo noi per contrastare il volere di Nostro Signore?» mormorò il cardinale, con quella sua voce profonda e raschiante. «Ora, comunque, siamo qui per vostra madre. Vogliamo far cominciare il corteo verso la cattedrale di Dubh Cliathan?»

Il conte Deamundi rispose con un accenno di sorriso. «Certamente».

Era raro che la Diocesi di Temair concedesse la Cattedrale di san Patrizio per cerimonie private, ma i Deamundi contavano ancora qualcosa nella società magica. E non tutti i funerali venivano celebrati dal cardinal Antilius Saiminiu, ma Evangeline O'Brian vedova Deamundi poteva godere di certi privilegi, anche da morta.

La cerimonia fu piuttosto essenziale, in realtà: il conte Deamundi non amava le esasperate esteriorizzazioni di dolore, e su questo si trovava d'accordo con il cardinal Saiminiu. Dopo il breve rito in chiesa, la processione si spostò al cimitero, dove Evangeline sarebbe stata seppellita nella cappella di famiglia dei Deamundi.

Osservando la compostezza e lo stoicismo con cui il conte affrontava la morte della madre, molti ospiti ne rimasero stupiti e lodarono la fermezza di quell'uomo. Solo i due nipoti più giovani avevano gli occhi un po' arrossati, segno delle lacrime versate per la nonna.

Ma vi era qualcuno che non credeva in quel composto dolore.

«Nemmeno per sua madre ha il buon gusto di piangere!» sbottò Josephine, scuotendo la testa. Il figlio Reammon le mise una mano sulla spalla, nel tentativo di consolarla. Lei gli rivolse un sorriso stiracchiato, poi si asciugò fugacemente una lacrima che le attraversava la guancia. Il suo rimpianto, il rimpianto dei sopravvissuti, era di non essere stata vicina a sua sorella quando poteva. Ora era troppo tardi.

«Quanto deve aver sofferto, negli ultimi anni, da sola in quella casa tetra con un figlio che la odiava. Credo che alla fine si fosse pentita di aver sposato un Deamundi, ma era troppo orgogliosa per ammetterlo» mormorò, cercando di reprimere i singhiozzi. «Le volevo bene, nonostante tutti i nostri dissapori. In fondo, era mia sorella!»

«Lo so, mamma. Lo so» le rispose Reammon, abbracciandola. I suoi occhi, nel frattempo, saettavano in direzione del conte di Con Cetchthach, che si era già voltato verso di loro un paio di volte e gli aveva lanciato occhiate furenti.

Solo quando la tomba di famiglia fu nuovamente sigillata, Meccorin Deamundi si fece loro incontro con passo deciso. «Non siete i benvenuti» decretò, con una smorfia di disgusto.

«Evangeline era mia sorella e ho tutto il diritto di venire al suo funerale» rispose Joey, con lo stesso cipiglio severo del nipote.

Il conte Deamundi si concesso uno sbuffo. «Sono sicuro che lei non vi avrebbe voluti qui».

«Io credo che sia tu a non volerci qui» intervenne Reammon con voce dura, per nulla intimidito. «Non vuoi che si sappia in giro che il conte della nobile casata Deamundi ha uno zio Nato Babbano e un cugino che sposò una donna inglese. Del cui assassinio, lo so benissimo, sei tu il mandante».

Meccorin gli si avvicinò, fino a che i loro nasi quasi non si sfiorarono. Nessuno dei due abbassò lo sguardo, nessuno dei due retrocedette di un solo passo. Era una sfida.

«Verrà il giorno in cui i legami di sangue non basteranno più a tenerti lontano dai guai, Reammon» sussurrò il conte Deamundi, con una smorfia.

Reammon si lasciò sfuggire un sorrisetto beffardo. «Prego il cielo perché quel giorno arrivi presto, Meccorin» replicò, con l'aria di uno che non aspettava altro. «Perché quel giorno, ce la vedremo solo io e te. E te la farò pagare per tutti i tuoi crimini».


Il professor Captatio aveva avvertito i tre campioni che l'ultima prova si sarebbe tenuta il pomeriggio del giorno 24 giugno. Edmund aveva passato gli ultimi mesi che lo separavano dalla prova a cercare in biblioteca e studiare degli incantesimi di attacco e difesa, visto che il quel frangente si era rivelato piuttosto scarso. Ne imparò alcuni molto interessanti, come l'Incantesimo di Ostacolo, che bloccava l'aggressore, o quello di Disarmo, anche se dubitava che la prova prevedesse lo scontro con altri maghi.

La sera del 23 giugno, Edmund, Laughlin e Mairead, finalmente loro tre da soli senza Connery o Dominique o Faonteroy, si ritrovarono in riva al lago ad osservare gli uomini del ministero che preparavano la terza prova. Era stato spiegato ai campioni che sarebbero stati costruiti tre ponti sul lago: li avrebbero dovuti attraversare per raggiungere la coppa. Nessuno aveva parlato di ostacoli, ma ovviamente era ovvio che ne avrebbero dovute affrontare.

«È bello stare un po' tra noi, come ai vecchi tempi» sussurrò Edmund, osservando gli uomini al lavoro.

«Già...» mormorò Laughlin, quasi sovrappensiero.

Ma proprio in quel momento Koen Jansen, il ragazzo boero della Reclife High School, che stava passeggiando sul lungolago, li vide e li salutò. «Posso unirmi a voi?» chiese con quel suo tono un po' apatico.

Edmund mugugnò qualcosa, ma sapeva che non sarebbe stato molto gentile cacciarlo via. Così Jansen si sedette sull'erbetta umida vicino a loro.

«Wedge ti ha scaricato?» domandò Edmund, con un certo sarcasmo, visto che i due andavano sempre in giro assieme.

Jansen non colse il tono sarcastico o forse preferì lasciar perdere. «No, lui voleva andare a dormire presto, questa sera» rispose con semplicità. Per un po' restarono in silenzio ad osservare i maghi del ministero che preparavano i ponti per la prova. La luna si rifletteva pallida sulla superficie del lago, mentre un venticello fresco soffiava dal mare. «Non è così male come sembra, comunque, Hewa» sospirò Jansen dopo un po'.

«Però sembra parecchio male» commentò Edmund, con una certa acidità.

«Sai, non è così semplice essere l'unico bianco in una scuola di tutti neri» rivelò Jansen, con un sospiro. «Da quando è stata istituita la Reclife, la prima scuola per tutti dopo il crollo dell'apparthaid, i figli dei coloni bianchi preferiscono gli istituti della madrepatria, oppure hanno un istruttore privato. I ricchi bianchi non mandano i loro figli a scuola con i negri. Io... sono una mosca bianca. E come tale vengo trattato» spiegò. Dopodiché sollevò un lembo della sua camicia e mostrò una lunga cicatrice sul fianco sinistro. «Questa me la feci al primo anno. Dei ragazzi più grandi mi aggredirono perché ero un bianco e riversarono contro di me tutto l'odio che provavano per quegli europei che li avevano discriminati, maltrattati e schiavizzati per secoli» mormorò con un tono avvilito. «L'unico che non bada a quale sia il colore della mia pelle è Hewa. A lui non importa. Lo so, ha anche tanti difetti, è pieno di sé e maledettamente ambizioso, ma è l'unico che mi accetta per quello che sono».

«Sta facendo di tutto per vincere questo stupido Torneo!» si lamentò Edmund, a cui ancora bruciava il fatto di essere stato abbandonato tra i tentacoli del platano, dopo che lui l'aveva aiutato.

Jansen si concesse un sorrisetto comprensivo. «Lo so. Vuole dimostrare a tutti quello che vale, far sapere al mondo che anche un ragazzo di colore ha le carte in regola per vincere un torneo internazionale».

«Non mi interessa per cosa combatte. Ognuno combatte per qualcosa» rispose Edmund, mentre i suoi occhi indugiavano su Mairead. «Abbiamo tutti il diritto di riuscire a vincere».

Edmund osservò ancora per un attimo gli uomini al lavoro e vide che uno di quelli con la divisa blu della ditta di trasporti, che era stata chiamata per montare le tribune e il palco su cui si trovava la coppa, continuava a voltarsi ossessivamente verso di loro. Non gli piaceva, non gli piaceva per niente.

«Torniamo dentro, dai, che si è fatto tardi» consigliò infine, crucciato.

I ragazzi annuirono e insieme si diressero nuovamente verso il castello. Prima di entrare dal pesante portone d'ingresso, Edmund vide che l'operaio li stava ancora fissando. Che diavolo aveva da guardare?



*Sextans Saiminiu è il fratello del cardinale e il padre del professor Septimius Saiminiu.

Come promesso, ecco tornati i cattivi... di nuovo in azione per portare a termine malefici piani! Muahahhaha!

Scherzi a parte, mi piace troppo Meccorin per non dargli un po' lo spazio che merita. Inoltre, non potevo resistere all'idea di farlo un po' bisticciare con il caro cugino Reammon: QUI l'immagine che li rappresenta (ps. sì, lo so, è un po' storta, ma ho litigato con lo scanner e questo è il meglio che ho ottenuto!).

Ho spifferato qualche segretuccio dell'EIF, come per esempio il fatto che hanno una spia al Ministero (il fantomatico voi-sapete-chi chiamato in causa da Cassian, ovviamente non è Voldemort!). Chi sa dirmi qual è l'undicesimo utilizzo del sangue di drago, unito alla polvere dell'Ossessione? Nessuno temo, perché è una cosa che ho inventato io...

Comunque, mi dispiace per chi si stava affezionando a Evangeline, ma è un personaggio per il quale, già in partenza, non avevo previsto possibilità di redimersi. Dopotutto, sapeva di aver generato un assassino, ma era pur sempre suo figlio e comunque lottava per quegli ideali ai quali anche lei aveva sempre creduto. Inoltre era un'orgogliosa purosangue (Nagard, per di più) quindi non ho mai pensato potesse tornare dalla sorella con il capo cosparso di cenere e l'aria penitente.Quanto al povero Sextans Saiminiu, era giovincello (76 anni, per la precisione), ma il Creatore (cioè io!) aveva decretato che fosse giunta la sua ora.

Infine, ve l'avevo detto che avrei dato a Wedge l'occasione per riabilitarsi: qui comincia a saltare fuori un altro lato del suo carattere, visto con gli occhi dell'amico boero Koen Jansen; nel prossimo capitolo, farà anche qualcosa grazie alla quale, spero, lo riabiliterete.

A presto,

Beatrix


ps. scusate se ultimamente ci impiego secoli a rispondere alle recensioni, ma gli esami invernali si avvicinano e sono un po' presa!

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Capitolo 21
*** Il potere dell'ossessione ***


Nota dell'Autrice: nel capitolo è presente una scena di violenza, e dunque mi sento autorizzata ad avvertirvi che il rating qui si alza verso il giallo-arancione.


CAPITOLO 21

Il potere dell'ossessione





Quando, il pomeriggio successivo, Edmund si recò in riva al lago per sostenere la prova, aveva le viscere attorcigliate. Aveva passato la mattina chiuso in sala comune dei Raloi, nonostante la bella giornata, perché i genitori dei campioni avevano avuto il permesso di venirli a trovare e per lui, ovviamente, si era presentato Adolfus McPride. L'unico modo che aveva trovato per sfuggirgli era stato quello di rintanarsi in sala comune con la scusa di ripassare gli incantesimi per la prova del pomeriggio. McPride non era sembrato molto contento per la cosa, ma non aveva avuto la prontezza di ribattere e quindi Edmund era riuscito a svignarsela. Se durante la mattina era riuscito a restare tranquillo, leggendosi un buon libro accoccolato sulla poltrona, mentre gli altri erano fuori a godersi il sole, con l'arrivo del pranzo aveva cominciato ad agitarsi.

McPride aveva insistito per sedersi con lui al tavolo. Molti studenti li osservavano con un certo interesse, ben riconoscendo il Presidente della Repubblica e chiedendosi cosa ci facesse in fianco a Burke.

«Buffo vedere la Sala Mor da questa prospettiva» mormorò d'un tratto McPride, con un mezzo sorrisetto.

«Nagard, immagino» rispose Edmund, ben sapendo che un uomo ambizioso come McPride non poteva che essere finito tra gli orgogliosi Nagard.

Il Presidente gli rivolse un sorriso enigmatico. «Ovvio» commentò, versandosi del succo di uva nel bicchiere. «Sarà strano avere un figlio Raloi» soggiunse, lanciandogli un'occhiata perforante.

Edmund ebbe come l'impressione che la sicurezza con cui aveva detto quella frase non fosse poi così casuale. «Il Tribunale dei Minori ha emesso la sentenza, non è vero?» mormorò, con un filo di voce dal tono incolore. Aveva quasi paura di avere quella risposta, anche se era certo di conoscerla già.

«Sì, Edmund» rispose McPride, riservandogli il suo terribile sorriso da squalo. «E ha deciso per il meglio: ora io sono tuo padre».

Il vuoto calò intorno a Edmund dopo quella affermazione. Lo sapeva, lo sapeva che sarebbe successo, ma ritrovarsi di fronte al fatto compiuto fu comunque traumatico. Ora non aveva più scampo. Era caduto nella rete del predatore.

Si alzò dal tavolo tanto velocemente che quasi fece ribaltare la panca. Doveva andarsene da lì, al più presto.

«Ed, dove vai?» gli chiese Mairead che, seduta al suo fianco, non aveva avuto modo di sentire la conversazione tra lui e McPride.

«A prepararmi per la terza prova» rispose frettolosamente il ragazzo, allontanandosi a grandi passi.

«Ma, mancano ancora due ore!» replicò Mairead, quando ormai l'amico era troppo lontano per sentirla.


«Che vinca il migliore, Burke» disse una voce alle sue spalle. Edmund, perso nei propri pensieri, si riscosse e riconobbe subito che si trattava di Hewa Wedge.

Aveva passato le ultime due ore seduto su un masso sulla riva del lago, ad osservare i tre ponti che erano stati predisposti per la prova. Non riusciva a pensare a nulla, reso troppo apatico dall'annuncio che gli aveva portato McPride. Era semplicemente scioccato. L'arrivo di Wedge, infine, l'aveva avvertito che doveva mancare poco all'inizio della prova.

Edmund si alzò da terra e si voltò verso il suo avversario. «Strano, non ho mai pensato che tu potessi dire una cosa del genere» mormorò, guardandolo dritto negli occhi. Che Jansen avesse avuto ragione nel dire che non era poi così male?

«Sono sempre stato di questa idea. Solo che... be', io sono il migliore, quindi vincerò io» rispose Wedge, con un sorrisetto sarcastico.

No, Jansen aveva torto marcio: Wedge era odioso.

«Lo vedremo» sibilò Edmund.

Dopo poco, per fortuna, arrivarono anche i presidi insieme a Chaitaly e la conversazione tra i due campioni fu interrotta. Edmund cercò di cancellare dalla mente ogni pensiero che non riguardasse la terza prova: ora doveva concentrarsi solo su quella.

«Sapete già cosa dovete fare» esclamò Captatio con un tono allegro. «Quando sentirete il primo fischio, partirà il signor Wedge, sul ponte qui al centro. Al secondo fischio partirà la signorina Hiranmay, a destra, e al terzo il signor Burke, a sinistra. Il primo che arriva alla coppa, vince» spiegò il preside, indicando con un gesto l'altra sponda del lago, dove si trovava il palco con il piedistallo su cui era poggiato il trofeo, e le tribune per gli spettatori. Quella volta non avrebbero utilizzato degli Argo, perché il pubblico riusciva a vedere benissimo tutto ciò che accadeva sui ponti.

«Attenti a non cadere in acqua, o sarete squalificati» li ammonì Captatio, ma poi batté le mani estasiato. «Il sole è alto in cielo, il tempo è ottimo e non ci resta che augurare a tutti voi buona fortuna!» e con quelle parole i tre presidi salirono su una piccola imbarcazione per raggiungere l'altra sponda.

I tre campioni si posizionarono rispettivamente di fronte al proprio ponte e sfoderarono le bacchette, pronti a partire al segnale.

Edmund attese con il cuore in gola che arrivasse il suo turno. Vide prima Wedge e poi Chaitaly lanciarsi di corsa sul proprio ponte. Il campione africano era già arrivato quasi a metà, quando il terzo fischio riecheggiò lontano. Edmund poggiò piano il piede sulle assi di legno della passerella, per controllare che fosse stabile: era certo che doveva esserci qualche trucchetto nascosto per rallentarli. Quando fu sicuro della solidità del ponte, cominciò a percorrerlo sempre osservandosi in giro guardingo.

Infine accadde: un mostro si materializzò sul cammino di Wedge, come se fosse stato protetto da una gabbia invisibile che prima lo teneva nascosto agli occhi di tutti. Edmund lo osservò: pareva un grosso rinoceronte; ma non ebbe tempo di perdersi in sguardi ammirati, perché un'altra creatura comparve sul ponte di Chaitaly: uno strano corpo di serpente ma piumato e bipede; sembrava una stana accozzaglia di diversi animali, come se il suo creatore si fosse divertito a mettere insieme elementi diversi per creare un effetto stupefacente.

Edmund procedette lentamente sul suo ponte, ben conscio che presto sarebbe toccato a lui. Infatti, circa all'altezza degli altri campioni, anche sul suo ponte comparve un mostro: un cavaliere senza testa, con la spada insanguinata fino all'elsa e un destriero che sbuffava polvere e sudore.

«Per le mutande di Morgana!» esclamò Edmund scioccato. «Un Dullahan!»

I Dullahan erano demoni irlandesi che, per tener fede ad un ancestrale patto di sangue, uccidevano i maghi che incontravano sul loro cammino decapitandoli con un colpo di spada e facendo bere al loro destriero il sangue delle vittime. Il consiglio che tutti i professori di Difesa contro le Arti Oscure avevano sempre dato a generazioni di studenti del Trinity, qualora avessero incontrato un Dullahan, era: “datevela a gambe”.

Consiglio poco produttivo, in quella situazione.

Il cavaliere puntò la spada verso di lui, spronò il cavallo e si gli si gettò addosso.

Edmund rimase paralizzato per una manciata di secondi, poi reagì: «Stupeficium!» gridò ma non riuscì a centrare l'obiettivo. Cominciò a indietreggiare atterrito, quando gli venne un'illuminazione: era il cavallo la guida del Dullahan, i suoi occhi e le sue orecchie; se avesse colpito quello, anche il cavaliere sarebbe rimasto cieco.

Allora alzò la bacchetta e la puntò verso il muso del destriero, che si avvicinava sempre di più. «Conjunctivitus!» gridò e un raggio di luce partì dalla punta della sua arma per centrare dritto negli occhi il cavallo. Quello nitrì, si imbizzarrì e scalciò. Edmund si scansò di lato e si appiattì contro la ringhiera del ponte, per evitare di finire calpestato dalla furia dell'animale. Infine, per completare il suo piano, puntò la bacchetta verso un'asse di legno poco lontana e con un Incantesimo di Levitazione silente la sollevò da terra e la fece rotolare sul ponte più avanti. Il cavallo, che ormai faceva affidamento su gli altri sensi rimasti, si gettò all'inseguimento di quel rumore, superando Edmund senza accorgersene.

Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e chiuse un attimo gli occhi, attendendo che il cuore tornasse a battere a velocità normale. Doveva darsi una mossa, però, prima che il Dullahan cambiasse idea e tornasse indietro.

Prese a correre lungo il ponte, sicuro che non ci fosse più nulla a separarlo dalla riva, quando un secondo mostro comparve sul suo cammino. Era lo stesso strano essere che aveva sbarrato la strada a Chaitaly. Forse era una creatura della sua terra, così come il Dullahan era un demone tipicamente irlandese. Il problema era che Edmund non aveva la più pallida idea di come affrontarlo.

Quella specie di grosso biscione avanzò verso di lui, ma questa volta Edmund reagì subito: «Impedimenta!» gridò e centrò la creatura sul muso. Quella si bloccò e Edmund si affrettò a scagliare un Incantesimo di Levitazione, nella speranza di buttarla giù dal ponte, ma l'effetto dell'Incantesimo di Ostacolo durò troppo poco e così il ragazzo si ritrovò a fare galleggiare sopra la sua testa un serpentone di quattro metri per nulla contento di ritrovarsi appeso. La bestia, indemoniata, sferzò l'aria con la coda e colpì Edmund in pieno volto. Il dolore fu tale che Edmund interruppe la magia e il mostro quasi gli piombò addosso. La creatura sibilò e si preparò ad attaccare di nuovo, ma il colpo aveva reso più vigile il giovane campione che puntò la sua bacchetta sulle assi di legno sotto l'avversario e grido: «Reducto!» Il ponte si ruppe e la creatura cadde nel lago con un ululato dolorante.

Meno due. pensò Edmund, riprendendo fiato. La prova si stava rivelando un'impresa davvero difficoltosa, ma, per fortuna, aveva dimostrato di avere un buon sangue freddo e spirito d'iniziativa.

Proprio in quel momento un urlo riempì l'aria e Edmund si voltò istintivamente verso gli altri campioni. Entrambi stavano affrontando il loro secondo ostacolo, Wedge un Dullahan e Chaitaly l'enorme rinoceronte africano, ma sembrava essere in grosse difficoltà. La bestia trafisse con il suo corno il parapetto del ponte e lo fece esplodere. Chaitaly, che vi si era appiattita contro per evitare la carica dell'animale, perse l'equilibrio e cadde nel lago. Riemerse poco dopo sulla superficie e scoppiò a piangere: la caduta le aveva meritato la squalifica dal torneo.

Da un lato, Edmund fu dispiaciuto per lei, dall'altro pensò che era più vicino a vincere il Torneo Trecolonie di quanto non lo fosse mai stato. Prese a correre verso l'altra riva, ben sapendo che presto avrebbe dovuto affrontare la terza creatura: il rinoceronte africano che, dal corno esplosivo, aveva riconosciuto essere un Erumpent. Aveva letto di quelle bestie nel libro “Animali fantastici: dove trovarli” di Scamandro e gli era rimasto impresso perché il veleno del suo corno e la coda erano ingredienti preziosi per molte pozioni.

Dopo pochi metri, infatti, un Erumpent si materializzò sul suo cammino. Con la coda dell'occhio, Edmund vide che anche Wedge aveva incrociato il suo terzo ostacolo: ora tutto si risolveva in chi dei due avrebbe sconfitto la creatura più velocemente.

Edmund non perse tempo; alzò la bacchetta e gridò: «Stupeficium!» ma il suo incantesimo venne respinto dalla dura corazza della bestia. Incapace di arrendersi all'evidenza, Edmund cominciò a lanciare qualsiasi magia gli passasse per la testa, mentre l'Erumpent cominciava la sua carica verso di lui.

«Impedimenta! Reducto! Stupeficium! Recido!»

Nulla da fare. «Expelliarmus!» gridò alla fine. Magari, chissà, avrebbe potuto staccargli il corno. Niente. I suoi incantesimi rimbalzavano sulla scorza impenetrabile dell'animale, sempre più vicino a lui. E poi Edmund ebbe un'idea folle. «Avio!» urlò e uno stormo di canarini uscì dalla sua bacchetta. «Oppugno!» ordinò, scagliando gli uccellini contro il rinoceronte come se si trattasse della sua aviazione personale.

Funzionò, almeno in parte. L'Erumpent interruppe la sua corsa e prese a incornare i poveri canarini che caddero come eroici combattenti sacrificati per la patria. Ma l'idea di distrarre la creatura poteva essere buona. Edmund puntò la bacchetta contro una vite del ponte, la appellò nella propria mano e poi la trasfigurò in un corvo. «Oppugno» mormorò, ordinando all'uccello di attaccare il rinoceronte. Ripeté la stessa operazione altre e altre volte perché i corvi, per quanto avessero una sopravvivenza più lunga degli stupidi canarini, ogni volta che venivano trafitti dal corno dell'Erumpent esplodevano.

«Oppugno! Oppugno!» gridò Edmund esasperato, lanciando gli ultimi due uccelli contro il rinoceronte, che prese a sbuffare dalle narici e cercò di incornare quei fastidiosi esserini. Edmund realizzò che era ad un punto morto: avrebbe potuto trasfigurare corvi per l'eternità, mentre Wedge gli avrebbe soffiato la vittoria sotto il naso. No, gli serviva un'idea brillante. Osservò per un attimo l'ultima vite che aveva in mano. E se...?

Non conosceva la formula, ma se sapeva trasfigurarla in un corvo, perché con un altro animale sarebbe dovuto essere diverso?

Ci provò. Si stampò bene in mente l'immagine dell'uccello in cui voleva trasfigurare la vite, si concentrò e toccò il freddo metallo con la bacchetta.

Accadde. Una splendida fenice si formò sul palmo della sua mano. Lo guardò con quei liquidi occhi dorati e chinò la testa verso di lui, in segno di rispetto.

«Ciao, piccolina» mormorò Edmund, accarezzando il suo magnifico piumaggio rosso e oro che brillava sotto la luce del sole. Proprio in quel momento, lo scoppio del suo ultimo corvo lo riportò bruscamente alla realtà. «Portami in salvo» sussurrò alla neonata fenice, che lo afferrò per il colletto della giacca e si sollevò in volo trascinandolo con sé.

«Alla facciaccia tua, Wedge!» esultò Edmund, sorpassando un furioso Erumpent e godendosi dall'alto lo spettacolo dell'avversario che combatteva contro la creatura indiana. La fenice lo depositò dolcemente sull'erba dell'altra sponda, dopodiché lanciò un grido delicato al cielo e si allontanò, scomparendo alla vista. Edmund rimase a fissarla con il naso all'insù per qualche secondo, infine guardò davanti a sé e sulle sue labbra si disegnò un sorriso di vittoria: a pochi metri si innalzava il palco con la coppa del Torneo Trecolonie. Ce l'aveva fatta.

Ma poi Edmund vide che c'era qualcuno nascosto sotto il palco, proprio a fianco della scaletta che serviva per salire. Dal lato della tribuna, non si poteva vedere, perché era coperto dagli stendardi rossi e oro che erano stati messi come decorazione. Edmund strizzò gli occhi e vide che si trattava dello stesso operaio che li aveva fissati con insistenza la sera prima.

«Ma cosa diavolo...?» cominciò a dire, ma non riuscì a terminare la frase che un incantesimo lo colpì in pieno petto.

Edmund si sentì improvvisamente più leggero. Pareva che una mano avesse strappato via tutti i pensieri dalla sua testa, che ora galleggiava placidamente nel vuoto, come se fosse stata gonfia di elio, lasciandogli addosso una sensazione di quiete e serenità.

«Uccidila» ordinò una voce suadente che proveniva da qualche parte sul fondo del suo cervello.

Ucciderla. Già, che bella idea. Era sicuro che poi si sarebbe sentito meglio. Sollevò la bacchetta e la puntò contro la sua vittima, ma poi qualcosa lo bloccò. Perché doveva ucciderla? Non gli aveva fatto nulla di male, nemmeno la conosceva.

«Uccidila!» sibilò la voce, questa volta con maggiore forza.

Sì, va bene, l'avrebbe fatto.

No, grazie, non voglio diventare un assassinio.

La mano di Edmund cominciò a tremare violentemente, per lo sforzo di riuscire a lanciare l'Anatema sebbene parte di lui si rifiutasse.

«UCCIDILA!»

«No!» gridò la voce di Edmund, mentre il suo corpo si accasciava sull'erba.

«Crucio!» ululò qualcuno.

Un dolore allucinante gli trafisse ogni parte del corpo e Edmund si ritrovò a rantolare a terra, con le lacrime agli occhi. Pensò che sarebbe stato meglio morire piuttosto che sopportare quella tortura.

«Stupeficium!» gridò una terza voce.

Il dolore cessò improvvisamente, ma Edmund non ebbe la forza di alzarsi: rimase rannicchiato sull'erba finché un paio di sandali non entrarono nella sua visuale. Li riconobbe subito: erano quelli di Wedge.

«Burke, tutto bene?» domandò il ragazzo di colore.

Edmund si stupì di vedere che gli stava offrendo una mano per alzarsi. Indugiò solo un attimo, poi approfittò dell'aiuto e si rimise in piedi. «Io... sì, credo bene» mormorò in risposta, ancora scosso da quello che era successo.

«Chi diavolo era quel pazzo?» chiese Wedge, accennando all'operaio tramortito a terra.

Edmund si strinse nelle spalle. «Non ne ho la più pallida idea. Comunque, grazie» disse, un po' a disagio. Non avrebbe mai pensato di dire quella parola proprio a Wedge.

«A buon rendere» rispose quello, con un certo disinteresse.

Dopodiché i due ragazzi si accorsero di essere a pochi metri di distanza dal palco, tutti e due ad un soffio dal diventare campioni, e non ci fu più spazio per i convenevoli. Si scambiarono una rapida occhiata, poi entrambi corsero verso la coppa. Wedge era più alto e più veloce, ma erano talmente vicini che non ebbe tempo di sfruttare le sue gambe lunghe per distanziare l'avversario. Edmund, d'altronde, era deciso più che mai a non lasciarsi sfuggire l'occasione di vittoria.

Giunsero insieme sul palco, allungarono entrambi le mani e, nel medesimo istante, strinsero le dita intorno ai manici della coppa.

Ci fu un esplosione di musica, coriandoli colorati, giochi di luce e quelli che sembravano fuochi d'artificio. La folla scoppiò in un boato di gioia, anche se nessuno aveva ben capito quale dei due campioni fosse arrivato primo. Il piccolo palco si trasformò in una selva di colore, come se fosse stato magicamente trasportato nel bel mezzo del carnevale di Rio.

«Non riesco a togliere la mano dalla coppa!» gridò Wedge, per sovrastare il rumore.

Edmund tentò di aprire le dita, ancora serrate intorno al manico, e scoprì di non riuscirci. «È stato fatto affinché il primo campione a toccarla fosse anche l'unico vincitore» spiegò il ragazzo. Il problema era che entrambi avevano afferrato la coppa nel medesimo istante: quale dei due era il fortunato vittorioso?

Ma un grido che non aveva nulla a che fare con la festa fece voltare entrambi di nuovo verso il lago. A stento tra i coriandoli colorati si intravedeva la sagoma dell'operaio folle: evidentemente l'incantesimo si Wedge l'aveva preso solo di striscio e l'effetto era già terminato.

«Avada Kedavra!» strillò il mago in preda al furore.

Edmund non riuscì a scorgere quale fosse il destinatario della maledizione, né se essa ottenne l'effetto desiderato ma, a giudicare dalle grida di terrore che scoppiarono in tribuna, il bersaglio doveva essere stato centrato.

«Dobbiamo fermarlo!» urlò Edmund al compagno, ben sapendo che con quel caos di coriandoli e luci nessuno dagli spalti poteva avere speranza di colpire l'assalitore. Il problema era che entrambi erano legati alla coppa e avrebbero dovuto collaborare per riuscire a combinare qualcosa. Così, improbabili partecipanti ad una gara di corsa a tre gambe, Edmund e Wedge ruotarono per riuscire a voltarsi e si mossero verso l'uomo, che stava già puntando sul suo secondo obiettivo.

«Avada...» incominciò quello.

«Stupeficium!» gridò Wedge.

«Impedimenta!» strillò Edmund.

Nessun incantesimo andò a buon fine, ma le azioni dei due campioni furono sufficienti a distogliere il mago dal suo intento. «Ancora voi due?» domandò con rabbia, puntando la sua bacchetta contro di loro. Sembrava completamente folle, gli occhi sgranati e le narici dilatate. «Io devo ucciderle, capite?» ululò, in preda alla pazzia.

«Expelliarmus!» ne approfittò Edmund, ma l'uomo fu lesto a parare e poi cominciò a contrattaccare. Edmund era impacciato nei movimenti, a causa del suo legame con Wedge, ma essere in due contro uno era decisamente più conveniente: per quanto il mago fosse svelto, non riusciva ad attaccare perché doveva preoccuparsi di difendersi su due fronti.

«Fermi!» gridò una quarta voce, con tono deciso.

Il preside Captatio.

Edmund notò che con la bacchetta alla mano e lo sguardo furente, non appariva più tanto buffo. Anzi, metteva decisamente paura.

L'uomo, vedendosi messo alle strette, ululò di rabbia. Retrocedette di qualche passo, guardandosi intorno come una preda in trappola. «Non mi avrete, non mi avrete!» ringhiò con lo sguardo furente. Dopodiché si portò la bacchetta alla gola e, prima che qualcuno potesse intervenire, gridò: «Recido!»

Edmund chiuse gli occhi di scatto, ma non abbastanza velocemente da riuscire ad evitare di vedere il sangue che schizzava dalla ferita sulla gola. Ne sentì l'odore così intenso che gli parve di vedere comunque il corpo morente dell'uomo che si accasciava a terra in una pozza di sangue, nonostante avesse gli occhi serrati.

Quando li riaprì, Captatio era chino sul mago e sussurrava una lenta litania. Dopo poco però, si fermò e scosse la testa sconsolato. «È morto» sussurrò affranto.

Edmund si portò la mano alla bocca e trattenne un conato di vomito. Non sapeva perché, non sapeva nemmeno chi fosse quell'uomo, ma gli era venuta una gran voglia di piangere. Si voltò verso Wedge e vide che anche lui era scosso da quello che era successo.

Sopraggiunsero anche gli altri presidi e McPride, e degli Auror; scoppiò il finimondo. L'unica certezza, per Edmund, oltre al freddo manico della coppa che stringeva ancora insieme a Hewa Wedge, fu lo sguardo cupo ma insieme rassicurante che gli lanciò il professor Captatio.




Eccoci qui, ci stiamo avvicinando inesorabilmente alla fine di questo (entusiasmante?) quarto racconto della saga dedicata ai giovani maghi irlandesi. Il prossimo, infatti, sarà l'ultimo capitolo, seguito da un epilogo.

Ma andiamo con ordine! Le creature che i campioni devono affrontare, non le ho inventate io: il Dullahan (qui il link) è una creatura che fa parte della tradizione irlandese, l'Erumpent (qui il link) e l'Occamy (qui il link), invece li ho recuperati dal libro “Gli animali fantastici: dove trovarli” e sono rispettivamente originari dell'Africa e dell'Estremo Oriente. Mi sembrava carino che i campioni avessero a che fare con esseri della propria terra.

Secondo luogo, spero che il salvataggio di Edmund da parte di Wedge vi abbia aiutato a rivalutare almeno un po' questo personaggio. In fondo, non è cattivo! È solo un po' pieno di sé e vuole sempre dare il meglio per dimostrare quanto può valere un ragazzo di colore (non vi ricorda qualcuno a caso? Vedrete, nel prossimo capitolo se non avere capito! ^^).

Infine, ecco qual era l'utilizzo della Polvere dell'Ossessione insieme al sangue di drago. Ma, se non vi è del tutto chiaro, lo spiegherà Captatio meglio nel prossimo capitolo! Scusate se ho inserito una scena un po' cruda, ma ogni tanto ho manie splatter! Scherzi a parte, il suicidio dell'operaio non è messo lì a caso. Così come ho cercato di rendere la scena reale, con Edmund che, seppur chiudendo gli occhi, è come se vedesse tutto alla perfezione nella sua mente... a voi non è mai capitato?

Bene, basta note chilometriche!

Alla prossima,

Beatrix

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Capitolo 22
*** Tempi oscuri in arrivo ***


CAPITOLO 22

Tempi oscuri in arrivo





La mattina successiva, Edmund si svegliò piuttosto presto. Aveva dormito male, con degli incubi che non ricordava. Ne approfittò per fare una bella doccia, poi indossò la sua divisa dei Raloi e scese in sala comune per accoccolarsi su una poltrona a leggere. In realtà, non riuscì a concentrarsi molto e, dopo essersi accorto che stava rileggendo la stessa frase da dieci minuti, capì che era meglio lasciar perdere. La sua mente era stata rapita dagli eventi del pomeriggio precedente.

Aletheia O'Gara era morta. Era stata lei la destinataria della prima maledizione scagliata dal folle mago. Ma Edmund continuava a chiedersi chi fosse, perché avesse attentato alla vita del Capo del Dipartimento dell'Istruzione Magica e per chi avesse lavorato.

Inoltre era preoccupato perché aveva inteso che ci sarebbe dovuta essere un'altra vittima; e temeva di sapere chi fosse. Fu così che Edmund decise di andare dal professor Captatio: nessuno come lui riusciva a rassicurarlo nei momenti difficili.

Quando arrivò davanti alla porta della presidenza, non fece in tempo a bussare che questa si aprì sotto i suoi occhi. Sull'uscio comparve il professor Silente. Era alto e maestoso esattamente come Edmund se lo ricordava, ma i suoi occhi non brillavano più: parevano cupi, rassegnati.

«Signore» lo salutò educatamente Edmund, con un cenno del capo.

«Oh, ciao, Edmund» rispose distrattamente quello, accennando ad un sorriso. Dopodiché sparì giù dalle scale a chiocciola.

Edmund lo osservò per un attimo, stupito da quel suo comportamento schivo che forse serviva a nascondere una qualche preoccupazione, poi mise la testa nell'ufficio di Captatio. «Mi scusi, signore, posso?» domandò educatamente.

«Certo, Edmund» rispose il preside, con un sorriso. Edmund allora entrò nella stanza e si sedette di fronte alla scrivania. Il professore lo guardò dritto negli occhi e domandò: «C'è qualcosa che vuoi chiedermi?»

Edmund si stropicciò le mani. «Sì, signore» rispose, con un filo di voce. «Chi era quel folle e perché voleva uccidere a tutti i costi la O'Gara?»

Captatio sospirò affranto. «Edward Montrose non era un pazzo, era un pover'uomo che faceva l'operaio per mantenere moglie e figli. Ha avuto la sfortuna di incontrare sulla sua strada le persone sbagliate. Non so di chi si sia trattato, ma posso ragionevolmente dire che fosse gente dell'EIF».

«Che cosa gli hanno fatto, signore?»

«Si chiama Pozione dell'Ossessione, un preparato molto difficile che richiede ingredienti rarissimi» spiegò il professor Captatio. «Era molto in voga nell'EIF ai tempi in cui Voldemort era al potere. Praticamente, chi la beve diventa ossessionato da un'idea che decide chi ha preparato la pozione. A quei tempi, l'EIF la utilizzava per mettere in testa certe cose così folli che, non riuscendo a realizzarle, i poveretti che l'avevano bevuta si suicidavano».

Edmund represse un tremito all'idea che qualcuno potesse renderlo ossessivo nei confronti di qualcosa, soprattutto visto la tragica fine a cui era destinato. «Anche l'operaio si è ucciso» commentò con un groppo alla gola, al solo ricordo della morte dell'uomo. «Doveva ammazzare qualcun altro e non ci è riuscito, vero?»

«Temo di sì» asserì Captatio, in tono doloroso.

E, chissà perché, Edmund era convinto di sapere di chi si trattasse. «Doveva uccidere Mairead» decretò serio.

Captatio lo guardò negli occhi con intensità. «La signorina Boenisolius è un obiettivo probabile, considerate le sue scomode parentele» ammise il professore. «Ma, per sua fortuna, ora l'EIF avrà ben altro a cui pensare».

«Che cosa è successo, signore?» domandò a bruciapelo Edmund; ma prima ancora che Captatio potesse rispondere, una serie di idee gli si affacciarono nella mente. «Centra qualcosa con il torneo Tremaghi, non è vero? È successo qualcosa a Hogwarts? Qualcosa che ha a che fare con Voldemort?» domandò, con agitazione crescente.

Captatio gli rivolse un sorriso bonario, ma dal suo sguardo, Edmund capì che non gli avrebbe risposto. «Spiegherò tutto al banchetto di questa sera» disse infatti, con un tono dolce ma deciso. «Ora va', Edmund. Goditi un po' del tuo meritato riposo».

Edmund capì che la conversazione era finita e, dopo aver salutato il professore, uscì dalla presidenza con mille pensieri in testa.

Attese con sempre maggiore ansia il banchetto di quella sera, non solo perché Captatio avrebbe rivelato cos'era successo a Hogwarts, ma anche perché era stata prevista la premiazione del Torneo Trecolonie. Evento che non si era mai verificato nella storia del Torneo, quell'anno c'erano due vincitori: il premio in denaro sarebbe stato diviso e la coppa sarebbe stata tenuta per metà del tempo al Trinity e per la restante metà alla Reclife High School.

Ovviamente, tutti gli studenti irlandesi erano assolutamente convinti che il loro campione fosse stato migliore dell'altro e che fosse l'unico a meritarsi la vittoria. Gente che Edmund non aveva neanche mai visto, lo fermava per i corridoi e gli stringeva la mano o si congratulava con lui. Un gruppo di ragazzine del terzo anno passò parecchio tempo a lanciargli occhiatine ammiccanti e a nascondere rossori e risolini divertiti.

Ma, più che tutta quella fama, Edmund era contento delle attenzioni dei suoi amici Laughlin e Mairead. La ragazza, in particolare, sembrava aver dimenticato di essere la fidanzata di Bellimbusto-Campione-di-Quidditch-Conery e dedicava tutto il suo tempo a Edmund. Laughlin, dal canto suo, era un po' depresso per l'imminente partenza delle studentesse della Dashi Mahal, Chaitaly in particolare, ma dimostrando una sprezzante aria da Don Giovanni, fingeva di non essere particolarmente interessato alla cosa.

I tre amici passarono un piacevole pomeriggio in riva al lago, chiacchierando con tranquillità di cose banali, come se volessero fingere di avere una vita normale e tentassero così di scacciare tutti i cupi pensieri per ciò che aveva sconvolto e reso assurdo (tanto per cambiare) il loro quarto anno di scuola. Arrivata la sera, si incamminarono nuovamente verso il castello, pronti a gustarsi il banchetto di fine anno.

Gli elfi domestici sembravano aver dato il meglio di sé, forse per tentare di stupire un'ultima volta gli ospiti. In Sala Mor si respirava un'aria di allegria e di festa, ma anche un po' di nostalgia per gli amici stranieri che presto sarebbero ritornati a casa. Al tavolo dei giudici, la O'Gara era stata temporaneamente sostituita, con grande rammarico di Edmund, proprio da McPride. Per tutta la sera, continuò a lanciargli sorrisetti che volevano essere paterni, ma che in realtà facevano rabbrividire Edmund e gli ricordavano la terribile prospettiva di passare l'estate a villa McPride.

Terminato il banchetto, il professor Captatio si alzò dal tavolo degli insegnanti e la sala piombò nel silenzio. «È con immenso piacere che chiamo qui davanti i due vincitori di quest'edizione del Torneo Trecolonie, Hewa Wedge e Edmund Burke!» esclamò entusiasta, allargando le braccia come un presentatore.

Edmund e Wedge si alzarono entrambi dal tavolo dei Raloi e, sotto uno scrosciante applauso, raggiunsero il fondo della sala. Si inchinarono ai giudici e agli altri professori, poi si voltarono verso gli studenti.

«Fate bene ad applaudire» esclamò il professor Captatio. «Perché questi due giovani hanno dimostrato una prontezza di spirito e una capacità di vincere le situazioni avverse davvero notevole. Sono qui oggi, insieme davanti a voi, non solo perché entrambi hanno afferrato la coppa del Torneo, ma anche perché, seppur nelle differenze e nelle rivalità, hanno saputo collaborare quando il momento lo richiedeva e hanno affrontato situazioni ben peggiori di ciò che era richiesto loro nelle prove».

Edmund capì subito che quelle parole si riferivano alla loro lotta contro l'operaio drogato dalla Pozione dell'Ossessione. Era vero: stranamente, lui e Wedge erano riusciti a collaborare, in quell'occasione.

«Edmund e Hewa hanno dimostrato a tutti noi non solo il loro grande coraggio e la forza di volontà che li ha portati qui stasera, ma anche il fatto che le situazioni avverse sembrano più leggere, se affrontate in due» riprese a dire il preside. «Per questo, i giudici hanno acconsentito che il Torneo Trecolonie avesse due vincitori. Perché, quando dobbiamo combattere, è meglio se abbiamo un amico al nostro fianco».

Il discorso fu accolto da un caloroso applauso, anche se Edmund intravide Chaitaly, seduta al tavolo dei Nagard poco distante da Laughlin, che aveva proprio l'aria di essere scoppiata a piangere. Dei tre campioni, era l'unica restata a bocca asciutta. Quasi gli dispiaceva, visto che aveva legato molto di più con lei che con il campione africano. Edmund si voltò impercettibilmente verso il preside Singh, ma vide che lui era imperturbabile come sempre. Esisteva qualcosa capace di sconvolgerlo?

Inoltre Edmund aveva come l'impressione che l'idea di sottolineare le loro virtù collaborative fosse solo di Captatio: gli altri giudici dovevano essersi semplicemente rassegnati al fatto che era impossibile stabilire chi tra lui e Wedge avesse vinto.

Al termine del breve discorso del preside, McPride si alzò dal tavolo e si avvicinò a loro, per consegnare il premio in denaro e appuntargli al petto la coccarda del vincitore, su cui vi erano rappresentati gli stemmi delle tre scuole e, al centro, le lettere “T” e “C”.

«Ben fatto, figliolo» si complimentò McPride, nel appuntare la spilla sul petto di Edmund. «Non faccio altro che premiarti, di questi tempi».

Edmund non rispose alla provocazione, ben sapendo che, contro quell'uomo, aveva combattuto una battaglia persa fin dall'inizio. Ma, almeno per quella sera, non voleva pensarci: doveva godersi la festa.

Wedge aveva un sorrisetto beffardo stampato in faccia e sembrava estremamente soddisfatto di essere lì a raccogliere gli applausi del pubblico. «Non sei poi così male, sai, pivello, per essere un pisciasotto di quindici anni» sussurrò rivolto all'altro campione.

«Ne ho sedici, di anni» sibilò in risposta Edmund.

«Come vuoi» replicò Wedge, alzando una spalla in segno di disinteresse.

Edmund scosse la testa, ma capì che quello sarebbe stato il massimo che avrebbe potuto ottenere da uno pieno di sé come Hewa Wedge. Era una specie di complimento, detto da lui. Fu allora che anche lui si lasciò sfuggire un sorrisetto. «Anche tu non sei poi così male» gli disse.

«Saremmo anche potuti essere amici, se fossimo stati nella stessa scuola» mormorò divertito Wedge.

Edmund sogghignò. «Non esageriamo, eh?»

Si scambiarono un'occhiata. Hewa non sembrava così borioso, quando sorrideva con sincerità. Amici forse no, ma almeno era una tregua. In fin dei conti, si assomigliavano più di quanto volessero ammettere.

Dopo qualche minuto di applausi, il professor Captatio si alzò nuovamente da tavola e la sala si zittì. Questa volta, il preside, aveva uno sguardo più severo. «Cari studenti, cari professori e cari ospiti» cominciò a dire con un tono serio. «Spero che l'esperienza del Torneo sia servita per arricchirvi culturalmente e spiritualmente. Abbiamo conosciuto persone, compagni e amici di nazioni lontane, abbiamo imparato le loro abitudini e le loro tradizioni e abbiamo scoperto che, tra le tante differenze, siamo tutti uomini e donne con speranze e sogni che devono essere rispettati. Mi auguro che ciascuno di voi abbia scoperto qualcosa dell'altro e abbia capito qualcosa in più di sé» con quelle parole, riservò uno sguardo paterno a tutta la sala, poi continuò: «Purtroppo, però, non viviamo nel paese dei balocchi e la dura realtà ci può svegliare all'improvviso».

Era strano sentire il professor Captatio usare quel tono grave. Tutta la sala era avvolta da un silenzio teso. Infine, il preside sospirò e cominciò a dire: «Come sapete, quest'anno si è svolto a Hogwarts il Torneo Tremaghi. Durante l'ultima prova, uno dei campioni è morto. Ma non per un incidente, è stato ucciso. Da Lord Voldemort».

Quelle parole furono seguite da una serie di mormorii spaventati. Non solo il professor Captatio aveva osato dire ad alta voce il nome di Colui-che-non-deve-essere-nominato ma addirittura sosteneva che fosse tornato. Assurdo! Lui... era morto, anni fa! Era inconcepibile pensare che avesse riacquistato potere.

«Non può essere...» mormorò qualcuno.

«È terribile!» strillò un altro.

«Voi-sapete-chi è morto!» gridò un Raloi, sovrastando il mormorio.

Captatio alzò una mano e la sala si zittì. «No, era debole. Più morto che vivo, forse, ma non morto del tutto. È risorto a nuovo potere e forse anche più potente di prima. Cercherà di far calare di nuovo sui nostri paesi un'oscurità senza speranza.

«Il Ministero britannico ha deciso di chiudere gli occhi e fingere che Voldemort non sia tornato perché è più semplice vivere nei sogni che affrontare la realtà. Ma non lasciatevi ingannare: sono in arrivo tempi oscuri».

Edmund sentì come un peso che gli calava sulle spalle: se Voldemort era davvero tornato, nessuno era più al sicuro. Il terrore di quegli anni, le spedizioni punitive dell'EIF, le sparizioni... era come essere ripiombati dentro un incubo.

Edmund lanciò un'occhiata fugace a Mairead e vide che era sbiancata. Le si leggeva la preoccupazione negli occhi e non era francamente difficile immaginare il motivo: più Voldemort era minaccioso, più consensi otteneva l'EIF.

Anche Lauighlin, dall'altra parte della sala, intercettò lo sguardo di Mairead. I due si scambiarono un'occhiata densa di inquietudine: bastò quello per capirsi fino in fondo.

«Ragazzi» li richiamò il professor Captatio in tono serio. «Presto a tutti noi sarà richiesto di scegliere da che parte stare, se schierarci con coloro che negano la realtà, con coloro che usano la violenza per combattere la violenza, o con coloro che vivono di compromessi, alleandosi di volta in volta con il più potente. Io non posso dirvi da che parte dovete stare, ma quando toccherà a voi scegliere, sappiate che giustizia e verità sono valori di cui non possiamo dimenticarci».



Ebbene sì, siamo giunti ormai alla fine: martedì prossimo posterò l'epilogo di questa storia.

Mi spiace ragazzi, ma con tutto quello che è successo qui e a Hogwarts non potevo che chiudere con un capitolo un po' deprimente. Però ho approfittato di Captatio per spiegare meglio la Pozione dell'Ossessione e dei “tempi oscuri in arrivo” per far recitare ancora una volta la parte del saggio consigliere al mio buffo preside.

Inoltre, per svelare il mistero che ho lasciato in sospeso nel capitolo scorso: Wedge assomiglia terribilmente a Edmund! Nessuno se n'era accorto? Certo, un Edmund pienamente cosciente delle proprie eccelse qualità, che per ora avete solo assaggiato nella sua versione sbruffona e idiota causata dalla gelosia, ma che vedrete meglio nel prossimo racconto! ;-)

Bene, non ho molto altro da dire se non: BUON NATALE!

Un affettuoso augurio a tutti, a martedì prossimo,

Beatrix

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Capitolo 23
*** Epilogo ***


EPILOGO





Mairead osservava il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino con aria sconsolata. Pioveva a dirotto e faceva parecchio freddo per essere piena estate. Sospirò.

La conversazione era piuttosto scandente nello scompartimento, quel giorno, perché ognuno era immerso nel propri pensieri. Il loro quarto anno era finito e non si poteva certo dire che fosse filato tutto liscio, anche se non era completamente colpa loro, questa volta. Tuttavia qualcosa nell'equilibrio del sistema si era rotto: era come se fosse finito il tempo dell'adolescenza spensierata e fosse stato richiesto loro di crescere troppo in fretta. Ma lei non aveva nemmeno compiuto i sedici anni, ancora!

«Per tutto l'oro dei folletti, ho visto Inferi più allegri!» sbottò Laughlin ad un certo punto, per interrompere la monotonia del viaggio. «Sono io che ho mollato la ragazza, mica voi!»

«Chi hai mollato?» si informò Edmund, tornando bruscamente alla realtà.

«Chaitaly» rispose semplicemente Laughlin, con un'alzata di spalle. «Nell'ultimo periodo aveva cominciato a diventare piagnucolosa e poi si era arrabbiata perché tifavo per te, vecchio mio, e non per lei. Ma poi dico, quale idiota anteporrebbe la propria ragazza agli amici?»

«Già...» mormorò Edmund, ritenendo di avere urgente bisogno di lezioni sui riti di accoppiamento da Laughlin: lui sembrava sempre essere un passo avanti.

«E comunque non avrebbe potuto funzionare. Lei sta in India ed è pure più grande di me. Mai impelagarsi con una più grande» aggiunse col tono di un vecchio saggio ammaestrato dall'esperienza.

Per un po' tornò il silenzio nello scompartimento, ma poi Mairead domandò: «Ehi, voi non sentite questa musica?»

I tre amici tesero le orecchie e percepirono effettivamente uno strano canto che sgusciava sottile sotto lo scroscio della pioggia. «Sembra...» cominciò a dire Mairead, ma poi intravide la figura di un uccello maestoso che si stagliava contro il cielo plumbeo. «Guardate!»

Edmund e Laughlin spiarono fuori dal finestrino. «È una fenice!» decretò Laughlin, con convinzione.

«È la mia fenice» mormorò Edmund. Non si sarebbe mai aspettato che l'uccello che aveva creato con una trasfigurazione potesse in qualche modo tornare da lui. Sapeva che era difficilissimo addestrare quel tipo di animale e solo un mago molto esperto poteva riuscirci, ma forse tra loro due c'era un legame che non poteva essere spezzato. In fin dei conti, lui era il suo creatore.

«Apri il finestrino, falla entrare!» ordinò a Mairead, visto che la fenice si stava avvicinando sempre di più al treno. Il magnifico uccello planò dentro lo scompartimento e si posò sulle ginocchia di Edmund, fissandolo dritto negli occhi con quel suo sguardo dorato.

«Sei tornata da me» sussurrò il ragazzo, allungando una mano verso di lei con fare estasiato. La fenice chinò la testa e si lasciò accarezzare.

«Ed, dalle un nome!» suggerì Laughlin, entusiasta.

Edmund passò le dita sul morbido piumaggio dell'animale, poi mormorò: «La chiamerò Carmen, canto in latino».

La fenice parve soddisfatta del nome e, per tenere alto il suo onore, emise un dolcissimo verso. Dopodiché si sollevò in volo e si lanciò fuori dal finestrino, in direzione del cielo carico di nuvole.

«Che bello, ho sempre sognato di avere un animale domestico» sospirò Laughlin, osservando la sagoma della fenice che si allontanava.

«Io avevo un cane San Bernardo da piccola, di nome Momo. E adesso ho il furetto Roddy, ma è vecchio e rimbambito, perciò lo lascio a casa da papà, ormai» intervenne Mairead, sovrappensiero.

«Mio nonno Abharrach aveva un Augurey, stupido uccellaccio» si lagnò invece Laughlin, che da piccolo aveva sempre sognato di possedere un Crup, una specie di cane magico.

«Ma, Edmund, come farai a tenere nascosta Carmen all'orfanotrofio?» chiese Mairead, ben consapevole che i Babbani potevano avere qualche problema con gli animali magici. E un uccello come una fenice non doveva certo passare inosservato.

«Oh, per quello non c'è problema» rispose sarcastico Edmund. «Quest'estate la passo a villa McPride: il Presidente ha ottenuto l'adozione».

«Oh, Edmund, mi dispiace» mormorò Mairead, in tono affranto. Sapeva che l'amico non provava molta simpatia per Adolfus McPride, anche se non ne capiva davvero il motivo. «Forse, però, non sarà una cosa così malvagia. Almeno vivrai tra i maghi» cercò di consolarlo, con un sorriso forzato.

«Meglio i Babbani di McPride, fidati» replicò Edmund, in tono duro.

«Ma almeno dagli una possibilità, no?» intervenne Laughlin, cercando di far ragionare l'amico.

Edmund incrociò le braccia al petto e prese a guardare ostinatamente fuori dal finestrino. «Quell'uomo non se la merita. Non avrà mai il mio rispetto, la mia mente e il mio cuore» decretò con fermezza, deciso ad intraprendere una guerra personale contro il suo carnefice.

Né Mairead né Laughlin ebbero modo di rispondere a quella presa di posizione, entrambi ben consapevoli che non c'era speranza di modificare il giudizio dell'amico.

Il resto del viaggio fu ugualmente silenzioso, perché Edmund si era chiuso in un ostinato mutismo. Quando arrivarono nei pressi di Dublino, per fortuna, aveva smesso di piovere, cosicché non rischiarono di bagnarsi scaricando i bauli dal treno. La famiglia Maleficium al completo li aspettava sulla banchina. Laughlin strinse i genitori in un abbraccio e poi diede uno scappellotto affettuoso al fratellino.

Poco dopo sopraggiunse anche Reammon, con la stessa aria allegra e spensierata di sempre. Mairead gli gettò le braccia al collo ed esclamò: «Visto, papà? Quest'anno non ho combinato nessun guaio!»

Reammon ricambiò la stretta, ma non parve affatto contento della battuta di Mairead. «E magari vuoi anche un premio, per aver semplicemente fatto il tuo dovere?» le chiese, in tono di rimprovero.

Mairead, però, non ebbe modo di rispondere perché Eoin Maleficium si avvicinò a loro ed esclamò: «Ah, Reammon, quell'ocarina cinese era favolosa. Un pezzo unico per la mia collezione».

Reammon sorrise soddisfatto. «Lo sapevo che ti sarebbe piaciuta, Eoin!» rispose in tono allegro.

Laughlin e Mairead si scambiarono un'occhiata perplessa. «Che genere di traffici illeciti hanno messo in piedi mio padre e tuo padre?» sussurrò Laughlin all'amica, in tono preoccupato.

Mairead scosse la testa. «Sinceramente, non lo voglio sapere» mormorò, ben conscia che qualsiasi cosa riguardasse Reammon era potenzialmente pericolosa ed esplosiva.

«Ehi, ehi, l'anno prossimo verrò anche io al Trinity!» esclamò Bearach, saltellando da un piede all'altro con aria eccitata.

«Favoloso» commentò sarcastico Laughlin, fingendo un brivido.

Per fortuna Daire Maleficium bloccò sul nascere la discussione con un'occhiataccia ai figli. «Edmund caro, puoi venire a trovarci tutte le volte che vuoi» aggiunse poi in tono gentile, rivolta al ragazzo.

Proprio in quel momento Edmund vide McPride che si avvicinava a loro, scortato da due Auror. «Temo che non avrò molte libere uscite quest'estate, signora Maleficium» mormorò rassegnato, osservando il suo patrigno che gli sorrideva trionfante. Doveva affrontarlo, e certo tenergli testa non sarebbe stato facile, ma non gliela avrebbe data vinta tanto facilmente. Si avvicinò all'uomo che considerava il suo carnefice e lo guardò dritto negli occhi.

«Sei pronto, Edmund?» gli chiese McPride, in un tono che voleva essere gentile, allungando la mano verso di lui per prendere il suo misero bagaglio.

«Quando vuoi» replicò il ragazzo, con uno sguardo duro e tagliente come una pietra. Avrebbe lottato tutta estate: non avrebbe rinnegato se stesso. Eppure... anche il metallo più duro si può piagare.

Non poteva nemmeno immaginare quanto diverso sarebbe stato di lì a due mesi.

Non poteva immaginare che presto sarebbe diventato Edmund McPride.



Eccoci giunti al termine di questo quarto racconto della saga. Non so voi, ma a me la cosa fa molta impressione! Ci stiamo inesorabilmente avvicinando alla fine! O.O

Il prossimo racconto, il quinto, rappresenterà una svolta importante perché saranno finalmente svelate le origini di Edmund... spero che, dopo che le ho pubblicizzate tanto a lungo, non vi lascino delusi! Comunque, dato che ho scritto sì e no 4 pagine (e non sono nemmeno le prime!), mi prendo una pausa e comincerò a pubblicare MERCOLEDÌ 29 FEBBRAIO (lo so, è una data fighissima! Il 2012 bisestile!).

Ora, due parole sull'epilogo: Laughlin è stupido, sì, lo so; è nella fase di solidarietà maschile contro l'universo femminile, ma avrà modo di ricredersi presto o tardi! Tra Eoin e Reammon sta nascendo una solida amicizia, che vedrete crescere con il tempo: adoro mettere insieme quei due! XD Infine, Edmund è tanto testardo quando dice di non voler cedere a McPride ma... vedrete! ;-)

Nel frattempo, se a qualcuno interessasse, a partire da martedì 10 gennaio comincerò a pubblicare la prima storia di un'altra raccolta, ambientata sempre in Irlanda (fantasia portami via!) e dedicata a due famiglie, il cui destino continua ad incrociarsi con quello di una terra magica dal nome Faerie.

Per il resto, grazie a tutti quelli che hanno seguito questa storia, a chi ha commentato (in particolare a Julia Weasley e darllenwr che hanno messo il cuore in ogni recensione!), a chi ha leggiucchiato qua e là, a chi si è interessato a qualche pagina e a chiunque abbia in qualche modo ricevuto delle emozioni da quello che ho scritto. Se vi ho fatto amare un po' di più l'Irlanda e i miei personaggi, sono più che contenta.

Alla prossima occasione

e buon 2012!!

Beatirx Bonnie

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