Eat me up - Parte 2
Eat me up - Parte 2
Mi
sento in dovere di iniziare con delle scuse u_u non mi scuserò
per averci messo una vita per questa parte, eravate stati avvertiti u_u
ma lo farò per la piega ultra-super-iper-drammatica che ha preso
la storia, e ancora non ho nemmeno dato il meglio di me =.= e poi la
lunghezza D: è spaventosamente lunga, perlomeno per i miei
standard D: in pratica questa è la parte principale della
storia, il resto è un epilogo e un prologo u_u ma vi sto
annoiando con cose che con tutta probabilità non vi interessano
per niente, quindi mi scuso anche per quest'ultima interruzione e vi
lascio in pace u_u spero sia valsa la pena di aspettare *w* enjoy <3
Rivedere quella porta lo
colpì terribilmente. Non era la porta in sé, non erano quei tre gradini per cui
era salito e sceso un migliaio di volte, non erano i due anni che erano passati
dall'ultima volta che si era trovato là. Era il non avere buste della spesa da
portare dentro di corsa, era il non avere un mazzo di fiori in mano pronto a
farsi perdonare un ritardo, era il sentirsi un estraneo davanti la porta di
quella che era stata la sua casa. Salì esitante i gradini, ma un attimo prima
di bussare il suo pugno si aprì e non riuscì a muoversi. Era davvero così che
voleva rientrare nella sua vita? Cosa pretendeva di fare? Come pretendeva di
essere trattato? Era stato cacciato a ragione due anni prima, non aveva mai
provato a farsi perdonare, e ora rispuntava dal nulla. Si aspettava gli
striscioni di benvenuto? Poggiò la fronte contro la porta, li dividevano così
pochi metri... Prese un enorme coraggio, un respiro così profondo che gli fece
per un attimo girare la testa, e bussò.
All'inizio non si sentì
nulla, si accorse solo di un confuso ronzio di voci, che però c'erano state fin
dall'inizio. Cos'era quella confusione? Dei passi veloci arrivarono sulla
soglia e la porta si aprì. Era un uomo poco più grande di lui, carino,
dall'aspetto amichevole, che gli offrì un affabile sorriso aspettando che
Jonghyun dicesse qualcosa. Quando capì che lo sguardo del ragazzo appena
apparso poteva condurre solo alla totale confusione, parlò per primo.
"Hai un appuntamento?
Per che ora? O affitti solo la stanza?"
"A - appuntamento?
Stanza? Che stanza? Ma abita ancora qua Kibum? Kim Kibum."
L'uomo lo guardò come se
fosse l'essere più strano dell'universo.
"Ecco,
effettivamente..."
Un altro ragazzo,
sicuramente più giovane gli passò alle spalle e lui lo fermò.
"Manda a chiamare Campanellino,
quando ha finito digli di venire subito qua. Si tratta di... Uno nuovo,
suppongo."
Quello annuì e riprese a
camminare, l'uomo si voltò ancora verso Jonghyun.
"Tu sai cosa succede qui,
vero?"
"Cosa succede qui? No
che non lo so? Perché tutti questi segreti? POSSO SAPERE CHE SUCCEDE A CASA
MIA?"
L'uomo spalancò gli occhi
e fu colpito in piena fronte da un'illuminazione.
"Casa tua? Tu sei...
Sei..."
"JONHGYUN!"
"Jonghyun!
Ecco!"
Alla realizzazione si
accompagnò il ricordo di tutte quello che aveva sentito su di lui.
"Sai che io ho una
lista ben precisa di offese da elencarti e l'ordine di scaraventarti giù e
chiudere la porta?"
"Lo immaginavo."
"E se solo la metà di
quello che mi ha detto Campanellino è vero, potrei farlo con molto piacere."
"Ti prego, non
chiamarlo Campanellino, non con me. E perché non lo stai facendo? Perché non mi
stai cacciando?"
"Perché sono mesi che
sono diventato lo psicologo della mia amante."
"Amante."
Jonghyun ripeté secco la
parola facendosela rigirare sulla lingua e nella testa.
"Amante?"
Rivolse uno sguardo
supplichevole e interrogativo all'uomo che si sentì improvvisamente male.
Scese un gradino e gli
mise una mano sulla spalla, guardandolo con un po' di compassione.
"Non credo ci sia un
modo giusto per dirlo..."
Una lama tagliò Jonghyun
in due esatte metà, la frase dell'uomo era stata interrotta dalla voce più
bella e solare che avesse mai sentito, prima ancora di vederlo, sapeva
perfettamente a chi apparteneva quella risata.
"Yoo, da quando hai
bisogno della mia assistenza per quelli nuovi?"
Kibum fece capolino con un
sorrisetto sulle labbra, che si trasformò in qualcosa di mostruoso a quello che
fu costretto a vedere.
"J-j-j-jong-ghyun."
Si coprì la mano con la
bocca. Erano mesi che aveva smesso di balbettare, e non era certo il momento di
ricominciare.
"C-c-cosa...
C-che..."
Si premette l'altra mano
sulla bocca, respirò e ricominciò.
"Yoo entra."
L'uomo non rispose, obbedì
in silenzio e a testa bassa.
Kibum si strinse nella sua
vestaglia, si coprì meglio che poté, ma non c'era dubbio per nessuno che sotto
non avesse nient'altro. Quel movimento scoprì appena le braccia di Key,
Jonghyun poté solo notare quanto sembrassero fragili, quanto le sue dita
fossero sottili. Tutta la sua figura, in realtà, sembrava un insieme di
ossicini tenuti assieme dalla pelle. Era magro, magro allo sfinimento, magro
che a vedere quel viso pallido e scavato, a Jonghyun stringeva il cuore.
"Ciao."
Uno schiaffo si abbatté
sulla guancia sinistra di Jonghyun, che non osò alzare lo sguardo; Key allungò
le mani e lo spinse con rabbia, e lui cadde dagli scalini, finendo sull'erba.
"Vattene."
Jonghyun alzò il viso con
aria grave, non aveva più niente da perdere ormai, e di certo non si sarebbe
fatto rimandare indietro da una rabbia che aveva previsto.
Ancora per terra e con la
mano sul viso, socchiuse gli occhi e scosse la testa.
"Io non vado da
nessuna parte."
A quelle parole Kibum
quasi svenne. Erano state le ultime parole che si erano scambiati, le uniche
parole che erano rimaste in sospeso tra loro per tanto tempo.
Altre situazioni, altri
significati, stesse parole.
Kibum si voltò, “Se hai
qualcosa da dire entra, ti concedo dieci minuti, altrimenti non farmi perdere
tempo, ho molto da fare."
Jonghyun si alzò e si
spolverò, salì velocemente i gradini ed entrò, chiudendo la porta dietro di
lui.
Kibum camminava
rivolgendogli le spalle, nei suoi passi c'era qualcosa di instabile e debole
che faceva pensare a Jonghyun che l'altro sarebbe caduto da un momento
all'altro. Mentre camminavano, senza scambiarsi una parola, fuori dal nulla spuntò
Yoo; Kibum provò a ignorarlo, ma lui gli prese la mano, e Jonghyun si sentì
invadere da una leggera fitta di gelosia. Parlavano sottovoce, ma era troppo
vicino alla schiena di Key, e capiva benissimo che parlavano di lui.
"Kibum, ci sono
problemi? Se non vuoi che entri posso sempre farlo portare fuori. Piuttosto,
scusa se non l'ho fatto prima, non l'ho riconosciuto subito..."
"Non
preoccuparti."
Abbassò leggermente il
viso e Jonghyun non poteva vederlo, ma sapeva che in quel momento sulle labbra
di Key si era abbozzato un piccolo sorriso, tanto debole quanto falso. Yoo gli
prese il mento tra le dita e lo costrinse a guardarlo negli occhi; lo sguardo
era più fragile di prima, ma il sorriso non cambiava.
"Va tutto bene,
davvero. Vai dagli altri, di' loro che mi concedano un quarto d'ora, dieci
minuti magari. E se si lamentano troppo, di' che stasera finirò il turno, senza
orario di chiusura."
Il tono della sua voce
spezzò il cuore di entrambi i ragazzi, Yoo non lasciò la presa sul suo viso;
sapeva perfettamente che non andava tutto bene. Niente andava per niente bene,
e improvvisamente si pentì davvero di non aver buttato fuori Jonghyun da
subito. Ma se Campanellino dice che va tutto bene, allora tutto deve andare
bene, e non si può fare altro che preoccuparsi, e tenere per sé le proprie
preoccupazioni.
"Se ci sono
problemi...- fece un lieve cenno verso Jonghyun - lancia un urlo e verrò
personalmente a dare qualche calcio in qualche culo."
Rise appena e Key restituì
un sorriso più vero.
"Grazie."
Stavolta la voce era poco
più che un fragilissimo filo, e Jonghyun sentì l'urgenza di prenderlo tra le
braccia, perché si sentiva sicuro che quelle caviglie scheletriche l'avrebbero
tradito.
Non fu così, Yoo si fece
da parte e loro continuarono verso l'unica stanza in fondo al corridoio. Key
aprì la porta, aspettando che Jonghyun fosse dentro, tendendogli poi la mano.
"La cravatta."
Lo guardò, poi scosse la
testa, ogni suo movimento esprimeva stanchezza e frustrazione.
"Scusa, è
l'abitudine. Suppongo tu non abbia portato la cravatta. Dammi la giacca."
Jonghyun obbedì in
silenzio, gli porse la giacca e Kibum l'appese fuori dalla porta, per chiuderla
delicatamente subito dopo. Jonghyun si guardò attorno, quella presumibilmente
era diventata la stanza da letto, e un enorme letto a due piazze dominava sul
resto dei mobili. Key gli passò davanti, raggiungendo un piccolo bar nascosto
in un mobile e prendendone una bottiglia di liquore. Se ne versò due dita, e le
ingoiò tutte in una volta; si voltò verso Jonghyun con il viso arrossato e un
sopracciglio alzato.
“Sono tutto tuo.”
"Chi sono?"
"La mia vita non è
più un affare che ti riguarda. Ma se proprio ci tieni a saperlo, loro sono il
mio lavoro."
La tremenda realizzazione
colpì Jonghyun in piena fronte, Key che aveva degli uomini che lo aspettavano
nell'altra stanza, Key che girava seminudo per casa, Key che teneva un letto a
due piazze, nonostante ora vivesse da solo.
"Tu sei una
prostituta."
Kibum restò impassibile
davanti all'accusa, si limitò a versarsi altre due dita di liquore.
"La casa è grande, e
io sono solo, è uno spreco. Affitto le camere. Per quanto tempo, poi, vogliano
tenerle, non è un mio problema. Se vogliono affittare la camera dove dormo
anch'io, non è un mio problema nemmeno quello, il letto c'è, ed è mezzo vuoto.
Se per una notte, un'ora o anche dieci minuti vogliono un po' di compagnia, chi
sono io per negarglielo? Purché aggiungano qualcosa sul conto finale. Tutto
qui."
Jonghyun si alzò, si
sentiva triste, confuso, arrabbiato come una belva, e avrebbe ucciso per avere
un po' di quel liquore che Key teneva ora in mano e beveva direttamente dalla
bottiglia.
"Tu sei una
prostituta, hai trasformato la nostra casa in una casa a luci rosse, vendi te
stesso e il nostro letto per dieci miseri minuti! E quello? Quello chi è? E'...
Una squallida controfigura di me? O il tuo protettore? Ma come ti sei ridotto?
Sai, per me questa è tutta una scusa per farti scopare. Sei caduto in basso,
Kibum."
Kibum in un gesto dettato
dal nervosismo passò il braccio sul mobile dietro di lui, facendo infrangere
due bicchieri sul pavimento.
"Perché sei tornato?
Chi sei tu per dirmi come devo o no vivere la mia vita. Io non ho niente di cui
pentirmi, e non sarà certo il giudizio di uno stronzo come te a portarmi
indietro. E almeno io qualcuno con cui scopare lo trovo. Speravo che avessi
qualcosa da dirmi, davvero. Magari mi avessi detto che andavi per sempre a
vivere in Europa, o chissà, perché non sognare in grande, che ti rimaneva un
anno di vita. Sai, ho sempre una bottiglia di champagne messa da parte per
occasioni di questo tipo. E invece vieni qui dopo tutto questo tempo, e inizi a
sputare sentenze su come vivo, su quanto sono o no caduto in basso dal tuo
punto di vista. Senti, io credo che sia meglio se la smettiamo di scambiarci
offese gratuite, come vedi noi due non abbiamo più nulla da dirci. Non
costringermi ad urlare, Yoo può romperti in due con una mano sola."
"Io non ho
finito."
"Jonghyun, sono
75.000 won la stanza, 105.000 la bocca e 150.000 - si scorse una mano
scheletrica lungo il corpo - beh, tutto il resto. Altrimenti, hai finito."
Jonghyun non disse una
parola di più, frustrato aprì la porta, prese la giacca e la richiuse con
violenza. Quasi immediatamente, accorse Yoo a causa del rumore, e Jonghyun,
preso dalla rabbia e dall'adrenalina, gli prese il colletto e lo spinse contro
il muro.
"Tu mi devi un sacco
di spiegazioni."
Yoo era comprensivo, ma
anche molto più forte di Jonghyun; si liberò facilmente, ma non lo colpì.
"Mi dispiace, non ti
devo proprio niente. Ma visto che ci tieni, ti darò tutte le spiegazioni che
vuoi."
*
Yoo tirò una boccata dalla
sua sigaretta, Jonghyun si rigirò tra le dita quella che gli aveva offerto,
ancora spenta. Ringraziò mentalmente Yoo di averlo portato in una stanza vuota,
ma per un attimo ebbe un ripensamento: magari non aveva tutto questo bisogno di
sapere il resto della verità. Yoo aprì la bocca per dire qualcosa, erano stati
in silenzio fino a quel momento, ma non era stato un silenzio causato
dall’imbarazzo, era stato un silenzio giusto,
un silenzio per permettere a Jonghyun di riordinare i pensieri e a Yoo di
mettere assieme i ricordi; Jonghyun considerò improvvisamente indispensabile
accendere la sua sigaretta.
“È stato tempo fa. Un
anno, un anno e mezzo al massimo. Ha iniziato davvero come ti ha raccontato, e
anche adesso, ogni cento persone, una o due vogliono davvero affittare solo una
camera. E all’inizio gli andava abbastanza bene devo dire; non nuotava tra
champagne e caviale, ma se la cavava discretamente mi ha detto. È stato uno dei
miei colleghi di allora, adesso ho cambiato lavoro. Un giorno mi ha detto che
in quella specie di motel che c’era nella stessa via della mia casa, il
proprietario faceva anche… altro genere di favori. Non è che io sia davvero
interessato a certe cose, davvero, ma qualcosa mi costrinse ad entrare in
quella casa, arrivai con il semplice pretesto di affittare una stanza; però
prima di darmi la chiave, Campanellino mi chiese candidamente ‘È solo la camera
che vuoi? Ultimamente ho avuto altre richieste. Affittare la stanza – e me,
perché non dirlo – per una decina di minuti. Non sentirti offeso, sto solo
chiedendo.’ Iniziò tutto quel giorno, io sono stato uno dei primi clienti di
quel genere, e sicuramente il primo a diventare ospite fisso. Col tempo se ne
sono aggiunti altri, e la casa di solito è molto più affollata di così; è che
sei arrivato durante la settimana delle mogli. Ti spiego…”
“La maggior parte di voi
ha una moglie o una fidanzata, e pur essendo clienti fissi, avete bisogno di
stare a casa per un certo periodo di tempo per non destare sospetti. È
normale.”
“Beh si, in effetti era
abbastanza ovvio.” Yoo sorrise dolcemente, Jonghyun non riusciva a crederci che
quell’uomo era il cliente fisso più affezionato di una prostituta, un tipo così
se lo sarebbe aspettato grasso, con la barba, con la faccia che urlava “sono
una cattiva persona”, insomma.
“E tu? Perché non sei fuori?”
“Io non sono sposato, non
sono fidanzato, non voglio legami. Sarò sincero con te, fino a un anno fa non
volevo legami, adesso… So che è ridicolo, ma adesso mi sembrerebbe di tradire
Kibum in un certo senso.” Rise di nuovo, si rigirò la sigaretta tra le dita e
la riportò alle labbra.
“La verità è che c’è
qualcosa tra noi che non c’è fra lui e gli altri. Lui con me parla, sono
l’unico a sapere della tua esistenza, del perché di tutto quanto. Speravo che
incontrandovi avreste risolto tutto. Non prendertela, della tua psiche non
potrebbe importarmene di meno, ma darei via l’anima per ristabilire l’animo del
mio Campanellino.”
“Mi… Mi dispiace.”
“È un po’ stupido da dire
adesso, non credi?”
Jonghyun gettò la cenere
in eccesso con lo sguardo perso nel vuoto in direzione del tavolino che aveva
davanti.
“Yoo, devo farti una
domanda. Non so se sia stupida o no, ho soltanto bisogno di chiedertelo.”
“Non farti problemi.” Yoo
si mise comodo sulla sua poltrona, aspettando la domanda di Jonghyun.
“Quando è stata l’ultima
volta che Kibum ha davvero mangiato?”
La frase gli uscì dalle
labbra con un solo respiro, e Yoo si irrigidì immediatamente, aspirando di
nuovo e a lungo dalla sua sigaretta; fu il primo a parlare dopo una pausa che a
entrambi sembrò eterna.
“Te ne sei accorto anche
tu vero?”
Jonghyun rabbrividì a
sentire confermare la sua idea, credeva, sperava,
che Yoo lo avrebbe preso in giro ‘Se Kibum si sta mettendo in forma è solo per
tutto il movimento che fa’. Anche una battutaccia del genere lo avrebbe
risollevato. E invece aveva avuto soltanto una conferma.
“Beh Jonghyun, spero tu
non mi crederai pazzo, ma l’ultimo pasto
vero che ho visto fare a Kim Kibum, gliel’ho offerto io, una cena al
giapponese, più di due mesi fa. Lo vedo solo mangiare una carota, o un pezzettino
di pane tra un cliente e l’altro. All'inizio più di una volta era troppo
impegnato e mi chiedeva di fare la spesa per noi due, mettere sul fuoco
qualcosa per la cena; se non avessi saputo cosa faceva in quella stanza, avrei
potuto considerarci quasi una coppia normale. Adesso non sa nemmeno più cosa
sia un supermercato, se aprissi il frigo so che troverei il vuoto più desolante
e le pentole non lasciano il loro posto da un pezzo. Una volta ho provato a
dirglielo, e mi ha buttato fuori. Mi ha accusato di essere paranoico, di
volerlo soffocare, mi ha detto di non tornare più. La sera di quello stesso
giorno mi ha chiamato, piangeva, si è scusato e mi ha chiesto di tornare perché
aveva bisogno di me, ma non voleva parlare più di... Quell'argomento. E questa
è la prima volta che ne parlo da allora."
Yoo smise di parlare, era
stanco e rivangare il passato lo aveva rabbuiato; il sorriso tanto naturale che
aveva affascinato Jonghyun era completamente sparito. Gettò il mozzicone che
rimaneva della sua sigaretta e Jonghyun fece lo stesso. Si resero conto
dell'improvvisa calma della casa, e Yoo guardò l'orologio: era orario di
chiusura e decise che per quella sera sarebbe stato meglio tornare a casa.
"Tu non sei cattivo,
e capita a tutti di fare una stupidaggine. Purtroppo non tutti hanno la fortuna
di avere un'altra possibilità, e mi dispiace, perché secondo me te la
meriteresti."
Prese un mazzo di chiavi da
un cassetto sotto il tavolino e se le rigirò su un dito, riflettendo per un
secondo.
"Vieni con me, ti do
un passaggio a casa."
"No... No,
resto."
"Jonghyun... Non
vorrei sembrarti cattivo, ma l'hai visto anche tu, Kibum non mi sembrava
disposto a ritrattare."
"Io... Continuerò a sbattere
la testa contro il suo muro di rancore finché non si romperà quello o la mia
testa. Non ho intenzione di arrendermi."
Yoo annuì e gli sorrise.
"E' per questo che
sono sempre più convinto che te la meriti un'altra possibilità. Probabilmente
si sarà chiuso a chiave nella camera, lo fa sempre quando finisce la giornata,
nel vaso accanto alla porta c'è la chiave."
"Grazie."
"Buona fortuna."
*
La serratura scattò mentre
Key era appoggiato ad un comodino con un altro bicchiere di liquore in mano e
la schiena rivolta alla porta.
"E' orario di
chiusura, torna domani, per oggi ho finito." disse, non riflettendo sul
fatto che l'ospite avesse la chiave della su stanza.
"No, non hai
finito."
Key lanciò il bicchiere
contro il muro, urlando.
"Jonghyun esci subito
fuori da qui. Non costringermi a chiamare Yoo."
"Yoo non c'è, siamo
solo noi qui."
"Sembra una minaccia.
Beh, in questo caso non costringermi a chiamare la polizia. Sai che lo
farò."
"No, non lo
farai."
Jonghyun prese il
portafogli dalla tasca dei suoi jeans e ne estrasse alcune banconote,
poggiandole sul primo ripiano che trovò vicino. “Sono 500.000 won. Sei mio
stanotte. Chiama la polizia, racconta loro che hai su un giro di prostituzione
clandestina e che uno dei tuoi clienti ti ha aggredito. Sono disposto a farmi fare
un occhio nero per simulare un combattimento. Dai, fatti sotto."
"Jonghyun..."
"Sul letto."
Kibum si trovò con le
spalle al muro, non poté fare altro che obbedire, preparandosi al peggio. Non
aveva Yoo dietro il quale nascondersi, non poteva chiedere aiuto a nessuno, e
di sicuro non avrebbe saputo come difendersi da solo, quindi andò e si sedette
obbedientemente sul letto. Era un cliente come un altro, bastava pensare a
qualcos'altro, e nel giro di un quarto d'ora sarebbe passato tutto, e se la
fortuna lo aiutava, avrebbe potuto cambiare nome e città e non rivederlo mai
più. Il trucco lo conosceva fin troppo bene: pensa a qualcos'altro. Mentre
quelle mani rudi, sconosciute e a volte tanto violente da lasciare lividi, prendono
possesso di te, devi pensare, immaginare che quelle mani siano più grandi, più
dolci, più calde. In realtà quelle sono le mani di Yoo, è la dolcezza a
muoverle. O magari quello a cui aveva pensato i primi tempi. Le SUE mani, le
mani di Jonghyun, i suoi baci, le sue carezze, il suo respiro. Si era odiato
per aver continuato ad ossessionarsi con lui, ma doveva ammettere che Jonghyun
aveva ragione, era caduto in basso, e quando arrivi a un certo livello di
bassezza, certe questioni non hanno più valore.
"Sdraiati."
Obbedì, tremando di paura,
perché sapeva che avrebbe potuto piacergli, avrebbe potuto volerlo anche lui,
se solo Jonghyun avesse iniziato. Ma Jonghyun non iniziò niente. Sentì il peso
del ragazzo affondare nel materasso al suo fianco, e nient'altro. Passarono
secondi, minuti, prima che Jonghyun facesse la prima mossa. Allungò un braccio
al suo fianco, prendendo quasi di peso Kibum in un abbraccio. Key tremò, iniziò
a piangere e quando Jonghyun sentì i singhiozzi del ragazzo riscuotersi sul suo
petto, lo strinse più forte e gli passo una mano su una guancia.
"Non piangere, ti
prego, non voglio che tu pianga."
"Ti odio Jonghyun."
Disse quelle parole piene
di tanta emozione, tanto sentimento, ma nessuno dei due ci credette davvero.
Jonghyun baciò lievemente la sua fronte e Key si lasciò andare ancora di più
alle sue lacrime, stringendosi, seppur involontariamente, nell'abbraccio. Lo
sapeva che gli sarebbe piaciuto, che ci sarebbe ricascato. Gli piaceva sentire
le sue braccia forti e protettive, il battito del suo cuore, il suo profumo,
gli piaceva e gli mancava da morire, gli era sempre mancato. Liberò la testa da
tutti i pensieri terribili che l’avevano abitata, e i singhiozzi sembrarono
calmarsi.
Quella mattina, Jonghyun
si svegliò da solo. La stanza era vuota e le finestre aperte, e il ricordo
della notte passata lo colpì come un mal di testa la mattina dopo una sbronza.
Ebbe voglia di uscire e cercare Key, urlare per tutta la casa finché non fosse
uscito fuori, e fargli confessare che anche a lui era mancato tutto questo, che
la sera prima erano stati in due a stare bene, ma non lo fece. Avrebbe solo
complicato le cose, si disse. Hai sbattuto contro il suo muro di rancore e ora
sei in mille pezzi sul pavimento, pensò. Raccolse quello che rimaneva di sé, e
decise di andarsene il più silenziosamente possibile.
Mi spiace, tornando ti ho solo fatto male e non volevo. Non mi farò mai
più vivo. Ti amo, Jonghyun.
Attaccò il post-it sulla
porta e uscì.
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