Your Guardian Angel

di thefung
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Semplice ***
Capitolo 3: *** Sorpresa ***
Capitolo 4: *** Conoscenza ***
Capitolo 5: *** Immaginazione ***
Capitolo 6: *** Ripetizioni ***
Capitolo 7: *** Chemioterapia ***
Capitolo 8: *** Futuro ***
Capitolo 9: *** Peter Pan ***
Capitolo 10: *** Domande ***
Capitolo 11: *** Sorriso ***
Capitolo 12: *** Speciale ***
Capitolo 13: *** Adolescenza ***
Capitolo 14: *** Ditale ***
Capitolo 15: *** Soluzione ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


o
Your Guardian Angel

*° Prologo °*

“Mi dica dov’è Isabella Swan! Ora!”, urlai sbattendo il pugno sul bancone d’ingresso dell’ospedale.
Sentivo gli sguardi esterrefatti della gente puntati su di me. Certo, cosa ci stava a fare un ragazzino di diciassette anni in un ospedale a 'disturbare la quiete pubblica'?
“Calmati, Edward!”, sibilò Sally, l’infermiera, a metà tra il timoroso e il seccato.
“Non me ne frega se tutti mi guardano come un matto, Sally! Io voglio sapere dov’è Bella!”,
“E va bene, Edward…”, si arrese con un sospiro, “E' al secondo piano…il…primo reparto”, mormorò debolmente, come se quella frase le fosse costata un pandemonio.
Corsi via immediatamente dal bancone, dirigendomi in tutta fretta verso le scale. Inciampai, spintonai e feci anche cadere delle persone, tale era la mia foga…
Mi vedevo tanto come uno dei personaggi di quegli stupidissimi film drammatici, dove il protagonista correva come un matto fregandosene di tutto e di tutti, come se esitesse solo lui al mondo.
L'unica differenza era che la mia sofferenza e la mia angoscia erano reali. Io non facevo parte di un film. Era tutto maledettamente vero.
Salii le due rampe di scale e finalmente arrivai davanti alla porta del primo reparto, il luogo dove c’eravamo incontrati per la prima volta.
Come avevo fatto a non notare mai il nome del reparto passando da lì? Perché mi era sfuggito così tante volte il nome ‘Oncologia’?
Spalancai la porta con sguardo attento, mi aspettavo di vederla lì da un momento all'altro, ma di Bella nessuna traccia. Non era seduta sulle seggiole rosse che delimitavano la sala di attesa, non era in piedi ... non c'era!
Sempre più sconcertato e spaventato, mio malgrado, imprecai, girovagando in tondo per la saletta, chiedendomi cosa fare.
Imboccai il breve corridoio disseminato di porte bianche, tutte chiuse, e finestroni con le imposte grigie abbassate.
Dopo averne aperte due, spalancai la terza, aspettandomi di trovare le espressioni di rimprovero dei medici che mi avevano già riservato poco prima.
Quella volta, però, fu diverso.
I medici e gli infermieri c'erano, sì, ma la mia attenzione era focalizzata su una ragazza magra, sdraiata su una barella e con indosso solo una camicia da notte bianca, semi trasparente che le lasciva scoperte braccia e gambe. 
Era calva.
I miei piedi, dotati di vita propria, si mossero ancora, avvicinandosi maggiormente al lettino.
No…no, no, no!
Non poteva essere lei, non poteva essere ridotta così… La  sua pelle era troppo, troppo pallida, di un colorito quasi cadaverico, le occhiaie erano marcate sotto le palpebre abbassate, il corpo così fragile, flebile mentre la testa era priva di quei capelli mossi e lunghi che amavo tanto.
“Bella”, mormorai con un filo di voce, aggrappandomi ad mobile bianco lì vicino. Il mio non era un richiamo, era una supplica.
Una preghiera, una speranza. La speranza che quella non fosse lei, che fosse solo una donna che le somigliava, che Bella stesse bene come mi aveva sempre detto.
Le palpebre si alzarono, rivelando un paio di occhi color cioccolato.
I suoi occhi…gli occhi di Bella.


Ehi...ciao a tutti...
lo so, non vi aspettavate di trovarmi un'altra volta, eh? Ebbene sì, sono tornata ancora, giusto per il divertimento che provo nell'esaurirvi con le mie storielle xD E poi venitemi a dire che non ho lo spirito sadico - vampiresco! ù.ù
Allora...come avrete visto, oh prodi che avete osato affrontare questa pagina, la storia che ho appena iniziato ha un che di serio, a differenza di ciò che la mia testa bacata è solita a scrivere. E' una fan fiction ispirata soprattutto da 'La custode di mia sorella', film che sinceramente non avevo mai visto prima, nonostante l'avessi sentito nominare spesso, ma che mi ha davvero commosso e appassionato. Ciò che mi è piaciuto maggiormente è stata la storia d'amore tra Kate e Taylor, due ragazzi malati di leucemia che nonostante il tumore hanno scoperto il significato della vita e dell'amore. Sono stati loro che hanno ispirato in maggior luogo la nascita di questa fic.
Non so se possa essere una buona idea scriverla, non so nemmeno se qualcuno la leggerà...ma Edward e Bella, i miei beniamini, in un contesto del genere mi sono piaciuti, tanto, li ho sognati e ho fatto loro prendere vita tramite la scrittura. Spero davvero che l'idea piaccia anche a voi, perché sono ancora in tempo per  cancellarla immediatamente.
Sebbene questa fic sia ispirata al film, non ci saranno molti elementi comuni, ci tengo a precisarlo.
Grazie a tutti quelli che stanno leggendo!
Ah, per piacere, una recensione piccola piccola sarebbe molto gradita!
Un bacione,
Elena

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Capitolo 2
*** Semplice ***


Your Guardian Angel

*° Capitolo Uno: Semplice °*




“Devi stare a riposo, Bella, quante volte te lo devo dire?”

Sarà stata la centesima volta che mi sentivo dire di stare immobile, di non affaticarmi o fare alcunché. Mi avrebbero fatto morire prima del tempo, ne ero sicura.
Ero malata, questo è vero, molto malata, ma non c’era bisogno di ripetermi le cose quarantacinque volte, come fossi una ritardata!
Avevo la leucemia, punto.
Lo so, era ed è tutt’ora una malattia grave, che causa, nella stragrande maggioranza dei casi, la morte.
Ne parlavo con tranquillità, nonostante tutto. È semplicemente un tumore del sangue, cose che capitano di giorno in giorno nel mondo, non capivo perché farne un dramma.
Avevo solo 16 anni quando me lo diagnosticarono, ma non ne feci assolutamente una tragedia, al contrario di mia madre, che, dopo essere caduta in una profonda depressione, era risoluta a non lasciarmi mai e poi mai. “Vivremo insieme questa battaglia, e la vinceremo!”, continuava a ripetermi notte e giorno, come una filastrocca. Voleva che sapessi di poter contare sempre su di lei, come se cambiasse qualcosa…
Il mio sangue era infetto a causa di qualcosa nel midollo osseo, ecco tutto quel che sapevo sulla mia malattia e, sinceramente, non intendevo approfondirne le conoscenze. Non perché fossi una ragazza pigra, svogliata o priva di intelligenza, ma proprio perché non volevo affatto conoscere ciò che mi stava portando alla morte, ciò che aveva rovinato la mia famiglia.
Ero seduta su una delle sedie rosse situate nella sala d’ingresso dell’ospedale, aspettando che mia mamma – dopo avermi fatto le solite raccomandazioni – finisse di parlare con un’infermiera lamentandosi delle condizioni ‘obbrobriose’ in cui, secondo lei, il reparto tumori stava sprofondando.
Non avevo altro da fare se non girarmi i pollici dato che avevo dimenticato il mio iPod nel reparto, al secondo piano.
Fissavo le mie mani, pallide e nemmeno troppo lunghe a causa delle unghie che mi mangiavo. La mamma si era lamentata spesso di questo mio modo di sfogarmi e una volta mi aveva anche messo in punizione per avermi sorpresa a ‘sgranocchiare’.
Alzai lentamente lo sguardo con un sospiro, e i miei occhi andarono a girovagare per il lungo corridoio del piano terra. Era il reparto di radiologia, e vi erano persone di tutti i tipi: vecchi, bambini, chi con un semplice dito rotto e chi in sedia rotelle. Era buffo pensare che le situazioni potevano essere disastrose per qualcuno e rosee per altri nonostante tutti si trovassero in questo posto.
Mentre mi perdevo nelle mie stupide teorie, notai un ragazzo alto, con capelli rossicci arruffati e un bel paio di occhi verdi. Era in piedi vicino a una signora di mezza età che non faceva altro che lamentarsi. Lui, dal canto suo, non sembrava molto preso dalle lagne della donna, anzi, pareva proprio che non vedesse l’ora di andarsene da lì.
I suoi occhi girovagavano per il corridoio, quasi schifati da ciò che vedeva. Poi incontrarono i miei.
Al posto di distogliere lo sguardo come avrei dovuto, rimasi a fissare quello sconosciuto sfacciatamente, aspettando che fosse lui a spostare gli occhi altrove.
Non lo fece, al contrario di quanto mi aspettassi, e mi fissò di rimando, con un’ aria vagamente incuriosita.
“Ah, proprio non vogliono capire niente questi infermieri del cavolo! E dire che sono pure pagati…va be’, andiamo, Bells!”, la voce di mia madre mi ridestò dalla mia ‘battaglia’ facendomi ovviamente distogliere lo sguardo.
Mannaggia a lei!
Mi alzai in piedi senza mostrare la mia irritazione e, affiancandola, mi diressi verso il luogo che prima era stato oggetto dei miei pensieri confusionali.
Le scale per dirigersi al nostro reparto erano alla fine del lungo corridoio, e l’idea di passare accanto al bel ragazzo in qualche modo mi incuriosiva.
Mi stupii di me stessa, non avevo mai pensato qualcosa del genere. Ero sempre stata una ragazza indipendente – per quanto lo potesse essere una diciassettenne – e solitaria, non avevo mai guardato attentamente un ragazzo se non per disprezzarlo mentalmente. Non avevo nemmeno avuto un’amica, sempre che così si possa chiamare. Ok, più che solitaria forse è meglio definirmi un vero e proprio ‘misantropo’.
Anche prima della malattia tutti mi stavano alla larga, come sentissero che in me c’era qualcosa di diverso, ancora prima che i medici lo diagnosticassero. Mi chiamavano ‘l’emarginata’, ‘l’asociale’, ma non m’importava.
Soltanto adesso forse avrei desiderato avere una compagnia in più, qualcun altro a cui telefonare nei momenti di noia qui all’ospedale o un amico, una presenza confortante nei momenti di bisogno. Invece no, non c’era nessuno.
Però, dovevo ammetterlo, mia madre ripagava tutte le persone che non avevo al mio fianco con le sue chiacchiere a vuoto, sempre convinta che l’ascoltassi.
Anche in quel momento, mentre imboccavamo la via per il corridoio, sparlava dei dipendenti dell’ospedale convinta che i miei mugolii fossero segni di assenso e di grande attenzione.
In realtà, ero concentrata solo su quei begli occhi color smeraldo che adesso sembravano ancora più curiosi di prima, la sua espressione invece era divertita, quasi a prendermi in giro.
Quando io e mia madre gli passammo accanto, quest'ultima aveva appena cominciato a toccare un tasto dolente, quello riguardante ‘gli ingrati’ della mia scuola. Lei non sapeva che non mi ero fatta nessun amico, che quei pomeriggi in cui le dicevo di andare a studiare da qualcuno, in realtà li trascorrevo gironzolando per i fatti miei, sempre sola come un cane.
Arrossii di botto, notando il ghigno sulle labbra del tizio non appena colse la frase di mia madre.
‘Che razza di insegnanti avete, se non riescono nemmeno ad educare dei ragazzi che siano degni di farti da fidanzato?”, urlò alzando le mani al cielo.
Oddio…il tizio sghignazzò apertamente di fronte al mio sguardo imbarazzato e non si curò affatto di nascondere il suo divertimento.
Idiota, mi ritrovai a pensare riducendo i miei occhi a due fessure.
Poi passai avanti, ignorando il suo sguardo che come una lama appuntita mi perforava la schiena…non avevo tempo per pensare a cose del genere, e soprattutto non potevo permettermelo.
Già, perché prima o poi, nonostante le continue rassicurazioni della mamma, sarei morta.


* * * * * * 

 
 
“Mi dispiace che nella tua scuola non ci sia nessuno di degno per stare insieme a te…”, una voce sconosciuta, bassa e strafottente giunse alle mie spalle mentre camminavo su e già lungo il corridoio, in attesa dei risultati dell’ultima analisi fatta.
Mi voltai immediatamente, trovandomi di fronte il ragazzo di un’ora prima, quello che si era messo a ridere per le parole di mia mamma.
Lo guardai male, vedendo che aveva compreso ogni sua parola e l’aveva pure memorizzata bene nella zucca.
Alzai le sopracciglia con aria di superiorità, aspettandomi che esponesse il motivo per cui era venuto fin lì. Di me non ne fregava nulla neppure ai conoscenti, figuriamoci poi agli sconosciuti.
Di fronte alla mia espressione – buffa secondo lui, apparentemente – si mise a ridere sempre più forte, arrivando quasi a tenersi la pancia.
Sbattei il piede per terra ripetutamente. Non vedevo perché me ne dovevo andare via da lì solamente per colpa sua: era lui a dover spostare le tende.
“Ok…”, disse tra gli ansiti procurati dalla fragorosa risata, “Scusa, non volevo ridere, ma dovevi…vedere la tua…faccia”
“Sì, immagino”, risposi scettica, desiderosa di portare quella conversazione a termine il più presto possibile.
“Davvero, scusami. Io sono Edward, disse con appena si fu calmato.
Mi porse la mano, ma non l’accettai.
"Bella", risposi semplicemente alzando sfrontatamente il mento.
La sua mano pian piano ritornò al suo posto, e un altro ghigno comparve sul volto del ragazzo.
Il suo sguardo vagò per il corridoio mentre il suo naso si arricciava. “Ho sempre odiato gli ospedali”, proruppe scuotendo la testa e mostrando la stessa espressione schifata che avevo visto prima.
“Anche io”, da quando mi hanno diagnosticato un tumore, avrei dovuto aggiungere, ma mi limitai alle prime due parole, senza sapermi nemmeno dare un motivo valido.
“Ah, mai quanto me comunque, te l’assicuro. C’è odore un odore nauseabondo, le stanze sono tutte bianche, come se ti stessero preparando alla luce della morte. Anzi, qui c’è aria di morte! Gli ospedali portano sfiga, è risaputo, e io non sarei mai venuto se non ci fosse la mia prozia che è caduta per strada rompendosi una gamba…e mi hanno incaricato di farle assistenza, guarda un po’”, sembrava scocciato, anche se la sua breve filippica mi fece ridere.
“Mi dispiace molto”, risposi con un tenue sorriso sulle labbra.
“Nah, non ti preoccupare. Penso che ci farò l’abitudine. Tu, piuttosto, come mai sei qui?”
Oh, no.
E che dirgli adesso? Che ero anche io una di quelle pazienti malate che disprezzava tanto? Che sarei dovuta rimanere in ospedale per tanto, tanto tempo ancora…che mi sarebbero caduti i capelli a causa della chemio…che sarei presto morta…?
“La migliore amica di mia madre è in coma per shock anafilattico e mamma,, di conseguenza, non si da' pace…per questo anche io sono qui per fare assistenza.”, dissi fingendomi rassegnata.
“Perfetto, questo è uno sfruttamento di minori in piena regola allora!”, ridacchiò facendo in modo di farsi sentire bene dalle persone più vicine. Questi ci guardarono male, come a dire ‘Ah, la gioventù di questi tempi’. E certo, perché quando c’erano loro al posto nostro erano tutti dei santi!
“Be’, posso dichiararmi d’accordo. Dovremmo denunciarli prima o poi…e anche formare un' armata contro di loro! ‘Salviamo i diritti di minori allergici agli ospedali’!”, risi anche io stavolta, scuotendo la testa.
“Ben detto, capitano!”, esclamò lui mettendosi sull’attenti con la mano dritta vicino alla fronte in segno di rispetto.
Proprio in quel momento la porta di fronte a noi si aprì con un cigolio e l’infermiera con una cartelletta di cartoncino arancione in mano mi si avvicinò pericolosamente.
Non riuscivo a capire perché mi stessi facendo problemi sulla mia malattia. Avevo sempre pensato che fosse normale, tutti prima o poi dovevamo morire. La mia era semplicemente un'anticipazione, un'anticipazione molto ben grandita, a dire il vero.
La mia vita non sembrava avere senso, non l'aveva mai avuto...ero semplicemente stata uno sbaglio da parte dei miei genitori quando erano ancora troppo giovani per poter capire ciò che stavano facendo.
E allora perché in quel momento mi vergognavo?
"Isabella…dov’è tua madre?", chiese la donna avvicinandosi.
Oh, grazie al cielo, grazie, grazie buon Dio, grazie di avermi dato una madre!
Sorrisi come solo poche volte mi era capitato - ovvero fino ai miei cinque anni - e risposi con enfasi: “Dovrebbe essere scesa giù dalle scale per prendersi un caffè”
L'infermiera sembrò stupita dalle mie parole e dalla mia espressione. Mi aveva già visto altre volte e ero sicura che non le fossi mai stata simpatica a causa del mio stato d'animo perennemente 'tre kilometri sotto terra'.
Si allontanò con le sopracciglia alzate senza dire nulla, lasciandoci soli. Be', soli relativamente, perché c'erano un sacco di altre persone in piedi o sedute nel corridoio, tutti parenti o pazienti con tumori, tutti come me.
"Come fai con la scuola se devi aiutare tua madre?", chiese improvvisamente Edward.
Mi girai verso di lui, sorridendo debolmente. La scuola era un punto delicato, su cui dovevo assolutamente tacere.
Il dottore mi aveva subito detto che a causa di controlli, operazioni varie e soprattutto la chemio che, prima o poi, avrei dovuto fare, la scuola sarebbe passata sicuramente al secondo piano e che non ci sarei potuta andare con una certa frequenza.
La mia gioia a quell'affermazione fu incontenibile: nulla era meglio che starsene lontano da compagni mongoloidi e verifiche perenni.
Nell'ultimo periodo, però, ero stata costretta ad andarci più spesso, subendomi tutte le occhiate spaventate di quei cretini che forse erano convinti che la leucemia potesse essere contagiosa. Tzè, ne sapevo più io di loro, il che era tutto dire.
Mi portai una mano alla nuca, grattandola nervosamente. Quando riportai la mano al suo posto, però, rimasi quasi sconvolta: i miei capelli.
Una ciocca di capelli castani secchi, deboli giaceva sulla mia mano aperta.
Il mio stupore durò un attimo, prima che la chiudessi a pugno ed infilassi il contenuto in fretta e furia nella tasca della mia felpa.
Edward sembrava non essersi accorto di nulla, così intento a maledire con quel suo sguardo attraente qualsiasi cosa si trovasse attorno.
"I-io riesco comunque ad andare a scuola, certo, non sempre, ci sono dei periodi in cui...non vado proprio per rimanere a fare assistenza. La mia è una scuola privata, perciò mi lasciano...", mormorai nervosamente, sperando che prendesse la mia risposta per vera.
"Ah, capisco...be', beata te che riesci a saltare scuola! Io devo andare per forza, nonostante poi abbia i lavori forzati qui all'ospedale...la mia prozia non fa altro che ciarlare, ciarlare e ciarlare...una vera rottura. Alla fine io servo semplicemente perché sono l'unico parente disponibile...e anche perché, ammettiamolo, la sua eredità, alla sua morte andrebbe a me se gli faccio dei favori."
La cosa non mi piacque, stava lì ad aiutare quella che poteva essere sua madre solo per i soldi...almeno dei miei genitori non si poteva dire lo stesso, dalla mia morte non avrebbero tratto nessun beneficio. In denaro, per lo meno.
Probabilmente si accorse della mia espressione scettica, perché tentò di recuperare il recuperabile. "Cioè...mi fa piacere aiutarla, dato che sta male, il fatto è che non posso nemmeno rendermi utile o parlare con lei perché è una che attacca bottone con chiunque incontri, anche con i cani, sono sicuro che ne sarebbe capace!"
La sua spiegazione non era poi così convincente, ma d'altronde io non ero nessuno per giudicare.
Mi chiedevo ancora cosa ci facesse lì. Io, da parte mia, avevo finito tutto quello che dovevo fare, ma lui...
"Perché sei venuto qui?", chiesi aggrottando le sopracciglia.
Sembrò perplesso, e, in qualche modo, impacciato. Si mise le mani in tasca con fare noncurante e borbottò: "Così, tanto per fare un giro..."
"Ah-ah", annuii arcuando un sopracciglio. Chissà perché quella risposta non aveva molto di convincente...
Sbuffò. "E va bene, ti ho vista là sotto e mi è venuta voglia di parlare con qualcuno. Sai com'è, sarai l'unica persona in tutto l'ospedale più o meno della mia età! A proposito, quanti anni hai?"
La sua esclamazione mi fece ridere, ridere di gusto come non facevo ormai da tempo.
"Diciassette, tu?", chiesi con il sorriso sulle labbra.
"Anche io!", s'illuminò, come fosse la cosa più importante del mondo al momento.
Era strano, buffo e in qualche modo confortante vedere come Edward riuscisse a far tornare il buon umore, a rendere tutto...importante, anche solo con una parola.
Lo osservai meglio, mentre ridevamo entrambi sotto gli sguardi divertiti dei passanti.
Era molto, molto bello. Il corpo muscoloso ed atletico, anche se non eccessivamente, era risaltato parecchio dalla maglietta celeste attillata e dai jeans scuri che indossava. Il suo viso era stupendo, lineamenti non troppo marcati, mascella quadrata, labbra perfette, naso dritto e occhi magnetici di un color smeraldo intenso.
Impossibile che qualcuno così potesse non pavoneggiarsi o credersi chissà chi...impossibile, ma da quello che avevo appena visto, sembrava che Edward fosse l'eccezione alla regola.
Quando si accorse del mio sguardo su di lui, arrossii palesemente e tentai di giustificarmi. "Ehm...non senti freddo vestito così?"
Davvero anti sgamo, Bella, i miei più sinceri complimenti...
Sorrise. "No, sono un tipo caloroso. E poi...qui dentro si muore dal caldo! Piuttosto, tu non soffochi?", chiese guardando con aria scettica la mia felpa nera.
"No, proprio no. Sono una tipa freddolosa, io"
Ridacchiò. "Vedo che abbiamo molto in comune!", esclamò sarcastico.
Stavo per rispondergli quando qualcosa nelle sue tasche vibrò, prese il suo cellulare in mano e rispose alla chiamata.
"Ciao"
Mi guardò un attimo prima di rispondere.
"Sì, sono con mia zia"
Ah, bene, se io ero sua zia - e da come me l'aveva descritta non sembrava una persona splendida - dovevo davvero sentirmi lusingata...
"Ok, Tanya. Sì, sì, tra due minuti sono sotto da te."
Sorrise dolcemente. "Ciao, amore"
Mi irrigidii, la mia mascella si contrasse a quell'ultima parola.
Speravo solo di non darlo a vedere esternamente, per lo meno a lui.
Non appena ebbe messo il cellulare al suo posto, nella sua tasca, si rivolse a me con un tono nervoso.
"Scusami, ma come avrai capito devo andare"
"Certo", risposi imperturbabile.
Probabilmente si aspettava qualcosa di più da me dopo quella lunga chiacchierata, ma era il massimo che mi sentivo di dire in quel momento.
"Okay...allora ci si vede in giro...", sembrava più una domanda.
Sorrisi debolmente, un sorriso di cortesia. "Non credo proprio in giro. Al massimo in questo buco d'ospedale"
Ridacchiò un attimo alla mia battuta prima di salutarmi con un cenno della mano e voltarsi verso le scale.
I miei occhi continuarono a seguirlo anche mentre camminava, probabilmente rassegnati, perciò, quando Edward si girò un attimo ed incrociò nuovamente il mio sguardo, ridacchiò divertito nel constatare che aveva avuto ragione: lo stavo ancora osservando. Arrossii di colpo e mi voltai, piena di vergogna.
Riuscii a ricompormi solo cinque minuti dopo, giusto in tempo per dar voce ad un pensiero che mi era balenato in testa.
Mi affacciai alla finestra più vicina cercando il ragazzo con lo sguardo...lo trovai quasi subito, era sul marciapiede, le mani in tasca e lo sguardo perso nel vuoto...sì, lo era finché una ragazza in motorino non si fermò proprio a due centimetri da lui, rischiando di investirlo.
Ma guarda te la gente al giorno d'oggi!
Aveva lunghi capelli ondulati di un biondo rossiccio che sbucavano dal casco scuro non fatto di certo per proteggere dalle cadute. Dopo aver frenato, se lo tolse con una mossa molto teatrale, scuotendo la testa a mo' di 'Principe Azzurro' di Shrek. Voleva essere un gesto seducente, fatto per attirare l'attenzione degli altri e in particolare quella di Edward. Quest'ultimo sembrò recepire immediatamente il messaggio e si avventò su di lei per darle un bacio sulla labbra molto passionale.
Poi, una volta che si furono sorrisi a vicenda, lui prese un altro casco e si mise alla guida della moto con la bionda alle spalle, sfrecciando per le strade caotiche di Phoenix.
Dovevo immaginarlo, era così ovvio che uno come lui stesse con una ragazza...anzi, era molto più che scontato! Non avrei nemmeno dovuto pormela questa domanda...e soprattutto non avrebbe dovuto importarmi.
E allora perché dentro di me non provavo altro che delusione mista a rassegnazione?
Forse perché io non avevo nessuno...nemmeno un amico...? O forse...adesso potevo considerare Edward come tale...?
Scossi la testa, sentendomi una cretina allo stato puro.
Cosa importava di Edward???
Qualche mese e sarebbe finito tutto...tutto quello che in fondo non era nemmeno cominciato.
Mi incamminai a grandi passi verso il Reparto Tumori, ormai diventato il posto più adatto a me, a tutti quelli con il mio semplice problema.


Ehilà! Buona sera a tutti! ^^
Ho fatto presto...? Forse anche troppo?
Va be', aspetterò di sapere quel che pensate per capirlo!
Come avete visto, questo è il primo capitolo di Your Guardian Angel...Che emozione!!! *.*
Ho deciso di non rendere quest'ultimo uno stronzo pervertito come si legge solitamente, ma una persona abbastanza 'normale', con i piedi per terra, nonostante sia fidanzato con Tanya...
Allora...ci tengo a dire che io non ho nessuna specializzazione o gran conoscenza in medicina, perciò ciò che vedrete qui sulla leucemia si baserà su ricerche che farò e le santissime pagine di Wikipedia, nonostante quest'ultima dica chiaramente che non valgono per nessuna preiscrizione medica ù.ù
Il fatto che Bella non sappia molto della sua malattia, è un'altra cosa che ho scelto apposta...spero non vi dispiaccia.
Mi auguro davvero che vi sia piaciuto, io ho fatto del mio meglio!!!!!!!!
Prima delle risposte alle recensioni vorrei aggiungere qualche ultima cosina:
grazie infinite ai 4 che hanno messo la mia storia tra le preferite, grazie per avermi dato tutta questa fiducia sin dal primo capitolo, non sapete quanto sono felice!!!
Grazie anche ai 9 che l'hanno messa tra le seguite, spero che la storia piaccia anche a voi e che possiate apprezzarla sempre di più (e con questo non dico che me lo meriti ù.ù)!
Grazie anche a chi legge solamente e magari sorride a qualche frase o qualche battuta...grazie.
In ultimo voglio precisare che non è affatto detto che questa storia abbia un finale triste o drammatico.
Certo, Bella ha la leucemia, ma siamo solo al primo capitolo, volete che vi sveli tutto sin da qui???? XD
Perciò...non tutto ciò che sembra iniziare male deve per forza finire male! ^^
Grazie ancora a tutti per essere arrivati fin qui, recensite per favore!!!
Un bacione immenso,
Ele


Risposte alle recensioni

The Red One: Zuc!!!!!!!!!!!!!
Amore della mia vita, scusa se non sono riuscita a telefonarti!!!!!!!! *me tristissimissima*
Ma i compiti spuntano fuori dal diario manco fossero funghi!!! :'(
Ti prometto che adesso parliamo su msn, ok??? Dai, dai che stasera non ho nulla da scrivere! Che miracolo miracoloso! XD
Allora...ti è piaciuto il primo cap???? Fammi sapere presto, miraccomando! 1Bacio
Tua Cippy

Ginna3: Ehi, ciao!!!
A quanto pare abbiamo una passione in comune, quella di piangere! Non so tu, ma ormai per me è diventato una spiecie di hobby...dovrei andare a farmi visitare i condotti lacrimali, per me c'è qualcosa che non va' XD
Dai...non ti posso anticipare nulla, ma sappi che io e i finali tristi non andiamo molto d'accordo...spero che questo ti posso far piacere! ^^
Come ti è sembrato il primo capitolo? Ti aspettavi qualcosa di meglio...?
Bacioni!!!!

poc: Ciao, cara!!!!
Sono molto felice che il prologo ti sia piaciuto!!! ^^ Spero che il resto non ti deluda e che questo capitolo sia stato di tuo gradimento!
Guarda...credimi se ti dico che sono la prima ad avere paura...lo so benissimo che è un argomento forte e per certi versi pesante, non so se ne sono capace...soffro molto di disturbi di personalità multipla e il mio umore varia così facilmente che non sono davvero sicura di farcela. Continuiamo a sperare però...intanto il primo capitolo è andato, il che è un passo avanti XD
Un bacione!

Giuliina La meioo: Grazie, grazie, grazie, grazie!!!!!!!!!! *.*
Davvero, non so come ringraziarti, sei troppo buona con me!!!!!!! Non hai idea di quanto mi faccia piacere che tu segua la mia storia e che stia già piangendo...spero per la commozione, non per l'orripilanza del mio prologo! (XD)
Ti è piaciuto il primo capitolo??? Dai, almeno qui non ti ho fatto piangere...vero? Grazie ancora di tutto, carissima Giulia, fammi sapere!
P.S. Mi hai detto di aggiornare prestissimo...sono stata brava? XD
Un bacio!

shasha5:  Ciaooooo!!!!! Grazie, tesoro, grazie!!!!!!!!
Sono la prima che ti fa piangere in un prologo??? Ma quale onore!!!! ^^ Davvero io non mi reputo una brava scrittrice e il fatto che le mie storie non siano seguite da così tanta gente lo testimonia...però leggere certi commenti...sapere di essere capaci di suscitare certe emozioni...fa piangere anche me!!!!!!!!!!!!!!
Grazie ancora di tutto!!!!!! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, che non ti sia commossa troppo (mettiamo a freno le lacrime altrimenti poi scarseggiano nei momenti di emergenza ù.ù) e che io non ti abbia delusa!
Fammi sapere presto!
Baci, baci
Ele



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Capitolo 3
*** Sorpresa ***


Your Guardian Angel

*° Capitolo Due: Sorpresa°*
 

La forte luce del sole penetrò dalla finestra, inondando tutta la stanza del suo immenso calore.
Grugnii, ogni mattina la stessa storia. Sveglia alle 7.00 con un umore pessimo a causa della solita nottata in bianco, colazione forzata dato che in quel momento della giornata non avevo fame e, infine, lavarsi e vestirsi in tutta fretta perché la maggior parte del tempo la passavo seduta davanti alla tazza di latte caldo, in contemplazione.
Ignorando i continui richiami di mia madre, ancora mezza addormentata, uscii di fretta da casa con una sola cinghia dello zaino in spalla e la felpa slacciata.
Corsi per tutto il tragitto, ben 15 minuti a piedi, finché non arrivai all'entrata della mia grande, schifosissima, odiosa scuola.
Recinzioni, metal detector...sì, dava certamente una bell'idea dei luoghi pubblici, ma ciò che ero costretta a trovarci dentro annullava un qualsiasi fattore estetico dell'istituto.
In ritardo come al solito, entrai di fretta in classe, sotto lo sguardo divertito e sfrontato dei miei compagni di corso.
Non appena ebbi chiuso la porta, un brusio intenso e soffocante si disperse nell'aria, facendomi sentire la solita diversa, la solita emarginata. Quella con la leucemia.
Camminai a testa bassa fino al primo banco libero sul quale mi sedetti di slancio, facendo quasi cadere la seggiola all'indietro.
Cazzo, perché oltre ad avere un tumore dovevo pure essere maldestra e scoordinata? Quando Dio distribuì l'equilibrio dove cavolo ero? Al cesso?
Mmm, probabile, visto e considerato che in tanti lo consideravano il mio 'habitat naturale'.
Non seguii nulla delle lezioni, nemmeno inglese, la materia che solitamente riusciva a catturarmi più di qualsiasi altra.
Adoravo leggere, rifugiarmi in un mondo in cui, seppure fosse immaginario, desideravo infinitamente vivere. Amavo immedesimarmi nei personaggi principali, rileggere più e più volte il romanzo tentando di ricordare frasi o citazioni celebri.
I miei classici preferiti erano senza dubbio Cime Tempestose, Orgoglio e Pregiudizio e Romeo e Giulietta.
Tutte storie d'amore, ovviamente, tutte storie inventate forse per abbindolare quelle povere ragazze desiderose di provare quel sentimento tanto dirompente e importante, ma incapaci di trovare qualcuno con cui condividere la vita.
Ok, forse condividere la vita era un po' eccessivo, ma ero sempre stata dell'idea che mettersi con un ragazzo solo per passare il tempo, fosse da idioti.
Che senso ha? Mi chiedevo costantemente alzando gli occhi al cielo ogni volta che vedevo due piccioncini slinguazzare allegramente nei corridoi scolastici.
Quando suonò la campanella che annunciava il pranzo, la mia espressione si incupì ancor di più. Quello era il momento della giornata che più detestavo in assoluto dato che, come ogni legge della socializzazione voglia, tutti gli amici, conoscenti e amici di amici si sedevano ad un tavolo formando i soliti gruppetti.
Ebbene, in quella mensa strapiena di gente, risaltavo immediatamente io, l'unica, sola, asociale di tutta la scuola.
Potevano esserci ragazzi di gran lunga più sfigati di me, ma almeno loro riuscivano a trovare degli amici altrettanto sfigati con cui fare amicizia. Io no. Io rimanevo sola e muta a guardare la bottiglietta d'acqua minerale naturale appoggiata in precario equilibrio sul mio vassoio.
Io ero l'oggetto dei pettegolezzi più interessante, forse, dell'intera scuola. Tutti si divertivano a prendermi in giro, tutti si divertivano a criticare in mio modo di vestire o le mie occhiaie evidenti sul volto. Tanto a nessuno importava che io stessi bene o che potessi offendermi. Io ero solo 'cuore di ghiaccio, l'asociale', punto.
Da quando poi i miei insegnanti erano venuti a sapere della malattia era successo il pandemonio.
Come sempre, i professori tentarono di fare i 'carini', 'premurosi' e 'gentili' - il tutto giusto per far apparire la scuola un ambiente mooolto educativo e comprensivo - raccontando sfacciatamente ai miei compagni ciò che mi stava capitando, raccomandando loro di starmi vicino e di venirmi a trovare in ospedale.
Quando lo venni a sapere, per puro caso ascoltando la conversazione di due ragazze nascosta dentro alla toilette femminile, ormai il danno era fatto: i miei compagni avevano pensato bene di informare altri, i quali avevano ritenuto opportuno spiattellare il pettegolezzo ad altri ancora e via dicendo.
Quella mattina, a pranzo, mi avevano squadrato per un tempo incalcolabile, avevano osservato ogni mio minimo spostamento con aria di superiorità cercando disperatamente i segni che testimoniassero il mio essere diversa.
Come ho già detto, me ne fregai altamente. Meglio morire, molto meglio. Non avrei rivisto più le loro faccie maledette e questo sicuramente non poteva che farmi piacere.
Anche oggi, come ogni altra giornata che si rispetti, dopo aver preso un trancio di pizza e la mia sanissima bottiglietta da mezzo litro di acqua naturale, mi sedetti con pigrizia al mio tavolo, in fondo alla mensa ma comunque visibile a tutti.
Ero parecchio stanca quel giorno, così tanto che mi venne voglia di avvicinare la sedia - ovviamente vuota - di fronte a me e di appoggiarvici i piedi. Mi convinsi però che non sarebbe stato opportuno, anche se delle mia reputazione ormai non me ne poteva fregare proprio un accidente.
Osservando la mensa con occhi pensierosi, mi ritrovai a pensare a Edward. Chissà se anche lui, nella mensa della sua scuola, si sarebbe seduto al tavolo dei giocatori di basket e delle cheerleader...insieme a quella bionda, magari.
Dai, Bella...forse era solo un'amica, mi dissi mandando giù un groppo in gola dovuto all'ultimo pensiero.
Sì, certo. Un'amica alla quale si diverte a ficcare la lingua in gola. Sei un'idiota.
Scuotendo la testa, scorsi una macchina blu elettrico avvicinarsi al marciapiede vicino al cortile scolastico e alla mensa.
Esultai dentro di me, qualcuno lassù aveva cominciato ad esaudire le mie preghiere!
Quello era Phil, il mio patrigno, nonché nuovo marito di mia madre Reneé.
Scendendo dall'auto con il suo solito cappellino da giocatore di baseball in testa, mi fece un cenno, attirando l'attenzione di altri ragazzi seduti ai tavoli.
Me ne fregai ancora una volta, raccattai le mie cose il più in fretta possibile e mi avviai verso il cortile di corsa, desiderosa di andarmene presto da lì.
"Bells!!", esclamò venendomi incontro ed accogliendomi in un abbraccio stritolatore.
Ecco, una delle cose che non sopportavo di Phil: era decisamente troppo caloroso, così tanto che a volte avrei voluto proporgli una carriera come giocatore di rugby, più che di baseball.
Rimanendo rigida e imbarazzata mi districai dal suo abbraccio, sorridendo debolmente ed accomodandomi sul sedile anteriore accanto al suo.
Phil ritornò al suo posto con passo veloce e possente, per poi sbattere la portiera con un fragore che mi fece temere avesse spaccato l'auto.
"Allora, bellissima, come è andata oggi?", chiese con un sorriso smagliante non appena ebbe messo in moto.
Sorrisi a denti stretti. "Bene"
"Sei dispiaciuta di essere uscita prima oggi, cara?", la sua voce adesso era melensa, così tanto che avrebbe potuto benissimo sembrare falsa.
Mi accigliai. "Veramente sono stata io a chidere espilicitamente di uscire prima", precisai punta sul vivo.
A quanto pareva il bel giocatore di baseball quando parlavo non mi ascoltava nemmeno un po'.
"Davvero? E come mai? Ti trovi male con i compagni?"
Alzai gli occhi al cielo. "No, Phil, niente di tutto ciò che pensi. Semplicemente in questi giorni sono un pochino stanca.", dissi con voce piatta.
Stupido giocatore di baseball del cavolo. Lo sapevo io cosa c'aveva in testa, una mazza!
"Oh, capisco, piccola", rispose con voce più cupa.
Con quell'ultima frase la nostra conversazione si concluse definitivamente ed io me stetti in pace pensando che forse il mio patrigno non fosse poi così male.
Osservando attentamente la strada, però, mi accorsi che non stavamo andando a casa.
Un cattivissimo presentimento si fece largo in me...
"Phil...non staremo andando all'ospedale...vero?", chiesi lentamente.
Lui socchiuse gli occhi, colpevole.
"Tua madre mi ha detto di non dirti nulla...", sussurrò lui eludendo la domanda.
"Perciò stiamo andando all'ospedale. Assolutamente splendido", almeno il mio profondo odio per quel posto era conosciuto dall'uomo alla guida della Ford mezza scassata. Dovevo averlo ripetuto davvero tante volte perché se ne fosse accorto...
"Sì, piccola, è per il tuo bene, lo sai"
Sbuffai in risposta. Non mi importava affatto di sembrare una bambinetta capricciosa, volevo semplicemente tenere a bada la lingua prima che potessi dire qualcosa di spiacevole.
Già in lontananza vidi mia madre sul marciapiede con un cipiglio più che preoccupato sul volto.
Pazzesco come nell'ultimo periodo - precisamente da quando mi avevano diagnosticato la malattia - fosse cambiata.
Un tempo era allegra, solare, frizzante, irresponsabile e schizzofrenica. Ero sempre io quella che si doveva occupare della casa, della spesa e di altre faccende normalmente destinate ai genitori.
Mamma e papà si erano sposati presto, appena diplomati, e avevano avuto me, così, per caso, senza che l'avessero mai realmente desiderato.
Poi, dopo pochi giorni dalle nozze si erano lasciati e mia madre mi aveva portato via con sé a Phoenix, lasciando invece mio padre, Charlie, a Forks, una piccola cittadina dello Stato di Washington coperta da uno strato onnipresente di nubi.
Lo ricordavo bene, nonostante lo vedessi poche volte all'anno - solamente d'estate - e gli volevo bene, lui si era sempre preoccupato molto per me, chiamandomi numerose volte al telefono per sapere come andasse. Né io né lui eravamo dei tipi 'logorroici', perciò, la stragrande maggioranza delle volte finivamo per rimanere con la cornetta in mano in silenzio, se non fosse stato per qualche fruscio improvviso che mi ricordava avessi un interlocutore.
Una volta che anche lui però seppe della malattia, decise di fare ancora di più, infatti, entro poco, si sarebbe trasferito da noi per potermi aiutare con la chemioterapia e restarmi accanto.
Se per mio padre c'era stato un piccolo cambiamento di comportamento, per mia madre era stato l'esatto opposto, un mutamento radicale.
Era passato decisamente troppo tempo da quando non la vedevo più ai fornelli ad inventare pietanze immangiabili, che non la vedevo rimanere attaccata al computer a chattare con qualche sconosciuto sui social network mentre la casa sembrava un porcile. Troppo tempo che non la vedevo passare sul suo volto la crema antirughe, nel tentativo di sembrare più giovane, che si dimenticava di passare in lavanderia a ritirare i capi consegnati.
Adesso il suo viso era segnato costantemente da profondi solchi, le occhiaie erano evidenti come non mai, i capelli secchi con diverse traccie di bianco...irriconoscibile ad occhi esterni.
Per la prima volta in vita sua aveva cominciato a fare la madre, forse rendendosi conto che quella bambina che aveva sempre reputato 'grande', entro poco non ci sarebbe stata più.
Phil mi fece scendere dall'auto velocemenente, prima di rituffarsi nel traffico per cercare un parcheggio.
"Bella, Bella, tesoro, muoviti che siamo in ritardo!", esclamò Reneé prendendomi in fretta per mano.
Sciolsi la presa, camminando con lentezza, ignorando le sue parole.
"In ritardo per cosa, mamma?", chiesi arcuando un sopracciglio.
Sembrò sconsolata. "Bella, ti prego, non fare così! Devi fare il controllo ai reni...ti prego, sbrighiamoci!"
Con un sospiro la seguii ed accellerai il passo entrando nel tanto amato ospedale.
Salimmo in fretta e furia le scale fino ad arrivare al Reparto Tumori. Una volta davanti alla porta, mamma mi si avvicinò, ancora ansante, aggiustandomi il colletto della maglietta che portavo sotto la felpa.
"Mamma!", mi lamentai aprendo la porta e dirigendomi verso il bancone della segretaria. Reneé mi seguì alzando gli occhi al cielo e si rivolse alla donna: "Mi scusi, siamo qui per l'esame ai reni di Isabella Swan", disse tutta trafelata indicandomi.
Quella con un cenno del capo si mise a cercare qualche documento sulla scrivania, trattenendo una risatina, probabilmente dovuta all'aspetto trasandato della mamma.
Mi dispiaceva per lei, non volevo che a causa mia si trascurasse troppo.
Dopo averci dato fogli e istruzioni, entrammo in un'altra stanzina buia, in attesa dell'arrivo del medico.


* * * * * *


"Puttana...", mormorai accarezzandomi la mano dolente.
Avevo terminato da poco la visita e, giusto per tirarmi un pochino su il morale, avevo deciso di prendere una bella ciccolata calda dalla macchinetta.
Apparentemente, però, la suddetta 'macchina', sembrava non volesse collaborare.
Non solo non voleva darmi la mia bevanda, ma nemmeno restituirmi i soldi! E dire che avevo tentato in tutti i modi! Colpetti vari in alto, sberle, ceffoni, papine*, addirittura calci!
Ma nulla di nulla.
"Ehi, guarda che rischi di essere denunciata, se continui così!", una voce inconfondibile, bassa e roca, giunse alle mie orecchie.
Perché, perché doveva arrivare proprio nei momenti più imbarazzanti?!
Mi girai lentamente, arrivando a squadrare Edward in tutto in suo splendore.
"Ti diverte sfottermi, eh?", chiesi punta sul vivo.
Sorrise. "No, ma che vai a pensare!", esclamò sarcastico, avvicinandosi alla macchinetta con fare pensoso.
"Cosa pensi di fare?", chiesi sospettosa. "Io ho già provato in tutti i modi, ma non mi ha ancora dato...il mio caffè", all'ultimo avevo cambiato bevanda, convinta che, se gli avessi detto di aver preso una cioccolata calda, mi avrebbe considerato una bambina.
"Mmm", si limitò a mormorare continuando a osservare l'aggeggio.
Poi, come se niente fosse, premette sul pulsante verde in bella mostra facendo scendere di colpo il classico bicchierino marrone da macchinetta.
Oddio, che figura...
Chiusi gli occhi, incapace di rimanere a guardare. Immaginavo la sua espressione divertita a livelli catastrofici.
Poi, però, un profumino invitante, caldo e dolce, giunse alle mie narici, facendomi spalancare le palpebre.
"Decisamente meglio del caffè", mormorò suadente porgendomi la tazzina di ciccolata.
Arrossii mentre la prendevo in mano e la portai subito alla bocca, incapace di resistere al richiamo cioccolattoso.
Bevvi il primo sorso con una tensione incredibile, sentivo i suoi occhi analizzare ogni mio minimo movimento ed ero sicura che fossero rimasti i tipici 'baffi da latte' - o in questo caso da cioccolata - sul mio volto.
Infatti...
"Ti...ti è rimasto del cioccolato qua", m'informò sorridente Edward indicandò la zona sporca sul suo viso, a mo' di specchio.
Come una bambina, strofinai il dorso della mano contro la mia pelle velocemente, sperando, almeno per quel giorno, di finirla con le figure di cacca.
Il suo sorriso si accentuò. "No, non ci sei ancora", disse sporgendosi verso di me.
E' vero, dovevo ammettere di averlo immaginato...ma non pensavo che si mettesse davvero a pulirmi lui stesso dalla cioccolata!
Sentii la punta del suo dito caldo avvicinarsi timorosa alla mia pelle, appena sopra le labbra, una dolce carezza durata poco più di un secondo.
Il ghigno che però comparve sul suo viso - probabilmente notando la mia reazione - mi fece innervosire parecchio. Mi voltai dall'altra parte senza dire una parola e con le mani in tasca mi allontanai.
E lui rideva! "Giornata no?", chiese divertito raggiungendomi.
Incrociai le braccia al petto senza smettere di camminare. "Non sono affari tuoi"
"Gne, gne, gne!", mi prese in giro scimmiottando la mia voce.
Roteai gli occhi. "Si può sapere che caspiterina vuoi?", sentivo che presto gli occhi sarebbero usciti dalle orbite, tanto ero nervosa.
Un nervosismo privo di senso poi! Avevo pensato a Edward parecchio in quelle ultime ore - nonostante non volessi ammetterlo - e adesso che era qui...
"Uffa...volevo soltanto stuzzicarti un po'. E' divertente", si scusò come fosse la cosa più ovvia del mondo.
Mi voltai verso di lui con le mani ai fianchi, gli occhi ridotti a due fessure.
"Vorrei proprio vederti se fossi io a farlo.", sibilai tentando di mantenere la calma.
"Cosa, cosa? Che vorresti fare tu, signorina?", una voce molto familiare giunse alle mie orecchie da dietro, facendomi alzare le spalle spaventata. Chissà quali cose imbarazzanti avrebbe detto...come se già non bastassi io con le mie.
Mi voltai lentamente, finendo accanto a Edward e osservai mia madre di fronte a noi. Aveva un'espressione pensosa sul volto tirato, cercava di capire di cosa stessi parlando.
Edward trattenne a stento una risata, avvicinandosi a Reneé e porgendole una mano. "Salve, signora. Io sono Edward Cullen", disse con voce...attraente.
Possibile che anche in un momento del genere dovessi pensare a quanto e a come fosse in effetti...bello?
Mamma sembrò spaesata.
"Oh! Ciao, figliolo. Allora nella tua scuola c'è qualcuno...", cominciò, ma Edward la interruppe scuotendo la testa divertito. "No, signora, io non vado nella stessa scuola di sua figlia."
Bla bla bla! Sua figlia ha un nome, cretino!
Reneé mi rimproverò con lo sguardo. "Lo vedi, Bella? Te l'avevo detto io di non iscriverti ad una scuola pubblica, ma tu non hai mai voluto sentire ragioni!"
Merda!! Il giorno prima io avevo detto a Edward il contrario.
Infatti, come volevasi dimostrare, aggrottò le sopracciglia confuso.
"Mamma...", tentai di salvarmi in corner, " io non vado in una scuola pubblica", mormorai sperando che capisse.
Purtroppo così non fu. "Ma che sciocchezze dici, tu, tesoro, vai in una scuola pubblica!", ribatté lei sicura.
Alzai gli occhi al cielo sospirando: inutile discutere con lei.
"Ok...mamma, lo sai che ti chiamava il dottore prima?", chiesi improvvisamente entusiasta.
"Davvero?", sembrò perplessa.
"Sì! E' ancora al secondo piano, mi sembra che ti debba dire qualcosa...", mormorai facendomi vaga.
"Ah, d'accordo. Non sia mai che non parli con il dottore!", rise da sola, allontanandosi con un cenno rivolto a Edward.
Quando fu più lontano, mi sentii tranquilla e Edward prese parola. "E' una donna simpatica"
"Sì...un po' eccentrica, forse", sorrisi, guardandola camminare leggermente storta.
Ridacchiò. "Non mi dispiacerebbe però che tu acquistassi quel sorriso che ha tua madre...", mormorò fissandomi negli occhi.
Per un attimo non capii quel che mi aveva detto, troppo impegnata a fissare quelle iridi color smeraldo intense e profonde.
Soltanto due secondi più tardi del dovuto assorbii il significato delle sue parole. Ne rimasi sorpresa...non pensavo che anche agli occhi di un estraneo potessi sembrare già da subito acida e scontrosa.
"Il mondo è bello perché è vario...", sussurrai tentando di cambiare discorso.
Sorrise, mostrando una dentatura perfetta. "Me ne sono accorto", disse con una nota di ironia.
Proprio in quel momento sentii una vibrazione nella tasca dei pantaloni: mi era arrivato un messaggio. Trafficando con una sola mano - l'altra era impegnata a tenere la tazzina vuota -, aprii la piccola busta gialla dei messaggi e sorrisi nel vedere chi fosse il mittente.
No, nessun fidanzato segreto, amante, migliore amico o alcunche. Semplicemente mio padre.

Pensi che debba portare la crema solare per stare a Phoenix? Sai com'è, non sono più abituato al sole...

Il mio sorriso si allargò nel leggere quelle parole. Seppure Charlie fosse un uomo molto taciturno, sapeva anche scherzare, per lo meno con me.
Essendo troppo impegnata col telefonino, non mi ero accorta che Edward si era incuriosito.
"Il tuo ragazzo?", chiese con una punta di irritazione.
Sollevai il capo, giusto per vedere la sua smorfia e ridacchiare sotto i baffi. "No, no, davvero.", risposi sincera.
"Impossibile, chi altri potrebbe riuscire in un'impresa da me persa?", chiese sollevando leggermente il mento con aria sfrontata.
"Quale impresa?"
Sorrise sghembo. "Be', mi sembra ovvio: quella di farti sorridere"
Scossi la testa e risi, non tanto per dargliela vinta, quanto perché le sue parole mi avevano davvero fatto divertire. Dovevo essere proprio una musona se un lieve sorriso sul mio volto poteva essere considerato un miracolo.
"Senti, Bella...non è che ti andrebbe di uscire con me...?", chiese d'improvviso guardando la punta delle sue scarpe mentre rimaneva in equilibrio sui talloni.
Eh?
"Cosa?", chiesi leggermente sbigottita.
L'ultimo - e anche unico - invito a uscire che mi avevano mai fatto risaliva all'asilo, quando avevo quattro anni.
"Sì...ricordi? Ho ancora una missione in sospeso", si giustificò alzando lo sguardo. Ah, quegli occhi! Mi avrebbero fatto perdere il lume della ragione, era certo.
Ero rimasta troppo tempo a fissarli in silenzio, così tanto che traintese. "Ma se non puoi lasciare l'ospedale vediamo di...", non lo lasciai finire, perché scossi la testa e sorrisi. "Prendere un po' d'aria mi farà bene. E poi non credo che se per due orette faccio qualcosa per me ci saranno problemi", gli sorrisi, tentando di essere convincente anche se dentro di me stavo morendo dalla paura e dall'agitazione.
"Ok...allora facciamo...domani?"
"D'accordo, domani", acconsentii scrocchiando le dita come anti-stress.
"Va bene, Bella...allora ci si vede", disse rivolgendomi un cenno del capo, sempre sorridendo.
Lo guardai andarsene, sicura che si voltasse come il giorno precedente e io facessi la mia solita figuraccia.
Invece no, camminò lentamente, con passo molto aggraziato, fino alla fine del corridoio, per poi scendere le scale con tranquillità, lasciandomi lì come una cretina a bocca aperta.
Mi aveva sorpreso di nuovo.


*Le papine sono gli schiaffi in bergamasco...^^
Etciùùùù! Scusate, ma qui sto morendo per colpa della tosse e del raffreddore.
Come volevasi dimostrare, al primo accenno di freddo ecco che io mi piglio l'influenza! Fantastico! -.-"
Ok, la pianto e parlo un po' del capitolo. Allura, vi è piaciuto??????? Edwarduccio è stato di vostro gradimento?? Dai che ha lasciato sorprese anche voi con questa propostuccia...^^
Ho deciso di parlare della famiglia di Bella in questo capitolo, di Phil, il patrigno distratto, di Reneé, la madre in perenne cambiamento e di Charlie, un padre lontano ma comunque presente per la figlia ^^
Riguardo all'inizio giornata di Bella, ho preso diversi spunti dalla mia vita privata. In particolare il fatto di rimanere in contemplazione davanti alla tazza per un quarto d'ora buono, è una cosa tutta mia XD
Lo so, per adesso non è che Edward si conosca più di tanto - nome, cognome, età a stento XD - ma nel prossimo cappy vi prometto che se ne parlerà parecchio!! ^^
Grazie davvero tantissimo alle 20 persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite, alle 8 che l'hanno messa tra le preferite (me gongola in modi vergognosi XD), le 6 che l'hanno messa tra le ricordate e le 7 bellissime che hanno recensito!!!! Grazieeeeeeee!!!!!!!! *____*
Vi aspetto al prossimo aggiornamento!!!! Recensite!!!!! ^^
Un bacione,
Ele


Risposte alle recensioni:

The Red One: Ciaooooo!!!! La mia Koaluccia!!!! Lo so benissimo che in questo momento hai molto meglio da fare che guardare 'sto stupidissimo aggiornamento...e certo, è a Londra la signorina, eh!!!! E ha pensato bene di non invitarmi nemmeno!!!!!! Giusto per godersi sola soletta Rob, eh....ma non temere, tra un mese e ci vado pure io!!!! ù.ù XD
Vabbe', la pianto con le mie cavolate e passo a cose 'serie'...ma ti pare che un figo come Edward sia libero???? Se lo fosse sarei la prima ad accaparrarmelo!! XD Capito che sono scema, ma fino a questo punto...XD
Nono, dont' worry, Tanya si vedrà poco e niente...stavolta sarò magnanima ^^
Bella è rassegnata per diversi e giusti motivi, come dice in questo capitolo...ma sia mai che Edward le faccia tornare il sorriso??? =)
Recensisci, eh!!! Un bacione, panduz


Funny_lady_: Giuliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!! Oddio, non sai che piacere mi fa ritrovarti qui a recensire!!!!!!! *me piange disperatamente dalla giuuuoia* ç.ç
Sono davvero felicissima che ti sia piacendo!!! Anche se eri venuta qui per altro, lo so, lo so...ebbene, ho in testa un botto di idee di fanfiction (oltre alle 4 che già sto portando avanti =S) e quella di Rob e Kris per ora mi sa che deve un po' aspettare...ma vedrai che troverò il giusto momento anche per lei, scuola permettendo ù.ù
Questa ficci ha un carattere un po' diverso da YCL, in quanto come vedi è seria. Oddio, io seria...ma mi ci vedi??? XD
Ahaha, lo so è strano, ma ci riesco solo perché sto scrivendo un'altra storia che invece fa ridere ben bene ^^ Si chiama Missione d'Amore (e non sia mai che io faccia pubblicità occulta...XD) e se la vuoi leggere per me sarebbe un onore =D
In questo capitolo penso di aver spiegato abbastanza bene il motivo per cui Bella non ha amici ed è 'felice' di morire. Riguardo a Edward e Tanya, presto vedrai meglio di che si tratta...credo nel prossimo cap =)
Adesso ti saluto, tesoro!!! Un bacione!!!!!!! Grazie ancora di tutto!!!
Ele


poc: Ciao!!!!!!!! Grazie, grazie, grazie!!!!!!! Le tue recensioni mi fanno venire i lacrimoni, altro che i miei capitoli!!! Bella è davvero rassegnata non avendo mai avuto qualcuno che le stesse accanto a parte la sua famiglia incasinata...è stata anche un errore da parte dei genitori, e questo non fa che aumentare il suo desiderio di andarsene. La nostra Bellina, quando sta con Edward, è come se stesse in un altro mondo, senza problemi, con risate, sorrisi, leggerezza...come si meriterebbero di vivere tutti. Purtroppo però non si può staccare sempre la spina dalla realtà, anche se Edward proverà davvero a farla sorridere anche quando lui non c'è. ^^
Sono davvero felicissima che ti sia piacendo così tanto, non sai quanto mi fa stare bene!!!!!!!!!
Già che ci sono, rispondo anche all'altro commento. Allora...mi fa piacere il fatto che abbiamo molte cose in comune e sarebbe bello poter coltivare l'amicizia, ma io non ho facebook da poco, a causa di una bruttissima esperienza. Penso che per un po' rimarrò senza, nonostante sia la moda del momento, e quando mi sentirò più pronta riattiverò l'account. Grazie comunque per tutto!!!!! Bacioni!!!!


Lua93: Ci credi se ti dico che quando ho letto il tuo nome pensavo di essere in un altro mondo????? Cioè, io adoro la tua storia 'The butterfly effect', e trovarti qui a rencensire la MIA storia non sai come mi ha fatto piacere!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Oddio, grazie, grazie, grazie!!! Sono felicissima che il primo capitolo abbia suscitato così tanto scalpore ^^ Ho sempre immaginato Reneé come una madre che diventa, così, all'improvviso, apprensiva, con mille ansie...proprio perché si rende conto di non aver fatto il suo ruolo quando poteva perciò adesso deve rimediare nel poco tempo che le rimane. Forse le sta anche un po' troppo appiccicata, ma le mamme, si sa, sono fatte così: per i figli farebbero di tutto. Lei è convinta che Bella non morirà, e non si rende nemmeno conto che questa cosa la figlia non l'ha presa male, al contrario. Certo, anche a Bella dà fastidio fare continui controlli e cose del genere, ma sa che non si può combattere troppo contro l'inevitabile.
In questa storia un Edward stronzo fino al midollo non ce lo vedevo proprio, mentre quello dolce, un po' imbarazzato e sempre col sorriso sulle labbra mi sembrava perfetto ^^
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e che abbia fatto meno errori di ortografia! Che ci vogliamo fare, sono umana anche io, eh? XD
1Bacione!!!


shasha5: Ciaooooooo!!! Ahia, sono in ritardoooo! XD Stavolta però non è colpa mia!!! Prendetevela con la febbre! ù.ù
Ooooooh, grazieeee!! Sai, spesso mi rattristo vedendo che le mie storie vengono seguite da poche persone, la maggior parte delle quali sono mie amiche strette...capisco benissimo di non essere brava come certe autrici fantastiche presenti in questo sito, ma un commentino giusto per dire che la storia non fa poi così schifo fa piacere ^^
Ti ringrazio infinitamente dei tuoi complimenti, eccessivi secondo me! Come ho detto non sono così brava!!!!!! >.<
Un Edward normale è strano da vedere...mmm... forse perchè nemmeno qui sarà del tutto normale...? Muahahah, faccio la sadica adesso! XD
Brava!!!!!!!!!! Così si fa, continua a odiare Tanya e Jacob come faccio io e sarai sempre nelle mie grazie!!!! (E scommetto che la cosa non ti interessa nemmeno un po' XD)
Spero che questo capitolo non ti abbia deluso e che la 'sopresa' di Ed ti abbia fatto piacere!!!!!!!
Un bacione enorme, grazieeeee!


Ginna3: Ciaoooo!!! Cavoli, io cerco sempre di fare di tutto per non far piangere troppo le persone, essendo io una di quelle che non fa altro in tutta la vita (modestamente...XD), ma in questa storia non so, esce spontaneo perciò perdonami!!!
Mi fa moltissimo piacere che il capitolo ti sia piaciuto!!!! Mi auguro anche che in questo si vedano le difficoltà di Bella, quanto si senta sola. Hai ragione, non ha voglia di vivere e Edward questo in un certo senso lo capisce...che riesca nella sua impresa??? ^^
Un bacione, a presto!!
Ele



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Capitolo 4
*** Conoscenza ***


Your Guardian Angel

°* Capitolo Tre: Conoscenza°*

 

"Mamma, ti ho detto che è solo un amico! Anzi, non so nemmeno se posso definirlo così!", esclamai sbattendo l'anta dell'armadio con furia.
"Tesoro, dai, non fare così, lo sai che stavo scherzando! E se anche fosse stato come ho detto io, non mi sarei assolutamente lamentata. E' un bellissimo ragazzo, perfetto per te", mi rincorse Reneé con tono dispiaciuto. Fintamente dispiaciuto.
Quando aveva saputo del mio 'appuntamento' con Edward era letteralmente saltata dalla sedia per la felicità. Aveva voluto sapere tutti i dettagli, cosa ci fosse tra di noi, se ci fossimo già baciati - ovviamente era saltata immediatamente alla conclusione che stessimo insieme - e da quanto tempo stessimo andando avanti.
Mi ci era voluto un po' per convincerla del contrario, e ancora non sembrava credermi.
Però da una parte aveva ragione...era davvero bellissimo, stupendo esteticamente e, proprio per questo, assolutamente inadatto a una ragazza sciatta e bruttina come me.
Guardai attentamente l'armadio sperando che arrivasse un'illuminazione su come vestirmi. Era in momenti del genere che rimpiangevo i miei pazzi gusti sul vestire, assolutamente anti-moda.
"Bella...credo di sapere cosa potresti mettere...", un mormorio un po' imbarazzato mi fece voltare nella sua direzione.
"Mamma, saprò cosa ho nell'armadio, non trovi?", chiesi scettica. "Certo che lo sai, ma un mesetto fa mi sono permessa di comprarti un qualcosa di...più fru-fru, ecco. Se ti va di provarlo...".
In un momento normale mi sarei arrabbiata, ma adesso avevo un disperato bisogno d'aiuto, anche se sapevo con certezza che non importava come mi vestissi, ero sempre io, la solita sfigata dal pochissimo equilibrio.
Annuii rassegnata in risposta, e lei ne sembrò entusiasta come non mai. "Dai, vieni, vieni! Sono sicura che ti starà di incanto!", esclamò frugando nella sua stanza alla ricerca di qualcosa. Finalmente 'uscì' dal guardaroba con in mano una busta bianca e blu. "Ta-daaan", mormorò scuotendola un pochino.
Alzai gli occhu al cielo e osservai il contenuto che mia madre stava appoggiando, con fin troppa delicatezza per i miei gusti, sul letto matrimoniale dalle coperte verdi.
Era una maglietta grigia, senza maniche. Poteva arrivarmi a mezza coscia come massimo, tanto era lunga. Aveva anche dei ricami bianchi all'estremità in alto.


 
 "Come ti sembra, tesoro? Non la trovi fantastica?!", chiese eccitata Reneé.
Era carina, certo, non il mio genere, ma carina. Però... "Mamma, non ti sembra un po' troppo corta?", chiesi perplessa prendendola in mano.
Strabuzzò gli occhi. "Corta?! Sciocchina, guarda che sotto devi metterci i fusaux o i leggings!", esclamò scoppiando in una fragorosa risata.
"Ah", mi ritrovai a osservare piccata.
"Be', poi potresti metterci...chessò, una bella cintura bianca qui e poi...", sembrava tanto una di quelle stiliste in carriera, peccato che facesse la maestra d'asilo di professione.
"No, mamma. Va benissimo così, grazie!", dissi sicura prima di dirigermi a grandi passi verso la mia stanza e sbattere rumorosamente la porta alle spalle.
Mi vestii velocemente per poi osservarmi a lungo allo specchio. Non stavo così male, ma non ero certo tutta 'sta bellezza da mettere in mostra le gambe! Tentai di tirare più verso il basso la maglietta senza però grandi risultati perché, ogni volta che toglievo le mani, la stoffa tornava al suo posto, estattamente come se non avessi fatto nulla. Maledetta.
Uscii dalla stanza rassegnata ritornando nelle grinfie di mia madre, la quale mi stava aspettando trepidante fuori dalla porta.
"Ma stai benissimo, gioia!", esclamò tutta contenta.
"Certo, certo", mormorai prendendo dalla scarpiera le mie fidate Converse nere. "Non avrai intenzione di metterti quelle spero!", disse indignata guardandole male.
"Mamma, non voglio mettermi i tacchi a spillo, perciò credo che questa sia la soluzione migliore!", ribattei frustrata.
"Uffa, non dico i tacchi, ma un paio di ballerine, quelle col fiocchettino che ti aveva regalato la sorella di Phil..."
"Mamma, la sorella di Phil era convinta che avessi otto anni", dissi allacciando la scarpa.
"In effetti...be', comunque la misura è la stessa, perciò non c'è problema!", affermò soddisfatta dopo un attimo di esitazione.
"No, la misura è cambiata. Non porto più il 37, bensì il 37 e mezzo", calcai bene sulle ultime due parole dirigendomi verso il bagno.
"Bella, quanto sei complicata! Mettiti un po' di profumo almeno!", disse sconsolata rincorrendomi.
"Forse", le concessi il beneficio del dubbio. Mi passai le mani tra i capelli lunghi e mossi, almeno di quelli non avrei potuto lamentarmi. Anzi, il fatto che dovessi perderli mi rattristava molto.
Dopo un'ultima rapida occhiata allo specchio mi voltai, decisa ad andarmene il prima possibile da quella 'organizzatrice di matrimoni'.
"Non penserai mica di tenerti quei capelli davanti agli occhi! Santo cielo, Bells, hai un bel viso, non lo devi certo nascondere! Basterebbe una mollettina qui e il gioco è fatto!", ecco che ritornava alla carica. Spesso mi venivano dei dubbi riguardo all'età: chi era l'adolescente? Chi l'adulta?
"No", risposi secca.
"Allora il trucco! Eh no, signorina, almeno quello te lo devi mettere!", esclamò scocciata con le mani ferme sui fianchi.
"Mamma! Lo vuoi capire che non sto andando al ballo di gala?? E poi, se mi metto in tiro, come dici tu, penserà che ci sto provando con lui!", esclamai ormai dritta dritta verso l'isteria.
Sembrò spaesata. "Ah, perché, no...?"
"Certo che no! Ma che vai a pensare?!?!", quasi gridai sbattendomi una mano sulla fronte.
"Be', questo non cambia le cose. Puoi metterti un po' di lucida labbra, lipgloss, matita, ombretto, mascara, eyeliner...hai l'imbarazzo della scelta!"
Presi un sospiro profondo. "Mamma. Io non so nemmeno che roba sia l'ailainer!", calcai bene sulla pronuncia di quell'arma sconosciuta e letale. "E nemmeno mi interessa! Perciò se adesso vuoi lasciarmi uscire...oppure, dato che sei così interessata, ci vai tu all'appuntamento!"
Non volevo certo essere così dura, ma mi stava innervosendo a livelli esorbidanti, come se già non fossi irrequieta di mio.
Sorrise. "Ammetto di averci fatto un pensierino, ma lo lascio a te", mormorò ridacchiando.
"Oh, mamma...", risposi scuotendo la testa e lasciandomi andare anche io a un sorriso.

 


* * * * *
*


Erano dieci minuti che aspettavo Edward davanti all'entrata principale dell'ospedale.
Spostavo costantemente il peso da un piede all'altro, dandomi sempre di più della stupida.
Avrà di meglio da fare che uscire con te, Bella, se ne sarà sicuramente dimenticato, mi dicevo, sicura che mi avesse dato buca.
Improvvisamente, però, un forte colpo di clacson mi fece voltare verso la strada completamente intasata di macchine e altri veicoli vari. Proveniva da una moto grigia metallizzata guidata da...Edward. Non appena vide che mi ero accorta di lui, fece un cenno amichevole col capo.
Era troppo lontano, certo, ma mi sembrava di averlo visto sorridere da dietro il casco.
Facendo attenzione a non farmi investire, lo raggiunsi passando tra le macchine a suon di 'scusate' e occhiatine dispiaciute a coloro che si vedevano davanti una cretina a bloccare il passaggio.
Quando gli arrivai proprio accanto, si tolse il casco argentato permettendomi di ammirare quella meraviglia che era il suo viso.
I capelli ancora più disordinati del solito e l'espressione rilassata. Mi sorrise, porgendomi il casco con entrambe le mani.
Lo guardai perplessa.
"Mettilo, non voglio che ti succeda qualcosa", mi spiegò sempre con quel sorriso sghembo sulle labbra.
"E tu?", chiesi con voce piccola.
"Io ho la testa molto dura, in tutti i sensi", sghignazzò tranquillo.
Ricambiai il sorriso e, da inesperta qual ero, lo misi in testa.
Era una fortuna che il traffico fosse talmente intenso che nessuna macchina o moto che fosse sarebbe mai riuscita a passare, perché altrimenti avremmo formato una coda chilometrica lungo di noi.
Edward rise, spostandosi un po' verso di me per aiutarmi ad allacciare il casco sotto il mento.
"Sbaglio o non ne hai mai messo uno?", mi sfotté mentre attaccava l'imbragatura in realtà semplicissima.
"No, non sbagli", decisi di essere sincera, nonostante non fosse certo un qualcosa di cui vantarsi.
"Be', c'è sempre una prima volta, perciò...sali, su", m'invitò spostandosi un pochino più avanti.
Oddio.
Non sapevo assolutamente come muovermi o come salire in sella, se occupassi troppo spazio o...
Mentre mi tormentavo con le solite seghe mentali, lui capì al volo e mi tese una mano per aiutarmi.
Lo ringraziai silenziosamente sorridendogli e appoggiando la mano sulla sua. 
Per un secondo, il calore della sua pelle bruciò contro la
mia. Era come un impulso elettrico, di sicuro molto più caldo di un semplice novantotto punto sei gradi. Il calore fluì nella mia mano fino al mio braccio mentre, ancora con le guancie arrossate, tentavo di sedermi dietro di lui.
Quando si fu assicurato che mi fossi sistemata per bene, lasciò andare la mia mano e si avvicinò pericolosamente al mio viso, senza girarsi.
"Tenta di impallidire, come se ti stessi sentendo male", sussurrò con un leggero sorrisino sulle labbra rosee.
Aggrottai le sopracciglia.
"Cos'hai intenzione di fare?", chiesi sospettosa.
Il suo sorriso si allargò. "Un qualcosa che penso proprio non ti piacerà", dopo di che, si mise a urlare a squarciagola.
"Permesso!!!!!! La mia ragazza si sente male!!!! Per favore, lasciatemi passare, dobbiamo andare al pronto soccorso!!!!!", gridò portandosi le mani alla bocca per far risultare la sua voce più forte.
Ma era pazzo? Scemo? Fuso?!
Giusto per non fargli fare la figura del deficiente - quale in realtà era - appoggiai la testa sulla sua spalla con aria spossata, anche se proprio non lo ero.
Le macchine, a poco a poco, si spostarono, lasciandoci giusto un piccolo spazietto per passare.
Edward colse l'occasione al volo e mise subito in moto, partendo subito a tutta velocità.
Nonostante all'inizio mi sembrasse eccessivo e imbarazzante mettergli le braccia attorno alla vita per evitare di cadere, non appena cominciammo a sterzare come saette tra le macchine ferme in mezzo alla strada, fu inevitabile per evitare di stramazzare a terra e sentirsi male per davvero.
Mi strinsi a lui con forza, più di quanto avrei dovuto e riuscii a vedere la sua espressione dallo specchietto: non sembrava molto dispiaciuto.
Corremmo lungo le strade velocissimamente fino a che non arrivammo al semaforo. Era appena scattato il 'giallo', ed ero sicura che ci saremmo fermati, ma invece no, lui proseguì la sua corsa, se possibile, aumentando ancora di più la velocità.
"Ma sei fuori di testa?!?", esclamai inferocita. Stavamo rischiando di farci investire!
Rise. "Se non avessi detto nulla saremmo rimasti lì per tre ore minimo", ironizzò, felice della veridicità della sua teoria.
"Ci sono anche altri modi per passare, sai? Leggermente più civili dei tuoi", precisai alzando la voce per farmi sentire nonostante il rumore forte della moto.
"Mmm? Illuminami, quali?", chiese sarcastico.
Uffa, perché doveva averla vinta sempre lui?
Lo fulminai dallo specchietto retrovisore, facendolo ridere fragorosamente, una risata felice, pura, di quelle che fanno inevitabilmente sorridere anche chi la sente.
Continuammo a scorrazzare allegramente per altri cinque minuti, finché Edward non parcheggiò in una strada che conoscevo bene, per mia sfortuna.
Eravamo in centro e il ricordo di tutte le volte che mia mamma aveva insistito per portarmici mi fece venire quasi la nausea.
"Capolinea. I passeggeri sono pregati di scendere", disse con voce nasale imitando i capo stazioni.
Ridacchiai. "Penso che il macchinista sia un ottimo lavoro per te", dissi dopo essere scesa dalla moto.
"Oh-oh, come siamo spiritose!", esclamò ghigando e venendo verso di me. Era troppo, troppo vicino.
Arretrai impercettibilmente, sino a finire con la schiena contro ad un'altra moto lì dietro.
"C-cosa c'è?", farfugliai con un filo di voce.
"Il casco, mia cara", rispose semplicemente, senza mai abbandonare il suo ghigno sarcastico.
Oh.
Non mi ero nemmeno accorta di tenerlo ancora in mano!
Glielo porsi immediatamente, con un gesto meccanico del quale rise.
"Maledetto tu e la tua moto...", borbottai mentre metteva a posto il casco, convinta che non mi stesse ascoltando.
Invece, al contrario, mi sentì, tanto che alzò di scatto la testa e mi fulminò con quegli occhi verdi così intensi e magnetici.
"Io posso esserlo, ma non ti azzardare a chiamare così la mia Ducati!", sbottò assottigliando lo sguardo.
Capito tutto, pensai, anche lui un patito delle auto.
"Oh santo cielo, scusami, non sapevo che la tua moto fosse un tale gioiello!", esclamai con aria teatrale.
"Ti perdono solo perché sono un gentiluomo", rispose piccato venendo al mio fianco.
"Oh quale onore...", mormorai sorridendo sadica.
"Vedo che hai la battuta sempre pronta adesso, eh?", mi fece notare ghignando di nuovo.
Arrossii di botto, ricordando il vero motivo per cui mi aveva proposto di uscire. "Problemi?"
"No, affatto. Semplicemente mi fa piacere", si limitò a rispondere infilando le mani nelle tasche dei jeans chiari.
Sorrisi lievemente, sentendomi fin troppo osservata.
"Stai bene vestita così", mi fece notare piegando la testa da un lato.
"Grazie...", borbottai girandomi verso una vetrina, fingendomi intenta a fissare i capi di abbigliamento esposti.
"Camminiamo...?", chiesi improvvisamente frettolosa di muoverci da lì.
"Certo!", rispose con una scrollata di spalle.
Ci incamminammo lentamente per un po', facendo commenti riguardo ai negozi, o ai manichini che quasi quasi erano più belli delle donne reali, secondo lui.
Mi offesi un po', sentendogli dire quelle cose, ma quando scoppiò in una risata capii che mi stava prendendo in giro.
In quel momento stavamo guardando le locandine dei film di quel fine settimana, ognuno era perso nei propri pensieri, quando sentimmo una voce alle nostre spalle.
"Ed!"
Ci voltammo di scatto e Edward si illuminò in un sorriso, avvicinandosi al ragazzo che lo aveva salutato.
Fece scontrare il proprio pugno con il suo, in un gesto amichevole, mentre io desideravo ardentemente scomparire o finire risucchiata dal terreno.
"Tanto tempo che non ci si vede, eh, Mike?"
Mike Newton, uno dei ragazzi più popolari della mia scuola. Uno dei ragazzi che mi aveva sempre presa per i fondelli senza mai stancarsi, uno di quei ragazzi che mi aveva sempre guardato dall'alto in basso e mi avevano considerato perennemente la diversa.
"Eh, già, lo so. In questo periodo sono stato molto impegnato con la scuola...", mormorò lui ridacchiando.
Anche Edward si mise a ridere. "Oh, si immagino! Chissà perché, però, ho il presentimento che fossi più occupato con i bagni della scuola che con le classi in sé!"
"Ehi, solo perché sei un secchione non significa che te la debba prendere con quelli meno bravi di te!", si difese quello senza smettere di ridere.
Improvvisamente, però, il suo sguardo incrociò il mio.
Le preghiere non erano bastate: mi aveva notato.
Si interruppe immediatamente, spostando il suo sguardo da me a Edward.
"Cosa ci fai qui con lei?", chiese sbalordito guardando verso di lui, come se non ci fossi nemmeno.
Sentii una fitta allo stomaco.
Il volto di Edward si fece perplesso, mentre con lo sguardo confuso incrociò per un breve istante i miei occhi.
"Facciamo un giro", rispose semplicemente, ancora con le sopracciglia aggrottate.
Mike si accigliò ancora di più. "Con questa sfigata?", chiese palesemente scettico.
Un altro colpo, sempre più forte. Per quanto mi sforzassi di rimanere impassibile, sentivo le lacrime pungermi gli occhi, desiderose di uscire.
Era così sicuro che non riuscissi nemmeno a comprendere le sue parole! Che fossi talmente diversa da non riuscire a ragionare!
Mi avvicinai di un passo a Edward e con voce rotta dissi: "I-io credo che sia meglio andare...", non aspettai nemmeno una sua risposta, perché mi voltai immediatamente.
Avrei voluto correre, scappare via da quell'incubo in realtà così frequente, quando una mano mi bloccò il polso.
Sapevo già che si trattasse di Edward, ma non avevo intenzione di rimanere con il suo amico un minuto di più.
"Ed, ma scusa, che ti frega?", chiese quello ridendo incredulo.
Il ragazzo sembrò non ascoltarlo, perché la presa sul mio avambraccio si fece più forte e fui costratta a girarmi.
"Vieni, andiamo", sussurro con voce gentile.
Non avevo idea di come potesse essere la mia espressione. Riconoscente? Distrutta? Seppi semplicemente che Edward si voltò appena verso Mike per sussurrare impercettibilmente: 'Poi facciamo i conti'.
Camminammo in silenzio per una decina di minuti, l'uno accanto all'altra.
Nella mia mente rivedevo ancora la scena di poco prima...ripetutamente, come a volersi imprimere nella mia mente.
Ad un tratto Edward sospirò e mi costrinse a voltarmi leggermente nella sua direzione.
"Ti prego, parliamo", disse implorante.
"Ok", risposi piatta.
E' un suo amico, è un suo amico, questa frase coninuava a rimbombarmi in testa.
Sbuffò di nuovo. "Voglio sapere cosa hai fatto a Mike perché si comporti così con te. Non l'ho mai visto così, davvero..."
"E allora non lo conosci bene", lo interruppi duramente.
Perché dovevo essere stata io a fargli qualcosa. Fosse stato per me sarebbe potuto rimanere benissimo uno sconosciuto del cavolo, non m'importava nulla.
Un cipiglio nervoso apparve sul suo volto.
"Andate nella stessa scuola, vero?"
"Sì"
"E lui ti ha sempre tratto così?"
Ci pensai un attimo. "Sì"
"C'è qualche motivo in particolare?"
"No"
"Uffa, cazzo, la smetti di rispondere a monosillabi, per favore?", sbraitò spazientito, nonostante fosse evidente che tentava di controllare sé stesso.
"Va bene...", mormorai a disagio.
"Mi spieghi perché ti trattano così? Per favore. Non è solo curiosità, te lo garantisco."
E allora che cos'è? Avrei voluto chiedere, ma evitai.
"Ok...", m'interruppi un attimo, prendendo un respiro prima di continuare a parlare. "Diciamo che, come sicuramente ti sarai accorto, non sono una persona molto locuace, e, anzi, non sono affatto propensa alla compagnia. Mi piace stare sola, punto. A quanto pare, però, sembra che questo mio modo di essere non piaccia affatto al tuo amico e a taanta altra gente. Da quando hanno capito come fossi sono diventata 'la sfigata' o 'l'emarginata'.", spiegai mesta.
"E non ti da' fastidio?", chiese lui.
Chissà perché la sua domanda aveva un che di innocente.
Avrei voluto ridere, ma non certo per divertimento. "Certo che sì, ma cosa posso fare? Mi limito semplicemente a ignorarli, per quanto posso..."
"Ma non è giusto!", disse come fosse la cosa più ovvia del mondo.
"Non te l'hanno ancora detto? La vita non è giusta"
"Sì, lo so, ma davvero non immaginavo che Mike arrivasse ad essere...così."
"Da quanto lo conosci?", chiesi per spostare un po' il discorso verso altro.
Sembrò pensarci un attimo. "Più o meno da quando avevo nove- dieci anni. E' sempre stato un amico, simpatico, socievole, nonostante anche noi avessimo i nostri litigi. Durante la fase preadolescenziale ci siamo allontanati un po', però. Per diversi motivi...", sospirò pesantemente, come se la cosa lo rattristasse.
"Ti va di parlarne?", chiesi con tono leggero.
Incrociò il mio sguardo e sorrise leggermente. "Come sai, mi chiamo Edward Cullen, o almeno, è quello che avevo sempre pensato fino all'età di undici anni. Ho due fratelli, Alice ed Emmett: capelli neri, occhi azzurro mare. Avevo sempre notato quanto poco mi somigliassero, ma non me n'ero fatto un problema dato che entrambi i miei genitori erano biondi. Capii più in seguito, però che anche mia madre, un tempo, li aveva avuti dello stesso colore, e così anche i miei nonni. Tutto cominciò a non quadrare più: non trovavo foto di me da piccolo, di mamma con il pancione mentre era incinta di me...nulla. Solo in quel momento capii di essere stato adottato ed Esme e Carlisle, i miei nuovi genitori, mi raccontarono tutta la storia. Mia madre Elizabeth era...una prostituta, ecco. Finita in mezzo alla strada proprio perché la sua famiglia era molto, molto povera. Una notte, però, incontrò mio padre, Edward, e cominciarono a vedersi sempre più spesso. Con il passare del tempo, egli non fu più solo un cliente: si erano innamorati.
Poi, arrivarono le compicazioni. Elizabeth rimase incinta, ma non poteva assolutamente dirlo a nessuno: né a Edward né a nessun altro. Perciò, una volta che fui nato, fu costretta a lasciarmi nei bagni dell'ospedale, fuggendo via. Non appena i medici mi trovarono, tentarono il tutto e per tutto per rintracciare mia madre. Tra questi c'erano anche Esme e Carlisle. Alla fine la trovarono, ma lei disse che non poteva tenermi. Riuscirono a rintracciare anche mio padre, Edward, il quale non sapeva nemmeno che avesse un figlio. Al contrario di ciò che si sarebbe aspettata mia mamma, ne fu felicissimo e il loro amore si coronò. Tutto sarebbe andato bene, avrebbero avuto una famiglia felice insieme a me se non fosse stato che ormai Esme e Carlisle mi avevano messo nel proprio cuore, ormai mi consideravano un figlio loro, dato che non potevano averne e che io in teoria ero stato abbandonato. I miei genitori, allora, commossi dalla loro reazione, decisero di lasciarmi nelle loro mani, anche se con grande tristezza..."
Quando concluse il suo lungo racconto, la mia bocca era diventata una 'A' muta. Sentii improvvisamente qualcosa di liquido e caldo scendere lungo la mia guancia, prima piano e poi più veloce: una lacrima.
Edward sorrise. "Non devi piangere per me, mi fai sentire una femminuccia"
Il risolino che feci sembrò un verso isterico, perciò mi convinsi a stare in silenzio.
"Mi dispiace, Edward", mormorai dopo due secondi di meditazione.
"Non serve. Sono sempre stato felice che i miei genitori fossero delle persone buone e altruiste...solo avrei preferito saperlo prima, ecco tutto", spiegò con tono leggero, rilassato nonostante il discorso non fosse dei più semplici.
Rimanemmo in silenzio per due minuti che sembravano durare in eterno, mentre i suoi occhi perforavano insistentemente i miei.
Improvvisamente Edward rise, distogliendo lo sguardo. "Ok, adesso mi sento esattamente una femminuccia!"


* * * * * *


"Ciuf, ciuf! Capolinea per la signorina Swan", la voce nasale da capo stazione di Edward mi distolse dai miei pensieri.
Sorrisi scendendo dalla moto e porgendogli il casco.
Si erano fatte le sette di sera in un lampo, senza che ce ne fossimo nemmeno accorti.
Con passo incerto mi accompagnò fino all'ingresso di casa. Uno splendido sorriso si formò sul suo volto quando vide la macchina azzurra metallizzata di Phil parcheggiata malamente.
Quando fummo davanti alla porta, mi girai verso di lui. Mi stava fissando insistentemente proprio come prima, dopo che mi aveva raccontato di sé.
Il resto del pomeriggio l'avevo trascorso a parlare del più e del meno, anche se di discorsi meno pesanti rispetto a quelli iniziali. Era stato tutto semplice e...naturale.
Dovevo ammetterlo: la cosa, per certi versi, oltre che farmi piacere, mi spaventava.
"Be'...allora...buona cena", proruppe sorridendo.
"Grazie, anche a te", m'interruppi. "Ho passato un bel pomeriggio con te, Edward, grazie"
"Grazie a te di avermi offerto la tua compagnia", ricambiò lui inchinandosi teatralmente.
Ridacchiai e feci per cercare le chiavi nella borsa, quando mi prese il polso con una mano, costringendomi a sollevare lo sguardo di nuovo.
"Davvero, anche per me è stato bello", disse con un'intensità travolgente.
Perché improvvisamente il mio cuore aveva accellerato i battiti...? Perché il respiro era più veloce? Perché desideravo un contatto più ravvicinato con lui?
Proprio mentre lo pensavo, ecco che fece un passo verso di me, cauto, incerto, come per paura che potessi cacciarlo o respingerlo.
Fu un attimo, un attimo che, seppur breve, fu quanto di più intenso avessi mai percepito, oltre ai suoi magnifici occhi verdi. Un attimo in cui le sue labbra si posarono esitanti sulla mia fronte, lasciandovi un bacio leggersissimo, quanto la carazza delle ali di una farfalla.
"Buona serata, Bella, ci vediamo all'ospedale", mormorò prima di mettersi il casco e partire di nuovo verso le strade buie.



Buona seeera!!! ^^
Come state, carissime????
Non è un periodo impegnativo solo per me, vero??? Dai che non sono l'unica letteralmente trucidata dalla scuola!
Vabbe', adesso non c'ho voglia di parlarne perché altrimenti mi innervosisco ù.ù
Innanzitutto mi scuso per il ritardo dell'aggiornamento, ma per vari motivi non sono riuscita a scrivere prima. Spero che la lunghezza e il contenuto abbiamo compensato abbastanza! ^^
Ed ecco qui la storia di Edward...triste, vero?
Per certi versi sì, ma il fatto che alla fine i suoi genitori siano riusciti a stare insieme e pur di non rovinare la felicità di Esme e Carlisle hanno dato loro il proprio bambino (che ormai era diventato loro perché erano passati diversi mesi) secondo me è stato molto positivo.
Edward ha deciso di essere sbrigativo e di non raccontare proprio in quel giorno tutti i dettagli a Bella perché non era emotivamente pronto per aprirsi con lei in questo modo. Però in uno dei prossimi lo farà, statene certe ^^
Per chiunque se lo fosse chiesto, sì, Edward conosce più o meno tutti i ragazzi (e quindi anche le ragazze) più popolari della scuola di Bella in quanto ha frequentato per diversi anni il campo estivo di quella zona di Phoenix, organizzato proprio da quella cerchia di ragazzi. Non aveva mai visto Bella prima di quel momento perché ovviamente lei se ne stava barricata in casa o in biblioteca, da brava lettrice qual è. =)
Sa benissimo che Bella gli nasconde delle cose, ma non la vuole forzare troppo: ha capito quanto ci sta male per come si comportano i suoi compagni, tra cui il suo amico Mike.
Spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto! ^^
Ecco qui la moto di Edward: 
moto
Mi raccomando, recensite!!!!!!
A presto!!!
Un bacio!
Ele


Risposte alle recensioni

Ginna3: Ciaooo! ^^
Allora, ti è piaciuto il capitolo??? Eri curiosa di come sarebbe andata...ebbene, sei soddisfatta? Ti aspettavi qualcosa di diverso???
Grazie mille di tutti i complimenti che mi hai fatto, non sai quanto mi fanno piacere!!!!
Dai che Edward è riuscito a farla sorridere finalmente!!!! *.*
Un bacio grande!
Ele

Funny_lady_: La mia tesora!!!!!!!!!!! *.*
Ciao, gioia, come stai??? Sei ancora viva?? La scuola ti ha ucciso (come ha fatto con me -.-") oppure sei una delle pochissime superstiti???
Spero vivamente la seconda ipotesi, altrimenti chi mi fa da supporto morale se non ci sei tu??? XD
Ahah, sono una sfruttatrice!!!!! XD
Grazie infinite per tutti i complimentoni che mi hai fatto! *me gongola sfacciatamente, soddisfatta* XD Ti è piaciuta Reneé in questo capitolo??? Mi sono divertita un sacco a scrivere l'inizio perché è davvero lei che fa la parte dell'adolescente! XD Reneé, Reneé, ma che ci combini??? XD
Vedrò di far arrivare presto il tuo Charlie, così vediamo se ti puoi innamorare anche di lui XD
Daaaai, questo capitolo ti è piaciuto, vero??? Suuu, non fare la timida, di' tranquillamente che l'hai adorato da impazzire, dai, non mi faccio mica problemi se me lo scrivi, eh! XD Che modesta che sono! XD
Edwarduccio ha avuto una storia difficile...anche se a lieto fine. Perché non sia mai detto che non incontri i veri genitori un giorno...ops, forse ho detto troppo!
Adesso la pianto di annoiarti con le mie chacchiere inutili! Un bacione enorme, tesoro! Fammi sapere come ti è sembrato il capitolo!
Ciaooo!

poc: Ciaoooo cara!!!!!
Dio, grazie, grazie, grazie!!!! C'è, ma vi rendete conto che fate salire la mia autostima a livelli esorbitanti?? XD
Come avrai visto in questo capitolo, Bella non è che se ne frega proprio altamente delle critiche...nel senso che ci prova. Vedere che la guardano male e sapere che le sparlano dietro è conto, ma sentire proprio quali sono i commenti che fanno su di lei, neanche fosse un extraterrestre, è un altro. Per fortuna Edward ha saputo come calmarla e vediamo se poi riesce a farla pagare a Mike! Muahahah! XD
Certo, Bella, per ora, è più 'malata' psicologicamente che fisicamente. Scusami se uso la parola malata, intendo semplicemente dire che soffre maggiormente nel senso psicologico: te lo dico perché anche io odio davvero quando parlando delle persone che vanno da psicologi o che hanno comunque problemi di questo tipo come malati.
Mi fa un piacere che non ti immagini nemmeno sapere quanto ti piace questa storia!!!! Io fortunatamente non ho nessun tumore o malattia, ma posso dire di avere delle sofferenze psicologiche, in quanto sono una persona estremamente sensibile, anche troppo.
Tantissimi bacioni, tesoro!!! Grazie ancora!!! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!

Lua93: Ciaoooo!!!! Non sai che piacere mi fa sapere che leggi la mia storia, mi fa sentire importante XD
Sì, è vero, Bella per certi versi è forte, non cade in depressione per colpa della malattia pensando ad un futuro che perderà quasi sicuramente, ma è felice perché non  pensa nemmeno ad un 'seguito', pensa fin troppo al presente e questo, da una parte, la aiuta, nonostante sia sbagliato.
I compagni di scuola di Bella in realtà cercavano soltanto una conferma ai loro sospetti su quanto lei fosse diversa, e non appena l'hanno trovata i loro commenti su di lei si sono fatti ancora più pesanti. Mike è davvero uno stronzo cronico, ed Edward ne rimane sorpreso non conoscendo questa parte del suo carattere.
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, fammi sapere!!!!
Ah, ho visto che hai partecipato anche tu al contest indetto da Fabi_ "Da un'immagine"!!!! Io sono in ansia in un modo assurdo!!!! O.O Aspettiamo con ansia lunedì, va' ^^
Sono sicura che avrai un ottimo risultato!!!
E non ti preoccupare, non mi sono certo offesa per gli errori di ortografia, so benissimo di farli e non sono così suscettibile per fortuna! =)
Un bacio, grazie di tutto!
Ele

shasha5: Gioia!!!!! Ciauuuu! ^^
Scuuuusa per il ritardooo! Questa volta non sono stata male, lo so, ma la scuola, sai com'è, è fatta per distruggere e annientare i poveri studenti! ù.ù
Eheh, lo sapevo io che non resistevi al fascino magnetico di Edwarduccio! XD In questo capitolo ti è piaciuto, veroooo??? Con la sua bella moto...sooo sexy XD
Vedrai che per il regalino per essere entrata nelle mie grazie ci penserò...una statua va bene??? XD
Buona serata, cara!!!! Tanti baci e grazie ancora!!!!!!!!!!!!!!!
Alla prossima!!!! =D


Twiiii: Ciao!!!!! ^^
Grazie mille dei complimenti, troppo buona!
Eh già, lo so benissimo che questo è un tema difficile e pesante e proprio per questo a volte mi chiedo se sono capace di trattarlo in modo adeguato, nonostante io faccia sempre del mio meglio ^^
Sono molto felice che la tua amica si sia salvata, ma non posso assicurarti nulla riguardo a Bella, top secret! ù.ù
Edward in questo capitolo si fa già conoscere di più, per rassicurare Bella che non è l'unica 'diversa'. Anche lui per un lungo periodo si è sentito così!
Grazie davvero di tutto! Bacioni!!


Giuliina La meio: Ciao Giulia!!! ^^
Dai, non preoccuparti se hai perso un capitolo! Sai quante volte succede a me con la mia distrazione! ù.ù
Sono davvero felice che i capitoli ti piacciano! E lo so, sono tristi, ma vedrai che presto Edward riuscirà nella sua missione pienamente!!! ^^
Un bacio grande!!! Ciaooo!
Ele

KrisCullen: Ciaoooo!!
Ooooh, grazie, cara!!!! Sei davvero troppo buona!!! ^^
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che l'evoluzione del rapporto di Edward e Bella ti abbia fatto piacere!!!!
Alla prossima!!! Un bacione!!!!!!!!
Non ti preoccupare, tenterò di leggere il prima possibile qualche tua storia, ma come avrai notato la scuola non mi lascia troppo tempo libero perciò...quando mi farà respirare un po' di più, non mancherò!!!! Ancora un bacio!



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Capitolo 5
*** Immaginazione ***


Your Guardian Angel

°* Capitolo Quattro: Immaginazione °*

 

"Mamma...non è che potrei non andare a scuola oggi?", chiesi speranzosa sollevando la testa dalla tazza colma di latte caldo.
Reneé si voltò nella mia direzione, il sopracciglio sinistro alzato in modo minaccioso.
"Non credo proprio. Qualche verifica per caso?"
Se solo avesse saputo che il mio desiderio nasceva direttamente dal non vedere i miei compagni non so come avrebbe reagito.
"No, niente di speciale. Semplicemente non mi sento bene", cercai di far sembrare la mia voce flebile, con scarsi risultati.
"Ma che dici?! Sei rosea come un fiore, Bella, non fare storie per favore!", esclamò esasperata, determinata a chiudere il discorso.
Mi alzai sbuffando, prima di dirigermi verso il bagno.
Ma non l'avrebbe avuta vinta, avrei  continuato a protestare all'infinito, se fosse servito.
Conoscendo la indole piuttosto crudele dei miei compagni di scuola, Mike Newton oggi avrebbe spiattellato quello che aveva visto ieri a tutto l'istituto in un attimo, dandomi ancora una volta della pazza associale.
Quando fui pronta, zaino in spalla e felpa già addosso, ritornai da mia madre.
"Mamma...dai, che ti costa un solo giorno d'assenza?", chiesi con occhi supplicanti.
Oh- oh, l'avevo fatta arrabbiare. Lasciò andare lo strofinaccio con cui stava asciugando le pentole e mi fulminò con lo sguardo.
"Isabella, vuoi capire che non ti rimangono molti giorni per andare a scuola?", domandò calcando bene su ogni singola parola.
La guardai bene in faccia. "Sì", risposi semplicemente.
Improvvisamente i suoi occhi si arrossarono, riempiendosi di piccole lacrime ai bordi.
"B-bella...sembra quasi che tu...", mormorò con la voce rotta, le mani strette in grembo.
Mi voltai immediatamente e, prima che potesse dire un'altra parola, dissi: "Non mi aspettare per pranzo".
Camminai a passo spedito per tutto il tragitto, accompagnata dalla musica a palla nelle orecchie.
Avevo sempre preferito che mia madre non conoscesse quella parte della storia, quella in cui io ero felice di morire e andarmene, ma sapevo che un giorno sarebbe stato inevitabile che lo scoprisse.
A volte avevo immaginato di essere in letto di morte, stavo esalando gli ultimi respiri prima di lasciare definitivamente questo mondo e, al posto di piangere dalla disperazione, sorridevo, felice per una volta, mostrando a mia madre quanto le persone potessero essere diverse. Quanto io ero diversa.
Raggiunsi la scuola prima del solito, ma già a quell'ora era piena di ragazzi seduti a chiacchierare.
Come al solito tentai di non farmi notare, ma fu inevitabile, purtroppo. Ero nota anche per le mie numerose cadute, per il mio inciampare continuamente nei miei stessi piedi, per il mio non sapere stare nemmeno in piedi.
Infatti, proprio come ogni mia 'giornata tipo', fu normale quasi cadere addosso a tre ragazze, intente a chiacchierare entusiaste su i muscoli di un ragazzo dell'ultimo anno, interrompendo i loro discorsi di importanza vitale.
"Ma stai attenta, sfigata!", sputò una di queste come fosse un insulto.
E certo, perdere un minuto del proprio tempo era davvero disastroso.
Fortunatamente la campanella suonò, dando inizio alle lezioni.
La giornata non fu assolutamente nulla di speciale. Chissà perché, mi ero aspettata sin dalla sera prima un qualche catastrofe dovuta al mio scontro con Newton, ma niente del genere era successo, con mio enorme sollievo. Che Mike non avesse parlato?
No, questo sembrava impossibile, vista la reputazione di cui godeva. Gli sguardi sprezzanti di tutti arrivavano sempre e comunque, ogni cosa facessi. Sembravano giudicarmi, come se loro avessero il potere di stabilire quale delle mie azioni fosse consentita, cosa fosse giusto o sbagliato.
Ma questo, come ho già detto, era tipico, nulla di diverso dal solito.
C'era ancora qualcosa che però minacciava notevolmente la mia incolumità, ovvero l'ora di educazione fisica.
Saltarla era sempre stato il mio obiettivo principale, ma quando il professor Clapp, l'insegnante di tale materia, m'informò che continuando così sarei stata bocciata, decisi di presentarmi, giusto per far vedere che 'mi ero impegnata'.
Entrai negli spogliatoi con un'aria da funerale: anche quello era uno dei momenti che odiavo.
Le ragazze normali non si facevano problemi a cambiarsi davanti a tutte le altre, anzi, erano compiaciute nel mostrare il proprio corpo formoso, giusto per vantarsi un po'.
Io, invece, che avevo un fisico sciatto, dovevo rifugiarmi per forza rifugiarmi nei bagni, ed essere comunque costretta a sentire tutti i loro commenti su di me.
E così, anche quel giorno.
Senza voltarmi a guardare nessuno, proseguii a passo deciso - stranamente - verso i servizi, chiudendomi a chiave.
Ed ecco che già le prime risatine cominciavano a farsi sentire a poca distanza.
"Ma l'avete vista?", ridacchiò una.
"Sì, Julie, certo! Sembra che non abbia nemmeno uno specchio a casa sua!"
A quell'esclamazione, abbassai lo sguardo verso il mio abbigliamento. Una semplice felpa blu scuro e dei vecchi jeans fasciavano alla bell'e meglio il mio corpo. Non ero certo una fanatica della moda, ma non pensavo che stessi così male.
"Sua madre le deve voler davvero male!"
"Ci credo, a farla uscire di casa sicuramente! E poi chi gliene dovrebbe volere, scusa? E' una sfigata di prima categoria! Questa mattina, io, Angela e Jess stavamo parlando dei fantastici addominali di Tyler e arriva lei che ci casca addosso come una pera cotta!", sbraitò un'altra che riconobbi come la stessa tipa di stamattina.
"Ma sì...che sia malata è soltanto un bene per tutti"
Persi la pazienza. Con uno scatto secco, aprii la porta del piccolo bagno ritrovandomi una ventina di occhi puntati contro. Ma non dissi nulla, non insultai in qualsiasi lingua conoscessi, come invece avrei voluto fare.
Semplicemente le fissai un attimo in silenzio, per poi andarmene a passo lento dallo spogliatoio, da quella stanza maledetta.
Attraversai il breve corridoio in poco tempo, gli occhi pizzicavano, ma non sarei arrivata a quel punto, non avrei pianto davanti a tutti.
Non perché considerassi le lacrime un qualcosa da 'bambini', ma semplicemente perché non avrei mai permesso che qualcun altro mi vedesse fragile, umile, indifesa. Molto più di quanto lo fossi normalmente.
Non passai nemmeno dalla segreteria per informare della mia uscita, me ne andai via tranquilla, per una volta.
Camminai con le mani infossate nelle tasche della felpa per molto tempo, osservando ogni persona che trovassi sulla mia strada.
Bambini, adulti, anziani...immaginavo come dovesse essere la loro vita, se avessero qualcuno ad aspettarli a casa all'ora di pranzo, qualcuno a cui volere davvero bene.
Mi sentivo stupida a farmi queste domande, non avrebbero mai avuto una risposta, non mi sarei mai messa a chiedere alla gente che incontravo dove stesse andando o chi fosse, ma allora perché quegli stupidi pensieri mi facevano in un qualche modo sorridere?
La fantasia supera la realtà, in qualsiasi cosa.
La realtà è dura, difficile, crudele.
Usando invece la propria immaginazione, non c'è nessuno che ti possa dire se c'è qualcosa che non puoi fare, puoi essere ciò che vuoi, ciò che desideri, può esserci la speranza di vedere i propri sogni avverati grazie ad una magia.
Ecco uno dei motivi per cui amavo i fantasy. Soprattutto quelli romantici: erano i miei preferiti, insieme ai classici, ovviamente.
Mi immedesimavo tantissimo nella trama, anzi, più il libro era scritto bene, più mi mettevo a piangere nei momenti catastrofici della storia, o la notte sognavo i personaggi principali. Soltanto dopo un po' capii che tutto era dovuto dal fatto che la mia vita fosse vuota. Che vivessi di romanzi, di illusioni, di una finta realtà, un qualcosa che esisteva solo nella mia testa.
Ma non mi importava. Era sempre stato piacevole, confortante e sicuro. Sì, sicuro. Proprio perché, come diverse volte mi aveva fatto notare mia madre, i libri non potevano certo dirmi quali fossero i miei difetti, correggermi tutte le volte in cui sbagliavo.
Sospirando, chiesi al commesso del panificio in cui ero appena entrata un trancio di pizza margherita. Era un ragazzo su per giù della mia età, pallido, occhi azzurro chiaro, ricci capelli neri e un'espressione davvero simpatica.
Quando ebbe incartato ciò che gli avevo chiesto, mi sorrise, mostrando due fossette ai lati della bocca. "Buon appetito"
"Grazie", mormorai cercando le monete nel mio portafogli. Gli rivolsi un'ultima occhiata prima di chiudere la porta alle mie spalle ed andarmene.
Mi incuriosiva molto più delle altre persone che avessi incontrato quel giorno, senza che immaginassi minimamente il motivo.
Per evitare di fare la figura della sfacciata, dovetti voltarmi, ricominciando a camminare per le strade caotiche di Phoenix.
Entro mezz'ora, arrivai ad un parco in periferia, non troppo distante da casa, ma molto isolato, stranamente. Non ci veniva molta gente, solo qualche mamma con i propri figli piccoli quando dovevano fare il riposino pomeridiano. Era un luogo tranquillo e sicuro, dove avrei potuto rilassarmi con certezza.
Con un sorriso innaturale stampato in volto, mi sedetti sul prato, appoggiando schiena e testa al tronco di una grande quercia.
Potevo percepire distintamente il fruscio prodotto dal vento mentre sfiorava le foglie in alto, quelle più esposte ai raggi solari. I rami si muovevano leggermente, creando un atmosfera di quiete e serenità.
Avevo già finito da un pezzo la mia pizza, perciò chiusi gli occhi, lasciandomi andare ad un sonno tranquillo, causato da una stanchezza più emotiva che corporea.


* * * * * *


"Allora, ripetiamo: Canova nacque nel 1757 a...cazzo, Canova, ma non potevi nascere in un posto più conosciuto sulla faccia della Terra?!", un'esclamazione furibonda ed irritata mi fece aprire le palpebre di scatto.
Ma dove...?
Non riuscivo a capire dove mi trovassi, i miei occhi stavano ancora tentando di abituarsi alla luce tenue che illuminava l'ambiente. Improvvisamente, ricordai di essermi addormentata nel parco verso le 2.00 e di aver saltato un'ora di scuola.
Sospirai piano, voltando la testa in modo da riuscire a vedere dietro al tronco a cui ero appoggiata.
Non riuscivo a crederci. La figura a pochi passi da me, voltata dall'altra parte, sarebbe stata irriconoscibile se non fosse stato per i capelli, quella massa arruffata color bronzo così particolare.
Teneva in mano un libro aperto, sfogliando frettolosamente le pagine ed imprecando.
"Cazzo...dove diavolo dice dove è nato?", esclamò la sua voce.
Con un sorriso divertito sulle labbra, mi alzai in piedi goffamente. Dopo aver trovato un po' di equilibrio, lo raggiunsi a piccoli e lenti passi, in modo che non mi sentisse.
"Canova nacque a Possagno nel 1757", cominciai con tono saccente. "Ma si formò a Venezia, per poi giungere a Roma nel 1779", conclusi sempre con un sorrisino sulle labbra.
Non appena aveva sentito la mia voce, Edward era sobbalzato, poi, invece, vedendo che proseguivo, si era girato nella mia direzione, il volto perfetto incuriosito.
Ora che avevo finito di parlare, però, aveva un sopracciglio inarcato verso l'alto, scettico.
"Oh, ma che onore, abbiamo un critico d'arte tra noi...", ironizzò accennando a me.
Il mio sorriso si allargò, mentre mi avvicinavo. "Forse non proprio un critico, ma una buona intenditrice sì", precisai.
La sua espressione non cambiò, anzi, se possibile si fece più scettica di prima. "Adesso sì che è tutto chiaro!"
Ridacchiai un attimo, prima di far ricadere la mia attenzione sul suo libro di storia dell'arte.
"Cosa ci fai qui?", chiesi aggrottando le sopracciglia.
Reagì inaspettatamente da come mi aspettavo, infatti con una mano prese a torturarsi i capelli all'altezza della nuca, come era solito a fare quando era nervoso.
"Ehm...cercavo un posto tranquillo in cui studiare per la verifica e mi sono ricordato di questo parco", mormorò.
Non capii il motivo per cui si fosse fatto tanti problemi, però.
"Strano che non ti abbia mai visto. Vengo spesso qui", sussurrai persa nei ricordi di tutti i pomeriggi passati lì a leggere.
"Ehm...ci sono venuto circa due mesetti fa...con...un'amica."
Bastò quella frase perché capissi, e ricordassi, anche.
La mia bocca si spalancò andando a formare una 'A' muta.
"Eri tu", dissi semplicemente.
Sembrò perplesso. "Cosa?"
"Una sera, verso le sei, a luglio. Non c'era nessuno al parco, a parte me. Stavo leggendo vicino a un albero quando ho sentito...versi strani", continuai con una smorfia leggermente schifata in volto.
E lui rise. Rise come avrebbero fatto tutti gli altri, prendendomi in giro per essermi 'scandalizzata' per una cosa naturalissima come il sesso.
La mia espressione divenne nuovamente impenetrabile, chiusa, quella da emarginata che avevo sempre a scuola.
"S-scusa, non volevo ridere. Solo che mi sono ricordato anche io di te...cioé, non sapevo chi eri, ma io e la...mia amica ti avevamo visto correre via, nemmeno fossi un ladro", spiegò ridacchiando ancora.
"Divertente, Edward", dissi sarcastica.
"E dai, Bella, non volevo prenderti in giro. Semplicemente ci eravamo spaventati! Potevi essere un serial killer, e noi, da gran coglioni, non c'eravamo nemmeno accorti di te, anche se avremmo potuto telefonare alla polizia e farti arrestare!", si scusò facendo gli occhi dolci, quelli da bimbo piccolo e indifeso a cui non ero mai riuscita a resistere.
Quando tutte le barriere furono abbattute, mi lasciai andare ad una risatina leggermente isterica, immaginandolo completamente spaventato.
"Sono felice di aver causato in te questa reazione", gongolai.
"Ehi, signorina, non è che solo perché sei riuscita a farmi prendere un colpo e sei una critica d'arte hai il diritto di trattarmi così!", fece un vocione duro che non gli si addiceva per niente, con quella sua aria 'tra le nuvole' che si ritrovava.
"A proposito", dissi dopo che anche le ultime risate, sia mie che sue, si furono esaurite. "Problemi con il neoclassicismo?"
Sospirò, sconsolato. "Sì. Canova non ne vuole sapere di entrarmi nella zucca, e nemmeno Amore e Psiche se per questo!", sbuffò come un bimbo capriccioso.
"Amore e Psiche? E' una delle mie sculture preferite in assoluto!", esclamai con una luce negli occhi.
Edward alzò gli occhi al cielo. "Un'altra fan dei classici romantici?", chiese guardandomi di sbieco.
"Sì.", risposi sicura. "Problemi?"
"Oh-oh, la nostra intenditrice fa la dura!", mi sfotté allegro.
"Tzè, e io che volevo aiutarti a studiare...", feci per chinarmi a prendere lo zaino appoggiato al tronco, quando mi ritrovai nuovamente la sua mano chiusa attorno al polso, proprio come il giorno prima.
Mi voltai.
"Ti prego"
Sorrisi.
"Ma certo".


Ehm...sera...
SCUSATEMI!!!!!
Ben 5 giorni di ritardo...sono davvero impertonabile...però! Però, però, però, ho i miei buoni motivi.
Avvocato, posso parlare? XD
Allora...durante tutta la settimana scorsa avevo fatto un sacco di programmi, in modo che avessi tutto il weekend libero per scrivere tutto il tempo.
Invece, acceso il computer sabato pomeriggio...cosa trovo?
VIRUS!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
AAAAAAAAAAAAARGH!!!!! E fu così che Elena non riuscì a scrivere, anzi, si pianse addosso immaginando quante gliene avrebbero mandate le sue care amichette di EFP. E immagino ne arriveranno tante...mi dispiace!!!!!!!!
Me fa gli occhioni dolci alla Edward!!!! Daaaai, che a questi non potete resistere! XD
Per fortuna lunedì è arrivato il mio mitico Pierangelo, il riparatore di computer!!!!! E ha risolto tutti i problemi!!!!! Sia lodato Pierangelo!!!!!!! XD

Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Mi sono sentita molto ispirata nello scriverlo, soprattutto perché ciò che prova Bella spesso lo provo anche io. Avete presente la parte in cui dice che vive di romanzi e di 'illusioni'...? Ecco, come a volte mi sento io con Twilight ^^
Edward alle prese con il neoclassicismo mi ha fatto morire dalle risate XD
Dai, fatemi sapere tutto che ci tengo!!!!!!!
Recensite!!!!!!!!!
Un bacione
Ele


Risposte alle rencensioni

shasha5: Ciauuuu tesoro! ^^
Grazie mille dei complimenti!!!! Edward sarà sempre perfetto, proprio come il ragazzo ideale che vorrei io. Si nota che lo adoro indiscutibilmente? XD
Scusami da morire per il ritardo, ma davvero il virus se n'è andato solo due giorni dopo, sempre grazie all'aiuto del mitico Pierangelo (adoro pure lui! XD)!
In questo capitolo si vede ancora la parte più 'vulnerabile' di Bella...il suo attaccamento per i libri e l'immaginazione, dato che la realtà che la circonda non è proprio delle migliori. E ce credo, con quelle stronze di compagne che si ritrova!!!!!!! :@ E il pizzaiolo...mmm...ti dice qualcosa???? Ok, me ne sto zitta, non mi piacciono tanto gli spoiler gratuiti XD
Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!!!!!!! Un bacio graaaande graaaande, cara!!!!!

Funny_lady_: Giuuuoiaa! *.*
E...io sto così e cosà. Tra raffreddore, scuola e pc che si blocca ogni tre secondi sto proprio BENISSIMO. -.-"
Diciamo che da quando ho iniziato a leggere Twilight, Bella ha pensato bene di regalarmi un po' della sua sfiga, giusto per farmi un pensierino...non aveva niente di meglio da darmi! >.<
Brava, tu non mi abbandonare eh!!!! Altrimenti come faccio scusa?????
Reneé in questo capitolo era in sindrome premestruale, mi dispiace! ù.ù Però povera...credo che capire che propria figlia desidera passare a miglior vita non sia proprio una bella cosa...anzi.
Bella attratta da Edward????? Ma stai scherzando???? Dico, lui è brutto come non so cosa, come può lei essere innamorata di lui????
Vai a farti vedere da uno psichiatra, Giuli, questo è un consiglio da amica...fidati! XD
Bravaaaaaaaaaaaa!!!!!!! Formiamo un fanclub per chi odia Mike (E JACOB!!!!!)!!!!!
Il tuo giuoio arriverà presto, don't worry!!! Adesso che Reneé ha scoperto questa cosa, gli farà un sacco di pressioni, perciò...vedrai! ^^
Non so se si nota, ma tra Missione d'amore e questa ficci, le storie passate di Edward non sono molto happy...eh, sì, lo so, sono monotona, ma che ci vuoi fa'???? XD
Grazie da morire per ogni complimento ed ogni tua santissima parola!!!! Ti voglio tanto bene!!!!!
Spero che il cappy ti sia piaciuto!!! Bacioni!!!


Onion: Ciaooooo!!!
Nuuuuo, non ci credo, non sono la sola e unica con una passione infinita per le storie tristi!!!!!!!!!!!!!!! Dio, questa sì che è una notiziona!!! XD
Ahahah, grazie dei complimenti, gioia, non sai quanto mi fa piacere!!!!!
Edwarduccio purtroppo è fidanzato (con meeee! XD), ma non per questo la storia dovrà essere ancora più triste!!! Ehi, a tutto c'è un limite! ù.ù
Grazie ancora di tutto, pazzoiduccia masochista!!!! ^^
Spero che questo capitolo ti abbia rattristato abbastanza! XD
Un bacio grande, Simo!!!!!!


poc: Tesoro!!!!!!!!!!!
Oddio, grazie!!!!!!! Come ho già detto ad altre, io sono fissata con i passati tristi e dolorosi, perciò...stai certa che in ogni mia storia che leggi ci sarà questo piccolo particolare!
Hai davvero ragione, condivido pienamente tutte le tue opinioni riguardo al fatto che Bella venga derisa solo perché non vuole parlare e perché se ne sta per i fatti suoi...in questo capitolo abbiamo anche le prese in giro delle ragazze che invece la criticano per il suo modo di vestire piuttosto 'sciatto' e pensano che la sua malattia sia un bene. Ok, questo lo pensa pure lei, ma sentirselo dire da altri è diverso!!!!
Ha fatto benissimo ad andarsene da scuola, nonostante non sia una cosa da fare!
Grazie davvero infinitamente, i tuoi commenti mi fanno venire sempre le lacrime agli occhi!!! GRAZIE!!!
Tanti baci!!!!
Ele
P.S. Bella ha dato quella motivazione (banale) a Edward solo perché voleva omettere il particolare della leucemia!!! Non so se l'ho fatto intendere!


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Capitolo 6
*** Ripetizioni ***


Your Guardian Angel

°* Capitolo Cinque: Ripetizioni°*

 

"Guarda che il mito dice che fu Afrodite a mandarlo da Psiche, non lui che di sua spontanea volontà se ne va sulla Terra per fare nuove conquiste!", esclamai esasperata sbattendo il pesante libro sulle ginocchia.
"Mmm...avrebbe fatto bene, comunque. Rimorchiare...questa sì che è un'arte!", ridacchiò Edward.
Alzai gli occhi al cielo a questa battuta, pensando di mandare all'aria il proposito di aiutarlo a studiare. Sì perché quando glielo avevo proposto non ero certo a conoscenza delle sue 'grandi capacità di concentrazione'. Capacità che consistevano nel distrarsi ogni secondo netto, ogni qualsiasi cosa gli passasse davanti.
"Ti prego, Edward, sforzati", gli ricordai per l'ennesima volta.
Chiuse gli occhi. "Ok, va bene, va bene. Il mito di 'Amore e Psiche' narra di due personaggi dalla bellezza incredibile: Eros, figlio della dea Afrodite, e Psiche, personificazione dell'anima umana. Proprio di quest'ultima Venere è gelosa, così che, un giorno manda suo figlio sulla Terra perché possa far innamorare la 'fanciulla' di un miserabile. Putroppo, però, rimane anche lui folgorato dalla sua bellezza, tanto che se la porta a letto e vissero tutti felici e contenti"
Me lo dovevo aspettare. Era impossibile che, per una volta che era partito bene, potesse finire in tal modo senza mettere tutto sul ridere.
Mi sbattei il libro in faccia, ormai disperata. "Sono andato bene?", ah, osava pure chiedere lui!
"No", risposi con voce tombale.
"E dai, guarda che scherzavo! Lo so come continua 'sto cavolo di mito!", esclamò scusandosi.
A questa sua ultima affermazione, tirai giù il libro, riposandolo sulle gambe distese sull'erba. Lo guardai dritto in quegli occhi verdi e intensi, le pupille dilatate a causa della poca luce del tardo pomeriggio.
"Ma come fai ad essere sempre felice?", l'avevo chiesto così, senza pensarci più di tanto, una di quelle domande spontanee che ti vengono e non hai nemmeno il tempo di pensare per rimangiartele.
Le mie parole dovettero spiazzarlo, perché appoggiò la testa all'albero con espressione pensosa. "Non saprei. Diciamo che nella mia vita mi sono ritrovato diverse volte a stare male...e quando vedo persone che sono nella situazione in cui mi trovavo prima io...non lo so, mi viene da fare in modo che siano più felici, che ridano, proprio come alcuni amici hanno fatto con me.", sospirò, abbassando lo sguardo verso al libro sul mio grembo. "Guarda questi due, per esempio. Sono proprio disperati! Si vede che non hanno nessuno capace di risollevar loro il morale", esclamò con ovviettà.
Scattai immediatamente a quell'affermazione.
"Stai insinuando che non ti piace questa meraviglia?", chiesi con un tono minaccioso e gli occhi ridotti a fessure.
File:Canova Le Baiser.jpg
Sbuffò leggermente, come un gatto. "Meraviglia...non esageriamo!", borbottò.
Mi misi in ginocchio davanti a lui, prendendo il libro in mano e quasi sbattendoglielo in faccia.
"Guarda", dissi fissandolo bene in volto.
Edward alzò gli occhi al cielo prima di soffermare il suo sguardo sulla pagina. "Sì?", chiese con tono sarcastico, come se non ci fosse niente da osservare.
"Non noti l'amore che c'è nei loro occhi? Nel modo in cui si fissano?", domandai esasperata.
"Mmm...veramente io noto solamente che la tipa, contrariamente a ciò che dice il mito, non deve essere stata poi questa gran donna. Quanto avrà di tette? Una mezza?"
Pensavo seriamente di andarmene dopo ciò che avevo detto, ma in quegli ultimi anni la mia pazienza era aumentata così tanto da permettermi di non fare una vera e propria tragedia per certe cose.
"Sei un cretino, Edward, oltre che un ignorante, ovvio. Questa è la rappresentazione dell'amore vero, dell'armonia, della dolcezza! Il tutto senza doppi fini, non come succede quasi sempre ai giorni nostri", sospirai scuotendo la testa.
"Ma come fai a vedere tutte queste cose in una semplicissima scultura?", chiese scettico avvicinandosi maggiormente a me per osservare meglio i libro. Il suo braccio destro, seppur coperto dallo strato della sua felpa, era in netto contatto con il mio e suscitava in me il solito imbarazzo.
"Chiamala semplicissima...vorrei vedere te a realizzarla", lo sfottei allontanandomi da lui impercettibilmente.
Contrariamente a quelli che dovevano essere i suoi propositi, le sue labbra si tesero in un sorriso divertito. "Va bene, questo te lo concedo, ma rimane sempre il fatto che tu riesci a vedere nell'arte tanti significati, mentre io vedo solo un miscuglio senza senso di colori o persone nude in pose strane"
Stavolta fui io a ridere. Quello che avevo sospettato con ogni probabilità fino a quel momento adesso era certo. "Non ti piace l'arte in generale, vero?", chiesi con un risolino.
Sospirò, alzando gli occhi al cielo. "Penso che tu sia capace di risponderti da sola, Bella. Comunque...no, affatto. Vado bene in tutte le materie, ma la storia dell'arte proprio non la riesco a digerire", spiegò con un gesto eloquente del dito sul gomito in un'imitazione di una flebo.
"Vuol dire che sei un po' cieco", dissi assorta, guardando intensamente un filo d'erba ai miei piedi piuttosto che il suo volto.
"Mi stai dando della talpa?"
Ridacchiai. "Non proprio, Edward. Hai presente quando si dice che devi guardare all'interno delle cose e non solo all'esterno, cercare di scavarvi dentro?", chiesi tornando a guardare i suoi occhi verdi.
Sollevò entrambe le sopracciglia, non proprio convinto. "Sì. Lo dicono sempre le suore cieche nelle fiction strampalate che si guarda mia sorella", ridacchiò.
"E hanno ragione", concordai con un sorriso. "L'arte non dev'essere guardata semplicemente dal punto di vista tecnico, ma soprattutto ciò che rappresenta per noi e per l'artista", spiegai convinta.
"Sei sicura di non voler ritrattare riguardo alla faccenda della critica d'arte?", chiese ridendo ancora.
Mi unii a lui. "Edward, te l'ho detto, mi piace l'arte, tutto qua, niente di che. Anzi, se proprio vogliamo essere precisi non è l'arte in generale a piacermi, ma la sua storia dato che non sono nemmeno capace di prendere in mano una matita", spiegai sconsolata.
I miei disegni ricordavano davvero quelli dei bambini di tre anni, con ancora gli omini stilizzati e il cielo come una riga azzurra in alto al foglio.
"Incredibile, abbiamo in comune qualcosa! Non credevo l'avrei mai detto in vita mia!", esclamò fingendosi sconvolto.
"Il mondo è pieno di soprese, caro Edward...", mormorai canzonatoria alzandomi in piedi.
Ero rimasta seduta così a lungo che non mi sentivo quasi più le gambe. E questo era negativo, molto negativo. Perché se già consideriamo che non ero capace di stare in equilibrio in situazioni normali, quella volta fu semplicissimo ricadere immediatamente, rovinando gambe all'aria sul prato umido.
Il tutto con il graditissimo sottofondo musicale delle risate fragorose e instancabili di Edward.
Mi rialzai senza badargli, togliendomi di dosso la terra e i fili d'erba che erano rimasti incollati ai miei vestiti. E lui rise ancora più forte.
Girai lentamente il volto verso la sua direzione, guardandolo truce. "La vuoi smettere, per cortesia?"
Trattenendo un'altra volta le risa, si rialzò di slancio, con un movimento fluido e sensuale.
Beato lui, mi ritrovai a pensare rassegnata. Un certo tipo di bellezza - e anche di equilibrio, a dirla tutta - non capita proprio a tutti.
In un gesto spontaneo, alzai gli occhi al cielo, ma quando lo vidi di un azzurro scuro, quasi blu, il mio sguardo corse immediatamente all'orologio da polso.
Oh, merda: le 19.00.
"Cazzo", bofonchiai chinandomi verso l'abero per prendere il mio zaino di scuola. Edward sembrò accorgersi solo in quel momento della mia cartella, perché un'espressione di chi ha capito tutto comparve sul suo volto. "Tu non sei tornata a casa dopo la scuola, vero?", chiese con sospetto.
Ci mancava lui a farmi la predica. Non bastavano gli altri a scuola, non bastava mia madre...
"No. Problemi?", domandai acida mettendomi a camminare a grandi passi verso l'uscita del parco.
"Dai, Bella, non fare così!", esclamò ad alta voce rincorrendomi.
"Devo tornare a casa", dissi semplicemente, varcando il cancello arruginito.
"Ok, va bene, lascia per lo meno che ti accompagni con la moto! E' tardi, potrebbe esserci chiunque in giro", cercò di convincermi.
Non riuscivo a capire perché lo facesse. Perché si ostinasse a volermi stare accanto.
"Perché lo fai?", chiesi guardandolo negli occhi, seria.
"Cosa?", c'era solo perplessità nei suoi, nessuna traccia di divertimento o ironia.
"Perché...continui a volermi accompagnare a casa, a farmi ridere...", tentai di spiegare, distogliendo lo sguardo.
"I-io veramente...non lo so.", rimase un po' in silenzio prima di rispondere, sempre che quella potesse essere considerata una risposta. "Però posso dirti che quello che ha detto Mike ieri non mi ha fatto nessun effetto. Certo, ancora non riesco a capire perché ti abbia tratto in quel modo...ma aspetterò che sia tu a dirmelo, Bella", concluse calmo, la sua voce bassa era rassicurante.
Mai mi ero sentita così in dovere di ringraziare qualcuno come quel momento, mai mi ero sentita più...considerata, sebbene sapessi che Edward poteva rimanere un semplice conoscente. Amico, forse. Nella migliore delle ipotesi.
"Grazie, Edward", dissi semplicemente, facendo immergere nuovamente i miei occhi nei suoi, sperando che capisse l'autenticità delle mie parole.
Sorrise, dolce e sereno. "Prego, Bella. Adesso adiamo però, ok? Non vorrei che tua madre si preoccupasse troppo"

* * * * * *

Con il suo rombo potente, la Ducati di Edward parcheggiò esattamente davanti al vialetto di casa entro pochi minuti, molto prima di quanto avrei impiegato andando a piedi.
C'erano diverse luci accese in casa, più del solito. Sicuramente mia madre doveva aver approfittato del fatto di essere sola, senza nessuno che le facesse notare che in quel modo sprecava semplicemente energia elettrica.
Stavo per scendere dalla moto, quando la porta si aprì di colpo, rivelando una Reneé piuttosto incazzata.
Mi venne incontro di corsa, i pugni serrati e l'espressione dura. "Si può sapere dove sei stata tutto questo tempo?! Una telefonata, Bella, potevi anche solo farmi una telefonata! Perché non pensi mai a come potevo stare? E se ti fosse successo qualcosa?", m'inveì contro immediatamente, quasi strattonandomi per un braccio.
Solo in quel momento Edward mi affiancò, togliendosi il casco in modo che mia mamma finalmente si accorgesse della sua presenza.
"Mi dispiace signora, Bella era con me. Entrambi non ci siamo accorti dell'ora che si era fatta, mi stava aiutando a studiare", disse con la sua solita voce calda e penetrante.
Reneé rimase un attimo spiazzata, come a voler convincere sé stessa di non star parlando con un angelo venuto in Terra ma con un essere umano. Una delle solite constatazioni che io stessa ero solita a fare.
"Oh...io...", farfugliò spostando lo sguardo da me e Edward ininterrottamente.
"Ma si puà sapere che succede qui?", un'altra voce estremamente familiare giunse dall'interno di casa, prima che anche Charlie comparisse in veranda.
Perfetto, riunione familiare più piacevole non poteva proprio esserci.
"Papà!", esclamai. "Che ci fai qui?", stavo tentando di rifilare il più velocemente possibile il casco a Edward, ma era già troppo tardi: mio padre l'aveva visto.
"Bella...tu sei salita su una moto?", chiese affinando lo sguardo ed avvicinandosi alla sua ex moglie.
"S-sì...era una situazione di emergenza", tentai di spiegare, ma ormai gli occhi curiosi e sospettosi di mio padre avevano cominciato a squadrare la figura di Edward.
"E tu saresti?", chiese alzando il mento, palesemente scettico.
Oddio, pensai maledicendo me stessa e tutta quella situazione.
Perché Edward doveva subire tutte quelle accuse per colpa mia?
"Edward Cullen, signore, un amico di Bella"
Un amico.
Un amico!
Quelle due parole continuavano a rimbombarmi in testa, facendomi quasi saltellare mentalmente dalla felicità. Allora era vero, anche io potevo avere un amico, potevo essere un pochino normale... Edward mi considerava tale nonostante ci conoscessimo da poco...
Mio padre bofonchiò qualcosa di indistinto prima che, grazie al Cielo, mia madre salvasse il salvabile della situazione.
"Be'...adesso che è stato chiarito tutto direi di rientrare...Edward, caro, vuoi prendere una tazza di thé?", chiese Reneé, pendendo dalle sue labbra.
Edward sorrise sghembo, rifiutando l'invito. "Verrei volentieri, ma credo che anche mia madre si stia preoccupando, perciò è meglio che vada", si voltò leggermente, rivolgendosi a me.
"Ci vediamo, Bella, grazie di tutto", si congedò, prendendo in mano il casco che gli stavo ancora porgendo.
Risposi con un semplice sorriso, ancora troppo scossa per dire o fare altro.
Lo osservai attentamente risalire in sella con la sua andatura decisa ed elegante, rimettersi il casco e ripartire a tutto gas, ovviamente non prima di aver rivolto un ultimo cenno di saluto verso me e la mia imbarazzante famigliola riunita.


Aaah, tutti i capitoli si concludono con Edward che se ne va...sarà un segno del destino? XD
Buona sera, care!!!!
Come al solito, scusate x il ritardo...2 giorni, neanche così tanto dai! XD
Oggi sono un tantinello di fretta (eheh sono una donna impegnata io! XD) perciò non mi dilungherò troppo nelle note. Allurale, in questo capitolo avrete SICURAMENTE notato che Bella è una brava osservatrice, nonché appassionata di storia dell'arte. Cioè...sinceramente non so se nella Bella Meyeriana lo sia, ma io l'ho voluta creare così, spero non vi dispiaccia ^^
E' stato un capitolo di passaggio, senza niente di sconvolgente o particolarissimo. Semplicemente è servito per approfondire un po' meglio il rapporto Edward e Bella (adesso sono  amici!!! *_*) e far nascere una delle cose che li legherà spesso nella loro conoscenza...vorreste sapere cos'è, vero??? Eh, ma io mica ve lo dico! ù.ù
Dovete arrivarci da sole mie care, oppure, se proprio non ce la fate dovrete aspettare il prossimo cappy! XD *me sadica al 100%*
Il nostro Charlie è arrivatoooooo!!! Per la felicità della mia Giuli (Funny_lady_) in particolare XD
Adesso vado!!! Vi lascio alle risposte alle recensioni!
Grazie a tutti quanti stanno leggendo in questo momento, grazie davvero di cuore! Vi sarei immensamente grata se lasciaste un segno del vostro passaggio, davvero.
Un bacione enorme
Ele


Risposte alle recensioni

squirrel: Ciao Greta!!!! ^^
Oh, mi fa piacere che la storia ti piaccia! Sì, lo so, è un po' triste - per lo meno in certe parti - ma come avrai notato, in questo capitolo Bella non accenna minimamente alla sua malattia, né con il pensiero né a voce. Trai le tue conclusioni, cara, io non posso dirti niente! XD
Quoto assolutamente quello che hai detto: tutte noi siamo un po' Bella (ecco uno dei motivi per cui Twilight ha tanto successo, secondo me), ma trovare Edward...questa sì che è un'impresa!!!!!
Spero che il capitolo ti sia piaciuto!!! Un bacio!


Giuliina La meioo: Ciao, Giulia!!!! Grazie davvero tanto!!! Oddio, mi dispiace di aver aggiornato con un po' di ritardo, spero che tu non me ne voglia!
Che bello, sono riuscita a scatenare la tua curiosità! Adesso sì che mi sento realizzata! XD
Questo capitolo come ti è sembrato??? Il rapporto Ed-Bella si sta facendo più...intimo??? Voglio dire, Edward ha anche conosciuto i suoi genitori, manco fosse una presentazione ufficiale! ù.ù
Grazie ancora di tutto!!!!!!!! 
Bacioni! Ele


shasha5: Ciao, tesorooo!!!!!!
Ahahaha, la ola per Pierangelo è assolutamente ovvia!!!!! Gli farei anche una statua di marmo se fossi Canova, ma ahimé le mie doti artistiche sono inferiori a quelle di Bella, mia cara! >.<
Grazie davvero dei complimenti allo scorso capitolo (e anche tutti i precedenti! *.*)!!! Nella descrizione che ho fatto di Bella ho preso un bel po' di spunto da me stessa, da come mi sento certe volte, nonostante, per fortuna, non abbia la leucemia!!
Ti avverto, io sono una fissata con le compagne di classe stronze che fanno le cheerleader e cose del genere! Per il meteorite però ci sto pensando, sai??? Non è una cattiva idea! XD
Bravissimaaaaaa!!! Il ragazzo della pizzeria era Emm, ma non lo dire a nessuno! XD
Un bacio grande, grande!!!!! Grazie ancora di tutto, tesoro!!!
Ciaoooo!


poc: Ciaoooooo!!!! *.*
Eh sì, mi rendo davvero bene conto che di persone cattive quanto le compagne di Bella ce ne sono eccome...nel mio metodo di scrittura c'è sempre un qualcosa che prendo di spunto dalla mia vita reale e privata, un qualcosa che può essere più o meno frequente, proprio come compagne di questo genere.
Nella mia scuola, per esempio, non solo vengono derise le persone malate, ma anche i gay o quelli che loro chiamano 'sfigati'. Anche se poi saranno loro a fare strada nella vita, a concludere qualcosa di concreto, non certo loro!
Quoto: noi donne sappiamo essere molto cattive, e non sempre questa è una cosa positiva! (in presenza di un maniaco però potrebbe essere utile in effetti...)
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!!!! Fammi sapere presto!!
Grazie di tutto!!!!!!!!!!!!!


Onion: Ciao, tesoro!!! Noooo, mica ti stavo sfottendo, cara, cosa vai a pensare??? Sarò sadica, ma prendere per i fondelli le mie lettrici mai e poi mai! ù.ù
Scusa ancora per il ritardo! Sono incorreggibile, ma la scuola mi tiene davvero impegnatissima e anche adesso veramente dovrei essere a studiare >.<
Ehehe...diciamo di sì...Edward non saprà nulla...certo, saprà che c'è qualcosa di strano, ma...
Basta, Ele, zitta altrimenti non leggendo più nulla perché sanno tutto! XD
Spero davvero che il capitolo sia stato di tuo gradimento!!!!!!!!! Un bacio grande!!!!!



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Capitolo 7
*** Chemioterapia ***


Your Guardian Angel

°* Capitolo Sei: Chemioterapia*

 

"Venite pure, accomodatevi", ecco come ci accolse il medico che aveva da poco cominciato a seguire la mia malattia, una cartellina blu chiaro tra le mani ed un sorriso fin troppo sereno e pacifico in volto. Per i miei gusti.
Varcai la porta della saletta seguita da i miei genitori. Inutile dire che erano loro ad essere mille volte più preoccupati di me e tesi per quella visita. Mia madre a stento si sarebbe mangiata le mani tanto era impaurita.
Il dottor Banner, questo il nome del medico, scritto in bella grafia sulla targhetta del camice, chiuse la porta alle sue spalle, facendoci segno di avanzare e di dirigerci alla barella posta in mezzo alla stanza.
Guardai le pareti, il soffitto. Tutto bianco, completamente, totalmente bianco. Quasi mi sopresi che il pavimento non fosse dello stesso colore.
"Siediti pure qui, cara", mi invitò non appena ebbe preso degli occhiali dal mobile - sempre bianco - lì vicino.
Obbedii in silenzio, cercando di non innervosirmi.
"Allora, signori Swan", incominciò con un sospiro, lanciando un rapido sguardo ai fogli che teneva in mano.
"La situazione sta peggiorando, ormai penso che tutti l'abbiano capito", disse senza troppi giri di parole. Cominciava a starmi simpatico il tipo.
Non ero mai stata una persona con troppo tatto - diciamo che ne avevo molto, molto poco -, e quando si facevano mille discorsi prima di andare a toccare l'argomento desiderato, bramavo andarmene via e smettere di ascoltare ogni cosa. Sono qui, parlami, dimmi quello che devi, avevo spesso avuto voglia di dire, ma la pena che tutti provavano nei miei confronti sembrava annullare definitivamente questo mio desiderio.
Reneé si portò immediatamente le mani alla bocca, trattenendo a stento un gemito di dolore e sofferenza.
Per fortuna c'era Charlie con lei. Nonostante tutto, la mia malattia almeno una cosa di buono l'aveva fatto, ovvero quello di riavvicinarli, facendo capir loro che avevano un qualcosa in comune, un qualcosa per cui non potevano più far finta di ignorarsi in eterno: me.
Papà la strinse da dietro, in un modo un po' goffo ed imbarazzato, per darle conforto.
"Quella di Isabella è una leucemia cronica. Penso sia giusto farvi un breve schema della situazione, giusto perché possiate capire di più", continuò con tono pacato.
"Esistono due tipi di leucemia: quella acuta e quella cronica. Nella prima, il numero di cellule tumorali aumenta molto velocemente e la comparsa dei sintomi è precoce, nella seconda, invece, le cellule maligne proliferano più lentamente. Con il tempo, però, anche queste ultime diventano più aggressive e provocano un aumento delle cellule leucemiche all'interno del flusso sanguigno.", disse lentamente, in modo che potessimo assorbire ogni sua parola.
Sollevò gli occhi dalla cartelletta, rivolgendosi prettamente ai miei genitori. "Questo era già stato constatato dagli inizi, quando il vostro dottore di famiglia ci aveva segnalato un ingrossamento dei linfonodi, soprattutto all'altezza del collo. I sintomi non sono molto presenti all'inizio, e questo è un bene, ma alla fine la fase più intensa deve arrivare, tardi o presto che sia. Stavamo aspettando il momento in cui le cellule sarebbero diventate più aggressive, ed è arrivato", concluse, sempre guardandoli bene negli occhi.
Reneé non riuscì più a trattenersi: si voltò e allacciò le braccia attorno al collo di mio padre, piangendo e singhiozzando disperata.
Charlie le dava piccoli colpetti sulla schiena, nemmeno lui era molto presente al momento. Lo vedevo dai suoi occhi castani, uguali ai miei. Erano vuoti, le pupille dilatate in un modo spaventoso.
"Mi dispiace, signori, dobbiamo iniziare la chemioterapia"
Sollevai la testa di scatto, fissandolo. "Sono messa male?", chiesi tranquilla, con tono neutro.
Il dottore sussultò nel sentire la mia voce, si voltò e fece un sorriso tirato. "Non lo si può ancora dire, cara, bisogna ancora fare dei controlli. Vedrai poi che questa terapia farà solo del bene", tentò di rassicurarmi.
"La chemio!", singhiozzò mia madre battendo i piccoli pugni sul petto di Charlie. "Perché? Perché?", continuava a ripetere, senza darsi pace.
Banner sembrava in difficoltà, anche se non troppo. Chissà con quanta gente aveva dovuto avere a che fare, con quanti genitori disperati, più o meno di mia madre.
Si avvicinò ai miei, e, con tono sempre gentile ed educato, disse loro: "Scusatemi, non vorrei essere di ancora più impiccio, ma avrei bisogno di parlare da solo con vostra figlia. Dovrei illustrarle ciò che la chemioterapia comporterà e cose del genere, ok?"
Charlie annuì, appoggiando una mano sulla schiena di Reneé, in modo da trascinarla fuori. I suoi occhi non abbandonarono i miei nemmeno per un istante.
Lo conoscevo troppo bene, anzi, diciamo che mi somigliava troppo.
Nel suo sguardo riuscivo a leggere la disperazione per quella notizia, la ricerca di un qualche segno, di una reazione da parte mia.
Ma non volevo reagire. Volevo rimanere inerme a sopportare, aspettare e... finirla.
Non appena se ne furono andati, il dottore mi sorrise, riavvicinandosi.
"Sei una ragazza sveglia", sussurrò. "L'ho subito notato, sin dalla prima volta che ti ho visto"
Si interruppe un attimo, fissandomi attentamente. "Ho conosciuto tantissime persone nella mia vita, Isabella, ho curato tantissimi pazienti ed ho imparato a conoscere, apprezzare ed amare ognuna di esse, con i propri difetti e qualità. Amo la natura umana, è questo il motivo per cui faccio il medico. Ormai non faccio neanche più fatica a distinguere il tipo di persona che mi trovo davanti, in base alle sue reazioni ed alle sue parole. E ho capito come sei tu.", mormorò appoggiandosi alla barella, in modo da avermi sempre sotto controllo.
"Ogni momento che passa la mia teoria si solidifica e io non faccio altro che chiedermi: perché? Perché una ragazza così giovane, carina, seria ed intelligente dovrebbe desiderare la morte? Perché dovrebbe rimanere così impassibile davanti ad un tumore che vuole portarsela via?", chiese con voce intensa, gli occhi grigi vivi ed accesi.
Abbassai il capo lentamente, finendo per osservare le mie mani in grembo.
Ero una persona talmente scontata? Si capiva già a prima vista che ero una di quelle depresse a un passo dal tentare il suicidio?
"Non voglio che tu mi dia una risposta, Isabella. So di essere uno sconosciuto per te, e mi rendo assolutamente conto che tu non voglia raccontarmi i motivi delle scelte che compi. E' comprensibile. Ti chiedo soltanto di pensarci più seriamente, perché poi non ci sarà più una seconda possibilità. Me lo prometti?", domandò piegando leggermente la testa di lato, continuando a guardarmi mesto.
Mi limitai ad annuire lentamente, sentivo la gola talmente secca da non riuscire a parlare.
"Come sicuramente saprai, la chemioterapia è una cura che, se tutto andrà come previsto, ti aiuterà a guarire da questa malattia. Consiste nell'uccidere le cellule tumorali, nel tentativo di eliminarle definitivamente.", disse gesticolando ed aggiustandosi di tanto in tanto gli occhiali.
"Purtroppo, però, anche questa, come la radioterapia, può danneggiare le cellule normali, in particolare quelle che si dividono più rapidamente. Si possono quindi avere effetti collaterali come nausea, vomito, anemia e perdita di capelli", ad ogni parola sentivo la testa farsi sempre più pesante, lo stomaco restringersi.
Non volevo affatto conoscere ciò che mi stava uccidendo, seppure la considerassi una 'manna dal cielo'.
"Non dovrai rimanere sempre qui in ospedale, è sicuro, ma dovrai venirci molto, molto spesso, senza mai sforzarti troppo.", continuò con le sue raccomandazioni, senza dare nulla per scontato.
Sapeva fare bene il suo lavoro, su questo non c'erano dubbi.
Ma avevo voglia di stare sola, dormire, riflettere...
"Adesso possiamo chiamare i tuoi genitori", mormorò congedandosi con un cenno del capo.
Come non detto...
"Ricorda, Isabella, hai promesso", disse infine, prima di sparire dietro quella porta, lasciandomi sola.
Fissai le pareti bianche, il soffitto, i mobili, percorsi tutto con lo sguardo. Mi sembrava di stare rinchiusa in una scatola, una scatola bianca che aveva soltanto lo scopo di togliermi l'aria, di farmi svenire, venire la nausea.
Sarei morta lì dentro, lo sentivo.
Con un sospiro affannoso, mi sdraiai sulla barella per intero, cercando di rilassare muscoli e mente.
Il tempo di chiudere gli occhi che la porta si rispalancò di colpo, rivelando la figura di mia madre che correva apprensiva verso di me.
I capelli grigi con qualche segno di tinura bionda erano spettinati e svolazzavano di qua e di là ad ogni suo movimento, testimoniando la sua agitazione.
Eccessivo.
"Bella, tesoro, amore!", esclamò piegandosi verso il lettino.
"Cosa ti ha detto il dottore? Ti ha rincuorato? E' riuscito a farti stare meglio?", chiese a raffica.
Non mi diede neanche il tempo di riflettere sul significato delle sue parole che partì di nuovo con nuove esclamazioni.
"Nel tempo in cui hai parlato con il dottor Banner, io e tuo padre siamo stati al computer e abbiamo fatto qualche piccola ricerca!", strillò con una punta di isteria nella voce appoggiando con frenesia i fogli del sito internet sulla branda.
"Abbiamo provato innanzitutto su Wikipedia, ma di ciò che diceva non si capiva nulla, perciò abbiamo provato su questo sito! Guarda, qui dice che ci sono stati tantissimi casi come il tuo è che c'è una percentuale di guarigione! Esistono quattro tipi di leucemia:
la leucemia linfoblastica acuta, la leucemia linfocitica cronica..."
"Basta!", esclamai alzandomi di scatto dalla barella. Sentii la testa girarmi un poco per la fretta con cui avevo compiuto quel movimento, ma non vi badai.
"Basta, mamma! Sono stanca, stanca di sentire tutte le tue continue esortazioni a continuare a sollare, a conoscere questa malattia in modo da poterla combattere! Basta!", urlai portandomi le mani alle orecchie.
Avevo anche il fiatone, tanto quella confessione mi era costata.
Le mie parole sorpresero mia madre. Si allontanò impercettibilmente da me, gli occhi si fecero più lucidi.
Ormai che avevo cominciato, però, volevo finire, volevo dire tutto quello che per giorni ormai mi tormentava.
"Mamma, sono io che devo affrontare questa malattia. Non tu, non papà, non il dottor Banner...io. Io e solo io. Mi fa piacere che mi siate accanto, che mi confortiate, che mi facciate forza, ma alla fine quella che sta su questa barella, quella che vedrà i propri capelli cadere, quella che vedrà sé stessa morire sarò io.", continuai guardandola dritto negli occhi.
Fece una smorfia prima che alcune piccole lacrime cominciassero a scorrere sulle sue guance, veloci e copiose. "No, Bella, ci sarò anche io"
Sorrisi, squotendo la testa leggermente. "Lo so, mamma, e te ne sono grata. Ma il discorso rimane lo stesso: tu non morirai, io sì.", affermo quasi ridendo, pur non essendo divertita.
"No!! Non è vero, Bella, tu non morirai!", esclamò, gli occhi accesi ed infuocati. Mi presi i polsi, facendoli sbattere più volte sul materasso duro del lettino bianco. "No! No!", continuò ad urlare, cercando di scacciare i capelli che le si appiccicavano al volto per via delle lacrime e del sudore.
Sospirai, per l'ennesima volta, sentendo un leggero dolore alle braccia. "Tutti dobbiamo morire, mamma, chi prima e chi dopo..."
"Ma non sarò io a tenerti la mano mentra abbandoni questo mondo!", esclamò nuovamente. "Dovrai essere tu a farlo con me, quando sarò una novantenne in sedia rotelle! Non io!"
E' inutile cercare di parlare con lei, continuavo a dirmi, con rassegnazione.
Chiusi gli occhi. "Mamma, vorrei rimanere sola", mormorai rilassando ogni parte del corpo.
"B-Bella...", tentò un'ultima volta.
No.
"Per favore", dissi sperando che usando quest'ultima carta, mi creda, mi lasci stare.
La sentii sollevarsi piano dalla barella, percepii il suo peso sposarsi e i suoi passi veloci mentre si allontanava sempre di più da me, continuando a piangere silenziosa.
Mi dispiaceva, sempre e tantissimo, vederla così, saperla così a causa mia.
Un motivo in più per andartene, diceva allora una parte di me. In questo modo, per lo meno, non le rovinerai più la vita.
Perché dovevo essere sempre così complicata? Perchè non potevo fare la parte della tipica teenager carina, desiderata, non troppo brava a scuola, capo cheerleader e cose del genere?
Perché queste cazzate non dovevano succedere a me? Perché sì, erano cazzate, ma, per lo meno, cazzate felici. Cazzate che non ti fanno morire prematuramente, desiderare di lasciare questo mondo.
"Signora Swan!", esclamò una voce, resa più piatta a causa della porta che separava me il corridoio.
Ma la riconobbi comunque.
"Oh, Edward...", mormorò Reneé, tirando su col naso.
Oh, no! No!
Aprii gli occhi immediatamente, sicura che in quel momento avrei finito per mandare a puttane l'ultima - e unica - cosa buona: lui, lui ed il suo voler essere mio amico a tutti i costi, senza motivo. Lui ed il suo sapermi far dimenticare tutti i problemi, vivere da essere umano comune, normale.
"Cosa le è successo?", chiese preoccupato.
Immaginavo la piccola ruga che si era sicuramente formata tra le sopracciglia, segno del suo nervosismo e della sua tensione.
"N-nulla...non preoccuparti", continuò imperterrita a negare, seppure si notava lontano un miglio che la sua voce diceva tutt'altro. E immaginavo soltanto i suoi occhi, grandi, blu, da bambina...colmi di lacrime, sofferenti...a causa mia.
Mi alzai dalla brandina, sempre troppo in fretta. Finii per barcollare in piedi e dovermi appoggiare al mobile bianco.
Quando fui certa di aver acquistato un po' più di equilibrio, passai una mano sui capelli per renderli meno selvaggi ed indomabili, e uscii dalla stanzetta, chiudendo in fretta e furia la porta alle mie spalle.
Mia madre era a pochissimi metri da me, appoggiata al muro del corridoio, un fazzoletto di stoffa ricamato a coprirle il volto.
Edward, invece, era chino davanti a lei, il volto immediatamente girato verso di me non appena ebbe sentito la porta aprirsi.
Era sorpreso di vedermi, senza alcun dubbio. Mi incamminai lentamente verso mia madre, senza dire una parola, e l'abbracciai, cercando di riparare a tutto il male che stavo continuando a farle con quel piccolo ed insignificante gesto.
I suoi occhi si spalancarono improvvisamente e, non appena capì, ricambiò forte la stretta, non senza smettere di piangere.
"Dai, mamma, così ti si scioglie l'eyeliner", ridacchiai, dandole piccoli colpetti sulla schiena, proprio come prima aveva fatto papà.
Quella più bisognosa di conforto era lei in quel momento, non io. L'avevo capito troppo tardi.
Riuscii a farla sorridere, mentre scquoteva la testa per asciugare le lacrime dal volto. "Non immaginavo sapessi cos'è", ribatté prendendomi in giro.
"Dopo le tante lezioni che mi hai fatto, questo è il minimo!", esclamai staccandomi lentamente dal suo abbraccio.
Ammiccò. "Be'...in effetti..."
Tra le risatine, il suo sguardo si riposò su di Edward che ci guardava curioso ed intenerito allo stesso tempo.
"Dai,", mi sospinse. "andate, voi due. Non vorrete certo stare con una vecchia piagnona come me!"
L'affiancai, prendendolo per mano.
Lanciai un ultimo a sguardo a mia madre, denso di sottointesti e ringraziamenti, ma l'ultima cosa che sperai con tutto il cuore fu che Edward non avesse letto la grande scritta sulla porta della stanzetta da cui ero appena uscita. Quella scritta che gli avrebbe rivelato tutta la verità.


Ehm...
Credo che un banale 'Sorry' sia riduttivo...
Mi dispiace tantissimo farvi penare tanto per avere un mio nuovo capitolo. Sono una frana, lo so, non riesco mai a stare nei tempi.
Questa settimana, come al solito è stata intensa, ma con un particolare in più: è stata triste, molto triste.
Penso che la cosa si sia riflettuta parecchio anche sul capitolo, spero non me ne vogliate!!!
Non me la sento tanto di commentare perché è stato strano scriverlo, e non saprei nemmeno io cosa dire sinceramente.
Mi auguro però che possiate lasciarmi una recensione, giusto per farvi sapere come vi è sembrato.
Un bacio grande, GRAZIE di tutto,
Ele

P.S. Vorrei annunciare che gli aggiornamenti sono destinati a rallentare ancora un pochettino a causa di nuove idee in corso! Eh, sì, non mi fermo mai! xD
Io e _Mela_ stiamo scrivendo una raccolta di drabble su 24 o 25 coppie della saga di Twilight legate al Natale, da pubblicare ogni giorno di dicembre!!
Spero mi perdonerete e che mi seguirete anche in questa!!! Un bacio, scusate ancora!

Risposte alle recensioni

Funny_lady_: Giuoia mia!!! ^^
Non ti preoccupare se non riesci a recensire o a leggere 'in orario'! Non vedi i miei aggiornamenti come sono sballati????  Adorato Dio, non potevi darmi un pochino più di puntualità quando l'hai distribuita?
Non a caso a scuola arrivo sempre in ritardo, sai??? xD
Dai, sto abbastanza bene, cara...un piccolo periodo NO, ma vedrai che passerà presto (spero, ecco!)
Tu, invece??? Sempre donna impegnatissima in carriera?? xD
Ehehe, vedo che hai molto intuito, Giuli! Hai appreso in pieno qual è la più grande attitudine di Edward Cullen, i miei complimenti!!!! XD
Nuooooo, non ti piace la storia dell'arte??? Disastro, che brutta cosa!!!! Dai, vedrò di rimediare un po', suuu! ^^
Ti è piaciuta l'entrata in scena di Giuoiooo, eh??? XD In questo capitolo non era proprio onnipresente, ma c'è stato abbastanza! ^^ Vedrai che nel prossimo ci sarà di più (lo so, dico sempre così...spero però di farlo davvero!!! xD)!
Scusami se non mi dilungo, ma il capitolo (che ho finito di scrivere esattamente 2 minuti e 37 secondi fa - nano secondo più, nano secondo meno - xD) mi ha scosso tanto, nonostante spero vi piaccia!
Un bacione enorme, mia cara!!!
Ti voglio bene!!!

barbyg90: Ciaooooo!!!!!!!! =D
Oddio, lo sai che sei una santa scesa in Terra????? *.*
Dove chivolicchi hai trovato tutta la pazienza e la forza di volontà di recensire - sì e no - tutti i capitoli precedenti?!?! Ma io ti amo, lo saiiii????
Cioè...GRAZIEEEEEEEEEEEE!!!! Non sai quanto mi hanno fatto piacere i tuoi commenti!!!! Anche se sono sicura che li ritirerai tutti con questo ù.ù
Allora, adesso rispondo a tutte le tue domandine al capitolo precedente!
No, in questa storia sono tutti umani, non c'è nulla di vampiresco =)
Quando aggiorno...eeeeeeeh, quando posso e quando l'ispirazione non tarda ad arrivare! XD
E, be', la ragazza di Edward - Tanyucciola carissima - se ne andrà presto in quel posto così bello, così adatto a quelli come lei...stai tranqui, sono la prima che lo spera con tutto il cuore! ;)
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e che non ti sia disperata quanto me a leggerlo!
Un bacio grande!
Ele

babyblack: Tessssssoroooo!!!
Cioé, ti rendi conto di quale mia gioia nel vederti anche qui???? Alla faccia dello stalker, fossero tutti come te vorrei essere perseguitata a vita! xD
Uhuhu, una nuova agente della CIA...eeeeh??? Come mai non lo sapevo???? Cos'è sta storia??? Eh, eh, eh???? Signora registaaaaaaaaaaaa!!!! xD xD
Ok, la smetto ù.ù
Recensire non è una tua qualità?!?! Ma stai scherzandoooo?? Va bene che a causa tua allago si e no ogni settimana il pavimento, ma mi fanno un piacere che tu nemmeno ti immagini!! Buzzurra, guai a te se non continui a recensire! XD
Grazie, tesoro, grazie mille di tutti i complimenti!! Troppo buona!!!!
Oooh, be', il titolo è una delle cose che piace di più anche a me ^^ L'ho trovato insieme a mia sorella, Freddy Barnes, ed è il titolo di una delle mie canzoni preferite! E' dei Red Jumpsuit Apparatus, ascoltala se non l'hai ancora fatto perché merita davvero!!! *.*
Io??? Io sadica??? Ma ti sembra??? Semplicemente vi lascerò col fiato sospeso fino alla fine dei vosti giorni e, cosa più importante, un certo bell'omino, che ogni giorno diventa più figo e bono, chiamato Edward Cullen, rimarrà segregato in camera mia fino a quando non mi stuferò di lui e dei suoi servizietti...cioè mai, mi sembra giusto! XD
Dai che un giorno te lo presto!!! Tu aspetta e spera, poi si vedrà XD
Brava, Vero, lo sai che ti stimo in ogni cosa che dici, no??? Da Amore e Psiche a tutto il resto!!! ^^
Ehm...mi dispiace per la dolce attesa, ma sono un caso disperato, I know -.-
Spero che il capitolo non ti abbia fatto vomitare dal naso (io una volta l'ho fatto xD) o piangere troppo...
Bacioni enormi, gioia!!!!!!
Ciaooooooooo, a prestooo!
P.S. No, mi dispiace, riguardo a blog o cose del genere per ora non ho nulla...però se  vuoi puoi contattarmi così parliamo un pochino!!! ^^ Ancora un bacio!

squirrel93: Ciao, carissima!!!!!!!!! ^^
Eh, sì, Charlie ha lasciato il fucile a Forks, ma non temere, qui a Phoenix si è portato una rivoltella, non si sa mai! ù.ù
Grazie davvero per tutto i complimenti!!! Sei davvero gentilissima!!!
Amore e Psiche...mmm...sai che per adesso non c'avevo pensato??? Be', grazie per l'idea, potrebbe venirmi in mente qualcosa!!! ^^
Un bacio grande!!! Mi auguro che il capitolo ti sia piaciuto!!

poc: Ehilà, cara!!!!!!!!! =)
Come va??? Spero tutto bene!!!
Eh sì, noi donne potremmo davvero fare di tutto (modestamente XD), ma davvero ci sono leggi matematiche che talvolta proprio non capisco! >.<
E dire che come materia mi piace molto...xD
Grazie dei complimenti!! Lo so, Edward è davvero perfetto!!!! Non a caso è il mio idolo! xD
Spero che questo capitolo ti sia piaciuto nonostante Edward fosse poco presente...
Fammi sapere per favore!!
Baciii!!
Ele



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Capitolo 8
*** Futuro ***


Your Guardian Angel

°* Capitolo Sette: Futuro *°

 

"Ti posso far vedere una cosa?", chiesi gentilmente, alzando il capo per guardarlo.
Da quando mi aveva vista parlare con mia madre, non aveva detto nemmeno una sillaba. Comportamento strano per uno come lui.
"Sì, certo. Anche se dubito che in un ospedale ci sia qualcosa di 'bello' da vedere...", mormorò, ritrovando improvvisamente l'ironia e il sarcasmo che lo caratterizzavano.
Sorrisi, continuando a salire le scale.
"Tecnicamente non potremmo...", sussurrai facendogli segno di stare zitto.
Mi guardò perplesso, aggrottando le sopracciglia.
Evitai di rispondergli, camminando di soppiatto lungo il corridoio per raggiungere l'ascensore senza farmi notare da infermieri e passanti vari.
Sperai solo che Edward avesse recepito il messaggio e che non ci soprendessero ad usare un mezzo destinato soltanto agli addetti.
Per fortuna, qualche neurone nella sua testa funzionava ancora decentemente, così che, proprio come avevo fatto prima io, mi raggiunse tranquillo e silenzioso, senza farsi notare.
Mi sarei congratulata con lui presto, mi aveva davvero sorpreso.
Una volta che entrambi fummo dentro l'ascensore, premetti un bottone rosso acceso, quello che ci avrebbe condotto all'ultimissimo piano del palazzo.
"Ma sei scema?", chiese notando ciò che avevo schiacciato.
 "Forse", risposi con un sorrisetto, continuando a fare finta di nulla.
L'ascensore ci avvisò dell'arrivo con trillo insistente, come se senza saremmo rimasti dentro.
Uscii velocemente e mi diressi all'ultima breve rampa di scale da cui già cominciava ad arrivare chiara e limpida la luce solare.
Terminato l'ultimo pezzo di strada, ci ritrovammo davanti un grande spiazzo di cemento, talmente in alto che sembrava in contatto col cielo, con le nuvole, con il resto del mondo.
Rimasi incantata e sorridente a guardare quella meraviglia, quel lenzuolo terso e perfetto attorno a noi, proprio come ogni volta che salivo sulla terrazza del grattacielo.
"E'- è...", mormorò Edward, la bocca letteralmente spalacanata e gli occhi increduli.
Mosse le labbra diverse volte, come a voler dire qualcosa, ma non pronunciò alcun suono.
Senza pensarci due volte, mi avviai verso il centro dello spiazzo senza inciampare - per una volta - e mi ci sdraiai sopra, senza preoccuparmi della polvere o di qualsiasi altra cosa.
Il cielo, visto da quella prospettiva, sembrava decisamente più immenso e tranquillo. Dava un'immenso senso di pace. Una pace che riuscivo soltanto a trovare lì, a contatto con l'universo.
Sentii chiarmanete i passi di Edward che mano a mano si avvicinava, ma non spostai il mio sguardo dalle nuvole soffici che coloravano il cielo disegnando forme strane e particolari.
Improvvisamente, con la coda dell'occhio, lo vidi sdraiarsi esattamente dietro di me, in modo che la sua testa fosse in contatto con i miei capelli.
"Sei un genio", mormorò con una serietà inquietante dopo qualche minuti di silenzio.
Mi sollevai piano, appoggiando tutto il peso del corpo sul gomito. "Genio?", chiesi scettica.
Sorrise lievemente. "Certo. Penso che nessun'altro avrebbe avuto la splendida idea di venire qui", affermò sicuro.
"Ti chiamerò genietta, ti si addice.", decretò infine, dopo una breve pausa.
La mia perplessità aumentò notevolemente a quelle parole. Di soprannomi me ne avevano dati tanti, molto simili tra di loro, comunque.
Da secchiona a sfigata, da emarginata a pazzoide: in fondo non c'era una grande differenza.
Notando il mio silenzio, Edward riprese a parlare. "Che c'è, nessuno ti ha mai dato un nomignolo? Un soprannome?", chiese tranquillo, incrociando le braccia sotto alla testa, per stare più comodo.
Sospirai, ritornando alla mia posizione originale, sdraiata sul cemento.
"Sì...ma non è questo il punto", mormorai in risposta.
"E allora qual è?", continuò imperterrito, facendo trapelare la sua curiosità.
"Hai presente il tuo amico, Newton?", chiesi accompagnando il nome del ragazzo con una punta di stizza. "Be', il modo in cui lui e il resto della scuola mi chiamano non è esattamente simile a...genio", calcai bene sull'ultima parola, in modo che assorbisse il significato di ciò che gli stavo dicendo.
"Mmm...", mormorò. "Intendi sfigata?", ed eccolo di nuovo, lui e il suo tatto infinito.
Mi schiarii la gola, nervosa. "Esattamente"
Passarono due minuti prima che aprisse nuovamente bocca, lasciando entrambi in un silenzio imbarazzante, nonostante la tranquillità che le nuvole bianche portavano con sé.
"A me ne hanno sempre dati tanti di soprannomi. Alcuni non molto graditi, devo dire la verità, ma alla fine ci ho fatto l'abitudine e non mi sono più lamentato", proruppe.
"Io non mi sono mai lamentata", precisai atona.
"Non ne ho dubbi", immaginavo già il sorriso che si sarebbe sicuramente formato sul suo volto, a quella battuta, come d'altronde ogni volta che mi prendeva in giro.
Ci ritrovammo a ridere entrambi, senza un motivo preciso, spensierati.
"Pensa che tu farai carriera, loro no. Pensa che tu combinerai qualcosa nel futuro. A proposito...cosa vorresti fare da grande?", chiese una volta che smettemmo di ridere.
Lavoro.
Futuro.
Erano due concetti che non avevo più preso in considerazione dopo la notizia della leucemia. No...io non avrei avuto un futuro, io non sarei diventata grande.
Ma non avrei fatto come il mio eterno eroe Peter Pan, no, io non sarei più esistita, sarei morta giovane.
"Non saprei...", mormorai titubante.
"Davvero non ne hai idea?", chiese sbalordito.
"Ehm...no", ribadii.
"Nemmeno una professione che ti piaceva fare da piccola?", incalzò nuovamente.
Certo che, quando voleva, Edward sapeva essere davvero stressante.
"Uffa! Da piccola volevo fare la principessa, ti basta?!", esclamai esasperata e risentita.
Lo sentii ridacchiare alle mie spalle, divertito dalla mia affermazione. "Be', un lavoro assolutamente degno...sono convinto che guadagneresti", ghignò ironico.
Roteai gli occhi, ormai immune alle sue prese in giro. "E tu? Sentiamo, quale dovrebbe essere il brillante futuro di Edward Cullen?", chiesi sfoggiando un tono sarcastico di cui mi stupii io stessa.
"Il brillante futuro di Edward Cullen", mi scimmiottò, "prevede, innanzitutto, la scrittura di un libro", concluse, stupendomi.
Mi sedetti di scatto per poi voltarmi verso di lui.
"Sul serio?", domandai sorpresa.
Una volta vista la mia posizione, mi imitò, sollevandosi lentamente e sedendosi a gambe incrociate esattamente di fronte a me.
"Sì. Pensi che non ne sia in grado?", chiese arcuando il sopracciglio ed inchiodandomi con i suoi splendidi occhi verdi.
"No, no...non sto dicendo questo.", mi affrettai a chiarire, gesticolando nervosa. "Intendevo che non me l'aspettavo, ecco"
Sorrise dolcemente, spostando lo sguardo verso le sue mani in grembo. "E' un sogno che ho da quando sono piccolo...ed è stupido, in un certo senso, che questa idea infantile continui a ronzarmi in testa senza tregua...", si spiegò, impacciato.
"Non è infantile!", ribattei forse con troppa foga. "Pensa alla principessa, scusa! Ti sembra qualcosa di realizzabile?", continuai, sicura di aver ragione.
Sollevò il capo leggermente, giusto per guardarmi negli occhi. "No...però, per lo meno, tu non hai più questo 'sogno'."
"Edward", tentai di sviare il discorso, "cosa vorresti scrivere in questo libro?", chiesi interessata.
Si grattò la nuca, pensieroso. "Be'...quando ero piccolo ero convinto che avrei scritto della mia vita, delle mie avventure. Draghi e stregoni malvagi che sarei riuscito a sconfiggere a cinque- sei anni, come fossi riuscito a diventare presidente degli Stati Uniti a otto, come avessi scoperto la magia a dieci, come fossi riuscito a vincere la fame nel mondo a dodici...ogni anno che passava mi proponevo di fare una di queste cose, di essere ricordato dal mondo e dalla storia. Eppure...mi sono accorto di non aver mai fatto niente di niente. Né per l'umanità né per quelle piccole cose che potevo evitare", mormorò, lo sguardo perso nell'orizzonte.
"E' un desiderio di gloria, proprio come lo avevano gli eroi mitologici greci e latini, ce l'abbiamo noi. E' la natura umana", commentai calma, sperando di rincuorarlo con queste poche parole.
"Sì, lo so", rispose secco, ritornando a guardarmi. "Ma in questi anni non ho fatto che non fosse divertirmi, spassarmela e divertirmi di nuovo. Ero e sono simpatico, sono accolto da tutti con entusiasmo, c'è tantissima gente che ruota attorno a ciò che faccio io. E non posso neanche non ammettere che questo non mi faccia piacere, cavolo!", esclamò tormentato, passandosi nervosamente una mano tra i capelli, quel gesto che gli avevo visto fare più volte.
"Vorrei andare in Africa dopo aver scritto questo libro.", ricominciò ancora prima che potessi dire qualcosa riguardo la sua affermazione di prima. "Vorrei che noi tutti 'occidentali' ci rendessimo conto che la situazione in cui si trova questo continente è dipesa da noi, anche se indirettamente. Siamo stati noi che abbiamo imposto loro la nostra religione, la nostra cultura, ritenendo tutto quanto giusto. Siamo noi che li abbiamo privati di materie prime e che li abbiamo costretti ad un agricoltura di esportazione. Li abbiamo costretti alla fame, alla povertà. E non facciamo abbastanza"
Come avevo potuto, agli inizi, non appena l'avevo visto, giudicare Edward una persona in qualche modo egoista, una persona capace di guardare solo ai propri interessi?
Quasi sentii le lacrime agli occhi sentendo questo suo discorso. Lui, bello, ricco, popolare si preoccupava di cose del genere, a problemi gravi, non a criticare chi, come me, non si vestiva con abiti firmati e cose del genere.
Edward era maledettamente...umano, semplice, gentile, umile nonostante avesse tutte le qualità e capacità per diventare un qualcuno nel mondo dello spettacolo e di quei programmi spazzatura che fanno continuamente vedere alla televisione.
Una melodia mi distolse dai miei pensieri, facendomi aggrottare le sopracciglia: da dove proveniva?
Improvvisamente Edward si alzò in piedi, prese in cellulare dalla tasca e senza dire una parola, aprì la chiamata.
"Ciao, amore"
Eccola, di nuovo la bionda.
Involontariamente, come dotate di vita propria, le mie mani si chiusero a pugno.
"Sì, Tanya, lo so."
Perfetto, la bionda aveva pure un nome. Guarda un po', quello di una barbie...mai nome fu più azzeccato.
"Ci vediamo allora tra...aspetta che ore sono?"
Silenzio.
"Allora tra mezz'ora sotto casa tua. Va bene, va bene. Passiamo a prendere Jessica, Mike, Kate e gli altri?"
Perfetto...comitiva completa.
"Ok, a dopo. Ciao", concluse la chiamata frettolosamente, tornando a fissarmi con uno sguardo indecifrabile.
"Scusa, era...", non dava segno di voler continuare, perciò lo feci io per lui.
"La tua ragazza, l'ho capito", mi uscì con tono acido e pungente, forse più di quanto avrei voluto.
Forse.
"Be'...non esattamente", precisò, nervoso.
Continuava a rimanere all'impiedi, segno che ormai la sua visita era finita. Doveva tornare da lei.
"L'hai chiamata 'amore'. Mi sembra quantomeno ovvio che sia la tua ragazza", ribattei.
Sospirò, guardandomi sconsolato. "Sì, è vero, è così"
Perché sentirlo dire direttamente lui era maledettamente triste e...deludente?
"Bene. E allora non farla aspettare", dissi seria e imperturbabile, alzandomi da terra e dirigendomi veloce verso le scale.
"Bella, dai...", tentò di fermarmi, senza nemmeno una traccia di convinzione nella voce.
"No. Vai."
Il mio era un ordine, un ordine perentorio, carico di frustrazione e delusione. Un ordine che sottointendeva però una supplica, una preghiera che gli chiedeva di rimanere ancora un poco con me, anche solo cinque minuti.
Una supplica che non venne ascoltata.

Ehilà...*me spunta dall'angolino tossicchiando nervosa e passandosi la mano tra i capelli stile Edward*
Eeeeeeehm...'sera!
Come state, ragazze? Spero davvero bene, anche se io un po' meno. Qui a Bergamo siamo sotterrati dalla neve -.-"
Non che la neve non mi piaccia, anzi, ma neve è sinonimo di freddo e gelo, perciò vedete voi.
Tralasciando il mio piccolo meteo (XD), mi scuso per l'ennesima volta per il ritardo. Non ditemi che però la volta scorsa non vi avevo avvertito!!! ù.ù
Sono una ragazza previdente, io! XD
Allora...passiamo al capitolo, va'! Come avete visto, salgono sulla terrazza dell'ospedale e si sdraiano a guardare il cielo e le nuvole.
Non so voi, ma io la trovo una cosa estremamente tenera (che io, tra l'altro, ho fatto ^^)!!!!
Da che parlavano dei nomignoli, sono arrivati a parlare del futuro e Bella si è davvero resa conto che Edward non è un ragazzo 'fighetto' come tutti gli altri. Lui è un essere pensante (lo so, rivelazione scioccante anche per voi xD)!
Alla fine però è arrivata la telefonata di Tanya...che si rivela essere appunto la sua ragazza -.-
(Ancora per poco!!! Muahahahaha! XD XD)
Edward per ora se ne va, un po' sconsolato, ma vedrete che lo ritroveremo molto, molto presto! Non si da' mica per vinto lui! ù.ù
Ringrazio da morire le mie 6 tesorine che hanno recensito, le 22 che preferiscono Your Guardian Angel, le 13 che la ricordano e le 68 che la seguono! ^^ Vi amo!!!!!
In quanto a risposte alle recensioni, entro domani mattina arriveranno tutte quante (quelle di Missione d'Amore comprese, a chi interessasse)!!!!!
Un bacione enorme, ancora grazie!
Recensite, please!!!!!!!!!!!!
Ele


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Capitolo 9
*** Peter Pan ***


Your Guardian Angel

°* Capitolo Otto: Peter Pan *°


Una settimana.
Sette lunghissimi giorni.
Centosessantotto interminabili ore.
Milleottanta dolorosi minuti.
Seicentoquattromila stupidissimi secondi.
Avevo passato tutto questo tempo in attesa di Edward, nella speranza che tornasse all’ospedale per chiedermi scusa, per continuare a parlare e chiacchierare con me.
Per tornare a farmi sentire ‘normale’ almeno per una volta.
Ma non l’aveva fatto.
Aveva lasciato che rimanessi per tutti questi giorni seduta su una delle grandi e malconce sedie rosse dell’ingresso, in modo da poterlo accogliere con un sorriso non appena avesse varcato le grandi porte a vetri.
Ma non lo fece.
Soltanto dopo che fu passato un po’ più di tempo, capii che forse non sarebbe più tornato.
Che forse si sarebbe reso conto che stare con me era una perdita di tempo, che poteva avere di meglio.
Forseprobabilmente
Tutte incertezze che col passare dei secondi diventavano sicurezze.
Avrei preferito rimanere a casa, in camera mia a crogiolarmi nella mia delusione, ma, purtroppo, avevo appena cominciato la chemio perciò non era possibile.
Mi sentivo umiliata, molto più rispetto a prima, quando nessuno mi si avvicinava nemmeno, quando non avevo davvero nessun amico.
Ora, invece, un amico lo avevo avuto, seppure per due o tre giorni, ma la mia compagnia era stata così … orribile e noiosa(?) da costringerlo ad andarsene entro pochissimo.
Brava, Bella, sei da guinness dei primati, mi ripetei un’altra volta, infilando le cuffiette dell’iPod nelle orecchie. Continua così e non saprai più nemmeno dove metterli, gli amici.
Ormai la musica forte, quella metal e rock, era diventata la principale medicina contro il mio stato d’animo e non passava ora in cui non l’ascoltassi.
Era una liberazione.
Era … potenza, energia, ribellione. Era tutto ciò che volevo.
Non badavo nemmeno più all’aprirsi della porta scorrevole a pochi passi da me, avevo passato così tanto tempo a fissarla che ormai sentivo di detestarla.
Eppure, forse, quella volta avrei fatto meglio a lasciar correre i miei occhi sulla persona che l’aveva appena varcata.
Sulla persona che, proprio in quel perfetto istante, si stava dirigendo verso di me.

L’andatura elegante e tranquilla, spensierata e canzonata per certi versi; la muscolatura evidente nel petto e nelle gambe, anche se non troppo; la carnagione pallida; le labbra rosee; i tratti virili del volto; la mascella quadrata; i capelli ramati spettinati; gli occhi verdi smeraldo …
Edward.
Voltai la testa dall'altra parte con uno scatto repentino, cercando di scacciare dalla mente il pensiero che finalmente era tornato.
"Bella", sentii chiaramente la sua voce dolce chiamarmi, ma feci finta di nulla, continuai ad ascoltare la mia musica.
"Bella, lo so che mi senti", continuò un minuto più tardi, non ricevendo alcuna risposta. "Sono venuto per chiederti scusa, Bella. Mi dispiace, mi dispiace tantissimo."
Anche a me, avrei voluto rispondere, ma mi morsi un labbro con forza per impedirmi di parlare.
"Ti prego", due parole, due semplici parole dette con un'intensità che mi travolse, che mi costrinse a guardarlo, a fissare i suoi occhi verdi e a perdermici dentro.
"Ho una sorpresa per te, per farmi perdonare", mormorò, sorridendomi sereno.
Mi sforzai nuovamente di non dargli corda, ricordando come in quei sette giorni fossi stata male a causa sua.
"Chi ti dice che mi importi qualcosa delle tue sorprese?", domandai acida fissando le mie mani in grembo.
Si sforzò di trattenere le risa, sapendo quanto il ridere di me mi desse fastidio.
"Io penso che accetterai, Bella. Anche perché, in caso contrario, rimarrai per tutta la vita con la curiosità e il senso di colpa", spiegò piccato.
Non riuscii a trattenermi dal ridere questa volta, mentre, sempre con il mio cipiglio saccente, gli rispondevo. "Non credo che resterò per il resto della vita a pensare a te e alle tue sorprese, sai?"
Alzò gli occhi al cielo, divertito. "Ok, questo te lo concedo, ma non puoi pensarci ora?", chiese con voce piccola, stringendo gli occhi e sbattendo le ciglia come se mi stesse chiedendo un favore a cui non poteva rinunciare.
Intenerita, mi alzai dalla sedia, finendo a pochi passi da lui. "Fammi vedere questa sorpresa, allora. Ma sappi che se non sarà di mio gradimento, non ti perdonerò nemmeno per idea"
"Oh, tu di questo non preoccuparti", mi assicurò con un sorrisetto, guidandomi fuori dall'ospedale.
Quel giorno i controlli sarebbero stati di sera, verso le 18, perciò avevo quattro ore di libertà.
Trovammo la sua Ducati sul marciapiede, parcheggiata malamente, e vi montammo sopra, io col casco, lui senza.
Partimmo in silenzio, con il solo rombo della moto a farci sottofondo. A dire il vero, però, l'unica vera cosa che percepivo era il suo respiro lento e regolare, vicinissimo a me.
Mi stupii io stessa di come tutti i miei propositi di trucidarlo fossero scomparsi così, con un non nulla. Era bastata la sua sola presenza perché mi calmassi. Anche in quel momento, anche sforzandomi di chiedergli di lasciarmi di scendere, di togliere le mani dalla sua vita, a cui mi ero dovuta tenere stretta... tutto era dannatamente difficile. E non sapevo perché. Non sapevo perché tutta quella sofferenza che mi aveva fatto patire si fosse tutta ad un tratto volatilizzata.
"Come fai a sapere sempre come prendermi?", chiesi allora, mentre eravamo fermi in strada ad aspettare che il semaforo ritornasse verde.
La mia domanda doveva averlo spiazzato, perché rispose qualche secondo più tardi di quanto avrebbe dovuto.
"Io sono molto abile nel prendere le ragazze...", mormorò ridacchiando leggermente.
Se lui aveva impiegato qualche secondo in più per rispondere alla mia domanda, io ne impiegai miliardi in più per capire il suo doppio senso.
Inevitabilmente, perciò, uno scappellotto partì dalla mia mano severa. "Ahi!", si lamentò ancora divertito, come tutte le volte che mi faceva imbarazzare in questo modo.
"Lo sai che mi danno fastidio i tuoi doppi sensi", borbottai corrucciata.
Rise più forte, mentre ripartiva a razzo per le strade affollate di Phoenix.
"Certo che lo so! E' per questo che è ancora più divertente!", ridacchiò.
Per lo meno è sincero, tentai di rincuorarmi scuotendo la testa rassegnata.
Ci conoscevamo da poco, era vero, ma avevo già capito che questa era una sua caratteristica fondamentale e che avrebbe continuato con le sue battutine ancora per molto, sicuramente.
Parcheggiò su un marciapiede con attenzione, dicendo che da quel momento in poi avremmo dovuto camminare un poco.
Ecco, su quel poco avevo effettivamente qualche dubbio dato che quella parola, per me, significava due centimetri in croce.
"Allora, cosa hai fatto in questi sette giorni...? Oltre a prendere, ragazze, certo.", proruppi tentando di fare un po' di considerazione ed affiancandolo.
Ghignò per la mia ultima affermazione. "Niente di eccitante"
"Parole che vadano al di là dell'universo sessuale non riesci proprio a trovarle, eh?", chiesi inarcuando un sopracciglio.
Schioccò la lingua divertito, come se la mia domanda fosse retorica, e, in un attimo, mi ritrovai con il suo braccio muscoloso attorno alle spalle, in un abbraccio che sapeva del suo profumo: vaniglia e miele.
Mi irrigidii immediatamente e lui se ne accorse. "Ti da fastidio?", chiese gentile, senza aria di derisione negli occhi.
"No...", ed in effetti non stavo mentendo: il suo abbraccio era caldo, era protettivo...e mi imbarazzava a non finire. "Sto solo pensando che se la tua Tanya dovesse passare in questo momento ti prenderebbe a calci"
Sbuffò sonoramente, ritornando al suo posto, così distante da me da non riuscire nemmeno a sfiorare inavvertitamente il mio braccio mentre camminavamo.
"Ti ho già detto che Tanya non è la mia ragazza", disse scocciato, affrettando di poco il passo.
Ci risiamo, pensai sollevando gli occhi al cielo.
"Sbagli: una settimana fa mi hai prima detto che non era esattamente la tua ragazza poi che lo era... mi sa che hai le idee un po' confuse", lo presi in giro sforzandomi di mantenere un tono di voce incolore.
"Ci sto uscendo insieme, solo questo. Ci vediamo abbastanza spesso... ma non è niente di così serio. E con questo non sto dicendo che non voglio far altro che divertirmi con tutte le ragazze di Phoenix, ma che per ora non me la sento di cominciare un qualcosa che potrebbe essere più grande di me", eccolo di nuovo. Ecco quell'Edward che riusciva sempre a spiazzarmi con quelle sue risposte mature, mai banali, così diverse rispetto a quello che mostrava di essere di solito.
"Ok, adesso sono soddisfatta", risposi allegra di aver finalmente avuto una risposta che non mi deprimesse più di tanto. Era chiaro come il sole ciò che facessero quando 'uscivano insieme'...
Ridacchiò, guardandomi con curiosità. "E perché? Sempre se mi è concesso saperlo", mi punzecchiò.
"No, non è concesso, playboy, mi dispiace", mi finsi dispiaciuta, stando al gioco.
"Eppure io ti ho detto tutta la verità! Potresti essere un po' più magnanima e confidarmi qualcosina...", mormorò ironicamente, sbattendo le ciglia con fare dispiaciuto e piagniucolante.
"E va bene!", esclamai spazientita, visto che i suoi versi da cagnolino bastonato non accennavano a smettere. "Speravo semplicemente che non fossi uno di quei ragazzi 'felicemente impegnato' che va in giro mano nella mano con la propria ragazza, finendo poi per lasciarsi dopo tre giorni e ventitré ore", spiegai optando per una mezza verità. Quella intera non la conoscevo nemmeno io, nonostante avessi qualche sospetto.
"E se la lasciassi dopo tre giorni e ventiquattro ore?", chiese sollevando un sopracciglio.
"Vuol dire che lei sarebbe davvero felice di aver rotto con uno scemo come te, perché tre giorni e ventiquattro ore fanno quattro giorni", ridacchiai con fare saccente.
"Penso che il mio voto in matematica non interessi molto a quelle che si mettono con me, a meno che non siano delle professoresse...", rispose vantandosi.
"Guarda che non è matematica", lo rimproverai un' altra volta. Mi sembrava di stargliela facendo pagare un po' con le prese in giro per tutto quello che mi aveva inferto in quella settima. "E' cultura generale!"
Stavolta nessuno di noi riuscì a trattenere le risate.
"Ehi, dove scappi?", chiese mentre stavo per attraversare le striscie pedonali, ancora ansante.
Aggrottai le sopracciglia, perplessa. "Dove dovrei andare, scusa?"
Sorrise. "Dobbiamo andare da questa parte", disse indicando un incrocio che non avevo nemmeno visto.
Adesso che la guardavo bene, però, quella strada mi sembrava di averla già vista.
Strano per una che, come me, non ricordava quasi nessuna via della città in cui abitava.
"Posso sapere dove ci stiamo dirigendo?", chiesi sperando di non risultare troppo curiosa.
"In un bel posto, ti basti sapere questo"
Sbuffai, scocciata. "Non mi piacciono le soprese e poi, conoscendoti, per te un bel posto potrebbe anche essere un sexy shop"
"Non ti ci porterei mai! Rischieresti di avere un infarto appena entrata", mi sfotté acido.
"Ah-ah-ah. Ma che divertente!", esclamai spazientita. Non ero mai entrata in un sexy shop, e, sinceramente, non ci tenevo neanche un po', ma mi innervosiva il fatto che lui avesse capito immediatamente quanto fossi inesperta in campo amoroso.
Stavo per ribattere ancora, ma lui fu più veloce di me. "Siamo arrivati", mi informò sorridente, alzando il volto verso l'alto.
Lo imitai.
Attaccato a due pali, c'era un grande striscione bianco in cui due parole colorate facevano bella mostra di sé: "LUNA PARK"
Oddio.
"T-tu mi hai portato al Luna Park?", chiesi sconcertata, voltandomi verso di lui con tutto il corpo.
Aggrottò le sopracciglia. "E' un reato?"
"No...certo che no...solo non ci vengo da quando ho quattro anni.", risposi ancora perplessa.
"Be', mi sembra un buon modo per rimediare, allora!", esclamò felice.
Eh, no. Proprio non aveva ancora capito.
I suoi amici li portava in giro nei sexy shop, mentre a me nei Luna Park, proprio come una bambina.
Sospirando pesantemente, continuai a camminare, sperando solamente che quel pomeriggio non si rivelasse ancora più deprimente delle giornate all'ospedale.
Sentivo la presenza di Edward accanto a me, ma nessuno di noi parlò, finché non fu proprio lui ad aprire bocca.
"Vedrai che ti divertirai, Bella", disse semplicemente, prima di guidarmi verso uno dei tanti giochi infantili.
Mentre io lo guardavo con aria scettica, Edward parlava allegramente con un uomo in piedi dietro ad un piccolo bancone, neanche si conoscessero di una vita.
Alla fine della chiacchierata - dopo ben sette minuti! - il tizio decise di lasciarci entrare senza pagare il biglietto.
Adesso capivo il perché dell'improvviso attacco di 'chiacchierite' di Edward.
"Sei un approfittatore", bisbigliai quando fummo saliti su uno dei vagoncini della 'Casa dei fantasmi'.
"Nah, non è vero", ribatté ridacchiando. Sapeva benissimo anche lui che avevo ragione.
Quando lo stesso uomo ci avvertì della partenza, non avrei mai immaginato che mi sarei divertita così tanto, che addirittura mi sarei spaventata. Non tanto per le figure di fantasmi e di vampiri sulle pareti, ma per i suoni, i cartonati che apparivano all'improvviso, le urla terrificanti.
Edward strillava peggio di me. I ciuffi ramati ricadevano sulla sua fronte ad ogni movimento del vagoncino, impedendogli di tanto in tanto la vista.
Una volta che il primo gioco finì, Edward mi chiese, ancora ansante: "Allora, ti sei divertita?"
"Sì, dai, abbastanza", risposi sorridente.
"Bene! Adesso andiamo al 'Labirinto degli specchi'! Sperando solo che non finisca tutto come l'altra volta", ridacchiò lasciandomi incuriosita.
Dentro quell'enorme sala piena di specchi e di viuzze nascoste, finalmente capii quello che intendeva.
Eravamo lì dentro da tantissimo tempo, eppure, dell'uscita ancora nessuna traccia. Ed io che pensavo fosse una bambinata!
Andavamo continuamente a sbattere contro il vetro degli specchi, facendo tantissimi giri che alla fine non ci portavano da nessuna parte. Riuscimmo ad andarcene soltanto quando una donna addetta ai controlli, spazientita dal nostro via vai, entrò nel labirinto e ci guidò fino all'uscita.
Facemmo anche tanti altri giochi: giostre rimbalzanti, un gioco chiamato 'calci in culo', gli autoscontri e diversi altri.
Stavamo camminando allegri, commentando le nostre mirabolanti avventure quando toccammo un argomento più 'serio'.
"Come mai ti piace tanto il Luna Park?", chiesi curiosa.
"E' una passione che ho da quando sono piccolo", rispose imbarazzato. "A quel tempo ero un enorme fan di Peter Pan e questi giochi di fantasmi, di specchi, di streghe mi sembravano tutti dei nemici da sconfiggere, proprio come capitan Uncino.", sorrise leggermente, scuotendo la testa a quei ricordi.
"Anche a me piaceva molto Peter Pan", proruppi dopo poco. "Mi immedesimavo soprattutto in Wendy, dato che, come a lei, mi è sempre piaciuto leggere ed inventare racconti per bambini... quando poi è uscito il film tratto dal libro, devo dire di esserne rimasta a dir poco estasiata"
"Anche tu?! Davvero? Anche io adoro il film di Peter Pan!", esclamò sconvolto, gli occhi verdi intrisi della solita luce che li accendeva quando era felice.
"Non appena l'ho visto, nel 2003 è diventato il mio film preferito! Sembrava così reale... il mio idolo diventato vero!", s'interruppe un attimo, lanciandomi un'occhiata, "E poi, devo ammettere che Wendy non era affatto male", ridacchiò eloquentemente.
"Hai ragione, Rachel Hurd- Wood è molto carina", mormorai ricordando per quanto tempo avevo desiderato i suoi boccoli dorati e i suoi grandi occhi azzurri.
"A proposito di Peter Pan... non siamo ancora saliti sul mio gioco preferito, quello che lo rappresenta in assoluto", esclamò dandosi una leggera sberla in fronte.
Continuai a camminare seguendo Edward che, al contrario di me, sembrava conoscere il Luna Park come le sue tasche.
Improvvisamente, ci fermammo.
"Allora, qual è il gioco?"
"Questo qui", rispose indicandolo con un cenno del mento.
Aggrottai le sopracciglia, quando lo vidi. Si trattava di un tappeto elastico, composto da tanti rettangolini in cui saltavano spensierati dei bambini.
"Oh, no, Edward. Nono", mi rifiutai categoricamente, scuotendo la testa con fervore.
"Dai, Bella, scommetto che non ci sei mai salita!", mi pregò mettendosi di fronte a me.
"Ma non ci lasceranno nemmeno entrare! Abbiamo diciassette anni, Edward, non quattro!"
Il suo sguardo si fece più duro e determinato. "Peter Pan diceva che le persone non crescono mai, Wendy, e io concordo con lui", disse serio, prima di voltarmi le spalle e dirigersi alla cabina di legno dove stavano due uomini di colore.
"Due biglietti, per favore", mormorò tirando fuori dalla tasca il portafogli. "Per chi?", chiese uno dei due tizi, stralunato.
"Per me e quella signorina", rispose voltandosi nella mia direzione giusto un attimo, il tempo di incontrare i miei occhi.
"Ma è pazzo?", domandò scettico, non accennando a dargli i biglietti.
"Sì, abbastanza da voler saltare su un tappeto elastico con dei bambini di quattro anni", affermò cominciando a togliersi le scarpe.
Ma che cavolo fa? Erano le sole parole che rimbombavano nella mia testa.
Edward salì sulle scalette che conducevano alla palestrina senza essere fermato da nessuno, nemmeno da quei due uomini, talmente sbigottiti da non riuscire a muoversi.
C'era un po' di gente che lo fissava, probabilmente chiedendosi cosa ci facesse lì, eppure lui non ci badava.
Giunse ad uno dei rettangolini liberi e, chiudendo gli occhi, cominciò a saltare in alto, sempre di più. Proprio come se volesse... volare.
Improvvisamente capii cos'era che Peter Pan aveva in comune con quel gioco e qual era il motivo per cui Edward lo amava tanto.
Dimenticai la timidezza, la goffaggine, la mia malattia, il mio essere essenzialmente diversa e lo raggiunsi quasi di corsa, lasciando le scarpe ai piedi della scaletta.
Poi, guardandolo, saltai sul tappeto elastico con lui, tante, tante volte. Mi beai della sensazione di freschezza e di pace donata dai capelli sciolti scompigliati, inciampai e caddi spesso, guadagnandomi le sue risate e quelle degli altri bambini, ma mi sentii libera, come se da un momento all'altro potessi spiccare il volo e raggiungere l'isola che non c'è, con Edward.
Dieci minuti dopo, il ragazzo si fermò, sudato, e mi tese una mano per scendere. L'afferrai con piacere e gratitudine, poi, rossa dalla radice dei capelli alla punta delle scarpe, scesi dalla palestrina a capo chino e recuperai le mie scarpe mentre Edward si sforzava di non ridere della mia espressione.
"Edward!", una voce cristallina e sconosciuta, arrivò alle nostre orecchie, proprio quando avevamo cominciato a parlare e camminare verso un altro gioco.
Ci voltammo entrambi contemporaneamente.
Una ragazza bassa ed esile correva allegra verso di noi, i capelli corti e neri che oscillavano da una parte all'altra. Era molto carina.
"Alice!", esclamò Edward, illuminandosi in un sorriso, quando la ragazza ci raggiunse. "Come hai fatto a trovarmi anche oggi?", domandò divertito.
"Oh, ho soltanto visto la tua chioma 'saltellare' sul tappeto elastico ed ho capito che eri tu", rispose quella, ridacchiando.
Io, intanto, seguivo il siparietto in silenzio, chiedendomi continuamente chi fosse la ragazza, Alice.
Ad un tratto, Edward  si ricordò della mia presenza e decise di presentarci. "Bella, lei è mia sorella Alice", disse semplicemente, indicandola con un festo della mano.
Oh. Sorella.
Chissà perché mi aspettavo una delle sue vecchie conquiste.
"E' un piacere, Bella!", esclamò sorridente, "Ed è anche una gioia vedere che mio fratello esce anche con altre ragazze rispetto a quelle con cui va in giro di solito", quella frecciatina eloquente mi fece trattenere a stento una risata.
Vedere i litigi tra fratelli era sempre bello e avrei desiderato tanto provarne qualcuno anche io, ma purtroppo, ero sempre stata figlia unica.
"Sei adorabile quando fai la suocera, Alice", rispose a tono Edward, sorridendole acido.
"Lo so, me lo dicono tutti!", liquidò in fretta il discorso. "Comunque io sono qui con Jasper e ti ho raggiunto solo per dirti che stasera faccio un po' tardi. Vado dai signori Hardwick, perciò inventati una scusa che vuoi con mamma e papà. Ci vediamo presto, Bella!", si congedò in fretta, sempre col sorriso sulle labbra, prima di ritornare da dov'era venuta.
Sbattei un attimo le palpebre: quella conversazione era avvenuta talmente in fretta da avermi spiazzato.
"Tua sorella è un uragano!", affermai nervosamente.
Se paragonata a me, anche uno tzunami.
"Eh, in effetti sì...", ridacchiò lui. Evidentemente non voleva stare molto sull'argomento.
"Ti è piaciuto il tappetto elastico?", mormorò piano.
"Sì, Peter", calcai bene su quel soprannome, proprio come lui prima aveva fatto con me, chiamandomi Wendy. "Davvero tanto."
"Bene, Wendy, sono molto felice. Posso dirmi perdonato?", domandò infine, sorridente e speranzoso.
Sapevo già quale sarebbe stata la mia risposta, anzi, già la sapevo quando l'avevo visto, lì, all'ingresso dell'ospedale. Quando era tornato da me.
"Sì, diciamo di sì... ma solo se prima esaudirai una mia richiesta", risposi evasiva.
Aggrottò le sopracciglia, confuso. "Quale?"
"Per caso vendono ancora quelle frittelle alla crema e al cioccolato che facevano quando avevo tre anni?"


Finale fantastico, non c'è che dire XD
Ma che brava, mi faccio i complimenti da sola! XD
Buonasera ragazzuole!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Quanto tempo che non ci sentiamo!!!! Adesso però sono tornata, o meglio, il mio PC8 è tornato!!!!!!! ^^
Sono un pochino di fretta, scusate, proprio perché ho finito di scrivere due secondi fa >.<  Perciò passo subito alle cose importanti.
Qualche giorno fa ho letto l'ultimo capitolo della storia "Di carne e di carta", di Mirya, una scrittrice che personalmente venero.
Ecco, lei, in una delle sue note, ha fatto notare come in diverse storie ci siano dei protagonisti che subiscono stupri, vittime di perdite gravi o che hanno delle malattie pericolose come il cancro che, alla fine, come per magia guariscono da tutto e si ritrovano a vivere felici e contenti.
Ebbene, a questo punto mi sono chiesta: 'Non è che c'è qualcuno che pensa così anche della mia fic?'
Nonostante questo sia stato un capitolo allegro (a parte l'inizio), vi dico immediatamente che per Bella non sarà tutto rose e fiori e non vi nascondo affatto che il finale potrebbe essere drammatico. Ancora non l'ho deciso nemmeno io, ma queste cose nella vita succedono, come è successo per una mia amica di infanzia, morta appunto di leucemia.
La mia storia potrebbe essere scritta in suo onore in effetti, dato che non l'ho mai dimenticata, ma riservo un finale drammatico perciò ancora non mi esprimo definitivamente.
Spero soltanto che non ci sia nessuno che pensi che la mia storia sia una cosa da 'prima sono malata e triste, poi incontro Edward, mi innamoro e tutti vissero felici e contenti'. Vi prego, in ogni caso fatemi sapere i vostri pareri! Sia sul capitolo che su questo punto.
Ringrazio infinitamente tutte quante mi seguono, recensiscono o in qualche modo mi fanno sapere che ci sono! Grazie, grazie, grazie!!!!!
Mi dispiace di non essere riuscita a rispondere a tutte le recensioni dello spoiler, prometto di recensire a tutte quelle di questo capitolo!!
Tanti baci!!!!!!!
Vi voglio bene!
Ele

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Capitolo 10
*** Domande ***


Your Guardian Angel


*° Capitolo Nove: Domande °*

 

Driiin. Driiin.
Il suono insistente della sveglia mi ridestò dal breve sonno di quella notte, annunciando un nuovo giorno.
Mi rigirai tra le lenzuola, ancora troppo stanca per alzarmi, beandomi della sensazione di calore che provavo soltanto avvolta dalla copertina in pile blu notte.
Nonostante non accennassi ad alzarmi, sapevo che la sveglia vera e propria sarebbe arrivata entro poco, a causa dell’urlo disumano di …
“BELLA!!!! DEVI ALZARTI!!!”
… Mia madre.
Mugugnando parole senza senso, mi sbattei il cuscino in testa, cercando di dormire ancora un pochino.
“BELLA!!!! LA SCUOLA!!!”
Ormai rassegnata e con un verme per capello, scesi dal letto e, avanzando a tentoni, accesi la luce della mia stanzetta semplicissima: pareti azzurro chiaro, tetto a punta, scrivania in legno e sedia a dondolo, ricostruita perfettamente per ricreare quella che avevo a Forks nel periodo in cui i miei stavano ancora insieme.
Dopo essere passata per il bagno a darmi una sistemata, scesi le scale, sentendo la voce squillante di Renée, al lavoro in cucina.
Non aveva mai avuto problemi ad urlarmi dietro le cose, infatti anche quando si trovava ad un piano di distanza da me, riuscivo comunque a sentirla senza problemi. Anzi.
Phil, ormai sposato con lei da un annetto, era del mio stesso identico parere.
La prima parte della mattina trascorse tranquillamente, nonostante in risveglio ‘brusco’. Come abitudine, arrivai a scuola in ritardo, corsi per i corridoi come una forsennata e, proprio quando stava per suonare l’ultima campanella, mi accorsi di aver dimenticato un libro nell’armadietto.
E fu proprio a quel punto, che iniziarono i ‘problemi’ della giornata.
Quando aprii il mio armadietto, infatti, la mia attenzione venne immediatamente catturata da un soggetto estraneo, un foglietto bianco con bordi rosa shocking che non aveva nulla a vedere con il mio materiale scolastico e che pochissimi minuti prima non c’era.
Circospetta, lo esaminai.
In un primo momento, pensai che si trattasse di uno dei frequenti e stupidissimi scherzi dei miei compagni, ma era una semplicissima busta, sul cui retro era scritto il mio nome, sempre con quel colore appariscente. Una volta appurato che non c’era nulla di ‘sospetto’, l’aprii.
 
Ciao!! Sei invitato al mio party!
31 Ottobre a casa mia dalle 21 in poi. Non mancare!
Jess.
   
Jess, ovviamente, stava per Jessica Stanley, una delle tante ragazze popolari nella scuola, oca e cheerleader per professione.
Non mi aveva mai rivolto la parola né tanto meno mai invitato ad una delle sue feste. Possibile che adesso invece l’avesse fatto?
Scettica e confusa, controllai nuovamente il retro della busta, sicura di aver letto male. Il mio nome invece se ne stava ancora lì, al centro della pagina orizzontale.
Il suono stridulo dell’ultima campanella mi costrinse a prendere il libro che avevo dimenticato in precedenza ed a lasciare l’invito nell’armadietto.
A quello avrei pensato più tardi.
 
* * * * * *
 
 “Hai sentito, Jess da’ una festa!”
“Stai scherzando?! Deve essere una cosa e-s-c-l-u-s-i-v-a!”
“Certo! La organizza a casa sua! La sua mega villona con piscina e quattro campi da tennis!”
“Oh, quanto mi piacerebbe andarci! Sarebbe fighissimo!”
Le esclamazioni concitate riguardo alla festa di Jessica ormai si sentivano ovunque: nei corridoi, in classe, a mensa … gli studenti non facevano altro che parlarne.
Grazie a tutte quelle informazioni spiattellate in giro con noncuranza e un pizzico di invidia, al contrario di ciò che avevo pensato inizialmente, scoprii che la festeggiata non aveva invitato tutta la scuola, me compresa di conseguenza, ma soltanto poche persone di una certa categoria.
Categoria a cui io di certo non appartenevo neanche un po’.
Comprendere il motivo per cui ero stata invitata, perciò, mi era impossibile.
Seduta al mio solito tavolo della mensa, in disparte dal resto degli studenti, maledivo quella cretina di Jessica e il suo invito. Per colpa sua, avrei dovuto inventarmi una scusa e far di nuovo la figura della sfigata che non ha nemmeno il coraggio di andare ad una festa la notte di Halloween.
Quando vidi comparire proprio l’oggetto dei miei pensieri, ondeggiando ed ancheggiando come poche, tutto fu chiaro.
Ero a conoscenza della sfilza di fidanzati che Jessica e le sue amiche avevano e che cambiavano come massimo ogni mese, ma non mi era mai passato per la mente che potesse essere proprio il suo ragazzo il motivo del mio invito.
Guarda caso, si trattava proprio di Mike Newton, il vecchio amico di Edward che, tra l’altro, l’aveva visto sprecare con me un pomeriggio.
Era davvero questo il motivo? Era soltanto merito – o colpa – di Edward se ero stata invitata?
Le mie domande, però, furono messe immediatamente a tacere quando osservai meglio Jessica e gli altri sedersi ad un grande tavolo di forma circolare, ridendo e scherzando.
La mia attenzione ormai non era più concentrata sulla festeggiata, ma su una sua amica.
Con un groppo in gola, contemplai la pelle chiara, candida e all’apparenza morbida, gli occhi celesti, i lunghi capelli biondi che ricadevano in un’onda delicata sulla sua schiena, il corpo formoso e snello …
No, non poteva essere lei.
Mi sforzai di girare la testa dall’altra parte, di distogliere lo sguardo, ma la mia mente mi ripresentava la figura di quella ragazza in tutta la sua perfezione.
Che fosse davvero quella? La Tanya di cui avevo così tante volte sentito parlare da Edward?
Non riuscendo a resistere, sbirciai nuovamente nella sua direzione, cogliendola a ridere elegantemente.
Ecco, decisamente quello non ci voleva.
Stringendo i denti, mi imposi di non pensarci, di non guardarla e, soprattutto, di trattenere quell’impulso che mi urlava di mollarle un ceffone in faccia, per qualche strano e sconosciuto motivo.
Potevo rimproverarla di essere così bella? O, anzi, di essere così bella rispetto a me?
Non c’era affatto da stupirsi che Edward la frequentasse, serie o no che fossero le sue intenzioni.
Abbandonai la testa su quello che ormai tutto chiamavano ‘il tavolo sfigato’, sperando di trovarmi in un incubo e di risvegliarmi presto.
 
Quando arrivai a casa alle tre del pomeriggio, dopo aver salutato frettolosamente mia madre, mi chiusi in camera mia, decisa a studiare a più non posso e a nascondere il cellulare in qualche posto remoto della casa perché non avessi la tentazione di chiamare Edward.
Una volta che l’ebbi ficcato circospetta in uno dei cassetti del bagno, ritornai alla scrivania, provando a concentrarmi soltanto su biologia e, in particolare, sulla paleontologia.
Attorno alla metà del XVII secolo, i geologi avevano già iniziato a cartografare gli strati orizzontali di rocce sedimentarie della crosta terrestre …
Ma Edward allora è così influente anche nella mia scuola?
… Tali strati erano stati depositati a poco a poco l’uno sull’altro, nel corso del tempo, ed erano chiaramente visibili nei siti dove …
E se invece non c’entrasse nulla? Se non conoscesse Jessica Stanley?
… l’erosione o gli scavi avevano inciso profondamente la terra …
E quella Tanya … chissà se è lì con lui in questo momento …
Chiusi il libro con un tonfo, ormai conscia che non sarei mai riuscita a studiare con tutti quei pensieri per la testa.
Dopo essermi alzata di scatto dalla sedia, corsi in bagno a recuperare il cellulare, faticando non poco per trovarlo e ricordarmi dove l’avevo messo.
Digitai in fretta e furia il numero di Edward e, ascoltando il solito ‘tu … tu … tu …’, cercai di regolarizzare il mio respiro.
Rispose dopo tre squilli.
Pronto?
“Conosci una certa Jessica Stanley?”, sputai fuori come prima cosa.
Ciao, Bella. Sto molto bene, grazie per la spontaneità con cui l’hai chiesto”, rispose ghignando.
Alzai gli occhi al cielo. “Ciao, Edward”
Ridacchiò, divertito.
Vedo che ti sei ricordata dell’educazione, per una buona volta”, mi sfotté ancora.
Sbuffai. “Dai, Edward, mi puoi rispondere, gentilmente?” 
Jessica Stanley hai detto?”
“Sì, proprio lei”
Occhi e capelli castani, bel fisico e carnagione olivastra?”, domandò nuovamente, come a farmi il terzo grado.
“Esattamente”, sperai di non doverlo ripetere più allora.
Allora sì”, s’interruppe. “Perché?
“Perché non mi ha mai rivolto la parola in vita sua e oggi se n’è spuntata con un invito alla sua esclusiva festa di Halloween.”, spiegai acida.
Non sembrò parecchio sorpreso o stupito, probabilmente perché lui non aveva mai visto come si comportavano solitamente con me. “Oh, se vuoi saperlo ci sarò anch’io. E anche mia sorella
Sbuffai. Come se ci fosse da domandarselo.
“E sei a conoscenza, caro il mio fighetto, del fatto che Jessica sta con Mike?”, continuai con quel tono sarcastico.
Davvero?! Quanti nuovi sviluppi mi sono perso?”, la seconda domanda la borbottò quasi tra sé.
“Non saprei … ma penso che Mike abbia detto a Jessica che noi due ci conosciamo e che sia questo il solo motivo per cui sono stata invitata”, spiegai.
Può darsi: sono molto popolare anche nella tua scuola!”, esclamò vantandosi.
“Ma che modestia, Peter … sembra che tanti dei tuoi amici frequentino il mio stesso istituto, in effetti …”, la buttai lì, mirando a qualcosa di ben più preciso che aveva preso immediatamente la precedenza rispetto alla festa di Halloween.
Sì, in effetti è vero. Mike, Jessica e … altri”, assentì, confuso dalla mia affermazione di prima.
“Tra 'altri' c’è anche la tua Tanya …? Mi è sembrato di vedere una ragazza che le somigliasse oggi a mensa …”, farfugliai, vergognandomi come una ladra.
Tanya? No, no. Tanya va nella mia scuola. Quella che devi aver visto è sua cugina Irina.”
“Oh.”
Sospirai sonoramente, da una parte felice del fatto che il nemico non frequentasse la mia scuola e dall’altra preoccupata della sua presenza decisamente troppo vicina a Edward.
Preoccupata?
Il nemico?
Mi stupii io stessa dei miei pensieri mentre scuotevo leggermente la testa, come a liberarmene.
“Sono molto … carine, ecco”, mormorai, percependo perfettamente l’eufemismo.
Dall’altra parte, però, udii soltanto un silenzio ricco di fruscii.
“Edward?”
Nessuna risposta.
“Edward, ci sei ancora?!”
Scusa, Bella … stavo controllando mia zia.”
Quella risposta mi spiazzò. “Controllavi tua zia?!”, chiesi profondamente scettica.
In quegli ultimi giorni, oltre ad approfondire la mia amicizia con Edward, avevo avuto l’opportunità di conoscere la sua prozia, l’inimitabile signora Carmen.
Era una donna allegra, solare, lamentosa e permalosa quando la gamba ingessata le faceva più male del solito, allergica agli ospedali proprio come me e suo nipote; il suo adorato nipote.
Eh sì, nutriva un affetto incredibile nei confronti di Edward e, ogni volta che lui la lasciava anche solo per andare in bagno, una maschera di tristezza sostituiva quell’espressione solare e calda che solitamente la caratterizzava.
Sì, davvero!”, esclamò con vigore Edward. “È da qualche giorno che è strana, te l’ho detto!
“Le fa male la gamba?”
No, la gamba non c’entra nulla. Però ha dei comportamenti strani”, disse evasivo.
“Di che tipo?”
Guarda il vuoto sorridendo come un ebete, canticchia mentre facciamo il solito giretto per il corridoio, quando le parlo non mi ascolta … sembra in trance!
“Hai provato a parlarne con i medici? Magari è grave”
No, non ne ho parlato con nessuno … però quelli che ha mi sembrano tutti sintomi dell’Alzheimer
“Edward!”, lo rimproverai, non riuscendo a trattenere una risata. “Sei crudele!”
Crudele un corno!”, rise anche lui. “I segnali ci sono tutti, te l’ho detto”, s’interruppe un attimo. “Ecco, ad esempio, fino ad un secondo fa fissava il vuoto, ed ora che è appena passato un gruppetto di anziani malconci come lei, ha addirittura gli occhi che luccicano!”, disse concitato.
“Mah … chiederò ai miei, ok?”
Va bene. Adesso però ti devo lasciare. Sembra possa svenire da un momento all’altro
“Trattala bene, Edward, e non parlare dell’Alzheimer!”
Contaci!”, ghignò. “Ci vediamo, Bella. Quando riesci, passa all’ospedale, ok?
Mi ritrovai a sorridere a quella sua affermazione. “Certo. Un bacio”, dissi senza pensarci.
Oddio.
Avevo detto … un bacio?!
Un bacio anche a te”, mormorò prima di chiudere la conversazione.
Rimasi a fissare il cellulare per qualche minuto, in testa soltanto il suono melodioso della voce di Edward e il ricordo del suo sorriso.
Quando mi ridestai, scesi le scale lenta, raggiungendo mia madre che stava mettendo i panni sporchi nella lavatrice.
“Mamma, posso chiederti una cosa?”, chiesi entrando nel bagno e chiudendo la porta dietro di me.
“Certo, tesoro”, rispose, ancora concentrata nella sua mansione.
“La prozia di Edward, la signora Carmen, si comporta in modo strano da qualche giorno.”
“Mmm?”
“Guarda il vuoto sorridendo, canticchia, entra in una specie di trance …”
“Davvero?”, domandò, sollevando la testa e fissandomi con quei suoi occhi grandi e blu, da bambina.
“Sì, Edward dice così. Ed è un po’ preoccupato … secondo te di che cosa si tratta?”
La vidi sorridere, consapevole di qualcosa che io ignoravo completamente.
“Penso di aver capito …”
“E anche io!”, proruppe Charlie, spalancando la porta del bagno ed entrando.
“Questo bagno sta diventando decisamente affollato”, dissi acida.
“Scusa, Bells. Non ho potuto fare a meno di ascoltarvi”, si giustificò lui, prima di affiancarmi e di circondarmi le spalle con un braccio.
Dato che nessuno si decideva a parlare, lo feci io, un po’ spazientita. “Allora?”
“Be’ … direi che la signora Carmen soffre della tua stessa malattia”, rispose papà.
Strabuzzai gli occhi. “Oh santo cielo! Ha il cancro?!?!”
Renée e Charlie risero insieme, lanciandosi un’occhiata. “No, tesoro. La signora Carmen ha le tue stesse reazioni di quando tu torni da una giornata trascorsa con Edward, oppure quando ti vediamo chiacchierare con lui … è semplicemente innamorata”, spiegò dolcemente Renée.
Eh? Era questa l’unica parola che rimbombava nella mia testa.
Sbattei le palpebre, certa di aver capito male.
Era davvero così come dicevano loro? Avevo impiegato così poco per abbattere tutte quelle difese create in diciassette anni di vita, per demolire la grande muraglia che mi separava del resto del mondo? Avevo davvero impiegato così poco tempo per … innamorarmi di Edward?




Buongiorno a tutti!!!!!! Buon 2011!!!!!!!!!! ^^
Ecco di nuovo la cretina che il primo dell'anno, al posto di festeggiare, mangiare e giocare a carte, si mette a scrivere capitoli.
Che ci volete fare, quando l'ispirazione arriva non bisogna far altro che accoglierla!

Ok, dopo questi auguri, passiamo al capitolo. Penso che 'Domande' sia il titolo più appropriato, dato che Bella non fa altro che porsele.
Prima il perché dell'invito di Jessica, poi per Tanya e, infine, sul suo essere innamorata di Edward.
Ecco... su questo ultimo punto avrei delle cose da dire.
Bella non è sicura di essere innamorata di Edward. I suoi genitori lo dicono, e va bene, ma anche a loro è chiaro che a Bella PIACE Edward. Starà poi a lei capire se ne è innamorata o meno.
La signora Carmen è un personaggio che ci tenevo ad inserire. E' molto diversa dalla signora Claire di Missione d'Amore e aiuterà Bella a capire i suoi sentimenti per Edward, proprio come la ragazza la aiuterà a capire i suoi sentimenti per un signore - vedovo come lei - molto bello che gironzola nell'ospedale da un po'. Eh, si sa, il fascino del capello brizzolato... XD
Passando al capitolo scorso, vi voglio ringraziare INFINITAMENTE per le ben 11 RECENSIONI!!!!!!!!!!!! *.*
Possono sembrare poche, in effetti, ma da quando scrivo non ne ho mai ricevute così tante per un capitolo solo (se non in una OS) perciò immaginate quanto mi abbia fatto piacere!
Ringrazio inoltre le 41 che preferiscono, le 16 che ricordano e le 94 che seguono!!!!! AmoVI!!!!!!! *.*
Grazie davvero per tutto! Mi auguro stiate trascorrendo delle buone feste insieme ai vostri cari!
Tanti bacioni!
Ele

P.S. Ricordo a tutti quelli che volessero leggere, la mia OS natalizia su Edward e Bella, un piccolo ringraziamento per tutte voi che mi seguite ^^
La potete trovare QUI
Ancora baci!

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Capitolo 11
*** Sorriso ***


11
Your Guardian Angel


*° Capitolo Dieci: Sorriso °*


POV EDWARD

 
“Edward, Edward, sei proprio una femminuccia”, canticchiò Alice, nel tentativo di distrarmi.
“Oh sì, proprio una femminuccia. Guarda caso, ti sto battendo, sorella!”, esclamai sferrando l’ennesimo colpo.
Una battaglia a suon di movimenti di telecomando, ecco cos’erano le partite di tennis con la Wii, anche se noi della famiglia Cullen le consideravamo più sacre di qualsiasi altra cosa, la vittoria fondamentale neanche stessimo combattendo una guerra mondiale.
“Seee, come no. Preparati, perché sto per iniziare a giocare seriamente”
“Tu?”, chiesi scettico non riuscendo a trattenere un ghigno e un’occhiata verso di lei. “Da quando tu giochi seriamente?”
Non mi potevo mai concedere un momento di distrazione con Alice, lo sapevo e continuavo a ripetermelo, ma non per questo riuscivo a rimanere sempre concentrato.
La schiacciata che fece, infatti, fu potente e veloce, sferrata proprio nell’istante esatto in cui mi ero voltato.
“Sì! Te l’avevo detto, Edward, che non mi sarei lasciata battere.”, trillò allegra e soddisfatta.
Grugnii, spostando lo sguardo verso le mie mani. “Cazzo di telecomando”, dissi all’oggetto bianco, giusto per prendermela con qualcuno – o meglio, qualcosa.
“Edward.”, mi richiamò mia madre con voce severa, tipica di quando mi beccava a dir parolacce. E dire che si trovava a ben due stanze di distanza con, per di più, la porta chiusa.
Io e i miei fratelli non eravamo mai riusciti a capire come facesse ad alzare sempre le antennine quando si trattava di parolacce o banali volgarità, finendo per coglierci sempre in fallo.
“Scusa, mamma!”, urlai in risposta, ottenendo il solito sorrisetto divertito da parte di Alice.
Stavamo per riprendere con la partita quando una voce pacata e tranquilla ci interruppe.
“Signorina Alice, signor Edward, volevo informarvi che la cena è pronta”, Siobhan, la nostra governante, era una donna di origini egiziane educatissima e compita: non aveva mai sbagliato una sola mansione da quando era stata assunta nella nostra casa, due anni prima.
Certo, avevo messo un po’ di tempo per convincerla che non doveva chiamarmi ‘signorino Edward’. Mi sapeva tanto di Colin, il cuginetto viziato di Mary Lennox, personaggio de ‘Il Giardino Segreto’ che avevo sempre detestato con tutto me stesso.
Effettivamente non ero riuscito a convincerla del fatto che poteva permettersi l’enorme libertà di chiamarmi semplicemente col mio nome di battesimo, ma ‘Signor Edward’ mi sembrava decisamente meglio.
“Mi sa che ci tocca, Alice …”, mormorai sarcastico, sapendo che in questo modo avremmo dovuto lasciar perdere la partita di tennis e, di conseguenza, la sua vittoria.
Lei strinse gli occhi, indispettita. “Ti è andata bene.”
Continuammo a battibeccare anche in bagno, mentre ci lavavamo le mani e ci schizzavamo come quando eravamo piccoli, senza alcun pensiero. Ad un certo punto, però, sentimmo il tipico rumore metallico della serratura e il conseguente arrivo di nostro padre.
“Giusto in tempo per la cena, papà. Come fai ad avere sempre questa precisione?”, scherzai facendo capolino dal corridoio, proprio mentre Carlisle consegnava accuratamente il suo giaccone leggero a Siobhan.
“Edward, figliolo!”, mi salutò felice, con quegli occhi azzurri sempre sereni, nonostante la stanchezza di una tipica giornata di lavoro.
“Ciao, papà”, gli diedi una pacca sulla spalla, rispondendo al saluto mentre ci incamminavamo verso la cucina, desiderosi di gustare le pietanze di Siobhan.
Incredibile come il silenzio, non appena assaggiammo il primo boccone, aleggiasse tranquillo nella stanza ampia, riempito soltanto dal rumore delle posate, dei bicchieri di vetro e delle nostre mandibole.
La cucina italiana era quella che la nostra governante preferiva in assoluto – e anche io, ad essere sinceri – e in cui ci si cimentava più frequentemente.
Quella sera aveva preparato un altro di quei deliziosi manicaretti: le lasagne al sugo.
“Come è andata la giornata, caro?”, chiese Esme con un sorriso tenero in volto, interrompendo momentaneamente l’assalto al piatto ancora fumante.
“Molto bene, nonostante sia stata impegnativa. Ho avuto a che fare con due gravi interventi in mattinata! Ah, Edward, ti ho visto questo pomeriggio …”, esclamò richiamando la mia attenzione. “… in compagnia di una ragazza”, concluse senza riuscire a trattenere un sorrisetto.
Mi ritrovai improvvisamente con tutti gli occhi della famiglia addosso, quelli caldi e comprensivi di Siobhan compresi, come ogni qualsiasi altra volta si parlasse di ragazze per me o di ragazzi per Alice.
La ragazza in questione, senza ombra di dubbio, era Bella, l’unica con cui avevo passato quasi tutta la giornata.
Ci eravamo divertiti molto, quel giorno, nel cercare informazioni sull’innamorato di zia Carmen, tale Eleazar.
“Edward! Non pensavo che portassi le tue conquiste anche in ospedale!”, commentò Alice con una risatina, ricominciando a mangiare immediatamente per non beccarsi una delle mie occhiate assassine.
“Ero con Bella”, risposi piccato e con una punta di orgoglio.
“Chi è Bella?”, ecco che i miei partivano con l’interrogatorio.
“E’ una ragazza molto carina, non c’è da preoccuparsi”, si affrettò a tranquillizzarli mia sorella mentre io aprivo la bocca, in procinto di rispondere.
“Frequenta la tua scuola?”
“No, va in quella di Mike, Jessica, Victoria e Irina. Te li ricordi?”
“Oh, certo! E Mike! Ancora ricordo quando giocavate sempre insieme all’asilo! Eravate inseparabili, davvero due splendidi angioletti!”, esclamò Esme, gli occhi resi improvvisamente lucidi dall’ondata di nostalgia.
“Adesso è un po’ cambiato”, mormorai con ovvietà.
“Be’, sarebbe stato strano se non l’avesse fatto. Sei cambiato anche tu, però, Edward. Ogni sabato sera in discoteca … tante ragazze intorno … come questa Bella, no?”, domandò sollevando un sopracciglio, facendomi capire che era proprio lì che voleva arrivare.
“No, no, no, no!”, risposi con enfasi e velocità.
“Siamo solo … amici”, mentre queste parole uscivano dalla mia bocca, però, non facevo altro che rifletterci, pensare a come questa definizione poteva essere esatta.
Prima di conoscere Bella, utilizzavo la parola amica per definire una ragazza con cui avessi parlato anche soltanto cinque minuti del tempo meteorologico. Era per questo che non avevo esitato un attimo a chiamarla così il giorno che mi aveva presentato a sua madre o il motivo per cui facevo fatica a ricordarmi di tutti i miei amici: sbagliavo a considerarli tali.
Solo grazie a Bella ai nostri discorsi paurosamente filosofici, avevo compreso che amico era una definizione importante, da non usare a caso e per chiunque.
Ma ora che definizione stavo fornendo ai miei genitori, parlando di Bella? Di quegli amici che non dovevano essere considerati tali oppure di una persona in cui avevo imparato a riporre la mia fiducia?
Mi tornò alla mente, come un flashback, il nostro pomeriggio, proprio nel momento in cui, mentre inseguivamo con finta indifferenza il nonnetto olivastro, i lacci della sua scarpa le avevano intralciato il percorso e, scusandosi, si era dovuta abbassare per annodarli.
Un gesto normalissimo, privo di qualsiasi malizia o doppio senso … e allora perché i miei occhi si erano attaccati senza alcun pudore al suo fondoschiena?
Effettivamente, altre volte era capitato che certe ragazze si chinassero soltanto per mostrare le proprie forme ai miei occhi e mettersi in mostra, ma Bella … nei suoi movimenti c’era sempre una così grande innocenza che non potevo assolutamente permettermi di pensare che avesse un secondo fine.
Era una ragazza molto carina, nonostante si rifiutasse anche solo di pensarlo, e, in quanto a tale, i miei occhi, da quando l’avevo vista per la prima volta, non avevano potuto fare a meno di seguire le curve armoniose del suo corpo, appena pronunciate e nascoste dagli abiti pesanti e semplici.
Quando si era rialzata, mi aveva sorriso non solo attraverso la piega delle labbra, ma anche con gli occhi, caldi e profondi nel loro colore simile a quello del cioccolato.
Una miscela bollente di Nutella fusa in cui sempre più spesso desideravo annegare.
Che sfaccettatura della parola amica avrei dovuto intendere, a quel punto?
Dovevo incominciare a riflettere a lei come una delle mie potenziali conquiste?
Quando avevo pensato a lei in questi termini, il giorno dopo il nostro incontro giusto perché non avevo nulla di meglio da fare, mi ero quasi messo a ridere.
Bella era … totalmente opposta a tutte quelle che erano e rimanevano le mie ragazze, ex ed attuali. Loro avevano una vita sociale decisamente più attiva, avrebbero voluto diventare modelle, non avevano pensieri seri e morali. O, se li avevano, non ne parlavano affatto. Erano diverse.
Anzi, Bella era diversa.
Eccolo, avevo improvvisamente trovato l’aggettivo più adatto a lei.
Era differente da tutte le compagnie a cui ero abituato, faceva sorgere quella parte di me che non credevo nemmeno di possedere, una sfaccettatura comprensiva e sensibile, capace di ascoltare gli altri.
In un primo momento avevo preso l’amicizia con Bella un po’ come una sfida con me stesso e la mia apparente bellezza, nonostante adesso me ne vergogni.
Vederla così agguerrita, seria e testarda era ciò che mi aveva spronato a provarci, a far sì che a poco a poco si sciogliesse, diventasse come creta nelle mie mani, disposta a fare qualsiasi cosa sotto mia richiesta.
Si trattava di una sfida che comprendeva come risultato finale il conquistarla, fare in modo che stravedesse per me, così come ogni altra ragazza – eccetto mia sorella, è chiaro.
Non so dire come, con il passare del tempo, questo scopo sia cambiato. Non so davvero come fare, come capacitarmi del fatto che adesso la mia priorità non è solo quella di vederla sorridere una volta ogni tanto, ma che quell’adorabile smorfia, quella testimonianza della sua felicità, rimanga sul suo volto tutto il giorno, ogni giorno.
 
 
POV BELLA
 
“Zia, è inutile che continui a far finta di nulla. Sappiamo tutto.”
Edward le si muoveva leggiadro intorno, sempre con quella sua aria scanzonata a senza pensieri. Da Peter Pan, l’avevo mentalmente definita.
Trattenni una risata per il tono solenne che aveva usato, limitandomi a rimanere seduta sulla barella di Carmen, proprio vicino a lei.
Edward mi aveva spronato ad approfittare dell’assenza della donna che condivideva la stanzetta con sua zia per poterle parlare.
Il giorno prima c’eravamo dati parecchio da fare per riuscire a capire chi fosse l’uomo a cui erano rivolti costantemente i suoi pensieri dato che era spesso e palesemente assente con la testa e … forse anche con il cuore.
“Edward, perché continui a dire queste cose? Non c’è assolutamente nulla che dobbiate sapere!”, rispose stizzita lei, arrossendo ed abbassando lo sguardo sul suo grembo.
“Non sono sempre stato il tuo preferito? Non ti ho sempre detto quali ragazze mi piacevano?”, continuò imperterrito con sguardo tenero.
“Sì, sì. E’ vero. Ma questo cosa c’entra?”
“Vede, Carmen,”, m’intromisi, “abbiamo capito qual è il motivo dei suoi sbalzi d’umore e del suo essere perennemente in un altro mondo”
“Ah … sì?”, gracchiò stringendo la presa sui braccioli della sedia rotelle.
“Eh, già. Sa com’è, anche suo nipote è dotato di intuito femminile …”
“Ehi! Non è vero!”, si lamentò dandomi una gomitata mentre Carmen ridacchiava.
“E sappiamo anche chi è la causa”, continuai piegando la testa di lato.
La sua risata si interruppe di botto mentre gli occhi si strabuzzavano. “L’avete pedinato?!”
“No, assolutamente!”, esclamai nel momento esatto in cui Edward rispondeva ‘Sì’ con molta nonchalance.
La carnagione dorata del viso della donna si tinse immediatamente di rosso mentre tentava di capacitarsi della cosa. “Lui … io non so nemmeno se sia sposato o …”
“E’ vedovo, zia, proprio come te. Ormai da tanti anni”, la interruppe  gentilmente il ragazzo.
Carmen sbatté le ciglia, frastornata. “Eleazar è vedovo?”, mormorò quasi tra sé e sé.
“Vedi che è Eleazar? Non poteva certo essere il broccolo che si porta sempre dietro!”, mi disse concitato Edward, desideroso di far emergere la sua ragione, per una volta che la possedeva.
“Guarda che nemmeno Alistair è così male!”, ribattei.
Il giorno precedente avevamo avuto dei seri problemi nell’individuare chi fosse l’uomo per cui Carmen si era presa una cotta. Avevamo notato subito che il suo sguardo, non appena passavamo per il corridoio, si fiondava verso una coppia di uomini dalla pelle olivastra, i due fratelli Eleazar e Alistair.
Il primo aveva un fascino indiscutibile grazie a quegli occhi neri, i capelli brizzolati, la carnagione e quell’aria da misterioso principe del deserto. Si trovava all’ospedale per seri problemi di cuore. Il secondo invece, molto simile al fratello per tratti somatici, non aveva nello sguardo quella calma tipica degli orientali, al contrario, era molto agitato e nervoso, spesso colto da tic alla testa e alle mani.
“Dovreste provare a parlargli”, la incitai con un sorriso.
Carmen era una donna molto bella ed elegante, nonostante le sue continue lamentele sulla salute e la situazione della sua gamba e non avrebbe avuto nulla da perdere se avesse scambiato qualche parola con l’affascinante egiziano.
“No, non posso.”, rispose rassegnata, sul volto un’ombra di tristezza infinita. “Suo fratello gli sta sempre alle costole e la mia gamba … no, non posso. Non sarei mai degna di lui”
Nonostante la situazione non fosse certo allegra, mi ritrovai a sorridere, riflettendo su come ogni persona, giovane o no, avesse sempre dentro di sé una parte adolescente, difficile, permalosa, pessimistica.
L’avevo imparato da tantissimo tempo, ormai, dato che proprio mia madre ne era la prova. Renée era un po’ differente dalla maggior parte degli adulti: non tentava nemmeno di nascondere questa parte da teenager, anzi, la teneva a pari livello di quella matura e risoluta che, anche se spesso, scherzando, dicevo non esistesse, faceva comunque parte di lei.
“Scusatemi, adesso vorrei restare un po’ da sola”, mormorò con gli occhi bassi, muovendo freneticamente le mani sudate sulle ruote della sedia a rotelle e allontanandosi da noi.
La porta della stanzetta che le era stata assegnata era socchiusa, perciò le bastò una lieve spinta per aprirla e avviarsi nel corridoio, sempre costretta su quella particolare seggiola.
Edward sospirò, afflitto, sedendosi accanto a me sulla barella.
“E adesso cosa facciamo?”, chiese sconsolato.
“Edward, se un tuo amico non avesse il coraggio per chiedere di uscire alla ragazza che gli piace cosa faresti?”
“Be’, prima di tutto mi accerterei dell’identità della ragazza. Sia mai che un mio amico si interessi ad una che mi piace.”, rispose schioccando la lingua e ritrovando l’ironia di sempre, dopo un attimo di perplessità.
“Dopo questo tuo accertamento?”, continuai alzando gli occhi al cielo.
“Proverei ad aiutarlo, in qualche modo.”
“Vedi che non sei così deficiente, in fondo?”, chiesi ridacchiando e alzandomi in piedi.
“Bella, non c’è che dire, i tuoi costanti complimenti mi lusingano”, esclamò sarcastico.
“Dobbiamo aiutare tua zia a superare questa crisi del ‘non sono degna di lui’ e … sì, prendere in mano la situazione”
“Hai in mente qualcosa, vero?”, domandò retorico, inarcando un sopracciglio e sorridendo sghembo.
Annuii solenne, imitando la sua espressione di poco prima. “Forse per la prima volta”.
Pronunciando queste parole, mi resi conto che erano vere, che non mi ero mai impegnata in nulla, che non avevo mai progettato nulla.
Ma, come si dice, c’è sempre una prima volta.
 

* * * * * *
 
Il vento tra i capelli, le luci calde e tenui della sera, il rombo della moto …
Erano queste le uniche cose a cui pensavo, le uniche cose che mi circondavano in quel momento.
E mi chiedevo perché.
Perché in quel momento, con le braccia attorno alla vita di Edward, sulla sua Ducati, i miei unici pensieri fossero cose normali, felici, serene. Mi domandavo come mai le ansie per la mia solitudine, la mia malattia, la mia estrema voglia di morire fossero lontane.
Eppure la sentivo l’aria fresca tra i capelli, quei capelli che in ogni istante mi ricordavano stessero cadendo a ciocche, sempre di più, sempre più spesso. Li ritrovavo la mattina appena sveglia, sparpagliati sul cuscino su cui avevo appena dormito oppure sul pavimento della mia camera, del bagno, ammucchiati in angoli.
Perché in questo momento è tutto così semplice?
Perché pensare a come risolvere il piccolo problema amoroso della signora Carmen riusciva ad alleviare questi tormenti, a farmi dimenticare?
Non li consideravo illusioni come quei libri che leggevo, però. Edward era reale, infatti, non era frutto della mia fantasia, era una persona in carne ed ossa che si era intestardito con me, per qualche motivo. Ma non sapeva della leucemia.
A volte pensavo a come sarebbe stato se glielo avessi detto così, subito, senza pensarci. “Sono qui all’ospedale perché ho il cancro, qualche problema?”
Probabilmente si sarebbe allontanato, si sarebbe scusato per aver fatto troppe domande e non gli avrei più rivolto la parola. Oppure, se nonostante questo avrebbe tentato di approfondire la conoscenza, ero sicura che avrebbe assunto un atteggiamento di compassione, pena, lo stesso che a volte leggevo negli occhi di mia madre, o di Phil, o di papà.
Può una malattia cambiare tutto?
Senza che riuscissi a trattenermi, qualche lacrima sgorgò dagli angoli degli occhi, andando a inumidirli.
Edward dovette accorgersene, spiandomi dallo specchietto retrovisore, perché la sua mano abbandonò il manubrio ed andò a sfiorare gentilmente le mie, ancorate ai suoi fianchi senza stringere troppo.
Com’era facile per lui.
Nonostante fosse un ragazzo, spesso vedevo in lui un bimbo insicuro, ignaro delle sofferenze della vita, della delusione. Ed è giusto così, mi dicevo, dovrebbe essere così. Che non fosse a conoscenza del dolore, ma di quelle piccole cose – il Luna Park, il giro in centro, Peter Pan, la scrittura di un libro, un sorriso stampato sempre in volto, battutine e risate allegre – che, secondo lui, rendevano la vita degna di quel nome, degna di essere vissuta.
E a volte mi sorprendevo ascoltando queste sue idee di speranza, ricordando che aveva la mia stessa età e non tante differenze rispetto a me se non degli amici su cui contare e la salute, elementi che mai avevo considerato così tanto come allora.
Forse, quando già dall’asilo me ne stavo per i fatti miei, lontano dalle bambine e dalle loro barbie troppo costose, avevo preteso troppo dalla vita. Un principe azzurro pronto ad arrivare ad ogni schiocco di dita, tanti amici che non mi giudicassero né rimproverassero, dei genitori che andavano d’amore e d’accordo, un universo il cui centro ero io.
E allora come mai in quel momento ero felice?
Strofinai la guancia umida contro la spalla di Edward, ascoltando il suo respiro calmo e sorridendo, ricordando che era proprio una sua frase la risposta alla mia domanda.
Non c’è bisogno di ricchezza e popolarità per essere felici, basta avere dei punti fermi, delle piccole gioie anche di un solo momento. A quel punto non avrai bisogno di sogni irrealizzabili: sarai contento così come sei, con un sorriso.



*Spunta da un angolino con un sorrisino angelico e l'aureola sulla testa*
Perdono!!!
Chiedo umilimento perdono per il ritardo!
Durante le vacanze ho avuto un bruttissimo periodo e anche se sono stata a casa in questi ultimi tre giorni e avrei potuto scrivere, non ci sono riuscita per colpa della febbre >.<
Il capitolo sarebbe dovuto durare di più, ma se avessi aggiunto anche l'ultima parte sarebbe risultato estremamente lungo perciò l'ho concluso con le riflessioni di Bella.
Penso di aver scritto un capitoletto abbastanza ricco di informazioni non solo dalla parte della nostra eroina ma anche da quella del nostro mito (permettetemi di chiamarlo così! XD) mettendo in luce i suoi pensieri su Bella, la sua condizione economica e familiare ... a proposito di quest'ultima: vi sembra manchi qualcuno nel quadretto familiare dei Cullen? Un qualcuno che non è nemmeno mai stato nominato?
Vi lascio alle vostre riflessioni ù.ù
Il giorno precedente a quello descritto, Edward e Bella hanno fatto un giretto all'ospedale per scoprire qualcosa su questo Eleazar e origliando qualche conversazione hanno saputo i motivi per cui è lì all'ospedale e chi è quella piovra che gli sta sempre accanto (XD). Di conseguenza hanno voluto far aprire la zietta e far sì che confidasse loro la sua cotta per il principe del deserto. Come dico io, il fascino del capello brizzolato colpisce ancora ... XD
Le risposte alle recensioni arriveranno piano piano, sperando che la febbre mi lasci un po' di tregua!
Recensite, per favore!!!!!
Ringrazio immensamente tutte quante, per ogni bella parola ed ogni sorriso che mi regalate.
Vi voglio bene!
Bacioni,
Ele :***

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Capitolo 12
*** Speciale ***


Your Guardian Angel

*° Capitolo Undici: Speciale  °*


POV BELLA
 
“Perciò dovremmo organizzar loro un appuntamento?”, domandò Edward giocherellando con il tappo blu della biro, rigirandoselo in mano e mordicchiandone la punta di tanto in tanto.
“Sì. E vedi di non ingoiare quel coso!”, esclamai seccata, rubandoglielo di mano con un movimento repentino.
“Come siamo gelose …”, mormorò con tono di scerno.
“Dovresti solo ringraziarmi. A momenti l’avresti mandato giù sul serio e poi all’ospedale ci saresti finito tu, come paziente, altro che quella povera donna di tua zia! ”, ribattei mentre, aprendo uno sportello, cercavo un foglio pulito su cui scrivere.
“Sei fatalista”, affermò solenne, afflosciandosi sulla sedia spaiata della cucina.
“Realista, vorrai dire”, lo corressi con indifferenza.
“No, no. Fatalista, cara Bella. Oltre che scontrosa, permalosa e cocciuta, ovvio”, confermò con un sorrisino angelico.
“Mi sento lusingata dai tuoi elogi, davvero. Anzi, mi stupisco che non ci sia qualcosa di peggio”
“Be’, su questo non ti devi preoccupare. Di difetti ne hai a non finire, e non te li dico solo per non offenderti. Però … una delle cose su cui proprio non posso attaccarti è la prevedibilità”
Aggrottai le sopracciglia, tornando a sedermi accanto a lui con il foglio bianco.
“Come mai?”
“Per questa storia dell’appuntamento fatto da noi. Io non ci sarei mai arrivato, in effetti. Devi avere tante amiche per riuscire ad organizzare piani così ben congeniati. Un giorno me le devi presentare”,  spiegò con un sorriso, appoggiando il mento sul palmo della mano aperta, sostenendosi col gomito al tavolo.
Bastarono le sue poche parole perché mi irrigidissi.
“Edward, veramente io …”
“Non sono molti?”, m’interruppe prima che potessi dire altro, “Non importa assolutamente. Sai quel che si dice, pochi ma buoni?”, ammiccò con un occhiolino divertito.
Il suo sorriso solitamente riusciva a contagiare anche il mio, come un riflesso involontario ad ogni volta che lo guardavo.
Quella volta, però, non fu così. L’istinto fu battuto dalla ragione.
“Non intendevo questo. Stavo dicendo che non ne ho”, mormorai con gli occhi bassi, senza aspettarmi una particolare reazione.
Fosse stato uno come Mike Newton, avrei saputo con certezza che con quell’affermazione l’inferno per me era appena iniziato, ma trattandosi di Edward … avrebbe potuto pensare qualsiasi cosa, eppure avrebbe fatto di tutto per non farmi pesare niente, per farmi sentire sempre a mio agio, in qualsiasi situazione.
“Oh”, sussurrò, la sua voce paragonabile a quella di un bimbo a cui la madre ha appena spiegato che Babbo Natale è semplicemente un’invenzione dei grandi.
“Non importa, però.”, mi affrettai a dire, conficcando le unghie nei palmi delle mani nascoste sotto il tavolo. “Sto bene così.”
“Gli amici servono”, constatò con tono piatto.
“Sì”
“E ne avresti bisogno anche tu”, continuò.
“A volte non si può fare tutto quello che si vuole o avere ciò di cui si necessita”, mormorai stupendomi della mia filosofia, di quello stile di vita con cui avevo imparato a convivere da tantissimo tempo.
“Ma questo non cambia il fatto che tutti abbiamo bisogno di persone che ci sostengano e ci facciano stare bene”
“Mi basta la mia famiglia”, farfugliai, omettendo due paroline che mi avrebbero sicuramente messa in sua situazione imbarazzante: e tu.
Nei libri che avevo letto, la protagonista femminile non si sarebbe certo vergognata di far sapere una cosa del genere al ragazzo che le piaceva, avrebbe detto ciò che pensava e, grazie a quelle sue parole, la relazione con lui sarebbe divenuta più intima, sino a raggiungere, entro poco tempo, l’amore.
Nei libri che avevo letto, il lieto fine era d’obbligo, ecco perché, ogni volta che mi trovavo in libreria, subito dopo aver letto la trama di un romanzo, ciò che facevo era andare a controllarne l’ultima pagina, in modo da potermi assicurare un finale alla Walt Disney.
Nei libri che avevo letto c’era felicità, c’era amicizia, c’era quell’amore vero che mi aveva ammaliata sin da quando ero piccola, quando ogni giorno organizzavo matrimoni ed anniversari per le mie Barbie, immaginando il momento in cui io avrei preso il loro posto.
Nei libri che avevo letto, le vite descritte, che fossero reali o no, erano completamente diverse dalla mia.
“Nonostante sia stato adottato”, proruppe Edward con la voce roca, “ho sempre avuto un buon rapporto con la mia famiglia.”, prese un sospiro di sollievo, senza, però, abbandonare i miei occhi. “Non so se ricordi, ma ho un fratello oltre ad Alice, si chiama Emmett. Ha due anni più di noi e ha cominciato ad avere dei problemi con i miei genitori circa un annetto fa. Voleva essere più indipendente, guadagnarsi da vivere da solo senza dover per forza sottostare agli ordini dei miei. Ci sono state frequenti discussioni su questo, ma Esme e Carlisle non hanno mai voluto che lui andasse a fare qualsiasi tipo di lavoro dato che loro già guadagnano parecchio con il loro. Non hanno capito che il suo desiderio non dipendeva solo dal fatto di avere dei soldi tutti suoi. Per questo è scappato di casa, portando con sé quasi tutte le sue cose e lasciandoci solo un biglietto con scritto ‘non cercatemi’.”
Strabuzzai gli occhi, incapace di aprir bocca, convinta che qualsiasi cosa dicessi non potesse essere all’altezza della situazione.
“E voi? Non l’avete cercato?”, pigolai quando vidi che non accennava a continuare.
“No, non l’abbiamo cercato, però, lui qualche volta telefona a me e ad Alice per sapere come stiamo, se tutto va bene. I primi tempi senza di lui sono stati difficili, è vero, ma adesso è tutto a posto. Io ed Alice, in compenso, abbiamo stretto un patto per evitare che qualcosa del genere succeda anche a noi. Ognuno di noi si è cercato un lavoretto da fare durante la settimana per essere un po’ più autonomi e ricavare qualche soldo. Alice è diventata una babysitter d’altissimo livello”, scherzò sorridente.
Sorrisi di rimando, incuriosita dalle informazioni che stavo ricavano attraverso questa conversazione. “E tu cosa fai?”
“Top secret”, ghignò semplicemente, lasciandomi con un palmo di naso e una curiosità che non sarei riuscita a mettere a tacere tanto presto.
“Sei crudele, Edward, lasciatelo dire.”
“Dai, se questo tuo piano risulterà proficuo forse te lo dirò” ghignò divertito, parlando come se si trattasse di un segreto di Stato, troppo importante per essere svelato.
“Ok …”, borbottai svogliatamente, indispettita dal suo modo di fare.
“Allora, per quanto riguarda il biglietto da dare a mia zia, io non posso scriverlo”, annunciò pizzicandosi il mento con il pollice e l’indice.
“Perché?”, domandai aggrottando le sopracciglia.
“Perché conosce la mia scrittura e capirebbe che siamo stati noi”, rispose con ovvietà. “Perciò dovremmo usare il computer”
“No, io non credo. Penso che la mia scrittura possa andare bene, è maschile e orribile”
Edward non riuscì a trattenere un sorriso. “Davvero?”, ghignò.
Feci una smorfia. “Stai a vedere.”
Impugnai la penna che avevo lasciato sul tavolo e cominciai a scrivere.
“Lo sai che dalla calligrafia di una persona si può capire come essa sia?”, mormorò Edward fissando il mio foglio scarabocchiato. Mi accigliai, abbandonando la biro sul tavolo, convinta che mi stesse prendendo in giro. “Mi stai dicendo che faccio schifo?”.
Sorrise. “No, affatto. Sto dicendo che tu sei diversa, sei speciale.”
Rimasi in silenzio, fissando i suoi occhi di quel verde così brillante, intenso, sincero.
Fu quell’ultima caratteristica che mi fece perdere il controllo, mi spinse ad abbracciarlo di slancio, nascondendo il volto e le piccole lacrime salate sulla sua spalla, abbandonando le difese, quella sensazione di inadeguatezza che mi aveva accompagnato in ogni istante della mia vita.
Stretta a Edward mi sentivo così al sicuro, così protetta dal mondo e da tutte quelle cose che mi avrebbero potuto far male … sentire le sue braccia restituire l’abbraccio, cingermi la schiena, fu quanto di più appagante avessi mai provato.
“Grazie, Edward”, sussurrai contro il suo petto.
Non avevo mai detto a nessuno questa parola, grazie. La consideravo troppo intima, troppo importante da dire al primo che passa per un motivo banale. Un po’ come quando si chiede come stai. È spontaneo, ovvio rispondere che si sta bene, nascondendo il proprio reale stato d’animo.
E fu proprio in quel momento che una strana sensazione – le fantomatiche e famose farfalle nello stomaco? – mi fece temere di aver osato troppo, di essere andata troppo oltre …
Scostai il viso dalla sua spalla e lo guardai in volto.
Stava sorridendo ad occhi chiusi.
… O di essere già completamente persa per Edward.
 
 
* * * * * *
 
Mi sentivo importante, in quel momento.
Fondamentale per la prima volta.
La missione dipendeva completamente da me, dal mio essere capace di depositare due miseri bigliettini senza farmi vedere.
Un compito degno di 007, non c’è che dire.
Camminavo sorridente per il corridoio del terzo piano, diretta al reparto dove era curato Eleazar.
Girai l’angolo e, a causa del mio minimo equilibrio, andai a sbattere contro una persona.
Rossa in faccia ed arrabbiata con me stessa, mi scansai immediatamente e feci per chiedere scusa al malaugurato passante.
Le parole, però, mi rimasero in gola quando scoprii di chi si trattava.
“Dottor Banner …”, mormorai deglutendo.
“Isabella”, mi salutò lui con un sorriso, chinando leggermente il capo verso destra. “Ti ho vista spesso in questi giorni”
La mia pelle s’imporporò ancor di più. “Sì?”, gracchiai.
“Eh, già. Ti ho visto meglio, se devo essere sincero”
Tentai di sorridere, ma ciò che mi uscì fu soltanto una smorfia tirata della labbra.
“In che senso?”
“Il figlio del dottor Cullen è un bravo ragazzo”, disse, sorridendo mesto. "Ma dovrebbe sapere della tua malattia"
Ci misi qualche secondo più del dovuto per rispondere a quella constatazione, ma, nonostante questo, non trovai nulla di appropriato da dire.
“C-come fa a dirlo?”
“Immagino che non sapendolo suo padre, non lo saprà nemmeno lui”, spiegò, dando prova di grande intuito.
Sospirai pesantemente, così come ogni volta che si toccava questo tasto nolente.
“Ho paura di dirglielo”, dissi tutto d’un fiato, chiedendomi nel frattempo perché stessi confidando i miei pensieri a quel dottore.
Mi sorrise, avvicinandosi e dandomi una lieve pacca sulla spalla, gentile. “Vedrai che capirà”, detto questo, si congedò, lasciandomi in uno stato di trance nel corridoio.
Una volta che mi fui ripresa dalla conversazione - appuntando mentalmente di pensare a quelle parole più tardi - raggiunsi di soppiatto la stanza di Eleazar, sicura di trovarla vuota. Io e Edward il giorno prima avevamo pensato parecchio a quale fosse il momento più adatto in cui lasciare il biglietto ed eravamo giunti alla conclusione che avremmo dovuto approfittare dell’orario in cui i pazienti dovevano andare a pranzare.
Di conseguenza, depositai il bigliettino vicino alla bottiglietta d’acqua appoggiata sul comodino accanto alla prima barella e sperai di aver fatto una cosa buona.
Uscii dall’ospedale in fretta e, una volta fuori, davanti all’ingresso, non potei far a meno di sorridere a quel luogo che avevo tanto odiato ma che mi aveva permesso di conoscere la persona che adesso era più importante di tutti: Edward.
Presi il cellulare dalla tasca e composi velocemente il suo numero, ansiosa di sentire la sua voce.
 
 
* * * * * *
 
POV EDWARD
 
Suonai due volte al campanello, impaziente come poche volte.
“Arrivo, arrivo!”, sentii la voce della proprietaria correre ad aprirmi e sorrisi.
Non appena la porta si aprì, mi intrufolai dentro l'appartamento, prendendo la ragazza tra le braccia e baciandola con ardore.
Era decisamente troppo tempo che non facevo quel genere di attività fisica.
“Oh, Edward …”, ansimò lei, staccandosi dalle mie labbra per poter riprendere a respirare. “Mi sei mancato”
“Anche tu”, sussurrai mettendola a tacere con un bacio e accarezzandole i capelli biondi.
“Dai, vieni in camera mia”, propose, divertita e maliziosa.
Acconsentii di buon grado e, con lei tra le braccia, percorsi le scale sino a raggiungere la sua stanza.
C’è da dire che la sua casa la conoscevo molto bene, in particolare il bel lettino in cui la proprietaria riposava
“Mmm … Tanya …”
“Ancora non capisco dove sei stato per tutto questo tempo”, mormorò lei con tono di rimprovero, tirando giù la zip della felpa con un movimento fluido.
“Sono … un uomo impegnato”, risposi mentre le baciavo il collo.
Lei ridacchiò, allontanandosi quel poco che bastava per chiudere la porta con un calcio e spingermi sul letto.
“Mi piaci quando prendi l’iniziativa”, risi aspettando che si sistemasse su di me.
Rimase soltanto in intimo e mi raggiunse a gattoni sul letto.
“A me piaci in ogni caso”, sussurrò tracciando i contorni del mio petto con le unghie lunghe e curate.
Non avevo mai capito cosa ci trovassero le ragazze nel mettere smalti su smalti in base al proprio abbigliamento o mettere delle unghie finte, tipo quelle robacce per cui mia sorella andava pazza chiamate ‘french’.
Sorrisi, riflettendo sul fatto che Bella non aveva nulla di tutto questo, anzi, lei le unghie preferiva mangiarle …
Scuotendo la testa e dandomi uno schiaffo virtuale, mi distolsi da quei pensieri, concentrandomi sul tocco di Tanya che pian piano si faceva più sicuro.
Le mie mani corsero alla sua schiena liscia e pallida, con l’intento di slacciarle il reggiseno colorato e imbottito.
Quasi tutte le ragazze con cui ero stato avevano biancheria intima di quel tipo, vistosa e appariscente.
Chissà se anche Bella …
Interruppi il pensiero sul nascere, lanciando l’indumento dall’altra parte della stanza con impazienza.
“Oh, Ed, cazzo se mi sei mancato …”, ripeté per l'ennesima volta Tanya, tirando giù pantaloni e boxer insieme.
“Anche tu …”, risposi a mia volta, accarezzandola con più vigore.
Gemette per il piacere che il miotocco le stava provocando e, improvvisamente, spalancò gli occhi eccitati.
Perché nel vederla sollevare le palpebre mi ero aspettato di scorgere delle iridi … marroni?
La baciai con foga, giusto per chiudere gli occhi e impedirmi la vista, ma fu tutt'altro che una buona idea.
La mia mente aveva prodotto una fantasia malsana che non aveva nulla a che vedere con la realtà.
Bella semi nuda, con il reggiseno colorato di Tanya …
Bella con le unghie curate che mi accarezzava …
Bella che con le sue labbra rosse mi baciava … che con la sua innocenza mi toccava …
Bella …
Bella
Mi staccai dalle labbra di Tanya con il respiro accelerato e un’erezione non da poco.
Mi staccai dalla ragazza bionda scuotendo la testa con enfasi.
No, non andava proprio bene.
“Cosa c’è?”, chiese leggermente infastidita.
“Non posso”, sussurrai quasi a me stesso, tormentato.
“Cosa significa che non puoi?!”, strillò mettendosi in ginocchio e avvicinandosi ogni qual volta io tentavo di allontanarla.
“Significa che non ci possiamo più vedere, Tanya”
“Che cosa?!”, sbottò alzandosi in piedi, senza curarsi della sua semi nudità. “Mi stai lasciando?!”
“Non siamo mai stati insieme, Tanya.”, mormorai raccattando le mie cose e rendendomi conto della veridicità delle mie stesse parole.
“Ah sì?!”, strillò inferocita. “E allora vai, Edward! Tanto non ci metterò nulla a trovare qualcuno mille volte migliore di te!”, mi spinse fuori dalla sua camera e chiuse la porta con un tonfo, lasciandomi libero di andarmene.
Uscii da casa sua in silenzio, dandomi del cretino ad ogni secondo che passava.
Come avevo potuto pensare quelle cose mentre ero con Tanya?
Non mi era successo mai con nessuna, o, per lo meno, mai nei momenti clou. Perché di paragoni ne avevo fatti, cavolo, e anche tanti, ma soltanto una volta a casa, da solo o in compagnia di amici con cui parlare delle proprie avventure sessuali.
Mi sedetti su una panchina, passandomi la mano sul volto stanco.
Ma che cavolo mi stava succedendo?
Era tutta colpa di Bella se avevo lasciato Tanya? O … merito?
Tsamina mina eh eh
Waka waka eh eh
Tsamina mina zangalewa
This time for Africa

La suoneria del mio cellulare mi distolse dai miei pensieri, facendomi tornare alla realtà.
Guardai il display del telefono, ritrovandomi a sorridere come un ebete.
“Pronto?”
“Edward, sono Bella.”
Be', quando si parla del diavolo …


Buooonasera, carissime!!!!!
Lo so, sono imperdonabile per tutto il tempo che vi faccio aspettare, ma l'unica cosa che posso fare è implorare il vostro perdono.
Questo è stato un capitolo difficile da scrivere, e non tanto per l'ultima parte (su quella sorvoliamo perché mi vergogno da morire per quello che ho scritto), ma per la prima, quella in cui era presente un pezzetto dell'introduzione alla storia, nonché momento bellissimo e importantissimo, secondo me. ^^
Non stanno succedendo cose particolarmente importanti, ma siamo ad un punto decisivo, ragazzi miei.
Ringrazio da morire i 122 che seguono la mia storia, i 51 che la preferiscono e i 15 che la ricordano (che cifre, mamma mia!!!!! *________*)!!!
A poco a poco risponderò alle meravigliose 11 recensioni che avete lasciato allo scorso capitolo!!! Mi hanno fatto gongolare ogni secondo di più *.*
Colgo l'occasione per dedicare questo capitolo a Lua93, il mio splendore!!!
Un grazie in particolare a tutte coloro che mi hanno sostenuto in Missione d'Amore. Grazie per il vostro sostegno e le vostre belle parole: sono le uniche cose che mi fanno desistere dallo sprofondare nell'amarezza che ciò che è successo ha causato.
Prossimo capitolo ... missione Carmen - Eleazar ;)
Un bacio grandissimo a tutte voi!!!
Recensite, per favore!!!
Ele

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Capitolo 13
*** Adolescenza ***


Your Guardian Angel

*° Capitolo Dodici: Adolescenza °*
 
POV BELLA
 
“Mamma, io vado!”, urlai dall’ingresso con già una mano sulla maniglia, pronta ad uscire.
“Ehi, ehi, ehi, signorina! Vieni un attimo qui, per favore”
Oh, oh. Ogni volta che mia madre mi chiamava ‘signorina’ con quel tono non era mai un buon segno.
Decisi di non obbiettare, e, mentre mi dirigevo verso la cucina con passo incerto, riflettei su cosa avessi fatto quella volta perché mi rimproverasse.
“Sì?”, domandai sporgendomi dalla porta aperta con una vocina angelica.
“Vieni, Bella, è da un po’ che non parliamo, noi due.”, propose dandomi le spalle e continuando, invece, a lavare le stoviglie.
Deglutendo, varcai l’entrata della cucina e mi sedetti su una delle sedie spaiate.
“In questi giorni sei sempre di fretta. Vai e vieni dall’ospedale neanche fosse la tua seconda casa …”, cominciò dopo qualche minuto di silenzio, come se nulla fosse.
“Mmm?”, mi morsi il labbro inferiore.
“Eh, già. Vorrei tanto sapere cosa fai di bello”
“Mah … sto con Edward e la sua prozia”, buttai lì.
“Edward, eh?”, domandò girandosi per la prima volta ed interrompendo momentaneamente il suo lavoro. “Quel ragazzo mi piace, se devo essere sincera.”
Arrossii, abbassando lo sguardo sulle mie mani. Il fatto che le piacesse l’avevo capito già dalla prima volta che si erano incontrati, guarda un po’. “Anche a me …”
“Hai buon gusto, tesoro, lasciatelo dire”, ridacchiò prendendomi in giro.
“Ah, ah.”, dissi acida, assottigliando lo sguardo. “L’ho ereditato tutto da mia madre”
“Be’, penso proprio di sì, perché se penso ai gusti di tuo padre … Mi ricordo quando l’avevo conosciuto, aveva una macchina …”
“Color cacca, lo so, me l’hai ripetuto almeno una cinquantina di volte!”, esclamai interrompendola.
“Ok, visto che conosci perfettamente la storia non ci sarà bisogno di ripetertela e, di conseguenza, posso arrivare al punto della questione senza tanti giri di parole, Bella.”, disse facendosi seria e interrompendo il getto d’acqua che ancora sgorgava dal rubinetto del lavello.
“Dimmi”, acconsentii cercando di non dar a vedere la mia preoccupazione.
Nonostante avessi sempre avuto un buon rapporto con Renée, le confidenze non erano mai state il mio forte. Per questo per molti anni scrissi un diario segreto, aggiornato ogni sera prima di andare a dormire. Quando, però, scoprii che mia madre, puntualmente, lo andava a leggere, 
quest’abitudine si interruppe di botto e dovetti trovare un altro modo per sfogarmi.
“Ho notato questo tuo rapporto con Edward e ne sono felice, Bella. Però …”, si interruppe con un sospiro, “Ho un dubbio, tesoro. Mi chiedo se Edward sappia della tua malattia”
Eccola.
Sentivo che una batosta del genere sarebbe arrivata presto ed il momento di affrontarla era giunto.
“No”
Annuì solennemente, senza dar a vedere alcuna emozione. “Come sospettavo”
Inarcai un sopracciglio. “In che senso?”
“Quando l’ho visto all’ospedale, qualche giorno fa, mi ha fatto una domanda su una certa mia migliore amica che si trova lì a causa di uno shock anafilattico. Bella, sai, non sapevo che Sue fosse in coma!”, nella sua affermazione sarcastica colsi una nota di rimprovero, perciò non potei fare a meno di chinare il capo in una muta richiesta di scuse.
“Al contrario”, riprese, “Non ha mai chiesto nulla sulla tua salute”
“Proprio perché non lo sa”, confermai atona.
“Ed è sbagliato, Bella. Sbagliato e ingiusto”
“Lo so”
“Dovresti dirglielo”
“So anche questo”
“E allora fallo, Bella, fallo! Non è giusto che un tuo amico non sappia che hai il cancro e che … che rischi la vita, ecco. È come se non lo sapesse tuo padre per il semplice fatto che abita lontano”
“Non riesco a trovare il modo. È difficile”, mormorai.
“Questo non lo metto in dubbio, ma è necessario. Pensa se lo dovesse venire a scoprire da altri … non trovi che sarebbe più doloroso sia per te che per lui?”, domandò comprensiva.
“Sì, hai ragione. Il punto è che ho paura, mamma. Lui non mi tratta come fate voi altri, preoccupandovi sempre, mi parla come se fossi normale”
“Ma tu lo sei, Bella, tu sei normale!”, esclamò con enfasi Renée, interrompendomi.
“Ok, va bene. Mi parla come se fossi sana”, corressi, “e penso che il mio rapporto con lui cambierebbe se sapesse.”
“Su questo non c’è dubbio, ma non possiamo sapere se in positivo o in negativo”
“Io dico in negativo”, ribattei con acidità.
“Ma non avresti più segreti con lui e staresti certamente meglio”
Sospirai profondamente, arrendendomi. “Io ci provo è … è semplicemente troppo complicato!”, esclamai senza riuscire a trattenere un singhiozzo.
“Oh, tesoro”, Renée abbandonò i guanti gialli di gomma sul lavello e mi corse incontro, abbracciandomi. Non appena venni a contatto con le sue braccia magre e pallide, le lacrime che prima avevo trattenuto cedettero, inondando il suo grembo.
Sentii il suo mento appoggiato sul capo e le sue mani che mi accarezzavano la schiena.
“Non avrei voluto farti piangere, piccola mia”, si scusò contrita.
“M-ma avevi ragione”, mormorai sollevando la testa per guardarla negli occhi. “Hai sempre avuto ragione: devo dire a Edward tutto quanto”
“Sì. Con calma, però. E … invitato qui, un giorno di questi. Chissà che lui apprezzi la mia cucina”, ridacchiò ironica, tentando di tranquillizzarmi.
“Ma certo, mamma”, risi con una voce roca che sembrava non appartenermi, postumo del pianto.
Lei non disse nulla, portò semplicemente le sue mani ad accarezzarmi i capelli e il capo.
E fu proprio mentre mi tranquillizzavo grazie al suo tocco materno che la sentii sussultare contro il mio corpo.
Aggrottai le sopracciglia. “Tutto bene?”
Le sue mani avevano smesso di muoversi e di accarezzarmi la testa, erano ferme e ne potevo sentire chiaramente la temperatura fredda.
Troppo chiaramente, mi accorsi con una punta di sospetto dopo qualche secondo di riflessione.
Una terribile intuizione mi balenò in testa e, improvvisamente, mi districai dalle sue braccia, scattando in piedi.
Non la guardai negli occhi per paura di leggervi qualcosa di … strano; presi, al contrario, a correre verso il bagno.
Aprii la porta in tutta fretta e mi precipitai verso uno dei cassetti, tirandovi fuori uno specchietto dai bordi azzurri, quello che portavo sempre con me durante le gite scolastiche.
Lo misi dietro la testa ad un’altezza che mi permetteva di vederlo attraverso lo specchio a parete, quello appena sopra il lavandino.
Ciò che vidi me lo fece cadere di mano, tanto sentivo le mie dita fossero diventate pesanti: la mia intuizione era fondata.
Una chiazza bianca, né grande né piccola, completamente calva risaltava verso il centro della testa, in contrasto con i capelli scuri.
Sentivo gli occhi, già lucidi dal pianto di poco prima, bagnarsi un’altra volta di lacrime calde che però non accennavano a scendere. Se ne stavano lì, sugli angoli degli occhi impedendomi la vista.
Era successo.
Avevano cominciato a cadermi i capelli.
Sapevo che sarebbe dovuto succedere, avevo fatto di tutto per non pensarci e ora che il momento era arrivato non riuscivo a trovare nessun pensiero coerente, nessuna cosa da dire. Nemmeno pianti infiniti, singhiozzi da togliere il respiro, urla.
Sussultai quando percepii la mano leggera di mia madre posarsi sulla mia spalla. Ero talmente concentrata sul disastro che non mi ero nemmeno accorta del suo arrivo.
Mi fece voltare e mi abbraccio stretta ancora una volta, dandomi prova della sua presenza concreta.
“L’avevamo messo in conto, Bella”, sussurrò.
Tirai su col naso prima di rispondere. “Sì … solo speravo non così presto”.
“Non è ancora irreparabile, dopo tutto”, disse staccandosi e prendendo ad osservare i miei capelli.
Li prese tra le mani gentilmente e li raccolse in una coda di cavallo.
“Ecco”, sorrise trionfante, “Adesso non si dovrebbe più vedere”
Mi accertai della sua affermazione controllando attraverso lo specchietto e, quando mi accorsi che aveva ragione, un sorriso di sollievo comparve sul mio volto.
Le diedi un bacio sulla guancia, sperando che comprendesse il mio ‘grazie’ silenzioso, una parola che avrei dovuto dire a voce ma che proprio non riuscivo a pronunciare.
“Vai”, mormorò sorridente, dandomi un buffetto sulla guancia. “Edward ti sta aspettando”
Le sorrisi un’ultima volta prima di avviarmi alla porta con un nuovo pensiero in testa.
Forse mia madre non aveva poi così torto. Forse non avrei dovuto smettere di lottare per così poco.
 
 
* * * * * *
 
 
TU!”, sibilò Edward con enfasi non appena varcai l’entrata dell’ospedale, trucidandomi con lo sguardo e prendendomi per un polso. “Hai idea di quanto cavolo sei in ritardo?!”, aveva gli occhi che mandavano scintille, testimoni del suo stato d’animo.
“Ti devo parlare”, dissi cercando di imprimere nella mia voce una nota di sicurezza che purtroppo non avevo.
“Non possiamo farlo dopo? Sai com’è, in questo momento mia zia è al suo appuntamento segreto e, per quanto ne sappiamo, il tizio potrebbe anche starla importunando”, il suo tono di voce era sarcastico e non ammetteva alcuna replica.
“Ma è importante”, pigolai.
“Dopo, dopo”, mi mise a tacere, imperterrito.
Sospirai, decidendomi a seguirlo e chiedendomi quando e se quel ‘dopo’ sarebbe arrivato.
Non feci caso a dove stessimo andando, a quale piano stessimo l’ascensore ci stesse portando: la mia attenzione era tutta focalizzata sulla sua mano calda, sulle sue dita lunghe e sottili chiuse attorno al mio polso.
Mi sentivo a disagio, seppure il contatto tra di noi fosse minimo. E non per il fatto che il suo tocco mi provocasse fastidio, al contrario, era piacevole. Troppo.
Il trillo dell’ascensore che ci avvisava del nostro arrivo mi fece distogliere dai miei pensieri inopportuni.
“Dove siamo?”, chiesi in un mormorio.
“Magazzino”, rispose Edward con la voce bassa. “Avere un padre medico serve a qualcosa”
Il corridoio in cui ci trovavamo era decisamente più breve di quello degli altri piani, senza la minima traccia del sole di Phoenix a causa delle veneziane abbassate quasi completamente.
Camminammo silenziosamente per qualche minuto finché non sentimmo qualcosa.
“Penso di aver capito chi possa averci fatto questo … scherzo”, si trattava di una voce familiare, a metà tra il nervoso e l’isterico, che attirò la nostra attenzione.
“Sì?”
“Eh … già”, era proprio Carmen, alle prese con il suo pseudo appuntamento con il principe del deserto.
Osservai Edward avvicinarsi alla porta socchiusa da cui provenivano i suoni e appoggiarcisi contro senza far rumore.
Lo imitai, facendo aderire l’orecchio con la superficie della porta per ascoltare la conversazione che si stava svolgendo all’interno della stanza.
“Se anche non ci fosse stato questo appuntamento”, proruppe la voce maschile, leggermente roca, “O scherzo, lo chiami come vuole”, si affrettò a correggere, ricordando le parole di Carmen, “Uno di questi giorni le avrei chiesto di parlare un poco …”
“Davvero?”, la voce di Carmen traboccava di meraviglia.
“Sì. Mi ricordate una persona a cui ero molto legato …  non le somigliate fisicamente, se devo essere sincero. Ma c’è qualcosa nei vostri occhi che mi ricorda tanto i suoi”, mormorò con un tono leggermente distante.
“Eleazar … vi prego, datemi del tu”, sussurrò Carmen, “Dopotutto, avremo su per giù la stessa vecchia età”
Grazie a quella battuta l’atmosfera si alleggerì e una risatina riempì il silenzio del corridoio solitario.
“Va bene, Carmen, va bene”, accettò di buon grado, con voce pacata. “Parlami di te, allora.”
Sorrisi, in attesa di sentire cosa avrebbe risposto Carmen.
“Penso che non ci sia molto da dire …”, balbettò, la voce incerta e imbarazzata.
Tacque per qualche secondo e sembrò che non dovesse dire altro, ma, ad un certo punto, esclamò con un tono decisamente alto e sconsolato: “Santo cielo, è possibile che mi senta come al mio primo appuntamento?!”.
“Sono felice di aver risvegliato questo tuo spirito da teenager”, ridacchiò Eleazar con il suo accento esotico. “Metti il caso che questo sia davvero il tuo primo appuntamento. Come risponderesti alla mia domanda?”
“Oh, be’… se avessi quindici anni sarebbe certamente diverso. Inventerei un sacco di frottole, probabilmente. Direi che a scuola ho ottimi voti, una buona famiglia, parlerei di qualche film o spot pubblicitario divertente, giusto per farti capire che sono informata sulla società moderna …”, s’interruppe di botto, come ad essersi resa conto di aver parlato troppo.
La mia supposizione fu esatta perché Eleazar la esortò a continuare: “No, ti prego, era davvero … adorabile”
Sorrisi a quel termine, immaginando di riflesso la stessa parola pronunciata da una voce diversa, quella di Edward.
Mi sentii avvampare vergognosamente ed era una fortuna che Edward mi desse le spalle, altrimenti si sarebbe incuriosito.
“Se penso a quando ero adolescente”, ricominciò Carmen, “provo quasi orrore per ciò che ero. Non mi ponevo problemi ad andare dietro ai ragazzi più grandi, a studiare poco e niente, ad essere frivola, a badare solo all’aspetto esteriore. È stato un brutto periodo, per certi versi”, concluse mesta, con una nota di amarezza.
“Mi dispiace, Carmen. Nemmeno io ho ricordi troppo piacevoli di quel periodo. Non tanto per motivi come i tuoi, ma perché io e la mia famiglia eravamo arrivati da pochissimo qui in America. I primi tempi non stati felici a causa delle discriminazioni razziali che, sommate alla particolarità dell’adolescenza, non mi hanno fatto dormire sogni tranquilli, ecco.”
Mi ritrovai a riflettere sulle parole di entrambi, confrontando come entrambi, seppure per motivazioni differenti, avevano vissuto un’adolescenza difficile.
Anch’io la stavo vivendo, forse in maniera ancor più complicata. Ma allora dove stava il lieto fine? Dov’era la ‘ragione di vita’ di cui tanto si parlava?
“Alla fine, se devo essere sincera, l’adolescenza ha avuto un effetto benefico sulla mia vita. Ho conosciuto mio marito proprio in quel periodo, infatti. Lui si era appena trasferito nella nostra scuola e i professori, notando quanto fosse bravo a scuola, me lo avevano affibbiato perché mi aiutasse a migliorare i miei voti. Era una specie di secchione in quel periodo e, se all’inizio lo maledivo, finii per innamorarmene sul serio entro poco tempo, scoprendo quanto fosse bello in realtà”
“Sei sposata, allora.”, fu il secco commento di Eleazar.
“Ero”, corresse Carmen con un mormorio.
Ci fu un breve silenzio, pesante e denso di significati, finché l’uomo non ebbe il coraggio di riprendere la parola.
“A quindici anni si pensa di avere tutto il mondo in mano. Si progetta un futuro coi fiocchi, si scelgono le compagnie da frequentare, una scuola degna delle tue capacità, che ti apra tutte le porte possibili e immaginabili sul mondo del lavoro. Io, a quindici anni, sognavo di poter fare qualcosa di importante per tutta l’umanità, sognavo di diventare un qualcuno che alla fine non sono mai stato. Pensavo che la mia vita di allora sarebbe rimasta la stessa per sempre, che la situazione non sarebbe mai mutata, che io non sarei mai cambiato. Durante l’adolescenza ci si impongono dei confini che sappiamo tutti benissimo vanno al di là delle nostre capacità, cerchiamo di vedere tutto bene o tutto male, finendo per avere una visione contorta del mondo.”
Sbattei le palpebre qualche volta, chiedendomi se Eleazar stesse parlando dell’adolescenza in generale, della sua esperienza … o della mia.
Sembrava una descrizione, la sua. Una descrizione esterna, oggettiva, dato che lui non mi conosceva e mi aveva vista soltanto una o due volte al massimo.
“Forse la mia opinione è troppo influenzata dall’esperienza che ho avuto”, continuò dopo un attimo di pausa. “Ma io la vedo così. E, nonostante tutto, sono certo che in questo periodo ci siano stati degli episodi che hanno influito molto su tutta la mia vita. Anche positivi”
“Eleazar … parlare con te mi ha fatto davvero piacere”, disse Carmen, la voce intrisa di emozione e ringraziamenti impliciti, proprio come quelli che io ero solita a fare a Renée.
“Anche a me, Carmen. Aspettavo questo momento da … tanto tempo.”
Sentii dei passi e un fruscio di vestiti. Probabilmente si stavano abbracciando.
Edward si sporse per sbirciare dalla fessura tra la porta e la parete, ma non vide nulla perché si tirò indietro leggermente infastidito.
Poi, come colto da un lampo di genio, si tirò su di scatto, in volto un’espressione di estrema urgenza.
Lo imitai di riflesso, perplessa. Ci misi un attimo più del necessario per realizzare che si stavano salutando, che entro poco avrebbero aperto la porta e, se ci avessero trovati lì ad origliare, non ne sarebbero stati molto felici.
Cercammo di fare meno rumore possibile anche correndo verso l’ascensore.
Avrei voluto aggrapparmi al suo braccio per riuscire a mantenere la sua andatura, decisamente veloce per la mia camminata, da bradipo.
Avrei voluto, ma non lo feci, troppo timorosa delle sue reazioni, scombussolata dagli eventi che quel giorno si erano presentati ad una velocità disarmante.
Succedeva sempre così nella mia vita. Dieci giorni monotoni, l’uno preciso, identico e spiaccicato al precedente. Poi ne arrivava uno particolare, speciale, nel quale di avvenimenti ne succedevano a bizzeffe, tutti concentrati in quelle ventiquattro ore.
Da quando hai conosciuto Edward, mi invitò a correggere una vocina nella mia testa. Prima, infatti, la normalità e la banalità non durava per soli dieci giorni o una settimana, ma sempre. Ogni giorno all’ospedale per i controlli, scuola e prese in giro, a casa compiti, lettura, aiuto nelle faccende domestiche. Tutto dannatamente uguale.
Da quando avevo conosciuto Edward, invece, mi stupii per l’ennesima volta, ogni giorno, per quanto somigliasse al precedente, anche uno di quei dieci tutti uguali, presentava alcune novità, delle differenze più o meno importanti.
Arrivammo all’ascensore quasi ansimanti per la corsa. O meglio, io lo ero.
“Conversazione … interessante”, proruppe Edward una volta che si fu ripreso.
Sorrisi, concordando. “Direi di sì”
“Il vecchietto è un gran filosofo, non l’avrei mai detto.”
“Io invece lo pensavo già da prima”, ribattei. “Aveva qualcosa nella sua espressione che dava l’idea di un vissuto particolarmente intenso, di esperienze che gli danno una visione matura della vita”
Edward rimase zitto per un poco, fissandomi.
Anche quando uscimmo dall’ascensore, i suoi occhi continuarono a seguirmi, senza mai spostarsi dai miei.
“Edward?”, lo chiamai, leggermente in imbarazzo.
“Mi sono reso conto che la descrizione che hai appena fatto di Eleazar corrisponde un poco a come ti vedo io.”, si interruppe un attimo, piegando leggermente la testa, un movimento che faceva ogni volta che era concentrato.
“Ci sono giorni in cui sembri la persona più ingenua della Terra. Ad ogni mia battuta ‘sconcia’,”, mimò con grazia le virgolette, giusto per prendere in giro il termine con cui spesso lo definivo, “Arrossisci così tanto che finisci per trasformarti in un pomodoro. Ci sono altre volte, invece, in cui i tuoi occhi sono particolari. C’è un qualcosa che ancora non mi so ben spiegare, ma è una luce, un’espressione che mi da’ l’idea che tu abbia già vissuto tutto, che tu abbia già una visione della vita che a me manca. Il che è impossibile con soli diciassette anni di vita.”
La sua teoria mi lasciò a bocca aperta.
Mia madre mi aveva sempre detto che ero più grande della mia età di circa una ventina d’anni, ma pensavo lo dicesse giusto per prendermi in giro, senza che ci fosse un vero fondo di verità nelle sue parole.
Che anche Edward invece avesse colto la stessa cosa …?
“Scusami, lo so, è stato un discorso senza senso.”, si scusò attaccando ogni parola all’altra. “Mi è venuta in mente una cosa, tra l’altro.”, continuò. “Cos’è che dovevi dirmi prima, quando sei arrivata in ritardo?”
Anche questa sua domanda mi colse impreparata. Eh, no, quello non era proprio il momento più indicato per parlargli della verità.
Le parole, di conseguenza, uscirono dalle mie labbra senza che avessi la possibilità di fermarle, che potessi tappare la bocca con un invisibile nastro di scotch.
“Vuoi venire a casa mia domani sera?”
 
 
Lo so.
Lo so.
Sono imperdonabile.
Maleditemi, uccidetemi, anzi, trucidatemi.
Fatemi quello che volete. Me lo merito.
Sono in un ritardo MOSTRUOSO.
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace e mi ridispiace!
Nonostante questo, però, posso spiegarvi alcuni dei motivi che mi hanno impedito di postare.
1) mancanza di ispirazione di tanto in tanto.
2) momenti un po' grigi ... e su questo non mi metto a commentare più di tanto. Basti dire che non è stato un bel periodo.
3) San Valentino e quindi nervi a fior di pelle
4) ho già scritto tutto il capitolo successivo
5) mi sono venute ben altre 4 idee di altre fanfiction
Ecco, dopo queste motivazioni, spero che il quarto punto possa far diminuire un pochettino le accuse che so benissimo di meritarmi.
Questo capitolo è stato difficile da scrivere per diverse cause che ora non mi metto ad elencare, ma soprattutto la prima parte, quella in cui Bella parla con sua madre e quella in cui si accorge di aver perso un po' di capelli (che comunque non sono tantissimi, eh!) mi ha fatto penare un po'.
L'ultima riflessione di Edward ce l'avevo in mente già dall'inizio della fic e morivo dalla voglia di inserirla da qualche parte e ora che ho trovato il suo momento non avete idea di quanto mi senta soddisfatta! Basta poco per rendermi felice, eh? XD
Ringrazio infinitamente i 60 che preferiscono la mia storia, i 136 che la seguono, le 18 che la ricordano e le 14 adorabili gioie che hanno recensito lo scorso capitolo! *.*
Grazie, grazie, grazie.
Sto cominciando a rispondere alle recensioni, perciò abbiate fede, arriveranno (prima o poi)! XD
Un bacio immenso a tutte voi e auguri di Buon San Valentino in ritardo!
Ele

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Capitolo 14
*** Ditale ***


14
Your Guardian Angel

*° Capitolo Tredici: Ditale °*


POV BELLA

 
 
Calma.
Erano tre ore come minimo che mi imponevo di imprimere per bene nella testa quella parola, ma sembrava non esserci verso di non rischiare l’infarto ad ogni secondo trascorso a causa del battito cardiaco troppo veloce.
Eppure era strano. Mi ero addirittura chiusa dentro alla doccia, giunta all’esasperazione, convinta che almeno quel metodo sarebbe stato benefico.
E invece no.
Certo, la sensazione dell’acqua calda sul corpo era splendida, come al solito, così come lo era osservare le nuvole di vapore che appannavano i vetri del box doccia. E invece, erano stati proprio questi ultimi a causarmi dei problemi.
Mi ero incantata a fissare le goccioline che vi scorrevano sopra, piccole e veloci, come se compissero un percorso tutto loro, una strada tortuosa che le avrebbe portate alla loro meta. E senza neanche rendermene conto, il mio dito indice aveva preso a tracciarne il contorno, a disegnare stelline e puntini sul vetro che, col passare dei secondi, erano diventati cuoricini, nomi.
Un Edward  Bella, in particolare, troneggiava al centro di una delle quattro pareti trasparenti, incorniciato dalle goccioline e dalle altre testimonianze delle mie enormi doti artistiche.
Chiusi gli occhi, piegando il capo all’indietro di modo che poggiasse contro le mattonelle fredde.
Calma, Bella, mi imposi un’ultima volta, prima di chiudere il rubinetto e uscire, completamente gocciolante, dalla doccia.
Non potevo neanche dare la colpa a qualcuno per quella situazione, avevo fatto tutto con le mie stesse mani, guidata dallo stupido cervello che mi ritrovavo. Anzi, più che dal cervello, quel pomeriggio, all’ospedale con Edward, mi ero fatta guidare dalle sensazioni che i suoi occhi verdi mi donavano, dalla sua vicinanza, dall’istinto.
Stavo per elencare anche un’altra fonte, ma scossi con fervore la testa, impedendomi anche solo di pensarci.
No, quel mio invito non poteva essere venuto direttamente dal cuore.
Mi asciugai e vestii in fretta e furia, tentando di tenere a bada i pensieri molesti e compromettenti.
Una volta terminato il tutto, dopo aver impiegato molto più tempo del necessario a causa della mia epica goffaggine, raccolsi i capelli bagnati in quella che voleva essere una coda ma che uscì una crocchia deforme e decisamente precaria.
La situazione stava peggiorando, ancora.
Dal giorno precedente, infatti, erano stati numerosi i capelli che avevo trovato sparsi sul cuscino la mattina, appena sveglia, oppure in vari angoli della casa mentre spolveravo durante il pomeriggio.
Avrei voluto fare qualcosa per bloccare quella caduta improvvisa, ma non potevo far altro che limitarmi a guardarli lì, per terra, deboli e fragili. Mi vedevo riflessa in loro quasi come se si trattasse di uno specchio. Anche io, infatti, mi sentivo sul punto di cedere, di abbandonare tutte le forze e lasciarmi cadere al suolo.
No, non era decisamente il momento migliore per pensare a cose del genere, soprattutto perché l’ansia dell’imminente arrivo di Edward bastava e avanzava già da sola.
Stavo per attaccare il phon alla presa della mia camera quando un trillo familiare giunse alle mie orecchie, chiaro e forte.
Dlin dlon.
Oh, cavolo.
Quasi feci cadere per terra l’elettrodomestico che tenevo tra le mani, per quanto forte era stata la sorpresa.
Corsi giù per le scale aggrappandomi al corrimano per evitare di ruzzolare e inciampare in uno dei gradini. Nella mia testa, in quel momento, non risuonava più la parola ‘calma’, bensì un’interminabile serie di imprecazioni.
Panico, panico, panico, panico.
Arrivata davanti alla soglia di casa, mi fermai un secondo, il tempo necessario per fare un rapido sospiro, sistemarmi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e impormi ancora una volta di non pensare.
Già, perché se l’avessi fatto, mi sarei ricordata dello stato in cui mi trovavo – felpa trasandata, pantaloni della tuta consunti e, giusto per completare il quadro, capelli fradici – e avrei finto un malore pur di non andare ad aprire alla porta.
Girai la chiave nella toppa con decisione e fermezza, nonostante i continui brividi che correvano sulla pelle.
Non appena aprii la porta, la prima cosa che vidi fu Peter Pan.
No, non Edward da me soprannominato ‘Peter’; fu proprio lui, il ragazzo dell’Isola Che Non C’è, il bambino che non sarebbe mai diventato grande.
Be’, in realtà non me l’ero ritrovato proprio davanti in carne ed ossa – non ero certo la vera Wendy, io – ma la sua fedele riproduzione era stata abbastanza sorprendente da lasciarmi a bocca aperta.
“Hai portato il DVD di Peter Pan?”, sillabai infatti, continuando a fissare quella locandina dallo sfondo blu che quando ero piccola avevo ammirato con tanto di bava alla bocca, nella speranza che alla fine Renée cedesse e lo acquistasse.
“Pensavo che avresti gradito ”
Fu solo quando udii la sua voce serena che i miei occhi si spostarono dall’originario oggetto della loro attenzione, percorrendo con ansia e felicità i tratti del suo corpo, sino a giungere al volto.
“Ciao”, lo salutai deglutendo e abbozzando un sorriso a cui lui rispose prontamente, leggermente divertito. Mi squadrò velocemente dalla testa ai piedi, quel ghigno accennato sempre sulle sue labbra. “Sono in anticipo?”
Avvampai, certa di aver appena fatto una figura delle mie, giusto per non smentirmi mai.
“Solo un pochino …”, balbettai indietreggiando di qualche passo per farlo entrare.
“Però puoi benissimo sederti qui”, ripresi parlando a raffica e indicando il divano del salotto con la mano. “Io ci metto un attimo”.
Mi sorrise smagliante, nel tentativo di rassicurarmi. “Fai con calma”.
Chiusi gli occhi nel sentire quella dannatissima parola.
Sentivo che alla fine di quel giorno avrei preso il mio dizionario e l’avrei accuratamente cancellata.
Corsi sulle scale più veloce che potevo, maledicendo mia madre, Charlie e Phil per essere usciti.
Più mia madre che Phil e Charlie, se devo essere sincera. I due uomini si erano limitati semplicemente a farsi trascinare da Renée, con due espressioni da pesce lesso. Probabilmente ancora non avevano capito a cosa era dovuta l’improvvisa fuga da casa.
Renée, non appena aveva saputo dell’invito, aveva fatto i salti di gioia, aveva iniziato a straparlare e non c’era più stato verso di metterla a tacere.
Ed ora che lei non c’era – aveva ritenuto che la presenza in casa dei genitori fosse assolutamente da immaturi – toccava a me pensare alla casa e, in particolar modo, ai capelli.
Grugnii davanti allo specchio, osservando come i capelli bagnati ricadessero flosci sulle mie spalle.
Li asciugai il più velocemente possibile, approfittando di quei minuti per mettere a posto qualche cianfrusaglia sparsa in giro per la mia stanza e cambiarmi.
Dopo dieci minuti di corse, fui pronta. O meglio, presentabile.
Scesi le scale due gradini alla volta, sperando di non aver fatto aspettare troppo Edward.
“Eccomi, scusami se ti ho fatto asp …”, le parole mi morirono in gola quando vidi che il divano era vuoto, se non per il DVD appoggiato su un cuscino.
Deglutendo, mi appoggiai al calorifero – l’oggetto più vicino in grado di sostenermi. No, non poteva essersene andato.
“In questa foto sei davvero carina … anche se ti preferisco con tutti i denti”
Una voce divertita e serafica giunse dalle mie spalle, facendomi sussultare.
Mi voltai verso di lui con l’indice accusatore alzato, pronta a fargli una scenata su quanto mi avesse fatto spaventare, ma quando me lo ritrovai davanti, un sorriso meraviglioso mentre osservava la fotografia di quando ero bambina, non riuscii a far altro che starmene in silenzio, con la bocca già spalancata.
Quando se ne accorse, mi guardò perplesso per un attimo, prima di mettersi a ridere. “Qualcosa non va?”
Sbattei le palpebre e scossi freneticamente la testa, come per scusarmi.
Dio, che figura.
Mi avvicinai a lui a passo di carica – rossa in volto, ovviamente – e gli tolsi prontamente la cornice d’argento dalle mani approfittando di un suo attacco di risa.
Quando vidi la foto, per poco non mi venne la tentazione di prendere a testate la parete. Proprio quella doveva andare a prendere?!
Quella fotografia, infatti, era stata scattata quando avevo circa sette anni e mi erano appena caduti entrambi gli incisivi. Il mega sorrisone sdentato che avevo fatto, di conseguenza, era decisamente macabro.
Feci una smorfia, rimproverandomi di non aver tolto tutte le fotografie compromettenti e di non averle messe lontano da occhi indiscreti – ovvero quelli di Edward.
“Tua madre?”, proruppe improvvisamente.
“E’ uscita con mio padre e Phil, il suo nuovo marito.”
“Ah. I tuoi hanno divorziato?”, chiese con un sussurro.
“Sì, quando ero appena nata, ma hanno dei rapporti abbastanza buoni”
Sorrise. “E’ una fortuna, solitamente due genitori separati non vanno molto d’accordo.”
“Lo so”, abbassai lo sguardo sui miei piedi, cercando di ignorare il fatto che lui si stesse preoccupando per me, anche solo un pochino.
Mentre tornavo a guardarlo, i miei occhi caddero sull’orologio a parete. Erano le 19.20.
“Hai fame?”
“Se anche mentissi, il mio stomaco mi tradirebbe entro poco, ne sono sicuro”, ridacchiò grattandosi la nuca.
Risi anch’io, lieta che la conversazione si fosse alleggerita.
Lo guidai in cucina, ricordando il giorno in cui era venuto a casa mia per scrivere gli inviti di Carmen ed Eleazar.  
Non era passato molto tempo, mi accorsi con stupore.
Ci sedemmo, come l’altra volta, uno accanto all’altra, discutendo su cosa mangiare.
Lui insisteva perché fossi io a decidere; io, al contrario, continuavo ad affermare che l’ospite era lui e che quindi era suo il compito di scegliere.
“E va bene!”, mi arresi dopo dieci minuti, sfinita dal dibattito.
Edward schioccò la lingua, soddisfatto di aver vinto. Assottigliai lo sguardo. “Te la farò pagare, lo sai, vero?”
“E come, avvelenando il cibo che tu sceglierai?”
Ma bravo, sottolineava ancora una volta il trionfo!
“No, semplicemente dandoti in pasto al coccodrillo che mi fa da cane da guardia”, risposi con nonchalance, alzandomi in piedi ed andando ad aprire uno sportello della cucina per prendervi la confezione di lasagne.
“Alt, alt, alt.”, lo sentii pronunciare con tono estremamente solenne alle mie spalle.
Si era alzato in piedi anche lui.
“Qui abbiamo una crisi di identità”, continuò, sempre più vicino.
“Sì?”, pigolai fingendomi disinteressata.
“Già”, ormai sentivo il suo fiato sul collo.
Deglutii.
“Sbaglio o era Capitan Uncino quello che doveva essere destinato al coccodrillo?”, sussurrò alitando sulla mia nuca.
Chiusi gli occhi, richiamando a me tutta la sanità mentale che un tempo possedevo. M’imposi, inoltre, di non girarmi, per non rischiare di fare qualcosa di cui poi mi sarei pentita, preda dell’effetto che la sua vicinanza scatenava.
“Io dico che il coccodrillo sarebbe felice di mangiare anche Peter Pan”, proseguii a denti stretti, continuando a dargli le spalle.
“Ma il coccodrillo è amico di Peter Pan”.
Ridacchiai leggermente, alzandomi sulle punte per prendere una teglia da un ripiano più alto. “Lo è di più di Wendy”
“Stai sottovalutando il coccodrillo, lui è intelligente, capirebbe subito che Wendy è posseduta dal demonio”
Stavolta girarsi fu impossibile.
“Wendy?”, domandai scettica, ignorando il fatto che mi stesse letteralmente spingendo contro il piano cottura. “Posseduta dal demonio, Wendy?”
Alzò gli occhi al cielo, rendendosi conto dell’impossibilità della cosa.
“Tutto può succedere, ok?!”, esclamò esasperato, senza riuscire a trattenere una risata.
Mi unii a lui, cercando però di allontanarmi il più possibile.
E dire che mi sarebbe piaciuto stare là a stretto contatto con Edward.
“Allora”, riprese affiancandomi un’altra volta, “cosa stai cucinando di buono?”
“Lasagne. È uno dei piatti che preferisco e, senza l’intervento di mia madre, esce davvero molto bene.”, affermai orgogliosa mentre imburravo la teglia.
“Dovrei far sapere alla povera Renée che ne parli male alle sue spalle”
“Non sto parlando male di lei!”, ribattei guardandolo male. “E poi lei lo sa benissimo che non è una cuoca nata!”
Le sopracciglia di Edward si aggrottarono mentre con un dito mi aiutava a stendere il pezzettino di burro sulla superficie nera. “E allora perché continua a farlo?”
Bella domanda.
Prima di rispondere, attesi un secondo, riflettendo su cosa dire.
“Diciamo che sono io che … la sprono. Mia madre non ha mai voluto smettere di cucinare, nonostante i risultati fossero pessimi. Comprava ricettari su ricettari, seguiva programmi televisivi culinari … insomma, si dava un gran bel da fare.”
I miei occhi si sollevarono dalla teglia soltanto un attimo, quando le nostre mani, nello spalmare il burro, si incrociarono.
“E io non le ho mai detto di smettere, nonostante non gradissi mangiare roba bruciata”, sorrisi al ricordo di tutte quelle notti in cui andavo a letto a stomaco vuoto perché non avevo avuto il coraggio di dire a mia madre che avevo buttato le sue pietanze e che, quindi, ero rimasta senza cena. “Al contrario, la spingo molto a provarci perché vederla sempre all’opera e speranzosa che finalmente riesca ad imparare mi fa stare bene. E vorrei essere forte quanto lei per affrontare ogni difficoltà”
Dopo un minuto di silenzio, Edward prese parola. “Anche a me capita, ma non con mia madre, con mia sorella, Alice. L’hai vista, no? È sempre un uragano, sempre in movimento, sempre felice, entusiasta … a volte, quando io sono giù di morale, vorrei tanto avere un interruttore per spegnerla, poiché vedere tutta la sua allegria, in quei momenti, mi fa davvero saltare i nervi”, rise, ma non sembrava molto divertito.
“Immagino che però anche lei abbia i suoi momenti no
“Sì, certo, ma non molto spesso. Non quanto me, almeno.”
“Preferiresti una sorella sempre triste e di malumore?”, domandai, già sicura della risposta che avrei ricevuto.
“No … è solo che mi dà fastidio che sia sempre lei a dovermi consolare. È un pensiero egoista, lo so, ma mi piacerebbe tanto che a volte i ruoli si invertissero e che fossi io quello forte, quello incapace di piegarsi alla sofferenza”
“Ehi,”, dissi, abbandonando il mio lavoro e prendendogli una mano. Nessuna scossa elettrica, ma la sensazione fu comunque bellissima.
“Piangere non è certo una debolezza. Piangiamo tutti, chi più e chi meno, ma è una cosa normale. Non c’è da vergognarsene. E poi …”, un sorriso comparve sulle mie labbra, “ricordati che sei Peter Pan. I bambini piangono taaanto spesso …”
Scoppiai a ridere per la mia stessa battuta e lui, dopo aver scosso la testa fingendosi indignato, si diresse velocemente al lavello e fece scorrere l’acqua per qualche secondo, il tempo necessario perché mi rendessi conto di cosa stavo andando in contro.
Improvvisamente fui investita una miriade di spruzzi congelati e chiusi gli occhi, non sapendo se ridere o arrabbiarmi. Appena li riaprii, giunsi ad una conclusione.
“Sai, ripensandoci, avevi ragione. Wendy è davvero posseduta dal demonio…”
 
 
* * * * * *
 
 
- Io lo so che cosa sei!
- Sono il massimo che sia mai esistito!
- Sei una tragedia!
- Io? Una tragedia?!
- Ti stava lasciando, Peter Pan. La tua Wendy … ti stava lasciando.
“In questa parte odio seriamente Capitan Uncino. Ma si può essere così crudeli?! Cioè, lui sa che questo è il suo punto debole e lo colpisce proprio lì!”, il bisbiglio concitato di Edward mi fece ritornare alla realtà con un sussulto, talmente ero concentrata sul film.
Eravamo stati in silenzio tutto il tempo sino ad a quel momento, se non fosse stato per il rumore delle posate.
Eh, sì, alla fine avevamo deciso di mangiare le lasagne in salotto, seduti sul divano. Anzi, più che sul divano, appoggiati al divano.
“Per poter stare più comodi”, aveva detto lui, sfuggendo al mio sguardo, quando gli avevo chiesto come mai preferiva sedersi sul pavimento.
Effettivamente, però, non è stato scomodo, affatto. Non avevamo nemmeno preso i piatti, convenendo che mangiare direttamente dalla teglia non sarebbe stato poi questa gran tragedia.
Se fosse stata una giornata qualunque e se io fossi stata in me, gliel’avrei impedito, avrei preso i piatti e senza tante storie l’avrei costretto a mangiare da lì.
Ma quello non era un giorno come tanti.
Mi avvicinai di più a Edward, sollevando leggermente la testa per poter raggiungere l’altezza del suo orecchio. “Be’, non si può certo dire che siano grandi amici …”
Gli angoli della sua bocca si sollevarono leggermente, lasciando intravedere la dentatura perfetta. “Che poi, quando Uncino gli dice che è ‘incompleto’ è davvero il massimo. Voglio dire, ma guardati! Sei senza una mano! Più incompleto di così!”
Dopo aver ridacchiato per un poco, ritornammo a prestare attenzione al film.
O meglio, lui tornò a prestare attenzione al film.
Io, ormai, seduta così vicino a Edward, con la testa appoggiata sulla sua spalla, non ce la facevo; l’unica cosa su cui ero concentrata era il suo respiro lento e regolare.
Fino a qualche mese prima non avrei mai pensato che sarei finita a guardare ‘Peter Pan’ con un ragazzo come lui. Da quando l’avevo conosciuto, erano cambiate davvero tante cose in positivo, sebbene ci fossero ancora tanti, tanti problemi.
Sollevai di qualche centimetro la testa per osservare il profilo del suo volto.
Ammirai la fronte alta coperta dai ciuffi ramati illuminati dalla luce fioca del televisore, il naso dritto, la mascella squadrata, le labbra piene …
“Sai”, proruppe nuovamente, la voce roca mentre appoggiava il bicchiere di coca sul pavimento.
Mi affrettai a guardare il televisore. Eravamo arrivati al punto in cui Peter era stato buttato per terra da Capitan Uncino e tutti i bambini erano stati radunati attorno all’albero maestro.
Una delle scene più belle ed intense.
“Pensavo che nonostante io preferisca il libro al film, c’è una parte di quest’ultimo che mi piace molto”, mentre parlava il suo respiro raggiunse la pelle scoperta del mio collo, causandomi brividi.
“Mmm?”, pigolai distogliendo velocemente lo sguardo dai suoi occhi, troppo profondi.
“Sì. Si tratta della scena del bacio … è un momento magico, quello. Certo, tutta la storia è magica, ma quello è il momento che preferisco. È come se sia Peter che tutti gli altri accettassero per un attimo quel piccolo aspetto dell’essere adulti: l’amore. Quando si è bambini, infatti, l’amore è presente, certo, ma è fraterno, non così puro e sincero come quello delle persone più mature. E io … rispecchio questo Peter Pan, quello che vuole fare l’esperienza dell’amore, nonostante l’età. Io vorrei …”
Il mio respiro era veloce, forse più di quanto lo fosse il battito del cuore. Aspettavo con ansia incredibile che finisse la frase, eppure non riuscivo a voltarmi verso di lui, i miei occhi guardavano soltanto la televisione, senza vederla per davvero. C’era solo una sequenza di immagini che conoscevo a memoria.
Wendy che riusciva a liberarsi dalla stretta di uno degli uomini di Uncino; Wendy che veniva buttata accanto a Peter; Uncino che consentiva a Wendy di dare a Peter il suo addio; Wendy che donava a Peter un …
“… Un ditale”
Mi voltai immediatamente, colta alla sprovvista ancora una volta.
Ed i suoi occhi erano lì, grandi, accesi, illuminati da una luce propria, incredibilmente vicini a me.
“Desidererei tanto un ditale”, ripeté, scandendo bene parola per parola e avvicinandosi ancora, lentamente.
Non potevo credere che stesse succedendo.
Non potevo neanche illudermi che fosse vero.
Dov’era andata a finire la conclusione drammatica della mia vita? Il mio destino perennemente infelice e privo di amore e comprensione, se non quella dei miei genitori?
Chiusi gli occhi, aspettando con ansia e felicità l’inevitabile. Non riuscivo nemmeno a spiegarmi quelle sensazioni, così contrastanti tra loro da scombussolarmi totalmente.
E mi sorpresi incredibilmente quando riuscii a dar loro un nome – farfalle nello stomaco – un’emozione di cui avevo sentito parlare tanto nei romanzi d’amore che avevo letto.
Possibile che stesse capitando a me …?
Non appena avvertii la consistenza morbida e calda delle sue labbra sulle mie, seppi darmi la risposta.
Rimasi ferma, immobile a subire quel contatto meraviglioso e bollente, lasciando che fosse lui a guidarmi in quel vortice di sensazioni incredibili.
Le muoveva piano, dolcemente, senza forzarmi.
Era stupendo.
Si staccò dopo un tempo che mi sembrò troppo poco e interminabile contemporaneamente.
Avvampai più di quanto avessi mai fatto, consapevole che quel piccolo gesto avrebbe determinato tanti cambiamenti.
Osservai Edward sorridere, imbarazzato e sereno allo stesso tempo.
“I-io …”, sussurrò, sul punto di dire qualcosa, ma lo misi a tacere buttandogli le braccia al collo.
Avrei desiderato farlo tante volte e la mia felicità fu incalcolabile quando finalmente sentii il suo profumo ancora più da vicino, in un modo ancora più intenso, e quando sentii le sue braccia avvolgermi e scaldarmi.
Sapevo bene che probabilmente non aveva mai avuto una reazione del genere da una ragazza subito dopo il loro primo bacio, ma non m’importava.
Dovevo abbracciarlo, dovevo tenerlo stretto a me, dovevo ringraziarlo di tutto ciò che aveva fatto, della speranza e della fiducia che mi stava donando, nonostante lui sapesse bene che gli nascondevo qualcosa.
Nonostante la televisione ad alto volume, percepii chiaramente il rumore delle chiavi nella serratura, ma non reagii, come se si trattasse di un mondo a parte.
Solo quando mia madre parlò, capii di non essere in una situazione molto … semplice.
“Ragazzi, siete a casa?”


Credetemi se vi dico che mi vergogno a postare dopo tutto questo tempo.
Credetemi se vi dico che mi dispiace davvero da morire.
Credetemi se vi dico che c'è mancato poco perché decidessi di cancellare tutte le mie storie.
Credetemi se vi dico SCUSATE!!!!!!!
So che siete tutte quante arrabbiatissime con me - e fate bene - ma vi prego di perdonarmi.
Quando si comincia una storia bisogna prendersi le proprie responsabilità e quindi postare regolarmente, ma tutto parte dal piacere che si trae scrivendo, sfogandosi con le parole e immaginando le vite di personaggi immaginari.
Io avevo bisogno di ritrovare questo piacere, questa sensazione di gioia e di completezza che trovo soltanto quando mi metto al pc a scrivere. Fino a poco tempo fa, infatti, aggiornare era diventato un obbligo, un dovere, quasi alla pari dei compiti scolastici.
Mi sono resa conto di star vivendo il mondo delle fanfiction troppo male e questo è uno dei motivi che mi ha spinto a prendermi una pausa.
Quello principale, invece, è che ho avuto un periodo un tantino pazzo. Nel senso che mi sono innamorata e, si sa, il periodo dell'innamoramento è uno dei più belli e felici. Peccato che dopo questo arrivi il momento di fare i conti con le dichiarazioni, con le scoperte e con l'indifferenza. Sono stata benissimo e malissimo ed è stato difficile gestire la cosa. Per fortuna ora ho trovato un po' di equilibrio. Per questo ringrazio da morire la mia GingerS, la mia The Red One e la mia Freddy Barnes. (Un ringraziamento va anche a
Niji_Shoku no Yume poichè senza di lei la mia sorellona non sarebbe così felice e, di conseguenza, anch'io! Grazie, Cla ;))
So anche che avrei potuto mettere un avviso, ma ero sempre lì, sul punto di dire "oggi mi tolgo da EFP" oppure "oggi mi metto a scrivere e aggiorno".
Vi chiedo, di conseguenza, ancora una volta scusa da morire.
Adesso, invece, passiamo al capitolo.
Come vi avevo detto nello scorso, questo capitolo era già stato scritto - un motivo in più per cui avrei dovuto aggiornare prima. Peccato che questo abbia complicato le cose. Il capitolo che avevo scritto non mi piaceva più, l'ho modificato tantissime volte sino a lasciarlo stare per un po' e rimettermi completamente a riscriverlo in queste vacanze.
Finalmente il momento tanto atteso è arrivato, anche se senza rivelazioni da parte di Bella.
Mi auguro con tutto il cuore che vi sia piaciuto e che mi perdoniate!
Se voleste anche recensire, poi ... sapete che a me fa sempre MOLTO PIù CHE PIACERE!
Un bacio enorme a tutte! Anzi, che dico, UN DITALE a tutte!
Elena

P.S. Alle scorse recensioni risponderò con calma. Perdonatemi anche per questo, ma,  come ripeto, la situazione non è semplice!

P.P.S. Per chiunque si chiedesse a quale scena corrispondessero le battute di Peter Pan che ho scritto, potete dare un'occhiata qui (sono le prime che sentite^^)

P.P.P.S. Ero talmente presa dalla felicità di aggiornare di nuovo che mi sono dimenticata di farvi gli auguri di Pasqua in ritardo! xD Perdono anche per questo!!! XD

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Capitolo 15
*** Soluzione ***


Your Guardian Angel

*° Capitolo Quattordici: Soluzione °*

Scusate per la mia assenza, per il mio ritardo e per tutto il resto.
Questo capitolo è dedicato a tutte voi che continuate a seguirmi, nonostante io sia pessima.
Vi ringrazio e mi scuso ancora, davvero dal profondo.
 
POV BELLA
 
“Toc toc”, un mormorio divertito, seguito da un lieve colpetto sulla superficie della porta, mi fece sobbalzare, sebbene lo stessi aspettando da un pezzo.
Non avevo fatto altro che chiedermi, con un misto di irritazione, ansia e sarcasmo, quando mia madre avrebbe ceduto alla morbosa curiosità che avevo letto nei suoi occhi non appena Edward era saettato fuori dalla porta di casa, mormorando scuse e saluti indistinti. Sapevo che sarebbe salita in camera non appena avrebbe trovato un istante libero, avida di conoscere le ‘vicende sentimentali di sua figlia’. Già la immaginavo, tutta entusiasta e saltellante, finalmente alle prese con i problemi di cuore che aveva sempre desiderato, da eterna adolescente qual era.
“Avanti”, risposi rassegnata, nascondendo la testa sotto il cuscino e raggomitolandomi su me stessa, come se il solo fatto di essere coperta avesse potuto proteggermi dall’interrogatorio di Renée.
Memorizzai con nervosismo crescente ogni suo minimo movimento, ogni rumore che avvertii non appena varcò la porta della mia camera: il cigolio prodotto dalla porta spalancata con foga, i suoi passi frettolosi nel raggiungere il letto, il rumore sordo mentre si inginocchiava sul pavimento, accanto al materasso.
Rimanemmo in silenzio per un paio di minuti: probabilmente si aspettava che sarei stata io a prendere parola e a confidarmi con lei, che le avrei raccontato tutto per filo e per segno e che avrei confermato ciò che lei, da mamma veramente intuitiva, aveva immaginato e, sicuramente, sperato fosse accaduto.
“Bella?”, mi richiamò con voce carica di aspettativa.
“Mmm?”, ribattei con finta innocenza dal mio angolino, ancora speranzosa di poterla scampare.
“Cos’è successo prima, con Edward?”, eccola, la fatidica domanda.
Renée si alzò in piedi – ormai la sua sete di sapere aveva raggiunto il culmine – e scostò lenzuola e cuscino per potermi guardare in faccia.
Sospirai profondamente: d’altronde avevo sempre saputo che sarebbe dovuto succedere.
Mamma dovette cavare informazioni dalla mia bocca con le pinze, interpretare i miei grugniti e i mugolii vari, i silenzi secondo lei ‘carichi di significato’, analizzare i miei attimi di incertezza con aria da Sherlock Holmes in versione femminile e americana, ma, alla fine, sembrò soddisfatta e la sua curiosità fu messa a tacere.
“Oh, tesoro, quanto sono felice!”, esclamò con un trillo e stampandomi un forte bacio sulla guancia, incurante del fatto che, solitamente, la gente a quell’ora della notte dormisse.
“Edward è davvero un bravissimo ragazzo … così dolce, premuroso … quando vi rivedrete?”
Oh.
“N-non lo so”, balbettai, preoccupata di una qualche sua reazione isterica.
“Ma siete o non siete fidanzati?!”, domandò con un cipiglio perplesso e irritato.
“Non abbiamo avuto tempo di parlarne!”, sbottai, ormai allo stremo delle forze, “Sei spuntata fuori all’improvviso e lui è scappato via!”
Attese un attimo, in piena meditazione zen. “Questo è vero”, rifletté con le sopracciglia ancora aggrottate, “ma il bacio non dovrebbe parlare da sé? Non dovrebbe essere segno di una dichiarazione?”
A quel punto, mi alzai in piedi e, fingendomi più stanca ed esasperata di quanto in realtà fossi, spinsi mia mamma verso la soglia della mia camera. “Buona notte, mamma!”
Lei sembrò alquanto sorpresa dalla mia reazione, ma, per una volta, non ribatté e si limitò semplicemente a salutarmi con un bacio ed un sorriso.
Non appena se ne fu andata, chiusi la porta con un tonfo e corsi alla mia postazione precedente, riagganciando il lenzuolo e coprendomi fino al mento.
Fu proprio in quel momento che, al buio e con la testa finalmente sgombra, mi lasciai andare ad una risatina strana, eccitata, euforica, vera. Una risatina che nemmeno io ero capace di spiegarmi. Non avrei mai smesso di pensare a ciò che era successo quella sera, al bacio e a tutto il resto.
E non importava che non sapessi assolutamente come la situazione si sarebbe evoluta o come avrei dovuto comportarmi con Edward nei giorni a venire: in quell’istante tutto sembrava splendido, regnava quella perfezione che avevo visto soltanto nelle fiabe da bambina e che ero convinta non avrei trovato in nessun altro posto.
Fu così che mi addormentai, con le labbra tese in un sorriso e la mente lontana da qualsiasi altra cosa che non fosse lui: Edward.
 
 
* * * * * *
 
 
L’indomani mattina, non ci fu bisogno delle solite e odiate cannonate affinché mi svegliassi: bastò semplicemente il sole. I suoi raggi, infatti, quel giorno erano così caldi, forti e insistenti che riuscirono a penetrare nella stanza semplicemente attraverso le fessure delle tapparelle, donandomi un risveglio piacevole e, per la prima volta da moltissimo tempo, pacifico.
Stropicciai gli occhi con calma, giusto per godermi quel momento di pace mattutina che, ne ero certa, non si sarebbe ripetuto molto presto.
Seppure fossimo a ottobre inoltrato, il sole era sempre presente ed i suoi raggi, in quel momento, sembravano penetrare nella pelle come per iniettarvi linfa vitale con la dolcezza di una carezza.
Mi cambiai lentamente, andai in bagno e ritornai nella mia stanza per preparare lo zaino: erano tutte azioni che compivo ogni mattina, quasi meccanicamente per quanto erano divenute ripetitive e noiose, ma che quel giorno richiesero cura, dedizione, quasi; oltre ad un sorriso sulle labbra che ormai era diventato onnipresente.
Scesi le scale quasi saltellando, zaino pendente da una spalla e la mano sinistra a tracciare i contorni del corrimano in legno.
“Buongiorno”, mi rivolsi a Charlie, sprofondato nella poltrona del salotto con gli occhi chiusi, sebbene la televisione fosse accesa. Della serie, passare da un letto a un altro.
Non appena sentì la mia voce, saltò quasi in aria e spalancò le palpebre, rivelando riflessi pronti e scattanti da poliziotto, nonostante gli acciacchi dell’età.
“Oh, Bella, sei tu”, esclamò, senza preoccuparsi di non far trasparire il sollievo dalla sua voce.
Ridacchiai in risposta, dirigendomi verso la cucina.
“Ah, Bells!”, mi voltai, sentendomi chiamare ancora. L’espressione di mio padre era perplessa, le sopracciglia aggrottate a formare un’ulteriore ruga sulla fronte. “Come mai lo zaino? Oggi dobbiamo andare all’ospedale”
Aprii la bocca per replicare, ma dalle mie labbra a formare una piccola O, non uscì alcun suono. Me n’ero completamente dimenticata!
Lasciai scivolare lo zaino dal braccio, facendolo atterrare mollemente a terra. Poi, a passi pesanti e strascicati, andai a sedermi sul divano accanto a mio padre, il quale ancora mi fissava con quell’espressione di chi non sta capendo più nulla.
Sprofondai anche io tra i morbidi cuscini colorati del sofà, e tentai di seguire con occhi assenti il servizio trasmesso dalla CNN.
“Bella, qualche problema?”.
“No”, risposi scuotendo la testa per dare più enfasi alla negazione. “Mi è sembrato semplicemente strano che … me ne fossi dimenticata”
Charlie sorrise, allungando lentamente una mano verso la mia, appoggiata sul bracciolo del divano. “Stavi pensando ad altro, vero?”, domandò in una risatina leggera, forse per vendicarsi della figura fatta poco prima.
“Certo che pensava ad altro!”, s’intromise Renée con tono allegro, facendo capolino dalla cucina e salvandomi da quella situazione. “La mia bambina non pensa mai all’ospedale, perché è una cosa troppo triste. Lei sa che pensarci le farà venire le rughe prima del tempo, perciò evita.”
Scambiai uno sguardo sconvolto con mio padre, poi risi, ormai certa che nella mia famiglia non ci fosse più nessuno in grado di salvarsi dalla pazzia.
“Ehi!”, protestò Renée, offesa, poi si unì alle nostre risate, senza alcun apparente motivo.
Che bel quadretto familiare, pensai sorridente. Da bambina, avrei fatto di tutto per un momento del genere, ma col tempo mi ero rassegnata all’idea che se i miei non litigavano e non si parlavano era già un progresso. In quel momento, invece, tutto sembrava diverso, carico di un’atmosfera nuova, che non riuscivo a definire. Sapevo soltanto che mi piaceva. E tanto.
 
 
* * * * * *
 
 
“Siamo giunti ad un momento molto delicato, Isabella”, il tono del dottor Banner era solenne e serio, mentre tastava con tocco attento e gentile le chiazze nude sul mio cranio.
Renée, in piedi accanto a me, stringeva forte la mia mano, mentre i suoi occhi, spalancati e luminosi, saettavano da me al dottore come una pallina da tennis.
 “Senti mai nausea?”, domandò, sempre con quel tono distaccato e professionale.
Avevo imparato a conoscere un po’ meglio il Dottor Banner, col tempo, e avevo compreso che utilizzava quella voce soltanto quando era estremamente concentrato su qualcosa, proprio come in quel frangente.
“N-non mi sembra”, balbettai, colta alla sprovvista.
“Sì, invece, Bella.”, intervenne mia madre con aria di rimprovero. “Non ricordi che, qualche giorno fa, a cena, non hai mangiato perché sentivi male allo stomaco? E tutte quelle volte che salti la colazione?”
Gli occhi del dottore adesso erano puntati verso di me, attenti. “Sono sintomi da non sottovalutare assolutamente, questi. Entro poco tempo, infatti, diventeranno sempre più forti ed insistenti: come già sai, perderai sangue, vomiterai spesso e, come stiamo già vedendo, i capelli cadranno. Stiamo entrando nella fase più intensa della chemioterapia, perciò vi devo chiedere molta cautela.”
Il suo sguardo penetrante lasciò i miei occhi, andando ad incrociare quelli preoccupati di mia madre. “Nei primi tempi, non esitate a portarla all’ospedale, dove vi daremo indicazioni su cosa fare. Col tempo, ci prenderete anche voi la mano e non sarà più necessario portarla ogni volta fin qui”
Renée continuava ad annuire come un robot, così meccanicamente da pensare che si trattasse di un tic nervoso.
Osservai il dottore, serio e concentrato, allontanarsi per compilare i soliti moduli; e mi accorsi che qualche minuto dopo, quando ebbe sollevato nuovamente la testa, sembrava una persona completamente diversa. Il volto sorridente e pacifico, infatti, emanava una radiosità incredibile che lo faceva sembrare quasi un angelo, all’interno di quella stanza bianca.
“Bene, direi che possiamo anche terminare qui”, esclamò con tono benevolo, dandomi un lieve buffetto sulla guancia. “Sono felice che tu stia reagendo meglio alla terapia”
Per la seconda volta nella giornata, mia madre mi salvò da una situazione imbarazzante, prorompendo con una risata cristallina. “Oh, sì, pensi che ne ha una tutta sua … decisamente di un altro genere”, annunciò entusiasta, dandomi una leggera gomitata con fare cospiratorio.
Il dottor Banner sembrò illuminarsi. “Ah, capisco!”. Detto questo, fece l’occhiolino e mi accompagnò con una mano sulla spalla sino alla soglia della stanzetta bianca.
Mi lasciai trascinare in giro per l’ospedale da Renée, che ancora non aveva smesso di tenermi per mano. Sembrava così serena, quel giorno, nonostante le indicazioni del dottore non fossero state delle più allegre.
Il fattore perdita di capelli, infatti, non era un qualcosa che spaventava a morte soltanto me, ma anche lei. Forse era stupido parlarne in quel modo, visto che la caduta dei capelli era decisamente una delle conseguenze minori della leucemia; eppure, il pensiero di dover perdere un qualcosa di così determinante per tutte le donne mi terrorizzava. Avrei perso la mia femminilità? Mi avrebbero scambiato per un maschio quando camminavo per strada? E con Edward? Come avrei spiegato il mio essere diventata improvvisamente calva?
Non appena nominai mentalmente il nome di Edward, i miei pensieri presero strade completamente diverse, abbandonando quelle tristi riflessioni legate alla leucemia e passando ad altre di decisamente altro genere.
“Dici che è così evidente?”, domandai di punto in bianco, proprio mentre stavamo per imboccare l’uscita dell’ospedale.
“Cosa?”. Si fingeva confusa, lei, ma sapevo bene che aveva intuito perfettamente a cosa mi stessi riferendo.
“Dai …”, mormorai a disagio. “Parlo di Edward”
“Ah, lui!”, esclamò Renée con l’aria di chi ha scoperto l’acqua calda. “Be’ … diciamo che se chiedessi a quel vecchietto laggiù il motivo per cui stai sorridendo, non penso che arriverebbe alla conclusione che c’entra Edward, ma, agli occhi di qualcuno che ti conosce anche solo un poco, è chiaro che ti è successo qualcosa di … bello”, spiegò con un sorriso materno.
Sospirai, continuando ad osservare il traffico mattutino di Phoenix. “Prima dovevo avere l’aria parecchio depressa …”
“Nah”, ribatté ironicamente, “semplicemente esistono persone un tantino più allegre”. Mi mise un braccio attorno alle spalle, stringendomi goffamente a sé. “Per me sei una figlia meravigliosa così come sei, tesoro”
Se fossi stata una figlia modello così come mia madre mi descriveva, probabilmente l’avrei ringraziata di quel complimento e le avrei ricordato il bene che le volevo, ma purtroppo non lo ero, perciò rimasi in silenzio, imbarazzata, per diversi minuti, lasciando che la conversazione si disperdesse così, nel vuoto.
Osservai il traffico intenso e – per me – confortante di Phoenix, le luci, le persone che scorrevano veloci come sagome sullo sfondo di quella città così affollata e caotica. Neo -mamme con il passeggino o il figlioletto in braccio, signore anziane che si aggrappavano ai pali della luce a causa della mancanza di giovanotti pronti a prestare i loro servigi, uomini che passeggiavano tranquilli per la città, apparentemente senza un pensiero per la testa, donne e uomini impegnatissimi, con migliaia di scartoffie tra le mani che minacciavano di cadere da un momento all’altro … non ci si annoiava mai a guardare il via vai di tutte quelle persone.
Ci fu un qualcuno che, però, catturò la mia attenzione più degli altri. Si trattava di un uomo in smoking che parlava animatamente al telefono, una valigetta scura in una mano e, nell’altra, un sacchetto da cui traboccava un magnifico orsacchiotto di peluche con indosso un bavaglino su cui era scritto Teddy Bear.
Mi ritrovai a sorridere, osservandolo, e pensai che quella scena sarebbe stata capace di far stramazzare Edward al suolo dalle risate. “Un uomo facoltoso, un manager probabilmente, sempre alle prese con affari, viaggi e trattative che se ne va in giro con un orsacchiotto di peluche! Questo sì che è cadere in basso!”, avrebbe esclamato tra le risa, incurante del fatto che la gente avrebbe potuto sentirlo e dargli del maleducato.
Chissà cosa stava facendo, in quel momento. Così come avevo fatto così tante volte, lo immaginai nella sua scuola, alle prese con insegnanti, lezioni, test, compagni … sapevo bene che quei pensieri non portavano mai a nulla di buono, ma che, al contrario, non facevano altro che acuire le mie paranoie, già abbastanza numerose.
Eppure, mi bastava sempre sentire la sua voce per calmarmi, per far sparire almeno per un po’ tutti quei problemi che si affacciavano nella mia esistenza.
Diedi un’occhiata veloce all’orologio, colta da un lampo di ispirazione folgorante. Erano le 10.56.
Senza pensarci due volte, liquidai mia madre con qualche scusa a caso, inventando un negozio che dovevo assolutamente andare a vedere! Lei, un po’ scettica, acconsentì senza troppe domande, ma con un sorriso che mi fece temere avesse intuito qualcosa.
Camminai ancora per un paio di minuti, poi, quando fui certa che Renée fosse ormai lontana, presi il cellulare dalla tasca dei jeans e composi con dita tremanti il numero di Edward.
Era l’intervallo, cavoli, doveva rispondermi.
Dopo tre squilli a vuoto, finalmente, eccola, la sua voce, resa un po’ più roca e metallica dal telefono.
Pronto?
“Ciao”, dissi semplicemente, con il cuore in gola. Colta da quell’improvviso desiderio di sentirlo, non avevo badato molto alle precedenti preoccupazioni circa ciò che ci saremmo dovuti dire dopo il bacio.
Oh, ciao, Bella”, rispose lui immediatamente, nella voce una nota di sollievo che speravo di non essermi inventata. “Tutto bene?
“Sì, abbastanza. Oggi, giornata libera. Ho finito l’assistenza all’ospedale proprio qualche minuto fa”, dichiarai fiera, mentendo spudoratamente.
Beata te! Io sono a scuola … a proposito, mi hai beccato proprio nel momento giusto, sai? C’è l’intervallo, adesso.
Feci finta di non aver calcolato tutto, evitando di passare per una pazza maniaca. “Wow. E tu che fai?”
Io? Mmm …”, lasciò la frase in sospeso, lasciando che udissi rumori e fruscii indistinti dall’altra parte.
Attesi qualche secondo, un tempo che invece a me sembrò un’eternità. Quasi quasi mi preoccupai che mi avesse riattaccato in faccia e che non me ne fossi nemmeno accorta.
“Vedi, sono concentrato in un’operazione della massima importanza”, il suo tono vagamente ironico e cospiratorio fece alleggerire la mia ansia.
“Mmm … sono molto curiosa”
E’ un’arte, la mia. Un compito che ho imparato a svolgere sin da quando ero in fasce poiché è davvero, davvero importante per la sopravvivenza dell’umanità e, soprattutto …  per la mia!
Ridacchiai, ormai davvero interessata e colpita. “Uh, il mistero s’infittisce”
Eh, già. Sono come un vampiro, devo agire di nascosto, senza essere visto da nessuno.
“E perché?”
Perché in molti potrebbero non capire l’importanza del mio compito, potrebbero addirittura fraintendere: farmi passare per il nemico, capisci?!”, domandò con tono teatrale.
Non volevo proprio pensare alle persone che gli sarebbero passate accanto in quel momento e che l’avrebbero preso per pazzo, sentendogli dire certe scemenze.
“Deve essere un qualcosa di incredibilmente serio. Ma dimmi, di che si tratta?”, chiesi a mia volta, dando alla mia voce un fare cospiratorio, proprio come aveva fatto lui.
Non so se posso rivelartelo, Bella … tu mi tradiresti mai?
“Mai”, risposi di getto, con una sincerità che andava decisamente al di là di quel gioco scemo.
Allora posso fidarmi”, concluse sereno, “Vedi … io … io … sono un ladro di merende!”.
A quelle parole, sussurrate con un’intensità incredibile, non riuscii a fare a meno di trattenere le risate, guadagnandomi qualche occhiata confusa da parte dei passanti.
“Tu non sei affatto normale!”
Lo vedi? Lo vedi che avevo ragione?! Non posso fidarmi di te, tu sei come tutti gli altri! Non capisci quale sia l’importanza del mio compito!”, ribatté con tono – fintamente – disperato.
“Oh, no, Edward, io capisco perfettamente! Questa è la missione per la tua sopravvivenza, poco ma sicuro!”
Stai mettendo in dubbio il mio altruismo, vero? Ma tu non mi conosci, io sono un Robin Hood dell’era contemporanea, io rubo ai ricchi per dare ai poveri!
Risi ancora, sforzandomi di ritrovare il fiato per rispondere. “Oh, ma fammi indovinare: rubi gli spuntini dietetici alle cheerleader per donarli ai secchioni ed agli emarginati?”
Rubo anche cose non dietetiche, eh, ma comunque … sì, a grandi linee la missione prevedrebbe questo.”
“Edward … allora ti lascio al tuo grande compito, non vorrei mai che a causa mia qualche sfigato rimanesse senza cibo.”, attesi un attimo, prima di continuare, incerta. “Ci … vediamo”
Sì, così potrò raccontarti l’esito della mia missione. Va bene venerdì alle 16 davanti all’ospedale? Vorrei approfittarne per comprare il regalo per Jessica e ...
“E’ vero, Jessica!”, lo interruppi immediatamente, “Me n’ero completamente dimenticata!”
E mentre parlavo, il panico cominciò ad attanagliarmi. Come mi sarei comportata davanti a tutta quella gente che mi aveva sempre tratta come uno scarto della natura? Come mi sarei vestita? Che cosa avrei comprato e … i capelli!
“... E parlare con te per bene … a sei occhi
La sua frase mi spiazzò completamente, non soltanto perché mi ero persa in pensieri di tutt’altro genere, ma perché non me l’aspettavo proprio. Mi sarebbe anche venuto il batticuore, se non fosse stato per le ultime tre parole, che mi lasciarono un po’ perplessa. “Sei occhi?”, domandai attraversando di corsa la strada.
Oh, scusami! Mi ero dimenticato che i miei occhiali non erano inclusi nell’appuntamento!
“Da quando porti gli occhi?!”, esclamai a voce troppo alta.
Lui rise. “Da un po’ di tempo, vedi, la mia missione è talmente pericolosa che a volte ci rimetto perfino io stesso …
Ma ormai non lo ascoltavo quasi più. I miei occhi erano incappati in una vetrina che sembrava essere stata costruita soltanto per alleviare le mie pene terrene.
“Ci vediamo presto, Edward”, riattaccai in fretta e furia, il mio sguardo che ormai non faceva altro che rincorrere quelle parole vergate con un carattere svolazzante e azzurrino sull’entrata del negozio.
I vostri capelli non vi piacciono più? Sono troppo crespi, grassi o ispidi? Avete voglia di cambiare completamente stile senza spendere milioni dal parrucchiere?
Qui troverete la soluzione ai vostri problemi! Acquistate uno, dieci, cento dei nostri prodotti, tutti di altissima qualità, e vedrete eccome la differenza!
Senza attendere più un secondo, ricacciai il cellulare in tasca e aprii con forza la porta a vetri tappezzata di manifesti e annunci pubblicitari.
“Salve, vorrei una parrucca.”



Non avete idea di quanto mi vergogni a presentarmi qui soltanto oggi, dopo 3 mesi e 2 giorni dallo scorso aggiornamento, con ancora tantissime recensioni a cui rispondere.
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.
Non so davvero come dirlo, vorrei conoscere tutte le lingue del mondo per fare almeno una bella figura, ma a parte l'italiano e qualcos'altro di antico e nuovo, so ben poco.
Potrei dirvi che ho avuto un sacco di cose da fare, ma non lo farò, perché sebbene abbia avuto gli esami e per parecchio tempo non sia stata a casa, ho avuto il tempo di stare al computer, ho provato e riprovato a scrivere questo capitolo così come altri, di storie diverse, eppure non ce l'ho mai fatta.
Tre mesi fa, finalmente sembrava che l'ispirazione fosse tornata, ma, evidentemente, mi sbagliavo.
Spero che siate disposte a perdonarmi ancora una volta, anche se non me lo merito. E, anzi, se non lo farete, sappiate che avete tutta la mia comprensione: io non so se lo farei, fossi nei vostri panni.
Nel caso scegliate di farlo, vi ringrazio davvero dal profondo del cuore, e lo fanno anche i miei Edward e Bella, nel loro piccolo.
Passando a loro, euesto capitolo è un po' di passaggio, ma serve per far capire come entrambi hanno preso la storia del bacio (non temete, Edward non se n'è affatto dimenticato!) e per sottolineare il particolare della caduta dei capelli, oltre alla fantomatica soluzione.
Se devo essere sincera, avrei voluto scrivere un capitolo molto più drammatico riguardante la caduta dei capelli, in quanto particolarmente legata a questo sintomo, ma non mi sembrava giusto rovinare l'emozione che si prova dopo un momento così romantico e dolce *.*
Prima di salutarvi e di augurarvi buone vacanze, vorrei precisare un'ultima cosa, ma non per questo meno importante. Circa tre mesi fa, ho avuto l'occasione di guardare un bellissimo film di cui in tanti mi avevano parlato bene, ma che non sapevo assolutamente di cosa trattasse: I passi dell'amore. Ecco, ne sono rimasta incantata, ma mi sono accorta che la storia somiglia davvero tantissimo a YGA!!!!!!! E vi posso giurare che io non l'avevo mai visto!!!!!! Ora, vorrei evitare di scrivere un qualcosa di identico a I passi dell'amore, ma non posso nemmeno sconvolgere del tutto la trama originaria, perché altrimenti la storia non sarebbe più la stessa! 
Detto questo ... ancora scusa, ragazze! Scusate e grazie infinite per le splendide recensioni che mi lasciate ogni volta: GRAZIE DAVVERO!!!!
Vi auguro una buonissima estate, sperando che l'ispirazione torni a farmi compagnia, e vi annuncio che purtroppo starò lontana da casa per 1 mese e, quindi, anche dal pc. =(
Ci rivediamo a settembre!!!!
Mi scuso ancora
, augurandomi di sentirvi presto tramite le recensioni di quelle sante che spero mi perdoneranno.
Un bacio grande,
Elena

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