Assassinio sull'Hogwarts Express

di alechka
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 4: *** Tazze, libri, gatti ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo ***


Nuova pagina 1

        

 

 

 

CAPITOLO I

 

Piattaforma 9 ¾

 

 

 

 

La piattaforma brulicava, letteralmente.

Normale amministrazione da partenza incipiente si potrebbe dire, se non fosse per l’effettiva originalità dei particolari.

 Come ogni anno, da molti anni, la stazione di Londra ospitava uno stravagante campionario di esseri umani: ragazzini eccitati, gufi, calderoni, cappelliere e bauli; voci, grida e saluti. Incontri e, ovviamente, scontri. Madri che abbracciavano i figli confusi e padri frastornati che si preoccupavano di tenere sotto controllo il carrello dei bagagli.

 Qua e là volti noti e visi sconosciuti; un gruppetto di tre ragazzi del sesto anno, alle prese come gli altri con i loro fardelli, era preceduto, accompagnato e seguito da mormorii e occhiate di incuriosita ammirazione.

-Era da tempo che non partivamo con questo sole; speriamo che sia di buon auspicio per tutti!-, disse Hermione Granger con il naso all’insù, scrutando il cielo azzurro sopra la locomotiva.

-Già!-, si limitò a rispondere Ronald Weasley, trascinando a fatica un baule vecchio dall’aspetto decrepito.

-Mi servirebbero un paio di occhiali da sole con le lenti graduate-, osservò Harry Potter, pensando all’eventualità di dover affrontare Lord Voldemort proprio sulla piattaforma 9 ¾ e sotto quella luce accecante.

Eccolo, l’orgoglio di Grifondoro, il terzetto magico, venerato da mezza scuola ma anche odiato da mezza scuola: coraggiosi, onesti e sfacciatamente fortunati.

Ramel Simps scrutò i loro movimenti frettolosi nascosta dietro la sua placida flemma.

Qualcuno le strinse una mano sulla spalla magra coperta da uno spolverino estivo; Ramel, senza neanche voltarsi per scoprire a chi appartenessero quelle dita, inclinò il capo, offrendo in tal modo l’orecchio al suo gentile aggressore.

-Speriamo solo di non ritrovarci nello scompartimento con quei tre, potremmo rischiare di essere confusi per spie di Tu Sai Chi ed essere travolti in modo irreversibile dai loro temibilissimi…STUPEFICIUM!-, le disse Boris Fokine in un soffio, abbracciando la piattaforma con un ampio gesto del braccio.

Lei si girò appena per rivolgergli un sorriso indulgente.

-Quale incredibile avventura attende anche quest’anno l’Auror Clan? Chi, fra i professori salverà le loro preziose chiappe? Chi, all’interno del Ministero lavorerà giorno e notte per non farli spedire direttamente ad Azkaban? Chi, sconsideratamente giacchè sarebbe un gran sollievo, strapperà i loro brillanti ingegni dalle accattivanti grinfie della morte?-

Ramel scrollò le spalle.

-Boris, se continui così sarò costretta a immaginare che soffri di una forma di gelosia acuta. In effetti scusa, la cicatrice che hai sul labbro, sei sicuro che non sia un espediente per somigliare al capo dell’Auror Clan?-

-Sciocchezze. Io sono un uomo della steppa, cresciuto da mamma Russia fredda e implacabile come il ghiaccio. Non sono un inglesino qualunque, fradicio di pioggia e the. Io sono nato su un treno in mezzo ai babbani, non su un comodo letto al San mungo o chissà dove. La mia città ha i canali ghiacciati e le cupole dorate, non mercatini dell’usato e statue di cera!-

-Potresti rimandare l’invettiva di qualche minuto? Non posso nemmeno prendere appunti!-

 Ramel affondò le mani nelle tasche e riprese a camminare scuotendo la testa divertita.

Boris le stava accanto, spingendole lievemente il gomito.

 A volte si stupiva a ridere da sola ripensando a qualche considerazione irrazionale fatta dal suo amico, a come parlava di Michail, il suo gufo, come se fosse l’unico essere intelligente che conoscesse, ai suoi improvvisi accessi d’ira, a quando una volta in Sala Grande aveva scagliato un boccale pieno di succo di zucca contro Gazza che lo rimproverava, beccandosi una punizione affrontata con la più insolente aria di sfida.

 Boris non aveva bisogno di gridare, faceva un passo e l’aria tremava.

Veniva considerato arido da molti, da altri cinico. Aveva una fiera bellezza tartara: zigomi alti e pronunciati, occhi vivi come il mercurio, le labbra sempre pronte a distendersi in un sorriso di scherno, incise da una cicatrice della quale nessuno conosceva la reale origine.

Solo con Ramel la sua indole da animale in gabbia si placava.

 Il loro rapporto andava oltre l’amore. Era amicizia pura, un unico movimento, un unico respiro.

Si capivano al volo senza parlare, a volte senza guardarsi: era Legilimanzia senza incantesimi.

Quando qualche anno prima il professor Lupin insegnò agli studenti del quarto come invocare il proprio Patronus concentrandosi sul ricordo più felice, lei si stupì nel richiamare alla memoria l’immagine di Boris durante la cerimonia dello smistamento: ancora piccoletto, stava seduto tutto impettito con il Cappello Parlante calato sugli occhi tipo colbacco, mostrando un’espressione contrariata che gli dava l’aria di un generale dell’Armata Rossa in miniatura.

Sebbene l’amicizia vera e propria nacque tempo dopo, quel ricordo la riempì di gioia come una risata cristallina e le fece invocare uno tra i più bei Patronus che si fossero mai visti.

Non erano poche le persone che si stupivano della loro rapporto: all’apparenza così male assortiti, così diversi; eppure i loro caratteri l’uno all’estremo dell’altro si toccavano e si combinavano precisamente, facce di una stessa medaglia.

-Forza Ramel! Un po’ di energia! Non vorrei vedere le tue quattro ossa travolte da questo ronzante sciame di ridicoli stregoni. Tanto per dirne uno: patetico tirolese ore 12. Dritto davanti a noi.-

Otto de Fae-Strotten, un Serpeverde alto e allampanato del settimo anno, veniva loro incontro. Camminando a grandi passi, i vestiti lievemente stropicciati, gli occhiali di corno in una mano, la bacchetta nell’altra, abbozzò un inchino con un cenno del capo.

-Salve Ramel. Boris. Mai vista tanta confusione…e poi questo caldo, vero? Che chiasso insopportabile, non ne posso più!-.

Si portò gli occhiali alla bocca, mordicchiando la stanghetta.

Ramel lo guardò incuriosita, notando le nocche bianche della mano che stringeva la bacchetta.

-Otto, sei sicuro di stare bene? Non è che hai ingerito troppa pozione Ventiquattroresveglio? Hai delle occhiaie che ormai tendono al blu pervinca!-

Otto le sorrise debolmente, scoprendo i piccoli denti bianchi irregolari.

-Possibile…sai sono rimasto molto indietro con i compiti di Pozioni…sono messo molto male. A proposito non ti spiacerebbe dedicarmi due minuti? Anche dopo…è per Pozioni, insomma volevo chiederti se mi dai una mano, magari ho sbagliato con qualche dose, credo di essere nei guai, capisci?  Ho passato notti di inferno, temo di non avere via di scampo, Ramel. Allora posso contare sul tuo aiuto? Eh?-

Boris spalancò gli occhi, girandosi lentamente verso l’amica.

 Ma lei non ci fece caso: c’era qualcosa nell’atteggiamento di Otto che le comunicava disagio, tensione. Spostava il peso del corpo da un piede all’altro, si grattava nervosamente la nuca, aveva il fiato corto.

-Ma certo!-, esclamò dandogli un colpetto affettuoso sul braccio, -quando vuoi! Tanto lo sai qual è il nostro solito scompartimento! Passa pure più tardi…-

Ma Otto non la guardava più.

-Otto?-, lo chiamò lei.

Il suo sguardo aveva assunto una fissità spaventosa, il suo colorito era terreo.

Boris lo prese per le spalle e lo scosse con vigore, approfittando della momentanea apatia per rifilargli un paio di schiaffi.

Questa iniziativa parve sortire un buon effetto, poiché si riprese e farfugliando qualcosa che suonava come –A dopo-, Otto de Fae-Strotten girò sui tacchi e in un balzo salì sul treno.

-Ho sempre sostenuto che il tirolese non avesse tutte le rotelle in ordine. Un Serpeverde che chiede aiuto a una Corvonero! E per Pozioni, poi!Come se avere Piton come direttore della propria casa non rappresenti un nulla osta sufficiente verso la gloria. Che bisogno aveva di chiedere consiglio a te? Ad una figlia di babbani professori di storia babbana?-

-Idiota! Non hai capito che non mi stava chiedendo un aiuto per Pozioni? Era una richiesta di soccorso. Aveva paura per qualcosa. O dovrei dire…di qualcuno?-

 Una luce divertita le attraversò gli occhi

 -Guarda là in fondo, vicino all’Auror Clan: chi vedi?-

Boris si voltò e vedendo l’oggetto dell’allusione scoppiò a ridere, seguito da Ramel che tentava di camuffare i singhiozzi con un attacco di tosse: Kimberly Patson e Ralph Renaul si dirigevano tenendosi orgogliosamente per mano verso la carrozza sulla quale era salito Otto, superando con sdegno il Clan impegnato in una fitta conversazione con Geresh Bugow, un Grifondoro del settimo.

Lui, Ralph, un Serpeverde abbronzato, vantava possedimenti in vari angoli del globo e una personalità pallida e insignificante come la polo che indossava; non bellissimo ma molto ricco.

Lei, Kimberly, una Corvonero spigliata e ambiziosa, aveva un carattere detestabile accompagnato da un intelligenza poco vivace; di origini modeste, riscattava il suo misero conto alla Gringott con un’avvenenza particolare, che sfoggiava come se fosse l’opera d’arte di un maestro italiano quattrocentesco. La sua sterile antipatia era diventata ormai proverbiale: i pettegolezzi su come si fosse vendicata del suo ultimo ragazzo, reo di averla lasciata prima dell’estate, si rincorrevano e si arricchivano di particolari talmente raggelanti da mettere seriamente in discussione la sua ottusità.

 Il suo ultimo ragazzo, la sua ultima vittima, era proprio Otto de Fae-Strotten.

 Le chiacchiere più fresche vedevano anche il suo nuovo fidanzato, Ralph, impegnato nella cosiddetta “Operazione o con me o morto”, come era stata chiamata da Ginny Weasley in un articolo dello “Spioscopio”, giornale di Hogwarts specializzato in ciarle e malignità.

Kimberly e Ralph ostentavano un’aria di compiaciuto sussiego, attraversando la piattaforma come se fosse la loro personale passerella.

Boris osservò quella sfilata con malcelato divertimento, stringendo un poco gli occhi per metterli meglio a fuoco.

-Sembra proprio che Ralph sia stato messo al guinzaglio!- esclamò una  voce squillante e vivace.

 Una ragazzina dai capelli rossi e lunghi gettò le braccia attorno al collo di Ramel, stampandole un bacio su una guancia.

 Sempre scarmigliata, con uno stuolo di ragazzi al seguito, costantemente sintonizzata su onde positive Ginevra Weasley era una polveriera pronta a esplodere.

Ramel le rivolse uno sguardo raggiante.

-Sono davvero felice di rivederti, piccola pazza…anche se non mi hai ancora dedicato nemmeno due righe vagamente maligne su quell’insulso giornaletto. E io che ti reputavo mia amica!-

-Per mille bezoar, Simpsy! Per te e per il tuo aspetto da falsa clemente ci vuole un allegato speciale! Ma ti smaschererò uno di questi giorni!-, le disse agitando l’indice con fare minaccioso.

Poco più in là il Clan stava osservando la loro conversazione, lanciando occhiate impazienti in direzione di Ginny.

-Ora vado.- disse lei intercettandone una particolarmente contrariata del Capo Clan. -Ci vediamo alla bicocca o sul ferrovecchio.- indicò con il mento la locomotiva e si allontanò.

Ramel sorrideva ancora quando Boris attirò la sua attenzione tirandole la cinghia della borsa.

-Come fai?-

-Faccio cosa?-

-A trovarla divertente.-

-Non la trovo divertente. Ginny è divertente. E poi ammettilo: hai riso anche tu quando ha descritto gli innumerevoli rotoli della pancia di Pansy Parkinson, chiamandola Espansa Porkinson!-

-Andiamo, Ramel: la Weasley è una dell’Auror Clan! Tronfia, presuntuosa, convinta di avere le carte in regola per salvare il mondo!-

-No. Ginny è a posto. La tua è un’antipatia di principio. Come per Otto. Non lo sopporti perché non vuoi ammettere di trovarlo gentile e cordiale. Non sopporti Ginny proprio perché non puoi detestarla, non hai trovato un buon motivo-

-Rinuncio a capirti. Il procedimento che utilizzi per tentare di dipanare la matassa delle mie antipatie è un po’…- agitò la mano come per tentare di afferrare la parola giusta - ostico e capzioso-

-No, è molto semplice: ti limiti a detestare se non hai una ragione plausibile per disprezzare.-

Boris si strinse nelle spalle.

-Forse. In ogni caso solo un numero limitato di persone arriva a meritarsi il mio disprezzo, ma ritengo che per adesso non ci sia una sola persona all’altezza del mio odio.-

Ramel sollevò le sopracciglia e sospirò rassegnata.

-Ugualmente- continuò con un tono più basso nella voce guardandola dritto negli occhi -concedo raramente il mio affetto.-

Il fischio del treno riempì l’aria, accompagnando il sorriso di Boris.

-E adesso diamoci una mossa: abbiamo temporeggiato come due allegre comari.-

Sollevò Ramel di circa un metro per farla dolcemente atterrare sul pavimento della locomotiva, con una facilità tale da farla apparire fatta di carta velina. Lei si girò tendendo il palmo della mano verso il suo cavaliere, il quale spiccò un salto rimanendo un attimo sospeso per aria, immobile come una fotografia babbana.

Un secondo dopo sparì dietro la sua amica inghiottito dai corridoi della locomotiva.

Pansy Parkinson sbirciò con invidia la scena, chiedendosi se Tiger e Goyle fossero in grado di issarla con eguale leggiadria, ma soprattutto se Draco Malfoy, il suo eterno fidanzato, fosse capace di spiccare un salto così dinamico e perfetto da riuscire a mozzarle il fiato come aveva appena fatto Boris Fokine. L’immagine di un furetto bianco che si contorce nel disperato tentativo di volare, spazzò via con crudeltà le sue fantasie.

La piattaforma 9 ¾ si svuotò lentamente. Gli ultimi ritardatari raggiunsero i loro posti.

I calderoni e i bauli erano stati caricati. I ragazzini del primo anno appiccicavano i visetti sui vetri per non perdersi un ultimo sguardo carezzevole dei loro genitori, un ultimo sventolio di mano.

La locomotiva finalmente sbuffò, stanca di quel perpetuo indugiare, e partì lasciandosi dietro una scia di fumo e sorrisi.

 

 

 

 

 

 

Prossima fermata: omicidio

 

 

 

 GAZZETTA DEL PROFETA

                       

Londra. In un’aula affollata del Wizengamot si è concluso ieri pomeriggio il processo contro i Mangiamorte. Arrestati a giugno all’interno del Ministero della Magia, gli indagati sono stati condannati ad una pena detentiva di diciannove anni da scontare ad Azkaban.

“Dimostrerò l’innocenza e l’onestà di questi maghi. Non ho dubbi sulla loro irreprensibilità. Presenteremo un’istanza d’appello, e allora l’intero Wizengamot si renderà conto del clamoroso errore che ha compiuto nel condannare tre persone dall’animo retto e virtuoso.”, ha dichiarato Gregory Jugson, avvocato della difesa.

“Per ora”, ha affermato Fredrick de Fae-Strotten, giudice primario del Wizengamot nonché Direttore dell’Ufficio Applicazione della legge sulla Magia, “ci riserviamo di condurre indagini anche sulle testimonianze presentate dall’avvocato.”

Lucius Malfoy, William Nott e Peter Tiger non hanno dato alcun segno di turbamento alla lettura della sentenza, limitandosi a salutare i rispettivi familiari.

Narcissa Malfoy, scoppiata in un pianto che ha lacerato il silenzio sospeso dell’aula, è stata portata via dal giovane figlio.

Il processo, reso pubblico per volere del Consiglio, ha contribuito a squarciare il velo di silenzio imposto dal Ministero della Magia, sulla spinosa questione del ritorno di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Nel giugno dello scorso anno infatti, durante la finale del Torneo Tre Maghi, Harry Potter dichiarò di aver assistito alla rinascita del mago…( continua a pag. 2)

 

 

 

Gli occhi di Terry Boot, una graziosa ragazza di Corvonero del sesto anno, scorrevano avidamente le righe della Gazzetta del Profeta. Sporgendosi dalla sua poltrona anche Boris leggeva l’articolo.

-Gira pagina!- le ordinò tentando di afferrare il giornale.

-Aspetta! Io non ho ancora finito!- sbottò Terry, torcendo il busto dalla parte opposta per impedirgli la lettura.

-Hai sentito? Condannati. Diciannove anni di reclusione. Sembra che almeno per un po’ qualche Serpeverde metterà in soffitto la spavalderia!- disse quello girandosi verso Ramel, intenta a riporre la borsa nel portabaule.

-Per ogni Mangiamorte catturato, due nuovi Mangiamorte arruolati- disse sedendosi vicino all’amico.

– Tu Sai Chi ingrossa le sue fila e dal momento che ha potuto farlo indisturbato per un anno intero mentre il Ministero si limava le unghie, non vedo come possano tentare di arginare ora il problema.-

-Per quanto mi riguarda eviterei di allarmarmi troppo: non ritengo il Mago Oscuro molto più malvagio di altri.-

-Sei impazzito? Come puoi fare certe affermazioni?- chiese Morag Mac Dougal con veemenza, sporgendosi  dalla poltrona.

-Nel mondo babbano ci sono personaggi di una ferocia tale da far sembrare il Mago Oscuro un agnellino indifeso - replicò Boris.

-Questo è vero - ribattè Ramel -Ma noi viviamo in questa realtà, fatta di maghi e streghe.  Ne traiamo vantaggi incredibili, privilegi inimmaginabili per un comune babbano. Tuttavia questo mondo non è esente da insidie. Il fatto che l’universo babbano si sia macchiato nella storia di efferati delitti, non esclude che anche Tu Sai Chi sia malvagio e senza scrupoli, e che rappresenti il nostro nemico comune.-

Boris non rispose. Cambiò posizione sulla poltrona, incrociò le braccia sul petto e rivolse la sua attenzione al paesaggio che scorreva veloce.

Morag mostrava ancora un’ombra di stupore. Sua madre, ai tempi di Voldemort, venne accecata da una maledizione scagliata da un Mangiamorte introdottosi clandestinamente in casa loro.

Ramel l’aveva conosciuta un’estate di tre anni prima alla stazione.

Una donna che conservava intatta la sua bellezza: lunghi capelli biondi e un’espressione cordiale nei modi e nella voce. Si stringeva al braccio del figlio e gli parlava piano. Quando Ramel si presentò alla signora Mac Dougal non ebbe il coraggio di guardarla in faccia, per quanto gli occhi fossero nascosti da un paio di occhiali scuri. Dopo tre anni il ricordo di quel suo atteggiamento la infastidiva ancora: non si era mai sentita così infantile.

 

                                               *             *             *            *

 

Proseguirono per qualche minuto senza parlare.

Le voci degli altri scompartimenti arrivavano attutite. Michail, il gufo, dormiva nella sua gabbia coperta dal mantello che il padrone aveva adagiato sopra.

Terry leggeva silenziosamente, Morag succhiava concentrato una caramella e Boris continuava a guardare fuori dal vetro, facendo ciondolare una gamba con indolenza.

-Boris?- Ramel gli sfiorò il braccio.

Lui voltò lentamente il viso, soffermandosi per un istante a osservare il maglione a rombi di Morag per poi fissare lo sguardo sugli occhi dell’amica.

Rimasero così per qualche secondo, fino a quando lui non le prese il mento tra il pollice e l’indice.

-Sei tu l’erede di Albus Silente. Saggia e noiosa come lui-, la lasciò andare e lei sorrise cauta.

 -E…guardandoti bene,- continuò aggrottando la fronte -hai addirittura un principio di barba bianca!-

Ramel gli rivolse uno sguardo cupo, ma non riuscì a trattenere una risatina traditrice.

Terry ripiegò il giornale con un fruscio e lo offrì a Boris.

-Tieni! Ora è tutto tuo!- 

-No, basta. Non mi interessa più!- disse lui sbrigativamente e lo lanciò in un sedile vuoto.

- Ramel, che fine ha fatto il tuo gatto?- fece Morag notando l’assenza di una gabbia nella rastrelliera. Terry si chinò in avanti incuriosita.

-Oh! Rufus è morto…- rispose con naturalezza.

Morag si portò le mani alla bocca e spalancò gli occhi.

-Scusa! Non lo sapevo!-

-E’ una notizia terribile!-

-Anche Michail quando l’ha saputo ha avuto la vostra stessa reazione!- concluse Boris indicando la gabbia.

-Sei proprio un insensibile.- disse Terry scrutando Ramel, come se avesse paura di vederla scoppiare a piangere da un momento all’altro.

-Oh, sai, era un gatto molto vecchio e molto malato.- la rassicurò. -  Il veterinario ha detto di non averne mai conosciuto uno così longevo…-

-Era un animale simpatico!- esclamò Morag pescando fra i ricordi. - Non dava fastidio a nessuno.-

Ramel si alzò e prese la borsa dal portabauli; frugò in una tasca ed estrasse una fotografia per porgergliela.

-Gliel’ha scattata Colin Canon l’anno scorso.- lui sorrise nell’osservare i baffoni del vecchio Rufus che si alzavano e si abbassavano al ritmo del suo russare.- Dormiva per la maggior parte del tempo!-

Terry chiese di poter vedere la foto, scoccando uno sguardo di rimprovero a Boris.

- Potresti chiedere a Gazza di prestarti Mrs. Purr. O se preferisci puoi occuparti della pulizia della gabbia di Michail- le propose lui, tirandola per la manica, sorridendo come se avesse avuto un’idea grandiosa.

- Tienitelo tu quel vecchio barbagianni!- rifiutò lei fingendo una smorfia disgustata.

- No, non mi hai capito: non Michail, ma la sua gabbia!-

Lei lo ignorò sfacciatamente.

Boris si poggiò allo schienale della poltrona e seguì i movimenti fluidi di Ramel mentre alzava le braccia per rimettere a posto foto e borsa. La vide ridere a una battuta di Terry, piegando la testa all’indietro e osservò la linea del collo flessuoso esaltata dalla luce del sole che proveniva dalla finestra.

Ramel si voltò a guardarlo con i grandi occhi stretti in un’espressione interrogativa.

Boris estrasse la bacchetta e la agitò mormorando qualcosa sottovoce.

Si materializzò in aria un gatto in bianco e nero, come se fosse l’immagine di una vecchia pellicola. Fluttuò in aria, fatto di fumo. Non sembrava il vecchio Rufus, era solo un gatto. Avvicinò il muso impalpabile alla guancia di Ramel per farle le fusa. Lei vi soffiò contro e il gatto svanì.

Boris non si scompose.

- Magia da dilettanti- disse lei con sufficienza.

Tornò al suo posto e si immerse nella lettura di un vecchio numero dello “Spioscopio”.

 

                                              *              *            *         *

Il paesaggio aveva lentamente cambiato aspetto: dopo la periferia londinese industriale e suburbana, attraversavano pascoli che rilucevano al sole settembrino.

Un gran frastuono annunciò loro l’arrivo del carrello delle cibarie. Uscirono dallo scompartimento riversandosi sul corridoio affollato.

I ragazzi delle quattro Case invadevano la corsia del treno ordinando dolci, salutando amici, discutendo sull’ultima partita dei Cannoni di Chudley.

Morag comprò caramelle in quantità, una sua personale passione, aiutato nella scelta da Terry, mentre Boris ordinò solo una tazza di caffè nero bollente.

In fondo al treno, vicino alla toilette, Otto sventolò la mano nella loro direzione. Tentò di aprirsi un varco tra la folla, ma il caos era davvero troppo per lui che sembrava già abbastanza provato; roteò l’indice come per dire “ a dopo” e fece dietro front dirigendosi al bagno.

Cho Chang passò davanti a Ramel facendo ondeggiare i capelli neri e rivolgendole un saluto poco caloroso.

- Ciao.- rispose Ramel in tono piatto.

- Quest’anno la squadra avrebbe bisogno di nuovi giocatori.- disse Cho facendo una pausa come se le costasse continuare. –Non è che qualcuno di voi è interessato a fare i provini? Si terranno la settimana prossima.-

Boris, che aveva poggiato la spalla sullo stipite della porta sorseggiando il caffè, rifiutò laconicamente la proposta, liquidando con un – Preferisco fare altro nelle mie ore libere- la questione Quidditch.

Cho proseguì per la sua strada, superando un gruppetto di Grifondoro: Harry Potter aveva fissato al di sopra della spalla di Geresh Bugow tutta la scena. 

Ginny si staccò a fatica da una conversazione con Hermione, che sembrava non avere altra preoccupazione al di fuori della limitata vastità del programma di Aritmanzia.

-E’ troppo poco! Alla fine dell’anno ci ritroveremo con una preparazione scarsa e inutile!- continuava a ripetere.

Ramel aveva sempre pensato che assumesse quel tono da cervellona per tentare di giustificare l’aspetto trasandato e i capelli crespi.

Ron, rimasto l’unico spettatore di quel monologo incessante, alzò gli occhi al cielo e scappò nella cabina.

Ginny riuscì a sgattaiolare e raggiunse Ramel. Aveva le guance accese e un sorrisetto malizioso.

-Hai visto come Potter vi studiava con attenzione? Mi sa tanto che è ancora innamorato della Chang! Ho fatto fare a Colin una marea di foto, così le pubblichiamo nel prossimo numero con tanto di articolone strappalacrime sui loro cuori infranti! Sai che smacco per tutti e due?- rise Ginny.

Ramel la invitò a entrare, ma lei disse che doveva ancora finire il giro delle sette chiese: si trattava di andare a salutare tutte le sue talpe, studenti di Hogwarts che le passavano informazioni top secret per il giornale.

Ramel pagò un succo di zucca e si girò per tornare nel suo scompartimento.

Vicino al bagno notò Malfoy, Tiger, Goyle e Nott parlare sommessamente, lanciandosi sguardi foschi e passandosi una copia della Gazzetta del Profeta. Nott si accorse di essere osservato e sospinse gli amici all’interno della cabina, indirizzandole un’occhiata indecifrabile.

Lei rientrò e si sedette.

Ripensò a quei ragazzi e ai loro padri condannati. Immaginò l’ostilità della scuola che premeva contro di loro. Hogwarts, sempre pronta ad accogliere i giusti e i puri di cuore, sempre incline a celebrare con fasti i probi e gli onesti. Ma Hogwarts sapeva anche voltare la faccia e rendere la vita difficile a chi aveva il padre ad Azkaban, facendo pagare un conto amaro fatto di solitudine e pregiudizio.

Per quanto Ramel non avesse mai trovato neanche lontanamente sopportabile Draco e la sua gang,  concluse fra sé che quei ragazzi con tutta la questione dei Mangiamorte, non avevano nulla a che fare.

 

                                     *              *                *             *

 

Il treno continuò a sferragliare per qualche ora; molti si assopirono cullati dal movimento ritmico della locomotiva sulle rotaie. Un conciliante brusio accompagnò Ramel in un sonno leggero senza sogni, dal quale ogni tanto si destava, sbirciando da sotto la palpebra socchiusa quanto mancasse all’arrivo.

Quando il sole era ormai tramontato, i movimenti e le chiacchiere di Terry la svegliarono del tutto.

-Dobbiamo già cambiarci?- disse allungando braccia e gambe per stiracchiarsi ma si ritrovò avvolta in qualcosa di nero e pesante dalla testa fino alle ginocchia.

Boris la liberò dal suo mantello col quale l’aveva coperta durante il suo sonno, facendolo fluttuare in aria per poi adagiarselo sulle spalle.

- Ma non stava sulla gabbia del tuo gufo?-

-Si, ma ho notato che stavi andando incontro a un principio di assideramento e mosso da pietà ti ho salvato la vita.- rispose armeggiando con l’alamaro della chiusura.

La luce fioca della cabina gli illuminava solo una parte del viso mettendo in risalto la cicatrice sul labbro superiore. Con la divisa e il mantello, Boris aveva un magnetismo feroce, quasi irreale. Ramel notò che anche Terry era rimasta impigliata nella trama di quelle radiazioni; i loro sguardi si incrociarono ed entrambe ebbero la netta sensazione di avere stampata in faccia l’espressione rapita di chi vede la bellezza da vicino.

Terry annuì lentamente e le andò vicino con l’intenzione di porgerle la divisa.

- A volte è così bello che mi mette quasi in imbarazzo!- le bisbigliò in un orecchio ridacchiando e passandole la cravatta nera e blu.

Boris armeggiava con i bagagli; prese quelli di Ramel con un braccio e con l’altro i suoi.

Morag tentò di occuparsi della borsa di Terry ma la afferrò maldestramente, facendola atterrare con un tonfo sinistro sul pavimento.

Qualcosa di fragile all’interno andò irrimediabilmente in mille pezzi.

I lineamenti fini e delicati da bambino di Morag si contrassero in una smorfia di costernazione, i boccoli biondi parvero afflosciarsi. Ramel scoppiò a ridere, Boris si girò appena per valutare se l’episodio fosse degno della sua attenzione e Terry guardò la borsa come se non la riconoscesse.

- Mac Dougal.- mormorò - Pagherai per questo gesto da sprovveduto. Reparo!-

Agitò la bacchetta verso la borsa.

-Morag! Stavo scherzando! – gli disse ridendo e abbracciandolo.

Gli occhi azzurri e limpidi di Morag ripresero un’apertura normale e un po’ di colore tornò sulle sue guance.

Boris si girò verso Ramel scuotendo i capelli.

-Ma quanti anni hanno?-

Hogwarts apparve dietro la collina.

-Esattamente quanti ne abbiamo noi, mese più mese meno.-   

 Una pioggia sottile tamburellò sul vetro.

 -Mentalmente, intendo.-

Il treno cominciò a rallentare.

-Perché, quanti anni mentali credi di avere in  più?-

Si accesero le luci del corridoio.

-Intorno ai quindici.-

-Illuso.-

Poi un urlo lacerò l’aria.

Coprì il fischio del treno. Trapassò le pareti, fece vibrare i vetri e le rastrelliere. Risvegliò i gufi, spalancò bocche, perforò orecchie. Atterrì cuori e muscoli.

Harry Potter fece l’unica cosa sensata: lanciò le scintille rosse di pericolo verso il cielo blu cobalto.

In un istante riapparve la folla sulla corsia, ma questa volta non aleggiava nessuna spensieratezza.

I ragazzi accalcati facevano domande alle quali nessuno seppe rispondere. Solo una notizia certa giunse da uno scompartimento in fondo al corridoio.

Un ragazzo era morto.

-Ma chi?- chiese Ramel dalla soglia della sua cabina.

Infine, ecco, la risposta arrivava. Poteva quasi vederla rimbalzare di bocca in bocca, e la colpì come uno schiaffo in pieno volto.

-E’ morto Otto. Otto de Fae-Strotten. L’ha trovato Millicent Bulstrode. E’ lei che ha urlato.-

La folla perse i contorni, Ramel non vedeva più nessuno.

Serrò la mascella e dilatò le narici. Boris vide i suoi lineamenti farsi di ghiaccio.

Ramel strinse i pugni e si girò verso di lui.

-Fai tornare tutti negli scompartimenti.- aveva nella voce la freddezza dell’acciaio.

Boris uscì, implacabile e autoritario.

I ragazzi si ritrassero sgomenti sotto il suo sguardo severo.

Il treno era ormai giunto a destinazione.

La piattaforma della stazione di Hogsmeade brulicava, letteralmente.

Ma di paura e terribili aspettative.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo ***


Nuova pagina 1

                                              DA HOGSMEADE AL CASTELLO

 

 

 

Le ultime ore furono penose e stancanti.

Le scintille sparate da Harry Potter misero in allarme i professori e gli Auror che pattugliavano i confini della scuola.

Gli studenti rimasero nei loro scompartimenti, mentre gli uomini mandati immediatamente dal Ministero facevano i primi rilevamenti nel tentativo di trovare una pista da seguire.

L’uomo incaricato di fare gli interrogatori preliminari era l’ispettore Polemius:  basso e grosso, aveva nerissimi capelli lanosi che spuntavano direttamente dalle sopraciglia, formando un tutto unico con la barba ispida mal rasata e disordinata. Indossava un impermeabile che un tempo doveva essere stato di buon taglio, ma nottate passate in bianco a bere caffè e a risolvere misteri l’avevano trasformato in un informe, trascurato cencio.

Ai collaboratori che si avvicinavano per chiedergli istruzioni rispondeva bruscamente, assorto in altri pensieri. Fumava delle sigarette puzzolenti con estremo disgusto: aspirava concentrato e fissava la cenere ardente come se volesse interrogare anche lei. Soffiava via il fumo e scuoteva la testa indispettito.

Più che parlare Polemius borbottava e lasciava che la penna prendiappunti scivolasse sul taccuino giallo spandendo macchie d’inchiostro dappertutto.

Quando entrò nello scompartimento di Otto si guardò attorno con aria distratta.

Squadrò con distacco la vittima, estrasse da una tasca un fazzoletto logoro e con quello raccolse da terra gli occhiali di Otto. Li studiò un attimo e li infilò in un sacchetto trasparente che tenne con sé.

- Morte naturale o indotta?-

- Probabilmente omicidio, signore. Abbiamo trovato tracce di Narcomors sugli occhiali, sulle dita e sulla bocca della vittima.-

Polemius tirò una profonda boccata dalla sigaretta azzurrina.

- L’autopsia?-

- I risultati saranno pronti fra pochi giorni, ispettore. Finiamo di fare gli ultimi rilevamenti e portiamo il corpo al San Mungo.-

- Trovato altro?-

- No. Purtroppo nulla che ci avvicini a una traccia sicura.-

Polemius si grattò con interesse la barba ispida che spuntava dal collo portando in avanti il mento.

- Devo procedere con gli interrogatori.-

- Signore, le ho fatto liberare la cabina del capotreno.-

- Si. Allora li convochi uno ad uno. Questi li prendo io.- disse sventolando la busta con gli occhiali. Sembrò sul punto di voler aggiungere qualcosa ma poi lasciò perdere e un po’ di cenere cadde sul pavimento.

I primi ad essere sentiti furono i due compagni che si trovavano nello scompartimento con Otto durante il viaggio.

Seduto sul bordo della sedia Ernie Mac Millan si torceva le mani e sudava visibilmente.

- Quando è passato il carrello dei dolci Otto è uscito ma io sono rimasto all’interno del nostro scompartimento. Poi mi sono addormentato fino a poco prima che Millicent scoprisse…tutto.-

Polemius gli fece ancora qualche domanda e lo liquidò senza dire una parola ma solo indicandogli la porta. Ernie Mac Millan schizzò fuori come una trottola lieto di andarsene.

Nel corridoio incontrò Millicent, ancora visibilmente scossa.

- Tocca a me.- sospirò lei sgranando gli occhi ed entrando nella cabina.

Durante l’interrogatorio nel ricordare quei momenti difficili, le lacrime ripresero a sgorgare fra gli sbuffi infastiditi di Polemius.

Raccontò che verso metà viaggio Otto cadde in un sonno sereno senza dare alcun segno di malessere.

- Anzi aveva un’aria talmente stanca, che quando l’ho visto assopito non mi sono neanche mossa per evitare di disturbarlo. Poi, quando ormai stavamo per arrivare, ho provato a svegliarlo ma sembrava che non mi sentisse. Allora gli ho dato un colpetto sulla spalla e lui…- singhiozzò forte e si soffiò il naso- è caduto riverso sull’altro sedile. Gli si sono aperti gli occhi e io…ho urlato perché avevo capito che era morto!-

Millicent aveva il viso rosso e l’aria affitta. Si sforzò di rimanere lucida per rispondere alle domande ma in alcuni momenti non riusciva a parlare perché il respiro affannato le chiudeva la gola.

L’ispettore Polemius attese che si calmasse accendendosi una sigaretta. Con una mano si reggeva la tempia come se il capoccione cominciasse a pesare un po’.

- Di chi sono quelli?- le chiese fissando la busta contenente gli occhiali.

Millicent li mise a fuoco attraverso il fumo e la fuliggine.

- Sono di Otto. Li aveva persi. Dopo che è tornato dal bagno…-

- Quando è andato in bagno?-

- Quando è passato il carrello dei dolci.-

Polemius si grattò la fronte con le dita tozze.

- Continui.-

- Dopo essere tornato dal bagno, dopo circa mezz’ora voleva leggere qualcosa. Così si è accorto di non avere gli occhiali con sé. Mi ha chiesto se li avessi visti da qualche parte. Io mi ricordavo che se li era infilati nella tasca dei pantaloni quando era uscito in corridoio. Gliel’ho detto ma lì non c’erano. Allora gli ho suggerito di controllare nel corridoio o nel bagno, potevano essergli caduti, c’era un sacco di gente e confusione. Infatti li ha trovati nella toilette sotto il lavandino.-

- E poi?-

- E poi nulla. Si è addormentato.-

L’ispettore spense la sigaretta come se volesse uccidere uno scarafaggio sgradevole.

- No. Prima.-

Millicent lo guardò intimorita senza capire.

-Ma prima di cosa?-

- Con gli occhiali, cosa ha fatto?-

La ragazza sembrò sul punto di lasciarsi andare a una crisi di nervi, ma poi corrugò la fronte e si ricordò.

- Aveva il vizio di mordicchiare la stanghetta. Anche poco prima che si addormentasse lo stava facendo. Anzi, ora che ci penso è stata l’ultima cosa che ha fatto prima di…morire!-

E Millicent, esasperata,  si lasciò trasportare al largo dal pianto.

Polemius capì che non era più possibile tirarne fuori qualche altra informazione utile e decise di proseguire con gli altri ragazzi.

 

 

Quando Ramel si recò nello scompartimento del capotreno per il suo interrogatorio, la prima cosa che vide fu la testa nera dell’ispettore china sul tavolo.

Si schiarì la voce e lui alzò il viso. Lei trattenne un sorriso sbigottito, notando come la fuliggine gli aveva sporcato il viso e la giacca facendolo sembrare l’ultimo degli spazzacamini.

- Si sieda. Dichiari nome, cognome, casa di appartenenza.-

- Ramel Simps. Diciassette anni. Corvonero.-

La penna prendiappunti sfrecciò solerte sul taccuino giallo e una goccia d’inchiostro volò indisturbata atterrando sulla cassetta portacarbone che per l’occasione serviva da scrivania.

- Lei conosceva la vittima?-

Si accese una sigaretta e sputò il fumo dagli angoli della bocca.

- Si. Lo conoscevo dal primo anno.-

- Eravate amici.-

Le parole di Polemius non prevedevano la possibilità che tra il conoscersi e l’essere amici ci fosse una preziosa differenza.

Ramel decise di specificare il più possibile il rapporto che aveva avuto con Otto. Un fiotto inaspettato di nostalgia le serrò la gola. Lo rivide un Natale di due anni prima quando, al Ballo del Ceppo, danzarono per un po’ assieme parlando di letteratura. Trasse un profondo respiro, ricacciò indietro la malinconia e parlò.

- No, non eravamo proprio amici. Però ci capitava di scambiare qualche chiacchiera. Non parlavamo del tempo o della scuola. Si trattava in un certo senso di confronti culturali. Vede, io sono figlia di babbani docenti di storia. Lui era figlio di maghi appartenenti a una delle famiglie più antiche e blasonate. Così ogni tanto quando ci incontravamo parlavamo dei nostri rispettivi mondi; lui mi raccontava le vicende delle grandi famiglie di maghi che avevano fatto la storia, e io gli raccontavo di Elisabetta I o della Rivoluzione Inglese. La sua compagnia era piacevole, ma tra di noi non ci sono mai state confidenze o segreti.-

Polemius giocherellava con la sigaretta facendola rigirare tra le dita. La penna si bloccò in attesa. Ramel si chiese se l’ispettore l’avesse ascoltata, perché sembrava concentrato a portare avanti un dialogo muto con il polsino dell’impermeabile.

- Ha notato qualcosa di strano durante il viaggio? Qualcosa di anomalo?-

Ci pensò. Sottili gocce di pioggia sul vetro rompevano il paesaggio in minuscoli pezzi di cristallo.

Il buio della cabina veniva malamente rischiarato da una misera candela.

- No. Ci siamo visti prima di salire sul treno. Mi ha detto che sarebbe passato per chiedermi chiarimenti sui compiti estivi, ma poi l’ho visto solamente in corridoio, quando è arrivato il carrello.-

Polemius si sporse in avanti, la luce della candela lo illuminava dal basso e lo faceva decisamente brutto.

- Conosce qualcuno che avrebbe potuto avere un motivo per ucciderlo? Invidia, gelosia, vendetta trasversale, regolamento di conti?-

La guardò di sottecchi allontanandosi e ripiombando in una zona d’ombra.

“Regolamento di conti?” pensò. Ma chi poteva avere qualcosa da far pagare a Otto, sempre così gentile e inappuntabile con chiunque?

- No. Assolutamente no.- rispose Ramel con fermezza.

Lui parve deluso da quella risposta. Le chiese se avesse ancora qualcosa da dichiarare, lei scosse la testa e fu libera di andarsene.

Mentre tornava nella cabina ebbe la sensazione che se avesse fatto qualche nome o anche solo un’allusione, Polemius  le avrebbe stretto la mano soddisfatto e la penna sarebbe scoppiata di gioia.

Ma lei non nutriva alcun sospetto; si sentiva solo profondamente perplessa e abbattuta.

Gli interrogatori proseguirono per diverso tempo. Sicuramente ci fu chi palesò i propri dubbi riguardo all’innocenza di alcuni, con il risultato che su una pagina del taccuino di Polemius cinque nomi vennero cerchiati e sottolineati.

Ramel entrò nello scompartimento chiudendosi la porta scorrevole alle spalle e accomodandosi sulla poltrona.

- Ho sentito che hanno fatto dei nomi.- disse Terry

- Cinque, per la precisione.- concluse facendo ondeggiare le dita.

Morag sembrava ancora sconvolto. Non aveva proferito parole nelle ultime ore se non quando fu costretto a recarsi dall’ispettore per il suo interrogatorio.

- E chi sarebbero?- chiese Boris porgendo una tazze di caffè a Ramel.

- Allora, i primi due sono Kimberly e Ralph.- fece uno sguardo significativo.

- No. Non li conosco. Passa oltre.-

Ramel prese la tazza di caffè sfiorandogli le dita.

Lui si voltò e lei gli sorrise.

- Ma si! Non puoi non conoscerli! Sono la coppia dell’estate!-

 Terry quasi urlò scandalizzata dall’apprendere che ci fossero persone disinteressate al gossip.

Ramel sorseggiò la sua bevanda. Ringraziò mentalmente la signora del carrello che aveva offerto a tutti un caldo ristoro per aiutarli a superare lo shock. Si domandò se Polemius avesse interrogato anche lei. Osservò il braccio dell’amico accanto a lei: almeno non era sola.

Boris aveva capito che era un po’ di caffè e la voce sonora di Terry ciò di cui aveva bisogno e aveva provveduto all’una cosa e all’altra.

- Ti assicuro che non me li ricordo.-

Terry si alzò sbuffando e andò a sedersi accanto a Morag prendendolo sottobraccio.

- Per farla breve: Kimberly e Otto erano fidanzati. Lui l’ha lasciata a giugno, qualche giorno dopo quell’affare dei Mangiamorte al Ministero. Lui era benestante e lei si faceva riempire di regali. Quando ha capito che la miniera d’oro le aveva chiuso i battenti in faccia, Kimberly ha cominciato a dare di matto.-

Fece una pausa da perfetto narratore. Boris la invitò a proseguire.

- Insomma, ha dato fondo alla fantasia nell’architettare le sue vendette. Pensa che una volta Otto ha ricevuto per posta una Fattura Gambizzante. Nello stesso istante la lettera è esplosa incendiando il divano sul quale lui era seduto. Fortunatamente era abile con gli incantesimi e ha spento il fuoco prima che lo travolgesse.-

Morag cominciò a interessarsi e fissò Terry intrigato.

Ramel terminò il suo caffè e si sistemò più comodamente sulla poltrona, allungando le gambe coperte da un paio di pantaloni che le scoprivano le caviglie sottili.

Quando Terry fu sicura di avere tutti gli occhi puntati su di lei, tranne quelli di Boris che ogni tanto fuggivano per controllare Ramel, riprese.

- Naturalmente queste informazioni le dobbiamo a Ginny Weasley. Il numero estivo dello Spioscopio è stato da Premio Strega! Comunque, stavo dicendo: Kimberly ha iniziato a coinvolgere anche Ralph nelle sue attività vendicative e Otto era messo talmente male, che alla fine si è visto costretto a ricorrere a Madama Fallaway, la famosa strega specializzata nel togliere i malocchi e affini, una settimana fa circa. E questo è quanto.-

Drizzò la schiena e bevve un sorso d’acqua.

- Per quanto riguarda gli altri, il discorso è forse più semplice, ma è pure più grave.-

Il suo sguardo diventò serio. Strinse un poco le labbra e indicò il giornale che stavano leggendo quella mattina.

- Gli ultimi tre sospettati sono Malfoy, Tiger e Nott. Credo che il perché sia chiaro a tutti. Ieri pomeriggio i loro padri sono stati incarcerati . Fredrick de Fae Strotten, il papà di Otto, è uno che conta nel Ministero: è stato lui a proporre i diciannove anni detentivi ad Azkaban. Ed è stato ascoltato.-

I quattro ragazzi osservarono il via vai di maghi e streghe attraverso il vetro della porta scorrevole.

Tutti gli studenti si trovavano ancora chiusi negli scompartimenti, in attesa che finissero gli interrogatori. Molti si chiesero perché il padre di Otto non fosse ancora arrivato, ma quando lo videro comparire con indosso la veste color prugna del Wizengamot, intuirono che riuscire a comunicare con un pezzo grosso del Ministero in riunione segreta era un’impresa assai difficile.

Fredrick de Fae Strotten misurava a grandi passi le carrozze, pallido e smunto.

Chiedeva spiegazioni che non riusciva ad ascoltare. Attraversava il treno velocemente, con gli occhi spalancati dall’angoscia. Entrò nello scompartimento e si bloccò, fissando il figlio con sguardo incredulo.

 Il cuore gli si fermò un attimo, portandogli via l’ossigeno.

 Si gettò sul corpo di Otto e pianse. Lo abbracciò prendendogli le braccia e portandosele al collo nel disperato tentativo di restituire vita al corpo inerte. Ma le braccia ricadevano pesantemente lungo i fianchi, poiché il sangue non scorreva più in quelle vene, e i muscoli ormai freddi non avrebbero più abbracciato nessuno.

Fredrick continuò a chiamarlo, baciandogli le tempie e bagnandole di lacrime. Gli afferrò una mano bianca ed esangue e se la poggiò sul petto all’altezza del cuore, scosso da una sofferenza disperata.

Quando arrivò il momento di portare via il corpo, Fredrick afferrò il mantello del figlio e inspirò profondamente, cercando di trattenere nelle narici l’odore di quella vita volata via.

Otto venne posato su una lettiga bianca.

- Ecco, sangue del mio sangue, figlio mio adorato. Così non ti bagnerai di pioggia.-

Gli adagiò il mantello sul corpo, lasciandogli il volto scoperto.

- Sei un bravo ragazzo, Otto. Fai buon viaggio.-

Represse un singhiozzo violento.

- Dove lo portate?-

- Al San Mungo, signore.-

- Io vado con lui.-

Scese dal treno e sparì.

 

L’eco del dolore di Fredrick de Fae Strotten non voleva abbandonare il treno; fu come un’onda invisibile che lasciò tutti frastornati.

Avevano superato da molto l’ora della cena e per quell’anno il banchetto di benvenuto a Hogwarts non ci sarebbe stato.

Un passaparola tra Prefetti e Caposcuola comunicò la disposizione di indossare i mantelli e di prepararsi all’uscita.

Finalmente Hagrid diede il permesso di scendere dalla locomotiva. Aveva indosso il suo solito pastrano e con una manona reggeva una lanterna. La sua stazza si stagliava sotto la luce della pensilina simile a una montagna in assetto d’umore variabile.

I ragazzini si sistemarono attorno a lui, i tre Grifondoro naturalmente in prima fila, mentre i piccoli del primo anno intimoriti dall’enorme taglia dell’uomo, cercavano riparo l’uno dietro l’altro.

- Bene. Adesso ci dirigeremo a Hogwarts. Gli studenti dal secondo al settimo anno prenderanno le carrozze, i piccoli del primo verranno con me sulle barche. La Cerimonia dello Smistamento avverrà rapidamente in Sala Grande, ma non ci sarà alcun banchetto. Troverete qualcosa da mangiare nelle rispettive Sale Comuni. Bene. Ehm…possiamo andare!-

Si mosse facendo girare la sua mole e invitò i bambini a seguirlo. Gli altri ragazzi si spostarono rapidamente sotto la pioggerella fitta in direzione delle carrozze.

Boris si impossessò della più vicina e in un attimo i quattro ragazzi si trovarono all’asciutto.

Ramel si accorse di avere i piedi fradici: indossava un paio di ballerine estive poco adatte alla pioggia e i pantaloni a metà polpaccio non contribuirono a ripararla dall’acqua. Non vedeva l’ora di arrivare al castello, indossare qualcosa di caldo e sedersi sul divano davanti al camino scoppiettante.

-Che cos’è il Narcomors?- chiese d’un tratto Morag, spezzando la catena dei suoi pensieri sul tepore della Sala Comune. Terry si disse desolata di non poter rispondere.

Boris scrutava ostinatamente fuori dal finestrino e non diede cenno di aver sentito.

- Ramel, tu lo sai?-

- Il Narcomors è un veleno altamente tossico. Anche ingerito in piccole quantità provoca la morte.-

Si sentì Hermione Granger in quel momento e si chiese se per caso non le si fossero increspati i capelli.

- Si dice che Otto sia stato avvelenato con una dose.- disse Terry.

- E’ probabile. Il Narcomors appartiene alla classe dei veleni subdoli. Una volta ingerito non provoca malessere, non si manifesta in alcun modo se non con la morte. Causa sonnolenza, facendo addormentare la vittima. In realtà uccide lentamente e, si suppone, senza dolore. È inodore, incolore ma è estremamente potente.-

- Ma se così fosse, se una goccia fosse caduta sulla mano dell’assassino, sarebbe dovuto morire anche lui. E’ stato molto rischioso.- osservò Moray pensieroso.

- No. Il Narcomors entra in circolo solo se si combina con gli enzimi che si trovano nella saliva, o se viene iniettato. A livello epidermico è innocuo…come l’acqua.- concluse Ramel ispirata dalla sensazione di umido proveniente dalle scarpe.

- Ragazzi, sinceramente: secondo voi chi è stato?- chiese Terry.

- Non saprei.  Non sono riuscito neanche a dare un resoconto coerente all’ispettore…ero ancora molto nervoso.- rispose Moray scuotendo la testa.

- E’ assurdo pensare che possa essere qualcuno fra quei cinque. - si intromise Boris. – Nemmeno con l’unione dei loro cervelli raggiungerebbero il grado di astuzia necessario per mettere su un omicidio apparentemente perfetto.-

- Non si tratta solo di astuzia. Per portare a termine un piano del genere bisogna avere un movente molto forte. –

- Ramel, tu non credi che Malfoy possa provare un odio tale nei confronti del padre di Otto da essersi voluto vendicare sul figlio?-

- No, Terry. Secondo me non ha nulla a che fare con il delitto, né lui né gli altri. Era scontato che venissero fuori i loro nomi. Nelle situazioni inspiegabili l’uomo ha bisogno di un capro espiatorio da punire. Si cerca affannosamente un sospetto sul quale far ricadere la colpa, salvo poi  scoprire l’infondatezza delle accuse. Non che sia sbagliato pretendere giustizia, trovare l’assassino…però adesso mi sconvolge di più l’idea che Otto sia morto. Un ragazzo del settimo anno, come noi. Con il quale facevamo lezione e che incontravamo per il parco del Castello. Quando l’ho incontrato stamattina era il solito Otto, garbato e gentile. Chi avrebbe potuto immaginare che dopo poche ore…-

Ramel avvertì una fitta e riconobbe la tristezza nelle pieghe del suo ragionamento.

Ripensò alla nonna, morta di vecchiaia a novantasette anni, sul suo letto ordinato e pulito, circondata dagli affetti.

Ma Otto era solo un ragazzo. Un ragazzo ucciso.

Boris le circondò le spalle con un braccio e lei sentì il suo respiro calmo e regolare. Provò uno strappo nel cuore, la colse una paura irrazionale per qualcosa che non era successo.

Ringraziò che Boris fosse vivo, lì, seduto accanto a lei.

 Si odiò per quel pensiero ma non poté evitare di farlo: per fortuna non era toccata a lui la fine spaventosa che aveva ammazzato Otto. Per fortuna poteva ancora vederlo agire, ridere, arrabbiarsi.

 - E’ stato tremendo.- mormorò Morag.

Poco dopo il Castello di Hogwarts con le sue numerose torri apparve dal finestrino. Sorvolarono il Lago, dimora della Piovra Gigante; distinsero la casa di Hagrid sotto il pendio, la Foresta Proibita, il campo da Quidditch.

Finalmente  planarono sul prato, atterrando dolcemente davanti allo scalone d’ingresso: erano arrivati.

 

 

La Sala Grande aveva il solito aspetto maestoso.

Dalle ampie vetrate si poteva osservare la pioggia che cadeva in piccole sottili gocce simili ad aghi. I grandi lampadari scendevano dal soffitto incantato e i camini accesi riscaldavano l’ambiente.

Gli studenti entrarono in silenzio disponendosi lungo i quattro tavoli di legno scuro.

Il Cappello Parlante era poggiato sullo sgabello in attesa di essere utilizzato, lo squarcio laterale sembrava una bocca chiusa in una smorfia annoiata.

I ragazzini del primo anno lo guardavano confusi e intimoriti, scambiandosi considerazioni sussurrate con un filo di voce. Non si poteva certamente affermare che il principio della loro vita a Hogwarts si fosse rivelato banale. Neanche nei loro sogni più arditi avevano osato immaginare un’avventura così densa di avvenimenti; si chiesero se quello non fosse solo l’inizio.

La professoressa Mc Grannit attraversò la Sala e si posizionò vicino allo sgabello del Cappello Parlante.

- Benvenuti a Hogwarts. Tra breve avrà inizio la Cerimonia dello Smistamento. Vi chiamerò in ordine alfabetico. Non appena sentirete fare il vostro nome, vi siederete quà.- indicò lo sgabello.

- Il Cappello Parlante dichiarerà la Casa alla quale verrete assegnati. Le Case sono quattro, come i tavoli che vedete intorno a voi. Il tavolo dei Griffondoro si trova alla vostra sinistra, sotto la finestra. Successivamente abbiamo quello dei Tassorosso. Il tavolo dei Corvonero è il terzo da sinistra e per finire quello dei Serpeverde, sotto la finestra alla vostra destra.-

Gli studenti seduti fecero un cenno discreto con le mani, come per salutare.

- Dopo che il Cappello avrà dichiarato la Casa di appartenenza, vi dirigerete al tavolo corrispondente. E ora possiamo iniziare.-

Strinse le labbra sottili così tanto che a momenti scomparvero.

Gazza le porse una pergamena arrotolata e tornò al suo posto con Mrs. Purr alle calcagna.

La Mc Grannit aprì il foglio e la Cerimonia dello Smistamento cominciò nel più assoluto silenzio.

I ragazzi del primo anno venivano accolti dai compagni della Casa con una semplice stretta di mano. Non ci fu nessun applauso, nessun grido di gioia.

Ramel si ricordò della sua prima notte a Hogwarts, quando si sedette sullo sgabello e il Cappello Parlante le  calò dritto sul naso, nascondendole la vista della Sala Grande.

- Signorina Simps. Corvonero, direi.- sentì, come se qualcuno le parlasse direttamente dentro la testa.

- Oh, già deciso? Bene, allora non è stata una scelta difficile.- pensò.

Sentì una risatina soffocata.

- A dire la verità stavo seriamente prendendo in considerazione l’idea di mandarti in un’altra Casa. Ma vedo una mente che scava a fondo alle cose per trasformare le faccende complesse in fatti semplici e comprensibili. Questo è sintomo di un ingegno guidato e capace. Dunque molto meglio…CORVONERO!-

Il nome della sua Casa rimbombò per tutta la Sala Grande.

Quando la Mc Grannit le tolse il Cappello Parlante, vide i suoi nuovi compagni battere le mani e farle dei gran sorrisi. Scese dallo sgabello, lieta di potersi finalmente rilassare.

Pensò a quello che aveva definitivamente lasciato a Londra: la sua casa piena di libri di storia, i suoi vecchi amici, i genitori premurosi, la scuola di danza. Si sedette sulla panca accolta calorosamente da ragazzi e ragazze più grandi.

Davanti a lei si trovava Boris Fokine, con tutta l’ombrosità che un bambino di undici anni riuscisse a sfoggiare. Aveva una carica strana, come se fosse impaziente o infuriato per qualcosa.

Ramel immaginò che fosse rimasto deluso dalla scelta del Cappello, che forse avrebbe preferito finire in un’altra Casa, magari Griffondoro o Serpeverde.

Quella notte notò con stupore il suo accento russo quando lo sentì rispondere malamente a un compagno.

Dopo sei anni si ritrovò ancora seduta al tavolo dei Corvonero, più grande e con Boris accanto.

Altri bambini quella notte venivano smistati e Ramel si domandò quanti di loro avrebbero trovato un amico come il suo.

Boris tamburellò le dita sul tavolo, canticchiando sommessamente. Osservava i bambini agitati con un’aria tediata.

-Quando finisce questo strazio?-

- E dai, Boris. Cerca di pazientare.-

- Credi che Silente ci delizierà con uno dei suoi toccanti discorsi? L’occasione per il sermone annuale sembra propizia…secondo me non se la lascerà sfuggire.-

- Sei proprio fuori luogo. Potrai pure considerare quello che è successo un episodio indegno della tua attenzione, ma molti non la pensano come te.-

Una ragazzina del primo anno scese dallo sgabello e si sedette davanti a loro; era una nuova piccola Corvonero, e aveva uno sguardo spaesato ma felice.

Terry le diede il benvenuto con un buffetto sulla guancia e Ramel le sorrise.

La ragazzina si sentì abbastanza rassicurata da guardarsi attorno. Azzardò rivolgere i suoi occhietti umidi a Boris, aspettandosi un gesto di saluto, ma lui la scrutò con gelida indifferenza e con una vaga espressione di disgusto come se avesse davanti un animaletto strano.

La ragazzina spalancò la boccuccia e incassò la testa nella spalle, fissando atterrita i disegni concentrici del legno.

- Sei odioso. E’ una bambina.- lo rimproverò Ramel.

- La stavo solo guardando.- le rispose con un tono meravigliato.

Ramel scosse la testa, rassegnata.

Lui era così: a tratti crudele. Non poteva farci nulla, se ne era accorta molto tempo prima. L’inquietudine di Boris non si poteva arginare o controllare. A volte si quietava, ma per la maggior parte del tempo aveva qualche motivo per essere antipatico e detestabile.

Lui era l’unico a conoscere veramente Ramel. Sapeva che non era solo una studentessa perspicace e una ragazza gentile. Lei intuiva la vera natura delle persone.

- Tu vai sempre dietro le quinte.- le aveva detto una notte, prima di andare a dormire, dopo un pomeriggio di chiacchiere e risate, un pomeriggio che era volato via senza neanche un minuto di noia. Allora erano solo all’inizio della loro amicizia, eppure già si cercavano tra la folla della Sala Comune al mattino, per scendere assieme a fare colazione, sghignazzando per tutto e niente.

Ramel aveva capito e accettato la personalità irrequieta di Boris, e lui era rimasto affascinato dalla naturalezza con la quale gli parlava, da come lo guardava con interesse e simpatia, come se tentasse di sbirciare dietro la sua asprezza per vedere cosa nascondessero quei modi bruschi e sintetici.

Quando Boris comprese che ormai Ramel si era aperta un varco nel muro che lui aveva messo fra sé e il mondo e vagava indisturbata fra i suoi pensieri, decise di arrendersi.

In fin dei conti non le importava quanto lui fosse scontroso: Ramel aveva ricevuto tanto da lui, e questo le bastava.

- TASSOROSSO!- gridò il Cappello Parlante all’ultimo ragazzino rimasto.

La Cerimonia dello Smistamento era terminata.

Nella Sala Grande l’atmosfera si fece tesa e attenta.

Ramel si sporse in avanti per vedere meglio il tavolo dei professori.

Silente si alzò.

 In ogni ruga del suo volto era incisa la rabbia e la sofferenza. Scrutò per un attimo i ragazzi, poi si girò facendo frusciare le vesti, dirigendosi verso il portone di quercia.

Tanti occhi lo accompagnarono fino a quando sparì dietro una grossa colonna di pietra.

Un timido mormorio si diffuse fra gli studenti. Si sarebbero aspettati un discorso da Silente, qualche parola di conforto, come era nella consuetudine del Preside.

 Nessuno diede cenno di volersi muovere. Anche il vento smise di soffiare.

Finalmente dal tavolo dei professori si alzarono i direttori delle quattro Case.

Le panche strisciarono sul pavimento e la Sala Grande lentamente si svuotò.

Gli studenti si alzarono per recarsi nei propri dormitori. Indossavano ancora i mantelli neri della divisa e camminavano lentamente in fila, con le teste basse.

Gli studenti di Corvonero si dirigevano verso il corridoio che portava all’ingresso della Torre.

Ginny si staccò dal suo gruppo di Griffondoro e raggiunse Ramel.

- Brutta faccenda, eh?-

- Molto. Non riesco ancora a crederci.-

Si strinse al braccio dell’amica parlandole sottovoce.

- Senti, ci vediamo domani? Magari dopo pranzo. Ti va di fare due passi?-

- Certo. C’è qualcosa di cui mi vuoi parlare?-

- Ramel, sono due mesi che non ci vediamo: non ho qualcosa di cui parlare, ho una marea di cose da raccontarti!-

Si fermarono prima di imboccare ognuna le proprie strade, mentre la folla scemava intorno a loro.

- E poi- continuò Ginny  - vorrei sapere cosa ne pensi riguardo a quest’affare di Otto.-

- A dirti la verità non mi sono fatta neanche uno straccio d’idea…-

- Appunto, neanch’io. Ma so che parlare con te mi schiarirà le idee!-

Ramel la guardò negli occhi azzurri.

- Ginny? Non vorrai indagare e improvvisarti giornalista di cronaca nera, vero?-

La ragazzina fece una risatina vaga.

- No, ma che dici? Era solo per avere un tuo parere. A proposito, tu hai fatto qualche nome a Polemius?-

- Scherzi? E comunque anche se avessi avuto un sospetto me lo sarei tenuto per me. E tu?-

- No, però…alcuni di noi, di noi Griffondoro, non hanno resistito alla tentazione di collaborare con la giustizia…e così è saltato fuori qualche nome. Dio, che razza di idioti!-

Aveva un’espressione mortificata.

- Si, ma sono solo sospetti. Ognuno ha detto quello che sembrava più utile per le indagini. Per ora nessuno è stato arrestato e sbattuto ad Azkaban!-

Ginny si morse le nocche del pugno chiuso.

- A volte non li sopporto. Quando credono di avere la verità in mano, poi finiscono sempre nei guai. E non solo loro. Ma io quest’anno penso agli affari miei. Non ho dimenticato cos’è successo al Ministero: è morto un uomo a causa del nostro delirio di onnipotenza. Una cicatrice in fronte non vuol dire avere sempre ragione.-

- Ginny, hai fatto solo quello che era giusto fare: stare accanto ai tuoi amici.-

- Ramel, dimmi la verità: tu l’avresti fatto?-

- Si. Mi sarei comportata esattamente come te.-

Ginny sbuffò facendo svolazzare le ciocche di capelli rossi che le ricadevano sul viso.

- So che abbiamo sbagliato, e anche allora sapevo che ci stavamo imbarcando in una lotta molto più grande di noi. Ma non potevo non esserci. E rifarei tutto da capo.-

- Certo, è ovvio: c’erano i tuoi amici e tuo fratello…-

- Pensa se ci fosse stato il tuo amico, il Russo!-

Ramel rise sentendo chiamare Boris in quel modo.

- Non mi sarei tirata indietro per niente al mondo, e mi avrebbero anche fatto fuori in mezzo secondo. Non sono mica abile e veloce come te, piccola pazza!-

Ginny le rivolse uno sguardo scettico e divertito.

- Figurati! Nessun Mangiamorte avrebbe avuto il fegato di colpire il tuo faccino da ragazza per bene. Me li immagino già, stecchiti da qualche tua maledizione a interrogarsi sulla natura spietata e senza scrupoli che può celarsi dietro due occhi apparentemente pacifici.-

Ramel corrugò la fronte e finse un’espressione offesa.

- Io non sono senza scrupoli!-

Ginny si mise la mani in tasca.

- Si, come no? E io sono Minerva Mc Grannit!-

Erano rimaste sole nel corridoio e i ritratti seguivano interessati la loro conversazione.

- Allora a domani?-

- Perfetto Ramel, grazie.-

- Ah, Ginny! Davvero credi che io sia senza scrupoli?-

La ragazza ci pensò un attimo.

- Non proprio senza scrupoli. Diciamo che se ti trovassi in una situazione di pericolo non esiteresti a difendere ciò che ami con le unghie e con i denti. Anche se preferisci non dimostrare a ogni occasione il tuo coraggio, sei capace di annientare con assoluta freddezza i tuoi nemici. Ciò non toglie nulla alla tua indole giudiziosa da nonnetta con lo scialle e  lavoro a maglia!-

Scoppiarono a ridere e si abbracciarono. Il ritratto di una vecchia strega tossicchiò sentendosi chiamato in causa.

- A domani nonna Simps! E non salutare il Russo da parte mia!-

- Se gli portassi i tuoi saluti sarebbe capace di lanciarmi addosso qualche tizzone ardente. Non ho intenzione di farmi sfigurare!-

Con un’ultima stretta si salutarono, dirigendosi verso i propri dormitori.

Ramel ripensò a Ginny e alla sua esuberanza. Aveva affrontato situazioni gravi e pesanti, eppure non aveva perso lo smalto che la distingueva. La sua spensieratezza non era superficialità, aveva avuto occasione di constatarlo diverse volte.

- Che sciocca!- mormorò quando arrivò all’ingresso della Torre.

Era rimasta indietro e ormai non c’era più nessuno: si era scordata di chiedere la parola d’ordine per entrare.

Il ritratto del Cavaliere Guantato rimaneva immerso nel buio davanti a lei.

Fece qualche passo ancora e dalla finestra vicino al quadro entrò un pallido raggio di luna.

Ramel si bloccò quando vide una sagoma scura poggiata alla parete.

- Boris.- disse in un soffio, riconoscendolo.

Il ragazzo rimase immobile, con le braccia incrociate sul petto, un piede sulla parete. Mosse solo gli occhi. La luce argentata della luna si rifletteva sulle sue pupille di mercurio, sotto le lunga ciglia scure. A Ramel sembrò un lupo solitario in una steppa ghiacciata.

Finalmente il ragazzo si mosse, la raggiunse con un passo.

- La parola d’ordine è Frammens noctis.-

La voce bassa e cavernosa accentuò l’accento russo.

Lei si avviò verso il quadro.

- Grazie.- mormorò.

Boris la afferrò per un braccio facendola voltare. Le stava così vicino che lei riuscì a  distinguere il contorno irregolare della cicatrice sul labbro.

- Ramel, non mi interessa con chi ti intrattieni e perché. Per quanto mi riguarda puoi bighellonare per il castello tutta la notte. Ma è un po’ stupido da parte tua non procurarti la parola d’ordine per entrare nel tuo dormitorio: Hogwarts non è posto sicuro, ultimamente.-

Ramel abbassò lo sguardo e strisciò un  piede sul pavimento.

- Va bene, hai ragione. Grazie per avermi aspettato.-

Boris le lasciò il braccio.

Poi sorrise, scoprendo i denti bianchi perfetti, abbandonando un po’ l’aria severa.

- Non vorrai mettermi nella condizione di dovermi preoccupare per te. Lo sai che non ne ho voglia.-

Le fece l’occhiolino e la spinse delicatamente verso il ritratto.

Il Cavaliere Guantato si irrigidì scuotendo il pennacchio.

- Frammens noctis.- dissero.

Il quadro si spostò.

Mentre attraversavano il passaggio Ramel sentì l’aria familiare della Sala Comune circondarla e accoglierla. Quella giornata stava finalmente per finire.

Lei non era rimasta fuori dal suo amato dormitorio perché Boris l’aveva aspettata.

In piedi, da solo, aveva atteso che lei arrivasse. Ecco chi era Boris per lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo ***


Nuova pagina 1

                                                               IL GIORNO DOPO

 

La torre di Corvonero era da sempre oggetto di curiosità e meraviglia.

Si raccontava che fosse il luogo più bello di Hogwarts e che Mizuky Isozaky, il più richiesto architetto del mondo mago, nel progettare i nuovi lavori, si ispirasse sempre alla sua amata Sala Comune di Corvonero che per lui costituiva un ideale di bellezza e sobrietà unico al mondo.

Non era solo una leggenda: era veramente un posto magnifico.

La Sala Comune era ampia e luminosa.

Il camino, di forma rotonda, non si trovava poggiato a una parete ma al centro della stanza; la sua struttura in muratura era decorata da piastrelle  raffiguranti  scene di vita di maghi e streghe, opere di svariati artisti. La cappa di aspirazione, di forma cilindrica e in cristallo ignifugo, scendeva dal soffitto come un’enorme stalattite.

Tutt’intorno al camino erano disposti divani e poltrone di diversa fattura: si potevano riconoscere pezzi antichi di legno massiccio ed essenziali pouffes con scheletro in acciaio.

L’illuminazione era affidata a candelabri provenienti da un castello gotico nei dintorni di Praga e da lampade  moderne. Queste ultime in particolare servivano ad illuminare la zona riservata allo studio: dalla base in marmo grigio partiva un arco d’argento purissimo terminante in una calotta semisferica che proiettava una calda luce gialla; erano sistemate dietro i grandi tavoli antichi in fondo alla Sala.

Su una parete adiacente una libreria bianca a forma di volume aperto ospitava  letture, tomi di consultazione e materiale didattico per gli studenti.

Negli angoli si trovavano delle botti di latta smaltata contenenti varie bevande: the, latte, caffè e succhi di qualsiasi gusto.

Si accedeva ai Dormitori da due porte distinte l’una di fronte all’altra. I battenti di cristallo lasciavano intravedere un lungo corridoio sul quale si affacciava una scaletta a chiocciola. Sulle pareti erano appesi enormi quadri astratti, sacre rappresentazioni di origine bizantina e bassorilievi in ciliegio scolpito.

L’insieme degli arredi, le sfumature dei colori, la proporzione delle forme e i contrasti fra le geometrie antiche e moderne erano perfettamente equilibrate: nessuno sarebbe stato in grado di immaginarsi una sistemazione più adeguata.

La mattina del primo giorno di lezioni il sole entrava dalle vetrate facendo danzare i corpuscoli di polvere. La luce inondava la Sala Comune, splendendo sugli arredi e sui muri, splendendo sui vetri e sulle vecchie pietre del Castello, incurante del misfatto della notte prima.

Boris fu il primo a scendere in Sala Comune.

 Si fermò davanti a una finestra e osservò gli alberi della Foresta Proibita che si piegavano sotto il vento accompagnati dall’abbaiare lontano di Thor.

 Il cielo era terso e l’aria tiepida, invitante.

Si avvicinò a una botte di latta, girò la manopola e si versò del caffè bollente. Rimase in piedi immerso nel silenzio della stanza, in quei minuti ovattati quando tutti dormono ancora. Mancava più di un’ora all’inizio delle lezioni e mentre la maggior parte degli studenti si aggrappava agli ultimi brandelli di sonno, Boris era già sveglio da un pezzo.

Quando stava per servirsi la seconda tazza di caffè, uno scalpiccio rivelò la presenza di qualcuno alle sue spalle.

- Ciao Boris.-

La timida voce di Morag gli arrivò come una nota stonata. Bofonchiò un saluto e si voltò a guardarlo: indossava ancora il pigiama color lavanda e aveva i boccoli graziosamente disordinati. Sembrava il bambino della pubblicità “Biscotti cotti di Maga Zuccherina”.

Morag spostò una sedia, si accomodò e iniziò a scrivere su una bella pergamena, vergandola di caratteri arzigogolati e succhiandosi ogni tanto la punta del pollice per non perdere la concentrazione.

Terminò dopo dieci minuti, ripiegò il foglio con cura e trotterellò verso il dormitorio.

Pochi attimi di silenzio e poi finalmente giunsero i rumori del risveglio: l’acqua cantò nelle tubature, una porta cigolò, qualcuno inciampò impigliato nelle lenzuola.

Nel dormitorio femminile del settimo anno, Terry imprecò contro Cho Chang che starnutiva rumorosamente e si alzò dal letto brancolando verso il bagno. Dopo circa mezz’ora rimirò la sua immagine allo specchio spostandosi di tre quarti per controllare la sporgenza del naso: aveva il terrore che ogni notte le crescesse di qualche millimetro. Si diede un’altra spruzzata di profumo, inforcò gli occhiali con gli strass e annuì alla sua immagine riflessa ritenendosi abbastanza soddisfatta.

- Ramel!- chiamò.

Nessuna risposta. Nemmeno un fruscio di lenzuola.

- Ramel, svegliati!-

Terry scosse delicatamente un fagotto immobile.

- E’ tardi!-

Piano piano, impercettibilmente, il fagotto si mosse.

Terry alzò il guanciale e scoppiò a ridere: Ramel aveva il segno del cuscino sulla guancia, i capelli in faccia e si copriva gli occhi con un braccio piegato.

- Terry, ti odio. E’ l’alba.- riuscì a biascicare con difficoltà.

- Ma se siamo rimaste solo noi! Dai, preparati. Le prime due ore sono di Pozioni.-

- Con chi? Ti prego, tutti ma non…-

- Grifondoro!- concluse Terry.

Ramel nascose la testa sotto il lenzuolo.

- No! Come iniziare male: Pozioni con i Grifoni.-

- Ci vediamo a colazione. Io comincio a scendere.-.

Ramel si alzò controvoglia dopo diverso tempo, allungando i muscoli e sbadigliando.

Si trascinò con fatica verso il bagno. Si trattenne sotto l’acqua calda ripensando al giorno prima.

Quando finì di prepararsi, afferrò la borsa dei libri e scese le scale a chiocciola. La Sala Comune era affollata di studenti che rientravano dalla colazione.

- Boris!-.

Il ragazzo la raggiunse  e scosse la testa.

- Possibile che non riesca ad alzarti a un’ora decente?-

- Io mi alzo a un’ora decente. Sei tu che hai degli orari assurdi. La cravatta!-

Boris le alzò il colletto della camicia e cominciò a fare il nodo sfiorandole inavvertitamente il collo lungo.

- In quasi sette anni non hai ancora imparato a fare un maledetto nodo a una dannata cravatta!-

Ramel alzò gli occhi al cielo.

- Non stringere troppo o finirai per strozzarmi.-

- Non sarebbe una brutta idea.-

- Finito?- mormorò voltandosi verso la finestra per specchiarsi.

Boris le abbassò il colletto e si allontanò per studiarla con occhio critico.

 Lei sollevò il mento.

- Come sto?-

- Passabile.-

 La prima ora di Pozioni sarebbe iniziata dopo cinque minuti.

 Ramel non aveva tempo di andare in Sala Grande per la colazione. Terry e Morag erano già tornati nei dormitori per prendere i libri e Cho Chang si era già data la seconda passata di lipstick. Boris di solito non faceva colazione ma bevevo solo caffè, così Ramel si vide costretta a ripiegare su una tazza di the da bere mentre si dirigevano nell’aula di Piton.

- Mi sto ustionando!- disse scendendo le scale.

I corridoi erano gremiti di studenti e riuscire a bere senza affogarsi, correre per non arrivare in ritardo, scansare ostacoli, reggere la borsa si rivelò un’impresa troppo ardua.

Boris le tolse la tazza ancora piena dalle mani e la abbandonò sul ripiano di una finestra.

Nei sotterranei fuori dall’aula di Pozioni, gli studenti del settimo anno di Grifondoro e Corvonero attendevano l’arrivo di Piton. L’argomento del giorno, ovviamente, verteva sull’omicidio di Otto.

La porta dell’aula si spalancò all’improvviso. Un ragazzo biondo e dalla pelle pallida uscì guardando davanti a sé con l’evidente intenzione di voler passare inosservato.

Come era prevedibile, l’intento fallì.

Le facce attorno a lui si deformarono in smorfie di disprezzo. Si sollevò un borbottio ronzante.

- E’ una vergogna che gli sia ancora permesso di restare a Hogwarts.- disse un Grifondoro a voce alta.

Draco Malfoy aveva un’espressione cupa. Esitò, indeciso se ribattere o continuare indifferentemente a camminare. La seconda possibilità gli sembrò  la migliore.

- Chi vuoi che sia stato a far fuori il povero Otto? Lo sappiamo tutti che sono stati quei tre meschini Serpeverde- incalzò un altro con tono saputo.

Nel sentire quelle parole irrigidì le spalle e arrossì. Ma non rispose. Svoltò l’angolo e sparì alla vista dei ragazzi.

- Non vi aspetterete che un tale rifiuto del mondo magico come Lucius Malfoy possa avere come figlio una persona migliore. La nostra fortuna è che marcirà ad Azkaban per diversi anni.- concluse Geresh Bugow facendo schioccare la lingua e annuendo vigorosamente.

All’interno dell’aula  Piton, intento a riordinare e sistemare ingredienti, non aveva sentito nulla.

Gli studenti si mossero per entrare. Boris sorpassò prepotentemente Geresh, bloccandolo all’ingresso dell’aula con un braccio poggiato sullo stipite e gli rivolse un sorriso arrogante.

- Sarà meglio che ti raddrizzi l’aureola, Bugow.-

L’altro lo fissò con espressione risentita.

- Cosa vuoi dire, Fokine?-

Boris fece scorrere il suo sguardo sui Grifondoro. Strinse la mascella e gli zigomi si fecero più evidenti. Poi con un unico movimento liquido girò le spalle ed entrò nell’aula.

- Che succede?- gli chiese Ramel mentre trafficava con il calderone.

- Niente.-

- Certo, Boris. Non succede mai niente.-

- Stavo facendo amicizia con i Grifoni.-

Ramel sbuffò inchinandosi per prendere il libro dalla sacca che aveva lasciato sul pavimento. Mentre frugava nella borsa chiedendosi  se non avesse lasciato il testo nel Dormitorio, la scarpa nera e consumata di Piton si materializzò davanti a lei.

- Entro l’anno Simps.- la voce uscì dalla bocca del professore simile a  uno spiffero invisibile.

Piton era insidioso come un soffio di vento, concluse Ramel. E ugualmente fastidioso.

- Mi scusi.- si giustificò - Non trovo il libro.-

L’insegnante incrociò le braccia sul petto.

- Puoi dividere il libro con Fokine. Per oggi. Ma se sentirò anche un solo ronzio provenire dalla vostra parte credo che, ecco, mi potrebbe causare un lieve fastidio.-

Boris sistemò il manuale al centro e con un colpo di bacchetta lo aprì alla pagina indicata sulla lavagna.

Dopo poco tempo l’aula fu invasa dal vapore che risaliva dai calderoni. Tutti gli studenti avevano arrotolato le maniche delle camicie e allentato le cravatte.

Morag era assorto nella contemplazione della sua pozione; infilò un mestolo e mescolò, facendo ricadere un po’ di liquido all’interno. Era di un bel color cremisi. Terry, vicino a lui, continuava a chiedergli suggerimenti.

Ramel e Boris si dedicavano alla preparazione della pozione in silenzio. Un paio di volte le loro tempie si sfiorarono sopra le pagine del libro.

 Ramel sminuzzava con cura le radici, tentando di seguire alla perfezione le istruzioni del testo. Aggiunse un ingrediente e attese con ansia che il colore del liquido cambiasse. La pozione emise due o tre bolle ma rimase della stessa tonalità opaca.

- Rosso, devi diventare rosso, brutto brodo puzzolente!- sentì dire da Terry. Evidentemente anche lei non se la stava cavando benissimo.

- Boris, a che punto sei?- gli chiese Ramel sporgendosi verso il suo calderone.

Il ragazzo armeggiava con qualcosa.

- Ma cosa stai facendo? Il cardamomo dovevi metterlo all’inizio!-

- Pensa alla tua pozione.-

Ramel rimase a osservare le operazioni di Boris: stava intrecciando il cardamomo inserendo qua e là chiodi di garofano. Sul suo volto aleggiava un sorriso di scherno.

Quando finì di intrecciare i rametti unì un’estremità a un’altra.

- Se mettessimo una candela in mezzo potresti proporlo a Hagrid come centrotavola natalizio.- gli fece Ramel caustica.

Boris le riservò un’occhiata neutra e con un cenno del mento le indicò Piton che li fissava attraverso la condensa.

Ramel si girò e decise di ignorare i movimenti dell’amico, dedicandosi alla sua pozione. Aggiunse qualche pezzo di radice, mescolò con cura, abbassò la fiamma. Alla fine dal calderone uscivano degli sbuffi di fumo in cerchi concentrici e il liquido era diventato rosso rubino.

Quando si accinse a distillare il preparato un leggero borbottio attirò la sua attenzione. Qualcuno soffocò una risata.

Ramel voltò la testa e vide Geresh Bugow chino sul suo calderone, paonazzo e sudato per il calore, indubbiamente ignaro del fatto che sulla sua testa stava levitando un’aureola di cardamomo e chiodi di garofano. Il compagno accanto a lui gli diede una gomitata e gli indicò la raggiera che prese a vorticare sparando le bacche per tutta l’aula.

 Geresh non poteva diventare più rosso di quanto già non  fosse. Mulinò le braccia tentando di acchiappare l’aureola, ma quella era inafferrabile.

Boris era l’unico a non essersi reso conto di quanto stava accadendo, continuando imperterrito a occuparsi della sua pozione, buttando uno sguardo al libro e uno al calderone.

Piton alzò la bacchetta.

- Finite incantatem.- mormorò annoiato.

L’aureola perse vita e cadde colpendo la fronte di Geresh. Atterrò sul pavimento con un tonfo sordo.

- Bugow non approvo che nella mia aula si indossino ridicoli quanto inutili orpelli.-

Il ragazzo protestò dichiarando la sua innocenza. Le sue parole caddero ignorate nel vuoto accanto al cardamomo disfatto.

- Arrogarsi il diritto di sentirsi superiori a semplici regole di disciplina mi costringe a togliere dieci punti a Grifondoro.-

Tentare di ribattere avrebbe significato ulteriori punti sottratti. Gli studenti ingoiarono le risposte e gli insulti.

- E adesso vediamo i vostri intrugli.-

Passeggiò fra i banchi annusando calderoni, storcendo il naso ed esaminando controluce le boccette dei distillati.

- Questa è una pozione discretamente riuscita.- sussurrò osservando il preparato di Morag.

Quando giunse davanti al banco di Ramel e Boris si bloccò fissando lo sguardo penetrante sul ragazzo.

 Ma gli occhi di Boris erano inaccessibili. Non un tremolio, non un cedimento sotto le ciglia scure rivelò la minima emozione. Sul voltò di Piton si disegnò un’espressione di stizza.

- E’ evidente che in questa pozione un ingrediente fondamentale sia stato deliberatamente dimenticato. La tua pozione, Fokine, non sarebbe utile nemmeno per riempire gli scarichi dei bagni. Dieci punti in meno anche a Corvonero: mi aspetto più precisione da uno studente del settimo anno.-

Boris si strinse nelle spalle e cominciò a mettere via gli ingredienti.

Piton tornò alla cattedra ed elencò i compiti.

- Simps!- chiamò con voce tetra.

Ramel sollevò la testa dalla borsa.

- Immagino che Fokine sia stato distratto dalla necessità di dover dividere il libro con te. La prossima volta insieme al libro e ai compiti, mi porterai una relazione dettagliata su tutte le pozioni nelle quali si utilizza il cardamomo. Senza dimenticare di specificare nelle note che avrai premura di inserire, tutte le fonti e i riferimenti bibliografici.-

Piton parlò con una lentezza esasperante, continuando a tenere gli occhi puntati su Boris.

- D’accordo.- borbottò Ramel  contrariata.

Quel compito in più significava niente fine settimana libero, niente compere a Hogsmeade, niente di niente. L’immagine di Madama Pince che la seguiva come un’ombra per controllare che la sezione proibita rimanesse inviolata, le occupò la mente per tutti i minuti seguenti.

Mentre salivano le scale del sottopiano per raggiungere l’aula di Difesa, Boris fischiettava spensieratamente.

- Accidenti a te, Boris.-

- Che ho fatto? Non sono stato io a dimenticare il libro.-

Ramel sbuffò passandosi le dita nel caschetto scuro.

- Quella cretinata dell’aureola te la potevi risparmiare. Il cardamomo e i chiodi di garofano, ma dai! Per la miseria, a volte ti vorrei schiantare…-

- Ma perché te la prendi tanto? Posso farla io la relazione.-

- No, grazie. Hai già fatto abbastanza.-

- Ah, bene allora deciditi. Prima ti lamenti e poi non vuoi che ti dia una mano.-

- Boris smettila di fare il Grifondoro che aiuta gli amici e che sacrifica il suo tempo per l’altrui diletto. Non sei credibile nemmeno un po’.-

- Te lo dico per l’ultima volta: io non ho problemi a darti una mano con la relazione.-

- No, lascia perdere. Piton l’ha detto a me non a te. Spero solo che durante il fine settimana faccia un tempo orrendo.-

Boris sorrise guardando fuori dalle finestre del primo piano.

- Un augurio gentile. Un tipico temporale britannico umido e molesto è abbastanza appropriato?-

 Ramel annuì mentre entravano nell’aula di Difesa.

- Può bastare come inizio. Certo, l’ideale sarebbe anche un allagamento dei sotterranei e in particolare dell’aula di Pozioni.-

Si sedettero in un banco in fondo all’aula. Il disappunto di Ramel svanì lentamente durante le seguenti ore di lezione.

 

 

All’ora di pranzo i corridoi erano gremiti di studenti affamati e desiderosi di ritrovarsi il prima possibile in Sala Grande.

Ramel giunse al tavolo portando a fatica la borsa dei libri. La mancata colazione cominciava a far sentire i suoi effetti. Si abbandonò sulla panca osservando la Sala che si riempiva e si faceva sempre più rumorosa.

Harry Potter e Hermione Granger passarono tra i tavoli seguiti da un poco convinto Ron Weasley. La ragazza si sedette e fece uno sospiro. Poi tirò fuori un libro dalla sacca e lo poggiò aperto su una caraffa davanti a lei, aggrottando le sopracciglia con un’invidiabile, tenace concentrazione.

Ron, ancora in piedi, nel vedere quella scena che si ripeteva da anni, sempre uguale da tempo immemore, per quella mattina decise di farne a meno e si allontanò dal gruppo.

Ramel ebbe la visione spaventosa di se stessa in biblioteca in compagnia della Granger circondata da tomi immani, sepolta nella lettura di qualche testo incomprensibile, mentre sfoggiava con malagrazia i suoi polverosi sedici anni.

- Mangi o hai deciso di fare lo sciopero della fame?- le chiese Boris indicando il piatto ancora pieno.

- Si può sapere perché hai fatto quella buffonata con il cardamomo?- rispose lei afferrando la forchetta.

Lui fece spallucce.

- Mi stavo annoiando.-

- Oh, ecco capisco. Mi ero scordata che tu Boris Fokine, uomo russo cresciuto fra canali ghiacciati e cupole d’oro, nato su un treno di babbani mica in un letto al San Mungo, superassi i momenti di noia intrecciando soavemente bucoliche coroncine.-

Boris poggiò i gomiti sul tavolo incrociando le mani all’altezza del mento e assumendo un’aria pensierosa.

- Non puoi negare che gli donasse particolarmente quell’aureola. Sembrava un Santo Campestre. Gli mancava solo un fascio di spighe dorate infilato su per il culo.-

Lei rischiò di affogarsi con le patate al forno. Scoppiò a ridere e si asciugò le lacrime con il dorso della mano.

- Immagino che saresti felice di poter terminare l’opera.-

- Sarebbe bellissimo.-

- Nonostante l’espulsione?-

- Ne varrebbe assolutamente la pena. E poi non si possono tarpare le ali alla creatività, all’arte.-

- Sei proprio un troglodita. E comunque non mi hai ancora spiegato perché l’hai fatto.-

Boris la guardò.

- I Grifondoro hanno sempre quest’alone di santità che li circonda e mi sono sentito ispirato. Sinceramente stamattina se fossi stato in Malfoy non mi sarei posto alcun problema a scagliare maledizioni contro Bugow e compagnia. Solo che chi nasce furetto, furetto rimane e Malfoy ha dimostrato di essere il solito codardo.-

- Di sicuro non si trova in una situazione normale. Voglio dire, probabilmente in un momento diverso avrebbe reagito con la sua solita spocchia, ma non oggi. Insomma è uno dei sospettati maggiori per l’omicidio di Otto. Capisco che se ne voglia stare tranquillo.-

Ramel si girò verso il tavolo di Serpeverde.

Malfoy sedeva tra Tiger e Goyle, impegnati a ingozzarsi di ogni pietanza. Draco invece non parlava e non mangiava. Scuoteva la testa alla gentili offerte di cibo di Pansy Parkinson, che lo scrutava piegando gli angoli della bocca in un’espressione avvilita e impotente.

Più lontano, all’estremità del tavolo, Theodore Nott stava fissando Ramel. Le occhiaie scure e il viso stropicciato gli davano un aspetto squisitamente drammatico e interessante, da vero Serpeverde tormentato.

Ramel si chiese dove si trovassero gli altri due sospettati. Li intravide all’ingresso della Sala Grande. Kimberly Patson parlava gesticolando nervosamente e sbattendo lo stivale sul pavimento, palesemente isterica. Ralph Renaul la ascoltava senza replicare.

-  Maledizione, si capisce che era inventato, razza di idiota!- urlò Kimberly.

Molte teste si voltarono verso la coppia attratti dal tafferuglio. Lei sbraitò un insulto e corse verso le scale, premurandosi di scoccare un’occhiata carica di rancore verso il suo ragazzo.

Ralph rimase fermo per qualche attimo lisciandosi la divisa. Poi, con uno smisurato sforzo cerebrale, decise di non rinunciare all’ottimo cibo di Hogwarts e di andare a rifocillarsi al tavolo della sua Casa.

Il chiacchiericcio di Terry e Morag richiamò l’attenzione di Ramel.

- Quando credi che ti risponderà?-

- Chi?- si informò lei.

- Ho scritto a mia mamma stamattina. Le ho raccontato tutto quello che è successo ieri.-

- Forse ha già spedito la risposta.- osservò Terry scrutando il cielo in cerca di gufi.

Morag scosse la testa.

- Non credo. Jeeves, l’elfo, ci impiega molto tempo a scrivere, e molte volte ha pure sbagliato l’indirizzo.-

- Vedrai che fra pochi giorni arriverà la lettera.- affermò Terry.

Morag sorrise e si dedicò alla mousse di cioccolato e panna.

Un aeroplano di carta planò sopra i tavoli atterrando con un dolce fruscio sulla macedonia di Ramel. Il messaggio diceva semplicemente: “SEI PRONTA?”.

Guardò in direzione dei Grifondoro; Ginny sventolava la mano per attirare la sua attenzione. Picchiettò un indice sul polso e si avviò verso il portone di quercia.

- Dove vai?- chiese Terry quando vide Ramel alzarsi.

- A fare due chiacchiere con Ginny. Ci vediamo a Erbologia.-

Si girò per raggiungere la Weasley e passò davanti al tavolo di Serpeverde. Notò che Theodore Nott la stava guardando. Indecisa sul da farsi, indugiò davanti a lui un paio di secondi, si portò i capelli dietro un orecchio e lo salutò. Il ragazzo non rispose; distolse lo sguardo e girò la testa.

 Ramel si strinse nelle spalle e se ne andò.

Il vento forte era cessato e aveva lasciato il posto a una brezza leggera e a un ammasso di nuvole in fondo all’orizzonte. Molti studenti approfittarono della pausa per riposarsi sotto il sole, sdraiandosi sull’erba vellutata.

Ginny e Ramel sistemarono i mantelli sul prato e si distesero, godendosi quegli attimi di pace.

La Weasley si accese una sigaretta e ne offrì una all’amica.

- Uno di questi giorni ti compro una piantagione di tabacco. Avresti dovuto tenere il conto di quante sigarette mi hai offerto da quando ci conosciamo.-

- Fumi talmente poco che la piantagione di tabacco sarebbe grande quanto la figurina delle Cioccorane.-

Rimasero qualche minuto in silenzio con gli occhi chiusi dal sole. Lo sciabordio docile del Lago, il calore del pomeriggio, le voci morbide dei ragazzi intorno stavano trascinando Ramel verso il sonno. Ginny la acchiappò provvidenzialmente.

- Simps, ti stai addormentando.-  disse scuotendole una spalla.

- Scusa.-

- Notte in bianco?-

- No. Sonno cronico.-

Ramel sollevò il busto e si sedette con le gambe incrociate: in quella posizione non avrebbe rischiato di addormentarsi.

Chiacchierano dell’estate appena trascorsa, di Fred e George e del loro negozio di scherzi, della dipartita del vecchio Rufus, dell’affollamento della Tana in agosto, del viaggio di Ramel a Istanbul, della nuova insegnante di Difesa, di borse e di un calderone a sottili righe colorate cangianti che avevano entrambe adocchiato a Diagon Alley. E poi arrivarono a parlare del giorno prima. Ipotesi e congetture fioccarono e svanirono, troppo deboli per essere plausibili.

Ginny si accese la terza sigaretta.

- Inoltre è successo qualcosa di strano: sono stati rubati i rullini di Colin. Aveva fatto delle fotografie sulla piattaforma e sul treno. Io avevo in mente una galleria fotografica sul rientro a Hogwarts e altre cosucce. Bene. Colin non ha menzionato l’esistenza dei rullini con l’ispettore e...-

- Ginny, siete stati avventati.-

- Ha fatto tutto lui. Io non c’entro!-

- Weasley, tu e Colin lavorate per lo stesso giornale e le decisioni le prendete assieme. Tu c’entri perfettamente.-

- D’accordo. Diciamo che è andata così. Al momento dell’interrogatorio si è dimenticato dei rullini.-

- Ma poi ve ne siete ricordati.-

- Allora abbiamo pensato di svilupparli in privato.-

- Ma cosa avevano di così irrinunciabile da doverli tenere nascosti a Polemius?-

- Simps, come credi che sarebbe andata a finire? Rullini sequestrati, niente foto, niente numero speciale. Chissà in quali condizioni ci avrebbero restituito il materiale, e quando.-

- Si, ma in un modo o nell’altro siete rimasti comunque senza fotografie.-

- Sono rischi che si corrono per amore della cronaca, della verità!- disse Ginny con orgoglio.

- In ogni caso, il punto è un  altro: che fine hanno fatto i rullini?-

- Adesso saranno distrutti.-

- Indubbiamente. Ma da chi?-

- Da chi rischiava di essere messo nei guai dalle immagini.-

Le nuvole si avvicinavano costantemente. Il pomeriggio si stava trasformando in una sera senza sole.

- Con chi eravate nello scompartimento?-

- Io, Colin, Hermione, Harry, mio fratello e Luna Lovegood.-

- Non è entrato nessuno?-

- Ramel, è entrata mezza scuola! Non riuscirei a ricordarli tutti. E poi considera che io e Colin siamo andati in giro a salutare gente durante buona parte del viaggio. Lui sempre con la macchina fotografica pronta a immortalare anche il più stupido dettaglio.-

- Quando si è accorto del furto?-

- Eravamo ormai sulla carrozza per Hogwarts. Aveva messo via gli obiettivi e gli attrezzi poco prima dell’arrivo a Hogsmeade, al momento di indossare le divise.-

- E Colin non si ricorda chi l’ha potuto osservare mentre armeggiava con i rullini? Magari qualcuno che lo guardava con eccessivo interesse…-

- Ci abbiamo pensato tutta la notte, ma non siamo arrivati a niente. Il problema è che i rullini erano tre: in quei tre rullini c’è dentro tutta la scuola.-

Ramel scrollò le spalle perplessa.

- E dunque potrebbe essere stato chiunque. Potrei essere stata anch’io, o Terry o Harry Potter!-

- Certo, è stato Harry per non far pubblicare le foto di lui che fissa Cho Chang: quelle immagini lo inchiodavano!- disse Ginny ridendo e poggiando la fronte sulla spalla dell’amica.

- Ora sarà costretto a eliminarti, piccola pazza. Anche questo è un rischio che devi correre per amore della cronaca!-

All’improvviso un’ombra lunga si proiettò sull’erba davanti a loro. Si voltarono contemporaneamente con uno scatto istintivo del braccio verso la bacchetta. Le dita strinsero il legno.

- Sono io, calma ragazze!-

Ron alzò le mani e sorrise incerto. La sua figura alta si stagliava sullo sfondo del Castello.

- Mai sorprendere una strega alle spalle, Ronald.- disse Ramel invitandolo a prendere posto sul prato.

- Soprattutto di questi tempi.- concluse Ginny lasciando andare la bacchetta sul mantello.

Era la prima volta che Ramel si trovava seduta con Ronald. Non avevano mai chiacchierato, forse non si erano nemmeno mai salutati o scambiati un abbozzo di sguardo. Per Ramel gli unici Weasley erano Ginny, Fred e Gorge. Eppure in quella circostanza le sembrò abbastanza naturale farlo sedere con loro, chiamarlo per nome e trovarlo simpatico. Se non altro perché era il fratello della sua amica ed era da solo.

- Mi stavi cercando?- domandò Ginny guardandolo in tralice.

- No.-

- E allora perché sei venuto?-

Ron spostò il suo sguardo su Ramel.

- Vi disturbo?-

- No, nessun problema.- lo rassicurò lei.

Il ragazzo si distese su un fianco e allungò una mano verso il portasigarette della sorella. Fumò osservando distrattamente il Lago. Ginny fece spallucce e si rivolse all’amica.

- Dicevamo?-

- Le fotografie. Volevo chiederti una cosa. Colin dove mette i rullini da sviluppare?-

Ginny ci pensò attorcigliandosi una ciocca di capelli attorno al dito.

- Mette tutto nella tasca esterna di una sacca che porta sempre su una spalla. Ce l’aveva anche ieri.-

Ramel sollevò le sopracciglia.

- Non so. Non ho la più pallida idea di chi possa essere stato. Una cosa è certa, però: nell’intervallo di tempo che va dalla partenza all’arrivo a Hogsmeade, Colin ha immortalato qualcosa di scottante. E chi ha rubato i rullini conosce molto bene le sue abitudini, o come minimo deve averle studiate attentamente durante il viaggio.-

- E se fosse stato qualcuno con un mantello dell’invisibilità? Nessuno l’avrebbe visto salire sul treno e nessuno si sarebbe accorto della sua presenza. In questo modo avrebbe potuto compiere il delitto e scendere a Hogsmeade in tutta tranquillità. Solo che le fotografie rivelano le presenze anche sotto i mantelli dell’invisibilità. Per questo i rullini sono stati rubati.-

Ron sogghignò come se la sorella avesse detto una sciocchezza.

Ramel scosse la testa, poco persuasa da quella possibilità.

- No. Troppa gente. Muoversi con un mantello dell’invisibilità in quel caos senza essere scoperti è impossibile. C’era una calca pazzesca.-

Ginny si prese la testa fra le mani.

- Hai ragione. Solo che quei rullini ora sono diventati fondamentali. Sono certa che Colin ha immortalato l’assassino. E non ha intenzione di dire nulla a Polemius.-

Si alzò un vento insidioso. I fili d’erba ondeggiarono e una nuvola giunse a coprire il sole. A memoria di mago l’autunno, a Hogwarts, non si era mai fatto aspettare.

- E allora non sarebbe meglio evitare di parlare dell’esistenza di questi dannati rullini con tutta questa disinvoltura?- disse Ron.

- Se ti riferisci al fatto che io ne stia parlando con Ramel, stai prendendo un brutto granchio. Simps è una tomba.- fece Ginny con una vena di aggressività nella voce.

- Grazie per avermi definito tomba Weasley, un po’ tetra come immagine, ma non mi sono sentita chiamata in causa.-

Ron spense la sigaretta, imbronciato.

- Il mio è un discorso generale. Hogwarts è piena di orecchie e di bocche.-

Si alzò, raccogliendo la borsa dei libri.

- Allora io vado, ho lezione di Difesa. Ginny, ci vediamo dopo. Ramel, non mi riferivo a te, davvero.- continuò tormentando la cinghia della sacca. Le orecchie presero una sfumatura rossastra quasi uguale al colore dei capelli.

- E’ tutto a posto, Ronald. Ci vediamo.-

Le due amiche rimasero a osservarlo mentre si allontanava verso il portone di quercia. Raccolsero i mantelli e guardarono il cielo ormai grigio.

- Credo che ci convenga andare- disse Ginny.

Arrivarono sotto la scalinata e si salutarono con la promessa di rivedersi presto.

Ramel piegò verso le serre. Un alito di vento soffiò tagliente e inaspettato, facendola rabbrividire. Guardò il parco: il sole era ormai sparito da un pezzo dietro nuvole cariche di pioggia.

Entrò di filata nella serra ancora vuota, appena in tempo per sfuggire a un violento acquazzone. Si ritrovò da sola circondata dal rumore sordo della pioggia sui vetri. Passeggiò tra gli scaffali, inspirando lentamente: l’odore di terra bagnata e di piante le ricordò il giardino del cottage che i genitori avevano nel Dorset, dove trascorrevano le vacanze estive.

Ramel c’era stata l’ultima volta sei anni prima. Durante le estati seguenti aveva sempre trovato una scusa per non partire e rimanere a Londra. Amava quel cottage, solo che era troppo denso di ricordi e nostalgie. Tornarci avrebbe significato riallacciare i contatti con la babbana che era stata e con un vecchio rimpianto.

Persa nei suoi pensieri non si accorse che la serra si era animata.

Boris entrò scuotendo il pesante mantello dalle gocce di pioggia, senza preoccuparsi dell’urlo scandalizzato di Marietta Edgecombe, colpita in faccia dall’alamaro del colletto. Si avvicinò a Ramel; aveva ancora qualche minuscola goccia sui capelli.

- Ci sei da molto?- le chiese infilandosi i guanti protettivi.

Lei non seppe cosa dire; avrebbe potuto giurare di essere appena arrivata, ma le pozzanghere cariche d’acqua all’esterno dimostravano il contrario.

- Da un po’.- rispose.

Afferrò un vaso con decisione, imponendosi di non pensare più al passato, di non fantasticare su scelte che non aveva abbracciato. Non aveva più molto senso dal momento che ormai era al suo ultimo anno di studi a Hogwarts. E comunque  tutto quel groviglio di divagazioni irrisolte erano una perdita di tempo. Quella era solo una serra. E il cottage nel Dorset era solo un cottage di famiglia.

Boris poggiò le mani sul tavolone di legno, chinandosi verso di lei.

- Puoi anche tentare di andare più veloce, e forse per un po’ puoi anche illuderti di averli seminati. Ma alla fine ti raggiungono sempre.-

- Chi?- domandò lei con studiata indifferenza.

Il ragazzo attese che Ramel concludesse di spostare i vasi e gli arnesi da lavoro da una parte all’altra del tavolo. Finalmente catturò il suo sguardo.

- I ricordi.- rispose con voce bassa e profonda, fissandola un attimo con gli occhi scuri.

Poi raddrizzò la schiena, porgendole dei guanti.

- La Sprite sta distribuendo i bulbi.- riprese con un tono assolutamente normale. Le prese il gomito spingendola verso l’insegnante e invitandola a fare in fretta.

Ramel sperò di uscire presto dalla serra e di lasciarsi dietro quella fastidiosa malinconia, seppellendola sotto diversi centimetri di terra a far compagnia a qualche radice bitorzoluta.

E dopo mezz’ora trascorsa a strappare foglie e a fare incomprensibili impianti, ascoltando le osservazioni di Terry sulle cicatrici da acne di Marietta, la serra tornò a essere solo l’aula di erbologia. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tutti i ringraziamenti si trovano nello spazio recensioni.

alechka

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Tazze, libri, gatti ***


Nuova pagina 1

                                           Tazze, libri, gatti

 

Il sabato mattina Ramel si svegliò con una sensazione di disagio, come una puntura dietro la nuca. Ancora stordita dal sonno non ne riconobbe subito la causa, e rimase distesa con gli occhi chiusi e le orecchie tese ad ascoltare il brontolio di un tuono lontano.

Ma poi se ne ricordò: la relazione per Piton. Così, quella giornata, si preannunciava scandita da colazione, ore in Biblioteca, pranzo, ore in Biblioteca. In un ordine variabile ma comunque noioso ed estenuante.

Con il proposito di finire quanto prima la relazione sul cardamomo, si sporse dalla sponda del letto verso il baldacchino di Terry: era vuoto, così come tutti gli altri.

L’idea di dover inevitabilmente affrontare il suo compito solitario, non la aiutò di certo a racimolare il modesto entusiasmo con il quale mise i piedi fuori dalle coperte e il corpo sotto la doccia.

Finì di preparasi e si avviò verso la Sala Grande per la colazione. Nei corridoi gli studenti si muovevano in gruppetti di tre o quattro, senza le divise, rilassati, chiacchierando tranquillamente.

Prima di scendere le scale buttò uno sguardo all’arazzo di Barnaba il Babbeo: quel soggetto ridicolo aveva la capacità di farla sorridere sempre, al punto che, dopo tante stagioni a Hogwarts, aveva preso l’abitudine di passargli davanti rivolgendogli un muto saluto. Nei periodi di studio impellente, dopo settimane di pioggia ininterrotta, nei momenti di noia, Barnaba il Babbeo era sempre lì, intento ad insegnare danza classica a una manica di stupidi troll.

Scesa ancora qualche piano chiedendosi se i suoi amici avessero già finito la colazione. Dietro un gruppetto di ragazzini del terzo anno vide Boris andarle incontro. Si fermò davanti a lei e indicò una finestra.

-Sarai soddisfatta: il tempo, oggi, fa completamente schifo.- le disse.

Ramel si girò dalla parte opposta, verso una statua di pietra, accennando un inchino.

-Buongiorno anche a te, Boris. Si, sto bene grazie. Oh, sono lieta di apprendere che pioverà, la pioggia purifica e fa risplendere i colori. E…si, devo ammettere che l’idea di dover rimanere al Castello non mi entusiasma, visto che sarebbe piaciuto anche a me fare un giro a Hogsmeade, ma dal momento che sono costretta a rinunciarvi, credo che un po’ di pioggia mi terrà compagnia.-

Poggiò una mano sul braccio di pietra della statua e lo ritrasse sgomenta.

-A pensarci bene Boris, oggi ti trovo più rigido e austero del solito. Chi ha osato farti arrabbiare questa mattina? Non sarà mica stata una lieve pioggerellina? Una nuvoletta? Lo dico per il tuo bene, sai: cerca di rilassarti.-

Boris assistette pazientemente a quel teatrino, che si concluse con un ulteriore inchino di Ramel alla statua e con una pirouette. Applaudì con scarso, svogliato trasporto. Però sorrise e una luce vivida, fresca gli illuminò il volto.

-Hai già fatto colazione?- gli chiese Ramel ponendo fine allo spettacolo.

-No.-

Si allontanarono verso le scale.

Diversi metri dietro di loro, nel punto dove poco prima si erano incontrati, la statua di Boris il Basito emise uno scricchiolio di stupore.

 

 

 

GAZZETTA DEL PROFETA

Il misterioso omicidio del giovane Otto de Fae-Strottenn rimane ancora irrisolto. Mentre le indagini, coordinate dall’ispettore Polemius, sembrano proseguire a rilento, le ombre sul caso si infittiscono, pericolosamente, ogni giorno di più.

Il Ministero non si sbottona sui sospettati, ma l’impressione che le piste seguite abbiano portato solo a vicoli ciechi, è vieppiù probabile.

I risultati dell’autopsia hanno confermato l’ipotesi di decesso per avvelenamento da Narcomors. Si suppone che il veleno sia stato ingerito dalla vittima poche ore prima dell’arrivo a Hogsmeade e che sia stato trasmesso attraverso la stanghetta degli occhiali da vista.

Tuttavia l’assassino, come pure il movente, rimangono ignoti. Dal Ministero arrivano rassicurazioni sulla velocità delle indagini e sulla prossima risoluzione di questo tremendo delitto. Interrogarsi sulla effettiva forza d’azione del Ministero e sul suo vigore pragmatico  nello sbrogliare l’intricata matassa di un giallo senza precedenti e senza perché, si risolverebbe in una dispersione di energie.

Tuttavia questo tragico fatto esige la verità, la chiama a gran voce, la pretende. Soprattutto perché in questo clima di rinata paura per il ritorno di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, la morte agghiacciante di un ragazzo che si era appena affacciato alla vita, deve corroborare i cuori e gli intelletti e saldare l’unione della coscienza comune nella lotta contro l’ingiustizia. (Continua a pag. 2)

 

 

Terry riemerse dalla lettura della Gazzetta con uno sguardo accigliato dietro gli occhiali dalla montatura vistosa.

-Ancora niente. E’ pazzesco. Più passa il tempo e meno possibilità hanno di trovare l’assassino. Il “Corriere della Strega” titola questa mattina: “Delitto sull’Hogwarts Express: dove si è acquattata la giustizia?”-

Lasciò cadere il giornale che teneva in mano, ne acchiappò un altro e lo sfogliò fino a trovare la pagina cercata, battendovi sopra un dito.

-Tutta la stampa non riesce a celare un certo grado di perplessità. Nel numero di ieri del “Daily Hogsmeade” alludono, cito testualmente, al “perpetuato silenzio dell’Ispettore Polemius”.-

Si tolse gli occhiali e giocherellò con la stanghetta. Li inforcò nuovamente, guardando Morag mentre si ripuliva la boccuccia rosea cosparsa di zucchero a velo. Morag deglutì, scostandosi col dorso della mano un boccolo dorato che gli importunava la fronte, e afferrò il giornale abbandonato da Terry.

-Qui dice che il funerale si terrà questo mercoledì, a …….- osservò.

-Credete che ci faranno andare?-

-Siamo tutti maggiorenni, no? Se vogliamo andare, possiamo andare. Non dice a che ora inizia?- chiese Ramel versandosi il the.

Terry frugò fra i giornali, facendoli frusciare e aggrottando la fronte.

-No. Però potremmo informarci da qualcuno.-

Boris le tolse la copia dalle mani.

-Dai a me. Non sei capace neanche di fare una rassegna stampa dignitosa. Eccolo, scritto qui, in grande. Mi domando a cosa ti servano quegli occhiali.-

Lei lo guardò indispettita. Raccolse una piccola borsetta di damasco, la mantellina impermeabile, trillò un saluto verso Ramel e se ne andò a testa alta, seguita da Morag.

Boris continuò indifferente.

-Mercoledì, alle sette del pomeriggio. Se riusciste ad organizzarvi bene, non perdereste nemmeno le lezioni.-

Ramel notò la seconda plurale e il tono distaccato col quale parlò.

-Non avrai mica deciso di non venire?- gli domandò, squadrandolo con disapprovazione.

Boris finì di bere il caffè, poggiò la tazza e vi guardò dentro, assorto.

-Se fossi nella Cooman potrei affermare che il fondo del mio caffè dice inequivocabilmente e con un inesistente margine di errore…no!-

Fece per afferrare la tazza di Ramel ma lei lo bloccò allontanandogli il braccio.

-Se reputi tanto divertente questa nuova trovata di leggere nei fondi del the, sappi che non ho bisogno della Cooman per poter affermare di ritenerti più arido e inutile di un pezzo di fango secco.-

Boris affettò un’espressione offesa.

Ramel non gli badò e bevve un sorso di the, continuando ostinatamente a leggere un articolo, senza tuttavia riuscire ad afferrarne il senso. Lui divenne serio.

- Se non essere ipocriti come la maggior parte della gente che andrà al funerale per non mancare a uno degli eventi mondani più succulenti di questi tempi, significa essere arido come un pezzo di fango…sono ben contento di esserlo. Quando parlo di gente ipocrita non mi riferisco a te, intendiamoci. So perfettamente che tra di voi c’era un ottimo rapporto, e questo vale anche per altre persone. Ma quanti di quelli che parteciperanno al funerale sapranno portare il dovuto rispetto per un momento così solenne e doloroso? Voglio dire, quando il padre di Otto saluterà per l’ultima volta il figlio, vorrà farlo con un’intimità intatta, pura. Con una familiarità scoperta e quindi più vulnerabile: per questo dovrà essere protetta dagli sguardi affamati e curiosi della folla.-

Ramel abbandonò il giornale sul tavolo. Suo malgrado il discorso di Boris non faceva una piega.

- Capisco quello che vuoi dire. E, sicuramente, se spiegassi con chiarezza le tue ragioni, eviteresti di passare per quello che non sei. In ogni caso è stato proprio il padre di Otto a volere che il funerale fosse aperto a tutti, anche ai suoi compagni di Hogwarts. Anzi, secondo me, la nostra presenza sarà un segnale di solidarietà. Partecipare al dolore di qualcuno, a prescindere dal quanto e dal come, stringersi attorno ai familiari, è un gesto spontaneo per tutti. Anche per chi con Otto non aveva mai parlato.-

- Sarà. Ad ogni modo, nel caso in cui dovessi morire durante il periglioso tragitto per Hogsmeade, sappi che io non desidero alcun funerale libero.  Gli unici ammessi all’estremo saluto, saranno i miei genitori e Michail. E tu saresti l’ospite d’onore. Lutto stretto, mi raccomando. Non fare quella faccia, c’è sempre un’elevata probabilità che io torni qui al Castello sano e salvo.-

Ramel lo guardò di sottecchi.

- Egocentrico.-

Boris si alzò dalla panca e le poggiò una mano sulla spalla, chinandosi per parlarle in un orecchio.

- Guarda che fai molto male a non dare fiducia ai fondi delle tazze.-

Indugiò dietro di lei per un attimo quasi impercettibile.

-Io vado, allora. Divertiti, con il cardamomo.-

Si allontanò verso l’uscita, elegante e insieme impetuoso, come un corsaro sul mare aperto.

Non appena sparì, Ramel osservò la Sala Grande, circondata ormai solo dai ragazzini dei primi anni. Allungò un braccio per prendere la teiera e guardò distrattamente la tazza.

Si bloccò con la mano a mezz’aria, incredula: nel fondo le foglie del the si spostavano, formavano una frase e si muovevano nuovamente. Come gli slogan pubblicitari di Diagon Alley.

Lesse il messaggio che si formò sotto i suoi occhi:

“Non: no, ho deciso di non venire.”

Le foglie si riunirono in un gruppetto e si risistemarono.

“Ma: no, ho deciso di venire.”

Fissò il messaggio, perplessa.

Riflettè sulla contorta logica di Boris, secondo la quale, evidentemente, “No” poteva anche significare “Si”. Concluse che da un ragazzo che beveva solo caffè, vodka e caffè corretto con vodka, se lo sarebbe dovuta aspettare.

Prese la tazza incantata con sé e si diresse verso una delle finestre.

Attraverso il vetro osservò i suoi compagni che scendevano il pendio diretti a Hogsmeade.

- Non ci posso credere.- mormorò scorgendo l’Auror Clan tra la folla.

- Pure la Granger oggi fa vacanza: si è messa la felpa della festa.-

Sospirò, rassegnata, scacciando dalla mente l’immagine dei suoi amici ai “Tre manici di scopa”, spensierati, ridenti.

O quella del profilo concentrato di Boris, intento a cercare vecchi spartiti per pianoforte, immerso nella luce gialla di un retrobottega in disordine.

Sbuffò, infastidita e annoiata, staccandosi a malincuore dalla finestra. Decise di iniziare subito la relazione e si avviò verso le scale.

 

 

 

La porta chiusa della Biblioteca aveva qualcosa di minaccioso. E non per le figure scolpite nel solido legno, le quali da sole bastavano comunque a scoraggiare qualsiasi avventore. Considerato, infatti, che in quel luogo si trovavano scaffali e polvere in quantità illimitata e Madama Pince, custode di cotali tesori, sempre sull’orlo dell’indignazione, la minaccia si sarebbe fatta seria nel caso in cui una persona avesse desiderato conservare un barlume di buon umore.

Con una mano che sfiorava la maniglia della porta e l’altra che teneva la bacchetta, Ramel temporeggiava davanti all’ingresso.

- Potrei creare un diversivo. Architettare una scusa per filare dritta in Sala Comune o, meglio ancora, giù a Hogsmeade. Un impedimento innocuo, che mi dia la scusa per non entrare. Un piccolo incendio, qualcosa così…tanto non mi vedrebbe nessuno. Poi deletrius, e via!-

Il viso di Piton le fluttuò davanti agli occhi, estremamente reale pur essendo solo una proiezione della sua mente. Lo vide alzare un sopracciglio.

- Va bene. Niente scuse. Alohomora!-

Il battente si aprì, lento e pesante. Ramel varcò la soglia, trovandosi l’aspra faccia di Madama Pince come benvenuto: una palpebra le tremò da dietro gli occhiali.

Ramel  cambiò decisamente traiettoria, allontanandosi dal nuovo tic nervoso della Bibliotecaria che si era aggiunto a quelli già esistenti, arricchendone il campionario. Si mosse verso uno dei grandi tavoli e vi lasciò cadere la borsa avendo cura di farle fare un tonfo rumoroso.

- Silenzio!- le intimò Madama Pince, accompagnando l’invito con un’oscillazione dell’indice davanti alle labbra strette.

- Vecchia strega.- mormorò Ramel, voltandole le spalle.

Aveva trovato ogni genere di urgenza da assolvere immancabilmente durante tutta la mattina, pur di non rinchiudersi subito in Biblioteca. Alla fine però, dopo pranzo, si era costretta a raccogliere tutta la poca diligenza che le era rimasta dopo sei anni di scuola e ad entrare nella stanza che conservava i testi migliori per il suo compito.

Vide un lembo del vestito di Madama Pince spuntare da dietro l’angolo di uno scaffale: stava catalogando tomi ingialliti e sembrava molto presa dalla sua occupazione.

Ramel sfilò una pergamena dalla borsa  e stilò una lista dei libri ai quali fare riferimento. Erano molti, ma cercò di consolarsi con il pensiero che, se si fosse impegnata, dopo poche ore si sarebbe ritrovata distesa su un divano della Sala Comune ad ascoltare le chiacchiere dei suoi amici.

Quando, trascorsa ormai più di un’ora, Madama Pince si spostò dall’altra parte dell’aula, non fece caso alla figura accasciata sul tavolo che fissava il vuoto, cercandovi un po’ di sostegno: Ramel. Davanti a lei si allargava una distesa di libri aperti; nella pergamena, gli appunti che aveva deciso di prendere con tanti buoni propositi, erano in netta minoranza rispetto agli scarabocchi: guardando il foglio si accorse di aver messo più zelo nel disegnare i mattoni di una casetta che nello scrivere correttamente i riferimenti bibliografici. E quello non era per niente un buon inizio.

Ormai demoralizzata, stava cominciando a coccolare la possibilità di fare una pausa, quando la porta della Biblioteca si aprì. Dalla posizione in cui si trovava non riuscì a vedere chi fosse entrato. La poca luce proveniente dalle finestre illuminava una parte della sala, ma lasciava in ombra un lungo spazio tra gli scaffali e la parete. In quell’oscurità intravide una sagoma alta e magra. Tentò di sentire la voce che salutava Madama Pince, ma quest’ultima rispose immediatamente e con una scontrosità tale da  coprire qualsiasi altro suono.

Ramel si sporse oltre la pila dei libri, schiacciandosi le costole sul tavolo nel vano tentativo di spingere lo sguardo aldilà del buio, curiosa e intrigata. La figura apparve sotto la pozza di luce tremolante proiettata dal lampadario, proprio davanti a lei. Era Theodore Nott. Poggiò la borsa sulla sedia di fronte a quella di Ramel e si allontanò.

Quando tornò, attraversando la stanza semivuota e lasciandosi alle spalle una fila di posti liberi, Ramel si impose di concentrarsi seriamente, o almeno di fingere di essere seriamente concentrata, poiché inciampare in un altro saluto non ricambiato non le sarebbe piaciuto nemmeno un po’.

Sentì lo stridore della sedia strisciata sul pavimento e permise all’ angolo della pergamena di Theodore di sfiorare il suo libro. Corrugò la fronte e sollevò le sopraciglia come se stesse per fare una grandiosa scoperta ma le mancasse l’ultimo passaggio, in un’espressione che definì “alla Granger”. Iniziò a scrivere e in breve la fronte si rilassò. Le sopracciglia ripresero la posizione normale. L’espressione “alla Granger” venne spazzata via da una reale attenzione per il suo lavoro.

Dopo quasi un’ora gli appunti di Ramel avevano raggiunto proporzioni notevoli: lo studio nato come pretesto per non guardare Nott, alla fine l’aveva totalmente assorbita.

Alzò la testa. Theodore fece lo stesso e la osservò con gli occhi malinconici, leggermente distanti.

- Ciao.- le disse semplicemente.

Ramel rispose e abbozzò un sorriso.

La pelle di Theodore, già piuttosto pallida, sotto la luce artificiale aveva un colore irreale, sembrava sottile come carta velina e le occhiaie risaltavano bene su quel biancore. Tuttavia l’aria stanca accresceva il suo fascino naturale. Aveva un viso appuntito e regolare. I capelli neri e lisci erano spettinati il tanto necessario da ricadergli sulla sopraciglia con un movimento discreto e misurato. Gli occhi verde scuro, forse per il taglio allungato verso le tempie, avevano uno sguardo triste, assorto ma anche morbido e calmo. Il naso affilato e la bocca sottile completavano il viso che, pur non avendo nessun tratto particolarmente bello o notevole, aveva nell’insieme un’accattivante aria di poetico mistero.

Theodore le rivolse un sorriso sfuggente e ritornò sui libri.

Fu solo dopo diverso tempo che  Ramel si rese conto che fuori pioveva violentemente, e che la luce era calata tanto da indurla ad appiccicare il naso a pochi centimetri dalle pagine del libro.

Theodore chiuse il manuale che stava consultando e Ramel riordinò le sue cose. Aveva bisogno di cinque testi per terminare la ricerca di Pozioni; se li caricò sulle braccia e si avviò con passo sicuro verso l’uscita. Il suo obiettivo era quello di andar via dalla Biblioteca senza incappare in Madama Pince. Ma la donna sbucò fuori da dietro uno scaffale impedendole di proseguire.

Ramel sciorinò uno sguardo innocente e infastidito, e la scansò.

Madama Pince spalancò la bocca in una smorfia di orrore, prese a scuotere furiosamente la testa e le tagliò nuovamente la strada.

- Puoi prendere al massimo tre libri in prestito.-

Tentò di strapparle i manuali.

- E tu ti stai appropriando di ben due libri oltre il numero consentito.-

Ramel si girò rivolgendole le spalle per riparare i testi. Le mani ossute e tremanti di Madama Pince spuntavano da sotto il gomito, da sopra la spalla  e si agitavano in aria, cercando di afferrare il maltolto.

- No, per cortesia!- fece Ramel soffocando le risa per l’assurdità della situazione

- Mi occorrono, sono indispensabili!-

La Pince le strinse un braccio ansimando. Ramel si liberò dalla morsa con uno strattone e puntò dritto verso l’uscita. La bibliotecaria le gridò di tornare indietro e con un ammirevole scatto si lanciò all’inseguimento.

Ramel camminava velocemente, ma era comunque ostacolata dal bagaglio pesante. Quando stava per guadagnare la meta Madama Pince riuscì a bloccarle il passaggio. Era furente, paonazza, incollerita. Apriva la bocca e la richiudeva senza riuscire ad emettere alcun suono, gli occhi le sporgevano come se fosse spiritata. Tuttavia aveva serbato il tanto di forze necessario per strappare i libri dalle braccia di Ramel e lo fece con tanta foga da compiere mezzo giro su stessa. Con il bottino stretto convulsamente al petto, si ritrovò davanti un placido Nott, il quale, come se la donna si trovasse lì per lui, le tolse gentilmente i due libri dalle braccia e li cacciò in borsa.

- Grazie, Madama Pince. Stavo cercando proprio questi due. Li prendo in prestito. Arrivederci.-

E uscì senza aspettare risposta.

Ramel non capì, sul momento. Ma si disse che sarebbe stato più prudente uscire prima che la Pince riacquistasse la voce.

Il corridoio del quarto piano era vuoto, lo percorse diretta alle scale, contando le ore che mancavano al rientro dei suoi amici. Morag di sicuro avrebbe potuto darle una mano, vista la sua considerevole abilità in Pozioni. Buona parte della relazione era già fatta, per il resto se la sarebbe cavata con gli appunti e con gli altri libri che era riuscita a portar via.

Salì la prima rampa di scale. Da una finestra socchiusa sul pianerottolo, un soffio di vento le fece volare i fogli degli appunti, sparpagliandoli sul pavimento.

- Tipico.- mormorò abbandonando i libri sull’ultimo gradino.

Scese le scale e si chinò per raggruppare le pergamene. L’ultimo foglio si era incastrato sotto lo spiraglio di una porta. Lo prese con la punta delle dita, ma non lo sfilò. Dall’interno della stanza provenivano delle voci. Sembravano animate ma controllate. Erano sussurri che a volte divenivano sonori. Ebbe la netta impressione di trovarsi all’esterno di una stanza nella quale stava avendo luogo un colloquio privato.

Si sentì trattenuta lì, immobile, con i piedi inchiodati al suolo, l’udito teso. Non sbatteva nemmeno le palpebre per paura che facessero rumore. Le parole arrivavano frazionate, erano frammenti di una conversazione che doveva essere ben più articolata. Ma avere accesso a quelle frasi rubate, per quanto spezzate e a volte incomprensibili, era già tanto.

Distinse le voci della Mc Grannit  e di Piton, mentre nell’inflessione discendente, stentata, sbuffante e rauca riconobbe l’Ispettore Polemius.

- …difficile soluzione. Capite bene…-

Un bisbigliare indecifrabile, un passeggiare nervoso.

La voce della direttrice di Grifondoro, tagliente.

- Una situazione inammissibile. Inaccettabile, oltre ogni ragionevole considerazione. Un ragazzo ucciso. Sul treno. Nessun movente.-

Un borbottio ovattato, probabilmente di Polemius.

- Polemizzare sulla lentezza? State aprendo scatole vuote spacciandole per bauli traboccanti di indizi.-

Le parole di Piton sibilarono in aria come una frusta. Otto era stato uno dei suoi alunni più brillanti.

Polemius alzò di mezzo tono la voce.

- Stiamo restringendo la cerchia a…-

Ramel non riuscì a sentire. Poi, ancora qualcosa.

- …apparentemente innocente…-

Sembrava che alcune frasi rimanessero incastrate nel muro e non ce la facessero a uscire.

- …conosceva il ragazzo…le sue abitudini, forse. Bisogna cercare all’interno del…-

Un colpo di tosse della Mc Grannit coprì le ultime parole di Polemius.

Piton parlò nuovamente.

- Fra gli studenti, certo, ma chiunque sia, improbabile che abbia fatto tutto da solo.-

Gli occhi di Ramel si strinsero nello sforzo di imprimere il dialogo nella mente, ma non poté ascoltarlo ulteriormente. Il pericolo di essere scoperta nell’atto di origliare dall’odiosa gatta di Gazza, che avanzava verso di lei, la spinse rinunciare. Doveva andarsene, allontanarsi al più presto, o il miagolare di Mrs. Purr avrebbe palesato in modo imbarazzante la sua presenza.

Girò sulla punta dei piedi e camminò senza far rumore.

Arrivata in cima alle scale, voltò l’angolo e si nascose. Sentì la gatta miagolare, poi i passi di Gazza sul pavimento. La porta venne aperta da qualcuno. Udì il padrone di Mrs. Purr lamentarsi per qualcosa. Piton lo invitò poco cordialmente ad occuparsi di altre faccende e richiuse la porta. Gazza ripercorse il corridoio a ritroso.

Ramel si affacciò oltre la colonna, intenzionata a tornare indietro per carpire ancora qualcosa e recuperare il foglio incastrato. Ma davanti alla porta, un’arcigna Mrs. Purr sedeva ritta facendo vibrare i baffi e muovendo le orecchie per captare il minimo rumore. Sconfitta, sospirò, raccolse la borsa, e riprese a salire le scale.

Rifletteva sul dialogo, tornando più volte sulle parole che aveva sentito, analizzandole, considerando le varie interpretazioni, vagliando ipotesi. Polemius sosteneva che l’assassino fosse uno studente. Piton riteneva che dovesse aver agito con l’aiuto di qualcuno. Tuttavia, la soluzione pareva ancora lontana.

Quando giunse in prossimità del ritratto del Cavaliere Guantato, non si accorse subito che sul pavimento vicino all’angolo sinistro del quadro si trovava qualcosa per lei. Dovette metterci il piede sopra per rendersene conto. Si inginocchiò: erano due libri. O meglio, erano i due libri che non aveva potuto prendere dalla biblioteca. Dalle pagine ammuffite spuntava un foglio. Lo estrasse. Era un messaggio scritto con una bella grafia, minuta e lineare.

- Da restituire entro lunedì. T.- diceva.

Ramel guardò a destra e a sinistra, si affacciò oltre il parapetto delle scale, fece qualche passo in varie direzioni, ma non c’era nessuno.

Il Cavaliere Guantato, intento a levarsi inesistenti granelli di polvere dalla giubba in broccato, le lanciò un’occhiata fulminea da sotto il cappello.

- Oh, non era certo della tua Casa il messere che codeste regalie ivi lasciò, mia donzella. Aspetto cagionevole e candide mani da nobile cavaliere mostrava. Depositati i pesanti scrigni della conoscenza, andò via senz’indugio alcuno.-

Ramel si avvicinò al ritratto.

- Credi che dovrei cercare questo cavaliere dalle candide mani per ringraziarlo?-

- Certamente, mia pulcherrima fanciulla dal lungo collo. Che i tuoi piedini volino sulle pietre di questa antica magione, e giungano al cospetto del cavaliere dalle lunghe mani. Orsù, dunque! Oltre non esitare, cosicché egli godrà del tuo desiato sorriso.-

E concluse con un  arzigogolato inchino, togliendosi il cappello con uno svolazzo.

- Grazie delle informazioni.- fece Ramel ricambiando il gesto con una riverenza.

Recitò la parola d’ordine, salì nel dormitorio per poggiare i libri sul comodino affianco alla tazza incantata e ridiscese.

Si domando se fosse meglio tentare la sorte e andare a zonzo per il Castello sperando di beccarlo da qualche parte, o se fosse più opportuno recarsi nei sotterranei.

Cercò di figurarsi la scena. Theodore alto e muto, le mani in tasca, gli angoli della bocca piegati all’insù in un sorriso stentato. Lei che si portava i capelli dietro un orecchio e pronunciava una di quelle frasi formali ed educate che tirava fuori nelle situazioni di imbarazzo. Pianificò la conversazione. Dopo il grazie, avrebbe studiato la reazione di Theodore entro il primo secondo e si sarebbe comportata di conseguenza: una rapida girata di spalle nel caso di un atteggiamento scostante, o un largo sorriso di gratitudine  se si fosse dimostrato gentile.  

Arrivò al piano terra ripentendo la frase che aveva pensato di dirgli, ricercando ogni volta un’intonazione più o meno simpatica. Sbirciò in Sala Grande, ma di Theodore nemmeno l’ombra. Non aveva alternative: il sotterraneo.

Scese la prima rampa di scale, girò e andò a sbattere contro qualcosa. Anzi, a giudicare dalla consistenza, contro qualcuno. Millicent Bullstrode teneva le gambe larghe, piantate saldamente sul terreno, e le braccia lungo i fianchi.

- Scusa.- disse Ramel sollevando lo sguardo.

Millicent portava una maglia verde pistacchio. A Ramel ricordò un’enorme gelatina tremolante che aveva visto al matrimonio della cugina, e si stupì di non essere rimbalzata sulla sua mole finendo appiccicata alla parete.

- Cercavi qualcuno?-

- Theodore Nott.-

- Non è giù. Prova più tardi.-

Sembrava scettica, rimase a fissarla stringendo gli occhi, poi riprese a salire. Ramel restò impalata, indecisa e delusa. Osservò il corridoio poco invitante e buio sotto di lei, e dall’altra parte le scale che portavano alla luce. Si convinse che aveva perso già troppo tempo e che doveva terminare la relazione. Di sicuro non poteva rimproverarsi di non averlo cercato per ringraziarlo, dato che era andata fino ai sotterranei.

Salì fino al piano terra, e lui era proprio lì. Stava chiudendo il portone di quercia dell’ingresso alle sue spalle.

Ramel ebbe un momento per studiarlo, prima che lui alzasse il viso e si accorgesse di lei. Gli andò incontro, dimenticando di colpo la conversazione pianificata, senza riuscire a controllare una risatina. Lui fece un passo, alto e pallido, con le mani affondate nelle tasche, e scosse la testa per liberare la fronte dai capelli.

- Ho trovato i libri.-

Theodore non rispose subito; si prese un attimo per fissarla.

- Erano quelli che ti servivano?-

- Si. Grazie.-

Il ragazzo sorrise e le sopraciglia si allargarono verso le tempie, restituendo alla sua interlocutrice un’espressione di prudente dolcezza.

- E’ una pratica abbastanza usuale, quella di portarsi un amico per poter prendere qualche libro in più. Io lo faccio spesso.-

Ramel non seppe cosa rispondere, anche perché la parola “amico” iniziò a vorticarle nella mente, senza riuscire a capirne la ragione.

- Oh, davvero? Bene, allora grazie ancora.- fu tutto quello che trovò da dire.

Gli porse una mano, sentendosi immediatamente un po’ stupida e formale. La ritrasse proprio nel momento in cui lui le stava porgendo la sua, cosicché iniziarono un balletto di mani offerte e ritirate piuttosto ridicolo. Al terzo tentativo mancato Ramel scoppiò a ridere e nascose la mano dietro la schiena. Theodore rise sommessamente e incrociò le braccia sul petto.

- Lasciamo perdere?- le chiese.

- Lasciamo perdere.- confermò lei.

- Buon lavoro, allora.-

Ramel annuì.

- Si, grazie. A presto.- e si allontanò continuando a tenere le braccia dietro la schiena.

Salì le scale e giunta al pianerottolo si girò il tanto giusto per vedere se Theodore fosse ancora giù: era dove l’aveva lasciato e la salutò sventolando le dita rimaste libere, poiché anche lui teneva ancora le braccia incrociate sul petto. Ramel rispose agitando la mano ma, data la posizione, sembrò più che altro uno scodinzolio.

 

 

Seduta sul letto, con la tazza incantata fra le mani, Ramel cercava da qualche parte un po’ di concentrazione per proseguire il compito.

Il messaggio di Boris sul fondo non aveva perso di vitalità, e lei lo stava fissando, senza vederlo, da qualche minuto.

Theodore era un argomento sul quale sarebbe dovuta tornare. La conversazione che aveva origliato, meritava ben più di una riflessione. Ma non era quello il momento.

- Finire la relazione.-

Si alzò, posizionandosi davanti allo specchio.

- Studia.- ordinò alla sua immagine riflessa.

Mise la tazza sul comodino e risalì sul letto. Stropicciandosi la faccia con le mani e sospirando, riprese il lavoro abbandonato.

Passo più di un’ora a scrivere e a leggere, consultando a turno i libri sparsi sulla coperta.

Fuori pioveva ancora.

- Un acquazzone britannico, umido e fastidioso.- osservò distrattamente.

Tornò sulla lista degli argomenti; si meravigliò di vedere sbarrato anche l’ultimo punto della scaletta.

- Non ci credo. Ho finito.-

ricontrollò da capo, punto per punto. Le note bibliografiche c’erano tutte. I riferimenti bibliografici erano precisi e puntuali.

Si stiracchiò, distendendo la schiena e allontanò i libri con un calcio. Aveva anche un po’ di tempo per riposare prima del rientro dei suoi amici. Di Boris.

Sentì che il sonno la stava avviluppando, facendole rallentare i battiti cardiaci. Il respiro regolare e i pensieri incontrollati si trasformavano in sogni dai quali si risvegliava subito.

Poi qualcosa la destò. Incapace di riconoscere la causa, tese l’orecchio. Sembrava che qualcuno la stesse chiamando. Si sedette, attenta.

- Ramel!-

Mise i piedi nudi fuori dal letto senza avvertire il freddo del pavimento, sveglia, felice.

- Ramel!- udì nuovamente. La voce aveva un’intonazione urgente ma divertita. La raggiunse una risata sonora mentre spalancava la porta del Dormitorio. Si affacciò sporgendosi oltre le scale a chiocciola, i capelli le caddero in avanti sfiorando le guance.

- Boris!- chiamò.

Ebbe dall’alto una fugace visione dei suoi occhi e del suo sorriso.

- Muoviti.- le gridò lui, sparendo dalla visuale.

Ramel scese le scale, senza capire da cosa provenisse il rumore strano e stridente contro il quale Boris stava imprecando. Saltava i gradini rischiando di cadere e rotolare direttamente sul pavimento, tanto andava veloce.

Ai piedi delle scale Boris la aspettava impaziente.

Quando lei apparve lo spaziò si dilatò. Immobile, fissava l’oggetto di quel tafferuglio. Spalancò gli occhi e si portò una mano alla bocca, come per bloccare un grido di stupore.

A Boris quei secondi parvero rallentati, muti, sordi. La vide staccare i piedi dal pavimento, prima la punta poi il tallone, piegare le ginocchia e avanzare poggiando le dita nude sulla pietra. Come se fosse tutto rarefatto, come se fossero sott’acqua e lei si muovesse al pari di una creatura marina: elegante, aggraziata.

Non appena Ramel si trovò a poca distanza da lui, i secondi ripresero a scorrere normalmente e la sensazione dello spazio dilatato svanì.

Boris avvertì con chiarezza le unghie del gatto che teneva in braccio affondargli nella carne, e lo vide spiccare un balzo orgogliosamente felino verso Ramel.

Con le zampe posteriori poggiate sulla spalla e quelle anteriori ben piazzate sulla testa della ragazza, miagolò una minaccia contro Boris, intimandogli di stare lontano da quello che aveva scelto come il suo personale, inespugnabile baluardo di difesa.

- Bestiaccia.- disse lui.

Ramel alzò le braccia e prese il gatto, portandoselo davanti al viso. Si fissarono negli occhi e lei non trattenne una risata commossa. Il felino avvicinò il muso alla guancia e miagolò strofinandovi la testolina.

- Boris! E’ un gatto.- fece lei raggiante.

- Così sembra.-

- E’ bellissimo.-

- No. Così non sembra.-

In effetti, il gatto in questione, era alquanto malmesso. Si poteva intuire il colore scuro del pelo solo grazie alle rare chiazze sparse, quasi per pietà, su un orecchio, su una parte della schiena e su una zampa. I graffi, disposti con una certa costanza su buona parte del corpo, lo facevano apparire più vecchio di quanto non lo fosse, a giudicare dalla statura. Che gli mancasse un pezzo di orecchio e forse anche qualche centimetro di coda, poco male. Ma erano gli occhi a renderlo incredibilmente selvaggio: gliene era avanzato uno, giallo, malmostoso e poco rassicurante. L’altro era stato chiuso per sempre da una cicatrice.

Sembrava che stesse vivendo l’ultima delle sette vite.

Eppure Ramel riusciva a trovarlo delizioso.

- E’ per me?-

- Per chi potrebbe essere, se non per una che lo trova bellissimo?-

- Oh, Boris! Non so come ringraziarti.-

Alzò il viso verso l’amico, il quale ammise con se stesso che quello sguardo di Ramel, radioso e preoccupato, valeva bene il bruciore dei graffi inferti dal gatto.

- Ma cos’hai fatto?- gli chiese lei, scorgendo le numerose piccole ferite nelle braccia e nel collo.

- Diciamo che ho impiegato un po’ di tempo per convincerlo a farsi acchiappare.-

Ramel avanzò verso di lui. Boris la temette più delle unghie del gatto, che risalì sulla spalla in posizione di difesa, soffiando da sopra la testa.

Lei gli prese un braccio e lo osservò; Boris girò la faccia verso la finestra.

- Dovresti disinfettarle, anche se non sono profonde.- disse con un tono professionale nonostante il bizzarro cappello vivente.

Alzò le mani per controllare le ferite sul collo. Boris avvertì distintamente l’occhio del gatto puntato sulla sua tempia, sospettoso e nemico. Si sentì stordito. Colpa della vodka. Forse.

- Niente di grave, per fortuna. E comunque sarebbe meglio…- ma non finì la frase: lui la allontanò gentilmente.

- Direi che il mostro appollaiato sulla tua testa necessiti di cure più urgenti.-

La guardò negli occhi grandi e riconobbe delle schegge verde rame che non aveva mai notato.

- Andiamo da Hagrid.- concluse, rimproverandosi di aver esagerato con i brindisi.

 

 

 

Saltando per evitare di finire dentro qualche pozzanghera, Ramel e Boris correvano stretti sotto lo stesso mantello, piegati dalla pioggia che infuriava attorno a loro. Il gatto, che si era rifugiato tra le braccia della padrona, aveva chiuso l’occhio e sembrava essersi calmato.

- Boris, la finestra è illuminata.- gridò Ramel forte attraverso il vento, scorgendo la casa oltre l’orto delle zucche.

Boris annuì, guidandola attraverso il sentiero sconnesso.

Bussarono energicamente alla porta e il gatto si risvegliò con un miagolio elettrico.

Hagrid spalancò l’ingresso, accompagnato dall’abbaiare di Thor.

- Ramel! Fokine!- esclamò sorpreso, e con un gesto li invitò ad entrare.

La stanza era ben riscaldata e accogliente, e nell’aria aleggiava l’aroma del the. Il cane si avvicinò ansioso di far conoscenza con il gatto, fiutando i vestiti di Ramel e spingendo in avanti il muso.

- Hagrid, ci dispiace piombare così all’improvviso,- iniziò la ragazza,- ma sei un’autorità quando si tratta di animali.-

Il guardacaccia le rivolse in sorriso dietro la barba rasposa.

- Di cosa si tratta?- chiese guardando il fagotto stretto tra le braccia di Ramel.

- E’ un gatto. Ma non sembra in ottima forma.- rispose lei sollevando il lembo del mantello che aveva utilizzato per ripararlo dalla pioggia.

Hagrid allungò le mani verso l’animale, il quale rifiutò l’invito assumendo l’ormai usuale posizione di difesa. Con le zampe infilate fra i capelli di Ramel, dava l’impressione che volesse sferruzzare indisturbato.

Lei lo prese e se lo adagiò su una spalla.

- Vai pure con Hagrid, tesoro.- disse con dolce fermezza.

Il gatto ubbidì riluttante, fissando l’occhio giallo sul viso di Hagrid.

- E come si chiama il tuo tesoro?-

Ramel, che non aveva ancora pensato a quel particolare, si lasciò ispirare da una rapida associazione di idee.

- Alastor.- annunciò.

Alastor approvò con un miagolio.

Boris, dall’altra parte della stanza, le lanciò un divertito sguardo interrogativo, al quale Ramel rispose mostrando i palmi delle mani e scuotendo la testa, come se  non l’avesse deciso lei.

- Alastor Hametovich Simps.- concluse solennemente.

- Hametovich? Cosa significa?- si informò Hagrid.

Stava visitando il gatto con estrema attenzione. La cura e l’affetto dei suoi gesti, il modo delicato con il quale riusciva a controllare le escoriazioni del piccolo Alastor senza causargli la minima sofferenza, il garbo che usò nel carezzargli la schiena spelacchiata, erano degni di ammirazione.

- Beh, Hametovich è il secondo nome di Boris, e dato che è stato lui a trovarlo, ritengo giusto tributargli almeno il secondo nome.-

Il ragazzo scosse la testa e si sedette, prendendosi la testa fra le mani,

- Da dove l’hai preso, Fokine?- domandò Hagrid guardandolo di sfuggita.

Boris rispose ma sembrò costargli parecchia fatica.

- A Hogsmeade. Stavo rientrando al Castello. Pioveva e mi sono trovato davanti…- respirò e fece un gesto verso il gatto - Alastor. Miagolava forte e sembrava nei guai, anche perché tre cani randagi si erano messi in testa di avere la meglio su di lui. Così ho bloccato i cani e rintracciato il gatto che era fuggito a ripararsi sotto una catasta di legna.-

Ramel si posizionò dietro la spalla di Hagrid per assistere alla visita. Alastor sembrava impaziente di tornare fra le sue braccia.

- E così ha deciso di portarlo da me.- disse lei. Allungò il busto in direzione del gatto e gli sorrise, affabile.

Calò il silenzio, rotto solo dal respiro di Hagrid, dai brontolii canini di Thor e dalle scintille che scoppiavano nel camino. La pioggia e il vento erano cessati, e l’oscurità era calata del tutto.

Boris, seduto davanti al fuoco, poggiò i gomiti sulle ginocchia, sorreggendosi la fronte con le mani, stanco. Del suo viso Ramel poteva vedere solo la fine del naso e la bocca, e i capelli accesi dal riverbero delle fiamme.

Dopo qualche minuto Hagrid si alzò: la visita era conclusa.

- Bene. Bene. E’ tutto a posto.- disse.

Lasciò andare Alastor che, libero, mise le zampine sulla pancia della padrona, in un orbo invito a venire rincuorato.

- Vuoi dire che non ha nulla?-

- Nulla, a parte qualche escoriazione superficiale che dovrai curare. Per l’occhio, niente da fare purtroppo, ma ormai la ferita è cicatrizzata e sana. Per il pelo posso darti io una medicina, in breve dovrebbe rinfoltirsi…ehm…ma in molte parti rimarrà così. E cerca di farlo mangiare diverse volte nell’arco della giornata, perché è troppo magrino.-

- Certo. Vedrai come diventa forte, il mio Alastor.-

- Anche per quello posso darti qualcosa io. Aspetta, dovrei averlo conservato…-

 Hagrid si alzò e andò a frugare in una credenza scura, spostando barattoli e facendo cadere dai cassetti vecchie fotografie che lo ritraevano in compagnia di animali e creature magiche della sua stessa stazza.

Ramel baciò la testolina del gatto fra le orecchie, e Boris si domandò come fosse possibile trovare adorabile un impiastro simile, mezzo cieco e sbilenco. Lei veleggiò in direzione di Hagrid, sollevata per la prognosi positiva e, passando davanti all’amico, si fermò un attimo, giusto il tempo per sussurrargli che di lì a poco se ne sarebbero andati.

Boris ebbe la tentazione di tirarle la manica del golf e trattenerla vicino a se, ma l’occhio di Alastor brillava di cupe ritorsioni, e rinunciò.

Hagrid consegnò una fiaschetta a Ramel, spiegando dettagliatamente le dosi e i tempi della cura. Osservò il gatto e un gran sorriso si disegnò sul faccione.

- Grazie infinite, Hagrid. Non so cosa avrei fatto senza di te.- disse lei con sincera riconoscenza.

- Ma guardalo! Già ti adora. Vedrai che si riprenderà presto.- gli occhi si inumidirono, diede un colpo di tosse -Vieni pure da me per qualsiasi problema. E tienimi informato.-

Passò un dito sul muso di Alastor, che accettò la carezza senza soffiare.

- Che tenera bestiola. Mi ricorda tanto…- ma si bloccò, voltando la sua mole verso una finestra. Assunse un’espressione sognante, nostalgica, tipica di chi si perde abitualmente nei meandri aggrovigliati dei ricordi.

Boris si alzò e indicò la porta con un cenno della testa.

Ramel richiamò l’attenzione di Hagrid e, dopo aver rifiutato l’invito per la cena, si congedò assieme a Boris, lasciando il guardacaccia ai suoi pensieri.

 

Sotto il cielo ancora coperto dalle nuvole, Ramel immaginava il futuro del suo gattino, e, mentre lo teneva stretto fra le braccia, si disse che fra tutti i regali del mondo, Alastor era in assoluto il più bello.

 

 

 

 

 

 

 

I miei grazie:

a Serpedoro, con la promessa di passarle il numero di telefono di Misuki Isozaki

a mike, psichedelica e curiosa come un’ostrica

a Ombrix, che ha visto in Ramel un segreto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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