The soap called love di FunnyBunny (/viewuser.php?uid=84587)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***
Capitolo 8: *** Chapter 8 ***
Capitolo 9: *** Chapter 9 ***
Capitolo 1 *** Chapter 1 ***
The soap called love
Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 1/?
Desclaimer: Gli
SHINee non mi appartengono ma Key sì
This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.
Love’s
Way –
SHINee
Secondo
piano… terzo… quarto…
Strinsi
tra le mani l’ingombrante borsa appoggiata sulla mia spalla
destra, cercando di
calmarmi, e ringraziai il cielo che nessuno potesse vedermi in quello
stato.
Ancora
non riuscivo a crederci… Il mio primo servizio fotografico!
Beh, non che
dovessi fare molto: avrei aiutato il signor Park con
l’attrezzatura e scattato
qualche foto. Era comunque considerato come un servizio fotografico,
no?
Uscii
di fretta dall’ascensore e mi diressi verso la grande porta
davanti a me. Il
signor Park era già lì a sistemare le varie
attrezzature, ma i modelli -o le
modelle- non erano ancora presenti. In effetti, ora che ci pensavo,
quella
mattina avevo accettato così in fretta la richiesta di aiuto
del signor Park
che non mi ero nemmeno informata un po’.
Poco male, pensai, li vedrò dopo.
Mezz’ora
più tardi, quando ormai io e il signor Park avevamo messo al
proprio posto
tutte le attrezzature, entrarono finalmente i modelli. Alzai lo sguardo
ma mi
bloccai un secondo dopo, pietrificata.
Non
erano normali modelli, no. Quelle
erano
le stesse persone raffigurate sui poster nella camera di Jihyun, e su
più o
meno tutti i giornaletti di gossip esistenti in Corea. Gli SHINee, mi
ritrovai
a pensare meravigliandomi di ricordare persino il loro nome. Li fissai
discretamente mentre salutavano a mano a mano tutte le persone presenti
nella
stanza. Alla fine della loro processione di saluti e inchini arrivarono
a davanti
al signor Park e me.
3…
2… 1…
Le
bocche dei ragazzi si spalancarono a una a una, fissandomi come se
fossi una
sottospecie di aliena. Non si degnarono nemmeno di nascondere la loro
curiosità
e il loro stupore, proprio come tutte le persone che incontravo.
«Non
sapevo dovessimo fare le foto con una modella occidentale!»
Esclamò il più
basso. «Anche se potevate vestirla
meglio…» aggiunse osservando i miei jeans
attillati e la mia felpa normalissima.
«Senti
chi parla» borbottai fissando sprezzante i suoi pantaloni
verdi fosforescenti
attillati e la sua maglia colorata. «Iniziamo
signore?» chiesi allontanandomi
dai ragazzi. Li sentii ridacchiare quando il signor Park mi
presentò come sua
lunatica assistente.
Bambini
viziati, i soliti egocentrici, pensai legandomi i capelli in una coda.
Finalmente
il photoshoot iniziò. Il signor Park diceva sempre che io e
lui pensavamo sulla
stessa lunghezza d’onda, così quando
c’ero io come assistente lasciava il
compito di sistemare le luci a me, evitando di chiamare altre persone.
Non era
molto, ma almeno riuscivo a rendermi utile e ad allontanarmi dalla mia
scrivania al quinto piano.
Park
Seung Bae -signor Park per me- era un uomo che ammiravo tanto. Si era
fatto
strada lentamente, partecipando a concorsi su concorsi, fino ad
arrivare
finalmente ad essere il fotografo principale della Samsung. Fin dai
primi
giorni mi prese sotto la sua ala, insegnandomi trucchi e tecniche che
non avrei
imparato in nessun corso di fotografia e gliene fui immensamente grata.
Inoltre
parlava decentemente inglese, quindi, anche se il mio coreano non era
perfetto,
ci capivamo benissimo. Era l’unica persona con cui mi sentivo
a mio agio da
quando ero lì in Corea. Beh, oltre Jihyun, ma lei era
un'altra storia.
«Erin!»
urlò il signor Park. «E’ il tuo
turno!» eccitata come non mai, lasciai lì lo
scatolone che avevo in mano e corsi dall’uomo al centro della
sala.
«Fai
primi piani sui visi con i cellulari e dal torso in su. Non mi deludere
eh!»
«Si
signore!» presi la macchina fotografica osservando il ragazzo
davanti a me.
Doveva essere Minho, o almeno così lo avevo sentito
chiamare. Il più bello tra
i cinque, dovetti ammettere.
Dopo
i primi scatti mi rilassai, immergendomi completamente nel mio compito.
Sentivo
gli occhi degli altri ragazzi su di me, ma non me la presi
più di tanto: io,
dopotutto, ero l’occidentale, quella dai tratti strani e dai
capelli biondo
naturale, era normale che mi squadrassero. Nel mese precedente la gente
non
aveva fatto altro che fissarmi indiscretamente, sia per strada sia al
lavoro, fregandosene
altamente di essere educati.
«Beh,
penso abbiamo finito. No, signor Park?» decretai quando anche
l’ultimo ragazzo
si allontanò.
«Sì.
Direi che hai fatto degli ottimi scatti!» annuii grata e
iniziai a mettere via
tutte le attrezzature, in silenzio. Normalmente quel lavoro spettava
agli
addetti, ma non avevo meglio da fare, così iniziai e
spostare i faretti in un
angolo e a richiudere nelle varie scatole i veri oggetti.
«Erin»
Mi richiamò l’uomo dopo qualche minuto. Nella
stanza eravamo rimasti solo noi
due, segno che gli SHINee se n’erano già andati
«Andiamo a mangiare qualcosa al
bar… vieni?» Scossi leggermente la testa
«Come immaginavo… beh, oggi pomeriggio
ci sono le riprese del CF al piano 3… se hai voglia vieni a
dare un occhiata! Ciao»
Certo
come no.
«Adesso
m’infilo in un angolo, mi mangio il mio panino e appena
fini-»
«Ciao!
Sei la fotografa di prima! Com’è che ti
chiami… Erin, vero?!»
Oddio.
Come
non detto.
Alzai
lo sguardo verso il leader degli SHINee, appena entrato
nell’ascensore. Gli
scoccai il mio sguardo più infuocato evitando di
rispondergli.
«Si…
evidentemente si…» lo sentii mormorare
«Hey, vuoi mangiare con noi? Restiamo
qui e-»
«Ho
da fare. Arrivederci»
risposi freddamente uscendo dalle porte di metallo. Grazie a dio di
nuovo sola!
Non
ero mai stata molto sociale. Anzi diciamo pure che, a parte il signor
Park e Jihyun,
la presenza di altre persone per me era del tutto inutile. Crescendo in
una
casa immensa, sempre sola, si impara ad apprezzare la propria compagnia
più di
qualunque altra cosa.
Decisi
di non prendere un altro ascensore per evitare di incontrare qualche
altro membro
degli SHINee un po’ troppo insistente, così scesi
le ultime due rampe di scale,
percorsi un lungo corridoio e, oltrepassata una porta blindata, mi
ritrovai
nello spiazzo dietro il palazzo. La descrizione che mi era stata fatta
di quel
posto appena arrivata era “spazio dedicato ai momenti di
ricreazione”. Ovviamente
le persone preferivano passare il tempo in posti più
allegri, quindi con il
passare degli anni era diventato una specie di magazzino
all’aperto, con grandi
muri che impedivano la vista ai palazzi circostanti, un grande cancello
che
dava sul parcheggio e varie cianfrusaglie accatastate in un angolo. Squallido, ma almeno potevo avere un
po’
di privacy. Mi sedetti su un oggetto non identificato attaccato al
muro,
sbocconcellando in silenzio il mio panino.
Chissà
se avevo il permesso di rivelare a Jihyun che avevo conosciuto gli
SHINee… Beh,
probabilmente glielo avrei detto comunque, sia con il permesso che
meno. “Come
minimo mi terrà il muso un mese perché non gli ho
portato i loro autografi”,
pensai ridacchiando. Poteva scordarseli, comunque, non sarei mai e poi
mai
andata a elemosinare uno scarabocchio su un pezzo di carta, nossignore.
Ma
chi cavolo me lo stava facendo fare… il mio orgoglio
scalciava, ordinando di
fare retromarcia e di avviarmi in libreria, ma decisi di ascoltare la
mia parte
“gentile”. A Jihyun avrebbe fatto piacere, e
così io mi sarei sentita un po’
meno colpevole ad approfittare della sua gentilezza, vivendo nel suo
appartamento con lei. Però la figura di merda che avrei
fatto… No! Scossi la
testa, abbassano la maniglia della porta per poi scivolare in un angolo
della
stanza senza farmi notare.
Gli
SHINee erano al centro di una stanza, e stavano parlando a una
telecamera,
mentre un gruppo di persone era attorno a loro. Aspettai con calma -ma
anche
no- che gli dessero qualche minuto di pausa, preparandomi un discorso
il più
possibile convincente e non imbarazzante.
“OK!
È il tuo momento! Forza, forza!”
“Ma
cazzo combini, scema! Torna in libreria!”
I
cinque ragazzi si erano seduti su delle sedie ripassando su un foglio
le poche
righe che avevano. Non si erano accorti di me. Prendendo un grande
respiro
avanzai velocemente verso di loro, sperando che il manager non mi
prendesse per
una fan girl. Jihyun mi aveva fatto vedere un video piuttosto
inquietante, dove
metteva KO una fan. Non ci tenevo a fare quella fine, proprio no.
«Ehm…»
feci a bassa voce. Si girarono contemporaneamente verso di me, con
espressioni
interrogative «Devo chiedervi un favore…»
«Dicci…»
«La
mia coinquilina è un po’… un
po’ tanto… innamorata di
voi…» borbottai evitando
di posare lo sguardo su di loro. «Quindi se viene a sapere
che vi ho conosciuto
ma non vi ho chiesto un autografo… mi uccide. Mi serve un vostro autografo» Ecco
fatto, sganciata la bomba.
«Oh,
ok! Certo!» esclamò prontamente Onew. Portai
subito lo sguardo su di lui,
spalancando gli occhi. Mi aveva risposto come se l’incontro
di qualche ora fa
non fosse accaduto! «Hai un foglietto e una penna?»
Annuii, tirando fuori il
necessario.
«Si
chiama Jihyun» borbottai guardandomi in giro. Il manager era
intento a parlare al
telefono in un angolo.
Salva,
per ora.
«Chi
è il suo preferito?» chiese il più
piccolino, quello con i capelli lunghi come
i miei, mentre scriveva il suo nome.
«Ehm…
lui penso, ha un casino di poster e foto in giro per la sua
stanza» indicai Minho,
che arrossì, mentre prendeva in mano il foglio. Finalmente
il foglio tornò in
mano mia, tutto scribacchiato. Minho aveva fatto pure una dedica. Mi
appuntai
mentalmente di registrare la reazione di Jihyun, mentre lo riponevo con
cura
dentro l’agendina che portavo sempre dietro con me.
«Ehm…
Io… Grazie…» dissi brevemente, per poi
dirigermi a passo veloce fuori.
“E’
fatta” pensai mentre fissavo gli autografi seduta sulla metro
“La figura di
merda è stata immensa, ma ne è valsa la pena,
Jihyun sarà felicissima!”
-
Note
dell'autore.
Non
ci posso credere, sto davvero
postando. **
Tengo molto a questa fanfic perchè è la prima
longfic che finisco -nonostante
non sia la prima che abbia mai iniziato a scrivere-, quindi fatemi
sapere cosa
ne pensate!
Scusate
per eventuali errori di
battitura/ortografici, non è betata e per quante volte
rilegga il tutto,
qualcosa sfugge sempre.
Ja
ne~!
|
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Capitolo 2 *** Chapter 2 ***
Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 2/?
Desclaimer: Gli
SHINee non mi appartengono ma Key
sì
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is so much like us,
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Suddenly, all the animosity disappear.
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And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.
Love’s
Way – SHINee
‘
Passò
una settimana da quel giorno e non rividi gli SHINee. Non che ci fosse
qualcosa
di strano in effetti, e dopo il primo giorno non pensavo già
più a loro, troppo
presa dal lavoro.
Quella
mattina mi ero svegliata particolarmente bene. Era sabato, è
ciò voleva dire
giorno libero, e il sole era alto in cielo, il che mi permetteva di
scattare
ottime fotografie. Ebbi una mezza idea di prendere la metro e dirigermi
nei
distretti marginali -magari in qualche parco- ma lasciai la questione
in
sospeso e andai a fare colazione al bar dove lavorava Jihyun.
Io
e
lei ci eravamo conosciute ad un corso di fotografia in America, due
anni prima.
Fino a quel momento non mi ero mai interessata alla Corea, ma il nome
di quella
ragazza, il suo comportamento, il suo fascino mi portarono a volerne
sapere di
più. Chiesi a Jihyun di insegnarmi il coreano in cambio di
alcuni consigli su
come scattare foto, e lei accettò. Jihyun però
era negata a fotografare, così
mollò il corso quasi subito, ma rimanemmo in contatto e,
stranamente,
diventammo amiche. Dovette tornare in Corea un anno dopo a causa di sua
mamma,
ammalata, ma appena diciottenne feci le valige e la raggiunsi qui, nel
suo
appartamento.
I
primi giorni della mia permanenza lì -quasi due mesi prima-
ero rimasta
scioccata dal fatto che lavorasse in un bar ma potesse permettersi un
appartamento con due stanze e tutti i comfort possibili nel quartiere
più
centrale e lussuoso. Poi capii tutto quando vidi i suoi genitori:
l’emblema
della ricchezza. Non ostentata, semplicemente… ovvia. Il
portamento, il modo di
parlare, i vestiti… decisamente benestanti.
«Buon-
Oh ciao Erin!» Esclamò Jihyun quasi rovesciando il
tè addosso alla persona
seduta al tavolo che stava servendo. Scossi leggermente la testa
sedendomi al
bancone.
«Giorno
Jihyun… mi dai un caffè normale?» urlai
mentre lei era intenta a scusarsi.
«Certo,
arrivo!» esclamò servendo un altro cliente. La
cosa che più odiavo di quel
posto era la carenza di personale: la mia amica e un'altra ragazza
erano le
uniche cameriere, insieme al padrone.
«Tenga
straniera!» le feci una linguaccia e presi il mio
caffè, iniziando a
sorseggiarlo con calma. “potrei andare a fotografare qualche
tempio che…”
«Erin!»
Time out. Quella non era certamente la voce di
Jihyun. Mi voltai di
scatto il capo, trovandomi davanti a niente di meno che Onew,
incappucciato in
una felpa nera per non farsi riconoscere.
Che.
Cavolo. Ci. Faceva. Lì.
«Che
cavolo ci fai qui?!» ribattei sussurrando. Buttai
l’occhio in direzione di
Jihyun. Non aveva ancora notato il ragazzo davanti a me fortunatamente.
«Niente.
Passavo e ti ho riconosciuta» borbottò sedendosi
nella sedia a fianco alla mia.
Incredibile… com’era possibile che si fosse
fermato in quel bar solo per me? E
soprattutto, credeva forse che io volessi parlare con lui? Era uno
sconosciuto,
e non me ne fregava nulla se fosse famoso in tutta l’Asia.
Per me rimaneva solo
un ragazzo troppo, troppo invadente e rompi
scatole.
Mi
spostai velocemente nella sedia alla mia destra, mettendo un
po’ di distanza
tra noi.
«Non
ti conosco, che diavolo vuoi da me?!» sussurrai guardando
Jihyun… «Vattene»
«Dai,
non esse-»
«Dio,
ecco che arriva. Stai zitto e non alzare il viso, per nessuna
ragione.» Jihyun,
servito l’ultimo cliente, si diresse verso il balcone,
guardandomi sorridente. Cercai
di ricambiare, ma tutto quello che riuscii a fare fu una smorfia.
Se
Jihyun avesse riconosciuto quello scemo c’erano due opzioni,
valutai
velocemente. La prima, nel migliore dei casi, consisteva in Jihyun che
urlava
come una pazza e approfittava della macchina fotografica chiusa nella
mia borsa
per farsi un servizio fotografico con lui. La seconda, la peggiore,
consisteva
in Jihyun che urlava come una pazza, si faceva fare un servizio
fotografico con
lui, e lo trascinava nel ripostiglio per fare cose oscene.
Probabilmente
anche Onew aveva capito la situazione, così se ne stava
zitto a testa bassa,
trafficando con il cellulare. Una vocina nella mia testa si chiese come
mai
stessi coprendo Onew, ma la scacciai velocemente, salutando Jihyun, che
intanto
era arrivata davanti a me.
La
verità è che non ne avevo la più
pallida idea.
«Tesoro
chi è quell’uomo che prima ti parlava? Ti stava
importunando?» sussurrò
sporgendosi leggermente verso di me. Lanciai uno sguardo veloce a Onew,
per poi
rispondere con un “No, non ti preoccupare. Era solo uno
scemo” stava per
ribattere facendomi una ramanzina -lo si vedeva dallo sguardo, simile a
quello
di una mamma-, ma un altro cliente la richiamò a un tavolo
dall’altra parte
della stanza.
Aspettai
che si allontanasse, poi mi voltai leggermente verso Onew.
«Ti
conviene uscire, se non vuoi che ti salti addosso. Fra poco
verrà a chiederti
cosa vuoi ordinare» poi, rivolta alla mia amica le urlai di
non aspettarmi per
la cena, e uscii velocemente. Trovai Onew già sulla strada,
ad aspettarmi.
«Addio»
Dissi freddamente dirigendomi verso la fermata dell’autobus.
Ovviamente sentii
i passi di Onew che cercava di starmi dietro.
«Senti,
abbiamo iniziato con il piede sbagliato! Perché-»
«Il
piede era giustissimo, invece!» esclamai
guadagnandomi più di
un’occhiata curiosa dai passanti. «Addio».
Roba
da pazzi. Solo uno con poco cervello avrebbe avuto il…
coraggio? Di venire lì e
salutarmi come se fosse nulla. Non era successo nulla di particolare,
forse, se
non per il fatto che io ero… io. Lo sapeva Jihyun, lo sapeva
il signor Park, la
nostra vicina di casa e la portinaia: con me era meglio non parlare.
Era come
una specie di contratto che stipulavo con ogni persona che conoscevo.
Io non
parlavo con loro e loro non parlavano con me. Come intrappolata in una
bolla,
avevo vissuto così tutta la mia infanzia e la mia
adolescenza.
Jihyun
e il signor Park? Le solite ovvie eccezioni. Ma non avevo voglia di far
aumentare le eccezioni a tre, e chi se ne fregava se
Onew-o-come-cavolo-si-chiama
era famoso.
Alla
fine decisi di prendere il treno e avviarmi appena fuori Seoul, in uno
dei
tanti paesini caratteristici che avevo imparato ad apprezzare. Uscita
dalla
stazione notai con disappunto che il cielo si stava annuvolando a vista
d’occhio.
“E
ti
pareva…”. Il paesino in cui ero scesa era piccolo
e molto caratteristico, ai
piedi di una lunga distesa di colline. Rimanevo sempre sorpresa da come
il
paesaggio coreano fosse variegato: pochi chilometri e si passava da un
paesaggio
fatto di cemento a uno mozzafiato.
Comprai
un po’ di frutta come pranzo da una simpatica signora e mi
incamminai verso una
stradina che portava su una delle colline più alte.
Affaticata, leggermente
sudata e con la borsa che pesava, arrivai in cima mezz’ora
più tardi.
«Meglio
mangiare, prima…» tirai fuori una mela dal
sacchettino, cominciando a guardarmi
intorno. Con la mente analizzai il paesaggio, cercando di immaginarmi
la
composizione perfetta per una foto. Qualche giorno prima il signor Park
aveva
fatto cadere casualmente nella mia borsa un
volantino di un concorso
fotografico a tema libero per fotografi emergenti. Per quanto poco ci
sperassi,
avevo deciso di provare a partecipare. Tirai fuori la mia macchina
fotografica
e iniziai a scattare qualche foto qua e la. Tutte deludenti. Inoltre il
cielo
si stava annuvolando in fretta, e serviva come minimo
mezz’ora per tornare al
villaggio.
«E
che
cazzo. Non ce n’è una decente» imprecai
sedendomi per terra sul mio cappotto
ormai umido. Davanti a me le nuvole coprivano quasi del tutto il cielo,
lasciando solo un piccolo sprazzo di luce, che andava a posarsi flebile
sopra a
una collina. Provai un senso di tristezza guardando quel paesaggio
cupo.
Scattai un’ultima foto a quel paesaggio e poi misi via la
camera, proprio
quando le prime gocce d’acqua iniziavano a cadere sul
terreno.
«Shit. Shit. Shit. Shit. Shit. Shiiit!»
continuavo a
imprecare percorrendo il sentiero il più velocemente
possibile. Nel dizionario,
alla voce “Bagnato” c’era la mia foto, ne
ero sicura.
Arrivata
al villaggio, mi infilai nel primo negozio che trovai aperto. Appoggiai
la
borsa su un tavolino mentre cercavo di scrollarmi via quanta
più acqua
possibile. “Ricordami perché sono venuta qua,
cavolo!” pensai mentre mi sedevo
ad un tavolino. Lì dentro, con il riscaldamento
acceso, l’ambiente era
molto confortevole. Era un bar all’occidentale, con un
balcone e dei tavolini,
ampie vetrate e una tv appesa alla parete.
Il
bar
era deserto, tanto che pensai fosse chiuso, finché una
ragazzina, sui sedici
anni, entrò correndo da una porta e si precipitò
verso il telecomando come se
fosse la sua unica ragione di vita. Non si accorse nemmeno della mia
presenza.
Le sue dita spinsero qualche numero, i suoi incisivi torturarono il
labbro
inferiore finché, partita la sigla di una qualche
pubblicità, si lasciò andare
con un lungo sospiro.
Un
po’
incuriosita mi avvicinai e mi sedetti davanti al balcone. Vidi gli
occhi della
ragazza lanciarmi un’occhiata annoiata per poi cambiare
completamente
espressione una volta riconosciuti i miei tratti occidentali.
«Oh! Oh… ehm…
H-Hi! Ehm…
You are... wet?» la sua
vocina balbettò qualcos’altro, poi sconsolata
preferì chiudere la bocca.
«Parlo
coreano, non ti preoccupare» mormorai. «Avete
qualcosa di caldo? Un caffè o una
cioccolata…»
«C’è
il caffè»
«Ok»
si affrettò verso la dispensa, lanciando alternativamente
occhiate a me e alla
tv.
Nell’attesa
puntai i miei occhi sull’apparecchio sopra alla mia testa.
Non stavo veramente
guardando lo schermo, preferivo di gran lunga vagare con la mente. Una
sigla
che conoscevo bene e un urletto da parte della ragazzina davanti a m,
però, mi
svegliò dalla mia trance.
“Oh,
tutto si spiega!” sorrisi leggermente. Era iniziato Inkigayo.
Si
affrettò a versare il caffè in una tazza, poi
tornò a fissare il televisore.
“Chissà
se c’è Onew…”
NO!
Scossi la testa cercando di scacciare quello strano pensiero. Lo avevo
visto
solo quella mattina, quindi non avrebbe avuto il tempo di andare agli
studi di
registrazione, no? Anche se in effetti… probabilmente
l’avevano registrata.
Però Jihyun ne avrebbe parlato. Non gli ho sentito dire
nulla e…
Oh
insomma!
«Senti…
ehm… per caso in questa puntata ci sono gli…
SHINee?»
«Li
conosci? Certo che ci sono! Non vedo l’ora!» mentre
un gruppo strano faceva la
sua apparizione la ragazza decise di distogliere lo sguardo dalla tv e
posarlo
sul mio.
«No,
ne ho solo sentito parlare… sono bravi?» mi
ritrovai a chiedere.
«Cavolo
se sono bravi! Taemin, quello con i capelli lunghi, è
bravissimo a ballare e
sta migliorando tantissimo a cantare, Minho è un rapper
bravissimo, Key è bravo
sia a cantare che a reppare che a ballare, e… beh, Jonghyun
e Onew hanno due
delle voci più belle che si sentano in giro secondo me! E
poi sono bellissimi!
Secondo me sono più bravi dei 2pm, anche se ovviamente non
sono una hater.
Voglio dire, vivi e lascia vivere no? Concordi con me vero? Vero.
Però vabbè, i
Super Junior non li superano nessuno! Cavolo ma l’hai visto Siwon?
Roba
che gli salterei addosso. Certo, anche Jonghyun non scherza, ha degli
addominali! Anche Onew ha dei pettorali che… wow! Diciamo
pure che tutti sono
fighi. Una volta una ragazza ha detto che Minho non sapeva cantare. Ti
rendi
conto? E allora io gli ho detto che lui era più intonato di
lei e le sue amiche
messe insieme. Voglio dire, come ti permetti? E-»
2pm?
Super junior? Siwon? Cosa?!
«Ehm…
Ok, ok…» cercai di fermarla «Come
ti-»
«Oh
Dio! Eccoli!» il suo urlo mi ruppe i timpani. Indicava con un
braccio il
televisore, mentre saltellava sul posto. Mi doleva ammetterlo, ma era
la
versione più giovane di Jihyun. Non riuscivo a capire cosa
ci trovassero di
così tanto bello in loro, e cosa ci fosse da urlare ogni
volta che comparivano
su uno schermo. Erano umani, no? Belli si, ma umani. Decisi comunque di
starmene zitta e non interrompere la ragazza di fronte a me, che
alternava
momenti in cui urlava ad altri in cui cantava. Senza volerlo i miei
occhi
s’incatenarono allo schermo, osservando curiosa quei cinque
ragazzi che ballavano
e cantavano.
Beh…
bravi erano bravi, non c’era niente da dire. Ammisi tra me e
me che la voce di
Onew era proprio bella. Però… Beh, in effetti non
c’era un però. Non c’era
nulla nella mia mente in quel momento. E sinceramente mi stava bene
così.
-
Note
dell’autore:
Sono
felice
che vi piaccia la storia e la protagonista, non me lo aspettavo! Probabilmente
non vi starà così
simpatica andando avanti, fidatevi…
DICEVO!
Lol, spero che questo capitolo vi piaccia. E la fan girl… XD
Mi sono divertita
un casino a scrivere! La storia non è neanche lontanamente
“iniziata” è ancora
una fase dove non succede pressoché nulla… Spero
non vi annoi!
loverholic_:
Grazie mille,
sono felice che ti piaccia! ^^ Scrivere longfic è un
calvario ;_; grazie al
cielo non sono l’unica!
LaurisChan92:
Spero
non ti deluda! :D
Anche io lo avrei fatto, una figuraccia in più non cambia
nulla visto quante ne
faccio. ._.
Dolloop:
Oddio
sono contenta che
non sia pesante da leggere! Erin. Beh, per quanto riguarda
l’aspetto mi sono
ispirata ad una modella che mi piace tanto, mentre per il carattere e
il
comportamento non prende ispirazione da nessuno, è
inventata. Purtroppo però ho
finito per “darle” alcuni
aspetti del
mio carattere senza che me ne accorgessi, come il fatto che parli a
vanvera
quando è nervosa o l’orgoglio…
Ja
ne~!
|
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Capitolo 3 *** Chapter 3 ***
Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 3/?
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Love’s
Way – SHINee
-
Lunedì.
Considerato dal 90 per cento della popolazione
il giorno più brutto della settimana.
Concordavo.
Mi
svegliai con il suono delle tazze che sbattevano e una
voce che cantava in cucina. Maledetta Jihyun e la sua voglia di vivere
in piena
mattina.
«Oggi
tocca a te pulire. Pure gli autografi, ricordati»
esordì appena entrai dalla porta.
«Sei
un po’ troppo fissata»
«E
cosa te lo fa pensare, di grazia? Caffè o
tè?»
«Caffè.
Al fatto che tu abbia incorniciato un pezzo di
carta scarabocchiato» grugnii infilandomi un biscotto in
bocca.
«Quanto
sei acida!» ribatté. «Allora, hai
già mandato
le foto al concorso?»
«Non
ho ancora guardato quelle che ho scattato sabato.
Oggi al lavoro ci guarderò. Faranno tutte schifo
comunque»
«Questo
lo dici tu. Comu- Cazzo se è tardi! Devo essere
dai miei fra mezz’ora!» Si alzò di
fretta correndo verso camera sua.
«Accompagno mia mamma dal dottore come ogni mese, ricordi?!
Ha l’appuntamento
alle 9.00!» urlò.
«Mi
puoi spiegare che senso ha andare da lei alle 7.00
se l’appuntamento è due ore dopo? Forse sono
scema, sai com’è!» ribattei ad
alta voce. I vicini odiavano la nostra esuberanza di prima mattina, e
non
potevo certo biasimarli!
«Ma
che cazzo ne so! Lo sai com’è fatta! È
sce- E’
tardi! Ciao!» sentii la porta sbattersi e
l’appartamento tornare silenzioso.
Buttai
l’occhio verso la cornice appesa al muro della
cucina.
«Non
avrei dovuto far loro fare quegli stupidi
autografi» Borbottai tra me e me.
****
«Dovrebbero
ritoccare le foto oggi: appena me le danno
te le faccio vedere»
«mmh»
«Devi
assolutamente metterle nel tuo portfolio, saranno
un bel vantaggio per futuri lavori»
«mmh»
«Che
stai facendo?»
«mmh»
«Erin»
«Si?»
«Che
cosa stavo dicendo?»
Figura
di merda. Di martedì mattina. Ma che bello. Alzai
leggermente lo sguardo verso il signor Park, che mi guardava divertito.
«Dai
fa vedere. Sono i tuoi nuovi scatti?»
«Si.
Sono penosi»
Girai
il portatile verso di lui, attendendo una risposta.
La cosa che più adoravo di lui era la sua
sincerità: non si faceva problemi a
dirmi se qualche scatto era schifoso.
«In
effetti sembrano tutte… Costruite? Senza anima
direi… A parte questa. Questa è davvero
bella» Disse girando il portatile.
Sullo schermo vi era l’ultima foto che avevo scattato, quella
con il cielo
annuvolato e la collina illuminata.
«Quella?
Quella è senza senso. L’ho fatta così
tanto
per fare»
«E’
questo il problema. Tu pensi troppo. Devi lasciarti
andare e fare fotografie senza analizzare ogni singolo dettaglio.
Questa è la
più bella. Dovresti mandarla»
«Ci
penserò» mormorai. «E’ ora di
pranzo. Vado» chiusi
il portatile e lo misi nella borsa, scendendo di fretta verso il mio
solito
posto.
Chissà
com’erano venute le foto… Beh, già i
soggetti
erano belli quindi brutte le foto non potevano venir...
No
aspetta. Riavvolgiamo.
Scossi
la testa vigorosamente, ritornando a
smangiucchiare il panino che avevo in mano. Certo che ero strana
eh…
«Eccole!
Sono proprio fatte bene. Ti fa i complimenti
anche il manager del gruppo!» il signor Park mi porse un
mucchietto di foto. Le
guardai distrattamente. Si, non erano male.
«Quando
usciranno?»
«Domani
forse. Con il CF»
«Ok»
«Potrebbero
chiederti di fare da fotografa ufficiale se
continui così, brava.» “Si,
magari” mi ritrovai a pensare. “Nel miei sogni,
forse”
Le
foto erano carine sì, ma solo i primi piani erano
miei e a parer mio neanche così fatti bene. Non mi avrebbero
mai lasciato fare
un intero servizio.
«Dove
sei oggi?»
«Segretaria
del reparto comunicazioni internazionali.
Anzi, ho finito il turno tre minuti fa, quindi vado» mi
diressi velocemente
verso l’ascensore. Sentii il signor Park borbottare dietro di
me qualcosa come
“Scorbutica” proprio mentre le porte
dell’ascensore si aprivano ed io entravo
dentro.
Alla
fine avevo inviato la foto consigliata dal signor Park.
Non che mi aspettassi di vincere comunque, lo avevo fatto
più per rendere
felice Jihyun che altro.
Sabato
mattina mi svegliai presto e, preso l’iPod, un libro
e la macchina fotografica, mi diressi velocemente al bar dove lavorava
di
Jihyun, per fare colazione come al solito.
“Questa
volta niente deficienti in tuta che si siedono
vicino a me!” pensai divertita mentre pagavo il conto e
salutavo Jihyun. Quanto
mi sbagliavo!
Arrivata
al parco più vicino, mi sedetti sotto l’ombra
di un albero, l’iPod nelle orecchie e il libro sulle gambe.
Era una mattina
tersa ma la temperatura era decisamente bassa, per essere solo
Settembre, così
c’erano davvero poche persone, per lo più vecchie
signore che passeggiavano.
Dopo
una mezz’oretta gli effetti dell’alzataccia si
fecero sentire, così chiusi gli occhi rilassandomi contro il
tronco dietro di
me. Dovevo aver dormito per quasi due ore, perché quando una
voce irritante mi
svegliò l’aria era leggermente più
calda. Le anziane signore se n’erano andate,
il parco era praticamente deserto eccetto per qualche altro temerario
che
usciva con quella temperatura.
«Eriiiin!
Ci si rivede!» aprii gli occhi, trovandomi
davanti quello stupido. Le mani tremavano sul libro, le mie labbra si
serravano, evitando di dire cose di cui mi sarei pentita. Lui mi
guardava con
curiosità, il cappuccio calato sui capelli e la testa
leggermente inclinata. Lo
fulminai, domandandomi cosa mai avessi fatto di male per meritarmi
quella
scocciatura tra i piedi.
«Dillo:
tu lo fai apposta. Vattene, o mi incazzerò
seriamente» borbottai tra i denti, allontanandomi da lui.
«Daiii!
Perché fai così!» “secondo
te?” urlai nella mia
mente. Preferii non rispondere alla sua domanda, alzando il volume
dell’iPod e
chiudendo gli occhi.
«Cosa
ascolti?»
«Non
sono affari tuoi.» basta eh! Ma cosa aveva nella
testa? Segatura? Non capiva che doveva lasciarmi in pace? Mi alzai in
piedi
raccattando velocemente le mie cose e buttandole alla rinfusa dentro la
mia
borsa. Mi diressi senza degnarlo di uno sguardo verso
l’uscita del parco. Con
le cuffie nelle orecchie, non avvertii i suoi passi dietro di me, e mi
rilassai
leggermente. Forse aveva afferrato che-
«Faccio
una passeggiata con te»
Come
non detto.
Non
risposi, continuando a camminare imperita. Non mi
avrebbe seguita, ne ero sicura. Lo avrebbero scoperto sicuramente
e… beh, in
effetti non lo avrebbe scoperto tanto facilmente: la sua tuta anonima
lo
rendeva altrettanto anonimo, e in più in giro non vi erano
ragazzine urlanti.
Se n’era accorto anche lui, che continuava a camminarmi a
fianco con molta
tranquillità.
«Sai
una cosa? Forse ho capito perché mi odi»
esordì ad
un certo punto. Non potei fare altro che ghignare leggermente.
«Hai
capito che sei idiota e appiccicoso?»
«No,
ma ho capito che fai così con tutti se ti può
consolare»
Centro
al primo colpo.
Come…?
Sussultai
impercettibilmente, continuando a camminare a
passo veloce. In silenzio, cercai di assumere un’espressione
il più possibile
indifferente.
«Quella
volta al photoshoot non parlavi con nessuno»
continuò «Anzi, la gente ti ignorava. Ho cercato
di parlarti e ti sei
arrabbiata. La stessa cosa è successa la settimana scorsa e
ora. L’unica
persona con cui ti ho vista parlare normalmente è quella
ragazza al bar. Mi
chiedo perché tu faccia così… non
dovresti isolarti dopotutto-»
«Adesso
basta, ok? Non è vero quello che hai detto. Non
parlo con te perché mi stai antipatico. Perché
sei appiccicoso, sciocco e
idiota. Credi forse che io voglia parlarti solo perché sei
famoso? No grazie!»
rimasi in silenzio, osservando il suo viso farsi leggermente triste.
Forse
avevo un po’ esagerato... no. Avevo fatto bene a chiarire
tutto da subito, meno
problemi per me. Mi misi le mani in tasca e mi allontanai da
lì, tornando a
casa. Non era colpa mia se quel ragazzo era una palla al piede, cosa
potevo
fare? Non si poteva certo permettere di fare insinuazioni sul mio
conto, visto
che non mi conosceva!
E
allora cos’era quella strana sensazione che avevo al
petto?
«Stai
bene Erin? E’ successo qualcosa?» mi chiese
quella sera Jihyun, sedendosi sul divano accanto a me. Scossi la testa,
continuando ad osservare la tv.
«Sto
guardando la tv»
«Vorrei
solo farti notare che è spenta, Erin. Senti, se
hai voglia di parlare, io ci sono. Vado a dormire» annuii,
accendendo il televisore.
Tanto lo sapevo già che era spento.
Ero
solo stanca e preoccupata per i risultati del
concorso, che mi avrebbero permesso di pubblicare alcune foto del mio
book su
una rivista specializzata se solo avessi vinto.
Non
per altro.
***
Quello
era il lunedì più noioso che avessi mai vissuto.
Ero seduta alla mia scrivania da almeno due ore e mezzo e nessuno aveva
ancora
chiamato, il capo non mi aveva dato nessun foglio da faxare e non avevo
nessun
archivio da sistemare. Come se non bastasse, il signor Park aveva
ricevuto una
settimana di vacanza per stare con sua moglie che non si sentiva bene.
Stavo
quasi per addormentarmi quando sentii il mio
cellulare vibrare insistentemente nella tasca della mia borsa. Lo tirai
fuori,
sbuffando appena scorsi il nome.
“Amichetta
di papà”
«Puoi
guardare anche il mio telefono?» chiesi il più
gentilmente possibile all’altra segretaria, che
annuì cercando di mettere lo
smalto sul mignolo.
Corsi
in bagno, poi spinsi il tasto verde potandomi il
cellulare all’orecchio.
«E’
già passato un mese?» esordii appoggiandomi al
piano di marmo dei lavandini.
«Evidentemente»
«Non
mi sto drogando, non sono finita in prigione e
nessuno qui sa che sono sua figlia. Puoi anche dirgli di calmarsi un
po’»
«Ha
paura che tu gli rovini la reputazione, ragazzina»
esclamò con una voce stridula tipica delle segretarie di mio
padre. Potevo
quasi immaginarmela, seduta su una scrivania, con il cellulare in mano
che
blaterava su quanto fosse preoccupato.
«L’ha
già rovinata facendosi tutte le sue segretarie,
non ti preoccupare. Arrivederci»
chiusi la chiamata e buttai il cellulare nella borsa con un gesto di
stizza.
Non
solo aveva avuto da ridire quando mi ero trasferita
qui -come se a lui importasse qualcosa- ma ogni mese mio padre
incaricava una
delle sue segretarie, rigorosamente sotto i trentacinque anni, di
chiamarmi per
sapere se per caso qualcuno avesse scoperto che la piccola ragazzina
americana
con un lavoro da quattro soldi era in verità la figlia di
uno dei più famosi avvocati
d’America. Sia mai!
«Mi
chiedo chi fosse la ragazza. Probabilmente era
nuova, lo stava difendendo...» sussurrai uscendo dal bagno.
«Erin»
mi sentii chiamare appena tornai nella stanza.
L’altra segretaria stava ora parlando al telefono
«Il capo ha detto che puoi
uscire prima, da momento che comunque hai fatto gli straordinari
l’ultima volta».
Esultai
di gioia nella mia testa, raccattando
velocemente dei fogli e buttandoli alla rinfusa nei cassetti. Con un
sorrisino
esultante mi diressi verso gli ascensori. Erano solo le 4 del
pomeriggio ed ero
libera!
Indecisa
sul da farsi -senza la mia reflex nella borsa-
cominciai a camminare per il centro di Seoul, guardandomi in giro.
“Forse un
po’ di shopping mi farebbe bene” pensai entrando in
un negozio. Decisi di
smettere due ore e cinque sporte dopo, quando il sole ormai iniziava a
calare.
«MA
QUELLI NON SONO GLI SHINEE?» sentii urlare qualche
passo dietro di me, mentre tornavo a casa. Mi girai, curiosa,
osservando due
ragazze, una delle quali sembrava nel pieno di un attacco di panico.
L’altra
lasciò perdere il paio di scarpe che stava fissando e si
girò verso l’amica.
«DOVE?»
urlò allungando il collo. La più giovane
indicò
un punto davanti a se, sorpassandomi. Come un riflesso incondizionato
mi girai
in quella direzione, notando altre due o tre ragazze -vestite con
divise
scolastiche- correre dietro ai cinque ragazzi del servizio fotografico.
Sbuffai,
attraversando la strada. Avrei preso un'altra
via piuttosto che passare lì in mezzo con... lui. Non feci
nemmeno caso alle
urla delle ragazze che si stavano avvicinando pericolosamente. In un
attimo
sentii una mano stringermi il polso e il mio corpo iniziò a
muoversi contro la
mia volontà, lasciandosi trascinare dalla mano. Il mio corpo
continuò a farsi
trascinare per le varie stradine dal ragazzo, che, potevo scommetterci,
era
proprio quel rompiscatole.
Mi
ritrovai qualche minuto dopo appoggiata al muro di
una casa, nel mezzo di un vicolo ormai buio, con Onew -ormai ne ero
sicura-
davanti a me, le mani e la fronte appoggiate al muro. I nostri respiri
erano
affannati, i nostri petti si sfioravano leggermente, alzandosi e
abbassandosi
velocemente. I miei occhi spalancati cercavano di capire dove eravamo
finiti,
ma con poco successo.
Volevo
allontanarmi, mandarlo al diavolo e tornare a
casa, ma tutto quello che riuscii a fare era aspettare in silenzio una
sua
mossa. Ero come paralizzata.
«Scusami,
scusami davvero, Erin. Ma dovevo scappare e
quando ti ho visto...» esordì allontanandosi
leggermente da me quando fu sicuro
che nessuna ragazza ci avesse raggiunto. Lo guardai stralunata. Poteva
considerarsi
un abbraccio, quello?
«Stai
bene?» annuii semplicemente, controllandomi distrattamente
i vestiti.
«Bene.
Cavolo, meglio chiamare gli altri» sussurrò
tirando fuori il cellulare. Digitò un numero e se lo
portò all’orecchio
aspettando. «Kibum, dove sei? Con Taemin? Grazie a dio... E
Jonghyun? Ok. Minho
l’hai già rintracciato? Perfetto, ora
devo solo capire dove sono e poi potrò tornare. Di al
manager di non
preoccuparsi» riattaccò, tornando a guardarmi.
«Uhm...
Bella giornata, eh...?» borbottò guardandomi
impacciato.
«Oh,
si. Fantastica. Meravigliosa. Sono uscita presto
dal lavoro, ho fatto shopping e sono stata rapita da un idol che si
crede un
maratoneta. Voglio ricordare ovviamente che ora sono in una parte della
città
che non ho mai visto in vita mia!» lasciai cadere le sporte
per terra e
incrociai le mani al petto, impedendomi di picchiarlo. Non
sembrò, come al
solito, far caso alle mie parole, tanto che si mise a ridere senza
problemi.
«Hai
qualcosa che potrei mettere senza sembrare
ridicolo, lì in quelle borse?» mi chiese qualche
attimo dopo, appoggiandosi al
muro, di fianco a me.
«Perché
dovrei darti i miei nuovi acquisti?»
«Perché
tu non sai dove siamo, mentre io potrei
riportarti a casa. E per farlo devo essere un ragazzo anonimo, non un
idol»
«Mmh...»
non aveva tutti i torti. «Stranamente quello
che dici ha senso» borbottai porgendogli le borse.
«Prendi quello che ti serve»
Cinque
minuti dopo i suoi capelli erano intrappolati
dentro un cappello di lana grigio e i suoi occhi erano oscurati da un
paio di
occhiali da sole “stile Ray-Ban” che aveva pescato
dalla mia borsa. Lo squadrai
diffidente, ma decisi di non dire nulla.
«Ok,
prima di tutto bisogna capire dove siamo» esclamò.
Feci per afferrare le borse, ma la sua mano fu più veloce.
«Faccio io, non
preoccuparti»
«Sono
capace di portarle io»
«Beh,
ma io sono un gentil uomo, quindi fammi fare il
mio lavoro senza lamentarti, ok?» ribatté
sorridendomi di nuovo. Scossi la
testa, tornando a camminare verso l’uscita del vicolo,
seguita da Onew.
Onew
che, grazie a dio, dopo qualche sguardo ai nomi
delle vie, riconobbe quasi subito la zona, adiacente a quella dove
abitava.
«Ok,
ora ridammi le mie cose, me ne vado»
«Ma
sono quasi le 7.30, è buio! Senza contare che abiti
lontano da qui!»
«Non
abito lontano da qui!»
«In
che zona siamo ora?»
Rimasi
in silenzio, colta sul fatto.
«Salgo,
prendo le chiavi e ti riporto in macchina. Ok?»
chiese togliendosi il capello una volta arrivati davanti ad un grande
palazzo
elegante.
«Anche
se dico di no tu mi ci porterai a forza, tanto»
mi giustificai senza rispondere. Guardai il suo viso illuminarsi,
porgendomi
occhiali e cappello.
«Hai
ragione. Faccio in cinque secondi!»
Appena
varcò la soglia della porta, mi lanciai in un
lungo sospiro, appoggiandomi al muretto.
Sì,
ero certamente diventata pazza.
-
Note
dell’autore:
Ebbene
sì, signori e signore, sono ancora viva. (??) Saranno quasi
tre mesi che non
aggiorno, se non sbaglio! Chiedo venia, il fatto è che ho
avuto un po’ di
problemi quest’estate, e l’inizio della scuola non
ha aiutato la situazione,
anzi…
Ma
ora sono qua! (sempre che ci sia ancora qualcuno che segua questa
fanfic)
Ah,
per chi sia curioso, la modella a cui mi sono ispirata è
Erin Wagner! In
particolare queste due foto sono come io me la immagino.
http://i1082.photobucket.com/albums/j372/May--/28910_10150178760475424_277094115423_12070972_6574355_n.jpg
http://i1082.photobucket.com/albums/j372/May--/29060_10150197171390424_277094115423_12552447_5211105_n.jpg
---
Dolloop:
sono felice che ti
piaccia! :) La modella si chiama Erin Wagner!
BlingBling:
Eccolo qua il terzo
capitolo! Anche se un po’ in ritardo lol
Loverholic_:
I coreani ci
rovineranno la vita. <__< ahaha anche a me piacciono, se
sono troppo
dolci non c’è gusto!
LaurisChan92:
Ahaha il mio bias è
Sungmin, lo adoro! <3 Diciamo che più avanti
avrà dei comportamenti un po’… Lasciamo
perdere XD Certo che mi fa tenerezza, non puoi capire che fatica ho
fatto a
scrivere questi capitolo >.<
|
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Capitolo 4 *** Chapter 4 ***
Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 4/?
Desclaimer: Gli
SHINee non mi appartengono ma Key
sì
This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.
Love’s
Way – SHINee
-
Osservai
attentamente il pezzo di carta poggiato sul
tavolo. Lo afferrai con un gesto di stizza, portandomelo vicino al
viso.
Perfettamente intatto, senza nemmeno un accenno di stropicciatura.
«Cos’è?»
chiesi calma riponendolo al suo posto.
«Leggi.
Non hai nemmeno letto» era vero. Lo ripresi in
mano.
«C’è
scritto ‘SHINee fanmeeting’»
«Sì»
«Sì.
E allora?»
«Mi
pare ovvio» Jihyun, davanti a me, sedeva comoda
sulla sedia di plexiglass rosso, il viso appoggiato su una mano.
«Ehm...
No»
«Tu.
Io. Altre 10,000 fan e gli SHINee. Sabato»
«No»
«Perché?»
«Non
mi piacciono!»
«E
allora?»
«Non
vorrei occupare il posto di una fan!»
«Come
se t’importasse davvero!»
«E
se m’importasse?»
«Me
lo devi, dal momento che ti faccio vivere qui»
«Aiiish! Ok! Ok! Hai
vinto! Contenta?»
«Molto!
Grazie!» si alzò, dirigendosi verso la porta
d’ingresso. «Ora devo andare a lavorare, non
combinare casini»
«Si,
mamma» mormorai alzandomi a mia volta.
Jihyun
era davvero riuscita a convincermi. Ero davvero
lì. Era… Era come chiedere ad un prete di entrare
in un locale streep tease per
gay!
Mi
guardai allo specchio del bagno, prima di
sciacquarmi le mani. Jihyun era andata a spendere metà dello
stipendio in gadget,
e fortunatamente mi aveva lasciato indietro. Uscii velocemente dal
bagno,
cercandola tra la folla, che aumentava di secondo in secondo. La trovai
qualche
minuto dopo, e insieme ci dirigemmo verso i nostri posti che, nemmeno a
chiederlo, erano ottimi.
«Erin-ah!
Guarda che carini i glowstick!»
«Unni,
sei fortunata a somigliare ad una diciottenne,
fossi in te mi vergognerei a far sapere in giro che hai 24
anni!» sussurrai
guardandomi intorno. Il 90 percento delle ragazze e ragazzi erano sotto
i venti
anni!
«Che
noiosa che sei!» esclamò continuando a guardare i
suoi acquisti.
Un’ora
dopo iniziò il fan meeting. Ero probabilmente
l’unica nella sala a non cantare e/o urlare a ogni parola che
pronunciavano
quei poveri ragazzi. Ero circondata da inquietanti ragazze in preda
agli ormoni
che urlavano come galline e non potevo farci nulla.
Comunque,
a dirla tutta, alcune canzoni non erano male,
e risi leggermente quando il ragazzo basso e arrogante
dell’altra volta fece
una battuta, mente la ragazza accanto a me aveva deciso di ricordargli
il
proprio nome, continuando a urlare senza sosta
“Jjong!”.
Ero
intenta a controllare il mio cellulare quando tutta
la sala si zittì di colpo, in seguito a qualcosa che non
afferrai, troppo
distratta.
«Che
succede?»
«Shh.
Scelgono cinque ragazze. Potranno incontrarli
dopo, dietro le quinte...» ah, spiegato tutto.
Iniziò a pescare il più piccolo,
Taemin o qualcosa del genere. 245. Poi fu il turno di Onew, di quello
alto e di
quello con il giacchetto di pelle rosa shocking. 1002, 7889, e 267.
Alla fine
fu il turno di Jjong. Numero 128, annunciò.
Oh.
«Unni...
Unni... è il...»
«...
Mio numero...» completò lei per me. Potevo vedere
i suoi occhi farsi lucidi, le sue mani tremare. Alcune ragazze
sussurrarono
qualcosa, invidiose, altre si complimentarono con lei.
Il
fan meeting finì, dopo un’ultima canzone, tra la
disperazione di alcune e la depressione di altre. E la mia
felicità, ovviamente.
Trascinai
una Jihyun al settimo cielo verso il punto di
ritrovo delle ragazze, una semplicissima stanza con un grande divano,
poi mi
misi in disparteinsieme ai genitori delle altre ragazze, tutte
sedicenni o poco
più, osservando il cellulare. Non sapevo quanto la cosa
sarebbe durata, cosa le
ragazze dovesse fare o dire o perché-
«Annyeonghaseyo!»
sentii esclamare. Le cinque ragazze s’inchinarono,
sorridendo come matte.
Restai
a fissare divertita il gruppetto. Era la cosa
più esilarante che avessi mai visto. Com’era
possibile che quei cinque ragazzi
goffi e impacciati fossero gli stessi che poco prima sul palco
ballavano e
cantavano in modo così deciso e a tratti aggressivo? Persino
quando li aveva
incontrati quella volta sul set erano stato più spigliati di
adesso! Jihyun non
mi aveva mai avvertito che avessero qualche tipo di squilibrio mentale
del tipo
“doppia personalità”.
La
mia amica ora si stava facendo firmare il loro
ultimo cd, e dubito che li avesse già avvertiti che in
verità un autografo lo
aveva già! Ridacchiai, appoggiandomi all’angolo
del muro. Il mio ultimo
desiderio era di essere riconosciuta.
«Ah,
vi ricordate di Erin?» sentii esclamare dopo
qualche minuto. Ecco, appunto...
«Vi
ha fatto un servizio fotografico qualche tempo fa!»
Non può aver... Non oserà...
«E’
la mia migliore amica! E’ lì, in
quell’angolo»
Ha
osato.
Alzai
lo sguardo, incontrando quello sorridente di Jihyun
e quello sorpreso di altre cinque persone.
SHIT! Jihyun, I’m
so going to kill you!
«Oh,
Erin! La fotografa!» esclamò quello alto. Fecero
per avvicinarsi, ma -grazie a Dio- il manager raggruppò le
fan e gli SHINee per
una foto, salvandomi in extremis.
Dovevo
cercare un via d’uscita, dovevo andarmene al più
presto di lì e-
«I
think I'm drowning,
Asphyxiated,
I wanna break the spell you've
created»
Matthew Bellamy iniziò a cantare,
rinchiuso nella mia tasca, ignaro del grandissimo favore che mi aveva
appena
fatto. Borbottai qualche scusa, poi mi avviai verso la porta, non prima
di aver
lanciato un occhiata al gruppo davanti a me. Onew, le mani in tasca e
un
sorriso di circostanza stampato sul viso, mi osservava discretamente,
senza
degnare di uno sguardo le fan davanti a lui. Abbassai velocemente lo
sguardo ed
uscii dalla porta, cercando di allontanare dalla mia mente il ricordo
dei suoi
occhi.
***
«SE
VENGO A CASA TUA SMETTERAI DI ROMPERMI LE SCATOLE
ANCHE SOLO PER UN MINUTO?» urlai al limite della mia pazienza
alzandomi in
piedi. Puntai il mio sguardo sul suo, cercando di trasmettergli tutta
la mia
irritazione.
Era
un maledettissimo sabato mattina in cui avevo
deciso di andare al parco. Niente di nuovo, no. Nemmeno la sua presenza
però
era nulla di nuovo, dal momento che era già la seconda volta
che me lo
ritrovavo davanti. Con quel suo sorrisino, con quei suoi occhi... era
davvero
irritante!
Aveva
iniziato a piovigginare e Onew, da bravo gentil
uomo, mi aveva invitato a casa
sua, non molto distante da lì. Fino a quando la pioggia
sarebbe cessata,
continuava a ripetere, non preoccupandosi di quanto potesse risultare
strano
che io, praticamente una sconosciuta, andassi a casa sua.
«Perfetto!
Vieni, su, o finiremo per prenderci un
raffreddore!» esclamò porgendomi una mano che
però rifiutai, alzandomi da sola.
Mi alzai il cappuccio sulle spalle e lo seguii fuori dal parco.
«Finiremo
per bagnarci tutti! Era meglio aspettare
sotto l’albero!» mi lamentai aumentando il passo.
Onew ridacchiò, calandosi
ancora di più il cappuccio sugli occhi.
«Sempre
a lamentarti, Erin! Forza, ci siamo quasi»
rispose. Afferrò il mio polso e iniziò a correre
come un bambino.
Aveva
ragione: girato un angolo mi ritrovai davanti al
condominio dell’altra volta. Questa volta però non
mi fermai ad aspettare, ma fui
trascinata dentro l’ingresso e poi in un attimo ci ritrovammo
nell’ascensore.
«Ma
chi me lo ha fatto fare...» sussurrai tra me e me
osservandoci. Eravamo fradici dalla testa ai piedi, non avevo nulla in
ricambio
e avevo una paura assurda che la macchina fotografica si fosse
rovinata, benché
fosse dentro la sua custodia. Tutto quello che ricevetti per risposta,
comunque, fu un'altra risata e un “Oh, eccoci
arrivati”.
Tirò
fuori le chiavi dalla tasca, infilandole dentro la
serratura. Chissà se gli altri erano in casa...
«In
casa ci sono solo Minho e Taemin. Non faranno
troppe domande, non ti preoccupare» scrutai leggermente
sorpresa il suo viso,
ma entrai senza lamentarmi. Ora leggeva pure nel pensiero?
L’appartamento
non era grande, ma era ben curato, per quanto potesse esserlo con
cinque
ragazzi dentro. Il salotto era piccolino e il sofà di pelle
nera occupava quasi
tutto lo spazio disponibile. In un angolo vi era un piccolo mobiletto
pieno di
manga -so asian- e a fianco un
televisore
con una console e una decina di custodie di video giochi appoggiati
alla meno
peggio di fianco. La cucina, a fianco, era perfettamente pulita.
Qualcosa mi
diceva che non veniva usata tanto, visto lo stato pressoché
perfetto degli
utensili appoggiati in un angolo.
Ero
ancora intenta ad osservare la casa nei minimi
dettagli quando sentii il suo sguardo appoggiarsi sulla mia schiena. Mi
girai
quasi istintivamente.
«Forse
è meglio che tu ti cambi, Erin. Ti ammalerai!»
esclamò.
«Beh,
mi dispiace ma non giro con un cambio di vestiti
nella borsa!» lui non fece caso al mio tono seccato e,
togliendosi le scarpe,
mi fece segno di seguirlo. Lo imitai e salii su per le scale, dietro a
lui.
«Puoi
farti una doccia nel bagno e metterti una mia
felpa e dei pantaloni della tuta mentre i tuoi vestiti si
asciugano» disse mentre
si toglieva la felpa, rimanendo con una maglietta a maniche corte
anch’essa
bagnata.
Bella
schiena…
…COSA?!
«Che
ne dici?» tornai sulla terra, ignorando i miei
inutili pensieri.
«Non
ho altra scelta, vero?»
«Vero!
Vieni, ti mostro dov’è il bagno»
Onew
probabilmente aveva scelto quei vestiti con molta
cura solo per farmi sembrare ridicola, decisi. I pantaloni che mi aveva
dato
erano fortunatamente della mia taglia –decisi di non farmi
domande sul perché
qualcuno indossasse la mia stessa taglia di pantaloni in quella
casa–, ma il
colore lasciava molto a desiderare: verde fosforescente. La felpa
viola, poi,
non era messa meglio: era almeno tre taglie più grandi del
solito! il collo era
largo, le maniche lunghe chilometri. Cercai di fare due risvolti ma le
mani si
vedevano a malapena.
«Sono
ridicola» borbottai pettinandomi con le mani i
capelli.
«Hai
fatto, Erin?» sentii Onew chiedermi dall’altra
parte
della porta. Mormorai un “sì” appena
accennato, aprendo la porta.
Il
suo viso si contrasse immediatamente alla mia vista,
cercando di trattenere le risate. Lo fulminai con lo sguardo,
intimandogli di
non ridere per nessuna ragione al mondo.
«Ok,
ok. Prometto di non ridere»
«Oh,
sei già vestito?» chiesi notando la sua tuta
asciutta. C’era un altro bagno al piano inferiore, mi
spiegò avvicinandosi a
un’altra porta.
«Camera
mia» dichiarò facendomi passare per prima. Era
una camera normalissima, l’unica cosa davvero speciale erano
le migliaia di
foto e lettere appese ad una parete. «Da parte delle
fan» mi spiegò poi. «Ah,
ho tirato fuori dalla tua borsa la tua macchina fotografica. La
custodia era
umida e non volevo che si bagnasse»
Mi
sedetti sul letto, osservandolo basita. Davvero si
era premurato di salvare la mia fotocamera da una possibile morte
prematura? Io
non gli avevo chiesto nulla, aveva fatto tutto lui!
Forse
dovrei ringraziarlo...
«Bene»
... O forse no.
«Tieni»
disse passandomela. La rivoltai tra le mie
mani, controllando che tutto fosse a posto e che l’obiettivo
non si fosse rotto
nella corsa. «E’ parecchio costosa»
costatò sedendosi accanto a me. «Te
l’hanno
regalata?»
«No»
sospirai, ripensando a quanti sacrifici avevo
dovuto fare per comprarmela, «L’ho presa con i miei
soldi».
«Dev’essere
difficile trasferirsi da sola dall’America
fino a qui»
«Avevo
Jihyun che mi aspettava qui, fortunatamente»
«E’
una brava ragazza. Al meeting era l’unica che non
impazzì alla nostra vista» in effetti quella volta
mi ero aspettata una
reazione degna di oscar da parte della mia amica, ed invece aveva
reagito con
molta nonchalance alla vista della band. Quando voleva anche lei sapeva
controllarsi!
«ha
ventiquattro anni, è normale che non si lasci
prendere dall’emozione alla vista di cinque ragazzi
più giovani di lei»
«Molte
ragazze di trenta anni ci provano con noi, anche
se abbiamo tanti anni di differenza!»
«Beh,
non deve essere una cosa molto simpatica» risposi.
«Hai
ragione» concordò lui. «E’ la
prima volta che mi
parli senza insultarmi» aggiunse dopo qualche attimo di
silenzio.
Abbassai
istintivamente lo sguardo sulla mia macchina
fotografica, sentendomi strana. No, non era di certo senso di colpa.
Insomma,
trattavo Onew come trattavo tutti gli altri, non era certo colpa mia.
Forse.
«Beh,
oggi sono troppo stanca» dichiarai alzando il
capo «Non abituartici»
«No
signora! È divertente quando ti arrabbi per nulla»
constatò appoggiandosi alla testata del letto.
«Io
non mi arrabbio!»
«Ora
sei arrabbiata!»
«Cazzate!»
«Se
lo dici tu...»
«Muoviti
e va a vedere se i miei vestiti sono asciutti!»
esclamai ponendo fine alla conversazione.
«Si
signora!»
«Uhm...
Io vado...» mormorai aprendo la portiera della
macchina.
«Sì»
rispose lui mentre uscivo dal veicolo. Per qualche
sconosciuta ragione i miei piedi non ne volevano sapere di spostarsi,
rimasero
incatenati davanti alla macchina. Una strana sensazione mi avvolgeva da
capo a
piedi, rendendomi strana. Senza che potessi fare nulla, dalle mie
labbra uscì
un flebile “Grazie”.
Ci
misi qualche attimo prima di capire che io, Erin,
avevo ringraziato quello stupido solo per un passaggio. La conseguenza
fu
imminente: chiusi la portiera di scatto ma riuscii ancora a notare il
sorriso
trionfante di Onew. Scioccata, mi diressi a passo felpato dentro
l’appartamento, senza mai girarmi.
Stupida
deficiente!
«Stupida,
stupida stupida. Stupida! Stu-»
«Chi
era il ragazzo?» Troppo intenta ad offendermi, non
mi ero accorta di dove fossi. Non so come avessi fatto, ma ero
già dentro il
mio appartamento e Jihyun mi stava osservando curiosa, in attesa di una
mia
risposta. Era appoggiata alla finestra, quella che dava sulla strada e
che, inevitabilmente,
aveva mostrato tutta la patetica scena.
«Che
ragazzo? Sono venuta a casa a piedi, io»
arrampicarmi sugli specchi non era il mio forte, evidentemente. Nessuno
era
così scemo da bere la mia balla. La vidi avvicinarsi a me,
sospettosa.
«Macchina
nera, elegante, appena lavata probabilmente.
Per non parlare dei finestrini oscurati. Varrà una
fortuna» mi disse. «Sei
scesa da una macchina così. Ti sei fermata un attimo a
guardare dentro e poi,
dopo aver mormorato qualcosa, sei scappata. Non faresti così
con una ragazza.
Anzi, non faresti così con nessuno» ormai eravamo
una di fronte all’altra; io
apparentemente impassibile, lei avida di pettegolezzi.
«Ti
ho sempre ringraziato, quindi non è vero che non
faccio così con nessuno» mi lasciai scappare,
pentendomene subito dopo.
«Ah! Ma io
non ho mai detto che tu lo hai ringraziato! Se l’hai
ringraziato allora deve
essere una persona speciale!»
«Va
al diavolo, Jihyun!» esclamai correndo su per le
scale. Mi ero lasciata prendere dal panico, e ora ecco i risultati!
Questa cosa
mi stava decisamente scappando di mano!
«Tesoro,
se vuoi parlare io sono qui! E’ normale
prendersi una cotta alla tua
età!»
Sentii urlare dalla cucina.
NON
SONO INNAMORATA, IO!
-
Note
dell’autore
Velocissimo
aggiornamento, devo tornare a studiare
>_<
|
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Capitolo 5 *** Chapter 5 ***
Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 5/?
Desclaimer: Gli
SHINee non mi appartengono ma Key sì
This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.
Love’s
Way – SHINee
Dopo
quella giornata, non incontrai più Onew per almeno
due settimane, non che me ne fregasse qualcosa, sia chiaro. Jihyun
continuava a
parlare di tutte le loro performance e di quanto fosse bella la nuova
canzone,
“Hello”, quindi immaginavo che fosse troppo
impegnato anche per rompermi le
scatole.
«Per
caso...»
esordì una mattina Jihyun mentre mi versava il
caffè nella tazzina «Il ragazzo
che ti piace e che ti portò a casa... è lo stesso
che ora è seduto laggiù su
quella sedia? Ti sta guardando da un po’, ed è lo
stesso che pensavo ti stesse
importunando quella volta»
Deglutii,
cercando di mantenere un’espressione
indifferente. Mi girai appena, visualizzando la persona di cui parlava
Jihyun. Pantaloni
della tuta neri, felpa grigia e il cappuccio tirato su fino a coprire
praticamente gli occhi... Sì, era senza dubbio Onew.
«Ho
indovinato, vero? Forza, fammelo conoscere!»
sussurrò tutta eccitata.
Neanche
morta.
«Non
oggi. E poi non mi piace, è solo un deficiente con
atteggiamenti da stalker» dichiarai. Portai la tazzina di
caffè alla bocca e
ingoiai tutto in contenuto, scottandomi come una scena. Mi alzai, mi
misi il
giubbotto -ormai era metà ottobre, e il freddo iniziava a
sentirsi- e mi avviai
verso l’uscita.
«Muoviti
ed esci»
sussurrai una volta arrivata di fianco a lui «Sta
venendo da te per conoscerti perché pensa che tu
sia il mio fidanzato o robe del genere. Non oso immaginare la sua
reazione se
ti vedesse» sibilai squadrandolo impazientemente. Lui
annuì, e dopo aver
lasciato il conto sul tavolo mi seguì, senza dire nulla.
«Potresti
evitare di farti scoprire, grazie? Se proprio
vuoi venire al bar fallo con discrezione!» mi lamentai mentre
mi circondavo il
collo con una sciarpa.
«Scusa!
Facciamo un giro?» chiese mettendosi le mani in
tasca e iniziando a camminare.
«Non
hai nulla da fare?!»
«Avrei
anche troppe cose da fare, è quello il punto...
Grazie a Dio ho una mattinata libera e avevo voglia di ascoltare le
lamentele
di una certa ragazza»
esclamò
ridacchiando. Rimasi leggermente stupida da quello che aveva detto, ma
decisi di
stare al gioco.
«Beh,
questa ragazza non ne ha voglia»
«Ma
io sì!» afferrò il mio polso, girando
all’improvviso a destra, in una strada secondaria. Pochi
attimi dopo ci
ritrovammo nello stesso parco in cui c’eravamo incontrati la
prima volta.
«Scorciatoia» mormorò girandosi verso di
me.
«Me
n’ero ac-» fui interrotta dal suono improvviso del
mio cellulare, che iniziò a vibrare nella tasca della mia
borsa. «Aspetta un
attimo... Ah, eccole di nuovo» sussurrai osservando il
display.
«Vuoi
che mi allontani?»
«No,
fa lo stesso. Ci metterò poco» poi sospirai,
premendo il tasto verde.
«Pronto?»
«Che
vuoi ancora?»
«Tua
padre pensa che il gioco sia durato abbastanza, 3
mesi sono tanti. È ora di tornare in America e
pren-»
«Senti,
puoi gentilmente riferire a mio padre di andare
al diavolo e smetterla di insistere?! Siamo tutti più
contenti se sto qui in
Corea, no? E smettete di chiamarmi ogni cazzo di settimana, siete
strettanti,
tu e le altre segretarie!»
chiusi
la chiamata, poi mi sedetti a fianco ad Onew, che nel frattempo si era
appoggiato all’albero. Grazie a dio non sapeva
l’inglese, non sarei stata
capace di spiegargli l’accaduto.
«Chi
era?»
«Un’amica
con cui ho litigato... quando ero in America»
mentii sul momento. In silenzio, anche lui si abbassò al mio
livello, sedendosi
accanto a me. Nessuno disse nulla per qualche minuto, finché
lui puntò lo
sguardo verso di me.
«Sai,
a scuola avevo i voti più alti dell’istituto in
inglese» disse semplicemente.
Ah.
Colta
in flagrante, rimasi in silenzio. «Però se non ne
vuoi parlare va bene, non ti costringo. Potresti evitare di mentirmi su
ogni singola
cosa, però» aggiunse poi, evitando il mio sguardo.
«Io-»
«Scusa,
fra 3 ore abbiamo una registrazione di un
programma e mi devo ancora preparare. Ci vediamo, Erin» si
alzò e, con senza
voltarsi, si allontanò agitando la sua mano.
«Sono
proprio una deficiente...» sussurrai.
Domenica
mi svegliai tardi ma, nonostante le tante ore
di sonno, mi sentivo ancora esausta e stanca. Fuori aveva appena smesso
di
piovere, e le poche persone che si avventuravano per strada erano
coperte da
giacconi e sciarpe. Era tanto che non mi facevo una giornata
fotografiamo-tutto-e-tutti, pensai, qualche scatto mi farà
bene. Uscii di casa
un quarto d’ora dopo, macchina fotografica in mano e
cappuccio calato sul viso.
Mi
piaceva scattare foto in giro per la città, e
l’atmosfera che vi era quella mattina era perfetta. Il cielo
plumbeo e il
cemento bagnato rendevano la città più cupa del
solito, molte insegne erano
spente e i visi grigi delle persone sembravano esprimere tristezza
qualunque
cosa facessero.
Feci
parecchi scatti girovagando per le vie della
città, finché, dopo quasi un’oretta,
non mi ritrovai davanti al parco in cui
ero stata con Onew solo il giorno prima. Rimasi ferma proprio davanti
all’entrata, fissando il parco completamente vuoto. Non
capivo come fossi
arrivata in quel posto, ma decisi che una piccola pausa avrebbe giovato
alle
mie gambe. Appoggiai la reflex accanto a me sulla panchina, mentre il
mio
sguardo vagava senza una meta precisa.
«Forse
avrei dovuto chie... No, Neanche morta»sussurrai
tra me e me ripensando «Non è colpa mia»
rimasi lì per almeno un quarto d’ora,
in attesa di qualcosa...
Qualcosa
-o qualcuno- con un carattere insistente e
ossessivo, ma con un sorrido decisamente affascinante.
Passai
la settimana a lavorare, come se nulla fosse, ma
anche il sabato mattina successivo tornai al parco. Lui non si fece
vedere.
Continuavo a ripetermi che non dovevo farmi condizionare da quel
ragazzo, ma
non riuscivo a togliermi dalla mente il suo sguardo poco prima di
andarsene.
«Jihyun...»
esordii mentre apparecchiavo la tavola.
«Si?»
«Io...
Devo chiederti un consiglio» mormorai
all’improvviso. Lei si girò, il mestolo in una
mano e il sguardo incuriosito.
«Certo...
Parla...» Dovevo forse inventarmi una storia
a parte? Avrei dovuto lasciar perdere? Però infondo non ci
avrei perso nulla, e
lei era una mia amica...
«C’è
questo ragazzo...»
«...Ti
piace?!» esclamò immediatamente.
«NO!
Fammi finire! Lui ha sentito una mia conversazione
con le segretarie di mio padre... io mi sono inventata una scusa
convinta che,
insomma, non capisse l’inglese... Ma invece lo sa benissimo,
e se n’è andato»
mi fermai per un attimo, sedendomi su una delle sedie attorno al
tavolo. «Mi sa
che l’ho... deluso? Non lo so nemmeno io. Forse si aspettava
che gli spiegassi
la mia situazione però, insomma, l’ho appena
conosciuto! E poi ora non riesco a
togliermi questa strana sensazione dallo stomaco che-»
«Da
come ne parli... Sembra che tu a questo ragazzo ci
tenga, o comunque lo consideri degno di nota, visto che è la
prima volta che ti
preoccupi così per qualcuno» si sedette davanti a
me, mentre l’acqua per la
pasta bolliva «Dovresti parlargli. Spiegargli che non era tua
intenzione
ferirlo»
«Non
ho nemmeno il suo numero di cellulare!»
«Va
a casa sua, no? Saprai dove abita se ti ha portato
a casa!»
«I-Io
non ho mica detto che è lo stesso ragazzo!»
replicai sbarrando gli occhi.
«Beh,
te lo si legge in faccia che è lo stesso
dell’altra volta. L’hai portato via dal bar solo
perché avevi paura che ci
parlassi, deve essere una persona importante!»
decretò rialzandosi.
«Co-»
«Erin,
quando imparerai che sono un ottima
osservatrice? Forza, gli spaghetti sono quasi pronti!»
L’avevo
fatto davvero, alla fine. Andare a casa sua,
intendo. Avevo solo dovuto girare qualche minuto prima di ritrovare la
strada
che poi mi avrebbe portato dritto dritto davanti al condominio.
Se
Jihyun mi avesse visto in quel momento, si sarebbe
sicuramente lasciata andare a una risata. Probabilmente, con il suo
consiglio,
non pensava davvero di condizionarmi.
Passate
le porte di vetro, camminai velocemente
attraverso l’ingresso elegante e mi diressi verso
l’ascensore. Spinsi il
bottone del 4° piano e in pochi attimi mi ritrovai nel
corridoio in cui ero
stata poche settimane prima.
«Probabilmente
non sarà in casa...» sussurrai tra me e
me suonando il campanello. «...Appunto» aggiunsi
senza udire nessun suono al di
là della porta.
Mi
appoggiai al muro, chiudendo gli occhi. Era meglio
aspettare o andarsene? Non sapevo nulla dei loro impegni, e telefonare
a Jihyun
per sapere dov’erano
ora -ero sicura che
lei lo sapesse, le fan sanno sempre tutto,
no?- mi sembrava come minimo sospettoso. Sbuffai, sistemandomi la borsa
sulle
spalle. Stavo quasi per andarmene, quando l’ascensore si
aprì, e gli SHINee al
completo uscirono, ridendo a una battuta che probabilmente qualcuno di
loro
aveva detto pochi attimi prima. Quello alto fu il primo a notarmi, poi
seguirono tutti gli altri.
«...Erin!
Che ci fai qui?» esclamò Onew avvicinandosi.
I quattro ragazzi dietro di lui ci guardavano in silenzio, curiosi.
«Io...»
le parole non riuscivano ad uscire dalla mia
bocca a causa dei ragazzi, che mi fissavano ininterrottamente. Onew lo
capì
subito e, salutati i ragazzi, mi prese per mano, infilandosi dentro
l’ascensore.
Osservai silenziosa le nostre mani, incapace di emettere anche solo un
suono.
«Oh...
Scusa» mormorò allontanando la sua mano una
volta notato il mio sguardo.
«Ecco,
che mi volevi dire?» mi chiese sedendosi sulla
panchina del piccolo giardino dietro il condominio. Mi sedetti
anch’io,
osservandolo distrattamente. Aveva probabilmente registrato una puntata
per
qualcosa, visto i capelli perfetti e i resti di un leggero fondotinta
sul viso.
I suoi occhi brillavano di curiosità, le sue labbra erano
curve in uno dei suoi
soliti sorrisi.
Non
sembrava arrabbiato con me.
«Ecco,
io... quella volta, quando...» distolsi lo
sguardo dal su viso, puntandolo per terra. Più concentrata,
decisi di
continuare «Ok, te lo dirò una volta e basta: mi
dispiace se ti ho fatto arrabbiare
quella volta al parco. Pensavo... Ecco, non volevo raccontarti quello
che avevo
lasciato in America» mi
alzai in piedi,
ma le mie gambe si rifiutavano di allontanarsi anche solo un
centimetro.
«Erin…
Sei incredibile!» esclamò dopo qualche attimo,
iniziando
a ridere a crepapelle «Pensavi che fossi arrabbiato? Ti
conosco abbastanza da
non prendermela quando m’insulti o mi nascondi
qualcosa!»
«Messa
così sembro... Una stronza»
borbottai infastidita dalle sue risate.
«Non
lo sei, tranquilla. Ci vai vicino, però»
«Tu
si che sai sollevare il morale alla gente! Me ne
vado!» dichiarai offesa. Non feci in tempo a girarmi che la
sua mano raggiunse
il mio polso, fermandomi.
«Scusa,
scusa! Avrai freddo, che ne dici di andare a
prendere un caffè in un bar?» propose alzandosi a
sua volta.
«Potrebbero
scoprirti» mormorai guardandolo negli occhi.
«No,
fidati. Abbiamo i nostri trucchi! Vieni, cinque
minuti e usciamo»
Fissai
diffidente il ragazzo che mi stava davanti. Era
davvero Onew, quello lì?
I
soliti pantaloni attillati avevano lasciato il posto
a dei pantaloni larghi e a vita bassa, mentre una felpa dei Muse e un
piumino
nero gli coprivano il torso. Ai piedi aveva un paio di sneakers e un
cappello
era calato sui capelli. Mi sorrideva trionfante, osservando la mia
espressione
scioccata. Respinsi un moto di orgoglio quando vidi la felpa
–forse qualcosa in
comune avevamo!- e mormorai:
«Uhm...
Penso tu abbia ragione. Faccio fatica a
riconoscerti»
«Te
l’avevo detto! Andiamo!» disse mettendosi un paio
di occhiali posticci.
«...Quindi
questa ha iniziato a provarci con Taemin, ma
aveva al massimo 13 anni, e puoi capire che...» seduti in un
tavolino ascoltavo
Onew, intento a raccontare i fatti più strani mai capitati
al suo gruppo. Ogni
tanto prendevo un sorso di cioccolata calda, altre volte lanciavo uno
sguardo
verso la vetrata poco lontano da noi, osservando la strada
pressoché deserta. Non
parlavo io, come al solito, ma mi andava bene così: parlare
non era il mio
forte ed era quasi piacevole ascoltarlo.
Un
ora e due cioccolate calde dopo, era ancora lì a
parlare.
«...Poi
c’è stata una volta in cui Jonghyun e Minho si
sono quasi picchiati per una ragazza e io sono dovuto intervenire
perché-»
«Più
che un gruppo mi sembra una famiglia!» lo
interruppi appoggiando la tazza sul tavolino «Aspetta,
com’è che mi diceva Jihyun...?
Quello con il senso della moda sotto sopra, che oggi portava le scarpe
gialle-»
«Kibum,
ma tutti lo chiamano Key»
«Ecco,
Key era la mamma… Tu eri il padre mi pare… Il
piccolino-»
«Taemin»
«Taemin
il figlio!» esclamai alla fine «O almeno credo
fosse così... Forse in effetti...»
«Key
è la mamma, Jonghyun il padre; tutti gli altri
sono i figli» disse un’altra voce.
La
voce non era di Onew.
-
Note
dell’autore
Rieccomi!
Personalmente
questo capitolo mi piace un sacco, perché
Erin inizia a riconsiderare Onew, anche se la strada è
lunga! è_é
Di
chi sarà la voce? Tadadadaaaaan (dovrebbe essere una
canzoncina lol)
p.s.
Avete visto ieri sera i Big Bang? Erano così belli
mentre ricevevano il premio *__*
---
Shinee:
Grazie *_* sono contenta che ti piaccia!
Too
Fast To Live:
Grazie anche
a te! :3 Erin sta avendo successo a quanto vedo! XD Lo
studio mi sta
uccidendo, spero di aggiornare più velocemente!
|
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Capitolo 6 *** Chapter 6 ***
Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 6/?
Desclaimer: Gli
SHINee non mi appartengono ma Key sì
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We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
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And our hearts break a hundred times,
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Our love can’t be pulled apart.
Love’s
Way – SHINee
-
Rimasi
pietrificata sul posto, con lo sguardo puntato
verso la tazza. La persona a cui apparteneva la voce era di fianco a
me, ma mi
rifiutai di alzare gli occhi.
La
voce era terribilmente
familiare.
«Erin,
puoi gentilmente spiegarmi come mai sei seduta con
un idol?» mi girai di
malavoglia,
trovandomi davanti Jihyun, che mi fissava. Non riuscivo a capire la sua
espressione, tropo simile a quella di un giocatore di poker.
«Lui?
Lui non è un idol! T-Ti sbagli è-»
«Ciao
Onew» disse Jihyun girandosi verso di lui. Ti
prego, di che-
«Ciao»
«Oh
Dio, ma sei deficiente?!» mi girai verso di lui,
che però sembrava calmissimo.
«Su
Erin, è una tua amica. Nessuno morirà se sa che
mi
conosci!»
«Cos...?
Ma-»
«Ha
ragione Onew! Potevi anche dirmelo prima!»
«Vi
lascio parlare da sole, ok? Ah Erin, tieni» disse
porgendomi un biglietto «Così puoi evitare di
farti mezza Seoul a piedi se hai
bisogno. Ciao Jihyun, ciao Erin!» chiudendosi il giubbotto,
uscì di fretta dal
bar, cominciando a camminare. Appena fu fuori dalla nostra vista,
sentii Jihyun
emettere un gridolino inquietante.
«Erin,
questa me la paghi! Era lui il misterioso
ragazzo! Era Onew!»
sussurrò
eccitata sedendosi di fronte a me «Perché
non mi hai detto
nulla? Non sai che di me puoi fidarti? Su, racconta! L’hai
visto? Dico, l’hai
visto? Cioè, sono seduta sulla stessa sedia dove si
è seduto lui! E’ una
figata, te lo dico i-»
«Si,
l’ho visto e so che lì era seduto lui. Ora se stai
zitta per un attimo, ti spiego!»
«Sono
tutta orecchie!»
Sospirando,
iniziai a raccontarle tutto, dal servizio
fotografico a quello che era accaduto poche ore prima. Lei ascoltava in
silenzio, come le avevo intimato, ma vedevo i suoi occhi cambiare a
seconda di quello
che raccontavo. Dopo quasi mezz’ora avevo finito il mio
lunghissimo monologo.
«Erin,
sei qui da neanche un anno e stai uscendo con un
idol di fama internazionale!»
«Uscendo?
Ma hai sentito quello che ti ho detto? E’
ossessivo, è insopportabile! E poi non m’innamoro,
io»
«Se
lo dici tu... Nessuno comunque parlava di
innamorarsi!» aggiunse sorridendo furbamente.
Era
solo metà Novembre, ma già nel centro di Seoul si
poteva già avvertire un’atmosfera natalizia: i
negozi iniziavano a esporre i
primi articoli da regalo, le vetrine si abbellivano di luci e festoni
rossi e
d’oro, rendendo le vie principali coloratissime.
Non
avevo mai amato il Natale, e lo stesso valeva per
un po’ tutte le altre festività. Fin da piccola
non avevo mai festeggiato com’è
tradizione: mio padre lavorava, così passavo la vigilia con
una delle tante
cameriere della casa, scartando i regali che mi comprava mio padre.
Dopo gli
undici anni, quando mio padre smise di farmi i regali, iniziai a
passarlo in
camera mia.
Sarebbe
stato strano festeggiarlo per la prima volta
con Jihyun, ma non mi dovetti preoccupare più di tanto: lei
sarebbe partita
presto per una mega-vacanza con i suoi genitori per visitare alcuni
parenti, dagli
ultimi di Novembre fino ai primi di Gennaio.
Dopo
quella volta al bar, avevo sentito Onew solo
qualche volta. Ci incontravamo di sabato mattina, quando sembrava che
tutti e
due avessimo una pausa dai nostri lavori. Andavamo al
solito parco, poi a prendere un caffè in un
bar sconosciuto e poco frequentato. Lì, Onew parlava e
parlava, di tutto e di
tutti. Io ascoltavo e basta, a volte raccontavo qualcosa, nulla che
però fosse
rilevante. A Onew andava bene così, non si lamentava mai.
Avevo
in qualche modo creato una routine stabile, che
però non avrebbe durato.
Era
una di quelle giornate in cui fa buio già alle
quattro di pomeriggio, in cui il freddo ti entra dentro le ossa e non
ti lascia
andare. Ero appena arrivata a casa dal lavoro e mi stavo cambiando con
il mio
solito pigiama, quando il cellulare suonò. Svogliata, aprii
la borsa, ma tutto
quello che vidi fu il mio portafoglio e altri oggetti. Seguii la
suoneria, finché
non arrivai in salotto. Il mio cellulare, appoggiato su un cuscino del
divano,
vibrava e suonava ancora.
«Chi
è a quest’ora... Pronto?»
«Ciao
Erin» rispose una voce calda, in inglese.
«Scusa,
non ti conosco» borbottai. Allontanai il
cellulare dall’orecchio per controllare il display. Numero
sconosciuto.
«Ma
come? Non ti ricordi più di tua
madre?» sentii ridacchiare dall’altra
parte della cornetta. «E’
passato tanto tempo, ma sono comunque tua madre, Erin»
continuò la voce.
Un
brivido percorse la mia schiena, obbligandomi a
sedermi sul divano. Non riuscivo a capire se fosse tutto uno scherzo o
se
davvero quella voce calda e vellutata fosse quella di mia madre.
«S-Stai...
Scherzando?» sussurrai.
«Perché
dovrei? Ho saputo che non sei più in America, è
vero?»
«N-No,
aspetta. Perché... Perché mi hai chiamato?
Perché proprio ora?» strinsi il cellulare tra la
mano, cercando di comprendere
il motivo di quella surreale chiamata. L’ultima volta che
avevo sentito e visto
mia madre avevo cinque anni, tredici anni fa, prima che ci abbandonasse
per
trasferirsi in Florida con un venticinquenne. Perché si
faceva sentire proprio
ora? Era successo qualcosa?
«Vedi,
Erin... Da donna, ho sempre avuto il desiderio
di rivederti, ma ho sempre avuto paura. Ora finalmente ho trovato il
coraggio
di contattarti e...»
«Come
hai fatto?»
«Sai,
amici...» amici? Quali amici? Decisi di rimanere
in silenzio. «Allora, è vero che ti sei trasferita
all’estero?»
«Sì...
In Corea»
«Oh,
e com’è? Racconta! Perché ti sei
trasferita?»
«E’
bella. Mi sono trasferita perché...» rimasi in
silenzio, cercando di trovare le parole. Non volevo parlargli subito
della mia
relazione con mio padre. «Perché sono sempre stata
appassionata di… questo
posto»
«Capisco,
ci sono tante cose che non so di te! Tesoro
mi chiamano, purtroppo, ti richiamerò, ok?» e
chiuse la telefonata.
Rimasi
lì immobile, seduta sul divano e con il
cellulare ancora all’orecchio, cercando di riordinare le
idee.
Era
tutto così strano, così... surreale.
«Erin,
che hai fatto?» chiese Jihyun entrando nella
sala, poi guardando il cellulare ancora stretto tra le mie mani, mi rivolse uno sguardo
curioso «Chi ha
chiamato?»
«...Mia
mamma» mormorai.
«Cosa?!
Ma...»
«Io...
Mi ha chiamata, così... Dal nulla»
«Perché?»
chiese nuovamente sedendosi accanto a me.
«Non
lo so... Dice che voleva rivedermi... Jihyun... E’
normale che io mi senta... strana? Quasi felice, direi» mi
girai verso la mia
amica, mentre lei sorrideva appena.
«Beh,
penso di sì. Anzi, devi essere felice: hai
ritrovato tua mamma!» esclamò abbracciandomi.
Sorrisi leggermente
nell’abbraccio.
Avevo
trovato mia mamma...
Era
l’una di notte quando sentii il cellulare vibrare
sul comodino. Alzando la testa dal cuscino, afferrai
l’aggeggio e guardai il
display. La parola “Mamma” lampeggiava
insistentemente sullo schermo.
«Pronto...»
sussurrai alzandomi dal letto.
«Ciao
tesoro, come stai?» esclamò la voce
dall’altro
capo.
«Tutto
ok» risposi mettendomi un paio di scarpe. Uscii
silenziosamente dalla camera e andai fuori sulla terrazza, sperando di
non
disturbare Jihyun.
«Perché
sussurri?»
«Qua
da noi è notte... mamma»
«Ah,
capisco! Hai sonno?»
«Un
po’» mi appoggiai al muro
«Non
ti preoccupare, quando tornerai qui in America,
potrai dormire quanto vorrai e non do-»
«Cosa?
Tornare in America?» esclamai fregandomene dei
vicino. «Di cosa stai parlando?»
«Ora
che ti ho rintracciata, non vorrai certo rimanere
là in Giappone!»
«...Corea»
la corressi «E comunque... Non posso, qua ho
un lavoro e degli amici, non vorrai che io lasci
tutto…»
«Ma...
Vorresti dire che preferiresti rimanere lì
piuttosto che venire ad abitare con me?»
«N-non...
Non ho detto questo... Ma...»
«Mi
vogliono al lavoro tesoro, mi dispiace. Prometti di
pensarci bene, ok?»
«O-»
la linea telefonica s’interruppe, io rimasi lì in
piedi.
Non
volevo tornare in America, ricominciare da capo
tutto ancora una volta. Qui avevo un lavoro, una casa, avevo Jihyun
e... avevo
Onew. Non volevo lasciare tutto, eppure sentivo che avrei fatto bene
passare un
po’ di tempo con mia madre. Era normale passare del tempo con
lei, non succede
così?
Era
mia mamma dopotutto, no?
La
mattina dopo mi svegliai con un terribile mal di
testa e due o tre linee di febbre. Chiamai il lavoro e mi dissero di
rimanere a
casa per un giorno o due. Sollevata, sprofondai tra le coperte,
ripensando alla
chiamata della sera prima.
Non
sapevo davvero cosa fare, e non volevo parlarne con
Jihyun per il momento. La risposta, grazie al cielo, arrivò
a metà mattinata,
verso le dieci.
«Erin!»
sentii esclamare appena aprii la chiamata.
«Sì,
mamma?»
«Non
sarai costretta a ritrasferirti, per ora! Verrò io
in Corea per qualche settimana, ok?»
«Cosa?»
esclamai alzandomi di colpo dal letto. Ebbi una
fitta alla testa, costringendomi a calmarmi per un attimo.
«Verrò
lì e starò un po’ con te!»
«Cos...
Ma quando? E dove starai?»
«Fra
due o tre settimane. Il posto lo troverò, starò
in
un hotel o a casa tua, ok?»
«Ehm...
Io... o-ok» mormorai. Mia madre riattaccò
qualche minuto dopo, ma non feci nemmeno in tempo ad appoggiare il
telefono sul
comodino che iniziò a vibrare di nuovo. Senza nemmeno far
caso al nome,
accettai la chiamata, portando il cellulare all’orecchio.
«Pronto?»
«Hey
Erin!»
«Hey
rompiscatole» borbottai ironica riconoscendo
immediatamente la voce.
«Di
buon umore, eh? Hai voglia di uscire? Hanno
cancellato un’intervista!» trattenni una risatina
sentendo il tono di voce di Onew:
nemmeno un bambino a Natale avrebbe avuto una voce così
felice!
«Sto
male, non posso uscire»
«Oh,
mi dispiace... Allora vengo a cucinarti qualcosa!»
dichiarò.
Neanche
morta!
«No
che non vieni!»
«Hai
fame e non puoi alzarti!»
«Non
sai dov-»
«Kibum,
posso cucinare pollo fritto a un
ammalato?» m’interruppe senza nemmeno starmi a
sentire. Sentii un ragazzo sgridarlo, un altro ridere.
«Onew,
tu non verrai qua!» esclamai riportando
l’attenzione su di me.
«Ciao
Erin, ci vediamo fra poco!»
Scalciai
via le coperte, cercando di reprimere i miei
istinti omicidi. Ma perché quel ragazzo doveva sempre fare
di testa sua?!
Appoggiai la mia testa dolente ai cuscini, cercando di riaddormentarmi.
«Tanto
non gli apro»
«Eriiiiiin!
Apriiiii!»
«No!»
esclamai stringendomi nella coperta che avevo
attorno al corpo. Saltellai verso il divano, stendendomi.
«Daiii!
Ho fatto mezza Seoul solo per venire qua, ora
devi aprirmi!»
«Ok,
ok» mormorai alzandomi. Aprii la porta. Onew era
davanti a me con due sporte tra le mani e il solito sorriso che gli
illuminava
il viso.
«A
dir la verità ero abbastanza vicino, ci ho messo tanto
perché non sapevo cosa comprare» aggiunse
ridacchiando. Senza nemmeno
arrabbiarmi mi spostai, ristendendomi sul divano. La febbre era
probabilmente
salita, il mal di testa era persistente.
«Yah,
stai bene?» mi chiese chiudendo la porta.
«Ho
solo un po’ di mal di testa» si sedette accanto a
me, scrutandomi. Poi, piano piano, vidi il suo viso avvicinarsi sempre
di più
al mio. Incapace di capire cosa stesse succedendo, rimasi immobile,
finché non
sentii le sue labbra appoggiarsi leggere sulla mia fronte.
Pietrificata,
continuai a fissarlo stralunata.
«Sei
molto calda, Erin... dovresti prendere un’aspirina»
«Prima
devo mangiare, non posso prenderla a stomaco
vuoto»
«...Giusto.
Allora cucino in un attimo! Ci credi che i
malati non possono mangiare pollo fritto? E’ incredibile...
dovrò farti una di quelle cose insipide che mangiano
tutti, immagino...» gli mostrai con un cenno la cucina, dove
si intrufolò in un
attimo. Stesa sul divano lo sentivo canticchiare una delle mille
canzoni
presenti nell’iPod di Jihyun. La sua voce era profonda ma
vellutata;
decisamente affascinante…
No
aspetta.
La
sua voce non era affascinante, nemmeno per sogno! Ma
a cosa stavo pensando?
«...Bene?»
sussultai leggermente, trovandomi davanti il
viso di Onew, perplesso, che aspettava una risposta.
«Cosa?»
«Ho
detto, ti senti bene?» annuii, sedendomi. Presi in
mano la zuppa che mi porgeva e la squadrai sospettosa. Era fin troppo
di
bell’aspetto per essere stata cucinata da un uomo.
«L’hai....
davvero cucinata tu?»
«Cosa
credi?! Sono capacissimo di cucinare un sacco di
piatti!» decisi che non mi importava chi l’avesse
cucinata, dal momento che
rischiavo di morire di fame. Mangiai il piatto in fretta, mentre Onew,
di
fianco a me, mi osservava discretamente. E stranamente non mi dava
fastidio;
ero così abituata alla sua presenza che ormai non facevo
più caso alle sue
stranezze.
«Come
si dice?» esclamò tutto d’un tratto. Lo
squadrai,
posando la ciotola sul tavolino davanti a noi.
«La
prossima volta metti meno verdure?»
«No,
la parola “magica”!»
«Onew,
la parola “magica” è per favore, non
grazie» si
mise quasi subito a ridere, mentre io lo guardavo sbuffando.
«Fa
lo stesso, tanto “Grazie” l’hai comunque
detto!»
poi, alzandosi aggiunse: «Dove sono le medicine?»
«In
bagno, lo sportello di sinistra» tornò poco dopo
con in mano una scatolina. Presi l’aspirina e poi mi ristesi
sul divano, sempre
sotto lo sguardo apprensivo di Onew. In silenzio, cercai di ascoltare i
suoni
che provenivano dalla strada, mentre i raggi deboli del sole invernale
si
appoggiavano su di noi. Odiavo stare male, con tutta me stessa. Non
riuscire a
stare in piedi e non poter camminare per me era impensabile!
«Onew...»
mi ritrovai a sussurrare dopo qualche attimo di
silenzio, ormai fuori di me.
«Si?»
«Tu...
sei davvero strano.
Anche se continuo a cacciarti tu ritorni sempre. Non è
normale» come estraniata
dal mio corpo, sentivo la mia voce sussurrare quelle parole ma, forse a
causa
della febbre, non riuscivo a prendere il controllo sulla mia bocca.
«Lo
prendo come un complimento?»
«Fai
come vuoi» le palpebre, intanto, si facevano
sempre più pesanti. «Mi ricordi tanto un
cagnolino» aggiunsi prima di chiudere
gli occhi del tutto. Nel silenzio della stanza, prima di addormentarmi,
sentii
la sua voce sussurrare “Tu mi ricordi un gattino ferito,
invece”.
-
Note
dell’autore.
Eccoci
qua… Jihyun ha scoperto il “segreto” di
Erin e
la madre di Erin è entrata in scena… Le cose
iniziano a farsi interessanti da
qui in poi! :3
Questo
capitolo non mi convince del tutto, ma dopo l’ennesima
volta che lo cambio ho deciso di lasciarlo così e amen!
Spero vi piaccia!
---
Too
Fast To Live:
Spero ti piaccia questo capitolo! La Onrin…
mi piace come nome! *___* ahahah
_Eli
Minho_:
Grazie del complimento, non immagini quanto mi faccia
piacere :3 Eeh, chi lo sa se è cotta… Vedremo!
|
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Capitolo 7 *** Chapter 7 ***
Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 7/?
Desclaimer: Gli
SHINee non mi appartengono ma Key
sì
This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.
Love’s
Way – SHINee
-
Ancora
mezza addormentata, avvertii una mano posarsi
sulla mia fronte e una voce sussurrare qualcosa
d’incomprensibile. Mi sforzai
ad aprire gli occhi, trovandomi davanti il viso preoccupato di Jihyun,
che mi
osservava sollevata. Mi trovavo ancora in salotto, dove la luce del
sole era
andata via del tutto, costringendo la mia amica ad accendere le luci.
«Hey...
Come stai?» la sentii chiedere. Mormorai un
“meglio” poco accennato, ricordando immediatamente
quello che era successo ore
prima.
«Onew?»
chiesi senza pensarci tanto.
«E’andato
via un’oretta fa, aveva da fare... E’ un
ragazzo simpatico» mi alzai di scatto seduta, guardandola
sorpresa. Aveva
parlato con Onew?
«Hai
parlato con Onew?»
«Era
seduto di fianco a te quando sono rientrata, era
ovvio che gli chiedessi cosa stesse facendo!»
«Cosa
stava facendo?»
«Ti guardava»
disse semplicemente sorridendo. Distolsi lo sguardo, sentendomi
leggermente a
disagio. «Vado
a cucinarti qualcosa»
aggiunse poi alzandosi, e potrei giurare che, appena arrivata in
cucina, avesse
ridacchiato.
“L’aereo
in arrivo da Los Angeles ha iniziato ora
l’atterraggio sulla pista due”.
Alzai
il viso verso l’auto-parlante, cercando di capire
cosa stesse dicendo la voce meccanica. Era l’aereo di mamma,
pensai alzandomi
dalla panchina dove aspettavo. Il fatto che si fosse trasferita a Los
Angeles
dalla Florida mi aveva fatta pensare, ma la città era grande
e non c’era che
l’uno per cento di possibilità che si incontrasse
con mio padre, dal momento
che si odiavano, no? Lei diceva che era per motivi di lavoro, quindi
non vi
erano problemi.
«Dove
sei?» chiesi rispondendo al cellulare qualche
attimo dopo.
«Ho
un cappotto rosso, mi dovresti vedere, cara»
«Bene.
Nel caso, io sono l’unica ragazza bianca»
risposi buttando giù. Mi strinsi dentro il cappotto,
avviandomi verso la massa
di persone accanto all’uscita. La vidi dopo qualche attimo,
il cappotto rosso e
una borsa nera sulle spalle. Sussultai, osservandola da lontano.
Era,
a vederla, poco più alta di me. Calzava un paio di
tacchi a spillo con disinvoltura, come se non avesse fatto altro nella
vita; i
suoi capelli erano lunghi e mossi, lasciati sciolti sulle spalle e il
suo viso
era uguale a quello dei miei ricordi, solo molto più stanco
e vecchio. Alcune
rughe le segnavano il volto truccato sapientemente, le labbra tinte di
rosso
erano appena socchiuse. I suoi occhi, azzurri come i miei, vagavano
alla
ricerca di sua figlia.
Alla
ricerca di me.
Sentii
una strana sensazione prendermi lo stomaco,
mentre mi avvicinavo. Quella era mia madre, pensai felice, era
lì per stare con
me.
«Mamma!»
esclamai. La vidi girarsi e sorridermi
sorpresa. Per quanto lo permettessero i tacchi, aumentò il
passo.
«Erin!
Come sei cambiata!» appoggiò la borsa per terra,
abbracciandomi forte. Sorpresa e interdetta, rimasi immobile,
respirando il suo
profumo.
«Forza,
andiamo a prendere le valigie! E’ freddo qui a
Seoul!» l’accompagnai a prendere le valigie, poi
tornammo a casa con un taxi.
Le feci conoscere Jihyun, educata e gentile come al solito, poi la
lasciai in
camera mia a riposarsi.
Il
giorno dopo la portai a vedere Seoul e a fare
shopping insieme. Quella situazione era così irreale che non
riuscivo a
capacitarmene, venivo trascinata da quelle nuove emozioni che sentivo
mentre le
parlavo… Per la prima volta nella mia vita sentivo di
potermi fidare di lei, di
mia mamma. Anche se mi aveva lasciato, ora era tornata, no? Mi voleva
bene.
«Allora,
come va con tua mamma?» mi chiese Onew al
telefono dopo essersi lamentato della coreografia di una canzone con
cui
dovevano esibirsi. Gli avevo accennato la cosa qualche giorno prima,
non
pensavo se ne ricordasse!
«Bene.
E’... strano avere una mamma»
«Immagino...
Scusa, Erin, devo andare, iniziano le
prove» lo salutai e poi allontanai il cellulare
dall’orecchio, appoggiandolo
sul tavolino di fianco a me. Mamma era uscita a fare una passeggiata da
sola,
mentre di là, in camera sua, Jihyun faceva le valigie. Il
giorno dopo sarebbe
partita. Entrai in camera sua, prendendo su due reggiseni caduti per
terra.
«Ma
quante valige hai?» borbottai osservando le tre valige
appoggiate sul letto.
«Un
po’!»
«Devi
stare via un mese, non tre anni» feci notare
sedendomi sul letto.
«Un
mese e una vita, non cambia nulla! I vestiti sono
quelli!» esclamò tirando fuori
dall’armadio i vestiti estivi. «Aiutami a
piegarli»
«Certamente,
signora Rottermaier»
borbottai prendendo però in mano un vestitino nero.
Senza
che me ne accorgessi, erano già passate due
settimane dall’arrivo di mia mamma in Corea, e una dalla
partenza di Jihyun. Passavo
le mie giornate tra lavoro e mia madre, ignorando persino la mia
macchina
fotografica, che giaceva ancora sul comodino, e Onew, con cui mi
sentivo a
volte per telefono.
Per
il primo periodo, mia mamma si comportava come se
fossimo sempre state insieme, come se non ci avesse davvero lasciato.
Rideva con
me, mi parlava dell’America, del suo fidanzato… mi
portò fuori a cena in uno
dei ristoranti più famosi di Seoul quando scoprii di non
aver vinto il famoso
concorso fotografico e aveva accennato ad affittare un appartamento qua
a seoul
per un po’… Insomma, faceva tutto quello che una
madre dovrebbe fare.
Dopo
la prima settimana, però, capii che c’era qualcosa
che non andava. era sempre con il telefono in mano, ma si rifiutava di
farmi
ascoltare le sue conversazioni. Si rifugiava in un angolino e parlava
concitatamente
con qualcuno che non conoscevo. Poi, fingendo un sorriso, tornava da me
e si
comportava normalmente. Con il passare dei giorni, delle ore, era
sempre più
agitata e ansiosa, mi faceva spesso domande su cosa intendessi fare nel
mio
futuro e, sinceramente, non avevo la più pallida
idea di cosa stesse succedendo.
«Jihyun,
parliamo» mi disse una sera sedendosi su una
sedia in cucina. Il suo viso sembrava sereno, ma potevo vedere
dell’agitazione
negli occhi e le sue labbra erano ristrette ad un filo immobile al
centro del
viso. Mi appoggiai al ripiano di marmo, aspettando.
«Sono
qui da due settimane e fra poco dovrò tornare in
America, lo sai?» la fissai perplessa. E
l’appartamento che aveva intenzione di
comprare? Decisi comunque di stare in silenzio. «Tu sei molto
giovane, i
ragazzi alla tua età vanno al college, non lavorano
e-»
«Mamma
vai dritta al punto» mormorai.
«Ok,
mettiamola così» disse dopo una piccola pausa, con
una voce ferma e severa, così diversa da quella dolce,
solita. «Tuo
padre mi ha contattato. Vuole che tu torni
in America e che studi per diventare avvocato. Io sono d’accordo»
-
Note
dell’autore.
Ok,
il capitolo è davvero,
davvero cortissimo. Ma prometto di postare domani, in modo da rifarmi!
Non mi
convince per niente questo capitolo… In pratica non succede
nulla, e non volevo
fare la cronaca di tutti i giorni passati insieme alla madre di Erin,
così ho
preferito fare un salto temporale.
n__n
---
Chihiro02: Grazie,
davvero. Non mi sarei mai aspettata tutti questi complimenti! Il fatto
della
suspance era quello che mi preoccupava di più, avevo sempre
paura di fermarmi
al momento sbagliato (??). Sono contenta di esserci riuscita nel modo
giusto!
:D
_Eli Minho_: Sono
contenta
che ti piaccia! :3 Ah, immaginavo fosse ovvio…
Vabbè, ormai l’ho scritto! Spero
che ti sia piaciuto questo capito!
|
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Capitolo 8 *** Chapter 8 ***
Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 8/?
Desclaimer: Gli
SHINee non mi appartengono ma Key sì
This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
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Love’s
Way – SHINee
-
«Tuo
padre mi ha contattato. Vuole che tu torni
in America e che studi per diventare avvocato. Io sono
d’accordo»
Questo
non era quello che mi aspettavo.
La
guardai, spalancando gli occhi. Si era sentita con mio
padre? Da quando? E perché?
«Sei
venuta qui solo per… costringermi?»
chiesi sbalordita.
«Non
saresti mai venuta se avessi cercato di
convincerti solo a parole» disse semplicemente.
«Da
quanto?»
«Cosa?»
«Da
quanto tu e quello vi divertite a giocare
con me? Da quanto avete deciso di
ingannarmi in questo modo, eh?» sibilai stringendo il
bicchiere d’acqua che
avevo in mano.
«Tutta
questa storia della Corea, del trasferimento...
non capisci che ti stai rovinando la vita? Non andrai mai da nessuna
parte se
rimani qui! Tu tornerai in America e diventerai una manager come tuo
padre,
siamo chiari?!»
«Cos-
Ma chi cazzo sei tu per giudicare quello che
faccio! Io resterò in Corea! Tu… tu sei venuta
qui solo per… hai fatto tutta la
carina solo per convincermi!»
«Giusto,
chi sono?! Di certo non tua madre! Sono
contenta di essermi liberata di te!
Io non ti ho mai voluto, sia chiaro! Hai sempre cercato di rovinarmi la
vita!»
Era
contenta di essersi liberata di me.
Era
contenta di non avermi per figlia.
Non
mi voleva.
La
sua voce rimbombava nella mia mente, mentre
abbassavo gli occhi. Quindi tutto quello che aveva fatto in quelle due
settimane era... falso. Lei non mi voleva bene, non me ne aveva mai
voluto.
Mi
odia.
«Scommetto
che tu ti sia divertita a giocare alla mamma
premurosa e gentile, eh?» sbottai buttando a terra il
bicchiere. I pezzi di
vetro si sparsero per tutta la stanza, mentre io e mia madre, in piedi
l’una di
fianco all’altra, ci guardavano furenti.
«Si,
è stato abbastanza divertente, in effetti. Ma ora
il gioco è finito»
«E
io che ci era pure cascata, ti avevo creduto... Dio,
che stupida! Avrei dovuto capirlo!» urlai avviandomi verso la
porta. Mia madre
mi afferrò il polso, stringendo.
«Lasciami!»
«No!»
la sentii urlare prima che la sua mano
schiaffeggiò forte la mia guancia. Rimasi immobile, cercando
di capire cosa
fosse successo.
«Vai
a fanculo» sibilai liberandomi dalla sua stretta e
scappando via.
Correvo
da almeno dieci minuti tra quelle strade.
Sentivo le lacrime scendere velocemente dagli occhi, ma non ci facevo
caso:
volevo solo scappare via.
Mi
aveva tradita. Io mi ero fidata di lei, avevo
addirittura pensato di poter riallacciare i rapporti e vivere come una
normale
famiglia e invece era tutta una farsa.
Mia
madre in verità mi odiava e mi aveva ricontattato
solamente per riportarmi in America.
Ed
io, come una stupida, ci ero cascata. Avrei dovuto
pensarci due volte prima riparlare con quella donna, prima di... fidarmi e affezionarmi a lei. Ero
davvero un’idiota, un’incapace.
Mi
fermai di scatto davanti ad una torre che conoscevo
bene. Seoul Tower. C’ero stata due giorni prima con lei.
Senza pensare a nulla
entrai, precipitandomi nell’ascensore.
Ultimo
piano.
Quando
uscii sulla terrazza, una ventata d’aria sferzò
violentemente
il mio viso, scompigliandomi i capelli. Ero andata lì con
l’intento di prendere
una boccata d’aria, ma come fossi ipnotizzata, mi avvicinai
al parapetto,
guardando giù. Le strade, le persone, le macchine... tutto
era così piccolo,
così insignificante.
Un
salto e avrei potuto farla finita.
“Sono
contenta di essermi liberata di te! Mi rovinasti
la vita quando nascesti!”
Mi
sedetti sul parapetto tremando. Non avrei dovuto
fidarmi di lei.
«Sarai
contenta ora...» sussurrai silenziosamente.
«Che
cazzo combini?! Erin!» mi girai lentamente verso
chi aveva parlato. Onew correva verso di me, con
l’espressione più spaventata
che avessi mai visto.
«Oh,
ciao» mormorai, ormai fuori di me, tornando a
guardare il vuoto sotto di me.
«Erin,
scendi! Ora!» lo ignorai. «Erin, per favore,
guardami! Non fare cazzate!»
«A
lei... Farebbe piacere» dissi senza ascoltarlo.
«No!
Erin, guardami! Per favore! Io...» mi girai verso
di lui quando sentii un singhiozzo mal trattenuto. I suoi occhi erano
lucidi,
le sue guance bagnate. Mi guardava spaventato, le braccia tese verso di
me.
«Per favore, non lo fare. Pensa a Jihyun, pensa a me! Proprio non t’interessa?
Tutto si può sistemare se scendi. Ci
sarò io per te, però per favore, non lo fare,
qualunque sia il motivo. Per
favore, per favore... Io non... Sei importante per me!»
“Già,
Jihyun. a lei proprio non avevo pensato.
Probabilmente si arrabbierà, visto che non l’ho
ancora accompagnata ad un
concerto degli SHINee. E ho lasciato la porta aperta… E
Onew... nemmeno a lui
avevo pensato. Sta piangendo, sembra spaventato. Fa male vederlo
così... forse
dovrei consolarlo.”
In
un attimo, non so come, mi ritrovai tra le sue
braccia, che mi stringevano troppo forte. Non dissi nulla, anche se
faceva
male. Andava bene così. Lo sentivo piangere sommessamente,
mentre io avvolsi le
mie braccia attorno alla sua schiena, stringendo a mia volta. Senza
rendermene
conto iniziai a piangere, singhiozzando senza ritegno.
Seduta
sul sedile della sua macchina, guardavo passare
davanti ai miei occhi le luci della città, in silenzio.
Ero
stanca.
Non
ricordavo che piangere fosse così stancante, ed io
di lacrime ne avevo versate tante in quei minuti. La mia mente
continuava a
riportarmi alla mente quei momenti, quasi a farmi capire fino in fondo
cosa
stavo per fare nemmeno un’ora fa. Al pensiero, un lungo e
scomodo brivido
oltrepassò la mia schiena, facendomi tremare.
Non
so cosa mi era preso.
Non
volevo saltare veramente, ora che ci pensavo, ma in
quel momento… guardando giù tutto mi era sembrato giusto. Era stato come risvegliarmi da
una trance quando Onew mi
aveva preso tra le sue braccia.
Improvvisamente
riconobbi la strada vicino a casa mia e
tremai ancora, più a lungo. Non volevo tornare lì.
«Onew...
Dov-»
«Prendiamo
i tuoi vestiti e andiamo a casa tua. Finché Jihyun
non torna tu stai da me» dichiarò atono fermandosi
davanti casa.
«S-Sali
tu» dissi «Al posto mio»
«No,
ti accompagno» mi precedette, entrando velocemente
in ascensore, poi si appoggiò a una delle pareti, chiudendo
gli occhi. Sembrava
si trattenesse dal picchiare qualcosa o qualcuno. Era arrabbiato con
me? Non
feci in tempo a pensarci: appena uscimmo dalle porte
dell’ascensore, mi
ritrovai davanti mia madre, valigie in mano e cappotto addosso.
«Che
ci fai qui? Già di ritorno dalla tua corsetta?»
aprii la bocca ma nessun suono ne volle sapere di uscire. Lei
continuò. «Me ne
vado. Dal momento che non vuoi venire, e visto che ho perso tempo
stando per
due settimana in questo buco, preferisco tornare nella mia villa a LA.
Te la
vedrai con tuo padre, da sola. E questo chi è? Il tuo
fidanzatino? Sei andata a
consolarti da lui?»
«Lui
è-»
«Un
suo caro amico.
Piacere signora. Ora, con il suo permesso, noi dovremmo
passare» mia madre fece
un passo in avanti verso di lui, squadrandolo furiosa. Lui era
impassibile, non
riuscivo a capire da dove prendesse tutta quella sicurezza.
«Senti
ragazzino, fai poco l’arrogante con me, ok? Il
mio compagno è un avvocato»
«Oh,
davvero?»
esclamò mettendosi le mani in tasca «Io conosco
più o meno una trentina di
avvocati e lavoro per una delle agenzie più importanti della
Corea. Oh, per non
parlare poi del fatto che sono conosciuto in tutta l’Asia.
Non penso sia
opportuno mettersi contro di me, sappiamo tutti e due che come
finirà. Ora, con
permesso... Buona serata signora, le auguro un buon rientro a casa sua.
E
avverta il suo ex marito di non importunare più Erin.
Andiamo»
Il
suo discorso era stato... wow.
Non
avevo mai, e ripeto mai, visto Onew
parlare in quel modo. Persino mia madre era rimasta
senza fiato. Io lo seguii, sbalordita, aprendo la porta.
«Quello
era...»
«Scusami.
Quella donna mi irritava... Presto, prendi le
tue cose»
«...Il
discorso più convincente che abbia mai sentito
da te»
proseguii voltandomi verso di lui «Onew,
hai guadagnato qualche punto»
aggiunsi poco dopo. Speravo di sentirlo ridacchiare come aveva sempre
fatto, ma
ciò non accadde. Rimase seduto sul divano, accennando ad un
debole sorriso che
sparì dopo qualche attimo. Decisi di passarci sopra e corsi
in camera mia. Da dove
ne riemersi dieci minuti dopo, con lo stretto necessario pacchettato in
un
borsone.
«...Sono
pronta» sussurrai.
«Bene»
si alzò, osservando la mia borsa «Un po’
poco
per quello che dovrai starci. Vabbè, torneremo
domani» poi mi diede le spalle,
avviandosi verso la porta.
«Onew!»
lo fermai «Ti... ho fatto arrabbiare?»
«Cos-
perché me lo chiedi?»
«Sembri
in procinto di picchiare qualcuno e non sorridi
da quasi un’ora» mormorai semplicemente. Lui si
avvicinò a me, prendendo la mia
borsa dalle mie mani.
«No.
E’ solo che... continuo a rivederti sul quel
parapetto e, credimi, non è una bella immagine. Mi hai fatto
preoccupare da
morire, Erin»
Lo
guardai, in silenzio. Ora sorrideva, ma il suo viso
era stanco e preoccupato, ed io non avevo la più pallida
idea di cosa fare.
Avrei dovuto... abbracciarlo? Magari consolarlo? Era colpa mia se si
sentiva
così, ma non avevo mai consolato una persona in vita mia.
«Io...»
«Non
ti preoccupare, ora andiamo» annuii, seguendolo
fuori. E ancora una volta non ero riuscita a farmi perdonare o a
calmarlo.
Questa
cosa iniziava a darmi i nervi.
«Ci
saranno anche gli altri, uhm... dentro?» chiesi
mentre apriva la porta.
«Sì,
ma non ti preoccupare, saranno felici di averti
qui. Entra, su» feci come mi aveva detto, ritrovandomi dentro
l’appartamento
dov’ero stata qualche settimana prima. Tutto era come lo
ricordavo e,
stranamente, mi sentivo al sicuro. Come a
casa.
«Jinki
hyung, sei tu?» sentimmo urlare dalla cucina.
Altre voci stavano ridacchiando in salotto, con la tv accesa.
«Sì,
e abbiamo un’ospite!»
«Così
Jinki è il tuo nome...» sussurrai girandomi verso
di lui. Stupita, realizzai il fatto che, per tutto quel tempo, non
avevo fatto
altro che chiamarlo con il suo falso nome.
«Sì,
ma preferisco che tu mi chiami Onew. Jinki non mi
piace» rispose appoggiando la mia borsa a terra e togliendosi
il giubbotto.
«A
me sì» ammisi. Nel frattempo sentimmo dei passi
affrettati venire verso di noi. Alzai lo sguardo, ritrovandomi davanti
Kibum, quello
strano, e il più piccolino. Kibum aveva addosso una tuta e
aveva in mano una
tazza da dove proveniva un profumo invitante, mentre il piccolino
–che non
aveva più i capelli lunghi come i miei!– era in
pigiama. Entrambi mi fissavano,
stupiti.
«C’è
stato... qualche contrattempo. Per un po’ resterà
qui da noi, ok? Solo qualche settimana» esordì
Jinki avvicinandosi a me.
«Oh,
nessun problema! Può dormire nella stanza del
manager, visto che se n’è andato!» Kibum
si avvicinò a me, appoggiando la tazza
su un tavolino per poi prendermi le mani tra le sue. Un po’ a
disagio, rimasi
immobile. Ma da dove prendeva tutta l’energia, questo qui?
Era l’una di notte!
«Erin, giusto?»
«ehm...
sì»
«Io
sono Kibum!»
«Io
sono Taemin! Sei più grande di me, vero? Posso
chiamarti noona?»
«Io...»
«Ragazzi,
lasciatela in pace! E’ stanca» ridacchiò
Onew. «Andiamo, Erin? Ti faccio vedere la stanza»
lo seguii su per le scale in
silenzio, mentre dietro di noi i due ragazzi stavano bisbigliando tra
di loro.
«Ok,
la mia stanza la ricordi, no? E’ quella di fianco
a questa»
«Sì»
«Erin?»
«Sì?»
«Sei
sicura che...»
«Cosa?»
«Che
tu voglia dormire da sola? Non hai... paura?»
«No.
Jinki, non ti preoccupare»
«Ok...
io vado»
«Jinki?»
«Sì?»
«...Grazie»
Mi
sorrise, poi sparì come un fantasma dietro alla
porta. Io mi stesi sul letto. Probabilmente ora era in salotto a
spiegare tutto
ai ragazzi e domani tutti avrebbero saputo che avevo tentato di... Al
solo
pensiero tremai, impaurita per quello che avrei potuto fare. Ora stavo
bene, ma
nelle ore precedenti tutto era accaduto come se quella che si muoveva
non fossi
io, come se qualcun altro stesse manovrando la mia mente e il mio
corpo.
Il
fatto che mia mamma avesse architettato tutto
insieme a mio padre ora non mi scioccava più di tanto. Mi
ero lasciata
trasportare dalle emozioni per quelle due settimane, era tutta colpa
mia se era
successo tutto quello.
«Ora
basta, meglio dormire» mi lavai, mi misi il
pigiama e mi rifugiai sotto le coperte, cercando di prendere sonno.
Correvo,
ansimavo. Dove diavolo
ero?
Continuai ad avanzare, finché non mi ritrovai in un posto
familiare. Realizzai
poco dopo che quella era la terrazza dove avevo cercato di buttarmi
giù. Dovevo
allontanarmi, dovev-
Due
paia di mani mi tenevano ferma,
immobile.
«Perché
non finisci quello che hai
cominciato, Erin?» sentii Onew sussurrare malignamente.
«Potevi
anche andartene, ormai non
interessi più a nessuno»
“Dovresti
buttarti giù, Erin”
“Erin, vattene
da casa mia”
“Buttati
giù”
“Credi
davvero di essere importante?”
“Smorfiosa”
-
Note
dell’autore.
Com’è
che era? Aggiorno domani? LOL
So
a cosa state probabilmente pensando… Perché
l’autrice
ha deciso di infilare un tentato suicido dal nulla? La risposta
è che… Non lo
so! XD Non ho la più pallida idea di quello che stavo
pensando in quel momento,
ma ho deciso comunque di lasciare così, anche
perché non avrei saputo come
sviluppare tutta la storia altrimenti…
Spero
che vi sia comunque piaciuto!
Chihiro02:
Grazie di nuovo! Ho un debole per le povere ragazze con mille
disavventure, se
non si è notato! XD
Chrome_th:
Queste
madri devono smettere di rovinare i sogni alle ragazze LOL (??)
Too
fast to live:
Ti capisco n___n Sì, ha 18 anni!
_Eli
Minho_:
I suoi genitori li odio pure io che li ho scritti
(??). Mi sa che a quanto stronzaggine (ma esiste questa parola,
almeno?) ho
fatto un buon lavoro! XD
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Capitolo 9 *** Chapter 9 ***
Autore: FunnyBunny
Pairing: Onew/OC
Capitoli: 9/?
Desclaimer: Gli
SHINee non mi appartengono ma Key sì
This is so much like us,
We fight like we’ll never see each other again
And then become mixed in the soap called love,
Suddenly, all the animosity disappear.
We fight a hundred times,
And our hearts break a hundred times,
But like tangled pieces of string
Our love can’t be pulled apart.
Love’s
Way – SHINee
Mi
sedetti di scatto sul letto, sbarrando gli occhi.
«Solo
un sogno...» sussurrai toccandomi le guance.
Piangevo ancora. «Era solo un sogno»
C’erano
tutti, lì. Jihyun, Jinki, mia madre, mio padre,
i miei vecchi compagni di classe, gli SHINee, il signor Park... erano
tutti a
guardarmi, su quella terrazza. Mi incitavano a buttarmi, a uccidermi e,
per
quanto potesse essere impossibile, era dannatamente reale, tanto che
pareva di
sentire ancora il tocco delle loro mani sulla mia schiena, mentre mi
spingevano.
Le
lacrime continuavano a scendere, mentre la casa era
immobile, silenziosa. Dormivano tutti, a quell’ora. Non
volevo restare in
quella stanza un secondo di più, non da sola.
Mi
alzai, cercando di smettere di piangere, senza però
riuscirci. Uscita dalla mia camera, entrai velocemente in quella di
fianco,
dove Onew dormiva placidamente. Mi avvicinai.
«Onew...
Onew»
scossi leggermente la sua spalla finché, dopo qualche
attimo, i suoi occhi si
aprirono leggermente. Si mise seduto, accendendo l’abat-jour
sul comodino.
«Erin,
hai biso- Hey, che hai fatto?»mi chiese notando
le lacrime.
«Posso...
dormire con te?» sussurrai.
«Oh...
S-sì, certo. Vieni» alzò le coperte, io
scivolai
al suo fianco. Spense la luce e, inaspettatamente, le sue braccia mi
avvolsero,
avvicinandomi al suo corpo. Con gli occhi spalancati, mi paralizzai per
qualche
secondo poi, trattenendo un piccolo sorriso, mi sciolsi. Mi sentivo
deliziosamente vulnerabile lì, tra le sue braccia, come mai
lo ero stata. Era
una sensazione del tutto nuova, ma mi piaceva. Quella sera, mi dissi,
potevo
permettermi di essere vulnerabile.
«Jong!
Non toccare i miei pancakes!»
«Ho
fame!»
«Ma
che cavolo...?» con gli occhi ancora socchiusi
cercai di capire cosa stesse accadendo. Seduta sul letto, mi guardai
attorno.
Era mattina, piuttosto tardi, a giudicare dalla luce che illuminava
completamente la stanza di... Onew.
Mi
girai velocemente verso il ragazzo steso accanto a me, che nel
frattempo
mormorava qualche imprecazione. Deglutii preoccupata: agli occhi degli
altri
come sarebbe apparsa questa scena?
Avrebbero
sicuramente pensato male!
«Jinki,
i tuoi amici non stanno mai zitti?» borbottai alzandomi in piedi.
«Ma
che ne so... Sono le dieci, di solito ancora
dormono!» rispose strofinandosi gli occhi. Buttai un occhio
sui suoi vestiti,
cercando di non farmi vedere. Un paio di pantaloni della tuta lunghi e
una di
quelle canottiere così attillate che risaltano ogni singolo
muscolo presente e
che, dovevo ammetterlo, a Onew stava decisamente
bene.
«Mettiti
una felpa. Prenderai freddo» mormorai mentre
cercavo di distogliere lo sguardo.
«Non
ho freddo! Stai bene tu?»
«Sì...
Scusa per ieri» aggiunsi dopo. Mi sentivo in
colpa per averlo svegliato nel pieno della notte.
«Non
ti preoccupare. Vieni, andiamo di sotto» annuii, seguendolo.
Pancakes!
Io
AMO Kibum.
Da
quanto non li mangiavo? Almeno quattro mesi,
sicuramente! Jihyun non era capace di cucinarli, ed io non sono mai
stato un
asso in cucina, così avevo dovuto rinunciare a uno dei miei
piatti preferiti,
rimpiazzandoli con normali cereali appena arrivata in Corea.
“Iniziano
a starmi simpatici. 100 punti per Kibum, il
ragazzo strambo!”
«Buon
giorno, lovebirds!»
“200
punti in meno per Kibum, il ragazzo rompiscatole.
Ritiro tutto quello che ho detto prima”
Lo
fulminai con lo sguardo, mentre l’altro ragazzo
presente ridacchiava sotto i baffi.
«Ok,
scusate, ritiro quello che ho detto» borbottò.
«Dormito
bene, Erin?» mi chiese... «Jonghyun. Sono
Jonghyun»
«Sì»
non feci in tempo a sedermi accanto a Onew che
avvertimmo un forte rumore di passi giù per le scale. Un
attimo dopo, dalla
porta della cucina, apparve il più piccolino, ancora
assonnato.
«Ciao
Hyung. Buongiorno noona!» si sedette al mio
fianco, osservandomi insistentemente con un sorriso ingenuo.
«Dormito bene?»
«Sì»
mi ritrovai a dire per la seconda volta.
«Sono
Taemin!»
«Piacere»
mi guardai attorno, perplessa. Mancava uno
SHINee all’appello! «E, ehm... quello alto
dov’è?»
«Dorme»
disse semplicemente Jonghyun «Appena saprà che
non ricordi i nostri nomi si metterà a piangere dalla
gioia!».
«Non
dovrebbe essere il contrario?»
«No,
fidati! A lui non piace essere riconosciuto! E
nemmeno a tutti noi» mi rispose.
«Non
riesco nemmeno a fare shopping in santa pace»
aggiunse Kibum.
«E
a scuola mi odiano tutti!» finì Taemin con un
boccone
di pancake in bocca.
«In
che senso?» ero curiosa, come si potrebbe odiare un
ragazzo del genere? Persino ai miei occhi appariva simpatico!
«Le
ragazze mi trattano come se fossi un alieno e i
ragazzi m’isolano! E si lamentano se sto da solo!»
rimasi a fissarlo per un attimo: qualche anno prima, alle superiori,
anche io venivo emarginata da tutti. Provai una sorta di cameratismo
per quel
ragazzo che si trovava nella mia stessa situazione.
«Onew»
esordii dopo aver deglutito. Puntai la mia
forchetta verso Taemin, leggermente spaventato e preoccupato
«Questo ragazzo mi piace»
dichiarai per poi tornare a
mangiare. In un attimo tutti a tavola scoppiarono a ridere.
«Abbiamo
da fare oggi?»
chiese dopo un po' Onew.
«Io,
Taemin e Jonghyun dobbiamo fare un photoshoot. Tu non hai nulla da fare»
«Perfetto!»
esclamò girandosi immediatamente
verso di me.
«Non
uscirò con te, ho da fare»
dissi
semplicemente sapendo già cosa mi aspettava.
«Cosa?»
«E'
tanto che non faccio qualche scatto e voglio passare la giornata fuori
Seoul»
ribattei infilando un altro boccone di pancake
in bocca.
«Bene,
vengo con te!»
«No
che non vieni!»
«Non
voglio stare solo con Minho!»
«Vai
a farti un giro
allora»
«Appunto,
farò un giro venendo con te!»
«Ma
perché devi sempre insistere!»
«Perché
tu sei cocciuta!»
«Ma
senti chi parla»
«Ragazzi...»
Mi
girai verso Jonghyun, che a sua volta ci fissava
insieme agli altri, trattenendo le risate. Mi accorsi solo qualche
attimo dopo
che il mio viso era pericolosamente vicino a quello di Onew. Nella
"disputa", senza pensarci, i nostri due corpi si arano avvicinati
l'uno all'altro in una posa decisamente compromettente. Mi allontanai
immediatamente, abbassando lo sguardo. Onew ridacchiò
semplicemente.
«Comunque
vengo, tanto hai bisogno di un passaggio»
«Andrò
in autobus, e lì non puoi salire!»
Ovviamente,
alla fine, Onew era venuto con me.
Avevo
passato la giornata a camminare per le stradine
di un piccolo paesino appena fuori Seoul, con Onew che mi seguiva,
fedele come
un cagnolino. Eravamo tornati a casa la sera tardi, dopo essere passati
a
prendere le ultime cose che avevo lasciato nell’appartamento
di Jihyun. Decisi
di non raccontare quello che era accaduto alla ragazza. Era molto
sensibile e
paranoica, non volevo rovinarle un intero mese di vacanza per una mia
cazzata.
Svegliarmi,
il Lunedì mattina, fu più facile del
solito, grazie all'odore di pancake e alla voce di qualcuno che
canticchiava
qualcosa. Mi lavai, mi vestii velocemente e poi scesi in cucina,
dov'erano già
tutti a tavola, anche loro vestiti.
Mangiammo
in fretta, per poi uscire quasi correndo:
loro avevano una registrazione di qualche programma, io avrei dovuto
aiutare il
signor Park con un nuovo photoshoot. Passai tutta la mattinata con il
signor
Park, che non vedevo da tanto tempo, e mi fu concesso di fare qualche
scatto ai
modelli, questa volta, grazie al cielo,
non idol.
Erano
più o meno le due del pomeriggio quando il signor
Park venne a chiamarmi. Stavo mangiando distrattamente un panino seduta
alla
mia scrivania, quando lui entrò, salutandomi allegro.
O,
per lo meno, era così che voleva apparire.
I
suoi occhi mi guardavano pensierosi, il suo sorriso
era triste. Io ricambiai il saluto con un cenno, finendo di deglutire
il
boccone.
«Come
va?»
mi chiese sedendosi sulla sedia della
mia compagnia, uscita per mangiare.
«Signore,
ci siamo visti due ore fa, lo sa come sto. Cos'è successo?»
dissi puntando il mio sguardo su di
lui, che deglutì.
«Non
ti scappa proprio nulla, eh? Beh, poco male, ti servirà in
futuro questa dote»
«Di
cosa sta parlando?»
chiesi curiosa. Non avevamo mai fatto discorsi del genere, che gli
prendeva
tutto d'un tratto? I suoi occhi si fecero più malinconici,
il suo sorriso
scomparve.
«Vado
in pensione, dalla prossima settimana. Mia moglie sta ancora male e
voglio
starle accanto»
sorpresa, cercai qualcosa da dire.
«Oh,
è... Una bella cosa, no? Cioè…
Potrà stare con sua moglie»
era vero. Ma allora perché sembrava
preoccupato?
«Erin,
non hai capito, se me ne vado, il mio posto sarà vacante. Ne
ho parlato con il
capo e, beh, prenderai tu il mio
posto. Congratulazioni!»
Oh,
ecco perché.
Note
dell’autore.
Nuovo
capitolo! Le cose tra Onew e Erin iniziano a
farsi interessanti… :3 Spero vi sia piaciuto questo capitolo!
Tay98:
Sono contenta che ti piaccia la storia! :)
Chrome_th:
Grazie
al cielo… non è sembrato troppo avventato?
Too
fast to live:
Sì, si è capito! :3 No vabbè Onew che
la
butta giù, oddio XDD Sarebbe stato il massimo!
Shinee:
A
quanto pare qualcosa si sta sbloccando… *u*
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