The soap called love

di FunnyBunny
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***
Capitolo 8: *** Chapter 8 ***
Capitolo 9: *** Chapter 9 ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


The soap called love

 

Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 1/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì

 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.

Love’s Way – SHINee

 

Secondo piano… terzo… quarto…

Strinsi tra le mani l’ingombrante borsa appoggiata sulla mia spalla destra, cercando di calmarmi, e ringraziai il cielo che nessuno potesse vedermi in quello stato.

Ancora non riuscivo a crederci… Il mio primo servizio fotografico! Beh, non che dovessi fare molto: avrei aiutato il signor Park con l’attrezzatura e scattato qualche foto. Era comunque considerato come un servizio fotografico, no?

Uscii di fretta dall’ascensore e mi diressi verso la grande porta davanti a me. Il signor Park era già lì a sistemare le varie attrezzature, ma i modelli -o le modelle- non erano ancora presenti. In effetti, ora che ci pensavo, quella mattina avevo accettato così in fretta la richiesta di aiuto del signor Park che non mi ero nemmeno informata un po’.  Poco male, pensai, li vedrò dopo.

Mezz’ora più tardi, quando ormai io e il signor Park avevamo messo al proprio posto tutte le attrezzature, entrarono finalmente i modelli. Alzai lo sguardo ma mi bloccai un secondo dopo, pietrificata.

Non erano normali modelli, no. Quelle erano le stesse persone raffigurate sui poster nella camera di Jihyun, e su più o meno tutti i giornaletti di gossip esistenti in Corea. Gli SHINee, mi ritrovai a pensare meravigliandomi di ricordare persino il loro nome. Li fissai discretamente mentre salutavano a mano a mano tutte le persone presenti nella stanza. Alla fine della loro processione di saluti e inchini arrivarono a davanti al signor Park e me.

3… 2… 1…

Le bocche dei ragazzi si spalancarono a una a una, fissandomi come se fossi una sottospecie di aliena. Non si degnarono nemmeno di nascondere la loro curiosità e il loro stupore, proprio come tutte le persone che incontravo.

«Non sapevo dovessimo fare le foto con una modella occidentale!» Esclamò il più basso. «Anche se potevate vestirla meglio…» aggiunse osservando i miei jeans attillati e la mia felpa normalissima.

«Senti chi parla» borbottai fissando sprezzante i suoi pantaloni verdi fosforescenti attillati e la sua maglia colorata. «Iniziamo signore?» chiesi allontanandomi dai ragazzi. Li sentii ridacchiare quando il signor Park mi presentò come sua lunatica assistente.

Bambini viziati, i soliti egocentrici, pensai legandomi i capelli in una coda.

Finalmente il photoshoot iniziò. Il signor Park diceva sempre che io e lui pensavamo sulla stessa lunghezza d’onda, così quando c’ero io come assistente lasciava il compito di sistemare le luci a me, evitando di chiamare altre persone. Non era molto, ma almeno riuscivo a rendermi utile e ad allontanarmi dalla mia scrivania al quinto piano.

Park Seung Bae -signor Park per me- era un uomo che ammiravo tanto. Si era fatto strada lentamente, partecipando a concorsi su concorsi, fino ad arrivare finalmente ad essere il fotografo principale della Samsung. Fin dai primi giorni mi prese sotto la sua ala, insegnandomi trucchi e tecniche che non avrei imparato in nessun corso di fotografia e gliene fui immensamente grata. Inoltre parlava decentemente inglese, quindi, anche se il mio coreano non era perfetto, ci capivamo benissimo. Era l’unica persona con cui mi sentivo a mio agio da quando ero lì in Corea. Beh, oltre Jihyun, ma lei era un'altra storia.

«Erin!» urlò il signor Park. «E’ il tuo turno!» eccitata come non mai, lasciai lì lo scatolone che avevo in mano e corsi dall’uomo al centro della sala.

«Fai primi piani sui visi con i cellulari e dal torso in su. Non mi deludere eh!»

«Si signore!» presi la macchina fotografica osservando il ragazzo davanti a me. Doveva essere Minho, o almeno così lo avevo sentito chiamare. Il più bello tra i cinque, dovetti ammettere.

Dopo i primi scatti mi rilassai, immergendomi completamente nel mio compito. Sentivo gli occhi degli altri ragazzi su di me, ma non me la presi più di tanto: io, dopotutto, ero l’occidentale, quella dai tratti strani e dai capelli biondo naturale, era normale che mi squadrassero. Nel mese precedente la gente non aveva fatto altro che fissarmi indiscretamente, sia per strada sia al lavoro, fregandosene altamente di essere educati.

«Beh, penso abbiamo finito. No, signor Park?» decretai quando anche l’ultimo ragazzo si allontanò.

«Sì. Direi che hai fatto degli ottimi scatti!» annuii grata e iniziai a mettere via tutte le attrezzature, in silenzio. Normalmente quel lavoro spettava agli addetti, ma non avevo meglio da fare, così iniziai e spostare i faretti in un angolo e a richiudere nelle varie scatole i veri oggetti.

«Erin» Mi richiamò l’uomo dopo qualche minuto. Nella stanza eravamo rimasti solo noi due, segno che gli SHINee se n’erano già andati «Andiamo a mangiare qualcosa al bar… vieni?» Scossi leggermente la testa «Come immaginavo… beh, oggi pomeriggio ci sono le riprese del CF al piano 3… se hai voglia vieni a dare un occhiata! Ciao»

Certo come no.

 

 «Adesso m’infilo in un angolo, mi mangio il mio panino e appena fini-»

«Ciao! Sei la fotografa di prima! Com’è che ti chiami… Erin, vero?!»

 Oddio.

Come non detto.

Alzai lo sguardo verso il leader degli SHINee, appena entrato nell’ascensore. Gli scoccai il mio sguardo più infuocato evitando di rispondergli.

«Si… evidentemente si…» lo sentii mormorare «Hey, vuoi mangiare con noi? Restiamo qui e-»

«Ho da fare.  Arrivederci» risposi freddamente uscendo dalle porte di metallo. Grazie a dio di nuovo sola!

Non ero mai stata molto sociale. Anzi diciamo pure che, a parte il signor Park e Jihyun, la presenza di altre persone per me era del tutto inutile. Crescendo in una casa immensa, sempre sola, si impara ad apprezzare la propria compagnia più di qualunque altra cosa.

Decisi di non prendere un altro ascensore per evitare di incontrare qualche altro membro degli SHINee un po’ troppo insistente, così scesi le ultime due rampe di scale, percorsi un lungo corridoio e, oltrepassata una porta blindata, mi ritrovai nello spiazzo dietro il palazzo. La descrizione che mi era stata fatta di quel posto appena arrivata era “spazio dedicato ai momenti di ricreazione”. Ovviamente le persone preferivano passare il tempo in posti più allegri, quindi con il passare degli anni era diventato una specie di magazzino all’aperto, con grandi muri che impedivano la vista ai palazzi circostanti, un grande cancello che dava sul parcheggio e varie cianfrusaglie accatastate in un angolo. Squallido, ma almeno potevo avere un po’ di privacy. Mi sedetti su un oggetto non identificato attaccato al muro, sbocconcellando in silenzio il mio panino.

Chissà se avevo il permesso di rivelare a Jihyun che avevo conosciuto gli SHINee… Beh, probabilmente glielo avrei detto comunque, sia con il permesso che meno. “Come minimo mi terrà il muso un mese perché non gli ho portato i loro autografi”, pensai ridacchiando. Poteva scordarseli, comunque, non sarei mai e poi mai andata a elemosinare uno scarabocchio su un pezzo di carta, nossignore.

 

Ma chi cavolo me lo stava facendo fare… il mio orgoglio scalciava, ordinando di fare retromarcia e di avviarmi in libreria, ma decisi di ascoltare la mia parte “gentile”. A Jihyun avrebbe fatto piacere, e così io mi sarei sentita un po’ meno colpevole ad approfittare della sua gentilezza, vivendo nel suo appartamento con lei. Però la figura di merda che avrei fatto… No! Scossi la testa, abbassano la maniglia della porta per poi scivolare in un angolo della stanza senza farmi notare.

Gli SHINee erano al centro di una stanza, e stavano parlando a una telecamera, mentre un gruppo di persone era attorno a loro. Aspettai con calma -ma anche no- che gli dessero qualche minuto di pausa, preparandomi un discorso il più possibile convincente e non imbarazzante.

“OK! È il tuo momento! Forza, forza!”

“Ma cazzo combini, scema! Torna in libreria!”

I cinque ragazzi si erano seduti su delle sedie ripassando su un foglio le poche righe che avevano. Non si erano accorti di me. Prendendo un grande respiro avanzai velocemente verso di loro, sperando che il manager non mi prendesse per una fan girl. Jihyun mi aveva fatto vedere un video piuttosto inquietante, dove metteva KO una fan. Non ci tenevo a fare quella fine, proprio no.

«Ehm…» feci a bassa voce. Si girarono contemporaneamente verso di me, con espressioni interrogative «Devo chiedervi un favore…»

«Dicci…»

«La mia coinquilina è un po’… un po’ tanto… innamorata di voi…» borbottai evitando di posare lo sguardo su di loro. «Quindi se viene a sapere che vi ho conosciuto ma non vi ho chiesto un autografo… mi uccide. Mi serve un vostro autografo» Ecco fatto, sganciata la bomba.

«Oh, ok! Certo!» esclamò prontamente Onew. Portai subito lo sguardo su di lui, spalancando gli occhi. Mi aveva risposto come se l’incontro di qualche ora fa non fosse accaduto! «Hai un foglietto e una penna?» Annuii, tirando fuori il necessario.

«Si chiama Jihyun» borbottai guardandomi in giro. Il manager era intento a parlare al telefono in un angolo.

Salva, per ora.

«Chi è il suo preferito?» chiese il più piccolino, quello con i capelli lunghi come i miei, mentre scriveva il suo nome.

«Ehm… lui penso, ha un casino di poster e foto in giro per la sua stanza» indicai Minho, che arrossì, mentre prendeva in mano il foglio. Finalmente il foglio tornò in mano mia, tutto scribacchiato. Minho aveva fatto pure una dedica. Mi appuntai mentalmente di registrare la reazione di Jihyun, mentre lo riponevo con cura dentro l’agendina che portavo sempre dietro con me.

«Ehm… Io… Grazie…» dissi brevemente, per poi dirigermi a passo veloce fuori.

“E’ fatta” pensai mentre fissavo gli autografi seduta sulla metro “La figura di merda è stata immensa, ma ne è valsa la pena, Jihyun sarà felicissima!”

-

Note dell'autore.

Non ci posso credere, sto davvero postando. ** 
Tengo molto a questa fanfic perchè è la prima longfic che finisco -nonostante non sia la prima che abbia mai iniziato a scrivere-, quindi fatemi sapere cosa ne pensate!

Scusate per eventuali errori di battitura/ortografici, non è betata e per quante volte rilegga il tutto, qualcosa sfugge sempre.

Ja ne~!

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 2/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì 

 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.

Love’s Way – SHINee

 

Passò una settimana da quel giorno e non rividi gli SHINee. Non che ci fosse qualcosa di strano in effetti, e dopo il primo giorno non pensavo già più a loro, troppo presa dal lavoro.

Quella mattina mi ero svegliata particolarmente bene. Era sabato, è ciò voleva dire giorno libero, e il sole era alto in cielo, il che mi permetteva di scattare ottime fotografie. Ebbi una mezza idea di prendere la metro e dirigermi nei distretti marginali -magari in qualche parco- ma lasciai la questione in sospeso e andai a fare colazione al bar dove lavorava Jihyun.

Io e lei ci eravamo conosciute ad un corso di fotografia in America, due anni prima. Fino a quel momento non mi ero mai interessata alla Corea, ma il nome di quella ragazza, il suo comportamento, il suo fascino mi portarono a volerne sapere di più. Chiesi a Jihyun di insegnarmi il coreano in cambio di alcuni consigli su come scattare foto, e lei accettò. Jihyun però era negata a fotografare, così mollò il corso quasi subito, ma rimanemmo in contatto e, stranamente, diventammo amiche. Dovette tornare in Corea un anno dopo a causa di sua mamma, ammalata, ma appena diciottenne feci le valige e la raggiunsi qui, nel suo appartamento.

I primi giorni della mia permanenza lì -quasi due mesi prima- ero rimasta scioccata dal fatto che lavorasse in un bar ma potesse permettersi un appartamento con due stanze e tutti i comfort possibili nel quartiere più centrale e lussuoso. Poi capii tutto quando vidi i suoi genitori: l’emblema della ricchezza. Non ostentata, semplicemente… ovvia. Il portamento, il modo di parlare, i vestiti… decisamente benestanti.

 

«Buon- Oh ciao Erin!» Esclamò Jihyun quasi rovesciando il tè addosso alla persona seduta al tavolo che stava servendo. Scossi leggermente la testa sedendomi al bancone.

«Giorno Jihyun… mi dai un caffè normale?» urlai mentre lei era intenta a scusarsi.

«Certo, arrivo!» esclamò servendo un altro cliente. La cosa che più odiavo di quel posto era la carenza di personale: la mia amica e un'altra ragazza erano le uniche cameriere, insieme al padrone.

«Tenga straniera!» le feci una linguaccia e presi il mio caffè, iniziando a sorseggiarlo con calma. “potrei andare a fotografare qualche tempio che…”

«Erin!» Time out. Quella non era certamente la voce di Jihyun. Mi voltai di scatto il capo, trovandomi davanti a niente di meno che Onew, incappucciato in una felpa nera per non farsi riconoscere.

Che. Cavolo. Ci. Faceva. Lì.

«Che cavolo ci fai qui?!» ribattei sussurrando. Buttai l’occhio in direzione di Jihyun. Non aveva ancora notato il ragazzo davanti a me fortunatamente.

«Niente. Passavo e ti ho riconosciuta» borbottò sedendosi nella sedia a fianco alla mia. Incredibile… com’era possibile che si fosse fermato in quel bar solo per me? E soprattutto, credeva forse che io volessi parlare con lui? Era uno sconosciuto, e non me ne fregava nulla se fosse famoso in tutta l’Asia. Per me rimaneva solo un ragazzo troppo, troppo invadente e rompi scatole.

Mi spostai velocemente nella sedia alla mia destra, mettendo un po’ di distanza tra noi.

«Non ti conosco, che diavolo vuoi da me?!» sussurrai guardando Jihyun… «Vattene»

«Dai, non esse-»

«Dio, ecco che arriva. Stai zitto e non alzare il viso, per nessuna ragione.» Jihyun, servito l’ultimo cliente, si diresse verso il balcone, guardandomi sorridente. Cercai di ricambiare, ma tutto quello che riuscii a fare fu una smorfia.

Se Jihyun avesse riconosciuto quello scemo c’erano due opzioni, valutai velocemente. La prima, nel migliore dei casi, consisteva in Jihyun che urlava come una pazza e approfittava della macchina fotografica chiusa nella mia borsa per farsi un servizio fotografico con lui. La seconda, la peggiore, consisteva in Jihyun che urlava come una pazza, si faceva fare un servizio fotografico con lui, e lo trascinava nel ripostiglio per fare cose oscene.

Probabilmente anche Onew aveva capito la situazione, così se ne stava zitto a testa bassa, trafficando con il cellulare. Una vocina nella mia testa si chiese come mai stessi coprendo Onew, ma la scacciai velocemente, salutando Jihyun, che intanto era arrivata davanti a me.

La verità è che non ne avevo la più pallida idea.

«Tesoro chi è quell’uomo che prima ti parlava? Ti stava importunando?» sussurrò sporgendosi leggermente verso di me. Lanciai uno sguardo veloce a Onew, per poi rispondere con un “No, non ti preoccupare. Era solo uno scemo” stava per ribattere facendomi una ramanzina -lo si vedeva dallo sguardo, simile a quello di una mamma-, ma un altro cliente la richiamò a un tavolo dall’altra parte della stanza.

Aspettai che si allontanasse, poi mi voltai leggermente verso Onew.

«Ti conviene uscire, se non vuoi che ti salti addosso. Fra poco verrà a chiederti cosa vuoi ordinare» poi, rivolta alla mia amica le urlai di non aspettarmi per la cena, e uscii velocemente. Trovai Onew già sulla strada, ad aspettarmi.

«Addio» Dissi freddamente dirigendomi verso la fermata dell’autobus. Ovviamente sentii i passi di Onew che cercava di starmi dietro.

«Senti, abbiamo iniziato con il piede sbagliato! Perché-»

«Il piede era giustissimo, invece!» esclamai guadagnandomi più di un’occhiata curiosa dai passanti. «Addio».

Roba da pazzi. Solo uno con poco cervello avrebbe avuto il… coraggio? Di venire lì e salutarmi come se fosse nulla. Non era successo nulla di particolare, forse, se non per il fatto che io ero… io. Lo sapeva Jihyun, lo sapeva il signor Park, la nostra vicina di casa e la portinaia: con me era meglio non parlare. Era come una specie di contratto che stipulavo con ogni persona che conoscevo. Io non parlavo con loro e loro non parlavano con me. Come intrappolata in una bolla, avevo vissuto così tutta la mia infanzia e la mia adolescenza.

Jihyun e il signor Park? Le solite ovvie eccezioni. Ma non avevo voglia di far aumentare le eccezioni a tre, e chi se ne fregava se Onew-o-come-cavolo-si-chiama era famoso.

 

Alla fine decisi di prendere il treno e avviarmi appena fuori Seoul, in uno dei tanti paesini caratteristici che avevo imparato ad apprezzare. Uscita dalla stazione notai con disappunto che il cielo si stava annuvolando a vista d’occhio.

“E ti pareva…”. Il paesino in cui ero scesa era piccolo e molto caratteristico, ai piedi di una lunga distesa di colline. Rimanevo sempre sorpresa da come il paesaggio coreano fosse variegato: pochi chilometri e si passava da un paesaggio fatto di cemento a uno mozzafiato.

Comprai un po’ di frutta come pranzo da una simpatica signora e mi incamminai verso una stradina che portava su una delle colline più alte. Affaticata, leggermente sudata e con la borsa che pesava, arrivai in cima mezz’ora più tardi.

«Meglio mangiare, prima…» tirai fuori una mela dal sacchettino, cominciando a guardarmi intorno. Con la mente analizzai il paesaggio, cercando di immaginarmi la composizione perfetta per una foto. Qualche giorno prima il signor Park aveva fatto cadere casualmente nella mia borsa un volantino di un concorso fotografico a tema libero per fotografi emergenti. Per quanto poco ci sperassi, avevo deciso di provare a partecipare. Tirai fuori la mia macchina fotografica e iniziai a scattare qualche foto qua e la. Tutte deludenti. Inoltre il cielo si stava annuvolando in fretta, e serviva come minimo mezz’ora per tornare al villaggio.

«E che cazzo. Non ce n’è una decente» imprecai sedendomi per terra sul mio cappotto ormai umido. Davanti a me le nuvole coprivano quasi del tutto il cielo, lasciando solo un piccolo sprazzo di luce, che andava a posarsi flebile sopra a una collina. Provai un senso di tristezza guardando quel paesaggio cupo. Scattai un’ultima foto a quel paesaggio e poi misi via la camera, proprio quando le prime gocce d’acqua iniziavano a cadere sul terreno.

 

«Shit. Shit. Shit. Shit. Shit. Shiiit!» continuavo a imprecare percorrendo il sentiero il più velocemente possibile. Nel dizionario, alla voce “Bagnato” c’era la mia foto, ne ero sicura.

Arrivata al villaggio, mi infilai nel primo negozio che trovai aperto. Appoggiai la borsa su un tavolino mentre cercavo di scrollarmi via quanta più acqua possibile. “Ricordami perché sono venuta qua, cavolo!” pensai mentre mi sedevo ad un tavolino.  Lì dentro, con il riscaldamento acceso, l’ambiente era molto confortevole. Era un bar all’occidentale, con un balcone e dei tavolini, ampie vetrate e una tv appesa alla parete.

Il bar era deserto, tanto che pensai fosse chiuso, finché una ragazzina, sui sedici anni, entrò correndo da una porta e si precipitò verso il telecomando come se fosse la sua unica ragione di vita. Non si accorse nemmeno della mia presenza. Le sue dita spinsero qualche numero, i suoi incisivi torturarono il labbro inferiore finché, partita la sigla di una qualche pubblicità, si lasciò andare con un lungo sospiro.

Un po’ incuriosita mi avvicinai e mi sedetti davanti al balcone. Vidi gli occhi della ragazza lanciarmi un’occhiata annoiata per poi cambiare completamente espressione una volta riconosciuti i miei tratti occidentali.

«Oh! Oh… ehm… H-Hi! Ehm… You are... wet?» la sua vocina balbettò qualcos’altro, poi sconsolata preferì chiudere la bocca.

«Parlo coreano, non ti preoccupare» mormorai. «Avete qualcosa di caldo? Un caffè o una cioccolata…»

«C’è il caffè»

«Ok» si affrettò verso la dispensa, lanciando alternativamente occhiate a me e alla tv.

 Nell’attesa puntai i miei occhi sull’apparecchio sopra alla mia testa. Non stavo veramente guardando lo schermo, preferivo di gran lunga vagare con la mente. Una sigla che conoscevo bene e un urletto da parte della ragazzina davanti a m, però, mi svegliò dalla mia trance.

“Oh, tutto si spiega!” sorrisi leggermente. Era iniziato Inkigayo. Si affrettò a versare il caffè in una tazza, poi tornò a fissare il televisore.

“Chissà se c’è Onew…”

NO! Scossi la testa cercando di scacciare quello strano pensiero. Lo avevo visto solo quella mattina, quindi non avrebbe avuto il tempo di andare agli studi di registrazione, no? Anche se in effetti… probabilmente l’avevano registrata. Però Jihyun ne avrebbe parlato. Non gli ho sentito dire nulla e…

Oh insomma!

«Senti… ehm… per caso in questa puntata ci sono gli… SHINee?»

«Li conosci? Certo che ci sono! Non vedo l’ora!» mentre un gruppo strano faceva la sua apparizione la ragazza decise di distogliere lo sguardo dalla tv e posarlo sul mio.

«No, ne ho solo sentito parlare… sono bravi?» mi ritrovai a chiedere.

«Cavolo se sono bravi! Taemin, quello con i capelli lunghi, è bravissimo a ballare e sta migliorando tantissimo a cantare, Minho è un rapper bravissimo, Key è bravo sia a cantare che a reppare che a ballare, e… beh, Jonghyun e Onew hanno due delle voci più belle che si sentano in giro secondo me! E poi sono bellissimi! Secondo me sono più bravi dei 2pm, anche se ovviamente non sono una hater. Voglio dire, vivi e lascia vivere no? Concordi con me vero? Vero. Però vabbè, i Super Junior non li superano nessuno! Cavolo ma l’hai visto Siwon? Roba che gli salterei addosso. Certo, anche Jonghyun non scherza, ha degli addominali! Anche Onew ha dei pettorali che… wow! Diciamo pure che tutti sono fighi. Una volta una ragazza ha detto che Minho non sapeva cantare. Ti rendi conto? E allora io gli ho detto che lui era più intonato di lei e le sue amiche messe insieme. Voglio dire, come ti permetti? E-»

2pm? Super junior? Siwon? Cosa?!

«Ehm… Ok, ok…» cercai di fermarla «Come ti-»

«Oh Dio! Eccoli!» il suo urlo mi ruppe i timpani. Indicava con un braccio il televisore, mentre saltellava sul posto. Mi doleva ammetterlo, ma era la versione più giovane di Jihyun. Non riuscivo a capire cosa ci trovassero di così tanto bello in loro, e cosa ci fosse da urlare ogni volta che comparivano su uno schermo. Erano umani, no? Belli si, ma umani. Decisi comunque di starmene zitta e non interrompere la ragazza di fronte a me, che alternava momenti in cui urlava ad altri in cui cantava. Senza volerlo i miei occhi s’incatenarono allo schermo, osservando curiosa quei cinque ragazzi che ballavano e cantavano.

Beh… bravi erano bravi, non c’era niente da dire. Ammisi tra me e me che la voce di Onew era proprio bella. Però… Beh, in effetti non c’era un però. Non c’era nulla nella mia mente in quel momento. E sinceramente mi stava bene così.

-

Note dell’autore:

Sono felice che vi piaccia la storia e la protagonista, non me lo aspettavo! Probabilmente non vi starà così simpatica andando avanti, fidatevi…

DICEVO! Lol, spero che questo capitolo vi piaccia. E la fan girl… XD Mi sono divertita un casino a scrivere! La storia non è neanche lontanamente “iniziata” è ancora una fase dove non succede pressoché nulla… Spero non vi annoi!

loverholic_: Grazie mille, sono felice che ti piaccia! ^^ Scrivere longfic è un calvario ;_; grazie al cielo non sono l’unica!

LaurisChan92: Spero non ti deluda! :D Anche io lo avrei fatto, una figuraccia in più non cambia nulla visto quante ne faccio. ._.

Dolloop: Oddio sono contenta che non sia pesante da leggere! Erin. Beh, per quanto riguarda l’aspetto mi sono ispirata ad una modella che mi piace tanto, mentre per il carattere e il comportamento non prende ispirazione da nessuno, è inventata. Purtroppo però ho finito per “darle”  alcuni aspetti del mio carattere senza che me ne accorgessi, come il fatto che parli a vanvera quando è nervosa o l’orgoglio…

Ja ne~!

 

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 3/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì 


 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.

Love’s Way – SHINee

 

-

 

 

Lunedì. Considerato dal 90 per cento della popolazione il giorno più brutto della settimana.

Concordavo.

Mi svegliai con il suono delle tazze che sbattevano e una voce che cantava in cucina. Maledetta Jihyun e la sua voglia di vivere in piena mattina.

«Oggi tocca a te pulire. Pure gli autografi, ricordati» esordì appena entrai dalla porta.

«Sei un po’ troppo fissata»

«E cosa te lo fa pensare, di grazia? Caffè o tè?»

«Caffè. Al fatto che tu abbia incorniciato un pezzo di carta scarabocchiato» grugnii infilandomi un biscotto in bocca.

«Quanto sei acida!» ribatté. «Allora, hai già mandato le foto al concorso?»

«Non ho ancora guardato quelle che ho scattato sabato. Oggi al lavoro ci guarderò. Faranno tutte schifo comunque»

«Questo lo dici tu. Comu- Cazzo se è tardi! Devo essere dai miei fra mezz’ora!» Si alzò di fretta correndo verso camera sua. «Accompagno mia mamma dal dottore come ogni mese, ricordi?! Ha l’appuntamento alle 9.00!» urlò.

«Mi puoi spiegare che senso ha andare da lei alle 7.00 se l’appuntamento è due ore dopo? Forse sono scema, sai com’è!» ribattei ad alta voce. I vicini odiavano la nostra esuberanza di prima mattina, e non potevo certo biasimarli!

«Ma che cazzo ne so! Lo sai com’è fatta! È sce- E’ tardi! Ciao!» sentii la porta sbattersi e l’appartamento tornare silenzioso.

Buttai l’occhio verso la cornice appesa al muro della cucina.

«Non avrei dovuto far loro fare quegli stupidi autografi» Borbottai tra me e me.

 

****

 

«Dovrebbero ritoccare le foto oggi: appena me le danno te le faccio vedere»

«mmh»

«Devi assolutamente metterle nel tuo portfolio, saranno un bel vantaggio per futuri lavori»

«mmh»

«Che stai facendo?»

«mmh»

«Erin»

«Si?»

«Che cosa stavo dicendo?»

Figura di merda. Di martedì mattina. Ma che bello. Alzai leggermente lo sguardo verso il signor Park, che mi guardava divertito.

«Dai fa vedere. Sono i tuoi nuovi scatti?»

«Si. Sono penosi»

Girai il portatile verso di lui, attendendo una risposta. La cosa che più adoravo di lui era la sua sincerità: non si faceva problemi a dirmi se qualche scatto era schifoso.

«In effetti sembrano tutte… Costruite? Senza anima direi… A parte questa. Questa è davvero bella» Disse girando il portatile. Sullo schermo vi era l’ultima foto che avevo scattato, quella con il cielo annuvolato e la collina illuminata.

«Quella? Quella è senza senso. L’ho fatta così tanto per fare»

«E’ questo il problema. Tu pensi troppo. Devi lasciarti andare e fare fotografie senza analizzare ogni singolo dettaglio. Questa è la più bella. Dovresti mandarla»

«Ci penserò» mormorai. «E’ ora di pranzo. Vado» chiusi il portatile e lo misi nella borsa, scendendo di fretta verso il mio solito posto.

Chissà com’erano venute le foto… Beh, già i soggetti erano belli quindi brutte le foto non potevano venir...

No aspetta. Riavvolgiamo.

Scossi la testa vigorosamente, ritornando a smangiucchiare il panino che avevo in mano. Certo che ero strana eh…

 

«Eccole! Sono proprio fatte bene. Ti fa i complimenti anche il manager del gruppo!» il signor Park mi porse un mucchietto di foto. Le guardai distrattamente. Si, non erano male.

«Quando usciranno?»

«Domani forse. Con il CF»

«Ok»

«Potrebbero chiederti di fare da fotografa ufficiale se continui così, brava.» “Si, magari” mi ritrovai a pensare. “Nel miei sogni, forse”

Le foto erano carine sì, ma solo i primi piani erano miei e a parer mio neanche così fatti bene. Non mi avrebbero mai lasciato fare un intero servizio.

«Dove sei oggi?»

«Segretaria del reparto comunicazioni internazionali. Anzi, ho finito il turno tre minuti fa, quindi vado» mi diressi velocemente verso l’ascensore. Sentii il signor Park borbottare dietro di me qualcosa come “Scorbutica” proprio mentre le porte dell’ascensore si aprivano ed io entravo dentro.

 

Alla fine avevo inviato la foto consigliata dal signor Park. Non che mi aspettassi di vincere comunque, lo avevo fatto più per rendere felice Jihyun che altro.

Sabato mattina mi svegliai presto e, preso l’iPod, un libro e la macchina fotografica, mi diressi velocemente al bar dove lavorava di Jihyun, per fare colazione come al solito.

“Questa volta niente deficienti in tuta che si siedono vicino a me!” pensai divertita mentre pagavo il conto e salutavo Jihyun. Quanto mi sbagliavo!

Arrivata al parco più vicino, mi sedetti sotto l’ombra di un albero, l’iPod nelle orecchie e il libro sulle gambe. Era una mattina tersa ma la temperatura era decisamente bassa, per essere solo Settembre, così c’erano davvero poche persone, per lo più vecchie signore che passeggiavano.

Dopo una mezz’oretta gli effetti dell’alzataccia si fecero sentire, così chiusi gli occhi rilassandomi contro il tronco dietro di me. Dovevo aver dormito per quasi due ore, perché quando una voce irritante mi svegliò l’aria era leggermente più calda. Le anziane signore se n’erano andate, il parco era praticamente deserto eccetto per qualche altro temerario che usciva con quella temperatura.

«Eriiiin! Ci si rivede!» aprii gli occhi, trovandomi davanti quello stupido. Le mani tremavano sul libro, le mie labbra si serravano, evitando di dire cose di cui mi sarei pentita. Lui mi guardava con curiosità, il cappuccio calato sui capelli e la testa leggermente inclinata. Lo fulminai, domandandomi cosa mai avessi fatto di male per meritarmi quella scocciatura tra i piedi.

«Dillo: tu lo fai apposta. Vattene, o mi incazzerò seriamente» borbottai tra i denti, allontanandomi da lui.

«Daiii! Perché fai così!» “secondo te?” urlai nella mia mente. Preferii non rispondere alla sua domanda, alzando il volume dell’iPod e chiudendo gli occhi.

«Cosa ascolti?»

«Non sono affari tuoi.» basta eh! Ma cosa aveva nella testa? Segatura? Non capiva che doveva lasciarmi in pace? Mi alzai in piedi raccattando velocemente le mie cose e buttandole alla rinfusa dentro la mia borsa. Mi diressi senza degnarlo di uno sguardo verso l’uscita del parco. Con le cuffie nelle orecchie, non avvertii i suoi passi dietro di me, e mi rilassai leggermente. Forse aveva afferrato che-

«Faccio una passeggiata con te»

Come non detto.

Non risposi, continuando a camminare imperita. Non mi avrebbe seguita, ne ero sicura. Lo avrebbero scoperto sicuramente e… beh, in effetti non lo avrebbe scoperto tanto facilmente: la sua tuta anonima lo rendeva altrettanto anonimo, e in più in giro non vi erano ragazzine urlanti. Se n’era accorto anche lui, che continuava a camminarmi a fianco con molta tranquillità.

«Sai una cosa? Forse ho capito perché mi odi» esordì ad un certo punto. Non potei fare altro che ghignare leggermente.

«Hai capito che sei idiota e appiccicoso?»

«No, ma ho capito che fai così con tutti se ti può consolare»

Centro al primo colpo.

Come…?

Sussultai impercettibilmente, continuando a camminare a passo veloce. In silenzio, cercai di assumere un’espressione il più possibile indifferente.

«Quella volta al photoshoot non parlavi con nessuno» continuò «Anzi, la gente ti ignorava. Ho cercato di parlarti e ti sei arrabbiata. La stessa cosa è successa la settimana scorsa e ora. L’unica persona con cui ti ho vista parlare normalmente è quella ragazza al bar. Mi chiedo perché tu faccia così… non dovresti isolarti dopotutto-»

«Adesso basta, ok? Non è vero quello che hai detto. Non parlo con te perché mi stai antipatico. Perché sei appiccicoso, sciocco e idiota. Credi forse che io voglia parlarti solo perché sei famoso? No grazie!» rimasi in silenzio, osservando il suo viso farsi leggermente triste. Forse avevo un po’ esagerato... no. Avevo fatto bene a chiarire tutto da subito, meno problemi per me. Mi misi le mani in tasca e mi allontanai da lì, tornando a casa. Non era colpa mia se quel ragazzo era una palla al piede, cosa potevo fare? Non si poteva certo permettere di fare insinuazioni sul mio conto, visto che non mi conosceva!

E allora cos’era quella strana sensazione che avevo al petto?

 

«Stai bene Erin? E’ successo qualcosa?» mi chiese quella sera Jihyun, sedendosi sul divano accanto a me. Scossi la testa, continuando ad osservare la tv.

«Sto guardando la tv»

«Vorrei solo farti notare che è spenta, Erin. Senti, se hai voglia di parlare, io ci sono. Vado a dormire» annuii, accendendo il televisore. Tanto lo sapevo già che era spento.

Ero solo stanca e preoccupata per i risultati del concorso, che mi avrebbero permesso di pubblicare alcune foto del mio book su una rivista specializzata se solo avessi vinto.

Non per altro.

 

***

 

Quello era il lunedì più noioso che avessi mai vissuto. Ero seduta alla mia scrivania da almeno due ore e mezzo e nessuno aveva ancora chiamato, il capo non mi aveva dato nessun foglio da faxare e non avevo nessun archivio da sistemare. Come se non bastasse, il signor Park aveva ricevuto una settimana di vacanza per stare con sua moglie che non si sentiva bene.

Stavo quasi per addormentarmi quando sentii il mio cellulare vibrare insistentemente nella tasca della mia borsa. Lo tirai fuori, sbuffando appena scorsi il nome.

“Amichetta di papà”

«Puoi guardare anche il mio telefono?» chiesi il più gentilmente possibile all’altra segretaria, che annuì cercando di mettere lo smalto sul mignolo.

Corsi in bagno, poi spinsi il tasto verde potandomi il cellulare all’orecchio.

«E’ già passato un mese?» esordii appoggiandomi al piano di marmo dei lavandini. 

«Evidentemente»

«Non mi sto drogando, non sono finita in prigione e nessuno qui sa che sono sua figlia. Puoi anche dirgli di calmarsi un po’»

«Ha paura che tu gli rovini la reputazione, ragazzina» esclamò con una voce stridula tipica delle segretarie di mio padre. Potevo quasi immaginarmela, seduta su una scrivania, con il cellulare in mano che blaterava su quanto fosse preoccupato.

«L’ha già rovinata facendosi tutte le sue segretarie, non ti preoccupare. Arrivederci» chiusi la chiamata e buttai il cellulare nella borsa con un gesto di stizza.

Non solo aveva avuto da ridire quando mi ero trasferita qui -come se a lui importasse qualcosa- ma ogni mese mio padre incaricava una delle sue segretarie, rigorosamente sotto i trentacinque anni, di chiamarmi per sapere se per caso qualcuno avesse scoperto che la piccola ragazzina americana con un lavoro da quattro soldi era in verità la figlia di uno dei più famosi avvocati d’America. Sia mai!

«Mi chiedo chi fosse la ragazza. Probabilmente era nuova, lo stava difendendo...» sussurrai uscendo dal bagno.

«Erin» mi sentii chiamare appena tornai nella stanza. L’altra segretaria stava ora parlando al telefono «Il capo ha detto che puoi uscire prima, da momento che comunque hai fatto gli straordinari l’ultima volta».

Esultai di gioia nella mia testa, raccattando velocemente dei fogli e buttandoli alla rinfusa nei cassetti. Con un sorrisino esultante mi diressi verso gli ascensori. Erano solo le 4 del pomeriggio ed ero libera!

Indecisa sul da farsi -senza la mia reflex nella borsa- cominciai a camminare per il centro di Seoul, guardandomi in giro. “Forse un po’ di shopping mi farebbe bene” pensai entrando in un negozio. Decisi di smettere due ore e cinque sporte dopo, quando il sole ormai iniziava a calare.

«MA QUELLI NON SONO GLI SHINEE?» sentii urlare qualche passo dietro di me, mentre tornavo a casa. Mi girai, curiosa, osservando due ragazze, una delle quali sembrava nel pieno di un attacco di panico. L’altra lasciò perdere il paio di scarpe che stava fissando e si girò verso l’amica.

«DOVE?» urlò allungando il collo. La più giovane indicò un punto davanti a se, sorpassandomi. Come un riflesso incondizionato mi girai in quella direzione, notando altre due o tre ragazze -vestite con divise scolastiche- correre dietro ai cinque ragazzi del servizio fotografico.

Sbuffai, attraversando la strada. Avrei preso un'altra via piuttosto che passare lì in mezzo con... lui. Non feci nemmeno caso alle urla delle ragazze che si stavano avvicinando pericolosamente. In un attimo sentii una mano stringermi il polso e il mio corpo iniziò a muoversi contro la mia volontà, lasciandosi trascinare dalla mano. Il mio corpo continuò a farsi trascinare per le varie stradine dal ragazzo, che, potevo scommetterci, era proprio quel rompiscatole.

Mi ritrovai qualche minuto dopo appoggiata al muro di una casa, nel mezzo di un vicolo ormai buio, con Onew -ormai ne ero sicura- davanti a me, le mani e la fronte appoggiate al muro. I nostri respiri erano affannati, i nostri petti si sfioravano leggermente, alzandosi e abbassandosi velocemente. I miei occhi spalancati cercavano di capire dove eravamo finiti, ma con poco successo.

Volevo allontanarmi, mandarlo al diavolo e tornare a casa, ma tutto quello che riuscii a fare era aspettare in silenzio una sua mossa. Ero come paralizzata.

«Scusami, scusami davvero, Erin. Ma dovevo scappare e quando ti ho visto...» esordì allontanandosi leggermente da me quando fu sicuro che nessuna ragazza ci avesse raggiunto. Lo guardai stralunata. Poteva considerarsi un abbraccio, quello? 

«Stai bene?» annuii semplicemente, controllandomi distrattamente i vestiti.

«Bene. Cavolo, meglio chiamare gli altri» sussurrò tirando fuori il cellulare. Digitò un numero e se lo portò all’orecchio aspettando. «Kibum, dove sei? Con Taemin? Grazie a dio... E Jonghyun? Ok.  Minho l’hai già rintracciato? Perfetto, ora devo solo capire dove sono e poi potrò tornare. Di al manager di non preoccuparsi» riattaccò, tornando a guardarmi.

«Uhm... Bella giornata, eh...?» borbottò guardandomi impacciato.

«Oh, si. Fantastica. Meravigliosa. Sono uscita presto dal lavoro, ho fatto shopping e sono stata rapita da un idol che si crede un maratoneta. Voglio ricordare ovviamente che ora sono in una parte della città che non ho mai visto in vita mia!» lasciai cadere le sporte per terra e incrociai le mani al petto, impedendomi di picchiarlo. Non sembrò, come al solito, far caso alle mie parole, tanto che si mise a ridere senza problemi.

«Hai qualcosa che potrei mettere senza sembrare ridicolo, lì in quelle borse?» mi chiese qualche attimo dopo, appoggiandosi al muro, di fianco a me.

«Perché dovrei darti i miei nuovi acquisti?»

«Perché tu non sai dove siamo, mentre io potrei riportarti a casa. E per farlo devo essere un ragazzo anonimo, non un idol»

«Mmh...» non aveva tutti i torti. «Stranamente quello che dici ha senso» borbottai porgendogli le borse. «Prendi quello che ti serve»

Cinque minuti dopo i suoi capelli erano intrappolati dentro un cappello di lana grigio e i suoi occhi erano oscurati da un paio di occhiali da sole “stile Ray-Ban” che aveva pescato dalla mia borsa. Lo squadrai diffidente, ma decisi di non dire nulla.

«Ok, prima di tutto bisogna capire dove siamo» esclamò. Feci per afferrare le borse, ma la sua mano fu più veloce. «Faccio io, non preoccuparti»

«Sono capace di portarle io»

«Beh, ma io sono un gentil uomo, quindi fammi fare il mio lavoro senza lamentarti, ok?» ribatté sorridendomi di nuovo. Scossi la testa, tornando a camminare verso l’uscita del vicolo, seguita da Onew.

Onew che, grazie a dio, dopo qualche sguardo ai nomi delle vie, riconobbe quasi subito la zona, adiacente a quella dove abitava.

«Ok, ora ridammi le mie cose, me ne vado»

«Ma sono quasi le 7.30, è buio! Senza contare che abiti lontano da qui!»

«Non abito lontano da qui!»

«In che zona siamo ora?»

Rimasi in silenzio, colta sul fatto.

«Salgo, prendo le chiavi e ti riporto in macchina. Ok?» chiese togliendosi il capello una volta arrivati davanti ad un grande palazzo elegante.

«Anche se dico di no tu mi ci porterai a forza, tanto» mi giustificai senza rispondere. Guardai il suo viso illuminarsi, porgendomi occhiali e cappello.

«Hai ragione. Faccio in cinque secondi!»

Appena varcò la soglia della porta, mi lanciai in un lungo sospiro, appoggiandomi al muretto.

Sì, ero certamente diventata pazza.

-

 

 

Note dell’autore:

Ebbene sì, signori e signore, sono ancora viva. (??) Saranno quasi tre mesi che non aggiorno, se non sbaglio! Chiedo venia, il fatto è che ho avuto un po’ di problemi quest’estate, e l’inizio della scuola non ha aiutato la situazione, anzi…

Ma ora sono qua! (sempre che ci sia ancora qualcuno che segua questa fanfic)

Ah, per chi sia curioso, la modella a cui mi sono ispirata è Erin Wagner! In particolare queste due foto sono come io me la immagino.

http://i1082.photobucket.com/albums/j372/May--/28910_10150178760475424_277094115423_12070972_6574355_n.jpg

http://i1082.photobucket.com/albums/j372/May--/29060_10150197171390424_277094115423_12552447_5211105_n.jpg

---

Dolloop: sono felice che ti piaccia! :) La modella si chiama Erin Wagner!

BlingBling: Eccolo qua il terzo capitolo! Anche se un po’ in ritardo lol

Loverholic_: I coreani ci rovineranno la vita. <__< ahaha anche a me piacciono, se sono troppo dolci non c’è gusto!

LaurisChan92: Ahaha il mio bias è Sungmin, lo adoro! <3 Diciamo che più avanti avrà dei comportamenti un po’… Lasciamo perdere XD Certo che mi fa tenerezza, non puoi capire che fatica ho fatto a scrivere questi capitolo >.<

 

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Capitolo 4
*** Chapter 4 ***


Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 4/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì 



 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.

Love’s Way – SHINee

-

 

 

 

Osservai attentamente il pezzo di carta poggiato sul tavolo. Lo afferrai con un gesto di stizza, portandomelo vicino al viso. Perfettamente intatto, senza nemmeno un accenno di stropicciatura.

«Cos’è?» chiesi calma riponendolo al suo posto.

«Leggi. Non hai nemmeno letto» era vero. Lo ripresi in mano.

«C’è scritto ‘SHINee fanmeeting’»

«Sì»

«Sì. E allora?»

«Mi pare ovvio» Jihyun, davanti a me, sedeva comoda sulla sedia di plexiglass rosso, il viso appoggiato su una mano.

«Ehm... No»

«Tu. Io. Altre 10,000 fan e gli SHINee. Sabato»

«No»

«Perché?»

«Non mi piacciono!»

«E allora?»

«Non vorrei occupare il posto di una fan!»

«Come se t’importasse davvero!»

«E se m’importasse?»

«Me lo devi, dal momento che ti faccio vivere qui»

«Aiiish! Ok! Ok! Hai vinto! Contenta?»

«Molto! Grazie!» si alzò, dirigendosi verso la porta d’ingresso. «Ora devo andare a lavorare, non combinare casini»

«Si, mamma» mormorai alzandomi a mia volta.

 

Jihyun era davvero riuscita a convincermi. Ero davvero lì. Era… Era come chiedere ad un prete di entrare in un locale streep tease per gay!

Mi guardai allo specchio del bagno, prima di sciacquarmi le mani. Jihyun era andata a spendere metà dello stipendio in gadget, e fortunatamente mi aveva lasciato indietro. Uscii velocemente dal bagno, cercandola tra la folla, che aumentava di secondo in secondo. La trovai qualche minuto dopo, e insieme ci dirigemmo verso i nostri posti che, nemmeno a chiederlo, erano ottimi.

«Erin-ah! Guarda che carini i glowstick!»

«Unni, sei fortunata a somigliare ad una diciottenne, fossi in te mi vergognerei a far sapere in giro che hai 24 anni!» sussurrai guardandomi intorno. Il 90 percento delle ragazze e ragazzi erano sotto i venti anni!

«Che noiosa che sei!» esclamò continuando a guardare i suoi acquisti.

 

Un’ora dopo iniziò il fan meeting. Ero probabilmente l’unica nella sala a non cantare e/o urlare a ogni parola che pronunciavano quei poveri ragazzi. Ero circondata da inquietanti ragazze in preda agli ormoni che urlavano come galline e non potevo farci nulla.

Comunque, a dirla tutta, alcune canzoni non erano male, e risi leggermente quando il ragazzo basso e arrogante dell’altra volta fece una battuta, mente la ragazza accanto a me aveva deciso di ricordargli il proprio nome, continuando a urlare senza sosta “Jjong!”.

Ero intenta a controllare il mio cellulare quando tutta la sala si zittì di colpo, in seguito a qualcosa che non afferrai, troppo distratta.

«Che succede?»

«Shh. Scelgono cinque ragazze. Potranno incontrarli dopo, dietro le quinte...» ah, spiegato tutto. Iniziò a pescare il più piccolo, Taemin o qualcosa del genere. 245. Poi fu il turno di Onew, di quello alto e di quello con il giacchetto di pelle rosa shocking. 1002, 7889, e 267. Alla fine fu il turno di Jjong. Numero 128, annunciò.

 

Oh.

 

«Unni... Unni... è il...»

«... Mio numero...» completò lei per me. Potevo vedere i suoi occhi farsi lucidi, le sue mani tremare. Alcune ragazze sussurrarono qualcosa, invidiose, altre si complimentarono con lei.

Il fan meeting finì, dopo un’ultima canzone, tra la disperazione di alcune e la depressione di altre. E la mia felicità, ovviamente.

Trascinai una Jihyun al settimo cielo verso il punto di ritrovo delle ragazze, una semplicissima stanza con un grande divano, poi mi misi in disparteinsieme ai genitori delle altre ragazze, tutte sedicenni o poco più, osservando il cellulare. Non sapevo quanto la cosa sarebbe durata, cosa le ragazze dovesse fare o dire o perché-

«Annyeonghaseyo!» sentii esclamare. Le cinque ragazze s’inchinarono, sorridendo come matte.

Restai a fissare divertita il gruppetto. Era la cosa più esilarante che avessi mai visto. Com’era possibile che quei cinque ragazzi goffi e impacciati fossero gli stessi che poco prima sul palco ballavano e cantavano in modo così deciso e a tratti aggressivo? Persino quando li aveva incontrati quella volta sul set erano stato più spigliati di adesso! Jihyun non mi aveva mai avvertito che avessero qualche tipo di squilibrio mentale del tipo “doppia personalità”.

La mia amica ora si stava facendo firmare il loro ultimo cd, e dubito che li avesse già avvertiti che in verità un autografo lo aveva già! Ridacchiai, appoggiandomi all’angolo del muro. Il mio ultimo desiderio era di essere riconosciuta.

«Ah, vi ricordate di Erin?» sentii esclamare dopo qualche minuto. Ecco, appunto...

«Vi ha fatto un servizio fotografico qualche tempo fa!» Non può aver... Non oserà...

«E’ la mia migliore amica! E’ lì, in quell’angolo»

 

Ha osato.

 

Alzai lo sguardo, incontrando quello sorridente di Jihyun e quello sorpreso di altre cinque persone.

SHIT! Jihyun, I’m so going to kill you!

«Oh, Erin! La fotografa!» esclamò quello alto. Fecero per avvicinarsi, ma -grazie a Dio- il manager raggruppò le fan e gli SHINee per una foto, salvandomi in extremis.

Dovevo cercare un via d’uscita, dovevo andarmene al più presto di lì e-

«I think I'm drowning, Asphyxiated, I wanna break the spell you've created» Matthew Bellamy iniziò a cantare, rinchiuso nella mia tasca, ignaro del grandissimo favore che mi aveva appena fatto. Borbottai qualche scusa, poi mi avviai verso la porta, non prima di aver lanciato un occhiata al gruppo davanti a me. Onew, le mani in tasca e un sorriso di circostanza stampato sul viso, mi osservava discretamente, senza degnare di uno sguardo le fan davanti a lui. Abbassai velocemente lo sguardo ed uscii dalla porta, cercando di allontanare dalla mia mente il ricordo dei suoi occhi.

 

***

 

«SE VENGO A CASA TUA SMETTERAI DI ROMPERMI LE SCATOLE ANCHE SOLO PER UN MINUTO?» urlai al limite della mia pazienza alzandomi in piedi. Puntai il mio sguardo sul suo, cercando di trasmettergli tutta la mia irritazione.

Era un maledettissimo sabato mattina in cui avevo deciso di andare al parco. Niente di nuovo, no. Nemmeno la sua presenza però era nulla di nuovo, dal momento che era già la seconda volta che me lo ritrovavo davanti. Con quel suo sorrisino, con quei suoi occhi... era davvero irritante!

Aveva iniziato a piovigginare e Onew, da bravo gentil uomo, mi aveva invitato a casa sua, non molto distante da lì. Fino a quando la pioggia sarebbe cessata, continuava a ripetere, non preoccupandosi di quanto potesse risultare strano che io, praticamente una sconosciuta, andassi a casa sua.

«Perfetto! Vieni, su, o finiremo per prenderci un raffreddore!» esclamò porgendomi una mano che però rifiutai, alzandomi da sola. Mi alzai il cappuccio sulle spalle e lo seguii fuori dal parco.

«Finiremo per bagnarci tutti! Era meglio aspettare sotto l’albero!» mi lamentai aumentando il passo. Onew ridacchiò, calandosi ancora di più il cappuccio sugli occhi.

«Sempre a lamentarti, Erin! Forza, ci siamo quasi» rispose. Afferrò il mio polso e iniziò a correre come un bambino.

Aveva ragione: girato un angolo mi ritrovai davanti al condominio dell’altra volta. Questa volta però non mi fermai ad aspettare, ma fui trascinata dentro l’ingresso e poi in un attimo ci ritrovammo nell’ascensore.

«Ma chi me lo ha fatto fare...» sussurrai tra me e me osservandoci. Eravamo fradici dalla testa ai piedi, non avevo nulla in ricambio e avevo una paura assurda che la macchina fotografica si fosse rovinata, benché fosse dentro la sua custodia. Tutto quello che ricevetti per risposta, comunque, fu un'altra risata e un “Oh, eccoci arrivati”.

Tirò fuori le chiavi dalla tasca, infilandole dentro la serratura. Chissà se gli altri erano in casa...

«In casa ci sono solo Minho e Taemin. Non faranno troppe domande, non ti preoccupare» scrutai leggermente sorpresa il suo viso, ma entrai senza lamentarmi. Ora leggeva pure nel pensiero?

L’appartamento non era grande, ma era ben curato, per quanto potesse esserlo con cinque ragazzi dentro. Il salotto era piccolino e il sofà di pelle nera occupava quasi tutto lo spazio disponibile. In un angolo vi era un piccolo mobiletto pieno di manga -so asian- e a fianco un televisore con una console e una decina di custodie di video giochi appoggiati alla meno peggio di fianco. La cucina, a fianco, era perfettamente pulita. Qualcosa mi diceva che non veniva usata tanto, visto lo stato pressoché perfetto degli utensili appoggiati in un angolo.

Ero ancora intenta ad osservare la casa nei minimi dettagli quando sentii il suo sguardo appoggiarsi sulla mia schiena. Mi girai quasi istintivamente.

«Forse è meglio che tu ti cambi, Erin. Ti ammalerai!» esclamò.

«Beh, mi dispiace ma non giro con un cambio di vestiti nella borsa!» lui non fece caso al mio tono seccato e, togliendosi le scarpe, mi fece segno di seguirlo. Lo imitai e salii su per le scale, dietro a lui.

«Puoi farti una doccia nel bagno e metterti una mia felpa e dei pantaloni della tuta mentre i tuoi vestiti si asciugano» disse mentre si toglieva la felpa, rimanendo con una maglietta a maniche corte anch’essa bagnata.

Bella schiena

…COSA?!

«Che ne dici?» tornai sulla terra, ignorando i miei inutili pensieri.

«Non ho altra scelta, vero?»

«Vero! Vieni, ti mostro dov’è il bagno»

 

Onew probabilmente aveva scelto quei vestiti con molta cura solo per farmi sembrare ridicola, decisi. I pantaloni che mi aveva dato erano fortunatamente della mia taglia –decisi di non farmi domande sul perché qualcuno indossasse la mia stessa taglia di pantaloni in quella casa–, ma il colore lasciava molto a desiderare: verde fosforescente. La felpa viola, poi, non era messa meglio: era almeno tre taglie più grandi del solito! il collo era largo, le maniche lunghe chilometri. Cercai di fare due risvolti ma le mani si vedevano a malapena.

«Sono ridicola» borbottai pettinandomi con le mani i capelli.

«Hai fatto, Erin?» sentii Onew chiedermi dall’altra parte della porta. Mormorai un “sì” appena accennato, aprendo la porta.

Il suo viso si contrasse immediatamente alla mia vista, cercando di trattenere le risate. Lo fulminai con lo sguardo, intimandogli di non ridere per nessuna ragione al mondo.

«Ok, ok. Prometto di non ridere»

«Oh, sei già vestito?» chiesi notando la sua tuta asciutta. C’era un altro bagno al piano inferiore, mi spiegò avvicinandosi a un’altra porta.

«Camera mia» dichiarò facendomi passare per prima. Era una camera normalissima, l’unica cosa davvero speciale erano le migliaia di foto e lettere appese ad una parete. «Da parte delle fan» mi spiegò poi. «Ah, ho tirato fuori dalla tua borsa la tua macchina fotografica. La custodia era umida e non volevo che si bagnasse»

Mi sedetti sul letto, osservandolo basita. Davvero si era premurato di salvare la mia fotocamera da una possibile morte prematura? Io non gli avevo chiesto nulla, aveva fatto tutto lui!

Forse dovrei ringraziarlo...

«Bene» ... O forse no.

«Tieni» disse passandomela. La rivoltai tra le mie mani, controllando che tutto fosse a posto e che l’obiettivo non si fosse rotto nella corsa. «E’ parecchio costosa» costatò sedendosi accanto a me. «Te l’hanno regalata?»

«No» sospirai, ripensando a quanti sacrifici avevo dovuto fare per comprarmela, «L’ho presa con i miei soldi».

«Dev’essere difficile trasferirsi da sola dall’America fino a qui»

«Avevo Jihyun che mi aspettava qui, fortunatamente»

«E’ una brava ragazza. Al meeting era l’unica che non impazzì alla nostra vista» in effetti quella volta mi ero aspettata una reazione degna di oscar da parte della mia amica, ed invece aveva reagito con molta nonchalance alla vista della band. Quando voleva anche lei sapeva controllarsi!

«ha ventiquattro anni, è normale che non si lasci prendere dall’emozione alla vista di cinque ragazzi più giovani di lei»

«Molte ragazze di trenta anni ci provano con noi, anche se abbiamo tanti anni di differenza!»

«Beh, non deve essere una cosa molto simpatica» risposi.

«Hai ragione» concordò lui. «E’ la prima volta che mi parli senza insultarmi» aggiunse dopo qualche attimo di silenzio.

Abbassai istintivamente lo sguardo sulla mia macchina fotografica, sentendomi strana. No, non era di certo senso di colpa. Insomma, trattavo Onew come trattavo tutti gli altri, non era certo colpa mia.

Forse.

«Beh, oggi sono troppo stanca» dichiarai alzando il capo «Non abituartici»

«No signora! È divertente quando ti arrabbi per nulla» constatò appoggiandosi alla testata del letto.

«Io non mi arrabbio!»

«Ora sei arrabbiata!»

«Cazzate!»

«Se lo dici tu...»

«Muoviti e va a vedere se i miei vestiti sono asciutti!» esclamai ponendo fine alla conversazione.

«Si signora!»

 

 

«Uhm... Io vado...» mormorai aprendo la portiera della macchina.

«Sì» rispose lui mentre uscivo dal veicolo. Per qualche sconosciuta ragione i miei piedi non ne volevano sapere di spostarsi, rimasero incatenati davanti alla macchina. Una strana sensazione mi avvolgeva da capo a piedi, rendendomi strana. Senza che potessi fare nulla, dalle mie labbra uscì un flebile “Grazie”.

Ci misi qualche attimo prima di capire che io, Erin, avevo ringraziato quello stupido solo per un passaggio. La conseguenza fu imminente: chiusi la portiera di scatto ma riuscii ancora a notare il sorriso trionfante di Onew. Scioccata, mi diressi a passo felpato dentro l’appartamento, senza mai girarmi.

Stupida deficiente!

«Stupida, stupida stupida. Stupida! Stu-»

«Chi era il ragazzo?» Troppo intenta ad offendermi, non mi ero accorta di dove fossi. Non so come avessi fatto, ma ero già dentro il mio appartamento e Jihyun mi stava osservando curiosa, in attesa di una mia risposta. Era appoggiata alla finestra, quella che dava sulla strada e che, inevitabilmente, aveva mostrato tutta la patetica scena.

«Che ragazzo? Sono venuta a casa a piedi, io» arrampicarmi sugli specchi non era il mio forte, evidentemente. Nessuno era così scemo da bere la mia balla. La vidi avvicinarsi a me, sospettosa.

«Macchina nera, elegante, appena lavata probabilmente. Per non parlare dei finestrini oscurati. Varrà una fortuna» mi disse. «Sei scesa da una macchina così. Ti sei fermata un attimo a guardare dentro e poi, dopo aver mormorato qualcosa, sei scappata. Non faresti così con una ragazza. Anzi, non faresti così con nessuno» ormai eravamo una di fronte all’altra; io apparentemente impassibile, lei avida di pettegolezzi.

«Ti ho sempre ringraziato, quindi non è vero che non faccio così con nessuno» mi lasciai scappare, pentendomene subito dopo.

«Ah! Ma io non ho mai detto che tu lo hai ringraziato! Se l’hai ringraziato allora deve essere una persona speciale!»

«Va al diavolo, Jihyun!» esclamai correndo su per le scale. Mi ero lasciata prendere dal panico, e ora ecco i risultati! Questa cosa mi stava decisamente scappando di mano!

«Tesoro, se vuoi parlare io sono qui! E’ normale prendersi una cotta alla tua età!» Sentii urlare dalla cucina.

NON SONO INNAMORATA, IO!

 

-

 

Note dell’autore

Velocissimo aggiornamento, devo tornare a studiare >_<

 

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Capitolo 5
*** Chapter 5 ***


Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 5/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì

 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.

Love’s Way – SHINee

 

Dopo quella giornata, non incontrai più Onew per almeno due settimane, non che me ne fregasse qualcosa, sia chiaro. Jihyun continuava a parlare di tutte le loro performance e di quanto fosse bella la nuova canzone, “Hello”, quindi immaginavo che fosse troppo impegnato anche per rompermi le scatole.

 

«Per caso...» esordì una mattina Jihyun mentre mi versava il caffè nella tazzina «Il ragazzo che ti piace e che ti portò a casa... è lo stesso che ora è seduto laggiù su quella sedia? Ti sta guardando da un po’, ed è lo stesso che pensavo ti stesse importunando quella volta»

Deglutii, cercando di mantenere un’espressione indifferente. Mi girai appena, visualizzando la persona di cui parlava Jihyun. Pantaloni della tuta neri, felpa grigia e il cappuccio tirato su fino a coprire praticamente gli occhi... Sì, era senza dubbio Onew.

«Ho indovinato, vero? Forza, fammelo conoscere!» sussurrò tutta eccitata.

Neanche morta.

«Non oggi. E poi non mi piace, è solo un deficiente con atteggiamenti da stalker» dichiarai. Portai la tazzina di caffè alla bocca e ingoiai tutto in contenuto, scottandomi come una scena. Mi alzai, mi misi il giubbotto -ormai era metà ottobre, e il freddo iniziava a sentirsi- e mi avviai verso l’uscita.

«Muoviti ed esci» sussurrai una volta arrivata di fianco a lui «Sta venendo da te per conoscerti perché pensa che tu sia il mio fidanzato o robe del genere. Non oso immaginare la sua reazione se ti vedesse» sibilai squadrandolo impazientemente. Lui annuì, e dopo aver lasciato il conto sul tavolo mi seguì, senza dire nulla.

«Potresti evitare di farti scoprire, grazie? Se proprio vuoi venire al bar fallo con discrezione!» mi lamentai mentre mi circondavo il collo con una sciarpa.

«Scusa! Facciamo un giro?» chiese mettendosi le mani in tasca e iniziando a camminare.

«Non hai nulla da fare?!»

«Avrei anche troppe cose da fare, è quello il punto... Grazie a Dio ho una mattinata libera e avevo voglia di ascoltare le lamentele di una certa ragazza» esclamò ridacchiando. Rimasi leggermente stupida da quello che aveva detto, ma decisi di stare al gioco.

«Beh, questa ragazza non ne ha voglia»

«Ma io sì!» afferrò il mio polso, girando all’improvviso a destra, in una strada secondaria. Pochi attimi dopo ci ritrovammo nello stesso parco in cui c’eravamo incontrati la prima volta. «Scorciatoia» mormorò girandosi verso di me.

«Me n’ero ac-» fui interrotta dal suono improvviso del mio cellulare, che iniziò a vibrare nella tasca della mia borsa. «Aspetta un attimo... Ah, eccole di nuovo» sussurrai osservando il display.

«Vuoi che mi allontani?»

«No, fa lo stesso. Ci metterò poco» poi sospirai, premendo il tasto verde.

«Pronto?»

«Che vuoi ancora?»

«Tua padre pensa che il gioco sia durato abbastanza, 3 mesi sono tanti. È ora di tornare in America e pren-»

«Senti, puoi gentilmente riferire a mio padre di andare al diavolo e smetterla di insistere?! Siamo tutti più contenti se sto qui in Corea, no? E smettete di chiamarmi ogni cazzo di settimana, siete strettanti, tu e le altre segretarie!» chiusi la chiamata, poi mi sedetti a fianco ad Onew, che nel frattempo si era appoggiato all’albero. Grazie a dio non sapeva l’inglese, non sarei stata capace di spiegargli l’accaduto.

«Chi era?»

«Un’amica con cui ho litigato... quando ero in America» mentii sul momento. In silenzio, anche lui si abbassò al mio livello, sedendosi accanto a me. Nessuno disse nulla per qualche minuto, finché lui puntò lo sguardo verso di me.

«Sai, a scuola avevo i voti più alti dell’istituto in inglese» disse semplicemente.

Ah.

Colta in flagrante, rimasi in silenzio. «Però se non ne vuoi parlare va bene, non ti costringo. Potresti evitare di mentirmi su ogni singola cosa, però» aggiunse poi, evitando il mio sguardo.

«Io-»

«Scusa, fra 3 ore abbiamo una registrazione di un programma e mi devo ancora preparare. Ci vediamo, Erin» si alzò e, con senza voltarsi, si allontanò agitando la sua mano.

«Sono proprio una deficiente...» sussurrai.

 

Domenica mi svegliai tardi ma, nonostante le tante ore di sonno, mi sentivo ancora esausta e stanca. Fuori aveva appena smesso di piovere, e le poche persone che si avventuravano per strada erano coperte da giacconi e sciarpe. Era tanto che non mi facevo una giornata fotografiamo-tutto-e-tutti, pensai, qualche scatto mi farà bene. Uscii di casa un quarto d’ora dopo, macchina fotografica in mano e cappuccio calato sul viso.

Mi piaceva scattare foto in giro per la città, e l’atmosfera che vi era quella mattina era perfetta. Il cielo plumbeo e il cemento bagnato rendevano la città più cupa del solito, molte insegne erano spente e i visi grigi delle persone sembravano esprimere tristezza qualunque cosa facessero.

Feci parecchi scatti girovagando per le vie della città, finché, dopo quasi un’oretta, non mi ritrovai davanti al parco in cui ero stata con Onew solo il giorno prima. Rimasi ferma proprio davanti all’entrata, fissando il parco completamente vuoto. Non capivo come fossi arrivata in quel posto, ma decisi che una piccola pausa avrebbe giovato alle mie gambe. Appoggiai la reflex accanto a me sulla panchina, mentre il mio sguardo vagava senza una meta precisa.

«Forse avrei dovuto chie... No, Neanche morta»sussurrai tra me e me ripensando «Non è colpa mia» rimasi lì per almeno un quarto d’ora, in attesa di qualcosa...

Qualcosa -o qualcuno- con un carattere insistente e ossessivo, ma con un sorrido decisamente affascinante.

 

Passai la settimana a lavorare, come se nulla fosse, ma anche il sabato mattina successivo tornai al parco. Lui non si fece vedere. Continuavo a ripetermi che non dovevo farmi condizionare da quel ragazzo, ma non riuscivo a togliermi dalla mente il suo sguardo poco prima di andarsene.

«Jihyun...» esordii mentre apparecchiavo la tavola.

«Si?»

«Io... Devo chiederti un consiglio» mormorai all’improvviso. Lei si girò, il mestolo in una mano e il sguardo incuriosito.

«Certo... Parla...» Dovevo forse inventarmi una storia a parte? Avrei dovuto lasciar perdere? Però infondo non ci avrei perso nulla, e lei era una mia amica...

«C’è questo ragazzo...»

«...Ti piace?!» esclamò immediatamente.

«NO! Fammi finire! Lui ha sentito una mia conversazione con le segretarie di mio padre... io mi sono inventata una scusa convinta che, insomma, non capisse l’inglese... Ma invece lo sa benissimo, e se n’è andato» mi fermai per un attimo, sedendomi su una delle sedie attorno al tavolo. «Mi sa che l’ho... deluso? Non lo so nemmeno io. Forse si aspettava che gli spiegassi la mia situazione però, insomma, l’ho appena conosciuto! E poi ora non riesco a togliermi questa strana sensazione dallo stomaco che-»

«Da come ne parli... Sembra che tu a questo ragazzo ci tenga, o comunque lo consideri degno di nota, visto che è la prima volta che ti preoccupi così per qualcuno» si sedette davanti a me, mentre l’acqua per la pasta bolliva «Dovresti parlargli. Spiegargli che non era tua intenzione ferirlo»

«Non ho nemmeno il suo numero di cellulare!»

«Va a casa sua, no? Saprai dove abita se ti ha portato a casa!»

«I-Io non ho mica detto che è lo stesso ragazzo!» replicai sbarrando gli occhi.

«Beh, te lo si legge in faccia che è lo stesso dell’altra volta. L’hai portato via dal bar solo perché avevi paura che ci parlassi, deve essere una persona importante!» decretò rialzandosi.

«Co-»

«Erin, quando imparerai che sono un ottima osservatrice? Forza, gli spaghetti sono quasi pronti!»

 

 

L’avevo fatto davvero, alla fine. Andare a casa sua, intendo. Avevo solo dovuto girare qualche minuto prima di ritrovare la strada che poi mi avrebbe portato dritto dritto davanti al condominio.

Se Jihyun mi avesse visto in quel momento, si sarebbe sicuramente lasciata andare a una risata. Probabilmente, con il suo consiglio, non pensava davvero di condizionarmi.

Passate le porte di vetro, camminai velocemente attraverso l’ingresso elegante e mi diressi verso l’ascensore. Spinsi il bottone del 4° piano e in pochi attimi mi ritrovai nel corridoio in cui ero stata poche settimane prima.

«Probabilmente non sarà in casa...» sussurrai tra me e me suonando il campanello. «...Appunto» aggiunsi senza udire nessun suono al di là della porta.

Mi appoggiai al muro, chiudendo gli occhi. Era meglio aspettare o andarsene? Non sapevo nulla dei loro impegni, e telefonare a Jihyun per sapere  dov’erano ora -ero sicura che lei lo sapesse, le fan sanno sempre tutto, no?- mi sembrava come minimo sospettoso. Sbuffai, sistemandomi la borsa sulle spalle. Stavo quasi per andarmene, quando l’ascensore si aprì, e gli SHINee al completo uscirono, ridendo a una battuta che probabilmente qualcuno di loro aveva detto pochi attimi prima. Quello alto fu il primo a notarmi, poi seguirono tutti gli altri.

«...Erin! Che ci fai qui?» esclamò Onew avvicinandosi. I quattro ragazzi dietro di lui ci guardavano in silenzio, curiosi.

«Io...» le parole non riuscivano ad uscire dalla mia bocca a causa dei ragazzi, che mi fissavano ininterrottamente. Onew lo capì subito e, salutati i ragazzi, mi prese per mano, infilandosi dentro l’ascensore. Osservai silenziosa le nostre mani, incapace di emettere anche solo un suono.

«Oh... Scusa» mormorò allontanando la sua mano una volta notato il mio sguardo.

«Ecco, che mi volevi dire?» mi chiese sedendosi sulla panchina del piccolo giardino dietro il condominio. Mi sedetti anch’io, osservandolo distrattamente. Aveva probabilmente registrato una puntata per qualcosa, visto i capelli perfetti e i resti di un leggero fondotinta sul viso. I suoi occhi brillavano di curiosità, le sue labbra erano curve in uno dei suoi soliti sorrisi.

Non sembrava arrabbiato con me.

«Ecco, io... quella volta, quando...» distolsi lo sguardo dal su viso, puntandolo per terra. Più concentrata, decisi di continuare «Ok, te lo dirò una volta e basta: mi dispiace se ti ho fatto arrabbiare quella volta al parco. Pensavo... Ecco, non volevo raccontarti quello che avevo lasciato in America»  mi alzai in piedi, ma le mie gambe si rifiutavano di allontanarsi anche solo un centimetro.

«Erin… Sei incredibile!» esclamò dopo qualche attimo, iniziando a ridere a crepapelle «Pensavi che fossi arrabbiato? Ti conosco abbastanza da non prendermela quando m’insulti o mi nascondi qualcosa!»

«Messa così sembro... Una stronza» borbottai infastidita dalle sue risate.

«Non lo sei, tranquilla. Ci vai vicino, però»

«Tu si che sai sollevare il morale alla gente! Me ne vado!» dichiarai offesa. Non feci in tempo a girarmi che la sua mano raggiunse il mio polso, fermandomi.

«Scusa, scusa! Avrai freddo, che ne dici di andare a prendere un caffè in un bar?» propose alzandosi a sua volta.

«Potrebbero scoprirti» mormorai guardandolo negli occhi.

«No, fidati. Abbiamo i nostri trucchi! Vieni, cinque minuti e usciamo»

 

Fissai diffidente il ragazzo che mi stava davanti. Era davvero Onew, quello lì?

I soliti pantaloni attillati avevano lasciato il posto a dei pantaloni larghi e a vita bassa, mentre una felpa dei Muse e un piumino nero gli coprivano il torso. Ai piedi aveva un paio di sneakers e un cappello era calato sui capelli. Mi sorrideva trionfante, osservando la mia espressione scioccata. Respinsi un moto di orgoglio quando vidi la felpa –forse qualcosa in comune avevamo!- e mormorai:

«Uhm... Penso tu abbia ragione. Faccio fatica a riconoscerti»

«Te l’avevo detto! Andiamo!» disse mettendosi un paio di occhiali posticci.

 

 

«...Quindi questa ha iniziato a provarci con Taemin, ma aveva al massimo 13 anni, e puoi capire che...» seduti in un tavolino ascoltavo Onew, intento a raccontare i fatti più strani mai capitati al suo gruppo. Ogni tanto prendevo un sorso di cioccolata calda, altre volte lanciavo uno sguardo verso la vetrata poco lontano da noi, osservando la strada pressoché deserta. Non parlavo io, come al solito, ma mi andava bene così: parlare non era il mio forte ed era quasi piacevole ascoltarlo.

Un ora e due cioccolate calde dopo, era ancora lì a parlare.

«...Poi c’è stata una volta in cui Jonghyun e Minho si sono quasi picchiati per una ragazza e io sono dovuto intervenire perché-»

«Più che un gruppo mi sembra una famiglia!» lo interruppi appoggiando la tazza sul tavolino «Aspetta, com’è che mi diceva Jihyun...? Quello con il senso della moda sotto sopra, che oggi portava le scarpe gialle-»

«Kibum, ma tutti lo chiamano Key»

«Ecco, Key era la mamma… Tu eri il padre mi pare… Il piccolino-»

«Taemin»

«Taemin il figlio!» esclamai alla fine «O almeno credo fosse così... Forse in effetti...»

«Key è la mamma, Jonghyun il padre; tutti gli altri sono i figli» disse un’altra voce.

La voce non era di Onew.

 

-

 

Note dell’autore

Rieccomi!

Personalmente questo capitolo mi piace un sacco, perché Erin inizia a riconsiderare Onew, anche se la strada è lunga! è_é  

Di chi sarà la voce? Tadadadaaaaan (dovrebbe essere una canzoncina lol)

p.s. Avete visto ieri sera i Big Bang? Erano così belli mentre ricevevano il premio *__*

---

Shinee: Grazie *_* sono contenta che ti piaccia!

Too Fast To Live: Grazie anche  a te! :3 Erin sta avendo successo a quanto vedo! XD Lo studio mi sta uccidendo, spero di aggiornare più velocemente!

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Capitolo 6
*** Chapter 6 ***


Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 6/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì

 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.

Love’s Way – SHINee

 

-

 

 

Rimasi pietrificata sul posto, con lo sguardo puntato verso la tazza. La persona a cui apparteneva la voce era di fianco a me, ma mi rifiutai di alzare gli occhi.

La voce era terribilmente familiare.

«Erin, puoi gentilmente spiegarmi come mai sei seduta con un idol?» mi girai di malavoglia, trovandomi davanti Jihyun, che mi fissava. Non riuscivo a capire la sua espressione, tropo simile a quella di un giocatore di poker.

«Lui? Lui non è un idol! T-Ti sbagli è-»

«Ciao Onew» disse Jihyun girandosi verso di lui. Ti prego, di che-

«Ciao»

«Oh Dio, ma sei deficiente?!» mi girai verso di lui, che però sembrava calmissimo.

«Su Erin, è una tua amica. Nessuno morirà se sa che mi conosci!»

«Cos...? Ma-»

«Ha ragione Onew! Potevi anche dirmelo prima!»

«Vi lascio parlare da sole, ok? Ah Erin, tieni» disse porgendomi un biglietto «Così puoi evitare di farti mezza Seoul a piedi se hai bisogno. Ciao Jihyun, ciao Erin!» chiudendosi il giubbotto, uscì di fretta dal bar, cominciando a camminare. Appena fu fuori dalla nostra vista, sentii Jihyun emettere un gridolino inquietante.

«Erin, questa me la paghi! Era lui il misterioso ragazzo! Era Onew!» sussurrò eccitata sedendosi di fronte a me «Perché non mi hai detto nulla? Non sai che di me puoi fidarti? Su, racconta! L’hai visto? Dico, l’hai visto? Cioè, sono seduta sulla stessa sedia dove si è seduto lui! E’ una figata, te lo dico i-»

«Si, l’ho visto e so che lì era seduto lui. Ora se stai zitta per un attimo, ti spiego!»

«Sono tutta orecchie!»

Sospirando, iniziai a raccontarle tutto, dal servizio fotografico a quello che era accaduto poche ore prima. Lei ascoltava in silenzio, come le avevo intimato, ma vedevo i suoi occhi cambiare a seconda di quello che raccontavo. Dopo quasi mezz’ora avevo finito il mio lunghissimo monologo.

«Erin, sei qui da neanche un anno e stai uscendo con un idol di fama internazionale!»

«Uscendo? Ma hai sentito quello che ti ho detto? E’ ossessivo, è insopportabile! E poi non m’innamoro, io»

«Se lo dici tu... Nessuno comunque parlava di innamorarsi!» aggiunse sorridendo furbamente.

 

 

 

Era solo metà Novembre, ma già nel centro di Seoul si poteva già avvertire un’atmosfera natalizia: i negozi iniziavano a esporre i primi articoli da regalo, le vetrine si abbellivano di luci e festoni rossi e d’oro, rendendo le vie principali coloratissime.

Non avevo mai amato il Natale, e lo stesso valeva per un po’ tutte le altre festività. Fin da piccola non avevo mai festeggiato com’è tradizione: mio padre lavorava, così passavo la vigilia con una delle tante cameriere della casa, scartando i regali che mi comprava mio padre. Dopo gli undici anni, quando mio padre smise di farmi i regali, iniziai a passarlo in camera mia.

Sarebbe stato strano festeggiarlo per la prima volta con Jihyun, ma non mi dovetti preoccupare più di tanto: lei sarebbe partita presto per una mega-vacanza con i suoi genitori per visitare alcuni parenti, dagli ultimi di Novembre fino ai primi di Gennaio.

 

Dopo quella volta al bar, avevo sentito Onew solo qualche volta. Ci incontravamo di sabato mattina, quando sembrava che tutti e due avessimo una pausa dai nostri lavori. Andavamo al  solito parco, poi a prendere un caffè in un bar sconosciuto e poco frequentato. Lì, Onew parlava e parlava, di tutto e di tutti. Io ascoltavo e basta, a volte raccontavo qualcosa, nulla che però fosse rilevante. A Onew andava bene così, non si lamentava mai.

Avevo in qualche modo creato una routine stabile, che però non avrebbe durato.

 

Era una di quelle giornate in cui fa buio già alle quattro di pomeriggio, in cui il freddo ti entra dentro le ossa e non ti lascia andare. Ero appena arrivata a casa dal lavoro e mi stavo cambiando con il mio solito pigiama, quando il cellulare suonò. Svogliata, aprii la borsa, ma tutto quello che vidi fu il mio portafoglio e altri oggetti. Seguii la suoneria, finché non arrivai in salotto. Il mio cellulare, appoggiato su un cuscino del divano, vibrava e suonava ancora.

«Chi è a quest’ora... Pronto?»

«Ciao Erin» rispose una voce calda, in inglese.

«Scusa, non ti conosco» borbottai. Allontanai il cellulare dall’orecchio per controllare il display. Numero sconosciuto.

«Ma come? Non ti ricordi più di tua madre?» sentii ridacchiare dall’altra parte della cornetta. «E’ passato tanto tempo, ma sono comunque tua madre, Erin» continuò la voce.

Un brivido percorse la mia schiena, obbligandomi a sedermi sul divano. Non riuscivo a capire se fosse tutto uno scherzo o se davvero quella voce calda e vellutata fosse quella di mia madre.

«S-Stai... Scherzando?» sussurrai.

«Perché dovrei? Ho saputo che non sei più in America, è vero?»

«N-No, aspetta. Perché... Perché mi hai chiamato? Perché proprio ora?» strinsi il cellulare tra la mano, cercando di comprendere il motivo di quella surreale chiamata. L’ultima volta che avevo sentito e visto mia madre avevo cinque anni, tredici anni fa, prima che ci abbandonasse per trasferirsi in Florida con un venticinquenne. Perché si faceva sentire proprio ora? Era successo qualcosa?

«Vedi, Erin... Da donna, ho sempre avuto il desiderio di rivederti, ma ho sempre avuto paura. Ora finalmente ho trovato il coraggio di contattarti e...»

«Come hai fatto?»

«Sai, amici...» amici? Quali amici? Decisi di rimanere in silenzio. «Allora, è vero che ti sei trasferita all’estero?»

«Sì... In Corea»

«Oh, e com’è? Racconta! Perché ti sei trasferita?»

«E’ bella. Mi sono trasferita perché...» rimasi in silenzio, cercando di trovare le parole. Non volevo parlargli subito della mia relazione con mio padre. «Perché sono sempre stata appassionata di… questo posto»

«Capisco, ci sono tante cose che non so di te! Tesoro mi chiamano, purtroppo, ti richiamerò, ok?» e chiuse la telefonata.

Rimasi lì immobile, seduta sul divano e con il cellulare ancora all’orecchio, cercando di riordinare le idee.

Era tutto così strano, così... surreale.

«Erin, che hai fatto?» chiese Jihyun entrando nella sala, poi guardando il cellulare ancora stretto tra le mie mani,  mi rivolse uno sguardo curioso «Chi ha chiamato?»

«...Mia mamma» mormorai.

«Cosa?! Ma...»

«Io... Mi ha chiamata, così... Dal nulla»

«Perché?» chiese nuovamente sedendosi accanto a me.

«Non lo so... Dice che voleva rivedermi... Jihyun... E’ normale che io mi senta... strana? Quasi felice, direi» mi girai verso la mia amica, mentre lei sorrideva appena.

«Beh, penso di sì. Anzi, devi essere felice: hai ritrovato tua mamma!» esclamò abbracciandomi. Sorrisi leggermente nell’abbraccio.

Avevo trovato mia mamma...

 

Era l’una di notte quando sentii il cellulare vibrare sul comodino. Alzando la testa dal cuscino, afferrai l’aggeggio e guardai il display. La parola “Mamma” lampeggiava insistentemente sullo schermo.

«Pronto...» sussurrai alzandomi dal letto.

«Ciao tesoro, come stai?» esclamò la voce dall’altro capo.

«Tutto ok» risposi mettendomi un paio di scarpe. Uscii silenziosamente dalla camera e andai fuori sulla terrazza, sperando di non disturbare Jihyun.

«Perché sussurri?»

«Qua da noi è notte... mamma»

«Ah, capisco! Hai sonno?»

«Un po’» mi appoggiai al muro

«Non ti preoccupare, quando tornerai qui in America, potrai dormire quanto vorrai e non do-»

«Cosa? Tornare in America?» esclamai fregandomene dei vicino. «Di cosa stai parlando?»

«Ora che ti ho rintracciata, non vorrai certo rimanere là in Giappone!»

«...Corea» la corressi «E comunque... Non posso, qua ho un lavoro e degli amici, non vorrai che io lasci tutto…»

«Ma... Vorresti dire che preferiresti rimanere lì piuttosto che venire ad abitare con me?»

«N-non... Non ho detto questo... Ma...»

«Mi vogliono al lavoro tesoro, mi dispiace. Prometti di pensarci bene, ok?»

«O-» la linea telefonica s’interruppe, io rimasi lì in piedi.

Non volevo tornare in America, ricominciare da capo tutto ancora una volta. Qui avevo un lavoro, una casa, avevo Jihyun e... avevo Onew. Non volevo lasciare tutto, eppure sentivo che avrei fatto bene passare un po’ di tempo con mia madre. Era normale passare del tempo con lei, non succede così?

Era mia mamma dopotutto, no?

 

La mattina dopo mi svegliai con un terribile mal di testa e due o tre linee di febbre. Chiamai il lavoro e mi dissero di rimanere a casa per un giorno o due. Sollevata, sprofondai tra le coperte, ripensando alla chiamata della sera prima.

Non sapevo davvero cosa fare, e non volevo parlarne con Jihyun per il momento. La risposta, grazie al cielo, arrivò a metà mattinata, verso le dieci.

«Erin!» sentii esclamare appena aprii la chiamata.

«Sì, mamma?»

«Non sarai costretta a ritrasferirti, per ora! Verrò io in Corea per qualche settimana, ok?»

«Cosa?» esclamai alzandomi di colpo dal letto. Ebbi una fitta alla testa, costringendomi a calmarmi per un attimo.

«Verrò lì e starò un po’ con te!»

«Cos... Ma quando? E dove starai?»

«Fra due o tre settimane. Il posto lo troverò, starò in un hotel o a casa tua, ok?»

«Ehm... Io... o-ok» mormorai. Mia madre riattaccò qualche minuto dopo, ma non feci nemmeno in tempo ad appoggiare il telefono sul comodino che iniziò a vibrare di nuovo. Senza nemmeno far caso al nome, accettai la chiamata, portando il cellulare all’orecchio.

«Pronto?»

«Hey Erin!»

«Hey rompiscatole» borbottai ironica riconoscendo immediatamente la voce.

«Di buon umore, eh? Hai voglia di uscire? Hanno cancellato un’intervista!» trattenni una risatina sentendo il tono di voce di Onew: nemmeno un bambino a Natale avrebbe avuto una voce così felice!

«Sto male, non posso uscire»

«Oh, mi dispiace... Allora vengo a cucinarti qualcosa!» dichiarò.

Neanche morta!

«No che non vieni!»

«Hai fame e non puoi alzarti!»

«Non sai dov-»

«Kibum, posso cucinare pollo fritto a un ammalato?» m’interruppe senza nemmeno starmi a sentire. Sentii un ragazzo sgridarlo, un altro ridere.

«Onew, tu non verrai qua!» esclamai riportando l’attenzione su di me.

«Ciao Erin, ci vediamo fra poco!»

Scalciai via le coperte, cercando di reprimere i miei istinti omicidi. Ma perché quel ragazzo doveva sempre fare di testa sua?! Appoggiai la mia testa dolente ai cuscini, cercando di riaddormentarmi.

«Tanto non gli apro»

 

«Eriiiiiin! Apriiiii!»

«No!» esclamai stringendomi nella coperta che avevo attorno al corpo. Saltellai verso il divano, stendendomi.

«Daiii! Ho fatto mezza Seoul solo per venire qua, ora devi aprirmi!»

«Ok, ok» mormorai alzandomi. Aprii la porta. Onew era davanti a me con due sporte tra le mani e il solito sorriso che gli illuminava il viso.

«A dir la verità ero abbastanza vicino, ci ho messo tanto perché non sapevo cosa comprare» aggiunse ridacchiando. Senza nemmeno arrabbiarmi mi spostai, ristendendomi sul divano. La febbre era probabilmente salita, il mal di testa era persistente.

«Yah, stai bene?» mi chiese chiudendo la porta.

«Ho solo un po’ di mal di testa» si sedette accanto a me, scrutandomi. Poi, piano piano, vidi il suo viso avvicinarsi sempre di più al mio. Incapace di capire cosa stesse succedendo, rimasi immobile, finché non sentii le sue labbra appoggiarsi leggere sulla mia fronte. Pietrificata, continuai a fissarlo stralunata.

«Sei molto calda, Erin... dovresti prendere un’aspirina»

«Prima devo mangiare, non posso prenderla a stomaco vuoto»

«...Giusto. Allora cucino in un attimo! Ci credi che i malati non possono mangiare pollo fritto? E’ incredibile... dovrò farti una di quelle cose insipide che mangiano tutti, immagino...» gli mostrai con un cenno la cucina, dove si intrufolò in un attimo. Stesa sul divano lo sentivo canticchiare una delle mille canzoni presenti nell’iPod di Jihyun. La sua voce era profonda ma vellutata; decisamente affascinante…

No aspetta.

La sua voce non era affascinante, nemmeno per sogno! Ma a cosa stavo pensando?

 

«...Bene?» sussultai leggermente, trovandomi davanti il viso di Onew, perplesso, che aspettava una risposta.

«Cosa?»

«Ho detto, ti senti bene?» annuii, sedendomi. Presi in mano la zuppa che mi porgeva e la squadrai sospettosa. Era fin troppo di bell’aspetto per essere stata cucinata da un uomo.

«L’hai.... davvero cucinata tu?»

«Cosa credi?! Sono capacissimo di cucinare un sacco di piatti!» decisi che non mi importava chi l’avesse cucinata, dal momento che rischiavo di morire di fame. Mangiai il piatto in fretta, mentre Onew, di fianco a me, mi osservava discretamente. E stranamente non mi dava fastidio; ero così abituata alla sua presenza che ormai non facevo più caso alle sue stranezze.

«Come si dice?» esclamò tutto d’un tratto. Lo squadrai, posando la ciotola sul tavolino davanti a noi.

«La prossima volta metti meno verdure?»

«No, la parola “magica”!»

«Onew, la parola “magica” è per favore, non grazie» si mise quasi subito a ridere, mentre io lo guardavo sbuffando.

«Fa lo stesso, tanto “Grazie” l’hai comunque detto!» poi, alzandosi aggiunse: «Dove sono le medicine?»

«In bagno, lo sportello di sinistra» tornò poco dopo con in mano una scatolina. Presi l’aspirina e poi mi ristesi sul divano, sempre sotto lo sguardo apprensivo di Onew. In silenzio, cercai di ascoltare i suoni che provenivano dalla strada, mentre i raggi deboli del sole invernale si appoggiavano su di noi. Odiavo stare male, con tutta me stessa. Non riuscire a stare in piedi e non poter camminare per me era impensabile!

«Onew...» mi ritrovai a sussurrare dopo qualche attimo di silenzio, ormai fuori di me.

«Si?»

«Tu... sei davvero strano. Anche se continuo a cacciarti tu ritorni sempre. Non è normale» come estraniata dal mio corpo, sentivo la mia voce sussurrare quelle parole ma, forse a causa della febbre, non riuscivo a prendere il controllo sulla mia bocca.

«Lo prendo come un complimento?»

«Fai come vuoi» le palpebre, intanto, si facevano sempre più pesanti. «Mi ricordi tanto un cagnolino» aggiunsi prima di chiudere gli occhi del tutto. Nel silenzio della stanza, prima di addormentarmi, sentii la sua voce sussurrare “Tu mi ricordi un gattino ferito, invece”.

-

 

Note dell’autore.

Eccoci qua… Jihyun ha scoperto il “segreto” di Erin e la madre di Erin è entrata in scena… Le cose iniziano a farsi interessanti da qui in poi! :3

Questo capitolo non mi convince del tutto, ma dopo l’ennesima volta che lo cambio ho deciso di lasciarlo così e amen! Spero vi piaccia!

---

Too Fast To Live: Spero ti piaccia questo capitolo! La Onrin… mi piace come nome! *___* ahahah

_Eli Minho_: Grazie del complimento, non immagini quanto mi faccia piacere :3 Eeh, chi lo sa se è cotta… Vedremo!

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Capitolo 7
*** Chapter 7 ***


Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 7/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì 


 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
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Suddenly, all the animosity disappear.
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Love’s Way – SHINee

-

 

 

Ancora mezza addormentata, avvertii una mano posarsi sulla mia fronte e una voce sussurrare qualcosa d’incomprensibile. Mi sforzai ad aprire gli occhi, trovandomi davanti il viso preoccupato di Jihyun, che mi osservava sollevata. Mi trovavo ancora in salotto, dove la luce del sole era andata via del tutto, costringendo la mia amica ad accendere le luci.

«Hey... Come stai?» la sentii chiedere. Mormorai un “meglio” poco accennato, ricordando immediatamente quello che era successo ore prima.

«Onew?» chiesi senza pensarci tanto.

«E’andato via un’oretta fa, aveva da fare... E’ un ragazzo simpatico» mi alzai di scatto seduta, guardandola sorpresa. Aveva parlato con Onew?

«Hai parlato con Onew?»

«Era seduto di fianco a te quando sono rientrata, era ovvio che gli chiedessi cosa stesse facendo!»

«Cosa stava facendo?»

«Ti guardava» disse semplicemente sorridendo. Distolsi lo sguardo, sentendomi leggermente a disagio.  «Vado a cucinarti qualcosa» aggiunse poi alzandosi, e potrei giurare che, appena arrivata in cucina, avesse ridacchiato.

 

“L’aereo in arrivo da Los Angeles ha iniziato ora l’atterraggio sulla pista due”.

Alzai il viso verso l’auto-parlante, cercando di capire cosa stesse dicendo la voce meccanica. Era l’aereo di mamma, pensai alzandomi dalla panchina dove aspettavo. Il fatto che si fosse trasferita a Los Angeles dalla Florida mi aveva fatta pensare, ma la città era grande e non c’era che l’uno per cento di possibilità che si incontrasse con mio padre, dal momento che si odiavano, no? Lei diceva che era per motivi di lavoro, quindi non vi erano problemi.

«Dove sei?» chiesi rispondendo al cellulare qualche attimo dopo.

«Ho un cappotto rosso, mi dovresti vedere, cara»

«Bene. Nel caso, io sono l’unica ragazza bianca» risposi buttando giù. Mi strinsi dentro il cappotto, avviandomi verso la massa di persone accanto all’uscita. La vidi dopo qualche attimo, il cappotto rosso e una borsa nera sulle spalle. Sussultai, osservandola da lontano.

Era, a vederla, poco più alta di me. Calzava un paio di tacchi a spillo con disinvoltura, come se non avesse fatto altro nella vita; i suoi capelli erano lunghi e mossi, lasciati sciolti sulle spalle e il suo viso era uguale a quello dei miei ricordi, solo molto più stanco e vecchio. Alcune rughe le segnavano il volto truccato sapientemente, le labbra tinte di rosso erano appena socchiuse. I suoi occhi, azzurri come i miei, vagavano alla ricerca di sua figlia.

Alla ricerca di me.

Sentii una strana sensazione prendermi lo stomaco, mentre mi avvicinavo. Quella era mia madre, pensai felice, era lì per stare con me.

«Mamma!» esclamai. La vidi girarsi e sorridermi sorpresa. Per quanto lo permettessero i tacchi, aumentò il passo.

«Erin! Come sei cambiata!» appoggiò la borsa per terra, abbracciandomi forte. Sorpresa e interdetta, rimasi immobile, respirando il suo profumo.

«Forza, andiamo a prendere le valigie! E’ freddo qui a Seoul!» l’accompagnai a prendere le valigie, poi tornammo a casa con un taxi. Le feci conoscere Jihyun, educata e gentile come al solito, poi la lasciai in camera mia a riposarsi.

Il giorno dopo la portai a vedere Seoul e a fare shopping insieme. Quella situazione era così irreale che non riuscivo a capacitarmene, venivo trascinata da quelle nuove emozioni che sentivo mentre le parlavo… Per la prima volta nella mia vita sentivo di potermi fidare di lei, di mia mamma. Anche se mi aveva lasciato, ora era tornata, no? Mi voleva bene.

 

«Allora, come va con tua mamma?» mi chiese Onew al telefono dopo essersi lamentato della coreografia di una canzone con cui dovevano esibirsi. Gli avevo accennato la cosa qualche giorno prima, non pensavo se ne ricordasse!

«Bene. E’... strano avere una mamma»

«Immagino... Scusa, Erin, devo andare, iniziano le prove» lo salutai e poi allontanai il cellulare dall’orecchio, appoggiandolo sul tavolino di fianco a me. Mamma era uscita a fare una passeggiata da sola, mentre di là, in camera sua, Jihyun faceva le valigie. Il giorno dopo sarebbe partita. Entrai in camera sua, prendendo su due reggiseni caduti per terra.

«Ma quante valige hai?» borbottai osservando le tre valige appoggiate sul letto.

«Un po’!»

«Devi stare via un mese, non tre anni» feci notare sedendomi sul letto.

«Un mese e una vita, non cambia nulla! I vestiti sono quelli!» esclamò tirando fuori dall’armadio i vestiti estivi. «Aiutami a piegarli»

«Certamente, signora Rottermaier» borbottai prendendo però in mano un vestitino nero.

 

Senza che me ne accorgessi, erano già passate due settimane dall’arrivo di mia mamma in Corea, e una dalla partenza di Jihyun. Passavo le mie giornate tra lavoro e mia madre, ignorando persino la mia macchina fotografica, che giaceva ancora sul comodino, e Onew, con cui mi sentivo a volte per telefono.

Per il primo periodo, mia mamma si comportava come se fossimo sempre state insieme, come se non ci avesse davvero lasciato. Rideva con me, mi parlava dell’America, del suo fidanzato… mi portò fuori a cena in uno dei ristoranti più famosi di Seoul quando scoprii di non aver vinto il famoso concorso fotografico e aveva accennato ad affittare un appartamento qua a seoul per un po’… Insomma, faceva tutto quello che una madre dovrebbe fare.

Dopo la prima settimana, però, capii che c’era qualcosa che non andava. era sempre con il telefono in mano, ma si rifiutava di farmi ascoltare le sue conversazioni. Si rifugiava in un angolino e parlava concitatamente con qualcuno che non conoscevo. Poi, fingendo un sorriso, tornava da me e si comportava normalmente. Con il passare dei giorni, delle ore, era sempre più agitata e ansiosa, mi faceva spesso domande su cosa intendessi fare nel mio futuro e, sinceramente, non avevo la più pallida idea di cosa stesse succedendo.

 

«Jihyun, parliamo» mi disse una sera sedendosi su una sedia in cucina. Il suo viso sembrava sereno, ma potevo vedere dell’agitazione negli occhi e le sue labbra erano ristrette ad un filo immobile al centro del viso. Mi appoggiai al ripiano di marmo, aspettando.

«Sono qui da due settimane e fra poco dovrò tornare in America, lo sai?» la fissai perplessa. E l’appartamento che aveva intenzione di comprare? Decisi comunque di stare in silenzio. «Tu sei molto giovane, i ragazzi alla tua età vanno al college, non lavorano e-»

«Mamma vai dritta al punto» mormorai.

«Ok, mettiamola così» disse dopo una piccola pausa, con una voce ferma e severa, così diversa da quella dolce, solita. «Tuo padre mi ha contattato. Vuole che tu torni in America e che studi per diventare avvocato. Io sono d’accordo»

-

 

Note dell’autore.

Ok, il capitolo è davvero, davvero cortissimo. Ma prometto di postare domani, in modo da rifarmi! Non mi convince per niente questo capitolo… In pratica non succede nulla, e non volevo fare la cronaca di tutti i giorni passati insieme alla madre di Erin, così ho preferito fare un salto temporale.  n__n

---

Chihiro02: Grazie, davvero. Non mi sarei mai aspettata tutti questi complimenti! Il fatto della suspance era quello che mi preoccupava di più, avevo sempre paura di fermarmi al momento sbagliato (??). Sono contenta di esserci riuscita nel modo giusto! :D

_Eli Minho_: Sono contenta che ti piaccia! :3 Ah, immaginavo fosse ovvio… Vabbè, ormai l’ho scritto! Spero che ti sia piaciuto questo capito!

 

 

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Capitolo 8
*** Chapter 8 ***


Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 8/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì

 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.

Love’s Way – SHINee

 

-

 

 

«Tuo padre mi ha contattato. Vuole che tu torni in America e che studi per diventare avvocato. Io sono d’accordo»

 

Questo non era quello che mi aspettavo.

 

La guardai, spalancando gli occhi. Si era sentita con mio padre? Da quando? E perché?

«Sei venuta qui solo per… costringermi?» chiesi sbalordita.

«Non saresti mai venuta se avessi cercato di convincerti solo a parole» disse semplicemente.

«Da quanto?»

«Cosa?»

«Da quanto tu e quello vi divertite a giocare con me? Da quanto avete deciso di ingannarmi in questo modo, eh?» sibilai stringendo il bicchiere d’acqua che avevo in mano.

«Tutta questa storia della Corea, del trasferimento... non capisci che ti stai rovinando la vita? Non andrai mai da nessuna parte se rimani qui! Tu tornerai in America e diventerai una manager come tuo padre, siamo chiari?!»

«Cos- Ma chi cazzo sei tu per giudicare quello che faccio! Io resterò in Corea! Tu… tu sei venuta qui solo per… hai fatto tutta la carina solo per convincermi!»

«Giusto, chi sono?! Di certo non tua madre! Sono contenta di essermi liberata di te! Io non ti ho mai voluto, sia chiaro! Hai sempre cercato di rovinarmi la vita!»

 

Era contenta di essersi liberata di me.

Era contenta di non avermi per figlia.

Non mi voleva.

La sua voce rimbombava nella mia mente, mentre abbassavo gli occhi. Quindi tutto quello che aveva fatto in quelle due settimane era... falso. Lei non mi voleva bene, non me ne aveva mai voluto.

Mi odia.

 

«Scommetto che tu ti sia divertita a giocare alla mamma premurosa e gentile, eh?» sbottai buttando a terra il bicchiere. I pezzi di vetro si sparsero per tutta la stanza, mentre io e mia madre, in piedi l’una di fianco all’altra, ci guardavano furenti.

«Si, è stato abbastanza divertente, in effetti. Ma ora il gioco è finito»

«E io che ci era pure cascata, ti avevo creduto... Dio, che stupida! Avrei dovuto capirlo!» urlai avviandomi verso la porta. Mia madre mi afferrò il polso, stringendo. «Lasciami!»

«No!» la sentii urlare prima che la sua mano schiaffeggiò forte la mia guancia. Rimasi immobile, cercando di capire cosa fosse successo.

«Vai a fanculo» sibilai liberandomi dalla sua stretta e scappando via.

 

Correvo da almeno dieci minuti tra quelle strade. Sentivo le lacrime scendere velocemente dagli occhi, ma non ci facevo caso: volevo solo scappare via.

Mi aveva tradita. Io mi ero fidata di lei, avevo addirittura pensato di poter riallacciare i rapporti e vivere come una normale famiglia e invece era tutta una farsa.

Mia madre in verità mi odiava e mi aveva ricontattato solamente per riportarmi in America.

Ed io, come una stupida, ci ero cascata. Avrei dovuto pensarci due volte prima riparlare con quella donna, prima di... fidarmi e affezionarmi a lei. Ero davvero un’idiota, un’incapace.

Mi fermai di scatto davanti ad una torre che conoscevo bene. Seoul Tower. C’ero stata due giorni prima con lei. Senza pensare a nulla entrai, precipitandomi nell’ascensore.

Ultimo piano.

Quando uscii sulla terrazza, una ventata d’aria sferzò violentemente il mio viso, scompigliandomi i capelli. Ero andata lì con l’intento di prendere una boccata d’aria, ma come fossi ipnotizzata, mi avvicinai al parapetto, guardando giù. Le strade, le persone, le macchine... tutto era così piccolo, così insignificante.

Un salto e avrei potuto farla finita.

 

“Sono contenta di essermi liberata di te! Mi rovinasti la vita quando nascesti!”

 

Mi sedetti sul parapetto tremando. Non avrei dovuto fidarmi di lei.

«Sarai contenta ora...» sussurrai silenziosamente.

«Che cazzo combini?! Erin!» mi girai lentamente verso chi aveva parlato. Onew correva verso di me, con l’espressione più spaventata che avessi mai visto.

«Oh, ciao» mormorai, ormai fuori di me, tornando a guardare il vuoto sotto di me.

«Erin, scendi! Ora!» lo ignorai. «Erin, per favore, guardami! Non fare cazzate!»

«A lei... Farebbe piacere» dissi senza ascoltarlo.

«No! Erin, guardami! Per favore! Io...» mi girai verso di lui quando sentii un singhiozzo mal trattenuto. I suoi occhi erano lucidi, le sue guance bagnate. Mi guardava spaventato, le braccia tese verso di me. «Per favore, non lo fare. Pensa a Jihyun, pensa a me! Proprio non t’interessa? Tutto si può sistemare se scendi. Ci sarò io per te, però per favore, non lo fare, qualunque sia il motivo. Per favore, per favore... Io non... Sei importante per me!»

“Già, Jihyun. a lei proprio non avevo pensato. Probabilmente si arrabbierà, visto che non l’ho ancora accompagnata ad un concerto degli SHINee. E ho lasciato la porta aperta… E Onew... nemmeno a lui avevo pensato. Sta piangendo, sembra spaventato. Fa male vederlo così... forse dovrei consolarlo.”

In un attimo, non so come, mi ritrovai tra le sue braccia, che mi stringevano troppo forte. Non dissi nulla, anche se faceva male. Andava bene così. Lo sentivo piangere sommessamente, mentre io avvolsi le mie braccia attorno alla sua schiena, stringendo a mia volta. Senza rendermene conto iniziai a piangere, singhiozzando senza ritegno.

 

Seduta sul sedile della sua macchina, guardavo passare davanti ai miei occhi le luci della città, in silenzio.

 

Ero stanca.

 

Non ricordavo che piangere fosse così stancante, ed io di lacrime ne avevo versate tante in quei minuti. La mia mente continuava a riportarmi alla mente quei momenti, quasi a farmi capire fino in fondo cosa stavo per fare nemmeno un’ora fa. Al pensiero, un lungo e scomodo brivido oltrepassò la mia schiena, facendomi tremare.

Non so cosa mi era preso.

Non volevo saltare veramente, ora che ci pensavo, ma in quel momento… guardando giù tutto mi era sembrato giusto. Era stato come risvegliarmi da una trance quando Onew mi aveva preso tra le sue braccia.

Improvvisamente riconobbi la strada vicino a casa mia e tremai ancora, più a lungo. Non volevo tornare lì.

«Onew... Dov-»

«Prendiamo i tuoi vestiti e andiamo a casa tua. Finché Jihyun non torna tu stai da me» dichiarò atono fermandosi davanti casa.

«S-Sali tu» dissi «Al posto mio»

«No, ti accompagno» mi precedette, entrando velocemente in ascensore, poi si appoggiò a una delle pareti, chiudendo gli occhi. Sembrava si trattenesse dal picchiare qualcosa o qualcuno. Era arrabbiato con me? Non feci in tempo a pensarci: appena uscimmo dalle porte dell’ascensore, mi ritrovai davanti mia madre, valigie in mano e cappotto addosso.

«Che ci fai qui? Già di ritorno dalla tua corsetta?» aprii la bocca ma nessun suono ne volle sapere di uscire. Lei continuò. «Me ne vado. Dal momento che non vuoi venire, e visto che ho perso tempo stando per due settimana in questo buco, preferisco tornare nella mia villa a LA. Te la vedrai con tuo padre, da sola. E questo chi è? Il tuo fidanzatino? Sei andata a consolarti da lui?»

«Lui è-»

«Un suo caro amico. Piacere signora. Ora, con il suo permesso, noi dovremmo passare» mia madre fece un passo in avanti verso di lui, squadrandolo furiosa. Lui era impassibile, non riuscivo a capire da dove prendesse tutta quella sicurezza.

«Senti ragazzino, fai poco l’arrogante con me, ok? Il mio compagno è un avvocato»

«Oh, davvero?» esclamò mettendosi le mani in tasca «Io conosco più o meno una trentina di avvocati e lavoro per una delle agenzie più importanti della Corea. Oh, per non parlare poi del fatto che sono conosciuto in tutta l’Asia. Non penso sia opportuno mettersi contro di me, sappiamo tutti e due che come finirà. Ora, con permesso... Buona serata signora, le auguro un buon rientro a casa sua. E avverta il suo ex marito di non importunare più Erin. Andiamo»

Il suo discorso era stato... wow.

Non avevo mai, e ripeto mai, visto Onew parlare in quel modo. Persino mia madre era rimasta senza fiato. Io lo seguii, sbalordita, aprendo la porta.

«Quello era...»

«Scusami. Quella donna mi irritava... Presto, prendi le tue cose»

«...Il discorso più convincente che abbia mai sentito da te» proseguii voltandomi verso di lui «Onew, hai guadagnato qualche punto» aggiunsi poco dopo. Speravo di sentirlo ridacchiare come aveva sempre fatto, ma ciò non accadde. Rimase seduto sul divano, accennando ad un debole sorriso che sparì dopo qualche attimo. Decisi di passarci sopra e corsi in camera mia. Da dove ne riemersi dieci minuti dopo, con lo stretto necessario pacchettato in un borsone.

«...Sono pronta» sussurrai.

«Bene» si alzò, osservando la mia borsa «Un po’ poco per quello che dovrai starci. Vabbè, torneremo domani» poi mi diede le spalle, avviandosi verso la porta.

«Onew!» lo fermai «Ti... ho fatto arrabbiare?»

«Cos- perché me lo chiedi?»

«Sembri in procinto di picchiare qualcuno e non sorridi da quasi un’ora» mormorai semplicemente. Lui si avvicinò a me, prendendo la mia borsa dalle mie mani.

«No. E’ solo che... continuo a rivederti sul quel parapetto e, credimi, non è una bella immagine. Mi hai fatto preoccupare da morire, Erin»

Lo guardai, in silenzio. Ora sorrideva, ma il suo viso era stanco e preoccupato, ed io non avevo la più pallida idea di cosa fare. Avrei dovuto... abbracciarlo? Magari consolarlo? Era colpa mia se si sentiva così, ma non avevo mai consolato una persona in vita mia.

«Io...»

«Non ti preoccupare, ora andiamo» annuii, seguendolo fuori. E ancora una volta non ero riuscita a farmi perdonare o a calmarlo.

Questa cosa iniziava a darmi i nervi.

 

«Ci saranno anche gli altri, uhm... dentro?» chiesi mentre apriva la porta.

«Sì, ma non ti preoccupare, saranno felici di averti qui. Entra, su» feci come mi aveva detto, ritrovandomi dentro l’appartamento dov’ero stata qualche settimana prima. Tutto era come lo ricordavo e, stranamente, mi sentivo al sicuro. Come a casa.

«Jinki hyung, sei tu?» sentimmo urlare dalla cucina. Altre voci stavano ridacchiando in salotto, con la tv accesa.

«Sì, e abbiamo un’ospite!»

«Così Jinki è il tuo nome...» sussurrai girandomi verso di lui. Stupita, realizzai il fatto che, per tutto quel tempo, non avevo fatto altro che chiamarlo con il suo falso nome.

«Sì, ma preferisco che tu mi chiami Onew. Jinki non mi piace» rispose appoggiando la mia borsa a terra e togliendosi il giubbotto.

«A me sì» ammisi. Nel frattempo sentimmo dei passi affrettati venire verso di noi. Alzai lo sguardo, ritrovandomi davanti Kibum, quello strano, e il più piccolino. Kibum aveva addosso una tuta e aveva in mano una tazza da dove proveniva un profumo invitante, mentre il piccolino –che non aveva più i capelli lunghi come i miei!– era in pigiama. Entrambi mi fissavano, stupiti.

«C’è stato... qualche contrattempo. Per un po’ resterà qui da noi, ok? Solo qualche settimana» esordì Jinki avvicinandosi a me.

«Oh, nessun problema! Può dormire nella stanza del manager, visto che se n’è andato!» Kibum si avvicinò a me, appoggiando la tazza su un tavolino per poi prendermi le mani tra le sue. Un po’ a disagio, rimasi immobile. Ma da dove prendeva tutta l’energia, questo qui? Era l’una di notte! «Erin, giusto?»

«ehm... sì»

«Io sono Kibum!»

«Io sono Taemin! Sei più grande di me, vero? Posso chiamarti noona?»

«Io...»

«Ragazzi, lasciatela in pace! E’ stanca» ridacchiò Onew. «Andiamo, Erin? Ti faccio vedere la stanza» lo seguii su per le scale in silenzio, mentre dietro di noi i due ragazzi stavano bisbigliando tra di loro.

 

«Ok, la mia stanza la ricordi, no? E’ quella di fianco a questa»

«Sì»

«Erin?»

«Sì?»

«Sei sicura che...»

«Cosa?»

«Che tu voglia dormire da sola? Non hai... paura?»

«No. Jinki, non ti preoccupare»

«Ok... io vado»

«Jinki?»

«Sì?»

«...Grazie»

Mi sorrise, poi sparì come un fantasma dietro alla porta. Io mi stesi sul letto. Probabilmente ora era in salotto a spiegare tutto ai ragazzi e domani tutti avrebbero saputo che avevo tentato di... Al solo pensiero tremai, impaurita per quello che avrei potuto fare. Ora stavo bene, ma nelle ore precedenti tutto era accaduto come se quella che si muoveva non fossi io, come se qualcun altro stesse manovrando la mia mente e il mio corpo.

Il fatto che mia mamma avesse architettato tutto insieme a mio padre ora non mi scioccava più di tanto. Mi ero lasciata trasportare dalle emozioni per quelle due settimane, era tutta colpa mia se era successo tutto quello.

«Ora basta, meglio dormire» mi lavai, mi misi il pigiama e mi rifugiai sotto le coperte, cercando di prendere sonno.

 

Correvo, ansimavo. Dove diavolo ero? Continuai ad avanzare, finché non mi ritrovai in un posto familiare. Realizzai poco dopo che quella era la terrazza dove avevo cercato di buttarmi giù. Dovevo allontanarmi, dovev-

Due paia di mani mi tenevano ferma, immobile.

«Perché non finisci quello che hai cominciato, Erin?» sentii Onew sussurrare malignamente.

«Potevi anche andartene, ormai non interessi più a nessuno»

 

“Dovresti buttarti giù, Erin”

“Erin, vattene da casa mia”

“Buttati giù”

“Credi davvero di essere importante?”

“Smorfiosa”

 

-

 

Note dell’autore.

Com’è che era? Aggiorno domani? LOL

So a cosa state probabilmente pensando… Perché l’autrice ha deciso di infilare un tentato suicido dal nulla? La risposta è che… Non lo so! XD Non ho la più pallida idea di quello che stavo pensando in quel momento, ma ho deciso comunque di lasciare così, anche perché non avrei saputo come sviluppare tutta la storia altrimenti…

Spero che vi sia comunque piaciuto!

Chihiro02: Grazie di nuovo! Ho un debole per le povere ragazze con mille disavventure, se non si è notato! XD

Chrome_th: Queste madri devono smettere di rovinare i sogni alle ragazze LOL (??)

Too fast to live: Ti capisco n___n Sì, ha 18 anni!

_Eli Minho_: I suoi genitori li odio pure io che li ho scritti (??). Mi sa che a quanto stronzaggine (ma esiste questa parola, almeno?) ho fatto un buon lavoro! XD

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Capitolo 9
*** Chapter 9 ***


Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 9/?
Desclaimer: Gli SHINee non mi appartengono ma Key sì

 

This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
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Our love can’t be pulled apart.

Love’s Way – SHINee

 

 

 

Mi sedetti di scatto sul letto, sbarrando gli occhi.

«Solo un sogno...» sussurrai toccandomi le guance. Piangevo ancora. «Era solo un sogno»

C’erano tutti, lì. Jihyun, Jinki, mia madre, mio padre, i miei vecchi compagni di classe, gli SHINee, il signor Park... erano tutti a guardarmi, su quella terrazza. Mi incitavano a buttarmi, a uccidermi e, per quanto potesse essere impossibile, era dannatamente reale, tanto che pareva di sentire ancora il tocco delle loro mani sulla mia schiena, mentre mi spingevano.

Le lacrime continuavano a scendere, mentre la casa era immobile, silenziosa. Dormivano tutti, a quell’ora. Non volevo restare in quella stanza un secondo di più, non da sola.

Mi alzai, cercando di smettere di piangere, senza però riuscirci. Uscita dalla mia camera, entrai velocemente in quella di fianco, dove Onew dormiva placidamente. Mi avvicinai.

«Onew... Onew» scossi leggermente la sua spalla finché, dopo qualche attimo, i suoi occhi si aprirono leggermente. Si mise seduto, accendendo l’abat-jour sul comodino.

«Erin, hai biso- Hey, che hai fatto?»mi chiese notando le lacrime.

«Posso... dormire con te?» sussurrai.

«Oh... S-sì, certo. Vieni» alzò le coperte, io scivolai al suo fianco. Spense la luce e, inaspettatamente, le sue braccia mi avvolsero, avvicinandomi al suo corpo. Con gli occhi spalancati, mi paralizzai per qualche secondo poi, trattenendo un piccolo sorriso, mi sciolsi. Mi sentivo deliziosamente vulnerabile lì, tra le sue braccia, come mai lo ero stata. Era una sensazione del tutto nuova, ma mi piaceva. Quella sera, mi dissi, potevo permettermi di essere vulnerabile.

 

 

«Jong! Non toccare i miei pancakes!»

«Ho fame!»

«Ma che cavolo...?» con gli occhi ancora socchiusi cercai di capire cosa stesse accadendo. Seduta sul letto, mi guardai attorno. Era mattina, piuttosto tardi, a giudicare dalla luce che illuminava completamente la stanza di... Onew. Mi girai velocemente verso il ragazzo steso accanto a me, che nel frattempo mormorava qualche imprecazione. Deglutii preoccupata: agli occhi degli altri come sarebbe apparsa questa scena?

Avrebbero sicuramente pensato male!

«Jinki, i tuoi amici non stanno mai zitti?» borbottai  alzandomi in piedi.

«Ma che ne so... Sono le dieci, di solito ancora dormono!» rispose strofinandosi gli occhi. Buttai un occhio sui suoi vestiti, cercando di non farmi vedere. Un paio di pantaloni della tuta lunghi e una di quelle canottiere così attillate che risaltano ogni singolo muscolo presente e che, dovevo ammetterlo, a Onew stava decisamente bene.

«Mettiti una felpa. Prenderai freddo» mormorai mentre cercavo di distogliere lo sguardo.

«Non ho freddo! Stai bene tu?»

«Sì... Scusa per ieri» aggiunsi dopo. Mi sentivo in colpa per averlo svegliato nel pieno della notte.

«Non ti preoccupare. Vieni, andiamo di sotto» annuii, seguendolo.

 

Pancakes!

Io AMO Kibum.

Da quanto non li mangiavo? Almeno quattro mesi, sicuramente! Jihyun non era capace di cucinarli, ed io non sono mai stato un asso in cucina, così avevo dovuto rinunciare a uno dei miei piatti preferiti, rimpiazzandoli con normali cereali appena arrivata in Corea.

“Iniziano a starmi simpatici. 100 punti per Kibum, il ragazzo strambo!”

«Buon giorno, lovebirds

“200 punti in meno per Kibum, il ragazzo rompiscatole. Ritiro tutto quello che ho detto prima”

Lo fulminai con lo sguardo, mentre l’altro ragazzo presente ridacchiava sotto i baffi.

«Ok, scusate, ritiro quello che ho detto» borbottò.

«Dormito bene, Erin?» mi chiese... «Jonghyun. Sono Jonghyun»

«Sì» non feci in tempo a sedermi accanto a Onew che avvertimmo un forte rumore di passi giù per le scale. Un attimo dopo, dalla porta della cucina, apparve il più piccolino, ancora assonnato.

«Ciao Hyung. Buongiorno noona!» si sedette al mio fianco, osservandomi insistentemente con un sorriso ingenuo. «Dormito bene?»

«Sì» mi ritrovai a dire per la seconda volta.

«Sono Taemin!»

«Piacere» mi guardai attorno, perplessa. Mancava uno SHINee all’appello! «E, ehm... quello alto dov’è?»

«Dorme» disse semplicemente Jonghyun «Appena saprà che non ricordi i nostri nomi si metterà a piangere dalla gioia!».

«Non dovrebbe essere il contrario?»

«No, fidati! A lui non piace essere riconosciuto! E nemmeno a tutti noi» mi rispose.

«Non riesco nemmeno a fare shopping in santa pace» aggiunse Kibum.

«E a scuola mi odiano tutti!» finì Taemin con un boccone di pancake in bocca.

«In che senso?» ero curiosa, come si potrebbe odiare un ragazzo del genere? Persino ai miei occhi appariva simpatico!

«Le ragazze mi trattano come se fossi un alieno e i ragazzi m’isolano! E si lamentano se sto da solo!» rimasi a fissarlo per un attimo: qualche anno prima, alle superiori, anche io venivo emarginata da tutti. Provai una sorta di cameratismo per quel ragazzo che si trovava nella mia stessa situazione.

«Onew» esordii dopo aver deglutito. Puntai la mia forchetta verso Taemin, leggermente spaventato e preoccupato «Questo ragazzo mi piace» dichiarai per poi tornare a mangiare. In un attimo tutti a tavola scoppiarono a ridere.

«Abbiamo da fare oggi?» chiese dopo un po' Onew.

«Io, Taemin e Jonghyun dobbiamo fare un photoshoot. Tu non hai nulla da fare»

«Perfetto!» esclamò girandosi immediatamente verso di me.

«Non uscirò con te, ho da fare» dissi semplicemente sapendo già cosa mi aspettava.

«Cosa?»

«E' tanto che non faccio qualche scatto e voglio passare la giornata fuori Seoul» ribattei infilando un altro boccone di pancake in bocca.

«Bene, vengo con te!»

«No che non vieni!»

«Non voglio stare solo con Minho!»

«Vai a farti un giro allora»

«Appunto, farò un giro venendo con te!»

«Ma perché devi sempre insistere

«Perché tu sei cocciuta!»

«Ma senti chi parla»

«Ragazzi...»

Mi girai verso Jonghyun, che a sua volta ci fissava insieme agli altri, trattenendo le risate. Mi accorsi solo qualche attimo dopo che il mio viso era pericolosamente vicino a quello di Onew. Nella "disputa", senza pensarci, i nostri due corpi si arano avvicinati l'uno all'altro in una posa decisamente compromettente. Mi allontanai immediatamente, abbassando lo sguardo. Onew ridacchiò semplicemente.

«Comunque vengo, tanto hai bisogno di un passaggio»

«Andrò in autobus, e lì non puoi salire!»

 

Ovviamente, alla fine, Onew era venuto con me.

Avevo passato la giornata a camminare per le stradine di un piccolo paesino appena fuori Seoul, con Onew che mi seguiva, fedele come un cagnolino. Eravamo tornati a casa la sera tardi, dopo essere passati a prendere le ultime cose che avevo lasciato nell’appartamento di Jihyun. Decisi di non raccontare quello che era accaduto alla ragazza. Era molto sensibile e paranoica, non volevo rovinarle un intero mese di vacanza per una mia cazzata.

 

Svegliarmi, il Lunedì mattina, fu più facile del solito, grazie all'odore di pancake e alla voce di qualcuno che canticchiava qualcosa. Mi lavai, mi vestii velocemente e poi scesi in cucina, dov'erano già tutti a tavola, anche loro vestiti.

Mangiammo in fretta, per poi uscire quasi correndo: loro avevano una registrazione di qualche programma, io avrei dovuto aiutare il signor Park con un nuovo photoshoot. Passai tutta la mattinata con il signor Park, che non vedevo da tanto tempo, e mi fu concesso di fare qualche scatto ai modelli, questa volta, grazie al cielo, non idol.

Erano più o meno le due del pomeriggio quando il signor Park venne a chiamarmi. Stavo mangiando distrattamente un panino seduta alla mia scrivania, quando lui entrò, salutandomi allegro.

O, per lo meno, era così che voleva apparire.

I suoi occhi mi guardavano pensierosi, il suo sorriso era triste. Io ricambiai il saluto con un cenno, finendo di deglutire il boccone.

«Come va?» mi chiese sedendosi sulla sedia della mia compagnia, uscita per mangiare.

«Signore, ci siamo visti due ore fa, lo sa come sto. Cos'è successo?» dissi puntando il mio sguardo su di lui, che deglutì.

«Non ti scappa proprio nulla, eh? Beh, poco male, ti servirà in futuro questa dote»

«Di cosa sta parlando?» chiesi curiosa. Non avevamo mai fatto discorsi del genere, che gli prendeva tutto d'un tratto? I suoi occhi si fecero più malinconici, il suo sorriso scomparve.

«Vado in pensione, dalla prossima settimana. Mia moglie sta ancora male e voglio starle accanto» sorpresa, cercai qualcosa da dire.

«Oh, è... Una bella cosa, no? Cioè… Potrà stare con sua moglie» era vero. Ma allora perché sembrava preoccupato?

«Erin, non hai capito, se me ne vado, il mio posto sarà vacante. Ne ho parlato con il capo e, beh, prenderai tu il mio posto. Congratulazioni!»

Oh, ecco perché.

 

Note dell’autore.

Nuovo capitolo! Le cose tra Onew e Erin iniziano a farsi interessanti… :3 Spero vi sia piaciuto questo capitolo!

Tay98: Sono contenta che ti piaccia la storia! :)

Chrome_th: Grazie al cielo… non è sembrato troppo avventato?

Too fast to live: Sì, si è capito! :3 No vabbè Onew che la butta giù, oddio XDD Sarebbe stato il massimo!

Shinee: A quanto pare qualcosa si sta sbloccando… *u*

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