If I only could.

di NeverThink
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Per te, Kate.
Grazie.

 

1.


 

~ I only dream of you and you never knew.
Sogno solo te e non l’hai mai saputo. ~

 

Fremetti.
Sapevo che era sbagliato, terribilmente sbagliato. Eppure non riuscivo a toglierli gli occhi di dosso.
Lo vidi uscire, camminare sulla sabbia chiara, dirigendosi verso me. Il sole si rifletteva sulle goccioline d’acqua salata che scivolavano lungo il corpo statuario, sui muscoli dell’addome e delle braccia ben delineati.
Corrugò la fronte a causa del sole. La pelle aveva oramai assunto un colore ambrato dopo la prima settimana di vacanza passata su quell’isola dei Caraibi.
Deglutii rumorosamente e voltai il capo, scostando lo sguardo dal suo corpo, dal suo viso, ma, soprattutto, dai suoi occhi color del ghiaccio.
La sua vista, per quanto fosse gradevole ai miei giovani occhi, era fonte di sofferenza.
Era semplice,  a New Bern, non curarsi di lui. Non ero costretta a vederlo ogni minuto della giornata, a immergermi nel mare dei suoi occhi, come avevo fatto l’attimo prima. Conducevo la mia insulsa e vuota vita, cercando di non pensare a lui. E, anche se il dolore non svaniva del tutto, riuscivo a ridurre la stretta della morsa che mi attanagliava il cuore, la nausea che mi scombussolava lo stomaco, vivendo così in una sorta di annebbiamento, in cui fingevo che la mia vita fosse okay.
In fondo, mancava solo una settimana. Una settimana in cui, in ogni momento avrei fatto i conti con la mia scempiaggine e l’irrazionalità dei sentimenti che mi legavano a lui, arrivati troppo tardi.
«Ehi.» mormorò quando mi fu vicino. Voltai il capo e chiusi un momento gli occhi, certa che non l’avrebbe notato oltre le lenti scure degli occhiali da sole che portavo.
«Ciao.» mormorai rassegnata, ed aprii gli occhi.
Era sempre la solita storia. Sempre la solita routine, guardare il suo e rimanere senza fiato di fronte ai lapislazzuli dei suoi occhi, ai capelli bruni bagnati dall’acqua, alla sua pelle nuda ed ambrata cosparsa di minuscole perle trasparenti.
«Tutto okay? Sei così strana in questo periodo.» mormorò sedendosi sulla sedia a sdraio accanto alla mia, godendosi la sensazione del sole sul corpo nudo.
«Sì.» mormorai. «E’ solo che il mare e le feste mi stancano. Tutto qui.» mentii codardamente.
Lui rise e non potei non bearmi della sua risata sincera e cristallina. «Stancano un po’ tutti,  Helen.»
Annuii piano col capo, passandomi poi una mano sul collo scoperto. «Già.»
«Non hai intenzione di immergerti nell’acqua oggi, eh?» disse con un sorriso sghembo.
Feci spallucce. «Magari più tardi.»
«In acqua c’è il resto del gruppo. Potresti approfittarne.»
«No, preferisco star qui.» mormorai guardando l’oceano ed osservando i nostri amici nuotare.
« Va bene. Sai,» fece un piccola pausa prima di continuare con tono di voce basso e caldo, «sono contento tu sia venuta.»
E in quel momento, udendo quelle parole, fu come se una decina di spilli penetrassero il mio cuore, ferendolo ancor di più.
Deglutii a fatica portandomi una ciocca di capelli scuri, sfuggita all’elastico, dietro un orecchio. «Sì, anche io.»
Per un attimo tacemmo e il silenzio cominciò a pesarmi sulle spalle, quasi volesse schiacciarmi. Ero nervosa, agitata e sofferente.
«E…» continuò dopo un po’, «credevo che la nostra amicizia fosse andata perduta.», la sua voce era un lieve sussurro.
Sentii le lacrime premere sulla palpebra chiusa del mio occhio, desiderose di scivolare lungo le guance accaldate dal sole.
«Ma non è successo, Ian.» mormorai.

«Io ti amo, Helen.» mormorò Ian premendo il palmo della mano sulla sua guancia. «Ti amo.» mormorò ancora.
Helen spalancò gli occhi, colta di sorpresa. Era sicura di aver udito male.
«Cosa?» chiese con voce stridula.
Ian poggiò la fronte su quella di Helen e chiuse gli occhi. «Ti amo.», poi le bacio le labbra piene.
Quando il ragazzo si staccò udii parole che mai avrebbe creduto di poter udire. «Io non posso, Ian.»
Il ragazzo spalancò gli occhi. «Cosa?»
«Non… non posso.» soffiò Helen mentre lui le ingabbiava il viso fra le grandi mani.
«Cosa significa?»
«Fra due giorni parto per Lione.»
«Ti aspetterò.» mormorò carezzandole le gote con i pollici.
Ma Helen era confusa, Helen non seppe dare un senso alla tempesta delle sue emozioni. Così poggiò le sue mani su quelle di Ian, allontanandole dal suo viso.
«Forse… sono io a non amarti.»
Mentire per una giusta causa. No, questo non porta mai a qualcosa di buono.

Il ricordo mi colpii con estrema crudeltà, lasciandomi senza fiato.
Come avevo potuto essere così stupida quell’Agosto di tre anni fa. Avevo diciassette anni e la vita mi si prospettava rosea.
In quel momento invece era insulsa, mi sentivo… svuotata, priva di qualsiasi emozione, se non l’amore irrazionale che provavo per lui, capito troppo, troppo tardi.

Helen scese dall’aereo e varcò le porte scorrevoli dall’aeroporto. Il cuore le batteva frenetico, tanto che sembrava volesse squarciarle il petto e librarsi nell’aria. Faceva quasi male, tanto batteva violentemente.
Sapeva cosa voleva dalla vita. Sapeva cosa cantava il suo cuore, sapeva cosa provava e cosa aveva celato a lungo. Perciò doveva raggiungerlo al più presto, anche se erano passati mesi dall’ultima volta che l’aveva visto e sentito.
L’amava e se ne rese conto quando gli era mancato più dell’aria, quando la sua assenza gli bruciava la pelle.
Sua cugina Abby l’avrebbe portata a casa, ma Helen prima di tutto voleva andare da lui, da Ian.
Cercò con lo sguardo sua cugina e quando la vide… il mondo le crollò addosso.

«Non so di cosa tu stai parlando.» dissi con leggera ironia e sperai che la smorfia sul mio viso sembrasse un sorriso.
Si passò una mano fra i capelli castano scuro, quasi imbarazzato. «Bene.»
Mi costò non alzarmi e lasciarlo lì solo, rifugiarmi nella stanza dell’albergo per lasciarmi andare alle lacrime.
«Sei stata importante per me, Helen.» mormorò voltandosi verso me. Con mio grande dispiacere, dovetti voltarmi anch’io a guardarlo. I suoi occhi ardevano come fiamme azzurre ed ebbero la violenza ed il dolore di una frusta sulla mia pelle. Sentii la gola gonfiarsi e pulsare di dolore mentre cercavo di trattenere le lacrime pronte a solcarmi il viso.
«Ci eravamo ripromessi di rimanere per sempre amici.» sussurrai incapace di scostare lo sguardo dai suoi occhi.
Sorrise inclinando il capo. «Ricordi, eh? Avevamo dieci anni.»
Annuii col capo incapace di proferire parola.
«Già. Sempre. Ed in fondo, è accaduto.» continuò poggiando la tempia sulla sedia a sdraio, guardandomi.
Sorrisi e sentii i margini della ferità al centro del petto pulsare di dolore, come se ci fosse stato versato sopra del sale.
«Ehi, voi non venite in acqua?»
Un singulto mi uscii dalle labbra quando udii la sua voce.
«Ehi, tutto okay?» mi sussurrò Ian preoccupato, poggiando una mano sul mio braccio, ed immediatamente, sotto il suo tocco, la mia pelle parve prendere fuoco.
«Sì.» soffiai incapace di emettere suoni.
«Sicuro?» chiese ancora.
«Ehi, Helen, non hai una bella cera.» disse Abby avvicinandosi a noi.
«Sto bene.» mentii sorridendole.
«Perché non venite anche voi?» chiese poi voltandosi verso Ian e sedendosi sulle sue gambe.
Lui le baciò le labbra, circondandole con un braccio i fianchi stretti. «Arrivo.»
Quel tocco fu come una lenta pugnalata al cuore. La lama mi trafisse, penetrò la carne, ferendomi nel profondo, accoltellando anche la mia anima, annientando ogni traccia di speranza per futuri pensieri felici… annullando quasi me stessa.
Gemetti. Quasi sembrava avvertire dolore fisico.
«Ehi, Helen.» mormorò preoccupata mia cugina. «Stai bene?» chiese scostandomi una ciocca di capelli.
Deglutii rumorosamente mentre sentii le lacrime inumidirmi gli occhi e sfuggire al mio controllo.
«No.», e fui incapace di mentire.
«Ma ti stai piangendo!» esclamò carezzandomi la spalla.
«Ho solo… ho solo un po’ di nausea. Devo andare.» farfugliai alzandomi dalla sdraio.
«Helen!» esclamò Ian e la sua voce non causò altro che dolore. Fu come se avesse girato la lama nella ferita.
Mi lasciai dietro le spalle la vista di loro due, l’uno stretto all’altra. Le loro dita incrociate. I loro occhi innamorati. Mi lasciai alle spalle le loro espressioni preoccupate.
Col petto schiacciato dal peso del dolore, della sofferenza causata dall’amore represso, mi allontanai.
E fu vano il mio tentativo di asciugare le lacrime.
Fa vano il mio patetico tentativo di fingere che andasse bene, che avrei potuto fingere che non lo amassi.
E fu patetica la mia autoconvinzione di vivere una vita felice… senza lui.
Perché nulla più aveva senso.
L’avevo perso. L’avevo perso… per sempre.



 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***





           

 

 

2.

 


~How much deception can you take?
How many lies will you create?
How much longer until you break?
Your minds about to fall.

Quanti inganni potrai sopportare?
Quante bugie inventerai?
Per quanto ancora, prima di crollare?
La tua mente sta per cadere.~




Mi chiusi alle spalle la porta della camera d’albergo. La sbattei con violenza mentre le lacrime mi bagnavano il viso accaldato. Il mio cuore batteva con violenza, causandomi dolore. I singhiozzi mi scuotevano e facevano male.
Mi poggiai alla porta in legno chiaro lasciandomi scivolare lungo essa, fino a sedermi. Mi portai le ginocchia al petto, circondandole con le braccia e posando la fronte sulle ginocchia.
Ero in costume da bagno. Avevo lasciato tutte le mie cose in spiaggia, senza curarmi di nulla, poiché l’unica cosa che volevo, che desideravo, ero fuggire dalla loro vista.
Accadeva sempre tutto ciò, ogni volta che ero da sola. Forse troppo emotiva e fragile per reggere la sofferenza di un amore perduto, la felicità sfuggita.
Era accaduto troppe volte quella settimana. In precedenza avevo sorriso, avevo indossato la mia solita maschera di malinconica felicità, incolpando la stanchezza. Mi scusavo e mi allontanavo, o per un drink al bar, o per un bagno nelle acqua cristalline dell’oceano. Ma, in quel momento, scossa dai crudeli ricordi, disarmata dalla loro potenza l’attimo prima e dai suoi occhi ammaliatori, non ero riuscita a fingere. Mi ero lasciata andare. Le menzogne dette, tutta la farsa della settimana precedente, mi era crollata sulle spalle, intaccando il mio animo. Ero… al limite. Ero scoppiata. Avevo ceduto.
Mi lasciai andare ad un pianto disperato, singhiozzando. La gola mi faceva male e le lacrime calde mi scorrevano ancora sul viso.
Buttai indietro la testa, digrignando i denti e ringhiando i rabbia.
Saltai quando con violenza qualcuno bussò alla porta.
«Helen! Helen!» gridò ripetutamente Abby oltre la porta, bussando insistentemente.
Chiusi gli occhi, cercando di fermare le lacrime che, nonostante tutto, presero a scorrermi sul viso.
«Va’ via.» risposi con voce roca.
«Helen, aprimi! Per favore, aprimi!» esclamò bussando con violenza. «Mi sto preoccupando!»
«Vattene!» urlai in preda al nervosismo.
«No, non vado via. Ti prego, Helen… per favore, aprimi.»
Aprii gli occhi e mi sollevai da terra. Poggiai le mani sulla porta e feci un respiro profondo. Mi asciugai il viso con una t-shirt che avevo lasciato sulla sedia accanto alla porta, prima di aprirla.
Abby sgranò gli occhi, sorpresa, e nei suoi occhi guizzò preoccupazione mista a sofferenza. «Helen…» mormorò.
Il mio labbro inferiore tremò e sentii le gambe molli, mentre le lacrime presero ancora ad annebbiarmi la vista e a scorrermi sulle gote. Senza pensarci, mi buttai fra le sue braccia tese verso me, cercando rifugio. Poggia il viso sulla sua spalla mentre altri singhiozzi presero a scuotermi violentemente.
«Abby…» gemetti.
«Ehi, Helen… ehi, cosa succede?» mormorò carezzandomi i capelli raccolti in una coda.
Non riuscivo a parlare, semplicemente perché non potevo parlare.
«Mi stai facendo preoccupare.» genette preoccupata. Posando le mani sulle mie spalle cercò di allontanarmi, ma io mi opposi aggrappandomi alla sua schiena.
«Okay…» mormorò carezzandomi, cercando di farmi tranquillizzare. Per qualche minuto rimanemmo così, ferme sulla soglia della camera, l’una stretta all’altra, mentre la disperazione mi portava sull’orlo di quel precipizio fatto di dolore e sofferenza.
«Ehi, perché non entriamo dentro? Così potrai raccontarmi tutto.» mi sussurrò all’orecchio.
Scossi il capo, non perché non volessi entrare, ma perché non volevo, non potevo raccontarle tutto.
«Dai, piccola, entriamo.» disse allontanandomi con forza da lei e sorridendomi. I sensi di colpa aumentarono facendo aumentare anche le lacrime.
«No, ti prego, non fare così.» gemette ancora conducendomi all’interno della camera. Circondò la vita con un braccio, sorreggendomi. Mi condusse sul letto e mi fece sedere. Mi accoccolai sul materasso morbido, rannicchiandomi in posizione fetale. Abby mi scostò i capelli dal viso, appiccicati alla fronte madida di sudore, e mi accarezzò una guancia. Piano i singhiozzi cessarono e le lacrime sul viso si freddarono, svuotata da qualsiasi energia, stanca per il pianto.
«Cosa succede?» mi domandò pochi attimi dopo, carezzandomi la fronte.
«Non ne voglio parlare.»
«Ti prego, parlami.»
«Ho detto di no.»
Lei sospirò, prima di passarsi una mano sul viso, mentre chiudevo gli occhi. La sentii alzarsi e di scatto aprii gli occhi.
Il terrore di essere lasciata sola si fece più forte e la ferita prese a pulsare ancora di più. «Dove vai?» chiesi col panico negli occhi.
«A riempirti la vasca d’acqua.» sorrise dolcemente.
Scossi velocemente il capo. «No, ti prego, resta qui.» aggiunsi con voce rauca.
«Okay. Fammi posto.» mormorò stendendosi accanto a me, e stringendomi a sé.
«Ti voglio bene, Helen.»
Non risposi. Lasciai che un’ultima lacrime spillasse dai miei occhi mentre pensavo che amavo con tutta me stessa il suo… ragazzo.

La testa mi doleva di dolore. Faceva male, tanto male. Non aprii immediatamente gli occhi. Per alcuni istanti cercai di ricordare cosa fosse successo prima che mi addormentassi.
Immagini presero a susseguirsi poi nella mia mente. Il mare, Ian, Abby. Aprii di scatto gli occhi e mi misi a sedere, tanto velocemente che per un attimo la testa prese a girarmi.
Mi guardai intorno. La stanza era illuminata dalla fioca luce del tramonto e dalla porta finestra aperta la leggera brezza marina scostava con delicatezza le tende.
Mi alzai in piedi e mi resi conto di essere ancora in costume da bagno. Mi stropicciai un occhio e mi sciolsi la coda in cui erano raccolti i capelli. Lunghi e castani mi ricaddero sulla spalle.
A piedi nudi mi diressi verso l’armadio e ne tirai fuori un vestito di lino dalle bretelle sottili. L’indossai ed uscii dalla portafinestra. Notai sulla poltroncina accanto al comodino la mia borsa per il mare e tutte le mie cose. Doveva averle portare Abby.
Uscita in veranda, la vidi. Era in piedi, poggiata al cornicione in metallo, che guardava il mare distante solo un centinaio di metri.
Forse non mi sentii arrivare, per questo non si voltò.
«Ehi.» mormorai e nell’udire la mia voce si allontanò dal cornicione girandosi.
«Ehi, ciao.» disse con fare dolce. «Come ti senti?»
Feci spallucce e mi sforzai di sorridere. «Dolorante, ma bene.»
Lei si avvicinò allargando le braccia e tendendole verso me. Abbozzai un sorriso e mi avvicinai, lasciando che mi abbracciasse.
«Mi sono preoccupata.»
«Scusa.»
«Cosa ti succede, Helen?» mi chiese poi allontanandosi e guardandomi in viso.
«Niente.»
«Non mi prendi in giro. Ti conosco.»
«E’ solo che… credo di essermi innamorata tempo fa. A Lione.» mi affrettai ad aggiungere.
«Oh, tesoro… mi dispiace così tanto. Ma è passato un anno oramai.»
Feci spallucce. «Mi è difficile dimenticare.»
«Non mi stai mentendo, vero?»
Sì.
«No. Ci siamo sentiti qualche giorno fa. Non mi va di parlarne.» dissi scuotendo il capo ed avvicinandomi alla ringhiera.
«Ne sei sicura?»
Sospirai, svuotata da qualsiasi energia. «Sì.»
«Okay.»
Mi presi la testa fra le mani e sospirai. «Che dolore.»
«Aspetta.» mormorò prima di sparire nella camera. Corrugai la fronte e poco dopo arrivò con una bottiglietta d’acqua e un’aspirina.
«Grazie.» sorrisi prima di inghiottirla.
«Bene. Tu adesso ti fai una bella doccia, ti vesti e scendi per la cena. Okay? Non hai idea di quanto siano preoccupati gli altri. In particolare Ian.»
A quel nome ebbi un fremito.
Abby corrugò la fronte. «Hai freddo.»
«No, no.» farfugliai scuotendo il capo e abbozzando un sorriso.
«Okay. Allora a dopo, Helen.» disse  abbracciandomi.
«A dopo.»
Mi sorrise e, dopo aver preso la borsa poggiata sulla poltroncina di vimini, si diresse verso la portafinestra.
«Abby?» la chiamai.
Sulla soglia lei si voltò. «Sì?»
«Grazie.»
«Di niente.» poi si voltò e sparì.
Sospirai e mi sedetti sulla poltroncina, poggiando i gomiti sulle ginocchia e prendendomi il viso fra le mani. Guardai il mare e non potei non ricordarmi il colore dei suoi occhi.
Avevo ceduto. Avevo lasciato che tutto fuoriuscisse, che tutto fosse spigionato. Avevo sbagliato ed un errore del genere non doveva mai più ripetersi. Mai più. Avrei dovuto continuare a sorridere, fingere che tutto andasse bene, che, nonostante tutto, ero felice. Dovevo fingere che non fosse successo nulla.  Riassumere quel briciolo di autocontrollo che mi restava, che mi permetteva di incontrare Abby e Ian, e di sopportare i loro baci, le loro carezze.
Avrei dovuto, ancora una volta, mettere da parte quell’unico sentimento che dominava il mio animo.
Mi morsi il labbro inferiore. Su quel letto avevo pianto tutte le mie lacrime.
Mi alzai e mi diressi verso il bagno, dove aprii l’acqua della doccia. Lasciai che l’acqua fresca mi rinfrescasse la pelle accaldata e umida, i capelli incrostati dalla salsedine.
Mi vestii, senza prestare particolare attenzione a ciò che indossare. Ritenni che una canotta ed una gonna corta andassero bene. Faceva caldo, ma preferii lasciare che i capelli mi ricadessero lisci e d umidi sulla schiena. Cercai di coprire con dei cosmetici gli occhi gonfi e leggermente arrossati. E quasi ci riuscii. Afferrai la borsa di stoffa blu e, chiusa la porta della camera con la carta magnetica, mi diressi verso la sala ristorante. Non avevo fame, la nausea provocata dalla tempesta di emozioni mi aveva scombussolata, ma se non fissi scesa avrebbe fatto tutti troppo domande. Abby, avrebbe fatto troppe domande a cui non potevo rispondere.
Quando arrivai nella grande sala tutti erano lì. Shelly, Ryan, Anthony e Jared. Poi, di spalle a me, uno vicino l’altra, Abby ed Ian. Il mio cuore pulsò di dolore.
Sospirai, passandomi una mano fra i capelli. Sorrisi e mi avvicinai al tavolo. Il primo a notarmi fu Jared che alzò gli occhi mostrandomi un largo sorriso.
«Helen!» esclamò e tutti si voltarono a  guardarmi. Cercai di concentrarmi sui loro visi, evitando di guardare quello di Ian, ma fu per me inevitabile ammirare i suoi occhi azzurri con la coda dell’occhio. Deglutii rumorosamente e mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Ciao ragazzi.» mormorai avvampando di rossore e notai, con mio grande dispiacere, che gli unici posti liberi erano quelli a capotavola. Così mi sedetti accanto a Jared ed Anthony. Se avessi occupato il posto di fronte sarei stata vicino a Ian.
«Cos’è successo?» mi chiese Shally, inclinando il capo.
«Non sono stata bene.»
«Cioè?»
Feci spallucce. «Sarà stato il caldo.» sorrisi cercando di minimizzare il tutto con un gesto della mano.
«Ora come stai?» chiese Ryan.
«Bene, grazie.»
«Davvero?» la sua voce, nonostante tutto, era musica per le mie orecchie.
Non alzai subito lo sguardo, per un secondo fissai il piatto dinanzi a me. «Sì.» risposi poi puntando i miei occhi nei suoi. Fu strano, ma li trovai bellissimi e per una fazione di secondo mi sentii davvero meglio, prima che la sofferenza m’attanagliasse ancora l’animo. Per alcuni istanti i suoi occhi indugiarono nei miei, belli da mozzarmi il fiato e farmi dolere il cuore.
A rompere quello scambio di sguardi,  fu la voce di Anthony. «Allora, gente, oggi party?»
E tutti risero.

 

*

Ancora una volta, grazie.


Eccomi qui, gente, finalmente.
Che dire? Grazie davvero a voi che avete letto questa “cosa”… mi rendete felicissima.
Purtroppo non è un periodo roseo e gli aggiornamenti sono piuttosto lenti. Perciò, vi chiedo scusa.
Ringrazio di cuore gli angeli che hanno recensito lo scorso capitolo.

KeLsey:
ciao, Eri! Non hai idea di quanto mi abbia fatto piacere la tua recensione! Sai che ci tengo tantissimo al tuo parere… oramai per me è fondamentale! Sono contenta che la fiction ti piaccia, davvero! Quando ho letto al tua recensione mi sono sciolta. Sei troppo buona! >.< Ti voglio bene, piccola Eri. (L)
Nessie93: ciao, Chià! Alla fine ce l’ho fatta, sono ancora qui.  Ovviamente non hai centrato il fulcro della storia, ma pazienza. Magari più in là capirai che di divertente ha ben poco. Sono comunque contenta che tu l’abbia trovata carina. Ovvio che se non ti piace puoi benissimo dirlo, eh. Non mi offendo. Grazie per la recensione.
Xx_scrittrice_xX: ciao, Ely! Oh, non sai che piacere leggere una tua recensione! Davvero hai pianto? Oddio… non potevi dirmi cosa più bella! Sono contenta tu sia riuscita a… “immedesimarti” nel personaggio, davvero! Mi rende felicissima! *-*  Miglioro? Parliamo della stessa persona? XD Ti voglio bene, sciocca.
Angyr88: ciao! *-* oddio, non hai idea di quanto mi abbia fatto piacere leggere la tua recensione. Ho gongolato come una scema. Sono contentissima di sapere che ti è piaciuta, davvero! E spero di non averti delusa con questo… se così fosse però dimmelo. A presto, cara. Grazie, grazie davvero.
Piccola Ketty: ciao, Kate. Bene… che farei senza te? Cioè… sarò ripetitiva, ma davvero non hai idea di quanto tu stia diventando importante per me. Ti devo così tanto, accidenti. Ad ogni modo, che dire… sei fantastica. Non mi merito recensioni tanto belle! Sono contentissima ti piaccia… per ovvi motivi direi. Oramai il tuo parere… è il tuo parere. E sono sempre in ansia quando leggi. Ti voglio bene, tesoro, davvero. E lo sai. Scusa per la risposta affrettata ma ho davvero poco tempo. <3
mary whitlock: ciao! *-* davvero hai provato le stesse emozioni? Oddio… cioè… okay, mi calmo. No non ce la faccio! La tua recensione mi ha lasciata sbalordita e mi ha riempita di gioia! Sono felice di sapere che il modo in cui scrivo è di tuo gradimento. Per me è davvero importante. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. Grazie mille!


A voi, con immenso affetto,
                                            Panda.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


3.



~
A universe is trapped inside a tear,
it resonates the core,
creates unnatural laws,
replaces love and happiness with fear.

Un intero universo è intrappolato dentro una lacrima,
risuona nell'anima,
crea leggi innaturali,
rimpiazza l'amore e la felicità con la paura.~

 

«Non sei troppo giovane per bere da sola al bancone?»
Bevvi l’ultimo sorso di vodka secca prima di voltarmi verso Jared. «No, non credo.»
«Non dovresti bere. Sei stata male.» osservò indicando il bicchiere.
«Sparisci, Jared.» bofonchiai facendo segno al barista di riempirmi ancora il bicchiere.
«Ma come siamo gentili, oggi.»
«Ma dai.» risposi sarcastica.
Stavo per portarmi il bicchiere alla labbra quando Jared parlò ancora. «Cosa succede, Helen?» mi chiese d’un tratto serio.
Mi voltai di scatto e sbattei il bicchiere sul bancone. Forse era colpa dell’alcool, forse il Margaritas e i due bicchieri di vodka secca cominciavano a fare effetto, parlai con odio e rabbia nella voce.
«Volete piantarla di chiedermi come sto? Volete piantarla di preoccuparvi per me? Quale parte della frase “lasciatemi in pace” non vi è chiara?» sbraitai, e le persone sedute al bancone, accanto a me, si voltarono.
Jared s’acciglio, colto di sorpresa. «Cosa?»
«Lasciatemi in pace.» ringhiai. Mi voltai e bevvi d’un sorso ciò che il mio bicchiere conteneva. Lasciai una banconota –che il barista afferrò con estremo tempismo- sul bancone e mi alzai. La testa mi girava e faticai per mantenere l’equilibrio.
«Helen! Helen!» esclamò Jared afferrandomi per un polso e costringendomi a voltarmi.
«Lasciami stare!» urlai scollandomi dalla sua presa ferrea.
«Ma che diavolo ti prende?» urlò costringendomi a guardarlo.
Sentii le lacrime inumidirmi gli occhi arrossati e la tristezza infliggermi numerose ferite. «Ti prego, Jared,» gemetti, «ti prego, lasciami andare. Ti prego.»
Lui sgranò gli occhi, come scosso. Non dovevo avere una bella cera, un bell’aspetto e forse fu il mio sguardo addolorato a convincerlo a mollare la presa.
Emisi un singulto e scuotendo il capo, mi voltai allontanandomi, attraversando la grande pista da ballo.
Il grande locale era all’aperto, leggermente in rialzò rispetto al livello del mare. Così, scesi i pochi scalini, andando in spiaggia. La sabbia fresca mi solletico la pelle dei piedi, filtrando nei sandali. Camminare a modo sulla sabbia asciutta era difficile e, certamente, la vista e la mente annebbiata dall’alcool non aiutavano il mio equilibrio. Caddi sulle ginocchia, poggiando le mani sulla sabbia. Mi rialzai e me le ripulii sulla corta gonna di jeans. Continuai a camminare verso il mare, non sapendo nemmeno dove andare. Quando fui sulla battigia mi sfilai i sandali e li lanciai sulla sabbia asciutta. Lasciai anche la borsa accanto ad essi e mi immersi nell’acqua fino alle ginocchia. Mi passai le mani fra i capelli mentre il mio respiro si muoveva troppo velocemente per essere controllato. Lo stomaco mi bruciava e gli occhi mi si inumidirono nuovamente di lacrime. Mi portai le braccia all’addome, quasi stringendolo, come a voler mantenere assieme i pezzi del mio corpo.
Gemevo e farfugliavo cose incomprensibili.
Tremavo e di certo non era per il freddo.  Persi l’equilibrio e caddi nell’acqua, che mi bagno fino all’addome.
«Oh, accidenti!» gemetti in un pianto senza lacrime. «Accidenti!»
«Helen!». Quando udii quella voce i lamenti cessarono. Ripeté ancora il mio nome e chiusi gli occhi, beandomi di quel suono.
«Ian.» mormorai a me stessa.
«Helen!»
Mi voltai e lo vidi avanzare verso la battigia, correndo. Entrò in acqua senza curarsi di bagnarsi i jeans e le scarpe. Si inginocchiò e mi sorresse poggiandomi una mano su un fianco ed una sotto il braccio, per poi portarla al mio viso scostandomi i capelli per metà bagnati.
«Ehi…» mormorò e il suo viso al chiaro di luna era ancor più bello. Inebetita l’osservai. Osservai la mascella squadrata, la sopracciglia nere e gli occhi chiari che, in quel momento, erano simili a zaffiri al sole. Istintivamente alzai una mano, sfiorandogli la mascella con i polpastrelli.
«Sei così cambiato, Ian.» mormorai.
«Stai delirando.» rispose abbozzando un sorriso.
Scossi il capo e cercai di sollevarmi sulla ginocchia, ma persi l’equilibrio e caddi indietro. Ian mi afferrò appena in tempo.
«Ehi, piccola… guardami.» disse prendendomi il viso fra le mani e puntando i suoi occhi nei miei.
«Cosa ti succede?»
«Sto… bene.» mormorai osservando le sue labbra, poi i suoi occhi.
Lui abbassò lo sguardo e sospirò. «Vieni, ti porto in camera.» disse poi prendendomi fra le braccia.
«I sandali… la borsa.» dissi cercando di scendere.
Ian fu costretto a lasciarmi. «Ehi, aspetta!» disse mentre avanzavo alla cieca sulla sabbia. Sentii un suo braccio circondarmi la vita e sorreggermi. La pelle del mio viso prese fuoco.
«Sono qui.» aggiunse poi afferrando le mie cose. «Ora, per favore, lascia che ti porti io.» concluse privandomi della terra sotto i piedi.
Poggiai il viso suo petto ed ascoltai il battito del suo cuore. Batteva dolcemente. Era l’unica cosa a cui pensavo, lottando con tutta me stessa contro i conati di vomito.
Dopo minuti che mi parvero eterni, sentii una porta sbattere. Fortunatamente quella sera avevamo deciso di rimanere nel locale dell’albergo.
Ian mi adagiò sul materasso ed io aprii gli occhi. Sembrava una statua di Adone, bello come non mai, statuario, lì, accanto al letto.
«Mi spiace.» mormorai cercando di alzarmi.
«Sssh… sta giù.» mormorò bloccandomi per le spalle e costringendomi a stendermi sul materasso.
«Ian?» chiesi, chiudendo gli occhi e corrugando la fronte.
«Ho bisogno del bagno.»
«Oh, sì.» disse mentre mi aiutava a mettermi in piedi e mi accompagnava. Lui rimase sulla soglia della porta.
«Ian, devi uscire.»
«Scusa. Ti aspetto qui fuori.»
Annuii piano col capo e mi voltai, feci un passo all’indietro quando vidi la mia immagine riflessa nello specchio. Il trucco mi rigava le guance e mi contornava di nero gli occhi. Chiusi gli occhi e aprii il rubinetto, bagnandomi il viso con l’acqua, liberandomi del colore che mi aveva imbrattato la faccia. Mi spogliai ed entrai nella doccia dove mi lavai con sola acqua per togliere via la salsedine dalla pelle. Avvoltomi il corpo con un asciugamano bianco uscii dal bagno e mi meravigliai di trovare Ian seduto sul bordo del letto con la testa fra la mani.
Alzò lo sguardo e metà del suo viso rimase nell’ombra, rendendolo ancora più bello.
«Sei rimasto.» osservai avanzando. Persi l’equilibrio e mi sorressi al comodino accanto al letto. Lui scattò in piedi, ma gli feci segno di sedersi.
«Meglio?» chiese.
Annuii piano col capo e mi diressi verso l’armadio  a prendere della biancheria e qualcosa per coprirmi.
«Puoi andare se vuoi. So cavarmela da sola.» farfugliai cercando di camminare lungo una linea retta.
«Lo so.» mormorò e mi voltai a guardare il suo viso imperscrutabile.
Scossi il capo e sbuffai entrando nel bagno. Quando uscii indossavo un paio di calzoncini corti ed una canotta.
«Ora vattene.» dissi sprezzante mentre, barcollante, mi dirigevo verso il letto.
«Non ci penso minimamente, Helen.»
«Voglio rimanere da sola.» lo dissi cercando di non guardarlo negli occhi, perché sapevo che, in quelle condizioni non sarei riuscita a dirgli di andare via.
«Te lo scordi.»
E fu lì che, istintivamente, mi voltai a guardarlo. Aprii la bocca per parlare ma da essa non vi uscì alcun suono. Rimansi attonita a guardare il suo viso preoccupato, illuminato dalla fioca luce lunare che filtrava attraverso le tende bianche, scostate dalla leggera brezza marina.
Chiusi gli occhi e mi portai una mano sull’addome e l’altra sulla fronte.
«Cosa c’è?» chiese Ian allarmato girando attorno al letto e raggiungendomi.
«Mi… mi gira la testa.» mormorai mentre le sue mani si posavano sui miei fianchi. «E ho la nausea.»
«Vieni, stenditi.» mi sussurrò lui facendomi adagiare sul letto matrimoniale.
Chiusi gli occhi e godei la sensazione delle sue mani che carezzavano la pelle del mio viso, che d’un tratto avvampò di rossore.
«Scotti.» osservò.
Risposi con un grugnino, abbozzando un sorriso.
Di scatto apri gli occhi e mi sorpresi di trovarlo così vicino. Era inginocchiato per terra e le sue labbra erano a poche spanne dal mio viso. Le osservai e deglutii rumorosamente, cercando di concentrare la mia attenzione sui suoi occhi.
«Hai lasciato la festa.» soffiai. «Mi dispiace.»
«Ti ho vista al bar, sai? E con Jared… e camminare da sola verso la spiaggia.»
«Potevi lasciarmi stare… come ha fatto Jared.» mormorai.
«Io nono sono Jared, Helen.»
«Lo so.» mormorai e allungai la mano verso il suo viso, carezzando ancora la sua mascella.
Lui la bloccò con la sua e fui costretta ad aprirla sulla sua guancia per non farmi male le dita. «Capisci che non potevo lascarti stare, Helen?» sussurrò con occhi ardenti.
«Perché?»
«Perché… perché… avresti potuto fare cose di cui ti saresti pentita.» sospirò alla fine.
Ricaccia indietro il magone che mi si era formato in gola e sospirai, tremando.
«Mi dispiace.» dissi ancora con voce incrinata.
«Sssh... tranquilla. Ora dormi, Helen.» mormorò baciandomi uno zigomo.
«Resta. Resta con me.» soffiai poggiando una mano sulla sua spalla.
«Non vado da nessuna parte, Helen.» mormorò. Si sedette sul letto, con la schiena poggiata alla testiera del letto. Poggiai la guancia sul suo addome, mentre con le mani prese a carezzarmi con dolcezza i capelli. Con un braccio circondai i suoi fianchi, stringendolo ancor più a me. E piano caddi fra le braccia di Morfeo.


Il mattino dopo a svegliarmi fu la luce del sole. Filtrava attraverso le tende bianche, illuminandomi fastidiosamente il viso. Sbattei più volte le palpebre, coprendomi gli occhi con una mano.
Grugnii e mi lamentai. Mi misi a sedere. Avevo ancora la nausea e la testa mi doleva. Mi guardai intorno e ci misi un po’ per ricordare cosa fosse accaduto la  notte precedente. L’ultimo mio ricordo era il viso di Ian, poi tutto mi rivelò alla mente, in maniera un po’ confusa.
«Cavolo.» mormorai prendendomi la testa fra la mani e sbuffando.
«Stupida, stupida, stupida.»mi rimproverai, prima di lasciarmi cadere con un tonfo sul morbido materasso. Voltai il capo e sul comodino notai un foglio. Corrugai la fronte ed allungai un braccio per prenderlo. L’aprii e lo lessi.
Conobbi immediatamente la calligrafia ordinata.

Ricordati di bere del caffè nero e di prendere un’aspirina.
Nel caso ti svegliassi dopo le nove –molto probabile-, siamo in spiaggia.
Attenta, Helen.
Ian.

Sorrisi fra me, prima di reprimere quel gesto spontaneo. Non potevo sorridere, perché non v’era nulla da sorridere.
Era tutto un gran casino ed ora stata io a causarlo.
Dovevo trovare un modo per sistemare le cose, e forse, l’unica modo era semplicemente… andare via. Via da lì.


Arrivata in spiaggia osservai con piacere che erano tutti in acqua, tranne Ryan e Ian. E da un lato ne fui felice, nonostante desiderassi perdermi ancora nei suoi occhi.
Su una sdraio Jared prendeva il sole.
Sopirai. Gli dovevo delle scuse, non c’erano dubbi. Ricordavo fin troppo bene lo sgarbo con cui, la sera prima, l’avevo allontanato.
Lasciai cadere sulla sabbia, con un tonfo sordo ma udibile, le mie cose. Jared si voltò, mi guardò e, ignorandomi, mi voltò dall’altro lato.
I sensi di colpa che già nutrivo verso mia cugina aumentarono cominciarono a logorarmi lo stomaco.
«Ciao.» disse sedendomi sulla sdraio accanto alla sua.
«Ciao.» mormorò lui con voce fredda.
«Jared… scusami, Ieri non ero in me. Davvero. E’ un periodo confuso e complicato. Perdonami.»
«Siamo tuoi amici, Helen. Perché non parli? Vogliamo aiutarti.» disse mettendosi a sedere e guardandomi con quei suoi occhi neri.
«Non è nulla. E’ solo un periodo strano. Ora sto meglio, davvero.» mi sforzai di sorridere, di sembrare convincente.
«Io ci sono, Helen. E ti voglio bene. Come te ne vogliono gli altri.»
Risi, a disagio. «Anche io te ne voglio, ma davvero, non c’è nulla che non vada, credimi.» mentii.
Sorrise flebilmente ed annuii piano col capo. «D’accordo.»
Gli tirai un leggero pungo sul braccio. «Dai, facciamoci in giro.»
«Dove?» chiese lui corrugando la fronte.
«Sulla battigia, ovvio!»  sorrisi.
Lui fece spallucce. «Okay.»
Sorrisi e mi sfilai il leggero vestito di lino, rimanendo in costume.
«Stai mangiando?» chiese Jared. Sentii il viso avvamparmi di rossore e sgranai gli occhi quando sentii i suoi occhi sul mio corpo.
«Sono esile per costituzione. E col caldo mi passa la fame.»
«Certo, certo.»
«E sono piuttosto alta.» precisai dandogli un leggero spintone.
«Certo, certo.» disse roteando gli occhi.
Scossi il capo in un risolino, mentre cominciavamo a camminare sulla sabbia bagnata.
Lottai contro tutta me stessa per non lasciarmi andare ai ricordi della sera prima.  A quanto fossi stata sprovveduta, e sciocca. Ma, soprattutto, mi sforzai di far finta che andasse tutto bene.

 

 

*

“Grazie.”

 

Eccomi gente. Bene… ancora qui.
Mi dispiace davvero tanto… ma purtroppo non posso ringraziarvi a modo. E’ un periodo critico e ho mille cose da fare e da recuperare… perciò chiedo ancora scusa. Perdonatemi.
Ringrazio in particolar modo:
Xx_scrittrice_xX, Angyr88, Piccola Ketty, KeLsey, __Claire__, mary withlock, Jake_Me e Nessie93.
Grazie, di cuore.

A voi, con immenso affetto,
                                            Panda.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


4.

 

 
~Grounded, boxed in, I am stuck with you.

Arenato, inscatolato, sono inchiodato a te.~

 

 

Mi ero ripromessa di non commettere passi falsi, il tardo pomeriggio del giorno prima. E invece, era accaduto esattamente il contrario.
Ero stata stupida, sprovveduta, sciocca. Avevo dato agli altri adito di pensare che qualcosa davvero non andasse.
Ero stupida, e su questo non v’erano dubbi.
In quel momento, stesa sulla sdraio, con indosso gli occhiali da sole ed un capello di paglia, guardavo il mare ringraziando Dio –se mai esistesse- che Ian non fosse lì.
Mi cugina, che giocava a beach volley, mi salutò con un gesto della mano, che timidamente ricambiai.
Le volevo bene, molto. Eravamo cresciute insieme… ed era quella sorella mai avuta. E non importava che ero innamorata follemente, irrazionalmente, incondizionatamente del suo attuale ragazzo. Volevo il meglio per lei, e non potevo ferirla dicendole la verità. Una verità che non mi avrebbe portata a nulla, poiché lui era innamorato di lei.
Tornai a guardare il mare. Di fianco a me Shelly si godeva i caldi raggi solari sul corpo formoso, mentre io, all’ombra di grandi foglie di palma, mi godevo il fresco.
«Così ti brucerai.» osservai.
«Nah, non credo. E’ già successo. La mia pelle si è inscurita.» disse senza aprire gli occhi e muoversi di un centimetro.
Sorrisi. «Okay.» e ritornai a guardare il mare. Nell’acqua Jared e Anthony parlavano con un paio di ragazze.
«Secondo te, Jared… ci sta provando con una di loro?» disse lei dopo alcuni attimi, rompendo il silenzio della mia mente.
«E’ probabile, conoscendolo.» risposi poi voltandomi. Shelly fissava Jared che nell’acqua rideva e ciò che vidi negli occhi di lei mi sorprese: era così simile a ciò che guizzava, per un momento, nei miei quando pensavo a Ian.
«Shelly…» mormorai. Lei non si voltò, si limitò a abbassare appena lo sguardo.
«Da quanto?» chiesi in un sussurro.
«Un mese, circa.» rispose poi sorridendomi imbarazzata. «Per favore non dirgli nulla. Non voglio rovinare l’amicizia.» mi supplicò puntando i suoi occhi grigi nei miei.
Annuii piano col capo e sorrisi flebilmente. «Muta come un pesce. Promesso.»
«Grazie.»
Guardai un momento Jared prima di tornare a guardare lei. «Hai mai pensato di scoprire se…insomma, se gli piaci?» chiesi.
«Ci sto lavorando.» rispose poggiandosi alla sdraio e chiudendo gli occhi.
«Okay.» sorrisi e mi guardai intorno, osservando la spiaggia. Quando posai i miei occhi su Abby il sangue mi si gelò nelle vene. La vidi stringere Ian per la vita e baciargli il mento, mentre lui le cingeva le spalle.
La ferita prese ancora a bruciare e i margini, il cui dolore era stato attenuato dalla sua assenza, presero ancora a pulsare sofferenti, come se all’improvviso qualcuno l’esse aperta con prepotenza. E la cascata di spilli mi colpì in pieno viso, stordendomi.
Emisi un singulto.
«Helen, tutto okay?» chiese Shelly mettendosi a sedere.
Di scatto mi voltai verso lei e chiusi gli occhi, conscia che oltre le scure lenti degli occhiali non mi avrebbe vista. «Sì. Credo andrò a farmi un bagno. Vieni con me?» chiesi alzandomi.
«Ti raggiungo fra un po’. Distrai Jared.» sorrise.
Annuii frettolosamente col capo e liberandomi del cappelli e degli occhiali da sole mi diressi verso l’acqua, prima che Abby e Ian mi raggiungessero.
Sapevo che era stupido ed inutile evitarli. Prima o poi avrei dovuto fare i conti con ciò che era successo la sera prima, con la tempesta d’emozioni causata da quell’amore impossibile e sbagliato. Stavo fuggendo, ne ero consapevole. Ma non m’importava. Vedere i loro corpi così vicini, le loro pelli a contatto, le loro labbra incastrate non faceva che aumentare la sofferenza, la consapevolezza che non avrei mai potuto dire ciò che il mio cuore cantava e desiderava, posare le mie labbra sulle sue.
A passo svelto entrai nell’acqua e rabbrividii quando essa  venne a contatto con la mia pelle.
«Jared, Anthony!» chiamai alzando una mano a mo’ di saluto.
«Ehi, Helen, finalmente!» esclamarono. I due si congedarono e si allontanarono dalle ragazze, per venirmi incontro.
«Credevo non avessi intenzione di immergerti in quest’acqua cristallina.» ridacchiò Anthony.
Feci spallucce. «Era il momento.»
«Shelly non viene?» chiese Jared guardando verso la spiaggia. Arricciai le labbra, reprimendo un sorriso.
«A momenti.» risposi immergendomi totalmente nell’acqua trasparente.
«Bene.»
«Oh, sono arrivati.» disse d’un tratto Anthony.
«Chi?» chiese Jared guardando verso la spiaggia.
«Ryan ed Ian.»
Nell’udire quel nome lo stomaco mi si strinse in una morsa dandomi la nausea. «Dov’erano finiti?» chiesi cercando di essere il più naturale possibile.
«Cercavano un bel posto dopo poter pranzare.» mi spiegò Anthony.
«Okay.» mi limitai a dire immergendomi totalmente nell’acqua, che fredda sembrò darmi uno scossone. Quando riemersi osservai Shelly, Ryan, Abby e Ian dirigersi verso l’acqua.
«Accidenti.» mormorai.
«Cosa?» mi chiese Jared corrugando la fronte.
Lo guardai e chiusi un momento gli occhi, corrugando la fronte. «Mi… mi gira la testa.» mentii.
«Ti prego dimmi che hai mangiato qualcosa.»
Mi grattai nervosa ed agitata la nuca, mentre con la coda dell’acqua li vedevo entrare in acqua.
«Ehm... non avevo fame.»
Anthony scosse il capo e Jared sospirò. «Andiamo, ti accompagno a prendere qualcosa.» disse poggiandomi una mano sulla schiena ed esortandomi ad uscire dall’acqua. I miei occhi incontrarono quelli di Shelly e sapevo che non potevo permettere a Jared di uscire dall’acqua, e rimanere lì era fuori discussione, non solo perché ci sarebbero stati sia Abby che Ian, ma anche perché sarebbero cominciate stupide discussioni sul mio strano comportamento della sera prima. Avrebbero insistito sul farmi uscire dall’acqua e farmi mangiare qualcosa, e non potevo rischiare che Jared mi accompagnasse.
«No, tranquillo, vado da sola. Non c’è bisogno che mi accompagni.» annuii col capo alzandomi sulle gambe.
«Non dire sciocchezze.»
Sorrisi. «No, davvero. Passo al bar. Non è un problema.»
«Chi mi assicura che mangerai?»
«Jared!» lo rimproverai.
«Okay, okay.» disse lui alzando le mani a mezz’aria. «Mi fido.»
«Ehi, ragazzi!» esclamò Abby avvicinandosi. Sentii il bisogno di allontanarmi da lì farsi sempre più prepotente ed il desiderio di voltarmi a guardalo sempre più forte. Ma non potevo.
«Ciao, Abby.» dissi abbozzando un sorriso.
«Helen,» disse lei abbracciandomi, «come stai?»
Deglutii a fatica. «Bene. Sto uscendo.»
«Perché?» mi chiese Ryan con sguardo indagatore e fui costretta a voltarmi verso lui. Al suo fianco c’era Ian. Il mio cuore incespicò.
«Mi gira la testa.»
«Ha bevuto del caffè?» mi chiese Ian e la sua voce era musica. Lo guardai in volto –grande passo falso- e sentii le gambe cedermi quando i miei occhi si fusero ai suoi.
«Helen!» esclamò Abby afferrandomi per un braccio.
«Scusa, ho perso l’equilibrio.» mi sforzai di sorridere, mentre la guardavo in volto.
Sentivo gli sguardi preoccupati di tutti su di me, e sentii le gote intingersi di rosso. Risi istericamente.
«Dai, andiamo all’ombra.» mormorò Abby.
«No, no.» dissi scuotendo il capo. «Rimani qui. Ce la faccio da sola. Non sto male, davvero.»
«Helen…» si lamentò lei.
«Davvero, Abby, ce la faccio.»
Sospirò. «Okay.»
Sorrisi e mi allontanai. Passando di fianco a Ian. Il suo profumo fresco mi colpii in pieno viso, dandomi alla testa. Faticai per mantenere la concentrazione e non cadere nell’acqua, per non lasciarmi andare ai gemiti.
Uscii e afferrando la mia borsa mi diressi al bar dell’albergo, posizionato sulla spiaggia bianca.
Chiesi un succo di frutta e, una volta ricevuto, giocai con il bicchiere per alcuni minuti. Non avevo intenzione di mangiare. Avevo lo stomaco troppo scombussolato per poter ingerire qualcosa.
«Sei una pessima bugiarda.» mormorò alle mie spalle. Chiusi gli occhi e feci un respiro profondo prima di riaprirli e poggiare entrambe le mani sul bancone del bar.
Si sedette allo sgabello accanto al mio e, tenendosi il viso con una mano, mi guardò.
«Perché?» chiesi poi voltandomi. Il mio cuore incespicò nuovamente nell’incontrare i suoi occhi, color del ghiaccio, illuminati dalla luce del sole.
«Sapevo che non avresti mangiato.»
Feci spallucce. «Non ho fame.»
«Ma dovresti.»
«Lo so.» dissi fissando il bicchiere e bevendo un altro sorso.
«Ti va di dividere una ciambella?» chiese dopo un attimo di silenzio.
Mi voltai. «Davvero, Ian. Grazie, ma non ho fame.»
Sospirò e si avvicinò piano a me. «Ti prego, Helen, fallo per me.» mormorò con voce morbida.
I miei occhi rimasero per alcuni istanti incatenati ai suoi, incapace di distogliere la mia attenzione da essi. Era bello e non v’era dubbio che fosse una delle persone migliori che avessi mai conosciuto in tutta la mia giovane vita.
Sospirai. «Okay.»
Fece un sorriso sghembo e mi carezzò piano un braccio. La mie pelle parve infuocarsi sotto il suo tocco casuale.
«Brava.» mormorò baciandomi la fronte e chiedendo al barista una ciambella.
Sì, non v’erano dubbi. Era lui ciò che avrei voluto dalla vita. Ma più intensamente desideri qualcosa, più quel qualcosa ti sfugge dalle mani, allontanandosi, diventando tanto simile ad un miraggio.


Sospirai godendomi la sensazione della brezza marina sul viso. Il vento mi frustrava i lunghi capelli castani sul viso, e faceva ondeggiare i lembi del vestito che mi scopriva le gambe.
Osservavo il mare e lottavo contro l’istinto di fare le valigie e fuggire.
Faceva male, faceva maledettamente male vederlo sorriderle, vederlo innamorato, vederlo felice con lei. La gelosia mi corrodeva dall’interno oramai da mesi. Era egoistico, ne ero consapevole, e questo non faceva che aumentare i sensi di colpa. Si dice che se ami davvero qualcuno sei felice se lui è felice. In parte è vero, in parte no. Desideri comunque trattenerlo a te, stringerlo a te senza permettergli di fuggire. Come si può essere  davvero felici in questo modo?
Mi portai i capelli dietro un orecchio, sospirando e guardandomi la punta dei piedi fasciata dai sandali di pelle.
«Ma che ci faccio qui.» mormorai alzando poi lo sguardo e mettendomi eretta, poiché con i gomiti ero poggiata alla ringhiera della veranda. Poi sentii qualcuno bussare alla porta della mia camera.
Corrugai la fronte ed entrai in camera.
«Sì?»
«Sono Ian.» nell’udire la sua voce mi bloccai ad un paio di metri dalla porta. Ero paralizzata. Gli impulsi che inviai ai miei muscoli sembrarono essere ignorati, come se il cervello fosse scollegato dal resto del corpo. Sgranai gli occhi, quasi nel panico, mentre quel briciolo di autocontrollo che mi permetteva di fingere andava a farsi benedire.
«Cosa c’è?» chiesi con voce tremante.
«Se mi apri…»
Deglutii a fatica. Avevo la bocca secca e il cuore batteva violentemente contro le pareti del mio gracile petto fasciato da un leggere vestito color dello smeraldo.
Afferrai la maniglia e dopo aver respirato a fondo aprii la porta. Aveva le braccia tese, con le mani si teneva allo stipite della porta. La sua espressione era indecifrabile e i suoi occhi imperscrutabili, come se avesse eretto un muro dietro essi, per non permettere a nessuno di leggervi dentro.
«Ciao.» mormorò con voce calda mentre un angolo della sua bocca si sollevava verso l’alto.
Istintivamente sorrisi. «Ciao.» mormorai e fui sorpresa dalla dolcezza della mia voce.
«Posso entrare?» chiese mettendosi eretto.
«Sì, certo.» risposi spostandomi appena, permettendogli di entrare.
Chiusi la porta e fremetti quando mi voltai a guardarlo. Illuminato dalla luce crepuscolare era ancor più bello. Il fiato mi si mozzò nell’osservare la sua figura longilinea, i muscoli definiti sotto la t-shirt. Mi dava le spalle, e le tende, scostate dal vento gli carezzavano un braccio.
«Cosa succede?» chiesi con voce incredula, tenendo a bada ciò che sentivo per lui.
«Vieni.» mormorò uscendo in veranda, senza voltarsi a guardarmi. Sbattei confusa le palpebre e lo seguii in veranda. Sorrisi quando notai che aveva assunto la mia stessa posizione di pochi minuti prima.
«Se qualcosa non andasse, me lo diresti?»
«Perché mi fai questa domanda?»
Lui rise appena, quei risolini colmi di amarezza, di tristezza. Poi si voltò a guardarmi. «Non hai risposto.»
In piedi, inerme con le braccia lungo i fianchi, ad una paio di metri da lui, tacqui.
«Me lo diresti, vero?»
«Sì.» soffiai.
«E non è tutto okay, vero?»
«Lo è.» mentii spudoratamente.
Si mise eretto, avanzando di qualche passo. «Ti ho detto che sei una pessima bugiarda. Non riuscirai mai ad ingannarmi.»
Eppure ci sono riuscita, e ripensai a tutta quella mia patetica farsa.
«Perché t’interessa tanto, Ian?» chiesi incrociando le braccia al petto e scostando lo sguardo da lui.
«Perché siamo amici.»
Risi, istericamente.
«Mi sbaglio?» chiese in un sussurro avvicinandosi a me. Il vento che spirava portò con sè il suo profumo, che mi colpi in pieno viso, inondandomi i polmoni.
«No.» mormorai con voce incrinata prima di abbassare lo sguardo, cercando di trattenere le lacrime.
«Cosa ti sta succedendo, Helen?» mormorò premendo il palmo della sua mano sulla mia guancia. Il mio cuore singhiozzò e un fremito mi attraversò da capo a piedi. «Perché, davvero… non capisco.»
Poggiai il pugno chiuso sul suo petto e chiusi gli occhi, cercando rifugio. Nascosi così il viso nell’incavo del suo collo.
«Voglio andare a casa, Ian.» gemetti.
Sentii le sue braccia circondarmi le spalle e stringermi con forza a sé.
E faceva male sapere di essere solo sua amica. Faceva male, eppure la sensazione del mio corpo a contatto con il suo rimarginò per alcuni istanti la ferita che mi squarciava crudelmente il petto.
«Voglio tornare a casa.» gemetti ancora mentre alcune lacrime sfuggirono al mio precario autocontrollo, bagnandogli la maglia.
«Okay.» mi sussurrò lui all’orecchio prima di baciarmi ripetutamente il capo. E, nonostante tutto, desideravo che quel momento non avesse mai fine.

 

*

Tadan, eccomi qui.
Premetto che sono un po’… su di giri e nervosa per questa idiota maturità.
Vorrei ringraziare a modo tutti, ma davvero non posso. Ho l’elettrostatica che mi chiama a gran voce… quella malefica!
Ad ogni modo, il prossimo aggiornamenti prevede decenti ringraziamenti! *-*
Ringrazio di cuore: Angyr88, chiara84, Jake_Me, Pikky91, Nessie93, Xx_scrittrice_xX, mary whitlock,Valentina78, KeLsey.

Grazie, grazie davvero.

E grazia a te, Kate. <3
Ti voglio bene.

A voi, un bacio,
                         Panda.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


5.


 

~We´ll fall asleep so deeply out of reach.
Noi ci addormenteremo così profondamente e così distanti.~

 


«Vuoi andare via?» mi chiese Abby con voce strozzata.
«Sì.» mormorai sedendomi su una poltroncina del locale sulla spiaggia in cui eravamo da poco arrivati.
«Perché?» chiese sedendosi accanto a me e stringendomi una mano fra le sue.
«Non me la sento di restare, Abby. Non… non sto bene.»
«Non puoi andare via, Helen. Come farò senza te? La settimana prossima parto per Dublino. Questa doveva essere un’occasione per passare più tempo possibile insieme. E ci rimetteresti le spese della prenotazione!» esclamò.
Chiusi gli occhi e mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio, prima di sospirare e voltarmi a guardarla. Mi guardò con occhi colmi di tristezza e sentii i sensi di colpa farsi più avanti.
Sì, la settimana prossima sarebbe partita per Dublino e non l’avrei rivista per un anno intero. Aveva vinto una borsa di studio e sarebbe andata a studiare lì. Un po’ come era successo per me a Lione, ai tempi del liceo. E forse… forse Ian… l’avrebbe seguita nei mesi successivi.
Potei avvertire l’amaro della sofferenza sulla lingua e chinai istintivamente il capo.
«Abby…» mormorai.
«Ti prego, Helen, resta.» mormorò circondandomi le spalle con le braccia e poggiando la guancia sulla mia spalla. «Fallo per me.»
Sorrisi con amarezza. Tutti desideravano che facessi cose per loro, che esaudissi i loro desideri. Dicevano che volevano vedermi felice, eppure non facevano che tentare di soddisfare i loro egoistici bisogni. Abby… Ian. Ed io, stupidamente, non riuscivo a dir di no.
«Ti prego…» mormorò ancora ed il cuore mi si strinse in una morsa.
Chiusi gli occhi e dopo alcuni istanti gli riaprii. «Okay.» dissi.
Alzò il capo e sorrise. «Davvero? Oh, ti voglio bene, Helen!» disse in un gridolino.
«Anche io.» risposi carezzandole piano un braccio.
«Dai, vieni, andiamo a prendere qualcosa da bere.» disse conducendomi verso il bar.
Ordinammo un paio di cocktail, prima di sederci al tavolino dove si trovavano gli altri.
Con la coda dell’occhio vidi Ian osservarmi e lo stomaco mi si strinse in una morsa. Avrei dovuto farcela, dovevo farcela, anche se sembrava essere impossibile.
Sorrisi. «Ciao, ragazzi.» mormorai accomodandomi accanto a Shelly ed Anthony. Di fronte a me, Ian, mi osservava serio.
«Ehi, ciao.» risposero in coro.
«Questo vestito di dona, Helen. Sei uno schianto.» disse Ryan sorridendo.
«Concordo.» aggiunse Anthony dandomi una leggera gomitata. Sentii il viso avvamparmi di rossore.
«Ragazzi!» esclamai imbarazzata e con la coda dell’occhio vidi Ian muoversi nervoso sul posto.
«Non ti si possono fare complimenti. Sei la solita.» sbuffò Jared, scuotendo il capo.
«Stiamo parlando di questo.» sorrisi indicando il vestito che indossavo. Era verde, di semplice stoffa, appena largo sui fianchi.
«Sì, di quello.» continuò Jared. Shelly mi riservò un’occhiata non proprio carina.
Mi passai una mano fra i capelli. «Okay, concentrate la vostra attenzione su altro. Concentratela sui Shelly. Non notate che i suoi capelli col sole siano diventati ancor più chiari?»
Abby scosse il capo divertita, mentre stringeva un braccio di Ian. Lui le sorrise flebilmente, baciandole le labbra, prima di tornare a guardare me. Quella, fu l’ennesima pugnalata a crudo. L’ennesima fitta di atroce dolore.
I suoi occhi, illeggibili, fissarono i miei. L’istinto mi gridava di fuggire, di andare via, di evitare la vista di loro due insieme, seguendo il mio spirito di autoconservazione, ma non potevo, e lo sapevo bene. Perciò rimasi, mio malgrado, e cercai di concentrare lo sguardo altrove.
«Al bar ho conosciuto un tipo,» esordì Ryan dopo alcuni secondi, «mi ha parlato di un falò a poca distanza da qui.»
Jared corrugò la fronte. «Quando?»
«Domani. Che ne dite?» chiese poggiando un braccio sulla spalla di Shally, le cui gote parvero prendere fuoco.
«Io ci sto.» rispose Anthony. Anche Abby e Jared dissero di sì. Io mi limitai ad annuire col capo, esattamente come Ian.
In quel momento un cameriere portò ciò che io ed Abby avevamo ordinato.
«Io ci andrei piano.» disse Ian quando mi portai la cannuccia color della notte alle labbra.
«Cosa?» chiesi corrugando la fronte e sgranando gli occhi sorpresa. Abby si voltò a guardarlo, esattamente come il resto dei nostri amici.
«Ci andrei piano, stasera.» disse e la sua voce era fredda, come il ghiaccio.
Dischiusi le labbra, colta di sorpresa, confusa. «Stai scherzando?» chiesi con voce incerta e tremante, mentre altri tacevano e spostavano i loro sguardi da Ian a me, da me a Ian.
I suoi occhi indugiarono glaciale nei miei, scuri come la notte. Sentii la rabbia ribollirmi nelle vene, mentre il mio petto prendeva a muoversi troppo velocemente per essere controllato.
«Bene. Sai cosa ti dico, Ian? Va al diavolo.» sputai con odio. Mi alzai, afferrando la borsa e allontanandomi, uscendo dal locale, per dirigermi all’hotel.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi, mentre la vista mi si annebbiava. Camminavo a passo svelto, desiderosa si allontanarmi il più possibile da lui. Ero stata ferita, sì. Il suo tono di voce aveva avuto il dolore di una frustata sulla mia pelle.
I capelli ondeggiavano ad ogni mio passo, finendomi oltre le spalle.
«Helen!»
La lacrime mi inumidirono gli occhi ed istintivamente accelerai il passo, fuggendo da lui.
«Helen, aspetta!» urlò ancora. Sentii i suoi passi dietro di me, e poi la sua mano afferrare il mio braccio e costringermi a voltarmi.
«Cosa vuoi?» ringhiai cercando di liberarmi dalla sua presa.
«Ehi, aspetta.» disse rincorrendomi quando mi allontanai.
«No! Vattene, Ian!» strillai istericamente sull’orlo di una crisi, mentre gli occhi mi si inumidivano di lacrime.
«Helen!» esclamò ancora lui afferrandomi per una spalle a costringendomi nuovamente a fermarmi e voltarmi.
Quando i suoi occhi incontrarono i miei, s’acciglio appena. «Stai… piangendo?» chiesi confuso.
«No.» mormorai voltando il capo, sfuggendo al suo sguardo, incapace però di sfuggire alla sua stretta ferrea che mi tratteneva per le spalle.
«Ehi.» mormorò e la sua voce era un mix di miele e zucchero. Poggiandomi un dito sotto il mento mi costrinse a voltare il capo ed alzare lo sguardo sul suo viso.
«Perdonami, Helen.» mormorò e fui sorpresa dalla sorprendente vicinanza dei nostri visi.
«Perché?»
«Cosa?» sussurrò scostandomi i capelli dal viso.
«Niente. Non importa, Ian.» mormorai fissando i suoi occhi color dei lapislazzuli, perdendomi dentro essi, magnetici come sempre.
«Perdonami. Non volevo essere così… sgarbato.» mormorò e il suo respiro mi colpì in pieno viso dandomi alla testa, disarmandomi.
«Ti ha mandato Abby, vero?» soffiai sentendo le lacrime pungermi ancora gli occhi.
Non rispose subito. I suoi occhi indugiarono nei miei in attimi infiniti. «Sì.» mormorò e, quella, fu una lenta pugnalata al cuore.
Le lacrime mi offuscarono la vista e cercai disperatamente di divincolarmi dalla sua presa, ma sembrava non essere intenzionato e lasciarmi andare. Scostai lo sguardo, voltando il capo di lato, fuggendo dai suoi occhi meschini.
«Lasciami.» farfugliai.
«No. Ehi, Helen. Helen!» sibilò, e la sua voce era autoritaria. M’ingabbiò il viso fra le mani e mi costrinse ancora a guardarlo.
«Sarei venuto comunque. Ti prego, credimi. Credimi.» soffiò e nei suoi occhi guizzò sincerità.
«Ian…» soffiai mordendomi il labbro inferiore.
«Sono qui, Helen. Parlami.» mormorò al mio orecchio, cingendomi le spalle con le braccia.
Poggiai il viso sulla sua spalla. «Abby ti aspetta.», e la mia voce era fredda e dura come il ghiaccio. Sciolsi l’abbraccio e ricacciai indietro le lacrime che prepotenti desideravano uscire.
«Ci vediamo, domani.» mormorai.
«Dove vai?» chiese e sul suo viso era dipinta un’espressione carica di rammarico.
«A dormire. Sono stanca.» risposi atona, prima di voltarmi e cominciare a camminare, lasciandolo lì.
Avrei voluto voltarmi, corrergli incontro ed abbracciarlo ancora, ma non era possibile. Lo sapevo fin troppo bene. Così continuai a camminare, sperando che l’indomani il dolore sarebbe stato più sopportabile.

 

Quando conobbi Ian per la prima volta, avevo dieci anni, e lui quattordici. E la vita, era di gran lunga diversa.

« Non vuole star fermo, Kate!» gridò Helen alla donna dai corti capelli castani, mentre cercava di lavare Attila, un cane di mezza taglia.
La donna si voltò e sorrise, scuotendo il capo.
Kate era un’amica di famiglia e, gentilmente, aveva dato la sua disponibilità, dopo essere ritrasferita in città, a  per tenere occupata la bambina. Judith, la mamma di Helen, era impegnata al lavoro, intensificatosi dopo la morte del marito, avvenuta l’anno precedente.
«Ehi, Ian, aiuta Helen, per favore!» esclamò rivolgendosi al figlio.
Il ragazzino alzò il capo ed annuì, per poi precipitarsi dalla bambina.
«Aspetta, ti aiuto.» disse chinandosi sul cane.
«Grazie, Ian.»
«Prego, Helen.» rispose poi sorridendole.

Mi passai una mano sul viso, cancellando i ricordi e sospirando, piano.
Era folle, era stupido, era irrazionale. Ma non riuscivo a non pensare a lui. La sua assenza bruciava sulla mia pelle, mozzandomi quasi il respiro. In fondo, non sarebbe durata tanto a lungo. Presto saremmo tornati a New Bern, e presto avrei visto di rado il suo viso. Forse era questo il motivo per il quale il mio animo agonizzava in quel momento. Era come se, nei mesi precedenti, mi fossi disintossicata dalla sua presenza ed il mio tentativo di mantenere quel precario autocontrollo era crollato nel momento in cui il suo viso si era rivelato al mio. E forse, col ritorno a casa… quell’amore nascosto ed irrazionale, la sofferenza ed il desiderio, si sarebbero placati.
Riemersi dall’oceano di pensieri nel quale ero caduta, quando qualcuno bussò ripetutamente alla porta.
«Arrivo!» urali precipitandomi all’interno della camera. «Sì?» chiesi afferrando il pomello.
«Abby.» rispose lei alzando la voce di un’ottava per far sì che la sentissi.
Sospirai ed aprii la porta.
Mia cugina sgranò gli occhi, guardando sconcertata la maglia che mi arrivava fino a metà coscia.  «Non sei ancora pronta?» chiese.
Corrugai la fronte confusa. «E’ presto per la cena.»
«Oggi abbiamo la festa in spiaggia, ricordi?», ed entrò in camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Chiusi un momento gli occhi passandomi una mano sul viso.
«L’avevo del tutto dimenticato.»
Abby sospirò prima di sorridere. «E’ per questo che sono passata. Avanti va a farti una doccia.»
Mi incamminai verso il bagno, prima di bloccarmi al centro della stanza e voltarmi. «E se io non venissi?» chiesi, conscia che non mi avrebbe permesso di rimanere da sola in camera, cosa che però avrei preferito di gran lunga, in  alternativa ai suoi occhi.
«No!» esclamò lei accigliandosi.
Alzai le mani a mezz’aria, in segno di resa. «Okay, okay. Come non detto.»
«Sii veloce, però. Ci aspettano di sotto.»
Sulla soglia della porta mi bloccai, chiudendo un momento gli occhi ed osservando l’immagine del viso di Ian sulla palpebra chiusa.
«Okay.» soffiai, prima di entrare in bagno.
Con disumana velocità mi lavai e quando mi fui vestita, indossando semplici calzoncini ed una semplice canotta rossa, io ed Abby –con mio grande dispiacere-  ci dirigemmo al piano inferiore, dove gli altri ci attendevano.
Avevo ancora le punte dei capelli umide che, a contatto con la mia pelle accaldata da una giornata passata al sole, mi rinfrescavano appena.
Quando svoltammo l’angolo alla fine delle scale, entrando nella hall, il mio cuore perse un battito, mentre lo stomaco cominciò a contorcersi. Lo vidi, bello e statuario come sempre e per una frazione di secondo tutto intorno a me, ogni cosa, perse il proprio significato, prima che la realtà, crudele e malinconica, mi si stagliasse davanti. Gli occhi di Ian fissarono quelli di Abby, che accanto a me sorrise piena d’amore. Mi sentii in colpa, come ogni volta che loro due era affianco a me. Il dolore mi causò una fitta in pieno petto, aumentando quando i suoi occhi chiari scrutarono seri i miei. Dopo attimi infiniti, sorrise.
«Ciao.» disse prima di baciare Abby sulle labbra. Ed ancora aghi perforarono la mia pelle, ghiacciati ed affilati.
«Ciao.» mormorai abbassando lo sguardo, per poi salutare il resto degli amici.
Shelly si avvicinò, prendendomi sottobraccio. «Come stai?» mi chiese con dolcezza.
«Bene.» risposi confusa.
«Bene.» annuii piano con il capo, mettendomi a disagio. Mi mossi nervosa sul posto, prima di passarmi una mano fra i lunghi capelli castani.
«Allora? Andiamo?» chiese Jared con un battito di mani, facendomi sobbalzare.
Non risposi, perché in realtà io non volevo andarci. Ma ero costretta. Se non fossi andata con loro ci sarebbero state troppe domande ed Abby mi avrebbe odiata. Così, misi da parte ancora una volta quelli che erano i miei sentimenti ed i miei desideri. In fondo, peggio di così non poteva andare.
Che sciocca fui a pensarlo.



*

Eccomi qui, gente. Bene… questo aggiornamento non era previsto per cui non posso ringraziarvi a modo.
Il sei ho l’orale –ciò vuol dire che nel prossimo sicuramente approfondirò i ringraziamenti- e non ho toccato né matematica né filosofia! ç_ç
Chiedo perciò ancora scusa. Mi dispiace, ma come ho detto non era previsto questo capitolo.
Il prossimo sarà dopo gli esami… finalmente LIBERA!

Perciò grazie di cuore a: Piccola Ketty, Ombrosa, Angry88, Pikky91, mary whitlock, __Claire__, Xx_scrittrice_xX, chiara84, Nessie93, Valentina78.

Per te, lo sai.
Ti voglio bene… tanto.


Un immenso abbraccio,
                                   Panda.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


 

Grazie, di cuore.

 

6.

 


~And I wish I could believe there was more.
E io vorrei poter credere che ci sia di più.~

 

 

«Tieni.»
Alzai lo sguardo sorridendo ed afferrai la bottiglia di birra che Anthony mi porse, prima di sedersi accanto a me, sulla sabbia fresca.
«Grazie.» mormorai portandomi la bottiglia di vetro alle labbra.
«Come stai?» chiese dopo alcuni attimi di silenzio, in cui ci limitammo a fissare il fuoco scoppiettare.
Abbozzai un flebile sorriso. «Sto bene. Volete piantarla di chiedermelo sempre?»
«Okay, scusa.» mormorò.
Sospiri, mordendomi la lingua. «No, scusami tu. Non volevo.» aggiunsi voltandomi verso di lui e sorridendogli appena.
Un angolo della sua bocca si sollevò verso l’alto e, circondandomi le spalle con un braccio, mi strinse a sé, baciandomi il capo, prima di lasciarmi andare.
In sottofondo vi era il costante chiacchiericcio e le risate dei ragazzi attorno al fuoco, dei ragazzi in acqua e dei ragazzi che giocavano sulla battigia, illuminati dalla fioca luce della luna. E per noi, vicini al fuoco, distinguere le sagome nell’oscurità era impossibile. In quella stessa oscurità, vi erano anche Ian ed Abby. Il pensiero delle loro labbra combaciare e dei loro corpi a contatto mi strinse il cuore in una dolorosa morsa di gelosia.
«Shelly?» chiesi voltandomi dopo aver bevuto un sorso di birra.
«In acqua con Jared e Ryan.»
Deglutii rumorosamente, poiché non aveva fatto i nomi di Ian ed Abby.
«E tu perché non vai?»
«Semplice: non ti lascio da sola.» ridacchiò.
«Oh, che gentile.» ironizzai bevendo ancora. «Guarda che so cavarmela da sola…  e poi credo andrò ad unirmi ad  quel gruppetto di ragazze.» mentii indicandole con un cenno del capo.
«Helen… io…»
«Smettila, Anthony. So che vuoi andarci. Perciò, su, muoviti.» dissi un risolino dandogli una leggera spallata.
Rise. «Okay, okay.» rispose alzandosi e baciandomi la fronte. «A dopo, piccola.» disse porgendomi la sua birra e sfilando la maglia, lasciando scoperto il suo esile busto.
Alzai una mano a mo’ di saluto e ritornai a guardare il fuoco scoppiettare, bevendo lentamente la mia birra fresca.
Incrocia le gambe e la pelle venne a contatto con la sabbia fresca. Ci affondai i piedi, osservando le persone intorno al fuoco.
Cosa diavolo ci facevo io lì? D’un tratto sentii la mancanza di casa farsi sempre più vivida.
«Perché sola?» ad interrompere il flusso dei miei pensieri fu una voce sconosciuta. Alzai il capo ed osservai un ragazzo dai capelli chiari, accomodarsi alla mia sinistra.
«Non mi va di entrare in acqua.»  dissi sorridendo appena, guardando i suoi occhi nocciola.
«Mi chiaro Nelson.» disse porgendomi la mano, che prontamente afferrai.
«Helen.»
«Bel nome.»
«Grazie.» mormorai portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Perché non ti va di entrare in acqua?» chiese dopo un attimo di silenzio, in cui mi concentrai sulle lunghe fiamme.
Feci spallucce. «Non mi va.»
«Ti va di venire con me?»
Deglutii. «No, preferisco restare qui.» mormorai stringendomi nelle spalle, innervosita dal suo sguardo posato sul mio viso, dalle fiamme che si riflettevano nei suoi occhi che, in quel momento mi parvero, neri, forse a causa del tono languido che aveva usato nel chiedermi di andare con lui in acqua.
«Dai, vieni.» insistette sfiorandomi il braccio.
Istintivamente mi allontanai, muovendomi sul posto e disagio.
«No. Ho detto di no.» cercai di dire con voce ferma.
«Tutto okay?»
Con il viso rivolto verso le fiamme, chiusi un attimo gli occhi, maledicendomi ancora per non aver insistito per rimanere in albergo.
Aprii gli occhi e, con la coda dell’occhio, vidi Nelson alzare lo sguardo. «Sì, tutto okay.» rispose con freddezza prima di alzarsi ed allontanarsi.
Non alzai lo sguardo, mi limitai a stringere fra le mani la bottiglia di birra. «Grazie.» mormorai poi e fui costretta ad alzare il capo. Mossa sbagliata, ne ero consapevole. Eppure non potei non farlo.
Ian mi guardava, una ruga di preoccupazione sulla fronte. I suoi occhi, sotto le sopracciglia scure mi scrutarono attenti, forse in cerca di qualcosa. Sorrisi e ritornai a guardare il falò col cuore singhiozzante. Sì, vedere i suoi occhi causava quasi dolore fisico.
«Sicuro?» chiese sedendosi alla mia destra. Contrassi la mascella. Desideravo bearmi della sua presenza, ma sapevo che sarebbe stato meglio se non fosse stato lì. Tutto ciò non aiutava di certo il mio fragile autocontrollo.
«Sì.» mormorai. «Abby?» chiesi dopo un attimo di esitazione, prima di voltarmi a guardarlo. Osservai ammaliata il profilo del suo viso. Osservai la linea retta del naso, le labbra piene , la linea della mascella ben definita.
Non parlò subito, per qualche attimo i suoi occhi rifletterono le lunghe fiamme. «Con gli altri.» rispose infine.
Il quel momento reprimere l’irrefrenabile desiderio di gettargli le braccia al collo e affondare il mio viso nell’incavo del suo collo, fu difficile. Incrociai le braccia al petto mentre ogni fibra del mio essere veniva proiettata verso lui. Feci una smorfia, chinando il capo per nascondere a lui il mio viso, ma sembrò comunque accorgersene.
«Ehi, cosa c’è?» mormorò sfiorandomi una ciocca di capelli che mi ricadeva davanti al viso, per poi scostarmela dietro un orecchio.
«Nulla.»
«Uhm… non ci credo, lo sai.» mormorò con voce calda.
Mi mossi nervosa, a disagio, allontanandomi appena col capo, costringendolo a lasciarle le ciocche dei miei capelli.
«Perché non facciamo un giro? La riva all’oceano è meravigliosa, Helen.» mi propose e la sua voce era una miscela di miele e zucchero. Suadente mi parlò, lasciando agli occhi il lavoro sporco di resistere al suo invito. Avrei voluto dire di no, molte altre volte avrei voluto, ma rifiutare ciò che i suoi occhi mi pregavano di fare, era del tutto impossibile.
Per alcuni secondi i miei occhi indugiarono nei suoi, resi più scuri dal cielo notturno.
«Dai…» mi pregò e, quando la sua mano sfiorò la pelle nuda del mio braccio, cedetti.
«Okay.» soffiai, alzandomi e buttando la bottiglia ancora mezza piena in una busta lì vicino.
Mentre camminavo verso la battigia potei sentire le urla di maschili e femminili, e non potei non riconoscere quella di Abby. Anche se Ian mi aveva chiesto di fare un giro perché era mio amico, perché voleva distrarmi, mi sentii tremendamente in colpa. Mi bloccai sulla sabbia frasca ed umida, paralizzata dagli schiamazzi. Ian ad un paio di passi di distanza da me, si bloccò, voltandosi. Nell’oscurità potei appena notare una traccia di preoccupazione nel suo viso nascosto nell’ombra.
«Cosa c’è?» chiese avanzando di un passo.
«Forse è una brutta idea.» soffiai sgranando gli occhi e fissando il mare.
«O forse no. Dai, vieni.»
«No, forse è una cattiva idea.» ripetei ostinata.
«Io dico di no.» risposi lui con tono confuso voltandosi a fissare il mare, fraintendendo probabilmente la natura del mio repentino cambio di umore.
«Tranquilla, non possono riconoscerti. Non ho intenzione di portarti da loro. Ti ho esortata a fare un giro per allontanarti dalla persone. Dopo tutto, ti conosco Helen.»
A quelle parole chiusi un momento gli occhi, prima di sorridere amaramente.
«Dai, vieni.» mormorò prendendomi per mano e avvicinandomi a lui. Quando la lasciò andare, essa sembrò quasi bruciare. La mia pelle sembrava gridare il suo nome. Incrociai le braccia al petto, mentre cominciavamo a camminare. Mi tolsi i sandali e lasciai che l’acqua mi bagnasse dolcemente i piedi.
«Grazie, Ian.» mormorai guardando la luna.
«Ti voglio bene, Helen. Te ne vorrò… sempre.» mormorò e fu impossibile per me decifrare il tono della sua voce. Mi chiesi a cosa pensasse con lo sguardo rivolto al cielo.
Sentii il cuore stringersi in una morsa, mentre le lacrime spingevano prepotenti per uscire.
Faceva male, anche solo guardare. Sapere di aver capito di amarlo troppo tardi, di aver compreso ciò che il mio cuore cantava per lui, quando lui l’aveva donato a mia cugina. Sapere che le sue labbra non sarebbero mai più state sulle mie, che la sua pelle non avrebbe mai sfiorato la mia con lo stesso desiderio ed amore che provavo io ad ogni contatto. Lui amava Abby, e non avrei mai potuto combattere per questo.
Camminammo in silenzio per alcuni minuti, prima che Ian squarciasse il silenzio.
«So cosa ti succede.» mormorò poi guardandomi volto. Mi si gelò il sangue nelle vene e mi bloccai di colpo, mente il mio cuore aumentava i battiti e la testa cominciava a girarmi.
«Cosa?» chiesi con voce strozzata e il panico negli occhi neri.
«Abby me l’ha detto.»
Il mio petto cominciò a muoversi irregolarmente, mentre l’aria pareva bruciarmi le pareti dei polmoni.
Che avessero capito?
«Cosa?» balbettai.
«Di Lione. Del ragazzo di cui ti sei innamorata lì.» mormorò e la sua voce rasentò la delusione.
Sbattei più volte le palpebre e fui grata che non mi avessero smascherata.
«Oh… quello.» sospirai di sollievo e sentii le gambe cedermi. Così mi sedetti sulla sabbia umida, incrociando le gambe.
«Ora sai come ci si sente.» mormorò  e la sua voce ruppe il silenzio come uno schiocco di frusta.
Alzai lo sguardo su di lui. Sul suo viso vi era disegnata un’espressione dura, che ebbe la potenza di uno schiaffo a prima mattina. Sgranai gli occhi, sconcertata da ciò che le mie orecchie avevano udito.
«Cosa?» chiesi con voce strozzata.
Lui tremò e, passandomi una mano fra i corti capelli scuri, si voltò avanzando sulla battigia.
Poi si voltò, allargando le braccia prima di farle ricadere lungo i fianchi. «Ora sai come ci si sente!» esclamò.
Fu lì che capii. Capii di essere stata una stupida, di essere stata egoista e di averlo ferito come mai avevo immaginato. La delusione ed il rammarico che lessi nei suoi occhi valeva più di mille parole e mi colpirono in pieno petto come un proiettile. Il cuore cominciò a battere velocemente, mentre la ferita che mi squarciava il petto a pulsare di dolore.
Sentii gli occhi inumidirsi e le lacrime scorrermi sul viso. Ian mi guardava col petto che si muoveva velocemente. Era nervoso, era arrabbiato.
«Mi dispiace.» mormorai con voce incrinata.
«Ti dispiace?» chiese avanzando velocemente verso me e abbassandosi sulle ginocchia. «Ti dispiace?»
E non potei controllare le lacrime che veloci cominciarono a scorrermi sulle guance accaldate.
«Tu… tu non capisci.» mormorai alzandomi ed afferrando i sandali. «Tu… tu… non puoi capire.» singhiozzai.
«Io non posso capire?» domando alzando la voce di un’ottava, mentre cominciavo a camminare verso il falò oramai troppo lontano.
«Dove stai andando?» chiese ancora poiché non gli risposi e non mi voltai a guardarlo. Mi limitai a camminare con la vista offuscata da lacrime di dolore e disperazione.
Ian mi afferrò il polso e mi costrinse a voltarmi, attirandomi a sé. I suoi oggi lampeggiarono come fiamme blu alla fioca luce argentea della luna, incatenarono i miei senza lasciarmi via d’uscita, via di scampo.
«Io più di tutti, Helen, sono in grado di capire.» mormorò con voce bassa e fredda.
«Cosa vuoi da me, Ian?» gemetti.
Lui aprì la bocca, ma da essa non vi uscì alcun suono. L’espressione sul suo viso cambiò e corrugò appena la fronte, in cerca di parole che parvero sfuggirgli. Una traccia di perplessità, tristezza, malinconia gli guizzò negli occhi ammaliatori, mentre richiudeva le labbra.
La sua mano, che con forza stringeva il mio braccio, piano mollò la presa e portò le mani all’altezza del mio viso. Esitò e mi chiesi quali fossero le sue intenzioni. Avrei voluto muovermi, andare via di lì, ma non ci riuscii. Ero immobilizzata, incapace perfino di emettere suoni mentre il suo respirò mi carezzava con dolcezza la pelle del viso, mentre il suo profumo m’invadeva i polmoni.
«Non lo so.» soffiò. Con le mani mi scosto i capelli da viso, incollati sulle gote, e mi asciugò il viso dalle lacrime. Le sue mani si mossero leggere sul mio viso, sfiorandone ogni centimetro. Così chiusi gli occhi godendomi quel contatto, prima che parlasse ancora.
«Perdonami, Helen. Non volevo essere così… duro.» mormorò al mio orecchio, circondandomi le spalle con le braccia e stringendomi a sé. «Ci sono, te l’ho promesso.»
«Scusa, Ian. Per tutto.» singhiozzai aggrappandomi con disperazione alla sua schiena.
«Fa parte del passato.» mormorò carezzandomi il capo, posandoci poi un bacio. «Fa parte del… passato.» mormorò ancora, ma sembrò parlare più con se stesso, che con me.
Per alcuni istanti rimanemmo in silenzio, mentre mi godevo quel piccolo rifugio, per una volta e per pochi attimi, privo di preoccupazioni. Quando Ian parlò parve irrigidirsi.
«Se davvero… ami, questo ragazzo, se ti fa star male così tanto… dovresti lottare per lui, Helen.»
Quelle parole inaspettate mi travolsero con la potenza di una slavina. Perforarono il mio cuore come una lucente lama d’acciaio e mi diedero alla testa, facendomi gemere e contorcere lo stomaco. Le lacrime aumentarono, tanto da bagnarli la maglietta. I singhiozzi mi scossero violentemente mentre stringevo con le mani la sua maglietta.
«Helen?» chiese Ian e nella sua voce v’era traccia di panico.
«Non posso… non posso… lottare Ian… io non posso.» gemetti fra le lacrime, prima che le gambe cedessero.
«Helen!» esclamò sorreggendomi. Mi presi il viso fra le mani e mi accasciai sulla sabbia, raggomitolandomi in posizione fetale.
«Ti prego, Ian, va via.» mormorò.
«No, te lo scordi.» rispose scostandomi i capelli dal viso, lasciandomi il collo scoperto. Piano prese ad asciugarmi il viso. «Non ti lascio da sola, adesso.»
«Ti prego, va via.» ripetei ancora mentre cercavo di fermare i singhiozzi. Sentii la verità voler uscire con prepotenza, tanto mi morsi la lingua per tacere. 
«No. Mai.» sussurrò al mio orecchio prima di baciarmi una guancia.
Si stese sulla sabbia fresca e umida e mi aiuto a poggiare la testa sul suo braccio. Con una mano mi carezzò il capo, con l’altra il mio braccio che circondava il suo ventre.
E rimanemmo lì, per chissà quanto tempo. E nonostante tutto… fui felice che fosse rimasto.

«Helen?» la sua voce, dolce melodia, giunse calda alle mie orecchie, e tuonò nel suo petto. «Helen, sei sveglia?»
«Sì.» sussurrai.
«Va meglio?»
«Sì.»
«Vuoi che ti riaccompagni in albergo?» chiese sfiorandomi la schiena e, sotto la leggere maglia, la mia pelle parve prendere fuoco.
«No, posso andare da sola.»
«Certo, non lo metto in dubbio, ma credo che la presenza di un ragazzo sia più sicura.»
In quel momento il viso di Abby si  stagliò sulla retina del mio occhio e mi irrigidii. Di scatto mi misi a sedere, e la testa prese a girarmi, tanto che fui costretta a prendermela fra le mani.
«Ehi…» mormorò lui mettendosi a sedere.
«No, davvero. Posso chiederlo a… Anthony. Davvero. Tu… tu devi tornare da Abby.» mormorai cercando di alzarmi.
«Ehi, ehi, aspetta.» disse lui afferrandomi per un braccio quando persi l’equilibrio.
«Non ho mi conosciuto qualcuno più testardo di te, Helen.» sbuffò quando mi divincolai dalla sua presa.
«Ce la faccio, ho detto. Non ti preoccupare.» dissi cominciando a camminare. Mi sentivo gli occhi gonfi e la testa mi pulsava di dolore.
«No, mi preoccupo.»
«Sì, ma mi accompagnerà Anthony.» sentenziai.
«L’importante è che tu non vada sola.»
«So badare a me stessa.»
«Lo so.»
Per un attimo, mentre avanzavo, mi voltai a guardarlo, ma scostai subito il mio sguardo dal suo. Ogni volta che i suoi incontravano i miei, non facevano che ricordarmi, mutamente, cosa avevo perso.
Nervosa mi passai una mano fra i capelli, portandomeli poi dietro un orecchio. I margini della ferita presero lentamente a pulsare, dopo quegli attimi di infinita e segreta dolcezza che mi avevano legata a lui.
Mi chiesi cosa stesse pensando, e che ritmo avesse il suo cuore. Mi chiesi se mai sarei riuscita a dimenticare, a porre fine alla sofferenza, a cancellare quell’amore irrazionale e sbagliato. Ma in quel momento, l’idea di poterlo dimenticare era lontana anni luce.
Era tutto sbagliato, eppure lui era la ragione per la quale mi svegliavo e sorridevo, per la quale affrontavo ogni giorno i miei amici, mia cugina, quella sciocca vacanza. Perché, nonostante tutto, il guardare il suo viso, immergermi nei suoi occhi, danzare sulla sua melodiosa voce era per me infinita fonte di felicità, mista alla sofferenza e al dolore scaturiti dalla consapevolezza che lui amava Abby.
Quando arrivammo nei pressi del falò, notai mia cugina scherzare con Anthony e Ryan.  Sorrisi amaramente, consapevole che avrei potuto ferirla e distruggerle parte della vita con una semplice frase. Scossi il capo, indossando ancora quella solita maschera di finta allegria.
«Ehi! Vi stavamo cercando!» disse Abby inclinando il capo quando ci vide arrivare e sul suo viso comparve una strana espressione che, mio malgrado, non seppi decifrare.
«Abbiamo fatto un giro. La spiaggia è  bellissima.» disse Ian sorridendo e baciando Abby sul capo, sedendosi poi accanto a lei. Il mio cuore, a quella vista, si strinse sofferente. Fui costretta a distogliere lo sguardo, posandolo sulle lunghe fiamme del falò.
Con la coda dell’occhio, vidi Ryan rendersene conto. Così mi mossi sul posto nervosa, a disagio, come se se la mia anima fosse nuda davanti ai loro occhi.
«Io vado. Ho freddo. Credo di avere qualche linea di febbre.» dissi con freddezza d’un tratto, incrociando le braccia al petto.
«Sicura?» chiese Abby giocando con delle ciocche di capelli di Ian.
Mille aghi mi trafissero.
«Sì.» mormorai mordendomi il labbro inferiore e sforzandomi di sorridere.
«Mi dispiace. Forse avevi ragione, era meglio rimanere in albergo.» aggiunse Abby con dolcezza.
Abbozzai un sorriso. «Te l’avevo detto. Allora ci vediamo domani mattina. Buona notte ragazzi.» dissi prendendo la mia roba accanto alla loro, cercando di evitare di guardare Abby stretta ad Ian.
«Non vorrai andare da sola?»
Mi bloccai udendo le loro voci all’unisono. Chiusi per un momento gli occhi, prima di voltarmi, deglutendo rumorosamente. Avevo sperato e quasi ci avevo creduto di poter tornare in albergo da sola.
Abby si voltò verso Ian e rise, mentre lui abbozzò un sorriso, prima di puntare i suoi occhi nei miei. Scostai lo sguardo, posandolo su Abby.
«Anthony?» chiesi affondando le mani nelle tasche dei calzoncini in jeans.
«Accompagnarti intendi? Ma no… lascio che sia Ryan a farlo.» disse poggiandosi sul ventre dell’amico.
Ryan, steso sulla sabbia, alzò il capo. «Credo di aver bevuto troppo amico.» disse sbattendo ripetutamente le palpebre prima di ridere.
Feci spallucce. «Visto?  Vado da sola.» dissi e mi voltai incamminandomi.
Sentii Ian sbuffare. «Ehi, aspetta!» esclamò.
«Siete della palle al piede ragazzi.» ringhiò Abby e un sonoro “ahi” seguì la sua frase.
Mi bloccai e lo stomaco prese a contorcersi, mentre cominciavo a sentirmi di troppo, lì.
«Ti accompagno io.» disse con voce calda Ian.
Non mi voltai, rimasi immobile, di spalle, incapace di muovere un solo muscolo.
«Non è necessario.» mormorai e probabilmente non mi udirono.
«Certo, certo.» disse mia cugina, prima che la sua voce si riducesse ad un sussurro appena udibile. «Torna presto, okay? Ho bisogno di star con te.», la sua voce arrivò distante, era sicura che non l’avessi sentita, invece percepii la sua voce con estrema chiarezza e le sue parole mi causarono un’altra fitta di dolore. La gelosia mi stava rendendo folle e mi stava trascinando in baratro dal quale era difficile risalire, ne ero consapevole. Eppure non avevo la forza di dire basta. Non ne avevo il coraggio… perché ero solo una codarda.
Cercai di ricacciare indietro le lacrime mentre mi portavo una ciocca di capelli dietro un orecchio e mi incamminavo sulla sabbia fresca e morbida.
Sospirai, lasciando le l’aria salmastra mi invadesse i polmoni.
Faceva male. Faceva terribilmente male.
«Ehi, Helen, aspetta!» esclamò Ian e lo sentii venirmi incontro, mentre mi allontanavo dal falò.
Ed io non potevo fare nulla… solo sperare che prima o poi passasse.

 

*

Ringraziamenti.

Xx_scrittrice_xX: ciao, sciocca Ely! La tua recensione… oooooh *-* non hai idea di quanto mi abbia fatto piacere! Beh, se si fosse arresa… molte cose “future” non ci sarebbero. Più in là, capirai. Ad ogni modo, non sei cattiva se Abby non la sopporti. Cerco di farla né troppo stupida, ne troppo carina. Una via di mezzo, insomma, ma è piuttosto difficile devo dire… quindi non so se ci riesco XD Possiamo dire che, piano, vengono a galla cose, sì, sì. Sono contenta ti piaccia la storia, Ely. Davvero tanto! E spero di non averti delusa con questo capitolo. In caso contrario, per favore, dimmelo. Un bacio, sciocca. Ti voglio bene.
Angry88: ciao! Visto? Avevo detto che postavo oggi XD anche io quando sono malinconica, triste e sconsolata mangio cose dolci… o salate… no, okay, io mangio sempre u.u  Ad ogni mooooooodo, veniamo alla storia. Sono contenta, ma davvero contenta, che lo scorso capitolo sia stato di tuo gradimento. Segui la storia dal primo capitolo e…. ci tengo al tuo parere, davvero. Quando leggo il tuo nome tra le recensioni, prendo un bel respiro prima di leggere –non sono strana, eh. Più in là con la storia ci saranno cose… un po’ più interessanti… spero. Spero ti sia piaciuto questo capitolo, cara. A presto!
Nessie93: ciao, Chià! Eccomi qui. Alla fine ce l’ho fatta. Helen è il tipo di ragazza che prima pensa al bene degli altri e poi al suo… e che ama la cugina, come fosse una sorella. Non puoi tifare la coppia Abby-Ian, Chià! >.< passi dalla parte del nemico, signorina? No, così non va bene, caVa. E non puoi tifare Helen-Altro Ragazzo >.<  Cooooomunque, ciarle a parte. Sono proprio contenta ti sia piaciuto il capitolo! Non sai quanto! Spero di non averti delusa, o annoiata, con questo. A presto, bella! Ti voglio bene.
__Claire__: ciao! Prima di tutto grazie per la recensione, mi ha fatto piacere cosa ne pensi. Poi, ho ritenuto giusti, in questi primi capitoli, dare un’impronta malinconica a Helen. Quando sei… in una situazione del genere, risollevarsi è difficile, soprattutto se nella compagnia ci sono anche loro. Inoltre, questi capitolo non abbracciano molto giorni. Più in là –i capitoli sono già pronti- ci sarà una specie di svolta per Helen, di cui ora non posso parlare, ma la ragazza… avrà diversi momenti di leggerezza. :) Spero comunque che questo capitolo non sia stato tanto orribile per te. Grazie davvero per la recensione, per aver espresso il tuo parere, sì, sì.
mary whitlock: ciao! Sono contenta ti sia piaciuto il capitolo precedente, davvero! *-* qui, Helen ed Ian, hanno un’altra pseudo lite, ma nulla di grave alla fine. Ci sono cose che, comunque, sono destinate a venire a galla. Fanno parte del passato e non possono essere cancellate, no? Ma se Helen va fosse andata via davvero… Ian sarebbe rimasto lì, con Abby e gli altri. Diciamo che il tutto è un po’ contorto. A presto, cara! Piccola Ketty: ciao, mia dolce Kate! *-* Le tue recensioni sono sempre così… ooooooh *-*  Sì, c’è molta differenza dalle tue, ma davvero molta. Abby è il tipo più festaiolo e un po’ egoista, mentre Helen tende prima a pensare al bene degli altri e poi al suo. Ama la cugina e l’ultima cosa che vuole è ferirla,o rovinarle la vita. Abby vuole la sua vacanza perfetta con il fidanzato e la compagnia perfetta… ed è un po’…. Lenta a capire. XD  Rendere Abby il più antipatica possibile era nei miei piani e sembra funzioni! Ora, mia cara, finalmente sono rilassata. E’ finito tutto. *-* meglio di così! Ti voglio bene, Kate, davvero tanto. E grazie, di tutto, sempre. <3
ele ele: ciao! *-* sono contenta sia di tuo gradimento la storia, davvero! Guarda, lui è il mio ragazzo ideale XD E poi il nome Ian… ti dirò, l’ho preso proprio dal libro. E’ un anno che aspetto la fiction giusta per usarlo perché è un nome che adoro un sacco! Spero ti sia piaciuto questo capitolo, e di non essere stata troppo noiosa. Grazie, grazie davvero per la recensione! A presto!
uley: ciao! Davvero non ci riesci? Okay, quando ho letto la tua recensione ho cominciato a saltellare come una scema sulla sedia, sprizzando felicità da tutti i pori! Sapere di… esserti riuscita a coinvolgere… oh, cavolo, è la cosa più bella che potessi dirmi! Ci tengo molto a ciò che scrivo, in ogni parola ci metto l’anima e cerco sempre di mettercela tutta per far arrivare ciò che provo mentre scrivo, a chi legge. La tua recensioni mi ha… mandato in estesi, davvero! Come ho già detto precedentemente, Abby vuole la sua bella vacanza col fidanzato e gli amici. Vuole bene a sua cugina, ma non si rende conto di ciò che succede… possiamo dire che è un po’… superficiale la ragazza. E poi, sì, Ian è sempre lì. Comunque ciò che lo lega a Helen è forte, dato il passato ecc ecc. Okay, ora basta ciarlare o dico troppo. Grazie mille per la bellissima recensione, davvero! Mi ha fatto un piacere immenso riceverla. Alla prossima, cara!
C r i s: ciao! *-* Oddio, quando ho letto la tua recensione ho cominciato a gongolare. Non puoi scrivermi certe cose! Cavolo, non sai che piacere mi ha fatto riceverla! Sono contenta la storia ti piaccia, e sono contenta che il mio modo di scrivere –per qualche oscuro- motivo è di tuo gradimento! In teoria qualcosa è successo, ma nulla di che…o forse. La storia piano si evolve e ci saranno altri avvenimenti. Spero di non averti delusa con questo capitolo, in tal caso… dimmelo! A presto, cara! E grazie, grazie davvero di cuore!


A voi, con immenso affetto,
                                             Panda.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7. ***


 

 

 

7.

 



~It’s holding me,
morphing me
and forcing me to strive to be endlessly, cold within
and dreaming I’m alive.

Mi trattiene,
mi trasforma
e mi obbliga a sforzarmi ad essere infinitamente freddo dentro
e sognando di essere vivo.~

 

 



«Potevo tornare da sola. Non era necessario.» dissi con freddezza, abbassando lo sguardo.
«Come ti ho già detto: lo so. Ma dopo averti vista con… quel tizio, non potevo di certo lasciarti andare da sola.»
Sbuffai. «Pallone gonfiato.»
«Lo prendo come un complimento.»
Roteai gli occhi. «Non voglio trattenerti. Torna da Abby.»
«Dopo che ti avrò accompagnata.»
«Adesso.» ribattei voltando il capo e guardandolo in volto.
«Decido io della mia vita, Helen.» mormorò.
Per alcuni attimi i miei occhi rimasero nei suoi, prima di tornare a guardare la strada dinanzi a me.
«Lo so.»
«Bene.»
Dopo qualche secondo di silenzio, parlai ancora, logorata dai sensi di colpa. «Ian,» dissi e mi voltai ancora a guardarlo, perdendomi nell’oceano dei suoi occhi, «non è necessario, davvero. Non voglio essere di peso. So che vuoi stare con Abby e so che lei vuol stare con te. Chi sono io per mettervi il bastone fra le ruota. Ti prego, Ian, torna da lei.» mormorai e senza accorgermene rallentai fino a fermarmi. Lui si voltò, guardandomi in volto.
Non parlò subito. I suoi occhi mi scrutarono e mi sentii, ancora una volta, disarmata dalla potenza del suo sguardo.
«Non credi che a ventiquattro anni sia capace di decidere della mia vita, Helen? Di sapere cosa voglio e dove vorrei essere?»
Mi scostai capelli dal viso e chinai la sguardo. «Ma so che… l’ami,» mormorare quelle parole mi couso una fitta di dolore, al centro del petto e sul mio viso si dipinse un’espressione arcigna, «e che lei tiene a me… e non avrebbe mai voluto che tornassi da sola.»
«Questo non c’entra.», la sua voce d’un tratto si vede tagliente.
«Sì, invece. E lo sai.», ed alzai lo sguardo sul suo viso e, involontariamente sorrisi, ammaliata dalla bellezza, dalla perfezione dei suoi lineamenti.
Lui scosse il capo. «Andiamo, dai.» sussurrò poi indicandomi la strada con un cenno del capo e prendendo a camminare. Svogliatamente lo seguì osservando la sua figura longilinea, i muscoli delle braccia erano affusolati e ben definiti. Non era una figura imponente, ma nella sua era… perfetto.
«Tanto so che non hai la febbre. Sei una bugiarda, sai?» aggiunse.
Risi, amaramente, consapevole di esserlo per davvero, ti tenere allo scuro di ciò che provavo, sia lui che Abby. «Sì, lo so. Ho sonno e sono stanca. Abby avrebbe fatto storie, la conosci.»
Si fermò e voltò il capo, mentre un angolo delle sua bocca si sollevava verso l’alto. «Per questo non ho detto nulla.» mormorò e la dolcezza del suo sguardo mi ricordò che splendida persona egli fosse e quanto lo amassi per quel suo essere sincero e vero, sempre e comunque. Mi ricordò ciò che avrei voluto essere io, ciò che avrei voluto stringere fra le mani e baciare fino a che le labbra non mi si fossero consumate.
Lo raggiunsi, affiancandolo.
Ma, il suo sorriso, mi ricordò anche ciò che non avrei mai avuto: il suo cuore.


«Non è necessario che mi scorti fino in camera.» dissi giocando distrattamente una ciocca di capelli che lunghi, mi sfioravano appena la vita.
«Voglio farlo.»
«Dovrebbero esserci più ragazzi come te, Ian, sai?» scherzai dandogli una leggere spallata.
«Sì, Abby non fa che ripeterlo.»
Chiusi gli occhi, cercando di mantenere il controllo, ma li riaprii di scatto, prima che se ne potesse accorgere. Sorrisi e cercai di ironizzare, cercai di non badare alla ferita al centro del petto i cui margini cominciarono a  pulsare.
Abby. Lei ci sarebbe sempre stata. In ogni discorso, in ogni parola, in ogni gesto. Abby.
«Oramai ne sei… follemente innamorato.» mi sforzai di sorridere.
Quanto mi costava dire ciò? Quanto dolore causava? Troppo per essere quantificato. Avrei voluto gridare il mio, di amore, ma non potevo.
«Già.» mormorò, e parve che parlasse più a se stesso che a me. «Follemente
Non risposi, non aggiunsi altro, mi limitai a fissare la moquette del corridoio che portava alla mia camera, in silenzio. Non desideravo altro che rifugiarmi in camera e starmene per alcune ore lontano da tutti. Lontano da Abby ma, soprattutto, lontano da Ian. Avevo bisogno di silenzio, di addormentarmi con la brezza notturna ad accarezzarmi il viso, come una mesta carezza, e l’incessante mormorio delle onde in lontananza. Avevo bisogno di ritagliarmi quel mio spazio solitario e silenzioso dove non esisteva nessun altro, solo il mio assurdo e straziante dolore per un amore negato.
Quando arrivai alla camera, mi fermai, passando la carta magnetica ed aprendo la porta.
«Grazie.» mormorai senza guardarlo, «Anche se non era necessario.»
«Lo so, ma volevo farlo, Helen.» rispose con voce bassa, pari ad un sussurro.
Fu allora che alzai il capo e posai lo sguardo sul suo viso. I suoi occhi ardevano come fiamme blu.
«Non fai che ripeterlo.»
«Vorrei tu lo capissi.»
«Che ti senti in colpa a lasciarmi andare da sola dopo avermi vista...» non finii la frase, ma ero sicura che avesse capito a cosa mi riferissi.
«No. Non lo faccio perché mi sento in colpa.»
«Perché allora, Ian?» mormorai dischiudendo le labbra, mentre il mio petto cominciava a muoversi irregolarmente.
«Perché… perché…», i suoi occhi vagarono malinconici nei miei mentre continuavano ad ardere e sentii irrefrenabile desiderio di accarezzare le sue labbra con le mie.
«Perché?» mormorai a corto di fiato, mentre sentivo l’eccitazione e la sofferenza, causata dalla repressione dei miei folli desideri, farsi avanti.
Lui chinò il capo, prima di passarsi una mani sul collo. «Perché ti conosco da… dieci anni e ti voglio bene, Helen.»
Chinai il capo e chiusi un momento gli occhi, poi li rialzai sul suo viso. «Ci vediamo domani, Ian. Buona notte.»
«Buona notte.» mormorò lui esitando, prima di voltarsi. L’osservai allontanarsi, con quella sua camminata sicura, prima che svoltasse l’angolo e sparisse dalla mia vista.
Entrai svogliatamente in camera, richiudendomi piano la porta alle spalle. Per alcuni istanti rimasi ferma, accanto ad essa, ad osservare la stanza immersa nel buio della notte. Così, accesi la lampada accanto al letto, la cui luce soffusa illuminò la grande stanza bianca. Gettai la borsa su una poltroncina e mi diressi in bagno, lasciando la porta aperta in modo tale che la luce della lampada lo illuminasse. Guardai la mia immagine riflessa alla fioca luce. Osservai la stanchezza evidenziata dagli occhi che necessitava di una lunga dormita. Mi passai una mano fra i capelli e li sentii incrostati dalla salsedine, così aprii l’acqua della doccia e lasciai che il violento getto tiepido mi pulisse dal sale e con esso scivolarono, per alcuni attimi, le preoccupazioni che mi affliggevano. Quando chiusi l’acqua, le preoccupazioni ed i dolori mi colpirono nuovamente in pieno viso, come una secchiata di cubetti di ghiaccio. Dolorante emotivamente e stanca fisicamente, mi avvolsi il corpo con un asciugamano e, con una salvietta, cercai di rimuovere l’acqua intrappolata fra i lunghi capelli color del cioccolato. A piedi nudi mi diressi in camera ed spalancai la finestra, lasciando che il leggero vento caldo scosse con delicatezza le tende bianche. Con i capelli umidi e con il corpo coperto solo dall’asciugamano mi lasciai cadere sul letto.
Avevo la sguardo vacuo e lo realizzai solo in quel momento.
Il ricordo di Ian, l’immagine del suo viso, delle sue labbra su quelle di Abby mi si rivelava con crudele chiarezza ogni volta che chiudevo le palpebre, causandomi una fitta di dolore. Gemetti e riaprii gli occhi, voltandomi su un fianco e sospirando.
«Ian…» gemetti a me stessa.
Ero svuotata da qualsiasi forza e le lacrime parevano essere finite, come se le avessi piante tutte.
Chiusi ancora gli occhi, abbandonandomi definitivamente alle immagini, lasciando che mi trascinassero in un sonno senza pace.


Quando il mattino seguente mi svegliai mi sentii riposata. Fissai il soffitto color della neve, mentre il mio primo pensiero era rivolto a lui, Ian.  Mi passai una mano su viso, accorgendomi che l’asciugamano era scivolato via durante la notte. I capelli era sparsi sul cuscino e alcune ciocche mi coprivano la fronte. Rimasi qualche minuto, lì, stesa su letto a godermi l’aria calda che entrava dalla finestra. Il sole era già alto ed, istintivamente, mi voltai verso il comodino afferrando il cellulare.
Erano le undici del mattino. E il display segnava tre chiamate perse e due messaggi. Tutti di Abby.
L’ultimo diceva che, non appena mi fossi svegliata, avrei dovuto avvisarla, che era in pena per me.
Sospirai e lasciai cadere il cellulare sul materasso, accanto a me. Mi alzai e raccolsi l’asciugamano che durante la notte era caduto sul pavimento. Mi vestii, afferrai il telefono ed uscii fuori, in veranda. Guardai la mia immagine riflessa nel vetro della portafinestra e notai che i capelli, invece che essere lisci come al solito, erano appena ondulati, probabilmente perché quando mi addormentai, la sera prima, erano umidi. Me li portai oltre le spalle, lasciando che mi ricadessero lungo la schiena e, sedutami sulla poltroncina in vimini comincia a pigiare i tasti, scrivendo un messaggio per Abby.
Ehi. Sta tranquilla, è tutto okay. Mi sono appena svegliata, ma preferisco rimanere in camera. Ci vediamo a pranzo. Ti voglio bene.
Con uno scatto delle dita, chiusi lo sportellino del telefono, poggiandolo sul piccolo tavolino ed osservai il non lontano mare affollato. Dal cortile sottostante giungevano risate e voci.
Buttai indietro la testa e sospirai.
E vidi ancora il suo viso.

Passai le successive due ore a ciondolare per la stanza. Poi mi lavai e mi vestii indossando un leggero vestito color del miele.  Mi stesi sul letto, dove posizionai le gambe sul muro, oltre la piccola testata in ferro battuto, il busto sul materasso lasciando che i capelli si sparpagliassero sulle leggere lenzuola.
Pensai a ciò che la lunga giornata mi prospettava e non mi piaceva. Non avevo voglia di andare in spiaggia quel giorno, avrei fatto un giro per la piccola cittadina, godendomi il sole e l’aria calda.
Immersa nei miei pensieri, sobbalzai quando qualcuno bussò violentemente alla porta.
«Helen!» esclamò mia cugina.
Sospirai e rotolai giù dal letto, sistemando il vestito e riavviandomi i capelli ormai ondulati.
«Arrivo.» risposi atona prima di afferrare il pomello.
«Finalmente!» esclamò lei gettandomi le braccia al collo.
Le diedi una piccola palla sulla schiena, confusa. «Cosa mi sono persa in una mattinata?»
Abby si allontanò, entrando in camera e sedendosi sul letto. «Chiudi.» disse mentre prese a torturarsi un lembo della maglia.
Il sangue mi si gelò nelle vene e mi ci volle tutta la mia forza di volontà per poter chiudere la porta. Poi mi sedetti, accanto a lei, guardandola in volto.
Il suo improvviso silenzio mi mise in agitazione, facendomi muovere nervosa sul posto. Così, mi voltai appena piegando una gamba sul materasso per potermi volgere col busto verso lei.
«Cosa succede, Abby?» mormorai con preoccupazione.
«Credo non mi desideri più.»
Sgranai gli occhi. «Cosa?» domandai con voce stridula.
«Credo che Ian non… mi desideri più.»
A quelle parole la testa prese a girarmi e la bocca dello stomaco mi si contorse. «Non capisco…» mormorai a corto di fiato.
«Non c’è più la passione di una volta, Helen.» rispose voltandosi a guardarmi.
Il mio cuore incespicò.
«Ne sei sicura?» chiesi portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Insomma… ieri, ha rifiutato di…»
Fu allora che capii e il mio cuore aumento i battiti, piangendo lacrime invisibili. Una fitta di dolore mi attraverso e mi pervase, facendomi tremare.
No, quello era troppo, non potevo udire tutto ciò che avrebbe voluto dirmelo. Sarei scoppiata, avrei ceduto, avrei pianto disperatamente quell’amore negato e quei contatti che solo lei poteva avere. La loro vita privata era per me un grosso tabù, troppo doloroso da sopportare. Diligentemente avevo finito, nel mio inconscio, che non esistesse.
Ebbi un singulto ed Abby corrugò la fronte.
«Stai bene?» chiese inclinando il capo e poggiandomi una mano su una spalla.
Alzai lo sguardo su di lei e capii che mai e poi mai avrei potuto darle consigli di quel tipo, che mai e poi mai avrei potuto ascoltare preoccupazioni circa la loro vita privata. Perché quello era un dolore non ancora sperimentato, troppo forte nell’immaginare e nel sentire cosa fra loro accadesse al calar del sole, in quella grande stanza d’albergo, mentre io nella mia mi crogiolare nel dolore di quell’amore impossibile.
«Sì.» mormorai credendo di essere alle strette abbandonandomi quasi all’idea di soffrire per le sue parole, abbandonandomi quasi all’idea di poter svelare tutto, ma, com’è ben noto, la vita è imprevedibile e ne abbi la conferma allora. Qualcuno bussò alla porta.
Sospirai, lievemente, di sollievo. «Aspetta.»
Mi alzai ed aprii la porta.
«Shelly? Che ci fai qui?» chiesi corrugando la fronte e spostandomi per farla entrare.
«Volevo sapere come stavi. Oh, ciao, Abby!» esclamò poi notando mia cugina seduta sul letto.
«Ehi, Shelly. Sei riuscita ad allontanarti da Jared, eh?»
Sorrisi e Shelly arrossì.
«E’ tanto evidente?» chiese.
«Per una ragazza sì.»
Lei sorrise e si sedette sul letto. «Ho interrotto qualcosa?»
Abby scosse il capo. «No, parlavo di Ian.»
Altra fitta.
«Cosa succede?» chiese con dolcezza Shally.
«Ecco… credo che-», ma non le diedi il tempo di concludere la frase.
«Scusate, vado in bagno. Ho bisogno di coprire queste stupide occhiaie.» sorrisi nervosa, desiderosa solo di scappare. «Sarò veloce.» aggiunsi voltandomi e scappando in bagno.
Lei sue annuirono e sorrisero prima di cominciare a parlare.
Entrai in bagno e mi chiusi velocemente la porta dietro la schiena, poggiandomi dietro esse e respirando a fatica, per l’agitazione. Mi lasciai cadere lungo la superficie in legno, fino a sedermi sul pavimento. Mi presi il capo fra le mani, coprendomi le orecchie.
No, non potevo udire. La ferita prese a pulsare di dolore, mentre mi muovevo avanti ed indietro con il busto, cercandomi di calmarmi e pensare ad altro. Non so quanto tempo rimasi così e, quando una delle due bussò alla porta sobbalzai, spaventata.
«Helen? Hai finito? Faremo tardi.» disse Abby.
Poggiai le mani sul pavimento fresco e mi alzai, guardandomi intorno. «Oh… ehm… ho finito, un attimo. Non trovavo il correttore.» farfuglia aprendo il beauty e ristrutturando il mio viso alla bell’e meglio.
«Serve aiuto?»
«No, ho finito.»
«Okay, okay.»
Un paio di minuti dopo, uscii dal bagno. «Eccomi. Andiamo.» dissi sforzandomi di sorridere, mascherando l’espressione malinconica del mio viso.
Shelly rise. «Ho come l’impressione che questi ultimi giorni saranno… movimentati.»
«Spero di sì.» rispose Abby strizzandole un occhio.
Scossi il capo. «Non vi chiedo nemmeno perché.» ironizzai, ma in realtà… non volevo assolutamente di sapere a cosasi riferissero. In quel momento, per me, era meglio vivere all’oscuro di tutto, ritagliandomi una realtà che forse… non esisteva.


Quando entrammo nella grande sala da pranzo, tremi. Lo vidi, seduto a capo tavola. Rideva e scherzava con Jared, Anthony e Ryan. La sua vista, per un attimo, mi diede alla testa, e quando Jared alzò una mano a mo’ di saluto, Ian si voltò e, dopo un fugace sorriso ad Abby, i suoi occhi di posarono per un attimo infinito sul mio viso, fondendosi al nero dei miei. E quasi sembrò volesse leggermi dentro, fare breccia nel invisibile muro che mi proteggeva dal mondo esterno, da coloro che volevano capire cosa in realtà provassi. Ebbi quasi la sensazione che lui ci stesse riuscendo, per questo mi mossi nervosi, scostando lo sguardo dal suo viso ed avvicinandomi al tavolo.
Mi accomodai, dopo i saluti, accanto a Ryan, dalla parte opposta alla sua.
«Come stai?» mi chiese quest’ultimo.
«Bene.»
«Niente febbre?» chiese Anthony bevendo un sorso d’acqua.
«No, falso allarme.» sorrisi.
«Ehi, che hai fatto ai capelli?» chiese Jared, a capo tavolo di fianco a me, inclinando il capo.
Feci spallucce. «Mi sono addormentata quando erano ancora bagnati.»
«Mi piacciono.» sorrise Ryan, giocando con una ciocca di capelli.
Risi. «In questo momento mi sento una bambola.»
«L’abbiamo sempre detto che ne ricordi una.» sorrise Shelly.
«Oh, ma come siete… adorabili.» ironizzai.
«Sei anche la più piccola.» rise.
«Anthony ha la mia stessa età.» dissi voltando il capo per guardarlo.
«Non fa testo.»
«Ed Abby e Shelly solo due anni in più» risposi.
«Ed io cinque. Taci Helen.» rise Ryan e lasciai mi circondasse le spalle con un braccio e mi attirasse a sé, baciandomi una tempia.
In quel momento Ian prese a tossire. Tutti ci voltammo di scatto, notando il suo viso purpureo.
Abby scattò in piedi, dandogli piccole pacche sulla schiena. «Ian, amore! Piano!» esclamò mentre lui cercava di calmare i violenti colpi di tosse. Sentii l’irrefrenabile desiderio di alzare e carezzargli il viso, cercando di aiutarlo. Dovetti incrociare i piedi alle gambe della sedia e circondarmi l’addome con le braccia per rimanere seduta.
«Mi… mi è… andata dell’acqua di traverso.» farfugliò mentre la tosse cessava.
«Mi hai fatto spaventare.» disse Abby, passandogli le dita fra i capelli, baciandolo poi sulle labbra.
Il mio cuore agonizzò e chinai il capo, per evitare quella vista.
E fu strano, forse era solo la mia immaginazione, ma sentii la stretta di Ryan farsi più salda, ed avvicinarmi di più a sé.
Poggiò il capo sul mio e poi, si voltò, come a cercare con lo sguardo il cameriere con il nostro pranzo.
Ma mi resi conto che non era così, quando avvicinò le labbra al mio orecchio. E nel momento in cui pronunciò quelle quattro parole sentii il mio corpo irrigidirsi e il sangue gelarmi nelle vene. D’un tratto fui scossa da un brivido di freddo, come se una folata d’aria gelata mi avesse carezzato le spalle nude.
«Io lo so, Helen.»

 

*

Ringraziamenti.

__Claire__: ciao! Sono contenta che la storia ti piaccia, per me è davvero importante. Sì, Helen è parecchio complicata… so che magari è folle… ma creare personaggi complicati mi piace. Okay, basta delirio –do la colpa ai denti per questo. Cooooomunque, la tua recensione non è solo fantasia che galoppa. Hai centrato il tutto XD Grazie mille per la recensione, davvero. Spero che questo capitolo sia stato di tuo gradimento. A presto, cara!
C r i s: ciao! *-* che immenso piacere leggere le tue recensioni! Sono contenta ti piaccia la storia, davvero. Helen è distrutta e di certo Abby –anche se non è consapevole- non fa che aumentare la sua sofferenza. Beh, vuotare il sacco significherebbe distruggere il rapporto che lei ha con Abby… e non può. Semplicemente non ce la fa. L’accompagna all’hotel e… stop :D Spero comunque ti sia piaciuto questo capitolo. A presto, bella!
Uley: ciao! *-* okay, ammetto che ho gongolato parecchio quando ho letto la tua recensione. Io.. cioè… sono contenta che ciò che scrivo ti arriva. E’ il mio intendo principale. Il lettore deve, anche se in parte, provare ciò che provano i personaggi. Sul ciò che lega Ian ad Helen non posso esprimermi, perché saranno i prossimi capitoli a parlare. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. A presto, cara. E grazie, grazie davvero.
Nessie93: ciao :)  sono contenta ti sia piaciuto lo scorso capitolo e spero di non averti troppo delusa con questo. Beh, per Helen l’idea di raccontare tutto è più devastante di ciò che sta passando e non vuole rovinare il rapporto che ha con la cugina. Preferisce sacrificare la propria felicità per quella di coloro che ama –per quanto folle possa essere. Ad ogni modo, durante i prossimi capitoli molte cosa saranno spiegate meglio. A presto.
Lola_: ciao! Beh, Abby vuole stare con sul ragazzo e le sembra una cosa normale, anche perché non sa cosa prova Helen. Non è una cattiva ragazza è solo che non sa e, un po’ non vuole vedere. E’ lì in vacanza e vuole godersela. Sono contenta che lo scorso capitolo è stato di tuo gradimento, davvero. E spero di non averti delusa  con questo. A presto!
mary whitlock: ciao! Che piacere leggere la tua recensione. Sono contenta ti sia piaciuto lo scorso capitolo. Eh, sì, Ian a “ripreso” il passato. Fa parte della sua vita e non può far finta che non sia esistito. Mi fa piacere sapere che l’intera storia ti piace, davvero. Grazie mille per la recensione. A presto!


A voi, un bacio,
                      Panda.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8. ***


 

 

 

8.

 

 
 



~Pardon the way that I stare, there's nothing else to compare.
The thought of you leaves me weak, there are no words left to speak.
Scusa per come ti fisso, ma non c’è nient’altro che possa reggere il tuo confronto.
Pensare a te mi indebolisce, non ci sono altre parole da dire.~

 

 



Io lo so, Helen,
aveva sussurrato al mio orecchio. Io lo so, Helen.
Immobilizzata non avevo la forza di muovere un solo muscolo. Accigliata fissai terrorizzata punto indefinito della tovaglia color ocra.
No, non era possibile.
Tremai, ancora, e Ryan si allontanò, mettendosi seduto. Notò la mia rigidità e il suo braccio scivolò dalle mie spalle. Mi guardai intorno, osservando i visi dei miei amici, soffermandomi sullo sguardo indecifrabile di Ian. Sentii le lacrime pungermi gli occhi, mentre il suo sguardo si addolciva e mi scrutava confuso. Di scatto mi voltai a guardare Ryan, che annuì piano col capo.
«Allora, ragazzi,» esordì e la paura mi pervase all’istante, avrei voluto posargli le mani sulle labbra, ma il cervello era totalmente scollegato dal resto del corpo, «che si fa oggi?» chiese battendo le mani sul tavolo.
Respirai a fondo, tremando.
«Io opto per la spiaggia.» annuii Abby appoggiata a Shelly. Anche Jared si rivelò d’accordo. Per Anthony ed Ian tutto andava bene.
Deglutii rumorosamente e parlai piano. «Io… ehm… avevo intenzione di fare un giro per la cittadina. Perciò non vengo.»
«Dai, vieni…» mi supplicò Abby.
Con violenza e convinzione scossi il capo. «No, grazie, passo per oggi.» sorrisi.
Ryan fece spallucce. «Ti accompagno. Non va nemmeno a me di andare in spiaggia.» disse poi guardandomi in volto.
«Okay.» mormorai abbassando lo sguardo, quasi colpevole.
«Vengo anche io.» aggiunse Anthony, prima di voltarsi verso Ian. «Tu?»
Abby gli strinse la mano. «Lui viene al mare, no?» chiese con voce mielosa, ma chi la conosceva bene sapeva che quel tono di voce non ammetteva un no.
Ian si voltò a guardarla e quasi esitò, prima di rispondere semplicemente sì.
«E stasera… in giro per locali!» esclamò Anthony.
Tutti risero, tranne me e Ryan, che si voltò a guardarmi, nei suoi occhi vi era una traccia di preoccupazione.
Lo stomaco mi si rivoltò.


Quando tornai in camera per prendere la borsa ed infilarmi i miei amati sandali, mi lasciai cadere sul letto.
Sulla mia fronte vi era una riga di preoccupazione, di terrore. Ryan sapeva. Sapeva di Ian? O era solo la mia mente che correva troppo?
Avevo paura che tutto potesse degenerare, spogliata della mia maschera di orribili bugie.
Mi presi il viso fra le mani e gemetti di preoccupazione.
Perché tutto doveva sempre degenerare? Perché bisogna mostrare a qualcuno ciò che si prova? Perché alcune cose non possono rimanere segrete? Perché le persone devono sempre cercare di comprendere e capire?
Per quanto volessi bene a Ryan, in quel momento lo odiai, e lo maledì per non aver taciuto, per non avermi fatto vivere in quello stupido mondo in cui potevo fingere che tutto fosse okay.
Lasciai che la lacrime lavassero via il leggero trucco e, d’un tratto, mi sentii spossata, stanca, priva di qualsiasi forza.
Entro poco sarei dovuta scendere, perciò mi diressi in bagno per bagnarmi il viso con dell’acqua fredda ed eliminare qualsiasi traccia di trucco. La sensazione che essa provocò sul mio viso, quasi parve rilassarmi.
Qualcuno bussò alla porta. Alzai lo sguardo, guardandone il riflesso nello specchio sopra il lavandino. Chiusi il rubinetto e mi asciugai il viso con una salvietta, dirigendomi all’interno della stanza.
Aprii la porta e sgranai gli occhi.
«Ryan?» chiesi corrugando la fronte.
Lui abbozzò un sorriso, prima di entrare in camera e chiudersi la porta alle spalle.
Per attimi eterni i suoi occhi nocciola rimasero nei miei e cercai di leggere mute parole, ma non ci riuscii.
«Lo so.» mormorò.
Deglutii. «Cosa?» soffiai allontanandomi piano, mentre le gambe presero a tremare. Fui costretta a sedermi sul letto.
«Di Ian.»
Le lacrime prepotenti premettero per uscire e dovetti sbattere le palpebre più volte per evitare che avessero la meglio. Non risposi, mi limitai a scostare lo sguardo dal suo.
Ryan sospirò, prima di sedersi accanto a me.
«E’ vero, Helen?» chiese in un sussurro.
Il labbro inferiore mi tremo e gli occhi si velarono di lacrime, ma non mi voltai. Non ne avevo il coraggio.
«Se ti dicessi che non è vero, ci crederesti? Se negassi?» dissi con voce incrinata.
«No, non ti crederei.»
«Hai intenzione di dirglielo, vero Ryan?» chiesi alzandomi del letto ed asciugandomi una lacrima, avvicinandomi alla portafinestra. «Hai intenzione di rovinare tutto?»
«No… Helen… no.» mormorò lui e lo senti muoversi nella stanza, fino a che posò la sua mano sul mio braccio. «No, non potrei mai farlo.»
«Sei suo amico.» dissi in un singhiozzo.
«Helen, guardami, per favore.» disse costringendomi a voltarmi, accigliandosi appena quando incontrò i miei occhi, probabilmente rossi per la lacrime. «Ti sto porgendo una mano, un aiuto. Lo so, lo so che hai bisogno di aiuto, te lo si legge in faccia a metri distanza… e so che si prova a soffocare un sentimento tanto grande.»
«Come fai a sapere…»
«Perché te lo leggo negli occhi, piccola. Ti conosco da tre anni… so che è una maschera. So che ami tua cugina… ma ho intuito che ami anche lui.»
I miei occhi indugiarono nei suoi e sentii le lacrime scendere sulla guance. «Chi altro l’ha capito?»
Lui rise. «Oh, Helen… nessuno. Sono tutti così maledettamente ciechi da non guardare ad un palmo dal loro naso, così distratti da non vedere il fuoco e la malinconia che lampeggiando nei tuoi occhi,» premette il palmo della mano sulla mia guancia, «perché forse credono sia impossibile. Perché non sono attenti osservatori.»
Deglutii a fatica, sospirando e tremando. «Perché solo ora? Perchè sei venuto ora da me?»
«Perché volevo esserne sicuro.»
«Oh… Ryan.» gemetti affondando il viso nel suo petto. «Sono così stanca… così stanca di nascondere tutto… di tenermi tutto dentro…»
«Sssh… ci sono io ora. Sono qui per questo.» mormorò carezzandomi i capelli.
«Aiutami, Ryan… ti prego aiutami.» gemetti fra i singhiozzi aggrappandomi alla sua schiena.
«Ci sono io. Sfogati, piccola.» e le sue braccia mi strinsero le spalle.
«Io… io lo amo.» mormorai a corto di fiato, fra le lacrime.
«Lo so… lo so.»
E lasciò che mi sfogassi, che piangessi tutte le mie lacrime, che esternassi il mio dolore, che mormorassi quanto l’amavo. Mi accarezzò la schiena, e mi baciò ripetutamente il capo, mentre con le unghie mi aggrappavo alle sue spalle. E, finalmente, mi sentii in parte capita, per la prima volta, dopo tanto, non mi sentii sola ed abbandonata al dolore, all’irrazionale amore per Ian. Mi sentii compresa e capita. Le carezze, le rassicurazioni di Abby non erano come quelle di Ryan, lui che, in quel momento, conosceva tutto, che comprendeva cosa il mio cuore urlasse e celasse. Non dovevo nascondere nulla mentre mi abbandonavo alle lacrime. A differenza di Abby lui sapeva. Lei… era la ragazza di Ian… lei era… mia cugina.
«Ian…» gemetti ancora e la parole mi morirono in bocca.
io ti amo.


«Perfetta.» mi sorrise Ryan quando uscii dal bagno, dove avevo cercato di nascondere gli occhi arrossati dal pianto.
«Sicuro?»
Lui annuì col capo, alzandosi dal letto. «Dai, andiamo o Anthony si chiederà che fine abbia fatto.»
Solo allora ricordai che i due condividevano la stanza.
«Cosa gli hai detto?» chiesi afferrando la borsa e portandomela a tracolla.
«Che andavo a prendere qualcosa di fresco da bere e che poi passavo dalla tua camera.»
Abbozzai un sorriso. «Grazie.» mormorai quando gli fui davanti.
«Non devi.»
«Sì, invece. Aver esternato… il tutto a qualcuno che non sia un muro bianco… insomma, grazie.»
Lui sorrise mi carezzò una guancia, prima di baciarmi la fronte. «Ti voglio bene, piccola. Dai andiamo.» disse poi circondandomi le spalle con un braccio e stringendomi a sé.
Feci un risolino, mentre uscivamo dalla stanza e ci dirigevamo da Anthony… anche lui, come gli altri, all’oscuro di ciò che ora anche Ryan sapeva.

Nonostante portassi occhiali da sole, gli occhi mi bruciavano… per la luce e per le lacrime versate durante la mezz’ora precedente, ed il mio solito cappello di paglia mi riparava la testa dal sole cocente. Alla mia destra Ryan si gustava del gelato al pistacchio, mentre Anthony, con le mani nelle tasche dei bermuda, osserva le ragazze in bikini passargli accanto. Io e lui avevamo passato il liceo insieme, frequentando per quattro anni la stessa classe di inglese.
«Fra fra quattro giorni ritorniamo a casa… non credi sia troppo tardi cercarne una adesso?»
Lui fece spallucce. «Nah. Vedi, Helen… sono uno scapolo ambito, non cerco niente di duraturo.» disse lui ammiccando ad una ragazza.
Sospirai a scossi il capo. «Scapolo ambito...» ridacchiai.
«Certo! Sono il ventenne più desiderato, sai?»
Mi poggia l’indice sul mento e mi voltai a guardarlo, corrugando la fronte. «Mi spieghi allora il motivo per il quale non ti ho ancora visto con una ragazza?»
Ryan rise ed Anthony si voltò, spalancando la bocca. «Perché nessuna è degna della mia attenzione, Helen.» rispose con un gesto della mano.
«Certo, certo.»sorrisi.
«Messo k.o. da una ragazza, amico.»
Anthony si voltò fulminando Ryan con lo sguardo. «Non hai voce in capitolo, nonnino.»
Mi morsi il labbro inferiore, reprimendo una risata.
«Mi vendicherò, signorina.» ghignò Anthony.
«Tremo già per la paura.», e mi voltai a sorridergli.
Lui scosse il capo. «Guardati le spalle, Helen.»
«Sarà fatto.»
Mi voltai poi verso Ryan che alzò gli occhi al cielo, prima di scuotere il capo. «Mi dispiace, Ryan… ma sono gli effetti collaterali delle passeggiate con gli adolescenti.» dissi facendo spallucce.
«Guarda che ti ho sentito.» canticchiò Anthony.
Alzai la mani, allargando appena le braccia. «Ops.»
Lui scosse il capo, scoppiando a ridere.
«Visto? Ti ho  fatto ridere. Posso ritenermi salva?»
«No.» disse tornando serio.
Rotei gli occhi… finalmente più tranquilla. Ma sapevo che, nel momento in cui avessi intravisto la sua figura, la sofferenza, le gelosia, la passione mi avrebbero colpita in pieno petto. Perché era inutile… non potevo ignorare quel sentimento indissolubile che mi legava a lui.

 
Vagammo per la cittadina un paio d’ore, prima di dirigerci verso l’albergo.
L’avrei rivisto, avrei rivisto ancora una volta gesti d’amore che il mio fragile cuore sopportava a fatica. Non ero pronta. Non lo sarei masi stata, in realtà, perché non si può essere pronti a qualcosa del genere: vedere il ragazzo che ami, che ti ha amato, innamorato di tua cugina.
No, non sarei mai stata pronta.
Quando arrivammo nel grande giardino dell’albergo, scrutai la spiaggia, cercando le loro figure, senza trovarle. Sospirai di sollievo.
«Helen?»
Mi voltai verso Anthony. «Sì?»
Sul suo viso comparve un ghignò e non ebbi il tempo di scappare, perché capii troppo tardi le sue intenzioni. D’un tratto mi ritrovai su una sua spalla.
«Ehi, mettimi giù!» esclamai. Tirandogli dei pugni sulla schiena ed agitando le gambe.
«Si chiama vendetta, dolce Helen.» rise.
«Che hai intenzione di fare?» chiesi accigliandomi.
«Vedrai.» mormorò dirigendosi verso la spiaggia.
Fu allora che capii. «Anthony!» urlai, «No! Mollami! Mettimi giù!» ringhiai dimenandomi mentre avanzava verso la battigia.
«Vendetta!»
«No, ti prego!»
Oramai era inutile, sapevo che non sarei riuscita ad avere la meglio sul suo metro e ottantacinque, così faci cadere la borsa sulla sabbia, assieme agli occhiali ed il cappello. Ryan ci seguiva sorridendo.
Rassegnata lo salutai tristemente, pronta all’impatto.
Nel giro di pochi secondi l’acqua fredda m’impregnò i vestiti ed i capelli, facendomi rabbrividire.
La mia pelle accaldata non era pronta per un contatto tanto repentino. Di scatto, facendo perno su piedi uscii dall’acqua.
«Anthony!» urlasi scostandomi i capelli dal viso, aprii gli occhi cercando i suoi, ma ciò che vidi m’immobilizzò. Sulla battigia, accanto a Ryan, c’era Ian. Aveva la mani suoi fianchi e il sole si rifletteva sulla sua pelle abbronzata. Osservai ogni suo muscolo, l’addome scolpito, i fianchi stretti, la fronte corrugata e gli occhi resi ancor più chiari dalla luce del sole.
«Ciao.» soffiai ed Ian alzò la mano a mo’ di saluto, prima di sorridere. Per attimo ebbi paura che Ryan potesse lasciarsi scappare qualcosa, ma sapevo, in fondo, che non era possibile. Il pregio di Ryan era la lealtà.
Immobile, lascia che gli occhi di Ian cercassero ancora una volta di far breccia fra le mura del mio animo, ma non ci riuscirono, poiché Anthony, dal lato destro, mi travolse, buttandomi in acqua ancora una volta. Quando risalii a galla lo vidi ridere.
«Sei… ti odio, Anthony Wesley!» esclamai avanzando e avventandomi su di lui, poggiando la mani sulla sua testa e costringendolo ad immergersi nell’acqua. Lui mi afferrò per i fianchi, buttandomi giù, solleticandomi i fianchi.
«No, ti prego no!» esclamai fra le risate, bevendo acqua. Scattai in piedi e cominciai a tossire mentre la gola sembrava andarmi in fiamme per via dell’acqua salata.
«Ti propongo una tregua.»
Fece spallucce. «Siamo pari.» sorrise.
Scossi il capo, uscii dall’acqua e, quando alzai il capo notai che, sia Ryan che Ian, guardavamo il mio vestito. Solo allora mi resi conto che la stoffa aveva totalmente aderito al mio corpo, come una seconda pelle, diventando quasi trasparente.
All’istante avvampai di rossore. Così, comincia a pizzicare il tessuto, facendolo scollare dal mio corpo.
«Ciao.» la voce di Ian, inutile dirlo, era sempre la stessa dolce melodia.
«Ciao.» mormorai raccogliendo i capelli in una coda e strizzandolo per togliere l’acqua che gocciolava da essi.
«Gli altri?» chiesi cercando di ignorare il battito del mio cuore e lo sguardo indagatore di Ryan, che m’innervosì.
«Beach volley.»
Annuii piano col capo. «Okay. Allora ci vediamo più tardi.» mormorai afferrando la mia roba, che Ryan stringeva fra la mani, e dirigendomi verso l’albergo.
«Dove vai?» chiese Ian alzando un sopracciglio scuro.
Sbattei più volte le palpebre, confusa. «A cambiarmi?»
Lui chiuse un attimo gli occhi, prima di sorridere. «Giusto. Che stupido. A dopo, Helen.»
Sorrisi, sia a lui che a Ryan, che invece mi saluto con un gesto della mano. Poi mi voltai, diretta in camera… col respiro irregolare, eco del battito accelerato del mio cuore.
Sì… ancora una volta l’amore che provavo per lui parve incendiarmi l’animo.
Sarebbe sempre stato così.

 

*

Ringraziamenti.

Nessie93: ciao, Chià. Eh, riguardo Ian… beh, ci cono altri capitoli per cui non anticipo nulla. Sono contenta di sapere che lo scorso capitolo ti è piaciuto, sul serio. Mi rende felice. Eh, già, Helen ora ha qualcuno con cui parlare e sfogarsi. Spero sia stato di tuo gradimento questo capitolo, con un po’ di sano sorriso. Alla prossima!

Piccola Ketty: oh, mia amata! Non sai che infinita fonte di piacere sia per me leggere una tua recensione *gongola*. Ad ogni modo… sei tornata! *-*  ero certa che ti sarebbe piaciuto Ian… almeno fisicamente XD Il personaggio, lo sai… è un po’ come tanti altri di cui ho scritto… forse. Ryan, sì, è importante. Senza di lu Helen andrebbe totalmente alla deriva. I piccoli momenti fra Helen e Ian sono quelli che preferisco, lo sai. Sono le scene che ami più scrivere… Shura! Okay, momento di delirio cessato. Ti voglio bene, Kate. Davvero. E sono felice tu ci sia.
bibii: ciao! *-*  chiedo umilmente scusa per il devastante ritardo, ma ad Agosto ho davvero avuto un sacco di cose da fare, e poi non sono stata molto a casa. Sono contenta che la storia ti piaccia! Per me è davvero importante *-*  sul serio non riesci ad aspettare gli aggiornamenti? Okay, la smetto di gongolare. Grazie mille per la recensione! Spero di non averti delusa con questo capitolo. A presto!
Angyr88: ciao, cara! Sai che non è necessario che tu recensisca. Sapere comunque che ti piace per me è già tanto! Sì, è un modo di finire un capitolo. Eh, Ryan sa e per Helen sarà molto più facile… per me… non molto XD  Ma tu, alla fine, lo sapevi già, no? Spero di non averi delusa con questo capitolo. In caso contrario, dimmelo per favore! A presto!
uley: ciao! Beh, in alcune cose ci hai preso. Ryan l’ha capito e, come hai potuto leggere, vuole aiutare Helen, che poverina fino alla fine diventerà matta. Comunque, su Ian… non mi esprimo, saranno i prossimi capitoli a parlare XD Sono contenta ti sia piaciuto lo scorso capitolo e spero di non averti delusa con questo. Chiedo scusa per il ritardo ma Agosto è il mese più movimentato! A presto!
skricciola95: ciao! Oh *-* sono contenta ti sia piaciuto il capitolo! Grazie mille per la recensione!  Ho il potere di farti soffrire? Oddio, è un bene o un male? Spero ti sia piaciuto questo capitolo… a presto!
Lola: ciao! No, non piangere che piango anch’io! Sono contenta di sapere che il capitolo precedente è stato di tuo gradimento. Anche per me, scrivere di Helen lontano da Ian… richiede un certo sforzo. Il che, devo dire, è un po’ assurdo. Ad ogni modo, spero di non averti annoiata con questo capitolo. A presto, cara! E grazie mille per la recensione!

__Claire__: ciao! Beh, su Ian non posso esprimermi, rivelerei gran parte della storia. In che senso “questa storia è differente dalle altre che leggo”? Uhm… Ryan, in fondo, vuole solo aiutare Helen. Le vuole bene e la conosce e sa che non può affrontare tutto questo da sola. Ma anche su Ryan non poso esprimermi più di tanto. Sono contenta di sapere che l’ultimo capitolo è stato di tuo gradimento. Spero di non averti delusa con questo. E chiedo scusa per l’enorme ritardo. A presto!


A voi, un bacio,
                        Panda.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9. ***


9.

 

 

 

 ~Fear, and panic in the air.
I want to be free from desolation and despair.
 

Paura, e panico nell'aria.
Voglio essere libero dalla desolazione e dalla disperazione.~

 



Dopo aver lavato il vestito, togliendone la salsedine, lo poggiai su una sedia nella piccola veranda.
Prima di dirigermi in spiaggia, indossai un costume da bagno blu, m’infilai un paio di calzoncini ed una canotta. Quando i miei piedi affondarono nella sabbia e il sole mi baciò il viso, indossai un paio di occhiali da sole, lasciando che i capelli, ancora umidi sotto i raggi caldi. Con lo sguardo cercai Ryan ed Anthony, senza voler ammettere a me stessa che in realtà cercavo lui.
Mi passai una mano fra i capelli, scostandomeli dal viso, finiti davanti agli occhi per colpa di una folata di vento.
Poi li vidi, Ryan ed Anthony, stesi sulle sdraio. Sospirai di sollievo, notando che Ian non era con loro… anche se, in fondo, speravo ci fosse. Ero  una perenne contraddizione vivente, ma sì sa, l’amore non è mai razionale e coerente.
«Ehi.» dissi lasciando cadere, sotto il grande ombrellone in foglie di palme, la mia borsa.
I due alzarono il capo ed Anthony sorrise trionfante. «Ciao, cara.»
«Ciao, caro.» mormorai sedendomi sulla sdraio di Ryan e poggiando una mano sulla sua gamba.
«Avresti dovuto difendermi, salvarmi.» dissi portandomi gli occhiali sopra la testa, e, in tal modo, i capelli non mi finirono davanti sugli occhi.
«In teoria.» disse strizzandomi un occhio e portandosi le mani dietro la testa.
Risi. «Ragazzi: entità cellulare semplice
«Certo, certo.» sbuffò Anthony. «Lo so che ti sei divertita.»
«Assolutamente sì.» dissi sporgedomi verso lui e scompigliandogli con forza i capelli chiari, facendolo sorridere.
L’aria, nonostante fossero le sei del pomeriggio, era calda, così mi sfilai la maglia, lasciando il che il vento mi accarezzasse la palle, rimanendo però in calzoncini.
«Hai intenzione di entrare in acqua?» chiese Anthony muovendo ritmicamente le sopracciglia.
«Te lo scordi.» risposi facendogli la linguaccia.
«Dai, Helen, un tuffo veloce.»
«No, passo, Anthony.»
Rise. «Sai che non è finita qui. Secondo me, dovresti arrenderti.»
Alzai un sopracciglio. «Perché siamo in guerra?»
«Ovvio.» disse lui facendo spallucce.
«Bene. Sappi che, grazie le mie meravigliose facoltà mentali, vincerò. Preparati ad assaggiare acqua di mare, Wesley.» ridacchiai tirandogli un pizzicotto sul braccio.
«Ti è tornato il buon umore?» chiese una terza voce e chiusi gli occhi, mordendomi il labbro inferiore. Poi mi voltai, sapendo a cosa andavo incontro.
«C’è sempre stato, Abby.» mormorai sforzandomi di sorriderle ed ignorare la sua mano stretta a quella di Ian che, con sguardo imperscrutabile, mi osservò.
Lei sospiro e fece un segno con la mano, prima di cambiare argomento.
«Ho visto cosa ti ha fatto Anthony.» ridacchiò spostandosi di fronte a me, e strascinando Ian con sé. Il cuore sussultò nel vedere i loro corpi così vicini, le loro dita intrecciate.
Sorrisi, ma probabilmente la mia espressione somigliava più ad una smorfia.
Lei annuì piano col capo, mentre un silenzio opprimente calò fra noi e, ancora una volta ,fui grata a Ryan di averlo rotto.
«Shelly e Jared?» chiese lui corrugando la fronte. Mi voltai a guardarlo e gli sorrisi, riconoscente.
«Sono in giro da qualche parte.»
«Magari è la volta buona che decidono di… beh, avete capito.»
Mi voltai spalancando la bocca. «Anthony!»
«Che c’è?» chiese lui alzando il capo e guardandomi confuso. «E’ palese. E poi l’abbiamo capito tutti che si piacciono.» concluse poggiandosi ancora alla sdraio.
In quel momento, a quelle parole, sentii il sangue raggelarsi nelle vene. E sperai con tutta me stessa, pregai Dio che Anthony non avesse compreso ciò che era chiaro a Ryan.
Deglutii e tremai appena. No, non era possibile.
Sentii la mano di Ryan carezzarmi le dita della mano, poggiata sulla sdraio, come a volermi ricordare che non ero sola in quella sciocca battaglia. Abby, sembrò rendersene conto e mi strizzò un occhio, avvampai di rossore e ritrassi la mano. Ian, immobile accanto a lei, d’un tratto sbuffò.
«Vado a prendere da bere.» disse lasciando la mano di Abby ed allontanandosi. Seguii con la coda dell’occhio la sua figura scolpita.
Mia cugina corrugò la fronte, confusa, prima di tornare a guardare me e sorridere amaramente.
Mi chiesi cosa provasse.
«Fammi posto.» disse ad Anthony, dandogli un leggero schiaffo sull’addome. Lui sbuffò e si spostò leggermente per permetterle di sedersi.
«Cosa gli è preso?» le chiese poi sistemandosi sul fianco.
Abby fece spallucce, guardando dietro le mie spalle. «Non lo so. Aveva sete.»
Qualcosa nei suoi occhi mi fece capire che, in realtà, lei non ci credeva.
Nei pochi minuti successivi parlammo del giro che io, Ryan ed Anthony avevamo fatto nella cittadina nel primo pomeriggio, poi, Ian tornò e con lui la ferita riprese a pulsare.
Quando lei gli sorrise la bocca del mio stomaco si strinse in una morsa, e quando si alzò per gettargli le braccia al collo e baciarlo sulla labbra volsi il capo, sfuggendo a quella vista. Ryan se ne rese conto e con occhi pieni di panico lo guardai in volto, sperando che cogliesse le mute parole del mio animo.
Ebbi un singulto e immediatamente Ryan si alzò afferrandomi per un polso e costringendomi ad alzarmi.
«Ehi, dove andate?» chiese con tono confuso Abby.
Ryan si voltò, senza smettere di camminare. «Devo parlare con Jared e non mi va di andare da solo a cercarlo.»
«Ma è con Shelly!»
«Non importa!» urlò lui accelerando il passo e trascinandomi con lui.
Lasciai che mi portasse via da quella scena carica d’amore, di tenerezza… e dolore. Perché ogni volta, ad ogni bacio, era come ricevere una pugnalata in pieno petto, una lenta pugnalata a sangue freddo.
Quando svoltammo l’angolo, alla fine del vialetto che portava all’albergo, Ryan si bloccò, voltandosi e guardandomi negli occhi. Al riparo, dietro grandi siepi di vivido verde, sospirai e cercai rifugio frale sue braccia.
«Grazie.»
«I tuoi occhi erano immersi nel panico.»
«Non so che avrei fatto senza te.» mormorai alzando il capo e abbozzando un sorriso.
«Avresti patito in silenzio, avresti tenuto tutto dentro. Avresti sofferto ancor di più per questo.»
«Già.» soffiai mentre mi baciava i capelli.
«Mi spiace di averlo capito solo ora.» mormorò mentre cercavo di cancellare dalla mente l’immagini di loro due.
«Oh, Ryan… tutto questo… è molto più di quanto mi sarei potuta aspettare. Sei… la mia ancora di salvezza.»
Lo sentii fere un leggero risolino, che tuonò nel suo petto. «Non riesci proprio a pensare a te stessa, vero?» chiese allontanandomi appena e portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Schioccai la lingua ed avvampai di rossore. «Mi preoccupo per me stessa.»
«Tanto che sei arrivata al limite.»
Feci una smorfia. «Nah.» dissi allontanandomi e portandomi gli occhiali sul naso.
Lui scosse il capo. «Che ti va di fare?»
«Vorrei andare in camera.»
«Risposta sbagliata. Voglio andare in camera.»
Roteai gli occhi. «Okay. Voglio… ma ho lasciato la mia roba in spiaggia.» sbuffai.
«Comincia ad andare in camera. Recupero io la tua roba, okay?»
Sorrisi e mi sollevai sulla punta dei piedi, baciandolo su una guancia. «Grazie.»
«Per così poco?»
Risi.
«Visto? Ti ho fatto ridere. E’ un passo in avanti.»
«Già. Ci vediamo su.» dissi sorridendogli con gratitudine prima di dirigermi nella mia stanza.


Dopo che Ryan mi riportò la borsa, lasciai che il getto d’acqua tiepida mi distendesse i muscoli tesi e mi facesse dimenticare, anche solo per pochi minuti, tutte le mie preoccupazioni, attenuando quel dolore che pulsava al centro del petto.
Con gesti meccanici, schiava di quella sciocca routine che mi vedeva schiava dei miei sentimenti, del battito del mio cuore, mi vestii ed indossai quella solita maschera di malinconica felicità che mi permetteva di andare avanti e sopportare la loro vista.
Mi pettinai svogliatamente e indossai dei jeans chiari, sopra i miei sandali di vecchia pelle.
Fissai l’immagine riflessa nello specchio all’interno dell’armadio… e quasi non mi riconobbi. Era come se… i miei occhi avessero perso la loro luce, come se si fossero spenti.
Sospirai, passandomi le mani fra i capelli ed indugiando sul collo.
Faceva male. E non potevo farci nulla. Potevo solo attendere, aspettare che il tempo scorresse e che le ferite, il dolore e la sofferenza per un amore negato diminuissero o, cosa impossibile, cessassero.
Afferrai al borsa ed mi diressi verso la sala ristoro. Non volevo andarci, pensai di tornare indietro, di rifugiarmi in camera ed evitare sguardi indiscreti, di evitare i loro visi vicini, ma lo stomaco non faceva che brontolare, vuoto da ore. Così, con le spalle curve, sotto il peso della tristezza, arrancai sulle scale, prima di entrare nella sala.
Ed il mio cuore perse un battito quando vidi i loro visi vicini, le mani di lei sul suo viso.
Sorrisi, agonizzando dentro, e finsi che tutto era okay… che in realtà non soffrivo ad ogni loro minimo gesto, ogni loro flebile sorriso. Celai a loro quell’irrazionale amore, ma non potei mentire a me stessa, non avrei mai potuto farlo.
Chinai lo sguardo, prima di posarlo sul viso di Ryan che mi sorrise incoraggiandomi. Poi, i miei occhi incrociarono l’azzurro cieli dei suoi… che, come fiamme blu, lambivano il mio animo.
Trattenni il respiro, senza volerlo.
Benvenuta all’inferno, Helen Butler.


«Un Martini.» dissi al barista, una volta sedutami al bar. 
«Due.»
Mi voltai appena. «Tranquillo, Jared. Non ho intenzione di cacciarmi nei guai.»
Lui rise. «Perché deve esserci sempre un doppio fine, Helen? Sono qui perché siamo venuti insieme e perché ho voglia di un Martini.»
Un angolo della mia bocca si sollevò verso l’alto. «Gli altri?» chiesi dopo un po’.
«Shelly, Anthony e Ryan sono ad un tavolo. Ian ed Abby gli ho persi di vista. Si saranno appartati suppongo…»
Chiusi gli occhi e maledì Jared per non aver tenuto la bocca chiusa. Lo stomaco mi si chiuse in una dolorosa morsa.
«E perché tu sei qui?» chiesi cercando di ignorare il gonfiore alla gola.
«Perché mi ero stancato di attendere il mio Martini.» sorrise. «C’è un sacco di gente qui.»
Sorrisi. «E molte ragazze. Anthony sarà in estasi.»
«Ha detto di aver incontrato l’amore della sua vita.» rise.
«Non l’aveva incontrata due giorni fa?»
Lui fece spallucce. «Esatto. Il quarto amore della sua vita in tre giorni.»
«Non cambierà mai.»
«Lo spero.» disse mentre un angolo della sua bocca si sollevava verso l’alto.
«Già, lo spero anche io.» mormorai. Per quando Anthony mi facesse arrabbiare, stuzzicandomi e prendendomi in giro, non avrei voluto che cambiasse per nulla al mondo.
Scossi il capo. In quel momento arrivarono i nostri Martini e Jared, lasciando una banconota sul bancone in finto marmo, mi fece segno con la testa di seguirlo.
«Dove andiamo?» chiesi corrugando la fronte e seguendolo.
«C’è un parco sul retro. E’ la fine del mondo.» disse voltandosi e sorridendomi, prima di portarsi il bicchiere alle labbra. «Ci sono tavoli, poltrone… e un sacco di fiori. A te piacciono i fiori, no?»
Feci un risolino, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio. «Sì, mi piacciono i fiori.»
«E poi… ho bisogno di un consiglio.» disse mentre avanzava fra le persone.
Il locale, in stile moderno, dalle luci eccentriche e soffuse, era all’aperto. Il bancone del bar si trovava sotto una grande veranda. Alla parete opposta a quella d’entrata principale vi era una un arcata che portava ad un giardino.
«Di cosa devi parlarmi?» chiesi corrugando la fronte confusa.
Sul viottolo di ghiaia, che a ogni mio passo scricchiolava, luci soffuse gettavano lunghe ombre sulle verdi siede. Un mormorio e della musica giungevano non molto lontane.
Jared non rispose subito, per alcuni istanti avanzò silenzioso sulla ghiaia.
«Di Shelly.» disse infine.
M’accigliai, bloccandomi. «Cosa?»
«Beh, sì. Ho bisogno di un consiglio. E’ tanto complicato?» chiese dondolandosi sui talloni.
Sorrisi. «No, direi di no.»
«Bene, allora vieni con me.» disse voltandosi e continuando a camminare tra i piccoli vialetti, che portavano a panchine nascoste fra alti alberi e siepi. Sembrava quasi un labirinto.
Ad un tratto, in prossimità di una panchina in legno, Jared si bloccò.
Mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio e mi sedetti, portandomi il bicchiere alle labbra.
«Ci siamo baciati, Helen.» disse infine, voltando solo il capo.
Sentii il cuore stringersi per le tenerezza. «Sul serio?» chiesi sorridendo.
«Sì. E… ciò che ho sentito… ma ho paura di rovinare tutto.» mormorò passandosi una mano sui corti capelli a spazzola.
«Preferiresti vivere nel dubbio? Non sapere come sarebbe stato?» chiesi inclinando il capo.
«Non è così facile…»
«Jared,» dissi alzandomi, «ti fidi di me?»
«Sì.»
«E allora lasciati andare.» sussurrai sorridendogli con dolcezza.
Lui chinò in capo, prima di alzarlo a posare i suoi occhi sul mio viso. «Okay.» mormorò con esitazione ed il suo viso si colorò di un flebile sorriso. Poggiai il bicchiere sull’erbetta verde e fresca a mi alzai, andandogli incontro, tendendogli le braccia.
Lui fece un risolino e mi abbracciò.
«Sono così felice per te,  Jared.» mormorai.
Lui si allontanò appena, sedendosi sulla panchina. Raccolsi il mio bicchiere e mi accomodai accanto a lui.
«Tu come stai?» chiese inclinando il capo.
Abbassai lo sguardo, prima di sospirare. «Bene.» risposi poi guardandolo, e cercai di assumere un tono di voce convincente… ma poco ci era di convincente in esso.
«Non so se crederci.»
Scossi il capo in un risolino. «Credici.»
Bugiarda.
«Okay.»
«Beh, che ci fai ancora qui? Va da lei, no?» dissi dandogli un leggero spintone.
Rise. «Dici che dovrei?»
«Dico che non dovresti pensarci due volte.»
Si alzò e mi guardo, corrugando la fronte. «Non vieni?» chiese.
Scossi il capo. «No. Faccio un giro e poi raggiungo gli altri. Mi piace questo posto.»
«Okay. A dopo, Helen. E… grazie.»
«Felice di aiutarti.»
Mi poggiai allo schienale della panchina e buttai indietro il capo, chiudendo gli occhi. Seguii il rumore della ghiaia, che scricchiolava ad ogni suo passo, fino a che scomparve.
Una leggera folata di vento fresco mi carezzo leggero la pelle del viso, e sorrisi flebilmente a quella dolce e piacevole sensazione, prima che il pensiero di un mondo dominato dall’amore mi si stagliasse davanti.
Aggrottai le sopracciglia mentre sentivo la gola gonfiarsi.
No, non potevo star lì ferma a struggermi. Così, mi alzai e con il bicchiere in mano cominciai a camminare fra gli alberi e le siepi. Di tanto in tanto udivo mormorii, bisbigli, risate.
Vagavo sui piccoli sentieri senza una meta. Camminavo per non pensare, per tenere la mente occupata, osservando i fiori colorati. Indugiai con lo sguardo su margherite di un bizzarro color rosa. Mi chinai appena, per poterle osservare con più attenzione, ma, quando focalizzai la scena oltre le piccole foglie smeraldo, sentii il sangue raggelarmi. E non riuscii a muovere un solo muscolo, non riuscii a voltare il capo, non riuscii a distogliere lo sguardo da quella scena che parve strapparmi il cuore, all’improvviso.
Li vidi e una fitta di dolore mi fece gemere silenziosa, mentre un singulto mi scuoteva il petto. La vidi, Abby, seduta sulla gambe di Ian, baciare con avidità le sue labbra, come a volerle consumare… le mani di lui sui fianchi di lei, che accarezzava con passione il suo viso. E poi le labbra di Abby baciarono il collo di Ian e sentii le gambe cedermi, mentre la testa prendeva a girarmi ed il panico s’impossessava del poco autocontrollo rimastomi.
Le lacrime mi annebbiarono le vista e caddi sulla ginocchia, rovesciando il contenuto del mio bicchiere. Perle d’acqua salata spillarono veloci dai miei occhi e, quando lui mormorò il suo nome capii che, se non volevo abbandonarmi ad una scena di isteria lì, dovevo andarmene. Sollevandomi con fatica, asciugandomi il viso con il dorso della mano fuggì da quel posto, da quella scena.
Corsi, senza sapere dove. Volevo solo andar via, evitare il dolore lancinante che mi squarciava il petto e che faceva bruciare i margini della ferita. Quando la gola cominciò a bruciarmi ed i polmoni gridarono aria, mi fermai, lasciandomi cadere su una panchina lì vicino. Il mio petto si muoveva troppo velocemente per essere controllato ed il mio respiro si faceva sempre più corto, tanto che pensai che non potesse più riempirsi d’aria, sufficiente a non farmi perdere i sensi. Mi circondai l’addome con le braccia, mentre i singhiozzi presero a scuotermi con violenza. Ogni muscolo del mio corpo tremava e presi a dondolare col busto.
Non so per quanto tempo restai così, nascosta nell’oscurità su quella panchina nascosta fra i cespugli. Non so per quanto cercai invano di calmarmi.
Gli avevo visti, gli avevo visti con i miei occhi. Le loro labbra che avidamente si cercavano non erano state frutto della mia fantasia, della mia immaginazione, ma facevano parte di una cruda e dura realtà che, con la potenza di uragano, mi travolse, mi sconvolse, mi trascinò in un baratro fatto di sensazioni ed emozioni negate e celate troppo a lungo.
Un suono di passi mi giunse lontano, ovattato, ma non me ne curai. Mi lasciai andare ad un pianto disperato e silenzioso. E poi tutto mi scivolò dalle mani.
«Helen?»
Spaventata con gli occhi sbarrati, alzai il capo e i miei occhi arrossati incontrarono i suoi.
Mi parve vedere guizzare della sofferenza nei suoi occhi, ma, probabilmente, avevo immaginato tutto, dominata dall’irrazionalità.
«Helen…» mormorò lui sgranando gli occhi e raggiungendomi con grandi falcate.
Scossi violentemente il capo e mi allontanai seduto sulla panchina, ritraendomi al suo tocco leggero.
«Ehi, cosa succede?» chiese quasi nel panico, mentre le lacrime aumentavano.
Scossi ancora il capo, non riuscivo a fermare quel movimento diventato ormai meccanico.
«Helen…» gemette avvicinandosi a me e sfiorandomi le spalle con le mani, cercando di afferrarmi.
«No…» singhiozzai. «Non toccarmi!» esclamai con panico nella voce, ritraendomi.
«Cosa…»
«Non toccarmi!» esclamai prendendomi la testa fra la mani, per poi portarle a circondare la vita… come a mantenere i pezzi del mio corpo.
«Helen, per favore, calmati!» disse lui ingabbiandomi il viso fra la mani e costringendomi a guardarlo.
Cercai di divincolarmi, dimenandomi tanto forte che fu costretto a mollare la presa.
«Cosa succede qui?»
E, udire quella voce, fu come risalire a galla, riemergere dal mare in tempesta in cui stavo annegando. Alzai il capo e trattenni il respiro, quando incontrai la sua espressione incredula.
«Ryan!» gridai scattando in piedi e rifugiandomi fra le sue braccia.
«Non so cosa le prende! Non vuole che la tocchi!» esclamò Ian, quasi urlando, pervaso dal panico.
«Ehi, piccola…» mormorò Ryan al mio orecchio, carezzandomi i capelli «ehi, Helen… ora ci sono, okay? Ti porto via di qua.»
Lo sentii privarmi del pavimento sotto i piedi, permettendomi di acoccolarmi sul suo ampio petto, mentre stremata lasciavo che i singhiozzi diminuissero.
«Cosa le succede, Ryan?» urlò Ian.
«Tu più di tutti dovresti saperlo.» rispose con voce glaciale.
«Ryan!»
«Ci vediamo in albergo, amico.»
Mi portai le mani al petto, chiudendo gli occhi, priva di qualsiasi forza. «Loro… Ryan… loro… si amano… loro… erano…», un singhiozzo non mi permise di finire la frase.
«Sssh… ora ti porto in albergo. Ci sono io, piccola. Non ti lascio sola.»
Piano… tutto divenne indefinito e, entrata nel taxi, mi addormentai senza rendermene conto.

 


*



Ringraziamenti.

Shadow_Soul:
ciao! Awww, sono contenta che ti piaccia la storia. Per me è davvero molto importante. Cerco di mettere “battute” di rendere le scene in cui Ian non c’è, molto più leggere rispetto al resto. Essenzialmente la storia si basa sulla malinconia e sulla sofferenza che lei prova nel vederlo con la cugina. Spero di non averti fatta aspettare molto, ma sono stata male nei gironi scorsi. Grazie mille per la bellissima recensione, davvero! A presto!
Londoner: ciao! *-* che piacere leggere la tua recensione! Eh, già, Ryan diventa sempre più importante, ma di più non posso dire. Sono contenta di sapere che la storia sia di tuo gradimento, davvero tanto! Ci tengo molto! Sul finale… beh, non anticipo nulla! A presto, cara!
__Claire__: ciao! Okay, dopo essermi gongolata ti dirò una cosa: grazie, grazie davvero. Per me è improntate sapere ch ciò che scrivo arriva, è quello il mio intento. Cerco di cominciare,di fare di tutto per far si che il “lettore” s’immedesimi nei personaggi, esattamente come faccio io. Ho cercato di inserire anche qui dei momento… “allegri”, mixati sempre a scene di malinconia. La storia è basata su quello alla fine. Spero di non averti annoiata. A presto!
Nessie93: ciao, Kià! Alla fine ce l’ho fatta. Sono contenta di sapere che lo scorso capitolo ti è piaciuto, sul serio! Ebbene, sì, Helen ha riso e ho cercato di farla sorridere anche qui. Ryan con Abby? Purtroppo, lo sai, non posso esprimermi sui prossimi capitoli. Ma… tesoro, grazie. Grazie mille. Ti voglio bene.
C r i s: ciao! Oh, che bello leggere una tua recensione! Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo e… Ryan ed Anthony. *-* Ci tengo a sapere che ne pensi, lo sai. Mi rendono felicissima le tue recensioni. Spero di non averti annoiata con questo. A presto, cara!
Valentina78: ciao! Sono contenta di sapere che il capitolo precedente è stato di tuo gradimento… come spero lo sa stato questo. Ho cercato di alternare momenti di gioco a momenti malinconici –la storia è bastato principalmente su quello. Spero di non averi fatta aspettare troppo, ma sono stata abbastanza male nei giorni precedenti. Grazie mille per la recensione! A presto!
Angyr88: ciao! *-* okay, la smetto di gongolare. Tutte le citazioni all’inizio sono canzoni dei Muse. E’ il mio gruppo preferito da anni, oramai. Sono contenta ti piaccia Ryan. Rende le cose più semplici ed Helen… ed anche a me XD ma, ssssh, non diciamolo a nessuno. Mi spiace di aver postato così tardi, ma tra le “restaurazioni” dei capitolo successivi e la pancia dolorante è passata in secondo piano. Grazie mille per la recensione, cara. Davvero. A presto!
Lola_ : ciao! Su Ryan non possono esprimermi, purtroppo. Sono contenta ti piaccia! Ed Ian… ah, che dannata sofferenza. Spero di non averti annoiata. H cercato di inserire momenti di ilarità… con grande insuccesso, credo. A presto, cara! E grazie!
VerdeEvidenziatore: ciao! *-*  Sono contenta ti piaccia la storia, davvero! Grazie per la recensione e per i complimenti. Spero di non averti annoiata con questo. A presto!
Uley: ciao! Eh, sì, Ryan è fondamentale per Helen – e per me. Non può sopportare tutto da sola e lui, come dimostra questo capitolo, è manna dal cielo. Ian è sempre lo stesso… e sono contenta che, nonostante tutto, ti piaccia. Per me è importante. Spero di non averti fatta aspettare troppo e di non averti annoiata. A presto, cara! Grazie!
Piccola Ketty: ciao, Kate. Non è una versione buona di Damon. E’ un personaggio che, nella mia testa, ha il viso dell’attore. Tutto qui. Comunque, sono contenta tu non mi trovi anonima, sai quanto ci tengo al tuo parere E’ il più importante, Kate. Ma tu sei di parte, ammettilo XD Se per te valgo, a me va benissimo… super-extra-mega benissimo! Ti voglio bene, Kate. Tanto. Non scordarlo. <3
Gio26: ciao! *-* Sono contenta di sapere che ti è piaciuto il capitolo precedente. Spero di non averti delusa con questo. Ho cercato di inserire anche qui dell’ironia. Davvero di Piacciono Anthony e Ryan? Ne sono felice! Spero di non averti fatta attendere troppo! Grazie mille per la recensione, sul serio. A presto!
machi: ciao! Puoi chiamarmi Rò ^.^ Piacere di fare la tua “conoscenza”. Le ripetizioni di termini a volte sono volute per creare più… enfasi. Delle volte ripeto espressioni, ma non ci faccio caso perché non ho sott’occhio tutti i capitoli. Postandoli così passano e non te ne rendi conto. Sono contenta di sapere che la storia sia di tuo gradimento! Ho dato un’occhiata alla tua fiction, ma mi sono ricordata che non ho controllato sei ahi aggiornato. Ora ci vado. Grazie mille per la recensione, sul serio! A presto!

 

A voi, un bacio,
                      Panda.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10. ***


10.

 

~Then he attacks me like a leo, when my heart is split like Rio.
E poi lui mi attacca come un leone, mentre il mio cuore è diviso in due come il fiume Rio.~

 

 

 

Mugugnai quando, ripresi i sensi, sentii Ryan poggiarmi sul morbido materasso.
Mi voltai verso destra, affondando parte del viso nel cuscino. Mi sfilò i sandali, adagiando le mie gambe sul letto. Le sue mani mi carezzarono con delicatezza il viso e corrugai la fronte, aprii gli occhi e guardare la stanza immersa nella semioscurità, prima di spostare il mio sguardo sul suo viso.
«Mi dispiace…» dissi con voce roca e rotta.
«Non puoi continuare così, Helen.» mormorò premendomi il palmo della mano sulla guancia, e sedendosi sul bordo del letto.
«Lo so.»
«Forse… è meglio tornare a casa.»
Chiusi un attimo gli occhi, prima di riaprirli. «Non posso, Ryan. Non posso.»
«Sì, puoi.»
Scossi piano il capo e guardai  la luna attraverso il vetro della finestra.
Non potevo.
Abby… era la sorella mai avuta.
«Ne riparleremo domani, okay?»
Non risposi, mi limitai a fissare la luna con sguardo vacuo.
Lui sospirò. «Ora dormi.» mormorò baciandomi la fronte.
Alzai lo sguardo su di lui. «Tu rimani qui, vero?» chiesi con voce incrinata, mentre lo squarcio nel petto riprendeva a bruciare. «Tu non mi lascerai sola, vero? Me l’hai promesso.» soffiai mentre il mio respiro prese a farsi più frenetico, e l’aria cominciò a mancarmi.
«Ehi, ehi, ehi… ci sono. Non vado via. Sono qui.» mormorò carezzandomi con la meno il viso.
Annuii col capo, mentre gli occhi si velavano di mute lacrime.
Salì sul letto, posizionandosi alla mia sinistra. «Vieni qui.» disse facendo passare un braccio attorno alla mie spalle e permettendomi di posare il viso sul suo petto. Bagnai la sua t-shirt con alcune lacrime che sfuggirono al mio controllo.
«Ti voglio bene.»
«Te ne voglio anch’io, Helen.» mormorò prima che chiudessi gli occhi e, sotto il suo tocco leggero, con la sua mano che carezzava con dolcezza i miei capelli, mi addormentai.


La mattina seguente, quando aprii gli occhi infastidita dalla luce del sole, i ricordi riaffiorarono con estrema chiarezza e sofferenza, e si aggiravano nella mia testa come auto da corsa, facendomela pulsare di dolore.
Mugugnai e, passandomi una mano sul viso, mi misi a sedere. Sobbalzai e tramai quando notai la figura di Ryan sulla sedia.
«Scusa, non volevo spaventarti.» sorrise. Era seduto, con i gomiti poggiati sulle ginocchio.
Scossi il capo. «Tranquillo. Che ci fai qui?» chiesi corrugando la fronte.
«Beh… ho detto che non ti avrei lasciata. E non mi sembrava il caso sparire.»
Sorrisi, passandomi le mani fra i capelli. «Grazie.» mormorai avvampando di rossore. «Di tutto.»
Lui agitò una mano in aria, come a sminuire le mie parole.
«Come hai fatto ed entrare?» chiesi inclinando il capo e incrociando le gambe. Solo allora mi resi conto di essere ancora vestita.
«Cosa?» chiese corrugando la fronte.
«Ti sei cambiato.»
«Oh, sì, beh…», si passò una mano fra i corti capelli, «ti ho rubato la carta magnetica.»
Feci un risolino. «Bene. Ladro.»
«Potrai mai perdonarmi?» chiese con fare innocente.
Risi. «Solo per questa volta.»
Sospirai e scesi dal letto, sgranchendomi. «Ho la testa che mi scoppia.» mormorai prendendomela fra le mani.
«Hai un’aspirina?»
«Sì.» dissi abbozzando un sorriso e avvicinandomi all’armadio, situato alla sinistra della sedia su cui Ryan era seduto.
Afferrai una gonna corta ed una canotta, prima di voltarmi verso Ryan. «Devo prendere il costume?» chiesi corrugando la fronte.
Fece spallucce. «Dipende da te. Cosa ti va di fare, oggi?» chiese.
I miei occhi indugiarono nei suoi, poi chinai il capo. «Non mi va di stare… non voglio vederli, Ryan.» mormorai portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Okay. Allora, metti il costume, cambieremo spiaggia.» disse alzandosi.
M’accigliai. «Cosa?»
«Cambiamo spiaggia, semplice.»
«Non possiamo.»
«Perché?»
«Oggi c’è la visita all’isolotto.»
Schioccò la lingua. «Già. Beh, non ci andiamo.»
Inclinai il capo, guardandola seria. «E’ già tutto prenotato. Anche il ristorante. Ci uccideranno, lo sai.»
Sbuffò. «Sicura di… potercela fare?»
Deglutii a fatica. «Certo che posso farcela. Ci sei tu.» dissi circondandogli l’addome con le braccia  e posando il viso sul suo petto. «E poi manca poco alla partenza. Posso sopravvivere per due giorni.» mentii col sorriso.
«Ho i miei dubbi.» sbuffò.
Ignorai il gonfiore alla gola. «E poi lì possiamo fare altro, lo sai. Possiamo provare a pescare squali. Dicono che sia divertente.» mi allontanai dirigendomi verso il bagno.
Sospirò. «Certo! E magari possiamo anche compare un acquario gigante dove poter mettere ciò che pescheremo. Non credo occuperebbe molto spazio. Ma dico, sei impazzita Helen? Di quale parte del tuo strambo cervello è frutto questa baggianata?»
«Preferisci una balena?» chiesi alzando un sopracciglio e sporgendomi solo col busto oltre la soglia della porta.
«Un’orca.» rispose serio.
«Questo è lo spirito giusto, Ryan.» sorrisi prima di fargli al linguaccia.
«Okay. Ma sia ben chiaro… al minimo allarme io ti riporto qui, anche a nuoto se necessario.»
Accennai un sorriso, scuotendo il capo. «Okay. Ma ci penserà Jimmy a riportarci a riva.»
«Jimmy?» chiese lui incredulo.
«Sì, Jimmy! L’orca che pescheremo!»
«Tu hai bisogno di uno psichiatra!» esclamò con enfasi.
«Nah!» ridacchiai prima di bagnarmi il viso. «Sono convinta di no.»
«Io sono convinto di sì.», rise, «Ci vediamo di sotto.» disse dirigendosi verso la porta.
«Ehi, un attimo. Che ora?»
«Le nove. Faremo colazione al bar, da soli.»
Sorrisi. «Grazie.» mormorai.
«Cerca di non tardare o perderemo il traghetto.»
«Ryan?» chiesi prima che uscisse.
«Chi sa di…»
«Solo Ian.»
Sopirai. «Okay. A dopo.»
Ryan mi strizzò un occhio, prima di chiudersi la porta alle spalle.
Aprii il rubinetto della doccia, ed attesi che l’acqua s’intiepidisse. Per alcuni istanti rimasi a guardare la mia immagine riflessa nello specchio: i capelli annodati, la pelle di un leggero olivastro, gli occhi neri, stanchi e malinconici.
Ero giunta al limite. Ero giunta all’orlo di quel burrone che l’amore viscerale per lui aveva scavato. Avevo lasciato che tutto fuoriuscisse ancora, che… Ian mi vedessi in quello stato. Ero stata stupida, tanto stupida, ma avevo taciuto troppo a lungo e la sofferenza, la malinconia accumulate avevo giocato un brutto scherzo ai miei poveri nervi. Avrei voluto piangere, ancora, ma le lacrime parvero essere quasi finite. Non avevo nemmeno le forze per raccogliere quelle piccole goccioline salate che mi erano rimaste da versare.
Sospirai e mi spogliai lasciando cadere i vestiti sul pavimento, prima di lasciare che il getto d’acqua si scagliasse contro la mia schiena, rilassandomi, lasciando che i pensieri scivolassero con esso.
Cercai di non pensare ad Ian, soprattutto cercai di convincermi che non mi avrebbe fatto domande sulla sera prima. Ma sapevo che non sarebbe stato così.


Mi avvicinai alla ringhiera del traghetto, poggiandoci sopra le mani ed osservando i raggi del sole giocare e riflettersi sulle increspature dell’acqua cristallina. Potevo udire lo stridio dei gabbiani, in sottofondo al mormorio insistente delle persone, lì, a prua.
Il vento mi scompigliava i capelli che frustavano sul mio viso e ringraziai gli occhiali da sole che mi proteggevano da essi. Mi voltai, poggiando il fianco sinistro sulla ringhiera ed osservando l’isolotto non molto distante. Eravamo quasi arrivati.
Mi ero allontanata dal resto del gruppo con la scusa di voler ammirare al meglio il panorama, ma in realtà volevo solo allontanarmi da lei… da lui, dalle loro mani intrecciate e dai loro visi troppo vicini.
Lasciai che il vento mi carezzasse il viso, e lasciai che la mia mente si perdesse nella vista che mi si prostrava davanti, il mare cristallino che si stagliava sotto un cielo limpido e chiaro come poche volte, in vita mia, avevo visto.
Mi passai una mano fra i capelli cercando di tenerli a bada, mentre violenti mi frustavano sulle guance.
Fu in quel momento che ebbi un tuffo al cuore.
Non lo sentii arrivare, lo notai solo quando si posizionò di fronte e me, poggiando la schiena sulla ringhiera ed incrociando le braccia al petto.
Il mio stomaco di contorse, arrotolandosi su se stesso, mentre chiudevo piano le palpebre cercando di racimolare quelle briciole di autocontrollo che mi erano rimaste.
«Ciao.» disse con tono grave, voltandosi a guardarmi con espressione seria.
«Ciao.» mormorai aprendo gli occhi, grata agli occhiali da sole che mi nascondevano.
I suoi occhi indugiarono sul mio viso per alcuni istanti, prima di tornare  a guardare dinanzi a sé.
«Cosa c’è, Ian?» chiesi, sospirando, quasi rassegnata al pensiero di quelle mute domande che certamente gli vorticavano in testa.
«Quando avrei intenzione di spiegarmi cosa succede, Helen?» chiese voltandosi e guardandomi con sguardo duro. I suoi occhi parvero iceberg.
Chinai il capo, sospirando e girandomi totalmente verso la ringhiera, poggiando le mani sulla ringhiera.
«Ad una domanda non si risponde con una domanda.» dissi guardando un gabbiano scendere in picchiata nell’acqua.
«Dacci un taglio, Helen.» sbottò.
Chiusi un attimo gli occhi prima di voltarmi verso lui. «Cosa vuoi che ti dica? Eh? Che tutto va bene?» e fu allora che non riuscii a fermare la valanga di parole. «Credi che la mi vita sia rose e fiori, come per te e Abby? Ti sembra che sprizzi felicità? Bene, Ian, ti sbagli di grosso.» sputai con cattiveria. «Nulla è okay! Nulla!»
Nei suoi occhi guizzò tristezza ed aprii la bocca per parlare, ma lo zittì.
«E poi smetterla di fingerti di preoccuparti.» mormorai con voce incrinata, mentre in rancore causato dall’amore che mi legava a lui, rancore verso me stessa, si faceva avanti divorandomi lo stomaco.
Scossi il capo e mi voltai, con l’intenzione di andarmene, ma lui mi afferrò il polso, costringendomi a voltarmi e a guardarlo in volto.
«Credi stia fingendo?» chiese, e nei suoi occhi potei intravedere una traccia di rabbia.
Voltai il capo, liberandomi dalla sua presa.
«Rispondi, Helen. Credi stia fingendo? Credi finga quando dico che mi preoccupo per te?» chiese con voce bassa e roca, tagliente.
Sentii una stretta al cuore, mentre il mio animo piangeva. Sapevo che ciò che stavo per dire era sbagliato, che non avrei dovuto parlare, tacere ed andare via. Ma non potevo continuare così, stargli accanto era una continua sofferenza, aumentata dalla consapevolezza che non sarebbe mai stato mio, che amava mia cugina, che lei era lì con lui, per lui.
Era giunto i momento di dire basta, dare un taglio a quel mio costante desiderio di volerlo sfiorare.
Osservai, per attimi infiniti, il suo viso. La linea della mandibola, le labbra rosse, il naso dritto, i capelli corvini che leggeri li carezzavano la fronte, le lunga ciglia nere che facevano da sipario ad occhi color del cielo, dell’acqua marina a riva,
«Sì.»  mormorai.
Lui spalancò gli occhi, dischiudendo appena le labbra, sorpreso.
E qualcosa, nel mio animo, si ruppe con lo stesso rumore di una vaso di porcellana che si schianta sul pavimento. Poi i suoi occhi tornarono seri e della rabbia, dell’odio, guizzò sul suo viso.
«Bene.» ringhiò. «E ciò che pensi?»
Deglutii rumorosamente e sperai che non si accorgesse dell’incertezza della mia voce. «Sì.»
«Sai cosa ti dico, Helen? Non hai mai capito nulla. Non hai mai capito ciò che è evidente. Mai. E’ reale, tutto.» sibilò con rabbia.
Sentii gli occhi inumidirsi di lacrime e la gola gonfiarsi. Avrei voluto prendergli il viso fra le mani, e mormorare ciò che il mio cuore cantava… ma non potevo. Non avrei mai potuto farlo.
Dischiusi la bocca per parlare, ma solo allora mi resi conto che, in realtà, non avevo nulla da dire.
Lui scosse il capo, corrugando la fronte  mentre sul suo viso si dipingeva un’espressione tra la delusione e la rabbia. Scosse il capo, guardandomi con disprezzo e mi superò, sfiorando la mia spalla con la sua, lasciandomi, lì, sola.
Ian…
Lasciai che le lacrime mi bagnassero il viso mentre il mio sguardo si perdeva verso l’orizzonte ed il cuore mi si stingeva in una dolorosa morsa.
Era la scelta giusta, quella, ma… in fondo, non ci credevo nemmeno io.
E nulla sarebbe tornato come prima.


«Ehi, tutto okay?» mi sussurrò all’orecchio Ryan, facendomi sobbalzare.
Mi voltai e sorrisi, ancora poggiata a quella ringhiera.
«No.» sospirai portandomi una ciocca di capelli castani dietro un orecchio.
«L’ho immaginato quando ho visto arrivare Ian.»
Tornai a guarda il mare, sorridendo flebilmente. «Gli ho detto che… che deve smetterla di fingere di preoccuparsi per me.»
«Credi davvero finga?»
«Non lo so, Ryan… non lo so. Ma… non ha senso pensarci. Con lui non ho futuro e presto tutto questo finirà.»
«Perché non sei andata via prima?» chiese sfiorandomi il braccio con le dita.
«Per Abby. Partirà e… aveva da tempo pianificato questa vacanza. Insomma, è da quando siamo piccole che parla dei Caraibi, Ryan.»
Lui sospirò, passandomi una mano sul capo e voltandosi verso il mare. «Vieni qui, piccola.» mormorò circondandomi le spalle con un braccio e avvicinandomi a sé.
«Passerà.» aggiunse. «Bisogna solo aspettare.»
«Credi che il tempo guarisca ogni ferita?» chiesi alzando il capo ed osservandolo.
Il suoi occhi erano fissi sul mare, dietro la scure lenti degli occhiali da sole. «No, Helen, non lo credo. Le ferite non guariscono mai del tutto. Vengono solo… lenite. Prendi le cicatrici sulla pelle. Loro ci saranno sempre. Sono parte di te. Lui, è parte di te, Helen. Ciò non vuol dire che non ti libererai mai di lui, che non riuscirai ad andare avanti.»
«E’ il pensiero più contorto che abbia mai sentito.» osservai corrugando la fronte.
«No, in realtà no.» mormorò in un risolino, prima di baciarmi la fronte.
«Sì, invece. Vuoi dire che sarò per sempre tormentata?» chiesi.
«No, non dico questo. Intendo dire che lui rimarrà per sempre parte di te, del tuo passato. Quando una persona ti sconvolge la vita, l’anima, non puoi dimenticarla. La ricorderai per sempre, anche se vi sarà odio e non più amore.»
Feci un respiro profondo, tremando, poi circondai il suo addome con le braccia, affondando il viso nel suo petto.
«Vorrei odiarlo, Ryan.» sussurrai.
«Lo so, Helen. Si vuol sempre odiare chi si ama così tanto.»
«Perché devi avere sempre ragione?» mugugnai in una smorfia alzando il capo.
Rise. «Dote naturale.»
Sorrisi e gli baciai una guancia, alzandomi in punta di piedi. «Grazie.» mormorai.
«Non si può abbandonare una damigella in pericolo, cara.»
Feci un risolino, mentre il traghetto si avvicinava alla riva.
«Credo sia giunto il momento di andare.» dissi in un sospiro, allontanandomi da lui.
«Già.»
Sorrisi e mi voltai, mentre lui mi circondava le spalle con un braccio e fu allora che incontrai il suo sguardo.
Immobile dall’altro lato del traghetto Ian ci fissava, con le mani inerti lungo i fianchi. Un brivido mi percosse la schiena, facendomi tremare.
E sperai con tutta me stessa che l’espressione che mi parve intravedere sul suo viso, fosse di odio. Ma, in fondo, era ciò che volevo. Se lui mi odiasse… sarebbe stato tutto più facile.
Sì, in quel momento di una cosa ero certa: ero patetica, molto patetica.

«Cosa c’è tra te e Ryan?»
«Nulla, Abby.» mormorai quando scendemmo dal traghetto e ci incamminammo verso la spiaggia.
«Certo… ed io non ci credo.» disse sorridendomi.
Feci spallucce, portandomi il capello di paglia sul capo. «Beh, credici.»
«Dai, Helen, sono tua cugina. A me puoi dirlo.» sussurrò dandomi una leggere gomitata scherzosa.
Mi voltai, sbuffando. «Credimi, Abby. Fra me e lui non c’è nulla. Se fosse il contrario, te lo avrei detto.»
Sospirò. «Okay… ma non ci credo molto.»
«Diamine, Abby!» risi con leggera isteria nella voce.
Lei fece spallucce ed indicò Ryan con un movimento del capo. Camminava a pochi metri da noi, parlando con Ian,.
«Dai, è fantastico.» disse in un risolino.
«Sto perdendo la pazienza.»
Sbuffò. «Quanto siamo intolleranti oggi.» sbottò. «Bene, andrò dal mio Ian.»
Nell’udire mio chiusi gli occhi, trattenendo quasi il respiro. Ancora il mio cuore singhiozzò agonizzante.
Mi sorrise e saltellando, facendo oscillare i capelli biondi, si avvicinò a lui, circondandogli l’addome con le braccia. Lui si voltò e le sorrise, prima di posare una fugace occhiata sul mio volto.
Sussultai, prima di scostare lo sguardo da quella crudele scena, carica di tenerezza ed amore. Ma ciò che vidi in quel momento non era di certo tanto migliore. Jared che parlava con Anthony, bacio fugacemente le labbra di Shelly.
Feci una smorfia di dolore, prima di incontrare lo sguardo di Shelly, che arrossì.
Sorrisi. «Quindi è ufficiale?»
Jared si voltò, sorridente. «Sì.» disse. «Ti sei persa una serie di battute e considerazioni sul traghetto.»
«Sono contenta per voi.» dissi avvicinandomi appena.
«Hai saputo quindi?» chiese Ryan, affianco a me.
Mi voltai sobbalzando. «La vuoi smettere?» ridacchiai.
«Di far cosa?» chiese lui confuso.
«Di sbucare dal nulla. E’ inquietante, sai?»
Rise. «Okay, me ne ricorderò.»
Mi appesi al suo braccio, facendo un risolino, prima di tornare eretta.
Quando voltai il capo verso gli altri mi accorsi che tre paia di occhi si fissavano incuriositi e quasi confusi.
Sbuffai. «Andiamo Ryan, loro con comprendono la nostra amicizia.» dissi con fare teatrale spingendolo di lato, facendoli ridere. Poi afferrandolo per un braccio, lo costrinsi ad avvicinarsi con me agli altri.
«Mi fai sentire un giocattolo.» rise Ryan.
«Perché lo sei.»
»Oh, molto confortante. E gentile da parte tue, Helen.»
Risi. «Sai che non è vero.»
Roteò gli occhi, scuotendo appena il capo. Mi circondò il collo con un braccio, sfilandomi il capello e scompigliandomi i capelli.
«Ehi!» lo rimproverai e, quando mi lasciò andare, incontrai due occhi chiari come il ghiaccio che mi scrutavano freddi e taglienti.
«Stai bene, tesoro?» chiese Abby, carezzandogli la mandibola, mentre aspettavano che li raggiungessimo.
«Sì, sto bene.» mormorò prima di guardare Ryan.
E avrei voluto leggere l’espressione del suo viso, capire cosa stesse provando e convincermi che, a dipingere quell’espressione su suo viso non fosse… l’irritazione.

 

*

Bene, eccomi ancora qui. Purtroppo non ho molto tempo e mi scuso se non riesco a ringraziarvi tutte a dovere.
Allora… in questo capitolo ho cercato di essere più leggera, anche se il taglio della storia è ormai malinconico. Nel prossimo capitolo… beh, ci sarà una svolta –se così può essere chiamata- che cambierà un po’ di cose. Ovviamente non vi anticipo nulla.
Spero di non avervi eccessivamente annoiate.

Perciò grazie di cuore a:
Nessie93, Bauci_Svelvi, Shadows_Soul, C r i s, Londoner, Angyr88, __Claire__, Piccola Ketty, mividam, uley, skricciola 95, gufetta_95, Gio26.

Grazie di cuore, davvero.


A voi, con affetto,
                          Panda.


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Capitolo 11
*** Capitolo 11. ***


11.



 

 

~Cast your eye tears on to me and I'll show you what you really need.
Gettami addosso le tue lacrime e ti mostrerò ciò di cui hai veramente bisogno.~



 

Il sole si avvicinava piano alla linea dell’orizzonte gettando luci arancioni sul mare tranquillo, giocando con le increspature dell’acqua.
Sospirai, mentre prendevo la mia roba e mi infilavo la maglietta. A pochi metri da me Ian stringeva Abby e Jared, Shelly. Accanto a me Anthony e Ryan scherzavano, recuperando le loro magliette.
Scostai lo sguardo, concentrandolo sui due ragazzi.
«Non so voi, ma io sono stanchissima.» sospirai.
«Lo siamo un po’ tutti, Helen.» ridacchio Anthony.
«Non avevo dubbi.» risposi, cercando di nascondere, con una maschera, la mia espressione di amara malinconia. Ryan parve accorgersene. Mi carezzò i capelli, con un gesto veloce e comprensivo.
«Guardateli, lì, tutti innamorati. Ed io ancora single. Non è possibile. Sono io il playboy.» sbuffò afferrando lo zaino.
Ryan lo guardò corrugando la fronte. «Non sono playboy, infatti.»
«Dettagli.» lo zittì lui con un gesto della mano.
Sorrisi, mentre lottavo contro l’impulso di gridare ad Ian ed Abby di staccarsi, di risparmiarmi quell’atroce agonia.
Deglutii rumorosamente cercando di non lasciarmi andare ad un momento di forte isteria, di pianto, come la sera precedente.
«Ehi, Helen, tutto okay?» mi domandò Anthony corrugando la fronte e chinandosi appena per potermi guardare bene in volto. «Non hai una bella cera.»
Mi sforzai di sorridere, mentre il mio stomaco sobbalzava. «Te l’ho detto, sono stanca.»
«Ci converrà andare, o perderemo il traghetto.» disse Jared alzando la voce di un’ottava affinché lo sentissimo.
«Okay!» rispose Anthony andandogli incontro.
«Te lo si legge in faccia. Come diavolo non fa ad accorgersene?» sbuffò d’irritazione guardando un punto oltre le mie spalle.
«Chi?»
«Sai di chi parlo.»
«Credimi, Ryan, è meglio così.» abbozzai un sorriso, mentre afferravo la mia borsa.
«Non ne sono molto convinto.»
Scossi il capo. «Non ne voglio parlare. Dai, andiamo.» dissi facendogli segno, col capo, di seguirmi, ma non calcolai che, dietro me, c’era lui.
Il mio sguardo incontro ancora una volta il suo, gracile e tagliente come il ghiaccio, duro come l’acciaio. Troppe volte durante l’arco di quella giornata avevo incontrato il suo sguardo ed ogni volta che le sue dita s’intrecciavano a quelle di Abby, o le loro labbra si incontravano, anche solo per brevi attimi, la ferita invisibile, al centro del mio petto, prendeva a pulsare di dolore. Nonostante fosse passato un anno, non ero ancora riuscita ad abituarmi, in fondo, non ci sarei riuscita mai.
Il mio cuore sussultò ed emisi un singulto che cercai di nascondere chinando il capo, guardando la sabbia chiara. A lenire la sofferenza fu la mano si Ryan, che si posò sulla mai schiena, quasi a volermi ricordare che era lì, che non sarebbe andato via, che non ero da sola ad affrontare quella sofferente situazione. E gli fui grata, ancora una volta, per tutto quella che stava facendo.
Alzai il capo e gli sorrisi flebilmente.
Quando voltai il capo, Ian si era già allontanato seguito da Abby.
Faceva male, ma non potevo far nulla. Tre giorni, solo tre giorni. Avevo resistito per una settimana e mezza e, di certo, potevo farcela. In fondo, non avevo alternativa.
Così, ci incamminammo verso il traghetto, fra chiacchiere e sbadigli. Cercavo di ridere alla battute e di partecipare passivamente alla conversazione con Jared e Ryan. La situazione sul traghetto non era di certo migliore. Me ne stavo in disparte, mentre cercavo di non incrociare lo sguardo di Ian , di non guardare lui e mia cugina stretti l’uno all’altra. Incapace di reggere la situazione, mi alzai e, scusandomi mi allontanai, affacciandomi alla ringhiera, per osservare il mare, il cielo rosa, colorato dai raggi del sole oramai tramontato.
«Bello, eh?»
Mi voltai verso Jared, sorridendo. «Da mozzare il fiato.»
«E’ stata una bella giornata… anche se non hai parlato molto.»
Chinai il capo, passandomi una mano fra i capelli. «Stanchezza. Non riesco a dormire molto.»
«Perché?» chiesi inclinando il capo.
«Non lo so. Credo dipenda dalla camera. Insomma… non è casa mia.» mentii sforzandomi di sorridere.
S’accigliò appena. «Waw.»
«Già.»
Per attimo tra noi calò il silenzio, rotto da Jared. «Perché avete litigato?»
Mi voltai di scatto, aggrottando le sopracciglia. «Scusa?» chiesi, mentre l’ansia s’impossessava piano di me.
«Tu ed Ian. E’ evidente, sai? Abby, non riesce a cavargli parole di bocca.»
«No, non abbiamo discusso.» risposi con voce atona.
«Uhm.»
«Perché me l’hai detto?» chiesi voltandomi a guardarlo.
«Per metterti in guardia, credo. Abby ti tormenterà, credo.»
Sospirai, passandomi le mani sul viso e poggiando poi i gomiti sulla ringhiera, tenendomi il capo. «Odio il terzo grado.» sibilai.
«Lo so. Per questo ti ho messa in guardia.» ridacchiò.
Sospirai, prima di mettermi eretta.
«Mi spiace di essere assente, Jared.» mormorai dopo un po’.
Lui schioccò la lingua. «Capita a tutti di avere giornate no, Helen. Sta tranquilla e fa solo ciò che senti di fare.»
Mi voltai a guardarlo e gli sorrisi. «Okay.»
Se avessi fatto che  mi gridava il mio cuore, ciò che urlava da tempo avrei rovinato tutto, e non poteva accadere. Non avrei mai potuto.
«Torno da Shelly.» sorrise strizzandomi un occhio. «Grazie per tutto, Helen.»
«Non ho fatto nulla.» risposi mentre si allontanava camminando indietro.
«Invece sì. Fai sempre tanto per tutti e poco per te stessa.»
Feci spallucce. «Va da lei, Jared.» sorrisi portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
E , sorridendo, si allontanò.


Quando fummo all’entrata dell’albergo, Abby si voltò richiamando la nostra attenzione.
«Bene, ragazzi. Fra un’ora tutti qui. Okay? Festa in un locale. Ci sarà da divertirsi.» disse in un gridolino, battendo le mani.
Ian, la superò, dirigendosi silenzioso, all’interno dell’albergo.
«Ehi, aspettami!» urlò lei, ma Ian l’ignorò. Per alcuni istanti l’osservò allontanarsi, prima di rivolgersi a noi, sforzandosi di sorridere.
«Puntuali.» disse seria.
«Okay, okay.» sospirò Anthony prima di dirigersi all’interno dell’albergo affiancato dagli altri. Feci spallucce, quando incontrai lo sguardo di mia cugina; prima di seguire gli altri lei mi afferrò per un polso, costringendomi a seguirla. «Eh, no, signorina. Tu vieni con me.» disse.
Deglutii, mentre la paura mi pervase.
Che avesse capito?
Avanzò sul viottolo al lato della struttura, prima di fermarsi e voltarsi. «Cosa sta succedendo?» chiese incrociando le braccia al petto.
Corrugai la fronte. «Di cosa parli?»
«Di Ian. Avete litigato, vero? Non vi siete rivolti la parola e non ha parlato per nulla. E’ scostante. Ed eviti di guardarmi. Perciò, pretendo spiegazioni.»
Mi accigliai appena, sorpresa dal suo atteggiamento spavaldo. «Io ed Ian, non abbiamo litigato. E non ti evito. Ho altro a cui pensare, Abby. Fidati.»
Lei mi guardo, per attimi infiniti, prima di rilassarsi. «Se qualcosa non andasse, me lo diresti?» chiese.
«Sì.» mentii sospirando.
«Okay. Pensi ancora a quel tipo? Gerome?»
Mi mossi nervosa sul posto, desiderosa solo di andare via. «Sì.» menti ancora una volta, spudoratamente.
«Oh… Helen… perdonami. Mi spiace così tanto.» mormorò gettandomi la braccia al collo e stringendomi a sé. «Perdonami.»
«Tranquilla, Abby.» mormorai carezzandogli la schiena. «E’ che le cose non vanno molto. Con Ian è tutto così confuso e s’infastidisce facilmente.» mormorò allontanandosi.
Mi passai una mano fra i capelli nervosa, mentre il cuore batteva agonizzante. Non, non potevo udire un suo sfogo.
«Ne parliamo dopo, okay?» dissi, conscia che quel momento non sarebbe mai arrivato. «Ora andiamo a prepararci.» le sorrisi cercando di nascondere il dolore in cui il mio animo annegava.
«Okay.» sorrisi, grata che Abby avesse creduto ad ogni mia singola parola.


La serata procedeva lenta, fra un cocktail ed una birra. Osservavo Abby scatenarsi in pista con Shelly, e Anthony baciare una ragazza.
Ian seduto al mio stesso tavolino, parlava con Ryan -accomodatosi accanto a me- e Jared, ignorandomi del tutto.
In mano stringevo un Margaritas, che sorseggiavo di tanto in tanto, fra uno sbadiglio e l’altro.
Indossavo una gonna corta ed una canotta di cotone rosso, che mi aderiva alla pelle. La gambe scoperte sudavano a contatto con la plastica trasparente delle sedie. Bevvi d’un fiato ci che rimaneva nel mio bicchiere, prima di Abby e Shelly si dirigessero verso di noi, barcollando.
«Amore,» esordì Abby sedendosi sulla gambe di Ian, «perché non vieni a ballare con me?»
«Fantastico.» mormorò Ian trattenendola per i fianchi. «Non credo sia una buona idea.»
«Dai,» lo pregò lei baciandogli il viso.
Scostai il capo, insofferente.
Shelly, accanto a me, rise.
«Meraviglioso. Ubriache.» sbuffò Jared, cercando di trattenere Shelly e di non farla cadere.
«Forse è meglio andare.» suggerì Ryan alzandosi dalla sedia.
«Sì, lo credo anch’io. E poi sono distrutta.» dissi alzandomi con lui.
«Avviso Anthony.»
«Ma io mi sto divertendo. Dai, Ian, non andiamo via.» si lamentò Abby.
«Andiamo, dai.» disse lui circondandole i fianchi con un braccio e  trascinandola fuori dal locale sulla spiaggia, seguito da Jared.
Mi voltai, cercando con lo sguardo, Ryan. Lo vidi venirmi incontro. «Anthony resta ancora un po’.» disse roteando gli occhi.
Sorrisi flebilmente, prima che i battiti del mio cuore aumentassero e il respiro di facesse sempre più corto.
Ryan spalancò gli occhi. «Ehi, Helen! Cosa succede?» chiese prendendomi il viso fra le mani e costringendomi a guardarlo negli occhi.
«Non ce la faccio, Ryan.» gemetti mentre mi scostava i capelli dal viso.
«Vieni, usciamo di qui.» disse conducendomi verso l’uscita.
«Non ce la faccio.» gemetti ancora.
«Ehi, ehi, piccola, calmati. Sì, ce la fai. Lo so, ne sono sicuro. Sei Helen, per l’amor del cielo!»
Gli occhi mi si velarono di lacrime, ma sbattei ripetutamente le lacrime, ricacciandole indietro Affondai il viso nel suo petto.
«Perché non mi ha aspettata, Ryan? Perché mia cugina?» gemetti.
«Perché certe cose non si possono programmare, piccola.» mormorò al mio orecchio, prima di baciarmi il capo. «E non siamo noi a decidere di chi innamorarci.» disse aumentando la stretta.
«Perché non riesco ad odiarlo, Ryan?», disperata alzando il capo.
Sorrise, carezzandomi il viso. «Perché lo ami, e non puoi farci nulla.»


«Grazie.» mormorai poggiandomi allo stipite della porta. «Sei il mio salvatore.»
Ryan schioccò la lingua. «Nah.» ridacchiò.
«Sul serio. Non so cosa sarebbe di me, ora.»
«Cerca di dormire, ora, Helen. Okay?» disse prendendomi il viso fra le mani e scostandomi i capelli che aderivano al collo umido.
«Okay.» sospirai, passandomi una mano sul viso e sorridendo.
«Buonanotte.» disse stringendomi a sé. «Ti voglio bene.»
«Te ne voglio anch’io, Ryan.» sussurrai baciandogli una guancia. «Buonanotte.»
Sorrise e si allontanò lungo il corridoi.
Chiusi la porta, prima di poggiarmi un attimo al legno chiaro, e sospirare, tremando.
Le lacrime mi avevo indebolita, come ogni volta e mi sentivo gli occhi gonfi per la stanchezza. La testa mi doleva e, cercando di evitare il ricordo del suo viso d’angelo mi diressi in bagno per un’aspirina e per bagnarmi il viso con dell’acqua. L’immagine riflessa nello specchio, quasi mi fece sobbalzare. Il trucco si era sciolto, cerchiandomi di nero gli occhi rossi. Presa un’aspirina, aprii l’acqua, lavandomi il viso, togliendo qualsiasi traccia di trucco dal viso.
Faceva male. Faceva male anche il solo pensiero di lui, il solo ricordo del suo viso, del suono della sua voce. Facevamo male persino respirare se lui non era lì. E mi odiavo per questo, per non riuscire a tenere a bada i miei sciocchi e stupidi sentimenti. Faceva male in pensiero di lui nella stessa stanza di mia cugina… nello stesso letto.
Mi strinsi con violenza il capo fra le mani, cercando di cancellare le crudeli immagini che si susseguirono nella mia mente. Gemetti e sbattei più volte il pugno contro il lavandino, mentre digrignavo i denti.
«Andate via, andate via.» continuai a ripetere mentre gli occhi mi si inumidivano di prepotenti lacrime, lacrime che sembravano essersi rigenerate per bussare ancora contro le mie palpebre.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta. Col respiro corto alzai lo sguardo, fissando la porta riflessa nello specchio del bagno.
Mi asciugai il viso con il dorso della mano e mi diressi verso la porta. «Chi è?» chiesi poggiando un palmo sul legno.
«Helen. Aprimi.»
Serrai gli occhi, lottando contro l’istinto di piangere e gridargli di andare.
«Cosa vuoi?» chiesi con voce rotta.
«Ti prego, Helen, aprimi.» e la sua voce era appena udibile.
Riaprii gli occhi, sbattendo la palpebre più volte, prima di afferrare la maniglia della porta ed aprire. Quando la spalancai i suoi occhi mi si rivelarono, brillando come il sole a mezzogiorno.
Aveva le mani poggiate ai lati della porta ed i sui occhi, sotto le folte ciglia scure, mi osservarono imperscrutabili. Corrugo la fronte, e si mise eretto.
«Posso entrare?» chiese.
«Non lo so.» risposi con tono duro.
«Helen…» mormorò e la sua voce si addolcì, sorprendendomi. Mi morsi il labbro inferiore, spostandomi di lato e permettendogli di entrare.
«Cosa ci fai qui?» chiesi incrociando le braccia al petto, osservandolo nella penombra della stazza illuminata dalla fioca luce della luna piena. Ian camminò per alcuni istanti per la stanca, facendomi innervosire.
«Ehi!» esclamai facendolo fermare. Lui si passò una mano fra i capelli neri, prima di raggiungermi con due lunghe falcate.
«Ora tu devi dirmi cosa ti succede.» mormorò con voce roca, prendendomi il viso fra le mani. «Perché, davvero, Helen, sto impazzendo.»
«Non ho nulla.» dissi cercando di liberarmi dalla sua presa ferrea, eppure delicata.
«No, non ci credo. Non ci credo.» disse scotendo il capo, alzando un sopracciglio.
«Devi crederci.»
«E’ per via di Ryan, o per Gerome?» chiese sprezzante.
M’accigliai, sentendo la rabbia salire. «Da quando t’importa, Ian? Eh? Spiegamelo, perché non capisco. Tu non sia niente né di Ryan, né di Lione.»
«Allora parlamene!» sbottò allargando la braccia prima di farle ricadere sui fianchi.
Fu allora che dissi cose che non pensavo. Mentii, ancora. «Mai pensato che io non voglia?» sibilai.
«Le cose allora cambiano, Helen.» mormorò e nei suoi occhi guizzò delusione, rammarico… dolore.
«Già.» mormorai con voce incrinata.
«Bene.» mormorò annuendo piano col capo, fissando, con la fronte corrugata, il pavimento. Mi superò dandomi una leggera spallata e facendomi perdere l’equilibrio.
Fu allora che mi voltai rossa in viso per la rabbia.
«Ma che problema hai?» ringhiai. Lui che aveva afferrato la maniglia, si voltò a guardarmi, con sguardo rabbioso e sorpreso.
«Che problema ho? Mi chiedi che problema ho, io?» ringhiò quasi sottovoce.
«Sì.» esclamai alzando le braccia, arrabbiata.
«Per l’amor del cielo, Helen, ti amo dalla bellezza di dieci anni!» esclamò allargando le braccia.
Quelle parole ebbero la potenza di una slavina, mi travolsero con una tale intensità da mozzami il fiato e farmi girare la testa. Un vortice d’emozioni s’abbatté sul mio animo, mentre dimenticavo chi fossi e come fissi arrivata lì.
No, era un sogno.
«Cos’hai detto?» chiesi con voce incrinata, tremando.
Lui voltò il capo prima di tornare a guardarmi ed avvicinarsi piano a me. «No ti ho mai dimenticata, Helen. Come potrei.» mormorò sfiorandomi con i polpastrelli la mandibola.
«Non prendermi in giro, Ian, ti prego.» gemetti mentre le lacrime cominciavano a solcami il viso.
«Non potrei mai, Helen.» mormorò poggiando la fronte sulla mia. «Non ti ho mai dimenticata. Non avrei mai potuto. Non ci sono riuscito in dieci anni, non potevo riuscirci in un anno.» gemette prendendomi il viso fra le mani.
Il suo respiro sul viso mi diede alla testa, facendo aumentare i battiti del mio cuore, che incespicò prima di intraprendere una folle corsa.
«Io… Abby… non si può…» balbettai, chiudendo gli occhi.
Lui si allontanò, lasciando andare la presa sul mio viso.  Aprii gli occhi, e lo vidi scuotere piano il capo, prima di voltarsi e dirigersi verso la porta. «Sai solo pensare a lei. Non ti è mai importato di cosa provassi io. Mi hai rifiutato come se non ci conoscessimo affatto. Hai gettato tutto. Te ne sei andata a Lione e ti sei innamorata.» disse con tormento.
«E’ per te!» esclamai con le lacrime a bagnarmi il viso.
«Cosa?»
«Ogni singola lacrima, ogni singolo dolore, ogni singola ansia… è per te, Ian. Perché non riesco a… vederti con lei. Perché non riesco a sopportare la vostra vista… perché fa male ogni volta che le vostre pelli si sfiorano. Dannazione, Ian! Scesi da quell’aereo con l’intenzione di dirti che mi sbagliavo… di dirti che ti amo! E non ho mai amato nessuno quanto amo te, dannazione! Non esiste nessun Gerome. Come hai fatto a non capirlo? Sono stata una sciocca, ho perso la mia occasione!» esclamai fra le lacrime.
I suoi occhi indugiarono nei miei in attimi infiniti, e trattenni il fiato.
Con grandi falcate Ian mi raggiunse e prendendomi il viso fra le mani, posò le sue labbra sulle mie. Ed ogni cosa fu come se tornasse al suo posto originario, come se ogni cose assumesse il proprio significato. Le sue labbra si mossero veloci e delicate sulle mie, mentre le sua mani prendevano confidenza con mio viso. E, fu strano, ma in quel momento la ferita parve sparire. I margini non pulsavano più di dolore, mi sentivo appagata, completa, mentre le sue labbra, fameliche, si muovevano sulle mie dandomi alla testa. Le fiamme lambivano il mio animo ed il mi cuore parve prendere fuoco. L’aria cominciò a scarseggiare e fui costretta ad allontanarmi dal suo viso, per respirare.
«Ian…» mormorai fremendo.
La sua lingua disegno i contorni delle mie labbra e tremai sotto il suo tocco leggero, mentre le sue braccia circondavano il mio addome.
«Sssh…» mormorò. Fu allora che, guardando i suoi occhi ardenti, catturai le sue labbra fra le mie, baciandole. Le sue mani si mossero veloci sotto il cotone che mi avvolgeva il busto e carezzarono le mie palle accaldata, che parve all’istante prendere fuoco, assieme alle mie labbra. Piano avanzò conducendomi sul letto. Caddi sul materasso. Sentii il suo corpo aderire completamente al mio, come fossero fatti per essere incastrati l’uno con l’altro. Le sue mani veloci ed audaci mi sfilarono la canotta, e le sue labbra abbandonarono le mie per baciare la pelle del mio viso, del collo, del ventre, lasciando dietro esse una scia di lava bollente ed una mappa fatta di sospiri.
Il mio cuore palpitò, battendo tanto velocemente da far invidia ad un colibrì. Incespicò e non potei controllare i miei respiri corti, il muovesi velocemente del mio petto.
Ogni fibra del mio essere, in quel momento, era proiettava verso lui, verso la sua pelle calda, le sue labbra, i suoi occhi, il suo animo.
Gli sfilai la maglia, carezzandogli la pelle morbida e liscia della schiena, i muscoli affusolati a definiti delle braccia, del petto. Gli presi il viso fra la mani, avvicinando le mie labbra alla sue.
Le sue mani giocavano sulle mie gambe, prima di rincorrere le mie sulla lenzuola fresche. Mentre le sue labbra sfioravano la pelle del mio collo, le sue dita s’incrociarono alle mie.
Era sbagliato, il mio inconscio non faceva che gridarmelo, ma in quel memento, decisi di farmi guidare dall’amore e dalla passione. In quel momento, c’eravamo noi, i nostri animi ed i nostri corpi nudi. E nulla più contava.
Mi lasciai andare alle fiamme e, nel silenzio della notte, fra gemiti e sospiri, fra parole d’amore e di tristezza… ci amammo.

 

*

Ringraziamenti.

Piccola Ketty:
ehi, ciao. :) alla fine sono riuscita a postare e sono contenta di non averti deluso… con questa storia. Per me, è importante, lo sai. Già, si amano… eppure le cose vanno diversamente. Ryan, amico come sempre, ha aiutato Ryan. Per è questo che gli amici fanno, si aiutano nei momenti difficili… ma adesso sto divagando. Ti ringrazio per la bellissima recensione. Come al solito mi sono commossa. Non sono io a rendere speciale il tutto, sei tu che lo vivi in modo… amplificato. E’ tutto personale. Sei tu a dargli valore, in questo caso. Grazie di cuore.
__Claire__: ciao! Sono contenta di non averti annoiata, davvero! Spero tu, ora, abbia compreso un po’ Ian, e spero non ti sia dispiaciuto lo svolgimento del capitolo. Spero ci sia stato un po’ di effetto sorpreso, malamente scritto. Grazie, ovviamente, per la bellissima recensione. A presto!
Londoner: ciao, Fè! *-* sono contenta ti sia piaciuto il capitolo, davvero! Ricevere al tua recensione mi ha reso felicissima. Spero di non averti annoiata con questo, in tal caso, lo sai, puoi dirmelo. A presto!
Bauci_Selvi: ehi, ciao! Allora, che dire… sono contenta tu sia sincera, è giusto così. Mettere una svolta, subito, non mi pareva il caso, mi sembrava forzato. La storia l’ho immaginata così. :) poi, il tempo narrato ricopre pochissimi giorni, e quindi vi è un rallentamento della narrazione. Tutto qui. Ho scritto semplicemente ciò che ho immaginato.
Lola_: ciao! Ed ecco la “svolta”, spero solo di non averti delusa. Sono contenta ti siano piaciuto i capitoli scorsi! *-* leggere le tue recensioni mi ha reso felicissima! Possiamo dire che non ci ha preso molto nell’ultima recensione XD Grazie mille per la fiducia… sperando di non averla persa. A presto!
uley: ciao! Alla fine sono riuscita a postare! Eh sì, Ian si sta scoprendo. Ryan è il migliore amico di Helen, in questo caso. Se non fosse per lui avrebbe già dato di matto da tempo, direi. Sono contentissima ti non averti annoiata, davvero! Per me importante. E spero di non averti delusa con questo.  A presto, cara!
Nessie93: ciao, Chià. :) sono contenta ti sia piaciuto l’ultimo capitolo. Desiderai ancora che gli alieni rapiscano Ian? XD sull’isola ci sono stati solo un giorno, non due. Ryan un genio? *-* sono felice di sapere che lo pensi, davvero. Spero di non averti annoiata con questo… anche se, conoscendoti, non credo. A presto!
Gio26: ciao! Tutti i giorni controllavi? Okay, comincio a gongolare *-* sono contenta ti piaccia, davvero! Sono contenta sia il tuo genere… cerco di inserire sia la serietà che il gioco. La storia è incentrata su lei che soffre per via di Ian. Ora, le cose cambiano un po’.  Spero di non averti annoiata. E poi, mi sopravvaluti, sul serio. Grazie di cuore per la splendida recensione! Grazie davvero!
ever: ciao! Oh, sono contenta di sapere che ti piaccia. Mi ha  fatto molto piacere ricevere un tuo parere. Sì, la situazione non è delle migliore e, più o meno, ognuna l’ha vissuta in una minima parte. Non è di certo il massimo come situazione. Grazie di cuore per i complimenti, mi sono sciolta *-* Spero di non averti annoiata con questo capitolo. A presto!
Angyr88: ciao, dolcezza! *-* non puoi scrivermi cose del genere, mi sciolgo poi! Spero di non averti delusa o annoiata, in tal caso, ti prego, dimmelo. Grazie di cuore. Non solo per questo, ma per tutto. <3
C r i s: ciao! Okay, so già che ne pensi, ma non possono non ringraziarti di cuore. Grazie infinite per la splendida recensione. Sono contenta di non averti delusa, mi fa piacere sapere di non averti annoiata. Eh, sì, Ryan è un santo. *-* non smetterò mai di ringraziarti. A presto!
KeLsey: okay, appena ho letto la tua recensioni ho cominciato a saltellare come una sciocca. Oh, Eri… grazie! Sono contenta che ti piaccia, perché, davvero, il tuo parere per me conta moltissimo, lo sai. E’ sempre stato così e sempre sarà. Mi sei mancata, tesoro. Ti voglio bene. <3


A voi, un bacio,
                      Panda.


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Capitolo 12
*** Capitolo 12. ***


Per te, Fè.
Buon compleanno, dolcezza!

 

 

12.

 

~But I’m lost.
Ma io sono perso.~

 

 

L’aria serale si era raffreddata, tanto che rabbrividii, una volta ripresa coscienza. Ma, in quell’istante una nuova e devastante verità mi si stagliò davanti: su quel letto, non ero sola.
Potevo avvertire un tocco leggero, un braccio circondarmi l’addome e un viso poggiato sulla mia spalla.
Di scattò aprii gli occhi, speranzosa di verificare che tutto ciò non fosse un sogno, una mera rappresentazione, ma che fosse reale, che fosse lì accanto a me. E lo vidi, bello come non mai, illuminato dalla fioca luce argentea della luna, metà viso nascosto nel cuscino. Potei intravedere la sua espressione, riposata e beata. Sorrisi col cuore che batteva troppo velocemente per essere controllato e la gola gonfia d’emozione. Il suo corpo nudo era accanto al mio che, nei pochi attimi precedenti aveva tremato per una leggera folata di vento fresco, parve prendere fuoco e la fiamme lambirono il mio animo.
Istintivamente portai una mano sulla sua, poggiata sul mio fianco, come per trattenermi. Il suo respiro mi solleticava la pelle del braccio, facendomi venire la pelle d’oca sul collo. 
Era tutto sbagliato, nel mio inconscio lo sapevo, ma, in quel momento, assuefatta dal suo odore, dalla sua presenza, non potei non sentirmi felice ed appagata, come da tempo oramai non mi sentivo. 
Mi voltai sul fianco per osservarlo meglio e portai una mano sul suo viso, giocherellando con le ribelli ciocche di capelli neri e setosi. Lui corrugò la fronte e grugnii tanto che pensai che sarebbe svegliasse da un momento all’altro. Ma, l’istante dopo la sua espressione tornò rilassata e cerco rifugio fra i miei capelli sparsi sul cuscino. Un brivido mi attraversò la schiena e chiusi gli occhi, respirando a fondo il profumo della sua pelle.
Sorrisi.
La sua stretta aumentò e mi attirò ancor di più a sé, facendo combaciare alla perfezione i nostri corpi.
«Troppo distante.» mormorò fra i miei capelli, al mio orecchio.
Spalancai gli occhi e sentii il mio corpo irrigidirsi fra le sua braccia.
«Rilassati…» sussurrò baciandomi il collo.
«E’ difficile.»
Lo sentii sorridere mentre posava un delicato bacio nell’incavo del collo.
«Davvero?»
«Sì.» mormorai senza fiato, mentre il mio petto cominciava a muoversi sempre più velocemente, eco del mio cuore.
«Rilassati, Helen…» mormorò ancora allontanandosi e guardandomi in volto. I suoi occhi, resi blu dalla fioca luce della luna, s’incatenarono ai miei, scuotendomi e abbracciandomi l’animo. Il tocco delle sue braccia e la loro stretta parvero giungere fino alle ossa, riscaldandomi ancor di più il cuore. Le sue labbra pericolosamente vicine alle mie, erano una tentazione a cui dovetti cedere. Piano, con estrema lentezza e delicatezza poggiai le mie sulle sue e potei sentirle plasmarsi su di esse. Lui le dischiuse, abbracciandole. Una sua mano scese lungo la mia schiena, carezzandomi con estrema lentezza il fianco, poi le gambe, soffermandosi sul polpaccio che, con delicatezza strinse in una mano, costringendomi così ad abbracciare il suo fianco con l’arto.
Il mio corpo sprizzava elettricità ed ogni fibra del mio essere era proiettata verso lui.
«Ian tutto questo è… sbagliato…» farfugliai perdendomi nei suoi occhi.
«Ssst…» sibilò lui strofinando la sua guancia sulla mia, prima di spostarsi sul collo. «Non rovinare tutto.» mormorò baciandomi la clavicola.
«No.» soffiai chiudendo gli occhi e dischiudendo le labbra, godendomi la sensazione delle sue labbra sulla pelle. Poi piano, presero a baciare le mie, prima che i nostri corpi si fondessero ancora.
Ti amo, Ian… ma non lo dissi ad alta voce… e forse, fu proprio quello il mio errore.

 

Quando, il mattino successivo, riaprii gli occhi per una frazione di secondo mi sembrò di essere in un limbo. Impiegai qualche istante a focalizzare la stanza e ricordare cosa fosse accaduto la notte precedente. Mi resi conto di essere nuda, sotto le morbide lenzuola color della neve ed, inevitabilmente, il sangue mi fluii al viso, colorandolo di rosso. Ero sola nel grande letto e nella stanza non pareva esserci traccia di Ian. La porta del bagno era aperta e la luce era spenta. Poi, volsi lo sguardo verso la finestra e mi resi conto che non era ancora l’alba. Corrugai la fronte e, avvolgendomi il corpo con il lenzuolo avanzai verso la veranda. Anche lì, non vera traccia di Ian. Il mio cuore palpitante d’amore ed emozione perse un battito. Il sole si faceva vanti, piano, oltre la linea d’orizzonte colorando d’arancione il cielo scuro. Il mare si estendeva per chilometri davanti ai miei occhi, calmo e appena increspato dalla fresca brezza del primo mattino.
Era andato via. Senza dire nulla.
Cosa mi aspettavo, in fondo?
Ero stata una sciocca a credici, a sperare per una notte che forse tutto sarebbe cambiato, che il senso di vuoto sarebbe cessato. Ma mi ero sbagliata. Come sempre.
Potevo sentire ancora il suo profumo sulla mie pelle nuda, fra i lunghi capelli arruffati, il suo fresco sapere sulle labbra umide. Ed avvertì una fitta lacerarmi l’anima.
Cosa avevo fatto?
Ripensai a mia cugina, al suo sorriso dolce e gentile, che mi aveva aiutata a crescere. L’avevo tradita e il mio stomaco si contorse per i sensi di colpa, che l’annebbiamento della sera prima mi aveva fatto dimenticare. Avrei voluto piangere, ma non ne avevo la forza. D’un tratto sobbalzai.
Dall’interno della camera sentii l’acqua scorrere dal soffione della doccia, battere sulla base in ceramica. Mi voltai si scatto, sgranando gli occhi, e rientrai in camera a passo svelto. Entrai in bagno e notai i vestiti di Ian impilati sul piano del lavandino.
Il mio cuore accelerò vertiginosamente i suoi battiti. Sorrisi, fra e me e mi poggiai al muro facendomi scivolare lungo esso, fino a sedermi sul pavimento freddo. In quel momento, mi sentii appagata e qualsiasi preoccupazione fu cancellata dalla sua presenza, dal suo corpo nudo bagnato dall’acqua, dai suoi occhi cristallini che non potevano vedermi oltre il vetro sabbiato del box doccia.
Lui era lì. Lui era rimasto. Questa consapevolezza mi fece fremere, causandomi pelle d’oca e facendomi sorridere come una quattordicenne alla sua prima cotta.
Rimasi, lì, per minuti che mi parvero ore, ad osservare la sua sagoma oltre il vetro e ascoltando il suono dell’acqua sul suo corpo. Poi, il rumore cessò e l’anta del box fu aperta. Trattenni il fiato quando incontrai i suoi occhi caldi, che mi abbracciarono dolcemente. Cercai di non spostare l’attenzione sul suo corpo bagnato e fissai inebetita il suo viso nascosto nella penombra, i suoi occhi azzurri resi più scuri dalla scarsa luce. Essi sorrisero, a differenza della bocca che era una linea retta, e allungando una mano afferrò l’asciugamano, per avvolgendosi poi la vita.
«Ciao.» mormorò con voce roca.
«Ciao.» soffiai a corto di fiato. Mi portai le gambe al petto e le abbracciai.
«Non volevo svegliarti.» mormorò allargando le labbra in un sorriso.
«Tranquillo, non è stata colpa tua.» risposi alzandomi da terra, mantenendo il lenzuolo con una mano. In quel momento lui fece un passo verso me e quando fui in posizione eretta quasi mi scontrai con il suo petto bagnato.
Cedetti.
«Oh, Ian…» mormorai affondando il viso nell’incavo del suo collo e poggiando una mano sulla pelle bagnata. Le sue braccia circondarono le mie spalle e mi strinsero forse contro lui. La sua mano carezzò con dolcezza i miei capelli, lisciandoli.
«I tuoi capelli sono sempre così al mattino?» chiese.
Risi sommessamente. «Sì. Terrificante, vero?»
«Adorabile.»
Sorrisi e gli bacia il collo, prima di allontanarmi e guardarlo negli occhi.
«Guarda, ti ho bagnata tutta.» disse sfiorandomi le spalle ed il viso con la punta delle dita.
Schioccai la lingua e feci spallucce. «E’ solo acqua. E anch’o dovrei farmi una doccia.»
Sorrise e premette il palmo della mano sulla mia mandibola. «Ti aspetto in camera.» sussurrò con voce calda e roca.
Sorrisi flebilmente. «Promesso?»
«Promesso.» ripose prima di chinarsi e baciarmi con dolcezza. Le sue labbra erano ancor più morbide di come le ricordassi e si plasmarono perfettamente sulle mie.
Chinai appena il capo e mi avvicinai alla doccia. Ian non si mosse.
Voltai il capo, corrugando la fronte. «Non hai detto che mi avresti aspettata in camera?»
Nei suoi occhi guizzò della malizia. «Il lenzuolo, Helen.»
Spalancai la bocca e sgranai gli occhi. Poi scossi il capo e gli feci segno di uscire dal bagno.
Lui si morse il labbro inferiore prima che un sorriso sghembo gli colorasse il viso. Con le mani strinsi ancor di più il lenzuolo, mentre lui si avvicinava con lentezza calcolata.
«Attento a ciò che fai.» lo avvertii cercando di trattenere un sorriso.
«Certo.» mormorò facendo scivolare la mano sul lenzuolo.
«Ian…» dissi puntandogli un dito contro. «Attento.»
«Cosa accadrebbe?» chiese inclinando il capo e afferrando saldamente il lenzuolo.
«Ian…» ripetei ridacchiando.
«Andiamo Helen… molla la presa…» sussurrò con voce suadente strattonando il tessuto.
Il suono della mia risata inondò il bagno e quasi mi parve estraneo. Da quanto non ridevo così? Da quanto non ridevo per davvero? Con sincerità?
Le sue mani tiravano con decisione e gentilezza il lenzuolo, ma non gli opposi particolare resistenza. Il tessuto bianco scivolò sul pavimento e le sue mani mi carezzarono la vita.
I suoi occhi indugiarono dolci nei miei, carezzandomi l’animo mostrandomi chi egli fosse. Disarmata da quell’azzurro cielo mi sollevai sulle punte dei piedi e gli circondai il collo con le braccia. «Stringimi.» mormorai al suo orecchio e subito mi strinse a sé. Potei avvertire l’incessante martellare del suo cuore battere contro il mio petto, riempire il vuoto alla mia destra.
Il contatto della mia pelle con la sua mi scatenò una tempesta dentro.
«Non sai quanto ti ho aspettata.» soffiò al mio orecchio, con la voce gonfia per l’emozione.
Mi allontanai appena col viso per poterlo guardare in volto. «Sono io che ti ho aspettato.» mormorai prima si baciarlo con tenerezza.
Lo attirai verso la doccia, senza cessare il contatto fra i nostri corpi stretti. Lui fece scivolare l’asciugamano accanto al lenzuolo ed entrò nella doccia.
E bruciai d’amore.


I capelli umidi mi coprivano la schiena nuda e accaldata, mentre parte del viso era affondata nel cuscino. Il lenzuolo, mi copriva le gambe, fino ai fianchi. Con gli occhi chiusi lasciavo che le mani di Ian mi sfiorassero delicatamente i fianchi. Le sue dita, la sua pelle calda, si muovevano disegnando piccoli cerchi lungo il busto.
Delicatamente mi scostò i capelli dalla schiena, lasciando respirare la pelle e, quando le sue labbra, sfiorarono il mio collo, un brivido mi attraversò la schiena. Fremetti sotto il suo tocco.
«Hai freddo?» chiese con dolcezza.
«No.» soffiai aprendo gli occhi e guardandolo.
Lui, con indosso i jeans della sera prima, sorrise. Mi baciò le labbra, poi posò la guancia sulla mia spalla, il suo petto, il ventre nudo vennero a contatto con la mia schiena e la pelle parve prendere fuoco. Le sua braccia s’infiltrarono sotto il mio addome e mi strinsero a lui, sollevandomi appena.
«Vorrei poter fermare il tempo.» mormorò con voce calda a roca.
«Lo vorrei anch’io.» soffiai mentre le sue labbra baciavano il contorno della mia guancia.
«Cosa faremo ora, Helen?» chiese spostandosi su un fianco per guardarmi negli occhi. Con una mano mi scosto i capelli dal viso.
Non risposi subito. Non perché stessi ponderando su ciò che avrei detto, ma perché non sapevo cosa dire.
Cosa avremmo fatto?
Ciò che era successo la notte precedente, ciò che ancora stava accadendo, le sue mani sul mio viso, i suoi occhi su di me, sembravano essere irreali, appartenere ad un mondo evanescente, un sogno che non sarebbe mai potuto diventare realtà. Ma quella era la realtà, difficile e magica.
«Non faremo nulla.» gemetti voltandomi dall’altro lato e scendendo dal letto. Indossai un vestito che mi lasciava scoperte le gambe e mi voltai.
«Non diremo nulla.» ripetei incrociando le braccia al petto.
Lui s’accigliò appena e si alzò a sua volta dal letto. «Perciò questa notte non ha significato nulla.» disse, e la sua voce era apparentemente atona, priva di qualsiasi emozione, ma per un momento potei cogliere un lampo di irritazione.
Scossi piano il capo, più a me stessa che a lui, e mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio. «No, non dirlo per favore.»
«Ma è la verità.» rispose con tono duro indossando la maglietta.
«No, ti sbagli! Non rinuncerei alla notte scorsa per nulla al mondo! Non rinuncerei ad un singolo gesto, sguardo, respiro. Non tornerei indietro nemmeno per tutto l’oro del mondo.» dissi con incrinata, avvicinandomi a lui. «Ma è sbagliato, e lo sai anche tu. Amo profondamente Abby. Non è solo mia cugina, lei è mia sorella, Ian. E ti merita più di quanto ti potrei mai meritare io. Non posso distruggerle il suo mondo così. Non potrei mai.»
Lui arricciò le labbra e una ruga di rabbia gli solcò la fonte. «Dio, Helen. Ho detto di amarti.» disse portandosi un amano su un fianco.
Sentii gli occhi inumidirsi di lacrime.
«Io ti amo.» sussurrò con estrema dolcezza, avvicinandosi lentamente. I suoi occhi ardevano come fiamme blu, sinceri mi aprivano le porte del suo animo, mi abbracciavano il cuore riscaldandolo come nessuno mai era riuscito a fare. Mi mozzò il fiato e, improvvisamente, sentii le gambe molli. E per la prima volta vidi i suoi occhi velarsi di mute lacrime.
«Ian…»
«Non respingermi, Helen… non respingermi ancora.» continuò premendo il palmo della mano sulla mia guancia.
Chiusi gli occhi a quel contatto. Come avrei potuto respingerlo? Come avrei potuto negarmi quella felicità che da anni bramavo? Come avrei potuto ferirlo? Come avrei potuto ferirla?
Il mio cuore era diviso in due, si ruppe come cristallo.
«Come posso ferirla?»
«Non parliamo di Abby, Helen. Parliamo di me e di te. Parliamo di noi. Se non ferisci lei, ferisci me. Nessuno ne uscirà indenne, e lo sai. Non anteporre la felicità degli altri alla tua, Helen. Non farlo.» mormorò poggiando la fronte sulla mia. «Io amo te. Perché provare a salvare un rapporto con Abby? Un rapporto morto da tempo… un legame che non… è mai stato come quello che mi rende tuo?»
«Ti amo, Ian.» gemetti lasciando che una lacrima spillasse gli occhi.
«Non dirlo come fosse un addio.» tremò.
Sorrisi amaramente, mi alzai in punta di piedi e premetti le mie labbra sulle sue. Fu un bacio dolce, tenero, uno sfiorarsi appena che sapeva di amore e malinconia.
«Non potrei mai dirti addio, Ian.» mormorai con voce rotta.
Lui mi strinse appena a sé, poggiando le mani sulla mia schiena. Poi, avvicinandosi al mio orecchio, mormorò: «L’hai appena fatto, Helen.»
Ed uscì dalla camera, lasciandomi lì, attonita.


Il sole del primo mattino piano si ergeva nel cielo limpido, filtrando attraverso le tende scostate dal vento. Seduta sul letto, con le ginocchia unite e la mani in grembo, fissavo la portafinestra, cercando di osservare quegli spezzoni di paesaggio visibili solo quando il vento faceva svolazzare il leggero tessuto delle tende.
Mi sentivo svuotata, prima di qualsiasi forza.
Il ricordo delle sue labbra, dei suoi occhi, della sua voce era ancora vivo nella mia memoria e potevo avvertire il suo profumo inondarmi i polmoni, impregnato alla mia pelle, abbracciato al mio cuore. Era come se fosse ancora lì. Potevo quasi vederlo, poggiato sullo stipite della porta finestra, le gambe incrociate, le braccia conserte al petto, un sorriso a coloragli il viso.
Che cosa avrei fatto? Non avevo idea di cosa il futuro, così imminente ormai, mi aspettava. Non avevo idea di come mi sarei dovuta comportare. Qualcosa nella notte precedente era cambiato irrimediabilmente, e non potevo far finta che non fosse accaduto nulla. Non potevo, ma soprattutto non volevo. Come avrei potuto negare l’amore?
Ma cosa avrei detto ad Abby? Come mi sarei comportata con lei?
Mille domande mi vorticavano nella mente, dolorose come una puntura d’ape.
Le labbra mi prudevano, desiderosa di poter ancora giovare di quel contatto dolce e tenere.
La mia pelle scottava, ancora impregnata del calore che il suo corpo mi aveva donato.
Il mio cuore batteva frenetico, un battere d’ali di colibrì, mentre il mio sangue pulsava caldo nelle arterie, nelle vene, accaldandomi le gote.
Ero in un limbo. Un limbo che sapeva malinconica felicità, di amore cristallino ed sbagliato. Avrei voluto che quel momento durasse per sempre, per quanto folle potesse apparire. Rifugiata nel fresco ricordo di lui, lontana da occhi indiscreti, lontana da responsabilità, immobile mentre fissavo il mare. Ma non si può fermare il tempo e non puoi piegarlo a tuo piacimento. Dovevo affrontare la giornata, i sensi di colpa verso mia cugina, l’amore irrazionale che mi spingeva inevitabilmente verso Ian.
Amare ma… a quale prezzo?

 

*

Bene, eccomi qui. Mi scuso per il tremendo ritardo. Non posso ringraziare a modo chi ha recensito lo scorso capitolo perché devo, davvero, scappare a studiare.
Alla recensioni di questo capitolo risponderò certamente appena ricevute, così mi sarà più facile.
Mille grazie, davvero.

A voi, Panda.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13. ***


 

 

13.





~
Look to the stars, let hope burn in your eyes.
Guarda le stelle, lascia la speranza bruciare nei tuoi occhi
.~



Qualcuno bussò alla porta. Seduta sul letto, mi voltai e guardai il legno bianco.
Il mio cuore intraprese una folle corsa e non potei non trattenere il respiro. Sperai, forse scioccamente, con tutta me stessa che fosse lui, che i suoi occhi color dell’oceano mi si prostrassero davanti. Così, con il petto che si muoveva troppo velocemente per essere controllato, scattai in piedi e, quasi correndo, mi avvicinai alla porta. Afferrai con forza la maniglia, ma ciò che vidi non era ciò che mi aspettavo. La realtà si abbatté su di me con crudeltà, come fosse stata una frana di fango e detriti.
«Buongiorno.» disse lei con voce atona, le spalle piegate sotto un peso immaginario.
«Abby.» soffiai incapace di emettere suoni.
«La mia testa sta per scoppiare.» sbuffò passandomi accanto e dirigendosi verso il letto. Quel letto che sapeva ancora di muti sentimenti, di ricordi celati nel cuore.
Sentii il cuore e lo stomaco stringersi in una morsa.
Abby si lasciò cadere sul materasso, lacerandomi.
«Cosa succede?» chiesi cercando di apparire il più naturale possibile, passandomi una mano fra i capelli ed incrociando poi le braccia al petto.
Lei si coprì il viso con le mani. «Credo di aver esagerato ieri. Ricordo poco. Ho solo immagini.» latrò alzando poi il capo.
Quando i miei occhi incontrarono i suoi, tremai, impercettibilmente.
Cosa avevo fatto?
«Ehi, stai bene?» chiese alzando un sopracciglio, prima di mettersi a sedere.
«Sì, certo.» risposi sorridendo e deglutendo.
Abby inclinò il capo di lato. «Perché ti luccicano gli occhi ed hai le guance arrossate?» chiese ed  un lampo di malizia le fendé gli occhi.
M’accigliai «Cosa?» chiesi distogliendo lo sguardo dal suo, posandolo sul pavimento.
«Sì! Cosa non mi hai detto?» chiese indagatrice.
Scossi velocemente il capo. «Nulla!» esclamai indietreggiando di un passo e sgranando gli occhi, nel panico. I sensi di colpa, il tradimento verso lei, piano avanzarono schiaffeggiandomi.
Alzò le mani. «Okay, okay! Ma calmati per favore!» disse lasciandosi cadere ancora sul letto.
«Sono calma.» mormorai mordendomi il labbro inferiore mentre dentro urlavo.
«Dai, racconta. Sei stata con Ryan?»
Nell’udire quelle parole, non so quale meccanismo scattò, cosa innesco la rabbia. Sentii il sangue fluire al viso e le mani prudermi.
«Dio, Abby! Perché devi essere così?» sbottai allargando le braccia, esasperata.
Lei, scioccata, mi guardò come provenissi da un altro pianeta.
«Ti ho detto che non è successo nulla. Ryan è solo un amico, per l’amore del cielo.» continuai avvicinandomi all’armadio ed aprendone le ante.
«D’accordo.» si limitò a rispondere lei. «Ma non c’è bisogno di essere così scortesi.»
Con il viso rivoltò verso i ripiani, nascosta dal suo sguardo indiscreto, chiusi gli occhi e mi morsi il labbro inferiore cercando di trattenere le lacrime.
Non poteva essere reale. Non stava accadendo.
In quel momento potei avvertire la mano di Ian sfiorarmi la schiena.
«Perdonami.» sussurrai tanto piano anche credetti non mi avesse sentita. Quattro sillabe che contenevano in sé dolore e colpe, tradimento, sofferenza. Non le chiesi perdono per essere stata scortese, le chiesi perdono per essere stata una pessima confidente, amica, cugina, sorella. Le chiesi perdono per averla ferita, per averle mentito, per nasconderle quella verità tanto dolce al mio cuore.
«Non importa. Sono io a dovermi scusare.»
Udendo quelle parole, chiusi con più forza gli occhi.
No, Abby… non scusarti…
«Vado a cercare Ian. Quando mi sono svegliata era già sceso. Ci vediamo a colazione.» continuò prima di uscire.
Ian. Nell’udire quel nome il mio cuore singhiozzò agonizzante. E nella mia mente chiara divenne l’immagine delle sue labbra su quelle di Abby, delle sue mani sul viso di lei. I loro visi sorridenti.
«No, no, no…» ripetei gemendo. «No…»
Mi presi il viso fra le mani è, poggiandomi ad un’anta mi lascia cadere sul pavimento.
Ed in quel momento, mentre mute lacrime e muti singhiozzi mi scuotevano il petto, l’unica cosa che avrei voluto era che Ian mi stringesse a sé, sussurrandomi che tutto si sarebbe sistemato.
Ma lui non c’era. In quella stanza d’albergo ero… sola.


Con gesti meccanici, disattenti, indossai i calzoncini e una canotta blu. Lasciai i capelli sciolti e, con espressione atona, priva di qualsiasi emozione uscii dalla camera, afferrando la borsa che avevo lasciato sulla sedia, accanto al letto. Osservai un’ultima volta il letto sfatto, le lenzuola che sapevano di rose e miele, con il cuore appesantito dai rimorsi e alleggerito dai ricordi, decisi di non andare direttamente a fare colazione.
Così, mi ritrovai a camminare lungo i corridoi bisognosa di un abbraccio e di parole confortanti.
Era difficile, metabolizzare il tutto. Sembrava tutto così irreale, eppure era vero e l’incontro con Abby me ne aveva dato la conferma. Mi aveva scossa, mi aveva riportata sul pianeta terra, svegliata da un coma di emozioni e sensazioni dolci come una miscela di miele e zucchero, immergendomi in una tempesta di emozioni contrastanti fra loro.
Ero nei guai. Guai grossi.
Immersa nei miei pensieri quasi superai la stanza 1354, prima di bussare, sospirai. Sentii, oltre il legno, delle imprecazioni e feci una smorfia pensando che avessi fatto la scelta sbagliata.
Ma, prima che potessi darmi della stupida, la porta si aprii.
«Che ci fai qui?»
Alzai un sopracciglio. «Buongiorno anche a te, Anthony. Sono davvero contenta di vederti.»
«Scusa. Buongiorno anche a te.» sorrise.
Scossi il capo. «Tu sei strano.»
«Me l’hai già detto questo.»
«Lo so.» risposi prima di incrociare le braccia al petto. «Allora, mi fai entrare o mi tieni sulla porta?»
Rise. «Prego, miss.» disse spostandosi di lato e facendo un inchino.
«Ryan?» chiesi guardandomi intorno.
«In bagno.»
«Oh.»
Lui sorrise, malizioso e si avvicinò alla porta del bagno, bussandosi con la nocca dell’indice. «Ehi, Ryan, qui c’è la tua ragazza! La faccio entrare?» esclamò guardandomi.
«Piantala, idiota!» lo ripresi fulminandolo con lo sguardo.
«Chi?» sentii la voce di Ryan.
Anthony fece spallucce, si baciò il palmo delle mani e vi ci soffiò sopra.
«Molto divertente.»
«Ci vediamo di sotto, darling. Accomodati pure, eh. Non è necessario che tu rimanga in piedi.» ridacchiò indietreggiando verso la porta.
Ridussi gli occhi a due fessure. «Sto bene così, grazie.» dissi fra i denti, mentre lui, divertito si chiudeva la porta della camera alle spalle.
Chiusi un momento gli occhi e feci un respiro profondo, ma quando sentii la porta riaprirsi gli riaprii di scatto.
Ryan, immobile sulla soglia del bagno mi fissava confuso… con indosso solo un paio di bermuda.
«Ciao.» farfugliai sbattendo più volte le palpebre e abbassando lo sguardo, involontariamente.
«Tutto okay?» chiese lentamente.
«Sì.» mi sforzai di sorridere ed alzai lo sguardo sul suo viso.
I suoi occhi guardarono, indagatori, i miei, in cerca di quelle parole ancora non dette. «Uhm.»
Abbozzai un sorriso e mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Indossò una maglietta e si sedette sul bordo del letto, poi con la testa mi fece segno di avvicinarmi, mentre batteva con la mano sul materasso.
Senza proferire parola, senza sorridere, feci quanto mi era stato indicato ed andai a sedermi alla sua destra.
«Spiegami.» disse risoluto, guardandomi in volto.
«Non c’è nulla di spiegare.» mormorai giocando con un lembo della borsa.
«Deduco che questa sia una visita di cortesia.» osservò.
Sospirai appena. «No. Non lo è.»
«Helen… non puoi continuare così. Non puoi continuare a reprimere sentimenti per l’amore di tua cugina. Devi prendere una decisione, mollare o tener duro…»
«Sono stata con Ian questa notte.» dissi tutto d’un fiato, chinando il capo.
Per alcuni istanti nessuno dei due parlò, mentre le mie parole rimanevano sospese nell’aria.
Poggiai i gomiti sulle ginocchia e mi presi il capo fra le mani. «Ti prego, di’ qualcosa.» esordii. «Dimmi che sono una stupida, che ho sbagliato, che sono stata vile, ma ti prego non tacere.» dissi con voce rotta.
«Oh, Helen…» sussurrò lui circondandomi le spalle con un braccio.
«Ha detto di amarmi, Ryan.»
«Cosa?» chiese lui voltandosi di scatto.
«Hai detto di… amarmi.» soffiai con cuore che  batteva troppo velocemente per essere controllato e la voce rotta dall’emozione.
«Waw.» fu il solo suono che Ryan emise. «Questo sì che lascia senza parole.»
Mi sforzai di sorridere, lui corrugò la fronte, probabilmente il mio tentativo era stato inutile, la mia appariva una smorfia di disperazione.
Mi accarezzò piano la spalla. «Cosa c’è, Helen?»
«Non so cosa devo fare. Come comportarmi. Io… non voglio perderlo, Ryan… ma non voglio perdere nemmeno Abby.»
«So che è dura, piccola… ma qualcuno soffrirà. Qualcuno soffre sempre, è il mondo, gira così e non puoi farci nulla. Ma… lui ama te. Ama te, Helen. E… se davvero lo ami come puoi negargli il tuo cuore?»
Mi morsi il labbro inferiore ed alzai gli occhi sul suo viso. «Intendi dire che è meglio che soffra una persona invece che due?»
«Intendo solo dire che non devi precluderti la possibilità di essere felici.»
Sospirai e mi lasciai andare sulla sua spalla poggiandoci la tempia. Lui mi carezzò il viso, dolcemente.
«Meriti di essere felice, Helen. Lo meriti più di chiunque altro.»
«Forse.» mormorai, prima di chiudere gli occhi.
Forse.


«Coraggio, andiamo.» disse Ryan alzandosi e prendendomi per mano.
«Dove?» chiesi corrugando la fronte.
«A fare colazione. Muoio di fame.»
Scossi il capo  in un risolino. «Tu hai sempre fame, Ryan.»
Fece spallucce. «No, non credo. Andiamo, forza.»
Sorrisi e lasciai che mi circondasse le spalle con un braccio. Uscimmo dalla stanza diretti alla sala da pranzo.
Il cuore palpitava frenetico, terrorizzato dal pensieri di Ian, di Abby, delle loro dita intrecciate. Divorata dai sensi di colpa non potevo non chiedermi cosa sarebbe successo, come sarebbe andata, cosa avremmo fatto. Ammisi a me stessa che l’idea di perdere Ian, in quel momento, mi dilaniava molto più dei sensi di colpa, mi mozzava il respiro e mi causava una fitta in pieno petto.
Sapevo che non avrei fatto colazione, che mi sarei limitata a bere qualche sorso di thè freddo e probabilmente a struggermi alla vista di Ian ed Abby. Sperai con tutta me stessa che nessuno dei due fosse lì. Mi sentivo le gambe molli.
Quando entrai nella grande stanza il mio cuore entrò in fibrillazione. Cominciò a battere tanto forte  da far invidia ad un colibrì, il suo suono mi echeggiò nelle orecchie, dandomi alla testa. Al tavolo accanto alla grande vetrata oltre il quale si poteva ben vedere l’oceano, Ian, Jared e Shelly, consumavano la loro colazione. Spalancai gli occhi e tremai impercettibilmente, mentre Ryan si voltava a guardarmi, senza proferire parola.
Deglutii rumorosamente, mi passai una mano fra i capelli e, sospirando, gli riavviai, dopo di che cominciai a camminare affiancata da Ryan.
«Sono qui.» mi sussurrò all’orecchio, dandomi un buffetto sul braccio.
Feci un risolino, voltandomi a guardarlo, ma, quando tornai a guardare dinanzi a me, incontrai lo sguardo di Ian, duro come diamante. I suoi occhi color del cielo mi fissavano imperscrutabili, lasciandomi allibita e desiderosa di carezzargli il viso, come a volerne distendere i muscoli. Ma non potevo farlo. In quel momento, fui felice che Abby non fosse lì.
«Ehi…» sorrisi scostando lo sguardo dal suo viso e guardando Jared e Shelly, che mi risposero con allegria prima di tornare a mangiare.
Mentre mi accomodavo, sedendomi di fronte ad Ian, lo vidi con la coda dell’occhio guardare Ryan sedersi accanto a lui, a capotavola. Chinai appena il capo e chiusi gli occhi per qualche istante, prima di riaprire le palpebre e notare che entrambi mi guardavano.
Corrugai la fronte, avvampando di rossore. «Cosa c’è?»
«Cosa prendi?» mi chiese subito Ryan.
«Thé freddo.»
«Solo?» chiese alzando un sopracciglio.
«Sì.»
«Dovresti mangiare qualcosa.»
«Non ho fame.»
«Helen…»
«Ho lo stomaco chiuso, Ryan.» dissi risoluta, puntando il mio sguardo nel suo.
Sospirò. «Okay.» rispose rassegnato prima di alzarsi e dirigersi verso il tavolo del buffet.
Con lo sguardo l’osservai per qualche istante. Avevo paura, non avevo il coraggio di voltarmi e guardarlo ancora negli occhi, di affrontare il suo sguardo duro.  Dall’altro lato del tavolo Jared e Shelly parlottavano fra loro, del tutto incuranti di noi due.
Mi morsi il labbro inferiore, poi racimolando quel poco di coraggio rimastomi in corpo, mi voltai, tremante. Ma ciò che vidi, non era ciò che mi aspettavo. Il suo sguardo non era duro, non era glaciale come quando ero entrata, bensì… dolce. Il suoi occhi languidi, carichi di passione e  dolcezza mi scrutarono imploranti. A quelle vista il mio cuore parve cessare di battere ed il respirò mi si mozzò.
«Helen...» disse in un sussurro. «Come puoi…»
Prima di parlare mi passai una mano sul collo e cercai di ricacciare indietro quelle lacrime che, prepotenti, desideravano uscire. «Era da un po’ che non riuscivo a chiudere occhi la notte.» sorrisi flebilmente. «Credo dipenda dal dormire in un letto estraneo. Non so cosa si successo la notte scorsa… ma, finalmente, ho dormito, sai? Cuore, anima e mente erano un tutt’uno.» mormorai ignorando il gonfiore alla gola.
Lui dischiuse le labbra, come a voler parlare, ma dalla sua bocca non vi uscì alcun suono.
Dopo una breve pausa, parlò. «Che strano, Helen… ho dormito per davvero anche io.»
Con i capelli a farmi da sipario, a nascondermi da Jared e Shelly, chiusi gli occhi. «Non so che fare. Non voglio rinunciare a te» soffiare quelle parole mi costò, mi costò terribilmente.
«Troveremo una soluzione, Helen… insieme.» sibilò prima di portarsi la tazza di caffè alle labbra rosee.
Mi voltai verso Ryan ma non ero pronta a quella vista. Il sangue mi si gelò nelle vene e il mio viso, probabilmente, assunse un colorito troppo pallido, tanto che Ian si sfiorò la mano preoccupato, chiedendomi cosa stesse succedendo. Mi voltai verso di lui, fissando la sua mano sopra la mia che parve prendere fuoco, lui la ritrasse immediatamente.
«Helen, cosa succede?» mi chiese sporgendosi sul tavolo e rivolgendomi lo sguardo più premuroso che potessi ricevere.
«Perdonami.» mormorai prima di alzarmi e varcare la porta che portava all’esterno, lasciando Ian al tavolo e mia cugina intenta a versarsi del caffè in una tazza.

 

*

Eccomi qui, gente… di nuovo. L’immagine ritrai Ian ed Helen XD Sin dal primo capitolo, iniziato a Maggio del 2010 ho immaginato loro, senza poterci fare nulla.
Mi piace di aver postato così tardi… spero solo di non aver deluso alcune aspettativa.
Ringrazio di cuore coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, davvero.
 Un bacio, Panda.

E ringrazio te, che forse non leggerai neanche. Grazie, mia dolce, cara, genuina, Kate.

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Capitolo 14
*** Capitolo 14. ***


    

 

 

 14.


 

~Passing by you light up my darkest skie.
Passandomi vicino illumini i miei cieli più oscuri.~



                                                                                                                                                        

Varcai la soglia della grande vetrata e, a passo svelto, camminai lungo il viale che portava in spiaggia. Stavo scappando, patetico, umiliante, ma al momento mi sembrava l’unica soluzione.
Mi chiesi se Ian provasse i miei stessi sensi di colpa, se anche lui era in balia di una tempesta d’emozioni; se una parte lo attrasse verso me, come poli di una calamita di segno oppoto, mentre l’altra era respinta, come poli uguali.
Scossi il capo ed accelerai ancor di più il passo, fino a corre. Corsi sulla spiaggia fino a che i polmoni non presero a bruciarmi ed il cuore a battermi furiosamente in gola. Mi fermai con le gambe dolenti. Mi sporsi in avanti, divaricandole appena e poggiamo le mani sulla ginocchia. Chiusi gli occhi e per alcuni istanti rimasi, così, immobile  a riprendere fiato. Quando mi misi in posizione eretta, passandomi una mano fra i capelli ondeggianti per il vento mi resi conto di essermi terribilmente allontanata dall’albergo. Non c’era nessuno sulla spiaggia.                                                   
Sospirai e mi avvicinai alla palma più vicina, mi sedetti sulla sabbia poggiandomi al tronco.
Osservando il dolce andirivieni delle onde, il sole riflettersi sui granelli della sabbia bianca e udendo lo stormire delle foglie, mi chiesi nuovamente cosa avrei fatto. L’idea di dire tutto ad Abby di dilaniava, l’idea di perdere Ian mi dilaniava. In qualunque modo avrei sofferto, ed avrebbe sofferto qualcun altro. Avrei voluto comandare sugli affetti del cuore, ma non potevo. Avrei voluto non provare nulla, anche solo per un secondo, cancellare il passato, ricominciare… a quell’idea comunque provai una fitta di dolore perché una vita senza Ian… scossi il capo, cancellandone l’idea. Tutto era concatenato, ogni evento, ogni emozione, ogni pensiero. Il mio cervello era immerso nel caos, il mio cuore nelle fiamme.
Poggiai la testa al tronco e chiusi gli occhi, cercando di mettere a tacere il mormorio nella mia testa… con grande insuccesso. Era come se ogni pensiero avesse voce propria e trovare tranquillità in quel chiacchiericcio era quasi impossibile.
Non so quanto tempo rimasi, lì, immobile.
Mugugnai e battei il capo al tronco fino a che una voce estranea, ma familiare, richiamò la mia attenzione. In quel momento, il mormorio cessò, mentre il cuore mi balzò in gola.
Mi voltai e lo vidi, , in piedi, bello come il sole che illuminava gli occhi cielo. Indossava una t-shirt bianca e dei bermuda di jeans. Le labbra appena dischiuse, la fronte aggrottata.
«Cosa ci fai qui?» chiesi con voce atona.
«Hai camminato parecchio.» rispose inclinando il capo di lato.
«In realtà ho corso.» risposi voltando il capo per guardare il mare. L’acqua s’increspava con dolcezza, riflettendo i raggi del sole.
«Non ti facevo così atletica.»
Abbozzai un sorriso. «Simpatico.»
«Cosa ci fai qui, Ian?» chiesi senza guardarlo, perché sapevo che, in quel preciso istante l’avessi guardato, le mie difese sarebbero crollate  non avrei desiderato altro che baciare quelle labbra che mi mancavano terribilmente.
«Lo sai, Helen.» rispose e lo sentii avanzare verso me.
«Dovresti essere con Abby.»
«Oh, al diavolo Abby! E’ qui che desidero essere ora.» rispose.
A quelle parole sentii il cuore riscaldarsi e non potei non sorridere.
«Per quanto possa essere sbagliato, sono contenta che tu sia qui.» dissi voltandomi a guardarlo. Lui mi sorrise teneramente e si sedette accanto a me. Il suo profumo mi inondò i polmoni.
«Come facevi a sapere che ero qui?»
«Ho chiesto in giro. “Mi scusi ha per caso visto la più bella ragazza del mondo passare di qui?”» Feci un risolino, dandogli una leggera spallata.
«Comunque, ho davvero chiesto se qualcuno aveva visto passare una ragazza.» disse giocherellando con una ciocca dei miei capelli. Quel gesto, anche se minimo, minò la mia concentrazione.
«Oh… ehm… Abby?» chiesi in una smorfia.
«Ti ha vista uscire. Le ho detto che ci avrei pensato io.» mormorò facendo scivolare le dita lungo il mio braccio. Tremai.
«Tutto bene?» chiese alzando un sopracciglio.
Mi voltai di scatto. «Non riesco a mettere insieme una frase di senso compito se fai così.»
Sorrise malizioso. «Così come?» chiese facendo scorre le dita sulle mie gambe nude.
«Così!» dissi puntando l’indice contro la sua mano. Le sue dite, presero ad accarezzarmi il braccio.
«Ma non ti opponi.»
«Come potrei…» soffiai chinando il capo e chiudendo gli occhi per imprimere il suo tocco.
«Oh… Helen…» mormorò lui intrufolando la mano fra i miei capelli ed attirandomi a sé.
Mi voltai e le sue labbra furono sulle mie. Un tocco leggero quanto quello di un petalo di rosa che galleggia sull’acqua, ma tanto intenso da scatenarmi una tempesta dentro.
Mi allontanai lentamente e poggiai la fronte sulla sua spalla. Capii, in quel momento, che non avrei potuto rinunciare mai a lui, nonostante amassi mia cugina. Capii che lui era l’altra metà della mela, e che nutrivo per lui un amore tanto forte che aveva piantato le sue radici                                                                                                                 nel mio essere.
«Mi spiace per questa mattina.» gemetti aggrappandomi alla sua maglietta.
«Ssst… non fa niente.» mormorò circondandomi le spalle con un braccio, mentre io cercavo rifugio nel suo petto.
«Ho paura.» dissi dopo alcuni istanti di silenzio.
Lui prese ad accarezzarmi i capelli, mentre io mi strinsi ancor di più a lui, all’ombra dell’alta palma.
«Vorrei che capissi che, al disopra di ogni cosa, voglio te, che ho bisogno di te.» mormorò con voce calda.
Cullata dal suo respiro, sorrisi, mentre il mio cuore accelerava i suoi battiti. In quel momento i lembi della ferita che mi squarciava il petto si riunirono.
«Sei ossigeno.» dissi solamente, chiudendo gli occhi e godendomi quei pochi istanti con Ian in un paradiso terrestre.


«Credo sia meglio andare.» dissi dopo qualche minuto.
«No, ancora un po’.» mugugnò lui stringendomi ancor di più.
Risi, cercando di divincolarmi dalla sua stretta ferrea. «No, è meglio andare.»            
«Ancora un po’.», la sua risata tuonò nel suo petto.
«Ian… si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto.» protestai girandomi sulla schiena e stendendomi sulla sabbia, poggiandomi con la testa sulle sue gambe.
Lui mi carezzò con dolcezza il viso, seguì con i polpastrelli il profilo della mia guancia, della mandibola, l’attaccatura dei capelli. Mi baciò le palpebre chiuse, la punta del naso, l’angolo delle labbra. Poi il suo tocco sparì e corrugai la fronte, senza aprire gli occhi.
«Allora?»
«Cosa?»
«Hai saltato un punto.» mormorai reprimendo un sorriso.
«Sul serio? Quale?»
Mi portai l’indice sulle labbra, pochi istanti dopo fu sostituito dalle sue labbra che morbide di mossero piano su esse.
Aprii gli occhi ed incontrai i suoi, tanto limpidi da mozzarmi il fiato.
«Ben tornata, Helen.» soffiò serio. «Mi sei mancata.»
Fu allora che capii. Le immagini dei giorni precedenti si susseguirono nella mia mente tanto chiare che apparirmi reali. Rividi la rabbi, le lacrime, l’irritazione, sentimenti che non erano mai stati dominanti in me, fino a quando non vidi Ian baciare mia cugina, fino a quando non decidemmo di cominciare quella vacanza.
Ma non ero pronta a parlarne, non volevo ricordare gli orribili momenti in cui le labbra di Ian, in cui il suo viso erano lontani anni luce da me. Mi godetti il presente, carezzando il suo viso scultoreo.
Sorrisi. «Su, andiamo.» dissi cercando di cambiare argomento per non riaprire vecchie ferite.  
Scattai in piedi e gli porsi la mano, lui l’afferrò e, quando fu in piedi dinanzi a me, mi bacio a fior di labbra.
Scossi il capo e mi incamminai scrollandomi la sabbia di dosso.
In cuor mio sapevo che, di lì a poco, quella felicità, quella tranquillità sarebbero state sostituite dai rimorsi e dai rimpianti.


Camminammo sulla spiaggia, avvicinandoci all’albergo e quindi al centro abitato. La spiaggia diventava pian piano più affollata. Spesso mi voltavo verso Ian che camminava alla mia sinistra, osservandone i lineamenti e spesso i suoi occhi incontravano i miei, rivelandomi muti sentimenti che piano preparava a celare in fondo al cuore. Sì, perché presto avremmo rivisto Abby, e lui sarebbe tornato ad essere Ian, il ragazzo di Abby, con mia grande sofferenza.
Capitava che, camminando sulla sabbia, perdessi appena l’equilibrio e la mia mano andava a sfiorare la sua. La mia pelle pareva prendere fuoco all’istante, mentre lo stomaco si attorcigliava su se stesso.
Un’orribile sensazione mi aveva chiuso la bocca della stomaco e fu allora che ricordai di non aver fatto colazione, questo spiegava il perché delle vertigini che di tanto in tanto mi facevano sbandare sulla sabbia e, certamente, il sole del tardo mattino non mi aiutava. Cominciavo a sudare e non era una cosa positiva.
Chiusi gli occhi e mi fermai un attimo.
«Ehi, tutto okay?» mi chiese Ian premuroso, poggiandomi una mano su una spalla e l’altra sul collo.
«Fa solo molto caldo.»
«Togliti la canotta, no?»
Alzai il capo, immergendomi nei suoi occhi. «Non ho il costume.»
«Oh. E non ha fatto colazione.» annuii pensieroso.
Alzai gli occhi al cielo. «Dio, non ti sfugge mai nulla, eh?» dissi cercando un elastico nella borsa e legandomi i capelli in una coda di cavallo.
«No, se si tratta di te.»
Pensai al mio amore nascosto. Eppure qualcosa ti è sfuggito…
Alzai il capo di scatto e fremetti. «Lo stai facendo ancora.» sentenziai riprendendo a camminare e dirigendomi verso l’albergo che, oramai, distanziava poco. Potevo scorgere gli ombrelloni di foglie di palme.
«Cosa?» chiese affiancandomi e rivolgendomi un sorriso sghembo.
«Minare la mia concentrazione.»
Lui rise e la sua risata mi riempii il cuore. Mi voltai a guardarlo e ogni molecola del mio copro era attratta da lui, come se esso volesse fondersi al suo, la mia anima abbracciare ed amare ininterrottamente la sua. Avrei dovuto esserci abituata, ma ancora mi risultava difficile comprendere un sentimento tanto complesso come quello.
L’espressione sul suo viso non fece che rafforzare il desiderio di amarlo a lungo, in silenzio, con una tale passione da corrodermi e consumarmi lentamente, come le braci di fuoco. I suoi occhi languidi mi guardavano con gentilezza, con tenerezza e dolcezza, esattamente con avevano fatto in sala da pranzo.
Voltai il capo, tornando a guardare dinanzi a me. Cercai di scorgere qualcuno in spiaggia e così fu. Stese su una sdraio, Shelly ed Abby, prendevano il sole. Mi fermai di colpo e sgranai gli occhi. Tutto, intorno a me, svanii mentre i sensi di colpa si facevano avanti divorandomi il fegato. Mi sentii tanto infima da essere fonte di disgusto per me stessa, un traditrice che non coglieva occasione per amoreggiare con il ragazzo della cugina, una cugina che considerava una sorella.
«Come posso farle questo?» mormorai più a me stessa che a Ian. «Come posso?»
E sentimenti contraddittori si abbatterono su di me.
Ian non proferii parola, forse conscio a che lui di quanto basse fossero state le nostre azioni.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi, inumidirli fino ad offuscarmi a vista, al che fui costretta a passarci sopra il dorso della mano, asciugandoli.
Perché rovinare un sentimento talmente puro? Non siamo noi a decidere di chi innamorarci, scegliere colui o colei da amare incondizionatamente. E’ l’amore che sceglie noi. Succede e basta.
«Vieni, andiamo.» mormorò lui poggiandomi una mano sulla schiena.
A quel tocco mi divincolai e mi camminai lungo il vialetto, desiderosa di andare in camera.
«Helen, aspettami!» esclamò Ian dietro di me. Svoltai nel vialetto, al sicuro dietro un’alta siepe del resto incrociai le braccia al petto e mi voltai a guardarlo.
«Cosa c’è?» chiesi con tono duro e voce malferma.
«Cosa ti prende?»
«Non ce la faccio, Ian. Non ce la faccio a guardarla in volto. Il solo pensiero di guardarla negli occhi mi disgusta. Io mi disgusto.»
Lui aprì appena la bocca ed annuì piano col capo, prima di ridere con leggera isteria. «Così ti disgusta ciò che abbiamo fatto.»
«No, no!» esclamai scuotendo il capo. «Non volevo dire questo. E’ solo che… lei non sa… e…», il mio respirò accelerò, nel panico.
«Ehi, Helen, ehi… ascoltami.» mormorò lui prendendomi il viso fra le mani. «Respira, okay? Respira con me.»
I miei occhi vagavano fra le siepi e sul muretto del retro, dove non v’era nessuno.
«Guardami. Guardami, ho detto!» esclamò strattonandomi con dolcezza, afferrandomi la mandibola con una mano. «Uno… due… tre…»
Con gli occhi fissi sulle sue labbra seguii il suo respirò, fino a che non si fu calmato. A quel punto chiusi gli occhi e poggiai la fronte sul suo petto. Le sue braccia mi circondarono le spalle e mi strinsero teneramente a sé, mentre mi carezzava il capo.
In quel momento, fra le sue braccia, lasciai che qualche lacrima mi rigasse il viso. Era assurdo, me ne rendevo conto, tutto così irreale. Avevo tanto desiderato durante gli ultimi mesi essere cullata e calmata dalle sue braccia, per quell’amore, infondo, mai negatomi.
«Ti accompagno in camera.»
Scossi il capo. «Sto meglio.» dissi guardandomi in volto.
Alzò un sopracciglio. «Certo.» rispose asciugandomi le lacrime. «Lo vedo.»
Scossi il capo. «Ian…» protestai. «Non è il caso. Ti prego, lasciami andare da sola.»
Scosse il capo. «No.»
Premetti il palmo della mia mano sulla sua guancia. «Ian… ti prego…» mormorai.
Sospirò abbassando lo sguardo prima di posarlo nuovamente sul mio viso. Porto le mani sul mio viso e prese ad accarezzarmi le guance.
«Okay. Ci vediamo in spiaggia.»
Schioccai la lingua.
«Helen!» mi riprese lui.
«Come posso guardarvi insieme, Ian.» gemetti.
«Non sarai costretta a farlo.»
«Sì, invece. Non ti prometto che verrò. Magari andrò in piscina… chiederò ad Anthony e Ryan di accompagnarmi.»
«Posso raggiungerti.»
Sorrisi. «Potresti raggiungerci.»
«Ripeto: posso raggiungerti.» disse amabilmente baciandomi la fronte.
«Mi mancherai.» mormorai chiudendo gli occhi e affondando il viso nell’incavo del suo collo.
«Mi mancherà non poterti sfiorare.» rispose lui baciandomi la spalla nuda.
Alzai il capo e strofinai la mia guancia contro la sua, ad occhi chiusi, imprimendo la sensazione della sua pelle sulla mia, poi mi voltai e sparii oltre le siepi.

*

Eccomi ancora qui.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento…
Grazie di cuore ha chi ha recensito lo scorso capitolo e che ha letto senza farlo.
Come al solito, risponderò alle recensioni ogni qual volta verranno lasciate… se verranno lasciate.

Con immenso affetto,
                                Panda.

 



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Capitolo 15
*** Capitolo 15. ***


 

 

15.  

 


~ Destroy this city of delusion, break these walls down. I will avenge.

Distruggi questa città dell'illusione, fa crollare questi muri. Io combatterò.~

 



Quella mattina passò con una tale lentezza da apparirmi quasi eterna. Alla fine non andai in spiaggia, non ci riuscii. Per quanto il viso di Ian mi mancasse, per quanto desiderassi perdermi nei suoi occhi e lasciarmi andare al suono della sua voce calda, l’idea di vedere Abby guardarlo con occhi innamorati ed ignari, era insopportabile e la consapevolezza di aver tradito la sua fiducia, con conseguenti sensi di colpa non avrebbe fatto altro che macchiare una cosa tanto pura quale l’amore è, avrebbe macchiato quegli unici momenti di felicità che dopo tempo ero riuscita a vivere, quegli unici momenti in cui, finalmente, mi eri congiunta ad Ian, in cui lui era stato parte di me ed io parte di lui. Azioni e parole che erano state al centro del mio piccolo mondo immaginario per così tanto tempo che facevo fatica ancora a credere che fosse tutto vero. Perciò, per quanto masochista fossi, non ero pronta a lasciar che la sensazione di quell’amore segreto si sgretolasse come pasta frolla, evitai Abby, sperando che lei non ci desse troppo peso.
Ora, stesa in piscina su una sdraio di plastica, con il mio solito cappello di paglia e gli occhiali a ripararmi dal sole, mi godevo la sensazione di calore che i raggi solari provocavano sulla mia pelle. Tornata in albergo, dopo la mia “fuga”, avevo indossato il mio solito costume blu elettrico, dopo di che ero andata in camera di Ryan, speranzosa di trovarlo. E così, fu. Era intento a riporre le ultime cose in valigia. Avevo raggirato le sue domande su ciò che era accaduto l’ora precedente in sala da pranzo, non gli avevo parlato di Ian, non volevo nemmeno menzionarlo, perché pronunciarne il nome ad alta voce mi stringeva lo stomaco in una morsa. Lui fu più che felice di accompagnarmi in piscina, in fondo, sapevo che anche se l’idea non lo allettava, sarebbe comunque venuto con me. La fortuna volle che anche Anthony fosse lì, a cercare di far colpo su qualche bella ragazza in bikini.
In quel momento, volsi il capo e sorrisi. Anthony, seduto sulla sedia a sdraio allungava il collo per cercare qualche ragazza che prendeva il sole, come le giraffe fanno quando cercando cibo.
«Lo so che sono bello, ma se mi guardi così mi consumo.» scherzò lui passandosi una mano fra i capelli e scuotendo la testa, come fossero stati lunghi e fluenti.
«Chiedo venia, signora. Ma lei è così bella che non riesco a toglierle gli occhi di dosso.» dissi piegando una gamba.
«Cosa fai? Ti prendi gioco di me?»
«No, sai che non lo farei mai, Anthony.» sorrisi abbassandomi appena gli occhiali sul naso e guardandolo sopra d’essi.
«Uhm…» mormorò pensieroso prendendosi il mento fra indice e pollice.
«Cosa?» chiesi corrugando appena la fronte.
«Oggi sei particolarmente… di buon umore!» sorrise.
Chinai appena il capo e guardai le mattonelle marroni. Ancora per poco, pensai.        
Feci spallucce. «Sarà il sole.» farfugliai in imbarazzo.
«C’è sempre il sole.»
«Mi sono svegliata di buon umore, tutto qui.» dissi comprendoni nuovamente gli occhi con le scure lenti.
Sospirò. «Oppure ha conosciuto qualcuno... o tu e Ryan…»
Sbuffai e mi misi a sedere. «Oh, sei impossibile! Tra me e Ryan non c’è nulla! E’ tanto difficile da comprendere?» domandai irritata, allargando le braccia.
«Ti piace.» mi stuzzicò ancora, guardandosi le unghie.
«Oh, ti odio!» ringhiai balzando in piedi.
«Certo, certo.» disse lui sfregandosi le unghie sulla spalla.
Ridussi gli occhi a due fessure e andai via, sbuffando, con il capo  a fissare le mattonelle, ma dovetti fermarmi di scatto, quando incontrai un paio di piedi. Alzai il capo e il fiato mi si mozzò. I suoi occhi, resi color ghiaccio dalla forte luce del sole, mi sorrisero con una tale dolcezza da farmi dimenticare perfino come mi chiamassi. Le sue labbra nascondevano un sorriso felice, ma gli occhi… oh, non avrebbero mai potuto mentire.
«Ciao.» mormorò mentre un angolo delle sue labbra si sollevava verso l’alto.                   
«Ciao…» soffiai con occhi spalancati.
«Helen, scherzavo!» sentii Anthony esclamare. «Oh, ciao Ian!» aggiunse poi e supposi fosse dietro di me, perché nel salutarlo la sua voce era più vicina di quanto credessi.
«Ehi, Anthony.» sorrise.
«Come mai qui?»
Mi resi conto di dare ancora le spalle ad Anthony, mentre fissavo il viso di Ian, come fossi una quattordicenne alla sua prima cotta. Mi voltai appena… e farlo mi costò tremendamente tanto. Il mio stomaco s’attorcigliò.
Quando Ian rispose la sua voce non era del tutto ferma. «Abby vorrebbe che veniste in spiaggia.» disse titubante, guardando prima lui, poi me.
Fu allora che gelosia e sensi di colpa si abbatterono su di me. Tremai e la testa prese a girarmi. Senza rendermene conto gemetti e Ian, prontamente, mi mise una mano dietro una spalla, quasi a sorreggermi.
«Tutto okay?» chiese con premura mentre Anthony chiamava il mio nome.
«Sì.»
«Hai mangiato qualcosa?» mi chiese serio Ian. Scossi il capo e lui sospirò, quasi rassegnato.
«Dev’essere in ansia per Ryan.»
In quel momento sentii la rabbia salire ed impossessarsi di me. Il sangue prese a ribollirmi nelle vene e le mani a prudermi.
«Anthony!» ringhiai su tutte le furie, feci un passo indietro e gli diedi una spinta, ma troppo alto e forte per me, non riuscii a spostarlo di un centimetro così, a cadere, fui io. Ma non caddi sul duro pavimento, bensì in piscina. In un attimo l’acqua fredda mia avvolse facendomi venire la pelle d’oca. Quando riemersi incontrai gli occhi scioccati ed arrabbiati di Ian, mentre Anthony rideva di gusto. Mi tolsi gli occhiali, recuperai il capello e nuotando mi avvicinai al bordo piscina, lì, trovai la mano di Ian tesa verso me, l’afferrai ed il mio cuore sussultò.
«Tu con me, hai chiuso! Non parlarmi più, non nominarmi più, e non respirarmi vicino!» esclamai a Ryan.
«Helen…» mormorò Ian.
«Oh, lasciatemi stare!» latrai sbuffando. Presi la mia roba e mi  rivolsi nuovamente ad Anthony. «Per favore, trovati una ragazza.» sibilai.
«Cosa succede?» al suono di quella voce il mio cuore urlò.
«Niente.» sussurrai guardando la mano di Abby cercare quella di Ian.
«Niente.» ripetei osservandole, prima di alzare gli occhi sul viso di Abby.
Mi morsi il labbro inferiore, che prese a tremarmi. Fu allora che avrei voluto sprofondare nel sottosuolo e nascondermi. Mi sentii in colpa verso mia cugina, una infima traditrice, ma provai un impeto di gelosia nei confronti di Ian. Ma, in fondo, che diritto avevo io?
I suoi occhi m’implorarono perdono, in quell’espressione di dispiacere. Mi lasciai accarezzare da essi un’ultima volta, prima di andare via, ignorando la voce di mia cugina che non faceva che ripetermi cosa stesse accadendo.


L’indomani, nel tardo pomeriggio saremmo partiti, così una volta in camera, dopo essere fuggita dalla crudele scena in piscina, recuperai tutta la mia roba, riponendone una parte in valigia, questo non prima di una doccia fresca.
L’acqua non solo mi lavò via il cloro, il cui odore impregnava fastidiosamente i miei capelli, ma mi rilassò e, per alcuni istanti, la mia testa si sgomberò da qualsiasi tipo di pensiero, per quanto folle e contraddittorio possa apparire.
Indossato un vestito in lino color della neve, cominciai a piegare canotte e jeans, mentre la mia mente mi scagliava continuamente ricordi della notte passata con Ian. Ma al viso di Ian era associato quello di Abby. Era un circolo vizioso dal quale non vi era fuga. Così, meccanicamente, spossata, riposi in valigia ciò che non mi serviva, fino a quando non fu ora di pranzo.
Non potei non pensare a ciò che sarebbe accaduto dopo. La vacanza era oramai terminata e ognuno di noi sarebbe tornato alla vita di sempre. In città, a New Bern, sarebbe stato difficile vedersi spesso e ci saremmo ridotti tutti a vederci due volte a settimana, come di consueto. Ian ed Abby non sarebbero stati per me più una tale fonte di dolore, attenuato in piccola percentuale dal non vederli costantemente. Ma… cosa ne sarebbe stato di me ed Ian?  L’idea di una vita insieme, per quanto sbagliata fosse, non faceva che tormentarmi, dandomi in principio una leggera sensazione  di benessere, in seguito un’orribile sensazione di tradimento.
Come potevo fare ad Abby una cosa del genere?
Il mio stato mentale era tanto confusionale da non permettermi di analizzare razionalmente la situazione, ero in balia degli affetti del cuore che mi sballottavano, come fossi una barca a vela in piena tempesta.
Un’orribile sensazione di malinconia e sofferenza non faceva che avvolgermi e tenermi stretta sé, come fossi la cosa più preziosa che avesse trovato, la sua nuova conquista che non meritava di vivere in felicità e serenità. Ed in quel momento mi odiai con tutta me stessa per essermi lasciata trascinare dall’amore, di non essermi imposta.
Ghignai. Stupida, mi dissi, conscia che al cuore non si comanda.                                                                            


Ero intenta ad allacciarmi alla caviglia il cinturino dei saldali quando qualcuno bussò alla porta. Il cuore mi balzò in gola e cominciò a battere frenetico. In cuor mio, per quanto odiassi ammetterlo, speravo fosse Ian, così balzai dalla sedia, lasciandomi contro la porta. L’aprii velocemente ed un paio di occhi color nocciola mi schiaffeggiarono inconsapevolmente.
«Finalmente!» esclamò lei passandomi accanto ed entrando nella stanza.         
Chiusi un momento gli occhi, come a voler racimolare quel poco di autocontrollo rimastomi, poi mi voltai, richiudendomi la porta alle spalle, molto lentamente.
«Abby…» mormorai cercando di apparire il più naturale possibile, sorridendo ma ottenendo probabilmente una smorfia.
«Sei sparita. Non ti capisco. Cosa succede?»
Tremai ed il mio cuore pianse silenziosamente. «Ho avuto un sacco di cose da fare… poi sono stata in piscina… nulla, è la vacanza…» farfugliai portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Lei sbuffò e si lasciò cadere sul letto, poi parlò. «Vieni qui.» disse battendo la mano sul materasso.
Deglutii rumorosamente e tremante avanzai nella stanza fino a sedermi sul letto. Lei, poggiandomi una mano sulla spalla, mi attirò verso il basso e così mi ritrovai stesa accanto a lei, entrambe supine.
«Io e te non parliamo più come prima.» disse con convinzione incrociando le dita sul ventre.
Pugnalata in pieno petto. Le parole parvero morirmi in gola.
«Non è vero.» mentii. «Abbiamo avuto due giorni intensi.» risposi cercando di controllare la voce.
«Non so se crederti.» sospirò voltandosi a guardarmi. Benché fissassi il soffitto color della neve, potei osservarla con la coda dell’occhio e mi sentii tremendamente per ciò che lei non sapeva e forse non avrebbe mai saputo.
Sentii le lacrime pungermi crudelmente gli occhi, così chiusi le palpebre per fermale. Non potevo lasciarmi andare, non in quel momento, sopraffatta
Ignara poggiò la testa sulla mia spalla. Quel contatto, così casuale, mi fece dolere il petto.
«Basta… Abby… » gemetti, ma non era riferito alle sue parole, bensì al dolore che la sua presenza mi causava, la semplicità e a spontaneità con il quale ignara mi parlava. Basta al dolore      in pieno petto, ai sensi di colpa. Ma, in fondo, me l’era cercata.
Ad un momento d’intensa felicità, di magnificenza corrisponde un momento di declino e dolore.
«Okay, okay.» sbuffò mettendosi a sedere. «Ti va di fare un giro?»
«Io… devo finire la valigia.»
Sbuffò, irritata. «Okay. Vuol dire che andrò a farla anche io. Magari aiuto Ian a fare la sua.» disse roteando gli occhi.
Udire quel nome fu come ricevere una pioggia di spilli in pieni viso.
«Ci vediamo a pranzo.» sorrise poi baciandomi una guancia. «A dopo.»
Non ebbi io coraggio di rispondere, le parole mi morirono in gola mentre la osservavo chiudersi la porta alle spalle.
Cosa stavo facendo?                                                     


Mi spazzolai con calma i capelli davanti al grande specchio sopra il lavabo del bagno. Mi legai la canotta blu dietro il collo e continui a spazzolarmi i capelli, ciocca dopo ciocca. Entro poco sarei dovuta scendere al pian terreno per il pranzo… e non ero pronta, in fondo, non lo sarei mai stata. Sospirai e lasciai la spazzola sul piano in marmo, mi poggiai poi ad esso ed incrociai le braccia al petto. In quel momento qualcuno bussò alla porta. Pietrificata non riuscii a muovere un solo muscolo.  Più cercavo di starmene in solitudine più non facevano che cercare la mia compagnia.
«Helen?» udendo la voce di Ryan rilassai i muscoli contratti e, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio, gli aprii la porta.
«Ehi.» sorrisi spostandomi per farlo entrare.
«Sono venuto a vedere come stavi.» disse premendo il palmo della mano sulla mi guancia.       
Sorrisi. «Sto bene, Ryan. Dovresti smetterla di preoccuparti per me.»
Lui alzò gli occhi al cielo.
«Davvero!» esclamai dandogli un buffetto sul braccio.
«Anthony mi ha raccontato della piscina.»
Digrignai i denti. «Idiota.» ringhiai.
Ryan rise. «E’ sorprendete come, in poco tempo, riesca a mandarti fuori dai gangheri.»
Mi portai le mani sui fianchi. «Certo, ridi!» esclamai cercando di reprimere un sorriso ed apparire seria. Mi sedetti sul letto con un tonfo sordo.
Ryan si guardò intorno, soffermandosi con lo sguardo sulla valigia. «Hai già liberato l’armadio.» osservò.
Feci spallucce. «C’è solo l’indispensabile fuori. Volevo godermi le ultime ore senza il cruccio dei bagagli.» sorrisi.
«Previdente come sempre.» sorrise.
Aprii la bocca per ribattere ma qualcuno bussò alla porta, ancora.
Sbuffai. «Ma è possibile che non si possa avere un po’ di pace?» sibilai alzandomi dal letto. «Spero sia Anthony venuto a chiedermi scusa.» sorrisi afferrando la maniglia della porta, ma, ancora una volta, ciò che vidi non era ciò che mi aspettavo. Occhi verdazzurro mi scrutarono con gentilezza, prima di posarmi oltre me… su Ryan. Il suo voltò cambiò espressione e notai che aveva contratto la mascella.
«Ciao, Ryan.» disse con nonchalance.
«Ehi, Ian.» rispose lui e sentii i suoi passi avvicinarsi. «Allora io comincio ad andare. Ci vediamo di sotto ragazzi.» lo disse poggiandomi una mano dietro la schiena, come a volermi dare coraggio. Gli fui grata di quel piccolo gesto.
«Okay.» soffiai senza staccare gli occhi dal volto di Ian che fece un cenno del capo a mo’ di saluto. Lui entrò mentre Ryan  percorreva il lungo corridoio del piano dai muri color panna.
Chiusi la porta, poggiando i palmi sul legno fresco.
«Perché sei qui?» chiesi senza voltarmi, poggiando la fronte sulla superficie dinanzi a me.
«Avevo bisogno di vederti.» mormorò con voce calda.
Mi morsi il labbro inferiore mentre chiudevo gli occhi. «Ti prego, non rendere le cose più difficili di quanto già siano.» gemetti.
Avvertii le sua mani fra i miei capelli, li sentii carezzarli con estrema dolcezza e delicatezza, prima che si poggiassero sul mio ventre e mi attirassero e se. La mia schiena aderii perfettamente al suo torace, al suo addome, mentre affondava il viso fra i miei capelli.
«Non respingermi, Helen… ti prego… non respingermi.» gemette.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi, uscire prepotentemente rigandomi il viso.  Le sue mani erano sul mio corpo, lui era ovunque e potevo percepire il battito del suo cuore contro la mia schiena, il suo respiro sul collo che filtrava attraverso i capelli.
«Non respingermi ancora, Helen…»
Il suo tono di voce, disperato fu una lenta pugnalata. Ancora. Perché io lo avevo già respinto. Lo avevo respinto e lo avevo fatto soffrire come lui aveva fatto soffrire me. Ma era colpa mia, era solo colpa mia.
Poggiai le mani sulle sue e mi lasciai andare alle lacrime, addolorata… innamorata.
Lui mi bacio la pelle sotto il collo. «Ti amo e ho bisogno di te… ho bisogno di te come le piante hanno bisogno della luce, come l’uomo ha bisogno dell’ossigeno. Sei vita, Helen. Il tuo cuore… è il mio.»
Fu allora che racimolai quella minima quantità di forza di volontà che mi rimaneva e mi voltai, con gli occhi velati da calde lacrime. I suoi erano anch’essi inumiditi e il fiato mi si mozzò. Una lacrima gli spillò da un occhio, mi alzai in punta di piedi e, prendendogli il viso fra le mani, catturai con le labbra quella piccola perla d’acqua.
Lo baciai con estrema dolcezza e tenerezza sulla labbra increspate dalla malinconia, mi strinsi a lui, facendo aderire totalmente i nostri corpi, lasciando che le sue mani accarezzassero il mio viso come le mie accarezzavano il suo, come fossimo stati a lungo separati, un dolce ritrovarsi dopo una tempesta. Lasciai che ogni fibra del mio essere si legasse alla sua, s’intrecciasse per non lasciarla andare mai più. Fu come forgiare un muto ed invisibile patto, una reazione metallurgica che avveniva nell’essenza di noi stessi, che avveniva fra le parti del nostro profondo essere. Sarei stata sua, per sempre. Qualsiasi cosa sarebbe successa, una parte di me avrebbe sempre ricordato Ian e quanto intenso fosse l’amore che mi legava a lui.
Mi allontanai appena, quel che bastava per guardarlo in volto. «Vorrei che ci fossero parole per descrivere cosa provo per te, cosa sento adesso.»
Poggiò la fronte sulla mia ed entrambi chiudemmo gli occhi, l’uni stretta all’altra.
«Io amo te, Helen. Non Abby. E’ da quando abbiamo cominciato questa vacanza che ci penso. Io non l’amo.»
Aprii gli occhi ed incontrai i suoi. «Non l’ho mai amata quanto amo te.» mormorò con voce calda ed incrinata.
«Oh… Ian…» soffiai prima di affondare il viso nel suo collo. E le uniche parole che mi sovvennero alla mente furono: amami poco, così da amarmi a lungo.


Ancora poggiata alla porta, stretta ad Ian, mi lasciavo cullare dal suo respiro, mi lasciavo consolare ed amare dolcemente dal suo corpo caldo. Ero assuefatta dal suo profumo, dalla pelle morbida del suo collo sotto le mie mani. Non c’era altro intorno a noi, solo Helen ed Ian. Nient’altro.
«E’ meglio andare.»
«Niente è meglio se non posso toccarti.» mormorò lui al mio orecchio.
«Non t’importa che Abby capisca?»
Si allontanò appena e mi guardò alzando un sopracciglio. «Ma non hai ascoltato una parola di quello che detto?»
Sorrisi e gli baciai il mento. «Intendo… che capisca ora.»
Un angolo delle sue labbra si sollevò verso l’alto e gli occhi brillarono come diamanti al sole. «Vuoi dire che hai intenzione di dirglielo?»
Lo baciai a fior di labbra. «Ora, ho compreso. Ho capito, che ci sono cosa nella vita a cui non si può rinunciare, passioni e sentimenti che ti tengono in vita. Una vita senza te, Ian… non è vita. »
«Voglio solo che tu comprenda una cosa, Helen. Alla fine di questa vacanza, una volta tornati a New Bern, l’avrei lasciata comunque. L’avrei lasciata anche se la notte scorsa non ci fosse mai stata. L’avrei lasciata ed avrei bussato alla tua porta. Mi sarei inginocchiato ed ti avrei detto quanto mi amo, quanto la mia vita sia insulsa senza te, e quanto sciocco fui a fidanzarmi con lei, solo per dimenticarti. Ma come ci si può dimenticare di te, Helen?» mormorò guardandomi con occhi ardenti.
Con il respiro corto e occhi sgranati cercavo di metabolizzare ogni parola.
, avrei voluto dire, fuggiamo insieme. Andiamo via mano nella mano. Amiamoci, ora, domani, dopodomani, ed il giorno dopo ancora. Ma il pensiero di mia cugina sofferente…
«Ho paura, Ian.» soffiai.
«Ti prego, non averne. Non sacrificarti per lei, stai certo che per te non lo farebbe… ed, in fondo, lo sai anche tu.»
«Non puoi dirle tutto, ora.» dissi sgranando gli occhi.
«Oh, sì che posso.» disse risoluto allontanandosi e trascinandomi via dalla porta, tirandomi dolcemente per un braccio.
«No, che non puoi!» esclamai.
«Dici di amarmi.»
«E’ così.» sussurrai.
«Dobbiamo dirle tutto. Io, devo dirle tutto. E lo sai.»
«Ti prego, sii ragionevole. Non puoi, ora. Non qui. Viviamo tutti a stretto contatto, ne risentirebbero persone che non c’entrano. Pensa allo status quo.» dissi stringendogli il braccio con una mano. «Domani partiremo, potrai farlo una volta tornato a casa. Ti prego, Ian, non ora. Voglio che le parleremo insieme.»
Per attimi interminabili i suoi occhi rimasero nei miei, abbassò un momento lo sguardo, prima di
rialzarlo sul mio viso. «No, le parlerò io. Le devo spiegare che ci pensavo da un po’.» annuì.
Sorrisi, rincuorata. «Come non ci si può innamorare di te, Ian?»

 

*

Chiedo umilmente scusa per l’enorme ritardo, ma l’ispirazione è scarseggiata.
Ad ogni modo, la storia svolge al termine… finalmente, direte. :D
Grazie mille per la fantastica attenzione.

Un bacio, Panda.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16. ***


Salve gente. Sono “tornata” e mi scuso per la lunga assenza, ma con la seconda sessione d’esami concentrarsi su altro è stato davvero impossibile.
Ringrazio chi continua comunque a seguire la storia. :)
A voi, un bacio, Panda.

 

 

 

 

 

16.

 


~
Is our secret safe tonight?
And are we out of  sight or will our world come tumbling down?
Il nostro segreto è al sicuro stanotte?
E noi siamo fuori dalla visuale o il nostro mondo andrà in rovina?~



Quando uscimmo dalla mia camera, prendemmo percorsi diversi. Tremavo al pensiero di andare a pranzo e vedere Ian, lo stesso Ian che diceva di amarmi e che mi aveva ripetutamente sfiorata nei minuti precedenti, toccare, sorridere o baciare mia cugina. Il solo pensiero mi dilaniava il petto in due. Ma… in fondo, ero stata io a volerlo, no?
Mi passai una mano fra i capelli, cercando di darmi un contegno mentre schiacciavo il tasto dell’ascensore.
Ian aveva preso le scale e saremmo entrati in momenti diversi, da porte diverse. Mi sentii perfida, infima, meschina. Una persona che non poteva fare nulla alla luce del sole, che doveva giurare amore di nascosto, e vivere di baci rubati al tempo.
Mi morsi il labbro inferiore e mi appoggiai ad una delle pareti, abbassando lo sguardo. Le porte si aprirono al piano successivo e fui lieta di incontrare il viso di Shelly.
Sorrisi. «Ehi, Shelly.»
«Helen! Dove sei finita questa mattina?» chiese abbracciandomi.
Deglutii a fatica. «Ecco… ero in piscina, poi sono corsa a fare i bagagli.» risposi abbozzando un sorriso.
«Tua cugina è fuori di testa. Non capisce cosa ti prende. Cosa c’è che non va?»
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Ero stanca di sentire persone che mi chiedevano perennemente se ci fosse qualcosa che non andava.
«E’ tutto okay, Shelly. Sono adulta, oramai.» risposi sorridendole.
«Ma sei comunque la più piccola del gruppo. È spontaneo preoccuparsi per te.»
Feci una smorfia, prima di abboccare un sorriso. «Già.»
«Oggi pomeriggio vieni in spiaggia, no? E’ l’ultimo giorno… dato che domani sera si parte e dobbiamo essere all’aeroporto nel pomeriggio.»
Shelly era da sempre quella logorroica nel gruppo e spesso, quando parlavo con lei, non prestavo attenzione ad ogni parola… come in quel momento. La lasciai parlare e sentii a malapena cosa avesse da dire su Jared, quanto fosse meraviglioso e di quanto lei lo amasse. Avrei potuto concentrarmi sulle sue parole per non pensare ad altro, ma era del tutto impossibile poiché il tema principale era l’amore. Perciò pensai di distrarmi pensando all’oceano, ai delfini… immersa nei miei pensieri non mi accorsi di essere già arrivata in sala pranzo. Il cuore parve perdere un battito.
Ian era seduto di fianco ad Abby, lo sguardo fisso nella mia direzione. Aveva i gomiti poggiati sulla tavola, le mani sulla tovaglia. Lei aveva un braccio intrecciato al suo e giocava con le sue mani inerti. Parlava con Anthony che le sedeva di fronte e cercò di attirare l’attenzione di Ian senza riuscirci. Mentre ci avvicinavamo al tavolo, lei seguii lo sguardo impassibile di Ian, incontrando così il mio.
Sorrise, confusa. «Helen! Finalmente!» esclamò.
Cercai di abbozzare un sorriso, sperando che la mia espressione non apparisse una smorfia. «Ciao.» dissi.
«Anthony mi raccontava della piscina.» disse con divertimento poggiando le tempia sulla spalla di Ian. Nei suoi occhi mi parve d’intravedere uno spruzzo di malizia e sfida.
No, mi dissi, no, impossibile.
Il mio cuore singhiozzò.
«Oh.» riuscii solamente a dire, lì, immobile, mentre Shelly prendeva posto accanto ad Anthony e Jared, che baciò sulla labbra.
«Dai, vieni a sederti qui, vicino a me.» disse battendo sulla sedia.
Deglutii rumorosamente mentre Ian si mosse sul posto.
Sorrisi flebilmente ed annuii col capo. Aggirai il tavolo, guardando il pavimento rivestito di moquette rossa , e mi accomodai accanto ad Abby, ancora stretta ad Ian.
Avrei voluto alzarmi di scatto, urlare e scaraventare il mio piatto contro il muro, ma non potevo farlo. Strinsi i piedi attorno alle gambhe del tavolo.
«Oggi è l’ultima sera. Dobbiamo fare qualcosa di memorabile.» disse Anthony con gli occhi che gli brillavano per l’eccitazione.
«Entro i limiti imposti dalla legge.» aggiunse Ryan alzando un sopracciglio.
Anthony lo guardò prima di sbuffare. «Come sei noioso.»
«Responsabile.»
Sorrisi e scossi il capo.
«Ti diverti con loro.» mi mormorò mia cugina.
Non mi voltai a guardarla, cercai di tenere Ian lontano dal mio campo visivo. Così, fissai il cestino del pane. «Mi diverto con tutti.»
«Con me no.»
«Andiamo, non essere ridicola.»
Per alcuni secondi, rimase immobile. Sospirò, poi si voltò. Non parlammo per il resto del pranzo.


«E’ la nostra ultima notte, ragazze. Dev’essere memorabile.»
Io e Shelly ci guardammo, mentre Anthony si portava il bicchiere di Jin Tonica alle labbra, svuotando il bicchiere.
«Ora mi fai paura.»
Lui si avvicinò e sorrise maliziosamente. «Dai, Helen. So che sei d’accordo con me.», attirò l’attenzione di un cameriere ed ordinò una tequila.
Alzai un sopracciglio. «Forse è meglio se non la bevi. Anzi, questo è un ordine.»
Eravamo in un locale in riva al mare, ci eravamo già stati lì… quella sera in cui Ian mi trovò sulla battigia.
«Che ne dite di un menage a troìs?» chiese alzando ritmicamente le sopracciglia.
Shelly sospirò e si poggiò allo schienale della sedia, incrociando le braccia.
Io scossi il capo. «Taci, Anthony.»
«Siete senza spirito d’iniziativa, ragazze.»
«Sei ubriaco.» sbottò Shelly dandogli un pizzicotto sul braccio.
«Ora sto sanguinando.» ironizzò guardo la parte di pelle colpita.
«Basta, è ingestibile.», Shelly scattò in piedi. «Stacci dietro tu, io non ne posso più. Vado a cercare gli altri.» sputò allontanandosi.
Sospirai e mi passai una mano sul viso. Eravamo usciti da circa un’ora ed Anthony era già ubriaco. Gli altri ragazzi, inclusa Abby, erano andati a prendere da bere al bancone per poi fare un salto in riva al mare. Io Avevo convinto Anthony e rimanere, lì, con me, desiderosa di stare il più lontana possibile da mia cugina e Ian, il cui pensiero mi causava una sistematica fitta di dolore.
Forse, non era stata una buona idea.
In quel momento arrivò la tequila per Anthony.
«Sì, tequila, tu sei il mio unico amore.» sorrise afferrando il bicchiere, ma glielo tolsi di mano e rimase con l’arto a mezz’aria. Si voltò a guardarmi, fulminandomi.
«Dammela.» sibilò.
«No.»
Ridusse gli occhi a due fessure. «Helen, dammi quel bicchiere. Ora.»
«Ho detto di no.» risposi con voce dura.
Allorché lui si alzò e si sporse verso me, cercando di togliermi il bicchiere di mano. Mi opposi, allontanandomi e alzandomi appena sulle gambe. Persi l’equilibrio esattamente come Anthony e la tequila mi finì sul vestito rosso che indossavo.
C’immobilizzammo e rimanemmo entrambi a guardarla grossa macchina bagnata sul mio vestito senza spalline. Sentii l’irritazione montare, la rabbia ribollirmi nelle vene.
«Sei un idiota!» esclamai spintonandolo tanto da farlo ricadere sulla sedia.
«Mi dispiace!» rispose lui guardandomi negli occhi, sinceramente pentito.
«Oh, Dio!», allargai le braccia e mi allontanai. Mi voltai, prima di sparire dalla folla. «vado in bagno e giuro, giuro su tutto l’amore del mondo, che se non ti trovo qui al mio ritorno con un bicchiere d’acqua invece che di qualsiasi alcolico, ti faccio diventare sterile.» sibilai.
Non mosse un muscolo. Si limitò a fissarmi, prima che mi girassi per andare in bagno. Tagliai per la pista da ballo, dando di tanto in tanto spallate perché nessuno era disposto a spostarsi.
Una volta arrivata alla toilette femminile presi della carta e cercai di lavar via un po’ di tequila aiutandomi con un po’ d’acqua, ma il risultato, come era prevedibile, non fu dei migliori.
Poggia le mani sul lavandino e chiudi gli occhi, respirando a fondo.
Questa è l’ultima sera, Helen, non facevo che ripetermi. L’ultima sera.
Sì, dopo tutto sarebbe tornato alla normalità. Oh, ma chi volevo prendere in giro.
Consapevole di aver lasciato Anthony ubriaco al tavolo, da solo, scossi il capo e riavviandomi e capelli uscii dalla toilette e mi diressi verso il tavolo, tagliando ancora per la pista da ballo. Una volta arrivata all’angolo, quello dov’era il nostro tavolo pensai di aver sbagliato, perché non vidi Anthony da nessuna parte, Poi capii che, semplicemente, non c’era.
M’irrigidii. «Oh, oh.» mormorai a me stessa, mentre spalancavo gli occhi e mi guardavo intorno.
In quel momento, sì, peggio non poteva andare. Ovviamente, mi sbagliavo.


Mezz’ora più tardi mi ritrovai a cercare Anthony accompagnata  da Ryan.
Stavamo cercando sulla spiaggia, un luogo che m’incuteva terrore, perché ossessionata dalla vista di Ian stretto a mia cugina, una scena vista troppe volte e troppo crudele alla luce dei recenti avvenimenti. Ogni sagoma avvolta dall’oscurità era un sussulto.
«E’ come un bambino.»
«L’hai capito solo adesso?» sbuffai incrociando le braccia al petto.
«Ha anche il cellulare staccato.»
«Potrebbe essersi appartato con qualche ragazza.»
«Perché, una ragazza si sarebbe appartata con un ragazzo che puzza d’alcool? Di solito è il contrario.»
«Mai dire mai. Sai, magari lei si è innamorata guardandolo negli occhi.»
Ryan si voltò a guardarmi. «Ed io sono Nicole Kidman, Helen.»
Roteai gli occhi. «Era un’ipotesi, Ryan.»
«Cosa farai dopo?» chiese lui voltandosi a guardarmi, con espressione seria.
«Lo prenderò a pugni, credo… o almeno ci proverò.»
«Non mi riferivo ad Anthony, Helen.»
«Oh.» chinai appena il capo. «Ancora non lo so. E’ tutto così difficile. Ma di una cosa sono certa, Ryan, rinunciare a lui sarebbe come smettere di respirare ed ho passato troppo tempo in apnea.»


Nelle due ore successive alla ricerca del ragazzo perduto, si unirono anche Jared e Shelly, che aveva rinunciato ai suoi momenti di tranquillità.
Cercammo un ovunque, in spiaggia, nel villaggio, nei locali, ma non v’era traccia di Anthony da nessuna parte. Stanchi e preoccupati, nel cuore della notte, tornammo in albergo sperando che fosse lì, in teoria avrebbe dovuto, più o meno, aver smaltito la sbornia.
Di tanto in tanto si intravedevano coppiette che tornavano in stanza, tenendosi per mano, e dovetti lottare contro me stessa per non piegarmi in due dall’invidia.
«Hai provato a chiamare Abby?» mi chiese Shelly in uno sbuffo.
Mi morsi l’interno della guancia. «Ha il cellulare staccato.»
«Ian?»
Mi voltai a guardare un punto indefinito della siepe che circondava una piscina, come se cercassi lì una risposta, ma qualcosa attirò la mia attenzione. Tre figure erano sedute sul bordo della piscina ed affinando lo sguardo, riuscii a vedere.
Sgranai gli occhi e mi pietrificai, tanto che Shelly mi chiamò più volte, ma mi voltai verso di lei solo quando mi scosse.
Imprecai e ringhiai, prima di dirigermi a passo pesante verso la piscina, scavalcando la siepe e graffiandomi le gambe.
«Cosa diavolo ti dice il cervello?» ringhiai con il sangue che mi ribolliva nella vene.
Le tre figure saltarono e contemporaneamente si voltarono, guardandomi in modo confuso.
«Hai idea di quanto ero in pensiero? Quanto ti abbiamo cercato? Eh? Hai idea di quanto io voglia strangolarti in questo momento?» urlai dandogli una spintone sulla spalla, tanto che, per non cadere in piscina, dovette reggersi ad Ian.
«Helen, calmati per favore.» mi sussurrò Ryan afferrandomi per un braccio.
«No che non mi calmo!» esclamai guardandolo. «Sono ore che lo cerco! Gli avevo chiesto di restare al tavolo mentre io pulivo il disastro che ha combinato sul mio vestito! E lui che fa? Se ne va e nessuno di loro è rintracciabile sul cellulare!» gridai fuori di me guardando Anthony.
«Oh, non capivo nulla!» si giustificò lui.
«Mi sembra che ora non sia così.» sibilai e, presa dalla rabbia, non notai che Ian ed Abby si erano alzati dal bordo della piscina.
«Tesoro, calmati.» mi ammonii mia cugina poggiandomi una mano sulla schiena.
«Non toccarmi!» esclamai.
«Ma cosa ti prende?»
«Cosa mi prende? Ho vagato in cerca di questo idiota per ore! Preoccupata! E nessuno qui mi ha avvisata!»
«Rettifico,» disse Shelly, «Abbiamo vagato.»
«Mi dispiace, ragazzi…sul serio, Helen, non ho pensato…»
Scossi il capo e sospirai, passandomi una mano fra i capelli. «Me ne vado a dormire. Buona notte.» e mi allontanai, contenta che quella vacanza fosse finita.


Un’ora dopo mi ritrovai stesa sul letto in posizione supina, le dita incrociate sul ventre. Ero stanca, avevo sonno, ma non riuscivo a dormire.
Avevo ignorato l’sms di Abby che mi chiedeva se era tutto okay e se ero ancora sveglia. La ignorai quando venne a bussare, ignorai anche Ryan. Avevo solo voglia di starmene distesa sul letto e rimuginare su un domani che appariva una grande incognita, un gigantesco buco nero. Ma, ora, ero stanca di starmene lì, così mi misi e sedere e dopo essermi guardata intorno, mi alzai, indossai un paio di calzoncini e afferrai una giacca di cotone che misi sopra la canotta.
Uscii lasciando il cellulare in camera e cominciai a vagare per l’albergo, prima di uscire e dirigermi verso la piscina. Tutte le luci erano spente eccetto quelle all’interno della vasca ed il loro bagliore gettava fasci di luce sulle sedie ed i muri, mentre le increspature dell’acqua danzavano rendendo tutto estremamente suggestivo. Camminai lungo il bordo della piscina per interminabili minuti, poi mi sedetti immergendo i piedi nell’acqua, muovendoli, facendola increspare ancor di più.
Rimasi lì, non so per quanto tempo, stretta nel mio golfino di cotone, con la mente immersa in quella piscina, desiderosa di non pensare al domani, perché il non sapere che cosa ne sarebbe stato di me, di Abby… di Ian, mi angosciava, mi faceva tremare e stringere lo stomaco in una morsa.
«Fa freddo qui.»
Sobbalzai e di scatto mi voltai guardando la figura alle mie spalle.
«Mi hai spaventata.» soffiai senza riuscire a voltarmi, allontanare il mio sguardo dall’oceano dei suoi occhi.
«Perdonami. Non era mia intenzione.» mormorò con voce calda e roca, accennando un lieve sorriso.
Sorrisi e mi voltai, chinando appena il capo. «Perché sei qui?»
«Perché ci sei tu.»
Il mio cuore perse un battito.
«Come facevi a sapere che ero qui?»
«Ti ho vista dalla finestra accanto alla tua stanza.»
Oramai era in piedi accanto a me, alzi il capo per guardarlo in volto.
«Sei stato in camera mia?»
«Avevo bisogno di vederti, Helen.» disse , e la sua voce era denso miele.
«Davvero?»
Rise sommessamente. «E’ così difficile da credere?» domando sedendosi accanto a me, immergendo anche lui i piedi nell’acqua, dopo aver arrotolato al ginocchio i jeans.
Sorrisi e scossi il capo. «Non dovresti essere qui. Lo sai.»
«Oh, hai ragione.» rispose.  Mi morsi il labbro e mi voltai a guardarlo.
Trattenne un sorriso, poi si avvicinò a me, tanto che i nostri fianchi, le nostre spalle si toccarono, mi circondò il collo con un braccio e mi attirò a se, poggiando la guancia sulla mia testa.
«E’ qui che dovrei essere.»


«Fra sette ore abbiamo il volo, non credi sia meglio dormire un po’, Helen?» mi chiese Ian all’orecchio.
Sorrisi. «No, si sta così bene qui.» mi lamentai.
Rise sommessamente. «Andiamo, Helen.»
«Per essere privata della tua compagnia?», alzai lo sguardo sul suo viso. «Come posso ardentemente desiderare di averti, di stringerti, amarti fino a che l’ultimo alito di vita abbandoni il mio corpo e, alla stesso tempo, desiderare che tu renda felice mia cugina? Come posso?»
«Qualunque decisione tu prenda, Helen… sappi che non puoi farci nulla. Non posso tornare da lei se amo te. Non posso farle vivere una menzogna. Tra me ed Abby è finita già da tempo, anche se lei non vuole ammetterlo… e, forse, non è mai iniziata. Ci sei sempre stata tu, anche quando per te non c’ero io. La mia felicità è incatenata alla tua, la tua alla mia. Non puoi salvare tutti, non puoi rendere tutti felici. Ci sarà qualcuno che soffrirà e lo sai… ma, per quanto egoista forse possa essere, non posso permettere che sia tu.»
«Se solo l’avessi capito prima… se solo avessi compreso ciò che in realtà provavo quando dicesti di amarmi… sarebbe tutto diverso, ora. Oh, se solo potessi tornare indietro.» mormorai con voce rotta.
«Ssst. Tranquilla.» sussurrò sulla pelle della mia fronte. «Ora sono qui. Nient’altro conta.»
Sorrisi e affondai il viso nel suo collo. «Come fai?»
«Di cosa parli?»

«Farmi sentire… appagata… completa.»

«Che buffo,» soffiò sulle mie labbra, «stavo per chiederti la stessa cosa.»



Poco dopo lasciammo la piscina, l’aria fredda della notte e ci dirigemmo verso la mia camera, vicini, le mani che appena si sfioravano. Camminavamo in silenzio, avevo paura persino di respirare, come se Abby, o qualcun altro, potesse avvertire la mia presenza, o il mio tradimento urlare. Camminavamo con i sensi di colpa a piegarci le spalle, dolorosi ed inevitabili. Eppure continuavamo a camminare, a restare l’uno accanto all’altra spinti legati da un filo invisibile, da un desiderio di felicità e l’illusione di un mondo primo di dolore. Che fosse la scelta giusta, o la scelta sbagliata non ci era dato di sapere, ma prendere strade diverse avrebbe significato smettere di respirare.
Aprii la porta ed entrammo nella stanza.
«Vieni qui.» disse Ian afferrandomi per una mano ed attirandomi a sé. Mi strinse con dolcezza, prima di ingabbiarmi il viso fra le mani.
Alzai una mano e gli sfiorai il profilo della mascella, prima di premere il palmo sulla guancia.
«Ti amo, Ian.» sussurrai senza smettere di guardarlo negli occhi.
Sorrise e posò le sua labbra sulle mie, s’incastrarono, si plasmarono ad esse.
M’inebriai del suo profumo, mi saziai delle sue labbra, mi ubriacai della sua dolcezza.
Poi qualcosa interruppe quel momento, un qualcosa tanto simile ed un fulmine che fende e squarcia il cielo notturno; un vaso di cristallo che cade sul pavimento, frantumandosi; un rumore ed un suono che mi perforarono i timpani e mi dilaniarono il petto.
Un forte bussare, una voce.
«Helen, aprimi. Sono Abby.»

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