If I only could. di NeverThink (/viewuser.php?uid=61554)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13. ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. ***
Per
te, Kate.
Grazie.
1.
~ I only dream
of you and you never knew.
Sogno solo te e non l’hai mai saputo. ~
Fremetti.
Sapevo che era sbagliato, terribilmente sbagliato. Eppure non riuscivo
a
toglierli gli occhi di dosso.
Lo vidi uscire, camminare sulla sabbia chiara, dirigendosi verso me. Il
sole si
rifletteva sulle goccioline d’acqua salata che scivolavano
lungo il corpo
statuario, sui muscoli dell’addome e delle braccia ben
delineati.
Corrugò la fronte a causa del sole. La pelle aveva oramai
assunto un colore
ambrato dopo la prima settimana di vacanza passata su
quell’isola dei Caraibi.
Deglutii rumorosamente e voltai il capo, scostando lo sguardo dal suo
corpo,
dal suo viso, ma, soprattutto, dai suoi occhi color del ghiaccio.
La sua vista, per quanto fosse gradevole ai miei giovani occhi, era
fonte di
sofferenza.
Era semplice, a New
Bern, non curarsi di
lui. Non ero costretta a vederlo ogni minuto della giornata, a
immergermi nel
mare dei suoi occhi, come avevo fatto l’attimo prima.
Conducevo la mia insulsa
e vuota vita, cercando di non pensare a lui. E, anche se il dolore non
svaniva
del tutto, riuscivo a ridurre la stretta della morsa che mi
attanagliava il
cuore, la nausea che mi scombussolava lo stomaco, vivendo
così in una sorta di
annebbiamento, in cui fingevo che la mia vita fosse okay.
In fondo, mancava solo una settimana. Una settimana in cui, in ogni
momento
avrei fatto i conti con la mia scempiaggine e
l’irrazionalità dei sentimenti
che mi legavano a lui, arrivati troppo tardi.
«Ehi.» mormorò quando mi fu vicino.
Voltai il capo e chiusi un momento gli
occhi, certa che non l’avrebbe notato oltre le lenti scure
degli occhiali da
sole che portavo.
«Ciao.» mormorai rassegnata, ed aprii gli occhi.
Era sempre la solita storia. Sempre la solita routine, guardare il suo
e
rimanere senza fiato di fronte ai lapislazzuli dei suoi occhi, ai
capelli bruni
bagnati dall’acqua, alla sua pelle nuda ed ambrata cosparsa
di minuscole perle
trasparenti.
«Tutto okay? Sei così strana in questo
periodo.» mormorò sedendosi sulla sedia
a sdraio accanto alla mia, godendosi la sensazione del sole sul corpo
nudo.
«Sì.» mormorai. «E’
solo che il mare e le feste mi stancano. Tutto qui.» mentii
codardamente.
Lui rise e non potei non bearmi della sua risata sincera e cristallina.
«Stancano un po’ tutti,
Helen.»
Annuii piano col capo, passandomi poi una mano sul collo scoperto.
«Già.»
«Non hai intenzione di immergerti nell’acqua oggi,
eh?» disse con un sorriso
sghembo.
Feci spallucce. «Magari più tardi.»
«In acqua c’è il resto del gruppo.
Potresti approfittarne.»
«No, preferisco star qui.» mormorai guardando
l’oceano ed osservando i nostri
amici nuotare.
« Va bene. Sai,» fece un piccola pausa prima di
continuare con tono di voce
basso e caldo, «sono contento tu sia venuta.»
E in quel momento, udendo quelle parole, fu come se una decina di
spilli
penetrassero il mio cuore, ferendolo ancor di più.
Deglutii a fatica portandomi una ciocca di capelli scuri, sfuggita
all’elastico, dietro un orecchio. «Sì,
anche io.»
Per un attimo tacemmo e il silenzio cominciò a pesarmi sulle
spalle, quasi
volesse schiacciarmi. Ero nervosa, agitata e sofferente.
«E…» continuò dopo un
po’, «credevo che la nostra amicizia fosse andata
perduta.», la sua voce era un lieve sussurro.
Sentii le lacrime premere sulla palpebra chiusa del mio occhio,
desiderose di
scivolare lungo le guance accaldate dal sole.
«Ma non è successo, Ian.» mormorai.
«Io ti amo, Helen.»
mormorò Ian premendo
il palmo della mano sulla sua guancia. «Ti amo.»
mormorò ancora.
Helen spalancò gli occhi, colta di sorpresa. Era sicura di
aver udito male.
«Cosa?» chiese con voce stridula.
Ian poggiò la fronte su quella di Helen e chiuse gli occhi.
«Ti amo.», poi le
bacio le labbra piene.
Quando il ragazzo si staccò udii parole che mai avrebbe
creduto di poter udire.
«Io non posso, Ian.»
Il ragazzo spalancò gli occhi. «Cosa?»
«Non… non posso.» soffiò
Helen mentre lui le ingabbiava il viso fra le grandi
mani.
«Cosa significa?»
«Fra due giorni parto per Lione.»
«Ti aspetterò.» mormorò
carezzandole le gote con i pollici.
Ma Helen era confusa, Helen non seppe dare un senso alla tempesta delle
sue
emozioni. Così poggiò le sue mani su quelle di
Ian, allontanandole dal suo
viso.
«Forse… sono io a non amarti.»
Mentire per una giusta causa. No,
questo non porta mai a qualcosa di buono.
Il
ricordo mi colpii con estrema crudeltà, lasciandomi senza
fiato.
Come avevo potuto essere così stupida quell’Agosto
di tre anni fa. Avevo
diciassette anni e la vita mi si prospettava rosea.
In quel momento invece era insulsa, mi sentivo…
svuotata, priva di
qualsiasi emozione, se non l’amore irrazionale che provavo
per lui, capito
troppo, troppo tardi.
Helen scese dall’aereo e varcò le porte
scorrevoli dall’aeroporto. Il cuore le batteva frenetico,
tanto che sembrava
volesse squarciarle il petto e librarsi nell’aria. Faceva
quasi male, tanto
batteva violentemente.
Sapeva cosa voleva dalla vita. Sapeva cosa cantava il suo cuore, sapeva
cosa
provava e cosa aveva celato a lungo. Perciò doveva
raggiungerlo al più presto,
anche se erano passati mesi dall’ultima volta che
l’aveva visto e sentito.
L’amava e se ne rese conto quando gli era mancato
più dell’aria, quando la sua
assenza gli bruciava la pelle.
Sua cugina Abby l’avrebbe portata a casa, ma Helen prima di
tutto voleva andare
da lui, da Ian.
Cercò con lo sguardo sua cugina e quando la vide…
il mondo le crollò addosso.
«Non so di cosa tu stai parlando.» dissi
con leggera ironia e sperai che la
smorfia sul mio viso sembrasse un sorriso.
Si passò una mano fra i capelli castano scuro, quasi
imbarazzato. «Bene.»
Mi costò non alzarmi e lasciarlo lì solo,
rifugiarmi nella stanza dell’albergo
per lasciarmi andare alle lacrime.
«Sei stata importante per me, Helen.»
mormorò voltandosi verso me. Con mio
grande dispiacere, dovetti voltarmi anch’io a guardarlo. I
suoi occhi ardevano
come fiamme azzurre ed ebbero la violenza ed il dolore di una frusta
sulla mia
pelle. Sentii la gola gonfiarsi e pulsare di dolore mentre cercavo di
trattenere
le lacrime pronte a solcarmi il viso.
«Ci eravamo ripromessi di rimanere per sempre
amici.» sussurrai incapace di
scostare lo sguardo dai suoi occhi.
Sorrise inclinando il capo. «Ricordi, eh? Avevamo dieci
anni.»
Annuii col capo incapace di proferire parola.
«Già. Sempre. Ed in fondo, è
accaduto.» continuò poggiando la tempia sulla
sedia a sdraio, guardandomi.
Sorrisi e sentii i margini della ferità al centro del petto
pulsare di dolore,
come se ci fosse stato versato sopra del sale.
«Ehi, voi non venite in acqua?»
Un singulto mi uscii dalle labbra quando udii la sua
voce.
«Ehi, tutto okay?» mi sussurrò Ian
preoccupato, poggiando una mano sul mio
braccio, ed immediatamente, sotto il suo tocco, la mia pelle parve
prendere
fuoco.
«Sì.» soffiai incapace di emettere
suoni.
«Sicuro?» chiese ancora.
«Ehi, Helen, non hai una bella cera.» disse Abby
avvicinandosi a noi.
«Sto bene.» mentii sorridendole.
«Perché non venite anche voi?» chiese
poi voltandosi verso Ian e sedendosi
sulle sue gambe.
Lui le baciò le labbra, circondandole con un braccio i
fianchi stretti.
«Arrivo.»
Quel tocco fu come una lenta pugnalata al cuore. La lama mi trafisse,
penetrò
la carne, ferendomi nel profondo, accoltellando anche la mia anima,
annientando
ogni traccia di speranza per futuri pensieri felici…
annullando quasi me stessa.
Gemetti. Quasi sembrava avvertire dolore fisico.
«Ehi, Helen.» mormorò preoccupata mia
cugina. «Stai bene?» chiese scostandomi
una ciocca di capelli.
Deglutii rumorosamente mentre sentii le lacrime inumidirmi gli occhi e
sfuggire
al mio controllo.
«No.», e fui incapace di mentire.
«Ma ti stai piangendo!» esclamò
carezzandomi la spalla.
«Ho solo… ho solo un po’ di nausea. Devo
andare.» farfugliai alzandomi dalla
sdraio.
«Helen!» esclamò Ian e la sua voce non
causò altro che dolore. Fu come se avesse
girato la lama nella ferita.
Mi lasciai dietro le spalle la vista di loro due, l’uno
stretto all’altra. Le
loro dita incrociate. I loro occhi innamorati. Mi lasciai alle spalle
le loro
espressioni preoccupate.
Col petto schiacciato dal peso del dolore, della sofferenza causata
dall’amore
represso, mi allontanai.
E fu vano il mio tentativo di asciugare le lacrime.
Fa vano il mio patetico tentativo di fingere che andasse bene, che
avrei potuto
fingere che non lo amassi.
E fu patetica la mia autoconvinzione di vivere una vita
felice… senza lui.
Perché nulla più aveva senso.
L’avevo perso. L’avevo perso… per sempre.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. ***
2.
~How much deception can you take?
How many lies will you create?
How much longer until you break?
Your minds about to fall.
Quanti
inganni potrai sopportare?
Quante bugie inventerai?
Per quanto ancora, prima di crollare?
La tua mente sta per cadere.~
Mi chiusi alle spalle la porta della camera d’albergo. La
sbattei con violenza
mentre le lacrime mi bagnavano il viso accaldato. Il mio cuore batteva
con
violenza, causandomi dolore. I singhiozzi mi scuotevano e facevano male.
Mi poggiai alla porta in legno chiaro lasciandomi scivolare lungo essa,
fino a
sedermi. Mi portai le ginocchia al petto, circondandole con le braccia
e
posando la fronte sulle ginocchia.
Ero in costume da bagno. Avevo lasciato tutte le mie cose in spiaggia,
senza
curarmi di nulla, poiché l’unica cosa che volevo,
che desideravo, ero fuggire
dalla loro vista.
Accadeva sempre tutto ciò, ogni volta che ero da sola. Forse
troppo emotiva e
fragile per reggere la sofferenza di un amore perduto, la
felicità sfuggita.
Era accaduto troppe volte quella settimana. In precedenza avevo
sorriso, avevo
indossato la mia solita maschera di malinconica felicità,
incolpando la
stanchezza. Mi scusavo e mi allontanavo, o per un drink al bar, o per
un bagno
nelle acqua cristalline dell’oceano. Ma, in quel momento,
scossa dai crudeli
ricordi, disarmata dalla loro potenza l’attimo prima e dai
suoi occhi
ammaliatori, non ero riuscita a fingere. Mi ero lasciata andare. Le
menzogne
dette, tutta la farsa della settimana precedente, mi era crollata sulle
spalle,
intaccando il mio animo. Ero… al limite. Ero scoppiata.
Avevo ceduto.
Mi lasciai andare ad un pianto disperato, singhiozzando. La gola mi
faceva male
e le lacrime calde mi scorrevano ancora sul viso.
Buttai indietro la testa, digrignando i denti e ringhiando i rabbia.
Saltai quando con violenza qualcuno bussò alla porta.
«Helen! Helen!» gridò ripetutamente Abby
oltre la porta, bussando
insistentemente.
Chiusi gli occhi, cercando di fermare le lacrime che, nonostante tutto,
presero
a scorrermi sul viso.
«Va’ via.» risposi con voce roca.
«Helen, aprimi! Per favore, aprimi!»
esclamò bussando con violenza. «Mi sto
preoccupando!»
«Vattene!» urlai in preda al nervosismo.
«No, non vado via. Ti prego, Helen… per favore,
aprimi.»
Aprii gli occhi e mi sollevai da terra. Poggiai le mani sulla porta e
feci un
respiro profondo. Mi asciugai il viso con una t-shirt che avevo
lasciato sulla
sedia accanto alla porta, prima di aprirla.
Abby sgranò gli occhi, sorpresa, e nei suoi occhi
guizzò preoccupazione mista a
sofferenza. «Helen…» mormorò.
Il mio labbro inferiore tremò e sentii le gambe molli,
mentre le lacrime
presero ancora ad annebbiarmi la vista e a scorrermi sulle gote. Senza
pensarci, mi buttai fra le sue braccia tese verso me, cercando rifugio.
Poggia
il viso sulla sua spalla mentre altri singhiozzi presero a scuotermi
violentemente.
«Abby…» gemetti.
«Ehi, Helen… ehi, cosa succede?»
mormorò carezzandomi i capelli raccolti in una
coda.
Non riuscivo a parlare, semplicemente perché non potevo
parlare.
«Mi stai facendo preoccupare.» genette preoccupata.
Posando le mani sulle mie
spalle cercò di allontanarmi, ma io mi opposi aggrappandomi
alla sua schiena.
«Okay…» mormorò carezzandomi,
cercando di farmi tranquillizzare. Per qualche
minuto rimanemmo così, ferme sulla soglia della camera,
l’una stretta
all’altra, mentre la disperazione mi portava
sull’orlo di quel precipizio fatto
di dolore e sofferenza.
«Ehi, perché non entriamo dentro? Così
potrai raccontarmi tutto.» mi sussurrò
all’orecchio.
Scossi il capo, non perché non volessi entrare, ma
perché non volevo, non
potevo raccontarle tutto.
«Dai, piccola, entriamo.» disse allontanandomi con
forza da lei e sorridendomi.
I sensi di colpa aumentarono facendo aumentare anche le lacrime.
«No, ti prego, non fare così.» gemette
ancora conducendomi all’interno della
camera. Circondò la vita con un braccio, sorreggendomi. Mi
condusse sul letto e
mi fece sedere. Mi accoccolai sul materasso morbido, rannicchiandomi in
posizione fetale. Abby mi scostò i capelli dal viso,
appiccicati alla fronte
madida di sudore, e mi accarezzò una guancia. Piano i
singhiozzi cessarono e le
lacrime sul viso si freddarono, svuotata da qualsiasi energia, stanca
per il
pianto.
«Cosa succede?» mi domandò pochi attimi
dopo, carezzandomi la fronte.
«Non ne voglio parlare.»
«Ti prego, parlami.»
«Ho detto di no.»
Lei sospirò, prima di passarsi una mano sul viso, mentre
chiudevo gli occhi. La
sentii alzarsi e di scatto aprii gli occhi.
Il terrore di essere lasciata sola si fece più forte e la
ferita prese a
pulsare ancora di più. «Dove vai?»
chiesi col panico negli occhi.
«A riempirti la vasca d’acqua.» sorrise
dolcemente.
Scossi velocemente il capo. «No, ti prego, resta
qui.» aggiunsi con voce rauca.
«Okay. Fammi posto.» mormorò stendendosi
accanto a me, e stringendomi a sé.
«Ti voglio bene, Helen.»
Non risposi. Lasciai che un’ultima lacrime spillasse dai miei
occhi mentre
pensavo che amavo con tutta me stessa il suo… ragazzo.
La testa mi doleva di dolore.
Faceva male, tanto male. Non aprii immediatamente gli occhi. Per alcuni
istanti
cercai di ricordare cosa fosse successo prima che mi addormentassi.
Immagini presero a
susseguirsi poi nella mia mente. Il mare, Ian, Abby. Aprii
di scatto gli occhi e mi misi a sedere, tanto velocemente che per un
attimo la
testa prese a girarmi.
Mi guardai intorno. La
stanza era illuminata dalla fioca luce del tramonto e
dalla porta finestra aperta la leggera brezza marina scostava con
delicatezza
le tende.
Mi alzai in piedi e mi
resi conto di essere ancora in costume da bagno. Mi
stropicciai un occhio e mi sciolsi la coda in cui erano raccolti i
capelli.
Lunghi e castani mi ricaddero sulla spalle.
A piedi nudi mi
diressi verso l’armadio e ne tirai fuori un vestito di lino
dalle bretelle sottili. L’indossai ed uscii dalla
portafinestra. Notai sulla
poltroncina accanto al comodino la mia borsa per il mare e tutte le mie
cose.
Doveva averle portare Abby.
Uscita in veranda, la
vidi. Era in piedi, poggiata al cornicione in metallo,
che guardava il mare distante solo un centinaio di metri.
Forse non mi sentii
arrivare, per questo non si voltò.
«Ehi.»
mormorai e nell’udire la mia voce si allontanò dal
cornicione girandosi.
«Ehi,
ciao.» disse con fare dolce. «Come ti
senti?»
Feci spallucce e mi
sforzai di sorridere. «Dolorante, ma bene.»
Lei si
avvicinò allargando le braccia e tendendole verso me.
Abbozzai un
sorriso e mi avvicinai, lasciando che mi abbracciasse.
«Mi sono
preoccupata.»
«Scusa.»
«Cosa ti
succede, Helen?» mi chiese poi allontanandosi e guardandomi
in viso.
«Niente.»
«Non mi
prendi in giro. Ti conosco.»
«E’
solo che… credo di essermi innamorata tempo fa. A
Lione.» mi affrettai ad
aggiungere.
«Oh,
tesoro… mi dispiace così tanto. Ma è
passato un anno oramai.»
Feci spallucce.
«Mi è difficile dimenticare.»
«Non mi stai
mentendo, vero?»
Sì.
«No. Ci
siamo sentiti qualche giorno fa. Non mi va di parlarne.»
dissi
scuotendo il capo ed avvicinandomi alla ringhiera.
«Ne sei
sicura?»
Sospirai, svuotata da
qualsiasi energia. «Sì.»
«Okay.»
Mi presi la testa fra
le mani e sospirai. «Che dolore.»
«Aspetta.»
mormorò prima di sparire nella camera. Corrugai la fronte e
poco
dopo arrivò con una bottiglietta d’acqua e
un’aspirina.
«Grazie.»
sorrisi prima di inghiottirla.
«Bene. Tu
adesso ti fai una bella doccia, ti vesti e scendi per la cena. Okay?
Non hai idea di quanto siano preoccupati gli altri. In particolare
Ian.»
A quel nome ebbi un
fremito.
Abby
corrugò la fronte. «Hai freddo.»
«No,
no.» farfugliai scuotendo il capo e abbozzando un sorriso.
«Okay.
Allora a dopo, Helen.» disse
abbracciandomi.
«A
dopo.»
Mi sorrise e, dopo
aver preso la borsa poggiata sulla poltroncina di vimini, si
diresse verso la portafinestra.
«Abby?»
la chiamai.
Sulla soglia lei si
voltò. «Sì?»
«Grazie.»
«Di
niente.» poi si voltò e sparì.
Sospirai e mi sedetti
sulla poltroncina, poggiando i gomiti sulle ginocchia e
prendendomi il viso fra le mani. Guardai il mare e non potei non
ricordarmi il
colore dei suoi occhi.
Avevo ceduto. Avevo
lasciato che tutto fuoriuscisse, che tutto fosse spigionato.
Avevo sbagliato ed un errore del genere non doveva mai più
ripetersi. Mai più.
Avrei dovuto continuare a sorridere, fingere che tutto andasse bene,
che,
nonostante tutto, ero felice. Dovevo fingere che non fosse successo
nulla. Riassumere quel briciolo di autocontrollo che
mi restava, che mi permetteva di incontrare Abby e Ian, e di sopportare
i loro
baci, le loro carezze.
Avrei dovuto, ancora
una volta, mettere da parte quell’unico sentimento che
dominava il mio animo.
Mi morsi il labbro
inferiore. Su quel letto avevo pianto tutte le mie lacrime.
Mi alzai e mi diressi
verso il bagno, dove aprii l’acqua della doccia. Lasciai
che l’acqua fresca mi rinfrescasse la pelle accaldata e
umida, i capelli
incrostati dalla salsedine.
Mi vestii, senza
prestare particolare attenzione a ciò che indossare. Ritenni
che
una canotta ed una gonna corta andassero bene. Faceva caldo, ma
preferii
lasciare che i capelli mi ricadessero lisci e d umidi sulla schiena.
Cercai di
coprire con dei cosmetici gli occhi gonfi e leggermente arrossati. E
quasi ci
riuscii. Afferrai la borsa di stoffa blu e, chiusa la porta della
camera con la
carta magnetica, mi diressi verso la sala ristorante. Non avevo fame,
la nausea
provocata dalla tempesta di emozioni mi aveva scombussolata, ma se non
fissi
scesa avrebbe fatto tutti troppo domande. Abby, avrebbe fatto troppe
domande a
cui non potevo rispondere.
Quando arrivai nella
grande sala tutti erano lì. Shelly, Ryan, Anthony e Jared.
Poi, di spalle a me, uno vicino l’altra, Abby ed Ian. Il mio
cuore pulsò di
dolore.
Sospirai, passandomi
una mano fra i capelli. Sorrisi e mi avvicinai al tavolo.
Il primo a notarmi fu Jared che alzò gli occhi mostrandomi
un largo sorriso.
«Helen!»
esclamò e tutti si voltarono a
guardarmi. Cercai di concentrarmi sui loro visi, evitando di guardare
quello di Ian, ma fu per me inevitabile ammirare i suoi occhi azzurri
con la
coda dell’occhio. Deglutii rumorosamente e mi portai una
ciocca di capelli
dietro un orecchio.
«Ciao
ragazzi.» mormorai avvampando di rossore e notai, con mio
grande
dispiacere, che gli unici posti liberi erano quelli a capotavola.
Così mi
sedetti accanto a Jared ed Anthony. Se avessi occupato il posto di
fronte sarei
stata vicino a Ian.
«Cos’è
successo?» mi chiese Shally, inclinando il capo.
«Non sono
stata bene.»
«Cioè?»
Feci spallucce.
«Sarà stato il caldo.» sorrisi cercando
di minimizzare il tutto
con un gesto della mano.
«Ora come
stai?» chiese Ryan.
«Bene,
grazie.»
«Davvero?»
la sua voce, nonostante
tutto, era musica per le mie orecchie.
Non alzai subito lo
sguardo, per un secondo fissai il piatto dinanzi a me.
«Sì.» risposi poi puntando i miei occhi
nei suoi. Fu strano, ma li trovai
bellissimi e per una fazione di secondo mi sentii davvero meglio, prima
che la
sofferenza m’attanagliasse ancora l’animo. Per
alcuni istanti i suoi occhi
indugiarono nei miei, belli da mozzarmi il fiato e farmi dolere il
cuore.
A rompere quello
scambio di sguardi, fu
la voce di Anthony. «Allora, gente, oggi party?»
E tutti risero.
*
Ancora una volta,
grazie.
Eccomi qui, gente,
finalmente.
Che dire? Grazie
davvero a voi che avete letto questa
“cosa”… mi rendete
felicissima.
Purtroppo non
è un periodo roseo e gli aggiornamenti sono piuttosto lenti.
Perciò, vi chiedo scusa.
Ringrazio di cuore gli
angeli che hanno recensito lo scorso capitolo.
KeLsey:
ciao, Eri! Non hai idea di quanto mi abbia fatto piacere la tua
recensione! Sai che ci tengo tantissimo al tuo parere…
oramai per me è
fondamentale! Sono contenta che la fiction ti piaccia, davvero! Quando
ho letto
al tua recensione mi sono sciolta. Sei troppo buona! >.<
Ti voglio bene,
piccola Eri. (L)
Nessie93: ciao, Chià! Alla
fine ce l’ho
fatta, sono ancora qui. Ovviamente non hai
centrato il fulcro della storia, ma pazienza. Magari più in
là capirai che di
divertente ha ben poco. Sono comunque contenta che tu l’abbia
trovata carina.
Ovvio che se non ti piace puoi benissimo dirlo, eh. Non mi offendo.
Grazie per
la recensione.
Xx_scrittrice_xX: ciao, Ely! Oh, non
sai che piacere leggere una tua recensione! Davvero hai pianto?
Oddio… non
potevi dirmi cosa più bella! Sono contenta tu sia riuscita
a… “immedesimarti”
nel personaggio, davvero! Mi rende felicissima! *-* Miglioro?
Parliamo della stessa persona? XD
Ti voglio bene, sciocca.
Angyr88: ciao! *-* oddio, non hai
idea di quanto mi abbia fatto piacere leggere la tua recensione. Ho
gongolato
come una scema. Sono contentissima di sapere che ti è
piaciuta, davvero! E
spero di non averti delusa con questo… se così
fosse però dimmelo. A presto,
cara. Grazie, grazie davvero.
Piccola Ketty: ciao, Kate. Bene…
che
farei senza te? Cioè… sarò ripetitiva,
ma davvero non hai idea di quanto tu
stia diventando importante per me. Ti devo così tanto,
accidenti. Ad ogni modo,
che dire… sei fantastica. Non mi merito recensioni tanto
belle! Sono contentissima
ti piaccia… per ovvi motivi direi. Oramai il tuo
parere… è il tuo parere. E
sono sempre in ansia quando leggi. Ti voglio bene, tesoro, davvero. E
lo sai.
Scusa per la risposta affrettata ma ho davvero poco tempo. <3
mary whitlock: ciao! *-* davvero hai
provato le stesse emozioni? Oddio…
cioè… okay, mi calmo. No non ce la faccio!
La tua recensione mi ha lasciata sbalordita e mi ha riempita di gioia!
Sono felice
di sapere che il modo in cui scrivo è di tuo gradimento. Per
me è davvero
importante. Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. Grazie mille!
A voi, con immenso
affetto,
Panda.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3. ***
3.
~A
universe
is trapped inside a tear,
it resonates the core,
creates unnatural laws,
replaces love and happiness with fear.
Un intero
universo è
intrappolato dentro una lacrima,
risuona nell'anima,
crea leggi innaturali,
rimpiazza l'amore e la felicità con la paura.~
«Non
sei troppo giovane per
bere da sola al bancone?»
Bevvi l’ultimo sorso di vodka secca prima di voltarmi verso
Jared. «No, non
credo.»
«Non dovresti bere. Sei stata male.»
osservò indicando il bicchiere.
«Sparisci, Jared.» bofonchiai facendo segno al
barista di riempirmi ancora il
bicchiere.
«Ma come siamo gentili, oggi.»
«Ma dai.» risposi sarcastica.
Stavo per portarmi il bicchiere alla labbra quando Jared
parlò ancora. «Cosa
succede, Helen?» mi chiese d’un tratto serio.
Mi voltai di scatto e sbattei il bicchiere sul bancone. Forse era colpa
dell’alcool, forse il Margaritas e i due bicchieri di vodka
secca cominciavano
a fare effetto, parlai con odio e rabbia nella voce.
«Volete piantarla di chiedermi come sto? Volete piantarla di
preoccuparvi per
me? Quale parte della frase “lasciatemi in pace”
non vi è chiara?» sbraitai, e
le persone sedute al bancone, accanto a me, si voltarono.
Jared s’acciglio, colto di sorpresa.
«Cosa?»
«Lasciatemi in pace.» ringhiai. Mi voltai e bevvi
d’un sorso ciò che il mio
bicchiere conteneva. Lasciai una banconota –che il barista
afferrò con estremo
tempismo- sul bancone e mi alzai. La testa mi girava e faticai per
mantenere
l’equilibrio.
«Helen! Helen!» esclamò Jared
afferrandomi per un polso e costringendomi a
voltarmi.
«Lasciami stare!» urlai scollandomi dalla sua presa
ferrea.
«Ma che diavolo ti prende?» urlò
costringendomi a guardarlo.
Sentii le lacrime inumidirmi gli occhi arrossati e la tristezza
infliggermi
numerose ferite. «Ti prego, Jared,» gemetti,
«ti prego, lasciami andare. Ti
prego.»
Lui sgranò gli occhi, come scosso. Non dovevo avere una
bella cera, un
bell’aspetto e forse fu il mio sguardo addolorato a
convincerlo a mollare la
presa.
Emisi un singulto e scuotendo il capo, mi voltai allontanandomi,
attraversando
la grande pista da ballo.
Il grande locale era all’aperto, leggermente in
rialzò rispetto al livello del
mare. Così, scesi i pochi scalini, andando in spiaggia. La
sabbia fresca mi
solletico la pelle dei piedi, filtrando nei sandali. Camminare a modo
sulla
sabbia asciutta era difficile e, certamente, la vista e la mente
annebbiata
dall’alcool non aiutavano il mio equilibrio. Caddi sulle
ginocchia, poggiando
le mani sulla sabbia. Mi rialzai e me le ripulii sulla corta gonna di
jeans.
Continuai a camminare verso il mare, non sapendo nemmeno dove andare.
Quando
fui sulla battigia mi sfilai i sandali e li lanciai sulla sabbia
asciutta.
Lasciai anche la borsa accanto ad essi e mi immersi
nell’acqua fino alle
ginocchia. Mi passai le mani fra i capelli mentre il mio respiro si
muoveva
troppo velocemente per essere controllato. Lo stomaco mi bruciava e gli
occhi
mi si inumidirono nuovamente di lacrime. Mi portai le braccia
all’addome, quasi
stringendolo, come a voler mantenere assieme i pezzi del mio corpo.
Gemevo e farfugliavo cose incomprensibili.
Tremavo e di certo non era per il freddo.
Persi l’equilibrio e caddi nell’acqua,
che mi bagno fino all’addome.
«Oh, accidenti!» gemetti in un pianto senza
lacrime. «Accidenti!»
«Helen!». Quando udii quella voce i lamenti
cessarono. Ripeté ancora il mio
nome e chiusi gli occhi, beandomi di quel suono.
«Ian.» mormorai a me stessa.
«Helen!»
Mi voltai e lo vidi avanzare verso la battigia, correndo.
Entrò in acqua senza
curarsi di bagnarsi i jeans e le scarpe. Si inginocchiò e mi
sorresse
poggiandomi una mano su un fianco ed una sotto il braccio, per poi
portarla al
mio viso scostandomi i capelli per metà bagnati.
«Ehi…» mormorò e il suo viso
al chiaro di luna era ancor più bello. Inebetita
l’osservai. Osservai la mascella squadrata, la sopracciglia
nere e gli occhi
chiari che, in quel momento, erano simili a zaffiri al sole.
Istintivamente
alzai una mano, sfiorandogli la mascella con i polpastrelli.
«Sei così cambiato, Ian.» mormorai.
«Stai delirando.» rispose abbozzando un sorriso.
Scossi il capo e cercai di sollevarmi sulla ginocchia, ma persi
l’equilibrio e
caddi indietro. Ian mi afferrò appena in tempo.
«Ehi, piccola… guardami.» disse
prendendomi il viso fra le mani e puntando i
suoi occhi nei miei.
«Cosa ti succede?»
«Sto… bene.» mormorai osservando le sue
labbra, poi i suoi occhi.
Lui abbassò lo sguardo e sospirò.
«Vieni, ti porto in camera.» disse poi
prendendomi fra le braccia.
«I sandali… la borsa.» dissi cercando di
scendere.
Ian fu costretto a lasciarmi. «Ehi, aspetta!» disse
mentre avanzavo alla cieca
sulla sabbia. Sentii un suo braccio circondarmi la vita e sorreggermi.
La pelle
del mio viso prese fuoco.
«Sono qui.» aggiunse poi afferrando le mie cose.
«Ora, per favore, lascia che
ti porti io.» concluse privandomi della terra sotto i piedi.
Poggiai il viso suo petto ed ascoltai il battito del suo cuore. Batteva
dolcemente. Era l’unica cosa a cui pensavo, lottando con
tutta me stessa contro
i conati di vomito.
Dopo minuti che mi parvero eterni, sentii una porta sbattere.
Fortunatamente
quella sera avevamo deciso di rimanere nel locale
dell’albergo.
Ian mi adagiò sul materasso ed io aprii gli occhi. Sembrava
una statua di
Adone, bello come non mai, statuario, lì, accanto al letto.
«Mi spiace.» mormorai cercando di alzarmi.
«Sssh… sta giù.»
mormorò bloccandomi per le spalle e costringendomi a
stendermi
sul materasso.
«Ian?» chiesi, chiudendo gli occhi e corrugando la
fronte.
«Ho bisogno del bagno.»
«Oh, sì.» disse mentre mi aiutava a
mettermi in piedi e mi accompagnava. Lui
rimase sulla soglia della porta.
«Ian, devi uscire.»
«Scusa. Ti aspetto qui fuori.»
Annuii piano col capo e mi voltai, feci un passo all’indietro
quando vidi la
mia immagine riflessa nello specchio. Il trucco mi rigava le guance e
mi
contornava di nero gli occhi. Chiusi gli occhi e aprii il rubinetto,
bagnandomi
il viso con l’acqua, liberandomi del colore che mi aveva
imbrattato la faccia.
Mi spogliai ed entrai nella doccia dove mi lavai con sola acqua per
togliere
via la salsedine dalla pelle. Avvoltomi il corpo con un asciugamano
bianco
uscii dal bagno e mi meravigliai di trovare Ian seduto sul bordo del
letto con
la testa fra la mani.
Alzò lo sguardo e metà del suo viso rimase
nell’ombra, rendendolo ancora più
bello.
«Sei rimasto.» osservai avanzando. Persi
l’equilibrio e mi sorressi al comodino
accanto al letto. Lui scattò in piedi, ma gli feci segno di
sedersi.
«Meglio?» chiese.
Annuii piano col capo e mi diressi verso l’armadio a prendere della
biancheria e qualcosa per
coprirmi.
«Puoi andare se vuoi. So cavarmela da sola.»
farfugliai cercando di camminare
lungo una linea retta.
«Lo so.» mormorò e mi voltai a guardare
il suo viso imperscrutabile.
Scossi il capo e sbuffai entrando nel bagno. Quando uscii indossavo un
paio di
calzoncini corti ed una canotta.
«Ora vattene.» dissi sprezzante mentre,
barcollante, mi dirigevo verso il
letto.
«Non ci penso minimamente, Helen.»
«Voglio rimanere da sola.» lo dissi cercando di non
guardarlo negli occhi,
perché sapevo che, in quelle condizioni non sarei riuscita a
dirgli di andare
via.
«Te lo scordi.»
E fu lì che, istintivamente, mi voltai a guardarlo. Aprii la
bocca per parlare
ma da essa non vi uscì alcun suono. Rimansi attonita a
guardare il suo viso
preoccupato, illuminato dalla fioca luce lunare che filtrava attraverso
le
tende bianche, scostate dalla leggera brezza marina.
Chiusi gli occhi e mi portai una mano sull’addome e
l’altra sulla fronte.
«Cosa c’è?» chiese Ian
allarmato girando attorno al letto e raggiungendomi.
«Mi… mi gira la testa.» mormorai mentre
le sue mani si posavano sui miei
fianchi. «E ho la nausea.»
«Vieni, stenditi.» mi sussurrò lui
facendomi adagiare sul letto matrimoniale.
Chiusi gli occhi e godei la sensazione delle sue mani che carezzavano
la pelle
del mio viso, che d’un tratto avvampò di rossore.
«Scotti.» osservò.
Risposi con un grugnino, abbozzando un sorriso.
Di scatto apri gli occhi e mi sorpresi di trovarlo così
vicino. Era
inginocchiato per terra e le sue labbra erano a poche spanne dal mio
viso. Le
osservai e deglutii rumorosamente, cercando di concentrare la mia
attenzione sui
suoi occhi.
«Hai lasciato la festa.» soffiai. «Mi
dispiace.»
«Ti ho vista al bar, sai? E con Jared… e camminare
da sola verso la spiaggia.»
«Potevi lasciarmi stare… come ha fatto
Jared.» mormorai.
«Io nono sono Jared, Helen.»
«Lo so.» mormorai e allungai la mano verso il suo
viso, carezzando ancora la
sua mascella.
Lui la bloccò con la sua e fui costretta ad aprirla sulla
sua guancia per non
farmi male le dita. «Capisci che non potevo lascarti stare,
Helen?» sussurrò
con occhi ardenti.
«Perché?»
«Perché… perché…
avresti potuto fare cose di cui ti saresti pentita.»
sospirò
alla fine.
Ricaccia indietro il magone che mi si era formato in gola e sospirai,
tremando.
«Mi dispiace.» dissi ancora con voce incrinata.
«Sssh... tranquilla. Ora dormi, Helen.»
mormorò baciandomi uno zigomo.
«Resta. Resta con me.» soffiai poggiando una mano
sulla sua spalla.
«Non vado da nessuna parte, Helen.»
mormorò. Si sedette sul letto, con la
schiena poggiata alla testiera del letto. Poggiai la guancia sul suo
addome,
mentre con le mani prese a carezzarmi con dolcezza i capelli. Con un
braccio
circondai i suoi fianchi, stringendolo ancor più a me. E
piano caddi fra le
braccia di Morfeo.
Il mattino dopo a
svegliarmi fu la luce del sole. Filtrava attraverso le tende
bianche, illuminandomi fastidiosamente il viso. Sbattei più
volte le palpebre,
coprendomi gli occhi con una mano.
Grugnii e mi lamentai.
Mi misi a sedere. Avevo ancora la nausea e la testa mi
doleva. Mi guardai intorno e ci misi un po’ per ricordare
cosa fosse accaduto la notte precedente. L’ultimo
mio ricordo era il
viso di Ian, poi tutto mi rivelò alla mente, in maniera un
po’ confusa.
«Cavolo.»
mormorai prendendomi la testa fra la mani e sbuffando.
«Stupida,
stupida, stupida.»mi rimproverai, prima di lasciarmi cadere
con un
tonfo sul morbido materasso. Voltai il capo e sul comodino notai un
foglio.
Corrugai la fronte ed allungai un braccio per prenderlo.
L’aprii e lo lessi.
Conobbi immediatamente
la calligrafia ordinata.
Ricordati
di bere del caffè
nero e di prendere un’aspirina.
Nel caso ti svegliassi dopo le nove –molto probabile-, siamo
in spiaggia.
Attenta, Helen.
Ian.
Sorrisi fra me,
prima di
reprimere quel gesto spontaneo. Non potevo sorridere, perché
non v’era nulla da
sorridere.
Era tutto un gran casino ed ora stata io a causarlo.
Dovevo trovare un modo per sistemare le cose, e forse,
l’unica modo era
semplicemente… andare via. Via da lì.
Arrivata in spiaggia
osservai con piacere che erano tutti in acqua, tranne Ryan
e Ian. E da un lato ne fui felice, nonostante desiderassi perdermi
ancora nei
suoi occhi.
Su una sdraio Jared
prendeva il sole.
Sopirai. Gli dovevo
delle scuse, non c’erano dubbi. Ricordavo fin troppo bene
lo sgarbo con cui, la sera prima, l’avevo allontanato.
Lasciai cadere sulla
sabbia, con un tonfo sordo ma udibile, le mie cose. Jared
si voltò, mi guardò e, ignorandomi, mi
voltò dall’altro lato.
I sensi di colpa che
già nutrivo verso mia cugina aumentarono cominciarono a
logorarmi lo stomaco.
«Ciao.»
disse sedendomi sulla sdraio accanto alla sua.
«Ciao.»
mormorò lui con voce fredda.
«Jared…
scusami, Ieri non ero in me. Davvero. E’ un periodo confuso e
complicato. Perdonami.»
«Siamo tuoi
amici, Helen. Perché non parli? Vogliamo
aiutarti.» disse
mettendosi a sedere e guardandomi con quei suoi occhi neri.
«Non
è nulla. E’ solo un periodo strano. Ora sto
meglio, davvero.» mi sforzai
di sorridere, di sembrare convincente.
«Io ci sono,
Helen. E ti voglio bene. Come te ne vogliono gli altri.»
Risi, a disagio.
«Anche io te ne voglio, ma davvero, non
c’è nulla che non
vada, credimi.» mentii.
Sorrise flebilmente ed
annuii piano col capo. «D’accordo.»
Gli tirai un leggero
pungo sul braccio. «Dai, facciamoci in giro.»
«Dove?»
chiese lui corrugando la fronte.
«Sulla
battigia, ovvio!» sorrisi.
Lui fece spallucce.
«Okay.»
Sorrisi e mi sfilai il
leggero vestito di lino, rimanendo in costume.
«Stai
mangiando?» chiese Jared. Sentii il viso avvamparmi di
rossore e sgranai
gli occhi quando sentii i suoi occhi sul mio corpo.
«Sono esile
per costituzione. E col caldo mi passa la fame.»
«Certo,
certo.»
«E sono
piuttosto alta.» precisai dandogli un leggero spintone.
«Certo,
certo.» disse roteando gli occhi.
Scossi il capo in un
risolino, mentre cominciavamo a camminare sulla sabbia
bagnata.
Lottai contro tutta me
stessa per non lasciarmi andare ai ricordi della sera
prima. A quanto fossi stata sprovveduta,
e sciocca. Ma, soprattutto, mi sforzai di far finta che andasse tutto
bene.
*
“Grazie.”
Eccomi
gente. Bene… ancora qui.
Mi dispiace davvero
tanto… ma purtroppo non posso ringraziarvi a modo.
E’ un
periodo critico e ho mille cose da fare e da recuperare…
perciò chiedo ancora
scusa. Perdonatemi.
Ringrazio in
particolar modo:
Xx_scrittrice_xX, Angyr88, Piccola Ketty, KeLsey, __Claire__, mary withlock, Jake_Me e
Nessie93.
Grazie, di cuore.
A voi, con immenso
affetto,
Panda.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4. ***
4.
~Grounded, boxed in, I am
stuck with you.
Arenato,
inscatolato, sono inchiodato a te.~
Mi ero
ripromessa di non commettere passi falsi, il tardo pomeriggio del
giorno prima.
E invece, era accaduto esattamente il contrario.
Ero stata stupida, sprovveduta, sciocca. Avevo dato agli altri adito di
pensare
che qualcosa davvero non andasse.
Ero stupida, e su questo non v’erano dubbi.
In quel momento, stesa sulla sdraio, con indosso gli occhiali da sole
ed un
capello di paglia, guardavo il mare ringraziando Dio –se mai
esistesse- che Ian
non fosse lì.
Mi cugina, che giocava a beach volley, mi salutò con un
gesto della mano, che
timidamente ricambiai.
Le volevo bene, molto. Eravamo cresciute insieme… ed era
quella sorella mai
avuta. E non importava che ero innamorata follemente, irrazionalmente,
incondizionatamente del suo attuale ragazzo. Volevo il meglio per lei,
e non
potevo ferirla dicendole la verità. Una verità
che non mi avrebbe portata a
nulla, poiché lui era innamorato di lei.
Tornai a guardare il mare. Di fianco a me Shelly si godeva i caldi
raggi solari
sul corpo formoso, mentre io, all’ombra di grandi foglie di
palma, mi godevo il
fresco.
«Così ti brucerai.» osservai.
«Nah, non credo. E’ già successo. La mia
pelle si è inscurita.» disse senza
aprire gli occhi e muoversi di un centimetro.
Sorrisi. «Okay.» e ritornai a guardare il mare.
Nell’acqua Jared e Anthony
parlavano con un paio di ragazze.
«Secondo te, Jared… ci sta provando con una di
loro?» disse lei dopo alcuni
attimi, rompendo il silenzio della mia mente.
«E’ probabile, conoscendolo.» risposi poi
voltandomi. Shelly fissava Jared che
nell’acqua rideva e ciò che vidi negli occhi di
lei mi sorprese: era così
simile a ciò che guizzava, per un momento, nei miei quando
pensavo a Ian.
«Shelly…» mormorai. Lei non si
voltò, si limitò a abbassare appena lo sguardo.
«Da quanto?» chiesi in un sussurro.
«Un mese, circa.» rispose poi sorridendomi
imbarazzata. «Per favore non dirgli
nulla. Non voglio rovinare l’amicizia.» mi
supplicò puntando i suoi occhi grigi
nei miei.
Annuii piano col capo e sorrisi flebilmente. «Muta come un
pesce. Promesso.»
«Grazie.»
Guardai un momento Jared prima di tornare a guardare lei.
«Hai mai pensato di
scoprire se…insomma, se gli piaci?» chiesi.
«Ci sto lavorando.» rispose poggiandosi alla sdraio
e chiudendo gli occhi.
«Okay.» sorrisi e mi guardai intorno, osservando la
spiaggia. Quando posai i
miei occhi su Abby il sangue mi si gelò nelle vene. La vidi
stringere Ian per
la vita e baciargli il mento, mentre lui le cingeva le spalle.
La ferita prese ancora a bruciare e i margini, il cui dolore era
stato
attenuato dalla sua assenza, presero ancora a pulsare sofferenti, come
se
all’improvviso qualcuno l’esse aperta con
prepotenza. E la cascata di spilli mi
colpì in pieno viso, stordendomi.
Emisi un singulto.
«Helen, tutto okay?» chiese Shelly mettendosi a
sedere.
Di scatto mi voltai verso lei e chiusi gli occhi, conscia che oltre le
scure
lenti degli occhiali non mi avrebbe vista. «Sì.
Credo andrò a farmi un bagno.
Vieni con me?» chiesi alzandomi.
«Ti raggiungo fra un po’. Distrai Jared.»
sorrise.
Annuii frettolosamente col capo e liberandomi del cappelli e degli
occhiali da
sole mi diressi verso l’acqua, prima che Abby e Ian mi
raggiungessero.
Sapevo che era stupido ed inutile evitarli. Prima o poi avrei dovuto
fare i
conti con ciò che era successo la sera prima, con la
tempesta d’emozioni
causata da quell’amore impossibile e sbagliato. Stavo
fuggendo, ne ero
consapevole. Ma non m’importava. Vedere i loro corpi
così vicini, le loro pelli
a contatto, le loro labbra incastrate non faceva che aumentare la
sofferenza,
la consapevolezza che non avrei mai potuto dire ciò che il
mio cuore cantava e
desiderava, posare le mie labbra
sulle sue.
A passo svelto entrai nell’acqua e rabbrividii quando essa venne a contatto con la mia
pelle.
«Jared, Anthony!» chiamai alzando una mano a
mo’ di saluto.
«Ehi, Helen, finalmente!» esclamarono. I due si
congedarono e si allontanarono
dalle ragazze, per venirmi incontro.
«Credevo non avessi intenzione di immergerti in
quest’acqua cristallina.»
ridacchiò Anthony.
Feci spallucce. «Era il momento.»
«Shelly non viene?» chiese Jared guardando verso la
spiaggia. Arricciai le
labbra, reprimendo un sorriso.
«A momenti.» risposi immergendomi totalmente
nell’acqua trasparente.
«Bene.»
«Oh, sono arrivati.» disse d’un tratto
Anthony.
«Chi?» chiese Jared guardando verso la spiaggia.
«Ryan ed Ian.»
Nell’udire quel nome lo stomaco mi si strinse in una morsa
dandomi la nausea.
«Dov’erano finiti?» chiesi cercando di
essere il più naturale possibile.
«Cercavano un bel posto dopo poter pranzare.» mi
spiegò Anthony.
«Okay.» mi limitai a dire immergendomi totalmente
nell’acqua, che fredda sembrò
darmi uno scossone. Quando riemersi osservai Shelly, Ryan, Abby e Ian
dirigersi
verso l’acqua.
«Accidenti.» mormorai.
«Cosa?» mi chiese Jared corrugando la fronte.
Lo guardai e chiusi un momento gli occhi, corrugando la fronte.
«Mi… mi gira la
testa.» mentii.
«Ti prego dimmi che hai mangiato qualcosa.»
Mi grattai nervosa ed agitata la nuca, mentre con la coda
dell’acqua li vedevo
entrare in acqua.
«Ehm... non avevo fame.»
Anthony scosse il capo e Jared sospirò. «Andiamo,
ti accompagno a prendere
qualcosa.» disse poggiandomi una mano sulla schiena ed
esortandomi ad uscire
dall’acqua. I miei occhi incontrarono quelli di Shelly e
sapevo che non potevo
permettere a Jared di uscire dall’acqua, e rimanere
lì era fuori discussione,
non solo perché ci sarebbero stati sia Abby che Ian, ma
anche perché sarebbero
cominciate stupide discussioni sul mio strano comportamento della sera
prima.
Avrebbero insistito sul farmi uscire dall’acqua e farmi
mangiare qualcosa, e
non potevo rischiare che Jared mi accompagnasse.
«No, tranquillo, vado da sola. Non c’è
bisogno che mi accompagni.» annuii col
capo alzandomi sulle gambe.
«Non dire sciocchezze.»
Sorrisi. «No, davvero. Passo al bar. Non è un
problema.»
«Chi mi assicura che mangerai?»
«Jared!» lo rimproverai.
«Okay, okay.» disse lui alzando le mani a
mezz’aria. «Mi fido.»
«Ehi, ragazzi!» esclamò Abby
avvicinandosi. Sentii il bisogno di allontanarmi
da lì farsi sempre più prepotente ed il desiderio
di voltarmi a guardalo sempre
più forte. Ma non potevo.
«Ciao, Abby.» dissi abbozzando un sorriso.
«Helen,» disse lei abbracciandomi, «come
stai?»
Deglutii a fatica. «Bene. Sto uscendo.»
«Perché?» mi chiese Ryan con sguardo
indagatore e fui costretta a voltarmi
verso lui. Al suo fianco c’era Ian. Il mio cuore
incespicò.
«Mi gira la testa.»
«Ha bevuto del caffè?» mi chiese Ian e
la sua voce era musica. Lo guardai in
volto –grande passo falso- e sentii le gambe cedermi quando i
miei occhi si
fusero ai suoi.
«Helen!» esclamò Abby afferrandomi per
un braccio.
«Scusa, ho perso l’equilibrio.» mi
sforzai di sorridere, mentre la guardavo in
volto.
Sentivo gli sguardi preoccupati di tutti su di me, e sentii le gote
intingersi
di rosso. Risi istericamente.
«Dai, andiamo all’ombra.»
mormorò Abby.
«No, no.» dissi scuotendo il capo.
«Rimani qui. Ce la faccio da sola. Non sto
male, davvero.»
«Helen…» si lamentò lei.
«Davvero, Abby, ce la faccio.»
Sospirò. «Okay.»
Sorrisi e mi allontanai. Passando di fianco a Ian. Il suo profumo
fresco mi
colpii in pieno viso, dandomi alla testa. Faticai per mantenere la
concentrazione e non cadere nell’acqua, per non lasciarmi
andare ai gemiti.
Uscii e afferrando la mia borsa mi diressi al bar
dell’albergo, posizionato sulla
spiaggia bianca.
Chiesi un succo di frutta e, una volta ricevuto, giocai con il
bicchiere per
alcuni minuti. Non avevo intenzione di mangiare. Avevo lo stomaco
troppo
scombussolato per poter ingerire qualcosa.
«Sei una pessima bugiarda.» mormorò alle
mie spalle. Chiusi gli occhi e feci un
respiro profondo prima di riaprirli e poggiare entrambe le mani sul
bancone del
bar.
Si sedette allo sgabello accanto al mio e, tenendosi il viso con una
mano, mi
guardò.
«Perché?» chiesi poi voltandomi. Il mio
cuore incespicò nuovamente
nell’incontrare i suoi occhi, color del ghiaccio, illuminati
dalla luce del
sole.
«Sapevo che non avresti mangiato.»
Feci spallucce. «Non ho fame.»
«Ma dovresti.»
«Lo so.» dissi fissando il bicchiere e bevendo un
altro sorso.
«Ti va di dividere una ciambella?» chiese dopo un
attimo di silenzio.
Mi voltai. «Davvero, Ian. Grazie, ma non ho fame.»
Sospirò e si avvicinò piano a me. «Ti
prego, Helen, fallo per me.» mormorò con
voce morbida.
I miei occhi rimasero per alcuni istanti incatenati ai suoi, incapace
di
distogliere la mia attenzione da essi. Era bello e non v’era
dubbio che fosse
una delle persone migliori che avessi mai conosciuto in tutta la mia
giovane
vita.
Sospirai. «Okay.»
Fece un sorriso sghembo e mi carezzò piano un braccio. La
mie pelle parve
infuocarsi sotto il suo tocco casuale.
«Brava.» mormorò baciandomi la fronte e
chiedendo al barista una ciambella.
Sì, non v’erano dubbi. Era lui ciò che
avrei voluto dalla vita. Ma più
intensamente desideri qualcosa, più quel qualcosa ti sfugge
dalle mani,
allontanandosi, diventando tanto simile ad un miraggio.
Sospirai godendomi la sensazione della brezza marina sul viso. Il vento
mi
frustrava i lunghi capelli castani sul viso, e faceva ondeggiare i
lembi del
vestito che mi scopriva le gambe.
Osservavo il mare e lottavo contro l’istinto di fare le
valigie e fuggire.
Faceva male, faceva maledettamente male vederlo sorriderle, vederlo
innamorato,
vederlo felice con lei. La gelosia mi corrodeva dall’interno
oramai da mesi.
Era egoistico, ne ero consapevole, e questo non faceva che aumentare i
sensi di
colpa. Si dice che se ami davvero qualcuno sei felice se lui
è felice. In parte
è vero, in parte no. Desideri comunque trattenerlo a te,
stringerlo a te senza
permettergli di fuggire. Come si può essere
davvero felici in questo modo?
Mi portai i capelli dietro un orecchio, sospirando e guardandomi la
punta dei
piedi fasciata dai sandali di pelle.
«Ma che ci faccio qui.» mormorai alzando poi lo
sguardo e mettendomi eretta,
poiché con i gomiti ero poggiata alla ringhiera della
veranda. Poi sentii
qualcuno bussare alla porta della mia camera.
Corrugai la fronte ed entrai in camera.
«Sì?»
«Sono Ian.» nell’udire la sua voce mi
bloccai ad un paio di metri dalla porta.
Ero paralizzata. Gli impulsi che inviai ai miei muscoli sembrarono
essere
ignorati, come se il cervello fosse scollegato dal resto del corpo.
Sgranai gli
occhi, quasi nel panico, mentre quel briciolo di autocontrollo che mi
permetteva di fingere andava a farsi benedire.
«Cosa c’è?» chiesi con voce
tremante.
«Se mi apri…»
Deglutii a fatica. Avevo la bocca secca e il cuore batteva
violentemente contro
le pareti del mio gracile petto fasciato da un leggere vestito color
dello
smeraldo.
Afferrai la maniglia e dopo aver respirato a fondo aprii la porta.
Aveva le
braccia tese, con le mani si teneva allo stipite della porta. La sua
espressione era indecifrabile e i suoi occhi imperscrutabili, come se
avesse
eretto un muro dietro essi, per non permettere a nessuno di leggervi
dentro.
«Ciao.» mormorò con voce calda mentre un
angolo della sua bocca si sollevava
verso l’alto.
Istintivamente sorrisi. «Ciao.» mormorai e fui
sorpresa dalla dolcezza della
mia voce.
«Posso entrare?» chiese mettendosi eretto.
«Sì, certo.» risposi spostandomi appena,
permettendogli di entrare.
Chiusi la porta e fremetti quando mi voltai a guardarlo. Illuminato
dalla luce
crepuscolare era ancor più bello. Il fiato mi si
mozzò nell’osservare la sua
figura longilinea, i muscoli definiti sotto la t-shirt. Mi dava le
spalle, e le
tende, scostate dal vento gli carezzavano un braccio.
«Cosa succede?» chiesi con voce incredula, tenendo
a bada ciò che sentivo per
lui.
«Vieni.» mormorò uscendo in veranda,
senza voltarsi a guardarmi. Sbattei
confusa le palpebre e lo seguii in veranda. Sorrisi quando notai che
aveva
assunto la mia stessa posizione di pochi minuti prima.
«Se qualcosa non andasse, me lo diresti?»
«Perché mi fai questa domanda?»
Lui rise appena, quei risolini colmi di amarezza, di tristezza. Poi si
voltò a
guardarmi. «Non hai risposto.»
In piedi, inerme con le braccia lungo i fianchi, ad una paio di metri
da lui,
tacqui.
«Me lo diresti, vero?»
«Sì.» soffiai.
«E non è tutto okay, vero?»
«Lo è.» mentii spudoratamente.
Si mise eretto, avanzando di qualche passo. «Ti ho detto che
sei una pessima
bugiarda. Non riuscirai mai ad ingannarmi.»
Eppure ci sono riuscita, e ripensai
a
tutta quella mia patetica farsa.
«Perché t’interessa tanto,
Ian?» chiesi incrociando le braccia al petto e
scostando lo sguardo da lui.
«Perché siamo amici.»
Risi, istericamente.
«Mi sbaglio?» chiese in un sussurro avvicinandosi a
me. Il vento che spirava
portò con sè il suo profumo, che mi colpi in
pieno viso, inondandomi i polmoni.
«No.» mormorai con voce incrinata prima di
abbassare lo sguardo, cercando di
trattenere le lacrime.
«Cosa ti sta succedendo, Helen?» mormorò
premendo il palmo della sua mano sulla
mia guancia. Il mio cuore singhiozzò e un fremito mi
attraversò da capo a
piedi. «Perché, davvero… non
capisco.»
Poggiai il pugno chiuso sul suo petto e chiusi gli occhi, cercando
rifugio.
Nascosi così il viso nell’incavo del suo collo.
«Voglio andare a casa, Ian.» gemetti.
Sentii le sue braccia circondarmi le spalle e stringermi con forza a
sé.
E faceva male sapere di essere solo sua amica. Faceva male, eppure la
sensazione del mio corpo a contatto con il suo rimarginò per
alcuni istanti la
ferita che mi squarciava crudelmente il petto.
«Voglio tornare a casa.» gemetti ancora mentre
alcune lacrime sfuggirono al mio
precario autocontrollo, bagnandogli la maglia.
«Okay.» mi sussurrò lui
all’orecchio prima di baciarmi ripetutamente il capo.
E, nonostante tutto, desideravo che quel momento non avesse mai fine.
*
Tadan,
eccomi qui.
Premetto che sono un po’… su di giri e nervosa per
questa idiota maturità.
Vorrei ringraziare a modo tutti, ma davvero non posso. Ho
l’elettrostatica che
mi chiama a gran voce… quella malefica!
Ad ogni modo, il prossimo aggiornamenti prevede decenti ringraziamenti!
*-*
Ringrazio di cuore: Angyr88, chiara84, Jake_Me,
Pikky91, Nessie93,
Xx_scrittrice_xX, mary
whitlock,Valentina78, KeLsey.
Grazie, grazie davvero.
E
grazia a te, Kate. <3
Ti voglio bene.
A
voi, un bacio,
Panda.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5. ***
5.
~We´ll fall asleep so
deeply out of reach.
Noi ci
addormenteremo così
profondamente e così distanti.~
«Vuoi andare via?» mi chiese Abby con voce
strozzata.
«Sì.» mormorai sedendomi su una
poltroncina del locale sulla spiaggia in cui
eravamo da poco arrivati.
«Perché?» chiese sedendosi accanto a me
e stringendomi una mano fra le sue.
«Non me la sento di restare, Abby. Non… non sto
bene.»
«Non puoi andare via, Helen. Come farò senza te?
La settimana prossima parto
per Dublino. Questa doveva essere un’occasione per passare
più tempo possibile
insieme. E ci rimetteresti le spese della prenotazione!»
esclamò.
Chiusi gli occhi e mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio,
prima di
sospirare e voltarmi a guardarla. Mi guardò con occhi colmi
di tristezza e
sentii i sensi di colpa farsi più avanti.
Sì, la settimana prossima sarebbe partita per Dublino e non
l’avrei rivista per
un anno intero. Aveva vinto una borsa di studio e sarebbe andata a
studiare lì.
Un po’ come era successo per me a Lione, ai tempi del liceo.
E forse… forse
Ian… l’avrebbe seguita nei mesi successivi.
Potei avvertire l’amaro della sofferenza sulla lingua e
chinai istintivamente
il capo.
«Abby…» mormorai.
«Ti prego, Helen, resta.» mormorò
circondandomi le spalle con le braccia e
poggiando la guancia sulla mia spalla. «Fallo per
me.»
Sorrisi con amarezza. Tutti desideravano che facessi cose per loro, che
esaudissi i loro desideri. Dicevano che volevano vedermi felice, eppure
non
facevano che tentare di soddisfare i loro egoistici bisogni.
Abby… Ian. Ed io,
stupidamente, non riuscivo a
dir di no.
«Ti prego…» mormorò ancora ed
il cuore mi si strinse in una morsa.
Chiusi gli occhi e dopo alcuni istanti gli riaprii.
«Okay.» dissi.
Alzò il capo e sorrise. «Davvero? Oh, ti voglio
bene, Helen!» disse in un
gridolino.
«Anche io.» risposi carezzandole piano un braccio.
«Dai, vieni, andiamo a prendere qualcosa da bere.»
disse conducendomi verso il
bar.
Ordinammo un paio di cocktail, prima di sederci al tavolino dove si
trovavano
gli altri.
Con la coda dell’occhio vidi Ian osservarmi e lo stomaco mi
si strinse in una
morsa. Avrei dovuto farcela, dovevo farcela, anche se sembrava essere
impossibile.
Sorrisi. «Ciao, ragazzi.» mormorai accomodandomi
accanto a Shelly ed Anthony.
Di fronte a me, Ian, mi osservava serio.
«Ehi, ciao.» risposero in coro.
«Questo vestito di dona, Helen. Sei uno schianto.»
disse Ryan sorridendo.
«Concordo.» aggiunse Anthony dandomi una leggera
gomitata. Sentii il viso
avvamparmi di rossore.
«Ragazzi!» esclamai imbarazzata e con la coda
dell’occhio vidi Ian muoversi
nervoso sul posto.
«Non ti si possono fare complimenti. Sei la
solita.» sbuffò Jared, scuotendo il
capo.
«Stiamo parlando di questo.» sorrisi indicando il
vestito che indossavo. Era
verde, di semplice stoffa, appena largo sui fianchi.
«Sì, di quello.» continuò
Jared. Shelly mi riservò un’occhiata non proprio
carina.
Mi passai una mano fra i capelli. «Okay, concentrate la
vostra attenzione su
altro. Concentratela sui Shelly. Non notate che i suoi capelli col sole
siano
diventati ancor più chiari?»
Abby scosse il capo divertita, mentre stringeva un braccio di Ian. Lui
le
sorrise flebilmente, baciandole le labbra, prima di tornare a guardare
me.
Quella, fu l’ennesima pugnalata a crudo. L’ennesima
fitta di atroce dolore.
I suoi occhi, illeggibili, fissarono i miei. L’istinto mi
gridava di fuggire,
di andare via, di evitare la vista di loro due insieme, seguendo il mio
spirito
di autoconservazione, ma non potevo, e lo sapevo bene.
Perciò rimasi, mio
malgrado, e cercai di concentrare lo sguardo altrove.
«Al bar ho conosciuto un tipo,» esordì
Ryan dopo alcuni secondi, «mi ha parlato
di un falò a poca distanza da qui.»
Jared corrugò la fronte. «Quando?»
«Domani. Che ne dite?» chiese poggiando un braccio
sulla spalla di Shally, le
cui gote parvero prendere fuoco.
«Io ci sto.» rispose Anthony. Anche Abby e Jared
dissero di sì. Io mi limitai
ad annuire col capo, esattamente come Ian.
In quel momento un cameriere portò ciò che io ed
Abby avevamo ordinato.
«Io ci andrei piano.» disse Ian quando mi portai la
cannuccia color della notte
alle labbra.
«Cosa?» chiesi corrugando la fronte e sgranando gli
occhi sorpresa. Abby si
voltò a guardarlo, esattamente come il resto dei nostri
amici.
«Ci andrei piano, stasera.» disse e la sua voce era
fredda, come il ghiaccio.
Dischiusi le labbra, colta di sorpresa, confusa. «Stai
scherzando?» chiesi con
voce incerta e tremante, mentre altri tacevano e spostavano i loro
sguardi da
Ian a me, da me a Ian.
I suoi occhi indugiarono glaciale nei miei, scuri come la notte. Sentii
la
rabbia ribollirmi nelle vene, mentre il mio petto prendeva a muoversi
troppo
velocemente per essere controllato.
«Bene. Sai cosa ti dico, Ian? Va al diavolo.»
sputai con odio. Mi alzai,
afferrando la borsa e allontanandomi, uscendo dal locale, per dirigermi
all’hotel.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi, mentre la vista mi si annebbiava.
Camminavo a passo svelto, desiderosa si allontanarmi il più
possibile da lui. Ero stata ferita,
sì. Il suo tono
di voce aveva avuto il dolore di una frustata sulla mia pelle.
I capelli ondeggiavano ad ogni mio passo, finendomi oltre le spalle.
«Helen!»
La lacrime mi inumidirono gli occhi ed istintivamente accelerai il
passo,
fuggendo da lui.
«Helen, aspetta!» urlò ancora. Sentii i
suoi passi dietro di me, e poi la sua
mano afferrare il mio braccio e costringermi a voltarmi.
«Cosa vuoi?» ringhiai cercando di liberarmi dalla
sua presa.
«Ehi, aspetta.» disse rincorrendomi quando mi
allontanai.
«No! Vattene, Ian!» strillai istericamente
sull’orlo di una crisi, mentre gli
occhi mi si inumidivano di lacrime.
«Helen!» esclamò ancora lui afferrandomi
per una spalle a costringendomi
nuovamente a fermarmi e voltarmi.
Quando i suoi occhi incontrarono i miei, s’acciglio appena.
«Stai… piangendo?»
chiesi confuso.
«No.» mormorai voltando il capo, sfuggendo al suo
sguardo, incapace però di
sfuggire alla sua stretta ferrea che mi tratteneva per le spalle.
«Ehi.» mormorò e la sua voce era un mix
di miele e zucchero. Poggiandomi un
dito sotto il mento mi costrinse a voltare il capo ed alzare lo sguardo
sul suo
viso.
«Perdonami, Helen.» mormorò e fui
sorpresa dalla sorprendente vicinanza dei
nostri visi.
«Perché?»
«Cosa?» sussurrò scostandomi i capelli
dal viso.
«Niente. Non importa, Ian.» mormorai fissando i
suoi occhi color dei
lapislazzuli, perdendomi dentro essi, magnetici come sempre.
«Perdonami. Non volevo essere così…
sgarbato.» mormorò e il suo respiro mi
colpì in pieno viso dandomi alla testa, disarmandomi.
«Ti ha mandato Abby, vero?» soffiai sentendo le
lacrime pungermi ancora gli
occhi.
Non rispose subito. I suoi occhi indugiarono nei miei in attimi
infiniti. «Sì.»
mormorò e, quella, fu una lenta pugnalata al cuore.
Le lacrime mi offuscarono la vista e cercai disperatamente di
divincolarmi
dalla sua presa, ma sembrava non essere intenzionato e lasciarmi
andare.
Scostai lo sguardo, voltando il capo di lato, fuggendo dai suoi occhi
meschini.
«Lasciami.» farfugliai.
«No. Ehi, Helen. Helen!» sibilò, e la
sua voce era autoritaria. M’ingabbiò il
viso fra le mani e mi costrinse ancora a guardarlo.
«Sarei venuto comunque. Ti prego, credimi.
Credimi.» soffiò e nei suoi occhi
guizzò sincerità.
«Ian…» soffiai mordendomi il labbro
inferiore.
«Sono qui, Helen. Parlami.» mormorò al
mio orecchio, cingendomi le spalle con
le braccia.
Poggiai il viso sulla sua spalla. «Abby ti
aspetta.», e la mia voce era fredda
e dura come il ghiaccio. Sciolsi l’abbraccio e ricacciai
indietro le lacrime
che prepotenti desideravano uscire.
«Ci vediamo, domani.» mormorai.
«Dove vai?» chiese e sul suo viso era dipinta
un’espressione carica di
rammarico.
«A dormire. Sono stanca.» risposi atona, prima di
voltarmi e cominciare a
camminare, lasciandolo lì.
Avrei voluto voltarmi, corrergli incontro ed abbracciarlo ancora, ma
non era
possibile. Lo sapevo fin troppo bene. Così continuai a
camminare, sperando che
l’indomani il dolore sarebbe stato più
sopportabile.
Quando conobbi
Ian per la prima
volta, avevo dieci anni, e lui quattordici. E la vita, era di gran lunga diversa.
« Non vuole star fermo,
Kate!» gridò
Helen alla donna dai corti capelli castani, mentre cercava di lavare
Attila, un
cane di mezza taglia.
La donna si voltò e sorrise, scuotendo il capo.
Kate era un’amica di famiglia e, gentilmente, aveva dato la
sua disponibilità,
dopo essere ritrasferita in città, a
per
tenere occupata la bambina. Judith, la mamma di Helen, era impegnata al
lavoro,
intensificatosi dopo la morte del marito, avvenuta l’anno
precedente.
«Ehi, Ian, aiuta Helen, per favore!»
esclamò rivolgendosi al figlio.
Il ragazzino alzò il capo ed annuì, per poi
precipitarsi dalla bambina.
«Aspetta, ti aiuto.» disse chinandosi sul cane.
«Grazie, Ian.»
«Prego, Helen.» rispose poi sorridendole.
Mi passai una mano sul viso, cancellando i ricordi e
sospirando, piano.
Era folle, era stupido, era irrazionale. Ma non riuscivo a non pensare
a lui.
La sua assenza bruciava sulla mia pelle, mozzandomi quasi il respiro.
In fondo,
non sarebbe durata tanto a lungo. Presto saremmo tornati a New Bern, e
presto
avrei visto di rado il suo viso. Forse era questo il motivo per il
quale il mio
animo agonizzava in quel momento. Era come se, nei mesi precedenti, mi
fossi
disintossicata dalla sua presenza ed il mio tentativo di mantenere quel
precario autocontrollo era crollato nel momento in cui il suo viso si
era
rivelato al mio. E forse, col ritorno a casa…
quell’amore nascosto ed
irrazionale, la sofferenza ed il desiderio, si sarebbero placati.
Riemersi dall’oceano di pensieri nel quale ero caduta, quando
qualcuno bussò
ripetutamente alla porta.
«Arrivo!» urali precipitandomi
all’interno della camera.
«Sì?» chiesi
afferrando il pomello.
«Abby.» rispose lei alzando la voce di
un’ottava per far sì che la sentissi.
Sospirai ed aprii la porta.
Mia cugina sgranò gli occhi, guardando sconcertata la maglia
che mi arrivava
fino a metà coscia. «Non
sei ancora
pronta?» chiese.
Corrugai la fronte confusa. «E’ presto per la
cena.»
«Oggi abbiamo la festa in spiaggia, ricordi?», ed
entrò in camera, chiudendosi
la porta alle spalle.
Chiusi un momento gli occhi passandomi una mano sul viso.
«L’avevo del tutto dimenticato.»
Abby sospirò prima di sorridere. «E’ per
questo che sono passata. Avanti va a
farti una doccia.»
Mi incamminai verso il bagno, prima di bloccarmi al centro della stanza
e
voltarmi. «E se io non venissi?» chiesi, conscia
che non mi avrebbe permesso di
rimanere da sola in camera, cosa che però avrei preferito di
gran lunga,
in alternativa ai suoi occhi.
«No!» esclamò lei accigliandosi.
Alzai le mani a mezz’aria, in segno di resa. «Okay,
okay. Come non detto.»
«Sii veloce, però. Ci aspettano di
sotto.»
Sulla soglia della porta mi bloccai, chiudendo un momento gli occhi ed
osservando l’immagine del viso di Ian sulla palpebra chiusa.
«Okay.» soffiai, prima di entrare in bagno.
Con disumana velocità mi lavai e quando mi fui vestita,
indossando semplici
calzoncini ed una semplice canotta rossa, io ed Abby –con mio
grande
dispiacere- ci
dirigemmo al piano
inferiore, dove gli altri ci attendevano.
Avevo ancora le punte dei capelli umide che, a contatto con la mia
pelle
accaldata da una giornata passata al sole, mi rinfrescavano appena.
Quando svoltammo l’angolo alla fine delle scale, entrando
nella hall, il mio
cuore perse un battito, mentre lo stomaco cominciò a
contorcersi. Lo vidi,
bello e statuario come sempre e per una frazione di secondo tutto
intorno a me,
ogni cosa, perse il proprio significato, prima che la
realtà, crudele e
malinconica, mi si stagliasse davanti. Gli occhi di Ian fissarono
quelli di
Abby, che accanto a me sorrise piena d’amore. Mi sentii in
colpa, come ogni
volta che loro due era affianco a me. Il dolore mi causò una
fitta in pieno
petto, aumentando quando i suoi occhi chiari scrutarono seri i miei.
Dopo
attimi infiniti, sorrise.
«Ciao.» disse prima di baciare Abby sulle labbra.
Ed ancora aghi perforarono la
mia pelle, ghiacciati ed affilati.
«Ciao.» mormorai abbassando lo sguardo, per poi
salutare il resto degli amici.
Shelly si avvicinò, prendendomi sottobraccio.
«Come stai?» mi chiese con
dolcezza.
«Bene.» risposi confusa.
«Bene.» annuii piano con il capo, mettendomi a
disagio. Mi mossi nervosa sul
posto, prima di passarmi una mano fra i lunghi capelli castani.
«Allora? Andiamo?» chiese Jared con un battito di
mani, facendomi sobbalzare.
Non risposi, perché in realtà io non volevo
andarci. Ma ero costretta. Se non
fossi andata con loro ci sarebbero state troppe domande ed Abby mi
avrebbe odiata.
Così, misi da parte ancora una volta quelli che erano i miei
sentimenti ed i
miei desideri. In fondo, peggio di così non poteva andare.
Che sciocca fui a pensarlo.
*
Eccomi
qui, gente. Bene… questo aggiornamento non era previsto per
cui non posso
ringraziarvi a modo.
Il sei ho l’orale –ciò vuol dire che nel
prossimo sicuramente approfondirò i
ringraziamenti- e non ho toccato né matematica né
filosofia! ç_ç
Chiedo perciò ancora scusa. Mi dispiace, ma come ho detto
non era previsto
questo capitolo.
Il prossimo sarà dopo gli esami… finalmente
LIBERA!
Perciò
grazie di cuore a: Piccola Ketty, Ombrosa, Angry88,
Pikky91, mary
whitlock, __Claire__, Xx_scrittrice_xX,
chiara84, Nessie93,
Valentina78.
Per te, lo sai.
Ti voglio bene… tanto.
Un
immenso abbraccio,
Panda.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6. ***
Grazie, di cuore.
6.
~And I wish
I
could believe there was more.
E io vorrei poter credere
che ci sia di più.~
«Tieni.»
Alzai lo sguardo sorridendo ed afferrai la bottiglia di birra che
Anthony mi
porse, prima di sedersi accanto a me, sulla sabbia fresca.
«Grazie.» mormorai portandomi la bottiglia di vetro
alle labbra.
«Come stai?» chiese dopo alcuni attimi di silenzio,
in cui ci limitammo a
fissare il fuoco scoppiettare.
Abbozzai un flebile sorriso. «Sto bene. Volete piantarla di
chiedermelo
sempre?»
«Okay, scusa.» mormorò.
Sospiri, mordendomi la lingua. «No, scusami tu. Non
volevo.» aggiunsi
voltandomi verso di lui e sorridendogli appena.
Un angolo della sua bocca si sollevò verso l’alto
e, circondandomi le spalle
con un braccio, mi strinse a sé, baciandomi il capo, prima
di lasciarmi andare.
In sottofondo vi era il costante chiacchiericcio e le risate dei
ragazzi
attorno al fuoco, dei ragazzi in acqua e dei ragazzi che giocavano
sulla
battigia, illuminati dalla fioca luce della luna. E per noi, vicini al
fuoco,
distinguere le sagome nell’oscurità era
impossibile. In quella stessa oscurità,
vi erano anche Ian ed Abby. Il pensiero delle loro labbra combaciare e
dei loro
corpi a contatto mi strinse il cuore in una dolorosa morsa di gelosia.
«Shelly?» chiesi voltandomi dopo aver bevuto un
sorso di birra.
«In acqua con Jared e Ryan.»
Deglutii rumorosamente, poiché non aveva fatto i nomi di Ian
ed Abby.
«E tu perché non vai?»
«Semplice: non ti lascio da sola.»
ridacchiò.
«Oh, che gentile.» ironizzai bevendo ancora.
«Guarda che so cavarmela da
sola… e
poi credo andrò ad unirmi
ad quel gruppetto
di ragazze.» mentii
indicandole con un cenno del capo.
«Helen… io…»
«Smettila, Anthony. So che vuoi andarci. Perciò,
su, muoviti.» dissi un
risolino dandogli una leggera spallata.
Rise. «Okay, okay.» rispose alzandosi e baciandomi
la fronte. «A dopo, piccola.»
disse porgendomi la sua birra e sfilando la maglia, lasciando scoperto
il suo
esile busto.
Alzai una mano a mo’ di saluto e ritornai a guardare il fuoco
scoppiettare,
bevendo lentamente la mia birra fresca.
Incrocia le gambe e la pelle venne a contatto con la sabbia fresca. Ci
affondai
i piedi, osservando le persone intorno al fuoco.
Cosa diavolo ci facevo io lì? D’un tratto sentii
la mancanza di casa farsi
sempre più vivida.
«Perché sola?» ad interrompere il flusso
dei miei pensieri fu una voce sconosciuta.
Alzai il capo ed osservai un ragazzo dai capelli chiari, accomodarsi
alla mia
sinistra.
«Non mi va di entrare in acqua.»
dissi
sorridendo appena, guardando i suoi occhi nocciola.
«Mi chiaro Nelson.» disse porgendomi la mano, che
prontamente afferrai.
«Helen.»
«Bel nome.»
«Grazie.» mormorai portandomi una ciocca di capelli
dietro un orecchio.
«Perché non ti va di entrare in acqua?»
chiese dopo un attimo di silenzio, in
cui mi concentrai sulle lunghe fiamme.
Feci spallucce. «Non mi va.»
«Ti va di venire con me?»
Deglutii. «No, preferisco restare qui.» mormorai
stringendomi nelle spalle,
innervosita dal suo sguardo posato sul mio viso, dalle fiamme che si
riflettevano nei suoi occhi che, in quel momento mi parvero, neri,
forse a
causa del tono languido che aveva usato nel chiedermi di andare con lui
in
acqua.
«Dai, vieni.» insistette sfiorandomi il braccio.
Istintivamente mi allontanai, muovendomi sul posto e disagio.
«No. Ho detto di no.» cercai di dire con voce
ferma.
«Tutto okay?»
Con il viso rivolto verso le fiamme, chiusi un attimo gli occhi,
maledicendomi
ancora per non aver insistito per rimanere in albergo.
Aprii gli occhi e, con la coda dell’occhio, vidi Nelson
alzare lo sguardo. «Sì,
tutto okay.» rispose con freddezza prima di alzarsi ed
allontanarsi.
Non alzai lo sguardo, mi limitai a stringere fra le mani la bottiglia
di birra.
«Grazie.» mormorai poi e fui costretta ad alzare il
capo. Mossa sbagliata, ne
ero consapevole. Eppure non potei non farlo.
Ian mi guardava, una ruga di preoccupazione sulla fronte. I suoi occhi,
sotto
le sopracciglia scure mi scrutarono attenti, forse in cerca di
qualcosa.
Sorrisi e ritornai a guardare il falò col cuore
singhiozzante. Sì, vedere i
suoi occhi causava quasi dolore fisico.
«Sicuro?» chiese sedendosi alla mia destra.
Contrassi la mascella. Desideravo
bearmi della sua presenza, ma sapevo che sarebbe stato meglio se non
fosse
stato lì. Tutto ciò non aiutava di certo il mio
fragile autocontrollo.
«Sì.» mormorai.
«Abby?» chiesi dopo un attimo di esitazione, prima
di voltarmi
a guardarlo. Osservai ammaliata il profilo del suo viso. Osservai la
linea
retta del naso, le labbra piene , la linea della mascella ben definita.
Non parlò subito, per qualche attimo i suoi occhi
rifletterono le lunghe
fiamme. «Con gli altri.» rispose infine.
Il quel momento reprimere l’irrefrenabile desiderio di
gettargli le braccia al
collo e affondare il mio viso nell’incavo del suo collo, fu
difficile.
Incrociai le braccia al petto mentre ogni fibra del mio essere veniva
proiettata verso lui. Feci una smorfia, chinando il capo per nascondere
a lui
il mio viso, ma sembrò comunque accorgersene.
«Ehi, cosa c’è?»
mormorò sfiorandomi una ciocca di capelli che mi ricadeva
davanti al viso, per poi scostarmela dietro un orecchio.
«Nulla.»
«Uhm… non ci credo, lo sai.»
mormorò con voce calda.
Mi mossi nervosa, a disagio, allontanandomi appena col capo,
costringendolo a
lasciarle le ciocche dei miei capelli.
«Perché non facciamo un giro? La riva
all’oceano è meravigliosa, Helen.» mi
propose e la sua voce era una miscela di miele e zucchero. Suadente mi
parlò,
lasciando agli occhi il lavoro sporco di resistere al suo invito. Avrei
voluto
dire di no, molte altre volte avrei voluto, ma rifiutare ciò
che i suoi occhi
mi pregavano di fare, era del tutto impossibile.
Per alcuni secondi i miei occhi indugiarono nei suoi, resi
più scuri dal cielo
notturno.
«Dai…» mi pregò e, quando la
sua mano sfiorò la pelle nuda del mio braccio,
cedetti.
«Okay.» soffiai, alzandomi e buttando la bottiglia
ancora mezza piena in una
busta lì vicino.
Mentre camminavo verso la battigia potei sentire le urla di maschili e
femminili, e non potei non riconoscere quella di Abby. Anche se Ian mi
aveva
chiesto di fare un giro perché era mio amico,
perché voleva distrarmi, mi
sentii tremendamente in colpa. Mi bloccai sulla sabbia frasca ed umida,
paralizzata dagli schiamazzi. Ian ad un paio di passi di distanza da
me, si
bloccò, voltandosi. Nell’oscurità potei
appena notare una traccia di
preoccupazione nel suo viso nascosto nell’ombra.
«Cosa c’è?» chiese avanzando
di un passo.
«Forse è una brutta idea.» soffiai
sgranando gli occhi e fissando il mare.
«O forse no. Dai, vieni.»
«No, forse è una cattiva idea.» ripetei
ostinata.
«Io dico di no.» risposi lui con tono confuso
voltandosi a fissare il mare,
fraintendendo probabilmente la natura del mio repentino cambio di umore.
«Tranquilla, non possono riconoscerti. Non ho intenzione di
portarti da loro.
Ti ho esortata a fare un giro per allontanarti dalla persone. Dopo
tutto, ti
conosco Helen.»
A quelle parole chiusi un momento gli occhi, prima di sorridere
amaramente.
«Dai, vieni.» mormorò prendendomi per
mano e avvicinandomi a lui. Quando la
lasciò andare, essa sembrò quasi bruciare. La mia
pelle sembrava gridare il suo
nome. Incrociai le braccia al petto, mentre cominciavamo a camminare.
Mi tolsi
i sandali e lasciai che l’acqua mi bagnasse dolcemente i
piedi.
«Grazie, Ian.» mormorai guardando la luna.
«Ti voglio bene, Helen. Te ne vorrò… sempre.»
mormorò e fu impossibile per me decifrare il tono della sua
voce. Mi chiesi a
cosa pensasse con lo sguardo rivolto al cielo.
Sentii il cuore stringersi in una morsa, mentre le lacrime spingevano
prepotenti per uscire.
Faceva male, anche solo guardare. Sapere di aver capito di amarlo
troppo tardi,
di aver compreso ciò che il mio cuore cantava per lui,
quando lui l’aveva
donato a mia cugina. Sapere che le sue labbra non sarebbero mai
più state sulle
mie, che la sua pelle non avrebbe mai sfiorato la mia con lo stesso
desiderio
ed amore che provavo io ad ogni contatto. Lui amava Abby, e non avrei
mai
potuto combattere per questo.
Camminammo in silenzio per alcuni minuti, prima che Ian squarciasse il
silenzio.
«So cosa ti succede.» mormorò poi
guardandomi volto. Mi si gelò il sangue nelle
vene e mi bloccai di colpo, mente il mio cuore aumentava i battiti e la
testa
cominciava a girarmi.
«Cosa?» chiesi con voce strozzata e il panico negli
occhi neri.
«Abby me l’ha detto.»
Il mio petto cominciò a muoversi irregolarmente, mentre
l’aria pareva bruciarmi
le pareti dei polmoni.
Che avessero capito?
«Cosa?» balbettai.
«Di Lione. Del ragazzo di cui ti sei innamorata
lì.» mormorò e la sua voce
rasentò la delusione.
Sbattei più volte le palpebre e fui grata che non mi
avessero smascherata.
«Oh… quello.» sospirai di sollievo e
sentii le gambe cedermi. Così mi sedetti
sulla sabbia umida, incrociando le gambe.
«Ora sai come ci si sente.» mormorò e la
sua voce ruppe il silenzio come uno schiocco di frusta.
Alzai lo sguardo su di lui. Sul suo viso vi era disegnata
un’espressione dura,
che ebbe la potenza di uno schiaffo a prima mattina. Sgranai gli occhi,
sconcertata da ciò che le mie orecchie avevano udito.
«Cosa?» chiesi con voce strozzata.
Lui tremò e, passandomi una mano fra i corti capelli scuri,
si voltò avanzando
sulla battigia.
Poi si voltò, allargando le braccia prima di farle ricadere
lungo i fianchi.
«Ora sai come ci si sente!» esclamò.
Fu lì che capii. Capii di essere stata una stupida, di
essere stata egoista e
di averlo ferito come mai avevo immaginato. La delusione ed il
rammarico che
lessi nei suoi occhi valeva più di mille parole e mi
colpirono in pieno petto
come un proiettile. Il cuore cominciò a battere velocemente,
mentre la ferita
che mi squarciava il petto a pulsare di dolore.
Sentii gli occhi inumidirsi e le lacrime scorrermi sul viso. Ian mi
guardava
col petto che si muoveva velocemente. Era nervoso, era arrabbiato.
«Mi dispiace.» mormorai con voce incrinata.
«Ti dispiace?» chiese avanzando velocemente verso
me e abbassandosi sulle
ginocchia. «Ti dispiace?»
E non potei controllare le lacrime che veloci cominciarono a scorrermi
sulle
guance accaldate.
«Tu… tu non capisci.» mormorai alzandomi
ed afferrando i sandali. «Tu… tu… non
puoi capire.» singhiozzai.
«Io non posso capire?» domando alzando la voce di
un’ottava, mentre cominciavo
a camminare verso il falò oramai troppo lontano.
«Dove stai andando?» chiese ancora
poiché non gli risposi e non mi voltai a
guardarlo. Mi limitai a camminare con la vista offuscata da lacrime di
dolore e
disperazione.
Ian mi afferrò il polso e mi costrinse a voltarmi,
attirandomi a sé. I suoi
oggi lampeggiarono come fiamme blu alla fioca luce argentea della luna,
incatenarono i miei senza lasciarmi via d’uscita, via di
scampo.
«Io più di tutti, Helen, sono in grado di
capire.» mormorò con voce bassa e
fredda.
«Cosa vuoi da me, Ian?» gemetti.
Lui aprì la bocca, ma da essa non vi uscì alcun
suono. L’espressione sul suo
viso cambiò e corrugò appena la fronte, in cerca
di parole che parvero
sfuggirgli. Una traccia di perplessità, tristezza,
malinconia gli guizzò negli
occhi ammaliatori, mentre richiudeva le labbra.
La sua mano, che con forza stringeva il mio braccio, piano
mollò la presa e
portò le mani all’altezza del mio viso.
Esitò e mi chiesi quali fossero le sue
intenzioni. Avrei voluto muovermi, andare via di lì, ma non
ci riuscii. Ero
immobilizzata, incapace perfino di emettere suoni mentre il suo
respirò mi
carezzava con dolcezza la pelle del viso, mentre il suo profumo
m’invadeva i
polmoni.
«Non lo so.» soffiò. Con le mani mi
scosto i capelli da viso, incollati sulle
gote, e mi asciugò il viso dalle lacrime. Le sue mani si
mossero leggere sul
mio viso, sfiorandone ogni centimetro. Così chiusi gli occhi
godendomi quel
contatto, prima che parlasse ancora.
«Perdonami, Helen. Non volevo essere
così… duro.» mormorò al mio
orecchio,
circondandomi le spalle con le braccia e stringendomi a sé.
«Ci sono, te l’ho
promesso.»
«Scusa, Ian. Per tutto.» singhiozzai aggrappandomi
con disperazione alla sua
schiena.
«Fa parte del passato.» mormorò
carezzandomi il capo, posandoci poi un bacio.
«Fa parte del… passato.»
mormorò ancora, ma sembrò parlare più
con se stesso,
che con me.
Per alcuni istanti rimanemmo in silenzio, mentre mi godevo quel piccolo
rifugio, per una volta e per pochi attimi, privo di preoccupazioni.
Quando Ian
parlò parve irrigidirsi.
«Se davvero… ami, questo ragazzo, se ti fa star
male così tanto… dovresti
lottare per lui, Helen.»
Quelle parole inaspettate mi travolsero con la potenza di una slavina.
Perforarono il mio cuore come una lucente lama d’acciaio e mi
diedero alla
testa, facendomi gemere e contorcere lo stomaco. Le lacrime
aumentarono, tanto
da bagnarli la maglietta. I singhiozzi mi scossero violentemente mentre
stringevo con le mani la sua maglietta.
«Helen?» chiese Ian e nella sua voce
v’era traccia di panico.
«Non posso… non posso… lottare
Ian… io non posso.» gemetti fra le lacrime,
prima che le gambe cedessero.
«Helen!» esclamò sorreggendomi. Mi presi
il viso fra le mani e mi accasciai
sulla sabbia, raggomitolandomi in posizione fetale.
«Ti prego, Ian, va via.» mormorò.
«No, te lo scordi.» rispose scostandomi i capelli
dal viso, lasciandomi il
collo scoperto. Piano prese ad asciugarmi il viso. «Non ti
lascio da sola,
adesso.»
«Ti prego, va via.» ripetei ancora mentre cercavo
di fermare i singhiozzi.
Sentii la verità voler uscire con prepotenza, tanto mi morsi
la lingua per
tacere.
«No. Mai.» sussurrò al mio orecchio
prima di baciarmi una guancia.
Si stese sulla sabbia fresca e umida e mi aiuto a poggiare la testa sul
suo
braccio. Con una mano mi carezzò il capo, con
l’altra il mio braccio che
circondava il suo ventre.
E rimanemmo lì, per chissà quanto tempo. E
nonostante tutto… fui felice che
fosse rimasto.
«Helen?»
la sua voce, dolce melodia, giunse calda alle mie
orecchie, e tuonò nel suo petto. «Helen, sei
sveglia?»
«Sì.» sussurrai.
«Va meglio?»
«Sì.»
«Vuoi che ti riaccompagni in albergo?» chiese
sfiorandomi la schiena e, sotto
la leggere maglia, la mia pelle parve prendere fuoco.
«No, posso andare da sola.»
«Certo, non lo metto in dubbio, ma credo che la presenza di
un ragazzo sia più
sicura.»
In quel momento il viso di Abby si
stagliò sulla retina del mio occhio e mi
irrigidii. Di scatto mi misi a
sedere, e la testa prese a girarmi, tanto che fui costretta a
prendermela fra
le mani.
«Ehi…» mormorò lui mettendosi
a sedere.
«No, davvero. Posso chiederlo a… Anthony. Davvero.
Tu… tu devi tornare da
Abby.» mormorai cercando di alzarmi.
«Ehi, ehi, aspetta.» disse lui afferrandomi per un
braccio quando persi
l’equilibrio.
«Non ho mi conosciuto qualcuno più testardo di te,
Helen.» sbuffò quando mi
divincolai dalla sua presa.
«Ce la faccio, ho detto. Non ti preoccupare.» dissi
cominciando a camminare. Mi
sentivo gli occhi gonfi e la testa mi pulsava di dolore.
«No, mi preoccupo.»
«Sì, ma mi accompagnerà
Anthony.» sentenziai.
«L’importante è che tu non vada
sola.»
«So badare a me stessa.»
«Lo so.»
Per un attimo, mentre avanzavo, mi voltai a guardarlo, ma scostai
subito il mio
sguardo dal suo. Ogni volta che i suoi incontravano i miei, non
facevano che
ricordarmi, mutamente, cosa avevo perso.
Nervosa mi passai una mano fra i capelli, portandomeli poi dietro un
orecchio.
I margini della ferita presero lentamente a pulsare, dopo quegli attimi
di
infinita e segreta dolcezza che mi avevano legata a lui.
Mi chiesi cosa stesse pensando, e che ritmo avesse il suo cuore. Mi
chiesi se
mai sarei riuscita a dimenticare, a porre fine alla sofferenza, a
cancellare
quell’amore irrazionale e sbagliato. Ma in quel momento,
l’idea di poterlo
dimenticare era lontana anni luce.
Era tutto sbagliato, eppure lui era la ragione per la quale mi
svegliavo e
sorridevo, per la quale affrontavo ogni giorno i miei amici, mia
cugina, quella
sciocca vacanza. Perché, nonostante tutto, il guardare il
suo viso, immergermi
nei suoi occhi, danzare sulla sua melodiosa voce era per me infinita
fonte di
felicità, mista alla sofferenza e al dolore scaturiti dalla
consapevolezza che
lui amava Abby.
Quando arrivammo nei pressi del falò, notai mia cugina
scherzare con Anthony e
Ryan. Sorrisi
amaramente, consapevole
che avrei potuto ferirla e distruggerle parte della vita con una
semplice
frase. Scossi il capo, indossando ancora quella solita maschera di
finta
allegria.
«Ehi! Vi stavamo cercando!» disse Abby inclinando
il capo quando ci vide
arrivare e sul suo viso comparve una strana espressione che, mio
malgrado, non
seppi decifrare.
«Abbiamo fatto un giro. La spiaggia è
bellissima.» disse Ian sorridendo e baciando
Abby sul capo, sedendosi poi
accanto a lei. Il mio cuore, a quella vista, si strinse sofferente. Fui
costretta a distogliere lo sguardo, posandolo sulle lunghe fiamme del
falò.
Con la coda dell’occhio, vidi Ryan rendersene conto.
Così mi mossi sul posto
nervosa, a disagio, come se se la mia anima fosse nuda davanti ai loro
occhi.
«Io vado. Ho freddo. Credo di avere qualche linea di
febbre.» dissi con
freddezza d’un tratto, incrociando le braccia al petto.
«Sicura?» chiese Abby giocando con delle ciocche di
capelli di Ian.
Mille aghi mi trafissero.
«Sì.» mormorai mordendomi il labbro
inferiore e sforzandomi di sorridere.
«Mi dispiace. Forse avevi ragione, era meglio rimanere in
albergo.» aggiunse
Abby con dolcezza.
Abbozzai un sorriso. «Te l’avevo detto. Allora ci
vediamo domani mattina. Buona
notte ragazzi.» dissi prendendo la mia roba accanto alla
loro, cercando di
evitare di guardare Abby stretta ad Ian.
«Non vorrai andare da sola?»
Mi bloccai udendo le loro voci all’unisono. Chiusi per un
momento gli occhi,
prima di voltarmi, deglutendo rumorosamente. Avevo sperato e quasi ci
avevo
creduto di poter tornare in albergo da sola.
Abby si voltò verso Ian e rise, mentre lui
abbozzò un sorriso, prima di puntare
i suoi occhi nei miei. Scostai lo sguardo, posandolo su Abby.
«Anthony?» chiesi affondando le mani nelle tasche
dei calzoncini in jeans.
«Accompagnarti intendi? Ma no… lascio che sia Ryan
a farlo.» disse poggiandosi
sul ventre dell’amico.
Ryan, steso sulla sabbia, alzò il capo. «Credo di
aver bevuto troppo amico.» disse
sbattendo ripetutamente le palpebre prima di ridere.
Feci spallucce. «Visto?
Vado da sola.»
dissi e mi voltai incamminandomi.
Sentii Ian sbuffare. «Ehi, aspetta!»
esclamò.
«Siete della palle al piede ragazzi.»
ringhiò Abby e un sonoro “ahi”
seguì la
sua frase.
Mi bloccai e lo stomaco prese a contorcersi, mentre cominciavo a
sentirmi di
troppo, lì.
«Ti accompagno io.» disse con voce calda Ian.
Non mi voltai, rimasi immobile, di spalle, incapace di muovere un solo
muscolo.
«Non è necessario.» mormorai e
probabilmente non mi udirono.
«Certo, certo.» disse mia cugina, prima che la sua
voce si riducesse ad un
sussurro appena udibile. «Torna presto, okay? Ho bisogno di
star con te.», la
sua voce arrivò distante, era sicura che non
l’avessi sentita, invece percepii
la sua voce con estrema chiarezza e le sue parole mi causarono
un’altra fitta di
dolore. La gelosia mi stava rendendo folle e mi stava trascinando in
baratro
dal quale era difficile risalire, ne ero consapevole. Eppure non avevo
la forza
di dire basta. Non ne avevo il coraggio… perché
ero solo una codarda.
Cercai di ricacciare indietro le lacrime mentre mi portavo una ciocca
di
capelli dietro un orecchio e mi incamminavo sulla sabbia fresca e
morbida.
Sospirai, lasciando le l’aria salmastra mi invadesse i
polmoni.
Faceva male. Faceva terribilmente male.
«Ehi, Helen, aspetta!» esclamò Ian e lo
sentii venirmi incontro, mentre mi
allontanavo dal falò.
Ed io non potevo fare nulla… solo sperare che prima o poi
passasse.
*
Ringraziamenti.
Xx_scrittrice_xX:
ciao, sciocca Ely! La
tua recensione… oooooh *-* non hai idea di quanto mi abbia
fatto piacere! Beh,
se si fosse arresa… molte cose “future”
non ci sarebbero. Più in là, capirai.
Ad ogni modo, non sei cattiva se Abby non la sopporti. Cerco di farla
né troppo
stupida, ne troppo carina. Una via di mezzo, insomma, ma è
piuttosto difficile
devo dire… quindi non so se ci riesco XD Possiamo dire che,
piano, vengono a galla
cose, sì, sì. Sono contenta ti piaccia la storia,
Ely. Davvero tanto! E spero
di non averti delusa con questo capitolo. In caso contrario, per
favore,
dimmelo. Un bacio, sciocca. Ti voglio bene.
Angry88: ciao! Visto? Avevo detto
che postavo oggi XD anche io quando sono malinconica, triste e
sconsolata
mangio cose dolci… o salate… no, okay, io mangio
sempre u.u Ad ogni mooooooodo, veniamo alla storia. Sono
contenta, ma davvero contenta, che lo scorso capitolo sia stato di tuo
gradimento. Segui la storia dal primo capitolo e…. ci tengo
al tuo parere,
davvero. Quando leggo il tuo nome tra le recensioni, prendo un bel
respiro
prima di leggere –non sono strana, eh. Più in
là con la storia ci saranno cose…
un po’ più interessanti… spero. Spero
ti sia piaciuto questo capitolo, cara. A presto!
Nessie93: ciao, Chià! Eccomi
qui.
Alla fine ce l’ho fatta. Helen è il tipo di
ragazza che prima pensa al bene
degli altri e poi al suo… e che ama la cugina, come fosse
una sorella. Non puoi
tifare la coppia Abby-Ian, Chià! >.< passi
dalla parte del nemico,
signorina? No, così non va bene, caVa. E non puoi tifare
Helen-Altro Ragazzo
>.< Cooooomunque, ciarle a parte.
Sono proprio contenta ti sia piaciuto il capitolo! Non sai quanto!
Spero di non
averti delusa, o annoiata, con questo. A presto, bella! Ti voglio bene.
__Claire__: ciao! Prima di tutto
grazie per la recensione, mi ha fatto piacere cosa ne pensi. Poi, ho
ritenuto
giusti, in questi primi capitoli, dare un’impronta
malinconica a Helen. Quando
sei… in una situazione del genere, risollevarsi è
difficile, soprattutto se
nella compagnia ci sono anche loro. Inoltre, questi capitolo non
abbracciano
molto giorni. Più in là –i capitoli
sono già pronti- ci sarà una specie di
svolta per Helen, di cui ora non posso parlare, ma la
ragazza… avrà diversi
momenti di leggerezza. :) Spero comunque che questo capitolo non sia
stato
tanto orribile per te. Grazie davvero per la recensione, per aver
espresso il
tuo parere, sì, sì.
mary whitlock: ciao! Sono contenta
ti sia piaciuto il capitolo precedente, davvero! *-* qui, Helen ed Ian,
hanno
un’altra pseudo lite, ma nulla di grave alla fine. Ci sono
cose che, comunque,
sono destinate a venire a galla. Fanno parte del passato e non possono
essere
cancellate, no? Ma se Helen va fosse andata via davvero… Ian
sarebbe rimasto lì,
con Abby e gli altri. Diciamo che il tutto è un
po’ contorto. A presto, cara! Piccola Ketty: ciao, mia dolce Kate!
*-* Le tue recensioni sono sempre così… ooooooh
*-* Sì, c’è molta differenza
dalle tue, ma
davvero molta. Abby è il tipo più festaiolo e un
po’ egoista, mentre Helen tende
prima a pensare al bene degli altri e poi al suo. Ama la cugina e
l’ultima cosa
che vuole è ferirla,o rovinarle la vita. Abby vuole la sua
vacanza perfetta con
il fidanzato e la compagnia perfetta… ed è un
po’…. Lenta a capire. XD Rendere Abby il
più antipatica possibile era
nei miei piani e sembra funzioni! Ora, mia cara, finalmente sono
rilassata. E’
finito tutto. *-* meglio di così! Ti voglio bene, Kate,
davvero tanto. E
grazie, di tutto, sempre. <3
ele ele: ciao! *-* sono contenta sia
di tuo gradimento la storia, davvero! Guarda, lui è il mio
ragazzo ideale XD E
poi il nome Ian… ti dirò, l’ho preso
proprio dal libro. E’ un anno che aspetto
la fiction giusta per usarlo perché è un nome che
adoro un sacco! Spero ti sia
piaciuto questo capitolo, e di non essere stata troppo noiosa. Grazie,
grazie
davvero per la recensione! A presto!
uley: ciao! Davvero non ci riesci?
Okay, quando ho letto la tua recensione ho cominciato a saltellare come
una
scema sulla sedia, sprizzando felicità da tutti i pori!
Sapere di… esserti riuscita
a coinvolgere… oh, cavolo, è la cosa
più bella che potessi dirmi! Ci tengo
molto a ciò che scrivo, in ogni parola ci metto
l’anima e cerco sempre di
mettercela tutta per far arrivare ciò che provo mentre
scrivo, a chi legge. La
tua recensioni mi ha… mandato in estesi, davvero! Come ho
già detto
precedentemente, Abby vuole la sua bella vacanza col fidanzato e gli
amici.
Vuole bene a sua cugina, ma non si rende conto di ciò che
succede… possiamo
dire che è un po’… superficiale la
ragazza. E poi, sì, Ian è sempre lì.
Comunque ciò che lo lega a Helen è forte, dato il
passato ecc ecc. Okay, ora
basta ciarlare o dico troppo. Grazie mille per la bellissima
recensione,
davvero! Mi ha fatto un piacere immenso riceverla. Alla prossima, cara!
C r i s: ciao! *-* Oddio, quando ho
letto la tua recensione ho cominciato a gongolare. Non puoi scrivermi
certe
cose! Cavolo, non sai che piacere mi ha fatto riceverla! Sono contenta
la
storia ti piaccia, e sono contenta che il mio modo di scrivere
–per qualche
oscuro- motivo è di tuo gradimento! In teoria qualcosa
è successo, ma nulla di
che…o forse. La storia piano si evolve e ci saranno altri
avvenimenti. Spero di
non averti delusa con questo capitolo, in tal caso… dimmelo!
A presto, cara! E
grazie, grazie davvero di cuore!
A voi, con immenso
affetto,
Panda.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7. ***
7.
~It’s holding me,
morphing me
and forcing me to strive to be endlessly, cold within
and dreaming I’m alive.
Mi
trattiene,
mi trasforma
e mi obbliga a sforzarmi ad essere infinitamente freddo dentro
e sognando di essere vivo.~
«Potevo
tornare da sola. Non era necessario.» dissi con freddezza,
abbassando lo
sguardo.
«Come ti ho già detto: lo so. Ma dopo averti vista
con… quel tizio, non potevo
di certo lasciarti andare da sola.»
Sbuffai. «Pallone gonfiato.»
«Lo prendo come un complimento.»
Roteai gli occhi. «Non voglio trattenerti. Torna da
Abby.»
«Dopo che ti avrò accompagnata.»
«Adesso.» ribattei voltando il capo e guardandolo
in volto.
«Decido io della mia vita, Helen.»
mormorò.
Per alcuni attimi i miei occhi rimasero nei suoi, prima di tornare a
guardare
la strada dinanzi a me.
«Lo so.»
«Bene.»
Dopo qualche secondo di silenzio, parlai ancora, logorata dai sensi di
colpa.
«Ian,» dissi e mi voltai ancora a guardarlo,
perdendomi nell’oceano dei suoi
occhi, «non è necessario, davvero. Non voglio
essere di peso. So che vuoi stare
con Abby e so che lei vuol stare con te. Chi sono io per mettervi il
bastone
fra le ruota. Ti prego, Ian, torna da lei.» mormorai e senza
accorgermene
rallentai fino a fermarmi. Lui si voltò, guardandomi in
volto.
Non parlò subito. I suoi occhi mi scrutarono e mi sentii,
ancora una volta,
disarmata dalla potenza del suo sguardo.
«Non credi che a ventiquattro anni sia capace di decidere
della mia vita,
Helen? Di sapere cosa voglio e dove vorrei essere?»
Mi scostai capelli dal viso e chinai la sguardo. «Ma so
che… l’ami,» mormorare
quelle parole mi couso una fitta di dolore, al centro del petto e sul
mio viso
si dipinse un’espressione arcigna, «e che lei tiene
a me… e non avrebbe mai
voluto che tornassi da sola.»
«Questo non c’entra.», la sua voce
d’un tratto si vede tagliente.
«Sì, invece. E lo sai.», ed alzai lo
sguardo sul suo viso e, involontariamente
sorrisi, ammaliata dalla bellezza, dalla perfezione dei suoi lineamenti.
Lui scosse il capo. «Andiamo, dai.»
sussurrò poi indicandomi la strada con un
cenno del capo e prendendo a camminare. Svogliatamente lo
seguì osservando la
sua figura longilinea, i muscoli delle braccia erano affusolati e ben
definiti.
Non era una figura imponente, ma nella sua era… perfetto.
«Tanto so che non hai la febbre. Sei una bugiarda,
sai?» aggiunse.
Risi, amaramente, consapevole di esserlo per davvero, ti tenere allo
scuro di
ciò che provavo, sia lui che Abby. «Sì,
lo so. Ho sonno e sono stanca. Abby
avrebbe fatto storie, la conosci.»
Si fermò e voltò il capo, mentre un angolo delle
sua bocca si sollevava verso
l’alto. «Per questo non ho detto nulla.»
mormorò e la dolcezza del suo sguardo
mi ricordò che splendida persona egli fosse e quanto lo
amassi per quel suo
essere sincero e vero, sempre e comunque. Mi ricordò
ciò che avrei voluto
essere io, ciò che avrei voluto stringere fra le mani e
baciare fino a che le
labbra non mi si fossero consumate.
Lo raggiunsi, affiancandolo.
Ma, il suo sorriso, mi ricordò anche ciò che non
avrei mai avuto: il suo cuore.
«Non è necessario che mi scorti fino in
camera.» dissi giocando distrattamente
una ciocca di capelli che lunghi, mi sfioravano appena la vita.
«Voglio farlo.»
«Dovrebbero esserci più ragazzi come te, Ian,
sai?» scherzai dandogli una
leggere spallata.
«Sì, Abby non fa che ripeterlo.»
Chiusi gli occhi, cercando di mantenere il controllo, ma li riaprii di
scatto,
prima che se ne potesse accorgere. Sorrisi e cercai di ironizzare,
cercai di
non badare alla ferita al centro del petto i cui margini cominciarono a pulsare.
Abby. Lei ci sarebbe sempre stata. In ogni discorso, in ogni parola, in
ogni
gesto. Abby.
«Oramai ne sei… follemente innamorato.»
mi sforzai di sorridere.
Quanto mi costava dire ciò? Quanto dolore causava? Troppo
per essere
quantificato. Avrei voluto gridare il mio, di amore, ma non potevo.
«Già.» mormorò, e parve che
parlasse più a se stesso che a me. «Follemente.»
Non risposi, non aggiunsi altro, mi limitai a fissare la moquette del
corridoio
che portava alla mia camera, in silenzio. Non desideravo altro che
rifugiarmi
in camera e starmene per alcune ore lontano da tutti. Lontano da Abby
ma,
soprattutto, lontano da Ian. Avevo bisogno di silenzio, di
addormentarmi con la
brezza notturna ad accarezzarmi il viso, come una mesta carezza, e
l’incessante
mormorio delle onde in lontananza. Avevo bisogno di ritagliarmi quel
mio spazio
solitario e silenzioso dove non esisteva nessun altro, solo il mio
assurdo e
straziante dolore per un amore negato.
Quando arrivai alla camera, mi fermai, passando la carta magnetica ed
aprendo
la porta.
«Grazie.» mormorai senza guardarlo,
«Anche se non era necessario.»
«Lo so, ma volevo farlo, Helen.» rispose con voce
bassa, pari ad un sussurro.
Fu allora che alzai il capo e posai lo sguardo sul suo viso. I suoi
occhi
ardevano come fiamme blu.
«Non fai che ripeterlo.»
«Vorrei tu lo capissi.»
«Che ti senti in colpa a lasciarmi andare da sola dopo avermi
vista...» non
finii la frase, ma ero sicura che avesse capito a cosa mi riferissi.
«No. Non lo faccio perché mi sento in
colpa.»
«Perché allora, Ian?» mormorai
dischiudendo le labbra, mentre il mio petto
cominciava a muoversi irregolarmente.
«Perché…
perché…», i suoi occhi vagarono
malinconici nei miei mentre
continuavano ad ardere e sentii irrefrenabile desiderio di accarezzare
le sue
labbra con le mie.
«Perché?» mormorai a corto di fiato,
mentre sentivo l’eccitazione e la
sofferenza, causata dalla repressione dei miei folli desideri, farsi
avanti.
Lui chinò il capo, prima di passarsi una mani sul collo.
«Perché ti conosco da…
dieci anni e ti voglio bene, Helen.»
Chinai il capo e chiusi un momento gli occhi, poi li rialzai sul suo
viso. «Ci
vediamo domani, Ian. Buona notte.»
«Buona notte.» mormorò lui esitando,
prima di voltarsi. L’osservai
allontanarsi, con quella sua camminata sicura, prima che svoltasse
l’angolo e
sparisse dalla mia vista.
Entrai svogliatamente in camera, richiudendomi piano la porta alle
spalle. Per
alcuni istanti rimasi ferma, accanto ad essa, ad osservare la stanza
immersa
nel buio della notte. Così, accesi la lampada accanto al
letto, la cui luce
soffusa illuminò la grande stanza bianca. Gettai la borsa su
una poltroncina e
mi diressi in bagno, lasciando la porta aperta in modo tale che la luce
della
lampada lo illuminasse. Guardai la mia immagine riflessa alla fioca
luce.
Osservai la stanchezza evidenziata dagli occhi che necessitava di una
lunga
dormita. Mi passai una mano fra i capelli e li sentii incrostati dalla
salsedine, così aprii l’acqua della doccia e
lasciai che il violento getto
tiepido mi pulisse dal sale e con esso scivolarono, per alcuni attimi,
le
preoccupazioni che mi affliggevano. Quando chiusi l’acqua, le
preoccupazioni ed
i dolori mi colpirono nuovamente in pieno viso, come una secchiata di
cubetti
di ghiaccio. Dolorante emotivamente e stanca fisicamente, mi avvolsi il
corpo
con un asciugamano e, con una salvietta, cercai di rimuovere
l’acqua
intrappolata fra i lunghi capelli color del cioccolato. A piedi nudi mi
diressi
in camera ed spalancai la finestra, lasciando che il leggero vento
caldo scosse
con delicatezza le tende bianche. Con i capelli umidi e con il corpo
coperto solo
dall’asciugamano mi lasciai cadere sul letto.
Avevo la sguardo vacuo e lo realizzai solo in quel momento.
Il ricordo di Ian, l’immagine del suo viso, delle sue labbra
su quelle di Abby
mi si rivelava con crudele chiarezza ogni volta che chiudevo le
palpebre,
causandomi una fitta di dolore. Gemetti e riaprii gli occhi, voltandomi
su un
fianco e sospirando.
«Ian…» gemetti a me stessa.
Ero svuotata da qualsiasi forza e le lacrime parevano essere finite,
come se le
avessi piante tutte.
Chiusi ancora gli occhi, abbandonandomi definitivamente alle immagini,
lasciando che mi trascinassero in un sonno senza pace.
Quando il mattino seguente mi svegliai mi sentii riposata. Fissai il
soffitto
color della neve, mentre il mio primo pensiero era rivolto a lui, Ian. Mi passai una mano su
viso, accorgendomi che
l’asciugamano era scivolato via durante la notte. I capelli
era sparsi sul
cuscino e alcune ciocche mi coprivano la fronte. Rimasi qualche minuto,
lì,
stesa su letto a godermi l’aria calda che entrava dalla
finestra. Il sole era
già alto ed, istintivamente, mi voltai verso il comodino
afferrando il
cellulare.
Erano le undici del mattino. E il display segnava tre chiamate perse e
due
messaggi. Tutti di Abby.
L’ultimo diceva che, non appena mi fossi svegliata, avrei
dovuto avvisarla, che
era in pena per me.
Sospirai e lasciai cadere il cellulare sul materasso, accanto a me. Mi
alzai e
raccolsi l’asciugamano che durante la notte era caduto sul
pavimento. Mi
vestii, afferrai il telefono ed uscii fuori, in veranda. Guardai la mia
immagine riflessa nel vetro della portafinestra e notai che i capelli,
invece
che essere lisci come al solito, erano appena ondulati, probabilmente
perché
quando mi addormentai, la sera prima, erano umidi. Me li portai oltre
le
spalle, lasciando che mi ricadessero lungo la schiena e, sedutami sulla
poltroncina in vimini comincia a pigiare i tasti, scrivendo un
messaggio per
Abby.
Ehi. Sta tranquilla, è tutto okay.
Mi
sono appena svegliata, ma preferisco rimanere in camera. Ci vediamo a
pranzo. Ti
voglio bene.
Con uno scatto delle dita, chiusi lo sportellino del
telefono, poggiandolo
sul piccolo tavolino ed osservai il non lontano mare affollato. Dal
cortile
sottostante giungevano risate e voci.
Buttai indietro la testa e sospirai.
E vidi ancora il suo viso.
Passai le
successive due ore a
ciondolare per la stanza. Poi mi lavai e mi vestii indossando un
leggero
vestito color del miele. Mi
stesi sul
letto, dove posizionai le gambe sul muro, oltre la piccola testata in
ferro
battuto, il busto sul materasso lasciando che i capelli si
sparpagliassero
sulle leggere lenzuola.
Pensai a ciò che la lunga giornata mi prospettava e non mi
piaceva. Non avevo
voglia di andare in spiaggia quel giorno, avrei fatto un giro per la
piccola
cittadina, godendomi il sole e l’aria calda.
Immersa nei miei pensieri, sobbalzai quando qualcuno bussò
violentemente alla
porta.
«Helen!» esclamò mia cugina.
Sospirai e rotolai giù dal letto, sistemando il vestito e
riavviandomi i
capelli ormai ondulati.
«Arrivo.» risposi atona prima di afferrare il
pomello.
«Finalmente!» esclamò lei gettandomi le
braccia al collo.
Le diedi una piccola palla sulla schiena, confusa. «Cosa mi
sono persa in una
mattinata?»
Abby si allontanò, entrando in camera e sedendosi sul letto.
«Chiudi.» disse
mentre prese a torturarsi un lembo della maglia.
Il sangue mi si gelò nelle vene e mi ci volle tutta la mia
forza di volontà per
poter chiudere la porta. Poi mi sedetti, accanto a lei, guardandola in
volto.
Il suo improvviso silenzio mi mise in agitazione, facendomi muovere
nervosa sul
posto. Così, mi voltai appena piegando una gamba sul
materasso per potermi
volgere col busto verso lei.
«Cosa succede, Abby?» mormorai con preoccupazione.
«Credo non mi desideri più.»
Sgranai gli occhi. «Cosa?» domandai con voce
stridula.
«Credo che Ian non… mi desideri
più.»
A quelle parole la testa prese a girarmi e la bocca dello stomaco mi si
contorse. «Non capisco…» mormorai a
corto di fiato.
«Non c’è più la passione di
una volta, Helen.» rispose voltandosi a guardarmi.
Il mio cuore incespicò.
«Ne sei sicura?» chiesi portandomi una ciocca di
capelli dietro un orecchio.
«Insomma… ieri, ha rifiutato
di…»
Fu allora che capii e il mio cuore aumento i battiti, piangendo lacrime
invisibili. Una fitta di dolore mi attraverso e mi pervase, facendomi
tremare.
No, quello era troppo, non potevo udire tutto ciò che
avrebbe voluto dirmelo.
Sarei scoppiata, avrei ceduto, avrei pianto disperatamente
quell’amore negato e
quei contatti che solo lei poteva avere. La loro vita privata era per
me un
grosso tabù, troppo doloroso da sopportare. Diligentemente
avevo finito, nel
mio inconscio, che non esistesse.
Ebbi un singulto ed Abby corrugò la fronte.
«Stai bene?» chiese inclinando il capo e
poggiandomi una mano su una spalla.
Alzai lo sguardo su di lei e capii che mai e poi mai avrei potuto darle
consigli di quel tipo, che mai e poi mai avrei potuto ascoltare
preoccupazioni
circa la loro vita privata. Perché quello era un dolore non
ancora sperimentato,
troppo forte nell’immaginare e nel sentire cosa fra loro
accadesse al calar del
sole, in quella grande stanza d’albergo, mentre io nella mia
mi crogiolare nel
dolore di quell’amore impossibile.
«Sì.» mormorai credendo di essere alle
strette abbandonandomi quasi all’idea di
soffrire per le sue parole, abbandonandomi quasi all’idea di
poter svelare
tutto, ma, com’è ben noto, la vita è
imprevedibile e ne abbi la conferma
allora. Qualcuno bussò alla porta.
Sospirai, lievemente, di sollievo. «Aspetta.»
Mi alzai ed aprii la porta.
«Shelly? Che ci fai qui?» chiesi corrugando la
fronte e spostandomi per farla
entrare.
«Volevo sapere come stavi. Oh, ciao, Abby!»
esclamò poi notando mia cugina
seduta sul letto.
«Ehi, Shelly. Sei riuscita ad allontanarti da Jared,
eh?»
Sorrisi e Shelly arrossì.
«E’ tanto evidente?» chiese.
«Per una ragazza sì.»
Lei sorrise e si sedette sul letto. «Ho interrotto
qualcosa?»
Abby scosse il capo. «No, parlavo di Ian.»
Altra fitta.
«Cosa succede?» chiese con dolcezza Shally.
«Ecco… credo che-», ma non le diedi il
tempo di concludere la frase.
«Scusate, vado in bagno. Ho bisogno di coprire queste stupide
occhiaie.»
sorrisi nervosa, desiderosa solo di scappare.
«Sarò veloce.» aggiunsi
voltandomi e scappando in bagno.
Lei sue annuirono e sorrisero prima di cominciare a parlare.
Entrai in bagno e mi chiusi velocemente la porta dietro la schiena,
poggiandomi
dietro esse e respirando a fatica, per l’agitazione. Mi
lasciai cadere lungo la
superficie in legno, fino a sedermi sul pavimento. Mi presi il capo fra
le
mani, coprendomi le orecchie.
No, non potevo udire. La ferita prese a pulsare di dolore, mentre mi
muovevo
avanti ed indietro con il busto, cercandomi di calmarmi e pensare ad
altro. Non
so quanto tempo rimasi così e, quando una delle due
bussò alla porta sobbalzai,
spaventata.
«Helen? Hai finito? Faremo tardi.» disse Abby.
Poggiai le mani sul pavimento fresco e mi alzai, guardandomi intorno.
«Oh… ehm…
ho finito, un attimo. Non trovavo il correttore.» farfuglia
aprendo il beauty e
ristrutturando il mio viso alla
bell’e meglio.
«Serve aiuto?»
«No, ho finito.»
«Okay, okay.»
Un paio di minuti dopo, uscii dal bagno. «Eccomi.
Andiamo.» dissi sforzandomi
di sorridere, mascherando l’espressione malinconica del mio
viso.
Shelly rise. «Ho come l’impressione che questi
ultimi giorni saranno…
movimentati.»
«Spero di sì.» rispose Abby strizzandole
un occhio.
Scossi il capo. «Non vi chiedo nemmeno
perché.» ironizzai, ma in
realtà… non
volevo assolutamente di sapere a cosasi riferissero. In quel momento,
per me,
era meglio vivere all’oscuro di tutto, ritagliandomi una
realtà che forse… non
esisteva.
Quando entrammo nella grande sala da pranzo, tremi. Lo vidi, seduto a
capo
tavola. Rideva e scherzava con Jared, Anthony e Ryan. La sua vista, per
un
attimo, mi diede alla testa, e quando Jared alzò una mano a
mo’ di saluto, Ian
si voltò e, dopo un fugace sorriso ad Abby, i suoi occhi di
posarono per un
attimo infinito sul mio viso, fondendosi al nero dei miei. E quasi
sembrò
volesse leggermi dentro, fare breccia nel invisibile muro che mi
proteggeva dal
mondo esterno, da coloro che volevano capire cosa in realtà
provassi. Ebbi
quasi la sensazione che lui ci stesse riuscendo, per questo mi mossi
nervosi,
scostando lo sguardo dal suo viso ed avvicinandomi al tavolo.
Mi accomodai, dopo i saluti, accanto a Ryan, dalla parte opposta alla
sua.
«Come stai?» mi chiese quest’ultimo.
«Bene.»
«Niente febbre?» chiese Anthony bevendo un sorso
d’acqua.
«No, falso allarme.» sorrisi.
«Ehi, che hai fatto ai capelli?» chiese Jared, a
capo tavolo di fianco a me,
inclinando il capo.
Feci spallucce. «Mi sono addormentata quando erano ancora
bagnati.»
«Mi piacciono.» sorrise Ryan, giocando con una
ciocca di capelli.
Risi. «In questo momento mi sento una bambola.»
«L’abbiamo sempre detto che ne ricordi
una.» sorrise Shelly.
«Oh, ma come siete… adorabili.»
ironizzai.
«Sei anche la più piccola.» rise.
«Anthony ha la mia stessa età.» dissi
voltando il capo per guardarlo.
«Non fa testo.»
«Ed Abby e Shelly solo due anni in più»
risposi.
«Ed io cinque. Taci Helen.» rise Ryan e lasciai mi
circondasse le spalle con un
braccio e mi attirasse a sé, baciandomi una tempia.
In quel momento Ian prese a tossire. Tutti ci voltammo di scatto,
notando il
suo viso purpureo.
Abby scattò in piedi, dandogli piccole pacche sulla schiena.
«Ian, amore!
Piano!» esclamò mentre lui cercava di calmare i
violenti colpi di tosse. Sentii
l’irrefrenabile desiderio di alzare e carezzargli il viso,
cercando di
aiutarlo. Dovetti incrociare i piedi alle gambe della sedia e
circondarmi
l’addome con le braccia per rimanere seduta.
«Mi… mi è… andata
dell’acqua di traverso.» farfugliò
mentre la tosse cessava.
«Mi hai fatto spaventare.» disse Abby, passandogli
le dita fra i capelli,
baciandolo poi sulle labbra.
Il mio cuore agonizzò e chinai il capo, per evitare quella
vista.
E fu strano, forse era solo la mia immaginazione, ma sentii la stretta
di Ryan
farsi più salda, ed avvicinarmi di più a
sé.
Poggiò il capo sul mio e poi, si voltò, come a
cercare con lo sguardo il
cameriere con il nostro pranzo.
Ma mi resi conto che non era così, quando
avvicinò le labbra al mio orecchio. E
nel momento in cui pronunciò quelle quattro parole sentii il
mio corpo
irrigidirsi e il sangue gelarmi nelle vene. D’un tratto fui
scossa da un
brivido di freddo, come se una folata d’aria gelata mi avesse
carezzato le
spalle nude.
«Io lo so, Helen.»
*
Ringraziamenti.
__Claire__: ciao! Sono contenta che
la storia ti piaccia, per me è davvero importante.
Sì, Helen è parecchio
complicata… so che magari è folle… ma
creare personaggi complicati mi piace.
Okay, basta delirio –do la colpa ai denti per questo.
Cooooomunque, la tua
recensione non è solo fantasia che galoppa. Hai centrato il
tutto XD Grazie
mille per la recensione, davvero. Spero che questo capitolo sia stato
di tuo
gradimento. A presto, cara!
C r i s: ciao! *-* che immenso
piacere leggere le tue recensioni! Sono contenta ti piaccia la storia,
davvero.
Helen è distrutta e di certo Abby –anche se non
è consapevole- non fa che
aumentare la sua sofferenza. Beh, vuotare il sacco significherebbe
distruggere
il rapporto che lei ha con Abby… e non può.
Semplicemente non ce la fa. L’accompagna
all’hotel e… stop :D Spero comunque ti sia
piaciuto questo capitolo. A presto,
bella!
Uley: ciao! *-* okay, ammetto che ho
gongolato parecchio quando ho letto la tua recensione. Io..
cioè… sono contenta
che ciò che scrivo ti arriva. E’ il mio intendo
principale. Il lettore deve,
anche se in parte, provare ciò che provano i personaggi. Sul
ciò che lega Ian
ad Helen non posso esprimermi, perché saranno i prossimi capitoli
a parlare.
Spero ti sia piaciuto anche questo capitolo. A presto, cara. E grazie,
grazie
davvero.
Nessie93: ciao :)
sono contenta ti sia piaciuto lo scorso
capitolo e spero di non averti troppo delusa con questo. Beh, per Helen
l’idea
di raccontare tutto è più devastante di
ciò che sta passando e non vuole
rovinare il rapporto che ha con la cugina. Preferisce sacrificare la
propria
felicità per quella di coloro che ama –per quanto
folle possa essere. Ad ogni
modo, durante i prossimi capitoli molte cosa saranno spiegate meglio. A
presto.
Lola_: ciao! Beh, Abby vuole stare
con sul ragazzo e le sembra una cosa normale, anche perché
non sa cosa prova
Helen. Non è una cattiva ragazza è solo che non
sa e, un po’ non vuole vedere.
E’ lì in vacanza e vuole godersela. Sono contenta
che lo scorso capitolo è
stato di tuo gradimento, davvero. E spero di non averti delusa con questo. A presto!
mary whitlock: ciao! Che piacere
leggere la tua recensione. Sono contenta ti sia piaciuto lo scorso
capitolo.
Eh, sì, Ian a “ripreso” il passato. Fa
parte della sua vita e non può far finta
che non sia esistito. Mi fa piacere sapere che l’intera
storia ti piace,
davvero. Grazie mille per la recensione. A presto!
A voi, un bacio,
Panda.
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Capitolo 8 *** Capitolo 8. ***
8.
~Pardon the way that I stare, there's nothing else to compare.
The thought of you leaves me weak, there are no words left to speak.
Scusa per come
ti fisso, ma non
c’è nient’altro che possa reggere il tuo
confronto.
Pensare a te mi indebolisce, non ci sono altre parole da dire.~
Io lo so, Helen, aveva
sussurrato al mio orecchio. Io lo so, Helen.
Immobilizzata non avevo la forza di muovere un solo muscolo.
Accigliata
fissai terrorizzata punto indefinito della tovaglia color ocra.
No, non era possibile.
Tremai, ancora, e Ryan si allontanò, mettendosi seduto.
Notò la mia rigidità e
il suo braccio scivolò dalle mie spalle. Mi guardai intorno,
osservando i visi
dei miei amici, soffermandomi sullo sguardo indecifrabile di Ian.
Sentii le
lacrime pungermi gli occhi, mentre il suo sguardo si addolciva e mi
scrutava
confuso. Di scatto mi voltai a guardare Ryan, che annuì
piano col capo.
«Allora, ragazzi,» esordì e la paura mi
pervase all’istante, avrei voluto
posargli le mani sulle labbra, ma il cervello era totalmente scollegato
dal resto
del corpo, «che si fa oggi?» chiese battendo le
mani sul tavolo.
Respirai a fondo, tremando.
«Io opto per la spiaggia.» annuii Abby appoggiata a
Shelly. Anche Jared si
rivelò d’accordo. Per Anthony ed Ian tutto andava
bene.
Deglutii rumorosamente e parlai piano. «Io…
ehm… avevo intenzione di fare un
giro per la cittadina. Perciò non vengo.»
«Dai, vieni…» mi supplicò
Abby.
Con violenza e convinzione scossi il capo. «No, grazie, passo
per oggi.»
sorrisi.
Ryan fece spallucce. «Ti accompagno. Non va nemmeno a me di
andare in
spiaggia.» disse poi guardandomi in volto.
«Okay.» mormorai abbassando lo sguardo, quasi
colpevole.
«Vengo anche io.» aggiunse Anthony, prima di
voltarsi verso Ian. «Tu?»
Abby gli strinse la mano. «Lui viene al mare, no?»
chiese con voce mielosa, ma
chi la conosceva bene sapeva che quel tono di voce non ammetteva un no.
Ian si voltò a guardarla e quasi esitò, prima di
rispondere semplicemente sì.
«E stasera… in giro per locali!»
esclamò Anthony.
Tutti risero, tranne me e Ryan, che si voltò a guardarmi,
nei suoi occhi vi era
una traccia di preoccupazione.
Lo stomaco mi si rivoltò.
Quando tornai in camera per prendere la borsa ed infilarmi i miei amati
sandali, mi lasciai cadere sul letto.
Sulla mia fronte vi era una riga di preoccupazione, di terrore. Ryan
sapeva.
Sapeva di Ian? O era solo la mia mente che correva troppo?
Avevo paura che tutto potesse degenerare, spogliata della mia maschera
di
orribili bugie.
Mi presi il viso fra le mani e gemetti di preoccupazione.
Perché tutto doveva sempre degenerare? Perché
bisogna mostrare a qualcuno ciò
che si prova? Perché alcune cose non possono rimanere
segrete? Perché le
persone devono sempre cercare di comprendere e capire?
Per quanto volessi bene a Ryan, in quel momento lo odiai, e lo
maledì per non
aver taciuto, per non avermi fatto vivere in quello stupido mondo in
cui potevo
fingere che tutto fosse okay.
Lasciai che la lacrime lavassero via il leggero trucco e,
d’un tratto, mi
sentii spossata, stanca, priva di qualsiasi forza.
Entro poco sarei dovuta scendere, perciò mi diressi in bagno
per bagnarmi il
viso con dell’acqua fredda ed eliminare qualsiasi traccia di
trucco. La
sensazione che essa provocò sul mio viso, quasi parve
rilassarmi.
Qualcuno bussò alla porta. Alzai lo sguardo, guardandone il
riflesso nello
specchio sopra il lavandino. Chiusi il rubinetto e mi asciugai il viso
con una
salvietta, dirigendomi all’interno della stanza.
Aprii la porta e sgranai gli occhi.
«Ryan?» chiesi corrugando la fronte.
Lui abbozzò un sorriso, prima di entrare in camera e
chiudersi la porta alle
spalle.
Per attimi eterni i suoi occhi nocciola rimasero nei miei e cercai di
leggere
mute parole, ma non ci riuscii.
«Lo so.» mormorò.
Deglutii. «Cosa?» soffiai allontanandomi piano,
mentre le gambe presero a
tremare. Fui costretta a sedermi sul letto.
«Di Ian.»
Le lacrime prepotenti premettero per uscire e dovetti sbattere le
palpebre più
volte per evitare che avessero la meglio. Non risposi, mi limitai a
scostare lo
sguardo dal suo.
Ryan sospirò, prima di sedersi accanto a me.
«E’ vero, Helen?» chiese in un sussurro.
Il labbro inferiore mi tremo e gli occhi si velarono di lacrime, ma non
mi
voltai. Non ne avevo il coraggio.
«Se ti dicessi che non è vero, ci crederesti? Se
negassi?» dissi con voce
incrinata.
«No, non ti crederei.»
«Hai intenzione di dirglielo, vero Ryan?» chiesi
alzandomi del letto ed
asciugandomi una lacrima, avvicinandomi alla portafinestra.
«Hai intenzione di
rovinare tutto?»
«No… Helen… no.»
mormorò lui e lo senti muoversi nella stanza, fino a che
posò
la sua mano sul mio braccio. «No, non potrei mai
farlo.»
«Sei suo amico.» dissi in un singhiozzo.
«Helen, guardami, per favore.» disse costringendomi
a voltarmi, accigliandosi
appena quando incontrò i miei occhi, probabilmente rossi per
la lacrime. «Ti
sto porgendo una mano, un aiuto. Lo so, lo so che hai bisogno di aiuto,
te lo
si legge in faccia a metri distanza… e so che si prova a
soffocare un
sentimento tanto grande.»
«Come fai a sapere…»
«Perché te lo leggo negli occhi, piccola. Ti
conosco da tre anni… so che è una
maschera. So che ami tua cugina… ma ho intuito che ami anche
lui.»
I miei occhi indugiarono nei suoi e sentii le lacrime scendere sulla
guance.
«Chi altro l’ha capito?»
Lui rise. «Oh, Helen… nessuno. Sono tutti
così maledettamente ciechi da non
guardare ad un palmo dal loro naso, così distratti da non
vedere il fuoco e la
malinconia che lampeggiando nei tuoi occhi,» premette il
palmo della mano sulla
mia guancia, «perché forse credono sia
impossibile. Perché non sono attenti osservatori.»
Deglutii a fatica, sospirando e tremando. «Perché
solo ora? Perchè sei venuto
ora da me?»
«Perché volevo esserne sicuro.»
«Oh… Ryan.» gemetti affondando il viso
nel suo petto. «Sono così stanca…
così
stanca di nascondere tutto… di tenermi tutto
dentro…»
«Sssh… ci sono io ora. Sono qui per
questo.» mormorò carezzandomi i capelli.
«Aiutami, Ryan… ti prego aiutami.»
gemetti fra i singhiozzi aggrappandomi alla
sua schiena.
«Ci sono io. Sfogati, piccola.» e le sue braccia mi
strinsero le spalle.
«Io… io lo amo.» mormorai a corto di
fiato, fra le lacrime.
«Lo so… lo so.»
E lasciò che mi sfogassi, che piangessi tutte le mie
lacrime, che esternassi il
mio dolore, che mormorassi quanto l’amavo. Mi
accarezzò la schiena, e mi baciò
ripetutamente il capo, mentre con le unghie mi aggrappavo alle sue
spalle. E,
finalmente, mi sentii in parte capita, per la prima volta, dopo tanto,
non mi
sentii sola ed abbandonata al dolore, all’irrazionale amore
per Ian. Mi sentii
compresa e capita. Le carezze, le rassicurazioni di Abby non erano come
quelle
di Ryan, lui che, in quel momento, conosceva tutto, che comprendeva
cosa il mio
cuore urlasse e celasse. Non dovevo nascondere nulla mentre mi
abbandonavo alle
lacrime. A differenza di Abby lui sapeva. Lei… era la
ragazza di Ian… lei era…
mia cugina.
«Ian…» gemetti ancora e la parole mi
morirono in bocca.
… io ti amo.
«Perfetta.»
mi sorrise Ryan quando uscii dal bagno, dove avevo cercato di
nascondere gli
occhi arrossati dal pianto.
«Sicuro?»
Lui annuì col capo, alzandosi dal letto. «Dai,
andiamo o Anthony si chiederà
che fine abbia fatto.»
Solo allora ricordai che i due condividevano la stanza.
«Cosa gli hai detto?» chiesi afferrando la borsa e
portandomela a tracolla.
«Che andavo a prendere qualcosa di fresco da bere e che poi
passavo dalla tua
camera.»
Abbozzai un sorriso. «Grazie.» mormorai quando gli
fui davanti.
«Non devi.»
«Sì, invece. Aver esternato… il tutto a
qualcuno che non sia un muro bianco…
insomma, grazie.»
Lui sorrise mi carezzò una guancia, prima di baciarmi la
fronte. «Ti voglio
bene, piccola. Dai andiamo.» disse poi circondandomi le
spalle con un braccio e
stringendomi a sé.
Feci un risolino, mentre uscivamo dalla stanza e ci dirigevamo da
Anthony…
anche lui, come gli altri, all’oscuro di ciò che
ora anche Ryan sapeva.
Nonostante
portassi occhiali da sole, gli occhi mi bruciavano… per la
luce e per le
lacrime versate durante la mezz’ora precedente, ed il mio
solito cappello di
paglia mi riparava la testa dal sole cocente. Alla mia destra Ryan si
gustava
del gelato al pistacchio, mentre Anthony, con le mani nelle tasche dei
bermuda,
osserva le ragazze in bikini passargli accanto. Io e lui avevamo
passato il
liceo insieme, frequentando per quattro anni la stessa classe di
inglese.
«Fra fra quattro giorni ritorniamo a casa… non
credi sia troppo tardi cercarne
una adesso?»
Lui fece spallucce. «Nah. Vedi, Helen… sono uno
scapolo ambito, non cerco
niente di duraturo.» disse lui ammiccando ad una ragazza.
Sospirai a scossi il capo. «Scapolo ambito...»
ridacchiai.
«Certo! Sono il ventenne più desiderato,
sai?»
Mi poggia l’indice sul mento e mi voltai a guardarlo,
corrugando la fronte. «Mi
spieghi allora il motivo per il quale non ti ho ancora visto con una
ragazza?»
Ryan rise ed Anthony si voltò, spalancando la bocca.
«Perché nessuna è degna
della mia attenzione, Helen.» rispose con un gesto della mano.
«Certo, certo.»sorrisi.
«Messo k.o. da una
ragazza, amico.»
Anthony si voltò fulminando Ryan con lo sguardo.
«Non hai voce in capitolo,
nonnino.»
Mi morsi il labbro inferiore, reprimendo una risata.
«Mi vendicherò, signorina.»
ghignò Anthony.
«Tremo già per la paura.», e mi voltai a
sorridergli.
Lui scosse il capo. «Guardati le spalle, Helen.»
«Sarà fatto.»
Mi voltai poi verso Ryan che alzò gli occhi al cielo, prima
di scuotere il
capo. «Mi dispiace, Ryan… ma sono gli effetti
collaterali delle passeggiate con
gli adolescenti.» dissi facendo spallucce.
«Guarda che ti ho sentito.» canticchiò
Anthony.
Alzai la mani, allargando appena le braccia. «Ops.»
Lui scosse il capo, scoppiando a ridere.
«Visto? Ti ho fatto
ridere. Posso
ritenermi salva?»
«No.» disse tornando serio.
Rotei gli occhi… finalmente più tranquilla. Ma
sapevo che, nel momento in cui
avessi intravisto la sua figura, la
sofferenza, le gelosia, la passione mi avrebbero colpita in pieno
petto. Perché
era inutile… non potevo ignorare quel sentimento
indissolubile che mi legava a
lui.
Vagammo
per la cittadina un paio d’ore, prima di dirigerci verso
l’albergo.
L’avrei rivisto, avrei rivisto ancora una volta gesti
d’amore che il mio
fragile cuore sopportava a fatica. Non ero pronta. Non lo sarei masi
stata, in
realtà, perché non si può essere
pronti a qualcosa del genere: vedere il
ragazzo che ami, che ti ha amato, innamorato di tua cugina.
No, non sarei mai stata pronta.
Quando arrivammo nel grande giardino dell’albergo, scrutai la
spiaggia,
cercando le loro figure, senza trovarle. Sospirai di sollievo.
«Helen?»
Mi voltai verso Anthony. «Sì?»
Sul suo viso comparve un ghignò e non ebbi il tempo di
scappare, perché capii
troppo tardi le sue intenzioni. D’un tratto mi ritrovai su
una sua spalla.
«Ehi, mettimi giù!» esclamai. Tirandogli
dei pugni sulla schiena ed agitando le
gambe.
«Si chiama vendetta, dolce Helen.» rise.
«Che hai intenzione di fare?» chiesi accigliandomi.
«Vedrai.» mormorò dirigendosi verso la
spiaggia.
Fu allora che capii. «Anthony!» urlai,
«No! Mollami! Mettimi giù!» ringhiai
dimenandomi mentre avanzava verso la battigia.
«Vendetta!»
«No, ti prego!»
Oramai era inutile, sapevo che non sarei riuscita ad avere la meglio
sul suo
metro e ottantacinque, così faci cadere la borsa sulla
sabbia, assieme agli
occhiali ed il cappello. Ryan ci seguiva sorridendo.
Rassegnata lo salutai tristemente, pronta all’impatto.
Nel giro di pochi secondi l’acqua fredda
m’impregnò i vestiti ed i capelli,
facendomi rabbrividire.
La mia pelle accaldata non era pronta per un contatto tanto repentino.
Di
scatto, facendo perno su piedi uscii dall’acqua.
«Anthony!» urlasi scostandomi i capelli dal viso,
aprii gli occhi cercando i
suoi, ma ciò che vidi m’immobilizzò.
Sulla battigia, accanto a Ryan, c’era Ian.
Aveva la mani suoi fianchi e il sole si rifletteva sulla sua pelle
abbronzata.
Osservai ogni suo muscolo, l’addome scolpito, i fianchi
stretti, la fronte
corrugata e gli occhi resi ancor più chiari dalla luce del
sole.
«Ciao.» soffiai ed Ian alzò la mano a
mo’ di saluto, prima di sorridere. Per
attimo ebbi paura che Ryan potesse lasciarsi scappare qualcosa, ma
sapevo, in
fondo, che non era possibile. Il pregio di Ryan era la
lealtà.
Immobile, lascia che gli occhi di Ian cercassero ancora una volta di
far
breccia fra le mura del mio animo, ma non ci riuscirono,
poiché Anthony, dal
lato destro, mi travolse, buttandomi in acqua ancora una volta. Quando
risalii
a galla lo vidi ridere.
«Sei… ti odio, Anthony Wesley!» esclamai
avanzando e avventandomi su di lui,
poggiando la mani sulla sua testa e costringendolo ad immergersi
nell’acqua.
Lui mi afferrò per i fianchi, buttandomi giù,
solleticandomi i fianchi.
«No, ti prego no!» esclamai fra le risate, bevendo
acqua. Scattai in piedi e cominciai
a tossire mentre la gola sembrava andarmi in fiamme per via
dell’acqua salata.
«Ti propongo una tregua.»
Fece spallucce. «Siamo pari.» sorrise.
Scossi il capo, uscii dall’acqua e, quando alzai il capo
notai che, sia Ryan
che Ian, guardavamo il mio vestito. Solo allora mi resi conto che la
stoffa
aveva totalmente aderito al mio corpo, come una seconda pelle,
diventando quasi
trasparente.
All’istante avvampai di rossore. Così, comincia a
pizzicare il tessuto,
facendolo scollare dal mio corpo.
«Ciao.» la voce di Ian, inutile dirlo, era sempre
la stessa dolce melodia.
«Ciao.» mormorai raccogliendo i capelli in una coda
e strizzandolo per togliere
l’acqua che gocciolava da essi.
«Gli altri?» chiesi cercando di ignorare il battito
del mio cuore e lo sguardo
indagatore di Ryan, che m’innervosì.
«Beach volley.»
Annuii piano col capo. «Okay. Allora ci vediamo
più tardi.» mormorai afferrando
la mia roba, che Ryan stringeva fra la mani, e dirigendomi verso
l’albergo.
«Dove vai?» chiese Ian alzando un sopracciglio
scuro.
Sbattei più volte le palpebre, confusa. «A
cambiarmi?»
Lui chiuse un attimo gli occhi, prima di sorridere. «Giusto.
Che stupido. A
dopo, Helen.»
Sorrisi, sia a lui che a Ryan, che invece mi saluto con un gesto della
mano.
Poi mi voltai, diretta in camera… col respiro irregolare,
eco del battito
accelerato del mio cuore.
Sì… ancora una volta l’amore che
provavo per lui parve incendiarmi l’animo.
Sarebbe sempre stato così.
*
Ringraziamenti.
Nessie93: ciao, Chià. Eh,
riguardo
Ian… beh, ci cono altri capitoli per cui non anticipo nulla.
Sono contenta di
sapere che lo scorso capitolo ti è piaciuto, sul serio. Mi
rende felice. Eh,
già, Helen ora ha qualcuno con cui parlare e sfogarsi. Spero
sia stato di tuo
gradimento questo capitolo, con un po’ di sano sorriso. Alla
prossima!
Piccola
Ketty: oh,
mia amata! Non sai che infinita fonte di piacere sia per me leggere una
tua
recensione *gongola*. Ad ogni modo… sei tornata! *-* ero certa che ti sarebbe
piaciuto Ian… almeno
fisicamente XD Il personaggio, lo sai… è un
po’ come tanti altri di cui ho
scritto… forse. Ryan, sì, è
importante. Senza di lu Helen andrebbe totalmente alla
deriva. I piccoli momenti fra Helen e Ian sono quelli che preferisco,
lo sai.
Sono le scene che ami più scrivere… Shura! Okay,
momento di delirio cessato. Ti
voglio bene, Kate. Davvero. E sono felice tu ci sia.
bibii: ciao! *-*
chiedo umilmente scusa per il devastante
ritardo, ma ad Agosto ho davvero avuto un sacco di cose da fare, e poi
non sono
stata molto a casa. Sono contenta che la storia ti piaccia! Per me
è davvero
importante *-* sul
serio non riesci ad
aspettare gli aggiornamenti? Okay, la smetto di gongolare. Grazie mille
per la
recensione! Spero di non averti delusa con questo capitolo. A presto!
Angyr88: ciao, cara! Sai che non
è
necessario che tu recensisca. Sapere comunque che ti piace per me
è già tanto!
Sì, è un modo di finire un capitolo. Eh, Ryan sa
e per Helen sarà molto più
facile… per me… non molto XD
Ma tu, alla
fine, lo sapevi già, no? Spero di non averi delusa con
questo capitolo. In caso
contrario, dimmelo per favore! A presto!
uley: ciao! Beh, in alcune cose ci
hai preso. Ryan l’ha capito e, come hai potuto leggere, vuole
aiutare Helen,
che poverina fino alla fine diventerà matta. Comunque, su
Ian… non mi esprimo,
saranno i prossimi capitoli a parlare XD Sono contenta ti sia piaciuto
lo
scorso capitolo e spero di non averti delusa con questo. Chiedo scusa
per il
ritardo ma Agosto è il mese più movimentato! A
presto!
skricciola95: ciao! Oh *-* sono
contenta ti sia piaciuto il capitolo! Grazie mille per la recensione! Ho il potere di farti
soffrire? Oddio, è un
bene o un male? Spero ti sia piaciuto questo capitolo… a
presto!
Lola: ciao! No, non piangere che
piango anch’io! Sono contenta di sapere che il capitolo
precedente è stato di
tuo gradimento. Anche per me, scrivere di Helen lontano da
Ian… richiede un
certo sforzo. Il che, devo dire, è un po’ assurdo.
Ad ogni modo, spero di non
averti annoiata con questo capitolo. A presto, cara! E grazie mille per
la recensione!
__Claire__: ciao! Beh, su Ian non posso
esprimermi,
rivelerei gran parte della storia. In che senso “questa
storia è differente
dalle altre che leggo”? Uhm… Ryan, in fondo, vuole
solo aiutare Helen. Le vuole
bene e la conosce e sa che non può affrontare tutto questo
da sola. Ma anche su
Ryan non poso esprimermi più di tanto. Sono contenta di
sapere che l’ultimo
capitolo è stato di tuo gradimento. Spero di non averti
delusa con questo. E
chiedo scusa per l’enorme ritardo. A presto!
A voi, un bacio,
Panda.
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Capitolo 9 *** Capitolo 9. ***
9.
~Fear, and panic in the air.
I want to be free from desolation and despair.
Paura, e panico
nell'aria.
Voglio essere libero
dalla desolazione e dalla disperazione.~
Dopo aver lavato
il vestito,
togliendone la salsedine, lo poggiai su una sedia nella piccola veranda.
Prima di dirigermi in spiaggia, indossai un costume da bagno blu,
m’infilai un
paio di calzoncini ed una canotta. Quando i miei piedi affondarono
nella sabbia
e il sole mi baciò il viso, indossai un paio di occhiali da
sole, lasciando che
i capelli, ancora umidi sotto i raggi caldi. Con lo sguardo cercai Ryan
ed
Anthony, senza voler ammettere a me stessa che in realtà
cercavo lui.
Mi passai una mano fra i capelli, scostandomeli dal viso, finiti
davanti agli
occhi per colpa di una folata di vento.
Poi li vidi, Ryan ed Anthony, stesi sulle sdraio. Sospirai di sollievo,
notando
che Ian non era con loro… anche se, in fondo, speravo ci
fosse. Ero una
perenne contraddizione vivente, ma sì sa,
l’amore non è mai razionale e coerente.
«Ehi.» dissi lasciando cadere, sotto il grande
ombrellone in foglie di palme,
la mia borsa.
I due alzarono il capo ed Anthony sorrise trionfante. «Ciao,
cara.»
«Ciao, caro.» mormorai sedendomi sulla sdraio di
Ryan e poggiando una mano
sulla sua gamba.
«Avresti dovuto difendermi, salvarmi.» dissi
portandomi gli occhiali sopra la
testa, e, in tal modo, i capelli non mi finirono davanti sugli occhi.
«In teoria.» disse strizzandomi un occhio e
portandosi le mani dietro la testa.
Risi. «Ragazzi: entità
cellulare semplice.»
«Certo, certo.» sbuffò Anthony.
«Lo so che ti sei divertita.»
«Assolutamente sì.» dissi sporgedomi
verso lui e scompigliandogli con forza i
capelli chiari, facendolo sorridere.
L’aria, nonostante fossero le sei del pomeriggio, era calda,
così mi sfilai la
maglia, lasciando il che il vento mi accarezzasse la palle, rimanendo
però in
calzoncini.
«Hai intenzione di entrare in acqua?» chiese
Anthony muovendo ritmicamente le
sopracciglia.
«Te lo scordi.» risposi facendogli la linguaccia.
«Dai, Helen, un tuffo veloce.»
«No, passo, Anthony.»
Rise. «Sai che non è finita qui. Secondo me,
dovresti arrenderti.»
Alzai un sopracciglio. «Perché siamo in
guerra?»
«Ovvio.» disse lui facendo spallucce.
«Bene. Sappi che, grazie le mie meravigliose
facoltà mentali, vincerò.
Preparati ad assaggiare acqua di mare, Wesley.» ridacchiai
tirandogli un
pizzicotto sul braccio.
«Ti è tornato il buon umore?» chiese una
terza voce e chiusi gli occhi,
mordendomi il labbro inferiore. Poi mi voltai, sapendo a cosa andavo
incontro.
«C’è sempre stato, Abby.»
mormorai sforzandomi di sorriderle ed ignorare la sua
mano stretta a quella di Ian che, con sguardo imperscrutabile, mi
osservò.
Lei sospiro e fece un segno con la mano, prima di cambiare argomento.
«Ho visto cosa ti ha fatto Anthony.»
ridacchiò spostandosi di fronte a me, e
strascinando Ian con sé. Il cuore sussultò nel
vedere i loro corpi così vicini,
le loro dita intrecciate.
Sorrisi, ma probabilmente la mia espressione somigliava più
ad una smorfia.
Lei annuì piano col capo, mentre un silenzio opprimente
calò fra noi e, ancora
una volta ,fui grata a Ryan di averlo rotto.
«Shelly e Jared?» chiese lui corrugando la fronte.
Mi voltai a guardarlo e gli
sorrisi, riconoscente.
«Sono in giro da qualche parte.»
«Magari è la volta buona che decidono
di… beh, avete capito.»
Mi voltai spalancando la bocca. «Anthony!»
«Che c’è?» chiese lui alzando
il capo e guardandomi confuso. «E’ palese. E poi
l’abbiamo capito tutti che si piacciono.» concluse
poggiandosi ancora alla
sdraio.
In quel momento, a quelle parole, sentii il sangue raggelarsi nelle
vene. E
sperai con tutta me stessa, pregai Dio che Anthony non avesse compreso
ciò che
era chiaro a Ryan.
Deglutii e tremai appena. No, non era possibile.
Sentii la mano di Ryan carezzarmi le dita della mano, poggiata sulla
sdraio,
come a volermi ricordare che non ero sola in quella sciocca battaglia.
Abby,
sembrò rendersene conto e mi strizzò un occhio,
avvampai di rossore e ritrassi
la mano. Ian, immobile accanto a lei, d’un tratto
sbuffò.
«Vado a prendere da bere.» disse lasciando la mano
di Abby ed allontanandosi.
Seguii con la coda dell’occhio la sua figura scolpita.
Mia cugina corrugò la fronte, confusa, prima di tornare a
guardare me e
sorridere amaramente.
Mi chiesi cosa provasse.
«Fammi posto.» disse ad Anthony, dandogli un
leggero schiaffo sull’addome. Lui
sbuffò e si spostò leggermente per permetterle di
sedersi.
«Cosa gli è preso?» le chiese poi
sistemandosi sul fianco.
Abby fece spallucce, guardando dietro le mie spalle. «Non lo
so. Aveva sete.»
Qualcosa nei suoi occhi mi fece capire che, in realtà, lei
non ci credeva.
Nei pochi minuti successivi parlammo del giro che io, Ryan ed Anthony
avevamo
fatto nella cittadina nel primo pomeriggio, poi, Ian tornò e
con lui la ferita
riprese a pulsare.
Quando lei gli sorrise la bocca del mio stomaco si strinse in una
morsa, e
quando si alzò per gettargli le braccia al collo e baciarlo
sulla labbra volsi
il capo, sfuggendo a quella vista. Ryan se ne rese conto e con occhi
pieni di
panico lo guardai in volto, sperando che cogliesse le mute parole del
mio
animo.
Ebbi un singulto e immediatamente Ryan si alzò afferrandomi
per un polso e
costringendomi ad alzarmi.
«Ehi, dove andate?» chiese con tono confuso Abby.
Ryan si voltò, senza smettere di camminare. «Devo
parlare con Jared e non mi va
di andare da solo a cercarlo.»
«Ma è con Shelly!»
«Non importa!» urlò lui accelerando il
passo e trascinandomi con lui.
Lasciai che mi portasse via da quella scena carica d’amore,
di tenerezza… e
dolore. Perché ogni volta, ad ogni bacio, era come ricevere
una pugnalata in
pieno petto, una lenta pugnalata a sangue freddo.
Quando svoltammo l’angolo, alla fine del vialetto che portava
all’albergo, Ryan
si bloccò, voltandosi e guardandomi negli occhi. Al riparo,
dietro grandi siepi
di vivido verde, sospirai e cercai rifugio frale sue braccia.
«Grazie.»
«I tuoi occhi erano immersi nel panico.»
«Non so che avrei fatto senza te.» mormorai alzando
il capo e abbozzando un
sorriso.
«Avresti patito in silenzio, avresti tenuto tutto dentro.
Avresti sofferto
ancor di più per questo.»
«Già.» soffiai mentre mi baciava i
capelli.
«Mi spiace di averlo capito solo ora.»
mormorò mentre cercavo di cancellare
dalla mente l’immagini di loro due.
«Oh, Ryan… tutto questo… è
molto più di quanto mi sarei potuta aspettare.
Sei…
la mia ancora di salvezza.»
Lo sentii fere un leggero risolino, che tuonò nel suo petto.
«Non riesci
proprio a pensare a te stessa, vero?» chiese allontanandomi
appena e portandomi
una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Schioccai la lingua ed avvampai di rossore. «Mi preoccupo per
me stessa.»
«Tanto che sei arrivata al limite.»
Feci una smorfia. «Nah.» dissi allontanandomi e
portandomi gli occhiali sul
naso.
Lui scosse il capo. «Che ti va di fare?»
«Vorrei andare in camera.»
«Risposta sbagliata. Voglio
andare in
camera.»
Roteai gli occhi. «Okay. Voglio… ma ho lasciato la
mia roba in spiaggia.»
sbuffai.
«Comincia ad andare in camera. Recupero io la tua roba,
okay?»
Sorrisi e mi sollevai sulla punta dei piedi, baciandolo su una guancia.
«Grazie.»
«Per così poco?»
Risi.
«Visto? Ti ho fatto ridere. E’ un passo in
avanti.»
«Già. Ci vediamo su.» dissi
sorridendogli con gratitudine prima di dirigermi
nella mia stanza.
Dopo che Ryan mi riportò la borsa, lasciai che il getto
d’acqua tiepida mi distendesse
i muscoli tesi e mi facesse dimenticare, anche solo per pochi minuti,
tutte le
mie preoccupazioni, attenuando quel dolore che pulsava al centro del
petto.
Con gesti meccanici, schiava di quella sciocca routine che mi vedeva
schiava
dei miei sentimenti, del battito del mio cuore, mi vestii ed indossai
quella
solita maschera di malinconica felicità che mi permetteva di
andare avanti e
sopportare la loro vista.
Mi pettinai svogliatamente e indossai dei jeans chiari, sopra i miei
sandali di
vecchia pelle.
Fissai l’immagine riflessa nello specchio
all’interno dell’armadio… e quasi non
mi riconobbi. Era come se… i miei occhi avessero perso la
loro luce, come se si
fossero spenti.
Sospirai, passandomi le mani fra i capelli ed indugiando sul collo.
Faceva male. E non potevo farci nulla. Potevo solo attendere, aspettare
che il
tempo scorresse e che le ferite, il dolore e la sofferenza per un amore
negato
diminuissero o, cosa impossibile, cessassero.
Afferrai al borsa ed mi diressi verso la sala ristoro. Non volevo
andarci,
pensai di tornare indietro, di rifugiarmi in camera ed evitare sguardi
indiscreti, di evitare i loro visi vicini, ma lo stomaco non faceva che
brontolare, vuoto da ore. Così, con le spalle curve, sotto
il peso della
tristezza, arrancai sulle scale, prima di entrare nella sala.
Ed il mio cuore perse un battito quando vidi i loro visi vicini, le
mani di lei
sul suo viso.
Sorrisi, agonizzando dentro, e finsi che tutto era okay… che
in realtà non
soffrivo ad ogni loro minimo gesto, ogni loro flebile sorriso. Celai a
loro
quell’irrazionale amore, ma non potei mentire a me stessa,
non avrei mai potuto
farlo.
Chinai lo sguardo, prima di posarlo sul viso di Ryan che mi sorrise
incoraggiandomi. Poi, i miei occhi incrociarono l’azzurro
cieli dei suoi… che,
come fiamme blu, lambivano il
mio animo.
Trattenni il respiro, senza volerlo.
Benvenuta all’inferno, Helen Butler.
«Un Martini.» dissi al barista, una volta sedutami
al bar.
«Due.»
Mi voltai appena. «Tranquillo, Jared. Non ho intenzione di
cacciarmi nei guai.»
Lui rise. «Perché deve esserci sempre un doppio
fine, Helen? Sono qui perché
siamo venuti insieme e perché ho voglia di un
Martini.»
Un angolo della mia bocca si sollevò verso l’alto.
«Gli altri?» chiesi dopo un
po’.
«Shelly, Anthony e Ryan sono ad un tavolo. Ian ed Abby gli ho
persi di vista.
Si saranno appartati suppongo…»
Chiusi gli occhi e maledì Jared per non aver tenuto la bocca
chiusa. Lo stomaco
mi si chiuse in una dolorosa morsa.
«E perché tu sei qui?» chiesi cercando
di ignorare il gonfiore alla gola.
«Perché mi ero stancato di attendere il mio
Martini.» sorrise. «C’è un
sacco di
gente qui.»
Sorrisi. «E molte ragazze. Anthony sarà in
estasi.»
«Ha detto di aver incontrato l’amore della sua
vita.» rise.
«Non l’aveva incontrata due giorni fa?»
Lui fece spallucce. «Esatto. Il quarto amore della sua vita
in tre giorni.»
«Non cambierà mai.»
«Lo spero.» disse mentre un angolo della sua bocca
si sollevava verso l’alto.
«Già, lo spero anche io.» mormorai. Per
quando Anthony mi facesse arrabbiare,
stuzzicandomi e prendendomi in giro, non avrei voluto che cambiasse per
nulla
al mondo.
Scossi il capo. In quel momento arrivarono i nostri Martini e Jared,
lasciando
una banconota sul bancone in finto marmo, mi fece segno con la testa di
seguirlo.
«Dove andiamo?» chiesi corrugando la fronte e
seguendolo.
«C’è un parco sul retro. E’ la
fine del mondo.» disse voltandosi e
sorridendomi, prima di portarsi il bicchiere alle labbra. «Ci
sono tavoli,
poltrone… e un sacco di fiori. A te piacciono i fiori,
no?»
Feci un risolino, portandomi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Sì, mi
piacciono i fiori.»
«E poi… ho bisogno di un consiglio.»
disse mentre avanzava fra le persone.
Il locale, in stile moderno, dalle luci eccentriche e soffuse, era
all’aperto.
Il bancone del bar si trovava sotto una grande veranda. Alla parete
opposta a quella
d’entrata principale vi era una un arcata che portava ad un
giardino.
«Di cosa devi parlarmi?» chiesi corrugando la
fronte confusa.
Sul viottolo di ghiaia, che a ogni mio passo scricchiolava, luci
soffuse
gettavano lunghe ombre sulle verdi siede. Un mormorio e della musica
giungevano
non molto lontane.
Jared non rispose subito, per alcuni istanti avanzò
silenzioso sulla ghiaia.
«Di Shelly.» disse infine.
M’accigliai, bloccandomi. «Cosa?»
«Beh, sì. Ho bisogno di un consiglio. E’
tanto complicato?» chiese dondolandosi
sui talloni.
Sorrisi. «No, direi di no.»
«Bene, allora vieni con me.» disse voltandosi e
continuando a camminare tra i
piccoli vialetti, che portavano a panchine nascoste fra alti alberi e
siepi.
Sembrava quasi un labirinto.
Ad un tratto, in prossimità di una panchina in legno, Jared
si bloccò.
Mi portai una ciocca di capelli dietro un orecchio e mi sedetti,
portandomi il
bicchiere alle labbra.
«Ci siamo baciati, Helen.» disse infine, voltando
solo il capo.
Sentii il cuore stringersi per le tenerezza. «Sul
serio?» chiesi sorridendo.
«Sì. E… ciò che ho
sentito… ma ho paura di rovinare tutto.»
mormorò passandosi
una mano sui corti capelli a spazzola.
«Preferiresti vivere nel dubbio? Non sapere come sarebbe
stato?» chiesi
inclinando il capo.
«Non è così
facile…»
«Jared,» dissi alzandomi, «ti fidi di
me?»
«Sì.»
«E allora lasciati andare.» sussurrai sorridendogli
con dolcezza.
Lui chinò in capo, prima di alzarlo a posare i suoi occhi
sul mio viso. «Okay.»
mormorò con esitazione ed il suo viso si colorò
di un flebile sorriso. Poggiai
il bicchiere sull’erbetta verde e fresca a mi alzai,
andandogli incontro,
tendendogli le braccia.
Lui fece un risolino e mi abbracciò.
«Sono così felice per te,
Jared.»
mormorai.
Lui si allontanò appena, sedendosi sulla panchina. Raccolsi
il mio bicchiere e
mi accomodai accanto a lui.
«Tu come stai?» chiese inclinando il capo.
Abbassai lo sguardo, prima di sospirare. «Bene.»
risposi poi guardandolo, e
cercai di assumere un tono di voce convincente… ma poco ci
era di convincente
in esso.
«Non so se crederci.»
Scossi il capo in un risolino. «Credici.»
Bugiarda.
«Okay.»
«Beh, che ci fai ancora qui? Va da lei, no?» dissi
dandogli un leggero
spintone.
Rise. «Dici che dovrei?»
«Dico che non dovresti pensarci due volte.»
Si alzò e mi guardo, corrugando la fronte. «Non
vieni?» chiese.
Scossi il capo. «No. Faccio un giro e poi raggiungo gli
altri. Mi piace questo
posto.»
«Okay. A dopo, Helen. E… grazie.»
«Felice di aiutarti.»
Mi poggiai allo schienale della panchina e buttai indietro il capo,
chiudendo
gli occhi. Seguii il rumore della ghiaia, che scricchiolava ad ogni suo
passo,
fino a che scomparve.
Una leggera folata di vento fresco mi carezzo leggero la pelle del
viso, e
sorrisi flebilmente a quella dolce e piacevole sensazione, prima che il
pensiero di un mondo dominato dall’amore mi si stagliasse
davanti.
Aggrottai le sopracciglia mentre sentivo la gola gonfiarsi.
No, non potevo star lì ferma a struggermi. Così,
mi alzai e con il bicchiere in
mano cominciai a camminare fra gli alberi e le siepi. Di tanto in tanto
udivo
mormorii, bisbigli, risate.
Vagavo sui piccoli sentieri senza una meta. Camminavo per non pensare,
per
tenere la mente occupata, osservando i fiori colorati. Indugiai con lo
sguardo
su margherite di un bizzarro color rosa. Mi chinai appena, per poterle
osservare con più attenzione, ma, quando focalizzai la scena
oltre le piccole
foglie smeraldo, sentii il sangue raggelarmi. E non riuscii a muovere
un solo
muscolo, non riuscii a voltare il capo, non riuscii a distogliere lo
sguardo da
quella scena che parve strapparmi il cuore, all’improvviso.
Li vidi e una fitta di dolore mi fece gemere silenziosa, mentre un
singulto mi
scuoteva il petto. La vidi, Abby, seduta sulla gambe di Ian, baciare
con
avidità le sue labbra, come a volerle consumare…
le mani di lui sui fianchi di
lei, che accarezzava con passione il suo viso. E poi le labbra di Abby
baciarono il collo di Ian e sentii le gambe cedermi, mentre la testa
prendeva a
girarmi ed il panico s’impossessava del poco autocontrollo
rimastomi.
Le lacrime mi annebbiarono le vista e caddi sulla ginocchia,
rovesciando il
contenuto del mio bicchiere. Perle d’acqua salata spillarono
veloci dai miei
occhi e, quando lui mormorò il suo nome capii che, se non
volevo abbandonarmi
ad una scena di isteria lì, dovevo andarmene. Sollevandomi
con fatica,
asciugandomi il viso con il dorso della mano fuggì da quel
posto, da quella
scena.
Corsi, senza sapere dove. Volevo solo andar via, evitare il dolore
lancinante
che mi squarciava il petto e che faceva bruciare i margini della
ferita. Quando
la gola cominciò a bruciarmi ed i polmoni gridarono aria, mi
fermai,
lasciandomi cadere su una panchina lì vicino. Il mio petto
si muoveva troppo
velocemente per essere controllato ed il mio respiro si faceva sempre
più
corto, tanto che pensai che non potesse più riempirsi
d’aria, sufficiente a non
farmi perdere i sensi. Mi circondai l’addome con le braccia,
mentre i
singhiozzi presero a scuotermi con violenza. Ogni muscolo del mio corpo
tremava
e presi a dondolare col busto.
Non so per quanto tempo restai così, nascosta
nell’oscurità su quella panchina
nascosta fra i cespugli. Non so per quanto cercai invano di calmarmi.
Gli avevo visti, gli avevo visti con i miei occhi. Le loro labbra che
avidamente si cercavano non erano state frutto della mia fantasia,
della mia
immaginazione, ma facevano parte di una cruda e dura realtà
che, con la potenza
di uragano, mi travolse, mi sconvolse, mi trascinò in un
baratro fatto di
sensazioni ed emozioni negate e celate troppo a lungo.
Un suono di passi mi giunse lontano, ovattato, ma non me ne curai. Mi
lasciai
andare ad un pianto disperato e silenzioso. E poi tutto mi
scivolò dalle mani.
«Helen?»
Spaventata con gli occhi sbarrati, alzai il capo e i miei occhi
arrossati
incontrarono i suoi.
Mi parve vedere guizzare della sofferenza nei suoi occhi, ma,
probabilmente,
avevo immaginato tutto, dominata
dall’irrazionalità.
«Helen…» mormorò lui
sgranando gli occhi e raggiungendomi con grandi falcate.
Scossi violentemente il capo e mi allontanai seduto sulla panchina,
ritraendomi
al suo tocco leggero.
«Ehi, cosa succede?» chiese quasi nel panico,
mentre le lacrime aumentavano.
Scossi ancora il capo, non riuscivo a fermare quel movimento diventato
ormai meccanico.
«Helen…» gemette avvicinandosi a me e
sfiorandomi le spalle con le mani,
cercando di afferrarmi.
«No…» singhiozzai. «Non
toccarmi!» esclamai con panico nella voce, ritraendomi.
«Cosa…»
«Non toccarmi!» esclamai prendendomi la testa fra
la mani, per poi portarle a
circondare la vita… come a mantenere i pezzi del mio corpo.
«Helen, per favore, calmati!» disse lui
ingabbiandomi il viso fra la mani e
costringendomi a guardarlo.
Cercai di divincolarmi, dimenandomi tanto forte che fu costretto a
mollare la
presa.
«Cosa succede qui?»
E, udire quella voce, fu come risalire a galla, riemergere dal mare in
tempesta
in cui stavo annegando. Alzai il capo e trattenni il respiro, quando
incontrai
la sua espressione incredula.
«Ryan!» gridai scattando in piedi e rifugiandomi
fra le sue braccia.
«Non so cosa le prende! Non vuole che la tocchi!»
esclamò Ian, quasi urlando,
pervaso dal panico.
«Ehi, piccola…» mormorò Ryan
al mio orecchio, carezzandomi i capelli «ehi,
Helen… ora ci sono, okay? Ti porto via di qua.»
Lo sentii privarmi del pavimento sotto i piedi, permettendomi di
acoccolarmi
sul suo ampio petto, mentre stremata lasciavo che i singhiozzi
diminuissero.
«Cosa le succede, Ryan?» urlò Ian.
«Tu più di tutti dovresti saperlo.»
rispose con voce glaciale.
«Ryan!»
«Ci vediamo in albergo, amico.»
Mi portai le mani al petto, chiudendo gli occhi, priva di qualsiasi
forza.
«Loro… Ryan… loro… si
amano… loro… erano…», un
singhiozzo non mi permise di
finire la frase.
«Sssh… ora ti porto in albergo. Ci sono io,
piccola. Non ti lascio sola.»
Piano… tutto divenne indefinito e, entrata nel taxi, mi
addormentai senza
rendermene conto.
*
Ringraziamenti.
Shadow_Soul: ciao!
Awww, sono contenta che ti piaccia la storia. Per me è
davvero molto
importante. Cerco di mettere “battute” di rendere
le scene in cui Ian non c’è,
molto più leggere rispetto al resto. Essenzialmente la
storia si basa sulla
malinconia e sulla sofferenza che lei prova nel vederlo con la cugina.
Spero di
non averti fatta aspettare molto, ma sono stata male nei gironi scorsi.
Grazie
mille per la bellissima recensione, davvero! A presto!
Londoner: ciao! *-* che piacere
leggere la tua recensione! Eh, già, Ryan diventa sempre
più importante, ma di
più non posso dire. Sono contenta di sapere che la storia
sia di tuo
gradimento, davvero tanto! Ci tengo molto! Sul finale… beh,
non anticipo nulla!
A presto, cara!
__Claire__: ciao! Okay, dopo essermi
gongolata ti dirò una cosa: grazie, grazie davvero. Per me
è improntate sapere
ch ciò che scrivo arriva, è quello il mio
intento. Cerco di cominciare,di fare
di tutto per far si che il “lettore”
s’immedesimi nei personaggi, esattamente
come faccio io. Ho cercato di inserire anche qui dei
momento… “allegri”, mixati
sempre a scene di malinconia. La storia è basata su quello
alla fine. Spero di
non averti annoiata. A presto!
Nessie93: ciao, Kià! Alla
fine ce
l’ho fatta. Sono contenta di sapere che lo scorso capitolo ti
è piaciuto, sul
serio! Ebbene, sì, Helen ha riso e ho cercato di farla
sorridere anche qui.
Ryan con Abby? Purtroppo, lo sai, non posso esprimermi sui prossimi
capitoli.
Ma… tesoro, grazie. Grazie mille. Ti voglio bene.
C r i s: ciao! Oh, che bello leggere
una tua recensione! Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo
e… Ryan ed
Anthony. *-* Ci tengo a sapere che ne pensi, lo sai. Mi rendono
felicissima le
tue recensioni. Spero di non averti annoiata con questo. A presto, cara!
Valentina78: ciao! Sono contenta di
sapere che il capitolo precedente è stato di tuo
gradimento… come spero lo sa
stato questo. Ho cercato di alternare momenti di gioco a momenti
malinconici
–la storia è bastato principalmente su quello.
Spero di non averi fatta
aspettare troppo, ma sono stata abbastanza male nei giorni precedenti.
Grazie mille
per la recensione! A presto!
Angyr88: ciao! *-* okay, la smetto
di gongolare. Tutte le citazioni all’inizio sono canzoni dei
Muse. E’ il mio
gruppo preferito da anni, oramai. Sono contenta ti piaccia Ryan. Rende
le cose
più semplici ed Helen… ed anche a me XD ma,
ssssh, non diciamolo a nessuno. Mi
spiace di aver postato così tardi, ma tra le
“restaurazioni” dei capitolo
successivi e la pancia dolorante è passata in secondo piano.
Grazie mille per
la recensione, cara. Davvero. A presto!
Lola_ : ciao! Su Ryan non possono
esprimermi, purtroppo. Sono contenta ti piaccia! Ed Ian… ah,
che dannata
sofferenza. Spero di non averti annoiata. H cercato di inserire momenti
di
ilarità… con grande insuccesso, credo. A presto,
cara! E grazie!
VerdeEvidenziatore: ciao! *-* Sono
contenta ti piaccia la storia, davvero! Grazie per la recensione e per
i
complimenti. Spero di non averti annoiata con questo. A presto!
Uley: ciao! Eh, sì, Ryan
è
fondamentale per Helen – e per me. Non può
sopportare tutto da sola e lui, come
dimostra questo capitolo, è manna dal cielo. Ian
è sempre lo stesso… e sono
contenta che, nonostante tutto, ti piaccia. Per me è
importante. Spero di non averti
fatta aspettare troppo e di non averti annoiata. A presto, cara! Grazie!
Piccola Ketty: ciao, Kate. Non
è una
versione buona di Damon. E’ un personaggio che, nella mia
testa, ha il viso
dell’attore. Tutto qui. Comunque, sono contenta tu non mi
trovi anonima, sai
quanto ci tengo al tuo parere E’ il più
importante, Kate. Ma tu sei di parte,
ammettilo XD Se per te valgo, a me va benissimo…
super-extra-mega benissimo! Ti
voglio bene, Kate. Tanto. Non scordarlo. <3
Gio26: ciao! *-* Sono contenta di
sapere che ti è piaciuto il capitolo precedente. Spero di
non averti delusa con
questo. Ho cercato di inserire anche qui dell’ironia. Davvero
di Piacciono
Anthony e Ryan? Ne sono felice! Spero di non averti fatta attendere
troppo!
Grazie mille per la recensione, sul serio. A presto!
machi: ciao! Puoi chiamarmi
Rò ^.^
Piacere di fare la tua “conoscenza”. Le ripetizioni
di termini a volte sono
volute per creare più… enfasi. Delle volte ripeto
espressioni, ma non ci faccio
caso perché non ho sott’occhio tutti i capitoli.
Postandoli così passano e non
te ne rendi conto. Sono contenta di sapere che la storia sia di tuo
gradimento!
Ho dato un’occhiata alla tua fiction, ma mi sono ricordata
che non ho
controllato sei ahi aggiornato. Ora ci vado. Grazie mille per la
recensione,
sul serio! A presto!
A
voi, un bacio,
Panda.
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10. ***
10.
~Then
he attacks me like a leo, when my heart is split
like Rio.
E poi lui
mi attacca come un leone, mentre il mio cuore
è diviso in due come il
fiume Rio.~
Mugugnai quando,
ripresi i
sensi, sentii Ryan poggiarmi sul morbido materasso.
Mi voltai verso destra, affondando parte del viso nel cuscino. Mi
sfilò i
sandali, adagiando le mie gambe sul letto. Le sue mani mi carezzarono
con
delicatezza il viso e corrugai la fronte, aprii gli occhi e guardare la
stanza
immersa nella semioscurità, prima di spostare il mio sguardo
sul suo viso.
«Mi dispiace…» dissi con voce roca e
rotta.
«Non puoi continuare così, Helen.»
mormorò premendomi il palmo della mano sulla
guancia, e sedendosi sul bordo del letto.
«Lo so.»
«Forse… è meglio tornare a
casa.»
Chiusi un attimo gli occhi, prima di riaprirli. «Non posso,
Ryan. Non posso.»
«Sì, puoi.»
Scossi piano il capo e guardai la
luna
attraverso il vetro della finestra.
Non potevo.
Abby… era la sorella mai
avuta.
«Ne riparleremo domani, okay?»
Non risposi, mi limitai a fissare la luna con sguardo vacuo.
Lui sospirò. «Ora dormi.»
mormorò baciandomi la fronte.
Alzai lo sguardo su di lui. «Tu rimani qui, vero?»
chiesi con voce incrinata,
mentre lo squarcio nel petto riprendeva a bruciare. «Tu non
mi lascerai sola,
vero? Me l’hai promesso.» soffiai mentre il mio
respiro prese a farsi più
frenetico, e l’aria cominciò a mancarmi.
«Ehi, ehi, ehi… ci sono. Non vado via. Sono
qui.» mormorò carezzandomi con la
meno il viso.
Annuii col capo, mentre gli occhi si velavano di mute lacrime.
Salì sul letto, posizionandosi alla mia sinistra.
«Vieni qui.» disse facendo
passare un braccio attorno alla mie spalle e permettendomi di posare il
viso
sul suo petto. Bagnai la sua t-shirt con alcune lacrime che sfuggirono
al mio
controllo.
«Ti voglio bene.»
«Te ne voglio anch’io, Helen.»
mormorò prima che chiudessi gli occhi e, sotto
il suo tocco leggero, con la sua mano che carezzava con dolcezza i miei
capelli, mi addormentai.
La mattina seguente, quando aprii gli occhi infastidita dalla luce del
sole, i
ricordi riaffiorarono con estrema chiarezza e sofferenza, e si
aggiravano nella
mia testa come auto da corsa, facendomela pulsare di dolore.
Mugugnai e, passandomi una mano sul viso, mi misi a sedere. Sobbalzai e
tramai
quando notai la figura di Ryan sulla sedia.
«Scusa, non volevo spaventarti.» sorrise. Era
seduto, con i gomiti poggiati
sulle ginocchio.
Scossi il capo. «Tranquillo. Che ci fai qui?»
chiesi corrugando la fronte.
«Beh… ho detto che non ti avrei lasciata. E non mi
sembrava il caso sparire.»
Sorrisi, passandomi le mani fra i capelli.
«Grazie.» mormorai avvampando di
rossore. «Di tutto.»
Lui agitò una mano in aria, come a sminuire le mie parole.
«Come hai fatto ed entrare?» chiesi inclinando il
capo e incrociando le gambe.
Solo allora mi resi conto di essere ancora vestita.
«Cosa?» chiese corrugando la fronte.
«Ti sei cambiato.»
«Oh, sì, beh…», si
passò una mano fra i corti capelli, «ti ho rubato
la carta
magnetica.»
Feci un risolino. «Bene. Ladro.»
«Potrai mai perdonarmi?» chiese con fare innocente.
Risi. «Solo per questa volta.»
Sospirai e scesi dal letto, sgranchendomi. «Ho la testa che
mi scoppia.»
mormorai prendendomela fra le mani.
«Hai un’aspirina?»
«Sì.» dissi abbozzando un sorriso e
avvicinandomi all’armadio, situato alla
sinistra della sedia su cui Ryan era seduto.
Afferrai una gonna corta ed una canotta, prima di voltarmi verso Ryan.
«Devo
prendere il costume?» chiesi corrugando la fronte.
Fece spallucce. «Dipende da te. Cosa ti va di fare,
oggi?» chiese.
I miei occhi indugiarono nei suoi, poi chinai il capo. «Non
mi va di stare… non
voglio vederli, Ryan.» mormorai portandomi una ciocca di
capelli dietro un
orecchio.
«Okay. Allora, metti il costume, cambieremo
spiaggia.» disse alzandosi.
M’accigliai. «Cosa?»
«Cambiamo spiaggia, semplice.»
«Non possiamo.»
«Perché?»
«Oggi c’è la visita
all’isolotto.»
Schioccò la lingua. «Già. Beh, non ci
andiamo.»
Inclinai il capo, guardandola seria. «E’
già tutto prenotato. Anche il
ristorante. Ci uccideranno, lo sai.»
Sbuffò. «Sicura di… potercela
fare?»
Deglutii a fatica. «Certo che posso farcela. Ci sei
tu.» dissi circondandogli
l’addome con le braccia
e posando il
viso sul suo petto. «E poi manca poco alla partenza. Posso
sopravvivere per due
giorni.» mentii col sorriso.
«Ho i miei dubbi.» sbuffò.
Ignorai il gonfiore alla gola. «E poi lì possiamo
fare altro, lo sai. Possiamo
provare a pescare squali. Dicono che sia divertente.» mi
allontanai dirigendomi
verso il bagno.
Sospirò. «Certo! E magari possiamo anche compare
un acquario gigante dove poter
mettere ciò che pescheremo. Non credo occuperebbe molto
spazio. Ma dico, sei
impazzita Helen? Di quale parte del tuo strambo cervello è
frutto questa
baggianata?»
«Preferisci una balena?» chiesi alzando un
sopracciglio e sporgendomi solo col
busto oltre la soglia della porta.
«Un’orca.» rispose serio.
«Questo è lo spirito giusto, Ryan.»
sorrisi prima di fargli al linguaccia.
«Okay. Ma sia ben chiaro… al minimo allarme io ti
riporto qui, anche a nuoto se
necessario.»
Accennai un sorriso, scuotendo il capo. «Okay. Ma ci
penserà Jimmy a riportarci
a riva.»
«Jimmy?» chiese lui incredulo.
«Sì, Jimmy! L’orca che
pescheremo!»
«Tu hai bisogno di uno psichiatra!»
esclamò con enfasi.
«Nah!» ridacchiai prima di bagnarmi il viso.
«Sono convinta di no.»
«Io sono convinto di sì.», rise,
«Ci vediamo di sotto.» disse dirigendosi verso
la porta.
«Ehi, un attimo. Che ora?»
«Le nove. Faremo colazione al bar, da soli.»
Sorrisi. «Grazie.» mormorai.
«Cerca di non tardare o perderemo il traghetto.»
«Ryan?» chiesi prima che uscisse.
«Chi sa di…»
«Solo Ian.»
Sopirai. «Okay. A dopo.»
Ryan mi strizzò un occhio, prima di chiudersi la porta alle
spalle.
Aprii il rubinetto della doccia, ed attesi che l’acqua
s’intiepidisse. Per
alcuni istanti rimasi a guardare la mia immagine riflessa nello
specchio: i
capelli annodati, la pelle di un leggero olivastro, gli occhi neri,
stanchi e
malinconici.
Ero giunta al limite. Ero giunta all’orlo di quel burrone che
l’amore viscerale
per lui aveva scavato. Avevo lasciato che tutto fuoriuscisse ancora,
che… Ian
mi vedessi in quello stato. Ero stata stupida, tanto stupida, ma avevo
taciuto
troppo a lungo e la sofferenza, la malinconia accumulate avevo giocato
un
brutto scherzo ai miei poveri nervi. Avrei voluto piangere, ancora, ma
le
lacrime parvero essere quasi finite. Non avevo nemmeno le forze per
raccogliere
quelle piccole goccioline salate che mi erano rimaste da versare.
Sospirai e mi spogliai lasciando cadere i vestiti sul pavimento, prima
di
lasciare che il getto d’acqua si scagliasse contro la mia
schiena,
rilassandomi, lasciando che i pensieri scivolassero con esso.
Cercai di non pensare ad Ian, soprattutto cercai di convincermi che non
mi
avrebbe fatto domande sulla sera prima. Ma sapevo che non sarebbe stato
così.
Mi avvicinai alla ringhiera del traghetto, poggiandoci sopra le mani ed
osservando i raggi del sole giocare e riflettersi sulle increspature
dell’acqua
cristallina. Potevo udire lo stridio dei gabbiani, in sottofondo al
mormorio
insistente delle persone, lì, a prua.
Il vento mi scompigliava i capelli che frustavano sul mio viso e
ringraziai gli
occhiali da sole che mi proteggevano da essi. Mi voltai, poggiando il
fianco
sinistro sulla ringhiera ed osservando l’isolotto non molto
distante. Eravamo
quasi arrivati.
Mi ero allontanata dal resto del gruppo con la scusa di voler ammirare
al
meglio il panorama, ma in realtà volevo solo allontanarmi da
lei… da lui,
dalle loro mani intrecciate e dai loro visi troppo vicini.
Lasciai che il vento mi carezzasse il viso, e lasciai che la mia mente
si
perdesse nella vista che mi si prostrava davanti, il mare cristallino
che si
stagliava sotto un cielo limpido e chiaro come poche volte, in vita
mia, avevo
visto.
Mi passai una mano fra i capelli cercando di tenerli a bada, mentre
violenti mi
frustavano sulle guance.
Fu in quel momento che ebbi un tuffo al cuore.
Non lo sentii arrivare, lo notai solo quando si posizionò di
fronte e me,
poggiando la schiena sulla ringhiera ed incrociando le braccia al petto.
Il mio stomaco di contorse, arrotolandosi su se stesso, mentre chiudevo
piano
le palpebre cercando di racimolare quelle briciole di autocontrollo che
mi
erano rimaste.
«Ciao.» disse con tono grave, voltandosi a
guardarmi con espressione seria.
«Ciao.» mormorai aprendo gli occhi, grata agli
occhiali da sole che mi
nascondevano.
I suoi occhi indugiarono sul mio viso per alcuni istanti, prima di
tornare a guardare
dinanzi a sé.
«Cosa c’è, Ian?» chiesi,
sospirando, quasi rassegnata al pensiero di quelle
mute domande che certamente gli vorticavano in testa.
«Quando avrei intenzione di spiegarmi cosa succede,
Helen?» chiese voltandosi e
guardandomi con sguardo duro. I suoi occhi parvero iceberg.
Chinai il capo, sospirando e girandomi totalmente verso la ringhiera,
poggiando
le mani sulla ringhiera.
«Ad una domanda non si risponde con una domanda.»
dissi guardando un gabbiano
scendere in picchiata nell’acqua.
«Dacci un taglio, Helen.» sbottò.
Chiusi un attimo gli occhi prima di voltarmi verso lui. «Cosa
vuoi che ti dica?
Eh? Che tutto va bene?» e fu allora che non riuscii a fermare
la valanga di
parole. «Credi che la mi vita sia rose e fiori, come per te e
Abby? Ti sembra
che sprizzi felicità? Bene, Ian, ti sbagli di
grosso.» sputai con cattiveria.
«Nulla è okay! Nulla!»
Nei suoi occhi guizzò tristezza ed aprii la bocca per
parlare, ma lo zittì.
«E poi smetterla di fingerti di preoccuparti.»
mormorai con voce incrinata,
mentre in rancore causato dall’amore che mi legava a lui,
rancore verso me
stessa, si faceva avanti divorandomi lo stomaco.
Scossi il capo e mi voltai, con l’intenzione di andarmene, ma
lui mi afferrò il
polso, costringendomi a voltarmi e a guardarlo in volto.
«Credi stia fingendo?» chiese, e nei suoi occhi
potei intravedere una traccia
di rabbia.
Voltai il capo, liberandomi dalla sua presa.
«Rispondi, Helen. Credi stia fingendo? Credi finga quando
dico che mi preoccupo
per te?» chiese con voce bassa e roca, tagliente.
Sentii una stretta al cuore, mentre il mio animo piangeva. Sapevo che
ciò che
stavo per dire era sbagliato, che non avrei dovuto parlare, tacere ed
andare
via. Ma non potevo continuare così, stargli accanto era una
continua
sofferenza, aumentata dalla consapevolezza che non sarebbe mai stato
mio, che
amava mia cugina, che lei era lì con lui, per lui.
Era giunto i momento di dire basta, dare un taglio a quel mio costante
desiderio di volerlo sfiorare.
Osservai, per attimi infiniti, il suo viso. La linea della mandibola,
le labbra
rosse, il naso dritto, i capelli corvini che leggeri li carezzavano la
fronte,
le lunga ciglia nere che facevano da sipario ad occhi color del cielo,
dell’acqua marina a riva,
«Sì.»
mormorai.
Lui spalancò gli occhi, dischiudendo appena le labbra,
sorpreso.
E qualcosa, nel mio animo, si ruppe con lo stesso rumore di una vaso di
porcellana che si schianta sul pavimento. Poi i suoi occhi tornarono
seri e
della rabbia, dell’odio, guizzò sul suo viso.
«Bene.» ringhiò. «E
ciò che pensi?»
Deglutii rumorosamente e sperai che non si accorgesse
dell’incertezza della mia
voce. «Sì.»
«Sai cosa ti dico, Helen? Non hai mai capito nulla. Non hai mai capito ciò che
è evidente. Mai. E’ reale,
tutto.» sibilò con rabbia.
Sentii gli occhi inumidirsi di lacrime e la gola gonfiarsi. Avrei
voluto
prendergli il viso fra le mani, e mormorare ciò che il mio
cuore cantava… ma
non potevo. Non avrei mai potuto farlo.
Dischiusi la bocca per parlare, ma solo allora mi resi conto che, in
realtà,
non avevo nulla da dire.
Lui scosse il capo, corrugando la fronte
mentre sul suo viso si dipingeva un’espressione
tra la delusione e la
rabbia. Scosse il capo, guardandomi con disprezzo e mi
superò, sfiorando la mia
spalla con la sua, lasciandomi, lì, sola.
Ian…
Lasciai che le lacrime mi bagnassero il viso mentre il mio sguardo si
perdeva
verso l’orizzonte ed il cuore mi si stingeva in una dolorosa
morsa.
Era la scelta giusta, quella, ma… in fondo, non ci credevo
nemmeno io.
E nulla sarebbe tornato come prima.
«Ehi, tutto okay?» mi sussurrò
all’orecchio Ryan, facendomi sobbalzare.
Mi voltai e sorrisi, ancora poggiata a quella ringhiera.
«No.» sospirai portandomi una ciocca di capelli
castani dietro un orecchio.
«L’ho immaginato quando ho visto arrivare
Ian.»
Tornai a guarda il mare, sorridendo flebilmente. «Gli ho
detto che… che deve
smetterla di fingere di preoccuparsi per me.»
«Credi davvero finga?»
«Non lo so, Ryan… non lo so. Ma… non ha
senso pensarci. Con lui non ho futuro e
presto tutto questo finirà.»
«Perché non sei andata via prima?»
chiese sfiorandomi il braccio con le dita.
«Per Abby. Partirà e… aveva da tempo
pianificato questa vacanza. Insomma, è da
quando siamo piccole che parla dei Caraibi, Ryan.»
Lui sospirò, passandomi una mano sul capo e voltandosi verso
il mare. «Vieni
qui, piccola.» mormorò circondandomi le spalle con
un braccio e avvicinandomi a
sé.
«Passerà.» aggiunse. «Bisogna
solo aspettare.»
«Credi che il tempo guarisca ogni ferita?» chiesi
alzando il capo ed
osservandolo.
Il suoi occhi erano fissi sul mare, dietro la scure lenti degli
occhiali da
sole. «No, Helen, non lo credo. Le ferite non guariscono mai
del tutto. Vengono
solo… lenite. Prendi le cicatrici sulla pelle. Loro ci
saranno sempre. Sono
parte di te. Lui, è
parte di te,
Helen. Ciò non vuol dire che non ti libererai mai di lui,
che non riuscirai ad
andare avanti.»
«E’ il pensiero più contorto che abbia
mai sentito.» osservai corrugando la
fronte.
«No, in realtà no.» mormorò
in un risolino, prima di baciarmi la fronte.
«Sì, invece. Vuoi dire che sarò per
sempre tormentata?» chiesi.
«No, non dico questo. Intendo dire che lui rimarrà
per sempre parte di te, del
tuo passato. Quando una persona ti sconvolge la vita,
l’anima, non puoi
dimenticarla. La ricorderai per sempre, anche se vi sarà
odio e non più amore.»
Feci un respiro profondo, tremando, poi circondai il suo addome con le
braccia,
affondando il viso nel suo petto.
«Vorrei odiarlo, Ryan.» sussurrai.
«Lo so, Helen. Si vuol sempre odiare chi si ama
così tanto.»
«Perché devi avere sempre ragione?»
mugugnai in una smorfia alzando il capo.
Rise. «Dote naturale.»
Sorrisi e gli baciai una guancia, alzandomi in punta di piedi.
«Grazie.»
mormorai.
«Non si può abbandonare una damigella in pericolo,
cara.»
Feci un risolino, mentre il traghetto si avvicinava alla riva.
«Credo sia giunto il momento di andare.» dissi in
un sospiro, allontanandomi da
lui.
«Già.»
Sorrisi e mi voltai, mentre lui mi circondava le spalle con un braccio
e fu
allora che incontrai il suo sguardo.
Immobile dall’altro lato del traghetto Ian ci fissava, con le
mani inerti lungo
i fianchi. Un brivido mi percosse la schiena, facendomi tremare.
E sperai con tutta me stessa che l’espressione che mi parve
intravedere sul suo
viso, fosse di odio. Ma, in fondo, era ciò che volevo. Se
lui mi odiasse…
sarebbe stato tutto più facile.
Sì, in quel momento di una cosa ero certa: ero patetica,
molto patetica.
«Cosa
c’è tra te e Ryan?»
«Nulla, Abby.» mormorai quando scendemmo dal
traghetto e ci incamminammo verso
la spiaggia.
«Certo… ed io non ci credo.» disse
sorridendomi.
Feci spallucce, portandomi il capello di paglia sul capo.
«Beh, credici.»
«Dai, Helen, sono tua cugina. A me puoi dirlo.»
sussurrò dandomi una leggere
gomitata scherzosa.
Mi voltai, sbuffando. «Credimi, Abby. Fra me e lui non
c’è nulla. Se fosse il
contrario, te lo avrei detto.»
Sospirò. «Okay… ma non ci credo
molto.»
«Diamine, Abby!» risi con leggera isteria nella
voce.
Lei fece spallucce ed indicò Ryan con un movimento del capo.
Camminava a pochi
metri da noi, parlando con Ian,.
«Dai, è fantastico.» disse in un
risolino.
«Sto perdendo la pazienza.»
Sbuffò. «Quanto siamo intolleranti
oggi.» sbottò. «Bene, andrò
dal mio Ian.»
Nell’udire mio chiusi
gli occhi,
trattenendo quasi il respiro. Ancora il mio cuore singhiozzò
agonizzante.
Mi sorrise e saltellando, facendo oscillare i capelli biondi, si
avvicinò a
lui, circondandogli l’addome con le braccia. Lui si
voltò e le sorrise, prima
di posare una fugace occhiata sul mio volto.
Sussultai, prima di scostare lo sguardo da quella crudele scena, carica
di
tenerezza ed amore. Ma ciò che vidi in quel momento non era
di certo tanto
migliore. Jared che parlava con Anthony, bacio fugacemente le labbra di
Shelly.
Feci una smorfia di dolore, prima di incontrare lo sguardo di Shelly,
che
arrossì.
Sorrisi. «Quindi è ufficiale?»
Jared si voltò, sorridente.
«Sì.» disse. «Ti sei persa una
serie di battute e
considerazioni sul traghetto.»
«Sono contenta per voi.» dissi avvicinandomi appena.
«Hai saputo quindi?» chiese Ryan, affianco a me.
Mi voltai sobbalzando. «La vuoi smettere?»
ridacchiai.
«Di far cosa?» chiese lui confuso.
«Di sbucare dal nulla. E’ inquietante,
sai?»
Rise. «Okay, me ne ricorderò.»
Mi appesi al suo braccio, facendo un risolino, prima di tornare eretta.
Quando voltai il capo verso gli altri mi accorsi che tre paia di occhi
si
fissavano incuriositi e quasi confusi.
Sbuffai. «Andiamo Ryan, loro con comprendono la nostra
amicizia.» dissi con
fare teatrale spingendolo di lato, facendoli ridere. Poi afferrandolo
per un
braccio, lo costrinsi ad avvicinarsi con me agli altri.
«Mi fai sentire un giocattolo.» rise Ryan.
«Perché lo sei.»
»Oh, molto confortante. E gentile da parte tue,
Helen.»
Risi. «Sai che non è vero.»
Roteò gli occhi, scuotendo appena il capo. Mi
circondò il collo con un braccio,
sfilandomi il capello e scompigliandomi i capelli.
«Ehi!» lo rimproverai e, quando mi
lasciò andare, incontrai due occhi chiari
come il ghiaccio che mi scrutavano freddi e taglienti.
«Stai bene, tesoro?» chiese Abby, carezzandogli la
mandibola, mentre
aspettavano che li raggiungessimo.
«Sì, sto bene.» mormorò prima
di guardare Ryan.
E avrei voluto leggere l’espressione del suo viso, capire
cosa stesse provando e
convincermi che, a dipingere quell’espressione su suo viso
non fosse…
l’irritazione.
*
Bene, eccomi ancora qui.
Purtroppo non ho molto tempo e mi scuso se non
riesco a ringraziarvi tutte a dovere.
Allora… in
questo capitolo ho cercato di essere più leggera, anche se
il taglio
della storia è ormai malinconico. Nel prossimo
capitolo… beh, ci sarà una
svolta –se così può essere chiamata-
che cambierà un po’ di cose. Ovviamente
non vi anticipo nulla.
Spero di non avervi
eccessivamente annoiate.
Perciò
grazie di cuore a:
Nessie93, Bauci_Svelvi, Shadows_Soul,
C r i s, Londoner, Angyr88, __Claire__, Piccola Ketty, mividam, uley, skricciola 95, gufetta_95,
Gio26.
Grazie di cuore,
davvero.
A voi, con affetto,
Panda.
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11. ***
11.
~Cast
your eye tears on to me and I'll show you what you really need.
Gettami
addosso le tue lacrime e ti mostrerò ciò di cui
hai veramente bisogno.~
Il sole
si avvicinava piano alla linea dell’orizzonte gettando luci
arancioni sul mare
tranquillo, giocando con le increspature dell’acqua.
Sospirai, mentre prendevo la mia roba e mi infilavo la maglietta. A
pochi metri
da me Ian stringeva Abby e Jared, Shelly. Accanto a me Anthony e Ryan
scherzavano, recuperando le loro magliette.
Scostai lo sguardo, concentrandolo sui due ragazzi.
«Non so voi, ma io sono stanchissima.» sospirai.
«Lo siamo un po’ tutti, Helen.» ridacchio
Anthony.
«Non avevo dubbi.» risposi, cercando di nascondere,
con una maschera, la mia
espressione di amara malinconia. Ryan parve accorgersene. Mi
carezzò i capelli,
con un gesto veloce e comprensivo.
«Guardateli, lì, tutti innamorati. Ed io ancora
single. Non è possibile. Sono
io il playboy.» sbuffò afferrando lo zaino.
Ryan lo guardò corrugando la fronte. «Non sono
playboy, infatti.»
«Dettagli.» lo zittì lui con un gesto
della mano.
Sorrisi, mentre lottavo contro l’impulso di gridare ad Ian ed
Abby di
staccarsi, di risparmiarmi quell’atroce agonia.
Deglutii rumorosamente cercando di non lasciarmi andare ad un momento
di forte
isteria, di pianto, come la sera precedente.
«Ehi, Helen, tutto okay?» mi domandò
Anthony corrugando la fronte e chinandosi
appena per potermi guardare bene in volto. «Non hai una bella
cera.»
Mi sforzai di sorridere, mentre il mio stomaco sobbalzava.
«Te l’ho detto, sono
stanca.»
«Ci converrà andare, o perderemo il
traghetto.» disse Jared alzando la voce di
un’ottava affinché lo sentissimo.
«Okay!» rispose Anthony andandogli incontro.
«Te lo si legge in faccia. Come diavolo non fa ad
accorgersene?» sbuffò
d’irritazione guardando un punto oltre le mie spalle.
«Chi?»
«Sai di chi parlo.»
«Credimi, Ryan, è meglio
così.» abbozzai un sorriso, mentre afferravo la
mia
borsa.
«Non ne sono molto convinto.»
Scossi il capo. «Non ne voglio parlare. Dai,
andiamo.» dissi facendogli segno,
col capo, di seguirmi, ma non calcolai che, dietro me, c’era lui.
Il mio sguardo incontro ancora una volta il suo, gracile e tagliente
come il
ghiaccio, duro come l’acciaio. Troppe volte durante
l’arco di quella giornata
avevo incontrato il suo sguardo ed ogni volta che le sue dita
s’intrecciavano a
quelle di Abby, o le loro labbra si incontravano, anche solo per brevi
attimi,
la ferita invisibile, al centro del mio petto, prendeva a pulsare di
dolore.
Nonostante fosse passato un anno, non ero ancora riuscita ad abituarmi,
in
fondo, non ci sarei riuscita mai.
Il mio cuore sussultò ed emisi un singulto che cercai di
nascondere chinando il
capo, guardando la sabbia chiara. A lenire la sofferenza fu la mano si
Ryan,
che si posò sulla mai schiena, quasi a volermi ricordare che
era lì, che non
sarebbe andato via, che non ero da sola ad affrontare quella sofferente
situazione. E gli fui grata, ancora una volta, per tutto quella che
stava
facendo.
Alzai il capo e gli sorrisi flebilmente.
Quando voltai il capo, Ian si era già allontanato seguito da
Abby.
Faceva male, ma non potevo far nulla. Tre giorni, solo tre giorni.
Avevo
resistito per una settimana e mezza e, di certo, potevo farcela. In
fondo, non
avevo alternativa.
Così, ci incamminammo verso il traghetto, fra chiacchiere e
sbadigli. Cercavo
di ridere alla battute e di partecipare passivamente alla conversazione
con
Jared e Ryan. La situazione sul traghetto non era di certo migliore. Me
ne
stavo in disparte, mentre cercavo di non incrociare lo sguardo di Ian ,
di non
guardare lui e mia cugina stretti l’uno all’altra.
Incapace di reggere la
situazione, mi alzai e, scusandomi mi allontanai, affacciandomi alla
ringhiera,
per osservare il mare, il cielo rosa, colorato dai raggi del sole
oramai
tramontato.
«Bello, eh?»
Mi voltai verso Jared, sorridendo. «Da mozzare il
fiato.»
«E’ stata una bella giornata… anche se
non hai parlato molto.»
Chinai il capo, passandomi una mano fra i capelli.
«Stanchezza. Non riesco a
dormire molto.»
«Perché?» chiesi inclinando il capo.
«Non lo so. Credo dipenda dalla camera. Insomma…
non è casa mia.» mentii
sforzandomi di sorridere.
S’accigliò appena. «Waw.»
«Già.»
Per attimo tra noi calò il silenzio, rotto da Jared.
«Perché avete litigato?»
Mi voltai di scatto, aggrottando le sopracciglia.
«Scusa?» chiesi, mentre
l’ansia s’impossessava piano di me.
«Tu ed Ian. E’ evidente, sai? Abby, non riesce a
cavargli parole di bocca.»
«No, non abbiamo discusso.» risposi con voce atona.
«Uhm.»
«Perché me l’hai detto?»
chiesi voltandomi a guardarlo.
«Per metterti in guardia, credo. Abby ti
tormenterà, credo.»
Sospirai, passandomi le mani sul viso e poggiando poi i gomiti sulla
ringhiera,
tenendomi il capo. «Odio il terzo grado.» sibilai.
«Lo so. Per questo ti ho messa in guardia.»
ridacchiò.
Sospirai, prima di mettermi eretta.
«Mi spiace di essere assente, Jared.» mormorai dopo
un po’.
Lui schioccò la lingua. «Capita a tutti di avere
giornate no, Helen. Sta
tranquilla e fa solo ciò che senti di fare.»
Mi voltai a guardarlo e gli sorrisi. «Okay.»
Se avessi fatto che mi
gridava il mio
cuore, ciò che urlava da tempo avrei rovinato tutto, e non
poteva accadere. Non
avrei mai potuto.
«Torno da Shelly.» sorrise strizzandomi un occhio.
«Grazie per tutto, Helen.»
«Non ho fatto nulla.» risposi mentre si allontanava
camminando indietro.
«Invece sì. Fai sempre tanto per tutti e poco per
te stessa.»
Feci spallucce. «Va da lei, Jared.» sorrisi
portandomi una ciocca di capelli
dietro un orecchio.
E , sorridendo, si allontanò.
Quando fummo all’entrata dell’albergo, Abby si
voltò richiamando la nostra
attenzione.
«Bene, ragazzi. Fra un’ora tutti qui. Okay? Festa
in un locale. Ci sarà da
divertirsi.» disse in un gridolino, battendo le mani.
Ian, la superò, dirigendosi silenzioso,
all’interno dell’albergo.
«Ehi, aspettami!» urlò lei, ma Ian
l’ignorò. Per alcuni istanti
l’osservò
allontanarsi, prima di rivolgersi a noi, sforzandosi di sorridere.
«Puntuali.» disse seria.
«Okay, okay.» sospirò Anthony prima di
dirigersi all’interno dell’albergo
affiancato dagli altri. Feci spallucce, quando incontrai lo sguardo di
mia
cugina; prima di seguire gli altri lei mi afferrò per un
polso, costringendomi
a seguirla. «Eh, no, signorina. Tu vieni con me.»
disse.
Deglutii, mentre la paura mi pervase.
Che avesse capito?
Avanzò sul viottolo al lato della struttura, prima di
fermarsi e voltarsi.
«Cosa sta succedendo?» chiese incrociando le
braccia al petto.
Corrugai la fronte. «Di cosa parli?»
«Di Ian. Avete litigato, vero? Non vi siete rivolti la parola
e non ha parlato
per nulla. E’ scostante. Ed eviti di guardarmi.
Perciò, pretendo spiegazioni.»
Mi accigliai appena, sorpresa dal suo atteggiamento spavaldo.
«Io ed Ian, non
abbiamo litigato. E non ti evito. Ho altro a cui pensare, Abby.
Fidati.»
Lei mi guardo, per attimi infiniti, prima di rilassarsi. «Se
qualcosa non
andasse, me lo diresti?» chiese.
«Sì.» mentii sospirando.
«Okay. Pensi ancora a quel tipo? Gerome?»
Mi mossi nervosa sul posto, desiderosa solo di andare via.
«Sì.» menti ancora
una volta, spudoratamente.
«Oh… Helen… perdonami. Mi spiace
così tanto.» mormorò gettandomi la
braccia al
collo e stringendomi a sé. «Perdonami.»
«Tranquilla, Abby.» mormorai carezzandogli la
schiena. «E’ che le cose non
vanno molto. Con Ian è tutto così confuso e
s’infastidisce facilmente.» mormorò
allontanandosi.
Mi passai una mano fra i capelli nervosa, mentre il cuore batteva
agonizzante.
Non, non potevo udire un suo sfogo.
«Ne parliamo dopo, okay?» dissi, conscia che quel
momento non sarebbe mai
arrivato. «Ora andiamo a prepararci.» le sorrisi
cercando di nascondere il
dolore in cui il mio animo annegava.
«Okay.» sorrisi, grata che Abby avesse creduto ad
ogni mia singola parola.
La serata procedeva lenta, fra un cocktail ed una birra. Osservavo Abby
scatenarsi in pista con Shelly, e Anthony baciare una ragazza.
Ian seduto al mio stesso tavolino, parlava con Ryan -accomodatosi
accanto a me-
e Jared, ignorandomi del tutto.
In mano stringevo un Margaritas, che sorseggiavo di tanto in tanto, fra
uno
sbadiglio e l’altro.
Indossavo una gonna corta ed una canotta di cotone rosso, che mi
aderiva alla
pelle. La gambe scoperte sudavano a contatto con la plastica
trasparente delle
sedie. Bevvi d’un fiato ci che rimaneva nel mio bicchiere,
prima di Abby e Shelly
si dirigessero verso di noi, barcollando.
«Amore,» esordì Abby sedendosi sulla
gambe di Ian, «perché non vieni a ballare
con me?»
«Fantastico.» mormorò Ian trattenendola
per i fianchi. «Non credo sia una buona
idea.»
«Dai,» lo pregò lei baciandogli il viso.
Scostai il capo, insofferente.
Shelly, accanto a me, rise.
«Meraviglioso. Ubriache.» sbuffò Jared,
cercando di trattenere Shelly e di non
farla cadere.
«Forse è meglio andare.»
suggerì Ryan alzandosi dalla sedia.
«Sì, lo credo anch’io. E poi sono
distrutta.» dissi alzandomi con lui.
«Avviso Anthony.»
«Ma io mi sto divertendo. Dai, Ian, non andiamo
via.» si lamentò Abby.
«Andiamo, dai.» disse lui circondandole i fianchi
con un braccio e trascinandola
fuori dal locale sulla
spiaggia, seguito da Jared.
Mi voltai, cercando con lo sguardo, Ryan. Lo vidi venirmi incontro.
«Anthony
resta ancora un po’.» disse roteando gli occhi.
Sorrisi flebilmente, prima che i battiti del mio cuore aumentassero e
il
respiro di facesse sempre più corto.
Ryan spalancò gli occhi. «Ehi, Helen! Cosa
succede?» chiese prendendomi il viso
fra le mani e costringendomi a guardarlo negli occhi.
«Non ce la faccio, Ryan.» gemetti mentre mi
scostava i capelli dal viso.
«Vieni, usciamo di qui.» disse conducendomi verso
l’uscita.
«Non ce la faccio.» gemetti ancora.
«Ehi, ehi, piccola, calmati. Sì, ce la fai. Lo so,
ne sono sicuro. Sei Helen, per
l’amor del cielo!»
Gli occhi mi si velarono di lacrime, ma sbattei ripetutamente le
lacrime,
ricacciandole indietro Affondai il viso nel suo petto.
«Perché non mi ha aspettata, Ryan?
Perché mia cugina?» gemetti.
«Perché certe cose non si possono programmare,
piccola.» mormorò al mio
orecchio, prima di baciarmi il capo. «E non siamo noi a
decidere di chi
innamorarci.» disse aumentando la stretta.
«Perché non riesco ad odiarlo, Ryan?»,
disperata alzando il capo.
Sorrise, carezzandomi il viso. «Perché lo ami, e
non puoi farci nulla.»
«Grazie.» mormorai poggiandomi allo stipite della
porta. «Sei il mio
salvatore.»
Ryan schioccò la lingua. «Nah.»
ridacchiò.
«Sul serio. Non so cosa sarebbe di me, ora.»
«Cerca di dormire, ora, Helen. Okay?» disse
prendendomi il viso fra le mani e
scostandomi i capelli che aderivano al collo umido.
«Okay.» sospirai, passandomi una mano sul viso e
sorridendo.
«Buonanotte.» disse stringendomi a sé.
«Ti voglio bene.»
«Te ne voglio anch’io, Ryan.» sussurrai
baciandogli una guancia. «Buonanotte.»
Sorrise e si allontanò lungo il corridoi.
Chiusi la porta, prima di poggiarmi un attimo al legno chiaro, e
sospirare,
tremando.
Le lacrime mi avevo indebolita, come ogni volta e mi sentivo gli occhi
gonfi
per la stanchezza. La testa mi doleva e, cercando di evitare il ricordo
del suo viso d’angelo mi
diressi in bagno per
un’aspirina e per bagnarmi il viso con dell’acqua.
L’immagine riflessa nello
specchio, quasi mi fece sobbalzare. Il trucco si era sciolto,
cerchiandomi di
nero gli occhi rossi. Presa un’aspirina, aprii
l’acqua, lavandomi il viso,
togliendo qualsiasi traccia di trucco dal viso.
Faceva male. Faceva male anche il solo pensiero di lui, il solo ricordo
del suo
viso, del suono della sua voce. Facevamo male persino respirare se lui
non era
lì. E mi odiavo per questo, per non riuscire a tenere a bada
i miei sciocchi e
stupidi sentimenti. Faceva male in pensiero di lui nella stessa stanza
di mia
cugina… nello stesso letto.
Mi strinsi con violenza il capo fra le mani, cercando di cancellare le
crudeli
immagini che si susseguirono nella mia mente. Gemetti e sbattei
più volte il
pugno contro il lavandino, mentre digrignavo i denti.
«Andate via, andate via.» continuai a ripetere
mentre gli occhi mi si
inumidivano di prepotenti lacrime, lacrime che sembravano essersi
rigenerate
per bussare ancora contro le mie palpebre.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta. Col respiro
corto alzai lo sguardo,
fissando la porta riflessa nello specchio del bagno.
Mi asciugai il viso con il dorso della mano e mi diressi verso la
porta. «Chi
è?» chiesi poggiando un palmo sul legno.
«Helen. Aprimi.»
Serrai gli occhi, lottando contro l’istinto di piangere e
gridargli di andare.
«Cosa vuoi?» chiesi con voce rotta.
«Ti prego, Helen, aprimi.» e la sua voce era appena
udibile.
Riaprii gli occhi, sbattendo la palpebre più volte, prima di
afferrare la
maniglia della porta ed aprire. Quando la spalancai i suoi occhi mi si
rivelarono, brillando come il sole a mezzogiorno.
Aveva le mani poggiate ai lati della porta ed i sui occhi, sotto le
folte
ciglia scure, mi osservarono imperscrutabili. Corrugo la fronte, e si
mise
eretto.
«Posso entrare?» chiese.
«Non lo so.» risposi con tono duro.
«Helen…» mormorò e la sua
voce si addolcì, sorprendendomi. Mi morsi il labbro
inferiore, spostandomi di lato e permettendogli di entrare.
«Cosa ci fai qui?» chiesi incrociando le braccia al
petto, osservandolo nella
penombra della stazza illuminata dalla fioca luce della luna piena. Ian
camminò
per alcuni istanti per la stanca, facendomi innervosire.
«Ehi!» esclamai facendolo fermare. Lui si
passò una mano fra i capelli neri,
prima di raggiungermi con due lunghe falcate.
«Ora tu devi dirmi cosa ti succede.»
mormorò con voce roca, prendendomi il viso
fra le mani. «Perché, davvero, Helen, sto
impazzendo.»
«Non ho nulla.» dissi cercando di liberarmi dalla
sua presa ferrea, eppure
delicata.
«No, non ci credo. Non ci credo.» disse scotendo il
capo, alzando un
sopracciglio.
«Devi crederci.»
«E’ per via di Ryan, o per Gerome?»
chiese sprezzante.
M’accigliai, sentendo la rabbia salire. «Da quando
t’importa, Ian? Eh? Spiegamelo,
perché non capisco. Tu non sia niente né di Ryan,
né di Lione.»
«Allora parlamene!» sbottò allargando la
braccia prima di farle ricadere sui
fianchi.
Fu allora che dissi cose che non pensavo. Mentii, ancora.
«Mai pensato che io
non voglia?» sibilai.
«Le cose allora cambiano, Helen.»
mormorò e nei suoi occhi guizzò delusione,
rammarico… dolore.
«Già.» mormorai con voce incrinata.
«Bene.» mormorò annuendo piano col capo,
fissando, con la fronte corrugata, il
pavimento. Mi superò dandomi una leggera spallata e
facendomi perdere
l’equilibrio.
Fu allora che mi voltai rossa in viso per la rabbia.
«Ma che problema hai?» ringhiai. Lui che aveva
afferrato la maniglia, si voltò
a guardarmi, con sguardo rabbioso e sorpreso.
«Che problema ho? Mi chiedi che problema ho, io?»
ringhiò quasi sottovoce.
«Sì.» esclamai alzando le braccia,
arrabbiata.
«Per l’amor del cielo, Helen, ti amo dalla bellezza
di dieci anni!» esclamò
allargando le braccia.
Quelle parole ebbero la potenza di una slavina, mi travolsero con una
tale
intensità da mozzami il fiato e farmi girare la testa. Un
vortice d’emozioni
s’abbatté sul mio animo, mentre dimenticavo chi
fossi e come fissi arrivata lì.
No, era un sogno.
«Cos’hai detto?» chiesi con voce
incrinata, tremando.
Lui voltò il capo prima di tornare a guardarmi ed
avvicinarsi piano a me. «No
ti ho mai dimenticata, Helen. Come potrei.»
mormorò sfiorandomi con i
polpastrelli la mandibola.
«Non prendermi in giro, Ian, ti prego.» gemetti
mentre le lacrime cominciavano a
solcami il viso.
«Non potrei mai, Helen.» mormorò
poggiando la fronte sulla mia. «Non ti ho mai
dimenticata. Non avrei mai potuto. Non ci sono riuscito in dieci anni,
non
potevo riuscirci in un anno.» gemette prendendomi il viso fra
le mani.
Il suo respiro sul viso mi diede alla testa, facendo aumentare i
battiti del
mio cuore, che incespicò prima di intraprendere una folle
corsa.
«Io… Abby… non si
può…» balbettai, chiudendo gli occhi.
Lui si allontanò, lasciando andare la presa sul mio viso. Aprii gli occhi, e lo vidi
scuotere piano il
capo, prima di voltarsi e dirigersi verso la porta. «Sai solo
pensare a lei.
Non ti è mai importato di cosa provassi io. Mi hai rifiutato
come se non ci
conoscessimo affatto. Hai gettato tutto. Te ne sei andata a Lione e ti
sei
innamorata.» disse con tormento.
«E’ per te!» esclamai con le lacrime a
bagnarmi il viso.
«Cosa?»
«Ogni singola lacrima, ogni singolo dolore, ogni singola
ansia… è per te, Ian.
Perché non riesco a… vederti con lei.
Perché non riesco a sopportare la vostra
vista… perché fa male ogni volta che le vostre
pelli si sfiorano. Dannazione,
Ian! Scesi da quell’aereo con l’intenzione di dirti
che mi sbagliavo… di dirti
che ti amo! E non ho mai amato nessuno quanto amo te, dannazione! Non
esiste
nessun Gerome. Come hai fatto a non capirlo? Sono stata una sciocca, ho
perso
la mia occasione!» esclamai fra le lacrime.
I suoi occhi indugiarono nei miei in attimi infiniti, e trattenni il
fiato.
Con grandi falcate Ian mi raggiunse e prendendomi il viso fra le mani,
posò le
sue labbra sulle mie. Ed ogni cosa fu come se tornasse al suo posto
originario,
come se ogni cose assumesse il proprio significato. Le sue labbra si
mossero
veloci e delicate sulle mie, mentre le sua mani prendevano confidenza
con mio
viso. E, fu strano, ma in quel momento la ferita parve sparire. I
margini non
pulsavano più di dolore, mi sentivo appagata, completa,
mentre le sue labbra,
fameliche, si muovevano sulle mie dandomi alla testa. Le fiamme
lambivano il
mio animo ed il mi cuore parve prendere fuoco. L’aria
cominciò a scarseggiare e
fui costretta ad allontanarmi dal suo viso, per respirare.
«Ian…» mormorai fremendo.
La sua lingua disegno i contorni delle mie labbra e tremai sotto il suo
tocco
leggero, mentre le sue braccia circondavano il mio addome.
«Sssh…» mormorò. Fu allora
che, guardando i suoi occhi ardenti, catturai le sue
labbra fra le mie, baciandole. Le sue mani si mossero veloci sotto il
cotone
che mi avvolgeva il busto e carezzarono le mie palle accaldata, che
parve
all’istante prendere fuoco, assieme alle mie labbra. Piano
avanzò conducendomi
sul letto. Caddi sul materasso. Sentii il suo corpo aderire
completamente al
mio, come fossero fatti per essere incastrati l’uno con
l’altro. Le sue mani
veloci ed audaci mi sfilarono la canotta, e le sue labbra abbandonarono
le mie
per baciare la pelle del mio viso, del collo, del ventre, lasciando
dietro esse
una scia di lava bollente ed una mappa fatta di sospiri.
Il mio cuore palpitò, battendo tanto velocemente da far
invidia ad un colibrì. Incespicò
e non potei controllare i miei respiri corti, il muovesi velocemente
del mio
petto.
Ogni fibra del mio essere, in quel momento, era proiettava verso lui,
verso la
sua pelle calda, le sue labbra, i suoi occhi, il suo animo.
Gli sfilai la maglia, carezzandogli la pelle morbida e liscia della
schiena, i
muscoli affusolati a definiti delle braccia, del petto. Gli presi il
viso fra
la mani, avvicinando le mie labbra alla sue.
Le sue mani giocavano sulle mie gambe, prima di rincorrere le mie sulla
lenzuola
fresche. Mentre le sue labbra sfioravano la pelle del mio collo, le sue
dita
s’incrociarono alle mie.
Era sbagliato, il mio inconscio non faceva che gridarmelo, ma in quel
memento,
decisi di farmi guidare dall’amore e dalla passione. In quel
momento, c’eravamo
noi, i nostri animi ed i nostri corpi nudi. E nulla più
contava.
Mi lasciai andare alle fiamme e, nel silenzio della notte, fra gemiti e
sospiri, fra parole d’amore e di tristezza… ci
amammo.
*
Ringraziamenti.
Piccola Ketty: ehi, ciao. :) alla fine sono
riuscita a
postare e sono contenta di non averti deluso… con questa
storia. Per me, è
importante, lo sai. Già, si amano… eppure le cose
vanno diversamente. Ryan,
amico come sempre, ha aiutato Ryan. Per è questo che gli
amici fanno, si
aiutano nei momenti difficili… ma adesso sto divagando. Ti
ringrazio per la
bellissima recensione. Come al solito mi sono commossa. Non sono io a
rendere
speciale il tutto, sei tu che lo vivi in modo… amplificato.
E’ tutto personale.
Sei tu a dargli valore, in questo caso. Grazie di cuore.
__Claire__: ciao! Sono contenta di
non averti annoiata, davvero! Spero tu, ora, abbia compreso un
po’ Ian, e spero
non ti sia dispiaciuto lo svolgimento del capitolo. Spero ci sia stato
un po’
di effetto sorpreso, malamente scritto. Grazie, ovviamente, per la
bellissima
recensione. A presto!
Londoner: ciao, Fè! *-* sono
contenta ti sia piaciuto il capitolo, davvero! Ricevere al tua
recensione mi ha
reso felicissima. Spero di non averti annoiata con questo, in tal caso,
lo sai,
puoi dirmelo. A presto!
Bauci_Selvi: ehi, ciao! Allora, che
dire… sono contenta tu sia sincera, è giusto
così. Mettere una svolta, subito,
non mi pareva il caso, mi sembrava forzato. La storia l’ho
immaginata così. :)
poi, il tempo narrato ricopre pochissimi giorni, e quindi vi
è un rallentamento
della narrazione. Tutto qui. Ho scritto semplicemente ciò
che ho immaginato.
Lola_: ciao! Ed ecco la
“svolta”,
spero solo di non averti delusa. Sono contenta ti siano piaciuto i
capitoli
scorsi! *-* leggere le tue recensioni mi ha reso felicissima! Possiamo
dire che
non ci ha preso molto nell’ultima recensione XD Grazie mille
per la fiducia…
sperando di non averla persa. A presto!
uley: ciao! Alla fine sono riuscita
a postare! Eh sì, Ian si sta scoprendo. Ryan è il
migliore amico di Helen, in
questo caso. Se non fosse per lui avrebbe già dato di matto
da tempo, direi.
Sono contentissima ti non averti annoiata, davvero! Per me importante.
E spero
di non averti delusa con questo. A
presto, cara!
Nessie93: ciao, Chià. :)
sono
contenta ti sia piaciuto l’ultimo capitolo. Desiderai ancora
che gli alieni
rapiscano Ian? XD sull’isola ci sono stati solo un giorno,
non due. Ryan un
genio? *-* sono felice di sapere che lo pensi, davvero. Spero di non
averti
annoiata con questo… anche se, conoscendoti, non credo. A
presto!
Gio26: ciao! Tutti i giorni
controllavi? Okay, comincio a gongolare *-* sono contenta ti piaccia,
davvero!
Sono contenta sia il tuo genere… cerco di inserire sia la
serietà che il gioco.
La storia è incentrata su lei che soffre per via di Ian.
Ora, le cose cambiano
un po’. Spero di non averti annoiata. E
poi, mi sopravvaluti, sul serio. Grazie di cuore per la splendida
recensione!
Grazie davvero!
ever: ciao! Oh, sono contenta di
sapere che ti piaccia. Mi ha fatto molto
piacere ricevere un tuo parere. Sì, la situazione non
è delle migliore e, più o
meno, ognuna l’ha vissuta in una minima parte. Non
è di certo il massimo come situazione.
Grazie di cuore per i complimenti, mi sono sciolta *-* Spero di non
averti
annoiata con questo capitolo. A presto!
Angyr88: ciao, dolcezza! *-* non
puoi scrivermi cose del genere, mi sciolgo poi! Spero di non averti
delusa o
annoiata, in tal caso, ti prego, dimmelo. Grazie di cuore. Non solo per
questo,
ma per tutto. <3
C r i s: ciao! Okay, so già
che ne
pensi, ma non possono non ringraziarti di cuore. Grazie infinite per la
splendida recensione. Sono contenta di non averti delusa, mi fa piacere
sapere
di non averti annoiata. Eh, sì, Ryan è un santo.
*-* non smetterò mai di
ringraziarti. A presto!
KeLsey: okay, appena ho letto la tua
recensioni ho cominciato a saltellare come una sciocca. Oh,
Eri… grazie! Sono
contenta che ti piaccia, perché, davvero, il tuo parere per
me conta
moltissimo, lo sai. E’ sempre stato così e sempre
sarà. Mi sei mancata, tesoro.
Ti voglio bene. <3
A voi, un bacio,
Panda.
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Capitolo 12 *** Capitolo 12. ***
Per
te, Fè.
Buon compleanno, dolcezza!
12.
~But
I’m lost.
Ma io sono perso.~
L’aria
serale si era
raffreddata, tanto che rabbrividii, una volta ripresa coscienza. Ma, in
quell’istante una nuova e devastante verità mi si
stagliò davanti: su quel
letto, non ero sola.
Potevo avvertire un tocco leggero, un braccio circondarmi
l’addome e un viso
poggiato sulla mia spalla.
Di scattò aprii gli occhi, speranzosa di verificare che
tutto ciò non fosse un
sogno, una mera rappresentazione, ma che fosse reale, che fosse
lì accanto a
me. E lo vidi, bello come non mai, illuminato dalla fioca luce argentea
della
luna, metà viso nascosto nel cuscino. Potei intravedere la
sua espressione,
riposata e beata. Sorrisi col cuore che batteva troppo velocemente per
essere
controllato e la gola gonfia d’emozione. Il suo corpo nudo
era accanto al mio che,
nei pochi attimi precedenti aveva tremato per una leggera folata di
vento
fresco, parve prendere fuoco e la fiamme lambirono il mio animo.
Istintivamente portai una mano sulla sua, poggiata sul mio fianco, come
per
trattenermi. Il suo respiro mi solleticava la pelle del braccio,
facendomi
venire la pelle d’oca sul collo.
Era tutto sbagliato, nel mio inconscio lo sapevo, ma, in quel momento,
assuefatta dal suo odore, dalla sua presenza, non potei non sentirmi
felice ed
appagata, come da tempo oramai non mi sentivo.
Mi voltai sul fianco per osservarlo meglio e portai una mano sul suo
viso,
giocherellando con le ribelli ciocche di capelli neri e setosi. Lui
corrugò la
fronte e grugnii tanto che pensai che sarebbe svegliasse da un momento
all’altro.
Ma, l’istante dopo la sua espressione tornò
rilassata e cerco rifugio fra i
miei capelli sparsi sul cuscino. Un brivido mi attraversò la
schiena e chiusi gli
occhi, respirando a fondo il profumo della sua pelle.
Sorrisi.
La sua stretta aumentò e mi attirò ancor di
più a sé, facendo combaciare alla
perfezione i nostri corpi.
«Troppo distante.» mormorò fra i miei
capelli, al mio orecchio.
Spalancai gli occhi e sentii il mio corpo irrigidirsi fra le sua
braccia.
«Rilassati…» sussurrò
baciandomi il collo.
«E’ difficile.»
Lo sentii sorridere mentre posava un delicato bacio
nell’incavo del collo.
«Davvero?»
«Sì.» mormorai senza fiato, mentre il
mio petto cominciava a muoversi sempre
più velocemente, eco del mio cuore.
«Rilassati, Helen…» mormorò
ancora allontanandosi e guardandomi in volto. I
suoi occhi, resi blu dalla fioca luce della luna,
s’incatenarono ai miei,
scuotendomi e abbracciandomi l’animo. Il tocco delle sue
braccia e la loro
stretta parvero giungere fino alle ossa, riscaldandomi ancor di
più il cuore. Le
sue labbra pericolosamente vicine alle mie, erano una tentazione a cui
dovetti
cedere. Piano, con estrema lentezza e delicatezza poggiai le mie sulle
sue e
potei sentirle plasmarsi su di esse. Lui le dischiuse, abbracciandole.
Una sua
mano scese lungo la mia schiena, carezzandomi con estrema lentezza il
fianco,
poi le gambe, soffermandosi sul polpaccio che, con delicatezza strinse
in una
mano, costringendomi così ad abbracciare il suo fianco con
l’arto.
Il mio corpo sprizzava elettricità ed ogni fibra del mio
essere era proiettata
verso lui.
«Ian tutto questo è…
sbagliato…» farfugliai perdendomi nei suoi occhi.
«Ssst…» sibilò lui
strofinando la sua guancia sulla mia, prima di spostarsi sul
collo. «Non rovinare tutto.» mormorò
baciandomi la clavicola.
«No.» soffiai chiudendo gli occhi e dischiudendo le
labbra, godendomi la
sensazione delle sue labbra sulla pelle. Poi piano, presero a baciare
le mie,
prima che i nostri corpi si fondessero ancora.
Ti amo, Ian… ma non lo
dissi ad alta
voce… e forse, fu proprio quello il mio errore.
Quando, il
mattino successivo,
riaprii gli occhi per una frazione di secondo mi sembrò di
essere in un limbo.
Impiegai qualche istante a focalizzare la stanza e ricordare cosa fosse
accaduto la notte precedente. Mi resi conto di essere nuda, sotto le
morbide
lenzuola color della neve ed, inevitabilmente, il sangue mi fluii al
viso,
colorandolo di rosso. Ero sola nel grande letto e nella stanza non
pareva
esserci traccia di Ian. La porta del bagno era aperta e la luce era
spenta.
Poi, volsi lo sguardo verso la finestra e mi resi conto che non era
ancora
l’alba. Corrugai la fronte e, avvolgendomi il corpo con il
lenzuolo avanzai
verso la veranda. Anche lì, non vera traccia di Ian. Il mio
cuore palpitante
d’amore ed emozione perse un battito. Il sole si faceva
vanti, piano, oltre la
linea d’orizzonte colorando d’arancione il cielo
scuro. Il mare si estendeva
per chilometri davanti ai miei occhi, calmo e appena increspato dalla
fresca
brezza del primo mattino.
Era andato via. Senza dire nulla.
Cosa mi aspettavo, in fondo?
Ero stata una sciocca a credici, a sperare per una notte che forse
tutto
sarebbe cambiato, che il senso di vuoto sarebbe cessato. Ma mi ero
sbagliata.
Come sempre.
Potevo sentire ancora il suo profumo sulla mie pelle nuda, fra i lunghi
capelli
arruffati, il suo fresco sapere sulle labbra umide. Ed
avvertì una fitta
lacerarmi l’anima.
Cosa avevo fatto?
Ripensai a mia cugina, al suo sorriso dolce e gentile, che mi aveva
aiutata a
crescere. L’avevo tradita e il mio stomaco si contorse per i
sensi di colpa,
che l’annebbiamento della sera prima mi aveva fatto
dimenticare. Avrei voluto
piangere, ma non ne avevo la forza. D’un tratto sobbalzai.
Dall’interno della camera sentii l’acqua scorrere
dal soffione della doccia,
battere sulla base in ceramica. Mi voltai si scatto, sgranando gli
occhi, e
rientrai in camera a passo svelto. Entrai in bagno e notai i vestiti di
Ian
impilati sul piano del lavandino.
Il mio cuore accelerò vertiginosamente i suoi battiti.
Sorrisi, fra e me e mi
poggiai al muro facendomi scivolare lungo esso, fino a sedermi sul
pavimento
freddo. In quel momento, mi sentii appagata e qualsiasi preoccupazione
fu
cancellata dalla sua presenza, dal suo corpo nudo bagnato
dall’acqua, dai suoi
occhi cristallini che non potevano vedermi oltre il vetro sabbiato del
box
doccia.
Lui era lì. Lui era rimasto. Questa consapevolezza mi fece
fremere, causandomi
pelle d’oca e facendomi sorridere come una quattordicenne
alla sua prima cotta.
Rimasi, lì, per minuti che mi parvero ore, ad osservare la
sua sagoma oltre il
vetro e ascoltando il suono dell’acqua sul suo corpo. Poi, il
rumore cessò e
l’anta del box fu aperta. Trattenni il fiato quando incontrai
i suoi occhi
caldi, che mi abbracciarono dolcemente. Cercai di non spostare
l’attenzione sul
suo corpo bagnato e fissai inebetita il suo viso nascosto nella
penombra, i
suoi occhi azzurri resi più scuri dalla scarsa luce. Essi
sorrisero, a
differenza della bocca che era una linea retta, e allungando una mano
afferrò
l’asciugamano, per avvolgendosi poi la vita.
«Ciao.» mormorò con voce roca.
«Ciao.» soffiai a corto di fiato. Mi portai le
gambe al petto e le abbracciai.
«Non volevo svegliarti.» mormorò
allargando le labbra in un sorriso.
«Tranquillo, non è stata colpa tua.»
risposi alzandomi da terra, mantenendo il
lenzuolo con una mano. In quel momento lui fece un passo verso me e
quando fui
in posizione eretta quasi mi scontrai con il suo petto bagnato.
Cedetti.
«Oh, Ian…» mormorai affondando il viso
nell’incavo del suo collo e poggiando
una mano sulla pelle bagnata. Le sue braccia circondarono le mie spalle
e mi
strinsero forse contro lui. La sua mano carezzò con dolcezza
i miei capelli,
lisciandoli.
«I tuoi capelli sono sempre così al
mattino?» chiese.
Risi sommessamente. «Sì. Terrificante,
vero?»
«Adorabile.»
Sorrisi e gli bacia il collo, prima di allontanarmi e guardarlo negli
occhi.
«Guarda, ti ho bagnata tutta.» disse sfiorandomi le
spalle ed il viso con la
punta delle dita.
Schioccai la lingua e feci spallucce. «E’ solo
acqua. E anch’o dovrei farmi una
doccia.»
Sorrise e premette il palmo della mano sulla mia mandibola.
«Ti aspetto in
camera.» sussurrò con voce calda e roca.
Sorrisi flebilmente. «Promesso?»
«Promesso.» ripose prima di chinarsi e baciarmi con
dolcezza. Le sue labbra
erano ancor più morbide di come le ricordassi e si
plasmarono perfettamente
sulle mie.
Chinai appena il capo e mi avvicinai alla doccia. Ian non si mosse.
Voltai il capo, corrugando la fronte. «Non hai detto che mi
avresti aspettata
in camera?»
Nei suoi occhi guizzò della malizia. «Il lenzuolo,
Helen.»
Spalancai la bocca e sgranai gli occhi. Poi scossi il capo e gli feci
segno di
uscire dal bagno.
Lui si morse il labbro inferiore prima che un sorriso sghembo gli
colorasse il
viso. Con le mani strinsi ancor di più il lenzuolo, mentre
lui si avvicinava
con lentezza calcolata.
«Attento a ciò che fai.» lo avvertii
cercando di trattenere un sorriso.
«Certo.» mormorò facendo scivolare la
mano sul lenzuolo.
«Ian…» dissi puntandogli un dito contro.
«Attento.»
«Cosa accadrebbe?» chiese inclinando il capo e
afferrando saldamente il
lenzuolo.
«Ian…» ripetei ridacchiando.
«Andiamo Helen… molla la
presa…» sussurrò con voce suadente
strattonando il
tessuto.
Il suono della mia risata inondò il bagno e quasi mi parve
estraneo. Da quanto
non ridevo così? Da quanto non ridevo per davvero? Con
sincerità?
Le sue mani tiravano con decisione e gentilezza il lenzuolo, ma non gli
opposi
particolare resistenza. Il tessuto bianco scivolò sul
pavimento e le sue mani
mi carezzarono la vita.
I suoi occhi indugiarono dolci nei miei, carezzandomi l’animo
mostrandomi chi
egli fosse. Disarmata da quell’azzurro cielo mi sollevai
sulle punte dei piedi
e gli circondai il collo con le braccia.
«Stringimi.» mormorai al suo orecchio
e subito mi strinse a sé. Potei avvertire
l’incessante martellare del suo cuore
battere contro il mio petto, riempire il vuoto alla mia destra.
Il contatto della mia pelle con la sua mi scatenò una
tempesta dentro.
«Non sai quanto ti ho aspettata.» soffiò
al mio orecchio, con la voce gonfia
per l’emozione.
Mi allontanai appena col viso per poterlo guardare in volto.
«Sono io che ti ho
aspettato.» mormorai prima si baciarlo con tenerezza.
Lo attirai verso la doccia, senza cessare il contatto fra i nostri
corpi
stretti. Lui fece scivolare l’asciugamano accanto al lenzuolo
ed entrò nella
doccia.
E bruciai d’amore.
I capelli umidi mi coprivano la schiena nuda e accaldata, mentre parte
del viso
era affondata nel cuscino. Il lenzuolo, mi copriva le gambe, fino ai
fianchi.
Con gli occhi chiusi lasciavo che le mani di Ian mi sfiorassero
delicatamente i
fianchi. Le sue dita, la sua pelle calda, si muovevano disegnando
piccoli
cerchi lungo il busto.
Delicatamente mi scostò i capelli dalla schiena, lasciando
respirare la pelle
e, quando le sue labbra, sfiorarono il mio collo, un brivido mi
attraversò la
schiena. Fremetti sotto il suo tocco.
«Hai freddo?» chiese con dolcezza.
«No.» soffiai aprendo gli occhi e guardandolo.
Lui, con indosso i jeans della sera prima, sorrise. Mi baciò
le labbra, poi
posò la guancia sulla mia spalla, il suo petto, il ventre
nudo vennero a
contatto con la mia schiena e la pelle parve prendere fuoco. Le sua
braccia
s’infiltrarono sotto il mio addome e mi strinsero a lui,
sollevandomi appena.
«Vorrei poter fermare il tempo.» mormorò
con voce calda a roca.
«Lo vorrei anch’io.» soffiai mentre le
sue labbra baciavano il contorno della
mia guancia.
«Cosa faremo ora, Helen?» chiese spostandosi su un
fianco per guardarmi negli
occhi. Con una mano mi scosto i capelli dal viso.
Non risposi subito. Non perché stessi ponderando su
ciò che avrei detto, ma
perché non sapevo cosa dire.
Cosa avremmo fatto?
Ciò che era successo la notte precedente, ciò che
ancora stava accadendo, le
sue mani sul mio viso, i suoi occhi su di me, sembravano essere
irreali,
appartenere ad un mondo evanescente, un sogno che non sarebbe mai
potuto
diventare realtà. Ma quella era la realtà,
difficile e magica.
«Non faremo nulla.» gemetti voltandomi
dall’altro lato e scendendo dal letto.
Indossai un vestito che mi lasciava scoperte le gambe e mi voltai.
«Non diremo nulla.» ripetei incrociando le braccia
al petto.
Lui s’accigliò appena e si alzò a sua
volta dal letto. «Perciò questa notte non
ha significato nulla.» disse, e la sua voce era
apparentemente atona, priva di
qualsiasi emozione, ma per un momento potei cogliere un lampo di
irritazione.
Scossi piano il capo, più a me stessa che a lui, e mi portai
una ciocca di
capelli dietro un orecchio. «No, non dirlo per
favore.»
«Ma è la verità.» rispose con
tono duro indossando la maglietta.
«No, ti sbagli! Non rinuncerei alla notte scorsa per nulla al
mondo! Non
rinuncerei ad un singolo gesto, sguardo, respiro. Non tornerei indietro
nemmeno
per tutto l’oro del mondo.» dissi con incrinata,
avvicinandomi a lui. «Ma è
sbagliato, e lo sai anche tu. Amo profondamente Abby. Non è
solo mia cugina,
lei è mia sorella, Ian. E ti merita più di quanto
ti potrei mai meritare io.
Non posso distruggerle il suo mondo così. Non potrei
mai.»
Lui arricciò le labbra e una ruga di rabbia gli
solcò la fonte. «Dio, Helen. Ho
detto di amarti.» disse portandosi un amano su un fianco.
Sentii gli occhi inumidirsi di lacrime.
«Io ti amo.» sussurrò con estrema
dolcezza, avvicinandosi lentamente. I suoi occhi
ardevano come fiamme blu, sinceri mi aprivano le porte del suo animo,
mi
abbracciavano il cuore riscaldandolo come nessuno mai era riuscito a
fare. Mi
mozzò il fiato e, improvvisamente, sentii le gambe molli. E
per la prima volta
vidi i suoi occhi velarsi di mute lacrime.
«Ian…»
«Non respingermi, Helen… non respingermi
ancora.» continuò premendo il palmo
della mano sulla mia guancia.
Chiusi gli occhi a quel contatto. Come avrei potuto respingerlo? Come
avrei
potuto negarmi quella felicità che da anni bramavo? Come
avrei potuto ferirlo?
Come avrei potuto ferirla?
Il mio cuore era diviso in due, si ruppe come cristallo.
«Come posso ferirla?»
«Non parliamo di Abby, Helen. Parliamo di me e di te.
Parliamo di noi. Se non
ferisci lei, ferisci me. Nessuno ne uscirà indenne, e lo
sai. Non anteporre la
felicità degli altri alla tua, Helen. Non farlo.»
mormorò poggiando la fronte
sulla mia. «Io amo te. Perché provare a salvare un
rapporto con Abby? Un
rapporto morto da tempo… un legame che non…
è mai stato come quello che mi rende
tuo?»
«Ti amo, Ian.» gemetti lasciando che una lacrima
spillasse gli occhi.
«Non dirlo come fosse un addio.» tremò.
Sorrisi amaramente, mi alzai in punta di piedi e premetti le mie labbra
sulle
sue. Fu un bacio dolce, tenero, uno sfiorarsi appena che sapeva di
amore e
malinconia.
«Non potrei mai dirti addio, Ian.» mormorai con
voce rotta.
Lui mi strinse appena a sé, poggiando le mani sulla mia
schiena. Poi,
avvicinandosi al mio orecchio, mormorò:
«L’hai appena fatto, Helen.»
Ed uscì dalla camera, lasciandomi lì, attonita.
Il sole del primo mattino piano si ergeva nel cielo limpido, filtrando
attraverso le tende scostate dal vento. Seduta sul letto, con le
ginocchia
unite e la mani in grembo, fissavo la portafinestra, cercando di
osservare
quegli spezzoni di paesaggio visibili solo quando il vento faceva
svolazzare il
leggero tessuto delle tende.
Mi sentivo svuotata, prima di qualsiasi forza.
Il ricordo delle sue labbra, dei suoi occhi, della sua voce era ancora
vivo
nella mia memoria e potevo avvertire il suo profumo inondarmi i
polmoni,
impregnato alla mia pelle, abbracciato al mio cuore. Era come se fosse
ancora
lì. Potevo quasi vederlo, poggiato sullo stipite della porta
finestra, le gambe
incrociate, le braccia conserte al petto, un sorriso a coloragli il
viso.
Che cosa avrei fatto? Non avevo idea di cosa il futuro, così
imminente ormai,
mi aspettava. Non avevo idea di come mi sarei dovuta comportare.
Qualcosa nella
notte precedente era cambiato irrimediabilmente, e non potevo far finta
che non
fosse accaduto nulla. Non potevo, ma soprattutto non volevo. Come avrei
potuto
negare l’amore?
Ma cosa avrei detto ad Abby? Come mi sarei comportata con lei?
Mille domande mi vorticavano nella mente, dolorose come una puntura
d’ape.
Le labbra mi prudevano, desiderosa di poter ancora giovare di quel
contatto
dolce e tenere.
La mia pelle scottava, ancora impregnata del calore che il suo corpo mi
aveva
donato.
Il mio cuore batteva frenetico, un battere d’ali di
colibrì, mentre il mio
sangue pulsava caldo nelle arterie, nelle vene, accaldandomi le gote.
Ero in un limbo. Un limbo che sapeva malinconica felicità,
di amore cristallino
ed sbagliato. Avrei voluto che quel momento durasse per sempre, per
quanto
folle potesse apparire. Rifugiata nel fresco ricordo di lui, lontana da
occhi
indiscreti, lontana da responsabilità, immobile mentre
fissavo il mare. Ma non
si può fermare il tempo e non puoi piegarlo a tuo
piacimento. Dovevo affrontare
la giornata, i sensi di colpa verso mia cugina, l’amore
irrazionale che mi
spingeva inevitabilmente verso Ian.
Amare ma… a quale prezzo?
*
Bene,
eccomi qui. Mi scuso per il tremendo ritardo. Non posso ringraziare a
modo chi
ha recensito lo scorso capitolo perché devo, davvero,
scappare a studiare.
Alla recensioni di questo capitolo risponderò certamente
appena ricevute, così
mi sarà più facile.
Mille grazie, davvero.
A voi, Panda.
|
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Capitolo 13 *** Capitolo 13. ***
13.
~Look to the stars, let hope burn in your eyes.
Guarda
le stelle, lascia la speranza bruciare nei tuoi occhi.~
Qualcuno
bussò alla porta. Seduta sul letto, mi voltai e guardai il legno
bianco.
Il mio cuore intraprese una folle corsa e non potei non trattenere il
respiro.
Sperai, forse scioccamente, con tutta me stessa che fosse lui, che i suoi occhi color
dell’oceano mi si prostrassero davanti.
Così, con il petto che si muoveva troppo velocemente per
essere controllato,
scattai in piedi e, quasi correndo, mi avvicinai alla porta. Afferrai
con forza
la maniglia, ma ciò che vidi non era ciò che mi
aspettavo. La realtà si abbatté
su di me con crudeltà, come fosse stata una frana di fango e
detriti.
«Buongiorno.» disse lei con voce atona, le spalle
piegate sotto un peso
immaginario.
«Abby.» soffiai incapace di emettere suoni.
«La mia testa sta per scoppiare.» sbuffò
passandomi accanto e dirigendosi verso
il letto. Quel letto che sapeva ancora di muti sentimenti, di ricordi
celati
nel cuore.
Sentii il cuore e lo stomaco stringersi in una morsa.
Abby si lasciò cadere sul materasso, lacerandomi.
«Cosa succede?» chiesi cercando di apparire il
più naturale possibile,
passandomi una mano fra i capelli ed incrociando poi le braccia al
petto.
Lei si coprì il viso con le mani. «Credo di aver
esagerato ieri. Ricordo poco.
Ho solo immagini.» latrò alzando poi il capo.
Quando i miei occhi incontrarono i suoi, tremai, impercettibilmente.
Cosa avevo fatto?
«Ehi, stai bene?» chiese alzando un sopracciglio,
prima di mettersi a sedere.
«Sì, certo.» risposi sorridendo e
deglutendo.
Abby inclinò il capo di lato. «Perché
ti luccicano gli occhi ed hai le guance
arrossate?» chiese ed un
lampo di
malizia le fendé gli occhi.
M’accigliai «Cosa?» chiesi distogliendo
lo sguardo dal suo, posandolo sul
pavimento.
«Sì! Cosa non mi hai detto?» chiese
indagatrice.
Scossi velocemente il capo. «Nulla!» esclamai
indietreggiando di un passo e
sgranando gli occhi, nel panico. I sensi di colpa, il tradimento verso
lei,
piano avanzarono schiaffeggiandomi.
Alzò le mani. «Okay, okay! Ma calmati per
favore!» disse lasciandosi cadere
ancora sul letto.
«Sono calma.» mormorai mordendomi il labbro
inferiore mentre dentro urlavo.
«Dai, racconta. Sei stata con Ryan?»
Nell’udire quelle parole, non so quale meccanismo
scattò, cosa innesco la
rabbia. Sentii il sangue fluire al viso e le mani prudermi.
«Dio, Abby! Perché devi essere
così?» sbottai allargando le braccia,
esasperata.
Lei, scioccata, mi guardò come provenissi da un altro
pianeta.
«Ti ho detto che non è successo nulla. Ryan
è solo un amico, per l’amore del
cielo.» continuai avvicinandomi all’armadio ed
aprendone le ante.
«D’accordo.» si limitò a
rispondere lei. «Ma non c’è bisogno di
essere così
scortesi.»
Con il viso rivoltò verso i ripiani, nascosta dal suo
sguardo indiscreto,
chiusi gli occhi e mi morsi il labbro inferiore cercando di trattenere
le lacrime.
Non poteva essere reale. Non stava accadendo.
In quel momento potei avvertire la mano di Ian sfiorarmi la schiena.
«Perdonami.» sussurrai tanto piano anche credetti
non mi avesse sentita.
Quattro sillabe che contenevano in sé dolore e colpe,
tradimento, sofferenza.
Non le chiesi perdono per essere stata scortese, le chiesi perdono per
essere
stata una pessima confidente, amica, cugina, sorella. Le chiesi perdono
per
averla ferita, per averle mentito, per nasconderle quella
verità tanto dolce al
mio cuore.
«Non importa. Sono io a dovermi scusare.»
Udendo quelle parole, chiusi con più forza gli occhi.
No, Abby… non scusarti…
«Vado a cercare Ian. Quando mi sono svegliata era
già sceso. Ci vediamo a
colazione.» continuò prima di uscire.
Ian. Nell’udire quel nome il mio cuore singhiozzò
agonizzante. E nella mia
mente chiara divenne l’immagine delle sue labbra su quelle di
Abby, delle sue
mani sul viso di lei. I loro visi sorridenti.
«No, no, no…» ripetei gemendo.
«No…»
Mi presi il viso fra le mani è, poggiandomi ad
un’anta mi lascia cadere sul
pavimento.
Ed in quel momento, mentre mute lacrime e muti singhiozzi mi scuotevano
il
petto, l’unica cosa che avrei voluto era che Ian mi
stringesse a sé,
sussurrandomi che tutto si sarebbe sistemato.
Ma lui non c’era. In quella stanza d’albergo
ero… sola.
Con gesti meccanici, disattenti, indossai i calzoncini e una canotta
blu. Lasciai
i capelli sciolti e, con espressione atona, priva di qualsiasi emozione
uscii
dalla camera, afferrando la borsa che avevo lasciato sulla sedia,
accanto al
letto. Osservai un’ultima volta il letto sfatto, le lenzuola
che sapevano di
rose e miele, con il cuore appesantito dai rimorsi e alleggerito dai
ricordi,
decisi di non andare direttamente a fare colazione.
Così, mi ritrovai a camminare lungo i corridoi bisognosa di
un abbraccio e di
parole confortanti.
Era difficile, metabolizzare il tutto. Sembrava tutto così
irreale, eppure era
vero e l’incontro con Abby me ne aveva dato la conferma. Mi
aveva scossa, mi
aveva riportata sul pianeta terra, svegliata da un coma di emozioni e
sensazioni dolci come una miscela di miele e zucchero, immergendomi in
una
tempesta di emozioni contrastanti fra loro.
Ero nei guai. Guai grossi.
Immersa nei miei pensieri quasi superai la stanza 1354, prima di
bussare,
sospirai. Sentii, oltre il legno, delle imprecazioni e feci una smorfia
pensando che avessi fatto la scelta sbagliata.
Ma, prima che potessi darmi della stupida, la porta si aprii.
«Che ci fai qui?»
Alzai un sopracciglio. «Buongiorno anche a te, Anthony. Sono
davvero contenta
di vederti.»
«Scusa. Buongiorno anche a te.» sorrise.
Scossi il capo. «Tu sei strano.»
«Me l’hai già detto questo.»
«Lo so.» risposi prima di incrociare le braccia al
petto. «Allora, mi fai
entrare o mi tieni sulla porta?»
Rise. «Prego, miss.»
disse
spostandosi di lato e facendo un inchino.
«Ryan?» chiesi guardandomi intorno.
«In bagno.»
«Oh.»
Lui sorrise, malizioso e si avvicinò alla porta del bagno,
bussandosi con la
nocca dell’indice. «Ehi, Ryan, qui
c’è la tua ragazza! La faccio entrare?»
esclamò guardandomi.
«Piantala, idiota!» lo ripresi fulminandolo con lo
sguardo.
«Chi?» sentii la voce di Ryan.
Anthony fece spallucce, si baciò il palmo delle mani e vi ci
soffiò sopra.
«Molto divertente.»
«Ci vediamo di sotto, darling.
Accomodati
pure, eh. Non è necessario che tu rimanga in
piedi.» ridacchiò indietreggiando
verso la porta.
Ridussi gli occhi a due fessure. «Sto bene così,
grazie.» dissi fra i denti,
mentre lui, divertito si chiudeva la porta della camera alle spalle.
Chiusi un momento gli occhi e feci un respiro profondo, ma quando
sentii la
porta riaprirsi gli riaprii di scatto.
Ryan, immobile sulla soglia del bagno mi fissava confuso…
con indosso solo un
paio di bermuda.
«Ciao.» farfugliai sbattendo più volte
le palpebre e abbassando lo sguardo,
involontariamente.
«Tutto okay?» chiese lentamente.
«Sì.» mi sforzai di sorridere ed alzai
lo sguardo sul suo viso.
I suoi occhi guardarono, indagatori, i miei, in cerca di quelle parole
ancora
non dette. «Uhm.»
Abbozzai un sorriso e mi portai una ciocca di capelli dietro un
orecchio.
Indossò una maglietta e si sedette sul bordo del letto, poi
con la testa mi
fece segno di avvicinarmi, mentre batteva con la mano sul materasso.
Senza proferire parola, senza sorridere, feci quanto mi era stato
indicato ed
andai a sedermi alla sua destra.
«Spiegami.» disse risoluto, guardandomi in volto.
«Non c’è nulla di spiegare.»
mormorai giocando con un lembo della borsa.
«Deduco che questa sia una visita di cortesia.»
osservò.
Sospirai appena. «No. Non lo è.»
«Helen… non puoi continuare così. Non
puoi continuare a reprimere sentimenti
per l’amore di tua cugina. Devi prendere una decisione,
mollare o tener duro…»
«Sono stata con Ian questa notte.» dissi tutto
d’un fiato, chinando il capo.
Per alcuni istanti nessuno dei due parlò, mentre le mie
parole rimanevano
sospese nell’aria.
Poggiai i gomiti sulle ginocchia e mi presi il capo fra le mani.
«Ti prego, di’
qualcosa.» esordii. «Dimmi che sono una stupida,
che ho sbagliato, che sono
stata vile, ma ti prego non tacere.» dissi con voce rotta.
«Oh, Helen…» sussurrò lui
circondandomi le spalle con un braccio.
«Ha detto di amarmi, Ryan.»
«Cosa?» chiese lui voltandosi di scatto.
«Hai detto di… amarmi.» soffiai con
cuore che
batteva troppo velocemente per essere controllato e la
voce rotta
dall’emozione.
«Waw.» fu il solo suono che Ryan emise.
«Questo sì che lascia senza parole.»
Mi sforzai di sorridere, lui corrugò la fronte,
probabilmente il mio tentativo
era stato inutile, la mia appariva una smorfia di disperazione.
Mi accarezzò piano la spalla. «Cosa
c’è, Helen?»
«Non so cosa devo fare. Come comportarmi. Io… non
voglio perderlo, Ryan… ma non
voglio perdere nemmeno Abby.»
«So che è dura, piccola… ma qualcuno
soffrirà. Qualcuno soffre sempre, è il mondo,
gira così e non puoi farci nulla. Ma… lui ama te.
Ama te, Helen. E… se davvero
lo ami come puoi negargli il tuo cuore?»
Mi morsi il labbro inferiore ed alzai gli occhi sul suo viso.
«Intendi dire che
è meglio che soffra una persona invece che due?»
«Intendo solo dire che non devi precluderti la
possibilità di essere felici.»
Sospirai e mi lasciai andare sulla sua spalla poggiandoci la tempia.
Lui mi
carezzò il viso, dolcemente.
«Meriti di essere felice, Helen. Lo meriti più di
chiunque altro.»
«Forse.» mormorai, prima di chiudere gli occhi.
Forse.
«Coraggio, andiamo.» disse Ryan alzandosi e
prendendomi per mano.
«Dove?» chiesi corrugando la fronte.
«A fare colazione. Muoio di fame.»
Scossi il capo in
un risolino. «Tu hai
sempre fame, Ryan.»
Fece spallucce. «No, non credo. Andiamo, forza.»
Sorrisi e lasciai che mi circondasse le spalle con un braccio. Uscimmo
dalla
stanza diretti alla sala da pranzo.
Il cuore palpitava frenetico, terrorizzato dal pensieri di Ian, di
Abby, delle
loro dita intrecciate. Divorata dai sensi di colpa non potevo non
chiedermi
cosa sarebbe successo, come sarebbe andata, cosa avremmo fatto. Ammisi
a me
stessa che l’idea di perdere Ian, in quel momento, mi
dilaniava molto più dei
sensi di colpa, mi mozzava il respiro e mi causava una fitta in pieno
petto.
Sapevo che non avrei fatto colazione, che mi sarei limitata a bere
qualche
sorso di thè freddo e probabilmente a struggermi alla vista
di Ian ed Abby.
Sperai con tutta me stessa che nessuno dei due fosse lì. Mi
sentivo le gambe molli.
Quando entrai nella grande stanza il mio cuore entrò in
fibrillazione. Cominciò
a battere tanto forte da
far invidia ad
un colibrì, il suo suono mi echeggiò nelle
orecchie, dandomi alla testa. Al
tavolo accanto alla grande vetrata oltre il quale si poteva ben vedere
l’oceano, Ian, Jared e Shelly, consumavano la loro colazione.
Spalancai gli
occhi e tremai impercettibilmente, mentre Ryan si voltava a guardarmi,
senza
proferire parola.
Deglutii rumorosamente, mi passai una mano fra i capelli e, sospirando,
gli
riavviai, dopo di che cominciai a camminare affiancata da Ryan.
«Sono qui.» mi sussurrò
all’orecchio, dandomi un buffetto sul braccio.
Feci un risolino, voltandomi a guardarlo, ma, quando tornai a guardare
dinanzi
a me, incontrai lo sguardo di Ian, duro come diamante. I suoi occhi
color del
cielo mi fissavano imperscrutabili, lasciandomi allibita e desiderosa
di
carezzargli il viso, come a volerne distendere i muscoli. Ma non potevo
farlo.
In quel momento, fui felice che Abby non fosse lì.
«Ehi…» sorrisi scostando lo sguardo dal
suo viso e guardando Jared e Shelly,
che mi risposero con allegria prima di tornare a mangiare.
Mentre mi accomodavo, sedendomi di fronte ad Ian, lo vidi con la coda
dell’occhio guardare Ryan sedersi accanto a lui, a
capotavola. Chinai appena il
capo e chiusi gli occhi per qualche istante, prima di riaprire le
palpebre e
notare che entrambi mi guardavano.
Corrugai la fronte, avvampando di rossore. «Cosa
c’è?»
«Cosa prendi?» mi chiese subito Ryan.
«Thé freddo.»
«Solo?» chiese alzando un sopracciglio.
«Sì.»
«Dovresti mangiare qualcosa.»
«Non ho fame.»
«Helen…»
«Ho lo stomaco chiuso, Ryan.» dissi risoluta,
puntando il mio sguardo nel suo.
Sospirò. «Okay.» rispose rassegnato
prima di alzarsi e dirigersi verso il
tavolo del buffet.
Con lo sguardo l’osservai per qualche istante. Avevo paura,
non avevo il
coraggio di voltarmi e guardarlo ancora negli occhi, di affrontare il
suo
sguardo duro. Dall’altro
lato del tavolo
Jared e Shelly parlottavano fra loro, del tutto incuranti di noi due.
Mi morsi il labbro inferiore, poi racimolando quel poco di coraggio
rimastomi
in corpo, mi voltai, tremante. Ma ciò che vidi, non era
ciò che mi aspettavo.
Il suo sguardo non era duro, non era glaciale come quando ero entrata,
bensì…
dolce. Il suoi occhi languidi, carichi di passione e
dolcezza mi scrutarono imploranti. A quelle
vista il mio cuore parve cessare di battere ed il respirò mi
si mozzò.
«Helen...» disse in un sussurro. «Come
puoi…»
Prima di parlare mi passai una mano sul collo e cercai di ricacciare
indietro
quelle lacrime che, prepotenti, desideravano uscire. «Era da
un po’ che non
riuscivo a chiudere occhi la notte.» sorrisi flebilmente.
«Credo dipenda dal
dormire in un letto estraneo. Non so cosa si successo la notte
scorsa… ma,
finalmente, ho dormito, sai? Cuore, anima e mente erano un
tutt’uno.» mormorai
ignorando il gonfiore alla gola.
Lui dischiuse le labbra, come a voler parlare, ma dalla sua bocca non
vi uscì
alcun suono.
Dopo una breve pausa, parlò. «Che strano,
Helen… ho dormito per davvero anche
io.»
Con i capelli a farmi da sipario, a nascondermi da Jared e Shelly,
chiusi gli
occhi. «Non so che fare. Non voglio rinunciare a
te» soffiare quelle parole mi
costò, mi costò terribilmente.
«Troveremo una soluzione, Helen…
insieme.» sibilò prima di portarsi la tazza di
caffè alle labbra rosee.
Mi voltai verso Ryan ma non ero pronta a quella vista. Il sangue mi si
gelò
nelle vene e il mio viso, probabilmente, assunse un colorito troppo
pallido,
tanto che Ian si sfiorò la mano preoccupato, chiedendomi
cosa stesse
succedendo. Mi voltai verso di lui, fissando la sua mano sopra la mia
che parve
prendere fuoco, lui la ritrasse immediatamente.
«Helen, cosa succede?» mi chiese sporgendosi sul
tavolo e rivolgendomi lo
sguardo più premuroso che potessi ricevere.
«Perdonami.» mormorai prima di alzarmi e varcare la
porta che portava
all’esterno, lasciando Ian al tavolo e mia cugina intenta a
versarsi del caffè
in una tazza.
*
Eccomi
qui, gente… di nuovo. L’immagine ritrai Ian ed
Helen XD Sin dal primo capitolo,
iniziato a Maggio del 2010 ho immaginato loro, senza poterci fare nulla.
Mi piace di aver
postato così tardi… spero solo di non aver deluso
alcune
aspettativa.
Ringrazio di cuore
coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, davvero.
Un bacio, Panda.
E ringrazio te, che
forse non leggerai neanche. Grazie, mia dolce, cara,
genuina, Kate.
|
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Capitolo 14 *** Capitolo 14. ***
14.
~Passing
by you light up my darkest skie.
Passandomi
vicino illumini i
miei cieli più oscuri.~
Varcai
la soglia della grande vetrata e, a passo svelto, camminai lungo il
viale che
portava in spiaggia. Stavo scappando, patetico, umiliante, ma al
momento mi
sembrava l’unica soluzione.
Mi chiesi se Ian provasse i miei stessi sensi di colpa, se anche lui
era in
balia di una tempesta d’emozioni; se una parte lo attrasse
verso me, come poli
di una calamita di segno oppoto, mentre l’altra era respinta,
come poli uguali.
Scossi il capo ed accelerai ancor di più il passo, fino a
corre. Corsi sulla
spiaggia fino a che i polmoni non presero a bruciarmi ed il cuore a
battermi
furiosamente in gola. Mi fermai con le gambe dolenti. Mi sporsi in
avanti,
divaricandole appena e poggiamo le mani sulla ginocchia. Chiusi gli
occhi e per
alcuni istanti rimasi, così, immobile
a
riprendere fiato. Quando mi misi in posizione eretta, passandomi una
mano fra i
capelli ondeggianti per il vento mi resi conto di essermi terribilmente
allontanata dall’albergo. Non c’era nessuno sulla
spiaggia.
Sospirai e mi avvicinai alla palma più vicina, mi sedetti
sulla sabbia poggiandomi
al tronco.
Osservando il dolce andirivieni delle onde, il sole riflettersi sui
granelli
della sabbia bianca e udendo lo stormire delle foglie, mi chiesi
nuovamente
cosa avrei fatto. L’idea di dire tutto ad Abby di dilaniava,
l’idea di perdere
Ian mi dilaniava. In qualunque modo avrei sofferto, ed avrebbe sofferto
qualcun
altro. Avrei voluto comandare sugli affetti del cuore, ma non potevo.
Avrei
voluto non provare nulla, anche solo per un secondo, cancellare il
passato,
ricominciare… a quell’idea comunque provai una
fitta di dolore perché una vita
senza Ian… scossi il capo, cancellandone l’idea.
Tutto era concatenato, ogni
evento, ogni emozione, ogni pensiero. Il mio cervello era immerso nel
caos, il
mio cuore nelle fiamme.
Poggiai la testa al tronco e chiusi gli occhi, cercando di mettere a
tacere il
mormorio nella mia testa… con grande insuccesso. Era come se
ogni pensiero
avesse voce propria e trovare tranquillità in quel
chiacchiericcio era quasi
impossibile.
Non so quanto tempo rimasi, lì, immobile.
Mugugnai e battei il capo al tronco fino a che una voce estranea, ma
familiare,
richiamò la mia attenzione. In quel momento, il mormorio
cessò, mentre il cuore
mi balzò in gola.
Mi voltai e lo vidi, lì,
in piedi,
bello come il sole che illuminava gli occhi cielo. Indossava una
t-shirt bianca
e dei bermuda di jeans. Le labbra appena dischiuse, la fronte
aggrottata.
«Cosa ci fai qui?» chiesi con voce atona.
«Hai camminato parecchio.» rispose inclinando il
capo di lato.
«In realtà ho corso.» risposi voltando
il capo per guardare il mare. L’acqua
s’increspava con dolcezza, riflettendo i raggi del sole.
«Non ti facevo così atletica.»
Abbozzai un sorriso. «Simpatico.»
«Cosa ci fai qui, Ian?» chiesi senza guardarlo,
perché sapevo che, in quel
preciso istante l’avessi guardato, le mie difese sarebbero
crollate non avrei
desiderato altro che baciare quelle
labbra che mi mancavano terribilmente.
«Lo sai, Helen.» rispose e lo sentii avanzare verso
me.
«Dovresti essere con Abby.»
«Oh, al diavolo Abby! E’ qui che desidero essere
ora.» rispose.
A quelle parole sentii il cuore riscaldarsi e non potei non sorridere.
«Per quanto possa essere sbagliato, sono contenta che tu sia
qui.» dissi
voltandomi a guardarlo. Lui mi sorrise teneramente e si sedette accanto
a me.
Il suo profumo mi inondò i polmoni.
«Come facevi a sapere che ero qui?»
«Ho chiesto in giro. “Mi scusi ha per caso visto la
più bella ragazza del mondo
passare di qui?”» Feci un risolino, dandogli una
leggera spallata.
«Comunque, ho davvero chiesto se qualcuno aveva visto passare
una ragazza.»
disse giocherellando con una ciocca dei miei capelli. Quel gesto, anche
se
minimo, minò la mia concentrazione.
«Oh… ehm… Abby?» chiesi in
una smorfia.
«Ti ha vista uscire. Le ho detto che ci avrei pensato
io.» mormorò facendo
scivolare le dita lungo il mio braccio. Tremai.
«Tutto bene?» chiese alzando un sopracciglio.
Mi voltai di scatto. «Non riesco a mettere insieme una frase
di senso compito
se fai così.»
Sorrise malizioso. «Così come?» chiese
facendo scorre le dita sulle mie gambe
nude.
«Così!» dissi puntando
l’indice contro la sua mano. Le sue dite, presero ad
accarezzarmi il braccio.
«Ma non ti opponi.»
«Come potrei…» soffiai chinando il capo
e chiudendo gli occhi per imprimere il
suo tocco.
«Oh… Helen…»
mormorò lui intrufolando la mano fra i miei capelli ed
attirandomi
a sé.
Mi voltai e le sue labbra furono sulle mie. Un tocco leggero quanto
quello di
un petalo di rosa che galleggia sull’acqua, ma tanto intenso
da scatenarmi una
tempesta dentro.
Mi allontanai lentamente e poggiai la fronte sulla sua spalla. Capii,
in quel
momento, che non avrei potuto rinunciare mai a lui, nonostante amassi
mia
cugina. Capii che lui era l’altra
metà
della mela, e che nutrivo per lui un amore tanto forte che
aveva piantato
le sue radici
nel
mio essere.
«Mi spiace per questa mattina.» gemetti
aggrappandomi alla sua maglietta.
«Ssst… non fa niente.»
mormorò circondandomi le spalle con un braccio, mentre
io cercavo rifugio nel suo petto.
«Ho paura.» dissi dopo alcuni istanti di silenzio.
Lui prese ad accarezzarmi i capelli, mentre io mi strinsi ancor di
più a lui,
all’ombra dell’alta palma.
«Vorrei che capissi che, al disopra di ogni cosa, voglio te,
che ho bisogno di
te.» mormorò con voce calda.
Cullata dal suo respiro, sorrisi, mentre il mio cuore accelerava i suoi
battiti. In quel momento i lembi della ferita che mi squarciava il
petto si
riunirono.
«Sei ossigeno.» dissi solamente, chiudendo gli
occhi e godendomi quei pochi
istanti con Ian in un paradiso terrestre.
«Credo sia meglio andare.» dissi dopo qualche
minuto.
«No, ancora un po’.» mugugnò
lui stringendomi ancor di più.
Risi, cercando di divincolarmi dalla sua stretta ferrea. «No,
è meglio andare.»
«Ancora un po’.», la sua risata
tuonò nel suo petto.
«Ian… si staranno chiedendo che fine abbiamo
fatto.» protestai girandomi sulla
schiena e stendendomi sulla sabbia, poggiandomi con la testa sulle sue
gambe.
Lui mi carezzò con dolcezza il viso, seguì con i
polpastrelli il profilo della
mia guancia, della mandibola, l’attaccatura dei capelli. Mi
baciò le palpebre
chiuse, la punta del naso, l’angolo delle labbra. Poi il suo
tocco sparì e
corrugai la fronte, senza aprire gli occhi.
«Allora?»
«Cosa?»
«Hai saltato un punto.» mormorai reprimendo un
sorriso.
«Sul serio? Quale?»
Mi portai l’indice sulle labbra, pochi istanti dopo fu
sostituito dalle sue
labbra che morbide di mossero piano su esse.
Aprii gli occhi ed incontrai i suoi, tanto limpidi da mozzarmi il fiato.
«Ben tornata, Helen.» soffiò serio.
«Mi sei mancata.»
Fu allora che capii. Le immagini dei giorni precedenti si susseguirono
nella
mia mente tanto chiare che apparirmi reali. Rividi la rabbi, le
lacrime,
l’irritazione, sentimenti che non erano mai stati dominanti
in me, fino a
quando non vidi Ian baciare mia cugina, fino a quando non decidemmo di
cominciare quella vacanza.
Ma non ero pronta a parlarne, non volevo ricordare gli orribili momenti
in cui
le labbra di Ian, in cui il suo viso erano lontani anni luce da me. Mi
godetti
il presente, carezzando il suo viso scultoreo.
Sorrisi. «Su, andiamo.» dissi cercando di cambiare
argomento per non riaprire
vecchie ferite.
Scattai in piedi e gli porsi la mano, lui
l’afferrò e, quando fu in piedi
dinanzi a me, mi bacio a fior di labbra.
Scossi il capo e mi incamminai scrollandomi la sabbia di dosso.
In cuor mio sapevo che, di lì a poco, quella
felicità, quella tranquillità
sarebbero state sostituite dai rimorsi e dai rimpianti.
Camminammo sulla spiaggia, avvicinandoci all’albergo e quindi
al centro
abitato. La spiaggia diventava pian piano più affollata.
Spesso mi voltavo
verso Ian che camminava alla mia sinistra, osservandone i lineamenti e
spesso i
suoi occhi incontravano i miei, rivelandomi muti sentimenti che piano
preparava
a celare in fondo al cuore. Sì, perché presto
avremmo rivisto Abby, e lui
sarebbe tornato ad essere Ian, il ragazzo di Abby, con mia grande
sofferenza.
Capitava che, camminando sulla sabbia, perdessi appena
l’equilibrio e la mia
mano andava a sfiorare la sua. La mia pelle pareva prendere fuoco
all’istante, mentre
lo stomaco si attorcigliava su se stesso.
Un’orribile sensazione mi aveva chiuso la bocca della stomaco
e fu allora che
ricordai di non aver fatto colazione, questo spiegava il
perché delle vertigini
che di tanto in tanto mi facevano sbandare sulla sabbia e, certamente,
il sole
del tardo mattino non mi aiutava. Cominciavo a sudare e non era una
cosa
positiva.
Chiusi gli occhi e mi fermai un attimo.
«Ehi, tutto okay?» mi chiese Ian premuroso,
poggiandomi una mano su una spalla
e l’altra sul collo.
«Fa solo molto caldo.»
«Togliti la canotta, no?»
Alzai il capo, immergendomi nei suoi occhi. «Non ho il
costume.»
«Oh. E non ha fatto colazione.» annuii pensieroso.
Alzai gli occhi al cielo. «Dio, non ti sfugge mai nulla,
eh?» dissi cercando un
elastico nella borsa e legandomi i capelli in una coda di cavallo.
«No, se si tratta di te.»
Pensai al mio amore nascosto. Eppure
qualcosa ti è sfuggito…
Alzai il capo di scatto e fremetti. «Lo stai facendo
ancora.» sentenziai
riprendendo a camminare e dirigendomi verso l’albergo che,
oramai, distanziava
poco. Potevo scorgere gli ombrelloni di foglie di palme.
«Cosa?» chiese affiancandomi e rivolgendomi un
sorriso sghembo.
«Minare la mia concentrazione.»
Lui rise e la sua risata mi riempii il cuore. Mi voltai a guardarlo e
ogni
molecola del mio copro era attratta da lui, come se esso volesse
fondersi al
suo, la mia anima abbracciare ed amare ininterrottamente la sua. Avrei
dovuto
esserci abituata, ma ancora mi risultava difficile comprendere un
sentimento
tanto complesso come quello.
L’espressione sul suo viso non fece che rafforzare il
desiderio di amarlo a
lungo, in silenzio, con una tale passione da corrodermi e consumarmi
lentamente, come le braci di fuoco. I suoi occhi languidi mi guardavano
con
gentilezza, con tenerezza e dolcezza, esattamente con avevano fatto in
sala da
pranzo.
Voltai il capo, tornando a guardare dinanzi a me. Cercai di scorgere
qualcuno
in spiaggia e così fu. Stese su una sdraio, Shelly ed Abby,
prendevano il sole.
Mi fermai di colpo e sgranai gli occhi. Tutto, intorno a me, svanii
mentre i
sensi di colpa si facevano avanti divorandomi il fegato. Mi sentii
tanto infima
da essere fonte di disgusto per me stessa, un traditrice che non
coglieva
occasione per amoreggiare con il ragazzo della cugina, una cugina che
considerava una sorella.
«Come posso farle questo?» mormorai più
a me stessa che a Ian. «Come posso?»
E sentimenti contraddittori si abbatterono su di me.
Ian non proferii parola, forse conscio a che lui di quanto basse
fossero state
le nostre azioni.
Sentii le lacrime pungermi gli occhi, inumidirli fino ad offuscarmi a
vista, al
che fui costretta a passarci sopra il dorso della mano, asciugandoli.
Perché rovinare un sentimento talmente puro? Non siamo noi a
decidere di chi
innamorarci, scegliere colui o colei da amare incondizionatamente.
E’ l’amore
che sceglie noi. Succede e basta.
«Vieni, andiamo.» mormorò lui
poggiandomi una mano sulla schiena.
A quel tocco mi divincolai e mi camminai lungo il vialetto, desiderosa
di
andare in camera.
«Helen, aspettami!» esclamò Ian dietro
di me. Svoltai nel vialetto, al sicuro
dietro un’alta siepe del resto incrociai le braccia al petto
e mi voltai a
guardarlo.
«Cosa c’è?» chiesi con tono
duro e voce malferma.
«Cosa ti prende?»
«Non ce la faccio, Ian. Non ce la faccio a guardarla in
volto. Il solo pensiero
di guardarla negli occhi mi disgusta. Io mi disgusto.»
Lui aprì appena la bocca ed annuì piano col capo,
prima di ridere con leggera
isteria. «Così ti disgusta ciò che
abbiamo fatto.»
«No, no!» esclamai scuotendo il capo.
«Non volevo dire questo. E’ solo che…
lei
non sa… e…», il mio respirò
accelerò, nel panico.
«Ehi, Helen, ehi… ascoltami.»
mormorò lui prendendomi il viso fra le mani.
«Respira, okay? Respira con me.»
I miei occhi vagavano fra le siepi e sul muretto del retro, dove non
v’era
nessuno.
«Guardami. Guardami, ho detto!» esclamò
strattonandomi con dolcezza,
afferrandomi la mandibola con una mano. «Uno…
due… tre…»
Con gli occhi fissi sulle sue labbra seguii il suo respirò,
fino a che non si
fu calmato. A quel punto chiusi gli occhi e poggiai la fronte sul suo
petto. Le
sue braccia mi circondarono le spalle e mi strinsero teneramente a
sé, mentre
mi carezzava il capo.
In quel momento, fra le sue braccia, lasciai che qualche lacrima mi
rigasse il
viso. Era assurdo, me ne rendevo conto, tutto così irreale.
Avevo tanto
desiderato durante gli ultimi mesi essere cullata e calmata dalle sue
braccia,
per quell’amore, infondo, mai negatomi.
«Ti accompagno in camera.»
Scossi il capo. «Sto meglio.» dissi guardandomi in
volto.
Alzò un sopracciglio. «Certo.» rispose
asciugandomi le lacrime. «Lo vedo.»
Scossi il capo. «Ian…» protestai.
«Non è il caso. Ti prego, lasciami andare da
sola.»
Scosse il capo. «No.»
Premetti il palmo della mia mano sulla sua guancia.
«Ian… ti prego…» mormorai.
Sospirò abbassando lo sguardo prima di posarlo nuovamente
sul mio viso. Porto
le mani sul mio viso e prese ad accarezzarmi le guance.
«Okay. Ci vediamo in spiaggia.»
Schioccai la lingua.
«Helen!» mi riprese lui.
«Come posso guardarvi insieme, Ian.» gemetti.
«Non sarai costretta a farlo.»
«Sì, invece. Non ti prometto che verrò.
Magari andrò in piscina… chiederò ad
Anthony e Ryan di accompagnarmi.»
«Posso raggiungerti.»
Sorrisi. «Potresti raggiungerci.»
«Ripeto: posso raggiungerti.» disse amabilmente
baciandomi la fronte.
«Mi mancherai.» mormorai chiudendo gli occhi e
affondando il viso nell’incavo
del suo collo.
«Mi mancherà non poterti sfiorare.»
rispose lui baciandomi la spalla nuda.
Alzai il capo e strofinai la mia guancia contro la sua, ad occhi
chiusi,
imprimendo la sensazione della sua pelle sulla mia, poi mi voltai e
sparii
oltre le siepi.
*
Eccomi
ancora qui.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento…
Grazie di cuore ha chi ha recensito lo scorso capitolo e che ha letto
senza
farlo.
Come al solito, risponderò alle recensioni ogni qual volta
verranno lasciate… se
verranno lasciate.
Con immenso affetto,
Panda.
|
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Capitolo 15 *** Capitolo 15. ***
15.
~
Destroy this city of delusion, break these walls down. I will avenge.
Distruggi questa città dell'illusione, fa crollare
questi muri.
Io combatterò.~
Quella
mattina passò con una tale lentezza da apparirmi quasi
eterna. Alla fine non
andai in spiaggia, non ci riuscii. Per quanto il viso di Ian mi
mancasse, per
quanto desiderassi perdermi nei suoi occhi e lasciarmi andare al suono
della
sua voce calda, l’idea di vedere Abby guardarlo con occhi
innamorati ed ignari,
era insopportabile e la consapevolezza di aver tradito la sua fiducia,
con
conseguenti sensi di colpa non avrebbe fatto altro che macchiare una
cosa tanto
pura quale l’amore è, avrebbe macchiato quegli
unici momenti di felicità che
dopo tempo ero riuscita a vivere, quegli unici momenti in cui,
finalmente, mi
eri congiunta ad Ian, in cui lui era stato parte di me ed io parte di
lui.
Azioni e parole che erano state al centro del mio piccolo mondo
immaginario per
così tanto tempo che facevo fatica ancora a credere che
fosse tutto vero.
Perciò, per quanto masochista fossi, non ero pronta a
lasciar che la sensazione
di quell’amore segreto si sgretolasse come pasta frolla,
evitai Abby, sperando
che lei non ci desse troppo peso.
Ora,
stesa in piscina su una sdraio di plastica, con il mio solito cappello
di
paglia e gli occhiali a ripararmi dal sole, mi godevo la sensazione di
calore
che i raggi solari provocavano sulla mia pelle. Tornata in albergo,
dopo la mia
“fuga”, avevo indossato il mio solito costume blu
elettrico, dopo di che ero
andata in camera di Ryan, speranzosa di trovarlo. E così,
fu. Era intento a
riporre le ultime cose in valigia. Avevo raggirato le sue domande su
ciò che
era accaduto l’ora precedente in sala da pranzo, non gli
avevo parlato di Ian,
non volevo nemmeno menzionarlo, perché pronunciarne il nome
ad alta voce mi
stringeva lo stomaco in una morsa. Lui fu più che felice di
accompagnarmi in
piscina, in fondo, sapevo che anche se l’idea non lo
allettava, sarebbe
comunque venuto con me. La fortuna volle che anche Anthony fosse
lì, a cercare
di far colpo su qualche bella ragazza in bikini.
In
quel momento, volsi il capo e sorrisi. Anthony, seduto sulla sedia a
sdraio
allungava il collo per cercare qualche ragazza che prendeva il sole,
come le
giraffe fanno quando cercando cibo.
«Lo
so che sono bello, ma se mi guardi così mi
consumo.» scherzò lui passandosi
una mano fra i capelli e scuotendo la testa, come fossero stati lunghi
e fluenti.
«Chiedo
venia, signora. Ma lei è così bella che non
riesco a toglierle gli
occhi di dosso.» dissi piegando una gamba.
«Cosa
fai? Ti prendi gioco di me?»
«No,
sai che non lo farei mai, Anthony.» sorrisi abbassandomi
appena gli occhiali
sul naso e guardandolo sopra d’essi.
«Uhm…»
mormorò pensieroso prendendosi il mento fra indice e pollice.
«Cosa?»
chiesi corrugando appena la fronte.
«Oggi
sei particolarmente… di buon umore!» sorrise.
Chinai
appena il capo e guardai le mattonelle marroni. Ancora
per poco, pensai.
Feci
spallucce. «Sarà il sole.» farfugliai in
imbarazzo.
«C’è
sempre il sole.»
«Mi
sono svegliata di buon umore, tutto qui.» dissi comprendoni
nuovamente gli
occhi con le scure lenti.
Sospirò.
«Oppure ha conosciuto qualcuno... o tu e
Ryan…»
Sbuffai
e mi misi a sedere. «Oh, sei impossibile! Tra me e Ryan non
c’è nulla!
E’ tanto difficile da comprendere?» domandai
irritata, allargando le braccia.
«Ti
piace.» mi stuzzicò ancora, guardandosi le unghie.
«Oh,
ti odio!» ringhiai balzando in piedi.
«Certo,
certo.» disse lui sfregandosi le unghie sulla spalla.
Ridussi
gli occhi a due fessure e andai via, sbuffando, con il capo a fissare le mattonelle,
ma dovetti fermarmi
di scatto, quando incontrai un paio di piedi. Alzai il capo e il fiato
mi si
mozzò. I suoi occhi, resi color ghiaccio dalla forte luce
del sole, mi
sorrisero con una tale dolcezza da farmi dimenticare perfino come mi
chiamassi.
Le sue labbra nascondevano un sorriso felice, ma gli occhi…
oh, non avrebbero
mai potuto mentire.
«Ciao.»
mormorò mentre un angolo delle sue labbra si sollevava verso
l’alto.
«Ciao…»
soffiai con occhi spalancati.
«Helen,
scherzavo!» sentii Anthony esclamare. «Oh, ciao
Ian!» aggiunse poi e
supposi fosse dietro di me, perché nel salutarlo la sua voce
era più vicina di
quanto credessi.
«Ehi,
Anthony.» sorrise.
«Come
mai qui?»
Mi
resi conto di dare ancora le spalle ad Anthony, mentre fissavo il viso
di
Ian, come fossi una quattordicenne alla sua prima cotta. Mi voltai
appena… e
farlo mi costò tremendamente tanto. Il mio stomaco
s’attorcigliò.
Quando
Ian rispose la sua voce non era del tutto ferma. «Abby
vorrebbe che
veniste in spiaggia.» disse titubante, guardando prima lui,
poi me.
Fu
allora che gelosia e sensi di colpa si abbatterono su di me. Tremai e
la
testa prese a girarmi. Senza rendermene conto gemetti e Ian,
prontamente, mi
mise una mano dietro una spalla, quasi a sorreggermi.
«Tutto
okay?» chiese con premura mentre Anthony chiamava il mio nome.
«Sì.»
«Hai
mangiato qualcosa?» mi chiese serio Ian. Scossi il capo e lui
sospirò,
quasi rassegnato.
«Dev’essere
in ansia per Ryan.»
In
quel momento sentii la rabbia salire ed impossessarsi di me. Il sangue
prese
a ribollirmi nelle vene e le mani a prudermi.
«Anthony!»
ringhiai su tutte le furie, feci un passo indietro e gli diedi una
spinta, ma troppo alto e forte per me, non riuscii a spostarlo di un
centimetro
così, a cadere, fui io. Ma non caddi sul duro pavimento,
bensì in piscina. In
un attimo l’acqua fredda mia avvolse facendomi venire la
pelle d’oca. Quando riemersi
incontrai gli occhi scioccati ed arrabbiati di Ian, mentre Anthony
rideva di
gusto. Mi tolsi gli occhiali, recuperai il capello e nuotando mi
avvicinai al
bordo piscina, lì, trovai la mano di Ian tesa verso me,
l’afferrai ed il mio
cuore sussultò.
«Tu
con me, hai chiuso! Non parlarmi più, non nominarmi
più, e non respirarmi
vicino!» esclamai a Ryan.
«Helen…»
mormorò Ian.
«Oh,
lasciatemi stare!» latrai sbuffando. Presi la mia roba e mi rivolsi nuovamente ad
Anthony. «Per favore,
trovati una ragazza.» sibilai.
«Cosa
succede?» al suono di quella voce il mio cuore
urlò.
«Niente.»
sussurrai guardando la mano di Abby cercare quella di Ian.
«Niente.»
ripetei osservandole, prima di alzare gli occhi sul viso di Abby.
Mi
morsi il labbro inferiore, che prese a tremarmi. Fu allora che avrei
voluto
sprofondare nel sottosuolo e nascondermi. Mi sentii in colpa verso mia
cugina,
una infima traditrice, ma provai un impeto di gelosia nei confronti di
Ian. Ma,
in fondo, che diritto avevo io?
I suoi occhi
m’implorarono perdono, in quell’espressione di
dispiacere. Mi
lasciai accarezzare da essi un’ultima volta, prima di andare
via, ignorando la
voce di mia cugina che non faceva che ripetermi cosa stesse accadendo.
L’indomani, nel tardo pomeriggio saremmo partiti,
così una volta in camera,
dopo essere fuggita dalla crudele scena in piscina, recuperai tutta la
mia
roba, riponendone una parte in valigia, questo non prima di una doccia
fresca.
L’acqua non solo mi lavò via il cloro, il cui
odore impregnava fastidiosamente
i miei capelli, ma mi rilassò e, per alcuni istanti, la mia
testa si sgomberò
da qualsiasi tipo di pensiero, per quanto folle e contraddittorio possa
apparire.
Indossato un vestito in lino color della neve, cominciai a piegare
canotte e
jeans, mentre la mia mente mi scagliava continuamente ricordi della
notte
passata con Ian. Ma al viso di Ian era associato quello di Abby. Era un
circolo
vizioso dal quale non vi era fuga. Così, meccanicamente,
spossata, riposi in
valigia ciò che non mi serviva, fino a quando non fu ora di
pranzo.
Non potei non pensare a ciò che sarebbe accaduto dopo. La
vacanza era oramai
terminata e ognuno di noi sarebbe tornato alla vita di sempre. In
città, a New
Bern, sarebbe stato difficile vedersi spesso e ci saremmo ridotti tutti
a vederci
due volte a settimana, come di consueto. Ian ed Abby non sarebbero
stati per me
più una tale fonte di dolore, attenuato in piccola
percentuale dal non vederli
costantemente. Ma… cosa ne sarebbe stato di me ed Ian? L’idea di una
vita insieme, per quanto
sbagliata fosse, non faceva che tormentarmi, dandomi in principio una
leggera
sensazione di
benessere, in seguito
un’orribile sensazione di tradimento.
Come potevo fare ad Abby una cosa del genere?
Il mio stato mentale era tanto confusionale da non permettermi di
analizzare
razionalmente la situazione, ero in balia degli affetti del cuore che
mi
sballottavano, come fossi una barca a vela in piena tempesta.
Un’orribile sensazione di malinconia e sofferenza non faceva
che avvolgermi e
tenermi stretta sé, come fossi la cosa più
preziosa che avesse trovato, la sua
nuova conquista che non meritava di vivere in felicità e
serenità. Ed in quel
momento mi odiai con tutta me stessa per essermi lasciata trascinare
dall’amore,
di non essermi imposta.
Ghignai. Stupida, mi dissi, conscia
che al cuore non si comanda.
Ero intenta ad
allacciarmi alla caviglia il cinturino dei saldali quando
qualcuno bussò alla porta. Il cuore mi balzò in
gola e cominciò a battere
frenetico. In cuor mio, per quanto odiassi ammetterlo, speravo fosse
Ian, così
balzai dalla sedia, lasciandomi contro la porta. L’aprii
velocemente ed un paio
di occhi color nocciola mi schiaffeggiarono inconsapevolmente.
«Finalmente!»
esclamò lei passandomi accanto ed entrando nella stanza.
Chiusi un momento gli
occhi, come a voler racimolare quel poco di autocontrollo
rimastomi, poi mi voltai, richiudendomi la porta alle spalle, molto
lentamente.
«Abby…»
mormorai cercando di apparire il più naturale possibile,
sorridendo ma
ottenendo probabilmente una smorfia.
«Sei
sparita. Non ti capisco. Cosa succede?»
Tremai ed il mio cuore
pianse silenziosamente. «Ho avuto un sacco di cose da
fare… poi sono stata in piscina… nulla,
è la vacanza…» farfugliai portandomi
una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Lei sbuffò
e si lasciò cadere sul letto, poi parlò.
«Vieni qui.» disse battendo
la mano sul materasso.
Deglutii rumorosamente
e tremante avanzai nella stanza fino a sedermi sul
letto. Lei, poggiandomi una mano sulla spalla, mi attirò
verso il basso e così
mi ritrovai stesa accanto a lei, entrambe supine.
«Io e te non
parliamo più come prima.» disse con convinzione
incrociando le
dita sul ventre.
Pugnalata in pieno
petto. Le parole parvero morirmi in gola.
«Non
è vero.» mentii. «Abbiamo avuto due
giorni intensi.» risposi cercando di
controllare la voce.
«Non so se
crederti.» sospirò voltandosi a guardarmi.
Benché fissassi il
soffitto color della neve, potei osservarla con la coda
dell’occhio e mi sentii
tremendamente per ciò che lei non sapeva e forse non avrebbe
mai saputo.
Sentii le lacrime
pungermi crudelmente gli occhi, così chiusi le palpebre per
fermale. Non potevo lasciarmi andare, non in quel momento, sopraffatta
Ignara
poggiò la testa sulla mia spalla. Quel contatto,
così casuale, mi fece
dolere il petto.
«Basta…
Abby… » gemetti, ma non era riferito alle sue
parole, bensì al dolore
che la sua presenza mi causava, la semplicità e a
spontaneità con il quale
ignara mi parlava. Basta al dolore
in
pieno petto, ai sensi di colpa. Ma, in fondo, me l’era
cercata.
Ad un momento
d’intensa felicità, di magnificenza corrisponde un
momento di
declino e dolore.
«Okay,
okay.» sbuffò mettendosi a sedere. «Ti
va di fare un giro?»
«Io…
devo finire la valigia.»
Sbuffò,
irritata. «Okay. Vuol dire che andrò a farla anche
io. Magari aiuto Ian
a fare la sua.» disse roteando gli occhi.
Udire quel nome fu
come ricevere una pioggia di spilli in pieni viso.
«Ci vediamo
a pranzo.» sorrise poi baciandomi una guancia. «A
dopo.»
Non ebbi io coraggio
di rispondere, le parole mi morirono in gola mentre la
osservavo chiudersi la porta alle spalle.
Cosa stavo facendo?
Mi spazzolai con calma
i capelli davanti al grande specchio sopra il lavabo del
bagno. Mi legai la canotta blu dietro il collo e continui a spazzolarmi
i
capelli, ciocca dopo ciocca. Entro poco sarei dovuta scendere al pian
terreno
per il pranzo… e non ero pronta, in fondo, non lo sarei mai
stata. Sospirai e
lasciai la spazzola sul piano in marmo, mi poggiai poi ad esso ed
incrociai le
braccia al petto. In quel momento qualcuno bussò alla porta.
Pietrificata non
riuscii a muovere un solo muscolo. Più
cercavo di starmene in solitudine più non facevano che
cercare la mia
compagnia.
«Helen?»
udendo la voce di Ryan rilassai i muscoli contratti e, portandomi una
ciocca di capelli dietro un orecchio, gli aprii la porta.
«Ehi.»
sorrisi spostandomi per farlo entrare.
«Sono venuto
a vedere come stavi.» disse premendo il palmo della mano
sulla mi
guancia.
Sorrisi.
«Sto bene, Ryan. Dovresti smetterla di preoccuparti per
me.»
Lui alzò
gli occhi al cielo.
«Davvero!»
esclamai dandogli un buffetto sul braccio.
«Anthony mi
ha raccontato della piscina.»
Digrignai i denti.
«Idiota.» ringhiai.
Ryan rise.
«E’ sorprendete come, in poco tempo, riesca a
mandarti fuori dai
gangheri.»
Mi portai le mani sui
fianchi. «Certo, ridi!» esclamai cercando di
reprimere un
sorriso ed apparire seria. Mi sedetti sul letto con un tonfo sordo.
Ryan si
guardò intorno, soffermandosi con lo sguardo sulla valigia.
«Hai già
liberato l’armadio.» osservò.
Feci spallucce.
«C’è solo l’indispensabile
fuori. Volevo godermi le ultime ore
senza il cruccio dei bagagli.» sorrisi.
«Previdente
come sempre.» sorrise.
Aprii la bocca per
ribattere ma qualcuno bussò alla porta, ancora.
Sbuffai. «Ma
è possibile che non si possa avere un po’ di
pace?» sibilai
alzandomi dal letto. «Spero sia Anthony venuto a chiedermi
scusa.» sorrisi
afferrando la maniglia della porta, ma, ancora una volta,
ciò che vidi non era
ciò che mi aspettavo. Occhi verdazzurro mi scrutarono con
gentilezza, prima di
posarmi oltre me… su Ryan. Il suo voltò
cambiò espressione e notai che aveva
contratto la mascella.
«Ciao,
Ryan.» disse con nonchalance.
«Ehi,
Ian.» rispose lui e sentii i suoi passi avvicinarsi.
«Allora io comincio
ad andare. Ci vediamo di sotto ragazzi.» lo disse poggiandomi
una mano dietro
la schiena, come a volermi dare coraggio. Gli fui grata di quel piccolo
gesto.
«Okay.»
soffiai senza staccare gli occhi dal volto di Ian che fece un cenno del
capo a mo’ di saluto. Lui entrò mentre Ryan
percorreva il lungo corridoio del piano dai muri color panna.
Chiusi la porta,
poggiando i palmi sul legno fresco.
«Perché
sei qui?» chiesi senza voltarmi, poggiando la fronte sulla
superficie
dinanzi a me.
«Avevo
bisogno di vederti.» mormorò con voce calda.
Mi morsi il labbro
inferiore mentre chiudevo gli occhi. «Ti prego, non rendere
le cose più difficili di quanto già
siano.» gemetti.
Avvertii le sua mani
fra i miei capelli, li sentii carezzarli con estrema
dolcezza e delicatezza, prima che si poggiassero sul mio ventre e mi
attirassero e se. La mia schiena aderii perfettamente al suo torace, al
suo
addome, mentre affondava il viso fra i miei capelli.
«Non
respingermi, Helen… ti prego… non
respingermi.» gemette.
Sentii le lacrime
pungermi gli occhi, uscire prepotentemente rigandomi il
viso. Le sue mani erano sul mio corpo,
lui era ovunque e potevo percepire il battito del suo cuore contro la
mia
schiena, il suo respiro sul collo che filtrava attraverso i capelli.
«Non
respingermi ancora, Helen…»
Il suo tono di voce,
disperato fu una lenta pugnalata. Ancora. Perché io lo
avevo già respinto. Lo avevo respinto e lo
avevo fatto soffrire come lui aveva fatto soffrire me. Ma era colpa
mia, era
solo colpa mia.
Poggiai le mani sulle
sue e mi lasciai andare alle lacrime, addolorata…
innamorata.
Lui mi bacio la pelle
sotto il collo. «Ti amo e ho bisogno di te… ho
bisogno di
te come le piante hanno bisogno della luce, come l’uomo ha
bisogno
dell’ossigeno. Sei vita, Helen. Il
tuo cuore… è il mio.»
Fu allora che
racimolai quella minima quantità di forza di
volontà che mi
rimaneva e mi voltai, con gli occhi velati da calde lacrime. I suoi
erano
anch’essi inumiditi e il fiato mi si mozzò. Una
lacrima gli spillò da un
occhio, mi alzai in punta di piedi e, prendendogli il viso fra le mani,
catturai con le labbra quella piccola perla d’acqua.
Lo baciai con estrema
dolcezza e tenerezza sulla labbra increspate dalla
malinconia, mi strinsi a lui, facendo aderire totalmente i nostri
corpi,
lasciando che le sue mani accarezzassero il mio viso come le mie
accarezzavano
il suo, come fossimo stati a lungo separati, un dolce ritrovarsi dopo
una
tempesta. Lasciai che ogni fibra del mio essere si legasse alla sua,
s’intrecciasse per non lasciarla andare mai più.
Fu come forgiare un muto ed
invisibile patto, una reazione metallurgica che avveniva
nell’essenza di noi
stessi, che avveniva fra le parti del nostro profondo essere. Sarei
stata sua,
per sempre. Qualsiasi cosa sarebbe successa, una parte di me avrebbe
sempre
ricordato Ian e quanto intenso fosse l’amore che mi legava a
lui.
Mi allontanai appena,
quel che bastava per guardarlo in volto. «Vorrei che ci
fossero parole per descrivere cosa provo per te, cosa sento
adesso.»
Poggiò la
fronte sulla mia ed entrambi chiudemmo gli occhi, l’uni
stretta
all’altra.
«Io amo te,
Helen. Non Abby. E’ da quando abbiamo cominciato questa
vacanza che
ci penso. Io non l’amo.»
Aprii gli occhi ed
incontrai i suoi. «Non l’ho mai amata quanto amo
te.»
mormorò con voce calda ed incrinata.
«Oh…
Ian…» soffiai prima di affondare il viso nel suo
collo. E le uniche parole
che mi sovvennero alla mente furono: amami
poco, così da amarmi a lungo.
Ancora poggiata alla
porta, stretta ad Ian, mi lasciavo cullare dal suo respiro,
mi lasciavo consolare ed amare dolcemente dal suo corpo caldo. Ero
assuefatta
dal suo profumo, dalla pelle morbida del suo collo sotto le mie mani.
Non c’era
altro intorno a noi, solo Helen ed Ian. Nient’altro.
«E’
meglio andare.»
«Niente
è meglio se non posso toccarti.»
mormorò lui al mio orecchio.
«Non
t’importa che Abby capisca?»
Si
allontanò appena e mi guardò alzando un
sopracciglio. «Ma non hai ascoltato
una parola di quello che detto?»
Sorrisi e gli baciai
il mento. «Intendo… che capisca ora.»
Un angolo delle sue
labbra si sollevò verso l’alto e gli occhi
brillarono come
diamanti al sole. «Vuoi dire che hai intenzione di
dirglielo?»
Lo baciai a fior di
labbra. «Ora, ho compreso. Ho capito, che ci sono cosa
nella vita a cui non si può rinunciare, passioni e
sentimenti che ti tengono in
vita. Una vita senza te, Ian… non è vita.
»
«Voglio solo
che tu comprenda una cosa, Helen. Alla fine di questa vacanza, una
volta tornati a New Bern, l’avrei lasciata comunque.
L’avrei lasciata anche se
la notte scorsa non ci fosse mai stata. L’avrei lasciata ed
avrei bussato alla
tua porta. Mi sarei inginocchiato ed ti avrei detto quanto mi amo,
quanto la
mia vita sia insulsa senza te, e quanto sciocco fui a fidanzarmi con
lei, solo
per dimenticarti. Ma come ci si può dimenticare di te,
Helen?» mormorò
guardandomi con occhi ardenti.
Con il respiro corto e
occhi sgranati cercavo di metabolizzare ogni parola.
Sì, avrei voluto dire, fuggiamo insieme. Andiamo via
mano nella
mano. Amiamoci, ora, domani, dopodomani, ed il giorno dopo ancora. Ma il
pensiero di mia cugina sofferente…
«Ho paura,
Ian.» soffiai.
«Ti prego,
non averne. Non sacrificarti per lei, stai certo che per te non lo
farebbe… ed, in fondo, lo sai anche tu.»
«Non puoi
dirle tutto, ora.» dissi sgranando gli occhi.
«Oh,
sì che posso.» disse risoluto allontanandosi e
trascinandomi via dalla
porta, tirandomi dolcemente per un braccio.
«No, che non
puoi!» esclamai.
«Dici di
amarmi.»
«E’
così.» sussurrai.
«Dobbiamo
dirle tutto. Io, devo dirle
tutto. E lo sai.»
«Ti
prego, sii ragionevole. Non puoi, ora. Non qui. Viviamo tutti a stretto
contatto, ne risentirebbero persone che non c’entrano. Pensa
allo status quo.»
dissi stringendogli il braccio con una mano. «Domani
partiremo, potrai farlo
una volta tornato a casa. Ti prego, Ian, non ora. Voglio che le
parleremo
insieme.»
Per attimi
interminabili i suoi occhi rimasero nei miei, abbassò un
momento lo
sguardo, prima di rialzarlo sul mio
viso. «No, le parlerò io. Le devo spiegare che ci
pensavo da un po’.» annuì.
Sorrisi, rincuorata.
«Come non ci si può innamorare di te, Ian?»
*
Chiedo
umilmente
scusa per l’enorme ritardo, ma l’ispirazione
è scarseggiata.
Ad ogni modo, la storia svolge al termine… finalmente,
direte. :D
Grazie mille per la fantastica attenzione.
Un bacio, Panda.
|
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Capitolo 16 *** Capitolo 16. ***
Salve
gente. Sono “tornata” e mi scuso per la lunga
assenza, ma con la seconda
sessione d’esami concentrarsi su altro è stato
davvero impossibile.
Ringrazio chi continua comunque a seguire la storia. :)
A voi, un bacio, Panda.
16.
~Is
our secret safe tonight?
And are we out of sight or will our world come tumbling down?
Il
nostro segreto è al sicuro stanotte?
E noi siamo fuori dalla visuale o il nostro mondo
andrà in rovina?~
Quando uscimmo
dalla mia camera, prendemmo percorsi
diversi. Tremavo al pensiero di andare a pranzo e vedere Ian, lo
stesso Ian
che diceva di amarmi e che mi aveva ripetutamente sfiorata nei minuti
precedenti, toccare, sorridere o baciare mia cugina. Il solo pensiero
mi
dilaniava il petto in due. Ma… in fondo, ero stata io a
volerlo, no?
Mi passai una mano fra i capelli, cercando di darmi un contegno mentre
schiacciavo il tasto dell’ascensore.
Ian aveva preso le scale e saremmo entrati in momenti diversi, da porte
diverse. Mi sentii perfida, infima, meschina. Una persona che non
poteva fare
nulla alla luce del sole, che doveva giurare amore di nascosto, e
vivere di
baci rubati al tempo.
Mi morsi il labbro inferiore e mi appoggiai ad una delle pareti,
abbassando lo
sguardo. Le porte si aprirono al piano successivo e fui lieta di
incontrare il
viso di Shelly.
Sorrisi. «Ehi, Shelly.»
«Helen! Dove sei finita questa mattina?» chiese
abbracciandomi.
Deglutii a fatica. «Ecco… ero in piscina, poi sono
corsa a fare i bagagli.»
risposi abbozzando un sorriso.
«Tua cugina è fuori di testa. Non capisce cosa ti
prende. Cosa c’è che non va?»
Mi portai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Ero stanca
di sentire
persone che mi chiedevano perennemente se ci fosse qualcosa che non
andava.
«E’ tutto okay, Shelly. Sono adulta,
oramai.» risposi sorridendole.
«Ma sei comunque la più piccola del gruppo.
È spontaneo preoccuparsi per te.»
Feci una smorfia, prima di abboccare un sorriso.
«Già.»
«Oggi pomeriggio vieni in spiaggia, no? E’
l’ultimo giorno… dato che domani
sera si parte e dobbiamo essere all’aeroporto nel
pomeriggio.»
Shelly era da sempre quella logorroica nel gruppo e spesso, quando
parlavo con
lei, non prestavo attenzione ad ogni parola… come in quel
momento. La lasciai
parlare e sentii a malapena cosa avesse da dire su Jared, quanto fosse
meraviglioso e di quanto lei lo amasse. Avrei potuto concentrarmi sulle
sue
parole per non pensare ad altro, ma era del tutto impossibile
poiché il tema
principale era l’amore. Perciò pensai di distrarmi
pensando all’oceano, ai
delfini… immersa nei miei pensieri non mi accorsi di essere
già arrivata in
sala pranzo. Il cuore parve perdere un battito.
Ian era seduto di fianco ad Abby, lo sguardo fisso nella mia direzione.
Aveva i
gomiti poggiati sulla tavola, le mani sulla tovaglia. Lei aveva un
braccio
intrecciato al suo e giocava con le sue mani inerti. Parlava con
Anthony che le
sedeva di fronte e cercò di attirare l’attenzione
di Ian senza riuscirci. Mentre
ci avvicinavamo al tavolo, lei seguii lo sguardo impassibile di Ian,
incontrando così il mio.
Sorrise, confusa. «Helen! Finalmente!»
esclamò.
Cercai di abbozzare un sorriso, sperando che la mia espressione non
apparisse
una smorfia. «Ciao.» dissi.
«Anthony mi raccontava della piscina.» disse con
divertimento poggiando le
tempia sulla spalla di Ian. Nei suoi occhi mi parve
d’intravedere uno spruzzo
di malizia e sfida.
No, mi dissi, no,
impossibile.
Il mio cuore singhiozzò.
«Oh.» riuscii solamente a dire, lì,
immobile, mentre Shelly prendeva posto
accanto ad Anthony e Jared, che baciò sulla labbra.
«Dai, vieni a sederti qui, vicino a me.» disse
battendo sulla sedia.
Deglutii rumorosamente mentre Ian si mosse sul posto.
Sorrisi flebilmente ed annuii col capo. Aggirai il tavolo, guardando il
pavimento rivestito di moquette rossa , e mi accomodai accanto ad Abby,
ancora
stretta ad Ian.
Avrei voluto alzarmi di scatto, urlare e scaraventare il mio piatto
contro il
muro, ma non potevo farlo. Strinsi i piedi attorno alle gambhe del
tavolo.
«Oggi è l’ultima sera. Dobbiamo fare
qualcosa di memorabile.» disse Anthony con
gli occhi che gli brillavano per l’eccitazione.
«Entro i limiti imposti dalla legge.» aggiunse Ryan
alzando un sopracciglio.
Anthony lo guardò prima di sbuffare. «Come sei
noioso.»
«Responsabile.»
Sorrisi e scossi il capo.
«Ti diverti con loro.» mi mormorò mia
cugina.
Non mi voltai a guardarla, cercai di tenere Ian lontano dal mio campo
visivo.
Così, fissai il cestino del pane. «Mi diverto con
tutti.»
«Con me no.»
«Andiamo, non essere ridicola.»
Per alcuni secondi, rimase immobile. Sospirò, poi si
voltò. Non parlammo per il
resto del pranzo.
«E’ la nostra ultima notte, ragazze.
Dev’essere memorabile.»
Io e Shelly ci guardammo, mentre Anthony si portava il bicchiere di Jin
Tonica
alle labbra, svuotando il bicchiere.
«Ora mi fai paura.»
Lui si avvicinò e sorrise maliziosamente. «Dai,
Helen. So che sei d’accordo con
me.», attirò l’attenzione di un
cameriere ed ordinò una tequila.
Alzai un sopracciglio. «Forse è meglio se non la
bevi. Anzi, questo è un
ordine.»
Eravamo in un locale in riva al mare, ci eravamo già stati
lì… quella sera in
cui Ian mi trovò sulla battigia.
«Che ne dite di un menage a troìs?»
chiese alzando ritmicamente le
sopracciglia.
Shelly sospirò e si poggiò allo schienale della
sedia, incrociando le braccia.
Io scossi il capo. «Taci, Anthony.»
«Siete senza spirito d’iniziativa,
ragazze.»
«Sei ubriaco.» sbottò Shelly dandogli un
pizzicotto sul braccio.
«Ora sto sanguinando.» ironizzò guardo
la parte di pelle colpita.
«Basta, è ingestibile.», Shelly
scattò in piedi. «Stacci dietro tu, io non ne
posso più. Vado a cercare gli altri.»
sputò allontanandosi.
Sospirai e mi passai una mano sul viso. Eravamo usciti da circa
un’ora ed
Anthony era già ubriaco. Gli altri ragazzi, inclusa Abby,
erano andati a
prendere da bere al bancone per poi fare un salto in riva al mare. Io
Avevo
convinto Anthony e rimanere, lì, con me, desiderosa di stare
il più lontana
possibile da mia cugina e Ian, il cui pensiero mi causava una
sistematica fitta
di dolore.
Forse, non era stata una buona idea.
In quel momento arrivò la tequila per Anthony.
«Sì, tequila, tu sei il mio unico
amore.» sorrise afferrando il bicchiere, ma
glielo tolsi di mano e rimase con l’arto a
mezz’aria. Si voltò a guardarmi,
fulminandomi.
«Dammela.» sibilò.
«No.»
Ridusse gli occhi a due fessure. «Helen, dammi quel
bicchiere. Ora.»
«Ho detto di no.» risposi con voce dura.
Allorché lui si alzò e si sporse verso me,
cercando di togliermi il bicchiere
di mano. Mi opposi, allontanandomi e alzandomi appena sulle gambe.
Persi
l’equilibrio esattamente come Anthony e la tequila mi
finì sul vestito rosso
che indossavo.
C’immobilizzammo e rimanemmo entrambi a guardarla grossa
macchina bagnata sul
mio vestito senza spalline. Sentii l’irritazione montare, la
rabbia ribollirmi
nelle vene.
«Sei un idiota!» esclamai spintonandolo tanto da
farlo ricadere sulla sedia.
«Mi dispiace!» rispose lui guardandomi negli occhi,
sinceramente pentito.
«Oh, Dio!», allargai le braccia e mi allontanai. Mi
voltai, prima di sparire
dalla folla. «vado in bagno e giuro, giuro su tutto
l’amore del mondo, che se
non ti trovo qui al mio ritorno con un bicchiere d’acqua
invece che di
qualsiasi alcolico, ti faccio diventare sterile.» sibilai.
Non mosse un muscolo. Si limitò a fissarmi, prima che mi
girassi per andare in
bagno. Tagliai per la pista da ballo, dando di tanto in tanto spallate
perché
nessuno era disposto a spostarsi.
Una volta arrivata alla toilette femminile presi della carta e cercai
di lavar
via un po’ di tequila aiutandomi con un po’
d’acqua, ma il risultato, come era
prevedibile, non fu dei migliori.
Poggia le mani sul lavandino e chiudi gli occhi, respirando a fondo.
Questa è l’ultima sera,
Helen, non
facevo che ripetermi. L’ultima sera.
Sì, dopo tutto sarebbe tornato alla normalità.
Oh, ma chi volevo prendere in
giro.
Consapevole di aver lasciato Anthony ubriaco al tavolo, da solo, scossi
il capo
e riavviandomi e capelli uscii dalla toilette e mi diressi verso il
tavolo,
tagliando ancora per la pista da ballo. Una volta arrivata
all’angolo, quello
dov’era il nostro tavolo pensai di aver sbagliato,
perché non vidi Anthony da
nessuna parte, Poi capii che, semplicemente, non c’era.
M’irrigidii. «Oh, oh.» mormorai a me
stessa, mentre spalancavo gli occhi e mi
guardavo intorno.
In quel momento, sì, peggio non poteva andare. Ovviamente,
mi sbagliavo.
Mezz’ora più tardi mi ritrovai a cercare Anthony
accompagnata da
Ryan.
Stavamo cercando sulla spiaggia, un luogo che m’incuteva
terrore, perché
ossessionata dalla vista di Ian stretto a mia cugina, una scena vista
troppe
volte e troppo crudele alla luce dei recenti avvenimenti. Ogni sagoma
avvolta
dall’oscurità era un sussulto.
«E’ come un bambino.»
«L’hai capito solo adesso?» sbuffai
incrociando le braccia al petto.
«Ha anche il cellulare staccato.»
«Potrebbe essersi appartato con qualche ragazza.»
«Perché, una ragazza si sarebbe appartata con un
ragazzo che puzza d’alcool? Di
solito è il contrario.»
«Mai dire mai. Sai, magari lei si è innamorata
guardandolo negli occhi.»
Ryan si voltò a guardarmi. «Ed io sono Nicole
Kidman, Helen.»
Roteai gli occhi. «Era un’ipotesi, Ryan.»
«Cosa farai dopo?» chiese lui voltandosi a
guardarmi, con espressione seria.
«Lo prenderò a pugni, credo… o almeno
ci proverò.»
«Non mi riferivo ad Anthony, Helen.»
«Oh.» chinai
appena il capo. «Ancora
non lo so. E’ tutto così difficile. Ma di una cosa
sono certa, Ryan, rinunciare
a lui sarebbe come smettere di respirare ed ho passato troppo tempo in
apnea.»
Nelle due ore successive alla ricerca del ragazzo perduto, si unirono
anche
Jared e Shelly, che aveva rinunciato ai suoi momenti di
tranquillità.
Cercammo un ovunque, in spiaggia, nel villaggio, nei locali, ma non
v’era
traccia di Anthony da nessuna parte. Stanchi e preoccupati, nel cuore
della
notte, tornammo in albergo sperando che fosse lì, in teoria
avrebbe dovuto, più
o meno, aver smaltito la sbornia.
Di tanto in tanto si intravedevano coppiette che tornavano in stanza,
tenendosi
per mano, e dovetti lottare contro me stessa per non piegarmi in due
dall’invidia.
«Hai provato a chiamare Abby?» mi chiese Shelly in
uno sbuffo.
Mi morsi l’interno della guancia. «Ha il cellulare
staccato.»
«Ian?»
Mi voltai a guardare un punto indefinito della siepe che circondava una
piscina, come se cercassi lì una risposta, ma qualcosa
attirò la mia
attenzione. Tre figure erano sedute sul bordo della piscina ed
affinando lo
sguardo, riuscii a vedere.
Sgranai gli occhi e mi pietrificai, tanto che Shelly mi
chiamò più volte, ma mi
voltai verso di lei solo quando mi scosse.
Imprecai e ringhiai, prima di dirigermi a passo pesante verso la
piscina,
scavalcando la siepe e graffiandomi le gambe.
«Cosa diavolo ti dice il cervello?» ringhiai con il
sangue che mi ribolliva
nella vene.
Le tre figure saltarono e contemporaneamente si voltarono, guardandomi
in modo
confuso.
«Hai idea di quanto ero in pensiero? Quanto ti abbiamo
cercato? Eh? Hai idea di
quanto io voglia strangolarti in questo momento?» urlai
dandogli una spintone
sulla spalla, tanto che, per non cadere in piscina, dovette reggersi ad
Ian.
«Helen, calmati per favore.» mi sussurrò
Ryan afferrandomi per un braccio.
«No che non mi calmo!» esclamai guardandolo.
«Sono ore che lo cerco! Gli avevo
chiesto di restare al tavolo mentre io pulivo il disastro che ha
combinato sul
mio vestito! E lui che fa? Se ne va e nessuno di loro è
rintracciabile sul
cellulare!» gridai fuori di me guardando Anthony.
«Oh, non capivo nulla!» si giustificò
lui.
«Mi sembra che ora non sia così.»
sibilai e, presa dalla rabbia, non notai che
Ian ed Abby si erano alzati dal bordo della piscina.
«Tesoro, calmati.» mi ammonii mia cugina
poggiandomi una mano sulla schiena.
«Non toccarmi!» esclamai.
«Ma cosa ti prende?»
«Cosa mi prende? Ho vagato in cerca di questo idiota per ore!
Preoccupata! E
nessuno qui mi ha avvisata!»
«Rettifico,» disse Shelly, «Abbiamo
vagato.»
«Mi dispiace, ragazzi…sul serio, Helen, non ho
pensato…»
Scossi il capo e sospirai, passandomi una mano fra i capelli.
«Me ne vado a
dormire. Buona notte.» e mi allontanai, contenta che quella
vacanza fosse
finita.
Un’ora dopo mi ritrovai stesa sul letto in posizione supina,
le dita incrociate
sul ventre. Ero stanca, avevo sonno, ma non riuscivo a dormire.
Avevo ignorato l’sms di Abby che mi chiedeva se era tutto
okay e se ero ancora
sveglia. La ignorai quando venne a bussare, ignorai anche Ryan. Avevo
solo voglia
di starmene distesa sul letto e rimuginare su un domani che appariva
una grande
incognita, un gigantesco buco nero. Ma, ora, ero stanca di starmene
lì, così mi
misi e sedere e dopo essermi guardata intorno, mi alzai, indossai un
paio di
calzoncini e afferrai una giacca di cotone che misi sopra la canotta.
Uscii lasciando il cellulare in camera e cominciai a vagare per
l’albergo,
prima di uscire e dirigermi verso la piscina. Tutte le luci erano
spente
eccetto quelle all’interno della vasca ed il loro bagliore
gettava fasci di
luce sulle sedie ed i muri, mentre le increspature dell’acqua
danzavano
rendendo tutto estremamente suggestivo. Camminai lungo il bordo della
piscina
per interminabili minuti, poi mi sedetti immergendo i piedi
nell’acqua,
muovendoli, facendola increspare ancor di più.
Rimasi lì, non so per quanto tempo, stretta nel mio golfino
di cotone, con la
mente immersa in quella piscina, desiderosa di non pensare al domani,
perché il
non sapere che cosa ne sarebbe stato di me, di Abby… di Ian,
mi angosciava, mi
faceva tremare e stringere lo stomaco in una morsa.
«Fa freddo qui.»
Sobbalzai e di scatto mi voltai guardando la figura alle mie spalle.
«Mi hai spaventata.» soffiai senza riuscire a
voltarmi, allontanare il mio
sguardo dall’oceano dei suoi occhi.
«Perdonami. Non era mia intenzione.»
mormorò con voce calda e roca, accennando
un lieve sorriso.
Sorrisi e mi voltai, chinando appena il capo.
«Perché sei qui?»
«Perché ci sei tu.»
Il mio cuore perse un battito.
«Come facevi a sapere che ero qui?»
«Ti ho vista dalla finestra accanto alla tua
stanza.»
Oramai era in piedi accanto a me, alzi il capo per guardarlo in volto.
«Sei stato in camera mia?»
«Avevo bisogno di vederti, Helen.» disse , e la sua
voce era denso miele.
«Davvero?»
Rise sommessamente. «E’ così difficile
da credere?» domando sedendosi accanto a
me, immergendo anche lui i piedi nell’acqua, dopo aver
arrotolato al ginocchio
i jeans.
Sorrisi e scossi il capo. «Non dovresti essere qui. Lo
sai.»
«Oh, hai ragione.» rispose.
Mi morsi il
labbro e mi voltai a guardarlo.
Trattenne un sorriso, poi si avvicinò a me, tanto che i
nostri fianchi, le
nostre spalle si toccarono, mi circondò il collo con un
braccio e mi attirò a
se, poggiando la guancia sulla mia testa.
«E’ qui che dovrei essere.»
«Fra sette ore abbiamo il volo, non credi sia meglio dormire
un po’, Helen?» mi
chiese Ian all’orecchio.
Sorrisi. «No, si sta così bene qui.» mi
lamentai.
Rise sommessamente. «Andiamo, Helen.»
«Per essere privata della tua compagnia?», alzai lo
sguardo sul suo viso. «Come
posso ardentemente desiderare di averti, di stringerti, amarti fino a
che
l’ultimo alito di vita abbandoni il mio corpo e, alla stesso
tempo, desiderare
che tu renda felice mia cugina? Come posso?»
«Qualunque decisione tu prenda, Helen… sappi che
non puoi farci nulla. Non
posso tornare da lei se amo te. Non posso farle vivere una menzogna.
Tra me ed
Abby è finita già da tempo, anche se lei non
vuole ammetterlo… e, forse, non è
mai iniziata. Ci sei sempre stata tu, anche quando per te non
c’ero io. La mia
felicità è incatenata alla tua, la tua alla mia.
Non puoi salvare tutti, non
puoi rendere tutti felici. Ci sarà qualcuno che
soffrirà e lo sai… ma, per
quanto egoista forse possa essere, non posso permettere che sia
tu.»
«Se solo l’avessi capito prima… se solo
avessi compreso ciò che in realtà provavo
quando dicesti di amarmi… sarebbe tutto diverso, ora. Oh, se solo potessi tornare
indietro.» mormorai con voce rotta.
«Ssst. Tranquilla.» sussurrò sulla pelle
della mia fronte. «Ora sono qui.
Nient’altro conta.»
Sorrisi e affondai il viso nel suo collo. «Come
fai?»
«Di cosa parli?»
«Farmi sentire… appagata…
completa.»
«Che buffo,» soffiò sulle mie labbra,
«stavo per chiederti la stessa cosa.»
Poco dopo lasciammo la piscina, l’aria fredda della notte e
ci dirigemmo verso
la mia camera, vicini, le mani che appena si sfioravano. Camminavamo in
silenzio, avevo paura persino di respirare, come se Abby, o qualcun
altro,
potesse avvertire la mia presenza, o il mio tradimento urlare.
Camminavamo con
i sensi di colpa a piegarci le spalle, dolorosi ed inevitabili. Eppure
continuavamo a camminare, a restare l’uno accanto
all’altra spinti legati da un
filo invisibile, da un desiderio di felicità e
l’illusione di un mondo primo di
dolore. Che fosse la scelta giusta, o la scelta sbagliata non ci era
dato di
sapere, ma prendere strade diverse avrebbe significato smettere di
respirare.
Aprii la porta ed entrammo nella stanza.
«Vieni qui.» disse Ian afferrandomi per una mano ed
attirandomi a sé. Mi
strinse con dolcezza, prima di ingabbiarmi il viso fra le mani.
Alzai una mano e gli sfiorai il profilo della mascella, prima di
premere il
palmo sulla guancia.
«Ti amo, Ian.» sussurrai senza smettere di
guardarlo negli occhi.
Sorrise e posò le sua labbra sulle mie,
s’incastrarono, si plasmarono ad esse.
M’inebriai del suo profumo, mi saziai delle sue labbra, mi
ubriacai della sua
dolcezza.
Poi qualcosa interruppe quel momento, un qualcosa tanto simile ed un
fulmine
che fende e squarcia il cielo notturno; un vaso di cristallo che cade
sul
pavimento, frantumandosi; un rumore ed un suono che mi perforarono i
timpani e
mi dilaniarono il petto.
Un forte bussare, una voce.
«Helen, aprimi. Sono Abby.»
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