Numb

di Ghen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1… Il desiderio di Sebastian ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2… La nuova realtà ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3… Distruzione ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4… Perso tutto ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1… Il desiderio di Sebastian ***


Numb
 
 
 
 
Sebastian… Sebastian… Il tuo desiderio è già realtà…
 
 
 
Capitolo 1… Il desiderio di Sebastian
 
 
PIP PIP PIP PIP
Si svegliò di soprassalto e nel tentativo di schiacciare la sveglia cadde dal letto, trascinato giù dalla coperta tutta in disordine. «Ahia! Ma porca…!», imprecò fregandosi il sedere sotto i pantaloncini corti, alzandosi e staccando la sveglia. Rimase immobile per qualche istante prima di scuotere la testa e sbuffare, ed ecco che subito i suoi pensieri furono interrotti dal chiasso al piano di sotto, con un neonato che piangeva e una donna che urlava. Sebastian non ci fece poi così caso, abituato com’era, tirò su le coperte e si mise a cercare la roba per vestirsi nella sedia accanto, tutta buttata sottosopra.
Scese le scale di corsa divincolandosi in scatoloni in mezzo al soggiorno, per poi entrare in cucina.
«Oh! Stavo per venire a buttarti giù dal letto!», tuonò la donna ai fornelli sotto una nuvola di vapore e frittura. «Ho già preparato anche il pranzo, così quando torni da scuola devi solo riscaldare tutto.», disse per poi avvicinarsi e mettere una frittella su un piatto.  
Sebastian iniziò a mangiare la sua colazione, immergendosi nel suo mondo, distante dalla madre che aveva appena urlato alla bambina che si stava per sedere accanto a lui di andarsi a lavare le mani e della voce di un’anziana che strepitò nell’altra stanza, o del lamento del neonato che continuava a strillare. Questa era la realtà, e ormai c’era cresciuto.
 
 
«Sebastiaaaan!».
Frenò piano la bici per guardarsi indietro: Mariel stava per raggiungerlo a bordo della sua bici e gli faceva la mano.
 
«Cosa? Di nuovo quel sogno?», rise Mariel. «Sarà la tua futura moglie che ti cerca!», riprese a ridere, per imitare poi la voce di un fantasma. «Sebaastian! Seebaaaaastian!».
«Smettila, scema!», arrossì un poco, senza darlo a vedere. «Mi ripete sempre le stesse parole… Di un desiderio… Ma io non ho desideri!».
«Tutti hanno un desiderio! Che cretinate dici?», battibeccò lei. «Perché non compare a me quella donna misteriosa?! Io sì che ho un desiderio da far realizzare!».
«Ah sì?», fece curioso. «Ovvero?».
«Un desiderio d’amore naturalmente, ma non sono fatti tuoi!», prese a pedalare più veloce, per seminarlo.
«Cosa? Ma io lo devo sapere, sono il tuo migliore amico o no? Fermati! Mariel!», prese a rincorrerla.
 
 
Le giornate erano tutte vagamente uguali per Sebastian, e la sua realtà era forse più dura di qualche altro ragazzino della sua età ma non si lamentava, non lo aveva mai fatto. Non rimpiangeva il fatto d’essere figlio di un padre che li aveva abbandonati, di una madre che non era abbastanza presente e lavorava fino a disossarsi per portare pochi soldi a casa, di una nonna che malata non sapeva più riconoscere i suoi nipoti, di due fratellini più piccoli che non sopportava perché lui aveva soli tredici anni e non voleva prendersi cura di loro. Forse, pensava Sebastian sul suo banco, lui un desiderio l’aveva.
«Finnigan!».
«Sì?», si alzò di scatto dalla sedia.
«Interrogato!».
 
 
«Hai beccato un’altra insufficienza?», rise Mariel con la bocca piena, appena morso il suo panino.
«Ugh… E dai, ingoia prima!», fece disgustato lui, aprendo il suo cestino del pranzo: ovviamente le due solite fette di pancarrè con un po’ di lattuga e una sottiletta.
«Vedi? Trovato un desiderio: farti diventare più bravo a scuola!», consigliò. «Dillo alla signorina la prossima volta che la sogni!».
«Uff… Lascia perdere…». Arrossì nel vederla guardarsi intorno; si atteggiava in modo buffo. Sebastian cominciò a pensare al fatto che forse un desiderio poteva essere quello di incoronare il suo sogno d’amore… Sorrise. Perché no? Magari lei provava la stessa cosa per lui.
«Già, tanto con te sarebbe un caso perso in partenza!», rise distogliendolo dai suoi pensieri, per poi alzarsi in piedi. «Seb, ti lascio un attimo, ci vediamo dopo!», corse verso un gruppo di ragazze.
La fissò attento, un po’ perplesso ma poi rise. «Ah, in fondo anche lei è una ragazza!». Minimo parleranno di rossetti… Pensò per poi scoppiare a ridere: maschiaccio com’era abituata ad essere era impossibile vederla con il rossetto sulle labbra.
«Tanto non ti si fila! Energia sprecata!», disse una voce.
Il ragazzino si voltò subito, con faccia schifata. «Oh, Melanie, sei tu! Dalla voce mi pareva una cornacchia!».
«Spiritoso!», gridò la ragazza, rigirandosi un boccolo biondo. «Sono solo raffreddata! Sai… anche una disadattata come Mariel capisce che con un poveraccio come te non avrebbe futuro, perché mai dovrebbe mettersi con te?!», rise. «Ma non l’hai ancora capito? Non-gli-interessi! Ti vede solo come il suo bamboccio personale quando non sa cosa fare!».
Restò serio un altro istante osservando dall’altro lato del cortile la sua migliore amica che parlava con un’altra ragazza, ridendo e scherzando, per poi sbuffare e rigirarsi verso Melanie. «Ma tu non l’hai una vita tua? Vai ad importunare qualcun altro, racchia!».
La ragazza corrugò le sopracciglia e offesa cominciò ad andarsene. «Scemo!».
Sebastian sbuffò ancora, rimettendo le sue fette di pancarrè appena a metà nel cestino del pranzo. Gli era passato l’appetito… Quella Melanie era la classica ragazzina di buona famiglia che si credeva la diva della scuola e quindi in dovere di prendersela con gli altri senza ragione. Quasi non poteva crederci che fino a pochi mesi fa aveva una cotta per quella.
I primi giorni di scuola quando si era appena trasferito gliel’avevano tutti etichettata come la più bella e perfida della scuola, compresa Mariel “stacci alla larga, Seb! Quella è una vipera!”, tuttavia un giorno mentre si dirigeva di corsa nel cortile per la palestra la vide piangere accartocciata su se stessa, in un angolo, e lì, come investito da quello che chiamano colpo di fulmine gli era entrata nella testa: quella era la vera Melanie, e aveva bisogno di qualcuno. Purtroppo il suo sogno svanì di giorno in giorno quando ebbe a che fare con lei e la sua linguaccia velenosa nei confronti delle persone che le stavano intorno, facendo la bella faccia davanti agli insegnanti, la spia spesso e volentieri contro tutti: quella era una vera strega… e decise di lasciarsela alle spalle. Quella volta che l’aveva vista piangere era stato solo un inganno.
Mariel invece era diversa, pensò Sebastian. Lei era schietta, particolare, pura e semplice, non come le altre ragazze: ecco perché aveva deciso di innamorarsi di lei.
Si conoscevano da sempre; la loro era un’amicizia incrollabile. Non sarebbe stato affatto male averla come sposa un giorno.
La sentì ridere e sorrise a sua volta, felice. Era la persona solare di cui aveva bisogno nella sua vita.
 
 
All’uscita della scuola prese la bici e aspettava poggiato ad una parete, guardando di tanto in tanto l’orologio: Mariel era stranamente in ritardo.
«Eddai, non posso tardare, lo sai…», mugugnò per sé, vedendo che tutta la scuola si apprestava a lasciare l’edificio.
«Ciao, Seb!», sorrise una ragazza, accompagnata alle sue spalle da un ragazzo un po’ più alto.
«Oh, ciao, Chelsea!», salutò in un sorriso. «Charlie!», salutò pure il ragazzo dietro, che gli fece solo la mano: sembrava un po’ giù. «Ma che succede?».
«Eh, si è arrabbiato perché nonostante abbia studiato come un forsennato tutta la notte ieri, oggi ha fatto schifo lo stesso al compito!», rise un po’ sulle sue la ragazza.
«Sì, ma cazzo!», sbottò incurvando le braccia. «Possibile che in un compito di venti domande, quindici includono gli argomenti che ho saltato? Ma l’ha fatto apposta!».
«Se ti può far sentire un po’ meglio, io stamattina sono stato interrogato a sorpresa e ho preso una F!», concluse Sebastian.
Charlie e Chelsea erano gemelli: avevano conosciuto Sebastian e Mariel ad un parco del quartiere, quando il primo atteggiandosi un po’ da bullo non voleva far giocare nessuno a pallacanestro, e dopo una sfida due contro due, vinta dai gemelli, fecero amicizia. Avevano solo un anno in più rispetto a loro, compagni di classe di Melanie.
«Che fine ha fatto Mariel?», chiese Chelsea di punto in bianco.
«Non lo so, sto aspettando lei! Se non si fa viva entro cinque minuti torno a casa! Mia madre deve andare a lavoro e non può lasciare i miei fratelli da soli!», guardò ancora una volta l’orologio.
«Non per fare il guastafeste, ragazzi, ma credo di aver visto Mariel passare in corridoio con uno sguardo molto spento! Non è che forse stava male?», fece ad un certo punto Charlie.
«Con sguardo spento? Ma quando?», chiese allarmata la sorella.
«Non è da lei! Alla ricreazione era con me e stava bene!», intervenne Sebastian.
«Quando stavo tornando dal bagno per rientrare in classe… L’ho chiamata ma sicuramente non mi ha sentito, poi è entrata in bagno! E io in quello delle donne…», storse un sorriso.
«Andiamo a controllare!», cominciò a passo spedito Chelsea, ma proprio quando i tre stavano per varcare il cancello, Mariel passò in mezzo a tanti altri ragazzi che uscivano da scuola, di corsa, e sembrava piangere.
«Mariel!», chiamò Sebastian, ma la ragazza inforcò la sua bici e corse via. Salì sul sellino per seguirla ma Chelsea lo bloccò al volante.
«La raggiungiamo noi, dopo ti facciamo sapere! Tu devi tornare a casa, è tardi!».
«Ok.», sbuffò. «Vado a casa, dopo chiamatemi!».
 
 
Appena varcò la porta di casa vide sua madre urlante, con il giubbotto indosso e la borsa sulla spalla; il suo fratellino piangeva nell’altra stanza e sentiva la sua sorellina in cucina che sbatteva una forchetta su un piatto. «Tua nonna si è addormentata, quindi vedi se riesci a farli stare in silenzio! Vado!». Non lo guardò neanche per un istante che veloce gli passò davanti, per poi aprire e chiudere la porta alle sue spalle.
Questa era sua madre.
Sebastian restò immobile sui suoi passi e poi sorridendo esclamò «Aaah! Basta baccano, Lilly, Seb è tornato da scuola!».
Per un momento tutto tacque tranne il pianto del neonato, poi il rumore della forchetta che veniva lasciata cadere e la sedia che si spostava, ed ecco a seguire i passi rumorosi di una piccola corsa.
«Seb!», urlò felice la bambina, prima di schiantarsi tra le sue braccia pronte ad accoglierla.
Questa era la realtà.
 
 
Sebastian… Vieni… Il tuo desiderio è già realtà…
 
Si svegliò di soprassalto, scoprendo che la sua sorellina lo stava punzecchiando al naso con una matita colorata.
«Ti eri addormentato…», sorrise poi, riprendendo a colorare vicino a lui.
Il ragazzino sbadigliò strofinandosi un occhio, per poi dare un’occhiata al telefono senza fili poggiato vicino a lui: aspettava una telefonata ma ancora niente. Diede uno sguardo al suo fratellino nel box: lo vide sorridere, scuotendo il suo ciuccio. Si alzò dalla tavola e dalla cucina, ignorando il soggiorno sottosopra spalancò la porta socchiusa della camera da letto della nonna. C’era uno strano silenzio. La vide sulla sua sedia a dondolo, sorridendo fissava fuori dalla finestra: era stranamente calma.
La donna sentì la sua presenza e si voltò, continuando a dondolare gli fece cenno di avvicinarsi.
«Dimmi, nonna… Cosa c’è?». Si accostò velocemente.  
La donna gli carezzò i capelli neri, in un sorriso. «Sei bello tu…», disse piano. «Sei proprio bello…».
Dopo poco lasciò la nonna alla sua finestra e socchiuse adagio la porta. Rientrò in cucina, e vide prima il sorriso del suo fratellino e poi quello della sua sorellina. Si tornò a sedere, prendendo la penna per continuare i suoi compiti.
Prese a guardarsi attorno un altro istante, pensieroso: ehi, lui lo aveva davvero un desiderio.


















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Primo capitolo di una nuova storiellina, molto corta (soli 4 capitoli) che, ad essere sincera, non mi piace più più di tanto, come quando la stavo scrivendo. Ora che è conclusa non la trovo nulla di aprticolare, scontata e banalotta. Ha partecipato all'undicesima edizione dei contest regolari di Eylis (qui il bando). Ecco la targhetta:


Qualche piccola nota:

Credo di aver messo davvero troppa fretta a questa storia. Ma davvero davvero. Avendo a disposizione più spazio l’avrei ampliata tantissimo ma ormai è andata e non la cambierò nemmeno in futuro. È come se avessi compresso tutti gli avvenimenti più importanti che dovevano accadere come più potevo e quello che, almeno secondo me, ci ha sofferto di più è il lato introspettivo dei personaggi ç_ç Colpa mia, la prossima volta cercherò di trovare trame meno complesse da sviluppare XD
Il titolo della storia è cambiato da uno troppo scemo (era davvero troppo scemo, quasi come le “traduzioni liberalmente interpretate” dei titoli dei film americani e compagnia quando arrivano in Italia) a Numb, che ammetto non mi piace granché, ma il suo significato, “intorpidito”, mi piaceva parecchio e un po’ mi ricordava il protagonista. Già… il protagonista: l’ho chiamato Sebastian. Sebastian senza farlo apposta. Questo è un nome molto usato nel mondo delle fan fiction ultimamente a causa di un manga ma GIURO che nemmeno ci pensavo a quello quando ho chiamato lui così. Ci ho pensato a storia già finita e non mi va di cambiargli nome per una cosa così sciocca ù_ù Comunque ci tenevo a far sapere che non ha nulla a che vedere con quel Sebastian.


Al prossimo capitolo ("La nuova realtà"),
ciao, ciao da Ghen =^_____^=


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Capitolo 2
*** Capitolo 2… La nuova realtà ***


 
Capitolo 2… La nuova realtà
 
 
Sebastian…
 
«Sebastian! Sebastian, dai… La prof sta per tornare, se ti vede addormentando altro che F!», lo scuoteva il suo vicino di banco.
Si accartocciò gli occhi e si mise dritto, facendo finalmente tirare un sospiro di sollievo a Michael.
«Finalmente dai cenni di vita! Stavo quasi per ufficializzare la tua morte! La professoressa sta per tornare…», sbottò.
«Umh… Sì… Scusa…», continuò a strofinarsi gli occhi. Sperava che, tornata a sognare quella voce che lo chiamava, magari sarebbe riuscito a dire quel era il suo desiderio, ma non era cambiato nulla, il sogno era sempre lo stesso. Come se non bastasse era preoccupato per Mariel: infine Chelsea l’aveva telefonato la sera tarda per dirgli solo che la ragazza non aveva voluto parlare con nessuno e quindi non sapevano cosa fosse successo; senza contare che verso scuola non l’aveva vista.
Sbuffò.
 
Al suono della ricreazione Sebastian uscì di corsa dalla classe con il suo cestino del pranzo in mano, sperava in cortile di rivedere Mariel, se mai fosse andata a scuola.
Intravide Melanie alle sue spalle, fermandosi al solito muretto, e della sua amica neanche l’ombra.
«Che cavolo vuoi?», iniziò a masticare le sue fette.
«Vedere come andava, tutto qui…».
«Beh, adesso che hai visto levati pure dalle palle!».
«Che gentile! E dire che io so cos’è successo ieri alla tua amica!».
«Eh? Dimmelo!», si fermò all’istante.  
«Perché dovrei dirtelo?», fece in broncio.
«Perché sei venuta?», sbuffò.
«Uff, ok…», prese a sedersi accanto a lui, che veloce si scansò di qualche centimetro. «Ieri si è dichiarata!».
«Che?», quasi sputò il suo boccone, incredulo. «Cosa? A chi?».
«Non lo so!», rise appena, osservando le nuvole. «Ma la voce si è sparsa per le classi più grandi, quindi immagino sia ad uno studente più grande, no? È stata rifiutata, poverina, e non sembrava averla presa bene!», rise.
Il cuore di Sebastian cominciò a battere forte: Mariel si era dichiarata. Era stata rifiutata.
Non a lui.
«Era ovvio, si tratta di lei… Nessuno oserebbe rifiutare me per esempio! Ma alla disadattata…!», rise. «Era chiaro che sarebbe finita così!».
«Smettila!», quasi le urlò in faccia, finendo per spaventarla. «Tu non puoi parlare, non sai proprio niente di niente! Sei solo una vigliacca che va in giro a deridere la gente, fai pena! Ti odio!». Svelto si alzò, lasciandola a bocca aperta. Melanie continuò ad osservarlo e dopo poco chinò la testa.  
 
Mariel si era dichiarata ed era stata rifiutata, e non si era dichiarata a lui.
Continuava a ripetersi nella testa. Era dispiaciuto e felice al tempo stesso: come poteva? Era dispiaciuto perché Mariel doveva stare molto male, ma era un felice, perché così poteva esserci ancora una chance di stare con lei.
«Sono meschino…».
 
All’uscita della scuola non vide né Chelsea né Charlie e decise di tornare subito a casa, quando le si presentò davanti Mariel, in bicicletta.
«Mariel!», sorrise entusiasta. «Non sei venuta oggi a scuola! Ero preoccupato!», spense il sorriso, ricordandosi delle parole di Melanie.
«Non ne avevo voglia! Mi sono svegliata con le scatole completamente girate!», sbuffò, per poi scoppiare a ridere all’improvviso. «Ma non potevo non vederti, quindi sono venuta lo stesso!».
«Ah, sei grande!», rise. «Ma dimmi, come stai? Ieri…».
Non lo lasciò terminare di parlare. «Ieri era ieri, oggi è oggi.», sorrise. «Tutto passato! Mi sono sentita un po’ male, ma ora sto decisamente meglio!».
Non diceva la verità… Spense il sorriso. Perché Mariel gli teneva nascosta una cosa come quella?
A meno che… Pensò: dopotutto erano le parole di Melanie contro quelle di Mariel.
Rise «Meno male!».
«Dai, ti riaccompagno fino a casa oggi, cerebroleso!».
 
Al ritorno a casa presero a scherzare quando una strana luce catturò l’attenzione di Sebastian e il ragazzino si fermò.
«Che ti prende?».
«Non l’hai vista?».
«Che cosa?».
«Vieni!».
Veloce prese a correre passando con le ruote sporche di fango sui cortili delle altre case, per poi uscire su di un’altra strada, con Mariel dietro di lui. Sebastian non sapeva dove stava andando, ma seguiva una strana luce dorata e qualcosa dentro gli diceva che doveva farlo, come un qualcosa che non si poteva evitare.
«Ma dove andiamo?».
Sebastian non rispose. Camminarono ancora dietro qualche cortile fino a sbucare in una strada sterrata e davanti a quella… «Un castello?».
Mariel frenò e osservò strabiliata quella costruzione. «Non è proprio un castello… E’… non lo so… sembra uno di quei vecchi edifici con colonne e archi…».
«Grazie, questo lo vedo anch’io!». Scese dalla bici e la poggiò sul terreno, per poi avvicinarsi.
«Vuoi entrare?», poggiò anch’essa la sua bici.
«Quella luce ci ha portato qui… Sì!», le sorrise. «Tu vuoi entrare?».
«Non mi tiro certo indietro!».
Mariel si fece avanti per prima e insieme salirono qualche scalino, prima di arrivare alla porta. Si scambiarono un’occhiata e insieme presero ad aprire il pesante portone, un po’ malmesso. Uno strano vento sembrò uscire fuori verso di loro come uno spettro.
«Ma che puzza!».
«Bleah, che schifo!».
Fecero un passo, prima di rendersi conto davanti a loro di un’alta figura. Entrambi si ghiacciarono, trattenendo quelle che potevano essere urla per non sembrare dei maleducati, di fronte a quel bizzarro personaggio: un uomo anziano, alto, con un poco di barba e vestito con un lungo abito, forse un arabo.  
«C-Ci scusi…», mugugnò Sebastian. «Lei abita qui?».
«Benvenuti!», sorrise all’improvviso. «Vi aspettavo, seguitemi!». Prese passo per avviarsi nell’andito e i due si guardarono allibiti.
«In che senso ci aspettava?», sussurrò Mariel. «Minimo è uno di quei pedofili che si sentono alla tv! Diamocela a gambe!».
«Ma è strano…», disse invece Sebastian. «Non mi sembra cattivo!».
«Oh beh, allora fidiamoci del tuo sesto senso infallibile, signor “non mi sembra cattivo”, fino a quando non ci sguinzaglia addosso la belva che nascondono i suoi pantaloni! Io non starò qui a farmi violentare, e nemmeno tu!», l’afferrò per il colletto della felpa per trascinarlo, quando l’uomo anziano si voltò a loro e la porta dell’edificio si chiuse alle loro spalle d’improvviso. «Merda, troppo tardi! Troviamo una finestra!», disse subito impaurita; ma tutto il buio di quello strano castello fece spazio alla luce proveniente dalle grandi vetrate, dagli imponenti archi, e tutti i colori si accesero, mostrando loro i quadri raffiguranti angeli e cavalli, unicorni, arcobaleni e immense vallate d’acqua.
I due ne restarono incantati per qualche attimo, prima che l’uomo potesse parlare e prendere la loro attenzione.
«Chiedo scusa, avrei forse dovuto presentarmi prima…».
C’era uno strano silenzio, eppure sapevano di non essere soli. In lontananza si sentiva il rumore d’acqua che scorreva.
«Mi chiamo Abh, e sono un servo del grande signore… Benvenuti, giovani clienti, in questo regno dove è possibile rendere i vostri desideri realtà!».
I due spalancarono gli occhi e subito Sebastian fece passo verso di lui. «Signor Abh, io ho fatto uno strano sogno con-», fu interrotto.
«Sì, è stato quello a condurti qui, giovane cliente!».
«Ah… Ma Mariel? Lei non-».
«Se è potuta entrare significa che anche lei è una giovane cliente. Solo coloro che vogliono poter vedere i loro sogni trasformati in realtà possono arrivare fin qui.».
Il signor Abh fece loro da scorta, facendo notare come ogni cliente aveva un suo spazio a disposizione tagliato da archi e mura: c’era un uomo circondato da un sacco di banconote a terra e felice s’inchinava per baciarle tutte mentre un altro uomo aveva un bicchiere in una mano e con l’altro braccio si osservava i muscoli, fiero; una donna rideva felice sorseggiando dal suo bicchiere e una bambina continuava a ridere girando da una parte all’altra del suo spazio circondata da giocattoli d’ogni tipo.   
«Qui ogni desiderio è realtà.», disse loro Abh. «Qualunque esso sia!».
Sebastian e Mariel si voltavano da una parte all’altra, estasiati da quel paradiso, felici, sorridendosi a vicenda.
«Siamo arrivati, giovani clienti.», si mise alle spalle di una colonna, per farli entrare nel loro spazio.
I due entrarono, notando come ci fossero due bicchieri sopra di un piccolo muretto, dove da una bocca di un angioletto sulla parete sgorgava dell’acqua che svaniva sotto i loro occhi toccando terra.
«E’ la fonte del desiderio. Ad ogni bicchiere un desiderio. Tutto ciò che volete sarà oggi realtà.».
Si scambiarono un’occhiata felice, e Sebastian fissò l’uomo, perché in fondo era strano che fosse tutto così perfetto. «Cosa… Cosa diamo noi in cambio dei desideri?».
«Nulla, giovane cliente!», sorrise Abh. «La fonte esaudisce i vostri desideri e nessuno deve niente a nessun altro. È la regola.». Sparì tra le colonne e Mariel si accostò alla parete, per riempire il suo bicchiere d’acqua.
«Ti fidi?», chiese Sebastian.
«Tu?», sorrise. «Non lo so ma mi viene da fidarmi. In fondo è solo acqua, anche se non dovesse esaudire desideri non ci farà male!», rise, prima di buttare giù tutto in un sorso l’acqua del suo bicchiere.
Sebastian rise: lei era fatta così, era la prima a dubitare e ora…
Prese anche lui il suo bicchiere e lo riempì d’acqua. Luccicava di dorato: ecco la luce che aveva visto. Mandò giù il suo bicchiere tutto in un fiato.
Da quel momento in poi, le cose sarebbero state molto diverse.
 
Il primo desiderio di Sebastian fu quello di avere soldi: soldi sufficienti da poter sfamare la sua famiglia e fare qualcosa in più.
Nelle settimane successive poté permettersi di comprare un televisore nuovo, a colori, in modo da far vedere i cartoni animati ai suoi fratellini e di comprare tanti dolci e cioccolati come nessuno di loro ne aveva mai visto; tanta spesa da far scoppiare il piccolo frigorifero e tanti fumetti, che aveva sempre sognato, non aveva mai potuto leggerne così tanti da restare alzato tutta la notte.
 
Il secondo desiderio di Sebastian fu una donna delle pulizie, che si occupasse di tenere a bada la casa, di cucinare e di curare i suoi fratellini e la nonna.
Comparve dal nulla una giovane donna dalla parete e disse di chiamarsi Nora. La sera stessa la portò a casa con sé e la fece conoscere ai suoi fratellini mentre la mamma era a lavoro.  
Il primo compito di Nora fu quello di risistemare daccapo la casa e come un robot questa faceva ogni cosa che Sebastian le diceva di fare senza obiezioni. La notte la portava in camera sua e restava seduta accasciata su di una parete sveglia tutta la notte: Nora non dormiva.
Nora era strana, pensava Sebastian, era come se non fosse reale, ma tutto ciò che faceva al contrario lo era, e dopotutto era perfetta, proprio ciò che desiderava.
 
Il terzo desiderio di Sebastian era quello di diventare più bravo a scuola.
Da quel giorno i suoi voti furono tutti delle A: non studiava e non sapeva nulla fino al momento in cui non gli fosse chiesto qualcosa, e solo allora rispondeva come un robot a un qualcosa che nemmeno aveva pensato. Tutti si stupirono della sua formidabile intelligenza e in breve diventò lo studente migliore della classe.
 
Il quarto desiderio di Sebastian fu quello di diventare più forte.
Con la bravura a scuola, i bulli cominciarono a prenderlo un po’ di mira e decise così che era arrivato il momento di difendersi. L’ultima volta che lo attaccarono alle spalle li prese uno ad uno per il colletto della maglietta e li alzò in aria: non si riavvicinarono mai più a lui.
 
Sua madre nonostante le proteste di Sebastian nel dire che non dovesse più lavorare ci andava comunque ogni giorno e si teneva a debita distanza da Nora e tutto ciò che era cambiato, soprattutto dagli strani soldi che il figlio portava a casa dal nulla.
Per quanto in quel momento tutto sembrasse andare per il meglio non voleva saperne il perché e lasciava fare, incredula, stranita, e di certo sempre più distaccata alla sua famiglia.
In effetti, tutto stava davvero andando per il meglio: la nonna usciva di più dalla sua stanza e perfino fuori a prendere una boccata d’aria in compagnia di Nora, Sebastian la vedeva più felice e si sentiva felice a sua volta; la sua sorellina iniziò a frequentare finalmente l’asilo, avendo già cinque anni e Curt, il suo fratellino, aveva nuovi splendidi giocattoli e vestiti. Nora portava lui e Lilly fuori al parco a giocare ogni pomeriggio.
La loro casa profumava di fiori e pulito, senza più un grammo di polvere o scatoloni ancora da aprire dall’ultimo trasloco ormai quasi un anno fa.
La vita di Sebastian stava finalmente procedendo tranquilla e senza timore che qualcosa potesse andare storto: tutto era perfetto. Non si rendeva conto che perfino lui in fondo era un po’ cambiato. Preso tanto da se stesso e dai suoi desideri non chiese neppure a Mariel quale fu il suo: non la incontrava quasi più all’andata a scuola, non pranzavano più insieme, e la sera lui andava a giocare ai videogame con ragazzi più grandi fino a notte a volte, che senza rendersene conto trascurava tutto il resto.
 
Quella mattina alla ricreazione salutava tutti al suo passaggio, era diventato famoso a scuola, dalle ragazzine che avevano una cotta per lui ai ragazzi che lo vedevano come un mito, sia nello studio, che nello sport che nella forza fisica.
Sebastian Finnigan aveva fatto della sua vita un capolavoro.
I ragazzi delle classi più grandi con cui passava a parlare di musica ad ogni ricreazione oggi erano stati puniti, quindi prese a sedersi al solito muretto, accorgendosi solo allora che Mariel non era con lui. Aprì il suo pranzo e subito morse il suo panino a doppio strato di prosciutto, mozzarella, pomodori e lattuga: molto diverso da quello a cui era abituato un tempo.
«Che schifo…», udì alle sue spalle. Neppure si voltò, aveva già riconosciuto i passi inconfondibili delle classiche ballerine che indossava solitamente Melanie. Non disse nulla, continuando a masticare per conto suo. «Che schifo, ho detto…».
«Ti aveva già sentito la prima volta… Cazzo vuoi?», fece brusco, voltandosi con sguardo iroso.
«Ehi…», fece la ragazza con un piccolo passo indietro, prima di prendere coraggio e sedersi accanto a lui. Mise le mani a tenersi la testa con i gomiti poggiati sulle ginocchia, fissandolo. «Non mi piaci. Proprio per niente.», disse poi.
«E da quando ti sono mai piaciuto?», continuò a mangiare indisturbato.
«Ma adesso è diverso. Fai schifo. Sei cambiato, Finnigan… Quello che conoscevo non sei tu: il nuovo Finnigan è uguale a tanti altri, anzi è peggio di tanti altri…».
Si alzò in piedi, seccato. «Umh, non ho nemmeno voglia di perdere tempo con te, lasciami perdere.». Prese ad andarsene, ma Melanie non si arrese.
«Ti sei pure dimenticato di avere degli amici! Fai schifo!».
 
Lui era cambiato? Che sciocchezze andava a dire, era sempre lo stesso. Pensava. Solo perché adesso le cose cominciavano ad andare bene non significava che lui era diverso… Anzi forse diverso: migliore!
 
Il primo e unico desiderio di Mariel invece fu di ottenere il suo amore.
Non c’era niente in quel momento che desiderava di più dell’amore di qualcuno, per non sentirsi sola, e per placare il suo dolore. Desiderava l’amore della ragazza che le aveva detto no
«Uscire con te? Non siamo così amiche… Ah, beh… Senti, a me piacciono i maschi, va bene?».
Quelle parole si erano incastonate nella sua testa e per tutta la notte non aveva chiuso occhio. Aveva avuto paura di ripresentarsi a scuola il giorno dopo Mariel, non voleva rischiare di rivedere il volto di chi l’aveva rifiutata. Dopotutto il giorno dopo il desiderio tutto cambiò…
Ad ogni ora del pranzo si rifugiava con lei in bagno per scambiarsi baci e la mattina la sua ragazza passava a prenderla per la scuola. Era una bella sensazione dopotutto: quel posto aveva funzionato davvero, il suo unico grande desiderio era oggi realtà.
Ma anche lei, tanto presa da sé e da quello che aveva desiderato, aveva perso di vista Sebastian e tutto il resto del suo mondo.
Aprì la porta del bagno, mano nella mano con lei. Non c’era nessuno e si scambiarono ancora un altro bacio.
«Mi ami?», domandò Mariel in un sorriso.
«Ti amo!», rispose l’altra, portandole via un altro bacio.
«E perché mi ami?».
«Ti amo perché è così che vuoi!». Si baciarono ancora.
Di certo non potevano sospettare che dall’altra parte del muro Chelsea le aveva sentite. Spalancò gli occhi e stringendo un pugno corse via.
 
 
Si era ormai fatto buio e Sebastian camminava con le mani nelle tasche dei pantaloni, giacchetta in vita, osservando il cielo sereno. Oggi come sempre aveva battuto gli altri ai soliti videogames, stava diventando piuttosto bravo.
Non si sentiva nulla nell’aria, a parte il solito cane all’angolo e quindi gli fu facile sentire qualcuno che piangeva. Si fermò nella strada deserta e prese ad avvicinarsi ad un cortile. Fu affacciandosi dietro ad una parete che scorse una ragazza che piangeva, bionda, mantenendosi il viso con le mani. Lui riconosceva quel pianto.
«Melanie…?», soffiò. Stava per voltarsi per prendere passo quando inciampò su un filo d’erba e la ragazza smise di piangere, guardandosi attorno.
«Chi è?». Si avvicinò notando Sebastian, che cercando di fare il passo più lungo della gamba sperava di svignarsela prima che lo vedesse. «Che ci fai tu in giro a quest’ora?», domandò a bocca aperta.
«Non sono cavoli tuoi.», sbottò lui.
«E allora vattene!».
«Infatti! Lo stavo proprio per fare, ciao!», fece un gesto con la mano.
Melanie non disse più nulla e si sedette sul marciapiede, afferrando la testa sotto le ginocchia.
Sebastian non riuscì ad andarsene e si guardò indietro. Cavolo, pensò, forse era troppo buono: una come quella non meritava niente da lui.
Si avvicinò e si sedette accanto a lei. «Che succede?».
«Non sono fatti tuoi!», quasi urlò lei: la voce soffocata dalle lacrime.
Sebastian si morsicò un labbro: sì, doveva in effetti lasciarla perdere.
«Dai, sono qui, anche se non vuoi parlare…».
Fu strana quella notte, perché Sebastian rivide la Melanie di quel lontano giorno e forse, ripensò, non si era poi sbagliato: era lei quella vera, e usava solo uno scudo cattivo per difendersi dalla gente.
Melanie pianse fra le sue braccia per minuti interi senza interruzione e solo dopo che gran parte del suo sfogo fu andato rivelò lui che suo padre adottivo l’aveva buttata fuori di casa dopo un altro litigio con la madre, dopo che si era messa in mezzo per difenderla. Doveva solo far passare alcune ore e poi gli avrebbe riaperto la porta.
Fecero una lunga passeggiata fra le vie buie e desolate prima che Sebastian la riaccompagnò a casa, con la sua giacca nelle spalle di lei.
«Grazie per la compagnia!», sorrise Melanie.
«Figurati! Chiama quando hai bisogno, ok?».
«Sai, mi sono sbagliata… Non sei poi così cambiato dopotutto…», veloce sparì dietro la porta di casa, lasciando il ragazzo per i suoi pensieri.
«Beh…», disse fra sé. «Adesso ho un nuovo desiderio da trasformare in realtà!».
 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3… Distruzione ***


 
Capitolo 3… Distruzione
 
 
Verso la scuola Sebastian non incontrò neanche questa volta Mariel, ma ora il suo pensiero era rivolto a Melanie: quella sera sarebbe tornato in quel posto e avrebbe espresso un desiderio in modo che la sua situazione familiare si risolvesse.
Intanto Mariel e la sua ragazza erano già arrivate a scuola, parlando e ridendo, notate da più persone: c’era il gruppo di amiche che le vedeva insieme un po’ troppo spesso, mentre dall’altra parte, Chelsea e Charlie le fissavano strabiliati.
«Non ci posso credere!», disse ad un certo punto il ragazzo, interrompendo il silenzio. «Ma ne sei sicura? Loro due insieme?».
«Sono certissima, le ho sentite…».
«Ma è impossibile, Chelsea!».
«Perché impossibile?».
«Umh, non so ma… Non credevo che Mariel fosse… insomma, lesbica!», sbottò, allungando le braccia all’aria. «Per me può fare quello che vuole, sia chiaro-».
«Cos’hai contro le lesbiche?», cinguettò subito.
«Ma niente! Mamma mia, ma che hai mangiato stamattina che ti ha fatto male, sei più acida del solito! Dicevo solo che, comunque, lesbica o no, si comporta in modo strano! È un periodo che è strana! Da quando frequenta quella lì, che oltretutto, credevo ancora meno di Mariel che fosse lesbica!».
Chelsea non disse una parola, continuando a fissarle, mentre si dirigevano dentro l’edificio l’una al passo dell’altra. Storse la bocca, continuando a stringere i pugni.
«Chissà se Seb lo sa!», disse poi Charlie. «Credevo avesse una cotta per lei, e forse Mariel non gli ha detto nulla. In fondo anche lui è strano da un po’ a questa parte… Gli va tutto bene, perfino la scuola!».
«Forse ha deciso d’impegnarsi.», disse seria, procedendo verso la scuola e raggiunta subito dal fratello.
«Glielo diciamo a Seb?».
«No, non lo so… Fa’ come ti pare!». Per i fatti suoi prese ad entrare a scuola, seguita dallo sguardo interrogatorio del fratello.
 
Alla ricreazione Sebastian stava per raggiungere i soliti ragazzi degli ultimi anni che l’aspettavano, ma si fermò quando vide Melanie andare verso di lui.
«Tieni!», gli porse una busta di carta colorata, dall’interno si poteva scorgere la giacca che le aveva prestato la notte precedente. «Grazie!».
«Figurati!», rise.
«Ma non ti montare la testa, non significa nulla per me!», disse lei prima di andarsene a passo spedito.
Sebastian rise e prese a camminare verso i ragazzi. «Come no…».
«Ehi! Ma non era Melanie Gibson?», fece uno di quei ragazzi, accogliendolo tra loro con un abbraccio.
«Ah, ma wow! E così ti vedi con lei? Guarda che sono geloso!», esclamò un altro.
«Ma cosa!», sbuffò Sebastian. «È solo un’amica!».
Un’amica…? Gli era uscito così spontaneo che non aveva badato poi tanto a quel termine. Da quando Melanie era diventata sua amica?
 
 
«Mi ami?», le strappò un altro bacio Mariel, per poi sorriderle.
«Certo che ti amo, è così che hai voluto!». Stava per avvicinarsi per portarle via un altro bacio, quando la ragazza si scansò all’improvviso.
«Non sai dire altro?».
«In che senso? Ho detto che ti amo!».
«Il tuo amore puzza più dei pesci fatti marcire!», riaprì la porta del bagno e seccata corse via, quando vide che l’altra stava per riafferrarla. Corse, ma guardandosi indietro finì per sbattere contro qualcuno. «Chelsea?!».
La ragazza diede uno sguardo avanti e sentendo la voce di quella che cercava Mariel l’afferrò per il polso e la tirò via. Si nascosero dentro un’aula vuota e Mariel osservava dalla porta socchiusa quando la sua ragazza se ne sarebbe andata.
«Che ti è successo? Tu e la tua ragazza non siete felici?», sbuffò Chelsea a braccia conserte, poggiata alla parete.
Mariel socchiuse la porta ancora un po’ e voltandosi sbuffò a sua volta. «Ve n’eravate accorti, eh? Scusa se non ve l’avevo detto! Ma avevo paura che pigliaste in giro per essermi presa una cotta per una femmina!», rise appena, fingendo di grattarsi un braccio.
«Che?».
«Dai, ho detto scusa! Sì, sono lesbica, e dopo? Uff…», sbuffò ancora. «Comunque penso che non mi piaccia più così tanto. All’inizio tutto andava bene ma è troppo appiccicosa, mi segue ovunque… Pensa che mi ha detto che voleva farsi bocciare per stare in classe con me, che così non poteva vivere! E poi non mi ama davvero… Mi ha stufata…».
«Come non ti ama davvero?», strabuzzò gli occhi. «Al massimo ti ama troppo!», rise.
«No, non mi ama davvero… Tu non lo puoi sapere…», finì per dire. Era solo il suo desiderio, ed era un desiderio che ora non voleva più.
«Io non lo posso sapere, certo…», ansimò Chelsea. Allungando una mano afferrò la maniglia della porta e la chiuse di scatto, facendo spaventare Mariel che cercava di vedere se per caso la sua ragazza ripassava di lì.
«Ma che stai facendo?», sbottò a bassa voce, mai che potessero sentirle.
Chelsea aprì la bocca, stava per dire qualcosa ma non ce la fece. Infine si accostò semplicemente a lei e velocemente poggiò le sue labbra a quelle di Mariel.
L’altra spalancò gli occhi, incredula.
Chelsea stava per dire qualcosa ma tutto si spense quando le sue labbra s’incontrarono di nuovo con quelle di lei ed entrambe si cinsero in un lungo bacio.
 
 
L’idea di Sebastian dopo la scuola era quella di dirigersi immediatamente dal signor Abh, ma le sue intenzioni si affievolirono quando capì che doveva esserci qualcosa che non andava, vedendo Nora davanti alla scuola che lo aspettava in piedi davanti ad un muretto. Era la prima volta che veniva a prenderlo e non avendole mai dato un simile ordine era piuttosto strano.  
«Nora…?», si accostò con la sua bici. «Che ci fai tu qui?».
«Mi è stato chiesto dalla signora di venire. Desidera che torni subito a casa che deve parlarti.», disse la giovane.
Sebastian sbuffò, tuttavia la seguì.
Al suo rientro notò la casa di nuovo in completo disordine e udì il piccolo Curt che piangeva.
«Nora, va’ da lui!», subito disse Sebastian ma sua madre già davanti che li aspettava si mise in mezzo, bloccandole il passaggio.
«Non azzardarti a toccare di nuovo il mio bambino! Adesso basta, fuori da casa mia!».
Nora restò immobile, prima di fare un passo indietro per obbedire.
«Mamma! No!», s’intromise subito Sebastian. «Nora è qui per aiutarci! Dobbiamo a lei tante cose, ha fatto tanto per la nostra famiglia!».
«Non m’interessa, è un’estranea, io non la conosco! Come ti sei permesso di portare una sconosciuta a casa mia?!», urlò, prima di farlo ancora più forte, diretta a Nora. «Fuori adesso, ho detto!!».
Sebastian deglutì e si scambiarono un solo sguardo, prima che questa fece i passi indietro per uscire di casa. «Aspetta un po’…», sussurrò lui, dispiaciuto.
«E adesso mi racconti tutto! Sputi il rospo, Sebastian!», l’afferrò per il colletto la madre infuriata, appena Nora chiuse la porta alle sue spalle. «Sono stata zitta, ma ora basta! Come fa un ragazzino delle medie ad avere tanti soldi, eh? In quale giro sei, alla tua età, rispondi? E dove vai ogni notte, che stai rientrando sempre più tardi? Pensi che non me ne sia accorta, forse?! Ti sbagli, ragazzino, e adesso parli!». Finì per dargli un sonoro schiaffo, fra le urla circondate dalle lacrime. Lilly dietro di loro appoggiata ad una parete restò immobile spaventata, ma nemmeno Sebastian si mosse, dando appena uno sguardo alla sua sorellina dietro di lui.
Fregò la mano sulla guancia e le lacrime tagliarono il suo viso, ma il suo unico gesto in quel momento non era quello di scappare in urla e pianti, Sebastian lo sapeva che la sua mamma in quel momento aveva bisogno di lui: prese ad abbracciarla, senza dire una parola.
La madre cadde in lacrime sempre più grandi e lo strinse a sé, così anche Lilly si unì all’abbraccio.
«Ti voglio bene, mamma!», sussurrò la piccola.
«Anche io vi voglio bene, piccoli miei, vi voglio un mondo di bene! A tutti e due!».
 
Tutto ciò aveva costruito si stava forse distruggendo, pensò Sebastian, ma era servito ad aiutare almeno un po’ la sua famiglia.
Quella sera tutti insieme, compresa la nonna, passarono una serata in famiglia, cucinando e parlando come mai avevano fatto, come tutte le famiglie dovrebbero fare almeno ogni tanto.
Sebastian dovette raccontare un sacco di frottole a sua madre e lei, seppur fece finta di crederlo, era chiaro che non fosse così. Disse di averli trovati quei soldi, insieme a Mariel, dopo la scuola. Che non sapevano di chi fossero e se li erano divisi, visto che servivano a entrambi. Nora invece era solo un’amica a cui aveva chiesto aiuto. Nora: lei restò fuori della porta ad aspettare per tutto quel tempo finché, una volta andata a letto sua madre, come ogni sera, Sebastian la fece entrare per portarla in camera sua.
«Mi dispiace per questa sera, Nora…», sussurrò poggiato alla tastiera del suo letto, osservandola seduta alla parete di fronte, come ogni notte. «Non potevo farti entrare, e immagino sarà difficile da oggi in poi, dovrai farti vedere meno… Mia madre se l’è presa con te, ti chiedo scusa da parte sua…».
«Non mi devi chiedere scusa.», disse lei, con il solito tono di voce.
«Ci sarai rimasta male…».
«Non posso restarci male; non provo sentimenti. Sono solo un desiderio e prima o poi svanirò con esso.».
A quelle parole il ragazzino chiuse per un attimo la bocca, perplesso, dispiaciuto. «Esprimerò un desiderio che ti faccia provare sentimenti allora!».
«Non funzionerebbe: non sono viva. Senza contare che faccio parte di un altro desiderio.».
«Ma è brutto essere così…», mugugnò.
Quella notte Sebastian non chiuse quasi occhio per trovare una soluzione a Nora: lui la vedeva umana lì davanti ai suoi occhi, ma lei in realtà era solo un guscio vuoto di un niente che presto o tardi sarebbe svanito come la scia dei fuochi d’artificio.
 
 
La mattina seguente già nel percorso verso la scuola vide uno strano movimento: i ragazzi sembravano tutti parlare di un qualcosa e s’incuriosì. La nuova notizia boom, nulla di strano in fondo, sperava solo che non c’entrasse Melanie stavolta. Tanto, si disse, tutto sarebbe scemato appena una nuova notizia con ancora più scalpore ne avrebbe preso il posto, quindi al massimo due settimane: il tempo più o meno con cui era rimasto anche lui sulla cresta dell’onda dopo aver sconfitto i bulli che lo avevano preso di mira. Rise.
Tuttavia, quando arrivò al cancello della scuola la voce di cui tutti parlavano arrivò alle sue orecchie e gettò la bici a terra senza neppure averla parcheggiata.
«Hai sentito?».
«Che cosa?».
«Sai che quella Mariel del secondo anno si era dichiarata? Beh, non era stata rifiutata a quanto pare, stava con una ragazza!».
«Una ragazza?».
«Sì, ma non è finita!», rise. «Sembra che abbia lasciato la ragazza per stare con Chelsea Robstore!».
«La gemella di Robstore?».
«Sì, qualcuno le ha beccate ieri mentre si baciavano in un’aula chiusa! Da non credere!».
«Wah! Sono lesbiche, non l’avrei mai detto!».
Sebastian cominciò a camminare spedito nel cortile della scuola, fino a trovare il suo obiettivo. Eccola, era lì la traditrice: Chelsea camminava al fianco di suo fratello facendo finta di niente.
Svelto si mise a correre, per poi urlare. «Come hai potuto, Chelsea?!». Subito la spinse, facendola cadere a terra.
Charlie si mise in mezzo immediatamente, bloccandolo ad una spalla. «Che diavolo ti prende, Seb?! Sei impazzito?!».
«Ehi, ma sei diventato scemo?», urlò anche la ragazza, rialzandosi in piedi.
«Mi hai tradito, ti sei messa con Mariel?! Come hai potuto, lo sai che sono innamorato di lei!».
Non ci misero molto gli studenti della scuola a mettersi tutti in cerchio per vedere la scena, entusiasmati; già qualcuno gridava alla rissa.
«Cerca di calmarti, Seb!», disse Charlie. «Anche Chelsea era sempre stata innamorata di lei… Ok che neanche io me n’ero accorto, ma non c’è bisogno di litigare!».
«Ah no?», si voltò furioso. Lo scansò con facilità da una parte, grazie al desiderio d’essere più forte, e si scagliò contro la sorella. «Ti sei messa con lei, dimmelo?!».
«Smettila, Seb!», urlò la ragazza, cercando di divincolarsi.
Charlie lo afferrò per il collo e lo strinse forte per bloccarlo.
«Sono innamorata di lei!», disse Chelsea. «Non volevo farti un torto, Sebastian! Ma tu per lei sei come un fratello, non avreste futuro comunque!», disse con sincerità.
«No!», gridò il ragazzo, liberandosi dalla presa. «Lei starà con me!». Diede una spinta ad entrambi e corse via, diretto al cancello dove aveva lasciato la sua bici. «Starà con me, cazzo!», diede un pugno ad una parete, senza farsi male, notando che ad attenderlo vi era Melanie, un po’ impaurita dall’attacco di poco fa. Nessuno osò seguirlo.
Il ragazzo al vedere quel suo sguardo capì di aver esagerato e si strofinò il viso per calmarsi. «Scusa…», fece, prima di dirigersi a prendere la bici.
«Sei davvero innamorato di Mariel?», domandò lei ad un certo punto, con sguardo basso.
«Sì…», disse senza pensarci. Montò sul sellino e la ragazza lo seguì con lo sguardo, prima di allungare le mani per afferrargli il viso e rubargli un bacio.
Il cuore di Sebastian colpì in modo strano, mentre la fissava ad occhi spalancati e increduli.
«Vuoto il sacco… Mi piaci! T-Tu…», imbarazzata continuava ad agitarsi, senza guardarlo in viso. «Eri tu, quella volta che piangevo a scuola, che mi hai visto e ti sei fermato… Mi avevi dato una carezza sui capelli e te ne sei andato; quando ho rialzato lo sguardo mi avevi lasciato sulle piastrelle del cortile  uno smile sorridente disegnato coi gessetti!», rise. «Eri stato tu a farlo!».
Sebastian arrossì. Non credeva che Melanie se lo ricordasse, né tanto meno che fosse stato così importante per lei. Infine però si voltò, serio. «I-Io sono innamorato di Mariel! Scusa!». Veloce pedalò e sparì.
 
Quando spalancò il portone il signor Abh non era molto distante e al vederlo gli sorrise. «Bentornato!», esclamò. Si sentivano nuove urla di gioia riecheggiare attraverso l’edificio, forti e pesanti, quasi disumane. Il ragazzo ci passò davanti senza degnarsi di niente e nessuno, correndo verso il suo spazio condiviso quella volta con Mariel, e veloce prese il suo bicchiere.
«Il mio prossimo desiderio!», esclamò riempiendolo di quell’acqua.
 
«Bentornata!», saluto qualcun altro Abh.
«Sì, vabbeh, ciao!».
 
Sebastian si voltò verso l’arco. Quella che aveva sentito era… la voce di Mariel.
 
«Devo sapere come fare ad annullare i desideri!».
«Come, mi scusi?».
 
Non sapeva perché ma fu come travolto da un’insolita paura e quasi poté giurare di star sudando. Fissò il bicchiere dall’acqua dai colori dorati e come spinto dalla frenesia, subito lo buttò giù. Dimenticato del suo desiderio per Melanie, dimenticato di aver aggredito i suoi amici, dimenticato della vera amicizia che lo legava a Mariel.
 
Desiderio l’amore di Mariel. 



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Capitolo 4
*** Capitolo 4… Perso tutto ***


 
Capitolo 4… Perso tutto
 
 
Si rigirò sulle coperte, e poi ancora. Sudava. Con un calcio gettò via le coperte, osservato da Nora, dal suo angolo come tutte le notti.
«Ti amo, Seb!», si allungò subito per arrivare a baciarlo.
Ancora, borbottando nel sonno.
«Mi ami…?», rise un po’ sulle sue. Il suo desiderio… era riuscito anche stavolta.
 
PIP PIP PIP PIP
Fu Nora a spegnere la sveglia per lui per poi scuoterlo nel sonno. «È ora di alzarsi, Sebastian! Sebastian!».
Mugugnò. «Ora mi alzo… Sono sveglio!».
 
Scese le scale di corsa e come ogni mattina si sedette a tavola, pronto per fare colazione. Sua madre era stranamente di buon umore davanti ai fornelli: canticchiava come da anni non la sentiva fare, era quasi una cosa nuova.
«Che succede?», rise.
«Ecco le frittella!», subito lo servì, con il sorriso stampato sul volto.
«Oggi devo fare un nuovo colloquio di lavoro, e se mi prendono potrò rinunciare a tutti gli altri!».
«Oh, è una cosa grossa allora?».
«Ci puoi scommettere!», sorrise.
Lilly si sedette a tavola e prima che la madre potesse guardarla storta parò le mani in avanti. «Pulite e fresche!», aggiunse con mezzo sorriso, odorandole.
I due scoppiarono a ridere.
 
La mattina sembrava essere iniziata proprio col piede giusto: pensò Sebastian inforcando la sua bici.
«Sebastiaaaan!», udì alle sue spalle, cominciando a rallentare.
«Buongiorno, Mariel!».
«Buongiorno, amore mio!», gli inviò un bacio.
Non c’era nulla di sbagliato: pensò.
 
Arrivati a scuola parcheggiarono le loro bici l’una accanto all’altra come facevano sempre e dopo si presero per mano, come due teneri fidanzatini, per avviarsi all’edificio.
«Ma guardali…», sbottò Charlie. «È impensabile, impossibile! Ma come cavolo avranno fatto? La gente sta impazzendo!». Si mise a braccia conserte, mettendo su il muso, per poi guardare la sorella.
Chelsea sembrava delusa e affranta, e senza replicare afferrò la sua cartella, cominciando a camminare. «Vado in classe…», sussurrò spenta.
 
A lezione Sebastian era curvo sul banco come al solito, pensava a Mariel, che ora era diventata la sua ragazza.
Cosa c’era di male? Continuava a ripetersi ogni tanto. Ora tutto ciò che voleva era lì per lui: sì, il suo desiderio era realtà.
«Seb… Psst!».
Sentì Michael bisbigliare e s’incurvò a lui.
«Mi hanno detto di passarti questo!», disse, consegnandogli un bigliettino.
«Di chi è?».
«Uno di quarta mi hanno detto, non so…».
Controllò che la professoressa non stesse guardando da quelle parti e aprì il bigliettino: conosceva bene quella calligrafia, era Charlie.
Bell’amico del cazzo che sei!
Questa ce la paghi, Sebastian Finnigan, parola mia!
Tu non ami Mariel e lo sai, invece mia sorella sta male!
Ti importa questo?
Se hai conservato ancora un po’ di dignità lasciala a lei!
Ti odio e appena ti vedo ti spacco la faccia, bastardo!
Accartocciò il foglietto e lo gettò in terra da una parte, spingendolo coi piedi. Non sapeva come, ma in fondo quel biglietto lo aveva messo in una strana agitazione. Sapeva bene che, eppure, per quanto impegno potesse metterci Charlie, lui era più forte.
Ma non c’era nulla di sbagliato; nulla di male, no?
 
«Ti amo tanto, cuoricino mio!», se la ritrovò davanti alla sua classe a campanella appena suonata, pronta per abbracciarlo e poi baciarlo. Alcuni compagni di classe esultarono felici uscendo dall’aula, mentre quelli delle altre classi li guardavano sorpresi: tra loro vi era pure Melanie, che con sguardo chino si voltò per andarsene.
«Oh, ma perché devi fare così Esageri!», sbuffò.
«In cosa? Voglio solo stare con te!», sorrise, aggrappandosi al suo braccio.
Mariel… Mariel non era una ragazza come le altre, sapeva Sebastian. Innamorata si sarebbe davvero comportata così?
Subito corse in mezzo a loro una ragazza, che dicendo di essere innamorata di Mariel si metteva in mezzo nella loro storia d’amore.
 
Cosa c’era di sbagliato? Pensò ancora.
 
Ho perso tutto.
 
Aveva due amici, ma si era scagliato contro di loro e li aveva feriti. Aveva una migliore amica che ora aveva trasformato in uno stupido pupazzo. Gli piaceva una ragazza che infine si era dichiarata a lui, ma l’aveva ignorata a causa di un capriccio.
 
Digrignò i denti e prese la sua decisione.
 
«Sono uno stupido!», disse in quel momento, prima di scattare e correre via, senza che qualcuno lo potesse fermare.
Dal cortile scavalcò il cancello e corse via, inseguito da un insegnante furioso.
Non si fermò, corse fino allo sfinimento per la strada, finché possedeva fiato in corpo. Tra la gente e le strade, Sebastian continuava a vedere la luce dorata di quell’acqua, sotto ogni cosa, tra la pelle e il cemento: era ovunque. Quell’acqua era sotto, sopra, a destra e sinistra e non se n’era mai accorto.
Svelto spalancò il portone. «Abh! Signor Abh!».
L’uomo apparve dietro ad una colonna e lo raggiunse.
«Voglio annullare i desideri! Ora!».
«Come prego?».
«Sei sordo? Voglio annullare i desideri, come faccio?».
L’uomo per un attimo rise, preso un po’ alla sprovvista. «Finora nessuno, a parte la sua amica prima che cambiasse idea, aveva mai reclamato una cosa simile!».
«Beh, io lo sto facendo!», serrò i pugni. «Allora?».
L’uomo smise di ridere e si guardò intorno spaesato, Sebastian capì così che non avrebbe trovato alcuna soluzione parlando con quell’uomo. Subito corse al suo spazio e facendo silenzio e osservando bene notò da dove proveniva l’acqua. I tubi portavano ad un piano superiore.
Non ci mise poco a trovare le scale ma una volta arrivato vide come laggiù tutto era straordinariamente diverso: le colonne e gli archi erano tutti immersi nell’acqua, come un grande lago nella stanza, e questa scendeva da un’enorme cascata dal cielo, senza fine. Non era un posto come gli altri: era un pezzo di Paradiso.
Camminando intorno al perimetro del lago vide nell’aria alcuni pesci che nuotavano ed emettevano piccoli suoni, come voci femminili. “Sebastian…“, sembravano chiamarlo. Incantato ad osservarli non si rese conto di essere osservato a sua volta: dall’acqua sbucò una piccola testa dai capelli verdi, che mostrò infine il suo sorriso.
Si spaventò, indietreggiando. «C-Cosa…».
«Ciao!», saltò dall’acqua come un delfino, mostrando il suo corpo di mezzo pesce. «Non viene a trovarmi mai nessuno, sono contento di vederti! Io sono Orhus, il saggio di questa sorgente dei desideri!», si presentò, continuando a sorridergli.
Dopo un attimo di smarrimento Sebastian si rese conto che doveva chiedere direttamente a lui se voleva veder annullati quei desideri.
«Oh, allora devo dirlo a te!», esclamò. «Orhus, giusto? Mi devi aiutare: ho perso il controllo dei desideri e ho combinato un gran casino; le cose devono tornare come prima!».
«Come prima?».
«Sì, devi annullare tutto!».
Il piccolo si guardò un po’ intorno, per poi sorridergli ancora. «Tutti o gran parte perdono il controllo dei propri desideri! Altri restano qui dentro a vita perché non possono farne a meno e perdono di vista la realtà.», disse.
Sebastian era determinato e s’impose che non sarebbe andato via fino a che non avesse convinto quel piccolo pesce a fare come diceva.
«Tu però sei simpatico!», rise all’improvviso. «Va bene, accontenterò la tua richiesta a una condizione… Devi dirmi… qual è il mio desiderio?».
 
Quale poteva essere il desiderio di un piccolo pesce? Ragionò tornando a casa.
Lasciò la sua bici a scuola, ed era già pronto a sentire la ramanzina di sua madre avendo di certo ricevuto la telefonata da parte della scuola che suo figlio era scappato saltando dal cancello. Già, sua madre… Fu in quel momento che rivide il sorriso felice di Lilly e Curt nel rivedere la mamma felice, quella mattina.
Si fermò. Ora sapeva qual era il desiderio.
Veloce corse verso casa e ignorando le urla di sua madre che lo inseguivano per la casa prese un foglio e una penna, uscendo di nuovo. «Scusa, mamma, dopo!».
 
«Ho trovato il tuo desiderio!», sorrise fiero davanti ad Orhus.
«Quale?».
«Ciò che sogna ogni bambino: sua madre!», gli mostrò il foglio che prima teneva nascosto sulle spalle, raffigurato il buffo disegno di quella che doveva rappresentare una sirena coi lunghi capelli.
Il viso del piccolo saggio della sorgente s’illuminò e il foglio cominciò a volare per aria in tutta la stanza, circondato dai tanti pesci che sembravano festeggiare a loro volta. «La mia mamma…», sorrise. «Quanto mi manca la mia mamma…».
 
 
 
Da quel momento in poi le cose andarono decisamente meglio, e questa volta per davvero.
La madre di Sebastian riuscì ad avere quel posto di lavoro, che le permise non solo più soldi, ma anche di poter passare più tempo libero con i suoi figli. La nonna festeggiò i suoi ottantanove anni con un gran banchetto, anche se non si ricordava più di metà nomi degli invitati. Lilly e Curt crescevano sereni con nuovi amichetti tra il vicinato.
 
«Mi ami?».
«Sì…».
«E perché?».
«Non lo so a dire il vero…», ci pensò su, prima di baciarla. «Ma ti amo…».
Mariel e Chelsea divennero finalmente una coppia e quest’ultima fece pace con Sebastian, anche se dopo giorni di scuse ininterrotte. Mariel dal canto suo, non sapeva nemmeno il perché delle scuse: si scoprì che chi era sotto l’effetto dei desideri degli altri non portava ricordo.
 
Sebastian riuscì a fare pace anche con Charlie, anche se fu più dura che con la sorella. Dovette sconfiggerlo a boxe: senza l’effetto del desiderio ne aveva preso più e più volte.
 
Ci pensava Melanie tuttavia a farlo ritornare in forze.
Lei e Sebastian si misero insieme, dopo che le chiese pubblicamente scusa davanti a tutta la scuola con un mazzo di fiori in mano. Melanie sembrava averlo rifiutato ma il giorno dopo camminavano mano nella mano davanti a tutti.
 
Sebastian ritornò il classico ragazzino di sempre, come le sue F e la scusa che volevano dire Felice.
 
 
 
In quanto a Charlie…
Charlie… Charlie… Il tuo desiderio è già realtà…
Per lui tutto doveva ancora cominciare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

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