SOLO MOMENTI

di RoSyBlAcK
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** vorrei dimenticare ***
Capitolo 2: *** il tuo sorriso ***
Capitolo 3: *** da te ***
Capitolo 4: *** parole da lontano ***
Capitolo 5: *** vederti adesso ***
Capitolo 6: *** inutilmente ripensarti ***
Capitolo 7: *** una storia che merita ***
Capitolo 8: *** ancora tu ***
Capitolo 9: *** scelte che non ho preso ***
Capitolo 10: *** di nuovo sui miei passi ***
Capitolo 11: *** sfiorare le tue dita ***
Capitolo 12: *** soffici abbracci ***
Capitolo 13: *** il tempo per capire ***
Capitolo 14: *** ancora coraggio ***
Capitolo 15: *** ho bisogno di te ***
Capitolo 16: *** lacrime d'un eroe ***
Capitolo 17: *** parole tra di noi ***
Capitolo 18: *** ricominciare ***
Capitolo 19: *** abbracciami ora ***
Capitolo 20: *** non dimenticare mai ***



Capitolo 1
*** vorrei dimenticare ***


Molti, moltissimi, hanno letto questa ficc

Molti, moltissimi, hanno letto questa ficc. E molti, moltissimi, l’hanno definita di una tristezza immensa. Ebbene sì, è quello che volevo fare quando l’ho iniziata, quello che ancora voglio fare ora, che non ho ancora finito di scriverla. Perché secondo me dopo tutto quello che successe a Harry, Ron ed Hermione, dopo la guerra contro Voldemort…come potevano le loro vite tornare normali?

Ma c’è un altro fatto… una frase che mi disse una volta mia madre in un brutto momento della nostra vita: “dopo la tempesta viene sempre il bel tempo”… non dimenticate questa frase mentre leggete le mie parole, e magari piangerete un po’ meno. Spero di avervi incuriositi e non di avervi incoraggiato ad andarvene dalla mia fiction… se non è così, buona lettura!!

Grazie in anticipo per le recensioni!!

Un bacionee!!

SOLO MOMENTI

Capitolo 1

Vorrei dimenticare

Ginevra apre i suoi grossi occhi azzurri nella piccola stanza flebilmente illuminata dal pallido sole invernale. Si alza e si avva alla finestra. la spinge, e la luce bagna tutte le superfici della camera. Una leggera brezza di mare le scompiglia i capelli rossi, e lei resta li, immobile, lasciandosi accarezzare da quel freddo vento salmastro che trasporta il lontano ruggito dell’oceano.

Per qualche breve istante, il peso che le opprime i polmoni pare quietarsi, finchè la radiosveglia non parte con il suo insistente chiacchiericcio.

-buon giorno! È il 4 febbraio 2006…- già, 2006. la specchiera nell’angolo le restituisce un’immagine che Ginevra tenta disperatamente di ignorare: l’immagine di una donna triste e sola. Una donna di ormai quasi trent’anni. I lunghi capelli rossi le ricadeno sulle spalle magre, il viso pallido e i grossi occhi pieni di rancore. Chiude la finestra e si sfila la leggera camicia da notte, per poi entrare nuda in bagno e immergersi nella calda acqua della doccia. Il silenzio che ricopre tutto quanto la circondi, è insieme confortante ed immensamente angosciante.

Non c’è più nulla nella sua vita che valga la pena essere vissuto. Si insapona con cura le pieghe bianche delle gambe e della pancia, massaggiandosi la pelle piena di piccoli brividi, tentando di non sentire la solitudine che le attenaglia lo stomaco, e l’ansia che le riempe il cuore. Cos’aveva sbagliato? Lei lo sa. Ginevra Weasley, aveva sbagliato tutto. appoggia la fronte al muro bagnato, mentre l’acqua le appiccica i capelli alle guance e alla fronte come durante una piovuta copiosa… la piovuta copiosa di tanto tempo prima… Ginevra vorrebbe non possedere più il ricordo di quel giorno, eppure lui è li, immobile nella sua mente come se fosse l’unico degno di essere trattenuto dalla sua memoria.

esce dalla doccia, si avvolge nell’accappatoio, e si lava i denti accuratamente. Ha quasi un ora prima di iniziare a lavorare.

Prende a pettinarsi con calma, fissando lo spettro di quella che una volta era stata una ragazza piena di vita e di voglia di ridere. Le labbra a forma di cuore pargono ora un palloncino sgonfiato, le guance incave danno al suo piccolo naso una piega malinconica. Si infila un paio di jeans e una maglietta troppo larga. Si spruzza del profumo e lascia perdere il trucco. Infondo non le importa di piacere a nessuno.

Caccia nella tracolla i soldi e il cellulare, i-pod e l’agenda, l’ombrello e un paio di guantini rosa. Si infila le scarpe da ginnastica e un maglione.

Esce, chiudendo la porta del piccola appartemento alle sue spalle.

Si ferma all’edicola e prende il giornale, poi, come ogni mattina nelle ultime mattine degli ultimi anni, si siede con una tazza di caffè su una panchina sulla scogliera. Si apre il giornale sulle gambe e lo fissa, con sguardo vuoto, consapevole che nemmeno quel giorno, aprirà la Gazzetta del Profeta. Si limita a guardare l’attuale ministro sorridere dall’interno della sua cornice, sventolando la rugosa mano avanti e indietro, senza leggere nemmeno una parola.

Sono anni che non supera la prima immagine.

Da quando quell’immagine aveva mostrato ai suoi grossi occhi chiari, il corpo inerme dell’unico al mondo che era stato in grado di essere amato da lei. Continua a guardare il lento scorrere di quelle troppe, inutili parole. Il mondo si era fermato dentro di lei. Nulla, appartenteva più al suo controllo. Si chiede quanto tempo è che non sorride, che non ride magari.

Il mare sotto di lei da un isterico guizzo, e lei perde il proprio sguardo lungo l’orizzonte. vorrebbe poter tornare indietro, idietro, più indietro. Eppure sa, che quello che era stato è inrevocabile, come l’imperterrito scorrere della marea sotto il suo vigile cospetto.

La donna si lega una folta chioma riccia in una coda alta e morbida, che permette a qualche ricciolo ribelle di scivolare lungo il suo collo intrappolato in una sciarpa nera. Si chiude la camicia bianca sul piccolo seno irrigidito dal freddo e si infila una gonna nera che lasciava scoperte le cosce magre e scurite dalla collant. Prende a truccarsi con cura il viso pallido, le labbra di un rosso mattone, le palpebre scure, la matita nera, a delineare la lontana dolcezza vellutata delle sue ciglia lunghe intorno ai solari occhi nocciola, ora incupiti dal tono livido delle piccole occhiaie. Prende il profumo dal ripiano e se lo spruzza sul collo, sui polsi, piano, con calma, con cura, come sempre. certe cose non cambieranno mai. Prende la borsa e vi sbircia dentro, facendo mente locale di tutto cio che le serve. E c’è. Prende sotto braccio il libro che sta leggendo. Lo proseguirà in autobus. Entra furtiva nella stanza accanto, ovattata dal pallido buio della mattina. Scosta un poco le tende, in modo che qualche timido raggio di sole possa illuminare le pareti rosa di quella piccola camera. Si siede sul letto vicino alla scrivania e sposta un poco il piumone. Un ciuffo di lunghi capelli rosso ramato si liberano sul cuscino bianco, e la donna reprime il solito piccolo fremito. E poi eccola, la fronte candida, il piccolo naso, la bocca dai contorni leggeri, le orecchie dalla morbida curva, le minuscole mani così lisce e soffici, le spalle minute, il cipiglio ironico di quella bambina che conosce così bene. sua figlia.

-Lilian… ehi tesoro…

e i suoi grossi occhi nocciola, così uguali ai suoi eppure così diversamente innocenti, si spalancano, le sue ciglia vibrano, il suo sorriso si apre come un piccolo sipario, le sue manine si tendono verso di lei, la chiamano, con dolcezza.

-mamma…

e la giovane Hermione sorride, fiera di quell’unico e magro dono che la vita le ha fatto, di quell’ultimo motivo di essere allegra, di svegliarsi ogni mattina, di vivere giorno dopo giorno, di quell’ultimo granello di speranza e felicità che le resta.

-ciao tesoro.

-buongiorno.

Le accarezza le guance piene e le bacia il collo morbido di notte.

-allora Lil, pronta per andare a scuola?

-naaa!- ride lei, nascondendo il viso sotto il piumone e scappando verso il fondo del letto.

-ehi, patatina, guarda che non mi sfuggi!- Hermione si butta dietro di lei, attenta a non spiegazzare la gonna. Le afferra i piedi e se la tira in grembo, solleticandole la pancia piatta. 10 anni. Che splendida età, se non fosse… per quello stupido undicesimo compleanno in arrivo. Una morsa nello stomaco le fa stringere il suo piccolo corpo con un po’ più di forza.

-ma’, che hai?

-niente, dai, vestiti.

-mi porti a scuola?

-e certo, che, ci vuoi andare da sola?

Lei scuote i capelli ramati che luccicano nella fioca penombra, salta in piedi e si infila un paio di jeans. Hermione la guarda sorridendo. Cosa ne sarà di me quando arriverà quel terribile compleanno? Credevo che non avresti mai compiuto 11 anni, tesoro mio. E invece… guarda la finestra. le nuvole si stanno scostando dal sole, cercando di fargli scaldare i tetti di Londra.

Potrebberero essersi dimenticati di te, Lilian? La guarda, tutta impegnata a farsi bella. Magari, di te… ma di me? a questo pensiero sorrise. che presuntuosa… eppure… come possono aver scordato? Ma Hermione sa che sarebbe giusto così. La gente deve imparare a dimenticare, altrimenti… ma lei non ci è riuscita. Come può anche solo pensare di potere? Dopo tutto quello che ha dato… dopo tutto quello che ha perso…

-mamma mi presti qualcosa?

Hermione ride.

-vieni!- la prende in braccio e la butta sul proprio letto perfettamente rifatto. Apre l’armadio e prende una sciarpa rosa che ha comprato ma mai usato… troppo colorata… cosa le servono i colori? Non c’è niente di colorato in lei… tranne Lily, ed è Lily che deve metterli. Gliela lega al collo sottile e le bacia il naso.

-bellissima. Dai, fila a fare colazione!

Ridendo, la bambina si fionda lungo il corridoio verso la piccola cucina.

Hermione la raggiunge più piano e le versa una tazza di cereali. Deve parlargliene? No. non le crederebbe. Deve vederselo davanti… guarda il suo bel sorriso. Sempre allegra, ironica, spontanea, mai timida, divertente e divertita, un’amica meravigliosa… come gli assomigli bambina mia. Le accarezza la guancia calda e liscia.

-mamma! Basta!

-scusa tesoro.

Un breve ma pieno silenzio, di quelli che si posano nel momento più giusto, che si rivela il più immensamente sbagliato.

-pensi a papà?

Hermione sorride. –lo sai che cerco sempre di evitare.

-parlamene mamma. Ti prego.

Si morde le labbra. –stasera, magari.

-andiamo al ristorante?

-prendiamo una pizza se ti va.

Lilian annuisce contenta.

-okay.

Hermione beve il suo caffè amaro. Sorride. Ci vuole così poco per te, piccola mia, a non pensare a lui… per me è così dura. Vorrei poterti parlare di lui così com’era, con tutte le sue bellissime caratteristiche e i suoi adorabili difetti… vorrei poterti donare i miei ricordi. così saresti fiera di lui, e mi toglieresti lo stupido strazio di ricordare io stessa, giorno dopo giorno, cio che mi ha dato e poi dolorosamente tolto.

-dimmi almeno il suo nome, mamma.

Hermione si mette una mano sul viso, accarezzandosi le guance.

-che te ne fai del suo nome, tesoro?

-quello che te ne fai tu. Posso pensarci. Così lo sentirò più vicino.

-ma lui non c’è, non pensare a lui, dimentichiamolo.

-l’ho dimenticato per dieci anni della mia vita… e adesso sono grande.

-tesoro mio…

-mamma. Ti prego. Come regalo di compleanno, dimmi il suo nome.

Sospira. L’aveva detto nella sua mente tante volte, eppure ad alta voce sa che avrebbe fatto tutt’altro effetto. Quante volte l’aveva chiamato…e lui si girava a guardarla, le sorrideva, e poi le urlava contro, e lei anche, e poi a fare pace, per gioco… urlato, sussurrato, detto piano, velocemente, per intero, scherzando, sul serio, piangendo, ridendo, per sgridarlo o fargli un complimento… ma era pur sempre il suo nome… la cosa più preziosa che la sua mente straziata ha….

-si chiamava Ronald Weasley. Ron Weasley.

-dove adesso, mamma?

Lei strizza gli occhi. Un lampo di luce rossa. Un dolore lancinante all’altezza del petto, e l’urlo lontano di lui… e al suo risveglio… tutto cio era era stato, era svanito. Lui era svanito, senza una meta, se n’era andato, lontano, dove lei non poteva raggiungerlo. In un posto dove lei non sa di poterlo cercare…

-non lo so tesoro.

-…come?

-vatti a lavare i denti. Dobbiamo andare con i mezzi, lo sai. L’auto si è rotta di nuovo.

Lilian annuisce e sparisce in corridoio, lasciando intatta la propria colazione sul tavolo. Hermione si appoggia al lavello. Ron… di tutto cio che mi avevi promesso… l’unica minuscola cosa che volevo mantenessi, perché ci sei dovuto sfuggire così? Il nostro amore. Perché non potevi restare per lui? e ancora guarda fuori dalla finestra.

Dove sei adesso, mio pazzo, passionale, dolce, ironico, arrabbiato, innamorato… dove sei Ron?

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Capitolo 2
*** il tuo sorriso ***


Okay, siete sopravvissuti al primo capitolo

Okay, siete sopravvissuti al primo capitolo? Grazie infinite dei commenti, se ne avete lasciati, e grazie ancora di più se avete letto… buon proseguimento!!

 

Capitolo 2

Il tuo sorriso

 

Ginevra si accoccola nella poltrona, sospirando. Un’altra inutile giornata finita, finalmente. E lei? Non può finire anche lei? Che cosa stupida, inutile, continuare a restare in quella piccola casa, in quella piccola e inignificante casa ormai vuota di vita, vuota di allegria e passione… non c’è più spazio per essere allegra. Ne passionale. Ne viva… la giovane donna afferra il telecomando e schiaccia un tasto a caso. Il televisore si mette a bofonchiare qualcosa nella stanza buia, qualcosa che Ginevra non intende ascoltare, non intende sapere. Nell’altra mano prende il telefono, pigia i tasti rapidamente, e se lo porta all’orecchio. Si mette a piangere, sentendo lo squillare tranquillo del ricevitore… e poi…

-pronto? Pronto? Ehi… chi è?

Ginevra si morde il labbro. La sua voce… così nota nella sua mente, così viva nei suoi ricordi… così lontana dal suo presente.

-Gin, Gin sei tu?

Zitta, zitta, non parlare. Non farle sentire che stai male. Lei lo sentirebbe. È colpa sua. È anche colpa sua, Gin, ricordalo. Non ti è venuta a cercare… non ti ha cercata. Non ha cercato di salvarti… da questo. Ginevra guarda il salotto minuscolo nella lattiginosa penombra della sera, nel riverbero azzurro della televisione, attraverso i suoi occhi appannati dalle lacrime, dal rimorso, dalla solitudine, dalla tristezza.

-come stai?

Che domanda idiota. Non eri quella intelligente? Non eri la nostra secchiona? Sì, lo eri. E io ero quella allegra e sicura di me. vedi? Le cose sono cambiate… così cambiate…

Mi manchi.

-lo so che ce l’hai con me.

no, non lo sai. Tu c’eri, l’hai visto morire, hai visto morire Ron, hai visto succedere tutto… te ne puoi fare una ragione. Io ero chiusa in casa, con membri di una stupida società inutile, non più segreta, non più potente, che vagavano come zombie in cucina cercando di farmi ridere… ahah, ci siete proprio riusciti…

-hai ragione, hai ragione Gin, ma ti prego… parlami.

Parlarti? Oggi? Dopo tanto tempo?

-Ginny… ci sono tante cose che vorrei dirti. Dove abiti? Potrei venirti a trovare…

sì, certo…

-Ginny, tesoro… sei tutto quello che mi resta, come io sono tutto quello che resta a te.

Presuntuosa… ma vera.

-io sto a Londra. A due isolati dal Paiolo. Lavoro a Diagon Halley. In una libreria… vedi, le cose non sono poi tanto cambiate.

In una libreria… cara la mia secchiona… no Ginevra!

Non ti fare corrompere.

-vieni da me, ti prego. Ne ho bisogno Gin. Ne ho davvero bisogno. 11 anni lontane non sono abbastanza? Pensaci… Melburn Road al 7.

Perché mi dici questo? Perché?

-Gin… buona notte.

il ritmico e tranquillo squillare del ricevitore, vuoto.

Sei di nuovo sola, Ginevra.

Sola con le tu lacrime, il tuo stupido orgoglio, il tuo incrollabile rimorso, la tua squallida la vita, i tuoi sbiaditi ricordi, i tuoi sogni svaniti, ma comunque sola, con un telefono che non squilla mai, con una porta che tu sola varchi, un letto sul quale solo tu dormi… a vivere un corpo solo tuo, una vita che non appartiene a nessun altro, e che a nessun altro interessa.

Ma comunque tu la metta, in realtà, il risultato è uno solo. Sei sola, e sola resterai per sempre.

 

-Liil!- Hermione si appoggia un attimo allo stipide della porta, sospira, e infine prende coraggio.

La bambina corre verso di lei, un po’ seria e un po’ divertita, e le bacia una guancia. –pronta mamma?

-certo tesoro, prontissima. Metti la giacca.

Lei annuisce, si infila il giubbotto, sorride. Hermione le appoggia una mano sulla spalla, e la spinge fuori dall’ingresso, al di la della porta di casa, mettendosi la borsa a tracolla e girando la chiave nella toppa.

-chi era al telefono mamma?

-una…vecchia amica.

-chi?

-se ti dicessi il nome non ti direbbe niente.

Lily le prende una mano per tirarla giu dalle scale. –e prova!
-dai, Lilian, che ti importa?

-lo voglio sapere!

Hermione sospira.

-e perché non parlavate allora?

-io parlavo, Ginni no.

-Ginni?

-esatto.

Lei fece una strana espressione. –sta per Ginevra?

-sì…

-il mio secondo nome!

Hermione alza gli occhi al cielo. –possiamo lasciar perdere per stasera?

Lei si stringe nelle spalle. –tenderei a risponderti di no, però…

-grazie tesoro.

-facciamo che ne parliamo a tavola, okay?

Hermione sorride, seguendola giu dalle scale e nella via buia. Attraversano solo la strada e entrano in una piccola pizzeria. –il solito.- fa Hermione annuendo verso il cameriere, che sorride, indicandole un tavolo nell’angolo. Le due vi si siedono, una difronte all’altra. Lily le lancia un’occhiata eloquente. –mamma…

Hermione chiude gli occhi. Perché Lily? Cosa diavolo vuoi sapere da me?

-cosa vuoi sapere Lily?

-chi è la tua amica?

-ma niente…

-eravate molto unite?

-sì.

-conosceva… mio padre?

Hermione annuisce. Fa segno al cameriere di non dimenticarsi la birra. Eccome se lo conosceva! Erano così uniti… Ron. Nella tua testa rossa oltre a me e Harry, c’era lei, Gin, tua sorella. L’unica di cui t’importava davvero, oserei dire. La tua piccola Gin. E come ogni cosa la condividevi tranquillo (o forse non tanto) con Harry. Harry… sente gli occhi che le si riempono di lacrime e si nasconde dietro il boccale di birra. Una lunga sorsata. Le nostre burrobirre… da allora non ne ho più bevute. Harry. Cosa ti ha portato così lontano da me? da me, che ti volevo così bene?

-mamma?

Hermione pare risvegliarsi da una specie di sogno ad occhi aperti… occhi. I suoi occhi, verdi come smeraldi. Quante volte aveva sentito la gente dirgli che aveva gli occhi di sua madre? Sua madre Lily. Hermione sorride.

-sì, lo conosceva. Lo conosceva molto bene.

-dov’è adesso?

-se lo sapessi, tesoro mio, se solo lo sapessi.

-perché… il suo nome è il mio secondo nome?
-volevo che il tuo primo nome fosse Lilian…Lily.

-e perché? Chi era Lily?

Già, perché? Hermione lo sa bene. ricorda quel giorno… lo ricorda come se fosse ieri. Il giorno in cui aveva detto a Harry di essere incinta…

-perché era molto importante per il mio migliore amico.

-era la sua ragazza?

-no. era sua madre.

-e tu la conoscevi?

-no.

-perché?

-morì quando Harry era bambino.- sospira. –e volevo dire a Harry… dirgli che adesso le cose potevano ricominciare. Che avrebbe avuto di nuovo una famiglia. Che avrebbe avuto noi.

L’espressione di Lily è indecifrabile. Commossa, fragile, determinata, coraggiosa.

-ma Harry non ha mai potuto sentire di avere questa famiglia.

-dov’è mamma?

-molto, molto lontano.

Lily annuisce. –non lo sai, o è morto?

Hermione manda giù una grossa boccata d’aria. Cosa diavolo vuoi Lily? Perché? Perché vuoi questo? Si alza. La testa le gira. Si dirige verso il bagno, superando il cameriere che arranca con le loro pizze tra le mani. Si chiude in bagno. Perché Lily? Sono cose passate, finite, lontane… no. Harry non sarà mai lontano… lontano da me… dalla mia mente, dai miei ricordi. è ancora li, vivido come 10 anni fa, con tutte le sue debolezze, le sue paranoie, ma soprattutto, con tutta la sua immensa forza.

Sorride. Chiude gli occhi.

-Harry!- gli era corsa incontro. Ron dormiva ancora, era presto. Era appena sorto il sole, ma Harry era già sveglio. Sedeva sui gradini del piccolo hotel dove residevano in quei giorni. –Harry!

-‘Mione, ciao. Come va?

Nessun contatto, non un bacio sulla guancia, non un abbraccio ne una carezza. Sempre così, tutti i giorni della loro amicizia. Fino all’ultimo.

-bene, tu? Hai già deciso che Houcrux cacciamo oggi?

Harry aveva sorriso, ironico. Sulle guance un po’ di incolta barbetta gli dava un aria più seria, e nei suoi occhi tristi una luce di speranza era morta ormai da tanto tempo.

-forse.

Gli si era seduta di fianco.

-ti…devo chiedere una cosa.

-dimmi.

-se…se io fossi… bhè…lo sai no?

lui scosse il capo. –cosa?

-insomma, Ron, come la prenderebbe se io fossi…

-incinta?

Hermione annuì. Harry sorrise, radioso adesso, voltandosi a guardarla dritta negli occhi, come non faceva da tempo.

-Hermione, è una cosa bellissima!

-davvero?

-certo!

E quella volta, l’aveva anche abbracciata. Le aveva fatto sentire che le voleva bene, bene davvero. Le aveva appoggiato una mano sulla pancia piatta, sorridendo. –qui dentro c’è un piccolo esserino che unisce le due persone più importanti della mia vita.- aveva detto.

-scegli il suo nome.

-davvero?

-sì, sì.

Harry si era commosso. Per la prima volta nella sua vita, Hermione aveva visto una commozione sincera nei suoi occhi, una commozione tranquilla, umana. Hermione sapeva che Harry stava pensando a Ginny. –pensi a Ginny?

-sì…ma…dare a lei o lui il suo nome è come dire…che non la rivedrò.

-allora non diamoglielo.

-sarà un lui o una lei? Cioè, lo so che non lo puoi sapere, ma…

Hermione sorrise. –sono una maga io! Sarà una femmina.

Anche Harry aveva sorriso. –davvero?

Hermione annuì. –ti…ti piacerebbe chiamarla Lily?

Harry l’aveva abbracciata ancora. –Lily avrà una madre fantastica.- aveva detto.

Hermione scoppia a piangere. Non sono una madre fantastica! Sono una madre sola, stupida… e che non sa dire a sua figlia la verità.

Cosa mi diresti se fossi qui Harry? Si siede sul lavandino, tenendosi la testa tra le mani, singhiozzando. Ho sbagliato…ho sbagliato tutto…

Ron. Se solo tu potessi vedere. Se solo tu potessi sentire quello che sento io, vedere Lily, vederla crescere. Se solo tu potessi aiutarmi, le cose sarebbero diverse per me…mi bastava un tuo sorriso, un tuo minuscolo sorriso per essere felice. Mi bastava questo. I tuoi occhioni azzurri, i tuoi capelli luminosi. Adesso…mi devo attaccare a quel ricordo per non morire sopraffatta dalla tristezza. Torna da me…

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Capitolo 3
*** da te ***


Capitolo 3

Capitolo 3

Da te

 

Ginevra apre gli occhi e lo sa. Improvvisamente e per la prima volta da tanto tempo, si sente viva davvero. Salta giu dal letto e si mette i jeans, una magliettina aderente, un golf a collo alto, si pettina con vigore, si profuma, apre l’armadio, tira fuori la valigia, ci butta dentro in disordine vestiti diversi, mutande, reggiseni, tutto quello che le passa sotto mano, non importa cosa. Si trucca. Ha fame. Apre il frigorifero. È vuoto. Non c’è niente dentro. Si chiede quando ha fatto l’ultimo vero pasto, e si mette a ridere. Senza un vero motivo. Afferra il telefono e chiama al lavoro. Dice qualcosa su un parente in gravi condizioni di salute, gravissime condizioni, dovrà stare via un po’, farà sapere. Un po’…quanto? Non le importa. Si mette la giacca, un cappellino, la valigia in mano, la borsa a tracolla, chiude la casa. e in due minuti è in strada, così, senza pensieri. Entra al bar e chiede un caffè.

-buongiorno Ginevra…come stiamo questa mattina?

Lei alza sulla vecchia donna i suoi occhi azzurri, contornati da trucco e per la prima volta da tanti anni, da un piccolo e debole alone di luce.

-meglio, meglio Dorothy. Tu?

Lei annuisce. –salutami tua madre.

-non la vedo da tanto, Doro.

-chiamala, le farai piacere.

Ginevra annuisce. –lo farò, lo farò.

La donna la segue con lo sguardo mentre esce in strada, compra la solita Gazzetta, e poi, trascinandosi dietro la valigia troppo grossa, entra nella piccola stazione, appoggiando al muro la schiena per vedere il cartello dell’arrivo dei treni… in quel minuscolo borgo di maghi dimenticati, naufraghi di vite vissute, Dorothy sa che la giovane Weasley non poteva sopravvivere oltre. Erano 10 anni che vi abitava, strisciando sullo sfondo per non farsi notare, leccandosi le ferite, rispondendo al telefono di un ricco mago burbero al quale non interessava che vedere il suo seno. L’anziana signora la guarda con un dolce sorriso sulle labbra rugose. Aveva osservato la piccola Ginevra arrancare nel mare di disperazione nel quale la vita l’aveva gettata, ma infondo lei l’aveva sempre saputo. Aveva sempre saputo, e ora è molto orgogliosa di se, che la donna di Harry Potter, non poteva essere una donna capace di arrendersi.

 

Sealine -King’s Kross à h: 9.30, 10.30, 11.30

Ginevra annuisce. Mancano solo 15 minuti al primo treno. Si sporge verso il bigliettaio.

-prendo quello per le 9.30.

-fantastico. Biglietto di ritorno?

Un attimo di esitazione. Il ritorno… Ginevra guarda al di la della sua spalla. La piccola strada che porta al mare. L’unica strada di Sealine. Sulla punta delle dita conta il numero di negozi. In lontananza, vede qualche vecchia strega camminare parlando di eventi già terminati. Cosa le resta a Sealine? Giornate passate a piangere, a ricordare, giornate tristi… certo, ma anche solo per se. C’era tanta sicurezza in quel luogo, ma anche tanta solitudine.

-no grazie. Lo prendo quando decido di tornare.- e improvvisamente si sente al riparo. Può scegliere cosa trova più comodo… tornare li… o magari… abbozza un sorriso. Quasi le fanno male le labbra, da tanto non lo fa. E l’anziano bigliettaio ne sembra compiaciuto. Quell’acerbo segno di felicità lo rende felice. –vai a Londra? Perché?

-cerco…una vecchia amica.

Alza un cespuglioso e candido sopracciglio, per chiederle il nome. e Ginevra deve ricordare ancora una volta la verità: tutti conoscono quel nome.

-Hermione.- dice piano. –Hermione Granger.

E lui annuisce. Certo che lo sa chi è. Chi non lo sa? Ginevra mette in borsetta il suo biglietto.

-tornerai, Ginevra?

-credo.

-se non lo farai, sappi che non ti perderai nulla.

Lei annuisce, ancora quel nuovo sorriso sulle labbra a cuore. –lo so, signor K.

Le mette una mano sul braccio, sorride.

-buon viaggio, piccola Weasley.

Lei fa un segno di saluto e si arrampica sul treno. Si siede al suo posto, e si apre il giornale sulle ginocchia.  Ne fissa la scritta elegante,  raffinata, il carattere sempre uguale nello scorrere del tempo. Ma le parole non sono mai uguali… cambiano, in fretta, scorrono, il giorno dopo sono già scadute. E Ginny ha paura di questo. Ma cosa credi di trovarci, oltre la prima pagina? Pensi davvero che lui sarà li? Li, tra queste parole pronte a essere vecchie? Loro l’hanno dimenticato, così come hanno dimenticato te, Hermione, tuo fratello… l’hanno dimenticato. A loro non importa del suo ricordo, come non importa di quello di Voldemort. Persino lui, è caduto nel dimenticatoio. Che cosa ci puoi trovare tra queste parole che non sai? Cosa ti può ferire tra quelle parole, che non ti abbia già ferita in passato? non ci sarà Harry a dirti che non ti vuole con se mentre salverà il mondo. non ci sarà tuo fratello a sparire nel nulla quando più lo vorresti accanto. non ci sarà Hermione che non prova a ritrovarti, o tua madre che ci prova troppo. Non ci sarà nulla, maghi oscuri, che ti minacciano, società segrete. Il mondo ha dimenticato, è riuscito ad andare oltre. Si è scrollato la storia di dosso tramutandola in leggenda. E adesso tu sei qui, accucciata su una poltrona sgonfia su un treno in ritardo, l’unica che ancora non è riuscita a rimarginare le ferite che Voldemort e il suo cammino ti ha lasciato nel cuore. Perché Ginni? Perché? Tu non sei una debole.

Chiude gli occhi, sospira, gira la pagina. Legge i titoli. Niente. Harry non è menzionato, Voldemort non è menzionato, gli auror sembrano spariti dalla vita del Ministero. E poi giu, giu, verso stupidi avvenimenti vuoti d’emozione. Vuoti di vita… va avanti, il cuore che le batte in petto, forte, determinato. Tu ce li volevi trovare Ginni. È per questo che non l’hai aperto in tutti questi anni: sapevi, che nemmeno tra queste pagine di carta reciclata, avresti ritrovato quello che il destino ti ha tolto.

Lo chiude. Finito. Sospira. Allora è vero, è proprio finita. Ma come è successo? Come siamo passati… chiude gli occhi. Sente il rumore, le urla, l’odore di burrobirra. E poi, eccolo, il buco del ritratto si apre, lui entra. Ron grida la loro vittoria. Sì, abbiamo vinto!! Ginny ha preso il boccino. Il tuo boccino. Harry ride, urla. Non ha preso solo quello di mio. E Ginny gli salta al collo, ride, urla. Per un secondo, nessuno l’ha visto, i loro occhi si sono incontrati. C’era coraggio, c’era paura, c’era la certezza di un qualcosa di difficile, certo, ma inevitabile, scritto su una carta dove le parole non scadono mai: quella del cuore… E le labbra di Harry si erano tuffate sulle sue, e lei l’aveva lasciato fare, chiudendo gli occhi, coronando un piccolo sogno, e firmando una grande condanna.

Come siamo passati da quello… a questo? Ginevra riapre gli occhi sul vuoto scopartimento del treno logoro che intraprende quello stupido viaggio, forse senza ritorno. Si sfiora il ventre. Qui, qui volevi seminare la tua vita, qui, dovevamo seminare la nostra vita. E invece no… una sola volta. Una sola e unica volta, la prima, l’ultima. La nostra. Non lo dimenticherò mai… sorride, suo malgrado, mentre le bianche mani della memoria la tirano nel suo tunnel. Ed è li, nel piccolo boschetto dietro la Tana. Il profumo dell’erba bagnata di rugiada, le foglie nate sotto il caldo manto dell’estate, un timido sole che sbuca all’orizzonte. Harry le prende le mani, gliele bacia. Le sfila la maglietta e le bacia il petto bianco, senza svelare il suo seno. E Ginni gli accarezza i capelli, cullata dal lento e dolce sentirsi amata. Aspetta che lui si sfili la camicia, si accoccola nel suo ventre, mentre lui rincorre i brividi sulla sua schiena, e cadono abbracciati nell’erba, nel profumo dei fiori che l’aveva condotto da lei. La pelle candida di Ginevra si staglia contro il cielo rosato dell’alba, nascosti da occhi che sbircino il loro amore stravolto dall’attesa e straziato dalla separazione. Un bacio, un altro, ondeggiano insieme, nel vento frizzante della mattina, le dita che corrono sul corpo dell’altro, unite sul suolo gravido di vita. Ancora, un altro piccolo bacio, sicuro del sentimento che lega, intimidito dall’immensità del dolore che precede. Un breve amore che culmina in un lungo trovarsi, e poi, alla fine, si abbracciano. Si stringono forte per terra, bagnati dalla luce dell’alba, dalla fresca brezza, dalla gelida rugiada, dal loro amore. Un ultimo bacio. Harry le posa sul corpo la sua camicia. insipira tra i suoi capelli un ultimo frammento di lei. Le accarezza la fronte, gli occhi chiusi. Si mette la giacca sul dorso nudo, le sorride, tra le lacrime. Ginevra lo sa, ma non vuole guardare. Non ci sono parole per quell’addio. E resta immobile nell’incavo creato dai loro corpi innamorati nell’erba, mentre il passo di Harry lo porta lontano, al di la della sua vista, al di la della sua immaginazione, ma non del suo amore.

Ginevra apre gli occhi. Basta, basta ricordare. A cosa serve? Perché?

Si abbraccia. Avrei dovuto insistere. Pregarlo di portarmi con se. Supplicarlo, magari, aggrapparmi a lui. Ron… perché non mi hai voluta nemmeno te? Cos’avevo di meno, di meno da dare di voi? Repentino, irragionevole come sempre, suo fratello. Le affiora nella memoria come la risata che emanava. Dove diavolo sei? I giornali non ne hanno parlato. Mamma non ne ha parlato. Hermione nemmeno. Dove sei? Non puoi essere sparito. Non possono averti nascosto, ucciso, non so. Non puoi essere scappato. Di te mi restano solo i capelli, dello stesso colore. Io e te, fratelli, amici, nemici. Le nostre litigate, i nostri discorsi, i giochi, quando eravamo bambini. E adesso? Adesso, so che l’ultima cosa che ho fatto, è stata deluderti. Non mi volevi con Harry, non mi volevi con nessun uomo. E io ci sono andata. E tu… tu non l’hai mai saputo. Volevo dirti che per me non era un gioco. L’avresti accettato. E invece no. quando mi sono alzata, quando ho trovato il coraggio di entrare alla Tana, di voi tre restavano solo dei vestiti appesi tra il nostro bucato. E di te, Ron, era sparita persino la risata, quella risata che avevo creduto indelebile. Sparita, ingoiata dalla gola delle lacrime. Ti ho aspettato, con la tiepida speranza che saresti tornato a prendermi, consapevole di quanto odiassi l’idea di restare indietro, sola, senza di te. L’avevo sempre odiato, ricordi? quando te ne andassi a Hogwarts lasciandomi a casa, con quella  grande casa improvvisamente deserta? In quei lunghi giorni in cui voi tre ve n’eravate andati, Ron, per me stare alla Tana è stato proprio come allora. Solo che sentivo, che questa volta, ovunque la vita ti avesse portato… era un posto dove nemmeno le vacanze estive, dove nemmeno un settembre, potevano condurmi. Non c’era un Espresso per riportarmi da te.

Ginevra si alza, e si appoggia con tutto il suo peso al vetro del finestrino.

Cosa darei per sentire anche una sola delle tue stupide battute, adesso… un tempo mi avresti sgridata per tutte queste stupide lacrime, Ron… non ho mai nemmeno saputo, mai nemmeno saputo se alla fine ce l’hai fatta a metterti con Hermione. A quest’idea, Ginni ride. Ride davvero, tra le lacrime. Insieme, voi due, c’eravate sempre stati…come una coppia di vecchi coniugi che non capiscono quanto si amano… cosa sarà successo? Hermione me lo avrebbe raccontato, per filo e per segno, nel mezzo della notte, davanti ai nostri biscotti preferiti. Se fossimo state insieme. non posso scordare quello che sei stata per me, Herm. Tu, i tuoi ricci crespi, tu, la tua battuta sempre pronta, tu la tua intelligenza fuori dal normale. Sono stata un idiota a non arrendemi prima all’evidenza. Mi sarei risparmiata tanto tempo di solitudine, ma forse mi è servito. Adesso sono pronta per rivederti, per ricordare, sola e con te, possiamo sorreggerci, oggi come allora, aiutarci. Possiamo dirci le cose che non ci siamo dette, quello che abbiamo avuto paura di rivelarci. Il nostro affetto. Possiamo sorriderci come non ci siamo sorrise negli ultimi anni, ridere come non siamo riuscite a fare, tenerci per mano, bere e mangiare, essere felici. Perché piangere su ricordi lontani è qualcosa che non li riporterà indietro, e non posso fare più nulla per quello che ho amato e che ora non c’è. Ma tu ci sei, tu ci sei Herm. Anche se ti ho tenuta lontana, era solo paura, un immensa paura. perché quando ti rivedrò, rivedrò Harry, rivedrò Ron, rivedrò la Ginni Weasley che Voldemort ha ucciso, e rivedrò te, la mia amica del cuore, con tutto quello che il tempo ha messo sulle tue spalle. E sarà doloroso, quello che leggerò nei tuoi occhioni, quello che colorerà le tue guance e farà tremare le tue labbra, tutto quello che vedrò crollare intorno a te e tutto quello che improvvisamente, vedrò nascere intorno a noi. Ma sarà qualcosa di incredibilmente vero, vivo, come quello che è stato in questi anni non ha potuto essere. Ginevra si risiede, riapre il giornale e inizia a leggere. Ma prima si asciuga le guance, gli occhi, si ritrucca. Poi guarda quelle parole. Parole che molto probabilmente Hermione ha letto, ogni giorno, per non essere mai lasciata indietro. Lasciata indietro…quello che invece è successo a Ginni. Ma ora non più. Ginevra sorride, nonostante tutto.

Hermione, sto correndo da te.

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Capitolo 4
*** parole da lontano ***


Credo che il capitolo 3 sia il più triste… è quello per cui io piango di più almeno

Credo che il capitolo 3 sia il più triste… è quello per cui io piango di più almeno! :p ! Buon proseguimento…

 

 

CAPITOLO 4

Parole da lontano

 

La porta del bagno si apre, e Lily le sorride, il candido viso circondato dalla chioma lucente, lo stipite bianco che la incornicia. I grandi occhi sinceri, adulti, troppo maturi, seri, velati da una vaga innocenza. Si avvicina alla madre a le prende una mano. Ignora le lacrime sulle sue guance e volta la testa per non guardare quel viso straziato dal dolore. Le mette sulle spalle il cappotto, senza una parola. Fa un gesto repentino al barista, e lui annuisce, mentre madre e figlia escono dal piccolo locale.

Sulle strade, ha preso a cadere una leggera pioggia che presto muterà in un acquazzone. Sull’asfalto grigio rimbalzano piccole goccie di una pioggia fredda, che scivola sotto le macchine in rivoli lucidi, trasportando il sapore lontano delle nuvole. Hermione ricorda quel sapore, sul viso, nel naso, gelido negli occhi, delizioso tra le labbra. Mentre stretta a Ron volava sulla scopa, guardando il mondo da sopra in giu, come se ne fosse padrona, come se lei avesse potuto dominarlo. Sente la mano di Lilian nella sua, piccola, fredda, dalla stretta sicura. Apre le porte, la trascina, sulle labbra tirate un espressione di imbronciata indifferenza, di strafottenza,  lei, illegittima figlia di quell’amore andato a vuoto. Entrano nella penombra del corridoio, imboccano le scale. I loro passi rimbombano nel condominio addormentato. Hermione si asciuga gli occhi, anche se la pioggia si confonde con le lacrime sulle sue guance. Lily è impassibile, mentre apre la porta, accende la luce, calcia le scarpe in un angolo e si sfila il giubbotto. Hermione non può essere arrabbiata con lei. Lily non può nemmeno immaginare quello che la madre le sta nascondendo. Nemmeno la più fervida immaginazione potrebbe ricostruire quello che si cela dietro l’Hermione che Lilian crede di conoscere. E non è giusto che sia così, pensa Herm, mentre segue con gli occhi la bambina che si chiude in bagno, la porta che sbatte appena. Il corridoio è vuoto adesso, illuminato solo lievemente nella sera che avanza, e fuori la pioggia aumenta, il cielo nero freme sotto il peso delle nuvole, tuona. Un fulmine, breve, coraggioso, illumina i vetri delle finestre. Hermione sospira e guarda il calendario. La mattina dopo, sua figlia compirà 11 anni. 11 11 11… l’età che fa iniziare tutto quello che conta. Si toglie la giacca, le scarpe, i pantaloni bagnati. Riordina in giro finchè non sente Lily uscire dal bagno. Allora entra lei. Lo specchio le restituisce l’immagine che Hermione ha conbattuto per tutti quegli anni: quella di una ragazza ormai cresciuta. Ha provato a negarlo a se stessa, dicendosi che quello che aveva vissuto era solo andato in pausa, era solo smesso per un po’. Che un giorno sarebbe sbucato un nuovo nemico, e il MInistero l’avrebbe richiamata. Avrebbero riscovato Harry e Ron, persino Ginny, questa volta, e loro quattro sarebbero tornati a essere una squadra, una squadra contro il male. Avrebbero aperto un nuovo Ordine della Fenice, e avrebbero ripreso a vivere per davvero. Quel sogno, svanisce. Quando vede i capelli che aveva ben legato, le piccole rughe sul suo viso, la tristezza. A che serve continuare a mentirsi? Si infila la camicia da notte, si lava i denti. Sospira. A niente serve. Esce in corridoio, entra nella stanza di Lily. Sta dormendo. Le bacia la fronte, la copre meglio, socchiude la porta, esce di nuovo, lasciandola sola con la sua ultima notte da babbana. Prende il telefono. Senza nemmeno pensarci digita l’unico numero che conosce a memoria.

La voce roca che le risponde al di la è dolce, nostalgica.

-dormivi?

-no, tranquilla Hermione. Come stai?

L’uomo la sente sospirare.

-malissimo…

-è domani il grande giorno?

-sì, lo è…

-senti, vuoi che venga a darti una mano?

-no, no… non serve.

-il gufo arriverà presto, lo sai?

-sì, certo.

-passerò da te al negozio per sapere com’è andata.

-non vai al Ministero domani?

Una piccola risata, amara, risuona nelle sue orecchie.

-no, non serve. Non c’è niente da fare li, mi annoio soltanto.

-non puoi smettere di lavorare!

-cara vecchia Hermione…ogni tanto mi sembra ancora di vederti che sventoli la mano tu, l’unica che sapeva sempre la risposta alle domande più difficili.

Hermione ride anche lei, con la stessa amarezza. Cerca qualcos’altro da sistemare per casa, ma non trova niente nell’impeccabile ordine dell’appartamento.

-mi rendo conto solo ora che in realtà erano le più facili.

-già…

-vorrei poter rispondere a domande diverse, oggi…ma le risposte non le posso imparare a memoria dai libri.

-vorresti sapere di Ron, non è vero?

-e cosa se no?

-hai sentito Ginny?

-la risposta migliore è Ginny ha sentito me.

-ancora non ti parla?
-esatto.

-perché?

-mi fai una delle domande difficili di cui ti parlavo, mio caro professore.

-smettila di chiamarmi così!

Hermione ride. –come stanno Molly e Arthur?

-perché non li vai a trovare con Lily quest’estate? A loro farebbe piacere rivederti.

-non voglio vedere come sono diventati.

-vecchi e stanchi?

-esatto.

-ma loro sono Molly e Arthur. Non saranno mai davvero vecchi e stanchi.

-hai ragione, caro professore. Ma a me non importa. Io non voglio che loro vedano come sono diventata io.

-una splendida madre?

-non prendermi in giro. Una triste zittella.

L’uomo ride, questa volta senza amarezza. Solo con affetto. –a chi permetti di intromettersi ancora nella tua vita, Hermione?

-a nessuno. è più facile così.

-no, non lo è piccola!

Hermione si fa stizzita. –quando incontro Fred e George, lo vedo quello che pensano di me! quello che pensano tutti, ne sono sicura. Tu sei l’unico che è stato capace di capire, caro professore.

-perché io e te siamo i superstiti, Hermione. E capiamo. Ma loro non riescono ancora a capire quello che è successo. Nessuno ci riesce. Perché la verità non la sanno. Perché non la dici e basta?

Hermione sospira. –perché violerei l’ultima promessa che ho fatto alle due persone cui più ho voluto bene in tutta la mia vita…

-che mi dici di Ginny?

-lei mi ha lasciata sola.

-o è successo il contrario?

-ti prego, smettila…smettila di farmi la predica! Non hai il diritto di farmi da padre.

-e chi ce l’ha?

-nessuno. nessuno.

-ma non è giusto, Hermione. Ti devi lasciare aiutare.

-no, ti prego…non lo fare. Professore, non lo fare.

-che cosa, aiutare la mia studentessa preferita? Hermione…

-torna a letto, ti ho svegliato. La tua bella non mi perdonerà a lungo queste chiamate notturne.

Un roco sospiro, un sorriso che Hermione non può vedere. –lei ti vuole bene Hermione…lasciati aiutare da noi.

-no. buona notte.

-aspetta.

-dimmi.

-loro non vorrebbero che tu continuassi a piangere la loro morte.

-perché mi dici questo? Tu non hai perso tutto quella notte. tu non hai…

-Hermione. Lo sai benissimo quello che ho perso.

-scusa.

-non ti preoccupare.

-a domani…

-buona notte.

Hermione mette giu. Bill, Charlie, Alastor Moody, Kinksley, Fleur… i loro visi nella sua memoria sono immacolati come il giorno dei loro funerali. Ricorda la frase scritta sui giornali: “giovani e coraggiose vite oggi sono state recise per permettere a un nuovo fiorito prato di crescere. Su quel prato dobbiamo costruire il nostro futuro. Un futuro che Harry Potter ha salvato per noi”…

Nessuno però sa quello che realmente era successo quella notte.

 

Una leggera alba aveva lasciato il posto a una mattina uggiosa, un timido sole troppo freddo per scaldare, le strade ancora bagnate dal gelo della notte. Hermione non si vuole alzare. Il cuore le batte forte appena si rende conto di che giornata l’aspetta. Si stringe sotto le coperte pesanti, si rannicchia sotto il peso della consapevolezza. E improvvisamente un piccolo corpo caldo di sonno le scivola in grembo, due braccia sottili e due manine le si infilano nei fianchi, abbracciandola. Il profumo di pulito dei capelli di sua figlia, la sua pelle liscia.

-tanti auguri Lily…

-grazie mami…

si stringono ancora, loro due, naufraghe solitarie di una lunga tempesta.

-mi dispiace per ieri sera tesoro…

-lo so.

-sai, è difficile affrontare il proprio passato quando si è deciso di lasciarselo alle spalle.

-perché?

-perché non volevo che tu ti sentissi diversa, tutto qui. Non volevo che ogni mattina andando a scuola sentissi di essere nel posto sbagliato, che ogni volta che mi vedevi triste sapessi il vero perché… non volevo che ogni giorno tu odiassi me e il ricordo di tuo padre per quello che la vita ha fatto di noi.

-mamma, mi spaventi così.- il corpo di Lily le si accucciò meglio addosso, tremante.

-no, non devi avere paura. non devi aver paura di te stessa. Ho fatto male a tenerti nascoste molte cose, ma adesso comunque mi sarebbe impossibile farlo.

-perché?

-per alcune persone copiere 11 anni è come iniziare una nuova vita.

-una nuova vita?

-sì, sì esatto.

Hermione allontanò il piumone e prese la bambina sulle gambe.

-tra pochi minuti la tua vita cambierà tesoro. So cosa proverai quando vedrai… ti sentirai presa in giro, incredula. Ci sono passata. Ma devi avere coraggio e non devi arrabbiarti con me. ho delle colpe, ma ti assicuro che avrei dato qualunque cosa per non averle. Mi sono trovata sola, adolescente, con una bambina da sfamare, da crescere, un passato da cancellare…non trovavo una soluzione ai miei problemi. Non la trovavo, e ho deciso di rimandare. Rimandare soltanto.

-e adesso?

Un ticchettare alla finestra fece voltare Lilian.

-cos’è?

Hermione chiude gli occhi. Quel rumore…

-vai a vedere piccola. È per te.

Lei si avvicina carponi alla finestra, poi si alza, impacciata, indecisa. Scosta le tende leggere, e la luce irrompe nella stanza bagnandone le pareti. Indietreggia incredula.

-oddio!

Un grosso gufo ambrato è appollaiato sul davanzale, legata alla zampa arancione una grossa busta ingiallita.

-apri la finestra tesoro.

Lilian lo fa, le mani che le tremano. Il gufo plana sul letto accanto a Hermione, che accarezza il suo dorso, sorridendo commossa. –quanto tempo che la posta non mi viene recapitata così.

-mamma, cosa…?

Hermione sfila la busta dalla zampa dell’animale, che fa schioccare il becco in segno di ringraziamento.

Passa a Lily la busta, che la apre. Hermione studia i suoi occhioni correre lungo le righe, scorrere le parole frettolosamente, le sue labbra tremare indecise.

-mamma, cosa vuol dire tutto questo?

-esattamente cosa c’è scritto.

Lily le passa la busta. Ecco,  l’elegante scrittura della McGranit.

“La Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts è lieta di…” parole che giungono da lontano, non solo geograficamente, lontano nel tempo, nella sua memoria… 

-ma’, smettila di prendermi in giro! Non esiste la magia, non esiste tutto questo, non è vero…- continua a ripetere la bambina.

Ma Hermione non l’ascolta. Un foglio è allegato a quello per Lily.

“Carissima Hermione”

La scrittura della McGranitt, per lei… non sa se leggere. Con emozione decide di sì.

“quanto tempo è passato dall’ultima volta che ti ho visto quasi non lo posso contare. So che fino a questa mattina non avrai mai detto niente a tua figlia, ma adesso è il momento di farlo. Ron vorrebbe così.

Spero di avere la vostra bambina nella mia classe, a settembre.

Silente sarebbe stato fiero di voi, se avesse potuto assistere a quello che avete fatto. Permetti anche a Lilian di esserlo.

Hai sentito Ginevra?

Spero che tu non l’abbia abbandonata.

Perdere Harry è stato un brutto colpo per tutti, specie per lei.

Spero anche che tu non stia tanto male, è passato molto tempo.

Tua, affezionatissima,

Minerva McGranit.

La sua adorata professoressa ha ragione. L’aveva sempre avuta, e anche quella volta ce l’ha.

-Lily, piccola mia. Ti giuro che non ci sono tranelli. Io e tuo padre prima di te siamo stati in quella scuola.

-ma, mamma…

-quella scuola deve moltissimo a me, a Ron, a Harry…

-mamma, mi sono persa, non capisco di che stai parlando.

-Lilian preparati per la scuola, adesso. Questa sera, a cena, ti darò il tuo regalo e ti parlerò di Hogwarts.

Lily le sorride. –sono davvero magica?

Hermione l’abbraccia. –non ti mentirò mai più…

 

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Capitolo 5
*** vederti adesso ***


Per ora ho scritto fino a questo capitolo… spero che abbiate lasciato commenti abbastanza positivi da permettermi di continuare

Per ora ho scritto fino a questo capitolo… spero che abbiate lasciato commenti abbastanza positivi da permettermi di continuare… un bacione!!

 

 

CAPITOLO 5

Vederti adesso

 

La strada è affollata, gremita di gente sorridente, indaffarata, imbronciata, che non si sofferma sui visi altrui. Ma Ginny sì. Vuole riconquistare quel che ha perduto: visi di persone note, magiche come lei, che hanno vissuto al di la di un piccolo borgo quel che resta o quel che è stato della loro vita. Vuole poter dire di aver lottato per loro, per il loro mondo. per quel mondo che, volenti o nolenti, possiedono, in cui vivono. E loro non sanno quanto lei ha lottato per loro. Non sanno, forse, a quanto ha rinunciato. Quante sue lacrime hanno costruito i loro sorrisi. Così, ora, Ginevra arranca nell’aria fredda, in quel pullulare di persone, di mani, di piedi e di braccia scoordinate, avanza, stanca, con la testa piena di parole, lo stomaco contratto da mille emozioni, ma avanza, coraggiosa. Sa dove si trova il Ghirigoro. E sa che li troverà anche Hermione.

Nessuno la riconosce. Nessuno pare poter vedere in quella chioma di ricci rossi e in quel viso pallido la ragazza tremante che Harry Potter aveva salvato dalla Camera dei Segreti, la giovane donna che lo aveva portato via dal corpo di Silente, la stessa che lo aveva ascoltato impassibile durante il funerale del vecchio preside, lei, la donna che aveva atteso paziente il suo ritorno assillata dalle lunghe e insistenti interviste che aveva acconsentito di lasciare solo per permettere ai riflettori di abbandonare gli Eroi, come chiamavano Harry, Ron ed Hermione.

Sì, lei. Ginny Weasley.

Ma a quanto pare, nessuno sembra riconoscerla. In effetti, nessuno sembra nemmeno soffermare su di lei la sua attenzione. Ti hanno dimenticata. Ti hanno cancellata. Hanno cancellato te come hanno cancellato gli altri… a loro non importa. Siete passati di moda…passati di moda. A questo pensiero, abbozza un tiepido sorriso. Le affiora sulle labbra, repentino, irruente, spropositato. Ma vero. ora può essere qualcun’ altra… chiunque altra. Può essere una regina siberiana, se questo la rende felice. Non deve più essere la “povera piccola Weasley” degli anni passati.

Senza rendersene conto, ha raggiunto la libreria. Sta per aprire, quando si blocca, la mano a metà strada tra la manglia e la propria tasca. Da dietro il vetro lucido, gli occhi castani di Hermione non la guardano. Ha un paio di occhiali sottili posati sul naso, la pelle fresca e bianca che risplende nella luce tenue delle lampade a olio, le labbra arricciate in un broncio concentrato mentre sfoglia un blocchetto, appuntando numeri e parole. I ricci crespi sono cambiati. Non più crespi, innanzi tutto. e non più ricci. Sono boccoli, soffici boccoli dal lento ondeggiare, le ricadono sulle spalle con elegante raffinatezza, nella semplicità della sua tenuta da lavoro, nella rigida severità del suo sguardo, della posa delle sue labbra, che paiono private di un sorriso. Ginny si sente sprofondare. Allora è finita, finita davvero. Non ci sono stati tranelli, inganni, niente. Ron non è con lei. Indossa una giacchetta blu notte, una camicia bianca affiora dalla piega del collo, una gonna liscia, scura come la giacca, tranquilla e anonima come Hermione non è mai stata. Appoggia il blocchetto e con la matita che tiene in mano si arrotola i capelli sul capo. Si sfila gli occhialetti e li appoggia sul tavolo, sospirando. In quel momento,  Ginny si sente allontanare dalla porta. I suoi passi la portano via da li. Quella non è la sua Hermione…no quella è… quella…

Ma alla porta della libreria si avvicina un uomo. I capelli castani ingrigiti dal tempo che è corso sulla sua vita, il viso disteso da un’espressione di tristezza nascosta, un sorriso limpido eppure tormentato che Ginny aveva visto tante volte nella sua vita. Apre la porta con calma, con i movimenti pacati e gentili che sempre avevano fatto parte di lui, piano, lui, lui… Ginevra lo guarda di sottecchi, stupita, tentando di catturare i suoi occhi nella folla che non attende, non asseconda. Che scorre, come tutto. lui, quasi 50enne. Ginevra sa di dovergli molto, a lui, ai suoi sorrisi senza pretesa, alle sue parole sincere. Lui, l’unico che aveva avuto il coraggio di dirle “non tornerà Ginny, qualunque cosa succeda. Non facciamo parte del suo futuro. A volte, dobbiamo impararlo.” Perché? Lei non voleva imparare… non vuole nemmeno adesso…

Hermione alza lo sguardo, e quello dell’uomo si getta nel suo, con affetto. Allarga le braccia, superando il vetro della porta. Hermione gli si avvicina, si stringe al suo corpo. Gin non riesce a sentire quello che dicono. Le grandi e ruvide mani dell’uomo le accarezzano una guancia morbida. Cos’è successo? Ginny si avvicina alla maniglia, cercando di trovare il coraggio di aprirla. Il coraggio di ributtarsi in quella vita, in quel mondo, in quel crudele, duro, mondo…quello della realtà.

E Hermione resta stretta a Remus Lupin. Non vuole sentirsi respingere ancora e ancora da tutto il mondo. e Remus è l’unico a non averlo fatto.

-caro il mio professore…che bello vederti.

-come ti senti?- Lei scuote il capo, sfregando il viso sulla camicia dell’uomo. –dai, non fare così…come l’ha presa Lily?

-male, bene…non lo so.

Remus ride, allontanandola con gentilezza, come solo lui era ancora capace di fare. –vuoi che le parli?

-no, no… questa sera le racconterò la verità. Tutta, però.

-anche quella che non hai voluto dire a nessuno?

gli occhi di Hermione si allontatano da lui. non ha ancora deciso. Volta il viso, incapace di reggere quello sguardo dolcemente critico, scostandosi da quel contatto pieno di incondizionato affetto, qualcosa che lei non è più in grado di accettare.

E in quel momento la vede.

Guarda la scena con gli occhioni azzurri sgranati. Quegli occhioni azzurri, freschi, vivi, che Hermione conosce da tanto. Sono li. Li ha cercati spesso nell’invalicabile mondo della memoria, frugando nei vani del suo cuore, tuffandosi nel mare di visi e sorrisi e sguardi che popolavano il suo passato. ma mai, erano stati tanto veri. E tanto vivi. Erano li, aperti, e anche il suo sorriso c’era, abbozzato, amaro, triste, ma aperto ad accogliere il suo. E le sue guance, rosse, vivide come nei suoi ricordi, abbinate ai ricci rossi, disordinati nella loro corsa lungo la schiena. Veri, veri, veri.

Hermione non riesce a muoversi, e nemmeno Ginevra. Se ne stanno li, immobili ai lati opposti di un vetro improvvisamente pesantissimo, insuperabile, forse, come l’immensità del vuoto che il tempo ha creato tra loro. Le bugie, le lacrime, i lutti solitari che ancora fanno luccicare i loro giovani occhi. Le ferite che tagliano i loro cuori, si riaprono, come cicatrici che non si possono rimarginare. Eppure, i loro sguardi si legano. Si abbracciano, perché i loro corpi sembrano privi del coraggio di farlo. Tutto quello che ci sarebbe da dire, tutto quello che avrebbero voluto chiedersi, tutto quello che era diventato cio che non si sarebbero mai dette. Improvvisamente, si tuffa sulle loro labbra, si prepara nelle loro menti, si schiera nei loro cuori. Mille e più strade per essere felici paiono aprirsi davanti ai loro occhi. E quell’improvvisa e genuina felicità le fa sentire in colpa. Ginevra vorrebbe voltarsi e scappare. Essere felice? Perché? E Harry e Ron? Perché loro non possono esserlo? Ma Hermione le prega di non farlo.

Ginevra si trova di fronte a un bivio: la sua vita a Sealine, comoda e triste, o qualcosa che non sapeva, qualcosa di nuovo, eppure di antico, perché fa parte di lei da sempre.

I loro sorrisi si allargano, timidi, incerti, umili. Si aprono come piccoli fiori, i primi dopo un lungo, lunghissimo inverno. E un raggio di sole, improvvisamente, sempre sbucare dalle nuvole grige, giocare tra i ricci di fuoco di Ginevra, correre nei suoi occhi cristallini, far splendere i petali di quel sorriso ancora umido di rugiada.

Remus si gira, per vedere cosa guarda Hermione, e la vista di Ginny lo riempe di una strana euforia. Si sente giovane, giovane di nuovo, giovane come il sorriso della piccola Weasley, giovane come la sua espressione di paura ed emozione, giovane come un tempo era stato, quando poteva ridere anche lui, quando gli era permesso di essere solo spensierato. Quando anche lui aveva un amico del passato che poteva riaffiorare al di la di una porta. Mette una mano sulla schiena di Hermione e la spinge verso la porta. Vai, vai piccola Hermione, pensa. Vai, apri quella porta, perché non è solo una porta sul passato. ma è una porta sul futuro. Su un futuro in cui non sarai sola. E Hermione va, si dirige verso l’ingresso di quella nuova vita, di quel confuso tunnel di passato, presente, futuro… abbassa la maniglia, e sono li, in piedi, una difronte all’altra. E Hermione lo vede. In quegli occhi, in quel sorriso, in quel viso pallido e stanco, in quell’esplosione di colore che sono i suoi capelli: lui, l’uomo che l’ha lasciata sola, lui, l’amore della sua vita, lui, che la corrente degli eventi ha trasportato lontano, si specchia in quella strada affollata, negli occhi della sorella che tanto aveva amato, sorride dal sorriso di quella ragazza che per lui valeva tanto. Le labbra che hanno seminato in lei un nuovo mondo… li, il sangue del suo Ron. Il sangue di sua figlia.

Ginevra abbandona a terra la valigia e le getta le braccia al collo. stringe il suo corpo magro, piangendo, ridendo, singhiozzando, unisone come in tutti gli anni che si sono lasciate alle spalle. Hermione, la loro migliore amica. Lei, l’unica che sempre e comunque aveva creduto nella loro storia, nel loro amore perfetto, nella semplice esistenza dei loro sentimenti…suoi e di Harry… Hermione. Burattinaia attenta di ogni loro mossa. Sorriso di incoraggiamento quando sembrava non esserci scampo. Parole sussurrate quando avevano paura di non farcela. Hermione, solo Hermione. La loro Hermione, adesso, tra le sue braccia, convulsamente in lacrime, ridente come mai era stata, felice come non sarebbe stata altrimenti.

-Herm…

-Gin…

e non ci sono altre parole. La più grande prende la mano alla più piccola, la conduce dentro, spingendo i bagagli con i piedi, mettendo il cartello”CLOSE”, facendo tutto lei, come sempre.

-Ginny!
lei si volta, senza tentare di arginare il fiume in piena delle lacrime che si riversano sulle sue guance di porcellana.

-Remus…

-come stai piccola?

Un singhiozzo, piccolo, quasi un sospiro.

-non lo so…tu? Tonks?

-noi bene, benissimo, piccola…quanto ci sei mancata.

Le si avvicina, la cinge con un abbraccio gentile, privo di maleducata insistenza, senza insinuarsi, senza imporsi. Le cose non cambiano mai, e Ginny ne è immensamente felice.

-anche voi…- piange, piange, senza essere in grado di smettere. Hermione anche. Guarda quelle lacrime così piccole e pure, così dolci, così vere…si chiede come aveva fatto in tutti quegli anni senza poterle semplicemente asciugare. E lo fa, adesso, per tutto il tempo in cui non ne ha avuto la possibilità.

-Ginny, mi spiace..mi spiace così tanto…scusami.

-Hermione…io…- non aggiunge altro. Le si avvicina meglio, si accoccola tra le sue braccia, si nasconde nel suo petto e si lascia abbracciare.

Per la prima volta, le lacrime non sembrano bruciarle la pelle. Scivolano, irrequiete, ma coraggiose. Scivolano, consapevoli che non ce ne saranno altre, non questa volta.

 

-allora sei diventata una…segretaria?

Ginny sbuffa. –se così mi vuoi chiamare…passavo li tre ore e me ne andavo.

-a fare cosa?

-a pensare a quanto ero triste, sola, sfortunata.

Hermione ridacchia. –già.

-tu?

-l’hai visto.

-e non c’è nient’altro…cioè…

-uomini?
Ginny arrossisce appena. E se anche fosse? Cosa le cambierebbe? Ron è morto, morto, morto… e Hermione no. è giusto che viva.

-no, non ce ne sono e non ce ne sono stati.

-già, neppure per me. è…è che Harry… mi è rimasto qui, non va ne su ne giu. Non si muove, e io non riesco a togliermelo dalla testa.

Hermione sorride comprensiva e annuisce. –lo so, per me è uguale. Ma io non mi sono concentrata solo su questo.

-no?

-no..

-sei sempre stata più forte di me. più coraggiosa. Rivederti adesso mi fa capire quanto questo ti abbia portata più lontano di me…

-non essere sciocca Ginny… è stato il caso. Ci sono toccati ruoli diversi.

-ruoli diversi? No. noi, siamo diverse.

Hermione squote il capo, facendo danzare i boccoli, mentre armeggia intorno ai fornelli nella piccola cucina, e lontano il sole balugina per un ultimo istante sull’orizzonte, merlando d’oro il davanzale di marmo della finestra.

-io sono andata con Harry quando…bhè, insomma, io ero li.- fa piano Hermione.

-esattamente quello che intendevo.

-e c’è un’altra cosa.

-cosa?

-una persona.

-chi? Dov’è?

-dai miei genitori, ma sta arrivando.

-chi è?

Il campanello suona. –vai ad aprire Gin, ho le mani sporche. Sto facendo una torta. Oggi compie 11 anni…proprio 11 anni.

Ginevra si alza, e avvicinandosi alla porta le tremano le gambe, consapevole di qualcosa che si era sforzata di evitare, anche solo di pensare, in tutto quel tempo. Qualcosa che aveva cercato di non vedere. Apre la porta e li, in piedi sul tappetino, con sulle spalle uno zaino troppo grande, con una giacca consumata dall’inverno, ai piedi delle scarpe usate, jeans larghi e alla moda, un sorriso vivace e ironico, grandi occhi scuri come quelli di Hermione e lucenti capelli fulvi come i suoi…c’è una ragazzina di 11 anni.

-ciao, chi sei?- chiede, sorridendo.

-ciao, tu?

-sono Lilian, e abito qui. Chiamami Lily.

-auguri Lily…

-sai che è il mio compleanno?

Ginni annuisce, sorridendole commossa.

-Lily, che bel nome.

-era il nome della mamma del migliore amico della mia mamma…ma è morta. La mamma del migliore amico della mia. Il suo migliore amico non so chi sia, però era…

-Harry. Si chiamava Harry.

-Harry?

-sì.

-e tu?

Ginny sorride. –Ginny.

Lily annuisce. –me lo sentivo che saresti arrivata. Sei mia zia vero?

Ora è Ginny ad annuire. Si abbassa perché i loro visi siano alla stessa altezza, sorride, e l’abbraccia. La stringe, assaporando quel breve contatto, quel primo contatto. Inspira il suo profumo di preadolescente, sorride strizzando gli occhi.

-sei la cosa più bella che Ron abbia lasciato sulla sua strada…

 

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Capitolo 6
*** inutilmente ripensarti ***


Eccovi il nuovo capitolo… non so se sperare che capiate o meno… però ditemi bene bene cosa ne pensate, eh

Eccovi il nuovo capitolo… non so se sperare che capiate o meno… però ditemi bene bene cosa ne pensate, eh?! Kissà se capite, sono proprio curiosa, ma credo di sì!! Allora buona lettura, e buona domenicaa!!

 

CAPITOLO 6

Inutilmente ripensarti

 

Il tempo si era sempre fatto beffe di lui. e anche adesso lo fa. Un minuto prima è mattina, e ore ore ore dopo, cade la sera. Ma la luce che filtra dal vetro non cambia. Resta flebile e impassibile nel suo ridicolo essere sempre poca. E vecchi islandesi, i sorrisi stanchi e gli occhi ancora innamorati della vita, vanno e vengono dal piccolo ufficio. Sulla targhetta in ottone c’è una scritta ufficiale: John K. Wood. In piccolo: assicurazioni. Già, uno stupido e inutile lavoro, una paga copiosa alla fine d’ogni mese. Soldi in tasca per comprare cose che John K. Wood non comprerà mai. per vivere una vita che a John K. Wood non interessa vivere. E proprio questo l’ha portato li, tanto lontano dal mondo, in quella piccola isola ghicciata, come il suo stanco, stanchissimo cuore. Eppure una quieta consapevolezza, un’accusa che può rivolgere a se stesso: quella di aver scelto lui, da solo. Di essersi scrollato di dosso tutto, per ricominciare da capo. Aver preso i sogni, le speranze, le bugie e le verità, averle chiuse a chiave nel proprio cassetto segreto, quello della mente che nulla può aprire, e di aver ricominciato tranquillamente, sotto il vigile scorrere di quel tempo beffardo. Tempo, già… che ore sono? Alza i suoi occhi azzurri sull’orologio a muro, cosciente che è molto che la segretaria è entrata a salutarlo, con il suo sorriso candido e le sue guance chiazzate di trucco, e ancora di più che l’ultimo anziano cliente è sparito dal suo piccolo ufficio. E infatti, le 8 stanno lentamente scivolando verso le 9 di sera. Si alza, mettendo in borsa un paio di cose, si infila il giaccone e si cala il berretto sulle orecchie, preparandosi ad uscire. Fuori fa freddo, un vento gelido taglia il suo viso, insinuandosi tra le sue labbra. Lontano, intorno alla città, un pesante strato di neve risplende di toni azzurrini che paiono ammiccare da lontano a quel primo, timido sole. E ancora, dopo 10 anni che vive in quella città, la, nella fredda Isanda, quel primo timido sole gli riempe gli occhi di una tiepida felicità: l’inverno sta passando. Un altro lungo inverno, giornate e notti ugualmente buie,  neve, freddo, ricordi che bussano nelle porte della memoria: gli inverni con lei, i sorrisi di lei, i giorni con lei. I suoi occhi, il suo essere semplice e bella, la severità del suo affetto, la dolcezza del suo amore. La luce del fuoco scoppiettante nel camino, che dorata e rossa creava un ricamo di ombre e colori sulle sue guance, sul cipiglio stupito della sua fronte, sul suo sorriso pieno di inteligenza. Tutto l’inverno a trattenere quelle minuscole immagini che gli restavano di lei, a cercare nel fondo consunto della sua memoria un solo frammento della sua bellezza. A frugare nell’interno delle sue narici il suo leggero e morbido profumo, rievocare alle mani il tatto delle sue guance, del suo corpo pieno di forme mature, nelle orecchie il suono candido e delicato della sua bella voce. Li, giorno dopo giorno, nella reggia dei ricordi che ha cercato di cancellare e di quelli che ha deciso di tenere, John K. Wood si è aggrappato per tutto l’inverno a quelle immagini, a quelle sensazioni, senza rievocare un momento preciso della sua per nulla precisa storia con lei.

Entra nella sua villetta indipendente: grande per un uomo solo, piccola per tutto cio che quell’uomo ha portato con se: ricordi, momenti, parole, avventure, piccoli oggetti.

 Sospira Posando lo sguardosul Minuscolo soggiorno e sulla cucinetta a vista. Prende la posta in mano: bollette, il gas, la luce, una lettera di lavoro, una vecchia amica. L’unica che gli rimane, probabilmente. Le riappoggia sul caminetto. A che serve leggerla? Tanto nulla di cio che lei gli può dire lo può davvvero interessare. Nulla di cio che si è lasciato alle spalle è davvero importante, adesso, si ripete, con insistenza, per convincersene.

Schiaccia il pulsante della segreteria e si toglie la giacca.

-ciao, John, sono io. Sara. ti ricordi di me?- John smette di ascoltare. No, non ricorda Sara. forse una cliente. Presta ancora un attimo l’orecchio: -ci siamo incontrati all’assemblea del lavoro, settimana scorsa… mi hai dato il tuo numero e ho pensato che magari possiamo bere una tazza di caffè insieme, uno di questi- pigia il tasto “cancella” e si toglie le scarpe. No, nessun caffè. Quella cosa amara non gli è mai piaciuta. Meglio una sana cioccolata. Lei lo prendeva sempre in giro per questo. Lei, la caffeinadipendente, lei, dipendente da tutto quello che lui odiava, incluso se stesso… -ciao, john, ci sei? No, senti, volevo dirti, insomma, ti va, se ti va, richiama. Cioè, non voglio obbligarti, ma se ti va, John. Richiama. Dai, ci facciamo due passi, eh? Ciao.- Jonh sorride. Sì, Tom magari lo richiamerà, prima o poi. Due passi con un burbero di montagna sono quello che ci vuole per un burbero di città. –ciao tesoro… come stai? Tutto bene? non chiami mai, perché non chiami mai? mi manchi, tesoro mio. E manchi tanto anche al papà.- mamma… perché ti ostini a chiamare? –tua sorella anche non si fa più sentire. Ci ho provato e riprovato, ma ormai sono vecchia per certe cose. Non posso più venire a tirarvi fuori dalle fosse in cui vi cacciate, tesoro mio. Allora, mi richiami questa volta? Vorrei solo sentire la tua voce. Sentire come stai, tesoro mio. Lo so che è difficile, perché hai deciso che noi non centravamo piùcon la tua vita, la tua vita di prima l’hai chiusa, lo so. Ma io sono sempre la mamma, e tu il mio bambino. Tesoro.- John sospira, mettendosi una mano nei capelli un po’ lunghi che gli cadono sul collo. –una volta un modo l’avrei trovato. Ma adesso non posso, perché tu non me lo permetti. Io ti voglio bene, e anche tuo padre. Non puoi sistemare da solo tutto quello che hai dentro. Hai bisogno di una mano.- no, no mamma, no. io ho scelto, ho fatto tutto io. Cosa vuoi da me mamma? –cosa voglio da te, ti chiederai. Voglio solo rivederti, abbracciarti, dirti che ti voglio bene. aiutarti e riportarti da lei. Lei, che ti ama tanto. Lei, per la quale sei così importante. lei, che per non pensare a te non viene nemmeno a trovare noi. Ci manda delle lettere, però, lo sai? Ci scrive che siamo la migliore famiglia che le sia capitata. Ma lei non vuole noi, tesoro mio, lei vuole te, lo sai vero? è sempre stato così, fin dalla prima estate che ce l’hai portata… fin dalla prima volta che vi ho visti insieme, ricordo… litigavate, ricordi? ah, le vostre litigate erano musica per le mie orecchie, così come poi lo sono stati i sospiri innamorati di tua sorella… e adesso, proprio voi due, i più coraggiosi, i più forti, siete scappati… perché? Lo so. Lo so che è stata dura, ma fingere… a cosa ti è servito fingere? Stai meglio?- mamma, queste cose me le hai già dette, non le ascolterò nemmeno questa volta. Così John schiaccia “cancella” proprio mentre la madre sussurrava: - richiama…- e poi un forte BIP, il messaggio cancellato, BIP, la segreteria vuota, BIP, sei di nuovo solo, con la tua stupida scelta da cadardo.

John apre una birra e tira fuori dal frigo uno yogurt. Si siede davanti allo schermo buio della televisione, tirandosi sulle gambe una coperta consunta ma sempre la più calda. La sua preferita. Accende la televisione. Parole in un islandese serrato, mangiato dalla memoria di persone che lo parlano da tutta la vita. Non come il suo, lento, strascicato, dubbioso. Lui, proprio lui, a parlare una lingua non sua. Gli viene un po’ da ridere. Ma solo un po’. Giu una lunga sorsata di birra, un’altra, un’altra ancora. Sospira. Un po’ meglio. Birra… guarda la targhetta dalla grafica semplice, bruttina. Ma come ci sono arrivato così? Come ho fatto a passare dal mio passato a…questo? Ancora birra, perché infondo solo questolo può far sentire un po’ meglio. L’altra cosa che gli ci vorrebbe è… chiude gli occhi. La sua pelle bianca,  le sue gambe lunghe, la sua pancia piatta, il suo seno pieno e preciso, sodo ed elegante. I ricci regali che le cadevano sul corpo, morbida tenda per mascherare il suo pudore, soffice abbraccio di ruvido calore quando lui tentava di toccarli. I suoi occhi, immensi nella loro freschezza. Le stringeva la vita, tenendola sopra di se, con amore sfiorava i suoi brividi. Baciava le sue labbra rosse, assaggiando con gioia il sapore del suoi denti suoi propri, morbide carezze dopo essersi a lungo cercati, dolce abbracciarsi dopo aver litigato, amore, amore, amore, dopo qualunque dura giornata in cui, per questo o per quello avevano rischiato la vita. Gioco sotto le coperte, le lenzuola fresche come il tocco delle sue dita, i cuscini caldi come le loro guance innamorate, solletico appena sui fianchi gentili di lei, e John al suo fianco, a nutrirsi della sua candida risata, a gioire dei suoi sospiri, a vivere per quei contatti vivi, per quegli occhi brillanti di lacrime di gioia e di tutte quelle di tristezza che le aveva fatto versare, il broncio sulle sue labbra, prepotente, ironico, vincente come tutto in lei…

John apre gli occhi. A che serve continuare a ripensarti? Ti ho dato una chance, l’ho data ad entrambi: ricominciare. Ancora una volta, a fallire, sono stato io. Mi dispiace. Scusa.Ride ancora, ubriaco, di birra, d’amore, di ricordi. un’altra birra, per dimenticare, anche se sotto il tocco dell’alcol l’unica cosa che torna davvero sono loro, i ricordi, lei, il suo viso. Ride, per non piangere, come aveva sempre fatto. Scusa? E a chi? Mi devo scusare da solo… lei non mi scuserà mai per questa stupida fuga, per quel biglietto di sola andata lontano dalla sua vita. Perché? Si alza, sbatte la birra nel cestino, accende la musica per soffocare quella domanda, per non sentire la risposta, per non vederla, ora e mai, baluginare nella sua mente. Di tutti i ricordi quel “perchè” è l’unico che non può proprio sopportare. Sono codardo, e allora? A essere coraggioso non ci ho guadagnato niente. I codardi, almeno, sanno essere coerenti. E io sono coerente. Non sono ipocrita. Questo è quello che ho scelto, quello in cui vivrò e quello in cui morirò. Va in bagno, evita lo specchio. Non vuole vedere com’è diventato. Vuole continuare a possedere quella bella immagine di se che ancora la mente riesce a regalargli, squarci dei giorni della scuola quando si studiava davanti allo specchio, apposta per… ride, insaponandosi la pancia e il petto. Stai diventando monotono. Sempre a quello pensi. Sempre alla stessa persona. Basta… per favore. Quasi si supplica. Anche questo lo fa ridere.

Forse dovrebbe chiamare la mamma. Povera. Chissà com’è preoccupata.

Lei, che per l’apprensività avrebbe potuto vincere un premio. Ma che per il coraggio avrebbe dovuto essere incoronata regina. Figlio dopo figlio, momento felice dopo momento felice, era rimasta sola. Mamma, quanto mi dispiace. Di tutto quello che un giorno prima si nutrivano i tuoi sorrisi affettuosi, il giorno dopo alimentavano le tue tristezze, le tue angosce. Tu, preoccupata per noi, le persone che amavi, i tuoi figli, i loro amici, i componenti della nostra vita disordinata, e tu, mamma di tutti anche di chi non te lo aveva chiesto. Mi spiace, perché so che adesso pensi a me e vorrei che questo pensiero potesse ancora renderti felice e fiera come un tempo. Se solo avessi avuto il coraggio di mentirti.

Coraggio, anche quello continua a farsi beffe di lui.

Si strofina forte i capelli sotto il getto bollente dell’acqua della doccia, si lava la faccia con forza, come per cancellare dal residuo di barba le ombre e le tristezze degli ultimi 10 anni.

Si siede sulle piastrelle bagnate della doccia, abbracciandosi le gambe lunghe nel vapore dell’acqua imprigionato nella cabina della doccia. Chiude gli occhi, sentendo il peso della birra cadere lontano dalla sua fronte scivolare sulle sue guance insieme all’acqua bollente, e insieme a lui, repentini, tornare i ricordi di quei giorni lontani. Esce dalla doccia, avvolgendosi nell’accappatoio di spugna, alza la musica, ancora, ancora, più alta, di più, di più. le note soffocano le urla che le sue labbra non possono fare a meno di emettere. Straziate urla stufe di ricordare, stufe di sopportare ancora e ancora le conseguenze di uno stupido destino.prende una sigaretta, l’accende, sospira. Va meglio, molto meglio. Espira, inspira. Si nutre di quell’acre sapore di bruciato così come un tempo si era nutrito del profumo dei capelli di lei. E non pronuncia il suo nome, mai e poi mai, per cacciarla via, per  quanto impossibile sia, perché lei è li, infiltrata nella sue mente offuscata dal fumo, rintronata dalla birra, oggi come Allora. Un’altra boccata, un’altra, un’altra.

Si toglie l’accappatoio e si mette qualcosa addosso, prima di ricadere sul divano deforme, stravolto dalla giornata. Un’altra lunga giornata finita, mentre l’orologio batte le 11 di sera e lontano il sole illumina ancora una sottile striscia d’orizzonte. Spegne la sigaretta e chiude gli occhi, appoggiando la testa pesantemente sui cuscini, la televisione che continua a parlare.

Una guerra sta scoppiando in Iraq, una manifestazione comunista in qualche città troppo affollata, un dibattito sempre politico in quell’altra, un argomento sciocco per condire tante brutte notizie, un bambino rapito, una specie in estinzione, finalmente una scoperta scientifica che salverà qualche vita… notizie di tutti i giorni, notizie ascoltate, notizie sudate. Che altro? Niente di più, il resto non conta. Tanti occhi hanno seguito queste notizie, oggi, e ora sono felici di averle ascoltate. Ma a John non importano.

Le uniche notizie che vorrebbe sentire non le troverà mai tra le parole stanche di una televisione indipendente. Non le può trovare da nessuna parte in quell’isola. E forse, è meglio così.

Infondo, lui è solo un codardo. E per esserlo non ci vuole ne coraggio ne tempo. Fatevi beffe di me, tanto non importa. Chiude gli occhi e si riattacca all’ennesimo ricordo, il primo che gli passa per la mente.

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Capitolo 7
*** una storia che merita ***


Questo capitolo non è bellissimo, ma dovrebbe anche essere l’ultimo così triste… speravo venisse meglio, ma non importa dai… no

Questo capitolo non è bellissimo, ma dovrebbe anche essere l’ultimo così triste… speravo venisse meglio, ma non importa dai… non potevo proprio non farlo e non ne avevo molta voglia… voglio continuare!! Allora, che altro? Grazie infinite per i commenti entusiastici che ho ricevuto, e soprattutto a fluffy che mi ha convinta a pubblicare e che non smette mai di recensirmi!! Grazie!! Spero vi piaccia anche questo, e di pubblicare presto il capitolo 8!! Un bacione!!

 

 

CAPITOLO 7

Una storia che merita

 

Il silenzio è quasi insostenibile. Non so cosa dire, non so cosa pensare. Questa Ginni mi sta davanti, bella come mai una donna è stata ai miei occhi. Splendida, davvero. Mi sento una stupida al cospetto di una specie di regina. È li, nei suoi occhi c’è tanta sincerità, il suo sorriso è sicuro anche se deve averne passate tante. Ha dei bellissimi jeans e una magliettina aderente. Wow. Ed è mia zia. Mia zia! Sento una strana sensazione all’altezza dello stomaco: ho una famiglia. Improvvisamente, di colpo, non più solo una mamma reduce di troppi dolori, due nonni che non la conoscono più, altri due che non ho mai visto. Ma ho una zia, una bella zia, alta, magra, sorridente anche se triste. Li, davanti a me. e non ne capisco il perché. E poi quella frase: -sei la cosa più bella che Ron abbia lasciato sulla sua strada…

Mi rimbomba nella testa istericamente, con il suono un po’ roco della voce di Ginny quando me l’ha detto. Ron. Vorrei sapere di più di te. Quello che ti piaceva, quello che odiavi. Le cose in cui eri bravo. L’accento che aveva il tuo inglese. Il modo in cui ridevi. Piccole grandi cose che costruiscono le persone. Mio padre. L’uomo che per amore o per errore mi ha dato la vita ma che ha anche tagliato la corda. O forse che è morto. Mamma non è mai stata chiaro su questo. E proprio per questo passo il 90% del mio tempo ad essere arrabbiata con lei in modo immenso, irreparabile, ma non lo dico nemmeno a me stessa perché vedo che soffre e mi spiace tanto, tantissimo. Mia madre. Quanto le voglio bene! la migliore, credo. Ma con mio padre è facile essere arrabbiata. Lui non è qui, non posso sapere se soffre, non ha voce in capitolo sui miei sentimenti, sulla mia vita, su di me. vorrei solo sapere com’è successo. Cioè, come tecnicamente lo so. Ma come nel senso… le circostanze. Si amavano? Si conoscevano? Lui non mi voleva e lei sì? Mia mamma era giovanissima. Non aveva nemmeno 18 anni. Lui? vorrei poterlo sapere. Sono figlia di una bottiglia di troppo di birra o di un amore infantile? Un amore eterno, quello che segna tutt’ora il viso di mia madre? O forse, solo una prima volta mal calcolata, nel momento sbagliato, il giorno sbagliato. Una distrazione dei fatti, birra, amore, risate, amici, una festa. Mi piace la favola che brilla nella mia mente, lei e lui, che vivono solo per amarsi, e si amano con tanta follia, tanta passione, da essere liberi, da voler solo amarsi e amarsi, qualunque cosa accada… persino una figlia. E poi, un incidente, uno qualunque: una macchina troppo rapida all’incrocio, una malattia fulminante, un secondo, uno solo, per segnare tutte le nostre vite e portarselo via. Preferisco pensare che sia morto, piuttosto che pensare che lui… mi abbia abbandonata. Abbia abbandonato me e mia madre. Preferisco pensare che posso andare in un cimitero e parlare con la sua tomba piuttosto che aspettare, giorno dopo giorno, un segno che lui sta tornando da me. che è pronto per essere mio padre. E conoscere il suo sorriso, la sua risata. Quello in cui è bravo e quello in cui non lo è. Quello che ama e quello che odia. Sono certa che non gli piace il caffè. Ma che ama la cioccolata. E che è un uomo simpatico, spiritoso. Certo, era. Ho sbagliato. Lo faccio sempre, questo stupido errore. Era, Lily, era. Tuo padre è morto. Lilia Ginevra Granger, non essere stupida… e poi, improvvisamente, lo sento. Il mio vero cognome…Weasley. Pensare che ho vissuto fino a 11 anni senza nemmeno saperlo. Senza sapere il nome di mio padre, quello della mia famiglia. Cosciente che da qualche parte una famiglia per me c’era, ma che non potevo vederla, sentirla…niente. A volte, quando sono davvero arrabbiata con mia mamma, con la mia vita, con me stessa persino, mi aggrappo a un’ultima stupida possibilità: i miei erano innamorati, hanno deciso di avere una figlia, è successo. Poi mia madre ha deciso che mio padre non era pronto e se n’è andata. Ma è ridicola. Mia madre si sente sola. Quindi la colpa non è sua. E non c’è quasi mai stato nessun’altro. Quando avevo 7anni c’è stato “ma ccciaaaaaooooo” un ragazzotto tutto sorrisi che è durato 2settimane (2settimane di gelati, in effetti…) e poi quando ne ho compiuti 9 c’è stato mister “Lily tesoro, Hermione tesoro, che tesoro di casa, che tesoro di stanza, che tesoro che sei, che tesoro di sorriso…” bleah!! Se ce ne sono stati altri o non li ricordo o non li ho conosciuti. Quando ho potuto rendermene conto, mi sono accorta che se c’erano stati, erano stati solo un affare notturno. Mia madre non ama nessuno oltre me, e forse mio padre. Può sembrare egoistico, ma forse non conoscete mia madre. Non avete mai visto i suoi occhi quando nessuno la guarda: scruta sempre il cielo, come a sperare di vedervi arrivare Ron. O forse, un gufo. Ah, già, quel piccolo problemino… Hogwarts. Si aprono mille nuove strade al mio passato, a quello di mia madre, a quello di mio padre, persino a quello di mia zia Ginny. magia. Oddio, mi gira la testa. E qui nessuno parla. Mi giro, vado in camera mia, abbandono per terra tutto. sospiro. Ho sonno, e ho paura. e non voglio sentire, ma devo. Perché tutto quello che ho sempre sognato è sapere la verità. Essere una bambina come tante, con la loro squallida vita perfetta che a me non è stata concessa, cazzo. No, io devo tirare fuori la mia mamma in lacrime dal bagno della pizzeria, io devo stringere forte il cuscino e urlarci dentro quando voglio avere solo un padre, ditemi che chiedo tanto, io che mi devo creare passati alternativi per non pensare all’unica verità che ho: io non ho un passato. mi viene un po’ da piangere. Cos’è Hogwarts? Perché? Sono magica? No, ti prego, questa no. non anche questa fregatura.

Mia mamma mi prende le spalle, sorride.

-tesoro, tutto bene la giornata?

Annuisco, ingoiando le lacrime, ignorandone la presenza, sorridendo, o almeno provando a farlo.

-i miei amici mi hanno fatto dei regali.

Hermione anche sorride. Mia mamma, lei, bella, coraggiosa, sola.

-dopo me li fai vedere.

-sì, certo.

Mi abbraccia, in silenzio.

-Lily, mi dispiace di aver fatto casino

-no, mamma, tranquilla.

-voglio rimediare.

Sospiro. Ho una chance. Una sola, per restare ferma dove sono, o andare avanti. Chiudo gli occhi. Voglio davvero continuare a essere la Lily senza passato?

-raccontami la verità…- sussurro. Lei mi stringe più forte, ma sorride, lo so.

Ginevra ci raggiunge. Il suo sorriso coraggioso è velato di paura, questa volta.

-tutta la verità?- chiede.

Io chiudo gli occhi, sperando.

-è una storia che merita di essere raccontata. Venite, beviamoci un thè.

Eccomi, vita nuova, sto arrivando. Aiuto.

 

-wingardium leviosa- un tocco sicuro, il collo dritto, gli occhi socchiusi. Hermione torna la piccola secchiona, mentre con un semplice ondeggiare del polso fa levitare le tazze davanti alle tre ragazze. Lily sbianca. Ginny resta immobile, le gambe premute sul petto rigonfio, le labbra socchiuse per respirare a fondo. Le tremano le palpebre sotto il peso delle parole che sa di dover ascoltare. Ma Hermione pare stranamente tranquilla. Giocherella appena con la bustina di thè, sorride. Guarda Lily. –ecco, ora mi credi?

La bambina annuisce piano, come se muovere il capo più forte fosse troppo difficile. –mi sento pazza.- afferma con lentezza.

Hermione ride. Con un altro leggero tocco della bacchetta posa sulle gambe della figlia una coperta. –mettiti comoda tesoro. Una lunga storia richiede molto tempo.

Ginevra sta zitta. Riascoltare, rivivere. Ha paura. si stringe con forza, per restare ancorata alla realtà, al presente. Per non farsi risucchiare dal passato. fissa le labbra d’Hermione con intensità. Tutto quella che uscirà da li forse già lo conosce. Ma quanto di quello che l’amica racconterà non le è mai stato detto? Ginny sa di non essere al corrente di tutto quello che succedeva, di tutto quello che faceva parte della vita di Harry, Ron ed Hermione. Si morde la lingua.

-Lily… chiedimi tutto quello che vuoi.

Lily non parla. Grossi brividi le corrono sulle braccia. Magia. Bacchette, scope volanti, bene, male. Come nei libri che lei non aveva mai letto. Come nei film che lei non aveva mai guardato. Perché? Perché sua mamma l’aveva cresciuta in modo diverso… quanti libri aveva letto nella sua vita? Quanti film aveva visto? Tutti i più importanti, i più seri… ma la magia? Non c’era spazio per lei. Non c’era, nemmeno se si trattava di cartoni per bambini. La fantasia non le era mai mancata. Ma la magia, quella era troppo, troppo… e invece no. adesso è li, davanti a lei, tra le dita sottili di sua madre, in un pezzo di legno chiaro e liscio che  vorrebbe accarezzare con tutta se stessa. è li, dentro di lei. Sembra pulsare come un secondo cuore, come un nuovo rivolo di sangue nelle sue vene. Cosa vuole sapere? Cosa? Apre le labbra, e le pone la prima domanda che vi affiora, casuale, forse, incerta. Un sussurro.

-come vi siete conosciuti?

Ginny chiude gli occhi, per non pensare. Ma Hermione sorride. Il suo viso si illumina di una dolcezza che Lily non le ha mai visto. Una dolcezza nuova, i suoi occhi luccicano. È diversa. Più bella, in qualche modo. Più reale. Il coraggio trabocca dal suo sorriso, l’eleganza del suo essere triste.

-era il primo settembre. Avevamo 11 anni. Ero finita per caso in uno scompartimento dell’Hogwarts Express. C’era un bambino cicciotto e insicuro che si guardava in giro tutto preoccupato, e una petulante bambinetta bionda. Lavanda e Neville…- la sua voce si spezza, il suo sorriso vacilla. Ginevra sospira pesantemente. Quei nomi… li avevano affidati al passato. e invece ora le loro orecchie li devono risentire, per un ultima volta forse. –Neville Paciock…- sussurra Hermione, rievocando gli occhioni scuri e tremanti del ragazzo, la sua voce. Ma il suo immenso coraggio, dopotutto… -aveva perso il suo rospo. Forse, se lui non fosse stato tanto stupido, le cose sarebbero andate diversamente… chissà.- sorride.

Lily si chiede se Hermione sia contenta di come sono andate.

-come sarebbero andate?

-in modo banale, forse. Forse un’altra donna avrebbe conquistato tuo padre e un altro uomo me. ma non successe.- una piccola pausa- Neville piangeva. Non sopporto veder piangere la gente. Presi in mano la situazione.

-come sempre…- sussurrò Ginny sorridendo appena.

Hermione annuì. –già… stupida abitudine. E finii in uno scompartimento semi vuoto. C’erano solo due bambini, anche loro del primo anno. Sedevano uno davanti all’altro vicino al finestrino e sembravano imbastire una conversazione con argomenti a caso…- Hermione sorride, ma i suoi occhi si riempono di lacrime. –era la prima volta che vedevo le due persone più importanti della mia vita.

“e della mia” pensa Ginny.

-ho chiesto se avevano visto un rospo… la prima frase che ho detto a tuo padre! Ripensarci ora mi sembra quasi patetico… ma forse non lo è. Perché la prima cosa che Ron ha pensato di me è stato di sicuro “che rompipalle”. E io ero esattamente così. Un’insopportabile sapientona. Ma non importa. Ron aveva il naso macchiato. L’ho notato subito, ma non gliel’ho detto immediatamente. Gli dava un’aria curiosa. Sembrava capitato li per caso. Con quell’esplosione di capelli rossi e quei vestiti dai colori sbiaditi per il troppo uso. Dolcissimo. Harry invece, lui non potevo non riconoscerlo. Harry Potter. Tenero, spaurito, confuso. Famoso, suo malgrado. Un mito, per tutti. Solo pochi sono riusciti a conoscere il ragazzo dietro la leggenda. Noi.- Hermione sorride.

-leggenda? perché?- chiede Lily.

E Hermione racconta. Apre a Lily le porte sul suo mondo. c’è Voldemort, colui che ha rovinato tutto quello che il destino aveva creato. Ci sono Lily e James, che lo avevano sfidato tre volte, firmando la sorte dell’unico figlio. C’è Harry di un anno che sopravvive magicamente a un incantesimo che ha ucciso tutti coloro che se lo sono trovato puntato al petto e che senza saperlo mette il grande mago al tappeto. Che viene affidato a zii babbani fino ai suoi 11 anni. E finalmente Hogwarts. C’è Silente che non spiega. C’è Sirius Black e un’incantesimo, un tradimento, un evaso da prigione. -Tutti gli anni era più difficile- dice Hermione. Il primo Voldemort vuole rubare la pietra filosofale. Il secondo vuole aprire la Camera dei Segreti. E poi Sirius che arriva, e racconta a Harry la verità o almeno quanta ne conosce. E poi c’è un torneo in cui Harry viene tirato dentro per caso e in cui un falso professore cerca di ucciderlo. E Voldemort che non era morto, non del tutto, ma in qualche modo resuscita. E Lily ha mal di testa, ma cerca di ascoltare. E allora c’è un associazione segreta che combatte Voldemort perché solo pochi credono nel suo ritorno. C’è un’estate passata senza Harry, a mentirgli, in cui Hermione e Ron stanno soli soli soli. E c’è Ginny che cresce. E Harry che arriva ed è tanto cambiato, arrabbiato. Ha strani sogni in cui vede dagli occhi di Voldemort. E poi gli dicono che è posseduto. E c’è Ginny che gli dice di no, perché lei da Voldemort è stata posseduta davvero. Qualcosa su un diario,  e poi via, giu verso un nuovo racconto. E quel Sirius Black che muore. Ginevra ed Hermione si commuovono un po’ al ricordo, ma Hermione non si ferma. C’è un’estate alla Tana. “Cos’è la Tana?”, si chiede Lily. Ma Hermione non si ferma. Il turbinio dei ricordi l’ha avvolta, troppi, troppo in fretta, troppo dolorosi o troppo belli. C’è Harry che racconta loro di una profezia. E il mondo che finalmente crede in lui. E la profezia lo designa come l’unico che può battere l’Oscuro Signore. I giornali lo chiamano il Prescelto e le ragazze lo adorano. Ed Hermione sorride. Sorride, ma le lacrime bagnano i suoi occhioni. E Lily teme quello che arriverà. Ha paura di sentire la fine. Lezioni private con il Grande Preside. Harry ogni sera racconta loro quello che scopre. Hermione e Ron lo aspettano alzati, girandosi i pollici. E Lily si chiede quando, quando si metteranno insieme. cosa diavolo li ha fatti fidanzare? l’unica volta che lei ha parlato di loro era per dire che lui la giudicava una rompipalle. Hermione va avanti, non le da la possibilità di pensare. Il thè ormai è ghicciato, come la morsa che avvolge il suo cuore. C’è Hermione che si accorge di essere innamorata di Ron, e forse Ron se ne accorge anche lui. C’è Ginny che pomicia negli angoli e Harry che se ne innamora follemente. Ci sono ancora lezioni private e poi finalmente la verità: Voldemort diviso in 7 parti e vanno uccise tutte prima di ucciderlo. Houcrux, e Lily ha sempre più mal di testa. E Ron si fidanza. E poi si lascia. E Ginny e Harry stanno insieme e lei e Ron no. e Lily non capisce, ma Hermione continua imperterrita la sua corsa di parole. E poi una sera Harry e Silente vanno in missione.

Hermione piange, Ginny sembra assopita. Gli occhi chiusi, a fissare il mondo della memoria. Lily trema.

Silente muore, lo uccide Severus Piton.

-chi è Severus Piton?

Hermione la ignora.

Piton li ha traditi. E poi Harry che decide di lasciare Ginny, lasciare la suola, lasciare loro. Ma Hermione e Ron decidono di seguirlo. Vanno a un matrimonio.

-e poi, siamo partiti.

Ginny apre gli occhi. –e cos’è successo?

-già, mamma, cosa?

Hermione si alza, guarda l’orologio. Sono quasi le 2 di mattino. Le gira la testa, per tutte quelle parole, tutti quei ricordi. e ha paura, paura di entrare in quel territorio proibito fatto di tutti i momenti che hanno costituito quella parte della sua vita. Sospira, e quando parla la sua voce è calma, frizzante.

-ragazze, è tardissimo. Ci vuole troppo tempo, tempo che io non ho adesso. Ho bisogno di dormire.

-e noi abbiamo bisogno di sapere.- fa gelida Ginny.

la voce di Hermione torna triste, malinconica. –e io ho bisogno di raccontarvelo… ma non ora. Non ne ho la forza. Non ci riesco. Vi prego, abbiate ancora una notte di pazienza.

-domani ho la scuola e…

-Lily, appena sveglie vi racconterò ogni cosa. Non importa la scuola. Ma ho bisogno di dormire, riordinare le idee. Vi prego.

Una supplica, la voce le trema, la certezza di Ginny vacilla. Lily l’abbraccia forte, la stringe, la bacia. –notte mamma…

Sparisce al di la della porta del salotto, trascinando i piedi.

Hermione si volta verso Ginny. –mi spiace Gin. Perdonami, ti prego.

La durezza sparisce dai suoi occhi, che tornano dolci e limpidi come quand’era bambina. –tranquilla.

Si preparano in silenzio. Si lavano senza parlare, si infilano i pigiami. Scivolano sotto le coperte. Hermione spegne la luce, e i loro occhi restano aperti nel buio, mentre i rumori lontani della notte risuonano pigri nelle loro orecchie. Le coperte sono fredde, quasi come i loro corpi. Hermione non riesce a rallentare il battito del suo cuore. Sente Ginny avviccinarsi a lei. Appoggia la testa sul suo petto e i capelli rossi dell’amica le solleticano il collo. la stringe forte, nascondendosi in quell’abbraccio, insipirando il suo profumo, strette l’una all’altra, vicine vicine.

-ovunque siano Harry e Ron… non sanno nemmeno quanto avrei voluto poterli almeno salutare… quanto mi mancano, Herm…

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Capitolo 8
*** ancora tu ***


Capitolo 8

Capitolo 8

Ancora tu

 

Il sole sorge lentamente, irradiando un viso rilassato tra le braccia della notte. leggere tinte rosa e oro bagnano palpebre abbassate, un piccolo naso, capelli arruffati. Le labbra sottili di un uomo maturo. Le guance crespe di barba incolta per pigrizia. Una sottile cicatrice bianca gli riluce sul labbro inferiore, dove una caduta più violenta delle altre aveva segnato tante cose. Non la noterebbe un occhio disattento. Infondo si è rimarginata, come molte altre cicatrici nel suo cuore o sulla sua pelle. Il dolore sembra lontano da quell’uomo, nonostante anche la gioia sembra averlo abbandonato. Si gira tra le lenzuola fredde, tentando di liberarsi dalla presa delle sottili dita del sole che gli pizzicano le ciglia, per levarle come un elegante sipario. Nasconde il capo sotto il cuscino, e con un roco rantolo riprende a dormire. Le spalle larghe e le gambe lunghe sbucano appena da sotto le coperte. Muscoli abbandonati alla loro sorte, mai più sfruttati. I raggi insistono, giocano sulla sua pelle bianca, si rincorrono tra le pieghe del lenzuolo, si tuffano nello spiraglio del cuscino. Il giovane uomo rinuncia a dormire e abbraccia solo il guanciale. Lo stringe con forza, sfregandovi sopra la guancia. Cerca in qualche modo di sentirsi meno solo. L’orologio segna le 5. è presto, prestissimo… richiude gli occhi, abbracciando meglio il cuscino. Tentando invano di convincersi di avere tra le braccia il bianco corpo della sua ragazza d’un tempo, di una ragazza qualunque magari, ma una ragazza vera. non come quelle che hanno popolato le insonni notti degli ultimi anni: colleghe, amiche di amici, giovani e piene di pallide speranze. Non come lei, non come il suo amore pieno di vita, non come il suo sorriso luminoso. Non come la durezza del suo sguardo, la passione dei suoi baci… riapre gli occhi. È buffo come in qualunque momento lei riesca a trovare uno spiraglio nella sua mente, a invaderla con prepotenza. Ci era sempre riuscita. Dalle labbra dell’uomo si leva una roca risata. Si alza, e il lenzuolo scivola sul suo dorso nudo, ampio e forte, i raggi del sole accarezzano le piccole ciccatrici, definiscono quelle addominali nascoste dagli anni, dagli hot dog, dalle cene, dalle pizze. Si stiracchia, il cuore che batte con calma, i polmoni distesi. Calmo, stranamente. Felice, forse. In quel suo modo perverso di esserlo. Fiero della sua solitudine, o solo semplicemente arrogante. Come era sempre stato, si dice. Ride. Ma non gliene importa. Anche quella falsa visione della felicità gli basta. Della tranquillità. Quella che una volta poteva anche pensare di provare, forse.

Ironico il destino. Proprio quando le cose si mettono davvero male uno trova la forza di essere felice. Ma lui non l’ha trovata. Lui se l’è imposta. Non importa. Almeno a se stesso può ancora fingere. Si alza, i boxer a righe che gli ricadono appena sulle gambe e va in bagno.

si butta sotto la doccia, accarezzandosi i capelli che sgocciolano sotto le sue dita, caldi rivoli d’acqua che gli bagnano il collo.

si veste in maniera anonima, quella degli ultimi 10 anni. Pantaloni blu, camicia bianca, giacca. Squote i capelli, che gocciolando assumono una piega informe sul suo capo. E poi li pettina con calma per dar loro una forma. Oggi ha una riunione importante.

una riunione importante… come suona ufficiale. Sorride, orgoglioso di se. Di come immensamente è riuscito a cambiare per tentare di rendersi felice. Felice… che brutta, orribile parola. La ricaccia sul fondo della sua mente stufa, ma tranquilla, si ripete. Tranquillo, sono tranquillo. va in cucina. Caffè, porrige, succo di zucca, giornale. Le cose possono cercare di cambiare la sua vita, di cambiare il mondo, di cambiare lui… ma certe cose non cambieranno mai. care vecchie abitudini. E le sue ormai sono diventate parte di un nuovo piccolo rito quotidiano. Apre il giornale, lo sfoglia con calma. Parole su parole si rincorrono verso un nuovo giorno. Nuove, sempre nuove. Nessuna novità, infondo. Guarda la data sul giornale. Sorride appena. Sì, allora è successo. Chiude gli occhi, immaginando scene che non avrebbe mai voluto perdersi. Rancore e rabbia improvvisamente asciugano le sue labbra. Ma non gli importa. Ha fatto la cosa giusta, infondo. Ha permesso a tutti di ricominciare, a tutti quelli che contavano per lui, a tutti coloro che contano ancora. Cos’avrebbero visto nei suoi occhi, giorno dopo giorno, se fosse rimasto? Un uomo tormentato, distrutto dalla guerra, straziato dal dolore. Un uomo privato della luce del sole. Lo avrebbero compatito, mentre sprofondava comunque solo nel baratro della sua stessa tristezza. Almeno li ci era finito da solo. E da li, sul fondo di quel baratro senza via di fuga, può ancora sentire il dolce suono delle loro voci, delle promesse, il baluginare dei ricordi. li può vedere, anche se non li può sfiorare. E può sperare per loro in un futuro migliore di quello che la vita ha riservato a lui.

si alza, e si avvia a lavoro.

Auguri piccolina.

 

John ha le tempie che pulsano appena. Mal di stomaco. Deve smettere di mangiare quelle orribili pizze surgelate e di bere quelle squallide birre economiche. Un sole spettrale è accostato all’orizzonte, appoggiato nel bianco latteo della neve ancora a terra, nell’azzurro terso del cielo. Lo splendido azzurro che si riflette anche nei suoi occhi, mentre cammina per le strade un po’ affollate di gente della città. Gli studenti si avviano a scuola, ridendo. Gli urletti civettuoli delle ragazze, quelli rochi dei loro amici. Mani unite, baci fugaci, sorrisi. Parole. Preoccupate, arrabbiate, felici. Ma sempre parole. Per loro, giovani speranze del futuro del mondo. per loro, divertenti imprenditori del domani, divertiti protagonisti del presente, di storie tutte da vivere, destini ancora da scrivere. John vorrebbe essere ancora così. Sorride a una laureanda che lo guarda chiacchierando con un’amica. È bella: lunghi capelli color dell’ebano scivolano sul suo collo, un viso luminoso tagliato da un ampio sorriso, grandi occhi freddi e vivi segnati dal trucco ma da nessuna esperienza. La neve intrappolata sui suoi scarponi rende quei jeans griffati meno eleganti, ma la posa della sua mano sul fianco le restituisce un po’ di regalità. John prosegue senza guardarla oltre, ma avvertendo ancora il pizzichio dei suoi occhi sulla nuca. Occhi che vorrebbero uscire, labbra che vorrebbero baciare. Sorride al vuoto, orgoglioso di quel piccolo successo.

Gli piace la mattina. Così piena di speranze per la giornata, così frizzante nell’aria tersa, così colorata. Proprio come quei ragazzi e quelle ragazze, in fondo.

-ehi, scusa! Ehi!

si volta. La ragazza dai lunghi capelli di pece gli si avvicina. Quel colore scuro gli stringe un po’ il cuore. Aveva conosciuto una sola persona nella sua vita con i capelli così, e ricordarla ora gli fa girare un po’ la testa.

-chiami me?- chiede, sorridendo.

La ragazza si lecca le labbra, morbide e carnose, rosse sulla sua pelle lattea. –sì, esatto.

Jonh si mette una mano trai capelli, come fa sempre quando non sa cosa dire.

-mi chiamo Anne.

-piacere, sono John.

Anne sorride, e gli occhioni di ghiaccio risplendono nel bagliore flebile del sole lontano. –oggi ho la prima ora buca, mi chiedevo se ti andasse una colazione.

Colazione… quante colazioni vissute in tempi diversi, momenti diversi, diverse persone. Adesso, una giovane sconosciuta gliene propone una così, di punto in bianco. Jonh è indeciso, per un lungo minuto non sa se accettare. Poi annuisce.

-certo che mi va. Vieni.

Lei sorride radiosa, e John non ci può credere. Un simile sorriso, per lui. credeva di non esser più guardabile da nessuna. Cerca di rievocare il proprio viso, ma sono mesi che non si guarda allo specchio.

-da dove vieni?- chiede Anne, allegra, prendendogli un braccio e tirandolo in un piccolo bar.

-io? Da Londra.

-inghilterra… che bello.

-tu sei nata qui?

Anne annuisce. –sì. Tu invece sei qui da 10 anni. Mi ricordo quando sei arrivato. Noi ragazze ti abbiamo seguito un po’ per capire chi eri.

-e l’avete capito?

-no, per questo alla fine tu mi hai chiesto di uscire.

-ma io non ti ho chiesto di uscire.

-lo farai, dopo colazione.- si siede e accavalla le lunghe gambe magre.

Ordina un caffè, e John un thè. L’uomo sorride.

-allora, questa sera?

Anne sorride maliziosa, rigirando il latte nel suo caffè. –volentieri. Vieni da me?

John annuisce. –dove stai?

-West Road al 12.

-alle 20.00?
-perfetto.- il suo sorriso malizioso, si allarga e brilla appena, illuminandole i grandi occhi di ghiaccio.

 

Piccola mia,

quante lettere, inutili, stupide, ti ho scritto negli ultimi anni. Vorrei poterti ricordare ancora com’eri quando potevo vivere dei tuoi sguardi, giorno dopo giorno. Ma ho dimenticato tutto. ti vedo come una macchia di colore, di profumo, di calore, di vita, d’amore. Ma anche se mi ci concentrassi non potrei più disegnare il tuo viso.

Perdonami. E non solo per questo. Ogni giorno ti chiedo scusa nella mia mente, per averti mentito, per averti lasciata, per aver tentato di chiudere la porta che mi separava da te, per aver buttato quella chiave così come ogni sera butto le righe che ti scrivo. Eppure, parlarti oggi è proprio come allora: splendido, come il ricordo che ho di te. Mi perdonerai mai? domanda futile. Noi non ci rivedremo mai. non ti sfiorerò più, bacerò più, abbraccerò più. forse mi sento così perché questa mattina mi sono sentito vecchio, per la prima volta nella mia vita, ho sentito che non avevo più tempo. Il che può sembrare ridicolo, se a trent’anni hai fatto tutto quello che ho fatto io. È vero, è stupido, ridicolo. Ma non posso farci nulla. L’ho pensato. Ti ho intravvista, nella nebbia confusa di tutti i miei ricordi. ma non eri la ragazza che ho salutato. Non eri quel corpo pallido accucciato nell’erba, quei bei capelli soffici. Non eri quella splendida ninfa delle foreste del mio arido cuore. Eri come avrei voluto viverti. Elegante, con un vestito blu e bianco, i ricci tirati, in uno chignon un po’ rigido, il viso truccato di toni scuri, un bel sorriso. Ti ho vista mentre mettevi nel piatto di tua figlia la cena, passavi la mano sottile trai capelli del tuo perfetto maritino, che si voltava appena per baciare le tue labbra rosse. Ho sofferto per quello spiragio su quella che di certo oggi è la tua vita. Te la sei meritata, tesoro mio. Sì, te la sei meritata. Quando ho deciso di non tornare sui miei passi, ti ho augurato di diventare la bella donna di successo che ti meriti di diventare. Spero che tu ci sia riuscita. A superarmi, a superare tutto. piccola mia. Non sai quanto ti devo. Per quei pochi giorni in cui abbiamo potuto essere semplicemente innamorati… vivo in quel ricordo di noi adolescenti, felici, ubriachi d’amore. Piccola mia. Un solo istante, resta qui, uno solo ancora. Non te ne andare. Non mi lasciare anche oggi. Anche solo il tuo ricordo, proiezione nel tempo che scorre. Resta ancora un secondo prima di volare via.

 

La porta si apre, e Anne sorride radiosa alla vista di John, in piedi davanti a lei. Lo studia, per un lungo minuto, senza parlare. Non ci può credere. Dopo tanti anni, adesso lui è li. Quei limpidi occhi azzurri velati di tristezza e quel bel sorriso pieno di rancore. Quei morbidi capelli luminosi. Avanza appena e gli bacia una guancia, pericolosamente vicino al labbro. Lui le restituisce il bacio con dolcezza, pacato e morbido.

-ciao…- sussura lei, roca. Le trema appena la voce. Si sente di violare qualcosa, si sente illegale, stupida. Si sente una squallida amante, una piccola illusa, e non si spiega il perché. Lui è li, solo, da 10 lunghi anni. Mai una donna è riuscita a superare il primo imbarazzato silenzio che lo avvolge, quell’alone di misteriosa tristezza, di ricordi inenarrabili. Gli prende il braccio e lo tira al caldo, nel suo piccolo salotto accogliente, scaldato dal camino. Le pareti ambrate e i mobili pieni di libri e oggettini. L’appartamento di una ragazza che si sta per laureare, una giovane e intraprendente ventenne. Sorride ancora, e lo illumina. John sente il suo cuore battere in maniera nuova: colpevole, irritata, desiderosa. Si sfila il giubbotto e lei lo prende tra le braccia. –lo metto di la.- dice piano.

-certo. Come stai?

-bene, bene. tu? Buona giornata?

Lui annuisce. –normale.

-anche la mia. Troppo, fino ad adesso.

John sorride alla sua malizia. Lo intenerisce, e in qualche modo lo riempe di altro nuovo desiderio e di altro nuovo senso di colpa. Lei torna, saltellando appena. In mano ha un accendino. Si china su delle candele e le accende, la mini di stoffa che le scivola sulle gambe nude, la magliettina le fascia bene il seno sodo e morbido. John sorride ancora.

-speriamo.

Lei ride, -hai fame?

-sì, tanta.

-vieni, ho preparato una pasta.

Si siedono ai due lati di un tavolino tondo, dove lei ha già servito due abbondanti piatti di pasta fumante. Versa il vino, lo sorseggia, sorride.

-allora, cosa stai studiando?

Anne appoggia il calice. –lettere moderne. Voglio fare la giornalista.

-che bello.

-sì, molto.

-quando ti laurei?

-a maggio.- sorride. –poi sarò libera dalla scuola, finalmente.

John sorride. –e poi ti mancherà un sacco.

Anne ride. –da quanto l’hai lasciata?

-troppo… sono passati 11 anni.

-11?

-sono vecchio io.

-quanti anni hai?

-30.

-vecchio? Dai! Io ne ho 24.

-non lo volevo sapere.

Anne ride, si mette una mano trai capelli e mangia un boccone di pasta.

-fingi che non te l’abbia detto.

Anche John ride. Parlano. Discorsi casuali, così come arrivano. Parole senza senso, si esplorano, si conoscono, si sorridono. Parole, frasi sconnesse, eventi lontani, sogni futuri. Domane qualunque, per un tempo lungo, lunghissimo. E John si sente vuoto, libero, felice.

Poi lei pone l’unica domanda che non voleva sentirsi porre:

-cosa ti ha portato qui?

Lui mette giu la forchetta, mentre i suoi occhi si perdono lungo l’ondeggiare della fiamma tra di loro. Un peso gli sprofonda nello stomaco.

-una donna?

Non risponde. La fiamma ondeggia, balla sul viso di Anne, le colora di fuoco i grandi occhi azzurri.

-non vuoi dirmelo?

Un boccone di pasta. È finita. Da quanto lei sta aspettando una semplice risposta? Non si aspetta la verità.

-non importa, puoi non dirmelo.

Ma lui non riesce a parlare.

-vieni, andiamo di la a finire il vino.

Lui la segue in salotto, si siede accanto ad Anne sul divanetto, beve un po’, sente gli occhi di lei che lo scrutano appena, di sottecchi.

-davvero, John, non importa.

Sente che lei gli sfila il boccale dalla mano, lo appoggia per terra. Sente il corpo piccolo e morbido della ragazza premersi sul suo. Lui resta immobile, e lei gli si siede in grembo, si posa sulle sue labbra, invade la sua integra solitudine, accarezza i suoi lisci capelli.

E improvvisamente, John risponde al bacio, con rabbia, con ardore, si nutre di quel bacio, si ciba di quel corpo sul suo, e dai suoi occhi iniziano a sgorgare grandi lacrime che a lungo ha contenuto, sgorgano e bagnano le loro labbra unite, mentre Anne continua a giocare con la sua lingua, a far suonare i suoi denti, gli sbottona la camicia, asciuga le sue lacrime che continuano a cadere.

-come si chiamava, John?

Lui scuote il capo, con rabbia.

-chi ti ha ferito così?

-lui è morto…

-tuo padre?

-Harry…- il suo nome, bello, limpido, vivo, pieno di affetto. Brilla sulle sue labbra, trabocca come le sue lacrime.

-nessuna lei?

Anne lo bacia ancora, ma lei arriva, irrompe nella sua mente piena di amore, scivola sulla sua pelle, i suoi ricci, il suo sorriso, la sua voce, mentre quell’ultimo bacio di Anne ancora gli fa pulsare le labbra e squotere il cuore.

-Hermione…

 

…Non ti ho dimenticata, anche se crederai sia così. Non pensarlo mai, tesoro. Ho pensato a te tutti i giorni della mia vita. E oggi mi sembra quasi stupido non farlo. Credo di sapere perché mi viene in mente oggi. Ieri era il compleanno di Lily. L’hai ricordato? Forse siete li tutti insieme a festeggiarlo. Tu, Ron ed Hermione. Tutti li, intorno a lei. 11 anni. La sua lettera è arrivata? Tutti li, intorno al suo bel visino, a riempirla di regali, a non parlarle di me perché fa tanto, tanto male. Non è vero? lo so. Fate bene. neppure io parlo di voi. Sapervi insieme mi fa tanto felice. Sono felice, davvero, felice per voi. A volte mi costringo a fingere a me stesso di essere felice anche per me. ma non è così. Io mi odio, odio le mie scelte, odio la mia vita. Ma amo i miei ricordi, amo voi. Importanti pezzi del mio passato.

lo sai? Un’altra cosa che oggi mi pare impossibile è l’idea di restare ancora nascosto qui. Vorrei poterti vedere, un’ultima volta. O forse rivederti di nuovo, ricominciare da zero, a piacerci, a divertirci, ad amarci. Vorrei avere la certezza che mi stai aspettando, in fondo. Egoista come sempre, ecco come sono. Come sono sempre stato. Scusa, piccola. Adesso torna pure alla tua vita. Ti lascio andare. Va…

ancora tu? Cosa ci fai ancora li, trai miei pensieri? Cosa? Dovrei venire? No, ti lascio la tua vita, mi tengo la mia, lascia stare, davvero. Magari, un giorno…

 

notte Ginny. ti amo ancora, lo sai?

 

Tuo, Harry.

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Capitolo 9
*** scelte che non ho preso ***


Capitolo 9

Eccoci, siamo arrivati al capitolo in cui veniamo a sapere quello che sa hermione…. Grazie davvero per i commenti e perché continuate a seguirmi… un bacioneee!

 

Capitolo 9

Scelte che non ho preso

 

Tutto quello che è successo in questi anni mi rimbomba nelle tempie, suona sentro di me, come se un vecchio musicista avesse deciso di rispolverare vecchie note del passato proprio qui, nella mia mente. Ma, per la prima volta, ricordare non mi fa male. Stringo forte le gambe, mentre nell’acqua bollente le bollicine si arrampicano su per i miei seni, i ricci cadono lungo la mia schiena, giocando con l’acqua della vasca. Harry. È tanto che non penso davvero a te. Mi sono abituata in maniera quasi ossessiva all’idea che tu fossi morto. Mi ci sono attaccata disperatamente, per poter recitare nel copione che mi avevi affidato. Quell’ultimo desiderio: non essere sincera. Proteggerti, come avevo fatto per tutti gli anni della nostra amicizia. Va bene, certo, va bene. piangevo, ma ti dicevo sempre va bene. qualunque cosa accedesse. E sai perché? Perché sapevo che avevi bisogno di me. sentivo questo disperato bisogno di essere essenziale, e per te sentivo di esserlo: tu, Harry, solo, il bambino sopravvissuto, un eroe, un Prescelto, e tutti quegli assurdi nomi che ti hanno dato nel tempo. Ma infondo, solo un bambino solo. Spaurito. Che aveva bisogno di me. e io volevo proteggerti. Non volevo vederti uscire allo scoperto, affrontare il mondo. se avessi potuto scegliere mi sarei tenuta Voldemort. Quelli, quelli sono stati i veri anni della mia vita. I migliori. E quello stupido, inutile va bene… perché? Non lo so. E anche se sei tanto lontano, Harry, mi sento di tradire la tua memoria, di violare la nostra amicizia, di distruggere tutto. ma tutto cosa? Tutto cosa, Harry? In fondo tra noi non c’è più nulla. Una distanza che nulla potrà colmare. E quindi, improvvisamente riesco a vedere i tuoi occhi, il tuo viso, riesco a disegnare nella mia mente tutti i momenti vissuti insieme. e anche Ron ci raggiunge. Balliamo insieme nel corso dei lunghi anni che abbiamo vissuto insieme, istante dopo istante, noi tre, inseparabili. Ma sono solo momenti. Solo questo. Esattamente come quelli che ci sono serviti per cambiare, diventare quello che siamo o non siamo ora. Questa stupida, ridicola, parodia delle splendide persone che saremmo potute diventare. Solo momenti. Quello in cui mi hai lasciata. Solo momenti. Ron, il nostro primo bacio. un altro momento, la nostra prima volta. Momenti, solo questo. Scivolano tra le nostre dita, sprofondano nella memoria, si accocolano nel nostro cuore e aspettano che nuovi momenti li sostituiscono. Ma voi per me non siete solo questo. Voi, voi siete quello per cui non ho lasciato che nuovi momenti, nuove persone, prendessero il sopravvento. Per voi ho lottato. Per voi, ho continuato a vivere. E adesso? Mi stringo. Non ho più paura. ne sono triste. Qualcosa, prima o poi, mi riporterà la felicità. Qualcosa, un giorno o l’altro mi premierà per tutto questo. Cosa? Bhè, guardatemi se potete. Nulla di me è Hermione Granger. Ma adesso basta. Di la c’è mia figlia. Forse potete vedere anche lei, con gli occhi della fantasia. Seduta sul suo letto ad aspettare delle risposte. E Ginny, che per 10 lunghi anni ha atteso il ritorno di quello che per lei non è solo un eroe, un bambino sopravvissuto, un Prescelto, un campione tremaghi, un campione nel Quidditch… è solo Harry. Il suo Harry. L’uomo che purtroppo ama. L’uomo con cui purtroppo avrebbe voluto vivere. Sì, perché a questo punto non si può parlare che d’amore, che di vita. O forse di morte. Ma non importa. E io per lui, per lui e per nessun altro, ho permesso che per 10 anni tante persone soffrissero… no, basta. Non lo merito, Ginny non lo merita, Lily non lo merita.

E tu, Ron? Tu? Dove diavolo sei finito? Avrei voluto vedere il tuo corpo, avrei preferito vedere il tuo corpo, essere certa della tua fine. E invece no. grazie, grazie. Sei uscito di scena proprio come ne eri entrato: per caso. Lasciandomi proprio come mi avevi trovata: sola. Distruggendomi allora proprio come feci quel giorno, il giorno del nostro primo litigio: distrutta. Ma quella volta, in fondo, siamo finiti col battere un Troll di montagna in bagno, col diventare grandi amici, e anche molto di più. chissà che questa volta non ne saremmo potuti uscire sposati…

Esco dalla vasca, la specchiera di cristallo riflette i bagliori del mattino sul mio corpo nudo, bagnato, pieno di brividi, e non solo di freddo. Ma dentro, ho solo una grande, immensa calma. Non sono triste. Perché dovrei? Infondo non sono cattive notizie quelle che darò a mia figlia e all’innamorata sorella di Ron.

Quello che mi preoccupa, è come reagiranno. Come reagiranno scoprendo che io ho sempre mentito, mentito su tutto… mi lego i capelli e mi avvolgo nell’asciugamano. Non ho nemmeno tempo di vestirmi. Tutto quello che ho dentro ha bisogno solo di uscire, di travolgerle, come una mareggiata contenuta per troppo da una diga. Vuole travolgerle, vuole ferirle, vuole rimarginare il loro dolore, riempire i vuoti delle loro domande.

Tanto lo so che, alla fine, quella che riporterà più danni sarò io.

In un modo o nell’altro, la colpa è sempre mia…

 

Ginny alza gli occhi su Hermione, che siede sul bordo del divano, in bilico, un sorriso tirato sul viso bagnato, gli occhi splendenti e stanchi, vivi e coraggiosi. Lily è sprofondata nella poltrona. I capelli ramati le ricadono sulle spalle con eleganza. Sembra si sia fatta carina, come per accogliere meglio la verità che assumerà. Le due sono calme, ma Ginny no. sa che avrà la conferma su tutto… tutto quello che le aveva portato via lui, il suo Harry…

Ginny sospira, chiude gli occhi. La certezza fa paura. quante volte si preferirebbe rimandare il verdetto finale? Ma in quel momento, sentì come se non fosse lei li, come se la cosa non la rigurdasse. Guardava la scena da su, fuori dal suo corpo, lontano.

-Okay, siete pronte?

Annuiscono, in silenzio, la bocca asciutta.

 -siamo stati a Godric’s Hallow. Era una piccola cittadina, bagnata e troppo piena di tristezza. Ma alla tomba di Lily e James abbiamo trovato il primo Houcrux. Eravamo esaltatissimi, in effetti. Non ci sembrava vero di aver trovato subito cio che cercavamo, al primo tentativo. Nella lapide di Lily. Quella notte, io e Ron lo abbiamo fatto la prima volta. Eravamo in un piccolo Hotel, e Harry stava dormendo. Siamo usciti, abbiamo fatto due passi. Quando siamo tornati, è successo.- sorride, il suo viso ancora illuminato dal romanticismo di quel primo, tenero amore. Si sente trascinata li, in quella stanza d’albergo, tra le lenzuola morbide e le luci soffuse della notte, tra le braccia di lui, nei baci di lui, nelle sue carezze, nelle fusa della sua voce, in quel roco sussurro al quale si era aggrappata mentre gli permetteva di diventare parte di lei: “ti amo, Hermione”, solo questo, un biglietto di sola andata per il suo piccolo cuore innamorato, un mondo per lui, un covo segreto per il loro amore. Nessuna risposta, solo un bacio. e poi, “anche io”… e per quel mondo, erano salpati insieme. –nei mesi successivi non ci è andata altrettanto bene. abbiamo cercato tanto, ma non abbiamo trovato niente per 6 mesi. Harry era irritabile, stanco, triste. Noi preoccupati, ma non glielo dicevamo. Abbiamo girato tanto, tantissimo. Finalmente abbiamo trovato il posto in cui R.A.B aveva nascosto il vero Houcrux che Voldemort aveva nascosto nella scogliera. Da quella distruzione ne siamo usciti distrutti, davvero distrutti. Per riprenderci abbiamo dovuto passare un mese all’ospedale in Norvegia. Harry era gravemente ferito, e Ron doveva essere medicato ogni giorno. Io non stavo malissimo, e ogni giorno scendevo in biblioteca per cercare delle risposte. Le trovai, e partimmo alla volta di quella che speravamo fosse una buona pista. Fu un fiasco, in effetti. Non c’erano Houcrux ad aspettarci, ma Peter Minus. Harry l’ha ucciso. Quella notte, era disperato. Aver ucciso un uomo l’aveva turbato tantissimo, e ci pregò di riportarlo indietro, alla tana. Di non farlo continuare. Non posso nascondere il fatto che fui tentata. L’idea di rivedert, Ginny, di dormire in un letto conosciuto, di mangiare i piatti di tua madre… tutto mi sembrava una specie di sogno lontano. Ma gli dissi la verità: non potevamo lasciar stare. Minus doveva morire 4 anni fa, adesso si era preso la vendetta che meritava, dovevamo proseguire. Era passato un anno dalla nostra partenza, quando trovammo un nuovo Houcrux: la coppa di Tassorosso. L’aveva nascosta bene. ma non abbastanza!- si illuminano i suoi occhi, orgogliosi, vivi. –l’ultimo Houcrux venne fuori verso la fine del secondo anno del nostro viaggio. Ci sembrò incredibile. Dopo averlo battuto, ci siamo presi una vacanza. Era triste, ma la nostra ultima vacanza. Ogni giorno sembrava una specie di passo in più verso la fine. Fu in quella vacanza che ti concepii, Lily.- un attimo di silenzio. Immagini, istanti, parole. Profumi. Si rivede, nella sabbia, la loro bianca nudità, lo scrosciare del mare, la calma del suo essere innamorata in quella tempesta di doloro. E lo vede, Ron, ridere mentre lei gli dice “sono incinta”, lo vede, accarezzarle il grembo, baciarla e dirle che “è come sapere di avere assicurata tanta tanta felicità” .

–pochi giorni dopo, Voldemort mandò a Harry una lettera. Due righe, niente di più: “Harry Potter. Bravo. Hai trovato e ucciso 6 parti della mia anima. Non so se sarai in grado di fare lo stesso con l’ultimo. Ci troviamo a nord della scogliera di Werrimnurg alle 24.00 di domani. Voldemort.”  Era come sapere di aver firmato la propria condanna, e non poter fare altro che andare incontro alla morte. Non poter fare più niente, assolutamente nulla. E c’erano molte cose che avrei voluto fare. Molte cose che avrei voluto dire loro. Infinite. Avevo progetti, per me e per loro. Per noi. Avevo una figlia in grembo. Avevo un presente, un passato, ma non un futuro. O almeno non me lo aspettavo. Pensavo di morire. E in un certo senso accadde…- Hermione prende fiato. Lunghe boccate per non smettere di respirare. Per permettere al suo cuore di battere.

Ginny trema, in maniera incontrollabile. E Lily piange. Silenziosamente, senza un vero perché. Piange. Perché sa che tra poco saprà se suo padre è vivo o morto, se è colpa sua o di sua madre. Di chi è colpa? Di Voldemort. Quel nome. e poi sente che improvvisamente la sua presenza ha un senso. Un senso nel dolore di sua madre, nel terrore di sua zia, nella vita di suo padre. Quell’uomo che non ha mai visto ma che ora sente di conoscere.

Hermione sorride. Pronta a regalare loro un po’ di felicità e tanta tanta tristezza. Pronta a tirarsele dietro in quel mare di bugie che sta per rendere verità.

-quella notte, la passammo tutti e tre insieme. stesi sulla sabbia. Era estate. Faceva caldo, ma avevo freddo. Parlammo a lungo, di tutto. ricordammo, ci abbracciammo, ci baciammo. Eravamo innamorati della vita come non lo eravamo mai stati. Innamorati della nostra amicizia. E poi Ron si addormentò. E allora, Harry…- qui, la tranquillità di Hermione vacillò. Era pronta, pronta certo. Ma quanto coraggio ci voleva per dirlo…

-cosa, cosa Herm?

-lui mi chiese…mi chiese di promettere. Promettere di non dirlo mai a nessuno. promisi.- una piccola pausa. Promettere… e adesso… dopo 10 anni, sta per rompere quella promessa, ultima cosa che la lega ancora a lui. -E allora, mi diede una macchina fotografica e mi disse: “mi sdraierò a terra, mi strapperai la maglietta, mi calcerai in viso, mi farai sanguinare. E allora, quando sarò graffiato e sporco, mi fotograferai. E scriverai un articolo che spedirai al Profeta. Qualunque cosa accada. Dicendo che io sono morto, anche se sopravviverò. Gli chiesi perché. Mi prese una mano e mi disse che se anche sarebbe sopravvissuto, non sarebbe mai più stato uguale. Mi disse che non sarebbe più stato capace di vivere normalmente, condividendo tutto con noi. Non voleva che noi vedessimo quanto sarebbe stato triste anche se avesse battuto Voldemort. Voleva permetterci di ricominciare, qualunque cosa accadesse. E si era accorto che per farlo, lui non doveva esserci. Mi supplicò, pianse, mi scongiurò di non deluderlo, di aiutarlo, di fidarsi di lui un’ultima volta. Di aiutarlo, di proteggerlo come avevo sempre fatto. Mi disse che ero stata la madre che non aveva avuto. La sorella che non gli era stata concessa. La migliore amica che avrebbe potuto chiedere. E poi avrebbe smesso di essere un peso. E allora ho acconsentito.

-l’hai picchiato?

-no… l’ho incantato. Abbiamo inscenato una morte molto da C.S.I e poi l’ho fotografato. E dopo lui… l’ho pulito. E mi ha detto che era stanco, molto stanco. Gli ho detto: dormi. E l’ho abbracciato, e lui ha dormito come un bambino. Come sapevo che non aveva dormito negli ultimi anni. Ma io non ho chiuso occhio. Sapevo che quello che avrebbe seguito, era solo una grande fine, un grande dolore che non potevo sopportare. Ho pianto su di lui, mentre dormiva. Il giorno dopo ci siamo allenati, e io e Ron abbiamo fatto l’amore. Un’ultima tristissima volta, romantica, e passionale, ma triste, immensamente triste. E poi siamo andati ad aspettare Voldemort. Pronti, come non pensavamo che saremmo riusciti ad essere.

-e poi?

Hermione sospira. –e poi, a mezzanotte, lui è arrivato. Ci ha trascinati in una lotta terribile. Io ho combattuto contro tanti mangiamorte…ero stremata. Vedevo rosso per il sangue. Ron era distrutto. E Harry e Voldemort spariti. Allora Ron mi ha nascosto in una grotta: aveva paura per me. per la prima volta, non ebbe timore a dirmelo. Mi supplicò di stare li, per nostra figlia. E io stupidamente lo feci. Assecondai quel suo ultimo capriccio, così come la sera prima avevo assecondato il capriccio di Harry. Vedete? Le scelte stupide non le prendo io. Le prendono gli altri, ma io non sono mai stata abbastanza forte da dissuaderli. E svenii, credo. E quando mi svegliai…

-cosa?

-era mattina. Uscii, e vidi tutti i corpi a terra. Incluso… incluso quello di Voldemort.- per un attimo, non può continurare. Il volto cereo dell’uomo, del mostro, le si pasa davanti, gli occhi simili a fessure aperti sul mondo un ultima volta, le labbra livide contratte in una smorfia di dolore immenso nella morte trattenuta in vita. –li, abbandonato a terra come un comune mago morto, lui, il grande mago oscuro… cercai a lungo il corpo di Harry, ma non lo trovai. E allora seppi che… era vivo.- Ginny scoppia in una risata isterica, forte, lucida, piena di lacrime, amara ma allegra, come il primo vero respiro dopo anni di aprena. -Lo seppi e basta. Quel giorno pubblicai l’articolo, promettendomi di ricominciare come lui voleva. Con Ron. Andai al San Mungo, certa che ci avrei trovato Ron. Ma mi dissero che non era sopravvissuto nessuno. nessuno di quei corpi era vivo. C’era Ron? Mi dissero che c’era tanta gente. Uno rosso? Tanti corpi, tanti morti, sì, magari un rosso, magari no. piansi. Piansi. E alla fine smisi. Non importava.

-e…

-Harry voleva ricominciassi, l’avrei fatto. Anche se avrei preferito morire quella notte…

-ma Ron?- chiede Ginny. Lily non può parlare. –insomma, non hai fatto nulla per trovarlo?

-io… no. ho pensato che… bhè, ho pensato che tanto se era morto non importava. E se era vivo, un giorno sarebbe tornato. Se era scappato, lo capii. Tornai nell’unici posto che ero in grado di chiamare casa: la Tana. Per giorni ho dormito. Consapevole del fatto che non avrei voluto vedere ne lui ne Harry. Quando mi fui ripresa me ne andai. I tuoi genitori, Ginny, erano distrutti dal dolore. Tu te n’eri andata. Bill, Charlie e Fleur erano morti. Così come molti dell’ordine. E Percy non aveva nemmeno telefonato. Mi chiesero, mi supplicarono, di restare. Ma io dissi che avevo bisogno di ricominciare, da sola. Fred e George mi trovarono questo appartamento. E Remus e Tonks mi hanno aiutata, con o senza il mio volere.

-ma… ma non hai cercato nemmeno Harry?

Hermione scuote il capo. –no… mi piace pensare che siano insieme, in una bella casa. a vivere una bella vita serena, loro due, amici come nessuno è mai stato.

Ginny singhiozza. –non è morto…

-no, per niente. Mi dispiace di non avertelo detto, ma avevo promesso.

-devo trovarlo…

Hermione annuisce piano. –sì, devi.

-mamma…

Hermione sorride a Lily. –adesso sai chi è tuo padre. Sai tutto.

-lui è morto?- deve saperlo. Forse sua mamma si è arresa, ma non lei.
Hermione ci pensa un attimo. Guarda fuori. Il sole luccica sotto la coltre argentata delle nuvole. –se lui fosse morto, non credo che io sarei viva…

 

 

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Capitolo 10
*** di nuovo sui miei passi ***


capitolo 10

capitolo 10

di nuovo sui miei passi

 

Nel momento stesso in cui quel nome esce dalle labbra dell’uomo, John K. Wood smette di essere John K. Wood, l’assicuratore, l’amante disperato, il sorriso senza allegria, gli occhi pieni di ricordi, l’arido cuore solitario, e torna a essere Ronald B. Weasley, il giovane mago, il romantico innamorato, la risata travolgente, gli occhi vivi e accesi, l’immenso cuore coraggioso. Ogni lacrima si porta dietro un po’ di quella farsa lunga 10 anni, sotto gli occhi attenti di Anne, si scioglie la sua maschera di cera, sotto il suo cospetto vigile e innocente, i capelli rossi dell’uomo brillano alla luce delle candele, i suoi occhi azzurri si scuotono via le lacrime e il rancore. E Anne lo accarezza piano, la camicetta slacciata su un piccolo reggiseno di pizzo, e fissa il dorso nudo dell’uomo davanti a lei, l’uomo che ha sognato e che non avrà mai. ma nonostante questo sorride, restando seduta sul suo grembo, incantata dalla trasformazione che avviene sotto i suoi occhi.

-John?

-no, Ron. Ron. Ron!

-Ron…- Anne sorride. Sì, adesso non c’è più niente di John. nulla di quello strano eremita venuto da lontano. –allora, cosa ci fai qui?

-fingo.

Anne ride, allacciandosi la camicetta. Si lega i capelli. –dovresti tornare da lei. Da Hermione. Lo sai?

Ron appoggia il capo all’indietro, e i capelli gli si scostano dal viso. Anne gli asciuga le lacrime con le dita, sorridendo. –non c’è niente per te qui. Devi tornare indietro. Perché sei venuto?

Ron si mette le mani trai capelli. –perché avevo paura.

-di cosa?

-di molte cose. Sai… ho persino una figlia.

-una figlia?

-sì… ma non l’ho mai vista. Sono scappato…

-questo non è giusto.

-io la volevo. La volevo con tutto me stesso, quella vita che Hermione era in grado di darmi, lo sai? Volevo una figlia, volevo una casa, volevo una moglie, un lavoro.

-e allora cos’è successo?- Anne si sdraia sul suo petto, inspira la sua pelle, poi si alza, e gli passa la camicia. non c’è niente per Ron li. E non c’è niente nemmeno per lei.

-è morto il mio migliore amico. Il nostro migliore amico. E io non sono più stato capace di vivere. Lui era troppo importante.

Anne è confusa, ma sorride. –allora è per lui che devi tornare.

Ron l’abbraccia. Per la prima volta si sente vivo, forte. E la ringrazia. Annusa i suoi capelli, il suo corpo. Grazie. Lei lo stringe con coraggio. Con durezza. Ma anche con una grande dolcezza. Il suo corpo morbido e vivo su quello grande  di Ron. –devi andare.

-sì, devo.

-e non devi tornare mai più qui.

In quella frase c’è rancore, tristezza. E Ron la guarda per un secondo. Lei, Anne, finita li in quella storia per caso, per gioco. Per una stupida attrazione, fatale per John K. Wood, ma vitale per lui, per Ron, per il coraggioso, fifone, allegro mago che per troppo tempo aveva pisolato sotto la sua scorza.

-grazie Anne.

Lei sorride, agitando la lunga chioma di capelli corvini, lucenti e morbidi. –tutti meritano di essere felici.

-spero davvero che un giorno troverai anche tu qualcuno.

Anne ride, amara ma sincera. –lo spero anche io.

-ti chiamerò, quando sarò a Londra. Se ti andrà di venire, qualche volta…

il suo sorriso si fa radioso. –davvero?

-certo. Mi piacerebbe davvero.

-grazie…Ron.

Gli mette la giacca sulle spalle e lo spinge verso la porta. –sai, quando sei entrato ho sentito di violare qualcosa. Ho sentito che… bhè… ero come una squallida amante innamorata. Una ragazzina di una notte. e avevo ragione. Tu non cercavi quello che cercavo io.

-Anne…

lei scuote il capo. –ma infondo non ho trovato una cocente delusione. Lo sai? Nessun uomo è mai stato sincero con me. e per questo ti sono grata. Sarebbe stato terribile se fosse successo qualcosa, anche se l’avevo tanto desirato.- si lecca le labbra carnose e piene, che avevano accolto l’unico bacio che Ron avesse dato davvero negli ultimi anni. –adesso va’… ma chiamami, davvero però.

-certo.- le appoggia un bacio veloce sulla guancia liscia e si butta nella notte gelida. E Anne lo osserva sparire stringendosi nella camicetta. Prima o poi, un uomo avrebbe attraversato il mondo per tornare da lei?

 

Luna Lovegood si concentra per un lungo minuto sull’articolo che ha davati, poi alla fine gira il foglio e sbuffa. È notte. ha sonno. Qualunque articolo, può davvero aspettare. Si alza, la camicia da notte che le sfiora il corpo freddo. Prende da terra una coperta e se la butta sulle spalle. È tutto dannatamente inutile. A lei non gliene frega del suo lavoro. Per la prima volta nella sua vita, non le manca davvero qualcosa. I soldi… quelli ci sono. E la felicità? Forse c’è anche lei. Si siede sul letto e accarezza la fronte calda del ragazzo. Dell’uomo che l’ha portata a diventare una donna. Neville Paciock russa appena, roco, tranquillo. i capelli castani arruffati sul cuscino, un braccio che sbuca dal lenzuolo, con una strana angolatura sul cuscino. No, non è quel cicciotto fifone che tutti ricordano. È alto, con un corpo scolpito e adulto, e un sorriso avvincente. Ma non è quello che piace a Luna. A Luna piace il suo sapore di sincerità. Quel velo di mistero che solo lei riesce ad attraversare. E quell’eterno contatto con la magia, con Hogwarts, con i tempi in cui vivevano davvero. Appoggia sulle sue labbra un bacio, mentre fuori il quieto ronzio di Londra fa da sfondo al loro amore genuino e semplice. A quell’ancora di speranza. Luna si aggrappa a quell’amore per non sprofondare mai. loro due, naufraghi di una vita difficile, di tanti, troppi addii e di ancor più delusioni. Di sconfitte, solitudini. Ma adesso? Luna si alza, e la sua ombra sale lungo le pareti azzurre della stanza. Sì, adesso le è concesso di vivere… ma Luna sente che le manca qualcosa. Si tocca il ventre. Neville vorrebbe un figlio. Ma lei ha paura. tanta paura. perché avere un figlio è difficile, certo. Ma non è solo quello. È che lei non sarebbe capace di essere madre. Forse perché una madre non l’ha mai avuta. E poi perché per avere un figlio dovrebbe sposarsi (o almeno questo è quello che pensano tutti). E lei sa come vanno a finire queste cose. Con un’altra delusione. Un altro mare di tristezza. Succede a tutti, anche alle coppie migliori. Pensa a Ron ed Hermione. Nessuno avrebbe pensato che alla fine sarebbe finita così: lui nascosto in Islanda e lei in una vita banale e piena di rancore. Luna sorride. Si sente in colpa, perché non ha il coraggio di dirlo ad Hermione. Di dirle che lei sa. L’ha scoperto per caso, certo, ma lo sa. Un’estate, di ormai parecchi anni prima. Era andata alla Tana, e la signora Weasley le aveva dato il numero di Ron, dicendole di telefonargli, per chiedergli come andava. ma lui non rispondeva nemmeno a lei. Che ci si vuol fare? Ron è Ron, le aveva detto Molly. Un fifone, in tutto e per tutto. come lo sapeva Molly? Perché Ron le aveva chiesto di spedirgli le sue cose. Senza spiegarsi, senza una parola. Luna sospira. Le manca. Le manca la sua vita di studentessa.

Il telefono squilla. Strano. È tardi. Le due sono appena suonate sui tetti di Londra, sotto una quieta pioggia grigia e fredda che cerca di pulire via tutti i dolori della giornata.

-pronto?- roca e dolce.

-Luna…

a Luna si stringe il cuore. Quella voce. Quanto tempo…

-Ron…

silenzio. I loro cuori battono piano, unisoni, felici.

-alla fine ti sei deciso a chiamare.

-mi dispiace tanto.

-di cosa?- si siede sul davanzale. –mi sei mancato.

-anche tu… come sta Hermione?

-non lo so… è un po’ che non la vedo. Un mesetto.

-perché?

-lavoro, impegni, vite diverse. Troppi ricordi. troppo rancore, credo. Tu come stai?

-sono un idiota.

-sì, lo so. Lo sei sempre stato.

-no, guarda, questa volta lo dico davvero.

-Ron… perché non vieni qui da me? potresti rivedere Hermione… potresti tornare. Tutti noi saremmo felici.

-hai visto Ginny?

-no. non l’ho più vista, ne sentita. È scappata. Proprio come te. Avete lasciato Hermione sola, come se fosse colpa sua.

-non è per questo, Lu. No.

-e allora perché? Harry non l’avrebbe voluto, e tu… tu lo sai.

Silenzio. Luna lo sente respirare pesantemente dall’altra parte.

-io prenderò un aereo domani mattina.

Il cuore di Luna si mette a battere forte, palpita, eccitato.

-davvero?

-sì…

-dove atterri?

-a Londra.

-a che ora?

-alle 10.

-ti vengo a prendere?

-sarebbe carino, grazie Lu.

Silenzio. Luna piange piano, felice. È qualcosa che non sente da tanto tempo. Felice. Perché sente che ci sono grandi, immense e profonde ferite nella voce dell’amico, nel suo cuore, così come in lei, Neville, Hermione. Ma che essere insieme sistemerà le cose. –vuoi vedere anche Neville?

-lo vedi ancora?

-sì, noi…

-state insieme? che carini.

-sì…

-e gli altri? Seamus? Dean?

Luna chiude gli occhi, lasciando che le lacrime si agganciassero alle ciglia e brillassero alla luce soffusa del traffico sotto di lei. –quando siete partiti erano all’Ordine con noi. Ma quando Voldemort è morto… le cose sono cambiate. Ognuno si è attaccato alla speranza che le cose cambiassero, ma non succedeva. Noi sopravvissuti eravamo distrutti. Hermione ci cacciava dalla sua vita, ogni volta che provavamo a entrarci. E Ginny era scappata. Tu e Harry morti… tutto era così strano, Ron…

-cosa fanno ora?

-lavorano al Ministero, come molti di noi.

-tu?

-io al Cavillo.

Ron ride. –davvero?

-sì, certo.

-e Nev?

-al ministero. Sono tutti capi di grandi dipartimenti… ma non siamo felici.

Ron si sente fallito. Era fuggito per permettere loro di ricominciare, e invece li aveva lasciati soli e senza una guida. Aggrappati a una vita che lui stesso aveva strappato loro.

-Ron, ti prego… giurami che quando domani arriverò, tu ci sarai davvero. Giura che stai tornando da noi.

-sì, sì Lu… te lo giuro. Sarà strano ritornare di nuovo sui miei passi, ma lo farò. Ho deciso così.

Luna sorride. –wow… sei cresciuto.

-sì, credo.

Silenzio. Ron vuole chiedere, ma ha paura. si appoggia alle valige già fatte, guarda la desolazione della casa vuota che aveva ospitato la sua solitudine, pronta ora a cacciarlo, a spedirlo nel mondo, di nuovo sulla sua strada. Incredibile come poche valige siano tutto quello che ha. Sorride, felice.

-vuoi sapere di tua figlia, vero?

-sì…

-ha compiuto l’altro giorno…

-11 anni. Lo so. Com’è?

-splendida.

Sorride. –felice?

-lo sarà ancora di più domani.

-Luna?

-dimmi.

-Hermione, lei…

-cosa?

Silenzio. Luna sa cosa Ron vuole sapere ma non ha una risposta per lui.

-mi ama ancora?

Il silenzio adesso vuene da Luna. Non lo sa. Non sa molte cose, anche se vorrebbe saperle. Non sa più nulla, ma può immaginare di sì. Sente che quella è la verità, ma ha paura di dirgliela.

-non lo so Ron. Devi venire e scoprirlo. Ma non scappare, Ron.

-no, non lo farò.

-ci vediamo alle 10 allora…

Ron sorride. –grazie Lu.

Mettono giu. Luna sprofonda nel letto accanto a Neville e lo bacia. Il giovane uomo apre gli occhi e la guarda.

-cosa è successo?

Lei sorride, accucciandosi nel suo ventre caldo. –domani non andrai a lavoro.

-no?

-no. andiamo a prendere Ron all’aereoporto.

-Ron?- Neville sorride, incredulo.

-domani ti racconto tutto, adesso….

-cosa?

-adesso vorrei avere un bambino.

Lo bacia ancora, permettendogli di creare in lei una nuova piccola vita in quella notte in cui tante cose rinascevano. La più importante di tutti. La Felicità. Lo abbraccia, sfilandosi la camicia da notte. la pioggia brilla sui vetri, lacrime del cielo lontano. Lacrime, come quelle che scendono sulle guance di Luna, mentre Neville la ama ridendo. È tutto perfetto, pensa il ragazzo. È tutto perfetto pensa Luna. E in quel bacio, finalmente, ritrovano entrambi il sapore lontano del loro amore, quando avevano il coraggio di vivere, non di quella disperata ancora di salvezza che era stato ultimamente. e da quella notte, decisero, avrebbero ripreso a vivere e ad amare, proprio come allora.

 

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Capitolo 11
*** sfiorare le tue dita ***


Capitolo 11

Per prima cosa….ciao!! che bello rivedervi!! Siamo stati un po’ lontani e io sono andata avanti di ben 3 capitoli…. Buona letturaa!!!

 

Capitolo 11

Sfiorare le tue dita

 

Ginevra ride. Isterica, felice, ironica, arrabbiata. Ride.

Ginevra piange. Isterica, felice, ironica, arrabbiata. Piange.

Ginevra corre. Perché ogni molecola del suo corpo non può contenere quella tempesta di sensasioni che ha dentro. Corre.

Non ha una meta. Non sa dove andare. La pioggia le cade sulle guance, le scivola trai capelli, le accarezza la pelle e solletica il corpo. La bagna, ma lei corre. Non si può fermare.

Harry. Harry. Harry. Harry. Vivo. Vivo. Vivo. Vivo!

Corre, perché nemmeno la città, l’aria, l’universo possono contenerla. Sta per scoppiare. La gente la guarda, sorride, si domanda chi sia. Si chiede la sua storia, vuole sapere. Ma non può. E forse qualcuno lo sa. Qualcuno vede in lei la piccola Weasley, ora. La ragazza splendente degli anni di Voldemort. E Ginevra ride. Perché Ginevra sa dove Harry si trova. E si chiede con disperazione perché non l’ha capito prima. E allora piange. Perché ha buttato via 10 anni della sua vita. Della loro vita. Del loro amore.

 

Ginny, tesoro…

 come stai oggi? Io ieri ho avuto una giornata nella norma. Cioè, nella norma babbana certo, ma pur sempre nella norma, no? sono seduto alla scrivania del mio studio e mi manchi. Tra pochi giorni ho delle ferie. Non so perché me le abbiano date in ufficio. È come se mi volessero premiare per qualcosa anche se rendono tutto ancora peggio, e non lo sanno. Odio le ferie. Mi fanno pensare a te. Come ogni cosa, d’altra parte. Le nostre vacanze. Nostre. Sì, te le ricordi? è in una di queste che mi sono innamorato di te. Era quasi il mio sesto anno. E tu eri… elettrizzante. Sì, esatto. Scintillavi. I tuoi sorrisi erano qualcosa per cui io potevo letteralmente morire. Vorrei essere questo. Un sorriso. Un tuo sorriso. E vorrei esserti accanto, oggi, nel difficile compito che ti ho affidato innamorandomi di te.

Mi ricordo quello che mi dissi quando ti lasciai. “non ho mai rinunciato davvero a te”. Nemmeno io. Sai, mi ricordo la prima volta che ti ho vista. Eri davvero tenera, tesoro. Come poi sei stata sempre, tutti i giorni della nostra vita. Basta…ti prego…frena questa valanga di ricordi. no. non ce la fanno. Tornano sempre, ogni giorno. L’ultima volta che ti ho vista. Hai ancora la mia giacca? Il sapore dello champagne, dell’erba, della rugiada, dei tuoi capelli, della tua risata, del mio amore per te. I tuoi baci… mi fa tanto male pensarci, ma è anche l’unica cosa che mi fa continuare a vivere.

ci avresti mai scommesso?

 

Ginevra non ci vede più. lacrime, pioggia, risate. Tutto si mescola insieme in un unico grande immenso pasticcio di trucco nei suoi occhi azzurri. Cade a terra. E la pioggia entra nelle sue labbra, e l’asfalto l’accoglie, il brusio lontano del traffico l’accoglie.

-Weasley?

Alza gli occhi, ma non vede che una figura chinata su di lei. Si sposta dagli occhi le ciocche bagnate di capelli, e il trucco, e tutte quelle lacrime di gioia.

-sì…?

Una mano l’afferra con forza, la tira su.

-che diavolo ci fai per terra?

Una risata ironica e Gin si scosta da lui, irritata. Non adesso. Non ora.

Non Draco Malfoy.

 

Ginny, Ginny… il tuo nome è qualcosa di bellissimo per le mie orecchie. Quando sono stanco mi cullo in questo suono splendido. Ginny, Ginny… una specie di melodia per farmi star bene. Ginny, Ginny… i sogni, i progetti, la vita…

Vorrei una risposta alle mie lettere. E so che un modo ci sarebbe, anche se mi fa tanta paura. inviartele. Farti vedere quello che sono diventato attraverso queste parole smielate e stupide. Mostrarmi a te, la principessa del mio regno incantato. Un’utopia, che di reale non ha più altro che il nome. ho ridisegnato tutto di te. Mi restano solo dei particolari. È squallido, lo so. Cullarsi nel suono del tuo nome aspettando che tu apra quella porta, che tu riappaia nella mia vita rendendo reale questo triste sognare.

Io, Harry Potter, sono diventato patetico. E questo mi fa ridere, davvero.

Sai, non sono più salito su una scopa. Credo che non ne sarei più capace. E sono anni che non faccio una magia. È tutto così… babbano nella mia vita…

 

-Malfoy?
Ride ancora, la prende per un braccio e la tira sotto il riparo di un portone.

-non credevo fossi davvero te… poi mi sono detto: “quante altre rosse pazze ci saranno in giro per Londra?”

-sempre gentile…- si asciuga gli occhi, e finalmente riesce a guardarlo.

È… diverso. Sì, esatto, diverso. Non è Draco Malfoy. O perlomeno non quello che lei ricorda.

Le sue guance non hanno un colorito cereo, le sue labbra non hanno quel tono livido e freddo, i suoi occhi grigi non brillano di quella strana arroganza, e i capelli bagnati non sono laccati.

-allora Weasley, come stai?

-io? Tutto bene.- trema. Fa freddo adesso, ora che l’emozione si è smorzata. Guarda oltre la grandine. Quanto può distare la sua meta? Km e km… sorride appena, e Draco annuisce, senza aggiungere niente. Anche lei è cambiata. Non avrebbe mai pensato (un tempo, quando aveva in qualche modo fatto parte della sua vita) che se l’avesse trovata a terra, bagnata e piangente, l’avrebbe aiutata ad alzarsi.

–tu Malfoy? Sempre perfido e ricco?

Draco ride. –il lupo perde il pelo ma non il vizio…

-sempre un mago oscuro o cose così?

Ride ancora. –ma che! Ma dove sei stata negli ultimi anni? Ho comprato il Profeta, e gli affari vanno alla grande. Quindi sì, sono ricco. E perfido, perché i capi devono esserlo.

Ginny ride appena, piacevolmente sorpresa. Per la prima volta, la voce di Draco è sincera, tranquilla. Lo guarda. Incredibile. È imbarazzato.

-ti stai chiedendo dove stavo andando, eh Malfoy?

-sì, in effetti, un po’.

Lei ride, appoggiandosi al muro. –avevo la pazza intenzione di arrivare in aereoporto, salire su un aereo e attraversare l’Europa, quando mi hai salvata.

-fantastico progetto

-già… soprattutto perché, a, non so dove sia l’aereoporto, b, non so dove sono io, c, non ho un soldo per arrivarci.

Draco ride. –nessuna delle tre mi stupisce. Come stanno Granger e tuo fratello?

Ginny sospira. –Hermione bene. ha una figlia adesso. E lavora al Ghirigoro.

-non ne avevo dubbi!
-Ron, bhè… lui è morto, o almeno così pare.

-che vuoi dire?

-Hermione crede non sia così, per fartela breve.

Draco sorride. –senti, ti va uno strappo all’aereoporto? L’autista mi aspetta dietro l’angolo.

Ginny si sente rispondere un “sì grazie” e subito dopo, il cuore prende a martellarle in petto istericamente. Sì grazie? Lei nella macchina di Draco Malfoy? L’essere che ha distrutto la sua vita? Sì, Ginny Weasley incolpa molto Draco di come la vita le è caduta sotto i piedi. Lui, lui era incaricato di ammazzare Silente. Lui, aveva aperto gli occhi a Harry su quanto grave fosse la situazione. Lui, Draco Malfoy, perfido e irritante, lui, meschino, lui…

Ma la macchina di Draco Malfoy non è solo una macchina. È una lunga limousine bianca, e quando la portiera le si apre davati, i sedili in velluto rosso, le maniglie interne laccate, lo champagne nei bicchieri… tanto lusso quanto lei non ne ha mai visto.

Entra come in trance, bagnando il velluto sotto di lei che assume un tono rosso sangue. 

-Carl, portaci all’aereoporto.

L’uomo non ribatte, e riprende la corsa senza una parola.

-allora, sei sempre un mangiamorte?

Draco ride. –ma va… Quello è passato di moda.

Ginny scatta d’ira. –passato di moda?

-era solo un modo di dire, non te la prendere….

-senti, certe cose non sono un fatto di moda! Tu e quelli stronzi avete distrutto la mia vita e quella delle persone che amo! La moda…puàh!

Draco resta ammutolito, si fa piccolo piccolo nel sedile, smontato della sua arroganza e della sua forza, smontato della sua sicurezza, sotto il duro cospetto di Ginevra, alta e rigida sulla sedia, sporca di trucco, bagnata. Per la prima volta in lei vede tanta bellezza. Il suo viso, i suoi occhi, le sue labbra. E per la prima volta la differenza tra loro non gli sembra un suo vantaggio, ma un vantaggio di Ginevra.

-è colpa tua.- quella piccola frase lo colpisce in pieno petto. –eri infelice, lo so. Lo sei sempre stato. E non eri cattivo forse, solo arrogante. Ma hai distrutto tutto quello che avevo, e adesso non mi puoi dire che è passato di moda.- la sua voce trema appena, ma è tanto forte e sicura che lo fa vacillare. Si aggrappa alla maniglia delle porta, sorseggia il suo champagne. Non parla.

 

C’è un altro uomo al tuo fianco adesso, Ginevra? Sei li, seduta accanto a lui, e lo ami? O forse lo odi, odi lui, il suo ricordo, odi tutto di lui perché ti tiene lontana da me? mi piacere pensarlo, mi piace sperarlo.

 

-Weasley, mi dispiace… ero un idiota, so che non è una giustificazione, ma prendila, ti prego …

-non serve. Quello che hai fatto è inrimediabile. Ti odio.

Draco annuisce. Già. Lo odia. Come tutti al mondo. perché lui è questo. un uomo da odiare.

 

Mi piace pensare che gli parlerai di me, di come ancora culli il mio ricordo, di come ancora ti attacchi alla speranza di un mio ritorno… e poi supplico che non sia così. Perché io non tornerò. E mai nulla, nulla, ti porterà a essere tanto infelice quanto la mia magra speranza del continuo del tuo amore. (e sono sgrammaticato e patetico, ma nessuno leggerà mai queste righe… quindi non importa…)

 

-non ci credo… dopo tutto questo tempo… ami ancora il ricordo di Harry Potter?

-non è un ricordo, Malfoy. Non è una moda. Non per me.

-cos’è allora?

Ginny sorride, la durezza sul suo viso di scioglie, tra le pieghe sulle sue guance sbuca una dolcezza piena di quella parola: -amore.

-amore? Che schifo.

-forse per te.

-ma guarda come ti ha ridotta.

-come?

-infelice.

Ginny scuote il capo, facendo danzare i lunghi boccoli bagnati. –non sono infelice. Sono sola. Ma presto non lo sarò più.

-no?

lei ride. –no…sto andando da lui.

Draco trema appena. La ragazza vuole uccidersi…? -perché?

-perché mi manca… mi mancano i suoi occhi immensi, tristi, buoni, coraggiosi… le sue mani, grandi e calde… il suo sorriso, dolce e amaro… il modo in cui mi diceva che ero l’unica per lui, l’unica che valesse…

 

…E poi di speranza ce n’è un’altra, anche se ho quasi paura di averla. Me la tengo per le notti insonni, quindi non so perché mi viene ora. È solo mattina. Ma non importa. Spero sempre che Hermione scoppi. La mia piccola Hermione, coraggiosa, tenera, forte… sì, lei. Che esploda e vi dica la verità: sono vivo. Vivo! Io, sì, io… e che tu prenda quel dannato aereo che ti può portare fino a me. perché tu sai dove sono. Lo sai, non è vero? nel fondo del tuo immenso cuore, dove c’è sempre stato posto per un solo uomo: io. (presuntuoso, illuso, stupido… sempre così immensamente patetico.)

vorrei abbracciarti quando mi sveglio, addormentarmi accanto a te.

Vorrei che fossi la prima e l’ultima cosa che vedo ogni giorno. Vorrei che mi chiamassi ogni ora, che corressi da me ogni volta che ti succede qualcosa… vorrei poter correre da te ogni volta che qualcosa succede a me. ma cosa ci può succedere? Insieme, senza Voldemort, noi…

Prendi quell’aereo…

 

-prenderò quell’aereo e per lui sarò di nuovo l’unica al mondo.

 

e per me sarai di nuovo l’unica al mondo.

 

-accarezzerà i miei capelli, sfiorerà le mie dita, bacerà le mie labbra…

 

accarezzerò i tuoi capelli, sfiorerò le tue dita, bacerò le tue labbra…

 

-saremo liberi.

 

Saremo liberi.

 

-ma Harry è morto…- sussurra Draco.

Ginny sorride alla sua innocenza. Non importa. Non vuole che Malfoy sappia. Nel loro futuro non ci sarebbe stato alcun Malfoy, alcun Voldemort, nulla.

 

Non ci sarà alcun Voldemort, alcun Malfoy… nulla.

 

L’aereoporto si apre davanti a loro. La limousine si ferma piano.

 

Ci saremo solo noi.

 

Parcheggia. Ginny trema. Per il freddo, per l’emozione. Le 10,00. sorride.

Draco la segue fuori dalla limousine. Lei lo guarda, con i suoi occhi duri e forti.

-grazie per il passaggio.

-grazie della compagnia….e scusa.

 

Quante scuse meriti tesoro mio… quante immense scuse per tutto il male che hai subito, tutto il male che ti hanno fatto. Piccola mia. Ginny, amore. Le meriti tutte. Ci vuole coraggio per farle. Per guardare in quei tuoi grandi occhi buoni e coraggiosi, straziati dal dolore, in quel tuo sorriso innocente e saggio, e dirti solo “scusa”… vorrei poter tornare da te solo per essere certo di avere quel coraggio. Per sentire se qualcuno l’ha avuto.

Scusa…

 

Quella parola resta sospesa nell’aria, vibra nelle orecchie di Ginny, tremante e ammutolita. E Draco sorride incerto.

-volevo solo dirti che mi spiace…meritavi di essere… felice.

Ginny annuisce, lo guarda, corrugando la fronte. –in questo momento lo sono.

-bastano le mie scuse?

-dopo che le hai tanto aspettate, delle scuse…sì. Dopo che hai passato 10 anni a chiederti se a qualcuno spiace per te…sì.

-a me dispiace.

-sei cresciuto allora, Malfoy.

-sì, certo. Anche tu. Hai bisogno di…qualcosa?

Lei scuote il capo. –le scuse mi bastano. Grazie.

 

E tu di certo ringrazierai, tu, sempre gentile in ogni momento…

e poi sparirai, come sempre, dalla mia mente, perché io non ho avuto il coraggio di tornare. Sei solo un’illusione. Mi scuso con te, e aspetto che il tuo viso sparisca dalla mia mente, come sempre…

 

-ma dove vai…?

-dove vado? Non posso dirtelo. Esserti scusato non fa di te un mio amico.

-non voglio essere tuo amico.

-ecco, ora ti riconosco. Un po’ mi mancava il tuo essere stronzo. Torna alla tua moda del momento.

Draco arriccia le labbra, arrogante com’è sempre stato, ma con quel nuovo velo di dolcezza che le rughe e gli anni hanno conferito al suo viso.

-ci si vede in giro Weasley.

-sì, magari.

Ginevra si volta, ondeggiando il piccolo sedere si allontana nella folla, e Draco rientra in limousine, il cuore più leggero nel suo battere inferocito, mentre resta attaccato per un attimo al profumo di fiori che lei si è lasciata dietro. E poi annuisce. Certo, anche Ginevra Weasley doveva crescere. E è cresciuta bene. ma un’altra cosa è certa. Sta andando da Harry Potter, e solo Harry Potter merita di averla accanto… dopo tanto soffrire, entrambi lo meritano.

Poi ride appena, ma che pensieri sono questi?

-Carl, portami in redazione. Ho bisogno di mandare a fan culo qualche scansafatiche.

 

Ora ti lascio, mia piccola Ginevra. Torno a questo stupido lavoro, alla mia cravatta e a questi clienti leccati.

 Ti amo sempre, piccola.

Un bacio forte, tuo Harry.

 

Gin saltella un po’, entrando nella confusione dell’aereoporto. L’odore di tanti respiri, il brusio di tante parole. Speranze, lavoro, amori persi e ritrovati. Aereoporto. Ali su cui volare lontano, su cui poi tornare indietro. Si avvicina a un bancone, per chiedere informazioni. Cosa pensi di trovare? Ginny non lo sa. Ma deve tentare. Ci volesse un giro del mondo, deve tentare di tornare da lui.

-desidera signorina?
-dove posso trovare un biglietto per…- dove?  Sospira, e dillo. È facile. Non ci vuole niente a pronunciare quella parola… poi si volta verso la folla. E li, in piedi, c’è una giovane donna dai lunghissimi capelli biondo cenere. Le scivolano su una gonna da gitana, una maglietta azzurro polvere, mano nella mano a un uomo alto, le spalle larghe, i capelli castani sparsi sul capo, un ampio sorriso tra le guance.

Non ci può credere… loro… il cuore fa un salto.

Smette di battere e riprende, più rapido.

-Luna…Neville…

 

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Capitolo 12
*** soffici abbracci ***


Capitolo 12

Capitolo 12

Soffici abbracci

 

Luna si sente osservata, mentre con gli occhioni spalancati fruga nella folla alla ricerca della chioma rossa di Ron. Neville le stringe una mano, emozionato e spaventato alla vista di tanta babbana immensità. Ma entrambi sorridono, felici. La folla li inghiotte, li trasporta un po’. E Luna continua a sentirsi osservata. Si volta di scatto, e la vede. Ginevra. I capelli rossi, il viso magro, gli occhi lucenti. Ginevra. Abbandona la mano di Neville e si butta su di lei, con l’euforica irruenza che l’ha sempre caratterizzata. Ride, mentre Ginny la stringe, mentre le due giovani donne si abbracciano forte, nel pullolare di persone, loro due, che il tempo ha così a lungo diviso.

-Luna!
-Gin…- la stringe pià forte che può, avvolge il suo piccolo corpo tra le braccia e cerca di essere sicura che lei non voli via, non un’altra volta.

-che bello rivederti, Luna…

si abbracciano. Perché dopo tanta lontananza, quella sembra essere la sola soluzione. E Ginny insipira a fondo quella sensazione di vuoto allo stomaco, di quando sei felice e sembra che tutte le tue pene abbiano lasciato il loro posto, pronte e far riempire quell’immenso vuoto da qualcosa di nuovo…

-come stai Gin?

Ginny si scosta da lei, spogliandosi il viso dalle ciocche rosse e ridendo, pudica.

-ora davvero bene…tu?

-benissimo, adesso!

Si sposta, e rivela la presenza sorridente di Neville, il suo viso tondo e allegro, sincero, i suoi occhi innocenti macchiati di tristezza.

-Nev…

-ciao Gin.

Apre le braccia e lei si tuffa nel suo petto.

-come stai allora, Ginny?
- come sto, come sto… ma raccontatemi di voi!! Io non ho fatto niente per 10 anni, voi invece?

-noi ci siamo dati da fare, invece.- afferma ridendo Luna.

-davvero?

Si separa dal corpo dell’amico e li segue nella folla, dimentica di quello che doveva fare o di chiedere loro quello che fanno li.

-sì, esatto. Stiamo cercando di avere un bambino.

-un bambino! Ma è splendido! Auguri!

Luna sorride, abbassando lo sguardo sul pavimento. L’allegria di Ginny la spiazza. La lascia senza parole. Avrebbe preferito le lacrime. Avrebbe potuto dirle la verità. Come reagirà la piccola Weasley quando vedrà il fratello che credeva morto? Come? Tutto questo è un grande errore, pensa Luna. Non è giusto che la vita ci metta sempre con le spalle al muro. Ci ritroviamo così, a mentire alle persone che in passato abbiamo ritenuto le più importanti. E ridiamo con loro di cose futili per rimandare un semplice verdetto: Gin, tuo fratello è vivo. E per lunghi anni io non te l’ho detto. Ti ho lasciata sola, a soffrire, sola, a piangere. Quando avrei potuto, quando avrei dovuto essere sincera con te, come tu sei stata sempre nei miei confronti.

Improvvisamente, Gin sente di essere meschina. Quanto sarebbero felici di sapere? Di sapere che Harry, il loro Harry, non è morto? Ma non vuole mentire, non può mentire. Solo non ne vuole parlare. È troppo difficile, troppo pericoloso. Se loro sapessero, tutti potrebbero sapere…e poi non sarebbe più il suo segreto. Non sarebbe più la sua piccola dolce verità. E se non fosse vero niente? Se Harry fosse morto, anche se Hermione non lo sa? Tutto è possibile. E avrebbe illuso anche loro.

Neville sta in mezzo. In mezzo ai loro piccoli segreti, alle loro grandi verità. Alla loro adulta consapevolezza, a cio che avevano iniziato quando erano ragazzi: combattere. E ora combattono ancora. Anche se tutti pensano che Voldemort sia morto. Morto, che inutile parola. È morto il suo corpo, ma cio che ha fatto è ancora li, nei loro sorrisi tristi e stanchi, nel rancore, nel dubbio, nella solitudine che si specchiano sul loro volto. Morto, certo, ma non dimenticato. Non da noi. Non da me.

 

Ron si mette in spalla lo zaino e carica su un piccolo carrello le valige. Apre il palmo della mano. Nell’ultima lunghissima ora, ha stretto quella chiave con forza. Quella del suo appartamento in Islanda. Ma adesso non più. quello è un capitolo chiuso della sua vita. Li per lui c’è molto di più. o almeno così spera… si avvicina a un cestino. E insieme alla cicca ormai priva di sapore, butta la chiave. Basta, adesso deve scrollarsi di dosso quella farsa. Tira fuori il portafoglio, e strappa gli assegni di John, la patente di John, tutto che in quel portafoglio gli ricorda John. E poi sorride. Rieccomi. Sono di nuovo Ron. Sorride. Però ho i soldi. Ride. Chiude gli occhi. Hermione… sto tornando da te. Non gli sembra vero. si mette una mano in tasca. Sente il fogliettino con il numero di Anne. Quello però non lo butta. In fondo è solo grazie a lei che adesso è li, no? Anne. Grazie. Si attacca al carrello con forza. Le gambe gli tremano, la pancia gli fa male come prima della più difficile delle interrogazioni. Come prima del più difficile compito. Della più grande scelta. Quella di tornare… lo fa tremare, avvampa, terrorizzato. ma sa che è la cosa giusta. E forse è questo a fargli tanta paura. si siede su una sedia. Aspetta. Perché una volta passata quella porta a vetri, non potrà mai più tornare indietro. Si sarà gettato a  capofitto in quella vita che per scelta o per destino aveva rifiutato. Sospira. Guarda la porta. Si apre, si chiude. E appoggiata alla sbarra che separa chi arriva da chi va, quella sbarra di metallo che intralcia il momento di essere di nuovo insieme, c’è Luna. I capelli le cadono sul viso sereno e adulto, sui grandi occhi a palla che brillano nelle luci al neon dell’aereoporto. Il suo sorriso, vivo e lucente come in tutti i suoi ricordi. l’espressione è cambiata. Non più aliena, come se lei fosse li solo per errore. No. adesso Luna c’è, proprio perché lo vuole. C’è dolcezza, tristezza, felicità nel suo viso. C’è vita, come sempre. ma soprattutto, consapevolezza. Di se, della sua esistenza, di quella di Neville che le sta accanto, di tutto il male che hanno patito e che ora lui li obbligherà a patire di nuovo. E mentre la porta si richiude, lei lo guarda, sorride. Non ha fretta. Lo incoraggia a essere calmo, a venire piano, quando se la sentirà. E Ron improvvisamente si sente forte, una vampata di energia lo travolge da dentro. Si alza, si attacca al carrello, inciampa sul proprio peso, ma continua, pieno di forza, pieno di coraggio, pieno di una fragorosa risata pronta a uscire dalla sua gola, e il rumore intorno a lui, forte e deciso, e la confusione, e le voci, tutto lo riempe di allegria. La porta si apre al suo passaggio, e lui sorride.

-RON!- Luna torna a essere la bambina che lui ha lasciato, supera la sbarra e gli va in contro, gli salta al collo, lo stringe con forza, ride e piange sulla sua spalla, e lui annega nei suoi capelli, rinizia a vivere in quella forza, in quel coraggio. E Neville muove la mano piano, timido, colpito, da quell’uomo così adulto, così vero, così diverso da quel bambino che ricorda.

-come stai Ron? Tutto bene? hai avuto un bel viaggio Ron? Questo è tutto il tuo bagaglio? Lascia che ti aiuti a portarlo Ron… come stai?- Luna è agitata, le labbra le tremano, gli occhi le lacrimano, immensi nella loro nitidezza. Ripete “Ron” come se solo continuando a chiamarlo per nome potesse essere certa che lui è li per davvero. –Ron, io devo dirti una cosa, è molto importante, vedi, Ron, io… qui… c’è anche…

ma Ron sa chi altro c’è. Oltre la spalla di Luna che ancora gli sta aggrappata addosso, l’ha già vista. In piedi, tremante, bagnata. I boccoli rossi e disordinati, la risata splendente e le lacrime che le ricoprono le guance: Ginny. sua sorella. Lascia cadere delicatamente il corpo di Luna.

-sì, la vedo Luna. Grazie.

E Luna si scosta, barcolla, si appoggia a Neville che la sorregge. E Ron sorride, mentre Ginny se ne sta li, immobile, con tra le mani un caffè che era andata a comprare. Una ruga sulla sua fronte avverte Ron di quanto sia incredula, colpita, ferita, felice. Vede i suoi occhioni di cristallo scrutarlo.

E Ginny non ci può credere. Ron. Li, davanti a lei. Suo fratello… il suo Ron. Quello che l’aveva lasciata. Quello di cui lei non aveva più saputo nulla. Li. I capelli spettinati, il sorriso pulito, gli occhi tristi, inteligenti, pieni di verità. Ron. Che lei pensava di non rivedere più. Ron. Il suo Ron… camicia bianca, giacca blu, pantaloni scuri. Ron. Si avvicina, le gira la testa, le fa male la pancia. Ride. Piange. Cosa può fare? Lo credeva morto, e invece è li.

-Ron…Ron.

Lui annuisce. E inizia a piangere anche lui. sua sorella. La sua piccola Ginny.

-scusami Gin.

E lei ride, scuote il capo, e piange.

-sei tornato…

gli getta le braccia al collo, e lui l’abbraccia. Come un tempo non aveva avuto il coraggio di fare. Quando se n’era andato. Aveva salutato tutti, tranne lei. Perché a Ginny non era mai stato capace di dire di no.

-sì, sì…

lei ride, lo abbraccia con dolcezza, con rabbia anche.

Tornato..perché? non le importa. Vuole solo continuare a vivere in quel soffice abbraccio in quella stretta poderosa, in quel profumo di terre lontane adesso li, li tra le sue braccia.

E Ron non la vuole lasciare. Intorno ai fratelli il mondo continua la sua corsa, quell’abbraccio diventa un abbraccio come tanti, uno dopo l’altro. Siamo in un aereoporto. Ma per loro non è così. Non è solo un abbraccio. È aver ritrovato qualcosa…qualcosa di grande…

Si abbracciano. E intorno a loro la gente sorride, piange, saluta. Li guarda. E Ginny immerge il viso nel suo collo ruvido di barba, vi asciuga quelle lacrime piene di una grande cocente delusione e di tante immense speranze.

E Ron trema, ma continua a sorreggerla. Non la vuole lasciare.

-ragazzi, andiamo…- Neville interrompe il loro contatto, e quando si separano, gli occhi arrossati risplendono su quei sorrisi pieni di dolcezza. Così uguali e così diversi.

Neville e Luna prendono i bagagli. E Gin, dimentica del suo caffè, resta attaccata a lui, al suo braccio, nascosta nella sua ala come per lungo tempo era stata obbligata a non essere. Tremante sotto quella protezione, quella di suo fratello.

Salgono nella macchina degli amici.

Ginny non pensa più a quello che era venuta a fare. Non le importa. Per oggi le basta così. Il destino è stato abbastanza buono con lei per un giorno solo. Se Harry è vivo, aspetterà. Ma Ron è li, l’abbraccia…e in quel piccolo soffice gesto, c’è tutto l’affetto di cui sono stati a lungo privati.

-dove vi portiamo?

-da Hermione. Melburn Road al 7.

-stai da Hermione?- chiede Neville.

-per ora.

Luna sorride, girandosi a guardarli entrambi.

-allora è ora che vi riabbia entrambi…- sussurra con dolcezza.

 

Luna sorride, mentre i due fratelli escono dalla macchina. La pioggia ha smesso di cadere, e le strade umide risplendono in un tenue sole primaverile. Gin apre il portone con la chiave di scorta che Hermione le ha regalato e sale le scale carica di bagagli. Non riesce a parlare. Non sente il peso sulle braccia e sulla schiena. Non sente nulla. Solo una grande immensa felicità.

Entrano nell’appartamento. Sembra così piccolo adesso, pieno di bagagli, pieno di ricordi. pieno di loro.

-Hermione è al lavoro…- sussurra Ginny. –lavora al Ghirigoro.

-immaginavo…-sorride.

-vuoi andare?

-no, aspettiamola.

Ginny annuisce. –andiamo a fare due passi?

Ron fa spallucce. -dov’è Lily?

Gin entra in cucina e si versa una tazza di latte. Sorride, sedendosi sul tavolo di legno. –lei è a scuola Ron.

-mi sembra incredibile…

-lo so. Se misuri su di lei tutto il tempo che abbiamo perso…

-non è stato perso per me.

Gin ride, amara. –già. Tu ti sei impegnato a fare l’eremita sulle montagne. E a noi ci pensavi?

-certo. Vi immaginavo in una bella vita, finalmente felici.

-e invece sbagliavi. Eravamo in una vita di merda, tristi. E ci mancavi.

Ron sospira. –mi spiace Gin.

-perché sei scappato?

Lui scuote il capo. –perché senza Harry, come diavolo potevamo essere felici?

-e alla fine tutto va a parare li! Harry! È sempre lui il colpevole.

-non è il colpevole…è la causa.

-certo, la causa. Chiamalo come vuoi.

Silenzio. Impacciato e teso.

-com’è diventata?

Ginny sorride. –è cresciuta.

-come?

-è…-cerca una parola per descriverla. –è una mamma. Ed è sola.

Sa che questo farà stare male Ron. E forse, è proprio quello che vuole fare. Prendersi una rivincita. Su suo fratello… che in un modo o nell’altro ha rovinato tutto.

 

Harry… oddio mi sento così strana a scriverti questa lettera… ti avevo giurato di non farlo, così come ti avevo giurato che avrei provato a essere felice…e soprattutto, ti avevo giurato di non dire a nessuno che eri vivo. Ma è tutto precipitato Harry. Ginny se n’è andata. Ron se n’è andato. Mi hanno lasciata sola a crescere Lily. E io l’ho fatto. Ron forse è morto, forse no… non ne ho idea. E poi Ginny mi appare li, tutta bella e triste e mi chiede di essere sincera. E diamine sono passati 10 anni! E io sto male. Malissimo. Ogni notte ti rivedo, steso a terra sotto di me, insanguinato. Vedo le tue lacrime e giuro per te. E vedo Voldemort, il uso corpo tumefatto. Giuro che adesso è meglio. Ma non è così. Ci ho provato Harry, perché il bene che ti ho voluto, e che ancora oggi ti voglio, per me è più importante della mia stessa felicità. Ma non si tratta più solo di questo. si tratta della felicità si molte persone. Della mia, certo. Di quella di Lily, indubbiamente. Ma io e lei abbiamo convissuto con questo strano gioco di parti. Ginny, invece? Lei ha sperato che tu tornassi, anche se ti sapeva morto. Io come potevo non essere sincera? Come potevo permettere che questa assurda tristezza, che questa stupida messa in scena…distruggesse anche lei? Se mi vedessi oggi non mi riconosceresti. Sono così tremendamente rassegnata Harry che nulla mi può salvare. Ormai spero che Ron sia morto quella notte. che un’ anatema che uccide abbia messo fine alla sua vita con gloria, privandolo di questa terribile agonia, peggiore degli anni stessi della Guerra. Se mai fosse vivo, tornerebbe. Tornerebbe da me. e vedendomi, avrebbe paura… vedrebbe quanto male la tristezza e la solitudine possono fare. Si sentirebbe stupido, in colpa… ma Ginny. Ginny ha lottato. Lo so che non sembra, che guardandola si possono vedere le cicatrici di anni di lacrime amare. Ma lei lotta ancora. I suoi occhi coraggiosi brillano oggi proprio come la notte prima che noi partissimo. Prima che voi faceste l’amore dietro la Tana (credevi davvero che io non lo sapessi?) mi prese le mani e mi disse: “Hermione…qualunque cosa accada, io non smetterò mai di credere in voi.” Forse è proprio per questo che lei ancora oggi sembra in grado di lottare. Perché crede in noi. E ora sa che sei vivo. E crede in te. E ti cercherà, ovunque tu sia adesso. Per cui, perché non rendi a tutti le cose più semplici? Perché non torni Harry?

Ci ho pensato molto, al perché non avessi voluto restare. E ho capito che non volevi più ricordare, e che non volevi che noi ricordassimo. È giusto, Harry. Giustissimo. Sarebbe stata una battaglia tremenda, forse. Ma l’abbiamo persa comunque. Siamo come dei naufraghi, arenati su spiagge diverse a cercare nella forma delle nuvole il viso degli altri. Nel sapore del vento e nel rumore del mare. Harry. Io sono stufa di coprire le tue tracce. Sono stufa di piangere sul tuo bellissimo ricordo.

Ti ho voluto bene per anni e anni, e ancora oggi, in un modo o nell’altro, resto aggrappata a questo sentimento. Per anni, mi sono ripetuta che tu avevi bisogno di me. che avevi bisogno del mio aiuto, fin da quel primo giorno nel vagone del treno. Li, spaurito, bambino di 11 anni che non sa ancora quanto incredibile è stata e sarà la sua vita. Ho sentito che avevi bisogno di una mano, della mia mano. E l’ho mai ritratta, Harry? Anche quando non ero d’accordo, ero comunque li. Non ho mai chiesto nulla in cambio, se non la consapevolezza che mi eri riconoscente. C’ero nella corsa verso la Pietra Filosofale. Mi sono spremuta per capire a chi apparteneva quella voce assassina che tu solo sentivi. Sono venuta con te indietro nel tempo per salvare il tuo padrino, anche se solo un’ora prima lo consideravo un pericoloso ricercato. C’ero, sfida dopo sfida nel Tornero Tremaghi. E quando nessuno credeva in te. E c’ero nell’Ordine. Nell’ES. e al ministero… Non ti dico tutto cio per vantarmi. Non mi importa quello. Mi è piaciuto. Mi faceva sentire speciale, importante, coraggiosa, forte. Come in realtà non sono mai stata. Ero insopportabile. E lo riconosco. Lo ammetto. Forse lo facevo per non restare sola. Perché solo voi non mi lasciavate sola, indietro. Mi facevate sentire indispensabile. E  sentire che avevate (che avevi) bisogno di me mi faceva sentire bene. ma in questi anni, è cambiata una cosa. E averti ricordato cio che ho fatto non è per farti sentire in colpa, Harry. Te lo giuro. L’ho scritto solo per darmi coraggio. Perché una come Hermione Granger, che paura deve avere di scrivere una semplice frase? Quale? Questa: Ora sono io ad aver bisogno di te. E ne ho bisogno ora, qui. A Londra. Per Ginny, per Lily, per il mondo. ma soprattutto Harry… per me. torna, ti prego. Sto piangendo. Che stupida. Tu non sei qui. E non tornerai. E questa lettera è stupida, meschina… ma la invierò comunque. Ovunque tu sia adesso Harry, prendi quell’aereo. E torna da noi.

Hai salvato il mondo intero…

Ti sono grata per questo.

Ma ci hai mai pensato? Alla fine noi non ci guadagnamo niente. E siamo stati i migliori amici di eroe! Adesso giriamo per strada e la gente non ci riconosce…ma la gloria non era il motivo per cui continuavamo. Volevamo solo essere felici. Tu lo sei?

Salvaci tutti, un’ultima volta.

Con affetto…

Tua per sempre, Hermione.

 

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Capitolo 13
*** il tempo per capire ***


Capitolo 13

Capitolo 13

Il tempo per capire

 

C’è qualcosa di strano, lo sento. È come una specie di morsa nello stomaco, che mi segue da tutta la mattina. Non voglio tornare a casa. dopo il racconto della mamma era tardi, ma sono andata a scuola comunque. Vedere la gente che ho visto tutti i giorni della mia vita pensavo che sarebbe stato confortante. Non lo è stato. Mi sono sentita diversa, e stupida. Ero li per caso… ma adesso è un’ora che giro per il quartiere senza una meta. Devo tornare, o mamma si preoccuperà. Lei arriva alle sei e se non mi trova… ma io non voglio. Lei sarà li, con la sua consapevolezza. La cosa più dolorosa. Lei sa. E sta male, e io sto male, e Ginny, mia zia, sta male. Stiamo tutte male, ognuna per un motivo diverso. Cerco di fare una sintesi di quello che mi hanno detto, nella mia mente confusa. Ma non ci riesco. Tutto quello che ho scoperto tuona tra le pareti del mio immaginario, inconcepibili verità. Se ho capito bene Ginevra stava con Harry. Quell’Harry, lo vorrei proprio conoscere. E prenderlo a sberle. Sì, esatto. Mi lancerei su di lui e lo picchierei. Cosa centravamo noi, la nostra felicità, con lui? e mio padre… ora posso pensare con tranquillità alla sua morte. Una morte da eroe, di cui essere fiera. Sorrido. Sì, che morte migliore per un padre mai visto di quella per mano di oscuri maghi per proteggere mia madre? C’era l’amore, l’amicizia, era una persona fantastica… ma è morta, che ci vuoi fare? È Harry il problema. Lui. quello che ha distrutto tutto, in realtà…  se fosse qui, avrei pronto un bel discorsetto per lui: “Harry Potter, da quel che ho capito, sei una persona famosa. Un grande eroe. Mi spiace, io non ho sentito parlare di te mai prima di oggi. E quello che ho saputo è che hai distrutto le persone che ti amavano. E hai distrutto così molta felicità. Spero che tu ora stia malissimo, caro Harry Potter, perché a me di te non mi importa.” Sì, questo gli direi. E se qualcuno mi trova cattiva, forse non ha mai vissuto quello che sto vivendo io. Ognuno merita una vendetta. E non mi importa se qualcuno trova che sia uno stupido modo di soffrire. Ma la mia vendetta su “Potter” sarebbe inutile, oltre che troppo dolorosa per mia madre. E molto probabilmente, non lo vedrò mai. quindi, cosa mi importa? E poi c’è quell’ultimo commento di mia mamma… “se fosse morto io non sarei viva” , o qualcosa così… se davvero mio padre fosse vivo… vorrei poter dire con certezza che non mi piacerebbe vederlo. Ci ha lasciate no? l’ultima cosa che ci serve ora è vedercelo li, di nuovo, ripiombare nella nostra vita come un nuovo fiume in piena di ricordi, domande, risposte. ma se tornasse… e se mia madre e lui tornassero insieme… sarebbe come il sogno di tutta la mia vita che si realizza. Sorrido amaramente. Tanto queste cose non succedono. Non nella vita reale. E un po’ mi dispiace. Sarebbe bello vivere in un libro, in una serie tv. E lui tornerebbe. E sarebbe felice di vedermi, felice di come sono diventata. E avrebbe una valida scusa per essere stato tanto lontano tanto a lungo. Una valida ed eroica scusa… rido, mentre infilo la chiave nella toppa del portone. L’atrio è sempre fresco, anche se fuori ha smesso di piovere e un timido sole primaverile prova a scaldare i londinesi, ancora bagnati dal troppo lungo inverno.

Con un velo di preoccupazione e tanta eccitazione, penso al settembre in arrivo. E alla mia partenza per “Hogwarts”. Li sarò qualcuno, penso. I professori avranno sentito parlare di me, anzi dei miei genitori. Ma soprattutto, potrò rinascere. Nessun pregiudizio (sicuramente non negativo). E io potrò ricrearmi un’identità, lontana da quella della figlia illegittima di una ragazza madre. Anche se di amici ne ho avuti. A parte un padre non mi è mai mancato nulla. Ma adesso, ricominciare, da sola, sulle mie zampe… è come sapere di avere una nuova possibilità, e mi rende felice.

Continuo a salire le scale, e il cuore mi batte forte.

Cosa diavolo mi aspetta questa sera? Qualcosa mi dice che non mi sarà concessa una seratina tranquilla.

 

Hermione chiude la saracinesca del Ghirigoro, sorridendo al pensiero della sua lettera che vola sulla zampa di una civetta color caffelatte verso il suo amico Harry. sa che anche se Harry non verrà mai da lei, adesso è come se non fosse tutto finito per davvero. E questo la rende più tranquilla. Entra al Paiolo. Al bancone un mago trentenne dai folti capelli distribuiti in ciocche disordinate le sorride. E lei risponde, affiancandosi al bancone.

-posso avere una bottiglia di vino?- ha bisogno di bere un po’, questa sera. Brindare al suo coraggio. Premiarsi.

-certo carissima.- fa il cameriere con malizia. Hermione ride. Uomini. Ma va bene, per carità. Lei è una donna sola e giovane. Perché non dovrebbe ricominciare? –sei Hermione Granger vero?

lei annuisce, a metà tra lo stupito e il compiaciuto. Allora non tutti si sono dimenticati di lei.

-wow… mi ricordo quando pensavo che eri la ragazza più fortunata del mondo.

Hermione ride. –davvero lo pensavi? E quando?

-quando eravamo a Hogwarts. Io sono Michael Corner… non so se ti ricordi di me.

alza gli occhi e sorride. Ed Hermione contasta che non è poi molto cambiato dai tempi delle riunioni dell’ES.

-sì, certo Michael. Stavi con Gin a un certo punto. E poi con Cho.

Lui annuisce, sorridendo. –sì, esatto. Mi sono trasferito a Londra da pochi giorni.

-sì infatti prima non ti ho mai visto in giro.

-già…- si spettina un po’, a disagio. Avvolge accuratamente la bottiglia di vino in un pezzo di carta di giornale. –e tu da quando sei qui?

-da anni ormai.

Lui la guarda di sottecchi. –sarai stufa di sentirti dire “mi dispiace”…ma è così Hermione. Né Harry, né Ron, né tu o Ginevra meritavate questo.

Hermione sorride alla sua franchezza. –grazie mille.

-hai più rivisto qualcuno?

-Gin… Luna, qualche volta, e Neville. Un paio di volte Seamus, Dean… insomma, un po’ di Grifondoro. Tu hai più visto Cho?

Lui annuisce. –ci siamo sentiti per un po’. Ha aperto un negozietto ad Hogsmade.

-bello.

-sì, è felice. O almeno credo. Una parte di lei non l’ha mai perdonata per aver lasciato Harry così. E una parte di lei è sempre stata troppo ferita… mi dispiace per lei, le voglio bene e vorrei esserle d’aiuto. Ma abbiamo chiuso tanto tempo fa. Lei è fidanzata adesso. Le sue ferite si rimargineranno, non sono poi così profonde. Comunque, non stiamo più insieme- ripete. sembra dar molta importanza a questo particolare, e lei annuisce.

-non mi è mai piaciuta tantissimo…un po’ una piaga. Ma povera, chi la può biasimare? Ora so cosa si prova.

-già…

Hermione gli porge una banconota e si mette la bottiglia in borsa. –bhè Michael, è stato bello rivederti. E se lavori qui credo accadrà spesso…lavoro al Ghirigoro.

Lui sorride, contento. Sventolando la mano Hermione si avvia verso casa. un sorriso tranquillo le aleggia sulle labbra per la prima volta da tanto tempo. Si è fatto carino… chissà che questa volta Ron non sia sparito per sempre dalla sua vita.

 

Ron beve un lungo sorso del caffè che Ginny gli ha messo davanti. Di sottecchi continua a studiare sua sorella, ogni timida mossa delle sue mani bianche, ogni guizzo dei suoi occhioni azzurri verso la porta.

-tra quanto credi che arriveranno?

-Hermione tra pochi minuti… Lily dovrebbe essere già qui.

Lui annuisce. –cosa devo dire?

Ginny si stringe nelle spalle. –cosa vuol dire questa domanda, Ron? Cosa devi dire secondo te? Devi spiegare perché te ne sei andato.

-tu lo vuoi sapere?

Lei si stringe nelle spalle, continuando il suo frenetico affacendarsi in giro per casa pur di non stare ferma. –non lo so. Ho paura di essere delusa. Sono stufa di finire così.

-troverai folle il mio motivo, forse. Ma credo che infondo lo capirai.

Lei sorride. –come sempre, no? io devo sempre capire.

-sì, devi. Ti prego Gin… abbi fiducia in me.

lei anuisce piano. –vorrei solo non aver dovuto star tanto male tanto a lungo per persone che in realtà erano solo vigliacche.

-cosa vuoi dire?

-anche io ho i miei segreti, Ron. E credo non sia giusto adesso svelarteli solo perché sei tornato. Non spetta a me.

-cosa farai?

Il campanello suona con leggerezza. –voglio diventare una medimaga.- dice alla fine. –voglio una vita vera, Ron. Per cui ti prego, non rovinare tutto un’altra volta. Permettici di essere un po’ felici.- il campanello suona ancora, con più decisione. Lei sospira, Ron china il capo sul suo caffè, il cuore di entrambi i fratelli che martella con insistenza. Ginny si avvicina alla porta, e la apre con un giro di chiave. Sorride alla vista di Hermione e Lily. Pensa che tra solo un secondo, la loro vita sarà travolta da un’ennesima tempesta, e si chiede come ne usciranno.

-ciao ragazze, avete avuto una buona giornata?- sente di essere troppo allegra, troppo falsa. Ma entrambe sembrano di buon umore, non si accorgono o forse decidono di ignorare il suo allegro mentire. Forse mentono anche loro.

-tutto okay.- dice Hermione. –ho incontrato Michael Corner, te lo ricordi?

Ginny annuisce. –anche io ho incontrato qualcuno, oggi.

-chi?- chiede sorridendo Lily, lasciando cadere a terra la cartella pesante e permettendo a Gin di darle una carezza sul capo.

-andate in cucina, vi sta proprio aspettando.

Le due la guardano incuriosite, e Gin sorride con coraggio. Anche se si sente piccola e debole. Si appoggia al muro mentre Hermione spinge sua figlia nella piccola cucina. Le osserva da dietro, mentre si immergono in quella tempesta. Probabilmente, la più violenta in cui si immergeranno mai.

 

Ron alza gli occhi lentamente, e non riesce a sorridere. Hermione impallidisce, i suoi grandi occhi marroni si spogliano di tutto quello che aveva provato, si riempono di quella sincerità che solo per Ron era sempre stata obbligata a liberare. Si bagnano di un mare di lacrime di gioia, di disperata felicità, unita a una rabbia sorda, a un rimorso pieno di dolore. Ron studia l’aureola dei suoi ricci castani, le sue labbra gonfie e morbide, rosse e umide. La dolce onda delle sue guance chiazzate d’emozione. Vede le sue mani sottili tremare sulla spalla di Lilian, mentre il petto morbido si alza e si abbassa nella decisa presa della camicetta. La gonna scura le fascia le gambe magre e snelle con eleganza. A Ron manca il fiato. È bellissima, meglio che nei suoi ricordi, meglio che nei suoi sogni. È cresciuta, e questo lo intimidisce. C’è coraggio, durezza, serietà, sul suo viso. Una triste consapevolezza, una rassegnazione che mai aveva scorto tra le pieghe del suo sguardo. Persino il modo in cui le belle labbra le tremano sotto il peso delle lacrime ha qualcosa di più adulto. Quello splendido segno di infantile innocenza è sparito, insieme al suo cipiglio perennemente stupito, sostituito da un piccolo broncio che adesso si spezza, rimpiazzato a sua volta da        un’ espressione di incredulità che la fa sembrare un po’ più bambina, nonostante il vestito elegantemente formale. Ron si alza, reggendo sorpreso il tremare delle proprie gambe, lo stomaco che gli si ribalta, proprio come quando la guardava nei corridoi a scuola, mentre gli veniva in contro negli intervalli tra le lezioni, o quando scendeva dal dormitorio la sera  in camicia da notte per chiacchierare con loro davanti al camino. Nulla è cambiato in quel sentimento immenso di…amore. Solo così Ron può chiamare quella stretta allo stomaco e quel tumulto intorno al cuore. Hermione abbassa gli occhi, e lui segue il suo sguardo. Lilian. I capelli ramati della bambina incorniciano un viso bianco, limpidi occhi scuri e piccole labbra a cuore, che tortura con i denti pallidi e splendenti. Le palpebre livide le tremano sotto il peso di grosse e calde lacrime che iniziano a bruciarle le guance piene. Guardarla così, spaventata, con quei piccoli singhiozzi nel petto e quel broncio coraggioso che le arriccia la fronte, gli ricorda tanto la vista di Hermione quando l’avevano trovata nel bagno delle ragazze e salvata da un troll di montagna. Ha gli stessi occhi inteligenti, troppo inteligenti, lo stesso sguardo vivo e forte, unito alla durezza di quel momento nel suo piccolo cuore. Davanti a lui, sua figlia, vede spezzarsi le certezze, le sicurezze, l’intero essere della sua breve vita.

Entrambe lo guardano. I capelli rossi gli cadono incolti sul collo, un po’ crespi. Ha un accenno di barba ramata sulle guance scavate, e gli occhi azzurri brillano di una supplica immensa: perdonatemi. Le labbra pallide sono tirate in un abbozzo di sorriso, un vano tentativo di apparire sereno. La disperazione, il rimorso, il rancore, gli rugano il viso, gli bagnano le guance. È alto, le spalle larghe, le gambe lunghe. I jeans morbidamente gli delineano forme adulte che a lungo Hermione aveva cercato di figurarsi nella mente, una camicia chiara si abbandona sul suo petto forte, sprigionando un profumo di cui Hermione vorrebbe nutrirsi, ora più che mai. nei suoi occhi non c’è orgoglio. Solo un grande, immenso dolore. E lei non riconosce davvero l’uomo che ha amato, l’uomo che ha aspettato. Non è quello che ha ritrovato.

-Ron…- sussurra alla fine, singhiozzando roca.

Lui sospira forte. –‘Mione…

Ginny entra nella stanza, un sorriso mesto sulle labbra. –Lily, tesoro, lasciamoli soli.

Prende la bambina per una mano e la conduce dietro di se in salotto.

-‘Mione…-ripete Ron.

Lei si stringe nelle spalle, singhiozzando, sorridendo.

-Ron…

e si guardano ancora, senza fretta, felici. Rimandando ancora una volta il momento delle spiegazioni.

 

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Capitolo 14
*** ancora coraggio ***


Capitolo 14

Eccovi questo nuovo capitolo… è molto importante quindi ritagliatevi una ventina di minuti di solitudine per concentrarvi bene!!

 

Vorrei ringraziare tutte le meravigliose persone che mi hanno recensita e che giorno dopo giorno mi danno il coraggio di continuare a scrivere! Grazie! Spero che se non l’avete fatto leggiate presto anche le mie altre numerose ficc presenti nel sito…aspetto i vostri pareri, soprattutto su questo capitolo! Grazie mille! Un bacio foooorte forte XD vostra rosy!

 

Capitolo 14

Ancora coraggio

 

Herm… quanto immensamente mi emozionano le tue parole… quanto vorrei essere abbastanza forte da inviarti queste poche righe. Ma non ne sarò capace. Non posso riuscire a tornare… anche se vorrei. Lo vorrei con tutto me stesso. Ron… vorrei sentire la sua risata e poter essere felice, rivevere con voi e dentro di voi.  Sapere che non è con te mi rende colpevole, ancora più infelice. Vorrei poter tornare da voi. Vorrei riuscire a correre li ed abbracciarti, come non ho mai fatto davvero quando ho potuto. Ma non ci riesco, Herm… non riesco a pensare di rivedervi, di vedere il male che vi ho fatto. Per una volta, ti prego, permettimi di essere un codardo….

E non credo serva che io ti dica quanto vorrei rivedere Ginny, conoscere Lilian… non è passato un solo giorno in questi anni in cui io non abbia pensato a voi. A te, Hermione. A quello che hai fatto per me e che io non dimenticherò mai. vorrei vedere quello che sei diventata. Accompagnarti nelle difficolatà come tu hai accompagnato me. ma ‘Mione… tu non vuoi davvero vedere come sono diventato. Non vuoi, te lo assicuro. Non vuoi vedere quanto è immenso il male e il dolore che ho dentro…

Ti voglio un mondo di bene, non dimenticherò mai. tuo, Harry.

 

Hermione si porta le dita sulle guance, si asciuga le lacrime che però continuano a scorrere sulla sua pelle paonazza. La luce gioca trai suoi boccoli, come una piccola corona dorata sul suo capo tremante. Si morde il labbro, senza sapere cosa dire. Vorrebbe correre ad abbracciarlo, stringerlo come mai aveva fatto, baciarlo, riassaporare ancora quel vivo profumo d’amore che nasceva tra loro un tempo. Ma improvvisamente, non si sente abbastanza forte per farlo.

Ron nasconde le lacrime che gli scivolano sulle guance. Si mescolano con le lentiggini, si perdono nel latteo colore della sua pelle. Non sa cosa fare. Come sempre, non sa se prendere l’iniziativa. E quale poi è la più giusta?

-sei tornato…- afferma lei alla fine. Non si sente in grado di dire altro. Come una specie di piccola supplica, l’eco di una lontana preghiera ripetuta tante volte nella sua mente.

-se è quello che vuoi.- più di una supplica. Più di una domanda. Una richiesta di perdono senza speranza.

-Ron…perché?

Già… Ron si aspettava quel quesito. Si mette una mano nei capelli, spettinandoli appena.

-Hermione…vorrei poterti spiegare tutto.

-devi farlo.

Un ordine. Lei, la dolce sapientona. La madre attenta che a lungo gli era mancata.

Annuisce.

In fondo glielo deve.

-è… quella notte.

Hermione chiude gli occhi. Eccolo, il rumore, il sapore di sangue, la luna lontana, con il suo perfido ghigno argentato. Eccole, le mani di Ron strette sulle sue spalle, la spingono in una grotta sotto gli scogli. Il sapore del mare in quel piccolo bacio d’addio. Il rimorso, la paura. tutto quello che avevano troppo a lungo esitato a dirsi, diventa cio che non si sarebbero mai detti. I progetti, i sogni, il futuro, sospesi in bilico sul confine di un ultima grande, crudele, sfida.

Ron sospira. Vede i suoi ricci assopirsi nel buio della grotta, in quel buio dal quale per anni e anni non erano riemersi. E sente il dolore lancinante degli incantesimi bruciare sulla sua pelle. E non può tenere gli occhi aperti, sprofonda nella sabbia gelida, sotto l’ammiccare lontano delle stelle. E poi li riapre, e l’alba pallida illumina quello scenario bagnato di sangue. E Harry non c’è…si china su un mangiamorte. E urla. Dov’è Harry? l’uomo ride, “è morto, con il Signore Oscuro”….poche parole, un suono che Ron non avrebbe dimenticato. Lo uccide, e scappa. Scappa. Scappa.

-Ron?

-e poi quella mattina…

Hermione rabbrividisce, stringendosi nel maglioncino grigio. La sabbia d’oro che balugina sotto il manto rosato della mattina. I corpi di tanti uomini, abbandonati al suolo, dimenticati. Cio che erano stati in vita non conta ora, nella morte. Stesi a terra, i visi soffocati sotto il peso della fine. Le lacrime le scorrono sulle guance, il terrore fondato di non rivedere mai più le uniche persone che aveva realmente amato. E ancora una volta il viso cereo di Voldemort si specchia nella sua memoria, le labbra livide in un ultimo sospiro, una tacita preghiera per redimersi da tanto dolore, forse, o forse un ultimo disperato tentativo di non abbandonare la vita.

Lei annuisce. Sorride appena, incitandolo a continuare.

-Harry è morto, così…

lei singhiozza forte. Rivede il corpo di Harry, steso tra le sue braccia, addormentato in un ultimo sonno tranquillo. gli occhi serrati davanti alla fine di tante sofferenze. Davanti al suo ultimo aiuto.

-così non credevo di essere in grado di vivere Hermione… mi sono visto con te, con il ricordo della sua morte, dei giorni che avevamo passato insieme…- inizia a singhiozzare. –non ero stato in grado di aiutarlo abbastanza, e lui è morto! Come potevo vivere ogni giorno una vita serena e felice, consapevole di questo? ero terrorizzato all’idea di vedere la tua faccia quando ti avrei detto che era morto… saresti stata così immensamente disperata, delusa…

Hermione fa un passo verso di lui. uno solo, supera quel confine che li divide. Era tutta colpa sua. Rimorso, delusione, paura. tutta colpa sua. Aveva accettato di assecondare quell’ultimo capriccio del suo amico, distruggendo tutto cio che insieme li aveva resi felici. Distruggendo Ron, Ginny… ma anche se stessa, e Harry. allunga una mano bianca e l’appoggia sul braccio di Ron. Lui la prende, e la stringe. Brividi caldi si rincorrono sulla loro schiena, sulle loro braccia.

-volevo che tu fossi nella posizione di dare a Lilian una vita felice, un nuovo padre, un padre tranquillo…ma tu non l’hai fatto…

-no, non l’ho fatto.

-ti prego, perdonami Hermione…avrei dovuto saperlo. Avrei dovuto sapere che solo insieme ce l’avremmo fatta.

-come faccio…?

-lo so, lo so… lui è morto, e noi siamo qui. Ho scelto per entrambi, andandomene. Ora tocca a te.

Hermione piange, stringendo le dita calde di Ron avvolte nelle sue. Singhiozza. No, non hai scelto tu. Sono stata io. Anzi, è stato Harry… come al solito. Come ogni volta. Lui…

Ti amo. Ti amavo. Ma adesso? Volevo ricominciare, e tu ora sei qui. Proprio come avrei sempre voluto. Ma non sei il mio Ron.

-sei così diverso.

-anche tu.

Lo sguardo grave nei loro occhi si pente. Tanto tempo a sognarsi, e adesso, improvvisamente, non hanno la forza di amarsi di nuovo.

 

-non siamo sempre stati così, lo sai?- Ginny sorride a Lilian. Morde il suo hot dog, mentre si siede a fianco della nipote sulla panchina nel parco. La sera si adagia trai rami, la terra brulica di nuova vita.

-chi?

-noi: io, Hermione. Ron.

-come?

Gin sorride, leccandosi le labbra. –un tempo eravamo felici, qualunque cosa accadesse. Eravamo tranquilli, sereni… innamorati…

-e adesso? Perché non potete tornare a essere così?

Lei si stringe nelle spalle. –credo che non riusciamo a staccarci dai nostri ricordi.

-già…penso che posso capire.

Gin la guarda giocherellare con la zip della giacca. Le labbra tremanti di freddo e di tristezza.

-io posso capire se odi Harry.

Lily sorride appena. –davvero?

-sì, certo. vorrei solo che tu sappia che non è colpa sua.

-lo dici solo perché era il tuo fidanzato, vero?

Gin ride. –no, non solo per questo. certo, lo amavo. E forse lo amo tutt’ora. Ma non è stata tutta colpa sua. La sai la storia.

-certo che la so. E allora di chi dovrebbe essere? Di quel mago cattivo, certo…

Ginny annuisce. –lo so che è difficile pensare che Harry fosse la splendida persona che era. Ma è così. Anche se mi ha lasciata, anche se non è tornato quando avrebbe potuto. Lui era il “Prescelto”, Lily…

-a me non importa. Io vedo solo quello che si è lasciato alle spalle. Chi, si è lasciato alle spalle: voi, noi.

-lo so… ma so anche che lui ora, ovunque si trovi, non è felice. Mi piace pensare che vorrebbe essere qui. Che ogni sera prima di dormire, mi cerchi ancora tra le pieghe del lenzuolo, che abbracci il cuscino cercando in lui il mio corpo, che frughi nella memoria per rievocar la mia voce. E che ogni mattina al suo risveglio, lui cerchi di immaginare quello che Hermione e Ron stiano facendo. Mi piace sognare questo, anche se lo amo abbastanza da sperare che sia riuscito a ricominciare più di quanto non ci siamo riusciti noi.

Lily butta nel cestino la carta dell’hot-dog. Un vento che porta pioggia balla nei suoi boccoli ramati. –vorrei poter perdonare mio padre.- sussurra alla fine. –tu lo perdonerai?

Gin si stringe nelle spalle. –perdonare Ron…lo faccio ogni giorno da quando sono bambina. È stato solo un codardo, e noi ancora una volta dobbiamo avere coraggio. Ma tu… ti capisco se non ce la farai.

-ma io voglio solo avere un padre.

-credo che lui, voglia solo avere una figlia. Essere felice.

-perché se n’è andato allora?- grosse lacrime calde si attaccano alle sue lunghe ciglia vellutate.

Gin si alza, butta la carta, la guarda con un sorriso gentile, dolce. Quello che un tempo rivolgeva a Harry quando sentiva di non essere nella situazione giusta per parlargli, per stargli accanto, ma voleva farlo comunque. E comunque lo faceva. E così si sente per Lilian: la zia che l’aveva lasciata, e che adesso pretende di essere qualcuno. Ma infondo è così. Lily è sola, pensa Gin, in questo momento esattamente come per tanto tempo lo sono stata io. E pretende delle risposte, le stesse che a lungo ho preteso io. Ma ora a me non mi importa di averle. Non mi interessano i motivi. Voglio solo poter sorridere ancora. Ma lei è piccola…se lo merita. Si china su di lei, e l’abbraccia.

-quando tuo padre e tua madre hanno deciso di seguire Harry, non hanno solo fatto una scelta che implicasse il loro futuro. Hanno fatto una scelta di vita. Hanno deciso cosa era più  importante allora, quello che lo è ancora oggi: Harry. la loro amicizia. Il loro amore. E non si pentiranno mai di quella decisione. Ancora oggi, sono queste le cose importanti per loro. E quando Harry, Ron l’ha creduto morto…io so che lui ha visto davanti a se una vita vuota come non l’aveva mai vista né avuta. Perché Ron…lui si è sentito solo tante volte. Sempre messo in secondo piano davanti al mondo. ma non davanti a Harry, no. per Harry, Ron, era la persona più importante. senza Harry, Ron sarebbe dovuto essere uno dei tanti, e ha preferito andarsene, piuttosto che condividere con Hermione il suo dolore. Piuttosto che essere condiviso lui stesso con il dolore che Hermione avrebbe provato. E si sentiva colpevole della fine di quell’unica persona che aveva creduto in lui fin dal primo giorno su quel treno…persino per essere apprezzato da Hermione aveva dovuto lottare. Ma con Harry non era servito…

certe cose accadono e basta. I fili del nostro destino si intrecciano e si slacciano, ma i ricordi, quelli non moriranno mai… e Ron non poteva convivere con loro.-

Lily la stringe forte. Soffoca le lacrime nel suo seno.

-e Harry? perché se n’è andato Harry?

-per permettere a tutti di ricominciare.

-ma non è successo! Tu devi dirglielo…

Ginny la stringe. Accarezza i suoi capelli sottili che scivolano tra le sue dita.

-lo so…

 

Ron morto? Solo adesso sono riuscito a pensarci davvero. Morto…solo quel tuo “non ne ho idea” mi da un po’ di speranza, ‘Mione… oddio. Morto. Se è così, è tutta colpa mia. Ho fallito. E credimi se ti dico che vorrei bagnare di lacrime questo foglio, ma nemmeno riesco a farlo. Sono agghiacciato, terrorizzato. Tra tutti quanti, tutto l’intero mondo, voi eravate gli unici che volevo davvero salvare. Gli unici. Di tutto il resto del mondo non me ne importava nulla, e tu lo sai. Se tu, Ron, e Ginny, sopravvivevate, io sapevo di aver vinto. E invece no. ho perso…perso tutto. e non sono nemmeno stato li, li accanto a te per aiutarti a uscirne. Perché per me avrai pianto, Herm, lo so. Ma per Ron…per Ron tu saresti morta. E sono certo che un po’ per volta, stai morendo sul serio. Sono stato un egoista. Uno stronzo egoista. Un stronzo codardo senza possibilità.

Vorrei avere il coraggio per tornare, ora più che mai.

 

Amarti di nuovo, Ron… ricominciare da capo…

Sapere che sarai sempre la prima cosa che vedrò al mattino…

E l’ultima che mi sorriderà la sera…

Una sola opportunità, Mione, ti chiedo solo questa. Per permettere a tutto quello che ti ho tolto di diventare tutto quello che ti ho dato. Un solo sorriso ancora, Mione, uno solo. Per poter ricominciare a essere felice.

Amarti di nuovo, Ron… tu, colui che nel mezzo di tanto dolore era l’unica cosa che mi faceva vivere ancora. Tu, mio folle amico, mio pazzo compagno, mio adorato sogno…amarti di nuovo, rischiare ancora, per cosa? Ancora coraggio, sempre questo mi viene richiesto.

Un solo ultimo momento di coraggio. Solo momenti, diventano tali visti così tutti questi anni di codardia non sono niente paragonati all’immensa forza che ti chiedo per un solo piccolo passo, Hermione. Un passo che ti porti tra le mie braccia.

Amarti di nuovo, Ron? Baciare le tue labbra, accarezzare le tue guance, dormire nel tuo collo? sì, è quello che vorrei. Ma non ne ho la forza, lo capisci? Come posso rischiare di nuovo?

Un solo rischio ancora, tesoro mio, mia piccola Hermione. Questa volta non fallirò, dolce, bellissima, triste, Hermione. Ti renderò felice, se me lo permetti. Un solo momento di coraggio, e sarai qui, qui tra le mie braccia, tesoro.

Hermione chiude gli occhi. –eri l’unico al mondo che non mi aveva mai lasciata. Mai, nemmeno quando mi comportavo da stronza. Avrei dovuto capirlo quando hai battuto per me un troll di montagna che eri quello giusto…- un unisono sorriso di dolce ricordare. –eri l’unico che non mi lasciava…e pensavo che saresti stato l’unico a non lasciarmi mai.

-eri l’unica che vedeva in me qualcosa di speciale. L’unica alla quale non interessava la mia povertà, la mia stupidaggine…pensavo che non ti avrei mai lasciata. Ti ho delusa, ‘Mione. E mi dispiace.

Ron non piange più. i suoi occhi annebbiati dal rancore l’avvolgono con coraggio. Quell’ultimo barlume di speranza in lui sta morendo sotto la sua esitazione. Sotto l’immensa debolezza di quella ragazza che credeva l’unica in grado di non vacillare mai. –credevo che appena sarei tornato, mi saresti saltata al collo e mi avresti baciato, colmando tutto il tempo che ci aveva separati.

Lei riapre gli occhi lentamente. –ti ho mentito, Ron…

-ero abituato a una piccola coraggiosa guerriera…paladina del nostro amore impossibile.

-non è mai stato un amore impossibile.

Sorride appena, e lui risponde.

Hermione sospira.

Un passo, è tutto quello che ti chiedo, Hermione.

Lei lo guarda, ha paura. una paura che Ron non le ha mai vista disegnata in viso, nemmeno quando stavano per morire, nemmeno quando era rimasta incinta. Gli basta per capire che di tutte le battaglie, ha perso l’unica di cui gl’importava. Lascia la sua mano piccola e fredda, che si libra nell’aria come un solitario gabbiano sul suo ultimo tramonto. Fa un piccolo, timido, sorriso di scusa. Vede gli occhi di Hermione brillare. Forse gli sarà concessa almeno la sua amicizia. Il suo conforto. La sua compagnia. Ora che tra loro il vuoto non può essere riempito nemmeno con un bacio.

Hermione sorride, decidendo di rimandare il momento della verità. Adesso c’è una cosa più importante che deve fare.

-io non ti delurò.

Il suo cuore riprende a battere in fretta, come da tempo non batteva più.

Un passo.

E le sue braccia si stringono intorno al suo collo, come nel più bello dei suoi sogni. E Ron ha paura che sia questo: un sogno. Così chiude gli occhi. Immerge il viso nei suoi boccoli, annega in quel profumo dolce e aspro della sua pelle calda e salata. E Hermione serra le proprie gambe intorno alla vita dell’uomo che l’abbraccia. Ride, solleticandogli il collo con il naso. E poi risale il suo viso, riscoprendo il suo profumo, riscoprendo il sapore della sua pelle, delle sua mani nei propri fianchi. E alla fine, delle sue labbra. Vi si immerge, vi si perde. Annegano insieme in quel mare improvvisamente pieno, pieno di loro. Non ci sono scialuppe di salvataggio, e loro non vogliono arrivare alla spiaggia. Fluttuano insieme su quelle onde di velluto, bagnati dalla luce di una nuova, fredda e vitale alba.

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Capitolo 15
*** ho bisogno di te ***


Eccomi finalmente

Eccomi finalmente! Mi scuso per la lunghissima attesa… lo so, ci ho messo tanto, e non so nemmeno se questo capitolo vale tutto questo tempo…ma a bhè! Spero apprezzerete comunque! Voglio davvero ringraziare tutte quelle che hanno commentato. Siete davvero dolcissime, e rendete il mio lavoro ancora più piacevole! Grazie mille! Spero di potervi regalare le emozioni che voi regalate a me… (bleha che frase sdolcinata…. Mi si è cariato un dente… vi lascio a Harry e Ginny, che sicuramente vi interessano di più!) un bacione!

 

Capitolo 15

Ho bisogno di te

 

Ginny, mi è venuta in mente una  cosa incredibile. Tu ora sai che sono vivo.

Lo sai. Ti immagino, stesa sul tuo letto, a fissare il buio, a cercare di figuararti il mio viso. Per la prima volta da quando sono scappato, ho bisogno di una nuova forma di coraggio: restare qui, sapendoti li con Hermione. ‘Mione dice di avere bisogno di me. e tu? Ho paura che tu ti sia ricostruita una vita. Che tu sia cambiata. Ho tante volte sognato di riabbracciarti, di stringerti a me. di baciarti. E non mentirò: di fare l’amore con te. Ma senza l’immensa tristezza che ci abbiamo messo la prima e unica volta. Non come quel giorno, quando tutto era velato dall’immensa malinconia di quell’addio che gravava sulle nostre teste. Vorrei correre da te, baciarti con ferocia, e farti mia, una volta per tutte. Contro tutto quello che il mondo ha detto su di me. tutte le voci, le dita che ho avuto puntate contro. Questa volta sarà diverso, piccola mia. Dammi una sola ragione per non tornare. Una sola scusa per non ricominciare da capo. Dammela e io resterò qui. Ma se non c’è… perché non dovrei tornare da te?

 

Ginny sorride a Lily, mentre la ragazzina le mette sul palmo bianco della mano un paio di chiavi. I suoi occhioni sono pieni di ironica furbizia.

-sei sicura?

-prendile, Gin. Come pensi di viaggiare altrimenti?

-ma ‘Mione se ne accorgerà.

Lily si stringe nelle spalle.

-ti copro io. Quella macchina tanto è un disastro. Si rompe sempre, per cui chissene. Puoi anche lasciarla in autostrada se per caso lo incontri che ti sta correndo in contro anche lui come in tutti i migliori film romantici.

Ginny ride. –grazie Lil…

-tranquilla. E poi la mamma sarà presa da mio padre nei prossimi giorni, credo…

-già.

-posso solo chiederti…come fai a sapere dov’è lui?

Gin si appoggia alla macchina scura. –una volta, quando stava ancora cercando gli Houcrux, mi ha mandato una lettera. Stanne certa, so dove si trova.

-quanto lontano è?

-saranno 5 ore. Se parto subito e non mi fermo, sarò li prima di stamattina.

Lily sorride. –salutamelo.

Gin annuisce, apre la macchina e si siede. Abbassa il finestrino, e la ragazzina mette dentro la testa. Le bacia una guancia.

-grazie di essere arrivata… zia.

Gin sorrise, rispondendo al bacio.

-tornerai?

Quasi una supplica. Gli occhi della bambina allagati di dubbi e incertezze.

-e non sarò sola.

Si sorridono, e Ginevra parte nella notte, lasciando Lilian sola sotto il portone di casa, a cullare speranze per un futuro diverso.

Cara Ginny, mi dispiace.

Ti scrivo da una grotta sulle montagne. Ron ed Hermione stanno dormendo. Sono così dolci, abbracciati stretti stretti nel loro sacco a pelo vicino al fuoco. Fa un freddo immenso, e quel magro calore che li fa restare in vita a me non è concesso. Questa storia mi sta uccidendo. Pensare che tu avresti potuto essere qui. Sono un’egoista, è vero. ma darei qualunque cosa per poterti abbracciare adesso, per essere abbracciato da te. Mi ossessiona il ricordo di quegli ultimi istanti tra noi. Di tutta la tacita attesa, la tristezza. E tu che mi giuri che mi aspetterai sempre. mi rende felice, mi da un motivo per continuare. Ma mi mette paura. è tanto grande l’amore che ti lega a me, da permetterti di smettere di vivere nell’illusione di un futuro per noi? Questa domanda affiora nella mia mente improvvisamente, ogni giorno. E quando sono li, davanti a un Houcrux da uccidere, un mangiamorte che vuole la mia vita, ho imparato a concentrarmi su di te. Sui tuoi baci, le tue carezze. Su di noi. Ho imparato ad attaccarmi alle tue parole: ti aspetterò sempre, e allora nulla mi può uccidere. Spero di averti resa felice.

Sai, ho un sogno Ginny…

ci siamo io e te, su una lunga spiaggia bianca. C’è un’alba leggera e frizzante, un buon sapore di salsedine, di pane appena sfornato. Un lento rumore di mare che scivola sulla battigia, accarezzando i tuoi piccoli piedi soffici. E io ho la testa appoggiata nel tuo ventre, mentre tu mi tocchi piano i capelli. E siamo così, in silenzio, tranquilli, felici.

Credi che sarà possibile? Immagino che sia una vacanza. E che presto prenderemo la macchina e andremo da Ron e Hermione. Nella nostra casettina ordinata, con Arnold e Edvige che ci aspettano.

Te lo giuro, quando torno, andremo a cercare una spiaggia e ci sederemo così, vicini vicini, a guardare l’alba, abbracciati. Avremo una piccola villetta proprio sul mare dove un giorno porteremo i nostri bambini nei week end, e sul cancello bianco ci sarà scritto “welcome”. Io farò castelli di sabbia con loro e tu prenderai il sole, lamentandoti perché ti schizziamo. E poi inviteremo Hermione, Ron e i loro bambini. E la sera mentre tu e Herm li mettete a letto io e Ron ci sederemo nel giardinetto a bere una birra. Poi voi ci raggiungerete, e tu avrai freddo, così io ti abbraccerò forte forte e sarà come essere finalmente una famiglia. L’unica che voglia, l’unica che io abbia mai voluto. Riesci a immaginarlo? Bhè, fallo ogni tanto, perché ti giuro che un giorno sarà così. Noi, sulla costa inglese, a “Shannon Bay”. Ci siamo stati di passaggio un po’ di giorni fa e da allora ho deciso.

Ti sembrerò folle, vero piccola mia?

Bhè, ma è così. Io sono folle. Folle d’amore per te.

Ti amo, te l’ho mai detto?

Tuo per sempre, Harry.

 

Quante volte Ginny ha letto quella lettera, non le può nemmeno contare. E quante volte era arrivata fino al cartello “Shannon Bay” con la vana speranza di essere felice come lui le aveva promesso e non aveva mai avuto il coraggio di entrare in paese? Ma questa volta ne è sicura. Lui non può che essere li. Questa sicurezza la riempe di terrore. Solo pochi giorni fa, le sue giornate erano tristi e vuote. Sole. Adesso si ritrova in mezzo a un’autostrada sgombra, i lampioni d’oro lanciano sul suo viso la loro luce calda, corre incontro all’uomo che aveva amato e che ancora ama. E alle spalle ha la sua grande amica d’un tempo, la sua confidente più intima, il sorriso più vero che mai le era stato rivolto, i consigli più sinceri che mai le erano stati dati. Suo fratello, la persona più dolce, più pazza. La prima con cui aveva potuto essere se stessa. Ripensa con un velo di rammarico a tutte le volte che l’aveva insultato, lui, innocente nella sua corsa verso un futuro troppo duro da affrontare. Con una nipote che si trova di colpo trascinata in un turbinio senza fine di momenti, di istanti, passati e sognati, presenti e futuri. Lily, l’unica che davvero merita d’essere felice.

Ma rivedere Harry, sarà diverso. Non come rivedere il fratello o l’amica. Come rivedere se stessa, una parte di lei che ha per troppo tempo chiuso fuori dalla realtà. Harry. un eroe, non c’è dubbio. Ma soprattutto, un bambino, ancora disperatamente bisognoso di cure. Di affetto. Di una famiglia. Anche io ti vorrei abbracciare Harry. e chissà, forse tra poche ore lo farò. La notte scivola irrequieta sopra di lei. E nulla è più rilassante delle autostrade di notte. tutto sembra in placida attesa, dolcemente accucciato sotto il manto del cielo. Ginny non piange, ne ride. Se ne sta li, le mani ancorate al volante, corre verso la sua meta. Ha paura, è emozionata. Il suo cuore che batte euforico è tutto quello che sente. Un timido sperare affiora nella sua mente: forse presto, non sarò la sola a sentirlo battere.

 

Harry è seduto nel giardino davanti alla sua piccola casa. la notte sospira sulla sua pelle. I capelli corvini spettinati sul capo, scoprono a tratti il suo grande marchio, sottile maledizione che non smetterà mai di gravare sui suoi grandi occhi smeraldo. Una strano senso di attesa gli aleggia nello stomaco. Un’inquietudine piena di speranza che non gli permette di prendere sonno. Nella nebbia gravida di gelide goccioline che solca la spuma del mare, Harry fruga alla ricerca di qualcosa. Un sottile spicchio argentato di luna accarezza con la sua luce fioca le pareti della sua villetta. Per la prima volta da tanto tempo il pensiero di Harry corre a Remus. Avrebbe voglia di sentire la sua voce. Di parlare con lui, solo per un attimo, risentire quel flebile contatto con i suoi genitori che solo lui sapeva ricostruire. E poi altre due figure si infiltrano nella sua mente: i genitori fi Ginevra. I genitori di Ron. In un certo senso, i suoi genitori. Le persone al mondo più vicine a essi. Le uniche a cui la vita aveva permesso di ricoprire quel ruolo per lui. con un sorriso ricorda i loro visi, scarni, ridenti, tristi. Addolorati dalle tante batttaglie. E pensa a tutto quello che la vita gli ha messo davanti nel momento stesso in cui lui e Ron avevano deciso di diventare amici. La morte di Bill, di Charlie, di Ron. E Harry è certo che Ginny ed Hermione si sono tenute lontane da loro. Hanno perso tutto quello per cui avevano lottato: i loro figli.

Senza pensarci afferra il telefono.

-sì, desidera- metallica e meccanica, la voce del centralino.

-vorrei il numero di telefono di Molly e Arthur Weasley.

-resti in linea e schiacci due per essere collegato direttamente. Grazie di aver scelto R.V, le Ricerche Veloci per le tue telefonate!

Harry ridacchia appena. Che cose stupide.

Schiaccia 2, e aspetta, un po’ emozionato, ma stranamente tranquillissimo. Come se avesse sempre saputo che prima o poi lo avrebbe fatto. E quel momento è arrivato.

-buona sera, casa di riposo Northon per maghi in pensione e reduci della Guerra Magica, desidera?

Il primo contatto con il suo mondo da tanto tempo, filtrato da un ricevitore gelato e da un’altrettanto fredda voce sconosciuta.

-sì, salve… volevo sapere se è possibile parlare con i vostri pazienti.

-se sono svegli.

-con Arthur e Molly Weasley?

-ah, sì. Loro sono svegli di certo. sei uno dei figli?

Harry sorride appena. –in un modo o nell’altro.

-chi devo dire che li desidera?

-non lo dica.

-okay, aspetti in linea.

Harry pensa per un attimo che sia meglio riagganciare. A che serve andare a turbare la quieta vecchiaia di 2 delle persone a cui più ha tenuto?

Ma nel momento stesso in cui la calda e morbida voce di Molly affiora al suo orecchio, capisce perché. –pronto?- esitante, leggera, piena di speranza. Stanca della vita e dell’interminabile attesa di un momento felice. E lui di momenti di angoscia, di paura, gliene ha dati tanti. Perché non donargliene anche uno solo di gioia? Di speranza? Di quella vita che con il loro amore incondizionato loro hanno donato a lui?

-ciao Molly.- dice piano. Molly. Non l’ha mai chiamata così. Ma nella sua mente, in tutti quegli anni, lei ha smesso di essere la “signora Weasley” e ha iniziato a essere semplicemente “Molly”, la mamma che lui aveva tanto sognato.

Molly si attacca al ricevitore per non sprofondare in un’illusione. Lo sa che non può essere lui. eppure in quel dolce e amaro tono, in quel roco bisbiglio pieno di rancore, eccolo. Lo sente. Non è altro che un grido del passato, uno spiraglio che si affaccia sul suo futuro, un ultimo attimo di freschezza in quella che ormai è una vita stanca e anziana.

-come stai?- le chiede. Una semplice domanda che tante volte si era sentita fare in quegli ultimi attimi, ma che per la prima volta le fa piacere sentire.

-bene. tu?- non può chiedergli se è lui. non può distruggere così quell’immensità che le sta squarciando il petto.

-abbastanza bene, grazie. Mi sento un po’ solo.

-da dove mi chiami?

-sono in un paesino di mare.- aspetta un secondo. Quella voce lo ha riempito di rimpianti. Perché se n’è andato? Non lo ricorda nemmeno più. non è più capace di spiegarlo. Ne a lei ne a se stesso.

-che bello…- sussurra Molly

e dalla sua voce capisce che lei non gli chiederà un perché.

 –Molly, signora Weasley….sono Harry.

lei emette un flebile singhiozzo che lo riempe di una gioia immensa, come non ne sentiva da tanto, tanto tempo.

 

“SHANNON BAY”. Ricordi, speranze, emozioni. “SHANNON BAY”. Parole, momenti, sogni. “SHANNON BAY”. Un cartello, un paese, una spiaggia. “SHANNON BAY”. Una lettera, un timido innamorato, una coraggiosa amante. “SHANNON BAY”. Una macchina vi si affaccia lentamente, scivolando tra le case. “SHANNON BAY”. Una giovane donna segnata dalla solitudine osserva con occhi appannati le piccole case l’una gemella all’altra, allineate in simmetrico ordine sul ciglio della strada, piccoli sentieri in ghiaia delineati da siepi ben potate, asciugamani e vestiti appesi ad asciugare che si gonfiano e si sgonfiano nel vento leggero della notte. “SHANNON BAY”. Un ultimo round per riacquistare quello che è stato perso.

“i never forget what i lost”, come dicono i Green Day, pensa Ginevra. E io lo rivoglio indietro. Segue le indicazioni “beach”, una dietro l’altra, su cartelli azzurri consumati dal vento, dalla pioggia, dal sole. Il parcheggio d’asfalto è vuoto. sulla spiaggia bianca una leggera nebbiolina echeggia al suolo come un lieve sospiro. Gin non si guarda allo specchio, non si sistema, ne nulla. Esce dalla macchina di Hermione e si chiude la portiera alle spalle. Piccoli brividi corrono sulle sue braccia, ma non le importa. Si avvia sulla spiaggia. La nebbia si sposta appena al suo passaggio. Le stelle si specchiano in quella valle di silenzio. E il mare, roco e gelato, scivola sul bagnasciuga, accarezza le conchiglie, e poi le abbandona così, in balia delle onde e delle paffute mani dei bambini. Ginny continua a camminare. Non le importa cosa troverà. Qualcosa deve trovare. Continua a camminare. Non piange. Non ride. Le gambe le tremano, il cuore le batte forte. Dopo tanti anni ha trovato il coraggio che da ragazza l’aveva resa degna di Harry, l’ha ritrovato, e per lui lo vuole usare. Per salvarlo, questa volta. Perché lui non l’aveva capito: lei avrebbe rischiato tutto per lui. e avrebbe fatto bene. sarebbe stato meglio morire che vivere la vita che aveva avuto sin ora. Ma adesso basta. Lontano affiorano scogli appuntiti. Gin li guarda con coraggio e prende una silenziosa decisione che la rende triste e felice insieme. se non troverà Harry, allora quello che perderà va al di la dell’amore. Va al di la della felicità, della speranza. Dei ricordi. E senza tutto questo, comunque vada, l’ha già persa.

La vita.

 

“SHANNON BAY”. Un’ultima partita con il destino.

O tutto o niente. E Ginny ormai l’ha deciso.

 

Harry  si appoggia alla staccionata color crema che racchiude il suo piccolo mondo. sono le 4 e all’orizzonte una sottile striscia rosata inizia a illuminare le creste delle onde. Sentire la signora Weasley l’ha fatto stare meglio. Si sente come più leggero. Arthur dormiva, ma ha promesso di richiamare. E Harry si stupisce d’avere intenzione di farlo.

Cara Ginny, pensa, ci avresti mai scommesso? Ho chiamato proprio i tuoi genitori, nel disperato e ultimo tentativo di sentirti più vicina. Ormai i contatti con il mondo li sto riaprendo. E tu dove sei? Nascosta nel comodo guscio di questa nuova vita che non mi comprende. Quindi sai cosa ti dico? Anche io lo farò. Smetterò di pensare a te. Forse è la cosa migliore, no?

Sorride. sa già che non ce la può fare. Che tutto quello che riguarda il suo passato è come una ferita aperta che non si può rimarginare.

La nebbia si sta diradando, e sottili raggi di sole vi ballano in mezzo. Gli pizzicano per un secondo la pelle del viso, trasportati da un vento freddo.

Il suo sguardo corre sulla sabbia pallida, lungo le coste, nascoste dall’ombra di piccoli arbusti, scavano nella nebbia argentata e leggera, sulla schiuma del mare.

Lo riempe di una confortante certezza sapere tutto quello che può scorgere nel suo panorama personale.

Ma poi, i suoi grandi occhi gravi di emozioni ormai appassite, scorgono qualcosa che li annega di luce.

C’è una figura sottile che cammina lentamente, come per voler assaporare ogni frammento di quel luogo. Harry trattiene il respiro. La pelle bianca della donna risplende in quell’alba bambina, irradiata di dolcezza. Lunghi capelli rosso fuoco le danzano intorno alle spalle magre, scendono in larghi e morbidi boccoli lungo i suoi fianchi delicati, coperti da una maglietta leggera, bianca, che le arriva fin alle cosce, gonfiandosi nel vento. tiene una boarsetta su una spalla, e il suo sorriso umido di speranza e coraggio, di dolcezza e rimorso, affiora in quella landa deserta.

Harry non sa cosa fare. Eccola. Dopo tanti anni, dopo tanti sogni, dopo tante lacrime, lei. La donna che aveva sempre voluto accanto. la donna che aveva amato. La donna di cui più aveva bisogno per vivere ancora.

Li, davanti a i suoi occhi. Ginevra.

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Capitolo 16
*** lacrime d'un eroe ***


Capitolo 16

Capitolo 16

Lacrime d’un eroe

 

La luce leggera dell’alba entra a fiotti nella camera da letto. Raggi dorati di sole si attaccano ai suoi capelli rossi, alle sue ciglia sottili, ballano tra le sue lentiggini, sul suo naso. Hermione alza il busto, e lui apre gli occhi. I ricci castani le scivolano sulla schiena nuda. Con un sorriso si tira le lenzuola sul seno. Gli mette una mano nei capelli, accarezzandolo piano.

-Ron…

lui sorride, soddisfatto, complice, innamorato. Avvolge la sua mano con la propria, richiude gli occhi. Allunga un braccio e la tira a se ancora,  stringe il suo corpo caldo e profumato di sonno.

Hermione si lascia abbracciare, sentendosi calma e felice, dolcemente cullata da quell’abbraccio.

-‘giorno principessa.

Lei sorride, si volta appena, lo bacia. Guarda il suo sonno tranquillo e una stretta di dolore la prende da dentro.

-Ron?

-dimmi piccola.

-te ne sei andato…perché Harry era morto? Solo per questo, non è vero?
la sua stretta si irrigidisce intorno ai suoi fianchi sottili. Eccolo, nella sua mente, rievocato nella confusione dei ricordi come le parole di una vecchia canzone, l’amico d’un tempo. La sua risata roca. Le sue preoccupazioni. Le sue paranoie. Le sue manie.

-sì.

Una mesta sincerità, piena di un dolore che Hermione credeva essere l’unica a provare. E invece quel dolore è li, forte e crudo, vivo nella voce del suo uomo, freddo sulla sua pelle. E per colpa sua.

-ma tu non hai visto il suo corpo. Non l’hai visto, come hai potuto essere certo della sua morte?- rabbia, quella che per tanti anni è stata costretta a nascondere sotto strati e strati di tristezza.

-neppure tu hai visto il mio corpo, e non per questo hai pensato che fossi vivo!- Ron alza la voce, si innervosisce.

-e invece sì. Pensavo fossi vivo, ma non sapevo dove cercarti. Al San Mungo mi hanno detto che tutti quelli entrati erano morti, tutti, nessuno si era salvato. Mi hanno chiesto se volevo vedere i corpi e ho preferito attaccarmi alla speranza che tu fossi vivo. Ma tu? Perché non hai cercato Harry?

-chi ti dice che non ho cercato? E poi tutto il mondo ha letto l’articolo sul Profeta: “IL BAMBINO SOPRAVVISSUTO NON HA SUPERATO LA BATTAGLIA MAGICA: IL TRAMONTO DI UN EROE”. Tue parole, Herm! Tue parole. Non firmate da te, ma lo so che sono tue.

Lei singhiozza sotto le urla di Ron, si separa da lui, si alza in piedi, tenendosi stretta nel lenzuolo e lasciandolo li, steso nel letto vuoto, solo la camicia e un paio di boxer addosso.

-cos’altro dovevo fare???- anche lui si alza, in piedi dall’altro lato del letto.

Hermione si mette una mano nei capelli.

-già, cosa!? Che cosa difficile! Mi spiace davvero che tu non sia arrivato a una così semplice conclusione, invece che architettarci tanto sopra Ronald! Dovevi solo chiamarmi! Non andartene così!

-mi sono già scusato, mi pare!

-scuse? SCUSE! Cosa me ne faccio delle tue scuse dopo 10 anni?

-allora me ne vado, va bene? me ne vado! Torno in Isalanda e chi s’è visto s’è visto!
-no! eh no! adesso ti prendi le tue responsabilità, stupido codardo! L’hai vista di la? L’hai vista tua figlia?

Ron sospira. –certo! ti sembra che sono così insensibile? Con che bell’uomo sei venuta a letto!

-no tesoro, io non sono solo venuta a letto con quest’uomo terribile! Io mi sono innamorata di lui!

respirano forte, con il fiatone, smettono d’urlare.

-ma guardaci Ron, siamo patetici.- sussurra lei roca.

-già, patetici.

-dopo tanti anni non siamo ancora capaci di parlare senza metterci a urlare.

-è quello che amo di te. Non ti fai mai mettere in piedi in testa.- c’è dolcezza nel tono della sua voce. Hermione sorride, sale sul letto, striscia piano.

Lui si siede, lei gli sale in grembo, si lascia abbracciare.

-quello che mi fa arrabbiare è quante cose abbia sbagliato nella mia vita, Ron.

-cosa dici piccola?- le accarezza le guance, le scosta i ricci dalla fronte, tranquillizzato dalla sua improvvisa calma.

-anche quando eravamo bambini. Sbagliavo sempre.

-non è vero…sei la persona più inteligente del mondo.

-no, non è vero. pensavo di odiarti, spesso. e invece ti amavo. Avrei voluto sussurrarti parole dolcissime, e invece ti urlavo contro.

-non ti aiutavo di certo.

-già, ma tu sei quello scemo, no? avrei potuto essere meno preziosa. Aspettare che tu mi invitassi al ballo del Ceppo.

-in un qualche modo l’avrei fatto.

-così tu non ti saresti mai messo con Lavanda, e io non ti avrei mai tirato contro dei canarini.

Ridono dolcemente al ricordo. Si baciano ancora.

Hermione si sente così bambina sulle sue ginocchia. Ma ha bisogno di redimersi da tante colpe. Le sente li, pesanti su di se.

Ron la guarda con affetto. Li, seduta, con i ricci che le ricadono sulle spalle e sul seno bianco, con il lenzuolo stretto intorno al petto come l’elegante vestito dei suoi sogni più intimi.

-mi sono comportata da bambina innamorata quell’anno, e tu non te ne rendevi nemmeno conto! Diventavo rossa, e facevo cio che mi chiedevi.

Ron sorride, l’accarezza. –anche tu non ti accorgevi di me.

-quando è morto Silente…e tu mi hai abbracciata forte…e piangevi, e io piangevo…

le sfiora il naso. È così leggera, piccola e tremante su di lui.

-non mi ero mai sentita così tranquilla con qualcuno.

-neppure io.

Hermione sorride.

-Ron… io avrei fatto qualunque cosa per te e Harry. vi amavo come non avevo mai amato qualcuno in tutta la mia vita. Eravate tutto per me. e credo che lo sarete sempre. avrei fatto qualunque cosa per voi, anche se questo poteva rendermi infelice, in qualche modo.

Grosse lacrime le scivolano negli occhi. Deve essere sincera con lui.

-alla fine vi aiutavo con i compiti….

-sì, alla fine sì.- un altro tranquillo sorriso, pieno di ricordi.

-fin dal primo anno, sono stata dalla vostra folle parte, nelle vostre pazze congetture, sempre…

-sì, fin dalla pietra…

-e poi sono stata io a rubare gli ingredienti per la pozione polisucco….e a farla….

-sì, mi ricordo tesoro.

Hermione piange. In qualche modo vuole ricordargli tutte le buone azioni che ha fatto per loro prima di colpirlo.

-il terzo è stato un anno terribile.

-non mi è sembrato…

-lo è stato! Litigavamo sempre. e io piangevo. Piangevo come una fontana, tutte le notti!

Ron l’abbraccia piano, la culla.

-Ron…

-dimmi cosa mi devi dire ‘Mione. Dimmelo, ti prego. Cosa c’è?

Lei si alza dalle sue ginocchia.

-ti prego, perdonami Ronnie. Ti prego…

-per cosa?

-per averti mentito…per averti nascosto la verità…perdonami per non essere stata sincera…per aver messo sopra a tutto e a tutti Harry, quella notte.

Ron non ci può credere. Dopo tutto quel discorso, era li che lo voleva portare? A Harry? a Harry, a lei, a una notte? si alza.

-cosa?! Cosa stai dicendo?- urla di nuovo. E piange. Non può crederci. Non può.

-ascoltami, ti prego, ti supplico…

-ti ascolto! Ma cosa diavolo devo ascoltare?! Cosa?!

-mancavano poche ore…poi avremmo incontrato Voldemort…tu dormivi…e Harry piangeva….

-E…?!

-e piangeva, e piangeva…e mi ha supplicata, mi ha supplicata- singhiozza, cade a terra, senza più forza per tenersi in piedi sotto il peso delle lacrime, di quella confessione. –mi ha supplicata di lasciarlo andare.

-cosa?- sussurra piano. Resta immobile, in piedi, con lei ai suoi piedi, accucciata in pianto a dirotto.

-mi ha detto che se avesse vinto o perso non importava. Lui se ne sarebbe andato comunque, e noi dovevamo fare come se fosse morto, esattamente come tutto il mondo.

-quindi…?

-abbiamo scritto l’articolo, e poi l’ho messo in posa, e l’ho fotografato…

-quindi…?

-e poi il giorno dopo, lui ha vinto. E c’era il corpo di Voldemort, Ron, io l’ho visto. Io l’ho cercato.

-un mangiamorte mi ha detto…!

-ha mentito! L’ha fatto per farti soffrire! Per farci soffrire tutti! Harry è vivo!- l’urlo d’Hermione si spegne in un silenzio straziato dai suoi singhiozzi.
Ron si prende le guance tra le mani, le lacrime che fluttuano sul suo viso come piccole navi in un mare di disperazione, frustrazione, delusione. In un mondo fatto di tutto il dolore inutile che ha sofferto nel tempo, tutto l’amore che ha represso, tutte le lacrime che ha pianto. E poi, improvvisamente, un dolce barlume di felicità. Perché infondo lui e Harry avevano fatto lo stesso strano ragionamento, lui ne è certo: sparire per permettere alle loro donne di vivere ancora.

E perché infondo, Harry è vivo.

 

Ginevra distoglie lo sguardo dagli scogli. Sorride alla vista di una casetta appoggiata li, nella sabbia umida. Lontano, il sole sta iniziando la sua salita. Un sapore di salsedine e di umido le riempe le narici. Si sfila le scarpe e le tiene in una mano. Le dita le sprofondano nella sabbia gelata, morbida, sottile. Le viene voglia di tuffarsi in mare, ma ha freddo.  Uno strano freddo che si sta tramutando in delusione. Harry non c’è… ma poi si sente pizzicare gli occhi, come quando ti senti osservata a lungo. Guarda meglio la piccola casa. ha un cortiletto delimitato da una staccionata bianco crema, e appoggiato a essa c’è un uomo. Ginny aumenta un po’ il passo. Può chiedergli un bicchier d’acqua, inizia ad avere sete.

Ha capelli un po’ lunghi che gli solleticano il collo, senza sfiorargli nemmeno le spalle, in una posa disordinata e spostata dal vento, di un bel nero corvino che le stringe il cuore in una morsa di delusioni e speranze.

I capelli neri le fanno sempre quell’effetto. Si sente come se Harry fosse li, anche se non c’è. Gli scogli si avvicinano. Ormai si vede già sul loro bordo appuntito, in bilico tra la vita e la morte, in balia di una scelta che viene posta sul cammino di poche persone: vivere o morire? E lei ha scelto. Non ci può credere. Vede se stessa, riflessa nello specchio dei ricordi, com’era un tempo. Come frame di un film lungo 30 anni, eccola. La ragazza popolare. Eccola, la fidanzata dell’eroe. Eccola, la brava studentessa trasgressiva. Eccola, la giocatrice di Quidditch. Eccola, Ginny Weasley. Che tante avrebbero voluto essere e che adesso non vuole più essere nessuno.

Guarda ancora l’uomo. La fissa attentamente, ha un viso smagrito, pallido, ma un grande sorriso, dolce, pieno di rimorso.

La nebbia sembra diradarsi ancora, definisce meglio i contorni del viso dell’uomo.

Gin sgrana gli occhi.

Non ci può credere.

Si avvicina ancora, i piedi pesanti mentre si scrollano di dosso la sabbia, il cuore che batte con forza.

E poi, la conferma.

I grandi occhi verdi dell’uomo l’accarezzano, si legano ai suoi.

Ginny si ferma a pochi metri dal cancello, e lui esce. Sorride, mentre grosse lacrime iniziano a rigargli le guance. Ma Gin non piange. Le manca persino il fiato per respirare. Lui apre le sue labbra sottili alla ricerca di qualcosa da dire, ma le parole non servono. Il suo sguardo le dice tutto cio che lui non riesce a esprimere a voce. C’è la frustrazione per averla lasciata. La vana speranza che lei possa capire. La supplica perché lei resti. C’è l’immensa e arida tristezza di quegli anni vissuti nel ricordo del loro amore infantile. C’è il dolore che ha scavato un profondo solco dentro di lui, un vuoto che niente può riempire. Lacrime che non aveva mai avuto il coraggio di mostrare a qualcuno per davvero. Lacrime di un eroe. Lacrime di qualcuno che a furia di dirsi forte s’è fatto tanto debole da non riuscire a muoversi, immobile in quella nebbia leggera, immobile in quell’alba luminosa. Lacrime che gli bruciano gli occhi. Non c’è più coraggio in lui, non c’è più la sicurezza, non c’è più niente che in passato l’aveva reso ai suoi occhi bambini un uomo da amare. Eppure, adesso, a Ginny sembra ancora di più l’uomo più bello del mondo. e i suoi occhi si tingono di dolcezza, d’affetto, d’amore. Il suo sorriso brilla di coraggio. Lo stesso coraggio che Harry aveva sempre trovato così rasserenante in lei. E quell’espressione dura, ardente, viva, pura, le si disegna sul viso, oggi proprio come allora. E sotto il velo di tristezza, di rancore, di gelo, che gli ultimi anni hanno dipinto su di lei, lui la rivede: la bella principessa che per anni e anni aveva aspettato di salire sul trono del suo cuore. Le scarpe le cadono dalle mani. Ride, con la sua risata fresca e cristallina, fatta adulta, proprio come lei. Si scrolla di dosso tutto il dolore in quella risata piena di vita, e Harry si sente rinascere al suo cospetto. Non riesce a muoversi, non ha la forza di correre da lei.

Ma sa che questa volta,  sarà lei a prendere l’iniziativa. Prega che sia così. Che nonostante tutto, lei sia ancora pronta per lui.

Mi avrai davvero aspettato per sempre? come nella bellissima fiaba che ogni sera cullava il mio sonno? Tu, piccola principessa, avrai davvero atteso il tuo eroe fallito al di la del tempo che il cuore di una donna possa aspettare? Avrai davvero mantenuto per me quel tuo sorriso così puro e dolce? Per me, le tue carezze, le tue attenzioni, le tue parole forti, la tua risata…per me?

Ginny si mette a correre, scivola nella foga, ma si rialza. Questa volta non intende cadere.

Hai davvero aspettato, Harry, che io ti trovassi? Sei davvero rimasto solo in questa piccola casa, in questa culla per il nostro futuro, per i nostri sogni? Ti sei davvero fatto da parte per permettermi di vivere, senza però rinunciare a me? sono qui Harry, sono qui. Non ho dimenticato le promesse che ti ho fatto. Non ho dimenticato l’amore che provavo per te. In onore di quelle povere piccole settimane tra noi, io ho atteso. In onore di quell’unica notte. perché so che c’è un futuro per noi. E tu sei davvero ancora li, tutto per me? tu, l’unico. La tua timidezza nascosta, la tua dolce insicurezza, il tuo spavaldo coraggio? E mi stringerai quando ti arriverò davanti? E mi bacerai quando ti bacerò? E lascerai che io asciughi le tue lacrime, culli il tuo sonno… ami le tue labbra… proprio come in tutti i miei più splendidi sogni, finalmente, nella realtà?

Entrambi sanno che c’è un unico modo per rispondere alle proprie domande.

E Ginny non esita.

Si lancia.

Ridendo, e improvvisamente piangendo.

Stringe le braccia intorno al suo collo, gli mette una mano trai capelli.

Harry l’abbraccia con forza, immerge il naso nel suo profumo dolce e acre, il profumo di fiori che aveva cercato nel sonno e nella memoria per anni e anni.

Ginny lo stringe con rabbia, con energia, con durezza. Ma soprattutto, con amore. Respira, per la prima volta negli ultimi anni, veramente, a pieni polmoni. Scivola lungo le sue spalle annega il viso nel suo petto. Piange lacrime piene di una gioia grande e incontaminata.

Harry appoggia la guancia ai suoi capelli, morbidi, vellutati, lisci.

-Ginny…

lei alza il viso su di lui. sorride.

-no Harry, no. non adesso… Non parlare.

La sua voce si è fatta donna, proprio come il suo piccolo morbido corpo tra le sue braccia. Ginevra porta le mani sulle guance di Harry. si è fatto la barba.

Chiude gli occhi, e appoggia le labbra sulle sue.

Si baciano. Con passione, con tristezza, con disperazione. Scivolano a terra, sulla sabbia umida, nella nebbia che rada si aggrappa al loro corpo. Nella luce tenue di quell’acerba alba. E il bacio si fa dolce, lento, pieno di tenerezza, pieno d’amore. Come un primo timido bacio, tra di loro. Pieno della stessa felicità, pieno della stessa allegria, pieno della stessa aria di vittoria che aveva avuto quello vero. Harry si sdraia, il viso che guarda verso il cielo. E le stelle, abbagliate dalla luminosità di quel sole nascente, dalla corona brillante dei capelli di lei, impallidiscono appena. Ginny gli si siede nel ventre. Si sfila la camicetta, che si libra nel vento, si gonfia e poi appassisce li accanto, inutile come i giorni passati. Poi gli sbottona la sua, e ogni passo lo ama di più, lo scopre con gioia. Lo bacia ancora. E ancora. E lui guarda il suo viso. Mai, si erano immaginati un più dolce e romantico ritrovarsi. A Ginevra fanno un po’ male le ginocchia, che sfregano contro la sabbia. Ma non importa. Si morde le labbra, alza il busto. Il piccolo  seno bianco si intravede sotto il pizzo della biancheria. Da quella posizione lo guarda, sorride. Ironica, divertita, divertente. Harry ridacchia, tende le mani e le cattura le guance, la porta a se, e la bacia ancora. Poi lei si abbassa, sprofonda, gli sfila i pantaloni con calma. Lo vede rabbrividire e lo abbraccia un po’. arrossisce, improvvisamente pudica, la sua risata cristallina s’incrina. E lui non le mette fretta. Le slaccia i jeans, le sfiora il grembo. E Ginny è li, nella sua pura nudità, nella sua innocente bellezza. Lo guarda, nascosto appena nell’ultima penombra, così serio, così adulto, le ombre tormentate sul suo viso si diradano, le lacrime nei suoi occhi si asciugano, e lei, abile fata, ricuce le sue ferite a ogni bacio, si preme su di lui, in un lungo, dolce, amarsi.

E alla fine ricade sfinita al suo fianco, lo stringe più forte, nasconde il viso nel suo collo, scivola accanto a lui, stanca, brilla d’amore, felice. I loro cuori battono insieme, tranquilli, pieni di vita. Lui le mette le dita nei capelli, e la tiene così, avvolta a se, nella sabbia, nel rombare del mare, in balia delle carezze del vento. E si abbandonano così al sonno, con un quieto sorriso sulle labbra pulsanti di baci.

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Capitolo 17
*** parole tra di noi ***


Ciao

Ciao! Ehi, quanto tempo… cavoli!! Bhè, eccovi finalmente un nuovo capitolo… grazie ancora per le splendide recensioni… mi hanno davvero resa felice! Spero che questo capitolo vi piaccia…. Un bacio immenso!

 

 

Capitolo 17

Parole tra noi

 

Ginny non parla. Accarezza i capelli corvini di Harry, il suo capo appoggiato morbidamente nel proprio grembo.

Non vuole svegliarlo. Ha bisogno di dirgli tante cose, ma improvvisamente può aspettare. Giorni, mesi, anni. Non le importa. L’unica cosa che conta adesso, nella sua mente, è non doversi separare da lui.

Harry apre gli occhi. Sfiora la pella nuda di Ginevra sotto di se. Si lascia cullare con dolcezza.

-Gin…- quel nome sulle sue labbra lo riempe di una felicità immensa. Per anni è stata l’unica cosa in grado di fargli sentire che lei esisteva. E adesso, a quel piccolo richiamo, sa che ci sarà una risposta.

-buongiorno…- roca, sorridente, sensuale. Harry dischiude le labbra e lei le accarezza con le dita bianche e fresche.

Le prende una mano. –buongiorno a te…

Silenzio. Morbido, ovattato, pieno. Silenzio. Il sole appoggiato sull’orizzonte, le onde che danzano ai loro piedi. Silenzio. E entrambi sanno che devono riempirlo.

-Ginny, io…

-lo so. Dobbiamo parlarne.

-sì.

Gin annuisce piano. –dimmi tutto quello che mi devi dire, Harry. ma prima di prendere una qualunque decisione, ti prego, aspetta di sentire quello che ho da dirti anche io, questa volta.

“questa volta”. Perché l’altra volta non ti ho permesso di ribattere. Di essere felice. Di essere innamorata. Come tu eri. E adesso? Cos’è cambiato adesso?

Harry si alza. Il petto nudo scintilla nella brezza della mattina. Ginevra rabbrividisce, privata improvvisamente del calore del suo corpo.

-va bene.

Ginny annuisce. Non ha il coraggio di guardarlo. Chiude gli occhi. Sorride appena, momentaneamente sazia di quell’amore che per tanto tempo aveva cercato nei ricordi.

Non parla. Non vuole che lui senta la speranza, la paura nella sua voce.

-Ginny, io… mi dispiace.

Quelle scuse restano sospese per aria, le sferzano il viso come una carezza.

Annuisce.

-lo so.

-pensavo di fare bene, a sparire. Guardami Ginny. non sono l’Harry Potter di cui ti sei innamorata.

-e io non sono la Ginny Weasley che si è innamorata di te.- semplice, innocente, vera, quella frase lo riempe di tristezza.

-durante il viaggio che è finito con la morte di Voldemort… io… pensavo in continuazione a te. A quanto fosse ingiusto che non potevamo essere felici. Ma poi, quando mi sono trovato a due passi dalla fine, ho guardato al di la di Voldemort, e mi sono accorto che non vedevo nulla. Non vedevo la bella vita per cui avevo sempre lottato, Ginny. non potevo pensare di aver spinto a morire tante persone che amavo, di aver distrutto tante cose, solo per arrivare a battere un uomo, la cui vita o morte, dipendevano solo da me ancora una volta. E improvvisamente, Ginny, anche io dipendevo da lui. mi sono accorto che comunque sarebbe andata, io non sarei mai più stato uguale.

Ginny vorrebbe abbracciarlo. Vorrebbe baciarlo, arginare quel fiume di parole, quella tristezza, quel disperato pentimento. Ma improvvisamente è ancora la bambina innamorata di tanto tempo prima. E ha paura per lui, proprio come allora. Come quando vedeva che stava male e non poteva fare niente per lui. in mezzo a tanti avvenimenti, lei voleva solo prendergli la mano, dirgli che c’era. Si mette a piangere. È come quando Hermione era stata pietrificata e lui stava male. Cercava il modo per salvarla. E nessuno, nessuno, si fermava nemmeno un secondo per abbracciarlo. Come quando Sirius era scappato di prigione e tutti credevano rischiasse la vita, e quando poi lui aveva saputo il collegamento di Sirius con il suo passato. tutti li a dirgli di non fare niente, di stare attento, e nessuno che lo abbracciasse semplicemente. E durante le prove del torneo… quando tutti pensavano solo al fatto che lui dovesse vincere, senza fargli sentire nemmeno per un momento che non importava. E poi la morte di Cedric… e l’Ordine. Mai come in quell’estate lei avrebbe voluto abbracciarlo, medicare le sue ferite, fargli sfogare la sua rabbia. E poi ancora, verso il momento in cui lo pensavano addirittura impossessato da Voldemort. Solo parole aveva avuto a disposizione per fargli sentire che era li. E imprivvisamente aveva smesso di essere la “Ginny timida e innamorata”. C’era Michael, c’era Dean… ma a lei non importava davvero di loro. No. quando Sirius era morto, lei avrebbe mandato a fuoco tutti quei corteggiatori privi di spessore anche solo per asciugare quelle lacrime che Harry non versava. Quando era morto Silente, lei c’era riuscita. Era li. Era al suo fianco. Lo aveva abbracciato, preso per mano. Aveva atteso con lui che tutto passasse. E cos’aveva avuto in cambio? Una porta chiusa, una prigione in una valle di ricordi e di momenti che non poteva riprendere con se.

-lo sapevo Ginny… ero già diverso. Ma quando Voldemort sarebbe morto, io sarei morto un po’ con lui. era stato lui, la causa del mio dolore, la causa del dolore di tutti voi. E io volevo solo vendicarci. Ma poi, cosa ci sarebbe stato poi? Sarei stato un sacco vuoto, accasciato e dimenticato. Sarei vissuto di rimpianti. Voi avevate dato tanto per me… volevo solo, davvero, volevo solo che voi aveste la possibilità di essere un po’…normali.

Ginny singhiozza.

-lo so, lo so che non è stato così… che tu ti sei chiusa in una casettina sperduta, che Ron è morto e Hermione è sola…

Gin scuote il capo. –Harry…

-nel momento in cui Voldemort è morto, è caduto ai miei piedi sotto il peso di tutto quel potere, morto, come tutti lo sognavamo… ho visto svanire tutto quello che mi aveva reso speciale. Quello che aveva reso speciale la mia vita. Ho immaginato le vite perfette che vi eravate già preparati e mi è venuto il panico. Io non sarei stato in grado di essere felice… già mi vedevo Ron e Hermione e Lily, seduti intorno al loro tavolo della cucina, tutti felici…

-Harry…

-sapere che invece è andata male è stato terribile… ho fallito, fallito di nuovo… mi mancate, Ginny, mi mancate da matti. Tu, certo. ma anche Hermione, il suo fare da rompipalle… e Ron, oh Ron…- un singhiozzo roco. –è morto per me…

-non è morto, Harry.

lui si volta verso di lei. Sorride timidamente. –cosa?

-era scappato, anche lui. perché pensava… pensava di non poter costruire niente senza di te.

Piangono entrambi, pieni di paura, di rimorso. E di speranza, adesso.

-cosa?
-sì, hai capito.

Harry si alza. –ho rovinato tutto. tutto… vattene Gin. Vattene.

Gin si prende la testa tra le mani. Tutte le volte in cui avrebbe voluto correre da lui e non aveva potuto le baluginano nella mente. Una dopo l’altra, tutte le occasioni di amarlo che non ha potuto afferrare al volo.

-no, Harry. non questa volta.- Sospira -ti prego… Harry, non me lo fare. Non me lo merito.

Harry si ferma, le da le spalle. Sospira. Lei non si muove.

-dopo tutti questi anni non mi merito di essere di nuovo infelice.

-non posso pensare di aver rovinato tutto.

-è già successo, Harry. ora hai una nuova opportunità, non la sprecare. Per favore.

-no, Gin…

-cazzo, possibile che dopo tutto questo tempo riesci a essere così smidollato? Perché ci vuole solo questo, adesso: coraggio Harry, coraggio. Quello che hai usato per lasciarci tutti, non lo puoi trovare per tornare da noi?
Harry resta in silenzio, spiazzato.

-ho dovuto sopportare anni e anni di sguardi addolorati, di condolianze silenziose, di mezzi sorrisi impietositi, solo perché non volevo nessun ragazzo, nessun uomo. Solo te. Ma non lo facevo per aspettarti, perché mi sentivo in colpa, o per qualche strana eroica ragione. Lo facevo solo perché volevo solo te. Per più di 10 anni, io ho sperato che tu potessi riapparire nella mia vita e renderla speciale come gia avevi fatto una volta.

Harry scuote il capo. Non vuole ascoltare. Non vuole cascarci.

-immagina di essere ancora a Hogwarts. Immagina di aver finito la punizione con Piton e di correre alla torre di Griffondoro. Immagina di aprire la porta, e io ti corro incontro. E ti abbraccio, come avevo sempre sognato di fare. Una volta hai scelto di baciarmi e mi hai imprigionata in questa vita. Triste, patetica, ma quella che volevo. Questa volta puoi scegliere: lasciarmi andare, precipitare in una banalità che mi terrorizza, o baciarmi, prendermi per mano, e non so cosa succederà. Non ti posso promettere che vivremo per sempre felici e contenti. Non ti posso promettere che avremo tanti bambini tutti belli e felici, che avrai sempre la cena deliziosa, e il letto preparato… ma ti posso promettere, che io non mi tirerò indietro. Che io, semplicemente… ti amerò. Perché ti ho sempre amato. E ti amo tutt’ora. E non è una cotta. E non sei una cosa passeggera. Sei Harry, il mio Harry. e io voglio che siamo felici. insieme.

Harry aspetta. Si volta. Lei è ancora immabile, i ricci che le ballano sulla schiena nuda, sull’elastico del reggiseno di pizzo. Le spalle le tremano appena sotto il peso di piccoli singhiozzi. Chiude gli occhi. Eccoli, davanti a lui, quegli ultimi anni di vita in cui l’aveva sognata. E adesso lei è li, e vuole semplicemente amarlo…

Le si avvicina, le mette una mano sulla spalla.

-se mi volto, mi bacerai?- sussurra Gin.

-voltati, e lo scoprirai.

Ginevra gira la testa piano, il sole brilla sulle sue guance. Harry si appoggia alle sue labbra. Ginny risponde al bacio. lo abbraccia, nasconde il viso nel suo collo. lui la prende in braccio e cammina nella sabbia verso la piccola casa bianca dei suoi sogni, insieme, come nei sogni d’entrambi.

 

Nella folla di mani, di teste, di zaini, di piccole gambe di tanti bambini, Ron ha paura di non riconoscere sua figlia. L’ha vista per pochi istanti, quei pochi istanti che hanno preceduto un problema molto più grande: la risposta alla domanda che per anni e anni aveva tormentato la sua mente: Hermione mi ama ancora? Adesso la risposta ce l’ha. Sì. Ma al puzzle dei suoi progetti manca un piccolo essenziale pezzo: Lily. La sua reazione. Le sue speranze.

Le sue paure. Il suo giudizio.

-ciao.

Si volta. Eccola. Lui non ha mai avuto una buona memoria. Forse quella l’ha ereditata da sua madre.

-ciao Lilian. Come stai?

-bene. tu?
-bene, bene. tieni.

Le tende il bricco di carta con la cioccolata calda che ha comprato per entrambi.

-non sapevo cosa prenderti per la merenda, e ho pensato alla cioccolata. Se non ti piace buttala pure, eh?

-ma ti pare! Io adoro la cioccolata.

-bene, anche io.

Sorridono appena. –ti va, ehm, di… fare due passi e… bhè… parlare?

Lily annuisce. –ti manda la mamma, vero?

-anche.

-dove andiamo?

-sei mai stata a Diagon Alley?

-dove?
-vieni, dai. Possiamo andare al lavoro da tua mamma, dopo.

Lily alza un sopracciglio, chiedendosi di che lui stia parlando. Ma lo segue. Le piace il modo in cui cammina, trascinandosi dietro i piedi, come afflitto da una grande fatica. E il modo in cui sorride assaporando la cioccolata. Come se da molto tempo non fosse felice, ma ora lo sia davvero.

-di cosa vuoi parlare?- chiede Lily piano, esitante.

-di…

-te? Me? mamma? Harry?

-sì, credo.

-senti, voglio dirtelo fin da subito. Io non posso avere un padre. Non adesso, non così. Magari pian piano… ma non subito. Ho vissuto in un modo diverso da quello che avrei voluto, da quello in cui chiunque avrebbe voluto. Ma ho vissuto. E la mia non è stata una brutta vita, capito? Io e la mamma siamo state bene, in un modo o nell’altro. Lei è fantastica, e noi siamo amiche.

-io non voglio arrivare ed essere per te un padre. Voglio solo provare a essere… qualcuno.

-qualcuno come uno degli uomini senza senso che la mamma ha cercato di infilare nella nostra vita? Uno di quelli che un giorno c’è e il giorno dopo è sparito, all’inizio senza spiegazione, e poi, man mano che gli anni sono passati, con spiegazioni troppo accurate?- Lily scuote il capo, con tutta la rabbia e la frustrazione che per 11 anni non ha saputo contro chi direzionare, e ha dovuto tenere dentro di se. E improvvisamente, sa benissimo a chi riservarla. E lo vuole fare, perché sua mamma si era presa colpe che non aveva. Quello era suo padre: un uomo stanco, fallito. Un uomo che era scappato dalla vita… suo padre. Che schifo. –senti, mi dispiace. Io non sono così… io non sono cattiva. Davvero. Ma lei è la mia mamma. E per 11 anni ci siamo sforzate di essere tutto l’una per l’altra: madre e figlia, amiche, compagne di vita, compagne di stanza… tutto. tu non c’eri, non c’eri quando piangeva, quando era malata, non c’eri quando era triste, quando un uomo la lasciava… cavolo, non c’eri. E non c’eri quando io ho imparato a camminare, a parlare, a scrivere. Quando mi sono presa la varicella, o sono stata ossessionata dalle fate… non c’eri, e adesso non ti puoi imporre nella nostra vita, non così.

-io non lo pretendo, Lilian. Non sono qui per il tuo perdono. So già che non puoi darmelo. Non sono qui per essere compatito, o per raccontarti una storia che già di certo sai. Non sono qui per supplicarti di darmi una possibilità… sono qui solo perché vorrei conoscerti. Vorrei avere l’occasione di amare tua madre ancora una volta, anzi, di dirle ancora che la amo, perché per 11 anni io non ho fatto altro che pensare a lei, a te, a voi, a noi.

-io te la voglio dare.- lo interruppe lei.

-cosa?

-un’occasione. Di renderla felice.

-davvero?

-sì. L’ho vista felice… ma mai… come dire? Serena. Era sempre in attesa… in attesa di qualcosa. E ora so di cosa: del tuo ritorno.

-e ora che sono tornato… lei mi ama ancora Lilian, e io amo lei. Ma qui non è solo questione d’amore. E non è più questione di me e lei. Siamo stati noi la questione per anni e anni… e non siamo mai riusciti a deciderci. Ora siamo grandi, e i nostri problemi vanno messi da parte. Per te.

-il problema è… cosa ne sarà di noi? Sì, insomma… non posso cacciarti dalle nostre vite. Ormai ci sei. Non posso farlo, capisci? Ma come posso tornare qui, anno dopo anno, e vederti diventato parte del mio mondo senza che io nemmeno ti conosca? Come posso passare con te l’estate, giocare alla famiglia… senza sapere niente di te? Senza sentire davvero che sei parte di questa famiglia? Guardarti, e pensare… lui mi ha già lasciata una volta.

-lo so, lo so Lily. È difficile. È un casino. È un errore, il mio.

-come faccio? Io… io ho bisogno di tempo. Di pensare. Di riordinare le idee… non posso scegliere per voi, ma per me sì. E ho bisogno di scegliere, Ron.

Ron annuisce, sospira. Lei è li, piccola ma così donna, con quello sguardo forte, con quell’aria di superiorità. E ha in mano il suo destino, così come un tempo lui aveva avuto in mano quello di Lily.

La bambina si mette una mano trai capelli, sospira.

-di’ alla mamma che ci vediamo a casa.- dice. –mi dispiace. Non voglio rovinare tutto, ma in questo momento… ho paura.

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Capitolo 18
*** ricominciare ***


Ed eccomi qui con un nuovo capitolo… non mi soddisfa molto, ma spero che possiate perdonarmi

Ed eccomi qui con un nuovo capitolo… non mi soddisfa molto, ma spero che possiate perdonarmi!! Voglio davvero ringraziare anche i commenti dell’ultimo capitolo, che mi hanno resa davvero felice! Grazie! Ormai mancano pochi capitoli…finirò di certo con la fine di giugno, visto che a luglio e ad agosto non ci sarò… ma lavorerò così da potervi sfornare qualcosina per il traumatico rientro dalle vacanze! Spero che continuerete a leggermi anche dopo SM e ricordo che di mie ff ce ne sono un bel po’ nel sito… di certo a settembre ne inizierò una nuova, ho ben 2 mesi per meditarci! Detto questo…spero che questo capitolo vi piaccia almeno un po’… un bacio forte forte!!

 

Capitolo 18

Ricominciare

 

Ho la testa che scoppia. La gente mi scivola accanto, non mi nota, non si ferma. Il cuore mi batte in petto a mille all’ora. Cerco di rilassarmi, ma non ci riesco. Ho sempre odiato dover prendere le decisioni, infatti le prendeva sempre la mamma: che maglietta comprare? Che giorno andare a trovare i nonni? Che regalo fare alle amiche? Sempre. c’era sempre lei a sussurrarmi di scegliere bene. e mi aiutava. E se non ci riuscivo da sola, mi proponeva la sua scelta. Sempre la migliore, ovvio! Non avevo mai pensato che un giorno avrei dovuto scegliere se scegliere come lei. E soprattutto per lei. Questo no. mamma, vorrei trovare le parole giuste per dirti quello che non va. Per spiegarti quello che voglio e quello che non voglio. Vorrei che tu fossi qui, davanti a me, coraggiosa come sempre, ad ascoltare quello che ho da dire come hai sempre fatto. Ma ora non è sempre. ora, è tutto diverso. Noi siamo diverse, la questione è diversa. Vero mamma?

Voglio essere felice, e voglio che tu lo sia. Voglio vederti sorridere per le banalità della vita così come per le cose importanti. Vedere i tuoi occhi rilassati quando mi baci per la buonanotte, e vederti indossare una maglietta colorata quando mi svegli la mattina. Voglio che la gente non ci guardi pensando: poverine, tutte sole… quando in realtà noi stiamo bene, o almeno ci proviamo.

Voglio un padre. E mio padre è Ron. Lui, con quell’aria da “sono appena caduto dalle nuvole”. Lui, con quello strano sorriso triste. Lui, con il suo amore per te e il suo pentimento per me.

Ma ho anche paura. paura di uno di quei risvegli in cui siamo tornate sole dopo qualche giorno con un tuo fantomatico uomo perfetto. Allora quando succedeva ti arrabbiavi, eri triste, non so. Mi dicevi che gli uomini sono tutti da evitare. Mi raccontavi quello che era successo… mamma io non voglio nemmeno immaginare cosa succederebbe se ci, se ti, lasciasse Ron. Di nuovo.

E poi cosa ne so io di lui? sì, so la sua eroica storia. Sì, so che gli piace il cioccolato e che gli piaci tu. Ma questo non basta, non basta per renderlo mio padre! Non bastano le scuse per renderlo un padre, capisci? È come la canzone di Madonna: “please don’t say your sorry…” e io non le voglio sentire quelle scuse, mamma, “i don’t want hear i don’t want to know” .Non voglio, so già di non poterle accettare.

Lo so, lo so che questo non è quello che ti saresti aspettata da me. ti sto deludendo, non è vero? ma lo faccio per noi mamma. Per te, perché ti voglio bene.

Non posso accettarlo nella nostra vita.

Non nella mia, almeno.

Ma poi c’è sempre quella fisione, di te che ridi, seduta vicino a lui sul divano e io che ti guardo mentre la tele fa da sottofondo, vi racconto com’è stato l’anno scolastico, sorridiamo, programmiamo l’estate. E anche se non sono abituata a vederti toccare da un uomo, anche se non so chi lui sia, sono felice. Per te. Mamma…

Mi siedo su una panchina, tenendomi la testa tra le mani. Pensare a tutti gli anni che ho passato sperando solo che lui tornasse. Tutto il tempo che ho trascorso immaginando questo ritorno meraviglioso, questo padre fantastico… e invece? Invece sono qui, sono sola, sono confusa. E non so cosa fare. Mi sento troppo piccola per scegliere e troppo grande per non farlo. E vorrei solo che accadesse qualcosa, qualunque cosa, che mi ocnvincesse che è giusto dire di sì. Qualcosa di vero, qualcosa di grande. Una promessa, delle parole,  un gesto. Ma non succede niente. La gente cammina, le parole scorrono, le lancette rintoccano. Lontano, mia mamma si stara torturando le unghie all’idea di quello che devo fare. Troppo codardo per abbracciarla, mio padre starà fumando una sigaretta economica seduto in un bar davanti a un’ennesima cioccolata. Ginevra e Harry si saranno ritrovati? A loro non ho pensato. Ma la mia scelta condiziona anche la loro vita. Perché io so che se lo caccio da noi lui non avrà la forza di entrare nella loro vita. Troppe scelte, solo nelle mie mani. Cosa posso fare? Cosa?
-ehi piccola…perché piangi?

La bambina alza gli occhi, asciugandoli furtivamente con il dorso della mano.

Un uomo le si siede accanto, e lei si scosta, tremante, tirando su con il naso. Scuote il capo. –niente.

-ehi, nessuno piange così per un niente. Come ti chiami?

Lily si passa una mano nei capelli, scostandosi la frangetta dalla fronte in un gesto involontario che fa parte di lei. –Lily.

-hai un nome bellissimo, lo sai? Mio fratello aveva chiamato così la sua bambina.

Lily sorride appena.

-sì, davvero. Ma è morto, mio fratello intendo. Il tuo papà dov’è, piccola?

-non lo so. Non lo voglio sapere.

-e la tua mamma?

-al lavoro…penso.

Si asciuga meglio le guance, e dietro il velo sottile delle lacrime, fronteggia un uomo alto, con minuscole lentigini sul naso e una luminosa chioma di capelli rossi. Lily si alza di colpo. –chi sei?-chiede, spaventata.

L’uomo ride dolcemente, appoggiandosi allo schienale della panchina. –tranquilla piccola, non voglio farti niente. Comunque sia, mi chiamo Fred.

Lei giocherella con il lobo dell’orecchio. –Fred.- ripete piano.

-sì, Fred. È un nome un po’ stupido, lo so.

-oh bhè, non è quello. Non se sei cresciuta con una madre che si chiama “Hermione”. E poi io sono abituata alle cose stupide. E strane. Cioè, prima no. ma ora sì. Ecco, lo sto rifacendo. Sto parlando troppo. Dico cose senza senso. Mi dispiace, signor Fred. Non voglio impegnarla oltre.

-dammi del tu, piccola. Come hai detto che si chiama la tua mamma?

Lily si lecca le labbra. –Hermione. Hermione Granger.- poi si morde la lingua, e la voce di sua mamma le risuona nelle orecchie: “non dare confidenza agli estranei”. Arrossisce, sotto lo sguardo inquisitore dell’uomo, seduto sulla panchina, con stampato in faccia un mezzo sorriso velato di tristezza.

-Hermione Granger. Una donna meravigliosa, inteligente, suppongo, quanto lo era da ragazza.- parla con lentezza, scrutandola.

-sì, lo è.

-e anche tu devi essere inteligente, vero Lily?

-sì, sì. Credo.

Fred si passa le mani trai capelli, rivelando qualche sottile accenno d’argento.

-allora ascoltami, ti prego. Non farti notare. Adesso siediti qui. Ti prego Lily.

Lei annuisce. Si siede.

Lui la guarda. I suoi grandi occhi castani luccicano di lacrime.

-sai come si chiama tuo padre, Lily?

-sì, sì, certo. Ronald Weasley.

Le labbra di Fred tremano. –e…dov’è adesso?

Lilian sospira. –penso in un bar, a fare la persona patetica. O a supplicare mia madre di parlarmi.

-perché?- Fred parla piano, per evitare alle lacrime di liberarsi sulle sue guance.

-cosa te ne importa?

-ti prego…

-okay, okay. devo scegliere se permettergli di ricominciare con noi.

-è vivo.

-sì, se no come…

-vivo.

-esatto signore. Ma chi sei scusa? Conoscevi i miei?

-oh, sì. Bene, molto bene. Lilian, sono tuo zio. Uno dei tanti.

 

Ron ed Hermione si guardano in silenzio. Tra di loro, parole e momenti sono palpabili come la tensione che li ha sempre seguiti. Lei prova l’impulso di urlargli contro, lui di baciarla. Entrambi però, morirebbero pur di perdersi ancora in un semplice abbraccio. Ma non c’è più tempo. Si guardano, non si sorridono, attendono. Che il destino, la vita, Lilia, scelgano per loro se ci deve essere una seconda opportunità. Hermione allunga una mano e circonda le sue dita in una stretta affettuosa. Amore, amicizia, fratellanza, complicità, affetto, pietà, forza, coraggio, speranza, malinconia, si cullano in quel timido approcio, in quella soffice stretta. Ron sorride piano. La sua mano fredda rabbrividisce in quel guscio di protezione.

-sai, mi sono sempre dimenticato di dirti una cosa.

Lei sorride. Roca, timorosa, afflitta: -cosa?

-ti amo.

 

Ginny esce dalla doccia in una nuvola di vapore, i ricci che le cadono dolcemente sulla schiena bagnata, un asciugamano che culla il suo corpo caldo. Si siede sul letto e scosta le lenzuola. Harry è steso li, sorridente, tranquillo.

Lei gli scivola accanto, bagnata com’è, e lo bacia piano, innamorata come è sempre stata.

Appoggia la testa sul suo petto e si lascia abbracciare. Calma, domata, felice, appagata, stanca, euforica. Le luci del mattino gli avvolgono. Harry sorride sentendola al suo fianco. Sereno come mai si era sentito nella sua vita.

Nel silenzio lieve calato su di loro, ci sono tutte quelle sensazioni che la parola non può descrivere e che la voce non avrebbe comunque il coraggio di raccontare: tutti i ricordi che nel tempo erano stati la loro maledizione ora diventano frutto di un velo di malinconico piacere nei loro occhi. Tutta la tristezza diventa come la lontana e fragile base di tanta felicità. E quello che prima era stato un timido rapporto basato sul condividere esperienze, amicizie, famiglia, che poi era diventata una tranquilla amicizia, che era sbocciato in un divertente e forte amore che pian piano si era fatto struggente e disperato, adesso si adagia nei loro cuori come una dolce promessa.

-ehi Ginny?

-mm…- migugna nel sonno, stringendosi a lui.

-ti amo.

-anche io. Tantissimo.- e lo bacia, prima di sprofondare con lui nel sonno.

 

-mio…zio.- ripete piano Lily. –zio.

Fred sospira. –esatto.

-qui. A Londra. Ci siamo incrociati per le strade, forse. Al supermercato. E tu…sei mio zio. Mio zio!

-sì. Mi dispiace Lilian. Non…avevo il coraggio.

-coraggio! Coraggio! Sempre di coraggio mi venite a parlare! E io cosa dovrei dire? Non ho il coraggio di prendervi tutti così con le vostre stupide debolezze nella mia vita! Via! Vattene anche tu! Ve ne dovete andare tutti!

-Lilian, ascoltami…

-cosa mi vuoi dire? Cosa? Che strana richiesta di perdono hai preparato per me?

-non è una richiesta. È solo una frase, Lilian. Interpretala come vuoi: quando Harry è morto, quando Ron è morto, nessuno è più stato quello di prima.

Lilian socchiude gli occhi, le guance pulsanti d’ira, le labbra tremanti.

-il fatto Fred, è che loro non sono morti. Loro sono scappati. E questo è diverso.

Fred annaspa. Il suo viso si contrae in una smorfia tentando di non lasciar trapelare un’immensa gioia. –vivi?

-sì. Vivi.

-Lilian. Lo sai perché questo nome vero?

-sì, lo so. Per marchiarmi a vita come una donna che è morta lasciando solo suo figlio, proprio come mio padre ha fatto con me!

-la madre di Harry è morta perché lui vivesse. Tuo padre farebbe lo stesso per te.

-mio padre…io non ho un padre. Questo è quanto.

Fred sospira. Si alza, si abbassa alla sua altezza. I loro simili visi addolorati si fronteggiano, sguardi carichi di quel coraggi oche nessuno dei due vuole ammettere di avere si tendono tra di loro.

-sei così simile a tua madre. Non si faceva mai mettere i piedi in testa. Era così caparbia, così forte. È questo che l’ha portata così a lungo lontana da Ron. Lilian…conosco bene tuo padre. Anzi, lo conoscevo. Ma è mio fratello. Per anni mi sono fatto beffe di lui. al mondo sono sempre sembrato più coraggioso, più forte, più divertente. Ma è stato Ron a fare le cose più grandi. E se le ha fatte non è state per finire a vivere solo, odiato da sua figlia.

-io non lo odio…vorrei…vorrei solo che non mi avesse lasciata. Vorrei che non fosse tardi.- grosse lacrime le scivolano sulle guance.

-non è tardi.

-lo è, invece. Ma non voglio essere la causa…la cattiva della storia…voglio che mia mamma sia felice…anche Ron, e Ginevra, e tu…e Harry, anche se lo odio…

Fred si avvicina, le mette una mano sulla spalla.

-Lilian. Questa è la tua vita. Puoi scegliere. Ma non è tardi. Non è mai tardi per ricominciare.

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Capitolo 19
*** abbracciami ora ***


Capitolo 19

Capitolo 19

Abbracciami ora

 

Ron si alza, e Hermione abbassa lo sguardo.

-dove vai?

-fuori…in giro. Non lo so. Lontano da qui. Tu e Lily dovete parlare. Pensare. Capire. Decidere. E io sono solo d’impiccio. Cercala. Ci vediamo stasera.

-Ron…- una supplica. I suoi grandi occhi vellutati si bagnano di lacrime.

Lui le sorride. Le prende una mano. –ci vediamo stasera Hermione. Te lo prometto.

Lei annuisce. –okay.- sussurra. Deve provare a fidarsi di lui.

Ron esce dal Ghirigoro facendo tintinnare le campanelle sulla porta. Lei sospira, seguendolo con lo sguardo tra la folla magra del tardo pomeriggio.

Ron prende il cellulare dalla borsa, digita il numero di Luna, uno dei pochi che ha in rubrica.

-Ron, sei tu?

-ciao Luna. Come stai?

-tutto okay. tu? Non bene se mi stai chiamando.

-non so…

-Lily come l’ha presa?

-è tutto…tutto così…

-dove sei?

-a Diagon Alley.

-ci vediamo tra 10 minuti ai Tre Manici Di Scopa. Solito tavolo. Non farmi aspettare, eh?

 

“solito tavolo”. Due parole vecchie come il mondo. due parole che avevano segnato a lungo quel piccolo pezzo di legno quadrato, tarlato, consumato. Su quelle sedie vecchie che hanno retto tante ubriacate. E il tempo passato si legge nel locale semi vuoto. Madama Rosmerta, appoggiata al bancone, fuma una sigaretta, bevendo un succo corretto con qualche vecchio alcolico. Parla vivacemente con un cliente, le labbra troppo truccate che descrivono situazioni passate.

Ron la osserva con tristezza. tutti i pomeriggi trascorsi in quel punto, a guardare il seno di una giovane e vitale donna, ora impallidiscono al cospetto di un’anziana signora con troppe storie da raccontare e troppi drink da servire.

La porta si apre tintinnando. Ne entra Luna, con il suo passo strascicato e la sua lunga gonna colorata, i capelli biondo cenere sciolti sulle spalle magre. Sorride, tranquilla, assente, eppure con quella nota di consapevolezza che improvvisamente rende donna anche lei.

-ciao Ron.- si china su di lui e lo bacia morbidamente, veloce, senza attendere una risposta.

-Luna. Come va?

Lei si stringe nelle spalle. –tutto bene. hai parlato con Hermione?

-sì, sì.

-allora…?

-vuole provarci.

-e Lily?

-Lily non lo sa. D’altronde, fino a ieri non sapeva nemmeno che ero vivo.

Luna sorride con tristezza. –cosa pretendi da lei? Un giorno è orfana, il giorno dopo semplicemente abbandonata. Io non vorrei averti nella mia vita, Ron. Non se non conoscessi anche i tuoi lati positivi…

-e quali sarebbero? Sembri l’unica a vederli.

-e adesso non ti innervosire. Cosa vuoi da me?

sospira. –scusami.

-tranquillo

-è che… semplicemente volevo… non lo so nemmeno io cosa volevo.

Luna allunga una mano bianca e stringe la sua. –Ron… devi solo mostrarti forte. Almeno per te stesso.

-non posso. Sono tornato. L’ho fatto, no? ma non è servito. Resterò per sempre John, il triste assicuratore islandese.

-no… John è una farsa. È sempre stato una farsa, e tu lo sai bene. tu non sei un triste e solo assicuratore. Tu sei un mago, allegro, vitale e pieno d’amici. Solo che fai fatica a ricordarlo.- la sua voce è roca, matura, come Ron non avrebbe mai voluto sentirla. E soprattutto è seria, realistica.

-Luna…come cavolo sei cambiata. Come cavolo siamo cambiati tutti. Non te ne rendi conto?

Lei sorride, malinconica. –me ne rendo conto Ron. Me ne rendo conto. Ma io non ho dimenticato com’era.

-nemmeno io.

-e invece tu sì! E lo sai. Ron, se non avessi dimenticato, adesso non saresti qui, così. Staresti cercando un modo per vincere, come hai sempre fatto.

-come posso vincere una partita che ho già perso? Lilian non mi vuole. E ha ragione a non volermi. Ragionissima.

-forse. Un uomo che si arrende così non è fatto per essere padre.

 

Lilian entra in casa. vuota di voci, parole, persone, ma così piena di vita. Si siede sul divano senza togliersi nemmeno lo zaino dalle spalle. E adesso? “non è mai tardi per ricominciare”. Quelle parole suonano così bene nella sua testa. Eppure…

La porta si apre dietro di lei.

-ciao Lily, tesoro.

-ciao mamma.- sussurra piano. Si volta. È li, pallida, struccata, stanca. Eppure, per la prima volta da tanto tempo, i suoi occhi brillano, le sue labbra morbide sono posate in un dolce sorriso. –Ron è venuto a prendermi a scuola.

-lo so. Avete parlato?

-sì, un po’.

-e poi?

-me ne sono andata. Ho incontrato uno zio. Fred.

-sì, è un po’ che cerca di vederti.

-mamma, non so cosa fare. Davvero, non lo so.

-hai ragione tesoro. È una scelta difficile.

-non voglio più che tu sia triste, però…

-però lui non sai se lo puoi accettare.

-sì.

Hermione si siede accanto a lei. –ascoltami piccola. Lo so, ha fatto una cosa terribile, ci ha lasciate. Ma non è un uomo terribile, anzi. È il migliore che ci sia. E se gli dai una possibilità, sono certa che sarà un ottimo padre.

-non lo metto in dubbio….ma io per lui non sarò mai un’ottima figlia. Non lo potrò mai perdonare.

-lo so tesoro. Nemmeno io. Ma vogliamo provarci? Io e te, insieme?

i suoi occhi brillano di speranza, di forza, di coraggio. D’amore. Lilian sorride. Come dire di no a una tale supplica d’aiuto? in quel preciso momento, tutto cio che di Lily era ancora bambino diventa adulto. Sotto gli occhi umidi di sua madre, la bambina diventa una giovane donna. E si rende conto che di un padre lei non ne ha bisogno. Ma sua madre sì.

-okay.- sussurra. E anche la sua voce suona un po’ più adulta.

Hermione sorride. –abbracciami ora.- dice piano. Allarga le braccia e l’accoglie, materna come sempre, finalmente felice.

 

Ginevra non sa più quanto tempo sia passato. giorni, notti, mesi, anni. Non sente il suo respiro, il respiro di Harry. non ha fame, non ha sete. Sonno, caldo, freddo, ogni sensazione è lontana da lei, lontana dal suo corpo, lontana da quel comodo rifugio di parole non dette, di ricordi cacciati, di emozioni che sfociano in un amore colmo di passione. Giace tra le lenzuola calde dei loro corpi, fragile come la speranza e morbida come l’amore che li culla dolcemente. Non sa se i suoi occhi sono aperti o chiusi, se cio che vede è vero o solo parte di un sogno. Harry gioca trai suoi seni, tral palpitare del suo cuore e il tremare sensuale del suo respiro. E lei resta li, succube del delicato sapore dei suoi baci, del tenero muoversi delle sue mani sul suo corpo, di quel lento e sistematico possedersi l’un l’altro.

Non sa da quanto tempo giace li, succube di quell’amore soffuso dal sonno, dalla veglia, dilatato dal tempo. Nella penombra scorge il corpo di Harry, sudato e forte, alto sopra di lei. Sente il battere del suo cuore, il vibrare dei suoi sospiri, attraverso la sua stessa pelle. E qualche tenue parola, qualche soffice richiesta d’amore, qualche sussurrato messaggio di piacere, si leva dalle sue labbra pulsanti, ed entra in Harry, piano, senza pretese, riempendolo di vita, riempendolo d’amore.

-Harry…-sussurra, roca.

-sssh…

-no, Harry…- si scosta gentilmente, lo spinge sul materasso. Prende il cellulare dal comodino. Sono quasi tre giorni che se n’è andata da Londra. –dobbiamo…

lui si tende verso di lei. Le prende il mento con le dita, la bacia. –non dobbiamo fare nulla.- dice piano. Lei cade tra le sue braccia. Si lascia stringere, cullare.

-dobbiamo andare da Hermione. E da Ron.- dice lei. Gli accarezza le guance ispide di barba non fatta, traccia con le dita sottili i confini del suo viso, del suo naso, delle sue labbra, rincorre la sua cicatrice, bella e splendente, la bacia, mentre lui, nascosto nel suo seno, sorride.

-perché?

-oh Harry…perché…

lui si blocca, le prende i fianchi. –lo so. Hanno fatto tanto per me…

-sì. E hanno bisogno di noi.

-Lily come sta?

Ginny sorride con dolcezza. –come sta… sta come una bambina che di colpo scopre che suo padre l’ha abbandonata per semplice codardia.- c’è rigidezza nella sua voce. Una dura comprensione che lo spaventa.

-ed Hermione?

-sta come una donna sola. Abbandonata da coloro che aveva amato.

-Ron?

-come qualcuno che non ha più speranza.

-e tu?- c’è timore in questa domanda. Un timore che fa tremare la sua voce, vibrare qualche sottile lacrima nei suoi occhi di smeraldo.

-come una donna che la speranza e coloro che aveva perso, li ha ritrovati entrambi. E non intende lasciarli andare.

Ginny lo abbraccia. Circonda il suo collo con le sue lunghe braccia e lo stringe, con forza, determinata come sempre.

-ti amo…- sussurra. –e ora, è il momento di andare ad aiutarli.

-a fare cosa?

-a…essere felici.

-potranno mai?

-proviamoci…ti prego.

Harry sorride. Annuisce.

-hai paura di rivederli?

-sì.

-sapevi che sarebbe arrivato questo momento?

-no, ma lo speravo.

Ginny sorride. Si alza. apre lentamente le persiane, illuminando la stanza di un nuovo fresco giorno.

Si appoggia alla finestra, nella sua pallida nudità. Sorride, pudica, mentre i boccoli rossi cadono sul suo collo e le ricoprono il seno.

Harry sorride. –lo sai? Sei splendida.

Lei arrossisce appena.

-è tutta la vita che sogno di sentirtelo dire.

Un raggio dorato attraversa i vetri e si posa sul sorriso dell’uomo.

-mi sposerai?- chiede lui.

lei annuisce, ridendo.

-da tutta la vita sogno di sentirti dire anche questo.

 

 

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Capitolo 20
*** non dimenticare mai ***


Capitolo 20

Capitolo 20

Non dimenticare mai

 

Lily fa un leggero cenno con il capo. Un mezzo sorriso, quasi un ghigno, a metà tra l’ironico e il soddisfatto, si disegna tra le sue guance ancora rosse per il pianto. Si stringe nelle piccole spalle magre, guardando Ron. Guardando suo padre. Ron sospira. Sul suo viso una smorfia di gioia e dolore si dipinge lenta e inesorabile. Si avvicina alle due giovani donne e si siede loro di fronte, in una morbida poltrona color crema, lui, totalmente disadatto a quei colori così morbidi, così pacati. sorride.

-grazie. Grazie di questa… opportunità.

Lilian annuisce. opportunità. Sì, perché in fondo lui ha ragione. Non è altro che questo. Un’opportunità. E se le cose andranno male, lei potrà sempre lavarsene le mani. Adesso è una donna, e questo nuovo essere le si dimena nello stomaco, le fa tuonare i polmoni.

-prego.- sussurra, roca, sincera, innocente come non sarà mai più. Si alza, smuovendosi i capelli ramati dalle spalle con un gesto veloce.

 –a questo punto io avrei una richiesta.

-mi sembra davvero il minimo.- sussurra Ron.

-ho incontrato Fred. Un mio zio, ho scoperto. Non voglio mai più dover scoprire di avere dei parenti, o scoprire frammenti del vostro passato. Perché non è poi così passato, siete d’accordo? Quindi, vi prego, presentatemi la mia famiglia, o tutti coloro che avrebbero dovuto far parte della vostra, della nostra, vita.

-mi sembra una scelta ragionevole.- dice piano Hermione. –una richiesta sensata.

-grazie.

-ti porteremo a conoscere i tuoi nonni allora… e persone così.

-grazie mamma.- si china su sua madre e la bacia, rapida. –vado a fare una doccia… stasera mangiamo una pizza?

Hermione annuisce. –è venerdì… venerdì mangiamo sempre la pizza.

-sì, infatti.- Lily sorride –dovremo dire ad Al di aggiungere un posto al nostro solito tavolo.

-credo che per Al non sarà un problema, patata.

Lily aggrotta un secondo un sopracciglio, con fare pensoso, poi ridacchia appena. Ron, ammutolito, la osserva, mentre lo traina adagio nella sua vita. –no, non credo.- dice, allegra. –allora vado a prepararmi.

Hermione e Ron sorridono mentre lei trotterella fuori dal salotto. Si guardano, sfiniti, svuotati.

-benvenuto Ron.- sorride lei.

-grazie piccola.

-e di cosa?- Hermione ride. –grazie a te di essere tornato….

 

Ginevra è appoggiata con il capo al vetro freddo della macchina, mentre questa scivola pigramente nel traffico denso di auto, di bus, di persone delle umide strade londinesi. Cercano un parcheggio per entrare in città. Che cosa scomoda le città pedonali, pensa Ginny. Fuori di li deve fare freddo, e loro dovranno entrare in uno di quegli autobus pieni di gente bagnata dalla pioggia. Che cosa schifosa le città pedonali. Harry guida tranquillo, le spalle rilassate. Eppure, Ginny sa quanto immensa sia l’ansia che lo attanaglia per l’incontro che adesso dovrà fare. Loro, Ron ed Hermione. I suoi amici, i suoi inseparabili compagni, che per così tanto tempo aveva cercato solo nei ricordi. Ma Ginny è contenta. Così felice di sapere che adesso si rincontreranno.

Harry parcheggia delicatamente la macchina scassata dell’amica in un posto a pagamento. Poi si volta verso Ginny e le sorride appena. –siamo molto lontani?

Lei scuote il capo. –no, saranno 10 minuti a piedi.

-fantastico…

-Harry, e le tue cose?

-se decideremo di vivere qui, allora andrò a prenderle… ora non avrei saputo dove metterle.

Ginny si tende verso di lui e gli posa un bacio leggero sulle labbra.

 –andiamo a vedere come stanno i due piccioncini allora.- fa, ridacchiando.

Harry la prende per mano e insieme si lanciano nella folla bagnata, sotto quella delicata eppure gelida pioggia primaverile. Rivederli. Adesso. Tra 10 minuti. Loro due, Hermione e Ron. I suoi amici. Non gli sembra vero. Una stretta allo stomaco gli si fa sempre più forte man mano che avanzano nella folla, man mano che la pioggia li bagna di più. Ginny lo guarda. Sembra più bello, bagnato, lustro, con quella piccola ruga di concentrazione che gli divide la fronte, con quel velo di tristezza che gli attraversa gli occhi. Non sembra più bello. E’ più bello. Forte, sicuro, con quell’alone di triste debolezza, quell’insicurezza che lo spinge a stringere forte la sua mano nella propria. Harry sospira. Ha paura di quello che leggerà nei loro occhi adulti, di quello che le loro voci serie gli comunicheranno. Ha paura che i loro sorrisi siano troppo tristi, i loro volti troppo addolorati, che tutto in loro sia velato di quella malinconia che lui sente addosso a se stesso. Ha paura che siano troppo cambiati. Il braccio di Ginny gli scivola intorno alla vita, lo stringe appena. Lui guarda verso di lei, che gli sorride con dolcezza, rasserenante e semplice nella sua bellezza.

-Loro non vedono l’ora di vederti, Harry. Andrà benissimo, vedrai.- sussurra. Harry abbozza un sorriso. Si china su di lei e le bacia le labbra rapidamente. Come sempre, riesce a dire la cosa giusta nel momento giusto.

Continuano a camminare, nell’aria bagnata, febbricitante d’attesa. Sguardi stupiti si inchinano al cospetto del volto di Harry Potter: qualcuno lo riconosce, qualcuno guarda sospetto quella chioma corvina e quel sorriso mesto e pieno di antico coraggio, qualcuno tenta di scorgere quel leggendario cenno sulla sua fronte, altri lo osservano tentando di scavare nei reconditi abissi della memoria in cerca della fine di quel piccolo eroe, o forse solo tentando di ricordare a chi somigli il giovane uomo che ora arranca nel grigiore abbagliante di Londra con una bella donna ridente al braccio. E per la prima volta nella sua vita, Harry non respinge i loro sguardi. Li accoglie con semplicità: ha salvato le loro vite, è scappato lontano, ha lasciato che il mondo smettesse di parlare di lui. Ma ora vuole solo essere felice, e non permetterà a qualche sguardo più acuto di rovinargli la giornata. Si stringe a Ginny, ancorandosi a lei con forza, come se lasciandola andare si potrebbe trovare solo, abbandonato in balia di quella nuova vita. Ma Ginny non lo lascia. Non l’avrebbe mai fatto allora, e nulla la spinge adesso a farlo. Arrivano davanti ad un portone. Ginny si sposta dalla fronte la frangia bagnata, sogghigna. –Eccoci. –sussurra. Cerca nell’elenco del citofono il cognome dell’amica. “Granger”.

–Pronto?- fa ancora, piano. Harry annuisce.

Le prende il polso e schiaccia lui il pulsante.

 

Un rumore secco rimbomba nel corridoio meticolosamente ordinato, lustro, fresco. Lily sporge il capo dalla propria camera, un asciugamano legato a turbante sulla chioma grondante dopo la doccia. –Ma’, il citofono!

Ron è seduto sul divano, Hermione accoccolata sul suo petto alza gli occhi su di lui.

-chi diavolo può essere?- chiede Ron.

Hermione sorride piano.

-Penso di saperlo.

Si alza. Non chiede niente. Ancora non ha il coraggio di sapere. Schiaccia solo il pulsante.

 

Harry e Ginny si guardano, emozionati. Lei lo precede su per le scale bagnate, lungo i corridoio di quella vecchia abitazione a schiera. Harry resta aggrappato alla sua mano come un bambino, nuotando nella sua scia profumata, annaspando nella sensazione di smarrimento e paura che per anni e anni l’aveva attenagliato.

-Gin…

Lei si volta, gli sorride. Gli si avvicina e gli mette una mano sulla guancia bagnata, togliendogli i capelli dalla pelle, con un sorriso sereno, pieno di forza. –Lo so…- sussurra. Lo abbraccia. –Ma io sono qui, qui con te…- Harry si lascia abbracciare, e poi continua ad arrancare dietro di lei, lungo i corridoi e le scale, in quel percorso che gli sembra infinito. Poi lei si ferma davanti ad un’altra porta e suona in campanello, senza lasciargli il minimo tempo per ripensarci, per avere esitazioni, per avere paura.

E prima che Harry se ne renda conto, la porta si apre.

 

Hermione trattiene un sospiro, il cuore le salta un battito. Per un attimo teme che sverrà, si attacca con forza allo stipite della porta, tanto che le nocche le diventano bianche.

C’è Ginny, i capelli rossi e bagnati che le incorniciano un sorriso vivo, puro, arzillo e forte come non ne vedeva da tempo. I suoi immensi occhi azzurri brillano mentre osservano il suo viso mutare, sorridere e allagarsi di lacrime. Si scosta, si appoggia alla parete, e lascia il tempo ai due vecchi amici di fronteggiarsi, dopo tanti anni, lontani dalle impenetrabili mura dei ricordi.

Hermione, nuotando nel mare di lacrime che le affollano gli occhi, si sporge al di la della porta, e lo studia. Harry Potter. Quell’eroe che aveva tanto amato, amato in quel modo che solo un’amica può, che solo una sorella può, che solo una madre può. E che solo chi riesce ad essere tutto questo, può. È li, splendido come non le era mai apparso, i capelli neri, i brillanti occhi verdi, le labbra sottili in una smorfia di dolore e insieme di immensa gioia, contornati da un paio d’occhiali dalla montatura rettangolare, spessa, adulta. Non ci sono lacrime sul suo viso, ma le emozioni di una vita intera gli disegnano un’espressione confusa, e insieme forte come non l’aveva mai avuta. Anche Harry la studia, con una dolcezza che non è mai riuscito ad esprimerle, con un affetto che ha sempre provato, senza mentirle più, nemmeno con gli occhi. È li, con i capelli in ordinati boccoli, gli occhi non più bambini eppure così simili a quelli che la mente gli aveva disegnato in quei 10 lunghi anni. Le forme precise, curate, il sorriso commosso spoglio dal rancore, dalla paura, dalla tristezza che vi aveva letto quando aveva aperto la porta.

-Hermione… ciao.- sorride, con tenerezza.

-Harry!- lei gli salta al collo, lo abbraccia, e lui annega nei suoi ricci. Quell’abbraccio lo riporta indietro, agli abbracci forzati che lei gli aveva lanciato, ai contatti fugaci, alle confidenze, alle congetture, alle avventure, a quel mondo duro eppure splendido in cui avevano imparato ad amarsi e ad odiarsi, a confrontarsi e a sfidarsi, a fidarsi e a dubitare, a deludersi e a sorprendersi a vicenda. Quel mondo duro eppure splendido che li aveva portati a diventare così, amici nonostante l’immensità che avevano solcato le loro menti e i loro corpi. Per la prima volta non c’è imbarazzo in quell’abbraccio. Non c’è fretta. Harry vorrebbe, potrebbe, non separarvisi mai.

Improvvisamente dietro di lei si muove qualcosa. Harry apre gli occhi, e incontra un altro sguardo. Uno sguardo forte anch’esso, ma meno, pieno di una dolcezza nascosta. Uno sguardo sincero, emozionato, rabbioso, fragile, cristallino, contornato da lentiggini dorate, da una distesa di pelle candida, da lunghe ciocche di capelli fiammeggianti.

-Oh cazzo… Harry!- dice, con voce roca e striata da lacrime di commozione. Hermione lo lascia andare, rivolgendogli un frettoloso sorriso, premuroso come tutti i sorrisi che gli aveva sempre rivolto. Ginny lo spinge in casa, e Harry sente chiudersi la porta dietro di lui.

-Ron!- Ride Harry. Ron annuisce, scostandosi i capelli dalla fronte, incredulo. Si sorridono, con quell’intimità, quell’affetto, quella fraterna complicità e quella tenera rivalità che li aveva legati in tutti quegli anni, attraverso lezioni difficili, litigi, amori non corrisposti o corrisposti troppo voracemente, attraverso pericoli immensi e paure troppo grandi, attraverso le frustrazioni dell’adolescenza e le confidenze più intime delle amicizie più grandi. Si sorridono, con la limpida sincerità che tra loro aveva sempre sorvolato ogni differenza, ogni timore, ogni discussione più assurda, ogni opinione più diversa. Si sorridono, con semplicità, quasi scusandosi per tutto quel tempo, per tutto quel dolore, per tutte quelle menzogne. Ron fa un passo. Harry fa un passo. E si abbracciano. Ridendo e piangendo, mentre alle loro spalle Hermione e Ginny ridono e piangono, parlando senza dirsi niente, muti ma dicendosi ogni cosa, emozionati e complici, felici, privati di qualunque bisogno di spiegarsi, di qualunque bisogno di scuse. Dopo un tempo indeterminato si separano.

Harry e Ron annuiscono, guardandosi, eloquenti, sorridendo ancora, senza vergogna per quelle lacrime che bagnano le loro guance di uomini adulti.

-Sono felice di vederti Harry. Come va?

A quella domanda ci sarebbero molte risposte. Ma a  Harry ne viene in mente solo una: -Benissimo.

 

Li guardo, sentendomi un po’ un’intrusa. Non ho mai visto la mamma con un sorriso più radioso, accoccolata tra le enormi braccia di mio padre. Improvvisamente i miei occhi si legano a quelli di Harry. Gli rivolgo un sorriso velato. Lui non lo sa, forse non sa nemmeno chi sono io. Ma, caro Harry Potter, questo è un sorriso di scusa. Per averti odiato tanto prima ancora di aver visto il tuo viso, le tue lacrime, i tuoi occhi, il tuo sorriso. E se prima di quest’istante mi sono chiesta cosa, cosa, avesse spinto mia madre, mia zia, mio padre a distruggersi tanto per quest’uomo, per te, ora lo so. Emette come una luce diversa dagli altri. Anche lui mi sorride. È un sorriso adulto, un sorriso sincero. Forse ha capito chi sono. Dispiego le dita della mano e le agito appena in un saluto, al quale lui risponde piano, cingendo Ginny in una nuova stretta possessiva e piena di tenerezza. Ricordo quello che la mamma mi aveva detto sul perché del mio nome: “volevo che lui sentisse che adesso aveva una famiglia”. Sorrido, mentre quello sguardo un po’ smarrito scivola via dal mio lentamente, per spostarsi sugli altri, per accarezzarli. Sono stata felice. Sono stata serena. Ma non sono mai stata completa. Non sono mai stata normale. Adesso so il perché. Io non sono normale, sono figlia di due maghi. Di due grandi maghi, e questo scorre con forza nelle mie vene, ruggisce dentro di me. Ora le cose andranno bene. Meglio, di sicuro. Saremo felici. Lo dico a Harry in un ultimo rapido e timido sorriso. E sento che lui capisce. Siamo esattamente sulla stessa lunghezza d’onda, noi 5. Io e loro. Il mio mondo. La mia famiglia. È stato difficile, ma la strada è in salita. Ci vuole coraggio, ancora una volta, per andare avanti, lasciarci tutto indietro. Li vedo, con tutto quello che hanno vissuto che grava sulle loro spalle, ma con i loro occhi che puntano a un nuovo orizzonte, un nuovo futuro. Ma quello che è stato è li, lì e ci sarà per sempre, a segnarli e a renderli così come sono, eroi, guerrieri, maghi, ma infondo ancora i bambini che sono stati, quelli della splendida ed affascinante storia che li ha portati qui, sotto i miei occhi. E quell’ultimo sguardo che Harry rivolge loro, li supplica di non dimenticare mai.

 

 

 

FINE

 

 

 

ROSYBLACK

 

Carissimi lettori, è con un po’ di malinconia, devo dire, che alla fine vi posso dire: ce l’abbiamo fatta! Dopo mesi e mesi di tristezza (perché SoloMomenti non ha fatto piangere solo voi, ve lo assicuro!), vi ho finalmente dato il vostro meritato lieto fine… Spero di non avervi deluso! Mi spiace molto di avervi fatti aspettare, davvero, ma purtroppo, come forse sapete, mi si è rotto il computer prima della partenza e poi sono stata in Liguria dove non ho avuto la connessione internet per un mese (non sapete che sofferenza)! In ogni caso, ora ci siamo… spero che tutti quelli che hanno iniziato a leggere riescano a finire, altrimenti aiutatemi a spargere la voce, visto che magari dopo tanto tempo la gente smette di controllare… In ogni caso, volevo ringraziare i fedeli lettori, quelli che mi sono stati vicini con i loro preziosi consigli, commenti, appoggi… Siete i migliori “fan” che si possa desiderare! Io e zia Row siamo fortunati ad avervi… eheh… Grazie davvero, questa storia è per voi! Voglio anche specificare (ora che mi viene in mente) che i personaggi, tranne Lilian, (casomai qualche demente non lo sappia, eh? Ihih…) non sono miei, ma della mitica e ineguagliabile J.K.ROWLING. Non sto nemmeno a dire che di spoiler non ce ne sono e che ho lavorato solo di fantasia… che il lavoro non è a fine di lucro e palle simili perché mi conoscete, e lo sapete tutti!

E con questo, miei adorati, vi saluto, perché tra due giorni mi aspetta una vacanza al lago… per cui grazie mille per tutti questi bei giorni passati insieme, grazie di tutto! Ci sentiremo presto, tenete gli occhi aperti per le nuove ficc che la mia mente diabolica sta già architettando e… buone vacanze!

 

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