Eat me up

di Martina1705
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eat me up - 1/3 ***
Capitolo 2: *** Eat me up - 2/3 ***
Capitolo 3: *** Eat me up - 3/3 ***



Capitolo 1
*** Eat me up - 1/3 ***


Eat me up - Parte 1

Ebbene, ho un po' di cose che ho scritto e messo da parte, e ho pensato: visto che è un saaaaaaacco di tempo che non posto niente, perchè non rompere le scatole a tutti postando una valangata di cose tutte assieme? E così fu U_U Il mio secondo attento a una long-fic (? non so, perchè credo che saranno tre parti) dopo Please don't go (Mi scuso in ginocchio con tutti coloro che seguono quella fic e che aspettano pazientemente un nuovo capitolo, arriverà presto promesso ;w;) INSOMMA, STO DIVAGANDO. Ho scoperto di scrivere quasi solamente JongKey, e questa è una di quelle, spero vi piaccia :3 fatemi sapere cosa ne pensate della prima parte <3

Eat me up - Parte 1

 

"Jjongie! Sono a casa!"

Kibum si svuotò le tasche, poggò le chiavi e il cellulare sul mobiletto accanto alla porta; erano ancora le nove, era uscito appena una mezz'ora prima, anche se a dirle tutta, proprio quella mattina non ne aveva nessuna voglia.

Non c'era traccia di Jonghyun in giro, sicuramente era ancora a letto. Key si sfilò la giacca e la lasciò cadere per terra, l'avrebbe raccolta e messa a posto dopo. Andò in cucina e si versò un bicchiere d'acqua, si mise a parlare a voce alta sperando che Jonghyun fosse sveglio e potesse almeno sentirlo.

"Ho fatto tardi, ho perso il treno, e dato che la macchina è fuori uso mi sono preso un giorno di ferie. Che ne dici di uscire? O restiamo a casa?"

Con un sorriso sulle labbra iniziò a pensare a tutti i modi in cui poteva passare piacevolmente la mattinata libera col suo ragazzo; alla fine ne uscì che il farsi prendere fino a non poter più camminare era l'idea migliore.

"Jjooongieee!"

Salì le scale di corsa con il bicchiere mezzo pieno ancora in mano. La porta della loro camera era chiusa, bussò e la sua testa sbucò nella stanza.

Il bicchiere si infranse a terra e l'acqua venne in parte assorbita dal parquet.

Due ragazzi alzarono il viso terrorizzati, avevano la stessa espressione di un cervo illuminato dai fari di un camion nel bel mezzo di un'autostrada. Kibum trattenne il respiro, il suo cuore perse un battito.

"Jonghyun... Che stai..."

"Key! Non è come sembra! Davvero!"

E invece era proprio come sembrava, i due ragazzi erano nudi sotto le coperte, e c'era davvero poco da fraintendere. Kibum sentì di stare per svenire, si appoggiò alla porta con entrambe le mani. Prese un gran respiro, ma quando aprì la bocca per provare a parlare gli uscì solo un fiume di lacrime.

Si allontanò dalla porta, sbattè la testa contro il muro e scivolò schiena a muro fino al pavimento. Non poteva reggere tutto questo. Non riusciva ancora a realizzarlo.

Jonghyun uscì semi-nudo dalla stanza, lui si alzò e lo schiaffeggiò con violenza, con questo siglò la fine di tutto.

Non gli rivolse nemmeno una parola, gli passò davanti e ritornò nella stanza. Guardò l'altro ragazzo rivestirsi lentamente.

"Sbrigati. Sbrigati ed esci da casa mia. Subito."

Quello, intimidito, raccolse con un braccio i suoi vestiti e si precipitò fuori. Rientrò anche Jonghyun.

Key si abbassò, prese da sotto il letto una valigia; aprì l'armadio e gettò tutto dentro confusamente.

"Key, che stai facendo... Ti prego, non fare così, lasciami spiegare..."

Ma quello continuava senza nemmeno guardarlo, gli sembrò anche di aver smesso di piangere.

"Dove vai?"

Kibum con un po' di fatica chiuse la zip forzandola e gli lanciò la valigia deformata.

"Io non vado da nessuna parte."

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Capitolo 2
*** Eat me up - 2/3 ***


Eat me up - Parte 2

Eat me up - Parte 2


Mi sento in dovere di iniziare con delle scuse u_u non mi scuserò per averci messo una vita per questa parte, eravate stati avvertiti u_u ma lo farò per la piega ultra-super-iper-drammatica che ha preso la storia, e ancora non ho nemmeno dato il meglio di me =.= e poi la lunghezza D: è spaventosamente lunga, perlomeno per i miei standard D: in pratica questa è la parte principale della storia, il resto è un epilogo e un prologo u_u ma vi sto annoiando con cose che con tutta probabilità non vi interessano per niente, quindi mi scuso anche per quest'ultima interruzione e vi lascio in pace u_u spero sia valsa la pena di aspettare *w* enjoy <3


Rivedere quella porta lo colpì terribilmente. Non era la porta in sé, non erano quei tre gradini per cui era salito e sceso un migliaio di volte, non erano i due anni che erano passati dall'ultima volta che si era trovato là. Era il non avere buste della spesa da portare dentro di corsa, era il non avere un mazzo di fiori in mano pronto a farsi perdonare un ritardo, era il sentirsi un estraneo davanti la porta di quella che era stata la sua casa. Salì esitante i gradini, ma un attimo prima di bussare il suo pugno si aprì e non riuscì a muoversi. Era davvero così che voleva rientrare nella sua vita? Cosa pretendeva di fare? Come pretendeva di essere trattato? Era stato cacciato a ragione due anni prima, non aveva mai provato a farsi perdonare, e ora rispuntava dal nulla. Si aspettava gli striscioni di benvenuto? Poggiò la fronte contro la porta, li dividevano così pochi metri... Prese un enorme coraggio, un respiro così profondo che gli fece per un attimo girare la testa, e bussò.

All'inizio non si sentì nulla, si accorse solo di un confuso ronzio di voci, che però c'erano state fin dall'inizio. Cos'era quella confusione? Dei passi veloci arrivarono sulla soglia e la porta si aprì. Era un uomo poco più grande di lui, carino, dall'aspetto amichevole, che gli offrì un affabile sorriso aspettando che Jonghyun dicesse qualcosa. Quando capì che lo sguardo del ragazzo appena apparso poteva condurre solo alla totale confusione, parlò per primo.

"Hai un appuntamento? Per che ora? O affitti solo la stanza?"

"A - appuntamento? Stanza? Che stanza? Ma abita ancora qua Kibum? Kim Kibum."

L'uomo lo guardò come se fosse l'essere più strano dell'universo.

"Ecco, effettivamente..."

Un altro ragazzo, sicuramente più giovane gli passò alle spalle e lui lo fermò.

"Manda a chiamare Campanellino, quando ha finito digli di venire subito qua. Si tratta di... Uno nuovo, suppongo."

Quello annuì e riprese a camminare, l'uomo si voltò ancora verso Jonghyun.

"Tu sai cosa succede qui, vero?"

"Cosa succede qui? No che non lo so? Perché tutti questi segreti? POSSO SAPERE CHE SUCCEDE A CASA MIA?"

L'uomo spalancò gli occhi e fu colpito in piena fronte da un'illuminazione.

"Casa tua? Tu sei... Sei..."

"JONHGYUN!"

"Jonghyun! Ecco!"

Alla realizzazione si accompagnò il ricordo di tutte quello che aveva sentito su di lui.

"Sai che io ho una lista ben precisa di offese da elencarti e l'ordine di scaraventarti giù e chiudere la porta?"

"Lo immaginavo."

"E se solo la metà di quello che mi ha detto Campanellino è vero, potrei farlo con molto piacere."

"Ti prego, non chiamarlo Campanellino, non con me. E perché non lo stai facendo? Perché non mi stai cacciando?"

"Perché sono mesi che sono diventato lo psicologo della mia amante."

"Amante."

Jonghyun ripeté secco la parola facendosela rigirare sulla lingua e nella testa.

"Amante?"

Rivolse uno sguardo supplichevole e interrogativo all'uomo che si sentì improvvisamente male.

Scese un gradino e gli mise una mano sulla spalla, guardandolo con un po' di compassione.

"Non credo ci sia un modo giusto per dirlo..."

Una lama tagliò Jonghyun in due esatte metà, la frase dell'uomo era stata interrotta dalla voce più bella e solare che avesse mai sentito, prima ancora di vederlo, sapeva perfettamente a chi apparteneva quella risata.

"Yoo, da quando hai bisogno della mia assistenza per quelli nuovi?"

Kibum fece capolino con un sorrisetto sulle labbra, che si trasformò in qualcosa di mostruoso a quello che fu costretto a vedere.

"J-j-j-jong-ghyun."

Si coprì la mano con la bocca. Erano mesi che aveva smesso di balbettare, e non era certo il momento di ricominciare.

"C-c-cosa... C-che..."

Si premette l'altra mano sulla bocca, respirò e ricominciò.

"Yoo entra."

L'uomo non rispose, obbedì in silenzio e a testa bassa.

Kibum si strinse nella sua vestaglia, si coprì meglio che poté, ma non c'era dubbio per nessuno che sotto non avesse nient'altro. Quel movimento scoprì appena le braccia di Key, Jonghyun poté solo notare quanto sembrassero fragili, quanto le sue dita fossero sottili. Tutta la sua figura, in realtà, sembrava un insieme di ossicini tenuti assieme dalla pelle. Era magro, magro allo sfinimento, magro che a vedere quel viso pallido e scavato, a Jonghyun stringeva il cuore.

"Ciao."

Uno schiaffo si abbatté sulla guancia sinistra di Jonghyun, che non osò alzare lo sguardo; Key allungò le mani e lo spinse con rabbia, e lui cadde dagli scalini, finendo sull'erba.

"Vattene."

Jonghyun alzò il viso con aria grave, non aveva più niente da perdere ormai, e di certo non si sarebbe fatto rimandare indietro da una rabbia che aveva previsto.

Ancora per terra e con la mano sul viso, socchiuse gli occhi e scosse la testa.

"Io non vado da nessuna parte."

A quelle parole Kibum quasi svenne. Erano state le ultime parole che si erano scambiati, le uniche parole che erano rimaste in sospeso tra loro per tanto tempo.

Altre situazioni, altri significati, stesse parole.

Kibum si voltò, “Se hai qualcosa da dire entra, ti concedo dieci minuti, altrimenti non farmi perdere tempo, ho molto da fare."

Jonghyun si alzò e si spolverò, salì velocemente i gradini ed entrò, chiudendo la porta dietro di lui.

Kibum camminava rivolgendogli le spalle, nei suoi passi c'era qualcosa di instabile e debole che faceva pensare a Jonghyun che l'altro sarebbe caduto da un momento all'altro. Mentre camminavano, senza scambiarsi una parola, fuori dal nulla spuntò Yoo; Kibum provò a ignorarlo, ma lui gli prese la mano, e Jonghyun si sentì invadere da una leggera fitta di gelosia. Parlavano sottovoce, ma era troppo vicino alla schiena di Key, e capiva benissimo che parlavano di lui.

"Kibum, ci sono problemi? Se non vuoi che entri posso sempre farlo portare fuori. Piuttosto, scusa se non l'ho fatto prima, non l'ho riconosciuto subito..."

"Non preoccuparti."

Abbassò leggermente il viso e Jonghyun non poteva vederlo, ma sapeva che in quel momento sulle labbra di Key si era abbozzato un piccolo sorriso, tanto debole quanto falso. Yoo gli prese il mento tra le dita e lo costrinse a guardarlo negli occhi; lo sguardo era più fragile di prima, ma il sorriso non cambiava.

"Va tutto bene, davvero. Vai dagli altri, di' loro che mi concedano un quarto d'ora, dieci minuti magari. E se si lamentano troppo, di' che stasera finirò il turno, senza orario di chiusura."

Il tono della sua voce spezzò il cuore di entrambi i ragazzi, Yoo non lasciò la presa sul suo viso; sapeva perfettamente che non andava tutto bene. Niente andava per niente bene, e improvvisamente si pentì davvero di non aver buttato fuori Jonghyun da subito. Ma se Campanellino dice che va tutto bene, allora tutto deve andare bene, e non si può fare altro che preoccuparsi, e tenere per sé le proprie preoccupazioni.

"Se ci sono problemi...- fece un lieve cenno verso Jonghyun - lancia un urlo e verrò personalmente a dare qualche calcio in qualche culo."

Rise appena e Key restituì un sorriso più vero.

"Grazie."

Stavolta la voce era poco più che un fragilissimo filo, e Jonghyun sentì l'urgenza di prenderlo tra le braccia, perché si sentiva sicuro che quelle caviglie scheletriche l'avrebbero tradito.

Non fu così, Yoo si fece da parte e loro continuarono verso l'unica stanza in fondo al corridoio. Key aprì la porta, aspettando che Jonghyun fosse dentro, tendendogli poi la mano.

"La cravatta."

Lo guardò, poi scosse la testa, ogni suo movimento esprimeva stanchezza e frustrazione.

"Scusa, è l'abitudine. Suppongo tu non abbia portato la cravatta. Dammi la giacca."

Jonghyun obbedì in silenzio, gli porse la giacca e Kibum l'appese fuori dalla porta, per chiuderla delicatamente subito dopo. Jonghyun si guardò attorno, quella presumibilmente era diventata la stanza da letto, e un enorme letto a due piazze dominava sul resto dei mobili. Key gli passò davanti, raggiungendo un piccolo bar nascosto in un mobile e prendendone una bottiglia di liquore. Se ne versò due dita, e le ingoiò tutte in una volta; si voltò verso Jonghyun con il viso arrossato e un sopracciglio alzato.

“Sono tutto tuo.”

"Chi sono?"

"La mia vita non è più un affare che ti riguarda. Ma se proprio ci tieni a saperlo, loro sono il mio lavoro."

La tremenda realizzazione colpì Jonghyun in piena fronte, Key che aveva degli uomini che lo aspettavano nell'altra stanza, Key che girava seminudo per casa, Key che teneva un letto a due piazze, nonostante ora vivesse da solo.

"Tu sei una prostituta."

Kibum restò impassibile davanti all'accusa, si limitò a versarsi altre due dita di liquore.

"La casa è grande, e io sono solo, è uno spreco. Affitto le camere. Per quanto tempo, poi, vogliano tenerle, non è un mio problema. Se vogliono affittare la camera dove dormo anch'io, non è un mio problema nemmeno quello, il letto c'è, ed è mezzo vuoto. Se per una notte, un'ora o anche dieci minuti vogliono un po' di compagnia, chi sono io per negarglielo? Purché aggiungano qualcosa sul conto finale. Tutto qui."

Jonghyun si alzò, si sentiva triste, confuso, arrabbiato come una belva, e avrebbe ucciso per avere un po' di quel liquore che Key teneva ora in mano e beveva direttamente dalla bottiglia.

"Tu sei una prostituta, hai trasformato la nostra casa in una casa a luci rosse, vendi te stesso e il nostro letto per dieci miseri minuti! E quello? Quello chi è? E'... Una squallida controfigura di me? O il tuo protettore? Ma come ti sei ridotto? Sai, per me questa è tutta una scusa per farti scopare. Sei caduto in basso, Kibum."

Kibum in un gesto dettato dal nervosismo passò il braccio sul mobile dietro di lui, facendo infrangere due bicchieri sul pavimento.

"Perché sei tornato? Chi sei tu per dirmi come devo o no vivere la mia vita. Io non ho niente di cui pentirmi, e non sarà certo il giudizio di uno stronzo come te a portarmi indietro. E almeno io qualcuno con cui scopare lo trovo. Speravo che avessi qualcosa da dirmi, davvero. Magari mi avessi detto che andavi per sempre a vivere in Europa, o chissà, perché non sognare in grande, che ti rimaneva un anno di vita. Sai, ho sempre una bottiglia di champagne messa da parte per occasioni di questo tipo. E invece vieni qui dopo tutto questo tempo, e inizi a sputare sentenze su come vivo, su quanto sono o no caduto in basso dal tuo punto di vista. Senti, io credo che sia meglio se la smettiamo di scambiarci offese gratuite, come vedi noi due non abbiamo più nulla da dirci. Non costringermi ad urlare, Yoo può romperti in due con una mano sola."

"Io non ho finito."

"Jonghyun, sono 75.000 won la stanza, 105.000 la bocca e 150.000 - si scorse una mano scheletrica lungo il corpo - beh, tutto il resto. Altrimenti, hai finito."

Jonghyun non disse una parola di più, frustrato aprì la porta, prese la giacca e la richiuse con violenza. Quasi immediatamente, accorse Yoo a causa del rumore, e Jonghyun, preso dalla rabbia e dall'adrenalina, gli prese il colletto e lo spinse contro il muro.

"Tu mi devi un sacco di spiegazioni."

Yoo era comprensivo, ma anche molto più forte di Jonghyun; si liberò facilmente, ma non lo colpì.

"Mi dispiace, non ti devo proprio niente. Ma visto che ci tieni, ti darò tutte le spiegazioni che vuoi."

*

Yoo tirò una boccata dalla sua sigaretta, Jonghyun si rigirò tra le dita quella che gli aveva offerto, ancora spenta. Ringraziò mentalmente Yoo di averlo portato in una stanza vuota, ma per un attimo ebbe un ripensamento: magari non aveva tutto questo bisogno di sapere il resto della verità. Yoo aprì la bocca per dire qualcosa, erano stati in silenzio fino a quel momento, ma non era stato un silenzio causato dall’imbarazzo, era stato un silenzio giusto, un silenzio per permettere a Jonghyun di riordinare i pensieri e a Yoo di mettere assieme i ricordi; Jonghyun considerò improvvisamente indispensabile accendere la sua sigaretta.

“È stato tempo fa. Un anno, un anno e mezzo al massimo. Ha iniziato davvero come ti ha raccontato, e anche adesso, ogni cento persone, una o due vogliono davvero affittare solo una camera. E all’inizio gli andava abbastanza bene devo dire; non nuotava tra champagne e caviale, ma se la cavava discretamente mi ha detto. È stato uno dei miei colleghi di allora, adesso ho cambiato lavoro. Un giorno mi ha detto che in quella specie di motel che c’era nella stessa via della mia casa, il proprietario faceva anche… altro genere di favori. Non è che io sia davvero interessato a certe cose, davvero, ma qualcosa mi costrinse ad entrare in quella casa, arrivai con il semplice pretesto di affittare una stanza; però prima di darmi la chiave, Campanellino mi chiese candidamente ‘È solo la camera che vuoi? Ultimamente ho avuto altre richieste. Affittare la stanza – e me, perché non dirlo – per una decina di minuti. Non sentirti offeso, sto solo chiedendo.’ Iniziò tutto quel giorno, io sono stato uno dei primi clienti di quel genere, e sicuramente il primo a diventare ospite fisso. Col tempo se ne sono aggiunti altri, e la casa di solito è molto più affollata di così; è che sei arrivato durante la settimana delle mogli. Ti spiego…”

“La maggior parte di voi ha una moglie o una fidanzata, e pur essendo clienti fissi, avete bisogno di stare a casa per un certo periodo di tempo per non destare sospetti. È normale.”

“Beh si, in effetti era abbastanza ovvio.” Yoo sorrise dolcemente, Jonghyun non riusciva a crederci che quell’uomo era il cliente fisso più affezionato di una prostituta, un tipo così se lo sarebbe aspettato grasso, con la barba, con la faccia che urlava “sono una cattiva persona”, insomma.

“E tu? Perché non sei fuori?”

“Io non sono sposato, non sono fidanzato, non voglio legami. Sarò sincero con te, fino a un anno fa non volevo legami, adesso… So che è ridicolo, ma adesso mi sembrerebbe di tradire Kibum in un certo senso.” Rise di nuovo, si rigirò la sigaretta tra le dita e la riportò alle labbra.

“La verità è che c’è qualcosa tra noi che non c’è fra lui e gli altri. Lui con me parla, sono l’unico a sapere della tua esistenza, del perché di tutto quanto. Speravo che incontrandovi avreste risolto tutto. Non prendertela, della tua psiche non potrebbe importarmene di meno, ma darei via l’anima per ristabilire l’animo del mio Campanellino.”

“Mi… Mi dispiace.”

“È un po’ stupido da dire adesso, non credi?”

Jonghyun gettò la cenere in eccesso con lo sguardo perso nel vuoto in direzione del tavolino che aveva davanti.

“Yoo, devo farti una domanda. Non so se sia stupida o no, ho soltanto bisogno di chiedertelo.”

“Non farti problemi.” Yoo si mise comodo sulla sua poltrona, aspettando la domanda di Jonghyun.

“Quando è stata l’ultima volta che Kibum ha davvero mangiato?”

La frase gli uscì dalle labbra con un solo respiro, e Yoo si irrigidì immediatamente, aspirando di nuovo e a lungo dalla sua sigaretta; fu il primo a parlare dopo una pausa che a entrambi sembrò eterna.

“Te ne sei accorto anche tu vero?”

Jonghyun rabbrividì a sentire confermare la sua idea, credeva, sperava, che Yoo lo avrebbe preso in giro ‘Se Kibum si sta mettendo in forma è solo per tutto il movimento che fa’. Anche una battutaccia del genere lo avrebbe risollevato. E invece aveva avuto soltanto una conferma.

“Beh Jonghyun, spero tu non mi crederai pazzo, ma  l’ultimo pasto vero che ho visto fare a Kim Kibum, gliel’ho offerto io, una cena al giapponese, più di due mesi fa. Lo vedo solo mangiare una carota, o un pezzettino di pane tra un cliente e l’altro. All'inizio più di una volta era troppo impegnato e mi chiedeva di fare la spesa per noi due, mettere sul fuoco qualcosa per la cena; se non avessi saputo cosa faceva in quella stanza, avrei potuto considerarci quasi una coppia normale. Adesso non sa nemmeno più cosa sia un supermercato, se aprissi il frigo so che troverei il vuoto più desolante e le pentole non lasciano il loro posto da un pezzo. Una volta ho provato a dirglielo, e mi ha buttato fuori. Mi ha accusato di essere paranoico, di volerlo soffocare, mi ha detto di non tornare più. La sera di quello stesso giorno mi ha chiamato, piangeva, si è scusato e mi ha chiesto di tornare perché aveva bisogno di me, ma non voleva parlare più di... Quell'argomento. E questa è la prima volta che ne parlo da allora."

Yoo smise di parlare, era stanco e rivangare il passato lo aveva rabbuiato; il sorriso tanto naturale che aveva affascinato Jonghyun era completamente sparito. Gettò il mozzicone che rimaneva della sua sigaretta e Jonghyun fece lo stesso. Si resero conto dell'improvvisa calma della casa, e Yoo guardò l'orologio: era orario di chiusura e decise che per quella sera sarebbe stato meglio tornare a casa.

"Tu non sei cattivo, e capita a tutti di fare una stupidaggine. Purtroppo non tutti hanno la fortuna di avere un'altra possibilità, e mi dispiace, perché secondo me te la meriteresti."

Prese un mazzo di chiavi da un cassetto sotto il tavolino e se le rigirò su un dito, riflettendo per un secondo.

"Vieni con me, ti do un passaggio a casa."

"No... No, resto."

"Jonghyun... Non vorrei sembrarti cattivo, ma l'hai visto anche tu, Kibum non mi sembrava disposto a ritrattare."

"Io... Continuerò a sbattere la testa contro il suo muro di rancore finché non si romperà quello o la mia testa. Non ho intenzione di arrendermi."

Yoo annuì e gli sorrise.

"E' per questo che sono sempre più convinto che te la meriti un'altra possibilità. Probabilmente si sarà chiuso a chiave nella camera, lo fa sempre quando finisce la giornata, nel vaso accanto alla porta c'è la chiave."

"Grazie."

"Buona fortuna."

*

La serratura scattò mentre Key era appoggiato ad un comodino con un altro bicchiere di liquore in mano e la schiena rivolta alla porta.

"E' orario di chiusura, torna domani, per oggi ho finito." disse, non riflettendo sul fatto che l'ospite avesse la chiave della su stanza.

"No, non hai finito."

Key lanciò il bicchiere contro il muro, urlando.

"Jonghyun esci subito fuori da qui. Non costringermi a chiamare Yoo."

"Yoo non c'è, siamo solo noi qui."

"Sembra una minaccia. Beh, in questo caso non costringermi a chiamare la polizia. Sai che lo farò."

"No, non lo farai."

Jonghyun prese il portafogli dalla tasca dei suoi jeans e ne estrasse alcune banconote, poggiandole sul primo ripiano che trovò vicino. “Sono 500.000 won. Sei mio stanotte. Chiama la polizia, racconta loro che hai su un giro di prostituzione clandestina e che uno dei tuoi clienti ti ha aggredito. Sono disposto a farmi fare un occhio nero per simulare un combattimento. Dai, fatti sotto."

"Jonghyun..."

"Sul letto."

Kibum si trovò con le spalle al muro, non poté fare altro che obbedire, preparandosi al peggio. Non aveva Yoo dietro il quale nascondersi, non poteva chiedere aiuto a nessuno, e di sicuro non avrebbe saputo come difendersi da solo, quindi andò e si sedette obbedientemente sul letto. Era un cliente come un altro, bastava pensare a qualcos'altro, e nel giro di un quarto d'ora sarebbe passato tutto, e se la fortuna lo aiutava, avrebbe potuto cambiare nome e città e non rivederlo mai più. Il trucco lo conosceva fin troppo bene: pensa a qualcos'altro. Mentre quelle mani rudi, sconosciute e a volte tanto violente da lasciare lividi, prendono possesso di te, devi pensare, immaginare che quelle mani siano più grandi, più dolci, più calde. In realtà quelle sono le mani di Yoo, è la dolcezza a muoverle. O magari quello a cui aveva pensato i primi tempi. Le SUE mani, le mani di Jonghyun, i suoi baci, le sue carezze, il suo respiro. Si era odiato per aver continuato ad ossessionarsi con lui, ma doveva ammettere che Jonghyun aveva ragione, era caduto in basso, e quando arrivi a un certo livello di bassezza, certe questioni non hanno più valore.

"Sdraiati."

Obbedì, tremando di paura, perché sapeva che avrebbe potuto piacergli, avrebbe potuto volerlo anche lui, se solo Jonghyun avesse iniziato. Ma Jonghyun non iniziò niente. Sentì il peso del ragazzo affondare nel materasso al suo fianco, e nient'altro. Passarono secondi, minuti, prima che Jonghyun facesse la prima mossa. Allungò un braccio al suo fianco, prendendo quasi di peso Kibum in un abbraccio. Key tremò, iniziò a piangere e quando Jonghyun sentì i singhiozzi del ragazzo riscuotersi sul suo petto, lo strinse più forte e gli passo una mano su una guancia.

"Non piangere, ti prego, non voglio che tu pianga."

"Ti odio Jonghyun."

Disse quelle parole piene di tanta emozione, tanto sentimento, ma nessuno dei due ci credette davvero. Jonghyun baciò lievemente la sua fronte e Key si lasciò andare ancora di più alle sue lacrime, stringendosi, seppur involontariamente, nell'abbraccio. Lo sapeva che gli sarebbe piaciuto, che ci sarebbe ricascato. Gli piaceva sentire le sue braccia forti e protettive, il battito del suo cuore, il suo profumo, gli piaceva e gli mancava da morire, gli era sempre mancato. Liberò la testa da tutti i pensieri terribili che l’avevano abitata, e i singhiozzi sembrarono calmarsi.

 

Quella mattina, Jonghyun si svegliò da solo. La stanza era vuota e le finestre aperte, e il ricordo della notte passata lo colpì come un mal di testa la mattina dopo una sbronza. Ebbe voglia di uscire e cercare Key, urlare per tutta la casa finché non fosse uscito fuori, e fargli confessare che anche a lui era mancato tutto questo, che la sera prima erano stati in due a stare bene, ma non lo fece. Avrebbe solo complicato le cose, si disse. Hai sbattuto contro il suo muro di rancore e ora sei in mille pezzi sul pavimento, pensò. Raccolse quello che rimaneva di sé, e decise di andarsene il più silenziosamente possibile.

Mi spiace, tornando ti ho solo fatto male e non volevo. Non mi farò mai più vivo. Ti amo, Jonghyun.

Attaccò il post-it sulla porta e uscì.

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Capitolo 3
*** Eat me up - 3/3 ***


Eat me up 3 Eat me up - Parte 3

Terzo e ultimo atto della tragedia. Mi si spezza il cuore a dire addio a questa fan fiction, mi ci ero tanto affezionata ç_ç Buona lettura

Epilogo

“Pronto?”

“Jonghyun? Oh, ti prego, dimmi che è il numero giusto… Sono Yoo.”

Jonghyun si raggelò, quel nome era intrecciato troppo saldamente a una parte della sua vita che aveva ormai isolato ed eliminato.

Un appartamento in centro, qualche settimana di vacanza, e tornando alla sua routine, al suo lavoro, la questione Kibum era stata archiviata.

Era bastato così poco a riaprire tutte le ferite, a farle ricominciare a sanguinare con più forza di prima.

“Dobbiamo vederci… È veramente importante.

 

La sala d’aspetto dell’ospedale era bianca e fredda, Jonghyun aveva una rivista chiusa poggiata sulle ginocchia. Il suo piede martellava  un ritmo snervante e incessante, i suoi occhi vagavano freneticamente in cerca di qualcuno che potesse aiutarlo. Un’urgenza, una ferita da arma da fuoco e tutti i dottori, tutte le infermiere sembravano essere spariti. C’era qualcun altro nella sala d’aspetto con lui, un paziente che portava l’asta di una flebo con sé e una donna col pancione semi addormentata.

Yoo non era voluto venire. Non ce l’aveva fatta.

 

Jonghyun aveva accettato di incontrarlo, ma non aveva idea di cosa quell’uomo potesse ancora volere da lui.

Magari Kibum aveva cambiato idea, magari c’era ancora una speranza.

Ma quando lo vide seduto al tavolino del bar che gli aveva indicato, ogni aspettativa crollò. Aveva le spalle pesanti e le mani attorno a un caffè, lo sguardo spento e rivolto al terreno, lo stava aspettando.

Si pentì quasi di essere là. Se avesse saputo quello che Yoo stava per dirgli, sarebbe scappato, senza pensarci due volte.

Scostò la sedia e si mise di fronte a lui senza dire una parola. Il silenzio rimase sospeso tra i due per qualche minuto, Yoo fu il primo a spezzarlo, senza mai però alzare gli occhi.

“È colpa mia… È solo colpa mia.”

Yoo poggiò i gomiti sul tavolo e si strofinò gli occhi già rossi con una mano. Urtò leggermente la sua tazza di caffè, che liberava sempre meno fumo, raffreddandosi sempre di più esposta all’aria primaverile, senza che nessuno ne avesse bevuto un sorso.

 “Te lo ricordi Kibum, non è vero? Te lo ricordi che sembrava fragile come una foglia? Che sembrava non reggersi in piedi?”
Yoo ingoiò i suoi singhiozzi e parlò tutto d’un fiato.

“Da quando te ne sei andato non ha più mangiato. Nulla. Ed è successo tutto sotto i miei occhi, non me ne sono nemmeno accorto…”

Jonghyun gli poggiò una mano sulla spalla, cercando il suo sguardo.

“E’ svenuto, ma non riuscivo a tirarlo su, a svegliarlo, come le altre volte… Lo hanno portato via. Mi sembrava giusto che lo sapessi.”

Yoo alzò gli occhi e il suo sguardo quasi intimidì l’altro per tutti i sentimenti che in quel momento gli passavano attraverso.

“Non ce la farà.”

 

 

“Mi scusi…”

Jonghyun si avvicinò al bancone, finalmente un’infermiera aveva deciso di riprendere il suo posto.

“Sono qui per Kim Kibum.”

“È un parente?”

“Si.”

Si rese immediatamente conto della bugia e si morse la lingua, cercando lo stesso di rimanere tranquillo.

“Sono il fratello. Kim Jonghyun”

“Bene, si bene.”

L’infermiera sembrava troppo presa da qualcos’altro per occuparsi di lui, abbandonò la procedura standard di chiedere un documento, e dopo una veloce ricerca gli diede il numero della camera e meccanicamente gli ripeté di non creare confusione, di parlare a bassa voce, di non trattenersi troppo a lungo.

Quel corridoio sembrava infinito. Jonghyun non aveva mai visto un ospedale così vuoto e silenzioso. La camera era lì, la placca dorata affissa sulla porta in mogano.

Presto dovrò scegliere una bara dello stesso legno.

Si sarebbe dato un pugno in faccia, ma non era riuscito a fermare quel pensiero, ed era inutile provare a negare che fosse tragicamente vero.

Spinse la porta con delicatezza, ma ciò che vide gli fece rimpiangere di essere nato. Ogni momento felice passato con quel piccolo ragazzo, ogni istante della loro vita assieme cercò di affollargli la mente, tutti in una volta gli oscurarono la vista, e a stento riuscì a trattenere un singhiozzo.

Sembrava che quel letto se lo stesse divorando, era piccolo, fragile, ed estremamente solo. La sua magrezza era sfiancante, innaturale, non rimaneva altro che qualche centimetro di pelle attaccato alle ossa.

Si avvicinò al letto, cercando di fare meno rumore possibile, ma Key se ne accorse, si voltò.

Lo sguardo che vide, la disperata richiesta d’aiuto che lesse chiara in quegli occhi, lo pietrificò.

Il macchinario a cui Kibum era collegato ebbe un leggero sbalzo, quasi subito tornò al battito regolare.

“Se tu sei qua, vuol dire che non ce la farò.”

Non era una domanda, Key voltò di nuovo il viso socchiudendo gli occhi; aveva accettato di stare per morire. Lo sapeva.

Lo aveva capito dal momento in cui era svenuto, e anche quando aveva ripreso i sensi, non era riuscito a muovere un muscolo. Aveva affrettato un po’ i tempi, ma la sua ora sarebbe arrivata comunque, pensò.

Jonghyun gli prese una mano, cercando di sorridergli.

“Noi andiamo a casa. Non dire stupidaggini. Hai ancora tante di quelle cose da fare. I… I ragazzi sono a casa, sono tutti preoccupati per te. Non dar loro pensieri per un mancamento da niente.”

“Yoo non è qua.”

Jonghyun lo ignorò, aveva deciso di ignorare quelle parole deboli, di ignorare il fatto che il suo amico avesse lo stesso peso delle lenzuola in cui era avvolto. Lo avrebbe portato via da quel posto, bastava che Kibum acconsentisse, e lui avrebbe acconsentito, perché aveva solo intenzione di farlo stare meglio. Lo avrebbe guarito, si illudeva.

“Verrò.”

Kibum si sollevò appena dal letto, non riuscendo a reggersi bene sulle braccia troppo deboli.

“Tornerò a casa, chiunque stia pagando questa clinica… Non c’è bisogno. Non c’è nulla che possano fare per me. Verrò, ma non voglio che nessuno a parte te mi veda. Se Yoo non è qui ora, vuol dire che non mi vedrà mai più.”

“Non parlare come se fosse finita, ti prego.”

“Ciò non toglie che sia stato il mio amante, il mio psicologo, il mio migliore amico, il mio supporto, e che non lo dimenticherò mai. Non mi sdebiterò mai abbastanza. Ringrazialo per essere stato sempre così sincero, e di’ ai miei ragazzi che mi mancheranno.”

Jonghyun gli accarezzò il viso e si sorrisero, si trovò per un attimo catapultato nel loro passato, si sentì pieno d’amore, si sentì di nuovo giovane come non si sentiva da tanto.

“Due fogli da firmare e siamo fuori. Siamo fuori.”

Jonghyun uscì dalla stanza, voleva uscire fuori da quel posto, voleva riportare il suo Kibum a casa e voleva farlo il più in fretta possibile.

 

Key si sollevò sui gomiti, dopo un paio di tentativi, riuscì a mettersi seduto. Gli girava terribilmente la testa.

Si voltò, si ritrovò seduto al limite del letto, con le gambe dondolanti verso il pavimento. Socchiuse gli occhi, con un gesto deciso si strappò le flebo che lo alimentavano forzatamente da giorni. Socchiuse gli occhi, il colore violaceo che si era sparso attorno ad essi divenne ancora più  visibile.

Posso farcela. Piedi sul pavimento, e da lì è facile, una gamba davanti all’altra. Posso arrivare fino alla porta.

Toccò il pavimento gelato con la punta delle dita, ancora appigliato alle lenzuola, scese completamente.

Lasciò le lenzuola.

Per un secondo si sentì bene, e si sentì strano, perché era un po’ che non vedeva il mondo dall’altezza delle sue gambe.

Mosse il primo passo.

Al secondo mancò la presa, non riuscì ad afferrare di nuovo le lenzuola, non riuscì a farsi obbedire dai suoi muscoli.

Riaprì debolmente gli occhi, ad essere sul pavimento stavolta era la sua guancia scavata.

Non capì cosa stava succedendo, si limitò a socchiudere gli occhi e a sussurrare il nome di Jonghyun, senza che dalla sua bocca uscisse alcun suono.

 

Jonghyun era seduto davanti un tavolo dove erano sparsi tutti i documenti che servivano per il funerale. Se ne era incaricato lui in persona, e Yoo non si era fatto sentire, né per protestare, né per offrire una mano, né per dirgli che era d'accordo che se ne occupasse lui.

Kibum aveva registrato un video testamento appena pochi giorni prima, quando forse aveva capito che non era rimasto più nulla da fare per lui. Quando forse avrebbe voluto poter tornare indietro. Yoo fu chiamato dal legale che Key aveva assunto e gli disse che tutto, i suoi risparmi, la sua casa, era andato direttamente nelle sue tasche. Lo liquidò con delle condoglianze, l'atto di proprietà e il libretto bancario. Nemmeno un paio di giorni dopo, Jonghyun ricevette le due lettere che adesso stavano sul tavolo coperte dagli altri fogli. Cercò di mettere in una pila ordinata i documenti e strappò le due buste. La prima era del legale di Yoo. Aveva rinunciato a tutto e sia la casa sia il conto in banca gli erano stati intestati, nessun pagamento, nessuna spiegazione. Con tono freddo e distaccato gli fu annunciato di essere diventato più ricco di prima grazie alla morte dell'amico e dell'apparente magnanimità dell’erede. La seconda lettera invece, veniva direttamente da Yoo, ma Jonghyun, confuso com'era da tutto il resto, la lesse distrattamente e non riuscì a capirla fino in fondo. Probabilmente, se in quel momento avesse avuto un po' più di ragione, quella lettera non sarebbe stata tanto confusa ai suoi occhi. Yoo gli diceva che non voleva tutte quelle cose, non ne aveva bisogno e c'erano attaccati troppi ricordi dolorosi che aveva bisogno di cancellare. E poi non se le meritava. Se avesse saputo tutto quello che aveva da dire, Key avrebbe voluto così, ne era sicuro. Dopo aver dato una seconda lettura alle lettere, più veloce e distratta della prima, Jonghyun le mise da parte. Si stupì di quanto meccanici, veloci e paradossalmente freddi si possa essere in una situazione del genere. Organizzò la veglia funebre a casa, spese una piccola parte dei soldi appena ricevuti per una bara, montagne di fiori e due vestiti neri. Fu mandata una comunicazione, nella più totale discrezione, a tutti i clienti di Key, Jonghyun trovò i nomi e i numeri nell'agenda tra gli effetti personali di Key, gli erano stati mandati direttamente da Yoo; anche quelli erano parte del testamento.

Fece portare la bara nella casa di Kibum, e si sedette accanto ad essa. Passarono le nove, le dieci, le undici. Jonghyun si accorse, sconcertato ma non sorpreso, che sarebbe stato l'unico a dire addio a quel "povero ragazzo che si è lasciato morire di fame".

Nemmeno Yoo era venuto. Nemmeno Yoo era venuto ad abbracciare per l'ultima volta il ragazzo che sosteneva di avere amato. Non ci si può fidare di nessuno, questa è l'unica verità. Ma la porta socchiusa si aprì. Entrarono due, tre, quattro coppie. Pochi, ma comunque alcuni dei ragazzi di Key erano arrivati, tutti con le loro rispettive mogli. Tutti passavano da Jonghyun, a stringergli la mano, qualcuno ad abbracciarlo, quasi tutte le mogli sembravano di plastica con una lacrima d'ordinanza agli angoli degli occhi e lo sguardo triste. Jonghyun non pensava fossero false, pensava che le donne avessero semplicemente un grado di sensibilità in più, e un ragazzo che muore fa loro sempre male, che sia il fratello, un cugino, un amico, o un perfetto sconosciuto. Sembrava che tutti i clienti si fossero messi d'accordo: Key era per un amico d'infanzia, talvolta del liceo. Ma Jonghyun lesse negli occhi di un paio di donne la consapevolezza della verità. Gli riscaldò il cuore sapere che Kibum non se ne sarebbe andato solo, qualcuno aveva avuto abbastanza coraggio.

Quel qualcuno non comprendeva Yoo, però.

E mentre Jonghyun cercava di capire perché, che ragione aveva quell'improvviso distacco, lo vide entrare dalla porta principale, a testa bassa; reggeva per il braccio una donna all'ottavo o nono mese di gravidanza. Avrebbe voluto morire. Avrebbe voluto non vederlo mai, avrebbe preferito pensare che non aveva abbastanza coraggio per dirgli addio. Gli si avvicinò cercando il suo sguardo. Sentì l'impulso di schiaffeggiarlo. Di cominciare a delirare, urlare, accusarlo, sputtanarlo davanti a tutti e davanti a sua moglie. Perché un bugiardo di questo tipo non merita altro. Stava per farlo, ma vedere la donna lo bloccò completamente. Glielo avrebbe rinfacciato di nascosto, quando sarebbero stati soli. Sperava che i sensi di colpa se lo stessero divorando, però.

"Yoo. Pensavo di non vederti oggi."

"Non sarei mai potuto mancare."

Solo quando finì la frase, trovò abbastanza forza per alzare lo sguardo e incontrare quello di Jonghyun. I suoi occhi supplicavano pietà, ma Jonghyun non gliela concesse.

La donna strinse il braccio di Yoo per dargli un po' di conforto, poi la tese verso Jonghyun.

"Sono Soumi, la moglie di Yoo. Tu devi essere Jonhgyun."

Jonghyun le strinse la mano, ne rimase incantato. Non aveva lo stesso viso di porcellana delle altre, non aveva le stesse lacrime agli angoli degli occhi, non aveva la stessa espressione triste. Era triste, ma era triste a suo modo, in modo forte. Jonghyun pensò che non avrebbe mai rivisto una donna tanto bella e fiera.

"Mi accompagneresti a prendere qualcosa da bere?"

Jonghyun le porse il braccio e lei vi si appoggiò, camminavano come all'inizio lei e Yoo erano entrati. La portò a un tavolo dove c'era una vasca di ponch e gliene versò un bicchiere.

"Non preoccuparti, è analcolico." disse, indicando con il mento il pancione evidente anche sotto il vestito nero. Lei lo prese e ne bevve un sorso, poi gli carezzò il braccio.

"In questi casi si chiede se va tutto bene, non è vero? Mi sembra ridicolo. E' ovvio che non va tutto bene. Ma non preoccuparti, passerà. Era un tuo amico?"

"Una... Una specie, sì."

"Mh..."

Soumi annuì e continuò a carezzargli piacevolmente il braccio, spostando poi la mano sulla spalla. Jonghyun restò colpito dalla confidenza che quella donna aveva preso nei suoi confronti nel giro di un paio di minuti. Ma non riusciva a lamentarsene, lo trovava tutto tranne che una mancanza di rispetto.

"Era un collega di Yoo, prima che cambiasse lavoro, intendo. Sa questo nuovo lavoro non è il massimo, lo mandano fuori in città in continuazione, per un motivo o per un altro. Però mi ha promesso che quando il bambino nascerà farà finire questa storia. Io gli credo."

Jonghyun sorrise, non sapeva come o per quale motivo, quella donna, solo parlando, lo aveva fatto sorridere.

"Manca poco?"

"Meno di un mese. È un maschio, e si chiamerà Kibum. Yoo non ha voluto sentire ragioni. Doveva volergli davvero bene."

Jonhgyun vide Yoo piegato sulla bara, cercava invano di nascondere il fatto che stava piangendo, stava piangendo come un bambino e non riusciva a fermarsi.

"Vado a parlare con Yoo, posso lasciarti qui?"

"Certamente, vai. Parlare con un amico può soltanto fargli bene."

Jonghyun le sorrise ancora una volta, e si allontanò verso Yoo. Quando lo raggiunse, gli diede un leggero colpo sulla schiena e l'altro lo seguì senza fare domande, asciugandosi le guance col dorso delle mani. Entrarono nella stanza in fondo al corridoio, la camera da letto. Era buia, e lo sarebbe stata a lungo. Forse per sempre.

"Le hai raccontato tutto, vero?"

"Io spero solo per te e i tuoi sensi di colpa che Kibum non l'abbia mai scoperto, che non ne abbia mai sofferto. Detto questo, io sono l'ultima persona al mondo che può giudicarti."

Yoo ricominciò a piangere.

"Perchè l'hai fatto? Perchè gli hai mentito per tutto questo tempo?"

"Lo amavo. Non avrei mai sopportato di deluderlo."

"Smettila."

Jonghyun prese dalla tasca il libretto degli assegni del conto di Kibum. Lo firmò, consegnò metà del conto a Yoo.

"Voglio che la cameretta di Kibum sia bella, voglia che sia luminosa, e voglio che abbia tutti i giocattoli che vuole. Voglio che sia felice. Kibum avrebbe voluto così."

Senza dire altro, uscì dalla stanza, lasciando Yoo solo nel buio.

 

Passata la mezzanotte, anche l'ultimo ospite lasciò la casa, lasciando Jonghyun finalmente solo con i suoi pensieri. Ma tutto quello a cui riusciva a pensare era Yoo. Yoo che aveva una moglie, e avrebbe avuto un figlio, Yoo che aveva due vite, Yoo che aveva sempre mentito a Kibum. Yoo, che era un bugiardo e un traditore. E se stesso, il più stupido bugiardo e testardo traditore che conoscesse. Avrebbe voluto tornare indietro e rendere migliore la vita di Kibum, ma pensò che comunque non avrebbe potuto fare nulla, perché non puoi fidarti di nessuno. Non puoi fidarti di te stesso, e non puoi fidarti degli altri, perché anche la persona che dice, e magari pensa, di amarti più di ogni altra cosa, finirà per tradirti, spezzarti il cuore, e lo farà nel peggior modo possibile.

Riscaldò distrattamente una porzione di ramen, ma quando lo mise a tavola, si rese conto di essere solo. Non poteva mangiare prima che Kibum fosse tornato, lo conosceva, si sarebbe offeso. Ne preparò un’altra porzione e la mise davanti al posto accanto al suo. E aspettò.

E aspettò.

E aspettò.


È finita *piange* BEH CHE DIRE, spero di non avervi depresso troppo, di non ricevere troppe lettere minatorie per aver ucciso la JongKey, e che leggere questa storia vi sia piaciuto e vi abbia appassionato almeno quanto ha appassionato me scriverla.

Alla prossima ragazzi~ 

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