Cosa sei soldatino?

di Alkibiades
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Belva ***
Capitolo 2: *** Paura dei tuoi demoni, soldatino? ***
Capitolo 3: *** Ricordi ***



Capitolo 1
*** Belva ***


Vaga per il gelo di quelle terre morte, nel buio della notte.
Galoppa via, l'uomo che era molte cose, sorpassa uno dei tanti fiumi ancora senza nome.
Il cavallo gli crolla sotto. Una venatura di ghiaccio nascosta sotto la neve. L'uomo che era molte cose picchia duro tra i rovi. In qualche modo, trova la forza, si rialza. Distrutto, ammaccato, stanco, ma ancora integro. Il suo cavallo non si rialza. Il suo cavallo non è integro. Zampa anteriore destra distrutta, frammenti di ossa emergono dai suoi possenti muscoli, squarciati.
Fa' il tuo dovere soldatino.
Non lasciare morire il tuo cavallo. Solo che il traditore di Dio non ha nessuna bocca da fuoco. Il disertore di Cristo Re non ha nessuna lama, neppure un miserabile coltello. Sua unica arma? Una croce che porta al collo. Argento, pietre incastonate. 
Allora sei qualcosa!
E' niente quella stupida croce ora. Meno di niente nel mondo morto.
Poni fine!
L'uomo che era molte cose non-può porre fine all'agonia del suo cavallo. Dietro le rocce, oltre i rovi, cani latrano, ringhiano. Cani-belve. L'uomo che era molte cose può soltanto voltare le spalle. Loro porranno fine all'agonia.
Porranno fine anche a tutto il resto.
Non c'è niente nella gola strangolata dai baratri. Solamente pietra disseminata di caverne e cascate di ghiaccio. L'uomo che era molte cose non si ferma. Faccia scavata dalla fame, barba simile a sterpi, stivali spaccati dal gelo, pastrano come una coperta lurida, testa avvolta da quello straccio grottesco.
Uomo che era molte cose.
Fine dell'empia missione, soldatino.
Uomo ridotto a un'unica cosa.
Fine dell'inutile fuga.
Reietto!

Rumore. Cavalli al galoppo.
Spostati idiota!
Si buttò oltre il ciglio della strada, ancora una volta tra i rovi. Vedeva il sangue delle sue ferite cadere a piccole gocce sulla neve, pioggerella di dolore e devastazione. Non sentiva nulla però, glielo impediva il freddo. Tanto freddo.
Contatto visivo. Cavalieri mercenari, torce. Intuiva le sagome degli uomini sopra ai cavalli, Ombre danzavano al ritmo del loro andare, disegnando strani ghigni sulle facce di quegli uomini portatori di morte e distruzione.
Passarono schiacciato e triturando le ossa del suo cavallo tanto, erano rimaste solo quelle.
Non muoverti soldatino!
Stomp!
Qualcosa era caduto nel fango della strada.
Uscì dal suo nascondiglio, strisciando in mezzo alla melma.
Una sacca.
Si guardò attorno, circospetto. Non c'era nessuno. La prese e corse via.
Non starai mica rubando, soldatino?
Frugò nella stoffa. Due coperte, giubbe da mercenari, stivali, un involto umido, cedevole, un coltello... Un coltello!
Si voltò, cercò un nascondiglio per sé e la sua nuova proprietà. Era buio, notte profonda. S’incamminò per le pietre, spezzò rovi, il reietto raggiunse la chiazza di tenebre.
Una caverna.
In quella gola ce n'erano molte. Aperture, fenditure, spaccature nella terra.
Porte per l'inferno?
Entrò, titubante, coltello teso davanti a sé.
Echi liquidi nelle tenebre, stillicidi dalle viscere della montagna. Nient'altro.
Il reietto mise un ginocchio al suolo, frugò di nuovo nella sacca, tentoni, dita tremanti per il gelo.
Di nuovo la stoffa degli abiti militari, di nuovo il contatto con l'involto umido. Nella tasca dei pastrani c'era qualcosa di diverso. Due oggetti piccoli, rigidi.
Senza sapere li sfregò. Istinto primevo. Scintilla. Danzò sulle pareti gocciolanti della caverna per una frazione di secondo. Il battito del suo cuore accelerò. Sentì gli occhi pieni di lacrime.
Luce! Calore!
Gettò il pastrano che indossava in un angolo. Armeggiò con la pietra focaia. Scintille. Una attecchì. La stoffa cominciò a fumare, sprigionando un odore acre.
Il reietto svuotò la sua proprietà.
Studiò al chiarore delle fiamme l'involto umido. Era grosso quanto un pugno, racchiuso in uno straccio impregnato di fluido scuro. Spostò uno dei lembi dello straccio con il coltello.
Per un lungo, lunghissimo momento, anche il reietto parve di basalto. Un simulacro di pietra, in una caverna dimenticata, assediato da un mondo morto.
Posò il coltello, sollevò l'oggetto con ambedue le mani, come in un offertorio blasfemo.
Che fai soldatino? Bestemmi la tua fede?
Un contatto freddo, cedevole. Di colpo, il reietto ebbe la bocca piena di bava.
La bava della fame. La bava dell'orda.
Aspetta.
Il reietto non aspettò.
Il fuoco può...
Diede un morso all'oggetto che stringeva con le dita chiuse ad artiglio.
Un cuore.
Ancora scintillante, ancora fresco. Grosse arterie recise simili a caverne organiche. Cuore animale? Non aveva alcuna importanza. Cuore umano? Non faceva nessuna differenza.
Non in quella guerra.
Il reietto masticò la carne cruda, fibrosa.
Sei stato tutte quelle cose soldatino.
Sentì il cibo freddo scendergli dentro.
Prete, predicatore, vescovo, nunzio, traditore, disertore...
Diede nuovamente un morso.
Alla fine sei una cosa.
Sangue gocciolò sulla barba lercia, scese lungo la gola, cadde sulla fiamma.
Belva.

Ooooh, dovrei smetterla di mettermi a scrivere alle tre di notte durante la mia sempre più frequente insonnia, o mi usciranno sempre cose tetre e pessimistiche come questa. Non ho niente contro il Cristianesimo, sia chiaro, ma in questa storia cerco di ispirarmi al Medioevo in Europa e la religione c'entra per forza... Magari ci do un seguito xD 

Ah dimenticavo, complimenti se siete riusciti a non addormentarvi prima della fine xD  

Alkibiades

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Capitolo 2
*** Paura dei tuoi demoni, soldatino? ***


Sentiva ancora il sapore del sangue in bocca, ma la fame è fame.
Era sdraiato a contemplare il soffitto, riflettendo su cosa avrebbe fatto l'indomani. Guardava le ombre danzare sopra di sé, disegnate da un fuoco che ormai svaniva. Flussi di pensieri, impetuosi, attraversavano la sua mente.
Ce l'hai ancora una coscienza?
Le sue palpebre si facevano sempre più pesanti, i suoi riflessi sempre più lenti, la disperazione cominciava ad assalirlo. Non voleva dormire.
Paura dei tuoi demoni, soldatino?

"Identificati!" Non riconosceva la propria voce. Era stranamente metallica.
"Posso anche non farlo" rispose l'altro. Faccia sfocata, chi era? Cosa voleva da lui?
"E' un ordine!"
"Dimmi allora, chi saresti, TU?" Dietro di lui un vessillo. Grande, troppo grande per una persona qualsiasi.
"Io... " Chi era? Era stato troppe cose, come poteva ricordare?
"Mmh, pezzente, spostati, lascia passare me e i miei uomini, dobbiamo estirpare l'eresia da quel villaggio!" Un ghigno nella sua faccia, dietro di lui seta. Lupo dorato in campo nero, teschio scarnificato sotto a una zampa.
"Voi non... Non potete! Io... io ve il p-p-proibisco! N-n-non passerete per di qua! E' un villaggio, sì, ma
cattolico"
"Certo certo, prete difetti di pronuncia?"
Paura, era paura.
L'uomo, con la sua armatura nera come la notte, diede di speroni.
Colui che era stato molte cose, si trovò a rotolare nella polvere.
Dietro al "comandante" si scagliarono un centinaio di mercenari, anche loro rivestiti solo di metallo nero, angeli della morte calati dal cielo per portare la distruzione in un anonimo villaggio sperduto nel nulla.

Stava sudando. Il fuoco era spento da un po', tremava letteralmente dal gelo.
Non spererai di cavartela così, vero? Ti ricordi com'è finita?
Le sue palpebre si rifacevano di nuovo pesanti. Cominciò a pensare ad altro, ma stranamente tornava sempre a quella maledetta notte di svariato tempo prima.
Non avresti dovuto lasciarli pass...

Era tutto tranquillo nella piazza, nessuno passava, era una notte normale, per un villaggio normale, abitato da gente normale.
Lo guardava carponi, ancora a terra dopo essersi scansato per non essere travolto dai mercenari al galoppo. Dalla collina che sovrastava l'abitato, vedeva solo una cosa. Avidità.
Eresia, come no, scusa privilegiata, paradigma per compagnie di soldati di ventura non pagati dai loro signori, in parole normali, saccheggio.
Un serpente fatto di torce si avvicinava in velocità alle modeste abitazioni di contadini, la chiesa, l'unico edificio di pietra, svettava come un gigante nell'insieme.
Le campane cominciarono a suonare, avviso di pericolo imminente. Inutile.
La massa urlante di ferro e cavalli si schiantò sul villaggio, le prime case cominciarono a bruciare. Donne urlanti scappavano dalle case, mercenari assetati di sangue inseguivano i fuggitivi e li uccidevano.
Non poteva permetterlo. Si alzò e cominciò a correre giù per la collina.

Stava ansimando. Ancora quei maledetti sogni, relitti di un passato in cui era ancora un qualcuno.
Quel continuo stato di dormiveglia intramezzato da ricadute nei sogni lo stava facendo impazzire.
E' tutto nella tua testa, soldatino. Come dicevate voi preti? Ah sì, espiare i peccati.
Di nuovo, debolezza diffusa, forse era malato. Ma cos...

Movimenti dentro la chiesa. Ombre si deformano, ombre si dilatano, ombre si disgregano.
Una figura, una
piccola figura, schizzò fuori dal portale, una bambina, cinque anni al massimo. Scese i gradini in un'unica capriola. Dolore. Cominciò a piangere correndo, inseguita dagli uomini di ferro.
Si schiantò letteralmente addosso alle sue gambe. La prese in braccio, puro istinto.
"Guarda cos'abbiamo quaaaa! Un preticello con una bambinettta in braccio!" Li avevano raggiunti. Mercenari. Giubbe incrostate di sangue."Ridacci l'eretica"
Paura, di nuovo. "Non ci penso nemmeno, sono un uomo Dio, non potete obbligarmi a far nulla."
"Ahahaha tu uomo di Dio? Ah, Joseph Joseph, non prendiamoci in giro!" Voce come un sibilare, risata roca. La sua nemesi.
"Da quand'è che sei diventato un prete, eh? Stanco di uccidere eretici?"
"Sono cose che non ti devono interessare Gerd. Anzi,
capitano Gerd."
"Sei rimasto indietro, tenente. Colonnello Gerd ora." Voce altisonante.
"Oh, quale onore! Cos'è, sei stato promosso per aver saccheggiato un’altra decina di villaggi?"
"Dammi la bambina Joseph, non fare idiozie, è nostra ora." Aveva cambiato discorso.
Prese la croce appesa al suo petto. "Te ne andrai Colonnello Gerd, adesso, in nome di Dio."
"Uff, pensi troppo male prete, anzi, pensi troppo e basta." Si rivolse alla bambina "Vieni, piccolina."
Gerd sollevò il braccio sinistro.
Sentì le forze mancargli.
Gerd mostrò quello che stringeva nel pugno ferrato.
Annaspò.
Una testa. Capelli viscidi di sangue nero. Palpebre socchiuse in modo grottesco, Lingua esposta tra labbra violacee. Una testa mozzata.
"Vieni, piccolina!" Gerd sventolò l'orrido trofeo "Vieni da
mamma!"

Si svegliò di soprassalto. Vomitò anche il suo ultimo "pasto". Tremava. Freddo? Paura? Rimorsi?
Ah soldatino, cominci a ricordare?


Di tetraggine in tetraggine continuo a scrivere xD
P.s.Mi fa piacere vedere che un mucchio di gente legge e non recensisce:) Grazie lo stesso anche a voi:)




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Capitolo 3
*** Ricordi ***


3 Fuori dalla caverna non faceva molto più freddo che dentro. Il vento, impetuoso, alzava i suoi vestiti. Vestiti suoi, certo. Rubati dal sacco, che era stato rubato pure quello. Un ladro insomma. 
Ti sei ridotto maluccio, eh?
Era un uomo che viveva nel passato ormai, non sapendo che essere, si figurava in sogni, o incubi passati, sperando che prima o poi qualcuno, ma chissà chi, venisse a indicargli che essere.
Si mise in cammino, pulsavano le vene nelle sue tempie, dolore, diceva il suo cervello. Fame, diceva il suo stomaco. Trascinandosi malamente, uscì dal sentiero vicino alla grotta, inoltrandosi nel vuoto agghiacciante della pianura.

Pensieri s'accavallavano nella sua mente, malandata mente. Paura, era il filo conduttore. Terrore, lo sfondo. Sconsolatezza, lo svolgimento. Disperazione, la fine.
Era cambiato, molto, forse troppo. Croci che non portava più, spade che non indossava, documenti che non scriveva.
Camminando però, cominciava a ordinarli, massacri e devastazioni cominciavano a sfumare, la ragione vacillava di fronte a tutto ciò, ricordi del passato trovavamo un posto nel suo cervello automaticamente, finchè, non si trovò solo nel nulla.
Niente pensieri, volatilizzati.
Niente ricordi, andati.
Solo lui, un cielo plumbeo e un freddo atroce.
Di questo s'acccorse, faceva molto molto freddo, nonostante le due giubbe che indossava, gli battevano i denti, aveva la pelle d'oca.

Non ricordava bene da quanto stesse camminando. Le sue mani eran diventate insensibili.
A dire la verità, non sapeva nemmeno dove stava andando. Il sentiero che aveva seguito fino a quel momento si era interrotto nei pressi di un fortino abbandonato costruito sopra ad una collina. Finestre vuote lo guardavano come occhi senza espressione, il portone, divelto dai cardini, era in terra, ne era rimasto solo un pezzo cigolante in alto, che mandava sinistri e cupi sullulti a ogni piccolo accenno di vento. L'edera invadeva le pietre che un tempo dovevano essere state squadrate alla perfezione, i merli sui camminamenti erano semi crollati e tutto era immerso in un silenzio irreale.

Ignorando la paura, entrò.

La corte era deserta. O meglio, quello che ne restava. Il pozzo per l'acqua era l'unica cosa intatta stranamente, ma vicino ad esso vi erano mucchi di armature distrutte, spade tranciate a metà, cataste di freccie semi carbonizzate.
A quanto pare, avevano affrontato un assedio, anche con impegno vista la quantità di armamenti rimasti, gli altri erano stati sicuramente depredati, il che sembrava strano, per un castello sperduto nel nulla.
Cercava d'immaginarsi cosa poteva essere accaduto.
Davvero non capisci, soldatino?
C'era comunque qualcosa di strano: la chiesa era l'unico edificio con la porta integra, per di più sbarrata dall'interno. Come mai? Aveva provato a forzarla, ma non v'era riuscito.
Ormai calava la sera, timidi refoli di vento gl'arrivavano addosso dal portone, suo unico occhio verso l'esterno, unica entrata per un fortino dimenticato; tanto valeva fermarsi lì per la notte, ignorando i crampi allo stomaco e la debolezza provocata dalla mancanza di cibo.

Nel piccolo mastio, l'unica luce era quella della Luna, che entrava da una piccola finestra, in alto. Il ponte per arrivare ai piani superiori, era sparito, anzi, probabilmente si trovava ancora sopra di lui, sopra il soffittto, nascosto da mani impaurite, celato in un angolo ombroso e inacessibile.
Stese la coperta e mise attorno a lui le poche cose che aveva, le poche cose che gli rimanevano. 
Con calma si distese, aspettando che il sonno lo cogliesse e gli facesse dimenticare tutti i suoi problemi.

Occhi scuri, castani, lo guardavano.
Capelli ancora più scuri lo sfioravano, sfumati di rosso.
Labbra sottili, delicate, si muovevano.
Una ragazza esile, seduta accanto a lui.
Parlava, un velo di tristezza offuscava occhi che un tempo dovevano essere stati felici. Un velo di rassegnazione segnava i suoi lineamenti.
Non ricordava chi fosse, non sapeva. Era lì, mentalmente le faceva domande, cercava di muovere la bocca. Ma nulla, nessun suono usciva.
Cercava di stringerla a sè, ma nulla, nessun muscolo si muoveva. Cercava di capire i suoi deboli sussurri. Ma nulla, nessuno di questi giungeva alle sue orecchie.
Cosa stava succedendo?
Perchè aveva cominciato a piangere? Piccole lacrime sgorgavano, scendevano lungo le sue gote, arrivavano al mento. Cadevano. Nel nulla.
Perchè, perchè avrebbe voluto consolarla? Perchè se nemmeno ricordava chi fosse?
Perchè non capiva l'essenza di quel momento?
Sopravviveva, semplicemente, senza vivere.

Si svegliò nel cuore della notte, ansimante.
Oh sì soldatino, rammenti qualcosa di diverso da massacri e devastazioni?
Incredibile, non si capacitava di chi potesse essere quella ragazza con cui aveva parlato. Parlato, come no. Tentato di parlare, a dir la verità.
Sogni, inutili svaghi della mente, la sua mente, malandata, torturata. Troppi pensieri, troppe preoccupazioni.
Ma li voleva, voleva rientrarci, voleva capire il perchè di quelle lacrime. Voleva capire, capire, capire e ancora capire.
Si girò, a pancia in su, dalla finestra intravedeva le stelle, si chiese, per un momento, se quella ragazza le avesse mai viste, o fosse solo una creatura dei suoi sogni.

Si addormentò, di nuovo.

Di nuovo lì, stesso luogo.  Gli sembrava d'essere seduto su di un muretto, la ragazza sempre di fianco a lui.
Sentiva di più questa volta. Il Sole, il Sole splendeva, il vento saliva dalle sue spalle fresco, girandosi vide un fiume, non molto distante, ma più in basso. Guardò
in basso. Strapiombo. Si rigirò, guardandola. Dietro di lei c'eran due cipressi, alti, scuri. Ora coprivano il Sole. A sinistra ora notava un castello, minaccioso, una torre, ancora più minacciosa. 
Nuvole cominciavano ad arrivare su di loro. Ma lei non sembrava accorgersene. Continuava a parlargli, con gli occhi spenti, sussultando.
E lui, lui continuava a non capire.

E' per te, so che te ne accorgerai. Lei ti somiglia.
 

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