Numb di Ghen (/viewuser.php?uid=13358)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1… Il desiderio di Sebastian ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2… La nuova realtà ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3… Distruzione ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4… Perso tutto ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1… Il desiderio di Sebastian ***
Numb
“Sebastian…
Sebastian…
Il tuo desiderio è già realtà…“
Capitolo
1… Il
desiderio di
Sebastian
PIP
PIP PIP PIP
Si
svegliò di soprassalto e nel tentativo di schiacciare la
sveglia cadde dal letto, trascinato giù dalla coperta tutta in
disordine. «Ahia! Ma
porca…!», imprecò fregandosi il
sedere sotto i pantaloncini corti, alzandosi e staccando la sveglia.
Rimase
immobile per qualche istante prima di scuotere la testa e sbuffare, ed
ecco che
subito i suoi pensieri furono interrotti dal chiasso al piano di sotto,
con un
neonato che piangeva e una donna che urlava. Sebastian non ci fece poi
così
caso, abituato com’era, tirò su le coperte e si mise a cercare la roba
per
vestirsi nella sedia accanto, tutta buttata sottosopra.
Scese
le scale di corsa divincolandosi in scatoloni in mezzo
al soggiorno, per poi entrare in cucina.
«Oh!
Stavo per venire a buttarti giù dal letto!», tuonò la
donna ai fornelli sotto una nuvola di vapore e frittura. «Ho già
preparato
anche il pranzo, così quando torni da scuola devi solo riscaldare
tutto.»,
disse per poi avvicinarsi e mettere una frittella su un piatto.
Sebastian
iniziò a mangiare la sua colazione, immergendosi
nel suo mondo, distante dalla madre che aveva appena urlato alla
bambina che si
stava per sedere accanto a lui di andarsi a lavare le mani e della voce
di
un’anziana che strepitò nell’altra stanza, o del lamento del neonato
che
continuava a strillare. Questa era la realtà, e ormai c’era cresciuto.
«Sebastiaaaan!».
Frenò
piano la bici per guardarsi indietro: Mariel stava per
raggiungerlo a bordo della sua bici e gli faceva la mano.
«Cosa?
Di nuovo quel sogno?», rise Mariel. «Sarà la tua
futura moglie che ti cerca!», riprese a ridere, per imitare poi la voce
di un
fantasma. «Sebaastian! Seebaaaaastian!».
«Smettila,
scema!», arrossì un poco, senza darlo a vedere. «Mi
ripete sempre le stesse parole… Di un desiderio… Ma io non ho
desideri!».
«Tutti
hanno un desiderio! Che cretinate dici?», battibeccò
lei. «Perché non compare a me quella donna misteriosa?! Io sì che ho un
desiderio da far realizzare!».
«Ah
sì?», fece curioso. «Ovvero?».
«Un
desiderio d’amore naturalmente, ma non sono fatti tuoi!»,
prese a pedalare più veloce, per seminarlo.
«Cosa?
Ma io lo devo sapere, sono il tuo migliore amico o
no? Fermati! Mariel!», prese a rincorrerla.
Le
giornate erano tutte vagamente uguali per Sebastian, e la
sua realtà era forse più dura di qualche altro ragazzino della sua età
ma non
si lamentava, non lo aveva mai fatto. Non rimpiangeva il fatto d’essere
figlio
di un padre che li aveva abbandonati, di una madre che non era
abbastanza
presente e lavorava fino a disossarsi per portare pochi soldi a casa,
di una
nonna che malata non sapeva più riconoscere i suoi nipoti, di due
fratellini
più piccoli che non sopportava perché lui aveva soli tredici anni e non
voleva
prendersi cura di loro. Forse, pensava Sebastian sul suo banco, lui un
desiderio l’aveva.
«Finnigan!».
«Sì?»,
si alzò di scatto dalla sedia.
«Interrogato!».
«Hai
beccato un’altra insufficienza?», rise Mariel con la
bocca piena, appena morso il suo panino.
«Ugh… E dai,
ingoia prima!», fece disgustato lui, aprendo il suo cestino del pranzo:
ovviamente le due solite fette di pancarrè con un po’ di lattuga e una
sottiletta.
«Vedi?
Trovato un desiderio: farti diventare più bravo a
scuola!», consigliò. «Dillo alla signorina la prossima volta che la
sogni!».
«Uff…
Lascia perdere…». Arrossì nel vederla guardarsi
intorno; si atteggiava in modo buffo. Sebastian cominciò a pensare al
fatto che
forse un desiderio poteva essere quello di incoronare il suo sogno
d’amore…
Sorrise. Perché no? Magari lei provava la stessa cosa per lui.
«Già,
tanto con te sarebbe un caso perso in partenza!», rise
distogliendolo dai suoi pensieri, per poi alzarsi in piedi. «Seb, ti
lascio un
attimo, ci vediamo dopo!», corse verso un gruppo di ragazze.
La
fissò attento, un po’ perplesso ma poi rise. «Ah, in
fondo anche lei è una ragazza!». Minimo
parleranno di rossetti… Pensò per
poi scoppiare a ridere: maschiaccio
com’era abituata ad essere era impossibile vederla con il rossetto
sulle
labbra.
«Tanto
non ti si fila! Energia sprecata!», disse una voce.
Il
ragazzino si voltò subito, con faccia schifata. «Oh, Melanie,
sei tu! Dalla voce mi pareva una cornacchia!».
«Spiritoso!»,
gridò la ragazza, rigirandosi un boccolo
biondo. «Sono solo raffreddata! Sai… anche una disadattata come Mariel
capisce
che con un poveraccio come te non avrebbe futuro, perché mai dovrebbe
mettersi
con te?!», rise. «Ma non l’hai ancora capito? Non-gli-interessi! Ti
vede solo
come il suo bamboccio personale quando non sa cosa fare!».
Restò
serio un altro istante osservando dall’altro lato del
cortile la sua migliore amica che parlava con un’altra ragazza, ridendo
e
scherzando, per poi sbuffare e rigirarsi verso Melanie. «Ma tu non
l’hai una
vita tua? Vai ad importunare qualcun altro, racchia!».
La
ragazza corrugò le sopracciglia e offesa cominciò ad
andarsene. «Scemo!».
Sebastian
sbuffò ancora, rimettendo le sue fette di pancarrè
appena a metà nel cestino del pranzo. Gli era passato l’appetito…
Quella
Melanie era la classica ragazzina di buona famiglia che si credeva la
diva
della scuola e quindi in dovere di prendersela con gli altri senza
ragione. Quasi
non poteva crederci che fino a pochi mesi fa aveva una cotta per quella.
I
primi giorni di scuola quando si era appena trasferito gliel’avevano
tutti etichettata come la più bella e perfida della scuola, compresa
Mariel “stacci
alla larga, Seb! Quella è una
vipera!”, tuttavia
un giorno mentre si dirigeva di corsa nel cortile per la
palestra la vide piangere accartocciata su se stessa, in un angolo, e
lì, come
investito da quello che chiamano colpo di fulmine gli era entrata nella
testa:
quella era la vera Melanie, e aveva bisogno di qualcuno. Purtroppo il
suo sogno
svanì di giorno in giorno quando ebbe a che fare con lei e la sua
linguaccia
velenosa nei confronti delle persone che le stavano intorno, facendo la
bella
faccia davanti agli insegnanti, la spia spesso e volentieri contro
tutti:
quella era una vera strega… e decise di lasciarsela alle spalle. Quella
volta
che l’aveva vista piangere era stato solo un inganno.
Mariel
invece era diversa, pensò Sebastian. Lei era
schietta, particolare, pura e semplice, non come le altre ragazze: ecco
perché
aveva deciso di innamorarsi di lei.
Si
conoscevano da sempre; la loro era un’amicizia
incrollabile. Non sarebbe stato affatto male averla come sposa un
giorno.
La
sentì ridere e sorrise a sua volta, felice. Era la
persona solare di cui aveva bisogno nella sua vita.
All’uscita
della scuola prese la bici e aspettava poggiato ad
una parete, guardando di tanto in tanto l’orologio: Mariel era
stranamente in
ritardo.
«Eddai,
non posso tardare, lo sai…», mugugnò per sé, vedendo
che tutta la scuola si apprestava a lasciare l’edificio.
«Ciao,
Seb!», sorrise una ragazza, accompagnata alle sue
spalle da un ragazzo un po’ più alto.
«Oh,
ciao, Chelsea!», salutò in un sorriso. «Charlie!»,
salutò pure il ragazzo dietro, che gli fece solo la mano: sembrava un
po’ giù. «Ma
che succede?».
«Eh,
si è arrabbiato perché nonostante abbia studiato come
un forsennato tutta la notte ieri, oggi ha fatto schifo lo stesso al
compito!»,
rise un po’ sulle sue la ragazza.
«Sì,
ma cazzo!»,
sbottò incurvando le braccia. «Possibile che in un compito di venti
domande,
quindici includono gli argomenti che ho saltato? Ma l’ha fatto
apposta!».
«Se
ti può far sentire un po’ meglio, io stamattina sono
stato interrogato a sorpresa e ho preso una F!», concluse Sebastian.
Charlie
e Chelsea erano gemelli: avevano conosciuto
Sebastian e Mariel ad un parco del quartiere, quando il primo
atteggiandosi un
po’ da bullo non voleva far giocare nessuno a pallacanestro, e dopo una
sfida
due contro due, vinta dai gemelli, fecero amicizia. Avevano solo un
anno in più
rispetto a loro, compagni di classe di Melanie.
«Che
fine ha fatto Mariel?», chiese Chelsea di punto in
bianco.
«Non
lo so, sto aspettando lei! Se non si fa viva entro
cinque minuti torno a casa! Mia madre deve andare a lavoro e non può
lasciare i
miei fratelli da soli!», guardò ancora una volta l’orologio.
«Non
per fare il guastafeste, ragazzi, ma credo di aver
visto Mariel passare in corridoio con uno sguardo molto spento! Non è
che forse
stava male?», fece ad un certo punto Charlie.
«Con
sguardo spento? Ma quando?», chiese allarmata la
sorella.
«Non
è da lei! Alla ricreazione era con me e stava bene!»,
intervenne Sebastian.
«Quando
stavo tornando dal bagno per rientrare in classe… L’ho
chiamata ma sicuramente non mi ha sentito, poi è entrata in bagno! E io
in
quello delle donne…», storse un sorriso.
«Andiamo
a controllare!», cominciò a passo spedito Chelsea, ma
proprio quando i tre stavano per varcare il cancello, Mariel passò in
mezzo a
tanti altri ragazzi che uscivano da scuola, di corsa, e sembrava
piangere.
«Mariel!»,
chiamò Sebastian, ma la ragazza inforcò la sua
bici e corse via. Salì sul sellino per seguirla ma Chelsea lo bloccò al
volante.
«La
raggiungiamo noi, dopo ti facciamo sapere! Tu devi
tornare a casa, è tardi!».
«Ok.»,
sbuffò. «Vado a casa, dopo chiamatemi!».
Appena
varcò la porta di casa vide sua madre urlante, con il
giubbotto indosso e la borsa sulla spalla; il suo fratellino piangeva
nell’altra stanza e sentiva la sua sorellina in cucina che sbatteva una
forchetta su un piatto. «Tua nonna si è addormentata, quindi vedi se
riesci a
farli stare in silenzio! Vado!». Non lo guardò neanche per un istante
che
veloce gli passò davanti, per poi aprire e chiudere la porta alle sue
spalle.
Questa
era sua madre.
Sebastian
restò immobile sui suoi passi e poi sorridendo
esclamò «Aaah! Basta baccano, Lilly, Seb è tornato da scuola!».
Per
un momento tutto tacque tranne il pianto del neonato,
poi il rumore della forchetta che veniva lasciata cadere e la sedia che
si
spostava, ed ecco a seguire i passi rumorosi di una piccola corsa.
«Seb!»,
urlò felice la bambina, prima di schiantarsi tra le
sue braccia pronte ad accoglierla.
Questa
era la realtà.
“Sebastian…
Vieni… Il
tuo desiderio è già realtà…“
Si
svegliò di soprassalto, scoprendo che la sua sorellina lo
stava punzecchiando al naso con una matita colorata.
«Ti
eri addormentato…», sorrise poi, riprendendo a colorare
vicino a lui.
Il
ragazzino sbadigliò strofinandosi un occhio, per poi dare
un’occhiata al telefono senza fili poggiato vicino a lui: aspettava una
telefonata ma ancora niente. Diede uno sguardo al suo fratellino nel
box: lo
vide sorridere, scuotendo il suo ciuccio. Si alzò dalla tavola e dalla
cucina,
ignorando il soggiorno sottosopra spalancò la porta socchiusa della
camera da
letto della nonna. C’era uno strano silenzio. La vide sulla sua sedia a
dondolo, sorridendo fissava fuori dalla finestra: era stranamente
calma.
La
donna sentì la sua presenza e si voltò, continuando a
dondolare gli fece cenno di avvicinarsi.
«Dimmi,
nonna… Cosa c’è?». Si accostò velocemente.
La
donna gli carezzò i capelli neri, in un sorriso. «Sei
bello tu…», disse piano. «Sei proprio bello…».
Dopo
poco lasciò la nonna alla sua finestra e socchiuse
adagio la porta. Rientrò in cucina, e vide prima il sorriso del suo
fratellino
e poi quello della sua sorellina. Si tornò a sedere, prendendo la penna
per
continuare i suoi compiti.
Prese
a guardarsi attorno un altro istante, pensieroso: ehi, lui
lo aveva davvero un desiderio.
********************************************************************
Primo capitolo di una nuova
storiellina, molto corta (soli 4 capitoli) che, ad essere
sincera, non mi piace più più di tanto, come quando la stavo scrivendo.
Ora che è conclusa non la trovo nulla di aprticolare, scontata e
banalotta. Ha partecipato all'undicesima edizione dei contest regolari
di Eylis (qui il bando). Ecco la targhetta:
Qualche piccola nota:
Credo
di aver messo davvero troppa
fretta a questa storia. Ma davvero davvero. Avendo a disposizione più
spazio
l’avrei ampliata tantissimo ma ormai è andata e non la cambierò nemmeno
in
futuro. È come se avessi compresso tutti gli avvenimenti più importanti
che
dovevano accadere come più potevo e quello che, almeno secondo me, ci
ha
sofferto di più è il lato introspettivo dei personaggi ç_ç Colpa mia,
la
prossima volta cercherò di trovare trame meno complesse da sviluppare XD
Il titolo della storia è
cambiato da
uno troppo scemo (era davvero troppo
scemo, quasi come le “traduzioni liberalmente interpretate” dei titoli
dei film
americani e compagnia quando arrivano in Italia) a Numb, che ammetto non mi piace
granché, ma il suo significato, “intorpidito”,
mi piaceva parecchio e un po’ mi ricordava il protagonista. Già… il
protagonista: l’ho chiamato Sebastian. Sebastian senza farlo apposta. Questo è un nome molto usato
nel mondo delle
fan fiction ultimamente a causa di un manga ma GIURO che nemmeno ci
pensavo a quello quando ho chiamato lui così.
Ci
ho pensato a storia già finita e non mi va di cambiargli nome per una
cosa così
sciocca ù_ù Comunque ci tenevo a far sapere che non ha nulla a che
vedere con quel Sebastian.
Al prossimo capitolo ("La nuova realtà"),
ciao, ciao da Ghen =^_____^=
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2… La nuova realtà ***
Capitolo
2… La
nuova
realtà
“Sebastian…“
«Sebastian!
Sebastian, dai… La prof sta per tornare, se ti
vede addormentando altro che F!», lo scuoteva il suo vicino di banco.
Si
accartocciò gli occhi e si mise dritto, facendo
finalmente tirare un sospiro di sollievo a Michael.
«Finalmente
dai cenni di vita! Stavo quasi per
ufficializzare la tua morte! La professoressa sta per tornare…»,
sbottò.
«Umh…
Sì… Scusa…», continuò a strofinarsi gli occhi. Sperava
che, tornata a sognare quella voce che lo chiamava, magari sarebbe
riuscito a
dire quel era il suo desiderio, ma non era cambiato nulla, il sogno era
sempre
lo stesso. Come se non bastasse era preoccupato per Mariel: infine
Chelsea
l’aveva telefonato la sera tarda per dirgli solo che la ragazza non
aveva
voluto parlare con nessuno e quindi non sapevano cosa fosse successo;
senza
contare che verso scuola non l’aveva vista.
Sbuffò.
Al
suono della ricreazione Sebastian uscì di corsa dalla
classe con il suo cestino del pranzo in mano, sperava in cortile di
rivedere Mariel,
se mai fosse andata a scuola.
Intravide
Melanie alle sue spalle, fermandosi al solito
muretto, e della sua amica neanche l’ombra.
«Che
cavolo vuoi?», iniziò a masticare le sue fette.
«Vedere
come andava, tutto qui…».
«Beh,
adesso che hai visto levati pure dalle palle!».
«Che
gentile! E dire che io so cos’è successo ieri alla tua
amica!».
«Eh?
Dimmelo!», si fermò all’istante.
«Perché
dovrei dirtelo?», fece in broncio.
«Perché
sei venuta?», sbuffò.
«Uff,
ok…», prese a sedersi accanto a lui, che veloce si
scansò di qualche centimetro. «Ieri si è dichiarata!».
«Che?»,
quasi sputò il suo boccone, incredulo. «Cosa? A chi?».
«Non
lo so!», rise appena, osservando le nuvole. «Ma la voce
si è sparsa per le classi più grandi, quindi immagino sia ad uno
studente più
grande, no? È stata rifiutata, poverina,
e non sembrava averla presa bene!», rise.
Il
cuore di Sebastian cominciò a battere forte: Mariel si
era dichiarata. Era stata rifiutata.
Non
a lui.
«Era
ovvio, si tratta di lei… Nessuno oserebbe rifiutare me
per esempio! Ma alla disadattata…!», rise. «Era chiaro che sarebbe
finita così!».
«Smettila!», quasi
le urlò in faccia, finendo per spaventarla. «Tu non puoi parlare, non
sai
proprio niente di niente! Sei solo una vigliacca che va in giro a
deridere la
gente, fai pena! Ti odio!». Svelto si alzò, lasciandola a bocca aperta.
Melanie
continuò ad osservarlo e dopo poco chinò la testa.
Mariel
si era
dichiarata ed era stata rifiutata, e non si era dichiarata a lui.
Continuava
a ripetersi nella testa. Era dispiaciuto e felice
al tempo stesso: come poteva? Era dispiaciuto perché Mariel doveva
stare molto
male, ma era un felice, perché così poteva esserci ancora una chance di
stare
con lei.
«Sono
meschino…».
All’uscita
della scuola non vide né Chelsea né Charlie e
decise di tornare subito a casa, quando le si presentò davanti Mariel,
in
bicicletta.
«Mariel!»,
sorrise entusiasta. «Non sei venuta oggi a
scuola! Ero preoccupato!», spense il sorriso, ricordandosi delle parole
di Melanie.
«Non
ne avevo voglia! Mi sono svegliata con le scatole
completamente girate!», sbuffò, per poi scoppiare a ridere
all’improvviso. «Ma
non potevo non vederti, quindi sono venuta lo stesso!».
«Ah,
sei grande!», rise. «Ma dimmi, come stai? Ieri…».
Non
lo lasciò terminare di parlare. «Ieri era ieri, oggi è
oggi.», sorrise. «Tutto passato! Mi sono sentita un po’ male, ma ora
sto
decisamente meglio!».
Non
diceva la verità…
Spense il sorriso. Perché Mariel gli teneva nascosta una cosa come
quella?
A
meno che… Pensò: dopotutto erano le parole di Melanie
contro quelle di Mariel.
Rise
«Meno male!».
«Dai,
ti riaccompagno fino a casa oggi, cerebroleso!».
Al
ritorno a casa presero a scherzare quando una strana luce
catturò l’attenzione di Sebastian e il ragazzino si fermò.
«Che
ti prende?».
«Non
l’hai vista?».
«Che
cosa?».
«Vieni!».
Veloce
prese a correre passando con le ruote sporche di
fango sui cortili delle altre case, per poi uscire su di un’altra
strada, con
Mariel dietro di lui. Sebastian non sapeva dove stava andando, ma
seguiva una
strana luce dorata e qualcosa dentro gli diceva che doveva farlo, come
un
qualcosa che non si poteva evitare.
«Ma
dove andiamo?».
Sebastian
non rispose. Camminarono ancora dietro qualche
cortile fino a sbucare in una strada sterrata e davanti a quella… «Un
castello?».
Mariel
frenò e osservò strabiliata quella costruzione. «Non
è proprio un castello… E’… non lo so… sembra uno di quei vecchi edifici
con
colonne e archi…».
«Grazie,
questo lo vedo anch’io!». Scese dalla bici e la
poggiò sul terreno, per poi avvicinarsi.
«Vuoi
entrare?», poggiò anch’essa la sua bici.
«Quella
luce ci ha portato qui… Sì!», le sorrise. «Tu vuoi
entrare?».
«Non
mi tiro certo indietro!».
Mariel
si fece avanti per prima e insieme salirono qualche
scalino, prima di arrivare alla porta. Si scambiarono un’occhiata e
insieme
presero ad aprire il pesante portone, un po’ malmesso. Uno strano vento
sembrò
uscire fuori verso di loro come uno spettro.
«Ma
che puzza!».
«Bleah, che
schifo!».
Fecero
un passo, prima di rendersi conto davanti a loro di
un’alta figura. Entrambi si ghiacciarono, trattenendo quelle che
potevano
essere urla per non sembrare dei maleducati, di fronte a quel bizzarro
personaggio: un uomo anziano, alto, con un poco di barba e vestito con
un lungo
abito, forse un arabo.
«C-Ci
scusi…», mugugnò Sebastian. «Lei abita qui?».
«Benvenuti!»,
sorrise all’improvviso. «Vi aspettavo,
seguitemi!». Prese passo per avviarsi nell’andito e i due si guardarono
allibiti.
«In
che senso ci aspettava?», sussurrò Mariel. «Minimo è uno
di quei pedofili che si sentono alla tv! Diamocela a gambe!».
«Ma
è strano…», disse invece Sebastian. «Non mi sembra
cattivo!».
«Oh
beh, allora fidiamoci del tuo sesto senso infallibile,
signor “non mi sembra cattivo”, fino a quando non ci sguinzaglia
addosso la
belva che nascondono i suoi pantaloni! Io non starò qui a farmi
violentare, e
nemmeno tu!», l’afferrò per il colletto della felpa per trascinarlo,
quando
l’uomo anziano si voltò a loro e la porta dell’edificio si chiuse alle
loro
spalle d’improvviso. «Merda, troppo
tardi! Troviamo una finestra!», disse subito impaurita; ma tutto il
buio di
quello strano castello fece spazio alla luce proveniente dalle grandi
vetrate, dagli
imponenti archi, e tutti i colori si accesero, mostrando loro i quadri
raffiguranti angeli e cavalli, unicorni, arcobaleni e immense vallate
d’acqua.
I
due ne restarono incantati per qualche attimo, prima che
l’uomo potesse parlare e prendere la loro attenzione.
«Chiedo
scusa, avrei forse dovuto presentarmi prima…».
C’era
uno strano silenzio, eppure sapevano di non essere
soli. In lontananza si sentiva il rumore d’acqua che scorreva.
«Mi
chiamo Abh, e sono un servo del grande signore… Benvenuti,
giovani clienti, in questo regno dove è possibile rendere i vostri
desideri
realtà!».
I
due spalancarono gli occhi e subito Sebastian fece passo
verso di lui. «Signor Abh, io ho fatto uno strano sogno con-», fu
interrotto.
«Sì,
è stato quello a condurti qui, giovane cliente!».
«Ah…
Ma Mariel? Lei non-».
«Se
è potuta entrare significa che anche lei è una giovane
cliente. Solo coloro che vogliono poter vedere i loro sogni trasformati
in
realtà possono arrivare fin qui.».
Il
signor Abh fece loro da scorta, facendo notare come ogni
cliente aveva un suo spazio a disposizione tagliato da archi e mura:
c’era un
uomo circondato da un sacco di banconote a terra e felice s’inchinava
per
baciarle tutte mentre un altro uomo aveva un bicchiere in una mano e
con
l’altro braccio si osservava i muscoli, fiero; una donna rideva felice
sorseggiando dal suo bicchiere e una bambina continuava a ridere
girando da una
parte all’altra del suo spazio circondata da giocattoli d’ogni tipo.
«Qui
ogni desiderio è realtà.», disse loro Abh. «Qualunque
esso sia!».
Sebastian
e Mariel si voltavano da una parte all’altra,
estasiati da quel paradiso, felici, sorridendosi a vicenda.
«Siamo
arrivati, giovani clienti.», si mise alle spalle di
una colonna, per farli entrare nel loro spazio.
I
due entrarono, notando come ci fossero due bicchieri sopra
di un piccolo muretto, dove da una bocca di un angioletto sulla parete
sgorgava
dell’acqua che svaniva sotto i loro occhi toccando terra.
«E’
la fonte del desiderio. Ad ogni bicchiere un desiderio. Tutto
ciò che volete sarà oggi realtà.».
Si
scambiarono un’occhiata felice, e Sebastian fissò l’uomo,
perché in fondo era strano che fosse tutto così perfetto. «Cosa… Cosa
diamo noi
in cambio dei desideri?».
«Nulla,
giovane cliente!», sorrise Abh. «La fonte esaudisce
i vostri desideri e nessuno deve niente a nessun altro. È la regola.».
Sparì
tra le colonne e Mariel si accostò alla parete, per riempire il suo
bicchiere
d’acqua.
«Ti
fidi?», chiese Sebastian.
«Tu?»,
sorrise. «Non lo so ma mi viene da fidarmi. In fondo
è solo acqua, anche se non dovesse esaudire desideri non ci farà
male!», rise,
prima di buttare giù tutto in un sorso l’acqua del suo bicchiere.
Sebastian
rise: lei era fatta così, era la prima a dubitare
e ora…
Prese
anche lui il suo bicchiere e lo riempì d’acqua.
Luccicava di dorato: ecco la luce che aveva visto. Mandò giù il suo
bicchiere
tutto in un fiato.
Da
quel momento in poi, le cose sarebbero state molto
diverse.
Il
primo desiderio di Sebastian fu quello di avere soldi: soldi
sufficienti da poter sfamare la sua famiglia e fare qualcosa in più.
Nelle
settimane successive poté permettersi di comprare un
televisore nuovo, a colori, in modo da far vedere i cartoni animati ai
suoi
fratellini e di comprare tanti dolci e cioccolati come nessuno di loro
ne aveva
mai visto; tanta spesa da far scoppiare il piccolo frigorifero e tanti
fumetti,
che aveva sempre sognato, non aveva mai potuto leggerne così tanti da
restare
alzato tutta la notte.
Il
secondo desiderio di Sebastian fu una donna delle
pulizie, che si occupasse di tenere a bada la casa, di cucinare e di
curare i
suoi fratellini e la nonna.
Comparve
dal nulla una giovane donna dalla parete e disse di
chiamarsi Nora. La sera stessa la portò a casa con sé e la fece
conoscere ai
suoi fratellini mentre la mamma era a lavoro.
Il
primo compito di Nora fu quello di risistemare daccapo la
casa e come un robot questa faceva ogni cosa che Sebastian le diceva di
fare
senza obiezioni. La notte la portava in camera sua e restava seduta
accasciata
su di una parete sveglia tutta la notte: Nora non dormiva.
Nora
era strana, pensava Sebastian, era come se non fosse
reale, ma tutto ciò che faceva al contrario lo era, e dopotutto era
perfetta,
proprio ciò che desiderava.
Il
terzo desiderio di Sebastian era quello di diventare più
bravo a scuola.
Da
quel giorno i suoi voti furono tutti delle A: non
studiava e non sapeva nulla fino al momento in cui non gli fosse
chiesto
qualcosa, e solo allora rispondeva come un robot a un qualcosa che
nemmeno
aveva pensato. Tutti si stupirono della sua formidabile intelligenza e
in breve
diventò lo studente migliore della classe.
Il
quarto desiderio di Sebastian fu quello di diventare più
forte.
Con
la bravura a scuola, i bulli cominciarono a prenderlo un
po’ di mira e decise così che era arrivato il momento di difendersi.
L’ultima
volta che lo attaccarono alle spalle li prese uno ad uno per il
colletto della
maglietta e li alzò in aria: non si riavvicinarono mai più a lui.
Sua
madre nonostante le proteste di Sebastian nel dire che
non dovesse più lavorare ci andava comunque ogni giorno e si teneva a
debita
distanza da Nora e tutto ciò che era cambiato, soprattutto dagli strani
soldi
che il figlio portava a casa dal nulla.
Per
quanto in quel momento tutto sembrasse andare per il
meglio non voleva saperne il perché e lasciava fare, incredula,
stranita, e di
certo sempre più distaccata alla sua famiglia.
In
effetti, tutto stava davvero andando per il meglio: la
nonna usciva di più dalla sua stanza e perfino fuori a prendere una
boccata
d’aria in compagnia di Nora, Sebastian la vedeva più felice e si
sentiva felice
a sua volta; la sua sorellina iniziò a frequentare finalmente l’asilo,
avendo
già cinque anni e Curt, il suo fratellino, aveva nuovi splendidi
giocattoli e
vestiti. Nora portava lui e Lilly fuori al parco a giocare ogni
pomeriggio.
La
loro casa profumava di fiori e pulito, senza più un
grammo di polvere o scatoloni ancora da aprire dall’ultimo trasloco
ormai quasi
un anno fa.
La
vita di Sebastian stava finalmente procedendo tranquilla e
senza timore che qualcosa potesse andare storto: tutto era perfetto.
Non si
rendeva conto che perfino lui in fondo era un po’ cambiato. Preso tanto
da se
stesso e dai suoi desideri non chiese neppure a Mariel quale fu il suo:
non la
incontrava quasi più all’andata a scuola, non pranzavano più insieme, e
la sera
lui andava a giocare ai videogame con ragazzi più grandi fino a notte a
volte, che
senza rendersene conto trascurava tutto il resto.
Quella
mattina alla ricreazione salutava tutti al suo
passaggio, era diventato famoso a scuola, dalle ragazzine che avevano
una cotta
per lui ai ragazzi che lo vedevano come un mito, sia nello studio, che
nello
sport che nella forza fisica.
Sebastian
Finnigan aveva fatto della sua vita un capolavoro.
I
ragazzi delle classi più grandi con cui passava a parlare
di musica ad ogni ricreazione oggi erano stati puniti, quindi prese a
sedersi
al solito muretto, accorgendosi solo allora che Mariel non era con lui.
Aprì il
suo pranzo e subito morse il suo panino a doppio strato di prosciutto,
mozzarella, pomodori e lattuga: molto diverso da quello a cui era
abituato un
tempo.
«Che
schifo…», udì alle sue spalle. Neppure si voltò, aveva
già riconosciuto i passi inconfondibili delle classiche ballerine che
indossava
solitamente Melanie. Non disse nulla, continuando a masticare per conto
suo. «Che
schifo, ho detto…».
«Ti
aveva già sentito la prima volta… Cazzo vuoi?»,
fece brusco, voltandosi con sguardo iroso.
«Ehi…»,
fece la ragazza con un piccolo passo indietro, prima
di prendere coraggio e sedersi accanto a lui. Mise le mani a tenersi la
testa
con i gomiti poggiati sulle ginocchia, fissandolo. «Non mi piaci.
Proprio per
niente.», disse poi.
«E
da quando ti sono mai piaciuto?», continuò a mangiare
indisturbato.
«Ma
adesso è diverso. Fai schifo. Sei cambiato, Finnigan… Quello
che conoscevo non sei tu: il nuovo Finnigan è uguale a tanti altri,
anzi è
peggio di tanti altri…».
Si
alzò in piedi, seccato. «Umh, non ho nemmeno voglia di
perdere tempo con te, lasciami perdere.». Prese ad andarsene, ma
Melanie non si
arrese.
«Ti
sei pure dimenticato di avere degli amici! Fai schifo!».
Lui
era cambiato? Che
sciocchezze andava a dire, era sempre lo stesso. Pensava. Solo
perché adesso le cose cominciavano ad
andare bene non significava che lui era diverso… Anzi forse diverso:
migliore!
Il
primo e unico desiderio di Mariel invece fu di ottenere
il suo amore.
Non
c’era niente in quel momento che desiderava di più
dell’amore di qualcuno, per non sentirsi sola, e per placare il suo
dolore. Desiderava
l’amore della ragazza che le aveva detto no…
«Uscire
con te? Non
siamo così amiche… Ah, beh… Senti, a me piacciono i maschi, va bene?».
Quelle
parole si erano incastonate nella sua testa e per
tutta la notte non aveva chiuso occhio. Aveva avuto paura di
ripresentarsi a
scuola il giorno dopo Mariel, non voleva rischiare di rivedere il volto
di chi
l’aveva rifiutata. Dopotutto il giorno dopo il desiderio tutto cambiò…
Ad
ogni ora del pranzo si rifugiava con lei in bagno per
scambiarsi baci e la mattina la sua ragazza passava a prenderla per la
scuola.
Era una bella sensazione dopotutto: quel posto aveva funzionato
davvero, il suo
unico grande desiderio era oggi realtà.
Ma
anche lei, tanto presa da sé e da quello che aveva
desiderato, aveva perso di vista Sebastian e tutto il resto del suo
mondo.
Aprì
la porta del bagno, mano nella mano con lei. Non c’era
nessuno e si scambiarono ancora un altro bacio.
«Mi
ami?», domandò Mariel in un sorriso.
«Ti
amo!», rispose l’altra, portandole via un altro bacio.
«E
perché mi ami?».
«Ti
amo perché è così che vuoi!». Si baciarono ancora.
Di
certo non potevano sospettare che dall’altra parte del
muro Chelsea le aveva sentite. Spalancò gli occhi e stringendo un pugno
corse
via.
Si
era ormai fatto buio e Sebastian camminava con le mani
nelle tasche dei pantaloni, giacchetta in vita, osservando il cielo
sereno. Oggi
come sempre aveva battuto gli altri ai soliti videogames, stava
diventando
piuttosto bravo.
Non
si sentiva nulla nell’aria, a parte il solito cane
all’angolo e quindi gli fu facile sentire qualcuno che piangeva. Si
fermò nella
strada deserta e prese ad avvicinarsi ad un cortile. Fu affacciandosi
dietro ad
una parete che scorse una ragazza che piangeva, bionda, mantenendosi il
viso
con le mani. Lui riconosceva quel pianto.
«Melanie…?»,
soffiò. Stava per voltarsi per prendere passo
quando inciampò su un filo d’erba e la ragazza smise di piangere,
guardandosi
attorno.
«Chi
è?». Si avvicinò notando Sebastian, che cercando di
fare il passo più lungo della gamba sperava di svignarsela prima che lo
vedesse. «Che ci fai tu in giro a quest’ora?», domandò a bocca aperta.
«Non
sono cavoli tuoi.», sbottò lui.
«E
allora vattene!».
«Infatti!
Lo stavo proprio per fare, ciao!», fece un gesto
con la mano.
Melanie
non disse più nulla e si sedette sul marciapiede,
afferrando la testa sotto le ginocchia.
Sebastian
non riuscì ad andarsene e si guardò indietro. Cavolo, pensò, forse era
troppo buono: una come quella non meritava niente da lui.
Si
avvicinò e si sedette accanto a lei. «Che succede?».
«Non
sono fatti tuoi!», quasi urlò lei: la voce soffocata
dalle lacrime.
Sebastian
si morsicò un labbro: sì, doveva
in effetti lasciarla perdere.
«Dai,
sono qui, anche se non vuoi parlare…».
Fu
strana quella notte, perché Sebastian rivide la Melanie
di quel lontano giorno e forse,
ripensò, non si era poi sbagliato: era lei quella vera, e usava solo
uno scudo
cattivo per difendersi dalla gente.
Melanie
pianse fra le sue braccia per minuti interi senza
interruzione e solo dopo che gran parte del suo sfogo fu andato rivelò
lui che
suo padre adottivo l’aveva buttata fuori di casa dopo un altro litigio
con la
madre, dopo che si era messa in mezzo per difenderla. Doveva solo far
passare
alcune ore e poi gli avrebbe riaperto la porta.
Fecero
una lunga passeggiata fra le vie buie e desolate
prima che Sebastian la riaccompagnò a casa, con la sua giacca nelle
spalle di
lei.
«Grazie
per la compagnia!», sorrise Melanie.
«Figurati!
Chiama quando hai bisogno, ok?».
«Sai,
mi sono sbagliata… Non sei poi così cambiato
dopotutto…», veloce sparì dietro la porta di casa, lasciando il ragazzo
per i
suoi pensieri.
«Beh…»,
disse fra sé. «Adesso ho un nuovo desiderio da
trasformare in realtà!».
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Capitolo 3 *** Capitolo 3… Distruzione ***
Capitolo
3…
Distruzione
Verso la
scuola Sebastian non incontrò neanche questa volta Mariel,
ma ora il suo pensiero era rivolto a Melanie: quella sera sarebbe
tornato in
quel posto e avrebbe espresso un desiderio in modo che la sua
situazione
familiare si risolvesse.
Intanto
Mariel e la sua ragazza erano già arrivate a scuola,
parlando e ridendo, notate da più persone: c’era il gruppo di amiche
che le
vedeva insieme un po’ troppo spesso, mentre dall’altra parte, Chelsea e
Charlie
le fissavano strabiliati.
«Non
ci posso credere!», disse ad un certo punto il ragazzo,
interrompendo il silenzio. «Ma ne sei sicura? Loro due insieme?».
«Sono
certissima, le ho sentite…».
«Ma
è impossibile, Chelsea!».
«Perché
impossibile?».
«Umh,
non so ma… Non credevo che Mariel fosse… insomma,
lesbica!», sbottò, allungando le braccia all’aria. «Per me può fare
quello che
vuole, sia chiaro-».
«Cos’hai
contro le lesbiche?», cinguettò subito.
«Ma
niente! Mamma mia, ma che hai mangiato stamattina che ti
ha fatto male, sei più acida del solito! Dicevo solo che, comunque,
lesbica o
no, si comporta in modo strano! È un periodo che è strana! Da quando
frequenta
quella lì, che oltretutto, credevo ancora meno di Mariel che fosse
lesbica!».
Chelsea
non disse una parola, continuando a fissarle, mentre
si dirigevano dentro l’edificio l’una al passo dell’altra. Storse la
bocca,
continuando a stringere i pugni.
«Chissà
se Seb lo sa!», disse poi Charlie. «Credevo avesse
una cotta per lei, e forse Mariel non gli ha detto nulla. In fondo
anche lui è
strano da un po’ a questa parte… Gli va tutto bene, perfino la
scuola!».
«Forse
ha deciso d’impegnarsi.», disse seria, procedendo
verso la scuola e raggiunta subito dal fratello.
«Glielo
diciamo a Seb?».
«No,
non lo so… Fa’ come ti pare!». Per i fatti suoi prese
ad entrare a scuola, seguita dallo sguardo interrogatorio del fratello.
Alla
ricreazione Sebastian stava per raggiungere i soliti
ragazzi degli ultimi anni che l’aspettavano, ma si fermò quando vide
Melanie
andare verso di lui.
«Tieni!»,
gli porse una busta di carta colorata,
dall’interno si poteva scorgere la giacca che le aveva prestato la
notte
precedente. «Grazie!».
«Figurati!»,
rise.
«Ma
non ti montare la testa, non significa nulla per me!», disse
lei prima di andarsene a passo spedito.
Sebastian
rise e prese a camminare verso i ragazzi. «Come
no…».
«Ehi!
Ma non era Melanie Gibson?», fece uno di quei ragazzi,
accogliendolo tra loro con un abbraccio.
«Ah,
ma wow! E così ti vedi con lei? Guarda che sono geloso!»,
esclamò un altro.
«Ma
cosa!», sbuffò Sebastian. «È solo un’amica!».
Un’amica…? Gli era
uscito così spontaneo che non aveva badato poi tanto a quel termine. Da
quando
Melanie era diventata sua amica?
«Mi
ami?», le strappò un altro bacio Mariel, per poi
sorriderle.
«Certo
che ti amo, è così che hai voluto!». Stava per
avvicinarsi per portarle via un altro bacio, quando la ragazza si
scansò
all’improvviso.
«Non
sai dire altro?».
«In
che senso? Ho detto che ti amo!».
«Il
tuo amore puzza più dei pesci fatti marcire!», riaprì la
porta del bagno e seccata corse via, quando vide che l’altra stava per
riafferrarla. Corse, ma guardandosi indietro finì per sbattere contro
qualcuno.
«Chelsea?!».
La
ragazza diede uno sguardo avanti e sentendo la voce di quella che
cercava Mariel l’afferrò per
il polso e la tirò via. Si nascosero dentro un’aula vuota e Mariel
osservava
dalla porta socchiusa quando la sua ragazza se ne sarebbe andata.
«Che
ti è successo? Tu e la tua ragazza non siete felici?», sbuffò
Chelsea a braccia conserte, poggiata alla parete.
Mariel
socchiuse la porta ancora un po’ e voltandosi sbuffò
a sua volta. «Ve n’eravate accorti, eh? Scusa se non ve l’avevo detto!
Ma avevo
paura che pigliaste in giro per essermi presa una cotta per una
femmina!», rise
appena, fingendo di grattarsi un braccio.
«Che?».
«Dai,
ho detto scusa! Sì, sono lesbica, e dopo? Uff…»,
sbuffò ancora. «Comunque penso che non mi piaccia più così tanto.
All’inizio
tutto andava bene ma è troppo appiccicosa, mi segue ovunque… Pensa che
mi ha
detto che voleva farsi bocciare per stare in classe con me, che così
non poteva
vivere! E poi non mi ama davvero… Mi ha stufata…».
«Come
non ti ama davvero?», strabuzzò gli occhi. «Al massimo
ti ama troppo!», rise.
«No,
non mi ama davvero… Tu non lo puoi sapere…», finì per
dire. Era solo il suo desiderio, ed era un desiderio che ora non voleva
più.
«Io
non lo posso sapere, certo…», ansimò Chelsea. Allungando
una mano afferrò la maniglia della porta e la chiuse di scatto, facendo
spaventare Mariel che cercava di vedere se per caso la sua ragazza
ripassava di
lì.
«Ma
che stai facendo?», sbottò a bassa voce, mai che
potessero sentirle.
Chelsea
aprì la bocca, stava per dire qualcosa ma non ce la
fece. Infine si accostò semplicemente a lei e velocemente poggiò le sue
labbra
a quelle di Mariel.
L’altra
spalancò gli occhi, incredula.
Chelsea
stava per dire qualcosa ma tutto si spense quando le
sue labbra s’incontrarono di nuovo con quelle di lei ed entrambe si
cinsero in
un lungo bacio.
L’idea
di Sebastian dopo la scuola era quella di dirigersi immediatamente
dal signor Abh, ma le sue intenzioni si affievolirono quando capì che
doveva
esserci qualcosa che non andava, vedendo Nora davanti alla scuola che
lo
aspettava in piedi davanti ad un muretto. Era la prima volta che veniva
a
prenderlo e non avendole mai dato un simile ordine era piuttosto
strano.
«Nora…?»,
si accostò con la sua bici. «Che ci fai tu qui?».
«Mi
è stato chiesto dalla signora di venire. Desidera che
torni subito a casa che deve parlarti.», disse la giovane.
Sebastian
sbuffò, tuttavia la seguì.
Al
suo rientro notò la casa di nuovo in completo disordine e
udì il piccolo Curt che piangeva.
«Nora,
va’ da lui!», subito disse Sebastian ma sua madre già
davanti che li aspettava si mise in mezzo, bloccandole il passaggio.
«Non
azzardarti a toccare di nuovo il mio bambino! Adesso
basta, fuori da casa mia!».
Nora
restò immobile, prima di fare un passo indietro per
obbedire.
«Mamma!
No!», s’intromise subito Sebastian. «Nora è qui per
aiutarci! Dobbiamo a lei tante cose, ha fatto tanto per la nostra
famiglia!».
«Non
m’interessa, è un’estranea, io non la conosco! Come ti
sei permesso di portare una sconosciuta a casa mia?!», urlò, prima di
farlo
ancora più forte, diretta a Nora. «Fuori adesso, ho detto!!».
Sebastian
deglutì e si scambiarono un solo sguardo, prima
che questa fece i passi indietro per uscire di casa. «Aspetta un po’…»,
sussurrò lui, dispiaciuto.
«E
adesso mi racconti tutto! Sputi il rospo, Sebastian!»,
l’afferrò per il colletto la madre infuriata, appena Nora chiuse la
porta alle
sue spalle. «Sono stata zitta, ma ora basta! Come fa un ragazzino delle
medie
ad avere tanti soldi, eh? In quale giro sei, alla tua età, rispondi? E
dove vai
ogni notte, che stai rientrando sempre più tardi? Pensi che non me ne
sia accorta,
forse?! Ti sbagli, ragazzino, e adesso parli!». Finì per dargli un
sonoro
schiaffo, fra le urla circondate dalle lacrime. Lilly dietro di loro
appoggiata
ad una parete restò immobile spaventata, ma nemmeno Sebastian si mosse,
dando
appena uno sguardo alla sua sorellina dietro di lui.
Fregò
la mano sulla guancia e le lacrime tagliarono il suo
viso, ma il suo unico gesto in quel momento non era quello di scappare
in urla
e pianti, Sebastian lo sapeva che la sua mamma in quel momento aveva
bisogno di
lui: prese ad abbracciarla, senza dire una parola.
La
madre cadde in lacrime sempre più grandi e lo strinse a
sé, così anche Lilly si unì all’abbraccio.
«Ti
voglio bene, mamma!», sussurrò la piccola.
«Anche
io vi voglio bene, piccoli miei, vi voglio un mondo
di bene! A tutti e due!».
Tutto
ciò aveva costruito si stava forse distruggendo, pensò
Sebastian, ma era servito ad aiutare almeno un po’ la sua famiglia.
Quella
sera tutti insieme, compresa la nonna, passarono una
serata in famiglia, cucinando e parlando come mai avevano fatto, come
tutte le
famiglie dovrebbero fare almeno ogni tanto.
Sebastian
dovette raccontare un sacco di frottole a sua
madre e lei, seppur fece finta di crederlo, era chiaro che non fosse
così. Disse
di averli trovati quei soldi, insieme a Mariel, dopo la scuola. Che non
sapevano di chi fossero e se li erano divisi, visto che servivano a
entrambi. Nora
invece era solo un’amica a cui aveva chiesto aiuto. Nora: lei restò
fuori della
porta ad aspettare per tutto quel tempo finché, una volta andata a
letto sua
madre, come ogni sera, Sebastian la fece entrare per portarla in camera
sua.
«Mi
dispiace per questa sera, Nora…», sussurrò poggiato alla
tastiera del suo letto, osservandola seduta alla parete di fronte, come
ogni
notte. «Non potevo farti entrare, e immagino sarà difficile da oggi in
poi,
dovrai farti vedere meno… Mia madre se l’è presa con te, ti chiedo
scusa da
parte sua…».
«Non
mi devi chiedere scusa.», disse lei, con il solito tono
di voce.
«Ci
sarai rimasta male…».
«Non
posso restarci male; non provo sentimenti. Sono solo un
desiderio e prima o poi svanirò con esso.».
A
quelle parole il ragazzino chiuse per un attimo la bocca,
perplesso, dispiaciuto. «Esprimerò un desiderio che ti faccia provare
sentimenti allora!».
«Non
funzionerebbe: non sono viva. Senza contare che faccio parte
di un altro desiderio.».
«Ma
è brutto essere così…», mugugnò.
Quella
notte Sebastian non chiuse quasi occhio per trovare
una soluzione a Nora: lui la vedeva umana lì davanti ai suoi occhi, ma
lei in
realtà era solo un guscio vuoto di un niente che presto o tardi sarebbe
svanito
come la scia dei fuochi d’artificio.
La
mattina seguente già nel percorso verso la scuola vide uno
strano movimento: i ragazzi sembravano tutti parlare di un qualcosa e
s’incuriosì.
La
nuova notizia boom, nulla di
strano in fondo, sperava solo che non c’entrasse Melanie stavolta.
Tanto, si
disse, tutto sarebbe scemato appena una nuova notizia con ancora più
scalpore ne
avrebbe preso il posto, quindi al massimo due settimane: il tempo più o
meno con
cui era rimasto anche lui sulla cresta dell’onda dopo aver sconfitto i
bulli
che lo avevano preso di mira. Rise.
Tuttavia,
quando arrivò al cancello della scuola la voce di
cui tutti parlavano arrivò alle sue orecchie e gettò la bici a terra
senza
neppure averla parcheggiata.
«Hai
sentito?».
«Che
cosa?».
«Sai
che quella Mariel del secondo anno si era dichiarata?
Beh, non era stata rifiutata a quanto pare, stava con una ragazza!».
«Una
ragazza?».
«Sì,
ma non è finita!», rise. «Sembra che abbia lasciato la
ragazza per stare con Chelsea Robstore!».
«La
gemella di Robstore?».
«Sì,
qualcuno le ha beccate ieri mentre si baciavano in
un’aula chiusa! Da non credere!».
«Wah! Sono
lesbiche, non l’avrei mai detto!».
Sebastian
cominciò a camminare spedito nel cortile della
scuola, fino a trovare il suo obiettivo. Eccola, era lì la traditrice:
Chelsea
camminava al fianco di suo fratello facendo finta di niente.
Svelto
si mise a correre, per poi urlare. «Come hai potuto,
Chelsea?!». Subito la spinse, facendola cadere a terra.
Charlie
si mise in mezzo immediatamente, bloccandolo ad una
spalla. «Che diavolo ti prende, Seb?! Sei impazzito?!».
«Ehi,
ma sei diventato scemo?», urlò anche la ragazza,
rialzandosi in piedi.
«Mi
hai tradito, ti sei messa con Mariel?! Come hai potuto,
lo sai che sono innamorato di lei!».
Non
ci misero molto gli studenti della scuola a mettersi tutti
in cerchio per vedere la scena, entusiasmati; già qualcuno gridava alla
rissa.
«Cerca
di calmarti, Seb!», disse Charlie. «Anche Chelsea era
sempre stata innamorata di lei… Ok che neanche io me n’ero accorto, ma
non c’è
bisogno di litigare!».
«Ah
no?», si voltò furioso. Lo scansò con facilità da una
parte, grazie al desiderio d’essere più forte, e si scagliò contro la
sorella. «Ti
sei messa con lei, dimmelo?!».
«Smettila,
Seb!», urlò la ragazza, cercando di divincolarsi.
Charlie
lo afferrò per il collo e lo strinse forte per
bloccarlo.
«Sono
innamorata di lei!», disse Chelsea. «Non volevo farti
un torto, Sebastian! Ma tu per lei sei come un fratello, non avreste
futuro
comunque!», disse con sincerità.
«No!»,
gridò il ragazzo, liberandosi dalla presa. «Lei starà
con me!». Diede una spinta ad entrambi e corse via, diretto al cancello
dove
aveva lasciato la sua bici. «Starà con me, cazzo!»,
diede un pugno ad una parete, senza farsi male, notando che ad
attenderlo vi
era Melanie, un po’ impaurita dall’attacco di poco fa. Nessuno osò
seguirlo.
Il
ragazzo al vedere quel suo sguardo capì di aver esagerato
e si strofinò il viso per calmarsi. «Scusa…», fece, prima di dirigersi
a
prendere la bici.
«Sei
davvero innamorato di Mariel?», domandò lei ad un certo
punto, con sguardo basso.
«Sì…»,
disse senza pensarci. Montò sul sellino e la ragazza lo
seguì con lo sguardo, prima di allungare le mani per afferrargli il
viso e
rubargli un bacio.
Il
cuore di Sebastian colpì in modo strano, mentre la
fissava ad occhi spalancati e increduli.
«Vuoto
il sacco… Mi piaci! T-Tu…», imbarazzata continuava ad
agitarsi, senza guardarlo in viso. «Eri tu, quella volta che piangevo a
scuola,
che mi hai visto e ti sei fermato… Mi avevi dato una carezza sui
capelli e te
ne sei andato; quando ho rialzato lo sguardo mi avevi lasciato sulle
piastrelle
del cortile uno smile
sorridente disegnato coi gessetti!», rise. «Eri stato tu a
farlo!».
Sebastian
arrossì. Non credeva che Melanie se lo ricordasse,
né tanto meno che fosse stato così importante per lei. Infine però si
voltò,
serio. «I-Io sono innamorato di Mariel! Scusa!». Veloce pedalò e sparì.
Quando
spalancò il portone il signor Abh non era molto
distante e al vederlo gli sorrise. «Bentornato!», esclamò. Si sentivano
nuove
urla di gioia riecheggiare attraverso l’edificio, forti e pesanti,
quasi
disumane. Il ragazzo ci passò davanti senza degnarsi di niente e
nessuno,
correndo verso il suo spazio condiviso quella volta con Mariel, e
veloce prese
il suo bicchiere.
«Il
mio prossimo desiderio!», esclamò riempiendolo di
quell’acqua.
«Bentornata!»,
saluto qualcun altro Abh.
«Sì,
vabbeh, ciao!».
Sebastian
si voltò verso l’arco. Quella che aveva sentito
era… la voce di Mariel.
«Devo
sapere come fare ad annullare i desideri!».
«Come,
mi scusi?».
Non
sapeva perché ma fu come travolto da un’insolita paura e
quasi poté giurare di star sudando. Fissò il bicchiere dall’acqua dai
colori
dorati e come spinto dalla frenesia, subito lo buttò giù. Dimenticato
del suo
desiderio per Melanie, dimenticato di aver aggredito i suoi amici,
dimenticato
della vera amicizia che lo legava a Mariel.
Desiderio
l’amore di
Mariel.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4… Perso tutto ***
Capitolo
4…
Perso tutto
Si rigirò
sulle coperte, e poi ancora. Sudava. Con un calcio
gettò via le coperte, osservato da Nora, dal suo angolo come tutte le
notti.
«Ti
amo, Seb!», si
allungò subito per arrivare a baciarlo.
Ancora,
borbottando nel sonno.
«Mi
ami…?», rise un
po’ sulle sue. Il suo
desiderio… era riuscito anche stavolta.
PIP
PIP PIP PIP
Fu
Nora a spegnere la sveglia per lui per poi scuoterlo nel
sonno. «È ora di alzarsi, Sebastian! Sebastian!».
Mugugnò.
«Ora mi alzo… Sono sveglio!».
Scese
le scale di corsa e come ogni mattina si sedette a
tavola, pronto per fare colazione. Sua madre era stranamente di buon
umore
davanti ai fornelli: canticchiava come da anni non la sentiva fare, era
quasi
una cosa nuova.
«Che
succede?», rise.
«Ecco
le frittella!», subito lo servì, con il sorriso
stampato sul volto.
«Oggi
devo fare un nuovo colloquio di lavoro, e se mi
prendono potrò rinunciare a tutti gli altri!».
«Oh,
è una cosa grossa allora?».
«Ci
puoi scommettere!», sorrise.
Lilly
si sedette a tavola e prima che la madre potesse
guardarla storta parò le mani in avanti. «Pulite e fresche!», aggiunse
con
mezzo sorriso, odorandole.
I
due scoppiarono a ridere.
La
mattina sembrava essere iniziata proprio col piede
giusto: pensò Sebastian inforcando la sua bici.
«Sebastiaaaan!»,
udì alle sue spalle, cominciando a
rallentare.
«Buongiorno,
Mariel!».
«Buongiorno,
amore mio!», gli inviò un bacio.
Non
c’era nulla di sbagliato: pensò.
Arrivati
a scuola parcheggiarono le loro bici l’una accanto
all’altra come facevano sempre e dopo si presero per mano, come due
teneri
fidanzatini, per avviarsi all’edificio.
«Ma
guardali…», sbottò Charlie. «È impensabile, impossibile!
Ma come cavolo avranno fatto? La gente sta impazzendo!». Si mise a
braccia
conserte, mettendo su il muso, per poi guardare la sorella.
Chelsea
sembrava delusa e affranta, e senza replicare
afferrò la sua cartella, cominciando a camminare. «Vado in classe…»,
sussurrò spenta.
A
lezione Sebastian era curvo sul banco come al solito,
pensava a Mariel, che ora era diventata la sua ragazza.
Cosa
c’era di male?
Continuava a ripetersi ogni tanto. Ora tutto ciò che voleva era lì per
lui: sì,
il suo desiderio era realtà.
«Seb…
Psst!».
Sentì
Michael bisbigliare e s’incurvò a lui.
«Mi
hanno detto di passarti questo!», disse, consegnandogli
un bigliettino.
«Di
chi è?».
«Uno
di quarta mi hanno detto, non so…».
Controllò
che la professoressa non stesse guardando da
quelle parti e aprì il bigliettino: conosceva bene quella calligrafia,
era
Charlie.
Bell’amico
del cazzo
che sei!
Questa
ce la paghi,
Sebastian Finnigan, parola mia!
Tu
non ami Mariel e lo
sai, invece mia sorella sta male!
Ti
importa questo?
Se
hai conservato
ancora un po’ di dignità lasciala a lei!
Ti
odio e appena ti vedo
ti spacco la faccia, bastardo!
Accartocciò
il foglietto e lo gettò in terra da una parte,
spingendolo coi piedi. Non sapeva come, ma in fondo quel biglietto lo
aveva
messo in una strana agitazione. Sapeva bene che, eppure, per quanto
impegno
potesse metterci Charlie, lui era più forte.
Ma
non c’era nulla di
sbagliato; nulla di male, no?
«Ti
amo tanto, cuoricino mio!», se la ritrovò davanti alla
sua classe a campanella appena suonata, pronta per abbracciarlo e poi
baciarlo.
Alcuni compagni di classe esultarono felici uscendo dall’aula, mentre
quelli
delle altre classi li guardavano sorpresi: tra loro vi era pure
Melanie, che con
sguardo chino si voltò per andarsene.
«Oh,
ma perché devi fare così Esageri!», sbuffò.
«In
cosa? Voglio solo stare con te!», sorrise, aggrappandosi
al suo braccio.
Mariel… Mariel
non
era una ragazza come le altre, sapeva Sebastian. Innamorata si sarebbe
davvero
comportata così?
Subito
corse in mezzo a loro una ragazza, che dicendo di
essere innamorata di Mariel si metteva in mezzo nella loro storia
d’amore.
Cosa
c’era di sbagliato? Pensò ancora.
Ho
perso tutto.
Aveva
due amici, ma si era scagliato contro di loro e li
aveva feriti. Aveva una migliore amica che ora aveva trasformato in uno
stupido
pupazzo. Gli piaceva una ragazza che infine si era dichiarata a lui, ma
l’aveva
ignorata a causa di un capriccio.
Digrignò
i denti e prese la sua decisione.
«Sono
uno stupido!», disse in quel momento, prima di
scattare e correre via, senza che qualcuno lo potesse fermare.
Dal
cortile scavalcò il cancello e corse via, inseguito da
un insegnante furioso.
Non
si fermò, corse fino allo sfinimento per la strada,
finché possedeva fiato in corpo. Tra la gente e le strade, Sebastian
continuava
a vedere la luce dorata di quell’acqua, sotto ogni cosa, tra la pelle e
il
cemento: era ovunque. Quell’acqua era sotto, sopra, a destra e sinistra
e non
se n’era mai accorto.
Svelto
spalancò il portone. «Abh! Signor Abh!».
L’uomo
apparve dietro ad una colonna e lo raggiunse.
«Voglio
annullare i desideri! Ora!».
«Come
prego?».
«Sei
sordo? Voglio annullare i desideri, come faccio?».
L’uomo
per un attimo rise, preso un po’ alla sprovvista. «Finora
nessuno, a parte la sua amica prima che cambiasse idea, aveva mai
reclamato una
cosa simile!».
«Beh,
io lo sto facendo!», serrò i pugni. «Allora?».
L’uomo
smise di ridere e si guardò intorno spaesato,
Sebastian capì così che non avrebbe trovato alcuna soluzione parlando
con
quell’uomo. Subito corse al suo spazio e facendo silenzio e osservando
bene
notò da dove proveniva l’acqua. I tubi portavano ad un piano superiore.
Non
ci mise poco a trovare le scale ma una volta arrivato
vide come laggiù tutto era straordinariamente diverso: le colonne e gli
archi
erano tutti immersi nell’acqua, come un grande lago nella stanza, e
questa
scendeva da un’enorme cascata dal cielo, senza fine. Non era un posto
come gli
altri: era un pezzo di Paradiso.
Camminando
intorno al perimetro del lago vide nell’aria
alcuni pesci che nuotavano ed emettevano piccoli suoni, come voci
femminili. “Sebastian…“,
sembravano chiamarlo. Incantato
ad osservarli non si rese conto di essere osservato a sua volta:
dall’acqua
sbucò una piccola testa dai capelli verdi, che mostrò infine il suo
sorriso.
Si
spaventò, indietreggiando. «C-Cosa…».
«Ciao!»,
saltò dall’acqua come un delfino, mostrando il suo
corpo di mezzo pesce. «Non viene a trovarmi mai nessuno, sono contento
di
vederti! Io sono Orhus, il saggio di questa sorgente dei desideri!», si
presentò, continuando a sorridergli.
Dopo
un attimo di smarrimento Sebastian si rese conto che
doveva chiedere direttamente a lui se voleva veder annullati quei
desideri.
«Oh,
allora devo dirlo a te!», esclamò. «Orhus, giusto? Mi
devi aiutare: ho perso il controllo dei desideri e ho combinato un gran
casino;
le cose devono tornare come prima!».
«Come
prima?».
«Sì,
devi annullare tutto!».
Il
piccolo si guardò un po’ intorno, per poi sorridergli
ancora. «Tutti o gran parte perdono il controllo dei propri desideri!
Altri
restano qui dentro a vita perché non possono farne a meno e perdono di
vista la
realtà.», disse.
Sebastian
era determinato e s’impose che non sarebbe andato
via fino a che non avesse convinto quel piccolo pesce a fare come
diceva.
«Tu
però sei simpatico!», rise all’improvviso. «Va bene,
accontenterò la tua richiesta a una condizione… Devi dirmi… qual è il
mio desiderio?».
Quale
poteva essere il desiderio di un piccolo pesce?
Ragionò tornando a casa.
Lasciò
la sua bici a scuola, ed era già pronto a sentire la
ramanzina di sua madre avendo di certo ricevuto la telefonata da parte
della scuola
che suo figlio era scappato saltando dal cancello. Già, sua madre… Fu
in quel
momento che rivide il sorriso felice di Lilly e Curt nel rivedere la
mamma
felice, quella mattina.
Si
fermò. Ora sapeva qual era il desiderio.
Veloce
corse verso casa e ignorando le urla di sua madre che
lo inseguivano per la casa prese un foglio e una penna, uscendo di
nuovo. «Scusa,
mamma, dopo!».
«Ho
trovato il tuo desiderio!», sorrise fiero davanti ad
Orhus.
«Quale?».
«Ciò
che sogna ogni bambino: sua madre!», gli
mostrò il foglio che prima teneva nascosto sulle
spalle, raffigurato il buffo disegno di quella che doveva rappresentare
una sirena
coi lunghi capelli.
Il
viso del piccolo saggio della sorgente s’illuminò e il
foglio cominciò a volare per aria in tutta la stanza, circondato dai
tanti
pesci che sembravano festeggiare a loro volta. «La mia mamma…»,
sorrise. «Quanto
mi manca la mia mamma…».
Da
quel momento in poi le cose andarono decisamente meglio,
e questa volta per davvero.
La
madre di Sebastian riuscì ad avere quel posto di lavoro,
che le permise non solo più soldi, ma anche di poter passare più tempo
libero
con i suoi figli. La nonna festeggiò i suoi ottantanove anni con un
gran
banchetto, anche se non si ricordava più di metà nomi degli invitati.
Lilly e
Curt crescevano sereni con nuovi amichetti tra il vicinato.
«Mi
ami?».
«Sì…».
«E
perché?».
«Non
lo so a dire il vero…», ci pensò su, prima di baciarla.
«Ma ti amo…».
Mariel
e Chelsea divennero finalmente una coppia e
quest’ultima fece pace con Sebastian, anche se dopo giorni di scuse
ininterrotte. Mariel dal canto suo, non sapeva nemmeno il perché delle
scuse:
si scoprì che chi era sotto l’effetto dei desideri degli altri non
portava
ricordo.
Sebastian
riuscì a fare pace anche con Charlie, anche se fu più
dura che con la sorella. Dovette sconfiggerlo a boxe: senza l’effetto
del
desiderio ne aveva preso più e più volte.
Ci
pensava Melanie tuttavia a farlo ritornare in forze.
Lei
e Sebastian si misero insieme, dopo che le chiese
pubblicamente scusa davanti a tutta la scuola con un mazzo di fiori in
mano. Melanie
sembrava averlo rifiutato ma il giorno dopo camminavano mano nella mano
davanti
a tutti.
Sebastian
ritornò il classico ragazzino di sempre, come le
sue F e la scusa che volevano dire Felice.
In
quanto a Charlie…
“Charlie…
Charlie… Il
tuo desiderio è già realtà…“
Per
lui tutto doveva ancora cominciare.
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