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Tazze, libri, gatti
Il sabato mattina Ramel si svegliò con una sensazione di
disagio, come una puntura dietro la nuca. Ancora stordita dal sonno non ne
riconobbe subito la causa, e rimase distesa con gli occhi chiusi e le orecchie
tese ad ascoltare il brontolio di un tuono lontano.
Ma poi se ne ricordò: la relazione per Piton. Così, quella
giornata, si preannunciava scandita da colazione, ore in Biblioteca, pranzo, ore
in Biblioteca. In un ordine variabile ma comunque noioso ed estenuante.
Con il proposito di finire quanto prima la relazione sul
cardamomo, si sporse dalla sponda del letto verso il baldacchino di Terry: era
vuoto, così come tutti gli altri.
L’idea di dover inevitabilmente affrontare il suo compito
solitario, non la aiutò di certo a racimolare il modesto entusiasmo con il quale
mise i piedi fuori dalle coperte e il corpo sotto la doccia.
Finì di preparasi e si avviò verso la Sala Grande per la
colazione. Nei corridoi gli studenti si muovevano in gruppetti di tre o quattro,
senza le divise, rilassati, chiacchierando tranquillamente.
Prima di scendere le scale buttò uno sguardo all’arazzo di
Barnaba il Babbeo: quel soggetto ridicolo aveva la capacità di farla sorridere
sempre, al punto che, dopo tante stagioni a Hogwarts, aveva preso l’abitudine di
passargli davanti rivolgendogli un muto saluto. Nei periodi di studio
impellente, dopo settimane di pioggia ininterrotta, nei momenti di noia, Barnaba
il Babbeo era sempre lì, intento ad insegnare danza classica a una manica di
stupidi troll.
Scesa ancora qualche piano chiedendosi se i suoi amici
avessero già finito la colazione. Dietro un gruppetto di ragazzini del terzo
anno vide Boris andarle incontro. Si fermò davanti a lei e indicò una finestra.
-Sarai soddisfatta: il tempo, oggi, fa completamente schifo.-
le disse.
Ramel si girò dalla parte opposta, verso una statua di pietra,
accennando un inchino.
-Buongiorno anche a te, Boris. Si, sto bene grazie. Oh, sono
lieta di apprendere che pioverà, la pioggia purifica e fa risplendere i colori.
E…si, devo ammettere che l’idea di dover rimanere al Castello non mi entusiasma,
visto che sarebbe piaciuto anche a me fare un giro a Hogsmeade, ma dal momento
che sono costretta a rinunciarvi, credo che un po’ di pioggia mi terrà
compagnia.-
Poggiò una mano sul braccio di pietra della statua e lo
ritrasse sgomenta.
-A pensarci bene Boris, oggi ti trovo più rigido e austero del
solito. Chi ha osato farti arrabbiare questa mattina? Non sarà mica stata una
lieve pioggerellina? Una nuvoletta? Lo dico per il tuo bene, sai: cerca di
rilassarti.-
Boris assistette pazientemente a quel teatrino, che si
concluse con un ulteriore inchino di Ramel alla statua e con una pirouette.
Applaudì con scarso, svogliato trasporto. Però sorrise e una luce vivida, fresca
gli illuminò il volto.
-Hai già fatto colazione?- gli chiese Ramel ponendo fine allo
spettacolo.
-No.-
Si allontanarono verso le scale.
Diversi metri dietro di loro, nel punto dove poco prima si
erano incontrati, la statua di Boris il Basito emise uno scricchiolio di
stupore.
GAZZETTA DEL PROFETA
Il misterioso omicidio del giovane Otto de Fae-Strottenn
rimane ancora irrisolto. Mentre le indagini, coordinate dall’ispettore Polemius,
sembrano proseguire a rilento, le ombre sul caso si infittiscono,
pericolosamente, ogni giorno di più.
Il Ministero non si sbottona sui sospettati, ma
l’impressione che le piste seguite abbiano portato solo a vicoli ciechi, è
vieppiù probabile.
I risultati dell’autopsia hanno confermato l’ipotesi di
decesso per avvelenamento da Narcomors. Si suppone che il veleno sia stato
ingerito dalla vittima poche ore prima dell’arrivo a Hogsmeade e che sia stato
trasmesso attraverso la stanghetta degli occhiali da vista.
Tuttavia l’assassino, come pure il movente, rimangono
ignoti. Dal Ministero arrivano rassicurazioni sulla velocità delle indagini e
sulla prossima risoluzione di questo tremendo delitto. Interrogarsi sulla
effettiva forza d’azione del Ministero e sul suo vigore pragmatico nello
sbrogliare l’intricata matassa di un giallo senza precedenti e senza perché, si
risolverebbe in una dispersione di energie.
Tuttavia questo tragico fatto esige la verità, la chiama a
gran voce, la pretende. Soprattutto perché in questo clima di rinata paura per
il ritorno di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, la morte agghiacciante di un
ragazzo che si era appena affacciato alla vita, deve corroborare i cuori e gli
intelletti e saldare l’unione della coscienza comune nella lotta contro
l’ingiustizia. (Continua a pag. 2)
Terry riemerse dalla lettura della Gazzetta con uno sguardo
accigliato dietro gli occhiali dalla montatura vistosa.
-Ancora niente. E’ pazzesco. Più passa il tempo e meno
possibilità hanno di trovare l’assassino. Il “Corriere della Strega”
titola questa mattina: “Delitto sull’Hogwarts Express: dove si è acquattata
la giustizia?”-
Lasciò cadere il giornale che teneva in mano, ne acchiappò un
altro e lo sfogliò fino a trovare la pagina cercata, battendovi sopra un dito.
-Tutta la stampa non riesce a celare un certo grado di
perplessità. Nel numero di ieri del “Daily Hogsmeade” alludono, cito
testualmente, al “perpetuato silenzio dell’Ispettore Polemius”.-
Si tolse gli occhiali e giocherellò con la stanghetta. Li
inforcò nuovamente, guardando Morag mentre si ripuliva la boccuccia rosea
cosparsa di zucchero a velo. Morag deglutì, scostandosi col dorso della mano un
boccolo dorato che gli importunava la fronte, e afferrò il giornale abbandonato
da Terry.
-Qui dice che il funerale si terrà questo mercoledì, a …….-
osservò.
-Credete che ci faranno andare?-
-Siamo tutti maggiorenni, no? Se vogliamo andare, possiamo
andare. Non dice a che ora inizia?- chiese Ramel versandosi il the.
Terry frugò fra i giornali, facendoli frusciare e aggrottando
la fronte.
-No. Però potremmo informarci da qualcuno.-
Boris le tolse la copia dalle mani.
-Dai a me. Non sei capace neanche di fare una rassegna stampa
dignitosa. Eccolo, scritto qui, in grande. Mi domando a cosa ti servano quegli
occhiali.-
Lei lo guardò indispettita. Raccolse una piccola borsetta di
damasco, la mantellina impermeabile, trillò un saluto verso Ramel e se ne andò a
testa alta, seguita da Morag.
Boris continuò indifferente.
-Mercoledì, alle sette del pomeriggio. Se riusciste ad
organizzarvi bene, non perdereste nemmeno le lezioni.-
Ramel notò la seconda plurale e il tono distaccato col quale
parlò.
-Non avrai mica deciso di non venire?- gli domandò,
squadrandolo con disapprovazione.
Boris finì di bere il caffè, poggiò la tazza e vi guardò
dentro, assorto.
-Se fossi nella Cooman potrei affermare che il fondo del mio
caffè dice inequivocabilmente e con un inesistente margine di errore…no!-
Fece per afferrare la tazza di Ramel ma lei lo bloccò
allontanandogli il braccio.
-Se reputi tanto divertente questa nuova trovata di leggere
nei fondi del the, sappi che non ho bisogno della Cooman per poter affermare di
ritenerti più arido e inutile di un pezzo di fango secco.-
Boris affettò un’espressione offesa.
Ramel non gli badò e bevve un sorso di the, continuando
ostinatamente a leggere un articolo, senza tuttavia riuscire ad afferrarne il
senso. Lui divenne serio.
- Se non essere ipocriti come la maggior parte della gente che
andrà al funerale per non mancare a uno degli eventi mondani più succulenti di
questi tempi, significa essere arido come un pezzo di fango…sono ben contento di
esserlo. Quando parlo di gente ipocrita non mi riferisco a te, intendiamoci. So
perfettamente che tra di voi c’era un ottimo rapporto, e questo vale anche per
altre persone. Ma quanti di quelli che parteciperanno al funerale sapranno
portare il dovuto rispetto per un momento così solenne e doloroso? Voglio dire,
quando il padre di Otto saluterà per l’ultima volta il figlio, vorrà farlo con
un’intimità intatta, pura. Con una familiarità scoperta e quindi più
vulnerabile: per questo dovrà essere protetta dagli sguardi affamati e curiosi
della folla.-
Ramel abbandonò il giornale sul tavolo. Suo malgrado il
discorso di Boris non faceva una piega.
- Capisco quello che vuoi dire. E, sicuramente, se spiegassi
con chiarezza le tue ragioni, eviteresti di passare per quello che non sei. In
ogni caso è stato proprio il padre di Otto a volere che il funerale fosse aperto
a tutti, anche ai suoi compagni di Hogwarts. Anzi, secondo me, la nostra
presenza sarà un segnale di solidarietà. Partecipare al dolore di qualcuno, a
prescindere dal quanto e dal come, stringersi attorno ai familiari, è un gesto
spontaneo per tutti. Anche per chi con Otto non aveva mai parlato.-
- Sarà. Ad ogni modo, nel caso in cui dovessi morire durante
il periglioso tragitto per Hogsmeade, sappi che io non desidero alcun funerale
libero. Gli unici ammessi all’estremo saluto, saranno i miei genitori e Michail.
E tu saresti l’ospite d’onore. Lutto stretto, mi raccomando. Non fare quella
faccia, c’è sempre un’elevata probabilità che io torni qui al Castello sano e
salvo.-
Ramel lo guardò di sottecchi.
- Egocentrico.-
Boris si alzò dalla panca e le poggiò una mano sulla spalla,
chinandosi per parlarle in un orecchio.
- Guarda che fai molto male a non dare fiducia ai fondi delle
tazze.-
Indugiò dietro di lei per un attimo quasi impercettibile.
-Io vado, allora. Divertiti, con il cardamomo.-
Si allontanò verso l’uscita, elegante e insieme impetuoso,
come un corsaro sul mare aperto.
Non appena sparì, Ramel osservò la Sala Grande, circondata
ormai solo dai ragazzini dei primi anni. Allungò un braccio per prendere la
teiera e guardò distrattamente la tazza.
Si bloccò con la mano a mezz’aria, incredula: nel fondo le
foglie del the si spostavano, formavano una frase e si muovevano nuovamente.
Come gli slogan pubblicitari di Diagon Alley.
Lesse il messaggio che si formò sotto i suoi occhi:
“Non: no, ho deciso di non venire.”
Le foglie si riunirono in un gruppetto e si risistemarono.
“Ma: no, ho deciso di venire.”
Fissò il messaggio, perplessa.
Riflettè sulla contorta logica di Boris, secondo la quale,
evidentemente, “No” poteva anche significare “Si”. Concluse che da un ragazzo
che beveva solo caffè, vodka e caffè corretto con vodka, se lo sarebbe dovuta
aspettare.
Prese la tazza incantata con sé e si diresse verso una delle
finestre.
Attraverso il vetro osservò i suoi compagni che scendevano il
pendio diretti a Hogsmeade.
- Non ci posso credere.- mormorò scorgendo l’Auror Clan tra la
folla.
- Pure la Granger oggi fa vacanza: si è messa la felpa della
festa.-
Sospirò, rassegnata, scacciando dalla mente l’immagine dei
suoi amici ai “Tre manici di scopa”, spensierati, ridenti.
O quella del profilo concentrato di Boris, intento a cercare
vecchi spartiti per pianoforte, immerso nella luce gialla di un retrobottega in
disordine.
Sbuffò, infastidita e annoiata, staccandosi a malincuore dalla
finestra. Decise di iniziare subito la relazione e si avviò verso le scale.
La porta chiusa della Biblioteca aveva qualcosa di minaccioso.
E non per le figure scolpite nel solido legno, le quali da sole bastavano
comunque a scoraggiare qualsiasi avventore. Considerato, infatti, che in quel
luogo si trovavano scaffali e polvere in quantità illimitata e Madama Pince,
custode di cotali tesori, sempre sull’orlo dell’indignazione, la minaccia si
sarebbe fatta seria nel caso in cui una persona avesse desiderato conservare un
barlume di buon umore.
Con una mano che sfiorava la maniglia della porta e l’altra
che teneva la bacchetta, Ramel temporeggiava davanti all’ingresso.
- Potrei creare un diversivo. Architettare una scusa per
filare dritta in Sala Comune o, meglio ancora, giù a Hogsmeade. Un impedimento
innocuo, che mi dia la scusa per non entrare. Un piccolo incendio, qualcosa
così…tanto non mi vedrebbe nessuno. Poi deletrius, e via!-
Il viso di Piton le fluttuò davanti agli occhi, estremamente
reale pur essendo solo una proiezione della sua mente. Lo vide alzare un
sopracciglio.
- Va bene. Niente scuse. Alohomora!-
Il battente si aprì, lento e pesante. Ramel varcò la soglia,
trovandosi l’aspra faccia di Madama Pince come benvenuto: una palpebra le tremò
da dietro gli occhiali.
Ramel cambiò decisamente traiettoria, allontanandosi dal
nuovo tic nervoso della Bibliotecaria che si era aggiunto a quelli già
esistenti, arricchendone il campionario. Si mosse verso uno dei grandi tavoli e
vi lasciò cadere la borsa avendo cura di farle fare un tonfo rumoroso.
- Silenzio!- le intimò Madama Pince, accompagnando l’invito
con un’oscillazione dell’indice davanti alle labbra strette.
- Vecchia strega.- mormorò Ramel, voltandole le spalle.
Aveva trovato ogni genere di urgenza da assolvere
immancabilmente durante tutta la mattina, pur di non rinchiudersi subito in
Biblioteca. Alla fine però, dopo pranzo, si era costretta a raccogliere tutta la
poca diligenza che le era rimasta dopo sei anni di scuola e ad entrare nella
stanza che conservava i testi migliori per il suo compito.
Vide un lembo del vestito di Madama Pince spuntare da dietro
l’angolo di uno scaffale: stava catalogando tomi ingialliti e sembrava molto
presa dalla sua occupazione.
Ramel sfilò una pergamena dalla borsa e stilò una lista dei
libri ai quali fare riferimento. Erano molti, ma cercò di consolarsi con il
pensiero che, se si fosse impegnata, dopo poche ore si sarebbe ritrovata distesa
su un divano della Sala Comune ad ascoltare le chiacchiere dei suoi amici.
Quando, trascorsa ormai più di un’ora, Madama Pince si spostò
dall’altra parte dell’aula, non fece caso alla figura accasciata sul tavolo che
fissava il vuoto, cercandovi un po’ di sostegno: Ramel. Davanti a lei si
allargava una distesa di libri aperti; nella pergamena, gli appunti che aveva
deciso di prendere con tanti buoni propositi, erano in netta minoranza rispetto
agli scarabocchi: guardando il foglio si accorse di aver messo più zelo nel
disegnare i mattoni di una casetta che nello scrivere correttamente i
riferimenti bibliografici. E quello non era per niente un buon inizio.
Ormai demoralizzata, stava cominciando a coccolare la
possibilità di fare una pausa, quando la porta della Biblioteca si aprì. Dalla
posizione in cui si trovava non riuscì a vedere chi fosse entrato. La poca luce
proveniente dalle finestre illuminava una parte della sala, ma lasciava in ombra
un lungo spazio tra gli scaffali e la parete. In quell’oscurità intravide una
sagoma alta e magra. Tentò di sentire la voce che salutava Madama Pince, ma
quest’ultima rispose immediatamente e con una scontrosità tale da coprire
qualsiasi altro suono.
Ramel si sporse oltre la pila dei libri, schiacciandosi le
costole sul tavolo nel vano tentativo di spingere lo sguardo aldilà del buio,
curiosa e intrigata. La figura apparve sotto la pozza di luce tremolante
proiettata dal lampadario, proprio davanti a lei. Era Theodore Nott. Poggiò la
borsa sulla sedia di fronte a quella di Ramel e si allontanò.
Quando tornò, attraversando la stanza semivuota e lasciandosi
alle spalle una fila di posti liberi, Ramel si impose di concentrarsi
seriamente, o almeno di fingere di essere seriamente concentrata, poiché
inciampare in un altro saluto non ricambiato non le sarebbe piaciuto nemmeno un
po’.
Sentì lo stridore della sedia strisciata sul pavimento e
permise all’ angolo della pergamena di Theodore di sfiorare il suo libro.
Corrugò la fronte e sollevò le sopraciglia come se stesse per fare una grandiosa
scoperta ma le mancasse l’ultimo passaggio, in un’espressione che definì “alla
Granger”. Iniziò a scrivere e in breve la fronte si rilassò. Le sopracciglia
ripresero la posizione normale. L’espressione “alla Granger” venne spazzata via
da una reale attenzione per il suo lavoro.
Dopo quasi un’ora gli appunti di Ramel avevano raggiunto
proporzioni notevoli: lo studio nato come pretesto per non guardare Nott, alla
fine l’aveva totalmente assorbita.
Alzò la testa. Theodore fece lo stesso e la osservò con gli
occhi malinconici, leggermente distanti.
- Ciao.- le disse semplicemente.
Ramel rispose e abbozzò un sorriso.
La pelle di Theodore, già piuttosto pallida, sotto la luce
artificiale aveva un colore irreale, sembrava sottile come carta velina e le
occhiaie risaltavano bene su quel biancore. Tuttavia l’aria stanca accresceva il
suo fascino naturale. Aveva un viso appuntito e regolare. I capelli neri e lisci
erano spettinati il tanto necessario da ricadergli sulla sopraciglia con un
movimento discreto e misurato. Gli occhi verde scuro, forse per il taglio
allungato verso le tempie, avevano uno sguardo triste, assorto ma anche morbido
e calmo. Il naso affilato e la bocca sottile completavano il viso che, pur non
avendo nessun tratto particolarmente bello o notevole, aveva nell’insieme
un’accattivante aria di poetico mistero.
Theodore le rivolse un sorriso sfuggente e ritornò sui libri.
Fu solo dopo diverso tempo che Ramel si rese conto che fuori
pioveva violentemente, e che la luce era calata tanto da indurla ad appiccicare
il naso a pochi centimetri dalle pagine del libro.
Theodore chiuse il manuale che stava consultando e Ramel
riordinò le sue cose. Aveva bisogno di cinque testi per terminare la ricerca di
Pozioni; se li caricò sulle braccia e si avviò con passo sicuro verso l’uscita.
Il suo obiettivo era quello di andar via dalla Biblioteca senza incappare in
Madama Pince. Ma la donna sbucò fuori da dietro uno scaffale impedendole di
proseguire.
Ramel sciorinò uno sguardo innocente e infastidito, e la
scansò.
Madama Pince spalancò la bocca in una smorfia di orrore, prese
a scuotere furiosamente la testa e le tagliò nuovamente la strada.
- Puoi prendere al massimo tre libri in prestito.-
Tentò di strapparle i manuali.
- E tu ti stai appropriando di ben due libri oltre il numero
consentito.-
Ramel si girò rivolgendole le spalle per riparare i testi. Le
mani ossute e tremanti di Madama Pince spuntavano da sotto il gomito, da sopra
la spalla e si agitavano in aria, cercando di afferrare il maltolto.
- No, per cortesia!- fece Ramel soffocando le risa per
l’assurdità della situazione
- Mi occorrono, sono indispensabili!-
La Pince le strinse un braccio ansimando. Ramel si liberò
dalla morsa con uno strattone e puntò dritto verso l’uscita. La bibliotecaria le
gridò di tornare indietro e con un ammirevole scatto si lanciò all’inseguimento.
Ramel camminava velocemente, ma era comunque ostacolata dal
bagaglio pesante. Quando stava per guadagnare la meta Madama Pince riuscì a
bloccarle il passaggio. Era furente, paonazza, incollerita. Apriva la bocca e la
richiudeva senza riuscire ad emettere alcun suono, gli occhi le sporgevano come
se fosse spiritata. Tuttavia aveva serbato il tanto di forze necessario per
strappare i libri dalle braccia di Ramel e lo fece con tanta foga da compiere
mezzo giro su stessa. Con il bottino stretto convulsamente al petto, si ritrovò
davanti un placido Nott, il quale, come se la donna si trovasse lì per lui, le
tolse gentilmente i due libri dalle braccia e li cacciò in borsa.
- Grazie, Madama Pince. Stavo cercando proprio questi due. Li
prendo in prestito. Arrivederci.-
E uscì senza aspettare risposta.
Ramel non capì, sul momento. Ma si disse che sarebbe stato più
prudente uscire prima che la Pince riacquistasse la voce.
Il corridoio del quarto piano era vuoto, lo percorse diretta
alle scale, contando le ore che mancavano al rientro dei suoi amici. Morag di
sicuro avrebbe potuto darle una mano, vista la sua considerevole abilità in
Pozioni. Buona parte della relazione era già fatta, per il resto se la sarebbe
cavata con gli appunti e con gli altri libri che era riuscita a portar via.
Salì la prima rampa di scale. Da una finestra socchiusa sul
pianerottolo, un soffio di vento le fece volare i fogli degli appunti,
sparpagliandoli sul pavimento.
- Tipico.- mormorò abbandonando i libri sull’ultimo gradino.
Scese le scale e si chinò per raggruppare le pergamene.
L’ultimo foglio si era incastrato sotto lo spiraglio di una porta. Lo prese con
la punta delle dita, ma non lo sfilò. Dall’interno della stanza provenivano
delle voci. Sembravano animate ma controllate. Erano sussurri che a volte
divenivano sonori. Ebbe la netta impressione di trovarsi all’esterno di una
stanza nella quale stava avendo luogo un colloquio privato.
Si sentì trattenuta lì, immobile, con i piedi inchiodati al
suolo, l’udito teso. Non sbatteva nemmeno le palpebre per paura che facessero
rumore. Le parole arrivavano frazionate, erano frammenti di una conversazione
che doveva essere ben più articolata. Ma avere accesso a quelle frasi rubate,
per quanto spezzate e a volte incomprensibili, era già tanto.
Distinse le voci della Mc Grannit e di Piton, mentre
nell’inflessione discendente, stentata, sbuffante e rauca riconobbe l’Ispettore
Polemius.
- …difficile soluzione. Capite bene…-
Un bisbigliare indecifrabile, un passeggiare nervoso.
La voce della direttrice di Grifondoro, tagliente.
- Una situazione inammissibile. Inaccettabile, oltre ogni
ragionevole considerazione. Un ragazzo ucciso. Sul treno. Nessun movente.-
Un borbottio ovattato, probabilmente di Polemius.
- Polemizzare sulla lentezza? State aprendo scatole vuote
spacciandole per bauli traboccanti di indizi.-
Le parole di Piton sibilarono in aria come una frusta. Otto
era stato uno dei suoi alunni più brillanti.
Polemius alzò di mezzo tono la voce.
- Stiamo restringendo la cerchia a…-
Ramel non riuscì a sentire. Poi, ancora qualcosa.
- …apparentemente innocente…-
Sembrava che alcune frasi rimanessero incastrate nel muro e
non ce la facessero a uscire.
- …conosceva il ragazzo…le sue abitudini, forse. Bisogna
cercare all’interno del…-
Un colpo di tosse della Mc Grannit coprì le ultime parole di
Polemius.
Piton parlò nuovamente.
- Fra gli studenti, certo, ma chiunque sia, improbabile che
abbia fatto tutto da solo.-
Gli occhi di Ramel si strinsero nello sforzo di imprimere il
dialogo nella mente, ma non poté ascoltarlo ulteriormente. Il pericolo di essere
scoperta nell’atto di origliare dall’odiosa gatta di Gazza, che avanzava verso
di lei, la spinse rinunciare. Doveva andarsene, allontanarsi al più presto, o il
miagolare di Mrs. Purr avrebbe palesato in modo imbarazzante la sua presenza.
Girò sulla punta dei piedi e camminò senza far rumore.
Arrivata in cima alle scale, voltò l’angolo e si nascose.
Sentì la gatta miagolare, poi i passi di Gazza sul pavimento. La porta venne
aperta da qualcuno. Udì il padrone di Mrs. Purr lamentarsi per qualcosa. Piton
lo invitò poco cordialmente ad occuparsi di altre faccende e richiuse la porta.
Gazza ripercorse il corridoio a ritroso.
Ramel si affacciò oltre la colonna, intenzionata a tornare
indietro per carpire ancora qualcosa e recuperare il foglio incastrato. Ma
davanti alla porta, un’arcigna Mrs. Purr sedeva ritta facendo vibrare i baffi e
muovendo le orecchie per captare il minimo rumore. Sconfitta, sospirò, raccolse
la borsa, e riprese a salire le scale.
Rifletteva sul dialogo, tornando più volte sulle parole che
aveva sentito, analizzandole, considerando le varie interpretazioni, vagliando
ipotesi. Polemius sosteneva che l’assassino fosse uno studente. Piton riteneva
che dovesse aver agito con l’aiuto di qualcuno. Tuttavia, la soluzione pareva
ancora lontana.
Quando giunse in prossimità del ritratto del Cavaliere
Guantato, non si accorse subito che sul pavimento vicino all’angolo sinistro del
quadro si trovava qualcosa per lei. Dovette metterci il piede sopra per
rendersene conto. Si inginocchiò: erano due libri. O meglio, erano i due libri
che non aveva potuto prendere dalla biblioteca. Dalle pagine ammuffite spuntava
un foglio. Lo estrasse. Era un messaggio scritto con una bella grafia, minuta e
lineare.
- Da restituire entro lunedì. T.- diceva.
Ramel guardò a destra e a sinistra, si affacciò oltre il
parapetto delle scale, fece qualche passo in varie direzioni, ma non c’era
nessuno.
Il Cavaliere Guantato, intento a levarsi inesistenti granelli
di polvere dalla giubba in broccato, le lanciò un’occhiata fulminea da sotto il
cappello.
- Oh, non era certo della tua Casa il messere che codeste
regalie ivi lasciò, mia donzella. Aspetto cagionevole e candide mani da nobile
cavaliere mostrava. Depositati i pesanti scrigni della conoscenza, andò via
senz’indugio alcuno.-
Ramel si avvicinò al ritratto.
- Credi che dovrei cercare questo cavaliere dalle candide mani
per ringraziarlo?-
- Certamente, mia pulcherrima fanciulla dal lungo collo. Che i
tuoi piedini volino sulle pietre di questa antica magione, e giungano al
cospetto del cavaliere dalle lunghe mani. Orsù, dunque! Oltre non esitare,
cosicché egli godrà del tuo desiato sorriso.-
E concluse con un arzigogolato inchino, togliendosi il
cappello con uno svolazzo.
- Grazie delle informazioni.- fece Ramel ricambiando il gesto
con una riverenza.
Recitò la parola d’ordine, salì nel dormitorio per poggiare i
libri sul comodino affianco alla tazza incantata e ridiscese.
Si domando se fosse meglio tentare la sorte e andare a zonzo
per il Castello sperando di beccarlo da qualche parte, o se fosse più opportuno
recarsi nei sotterranei.
Cercò di figurarsi la scena. Theodore alto e muto, le mani in
tasca, gli angoli della bocca piegati all’insù in un sorriso stentato. Lei che
si portava i capelli dietro un orecchio e pronunciava una di quelle frasi
formali ed educate che tirava fuori nelle situazioni di imbarazzo. Pianificò la
conversazione. Dopo il grazie, avrebbe studiato la reazione di Theodore entro il
primo secondo e si sarebbe comportata di conseguenza: una rapida girata di
spalle nel caso di un atteggiamento scostante, o un largo sorriso di
gratitudine se si fosse dimostrato gentile.
Arrivò al piano terra ripentendo la frase che aveva pensato di
dirgli, ricercando ogni volta un’intonazione più o meno simpatica. Sbirciò in
Sala Grande, ma di Theodore nemmeno l’ombra. Non aveva alternative: il
sotterraneo.
Scese la prima rampa di scale, girò e andò a sbattere contro
qualcosa. Anzi, a giudicare dalla consistenza, contro qualcuno. Millicent
Bullstrode teneva le gambe larghe, piantate saldamente sul terreno, e le braccia
lungo i fianchi.
- Scusa.- disse Ramel sollevando lo sguardo.
Millicent portava una maglia verde pistacchio. A Ramel ricordò
un’enorme gelatina tremolante che aveva visto al matrimonio della cugina, e si
stupì di non essere rimbalzata sulla sua mole finendo appiccicata alla parete.
- Cercavi qualcuno?-
- Theodore Nott.-
- Non è giù. Prova più tardi.-
Sembrava scettica, rimase a fissarla stringendo gli occhi, poi
riprese a salire. Ramel restò impalata, indecisa e delusa. Osservò il corridoio
poco invitante e buio sotto di lei, e dall’altra parte le scale che portavano
alla luce. Si convinse che aveva perso già troppo tempo e che doveva terminare
la relazione. Di sicuro non poteva rimproverarsi di non averlo cercato per
ringraziarlo, dato che era andata fino ai sotterranei.
Salì fino al piano terra, e lui era proprio lì. Stava
chiudendo il portone di quercia dell’ingresso alle sue spalle.
Ramel ebbe un momento per studiarlo, prima che lui alzasse il
viso e si accorgesse di lei. Gli andò incontro, dimenticando di colpo la
conversazione pianificata, senza riuscire a controllare una risatina. Lui fece
un passo, alto e pallido, con le mani affondate nelle tasche, e scosse la testa
per liberare la fronte dai capelli.
- Ho trovato i libri.-
Theodore non rispose subito; si prese un attimo per fissarla.
- Erano quelli che ti servivano?-
- Si. Grazie.-
Il ragazzo sorrise e le sopraciglia si allargarono verso le
tempie, restituendo alla sua interlocutrice un’espressione di prudente dolcezza.
- E’ una pratica abbastanza usuale, quella di portarsi un
amico per poter prendere qualche libro in più. Io lo faccio spesso.-
Ramel non seppe cosa rispondere, anche perché la parola
“amico” iniziò a vorticarle nella mente, senza riuscire a capirne la ragione.
- Oh, davvero? Bene, allora grazie ancora.- fu tutto quello
che trovò da dire.
Gli porse una mano, sentendosi immediatamente un po’ stupida e
formale. La ritrasse proprio nel momento in cui lui le stava porgendo la sua,
cosicché iniziarono un balletto di mani offerte e ritirate piuttosto ridicolo.
Al terzo tentativo mancato Ramel scoppiò a ridere e nascose la mano dietro la
schiena. Theodore rise sommessamente e incrociò le braccia sul petto.
- Lasciamo perdere?- le chiese.
- Lasciamo perdere.- confermò lei.
- Buon lavoro, allora.-
Ramel annuì.
- Si, grazie. A presto.- e si allontanò continuando a tenere
le braccia dietro la schiena.
Salì le scale e giunta al pianerottolo si girò il tanto giusto
per vedere se Theodore fosse ancora giù: era dove l’aveva lasciato e la salutò
sventolando le dita rimaste libere, poiché anche lui teneva ancora le braccia
incrociate sul petto. Ramel rispose agitando la mano ma, data la posizione,
sembrò più che altro uno scodinzolio.
Seduta sul letto, con la tazza incantata fra le mani, Ramel
cercava da qualche parte un po’ di concentrazione per proseguire il compito.
Il messaggio di Boris sul fondo non aveva perso di vitalità, e
lei lo stava fissando, senza vederlo, da qualche minuto.
Theodore era un argomento sul quale sarebbe dovuta tornare. La
conversazione che aveva origliato, meritava ben più di una riflessione. Ma non
era quello il momento.
- Finire la relazione.-
Si alzò, posizionandosi davanti allo specchio.
- Studia.- ordinò alla sua immagine riflessa.
Mise la tazza sul comodino e risalì sul letto. Stropicciandosi
la faccia con le mani e sospirando, riprese il lavoro abbandonato.
Passo più di un’ora a scrivere e a leggere, consultando a
turno i libri sparsi sulla coperta.
Fuori pioveva ancora.
- Un acquazzone britannico, umido e fastidioso.- osservò
distrattamente.
Tornò sulla lista degli argomenti; si meravigliò di vedere
sbarrato anche l’ultimo punto della scaletta.
- Non ci credo. Ho finito.-
ricontrollò da capo, punto per punto. Le note bibliografiche
c’erano tutte. I riferimenti bibliografici erano precisi e puntuali.
Si stiracchiò, distendendo la schiena e allontanò i libri con
un calcio. Aveva anche un po’ di tempo per riposare prima del rientro dei suoi
amici. Di Boris.
Sentì che il sonno la stava avviluppando, facendole rallentare
i battiti cardiaci. Il respiro regolare e i pensieri incontrollati si
trasformavano in sogni dai quali si risvegliava subito.
Poi qualcosa la destò. Incapace di riconoscere la causa, tese
l’orecchio. Sembrava che qualcuno la stesse chiamando. Si sedette, attenta.
- Ramel!-
Mise i piedi nudi fuori dal letto senza avvertire il freddo
del pavimento, sveglia, felice.
- Ramel!- udì nuovamente. La voce aveva un’intonazione urgente
ma divertita. La raggiunse una risata sonora mentre spalancava la porta del
Dormitorio. Si affacciò sporgendosi oltre le scale a chiocciola, i capelli le
caddero in avanti sfiorando le guance.
- Boris!- chiamò.
Ebbe dall’alto una fugace visione dei suoi occhi e del suo
sorriso.
- Muoviti.- le gridò lui, sparendo dalla visuale.
Ramel scese le scale, senza capire da cosa provenisse il
rumore strano e stridente contro il quale Boris stava imprecando. Saltava i
gradini rischiando di cadere e rotolare direttamente sul pavimento, tanto andava
veloce.
Ai piedi delle scale Boris la aspettava impaziente.
Quando lei apparve lo spaziò si dilatò. Immobile, fissava
l’oggetto di quel tafferuglio. Spalancò gli occhi e si portò una mano alla
bocca, come per bloccare un grido di stupore.
A Boris quei secondi parvero rallentati, muti, sordi. La vide
staccare i piedi dal pavimento, prima la punta poi il tallone, piegare le
ginocchia e avanzare poggiando le dita nude sulla pietra. Come se fosse tutto
rarefatto, come se fossero sott’acqua e lei si muovesse al pari di una creatura
marina: elegante, aggraziata.
Non appena Ramel si trovò a poca distanza da lui, i secondi
ripresero a scorrere normalmente e la sensazione dello spazio dilatato svanì.
Boris avvertì con chiarezza le unghie del gatto che teneva in
braccio affondargli nella carne, e lo vide spiccare un balzo orgogliosamente
felino verso Ramel.
Con le zampe posteriori poggiate sulla spalla e quelle
anteriori ben piazzate sulla testa della ragazza, miagolò una minaccia contro
Boris, intimandogli di stare lontano da quello che aveva scelto come il suo
personale, inespugnabile baluardo di difesa.
- Bestiaccia.- disse lui.
Ramel alzò le braccia e prese il gatto, portandoselo davanti
al viso. Si fissarono negli occhi e lei non trattenne una risata commossa. Il
felino avvicinò il muso alla guancia e miagolò strofinandovi la testolina.
- Boris! E’ un gatto.- fece lei raggiante.
- Così sembra.-
- E’ bellissimo.-
- No. Così non sembra.-
In effetti, il gatto in questione, era alquanto malmesso. Si
poteva intuire il colore scuro del pelo solo grazie alle rare chiazze sparse,
quasi per pietà, su un orecchio, su una parte della schiena e su una zampa. I
graffi, disposti con una certa costanza su buona parte del corpo, lo facevano
apparire più vecchio di quanto non lo fosse, a giudicare dalla statura. Che gli
mancasse un pezzo di orecchio e forse anche qualche centimetro di coda, poco
male. Ma erano gli occhi a renderlo incredibilmente selvaggio: gliene era
avanzato uno, giallo, malmostoso e poco rassicurante. L’altro era stato chiuso
per sempre da una cicatrice.
Sembrava che stesse vivendo l’ultima delle sette vite.
Eppure Ramel riusciva a trovarlo delizioso.
- E’ per me?-
- Per chi potrebbe essere, se non per una che lo trova
bellissimo?-
- Oh, Boris! Non so come ringraziarti.-
Alzò il viso verso l’amico, il quale ammise con se stesso che
quello sguardo di Ramel, radioso e preoccupato, valeva bene il bruciore dei
graffi inferti dal gatto.
- Ma cos’hai fatto?- gli chiese lei, scorgendo le numerose
piccole ferite nelle braccia e nel collo.
- Diciamo che ho impiegato un po’ di tempo per convincerlo a
farsi acchiappare.-
Ramel avanzò verso di lui. Boris la temette più delle unghie
del gatto, che risalì sulla spalla in posizione di difesa, soffiando da sopra la
testa.
Lei gli prese un braccio e lo osservò; Boris girò la faccia
verso la finestra.
- Dovresti disinfettarle, anche se non sono profonde.- disse
con un tono professionale nonostante il bizzarro cappello vivente.
Alzò le mani per controllare le ferite sul collo. Boris
avvertì distintamente l’occhio del gatto puntato sulla sua tempia, sospettoso e
nemico. Si sentì stordito. Colpa della vodka. Forse.
- Niente di grave, per fortuna. E comunque sarebbe meglio…- ma
non finì la frase: lui la allontanò gentilmente.
- Direi che il mostro appollaiato sulla tua testa necessiti di
cure più urgenti.-
La guardò negli occhi grandi e riconobbe delle schegge verde
rame che non aveva mai notato.
- Andiamo da Hagrid.- concluse, rimproverandosi di aver
esagerato con i brindisi.
Saltando per evitare di finire dentro qualche pozzanghera,
Ramel e Boris correvano stretti sotto lo stesso mantello, piegati dalla pioggia
che infuriava attorno a loro. Il gatto, che si era rifugiato tra le braccia
della padrona, aveva chiuso l’occhio e sembrava essersi calmato.
- Boris, la finestra è illuminata.- gridò Ramel forte
attraverso il vento, scorgendo la casa oltre l’orto delle zucche.
Boris annuì, guidandola attraverso il sentiero sconnesso.
Bussarono energicamente alla porta e il gatto si risvegliò con
un miagolio elettrico.
Hagrid spalancò l’ingresso, accompagnato dall’abbaiare di Thor.
- Ramel! Fokine!- esclamò sorpreso, e con un gesto li invitò
ad entrare.
La stanza era ben riscaldata e accogliente, e nell’aria
aleggiava l’aroma del the. Il cane si avvicinò ansioso di far conoscenza con il
gatto, fiutando i vestiti di Ramel e spingendo in avanti il muso.
- Hagrid, ci dispiace piombare così all’improvviso,- iniziò la
ragazza,- ma sei un’autorità quando si tratta di animali.-
Il guardacaccia le rivolse in sorriso dietro la barba rasposa.
- Di cosa si tratta?- chiese guardando il fagotto stretto tra
le braccia di Ramel.
- E’ un gatto. Ma non sembra in ottima forma.- rispose lei
sollevando il lembo del mantello che aveva utilizzato per ripararlo dalla
pioggia.
Hagrid allungò le mani verso l’animale, il quale rifiutò
l’invito assumendo l’ormai usuale posizione di difesa. Con le zampe infilate fra
i capelli di Ramel, dava l’impressione che volesse sferruzzare indisturbato.
Lei lo prese e se lo adagiò su una spalla.
- Vai pure con Hagrid, tesoro.- disse con dolce fermezza.
Il gatto ubbidì riluttante, fissando l’occhio giallo sul viso
di Hagrid.
- E come si chiama il tuo tesoro?-
Ramel, che non aveva ancora pensato a quel particolare, si
lasciò ispirare da una rapida associazione di idee.
- Alastor.- annunciò.
Alastor approvò con un miagolio.
Boris, dall’altra parte della stanza, le lanciò un divertito
sguardo interrogativo, al quale Ramel rispose mostrando i palmi delle mani e
scuotendo la testa, come se non l’avesse deciso lei.
- Alastor Hametovich Simps.- concluse solennemente.
- Hametovich? Cosa significa?- si informò Hagrid.
Stava visitando il gatto con estrema attenzione. La cura e
l’affetto dei suoi gesti, il modo delicato con il quale riusciva a controllare
le escoriazioni del piccolo Alastor senza causargli la minima sofferenza, il
garbo che usò nel carezzargli la schiena spelacchiata, erano degni di
ammirazione.
- Beh, Hametovich è il secondo nome di Boris, e dato che è
stato lui a trovarlo, ritengo giusto tributargli almeno il secondo nome.-
Il ragazzo scosse la testa e si sedette, prendendosi la testa
fra le mani,
- Da dove l’hai preso, Fokine?- domandò Hagrid guardandolo di
sfuggita.
Boris rispose ma sembrò costargli parecchia fatica.
- A Hogsmeade. Stavo rientrando al Castello. Pioveva e mi sono
trovato davanti…- respirò e fece un gesto verso il gatto - Alastor. Miagolava
forte e sembrava nei guai, anche perché tre cani randagi si erano messi in testa
di avere la meglio su di lui. Così ho bloccato i cani e rintracciato il gatto
che era fuggito a ripararsi sotto una catasta di legna.-
Ramel si posizionò dietro la spalla di Hagrid per assistere
alla visita. Alastor sembrava impaziente di tornare fra le sue braccia.
- E così ha deciso di portarlo da me.- disse lei. Allungò il
busto in direzione del gatto e gli sorrise, affabile.
Calò il silenzio, rotto solo dal respiro di Hagrid, dai
brontolii canini di Thor e dalle scintille che scoppiavano nel camino. La
pioggia e il vento erano cessati, e l’oscurità era calata del tutto.
Boris, seduto davanti al fuoco, poggiò i gomiti sulle
ginocchia, sorreggendosi la fronte con le mani, stanco. Del suo viso Ramel
poteva vedere solo la fine del naso e la bocca, e i capelli accesi dal riverbero
delle fiamme.
Dopo qualche minuto Hagrid si alzò: la visita era conclusa.
- Bene. Bene. E’ tutto a posto.- disse.
Lasciò andare Alastor che, libero, mise le zampine sulla
pancia della padrona, in un orbo invito a venire rincuorato.
- Vuoi dire che non ha nulla?-
- Nulla, a parte qualche escoriazione superficiale che dovrai
curare. Per l’occhio, niente da fare purtroppo, ma ormai la ferita è
cicatrizzata e sana. Per il pelo posso darti io una medicina, in breve dovrebbe
rinfoltirsi…ehm…ma in molte parti rimarrà così. E cerca di farlo mangiare
diverse volte nell’arco della giornata, perché è troppo magrino.-
- Certo. Vedrai come diventa forte, il mio Alastor.-
- Anche per quello posso darti qualcosa io. Aspetta, dovrei
averlo conservato…-
Hagrid si alzò e andò a frugare in una credenza scura,
spostando barattoli e facendo cadere dai cassetti vecchie fotografie che lo
ritraevano in compagnia di animali e creature magiche della sua stessa stazza.
Ramel baciò la testolina del gatto fra le orecchie, e Boris si
domandò come fosse possibile trovare adorabile un impiastro simile, mezzo cieco
e sbilenco. Lei veleggiò in direzione di Hagrid, sollevata per la prognosi
positiva e, passando davanti all’amico, si fermò un attimo, giusto il tempo per
sussurrargli che di lì a poco se ne sarebbero andati.
Boris ebbe la tentazione di tirarle la manica del golf e
trattenerla vicino a se, ma l’occhio di Alastor brillava di cupe ritorsioni, e
rinunciò.
Hagrid consegnò una fiaschetta a Ramel, spiegando
dettagliatamente le dosi e i tempi della cura. Osservò il gatto e un gran
sorriso si disegnò sul faccione.
- Grazie infinite, Hagrid. Non so cosa avrei fatto senza di
te.- disse lei con sincera riconoscenza.
- Ma guardalo! Già ti adora. Vedrai che si riprenderà presto.-
gli occhi si inumidirono, diede un colpo di tosse -Vieni pure da me per
qualsiasi problema. E tienimi informato.-
Passò un dito sul muso di Alastor, che accettò la carezza
senza soffiare.
- Che tenera bestiola. Mi ricorda tanto…- ma si bloccò,
voltando la sua mole verso una finestra. Assunse un’espressione sognante,
nostalgica, tipica di chi si perde abitualmente nei meandri aggrovigliati dei
ricordi.
Boris si alzò e indicò la porta con un cenno della testa.
Ramel richiamò l’attenzione di Hagrid e, dopo aver rifiutato
l’invito per la cena, si congedò assieme a Boris, lasciando il guardacaccia ai
suoi pensieri.
Sotto il cielo ancora coperto dalle nuvole, Ramel immaginava
il futuro del suo gattino, e, mentre lo teneva stretto fra le braccia, si disse
che fra tutti i regali del mondo, Alastor era in assoluto il più bello.
I miei grazie:
a Serpedoro, con la promessa di passarle il numero di
telefono di Misuki Isozaki
a mike, psichedelica e curiosa come un’ostrica
a Ombrix, che ha visto in Ramel un segreto
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