Roba da duemila e due notti

di piper3snape
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** From where you are. Da dove sei ***
Capitolo 2: *** Segui il tuo cuore arrivando alle stelle ***
Capitolo 3: *** At last. Finalmente ***
Capitolo 4: *** Una ragazza divertente ***



Capitolo 1
*** From where you are. Da dove sei ***


"From where you are
You see the smoke start to arise..."

Le luci sono abbassate, un pò soffuse. E dai piccoli archi disposti tutti intorno si alzano dei bagliori rossastri.
Lo spazio non è molto, ma togliendo i banchi e le varie sedie,  può ospitare anche una festicciola.
Tra amici, si intende.
Tra amici e amici di amici.
Un party, un piccolo ricevimento per farsi due conti e brindare al risultato, alla maturità presumibilmente raggiunta, per dare l'addio al posto che per anni ha ospitato un pò di storia.
Lei ha appena oltrepassato il cancello all'ingresso, e già sente questa nota canzone :

"He calls you bluff
He is the ace you never thought..."

Lui è seduto su una sedia, piuttosto distante dal centro della sala.
Completo nero, camicia bianca con i primi due bottoni sbottonati e delle Prada lucide ai piedi.
Parla distrattamente con qualcuno guardando ogni tanto gli altri ballare, chiacchierare e ridere, accompagnati da quella stessa musica.

"Take a look
Beyond the moon
You see the stars..."

Proprio in quel momento entra lei, che avanza sorridente, a tempo, canticchiando in quel suo inglese perfetto.

"And when you look around
You know the room by heart..."

Da dove è, lui riesce a vedere tutto. L'ha vista arrivare e la osserva mentre saluta, chiacchiera allegramente, gesticola e si sistema il vestito blu notte con ricami degradè.
Alla fine lei lo vede, seduto, dalla parte opposta alla sua.
Si guardano negli occhi.
Lei sorride, lui fa altrettanto.
 

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Capitolo 2
*** Segui il tuo cuore arrivando alle stelle ***


"Vittoria!". Dice lui vedendola avvicinarsi.
Lei lo raggiunge. "Buonasera!". Due baci sulle guance e un sorriso.
"Stai benissimo!". Fa lui galantemente.
"Grazie!". Piccola pausa. E parte a raffica.
"Però ho questi tacchi, e sono così, alti, perchè...sennò mettevo le ballerine...cioè, ovviamente le scarpe alte slanciano e danno l'impressione che...".
Lui sorride, divertito da quei suoi soliti nonsense.
Quando è agitata, inizia a farneticare un pò.
"Eccola la mia svampita preferita! Mi mancava". Interviene lui, interrompendola.
Ridono insieme, e si ritrovano catapultati in uno sguardo complice. Uno sguardo che dura un attimo, infinito.

"Vittoria!". Una voce da fuori spezza quel momento.
Lui abbassa gli occhi. E' sempre il primo a farlo.
E li rivolge a quel ragazzo, a quel suo ex allievo che è appena arrivato.
Non sembra affatto seccato da quell'interruzione.
Tutto è come deve essere, per lui.

"Daniiiii!". Risponde lei, correndo ad abbracciare il suo ex compagno d'avventura.
Lui ricambia calorosamente e solo allora nota anche il suo vecchio professore.
Gli viene da sorridere.
"Ah, continua la storia d'amore?". Butta lì Daniele, simpaticamente, cavalcando l'onda del momento.
Il prof e Vittoria non sembrano neanche meravigliarsi troppo. Sono piuttosto abituati a quelle battute più o meno esplicite.
Ma d'altronde, quella situazione l'hanno creata loro, tra canzoni cantate occhi negli occhi, sorrisi, scherzi e regali di compleanno.
Sono in molti a sognarlo, ma chi ci crede davvero?
Il prof e l'alunna, come nei migliori romanzi rosa.
Un classico, assurdo. Semplicemente assurdo.
Lo sanno tutti, lo sa anche lei. Lo sa soprattutto lui.
E la fanno cadere così, buttando sul ridere quella buffa esclamazione.

"Ok, allora ci vediamo presto!". Dice sorridendo a Vittoria. E con una stretta di mano si congeda anche dal prof.
I due restano un pò così, nascosti in quel momento di silenzio. Fin quando lei non decide di porgli fine.
"E adesso...mi invita a ballare?". Domanda lei con aria tutt'altro che maliziosa.
Lui la guarda intensamente negli occhi, e vede tutta l'ingenuità dei suoi vent'anni. Quella stessa che manca negli occhi di molti altri, anche in quella sala.
Ed è proprio per quello che le risponde : "Scusami, ma non sono molto portato per il ballo", mostrando un sorriso un pò appannato. "Va' da Daniele, non aspetta altro!". Finisce, accarezzando in modo appena percettibile la guarcia di lei con la mano.
Si scambiano un sorriso, stavolta meno complice, prima che lui si allontani.

"Ragà, io... è troppo diffi... Ma siete impazziti? E' troppo veloce, regà! Ma poi quell'altra parte nun me l'avete insegnata!".
Protesta lei rivolgendosi a Daniele e Andrea, che le stanno insegnando a ballare "Jump", di Madonna.
"Dai! Stai andando benissimo!". Ribatte prontamente Andrea, facendole vedere quel passo ancora una volta.
In effetti non si muove male. Con quel suo fare semplice, fluido, sicuro, frizzante e a tratti anche sensuale, sembra davvero naturale, a suo agio.
Come lo sembrava un pò in tutto.
Ma la musica cambia.

"Life is a moment in space
When the dream is gone
It’s a lonelier place..."

"No regà, è troppa roba. Muoio di caldo!". Dice lei, fermandosi. "Io vado ad aggiustarmi un pochino".
E lascia lì i ragazzi, che continuano a ballare e ridere al centro della sala, mentre lei cammina verso destra fino ad arrivare alla porta in fondo.
Sorride ad una ragazza lì vicino e poi sposta le lunghe tende bianche. Entrando in un altro mondo, lasciandosi la festa e tutta quella gente alle spalle.
La musica no, quella riesce ancora a sentirla.

"I kiss the morning goodbye
But down inside you know
We never know why
The road is narrow and long..."

E mentre canticchia quelle parole, vagando con i pensieri, si ritrova davanti a lui. O meglio, ci sbatte.
"Prof!". Esclama sorridendo.
"Hey!". Dice lui, ricambiando il sorriso. "Che ci fai qui?".
"Iniziavo ad annoiarmi. Non c'è nessuno di là". Risponde lei ironicamente, alludendo alla sala pienissima.
Sorridono ancora, senza parlare. Ma quel silenzio non li spaventa. E' così pieno.
E ancora una volta è lei a romperlo, intervenendo con un inaspettato : "Balliamo?".
"Cosa? Qui?". Interviene lui, quasi ridendo.
"Si. Non la sente la musica, prof?".

"I am a woman in love
And I do anything
To get you into my world
And hold you within
It’s a right I defend
Over and over again
What do I do?"

"Te l'ho detto, non sono...".
"Suuu! Anche se fosse, non la vede nessuno qui". Lo interrompe lei, cercando di tirar fuori tutta la sua capacità di persuasione, e uno splendido sorriso, che non guasta mai.
"Vittoria....".
"Prof, suuuuu! Un ballo". Sorride ancora, mai per finta.
Lui la guarda un attimo. Sa che continuerà ad interromperlo, che ormai lei ha deciso : loro due quella sera balleranno insieme.
E si arrende a quel suo fare esplosivo, travolgente, semplice.
"Vabè dai, hai ragione, non si rifiuta mai un ballo con una bella ragazza". Dice lui strizzando l'occhio sinistro, ma aspettando che sia lei ad avvicinarsi.
Non deve attendere molto. Lei si avvicina, avvolgendo delicatamente le braccia intorno al suo collo.
Lui sembra un pò turbato da quella insolita vicinanza.
In un attimo viene invaso dal suo profumo, un delicato ma intenso D&G the one.
E spinto anche da quella fragranza, si decide ad appoggiare le sue mani prima sui fianchi di lei, poi lungo la sua schiena.
Iniziano a chiacchierare tra sorrisi e sguardi, dimenticandosi per un pò tutto il resto.
I loro ruoli, la loro età, le altre persone, la festa.
Si lasciano trascinare da quella musica, da quelle parole, dal movimento del corpo dell'altro.

"With you eternally mine
In love there is
No measure of time
We planned it all at the start
That you and I
Would live in each other's hearts..."

Lui però torna presto alla realtà. E' irrequieto. Non riesce proprio a stare tranquillo. E Vittoria lo nota.
"Che ha, prof?". Dice guardandolo dritto negli occhi.
"Possibile che ogni volta che sta con me, è così rigido?".
Domanda con tono leggero, sorridendo. Ma ci tiene davvero a quella risposta, a capire il perchè.
Lui sorride a sua volta, e cerca di uscirsene con un poco impegnativo : "E' solo perchè ho sentito che voci girano su di noi e ho sempre paura di dargli credito con i miei atteggiamenti. Non vorrei che la gente pensasse cose non vere".
"La gente?". Interviene Vittoria, abbastanza sconcertata.
"E' solo questo il problema? Quello che potrebbe pensare la gente? Stiamo solo ballando! E non vedo come questo...".
"Si, lo so". La interrompe lui. "Non c'è niente di male, ma...".
Stavolta è lei a bloccarlo. "Niente "ma", almeno per stasera. Niente "la gente, gli altri". Anzi, le propongo un piccolo patto : tutto quelllo che succederà, rimarrà a stasera".
"E cosa dovrebbe mai succedere?". Dice lui quasi ridendo.
"Che magari una volta tanto si lascia andare!". Risponde, facendogli un occhiolino per alleggerire il tutto.
Distolgono lo sguardo e si avvicinano, ritrovandosi dopo poco guancia a guancia. Continuando a danzare su quelle note.

"I am a woman in love
And I'm talking to you
Do you know how it feels?
What a woman can do
It’s a right
That I defend over and over again"

Lei si accosta con le labbra vicino al suo orecchio e gli sussurra, stavolta più seria : "Si lasci andare, prof!".
 

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Capitolo 3
*** At last. Finalmente ***



E di colpo lei si allontana. Si stacca da lui.
"Venga con me!". Gli dice.
"Eh? Cosa...ma dove...?".
"Su, venga, prof!". Ripete lei, afferrando la sua mano sinistra.
Percorrono il corridoio arancione, fino ad arrivare alla porta bianca in fondo.
Lui è sul punto di fermarsi, quando i suoi occhi si posano sulla figura di Vittoria, di spalle.
I suoi capelli scuri, ondulati, le sue forme burrose e quel suo fare allegro, leggero, giovane.
"Ma si!". Pensa tra sè. "Per una sera...che c'è di male!".
E si lascia trasportare, si lascia pizzicare la faccia dall'aria romana di una sera di marzo.
Lei ha appena aperto la porta. Neppure il tempo di abituarsi a quella nuova temperatura, che già si trovano lungo delle scale di ferro un pò arrugginite.
Lui ha mille domande in testa. Mille dubbi, incertezze, perplessità. Ma decide di mandarli giù, di metterli da parte. Almeno per un pò.
"In fondo che male c'è a farsi contagiare un pò dalla sua vitalità!".
E mentre lui è immerso in questi pensieri, si ritrova in un attimo sul tetto dell'edificio, di quel Liceo.
Soltanto allora lei gli lascia la mano e corre al centro di quel piccolo terrazzo.
E' scuro, appartato, con la sola luce della luna che illumina una parte di quel quadrato di cemento.
Lui le va quasi automaticamente incontro, camminando piano. E' un pò spaesato, e procede mettendo un piede davanti all'altro al ritmo del suo respiro. Lento, insicuro.
Cerca di capire, ma si distrae presto al rumore di qualcosa lì a terra.
Si curva leggermente e riesce a distinguere un piccolo oggetto che brilla appena nel buio.
Con un gesto deciso lo raccoglie e lo rigira tra la mani.
Poi, rompendo quel lungo silenzio : "E' rosa, brilla... deve essere tuo!", esclama simpaticamente verso di lei.
"Cosa?". Domanda Vittoria, mentre lui percorre quegli ultimi passi che li separano.
"Ooh, my I-pod! Thanks. Deve essermi scivolato dalla borsa. Non me ne ero proprio accorta!". Dice lei, in quel suo modo international, un pò in italiano e un pò in inglese.
"Lo hai lasciato acceso. E' ancora in riproduzione". Osserva lui, con tono un pò sarcastico e per nulla stupito.
"Si...no, cioè...a volte dimentico di mettere il blocco, quindi per un niente poi si riaccende!".
"Ah ecco!". Dice lui divertito.
Sta ancora assaporando quel sorriso che lei gli ha appena fatto scappare, che Vittoria ha già infilato le cuffie dell'auricolare una nel suo orecchio e una in quello di lui.

"At last my love has come along
My lonely days are over
And life is like a song
Oh yeah yeah..."

"Etta James!". Esclama lui. "La nostra canzone".
Finisce, scoppiando subito in un altro sorriso, che trascina anche lei. E in un attimo si ritrovano lungo un vortice di ricordi, fino alla gita di fine anno, sulla nave, direzione Barcellona.
Lei cantava proprio questa canzone, avvolta in quel suo particolare vestito lilla a fiori.

"I found a dream that I could speak to
A dream that I can call my own
I found a thrill to press my cheek to
A thrill that I have never known
Ohhhh, you smiled, you smiled
And then the spell was cast..."

"Finalmente si è lasciato un pò andare, prof!". Osserva lei, intrecciando le sue parole alle note di quella canzone per loro così familiare.
Cerca di simulare simpaticamente un tono distaccato, da alunna, mentre il resto di lei si ritaglia uno spazio, una confidenza forse insolita tra un prof e la sua allieva.

"And here we are in heaven
For you are mine
At last"

La canzone meccanicamente finisce, accompagnata dalla voce di Vittoria che intona quegli ultimi versi. Perfettamente.
"Hai un inglese fantastico! Si vede che ti piace molto".
"Thank you profy!". Risponde lei allegramente.
"Si, lo amo molto, e vorrei tanto andare a vivere a Londra. It's so international!". Conclude con aria sognante.
"International? E Roma allora? C'è racchiuso tutto qui, Italia e non solo. E poi...tu non credi alle antiche massime? Al "Roma caput mundi", al "Tutte le strade portano a Roma"?".
Lui la vede sorridere, divertita.
"Che c'è?". Le domanda.
"No, è che...sei nato e cresciuto a Milano e ami così tanto Roma?".
"Credo ad Ovidio. Diceva : "Quid melius Roma?". Sbagliava?".
Vittoria, per risposta, continua a sorridere di quel modo infervorato e per lei così inaspettato che lui ha di difendere Roma.
Si guardano negli occhi. E lui capisce che non è riuscito a convincerla, a farle ammettere quell'amore che anche lei in fondo prova per la sua città.
"Poco male. Vieni con me!".
La prende per mano e vanno via.
Stavolta però è lui a condurre.
Finalmente.
 

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Capitolo 4
*** Una ragazza divertente ***


"Chiudi gli occhi!".
"Capirà, è già tutto buio!", risponde lei sorridendo.
"Chiudili lo stesso. Fa più effetto!".
"Ok", dice lei accondiscendente.
Lui apre una porta, il rumore è chiaro.
Ma lei non riesce a resistere e tenta di aprire leggermente gli occhi, di sbirciare. La curiosità è troppa.
"Ah ah! Allora non mi posso fidare, signorina", fa lui con aria severa, come un prof che richiama la sua allieva irrequieta.
"Eh va bene...". Dice poco prima di mettere la mano nella tasca dei suoi pantaloni e cacciare prontamente un fazzoletto di stoffa.
"...Mettiamo questo allora!".
Lo dispiega accuratamente e lo posiziona proprio davanti agli occhi di Vittoria.
Lei sembra protestare, si scuote un pò sul posto, ma poi cede, divertita.

"Continua! Qualche altro passo. Dai che ci sei quasi!".
"Ommioddio, ma dove mi sta portando?". Domanda lei, impaziente.
Passa qualche secondo. Vittoria sente dei rumori confusi, distanti.
"Prof?".
Silenzio.
"Prof? Prof, dove è finito?".
Ancora niente.
Mette le mani avanti, cercando di tastare qualcosa nelle vicinanze. Non trova niente.
"Prooof! Guardi che sto per togliere la benda eh!".
Fa qualche passo, continuando a non vedere, ma distingue chiaramente il rumore delle assi di legno sotto i suoi piedi.
Sorride tra sè, per l'assurdità di quella situazione.
"Ma dove mi ha...?". Quasi sussura poco prima far scrivolare via il fazzoletto dai suoi occhi.
"...portata".

(Suono dei riflettori che si accendono).
Non appena apre gli occhi, un intenso fascio di luce, proveniente da due seguipersona di fronte a lei, si proietta sulla sua figura.
Ci mette un pò prima di abituarsi e mettere a fuoco l'ambiente in cui si trova.
Distingue, nel buio, delle poltroncine. Una platea.
Alza un po' lo sguardo e intravede i palchetti, in galleria.
Ma è tutto così scuro, confuso.
E decide di guardare dove è possibile, entro i contorni disegnati dalla luce.
Ai lati, vede un lungo tessuto rosso che scende elegante e imponente dal soffitto.
E' su un palco, quello le sembra chiaro.
"Ma dove...?".
Un lampo interrompe i suoi pensieri.
"Il teatro San Nicola, sulla strada parallela a quella del Liceo!".
Si guarda ancora un attimo intorno, per cercare conferma a quella sua esclamazione.
"Beh si, deve essere per forza quello. Ma è aperto, a quest'ora? Forse no, forse non si può stare qui. E se arrivasse qualcuno?".
E mentre queste domande affollano la sua mente, una voce forte d'improvviso la fa sobbalzare : "Vittoria!".
"Prof! Ommioddio, mi ha spaventata! Ma...dov'è?".
Per tutta risposta, la luce di uno dei seguipersona si sposta dalla figura della ragazza verso destra, verso il fondale.
Solo allora Vittoria nota uno scintillante pianoforte Bechstein.
"Un pianoforte? Cos'ha in mente, prof?". Domanda Vittoria sorridendo, divertita.
"A Barcellona mi dicesti che sai suonarlo. E' un'ottima occasione per dimostrarlo".
"Si, ma...qui non c'è nessuno!". Risponde lei perplessa.
"Il teatro è fatto da un attore e uno spettatore. Di che altro abbiamo bisogno?".
"Almeno si faccia vedere!".
"Tu inizia".

Vittoria si dirige verso destra, sorridendo.
"Questa situazione è assurda!", pensa, ma non vuole affatto andare via.
Vuole suonare quel piano. Vuole cantare
Così si avvicina al fondale, si siede su quello sgabello e fa un respiro profondo.
"Vai!", dice fra sè e sè. Poggia le dita sui tasti e parte.
Qualche nota e anche lui riconosce quella famosa canzone.

"Don't tell me not to live,
Just sit and putter,
Life's candy and the sun's
A ball of butter.
Don't bring around a cloud
To rain on my parade"

Lei è subito presa dalla musica, e non si accorge che lui sta scendendo dalla sua postazione, da dove pilotava le luci.
Si muove nella penombra, guardando il palco illuminato.
Guardando lei. Rapito.
E quasi come nelle favole, Filippo si avvicina sempre di più alla creatura che possiede quella splendida voce, alla bella Aurora.
Passa silenziosamente dietro le quinte e si trova proprio dietro di lei, dietro al pianoforte.
Le sfiora delicatamente la spalla.
Vittoria si volta, lo guarda, sorride.
Un cenno d'intesa e lei si sposta piano, mentre lui prende posto sullo sgabello, alla sua sinistra.
E iniziano a suonare. Insieme.

"I'll march my band out,
I'll beat my drum,
And if I'm fanned out,
Your turn at bat, sir.
At least I didn't fake it.
Hat, sir, I guess I didn't make it!
But whether I'm the rose
Of sheer perfection,
Or freckle on the nose
Of life's complexion,
The cinder or the shiny apple of its eye"

Le note, i sorrisi, le dita che ballano sul piano, la voce di Vittoria e i loro sguardi che si intrecciano, creano ben presto un'atmosfera suggestiva, insolita, quasi surreale. Fuori dal mondo.
Ad un tratto, senza usare parole, lui le indica il centro del palco e le poggia una mano sulla schiena, facendo una leggera pressione.
Lei capisce e, con le stesse ampie movenze di attrici che tante volte ha visto esibirsi in teatri come quello o alla tv, si posiziona sulla stellina che segna esattamente il punto centrale del parco, poco più indietro di un microfono.
E, come in un musical, continua a cantare, prendendo i tempi della canzone a colpi di capelli e agitando, di tanto in tanto, l'asta del microfono.

"I gotta fly once,
I gotta try once,
Only can die once, right, sir?
Ooh, life is juicy,
Juicy, and you'll see
I'm gonna have my bite, sir!
Get ready for me, love,
'Cause I'm a "comer,"
I simply gotta march,
My heart's a drummer.
Nobody, no, nobody
Is gonna rain on my parade!"

Finisce. Guardando davanti a lei, nel vuoto. Come se non lo fosse.
Lui si alza in piedi sorridente e, dirigendosi verso di lei, batte tre volte le mani, lentamente.
"Che sai cantare ho potuto notarlo in diverse occasioni, ma non ricordavo che lo facessi così bene".
Si gira verso la platea e a voce alta, come se davvero ci fossero centinai di spettatori, dice : "Ed ecco a voi Broadway, signore e signori!".
 

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