Fairy Shots

di Darkshin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fairy Shots ***
Capitolo 2: *** Fairy Shot2 ***
Capitolo 3: *** Fairy Shot3 ***
Capitolo 4: *** Fairy Shots 4 ***



Capitolo 1
*** Fairy Shots ***


Fairy shots
Fairy Shots


Alzack era seduto su una comune sedia di paglia, solo nella sua stanza. Bisca se ne era appena andata, annunciandogli che avrebbe sposato un famoso mago biologo dell'Est, lasciandolo di sasso per alcuni minuti. Era quasi certo di averla sentita sussurrare delle scuse, prima di chiudersi la porta alle spalle con delicatezza, con la stessa delicatezza con cui chiudeva la storia tra di loro.
Una storia che non c'era mai stata, in fondo: alla prova dei fatti, si era trovato ad essere troppo esitante, troppo inconsistente nonostante tutti i buoni consigli che gli erano stati dati dagli amici.
Ormai, però, era tardi, così il ragazzo estrasse la fidata pistola dalla fondina, puntandosela alla tempia. Chiuse gli occhi, per una naturale paura, ma la mano tirò il grilletto senza esitazioni.
E si svegliò.

Bixlow si passò una mano tra i capelli, appoggiandosi al piano di marmo del lavandino mentre si fissava con serietà allo specchio e meditava, perplesso, sul suo aspetto. Si chiedeva quale torto avesse mai fatto agli dei per quella faccia orribile e quei capelli da pazzo, per non parlare di quegli occhi terribili che lo costringevano a non potere mai fissare con serenità il suo sguardo in quello delle altre persone. Per non parlare poi del fatto che era in squadra con quella discreta gnocca di Ever e con Fried, il classico figo silenzioso.
Il suo creatore doveva essere di certo un sadico bastardo.

Erza si rialzò, decisa: con movimenti energici e la massima concentrazione, rilucidò le sue armature e riaffilò tutte le armi, riponendole con cura nello spazio magico pronte ad essere evocate al momento opportuno, che lo sapeva, non avrebbe mancato di presentarsi. Stavolta però, nessuno le avrebbe impedito di marciare contro il Consiglio Magico per riprendersi quello che era suo, a costo di andare anche contro la sua stessa gilda.
Poggiò la mano sul pomello della porta e lasciò che la sua mano lo sfiorasse, tornando di nuovo a sedersi sul letto, come aveva fatto le quattro volte precedenti.

Fried mescolava il suo cocktail senza guardarlo, la testa china sul bancone contratta in una smorfia arcigna: ancora non riusciva a capire come avesse fatto Bixlow a trascinarlo in un luogo simile, un club per uomini nel centro di Magnolia! Guardando quelle ballerine poco vestite che ronzavano tra i tavoli, il ragazzo sapeva che non ne avrebbe approcciata nemmeno una, come non aveva mai provato interesse per una qualsiasi delle sue colleghe: non aveva mai apprezzato le donne "eccessive", quindi la gilda non era certo posto in cui uno come lui potesse trovare l'anima gemella. Di recente però, si era accorto che se doveva essere sincero, una non era così, anzi...
Fu distratto dai suoi pensieri da un Bixlow alticcio con al seguito bambole di plastica alticce e due bambole di carne sotto le braccia, alticce anche queste, che rideva sguaiatamente e lo invitava incerto ad unirsi a loro. Sulle labbra del giovane si disegnò un sorriso condiscendente, di miele, ma quando il suo collega si girò fu lesto a imporgli sulla schiena una "regola": "se il bersaglio delle rune ha bevuto, per stasera non sarà in grado di...".
La prossima volta, se avesse avuto voglia di quel tipo di divertimento, si sarebbe ricordato di andarci da solo.

Mirajane adorava quei momenti in cui, alla fine della giornata, tutti maghi tornavano a casa e la gilda rimaneva vuota e silenziosa. Facendo le pulizie, riusciva a trovare il tempo di lasciarsi andare per un pò ai suoi pensieri: quella sera pensava a Elfman, che la aspettava sempre fuori dalla gilda per tornare a casa insieme e che stavolta non ci sarebbe stato perché era riuscito ad invitare Evergreen a cena; pensava alla ritrovata Lisanna, che non sarebbe tornata a casa perché sarebbe rimasta da Natsu.
Pensava a tutte le coppie che nella sua carriera di barista e maga aveva visto passare; ci sarebbe stato qualcuno anche per lei, qualcuno di suo ad attenderla tutti i giorni della sua vita? Una delle maghe più belle e forti della gilda avrebbe saputo trovare un uomo giusto?
La tristezza che la aveva avvolta passò veloce, come pulita via dal panno morbido che maneggiava: finché non si arrendeva c'era sempre un domani, pensò mentre la porta si apriva per lasciare entrare un ultimo cliente.

Natsu amava fissare la luna: quando era troppo eccitato per riposare come si deve o quando, come in quel caso, era preoccupato, dubbioso o inquieto, puntava i suoi occhi nel luminoso disco, sperando che per magia vi comparisse una risposta, anche quando la luna si ostinava a rimanere del suo naturale colore argenteo.
Agitato, si passò ancora una volta quelli che ormai si potevano a buon diritto chiamare artigli sulle spesse placche che rivestivano parte del suo corpo: non era la prima volta che una simile stranezza si verificava, ma dopo l'ultima battaglia quelle squame inquietanti non ne avevano voluto sapere di sparire come al solito. Era normale? Era un effetto collaterale della loro magia, sarebbe successo anche a Wendy e a Gazille, cosa sarebbero diventati?
O forse, era più corretto chiedersi: cosa erano in realtà?

Reedus il pittore non riusciva a staccare  gli occhi da loro due: il suo animo gentile da artista soffriva, nel vedere lui in ceppi al processo e lei appena dietro, separati dalla sottile parete di legno e dalla distinzione tra imputato e spettatrice. Eppure, erano perfetti, due splendide macchie di colore che si armonizzavano a vicenda anche nella tristezza e nella miseria.
Tornato a casa, prese i suoi colori per immortalare sulla tela quello che aveva in fondo al cuore, ma nessuna immagine, per quanto perfetta, rendeva a dovere lo strazio di due vite nate per essere unite che il mondo separava con la sua logica spietata.
Allora, prese una nuova tela e il pennello più grande a sua disposizione e tracciò, da un angolo all'altro, una immensa X: uno dei due tratti era di un blu cobalto, intenso e calmo; l'altro tratto era rosso come la passione e il sangue.
Al centro, dove ci sarebbe dovuto essere il viola, però, era rimasto il bianco.

Visca era una persona paziente, un pò all'antica nonostante sembrasse così emancipata e sicura di sè. Erano secoli che aspettava che come si conviene il suo unico pretendente si dichiarasse, magari durante una cena romantica, una passeggiata, un gelato, ma ancora niente!
Così, applicando un consiglio di Mira, alla prima occasione inchiodò quel bel tomo di Alzack al muro, il fucile di traverso sotto la sua gola mentre gli strappava a morsi e baci le labbra e la lingua.
In fondo, se "Demon Mirajane" aveva consigliato di essere più "aggressiva", non poteva che intendere una cosa del genere, no?



N.d. Dark: otto piccoli pensieri su otto diversi maghi; originariamente doveva esserci un mago per ogni lettera dell'alfabeto, ma l'ispirazione va e viene quindi creerò più capitoli se necessario. Si accettano richieste, spero vi sia piaciuta questa prima parte!

Dark


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Capitolo 2
*** Fairy Shot2 ***


Altri tre maghi, altre tre shots. Poche e magari non bellissime, ma spero apprezzerete lo stesso J
Grazie mille a chi ha commentato e a chi ha letto!
Dark
 
Charle, seduta sul bancone del bar della gilda, fissava con aria insoddisfatta il gatto blu, Happy, che parlava allegramente con Makao e Wakaba, sventolando con foga quella che sembrava una trota e facendoli rovesciare dagli sgabelli per le risate.
Come per un capriccio, le venne in mente che era da parecchio che il suo “pretendente” non si faceva avanti con una delle sue buffe avances o con un omaggio ittico di una qualche specie, ma immediatamente, come irritata con se stessa, agitò la manina a scacciare una mosca invisibile.
A chi poteva mai interessare la corte di un tipo così sciocco, ingenuo, buffone, infantile, appiccicoso, garbato, audace… adorabile…
Ancora una volta scosse la testa per via di quei pensieri pericolosi e fuori luogo.
Sapeva benissimo che tra loro non poteva funzionare.
Lei era allergica al pesce.
 
 
Laxus era perplesso.
Si trovava in mezzo alla confortevole baraonda che solo la sua gilda sapeva creare, ma onestamente non ne sapeva il motivo. Dopo gli eventi di Tenrou si era aggregato agli altri senza che nessuno lo avesse esplicitamente invitato, come se ancora lo trovasse naturale, fare parte di quel gruppo che poco tempo prima avrebbe voluto annientare.
Adesso invece, nonostante venisse a più riprese invitato a bere da Cana, sfidato ripetutamente da Natsu e coccolato dalla sua guardia personale, sentiva con fastidio e tristezza la mancanza del marchio che lo rendeva davvero uno di loro.
Fece per alzarsi, deciso a togliere il disturbo finchè tutti erano ancora troppo intontiti dalla gioia per accorgersi di qualcosa, ma una botta in testa con quello che sembrava un boccale di legno lo rimise a sedere: sorpreso, vide una mano gigante depositare quello stesso boccale colmo di birra davanti a sé.
Fece per girarsi, ma Makarov non lo stava guardando, occupato com’era a fissare con ostinazione il muro, quasi imbronciato.
 
 
Pantherlily aveva una straordinaria capacità di concentrazione: non per niente ad Edolas era il capo degli eserciti imperiali.
Nonostante la confusione che come al solito regnava sovrana, non distolse per un attimo il suo sguardo teso e affilato dal volto ghignante di Gazille.
Una goccia di sudore gli colò dalla fronte fino al mento, ma ancora non si mosse: la sua prossima mossa sarebbe stata decisiva.
L’exceed era sempre stato un tipo paziente e composto, poco incline a dare peso alle piccolezze: ad esempio non se la prendeva mai troppo quando il Dragonslayer di metallo si riferiva a lui come il “suo gatto”; di tanto in tanto però, si trovava costretto a ricordare al suo partner che non era una sorta di animaletto domestico, ma un fiero e potente guerriero in gradi di tenergli testa in qualunque situazione.
Esitare a quel punto sarebbe stato semplicemente ridicolo: con la zampetta, spinse il suo cavallo oltre la linea difensiva eretta dal suo avversario.
Mentre il sorrisetto di Gazille si tramutava in una specie di smorfia orripilata, il gatto nero si sentì molto soddisfatto: finalmente erano pari, avevano catturato un re a testa.  
 
 
 

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Capitolo 3
*** Fairy Shot3 ***


 
Elfman  non aveva mai nutrito un singolo dubbio in vita sua, o almeno dalla morte di Lisanna in poi.
I dubbi non erano virili, non erano cose da uomini: così, mentre si fletteva sulle lunghe e muscolose braccia, per evitare di pensare continuava a recitare il mantra del Take Over.
Il fondamento della sua magia era la comprensione dell’avversario, ma per sostenere il grande sforzo era necessario un fisico altrettanto prestante.
Allenandosi sotto il sole, sapeva che ogni singola goccia di sudore sarebbe stato un sassolino, che posandosi su milioni di altri sassolini si sarebbe trasformato in una enorme montagna che gli avrebbe permesso di raggiungere il suo sogno: sette anni erano passati invano, un buco quasi incolmabile che poteva distruggere tutto quello per cui aveva sempre lottato e faticato.
Diventare un mago forte e capace almeno quanto sua sorella Mira.
Erano passati sette anni.
Ma adesso, Elfman era tornato.
 
Evergreen  si voltò nel letto, mugolando insonnolita e soddisfatta: tra le palpebre socchiuse, contemplava l’uomo che dormiva di fianco a lei, cullandosi al suono del respiro pesante e del lenzuolo che si sollevava regolarmente.
Quasi contro la sua volontà, sentì rinascere al centro del petto quel calore soffice che non era solo desiderio, ma un vuoto da colmare, una sete che placava solo quando era con lui.
Molto tempo prima aveva desiderato il nome di regina delle fate perché potesse essere sempre al centro dell’attenzione, desiderata e ammirata da tutti: e lei, superiore, sarebbe stata fredda, splendida e distante, beandosi della loro ammirazione.
Con il tempo, però, aveva scoperto quanto fosse vano quel desiderio, o forse soltanto sbagliato: ora sapeva che essere ammirata da tutti non le avrebbe mai dato tanto quanto l’amore incondizionato di una persona sola. Il punto non era quanti. Ma chi.
Rivestendosi piano per non svegliarlo, però, Evergreen si avvicinò alla porta del piccolo appartamento: vero, era cambiata molto, negli ultimi tempi… però non si sentiva ancora pronta a far sapere al mondo che la bella dormiva nello stesso letto della bestia… o dell’uomo-elfo.
 
Lluvia stava disegnando dei ricami su una piccola bambola di stoffa, una delle ame-onna che aveva sempre con sé. Da bambina non aveva mai avuto amici, così quelle bambole di pezza che aveva imparato a confezionare da sola erano le uniche compagne di passeggiate, le confidenti dei piccoli segreti infantili, le sorelle che ascoltano i mille capricci di bambina.
Ma le bambole non possono rispondere, né possono spingere le altalene.
Così, un pomeriggio, sua madre le aveva donato la piccola bambola che in quel momento stringeva tra le mani, un ultimo ricordo prima di andarsene, un portafortuna: a differenza delle altre compagne, non era completamente bianca, ma decorata da tante piccole gocce d’acqua, simbolo della sua tristezza e della pioggia che portava sempre con sé.
O almeno, un tempo era così.
Ora, su ogni goccia d’acqua era ricamato qualcosa di diverso: fiamme e spade, chiavi e gemme, penne e gatti; ogni goccia d’acqua si era posata, finalmente, ed era diventato un amico, si disse mentre sorrideva alla vista degli ultimi due ricami, delle lancette d’orologio e un cuoricino.
Tuttavia, nessuno dei ricami aveva nel suo cuore un posto più prezioso di quella piccola stella di ghiaccio che campeggiava sulla fronte della bambolina: il simbolo del suo più grande amore e di una pioggia che finalmente aveva smesso di cadere.
 
Lucy fissava, a braccia conserte, la pioggia che batteva sulla finestra di casa sua, apparentemente assorta nella contemplazione degli astrusi sentieri tracciati dalle minuscole gocce.
Se qualcuno l’avesse mai vista –ma grazie al cielo quel giorno era sola in casa, una volta tanto- l’avrebbe definita come il ritratto della pace e dell’armonia e non sarebbe stato mai così lontano dalla verità.
Perché Lucy non era in pace, né si sentiva particolarmente serena: più semplicemente, Lucy era vuota. Devastata.
Poche ore prima poteva essere la donna più felice del mondo: una volta tanto, aveva accettato una uscita con il suo galante spirito stellare, Loki.
Erano andati assieme a cena in un posticino carino. Primo errore.
Come amici, si era detta. Secondo errore.
Avevano bevuto un po’, si era lasciata un po’ andare, aveva acconsentito a cadere vittima del fascino del ragazzo che dannazione, nessuno conosceva meglio di lei!
A quel punto, l’inevitabile.
Loki l’aveva baciata, lei si era lasciata cullare un secondo di troppo e il ragazzo le aveva confessato di amarla, ma di amarla sul serio. Niente mezze proposte da ritrattare con un sorriso e una battuta, nessun cenno scherzoso. Amore, puro e semplice.
Con uno sforzo, aveva bloccato sulle labbra un sì, ricacciandolo nelle profondità della gola e del cuore.
Aveva provato a ridere, incerta: ma lui era serio e lei sentiva di dovere chiudere la faccenda una volta per tutte.
Aveva provato ad accampare scuse generiche, ma il giovane –giovane?- spirito non si lasciò smuovere.
Gli aveva detto che lui era uno spirito e lei una umana, diamine, non poteva funzionare!
 
                                                                                                               Perché no, poi?
 
Poteva passare dei guai, per questo: già una volta si era salvato per il rotto della cuffia…
 
Per questo la sua vita apparteneva a lei.
 
Lucy aveva cominciato a sentirsi nervosa, sentiva le crepe che si allargavano nel muro delle difese che aveva eretto. Gli aveva detto che un giorno lei sarebbe diventata una vecchia brutta e grinzosa, mentre lui sarebbe rimasto per sempre giovane e bello…
 
Sarebbe invecchiato con lei allora. Non la avrebbe mai lasciata sola.
 
… E quando lei, un giorno, sarebbe morta?
 
Allora sarebbe morto anche lui. In nessun luogo, in nessun tempo sarebbe mai esistito, ancora una volta, il Loki di Lucy Heartfilia.
 
Gli aveva dato uno schiaffo ed era scappata in lacrime. Non poteva vederlo, ma aveva sentito distintamente il capo e le spalle del giovane crollare.
 
Poteva un amore impossibile fare così male?  Erano ore che se lo stava chiedendo, torturandosi, dannando se stessa e lo spirito la cui colpa era quella di essersi innamorato di lei, dannando l’amore stesso per essere così complicato, finchè l’occhio non le cadde sulle pagine di un libro che le aveva prestato Levy: una delle frasi era cerchiata in rosso, e recitava:
 
… quando siamo insieme, non puoi mentire: è il tuo corpo che parla per te e mi desidera…
 
Nella solitudine di casa sua, Lucy si asciugò le lacrime: aveva rivestito le sue paure di dignità e di ragionevolezza, aveva ferito con il suo egoismo una persona che la amava e che lei, lei stessa, ora se ne rendeva conto, amava allo stesso modo.
Aveva fatto quella che credeva fosse la cosa giusta, ma se fare la cosa giusta faceva così male allora si sarebbe dannata per l’eternità, disse a sé stessa mentre con le labbra sfiorava la chiave che avrebbe aperto la porta del Leone d’Oro.
 
 
 
Dark
 

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Capitolo 4
*** Fairy Shots 4 ***


Altri quattro maghi si aggiungono alla serie. Un ringraziamento a Teera per le gentili recensioni lasciate :-)

Dark

 

 

Urtear non aveva più niente da dare: il suo futuro, il suo passato, la sua vita e la sua magia erano ormai andati per sempre, giocati su quella ruota chiamata fato in nome della speranza. Alla maga del tempo rimaneva solo la magia di sua madre, ghiaccio per fermare in eterno quei ricordi che avrebbe portato per sempre con sé.

 

 

Doranbolt non capiva ed odiava non capire: la vita per lui era logica, opportunità e guadagno. Ma se la vita era quella che lui credeva che fosse, allora non capiva Fairy Tail e i suoi maghi, inamovibili contro una minaccia che a lui faceva tremare le gambe; non capiva perchè avessero scelto di sacrificarsi tutti invece di lasciare il loro master ad affrontare Acnologia. Non capiva perchè se ne fossero andati insieme con un sorriso. Il mago non capiva, e avrebbe voluto che dalla sua voce uscisse quel “perchè”, ma sapeva che non sarebbe arrivata nessuna risposta.

 

Levy si scompigliò i capelli, incapace di concentrarsi sui fogli che aveva davanti: la sua mente si rifiutava di registrare le parole davanti ai suoi occhi per tornare alla sera prima quando, sulla strada del ritorno da una festa con le amiche aveva incontrato Gazille. Chiuse gli occhi con forza, come a volere espellere i ricordi e bandirli ma invano: anche se ubriaca, ricordava come avesse preso sottobraccio il Dragon Slayer e lo avesse costretto a camminare con lei che strillava frasi sconnesse. Sapeva di avergli chiesto di punto in bianco se le volesse bene, anzi -orrore- gli si era praticamente buttata in braccio e aveva cercato di baciarlo mentre lui, rigido, evitava le sue labbra e la lasciava sulla soglia di casa senza una parola.

Ormai era finita.

Si riscosse sentendo sbattere con violenza le imposte: sul davanzale, era appoggiato un thermos.

Sorpresa, si sporse velocemente dalla finestra e avrebbe giurato di aver visto un ombra nera e alata svoltare l'angolo del vicolo dove abitava.

La maghetta era perplessa, ma sul thermos c'era un biglietto con una sola parola: “Riprenditi”.

Non ci voleva una maga delle parole per capire che niente era finito, anzi, cominciava tutto in quel momento.

 

Cana raccolse per l'ennesima volta le carte che aveva disposto sul tavolo in un mazzo, mescolandole accigliata: il suo boccale da due litri era ancora vicino a lei, intonso, ma per una volta non aveva voglia di bere. Ancora una volta dispose le carte ma il risultato rimaneva sempre lo stesso: “Attenzione ai fulmini”.

Peccato stesse chiedendo consigli riguardo l'amore e non sul tempo!

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