La Quinta Regione

di apochan kenshiro
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** 1) Survivor ***
Capitolo 3: *** 2) Acquaintance and knowledge ***
Capitolo 4: *** 3) Shadow ***
Capitolo 5: *** 4) Just round the way ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


 

Prologue

Camminava. Lentamente. Non aveva alcuna fretta: il suo era un viaggio senza meta, almeno per il momento … intorno a lui la tiepida brezza primaverile sfiorava le rigogliose fronde delle querce e dei tigli, mentre passeri e rondini riempivano l’aria dei loro canti d’amore. Qualche raggio di sole filtrava pigramente, dando luce al piccolo sentiero nella foresta. Qualche altro si posava dispettosamente sulla chioma biondo cenere, facendola riverberare di luce. Gli occhi, semi – aperti, scrutavano debolmente la piccola striscia di terra che serpeggiava fra gli alberi, per essere sicuri, di tanto in tanto, di seguire una parvenza di strada.

Era partito da non molto tempo dal suo piccolo villaggio dell’Est ed ora era in viaggio da solo qualche giorno. Tutto aveva cominciato ad essere monotono: l’alba, il risveglio, l’appello, la corsa … un cerchio continuo che non aveva mai la parvenza di cambiare forma o direzione. Così aveva deciso: sarebbe partito. Quando questa idea gli era balenata in mente, stava quasi per mettersi a ridere di sé stesso: come avrebbe fatto mai ad andarsene, lui, l’innamorato di Kularah? Perché sì, questa sarebbe parsa pura fantasia … lui, che, da quando aveva imparato a riconoscere ciò che gli stava intorno, non aveva smesso mai di amare e voler bene a quel fianco di collina dove stavano abbarbicate poche abitazioni … lui, che (a dire di sua madre), quando avrebbe dovuto accompagnare suo fratello al consesso di Makela, si era rifiutato, abbracciando la pietra del secondo stadio, vicino al cortile di Beylon, e dichiarando a pieni polmoni di amare troppo il suo piccolo mondo … lui, che aveva vegliato giorno e notte l’olivo secolare, simbolo della zona, affinché i periti di Zoher non lo abbattessero … eppure aveva deciso di partire. Da quando aveva cominciato a crescere, superata l’età di dieci anni, era stato mandato assieme agli altri per essere istruito dal vecchio Potim, l’unico ancora vivo nel villaggio che avesse visto il mondo e le sue Cinque Regioni, e che avesse una salda istruzione. Quando raccontava dei suoi viaggi e delle tre regole fondamentali del mondo, lui rimaneva sempre affascinato … così, giorno dopo giorno, all’innamorato non bastava più un tramonto sulla collina di Argol per renderlo felice; una corsa fra gli olivi ed i terrazzamenti non era più sufficiente; nemmeno suonare la campana lo rendeva più contento … lentamente si insidiava in lui un senso di vuoto e cominciava a nascere il desiderio di qualcosa di più: conoscere il mondo. Fu estremamente scontata la reazione della sua famiglia quando lo annunciò, di sera, davanti all’ultimo focolare: suo padre ed i suoi fratelli risero di gusto, complimentandosi per il suo senso dello humour. Poco dopo però il riso scomparve dalle labbra: nei suoi occhi verdi ardeva un fuoco mai visto. I fratelli rimasero a bocca aperta, sgomenti, mentre il padre si oscurava improvvisamente in volto; la madre cominciò a percuotersi il petto ed a piangere copiosamente; lui però non si smuoveva, il fuoco non accennava a diminuire: tutti capirono che una decisione era stata presa … la mattina dell’addio fu una commistione di sentimenti: fra la preoccupazione, l’attaccamento dei familiari e la sua determinazione partì, accompagnato dai primi fiori della stagione.

Ora, svoltando lentamente a destra sul sentiero, aveva cominciato ad avvertire un mormorio sommesso, che quasi accarezzava i suoi sensi, mettendolo in pace. Continuò, colto da curiosità, a muoversi in quella direzione, risoluto a scoprire l’origine di quel suono. Poco a poco il mormorio divenne un fruscio, poi un gorgoglio allegro; infine, fra i rami di giovani lecci, intravide un limpido ruscello e poco più in là una piccola cascatella, che cadeva scrosciando fra lisci ciottoli. Zaileh sorrise e si stiracchiò, decidendo di concedersi una pausa a quel tranquillo corso d’acqua.

Scrutò un po’ l’esigua riva e quando ebbe individuato un punto più ampio, ricoperto di tenera erba, vi si diresse. Allora si sedette. Scrutò dunque in alto, oltre le folte chiome degli alberi, e vide il sole allo zenit. Prese allora la sua bisaccia e cominciò a frugarci dentro: estrasse del formaggio, un tozzo di pane e dei mirtilli che aveva colto quella mattina, strada facendo. Seduto sulla riva del ruscello cristallino cominciò a gustare il suo pranzo, mentre osservava i piccoli pesci guizzare nella corrente. Stare lì nella natura lo metteva in completa pace ed ora, che era solo in quel viaggio, sentiva ancora di più affiorare la voglia di comprenderla appieno, di scoprirla fino in fondo.

Mentre questi pensieri gli balenavano in mente, finì i suoi mirtilli e si rialzò; pattò i suoi pantaloni e si stiracchiò, concedendosi anche di sbadigliare sonoramente. Guardandosi intorno, decise che avrebbe continuato il suo percorso lungo la riva, finché il terreno glielo avesse reso possibile. Mise dunque nuovamente in spalla la sua bisaccia e si incamminò, costeggiando i lisci ciottoli del ruscello e lasciandosi trasportare dal lieve sussurro dell’acqua.

Finalmente era partito. Finalmente aveva deciso. Finalmente poteva vivere: la sua ricerca era cominciata.


 

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Capitolo 2
*** 1) Survivor ***


 

Survivor

Chiuse gli occhi ed emise un respiro: ormai era finita. Sarebbe bastato poco e sarebbero arrivati anche a lei. Non le restava altro che un ultimo dolce pensiero: la luce. Perché quel periodo era stato l’apogeo della tenebra ed il crepuscolo era cominciato sulle Cinque Regioni fin da troppo tempo … talmente tanto che non ricordava più il sole.

Pensando a questo si cullava, con le gambe rannicchiate al petto, nascosta nell’Androne Dimenticato: lì almeno avrebbero tardato a trovarla, nell’ala più remota del palazzo, nascosta fra tutti gli oggetti dimenticati, sotto un telo di canapa.

Mentre sulle guance cominciavano a scorrere lacrime, da fuori provenivano grida strazianti e l’acuto stridore dello scontrarsi del ferro, assieme all’abbagliante guizzare delle fiamme tutto attorno; lei continuava a singhiozzare, sperando ancora in un po’ di luce, sperando che non arrivassero, o che almeno l’incendio non si propagasse fino a lì, dove si trovava: ma la paura e la speranza continuavano a lottare l’una contro l’altra, cercando di sopraffarsi e scuotendo il corpo di lei.

All’improvviso la porta ad ingresso dell’ala sbatté con forza, e sul pavimento marmoreo risuonarono degli strani passi strascicati, affrettati, confusi … il cuore di lei mancò di diversi battiti e la paura prese quasi definitivamente il sopravvento; cominciò a mancarle forza negli arti ed i suoi denti presero a battere con frenesia, mentre si stringeva spasmodicamente le gambe al petto, tentando di scomparire sotto quel logoro telo. I passi, sempre più veloci, si avvicinavano e sembravano venire proprio nella sua direzione, sempre con più risolutezza; lei continuava a tremare … poco a poco si fecero prossimi ai resti del bassorilievo di Nuur, raffigurante le mitiche gesta del padre ancestrale, Woden, dietro al quale lei si nascondeva, stretta fra la pietra, il marmo e l’alabastro. “Ormai è giunta la mia ora …”, pensò, mentre stringeva le sue mani al petto, in una sorta di ultimo anelito.

Il silenzio la avvolse per molto tempo, finché una voce chiara e cristallina non lo ruppe:“Principessa Teörija, rispondetemi, siete qui?”. Come la nebbia si dissolve e lascia finalmente intravedere i contorni di ciò che ci sta intorno, così la principessa gettò a terra il consunto telo di canapa e si alzò velocemente in piedi: la paura l’aveva completamente abbandonata e la speranza aveva acceso una piccola luce nel suo cuore. “Parla, Ughirash, sei tu, mia fedele ancella?” “Voi lo dite, mia signora e lo sapete: avete udito la mia voce.”

La fanciulla, completamente rinfrancata da quella voce a lei conosciuta e dalla conferma, corse fuori dal nascondiglio, andando incontro alla ben nota figura, che era illuminata dalla fioca luce di una candela e dalle lingue di fuoco, che guizzavano riflettendosi sul soffitto d’avorio. Ella aveva un volto dalla carnagione diafana, incorniciato da lunghi e morbidi capelli castano rossicci, occhi neri come il mare di notte ed una sottile bocca rosa, accompagnata da un piccolo nasino tondo; indossava un abito elegante, come si confaceva alla prima ancella della principessa, di morbido velluto verde, lungo fino ai piedi, con maniche ampie ed una lieve scollatura, attraversato in tutta la sua pregevole stoffa da raffinate damascature dorate, che brillavano curiosamente. Avvicinatasi dunque alla fedele Ughirash, Teörija le si presentò in tutto il suo splendore, resa ancora più bella dalla paura appena provata: sulla pelle del volto, anch’essa diafana, si potevano scorgere lievi segni di rossore, attorno ai bellissimi occhi color ghiaccio, circondati da lunghe ciglia nere; i capelli, leggermente scompigliati, ricadevano lunghi e setosi sul petto e sulla schiena, come fili d’argento, il colore che solo un appartenente alla casata reale poteva avere; la bocca, di uno straordinario rosso scarlatto, contrastava ampiamente con il naturale pallore della fanciulla; ad aumentare questo effetto si aggiungeva la candida, ed ora lievemente sciupata, veste di seta, delle medesime fattezze di quella dell’ancella, ma ricamata con fili d’argento e piccoli cristalli, a formare motivi simili ad arabeschi; una piccola coroncina d’argento e d’avorio completava l’aspetto regale della principessa degli elfi.

Quindi Teörija prese la mano dell’ancella e la strinse fra le sue, inclinando un poco in avanti il capo e socchiudendo le labbra: “O cara Ughirash, non immagini la mia gioia nel vederti: ormai credevo di essere prossima alla fine …” “Ma, altezza, cosa dite? Non avrete davvero pensato fosse giunta la vostra ora? Non dopo il grande sacrificio della guardia suprema … considerate poi la vostra natura: come avete potuto pensarlo?” “Oh, mia cara ancella, come sei buona ed ingenua …  è vero che la nostra natura consisterebbe nel vivere per l’eternità, ma la nostra carne è debole di fronte alle armi ed alla violenza: diveniamo vulnerabili e mortali come gli uomini, abitanti di Errel, la regione dell’Est … inoltre contro di LORO non possiamo quasi niente … ma non fraintendere il mio ragionamento: come ti ho detto ora sono lieta di constatare la tua presenza, che mi ha ridato un poco di speranza, e non temere: non lascerò che il sacrificio della guardia sia vano …” “Allora, mia signora, cosa dobbiamo fare?”. La principessa sollevò il capo, guardando  dritta negli occhi la docile ancella: c’era sicurezza nel suo sguardo. “Non abbiamo un minuto da perdere,” disse con risolutezza, “dobbiamo fuggire … dobbiamo arrivare almeno al confine di Oderlaad, verso le terre di Wisdal … dobbiamo risanare l’antica alleanza.”. Il colorito di Ughirash, per quanto fosse possibile, raggiunse una tonalità marmorea ed i suoi occhi divennero vitrei. “Mia principessa, l’antica alleanza?” “Sì, mia cara Ughirash, l’alleanza, che permetteva la pace nelle Cinque Regioni, la pace primordiale … senza il ripristino di essa non riusciremo mai a fermare l’ondata di violenza e la sete di potere degli hanyou e youkai di Norishi, la regione del Nord …” “Ma è un’impresa pressoché impossibile, altezza. Come mai farete?”, chiese l’ancella allibita. “Niente è impossibile mia cara se si ha la speranza e la forza. Tu stessa me l’hai ridata, comparendo inaspettatamente. Ora però non è più tempo di parlare di cose che hanno ancora la consistenza del vapore. Dimmi piuttosto, Ughirash, come sei riuscita a trovarmi?” “È stato facile, altezza: ricordavo che questo era il vostro nascondiglio preferito dell’infanzia …” “Anche il vostro, Ughirash” “Sì, principessa …”, rispose lei, facendo comparire un lieve rossore sulle guance, “ed ero sicura che vi avrei trovato qui, dopo che vostro padre mi aveva inviato a cercarvi … il loro esercito stava già superando le ultime file della guardia scelta, di fronte all’ultima cinta di mura …” “E mio padre?”, chiese la principessa, con una nota di preoccupazione nella voce, “Vostro padre e vostra madre, come anche il resto della corte, sono già fuggiti verso la valle di Gaard, attraverso il cunicolo delle miniere di Snorut, dalle segrete del palazzo … mi hanno mandato a voi per ricongiungerci a loro …” “Non è necessario … mio padre possiede il prisma del cristallo di Kushi, dono dell’eremita di Soendo, la regione del Sud: finché esso sarà brillante, lui saprà che sono in vita … Ora dobbiamo affrettarci. Quanto tempo hai impiegato per trovarmi, Ughirash?” “Non molto, signora: mi sono precipitata qui appena vostro padre mi ha ordinato di cercarvi.” “Bene … il tempo è ancora dalla nostra? Riusciremo ad evitare l’esercito di Norishi?” “Sì, altezza: sarà sufficiente prendere la Scala di Porfido che porta alle Stalle d’Ebano. Lì già vi sono molte vivande e provviste, che erano state portate lì per la caccia di domani” “Molto bene. È tempo, mia cara ancella, dobbiamo andare”. Detto questo, al lume della candela ormai dimezzata, si diressero correndo verso la Scala di Porfido, posta in fondo al corridoio di quell’ala lontanissima del palazzo. Arrivarono subito alla piccola porticina nascosta, fatta di alabastro opalescente. L’ancella, tenendo con la mano destra la candela, cominciò a frugare nell’ampia manica dell’abito, per poi estrarre una piccola chiave di cristallo. Scostò dunque un drappo di seta dalla parete per inserirvela: la porta segreta scattò e si aprì. Dietro la porticina si delineò una ripida scala a chiocciola, in porfido, illuminata da rare fiaccole alla parete di sinistra.

Principessa ed ancella vi entrarono, avendo cura di richiudere opportunamente la porticina dietro di loro e facendola nuovamente nascondere dietro al drappo; presero poi a discendere i ripidi scalini, cercando di non inciampare ed allo stesso tempo di essere rapide: ogni secondo era prezioso.

Dopo poco tempo la scala finì e davanti a loro si stagliò un enorme portone in legno d’abete rosso: sullo stipite erano intagliate delle maestose figure di purosangue rampanti con le loro criniere al vento. Ancora una volta Ughirash ripeté il rituale, estraendo stavolta dalla manica una chiave di bronzo; la inserì nella toppa di ferro, decorata con cesellature a forma di lingue di fiamma, girò ed afferrò il pomo, una bronzea testa di leone con le fauci spalancate: il pesante portone si aprì ed ai loro occhi comparve un esteso corridoio di nuda pietra, il corridoio che portava alle Stalle d’Ebano.

Le due fanciulle cominciarono a correre spedite, alla pallida luce della candela, sperando di raggiungere il prima possibile la loro agognata meta. Muovendosi nell’ignoto, in un tempo che a loro parve interminabile ed illuminate unicamente dal debole baluginare della fiamma, iniziarono a scorgere a poco a poco un chiarore, che si intravedeva in fondo al corridoio. Aumentarono così risolute la velocità del loro passo, finché non giunsero a degli scalini anch’essi di pietra, che portavano ad un’altra porta, illuminata da una torcia. Questa non aveva serratura, ma semplicemente un grosso battente di ferro. Lo afferrarono insieme e la aprirono, trovandosi finalmente nella Magione delle Provviste, in realtà una sorta di ampia stanza, dove venivano portate le provviste per la caccia ed i suoi frutti, stanza che era adiacente e collegata con le vere e proprie stalle. Lì raccolsero tre bisacce ciascuna, più altre che avrebbero fermato alle selle dei cavalli. Si diressero dunque nelle stalle vere e proprie, attraversando il corridoio di collegamento.

Le Stalle d’Ebano testimoniavano ancora la maestosità dell’arte degli elfi: ogni singolo centimetro di esse era finemente intarsiato, a rappresentare i miti e le gesta del padre ancestrale, dalla creazione allo stabilirsi dell’ordine dei Tempi. Muovendosi in questo maestoso complesso, Teörija ed Ughirash si diressero subito verso il fondo della stalla, dove si trovavano i cavalli della principessa, due splendidi esemplari bianchi, dal crine dorato. Questi non batterono ciglio quando furono sellati dalle due fanciulle e furono caricati con due bisacce ciascuno, ma rimasero docili ad attendere ordini, scuotendo ogni tanto la criniera con energia. Finita la preparazione, principessa ed ancella si fecero carico delle ultime bisacce; raccolsero poi ed indossarono due pesanti mantelli di lana, sicuramente usati di solito dagli uomini. Salirono dunque a cavallo, dirigendosi poi, impartito l’ordine ai destrieri, verso l’esterno e spalancando le pesanti ante d’ebano. Era tempo di partire.

Fuori il buio della notte era illuminato, dalle lingue di fuoco dell’incendio appiccato alla Prima Cinta, e l’aria si riempiva ancora di grida. Una lacrima solcò il bianco volto di Teörija, mentre i cavalli sbuffavano e trepidavano in quell’oscurità che sembrava non avrebbe mai avuto una fine. Poi ella lasciò indietro ogni incertezza ed ostacolo: era ora.

Principessa ed ancella si guardarono in volto:“Fatti coraggio, amica mia,” disse la prima, “perché il nostro sarà un viaggio lungo e travagliato”.
 

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Capitolo 3
*** 2) Acquaintance and knowledge ***


Acquaintance and knowledge

Mentre vai sulla strada, verso il sole che più alto si fa, troverai la Regione della luce e dell’amore.

Se tu ancor camminerai, verso il sole che scende giù, in quel dì tu scoprirai, terra di sapienza e più.

Continuando in cerchio e su, verso il sol che mai si fa, quella terra ci sarà, di potenza e di virtù.

Verso est, e tu lo sai, verso al sol che nasce e va, verso casa tornerai, terra di ingegno e onor.

Se il tuo viaggio completar, poi un giorno tu vorrai, verso il cuor del mondo tu, camminare sì dovrai.

Verso nubi ed alti mari, luoghi sconosciuti assai, verso la dimor celeste, dei primordi tu andrai.

La dimora della pace, dell’amor, della virtù, culla della vita nostra, di noi tutti, della lor.

Culla della vita …”

Zaileh cantava spensieratamente questa canzone, attraversando la tranquilla foresta di Riinne, mentre di fronte a lui il sole tramontava, illuminando il mondo con degli ultimi tiepidi raggi rossi. Quella canzone gli era balenata in mente, riportandolo indietro, al periodo in cui, assieme a tutti i ragazzi del villaggio, veniva istruito dall’anziano Potim, che tramite quella canzone, antica quanto il mondo, cercava di spiegare loro la divisione delle Regioni e le leggi che vi soprassedevano. Lui la stava usando quasi come promemoria, come traccia del suo itinerario: aveva intenzione di passare i monti di Afejl, per poi raggiungere quella che per lui era la sconosciuta regione del Sud, la mitica Soendo. Rimaneva estremamente ammaliato dai racconti di Potim, quando l’uomo narrava delle fantastiche creature mitologiche che avrebbero dovuto abitare quel mondo; sicuramente erano una leggenda (tutti sapevano che il mondo era unicamente abitato da uomini, piante ed animali), ma l’amore ed il calore, che sembravano animare quella terra, attiravano immensamente la curiosità di Zaileh, tanto da indurlo a cominciare la sua esplorazione senza metà da lì.

Accompagnato dunque da questi pensieri, attraversava la foresta incontro al tramonto. La cosa che lo eccitava maggiormente era il fatto che, da secoli, nessuno (pochi uomini a parte) aveva più lasciato Errel, mettendosi alla scoperta delle Regioni; la cosa alquanto curiosa era che, nei tempi addietro, gli scambi fra le Regioni erano ferventi e continui, ma che improvvisamente erano cessati, gettando ciascuna terra nella chiusura più totale. Ciò che inoltre incuriosiva di più il giovane era la Quinta Regione: Potim ne parlava spesso, ma, a riguardo, tutti gli uomini, anziani ed adulti del paese, lo deridevano. Per tutti, a Kularah ed oltre, la Quinta Regione era solo una leggenda, creata dalle prime genti, per trovare una spiegazione alla nascita del mondo: chi infatti viveva o si era spinto fino ai confini estremi occidentali di Errel non aveva visto che un’immensa distesa di acque, spesso sovrastata da imponenti nubi. I vecchi del villaggio allora solevano dire, passando vicino all’olivo secolare, dove Potim istruiva la gioventù:“Ma cosa farfugli, vecchio? Sai meglio di noi che le Regioni sono quattro!”, oppure:“Io sono stato fino a Shayla, sul fiume Gyuma, e v’assicuro ragazzi che là non c’è altro che mare, una distesa infinita, ed io non mi ci avventurerei neanche se fossi giovane come voi!”, ed altre cose simili, spesso accompagnate da risate beffarde e di scherno, mentre gli occhi di Potim si velavano ed i ragazzi gli si stringevano attorno per confortarlo. Anche fra i ragazzi, però, c’era scetticismo: la maggior parte di loro, infatti, si stringeva a consolare l’uomo credendolo unicamente un anziano nostalgico di leggende, perché alla fine anche loro credevano nella legge pragmatica di Errel, ovvero la ragione dell’uomo che regola tutto il mondo e la razionalità della terra che regola la natura. Per tutti, infatti, umanità e natura, avevano un procedimento razionale, tramite l’intelletto per l’uomo e la ciclicità meccanica per la natura. Zaileh, invece, aveva deciso di andare oltre questa legge, che non riusciva più a soddisfarlo, e di scoprire cosa c’era oltre.

Mentre lui era immerso in ricordi e ragionamenti, che stavano delineando senza volerlo il suo cammino, il sole era tramontato, lasciando il lieve baluginio rosso e viola del crepuscolo, e la prima stella della sera era sorta assieme alla timida falce di luna. Zaileh, si guardò intorno, muovendosi per cercare riparo per la notte. Si allontanò dalla piccola striscia di terra che fungeva da sentiero e si inoltrò nella vegetazione. Poco a poco, il terreno ripido cominciò a diminuire di pendenza e gli alberi cominciarono a farsi più radi. Dopo non molto tempo, davanti agli occhi del giovane, si delineò una piccola radura, al cui centro si trovava un piccolo laghetto, dal quale poi si formava un corso d’acqua, un rivo, che scendeva giù sul versante; la zona inoltre appariva circondata dalle folte chiome dei pini e dei lecci che contribuivano, assieme alla nuda parete di roccia della montagna, a dare un senso di sicurezza alla radura.

Zaileh si mosse verso la riva del laghetto, poco più di una pozza d’acqua, le cui sponde erano circondate da giunchi e narcisi, e le cui acque, completamente immote, sembravano uno specchio, che rifletteva i raggi lunari. Tutto intorno c’era tranquillità e silenzio e solo ogni tanto giungeva il flebile canto di un coraggioso usignolo, che solo volava nella notte, testimoniando il suo amore. Il ragazzo si mise vicino alle sponde, poggiando la schiena su di un masso, che spuntava dal terreno; prese poi il suo mantello da viaggio dalla bisaccia e se lo sistemò come una coperta. Chiuse allora gli occhi, aspettando che la stanchezza stendesse il torpore del sonno sulla sua persona, facendosi cullare da quel silenzio confortante: aveva camminato tutta la giornata senza sosta, eccezion fatta per la piccola pausa al ruscello.

Il sonno ristoratore non si fece attendere, portando riposo alle sue membra.

All’improvviso, come avvertendo una sensazione, aprì gli occhi. Non sapeva esattamente quanto avesse dormito, ma scrutando in cielo trovò la falce che illuminava la valletta dall’alto, con i suoi pallidi raggi. Portò le mani al viso stropicciandoselo, cercando di destare i muscoli facciali dal torpore. Sollevando ancora lo sguardo, lo diresse verso il laghetto: inaspettatamente vide che esso emanava un curioso bagliore azzurrino, quasi glaciale, che faceva riverberare tutta la zona circostante del medesimo colore.

Zaileh, liberatosi del proprio mantello, si mosse verso la riva carponi, animato da un’indicibile curiosità. Si posizionò prono sul terreno e, scostando giunchi e giunchiglie, acuì lo sguardo, tentando di carpire il segreto del bagliore, proveniente dalla superficie dell’acqua. Vagò poco con gli occhi, fino a quando non scorse qualcosa che catturò completamente la sua attenzione. Brillanti, luminose e bianche, gli apparvero inizialmente delle luci, fluttuanti sulla superficie del lago, poi, come dal nulla, avvolta in quell’atmosfera soffusa, apparve la sovrannaturale e stupefacente figura: era una donna, o almeno lo sembrava, dall’incredibile carnagione chiara, con occhi grandi e blu, labbra estremamente scure, con lunghi e morbidi capelli dorati; indossava una semplice veste corta, di pelle chiara, e sulla fronte portava un diadema a cerchio, che terminava con uno zaffiro a goccia; su gran parte delle braccia portava degli strani tatuaggi, simili alla scrittura antica, e dalla sua schiena (cosa più stupefacente) spuntavano delle gigantesche ali di farfalla, che sembravano fatte di carta velina. La maestosa figura femminile, di incredibile bellezza, stava fluttuando, circondata da quelle luci opalescenti, sulle acque del laghetto, creando lievi cerchi concentrici sulla superficie acquatica; poco dopo essersi mossa verso il centro del luogo, cominciò ad immergersi chiudendo gli occhi e recitando una nenia in una lingua sconosciuta. Il ragazzo, fra i giunchi, era rimasto ammaliato da tale apparizione e, con occhi spalancati, la stava osservando compiere le fasi di quello strano rito.

L’immersione, estremamente lenta, proseguì fino ai fianchi di lei; quando l’acqua arrivò a bagnarle il ventre, la nenia cessò e la figura aprì gli occhi. Seguirono diversi minuti si assoluto silenzio, in cui Zaileh non riuscì a comprendere cosa stesse accadendo. Improvvisamente il silenzio fu rotto da una lieve folata di brezza primaverile, con un quasi impercettibile sibilo, e dal rinnovarsi del dolce canto dell’usignolo, che cessò in poco tempo. Quello che seguì sconcertò non poco il ragazzo.

Alla fine del cinguettio dell’uccellino notturno, la figura riemerse dalle acque e si volse verso di lui, rivelando uno sguardo quasi glaciale. Il giovane si sentì pietrificato e non riuscì a muovere un muscolo né a proferire parola. Quella si avvicinò lentamente a lui, con un movimento quasi innaturale, levitante, e quando fu sufficientemente vicina, cominciò a parlare con un’incredibile voce flautata, quasi sovrannaturale:“Zaileh, uomo di Errel, del villaggio di Kularah, per quale motivo ti trovi qui, alla Fonte Cristallina, luogo vietato a qualsiasi creatura delle Cinque Terre, meno che alla stirpe delle Fate?”. Zaileh rimase completamente basito: quell’essere sovrannaturale aveva pronunciato il suo nome! “Allora, uomo di Errel,” continuò lei, “perché non rispondi alla mia domanda?”. Lui, riscossosi un attimo, scosse il capo, riprendendo possesso delle proprie facoltà:“Tu … come conosci il mio nome?! E … e … chi o cosa sei?”. L’espressione della fata, da inespressiva che era, mutò improvvisamente in un dolce sorriso, seguito poi da una risata argentina; poco dopo si ricompose, notando l’espressione stralunata del ragazzo davanti a lei, ma mantenendo comunque un’espressione distesa sul volto:“Povero piccolo abitante dell’Est … il tempo ha cancellato tutto … ha ridotto il vostro ingegno … che notizia amara di cui venire a conoscenza … eppure la grande madre ancestrale, la Dea della Luce, ce lo aveva predetto … chissà quale dolore per il padre Zeus … ma non temere, Zaileh … se mi dirai il motivo della tua presenza, saprai tanto che il tuo intelletto tornerà a brillare … sappi solo che io sono Shoser, regina delle Fate, che è una delle stirpi guida della Regione del Sud, Soendo …”. L’ultima parola pronunciata dalla fata fece completamente riscuotere il ragazzo, che cominciò a rispondere alla sollecitata domanda:“Siamo a Soendo?” “Sì, Zaileh … siamo al limitare dei confini fra Errel e Soendo … qui, più precisamente, siamo già nella Regione del Sud … tu non lo sapevi, ma il tuo villaggio è prossimo al confine …” “Ma … come fai a sapere tutte queste cose?” “Ogni cosa a suo tempo, uomo di Kularah … ti avevo posto precedentemente la mia domanda, se non sbaglio …” “Beh, sì, ecco … ho cominciato il mio viaggio da alcuni giorni e stavo cercando un riparo per la notte. Ho trovato la radura per caso ed ho pensato che fosse il luogo ideale …” “Dunque hai raggiunto la radura casualmente?” “È così …”. La fata assunse per un attimo uno sguardo pensoso, poi tornò ad avere un espressione distesa e pacata. “Se sei giunto per caso, non posso rimproverarti niente: le tue intenzioni era buone in fondo … bene … come ti ho promesso avrai ogni spiegazione. Mettiti a tuo agio, Zaileh, perché sarà una storia lunga …”. Zaileh accolse l’invito, tornando ad adagiare la schiena sulla roccia, accanto alla quale si era coricato. Lei si alzò in volo, per poi atterrare di fronte a lui e sedersi sull’erba bagnata di rugiada.

Allora, Zaileh, conosci l’origine del mondo?”, chiese la fata con la sua voce vellutata, “Beh, in un certo senso sì, ma credevo fosse una leggenda, un mito …” “Questo può risparmiarci molte spiegazioni inutili … sai cosa avvenne dopo la pace primordiale?” “Le popolazioni di tutte le terre vivevano in pace e concordia …” “… ma questa all’improvviso cessò, non è vero?” “Sì … portando alla chiusura di ogni regione i sé stessa … non ho mai compreso quale fosse il motivo … politico? Commerciale?” “No, Zaileh, niente di tutto ciò … si è trattato di incomprensione. Gli abitanti di ogni Regione posseggono un dono, che riflette la natura del loro padre o madre ancestrale …” “Quale dono?” “Immaginavo che me lo avresti chiesto … l’assopimento dell’ingegno a portato a questo velo di ignoranza nella Regione di Errel … come sai, ogni regione fu creata da un padre ancestrale: Norishi, la Regione del Nord, fu creata dalla dea Kali, che infuse ai suoi figli, i Demoni, la forza e la costanza, sue caratteristiche; cosa simile fece Woden, che creò la Regione di Oderlaad, ad Ovest, dando come dono ai suoi figli la sapienza; Amaterasu, dea della luce, creò questa Regione, Soendo, ed infuse ad i suoi figli ed abitanti il calore della luce, l’amore; infine Zeus, padre ancestrale della Regione dell’Est, Errel, infuse ai suoi figli, gli uomini, l’ingegno. Tutti questi doni portarono ad una visione della vita differente in ogni Regione, tanto che, ad esempio, i Demoni cominciarono ad ignorare la dea loro madre, mentre gli uomini, pensando di essere completamente autosufficienti, dimenticarono col tempo la loro origine ed i Padri. Le stirpi dunque cominciarono a chiudersi in sé stesse, talvolta dimenticandosi del resto del mondo, talvolta ignorandolo … il fatto che tu abbia deciso di cominciare il tuo viaggio, al di fuori della tua terra, è molto importante … significa che le nuove generazioni di Errel stanno cambiando, stanno recuperando il loro intelletto … anche qui a Soendo molte cose stanno cambiando … la natura è inquieta …” “La natura?” “Sì … il dono di ogni Creatura Mistica di Soendo consiste nel comprendere a fondo la natura, capire il suo linguaggio. Prima ho scoperto il tuo nome perché me lo ha sussurrato il vento, mentre l’usignolo mi ha raccontato da dove provenivi … le stirpi del Sud sono vera espressione del vivere a contatto con la natura, di esserne completamente parte: anche per questo, per il vivere fino in fondo l’essenza della nostra creazione, non abbiamo dimenticato, ma siamo piuttosto divenute stirpi estremamente longeve, in simbiosi con la terra … noi Fate possiamo volare, come le farfalle, come i coleotteri, come gli uccelli nel cielo …” “Quindi … cosa ti dice la natura?” “Stanno avvenendo grandi turbamenti nel mondo, di grandi proporzioni … gli alberi ed il vento del Nord non hanno saputo dirmi di più … proprio per questo sono giunta alla Fonte Cristallina, la fonte sacra della nostra stirpe, dove il nostro dono si amplifica …”. Zaileh spalancò gli occhi e divenne paonazzo:“Non avrò forse interrotto qualcosa d’importante?!?” “No … non ti preoccupare … non è stata colpa tua. Io mi sono distratta ed ho volutamente interrotto il rito … la tua presenza mi aveva estremamente incuriosito … ora sono stata ampiamente soddisfatta …” “Ah, meno male …”.

Ancora una volta l’aria si riempì della risata cristallina di Shoser, alla quale questa volta si unì quella della voce da baritono del giovane:“Sei un umano estremamente pieno di allegria, totalmente lontano dal pragmatismo dei tuoi simili … che sia lode alla Dea della Luce ed al Padre dell’Est, perché finalmente gli uomini stanno recuperando il loro ingegno! Ascolta, Zaileh, come intendi proseguire il tuo viaggio?” “Beh, non so … io intendevo esplorare le Cinque Terre … non ho una meta precisa …” “Sarebbe di tuo gradimento ‘esplorare’ la mia reggia? Vorrei approfondire i cambiamenti del mondo col tuo aiuto … è molto tempo che un umano non entra nel nostro dominio …”. A questa richiesta gli occhi verdi del ragazzo brillarono di una luce sconosciuta, la luce della sete di conoscenza. “Sarebbe l’esperienza più incredibile della mia vita …” “Lo devo prendere come un sì?” “Sì. Accetto!” “Allora andiamo …”. Zaileh rimase perplesso:“Partiamo adesso?” “Certo … il sole sta per sorgere su Soendo ed il mio regno, nella valle di Laynor, non è molto vicino per le tue possibilità …” “Ma …”.

Mentre il ragazzo stava per replicare, verso oriente, appena sopra i monti, comparve una striscia bianca, luminosa, seguita poco dopo da una varia gamma di colori tenui, dal rosa all’arancione; poco dopo fu un’esplosione di luce e, con il cielo che diveniva sempre più chiaro, il sole cominciò a spuntare da dietro le vette.

Allora, uomo di Kularah, andiamo?”.

 

 

 

 

 

Salve a tutti! Sono apochan kenshiro, e ho avuto la malsana idea di imbarcarmi in questa impresa, nonostante vi siano in questa sezione autori decisamente migliori e più esperti di me in materia...

la scrittura della fan fiction è cominciata per caso: avevo buttato giù a caso, per ispirazione, la camminata di Zaileh, poi ho avuto questa idea folgorante (infatti ancora ogni tanto sento le scariche elettriche del fulmine che mi ha colpito…): un fantasy...

Ho deciso così di unire le mie conoscenze letterarie e cinematografiche, assieme a quelle di manga, anime e di varie mitologie (soprattutto quelle greco – latina e giapponese), e lo sclero ha poi ha avuto inizio...

Vi chiedo di essere clementi perché solitamente sono abituata a scrivere ben altro, ma questa idea mi è balenata in mente e ci ho provato.... se foste così gentili da lasciare un piccolo commento (quelli critici credo che sarebbero i più graditi, almeno per migliorarmi o capire in cosa sbaglio...), vi sarei riconoscente...

 

See you soon!


 

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Capitolo 4
*** 3) Shadow ***


Shadow

Una fitta nebbia aleggiava intorno all’imponente costruzione, dandole qualcosa di estremamente inquietante e misterioso. Era un’enorme feudo, di cui si intravedevano lievemente contorni e fattezze; di quel poco che si riusciva a scorgere, si potevano notare le ampie e massicce mura, fatte di grosse e scure pietre laviche, che cingevano la struttura centrale, assieme agli alti tetti a pagoda di tegole nere, che svettavano nell’atmosfera stagnante. Tutto intorno, un paesaggio immoto ed innaturale circondava l’enorme complesso, proteggendolo, assieme alla fitta nebbia, da sguardi indiscreti.

Suresh, il santone, avvolto nel suo logoro mantello di lana rossa, uscì dal folto della foresta di conifere, dirigendosi verso l’enorme porta spalancata delle mura. Con passo svelto e frettoloso si avvicinò all’entrata, fin quando, ormai prossimo all’ingresso, non fu bloccato dalle impassibili e mostruose guardie del luogo. Di fronte all’uomo si ersero le due imponenti creature, rivestite di pesanti e scintillanti armature, le cui fattezze ricordavano vagamente quelle dei felini: possedevano infatti scintillanti iridi dorate, solcate unicamente da due piccole fessure nere, che dovevano essere le pupille; il volto di entrambi era segnato da brillanti segni blu tatuati, che ricordavano vagamente l’aspetto delle cicatrici; le mascelle erano possenti e, contratte come erano in quel momento in una sorta di smorfia, rivelavano di essere dotate di zanne micidiali; il resto del corpo possedeva bene o male fattezze simili a quelle umane, anche se le dimensioni erano notevoli e le mani mostravano di essere dotate di artigli affilatissimi.

Il santone, fermo al loro cospetto, fu bloccato dai due youkai - sentinelle, che incrociarono le loro scintillanti naginata, bloccando il passaggio. Alla particolare “vista” dell’uomo si rivelarono delle notevoli aure demoniache.

Di qui non si passa”. Nelle iridi mogano del santone comparve un guizzo quasi luciferino, mentre le sue labbra si distorcevano in un orrendo ghigno. “Ma se il sole sorgerà le terre crolleranno …” . Entrambe le guardie emisero un basso suono gutturale, simile ad un ringhio sommesso, poi scostarono le naginata e si inginocchiarono. “Passate, servo della Madre …”. Suresh rese ancora più largo il suo storto sorriso ed oltrepassò trionfante le due imponenti figure, ora prostrate ai suoi piedi. Mentre ormai si trovava ad attraversare il primo cortile, ricoperto di una scura ed umida terra brulla, poté percepire l’astio delle sentinelle, captando il loro breve ma concitato discorso:“Maledetto ningen …” “Se solo non fosse il prediletto di Kokuro – sama … avrei volentieri affondato i miei artigli nelle sue maleodoranti budella … odio il suo odore … così disgustoso …”, e non udì oltre, ormai prossimo all’ingresso del palazzo vero e proprio.

Il castello, un enorme complesso a più piani fatto di imponenti mura di pietra nera e ricoperto da tetti di ossidiana, svettava imponente sul piccolo santone, che, alla flebile luce di due fiammelle, poste accanto ai due stipiti della porta, faceva il suo ingresso nel secondo cortile, dove un ormai sterile giardino era sopraffatto dal clima rigido. Suresh fece pochi passi, quando, quasi improvvisamente, fu affiancato da una figura guizzante, che lo fece bloccare sul posto e profondersi in un inchino. “Houshi … vedo che sei ancora vivo …”, sibilò uno youkai dalle fattezze di un rettile, elegantemente vestito con un kimono da cerimonie grigio cenere, colore che contrastava con la squamosa pelle verde smeraldo; le sue iridi di un giallo acido scrutavano insistentemente l’uomo. Suresh, sudando freddo, raccolse le proprie forze interiori e cominciò a rispondere: “Salute a voi, Hebi – san …” “Deduco che se siete giunto qui, allora portate buone novelle al padrone …” “Decisamente …” “Bene …”, disse il rettile facendo guizzare la sua lingua biforcuta, “ … in questo caso Kokuro – sama vi attende …”. Senza aggiungere altro, il consigliere Hebi cominciò a muoversi strisciando quasi rasente al pavimento, con l’uomo che lo seguiva a pochi metri di distanza. Il primo percorse tutto il perimetro del cortile interno, fino a raggiungere uno stretto corridoio, dove si intravedeva una rampa di scale in legno di cedro. Il consigliere prese a salire fluidamente gli scalini, mentre l’altro arrancava poco lontano da lui. Raggiunta la sommità della rampa, si ritrovarono entrambi in una grande sala, dalle pareti e tatami scarlatti, in cui un’enorme statua di un leone dorato li sovrastava e con una zampa indicava l’entrata vera e propria alla sala, la sala del trono. Volgendosi verso lo scorrevole, ai suoi lati si potevano scorgere due bracieri dorati, ai cui piedi a loro volta vi erano due figure femminili, vestite in abiti sontuosi, sicuramente anche loro delle demoni, come rivelava la loro aura. Suresh ed Hebi si avvicinarono allo scorrevole, che fu prontamente aperto dalle due servitrici, entrando nell’enorme sala del trono. La sala era dipinta di un cupo bordeaux, che alla luce delle due file di bracieri sembrava ancora più scuro, e là, in fondo, di vedeva ergersi, fra drappi di seta nera, il trono di bronzo, con motivi di dragoni, del signore del palazzo.

Il santone ed il consigliere fecero qualche passo, per poi inginocchiarsi di fronte all’imponente figura che sedeva sul trono; Hebi avanzò ancora qualche metro strisciando, poi, completamente prostrato sul tatami cominciò a parlare:“Salute a voi Kokuro – sama … Suresh il santone è venuto al vostro cospetto, di ritorno dalle terre di Oderlaad, per informarvi delle novità …”. L’imponente figura, che fino a quel momento era rimasta seduta nella penombra, si alzò, rivelandosi in tutta la sua altezza e grandezza. Davanti ai due torreggiava un massiccio ed al contempo longilineo youkai, anch’esso dai tratti felini, come le sentinelle della porta principale; quello indossava una scintillante armatura dorata e bronzea, sopra ad un raffinato kimono di seta nera, ricamato con dragoni d’argento, ed agli hakama, anch’essi di seta nera, che venivano ad essere stretti dalle calzature militari di bronzo; il volto olivastro possedeva una durezza di tratti incredibile, in cui si potevano scorgere degli occhi con delle iridi sanguigne, una bocca di labbra nere come la morte e dotata di zanne bianche come il ghiaccio, ed il simbolo di una folgore sulla fronte; il volto era poi lasciato libero dalla lunga capigliatura nera come l’ebano, che era raccolta in coda alta e che ricadeva sul mantello cremisi dell’armatura; le mani, infine, erano dotate di artigli affilati, che erano accomunati alle zanne per il loro biancore.

Così Kokuro – sama, lo youkai pantera, signore della stirpe guida dei Demoni, appariva maestoso e terribile al suo consigliere di corte, Hebi, ed al santone deviato che era Suresh. Affilò i suoi occhi, riducendoli a fessure, mentre si avvicinava ai due che stavano prostrati al suo cospetto; compì sul tatami un semicerchio fino a fermarsi di fronte all’uomo: quello tremava, provocandogli un fremito di piacere attraverso le membra. Volse allora lo sguardo sul suo primo consigliere, cominciando a parlare e rivelando una voce fredda e glaciale come l’inverno:“Bene, Hebi, puoi andare … i tuoi servigi non sono richiesti oltre …”. Dopo un profondo inchino, il demone guizzò via strisciando sinuosamente sullo scuro tatami, scomparendo poi oltre gli scorrevoli, dopo che le servitrici ebbero aperto e richiuso l’entrata alla sala. Lo youkai emise poi un ringhio basso e profondo e, oltre la porta, poté vedere le donne dileguarsi dalla loro posizione abituale. Rimasero solo lui ed il santone.

Allora, ningen,”, disse, facendo uscire dalla bocca una voce profonda ed atona, “quali sono le notizie che porti delle mie truppe?”. Suresh, come riscosso da un sonno durato millenni, alzò lievemente il capo, notando che il signore delle terre di Norishi stava tornando al suo trono. Deglutì rumorosamente e, recuperando un po’ di coraggio, cercò di ricordarsi il perché avesse deciso di servire con le sue arti Kokuro – sama, la creatura più potente in cui si fosse mai imbattuto, e perché ora era lì al suo cospetto. Recuperata dunque un po’ di lucidità, il santone si alzò in ginocchio e cominciò a rispondere al glaciale ed autoritario youkai:“Sono buone notizie quelle che porto, Kokuro – sama. Finalmente le vostre truppe hanno sfondato le difese degli Immortali ed hanno posto in assedio le loro terre e la loro fortezza”. Per una frazione di secondo un guizzo di vitalità si accese nelle iridi cremisi del demone, ma Suresh fu sicuro di sbagliarsi, imputando la colpa al baluginare delle fiamme nei bracieri. Kokuro si sbilanciò di poco dalla sua posizione, mantenendo una mano sul trono maestoso e passando l’altra sotto il suo mento, mentre i suoi occhi si affilavano nuovamente. “Puoi provare ciò che dici, houshi?” “Sì, mio signore …” “Alzati!”. Suresh, come altre volte aveva fatto, si alzò meccanicamente ed andò incontro al demone. A meno di mezzo metro da lui si fermò, alzando, per la prima volta in quella giornata, lo sguardo sul suo signore.

Comincia, ningen.”. Il santone chiuse gli occhi, cominciando a recitare dei mantra con una voce bassa e gutturale. Un lieve vento gelido prese a soffiare in tutta la stanza, facendo danzare le fiamme nei bracieri e la folta e scompigliata chioma bruna del santone. La lugubre cantilena continuò per un po’, finché il vento non cessò; in quel momento Suresh aprì lentamente gli occhi, mostrandoli completamente privi delle pupille e delle sue iridi mogano, come ricoperti da una patina lattiginosa. Compì un passo verso Kokuro.

Ora, mio signore …”, disse l’uomo con una voce che non sembrava la sua, come proveniente da altrove … “guardate nei miei occhi. Ciò che ho visto, voi vedrete; ciò che ho udito, voi sentirete; ciò che so, voi saprete …”. Il demone si alzò e fisse il suo sguardo in quello del santone. Fu come un lampo: prima una luce bianca abbagliante, disarmante … non si vedeva niente, né tanto meno era possibile udire qualcosa: era il completo annullamento dei sensi … Poi, una strana sensazione in tutto il corpo, come qualcosa che serpeggiava e si insinuava in tutte le sue membra, e le immagini cominciarono ad affiorare: i suoi eserciti attaccavano, saccheggiavano, depredavano … si davano con furore alla battaglia … villaggi, valli, foreste … tutto prendeva fuoco … ogni creatura che capitava sulla loro strada soccombeva, istantaneamente od in preda ad atroci sofferenze … le grida e le urla di strazio echeggiavano nell’aria ovunque, inebriandolo di piacere, come si erano inebriate di stragi le sue truppe …

Mentre osservava queste visioni, un lieve sorriso diabolico cominciò ad increspargli le labbra, sorriso che divenne di trionfo quando le visioni arrivarono all’apice: sotto ai suoi occhi, Qoeluth, il bastione d’avorio, di marmo e d’alabastro della stirpe degli Elfi, andava a fuoco, mentre la Guardia Reale soccombeva sotto l’assalto delle sue truppe. Un senso di leggerezza lo prese, mentre sentiva il proprio sangue pulsare nelle sue vene ed arterie: ormai la roccaforte della stirpe guida di Oderlaad era rovinata sotto assedio, e la Regione dell’Ovest sarebbe caduta sotto il suo dominio.

Stava per ordinare al santone di interrompere il suo rituale, quando qualcosa nella visione attirò la sua attenzione: mentre il palazzo reale andava a fuoco, in lontananza, oltre la collina della fortezza, sulla piana sottostante, due cavalli bianchi erano lanciati in una sfrenata corsa, verso i confini a sud – ovest.

Aumenta la forza della tua visione, houshi!”, sibilò nuovamente glaciale al santone. Suresh riprese a cantilenare un mantra, mentre l’immagine dei due cavalli si faceva più nitida e grande alla vista dello youkai. Ciò che vide smorzò completamente la sua esultanza e gelò il suo sangue nelle vene: lanciate a tutta velocità, su quei cavalli, vi erano una donna scampata all’assedio e la principessa erede al trono di Qoeluth, Teörija, entrambe dirette alla salvezza … Kokuro cominciò a sentire un ronzio sordo nelle orecchie ed il suo sangue che veniva pompato a tutta velocità in tutto il corpo: Oderlaad non poteva ancora essere sua, non con certezza …

Preso da un forte fremito di rabbia, il demone batté violentemente il suo pugno sul freddo bronzo del suo trono. “Cessa la tua visione, ningen!”, urlò in preda alla rabbia ed al furore più totali. Suresh interruppe il suo mantra ed i suoi occhi tornarono improvvisamente normali, cambiamento così repentino che gli provocò un senso di smarrimento e vertigine.

Suresh ristette un attimo, poi, con grande titubanza, tentò di controbattere:“Ma, Kokuro – sama, la visione non era …” “Non mi interessa, houshi! Ho visto abbastanza per i miei gusti!”, fece il demone in preda all’ira, mentre le sue pupille erano ridotte a poco più che fessure e le sue iridi brillavano di un rosso scarlatto, “ ed ora vattene!”. Suresh non se lo fece ripetere ancora: in preda al panico, inciampò appena nel tatami, poi uscì a tutta velocità dal salone, andando oltre e gettandosi a rotta di collo per le scale.

Kokuro si sedette sul suo trono, massaggiandosi ad occhi chiusi le tempie, che pulsavano ancora tremendamente. “Stupido ningen dall’odore nauseabondo …”. Stette per molto in silenzio sul suo trono, cercando di riportare la sua aura a livelli normali e di riottenere un atteggiamento consono al suo rango ed alla sua levatura.

Dopo che il suo ki ebbe raggiunto dei livelli accettabili, riaprì gli occhi, mostrando delle iridi sanguigne cupe, quasi glaciali e riprendendo pieno controllo delle sue pulsazioni. Si rilassò, calandosi una maschera di gelo sul volto ed sistemandosi più comodamente al suo trono.

Hebi! Al mio cospetto …”, disse con voce incredibilmente atona. Il consigliere non si fece attendere: un sibilo raccapricciante lo precedette, mentre lo youkai sgusciava fuori dall’oscurità, poco oltre gli scorrevoli dell’ingresso al salone. “Eccomi, mio signore …”, disse con voce melliflua, mentre si inchinava e si poneva poi di fronte al suo signore.

Dimmi una cosa, mio fidato consigliere: cosa pensi tu della stirpe di Errel e di coloro che le somigliano?” “Dite dei ningen, Kokuro – sama?” “Esattamente” “Sono esseri inferiori … deboli … posseggono inoltre un tanfo nauseante … sono buoni solo in pasto ai Dragoni di Roccia …” “Questo è esattamente ciò che penso anch’io … però, sfortunatamente, posseggono qualcosa che noi non abbiamo …” “Cosa, mio signore?” “L’energia latente … che li rende capaci di ciò di cui noi non siamo … per questo li reputo sì inferiori, ma estremamente capaci … almeno prima di darli in pasto ai Draghi di Roccia possono esserci utili …”. A pronunciare queste ultime parole, un sorrisetto diabolico comparve sulle labbra dello youkai; l’altro sibilò in segno d’assenso.

Hebi …” “Sì, Kokuro – sama?” “Raduna i Notturni del monte Akumi … Soendo ci aspetta …” “Sì, mio signore”. Il consigliere si inchinò poi dileguandosi, con una certa sorpresa, ma comunque certo che il suo signore fosse del tutto conscio di ciò stava per fare.

 

 

Rieccomi ancora a voi! Abbiamo spaziato in tutte le quattro Regioni per un momento e perché vi sia maggiormente comprensibile questo capitolo e tutti i vocaboli che vi sono disseminati ecco un piccolo vocabolario:

tatami= copertura del pavimento con pannelli, tipico delle abitazioni tradizionali giapponesi

ningen= “essere umano”

naginata= arma giapponese formata da una lunga asta alla cui estremità vi è insediata una lama ricurva, anch'essa dalla lunghezza notevole

houshi= “monaco” (nello specifico riferito al culto buddista, qui utilizzato in senso più largo, come uomo dalle capacità spirituali)

-sama= suffisso usato nella lingua giapponese per esprimere rispetto; equivale all'italiano “signore”, qui inteso anche nel senso di “padrone”

hakama= pantaloni facenti parte dell'abbigliamento tradizionale giapponese; sono usualmente ampi

ki= “energia interna”

youkai= “spettro, demone”

hanyou= “mezzo – spettro” (probabilmente l'avevo messo nei capitoli precedenti o comunque sarà un termine che userò...)

 

Qui si è presentato lo spietato e glaciale Kokuro – sama, il signore degli Youkai, del quale potete immaginare il ruolo nella vicenda...

Ringrazio i miei lettori e Nebbia di latte per la sua recensione, che ho trovato molto utile, e per aver messo la mia storia fra quelle da seguire... mi scuso inoltre per alcuni errori che mi sono accorta di aver piazzato qua e là, ma qualche capitolo l'ho scritto ad ore improbabili e qualche orrore è sfuggito alla correzione...

Vi lascio, in attesa dei prossimi capitoli, ai due disegni di Teörija ed Ughirash, direttamente dal primo capitolo...

See you soon!

p.s. Le recensioni sono sempre gradite!

 

 

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Capitolo 5
*** 4) Just round the way ***


 Just round the way

Soendo. La terra del Sole. Il luogo dove risiedevano le leggendarie Creature Mistiche … davvero incredibile … Zaileh non ci poteva credere … era tutto così, così … soprannaturale … eppure non si poteva sbagliare: poteva figurarsi tutte le risate di scherno dell’intera Kularah, ma Shoser, regina delle Fate, era lì, davanti a lui, che fluttuava sul sentiero, muovendo impercettibilmente le sue leggere ali di seta, perché sì, non le aveva nemmeno sfiorate, ma al solo vederle sembravano una stoffa rara e preziosa, su cui il sole, che filtrava tra le grandi felci arboricole, creava dei bellissimi giochi di luce.

Zaileh, mentre proseguiva, si soffermò ad osservare le fattezze di quegli arti ferini, colpito dalla loro rara e straordinaria bellezza: non gli ricordavano assolutamente, se non vagamente per la forma, le ali delle piccole farfalle che in primavera levitavano sui prati e sui campi di Argol, erano anzi una sorta di esplosione di colori, dove i complementari rosso e verde si fondevano, creando uno stupendo effetto riverberante una volta colpite dai timidi raggi del sole; i colori della membrana, inoltre, risaltavano maggiormente a contrasto con il nero intenso delle nervature, ora sottili e quasi invisibili, ora più spesse e vigorose, come quelle che si fondevano alla base con le scapole della fata, nervature che rendevano possibile il continuo e leggero battito, che le permetteva di stare sospesa pochi centimetri sopra il suolo.

Il ragazzo spostò l’attenzione dalle ali della creatura al paesaggio circostante, così enormemente cambiato, da quando avevano sceso il pendio opposto, lasciandosi indietro la foresta di Rijnne. Lui e Shoser erano ormai in viaggio dall’alba e dalle fresche pendici dei monti, dove prevalevano conifere e latifoglie ombrose come le querce, erano giunti giù, a valle, passando in un bosco la cui natura non era nota a Zaileh. Oltre alle grandi e curiose felci, che simili, ma in dimensioni alquanto minori, abbondavano nelle prefetture marine di Errel, non aveva riconosciuto alcuno degli alberi o delle piante che lo circondavano. La vegetazione era inoltre ricca e rigogliosa, e fra le molte sconosciute specie arboricole crescevano indisturbate altrettanto sconosciute e rigogliose piante da fiore, dai colori sgargianti e brillanti.

Ad un certo punto il ragazzo vide planare, dai rami di un arbusto, un volatile estremamente colorato e dalle dimensioni alquanto notevoli: gli uccelli più grandi che avesse mai visto in vita sua erano gli albatri della prefettura della Focenide, dove in enormi stormi, i bianchi animali si riversavano sulle foci dei fiumi; quello era invece qualcosa di totalmente inedito. L’animale alato, che dondolava in aria con movimenti fluidi ed aggraziati, aveva un acceso piumaggio rosso, leggermente più scuro in alcuni zone della lunga coda e della gola, rosso che contrastava con l’acceso giallo ed il verde smeraldino del capo; aveva inoltre delle ampie ali, un piccolo becco non ricurvo dalle forme aggraziate, ed un elegante ciuffo di piume che dipartiva sempre dalla base della coda, come a completare la sua immagine aggraziata. Le sue piccole evoluzioni intorno a lui ed alla sua “guida”lo avevano letteralmente incantato.

Dopo aver seguito per alcuni minuti la fata ed il ragazzo, il volatile volteggiò su sé stesso intonando un canto melodioso, canto a cui la regina rispose con la sua voce flautata, che pronunciò una lingua sconosciuta, con la stessa inflessione e lo stesso accento con cui il ragazzo l’aveva sentita parlare alla Fonte Cristallina. Poco dopo questo scambio, Shoser volò più in alto, per poi planare, seguita dall’uccello rosso, accanto a Zaileh. Toccò terra, cominciando a camminare, mentre il suo compagno di volo le si posava sull’avambraccio, appositamente alzato, e la ringraziava scuotendo e facendo frusciare le ali. Zaileh si voltò allora verso la regina ed il volatile, che gli rivelò di possedere degli occhi estremamente chiari e cristallini.

Continuarono a camminare così in silenzio per alcuni metri, fin quando Shoser non fece risuonare la sua voce:“Allora, Zaileh, non vuoi sapere chi sia il mio piccolo amico? Eppure la foresta di felci di Shandra mormora il tuo stupore e la tua curiosità …”. Zaileh, come colto in fallo, abbassò lievemente lo sguardo, mentre le guance gli si imporporavano; Shoser fece risuonare ancora la sua risata argentina. “Sai, uomo di Kularah, è molto bello vedere la tua riservatezza, la tua innocenza … sembra che niente ti abbia contaminato … ma rispondimi ora, non crucciarti per il mio riso …”. Zaileh sospirò, no poteva negarlo: quel volatile dall’aspetto prezioso aveva attirato tutta la sua attenzione e non era in grado di rimanere offeso dopo la risata della regina, lei gli infondeva un senso di dolcezza e di comprensione tale da farlo sentire in pace … si chiese se anche infondere quella tranquillità fosse prerogativa delle Creature Mistiche oppure solo della stirpe delle fate … se non altro la regina possedeva una sensibilità ed un’empatia incredibili, forse non solo dovute al dono …

Allora, Zaileh? Non vorrai farmi credere di star perdendo il tuo ingegno?” “No, regina, stavo solo riflettendo … e, sì … quel volatile rosso mi incuriosisce molto non ho mai visto niente di simile ad Errel …” “Ovvio mio giovane amico: non possono esistere paradisee raggiane nella regione dell’Est, e ti renderò noto anche perché. La paradisea fu uno dei primi viventi creati dalla Dea della Luce, la grande Dea Madre, e come i doni erano specchio della sua essenza, così lo erano anche le creature a cui lei dette vita. La paradisea raggiana, sorella di altre sue simili, esprime col suo rosso scarlatto l’amore viscerale che la nostra Madre ancestrale prova per noi suoi figli. Sai come la chiama la stirpe delle Ninfe?” “No …” “ ‘ΠΥΡΟC ΟΡΝΙC’, ‘uccello di fuoco’, perché esso è l’amore che brucia dentro nostra Madre Amaterasu …”, e detto ciò la paradisea si mise ad intonare una melodia, la cui dolcezza incantò completamente Zaileh.

Poco dopo che l’animale ebbe cominciato, Shoser si unì a lui, cantando nell’atavica lingua che ormai Zaileh udiva per la terza volta. La voce della regina sembrò divenire più melodiosa, quasi una carezza, mentre le note che intonava sembravano uscire a due a due dalle sue corde vocali, filigrana d’argento, come se a cantare fossero due creature, all’unisono. Musica e voce sembravano una cosa sola, che facevano fremere Zaileh in tutto il suo essere, facendolo sentire come un tutt’uno con loro. Ora, pian piano, cominciava a capire perché le Ninfe lo chiamassero “uccello di fuoco”: quel canto riscaldava ogni singola cellula del suo essere. Per molto tempo continuarono ad attraversare Shandra, allietandosi con tale melodia, poi il volume della voce della fata ed il dolce canto della paradisea sfumarono lentamente, finché di loro non rimase traccia.

Zaileh, che fino a quel momento aveva prestato attenzione solo a quell’esecuzione canora ed aveva tenuto d’occhio la strada solo per il minimo indispensabile, si sentì come appena risvegliato da un sogno, da una visione. Shoser, sul cui braccio stava il volatile, vide il suo compagno piumato sbattere freneticamente le ali e scuotere il capo ornato dalle piume. Lei capì, gli sorrise e sollevò lievemente l’avambraccio, come a scrollarselo. La paradisea prese il volo e mentre si allontanava lanciò un’ultima nota verso la fata. “Ju ze …”, furono le parole che Zaileh riuscì a cogliere, senza tuttavia comprenderne il significato, dalle scure labbra di Shoser, mentre quella piuma scarlatta si allontanava in volo.

Allora la fata si voltò verso Zaileh, sollevandosi a sua volta in aria, mentre le sue ali, sbattendo quasi impercettibilmente, davano vita ad una lieve brezza. “È tempo di rimetterci sul nostro cammino, uomo di Kularah, la strada è ancora lunga …”. Il ragazzo alzò lo sguardo, notando che il sole non era più alto, ma riscaldava comunque ancora notevolmente la terra; non doveva essere passato molto tempo da quando aveva abbandonato lo zenit. “Quanto tempo ancora ci occorre?” “Ancora molto, mio giovane amico … ma non temere: prima che il sole raggiunga il crepuscolo saremo comunque arrivati … non si tratterà della nostra meta, ma comunque di una tappa indispensabile …”. E detto ciò proseguirono nel loro cammino.

 

Il sole cominciava a raggiungere lentamente l’occidente, mentre la fitta e rigogliosa foresta di Shandra, cominciava a diradarsi. Shoser e Zaileh procedevano con passo tranquillo, ma sostenuto, mentre le loro ombre si allungavano sul sentiero. Gli alberi intorno a loro cominciarono progressivamente a diminuire in altezza, mentre le piante da sottobosco divennero sempre più numerose; dalle sempre minori felci cominciarono a vedersi liane che si intrecciavano fra i vari rami, mentre il terreno sembrava farsi più morbido. Zaileh guardò ai suoi piedi, scorgendo un morbido tappeto verde, simile a quello creato dai muschi.

Piano, piano il sentiero cominciò a farsi più regolare, fino a diventare una linea retta, come gli alberi e le varie piante, che sembravano intervallarsi secondo uno schema preciso. Che stessero forse giungendo alla loro destinazione? Shoser, udito lo stormire delle fronde, non parlò, sorrise, aspettando che il suo compagno di viaggio parlasse.

Regina, dove stiamo andando?” “Da creature amiche … come ti ho già detto, Laynor è lontana … da loro potremo ristorarci e tu, uomo di Errel, potrai riscoprire qualcosa che la tua gente ha dimenticato ..” “Ma …”. Zaileh stava per replicare, chiedendo ancora che la sua curiosità fosse saziata, ma un acuto nitrito lo immobilizzò. Letteralmente basito, si voltò verso la sua guida, che a sua volta lo guardò con un’espressione dolce e confortante. Poi lei si alzò in volo, sin sopra le chiome degli alberi. “Ci siamo quasi, amico mio; devi avere solo un poco di pazienza … ora vedrai … ah, un’ultima cosa: sarebbe per te conveniente mettere al riparo il tuo udito: ciò che ora farò, potrebbe ledere le tue capacità sensoriali …”. Zaileh ubbidì, coscienziosamente, portandosi i palmi delle mani alle orecchie e comprimendoli contro la cavità. Annuì e la fata cominciò. Ancora intonò una sorta di formula nella sua atavica lingua, mentre la sua figura si faceva luminosa ed iridi e sclera divenivano un tutt’uno indistinto con la scura pupilla. Improvvisamente aumentò il volume della sua voce, che ancora una volta sembrava argento risonante; il suono si fece più acuto, sdoppiandosi in due, tre, quattro tonalità diverse; Zaileh era convinto che se un suono del genere fosse stato udito a Kularah, probabilmente l’intero villaggio non avrebbe avuto più finestre.

La voce della regina aumentò ancora di volume, contenendo in sé tutti i suoni della scala diatonica, poi di colpo cessò, tornando ad avere il suo aspetto di prima. Zaileh decompresse i palmi dai suoi padiglioni auricolari, giusto in tempo per sentire un intenso scalpiccio in avvicinamento. Shoser ridiscese, ponendosi a fianco dell’umano. Si voltò ancora verso di lui, ponendogli una mano sulla spalla e sorridendogli. “Stanno arrivando …”.

Zaileh cercò di guardarsi intorno, cercando di scorgere il minimo indizio di ciò che stava per avvenire: poté vedere solo alcune liane che dondolavano ritmicamente sui rami delle felci. Mise all’erta i suoi sensi, soprattutto il suo udito, udendo solamente il forte scalpiccio aumentare, ma allo stesso tempo attutirsi … il tappeto di erba … Svincolandosi dalla leggera presa sulla sua spalla, il ragazzo si inginocchiò, ponendo il suo orecchio destro sul soffice verde: cominciò a sentire più nitidamente il rumore, che  arrivava ad intervalli regolari. Lo scalpicciò ricordava il trotto di un cavallo, così Zaileh cercò di concentrarsi maggiormente; il rumore cominciava a farsi davvero vicino, tanto che il ragazzo riuscì a riconoscerlo come pestare di zoccoli. Ancora nitriti si spansero nell’aria umida del sottobosco, quando il trotto divenne estremamente vicino e quasi fastidioso. Poi la frequenza dei colpi rallentò ed i rumori cessarono di colpo.

Zaileh si trovava ancora accovacciato al suolo, quando nel suo campo visivo vide entrare le lucide e possenti zampe nere di un cavallo. L’enorme figura era ansante, ed i suoi zoccoli scalpitavano ancora, mentre la lunga e scura coda frustava l’aria. Il ragazzo fece per alzare lo sguardo, ma qualcosa di estremamente inaspettato si presentò alla sua vista: una mano. Non era la delicata e diafana mano della regina delle Fate, ma una mano scura e possente, una mano mascolina, il cui polso era fasciato da un’apparentemente pesante bracciale dorato. Quella mano era protesa verso di lui, e con il palmo aperto, lo invitava a levarsi.

Alzati uomo di Kularah,” fece una voce scura e profonda, ma allo stesso tempo confortante, “non si addice ad un essere di ingegno stare così steso sulla terra.”.

 

 

 

 

 

Allora, ecco a voi il quarto capitolo, ancora col viaggio di Zaileh, in compagnia della regina Shoser. Chi avranno incontrato in questo capitolo? Tutto ciò vi sarà chiaro prossimamente …

Mi scuso innanzitutto per l'abnorme ritardo di quasi un mese, ma l'ispirazione era morta, ma ora fortunatamente è resuscitata ^^ !

Ringrazio i lettori e Nebbia di Latte, che continua a recensire i capitoli della storia, davvero grazie …

Non mi resta che lasciarvi annunciandovi al più presto il prossimo capitolo ed il disegno dello spietato Kokuro – sama.

See you soon!

 

N. B. : la lingua di Shoser sto cominciando ad inventarla (come del resto ho fatto fin'ora con i nomi … gli unici che abbiano un senso compiuto sono il nome proprio indiano Suresh, il nome del santone, e quello del consigliere demoniaco di Kokuro, Hebi, che sognifica “serpe” in giapponese)

Alla prossima! 

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