2.
PetGirl
Deathstrike non ci andava troppo
per il sottile.
Gettava loro contro granate a piene mani e menava fendenti a
destra e a manca con quei diabolici artigli di adamantio
che si ritrovava.
Non faceva altro, in realtà.
Deadpool era già abituato al suo
stile di combattimento, e si divertiva a saltare da una parte all’altra per
schivare i suoi colpi, canticchiando nel frattempo la sigla di CSI Miami.
«Wade!»
gracchiò lei, in un urlo carico d’odio.
«Sì, bellezza?»
«Smettila di fare il coglione e
vieni con me!»
Dici che Colcord se la prende se la facciamo fuori?
«Ragazzi, lei è praticamente un
cyborg. Non è che la posso far fuori.»
Beh, allora
smontiamola pezzo per pezzo.
«Smontarla? Umh,
sì. Potrebbe funzionare!»
Se solo avessimo le
nostre spade.
Già. Se solo.
In quel momento, dopo un lungo volo e una brutta caduta
sull’asfalto smosso e rovente, Metazoa riapriva
lentamente gli occhi.
Non era atterrata in piedi, questa volta.
Cominciava ad albeggiare, e il cielo estivo era appena illuminato
da una tenue luce rosa, che si proiettava sulle nuvole grigie, sopra di lei.
Quel gioco di luci riverberò da qualche parte, davanti ai
suoi occhi.
Si inginocchiò mugugnando.
Sentiva male ovunque.
I muscoli della schiena erano indolenziti e si lamentavano ad ogni movimento.
Provò a muovere le gambe, ma una fitta alla tibia sinistra
le lacerò l’aria nei polmoni.
Merda. Doveva essersela rotta.
Come se non bastasse, la testa le pulsava tremendamente e lo
stomaco non si era ancora disteso dopo l’ultimo cazzotto di Deadpool.
Sorrise amaramente, solo per sentire il
gusto metallico del sangue riempirle la bocca.
«Oggi non è la mia giornata…»
bofonchiò, massaggiandosi i muscoli stirati del collo e tentando di rimettersi
in piedi.
Poteva vedere in lontananza il trambusto della battaglia
sfociata tra i due.
A questo punto, lei poteva anche andarsene.
Dopotutto era venuta lì per vendicare un chihuaua, e aveva
avuto la pretesa di farla pagare a un immortale. Non poteva certo sperare di
punire Deadpool più di quanto non avesse già fatto.
Finalmente
riuscì a rimettersi in piedi, aggrappandosi ad alcune macerie volate fin lì
insieme a lei.
Staccò con cautela le mani dal granito e provò a muovere
qualche passo.
Diavolo, a differenza di quegli altri due pazzi, il suo
potere poteva fare ben poco contro fratture di quel tipo.
Incespicò sui suoi passi, ma riuscì a riprendere
l’equilibrio appena in tempo.
Di nuovo quel fastidioso riverbero le colpì gli occhi
ultrasensibili, abbagliandola.
C’era una superficie riflettente. Una superficie riflettente
nell’erba.
Che diavolo stai
aspettando? Falla fuori!
A mani nude?
Beh, siamo sempre
stati più forti di lei! O sbaglio?
Non sbagli, ma pensare
di andare contro quella furia cibernetica senza uno straccio di corpo contundente…
«Cazzoooo!»
Deathstrike lo centrò, in pieno
volto, scaraventandolo ad alcuni metri di distanza.
Bene, come se non
fossimo già abbastanza sfigurati!
In un istante gli fu addosso.
«Senza le tue adorate armi non sei
nulla di speciale, Wade. Sei solo immortale.»
«Già. E’ un peccato, vero?»
«Sì…»
La donna sfoderò di nuovo quel sorrisetto diabolico, e uno
dei suoi artigli si allungò più degli altri.
«Perché avrò tutto il tempo per convincerti a tornare ad
Arma X. Vediamo…»
Fece vagare un’unghia sulla pelle nuda e abbruttita di Wade, graffiandolo appena.
«Ehi. Vacci piano
stellina, soffro il solletico.»
«Bene.»
Lei si leccò le labbra.
Così, seduta sopra di lui, con i piedi che gli avevano
letteralmente spappolato i polsi sull’asfalto, l’aveva completamente alla sua
mercé.
I primi raggi
del sole colorarono ulteriormente le nuvole, rischiarando l’aria.
Sta notte hai fatto
proprio una pessima figura.
Infatti! Te le sei soltanto prese.
«Oh, state un po’ zitti!»
«Ho deciso da dove cominciare.»
sussurrò Lady Deathstrike, portando il suo artiglio
principale sull’inguine di Wade.
«Scommetto che è da un po’ che non
ti diverti con una donna, eh? Io potrei darti una mano…»
L’uomo sudò freddo.
«Oh-oh.»
Questo non ci
ucciderà.
Ma farà molto, molto male.
«Deadpool!»
Wade voltò lo sguardo appena in
tempo per vedere la ragazzina, a qualche decina di metri di distanza sulla
strada sfracellata, lanciare qualcosa di luccicante nella sua direzione.
No, aspetta.
Non è qualcosa di
luccicante… è…!
Sono le tue spade,
idiota! Afferrale!
E allora non ci furono polsi sfracellati o artigli di Deathstrike che lo tenessero ancorato al terreno.
Riuscì a liberarsi della presa ed
afferrare le sue armi al volo.
Con un urlo di rabbia, la donna gli affondò gli artigli tra
le gambe.
Questo fece male.
Molto male.
Ma Deadpool
non gridò.
Si morse le labbra, quasi se le staccò.
Poi scattò in piedi, furioso come raramente lo era stato.
Quel che accadde in seguito a Deathstrike
non fu molto piacevole.
Probabilmente ci sarebbe voluta una squadra di ingegneri esperti per rimetterla insieme dopo il lavoro
metodico a cui la sottopose.
Questo, a Deadpool, non importava.
«Beh, alla fine suppongo di doverti
ringraziare.»
Grazie!
Grazie!
«Mh.» mugugnò in risposta la ragazzina, dandogli le spalle.
Cominciò ad allontanarsi zoppicando, molto lentamente.
«Ehi, aspetta!»
Deadpool, che aveva ritrovato il
suo costume rosso tra i resti in fiamme dell’astronave, la raggiunse in pochi
passi.
«Eddai!
Sei ancora arrabbiata per la storia del chihuaua? Ti ho detto che non volevo!»
«Lasciami in pace.» sibilò lei,
fissando dritto davanti a sé con aria corrucciata.
Rischiò di inciampare su una pietra troppo sporgente, ma
ancora una volta recuperò l’equilibrio prima di cadere.
Si fermò per riprendere fiato.
La gamba le doleva terribilmente.
Senti, lei ti ha aiutato, forse ora
dovresti darle tu una mano.
Mi sembra di sentire Blind Al.
«Senti, tu non hai una bella cera.»
continuò Deadpool, spostandosi davanti a lei. «So di aver detto che ti avrei aperto in due, ma ho cambiato
idea, davvero. Beh, per ora. Insomma, ti porterei da qualche parte, così non
penso tu possa andare lontano.»
«Sì, invece. Non devo camminare per
forza.»
«E cos’altro potresti fare allora?»
«Volare.»
…
…
«Ah, sì, certo.»
Bravo, giusto, i
pazzi non vanno mai contraddetti!
Ma la gente ci contraddice in continuazione.
Infatti non dovrebbe.
Mi sa che hai ragione.
Vedi? Morirebbero molte meno persone seguendo poche, semplici
regole…
Metazoa digrignò i denti e si portò una mano sulla fronte,
come se cercasse di vincere un mal di testa lancinante.
«No, mi sa che hai ragione, non
posso. Devo essermi fatta più male di quanto pensassi.»
«Avevi detto di essere agile come
un gatto e veloce come un non so che.»
Un levriero, stupido.
Ma.
«Ma cosa?»
C’era anche un “ma” in
quella frase, solo che non l’ha finita in tempo.
La ragazza scrollò di nuovo la zazzera chiara di capelli
nello stesso caratteristico modo di poco prima, come se volesse scrollarsi di
dosso qualcosa di fastidioso.
«Senti, non–»
Sentirono il rumore tintinnante di qualcosa di metallico che
rimbalzava a terra e continuava a rotolare per qualche secondo.
Entrambi gli sguardi scattarono sulla granata ai loro piedi.
Metazoa fece appena in tempo a
mormorare un “oh, merda” particolarmente sentito,
prima di essere avvolta dalla seconda esplosione della giornata.
Non svenne, non questa volta.
Strano, considerato che sarebbe
dovuta saltare in aria in mille pezzi.
Istintivamente si era lanciata all’indietro tappandosi le
orecchie, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla.
Invece atterrò con uno schianto a parecchi metri di
distanza, sbattendo dolorosamente contro qualcosa che si conficcò tra le
scapole.
E qualcosa le cadde addosso.
No, non qualcosa. Qualcuno.
O meglio, quel che restava di un Deadpool
mezzo maciullato dall’esplosione.
Per questo non era morta.
Quel pazzo furioso le aveva fatto da scudo, scagliando
entrambi il più lontano possibile.
«Okay.» disse lei, sgusciando fuori
da sotto gli organi maciullati dell’uomo «Forse ora posso perdonarti…»
Completamente imbrattata di sangue non [solo] suo, si
rannicchiò a terra pronta a scattare, in attesa di un qualsiasi rumore o
movimento.
La polvere sollevata dalla granata le impediva di vedere a
pochi centimetri dal suo naso, ma esistevano ben poche cose che potevano
ingannare le orecchie di un segugio.
In ogni caso, se qualcuno aveva cercato di ammazzarli ancora
una volta (e difficilmente poteva trattarsi di Deathstrike),
non era rimasto a controllare gli esiti delle sue azioni.
Ci vollero venti minuti prima che Deadpool
si rigenerasse completamente, e continuò a ronfare per almeno altre tre ore.
Quando finalmente riaprì gli occhi, si ritrovò a fissare un
soffitto grigio dalla vernice completamente scrostata.
Uh, che classe.
Mi sento proprio a
casa.
«Nghh, la
testa…»
Ti sei rigenerato
idiota, non puoi avere mal di testa.
«Forse sto un po’ abusando di
questa cosa della rigenerazione...»
Zitto e mangia la
brioche al miele.
«Quale brioche al miele?»
Quella sul mobile
alla tua sinistra.
Doveva essere in una vecchia fabbrica abbandonata.
Il giaciglio su cui si trovava consisteva in un materasso
sfondato completo di coperta ammuffita, e dalle imposte tarlate alle grandi finestre filtrava qualche fascio di luce dorata, che andava
a illuminare chiazze di pavimento polveroso.
La brioche appoggiata su quel che restava di un macchinario
grigio, però, aveva un aspetto delizioso.
Se la ficcò direttamente tutta in bocca.
«Cshibbè shccsh engh bbegghmg
gnammh chgn?»
Eh??
Non parlare con la
bocca piena!
«Cos’è successo?» chiese, ingoiando
il boccone.
Boh.
Sei tipo esploso.
«E poi?»
E poi non lo so, ci
siamo spenti.
«Potete spegnervi?»
Dietro la maschera, gli occhi di Wade
brillarono.
Solo quando si spegne
il tuo cervello, illuso.
«Oh… peccato.»
Per un attimo ci avevi
creduto, eh?
Deadpool lanciò in aria la coperta
e si sedette su quel che restava del materasso.
Le sue katane erano adagiate
accanto al pagliericcio. Delle armi da fuoco nessuna traccia.
Dev’essere stata la
bimba a usarci tanta cortesia.
Cortesia? Ci ha
abbandonati in un magazzino! Noi le salviamo la vita e lei…
Devi ammettere che la
brioche, però, è stato un tocco di maestria.
Misurò la stanza a grandi passi, muovendosi nella fitta
penombra, finché non s’imbatté in un’accozzaglia di scatoloni accatastati.
Sopra di loro, avvolta in un plaid rosa dall’aspetto per
nulla ammuffito, la ragazzetta ronfava della grossa.
Wade si concesse due secondi per
notare che le orecchie e la coda da gatto erano sparite per lasciare il posto ad un set di annessi tipici probabilmente di un qualche
piccolo primate.
Le orecchie attuali, per esempio, erano piccole e
cilindriche, e sporgevano ai lati della testa facendosi largo nei capelli
intrattabili della ragazza.
Fatte le dovute
constatazioni, Deadpool le assestò un calcio che la
fece rotolare fuori dal giaciglio, sul pavimento ingombro di cocci di vetro.
«Ahiaaaa» mugolò quella, ancora
bloccata nel sogno «…non un cavallo.»
Non un cavallo?
Non un cavallo?
«Non un cavallo?»
Questa è più scema di
te, Wade.
Fece per punzecchiarla ancora col piede, ma un fulmine
bianco e peloso lo colpì in faccia con un lungo gemito felino.
«Ma che diav–»
Sentì gli artigli affondargli nell’occhio destro.
Bene.
No, aspetta scemo,
non…!
Prima che le voci nella sua testa potessero fermarlo, il
gatto fu spiaccicato contro la parete accanto.
Fantastico. Davvero
fantastico.
Hai fatto fuori un
altro animale Wade. Ora sì che la
tua piccola fan sarà entusiasta.
«Ma… ma l’avete visto anche voi! Mi
ha attaccato! È stata legittima difesa!»
Per un attimo, pregò che la piccoletta non si fosse ancora
svegliata e si girò freneticamente a guardarla.
Lei ricambiò lo sguardo da per
terra, perplessa e annoiata.
«Mi sa che non ti posso lasciare
andare in giro da solo.» sbuffò.
«Scusa, tu… non schizzi male?
Voglio dire, penso di aver appena spiattellato il tuo gatto sul muro e…»
Si voltò verso la poltiglia di gatto.
E notò che la poltiglia di gatto non c’era più.
«Meow»
Il miagolio ai suoi piedi richiamò la sua attenzione.
Un grosso gatto bianco e nero lo fissava curioso, con i suoi
grandi occhi gialli e placidi. Perfettamente intero.
«Ti presento Darwin, l’unico gatto
al mondo a possedere del DNA mutante nel suo genoma.» disse Metazoa,
allungando una mano per accarezzarlo.
«DNA mutante?»
«Sì. Fattore di guarigione. Puoi
spiattellarlo sul muro quanto ti pare, questo gatto è praticamente
immortale.»
Alzò lo sguardo sull’uomo, un sorriso angelico sulle labbra.
«Ma se provi a rifarlo ti ammazzo.»
Ne deve passare di
acqua sotto i ponti prima che una bimbetta fragile come te possa anche solo
sperare di farci male.
«Com’è possibile che un gatto sia
un mutante?» chiese Wade, squadrando il felino.
Aveva orecchie e coda nere, assieme ad un paio di strisce
sulla schiena. Per il resto era coperto di un soffice manto bianco.
«Credo sia frutto di un
esperimento… in realtà non so molto bene neppure io. A Darwin non piace parlare
del suo passato.»
Come a voler confermare quelle parole, il gatto annuì
leggermente e si accomodò sul giaciglio della padrona.
Hai sentito?
«Sì… questo felino potrebbe essere
proprio come me!»
Mannò, idiota! Intendevo… al gatto non piace
“parlare”??
Questa… questa ha
probabilmente delle voci nella testa.
O nella testa del
gatto.
Fuggiamo, prima che
sia troppo tardi!
«Sei stata tu a portarmi qui?»
Lei si strinse nelle spalle, alzandosi finalmente in piedi.
«Beh, tu mi hai protetta durante
l’esplosione. Era il minimo.» disse, spolverandosi la
maglietta troppo larga e i pantaloncini.
«E non c’è una tv in questo
postaccio?» si lamentò lui, cominciando a rovistare negli angoli più bui dello
stanzone.
«Una tv? Direi proprio di no. A
proposito, perché l’hai fatto?»
«Fatto cosa?»
«Salvata. Perché mi hai salvata?»
«Beh, hai detto che sono il tuo
supereroe preferito, e sai. Non è che io abbia molti
amici, ma in realtà non mi piace nemmeno troppo la solitudine. Cioè, non è
male, non per il lavoro che faccio. In genere ammazzo la gente, quindi capisci
che non è che ne voglia troppa intorno. O forse è la
gente che non vuole perché sa che dopo l’ammazzo. In
ogni caso ho Weasel, e Blind
Al, anche se in realtà se posso evitare di incontrarli è meglio perché–»
«Okay, okay, ho afferrato il
concetto.» si affrettò a dire lei, allungando le braccia come per fermarlo «In
realtà no, ma fingiamo che sia così.»
L’hai salvata perché
ti sentivi solo.
Patetico.
«L’ho detto ad alta voce?»
Sì.
Idiota.
Finito di
esplorare i dintorni, Deadpool sfondò le imposte con
un pugno, e la luce del sole inondò la stanza, ferendo gli occhi di Metazoa e del gatto.
«Tu vivi qui?»
«Solo di notte, quando sono nei panni
di PetGirl. Questo è tipo, uh, il mio quartier
generale.»
Questa pattumiera
gigante?
«PetGirl?»
«Sì, così mi chiamano gli amici. Che
non ho. Ma lo farebbero! Comunque di giorno sono una
studentessa normale, con una vita normale.»
«E un gatto immortale.»
«E un gatto immortale.» concesse
lei.
Scese il silenzio.
Piuttosto imbarazzante, per la verità.
Le orecchie da piccolo primate della ragazzina si
abbassarono leggermente e la coda le si arrotolò
intorno al polpaccio destro.
«Beh… quindi… Arma X, eh? Forte.»
No.
Non proprio.
«Senti, ma tu cos’è che fai
esattamente, di notte, a parte vendicare chihuaua?»
Lei s’illuminò istantaneamente.
All’improvviso le orecchiette ai lati della testa si
sollevarono, mutando velocemente in orecchie da gatto, e lo stesso fece la
coda.
Un sorriso enorme si aprì sul volto di Metazoa,
scoprendo i canini acuminati.
«Di notte sono PetGirl!» esclamò
con entusiasmo, chiaramente ricorrendo a una formula, un tono e un’espressione
che aveva provato chissà quante volte davanti allo specchio «Mi
aggiro come un’ombra nell’oscurità per punire chiunque faccia del male a un
qualsiasi essere del regno animale! Tremate, marrani, perché la mia vendetta si
abbatterà tremenda su chiunque oserà sfidarmi!»
Nel recitare, assunse una posa da combattimento ridicola.
Non vedeva l’ora che
glielo chiedessi.
Chiaramente.
«…ah.»
Un misto tra Mew Mew e Sailor Moon, insomma.
Io sono sempre del
parere di ucciderla.
«Fossi in te però, cambierei la parola
“marrani”. Non funziona con il ritmo del discorso.»
«Tu dici?»
Metazoa assunse un’aria
pensierosa, corrucciando la bocca e massaggiandosi il mento.
«Umh,
forse hai ragione. Rivedrò il mio grido da combattimento!»
Senti, non per fare il guastafeste, ma se il caro Colcord
ci sta cercando, forse è meglio sparire.
«Vero. Bene, è stato un piacere
ragazzina/animale o quel che sei. Ci vediamo!»
Individuata l’uscita della fabbrica, Wade
vi si diresse senza ulteriore esitazione.
«Ehi, aspetta!»
La ragazzina face per trattenerlo protendendo gli artigli,
ma poggiò il peso sulla gamba sinistra, e la tibia rotta cedette facendola
rovinare a terra.
Oh.
Veramente di classe.
No, sul serio. Degno
di Sailor Moon.
«Forse sarebbe meglio che invece di
seguire mercenari chiacchieroni, cercassi di diventare come il tuo gatto.»
Infatti. Fidati, lascia a lui il lavoro duro e va’ a farti un fattore rigenerante.
Potremmo proporre lei
ad Arma X!
«Andrò in ospedale, ma non saprei
come spiegare tutte queste ferite. Devo prima passare al college, fingere di
cadere dalle scale e poi farmici portare.»
«E in media quante volte a settimana cadi
dalle scale?»
«Ehm… parecchie.»
Davvero,
infilziamola. È
meglio per tutti.
«Ciao.»
«No, sul serio, ho una proposta per
te!» gemette la ragazzina, sdraiata a terra, tirando la sua tuta all’altezza
della caviglia.
«Hai qualcuno da farmi uccidere?
Perché in quel caso, lasciatelo dire, fai proprio schifo come supereroina che
si aggira come un’ombra nell’oscurità.»
Di nuovo, scosse la testa con quel buffo movimento da cane bagnato.
«No, no, per quello mi arrangio.
Voglio propormi come tua sensei nel percorso per diventare un vero supereroe!»
Cos…?
«Ma come diavolo fai a sapere–»
Metazoa lo interruppe agitandogli
una mano davanti agli occhi, tornando seduta.
«Il mio college è a San Francisco.
C’erano tutti quando ti sei scontrato contro gli X-Men!
E poi ho letto sul giornale che cercavi Spidey… insomma, basta fare due più due.»
Okay, questo un po’
mi turba.
Il lavoro potrebbe
risentirne.
Io continuo a
proporre di infilzarla.
Deadpool le diede le spalle,
piccato.
«Anche se così fosse (e così non
è!), sicuramente non verrei a chiedere l’aiuto di una Mew
Mew vendica-chihuaua.
Addio.»
«Ma pensaci scusa!» gracchiò lei
con voce lamentosa, aggrappandosi alle sue gambe per impedirgli di procedere (Ucciderla. Ora.)
«Nessun supereroe famoso e attivo a pieno ritmo accetterà mai di insegnarti!
Sei troppo instabile e nessuno ti vuole tra i piedi!»
Quando la bocca della pistola le fu premuta esattamente in
mezzo agli occhi, Metazoa si allontanò da lui con un
guizzo, alzando le mani e sudando freddo.
«Lo vedi? Hai un caratteraccio!»
«Perché vorresti insegnarmi a fare
il supereroe?» chiese lui, senza spostare la pistola di un millimetro.
«Perché così tu non te ne andresti
in giro a spiaccicare procioni e usare chihuaua come manganelli! Se non posso
ucciderti, almeno potrei tenerti sotto controllo.»
spiattellò lei velocemente, il metallo freddo della pistola sempre sulla fronte.
Tenere sotto controllo Deadpool.
Suonò ridicolo alle sue stesse orecchie da gatto.
Per lo meno è stata
sincera.
«E puoi davvero insegnarmi come si
fa?»
«Sì. Con l’aiuto di Darwin. Ma devi venire. Con me. A San Francisco.»
Passò un intero minuto in cui Metazoa
si chiese se sarebbe davvero morta con tutto il
cervello di fuori, spiaccicato alle sue spalle.
Alla fine, Deadpool abbassò l’arma
(Ma che diavolo fai?!),
e lei credette di svenire per il sollievo.
«D’accordo allora.» disse, e quelle
grandi orecchie scattarono verso di lui «Perché no? Si
parte per San Francisco!»
Dì la verità, ti stavi annoiando.
Io sono sempre del
parere che anche spiattellarle il cervello sul muro
sarebbe stata una buona idea.
«Che dite, Ciclope sarà felice di
rivederci?»
No.
No.
«Scusa, con chi stai parlando?»
mugolò la ragazzina, riuscendo finalmente a rimettersi in piedi.
«Tu. Stai attenta.» disse lui all’improvviso, puntando l’indice contro di lei.
Quella spalancò gli occhi, spaventata.
«La didascalia gialla ti odia.»
«La… che?!»
«Andiamo, verso una nuova avventura!»
Metazoa e Darwin si scambiarono
un’occhiata di terrore.
“Okay, okay… forse ho fatto una stronzata.”
*
Scusate
il ritardo, lo so, sono una cacca.
Il
mio solito problema degli impegni e dell’incostanza! L
Ma
per una volta ho tutta la trama ben stesa e sviluppata, quindi non abbandonerò
la storia!