Christine di shanna_b (/viewuser.php?uid=41450)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ouverture ***
Capitolo 2: *** Atto Primo ***
Capitolo 3: *** Atto Secondo ***
Capitolo 4: *** Atto Terzo ***
Capitolo 1 *** Ouverture ***
Ouverture
L’aeroporto
italiano era più o meno come tutti gli altri che aveva visto
fino a quel
momento della sua vita… affollato, caotico e, in un certo
qual modo,
puzzolente… di gente che va e viene e suda e trascina
valigie e piange e ride e
dice addio e/o bentrovato.
Shannon
recuperò la sua valigia dal tapisroulant aspettando
diligentemente il suo turno
e poi seguì Jared verso l’uscita. L’uomo
era a Venezia con il fratello, al
Festival del Cinema per la prima di ‘Mr Nobody’,
l’ultimo film di Jared.
Mentre
i flash
dei fotografi li investivano appena usciti dagli
“Arrivi” del Marco Polo,
Shannon si fermò e cominciò a guardarsi attorno
senza alcun interesse: aveva
seguito il fratello senza volontà, era stato obbligato da
Jared con la minaccia
che in caso contrario non sarebbe andato nemmeno lui, anche se il
contratto con
una major hollywoodiana glielo imponeva.
Un
ricatto
vero e proprio, fatto a fin di bene, e Shannon si era arreso.
Jared
rispondeva sorridendo alle domande dei pochi cronisti presenti, mentre
Shannon
si teneva in disparte, con nessuna voglia che qualcuno gli chiedesse
qualcosa.
Non aveva voglia di parlare del nuovo CD, né di altro, in
realtà, ed era un
bene che passasse quasi inosservato con la barba lunga, il berretto di
lana
calcato in testa e gli occhiali da sole con lenti nere ed impenetrabili.
Dopo
un po’,
cronisti e fotografi si allontanarono e Jared si avviò verso
il taxi, facendo
segno al fratello di seguirlo, cosa che Shannon fece, mettendo le
valigie
dentro il bagagliaio, in silenzio, per poi infilarsi sul sedile
posteriore.
Jared,
non
appena l’auto partì, si schiarì la
voce: “Sei riuscito a dormire un po’ in
aereo?”
“No.”,
la voce
di Shannon superava di poco il rombo del motore.
“Come
ti
senti?”
L’uomo
sbuffò:
“Di merda.”
“Mi
dispiace,
Shan.”
“L’hai
detto
mille volte ormai, lascia perdere, dai…”
“Lo
so ma… non
so cosa dirti…”, tentò di scusarsi
Jared, a bassa voce, quasi contrito.
Il
fratello
fece spallucce: “Non dire niente allora…
perché non c’è un cazzo da
dire… un
giorno… un giorno troverò una risposta, ma
ora… ora non ce l’ho e sto male, non
posso farci nulla.” Shannon si mise a guardare dal
finestrino, scocciato,
sbuffando nuovamente. “Era meglio se me ne rimanevo a
casa… non sono di
compagnia, Jay, mi dispiace…”
Jared
gli mise
una mano sulla spalla, stringendo le dita, cercando di sorridere, di
trovare un
modo per sollevare il fratello: “Ti ho costretto
io… non puoi rimanere chiuso
in casa per sempre… a farti crescere la barba lunga come
babbo natale, a
mangiare schifezze, guardare la TV, impasticcarti, bere e
fumare… Fai peggio…”
Shannon
lo
guardò di sfuggita, scuotendo di lato la testa:
“Non so se faccio peggio o
meglio… ma altro non voglio, non posso e soprattutto non SO
fare, al momento…
non so… non so cosa fare…”
Jared
non ebbe
il coraggio di dire più nulla.
Perché,
si
rese conto, in realtà non c’era più
nulla da dire.
Prese
dei
depliant sul Veneto da una tasca sul sedile davanti a lui e ne
passò qualcuno a
Shannon, tanto per non stare con le mani in mano.
Ma
si accorse
subito di avere sbagliato: suo fratello, sobbalzando di scatto,
cominciò a
fissarne uno e, soprattutto, cominciò a fare quello che non
avrebbe mai dovuto
né voluto.
Ricordare…
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Capitolo 2 *** Atto Primo ***
Atto
primo
Shannon
adorava correre in moto con la sua Ducati Monster 600 per le colline
dei
dintorni di Los Angeles e aveva una compagnia di amici motociclisti a
cui
piacevano le stesse cose: sentire il sole ed il vento sulla pelle,
perdersi tra
le ombre delle fronde degli alberi tra una curva e l’altra,
salire, salire,
fiancheggiando prati brulli baciati dalla calura estiva, ritrovarsi
sulla cima
di una collina e, guardando in giù, scoprire uno scorcio di
mare in lontananza,
il pendio della città, un bosco verde mai visto in
precedenza.
I
suoi
compagni di avventura, meno di una decina tra cui il suo amico Brent,
con moto
di diversa cilindrata e marca, erano una sorta di famiglia parallela ed
il suo
amico Steve, quello che si poteva definire il “capo
banda”, organizzava
continuamente queste gite in cerca del nulla, solo per il piacere di
dare gas
alla moto e correre, correre, correre.
Gareggiare,
qualche volta.
Quella
mattina
presto, prima delle nove, si erano trovati tutti dalle parti della casa
di
Steve, nella zona più vecchia di Hollywood, e, fatti pochi
chilometri, si erano
fermati inaspettatamente al lato strada su uno spiazzo sterrato, ancora
prima
di cominciare l’ascesa di una collina.
Steve
però non
si era tolto il casco, aveva consultato il suo cellulare e aveva
gridato al
resto della banda, cercando di superare il rombo dei motori:
“ASPETTIAMO CHRIS!
Sarà qui a momenti.”
E
così era
stato: alcuni avevano spento la moto, altri l’avevano
parcheggiata e Shannon,
mentre prendeva un sorso dalla sua bottiglietta d’acqua, era
rimasto, con la
moto accesa, a fissare un punto indefinito sulla strada che portava a
Los
Angeles, chiedendosi chi fosse mai questo fantomatico Chris. Non
dovette
aspettare molto: ad un tratto, dalla curva alla fine della via vide
spuntare
una moto sparata a tutta velocità, che rallentò
non appena vide il gruppo
fermo.
Era
un Yahama
FZ6 Fazer di colore viola e nero.
Sopra,
una
figura minuta e tutta nervi, con una giacca nera in pelle ricoperta di
toppe
con i simboli dei vari marchi di moto, pantaloni neri di jeans, stivali
in
pelle e casco con la stessa fantasia della moto, che ora Shannon vide
essere
composta di grifoni neri su sfondo viola, le cui code si
attorcigliarono. La
visiera era scura e non si riusciva a vedere il viso
dell’individuo, i suoi
occhi.
Il
centauro,
con una mano guantata, si avvicinò a Steve e gli fece il
pollice alzato,
indicando la strada che si inerpicava su per la collina.
“OK,
CI SIAMO
TUTTI! VIA CON LA
GARA!”,
gridò Steve e tutti partirono.
La Yahama
per prima.
Con
Shannon
dietro, incuriosito dal nuovo personaggio, che, a tutta
velocità cominciò ad
arrampicarsi sulla collina.
E
lui dietro,
l’adrenalina che gli scorreva prepotentemente nelle vene, il
cuore che aveva
avuto un balzo, i muscoli ed i nervi tesi e pronti, una mano
sull’acceleratore,
un piede appoggiato sul cambio, il corpo piegato sul serbatoio, a
rincorrere
quell’individuo che velocemente curvava sul primo tornante a
destra, una decina
di metri avanti.
Shannon
strinse i denti: la Yahama
era una buona moto, ma la sua Ducati era il meglio del meglio. Diede
fondo al
gas e si avvicinò, mentre la strada tornava rettilinea e non
c’erano auto in
giro, a quell’ora del mattino. Superò agevolmente la Yahama
e spinse
ulteriormente per portarsi a distanza di sicurezza, passando un paio di
tornanti
senza voltarsi indietro.
Il
sole
splendeva sulle cromature della moto, il vento muoveva le fronde, la
velocità
gli entrava sottopelle e Shannon si sentiva in paradiso.
Mancava
ancora
una curva e poi la salita sarebbe finita e Shannon credette ormai di
avere
vinto. Vide dallo specchietto retrovisore destro che la Yahama
si allontanava di un
paio di metri, smise di accelerare e si portò in centro
strada, alzandosi
leggermente e guardando alla sua destra. Ma non si era accorto che la Yahama
gli stava arrivando
sulla sinistra a tutta velocità, prendeva la curva che
girava a sinistra prima
di lui e si lanciava su per l’ultimo tratto correndo.
Fu
un attimo.
Shannon
si era
distratto e Chris aveva vinto.
La Yahama,
arrivata sullo
spiazzo sterrato sopra la collina, frenò di colpo sollevando
una nuvola di
polvere giallastra, il centauro ne scese e mise la sua moto sul
cavalletto.
Shannon arrivò e frenò nello stesso modo,
parcheggiò anche lui e poi si diresse
verso il ragazzo dicendo, sorridendo e togliendosi il casco, il
fazzoletto nero
attorno alla testa madido di sudore: “Ehi, sei stato furbo,
non me
l’aspettavo!”
Il
motociclista si tolse i guanti e li appoggiò alla sella, poi
si sganciò e si
tolse il casco: “FurbA vorrai dire…”,
disse, sorridendo.
Era
una donna.
E
Shannon
rimase lì a bocca aperta.
La
ragazza
prese una bottiglietta d’acqua dalla sacca laterale e si mise
a bere, cercando
di asciugarsi il sudore con un fazzolettino, guardandolo in viso e
sorridendo,
mentre tutto il resto del gruppo arrivava vicino a loro.
Steve
raggiunse i due: “Sei una grande come il solito!”,
l’uomo alzò la mano e la
donna accettò il ‘cinque’ battendo il
palmo sul suo e dicendo: “Grazie, Steve!”
“Ti
presento
un po’ di gente che non conosci. Questo con la Triumph
è Brent e quel
pazzo che ha osato sfidarti e che guida una Ducati Monster risponde al
nome di
Shannon.”
La
donna alzò
una mano in segno di saluto: “Ciao a tutti e due! Piacere di
conoscervi…”
“Lei
è
Christine.”, proseguì Steve, “la nostra
pazza su due ruote che ogni tanto ci
onora, lavoro permettendo, di essere dei nostri.”
“Ehi,
sei
brava!”, le disse subito Brent, con il suo solito sorriso
cordiale ed aperto.
“No…
é Steve
che esagera sempre.”, si schernì Christine,
scuotendo la testa e sorridendo
tranquilla.
E
Shannon era
sorpreso del modo in cui la ragazza si trovasse a suo agio tra tutti
quegli
uomini, dei motociclisti, addirittura… ma lei era
lì, con un sorriso semplice,
senza atteggiamenti da diva o da gnocca, pacifica e tranquilla. Con i
capelli
castano chiari mossi dal vento, senza un filo di trucco su un volto
magro e
minuto, con due occhi neri spalancati su di loro. Forse bella. O forse
no. Non
certo una bellezza hollywoodiana, ma una ragazza normale.
Shannon
le si
avvicinò, togliendosi gli occhiali: “Ti chiami
come la mia batteria…”
Christine
spalancò gli occhi: “La tua cosa?”
“Batteria.
Sono un musicista. Suono nei ‘30 Seconds to Mars’.
Conosci?”
La
ragazza
scosse la testa: “Ehm… temo di no. Io…
beh… ascolto la lirica di solito, non
seguo la musica moderna…”
Shannon
la
fissò sorpreso: “La lirica?”
“Sì…
musica
classica, sai… io… beh… non ho
più l’età per certe
cose…”
Steve
prese la
parola e piazzò la sua battuta: “Per certe cose
no, ma per correre in moto,
sì!”
Tutti
scoppiarono a ridere, mentre il capobanda continuava: “Dai,
basta chiacchiere!
Ora scolliniamo e andiamo sull’altro colle, e vedrete che
spettacolo! Da sopra
si vede il lago.”
Il
gruppo
riprese subito le moto e ripartì sgommando e rombando, la Yahama
e la
Ducati in fondo, appaiate.
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Capitolo 3 *** Atto Secondo ***
Atto
secondo
Jared,
i
capelli ossigenati raccolti a coda di cavallo, aveva fame. Incredibile
ma vero,
ogni tanto accadeva anche a lui di avere fame. “Si fa pausa
pranzo?”, chiese
allora a Tomo, seduto vicino al mixer ed intento ad accordare la sua
Gibson.
Tomo
annuì,
scuotendo i lunghi capelli neri e chiedendo di rimando,
l’occhio
improvvisamente attento: “Sì. E dove si
va?”
“Non
si va da
nessuna parte finchè TU…”, Shannon,
spuntato dalla stanza accanto, indicò il
loro chitarrista, “…non finisci di registrare
quello che non hai finito ieri… e
nemmeno stamattina, visto che sei appena arrivato!”
Tomo
sbuffò,
preso di sprovvista come uno scolaretto che non ha fatto per bene i
compiti
assegnati: “Mi sono preso a letto, la sveglia non ha suonato
e siccome sono stanco
ho dormito e…”
Shannon
sogghignò, senza lasciarlo finire: “Sì
sì, c’era Vicki da te, vero? Risparmiaci
i particolari, va’… Tu e Tim state qui e finite.
Io e Jared usciamo a prendere
la pizza. Ho visto passando in auto che qui vicino, a un paio di
isolati, c’è
una pizzeria d’asporto. Che pizza volete?”
“Quella
con
tutto il possibile sopra…”, rispose Tim, spuntato
da dietro una pila di
scatoloni, visto che era solo da una settimana che erano lì,
nello studio nuovo
sulle colline di Los Angeles, e ne stavano ancora prendendo possesso.
“E non
come l’altra volta che mancavano le
acciughe…”
Shannon
alzò
gli occhi al cielo e non volle nemmeno mettersi a ricordare che
però mancavano
SOLO quelle, a fronte di TUTTO il resto, e lasciò correre
scuotendo la testa, mentre
Jared scoppiava a ridere all’espressione del fratello e si
alzava: “Tu, Tomo?”
“Uhm…
Margherita gigante abbondante cipolla rossa e peperoni,
direi… Non ho tanta
fame.”
“Dovremmo
vendere cinquecento milioni di CD per mantenere due affamati come
voi…”,
sghignazzò Jared, mettendosi la felpa,
gli occhiali da sole e avviandosi all’uscita.
“Dai, Shannon, muoviti che
ho fame…”
La
pizzeria
effettivamente distava meno di un chilometro dallo studio di
registrazione ed i
fratelli Leto ne approfittarono per fare una passeggiata discutendo su
come
arrangiare una canzone su cui erano particolarmente dubbiosi.
All’arrivo
al
negozio, su cui incombeva un’insegna ovviamente fatta a forma
di pizza colante
mozzarella, i due entrarono, si guardarono un attimo attorno e poi
presero
posto su due sgabelli attorno ad uno dei pochi tavolinetti alti, in
attesa. Il
negozio sembrava vuoto, non fosse che una leggera musica pervadeva
l’aria,
l’odore di pizza si spargeva per l’ambiente e
qualche voce proveniva dal
retrobottega.
Ma
quando una
ragazza uscì e prese posto alla cassa, gettando loro
un’occhiata curiosa,
Shannon esclamò, sorpreso: “Ehi! Ciao,
Christine!”
Lei,
con i
capelli raccolti da una pinza, blue-jeans, magliettina nera attillata e
un
grembiule bianco con tante piccole pizze disegnate, ricambiò
un sorriso
sincero, spalancando gli occhi: “Shannon! Ciao!”,
poi uscì da dietro il banco e
si avviò verso di loro.
“Ma…
ma lavori
qui?”, chiese subito Shannon, alzandosi dallo sgabello e
notando che Christine,
con i sandali col tacco, era alta quanto lui.
“Sì!
E tu… sei
passato per caso?”
Già,
per caso.
Che coincidenza strana. “Sì! Abbiamo appena preso
in affitto uno studio di
registrazione proprio qui vicino e per i prossimi sei mesi!”
“Ma
dai? Tu e
il tuo gruppo? I 30 Seconds to Mars, giusto?”
“Sì,
sì e… beh
questo è mio fratello Jared, il nostro cantante,
chitarrista, bassista se
serve, autore di canzoni… insomma, il nostro tuttologo
personale.”
La
ragazza,
ridendo divertita, strinse la mano di Jared, che nel frattempo aveva
incenerito
il fratello maggiore con lo sguardo, dicendo “Molto
piacere.”, ma poi cominciò
a passare gli occhi scuri da uno all’altro per un lungo
momento per poi dire:
“Uhm… fratelli?”
Jared
la
guardò subito male: “Non ci
assomigliamo?”
“Uhm…
N-no…
direi di no. Ma… non vorrei essere scortese…
scusate…”
Shannon
fece
spallucce: “Non preoccuparti, non sei l’unica che
lo dice… E comunque quando
eravamo più giovani ci assomigliavamo molto di
più, poi siamo cambiati in modo
diverso…”, concluse rapidamente, prima che il
fratello cominciasse una qualche
filippica delle sue.
Ma
Jared non
fece nemmeno in tempo a prendere fiato, né Christine a
rispondere, che un
sonoro “CHRISTINE! SONO PRONTE LE PIZZE!!!” si
sentì gridare dalla cucina.
“Ops…
Scusate,
devo andare… la voce del pizzaiolo di Ade
dall’oltretomba chiama!”, affermò la
ragazza, sbarrando gli occhi spaventata, scherzando, e porgendo loro un
foglietto preso da una tasca del grembiule: “Voi intanto
compilate questa
scheda con le pizze che volete, poi portate il foglio al bancone,
OK?”
Shannon
lo
prese e lo allungò a Jared che cominciò a passare
subito in rassegna la lista:
“OK, grazie Christine.”
La
ragazza
estrasse anche una penna e la porse a Shannon: “Grazie a voi.
Mettete anche il
cognome e appena pronte le pizze vi chiamiamo.”
“OK.”
Christine
si
allontanò e Shannon la seguì con lo sguardo
mentre entrava in cucina, mentre
Jared, notando l’occhio molto interessato del fratello,
chiese subito,
guardandolo in viso e togliendogli la penna di mano: “Chi
sarebbe?”
Shannon
si
accese una sigaretta ma non gli riusciva di staccare gli occhi dalla
porta in
cui era entrata Christine: “E’…
è la motociclista di cui ti avevo detto l’altro
giorno…”
“Aaaah
sì… sì,
mi ricordo! L’amichetta di Steve, quella che ti ha battuto
con la moto…”
“Sì,
proprio
lei… Comunque non è l’amichetta di
Steve; è una sua amica e basta, non
‘amichetta’… Carina e simpatica,
vero?”
Anche
Jared si
girò verso la porta di uscita di Christine:
“Uhm… adesso ho capito perché hai
preso la sconfitta con tanta leggerezza e filosofia… bel
corpo e bel sorriso,
anche se non proprio giovane…” Jared si
fermò un attimo:
“Però…”
“‘Però’
cosa?”
“Beh
a vederla
non rientra in nessuna delle categorie di donne che frequenti di
solito…”
Shannon
si
grattò la fronte: “Già.”
“Tu
non hai
mezze misure. O le ignori o opti per il genere ‘minorenne di
bella presenza che
te la dà all’ingrosso’...”
Il
batterista
scoppiò a ridere: “E invece tu no, vero?”
“No,
io di
solito ci vedo anche un background culturale…”
“Sì,
sì…
CUL-turale, vorrai dire… come no?”
Jared
si mise
a ridere, ma poi ritornò serio per dire “Lasciala
perdere, quella…”
Shannon
scosse
la cenere della sigaretta, fumata a metà, nel posacenere:
“E perché? Non me la
voglio portare a
letto…”
“Appunto.
Ti
stai allontanando dai tuoi standard. E può essere
pericoloso…”
L’uomo
sbuffò:
“Uhm… boh… però…
è una con cui si può parlare un po’,
non tenta di infilarmi le
mani ogni momento nella patta dei pantaloni come certe
troie…”
“Ma
credevo ti
piacesse quel genere…”
“I
primi due
minuti, sì… ma poi… boh…
non so… E comunque sono anche agro di donne che mi
fanno la dichiarazione d’amore eterno come certe echelon,
anche senza
conoscermi…”
Jared
scoppiò
a ridere, prima di cominciare a compilare il foglietto di richiesta
pizze: “Ma
se sono proprio quelle che comprano i nostri CD, tutto il merchandising
possibile e vengono ai concerti, dovresti essere contento e
ringraziare,
invece...”
Shannon
non
rispose, ma si limitò a fissare Christine che, nel
frattempo, era uscita dalla
cucina e, sul bancone, inscatolava le pizze da consegnare ai clienti,
parlando
con il fattorino della pizzeria.
Christine.
Che
in fondo
gli piaceva e aveva una bellezza tutta sua, ma che non gli provocava
pensieri
particolarmente sensuali o osceni.
Che
forse
poteva considerare come sua sorella minore, magari quella che non aveva
mai
avuto.
Che
non
conosceva quasi per nulla e sulla quale si era fatto poche idee, anche
se era
stato divertente sentirla parlare di moto per ore con la banda di
motociclisti.
Che
ora si
girava e gli sorrideva, mentre lui, strappato il foglio dalle mani di
Jared, si
avvicinava con l’ordine delle pizze e glielo porgeva
ricambiando il sorriso.
‘Scopabili’
e
‘ignorabili’: queste erano le categorie in cui
metteva tutte le donne, lui.
E
lei?
Dov’era,
Christine?
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Capitolo 4 *** Atto Terzo ***
Atto
terzo
La
Cadillac
CTS-V nera di Shannon imboccò a tutta velocità (e
ben oltre i limiti imposti)
la Highway 101 che, da Los Angeles, portava a San Francisco. Quella
domenica di
Luglio, alle sei del mattino, reduce da un party hollywoodiano in
compagnia di
suo fratello protrattosi fino a un’ora prima,
l’uomo era diretto a Monterey, al
circuito di Laguna Seca, per assistere alle gare della Moto GP.
Era
stato
Steve che aveva organizzato il tutto: aveva comperato i biglietti per
entrare
nella zona del circuito proprio sul famoso
‘Corkscrew’ (il ‘cavatappi’),
la chicane
su collina, la curva più spettacolare di Laguna Seca, ed era
riuscito anche a
trovare dei pass per il paddock.
Tutta
la
compagnia di motociclisti era stata invitata e Shannon aveva gradito
oltremodo
quell’invito e accettato con piacere, nonostante gli impegni.
L’uomo
impostò
il navigatore: la highway era quasi deserta, a quell’ora,
visto che era appena
l’alba, e l’uomo schiacciò il piede
sull’acceleratore con convinzione. Ci
sarebbero volute quasi cinque lunghe ore di auto per percorrere gli
oltre
cinquecento chilometri che separavano Los Angeles da Monterey e forse
sarebbe
arrivato solo in tempo per la gara della MotoGP, considerato che doveva
anche
trovare parcheggio e non sapeva dove e come.
Forse
per
mezzogiorno sarebbe riuscito ad arrivare ad incontrare i suoi amici
che,
probabilmente già partiti tutti presto, in piena notte o
forse già il giorno
prima, non aveva sentito né telefonicamente né in
altri modi, impegnato com’era
stato con le registrazioni.
Accese
l’autoradio e mise il CD del suo adorato Deadmau5, spense il
telefonino e
decise di rilassarsi: aveva bisogno di staccare un po’ da
tutto, aveva bisogno
di fare il vuoto mentale cullato dalle canzoni ipnotizzanti del DJ
canadese,
aveva bisogno di stare da solo.
Erano
settimane
che lui con gli altri 30 Seconds to Mars erano chiusi in sala
d’incisione per registrare
il nuovo CD ed erano ancora piuttosto in alto mare. Volevano fare
qualcosa che
fosse completamente diverso dagli album precedenti, tanto che avevano
inserito
nelle canzoni alcuni pezzi cantati dalle Echelon e lui aveva
addirittura
cambiato la composizione della sua batteria. Per non parlare delle
campane e
dei cori tibetani, di inserimenti di arrangiamenti elettronici
e… di ogni idea
strampalata che venisse in mente a Jared, il quale, attivo ventiquattro
ore al
giorno, lo chiamava in ogni momento della giornata per qualsiasi minima
lampadina si accendesse dentro la sua testa.
Uno
strazio.
Esattamente
come la sua situazione sentimentale: il tira e molla con la sua ragazza
del
momento, K., si protraeva ormai da mesi, con lei che, ragazza madre,
avrebbe
voluto di più e lui che non aveva nessuna intenzione, con
una tourneè mondiale
in arrivo alle porte, di sistemarsi e farsi una famiglia definitiva,
con una
bambina di cinque anni di mezzo... Ma poi, era davvero K. la donna
della sua
vita? Nonostante la ragazza fosse matura per la sua età e
per nulla
sprovveduta, quasi vent’anni di differenza potevano pesare in
ogni momento,
specialmente agli occhi dei genitori di K. che avevano praticamente la
sua età.
Shannon
sospirò, guardando il sole rosso che sorgeva ad est: era
tutto estremamente
‘vivo’, in realtà. Tutto come avrebbe
sempre voluto che fosse, ma certe volte
era proprio stanco, come quel mattino.
Si
augurò che
almeno quella domenica passata a guardare Stoner correre per il
circuito, in
sella alla sua Ducati e che partiva dalla pole position, lo avrebbe
rilassato e
gli avrebbe fatto scordare tutto il periodo piuttosto faticoso, e
soprattutto
l’anno in arrivo, in cui, a seguito dell’album,
avrebbe dovuto girare per il
mondo varie volte per la tournee, le interviste e tutto il resto.
Sospirò
per
l’ennesima volta: la strada era lunga, non solo quella per
Laguna Seca, ma
anche quella della sua vita.
Tanti
chilometri e qualche caffè nero poco zuccherato dopo,
Shannon arrivò nei pressi
del circuito e, in connessione telefonica con Steve, riuscì
non solo a trovare
agevolmente parcheggio, ma anche a trovare il suo gruppo di amici,
assiepati
nel prato sopra il cavatappi.
“Ehilà!
Finalmente sei arrivato! Ora ci siamo tutti!”, lo accolse
Steve, dandogli la
mano.
Shannon
si
guardò attorno: tra tutta la gente seduta per terra e che
aspettava l’inizio
della corsa, in realtà non vedeva nessuno che conoscesse, a
parte Steve e un
paio di altri motociclisti.
E
soprattutto
non vedeva chi si aspettava di trovare, quella persona che avrebbe
voluto
reincontrare con piacere e che da un po’ di tempo non
incrociava, nemmeno in
pizzeria. Era quasi tentato di chiedere a Steve, che gli stava
raccontando del
suo incontro con Nicky Hayden, dove fosse una certa loro amica
che…
improvvisamente Shannon spalancò gli occhi, sorpreso:
Christine avanzava in
mezzo alla gente verso di lui, sorridendo, accompagnata dalla moglie di
Steve.
Indossava un paio di blue jeans aderenti, una maglietta corta ed
attillata con
l’effige di Valentino Rossi e un berretto giallo e azzurro
col frontino con il
numero 46 ricamato sopra. Una perfetta fan del corridore italiano.
“Ciao,
Shannon! Ben arrivato!”, gli sorrise lei subito, con il suo
solito modo
cordiale, che gli riscaldava il cuore, i capelli castani che si
muovevano al
caldo vento che veniva dal deserto.
Shannon
le si
avvicinò, incuriosito, lasciando il discorso con Steve a
metà: “Ehi! Ma… ma… ma
tifi per The Doctor?”
Christine
scoppiò a ridere: “Si vede, eh? Con una Yamaha a
casa, è d’obbligo! E tu? Tu
che hai la Ducati, tifi per Stoner e la sua Desmosedici,
giusto?”
“Sì,
sì… ma
nel mio caso non si vede.” Shannon si indicò la
maglietta nera senza scritte.
Christine
non
rispose, ma, sorridendo, si tolse lo zainetto dalle spalle e
cominciò a
ravanarci dentro. Poi estrasse un berretto col frontino, rosso, con il
numero
27 ricamato e la bandiera australiana. E con scritto Ducati da un lato.
“Ora sì!”,
disse a Shannon, avvicinandosi e mettendoglielo in testa.
Shannon
scoppiò a ridere, divertito, sistemandosi il berrettino,
mentre, stranamente,
tutti si erano allontanati e li avevano lasciati soli.
“Ma… l’avevi comperato
per me?”, chiese, sorpreso, non aspettandosi un regalo del
genere.
La
ragazza
fece spallucce: “No… l’ho visto su una
bancarella qui fuori, mi è piaciuto e
l’ho preso… senza un perché…
mi è venuto così e… te lo regalo,
dai…”, rispose
Christine, sedendosi sulla sua stuoia,
e
Shannon non capì se mentisse o meno. Poi estrasse la
macchina fotografica
digitale: “Vieni, Shannon. Guarda.”, gli fece segno
di avvicinarsi.
Shannon,
curioso, si sedette vicino a lei e Christine gli porse la digitale:
sullo
schermo comparve una foto di lei con Valentino Rossi.
“E’ stato il momento più
emozionante della mia vita. E… Rossi mi ha anche firmato il
berretto. Guarda
qui.” La ragazza spostò la testa per mostrargli
l’autografo su un lato e una
zaffata del suo profumo colpì Shannon in pieno viso.
Deodorante,
sudore, donna.
Shannon
aprì
le narici per sentirlo meglio, fissandole il collo bianco e
l’attaccatura dei
capelli, con piacere, incantato da lei e dal suo atteggiamento:
“E’… è stato
gentile, Rossi...”
Christine
si
girò a guardarlo in viso. “Sì, davvero.
E’ proprio un personaggio. E’ unico. Molto
particolare.”
Shannon
le
restituì la digitale. “Anche tu.”
La
ragazza
piegò le sopracciglia: “Anch’io,
cosa?”
L’uomo
sorrise
furbescamente e dolcemente nello stesso tempo. Aveva percepito una sua
verità
su Christine, giusta o sbagliata che fosse, aveva sentito qualcosa su
di lei,
anche se non sapeva nulla di come fosse in realtà, in fondo
non la conosceva.
La
California
era infestata di ragazze la cui unica preoccupazione era se il tacco
delle
scarpe o la lunghezza della gonna fossero all’ultima moda o
no, e la cui unica
aspirazione era finire sulla copertina di Vogue o sposare un produttore
miliardario. Ragazze che passavano la vita dall’estetista per
le extension
e le ciglia finte o
dal chirurgo
plastico per labbra e tette gonfie, belle, bellissime, ma finte e tutte
uguali.
Ma
non
Christine.
Lei
era del
tutto diversa.
Era
come se
certe cose della sua vita fossero state accantonate o non la toccassero
più di
tanto, come se adesso lei facesse solo quello che le piaceva, non
avesse
aspirazioni da conquistare, ma situazioni consolidate da gustare fino
in fondo,
fregandosene di cosa si poteva pensare di lei. Niente di quello che per
le
altre era legge, per lei contava qualcosa. Lei era oltre. Sopra a
tutto. Era
tranquilla, senza smania di passare avanti agli altri o di essere un
qualcosa
che non era: quasi sembrava aver raggiunto quella consapevolezza e
distacco
buddisti che anche Shannon cercava. Anche adesso che raccontava di
Rossi, era
contenta, ma non esagitata, era normale anche in quello:
“Anche tu sei un
personaggio…”, le disse, dandole un buffetto sulla
guancia. “Un personaggio
raro.”
Christine
arrossì, imbarazzata: “Io? Ma no, no,
Shannon… non prendere in giro, dai…
sono…
sono solo una pizzaiola, dai… A
proposito…”, la ragazza sembrava quasi volere
cambiare disperatamente discorso, schernendosi: “Vuoi un
po’ di pizza?”, gli
chiese, estraendo dallo zaino un
pacchettino e cominciando a scartarlo. “Gliene
ho portata anche una a
Rossi…”
Shannon
scoppiò a ridere: “Ma sì,
perché no?” Alla fine anche lui fu contento di
cambiar discorso: non aveva chiaro nemmeno lui dove volesse andare a
parare con
il discorso che aveva fatto. E fu anche contento dell’arrivo
di Steve e degli
altri che, rumorosamente, si sedettero tutti lì vicino a
mangiare la pizza di
Christine e il loro pranzo al sacco.
Mentre
l’ora
della gara si avvicinava, il sole di Luglio picchiava sul circuito di
Monterey
e le chiacchiere proseguivano, con
pronostici sulla vittoria dei vari motociclisti che si sprecavano,
Shannon, con
una notte brava e bianca alle spalle e lo stomaco soddisfatto di pizza
e birra,
si addormentò, placidamente sdraiato vicino a Christine con
il berretto rosso
calato sugli occhi, mentre il rombo di una gara dimostrativa di auto lo
cullava.
Lei
lo guardò
un attimo sorridendo, chiedendosi cosa Shannon avesse voluto dire con
l’uscita
di poco prima, e poi si spostò in modo da fargli ombra con
il suo corpo: anche
Shannon era decisamente un personaggio.
Tutto
da
scoprire.
Shannon
fu risvegliato
da Steve che gli urlava in un orecchio a voce altissima:
“E’ ORAAAAAA!!!
SVEGLIAAAA!! SI SCATENERA’ L’INFERNO!!!”
“MUDDAFUGAZZ,
STEVE! CHE CAZZO FAI?!??” Shannon balzò seduto
chiedendosi dove fosse, ancora
con i fumi del sonno profondo che gli annebbiavano la mente, il
berretto a
sghimbescio. “VUOI FARMI MORIRE
D’INFARTO???”, poi si alzò di scatto e
fece per
tirargli un pugno scherzoso su una spalla.
Ma
Christine
gli stava porgendo un bicchiere di carta, sorridendo.
“Caffè? Meno dieci minuti
alla partenza! Sei pronto per la gara?”
Shannon
accettò
il caffè ed annuì, convinto, ma nessuno al mondo
poteva essere pronto per una
gara tiratissima come quella, con Stoner e Rossi che, partiti veloci
come
fulmini, si contendevano la prima posizione con sorpassi a non finire,
con
tutto il campionario di prodezze dei due grandi atleti completamente
sfoggiato.
Con
Rossi che,
proprio al cavatappi, metteva due ruote sulla terra ma riusciva a stare
in
sella per miracolo e Christine che lanciava un urlo.
Con Stoner che domava le
derapate della sua
Ducati, rosso cavallo selvatico, e con Shannon con i brividi lungo la
schiena,
estasiato.
A
nove giri
dalla fine, dopo una gara mozzafiato, Stoner sbagliò una
staccata e, per
evitare di tamponare Rossi, andò fuori pista,
piegò sulla ghiaia del bordo
pista e finì a terra: Shannon e Christine trattennero il
fiato, mentre il
corridore australiano si rialzava e ricominciava
l’inseguimento di Rossi, ma inutilmente.
Rossi
aveva
vinto, aveva baciato la curva del cavatappi proprio davanti agli occhi
esterrefatti di Christine, e Shannon si complimentò subito
con la ragazza,
ancora incantata dall’impresa e da quel bacio
sull’asfalto: “Gli hai portato
fortuna!”, le disse, abbracciandola
e
alzandola da terra. “E’ stata la tua
pizza!”
La
ragazza si
schernì, come al solito, prendendo il viso di Shannon tra le
mani e poi
stringendolo a sé, con slancio, senza pensarci:
“No, no… Rossi è bravissimo
e…
anche Stoner è un campione… e la gara era tra chi
sbagliava meno, dai… Oddio…
che gara! Sono stremata! Oddio! Non ci posso credere!”,
disse, prima di
fermarsi e rendersi conto di quel che aveva fatto e di trovarsi tra le
braccia
di Shannon e avere lui nelle sue. Ognuno ritirò le proprie
braccia, quasi di
corsa, imbarazzati tanto da cominciare simultaneamente una discussione
sulla
gara con gli amici.
Discussione
che
proseguì al tavolino di un bar di Monterey a bere qualcosa,
prima di partire ognuno
con il proprio mezzo destinazione casa.
Shannon
era
impegnato in una discussione con Ray, un tifoso di Hayden, su quali
erano le
possibilità di Stoner e della Desmosedici, ma con un
orecchio ascoltava la
discussione tra Steve e Christine, seduti davanti a lui e in evidente
combutta.
“Vieni?
E’
giovedì prossimo, alle venti…” chiedeva
Christine.
“Questo
giovedì?”
“Sì.”
“Accidenti!
Io…
non posso, Christine. Sono fuori città per lavoro.”
“OK.”
“Mi
dispiace.
Non possiamo fare un altro giorno?”
“Ehm…
purtroppo ho comperato già i biglietti.”
“Mi
dispiace
davvero, cara…” Steve le toccò un
braccio, dispiaciuto per davvero.
Ma
Christine
gli sorrideva, nonostante si vedesse la delusione nei suoi occhi scuri:
“Non
preoccuparti, Steve. Riuscirò a convincere Betty,
tranquillo.”
Shannon
non
aveva capito di cosa si stesse parlando, ma l’espressione di
Christine non gli piaceva.
“Vengo
io.”
Tutti
si
girarono ad occhi spalancati verso chi aveva parlato. Era stato
Shannon. La cui
voce gli era uscita quasi senza volere e senza sapere dove dovesse
andare.
Steve
lo
guardò ad occhi spalancati: “Sei sicuro,
Shan?”
“Ehm…
sì…”, rispose.
Steve
scosse
la testa: “A te non piace l’opera lirica.”
Shannon
spalancò gli occhi: “Opera?”
“Sì.”
Rispose
Christine, “Andrei a vedere ‘il Barbiere di
Siviglia’ di Rossini, giovedì
prossimo, all’Opera House. Ehm… vieni
tu?”
A
Shannon
quasi mancò l’aria. “Opera?”,
ripetè, traumatizzato.
“Sì,
opera.”,
ribadì Christine, sorridendo contenta.
Tutti
attorno
al tavolino guardavano lui, sorpresi ed in attesa della sua risposta,
qualunque
fosse. Tutti sapevano della passione di Christine per la lirica (oltre
che per le
moto) e tutti si erano più o meno defilati già da
tempo, nonostante la ragazza
non fosse poi così insistente. Resisteva solo Steve. Ma quel
giorno aveva dato
buca pure lui.
“OK”,
disse
Shannon, alla fine, con un filo di voce. Dopotutto era
un’esperienza musicale
anche quella no? Musica decisamente diversa dalle altre che ascoltava
ma sempre
musica. Musica che comunque segnava la vita a molte persone,
così come la sua
musica segnava la vita delle echelon. “OK. Certo che vengo.
Sono… curioso, non ci
sono mai stato.”
Christine
gli
passò un tovagliolino di carta in cui aveva scritto
frettolosamente il suo
indirizzo, dicendogli: “Allora giovedì alle
diciannove a casa mia, va bene?” e
poi si alzò e, sotto gli occhi sbigottiti di Shannon ancora
con il foglietto in
mano, si mise il giubbotto di pelle, il casco e se ne andò,
salutando tutti.
Shannon
non
credeva ai suoi occhi: Christine tornava a casa in moto!
Shannon
fu
tentato di buttarsi in macchina e braccarla, a folle
velocità inseguirla e
controllarla, incredulo di quella pazza che affrontava ore ed ore di
strada in
moto per rientrare, ma sapeva che non l’avrebbe mai raggiunta.
In
molti
sensi.
Questo
capitolo è dedicato alla mia amica Valentina: sai che ormai
io non credo più che
il personaggio che descrivo qui (nemmeno lo nomino) sia in qualche modo
reale o
abbia le caratteristiche che gli attribuisco. Anzi, ormai e per tante
ragioni
sono portata a ritenere che sia esattamente l’opposto, che la
sua sensibilità sia
nulla e le sue qualità umane inesistenti…
però… però devo dire che scrivere di
lui in questo modo, era proprio bello! Baci!
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