Your Guardian Angel di thefung (/viewuser.php?uid=94824)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Semplice ***
Capitolo 3: *** Sorpresa ***
Capitolo 4: *** Conoscenza ***
Capitolo 5: *** Immaginazione ***
Capitolo 6: *** Ripetizioni ***
Capitolo 7: *** Chemioterapia ***
Capitolo 8: *** Futuro ***
Capitolo 9: *** Peter Pan ***
Capitolo 10: *** Domande ***
Capitolo 11: *** Sorriso ***
Capitolo 12: *** Speciale ***
Capitolo 13: *** Adolescenza ***
Capitolo 14: *** Ditale ***
Capitolo 15: *** Soluzione ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
o
Your
Guardian Angel
*° Prologo
°*
“Mi
dica dov’è Isabella Swan! Ora!”, urlai
sbattendo il pugno sul bancone d’ingresso
dell’ospedale.
Sentivo gli
sguardi esterrefatti della gente puntati su di me. Certo, cosa ci stava
a fare un ragazzino di diciassette anni in un ospedale a 'disturbare la
quiete pubblica'?
“Calmati,
Edward!”, sibilò Sally, l’infermiera, a
metà tra il timoroso e il seccato.
“Non me
ne frega se tutti mi guardano come un matto, Sally! Io voglio sapere
dov’è Bella!”,
“E va
bene, Edward…”, si arrese con un
sospiro, “E' al secondo
piano…il…primo
reparto”, mormorò debolmente, come se quella frase
le
fosse costata un pandemonio.
Corsi via
immediatamente dal bancone, dirigendomi in tutta fretta verso le scale.
Inciampai, spintonai e feci anche cadere delle persone, tale era la mia
foga…
Mi vedevo tanto
come uno dei personaggi di quegli stupidissimi film
drammatici, dove il protagonista correva come un matto fregandosene di
tutto e di tutti, come se esitesse solo lui al mondo.
L'unica
differenza era che la mia sofferenza e la mia angoscia erano
reali. Io non facevo parte di un film. Era tutto maledettamente vero.
Salii le due
rampe di scale e finalmente arrivai davanti alla porta del primo
reparto, il luogo dove c’eravamo incontrati per la prima
volta.
Come avevo fatto
a non notare mai il nome del reparto passando da lì?
Perché mi era sfuggito così tante volte il nome
‘Oncologia’?
Spalancai la
porta con sguardo attento, mi aspettavo di vederla
lì da un momento all'altro, ma di Bella nessuna traccia. Non
era
seduta sulle seggiole rosse che delimitavano la sala di attesa, non era
in piedi ... non c'era!
Sempre
più sconcertato e spaventato, mio malgrado, imprecai,
girovagando in tondo per la saletta, chiedendomi cosa fare.
Imboccai il breve
corridoio disseminato di porte bianche, tutte chiuse, e finestroni con
le imposte grigie abbassate.
Dopo averne
aperte due, spalancai la terza, aspettandomi di trovare le
espressioni di rimprovero dei medici che mi avevano già
riservato poco prima.
Quella volta,
però, fu diverso.
I medici e gli
infermieri c'erano, sì, ma la mia attenzione era
focalizzata su una ragazza magra, sdraiata su una barella e
con
indosso solo una camicia da notte bianca, semi trasparente che le
lasciva scoperte braccia e gambe.
Era calva.
I miei piedi,
dotati di vita propria, si mossero ancora, avvicinandosi maggiormente
al lettino.
No…no,
no, no!
Non poteva essere
lei, non poteva essere ridotta così… La
sua pelle era troppo, troppo pallida, di un colorito quasi
cadaverico, le occhiaie erano marcate sotto le palpebre abbassate, il
corpo così fragile, flebile mentre la testa era priva di
quei capelli mossi e lunghi che amavo tanto.
“Bella”,
mormorai con un filo di voce, aggrappandomi ad
mobile bianco lì vicino. Il mio non era un richiamo, era una
supplica.
Una preghiera,
una speranza. La speranza che quella non fosse lei, che
fosse solo una donna che le somigliava, che Bella stesse bene come mi
aveva sempre detto.
Le palpebre si
alzarono, rivelando un paio di occhi color cioccolato.
I suoi occhi…gli
occhi di Bella.
Ehi...ciao
a tutti...
lo
so, non vi aspettavate di trovarmi un'altra volta, eh? Ebbene
sì, sono tornata ancora, giusto per il divertimento che
provo nell'esaurirvi con le mie storielle xD E poi venitemi a dire che
non ho lo spirito sadico - vampiresco! ù.ù
Allora...come
avrete visto, oh prodi che avete osato affrontare questa pagina, la
storia che ho appena iniziato ha un che di serio, a differenza di
ciò che la mia testa bacata è solita a scrivere.
E' una fan fiction ispirata soprattutto da 'La custode di mia sorella',
film che sinceramente non avevo mai visto prima, nonostante l'avessi
sentito nominare spesso, ma che mi ha davvero commosso e appassionato.
Ciò che mi è piaciuto maggiormente è
stata la storia d'amore tra Kate e Taylor, due ragazzi malati di
leucemia che nonostante il tumore hanno scoperto il significato della
vita e dell'amore. Sono stati loro che hanno ispirato in maggior luogo
la nascita di questa fic.
Non
so se possa essere una buona idea scriverla, non so nemmeno se qualcuno
la leggerà...ma Edward e Bella, i miei beniamini, in un
contesto del genere mi sono piaciuti, tanto, li ho sognati e ho fatto
loro prendere vita tramite la scrittura. Spero davvero che l'idea
piaccia anche a voi, perché sono ancora in tempo
per cancellarla immediatamente.
Sebbene
questa fic sia ispirata al film, non ci saranno molti elementi comuni,
ci tengo a precisarlo.
Grazie
a tutti quelli che stanno leggendo!
Ah,
per piacere, una recensione piccola piccola sarebbe molto gradita!
Un
bacione,
Elena
|
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Capitolo 2 *** Semplice ***
Your Guardian Angel
*° Capitolo Uno: Semplice °*
“Devi stare a riposo, Bella, quante volte te lo devo dire?” Sarà stata la centesima volta che mi sentivo dire di stare immobile, di non affaticarmi o fare alcunché. Mi avrebbero fatto morire prima del tempo, ne ero sicura. Ero malata, questo è vero, molto malata, ma non c’era bisogno di ripetermi le cose quarantacinque volte, come fossi una ritardata! Avevo la leucemia, punto. Lo so, era ed è tutt’ora una malattia grave, che causa, nella stragrande maggioranza dei casi, la morte. Ne parlavo con tranquillità, nonostante tutto. È semplicemente un tumore del sangue, cose che capitano di giorno in giorno nel mondo, non capivo perché farne un dramma. Avevo solo 16 anni quando me lo diagnosticarono, ma non ne feci assolutamente una tragedia, al contrario di mia madre, che, dopo essere caduta in una profonda depressione, era risoluta a non lasciarmi mai e poi mai. “Vivremo insieme questa battaglia, e la vinceremo!”, continuava a ripetermi notte e giorno, come una filastrocca. Voleva che sapessi di poter contare sempre su di lei, come se cambiasse qualcosa… Il mio sangue era infetto a causa di qualcosa nel midollo osseo, ecco tutto quel che sapevo sulla mia malattia e, sinceramente, non intendevo approfondirne le conoscenze. Non perché fossi una ragazza pigra, svogliata o priva di intelligenza, ma proprio perché non volevo affatto conoscere ciò che mi stava portando alla morte, ciò che aveva rovinato la mia famiglia. Ero seduta su una delle sedie rosse situate nella sala d’ingresso dell’ospedale, aspettando che mia mamma – dopo avermi fatto le solite raccomandazioni – finisse di parlare con un’infermiera lamentandosi delle condizioni ‘obbrobriose’ in cui, secondo lei, il reparto tumori stava sprofondando. Non avevo altro da fare se non girarmi i pollici dato che avevo dimenticato il mio iPod nel reparto, al secondo piano. Fissavo le mie mani, pallide e nemmeno troppo lunghe a causa delle unghie che mi mangiavo. La mamma si era lamentata spesso di questo mio modo di sfogarmi e una volta mi aveva anche messo in punizione per avermi sorpresa a ‘sgranocchiare’. Alzai lentamente lo sguardo con un sospiro, e i miei occhi andarono a girovagare per il lungo corridoio del piano terra. Era il reparto di radiologia, e vi erano persone di tutti i tipi: vecchi, bambini, chi con un semplice dito rotto e chi in sedia rotelle. Era buffo pensare che le situazioni potevano essere disastrose per qualcuno e rosee per altri nonostante tutti si trovassero in questo posto. Mentre mi perdevo nelle mie stupide teorie, notai un ragazzo alto, con capelli rossicci arruffati e un bel paio di occhi verdi. Era in piedi vicino a una signora di mezza età che non faceva altro che lamentarsi. Lui, dal canto suo, non sembrava molto preso dalle lagne della donna, anzi, pareva proprio che non vedesse l’ora di andarsene da lì. I suoi occhi girovagavano per il corridoio, quasi schifati da ciò che vedeva. Poi incontrarono i miei. Al posto di distogliere lo sguardo come avrei dovuto, rimasi a fissare quello sconosciuto sfacciatamente, aspettando che fosse lui a spostare gli occhi altrove. Non lo fece, al contrario di quanto mi aspettassi, e mi fissò di rimando, con un’ aria vagamente incuriosita. “Ah, proprio non vogliono capire niente questi infermieri del cavolo! E dire che sono pure pagati…va be’, andiamo, Bells!”, la voce di mia madre mi ridestò dalla mia ‘battaglia’ facendomi ovviamente distogliere lo sguardo. Mannaggia a lei! Mi alzai in piedi senza mostrare la mia irritazione e, affiancandola, mi diressi verso il luogo che prima era stato oggetto dei miei pensieri confusionali. Le scale per dirigersi al nostro reparto erano alla fine del lungo corridoio, e l’idea di passare accanto al bel ragazzo in qualche modo mi incuriosiva. Mi stupii di me stessa, non avevo mai pensato qualcosa del genere. Ero sempre stata una ragazza indipendente – per quanto lo potesse essere una diciassettenne – e solitaria, non avevo mai guardato attentamente un ragazzo se non per disprezzarlo mentalmente. Non avevo nemmeno avuto un’amica, sempre che così si possa chiamare. Ok, più che solitaria forse è meglio definirmi un vero e proprio ‘misantropo’. Anche prima della malattia tutti mi stavano alla larga, come sentissero che in me c’era qualcosa di diverso, ancora prima che i medici lo diagnosticassero. Mi chiamavano ‘l’emarginata’, ‘l’asociale’, ma non m’importava. Soltanto adesso forse avrei desiderato avere una compagnia in più, qualcun altro a cui telefonare nei momenti di noia qui all’ospedale o un amico, una presenza confortante nei momenti di bisogno. Invece no, non c’era nessuno. Però, dovevo ammetterlo, mia madre ripagava tutte le persone che non avevo al mio fianco con le sue chiacchiere a vuoto, sempre convinta che l’ascoltassi. Anche in quel momento, mentre imboccavamo la via per il corridoio, sparlava dei dipendenti dell’ospedale convinta che i miei mugolii fossero segni di assenso e di grande attenzione. In realtà, ero concentrata solo su quei begli occhi color smeraldo che adesso sembravano ancora più curiosi di prima, la sua espressione invece era divertita, quasi a prendermi in giro. Quando io e mia madre gli passammo accanto, quest'ultima aveva appena cominciato a toccare un tasto dolente, quello riguardante ‘gli ingrati’ della mia scuola. Lei non sapeva che non mi ero fatta nessun amico, che quei pomeriggi in cui le dicevo di andare a studiare da qualcuno, in realtà li trascorrevo gironzolando per i fatti miei, sempre sola come un cane. Arrossii di botto, notando il ghigno sulle labbra del tizio non appena colse la frase di mia madre. ‘Che razza di insegnanti avete, se non riescono nemmeno ad educare dei ragazzi che siano degni di farti da fidanzato?”, urlò alzando le mani al cielo. Oddio…il tizio sghignazzò apertamente di fronte al mio sguardo imbarazzato e non si curò affatto di nascondere il suo divertimento. Idiota, mi ritrovai a pensare riducendo i miei occhi a due fessure. Poi passai avanti, ignorando il suo sguardo che come una lama appuntita mi perforava la schiena…non avevo tempo per pensare a cose del genere, e soprattutto non potevo permettermelo. Già, perché prima o poi, nonostante le continue rassicurazioni della mamma, sarei morta.
* * * * * *
“Mi dispiace che nella tua scuola non ci sia nessuno di degno per stare insieme a te…”, una voce sconosciuta, bassa e strafottente giunse alle mie spalle mentre camminavo su e già lungo il corridoio, in attesa dei risultati dell’ultima analisi fatta. Mi voltai immediatamente, trovandomi di fronte il ragazzo di un’ora prima, quello che si era messo a ridere per le parole di mia mamma. Lo guardai male, vedendo che aveva compreso ogni sua parola e l’aveva pure memorizzata bene nella zucca. Alzai le sopracciglia con aria di superiorità, aspettandomi che esponesse il motivo per cui era venuto fin lì. Di me non ne fregava nulla neppure ai conoscenti, figuriamoci poi agli sconosciuti. Di fronte alla mia espressione – buffa secondo lui, apparentemente – si mise a ridere sempre più forte, arrivando quasi a tenersi la pancia. Sbattei il piede per terra ripetutamente. Non vedevo perché me ne dovevo andare via da lì solamente per colpa sua: era lui a dover spostare le tende. “Ok…”, disse tra gli ansiti procurati dalla fragorosa risata, “Scusa, non volevo ridere, ma dovevi…vedere la tua…faccia” “Sì, immagino”, risposi scettica, desiderosa di portare quella conversazione a termine il più presto possibile. “Davvero, scusami. Io sono Edward, disse con appena si fu calmato. Mi porse la mano, ma non l’accettai. "Bella", risposi semplicemente alzando sfrontatamente il mento. La sua mano pian piano ritornò al suo posto, e un altro ghigno comparve sul volto del ragazzo. Il suo sguardo vagò per il corridoio mentre il suo naso si arricciava. “Ho sempre odiato gli ospedali”, proruppe scuotendo la testa e mostrando la stessa espressione schifata che avevo visto prima. “Anche io”, da quando mi hanno diagnosticato un tumore, avrei dovuto aggiungere, ma mi limitai alle prime due parole, senza sapermi nemmeno dare un motivo valido. “Ah, mai quanto me comunque, te l’assicuro. C’è odore un odore nauseabondo, le stanze sono tutte bianche, come se ti stessero preparando alla luce della morte. Anzi, qui c’è aria di morte! Gli ospedali portano sfiga, è risaputo, e io non sarei mai venuto se non ci fosse la mia prozia che è caduta per strada rompendosi una gamba…e mi hanno incaricato di farle assistenza, guarda un po’”, sembrava scocciato, anche se la sua breve filippica mi fece ridere. “Mi dispiace molto”, risposi con un tenue sorriso sulle labbra. “Nah, non ti preoccupare. Penso che ci farò l’abitudine. Tu, piuttosto, come mai sei qui?” Oh, no. E che dirgli adesso? Che ero anche io una di quelle pazienti malate che disprezzava tanto? Che sarei dovuta rimanere in ospedale per tanto, tanto tempo ancora…che mi sarebbero caduti i capelli a causa della chemio…che sarei presto morta…? “La migliore amica di mia madre è in coma per shock anafilattico e mamma,, di conseguenza, non si da' pace…per questo anche io sono qui per fare assistenza.”, dissi fingendomi rassegnata. “Perfetto, questo è uno sfruttamento di minori in piena regola allora!”, ridacchiò facendo in modo di farsi sentire bene dalle persone più vicine. Questi ci guardarono male, come a dire ‘Ah, la gioventù di questi tempi’. E certo, perché quando c’erano loro al posto nostro erano tutti dei santi! “Be’, posso dichiararmi d’accordo. Dovremmo denunciarli prima o poi…e anche formare un' armata contro di loro! ‘Salviamo i diritti di minori allergici agli ospedali’!”, risi anche io stavolta, scuotendo la testa. “Ben detto, capitano!”, esclamò lui mettendosi sull’attenti con la mano dritta vicino alla fronte in segno di rispetto. Proprio in quel momento la porta di fronte a noi si aprì con un cigolio e l’infermiera con una cartelletta di cartoncino arancione in mano mi si avvicinò pericolosamente. Non riuscivo a capire perché mi stessi facendo problemi sulla mia malattia. Avevo sempre pensato che fosse normale, tutti prima o poi dovevamo morire. La mia era semplicemente un'anticipazione, un'anticipazione molto ben grandita, a dire il vero. La mia vita non sembrava avere senso, non l'aveva mai avuto...ero semplicemente stata uno sbaglio da parte dei miei genitori quando erano ancora troppo giovani per poter capire ciò che stavano facendo. E allora perché in quel momento mi vergognavo? "Isabella…dov’è tua madre?", chiese la donna avvicinandosi. Oh, grazie al cielo, grazie, grazie buon Dio, grazie di avermi dato una madre! Sorrisi come solo poche volte mi era capitato - ovvero fino ai miei cinque anni - e risposi con enfasi: “Dovrebbe essere scesa giù dalle scale per prendersi un caffè” L'infermiera sembrò stupita dalle mie parole e dalla mia espressione. Mi aveva già visto altre volte e ero sicura che non le fossi mai stata simpatica a causa del mio stato d'animo perennemente 'tre kilometri sotto terra'. Si allontanò con le sopracciglia alzate senza dire nulla, lasciandoci soli. Be', soli relativamente, perché c'erano un sacco di altre persone in piedi o sedute nel corridoio, tutti parenti o pazienti con tumori, tutti come me. "Come fai con la scuola se devi aiutare tua madre?", chiese improvvisamente Edward. Mi girai verso di lui, sorridendo debolmente. La scuola era un punto delicato, su cui dovevo assolutamente tacere. Il dottore mi aveva subito detto che a causa di controlli, operazioni varie e soprattutto la chemio che, prima o poi, avrei dovuto fare, la scuola sarebbe passata sicuramente al secondo piano e che non ci sarei potuta andare con una certa frequenza. La mia gioia a quell'affermazione fu incontenibile: nulla era meglio che starsene lontano da compagni mongoloidi e verifiche perenni. Nell'ultimo periodo, però, ero stata costretta ad andarci più spesso, subendomi tutte le occhiate spaventate di quei cretini che forse erano convinti che la leucemia potesse essere contagiosa. Tzè, ne sapevo più io di loro, il che era tutto dire. Mi portai una mano alla nuca, grattandola nervosamente. Quando riportai la mano al suo posto, però, rimasi quasi sconvolta: i miei capelli. Una ciocca di capelli castani secchi, deboli giaceva sulla mia mano aperta. Il mio stupore durò un attimo, prima che la chiudessi a pugno ed infilassi il contenuto in fretta e furia nella tasca della mia felpa. Edward sembrava non essersi accorto di nulla, così intento a maledire con quel suo sguardo attraente qualsiasi cosa si trovasse attorno. "I-io riesco comunque ad andare a scuola, certo, non sempre, ci sono dei periodi in cui...non vado proprio per rimanere a fare assistenza. La mia è una scuola privata, perciò mi lasciano...", mormorai nervosamente, sperando che prendesse la mia risposta per vera. "Ah, capisco...be', beata te che riesci a saltare scuola! Io devo andare per forza, nonostante poi abbia i lavori forzati qui all'ospedale...la mia prozia non fa altro che ciarlare, ciarlare e ciarlare...una vera rottura. Alla fine io servo semplicemente perché sono l'unico parente disponibile...e anche perché, ammettiamolo, la sua eredità, alla sua morte andrebbe a me se gli faccio dei favori." La cosa non mi piacque, stava lì ad aiutare quella che poteva essere sua madre solo per i soldi...almeno dei miei genitori non si poteva dire lo stesso, dalla mia morte non avrebbero tratto nessun beneficio. In denaro, per lo meno. Probabilmente si accorse della mia espressione scettica, perché tentò di recuperare il recuperabile. "Cioè...mi fa piacere aiutarla, dato che sta male, il fatto è che non posso nemmeno rendermi utile o parlare con lei perché è una che attacca bottone con chiunque incontri, anche con i cani, sono sicuro che ne sarebbe capace!" La sua spiegazione non era poi così convincente, ma d'altronde io non ero nessuno per giudicare. Mi chiedevo ancora cosa ci facesse lì. Io, da parte mia, avevo finito tutto quello che dovevo fare, ma lui... "Perché sei venuto qui?", chiesi aggrottando le sopracciglia. Sembrò perplesso, e, in qualche modo, impacciato. Si mise le mani in tasca con fare noncurante e borbottò: "Così, tanto per fare un giro..." "Ah-ah", annuii arcuando un sopracciglio. Chissà perché quella risposta non aveva molto di convincente... Sbuffò. "E va bene, ti ho vista là sotto e mi è venuta voglia di parlare con qualcuno. Sai com'è, sarai l'unica persona in tutto l'ospedale più o meno della mia età! A proposito, quanti anni hai?" La sua esclamazione mi fece ridere, ridere di gusto come non facevo ormai da tempo. "Diciassette, tu?", chiesi con il sorriso sulle labbra. "Anche io!", s'illuminò, come fosse la cosa più importante del mondo al momento. Era strano, buffo e in qualche modo confortante vedere come Edward riuscisse a far tornare il buon umore, a rendere tutto...importante, anche solo con una parola. Lo osservai meglio, mentre ridevamo entrambi sotto gli sguardi divertiti dei passanti. Era molto, molto bello. Il corpo muscoloso ed atletico, anche se non eccessivamente, era risaltato parecchio dalla maglietta celeste attillata e dai jeans scuri che indossava. Il suo viso era stupendo, lineamenti non troppo marcati, mascella quadrata, labbra perfette, naso dritto e occhi magnetici di un color smeraldo intenso. Impossibile che qualcuno così potesse non pavoneggiarsi o credersi chissà chi...impossibile, ma da quello che avevo appena visto, sembrava che Edward fosse l'eccezione alla regola. Quando si accorse del mio sguardo su di lui, arrossii palesemente e tentai di giustificarmi. "Ehm...non senti freddo vestito così?" Davvero anti sgamo, Bella, i miei più sinceri complimenti... Sorrise. "No, sono un tipo caloroso. E poi...qui dentro si muore dal caldo! Piuttosto, tu non soffochi?", chiese guardando con aria scettica la mia felpa nera. "No, proprio no. Sono una tipa freddolosa, io" Ridacchiò. "Vedo che abbiamo molto in comune!", esclamò sarcastico. Stavo per rispondergli quando qualcosa nelle sue tasche vibrò, prese il suo cellulare in mano e rispose alla chiamata. "Ciao" Mi guardò un attimo prima di rispondere. "Sì, sono con mia zia" Ah, bene, se io ero sua zia - e da come me l'aveva descritta non sembrava una persona splendida - dovevo davvero sentirmi lusingata... "Ok, Tanya. Sì, sì, tra due minuti sono sotto da te." Sorrise dolcemente. "Ciao, amore" Mi irrigidii, la mia mascella si contrasse a quell'ultima parola. Speravo solo di non darlo a vedere esternamente, per lo meno a lui. Non appena ebbe messo il cellulare al suo posto, nella sua tasca, si rivolse a me con un tono nervoso. "Scusami, ma come avrai capito devo andare" "Certo", risposi imperturbabile. Probabilmente si aspettava qualcosa di più da me dopo quella lunga chiacchierata, ma era il massimo che mi sentivo di dire in quel momento. "Okay...allora ci si vede in giro...", sembrava più una domanda. Sorrisi debolmente, un sorriso di cortesia. "Non credo proprio in giro. Al massimo in questo buco d'ospedale" Ridacchiò un attimo alla mia battuta prima di salutarmi con un cenno della mano e voltarsi verso le scale. I miei occhi continuarono a seguirlo anche mentre camminava, probabilmente rassegnati, perciò, quando Edward si girò un attimo ed incrociò nuovamente il mio sguardo, ridacchiò divertito nel constatare che aveva avuto ragione: lo stavo ancora osservando. Arrossii di colpo e mi voltai, piena di vergogna. Riuscii a ricompormi solo cinque minuti dopo, giusto in tempo per dar voce ad un pensiero che mi era balenato in testa. Mi affacciai alla finestra più vicina cercando il ragazzo con lo sguardo...lo trovai quasi subito, era sul marciapiede, le mani in tasca e lo sguardo perso nel vuoto...sì, lo era finché una ragazza in motorino non si fermò proprio a due centimetri da lui, rischiando di investirlo. Ma guarda te la gente al giorno d'oggi! Aveva lunghi capelli ondulati di un biondo rossiccio che sbucavano dal casco scuro non fatto di certo per proteggere dalle cadute. Dopo aver frenato, se lo tolse con una mossa molto teatrale, scuotendo la testa a mo' di 'Principe Azzurro' di Shrek. Voleva essere un gesto seducente, fatto per attirare l'attenzione degli altri e in particolare quella di Edward. Quest'ultimo sembrò recepire immediatamente il messaggio e si avventò su di lei per darle un bacio sulla labbra molto passionale. Poi, una volta che si furono sorrisi a vicenda, lui prese un altro casco e si mise alla guida della moto con la bionda alle spalle, sfrecciando per le strade caotiche di Phoenix. Dovevo immaginarlo, era così ovvio che uno come lui stesse con una ragazza...anzi, era molto più che scontato! Non avrei nemmeno dovuto pormela questa domanda...e soprattutto non avrebbe dovuto importarmi. E allora perché dentro di me non provavo altro che delusione mista a rassegnazione? Forse perché io non avevo nessuno...nemmeno un amico...? O forse...adesso potevo considerare Edward come tale...? Scossi la testa, sentendomi una cretina allo stato puro. Cosa importava di Edward??? Qualche mese e sarebbe finito tutto...tutto quello che in fondo non era nemmeno cominciato. Mi incamminai a grandi passi verso il Reparto Tumori, ormai diventato il posto più adatto a me, a tutti quelli con il mio semplice problema.
Ehilà! Buona sera a tutti! ^^ Ho fatto presto...? Forse anche troppo? Va be', aspetterò di sapere quel che pensate per capirlo! Come avete visto, questo è il primo capitolo di Your Guardian Angel...Che emozione!!! *.* Ho deciso di non rendere quest'ultimo uno stronzo pervertito come si legge solitamente, ma una persona abbastanza 'normale', con i piedi per terra, nonostante sia fidanzato con Tanya... Allora...ci tengo a dire che io non ho nessuna specializzazione o gran conoscenza in medicina, perciò ciò che vedrete qui sulla leucemia si baserà su ricerche che farò e le santissime pagine di Wikipedia, nonostante quest'ultima dica chiaramente che non valgono per nessuna preiscrizione medica ù.ù Il fatto che Bella non sappia molto della sua malattia, è un'altra cosa che ho scelto apposta...spero non vi dispiaccia. Mi auguro davvero che vi sia piaciuto, io ho fatto del mio meglio!!!!!!!! Prima delle risposte alle recensioni vorrei aggiungere qualche ultima cosina: grazie infinite ai 4 che hanno messo la mia storia tra le preferite, grazie per avermi dato tutta questa fiducia sin dal primo capitolo, non sapete quanto sono felice!!! Grazie anche ai 9 che l'hanno messa tra le seguite, spero che la storia piaccia anche a voi e che possiate apprezzarla sempre di più (e con questo non dico che me lo meriti ù.ù)! Grazie anche a chi legge solamente e magari sorride a qualche frase o qualche battuta...grazie. In ultimo voglio precisare che non è affatto detto che questa storia abbia un finale triste o drammatico. Certo, Bella ha la leucemia, ma siamo solo al primo capitolo, volete che vi sveli tutto sin da qui???? XD Perciò...non tutto ciò che sembra iniziare male deve per forza finire male! ^^ Grazie ancora a tutti per essere arrivati fin qui, recensite per favore!!! Un bacione immenso, Ele
Risposte alle recensioni
The Red One: Zuc!!!!!!!!!!!!! Amore della mia vita, scusa se non sono riuscita a telefonarti!!!!!!!! *me tristissimissima* Ma i compiti spuntano fuori dal diario manco fossero funghi!!! :'( Ti prometto che adesso parliamo su msn, ok??? Dai, dai che stasera non ho nulla da scrivere! Che miracolo miracoloso! XD Allora...ti è piaciuto il primo cap???? Fammi sapere presto, miraccomando! 1Bacio Tua Cippy
Ginna3: Ehi, ciao!!! A quanto pare abbiamo una passione in comune, quella di piangere! Non so tu, ma ormai per me è diventato una spiecie di hobby...dovrei andare a farmi visitare i condotti lacrimali, per me c'è qualcosa che non va' XD Dai...non ti posso anticipare nulla, ma sappi che io e i finali tristi non andiamo molto d'accordo...spero che questo ti posso far piacere! ^^ Come ti è sembrato il primo capitolo? Ti aspettavi qualcosa di meglio...? Bacioni!!!!
poc: Ciao, cara!!!! Sono molto felice che il prologo ti sia piaciuto!!! ^^ Spero che il resto non ti deluda e che questo capitolo sia stato di tuo gradimento! Guarda...credimi se ti dico che sono la prima ad avere paura...lo so benissimo che è un argomento forte e per certi versi pesante, non so se ne sono capace...soffro molto di disturbi di personalità multipla e il mio umore varia così facilmente che non sono davvero sicura di farcela. Continuiamo a sperare però...intanto il primo capitolo è andato, il che è un passo avanti XD Un bacione!
Giuliina La meioo: Grazie, grazie, grazie, grazie!!!!!!!!!! *.* Davvero, non so come ringraziarti, sei troppo buona con me!!!!!!! Non hai idea di quanto mi faccia piacere che tu segua la mia storia e che stia già piangendo...spero per la commozione, non per l'orripilanza del mio prologo! (XD) Ti è piaciuto il primo capitolo??? Dai, almeno qui non ti ho fatto piangere...vero? Grazie ancora di tutto, carissima Giulia, fammi sapere! P.S. Mi hai detto di aggiornare prestissimo...sono stata brava? XD Un bacio!
shasha5: Ciaooooo!!!!! Grazie, tesoro, grazie!!!!!!!! Sono la prima che ti fa piangere in un prologo??? Ma quale onore!!!! ^^ Davvero io non mi reputo una brava scrittrice e il fatto che le mie storie non siano seguite da così tanta gente lo testimonia...però leggere certi commenti...sapere di essere capaci di suscitare certe emozioni...fa piangere anche me!!!!!!!!!!!!!! Grazie ancora di tutto!!!!!! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, che non ti sia commossa troppo (mettiamo a freno le lacrime altrimenti poi scarseggiano nei momenti di emergenza ù.ù) e che io non ti abbia delusa! Fammi sapere presto! Baci, baci Ele
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Capitolo 3 *** Sorpresa ***
Your Guardian Angel
*° Capitolo Due: Sorpresa°*
La forte luce del sole penetrò dalla finestra, inondando tutta la stanza del suo immenso calore. Grugnii, ogni mattina la stessa storia. Sveglia alle 7.00 con un umore pessimo a causa della solita nottata in bianco, colazione forzata dato che in quel momento della giornata non avevo fame e, infine, lavarsi e vestirsi in tutta fretta perché la maggior parte del tempo la passavo seduta davanti alla tazza di latte caldo, in contemplazione. Ignorando i continui richiami di mia madre, ancora mezza addormentata, uscii di fretta da casa con una sola cinghia dello zaino in spalla e la felpa slacciata. Corsi per tutto il tragitto, ben 15 minuti a piedi, finché non arrivai all'entrata della mia grande, schifosissima, odiosa scuola. Recinzioni, metal detector...sì, dava certamente una bell'idea dei luoghi pubblici, ma ciò che ero costretta a trovarci dentro annullava un qualsiasi fattore estetico dell'istituto. In ritardo come al solito, entrai di fretta in classe, sotto lo sguardo divertito e sfrontato dei miei compagni di corso. Non appena ebbi chiuso la porta, un brusio intenso e soffocante si disperse nell'aria, facendomi sentire la solita diversa, la solita emarginata. Quella con la leucemia. Camminai a testa bassa fino al primo banco libero sul quale mi sedetti di slancio, facendo quasi cadere la seggiola all'indietro. Cazzo, perché oltre ad avere un tumore dovevo pure essere maldestra e scoordinata? Quando Dio distribuì l'equilibrio dove cavolo ero? Al cesso? Mmm, probabile, visto e considerato che in tanti lo consideravano il mio 'habitat naturale'. Non seguii nulla delle lezioni, nemmeno inglese, la materia che solitamente riusciva a catturarmi più di qualsiasi altra. Adoravo leggere, rifugiarmi in un mondo in cui, seppure fosse immaginario, desideravo infinitamente vivere. Amavo immedesimarmi nei personaggi principali, rileggere più e più volte il romanzo tentando di ricordare frasi o citazioni celebri. I miei classici preferiti erano senza dubbio Cime Tempestose, Orgoglio e Pregiudizio e Romeo e Giulietta. Tutte storie d'amore, ovviamente, tutte storie inventate forse per abbindolare quelle povere ragazze desiderose di provare quel sentimento tanto dirompente e importante, ma incapaci di trovare qualcuno con cui condividere la vita. Ok, forse condividere la vita era un po' eccessivo, ma ero sempre stata dell'idea che mettersi con un ragazzo solo per passare il tempo, fosse da idioti. Che senso ha? Mi chiedevo costantemente alzando gli occhi al cielo ogni volta che vedevo due piccioncini slinguazzare allegramente nei corridoi scolastici. Quando suonò la campanella che annunciava il pranzo, la mia espressione si incupì ancor di più. Quello era il momento della giornata che più detestavo in assoluto dato che, come ogni legge della socializzazione voglia, tutti gli amici, conoscenti e amici di amici si sedevano ad un tavolo formando i soliti gruppetti. Ebbene, in quella mensa strapiena di gente, risaltavo immediatamente io, l'unica, sola, asociale di tutta la scuola. Potevano esserci ragazzi di gran lunga più sfigati di me, ma almeno loro riuscivano a trovare degli amici altrettanto sfigati con cui fare amicizia. Io no. Io rimanevo sola e muta a guardare la bottiglietta d'acqua minerale naturale appoggiata in precario equilibrio sul mio vassoio. Io ero l'oggetto dei pettegolezzi più interessante, forse, dell'intera scuola. Tutti si divertivano a prendermi in giro, tutti si divertivano a criticare in mio modo di vestire o le mie occhiaie evidenti sul volto. Tanto a nessuno importava che io stessi bene o che potessi offendermi. Io ero solo 'cuore di ghiaccio, l'asociale', punto. Da quando poi i miei insegnanti erano venuti a sapere della malattia era successo il pandemonio. Come sempre, i professori tentarono di fare i 'carini', 'premurosi' e 'gentili' - il tutto giusto per far apparire la scuola un ambiente mooolto educativo e comprensivo - raccontando sfacciatamente ai miei compagni ciò che mi stava capitando, raccomandando loro di starmi vicino e di venirmi a trovare in ospedale. Quando lo venni a sapere, per puro caso ascoltando la conversazione di due ragazze nascosta dentro alla toilette femminile, ormai il danno era fatto: i miei compagni avevano pensato bene di informare altri, i quali avevano ritenuto opportuno spiattellare il pettegolezzo ad altri ancora e via dicendo. Quella mattina, a pranzo, mi avevano squadrato per un tempo incalcolabile, avevano osservato ogni mio minimo spostamento con aria di superiorità cercando disperatamente i segni che testimoniassero il mio essere diversa. Come ho già detto, me ne fregai altamente. Meglio morire, molto meglio. Non avrei rivisto più le loro faccie maledette e questo sicuramente non poteva che farmi piacere. Anche oggi, come ogni altra giornata che si rispetti, dopo aver preso un trancio di pizza e la mia sanissima bottiglietta da mezzo litro di acqua naturale, mi sedetti con pigrizia al mio tavolo, in fondo alla mensa ma comunque visibile a tutti. Ero parecchio stanca quel giorno, così tanto che mi venne voglia di avvicinare la sedia - ovviamente vuota - di fronte a me e di appoggiarvici i piedi. Mi convinsi però che non sarebbe stato opportuno, anche se delle mia reputazione ormai non me ne poteva fregare proprio un accidente. Osservando la mensa con occhi pensierosi, mi ritrovai a pensare a Edward. Chissà se anche lui, nella mensa della sua scuola, si sarebbe seduto al tavolo dei giocatori di basket e delle cheerleader...insieme a quella bionda, magari. Dai, Bella...forse era solo un'amica, mi dissi mandando giù un groppo in gola dovuto all'ultimo pensiero. Sì, certo. Un'amica alla quale si diverte a ficcare la lingua in gola. Sei un'idiota. Scuotendo la testa, scorsi una macchina blu elettrico avvicinarsi al marciapiede vicino al cortile scolastico e alla mensa. Esultai dentro di me, qualcuno lassù aveva cominciato ad esaudire le mie preghiere! Quello era Phil, il mio patrigno, nonché nuovo marito di mia madre Reneé. Scendendo dall'auto con il suo solito cappellino da giocatore di baseball in testa, mi fece un cenno, attirando l'attenzione di altri ragazzi seduti ai tavoli. Me ne fregai ancora una volta, raccattai le mie cose il più in fretta possibile e mi avviai verso il cortile di corsa, desiderosa di andarmene presto da lì. "Bells!!", esclamò venendomi incontro ed accogliendomi in un abbraccio stritolatore. Ecco, una delle cose che non sopportavo di Phil: era decisamente troppo caloroso, così tanto che a volte avrei voluto proporgli una carriera come giocatore di rugby, più che di baseball. Rimanendo rigida e imbarazzata mi districai dal suo abbraccio, sorridendo debolmente ed accomodandomi sul sedile anteriore accanto al suo. Phil ritornò al suo posto con passo veloce e possente, per poi sbattere la portiera con un fragore che mi fece temere avesse spaccato l'auto. "Allora, bellissima, come è andata oggi?", chiese con un sorriso smagliante non appena ebbe messo in moto. Sorrisi a denti stretti. "Bene" "Sei dispiaciuta di essere uscita prima oggi, cara?", la sua voce adesso era melensa, così tanto che avrebbe potuto benissimo sembrare falsa. Mi accigliai. "Veramente sono stata io a chidere espilicitamente di uscire prima", precisai punta sul vivo. A quanto pareva il bel giocatore di baseball quando parlavo non mi ascoltava nemmeno un po'. "Davvero? E come mai? Ti trovi male con i compagni?" Alzai gli occhi al cielo. "No, Phil, niente di tutto ciò che pensi. Semplicemente in questi giorni sono un pochino stanca.", dissi con voce piatta. Stupido giocatore di baseball del cavolo. Lo sapevo io cosa c'aveva in testa, una mazza! "Oh, capisco, piccola", rispose con voce più cupa. Con quell'ultima frase la nostra conversazione si concluse definitivamente ed io me stetti in pace pensando che forse il mio patrigno non fosse poi così male. Osservando attentamente la strada, però, mi accorsi che non stavamo andando a casa. Un cattivissimo presentimento si fece largo in me... "Phil...non staremo andando all'ospedale...vero?", chiesi lentamente. Lui socchiuse gli occhi, colpevole. "Tua madre mi ha detto di non dirti nulla...", sussurrò lui eludendo la domanda. "Perciò stiamo andando all'ospedale. Assolutamente splendido", almeno il mio profondo odio per quel posto era conosciuto dall'uomo alla guida della Ford mezza scassata. Dovevo averlo ripetuto davvero tante volte perché se ne fosse accorto... "Sì, piccola, è per il tuo bene, lo sai" Sbuffai in risposta. Non mi importava affatto di sembrare una bambinetta capricciosa, volevo semplicemente tenere a bada la lingua prima che potessi dire qualcosa di spiacevole. Già in lontananza vidi mia madre sul marciapiede con un cipiglio più che preoccupato sul volto. Pazzesco come nell'ultimo periodo - precisamente da quando mi avevano diagnosticato la malattia - fosse cambiata. Un tempo era allegra, solare, frizzante, irresponsabile e schizzofrenica. Ero sempre io quella che si doveva occupare della casa, della spesa e di altre faccende normalmente destinate ai genitori. Mamma e papà si erano sposati presto, appena diplomati, e avevano avuto me, così, per caso, senza che l'avessero mai realmente desiderato. Poi, dopo pochi giorni dalle nozze si erano lasciati e mia madre mi aveva portato via con sé a Phoenix, lasciando invece mio padre, Charlie, a Forks, una piccola cittadina dello Stato di Washington coperta da uno strato onnipresente di nubi. Lo ricordavo bene, nonostante lo vedessi poche volte all'anno - solamente d'estate - e gli volevo bene, lui si era sempre preoccupato molto per me, chiamandomi numerose volte al telefono per sapere come andasse. Né io né lui eravamo dei tipi 'logorroici', perciò, la stragrande maggioranza delle volte finivamo per rimanere con la cornetta in mano in silenzio, se non fosse stato per qualche fruscio improvviso che mi ricordava avessi un interlocutore. Una volta che anche lui però seppe della malattia, decise di fare ancora di più, infatti, entro poco, si sarebbe trasferito da noi per potermi aiutare con la chemioterapia e restarmi accanto. Se per mio padre c'era stato un piccolo cambiamento di comportamento, per mia madre era stato l'esatto opposto, un mutamento radicale. Era passato decisamente troppo tempo da quando non la vedevo più ai fornelli ad inventare pietanze immangiabili, che non la vedevo rimanere attaccata al computer a chattare con qualche sconosciuto sui social network mentre la casa sembrava un porcile. Troppo tempo che non la vedevo passare sul suo volto la crema antirughe, nel tentativo di sembrare più giovane, che si dimenticava di passare in lavanderia a ritirare i capi consegnati. Adesso il suo viso era segnato costantemente da profondi solchi, le occhiaie erano evidenti come non mai, i capelli secchi con diverse traccie di bianco...irriconoscibile ad occhi esterni. Per la prima volta in vita sua aveva cominciato a fare la madre, forse rendendosi conto che quella bambina che aveva sempre reputato 'grande', entro poco non ci sarebbe stata più. Phil mi fece scendere dall'auto velocemenente, prima di rituffarsi nel traffico per cercare un parcheggio. "Bella, Bella, tesoro, muoviti che siamo in ritardo!", esclamò Reneé prendendomi in fretta per mano. Sciolsi la presa, camminando con lentezza, ignorando le sue parole. "In ritardo per cosa, mamma?", chiesi arcuando un sopracciglio. Sembrò sconsolata. "Bella, ti prego, non fare così! Devi fare il controllo ai reni...ti prego, sbrighiamoci!" Con un sospiro la seguii ed accellerai il passo entrando nel tanto amato ospedale. Salimmo in fretta e furia le scale fino ad arrivare al Reparto Tumori. Una volta davanti alla porta, mamma mi si avvicinò, ancora ansante, aggiustandomi il colletto della maglietta che portavo sotto la felpa. "Mamma!", mi lamentai aprendo la porta e dirigendomi verso il bancone della segretaria. Reneé mi seguì alzando gli occhi al cielo e si rivolse alla donna: "Mi scusi, siamo qui per l'esame ai reni di Isabella Swan", disse tutta trafelata indicandomi. Quella con un cenno del capo si mise a cercare qualche documento sulla scrivania, trattenendo una risatina, probabilmente dovuta all'aspetto trasandato della mamma. Mi dispiaceva per lei, non volevo che a causa mia si trascurasse troppo. Dopo averci dato fogli e istruzioni, entrammo in un'altra stanzina buia, in attesa dell'arrivo del medico.
* * * * * *
"Puttana...", mormorai accarezzandomi la mano dolente. Avevo terminato da poco la visita e, giusto per tirarmi un pochino su il morale, avevo deciso di prendere una bella ciccolata calda dalla macchinetta. Apparentemente, però, la suddetta 'macchina', sembrava non volesse collaborare. Non solo non voleva darmi la mia bevanda, ma nemmeno restituirmi i soldi! E dire che avevo tentato in tutti i modi! Colpetti vari in alto, sberle, ceffoni, papine*, addirittura calci! Ma nulla di nulla. "Ehi, guarda che rischi di essere denunciata, se continui così!", una voce inconfondibile, bassa e roca, giunse alle mie orecchie. Perché, perché doveva arrivare proprio nei momenti più imbarazzanti?! Mi girai lentamente, arrivando a squadrare Edward in tutto in suo splendore. "Ti diverte sfottermi, eh?", chiesi punta sul vivo. Sorrise. "No, ma che vai a pensare!", esclamò sarcastico, avvicinandosi alla macchinetta con fare pensoso. "Cosa pensi di fare?", chiesi sospettosa. "Io ho già provato in tutti i modi, ma non mi ha ancora dato...il mio caffè", all'ultimo avevo cambiato bevanda, convinta che, se gli avessi detto di aver preso una cioccolata calda, mi avrebbe considerato una bambina. "Mmm", si limitò a mormorare continuando a osservare l'aggeggio. Poi, come se niente fosse, premette sul pulsante verde in bella mostra facendo scendere di colpo il classico bicchierino marrone da macchinetta. Oddio, che figura... Chiusi gli occhi, incapace di rimanere a guardare. Immaginavo la sua espressione divertita a livelli catastrofici. Poi, però, un profumino invitante, caldo e dolce, giunse alle mie narici, facendomi spalancare le palpebre. "Decisamente meglio del caffè", mormorò suadente porgendomi la tazzina di ciccolata. Arrossii mentre la prendevo in mano e la portai subito alla bocca, incapace di resistere al richiamo cioccolattoso. Bevvi il primo sorso con una tensione incredibile, sentivo i suoi occhi analizzare ogni mio minimo movimento ed ero sicura che fossero rimasti i tipici 'baffi da latte' - o in questo caso da cioccolata - sul mio volto. Infatti... "Ti...ti è rimasto del cioccolato qua", m'informò sorridente Edward indicandò la zona sporca sul suo viso, a mo' di specchio. Come una bambina, strofinai il dorso della mano contro la mia pelle velocemente, sperando, almeno per quel giorno, di finirla con le figure di cacca. Il suo sorriso si accentuò. "No, non ci sei ancora", disse sporgendosi verso di me. E' vero, dovevo ammettere di averlo immaginato...ma non pensavo che si mettesse davvero a pulirmi lui stesso dalla cioccolata! Sentii la punta del suo dito caldo avvicinarsi timorosa alla mia pelle, appena sopra le labbra, una dolce carezza durata poco più di un secondo. Il ghigno che però comparve sul suo viso - probabilmente notando la mia reazione - mi fece innervosire parecchio. Mi voltai dall'altra parte senza dire una parola e con le mani in tasca mi allontanai. E lui rideva! "Giornata no?", chiese divertito raggiungendomi. Incrociai le braccia al petto senza smettere di camminare. "Non sono affari tuoi" "Gne, gne, gne!", mi prese in giro scimmiottando la mia voce. Roteai gli occhi. "Si può sapere che caspiterina vuoi?", sentivo che presto gli occhi sarebbero usciti dalle orbite, tanto ero nervosa. Un nervosismo privo di senso poi! Avevo pensato a Edward parecchio in quelle ultime ore - nonostante non volessi ammetterlo - e adesso che era qui... "Uffa...volevo soltanto stuzzicarti un po'. E' divertente", si scusò come fosse la cosa più ovvia del mondo. Mi voltai verso di lui con le mani ai fianchi, gli occhi ridotti a due fessure. "Vorrei proprio vederti se fossi io a farlo.", sibilai tentando di mantenere la calma. "Cosa, cosa? Che vorresti fare tu, signorina?", una voce molto familiare giunse alle mie orecchie da dietro, facendomi alzare le spalle spaventata. Chissà quali cose imbarazzanti avrebbe detto...come se già non bastassi io con le mie. Mi voltai lentamente, finendo accanto a Edward e osservai mia madre di fronte a noi. Aveva un'espressione pensosa sul volto tirato, cercava di capire di cosa stessi parlando. Edward trattenne a stento una risata, avvicinandosi a Reneé e porgendole una mano. "Salve, signora. Io sono Edward Cullen", disse con voce...attraente. Possibile che anche in un momento del genere dovessi pensare a quanto e a come fosse in effetti...bello? Mamma sembrò spaesata. "Oh! Ciao, figliolo. Allora nella tua scuola c'è qualcuno...", cominciò, ma Edward la interruppe scuotendo la testa divertito. "No, signora, io non vado nella stessa scuola di sua figlia." Bla bla bla! Sua figlia ha un nome, cretino! Reneé mi rimproverò con lo sguardo. "Lo vedi, Bella? Te l'avevo detto io di non iscriverti ad una scuola pubblica, ma tu non hai mai voluto sentire ragioni!" Merda!! Il giorno prima io avevo detto a Edward il contrario. Infatti, come volevasi dimostrare, aggrottò le sopracciglia confuso. "Mamma...", tentai di salvarmi in corner, " io non vado in una scuola pubblica", mormorai sperando che capisse. Purtroppo così non fu. "Ma che sciocchezze dici, tu, tesoro, vai in una scuola pubblica!", ribatté lei sicura. Alzai gli occhi al cielo sospirando: inutile discutere con lei. "Ok...mamma, lo sai che ti chiamava il dottore prima?", chiesi improvvisamente entusiasta. "Davvero?", sembrò perplessa. "Sì! E' ancora al secondo piano, mi sembra che ti debba dire qualcosa...", mormorai facendomi vaga. "Ah, d'accordo. Non sia mai che non parli con il dottore!", rise da sola, allontanandosi con un cenno rivolto a Edward. Quando fu più lontano, mi sentii tranquilla e Edward prese parola. "E' una donna simpatica" "Sì...un po' eccentrica, forse", sorrisi, guardandola camminare leggermente storta. Ridacchiò. "Non mi dispiacerebbe però che tu acquistassi quel sorriso che ha tua madre...", mormorò fissandomi negli occhi. Per un attimo non capii quel che mi aveva detto, troppo impegnata a fissare quelle iridi color smeraldo intense e profonde. Soltanto due secondi più tardi del dovuto assorbii il significato delle sue parole. Ne rimasi sorpresa...non pensavo che anche agli occhi di un estraneo potessi sembrare già da subito acida e scontrosa. "Il mondo è bello perché è vario...", sussurrai tentando di cambiare discorso. Sorrise, mostrando una dentatura perfetta. "Me ne sono accorto", disse con una nota di ironia. Proprio in quel momento sentii una vibrazione nella tasca dei pantaloni: mi era arrivato un messaggio. Trafficando con una sola mano - l'altra era impegnata a tenere la tazzina vuota -, aprii la piccola busta gialla dei messaggi e sorrisi nel vedere chi fosse il mittente. No, nessun fidanzato segreto, amante, migliore amico o alcunche. Semplicemente mio padre.
Pensi che debba portare la crema solare per stare a Phoenix? Sai com'è, non sono più abituato al sole...
Il mio sorriso si allargò nel leggere quelle parole. Seppure Charlie fosse un uomo molto taciturno, sapeva anche scherzare, per lo meno con me. Essendo troppo impegnata col telefonino, non mi ero accorta che Edward si era incuriosito. "Il tuo ragazzo?", chiese con una punta di irritazione. Sollevai il capo, giusto per vedere la sua smorfia e ridacchiare sotto i baffi. "No, no, davvero.", risposi sincera. "Impossibile, chi altri potrebbe riuscire in un'impresa da me persa?", chiese sollevando leggermente il mento con aria sfrontata. "Quale impresa?" Sorrise sghembo. "Be', mi sembra ovvio: quella di farti sorridere" Scossi la testa e risi, non tanto per dargliela vinta, quanto perché le sue parole mi avevano davvero fatto divertire. Dovevo essere proprio una musona se un lieve sorriso sul mio volto poteva essere considerato un miracolo. "Senti, Bella...non è che ti andrebbe di uscire con me...?", chiese d'improvviso guardando la punta delle sue scarpe mentre rimaneva in equilibrio sui talloni. Eh? "Cosa?", chiesi leggermente sbigottita. L'ultimo - e anche unico - invito a uscire che mi avevano mai fatto risaliva all'asilo, quando avevo quattro anni. "Sì...ricordi? Ho ancora una missione in sospeso", si giustificò alzando lo sguardo. Ah, quegli occhi! Mi avrebbero fatto perdere il lume della ragione, era certo. Ero rimasta troppo tempo a fissarli in silenzio, così tanto che traintese. "Ma se non puoi lasciare l'ospedale vediamo di...", non lo lasciai finire, perché scossi la testa e sorrisi. "Prendere un po' d'aria mi farà bene. E poi non credo che se per due orette faccio qualcosa per me ci saranno problemi", gli sorrisi, tentando di essere convincente anche se dentro di me stavo morendo dalla paura e dall'agitazione. "Ok...allora facciamo...domani?" "D'accordo, domani", acconsentii scrocchiando le dita come anti-stress. "Va bene, Bella...allora ci si vede", disse rivolgendomi un cenno del capo, sempre sorridendo. Lo guardai andarsene, sicura che si voltasse come il giorno precedente e io facessi la mia solita figuraccia. Invece no, camminò lentamente, con passo molto aggraziato, fino alla fine del corridoio, per poi scendere le scale con tranquillità, lasciandomi lì come una cretina a bocca aperta. Mi aveva sorpreso di nuovo.
*Le papine sono gli schiaffi in bergamasco...^^ Etciùùùù! Scusate, ma qui sto morendo per colpa della tosse e del raffreddore. Come volevasi dimostrare, al primo accenno di freddo ecco che io mi piglio l'influenza! Fantastico! -.-" Ok, la pianto e parlo un po' del capitolo. Allura, vi è piaciuto??????? Edwarduccio è stato di vostro gradimento?? Dai che ha lasciato sorprese anche voi con questa propostuccia...^^ Ho deciso di parlare della famiglia di Bella in questo capitolo, di Phil, il patrigno distratto, di Reneé, la madre in perenne cambiamento e di Charlie, un padre lontano ma comunque presente per la figlia ^^ Riguardo all'inizio giornata di Bella, ho preso diversi spunti dalla mia vita privata. In particolare il fatto di rimanere in contemplazione davanti alla tazza per un quarto d'ora buono, è una cosa tutta mia XD Lo so, per adesso non è che Edward si conosca più di tanto - nome, cognome, età a stento XD - ma nel prossimo cappy vi prometto che se ne parlerà parecchio!! ^^ Grazie davvero tantissimo alle 20 persone che hanno aggiunto la storia tra le preferite, alle 8 che l'hanno messa tra le preferite (me gongola in modi vergognosi XD), le 6 che l'hanno messa tra le ricordate e le 7 bellissime che hanno recensito!!!! Grazieeeeeeee!!!!!!!! *____* Vi aspetto al prossimo aggiornamento!!!! Recensite!!!!! ^^ Un bacione, Ele
Risposte alle recensioni:
The Red One: Ciaooooo!!!! La mia Koaluccia!!!! Lo so benissimo che in questo momento hai molto meglio da fare che guardare 'sto stupidissimo aggiornamento...e certo, è a Londra la signorina, eh!!!! E ha pensato bene di non invitarmi nemmeno!!!!!! Giusto per godersi sola soletta Rob, eh....ma non temere, tra un mese e ci vado pure io!!!! ù.ù XD Vabbe', la pianto con le mie cavolate e passo a cose 'serie'...ma ti pare che un figo come Edward sia libero???? Se lo fosse sarei la prima ad accaparrarmelo!! XD Capito che sono scema, ma fino a questo punto...XD Nono, dont' worry, Tanya si vedrà poco e niente...stavolta sarò magnanima ^^ Bella è rassegnata per diversi e giusti motivi, come dice in questo capitolo...ma sia mai che Edward le faccia tornare il sorriso??? =) Recensisci, eh!!! Un bacione, panduz
Funny_lady_: Giuliiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!! Oddio, non sai che piacere mi fa ritrovarti qui a recensire!!!!!!! *me piange disperatamente dalla giuuuoia* ç.ç Sono davvero felicissima che ti sia piacendo!!! Anche se eri venuta qui per altro, lo so, lo so...ebbene, ho in testa un botto di idee di fanfiction (oltre alle 4 che già sto portando avanti =S) e quella di Rob e Kris per ora mi sa che deve un po' aspettare...ma vedrai che troverò il giusto momento anche per lei, scuola permettendo ù.ù Questa ficci ha un carattere un po' diverso da YCL, in quanto come vedi è seria. Oddio, io seria...ma mi ci vedi??? XD Ahaha, lo so è strano, ma ci riesco solo perché sto scrivendo un'altra storia che invece fa ridere ben bene ^^ Si chiama Missione d'Amore (e non sia mai che io faccia pubblicità occulta...XD) e se la vuoi leggere per me sarebbe un onore =D In questo capitolo penso di aver spiegato abbastanza bene il motivo per cui Bella non ha amici ed è 'felice' di morire. Riguardo a Edward e Tanya, presto vedrai meglio di che si tratta...credo nel prossimo cap =) Adesso ti saluto, tesoro!!! Un bacione!!!!!!! Grazie ancora di tutto!!! Ele
poc: Ciao!!!!!!!! Grazie, grazie, grazie!!!!!!! Le tue recensioni mi fanno venire i lacrimoni, altro che i miei capitoli!!! Bella è davvero rassegnata non avendo mai avuto qualcuno che le stesse accanto a parte la sua famiglia incasinata...è stata anche un errore da parte dei genitori, e questo non fa che aumentare il suo desiderio di andarsene. La nostra Bellina, quando sta con Edward, è come se stesse in un altro mondo, senza problemi, con risate, sorrisi, leggerezza...come si meriterebbero di vivere tutti. Purtroppo però non si può staccare sempre la spina dalla realtà, anche se Edward proverà davvero a farla sorridere anche quando lui non c'è. ^^ Sono davvero felicissima che ti sia piacendo così tanto, non sai quanto mi fa stare bene!!!!!!!!! Già che ci sono, rispondo anche all'altro commento. Allora...mi fa piacere il fatto che abbiamo molte cose in comune e sarebbe bello poter coltivare l'amicizia, ma io non ho facebook da poco, a causa di una bruttissima esperienza. Penso che per un po' rimarrò senza, nonostante sia la moda del momento, e quando mi sentirò più pronta riattiverò l'account. Grazie comunque per tutto!!!!! Bacioni!!!!
Lua93: Ci credi se ti dico che quando ho letto il tuo nome pensavo di essere in un altro mondo????? Cioè, io adoro la tua storia 'The butterfly effect', e trovarti qui a rencensire la MIA storia non sai come mi ha fatto piacere!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Oddio, grazie, grazie, grazie!!! Sono felicissima che il primo capitolo abbia suscitato così tanto scalpore ^^ Ho sempre immaginato Reneé come una madre che diventa, così, all'improvviso, apprensiva, con mille ansie...proprio perché si rende conto di non aver fatto il suo ruolo quando poteva perciò adesso deve rimediare nel poco tempo che le rimane. Forse le sta anche un po' troppo appiccicata, ma le mamme, si sa, sono fatte così: per i figli farebbero di tutto. Lei è convinta che Bella non morirà, e non si rende nemmeno conto che questa cosa la figlia non l'ha presa male, al contrario. Certo, anche a Bella dà fastidio fare continui controlli e cose del genere, ma sa che non si può combattere troppo contro l'inevitabile. In questa storia un Edward stronzo fino al midollo non ce lo vedevo proprio, mentre quello dolce, un po' imbarazzato e sempre col sorriso sulle labbra mi sembrava perfetto ^^ Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e che abbia fatto meno errori di ortografia! Che ci vogliamo fare, sono umana anche io, eh? XD 1Bacione!!!
shasha5: Ciaooooooo!!! Ahia, sono in ritardoooo! XD Stavolta però non è colpa mia!!! Prendetevela con la febbre! ù.ù Ooooooh, grazieeee!! Sai, spesso mi rattristo vedendo che le mie storie vengono seguite da poche persone, la maggior parte delle quali sono mie amiche strette...capisco benissimo di non essere brava come certe autrici fantastiche presenti in questo sito, ma un commentino giusto per dire che la storia non fa poi così schifo fa piacere ^^ Ti ringrazio infinitamente dei tuoi complimenti, eccessivi secondo me! Come ho detto non sono così brava!!!!!! >.< Un Edward normale è strano da vedere...mmm... forse perchè nemmeno qui sarà del tutto normale...? Muahahah, faccio la sadica adesso! XD Brava!!!!!!!!!! Così si fa, continua a odiare Tanya e Jacob come faccio io e sarai sempre nelle mie grazie!!!! (E scommetto che la cosa non ti interessa nemmeno un po' XD) Spero che questo capitolo non ti abbia deluso e che la 'sopresa' di Ed ti abbia fatto piacere!!!!!!! Un bacione enorme, grazieeeee!
Ginna3: Ciaoooo!!! Cavoli, io cerco sempre di fare di tutto per non far piangere troppo le persone, essendo io una di quelle che non fa altro in tutta la vita (modestamente...XD), ma in questa storia non so, esce spontaneo perciò perdonami!!! Mi fa moltissimo piacere che il capitolo ti sia piaciuto!!!! Mi auguro anche che in questo si vedano le difficoltà di Bella, quanto si senta sola. Hai ragione, non ha voglia di vivere e Edward questo in un certo senso lo capisce...che riesca nella sua impresa??? ^^ Un bacione, a presto!! Ele
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Capitolo 4 *** Conoscenza ***
Your Guardian Angel °* Capitolo Tre: Conoscenza°*
"Mamma, ti ho detto che è solo un amico! Anzi, non so nemmeno se posso definirlo così!", esclamai sbattendo l'anta dell'armadio con furia. "Tesoro, dai, non fare così, lo sai che stavo scherzando! E se anche fosse stato come ho detto io, non mi sarei assolutamente lamentata. E' un bellissimo ragazzo, perfetto per te", mi rincorse Reneé con tono dispiaciuto. Fintamente dispiaciuto. Quando aveva saputo del mio 'appuntamento' con Edward era letteralmente saltata dalla sedia per la felicità. Aveva voluto sapere tutti i dettagli, cosa ci fosse tra di noi, se ci fossimo già baciati - ovviamente era saltata immediatamente alla conclusione che stessimo insieme - e da quanto tempo stessimo andando avanti. Mi ci era voluto un po' per convincerla del contrario, e ancora non sembrava credermi. Però da una parte aveva ragione...era davvero bellissimo, stupendo esteticamente e, proprio per questo, assolutamente inadatto a una ragazza sciatta e bruttina come me. Guardai attentamente l'armadio sperando che arrivasse un'illuminazione su come vestirmi. Era in momenti del genere che rimpiangevo i miei pazzi gusti sul vestire, assolutamente anti-moda. "Bella...credo di sapere cosa potresti mettere...", un mormorio un po' imbarazzato mi fece voltare nella sua direzione. "Mamma, saprò cosa ho nell'armadio, non trovi?", chiesi scettica. "Certo che lo sai, ma un mesetto fa mi sono permessa di comprarti un qualcosa di...più fru-fru, ecco. Se ti va di provarlo...". In un momento normale mi sarei arrabbiata, ma adesso avevo un disperato bisogno d'aiuto, anche se sapevo con certezza che non importava come mi vestissi, ero sempre io, la solita sfigata dal pochissimo equilibrio. Annuii rassegnata in risposta, e lei ne sembrò entusiasta come non mai. "Dai, vieni, vieni! Sono sicura che ti starà di incanto!", esclamò frugando nella sua stanza alla ricerca di qualcosa. Finalmente 'uscì' dal guardaroba con in mano una busta bianca e blu. "Ta-daaan", mormorò scuotendola un pochino. Alzai gli occhu al cielo e osservai il contenuto che mia madre stava appoggiando, con fin troppa delicatezza per i miei gusti, sul letto matrimoniale dalle coperte verdi. Era una maglietta grigia, senza maniche. Poteva arrivarmi a mezza coscia come massimo, tanto era lunga. Aveva anche dei ricami bianchi all'estremità in alto.
"Come ti sembra, tesoro? Non la trovi fantastica?!", chiese eccitata Reneé. Era carina, certo, non il mio genere, ma carina. Però... "Mamma, non ti sembra un po' troppo corta?", chiesi perplessa prendendola in mano. Strabuzzò gli occhi. "Corta?! Sciocchina, guarda che sotto devi metterci i fusaux o i leggings!", esclamò scoppiando in una fragorosa risata. "Ah", mi ritrovai a osservare piccata. "Be', poi potresti metterci...chessò, una bella cintura bianca qui e poi...", sembrava tanto una di quelle stiliste in carriera, peccato che facesse la maestra d'asilo di professione. "No, mamma. Va benissimo così, grazie!", dissi sicura prima di dirigermi a grandi passi verso la mia stanza e sbattere rumorosamente la porta alle spalle. Mi vestii velocemente per poi osservarmi a lungo allo specchio. Non stavo così male, ma non ero certo tutta 'sta bellezza da mettere in mostra le gambe! Tentai di tirare più verso il basso la maglietta senza però grandi risultati perché, ogni volta che toglievo le mani, la stoffa tornava al suo posto, estattamente come se non avessi fatto nulla. Maledetta. Uscii dalla stanza rassegnata ritornando nelle grinfie di mia madre, la quale mi stava aspettando trepidante fuori dalla porta. "Ma stai benissimo, gioia!", esclamò tutta contenta. "Certo, certo", mormorai prendendo dalla scarpiera le mie fidate Converse nere. "Non avrai intenzione di metterti quelle spero!", disse indignata guardandole male. "Mamma, non voglio mettermi i tacchi a spillo, perciò credo che questa sia la soluzione migliore!", ribattei frustrata. "Uffa, non dico i tacchi, ma un paio di ballerine, quelle col fiocchettino che ti aveva regalato la sorella di Phil..." "Mamma, la sorella di Phil era convinta che avessi otto anni", dissi allacciando la scarpa. "In effetti...be', comunque la misura è la stessa, perciò non c'è problema!", affermò soddisfatta dopo un attimo di esitazione. "No, la misura è cambiata. Non porto più il 37, bensì il 37 e mezzo", calcai bene sulle ultime due parole dirigendomi verso il bagno. "Bella, quanto sei complicata! Mettiti un po' di profumo almeno!", disse sconsolata rincorrendomi. "Forse", le concessi il beneficio del dubbio. Mi passai le mani tra i capelli lunghi e mossi, almeno di quelli non avrei potuto lamentarmi. Anzi, il fatto che dovessi perderli mi rattristava molto. Dopo un'ultima rapida occhiata allo specchio mi voltai, decisa ad andarmene il prima possibile da quella 'organizzatrice di matrimoni'. "Non penserai mica di tenerti quei capelli davanti agli occhi! Santo cielo, Bells, hai un bel viso, non lo devi certo nascondere! Basterebbe una mollettina qui e il gioco è fatto!", ecco che ritornava alla carica. Spesso mi venivano dei dubbi riguardo all'età: chi era l'adolescente? Chi l'adulta? "No", risposi secca. "Allora il trucco! Eh no, signorina, almeno quello te lo devi mettere!", esclamò scocciata con le mani ferme sui fianchi. "Mamma! Lo vuoi capire che non sto andando al ballo di gala?? E poi, se mi metto in tiro, come dici tu, penserà che ci sto provando con lui!", esclamai ormai dritta dritta verso l'isteria. Sembrò spaesata. "Ah, perché, no...?" "Certo che no! Ma che vai a pensare?!?!", quasi gridai sbattendomi una mano sulla fronte. "Be', questo non cambia le cose. Puoi metterti un po' di lucida labbra, lipgloss, matita, ombretto, mascara, eyeliner...hai l'imbarazzo della scelta!" Presi un sospiro profondo. "Mamma. Io non so nemmeno che roba sia l'ailainer!", calcai bene sulla pronuncia di quell'arma sconosciuta e letale. "E nemmeno mi interessa! Perciò se adesso vuoi lasciarmi uscire...oppure, dato che sei così interessata, ci vai tu all'appuntamento!" Non volevo certo essere così dura, ma mi stava innervosendo a livelli esorbidanti, come se già non fossi irrequieta di mio. Sorrise. "Ammetto di averci fatto un pensierino, ma lo lascio a te", mormorò ridacchiando. "Oh, mamma...", risposi scuotendo la testa e lasciandomi andare anche io a un sorriso.
* * * * * * Erano dieci minuti che aspettavo Edward davanti all'entrata principale dell'ospedale. Spostavo costantemente il peso da un piede all'altro, dandomi sempre di più della stupida. Avrà di meglio da fare che uscire con te, Bella, se ne sarà sicuramente dimenticato, mi dicevo, sicura che mi avesse dato buca. Improvvisamente, però, un forte colpo di clacson mi fece voltare verso la strada completamente intasata di macchine e altri veicoli vari. Proveniva da una moto grigia metallizzata guidata da...Edward. Non appena vide che mi ero accorta di lui, fece un cenno amichevole col capo. Era troppo lontano, certo, ma mi sembrava di averlo visto sorridere da dietro il casco. Facendo attenzione a non farmi investire, lo raggiunsi passando tra le macchine a suon di 'scusate' e occhiatine dispiaciute a coloro che si vedevano davanti una cretina a bloccare il passaggio. Quando gli arrivai proprio accanto, si tolse il casco argentato permettendomi di ammirare quella meraviglia che era il suo viso. I capelli ancora più disordinati del solito e l'espressione rilassata. Mi sorrise, porgendomi il casco con entrambe le mani. Lo guardai perplessa. "Mettilo, non voglio che ti succeda qualcosa", mi spiegò sempre con quel sorriso sghembo sulle labbra. "E tu?", chiesi con voce piccola. "Io ho la testa molto dura, in tutti i sensi", sghignazzò tranquillo. Ricambiai il sorriso e, da inesperta qual ero, lo misi in testa. Era una fortuna che il traffico fosse talmente intenso che nessuna macchina o moto che fosse sarebbe mai riuscita a passare, perché altrimenti avremmo formato una coda chilometrica lungo di noi. Edward rise, spostandosi un po' verso di me per aiutarmi ad allacciare il casco sotto il mento. "Sbaglio o non ne hai mai messo uno?", mi sfotté mentre attaccava l'imbragatura in realtà semplicissima. "No, non sbagli", decisi di essere sincera, nonostante non fosse certo un qualcosa di cui vantarsi. "Be', c'è sempre una prima volta, perciò...sali, su", m'invitò spostandosi un pochino più avanti. Oddio. Non sapevo assolutamente come muovermi o come salire in sella, se occupassi troppo spazio o... Mentre mi tormentavo con le solite seghe mentali, lui capì al volo e mi tese una mano per aiutarmi. Lo ringraziai silenziosamente sorridendogli e appoggiando la mano sulla sua. Per un secondo, il calore della sua pelle bruciò contro la mia. Era come un impulso elettrico, di sicuro molto più caldo di un semplice novantotto punto sei gradi. Il calore fluì nella mia mano fino al mio braccio mentre, ancora con le guancie arrossate, tentavo di sedermi dietro di lui. Quando si fu assicurato che mi fossi sistemata per bene, lasciò andare la mia mano e si avvicinò pericolosamente al mio viso, senza girarsi. "Tenta di impallidire, come se ti stessi sentendo male", sussurrò con un leggero sorrisino sulle labbra rosee. Aggrottai le sopracciglia. "Cos'hai intenzione di fare?", chiesi sospettosa. Il suo sorriso si allargò. "Un qualcosa che penso proprio non ti piacerà", dopo di che, si mise a urlare a squarciagola. "Permesso!!!!!! La mia ragazza si sente male!!!! Per favore, lasciatemi passare, dobbiamo andare al pronto soccorso!!!!!", gridò portandosi le mani alla bocca per far risultare la sua voce più forte. Ma era pazzo? Scemo? Fuso?! Giusto per non fargli fare la figura del deficiente - quale in realtà era - appoggiai la testa sulla sua spalla con aria spossata, anche se proprio non lo ero. Le macchine, a poco a poco, si spostarono, lasciandoci giusto un piccolo spazietto per passare. Edward colse l'occasione al volo e mise subito in moto, partendo subito a tutta velocità. Nonostante all'inizio mi sembrasse eccessivo e imbarazzante mettergli le braccia attorno alla vita per evitare di cadere, non appena cominciammo a sterzare come saette tra le macchine ferme in mezzo alla strada, fu inevitabile per evitare di stramazzare a terra e sentirsi male per davvero. Mi strinsi a lui con forza, più di quanto avrei dovuto e riuscii a vedere la sua espressione dallo specchietto: non sembrava molto dispiaciuto. Corremmo lungo le strade velocissimamente fino a che non arrivammo al semaforo. Era appena scattato il 'giallo', ed ero sicura che ci saremmo fermati, ma invece no, lui proseguì la sua corsa, se possibile, aumentando ancora di più la velocità. "Ma sei fuori di testa?!?", esclamai inferocita. Stavamo rischiando di farci investire! Rise. "Se non avessi detto nulla saremmo rimasti lì per tre ore minimo", ironizzò, felice della veridicità della sua teoria. "Ci sono anche altri modi per passare, sai? Leggermente più civili dei tuoi", precisai alzando la voce per farmi sentire nonostante il rumore forte della moto. "Mmm? Illuminami, quali?", chiese sarcastico. Uffa, perché doveva averla vinta sempre lui? Lo fulminai dallo specchietto retrovisore, facendolo ridere fragorosamente, una risata felice, pura, di quelle che fanno inevitabilmente sorridere anche chi la sente. Continuammo a scorrazzare allegramente per altri cinque minuti, finché Edward non parcheggiò in una strada che conoscevo bene, per mia sfortuna. Eravamo in centro e il ricordo di tutte le volte che mia mamma aveva insistito per portarmici mi fece venire quasi la nausea. "Capolinea. I passeggeri sono pregati di scendere", disse con voce nasale imitando i capo stazioni. Ridacchiai. "Penso che il macchinista sia un ottimo lavoro per te", dissi dopo essere scesa dalla moto. "Oh-oh, come siamo spiritose!", esclamò ghigando e venendo verso di me. Era troppo, troppo vicino. Arretrai impercettibilmente, sino a finire con la schiena contro ad un'altra moto lì dietro. "C-cosa c'è?", farfugliai con un filo di voce. "Il casco, mia cara", rispose semplicemente, senza mai abbandonare il suo ghigno sarcastico. Oh. Non mi ero nemmeno accorta di tenerlo ancora in mano! Glielo porsi immediatamente, con un gesto meccanico del quale rise. "Maledetto tu e la tua moto...", borbottai mentre metteva a posto il casco, convinta che non mi stesse ascoltando. Invece, al contrario, mi sentì, tanto che alzò di scatto la testa e mi fulminò con quegli occhi verdi così intensi e magnetici. "Io posso esserlo, ma non ti azzardare a chiamare così la mia Ducati!", sbottò assottigliando lo sguardo. Capito tutto, pensai, anche lui un patito delle auto. "Oh santo cielo, scusami, non sapevo che la tua moto fosse un tale gioiello!", esclamai con aria teatrale. "Ti perdono solo perché sono un gentiluomo", rispose piccato venendo al mio fianco. "Oh quale onore...", mormorai sorridendo sadica. "Vedo che hai la battuta sempre pronta adesso, eh?", mi fece notare ghignando di nuovo. Arrossii di botto, ricordando il vero motivo per cui mi aveva proposto di uscire. "Problemi?" "No, affatto. Semplicemente mi fa piacere", si limitò a rispondere infilando le mani nelle tasche dei jeans chiari. Sorrisi lievemente, sentendomi fin troppo osservata. "Stai bene vestita così", mi fece notare piegando la testa da un lato. "Grazie...", borbottai girandomi verso una vetrina, fingendomi intenta a fissare i capi di abbigliamento esposti. "Camminiamo...?", chiesi improvvisamente frettolosa di muoverci da lì. "Certo!", rispose con una scrollata di spalle. Ci incamminammo lentamente per un po', facendo commenti riguardo ai negozi, o ai manichini che quasi quasi erano più belli delle donne reali, secondo lui. Mi offesi un po', sentendogli dire quelle cose, ma quando scoppiò in una risata capii che mi stava prendendo in giro. In quel momento stavamo guardando le locandine dei film di quel fine settimana, ognuno era perso nei propri pensieri, quando sentimmo una voce alle nostre spalle. "Ed!" Ci voltammo di scatto e Edward si illuminò in un sorriso, avvicinandosi al ragazzo che lo aveva salutato. Fece scontrare il proprio pugno con il suo, in un gesto amichevole, mentre io desideravo ardentemente scomparire o finire risucchiata dal terreno. "Tanto tempo che non ci si vede, eh, Mike?" Mike Newton, uno dei ragazzi più popolari della mia scuola. Uno dei ragazzi che mi aveva sempre presa per i fondelli senza mai stancarsi, uno di quei ragazzi che mi aveva sempre guardato dall'alto in basso e mi avevano considerato perennemente la diversa. "Eh, già, lo so. In questo periodo sono stato molto impegnato con la scuola...", mormorò lui ridacchiando. Anche Edward si mise a ridere. "Oh, si immagino! Chissà perché, però, ho il presentimento che fossi più occupato con i bagni della scuola che con le classi in sé!" "Ehi, solo perché sei un secchione non significa che te la debba prendere con quelli meno bravi di te!", si difese quello senza smettere di ridere. Improvvisamente, però, il suo sguardo incrociò il mio. Le preghiere non erano bastate: mi aveva notato. Si interruppe immediatamente, spostando il suo sguardo da me a Edward. "Cosa ci fai qui con lei?", chiese sbalordito guardando verso di lui, come se non ci fossi nemmeno. Sentii una fitta allo stomaco. Il volto di Edward si fece perplesso, mentre con lo sguardo confuso incrociò per un breve istante i miei occhi. "Facciamo un giro", rispose semplicemente, ancora con le sopracciglia aggrottate. Mike si accigliò ancora di più. "Con questa sfigata?", chiese palesemente scettico. Un altro colpo, sempre più forte. Per quanto mi sforzassi di rimanere impassibile, sentivo le lacrime pungermi gli occhi, desiderose di uscire. Era così sicuro che non riuscissi nemmeno a comprendere le sue parole! Che fossi talmente diversa da non riuscire a ragionare! Mi avvicinai di un passo a Edward e con voce rotta dissi: "I-io credo che sia meglio andare...", non aspettai nemmeno una sua risposta, perché mi voltai immediatamente. Avrei voluto correre, scappare via da quell'incubo in realtà così frequente, quando una mano mi bloccò il polso. Sapevo già che si trattasse di Edward, ma non avevo intenzione di rimanere con il suo amico un minuto di più. "Ed, ma scusa, che ti frega?", chiese quello ridendo incredulo. Il ragazzo sembrò non ascoltarlo, perché la presa sul mio avambraccio si fece più forte e fui costratta a girarmi. "Vieni, andiamo", sussurro con voce gentile. Non avevo idea di come potesse essere la mia espressione. Riconoscente? Distrutta? Seppi semplicemente che Edward si voltò appena verso Mike per sussurrare impercettibilmente: 'Poi facciamo i conti'. Camminammo in silenzio per una decina di minuti, l'uno accanto all'altra. Nella mia mente rivedevo ancora la scena di poco prima...ripetutamente, come a volersi imprimere nella mia mente. Ad un tratto Edward sospirò e mi costrinse a voltarmi leggermente nella sua direzione. "Ti prego, parliamo", disse implorante. "Ok", risposi piatta. E' un suo amico, è un suo amico, questa frase coninuava a rimbombarmi in testa. Sbuffò di nuovo. "Voglio sapere cosa hai fatto a Mike perché si comporti così con te. Non l'ho mai visto così, davvero..." "E allora non lo conosci bene", lo interruppi duramente. Perché dovevo essere stata io a fargli qualcosa. Fosse stato per me sarebbe potuto rimanere benissimo uno sconosciuto del cavolo, non m'importava nulla. Un cipiglio nervoso apparve sul suo volto. "Andate nella stessa scuola, vero?" "Sì" "E lui ti ha sempre tratto così?" Ci pensai un attimo. "Sì" "C'è qualche motivo in particolare?" "No" "Uffa, cazzo, la smetti di rispondere a monosillabi, per favore?", sbraitò spazientito, nonostante fosse evidente che tentava di controllare sé stesso. "Va bene...", mormorai a disagio. "Mi spieghi perché ti trattano così? Per favore. Non è solo curiosità, te lo garantisco." E allora che cos'è? Avrei voluto chiedere, ma evitai. "Ok...", m'interruppi un attimo, prendendo un respiro prima di continuare a parlare. "Diciamo che, come sicuramente ti sarai accorto, non sono una persona molto locuace, e, anzi, non sono affatto propensa alla compagnia. Mi piace stare sola, punto. A quanto pare, però, sembra che questo mio modo di essere non piaccia affatto al tuo amico e a taanta altra gente. Da quando hanno capito come fossi sono diventata 'la sfigata' o 'l'emarginata'.", spiegai mesta. "E non ti da' fastidio?", chiese lui. Chissà perché la sua domanda aveva un che di innocente. Avrei voluto ridere, ma non certo per divertimento. "Certo che sì, ma cosa posso fare? Mi limito semplicemente a ignorarli, per quanto posso..." "Ma non è giusto!", disse come fosse la cosa più ovvia del mondo. "Non te l'hanno ancora detto? La vita non è giusta" "Sì, lo so, ma davvero non immaginavo che Mike arrivasse ad essere...così." "Da quanto lo conosci?", chiesi per spostare un po' il discorso verso altro. Sembrò pensarci un attimo. "Più o meno da quando avevo nove- dieci anni. E' sempre stato un amico, simpatico, socievole, nonostante anche noi avessimo i nostri litigi. Durante la fase preadolescenziale ci siamo allontanati un po', però. Per diversi motivi...", sospirò pesantemente, come se la cosa lo rattristasse. "Ti va di parlarne?", chiesi con tono leggero. Incrociò il mio sguardo e sorrise leggermente. "Come sai, mi chiamo Edward Cullen, o almeno, è quello che avevo sempre pensato fino all'età di undici anni. Ho due fratelli, Alice ed Emmett: capelli neri, occhi azzurro mare. Avevo sempre notato quanto poco mi somigliassero, ma non me n'ero fatto un problema dato che entrambi i miei genitori erano biondi. Capii più in seguito, però che anche mia madre, un tempo, li aveva avuti dello stesso colore, e così anche i miei nonni. Tutto cominciò a non quadrare più: non trovavo foto di me da piccolo, di mamma con il pancione mentre era incinta di me...nulla. Solo in quel momento capii di essere stato adottato ed Esme e Carlisle, i miei nuovi genitori, mi raccontarono tutta la storia. Mia madre Elizabeth era...una prostituta, ecco. Finita in mezzo alla strada proprio perché la sua famiglia era molto, molto povera. Una notte, però, incontrò mio padre, Edward, e cominciarono a vedersi sempre più spesso. Con il passare del tempo, egli non fu più solo un cliente: si erano innamorati. Poi, arrivarono le compicazioni. Elizabeth rimase incinta, ma non poteva assolutamente dirlo a nessuno: né a Edward né a nessun altro. Perciò, una volta che fui nato, fu costretta a lasciarmi nei bagni dell'ospedale, fuggendo via. Non appena i medici mi trovarono, tentarono il tutto e per tutto per rintracciare mia madre. Tra questi c'erano anche Esme e Carlisle. Alla fine la trovarono, ma lei disse che non poteva tenermi. Riuscirono a rintracciare anche mio padre, Edward, il quale non sapeva nemmeno che avesse un figlio. Al contrario di ciò che si sarebbe aspettata mia mamma, ne fu felicissimo e il loro amore si coronò. Tutto sarebbe andato bene, avrebbero avuto una famiglia felice insieme a me se non fosse stato che ormai Esme e Carlisle mi avevano messo nel proprio cuore, ormai mi consideravano un figlio loro, dato che non potevano averne e che io in teoria ero stato abbandonato. I miei genitori, allora, commossi dalla loro reazione, decisero di lasciarmi nelle loro mani, anche se con grande tristezza..." Quando concluse il suo lungo racconto, la mia bocca era diventata una 'A' muta. Sentii improvvisamente qualcosa di liquido e caldo scendere lungo la mia guancia, prima piano e poi più veloce: una lacrima. Edward sorrise. "Non devi piangere per me, mi fai sentire una femminuccia" Il risolino che feci sembrò un verso isterico, perciò mi convinsi a stare in silenzio. "Mi dispiace, Edward", mormorai dopo due secondi di meditazione. "Non serve. Sono sempre stato felice che i miei genitori fossero delle persone buone e altruiste...solo avrei preferito saperlo prima, ecco tutto", spiegò con tono leggero, rilassato nonostante il discorso non fosse dei più semplici. Rimanemmo in silenzio per due minuti che sembravano durare in eterno, mentre i suoi occhi perforavano insistentemente i miei. Improvvisamente Edward rise, distogliendo lo sguardo. "Ok, adesso mi sento esattamente una femminuccia!"
* * * * * *
"Ciuf, ciuf! Capolinea per la signorina Swan", la voce nasale da capo stazione di Edward mi distolse dai miei pensieri. Sorrisi scendendo dalla moto e porgendogli il casco. Si erano fatte le sette di sera in un lampo, senza che ce ne fossimo nemmeno accorti. Con passo incerto mi accompagnò fino all'ingresso di casa. Uno splendido sorriso si formò sul suo volto quando vide la macchina azzurra metallizzata di Phil parcheggiata malamente. Quando fummo davanti alla porta, mi girai verso di lui. Mi stava fissando insistentemente proprio come prima, dopo che mi aveva raccontato di sé. Il resto del pomeriggio l'avevo trascorso a parlare del più e del meno, anche se di discorsi meno pesanti rispetto a quelli iniziali. Era stato tutto semplice e...naturale. Dovevo ammetterlo: la cosa, per certi versi, oltre che farmi piacere, mi spaventava. "Be'...allora...buona cena", proruppe sorridendo. "Grazie, anche a te", m'interruppi. "Ho passato un bel pomeriggio con te, Edward, grazie" "Grazie a te di avermi offerto la tua compagnia", ricambiò lui inchinandosi teatralmente. Ridacchiai e feci per cercare le chiavi nella borsa, quando mi prese il polso con una mano, costringendomi a sollevare lo sguardo di nuovo. "Davvero, anche per me è stato bello", disse con un'intensità travolgente. Perché improvvisamente il mio cuore aveva accellerato i battiti...? Perché il respiro era più veloce? Perché desideravo un contatto più ravvicinato con lui? Proprio mentre lo pensavo, ecco che fece un passo verso di me, cauto, incerto, come per paura che potessi cacciarlo o respingerlo. Fu un attimo, un attimo che, seppur breve, fu quanto di più intenso avessi mai percepito, oltre ai suoi magnifici occhi verdi. Un attimo in cui le sue labbra si posarono esitanti sulla mia fronte, lasciandovi un bacio leggersissimo, quanto la carazza delle ali di una farfalla. "Buona serata, Bella, ci vediamo all'ospedale", mormorò prima di mettersi il casco e partire di nuovo verso le strade buie.
Buona seeera!!! ^^ Come state, carissime???? Non è un periodo impegnativo solo per me, vero??? Dai che non sono l'unica letteralmente trucidata dalla scuola! Vabbe', adesso non c'ho voglia di parlarne perché altrimenti mi innervosisco ù.ù Innanzitutto mi scuso per il ritardo dell'aggiornamento, ma per vari motivi non sono riuscita a scrivere prima. Spero che la lunghezza e il contenuto abbiamo compensato abbastanza! ^^ Ed ecco qui la storia di Edward...triste, vero? Per certi versi sì, ma il fatto che alla fine i suoi genitori siano riusciti a stare insieme e pur di non rovinare la felicità di Esme e Carlisle hanno dato loro il proprio bambino (che ormai era diventato loro perché erano passati diversi mesi) secondo me è stato molto positivo. Edward ha deciso di essere sbrigativo e di non raccontare proprio in quel giorno tutti i dettagli a Bella perché non era emotivamente pronto per aprirsi con lei in questo modo. Però in uno dei prossimi lo farà, statene certe ^^ Per chiunque se lo fosse chiesto, sì, Edward conosce più o meno tutti i ragazzi (e quindi anche le ragazze) più popolari della scuola di Bella in quanto ha frequentato per diversi anni il campo estivo di quella zona di Phoenix, organizzato proprio da quella cerchia di ragazzi. Non aveva mai visto Bella prima di quel momento perché ovviamente lei se ne stava barricata in casa o in biblioteca, da brava lettrice qual è. =) Sa benissimo che Bella gli nasconde delle cose, ma non la vuole forzare troppo: ha capito quanto ci sta male per come si comportano i suoi compagni, tra cui il suo amico Mike. Spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto! ^^ Ecco qui la moto di Edward: moto Mi raccomando, recensite!!!!!! A presto!!! Un bacio! Ele
Risposte alle recensioni
Ginna3: Ciaooo! ^^ Allora, ti è piaciuto il capitolo??? Eri curiosa di come sarebbe andata...ebbene, sei soddisfatta? Ti aspettavi qualcosa di diverso??? Grazie mille di tutti i complimenti che mi hai fatto, non sai quanto mi fanno piacere!!!! Dai che Edward è riuscito a farla sorridere finalmente!!!! *.* Un bacio grande! Ele
Funny_lady_: La mia tesora!!!!!!!!!!! *.* Ciao, gioia, come stai??? Sei ancora viva?? La scuola ti ha ucciso (come ha fatto con me -.-") oppure sei una delle pochissime superstiti??? Spero vivamente la seconda ipotesi, altrimenti chi mi fa da supporto morale se non ci sei tu??? XD Ahah, sono una sfruttatrice!!!!! XD Grazie infinite per tutti i complimentoni che mi hai fatto! *me gongola sfacciatamente, soddisfatta* XD Ti è piaciuta Reneé in questo capitolo??? Mi sono divertita un sacco a scrivere l'inizio perché è davvero lei che fa la parte dell'adolescente! XD Reneé, Reneé, ma che ci combini??? XD Vedrò di far arrivare presto il tuo Charlie, così vediamo se ti puoi innamorare anche di lui XD Daaaai, questo capitolo ti è piaciuto, vero??? Suuu, non fare la timida, di' tranquillamente che l'hai adorato da impazzire, dai, non mi faccio mica problemi se me lo scrivi, eh! XD Che modesta che sono! XD Edwarduccio ha avuto una storia difficile...anche se a lieto fine. Perché non sia mai detto che non incontri i veri genitori un giorno...ops, forse ho detto troppo! Adesso la pianto di annoiarti con le mie chacchiere inutili! Un bacione enorme, tesoro! Fammi sapere come ti è sembrato il capitolo! Ciaooo!
poc: Ciaoooo cara!!!!! Dio, grazie, grazie, grazie!!!! C'è, ma vi rendete conto che fate salire la mia autostima a livelli esorbitanti?? XD Come avrai visto in questo capitolo, Bella non è che se ne frega proprio altamente delle critiche...nel senso che ci prova. Vedere che la guardano male e sapere che le sparlano dietro è conto, ma sentire proprio quali sono i commenti che fanno su di lei, neanche fosse un extraterrestre, è un altro. Per fortuna Edward ha saputo come calmarla e vediamo se poi riesce a farla pagare a Mike! Muahahah! XD Certo, Bella, per ora, è più 'malata' psicologicamente che fisicamente. Scusami se uso la parola malata, intendo semplicemente dire che soffre maggiormente nel senso psicologico: te lo dico perché anche io odio davvero quando parlando delle persone che vanno da psicologi o che hanno comunque problemi di questo tipo come malati. Mi fa un piacere che non ti immagini nemmeno sapere quanto ti piace questa storia!!!! Io fortunatamente non ho nessun tumore o malattia, ma posso dire di avere delle sofferenze psicologiche, in quanto sono una persona estremamente sensibile, anche troppo. Tantissimi bacioni, tesoro!!! Grazie ancora!!! Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!
Lua93: Ciaoooo!!!! Non sai che piacere mi fa sapere che leggi la mia storia, mi fa sentire importante XD Sì, è vero, Bella per certi versi è forte, non cade in depressione per colpa della malattia pensando ad un futuro che perderà quasi sicuramente, ma è felice perché non pensa nemmeno ad un 'seguito', pensa fin troppo al presente e questo, da una parte, la aiuta, nonostante sia sbagliato. I compagni di scuola di Bella in realtà cercavano soltanto una conferma ai loro sospetti su quanto lei fosse diversa, e non appena l'hanno trovata i loro commenti su di lei si sono fatti ancora più pesanti. Mike è davvero uno stronzo cronico, ed Edward ne rimane sorpreso non conoscendo questa parte del suo carattere. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, fammi sapere!!!! Ah, ho visto che hai partecipato anche tu al contest indetto da Fabi_ "Da un'immagine"!!!! Io sono in ansia in un modo assurdo!!!! O.O Aspettiamo con ansia lunedì, va' ^^ Sono sicura che avrai un ottimo risultato!!! E non ti preoccupare, non mi sono certo offesa per gli errori di ortografia, so benissimo di farli e non sono così suscettibile per fortuna! =) Un bacio, grazie di tutto! Ele
shasha5: Gioia!!!!! Ciauuuu! ^^ Scuuuusa per il ritardooo! Questa volta non sono stata male, lo so, ma la scuola, sai com'è, è fatta per distruggere e annientare i poveri studenti! ù.ù Eheh, lo sapevo io che non resistevi al fascino magnetico di Edwarduccio! XD In questo capitolo ti è piaciuto, veroooo??? Con la sua bella moto...sooo sexy XD Vedrai che per il regalino per essere entrata nelle mie grazie ci penserò...una statua va bene??? XD Buona serata, cara!!!! Tanti baci e grazie ancora!!!!!!!!!!!!!!! Alla prossima!!!! =D
Twiiii: Ciao!!!!! ^^ Grazie mille dei complimenti, troppo buona! Eh già, lo so benissimo che questo è un tema difficile e pesante e proprio per questo a volte mi chiedo se sono capace di trattarlo in modo adeguato, nonostante io faccia sempre del mio meglio ^^ Sono molto felice che la tua amica si sia salvata, ma non posso assicurarti nulla riguardo a Bella, top secret! ù.ù Edward in questo capitolo si fa già conoscere di più, per rassicurare Bella che non è l'unica 'diversa'. Anche lui per un lungo periodo si è sentito così! Grazie davvero di tutto! Bacioni!!
Giuliina La meio: Ciao Giulia!!! ^^ Dai, non preoccuparti se hai perso un capitolo! Sai quante volte succede a me con la mia distrazione! ù.ù Sono davvero felice che i capitoli ti piacciano! E lo so, sono tristi, ma vedrai che presto Edward riuscirà nella sua missione pienamente!!! ^^ Un bacio grande!!! Ciaooo! Ele
KrisCullen: Ciaoooo!! Ooooh, grazie, cara!!!! Sei davvero troppo buona!!! ^^ Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che l'evoluzione del rapporto di Edward e Bella ti abbia fatto piacere!!!! Alla prossima!!! Un bacione!!!!!!!! Non ti preoccupare, tenterò di leggere il prima possibile qualche tua storia, ma come avrai notato la scuola non mi lascia troppo tempo libero perciò...quando mi farà respirare un po' di più, non mancherò!!!! Ancora un bacio!
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Capitolo 5 *** Immaginazione ***
Your Guardian Angel
°* Capitolo Quattro: Immaginazione °*
"Mamma...non è che potrei non andare a scuola oggi?", chiesi speranzosa sollevando la testa dalla tazza colma di latte caldo. Reneé si voltò nella mia direzione, il sopracciglio sinistro alzato in modo minaccioso. "Non credo proprio. Qualche verifica per caso?" Se solo avesse saputo che il mio desiderio nasceva direttamente dal non vedere i miei compagni non so come avrebbe reagito. "No, niente di speciale. Semplicemente non mi sento bene", cercai di far sembrare la mia voce flebile, con scarsi risultati. "Ma che dici?! Sei rosea come un fiore, Bella, non fare storie per favore!", esclamò esasperata, determinata a chiudere il discorso. Mi alzai sbuffando, prima di dirigermi verso il bagno. Ma non l'avrebbe avuta vinta, avrei continuato a protestare all'infinito, se fosse servito. Conoscendo la indole piuttosto crudele dei miei compagni di scuola, Mike Newton oggi avrebbe spiattellato quello che aveva visto ieri a tutto l'istituto in un attimo, dandomi ancora una volta della pazza associale. Quando fui pronta, zaino in spalla e felpa già addosso, ritornai da mia madre. "Mamma...dai, che ti costa un solo giorno d'assenza?", chiesi con occhi supplicanti. Oh- oh, l'avevo fatta arrabbiare. Lasciò andare lo strofinaccio con cui stava asciugando le pentole e mi fulminò con lo sguardo. "Isabella, vuoi capire che non ti rimangono molti giorni per andare a scuola?", domandò calcando bene su ogni singola parola. La guardai bene in faccia. "Sì", risposi semplicemente. Improvvisamente i suoi occhi si arrossarono, riempiendosi di piccole lacrime ai bordi. "B-bella...sembra quasi che tu...", mormorò con la voce rotta, le mani strette in grembo. Mi voltai immediatamente e, prima che potesse dire un'altra parola, dissi: "Non mi aspettare per pranzo". Camminai a passo spedito per tutto il tragitto, accompagnata dalla musica a palla nelle orecchie. Avevo sempre preferito che mia madre non conoscesse quella parte della storia, quella in cui io ero felice di morire e andarmene, ma sapevo che un giorno sarebbe stato inevitabile che lo scoprisse. A volte avevo immaginato di essere in letto di morte, stavo esalando gli ultimi respiri prima di lasciare definitivamente questo mondo e, al posto di piangere dalla disperazione, sorridevo, felice per una volta, mostrando a mia madre quanto le persone potessero essere diverse. Quanto io ero diversa. Raggiunsi la scuola prima del solito, ma già a quell'ora era piena di ragazzi seduti a chiacchierare. Come al solito tentai di non farmi notare, ma fu inevitabile, purtroppo. Ero nota anche per le mie numerose cadute, per il mio inciampare continuamente nei miei stessi piedi, per il mio non sapere stare nemmeno in piedi. Infatti, proprio come ogni mia 'giornata tipo', fu normale quasi cadere addosso a tre ragazze, intente a chiacchierare entusiaste su i muscoli di un ragazzo dell'ultimo anno, interrompendo i loro discorsi di importanza vitale. "Ma stai attenta, sfigata!", sputò una di queste come fosse un insulto. E certo, perdere un minuto del proprio tempo era davvero disastroso. Fortunatamente la campanella suonò, dando inizio alle lezioni. La giornata non fu assolutamente nulla di speciale. Chissà perché, mi ero aspettata sin dalla sera prima un qualche catastrofe dovuta al mio scontro con Newton, ma niente del genere era successo, con mio enorme sollievo. Che Mike non avesse parlato? No, questo sembrava impossibile, vista la reputazione di cui godeva. Gli sguardi sprezzanti di tutti arrivavano sempre e comunque, ogni cosa facessi. Sembravano giudicarmi, come se loro avessero il potere di stabilire quale delle mie azioni fosse consentita, cosa fosse giusto o sbagliato. Ma questo, come ho già detto, era tipico, nulla di diverso dal solito. C'era ancora qualcosa che però minacciava notevolmente la mia incolumità, ovvero l'ora di educazione fisica. Saltarla era sempre stato il mio obiettivo principale, ma quando il professor Clapp, l'insegnante di tale materia, m'informò che continuando così sarei stata bocciata, decisi di presentarmi, giusto per far vedere che 'mi ero impegnata'. Entrai negli spogliatoi con un'aria da funerale: anche quello era uno dei momenti che odiavo. Le ragazze normali non si facevano problemi a cambiarsi davanti a tutte le altre, anzi, erano compiaciute nel mostrare il proprio corpo formoso, giusto per vantarsi un po'. Io, invece, che avevo un fisico sciatto, dovevo rifugiarmi per forza rifugiarmi nei bagni, ed essere comunque costretta a sentire tutti i loro commenti su di me. E così, anche quel giorno. Senza voltarmi a guardare nessuno, proseguii a passo deciso - stranamente - verso i servizi, chiudendomi a chiave. Ed ecco che già le prime risatine cominciavano a farsi sentire a poca distanza. "Ma l'avete vista?", ridacchiò una. "Sì, Julie, certo! Sembra che non abbia nemmeno uno specchio a casa sua!" A quell'esclamazione, abbassai lo sguardo verso il mio abbigliamento. Una semplice felpa blu scuro e dei vecchi jeans fasciavano alla bell'e meglio il mio corpo. Non ero certo una fanatica della moda, ma non pensavo che stessi così male. "Sua madre le deve voler davvero male!" "Ci credo, a farla uscire di casa sicuramente! E poi chi gliene dovrebbe volere, scusa? E' una sfigata di prima categoria! Questa mattina, io, Angela e Jess stavamo parlando dei fantastici addominali di Tyler e arriva lei che ci casca addosso come una pera cotta!", sbraitò un'altra che riconobbi come la stessa tipa di stamattina. "Ma sì...che sia malata è soltanto un bene per tutti" Persi la pazienza. Con uno scatto secco, aprii la porta del piccolo bagno ritrovandomi una ventina di occhi puntati contro. Ma non dissi nulla, non insultai in qualsiasi lingua conoscessi, come invece avrei voluto fare. Semplicemente le fissai un attimo in silenzio, per poi andarmene a passo lento dallo spogliatoio, da quella stanza maledetta. Attraversai il breve corridoio in poco tempo, gli occhi pizzicavano, ma non sarei arrivata a quel punto, non avrei pianto davanti a tutti. Non perché considerassi le lacrime un qualcosa da 'bambini', ma semplicemente perché non avrei mai permesso che qualcun altro mi vedesse fragile, umile, indifesa. Molto più di quanto lo fossi normalmente. Non passai nemmeno dalla segreteria per informare della mia uscita, me ne andai via tranquilla, per una volta. Camminai con le mani infossate nelle tasche della felpa per molto tempo, osservando ogni persona che trovassi sulla mia strada. Bambini, adulti, anziani...immaginavo come dovesse essere la loro vita, se avessero qualcuno ad aspettarli a casa all'ora di pranzo, qualcuno a cui volere davvero bene. Mi sentivo stupida a farmi queste domande, non avrebbero mai avuto una risposta, non mi sarei mai messa a chiedere alla gente che incontravo dove stesse andando o chi fosse, ma allora perché quegli stupidi pensieri mi facevano in un qualche modo sorridere? La fantasia supera la realtà, in qualsiasi cosa. La realtà è dura, difficile, crudele. Usando invece la propria immaginazione, non c'è nessuno che ti possa dire se c'è qualcosa che non puoi fare, puoi essere ciò che vuoi, ciò che desideri, può esserci la speranza di vedere i propri sogni avverati grazie ad una magia. Ecco uno dei motivi per cui amavo i fantasy. Soprattutto quelli romantici: erano i miei preferiti, insieme ai classici, ovviamente. Mi immedesimavo tantissimo nella trama, anzi, più il libro era scritto bene, più mi mettevo a piangere nei momenti catastrofici della storia, o la notte sognavo i personaggi principali. Soltanto dopo un po' capii che tutto era dovuto dal fatto che la mia vita fosse vuota. Che vivessi di romanzi, di illusioni, di una finta realtà, un qualcosa che esisteva solo nella mia testa. Ma non mi importava. Era sempre stato piacevole, confortante e sicuro. Sì, sicuro. Proprio perché, come diverse volte mi aveva fatto notare mia madre, i libri non potevano certo dirmi quali fossero i miei difetti, correggermi tutte le volte in cui sbagliavo. Sospirando, chiesi al commesso del panificio in cui ero appena entrata un trancio di pizza margherita. Era un ragazzo su per giù della mia età, pallido, occhi azzurro chiaro, ricci capelli neri e un'espressione davvero simpatica. Quando ebbe incartato ciò che gli avevo chiesto, mi sorrise, mostrando due fossette ai lati della bocca. "Buon appetito" "Grazie", mormorai cercando le monete nel mio portafogli. Gli rivolsi un'ultima occhiata prima di chiudere la porta alle mie spalle ed andarmene. Mi incuriosiva molto più delle altre persone che avessi incontrato quel giorno, senza che immaginassi minimamente il motivo. Per evitare di fare la figura della sfacciata, dovetti voltarmi, ricominciando a camminare per le strade caotiche di Phoenix. Entro mezz'ora, arrivai ad un parco in periferia, non troppo distante da casa, ma molto isolato, stranamente. Non ci veniva molta gente, solo qualche mamma con i propri figli piccoli quando dovevano fare il riposino pomeridiano. Era un luogo tranquillo e sicuro, dove avrei potuto rilassarmi con certezza. Con un sorriso innaturale stampato in volto, mi sedetti sul prato, appoggiando schiena e testa al tronco di una grande quercia. Potevo percepire distintamente il fruscio prodotto dal vento mentre sfiorava le foglie in alto, quelle più esposte ai raggi solari. I rami si muovevano leggermente, creando un atmosfera di quiete e serenità. Avevo già finito da un pezzo la mia pizza, perciò chiusi gli occhi, lasciandomi andare ad un sonno tranquillo, causato da una stanchezza più emotiva che corporea. * * * * * * "Allora, ripetiamo: Canova nacque nel 1757 a...cazzo, Canova, ma non potevi nascere in un posto più conosciuto sulla faccia della Terra?!", un'esclamazione furibonda ed irritata mi fece aprire le palpebre di scatto. Ma dove...? Non riuscivo a capire dove mi trovassi, i miei occhi stavano ancora tentando di abituarsi alla luce tenue che illuminava l'ambiente. Improvvisamente, ricordai di essermi addormentata nel parco verso le 2.00 e di aver saltato un'ora di scuola. Sospirai piano, voltando la testa in modo da riuscire a vedere dietro al tronco a cui ero appoggiata. Non riuscivo a crederci. La figura a pochi passi da me, voltata dall'altra parte, sarebbe stata irriconoscibile se non fosse stato per i capelli, quella massa arruffata color bronzo così particolare. Teneva in mano un libro aperto, sfogliando frettolosamente le pagine ed imprecando. "Cazzo...dove diavolo dice dove è nato?", esclamò la sua voce. Con un sorriso divertito sulle labbra, mi alzai in piedi goffamente. Dopo aver trovato un po' di equilibrio, lo raggiunsi a piccoli e lenti passi, in modo che non mi sentisse. "Canova nacque a Possagno nel 1757", cominciai con tono saccente. "Ma si formò a Venezia, per poi giungere a Roma nel 1779", conclusi sempre con un sorrisino sulle labbra. Non appena aveva sentito la mia voce, Edward era sobbalzato, poi, invece, vedendo che proseguivo, si era girato nella mia direzione, il volto perfetto incuriosito. Ora che avevo finito di parlare, però, aveva un sopracciglio inarcato verso l'alto, scettico. "Oh, ma che onore, abbiamo un critico d'arte tra noi...", ironizzò accennando a me. Il mio sorriso si allargò, mentre mi avvicinavo. "Forse non proprio un critico, ma una buona intenditrice sì", precisai. La sua espressione non cambiò, anzi, se possibile si fece più scettica di prima. "Adesso sì che è tutto chiaro!" Ridacchiai un attimo, prima di far ricadere la mia attenzione sul suo libro di storia dell'arte. "Cosa ci fai qui?", chiesi aggrottando le sopracciglia. Reagì inaspettatamente da come mi aspettavo, infatti con una mano prese a torturarsi i capelli all'altezza della nuca, come era solito a fare quando era nervoso. "Ehm...cercavo un posto tranquillo in cui studiare per la verifica e mi sono ricordato di questo parco", mormorò. Non capii il motivo per cui si fosse fatto tanti problemi, però. "Strano che non ti abbia mai visto. Vengo spesso qui", sussurrai persa nei ricordi di tutti i pomeriggi passati lì a leggere. "Ehm...ci sono venuto circa due mesetti fa...con...un'amica." Bastò quella frase perché capissi, e ricordassi, anche. La mia bocca si spalancò andando a formare una 'A' muta. "Eri tu", dissi semplicemente. Sembrò perplesso. "Cosa?" "Una sera, verso le sei, a luglio. Non c'era nessuno al parco, a parte me. Stavo leggendo vicino a un albero quando ho sentito...versi strani", continuai con una smorfia leggermente schifata in volto. E lui rise. Rise come avrebbero fatto tutti gli altri, prendendomi in giro per essermi 'scandalizzata' per una cosa naturalissima come il sesso. La mia espressione divenne nuovamente impenetrabile, chiusa, quella da emarginata che avevo sempre a scuola. "S-scusa, non volevo ridere. Solo che mi sono ricordato anche io di te...cioé, non sapevo chi eri, ma io e la...mia amica ti avevamo visto correre via, nemmeno fossi un ladro", spiegò ridacchiando ancora. "Divertente, Edward", dissi sarcastica. "E dai, Bella, non volevo prenderti in giro. Semplicemente ci eravamo spaventati! Potevi essere un serial killer, e noi, da gran coglioni, non c'eravamo nemmeno accorti di te, anche se avremmo potuto telefonare alla polizia e farti arrestare!", si scusò facendo gli occhi dolci, quelli da bimbo piccolo e indifeso a cui non ero mai riuscita a resistere. Quando tutte le barriere furono abbattute, mi lasciai andare ad una risatina leggermente isterica, immaginandolo completamente spaventato. "Sono felice di aver causato in te questa reazione", gongolai. "Ehi, signorina, non è che solo perché sei riuscita a farmi prendere un colpo e sei una critica d'arte hai il diritto di trattarmi così!", fece un vocione duro che non gli si addiceva per niente, con quella sua aria 'tra le nuvole' che si ritrovava. "A proposito", dissi dopo che anche le ultime risate, sia mie che sue, si furono esaurite. "Problemi con il neoclassicismo?" Sospirò, sconsolato. "Sì. Canova non ne vuole sapere di entrarmi nella zucca, e nemmeno Amore e Psiche se per questo!", sbuffò come un bimbo capriccioso. "Amore e Psiche? E' una delle mie sculture preferite in assoluto!", esclamai con una luce negli occhi. Edward alzò gli occhi al cielo. "Un'altra fan dei classici romantici?", chiese guardandomi di sbieco. "Sì.", risposi sicura. "Problemi?" "Oh-oh, la nostra intenditrice fa la dura!", mi sfotté allegro. "Tzè, e io che volevo aiutarti a studiare...", feci per chinarmi a prendere lo zaino appoggiato al tronco, quando mi ritrovai nuovamente la sua mano chiusa attorno al polso, proprio come il giorno prima. Mi voltai. "Ti prego" Sorrisi. "Ma certo".
Ehm...sera... SCUSATEMI!!!!! Ben 5 giorni di ritardo...sono davvero impertonabile...però! Però, però, però, ho i miei buoni motivi. Avvocato, posso parlare? XD Allora...durante tutta la settimana scorsa avevo fatto un sacco di programmi, in modo che avessi tutto il weekend libero per scrivere tutto il tempo. Invece, acceso il computer sabato pomeriggio...cosa trovo? VIRUS!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! AAAAAAAAAAAAARGH!!!!! E fu così che Elena non riuscì a scrivere, anzi, si pianse addosso immaginando quante gliene avrebbero mandate le sue care amichette di EFP. E immagino ne arriveranno tante...mi dispiace!!!!!!!! Me fa gli occhioni dolci alla Edward!!!! Daaaai, che a questi non potete resistere! XD Per fortuna lunedì è arrivato il mio mitico Pierangelo, il riparatore di computer!!!!! E ha risolto tutti i problemi!!!!! Sia lodato Pierangelo!!!!!!! XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Mi sono sentita molto ispirata nello scriverlo, soprattutto perché ciò che prova Bella spesso lo provo anche io. Avete presente la parte in cui dice che vive di romanzi e di 'illusioni'...? Ecco, come a volte mi sento io con Twilight ^^ Edward alle prese con il neoclassicismo mi ha fatto morire dalle risate XD Dai, fatemi sapere tutto che ci tengo!!!!!!! Recensite!!!!!!!!! Un bacione Ele Risposte alle rencensioni shasha5: Ciauuuu tesoro! ^^ Grazie mille dei complimenti!!!! Edward sarà sempre perfetto, proprio come il ragazzo ideale che vorrei io. Si nota che lo adoro indiscutibilmente? XD Scusami da morire per il ritardo, ma davvero il virus se n'è andato solo due giorni dopo, sempre grazie all'aiuto del mitico Pierangelo (adoro pure lui! XD)! In questo capitolo si vede ancora la parte più 'vulnerabile' di Bella...il suo attaccamento per i libri e l'immaginazione, dato che la realtà che la circonda non è proprio delle migliori. E ce credo, con quelle stronze di compagne che si ritrova!!!!!!! :@ E il pizzaiolo...mmm...ti dice qualcosa???? Ok, me ne sto zitta, non mi piacciono tanto gli spoiler gratuiti XD Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!!!!!!! Un bacio graaaande graaaande, cara!!!!!
Funny_lady_: Giuuuoiaa! *.* E...io sto così e cosà. Tra raffreddore, scuola e pc che si blocca ogni tre secondi sto proprio BENISSIMO. -.-" Diciamo che da quando ho iniziato a leggere Twilight, Bella ha pensato bene di regalarmi un po' della sua sfiga, giusto per farmi un pensierino...non aveva niente di meglio da darmi! >.< Brava, tu non mi abbandonare eh!!!! Altrimenti come faccio scusa????? Reneé in questo capitolo era in sindrome premestruale, mi dispiace! ù.ù Però povera...credo che capire che propria figlia desidera passare a miglior vita non sia proprio una bella cosa...anzi. Bella attratta da Edward????? Ma stai scherzando???? Dico, lui è brutto come non so cosa, come può lei essere innamorata di lui???? Vai a farti vedere da uno psichiatra, Giuli, questo è un consiglio da amica...fidati! XD Bravaaaaaaaaaaaa!!!!!!! Formiamo un fanclub per chi odia Mike (E JACOB!!!!!)!!!!! Il tuo giuoio arriverà presto, don't worry!!! Adesso che Reneé ha scoperto questa cosa, gli farà un sacco di pressioni, perciò...vedrai! ^^ Non so se si nota, ma tra Missione d'amore e questa ficci, le storie passate di Edward non sono molto happy...eh, sì, lo so, sono monotona, ma che ci vuoi fa'???? XD Grazie da morire per ogni complimento ed ogni tua santissima parola!!!! Ti voglio tanto bene!!!!! Spero che il cappy ti sia piaciuto!!! Bacioni!!!
Onion: Ciaooooo!!! Nuuuuo, non ci credo, non sono la sola e unica con una passione infinita per le storie tristi!!!!!!!!!!!!!!! Dio, questa sì che è una notiziona!!! XD Ahahah, grazie dei complimenti, gioia, non sai quanto mi fa piacere!!!!! Edwarduccio purtroppo è fidanzato (con meeee! XD), ma non per questo la storia dovrà essere ancora più triste!!! Ehi, a tutto c'è un limite! ù.ù Grazie ancora di tutto, pazzoiduccia masochista!!!! ^^ Spero che questo capitolo ti abbia rattristato abbastanza! XD Un bacio grande, Simo!!!!!!
poc: Tesoro!!!!!!!!!!! Oddio, grazie!!!!!!! Come ho già detto ad altre, io sono fissata con i passati tristi e dolorosi, perciò...stai certa che in ogni mia storia che leggi ci sarà questo piccolo particolare! Hai davvero ragione, condivido pienamente tutte le tue opinioni riguardo al fatto che Bella venga derisa solo perché non vuole parlare e perché se ne sta per i fatti suoi...in questo capitolo abbiamo anche le prese in giro delle ragazze che invece la criticano per il suo modo di vestire piuttosto 'sciatto' e pensano che la sua malattia sia un bene. Ok, questo lo pensa pure lei, ma sentirselo dire da altri è diverso!!!! Ha fatto benissimo ad andarsene da scuola, nonostante non sia una cosa da fare! Grazie davvero infinitamente, i tuoi commenti mi fanno venire sempre le lacrime agli occhi!!! GRAZIE!!! Tanti baci!!!! Ele P.S. Bella ha dato quella motivazione (banale) a Edward solo perché voleva omettere il particolare della leucemia!!! Non so se l'ho fatto intendere! |
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Capitolo 6 *** Ripetizioni ***
Your Guardian Angel °* Capitolo Cinque: Ripetizioni°*
"Guarda che il mito dice che fu Afrodite a mandarlo da Psiche, non lui che di sua spontanea volontà se ne va sulla Terra per fare nuove conquiste!", esclamai esasperata sbattendo il pesante libro sulle ginocchia. "Mmm...avrebbe fatto bene, comunque. Rimorchiare...questa sì che è un'arte!", ridacchiò Edward. Alzai gli occhi al cielo a questa battuta, pensando di mandare all'aria il proposito di aiutarlo a studiare. Sì perché quando glielo avevo proposto non ero certo a conoscenza delle sue 'grandi capacità di concentrazione'. Capacità che consistevano nel distrarsi ogni secondo netto, ogni qualsiasi cosa gli passasse davanti. "Ti prego, Edward, sforzati", gli ricordai per l'ennesima volta. Chiuse gli occhi. "Ok, va bene, va bene. Il mito di 'Amore e Psiche' narra di due personaggi dalla bellezza incredibile: Eros, figlio della dea Afrodite, e Psiche, personificazione dell'anima umana. Proprio di quest'ultima Venere è gelosa, così che, un giorno manda suo figlio sulla Terra perché possa far innamorare la 'fanciulla' di un miserabile. Putroppo, però, rimane anche lui folgorato dalla sua bellezza, tanto che se la porta a letto e vissero tutti felici e contenti" Me lo dovevo aspettare. Era impossibile che, per una volta che era partito bene, potesse finire in tal modo senza mettere tutto sul ridere. Mi sbattei il libro in faccia, ormai disperata. "Sono andato bene?", ah, osava pure chiedere lui! "No", risposi con voce tombale. "E dai, guarda che scherzavo! Lo so come continua 'sto cavolo di mito!", esclamò scusandosi. A questa sua ultima affermazione, tirai giù il libro, riposandolo sulle gambe distese sull'erba. Lo guardai dritto in quegli occhi verdi e intensi, le pupille dilatate a causa della poca luce del tardo pomeriggio. "Ma come fai ad essere sempre felice?", l'avevo chiesto così, senza pensarci più di tanto, una di quelle domande spontanee che ti vengono e non hai nemmeno il tempo di pensare per rimangiartele. Le mie parole dovettero spiazzarlo, perché appoggiò la testa all'albero con espressione pensosa. "Non saprei. Diciamo che nella mia vita mi sono ritrovato diverse volte a stare male...e quando vedo persone che sono nella situazione in cui mi trovavo prima io...non lo so, mi viene da fare in modo che siano più felici, che ridano, proprio come alcuni amici hanno fatto con me.", sospirò, abbassando lo sguardo verso al libro sul mio grembo. "Guarda questi due, per esempio. Sono proprio disperati! Si vede che non hanno nessuno capace di risollevar loro il morale", esclamò con ovviettà. Scattai immediatamente a quell'affermazione. "Stai insinuando che non ti piace questa meraviglia?", chiesi con un tono minaccioso e gli occhi ridotti a fessure. Sbuffò leggermente, come un gatto. "Meraviglia...non esageriamo!", borbottò. Mi misi in ginocchio davanti a lui, prendendo il libro in mano e quasi sbattendoglielo in faccia. "Guarda", dissi fissandolo bene in volto. Edward alzò gli occhi al cielo prima di soffermare il suo sguardo sulla pagina. "Sì?", chiese con tono sarcastico, come se non ci fosse niente da osservare. "Non noti l'amore che c'è nei loro occhi? Nel modo in cui si fissano?", domandai esasperata. "Mmm...veramente io noto solamente che la tipa, contrariamente a ciò che dice il mito, non deve essere stata poi questa gran donna. Quanto avrà di tette? Una mezza?" Pensavo seriamente di andarmene dopo ciò che avevo detto, ma in quegli ultimi anni la mia pazienza era aumentata così tanto da permettermi di non fare una vera e propria tragedia per certe cose. "Sei un cretino, Edward, oltre che un ignorante, ovvio. Questa è la rappresentazione dell'amore vero, dell'armonia, della dolcezza! Il tutto senza doppi fini, non come succede quasi sempre ai giorni nostri", sospirai scuotendo la testa. "Ma come fai a vedere tutte queste cose in una semplicissima scultura?", chiese scettico avvicinandosi maggiormente a me per osservare meglio i libro. Il suo braccio destro, seppur coperto dallo strato della sua felpa, era in netto contatto con il mio e suscitava in me il solito imbarazzo. "Chiamala semplicissima...vorrei vedere te a realizzarla", lo sfottei allontanandomi da lui impercettibilmente. Contrariamente a quelli che dovevano essere i suoi propositi, le sue labbra si tesero in un sorriso divertito. "Va bene, questo te lo concedo, ma rimane sempre il fatto che tu riesci a vedere nell'arte tanti significati, mentre io vedo solo un miscuglio senza senso di colori o persone nude in pose strane" Stavolta fui io a ridere. Quello che avevo sospettato con ogni probabilità fino a quel momento adesso era certo. "Non ti piace l'arte in generale, vero?", chiesi con un risolino. Sospirò, alzando gli occhi al cielo. "Penso che tu sia capace di risponderti da sola, Bella. Comunque...no, affatto. Vado bene in tutte le materie, ma la storia dell'arte proprio non la riesco a digerire", spiegò con un gesto eloquente del dito sul gomito in un'imitazione di una flebo. "Vuol dire che sei un po' cieco", dissi assorta, guardando intensamente un filo d'erba ai miei piedi piuttosto che il suo volto. "Mi stai dando della talpa?" Ridacchiai. "Non proprio, Edward. Hai presente quando si dice che devi guardare all'interno delle cose e non solo all'esterno, cercare di scavarvi dentro?", chiesi tornando a guardare i suoi occhi verdi. Sollevò entrambe le sopracciglia, non proprio convinto. "Sì. Lo dicono sempre le suore cieche nelle fiction strampalate che si guarda mia sorella", ridacchiò. "E hanno ragione", concordai con un sorriso. "L'arte non dev'essere guardata semplicemente dal punto di vista tecnico, ma soprattutto ciò che rappresenta per noi e per l'artista", spiegai convinta. "Sei sicura di non voler ritrattare riguardo alla faccenda della critica d'arte?", chiese ridendo ancora. Mi unii a lui. "Edward, te l'ho detto, mi piace l'arte, tutto qua, niente di che. Anzi, se proprio vogliamo essere precisi non è l'arte in generale a piacermi, ma la sua storia dato che non sono nemmeno capace di prendere in mano una matita", spiegai sconsolata. I miei disegni ricordavano davvero quelli dei bambini di tre anni, con ancora gli omini stilizzati e il cielo come una riga azzurra in alto al foglio. "Incredibile, abbiamo in comune qualcosa! Non credevo l'avrei mai detto in vita mia!", esclamò fingendosi sconvolto. "Il mondo è pieno di soprese, caro Edward...", mormorai canzonatoria alzandomi in piedi. Ero rimasta seduta così a lungo che non mi sentivo quasi più le gambe. E questo era negativo, molto negativo. Perché se già consideriamo che non ero capace di stare in equilibrio in situazioni normali, quella volta fu semplicissimo ricadere immediatamente, rovinando gambe all'aria sul prato umido. Il tutto con il graditissimo sottofondo musicale delle risate fragorose e instancabili di Edward. Mi rialzai senza badargli, togliendomi di dosso la terra e i fili d'erba che erano rimasti incollati ai miei vestiti. E lui rise ancora più forte. Girai lentamente il volto verso la sua direzione, guardandolo truce. "La vuoi smettere, per cortesia?" Trattenendo un'altra volta le risa, si rialzò di slancio, con un movimento fluido e sensuale. Beato lui, mi ritrovai a pensare rassegnata. Un certo tipo di bellezza - e anche di equilibrio, a dirla tutta - non capita proprio a tutti. In un gesto spontaneo, alzai gli occhi al cielo, ma quando lo vidi di un azzurro scuro, quasi blu, il mio sguardo corse immediatamente all'orologio da polso. Oh, merda: le 19.00. "Cazzo", bofonchiai chinandomi verso l'abero per prendere il mio zaino di scuola. Edward sembrò accorgersi solo in quel momento della mia cartella, perché un'espressione di chi ha capito tutto comparve sul suo volto. "Tu non sei tornata a casa dopo la scuola, vero?", chiese con sospetto. Ci mancava lui a farmi la predica. Non bastavano gli altri a scuola, non bastava mia madre..."No. Problemi?", domandai acida mettendomi a camminare a grandi passi verso l'uscita del parco. "Dai, Bella, non fare così!", esclamò ad alta voce rincorrendomi. "Devo tornare a casa", dissi semplicemente, varcando il cancello arruginito. "Ok, va bene, lascia per lo meno che ti accompagni con la moto! E' tardi, potrebbe esserci chiunque in giro", cercò di convincermi. Non riuscivo a capire perché lo facesse. Perché si ostinasse a volermi stare accanto. "Perché lo fai?", chiesi guardandolo negli occhi, seria. "Cosa?", c'era solo perplessità nei suoi, nessuna traccia di divertimento o ironia. "Perché...continui a volermi accompagnare a casa, a farmi ridere...", tentai di spiegare, distogliendo lo sguardo. "I-io veramente...non lo so.", rimase un po' in silenzio prima di rispondere, sempre che quella potesse essere considerata una risposta. "Però posso dirti che quello che ha detto Mike ieri non mi ha fatto nessun effetto. Certo, ancora non riesco a capire perché ti abbia tratto in quel modo...ma aspetterò che sia tu a dirmelo, Bella", concluse calmo, la sua voce bassa era rassicurante. Mai mi ero sentita così in dovere di ringraziare qualcuno come quel momento, mai mi ero sentita più...considerata, sebbene sapessi che Edward poteva rimanere un semplice conoscente. Amico, forse. Nella migliore delle ipotesi. "Grazie, Edward", dissi semplicemente, facendo immergere nuovamente i miei occhi nei suoi, sperando che capisse l'autenticità delle mie parole. Sorrise, dolce e sereno. "Prego, Bella. Adesso adiamo però, ok? Non vorrei che tua madre si preoccupasse troppo"
* * * * * *
Con il suo rombo potente, la Ducati di Edward parcheggiò esattamente davanti al vialetto di casa entro pochi minuti, molto prima di quanto avrei impiegato andando a piedi. C'erano diverse luci accese in casa, più del solito. Sicuramente mia madre doveva aver approfittato del fatto di essere sola, senza nessuno che le facesse notare che in quel modo sprecava semplicemente energia elettrica. Stavo per scendere dalla moto, quando la porta si aprì di colpo, rivelando una Reneé piuttosto incazzata. Mi venne incontro di corsa, i pugni serrati e l'espressione dura. "Si può sapere dove sei stata tutto questo tempo?! Una telefonata, Bella, potevi anche solo farmi una telefonata! Perché non pensi mai a come potevo stare? E se ti fosse successo qualcosa?", m'inveì contro immediatamente, quasi strattonandomi per un braccio. Solo in quel momento Edward mi affiancò, togliendosi il casco in modo che mia mamma finalmente si accorgesse della sua presenza. "Mi dispiace signora, Bella era con me. Entrambi non ci siamo accorti dell'ora che si era fatta, mi stava aiutando a studiare", disse con la sua solita voce calda e penetrante. Reneé rimase un attimo spiazzata, come a voler convincere sé stessa di non star parlando con un angelo venuto in Terra ma con un essere umano. Una delle solite constatazioni che io stessa ero solita a fare. "Oh...io...", farfugliò spostando lo sguardo da me e Edward ininterrottamente. "Ma si puà sapere che succede qui?", un'altra voce estremamente familiare giunse dall'interno di casa, prima che anche Charlie comparisse in veranda. Perfetto, riunione familiare più piacevole non poteva proprio esserci. "Papà!", esclamai. "Che ci fai qui?", stavo tentando di rifilare il più velocemente possibile il casco a Edward, ma era già troppo tardi: mio padre l'aveva visto. "Bella...tu sei salita su una moto?", chiese affinando lo sguardo ed avvicinandosi alla sua ex moglie. "S-sì...era una situazione di emergenza", tentai di spiegare, ma ormai gli occhi curiosi e sospettosi di mio padre avevano cominciato a squadrare la figura di Edward. "E tu saresti?", chiese alzando il mento, palesemente scettico. Oddio, pensai maledicendo me stessa e tutta quella situazione. Perché Edward doveva subire tutte quelle accuse per colpa mia? "Edward Cullen, signore, un amico di Bella" Un amico. Un amico! Quelle due parole continuavano a rimbombarmi in testa, facendomi quasi saltellare mentalmente dalla felicità. Allora era vero, anche io potevo avere un amico, potevo essere un pochino normale... Edward mi considerava tale nonostante ci conoscessimo da poco... Mio padre bofonchiò qualcosa di indistinto prima che, grazie al Cielo, mia madre salvasse il salvabile della situazione. "Be'...adesso che è stato chiarito tutto direi di rientrare...Edward, caro, vuoi prendere una tazza di thé?", chiese Reneé, pendendo dalle sue labbra. Edward sorrise sghembo, rifiutando l'invito. "Verrei volentieri, ma credo che anche mia madre si stia preoccupando, perciò è meglio che vada", si voltò leggermente, rivolgendosi a me. "Ci vediamo, Bella, grazie di tutto", si congedò, prendendo in mano il casco che gli stavo ancora porgendo. Risposi con un semplice sorriso, ancora troppo scossa per dire o fare altro. Lo osservai attentamente risalire in sella con la sua andatura decisa ed elegante, rimettersi il casco e ripartire a tutto gas, ovviamente non prima di aver rivolto un ultimo cenno di saluto verso me e la mia imbarazzante famigliola riunita.
Aaah, tutti i capitoli si concludono con Edward che se ne va...sarà un segno del destino? XD Buona sera, care!!!! Come al solito, scusate x il ritardo...2 giorni, neanche così tanto dai! XD Oggi sono un tantinello di fretta (eheh sono una donna impegnata io! XD) perciò non mi dilungherò troppo nelle note. Allurale, in questo capitolo avrete SICURAMENTE notato che Bella è una brava osservatrice, nonché appassionata di storia dell'arte. Cioè...sinceramente non so se nella Bella Meyeriana lo sia, ma io l'ho voluta creare così, spero non vi dispiaccia ^^ E' stato un capitolo di passaggio, senza niente di sconvolgente o particolarissimo. Semplicemente è servito per approfondire un po' meglio il rapporto Edward e Bella (adesso sono amici!!! *_*) e far nascere una delle cose che li legherà spesso nella loro conoscenza...vorreste sapere cos'è, vero??? Eh, ma io mica ve lo dico! ù.ù Dovete arrivarci da sole mie care, oppure, se proprio non ce la fate dovrete aspettare il prossimo cappy! XD *me sadica al 100%* Il nostro Charlie è arrivatoooooo!!! Per la felicità della mia Giuli (Funny_lady_) in particolare XD Adesso vado!!! Vi lascio alle risposte alle recensioni! Grazie a tutti quanti stanno leggendo in questo momento, grazie davvero di cuore! Vi sarei immensamente grata se lasciaste un segno del vostro passaggio, davvero. Un bacione enorme Ele
Risposte alle recensioni
squirrel: Ciao Greta!!!! ^^ Oh, mi fa piacere che la storia ti piaccia! Sì, lo so, è un po' triste - per lo meno in certe parti - ma come avrai notato, in questo capitolo Bella non accenna minimamente alla sua malattia, né con il pensiero né a voce. Trai le tue conclusioni, cara, io non posso dirti niente! XD Quoto assolutamente quello che hai detto: tutte noi siamo un po' Bella (ecco uno dei motivi per cui Twilight ha tanto successo, secondo me), ma trovare Edward...questa sì che è un'impresa!!!!! Spero che il capitolo ti sia piaciuto!!! Un bacio!
Giuliina La meioo: Ciao, Giulia!!!! Grazie davvero tanto!!! Oddio, mi dispiace di aver aggiornato con un po' di ritardo, spero che tu non me ne voglia! Che bello, sono riuscita a scatenare la tua curiosità! Adesso sì che mi sento realizzata! XD Questo capitolo come ti è sembrato??? Il rapporto Ed-Bella si sta facendo più...intimo??? Voglio dire, Edward ha anche conosciuto i suoi genitori, manco fosse una presentazione ufficiale! ù.ù Grazie ancora di tutto!!!!!!!! Bacioni! Ele
shasha5: Ciao, tesorooo!!!!!! Ahahaha, la ola per Pierangelo è assolutamente ovvia!!!!! Gli farei anche una statua di marmo se fossi Canova, ma ahimé le mie doti artistiche sono inferiori a quelle di Bella, mia cara! >.< Grazie davvero dei complimenti allo scorso capitolo (e anche tutti i precedenti! *.*)!!! Nella descrizione che ho fatto di Bella ho preso un bel po' di spunto da me stessa, da come mi sento certe volte, nonostante, per fortuna, non abbia la leucemia!! Ti avverto, io sono una fissata con le compagne di classe stronze che fanno le cheerleader e cose del genere! Per il meteorite però ci sto pensando, sai??? Non è una cattiva idea! XD Bravissimaaaaaa!!! Il ragazzo della pizzeria era Emm, ma non lo dire a nessuno! XD Un bacio grande, grande!!!!! Grazie ancora di tutto, tesoro!!! Ciaoooo!
poc: Ciaoooooo!!!! *.* Eh sì, mi rendo davvero bene conto che di persone cattive quanto le compagne di Bella ce ne sono eccome...nel mio metodo di scrittura c'è sempre un qualcosa che prendo di spunto dalla mia vita reale e privata, un qualcosa che può essere più o meno frequente, proprio come compagne di questo genere. Nella mia scuola, per esempio, non solo vengono derise le persone malate, ma anche i gay o quelli che loro chiamano 'sfigati'. Anche se poi saranno loro a fare strada nella vita, a concludere qualcosa di concreto, non certo loro! Quoto: noi donne sappiamo essere molto cattive, e non sempre questa è una cosa positiva! (in presenza di un maniaco però potrebbe essere utile in effetti...) Spero che questo capitolo ti sia piaciuto!!!! Fammi sapere presto!! Grazie di tutto!!!!!!!!!!!!!
Onion: Ciao, tesoro!!! Noooo, mica ti stavo sfottendo, cara, cosa vai a pensare??? Sarò sadica, ma prendere per i fondelli le mie lettrici mai e poi mai! ù.ù Scusa ancora per il ritardo! Sono incorreggibile, ma la scuola mi tiene davvero impegnatissima e anche adesso veramente dovrei essere a studiare >.< Ehehe...diciamo di sì...Edward non saprà nulla...certo, saprà che c'è qualcosa di strano, ma... Basta, Ele, zitta altrimenti non leggendo più nulla perché sanno tutto! XD Spero davvero che il capitolo sia stato di tuo gradimento!!!!!!!!! Un bacio grande!!!!!
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Capitolo 7 *** Chemioterapia ***
Your Guardian Angel °* Capitolo Sei: Chemioterapia*
"Venite pure, accomodatevi", ecco come ci accolse il medico che aveva da poco cominciato a seguire la mia malattia, una cartellina blu chiaro tra le mani ed un sorriso fin troppo sereno e pacifico in volto. Per i miei gusti. Varcai la porta della saletta seguita da i miei genitori. Inutile dire che erano loro ad essere mille volte più preoccupati di me e tesi per quella visita. Mia madre a stento si sarebbe mangiata le mani tanto era impaurita. Il dottor Banner, questo il nome del medico, scritto in bella grafia sulla targhetta del camice, chiuse la porta alle sue spalle, facendoci segno di avanzare e di dirigerci alla barella posta in mezzo alla stanza. Guardai le pareti, il soffitto. Tutto bianco, completamente, totalmente bianco. Quasi mi sopresi che il pavimento non fosse dello stesso colore. "Siediti pure qui, cara", mi invitò non appena ebbe preso degli occhiali dal mobile - sempre bianco - lì vicino. Obbedii in silenzio, cercando di non innervosirmi. "Allora, signori Swan", incominciò con un sospiro, lanciando un rapido sguardo ai fogli che teneva in mano. "La situazione sta peggiorando, ormai penso che tutti l'abbiano capito", disse senza troppi giri di parole. Cominciava a starmi simpatico il tipo. Non ero mai stata una persona con troppo tatto - diciamo che ne avevo molto, molto poco -, e quando si facevano mille discorsi prima di andare a toccare l'argomento desiderato, bramavo andarmene via e smettere di ascoltare ogni cosa. Sono qui, parlami, dimmi quello che devi, avevo spesso avuto voglia di dire, ma la pena che tutti provavano nei miei confronti sembrava annullare definitivamente questo mio desiderio. Reneé si portò immediatamente le mani alla bocca, trattenendo a stento un gemito di dolore e sofferenza. Per fortuna c'era Charlie con lei. Nonostante tutto, la mia malattia almeno una cosa di buono l'aveva fatto, ovvero quello di riavvicinarli, facendo capir loro che avevano un qualcosa in comune, un qualcosa per cui non potevano più far finta di ignorarsi in eterno: me. Papà la strinse da dietro, in un modo un po' goffo ed imbarazzato, per darle conforto. "Quella di Isabella è una leucemia cronica. Penso sia giusto farvi un breve schema della situazione, giusto perché possiate capire di più", continuò con tono pacato. "Esistono due tipi di leucemia: quella acuta e quella cronica. Nella prima, il numero di cellule tumorali aumenta molto velocemente e la comparsa dei sintomi è precoce, nella seconda, invece, le cellule maligne proliferano più lentamente. Con il tempo, però, anche queste ultime diventano più aggressive e provocano un aumento delle cellule leucemiche all'interno del flusso sanguigno.", disse lentamente, in modo che potessimo assorbire ogni sua parola. Sollevò gli occhi dalla cartelletta, rivolgendosi prettamente ai miei genitori. "Questo era già stato constatato dagli inizi, quando il vostro dottore di famiglia ci aveva segnalato un ingrossamento dei linfonodi, soprattutto all'altezza del collo. I sintomi non sono molto presenti all'inizio, e questo è un bene, ma alla fine la fase più intensa deve arrivare, tardi o presto che sia. Stavamo aspettando il momento in cui le cellule sarebbero diventate più aggressive, ed è arrivato", concluse, sempre guardandoli bene negli occhi. Reneé non riuscì più a trattenersi: si voltò e allacciò le braccia attorno al collo di mio padre, piangendo e singhiozzando disperata. Charlie le dava piccoli colpetti sulla schiena, nemmeno lui era molto presente al momento. Lo vedevo dai suoi occhi castani, uguali ai miei. Erano vuoti, le pupille dilatate in un modo spaventoso. "Mi dispiace, signori, dobbiamo iniziare la chemioterapia" Sollevai la testa di scatto, fissandolo. "Sono messa male?", chiesi tranquilla, con tono neutro. Il dottore sussultò nel sentire la mia voce, si voltò e fece un sorriso tirato. "Non lo si può ancora dire, cara, bisogna ancora fare dei controlli. Vedrai poi che questa terapia farà solo del bene", tentò di rassicurarmi. "La chemio!", singhiozzò mia madre battendo i piccoli pugni sul petto di Charlie. "Perché? Perché?", continuava a ripetere, senza darsi pace. Banner sembrava in difficoltà, anche se non troppo. Chissà con quanta gente aveva dovuto avere a che fare, con quanti genitori disperati, più o meno di mia madre. Si avvicinò ai miei, e, con tono sempre gentile ed educato, disse loro: "Scusatemi, non vorrei essere di ancora più impiccio, ma avrei bisogno di parlare da solo con vostra figlia. Dovrei illustrarle ciò che la chemioterapia comporterà e cose del genere, ok?" Charlie annuì, appoggiando una mano sulla schiena di Reneé, in modo da trascinarla fuori. I suoi occhi non abbandonarono i miei nemmeno per un istante. Lo conoscevo troppo bene, anzi, diciamo che mi somigliava troppo. Nel suo sguardo riuscivo a leggere la disperazione per quella notizia, la ricerca di un qualche segno, di una reazione da parte mia. Ma non volevo reagire. Volevo rimanere inerme a sopportare, aspettare e... finirla. Non appena se ne furono andati, il dottore mi sorrise, riavvicinandosi. "Sei una ragazza sveglia", sussurrò. "L'ho subito notato, sin dalla prima volta che ti ho visto" Si interruppe un attimo, fissandomi attentamente. "Ho conosciuto tantissime persone nella mia vita, Isabella, ho curato tantissimi pazienti ed ho imparato a conoscere, apprezzare ed amare ognuna di esse, con i propri difetti e qualità. Amo la natura umana, è questo il motivo per cui faccio il medico. Ormai non faccio neanche più fatica a distinguere il tipo di persona che mi trovo davanti, in base alle sue reazioni ed alle sue parole. E ho capito come sei tu.", mormorò appoggiandosi alla barella, in modo da avermi sempre sotto controllo. "Ogni momento che passa la mia teoria si solidifica e io non faccio altro che chiedermi: perché? Perché una ragazza così giovane, carina, seria ed intelligente dovrebbe desiderare la morte? Perché dovrebbe rimanere così impassibile davanti ad un tumore che vuole portarsela via?", chiese con voce intensa, gli occhi grigi vivi ed accesi. Abbassai il capo lentamente, finendo per osservare le mie mani in grembo. Ero una persona talmente scontata? Si capiva già a prima vista che ero una di quelle depresse a un passo dal tentare il suicidio? "Non voglio che tu mi dia una risposta, Isabella. So di essere uno sconosciuto per te, e mi rendo assolutamente conto che tu non voglia raccontarmi i motivi delle scelte che compi. E' comprensibile. Ti chiedo soltanto di pensarci più seriamente, perché poi non ci sarà più una seconda possibilità. Me lo prometti?", domandò piegando leggermente la testa di lato, continuando a guardarmi mesto. Mi limitai ad annuire lentamente, sentivo la gola talmente secca da non riuscire a parlare. "Come sicuramente saprai, la chemioterapia è una cura che, se tutto andrà come previsto, ti aiuterà a guarire da questa malattia. Consiste nell'uccidere le cellule tumorali, nel tentativo di eliminarle definitivamente.", disse gesticolando ed aggiustandosi di tanto in tanto gli occhiali. "Purtroppo, però, anche questa, come la radioterapia, può danneggiare le cellule normali, in particolare quelle che si dividono più rapidamente. Si possono quindi avere effetti collaterali come nausea, vomito, anemia e perdita di capelli", ad ogni parola sentivo la testa farsi sempre più pesante, lo stomaco restringersi. Non volevo affatto conoscere ciò che mi stava uccidendo, seppure la considerassi una 'manna dal cielo'. "Non dovrai rimanere sempre qui in ospedale, è sicuro, ma dovrai venirci molto, molto spesso, senza mai sforzarti troppo.", continuò con le sue raccomandazioni, senza dare nulla per scontato. Sapeva fare bene il suo lavoro, su questo non c'erano dubbi. Ma avevo voglia di stare sola, dormire, riflettere... "Adesso possiamo chiamare i tuoi genitori", mormorò congedandosi con un cenno del capo. Come non detto... "Ricorda, Isabella, hai promesso", disse infine, prima di sparire dietro quella porta, lasciandomi sola. Fissai le pareti bianche, il soffitto, i mobili, percorsi tutto con lo sguardo. Mi sembrava di stare rinchiusa in una scatola, una scatola bianca che aveva soltanto lo scopo di togliermi l'aria, di farmi svenire, venire la nausea. Sarei morta lì dentro, lo sentivo. Con un sospiro affannoso, mi sdraiai sulla barella per intero, cercando di rilassare muscoli e mente. Il tempo di chiudere gli occhi che la porta si rispalancò di colpo, rivelando la figura di mia madre che correva apprensiva verso di me. I capelli grigi con qualche segno di tinura bionda erano spettinati e svolazzavano di qua e di là ad ogni suo movimento, testimoniando la sua agitazione. Eccessivo. "Bella, tesoro, amore!", esclamò piegandosi verso il lettino. "Cosa ti ha detto il dottore? Ti ha rincuorato? E' riuscito a farti stare meglio?", chiese a raffica. Non mi diede neanche il tempo di riflettere sul significato delle sue parole che partì di nuovo con nuove esclamazioni. "Nel tempo in cui hai parlato con il dottor Banner, io e tuo padre siamo stati al computer e abbiamo fatto qualche piccola ricerca!", strillò con una punta di isteria nella voce appoggiando con frenesia i fogli del sito internet sulla branda. "Abbiamo provato innanzitutto su Wikipedia, ma di ciò che diceva non si capiva nulla, perciò abbiamo provato su questo sito! Guarda, qui dice che ci sono stati tantissimi casi come il tuo è che c'è una percentuale di guarigione! Esistono quattro tipi di leucemia: la leucemia linfoblastica acuta, la leucemia linfocitica cronica..." "Basta!", esclamai alzandomi di scatto dalla barella. Sentii la testa girarmi un poco per la fretta con cui avevo compiuto quel movimento, ma non vi badai. "Basta, mamma! Sono stanca, stanca di sentire tutte le tue continue esortazioni a continuare a sollare, a conoscere questa malattia in modo da poterla combattere! Basta!", urlai portandomi le mani alle orecchie. Avevo anche il fiatone, tanto quella confessione mi era costata. Le mie parole sorpresero mia madre. Si allontanò impercettibilmente da me, gli occhi si fecero più lucidi. Ormai che avevo cominciato, però, volevo finire, volevo dire tutto quello che per giorni ormai mi tormentava. "Mamma, sono io che devo affrontare questa malattia. Non tu, non papà, non il dottor Banner...io. Io e solo io. Mi fa piacere che mi siate accanto, che mi confortiate, che mi facciate forza, ma alla fine quella che sta su questa barella, quella che vedrà i propri capelli cadere, quella che vedrà sé stessa morire sarò io.", continuai guardandola dritto negli occhi. Fece una smorfia prima che alcune piccole lacrime cominciassero a scorrere sulle sue guance, veloci e copiose. "No, Bella, ci sarò anche io" Sorrisi, squotendo la testa leggermente. "Lo so, mamma, e te ne sono grata. Ma il discorso rimane lo stesso: tu non morirai, io sì.", affermo quasi ridendo, pur non essendo divertita. "No!! Non è vero, Bella, tu non morirai!", esclamò, gli occhi accesi ed infuocati. Mi presi i polsi, facendoli sbattere più volte sul materasso duro del lettino bianco. "No! No!", continuò ad urlare, cercando di scacciare i capelli che le si appiccicavano al volto per via delle lacrime e del sudore. Sospirai, per l'ennesima volta, sentendo un leggero dolore alle braccia. "Tutti dobbiamo morire, mamma, chi prima e chi dopo..." "Ma non sarò io a tenerti la mano mentra abbandoni questo mondo!", esclamò nuovamente. "Dovrai essere tu a farlo con me, quando sarò una novantenne in sedia rotelle! Non io!" E' inutile cercare di parlare con lei, continuavo a dirmi, con rassegnazione. Chiusi gli occhi. "Mamma, vorrei rimanere sola", mormorai rilassando ogni parte del corpo. "B-Bella...", tentò un'ultima volta. No. "Per favore", dissi sperando che usando quest'ultima carta, mi creda, mi lasci stare. La sentii sollevarsi piano dalla barella, percepii il suo peso sposarsi e i suoi passi veloci mentre si allontanava sempre di più da me, continuando a piangere silenziosa. Mi dispiaceva, sempre e tantissimo, vederla così, saperla così a causa mia. Un motivo in più per andartene, diceva allora una parte di me. In questo modo, per lo meno, non le rovinerai più la vita. Perché dovevo essere sempre così complicata? Perchè non potevo fare la parte della tipica teenager carina, desiderata, non troppo brava a scuola, capo cheerleader e cose del genere? Perché queste cazzate non dovevano succedere a me? Perché sì, erano cazzate, ma, per lo meno, cazzate felici. Cazzate che non ti fanno morire prematuramente, desiderare di lasciare questo mondo. "Signora Swan!", esclamò una voce, resa più piatta a causa della porta che separava me il corridoio. Ma la riconobbi comunque. "Oh, Edward...", mormorò Reneé, tirando su col naso. Oh, no! No! Aprii gli occhi immediatamente, sicura che in quel momento avrei finito per mandare a puttane l'ultima - e unica - cosa buona: lui, lui ed il suo voler essere mio amico a tutti i costi, senza motivo. Lui ed il suo sapermi far dimenticare tutti i problemi, vivere da essere umano comune, normale. "Cosa le è successo?", chiese preoccupato. Immaginavo la piccola ruga che si era sicuramente formata tra le sopracciglia, segno del suo nervosismo e della sua tensione. "N-nulla...non preoccuparti", continuò imperterrita a negare, seppure si notava lontano un miglio che la sua voce diceva tutt'altro. E immaginavo soltanto i suoi occhi, grandi, blu, da bambina...colmi di lacrime, sofferenti...a causa mia. Mi alzai dalla brandina, sempre troppo in fretta. Finii per barcollare in piedi e dovermi appoggiare al mobile bianco. Quando fui certa di aver acquistato un po' più di equilibrio, passai una mano sui capelli per renderli meno selvaggi ed indomabili, e uscii dalla stanzetta, chiudendo in fretta e furia la porta alle mie spalle. Mia madre era a pochissimi metri da me, appoggiata al muro del corridoio, un fazzoletto di stoffa ricamato a coprirle il volto. Edward, invece, era chino davanti a lei, il volto immediatamente girato verso di me non appena ebbe sentito la porta aprirsi. Era sorpreso di vedermi, senza alcun dubbio. Mi incamminai lentamente verso mia madre, senza dire una parola, e l'abbracciai, cercando di riparare a tutto il male che stavo continuando a farle con quel piccolo ed insignificante gesto. I suoi occhi si spalancarono improvvisamente e, non appena capì, ricambiò forte la stretta, non senza smettere di piangere. "Dai, mamma, così ti si scioglie l'eyeliner", ridacchiai, dandole piccoli colpetti sulla schiena, proprio come prima aveva fatto papà. Quella più bisognosa di conforto era lei in quel momento, non io. L'avevo capito troppo tardi. Riuscii a farla sorridere, mentre scquoteva la testa per asciugare le lacrime dal volto. "Non immaginavo sapessi cos'è", ribatté prendendomi in giro. "Dopo le tante lezioni che mi hai fatto, questo è il minimo!", esclamai staccandomi lentamente dal suo abbraccio. Ammiccò. "Be'...in effetti..." Tra le risatine, il suo sguardo si riposò su di Edward che ci guardava curioso ed intenerito allo stesso tempo. "Dai,", mi sospinse. "andate, voi due. Non vorrete certo stare con una vecchia piagnona come me!" L'affiancai, prendendolo per mano. Lanciai un ultimo a sguardo a mia madre, denso di sottointesti e ringraziamenti, ma l'ultima cosa che sperai con tutto il cuore fu che Edward non avesse letto la grande scritta sulla porta della stanzetta da cui ero appena uscita. Quella scritta che gli avrebbe rivelato tutta la verità.
Ehm... Credo che un banale 'Sorry' sia riduttivo... Mi dispiace tantissimo farvi penare tanto per avere un mio nuovo capitolo. Sono una frana, lo so, non riesco mai a stare nei tempi. Questa settimana, come al solito è stata intensa, ma con un particolare in più: è stata triste, molto triste. Penso che la cosa si sia riflettuta parecchio anche sul capitolo, spero non me ne vogliate!!! Non me la sento tanto di commentare perché è stato strano scriverlo, e non saprei nemmeno io cosa dire sinceramente. Mi auguro però che possiate lasciarmi una recensione, giusto per farvi sapere come vi è sembrato. Un bacio grande, GRAZIE di tutto, Ele
P.S. Vorrei annunciare che gli aggiornamenti sono destinati a rallentare ancora un pochettino a causa di nuove idee in corso! Eh, sì, non mi fermo mai! xD Io e _Mela_ stiamo scrivendo una raccolta di drabble su 24 o 25 coppie della saga di Twilight legate al Natale, da pubblicare ogni giorno di dicembre!! Spero mi perdonerete e che mi seguirete anche in questa!!! Un bacio, scusate ancora!
Risposte alle recensioni
Funny_lady_: Giuoia mia!!! ^^ Non ti preoccupare se non riesci a recensire o a leggere 'in orario'! Non vedi i miei aggiornamenti come sono sballati???? Adorato Dio, non potevi darmi un pochino più di puntualità quando l'hai distribuita? Non a caso a scuola arrivo sempre in ritardo, sai??? xD Dai, sto abbastanza bene, cara...un piccolo periodo NO, ma vedrai che passerà presto (spero, ecco!) Tu, invece??? Sempre donna impegnatissima in carriera?? xD Ehehe, vedo che hai molto intuito, Giuli! Hai appreso in pieno qual è la più grande attitudine di Edward Cullen, i miei complimenti!!!! XD Nuooooo, non ti piace la storia dell'arte??? Disastro, che brutta cosa!!!! Dai, vedrò di rimediare un po', suuu! ^^ Ti è piaciuta l'entrata in scena di Giuoiooo, eh??? XD In questo capitolo non era proprio onnipresente, ma c'è stato abbastanza! ^^ Vedrai che nel prossimo ci sarà di più (lo so, dico sempre così...spero però di farlo davvero!!! xD)! Scusami se non mi dilungo, ma il capitolo (che ho finito di scrivere esattamente 2 minuti e 37 secondi fa - nano secondo più, nano secondo meno - xD) mi ha scosso tanto, nonostante spero vi piaccia! Un bacione enorme, mia cara!!! Ti voglio bene!!!
barbyg90: Ciaooooo!!!!!!!! =D Oddio, lo sai che sei una santa scesa in Terra????? *.* Dove chivolicchi hai trovato tutta la pazienza e la forza di volontà di recensire - sì e no - tutti i capitoli precedenti?!?! Ma io ti amo, lo saiiii???? Cioè...GRAZIEEEEEEEEEEEE!!!! Non sai quanto mi hanno fatto piacere i tuoi commenti!!!! Anche se sono sicura che li ritirerai tutti con questo ù.ù Allora, adesso rispondo a tutte le tue domandine al capitolo precedente! No, in questa storia sono tutti umani, non c'è nulla di vampiresco =) Quando aggiorno...eeeeeeeh, quando posso e quando l'ispirazione non tarda ad arrivare! XD E, be', la ragazza di Edward - Tanyucciola carissima - se ne andrà presto in quel posto così bello, così adatto a quelli come lei...stai tranqui, sono la prima che lo spera con tutto il cuore! ;) Spero che questo capitolo ti sia piaciuto e che non ti sia disperata quanto me a leggerlo! Un bacio grande! Ele
babyblack: Tessssssoroooo!!! Cioé, ti rendi conto di quale mia gioia nel vederti anche qui???? Alla faccia dello stalker, fossero tutti come te vorrei essere perseguitata a vita! xD Uhuhu, una nuova agente della CIA...eeeeh??? Come mai non lo sapevo???? Cos'è sta storia??? Eh, eh, eh???? Signora registaaaaaaaaaaaa!!!! xD xD Ok, la smetto ù.ù Recensire non è una tua qualità?!?! Ma stai scherzandoooo?? Va bene che a causa tua allago si e no ogni settimana il pavimento, ma mi fanno un piacere che tu nemmeno ti immagini!! Buzzurra, guai a te se non continui a recensire! XD Grazie, tesoro, grazie mille di tutti i complimenti!! Troppo buona!!!! Oooh, be', il titolo è una delle cose che piace di più anche a me ^^ L'ho trovato insieme a mia sorella, Freddy Barnes, ed è il titolo di una delle mie canzoni preferite! E' dei Red Jumpsuit Apparatus, ascoltala se non l'hai ancora fatto perché merita davvero!!! *.* Io??? Io sadica??? Ma ti sembra??? Semplicemente vi lascerò col fiato sospeso fino alla fine dei vosti giorni e, cosa più importante, un certo bell'omino, che ogni giorno diventa più figo e bono, chiamato Edward Cullen, rimarrà segregato in camera mia fino a quando non mi stuferò di lui e dei suoi servizietti...cioè mai, mi sembra giusto! XD Dai che un giorno te lo presto!!! Tu aspetta e spera, poi si vedrà XD Brava, Vero, lo sai che ti stimo in ogni cosa che dici, no??? Da Amore e Psiche a tutto il resto!!! ^^ Ehm...mi dispiace per la dolce attesa, ma sono un caso disperato, I know -.- Spero che il capitolo non ti abbia fatto vomitare dal naso (io una volta l'ho fatto xD) o piangere troppo... Bacioni enormi, gioia!!!!!! Ciaooooooooo, a prestooo! P.S. No, mi dispiace, riguardo a blog o cose del genere per ora non ho nulla...però se vuoi puoi contattarmi così parliamo un pochino!!! ^^ Ancora un bacio!
squirrel93: Ciao, carissima!!!!!!!!! ^^ Eh, sì, Charlie ha lasciato il fucile a Forks, ma non temere, qui a Phoenix si è portato una rivoltella, non si sa mai! ù.ù Grazie davvero per tutto i complimenti!!! Sei davvero gentilissima!!! Amore e Psiche...mmm...sai che per adesso non c'avevo pensato??? Be', grazie per l'idea, potrebbe venirmi in mente qualcosa!!! ^^ Un bacio grande!!! Mi auguro che il capitolo ti sia piaciuto!!
poc: Ehilà, cara!!!!!!!!! =) Come va??? Spero tutto bene!!! Eh sì, noi donne potremmo davvero fare di tutto (modestamente XD), ma davvero ci sono leggi matematiche che talvolta proprio non capisco! >.< E dire che come materia mi piace molto...xD Grazie dei complimenti!! Lo so, Edward è davvero perfetto!!!! Non a caso è il mio idolo! xD Spero che questo capitolo ti sia piaciuto nonostante Edward fosse poco presente... Fammi sapere per favore!! Baciii!! Ele
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Capitolo 8 *** Futuro ***
Your Guardian Angel
°* Capitolo Sette: Futuro *°
"Ti posso far vedere una cosa?", chiesi gentilmente, alzando il capo per guardarlo. Da quando mi aveva vista parlare con mia madre, non aveva detto nemmeno una sillaba. Comportamento strano per uno come lui. "Sì, certo. Anche se dubito che in un ospedale ci sia qualcosa di 'bello' da vedere...", mormorò, ritrovando improvvisamente l'ironia e il sarcasmo che lo caratterizzavano. Sorrisi, continuando a salire le scale. "Tecnicamente non potremmo...", sussurrai facendogli segno di stare zitto. Mi guardò perplesso, aggrottando le sopracciglia. Evitai di rispondergli, camminando di soppiatto lungo il corridoio per raggiungere l'ascensore senza farmi notare da infermieri e passanti vari. Sperai solo che Edward avesse recepito il messaggio e che non ci soprendessero ad usare un mezzo destinato soltanto agli addetti. Per fortuna, qualche neurone nella sua testa funzionava ancora decentemente, così che, proprio come avevo fatto prima io, mi raggiunse tranquillo e silenzioso, senza farsi notare. Mi sarei congratulata con lui presto, mi aveva davvero sorpreso. Una volta che entrambi fummo dentro l'ascensore, premetti un bottone rosso acceso, quello che ci avrebbe condotto all'ultimissimo piano del palazzo. "Ma sei scema?", chiese notando ciò che avevo schiacciato. "Forse", risposi con un sorrisetto, continuando a fare finta di nulla. L'ascensore ci avvisò dell'arrivo con trillo insistente, come se senza saremmo rimasti dentro. Uscii velocemente e mi diressi all'ultima breve rampa di scale da cui già cominciava ad arrivare chiara e limpida la luce solare. Terminato l'ultimo pezzo di strada, ci ritrovammo davanti un grande spiazzo di cemento, talmente in alto che sembrava in contatto col cielo, con le nuvole, con il resto del mondo. Rimasi incantata e sorridente a guardare quella meraviglia, quel lenzuolo terso e perfetto attorno a noi, proprio come ogni volta che salivo sulla terrazza del grattacielo. "E'- è...", mormorò Edward, la bocca letteralmente spalacanata e gli occhi increduli. Mosse le labbra diverse volte, come a voler dire qualcosa, ma non pronunciò alcun suono. Senza pensarci due volte, mi avviai verso il centro dello spiazzo senza inciampare - per una volta - e mi ci sdraiai sopra, senza preoccuparmi della polvere o di qualsiasi altra cosa. Il cielo, visto da quella prospettiva, sembrava decisamente più immenso e tranquillo. Dava un'immenso senso di pace. Una pace che riuscivo soltanto a trovare lì, a contatto con l'universo. Sentii chiarmanete i passi di Edward che mano a mano si avvicinava, ma non spostai il mio sguardo dalle nuvole soffici che coloravano il cielo disegnando forme strane e particolari. Improvvisamente, con la coda dell'occhio, lo vidi sdraiarsi esattamente dietro di me, in modo che la sua testa fosse in contatto con i miei capelli. "Sei un genio", mormorò con una serietà inquietante dopo qualche minuti di silenzio. Mi sollevai piano, appoggiando tutto il peso del corpo sul gomito. "Genio?", chiesi scettica. Sorrise lievemente. "Certo. Penso che nessun'altro avrebbe avuto la splendida idea di venire qui", affermò sicuro. "Ti chiamerò genietta, ti si addice.", decretò infine, dopo una breve pausa. La mia perplessità aumentò notevolemente a quelle parole. Di soprannomi me ne avevano dati tanti, molto simili tra di loro, comunque. Da secchiona a sfigata, da emarginata a pazzoide: in fondo non c'era una grande differenza. Notando il mio silenzio, Edward riprese a parlare. "Che c'è, nessuno ti ha mai dato un nomignolo? Un soprannome?", chiese tranquillo, incrociando le braccia sotto alla testa, per stare più comodo. Sospirai, ritornando alla mia posizione originale, sdraiata sul cemento. "Sì...ma non è questo il punto", mormorai in risposta. "E allora qual è?", continuò imperterrito, facendo trapelare la sua curiosità. "Hai presente il tuo amico, Newton?", chiesi accompagnando il nome del ragazzo con una punta di stizza. "Be', il modo in cui lui e il resto della scuola mi chiamano non è esattamente simile a...genio", calcai bene sull'ultima parola, in modo che assorbisse il significato di ciò che gli stavo dicendo. "Mmm...", mormorò. "Intendi sfigata?", ed eccolo di nuovo, lui e il suo tatto infinito. Mi schiarii la gola, nervosa. "Esattamente" Passarono due minuti prima che aprisse nuovamente bocca, lasciando entrambi in un silenzio imbarazzante, nonostante la tranquillità che le nuvole bianche portavano con sé. "A me ne hanno sempre dati tanti di soprannomi. Alcuni non molto graditi, devo dire la verità, ma alla fine ci ho fatto l'abitudine e non mi sono più lamentato", proruppe. "Io non mi sono mai lamentata", precisai atona. "Non ne ho dubbi", immaginavo già il sorriso che si sarebbe sicuramente formato sul suo volto, a quella battuta, come d'altronde ogni volta che mi prendeva in giro. Ci ritrovammo a ridere entrambi, senza un motivo preciso, spensierati. "Pensa che tu farai carriera, loro no. Pensa che tu combinerai qualcosa nel futuro. A proposito...cosa vorresti fare da grande?", chiese una volta che smettemmo di ridere. Lavoro. Futuro. Erano due concetti che non avevo più preso in considerazione dopo la notizia della leucemia. No...io non avrei avuto un futuro, io non sarei diventata grande. Ma non avrei fatto come il mio eterno eroe Peter Pan, no, io non sarei più esistita, sarei morta giovane. "Non saprei...", mormorai titubante. "Davvero non ne hai idea?", chiese sbalordito. "Ehm...no", ribadii. "Nemmeno una professione che ti piaceva fare da piccola?", incalzò nuovamente. Certo che, quando voleva, Edward sapeva essere davvero stressante. "Uffa! Da piccola volevo fare la principessa, ti basta?!", esclamai esasperata e risentita. Lo sentii ridacchiare alle mie spalle, divertito dalla mia affermazione. "Be', un lavoro assolutamente degno...sono convinto che guadagneresti", ghignò ironico. Roteai gli occhi, ormai immune alle sue prese in giro. "E tu? Sentiamo, quale dovrebbe essere il brillante futuro di Edward Cullen?", chiesi sfoggiando un tono sarcastico di cui mi stupii io stessa. "Il brillante futuro di Edward Cullen", mi scimmiottò, "prevede, innanzitutto, la scrittura di un libro", concluse, stupendomi. Mi sedetti di scatto per poi voltarmi verso di lui. "Sul serio?", domandai sorpresa. Una volta vista la mia posizione, mi imitò, sollevandosi lentamente e sedendosi a gambe incrociate esattamente di fronte a me. "Sì. Pensi che non ne sia in grado?", chiese arcuando il sopracciglio ed inchiodandomi con i suoi splendidi occhi verdi. "No, no...non sto dicendo questo.", mi affrettai a chiarire, gesticolando nervosa. "Intendevo che non me l'aspettavo, ecco" Sorrise dolcemente, spostando lo sguardo verso le sue mani in grembo. "E' un sogno che ho da quando sono piccolo...ed è stupido, in un certo senso, che questa idea infantile continui a ronzarmi in testa senza tregua...", si spiegò, impacciato. "Non è infantile!", ribattei forse con troppa foga. "Pensa alla principessa, scusa! Ti sembra qualcosa di realizzabile?", continuai, sicura di aver ragione. Sollevò il capo leggermente, giusto per guardarmi negli occhi. "No...però, per lo meno, tu non hai più questo 'sogno'." "Edward", tentai di sviare il discorso, "cosa vorresti scrivere in questo libro?", chiesi interessata. Si grattò la nuca, pensieroso. "Be'...quando ero piccolo ero convinto che avrei scritto della mia vita, delle mie avventure. Draghi e stregoni malvagi che sarei riuscito a sconfiggere a cinque- sei anni, come fossi riuscito a diventare presidente degli Stati Uniti a otto, come avessi scoperto la magia a dieci, come fossi riuscito a vincere la fame nel mondo a dodici...ogni anno che passava mi proponevo di fare una di queste cose, di essere ricordato dal mondo e dalla storia. Eppure...mi sono accorto di non aver mai fatto niente di niente. Né per l'umanità né per quelle piccole cose che potevo evitare", mormorò, lo sguardo perso nell'orizzonte. "E' un desiderio di gloria, proprio come lo avevano gli eroi mitologici greci e latini, ce l'abbiamo noi. E' la natura umana", commentai calma, sperando di rincuorarlo con queste poche parole. "Sì, lo so", rispose secco, ritornando a guardarmi. "Ma in questi anni non ho fatto che non fosse divertirmi, spassarmela e divertirmi di nuovo. Ero e sono simpatico, sono accolto da tutti con entusiasmo, c'è tantissima gente che ruota attorno a ciò che faccio io. E non posso neanche non ammettere che questo non mi faccia piacere, cavolo!", esclamò tormentato, passandosi nervosamente una mano tra i capelli, quel gesto che gli avevo visto fare più volte. "Vorrei andare in Africa dopo aver scritto questo libro.", ricominciò ancora prima che potessi dire qualcosa riguardo la sua affermazione di prima. "Vorrei che noi tutti 'occidentali' ci rendessimo conto che la situazione in cui si trova questo continente è dipesa da noi, anche se indirettamente. Siamo stati noi che abbiamo imposto loro la nostra religione, la nostra cultura, ritenendo tutto quanto giusto. Siamo noi che li abbiamo privati di materie prime e che li abbiamo costretti ad un agricoltura di esportazione. Li abbiamo costretti alla fame, alla povertà. E non facciamo abbastanza" Come avevo potuto, agli inizi, non appena l'avevo visto, giudicare Edward una persona in qualche modo egoista, una persona capace di guardare solo ai propri interessi? Quasi sentii le lacrime agli occhi sentendo questo suo discorso. Lui, bello, ricco, popolare si preoccupava di cose del genere, a problemi gravi, non a criticare chi, come me, non si vestiva con abiti firmati e cose del genere. Edward era maledettamente...umano, semplice, gentile, umile nonostante avesse tutte le qualità e capacità per diventare un qualcuno nel mondo dello spettacolo e di quei programmi spazzatura che fanno continuamente vedere alla televisione. Una melodia mi distolse dai miei pensieri, facendomi aggrottare le sopracciglia: da dove proveniva? Improvvisamente Edward si alzò in piedi, prese in cellulare dalla tasca e senza dire una parola, aprì la chiamata. "Ciao, amore" Eccola, di nuovo la bionda. Involontariamente, come dotate di vita propria, le mie mani si chiusero a pugno. "Sì, Tanya, lo so." Perfetto, la bionda aveva pure un nome. Guarda un po', quello di una barbie...mai nome fu più azzeccato. "Ci vediamo allora tra...aspetta che ore sono?" Silenzio. "Allora tra mezz'ora sotto casa tua. Va bene, va bene. Passiamo a prendere Jessica, Mike, Kate e gli altri?" Perfetto...comitiva completa. "Ok, a dopo. Ciao", concluse la chiamata frettolosamente, tornando a fissarmi con uno sguardo indecifrabile. "Scusa, era...", non dava segno di voler continuare, perciò lo feci io per lui. "La tua ragazza, l'ho capito", mi uscì con tono acido e pungente, forse più di quanto avrei voluto. Forse. "Be'...non esattamente", precisò, nervoso. Continuava a rimanere all'impiedi, segno che ormai la sua visita era finita. Doveva tornare da lei. "L'hai chiamata 'amore'. Mi sembra quantomeno ovvio che sia la tua ragazza", ribattei. Sospirò, guardandomi sconsolato. "Sì, è vero, è così" Perché sentirlo dire direttamente lui era maledettamente triste e...deludente? "Bene. E allora non farla aspettare", dissi seria e imperturbabile, alzandomi da terra e dirigendomi veloce verso le scale. "Bella, dai...", tentò di fermarmi, senza nemmeno una traccia di convinzione nella voce. "No. Vai." Il mio era un ordine, un ordine perentorio, carico di frustrazione e delusione. Un ordine che sottointendeva però una supplica, una preghiera che gli chiedeva di rimanere ancora un poco con me, anche solo cinque minuti. Una supplica che non venne ascoltata.
Ehilà...*me spunta dall'angolino tossicchiando nervosa e passandosi la mano tra i capelli stile Edward* Eeeeeeehm...'sera! Come state, ragazze? Spero davvero bene, anche se io un po' meno. Qui a Bergamo siamo sotterrati dalla neve -.-" Non che la neve non mi piaccia, anzi, ma neve è sinonimo di freddo e gelo, perciò vedete voi. Tralasciando il mio piccolo meteo (XD), mi scuso per l'ennesima volta per il ritardo. Non ditemi che però la volta scorsa non vi avevo avvertito!!! ù.ù Sono una ragazza previdente, io! XD Allora...passiamo al capitolo, va'! Come avete visto, salgono sulla terrazza dell'ospedale e si sdraiano a guardare il cielo e le nuvole. Non so voi, ma io la trovo una cosa estremamente tenera (che io, tra l'altro, ho fatto ^^)!!!! Da che parlavano dei nomignoli, sono arrivati a parlare del futuro e Bella si è davvero resa conto che Edward non è un ragazzo 'fighetto' come tutti gli altri. Lui è un essere pensante (lo so, rivelazione scioccante anche per voi xD)! Alla fine però è arrivata la telefonata di Tanya...che si rivela essere appunto la sua ragazza -.- (Ancora per poco!!! Muahahahaha! XD XD) Edward per ora se ne va, un po' sconsolato, ma vedrete che lo ritroveremo molto, molto presto! Non si da' mica per vinto lui! ù.ù Ringrazio da morire le mie 6 tesorine che hanno recensito, le 22 che preferiscono Your Guardian Angel, le 13 che la ricordano e le 68 che la seguono! ^^ Vi amo!!!!! In quanto a risposte alle recensioni, entro domani mattina arriveranno tutte quante (quelle di Missione d'Amore comprese, a chi interessasse)!!!!! Un bacione enorme, ancora grazie! Recensite, please!!!!!!!!!!!! Ele |
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Capitolo 9 *** Peter Pan ***
Your Guardian Angel
°*
Capitolo Otto: Peter Pan *°
Una settimana.
Sette lunghissimi giorni.
Centosessantotto interminabili ore.
Milleottanta dolorosi minuti.
Seicentoquattromila stupidissimi secondi.
Avevo passato tutto questo tempo in attesa di Edward, nella speranza
che tornasse all’ospedale per chiedermi scusa, per continuare
a parlare e chiacchierare con me.
Per tornare a farmi sentire ‘normale’ almeno per
una volta.
Ma non l’aveva fatto.
Aveva lasciato che rimanessi per tutti questi giorni seduta su una
delle grandi e malconce sedie rosse dell’ingresso, in modo da
poterlo accogliere con un sorriso non appena avesse varcato le grandi
porte a vetri.
Ma non lo fece.
Soltanto dopo che fu passato un po’ più di tempo,
capii che forse non sarebbe più tornato.
Che forse si sarebbe reso conto che stare con me era una perdita di
tempo, che poteva avere di meglio.
Forse… probabilmente
…
Tutte incertezze che col passare dei secondi diventavano sicurezze.
Avrei preferito rimanere a casa, in camera mia a crogiolarmi nella mia
delusione, ma, purtroppo, avevo appena cominciato la chemio
perciò non era possibile.
Mi sentivo umiliata, molto più rispetto a prima,
quando nessuno mi si avvicinava nemmeno, quando non avevo davvero
nessun amico.
Ora, invece, un amico lo avevo avuto, seppure per due o tre giorni, ma
la mia compagnia era stata così … orribile e
noiosa(?) da costringerlo ad andarsene entro pochissimo.
Brava, Bella, sei da guinness dei primati, mi
ripetei un’altra volta, infilando le cuffiette
dell’iPod nelle orecchie. Continua così
e non saprai più nemmeno dove metterli, gli amici.
Ormai la musica forte, quella metal e rock, era diventata la principale
medicina contro il mio stato d’animo e non passava ora in cui
non l’ascoltassi.
Era una liberazione.
Era … potenza, energia, ribellione. Era tutto ciò
che volevo.
Non badavo nemmeno più all’aprirsi della porta
scorrevole a pochi passi da me, avevo passato così tanto
tempo a fissarla che ormai sentivo di detestarla.
Eppure, forse, quella volta avrei fatto meglio a lasciar correre i miei
occhi sulla persona che l’aveva appena varcata.
Sulla persona che, proprio in quel perfetto istante, si stava dirigendo
verso di me.
L’andatura elegante e tranquilla, spensierata e canzonata per
certi versi; la muscolatura evidente nel petto e nelle gambe, anche se
non troppo; la carnagione pallida; le labbra rosee; i tratti virili del
volto; la mascella quadrata; i capelli ramati spettinati; gli occhi
verdi smeraldo …
Edward.
Voltai la testa dall'altra parte con uno scatto repentino, cercando di
scacciare dalla mente il pensiero che finalmente era tornato.
"Bella", sentii chiaramente la sua voce dolce chiamarmi, ma feci finta
di nulla, continuai ad ascoltare la mia musica.
"Bella, lo so che mi senti", continuò un minuto
più tardi, non ricevendo alcuna risposta. "Sono venuto per
chiederti scusa, Bella. Mi dispiace, mi dispiace tantissimo."
Anche a me,
avrei voluto rispondere, ma mi morsi un labbro con forza per impedirmi
di parlare.
"Ti prego", due parole, due semplici parole dette con
un'intensità che mi travolse, che mi costrinse a guardarlo,
a fissare i suoi occhi verdi e a perdermici dentro.
"Ho una sorpresa per te, per farmi perdonare", mormorò,
sorridendomi sereno.
Mi sforzai nuovamente di non dargli corda, ricordando come in quei
sette giorni fossi stata male a causa sua.
"Chi ti dice che mi importi qualcosa delle tue sorprese?", domandai
acida fissando le mie mani in grembo.
Si sforzò di trattenere le risa, sapendo quanto il ridere di
me mi desse fastidio.
"Io penso che accetterai, Bella. Anche perché, in caso
contrario, rimarrai per tutta la vita con la curiosità e il
senso di colpa", spiegò piccato.
Non riuscii a trattenermi dal ridere questa volta, mentre, sempre con
il mio cipiglio saccente, gli rispondevo. "Non credo che
resterò per il resto della vita a pensare a te e alle tue
sorprese, sai?"
Alzò gli occhi al cielo, divertito. "Ok, questo te lo
concedo, ma non puoi pensarci ora?", chiese con voce piccola,
stringendo gli occhi e sbattendo le ciglia come se mi stesse chiedendo
un favore a cui non poteva rinunciare.
Intenerita, mi alzai dalla sedia, finendo a pochi passi da lui. "Fammi
vedere questa sorpresa, allora. Ma sappi che se non sarà di
mio gradimento, non ti perdonerò nemmeno per idea"
"Oh, tu di questo non preoccuparti", mi assicurò con un
sorrisetto, guidandomi fuori dall'ospedale.
Quel giorno i controlli sarebbero stati di sera, verso le 18,
perciò avevo quattro ore di libertà.
Trovammo la sua Ducati sul marciapiede, parcheggiata malamente, e vi
montammo sopra, io col casco, lui senza.
Partimmo in silenzio, con il solo rombo della moto a farci sottofondo.
A dire il vero, però, l'unica vera cosa che percepivo era il
suo respiro lento e regolare, vicinissimo a me.
Mi stupii io stessa di come tutti i miei propositi di trucidarlo
fossero scomparsi così, con un non nulla. Era bastata la sua
sola presenza perché mi calmassi. Anche in quel momento,
anche sforzandomi di chiedergli di lasciarmi di scendere, di togliere
le mani dalla sua vita, a cui mi ero dovuta tenere stretta... tutto era
dannatamente difficile. E non sapevo perché. Non sapevo
perché tutta quella sofferenza che mi aveva fatto patire si
fosse tutta ad un tratto volatilizzata.
"Come fai a sapere sempre come prendermi?", chiesi allora, mentre
eravamo fermi in strada ad aspettare che il semaforo ritornasse verde.
La mia domanda doveva averlo spiazzato, perché rispose
qualche secondo più tardi di quanto avrebbe dovuto.
"Io sono molto abile nel prendere
le ragazze...", mormorò ridacchiando leggermente.
Se lui aveva impiegato qualche secondo in più per rispondere
alla mia domanda, io ne impiegai miliardi in più per capire
il suo doppio senso.
Inevitabilmente, perciò, uno scappellotto partì
dalla mia mano severa. "Ahi!", si lamentò ancora divertito,
come tutte le volte che mi faceva imbarazzare in questo modo.
"Lo sai che mi danno fastidio i tuoi doppi sensi", borbottai
corrucciata.
Rise più forte, mentre ripartiva a razzo per le strade
affollate di Phoenix.
"Certo che lo so! E' per questo che è ancora più
divertente!", ridacchiò.
Per lo meno è sincero, tentai di rincuorarmi scuotendo la
testa rassegnata.
Ci conoscevamo da poco, era vero, ma avevo già capito che
questa era una sua caratteristica fondamentale e che avrebbe continuato
con le sue battutine ancora per molto, sicuramente.
Parcheggiò su un marciapiede con attenzione, dicendo che da
quel momento in poi avremmo dovuto camminare un poco.
Ecco, su quel poco avevo effettivamente qualche dubbio dato che quella
parola, per me, significava due centimetri in croce.
"Allora, cosa hai fatto in questi sette giorni...? Oltre a prendere,
ragazze, certo.", proruppi tentando di fare un po' di considerazione ed
affiancandolo.
Ghignò per la mia ultima affermazione. "Niente di eccitante"
"Parole che vadano al di là dell'universo sessuale non
riesci proprio a trovarle, eh?", chiesi inarcuando un sopracciglio.
Schioccò la lingua divertito, come se la mia domanda fosse
retorica, e, in un attimo, mi ritrovai con il suo braccio muscoloso
attorno alle spalle, in un abbraccio che sapeva del suo profumo:
vaniglia e miele.
Mi irrigidii immediatamente e lui se ne accorse. "Ti da fastidio?",
chiese gentile, senza aria di derisione negli occhi.
"No...", ed in effetti non stavo mentendo: il suo abbraccio era caldo,
era protettivo...e mi imbarazzava a non finire. "Sto solo pensando che
se la tua Tanya dovesse passare in questo momento ti prenderebbe a
calci"
Sbuffò sonoramente, ritornando al suo posto, così
distante da me da non riuscire nemmeno a sfiorare inavvertitamente il
mio braccio mentre camminavamo.
"Ti ho già detto che Tanya non è la mia ragazza",
disse scocciato, affrettando di poco il passo.
Ci risiamo,
pensai sollevando gli occhi al cielo.
"Sbagli: una settimana fa mi hai prima detto che non era esattamente la
tua ragazza poi che lo era... mi sa che hai le idee un po' confuse", lo
presi in giro sforzandomi di mantenere un tono di voce incolore.
"Ci sto uscendo insieme, solo questo. Ci vediamo abbastanza spesso...
ma non è niente di così serio. E con questo non
sto dicendo che non voglio far altro che divertirmi con tutte le
ragazze di Phoenix, ma che per ora non me la sento di cominciare un
qualcosa che potrebbe essere più grande di me", eccolo di
nuovo. Ecco quell'Edward che riusciva sempre a spiazzarmi con quelle
sue risposte mature, mai banali, così diverse rispetto a
quello che mostrava di essere di solito.
"Ok, adesso sono soddisfatta", risposi allegra di aver finalmente avuto
una risposta che non mi deprimesse più di tanto. Era chiaro
come il sole ciò che facessero quando 'uscivano insieme'...
Ridacchiò, guardandomi con curiosità. "E
perché? Sempre se mi è concesso saperlo", mi
punzecchiò.
"No, non è concesso, playboy, mi dispiace", mi finsi
dispiaciuta, stando al gioco.
"Eppure io ti ho detto tutta la verità! Potresti essere un
po' più magnanima e confidarmi qualcosina...",
mormorò ironicamente, sbattendo le ciglia con fare
dispiaciuto e piagniucolante.
"E va bene!", esclamai spazientita, visto che i suoi versi da cagnolino
bastonato non accennavano a smettere. "Speravo semplicemente che non
fossi uno di quei ragazzi 'felicemente impegnato' che va in
giro mano nella mano con la propria ragazza, finendo poi per lasciarsi
dopo tre giorni e ventitré ore", spiegai optando per una
mezza verità. Quella intera non la conoscevo nemmeno io,
nonostante avessi qualche sospetto.
"E se la lasciassi dopo tre giorni e ventiquattro ore?", chiese
sollevando un sopracciglio.
"Vuol dire che lei sarebbe davvero felice di aver rotto con uno scemo
come te, perché tre giorni e ventiquattro ore fanno quattro
giorni", ridacchiai con fare saccente.
"Penso che il mio voto in matematica non interessi molto a quelle che
si mettono con me, a meno che non siano delle professoresse...",
rispose vantandosi.
"Guarda che non è matematica", lo rimproverai un' altra
volta. Mi sembrava di stargliela facendo pagare un po' con le prese in
giro per tutto quello che mi aveva inferto in quella settima. "E'
cultura generale!"
Stavolta nessuno di noi riuscì a trattenere le risate.
"Ehi, dove scappi?", chiese mentre stavo per attraversare le striscie
pedonali, ancora ansante.
Aggrottai le sopracciglia, perplessa. "Dove dovrei andare, scusa?"
Sorrise. "Dobbiamo andare da questa parte", disse indicando un incrocio
che non avevo nemmeno visto.
Adesso che la guardavo bene, però, quella strada mi sembrava
di averla già vista.
Strano per una che, come me, non ricordava quasi nessuna via della
città in cui abitava.
"Posso sapere dove ci stiamo dirigendo?", chiesi sperando di non
risultare troppo curiosa.
"In un bel posto, ti basti sapere questo"
Sbuffai, scocciata. "Non mi piacciono le soprese e poi, conoscendoti,
per te un bel posto potrebbe anche essere un sexy shop"
"Non ti ci porterei mai! Rischieresti di avere un infarto appena
entrata", mi sfotté acido.
"Ah-ah-ah. Ma che divertente!", esclamai spazientita. Non ero mai
entrata in un sexy shop, e, sinceramente, non ci tenevo neanche un po',
ma mi innervosiva il fatto che lui avesse capito immediatamente quanto
fossi inesperta in campo amoroso.
Stavo per ribattere ancora, ma lui fu più veloce di me.
"Siamo arrivati", mi informò sorridente, alzando il volto
verso l'alto.
Lo imitai.
Attaccato a due pali, c'era un grande striscione bianco in cui due
parole colorate facevano bella mostra di sé: "LUNA PARK"
Oddio.
"T-tu mi hai portato al Luna Park?", chiesi sconcertata, voltandomi
verso di lui con tutto il corpo.
Aggrottò le sopracciglia. "E' un reato?"
"No...certo che no...solo non ci vengo da quando ho quattro anni.",
risposi ancora perplessa.
"Be', mi sembra un buon modo per rimediare, allora!",
esclamò felice.
Eh, no. Proprio non aveva ancora capito.
I suoi amici li portava in giro nei sexy shop, mentre a me nei Luna
Park, proprio come una bambina.
Sospirando pesantemente, continuai a camminare, sperando solamente che
quel pomeriggio non si rivelasse ancora più deprimente delle
giornate all'ospedale.
Sentivo la presenza di Edward accanto a me, ma nessuno di noi
parlò, finché non fu proprio lui ad aprire bocca.
"Vedrai che ti divertirai, Bella", disse semplicemente, prima di
guidarmi verso uno dei tanti giochi infantili.
Mentre io lo guardavo con aria scettica, Edward parlava allegramente
con un uomo in piedi dietro ad un piccolo bancone, neanche si
conoscessero di una vita.
Alla fine della chiacchierata - dopo ben sette minuti! - il tizio
decise di lasciarci entrare senza pagare il biglietto.
Adesso capivo il perché dell'improvviso attacco di
'chiacchierite' di Edward.
"Sei un approfittatore", bisbigliai quando fummo saliti su uno dei
vagoncini della 'Casa dei fantasmi'.
"Nah, non è vero", ribatté ridacchiando. Sapeva
benissimo anche lui che avevo ragione.
Quando lo stesso uomo ci avvertì della partenza, non avrei
mai immaginato che mi sarei divertita così tanto, che
addirittura mi sarei spaventata. Non tanto per le figure di fantasmi e
di vampiri sulle pareti, ma per i suoni, i cartonati che apparivano
all'improvviso, le urla terrificanti.
Edward strillava peggio di me. I ciuffi ramati ricadevano sulla sua
fronte ad ogni movimento del vagoncino, impedendogli di tanto in tanto
la vista.
Una volta che il primo gioco finì, Edward mi chiese, ancora
ansante: "Allora, ti sei divertita?"
"Sì, dai, abbastanza", risposi sorridente.
"Bene! Adesso andiamo al 'Labirinto degli specchi'! Sperando solo che
non finisca tutto come l'altra volta", ridacchiò lasciandomi
incuriosita.
Dentro quell'enorme sala piena di specchi e di viuzze nascoste,
finalmente capii quello che intendeva.
Eravamo lì dentro da tantissimo tempo, eppure, dell'uscita
ancora nessuna traccia. Ed io che pensavo fosse una bambinata!
Andavamo continuamente a sbattere contro il vetro degli specchi,
facendo tantissimi giri che alla fine non ci portavano da nessuna
parte. Riuscimmo ad andarcene soltanto quando una donna addetta ai
controlli, spazientita dal nostro via vai, entrò nel
labirinto e ci guidò fino all'uscita.
Facemmo anche tanti altri giochi: giostre rimbalzanti, un gioco
chiamato 'calci in culo',
gli autoscontri e diversi altri.
Stavamo camminando allegri, commentando le nostre mirabolanti avventure
quando toccammo un argomento più 'serio'.
"Come mai ti piace tanto il Luna Park?", chiesi curiosa.
"E' una passione che ho da quando sono piccolo", rispose imbarazzato.
"A quel tempo ero un enorme fan di Peter Pan e questi giochi di
fantasmi, di specchi, di streghe mi sembravano tutti dei nemici da
sconfiggere, proprio come capitan Uncino.", sorrise leggermente,
scuotendo la testa a quei ricordi.
"Anche a me piaceva molto Peter Pan", proruppi dopo poco. "Mi
immedesimavo soprattutto in Wendy, dato che, come a lei, mi
è sempre piaciuto leggere ed inventare racconti per
bambini... quando poi è uscito il film tratto dal libro,
devo dire di esserne rimasta a dir poco estasiata"
"Anche tu?! Davvero? Anche io adoro il film di Peter Pan!",
esclamò sconvolto, gli occhi verdi intrisi della solita luce
che li accendeva quando era felice.
"Non appena l'ho visto, nel 2003 è diventato il mio film
preferito! Sembrava così reale... il mio idolo diventato vero!",
s'interruppe un attimo, lanciandomi un'occhiata, "E poi, devo ammettere
che Wendy non era affatto male", ridacchiò eloquentemente.
"Hai ragione, Rachel Hurd- Wood è molto carina", mormorai
ricordando per quanto tempo avevo desiderato i suoi boccoli dorati e i
suoi grandi occhi azzurri.
"A proposito di Peter Pan... non siamo ancora saliti sul mio gioco
preferito, quello che lo rappresenta in assoluto", esclamò
dandosi una leggera sberla in fronte.
Continuai a camminare seguendo Edward che, al contrario di me, sembrava
conoscere il Luna Park come le sue tasche.
Improvvisamente, ci fermammo.
"Allora, qual è il gioco?"
"Questo qui", rispose indicandolo con un cenno del mento.
Aggrottai le sopracciglia, quando lo vidi. Si trattava di un tappeto
elastico, composto da tanti rettangolini in cui saltavano spensierati
dei bambini.
"Oh, no, Edward. Nono", mi rifiutai categoricamente, scuotendo la testa
con fervore.
"Dai, Bella, scommetto che non ci sei mai salita!", mi pregò
mettendosi di fronte a me.
"Ma non ci lasceranno nemmeno entrare! Abbiamo diciassette anni,
Edward, non quattro!"
Il suo sguardo si fece più duro e determinato. "Peter Pan
diceva che le persone non crescono mai, Wendy, e io
concordo con lui", disse serio, prima di voltarmi le spalle e dirigersi
alla cabina di legno dove stavano due uomini di colore.
"Due biglietti, per favore", mormorò tirando fuori dalla
tasca il portafogli. "Per chi?", chiese uno dei due tizi, stralunato.
"Per me e quella signorina", rispose voltandosi nella mia direzione
giusto un attimo, il tempo di incontrare i miei occhi.
"Ma è pazzo?", domandò scettico, non accennando a
dargli i biglietti.
"Sì, abbastanza da voler saltare su un tappeto elastico con
dei bambini di quattro anni", affermò cominciando a
togliersi le scarpe.
Ma che cavolo fa? Erano le sole parole che rimbombavano nella mia testa.
Edward salì sulle scalette che conducevano alla palestrina
senza essere fermato da nessuno, nemmeno da quei due uomini, talmente
sbigottiti da non riuscire a muoversi.
C'era un po' di gente che lo fissava, probabilmente chiedendosi cosa ci
facesse lì, eppure lui non ci badava.
Giunse ad uno dei rettangolini liberi e, chiudendo gli occhi,
cominciò a saltare in alto, sempre di più.
Proprio come se volesse... volare.
Improvvisamente capii cos'era che Peter Pan aveva in comune con quel
gioco e qual era il motivo per cui Edward lo amava tanto.
Dimenticai la timidezza, la goffaggine, la mia malattia, il mio essere
essenzialmente diversa e lo raggiunsi quasi di corsa, lasciando le
scarpe ai piedi della scaletta.
Poi, guardandolo, saltai sul tappeto elastico con lui, tante, tante
volte. Mi beai della sensazione di freschezza e di pace donata dai
capelli sciolti scompigliati, inciampai e caddi spesso, guadagnandomi
le sue risate e quelle degli altri bambini, ma mi sentii libera, come
se da un momento all'altro potessi spiccare il volo e raggiungere
l'isola che non c'è, con Edward.
Dieci minuti dopo, il ragazzo si fermò, sudato, e mi tese
una mano per scendere. L'afferrai con piacere e gratitudine, poi, rossa
dalla radice dei capelli alla punta delle scarpe, scesi dalla
palestrina a capo chino e recuperai le mie scarpe mentre Edward si
sforzava di non ridere della mia espressione.
"Edward!", una voce cristallina e sconosciuta, arrivò alle
nostre orecchie, proprio quando avevamo cominciato a parlare e
camminare verso un altro gioco.
Ci voltammo entrambi contemporaneamente.
Una ragazza bassa ed esile correva allegra verso di noi, i capelli
corti e neri che oscillavano da una parte all'altra. Era molto carina.
"Alice!", esclamò Edward, illuminandosi in un sorriso,
quando la ragazza ci raggiunse. "Come hai fatto a trovarmi anche
oggi?", domandò divertito.
"Oh, ho soltanto visto la tua chioma 'saltellare' sul tappeto elastico
ed ho capito che eri tu", rispose quella, ridacchiando.
Io, intanto, seguivo il siparietto in silenzio, chiedendomi
continuamente chi fosse la ragazza, Alice.
Ad un tratto, Edward si ricordò della mia presenza
e decise di presentarci. "Bella, lei è mia sorella Alice",
disse semplicemente, indicandola con un festo della mano.
Oh. Sorella.
Chissà perché mi aspettavo una delle sue vecchie
conquiste.
"E' un piacere, Bella!", esclamò sorridente, "Ed
è anche una gioia vedere che mio fratello esce anche con
altre ragazze rispetto a quelle con cui va in giro di solito", quella
frecciatina eloquente mi fece trattenere a stento una risata.
Vedere i litigi tra fratelli era sempre bello e avrei desiderato tanto
provarne qualcuno anche io, ma purtroppo, ero sempre stata figlia unica.
"Sei adorabile quando fai la suocera, Alice", rispose a tono Edward,
sorridendole acido.
"Lo so, me lo dicono tutti!", liquidò in fretta il discorso.
"Comunque io sono qui con Jasper e ti ho raggiunto solo per dirti che
stasera faccio un po' tardi. Vado dai signori Hardwick,
perciò inventati una scusa che vuoi con mamma e
papà. Ci vediamo presto, Bella!", si congedò in
fretta, sempre col sorriso sulle labbra, prima di ritornare da dov'era
venuta.
Sbattei un attimo le palpebre: quella conversazione era avvenuta
talmente in fretta da avermi spiazzato.
"Tua sorella è un uragano!", affermai nervosamente.
Se paragonata a me, anche uno tzunami.
"Eh, in effetti sì...", ridacchiò lui.
Evidentemente non voleva stare molto sull'argomento.
"Ti è piaciuto il tappetto elastico?", mormorò
piano.
"Sì, Peter",
calcai bene su quel soprannome, proprio come lui prima aveva fatto con
me, chiamandomi Wendy. "Davvero tanto."
"Bene, Wendy, sono molto felice. Posso dirmi perdonato?",
domandò infine, sorridente e speranzoso.
Sapevo già quale sarebbe stata la mia risposta, anzi,
già la sapevo quando l'avevo visto, lì,
all'ingresso dell'ospedale. Quando era tornato da me.
"Sì, diciamo di sì... ma solo se prima esaudirai
una mia richiesta", risposi evasiva.
Aggrottò le sopracciglia, confuso. "Quale?"
"Per caso vendono ancora quelle frittelle alla crema e al cioccolato
che facevano quando avevo tre anni?"
Finale
fantastico, non c'è che dire XD
Ma
che brava, mi faccio i complimenti da sola! XD
Buonasera
ragazzuole!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Quanto
tempo che non ci sentiamo!!!! Adesso però sono tornata, o
meglio, il mio PC8 è tornato!!!!!!! ^^
Sono
un pochino di fretta, scusate, proprio perché ho finito di
scrivere due secondi fa >.< Perciò
passo subito alle cose importanti.
Qualche
giorno fa ho letto l'ultimo capitolo della storia "Di carne e di
carta", di Mirya, una scrittrice che personalmente venero.
Ecco,
lei, in una delle sue note, ha fatto notare come in diverse storie ci
siano dei protagonisti che subiscono stupri, vittime di perdite gravi o
che hanno delle malattie pericolose come il cancro che, alla fine, come
per magia guariscono da tutto e si ritrovano a vivere felici e contenti.
Ebbene,
a questo punto mi sono chiesta: 'Non è che c'è
qualcuno che pensa così anche della mia fic?'
Nonostante
questo sia stato un capitolo allegro (a parte l'inizio), vi dico
immediatamente che per Bella non sarà tutto rose e fiori e
non vi nascondo affatto che il finale potrebbe essere drammatico.
Ancora non l'ho deciso nemmeno io, ma queste cose nella vita succedono,
come è successo per una mia amica di infanzia, morta appunto
di leucemia.
La
mia storia potrebbe essere scritta in suo onore in effetti, dato che
non l'ho mai dimenticata, ma riservo un finale drammatico
perciò ancora non mi esprimo definitivamente.
Spero
soltanto che non ci sia nessuno che pensi che la mia storia sia una
cosa da 'prima sono malata e triste, poi incontro Edward, mi innamoro e
tutti vissero felici e contenti'. Vi prego, in ogni caso fatemi sapere
i vostri pareri! Sia sul capitolo che su questo punto.
Ringrazio
infinitamente tutte quante mi seguono, recensiscono o in qualche modo
mi fanno sapere che ci sono! Grazie, grazie, grazie!!!!!
Mi
dispiace di non essere riuscita a rispondere a tutte le recensioni
dello spoiler, prometto di recensire a tutte quelle di questo capitolo!!
Tanti
baci!!!!!!!
Vi
voglio bene!
Ele
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Capitolo 10 *** Domande ***
Your
Guardian Angel
*° Capitolo Nove: Domande
°*
Driiin.
Driiin.
Il suono insistente della
sveglia mi ridestò dal breve sonno di quella notte,
annunciando un nuovo giorno.
Mi rigirai tra le
lenzuola, ancora troppo stanca per alzarmi, beandomi della sensazione
di calore che provavo soltanto avvolta dalla copertina in pile blu
notte.
Nonostante non accennassi
ad alzarmi, sapevo che la sveglia vera e propria sarebbe arrivata entro
poco, a causa dell’urlo disumano di …
“BELLA!!!! DEVI
ALZARTI!!!”
… Mia madre.
Mugugnando parole senza
senso, mi sbattei il cuscino in testa, cercando di dormire ancora un
pochino.
“BELLA!!!! LA
SCUOLA!!!”
Ormai rassegnata e con un
verme per capello, scesi dal letto e, avanzando a tentoni, accesi la
luce della mia stanzetta semplicissima: pareti azzurro chiaro, tetto a
punta, scrivania in legno e sedia a dondolo, ricostruita perfettamente
per ricreare quella che avevo a Forks nel periodo in cui i miei stavano
ancora insieme.
Dopo essere passata per il
bagno a darmi una sistemata, scesi le scale, sentendo la voce
squillante di Renée, al lavoro in cucina.
Non aveva mai avuto
problemi ad urlarmi dietro le cose, infatti anche quando si trovava ad
un piano di distanza da me, riuscivo comunque a sentirla senza
problemi. Anzi.
Phil, ormai sposato con
lei da un annetto, era del mio stesso identico parere.
La prima parte della
mattina trascorse tranquillamente, nonostante in risveglio
‘brusco’. Come abitudine, arrivai a scuola in
ritardo, corsi per i corridoi come una forsennata e, proprio quando
stava per suonare l’ultima campanella, mi accorsi di aver
dimenticato un libro nell’armadietto.
E fu proprio a quel punto,
che iniziarono i ‘problemi’ della giornata.
Quando aprii il mio
armadietto, infatti, la mia attenzione venne immediatamente catturata
da un soggetto estraneo, un foglietto bianco con
bordi rosa shocking che non aveva nulla a vedere con il mio materiale
scolastico e che pochissimi minuti prima non c’era.
Circospetta, lo esaminai.
In un primo momento,
pensai che si trattasse di uno dei frequenti e stupidissimi scherzi dei
miei compagni, ma era una semplicissima busta, sul cui retro era
scritto il mio nome, sempre con quel colore appariscente. Una volta
appurato che non c’era nulla di
‘sospetto’, l’aprii.
Ciao!!
Sei invitato al mio party!
31
Ottobre a casa mia dalle 21 in poi. Non mancare!
Jess.
Jess, ovviamente,
stava per Jessica Stanley, una delle tante ragazze popolari nella
scuola, oca e cheerleader per professione.
Non mi aveva mai rivolto
la parola né tanto meno mai invitato ad una delle sue feste.
Possibile che adesso invece l’avesse fatto?
Scettica e confusa,
controllai nuovamente il retro della busta, sicura di aver letto male.
Il mio nome invece se ne stava ancora lì, al centro della
pagina orizzontale.
Il suono stridulo
dell’ultima campanella mi costrinse a prendere il libro che
avevo dimenticato in precedenza ed a lasciare l’invito
nell’armadietto.
A quello avrei pensato
più tardi.
* * * * * *
“Hai
sentito, Jess da’ una festa!”
“Stai
scherzando?! Deve essere una cosa e-s-c-l-u-s-i-v-a!”
“Certo! La
organizza a casa sua! La sua mega villona con piscina e quattro campi
da tennis!”
“Oh, quanto mi
piacerebbe andarci! Sarebbe fighissimo!”
Le esclamazioni concitate
riguardo alla festa di Jessica ormai si sentivano ovunque: nei
corridoi, in classe, a mensa … gli studenti non facevano
altro che parlarne.
Grazie a tutte quelle
informazioni spiattellate in giro con noncuranza e un pizzico di
invidia, al contrario di ciò che avevo pensato inizialmente,
scoprii che la festeggiata non aveva invitato tutta la scuola, me
compresa di conseguenza, ma soltanto poche persone di una certa
categoria.
Categoria a cui io di
certo non appartenevo neanche un po’.
Comprendere il motivo per
cui ero stata invitata, perciò, mi era impossibile.
Seduta al mio solito
tavolo della mensa, in disparte dal resto degli studenti, maledivo
quella cretina di Jessica e il suo invito. Per colpa sua, avrei dovuto
inventarmi una scusa e far di nuovo la figura della sfigata che non ha
nemmeno il coraggio di andare ad una festa la notte di Halloween.
Quando vidi comparire
proprio l’oggetto dei miei pensieri, ondeggiando ed
ancheggiando come poche, tutto fu chiaro.
Ero a conoscenza della
sfilza di fidanzati che Jessica e le sue amiche avevano e che
cambiavano come massimo ogni mese, ma non mi era mai passato per la
mente che potesse essere proprio il suo ragazzo il motivo del mio
invito.
Guarda caso, si trattava
proprio di Mike Newton, il vecchio amico di Edward che, tra
l’altro, l’aveva visto sprecare
con me un pomeriggio.
Era davvero questo il
motivo? Era soltanto merito – o colpa – di Edward
se ero stata invitata?
Le mie domande,
però, furono messe immediatamente a tacere quando osservai
meglio Jessica e gli altri sedersi ad un grande tavolo di forma
circolare, ridendo e scherzando.
La mia attenzione ormai
non era più concentrata sulla festeggiata, ma su una sua
amica.
Con un groppo in gola,
contemplai la pelle chiara, candida e all’apparenza morbida,
gli occhi celesti, i lunghi capelli biondi che ricadevano in
un’onda delicata sulla sua schiena, il corpo formoso e snello
…
No, non poteva essere lei.
Mi sforzai di girare la
testa dall’altra parte, di distogliere lo sguardo, ma la mia
mente mi ripresentava la figura di quella ragazza in tutta la sua
perfezione.
Che fosse davvero quella?
La Tanya di cui avevo così tante volte sentito parlare da
Edward?
Non riuscendo a resistere,
sbirciai nuovamente nella sua direzione, cogliendola a ridere
elegantemente.
Ecco, decisamente quello
non ci voleva.
Stringendo i denti, mi
imposi di non pensarci, di non guardarla e, soprattutto, di trattenere
quell’impulso che mi urlava di mollarle un ceffone in faccia,
per qualche strano e sconosciuto motivo.
Potevo rimproverarla di
essere così bella? O, anzi, di essere così bella
rispetto a me?
Non c’era
affatto da stupirsi che Edward la frequentasse, serie o no che fossero
le sue intenzioni.
Abbandonai la testa su
quello che ormai tutto chiamavano ‘il tavolo
sfigato’, sperando di trovarmi in un incubo e di risvegliarmi
presto.
Quando arrivai a casa alle
tre del pomeriggio, dopo aver salutato frettolosamente mia madre, mi
chiusi in camera mia, decisa a studiare a più non posso e a
nascondere il cellulare in qualche posto remoto della casa
perché non avessi la tentazione di chiamare Edward.
Una volta che
l’ebbi ficcato circospetta in uno dei cassetti del bagno,
ritornai alla scrivania, provando a concentrarmi soltanto su biologia
e, in particolare, sulla paleontologia.
Attorno
alla metà del XVII secolo, i geologi avevano già
iniziato a cartografare gli strati orizzontali di rocce sedimentarie
della crosta terrestre …
Ma Edward allora
è così influente anche nella mia scuola?
…
Tali strati erano stati depositati a poco a poco l’uno
sull’altro, nel corso del tempo, ed erano chiaramente
visibili nei siti dove …
E se invece non
c’entrasse nulla? Se non conoscesse Jessica Stanley?
…
l’erosione o gli scavi avevano inciso profondamente la terra
…
E quella Tanya
… chissà se è lì con lui in
questo momento …
Chiusi il libro con un
tonfo, ormai conscia che non sarei mai riuscita a studiare con tutti
quei pensieri per la testa.
Dopo essermi alzata di
scatto dalla sedia, corsi in bagno a recuperare il cellulare, faticando
non poco per trovarlo e ricordarmi dove l’avevo messo.
Digitai in fretta e furia
il numero di Edward e, ascoltando il solito ‘tu …
tu … tu …’, cercai di regolarizzare il
mio respiro.
Rispose dopo tre squilli.
“Pronto?”
“Conosci una
certa Jessica Stanley?”, sputai fuori come prima cosa.
“Ciao,
Bella. Sto molto bene, grazie per la spontaneità con cui
l’hai chiesto”, rispose ghignando.
Alzai gli occhi al cielo.
“Ciao, Edward”
Ridacchiò,
divertito.
“Vedo
che ti sei ricordata dell’educazione, per una buona volta”,
mi sfotté ancora.
Sbuffai. “Dai,
Edward, mi puoi rispondere, gentilmente?”
“Jessica
Stanley hai detto?”
“Sì,
proprio lei”
“Occhi
e capelli castani, bel fisico e carnagione olivastra?”,
domandò nuovamente, come a farmi il terzo grado.
“Esattamente”,
sperai di non doverlo ripetere più allora.
“Allora
sì”, s’interruppe. “Perché?”
“Perché
non mi ha mai rivolto la parola in vita sua e oggi se
n’è spuntata con un invito alla sua esclusiva
festa di Halloween.”, spiegai acida.
Non sembrò
parecchio sorpreso o stupito, probabilmente perché lui non
aveva mai visto come si comportavano solitamente con me. “Oh,
se vuoi saperlo ci sarò anch’io. E anche mia
sorella”
Sbuffai. Come se ci fosse
da domandarselo.
“E sei a
conoscenza, caro il mio fighetto, del fatto che Jessica sta con
Mike?”, continuai con quel tono sarcastico.
“Davvero?!
Quanti nuovi sviluppi mi sono perso?”, la seconda
domanda la borbottò quasi tra sé.
“Non saprei
… ma penso che Mike abbia detto a Jessica che noi
due ci conosciamo e che sia questo il solo motivo per cui sono stata
invitata”, spiegai.
“Può
darsi: sono molto popolare anche nella tua scuola!”,
esclamò vantandosi.
“Ma che
modestia, Peter … sembra che tanti dei tuoi amici
frequentino il mio stesso istituto, in effetti …”,
la buttai lì, mirando a qualcosa di ben più
preciso che aveva preso immediatamente la precedenza rispetto alla
festa di Halloween.
“Sì,
in effetti è vero. Mike, Jessica e … altri”,
assentì, confuso dalla mia affermazione di prima.
“Tra 'altri'
c’è anche la tua Tanya …? Mi
è sembrato di vedere una ragazza che le somigliasse oggi a
mensa …”, farfugliai, vergognandomi come una ladra.
“Tanya?
No, no. Tanya va nella mia scuola. Quella che devi aver visto
è sua cugina Irina.”
“Oh.”
Sospirai sonoramente, da
una parte felice del fatto che il nemico non frequentasse la mia scuola
e dall’altra preoccupata della sua presenza decisamente
troppo vicina a Edward.
Preoccupata?
Il
nemico?
Mi stupii io stessa dei
miei pensieri mentre scuotevo leggermente la testa, come a liberarmene.
“Sono molto
… carine, ecco”, mormorai, percependo
perfettamente l’eufemismo.
Dall’altra
parte, però, udii soltanto un silenzio ricco di fruscii.
“Edward?”
Nessuna risposta.
“Edward, ci sei
ancora?!”
“Scusa,
Bella … stavo controllando mia zia.”
Quella risposta mi
spiazzò. “Controllavi tua zia?!”, chiesi
profondamente scettica.
In quegli ultimi giorni,
oltre ad approfondire la mia amicizia con Edward, avevo avuto
l’opportunità di conoscere la sua prozia,
l’inimitabile signora Carmen.
Era una donna allegra,
solare, lamentosa e permalosa quando la gamba ingessata le faceva
più male del solito, allergica agli ospedali proprio come me
e suo nipote; il suo adorato nipote.
Eh sì, nutriva
un affetto incredibile nei confronti di Edward e, ogni volta che lui la
lasciava anche solo per andare in bagno, una maschera di tristezza
sostituiva quell’espressione solare e calda che solitamente
la caratterizzava.
“Sì,
davvero!”, esclamò con vigore Edward.
“È da qualche giorno che è
strana, te l’ho detto!”
“Le fa male la
gamba?”
“No, la
gamba non c’entra nulla. Però ha dei comportamenti
strani”, disse evasivo.
“Di che
tipo?”
“Guarda
il vuoto sorridendo come un ebete, canticchia mentre facciamo il solito
giretto per il corridoio, quando le parlo non mi ascolta …
sembra in trance!”
“Hai provato a
parlarne con i medici? Magari è grave”
“No,
non ne ho parlato con nessuno … però quelli che
ha mi sembrano tutti sintomi dell’Alzheimer”
“Edward!”,
lo rimproverai, non riuscendo a trattenere una risata. “Sei
crudele!”
“Crudele
un corno!”, rise anche lui. “I
segnali ci sono tutti, te l’ho detto”,
s’interruppe un attimo. “Ecco, ad esempio,
fino ad un secondo fa fissava il vuoto, ed ora che è appena
passato un gruppetto di anziani malconci come lei, ha addirittura gli
occhi che luccicano!”, disse concitato.
“Mah
… chiederò ai miei, ok?”
“Va
bene. Adesso però ti devo lasciare. Sembra possa svenire da
un momento all’altro”
“Trattala bene,
Edward, e non parlare
dell’Alzheimer!”
“Contaci!”,
ghignò. “Ci vediamo, Bella. Quando
riesci, passa all’ospedale, ok?”
Mi ritrovai a sorridere a
quella sua affermazione. “Certo. Un bacio”, dissi
senza pensarci.
Oddio.
Avevo detto … un
bacio?!
“Un
bacio anche a te”, mormorò prima di
chiudere la conversazione.
Rimasi a fissare il
cellulare per qualche minuto, in testa soltanto il suono melodioso
della voce di Edward e il ricordo del suo sorriso.
Quando mi ridestai, scesi
le scale lenta, raggiungendo mia madre che stava mettendo i panni
sporchi nella lavatrice.
“Mamma, posso
chiederti una cosa?”, chiesi entrando nel bagno e chiudendo
la porta dietro di me.
“Certo,
tesoro”, rispose, ancora concentrata nella sua mansione.
“La prozia di
Edward, la signora Carmen, si comporta in modo strano da qualche
giorno.”
“Mmm?”
“Guarda il vuoto
sorridendo, canticchia, entra in una specie di trance
…”
“Davvero?”,
domandò, sollevando la testa e fissandomi con quei suoi
occhi grandi e blu, da bambina.
“Sì,
Edward dice così. Ed è un po’
preoccupato … secondo te di che cosa si tratta?”
La vidi sorridere,
consapevole di qualcosa che io ignoravo completamente.
“Penso di aver
capito …”
“E anche
io!”, proruppe Charlie, spalancando la porta del bagno ed
entrando.
“Questo bagno
sta diventando decisamente affollato”, dissi acida.
“Scusa, Bells.
Non ho potuto fare a meno di ascoltarvi”, si
giustificò lui, prima di affiancarmi e di circondarmi le
spalle con un braccio.
Dato che nessuno si
decideva a parlare, lo feci io, un po’ spazientita.
“Allora?”
“Be’
… direi che la signora Carmen soffre della tua stessa
malattia”, rispose papà.
Strabuzzai gli occhi.
“Oh santo cielo! Ha il cancro?!?!”
Renée e Charlie
risero insieme, lanciandosi un’occhiata. “No,
tesoro. La signora Carmen ha le tue stesse reazioni di quando tu torni
da una giornata trascorsa con Edward, oppure quando ti vediamo
chiacchierare con lui … è semplicemente
innamorata”, spiegò dolcemente Renée.
Eh?
Era questa l’unica parola che rimbombava nella mia testa.
Sbattei le palpebre, certa
di aver capito male.
Era davvero
così come dicevano loro? Avevo impiegato così
poco per abbattere tutte quelle difese create in diciassette anni di
vita, per demolire la grande muraglia che mi separava del resto del
mondo? Avevo davvero impiegato così poco tempo per
… innamorarmi di Edward?
Buongiorno a tutti!!!!!! Buon
2011!!!!!!!!!! ^^
Ecco di nuovo la cretina
che il primo dell'anno, al posto di festeggiare, mangiare e giocare a
carte, si mette a scrivere capitoli.
Che ci volete fare,
quando l'ispirazione arriva non bisogna far altro che accoglierla!
Ok, dopo questi auguri,
passiamo al capitolo. Penso che 'Domande' sia il titolo più
appropriato, dato che Bella non fa altro che porsele.
Prima il perché dell'invito di Jessica, poi per Tanya e,
infine, sul suo essere innamorata di Edward.
Ecco... su questo ultimo punto avrei delle cose da dire.
Bella non è sicura di essere innamorata di Edward. I suoi
genitori lo dicono, e va bene, ma anche a loro è chiaro che
a Bella PIACE Edward. Starà poi a lei capire se ne
è innamorata o meno.
La signora Carmen è un personaggio che ci tenevo ad
inserire. E' molto diversa dalla signora Claire di Missione d'Amore e
aiuterà Bella a capire i suoi sentimenti per Edward, proprio
come la ragazza la aiuterà a capire i suoi sentimenti per un
signore - vedovo come lei - molto bello che gironzola nell'ospedale da
un po'. Eh, si sa, il fascino del capello brizzolato... XD
Passando al capitolo scorso, vi voglio ringraziare INFINITAMENTE per le
ben 11 RECENSIONI!!!!!!!!!!!! *.*
Possono sembrare poche, in effetti, ma da quando scrivo non ne ho mai
ricevute così tante per un capitolo solo (se non in una OS)
perciò immaginate quanto mi abbia fatto piacere!
Ringrazio inoltre le 41 che preferiscono, le 16 che ricordano e le 94
che seguono!!!!! AmoVI!!!!!!! *.*
Grazie davvero per tutto! Mi auguro stiate trascorrendo delle buone
feste insieme ai vostri cari!
Tanti bacioni!
Ele
P.S. Ricordo a tutti quelli che volessero leggere, la mia OS natalizia
su Edward e Bella, un piccolo ringraziamento per tutte voi che mi
seguite ^^
La potete trovare QUI
Ancora baci!
|
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Capitolo 11 *** Sorriso ***
11
Your Guardian Angel
*° Capitolo Dieci:
Sorriso °*
POV
EDWARD
“Edward,
Edward, sei proprio una femminuccia”, canticchiò
Alice, nel tentativo di
distrarmi.
“Oh
sì,
proprio una femminuccia. Guarda caso, ti sto battendo,
sorella!”, esclamai
sferrando l’ennesimo colpo.
Una
battaglia a suon di movimenti di telecomando, ecco cos’erano
le partite di
tennis con la Wii, anche se noi della famiglia Cullen le consideravamo
più
sacre di qualsiasi altra cosa, la vittoria fondamentale neanche
stessimo
combattendo una guerra mondiale.
“Seee,
come no. Preparati, perché sto per iniziare a giocare
seriamente”
“Tu?”,
chiesi scettico non riuscendo a trattenere un ghigno e
un’occhiata verso di lei.
“Da quando tu giochi
seriamente?”
Non mi
potevo mai concedere un momento di distrazione con Alice, lo sapevo e
continuavo a ripetermelo, ma non per questo riuscivo a rimanere sempre
concentrato.
La
schiacciata che fece, infatti, fu potente e veloce, sferrata proprio
nell’istante
esatto in cui mi ero voltato.
“Sì!
Te
l’avevo detto, Edward, che non mi sarei lasciata
battere.”, trillò allegra e
soddisfatta.
Grugnii,
spostando lo sguardo verso le mie mani. “Cazzo di
telecomando”, dissi
all’oggetto bianco, giusto per prendermela con qualcuno
– o meglio, qualcosa.
“Edward.”,
mi richiamò mia madre con voce severa, tipica di quando mi
beccava a dir
parolacce. E dire che si trovava a ben due stanze di distanza con, per
di più,
la porta chiusa.
Io e i
miei fratelli non eravamo mai riusciti a capire come facesse ad alzare
sempre
le antennine quando si trattava di
parolacce o banali volgarità, finendo per coglierci sempre
in fallo.
“Scusa,
mamma!”, urlai in risposta, ottenendo il solito sorrisetto
divertito da parte
di Alice.
Stavamo
per riprendere con la partita quando una voce pacata e tranquilla ci
interruppe.
“Signorina
Alice, signor Edward, volevo informarvi che la cena è
pronta”, Siobhan, la
nostra governante, era una donna di origini egiziane educatissima e
compita:
non aveva mai sbagliato una sola mansione da quando era stata assunta
nella
nostra casa, due anni prima.
Certo,
avevo messo un po’ di tempo per convincerla che non doveva
chiamarmi ‘signorino
Edward’. Mi sapeva tanto di Colin, il cuginetto viziato di
Mary Lennox,
personaggio de ‘Il Giardino Segreto’ che avevo
sempre detestato con tutto me
stesso.
Effettivamente
non ero riuscito a convincerla del fatto che poteva permettersi l’enorme libertà di
chiamarmi
semplicemente col mio nome di battesimo, ma ‘Signor
Edward’ mi sembrava
decisamente meglio.
“Mi sa
che ci tocca, Alice …”, mormorai sarcastico,
sapendo che in questo modo avremmo
dovuto lasciar perdere la partita di tennis e, di conseguenza, la sua
vittoria.
Lei
strinse gli occhi, indispettita. “Ti è andata
bene.”
Continuammo
a battibeccare anche in bagno, mentre ci lavavamo le mani e ci
schizzavamo come
quando eravamo piccoli, senza alcun pensiero. Ad un certo punto,
però, sentimmo
il tipico rumore metallico della serratura e il conseguente arrivo di
nostro
padre.
“Giusto
in tempo per la cena, papà. Come fai ad avere sempre questa
precisione?”,
scherzai facendo capolino dal corridoio, proprio mentre Carlisle
consegnava
accuratamente il suo giaccone leggero a Siobhan.
“Edward,
figliolo!”, mi salutò felice, con quegli occhi
azzurri sempre sereni,
nonostante la stanchezza di una tipica giornata di lavoro.
“Ciao,
papà”, gli diedi una pacca sulla spalla,
rispondendo al saluto mentre ci
incamminavamo verso la cucina, desiderosi di gustare le pietanze di
Siobhan.
Incredibile
come il silenzio, non appena assaggiammo il primo boccone, aleggiasse
tranquillo nella stanza ampia, riempito soltanto dal rumore delle
posate, dei
bicchieri di vetro e delle nostre mandibole.
La
cucina italiana era quella che la nostra governante preferiva in
assoluto – e
anche io, ad essere sinceri – e in cui ci si cimentava
più frequentemente.
Quella
sera aveva preparato un altro di quei deliziosi manicaretti: le lasagne
al
sugo.
“Come
è
andata la giornata, caro?”, chiese Esme con un sorriso tenero
in volto,
interrompendo momentaneamente l’assalto al piatto ancora
fumante.
“Molto
bene, nonostante sia stata impegnativa. Ho avuto a che fare con due
gravi interventi
in mattinata! Ah, Edward, ti ho visto questo pomeriggio
…”, esclamò richiamando
la mia attenzione. “… in compagnia di una
ragazza”, concluse senza riuscire a
trattenere un sorrisetto.
Mi
ritrovai improvvisamente con tutti gli occhi della famiglia addosso,
quelli
caldi e comprensivi di Siobhan compresi, come ogni qualsiasi altra
volta si
parlasse di ragazze per me o di ragazzi per Alice.
La
ragazza in questione, senza ombra di dubbio, era Bella,
l’unica con cui avevo
passato quasi tutta la giornata.
Ci
eravamo divertiti molto, quel giorno, nel cercare informazioni
sull’innamorato
di zia Carmen, tale Eleazar.
“Edward!
Non pensavo che portassi le tue conquiste anche in
ospedale!”, commentò Alice
con una risatina, ricominciando a mangiare immediatamente per non
beccarsi una
delle mie occhiate assassine.
“Ero
con
Bella”, risposi piccato e con una punta di orgoglio.
“Chi
è
Bella?”, ecco che i miei partivano con
l’interrogatorio.
“E’
una
ragazza molto carina, non c’è da
preoccuparsi”, si affrettò a tranquillizzarli
mia sorella mentre io aprivo la bocca, in procinto di rispondere.
“Frequenta
la tua scuola?”
“No, va
in quella di Mike, Jessica, Victoria e Irina. Te li ricordi?”
“Oh,
certo!
E Mike! Ancora ricordo quando giocavate sempre insieme
all’asilo! Eravate
inseparabili, davvero due splendidi angioletti!”,
esclamò Esme, gli occhi resi
improvvisamente lucidi dall’ondata di nostalgia.
“Adesso
è un po’ cambiato”, mormorai con
ovvietà.
“Be’,
sarebbe stato strano se non l’avesse fatto. Sei cambiato
anche tu, però,
Edward. Ogni sabato sera in discoteca … tante ragazze
intorno … come questa
Bella, no?”, domandò sollevando un sopracciglio,
facendomi capire che era
proprio lì che voleva arrivare.
“No,
no,
no, no!”, risposi con enfasi e velocità.
“Siamo
solo … amici”, mentre queste parole uscivano dalla
mia bocca, però, non facevo
altro che rifletterci, pensare a come questa definizione poteva essere
esatta.
Prima di
conoscere Bella, utilizzavo la parola amica per definire una ragazza
con cui
avessi parlato anche soltanto cinque minuti del tempo meteorologico.
Era per
questo che non avevo esitato un attimo a chiamarla così il
giorno che mi aveva
presentato a sua madre o il motivo per cui facevo fatica a ricordarmi
di tutti
i miei amici: sbagliavo a considerarli tali.
Solo
grazie a Bella ai nostri discorsi paurosamente filosofici, avevo
compreso che
amico era una definizione importante, da non usare a caso e per
chiunque.
Ma ora
che definizione stavo fornendo ai miei genitori, parlando di Bella? Di
quegli
amici che non dovevano essere considerati tali oppure di una persona in
cui
avevo imparato a riporre la mia fiducia?
Mi
tornò
alla mente, come un flashback, il nostro pomeriggio, proprio nel
momento in cui,
mentre inseguivamo con finta indifferenza il nonnetto
olivastro, i lacci della sua scarpa le avevano intralciato
il percorso e, scusandosi, si era dovuta abbassare per annodarli.
Un gesto
normalissimo, privo di qualsiasi malizia o doppio senso … e
allora perché i
miei occhi si erano attaccati senza alcun pudore al suo fondoschiena?
Effettivamente,
altre volte era capitato che certe ragazze si chinassero soltanto per
mostrare
le proprie forme ai miei occhi e mettersi in mostra, ma Bella
… nei suoi
movimenti c’era sempre una così grande innocenza
che non potevo assolutamente
permettermi di pensare che avesse un secondo fine.
Era una
ragazza molto carina, nonostante si rifiutasse anche solo di pensarlo,
e, in
quanto a tale, i miei occhi, da quando l’avevo vista per la
prima volta, non
avevano potuto fare a meno di seguire le curve armoniose del suo corpo,
appena
pronunciate e nascoste dagli abiti pesanti e semplici.
Quando
si era rialzata, mi aveva sorriso non solo attraverso la piega delle
labbra, ma
anche con gli occhi, caldi e profondi nel loro colore simile a quello
del
cioccolato.
Una
miscela bollente di Nutella fusa in cui sempre più spesso
desideravo annegare.
Che
sfaccettatura della parola amica avrei dovuto intendere, a quel punto?
Dovevo
incominciare a riflettere a lei come una delle mie potenziali conquiste?
Quando
avevo pensato a lei in questi termini, il giorno dopo il nostro
incontro giusto
perché non avevo nulla di meglio da fare, mi ero quasi messo
a ridere.
Bella
era … totalmente opposta a tutte quelle che erano e
rimanevano le mie ragazze,
ex ed attuali. Loro avevano una vita sociale decisamente più
attiva, avrebbero
voluto diventare modelle, non avevano pensieri seri e morali. O, se li
avevano,
non ne parlavano affatto. Erano diverse.
Anzi,
Bella era diversa.
Eccolo,
avevo improvvisamente trovato l’aggettivo più
adatto a lei.
Era
differente da tutte le compagnie a cui ero abituato, faceva sorgere
quella
parte di me che non credevo nemmeno di possedere, una sfaccettatura
comprensiva
e sensibile, capace di ascoltare gli altri.
In un
primo momento avevo preso l’amicizia con Bella un
po’ come una sfida con me
stesso e la mia apparente bellezza, nonostante adesso me ne vergogni.
Vederla
così agguerrita, seria e testarda era ciò che mi
aveva spronato a provarci, a
far sì che a poco a poco si sciogliesse, diventasse come
creta nelle mie mani,
disposta a fare qualsiasi cosa sotto mia richiesta.
Si
trattava di una sfida che comprendeva come risultato finale il
conquistarla,
fare in modo che stravedesse per me, così come ogni altra
ragazza – eccetto mia
sorella, è chiaro.
Non so
dire come, con il passare del tempo, questo scopo sia cambiato. Non so
davvero
come fare, come capacitarmi del fatto che adesso la mia
priorità non è solo
quella di vederla sorridere una volta ogni tanto, ma che
quell’adorabile
smorfia, quella testimonianza della sua felicità, rimanga
sul suo volto tutto
il giorno, ogni giorno.
POV
BELLA
“Zia,
è
inutile che continui a far finta di nulla. Sappiamo tutto.”
Edward
le si muoveva leggiadro intorno, sempre con quella sua aria scanzonata
a senza
pensieri. Da Peter Pan, l’avevo mentalmente definita.
Trattenni
una risata per il tono solenne che aveva usato, limitandomi a rimanere
seduta
sulla barella di Carmen, proprio vicino a lei.
Edward
mi aveva spronato ad approfittare dell’assenza della donna
che condivideva la
stanzetta con sua zia per poterle parlare.
Il
giorno prima c’eravamo dati parecchio da fare per riuscire a
capire chi fosse
l’uomo a cui erano rivolti costantemente i suoi pensieri dato
che era spesso e
palesemente assente con la testa e … forse anche con il
cuore.
“Edward,
perché continui a dire queste cose? Non
c’è assolutamente nulla che dobbiate
sapere!”, rispose stizzita lei, arrossendo ed abbassando lo
sguardo sul suo
grembo.
“Non
sono sempre stato il tuo preferito? Non ti ho sempre detto quali
ragazze mi
piacevano?”, continuò imperterrito con sguardo
tenero.
“Sì,
sì.
E’ vero. Ma questo cosa c’entra?”
“Vede,
Carmen,”, m’intromisi, “abbiamo capito
qual è il motivo dei suoi sbalzi d’umore
e del suo essere perennemente in un altro mondo”
“Ah
…
sì?”, gracchiò stringendo la presa sui
braccioli della sedia rotelle.
“Eh,
già. Sa com’è, anche suo nipote
è dotato di intuito femminile …”
“Ehi!
Non è vero!”, si lamentò dandomi una
gomitata mentre Carmen ridacchiava.
“E
sappiamo anche chi è la
causa”,
continuai piegando la testa di lato.
La sua
risata si interruppe di botto mentre gli occhi si strabuzzavano.
“L’avete
pedinato?!”
“No,
assolutamente!”, esclamai nel momento esatto in cui Edward
rispondeva ‘Sì’ con
molta nonchalance.
La
carnagione dorata del viso della donna si tinse immediatamente di rosso
mentre
tentava di capacitarsi della cosa. “Lui … io non
so nemmeno se sia sposato o …”
“E’
vedovo, zia, proprio come te. Ormai da tanti anni”, la
interruppe gentilmente
il ragazzo.
Carmen
sbatté le ciglia, frastornata. “Eleazar
è vedovo?”, mormorò quasi tra
sé e sé.
“Vedi
che è Eleazar? Non poteva certo essere il broccolo che si
porta sempre
dietro!”, mi disse concitato Edward, desideroso di far
emergere la sua ragione,
per una volta che la possedeva.
“Guarda
che nemmeno Alistair è così male!”,
ribattei.
Il
giorno precedente avevamo avuto dei seri problemi
nell’individuare chi fosse
l’uomo per cui Carmen si era presa una cotta. Avevamo notato
subito che il suo
sguardo, non appena passavamo per il corridoio, si fiondava verso una
coppia di
uomini dalla pelle olivastra, i due fratelli Eleazar e Alistair.
Il primo
aveva un fascino indiscutibile grazie a quegli occhi neri, i capelli
brizzolati,
la carnagione e quell’aria da misterioso principe del
deserto. Si trovava
all’ospedale per seri problemi di cuore. Il secondo invece,
molto simile al
fratello per tratti somatici, non aveva nello sguardo quella calma
tipica degli
orientali, al contrario, era molto agitato e nervoso, spesso colto da
tic alla
testa e alle mani.
“Dovreste
provare a parlargli”, la incitai con un sorriso.
Carmen
era una donna molto bella ed elegante, nonostante le sue continue
lamentele
sulla salute e la situazione della sua gamba e non avrebbe avuto nulla
da
perdere se avesse scambiato qualche parola con l’affascinante
egiziano.
“No,
non
posso.”, rispose rassegnata, sul volto un’ombra di
tristezza infinita. “Suo
fratello gli sta sempre alle costole e la mia gamba … no,
non posso. Non sarei
mai degna di lui”
Nonostante
la situazione non fosse certo allegra, mi ritrovai a sorridere,
riflettendo su
come ogni persona, giovane o no, avesse sempre dentro di sé
una parte
adolescente, difficile, permalosa, pessimistica.
L’avevo
imparato da tantissimo tempo, ormai, dato che proprio mia madre ne era
la
prova. Renée era un po’ differente dalla maggior
parte degli adulti: non
tentava nemmeno di nascondere questa parte da teenager,
anzi, la teneva a pari livello di quella matura e
risoluta che, anche se spesso, scherzando, dicevo non esistesse, faceva
comunque parte di lei.
“Scusatemi,
adesso vorrei restare un po’ da sola”,
mormorò con gli occhi bassi, muovendo
freneticamente le mani sudate sulle ruote della sedia a rotelle e
allontanandosi da noi.
La porta
della stanzetta che le era stata assegnata era socchiusa,
perciò le bastò una
lieve spinta per aprirla e avviarsi nel corridoio, sempre costretta su
quella particolare
seggiola.
Edward
sospirò, afflitto, sedendosi accanto a me sulla barella.
“E
adesso cosa facciamo?”, chiese sconsolato.
“Edward,
se un tuo amico non avesse il coraggio per chiedere di uscire alla
ragazza che
gli piace cosa faresti?”
“Be’,
prima di tutto mi accerterei dell’identità della
ragazza. Sia mai che un mio
amico si interessi ad una che mi piace.”, rispose schioccando
la lingua e
ritrovando l’ironia di sempre, dopo un attimo di
perplessità.
“Dopo
questo tuo accertamento?”, continuai alzando gli occhi al
cielo.
“Proverei
ad aiutarlo, in qualche modo.”
“Vedi
che non sei così deficiente, in fondo?”, chiesi
ridacchiando e alzandomi in
piedi.
“Bella,
non c’è che dire, i tuoi costanti complimenti mi
lusingano”, esclamò
sarcastico.
“Dobbiamo
aiutare tua zia a superare questa crisi del ‘non sono degna
di lui’ e … sì,
prendere in mano la situazione”
“Hai in
mente qualcosa, vero?”, domandò retorico,
inarcando un sopracciglio e
sorridendo sghembo.
Annuii
solenne, imitando la sua espressione di poco prima. “Forse
per la prima volta”.
Pronunciando
queste parole, mi resi conto che erano vere, che non mi ero mai
impegnata in
nulla, che non avevo mai progettato
nulla.
Ma, come
si dice, c’è sempre una prima volta.
* * * *
* *
Il vento
tra i capelli, le luci calde e tenui della sera, il rombo della moto
…
Erano
queste le uniche cose a cui pensavo, le uniche cose che mi circondavano
in quel
momento.
E mi
chiedevo perché.
Perché
in quel momento, con le braccia attorno alla vita di Edward, sulla sua
Ducati,
i miei unici pensieri fossero cose normali, felici, serene. Mi
domandavo come
mai le ansie per la mia solitudine, la mia malattia, la mia estrema
voglia di
morire fossero lontane.
Eppure
la sentivo l’aria fresca tra i capelli, quei capelli che in
ogni istante mi
ricordavano stessero cadendo a ciocche, sempre di più,
sempre più spesso. Li
ritrovavo la mattina appena sveglia, sparpagliati sul cuscino su cui
avevo
appena dormito oppure sul pavimento della mia camera, del bagno,
ammucchiati in
angoli.
Perché in
questo momento è tutto
così semplice?
Perché
pensare a come risolvere il piccolo problema amoroso della signora
Carmen
riusciva ad alleviare questi tormenti, a farmi dimenticare?
Non li
consideravo illusioni come quei libri che leggevo, però.
Edward era reale,
infatti, non era frutto della mia fantasia, era una persona in carne ed
ossa
che si era intestardito con me, per qualche motivo. Ma non sapeva della
leucemia.
A volte
pensavo a come sarebbe stato se glielo avessi detto così,
subito, senza
pensarci. “Sono qui all’ospedale perché
ho il cancro, qualche problema?”
Probabilmente
si sarebbe allontanato, si sarebbe scusato per aver fatto troppe
domande e non
gli avrei più rivolto la parola. Oppure, se nonostante
questo avrebbe tentato
di approfondire la conoscenza, ero sicura che avrebbe assunto un
atteggiamento
di compassione, pena, lo stesso che a volte leggevo negli occhi di mia
madre, o
di Phil, o di papà.
Può una
malattia cambiare tutto?
Senza
che riuscissi a trattenermi, qualche lacrima sgorgò dagli
angoli degli occhi,
andando a inumidirli.
Edward
dovette accorgersene, spiandomi dallo specchietto retrovisore,
perché la sua
mano abbandonò il manubrio ed andò a sfiorare
gentilmente le mie, ancorate ai
suoi fianchi senza stringere troppo.
Com’era
facile per lui.
Nonostante
fosse un ragazzo, spesso vedevo in lui un bimbo insicuro, ignaro delle
sofferenze della vita, della delusione. Ed
è giusto così, mi dicevo, dovrebbe
essere così. Che non fosse a conoscenza del
dolore, ma di quelle piccole
cose – il Luna Park, il giro in centro, Peter Pan, la
scrittura di un libro, un
sorriso stampato sempre in volto, battutine e risate allegre
– che, secondo
lui, rendevano la vita degna di quel nome, degna di essere vissuta.
E a
volte mi sorprendevo ascoltando queste sue idee di speranza, ricordando
che
aveva la mia stessa età e non tante differenze rispetto a me
se non degli amici
su cui contare e la salute, elementi che mai avevo considerato
così tanto come
allora.
Forse,
quando già dall’asilo me ne stavo per i fatti
miei, lontano dalle bambine e
dalle loro barbie troppo costose, avevo preteso troppo dalla vita. Un
principe
azzurro pronto ad arrivare ad ogni schiocco di dita, tanti amici che
non mi
giudicassero né rimproverassero, dei genitori che andavano
d’amore e d’accordo,
un universo il cui centro ero io.
E allora come mai in
quel momento
ero felice?
Strofinai
la guancia umida contro la spalla di Edward, ascoltando il suo respiro
calmo e
sorridendo, ricordando che era proprio una sua frase la risposta alla
mia
domanda.
Non
c’è bisogno di ricchezza e
popolarità per essere felici, basta avere dei punti fermi,
delle piccole gioie
anche di un solo momento. A quel punto non avrai bisogno di sogni
irrealizzabili: sarai contento così come sei, con un
sorriso.
*Spunta
da un angolino con un sorrisino angelico e l'aureola sulla testa*
Perdono!!!
Chiedo umilimento perdono per il ritardo!
Durante le vacanze ho avuto un bruttissimo periodo e anche se sono
stata a casa in questi ultimi tre giorni e avrei potuto scrivere, non
ci sono riuscita per colpa della febbre >.<
Il capitolo sarebbe dovuto durare di più, ma se avessi
aggiunto anche l'ultima parte sarebbe risultato estremamente lungo
perciò l'ho concluso con le riflessioni di Bella.
Penso di aver scritto un capitoletto abbastanza ricco di informazioni
non solo dalla parte della nostra eroina ma anche da quella del nostro
mito (permettetemi di chiamarlo così! XD) mettendo in luce i
suoi pensieri su Bella, la sua condizione economica e familiare ... a
proposito di quest'ultima: vi sembra manchi qualcuno nel quadretto
familiare dei Cullen? Un qualcuno che non è nemmeno mai
stato nominato?
Vi lascio alle vostre riflessioni ù.ù
Il giorno precedente a quello descritto, Edward e Bella hanno fatto un
giretto all'ospedale per scoprire qualcosa su questo Eleazar e
origliando qualche conversazione hanno saputo i motivi per cui
è lì all'ospedale e chi è quella
piovra che gli sta sempre accanto (XD). Di conseguenza hanno voluto far
aprire la zietta e far sì che confidasse loro la sua cotta
per il principe del deserto. Come dico io, il fascino del capello
brizzolato colpisce ancora ... XD
Le risposte alle recensioni arriveranno piano piano, sperando che la
febbre mi lasci un po' di tregua!
Recensite, per favore!!!!!
Ringrazio
immensamente tutte quante, per
ogni
bella parola ed ogni sorriso che mi regalate.
Vi voglio bene!
Bacioni,
Ele
:***
|
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Capitolo 12 *** Speciale ***
Your
Guardian Angel
*° Capitolo
Undici: Speciale °*
POV
BELLA
“Perciò
dovremmo organizzar loro un appuntamento?”,
domandò Edward giocherellando con
il tappo blu della biro, rigirandoselo in mano e mordicchiandone la
punta di
tanto in tanto.
“Sì. E
vedi di non ingoiare quel coso!”, esclamai seccata,
rubandoglielo di mano con
un movimento repentino.
“Come
siamo gelose …”, mormorò con tono di
scerno.
“Dovresti
solo ringraziarmi. A momenti l’avresti mandato giù
sul serio e poi all’ospedale
ci saresti finito tu, come
paziente,
altro che quella povera donna di tua zia! ”, ribattei mentre,
aprendo uno
sportello, cercavo un foglio pulito su cui scrivere.
“Sei
fatalista”, affermò solenne, afflosciandosi sulla
sedia spaiata della cucina.
“Realista,
vorrai dire”, lo corressi con indifferenza.
“No, no.
Fatalista, cara Bella. Oltre che
scontrosa, permalosa e cocciuta, ovvio”, confermò
con un sorrisino angelico.
“Mi
sento lusingata dai tuoi elogi, davvero. Anzi, mi stupisco che non ci
sia
qualcosa di peggio”
“Be’, su
questo non ti devi preoccupare. Di difetti ne hai a non finire, e non
te li
dico solo per non offenderti. Però … una delle
cose su cui proprio non posso
attaccarti è la prevedibilità”
Aggrottai
le sopracciglia, tornando a sedermi accanto a lui con il foglio bianco.
“Come
mai?”
“Per
questa storia dell’appuntamento fatto da noi. Io non ci sarei
mai arrivato, in
effetti. Devi avere tante amiche per riuscire ad organizzare piani
così ben
congeniati. Un giorno me le devi presentare”,
spiegò con un sorriso, appoggiando il mento sul
palmo della mano aperta,
sostenendosi col gomito al tavolo.
Bastarono
le sue poche parole perché mi irrigidissi.
“Edward,
veramente io …”
“Non
sono molti?”, m’interruppe prima che potessi dire
altro, “Non importa
assolutamente. Sai quel che si dice, pochi ma buoni?”,
ammiccò con un occhiolino
divertito.
Il suo
sorriso solitamente riusciva a contagiare anche il mio, come un
riflesso
involontario ad ogni volta che lo guardavo.
Quella
volta, però, non fu così. L’istinto fu
battuto dalla ragione.
“Non
intendevo questo. Stavo dicendo che non ne ho”, mormorai con
gli occhi bassi,
senza aspettarmi una particolare reazione.
Fosse
stato uno come Mike Newton, avrei saputo con certezza che con
quell’affermazione l’inferno per me era appena
iniziato, ma trattandosi di
Edward … avrebbe potuto pensare qualsiasi cosa, eppure
avrebbe fatto di tutto
per non farmi pesare niente, per farmi sentire sempre a mio agio, in
qualsiasi
situazione.
“Oh”,
sussurrò, la sua voce paragonabile a quella di un bimbo a
cui la madre ha
appena spiegato che Babbo Natale è semplicemente
un’invenzione dei grandi.
“Non
importa, però.”, mi affrettai a dire, conficcando
le unghie nei palmi delle
mani nascoste sotto il tavolo. “Sto bene
così.”
“Gli
amici servono”, constatò con tono piatto.
“Sì”
“E ne
avresti bisogno anche tu”, continuò.
“A volte
non si può fare tutto quello che si vuole o avere
ciò di cui si necessita”,
mormorai stupendomi della mia filosofia, di quello stile di vita con
cui avevo
imparato a convivere da tantissimo tempo.
“Ma
questo non cambia il fatto che tutti abbiamo bisogno di persone che ci
sostengano e ci facciano stare bene”
“Mi
basta la mia famiglia”, farfugliai, omettendo due paroline
che mi avrebbero
sicuramente messa in sua situazione imbarazzante: e
tu.
Nei
libri che avevo letto, la protagonista femminile non si sarebbe certo
vergognata
di far sapere una cosa del genere al ragazzo che le piaceva, avrebbe
detto ciò
che pensava e, grazie a quelle sue parole, la relazione con lui sarebbe
divenuta più intima, sino a raggiungere, entro poco tempo,
l’amore.
Nei libri
che avevo letto, il lieto fine era d’obbligo, ecco
perché, ogni volta che mi
trovavo in libreria, subito dopo aver letto la trama di un romanzo,
ciò che
facevo era andare a controllarne l’ultima pagina, in modo da
potermi assicurare
un finale alla Walt Disney.
Nei
libri che avevo letto c’era felicità,
c’era amicizia, c’era quell’amore vero
che mi aveva ammaliata sin da quando ero piccola, quando ogni giorno
organizzavo matrimoni ed anniversari per le mie Barbie, immaginando il
momento
in cui io avrei preso il loro posto.
Nei
libri che avevo letto, le vite descritte, che fossero reali o no, erano
completamente diverse dalla mia.
“Nonostante
sia stato adottato”, proruppe Edward con la voce roca,
“ho sempre avuto un buon
rapporto con la mia famiglia.”, prese un sospiro di sollievo,
senza, però,
abbandonare i miei occhi. “Non so se ricordi, ma ho un
fratello oltre ad Alice,
si chiama Emmett. Ha due anni più di noi e ha cominciato ad
avere dei problemi
con i miei genitori circa un annetto fa. Voleva essere più
indipendente,
guadagnarsi da vivere da solo senza dover per forza sottostare agli
ordini dei
miei. Ci sono state frequenti discussioni su questo, ma Esme e Carlisle
non
hanno mai voluto che lui andasse a fare qualsiasi tipo di lavoro dato
che loro
già guadagnano parecchio con il loro. Non hanno capito che
il suo desiderio non
dipendeva solo dal fatto di avere dei soldi tutti suoi. Per questo
è scappato
di casa, portando con sé quasi tutte le sue cose e
lasciandoci solo un
biglietto con scritto ‘non cercatemi’.”
Strabuzzai
gli occhi, incapace di aprir bocca, convinta che qualsiasi cosa dicessi
non
potesse essere all’altezza della situazione.
“E voi?
Non l’avete cercato?”, pigolai quando vidi che non
accennava a continuare.
“No, non
l’abbiamo cercato, però, lui qualche volta
telefona a me e ad Alice per sapere
come stiamo, se tutto va bene. I primi tempi senza di lui sono stati
difficili,
è vero, ma adesso è tutto a posto. Io ed Alice,
in compenso, abbiamo stretto un
patto per evitare che qualcosa del genere succeda anche a noi. Ognuno
di noi si
è cercato un lavoretto da fare durante la settimana per
essere un po’ più
autonomi e ricavare qualche soldo. Alice è diventata una
babysitter d’altissimo
livello”, scherzò sorridente.
Sorrisi
di rimando, incuriosita dalle informazioni che stavo ricavano
attraverso questa
conversazione. “E tu cosa fai?”
“Top
secret”, ghignò semplicemente, lasciandomi con un
palmo di naso e una curiosità
che non sarei riuscita a mettere a tacere tanto presto.
“Sei
crudele, Edward, lasciatelo dire.”
“Dai, se
questo tuo piano risulterà proficuo forse
te lo dirò” ghignò divertito, parlando
come se si trattasse di un segreto di
Stato, troppo importante per essere svelato.
“Ok …”,
borbottai svogliatamente, indispettita dal suo modo di fare.
“Allora,
per quanto riguarda il biglietto da dare a mia zia, io non posso
scriverlo”,
annunciò pizzicandosi il mento con il pollice e
l’indice.
“Perché?”,
domandai aggrottando le sopracciglia.
“Perché
conosce la mia scrittura e capirebbe che siamo stati noi”,
rispose con ovvietà.
“Perciò dovremmo usare il computer”
“No, io
non credo. Penso che la mia scrittura possa andare bene, è
maschile e orribile”
Edward
non riuscì a trattenere un sorriso.
“Davvero?”, ghignò.
Feci una
smorfia. “Stai a vedere.”
Impugnai
la penna che avevo lasciato sul tavolo e cominciai a scrivere.
“Lo sai che dalla
calligrafia di una persona si può capire come
essa sia?”, mormorò Edward fissando il mio foglio
scarabocchiato. Mi accigliai,
abbandonando la biro sul tavolo, convinta che mi stesse prendendo in
giro. “Mi
stai dicendo che faccio schifo?”.
Sorrise. “No,
affatto. Sto dicendo che tu sei diversa, sei
speciale.”
Rimasi in silenzio, fissando i
suoi occhi di quel verde così
brillante, intenso, sincero.
Fu quell’ultima
caratteristica che mi fece perdere il controllo,
mi spinse ad abbracciarlo di slancio, nascondendo il volto e le piccole
lacrime
salate sulla sua spalla, abbandonando le difese, quella sensazione di
inadeguatezza che mi aveva accompagnato in ogni istante della mia vita.
Stretta a Edward mi sentivo
così al sicuro, così protetta dal
mondo e da tutte quelle cose che mi avrebbero potuto far male
… sentire le sue
braccia restituire l’abbraccio, cingermi la schiena, fu
quanto di più appagante
avessi mai provato.
“Grazie,
Edward”, sussurrai contro il suo petto.
Non avevo mai detto a nessuno
questa parola, grazie. La
consideravo troppo intima, troppo importante da dire al
primo che passa per un motivo banale. Un po’ come quando si
chiede come stai. È
spontaneo, ovvio rispondere
che si sta bene, nascondendo il proprio reale stato d’animo.
E fu proprio in quel momento
che una strana sensazione – le
fantomatiche e famose farfalle nello stomaco? – mi fece
temere di aver osato
troppo, di essere andata troppo oltre …
Scostai il viso dalla sua
spalla e lo guardai in volto.
Stava sorridendo ad occhi
chiusi.
… O di essere
già completamente persa per Edward.
* * * * * *
Mi sentivo importante, in quel
momento.
Fondamentale per la prima
volta.
La missione dipendeva
completamente da me, dal mio essere capace
di depositare due miseri bigliettini senza farmi vedere.
Un compito degno di 007, non
c’è che dire.
Camminavo sorridente per il
corridoio del terzo piano, diretta al
reparto dove era curato Eleazar.
Girai l’angolo e, a
causa del mio minimo equilibrio, andai a
sbattere contro una persona.
Rossa in faccia ed arrabbiata
con me stessa, mi scansai
immediatamente e feci per chiedere scusa al malaugurato passante.
Le parole, però, mi
rimasero in gola quando scoprii di chi si
trattava.
“Dottor Banner
…”, mormorai deglutendo.
“Isabella”,
mi salutò lui con un sorriso, chinando leggermente il
capo verso destra. “Ti ho vista spesso in questi
giorni”
La mia pelle
s’imporporò ancor di più.
“Sì?”, gracchiai.
“Eh, già.
Ti ho visto meglio, se devo essere sincero”
Tentai di sorridere, ma
ciò che mi uscì fu soltanto una smorfia
tirata della labbra.
“In che
senso?”
“Il
figlio del dottor Cullen è un bravo ragazzo”,
disse, sorridendo mesto. "Ma
dovrebbe sapere della tua malattia"
Ci misi qualche secondo più del dovuto per rispondere a
quella constatazione,
ma, nonostante questo, non trovai nulla di appropriato da dire.
“C-come fa a dirlo?”
“Immagino che non sapendolo suo padre, non lo
saprà nemmeno lui”, spiegò, dando
prova di grande intuito.
Sospirai pesantemente, così come ogni volta che si toccava
questo tasto
nolente.
“Ho paura di dirglielo”, dissi tutto d’un
fiato, chiedendomi nel frattempo perché
stessi confidando i miei pensieri a quel dottore.
Mi sorrise, avvicinandosi e dandomi una lieve pacca sulla spalla,
gentile. “Vedrai
che capirà”, detto questo, si congedò,
lasciandomi in uno stato di trance nel
corridoio.
Una volta che mi fui ripresa dalla conversazione - appuntando
mentalmente di
pensare a quelle parole più tardi - raggiunsi di soppiatto
la stanza di
Eleazar, sicura di trovarla vuota. Io e Edward il giorno prima avevamo
pensato
parecchio a quale fosse il momento più adatto in cui
lasciare il biglietto ed
eravamo giunti alla conclusione che avremmo dovuto approfittare
dell’orario in
cui i pazienti dovevano andare a pranzare.
Di
conseguenza, depositai il bigliettino vicino alla bottiglietta
d’acqua
appoggiata sul comodino accanto alla prima barella e sperai di aver
fatto una
cosa buona.
Uscii
dall’ospedale in fretta e, una volta fuori, davanti
all’ingresso, non potei far
a meno di sorridere a quel luogo che avevo tanto odiato ma che mi aveva
permesso di conoscere la persona che adesso era più
importante di tutti:
Edward.
Presi il
cellulare dalla tasca e composi velocemente il suo numero, ansiosa di
sentire
la sua voce.
* * * * * *
POV EDWARD
Suonai due volte al
campanello, impaziente come poche volte.
“Arrivo,
arrivo!”, sentii la voce della proprietaria correre ad
aprirmi e sorrisi.
Non appena la porta si
aprì, mi intrufolai dentro l'appartamento, prendendo
la ragazza tra le braccia e baciandola con ardore.
Era decisamente troppo tempo
che non facevo quel genere di
attività fisica.
“Oh, Edward
…”, ansimò lei, staccandosi dalle mie
labbra per poter
riprendere a respirare. “Mi sei mancato”
“Anche
tu”, sussurrai mettendola a tacere con un bacio e
accarezzandole i capelli biondi.
“Dai, vieni in
camera mia”, propose, divertita e maliziosa.
Acconsentii di buon grado e,
con lei tra le braccia, percorsi le
scale sino a raggiungere la sua stanza.
C’è da
dire che la sua casa la conoscevo molto bene, in
particolare il bel lettino in cui la proprietaria riposava
…
“Mmm …
Tanya …”
“Ancora non capisco
dove sei stato per tutto questo tempo”,
mormorò lei con tono di rimprovero, tirando giù
la zip della felpa con un
movimento fluido.
“Sono …
un uomo impegnato”, risposi mentre le baciavo il collo.
Lei ridacchiò,
allontanandosi quel poco che bastava per chiudere
la porta con un calcio e spingermi sul letto.
“Mi piaci quando
prendi l’iniziativa”, risi aspettando che si
sistemasse su di me.
Rimase soltanto in intimo e mi
raggiunse a gattoni sul letto.
“A me piaci in ogni
caso”, sussurrò tracciando i contorni del mio
petto con le unghie lunghe e curate.
Non avevo mai capito cosa ci
trovassero le ragazze nel mettere
smalti su smalti in base al proprio abbigliamento o mettere delle
unghie finte,
tipo quelle robacce per cui mia sorella andava pazza chiamate
‘french’.
Sorrisi, riflettendo sul fatto
che Bella non aveva nulla di tutto questo,
anzi, lei le unghie preferiva mangiarle …
Scuotendo la testa e dandomi
uno schiaffo virtuale, mi distolsi da
quei pensieri, concentrandomi sul tocco di Tanya che pian piano si
faceva più
sicuro.
Le mie mani corsero alla sua
schiena liscia e pallida, con
l’intento di slacciarle il reggiseno colorato e imbottito.
Quasi tutte le ragazze con cui
ero stato avevano biancheria intima
di quel tipo, vistosa e appariscente.
Chissà se anche
Bella …
Interruppi il pensiero sul
nascere, lanciando l’indumento
dall’altra parte della stanza con impazienza.
“Oh, Ed, cazzo se mi
sei mancato …”, ripeté per l'ennesima
volta Tanya, tirando giù
pantaloni e boxer insieme.
“Anche tu
…”, risposi a mia volta, accarezzandola con
più vigore.
Gemette per il piacere che il
miotocco le stava provocando e, improvvisamente,
spalancò gli occhi eccitati.
Perché nel vederla
sollevare le palpebre mi ero aspettato di
scorgere delle iridi … marroni?
La baciai con foga, giusto per
chiudere gli occhi e impedirmi la vista, ma fu tutt'altro che una buona
idea.
La mia mente aveva prodotto
una fantasia malsana che non aveva
nulla a che vedere con la realtà.
Bella semi nuda, con il
reggiseno colorato di Tanya …
Bella con le unghie curate che
mi accarezzava …
Bella che con le sue labbra
rosse mi baciava … che con la sua
innocenza mi toccava …
Bella …
Bella …
Mi staccai dalle labbra di
Tanya con il respiro accelerato e un’erezione
non da poco.
Mi staccai dalla ragazza
bionda scuotendo la testa con enfasi.
No, non andava proprio bene.
“Cosa
c’è?”, chiese leggermente infastidita.
“Non
posso”, sussurrai quasi a me stesso, tormentato.
“Cosa significa che
non puoi?!”, strillò mettendosi in ginocchio e
avvicinandosi ogni qual volta io tentavo di allontanarla.
“Significa che non
ci possiamo più vedere, Tanya”
“Che
cosa?!”, sbottò alzandosi in piedi, senza curarsi
della sua
semi nudità. “Mi stai lasciando?!”
“Non siamo mai stati
insieme, Tanya.”, mormorai raccattando le mie
cose e rendendomi conto della veridicità delle mie stesse
parole.
“Ah
sì?!”, strillò inferocita. “E
allora vai, Edward! Tanto non ci
metterò nulla a trovare qualcuno mille volte migliore di
te!”, mi spinse fuori
dalla sua camera e chiuse la porta con un tonfo, lasciandomi libero di
andarmene.
Uscii da casa sua in silenzio,
dandomi del cretino ad ogni secondo
che passava.
Come avevo potuto pensare
quelle cose mentre ero con Tanya?
Non mi era successo mai con
nessuna, o, per lo meno, mai nei
momenti clou.
Perché di paragoni ne avevo fatti, cavolo, e anche tanti, ma
soltanto una volta a casa, da solo o in compagnia di amici con cui
parlare
delle proprie avventure sessuali.
Mi sedetti su una panchina,
passandomi la mano sul volto stanco.
Ma che cavolo mi stava
succedendo?
Era tutta colpa di Bella se
avevo lasciato Tanya? O … merito?
Tsamina mina eh eh
Waka waka eh
eh
Tsamina mina zangalewa
This time for Africa
La
suoneria del mio cellulare mi distolse dai miei pensieri, facendomi
tornare alla
realtà.
Guardai
il display del telefono, ritrovandomi a sorridere come un ebete.
“Pronto?”
“Edward,
sono Bella.”
Be', quando
si parla del diavolo …
Buooonasera,
carissime!!!!!
Lo
so, sono imperdonabile per tutto il tempo che vi faccio aspettare, ma
l'unica cosa che posso fare è implorare il vostro perdono.
Questo
è stato un capitolo difficile da scrivere, e non tanto per
l'ultima parte (su quella sorvoliamo perché mi vergogno da
morire per quello che ho scritto), ma per la prima, quella in cui era
presente un pezzetto dell'introduzione alla storia, nonché
momento bellissimo e importantissimo, secondo me. ^^
Non
stanno succedendo cose particolarmente importanti, ma siamo ad un punto
decisivo, ragazzi miei.
Ringrazio
da morire i 122 che seguono la mia storia, i 51 che la preferiscono e i
15 che la ricordano (che cifre, mamma mia!!!!! *________*)!!!
A
poco a poco risponderò alle meravigliose 11 recensioni che
avete lasciato allo scorso capitolo!!! Mi hanno fatto gongolare ogni
secondo di più *.*
Colgo
l'occasione per dedicare questo capitolo a Lua93, il mio splendore!!!
Un grazie in particolare a tutte coloro che mi hanno sostenuto in
Missione d'Amore. Grazie per il vostro sostegno e le vostre belle
parole: sono le uniche cose che mi fanno desistere dallo sprofondare
nell'amarezza che ciò che è successo ha causato.
Prossimo
capitolo ... missione Carmen - Eleazar ;)
Un
bacio grandissimo a tutte voi!!!
Recensite,
per favore!!!
Ele
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Capitolo 13 *** Adolescenza ***
Your
Guardian Angel
*° Capitolo
Dodici: Adolescenza °*
POV
BELLA
“Mamma,
io vado!”, urlai dall’ingresso con già
una mano sulla maniglia, pronta ad
uscire.
“Ehi,
ehi, ehi, signorina! Vieni un attimo qui, per favore”
Oh, oh. Ogni
volta che mia madre mi chiamava ‘signorina’ con
quel tono non era mai un buon
segno.
Decisi
di non obbiettare, e, mentre mi dirigevo verso la cucina con passo
incerto,
riflettei su cosa avessi fatto quella volta perché mi
rimproverasse.
“Sì?”,
domandai sporgendomi dalla porta aperta con una vocina angelica.
“Vieni,
Bella, è da un po’ che non parliamo, noi
due.”, propose dandomi le spalle e
continuando, invece, a lavare le stoviglie.
Deglutendo,
varcai l’entrata della cucina e mi sedetti su una delle sedie
spaiate.
“In
questi giorni sei sempre di fretta. Vai e vieni dall’ospedale
neanche fosse la
tua seconda casa …”, cominciò dopo
qualche minuto di silenzio, come se nulla
fosse.
“Mmm?”, mi
morsi il labbro inferiore.
“Eh,
già. Vorrei tanto sapere cosa fai di bello”
“Mah …
sto con Edward e la sua prozia”, buttai lì.
“Edward,
eh?”, domandò girandosi per la prima volta ed
interrompendo momentaneamente il
suo lavoro. “Quel ragazzo mi piace, se devo essere
sincera.”
Arrossii,
abbassando lo sguardo sulle mie mani. Il fatto che le piacesse
l’avevo capito
già dalla prima volta che si erano incontrati, guarda un
po’. “Anche a me …”
“Hai
buon gusto, tesoro, lasciatelo dire”, ridacchiò
prendendomi in giro.
“Ah,
ah.”, dissi acida, assottigliando lo sguardo.
“L’ho ereditato tutto da mia
madre”
“Be’,
penso proprio di sì, perché se penso ai gusti di
tuo padre … Mi ricordo quando
l’avevo conosciuto, aveva una macchina …”
“Color
cacca, lo so, me l’hai ripetuto almeno una cinquantina di
volte!”, esclamai
interrompendola.
“Ok,
visto che conosci perfettamente la storia non ci sarà
bisogno di ripetertela e,
di conseguenza, posso arrivare al punto della questione senza tanti
giri di
parole, Bella.”, disse facendosi seria e interrompendo il
getto d’acqua che
ancora sgorgava dal rubinetto del lavello.
“Dimmi”,
acconsentii cercando di non dar a vedere la mia preoccupazione.
Nonostante
avessi sempre avuto un buon rapporto con Renée, le
confidenze non erano mai
state il mio forte. Per questo per molti anni scrissi un diario
segreto,
aggiornato ogni sera prima di andare a dormire. Quando,
però, scoprii che mia
madre, puntualmente, lo andava a leggere,
quest’abitudine
si interruppe di botto e dovetti trovare un altro modo per sfogarmi.
“Ho
notato questo tuo rapporto con Edward e ne sono felice, Bella.
Però …”, si
interruppe con un sospiro, “Ho un dubbio, tesoro. Mi chiedo
se Edward sappia
della tua malattia”
Eccola.
Sentivo
che una batosta del genere sarebbe arrivata presto ed il momento di
affrontarla
era giunto.
“No”
Annuì
solennemente, senza dar a vedere alcuna emozione. “Come
sospettavo”
Inarcai
un sopracciglio. “In che senso?”
“Quando
l’ho visto all’ospedale, qualche giorno fa, mi ha
fatto una domanda su una
certa mia migliore amica che si trova lì a causa di uno
shock anafilattico.
Bella, sai, non sapevo che Sue fosse in coma!”, nella sua
affermazione sarcastica
colsi una nota di rimprovero, perciò non potei fare a meno
di chinare il capo
in una muta richiesta di scuse.
“Al
contrario”, riprese, “Non ha mai chiesto nulla
sulla tua salute”
“Proprio
perché non lo sa”, confermai atona.
“Ed è
sbagliato, Bella. Sbagliato e ingiusto”
“Lo so”
“Dovresti
dirglielo”
“So
anche questo”
“E
allora fallo, Bella, fallo! Non è giusto che un tuo amico
non sappia che hai il
cancro e che … che rischi la vita, ecco. È come
se non lo sapesse tuo padre per
il semplice fatto che abita lontano”
“Non
riesco a trovare il modo. È difficile”, mormorai.
“Questo
non lo metto in dubbio, ma è necessario. Pensa se lo dovesse
venire a scoprire
da altri … non trovi che sarebbe più doloroso sia
per te che per lui?”, domandò
comprensiva.
“Sì, hai
ragione. Il punto è che ho paura, mamma. Lui non mi tratta
come fate voi altri,
preoccupandovi sempre, mi parla come se fossi normale”
“Ma tu
lo sei, Bella, tu sei normale!”, esclamò con
enfasi Renée, interrompendomi.
“Ok, va
bene. Mi parla come se fossi sana”,
corressi, “e penso che il mio rapporto con lui cambierebbe se
sapesse.”
“Su
questo non c’è dubbio, ma non possiamo sapere se
in positivo o in negativo”
“Io dico
in negativo”, ribattei con acidità.
“Ma non
avresti più segreti con lui e staresti certamente
meglio”
Sospirai
profondamente, arrendendomi. “Io ci provo è
… è semplicemente troppo
complicato!”, esclamai senza riuscire a trattenere un
singhiozzo.
“Oh,
tesoro”, Renée abbandonò i guanti
gialli di gomma sul lavello e mi corse
incontro, abbracciandomi. Non appena venni a contatto con le sue
braccia magre
e pallide, le lacrime che prima avevo trattenuto cedettero, inondando
il suo
grembo.
Sentii
il suo mento appoggiato sul capo e le sue mani che mi accarezzavano la
schiena.
“Non
avrei voluto farti piangere, piccola mia”, si
scusò contrita.
“M-ma
avevi ragione”, mormorai sollevando la testa per guardarla
negli occhi. “Hai
sempre avuto ragione: devo dire a Edward tutto quanto”
“Sì. Con
calma, però. E … invitato qui, un giorno di
questi. Chissà che lui apprezzi la
mia cucina”, ridacchiò ironica, tentando di
tranquillizzarmi.
“Ma
certo, mamma”, risi con una voce roca che sembrava non
appartenermi, postumo
del pianto.
Lei non
disse nulla, portò semplicemente le sue mani ad accarezzarmi
i capelli e il
capo.
E fu
proprio mentre mi tranquillizzavo grazie al suo tocco materno che la
sentii
sussultare contro il mio corpo.
Aggrottai
le sopracciglia. “Tutto bene?”
Le sue
mani avevano smesso di muoversi e di accarezzarmi la testa, erano ferme
e ne
potevo sentire chiaramente la temperatura fredda.
Troppo chiaramente, mi accorsi con
una punta di
sospetto dopo qualche secondo di riflessione.
Una
terribile intuizione mi balenò in testa e, improvvisamente,
mi districai dalle
sue braccia, scattando in piedi.
Non la
guardai negli occhi per paura di leggervi qualcosa di …
strano; presi, al
contrario, a correre verso il bagno.
Aprii la
porta in tutta fretta e mi precipitai verso uno dei cassetti, tirandovi
fuori
uno specchietto dai bordi azzurri, quello che portavo sempre con me
durante le
gite scolastiche.
Lo misi
dietro la testa ad un’altezza che mi permetteva di vederlo
attraverso lo
specchio a parete, quello appena sopra il lavandino.
Ciò che
vidi me lo fece cadere di mano, tanto sentivo le mie dita fossero
diventate
pesanti: la mia intuizione era fondata.
Una
chiazza bianca, né grande né piccola,
completamente calva risaltava verso
il centro della testa, in contrasto con i
capelli scuri.
Sentivo
gli occhi, già lucidi dal pianto di poco prima, bagnarsi
un’altra volta di
lacrime calde che però non accennavano a scendere. Se ne
stavano lì, sugli
angoli degli occhi impedendomi la vista.
Era
successo.
Avevano
cominciato a cadermi i capelli.
Sapevo che
sarebbe dovuto succedere, avevo fatto di tutto per non pensarci e ora
che il
momento era arrivato non riuscivo a trovare nessun pensiero coerente,
nessuna
cosa da dire. Nemmeno pianti infiniti, singhiozzi da togliere il
respiro, urla.
Sussultai
quando percepii la mano leggera di mia madre posarsi sulla mia spalla.
Ero
talmente concentrata sul disastro
che
non mi ero nemmeno accorta del suo arrivo.
Mi fece
voltare e mi abbraccio stretta ancora una volta, dandomi prova della
sua
presenza concreta.
“L’avevamo
messo in conto, Bella”, sussurrò.
Tirai su
col naso prima di rispondere. “Sì …
solo speravo non così presto”.
“Non è
ancora irreparabile, dopo tutto”, disse staccandosi e
prendendo ad osservare i
miei capelli.
Li prese
tra le mani gentilmente e li raccolse in una coda di cavallo.
“Ecco”,
sorrise trionfante, “Adesso non si dovrebbe più
vedere”
Mi
accertai della sua affermazione controllando attraverso lo specchietto
e,
quando mi accorsi che aveva ragione, un sorriso di sollievo comparve
sul mio
volto.
Le diedi
un bacio sulla guancia, sperando che comprendesse il mio
‘grazie’ silenzioso,
una parola che avrei dovuto dire a voce ma che proprio non riuscivo a
pronunciare.
“Vai”,
mormorò sorridente, dandomi un buffetto sulla guancia.
“Edward ti sta
aspettando”
Le
sorrisi un’ultima volta prima di avviarmi alla porta con un
nuovo pensiero in
testa.
Forse
mia madre non aveva poi così torto. Forse non avrei dovuto
smettere di lottare
per così poco.
* * * *
* *
“TU!”,
sibilò Edward con enfasi non
appena varcai l’entrata dell’ospedale, trucidandomi
con lo sguardo e prendendomi
per un polso. “Hai idea di quanto cavolo sei in
ritardo?!”, aveva gli occhi che
mandavano scintille, testimoni del suo stato d’animo.
“Ti devo
parlare”, dissi cercando di imprimere nella mia voce una nota
di sicurezza che purtroppo
non avevo.
“Non possiamo
farlo dopo? Sai com’è, in questo momento mia zia
è al suo appuntamento segreto
e, per quanto ne sappiamo, il tizio potrebbe anche starla
importunando”, il suo
tono di voce era sarcastico e non ammetteva alcuna replica.
“Ma è
importante”, pigolai.
“Dopo,
dopo”, mi mise a tacere, imperterrito.
Sospirai,
decidendomi a seguirlo e chiedendomi quando e se
quel ‘dopo’ sarebbe arrivato.
Non feci
caso a dove stessimo andando, a quale piano stessimo
l’ascensore ci stesse
portando: la mia attenzione era tutta focalizzata sulla sua mano calda,
sulle
sue dita lunghe e sottili chiuse attorno al mio polso.
Mi
sentivo a disagio, seppure il contatto tra di noi fosse minimo. E non
per il
fatto che il suo tocco mi provocasse fastidio, al contrario, era
piacevole. Troppo.
Il
trillo dell’ascensore che ci avvisava del nostro arrivo mi
fece distogliere dai
miei pensieri inopportuni.
“Dove
siamo?”, chiesi in un mormorio.
“Magazzino”,
rispose Edward con la voce bassa. “Avere un padre medico
serve a qualcosa”
Il
corridoio in cui ci trovavamo era decisamente più breve di
quello degli altri
piani, senza la minima traccia del sole di Phoenix a causa delle
veneziane
abbassate quasi completamente.
Camminammo
silenziosamente per qualche minuto finché non sentimmo
qualcosa.
“Penso
di aver capito chi possa averci fatto questo …
scherzo”, si trattava di una
voce familiare, a metà tra il nervoso e
l’isterico, che attirò la nostra
attenzione.
“Sì?”
“Eh …
già”, era proprio Carmen, alle prese con il suo
pseudo appuntamento con il
principe del deserto.
Osservai
Edward avvicinarsi alla porta socchiusa da cui provenivano i suoni e
appoggiarcisi
contro senza far rumore.
Lo imitai,
facendo aderire l’orecchio con la superficie della porta per
ascoltare la
conversazione che si stava svolgendo all’interno della stanza.
“Se
anche non ci fosse stato questo appuntamento”, proruppe la
voce maschile,
leggermente roca, “O scherzo, lo chiami come
vuole”, si affrettò a correggere,
ricordando le parole di Carmen, “Uno di questi giorni le
avrei chiesto di
parlare un poco …”
“Davvero?”,
la voce di Carmen traboccava di meraviglia.
“Sì. Mi
ricordate una persona a cui ero molto legato … non le somigliate
fisicamente, se devo essere
sincero. Ma c’è qualcosa nei vostri occhi che mi
ricorda tanto i suoi”, mormorò
con un tono leggermente distante.
“Eleazar
… vi prego, datemi del tu”, sussurrò
Carmen, “Dopotutto, avremo su per giù la
stessa vecchia età”
Grazie a
quella battuta l’atmosfera si alleggerì e una
risatina riempì il silenzio del
corridoio solitario.
“Va
bene, Carmen, va bene”, accettò di buon grado, con
voce pacata. “Parlami di te,
allora.”
Sorrisi,
in attesa di sentire cosa avrebbe risposto Carmen.
“Penso
che non ci sia molto da dire …”,
balbettò, la voce incerta e imbarazzata.
Tacque
per qualche secondo e sembrò che non dovesse dire altro, ma,
ad un certo punto,
esclamò con un tono decisamente alto e sconsolato:
“Santo cielo, è possibile
che mi senta come al mio primo appuntamento?!”.
“Sono
felice di aver risvegliato questo tuo spirito da teenager”,
ridacchiò Eleazar con il suo accento esotico.
“Metti il
caso che questo sia davvero il tuo primo appuntamento. Come
risponderesti alla
mia domanda?”
“Oh,
be’… se avessi quindici anni sarebbe certamente
diverso. Inventerei un sacco di
frottole, probabilmente. Direi che a scuola ho ottimi voti, una buona
famiglia,
parlerei di qualche film o spot pubblicitario divertente, giusto per
farti
capire che sono informata sulla società moderna
…”, s’interruppe di botto, come
ad essersi resa conto di aver parlato troppo.
La mia
supposizione fu esatta perché Eleazar la esortò a
continuare: “No, ti prego,
era davvero … adorabile”
Sorrisi
a quel termine, immaginando di riflesso la stessa parola pronunciata da
una
voce diversa, quella di Edward.
Mi
sentii avvampare vergognosamente ed era una fortuna che Edward mi desse
le
spalle, altrimenti si sarebbe incuriosito.
“Se
penso a quando ero adolescente”, ricominciò
Carmen, “provo quasi orrore per ciò
che ero. Non mi ponevo problemi ad andare dietro ai ragazzi
più grandi, a
studiare poco e niente, ad essere frivola, a badare solo
all’aspetto esteriore.
È stato un brutto periodo, per certi versi”,
concluse mesta, con una nota di
amarezza.
“Mi
dispiace, Carmen. Nemmeno io ho ricordi troppo piacevoli di quel
periodo. Non tanto
per motivi come i tuoi, ma perché io e la mia famiglia
eravamo arrivati da
pochissimo qui in America. I primi tempi non stati felici a causa delle
discriminazioni razziali che, sommate alla particolarità
dell’adolescenza, non
mi hanno fatto dormire sogni tranquilli, ecco.”
Mi
ritrovai a riflettere sulle parole di entrambi, confrontando come
entrambi,
seppure per motivazioni differenti, avevano vissuto
un’adolescenza difficile.
Anch’io
la stavo vivendo, forse in maniera ancor più complicata. Ma
allora dove stava
il lieto fine? Dov’era la ‘ragione di
vita’ di cui tanto si parlava?
“Alla
fine, se devo essere sincera, l’adolescenza ha avuto un
effetto benefico sulla
mia vita. Ho conosciuto mio marito proprio in quel periodo, infatti.
Lui si era
appena trasferito nella nostra scuola e i professori, notando quanto
fosse
bravo a scuola, me lo avevano affibbiato perché mi aiutasse
a migliorare i miei
voti. Era una specie di secchione in quel periodo e, se
all’inizio lo maledivo,
finii per innamorarmene sul serio entro poco tempo, scoprendo quanto
fosse
bello in realtà”
“Sei
sposata, allora.”, fu il secco commento di Eleazar.
“Ero”,
corresse Carmen con un mormorio.
Ci fu un
breve silenzio, pesante e denso di significati, finché
l’uomo non ebbe il
coraggio di riprendere la parola.
“A
quindici anni si pensa di avere tutto il mondo in mano. Si progetta un
futuro
coi fiocchi, si scelgono le compagnie da frequentare, una scuola degna
delle
tue capacità, che ti apra tutte le porte possibili e
immaginabili sul mondo del
lavoro. Io, a quindici anni, sognavo di poter fare qualcosa di
importante per
tutta l’umanità, sognavo di diventare un qualcuno
che alla fine non sono mai
stato. Pensavo che la mia vita di allora sarebbe rimasta la stessa per
sempre,
che la situazione non sarebbe mai mutata, che io
non sarei mai cambiato. Durante l’adolescenza ci si impongono
dei confini che sappiamo tutti benissimo vanno al di là
delle nostre capacità, cerchiamo
di vedere tutto bene o tutto male, finendo per avere una visione
contorta del
mondo.”
Sbattei
le palpebre qualche volta, chiedendomi se Eleazar stesse parlando
dell’adolescenza
in generale, della sua esperienza … o
della mia.
Sembrava
una descrizione, la sua. Una descrizione esterna, oggettiva, dato che
lui non
mi conosceva e mi aveva vista soltanto una o due volte al massimo.
“Forse
la mia opinione è troppo influenzata
dall’esperienza che ho avuto”, continuò
dopo un attimo di pausa. “Ma io la vedo così. E,
nonostante tutto, sono certo
che in questo periodo ci siano stati degli episodi che hanno influito
molto su
tutta la mia vita. Anche positivi”
“Eleazar
… parlare con te mi ha fatto davvero piacere”,
disse Carmen, la voce intrisa di
emozione e ringraziamenti impliciti, proprio come quelli che io ero
solita a
fare a Renée.
“Anche a
me, Carmen. Aspettavo questo momento da … tanto
tempo.”
Sentii
dei passi e un fruscio di vestiti. Probabilmente si stavano
abbracciando.
Edward
si sporse per sbirciare dalla fessura tra la porta e la parete, ma non
vide
nulla perché si tirò indietro leggermente
infastidito.
Poi,
come colto da un lampo di genio, si tirò su di scatto, in
volto un’espressione
di estrema urgenza.
Lo
imitai di riflesso, perplessa. Ci misi un attimo più del
necessario per
realizzare che si stavano salutando, che entro poco avrebbero aperto la
porta e,
se ci avessero trovati lì ad origliare, non ne sarebbero
stati molto felici.
Cercammo
di fare meno rumore possibile anche correndo verso
l’ascensore.
Avrei voluto
aggrapparmi al suo braccio per riuscire a mantenere la sua andatura,
decisamente veloce per la mia camminata, da bradipo.
Avrei voluto,
ma non lo feci, troppo timorosa delle sue reazioni, scombussolata dagli
eventi
che quel giorno si erano presentati ad una velocità
disarmante.
Succedeva
sempre così nella mia vita. Dieci giorni monotoni,
l’uno preciso, identico e
spiaccicato al precedente. Poi ne arrivava uno particolare, speciale, nel quale di avvenimenti ne
succedevano a bizzeffe, tutti concentrati in quelle ventiquattro ore.
Da quando hai conosciuto Edward, mi
invitò a correggere una vocina
nella mia testa. Prima, infatti, la normalità e la
banalità non durava per soli
dieci giorni o una settimana, ma sempre. Ogni giorno
all’ospedale per i
controlli, scuola e prese in giro, a casa compiti, lettura, aiuto nelle
faccende domestiche. Tutto dannatamente uguale.
Da quando
avevo conosciuto Edward, invece, mi stupii per l’ennesima
volta, ogni giorno,
per quanto somigliasse al precedente, anche uno di quei dieci tutti
uguali,
presentava alcune novità, delle differenze più o
meno importanti.
Arrivammo
all’ascensore quasi ansimanti per la corsa. O meglio, io lo
ero.
“Conversazione
… interessante”, proruppe Edward una volta che si
fu ripreso.
Sorrisi,
concordando. “Direi di sì”
“Il
vecchietto è un gran filosofo, non l’avrei mai
detto.”
“Io
invece lo pensavo già da prima”, ribattei.
“Aveva qualcosa nella sua
espressione che dava l’idea di un vissuto particolarmente
intenso, di
esperienze che gli danno una visione matura della vita”
Edward
rimase zitto per un poco, fissandomi.
Anche
quando uscimmo dall’ascensore, i suoi occhi continuarono a
seguirmi, senza mai
spostarsi dai miei.
“Edward?”,
lo chiamai, leggermente in imbarazzo.
“Mi sono
reso conto che la descrizione che hai appena fatto di Eleazar
corrisponde un
poco a come ti vedo io.”, si interruppe un attimo, piegando
leggermente la
testa, un movimento che faceva ogni volta che era concentrato.
“Ci
sono giorni in cui sembri la persona più ingenua della
Terra. Ad ogni mia
battuta ‘sconcia’,”, mimò con
grazia le virgolette, giusto per prendere in giro
il termine con cui spesso lo definivo, “Arrossisci
così tanto che finisci per
trasformarti in un pomodoro. Ci sono altre volte, invece, in cui i tuoi
occhi
sono particolari. C’è un qualcosa che ancora non
mi so ben spiegare, ma è una
luce, un’espressione che mi da’ l’idea
che tu abbia già vissuto tutto, che tu
abbia già una visione della vita che a me manca. Il che
è impossibile con soli diciassette
anni di vita.”
La
sua teoria mi lasciò a bocca aperta.
Mia
madre mi aveva sempre detto che ero più grande della mia
età di circa una
ventina d’anni, ma pensavo lo dicesse giusto per prendermi in
giro, senza che
ci fosse un vero fondo di verità nelle sue parole.
Che
anche Edward invece avesse colto la stessa cosa …?
“Scusami,
lo so, è stato un discorso senza senso.”, si
scusò attaccando ogni parola all’altra.
“Mi è venuta in mente una cosa, tra
l’altro.”, continuò.
“Cos’è che dovevi
dirmi prima, quando sei arrivata in ritardo?”
Anche
questa sua domanda mi colse impreparata. Eh, no, quello non era proprio
il
momento più indicato per parlargli della verità.
Le
parole, di conseguenza, uscirono dalle mie labbra senza che avessi la
possibilità di fermarle, che potessi tappare la bocca con un
invisibile nastro
di scotch.
“Vuoi
venire a casa mia domani sera?”
Lo
so.
Lo
so.
Sono
imperdonabile.
Maleditemi,
uccidetemi, anzi, trucidatemi.
Fatemi
quello che volete. Me lo merito.
Sono
in un ritardo MOSTRUOSO.
Mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace e mi ridispiace!
Nonostante questo, però, posso spiegarvi alcuni dei motivi
che mi hanno impedito di postare.
1) mancanza di ispirazione di tanto in tanto.
2) momenti un po' grigi ... e su questo non mi metto a commentare
più di tanto. Basti dire che non è stato un bel
periodo.
3) San Valentino e quindi nervi a fior di pelle
4) ho già scritto tutto il capitolo successivo
5) mi sono venute ben altre 4 idee di altre fanfiction
Ecco, dopo queste motivazioni, spero che il quarto punto possa far
diminuire un pochettino le accuse che so benissimo di meritarmi.
Questo capitolo è stato difficile da scrivere per diverse
cause che ora non mi metto ad elencare, ma soprattutto la prima parte,
quella in cui Bella parla con sua madre e quella in cui si accorge di
aver perso un po' di capelli (che comunque non sono tantissimi, eh!) mi
ha fatto penare un po'.
L'ultima riflessione di Edward ce l'avevo in mente già
dall'inizio della fic e morivo dalla voglia di inserirla da qualche
parte e ora che ho trovato il suo momento non avete idea di quanto mi
senta soddisfatta! Basta poco per rendermi felice, eh? XD
Ringrazio infinitamente i 60 che preferiscono la mia storia, i 136 che
la seguono, le 18 che la ricordano e le 14 adorabili gioie che hanno
recensito lo scorso capitolo! *.*
Grazie, grazie, grazie.
Sto cominciando a rispondere alle recensioni, perciò abbiate
fede, arriveranno (prima o poi)! XD
Un bacio immenso a tutte voi e auguri di Buon San Valentino in ritardo!
Ele
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Capitolo 14 *** Ditale ***
14
Your
Guardian Angel
*° Capitolo
Tredici: Ditale °*
POV
BELLA
Calma.
Erano
tre ore come minimo che mi imponevo di imprimere per bene nella testa
quella
parola, ma sembrava non esserci verso di non rischiare
l’infarto ad ogni
secondo trascorso a causa del battito cardiaco troppo veloce.
Eppure
era strano. Mi ero addirittura chiusa dentro alla doccia, giunta
all’esasperazione, convinta che almeno quel metodo sarebbe
stato benefico.
E invece
no.
Certo,
la sensazione dell’acqua calda sul corpo era splendida, come
al solito, così
come lo era osservare le nuvole di vapore che appannavano i vetri del
box
doccia. E invece, erano stati proprio questi ultimi a causarmi dei
problemi.
Mi ero
incantata a fissare le goccioline che vi scorrevano sopra, piccole e
veloci,
come se compissero un percorso tutto loro, una strada tortuosa che le
avrebbe
portate alla loro meta. E senza neanche rendermene conto, il mio dito
indice
aveva preso a tracciarne il contorno, a disegnare stelline e puntini
sul vetro
che, col passare dei secondi, erano diventati cuoricini, nomi.
Un Edward
♥ Bella, in particolare,
troneggiava al
centro di una delle quattro pareti trasparenti, incorniciato dalle
goccioline e
dalle altre testimonianze delle mie enormi doti artistiche.
Chiusi
gli occhi, piegando il capo all’indietro di modo che
poggiasse contro le
mattonelle fredde.
Calma, Bella, mi imposi
un’ultima volta, prima
di chiudere il rubinetto e uscire, completamente gocciolante, dalla
doccia.
Non
potevo neanche dare la colpa a qualcuno per quella situazione, avevo
fatto
tutto con le mie stesse mani, guidata dallo stupido cervello che mi
ritrovavo.
Anzi, più che dal cervello, quel pomeriggio,
all’ospedale con Edward, mi ero
fatta guidare dalle sensazioni che i suoi occhi verdi mi donavano,
dalla sua
vicinanza, dall’istinto.
Stavo
per elencare anche un’altra fonte, ma scossi con fervore la
testa, impedendomi
anche solo di pensarci.
No, quel
mio invito non poteva essere venuto direttamente dal cuore.
Mi
asciugai e vestii in fretta e furia, tentando di tenere a bada i
pensieri
molesti e compromettenti.
Una
volta terminato il tutto, dopo aver impiegato molto più
tempo del necessario a
causa della mia epica goffaggine, raccolsi i capelli bagnati in quella
che voleva
essere una coda ma che uscì una crocchia deforme e
decisamente precaria.
La
situazione stava peggiorando, ancora.
Dal
giorno precedente, infatti, erano stati numerosi i capelli che avevo
trovato
sparsi sul cuscino la mattina, appena sveglia, oppure in vari angoli
della casa
mentre spolveravo durante il pomeriggio.
Avrei
voluto fare qualcosa per bloccare quella caduta improvvisa, ma non
potevo far
altro che limitarmi a guardarli lì, per terra, deboli e
fragili. Mi vedevo
riflessa in loro quasi come se si trattasse di uno specchio. Anche io,
infatti,
mi sentivo sul punto di cedere, di abbandonare tutte le forze e
lasciarmi
cadere al suolo.
No, non
era decisamente il momento migliore per pensare a cose del genere,
soprattutto
perché l’ansia dell’imminente arrivo di
Edward bastava e avanzava già da sola.
Stavo
per attaccare il phon alla presa della mia camera quando un trillo
familiare
giunse alle mie orecchie, chiaro e forte.
Dlin
dlon.
Oh,
cavolo.
Quasi
feci cadere per terra l’elettrodomestico che tenevo tra le
mani, per quanto
forte era stata la sorpresa.
Corsi
giù per le scale aggrappandomi al corrimano per evitare di
ruzzolare e
inciampare in uno dei gradini. Nella mia testa, in quel momento, non
risuonava
più la parola ‘calma’, bensì
un’interminabile serie di imprecazioni.
Panico,
panico, panico, panico.
Arrivata
davanti alla soglia di casa, mi fermai un secondo, il tempo necessario
per fare
un rapido sospiro, sistemarmi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio e impormi
ancora una volta di non pensare.
Già,
perché se l’avessi fatto, mi sarei ricordata dello
stato in cui mi trovavo –
felpa trasandata, pantaloni della tuta consunti e, giusto per
completare il
quadro, capelli fradici – e avrei finto un malore pur di non
andare ad aprire
alla porta.
Girai la
chiave nella toppa con decisione e fermezza, nonostante i continui
brividi che
correvano sulla pelle.
Non
appena aprii la porta, la prima cosa che vidi fu Peter Pan.
No, non
Edward da me soprannominato ‘Peter’; fu proprio lui, il ragazzo dell’Isola
Che Non C’è, il bambino che non sarebbe
mai diventato grande.
Be’, in
realtà
non me l’ero ritrovato proprio davanti in carne ed ossa
– non ero certo la vera
Wendy, io – ma la sua fedele
riproduzione era stata abbastanza sorprendente da lasciarmi a bocca
aperta.
“Hai
portato il DVD di Peter Pan?”, sillabai infatti, continuando
a fissare quella
locandina dallo sfondo blu che quando ero piccola avevo ammirato con
tanto di
bava alla bocca, nella speranza che alla fine Renée cedesse
e lo acquistasse.
“Pensavo
che avresti gradito ”
Fu solo
quando udii la sua voce serena che i miei occhi si spostarono
dall’originario
oggetto della loro attenzione, percorrendo con ansia e
felicità i tratti del
suo corpo, sino a giungere al volto.
“Ciao”,
lo salutai deglutendo e abbozzando un sorriso a cui lui rispose
prontamente,
leggermente divertito. Mi squadrò velocemente dalla testa ai
piedi, quel ghigno
accennato sempre sulle sue labbra. “Sono in
anticipo?”
Avvampai,
certa di aver appena fatto una figura delle mie, giusto per non
smentirmi mai.
“Solo
un
pochino …”, balbettai indietreggiando di qualche
passo per farlo entrare.
“Però
puoi benissimo sederti qui”, ripresi parlando a raffica e
indicando il divano
del salotto con la mano. “Io ci metto un attimo”.
Mi
sorrise smagliante, nel tentativo di rassicurarmi. “Fai con
calma”.
Chiusi
gli occhi nel sentire quella dannatissima parola.
Sentivo che
alla fine di quel giorno avrei preso il mio dizionario e
l’avrei accuratamente
cancellata.
Corsi
sulle scale più veloce che potevo, maledicendo mia madre,
Charlie e Phil per
essere usciti.
Più
mia
madre che Phil e Charlie, se devo essere sincera. I due uomini si erano
limitati semplicemente a farsi trascinare da Renée, con due
espressioni da
pesce lesso. Probabilmente ancora non avevano capito a cosa era dovuta
l’improvvisa
fuga da casa.
Renée,
non appena aveva saputo dell’invito, aveva fatto i salti di
gioia, aveva iniziato
a straparlare e non c’era più stato verso di
metterla a tacere.
Ed ora
che lei non c’era – aveva ritenuto che la presenza
in casa dei genitori fosse
assolutamente da immaturi
– toccava a
me pensare alla casa e, in particolar modo, ai capelli.
Grugnii
davanti allo specchio, osservando come i capelli bagnati ricadessero
flosci
sulle mie spalle.
Li
asciugai il più velocemente possibile, approfittando di quei
minuti per mettere
a posto qualche cianfrusaglia sparsa in giro per la mia stanza e
cambiarmi.
Dopo
dieci minuti di corse, fui pronta. O meglio, presentabile.
Scesi le
scale due gradini alla volta, sperando di non aver fatto aspettare
troppo
Edward.
“Eccomi,
scusami se ti ho fatto asp …”, le parole mi
morirono in gola quando vidi che il
divano era vuoto, se non per il DVD appoggiato su un cuscino.
Deglutendo,
mi appoggiai al calorifero – l’oggetto
più vicino in grado di sostenermi. No,
non poteva essersene andato.
“In
questa foto sei davvero carina … anche se ti preferisco con
tutti i denti”
Una voce
divertita e serafica giunse dalle mie spalle, facendomi sussultare.
Mi
voltai verso di lui con l’indice accusatore alzato, pronta a
fargli una scenata
su quanto mi avesse fatto spaventare, ma quando me lo ritrovai davanti,
un
sorriso meraviglioso mentre osservava la fotografia di quando ero
bambina, non
riuscii a far altro che starmene in silenzio, con la bocca
già spalancata.
Quando
se ne accorse, mi guardò perplesso per un attimo, prima di
mettersi a ridere. “Qualcosa
non va?”
Sbattei
le palpebre e scossi freneticamente la testa, come per scusarmi.
Dio, che
figura.
Mi
avvicinai a lui a passo di carica – rossa in volto,
ovviamente – e gli tolsi
prontamente la cornice d’argento dalle mani approfittando di
un suo attacco di
risa.
Quando
vidi la foto, per poco non mi venne la tentazione di prendere a testate
la
parete. Proprio quella doveva andare a prendere?!
Quella
fotografia, infatti, era stata scattata quando avevo circa sette anni e
mi
erano appena caduti entrambi gli incisivi. Il mega sorrisone sdentato
che avevo
fatto, di conseguenza, era decisamente macabro.
Feci una
smorfia, rimproverandomi di non aver tolto tutte le fotografie
compromettenti e
di non averle messe lontano da occhi indiscreti – ovvero
quelli di Edward.
“Tua
madre?”, proruppe improvvisamente.
“E’
uscita con mio padre e Phil, il suo nuovo marito.”
“Ah. I
tuoi hanno divorziato?”, chiese con un sussurro.
“Sì,
quando ero appena nata, ma hanno dei rapporti abbastanza
buoni”
Sorrise.
“E’ una fortuna, solitamente due genitori separati
non vanno molto d’accordo.”
“Lo
so”,
abbassai lo sguardo sui miei piedi, cercando di ignorare il fatto che
lui si
stesse preoccupando per me, anche solo un pochino.
Mentre
tornavo a guardarlo, i miei occhi caddero sull’orologio a
parete. Erano le
19.20.
“Hai
fame?”
“Se
anche
mentissi, il mio stomaco mi tradirebbe entro poco, ne sono
sicuro”, ridacchiò
grattandosi la nuca.
Risi
anch’io, lieta che la conversazione si fosse alleggerita.
Lo
guidai in cucina, ricordando il giorno in cui era venuto a casa mia per
scrivere gli inviti di Carmen ed Eleazar.
Non era
passato molto tempo, mi accorsi con stupore.
Ci
sedemmo, come l’altra volta, uno accanto all’altra,
discutendo su cosa
mangiare.
Lui
insisteva perché fossi io a decidere; io, al contrario,
continuavo ad affermare
che l’ospite era lui e che quindi era suo il compito di
scegliere.
“E va
bene!”, mi arresi dopo dieci minuti, sfinita dal dibattito.
Edward
schioccò la lingua, soddisfatto di aver vinto. Assottigliai
lo sguardo. “Te la
farò pagare, lo sai, vero?”
“E
come,
avvelenando il cibo che tu
sceglierai?”
Ma
bravo, sottolineava ancora una volta il trionfo!
“No,
semplicemente dandoti in pasto al coccodrillo che mi fa da cane da
guardia”,
risposi con nonchalance, alzandomi in piedi ed andando ad aprire uno
sportello
della cucina per prendervi la confezione di lasagne.
“Alt,
alt, alt.”, lo sentii pronunciare con tono estremamente
solenne alle mie
spalle.
Si era
alzato in piedi anche lui.
“Qui
abbiamo una crisi di identità”,
continuò, sempre più vicino.
“Sì?”,
pigolai fingendomi disinteressata.
“Già”,
ormai sentivo il suo fiato sul collo.
Deglutii.
“Sbaglio
o era Capitan Uncino quello che doveva essere destinato al
coccodrillo?”, sussurrò
alitando sulla mia nuca.
Chiusi
gli occhi, richiamando a me tutta la sanità mentale che un
tempo possedevo. M’imposi,
inoltre, di non girarmi, per non rischiare di fare qualcosa di cui poi
mi sarei
pentita, preda dell’effetto che la sua vicinanza scatenava.
“Io
dico
che il coccodrillo sarebbe felice di mangiare anche Peter
Pan”, proseguii a
denti stretti, continuando a dargli le spalle.
“Ma il
coccodrillo
è amico di Peter Pan”.
Ridacchiai
leggermente, alzandomi sulle punte per prendere una teglia da un
ripiano più
alto. “Lo è di più di Wendy”
“Stai
sottovalutando il coccodrillo, lui è intelligente, capirebbe
subito che Wendy è
posseduta dal demonio”
Stavolta
girarsi fu impossibile.
“Wendy?”,
domandai scettica, ignorando il fatto che mi stesse letteralmente
spingendo
contro il piano cottura. “Posseduta dal demonio, Wendy?”
Alzò
gli
occhi al cielo, rendendosi conto
dell’impossibilità della cosa.
“Tutto
può succedere, ok?!”, esclamò
esasperato, senza riuscire a trattenere una
risata.
Mi unii
a lui, cercando però di allontanarmi il più
possibile.
E dire
che mi sarebbe piaciuto stare là a stretto contatto con
Edward.
“Allora”,
riprese affiancandomi un’altra volta, “cosa stai
cucinando di buono?”
“Lasagne.
È uno dei piatti che preferisco e, senza
l’intervento di mia madre, esce
davvero molto bene.”, affermai orgogliosa mentre imburravo la
teglia.
“Dovrei
far sapere alla povera Renée che ne parli male alle sue
spalle”
“Non
sto
parlando male di lei!”, ribattei guardandolo male.
“E poi lei lo sa benissimo
che non è una cuoca nata!”
Le
sopracciglia di Edward si aggrottarono mentre con un dito mi aiutava a
stendere
il pezzettino di burro sulla superficie nera. “E allora
perché continua a
farlo?”
Bella
domanda.
Prima di
rispondere, attesi un secondo, riflettendo su cosa dire.
“Diciamo
che sono io che … la sprono. Mia madre non ha mai voluto
smettere di cucinare,
nonostante i risultati fossero pessimi. Comprava ricettari su
ricettari,
seguiva programmi televisivi culinari … insomma, si dava un
gran bel da fare.”
I miei
occhi si sollevarono dalla teglia soltanto un attimo, quando le nostre
mani,
nello spalmare il burro, si incrociarono.
“E io
non le ho mai detto di smettere, nonostante non gradissi mangiare roba
bruciata”,
sorrisi al ricordo di tutte quelle notti in cui andavo a letto a
stomaco vuoto
perché non avevo avuto il coraggio di dire a mia madre che
avevo buttato le sue
pietanze e che, quindi, ero rimasta senza cena. “Al
contrario, la spingo molto
a provarci perché vederla sempre all’opera e
speranzosa che finalmente riesca
ad imparare mi fa stare bene. E vorrei essere forte quanto lei per
affrontare
ogni difficoltà”
Dopo un
minuto di silenzio, Edward prese parola. “Anche a me capita,
ma non con mia
madre, con mia sorella, Alice. L’hai vista, no? È
sempre un uragano, sempre in
movimento, sempre felice, entusiasta … a volte, quando io
sono giù di morale,
vorrei tanto avere un interruttore per spegnerla, poiché
vedere tutta la sua
allegria, in quei momenti, mi fa davvero saltare i nervi”,
rise, ma non
sembrava molto divertito.
“Immagino
che però anche lei abbia i suoi momenti
no”
“Sì,
certo, ma non molto spesso. Non quanto me, almeno.”
“Preferiresti
una sorella sempre triste e di malumore?”, domandai,
già sicura della risposta
che avrei ricevuto.
“No
… è
solo che mi dà fastidio che sia sempre lei a dovermi
consolare. È un pensiero
egoista, lo so, ma mi piacerebbe tanto che a volte i ruoli si
invertissero e
che fossi io quello forte, quello incapace di piegarsi alla
sofferenza”
“Ehi,”,
dissi, abbandonando il mio lavoro e prendendogli una mano. Nessuna
scossa
elettrica, ma la sensazione fu comunque bellissima.
“Piangere
non è certo una debolezza. Piangiamo tutti, chi
più e chi meno, ma è una cosa
normale. Non c’è da vergognarsene. E poi
…”, un sorriso comparve sulle mie
labbra, “ricordati che sei Peter Pan. I bambini piangono taaanto spesso …”
Scoppiai
a ridere per la mia stessa battuta e lui, dopo aver scosso la testa
fingendosi
indignato, si diresse velocemente al lavello e fece scorrere
l’acqua per
qualche secondo, il tempo necessario perché mi rendessi
conto di cosa stavo
andando in contro.
Improvvisamente
fui investita una miriade di spruzzi congelati e chiusi gli occhi, non
sapendo
se ridere o arrabbiarmi. Appena li riaprii, giunsi ad una conclusione.
“Sai,
ripensandoci, avevi ragione. Wendy è davvero posseduta dal
demonio…”
* * * * *
*
- Io lo so che cosa
sei!
- Sono il massimo
che sia mai
esistito!
- Sei una tragedia!
- Io? Una tragedia?!
- Ti stava
lasciando, Peter Pan. La
tua Wendy … ti stava lasciando.
“In
questa parte odio seriamente Capitan Uncino. Ma si può
essere così crudeli?!
Cioè, lui sa che questo è il suo punto debole e
lo colpisce proprio lì!”, il
bisbiglio concitato di Edward mi fece ritornare alla realtà
con un sussulto,
talmente ero concentrata sul film.
Eravamo
stati in silenzio tutto il tempo sino ad a quel momento, se non fosse
stato per
il rumore delle posate.
Eh,
sì,
alla fine avevamo deciso di mangiare le lasagne in salotto, seduti sul
divano. Anzi,
più che sul divano, appoggiati
al
divano.
“Per
poter stare più comodi”, aveva detto lui,
sfuggendo al mio sguardo, quando gli avevo
chiesto come mai preferiva sedersi sul pavimento.
Effettivamente,
però, non è stato scomodo, affatto. Non avevamo
nemmeno preso i piatti,
convenendo che mangiare direttamente dalla teglia non sarebbe stato poi
questa
gran tragedia.
Se fosse
stata una giornata qualunque e se io fossi stata in me,
gliel’avrei impedito,
avrei preso i piatti e senza tante storie l’avrei costretto a
mangiare da lì.
Ma
quello non era un giorno come tanti.
Mi
avvicinai di più a Edward, sollevando leggermente la testa
per poter
raggiungere l’altezza del suo orecchio.
“Be’, non si può certo dire che siano
grandi amici …”
Gli
angoli della sua bocca si sollevarono leggermente, lasciando
intravedere la
dentatura perfetta. “Che poi, quando Uncino gli dice che
è ‘incompleto’ è
davvero il massimo. Voglio dire, ma guardati! Sei senza una mano!
Più
incompleto di così!”
Dopo
aver ridacchiato per un poco, ritornammo a prestare attenzione al film.
O
meglio, lui tornò a prestare attenzione al film.
Io,
ormai, seduta così vicino a Edward, con la testa appoggiata
sulla sua spalla,
non ce la facevo; l’unica cosa su cui ero concentrata era il
suo respiro lento
e regolare.
Fino a qualche
mese prima non avrei mai pensato che sarei finita a guardare
‘Peter Pan’ con un
ragazzo come lui. Da quando l’avevo conosciuto, erano
cambiate davvero tante
cose in positivo, sebbene ci fossero ancora tanti, tanti problemi.
Sollevai
di qualche centimetro la testa per osservare il profilo del suo volto.
Ammirai
la fronte alta coperta dai ciuffi ramati illuminati dalla luce fioca
del
televisore, il naso dritto, la mascella squadrata, le labbra piene
…
“Sai”,
proruppe nuovamente, la voce roca mentre appoggiava il bicchiere di
coca sul
pavimento.
Mi affrettai
a guardare il televisore. Eravamo arrivati al punto in cui Peter era
stato
buttato per terra da Capitan Uncino e tutti i bambini erano stati
radunati
attorno all’albero maestro.
Una
delle scene più belle ed intense.
“Pensavo
che nonostante io preferisca il libro al film, c’è
una parte di quest’ultimo che
mi piace molto”, mentre parlava il suo respiro raggiunse la
pelle scoperta del
mio collo, causandomi brividi.
“Mmm?”,
pigolai distogliendo velocemente lo sguardo dai suoi occhi, troppo
profondi.
“Sì.
Si
tratta della scena del bacio … è un momento
magico, quello. Certo, tutta la
storia è magica, ma quello è il momento che
preferisco. È come se sia Peter che
tutti gli altri accettassero per un attimo quel piccolo aspetto
dell’essere
adulti: l’amore. Quando si è bambini, infatti,
l’amore è presente, certo, ma è
fraterno, non così puro e sincero come quello delle persone
più mature. E io …
rispecchio questo Peter Pan, quello che vuole fare
l’esperienza dell’amore,
nonostante l’età. Io vorrei …”
Il mio
respiro era veloce, forse più di quanto lo fosse il battito
del cuore. Aspettavo
con ansia incredibile che finisse la frase, eppure non riuscivo a
voltarmi
verso di lui, i miei occhi guardavano soltanto la televisione, senza
vederla
per davvero. C’era solo una sequenza di immagini che
conoscevo a memoria.
Wendy che riusciva a
liberarsi dalla
stretta di uno degli uomini di Uncino; Wendy che veniva buttata accanto
a
Peter; Uncino che consentiva a Wendy di dare a Peter il suo addio;
Wendy che
donava a Peter un …
“…
Un
ditale”
Mi
voltai immediatamente, colta alla sprovvista ancora una volta.
Ed i
suoi occhi erano lì, grandi, accesi, illuminati da una luce
propria, incredibilmente
vicini a me.
“Desidererei
tanto un ditale”, ripeté, scandendo bene parola
per parola e avvicinandosi
ancora, lentamente.
Non
potevo credere che stesse succedendo.
Non
potevo neanche illudermi che fosse vero.
Dov’era
andata a finire la conclusione drammatica della mia vita? Il mio
destino
perennemente infelice e privo di amore e comprensione, se non quella
dei miei
genitori?
Chiusi
gli occhi, aspettando con ansia e felicità
l’inevitabile. Non riuscivo nemmeno
a spiegarmi quelle sensazioni, così contrastanti tra loro da
scombussolarmi
totalmente.
E mi
sorpresi incredibilmente quando riuscii a dar loro un nome –
farfalle nello
stomaco – un’emozione di cui avevo sentito parlare
tanto nei romanzi d’amore
che avevo letto.
Possibile
che stesse capitando a me …?
Non
appena avvertii la consistenza morbida e calda delle sue labbra sulle
mie,
seppi darmi la risposta.
Rimasi
ferma, immobile a subire quel contatto meraviglioso e bollente,
lasciando che
fosse lui a guidarmi in quel vortice di sensazioni incredibili.
Le
muoveva piano, dolcemente, senza forzarmi.
Era stupendo.
Si
staccò dopo un tempo che mi sembrò troppo poco e
interminabile
contemporaneamente.
Avvampai
più di quanto avessi mai fatto, consapevole che quel piccolo
gesto avrebbe
determinato tanti cambiamenti.
Osservai
Edward sorridere, imbarazzato e sereno allo stesso tempo.
“I-io
…”,
sussurrò, sul punto di dire qualcosa, ma lo misi a tacere
buttandogli le
braccia al collo.
Avrei
desiderato farlo tante volte e la mia felicità fu
incalcolabile quando
finalmente sentii il suo profumo ancora più da vicino, in un
modo ancora più
intenso, e quando sentii le sue braccia avvolgermi e scaldarmi.
Sapevo
bene che probabilmente non aveva mai avuto una reazione del genere da
una
ragazza subito dopo il loro primo bacio, ma non m’importava.
Dovevo
abbracciarlo, dovevo tenerlo stretto a me, dovevo ringraziarlo di tutto
ciò che
aveva fatto, della speranza e della fiducia che mi stava donando,
nonostante
lui sapesse bene che gli nascondevo qualcosa.
Nonostante
la televisione ad alto volume, percepii chiaramente il rumore delle
chiavi
nella serratura, ma non reagii, come se si trattasse di un mondo a
parte.
Solo
quando mia madre parlò, capii di non essere in una
situazione molto … semplice.
“Ragazzi,
siete a casa?”
Credetemi
se vi dico che mi vergogno a postare dopo tutto questo tempo.
Credetemi
se vi dico che mi dispiace davvero da morire.
Credetemi
se vi dico che c'è mancato poco perché decidessi
di cancellare tutte le mie storie.
Credetemi
se vi dico SCUSATE!!!!!!!
So
che siete tutte quante arrabbiatissime con me - e fate bene - ma vi
prego di perdonarmi.
Quando
si
comincia una storia bisogna prendersi le proprie
responsabilità
e quindi postare regolarmente, ma tutto parte dal piacere che si trae
scrivendo, sfogandosi con le parole e immaginando le vite di personaggi
immaginari.
Io
avevo
bisogno di ritrovare questo piacere, questa sensazione di gioia e di
completezza che trovo soltanto quando mi metto al pc a scrivere. Fino a
poco tempo fa, infatti, aggiornare era diventato un obbligo, un dovere,
quasi alla pari dei compiti scolastici.
Mi
sono resa
conto di star vivendo il mondo delle fanfiction troppo male e questo
è uno dei motivi che mi ha spinto a prendermi una pausa.
Quello
principale, invece, è che ho avuto un periodo un tantino
pazzo.
Nel senso che mi sono innamorata e, si sa, il periodo
dell'innamoramento è uno dei più belli e felici.
Peccato
che dopo questo arrivi il momento di fare i conti con le dichiarazioni,
con le scoperte e con l'indifferenza. Sono stata benissimo e malissimo
ed è stato difficile gestire la cosa. Per fortuna ora ho
trovato
un po' di equilibrio. Per questo ringrazio da morire la mia GingerS, la
mia The Red One e la mia Freddy Barnes. (Un ringraziamento va anche a Niji_Shoku
no Yume poichè senza di lei la mia sorellona non sarebbe
così felice e, di conseguenza, anch'io! Grazie, Cla ;))
So
anche che avrei potuto mettere un avviso, ma ero sempre lì,
sul
punto di dire "oggi mi tolgo da EFP" oppure "oggi mi metto a scrivere e
aggiorno".
Vi chiedo, di conseguenza, ancora una volta scusa da morire.
Adesso, invece, passiamo al capitolo.
Come vi avevo detto nello scorso, questo capitolo era già
stato
scritto - un motivo in più per cui avrei dovuto aggiornare
prima. Peccato che questo abbia complicato le cose. Il capitolo che
avevo scritto non mi piaceva più, l'ho modificato tantissime
volte sino a lasciarlo stare per un po' e rimettermi completamente a
riscriverlo in queste vacanze.
Finalmente il momento tanto atteso è arrivato, anche se
senza rivelazioni da parte di Bella.
Mi auguro con tutto il cuore che vi sia piaciuto e che mi perdoniate!
Se voleste anche recensire, poi ... sapete che a me fa sempre MOLTO
PIù CHE PIACERE!
Un bacio enorme a tutte! Anzi, che dico, UN DITALE a tutte!
Elena
P.S. Alle scorse recensioni risponderò con calma.
Perdonatemi
anche per questo, ma, come ripeto, la situazione non
è
semplice!
P.P.S. Per chiunque si chiedesse a quale scena corrispondessero le
battute di Peter Pan che ho scritto, potete dare un'occhiata qui
(sono le prime che sentite^^)
P.P.P.S. Ero talmente presa dalla felicità di aggiornare di
nuovo che mi sono dimenticata di farvi gli auguri di Pasqua in ritardo!
xD Perdono anche per questo!!! XD
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Capitolo 15 *** Soluzione ***
Your Guardian Angel
*° Capitolo
Quattordici: Soluzione °*
Scusate
per la mia assenza, per il mio ritardo e per tutto il resto.
Questo
capitolo è dedicato a tutte voi che continuate a seguirmi,
nonostante io sia pessima.
Vi ringrazio e mi scuso
ancora, davvero dal profondo.
POV
BELLA
“Toc
toc”, un mormorio divertito, seguito
da un lieve colpetto sulla superficie della porta, mi fece sobbalzare,
sebbene
lo stessi aspettando da un pezzo.
Non
avevo fatto altro che chiedermi, con un
misto di irritazione, ansia e sarcasmo, quando mia madre avrebbe ceduto
alla
morbosa curiosità che avevo letto nei suoi occhi non appena
Edward era saettato
fuori dalla porta di casa, mormorando scuse e saluti indistinti. Sapevo
che
sarebbe salita in camera non appena avrebbe trovato un istante libero,
avida di
conoscere le ‘vicende sentimentali di sua figlia’.
Già la immaginavo, tutta
entusiasta e saltellante, finalmente alle prese con i problemi di cuore
che
aveva sempre desiderato, da eterna adolescente qual era.
“Avanti”,
risposi rassegnata, nascondendo
la testa sotto il cuscino e raggomitolandomi su me stessa, come se il
solo
fatto di essere coperta avesse potuto proteggermi
dall’interrogatorio di Renée.
Memorizzai
con nervosismo crescente ogni
suo minimo movimento, ogni rumore che avvertii non appena
varcò la porta della
mia camera: il cigolio prodotto dalla porta spalancata con foga, i suoi
passi
frettolosi nel raggiungere il letto, il rumore sordo mentre si
inginocchiava
sul pavimento, accanto al materasso.
Rimanemmo
in silenzio per un paio di
minuti: probabilmente si aspettava che sarei stata io a prendere parola
e a
confidarmi con lei, che le avrei raccontato tutto per filo e per segno
e che
avrei confermato ciò che lei, da mamma veramente intuitiva,
aveva immaginato e,
sicuramente, sperato fosse accaduto.
“Bella?”,
mi richiamò con voce carica di
aspettativa.
“Mmm?”,
ribattei con finta innocenza dal
mio angolino, ancora speranzosa di poterla scampare.
“Cos’è
successo prima, con Edward?”,
eccola, la fatidica domanda.
Renée
si alzò in piedi – ormai la sua sete
di sapere aveva raggiunto il culmine – e scostò
lenzuola e cuscino per potermi
guardare in faccia.
Sospirai
profondamente: d’altronde avevo sempre
saputo che sarebbe dovuto succedere.
Mamma
dovette cavare informazioni dalla mia
bocca con le pinze, interpretare i miei grugniti e i mugolii vari, i
silenzi
secondo lei ‘carichi di significato’, analizzare i
miei attimi di incertezza
con aria da Sherlock Holmes in versione femminile e americana, ma, alla
fine,
sembrò soddisfatta e la sua curiosità fu messa a
tacere.
“Oh,
tesoro, quanto sono felice!”, esclamò
con un trillo e stampandomi un forte bacio sulla guancia, incurante del
fatto
che, solitamente, la gente a quell’ora della notte dormisse.
“Edward
è davvero un bravissimo ragazzo …
così dolce, premuroso … quando vi
rivedrete?”
Oh.
“N-non
lo so”, balbettai, preoccupata di
una qualche sua reazione isterica.
“Ma
siete o non siete fidanzati?!”, domandò
con un cipiglio perplesso e irritato.
“Non
abbiamo avuto tempo di parlarne!”,
sbottai, ormai allo stremo delle forze, “Sei spuntata fuori
all’improvviso e
lui è scappato via!”
Attese
un attimo, in piena meditazione zen.
“Questo è vero”, rifletté con
le sopracciglia ancora aggrottate, “ma il bacio
non dovrebbe parlare da sé? Non dovrebbe essere segno di una
dichiarazione?”
A
quel punto, mi alzai in piedi e,
fingendomi più stanca ed esasperata di quanto in
realtà fossi, spinsi mia mamma
verso la soglia della mia camera. “Buona notte,
mamma!”
Lei
sembrò alquanto sorpresa dalla mia
reazione, ma, per una volta, non ribatté e si
limitò semplicemente a salutarmi
con un bacio ed un sorriso.
Non
appena se ne fu andata, chiusi la porta
con un tonfo e corsi alla mia postazione precedente, riagganciando il
lenzuolo
e coprendomi fino al mento.
Fu
proprio in quel momento che, al buio e
con la testa finalmente sgombra, mi lasciai andare ad una risatina
strana,
eccitata, euforica, vera. Una
risatina
che nemmeno io ero capace di spiegarmi. Non avrei mai smesso di pensare
a ciò
che era successo quella sera, al bacio e a tutto il resto.
E
non importava che non sapessi
assolutamente come la situazione si sarebbe evoluta o come avrei dovuto
comportarmi con Edward nei giorni a venire: in quell’istante
tutto sembrava
splendido, regnava quella perfezione che avevo visto soltanto nelle
fiabe da
bambina e che ero convinta non avrei trovato in nessun altro posto.
Fu
così che mi addormentai, con le labbra
tese in un sorriso e la mente lontana da qualsiasi altra cosa che non
fosse lui:
Edward.
*
* * * * *
L’indomani
mattina, non ci fu bisogno delle
solite e odiate cannonate affinché mi svegliassi:
bastò semplicemente il sole.
I suoi raggi, infatti, quel giorno erano così caldi, forti e
insistenti che
riuscirono a penetrare nella stanza semplicemente attraverso le fessure
delle
tapparelle, donandomi un risveglio piacevole e, per la prima volta da
moltissimo tempo, pacifico.
Stropicciai
gli occhi con calma, giusto per
godermi quel momento di pace mattutina che, ne ero certa, non si
sarebbe
ripetuto molto presto.
Seppure
fossimo a ottobre inoltrato, il
sole era sempre presente ed i suoi raggi, in quel momento, sembravano
penetrare
nella pelle come per iniettarvi linfa vitale con la dolcezza di una
carezza.
Mi
cambiai lentamente, andai in bagno e
ritornai nella mia stanza per preparare lo zaino: erano tutte azioni
che
compivo ogni mattina, quasi meccanicamente per quanto erano divenute
ripetitive
e noiose, ma che quel giorno richiesero cura, dedizione, quasi; oltre
ad un
sorriso sulle labbra che ormai era diventato onnipresente.
Scesi
le scale quasi saltellando, zaino
pendente da una spalla e la mano sinistra a tracciare i contorni del
corrimano in
legno.
“Buongiorno”,
mi rivolsi a Charlie,
sprofondato nella poltrona del salotto con gli occhi chiusi, sebbene la
televisione fosse accesa. Della serie, passare da un letto a un altro.
Non
appena sentì la mia voce, saltò quasi
in aria e spalancò le palpebre, rivelando riflessi pronti e
scattanti da
poliziotto, nonostante gli acciacchi dell’età.
“Oh,
Bella, sei tu”, esclamò, senza
preoccuparsi di non far trasparire il sollievo dalla sua voce.
Ridacchiai
in risposta, dirigendomi verso
la cucina.
“Ah,
Bells!”, mi voltai, sentendomi
chiamare ancora. L’espressione di mio padre era perplessa, le
sopracciglia
aggrottate a formare un’ulteriore ruga sulla fronte.
“Come mai lo zaino? Oggi
dobbiamo andare all’ospedale”
Aprii
la bocca per replicare, ma dalle mie
labbra a formare una piccola O, non uscì alcun suono. Me
n’ero completamente
dimenticata!
Lasciai
scivolare lo zaino dal braccio,
facendolo atterrare mollemente a terra. Poi, a passi pesanti e
strascicati,
andai a sedermi sul divano accanto a mio padre, il quale ancora mi
fissava con
quell’espressione di chi non sta capendo più nulla.
Sprofondai
anche io tra i morbidi cuscini
colorati del sofà, e tentai di seguire con occhi assenti il
servizio trasmesso
dalla CNN.
“Bella,
qualche problema?”.
“No”,
risposi scuotendo la testa per dare
più enfasi alla negazione. “Mi è
sembrato semplicemente strano che … me ne
fossi dimenticata”
Charlie
sorrise, allungando lentamente una
mano verso la mia, appoggiata sul bracciolo del divano.
“Stavi pensando ad
altro, vero?”, domandò in una risatina leggera,
forse per vendicarsi della
figura fatta poco prima.
“Certo
che pensava ad altro!”, s’intromise
Renée con tono allegro, facendo capolino dalla cucina e
salvandomi da quella
situazione. “La mia bambina non pensa mai
all’ospedale, perché è una cosa troppo
triste. Lei sa che pensarci le farà
venire le rughe prima del tempo, perciò evita.”
Scambiai
uno sguardo sconvolto con mio
padre, poi risi, ormai certa che nella mia famiglia non ci fosse
più nessuno in
grado di salvarsi dalla pazzia.
“Ehi!”,
protestò Renée, offesa, poi si unì
alle nostre risate, senza alcun apparente motivo.
Che
bel quadretto familiare, pensai
sorridente. Da bambina,
avrei fatto di tutto per un momento del genere, ma col tempo mi ero
rassegnata
all’idea che se i miei non litigavano e non si parlavano era
già un progresso.
In quel momento, invece, tutto sembrava diverso, carico di
un’atmosfera nuova,
che non riuscivo a definire. Sapevo soltanto che mi piaceva. E tanto.
*
* * * * *
“Siamo
giunti ad un momento molto delicato,
Isabella”, il tono del dottor Banner era solenne e serio,
mentre tastava con
tocco attento e gentile le chiazze nude sul mio cranio.
Renée,
in piedi accanto a me, stringeva
forte la mia mano, mentre i suoi occhi, spalancati e luminosi,
saettavano da me
al dottore come una pallina da tennis.
“Senti mai
nausea?”, domandò, sempre con quel
tono distaccato e professionale.
Avevo
imparato a conoscere un po’ meglio il
Dottor Banner, col tempo, e avevo compreso che utilizzava quella voce
soltanto
quando era estremamente concentrato su qualcosa, proprio come in quel
frangente.
“N-non
mi sembra”, balbettai, colta alla
sprovvista.
“Sì,
invece, Bella.”, intervenne mia madre
con aria di rimprovero. “Non ricordi che, qualche giorno fa,
a cena, non hai
mangiato perché sentivi male allo stomaco? E tutte quelle
volte che salti la
colazione?”
Gli
occhi del dottore adesso erano puntati
verso di me, attenti. “Sono sintomi da non sottovalutare
assolutamente, questi.
Entro poco tempo, infatti, diventeranno sempre più forti ed
insistenti: come
già sai, perderai sangue, vomiterai spesso e, come stiamo
già vedendo, i
capelli cadranno. Stiamo entrando nella fase più intensa
della chemioterapia,
perciò vi devo chiedere molta cautela.”
Il
suo sguardo penetrante lasciò i miei occhi,
andando ad incrociare quelli preoccupati di mia madre. “Nei
primi tempi, non
esitate a portarla all’ospedale, dove vi daremo indicazioni
su cosa fare. Col
tempo, ci prenderete anche voi la mano e non sarà
più necessario portarla ogni
volta fin qui”
Renée
continuava ad annuire come un robot,
così meccanicamente da pensare che si trattasse di un tic
nervoso.
Osservai
il dottore, serio e concentrato,
allontanarsi per compilare i soliti moduli; e mi accorsi che qualche
minuto
dopo, quando ebbe sollevato nuovamente la testa, sembrava una persona
completamente diversa. Il volto sorridente e pacifico, infatti, emanava
una
radiosità incredibile che lo faceva sembrare quasi un
angelo, all’interno di
quella stanza bianca.
“Bene,
direi che possiamo anche terminare
qui”, esclamò con tono benevolo, dandomi un lieve
buffetto sulla guancia. “Sono
felice che tu stia reagendo meglio alla terapia”
Per
la seconda volta nella giornata, mia
madre mi salvò da una situazione imbarazzante, prorompendo
con una risata
cristallina. “Oh, sì, pensi che ne ha una tutta
sua … decisamente di un altro genere”,
annunciò entusiasta, dandomi una
leggera gomitata con fare cospiratorio.
Il
dottor Banner sembrò illuminarsi. “Ah,
capisco!”. Detto questo, fece l’occhiolino e mi
accompagnò con una mano sulla
spalla sino alla soglia della stanzetta bianca.
Mi
lasciai trascinare in giro per
l’ospedale da Renée, che ancora non aveva smesso
di tenermi per mano. Sembrava così
serena, quel giorno, nonostante le indicazioni del dottore non fossero
state
delle più allegre.
Il
fattore perdita di capelli, infatti, non
era un qualcosa che spaventava a morte soltanto me, ma anche lei. Forse
era stupido
parlarne in quel modo, visto che la caduta dei capelli era decisamente
una
delle conseguenze minori della leucemia; eppure, il pensiero di dover
perdere
un qualcosa di così determinante per tutte le donne mi
terrorizzava. Avrei perso
la mia femminilità? Mi avrebbero scambiato per un maschio
quando camminavo per
strada? E con Edward? Come avrei spiegato il mio essere diventata
improvvisamente calva?
Non
appena nominai mentalmente il nome di
Edward, i miei pensieri presero strade completamente diverse,
abbandonando
quelle tristi riflessioni legate alla leucemia e passando ad altre di
decisamente altro genere.
“Dici
che è così evidente?”, domandai di
punto in bianco, proprio mentre stavamo per imboccare
l’uscita dell’ospedale.
“Cosa?”.
Si fingeva confusa, lei, ma sapevo
bene che aveva intuito perfettamente a cosa mi stessi riferendo.
“Dai
…”, mormorai a disagio. “Parlo di
Edward”
“Ah,
lui!”, esclamò Renée con
l’aria di chi
ha scoperto l’acqua calda. “Be’
… diciamo che se chiedessi a quel vecchietto
laggiù il motivo per cui stai sorridendo, non penso che
arriverebbe alla
conclusione che c’entra Edward, ma, agli occhi di qualcuno
che ti conosce anche
solo un poco, è chiaro che ti è successo qualcosa
di … bello”, spiegò con un
sorriso materno.
Sospirai,
continuando ad osservare il
traffico mattutino di Phoenix. “Prima dovevo avere
l’aria parecchio depressa …”
“Nah”,
ribatté ironicamente, “semplicemente
esistono persone un tantino più allegre”. Mi mise
un braccio attorno alle
spalle, stringendomi goffamente a sé. “Per me sei
una figlia meravigliosa così
come sei, tesoro”
Se
fossi stata una figlia modello così come
mia madre mi descriveva, probabilmente l’avrei ringraziata di
quel complimento
e le avrei ricordato il bene che le volevo, ma purtroppo non lo ero,
perciò
rimasi in silenzio, imbarazzata, per diversi minuti, lasciando che la
conversazione si disperdesse così, nel vuoto.
Osservai
il traffico intenso e – per me –
confortante di Phoenix, le luci, le persone che scorrevano veloci come
sagome
sullo sfondo di quella città così affollata e
caotica. Neo -mamme con il
passeggino o il figlioletto in braccio, signore anziane che si
aggrappavano ai
pali della luce a causa della mancanza di giovanotti pronti a prestare
i loro
servigi, uomini che passeggiavano tranquilli per la città,
apparentemente senza
un pensiero per la testa, donne e uomini impegnatissimi, con migliaia
di
scartoffie tra le mani che minacciavano di cadere da un momento
all’altro … non
ci si annoiava mai a guardare il via vai di tutte quelle persone.
Ci
fu un qualcuno che, però, catturò la mia
attenzione più degli altri. Si trattava di un uomo in
smoking che parlava
animatamente al telefono, una valigetta scura in una mano e,
nell’altra, un
sacchetto da cui traboccava un magnifico orsacchiotto di peluche con
indosso un
bavaglino su cui era scritto Teddy Bear.
Mi
ritrovai a sorridere, osservandolo, e
pensai che quella scena sarebbe stata capace di far stramazzare Edward
al suolo
dalle risate. “Un uomo facoltoso,
un
manager probabilmente, sempre alle prese con affari, viaggi e
trattative che se
ne va in giro con un orsacchiotto di peluche! Questo sì che
è cadere in
basso!”, avrebbe esclamato tra le risa, incurante
del fatto che la gente
avrebbe potuto sentirlo e dargli del maleducato.
Chissà
cosa stava facendo, in quel momento.
Così come avevo fatto così tante volte, lo
immaginai nella sua scuola, alle
prese con insegnanti, lezioni, test, compagni … sapevo bene
che quei pensieri
non portavano mai a nulla di buono, ma che, al contrario, non facevano
altro che
acuire le mie paranoie, già abbastanza numerose.
Eppure,
mi bastava sempre sentire la sua
voce per calmarmi, per far sparire almeno per un po’ tutti
quei problemi che si
affacciavano nella mia esistenza.
Diedi
un’occhiata veloce all’orologio,
colta da un lampo di ispirazione folgorante. Erano le 10.56.
Senza
pensarci due volte, liquidai mia
madre con qualche scusa a caso, inventando un negozio che dovevo assolutamente andare a vedere!
Lei, un po’ scettica,
acconsentì senza troppe domande, ma con un sorriso che mi
fece temere avesse
intuito qualcosa.
Camminai
ancora per un paio di minuti, poi,
quando fui certa che Renée fosse ormai lontana, presi il
cellulare dalla tasca
dei jeans e composi con dita tremanti il numero di Edward.
Era
l’intervallo, cavoli, doveva
rispondermi.
Dopo
tre squilli a vuoto, finalmente,
eccola, la sua voce, resa un po’ più roca e
metallica dal telefono.
“Pronto?”
“Ciao”,
dissi semplicemente, con il cuore
in gola. Colta da quell’improvviso desiderio di sentirlo, non
avevo badato
molto alle precedenti preoccupazioni circa ciò che ci
saremmo dovuti dire dopo
il bacio.
“Oh,
ciao, Bella”, rispose lui immediatamente, nella
voce una nota di sollievo
che speravo di non essermi inventata. “Tutto
bene?”
“Sì,
abbastanza. Oggi, giornata libera. Ho finito
l’assistenza all’ospedale proprio qualche minuto
fa”, dichiarai fiera, mentendo
spudoratamente.
“Beata
te! Io sono a scuola … a proposito, mi hai beccato proprio
nel momento giusto,
sai? C’è l’intervallo, adesso.”
Feci
finta di non aver calcolato tutto,
evitando di passare per una pazza maniaca. “Wow. E tu che
fai?”
“Io?
Mmm …”,
lasciò la frase in sospeso,
lasciando che udissi rumori e fruscii indistinti dall’altra
parte.
Attesi
qualche secondo, un tempo che invece
a me sembrò un’eternità. Quasi quasi mi
preoccupai che mi avesse riattaccato in
faccia e che non me ne fossi nemmeno accorta.
“Vedi,
sono concentrato in un’operazione
della massima importanza”, il suo tono vagamente ironico e
cospiratorio fece
alleggerire la mia ansia.
“Mmm
… sono molto curiosa”
“E’
un’arte, la mia. Un compito che ho imparato a svolgere sin da
quando ero in
fasce poiché è davvero, davvero importante per la
sopravvivenza dell’umanità e,
soprattutto … per
la mia!”
Ridacchiai,
ormai davvero interessata e
colpita. “Uh, il mistero s’infittisce”
“Eh,
già. Sono come un vampiro, devo agire di nascosto, senza
essere visto da
nessuno.”
“E
perché?”
“Perché
in molti potrebbero non capire l’importanza del mio compito,
potrebbero
addirittura fraintendere: farmi
passare per il nemico, capisci?!”,
domandò con tono teatrale.
Non
volevo proprio pensare alle persone che
gli sarebbero passate accanto in quel momento e che
l’avrebbero preso per
pazzo, sentendogli dire certe scemenze.
“Deve
essere un qualcosa di incredibilmente
serio. Ma dimmi, di che si tratta?”, chiesi a mia volta,
dando alla mia voce un
fare cospiratorio, proprio come aveva fatto lui.
“Non
so se posso rivelartelo, Bella … tu mi tradiresti mai?”
“Mai”,
risposi di getto, con una sincerità
che andava decisamente al di là di quel gioco scemo.
“Allora
posso fidarmi”, concluse sereno, “Vedi
… io … io … sono un ladro di merende!”.
A
quelle parole, sussurrate con un’intensità
incredibile, non riuscii a fare a meno di trattenere le risate,
guadagnandomi
qualche occhiata confusa da parte dei passanti.
“Tu
non sei affatto normale!”
“Lo
vedi? Lo vedi che avevo ragione?! Non posso fidarmi di te, tu sei come
tutti
gli altri! Non capisci quale sia l’importanza del mio compito!”,
ribatté
con tono – fintamente – disperato.
“Oh,
no, Edward, io capisco perfettamente!
Questa è la missione per la tua
sopravvivenza, poco ma sicuro!”
“Stai
mettendo in dubbio il mio altruismo, vero? Ma tu non mi conosci, io
sono un
Robin Hood dell’era contemporanea, io rubo ai ricchi per dare
ai poveri!”
Risi
ancora, sforzandomi di ritrovare il
fiato per rispondere. “Oh, ma fammi indovinare: rubi gli
spuntini dietetici alle
cheerleader per donarli ai secchioni ed agli emarginati?”
“Rubo
anche cose non dietetiche, eh, ma comunque … sì,
a grandi linee la missione prevedrebbe
questo.”
“Edward
… allora ti lascio al tuo grande
compito, non vorrei mai che a causa mia qualche sfigato rimanesse senza
cibo.”,
attesi un attimo, prima di continuare, incerta. “Ci
… vediamo”
“Sì,
così potrò raccontarti l’esito della
mia missione. Va bene venerdì alle 16
davanti all’ospedale? Vorrei approfittarne per comprare il
regalo per Jessica e ...”
“E’
vero, Jessica!”, lo interruppi immediatamente,
“Me n’ero completamente dimenticata!”
E
mentre parlavo, il panico cominciò ad
attanagliarmi. Come mi sarei comportata davanti a tutta quella gente
che mi
aveva sempre tratta come uno scarto della natura? Come mi sarei
vestita? Che
cosa avrei comprato e … i capelli!
“...
E
parlare con te per bene … a sei occhi”
La
sua frase mi spiazzò completamente, non
soltanto perché mi ero persa in pensieri di
tutt’altro genere, ma perché non me
l’aspettavo proprio. Mi sarebbe anche venuto il batticuore,
se non fosse stato per
le ultime tre parole, che mi lasciarono un po’ perplessa.
“Sei occhi?”,
domandai attraversando di corsa la strada.
“Oh,
scusami! Mi ero dimenticato che i miei occhiali non erano inclusi
nell’appuntamento!”
“Da
quando porti gli occhi?!”, esclamai a
voce troppo alta.
Lui
rise. “Da un po’ di tempo,
vedi, la mia missione è talmente pericolosa che a
volte ci rimetto perfino io stesso …”
Ma
ormai non lo ascoltavo quasi più. I miei
occhi erano incappati in una vetrina che sembrava essere stata
costruita
soltanto per alleviare le mie pene terrene.
“Ci
vediamo presto, Edward”, riattaccai in
fretta e furia, il mio sguardo che ormai non faceva altro che
rincorrere quelle
parole vergate con un carattere svolazzante e azzurrino
sull’entrata del
negozio.
I
vostri capelli non vi piacciono più? Sono troppo crespi,
grassi o ispidi? Avete
voglia di cambiare completamente stile senza spendere milioni dal
parrucchiere?
Qui
troverete la soluzione ai vostri problemi! Acquistate uno, dieci, cento
dei
nostri prodotti, tutti di altissima qualità, e vedrete
eccome la differenza!
Senza
attendere più un secondo, ricacciai
il cellulare in tasca e aprii con forza la porta a vetri tappezzata di
manifesti e annunci pubblicitari.
“Salve, vorrei
una parrucca.”
Non
avete idea di quanto mi vergogni a presentarmi qui soltanto oggi, dopo
3 mesi e 2 giorni dallo scorso aggiornamento, con ancora tantissime
recensioni a cui rispondere.
Mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.
Non
so davvero come dirlo, vorrei conoscere tutte le lingue del mondo per
fare almeno una bella figura, ma a parte l'italiano e qualcos'altro di
antico e nuovo, so ben poco.
Potrei
dirvi che ho avuto un sacco di cose da fare, ma non lo farò,
perché sebbene abbia avuto gli esami e per parecchio tempo
non sia stata a casa, ho avuto il tempo di stare al computer, ho
provato e riprovato a scrivere questo capitolo così come
altri, di storie diverse, eppure non ce l'ho mai fatta.
Tre
mesi fa, finalmente sembrava che l'ispirazione fosse tornata, ma,
evidentemente, mi sbagliavo.
Spero
che siate disposte a perdonarmi ancora una volta, anche se non me lo
merito. E, anzi, se non lo farete, sappiate che avete tutta la mia
comprensione: io non so se lo farei, fossi nei vostri panni.
Nel
caso scegliate di farlo, vi ringrazio davvero dal profondo del cuore, e
lo fanno anche i miei Edward e Bella, nel loro piccolo.
Passando
a loro, euesto capitolo è un po' di passaggio, ma serve per
far capire come entrambi hanno preso la storia del bacio (non temete,
Edward non se n'è affatto dimenticato!) e per sottolineare
il particolare della caduta dei capelli, oltre alla fantomatica
soluzione.
Se
devo essere sincera, avrei voluto scrivere un capitolo molto
più drammatico riguardante la caduta dei capelli, in quanto
particolarmente legata a questo sintomo, ma non mi sembrava giusto
rovinare l'emozione che si prova dopo un momento
così romantico e dolce *.*
Prima
di salutarvi e di augurarvi buone vacanze, vorrei precisare un'ultima
cosa, ma non per questo meno importante. Circa tre
mesi fa, ho avuto l'occasione di guardare un bellissimo film di cui in
tanti mi avevano parlato bene, ma che non sapevo assolutamente di cosa
trattasse: I passi dell'amore. Ecco, ne sono rimasta incantata, ma mi
sono accorta che la storia somiglia davvero tantissimo a YGA!!!!!!! E
vi posso giurare che io non l'avevo mai visto!!!!!! Ora, vorrei evitare
di scrivere un qualcosa di identico a I passi dell'amore, ma non posso
nemmeno sconvolgere del tutto la trama originaria, perché
altrimenti la storia non sarebbe più la stessa!
Detto
questo ... ancora scusa, ragazze! Scusate e grazie infinite per le
splendide recensioni che mi lasciate ogni volta: GRAZIE DAVVERO!!!!
Vi
auguro una buonissima estate, sperando che l'ispirazione torni a farmi
compagnia, e vi annuncio che purtroppo starò lontana da casa
per 1 mese e, quindi, anche dal pc. =(
Ci
rivediamo a settembre!!!!
Mi scuso ancora, augurandomi
di sentirvi presto tramite le recensioni di quelle sante che spero mi
perdoneranno.
Un bacio grande,
Elena
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