Il Colore dell'Aria

di _Atlas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



Capitolo 1


“Maledetta te e il tuo salutismo, Ivy!”
Milly sbattè la schiena contro il tronco di un albero e si piegò in avanti, puntellando le mani sulle cosce, ansante.
La ragazza in questione si fermò e tornò indietro dall’amica. Aveva lunghi capelli castani, raccolti in una morbida coda mossa, e sul viso brillavano un bel paio di occhi grigio azzurri.
“Oh, andiamo! Correre fa sempre bene alla salute. Rilascia le endorfine e aiuta l’ossigenazione dei muscoli.”
L’altra si portò una ciocca di capelli color grano, sfuggiti alla crocchia, dietro l’orecchio e si asciugò con il dorso della mano le goccioline di sudore che le cospargevano la fronte.
“Beh, forse a te che sei una bibliotecaria. Ma che diamine, io sono una Guardia a cavallo! Mi sembra di farne già abbastanza di fatica con gli allenamenti e le ricognizioni.” Si lagnò.
La mora si strinse nelle spalle e fissò Milly negli occhi nocciola.
“Non ti ho mica obbligata ad accompagnarmi, sei tu che hai deciso di venire a correre con me al parco, e anche-...” Si bloccò e si guardò attorno, pensierosa.
“Ma dov’è finito Feliciano?” Concluse per lei l’amica, drizzandosi e scrollandosi gambe e braccia.
“Mi sa che l’abbiamo lasciato indietro...”
Milly si grattò la testa e spostò lo sguardo da una parte all’altra del grande parco verdeggiante.
Il sole di fine estate batteva impietoso sul terreno, e solo all’ombra dei numerosi alberi ci si poteva ristorare dalla calura.
Le due amiche puntarono lo sguardo verso la direzione dalla quale erano venute e tacquero, silenziosamente in attesa di qualche segno di vita da parte del loro amico, ma solo le cicale tra le fronde degli alberi risposero alla loro muta richiesta.
Non si udiva altro che non fosse il loro cicaleggio o il lieve rumoreggiare del vento sulle vicine montagne imperturbabili.
Tutto il paesaggio trasmetteva desolazione.
Ad un certo punto, però, le due ventunenni percepirono un leggero scalpiccio, e dalla china lastricata emerse la familiare figura di Feliciano, che arrancava sotto il sole cocente.
Quando giunse loro vicino, Milly fece appena a tempo a sorreggerlo che al poverino crollarono le gambe e si afflosciò contro il corpo della ragazza.
“Feli, va tutto bene?” Domandò Ivy, picchiettando l’indice contro la spalla inerte dell’amico, che in risposta mugolò qualcosa di incomprensibile.
“L’hai distrutto...” Mormorò Milly, aiutandolo a sedersi a terra.
La mora ridacchiò, si sedette a gambe incrociate all’ombra dell’albero e prese ad intrecciare fili d’erba, mentre l’amica tentava di rianimare quantomeno i resti del compagno.
Gli bagnò i polsi, il viso e fortunatamente un venticello propizio fece la sua parte, smuovendo un po’ l’aria e rinfrescando le membra accaldate dei tre amici.
Feliciano riprese un po’ di coscienza e fissò risentito gli occhi ambrati su Ivy.
“Tu... sei... il male...” Biascicò, appoggiato da un cenno di assenso di Milly.
L’interessata prese a ridacchiare, contagiando quasi immediatamente gli altri due, cosicchè il gruppo proruppe ben presto in vigorose risate.
Quando si furono quietati, Ivy si stirò la maglia color lilla con le dita affusolate e ricontrollò i lacci delle scarpe.
“Beh, tutto sommato ora siete contenti, no?”
Milly e Feliciano la guardarono storto.
“Il riposo dopo la fatica aumenta la soddisfazione...”
Loro la guardarono storto.
“Fare esercizio rilascia le endorfine, e perciò aumenta la felicità.”
“La pasta aumenta la felicità.” Disse Feliciano, serio.
“La cioccolata aumenta la felicità.” Convenne Milly, grave.
I tre si fissarono per un momento interminabile, poi Ivy sbuffò sonoramente e si alzò in piedi.
“Forza, torniamo a casa, altrimenti finisce che arriva la sera!”
Milly sogghignò, sapeva fin troppo bene che l’amica non soffriva gli scontri diretti, anche scherzosi come in quel frangente.
Facendo perno con i talloni e dandosi una sonora spinta con le mani, si rizzò a sua volta. Per un breve momento le girò la testa, ma si riprese quasi subito e allungò una mano a Feliciano per aiutarlo ad alzarsi.
Lui le prese il polso e la ragazza, con le braccia ormai allenate dai duri anni di equitazione, lo rizzò con poca fatica.
“Ma guardali.” Li prese in giro Ivy, ridacchiando. “Le due Guardie a cavallo, tutti cicì ecocò!”
In risposta si prese un finto sguardo di ghiaccio da Milly e un sorriso raggiante da Feliciano.
“Dai, andiamo. Abbiamo tutti e tre bisogno di un bel bagno!”
Esclamò la bionda, stiracchiandosi. Gli altri due annuirono e, assieme, si incamminarono verso l’uscita del parco.
Appena arrivati sulla strada principale rivestita di porfido, notarono che era già passato l’Uomo del Fuoco ad accendere i lampioni e ora decine di fuochi fatui illuminavano fiocamente gli avviamenti delle vie secondarie di terra battuta che si snodavano tra i campi, in quel paese circondato dalle montagne che le numerose incursioni nemiche avevano costretto alla formazione di una piccola organizzazione di milizie.
Ivy attraversò la strada con passo deciso, imboccando il serpeggiante viottolo sterrato dirimpetto, mentre Feliciano e Milly la seguirono strascicando i piedi.
“Avremmo fatto meglio a portarci i cavalli...” Mormorò il ragazzo alla bionda, la quale annuì fiaccamente, per poi spostare lo sguardo sull’amica, parecchi passi davanti a loro.
“Mi domando come faccia ad avere tante energie.”
Feliciano ridacchiò. “Forse perché lavora in una biblioteca cinque giorni su sette, e perciò ha bisogno di sfogarsi. Per quanto siano belli, i libri non fanno spendere molte energie.”
Milly lo guardò e sorrise, ma poi si fece pensierosa.
“Quando saremo a casa dovremmo muovere i cavalli. E’ troppo umido per lasciarli al prato, ho la sensazione che stanotte pioverà.”
L’altro si strinse nelle spalle. “Vedremo, sennò basta solo girarli alla corda.”
La ragazza annuì distrattamente, persa in chissà quali pensieri.
Ivy rallentò un po’ il passo e si affiancò ai due amici, evidentemente stanca di stare davanti da sola.
Dopo qualche minuto di marcia sostenuta attraverso i campi dorati pregni dell’odore del fieno appena mietuto giunsero alla casa delle due ragazze, mentre a soli duecento metri si trovava l’abitazione di Feliciano e suo fratello Lovino.
I tre notarono con quale rapidità il sole aveva abbandonato il suo trono nella volta del cielo per rintanarsi fino a quasi scomparire dietro i monti alberati, posando la sua luce rosata e soffusa sul paese. Già una timida falce di luna spuntava nel cielo che andava via via scurendosi, mentre un densa e nera massa di nubi andava ammassandosi a levante.
Ivy frugò nelle tasche dei pantaloncini, estrasse le chiavi di casa e spalancò il cancelletto di legno di cui la chiara staccionata, a volte intervallata da tratti di muratura a ciottoli, delimitava la proprietà.
“Ciao, Feliciano, a presto!” Fece Ivy, già a metà del viottolo lastricato che attraversava il giardino d’ingresso e conduceva al portico di lucide assi di legno.
Lui la salutò con la mano, poi si rivolse a Milly. “Beh, ciao...”
“Ciao.” Annuì quella, sorridendo.
Ci fu un momento di silenzio, nel corso del quale nessuno dei due si mosse.
Il ragazzo spostò il peso da un piede all’altro, leggermente a disagio. “Magari domattina potremmo... fare una passeggiata. Per muovere i cavalli, chiaro...”
La bionda ridacchiò. “Ovviamente, per muovere i cavalli. Certo, sta bene.”
Feliciano annuì, poi si guardò brevemente attorno e stampò un timido bacio sulla guancia di Milly, dopodichè si salutarono e si avviarono alle rispettive case.
 
La bionda si chiuse la porta d’ingresso alle spalle, trovandosi subito l’amica accollata addosso.
“Ho ho ho, non posso crederci! Feliciano si è davvero dato una mossa? Incredibile, non l’avrei mai ritenuto capace di tanto!”
Ivy e Milly ridacchiarono, poi quest’ultima cominciò a dirigersi verso la porta posteriore della casa, quella che conduceva alla scuderia e che apriva all’estesa proprietà della villetta.
“Di un po’, Ivy, ma tu ci stavi spiando!”
La ragazza aprì l’uscio e la mora fece appena a tempo ad infilarsi nello spiraglio per non prendersi la porta in faccia.
“Ovvio! Vi tengo d’occhio da un bel po’.” Rispose, gonfiando il petto.
“Giusto, tu non hai di meglio da fare.” Scherzò Milly, aprendo il portone della scuderia ed entrando nel tiepido ambiente, subito seguita dall’altra.
Ivy sbuffò e accarezzò il muso della sua cavalla, che aveva messo fuori la testa dalla posta, curiosa.
“Certo, certo... Ma piuttosto, che ci facciamo dai cavalli?”
La bionda prese una striglia, aprì il box e diede una veloce bruscata al suo cavallo, poi gli infilò la testiera di cuoio nero ed allacciò il fascione anellato al dorso dell’animale, ridacchiando.
“Forse perché dobbiamo muoverli e foraggiarli? Sai com’è, sono esseri viventi...”
Ivy sbuffò ancora e prese a strigliare la cavalla a sua volta.
“Smettila di essere sarcastica, queste cose le so anche io!”
“Allora che aspetti? Metti il fascione e prendi la longe, ti aspetto fuori.”
E detto questo Milly prese lo stallone per le redini, afferrò frusta e lunghina e lo condusse fuori.
La mora ammirò il bel cavallo dal manto lucido e i crini morbidi varcare docile la soglia.
Era di un bel nero corvino, con una larga lista bianca che gli ornava la fronte e due balzane sui garretti posteriori.
Ivy assicurò il fascione di cuoio al dorso della cavalla e le avvolse le bande bianche di cotone attorno alle zampe. Lottò un po’ per metterle la testiera, ma alla fine le cacciò un dito tra le labbra e riuscì a metterle il filetto.
Tolse le redini dal collo e condusse fuori la giumenta. Aveva un grazioso manto pezzato, bianco e sauro, dai crini color avana.
Quando varcò la soglia notò che Milly era già al lavoro, e stava mandando il cavallo al trotto.
Si piazzò a sua volta nel campo di terra battuta e, agganciata la longe ad uno dei dischetti del fascione e passata attraverso l’anello del morso, prese la frusta lunga ed accompagnò la cavalla a disegnare un armonioso circolo al passo.
Lavorarono i cavalli alle varie andature e alle varie mani fino a quando il cielo non si tinse completamente dei freddi colori della notte e un lampo in lontananza non brillò con la sua luce argentata, subito seguito da un potente tuono che fece spaventare la cavalla pezzata ed imbizzarrire il cavallo nero. Quasi immediatamente cominciò a cadere una fitta e sottile pioggerellina gelida, una palese contraddizione all’afa della giornata.
“Torniamo dentro, prima che venga giù il diluvio!” Fece Ivy, prendendo la giumenta per le redini.
Milly riuscì a rigovernare lo stallone, che si era impennato diverse volte prima di quietarsi e che anche in quel momento inarcava il collo scalpitando irrequieto, ed entrambe presero a condurre i cavalli alla scuderia.
Appena li misero nelle poste, le ragazze li liberarono dai finimenti e fecero appena a tempo a foraggiarli che un altro tuono squarciò l’aria e la pioggia imperversò sull’isolato paesino tra le montagne, pulendo l’aria dall’afa e dal caldo della giornata non ancora finita.
Ivy e Milly si lanciarono in casa, ma non riuscirono ad evitare di bagnarsi, e fecero ingresso nel soggiorno completamente zuppe da capo a piedi.
“Sembriamo due soluzioni sature...” Borbottò la bionda, andando a prendere due asciugamani dall’adiacente lavanderia. Ne lanciò uno all’amica e si asciugarono alla ben’e meglio.
“Vai a farti un bagno, io intanto scaldo l’acqua per la pasta.” Continuò Milly, sparendo in cucina prima che Ivy potesse controbattere.
La mora si strinse nelle spalle e salì le cigolanti scale di legno che portavano al piano superiore.
La loro villetta era piuttosto grande, senza contare la proprietà attorno all’abitazione. Ci vivevano da un paio d’anni ed erano arrivate a pagarne più della metà, ma stavano comunque pensando di prendere due inquilini per accelerare i tempi di pagamento. A meno che Milly non fosse riuscita entro breve a passare di grado.
Il vecchio proprietario, tale Kiku Honda, aveva cominciato a mettere loro un po’ di pressione, e lo capivano benissimo. Già gli erano riconoscenti che le avesse lasciate abitare la casa senza averla finita di pagare, perciò erano anche debitrici di gratitudine. Sembrava loro il minimo terminare il pagamento entro tempi brevi.
Il loro venditore era giapponese, ed aveva venduto la villetta per tornare al suo paese con un gruzzolo da parte. Ma non c’era da stupirsi, quello era un paese multiculturale, c’erano persone di tutte le nazionalità possibili.
Ivy giunse al piano superiore, dove c’era un acquartieramento di quattro spaziose camere da letto ed un bel bagno ampio munito di vasca ed acqua corrente.
Avevano trovato davvero una bella casa e anche se costava qualcosa in più delle loro possibilità -una miseria, a confronto di alcune che avevano adocchiato in altre città- meritava certamente un piccolo impegno.
La ragazza aprì il rubinetto dell’acqua e, nel frattempo, si preparò un paio di abiti puliti. Quando la vasca bianca si fu riempita per metà, Ivy richiuse il rubinetto, mise nella cesta del bucato i vestiti bagnati e appena si infilò nell’acqua rimase pietrificata.
Era gelida.
Finalmente aveva capito! Ecco perché Milly l’aveva lasciata lavarsi per prima, cosa alquanto rara da parte sua. Sapeva fin troppo bene che l’acqua ci metteva un po’ prima di scaldarsi, e Ivy si era momentaneamente scordata di quel piccolo ed apparentemente insignificante particolare.
Rabbrividì, e si lavò in tutta fretta, dopodichè si asciugò perbene, si rivestì e scese al piano di sotto. Persino l’ambiente fresco creato dal temporale le sembrò piacevolmente caldo.
Quando arrivò in cucina Milly stava giusto buttando la pasta, e quando si girò a guardarla Ivy la fulminò sul posto.
La bionda ghignò. “Non sei più felice, ora? Lo sai che l’acqua fredda aumenta l’adrenalina?”
“Io ti ucciderò. Lo giuro, prima o poi ti ucciderò...” Borbottò la mora, prendendo il posto dell’amica ai fornelli e beandosi del vapore caldo che fuoriusciva dalla pentola.
Milly si diresse saltellando al piano superiore, pronta a godersi un bel bagno caldo e rilassante, e Ivy in quel momento la odiò più che mai. Ma alla fine dovette sorridere fra sé, e prese a mescolare la pasta con il lungo mestolo di legno.
 
“Mio Dio in cui non credo, che cos’è questa roba infernale?!”
Esclamò Milly, ingollando subito un grande quantitativo d’acqua, vuotando ben due bicchieri colmi.
“E’ un piatto di pasta! Cosa c’è che non va?”
Ivy aveva appena finito di vuotarsi la pietanza nel piatto e proprio non capiva cosa non andava in quei due meravigliosi piatti fumanti ricolmi di pastasciutta.
“Assaggia e capirai...” Bofonchiò la bionda sotto uno sguardo oscurato.
La mora si strinse nelle spalle e si cacciò in bocca una generosa forchettata di spaghetti, più affamata che mai.
Se ne pentì immediatamente.
“Non c’è sale, te lo sei dimenticata!” Esclamò, mentre tentava di inghiottire l’insipido boccone.
Milly sbuffò e vuotò il contenuto del suo piatto nuovamente nella pentola da cui era sbucato.
“Non l’ho dimenticato, semplicemente dovevi farlo tu!”
“E come facevo a sapere che non lo avevi già messo?” Fece la mora, indignata.
L’altra la osservò sprezzante.
“Di solito si assaggia. E poi... Se ci avessi messo il sale te lo avrei detto, no?!”
Le due si osservarono negli occhi per alcuni secondi, Milly rizzata in piedi e Ivy piantata sulla sedia.
Una folata di vento scostò le tende dalle finestre socchiuse della cucina e fece entrare qualche gocciolina di pioggia.
Ivy e Milly spostarono lo sguardo sulla pasta.
“... E di questa che ne facciamo?” Mormorò sconsolata la mora, con lo stomaco borbottante.
“Sono tentata di portarla domani in caserma.” Fece la bionda, e dal suo tono si poteva capire che ci stava pensando davvero.







L'Angolo di Zazzy

Già, sono qui di nuovo a rompervi le tolle  con un'altra, ennesima long-fic XD
Non rimbeccatemi, ho troppe idee >-<
Anyway... che ne pensate? Mi è riuscita bene? :D
Tranquilli, dai prossimi chap si fa più sfiziosa XD
Oh, un'altra cosa, poi mi congedo: ho già un paio di chap pronti, ma non aggiornerò fino a quando non avrò ricevuto tre/quattro recensioni (corpose, possibilmente, se no a scrivere due righe siamo buoni tutti XD Io soffro, impegnandomi a scrivere bene questa ff, e perciò voi dovete gratificarmi almeno un po')
 
Se proprio volete farmi delle recensioni critiche, fate pure (tanto ci dovrò fare il callo, no? XD) ma sappiate, prima di dare inutilmente fiato alla bocca, che sono assolutamente inutili.
No, non è presunzione. E’ che io conosco già i miei errori, solo che (lo ammetto) sono troppo pigra per sistemare/aggiungere/modificare –tutto questo alimentato dal fatto che so che non potrò mai pubblicare.
 
Ora chiudo, che l’editor mi sta facendo sclerare... mi raccomando, fatemi pubblicità, o sarò ufficialmente un’autrice fallita! XD
(Accetto più che volentieri suggerimenti per riscrivere l’introduzione della storia *-*)
 
Alla prossima!
 
Bacioni <3 Zazzy
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



PreScrittum di una alquanto scazzata Zazzy

Ok, ho ceduto e ho postato prima del tempo... ma solo per vedere se riuscivo in un ultimo, disperato tentativo a suscitare la vostra curiosità...
23 visitatori al primo chap... BUUU!!!! VERGOGNATEVIII!!!! >.< Siete cattivi ç___ç Manco una, dico UNA!, recensione!!
Ormai non so più come dirvelo... TT^TT
Giuro, se non vedo miglioramenti entro massimo una settimana la cancello!
A voi pigroni ci vuole un attimo per recensire, e non sapete nemmeno quanto mi fareste felice!!
Vi spaventa che vi abbia detto "recensioni corpose"? Si, mi piacciono perchè solo in quelle fatte così riuscite ad esprimere bene i punti che vi hanno portato ad amare/disprezzare la mia storia! Mi fate sentire una fallita comportandovi così T^T
Che poi è il minimo... comunque, l'Angolo di Zazzy non lo metto, visto che mi avete costretto ad anticipare cosicchè ci siano più probabilità che leggiate <___< (secondo me i mei angolini non li legge mai nessuno...)

E ricordatevi, sono Zazzy il Gatto Nero, perciò maledirò ad eterna sfiga nelle ff tutti i visitatori che non lasceranno almeno una minima recensione!! è__é
(sulla questione delle recensioni negative/neutre ho già specificato nell'angolo del chap precedente [sintesi: inutili, non perdete tempo])

E ora vi lascio al chap, miei ardimentosi che ora andrete a leggere E RECENSIRE ^-^
(chicca/sorpresina sfiziosa a fine chap °-^)



Capitolo 2


Quella mattina Ivy fu piacevolmente svegliata da un tiepido raggio di sole piantato sugli occhi, che la indusse a tirare imprecazioni ai balconi ed a qualsiasi cosa le passava per la mente in quel quarto d’ora che le servì per mettersi in piedi.
Buttò le gambe oltre il bordo del letto e si passò una mano sul viso assonnato.
Quella giornata cominciava davvero bene.
Aprì la porta della sua camera e notò subito che Milly non c’era. Non perché avesse visto il letto vuoto, ma perché l’uscio della stanza era spalancato, perciò doveva essere per forza uscita visto che non dormiva se non nella completa oscurità.
Tanto meglio, si disse, una mattinata in tranquillità senza escandescenze di sorta.
Si mise i comodi vestiti della sera precedente -un paio di pantaloni marroni a mezza gamba e una camicia bianca- e andò a fare colazione.
Prese una bella tazza di latte e biscotti, dopodichè si diresse alla scuderia. Vide subito che lo stallone non c’era, e difatti la sua cavalla aveva un’aria particolarmente rilassata.
Le diede la razione mattutina di pastone, visto che era lunedì, e durante il tempo del pasto della cavalla fece un po’ di leggere pulizie in casa e in stalla.
Spazzò i pavimenti, passò le mensole e pulì i box, dopodichè mise la cavezza alla giumenta e si incamminò per il sentiero ormai battuto che conduceva al pascolo recintato dei cavalli.
Il paddock si trovava quasi alla fine della proprietà e per arrivarci bisognava percorrere un vero e proprio percorso di un minuto buono.
Appena la cavalla vide la meta della passeggiata, sollevò la testa dilatando le froge ed accelerò notevolmente il passo, fin quasi a mettersi al trotto.
Quando giunsero all’entrata del campo per Ivy fu piuttosto difficile governarla e per poco, quando aprì il cancelletto, non si bruciò le mani per lo strattone che diede la giumenta alla lunghina.
Dopo una piccola battaglia la ragazza riuscì a liberarla dalla corda e l’animale partì di gran carriera per il prato ancora cosparso di rugiada.
Ivy ammirò la giumenta galoppare libera all’aria fresca sul largo campo, e constatò con piacere che il clima frizzante ripulito dal temporale notturno faceva notevolmente bene anche al suo umore.
Lasciò la cavalla a sgroppare festosa e ripercorse il sentiero a ritroso, pensando nel frattempo come passare la sua giornata libera.
Quando rientrò in casa vide un paio di stivali neri abbandonati all’ingresso e capì subito che Milly era tornata. Solo lei li portava per poi abbandonarli impolverati in giro per la casa.
E a riprova di ciò c’era un certo tramestio in cucina. Ivy si affacciò, curiosa.
Sul tavolo accuratamente apparecchiato c’erano due invitanti piatti di prosciutto e melone.
Milly era di spalle e stava finendo di sistemare le stoviglie nel lavello; indossava un maglioncino ceruleo e dei pantaloni color seppia.
Vista quindi la più unica che rara situazione di distrazione da parte della Guardia, la mora pensò di farle un agguato per spaventarla e farsi quattro risate.
“Stavo giusto chiamandoti, il pranzo è in tavola.”
Ivy si era giusto appena avvicinata che Milly aveva brutalmente stroncato il suo entusiasmo. Probabilmente si era accorta di lei già da tempo, ma probabilmente aveva voluto beffarla un po’.
“Beh, che aspetti? Siediti, è tutto mangiabile!” La bionda ridacchiò e si mise a sedere, imitata dall’amica.
“Stamane non c’eri, che fine avevi fatto?” Domandò Ivy, assaggiando la pietanza estiva. Era ottima.
“Sono andata a fare una passeggiata con Feliciano, per far rilassare i cavalli prima di lavorare.” Rispose Milly con calma, prendendo un sorso d’acqua dal bicchiere.
Ivy sogghignò. “Ma davvero? Solo ed esclusivamente per muovere i cavalli?”
La bionda la osservò di sottecchi, e di tutta risposta ridacchiò. “Può darsi.”
 
Finito di pranzare, la mora si dedicò all’arte di sparecchiare la tavola mentre Milly andava a prepararsi per il lavoro e a lucidare gli stivali.
Difatti quando tornò al pianterreno indossava la divisa blu con inserti e guanti bianchi, qualche sacchetta attaccata alla cintura e il falcione veneziano pendeva come al solito al suo fianco sinistro.
Ivy la seguì fino alla scuderia, dove la osservò preparare il cavallo mentre si arrovellava se esprimere o no la sua perplessità. Milly notò il suo sguardo un po’ perso e afferrò le redini della situazione, oltre a quelle del cavallo che prese a condurre all’esterno.
“Che c’è, Ivy?”
“Mi annoio.” La mora aveva deciso di arrivare subito al punto della situazione, senta tanti giri di parole. Nel frattempo seguì obbediente l’amica fuori dalla scuderia.
“Beh, ci sono un sacco di cose che puoi fare... per esempio il bucato, oppure-”
“No, non in quel senso! Insomma... tu te la passi, hai un lavoro sociale.”
“Mio malgrado.” Sospirò Milly. Non amava molto stare attorno alla gente.
“Si, certo... Ma, sostanzialmente, ecco... hai Feliciano.”
La bionda si bloccò e la fissò con gli occhi spalancati. “Davvero hai qualche interesse per Feli?”
Ivy si stampò la mano in faccia. “No! Ma cosa vai a pensare, era una metafora!”
“Oh, ma certo! Come ho fatto a non arrivarci prima?” Fece Milly, notevolmente sollevata. Riprese a camminare, seguita docilmente dal cavallo e dall’amica.
“Mmh, vediamo... beh, potresti fare quattro chiacchiere con Lovino. E’ un po’ chiuso, ma diventa un buon conversatore se-”
Ivy scosse la testa. “Impossibile, nessuno dei due inizierebbe un discorso. Non spicceremmo parola.”
La bionda arrestò lo stallone davanti al giardino d’entrata, strinse il sottopancia e regolò le staffe.
“Sai cosa ti dico? Vai al caffè in piazza.”
La mora inclinò la testa da un lato. “Come mai?”
Milly si diede un’energica spinta e montò in sella.
“Tu vacci e basta.” Detto questo, strizzò l’occhio a Ivy e partì al trotto verso la caserma.
La mora la osservò allontanarsi con sguardo vacuo, poi si strinse nelle spalle.
Perché no?Si disse.
Guardò l’ora: le tre e un quarto. Il caffè avrebbe dovuto essere già aperto.
Entrò in casa, mise un vestito comodo e attaccò la cavalla al calesse.
 
“Che cosa le posso portare?”
Ivy sobbalzò, colta alla sprovvista.
Era arrivata alla piazza e si era seduta ad un tavolo interno del caffè pavimentato di assi di legno. Stava giusto guardandosi intorno e ammirando la finezza che aveva quel locale, arredato in modo semplice ma piacevole, quando era stata bruscamente interrotta da quella voce.
Melodiosa, constatò poi.
Voltò la testa, incontrando subito un bel paio di occhi verdi che la scrutavano da un viso sorridente.
“Oh.” Disse. “Mmh, facciamo un tè al limone.”
Certo, quello era un locale e perciò c’era per forza anche un cameriere, come aveva fatto a stupirsi?
Il ragazzo annuì ed annotò su un blocchetto note. Doveva avere circa la stessa età di Ivy.
“Nient’altro?” Domandò, riprendendo ad osservarla, e la ragazza non capì come mai il suo cuore prese a battere più forte.
“No, no... Grazie.” Riuscì miracolosamente a farfugliare.
Il cameriere annuì di nuovo e si diresse al bancone. La ragazza non potè fare a meno di accompagnarlo con lo sguardo in tutte le sue movenze, e quando se ne rese conto ridacchiò silenziosamente tra sé e sé.
Quando quello tornò al suo tavolo reggeva in un vassoietto argentato una tazza di tè ed un piccolo contenitore di zucchero.
Appoggiò il tutto sul piano, le mise davanti la scodella e venne praticamente subito ripreso all’ordine da una voce aspra, quasi certamente della padrona del locale.
“Antonio, ti vuoi sbrigare? I clienti attendono ai tavoli!”
“Ma si, si, certo...” Borbottò a bassa voce il cameriere, riprendendo il vassoio in tutta fretta. Probabilmente la sua dirigente era l’unica che riusciva a fargli perdere il sorriso.
“Mi scusi, ma l’arpia ha chiamato.” Fece ancora, congedandosi dalla ragazza.
Antonio... si chiama così, dunque? Pensò Ivy, cominciando a sorseggiare il suo tè.
Dopo un po’ dall’esterno del locale provenì uno zoccolio e una delle due ragazze al bancone, che stava proprio di fronte alla porta a vetri dell’ingresso, prese a sussurrare frasi concitate al personale.
Immediatamente ci fu fermento: chi si precipitava a dare una spazzata al pavimento già lucido, chi si stirava gli abiti e chi andava in un angolo a prendere fiato controllando i battiti cardiaci.
Ivy, con la tazza ancora in mano, si osservò attorno perplessa e squadrò interrogativa gli altri commensali; anche loro si erano un po’ messi sull’attenti.
Quando gli ‘ospiti’ fecero il loro ingresso nel locale, però, alla ragazza fu subito chiaro il perché di tanta agitazione. Erano due Guardie a cavallo cittadine.
Sorrise e prese un altro sorso dalla tazza, riconoscendo immediatamente Milly e Feliciano.
Il Tenente salutò in modo cordiale il personale, imitata dal sottoposto, e prese a vagare con lo sguardo per il caffè.
La mora agitò una mano nella loro direzione, invitandoli ad avvicinarsi, e fu subito scrutata con sconcerto da parecchi presenti, tra cui Antonio.
Appena avvistata, le due Guardie sorrisero e si diressero verso di lei, accomodandosi al suo tavolo senza troppi complimenti.
“Hei, Milly! Ma che fai, mi pedini?” Scherzò Ivy, salutando gli amici.
L’interessata si strinse nelle spalle. “Logico. Avevamo dieci minuti liberi e così sono passata a vedere se avevi seguito il mio consiglio.”
Feliciano annuì. “E poi...” Si fece più vicino alla mora. “E’ sempre divertente vedere le reazioni delle persone quando entriamo nei locali!”
I tre presero a ridacchiare, e solo dopo che i presenti avessero appurato che le Guardie non erano lì in ispezione l’atmosfera si fece più rilassata.
“Ma vi mandano di pattuglia soltanto in due, adesso? Sono così tirchi in caserma?”
Domandò la mora, finendo il suo tè.
Feliciano ridacchiò. “No, ci sono altri due novellini di ronda con noi, ma visto che abbiamo la pausa abbiamo prefissato di riunirci tra un po’ sulla strada principale.”
Gli amici chiacchierarono ancora per qualche minuto e poi, spostando lo sguardo verso il bancone, Ivy potè chiaramente vedere i camerieri parlottare tra loro gesticolando e lanciando occhiate tormentate ai due agenti. Quasi immediatamente venne spinto a forza fuori dal gruppo un cameriere ben noto alla ragazza, il quale, dopo un attimo di esitazione, si diresse verso di loro con passo non proprio sicuro.
“Che cosa... hum, vi posso... hem, portare?”
Fece Antonio con voce incerta.
Ivy si chiese se le divise che portavano Milly e Feliciano facessero davvero così tanta paura, ma poi, guardandoli bene in quegli abiti, constatò che effettivamente mettevano soggezione.
“Oh, non importa.” Disse il Tenente al cameriere. “Adesso dobbiamo andare. Ciao Ivy, a dopo!”
Feliciano la salutò con un cenno del capo ed entrambi si congedarono.
La mora ed Antonio, immobile davanti al tavolo come se fosse stato impagliato, li seguirono con lo sguardo fino a quando varcarono la soglia, dopodichè nel locale si profusero sospiri di sollievo e l’atmosfera ridiventò quella di un normale caffè.
Il cameriere spostò lo sguardo su Ivy, incrociando il suo.
“Tu... li conoscevi?” Chiese, incredulo.
La ragazza ridacchiò, facendogli cenno di sedersi. “Certo! Siamo buoni amici. Condivido addirittura la stessa casa con il Tenente Milady Sanders.”
Antonio la squadrò incredulo. “Davvero? A volte è difficile credere che le Guardie abbiano una vita, al di fuori dell’uniforme...”
“Non posso darti torto.” Sorrise Ivy, ma poi aggiunse. “Oh, non ti starò sottraendo al lavoro, vero?”
“Eh?” Fece il cameriere, trasognato. “Oh, certo che no! Il mio turno è finito due minuti fa.”
Detto questo, si tolse il grembiule e fece l’occhiolino alla ragazza, che prontamente arrossì.
Antonio mise i gomiti sul tavolo e poggiò il mento tra le mani, osservandola con gli occhi luminosi. “Su, dimmi un po’ di te. Come sei capitata qui?” Chiese, curioso.
Ivy ridacchiò. “A dire la verità vorrei prima sapere come ti chiami.”
Lui spalancò gli occhi, e poi si schiaffò un palmo in fronte. “Ma certo, che stupido! Come faccio a rivolgermi a qualcuno senza prima aver fatto le presentazioni?”
La ragazza lo osservò, poi scoppiò a ridere di cuore, mentre il cameriere inclinò un sopracciglio.
“Sono così divertente?” Fece, senza riuscire a reprimere un sorriso divertito.
Ivy annuì energicamente e si asciugò gli occhi, prendendo un bel respiro per calmarsi e allungando un braccio verso il ragazzo. “Non ho mai riso così tanto con qualcuno che conosco appena! Comunque, piacere, Ivy Weber.”
“Antonio Fernández Carriedo.” Rispose lui, stringendole la mano.
Il cuore di Ivy perse un battito e così, per evitare di arrossire e di farsi una figuraccia plateale, cercò di alleggerire l’atmosfera. “Fammi indovinare... sei russo, vero?”
Risero, poi lei proseguì, riagganciandosi al discorso precedentemente iniziato. “Come sono capitata qui? Beh, è un racconto piuttosto lungo...”
“Mi piacciono le storie lunghe.” Fece Antonio, sbattendo le palpebre.
“Se proprio ci tieni...” Ivy sorrise. “Mio padre, Faust Weber, è tedesco e mia madre, Doris Jansen, viene dal Belgio. Ho passato la mia infanzia in Germania, poi siamo stati per un breve periodo in Svizzera, e anche in Italia. Difatti è lì che ho conosciuto Milady, sua madre è italiana e suo padre inglese. Abbiamo studiato insieme per un lungo periodo. Alla fine abbiamo preso strade separate, ma ci siamo mantenute in contatto, e così alla fine lei, la mia famiglia ed io ci siamo trasferiti qui.”
Il ragazzo drizzò le spalle. “Così vive qui anche la tua famiglia?”
Ivy annuì, dopodichè cadde per qualche attimo un silenzio imbarazzante.
“Beh, sarà meglio che vada, nemmeno oggi il tempo promette troppo bene...” Fece la ragazza, alzandosi e prendendo il taccuino per pagare il tè.
Antonio si sollevò a sua volta e, sorridendo, assentì. “Bene, a presto, allora!”
“Certamente!” Rispose ridendo Ivy. Pagò il conto al bancone ed infilò la porta, senza voltarsi, diretta verso casa.






La notizia sfiziosa che vi avevo promesso nella premessa (che gioco di parole XD)

- Udite Udite! E' in arrivo la storia di Zazzy! °-^ Si, quella del mio logo, il Gatto Nero ^^
Per chi volesse il link quando la pubblicherò, è sufficiente che  me lo specifichi nella recensione  :)


Au revoire! <3





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