When I thought that I fought this war alone

di Rainbowsmile
(/viewuser.php?uid=140969)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** For now my innocence is torn ***
Capitolo 3: *** When everything's made to be broken, I just want you to know who I am ***
Capitolo 4: *** Just remember you are not alone In the aftermath ***
Capitolo 5: *** Oh, you make me smile ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


AN: Dunque volevo avvisare tutti che questa è la prima FanFiction che pubblico in assoluto quindi sono apertissima a critiche di ogni genere, consigli e ovviamente apprezzamenti. Mi scuso per eventuali errori di ortografia.  Era da tanto che avevo in mente questa storia così ho deciso di scriverla. Io non possiedo Glee e neanche Kurt o Blaine e non ho nessun diritto su di loro. Però sono una grande fan della Klaine e se lo siete anche voi spero che vi piaccia. Anche se non lo siete :) Senza indugiare oltre, ecco la mia storia (i ricordi sono scritti in corsivo).

Anno 2424, London

Sapeva che sarebbero venuti. A dire il vero era sorpreso che non lo avessero già preso. In qualche modo una piccola fiammella di speranza si era accesa dentro di lui. Magari si erano dimenticati di quel piccolo ragazzo dagli occhi azzurri che viveva alla periferia della città.  Magari la puzza di marcio e di sporco e l'aria stantia li avevano fatti girare alla larga da quel posto o li avevano disgustati a tal punto da non poter credere che qualcuno potesse vivere in un ambiente del genere.
Tuttavia c'era già stata un'incursione qualche mese fa. Avevano portato via tutti, o almeno così credevano. In un certo senso era grato che sua madre fosse morta prima dello scoppio della guerra. Suo padre, invece, era stato preso, come la zia Anne, Will, Tess, Oliver, Mary, il vecchio Joseph e la piccola Paige. Non avevano avuto pietà neanche di lei.
Chi? Kurt non  lo sapeva. Uomini del governo, oppure gente che non riusciva più a pagare l'aumento esorbitante che le tasse avevano subito negli ultimi mesi. Kurt e la sua famiglia avevano lasciato la loro casa ed erano andati a vivere in periferia con altre famiglie a causa di esse.  Ma molti non avevano fatto lo stesso: spinti dalla disperazione si erano uniti alle F.R.E.A.K. (Forze di Rapimento ed Emigrazione dell'Amiraglio Kane) e Avevano cominciato a fare il lavoro sporco al posto degli emissari del governo. A volte Kurt rideva cupamente pensando a quanto questo acrostico combaciava perfettamente. Freak, mostro. Perchè non c'è altro modo per definire chi entra di notte in casa tua, ti picchia per renderti incosciente e ti porta Dio solo sa dove.
C'erano molte storie a questo proposito. Durante la terza guerra mondiale, l'Inghilterra si era alleata con l'America del Nord e voci dicevano che , chi veniva preso, sarebbe stato mandato lì, in alcuni laboratori in cui stavano testando su cavie umane nuovi modi per rafforzare il sistema immunitario dei soldati, per farli durare più a lungo in battaglia. Oppure si diceva che, soprattutto le donne,  finivano per entrare nel giro di prostitzione delle alte cariche o anche dei semplici soldati. Entrambe le opzioni disgustavano decisamente Kurt e lui non sapeva in quale sperare. Avrebbe voluto non pensarci, ma stipato in qualche enorme stanza in mezzo a migliaia di persone , con l'oscillare lento della nave che lo stava facendo sentire male, non sapeva cos'altro fare.
Nonostante la folla incredibile di gente ammucchiata, nella stanza regnava un silenzio cupo e pesante. Nessuno aveva volgia di parlare e Kurt li capive. Dopotutto, tutti avevano passato la stessa cosa. A causa del dolore alla testa, lui ancora faticava a ricordare esattamente cosa fosse successo.

Per quanto si rigirasse nel letto , Kurt non riusciva a dormire. Quella vecchia casupola era diventata troppo solitaria da quando le F.R.E.A.K. avevano portato via gli altri. Gli macava sentire la piccola Paige piangere, oppure i due gemelli, Will e Oliver, che litigavano per chi stava sulla branda e chi sul letto, o anche il costante odore di fumo della pipa che il vecchio Joseph fumava quasi senza sosta. Nonostante avessero pochi soldi, Joe trovava sempre il modo di comprare il tabacco per la sua pipa. Come ci riuscisse era ancora un mistero per tutti. Ma ciò che più gli mancava in assoluto era suo padre, la zia Anne e Tess.  Suo padre che sapeva come consolarlo ogni volta che si sentiva perso, la zia Anne che era diventata come una mamma per lui e il suo modo di fare tutto sempre con un sorriso sulla bocca. Gli mancava ascoltare la sua voce melodiosa mentre cantava la ninna nanna a Paige. Quella ninna nanna che, Kurt non le lo aveva mai detto, faceva addormentare serenamente ogni sera anche lui.  E poi c'era Tess.  Lei e sua sorella, Mary, si erano unite per ultime alla famiglia. In poco tempo, Tess era diventata la migliore amica di Kurt. Generalmente gli ci voleva del tempo per aprirsi alle persone, legare con loro  e tenerci davvero. Con Tess, tutto questo processo, era avvenuto alla velocità della luce considerando i suoi standard. Ci aveva messo solo pochi giorni per riuscire a dirle che era gay.
Qundo era riuscito a dirlo finalmente a tutta la famiglia (ovviamente Burt, suo padre, e la zia Anne lo sapevano già) il vecchio Joseph aveva sbuffato, buttando fuori il fumo della sua pipa, e aveva commentato con un burbero: «Questi giovani d'oggi...»,  ma si capiva che non lo diceva con cattiveria. Infatti, tutte le volte che Kurt sarebbe venuto a casa  con un occhio nero o qualcosa di rotto, Joe  aspettava che tutti si allontanassero per poi dirgli«Non lasciare che degli ignoranti come quelli si permettano di dirti chi sei e cosa devi fare. Ascoltami bene ragazzo, tu sei cento volte meglio di ogni stupido bamboccio di quelli là fuori.»  I due gemelli guardarono Kurt con i sorrisi privi dei denti davanti ben piazzati sul volti: 
«Ehi, non c'è problema, amico! Non importa se ti piaccciono i maschi o le femmine, sei un tipo a posto. Sei forte!» . Poi gli avevano steso le mani per fare il loro saluto segreto. Kurt lo fece molto volentieri. Improvvisamente si sentì tirare la maglia. Si girò  e vide Mary con uno sguardo dubbioso sul volto. Si accucciò per ritrovarsi faccia a faccia con la bambina di 9 anni: «Quindi a te piacciono i maschi...?» Kurt le sorrise dolcemente: «Esatto.». La bambina arricciò il naso con fare pensieroso e Kurt la trovò adorabile: «Ma non è strano? Insomma tu baceresti un ragazzo e non una ragazza? Non è strano per te?», Kurt le prese le mani e tentò di spiegarle: «Bè, vedi Mary...Ecco, tu per esempio baceresti una ragazza?». La bambina rispose immediatamente: «No!», Kurt continuò: «Esatto, sarebbe strano per te. Per me sarebbe strano baciarla ugualmente. Però tu baceresti un ragazzo...». la bimba annuì e Kurt concluse: «E sarebbe perfettamente normale per te e così è per me.». Mary ci pensò un po' su e poi annuì con convinzione: «Si! Si, credo di aver capito! Però ti devo dire che anche se ti piacessero le ragazze ti vorrei bene comunque!». Tutti scoppiarono a ridere e Kurt disse: «Grazie mille, Mary. Sapevo che avresti capito.» Con un sorriso enorme stampato in volto la bimba corse a giocare in giardino. Da quel giorno Mary aveva preso molta confidenza con Kurt, rivelanogli anche, che aveva una cotta per Oliver. Lui e Tess avevano fatto di tutto per aiutarla con il suo 'piano di conquista'.
Mente Kurt ricordava tutto con un sorriso, sentì la porta sbattere, poi sbattere un'altra volta, infine volare via dai cardini e cadete a terra con un tonfo sonoro. Dei passi veloci seguirono, si fermavano ogni tanto come per controllare qualcosa. Kurt aveva stretto più forte le coperte attorno a sè. Poi, una sagoma nera era apparse sull'uscio della porta della sua camera, subito raggiunta da altre. Non avrebbe saputo dire quanti erano , ma vedeva l'ombra scura delle mazze chiodate che tenevano in mano mentre si avvicinavano.  Si tenne stretto al cuscino, li sentì fermarsi tutto intorno a lui e poi sentì dolore, dolore dappertutto. 


Questo era tutto ciò che Kurt ricordava, dopodichè il nulla. Almeno finche non si era svegliato, con il corpo che gli doleva, dentro questa stanza.  Aveva capito di trovarsi in una nave solo grazie all'odore di pesce marcio e al continuo dondolio, non c'erano oblò. Era seduto in un angolo dello stanzone a osservare la ferita che aveva sul dorso della mano destra, che faceva compagnia ad altre sparse in tutto il suo corpo. Era un taglio lungo circa sei centimetri che si stava rimarginando. La fissava chiedendosi cosa ne sarebbe stato di lui. 




Spero vi sia piaciuta e per favore recensite la mia storia, significherebbe tanto per me. Il titolo è preso dal testo della canzone 'War' dei Poets of the fall, non è mia e io non ho nessun diritto su essa. Ma se non la avete ancora ascoltata, fatelo perchè è davvero bella! 
http://www.youtube.com/watch?v=7CxpnbmKWzU 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** For now my innocence is torn ***


AN
AN: Ecco il secondo capitolo spero vi piaccia. Il titolo del capitolo è sempre da 'War' dei 'Poets of the fall'. Amo le recensioni, quindi sentitevi liberi di lasciarne quante ne volete!
Se vi state chiedendo come sono i componeti della famiglia di Kurt, ecco come me li immagno io:
Anne: una specie di Anne Hathaway, un po' più vecchia.
Tess: Età di Kurt, capelli biondo scuro, lunghi, mossi e con la frangia, occhi marroni.
Mary: Anni nove, capelli castani a caschetto e occhi marroni.
Will e Oliver: Anni dieci o undici, capelli biondi non troppo lunghi, occhi nocciola.
Joseph: Sulla settantina d'anni, con barba e capelli bianchi,e occhi azzurri.
Paige: Non è la figlia di Anne, la hanno trovata dopo che i suoi genitori sono stati presi. Anni tre, capelli castani riccioli generalmente raccolti in due codine e occhi verdi.

Anno 2424, Somewhere in the North Atlantic Ocean

Kurt non sapeva per quanto tempo aveva dormito, ma di sicuro non molto, dato che la luce aveva cominciato da poco a filtrare attraverso le fessure dell'enorme botola a due ante che li sovrastava.  Il silenzio che regnava il giorno prima era stato rimpiazzato da un  soffice brusio. In un angolo della stanza, qualcuno cantava 'Tanti auguri a te' e una bambina rideva. Questo fece venire nostalgia a Kurt e gli ricordò del suo compleanno.

Era già da due mesi che si erano trasferiti nella piccola casupola di Peterson Street. Da un mese ormai, Kut divideva la stanza con Tess e Mary. Stava ancora dormando quando sentì un peso improvviso sullo stomaco, come se gli avessero tirato una palla di cannone Si alzò di colpo per trovarsi a qualche centimetro dalla faccia sorridente di Mary , che era a gattoni sulla sua pancia: «Che succede?».  In risposta Mary sorrise ancora di più e cominciò a saltellare  sulla sua pancia. Kurt guardò Tess, che era seduta sul bordo della sua branda, in cerca di aiuto, ma lei stava ridendo.  «Qualcuno mi può spiegare che diavolo sta succedendo qui? Ehi non starete festeggiando la 'Giornata ufficiale dell'uso della pancia del tuo inquilino come un trampolino' senza di me?»  Kurt riuscì a dire,  ribaltando a situazione e cominciando a fare il solletico alla bambina. Quella si mise a ridere e a pregare Kurt di smetterla. «Come dici? Non credo di aver capito bene perchè non provi a parlare più chiaramente? Forse dicendo le due paroline magiche...» Kurt disse rallentando un po' con il solletico per permetterle di rispondere, ma lei gli fece la linguaccia e fece una faccia come per dire 'Neanche per sogno' e così kurt ricominciò ancora più forte di prima. Dopo poco, Mary cedette e tra le risate disse: «E va bene...Va bene...Hai vinto! Ora basta, ti prego!». Kurt si fermò subito e sorrise trionfante. Tess lo gurdava come per dire 'Non so se sei peggio tu o lei' e poi sbuffò, ma non riuscì a trattenere un piccolo sorriso che le distese le labbra. Kurt si sedette e si portò Mary in grembo per poi dire: «Allora qualcuno può spiegarmi che sta succedendo?Come mai siamo tutti così iperattivi sta mattina?». Tess e Mary lo gardarono in modo scettico. La più grande disse: «Stai scherzando vero?», ma Kurt continuava a guardarle e a non capire. Tess provò a suggerirgli: «Dai, che giorno è oggi?», ma lui sembrava ancora più confuso di prima, quando improvvisamente un'espressione scioccata gli attraversò il volto: «Oh no! Non dirmi che era il tuo compleanno Tess, mi dispiace tanto! Ho perso il conto dei giorni, Io...», ma lei lo interruppe bruscamente ridendo: «Oggi è il tuo compleanno, Idiota!».  Kurt ora sembrava ancora più scioccato di prima. Mary saltò giù dalle sue gambe, gli prese la mano e cominciò a tirarlo fuori dalla camera e poi giù per le scale: «Dai, Muoviti! Devi aprire i regali! Il mio ti piacerà sicuramente un sacco!». Arrivato al piano  terra, ringraziando il cielo per non essere caduto per aver sceso così velocemnte quelle vecchie scale malmesse, venne assalito dall'intera famiglia che gli augurava buon compleanno. Persino il vecchio Joseph si era alzato dalla sua vecchia poltrona scucita di pelle e lo aveva abbracciato. Lo avvevano fatto sedere a tavola e ognuno gli aveva dato a turno il proprio regalo. Burt e la zia Anne gli avevano regalato un nuovo papillon, viola con un motivo dorato, che Kurt aveva amato dal primo momento che aveva visto sulla vetrina di un piccolo negozio. Dovevano aver risparmiato molto per comprarglielo e quidi li abbracciò forte sussurrrando dei 'grazie' continui. Joe gli aveva dato una delle pipe che aveva da quando era giovane, in caso Kurt volesse seguire le sue orme di fumatore incallito. E anche se lui non aveva certo intenzione di cominciare a fumare la pipa, sapeva quanto il vecchio teneva a quell'oggetto, così lo ringraziò e promise di tenerlo con cura. Oliver e Will gli diedero una pietra attaccata ad una cordina nera che, a sentire loro, una volta li aveva aiutati a trovare un tesoro e che quindi poteva far trovare dei tesori anche a Kurt. Lui sorrise e se la mise al collo ringraziandoli. Quando venne il turno di Mary, lei tirò fuori un foglio un po' stropicciato dalla tasca, lo distese e lo pose davati a Kurt. Era un ritratto della loro grande famiglia, per quanto il disegno di una bambina di nove anni potesse essere chiamato ritratto. A partire da destra c'era Burt, poi la zia Anne con in braccio Paige, Will, Oliver, Mary (Lei gli fece notare che si era messa vicino ad Oliver apposta), Kurt, Tess e Joe. Il ragazzo strinse forte la bambina e ringraziò anche lei. Si voltò verso Tess, ma lei gli disse che gli avrebbe mostrato in privato il suo regalo. Kurt allora stava per alzarsi qundo la mano della zia gli si appoggiò sulla spalla. «Non stai dimenticando qualcuno?» E vide che teneva in braccio la piccola Paige. Kurt chiese: «Allora, hai anche tu un regalo per me?», la bimba si sporse in avanti e gli diede un bacio sulla guancia. Lui sorrise e accarezzò la testolina riccioluta di Paige. Tentò di andarsene nuovamente dalla stanza ma fu fermato ancora, questa volta da Mary che gli chiese sottovoce: «Allora, cosa pensi del mio disegno?», Kurt si guardò intorno come per vedere se ci fosse qualcuno e poi sussurrò all'orecchio della bambina: «Devo confessarti che è il mio regalo preferito, ma miraccomando, acqua in bocca, che sennò gli altri diventano gelosi!». Mary annuì con foga e poi cose via ridendo. Finalmente libero, Kurt si diresse su per le scale, verso camera sua, dove Tess lo aspettava. Quando entrò, la ragazza aveva una scatolina in mano e quando lui si sedette, gliela porse. Con uno sguardo interrogativo la aprì e per poco non la fece cadere per la sorpresa. Dentro c'erano due biglietti del suo musical preferito: Wicked. Non sapevano facessero ancora una replica dopo tutto questo tempo. Quando si riprese dallo shock e riaquistò la parola, cominciò a dire frasi sconnesse: «Wicked? Come diavolo...? Non pensavo ancora...Dova sei riuscita...? Grazie!», poi si buttò addosso a Tess sopprimendola un abbraccio spaccaossa: «Grazie grazie grazie grazie grazie!». Lei si mise a ridere: «Ok, credo di aver afferrato il concetto!».

Il tintinnio della campana che segnava l'apertura della botola lo destò da quei pensieri felici. Guardò in alto e vide scendere delle scatole con all'interno l'unico pasto che gli era concesso al giorno. Qando gli scatoloni toccarono terra, delle persone si avvicinarono a essi, li aprirono e cominciarono a distribuire le pagnotte di pane. Quando furono vuoti, nonostante non tutti avessero da mangiare, vennero riportati su e la botola si rischiuse con un cigolio e un tonfo. Kurt era riuscito ad aggiudicarsi una pagnotta anche quel giorno, ma quando vide una mamma consolare la propria bambina che piangeva perchè aveva fame, non potè fare a meno di pensare a Paige. Così si avvicinò alla donna e le porse la sua pagnotta. Lei gli sorrise e poi disse alla bimba: «Hai visto questo signore gentile che ci ha dato la pappa? Dì grazie, Rose.». La bambina lo guardò, tirò su col naso e disse: «Graccie, signore con gli occhi belli.». Kurt rispose: «Di niente, piccola» e poi se ne andò. Poteva resistere ancora senza mangiare, lo aveva già fatto quando il cibo scarseggiava a casa.

I giorni passavano lenti e non sempre Kurt riusciva ad addormentarsi. Quelli in cui rimaneva sveglio la  notte sembravano infiniti. I morsi della fame sifacevano sentire ogni giorno di più. Quando erano davvero insopportabili, Kurt cominciava a canticchiare, lo faceva sempre sentire meglio.
La bimba a cui il secondo giorno aveva donato la pagnotta lo aveva ascoltato di nascosto e quando lui se ne era reso conto aveva smesso immediatamente. Rose lo guardò curiosa: «Catti bene! Non smettere». Poi la madre arrivò e la prese in braccio: «Rose, non disturbare questo signore.», ma Kurt aveva scosso la testa: «Non è un problema, non mi stava dando fastidio. Comunque mi chiamo Kurt». La donna lo guardò e gli si sedette accanto: «Io sono Lisa.»
Kurt legò molto con Lisa e Rose in questi pochi giorni di traversata. Lei gli raccontò di come avevano preso suo marito, la notte che erano entrati in casa sua. Lui si era fatto avanti per darle il tempo di nascondersi con la piccola. Purtroppo però, pochi giorni dopo, erano tornati ed erano riusciti a prendere anche loro. Kurt le chiese di racontare come aveva conosciuto Mark, suo marito, e di come si erano innamorati. Si erano conosciuti al liceo, gli spiegò Lisa, fu amore a prima vista. Gli raccontò di come lui si era dichiarato, portandola sulla riva del Tamigi, del loro primo bacio, di come era felice quando lui le aveva chiesto di sposarlo. In cambio, Kurt, le raccontò della sua famiglia. Dei pochissimi momenti che ricordava con sua madre, del rapporto con suo padre e poi della sua famiglia allargata. Della sua amicizia con Tess e di come Rose gli ricordava Paige.
L'ultimo giorno di viaggio, gli fece la domanda che era tentato di farle fin dall'inizio: «Tu sai dove ci stanno portando?». Lei lo guardò, sapendo che prima o poi le lo avrebbe chiesto: «So solo voci, niente di accertato. Spero solo che alcune di queste non siano vere.». Dopo qualche ora la nave si fermò e spense i motori. Dopo vari minuti di attesa, il portellone davanti a loro si aprì, a modi ponte levatoio, e rivelò delle sagome che ci indicarono di avvicinarci all'uscita. Quando fummo tutti a portata d'orecchio uno degli uomini, quello che probabilmente doveva essere il comandante, comincò a parlare: «Allora! Adesso verrete trasportati in differenti luoghi da questi camion. Salite in ordine...», ma poi  lui si accorse che un uomo stava correndo e cercando di salvarsi. Tirò fuori la pistola dalla cintura, sparò un colpo nella direzione del fuggiasco che lo colpì mortalmente alla schiena. Quello cadde a terra ma continuò a mormorare e a lamentarsi. Il comandante fece un segno a due suoi sottoposti che  presero a bastonate l'uomo finche non diede più segni di vita. Rose comincò a piangere, stringendosi più forte a sua madre.  L'uomo si voltò e urlò: «Falla stare zitta! Avete capito cosa succede se uno di voi prova a scappare?». Lisa non riusciva far smettere Rose di piangere e gli lanciò un'occhiata disperata. Lui le si avvicinò e cominciò a canticchiara la ninna nanna di zia Anne alla piccola. Lei si calmò. Il comandante si ricompose e ci istruì su quello che dovevamo fare.  Kurt non riuscì a salire sullo stesso camion di Lisa e Rose, sperò solo che loro stessero andando in un posto migliore del suo. Di nuovo si trovò solo chiedendosi cosa ne sarebbe stato di lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** When everything's made to be broken, I just want you to know who I am ***



Ecco il terzo capitolo, spero vi piaccia! Il titolo di questo capitolo è  tratto dal testo di 'Iris' dei 'Goo Goo Dolls' che potete ascoltare qui http://www.youtube.com/watch?v=NdYWuo9OFAw&ob=av2e
Il primo agosto partirò per il campo scout, che durerà fino al 12 Agosto. Non so se sarò in grado di postare un nuovo capitolo prima di allora, quindi mi scuso in anticipo per l'attesa.

Anno 2424, United States

Il viaggio stipato nel furgone non durò più di qualche ora. Kurt non aveva ancora la minima idea di dove lo stessero portando. Quando li fecero uscire dal veicolo era ancora mattina presto, saranno state le 5.00, e la luce era poca e debole. Davanti a loro si stagliava un grande edificio bianco, che un tempo doveva essere stato un ospedale. Li fecero entrare in fila indiana, togliere i vestiti, rimanere solo in biancheria intima e poi li fecero disporre in riga all'interno di uno stanzone bianco.
Ad aspettarli c'erano degli uomini in camice bianco, che li scrutavano con interesse, come se fossero i pochi esemplari in vita di una razza in via d'estinzione. Kurt si sentiva a disagio osservato da tutti quegli occhi e fu contento quando uno degli uomini cominciò a parlare, rompendo il silenzio:  «Benvenuti! Io sono il dottor Moore, questo alla mia destra è il dottor Butler e alla mia sinistra potete vedere il dottor Anderson». Kurt si fermò ad osservarli: Il dottor Moore era il più anziano tra i tre, era alto, sulla cinquantina, con capelli brizzolati corti, gli occhi azzurro ghiaccio e un paio di occhialetti tondi appoggiati sul naso adunco. Il dottor Butler avrà avuto trentacinque anni, alto, con i capellli castani non troppo corti e gli occhi castani. Il dottor Anderson non doveva avere molti più anni di Kurt, era bassetto, con un folto cerpuglio di capelli corvini in testa. Ma lo colpirono soprattutto i suoi occhi. Kurt non riusciva a capire, sembrava che ogni volta che il ragazzo si spostasse i suoi occhi cambiassero sfumatura, passando da un morbido nocciola ad un verde tenue.
Era talmente preso da quello strano fenomeno, che quasi non si accorse che il dottor Moore aveva ricominciato a parlare: «Bene, ora verrete divisi a seconda di sesso ed età. I maschi sopra i dieci anni andranno con il dottor. Anderson, le femmine sopra i dieci anni con il dottor Butler e i bambini dai dieci anni in giù con me.». Cominciammo a spostarci a seconda dei gruppi ai quali eravamo assegnati. A Kurt non piaceva essere diviso ulteriormente e gli piaceva ancora meno il tono allegro con cui parlava il dottor Moore. Si stava dirigendo verso il suo gruppo, quando un grido lo fece voltare. C'era una bambina appesa al collo della madre con le braccia, non voleva separarsi e uno degli uomini armati che li aveva condotti qui la stava tirando con forza. La bambina piangeva. «La smetta! Non vede che le sta facendo male!», Kurt urlò prima di rendersene conto. Non sapeva perchè, ma aveva sempre questo legame, questo istinto di protezione e di amore verso i più piccoli, e una cosa che non poteva sopportare era veder fatto loro del male. Il soldato lo guardò sorpreso e allentò per qualche secondo la presa. La bimba ne approfittò per divincolarsi e stringersi più forte alla madre. Quando il soldato si riprese, partì alla carica contro Kurt, sbattendolo al muro. Lui sentì un dolore lancinate alla schiena e rimase per qualche secondo senza aria, per poi cadere a terra. L'uomo cominciò a tirargli calci allo stomaco, parlando durante gli intervalli: «Come...ti sei...permesso...brutto...», ma fu fermato da una forte presa sulla spalla: «Credo che possa bastare.». Il dottor Anderson era dietro di lui, guardandolo con rabbia. Il soldato, intimidito, gli fece un cenno e tornò al suo posto. Il dottore si accucciò per controllare le condizioni del ragazzo. Quando gli toccò una costola, quello gemette e lo guardò. Dio, Blaine non credeva di aver mai visto niente di così bello. Qegli occhi erano qualcosa di indescrivibile, avevano lo stesso colore del mare. Ma non il mare di una sciatta spiaggia turistica, pieno di alghe e rifiuti. Piuttosto, di quello che vedi in alcuni di quei documentari in cui sembra così pulito, così fresco, cos' meraviglioso, in cui non riesci a capire se è verdeacqua, blu intenso o di un azzurro così puro da sembrare quasi finto.
Una  presenza di fianco a lui lo destò da quei pensieri. Si girò e vide la bambina che prima piangeva guardare il ragazzo davanti a lui. Kurt si tirò un po' su e si mise a sedere, con la schiena contro il muro e un braccio che gli cingeva il busto: «Tutto bene, piccola?», disse con un soffio di voce. La bimba annuì e lo abbracciò, il che, gli procurò un piccolo gemito di dolore, ma sorrise comunque. Lei poi, scioltò l'abbraccio, corse via per unirsi al gruppo dei bambini.
Il dottor Moore, che aveva guardato tutta la scena con fare interessato, disse: «Sembra che abbiamo un soggetto ribelle. Forse per questa volta potrei fare un'eccezione e occuparmene io personalmente...», ma venne interrotto da Blaine: «Mi scusi. ma corrisponde all'area di mia competenza.». Il dottore lo guardò scettico,fece una pausa e poi sbuffò: «Allora sarai tu ad occupartene. Provvedi affinchè sia in buone condizioni per la solita procedura.». Sembrava un bambino a cui avevano mostrato un gioco nuovo e, subito dopo, gli avevano detto che non poteva giocarci.
Il dottor Anderson lo aiutò ad alzarsi e lo fece appoggiare a lui per tenersi i piedi. Poi guidò tutti gli uomini in un corridoio e ad ognuno assegnò una camera con un numero, o meglio, una cella. Trasportò Kurt fino all'ultima porta, entrò e lo fece adagiare piano sull'unico letto della stanza. Poi aprì lo sportello del comodino vicino ad esso e ne estrasse una cassetta per il pronto soccorso. Kurt aveva ancora i tagli dovuti alla notte in cui era stato preso, alcuno si erano infettati e aveva un grande ematoma sotto la gabbia toracica, verso sinistra, dovuto ai calci appena ricevuti. Blaine tirò fuori dalla scatola del cotone e del disinfettante: «Questo brucerà un po'». Cominciò a tamponare e a pulire ogni taglio sul corpo di Kurt, con molta delicatezza. Lo sentiva irrigidirsi ogni tanto, a causa del dolore, allora mormorava degli 'scusa' sottovoce. «Come ti sei procurato tutti questi tagli?». Non sapeva perchè aveva fatto quella domanda, gli era venuto spontaneo. Kurt lo aveva guardato stancamente, con un'espressione u po' incredula in viso. Blaine si diede una botta in testa mentalmente: ma certo, tu sei il tipo che lo tiene rinchiuso qui dentro e ti aspetti che si apra e ti racconti la sua vita? Dio, quanto sei stupido. Sorprendendo anche sè stesso, Kurt rispose: «La notte in cui mi hanno preso sono stato picchiato con delle mazze chiodate, per poi essere portato via di casa.». Aveva bisogno di sfogarsi, perchè non farlo ora? In fondo non sapeva quanto sarebbe durato ancora. Blaine fece una smorfia di disgusto, odiava la violenza. «Dov'è esattamente casa?». Kurt fece un piccolo sorrisetto: «Londra, Inghilterra.». Il dottore appoggio il cotone sporco sopra il mobile accanto al letto e tirò fuori delle bende dalla cassetta del prento soccorso: «Mia madre diceva sempre che lei amava Londra. Ha sempre voluto portarmici. Poi è stata presa. Non ho idea di dove sia, spero solo di rivederla un giorno.». Kurt lo guardava confuso: «Non capisco. Se tua madre è stata presa perchè tu sei-», si irrigdì e strinse i denti perchè il dottore aveva urtato esattamente dove c'era l'ematoma. Lui mormorò un altro 'scusa' e poi Kurt continuò: «Perchè lavori qui? Che cosa fanno qui?». Merda, aveva detto troppo. Blaine abbassò lo sguardo e finì in velocità di bendare l'altro ragazzo.
Poi si alzò, ma venne trattenuto. Kurt si era sollevato un po' ,con una smorfia di dolore, e gli aveva afferrato il camice con una mano. «Che fai?». Lo prese delicatamente e lo fece adagiare di nuovo sul letto: «Non puoi ancora fare sforzi del genere.».  Il ragazzo ansimava , ma parlò lo stesso: «Senti, probabilmente sarò morto entro pochi giorni e potrebbe accadere anche per mano tua. Non credi di dovermi delle spiegazioni?». Blaine scosse la testa  e si voltò di nuovo , ma sta volta, Kurt gli prese la mano: «Per favore, risponda alle mie domande, dottore.». Sentiva la stretta disperata dell'altra mano, più calda.  Il dottor Anderson non ce la faceva a vedere quello sguardo di dolore sul viso del ragazzo.  Rassegnato, prese la sedia dalla piccola scrivania e si sedette: «Puoi chiamarmi Blaine, Blaine Anderson. Prima di lavorare qui, vivevo in Ohio, con la mia famiglia. Mio padre lavora per le F.R.E.A.K., credo si chiamino così anche in Inghilterra. Quando mia madre fu presa, rimasi da solo. Scappai e decisi di andarla a cercare. Finii per trovare mio padre invece. Lui mi ha mandato a lavorare qui, in questo dannatissimo laboratorio. Facciamo esperimenti, esperimenti sulle persone.  Non ho mai sopportato questo schifosissimo posto.». Si fermò un po' sorpreso di aver detto tutto questo. «Il fatto di odiarlo non fa di te una persona migliore. Li aiuti. Li aiuti a far del male alle persone. Potrebbe esserci tua madre tra loro! Potrebbe esserci mia madre! La mia famiglia! Come puoi vivere con questo peso sulla coscienza?». Kurt era inorridito. Aveva sperato che quelle voci non fossero vere. «No! Io non ho mai uciso nessuno! Ne faccio scappare quanti più posso, ma potrebbero accorgersene! Non ho mai voluto essere qui! Vorrei essere con mia madre adesso, stare tra le sue braccia e farmi dire che va tutto bene! Ma non posso! Perchè non so dove sia, non so se sia ancora viva! Odio questa vita e tu non sai niente di me!»  Odiava piangere davanti ad altre persone, ma una lacrima solitaria era scesa slla sua guancia. Kurt si sentiva in colpa. Blaine non era la persona orribile che credeva, anzi, era più simile a lui di quanto pensasse. «Scusa. Non avrei dovuto accusarti. Mi dispiace.» . Allungò una mano e asciugò la  lacrima che stava scendendo dalla guanci dell'altro ragazzo. Quando si rese conto dell'intimità del gesto era troppo tardi, ma ritirò la mano velocemente, arrossendo.
Dopo alcuni minuti di silenzio, Blaine parlò:  «Sai, ti ammiro molto per oggi. Sei stato molto coraggioso a difendere quella bambina.». Kurt sorrise e rispose: «Io lo ho fatto oggi, ma tu lo fai tutti i giorni. Aiuti la gente a scappare da questo incubo, mentre tu lo vivi.». Blaine era colpito da come il ragazzo era riuscito a capirlo.  Sorrise e si alzò dalla sedia sentendosi meglio per aver detto tutto quello che sentiva. Si avvicinò alla porta e la aprì un po' prima di fermarsi per dire: «Buonanotte...». «Kurt». Blaine si voltò, non aveva capito. «Kurt.» - ripetè l'altro ragazzo - «Il mio nome è Kurt Hummel.». Lui sorrise: «Allora, buonanotte, Kurt.». Il ragazzo sorrise a sua volta: «Buonanotte, Blaine.» 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Just remember you are not alone In the aftermath ***


Scusate tanto l'attesa, mi dispiace! A causa del campo scout non sono proprio riuscita a postare. Comunque, eccomi qua, pronte per scrivere un nuovo capitolo tutto per voi! Perfavore lasciate un recensione, anche piccola piccola *occhioni dolci*

Anno 2424, United States

Kurt si svelgliò a causa di uno strano calore sulla fronte. Sbattè più volte le ciglia per abituare li occhi alla luce artificiale della stanza. Si rese conto, allora, che il calore che sentiva, era provocato da una mobida e gentile mano: «Buongiorno signore, ha dormito bene?». Blaine era sporto verso di lui con un sorriso stampato in faccia. Voleva giocare, eh? Oh, aveva scelto la persona sbagliata. Kurt Hummel ha sempre la risposta pronta: «Insomma, devo dire che questo letto non è così comodo, come aveva chiesto e anche il cuscino lascia un po' a desiderare. Spero che vogliate rimediare immediatamente a questo disguido.» Rispose con un ghigno soddisfatto. Blaine fece una faccia sbalordita, così finta, che Kurt non riuscì a trattenersi dal ridere. «Messere sono costernato! Provvederemo con peculiarità a questa mancanza. Le porgo le mie più sentite scuse.» Ancora incapace di smettere, Kurt disse tra le  risa: «Sai almeno che cosa vogliono dire la metà delle parole che hai detto?». Blaine fece un sorrisetto che fece fermare il cuore dell'altro ragazzo per un attimo: «A dire il vero, signore, non ne ho la più pallida idea!» e poi scoppiò in una sonora risata. «Va bene, va bene, ora smettila di ridere. Peggiorerai la situazione, non sei ancora guarito del tutto.» . Delicatamente fece scivolare la coperta fino ai suoi fianchi, così da scoprire il torso nudo di Kurt. Ieri notte, quando gli aveva tolto la maglia per curare tagli ed ematomi vari, non si era soffermato a guardarlo. Ora che poteva, era rimasto rapito: non aveva troppi muscoli e la tartaruga era appena visibile, ma dimostravano che aveva lavorato in passato. La pelle era pallida, sembrava fatto di porcellana, apparte per l'ematoma sul fianco sinistro. Rendendosi conto di essere rimasto a fissarlo più del dovuto, arrossì un po' e si inginocchiò accanto al letto, come se niente fosse: «Ti fa molto male se schiaccio qui?» e così premette due dita nella zona dell'ematoma. Kurt si lamentò e annuì. «Ok. Probabilmente guarirà in tre, quattro giorni al massimo. I tagli stanno motlo meglio ora che li ho disinfettati e anche quelli guariranno in fretta. Non ti preoccupare.». Kurt sorrise: «Grazie.»
Improvvisamente dei colpi alla porta ruppero quel silenzio. I due ragazzi si guardarono e Blaine si alzò per andare ad aprire. Il dottor Moore si affacciò: «Buongiorno! Come sta il nostro amico ribelle? Siamo tutti in attesa di lui per cominciare!», disse con il suo solito tono allegro che disgustava Kurt. «Mi dispiace, ma il paziente 114 non è ancora in condizioni adeguate per essere idoneo alla procedura.», rispose Blaine con voce calma e professionale. Per un momento, a Kurt parve di vedere della rabbia mista a delusione sul viso del dottore, ma fu subito cammuffata dal solito falso sorriso:  «Oh, sono sicuro che il nosrtro amico potrà benissimo affrontarla lo stesso, come fanno tutti i pazienti.». Blaine si voltò per incontrare l'espressione impaurita di Kurt. Non sapeva cosa gli avrebbero fatto e voleva scoprirlo il più tardi possibile. Allo stesso tempo Blaine non aveva nessunissima intenzione di far passare quello a Kurt. Sentiva un legame speciale con quel ragazzo. No, non lo avrebbe permesso: «Sono costernato, ma come le ho già detto, il paziente non è ancora guarito. Ha bisogno di riposo.». A quest'ulteriore risposta negativa. l'espressione del dottor Moore si indurì. Non era solito a dover accontentarsi. «TU hai bisogno di riposo. Abbiamo già effettuato esperimenti su soggetti non del tutto guariti da malattie o feriti. Perchè con lui dovrebbe essere diverso? Che c'è? Ti stai affezzionado, Blaine? Una volta non ti facevi tanti problemi. Quindi, ora lo fai alzare da quel dannato letto e lo porti in laboratorio come il resto dei pazienti, è chiaro?». Ma Blaine non si scostò ne cambiò tono di voce: «No. Questa è la mia area di competenza e decido io. Tu torna al laboratorio con i tuoi alambicchi e le tue siringhe, quella è la tua area.». Ora l'odio era visibile negli occhi del dottore. «Ascoltami bene: se non lo porti tu, lo farò io.». A quel punto Blaine si frappose tra Kurt e il dottor Moore: «Non lo tocchi, non ci provi neanche.». Adesso anche nella voce del dottore più giovane si poteva sentire la rabbia. «E solo una dannatissima cavia! Togliti di mezzzo!». «No.». Baline non si mosse. Proprio quando sembrava che il dottor Moore stesse per avventarsi sull'altro, Il dottor Butler apparve sulla soglia: «Che sa succededo qui? James, eccoti finalmente! Dobbiamo cominciare, è mezz'ora che ti cerco.», e così prese il dottore più anziano per un braccio e lo tirò verso l'uscita.  Quello si girò un'ultima volta verso i due ragazzi e mormorò: «Ti è andata bene per questa volta, Anderson, ti è andata bene.»
Quando se ne furono andati, Blaine tirò un sospiro di sollievo e si accasciò sulla sedia di fianco al letto, chiudendo gli occhi. Dopo pochi minuti di silenzio, parlò: «Sembra che il piano per farti uscire da qui debba essere pensato e messo in atto il prima possibile.». Kurt non sarebbe mai riuscito a ringraziare quel ragazzo abbastanza. Da quando si era ritrovato su quella nave, aveva parso ogni speranza di una vita serena e tranquilla, ma proprio adesso, Blaine stava rischiando il tutto per tutto per assicuragliene una. «Grazie.», riuscì solo a borbottare ma fu ripagato da un sorriso smagliate del dottore: «E' un piacere.».
Baine aveva passato tutta la giornata con lui, senza mai andarsene. Si erano stupiti delle cose che avevano in comune, come la passione per la musica. Blaine aveva detto che se si fossero incontrati in circostanza migliori avrebbe tanto voluto suonare e cantare qualcosa con lui.  Gli aveva anche chiesto di raccontargli qualcosa di lui, dato che il giorno prima lui aveva fatto lo stesso. Allora Kurt si era perso a parlare dei bei tempi, di quello che si ricordava di sua madre, della sua grande famiglia allargata, del sostegno che gli avevano sempre dato, in ogni circostanza. Era persino arrrivato a raccontargli della volta in cui aveva ammesso alla famiglia di essere gay e della loro splendida reazione. Era talmente preso dall'euforia del momento che quasi non si accorse che Blaine era stato zitto per tutto il tempo e aveva un sorriso malinconico. «Scusami, ho il vizio di parlare troppo. Ho detto qualcosa di sbagliato?» . L'altro cercò di sorridere un po' di più, ma invano: «No, tranquillo, non è colpa tua. Solo che il tuo racconto mi fa pensare. A come potrebbe essere andata la mia vita se avessi avuto una famiglia meravigliosa come la tua. Se mio padre avessse accettato il mio essere gay e...». Kurt spalancò gli occhi e lo interruppe: «Aspetta, aspetta, aspetta...tu sei gay? Cioè, non nel senso...Non mi sono spiegato...Non sembri gay, per niente...». Dicendo questo Kurt non fece altro che guadagnare un altro sorriso malincoico da parte dell'altro ragazzo: «Sai, quando ti viene insegnato che è una cosa deplorevole, schifosa e di cui ti dovresti vergongnare, impari a nasconderlo.». Kurt lo guardò in attesa. Lui sospirò, chiuse gli occhi e cominciò la storia.

Era il giorno del suo undicesimo compleanno. La festa era stata bellissima, si era divertito un sacco. Aveva ricevuto un sacco di regali, ma ormai era tardi e tutti i suoi amici lo stavano salutando per poi tornare a casa. Tutti, tranne Jeremiah. Nonostante tutti fossero ormai andati, lui  rimaneva sulla soglia della porta, in attesa. Blaine sorrise e gli disse: «Ciao Jeremiah». Poi gli diede un piccolo, casto, bacio sulle labbra, non troppo lungo, ma abbastanza perchè suo padre riuscisse a vederli.  Corse da loro e li separò con la forza: «Allontanati da mio figlio, piccolo frocetto!». Ma Blaine prese la mano all'altro bambino, con sguardo serio. «Blaine Everett Anderson, molla immediatamente la mano a questo essere e vieni dentro.» «Si chiama Jeremiah!» «Non mi interessa!». Divise le mani dei dua bambini e sbattè fuori di casa il biondino urlando: «Non volgio la feccia come te dentro la mia casa. Vattene e non tornare mai più.». Dopodichè si rivols al figlio: «E tu...Tu mi hai molto deluso.» Blaine sentiva la rabbià montare dentro. «Ti ho deluso essendo chi sono veramente? Non posso cambiare, sono nato così!» Ma il padre cominciò ad urlare: «NO! Io non ho generato una cosa del genere!» Blaine sentiva gli occhi bruciare: «Quella cosa è tuo figlio!». Improvvisamente furono interrotti dalla madre di Blaine, che era corsa a causa di tutte quelle urla: «Che sta succedendo qui? Tesoro, vuoi spiegarmi...» «Tuo figlio è un finocchio, ecco cosa c'è! Ma noi ti salveremo, Blaine, vedrai! Tu guarirai e tutto tornerà come prima.».

«Mia madre tentò di farlo ragionare, ma non volle sentire ragione. Da quel giorno visitammo tutti i migliori dottori degli Stati Uniti. Qualcuno provò a convincere mio padre che non era curabile perchè non era una malattia, ma lui quei dottori li aveva classificati come 'incompetenti'. Quando compii tredici anni, mio padre mi presentò alla mia futura moglie. Io mi opposi con tutte le mie forze e alla fine riuscii ed annullare il fidanzamento, convincendo mio padre che avrei trovato la donna della mia vita prima o poi, ma non avrei accettato un matrimonio combinato. Da quel giorno smisi di essere me stesso, lo nascosi in profondità dentro di me, e cominciai a comportarmi come un ragazzo 'normale'.». Ci fu qualche istante di silenzio. Blaine aveva ancora gli occhi chiusi, quindi si spaventò un po' quando sentì delle bracca avvolgerlo e stringerlo in un fote abbraccio. Aprì gli occhi e ricambiò immediatamente l'abbraccio, stringendo forte l'altro ragazzo.  «Mi dispiace...» Sussurrò Kurt. «Non devi, è acqua passata.» Rispose il ricciolo. Quando sciolsero l'abbraccio, non c'era imbrazzo, sono una strana sensazione di pace. «Su, forza. Dobbiamo pensare a come tirarti fuori di qui.».


Il  titolo è tratto dal testo della canzone 'Aftermath' di Adam Lambert. Questa canzone è bellissima, ascoltatevela!  
http://www.youtube.com/watch?v=sx-3_HDb93Y&feature=related

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Oh, you make me smile ***


Ecco il quarto capitolo! Non è molto lungo, ma spero di non deludervi ! Le recensioni per me sono come il mio letto quando sono stanca: la cosa più bella del mondo!

Anno 2424, United States

Erano passati un paio di giorni da quando il dottor Moore aveva quasi attaccato Blaine. Kurt stava molto meglio e non sarebbero riusciti a nasconderlo ancora per molto, dovevano sbrigarsi. Erano giorni che ci lavoravano e ora, finalmente, stavano finendo di organizzare il piano per portare un po' delle persone sequestrate fuori di lì. Blaine era quello che dava indicazioni e che aveva la maggior parte delle idee. In fondo lo aveva fatto altre volte. Il piano non era molto complesso, avrebbero agito nella tarda sera. «Allora, scrivi con attenzione quello che ti dico: Fase uno. Sgattaiolare fuori dalle proprie celle senza essere visti. Raggiungere il laboratorio.» Blaine aveva cominciato a dettare e Kurt, con molta precisone, trascriveva ogni singola parola che l'altro ragazzo diceva, ripetendo a bassa voce. «Raggiungere il laboratorio...Ok, poi?». Il ricciolo riprese subito: «Fase due. Scendere le scale che portano al seminterrato. Arrivo del camion davanti al portone B.» «Portone B...mmmh...» Kurt fece un cenno con la testa per dire a Blaine di continuare: «Fase tre. Far entrare i fuggitivi nel camion, già dentro le scatole per  le persone morte a causa degli esperimenti.» «Morte a causa degli esperimenti...Aspetta, cosa?» Kurt aveva stabuzzato gli occhi e stava fissando Blaine incredulo. «Sai com'è, non tutti sono stati così fortunati da poter dire di essere usciti da qui vivi senza il mio aiuto, Kurt. Anzi, diciamo nessuno.» Disse Blaine in tono macabro. «Non è di questo che stavo parlando!» - lo interruppe Kurt inorridito - «Devo entrare in una scatola da morto? Cos'è una specie di bara? Anzi, no, non dirmelo, non voglio saperlo!». Kurt si coprì le orecchie con le mani e chiuse gli occhi, cominciando a dire parole a caso ad alta voce in modo da non sentire niente. Blaine riuscì a stento a trattenere una risata. Ere incredibile come Kurt riuscisse ad essere così adorabile anche in situazioni del genere. Doveva ammettere che si stava affezionando molto al ragazzo. Li ultimi giorni non aveva fatto altro che passare tempo con lui. Era incredibile, tra di loro c'era questa profonda intesa che si era creata sin dal primo giorno. E poi, finalmente, Blaine era in compagnia di un suo coetaneo.
Kurt riusciva a farlo ridere come non faceva da molto tempo.
Gli venne in mente quando, l'altra notte, lo aveva accompagnato fuori perchè gli scappava la pipì.

Avevano fatto il giro dell'ospedale e ora si trovavano nel retro. «Bene, vai pure.» Kurt lo guradò come se stesse parlando in una qualche lingua di una di quelle tribù che vivono solitarie sul cucuzzolo di una montagna. «Aspetta...Dov'è il bagno?» Kurt chiese poi, cambindo espressione. «Proprio di fronte a te. O anche dietro di te. Quel cespuglio credo proprio che possa fare al caso tuo.». Nonostante il suo pallore naturale e la luce fioca della luna che certo non aiutava, Kurt riuscì a diventare ancora più pallido. «Ce-cespuglio? Oh no. No no no no no, questo non sta succedendo, è solo un incubo. Svegliati, Kurt, avanti!» e si diede una pacca in testa, mugolando poi per il dolore. «Se vuoi continuare a farti male, fai pure, ma non credo sia d'aiuto. Non dovevi andare in bagno?» disse Blaine. «Esatto, signor Anderson, in bagno. Se prova a cercare la parole nel vocabolario trova: 'Luogo in cui una persona può pisciare in santa pace, seduto su un water, provvisto di carta igenica e a limitato numero di insetti' e non 'Albero o cespuglio a scelta, in cui può fare una pisciatina, mentre potrebbe passare della gente e fotografarti mentre ti pulisce con una foglia di felce. Senza dimenticare l'alta probabilità di provare l'estasi di pestare un bisognino altrui'. Lei vede qualcosa che corrisponda alla prima definizione? Io no!». Blaine non potè più trattenersi e scoppiò in una risata. «Eddai, Kurt, non hai molta alternativa.». il ragazzo sbuffò e annuì. «Ok, ma non guardare. Promesso?» «Promesso.». Kurt si avventurò qualche mertò più in là. «Girati!» gli grIdò e Blaine, ridendo, si girò.
Dopo pochi minuti sentì urlare, si voltò, e vide Kurt correre verso di lui. «AAAAH! Blaine, toglimelo, toglimelo, toglimelo! Ho un insetto elettrico tra i capelli!». Kurt aveva le braccia attorno al busto di Blaine e ta testa schiacciata contro il suo petto. «Ma, Kurt, è solo una lucciola.» Blaine la prese delicatamente dai capelli dell'altro ragazzo, su cui si era impigliata, e la tenne tra lo spazio delle sue mani chiuse. «Guarda.», aprì le mani. liberando la lucciola, che comiciò a volare, accendendosi e spegnedosi ad intermittenza. Kurt la guardava affascinato «Un insetto con il sedere luminoso!». «Come sei poetico, Kurt
.» - lo prese in giro Blaine - «Mai vista una lucciola in tutta la tua vita?». il ragazzo scosse la testa, seguendo ancora con lo sguardo il puntino luminoso. «Arrivederci, Klaine!» Salutò Kurt. «Kl - cosa?» lo guardò stranito Blaine. «Klaine, è il nome che ho dato alla lucciola. Un misto tra Kurt e Blaine. Mi era venuto in mente anche 'Burt', ma siccome è il nome di mio padre, mi sembrava un po' strano.» Blaine annuì. «Ciao, Klaine.»

Fu distratto dai suoi pensieri dalla voce di Kurt che lo chiamava. «Blaine?». Si voltò verso il ragazzo. «Cosa c'è?».«Non so, sei tu quello che si era fermato con un sorriso da ebete stampato in faccia.» disse Kurt sollevando le sopracciglia. A dire il vero, prima di chiamarlo, Kurt era stato un pezzo a guradarlo. Adorava il sorriso di Blaine: era caldo, contagioso e i suoi occhi si illuminavano, ogni volta che sorrideva. «A cosa pensavi?».Chiese Kurt. Blaine non potè fare a meno di sorridere di nuovo, tornando al pensiero di poco fa. «Niente.»
Kurt lo guardò per qualche secondo, poi alzò le spalle.
I due ripresero a trascrivere il piano, sperando che il giorno dopo tutto filasse liscio.


Ecco! Questo capitolo è stato molto dolce, ma come avrete capito, nel prossimo Kurt e Blaine attueranno la fuga con altri detenuti. Ce la faranno i nosrti eroi?

Il titolo del capitolo è tratto dal testo della canzone 'Smile' degli 'Uncle Kracker'. Ha un testo dolcissimo, vi consiglio di ascoltarla
http://www.youtube.com/watch?v=arLwtHj3Ta0&ob=av2n

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=771011