Cosa sei soldatino? di Alkibiades (/viewuser.php?uid=127909)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Belva ***
Capitolo 2: *** Paura dei tuoi demoni, soldatino? ***
Capitolo 3: *** Ricordi ***
Capitolo 1 *** Belva ***
Vaga per il gelo di quelle terre
morte, nel buio della notte.
Galoppa via, l'uomo che era molte cose, sorpassa uno dei
tanti fiumi ancora senza nome.
Il cavallo gli crolla sotto. Una venatura di ghiaccio nascosta sotto la
neve.
L'uomo che era molte cose picchia duro tra i rovi. In qualche modo,
trova la
forza, si rialza. Distrutto, ammaccato, stanco, ma ancora integro. Il
suo
cavallo non si rialza. Il suo cavallo non
è integro. Zampa
anteriore destra distrutta, frammenti di ossa emergono dai suoi
possenti
muscoli, squarciati.
Fa' il tuo dovere soldatino.
Non lasciare morire il tuo cavallo. Solo che il traditore di Dio non ha
nessuna
bocca da fuoco. Il disertore di Cristo Re non ha nessuna lama, neppure
un
miserabile coltello. Sua unica arma? Una croce che porta al collo.
Argento,
pietre incastonate.
Allora sei qualcosa!
E' niente quella stupida croce ora. Meno di niente nel mondo morto.
Poni fine!
L'uomo che era molte cose non-può porre
fine all'agonia del suo cavallo.
Dietro le rocce, oltre i rovi, cani latrano, ringhiano. Cani-belve.
L'uomo che
era molte cose può soltanto voltare le spalle. Loro
porranno fine
all'agonia.
Porranno fine anche a tutto il resto.
Non c'è niente nella gola strangolata dai baratri. Solamente
pietra disseminata
di caverne e cascate di ghiaccio. L'uomo che era molte cose non si
ferma.
Faccia scavata dalla fame, barba simile a sterpi, stivali spaccati dal
gelo,
pastrano come una coperta lurida, testa avvolta da quello straccio
grottesco.
Uomo che era molte cose.
Fine dell'empia missione, soldatino.
Uomo ridotto a un'unica cosa.
Fine dell'inutile fuga.
Reietto!
Rumore. Cavalli al galoppo.
Spostati idiota!
Si buttò oltre il ciglio della strada, ancora una volta tra
i rovi. Vedeva il
sangue delle sue ferite cadere a piccole gocce sulla neve, pioggerella
di
dolore e devastazione. Non sentiva nulla però, glielo
impediva il freddo. Tanto
freddo.
Contatto visivo. Cavalieri mercenari, torce. Intuiva le sagome degli
uomini
sopra ai cavalli, Ombre danzavano al ritmo del loro andare, disegnando
strani
ghigni sulle facce di quegli uomini portatori di morte e distruzione.
Passarono schiacciato e triturando le ossa del suo cavallo tanto, erano
rimaste
solo quelle.
Non muoverti soldatino!
Stomp!
Qualcosa era caduto nel fango della strada.
Uscì dal suo nascondiglio, strisciando in mezzo alla melma.
Una sacca.
Si guardò attorno, circospetto. Non c'era nessuno. La prese
e corse via.
Non starai mica rubando, soldatino?
Frugò nella stoffa. Due coperte, giubbe da mercenari,
stivali, un involto
umido, cedevole, un coltello... Un
coltello!
Si voltò, cercò un nascondiglio per sé
e la sua nuova proprietà. Era
buio, notte profonda. S’incamminò per le pietre,
spezzò rovi, il reietto
raggiunse la chiazza di tenebre.
Una caverna.
In quella gola ce n'erano molte. Aperture, fenditure, spaccature nella
terra.
Porte per l'inferno?
Entrò, titubante, coltello teso davanti a
sé.
Echi liquidi nelle tenebre, stillicidi dalle viscere della montagna.
Nient'altro.
Il reietto mise un ginocchio al suolo, frugò di nuovo nella
sacca, tentoni,
dita tremanti per il gelo.
Di nuovo la stoffa degli abiti militari, di nuovo il contatto con
l'involto
umido. Nella tasca dei pastrani c'era qualcosa di diverso. Due oggetti
piccoli,
rigidi.
Senza sapere li sfregò. Istinto primevo. Scintilla.
Danzò sulle pareti
gocciolanti della caverna per una frazione di secondo. Il battito del
suo cuore
accelerò. Sentì gli occhi pieni di lacrime.
Luce! Calore!
Gettò il pastrano che indossava in un angolo.
Armeggiò con la pietra focaia.
Scintille. Una attecchì. La stoffa cominciò a
fumare, sprigionando un odore
acre.
Il reietto svuotò la sua proprietà.
Studiò al chiarore delle fiamme l'involto umido. Era grosso
quanto un pugno,
racchiuso in uno straccio impregnato di fluido scuro. Spostò
uno dei lembi dello straccio
con il coltello.
Per un lungo, lunghissimo momento, anche il reietto parve di basalto.
Un
simulacro di pietra, in una caverna dimenticata, assediato da un mondo
morto.
Posò il coltello, sollevò l'oggetto con ambedue
le mani, come in un offertorio
blasfemo.
Che fai soldatino? Bestemmi la tua fede?
Un contatto freddo, cedevole. Di colpo, il reietto ebbe la bocca piena
di bava.
La bava della fame. La bava dell'orda.
Aspetta.
Il reietto non aspettò.
Il fuoco può...
Diede un morso all'oggetto che stringeva con le dita chiuse ad artiglio.
Un cuore.
Ancora scintillante, ancora fresco. Grosse arterie recise simili a
caverne
organiche. Cuore animale? Non aveva alcuna importanza. Cuore umano?
Non
faceva nessuna differenza.
Non in quella guerra.
Il reietto masticò la carne cruda, fibrosa.
Sei stato tutte quelle cose soldatino.
Sentì il cibo freddo scendergli dentro.
Prete, predicatore, vescovo, nunzio, traditore, disertore...
Diede nuovamente un morso.
Alla fine sei una cosa.
Sangue gocciolò sulla barba lercia, scese lungo la gola,
cadde sulla fiamma.
Belva.
Ooooh,
dovrei smetterla di mettermi a scrivere alle tre di notte durante la
mia sempre più frequente insonnia, o mi usciranno sempre
cose tetre e pessimistiche come questa. Non ho niente contro il
Cristianesimo, sia chiaro, ma in questa storia cerco di ispirarmi al
Medioevo in Europa e la religione c'entra per forza... Magari ci do un
seguito xD
Ah
dimenticavo, complimenti se siete riusciti a non addormentarvi prima
della fine xD
Alkibiades
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Capitolo 2 *** Paura dei tuoi demoni, soldatino? ***
Sentiva ancora il sapore del sangue
in bocca, ma la fame è
fame.
Era sdraiato a contemplare il soffitto, riflettendo su cosa avrebbe
fatto
l'indomani. Guardava le ombre danzare sopra di sé, disegnate
da un fuoco che
ormai svaniva. Flussi di pensieri, impetuosi, attraversavano la sua
mente.
Ce l'hai ancora una coscienza?
Le sue palpebre si facevano sempre più pesanti, i
suoi riflessi sempre più
lenti, la disperazione cominciava ad assalirlo. Non voleva dormire.
Paura dei tuoi demoni, soldatino?
"Identificati!" Non riconosceva la propria voce. Era stranamente
metallica.
"Posso anche non farlo" rispose l'altro. Faccia sfocata, chi era?
Cosa voleva da lui?
"E' un ordine!"
"Dimmi allora, chi saresti, TU?" Dietro di lui un vessillo.
Grande, troppo grande per una persona qualsiasi.
"Io... " Chi era? Era stato troppe cose, come poteva ricordare?
"Mmh, pezzente, spostati, lascia passare me e i miei uomini, dobbiamo
estirpare l'eresia da quel villaggio!" Un ghigno nella sua faccia,
dietro di lui seta. Lupo dorato in campo nero, teschio scarnificato
sotto a una
zampa.
"Voi non... Non potete! Io... io ve il p-p-proibisco! N-n-non passerete
per di qua! E' un villaggio, sì, ma cattolico"
"Certo certo, prete difetti di pronuncia?"
Paura, era paura.
L'uomo, con la sua armatura nera come la notte, diede di speroni.
Colui che era stato molte cose, si trovò a rotolare nella
polvere.
Dietro al "comandante" si scagliarono un centinaio di mercenari,
anche loro rivestiti solo di metallo nero, angeli della morte calati
dal cielo
per portare la distruzione in un anonimo villaggio sperduto nel nulla.
Stava sudando. Il fuoco era spento da un po', tremava
letteralmente dal
gelo.
Non spererai di cavartela così, vero? Ti ricordi
com'è finita?
Le sue palpebre si rifacevano di nuovo pesanti.
Cominciò a pensare ad
altro, ma stranamente tornava sempre a quella maledetta notte di
svariato tempo
prima.
Non avresti dovuto lasciarli pass...
Era tutto tranquillo nella piazza, nessuno passava, era una notte
normale, per
un villaggio normale, abitato da gente normale.
Lo guardava carponi, ancora a terra dopo essersi scansato per non
essere
travolto dai mercenari al galoppo. Dalla collina che sovrastava
l'abitato,
vedeva solo una cosa. Avidità.
Eresia, come no, scusa privilegiata, paradigma per compagnie di soldati
di
ventura non pagati dai loro signori, in parole normali, saccheggio.
Un serpente fatto di torce si avvicinava in velocità alle
modeste abitazioni di
contadini, la chiesa, l'unico edificio di pietra, svettava come un
gigante
nell'insieme.
Le campane cominciarono a suonare, avviso di pericolo imminente.
Inutile.
La massa urlante di ferro e cavalli si schiantò sul
villaggio, le prime case
cominciarono a bruciare. Donne urlanti scappavano dalle case, mercenari
assetati di sangue inseguivano i fuggitivi e li uccidevano.
Non poteva permetterlo. Si alzò e cominciò a
correre giù per la collina.
Stava ansimando. Ancora quei maledetti sogni, relitti di un
passato in cui
era ancora un qualcuno.
Quel continuo stato di dormiveglia intramezzato da ricadute nei sogni
lo stava
facendo impazzire.
E' tutto nella tua testa, soldatino. Come dicevate voi preti?
Ah sì, espiare
i peccati.
Di nuovo, debolezza diffusa, forse era malato. Ma cos...
Movimenti dentro la chiesa. Ombre si deformano, ombre si
dilatano, ombre si
disgregano.
Una figura, una piccola figura, schizzò
fuori dal portale, una bambina,
cinque anni al massimo. Scese i gradini in un'unica capriola. Dolore.
Cominciò
a piangere correndo, inseguita dagli uomini di ferro.
Si schiantò letteralmente addosso alle sue gambe. La prese
in braccio, puro
istinto.
"Guarda cos'abbiamo quaaaa! Un preticello con una bambinettta in
braccio!" Li avevano raggiunti. Mercenari. Giubbe incrostate di
sangue."Ridacci l'eretica"
Paura, di nuovo. "Non ci penso nemmeno, sono un uomo Dio, non potete
obbligarmi a far nulla."
"Ahahaha tu uomo di Dio? Ah, Joseph Joseph, non prendiamoci in
giro!" Voce come un sibilare, risata roca. La sua nemesi.
"Da quand'è che sei diventato un prete, eh? Stanco di
uccidere
eretici?"
"Sono cose che non ti devono interessare Gerd. Anzi, capitano
Gerd."
"Sei rimasto indietro, tenente. Colonnello Gerd ora." Voce
altisonante.
"Oh, quale onore! Cos'è, sei stato promosso per aver
saccheggiato un’altra
decina di villaggi?"
"Dammi la bambina Joseph, non fare idiozie, è nostra ora."
Aveva
cambiato discorso.
Prese la croce appesa al suo petto. "Te ne andrai Colonnello Gerd,
adesso, in nome di Dio."
"Uff, pensi troppo male prete, anzi, pensi troppo e basta." Si
rivolse alla bambina "Vieni, piccolina."
Gerd sollevò il braccio sinistro.
Sentì le forze mancargli.
Gerd mostrò quello che stringeva nel pugno ferrato.
Annaspò.
Una testa. Capelli viscidi di sangue nero. Palpebre socchiuse in modo
grottesco, Lingua esposta tra labbra violacee. Una testa mozzata.
"Vieni, piccolina!" Gerd sventolò l'orrido trofeo "Vieni
da mamma!"
Si svegliò di soprassalto. Vomitò anche
il suo ultimo "pasto". Tremava.
Freddo? Paura? Rimorsi?
Ah soldatino, cominci a ricordare?
Di
tetraggine in tetraggine continuo a scrivere xD
P.s.Mi fa piacere vedere che un mucchio di gente legge e non
recensisce:) Grazie lo stesso anche a voi:)
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Capitolo 3 *** Ricordi ***
3
Fuori dalla caverna non faceva molto più freddo che dentro.
Il
vento, impetuoso, alzava i suoi vestiti. Vestiti suoi, certo. Rubati
dal sacco, che era stato rubato pure quello. Un ladro insomma.
Ti sei ridotto maluccio,
eh?
Era un uomo che viveva nel passato ormai, non sapendo che
essere, si figurava in sogni, o incubi passati, sperando che prima o
poi qualcuno, ma chissà chi, venisse a indicargli che essere.
Si mise in cammino, pulsavano le vene nelle sue tempie, dolore, diceva
il suo cervello. Fame, diceva il suo stomaco. Trascinandosi malamente,
uscì dal sentiero vicino alla grotta, inoltrandosi nel vuoto
agghiacciante della pianura.
Pensieri s'accavallavano nella sua mente, malandata mente. Paura, era
il filo conduttore. Terrore, lo sfondo. Sconsolatezza, lo svolgimento.
Disperazione, la fine.
Era cambiato, molto, forse troppo. Croci che non portava
più, spade che non indossava, documenti che non scriveva.
Camminando però, cominciava a ordinarli, massacri e
devastazioni
cominciavano a sfumare, la ragione vacillava di fronte a tutto
ciò, ricordi del passato trovavamo un posto nel suo cervello
automaticamente, finchè, non si trovò solo nel
nulla.
Niente pensieri, volatilizzati.
Niente ricordi, andati.
Solo lui, un cielo plumbeo e un freddo atroce.
Di questo s'acccorse, faceva molto molto freddo, nonostante le due
giubbe che indossava, gli battevano i denti, aveva la pelle d'oca.
Non ricordava bene da quanto stesse camminando. Le sue mani eran
diventate insensibili.
A dire la verità, non sapeva nemmeno dove stava andando. Il
sentiero che aveva seguito fino a quel momento si era interrotto nei
pressi di un fortino abbandonato costruito sopra ad una collina.
Finestre vuote lo guardavano come occhi senza espressione, il portone,
divelto dai cardini, era in terra, ne era rimasto solo un pezzo
cigolante in alto, che mandava sinistri e cupi sullulti a ogni piccolo
accenno di vento. L'edera invadeva le pietre che un tempo dovevano
essere state squadrate alla perfezione, i merli sui camminamenti erano
semi crollati e tutto era immerso in un silenzio irreale.
Ignorando la paura, entrò.
La corte era deserta. O meglio, quello che ne restava. Il pozzo per
l'acqua era l'unica cosa intatta stranamente, ma vicino ad esso vi
erano mucchi di armature distrutte, spade tranciate a metà,
cataste di freccie semi carbonizzate.
A quanto pare, avevano affrontato un assedio, anche con impegno vista
la quantità di armamenti rimasti, gli altri erano stati
sicuramente depredati, il che sembrava strano, per un castello sperduto
nel nulla.
Cercava d'immaginarsi cosa poteva essere accaduto.
Davvero non capisci,
soldatino?
C'era comunque qualcosa di strano: la chiesa era l'unico
edificio con la porta integra, per di più sbarrata
dall'interno.
Come mai? Aveva provato a forzarla, ma non v'era riuscito.
Ormai calava la sera, timidi refoli di vento gl'arrivavano addosso dal
portone, suo unico occhio verso l'esterno, unica entrata per un fortino
dimenticato; tanto valeva fermarsi lì per la notte,
ignorando i
crampi allo stomaco e la debolezza provocata dalla mancanza di cibo.
Nel piccolo mastio, l'unica luce era quella della Luna, che entrava da
una piccola finestra, in alto. Il ponte per arrivare ai piani
superiori, era sparito, anzi, probabilmente si trovava ancora sopra di
lui, sopra il soffittto, nascosto da mani impaurite, celato in un
angolo ombroso e inacessibile.
Stese la coperta e mise attorno a lui le poche cose che aveva, le poche
cose che gli rimanevano.
Con calma si distese, aspettando che il sonno lo cogliesse e
gli facesse dimenticare tutti i suoi problemi.
Occhi scuri, castani, lo
guardavano.
Capelli ancora più scuri lo sfioravano, sfumati di rosso.
Labbra sottili, delicate, si muovevano.
Una ragazza esile, seduta accanto a lui.
Parlava, un velo di tristezza offuscava occhi che un tempo dovevano
essere stati felici. Un velo di rassegnazione segnava i suoi lineamenti.
Non ricordava chi fosse, non sapeva. Era lì, mentalmente le
faceva domande, cercava di muovere la bocca. Ma nulla, nessun suono
usciva.
Cercava di stringerla a sè, ma nulla, nessun muscolo si
muoveva. Cercava di capire i suoi deboli sussurri. Ma nulla, nessuno di
questi giungeva alle sue orecchie.
Cosa stava succedendo?
Perchè aveva cominciato a piangere? Piccole lacrime
sgorgavano, scendevano lungo le sue gote, arrivavano al mento.
Cadevano. Nel nulla.
Perchè, perchè avrebbe voluto consolarla?
Perchè se nemmeno ricordava chi fosse?
Perchè non capiva l'essenza di quel momento?
Sopravviveva, semplicemente, senza vivere.
Si svegliò nel cuore della notte, ansimante.
Oh sì
soldatino, rammenti qualcosa di diverso da massacri e devastazioni?
Incredibile, non si capacitava di chi potesse essere
quella ragazza con cui aveva parlato. Parlato, come no. Tentato di
parlare, a dir la verità.
Sogni, inutili svaghi della mente, la sua mente, malandata, torturata.
Troppi pensieri, troppe preoccupazioni.
Ma li voleva, voleva rientrarci, voleva capire il perchè di
quelle lacrime. Voleva capire, capire, capire e ancora capire.
Si girò, a pancia in su, dalla finestra intravedeva le
stelle, si chiese, per un momento, se quella ragazza le avesse mai
viste, o fosse solo una creatura dei suoi sogni.
Si addormentò, di nuovo.
Di nuovo lì,
stesso luogo. Gli sembrava d'essere seduto su di un muretto,
la ragazza sempre di fianco a lui.
Sentiva di più questa volta. Il Sole, il Sole splendeva, il
vento saliva dalle sue spalle fresco, girandosi vide un fiume, non
molto distante, ma più in basso. Guardò in
basso. Strapiombo. Si
rigirò, guardandola. Dietro di lei c'eran due cipressi,
alti, scuri. Ora coprivano il Sole. A sinistra ora notava un castello,
minaccioso, una torre, ancora più minacciosa.
Nuvole cominciavano ad arrivare su di loro. Ma lei non sembrava
accorgersene. Continuava a parlargli, con gli occhi spenti, sussultando.
E lui, lui continuava a non capire.
E' per te,
so che te ne accorgerai. Lei ti somiglia.
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