Somebody told me

di Lisa_Pan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Back to the past (o capitolo 5) ***
Capitolo 7: *** Back to the past(seconda parte)o capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Addio Peter (capitolo 8) ***
Capitolo 10: *** Watercolor(capitolo 9) ***
Capitolo 11: *** Una donna speciale(capitolo 10) ***
Capitolo 12: *** The same person (Epilogo) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
+


Guardai quella scena senza capire realmente cosa stava accadendo. Peter Pan era davanti ai miei occhi, esattamente come lo avevo immaginato, i suoi occhi, i suoi colori, persino il suo sorriso...era lui. Era esattamente lui. Mi guardava, oserei dire, quasi più confuso di me, cerava spiegazioni, sicuramente si stava chiedendo chi fossi. Se gli avessi detto che quello li davanti ai suoi occhi era..beh si, si potrebbe dire che ero suo padre. Se gli avessi detto che ero suo padre, conoscendolo sarebbe fuggito. Si ma dove? Solo in quel momento cominciai a guardarmi intorno, eravamo in un' enorme e tonda bolla, che si colorava dei più differenti riflessi in base all'angolo con cui la luce si poggiava suulla sua parete. Sembrava di essere in un arcobaleno. Non sarebbe potuto fuggire quindi, nessuno dei due si sarebbe potuto muovere da li dentro, perciò eravamo costretti a rimanere li, a guardarci per ora, a studiarci. Capii che anche lui era giunto a quelle conclusioni, e in sincrono ci sedemmo sul pavimento curvo di quello strano mezzo di fortuna sul quale ci trovavamo.

Il suo viso mutava espressione in base a ciò che gli passava per la testa. Era spaventato, no curioso. Ora si guardava intorno confuso. Adesso spazientito. "Quante domante avrà da farmi?" pensai, chiudendo gli occhi e sorridendo.



Spazio Autrice:

E siamo al prologo della mia prima Ff. Come avete capito il protagonista è Peter Pan mentre per quanto riguarda gli spunti ripresi per questa storia sono tratti dal film ma soprattutto dal libro. I miei mi hanno cresciuta con questa storia e credo che abbiano segnato così il punto di non ritorno per me. Ormai credo che non ci siano più speranze che io cresca oltre un certo limite:P
Spero di aver catturato un pò della vostra curiosità! A domani per il primo capitolo!
Buona giornata a tutti!!!:)

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


capitolo 1

Quella sera Peter aveva messo i Bimbi Sperduti a letto prima del solito, la giornata di caccia era stata più faticosa del previsto e subito dopo cena i Bimbi andavano in giro per la tana come corpi senza controllo sbattendo contro ogni cosa che gli si parasse davanti. Wendy era in piedi vicino alla tavola che sparecchiava e si muoveva a grandi passi verso la cucina riponendo ogni cosa al suo posto come una buona mamma. Peter la osservava incuriosito, seguiva i suoi movimenti concentrandosi sull’andatura e sul suo fare aggraziato. Si concentrò sulla veste bianca tempestata di foglie che in quel momento danzava seguendo i passi di Wendy, guardandola Peter si ricordò della nuvola che quella mattina aveva avvistato proprio sulla baia dei pirati, una nuvola soffice e dal sapore buonissimo che solleticava lo stomaco appena ingerita.
Finito di rassettare la dolce nuvola informò Peter che sarebbe andata a dormire e che se nel caso lui non l’avesse seguita di non fare troppo tardi “i bambini come te dovrebbero dormire più di quanto dormi tu!”.
Peter le rispose con una smorfia e rimase a guardarla mentre si coricava nel letto pensando “si è proprio una nuvola”. Provò a stendersi ma all’improvviso si accorse di non aver sonno e sentì l’irrefrenabile voglia di volare fino alla cascata delle sirene.
Sgusciò fuori dalla tana respirando l’aria dolce e fresca della notte e cogliendo una leggera corrente di vento si lasciò sollevare da essa e si fece cullare fino alla cascata.

Si adagiò su di una roccia posta esattamente al centro dell’insenatura, incrociò le gambe e si tirò indietro stendendosi e portando le braccia a cuscino sotto la nuca. Chiuse e riaprì gli occhi proprio mentre una stella lasciava la sua scia nel cielo. Rise dell’accaduto. Una risata fresca e piena come quella dei bambini, che fa sorridere chi l’ascolta. Lui in fondo era IL bambino.
Concentrato com’era sulle stelle non si accorse che qualcuno si stava avvicinando alla roccia lentamente. A tendergli l’agguanto fu Giglio Tigrato che gli saltò addosso ricoprendolo di acqua proveniente dai vestiti e dai capelli gocciolanti della piccola pellerossa.
Appena vide che Peter rimase impassibile s’indispettì e mise il broncio sedendosi a gambe e braccia incrociate, la bocca corrucciata si rilassò in pochi secondi e la rabbia lasciò il posto alla curiosità. Quella sera Peter era stranamente pensieroso, così gli chiese cosa gli passasse per la testa.
“ mi stavo chiedendo..Giglio Tigrato vedi, io so come si chiamano quei puntini lassù..stelle giusto? Ma cosa vuol dire? Insomma...cosa sono le stelle?".
Giglio Tigrato scoppiò in una fragorosa risata pensando che Peter stesse scherzando, ma appena vide lo sguardo interrogativo del ragazzo smise e sgranò gli occhi, poi si ricompose e cercando le parole giuste cominciò…
“ehm…” tossì non sapendo cosa dire, si sforzò di riportare alla mente quello che il nonno le aveva raccontato da piccola sulle stelle e provò a spiegarlo a Peter, che la guardava ancora con la stessa espressione da…bimbo. Si distese e ricominciò “quando io essere piccola pellerossa nonno raccontare me strana storia su stelle. Lui dire me che stelle essere anima di antenati valorosi che quando essere morti lasciare corpo e tornare a essere spirito puro e leggero. Più uomo comportare bene in vita più anima essere leggera e pura per stare vicino a luna”.
Sperava che questo sarebbe bastato a Peter così girò la testa e lo guardò sorridendo, Peter la fissò per un attimo e le disse “raccontami ancora, spiegami meglio, voglio conoscere la tua storia”
La pellerossa si rigirò a guardare le stelle e si concentrò. Era difficile parlare in quel modo, era la più brava ma alcune parole le sfuggivano e ora non le trovava, si ricordò che Peter riusciva a capire la lingua dei pellerossa così comincio a parlargli in quel modo tanto curioso fatto di suoni e gesti che Peter traduceva così -“di una persona prima del corpo nasce un anima, l’anima raccoglie tutto ciò che il corpo percepisce traducendolo in pensieri che poi diventano ricordi. il corpo invecchia, l’anima invece essendo fatta di sensazioni, emozioni non può invecchiare, si trasforma ma non invecchia. Nonno dice che l’anima di una persona buona alla morte del corpo esce da esso illuminando il circostante di una luce intensa e calda. Nonno dice che per un istante riesci a sentire tutto ciò che quell’anima ha provato durante la vita del corpo, senti il dolore, la rabbia, la felicità. Per un attimo senti che il cuore esplode e l’unico tuo desiderio e che tutto questo non finisca perché per la prima volta ti senti davvero libero da ogni limite fisico. L’attimo dopo l’anima scatta via verso il cielo facendosi spazio di fianco alla luna. Nonno dice che se ti concentri riesci a vedere la Luna che sorride alla nuova arrivata donandole un po’ della sua luce.”.
“se un anima ha subito e inflitto solo sofferenze alla morte del corpo essa brillerà di una luce soffocata e ciò che trasmetterà sarà solo paura e tristezza, sotto il suo influsso senti ancora di più la pressione del corpo che quasi ti schiaccia, una volta in cielo quell’anima prende posto nei punti più lontani di esso dove la luna non è capace di dar loro della luce. Nonno dice anche che nei giorni di luna piena quando le anime risplendono della loro luce più intensa  esse si rispecchiano nel mare e solo per quella notte tu puoi toccarle e sentire quello che hanno da dire. Nonno dice che questa storia l’ha ricevuta in dono da una delle anime al fianco destro della luna, diceva che era speciale ma non mi ha mai detto perché…soddisfatto?”.
Peter ci pensò su, ci pensò proprio tanto. Così tanto che i suoi occhi cominciarono a brillare di una luce strana di riflesso a quella delle stelle, sembrava stesse diventando egli stesso una stella. Alla fine si girò e disse “quando volo lissù sento delle voci e dei suoni strani, unici. Tintinnano nelle orecchie, fanno il solletico, mi entrano in petto e mi formicola il cuore. Solo una volta ho risentito quei suoni, ero davanti ad una finestra e un esserino piccolissimo tenuto in braccio da una donna bellissima ha aperto gli occhi ed emesso quel tintinnio tanto particolare. Alla Mamma si sono illuminati gli occhi e quelli del bambino si sono accesi carichi di una luce azzurrina. È durato per pochi secondi ma mi ha tanto incuriosito. Quando mi sono rimesso in volo per tornare all’Isola quel tintinnio mi ha seguito infrangendosi in tanti altri tintinnii, era tutto uno squillare intorno a me. Quella notte davanti alla tana ho trovato una fatina ad aspettarmi, era nuda, piccola, e brillava tantissimo. Era appena nata. Era Campanellino! Lei mi guardava e io la guardavo divertita cercando qualche foglia per coprirla, poi mi ha preso un dito con le sue manine e mi ha detto di guardare in alto e l’ho vista..c’era una luce in più quella notte! Lo giuro!”.
“cosa vuoi dire Peter?”. Giglio Tigrato non lo seguiva più. 
Peter sembrava infastidito quando rispose “sto dicendo che secondo me tuo nonno si sbaglia, secondo me le stelle e le fate sono fatte della stessa cosa, non lo vedi come brillano entrambe? Hanno la stessa luce e fanno lo stesso suono! Giglio…le fate e le stelle sono fatte di quel tintinnio, quel bambino quella sera ha creato Campanellino e quella stella! È la risata! È la risata secondo me che ha creato tutto questo, ed è per questo che quando guardi il cielo sembra che loro ti rispondano!”.
Peter si era messo in piedi sulla roccia e saltava su di essa sbracciando verso la pellerossa e sorridendo come se avesse scoperto qualcosa di straordinario. In realtà lo aveva scoperto per davvero, Giglio Tigrato era rimasta a bocca aperta, non sapeva più cosa credere, Peter le aveva mostrato qualcosa di meraviglioso, qualcosa al quale non aveva mai pensato. Guardò Peter prendere il volo e allontanarsi verso la tana col naso all’insù per continuare a guardare le stelle, fece appena in tempo a urlargli, “Peter, pensi che anch’io abbia creato una stella? Pensi che ci sia una stella tutta mia lissù?” metà della frase finì per essere catturata dal vento, non arrivando così a Peter che ormai era soltanto un puntino nel cielo. Giglio si distese un’altra volta guardando il cielo interrogandolo avidamente, sperando che la sua stella le avrebbe risposto. Proprio quando stava per chiudere gli occhi e rialzarsi una stella si stacco dal cielo lasciando visibile una scia. La pellerossa saltò esultante e corse verso l’accampamento con l’unico desiderio che le restava per quella notte: raccontare tutto al nonno.

SA

Ecco il mio primo capitolo. E' forse il più semplice, questo è il trampolino per i capitoli che verrano. Avevo avuto la folle idea di far parlare Giglio Tigrato così come ho fatto nelle prime righe ma credo che a quest'ora mi sarei trovata circa a metà capitolo:) Non vedo l'ora di sapere che ne pensate. Spero che vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosita ancora di più! Grazie per essere passate e buona giornataaaa! Io ora corro al mare!

ps: nel prossimo capitolo ci saranno come protagonisti Peter e Wendy.

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Capitolo 3
*** capitolo 2 ***


capitolo 2
 

“prenditi quella medicina Pennino o giuro che t’infilzo con la mia spada!!”.
“Ma Peter non mi vaaaaaa…sta lontana da me!”-.
Wendy inseguiva Pennino per la tana, mancava solo lui tutti gli altri avevano già preso la medicina e stavano accasciati a terri a fare smorfie per il suo gusto orrendo, in realtà erano solo gocce di rugiada, Wendy lo sapeva e quello della medicina la mattina diventava uno dei suoi più grandi divertimenti sull’isola.
Peter stava seduto sul suo trono di legno e foglie e rideva tenendosi lo stomaco. Alla fine Wendy si arrese e si buttò a terra incrociando le gambe e fulminando Pennino con lo sguardo mentre il bambino esultava saltellando e canticchiando. Peter vedendo Wendy arrabbiata si alzò in piedi corse verso Pennino e fissandolo negli occhi disse -“se questa medicina non ti piace vado immediatamente a prendere l’altra!”-, il bimbo sperduto corse da Wendy e prese da solo la medicina, era terrorizzato gli occhi schizzavano da una parte all’altra della tana, e la bambina avrebbe voluto consolarlo abbracciarlo e dirgli che non era successo nulla. Wendy era una buona mamma, nessuno lo avrebbe messo in dubbio ma quella sera preferì godersi la vittoria e guardò Pennino esultante. Le bambine sanno essere angeli e monelle allo stesso tempo!
Peter uscì dalla tana per andare a perlustrare il territorio circostante, e Wendy lo seguì.
“Peter, di quale medicina parlavi? Perché Pennino ha reagito in quel  modo?” Peter sembrò non ascoltarla nemmeno, girava intorno all’albero cercando tracce, odori, suoni che facessero capire che qualcuno li aveva scoperti. Quando ebbe appurato che tutto era come lo aveva lasciato la sera prima, guardò Wendy “seguimi!”.
la prese per mano e si alzarono in volo, Wendy amava quando Peter lo faceva, si sentiva libera, leggera, se poteva volare poteva fare tutto, davvero tutto, senza più limite. Le piaceva pensare questo mentre sorvolavano la foresta fino ad arrivare in cima all montagna proprio sul lato che dava sulla baia dei pirati, alla giusta distanza che permetteva loro di essere al sicuro dallo sguardo “acuto” di Spugna che in quel momento , come in qualsiasi altro momento, ronfava con la schiena poggiata all’albero maestro.

 Trovarono posto sudi una roccia muschiata a strapiombo sull’infinito mare. Peter si adagiò su di essa, pancia all’ingiù, Wendy lo imitò ma prima ricoprì la roccia di un letto di foglie così che il muschio non le avrebbe sporcato la veste bianca. “Una nuvola, è proprio una nuvola!”
“Guarda!” Peter le passò la sua lente e lei poté vedere Uncino infuriarsi con Spugna destandolo violentemente dai suoi sogni. “Guarda il petto di uncino. A destra. È appena visibile ma se ti concentri riesci a vederla, una piccola ampolla che contiene un liquido rosso. Quella è la medicina che prometto alle canaglie quando non prendono la tua. È un veleno distillato dai suoi occhi rossi mentre piange, è un misto di malignità, gelosia, disonore. Ti uccide all’istante!”. Peter guardava Wendy aspettando che la paura s’impadronisse di lei, ma nn ebbe l’effetto sperato. Wendy girò il volto e guardò negli occhi Peter per qualche secondo poi lo stupì.
“Perché odi così tanto quel pirata Peter? Perché siete nemici?”.
Peter guardò Wendy senza capire. “cos’è un nemico?”
La bambina non ci credeva, gli chiese come fosse possibile che lui non sapesse cosa fosse un nemico, -"insomma lo hai sotto il naso ogni giorno come fai a non saperlo?!". Pan le ricordò dove si trovavano e che ad accudirlo duramnte la sua prima settimana di vita erano stati degli uccelli e che quindi non doveva stupirsi se conosceva le cose con nomi diversi da quelli che conosceva lei. Wendy si scusò e cercò di spiegargli cosa fosse un nemico attraverso il suo modo straordinario di raccontare vicende, quella ragazza aveva la favola in corpo.
“A Londra, vicino casa mia, abita una ragazzina dai capelli biondi, lunghi e ricci, ha degli occhi azzurrogrigio che congelano chiunque essi guardino, è più  grande di me di pochi anni eppure questo semplice fatto la fa sentire in obbligo di torturare me e i miei fratelli. Anche la povera Nana è stata tirata in ballo, spesso la ritroviamo sul ciglio del giardino che piange a causa di quella bambina. Insieme ai suoi fratelli si diverte a tirarle pietre e a punzecchiarla con un bastone. Abbiamo provato tante volte a farla smettere ma quel suo aspetto angelico inganna sempre mio padre convincendolo della sua innocenza e della nostra colpevolezza. Non proviamo ad ucciderci come fate tu ed Uncino ma l’odio che proviamo l’una verso l’altra è esattamente lo stesso. A volte vorrei staccarle tutti i capelli!”.
Peter rise divertito dell’espressione di Wendy, non si sarebbe mai aspettato quella reazione, lei è sempre così controllata e razionale. Lei è una mamma, non una piratessa omicida!
“io non odio Uncino! Io mi diverto! Se non ci fosse lui quest’isola avrebbe molti meno divertimenti, lui mi riempie le giornate! Lui mi cerca io gli scappo sotto il naso, lui si arrabbia e io rido imitando la sua voce facendo impazzire i suoi scagnozzi! Sono tutti degli stoccafissi, non c’è una volta che non si fanno imbrogliare. Uncino senza di me non avrebbe altro motivo per rimanere in questa baia, si annoierebbe tutto il giorno e sarebbe costretto a suonare il piano ad ogni ora, minuto e secondo. Spugna dice che suona divinamente, io mi diverto a urlargli il contrario da una delle aperture della barca, lui va su tutte le furie e comincia a lanciare qualsiasi cosa gli sia vicina in quel momento! Ti sembrerà strano ma Uncino è l’unico che non se ne sia mai andato dall’isolo, è l’unico che non mi abbia lasciato solo qui. Lui c’è sempre. Ora che ci penso dovrei ringraziarlo, ma poi sarei costretto a spiegargli il perché e di fargli complimenti proprio non se ne parla!”.
“quindi per te tutto questo è un gioco?” Wendy non voleva crederci
“Le bambine provano troppe cose, cercano di spiegarsi tutto e crescono prima dei bambini! Con Uncino mi diverto, e anche lui si diverte, perché dovremmo smettere? Grazie a lui so chi non devo e non voglio essere; so chi sono i miei amici e i miei compagni e chi invece devo evitare perché è dalla sua parte; grazie a lui conosco questa foresta meglio di chiunque altro, sono veloce, furbo e attento. Tu no hai delle certezze? Bene lui è la mia!”. Pan riprese la sua lente e se la insaccò nei pantaloncini di foglie. Sembrava quasi…soddisfatto quando si girò verso Wendy e le sorrise tendendole la mano che l’avrebbe aiutata ad alzarsi.
La bambina dal canto sua, era rimasta a bocca aperta, per la prima volta un bambino le aveva tolto le parole di bocca, lei sempre così preparata su tutto ora non sapeva cosa rispondere a Peter. Il fatto è che non c’era nulla da rispondere, aveva ragione. Per tutti i pesci aveva ragione!
Sorrise e prese la sua mano stringendola forte e si tirò su. Peter si allontanò per seguire la corrente che li avrebbe riportati alla tana, lei lo guardò, scosse la testa e pensò “chi l’avrebbe mai detto?! A volte le mamme hanno da imprare dai loro figli più di quanto esse hanno da insegnargli!".

SA

E siamo al secondo capitolo di questa Ff, vorrei sapere cosa ne pensate fino ad ora!:) In ogni caso in questo capitolo ho voluto sottolineare l'enorme importanza di Uncino nella storia di Peter Pan, per Barry è un personaggio fondamentale ma assume aspetti a volte molto diversi tra loro. Presto ci sarà un capitolo dedicato solo a quei due!
Yaaaaaaawn! Mi sono appena svegliata e sono ancora con gli occhi chiusi dal sonno. Stanotte ho fatto un sogno stupendo e svegliarmi è stato difficile non so se qualcuno può capire se vi dico Brandon Boyd...sbav...
Vaaa bene, ora vi lascio, provo a darmi una svegliata in qualche modo!
Buona giornata a tutte e fatemi sapere che ne pensate! E grazie a chi è arrivato fino a questo punto.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


capitolo 3 da continuare




Le parole di Peter quella mattina avevano generato in Wendy un vero e proprio tornado per la testa. Lo aveva considerato in tanti modi, prima di tutto era solamente un personaggio delle proprie favole raccontato mille volte davanti ai suoi fratelli e immaginato chissà quante nei suoi sogni; poi scoperto essere realtà  è diventato il suo modello, la sua speranza, il suo sogno di restare per sempre bambina e di fuggire a quella enorme responsabilità che è crescere; i pochi giorni passati alla tana aveva costretto Wendy a ricredersi su tutto, lui si era un sogno, una speranza, ma le faceva venire i nervi, era il bambino più maleducato e scosiderato che avesse mai conosciuto, arrogante e presuntuoso. Le manie di Peter a sentirsi sempre "il meraviglioso", "l'unico", la mandavano su tutte le furie ed era inutile arrabbiarsi perchè l'avrebbe avuta vinta sempre e solo lui, oppure metteva il broncio e non ascoltava più niente e nessuno. Era un bambino, cosa ci si può aspettare da un bambino se non questo? senza contare il fatto che lui era per davvero un bambino unico nel suo genre. Ma questo a Wendy non importava, lei lo voleva in un modo e lui si comportava esattamente nella maniera opposta. Sono o non sono anche questi capricci di una bambina? una bambina un pò più responsabile, ma pur sempre una bambina.
Quella mattina Wendy aveva visto una parte di Peter che l'aveva stupita, spiazzata. Stava seduta a terra a giocare con un fiore dai colori assolutamente inusuali, che teneva fra le dita. quando Wendy se lo faceva rigirare tra un dito e l'altro i petali di esso assumevano colorazioni che variavano dall'azzurro al viola, e dal viola divenivano quasi rosa. Tutto su quell'isola era elemento di stupore e quel pomeriggio Wendy si tormentava esattamente su uno dei principali elementi dell'isola: Peter Pan.
" naaaa, ora basta!"Gettò il fiore a terra e alzò lo sguardo incrociando quello di Peter che si era fermato con della legna in mano attirato dall'esclamazione di Wendy.
 "cosa c'è" nel dire questo, si alzò e pose la legna su un fianco della tana assieme ad un'altra catasta che aveva raccolto pochi minuti prima. Si asciugò il sudore con il dorso della mano e tornò a guardare Wendy con sguardo interrogativo, esortandola con i gesti a spiegarsi.
" quelle cose che hai detto oggi...non erano da te, cioè quando mai tu dici o fai una cosa sensata? Sei solo un bambino capriccioso che segue i propri istinti dimenticandosi di chi gli sta intorno! l'unico motivo per cui ti tieni vicino quei poveri bambini è perchè ti fanno sentire più importante di quello che sei, perchè acconsentono ad ogni tuo capriccio." cominciò la frase con tono incerto e confuso e la concluse quasi urlando per quanto fosse arrabbiata. Proprio mentre Peter stava per ribattere lei lo bloccò furiosa e continuò a parlare "Ti osservo ogni giorno e gli unici interessi a cui dai una certa rilevanza sono unicamente i tuoi! e..."
"Wendy il primo giorno che sei arrivata sull'isola ti ho dato una casa no? ti ho fatto diventare la mamma di quei bambini, e ti do da mangiare, ti diverti, che altro vuoi?" la tranquillità con cui quel bambino affrontava certi discorsi ti spiazzava.
"Perchè sei tu che vuoi ascoltare le miei storie! Sei sempre stato solo tu, e quei bambini ti appoggiano solamente!"Wendy era diventata paonazza, il tono tranquillo di Peter la infastidiva non lo sopportava, per le i significava sottolineare nuovamente il suo fare arrogante!
E' impressionante come l'umore dei bambini cambi da un momento all'altro senza che nessuno ne capisca il motivo,. Pochi secondi prima cade dalle scale, si sbuccia un ginocchio e ride di se stesso, subito dopo una foglia gli cade sul naso e lui comincia a strillare e a piangere tutte le lacrime possibili. La voce di Peter si alzò incredibilmente fino a diventare un tutt'uno con il rumore del mare che si agitava furioso contro gli scogli. Eppure se fossi stato li a guardare il mare avresti giurato che precisamente un attimo prima il mare era una tavola. " Tu non capisci nulla sei solo una....". Pan si pietrificò. Wendy di risposta cominciò a dargli addosso, ad esortarlo a dire quello che doveva se aveva il coraggio. Ma Peter non si mosse, era come chiuso in una bolla, intorno a lui c'era solo silenzio, la voce della bambina gli arrivava ovattata, come s in quel momento le stesse parlando una formica. Un'unica cosa interessava a Peter in quel momento, c'era solo una piccola e fiebile traccia che catturava l'attenzione del ragazzo.
 
Puff

"...SEI UN INGRATO!!!!" Wendy ansimava, non aveva più fiato, aveva urlato contro Peter tutto quello che si teneva dentro da tempo, senza però riuscire a dirgli quello che voleva. Era partita con buone intenzioni e alla fine si era ritrovata a riempirlo di insulti e basta. Peter la guardò sorridendo. Non aveva ascoltato una singola parola di quello che Wendy le aveva detto e non se ne curò affatto. Stava lì in piedi a guardarla respirare velocemente, e sosteneva il suo sguardo omicida, a stento trattenne una delle sue sonore risate.
Improvvisamente, come tutto ciò che faceva Peter del resto, disse " pochi secondi fa...è passato Uncino nelle vicinanze" e sogghignando aggiunse "ci doveva essere anche Spugna con lui, si sentiva una puzza tremenda!".
Wendy lo guardò sgomenta, nei suoi occhi rabbia, delusione e amarezza si rincorrevano attraverso una serie di riflessi. Alla fine si rassegnò e si seddette a terra  con un tonfo schiacciando quel bellissimo fiore con cui giocava poco prima. -"è per quello che ti sei fermato all'improvviso e hai assunto quell'aria da stoccafisso come dici tu?" disse facendo il verso a Peter, il quale rispose semplicemente con un cenno del capo. " e mi diresti come questo sia possibile, grande capo?".
"poi dici a me di essere ottuso! Hai cinque sensi e ti limiti ad usarne solo uno! Come riconosceresti le persone se non avessi occhi per guardare?"
 "con le orecchie che domande! riconoscerei in lontananza una voce familiare!" Wendy non ne era per niente sicura, ma dare ragione a Peter in quel momento era l'ultima cosa che avrebbe voluto! Lo innervosiva e in ogni caso era sicura che stesse dicendo una stupidaggine, cos'era un cane?
"Non puoi fidarti solo dei suoni! Si confondono, si allontanano, alcuni sono troppo simili ad altri. Non puoi affidarti ad un senso solo,o a due, anche se sono ancora molto incerto sul fatto che tu riesca a distinguere chiaramente delle voci.." guardò Wndy con aria di sfida; " su quest'isola poi delle voci non puoi assolutamente fidarti, dei suoni si, ma delle voci no, come puoi con uno come me sull'isola che le imita perfettamente tutte quante? Anche Uncino ci sa fare, ma con quel timbro così....adulto," sputò quella parola tutto d'un fiato come se non volesse tenerla troppo a lungo sulla punta della lingua "Se non basta quello che vedi, quello che tocchi e quello che ascolti per riuscire a riconoscere cosa hai davanti, allora entrano in gioco gli odori. Ognuno ha un odore diverso addosso,è come se vi lasciaste una scia dietro lunga decine di metri, riesco a sentirvi nonostante l'infinità di profumi che ci sono in questa foresta, per non parlare di quelli che ci sono sulla riva e nel mare."
" Su Peter non ti rendi conto che è impossibile? Persino per te!"
Peter sorvolò quel piccolo spazio di terra che lo divideva da Wendy e le andò alle spalle chiudendole gli occhi. rimase in quella posizione per un tempo interminabile, Wendy non si era mossa di un millimetro, era rimasta piantata a terra, le guance le stavano diventando porpora dallo stupore e dall'ibarazzo. Quando Peter sentì che il suo respiro si era regolarizzato, sollevò una mano dal viso di Wendy impedendole ancora di vedere, e raccolse un fiore da terra. "Annusalo e descrivi quello che senti senza tralasciare nessun dettaglio" le portò il fiore sulla punta del naso. Quando Wendy sentì un leggero solletico sulla punta del naso si distanziò un pò spaventata, poi si calmò e si sporse in avanti avvicinandosi ai petali del fiore. Ne aspirò il profumo e cercò di fare come le aveva detto Peter. "Che cavolo significa descrivine ogni particolare? Profuma, tutto qui.".
Dal silenzio di Peter, Wendy capì che non si sarebbe arreso facilmente. Sbuffò, ma poi si concentrò, riportando la punta del naso vicino ai petali del fiore, lo stesso sul quale si era seduta poco fa, cercando di capire cosa le chiedeva Peter. Dopo una manciata di minuti che a Wendy sembrò infinita Peter le tolse il fiore da davanti al naso e gliene porse un altro, facendola avvicinare delicatamente ad esso le chiese di fare quello che aveva fatto poco fa. Wendy si avvicinò, aspirò e capì.
Peter la lasciò in quel modo ancora per un pò, poi le tolse anche l'altro palmo dal viso e si spostò di fronte a lei guardandola impaziente. "Allora...cos'hai sentito?" le sorrise e quando incrociò lo sguardo di Wendy ne rimase sorpreso. Sorrideva, con gli occhi lucidi, sembrava stesse per starnutire quando invece disse "com'è possibile?".





SA

Pubblico oggi perchè probabilmente  inizio prossima settimana non ci sono e non avrò modo di pubblicare i capitoli. Il continuo di questo capitolo lo pubblicherò giovedì!
Da qui in poi diventano più lunghi e più "interessanti", i temi sono un pò più complessi e ci saranno più riferimenti al libro.
Comunque, grazie a chi legge e alla pazza che recensisce. Ditemi cosa ne pensate. Alla prossima!

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


capitolo 4






"Io non ho fatto nulla, ho solo aspettato che i tuoi occhi si abituassero al buio e le tue orecchie ai suoni, anche minimi. L'unica cosa che mancava erano i profumi, gli odori, il tuo naso ci ha messo un pò a percepirli ma dalla tua faccia vedo che il risultato non è male!" sorrideva compiaciuto "allora cos' hai sentito?".
"All'inizio nulla, pensavo mi stessi facendo uno scherzo come tuo solito e mi stavo seriamente arrabbiando, poi quando ho visto che facevi sul serio ho provato a concentrarmi e a capire cosa cercavi di dirmi e l'ho sentito. Quel qualcosa che mi hai messo davanti al naso aveva un profumo dolcissimo, sapeva di...mmm..." chiuse gli occhi "di miele e" li riaprì "e latte, si miele e latte! Quando lo hai allontatanato ho continuato a percepire quel profumo vicino a me, non con la stessa intensità ma lo sentivo. Quell'altro qualcosa che mi hai avvicinato al naso era completamente contrastante con l'altro odore,  quel profumo mi è entrato subito in gola, mi ha quasi stordita per quanto fosse forte e me ne sono subito allontanata. Qualsiasi cosa tu mi abbia aiutata a fare è meraviglioso! L'ultimo odore che ho annusato lo avevo già sentito, era nel giardino di casa mia a Londra, mamma ne fa crescere enormi quantità fra i cespugli che circondano la casa. E' un fiore ma non ne ricordo il nome, ha un profumo buonissimo, fresco, sa di pioggia estiva e di solito si usa per tener lontano gli animali dalle abitazioni poichè ne irrita il sistema olfattivo. Lo conoscevo ma non così! Non mi ero mai accorta di quanto fosse intenso e forte, sento ancora il naso pizzicare! Perchè non me ne sono mai accorta fino ad ora? Eppure non passa inosservato, lo sento ancora adesso con la stessa intensità!"
"Perchè tutte le altre volte eri ditratta! Te l'ho detto, quando guardi qualcosa mille altre ti distraggono: il rumore di qualcuno che ti passa di fianco in quel momento, il colore di un oggetto che è vicino a quel qualcosa che attira la tua attenzione senza volerlo, e magari la tua concentrazione è rivolta ad altri pensieri non direttamente legati a quell'oggetto in particolare. Spesso accade che quando si osserva qualcosa in realtà si sta solo pensando ad altro, guardo un fiore e nel frattempo penso a cosa passa per la testa ad Uncino, a cosa stanno combinando nella tana i marmocchi, a quale storia racconterai stasera. Se in quel momento qualcuno ti chiedesse di che colore è il fiore che stai guardando tu non sapresti nemmeno rispondere perchè non lo stai guardando affatto! Guarda Uncino, non ci vorrebbe molto a trovarmi, la tana è proprio al centro della foresta e i segni sono evidenti, eppure lui non ci ha mai trovati. Gli adulti sono così, si concentrano su tutto tranne che su quello che realtmente potrebbe essergli utile!"
"Quanto tempo ci è voluto perchè tu imparassi a fare tutto questo? A non distrarti?"
"Io non ho dovuto imprarare. Io non so cosa provi tu, cosa senti. Io sono abituato a questi odori, questi colori, rumori, so com'è fatta una superfice. Certo a volte devo concentrarmi un pò, ma non come te. Io non conosco il vostro mondo, me ne accorgo ogni volta che parlo con te."
Wendy si guardò intorno avida di sapere cosa avrebbe potuto scoprire se avesse avuto un pò delle capicità di Peter. Poi tornò a guardare lui e le tornarono in mente gli stessi pensieri di quella mattina. Non si sarebbe mai aspettata che da Peter potesse nascere così tanta meraviglia. Le sembrava così poco attento a lei, ai bambini, a quello che lo circondava, le era sempre sembrato che a lui importasse solo di se stesso, che capisse solo quello che lo riguardava e basta. Sapeva che Peter aveva un limite e che non l'avrebbe mai sorpassato. Ora lo guardava e si chiedeva quante altre cose avrebbe potuto imprarare da lui e che lui di limiti non ne aveva...non ancora almeno. E nel pensare questo si mise a ridere. "io che imparo da Peter! Se me lo avessero detto anche solo ieri sera avrei risposto che fosse impossibile! Invece me ne sto qui, a farmi dare lezioni sul mondo da uno che del mondo ne ha visto meno di me." Se vi dicessi che dare ragione a Peter e ammettere di sapere molto meno di quanto immaginasse 
fosse facile per Wendy mentirei; era una bambina intelligente, speciale e lei lo sapeva benissimo, non era presuntuosa ma sapeva di cosa era capace e nessuno le avrebbe potuto far cambiare idea; nessuno tranne Peter. Il solo fatto che in un solo giorno quel ragazzo le aveva mostrato quanto fossero costrette le sue conoscenze la mandava sui nervi. Peter le aveva parlato di certezze, bene in quel momento Wendy veniva privata delle sue, o parte delle sue e per questo si sentiva persa, confusa e non lo poteva sopportare.
"Wendy, riusciresti a ritrovare l'oggetto che ti ho fatto annusare per primo chiudendo gli occhi e concentrandoti?" per Peter sembrava così semplice, per lui era come un gioco e voleva che anche per lei lo diventasse. Ma era difficile per Wendy, molto difficile. La sua famiglia si preoccupava di farla diventare una donna, imponendole regole giorno per giorno. Suo padre cercava di conquistare un posto d'eccezione nella banca in cui lavorava e il fatto che sua figlia andava in giro raccontando strane favole lo circondava di una cattiva luce, perciò la sgridava continuamente. Sua zia aveva il pensiero costantemente rivolto verso i vicini e di cosa potessero pensare di quella bambina tanto strana che non si decideva a diventare un adulta. L'unica persona che lasciava che Wendy si facesse cullare da sogni e fantasia era sua madre, una donna bellissima che ricordava o semplicemente sentiva ancora che qualcosa come quello che provava Wendy quando raccontava le storie era ancora in lei. Ognuno di noi almeno una volta è stato sull'isola, o semplicemente ha visto quel bambino di nome Peter Pan volare vicino alle nostre finestre, e in un modo o nell'altro quell'incontro rimane impresso nei nostri occhi, i bambini impiegano un pò meno a dimenticarlo, o ad accantonarlo, nelle bambine quel ricordo svanisce ma parte di esso si trasforma in sensazioni, istinto. Ecco perchè le mamme raccontano favole ai propri bambini perchè c'è qualcosa in esse che da loro la certezza che essi hanno bisogno di credere nel meraviglioso.
Wendy era ancora un bambina, e in lei quelle sensazioni erano più forti che mai, ma il  giorno stesso in cui lascò casa per volare sull'isola i genitori la stavano per far diventare adulta, facendo così affievolire il ricordo. Peter le stava chiedendo davvero un grande sforzo. Prima con la storia sul fatto che potesse volare, poi le sirene, i pirati, gli indiani, per non parlare delle fate...ed ora con il fatto del sentire senza lasciarsi distrarre. Si sentiva davvero stanca e confusa. Il dover far cadere quelle concezioni che aveva impiegato tempo e fatica ad acquisire la stava provando in ogni senso.
"Peter non ci riesco, sono stanca e poi...non capisco come dovrei fare" il tono era spazientito e infastidito.
Peter dal canto suo, non ammetteva rifiuti, Wendy quel pomeriggio era il suo capriccio e i capricci dei bambini non vanno mai presi alla leggera. "Sei solo una bambina!" disse ridendo.
"Cosa vorresti dire?" Wendy era scoppiata, non si controllava più, con quella frase Peter aveva scatenato la furia che c'era in lei "non sono stupida sai? E tutta quella storia che le bambine sono meglio di 20 bambini sperduti? Sei uno stupido egoista!"
 Rimase in silenzio a lungo, Peter si era disteso sull'erba e guardava il cielo fischiettando come se non fosse accaduto nulla, mentre Wendy lo guardava furiosa. Alla fine cercando di non farsi vedere, chiuse gli occhi e cercò di ricordare il profumo che aveva sentito, quello dolce. "latte e miele, latte e miele, latte e miele...latte e..."inspirò una grossa quantità di aria e mosse la testa nella direzione opposta rispetto a quella dove prima era rivolta "miele! Trovato!" aprì gli occhi e si alzò velocemente per poi correre nella stessa direzione, colse da terra un fiore e lo annusò. Trionfante si mise in piedi e sorrise.
Peter era ancora nella stessa posizione quando Wendy gli sbattè il fiore sul petto. Quando vide che Peter non si muoveva, sbuffò e sogghignando soddisfatta prese a camminare di ritorno alla tana.
Appena la sentì lontana Peter aprì gli occhi e strinse il fiore tra le mani guardandolo per un pò con il sorriso di chi aveva ottenuto esattamente ciò che voleva. Nascose il fiore nel sacchetto che aveva legato al fianco vicino al pugnale e si rialzò incamminandosi anche lui verso la tana. Quella sera Wendy non gli avrebbe rivolto la parola, Peter lo sapeva, ma non se ne curava, era riuscito ad averla vinta su di lei, soddisfazione troppo grande da essere ignorata!



S|A

Se state leggendo ora vi do un caloroso buongiorno! Questa mattina mi sono svegliata felice e con un mal di schiena tremendo! Oggi da me è festa e faranno i fuochi d'artificio a mezzanotte quindi penso che domani vi ritroverete immersi in qualche piccola storia uscita così a caso! Comunque...passiamo al capitolo.
Allora questo è il piccolo continuo del capitolo numero treee(fa il verso a Mike) dove Peter spiega a Wendy a cosa sia servito tutto quel annusare di qua e annusare di la, in poche parole il nostro bel ragazzotto ha insegnato alla nostra bella bimba a non chiudersi al mondo, ad estendere i propri sensi facendone crollare i limiti.
Nel prossimo ci sarà una piccolissima  new entry...vi lascio un mini spoiler che dovrebbe farvi capire qualcosa:

"La ricordava molto diversa, molto più giovane. La ricordava con ricci morbidi e biondi che le ricadevano sulle spalle e che incorniciavano quel visino tondo ma perfetto dalle guance rosse e dal nasino piccolo e ben proporzionato al resto del volto. Ricordava le manine piccole e morbide con le quali afferrava la mano di Peter quando lo voleva vicino, quando aveva bisogno di protezione."

 Vorrei ringraziare Sere che mi segue e recensisce e che stanotte resterà da me!:)  Ringrazio anche tutti coloro che leggono e vorrei chiedervi di recensire o lasciare due piccole paroline per farmi capire anche solo cosa ne pensate e se avete consigli da darmi vi ringrazio già in anticipo!
Goodbye my darling!

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Capitolo 6
*** Back to the past (o capitolo 5) ***


capitolo 5








Come previsto Wendy non gli parlò tutta la sera, tranne che per dirgli che lei andava a dormire e quindi di non fare tardi. Peter sapeva che le sarebbe passato, quindi la lasciò andare senza dire o chiedere nulla.
L'isola nelle ore subito dopo il tramonto diventava ancora più fantastica di come la immaginate: il mare si colora di sfumature di rosso e blu che si mescolano tra di loro creando contrasti di luce meravigliosi; la luce flebile del sole, ancora non del tutto scomparso dietro le montagne, si rispecchia nel mare e rincorre le onde creando un gioco di riflessi che si cercano come ossessi; sembra quasi che il mare si ricopra di polvere di stelle e fata e che al minimo respiro di esso questa si sposti come spinta da un vento invisibile e percorra l'intera superfice alimentandosi della luce del sole.
La leggera e fresca brezza marina dà ossigeno alla foresta, la quale sembra risvegliarsi e dare inizio ad una danza lenta e silenziosa. E' l'ora in cui le fate iniziano ad uscire dalle loro piccole tane riempiendo l'intera isola di dolci tintinnii. I pirati tornano sulla riva con le scialuppe, piantano le tende e, disponendosi a semicerchio, accendono al centro di esso il fuoco per cucinare e riscaldarsi riempiendo l'isola di aromi invitanti.
Oltre quel cielo, a Londra e in ogni altro paese, le famiglie si alzano dalla tavola e si riuniscono in salotto ad ascoltare della musica o a leggere dei libri mentre i bambini tentano in ogni modo di fuggire dal bagno dove li attende una vasca piena di schiuma.
Sotto casa Darling c'è un uomo per strada che suona la chitarra strimpellando una malinconica melodia, attorno a lui si sono radunate tre o quattro persone che si fanno consolare lasciando che quella musica faccia riaffiorare ricordi soffocati. Poco più lontano da quell'uomo, in un edificio interamente di legno e dal pavimento di coccio rosso fuoco, vengono servite birre e zuppe calde, il fumo delle cucine si alza alto dal camino disegnando una curiosa colonna in cielo. Al suo interno due ragazzi suonano su un piccolo palchetto rialzato anch'esso di legno, un ragazzo suona la chitarra e l'altro canta. La gente li osserva, qualcuno li segue con la testa, altri sono totalmente persi nei loro pensieri.
Nel giardino di casa Darling c'è Nana che riposa nella cuccia osservando il cielo alla ricerca di tre puntini distinti che facciano capire che i tre bambini sono tornati a casa. Sembra pronta ad abbaiare quando invece nota dispiaciuta che tre uccellini si sono posati sul tetto dell'edificio. Al piano di sopra nella stanza dei bambini la signora Darling legge un libro distrattamente interrompendosi per rivolgere lo sguardo speranzoso e triste al cielo. Non sa dove essi siano, sa solo che anche lei da piccola era stata da qualche parte anche se non ricorda dove, e sente che quel posto l' ha resa felice ma anche consapevole. Spera di rivederli, spera che non rimangano li per sempre, spera di non esser stata così dura con loro da convinverli a non tornare mai più a casa. Una lacrima scende sul volto della donna, scivola sulla rosea guancia, le sfiora l'angolo della bocca, quello con il bacio nascosto e dal mento ricade sul libro bagnandone una pagina.
"Ehi tu! io ti conosco! Mi ricordo di te!"
Una signora anziana affacciata ad una finestra di fronte all'edificio dei Darling gridava in direzione di Peter che dallo spavento si era nascosto sopra il tetto. Quanto stonavano quelle grida in una notte così silenziosa!
"Ehi, ti ho visto esci fuori, vieni qui! uccellaccio!" ora l'anziana stava esagerando, il tono di voce si era alzato ancora, tanto da attirare l'attenzione del signore dalla melodia malinconica. Non si può rompere quell'atmosfera così perfetta, non si possono interrompere i ricordi. Quelle grida stavano distruggendo una cornice perfetta.
Peter aspettò che la signora si fosse arresa e che rientrasse in casa distogliendo l'attenzione dal cielo, poi uscì dal nascondiglio e volò al capezzale della finestra. "Come fai a conoscermi? come fai a ricordarti di me?"
L'anziana sobbalzò. Si voltò verso Peter e con estrema lentezza si portò a sedere su una poltrona malandata posta vicino al camino fatto di mattoncini e coccio. Non faceva freddo eppure il camino era acceso e lei indossava abiti pesanti. Si portò la coperta di lana a coprire le ginocchia e tornò a guardare Peter, che nel frattempo era entrato nella camera e si era accomodato a terra davanti al camino di fronte alla signora. Ora, davanti al camino con la luce scoppienttante del fuoco, Peter riconobbe l'anziana signora che aveva di fronte.
La ricordava molto diversa, molto più giovane. La ricordava con ricci morbidi e biondi che le ricadevano sulle spalle e che incorniciavano quel visino tondo ma perfetto dalle guance rosse e dal nasino piccolo e ben proporzionato al resto del volto. Ricordava le manine piccole e morbide con le quali afferrava la mano di Peter quando lo voleva vicino, quando aveva bisogno di protezione.
Ricordava benissimo quegli occhi, non erano cambiati, loro. Azzurri. Quando Peter li guardava pensava unicamente alla sola persona che aveva come lei gli occhi di quel blu intenso, glaciale: Uncino. Quella bambina, quella donna, aveva gli occhi dello stesso colore di Uncino, e come loro, questi avevano lo stesso potere attrattivo.
"Si diventa così?"
"Cosa vuoi dire?"
"Si diventa così quando si cresce? Si diventa così quando si sceglie di essere adulti?"
"Sì, si diventa così, ma solo dopo tanto tempo."
"Dopo quanto tempo sei diventata così tu?"
"Dopo ottantotto anni dall'ultima volta che ci siamo visti Peter!"
"Perchè si diventa così?"
"Quando decidi di crescere, accetti molti cambiamenti. Accetti la scuola ogni giorno, accetti il lavoro, accetti la famiglia, i figli, le responsabilità. Dimentichi spesso di darti una pausa, dimentichi i giochi che facevi da bambino ammettendo altri divertimenti. Dimentichi di aver bisogno delle favole la sera prima di addormentarti, del bacio della buonanotte, della giornata al parco con gli amici a giocare a rotolarti a terra. Cominciano a farti male le ferite, ti crescono le braccia, le gambe. Improvvisamente non entri più nel lettino e sei costretto a prendere un letto più grande, un letto vero. Butti via l'orsacchiotto con cui dormi, perchè ormai sei troppo grande per quello e cominci a prendere l'abitudine di pensare prima di prendere sonno rischiando di perderlo definitivamente. Allora a quel punto fai ricorso a dei rimedi per dormire e sogni poco e spesso se sogni è per fare degli incubi. Impari parole come stress, stipendio, rincaro, crisi. Tutto perde d'importanza, poche cose rimangono fondamentali, veramente fondamentali, nella tua vita. Fino a che, quando meno te lo aspetti, tutto questo finisce e ti ritrovi ad essere nonna, ad accudire i figli dei tuoi figli. Vedi il tuo viso cambiare, trasformarsi, assumere curve e pieghe che non avresti mai immaginato di prendere. Ti senti sempre meno forte, e cominci ad avere freddo anche quando fuori non fa così tanto freddo, e senti tremendamente caldo quando fuori non fa poi così tanto caldo."
" Basta! Mi spaventi così!"
"Oh no Peter, la vita è dura. Crescere è una bella scelta da fare, ma se la fai scegli di prendere il cattivo assieme al buono. Il cattivo ti spaventa ma solamente perchè non sei a conoscenza del buono. La morte, la vecchiaia, le responsabilità, sono cose che ti fanno a pezzi, ti piegano in due e ti straziano l'anima ma dall'altra parte c'è sempre qualcosa che fa rimarginare quelle ferite rendendoti ancora più forte, proprio quando meno te lo aspetti. Restare bambini, oh si sarebbe stupendo! Ma laddove la scelta è unica, ovvero crescere per forza, l'andare incontro a tale scelta non è poi così negativo e sgradevole. Anche la vita peggiore può avere risvolti positivi se sai trovarli."
"Ti prego raccontami cosa è successo quando sei tornata a casa!"
Il fuoco scoppiettava nel camino, l'anziana signora si alzò dalla poltrona e scese al piano di sotto a riscaldare un recipiente con dell'acqua. Appena la tisana fu pronta si strinse nella coperta e risalì le scale lentamente seguita da Peter che, pur essendo impaziente di conoscere la storia, apsettava rispettoso che la donna fosse pronta. Entrò nella stanza e si diresse verso una piccola libreria alla ricerca di qualcosa. Quando lo trovò vi soffiò sopra. Era...qualcosa, non si capiva cosa poichè era ricoperto da anni di polvere. La donna vi passò sopra il palmo della mano liberando un piccolo tratto di quel qualcosa lasciando intravedere una scritta. ALBUM. Era un album fotografico.
"Album fotografico
di
Maimie Mannering"












SA

Buongiorno a tutti, questa mattina mi sono svegliata felice e se vi dicessi che è anche merito di qualcuno di voi che legge, beh credetemi perchè è esattamente così!! Ho un male alla schiena incredibile e stare seduta su questa diamine di sedia fa abbastanza male.
Comunque passiamo al capitolo in se per se...abbiamo scoperto chi era questa new entry nella nostra storia, in realtà è tutt'altro che new poichè si tratta di Maimie, la inquietante prima bambina ad essere rimasta chiusa nei giardini di Kengsinton e a conoscere le case. Chi di voi ha letto la storia saprà di un particolare  molto utile che comparirà sicuramente nel prossimo capitolo.
Grazie a chi continua a leggere e a chi recensisce, approposito devo ringraziare la piccola Black Ice a questo proposito e la solita Serena che non  mi abbandona mai.
Goodbye my Darling! E, spero, alla prossima.

Ps: chiunque voglia dirmi cosa pensa della storia i suoi commenti sono assolutamente ben accetti!

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Capitolo 7
*** Back to the past(seconda parte)o capitolo 6 ***


capitolo 6








Il calore del camino si stava diffondendo nella stanza nonostante la finestra fosse rimasta aperta.
"Le foto, Peter, sono uno dei modi migliori per non cancellare i ricordi. In questi pezzi di carta sono racchiusi attimi di vita fondamentali. C'è tutta me stessa. C'è la mia storia."
Cominciò a sfogliare l'album sospirando e carezzando alcune foto. Cominciò a spiegare chi fossero le persone ritratte assieme a lei. Parlò dei suoi figli. Entrambi si erano laureati ed ora lavoravano uno come avvocato e uno come banchiere. Disse che non li vedeva da troppo tempo, ormai, e che non era più una delle preoccupazioni fondamentali della loro vita.
A Natale mandavano le cartoline e le foto con i loro figli che crescevano a vista d'occhio. Tutti avevano qualcosa della nonna: chi gli occhi azzurri, chi i riccioli biondi, chi il visino paffuto. Era impossibile non ricordarsi della donna quando si guardavano quei bambini.
Si soffermò su di una foto in particolare che ritraeva una ragazza alta, snella, dai capelli corti, ricci e biondi. Al suo fianco vi era un ragazzo, alto poco più di lei, dai capelli rossi che la teneva a cavalcioni sulla schiena e rideva divertito. Peter pensò che stessero davvero bene. Erano felici. I loro sorrisi erano bellissimi.
"Questo era mio marito Peter, lo conobbi a scuola e restammo amici per tanto, davvero tanto tempo. Andammo all'università insieme e una volta laureati ci accorgemmo che quel qualcosa che c'era tra di noi era di più. Ci sposammo l'anno seguente. Entrambi lavoravamo e mandavamo avanti questa casa, un tempo più luminosa e accogliente. Vi erano fiori ovunque...aspetta..." girò le pagine alla ricerca di qualcosa e quando lo trovò Peter sospirò meravigliato "questa è una foto di questa stanza durante il nostro secondo anno di matrimonio e quel marmocchio nella culla è il mio primo figlio. Quando mio marito è morto questa casa ha perso vitalità. Era un raggio di sole. Avevo lui e non volevo altro. Ora che non c'è mi accorgo di aver bisogno di molte cose Peter. Oh, ma non quelle che tutti pensano. Io ho bisogno di affetto, amore, gioia. Ho bisogno di ricordare cos'è la vita perchè, sai, io sento che non è ancora giunto il momento di sparire da questo mondo per me. Ho ancora troppe cose da imparare!"
Mentre parlavano il camino si stava spegnendo, così Maimie, ogni tanto, si alzava per rianimare la fiamma. Peter sorrideva ai racconti della donna, la guardava e sentire quanta vita scorreva nelle sue parole lo animava di una strana vitalità. Sentiva l'energia scorrere nelle vene. Sapeva di essere felice. Quella donna gli stava mostrando quello che lui non avrebbe mai potuto avere e se, in un primo momento, aveva avuto paura di perdere tutto questo, ora non ci pensava più, ora aveva vissuto i suoi anni di adulto attraverso i racconti magnifici di quella donna. Quella sera era stato a Parigi dove ,seduto ad una panchina circondata dai fiori, aveva mangiato del pane morbido e caldo; era stato in Italia dove aveva girato per paesi stupendi e diversi tra loro, si era stupito dei mille dialetti che si parlavano anche solo a distanza di pochi chilometri; aveva visto Dublino e ammirato i paesi verdi dell'Irlanda. Stava viaggiando da più di un ora quando Maimie si fermò lasciando che Peter assemblasse insieme i pezzi del puzzle che era la sua vita.
"Peter devo farti vedere una cosa..."
Peter alzò lo sguardo ancora perso in quei mondi fantastici.
"Ti ricordi quando ogni tanto in quel parco, portavo quella scatolina piccola e nera che faceva quello strano rumore?"
"Mmm...si, aveva una lente di vetro davanti!"
"Quella cosa serve a fare le foto. Mio padre era un fotografo e me la regalò che non la riuscivo a reggere nemmeno con due mani per quanto fossi piccola. Quella volta al parco ho scattato una foto a noi due vicino alla casetta delle fate. Guarda!" Le rilucevano gli occhi, sembrava che da un momento all'altro sarebbe scoppiata a piangere. Non lacrime di tristezza ma di gioia. Solo di gioia!

Peter guardò quella foto tenendola stesa a terra. Le sue espressioni erano indecifrabili, andavano dalla pura e semplice curiosità, al compiacimento, dalla rabbia allo scoppiare dal ridere senza motivo. La donna lo guardava e ad ogni cambio di umore sorrideva, oppure, sobbalzava spaventata e sorpresa. Peter guardò la donna e poi la bambina della foto.
"Sai non sei cambiata tantissimo!"
"Ma che dici Pan sono totalmente diversa!"
"No non è vero, i tuoi occhi..sono sempre gli stessi, li guardo e non posso non pensare alla Maimie bambina, c'è la stessa forza. Quando ti stavo vicino mi sentivo felice non ti fermavi mai. Avrei davvero voluto che restassi con me, ma dovevi tornare dalla tua mamma." restò in silenzio a guardare quella foto...."e se ci fossimo sposati...la tua vita non sarebbe stata così! Non ci sarebbero stati tutti questi bimbi e tu..non avresti visto quei posti stupendi!".
 L'idea lo terrorizzava, glielo si leggeva chiaramente in volto. Stava male, si agitava.
"Maimie sono contento che tu abbia scelto di crescere! Mi piace quello che mi hai raccontato oggi e mi piace che tu abbia avuto una vita così bella! Avrei voluto davvero portarti sull'isola, ma poi non avrei potuto ascoltare questo racconto stupendo, non avrei mai saputo cosa significa vivere una vita diversa dalla mia. Io oggi ho vissuto la tua vita, sono diventato un vechietto con te! E sai che ti dico?"
"No Peter, dimmi"
"Mi è piaciuto tantissimo! Maimie grazie!"
"Peter e la foto? Cosa mi dici della foto? Insomma, guarda me e guarda te. Non è buffo?"
"Maimie è stupenda questa foto! Non riesco a pensare che metà di questa foto ha continuato per la sua strada crescendo e diventando come la donna che ho di fronte e che l'altra metà sia rimasta lì, in quella casetta sotto la neve. E' strano, anche perchè non mi ero mai reso conto di quanto tempo fosse passato. Non avevo mai contato i giorni ne gli anni, sull'isola non esiste nulla di tutto ciò. Può passare un anno come può passare un minuto, tu non te ne accorgi. Fino a quando non torni qui...qui il tempo sembra correre e tutti voi correte con lui. Mi fa paura questa corsa a crescere! E' come se non faceste mai in tempo a fare tutto e poi trovate ogni modo per impegnarvi ancora di più."
"Avete i visi stanchi, arrabbiati. Vi guardate tra voi come se non vi conosceste eppure, vi incontrate ogni giorno mentre camminate per strada. I vostri sguardi nascondono tante paure e sono sempre impegnati da mille pensieri. Non riesco a mettermi nei vostri panni, ci provo perchè vorrei conoscervi ma non ci riesco. Oggi nella tua storia, sembrava stessi vivendo con te, ma tu sei sempre stata diversa Maimie, tu avevi gli occhi liberi da tutto questo, anche adesso che hai sulle spalle una vita e tante preoccupazioni sembra che in te ci sia altro, più importante di ogni altra cosa, che cancella via ogni cosa cattiva e lascia che tu sia libera. So che non puoi ma so anche che se solo te lo chiedessi, tu torneresti con me in quel parco a giocare con le tue fate."
"Andiamoci Peter! Accompagnami!"
"Maimie non posso! Non posso camminare per queste strade come se niente fosse...però forse posso fare una cosa..." il volto di Peter s'illuminò, uscì un attimo dalla finestra seguito dallo sguardo delle donna e quando rientrò al suo fianco c'era Campanellino che lo seguiva ovunque andava ma che in quel momento era rimasta fuori perchè spaventata da Maimie. "Lei è Campanellino, la mia fata, non è male se riesci a farti capire e a conquistare la sua simpatia."
Maimie lanciò via la coperta e cercò di alzarsi per andare incontro alla fata. Quando le fu abbastanza vicina, un sorriso spuntò sul suo viso. Non posso descrivervi come fosse perchè non ci sarebbero le parole giuste. Provate ad immaginare un bambino sorridere, è bello vero? Rendetelo ancora più dolce e luminoso, quello era il sorriso di Maimie. Un sorriso di qualcuno al quale era stato restituito un sogno e una speranza. Campanellino fu divertita da quel sorriso e toccò con la manina la guancia di Maimie facendole il solletico. Le piaceva. Maimie le piaceva.
"L'hai conquistata Maimie!"
Campanellino si allontanò un pò avvicinandosi all'orecchio di Peter per dirgli qualcosa che Peter poi tradusse per la donna. "Campanellino vuole sapere se hai un desiderio, lei lo realizzerà per te!"
La donna tornò seria per qualche secondo rifiutando l'offerta e dicendo che non lo meritava, che non poteva, che non sapeva. Campanellino insisteva e nel farlo fece tornare il sorriso a Maimie che non resisteva allo scampanellio acuto della fata. "Bene se insisti allora, penso che chiederò il mio piccolo desiderio." Peter e Campanellio erano in attesa, stavano morendo dalla curiosità, i loro occhi erano spalancati e se Maimie non avesse parlato immediatamente presto sarebbero caduti a terra. "vorrei poter riavere la mia casetta, quella che le fate mi costruirono la prima notte che rimasi chiusa nel giardino, per favore!"
Campanellino si portò le manine sul mento con fare pensoso. Corrucciò la bocca e si concentrò. All'improvviso sorrise e corse fuori dalla finestra. Tornò nella stanza mentre tra le mani aveva un mucchietto di neve che aveva preso chissà dove dato che, quella sera, di neve non ce n'era la minima traccia. Nella stanza la luce aumentò pian piano mentre la neve tra le mani di Campanellino si illuminava di una luce bluastra. Quando la luce fu troppo forte Peter e Maimie furono costretti a chiudere gli occhi che riaprirono solo quando furono certi che nella stanza era tornato il candore rossastro proveniente dall'unica fonte di luce li dentro oltre a Campanellino: il camino.
Ai piedi del letto, addossata alla parete c'era la casetta costruita dalle fate per Maimie durante la prima notte nei giardini. Era esattamente come la ricordava solamente un pò più grande da permettere alla bimba, ormai cresciuta, di entrarci comodamente. Era bellissima. Era lei. Era la sua casetta.
Maimie non sapeva come ringraziare, era lì in piedi a bocca aperta davanti alla porticina che guardava Campanellino cercando le parole giuste. Chiuse gli occhi e sospirò un impercettibile "Grazie!" prima di scoppiare in lacrime di gioia.
Peter e Campanellino non volevano disturbarla, volevano che restasse li con il suo sogno ad un palmo dal naso così cominciarono ad allontanarsi. Erano quasi alla finestra quando Maimie afferrò la mano di Peter ricordando proprio quei momenti in cui lei lo cercava per sentirsi protetta. Peter sorrise e si girò verso di lei che non piangeva più ma sorrideva felice. Davvero felice.




SA

Buongiorno, oggi un pò più tardi del solito. Ho appena finito di pranzare e vedere un film un pò...strano. Questi sono due dei capitoli ai quali tenevo di più. Maimie è la figura, dopo Uncino e Peter, che più mi affascinava della favola. M'incuriosiva del perchè Barry avesse scelto lei e non Tommy, il fratellino di lei. Ho cercato di rispondermi più volte ma non sono ancora riuscita a trovare una risposta decente.
Spero vi sia piaciuto, volevo che Peter avesse la possibilità di capire cosa volesse dire davvero crescere e volevo che il lettore capisse che per lui, restare bambino, non è un capriccio, è una realtà ben radicata e motivata.
Aspetto i vostri commenti:)
Buon pomeriggio!

Ps: grazie a chi legge, chi preferisce e a chi recensisce! Un bacio!!!

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


cAPITOLO 7













"Peter...Peter!"
"Non stavo dormendo!"
"Si...come sempre.."
Nel frattempo che Peter parlava con Maimie, sull'isola, il tempo scorreva veloce. La notte era passata e, quando il bambino fece ritorno sull'isola, i primi chiarori dell'alba facevano capolino dal mare. Svegliarsi fu un' impresa. Era più di un ora che Wendy stava china su di lui e lo chiamava, aveva provato anche con degli schiaffi ma con nessun risultato. Alla fine aveva urlato e Peter era riuscito a sentirla nei suoi sogni e, come ogni mattina, giurava di essere già sveglio.
"Peter noi andiamo al campo, vieni con noi?"
"No, io devo fare una cosa, ci vediamo dopo Wendy" leggiadro uscì dalla tana e volò verso il mare. Si mise seduto sulla sabbia e aspettò che succedesse.
Il mare era una tavola, quella mattina, e rifletteva i raggi del sole rischiarando l'enorme massa blu che lo componeva, frammentando i suoi colori in miriadi di sfumature. Impercettibilmente il mare cominciò a gonfiarsi, cose se respirasse, le onde da flebili increpature divennero alte e violente. Si arrotolavano su se stesse formando degli enormi riccioli che, una volta sciolti, lasciavano come segno del loro passaggio una scia di schiuma bianca e morbida.
Le parole di Maimie avevano lasciato in Peter una profonda cicatrice, non di quelle che si fanno i bambini cadendo a terra e che impiegano pochi giorni a rimargiarsi. Quelle cicatrici lasciano solamente piccoli segni bianchi, quasi impercettibili. La cicatrice che Maimie aveva lasciato in Peter era qualcosa di più profondo e radicato, sentiva il suo effetto lungo tutto il corpo. Aveva avuto difficoltà a volare quella sera, non perchè non avesse pensieri felici, solamente sentiva il peso del suo corpo. Vedere quegli occhi così com'erano una volta su quel corpo così diverso.
Il mare gridava. Tuonava. Ben in vista c'era il suo polmone, un piccolo isolotto poco distante dalla costa completamente ricoperto di conchiglie e strane creature marine. Il perchè lo chiamassero polmone era comprensibile, dato che quel piccolo pezzo di terra si alzava e si abbassava come se si stesse nutrendo d'aria pulita ed espellesse quella cattiva. Una volta Peter c'era stato, aveva solleticato il polmone del mare e giurò di aver sentito uno strano rumore provenire dalle profondità di esso. Come conseguenza a quel rumore si creò sulla superfice un veloce vortice che sparì dopo pochi secondi. Alcuni uccelli, che assistirono alla scena, spiegarono a Peter che aveva causato uno starnuto al mare e che presto lo avrebbe punito.
Ovviamente il mare non punì mai Peter, poichè il ragazzo aveva il totale rispetto per quella natura che gli faceva da casa. Con il mare in particolare aveva un rapporto speciale. Era stato la sua culla i primi giorni sull'isola, le sue onde lo avevano accompagnato nel sonno e la leggera brezza mattutina lo avevano destato dolcemente dai suoi sogni. Il mare aveva regalato a Peter il dono di comprendere la sua voce poichè ormai entrambi non potevano fare a meno della rispettiva compagnia.
Ai lettori poco attenti sembrerà impossibile. Ma io vorrei ricordare loro che siamo in un posto speciale e che stiamo parlando di un ragazzo dalle incredibili capacità. Quanti di voi non si sono mai ritrovati a cercare conforto in qualcosa che non fosse una persona? Che sia una giornata al parco sotto l'ombra fresca di un albero; che sia sul proprio letto, chiuso tra le mura di una casa; anche il narratore ammetterà di aver cercato rifugio in qualcosa di più grande di lui che potesse dargli maggiore conforto.
Immaginate il mare, nella sua piena grandezza. Immaginate quella voce così felbile ma paradossalmente possente. Immaginate il vostro corpo, disteso sulla spiaggia e le vostre orecchie protese verso quel rumore che chiameremo suono. Chiudete gli occhi e dimenticatevi di essere materia, fondetevi con l'aria, con la sabbia, con l'acqua e con quel suono dolce e vellutato. Non potete non essere in sintonia con quell'atmosfera, entra dentro di voi mutando ogni singola molecola che compone il vostro corpo. Il tuo sangue diventa più fluido e trasparente e non senti più quel peso che ti affannava il respiro. Il mare depura la tua anima, ti libera dal peso dei tuoi pensieri e non ti fa sentire solo.
Peter ha un modo di parlare con il mare. Lui si siede sulla sabbia e chiude gli occhi aspettando che esso si gonfi e si faccia furia, così da essere in totale sintonia con la burrasca che si scatena dentro il petto del ragazzo. I loro pensieri si uniscono e le loro voci si bilanciano, diventando un unico suono. Peter prende il suo piffero e suona. Suona fino a quando non ha più fiato. Il mare lo ascolta comprendendo quel suono e mutandolo in parole. Non pensate che le parole del mare siano come le comuni e umane parole. Quella distesa infinita nasconde più segreti di qualsiasi altro essere vivente e non. Se parlasse lingue comuni quei segreti sarebbero gettati al vento e lui finirebbe di essere quel grande rifugio che adesso è. No, le sue parole sono sconosciute a tutti, anche allo stesso Peter, lui ha solo un modo per comprendere quello che il mare vuole comunicargli. Si limita li il dono di Peter.
Vi prego di non sottovalutare questo dono poichè è molto più grande di quanto pensiate. Le parole del narratore non possono spiegarvi l'immenso valore di ciò che il mare ha fatto rivelando parte di se a Peter. So solo che a noi umani questo dono è totalmente privato, perchè le risposte che noi cerchiamo non possiamo ottenerle. Non cerchiamo risposte, solamente nuove domande. Perciò anche se il mare ci provasse, a comunicare con noi, noi non saremmo mai pronti alle sue risposte.
Peter mise fine al flusso dei suoi pensieri e cercò di lasciarsi andare. Prese il piffero e cominciò a suonare la melodia più dolce che orecchie umane potrebbero mai ascoltare.
Portava in se la freschezza della neve, la leggerezza del vento e la forza distruttrice del fuoco. Portava sulle onde delle sue note la forza cullatrice delle onde del mare. Non c'era elemento che sfuggisse a Peter, non c'era momento in cui lui distogliesse l'attenzione da tutto ciò che lo circondava. Chiunque avesse avuto la mia stessa fortuna, ovvero chiunque avesse avuto modo di osservare ed ascoltare, sarebbe rimasto incantato da quelle note così pulite e leggere.
Il mare si calmò poichè Peter quella sera non era agitato. Sentimento nuovo costellava la mente di Peter, forse potremmo definirla rassegnazione. Dare nomi ai sentimenti di un bambino è assolutamente restrittivo poichè i bamnini provano sentimenti assolutamente al di là di ogni immaginario.
Peter aveva domande, eccome se ne aveva.
Quella sera c'era altro che turbava Peter: la risposta a quelle domande. Aveva ascoltato storie di ogni genere. Sapeva cosa voleva dire crescere, certo che lo sapeva. Ma Maimie quella sera lo aveva messo di fronte ad un'altra realtà. Lui e Maimie erano esattamente la stessa persona, si sentivano così simili e vicini, era per questo che Peter avrebbe voluto che restasse con lui, nei Giardini, e che non lo lasciasse per tornare a casa dalla mamma. Ma lei lo aveva lasciato e gli aveva detto che doveva tornare ma che sarebbe andata a salutarlo più volte. Da allora Peter fa quella stessa promessa a tutti coloro che vanno sull'isola per poi lasciarli con il ricordo di Peter Pan per sempre impresso nelle loro menti. Peter è consapevole del conforto che danno quelle parole, ma nella mente di un adulto presto quei ricordi svaniscono e l'assenza di Peter viene giustificata con l'assenza di ricordi su di lui. Peter invece ricordava Maimie, lui la sentiva vicnino ogni giorno. I bambini non dimenticano mai i propri compagni di giochi. Ognuno di loro ha qualcosa che rimane impressa nella mente degli altri bambini, così quando un bambino guarderà un pallone ricorderà del suo amico così tanto bravo a giocare col pallone. Ci sono tanti meccanismi che scattano e regolano i pensieri di piccoli umani, nessuno di noi potrebbe dare una spiegazione sensata ad ognuno di essi.
Ovviamente il ricordo di Maimie era un ricordo felice per Peter, ma la realtà a cui quella donna lo aveva posto di fronte era così troppo....vera. Peter aveva sentito la sua pelle arricciarsi e il suo corpo crescere, aveva sentito il peso delle responsabilità e perfino il piacere scorrergli nelle vene. Per quanto fosse impossibile il ragazzo provò anche il dolore di un parto, sensazione per sempre sconosciuta agli uomini. Quelle sensazioni si erano riversate nella mente di Peter tutte insieme e avevano avuto l'effetto di una bomba.
Era spaesato, si sentiva strano, pieno. La sera prima aveva vissuto qualcosa di assolutamente incredibile, i medici sarebbero capaci di dire che il sistema nervoso di Peter in quel momento era fuori uso, inefficente poichè compresso da emozioni assolutamente inadatte alla mente di un bambino.
Questo forse potrebbe succedere ad un bambino normale, ma Peter non era normale, ovviamente.
Quelle sensazioni inadatte a un bambino comune, in lui formavano esperienze. Peter adesso non aveva più nulla da perdere. Era stato bimbo, poi era cresciuto ed ora aveva finalmente scelto definitivamente che, essere bambino, era davvero ciò che avrebbe voluto continuare a fare per sempre. Non avrebbe potuto spiegarlo a nessuno, come avrebbe fatto? Con quali parole avrebbe spiegato loro il modo in cui una sera era cresciuto e come in quella sera stessa aveva deciso di tornare bambino?
Era decisamente difficile. E sicuramente qualsiasi mente umana avrebbe rigettato quell'idea, giudicando Peter pazzo. Un bambino pazzo, non ho mai compreso come si potesse dare ad un bambino del pazzo.
Il mare cercava il vero problema che si celava in Peter. Fluiva in lui e scorreva per il suo corpo.
Maimie era cresciuta. Maimie era invecchiata e lui era li sull'isola ancora bambino ancora felice. Prese la foto e la strinse tra le mani.
Il mare fuoriuscì dalle sue dita e cominciò a vorticare intorno al volto di Maimie.
Lei è cresciuta ed era felice, Peter lo sapeva, lo aveva visto. Aveva visto un pò di tristezza nei suoi occhi, certo, ma è bastato davvero poco per farla tornare come prima. Per farla sorridere come in quella foto, dove le sue guance erano rosse e morbide e dove i suoi occhi brillavano contenti e agli angoli della bocca comparivano due fossette appena accennate. Peter si stava chiedendo cosa fosse per tutti i bambini che vanno sull'isola. Si stava chiedendo se fosse giusto chiedere loro di rimanere sull'isola e di non crescere con lui. Si stava chiedendo se fosse giusto obbligarli a dimenticare la mamma e il papà, in fondo non tutti i genitori sono cattivi. I genitori di Wendy non avevano chiuso la finestra. I genitori di Wendy non si erano dimenticati dei loro bambini.
Lui aveva deciso di stare via perchè sapeva che i suoi genitori lo avevano dimenticato, ma se gli altri sarebbero voluti andare via glielo avrebbe permesso.
Maimie glielo aveva fatto capire. Se lei era cresciuta ed ora era felice, allora, anche gli altri bambini lo sarebbero stati.
Aveva la soluzione, forse aveva davvero trovato la domanda che cercava.
"E se gli dicessi che possono tornare a casa?"
Si stava alzando e stava per spiccare il volo verso il campo quando qualcosa lo attirò a terra. Il mare lo aveva riportato giù e lo aveva messo davanti ad una più dura realtà.
"Sai che resterai solo?"
Non ci aveva pensato. Ecco che il cambiamento repentino dell'umore di un bambino stava di nuovo avvenendo nella testa di Peter. Non voleva restare solo, non era giusto, lui aveva fatto così tanto per gli altri. Gli aveva dato una casa, gli aveva salvati dalle carrozzine e gli aveva isegnato a volare e ad avere sempre pensieri felici. Loro stavano bene sull'isola e non gli avevano mai chiesto di tornare a casa dalle loro mamme quindi era inutile che chiedesse loro di tornare a casa. Non voleva che lo lasciassero li da solo, non perchè avesse bisogno di loro, non lo avrebbe mai ammesso Peter. Il motivo era che, senza di loro, non avrebbe avuto altri con cui giocare.
I bambini, creature angeliche e diaboliche allo stesso tempo, capaci di cambiare idea in una frazione di secondo ed estremamente intelligenti. Riescono a percepire la verità con estrema semplicità e, in un modo assolutamente inconcepibile, riescono a giostrarla come vogliono. Sono egoisti, capricciosi, eppure riescono a fare la felicità di ognuno di noi. Esseri sensazionali.
Peter Pan sapeva che un giorno sarebbero tornati a casa e decise che non li avrebbe fermati. Ma fino ad allora lui non avrebbe dato motivo loro di pensare ad una cosa del genere. Il giusto compromesso.



 SA


Buongioooooooooooooorno mondo!  Ma quanto è difficile riuscire a stare tranquilli in questi giorni? La qui presente Lisa non sta molto bene!
Comunqueeee...questo capitolo è stato scritto con anima, mente e corpo. Il mare, ma che cosa bellissima può esere il mare eh? Non avevo parole per descriverlo, ho pensato a tutto, davvero tutto ma non ci riuscivo. oi alla fine ho scritto queste poche parole sperando che nessuno mi fucile per una descrizione così rstrittiva. Sta quasi per concludersi la storia, siamo a poco più della sua metà! Ed io ho queste due persone fantastiche che continuano a recensire regalandomi parole bellissime ogni volta!!! Ili_Sere_nere e Black ice. Grazieeeeee!!!!!!
Grazie anche a chi segue, mi piacerebbe tanto se lasciaste un piccolo commento, segno del vostro passaggio. Non fa mai male qualche consiglio!
Buona giornata a tutti!


Spoilerino, ino, ino:

"Wendy aspetta..." La bambina si fermò e si girò a guardare Peter.
"Cosa c'è?" Gli occhi le brillavano, sperava avesse cambiato idea. Si sbagliava. Peter voleva capire una cosa che forse non avrebbe capito mai da solo.
"Devo chiederti una cosa..." Guardava per terra, si vergognava un pò forse, per lui era tutto un gioco ma quella sera il gioco si stava facendo troppo reale e così pensò di concluderlo per bene "...mi potresti raccontare dell'amore Wendy?"


Per chi vuole c'è anche quest'altra mia storia piccina piccina pronta ad essere letta da voi:)Wish you were here.


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Capitolo 9
*** Addio Peter (capitolo 8) ***


capitolo 8







Giorno della partenza:

Peter:

Quel giorno arrivò più veloce che mai e, come si era ripromesso, non avrebbe mai chiesto loro di restare. Wendy li aveva tirati tutti verso di se, adesso Peter sarebbe rimasto davvero solo sull'isola. I bimbi sperduti volevano tornare a casa, si erano ricordati tutti delle loro mamme e volevano che Wendy li riportasse da loro. Wendy aveva accettato, ovviamente, e aveva cercato di convincere Peter con tutta se stessa, senza alcun risultato.
"Devo restare qui per i bambini che verranno, sai che ce ne saranno tanti, i bambini cadono sempre dalle carrozzine e tutti loro vorranno volare fin qui. Se voi volete andare andate ma lasciate stare me. Vi accompagnerò a casa e poi me ne andrò." Peter era seduto sul suo trono e suonava il piffero, note rotte, dure, direi quasi aspre. Era un suono che rispecchiava benissimo il suo umore. Non era triste, sapeva, era consapevole che doveva succedere. Era infastidito da Wendy, perchè provava a convincere lui.Perchè ciò che diceva non aveva senso. O almeno, non avevano senso per un bambino. Wendy parlava da adulta e Peter si rifiutava di comprenderla.
"Peter, potrò tornare sull'isola ogni tanto?"
"No, Wendy, quando vai via non puoi tornare."
"Ah..capisco..." Wendy lasciò la medicina sul tavolo perchè Peter la prendesse e cominciò a camminare verso l'esterno della tana, dove gli altri l'aspettavano già pronti a partire. Molti dei bambini non avevano nemmeno salutato Peter. E' inutile ripetervi l'uso comune dei bambini di dimenticarsi all'istante di ciò che li ha fatti felici prima, nel momento in cui c'è qualcos'altro che li fa felici adesso.
"Wendy, aspetta..." La bambina si fermò e si girò a guardare Peter.
"Cosa c'è?" Gli occhi le brillavano, sperava avesse cambiato idea. Si sbagliava. Peter voleva capire una cosa che forse non avrebbe capito mai da solo.
"Devo chiederti una cosa..." Guardava per terra, si vergognava un pò, forse, per lui era tutto un gioco ma quella sera il gioco si stava facendo troppo reale e così, pensò di concluderlo per bene "...mi potresti raccontare dell'amore Wendy?"
La piccola, ormai adulta, sgranò gli occhi, stupita, e si mise accanto a Peter cercando di raccogliere qualche storia per spiegare al ragazzo che aveva di fianco, cosa provasse lei per lui. Sapete, qui il narratore ha qualche dubbio. Credo che la bambina abbia da sempre confuso l'enorme ammirazione che provava per Peter come amore, come infatuazione. Lei era ormai adulta e l'amore che provava non era quello che una bambina prova per un altro bambino, ovvero quell'amore infantile, ingenuo e disinteressato. Peter avrebbe accettato quell'amore, lui lo conosceva, poichè era quello che lui provava per Wendy. L'amore che Wendy provava era diverso. Un amore che Peter non avrebbe potuto provare. La sera in cui Wendy era stata portata sulla nave di Uncino, lui le aveva chiesto di diventare una pirata e di restare sulla nave. So che vorreste che io vi dicessi che lei non ci ha nemmeno pensato ma sapete che non è così. Conoscete Wendy, sa essere molto capricciosa ed egoista quando vuole e quella sera lo è stata più di ogni altra volta.
Era stata ammaliata dagli occhi di quell'uomo. Lui la faceva sentire grande, importante. Le aveva parlato di sentimenti, di amore. Sentimenti di cui con Peter non avrebbe mai potuto parlare, perchè lo riteneva incapace di provarne. Era per Uncino che Wendy cominciava a provare quell'accenno di amore adulto fatto di tormenti e frasi non dette. Il dubbio del narratore è esattamente questo. Ma di certo non scalfisce ciò che Wendy disse a Peter, poichè di amore adulto Wendy, comunque, ne sapeva qualcosa in più del ragazzo, è solo che non sapeva verso chi era rivolto.
"Sai Peter, l'amore e l'amicizia, sono due cose fin troppo simili. Diciamo che sono due sfumatoure dello stesso ed identico colore, una un pò più chiara ed una leggermente più scura ed intensa. Un colore non può fare a meno di nessuna di queste sfumature. Una tela avrà sempre il suo chiaro-scuro. Una foto sarà sempre bianca e nera. Ogni cosa ha delle sue sfaccettature e i nostri sentimenti principali giocano tutti su queste due sfumature. E ovviamente queste due sfumature possono scambiarsi facilmente. Spesso un amore diventa amicizia o viceversa un'amicizia diventa un amore."
"Ti accorgi di amare una persona quando guardi i suoi occhi e sai che non potresti mai smettere di farlo, quando riesci a capire che non riusciresti nemmeno a chiudere i tuoi ed interrompere, per un secondo, il contatto con i suoi. Ad un suo piccolo gesto verso di te il cuore comincia a battere forte, senti il calore percorrere il corpo, la testa girare leggera e le guance arrossarsi. Probabilmente qualcuno ti dirà che brilli più del solito, che i tuoi occhi hanno una luce diversa e che non ci sei più con la testa. Hai degli atteggiamenti esagerati, la voce si alza in sua presenza e gesticoli come un burattino nella mani di un burattinaio ubriaco. Mamma diceva che si è innamorata di papà perchè la faceva sorridere. Beh quello è il passo decisivo, se un ragazzo fa ridere una ragazza, vuol dire che lei sta bene con lui. Probabilmente lei ride perchè si sente al sicuro, perchè sa che con lui sta bene e che tutto il resto non conta. Lei ride perchè si sente libera, leggera, e, se ride sinceramente, non c'è più nulla che può fermarla."
"Amare in fin dei conti significa sentirsi liberi di dire ciò che si pensa. I segreti non esistono perchè sai che, in un modo o nell'altro, lui ti capirà o almeno ci proverà. Vedi è un pò come nell'amicizia, ma nell'amore c'è una cosa in più che, nell'amicizia, è solo accennato. Il bisogno fisico. Sai, fino a ieri non capivo cosa volesse dire, ma oggi che i ricordi sono riaffiorati del tutto, ricordo bene quello che mamma cercò di spiegarmi tra un rossore e colpo di tosse. Quando ami una persona sei legata a lei con il cuore o con la mente. Quando ami una persona senti il bisogno di condividere tutto con lei, anche te stesso. Siamo come due pezzi di puzzle che devono essere uniti. Si, è esattamente così."
Peter cercava di capire e, nel farlo, ricordava ciò che Maimie gli aveva raccontato di se e dell'uomo nella foto. Così riuscì a farsi un'idea di ciò che Wendy intendeva. Come ogni bambino, Wendy si sarebbe aspettata che Peter si schifasse o s'indignasse.
"Si possono amare più persone? Insomma puoi provare tutto questo per persone diverse?"
Sapeva sempre come stupirla.
"Questo non lo so. Penso sia possibile, si. Penso che anche l'amore possa avere milioni di sfumature. Può capitare che tu abbia altri pezzi di puzzle con cui possa combaciare. Si giustificherebbero molte cose, ma credo che l'amore vero sia sempre verso un'unica persona e, credo, sia verso quella di cui ami anche i difetti. Sono sempre quelle caratteristiche che distinguono le persone, ognuno può avere infiniti pregi ma, stranamente, sono sempre i difetti che colpiscono più di tutto. Se impari ad amare quelli più di altro, allora hai trovato la persona che amerai tutta la vita. E a quel punto penso scompaiano anche gli altri pezzi di puzzle."
Wendy si era alzata in piedi e camminava per la tana ancora immersa in quelle parole appena dette. Pensava alla reale possibilità di amare due persone e di come si sarebbe comportata lei, in tal caso. E se non riuscisse a scegliere? Troppo difficile scegliere tra due persone fantastiche...troppo difficile...
"Grazie Wendy!" I suoi pensieri vennero interroti da Peter che la guardava soddisfatto. Adesso sapeva cosa significava amare, sapeva quanto fosse difficile scegliere e di quanto fosse importante quella scelta. Tutta la vita è un tempo così lungo, soprattutto per lui. Non avrebbe mai sopportato il fatto di scegliere la persona sbagliata. Ripensò a quando aveva chiesto a Maimie di sposarlo, non aveva provato nulla di ciò che Wendy gli aveva descritto, era più semplice. Stava bene e voleva continuare a stare bene con Maimie, cosa c'era di più semplice e giusto di così? I bambini, creature fantastiche.
Wendy uscì dalla tana lasciando che Peter la guardasse uscire per sempre da quella stanza, da quel posto e dalla sua vita. Per sempre.

Uncino:

Li aveva catturati uno per uno, fuori dalla tana. Finalmente ce l'aveva fatta, li aveva tutti, mancava solo lui. Ora avrebbe potuto ucciderlo e vendicarsi per tutto quello che gli aveva fatto passare in quei lunghi ed infiniti anni. L'uncino ribolliva di rabbia, desideroso di afferrare Peter per i capelli e mettere fine a quell'estenuante lotta contro la forza di gravità.
Non era riuscito ad arrivare a lui direttamente, dormiva nella tana. Anche per Uncino sarebbe stato troppo crudele ucciderlo lì mentre era indifeso. Era disonorevole per due come loro, il loro duello aveva bisogno di una conclusione teatrale. Al calo del sipario si sarebbe dovuto sentire un coro di applausi scoppiare fragorosi nella sala. Perciò lasciò cadere gocce di quel suo veleno micidiale nella medicina di Wendy.
Non si sarebbe mai aspettato che una piccola fata si sarebbe messa in mezzo e avrebbe salvato il suo compagno.
Quando se lo ritrovò davanti agli occhi sulla nave, ogni sua speranza di chiudere con qull'atto il sipario erano svanite, c'era ancora un altro atto da recitare e si sarebbe concluso con la morte di lui o con quella di Peter.
Peter volava e lui era a terra era una lotta affatto equilibrata. Campanellino ebbe la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Uncino usò la sua polvere per librarsi in aria sospinto dai quei suoi pensieri felici così tanto atroci per qualsiasi altra persona sana di mente. Lottavano da un tempo interminabile. Il cielo era il loro palcoscenico, si era colorato di un blu intenso con sfumature rosee. Le luci erano calate e un grande occhio di bue era stato rivolto verso quei due, che si sorridevano l'un l'altro, coscenti di essere i veri protagonisti della storia.
Ci fu un black-out. L'occhio di bue si spense e la scena venne illuminata dalla scarsa luce delle stelle che, piano piano, facevano capolino nel cielo. I due si fermarono per riprendere fiato, ma nessuno voleva ricominciare a combattere. Quella lotta andava avanti da troppo ed ora che stava per finire, si resero conto che c'era qualcosa che si dovevano dire. Qualcosa di davvero importante.
Si posarono sull'albero maestro della nave, coperti dall'enorme vela bianca. Pesavano le parole e sceglievano il punto da dove cominciare, nessuno dei due sapeva quale fosse quello giusto, così, uno dei due partì da un punto qualsiasi e parlò.
"Pan, così è la fine eh?" sospirò.."da quanto va avanti questa storia? Io non lo ricordo più. Non combatto più con un motivo preciso, l'uncino ormai fa parte di me, anzi dovrei quasi ringraziarti perchè questo arnese mi è molto più utile di quanto pensassi. Prima ero mosso solo dalla rabbia generata dall'enorme torto che mi avevi fatto, lottavo perchè, per colpa tua, dovevo vivere con il terrore per quel dannatto coccodrillo, lottavo perchè volevo indietro il mio onore. Lottavo con te perchè tu avevi tutto quello che io avrei sempre voluto avere. Si, proprio così. Pan, sono adulto ed ho molte di quelle cose che tu non potrai mai avere, ma questo non mi consola. Tu sei felice qui. Tu hai molte delle fortune che io non ho mai potuto avere. Guarda i tuoi compagni: si fidano davvero di te, non è il terrore che li muove. E' l'avventura, è la voglia di starti accanto, divertirsi con te. Bambini, voi siete bambini. Siete leggeri, liberi, spensierati. Nessun tormento si nasconde nelle vostre menti, i piccoli problemi di ogni giorno spariscono, lasciando spazio a emozioni e sensazioni fin troppo grandi anche solo per la mia immaginazione. Tu hai Wendy, una mamma. A me mancano questi affetti, manca chi si possa preoccupare di me. Posso contare solo su me stesso. Sono solo Pan."
"Non sei solo Uncino, ci sono io" ovvio no?
"Come puoi dire questo?"
"Fin quando uno dei due sarà vivo, entrambi avremo un obbiettivo: uccidere l'altro. Le giornate saranno piene, il tempo scorrerà tesssendo una strategia dopo l'altra. Tu luciderai i tuoi Uncini, avrai i giusti motivi. Come puoi dire di non avre nulla? Tu hai un obbiettivo. Una volta che porterai a termine questo obbiettivo un altro prenderà il suo posto. Per me tutto questo è solo divertimento ma per voi adulti è sempre tutto diverso e più complicato, come se ci fossero milioni di sensi per ogni situazione."
Uncino lo guardava pensieroso, aveva ragione. Peter aveva ragione. Quella battaglia andava finita. Aveva un compito, un obbiettivo. Una certezza.
La luce si riaccese, lo scontro doveva riprendere, l'atto finale era stato ormai scritto.
I due si alzarono. Uncino impugnò la sua spada con rinnovata determinazione. Si mise di fronte a Peter e cominciò a danzare con la sua lama. Dalla nave si vedevano i riflessi delle due lame che s'intrecciavano e si strecciavano. Era una danza lenta, poi veloce. Il mare cominciò ad agitarsi. In cielo le nuvole si disposero in vortice al cui centro accoglieva le due figure, ormai indistinte, impegnate in qualcosa di estremamente grande ed importante. Qualcosa di intimo e profondo. Era uno scontro tra persone magnifiche, uno scontro tra bene e male mascherati da pirata e da bambino. Bene e male che volteggiavano tra un corpo ed un altro. Bene e male che si mischiavano distruggendo ogni legge, ogni senso comune.
Sapevano entrambi come sarebbe andata a finire. Il bambino doveva sopravvivere, il bambino era la speranza. Il bambino era sogno, imaginazione, favola. Era il bacio della buonanotte della mamma. Uncino era l'ombra che si celava negli incubi dei bambini e, di ombre, le stanze ne erano piene. Uncino doveva morire.
In qualche modo lo sapeva anche lui, Uncino, ed era pronto. Consapevole del ruolo che aveva avuto in quella storia. Il sipario stava per calare sulle sue spalle ritraendo un Peter Pan vincitore.
Ecco la fine. La sente Uncino. Incombe sempre più su di lui. La tenda rossa di velluto stava calando. Sentì il suo morbido tessuto sfiorargli la pelle.
Eppure, non aveva paura. Non temeva la morte. Uncino l'aveva sempre rincorsa, sapeva che faccia aveva. L'aveva incontrata spesso negli occhi di chi riusciva ad assaggiare il suo uncino. Ci aveva discusso, ne aveva pesato le sfaccettature. Adesso si trovava di fronte ai suoi occhi, di nuovo, con l'unica differenza che, questa volta, ad essere accolto fra le sue braccia, era lui stesso. Lui portatore di morte, si lasciò cullare leggiadro tra le braccia della nera incappucciata. Avrebbe voluto spiegare a Peter cosa volesse dire, cosa fosse poter morire. Avrebbe voluto dirgli che era vero, morire può essere una grandiosa avventura. L'ultima..grandiosa..avventura.




SA

Giorno a tutti! Questa notte è stata un tormento, non c'è una notte in cui non faccio incubi catastrofici. Non ce la faccio più, mi sveglio più stanca di quando mi sono addormentata.
Siamo veramente quasi giunti alla fine della storia, adesso ci saranno dei capitoli molto simili tra loro, con i diversi punti di vista dei protagonisti. Ognuno avrà un tipo di contatto con Peter, molto personale. Oggi avete visto la partenza dei bambini e la morte di Uncino, nel prossimo capitolo vedrete due personaggi che volevo esaltare in maniera più evidente di quanto avesse fatto Barry. Specialmente uno.
Grazie mille per essere arrivati fin qui.
Grazie a chi legge, a chi segue, chi preferisce e a chi recensisce. Una catasta di pensieri felici per voi(magari anche per me).
Goodbye my darling!

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Capitolo 10
*** Watercolor(capitolo 9) ***


Capitolo 9







Giorno del ritorno:

Sign. ra Darling:

I suoi occhi, dolci e premurosi, guardavano il cielo alla ricerca di quei tre puntini indistinti che erano i suoi figli. Gli occhi stanchi, occhi colmi di lacrime e speranze. Occhi carichi di sogni vissuti e dimenticati. Lei sapeva, lei sentiva. Percepiva la grandezza di quel posto, percepiva l'entusiasmo che avevano lasciato i suoi bambini sull'uscio della finestra. Intrappolato tra quel mondo e la loro fantasia. Stava lì, seduta, ad aspettare con un braccio teso verso la finestra a sfiorare quel leggero ed impercettibile muro di entusiasmo. Le sue dita scomparivano mentre nella sua immaginazione comparivano visi familiari, visi che le ricordavano quanto fosse stata felice e quanto le mancassero quelle emozioni così vive e forti.
Era combattuta, lo si capiva. Avrebbe voluto con tutta se stessa avere la possibilità di raggiungere la sua piccola. In cuor suo era preoccupata. Ma nella sua mente, la sua immaginazione, tesseva una ragnatela di gelosia ed invidia. Qualcosa che si avvicinasse a quei sentimenti tanto vicini e naturali ai bambini. La sua fantasia la stava portando da loro, mentre il suo corpo la inchiodava su quella sedia e alle sue responsabilità.
Era adulta ormai, lo sapeva. Ma non poteva lasciar andare via quelle fantastiche sensazioni che le permettevano di meravigliarsi ancora del mondo. Doveva contenerle certo, ma non lasciarle per sempre. In quel momento, però, esse stavano prendendo il sopravvento, qualcosa nella donna stava cambiando. Riaffiorando.
Vedeva quegli occhi guardarla, osservarla. La stavano studiando, lo sapeva. Cercavano un motivo per cui quella finestra fosse ancora aperta. Vi leggeva paura, speranza e un leggero velo di malinconia. Il suo cuore di mamma avrebbe voluto prendere il suo viso e stringerlo al petto. Cullarlo tra le braccia e donargli calore, amore. Amore che gli era stato privato. Amore da cui era stato tradito. Voleva fargli capire che crescere in un mondo come il suo non fosse così tremendo.
Lo guardò a lungo e capì che non sarebbe servito tutto questo. Lui era speciale. Lui era fantasia, sogno. Lui era tutto ciò che lei cercava, tutto ciò di cui aveva bisogno e che sentiva perduto in sè. Lei sapeva che quel ragazzo le avrebbe risposto...
"No signora non serve. Ho avuto una mamma e mi ha lasciato, dimenticato. Ho capito cos'è la vita, l'ho provata, sentita. Ho deciso di restare così, ho deciso che non voglio le vostre preoccupazioni, non voglio rimpianti. Voglio la gioia, la semplicità e le emozioni  più forti. La meraviglia alberga nel mio cuore, l'entusiasmo fa muovere il mio corpo e le mie ali sono piene dei vostri sogni."
Sentì chiare quelle parole risuonare nella sua testa. Quegli occhi continuavano a guardarla. Li stava immaginando? Che cosa sarebbe cambiato? Lo guardava, guardava lui o il suo spettro, questo non contava. La cosa importante era quello che il suo cuore le diceva. Voleva tendere la mano verso di lui, chiedere di portarla via con se. Voleva tornare in quel posto...ma quale posto? Chi era quello sguardo così attento che la guardava? Da dove nascevano quei sentimenti, quei desideri?
Il dubbio, la confusione...la ragione, la riportarono alla realtà. Sentì delle urla provenire dal centro della stanza e sentì la veste sfuggire dalla sedia. Si girò e quegli occhi sognatori si riempirono di lacrime e gioia. Tutto ciò che era riaffiorato sparì in lei, lasciando il posto a sentimenti che nessuno mai avrebbe saputo o pouto spiegare. Cosa possa provare una madre al momento in cui i suoi bambini tornano a casa..questo era un segreto che nemmeno Peter avrebbe potuto scoprire. Era una domanda che sarebbe rimasta in sospeso su quell'uscio della finestra. Amore all'interno, felicità eterna dall'altra. Troppo sottile la distanza tra le due cose, ma immensamente difficile scegliere se oltrepassare l'uscio.
L'ombra sparì dai suoi occhi, portandosi dietro sogni e speranze e regalando una nota di colore e gioia a quella donna dagli occhi di sogni.



Sig. Darling

La sentiva. La sentiva piangere al piano di sopra. La sentiva pronunciare i loro nomi e sapeva quale dolore le si celava nel cuore. Era consapevole anche delle fantasie che le corredavano la mente, li aveva visti anche lui quegli occhi. Li aveva riconosciuti, fra tutti. Incrociandoli aveva sentito per la prima volta il peso delle sue responsabilità. Per la prima volta chiudere quel cassetto fu impossibile. Era uscito dal lavoro e correva verso casa, sperando che fossero tornati. Voleva abbracciarli, voleva dare un bacio a Wendy, dire loro che era fiero, che le loro favole gli piacevano ma non voleva ammetterlo. Guardava dal finestrino nero della carrozza quando i suoi occhi si soffermarono su di lui. Era in cielo, seduto su di un lampione, circondato da alberi dalle fronde verdi. Come aveva fatto a notarlo? Era perfettamente in sintesi con quei colori. I suoi occhi, lo avevano catturato. Si sentì invaso da una nuova vitalità, da nuove speranze, da gioia ed emozioni che giurava di aver spento molto tempo fa. Era stato difficile, aveva creato quel cassetto proprio per quel motivo, vi nascondeva i propri sogni impedendo loro di condizionare la sua vita fatta di regole e modi di fare. Di nascosto lo apriva, ogni tanto, per godere di quei colori dei quali si era privato. Sapeva che quel cassetto era la cosa più importante della sua vita, conteneva la sua storia, la storia che non avrebbe mai raccontato a nessuno. Quella dove i suoi bambini crescono incuranti dei vicini, godendo ogni anno della loro giocosa infanzia. Quello dove le preoccupazioni non esistevano.
Dannazione, era li, il cassetto si era aperto. Una luce immensa proveniva da lì, la luce di quei sogni che hanno il colore e la forza delle stelle. Si lasciò portare via dal calore tenendo chiuse le mani sul pomello, pronto a chiudere quando sarebbe stato soddisfatto.
Non ce la faceva. Li guardava e non riusciva ad abbandonarli. Cosa aveva fatto quel bambino? Perchè era così difficile. Pensò a cosa gli avrebbe risposto, lui.
"Ti ho ricordato quanto sono importanti i tuoi sogni. Ti ho ricordato che non sei costretto a chiduere così spesso quel cassetto. Ogni tanto puoi prendere qualcosa al suo interno e realizzarlo. La tua vita non è fatta solo di regole e conti, le tue capacità non si limitano a questo. I tuoi sogni, la tua fantasia, devono essere alimento primario per i tuoi bambini. Le responsabilità e le preoccupazioni tagliano le ali all'entusiasmo. L'amore che hai per loro è più importante del giudizio dei vicini o di chi decide del tuo futuro."
Quanto sembrarono reali quelle parole!
Prendere qualcosa e renderlo reale.
Ecco un sogno, ecco una speranza. Pescata tra il nulla ed il tutto di quell'infinito cassetto.
Il cassetto più profondo e colmo che io abbia mai visto.
"Ecco il mio sogno", lo stringeva tra le mani e permetteva che lo deliziasse e che lo rianimasse.
Un urlo dal piano di sopra, una voce che chiama e strilla il suo nome.
Corre, salta le scale. Sembra quasi che stia volando.
Il suo cuore ha smesso di battere e nelle sue vene scorre speranza.
Si ferma davanti alla finestra ignorando tutto e tutti. Nota quel sottile muro. Amore e gioia. Si volta e...
Amore, eccolo. Il cuore ne è colmo. Si abbandona ad esso e si getta a terra facendo crollare qualsiasi congettura. Abbraccia i suoi figli come non avrebbe mai fatto. Stringe le loro teste e piange, piange felice.
I suoi bambini tornati per crescere guardavano un uomo pronto a tornare bambino per loro.
La vita di un uomo, strettamente legata a quella dei suoi figli. La vita di un uomo, non un uomo qualsiasi, un uomo che sogna.



Dedicata a: due persone speciali che mi hanno cresciuta tra sogni e fantasie. Grazie:)

SA
Eccomiiii, un pò in ritardo in verità. Questa mattina ho ripreso un autobus da non so quanto tempo e ammetto che non mi mancava affatto. Questo capitolo l'ho scritto nel giro di poche ore, così di getto è uscito gfuori dalla mia testolina. Volevo far emergere dalla storia due dei personaggi più curiosi che Barry abbia mai creato, forse anche più curiosi degli esseri che vivono sull'isola. Lui e lei, sono i genitori che Peter avrebbe dovuto avere, ho cercato di far capire quanto siano speciali e diversi dal resto del mondo.
Abbiamo detto che questo è il giorno del ritorno, bene, mancano davvero pochissimi capitoli, due o tre mi sembra. Presto la storia sarà conclusa. Grazie per chi mi ha seguita fino a questo punto. Un grazie speciale ad Paolo (Ulisse 999) che dedica delle parole stupende a questa storia! Mi sembrava giusto ringraziarlo in questo modo.
Grazie anche a Serena e Ilaria che sono sempre li a seguirmi ovunque io vada:P
Grazie a chi legge, chi segue e preferisce. Vi chiedo sempre di lasciarmi un commento, anche piccolo. Un buon consiglio non fa mai male.
Un abbraccio.
Lisa

Spoilerino:

"Era da quando suo fratello era morto che si ritrovava ogni anno, sempre di più, a viaggiare in quel posto. Lontano da tutto e da tutti, lontano da quel mondo a cui non apparteneva. Viaggiava con la fantasia, scriveva di lui, di loro. Scriveva di essere speciali, unici. Scriveva perchè non poteva fare altro, perchè quella, da tempo, era la sua unica realtà."

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Capitolo 11
*** Una donna speciale(capitolo 10) ***


capitolo 10












Giorno dell'addio:


Era da quando suo fratello era morto che si ritrovava ogni anno, sempre di più, a viaggiare in quel posto. Lontano da tutto e da tutti, lontano da quel mondo a cui non apparteneva. Viaggiava con la fantasia, scriveva di lui, di loro. Scriveva di essere speciali, unici. Scriveva perchè non poteva fare altro, perchè quella, da tempo, era la sua unica realtà. Non approvavano, solo uno lo appoggiava, e quell'unica persona lo faceva solo per fini economici. Fini estranei a quell'uomo.
Un uomo che desiderava solamente far conoscere a tutti che mondo si celava dietro i suoi occhi. Un uomo che desiderava una vita più libera e felice di quella che viveva.
Quando l'aveva conosciuta, nel parco, sapeva che lei era diversa. Sapeva che c'era qualcosa, in quegli occhi, che lo avrebbe salvato, portato via. I suoi bambini giocavano intorno a lei, erano tre, il più interessante, Peter, era estraneo a tutto quello che facevano i fratelli. Stava seduto a pensare, immaginare. C'era un mondo in quella mente, lo sentiva. I loro pensieri erano in sintonia tra loro.

Quando le strinse la mano per conoscerla. Quando dimostrò ai suoi bambini quanto la fantasia avrebbe potuto salvarli da qualsiasi problema. Quando cercò di farli ridere creando piccoli espedienti, in una situazione difficile. Quando portò a casa sua l'isola che non c'è.
Le dimostrò che non stava scherzando. Che esisteva davvero un posto fantastico dove i sogni diventano reali, dove le fate ti sfiorano il viso. Dove puoi volare, dove puoi sentirti libero e dove i giochi non hanno fine. Dove la felicità è un obbligo e nessuno è capace di privarti di essa.
Peter Pan si muoveva sulla scena, cercava Campanellino e lei seguiva quel ragazzo con occhi davvero felici. Lei ci stava entrando seriamente in quel mondo, ci si stava perdendo e lo stava raggiungendo.
Le strinse la mano e le chiese dove volesse andare. Se quel posto era di suo gradimento. Se volesse conoscere gli indiani. Lei gli chiese di sedersi a terra e respirare quell'aria così bella e lontana dalla realtà che l'aveva accolta fino a quel momento. Chiese lui di restare lì per sempre, di far crescere i suoi bambini in un mondo come quello, privo di crudeltà. Chiese lui di ripetere ai suoi bambini che ci sarà sempre un posto come quello, dove ripararsi quando le cose andranno male, dove trovare la forza per affrontare relatà più dure.
Lui le diede un abbraccio, non osava avvicinarsi di più. Non ne sentiva il bisogno. In quel momento stava condividendo con lei la cosa più grande che il suo cuore potesse creare e avesse mai creato. Voleva vederla davvero felice, per la prima ed ultima volta. Voleva non dimenticare mai quegli occhi così tanto diversi.
La strinse in quell'abbraccio per pochi secondi che sembrarono interminabili e lasciò che, lentamente, lasciasse il suo corpo, si liberasse dal male e dal dolore. Lasciò che il peso tra le sue braccia diminuiva sempre più, fino a diventare leggero come una piuma. Fino a che non sparì per sempre tra quelle stelle luminose del cielo. Lei, la più bella. Lei, di fianco alla luna.
Lei, la seconda stella a destra.

Lui si assunse la responsabilità di mantenere i suoi figli, lui che non aveva più nessuno tranne che quella stella che lo guardava senza mai lasciarlo.
Li fece stare bene, ogni giorno, quando i loro occhi divenivano bui e spenti, lasciava che entrassero nel suo mondo e si lasciassero cullare dalle ali leggere della loro fantasia. Ogni giorno c'era una fata che accarezzava i loro desideri intimandoli a non smettere mai di sognare perchè dietro quei sogni c'è qualcosa di più grande.
Peter era il più attento, il più responsabile. Lui cresceva a vista d'occhio, è come se si stesse sforzando di non essere bambino.
Era riuscito, quando c'era ancora lei, a farlo divertire, a fargli dimenticare il peso delle sue responsabilità. A fargli capire che non era lui a doversi preoccupare in quel modo ma che erano i grandi, gli adulti, a dover pensare a come poterlo far stare bene.
Ma lui si arrabbiava, sgridava quell'uomo così attento a non fargli del male.
Un giorno stava scrivendo nel parco. Quello stesso parco dove non molto tempo prima, così immaginava, aveva incontrato quelle persone così fantastiche. Scriveva di loro, di lui. Scriveva una storia che non avesse fine, pensava che se avesse scritto di una storia senza fine nessuno nella sua vita sarebbe scomparso, nemmeno lui. Quando scriveva quell'uomo, le sue parole vibravano nell'aria, attorno a lui si formava un'atmosfera sospesa come se il tempo si fermasse. Chi si trovava lì vicino riusciva a sentire la voce dei suoi pensieri, i suoi personaggi recitare. Quelli che avevano questa fortuna, andavano in giro raccontando di un uomo capace di far parlare le sue creature, disegnate su pezzi di carta percorsi da sensazioni sconosciute a qualsiasi altro uomo.
Peter si avvicinò a lui, triste. Era davvero triste. Un bambino non dovrebbe avere quegli occhi, un bambino non dovrebbe avere tutto quel peso sulle spalle.
Lui continuava a scrivere osservando Peter con la coda dell'occhio. Il bambino aveva portato con se un piccolo quaderno. Lo riconobbe, era quello che gli aveva dato in regalo tempo prima che accadesse tutto ciò. Voleva diventare uno scrittore, voleva che le sue opere facesero felici i bambini e avrebbe voluto che la sua mamma fosse stata felice leggendo le sue storie.
Le raccontava sottovoce ai fiori del giardino, al cane nel parco, agli uccellini al laghetto. Non voleva che nessun umano lo sentisse, aveva paura della loro serietà, aveva paura che lo rimproverassero, che gli dicessero che fossero storie inutili, quelle, e che la realtà era un'altra.
Lui lo guardava e capiva ciò che pensava. Si era sentito spesso anche lui così, era incredibile quanto fossero così simili. Lui e il bambino, un adulto ed un piccolo esserino.
"Non la dimenticherai lo sai?"
"......."
"Non potrai dimenticarla, non ci riuscirai nemmeno volendolo"
"......"
"Non era una mamma come le altre, era diversa, speciale. Lei ricordava cosa fosse la felicità. Lei sentiva i vostri desideri e cercava di crescervi spingendovi a rincorrere i vostri sogni per vederli, un giorno, realizzarsi davanti ai vostri occhi."
"....."
"Non la dimenticherò. L'isola è per lei, lei è l'unica ad esserci stata. Vuoi andarci Peter?"
".........."
"Cè posto anche per te, sai? Ci sei già stato, ma non te lo ricordi. Hai giocato a fare il pirata, hai giocato a fare l'indiano. Torna ad essere quel bambino Peter. Torna a raccontare le tue storie come facevi con quegli animali. Torna a scrivere di te e dei tuoi fratelli. Scrivi di lei."
".........non so come si fa...."
"Si che lo sai. I bambini possiedono il dono della sincerità, nessuno più di loro saprebbe dire cosa una persona è stata nella sua vita e cosa ha lasciato in chi le è sopravvissuto. Vostra madre era speciale come potresti non sapere cosa scrivere su di lei?"
"Saprei cosa scrivere! Non so farlo!
"Apri il quaderno e prendi una penna. Disegna i suoi occhi, le sue carezze, i suoi abbracci, li ricordi bene Peter? Parla di questo, parla di loro. Racconta la storia di una mamma e dei suoi bambini. Racconta del viaggio sull'isola. Racconta le tue avventure. Non puoi dimenticarla. Lei è in te, ha lasciato a te il compito di ricordare cosa è stata e cosa sarà, per sempre grazie a te."
"Si può scrivere di questo? Si può scrivere di cose che nessuno potrebbe capire mai?"
"Si deve scrivere di questo Peter, non per gli altri, per te stesso, in modo che chi leggerà le tue storie troverà qualcosa di se stesso in una tua parola e potrà dire - questo bambino ha raccontato di me-. E' così che le persone restano per sempre in noi. Tu, tua madre, i tuoi fratelli, diventeranno parte di ognuno di noi e non potranno lasciarla andare via."
Si guardarono per qualche istante, entrambi avevano gli occhi pieni di entusiasmo. Avevano un compito. Sapevano cosa avrebbero scritto. Si lasciarono andare a quel pomeriggio fresco. Le guance solcate dalle lacrime. Era triste non averla più materialmente tra loro. Ma le sue parole risuonavano nelle loro orecchie, il suo porfumo inebriava le loro narici e la sua pelle scivolava leggera sulle loro guance. Ricordavano di lei ogni singolo particolare. Non l'avrebbero lasciata andare via, mai più.
Viveva in loro.
"Era speciale la mamma"
"Si, Peter, lo era per davvero".
Un uomo, si chiamava James. Molti lo ricordano come J.M. Barrie.
Lei lo chiamava Peter Pan. La sua creatura migliore diceva, più reale di qualsiasi altro personaggio, diceva.
"Sai...io l'ho conosciuto Peter Pan"
Gli aveva detto una volta, in salotto, mentre lui le raccontava delle avventure sull'isola.
"Davvero? E com'è?"
"Non molto diverso da noi, di aspetto. Ma profondamente lontano da tutto quello che tormenta le nostre menti, lui è unico, lui è fantastico."
"Deve essere stato un bell'incontro!"
"Oh...si...lo è stato!"
Un'incontro che non avrebbe mai più dimenticato.


SA
Buongiornoooo.
Questa capitolo è totalmente dedicato a Barrie, il fantastico scrittore che ha creato questo bambino così speciale. Questo vuol dire solo una cosa, che siamo veramente arrivati quasi alla fine di questa raccolta di storie. Grazie per essere arrivati fin qui, e grazie a chi segue, preferisce e recensisce. Grazie qnche a chi legge solamente. Se volete potete passare qui Dream on: Wish you were here è il gruppo dell'altra storia che sto scrivendo ma pubblico anche elementi che appartengono a questa storia quindi, se volete siete i benvenuti:)
Ora vi lascio, ho un computer portatile da scartare!!!:)

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Capitolo 12
*** The same person (Epilogo) ***


capitolo 11




Epilogo-Giorno dell'incontro:

Quella mattina mi svegliai, reduce di un sogno fantastico. Mi alzai e mi misi a sedere sul letto. Ero storidito e stanco. Davanti ai miei occhi si srotolavano le immagini di quel sogno fuori da ogni immaginario. Presi il mio quaderno e cominciai a scriverne.

Aprii gli occhi in una stanza buia, la mia. Accesi li lume posto di fianco al mio letto e mi guardai intorno. C'era qualcosa che non quadrava. Di fianco a me Peter dormiva beato, il suo respiro caldo e dolce riempiva la stanza.
Mi alzai infilandomi il cappotto. Sentivo un bisogno irrefrenabile di raggiungere l'esterno della mia abitazione, di respirare l'aria fredda della notte. Aprii la porta e in pochi passi fui fuori dall'enorme abitazione dalla facciata accogliente.
C'era una strana atmosfera nell'aria, le luci erano accese ed emanavano un'illuminazione soffusa, sull'arancione. Dalle abitazioni, ai fianchi della strada, si percepiva la flebile fiamma giallognola dei lumini accesi nelle camere dei bambini. Le stelle in cielo brillavano più forte che mai, contribuendo all'illuminazione generale di quella strana serata, con la loro luce bluastra. Avvertivo dei movimenti attorno a me, strani campanellii risuonavano nelle mie orecchie. In ogni direzione. Ogni tanto scorgevo un mucchietto di quelle che mi sembravano lucciole e le rincorrevo tentando di afferrarne una delicatamente.
Continuavo a camminare senza badare minimamente dove stessi andando. Lasciavo che fossero i miei passi a condurmi.
Mi ritrovai davanti alle fantastiche porte rosse dei Giardini di Kensington. C'era un lucchetto a chiudere le porte tra loro. Mi avvicinai, desideroso di sfiorare quel ferro che immaginavo esser freddo come la notte.
Tesi una mano verso le porte e sfiorai delicatamente un ricciolo in ferro battuto. A quel tocco, il cancello emise uno strano rumore. Dopo pochi secondi le porte si aprirono.
Attorno agli stipiti c'erano enormi lucciole che emettevano strani scampanellii.
Non mi stupii, in qualche modo sapevo che sarebbe successo.
Le lucciole mi condussero al centro del parco. Mi misi seduto su di una panchina dello stesso colore delle porte dei giardini. Rosso fuoco. Non erano fredde, anzi, la temperatura in quel posto era calda e accogliente.
Chiusi gli occhi e respirai a fondo l'aria che c'era intorno a me. Aveva un odore fresco e dolce allo stesso tempo. Sembrava sapere di gelsomino. Rimasi ad occhi chiusi a cercare di dare un nome a quel grazioso profumo. Non so se fosse possibile ma, giurai di sentire del gelsomino fuso all'odore fresco della neve candida.
La temperatura, l'aria e lo scampanellio intorno a me contribuirono a lasciare che la mia mente abbandonasse il mio corpo. Sentii il mio peso svanire, sentii che mi stavo librando in aria grazie ad una forza sconosciuta.
Aprii gli occhi e notai che quelle lucciole erano, in realtà, esseri graziosi con ali sulle spalle. Erano più luminosi di quegli insetti fantastici e lo scampanellio era in realtà la loro dolce voce.
Le loro voci tintinnavano al di sopra  di ogni altro rumore, erano musica. Alcune fate danzavano sotto i miei piedi. Altre mi sfioravano con le loro dolci manine lasciando scie di polvere sulla mia pelle.
Erano creature che avevo solamente immaginato, sembrava che il mio libro stesse diventando realtà. Che ogni mia parola stesse prendendo vita in quella notte così piena di magia.
Pensai di essere felice e sotto la forza di quel pensiero abbandonai definitivamente il mio corpo volando nel cielo al fianco delle stelle.
La raggiunsi. La seconda stella a destra. La toccai. Sentii la sua forza sommergere la mia anima, entrare nella mia mente, sfondare le porte del mio cuore e lasciare che rimanessi spiazzato davanti alla forza di quella stella immensa.
Non vedevo più nulla, solo luce bianca intorno a me. Le fate erano sparite, il cielo e la terra con loro. Mi girai e il respiro mi si gelò in gola.
Guardai quella scena senza capire realmente cosa stava accadendo. Peter Pan era davanti ai miei occhi, esattamente come lo avevo immaginato, i suoi occhi, i suoi colori, persino il suo sorriso...era lui. Era esattamente lui. Mi guardava, oserei dire, quasi più confuso di me, cerava spiegazioni, sicuramente si stava chiedendo chi fossi. Se gli avessi detto che quello li davanti ai suoi occhi era..beh si, si potrebbe dire che ero suo padre. Se gli avessi detto che ero suo padre, conoscendolo sarebbe fuggito. Si ma dove? Solo in quel momento cominciai a guardarmi intorno, eravamo in un' enorme e tonda bolla, che si colorava dei più differenti riflessi in base all'angolo con cui la luce si poggiava suulla sua parete. Sembrava di essere in un arcobaleno. Non sarebbe potuto fuggire quindi, nessuno dei due si sarebbe potuto muovere da li dentro, perciò eravamo costretti a rimanere li, a guardarci per ora, a studiarci. Capii che anche lui era giunto a quelle conclusioni, e in sincrono ci sedemmo sul pavimento curvo di quello strano mezzo di fortuna sul quale ci trovavamo.
Il suo viso mutava espressione in base a ciò che gli passava per la testa. Era spaventato, no curioso. Ora si guardava intorno confuso. Adesso spazientito. "Quante domante avrà da farmi?" pensai, chiudendo gli occhi e sorridendo.
Non sarei stato io a cominciare la conversazione. Avrei aspettato che prendesse confidenza e che cominciasse a parlare lui. Ero impaziente di sentire la sua voce. Volevo scoprire se era davvero così melodiosa come l'avevo immaginata. Volevo sapere se sentendo la sua risata si riuscivano a sentire le mille risate di ogni singolo bambino esistente sulla faccia della terra. Avevo speso anni a sognare di quel fanciullo così speciale, ora che era davanti ai miei occhi avrei voluto sfiorarlo e sentire che fosse vero, che era realtà.
"Chi sei tu?" Chiese imbronciato. Come se tutto quello lo avessi combinato io! Era indisponente, non gli risposi.
Lui mi guardava arrabbiato e indispettito. Io facevo finta di guardare fuori dalla bolla, eravamo sospesi su qualcosa di magnifico. C'era un'isola proprio sotto di noi, circondata da un'infinita distesa di acqua blu. Immagginai fosse l'oceano ma poi un'idea mi balzò per la testa.
Mi misi in piedi e posai i palmi delle mani sulla superfice della bolla. Avevo paura che scoppiasse facendoci cadere nel vuoto. Quando però toccai quella parete lucida scoprii essere soffice e flessibile.
Posai il mio sguardo su ogni singolo angolo di quel magnifico spettacolo. Non ci volevo credere. Era...era...
"E' l'isola che non c'è. Non ci sei mai stato?" Era lui. Non più indisponente ma curioso e divertito. La sua voce, melodiosa, entrò prepotente nelle mie orecchie e lasciò che tutto di me si beasse di quell'infinita felicità mascherata in suono.
"Non l'avevo mai vista sotto questa prospettiva"!
Gli risposi consapevole che non avrebbe capito cosa intendevo realmente. Cominciò a darmi delucidazioni sull'isola.
"Li, quella è la Baia dei Pirati. La mattina risalgono l'ancora e si fermano a largo. Hanno paura degli indiani e preferiscono stare in mare. Scendono solo per seguire le mie tracce e quelle dei bambini che erano con me. Quella è il campo indiano, ci abita la mia amica..."
"Giglio tigrato" sospirai quel nome, rendendolo impercettibile. A lui non sfuggì, mi guardò interrogativo. Gli feci cenno di continuare.
"Al centro della foresta c'è la Tana è.."
"sotto terra, la si raggiunge scendendo all'interno di un tronco di un albero secolare. Poco più avanti c'è la foresta delle fate dove, all'interno dell'albero più grande della foresta, c'è la sede ragale. La regina e il re ballano ogni sera sotto la musica dolce ed unica delle fate. Conosco questo posto."
"Come fai a conoscerlo? Tu sei adulto, non puoi ricordarti dell'isola!"
"So anche come ci sia arriva su quest'isola Peter, so molte più cose di quante ne immagini!"
Distolsi lo sguardo dal panorama e piantai i miei occhi nei suoi. Mi stava guardando. Non aveva paura, era curioso. La mia sapeva di storia fantastica e voleva ascoltarla.
Risi e mi rimisi a sedere poggiando la schiena alla superfice tonda della bolla.
"Io sono uno scrittore Peter. Scrivo da quando ero bambino, soprattutto dopo la morte di mio fratello David. La sua morte cambiò molte cose: il rapporto con mia madre, il modo in cui io vedevo il mondo e le persone, i rapporti che avevo con essi. Tutto non era più lo stesso. Così cominciai a viaggiare con la fantasia e ad immaginare molti posti fantastici. Solo uno però aveva il potere di farmi sentire speciale. Solo in un posto riuscivo a sentirmi realmente libero da tutto e da tutti. Viaggiavo continuamente lì, immaginavo di portare qualcuno, ma non avevo nessuno a cui rivelare il mio segreto. Nessuno avrebbe capito. Così, da solo, mi rintanai in quel luogo così ricco di magia. Sono cresciuto ma non ho mai lasciato che qualcuno mi privasse di ciò che la mia immaginazione aveva creato. Ho conosciuto una persona, Una persona fantastica. Le ho raccontato di quel posto e disse che sarebbe stato magnifico se, un giorno, io l'avessi portata lì con me.
Aveva dei bambini, magnifici bambini. Ho scritto di tutti loro, Peter, ho scritto delle loro avventure in quel posto. Ho scritto delle magnifiche creature che lo abitavano ed ho immaginato i numerosi pericoli ai quali sarebbero andati incontro."
"Come si chiamava quel posto?"
Mi guardava curioso, si era avvicinato a me come se stessi per svelargli un segreto che non sarebbe dovuto uscire assolutamente da quella bolla. Sorrisi e lo guardai.
"L'isola ch non c'è Peter."
"Cosa???"
Era stupito, quasi indignato. Realmente confuso.
"Quando ero piccolo immaginavo un posto dove tutte le leggi a cui era stato abituato svanissero e dove un solo sentimento avrebbe regnato sovrano: la felicità. Le diedi un nome impossibile, L'isola che non c'è, nessuno avrebbe sospettato della sua esistenza, se non c'è, non c'è e basta. Ma per me esisteva, ogni sera viaggiavo verso di lei. Avendola creata io Peter il ricordo di essa non sparì nel tempo. Anzi, aumentò il desiderio di raggiungerla frequentemente. Quando morì la donna di cui ti prlavo la vidi volare su nel cielo, vidi la sua enorme luce affiancarsi a quella della luna. Lei divenne la seconda stella a destra e porta diretta verso l'isola. Una porta fantastica, dal potere immenso di eliminare preoccupazioni e responsabilità dal petto delle persone, lasciando posto alla più disumana delle felicità"
"Ho scritto anche di te Peter. Tu, il fantastico bambino rimasto chiuso nei giardini di Kensington. Ho scritto della tua infanzia tra i volatili, ho scritto di re corvo, di Maimie. Ogni tua avventura l'ho vissuta in prima persona scrivendone. I personaggi di Wendy e dei bambini sperduti sono realmente ispirati a persone che ho conosciuto, Peter, e che  hanno fatto parte della mia vita un pò fuori dal comune. Il tuo stesso nome viene da un bambino fantastico che ha scritto delle tue avventre sull'isola che non c'è. Se lo conoscessi ritroveresti molte cose che vi accomunano. Tu sei una favola, la più bella per me."
" Vuol dire che io non esisto?"
"No Peter, vuol dire che non ho mai immaginato nulla e che tu ci sei realmente stato nella mia mente in tutti questi tempi. Ti sto guardando e sto cercando di spiegarmi come tutto questo sia possibile e l'unica possibilità che mi viene in mente è questa..."
Passai ore a parlare con Peter di quello che pensavo. Gli svelai cosa fosse realmente. Mi stupii con lui a riconoscere la realtà delle cose. Sentivo il cuore esplodermi nel petto ogni volta che una verità nasceva nella mia testa. Sollievo e conpiacimento prendevano il posto di delusione e rassegnazione. Felicità, di essa il cuore era pieno. Sentivo le ali sulle spalle sbattere veloci tra loro e condurmi a terra. La bolla stava via via scendendo.
La trasparenza della sua superficie stava aumentando dal lato di Peter, come se stesse per esplodere sotto il peso dell'esile corpo del bambino. Il suo viaggio stava per concludersi e prima di scendere si girò verso di me e disse: "Siamo la stessa persona io e te."
La bolla si posò a terrà e lasciò che Peter infrangesse la sua parete soffice.
Risalì veloce in cielo lasciando che i miei pensieri mi sommergessero riempiendo l'aria intorno a me di suoni e parole.
Ripensai a ciò che avevo detto a Peter.
Mi ritrovai di fronte ad una realtà disarmante, avrei voluto scriverne, avrei voluto che tutti conoscessero il reale significato che si celava dietro la storia di Peter Pan che io stesso avevo scritto.
Volevo urlare a tutti che quella storia parlava di un uomo.. Un uomo che portava innumerevoli nomi, innumerevoli volti e voci. L'isola che non c'è, in realtà, era quel cassetto pieno di sogni che ognuno ha nelle proprie case, quello che apriamo di notte quando sentiamo il bisogno di sentirci vivi e liberi. Quel cassetto che nasconde il nostro vero essere proteggendolo dalle innumerevoli costrizioni che ci opprimono. Vorrei dire a tutti che quell'innato bisogno di essere felici, di cercare qualcosa che ci faccia stare bene e che ci riporti ai puri e semplici sentimenti che caratterizzano i bambini e il loro essere così speciali. Ognuno di noi dà un nome a quel posto che si cela in noi, ognuno ci mette quello che vuole, che siano sogni, che siano desideri, speranze emozioni. Che siano semplici istantanee di un mondo che non vorremmo mai sparisse. Io lo chiamo Isola che non c'è. Sbagliate a dire che essa non esiste, sbagliate a credere che sia solo una favola. Non lo è. Non lo è e non lo sarà mai fino a quando ognuno di noi avrà la capacità di sognare. Il bambino che si nasconde in noi sa quanto sia reale quel posto e quanto caratterizzi la nostra esistenza. Peter Pan si chiama quel bambino. E' la rappresentazione generale di quei sentimenti che nel tempo dimentichiamo di provare. E' la rappresentazione di tutto ciò che dimentichiamo di saper fare.
Peter Pan non è una favola e la necessità di leggere su di lui ne è una coferma. Se ognuno di noi fosse solo nero nn saprebbe farsi coinvolgere dal bianco. Ognuno di noi è una leggera sfumatura di grigio capace di accogliere in se ogni singolo elemento di bianco. Il bianco fa parte di noi e ne farà parte per sempre, così come quella strana figura che è Peter Pan.
Ho scritto che solo i bambini possono conoscerlo e tornare in quel posto fantastico ogni volta che vogliono ma mi sbagliavo. Certo per loro è più facile, loro simbolo di purezza e fanciullezza, sono molto più vicini alla felicità di quanto lo possa essere un adulto.
Questo non toglie che agli adulti sia privato l'accesso a questo mondo. Se ognuno di noi avessi il coraggio, una volta tanto, di aprire quel cassetto e lasciare che un pò del suo contenuto ci coinvolga e diventi realtà allora saremmo in grado di percepire ogni singola emozione rimossa, ogni singolo attimo di felicità di cui ci siamo privati. Riusciremmo a sentire il nostro corpo leggero. Certo non si può volare ma perchè privarci della sensazione che si prova ad essere leggeri come uccelli?
L'uomo così ottuso ed incapace di lasciarsi trasportare dagli elementi più piccoli e semplici che lo circondano. L'uomo un essere così estremamente occupato a raggiungere la felicità che non si accorge che tutto ciò che fa in realtà è il mezzo più diretto per allontanarsene per sempre. Poi quando il tempo finisce, quando sai che è troppo tardi, tutto ti si para davanti senza veli e senza maschere e tu ti senti infinitamente stupido. Hai avuto la verità davanti agli occhi per tutta la vita e non sei mai stato capace di osservare attentamente. Hai guardato solo superficialmente. Hai avuto bisogno delle parole di un ignoto scrittore, di una favola che raccontava ciò che tu potevi essere così facilmente, bastava solo che avessi la giusta forza di volontà per aprire gli occhi, quelli veri.
Sapevo fin dall'inizio che tutto questo fosse reale ma sfuggivo con tutto me stesso da questa considerazione.
La parole di Peter riecheggiarono nella mia mente.
"Siamo la stessa persona io e te."
Aveva tremendamente ragione. Avevo fatto della mia vita la sua vita. Ogni mio sogno, speranza, desiderio, ricordo, era perfettamente riadattato al suo personaggio.
Ricordai delle sue parole, delle parole di quella donna che avevo sempre giudicato speciale, unica.

"Sai...io l'ho conosciuto Peter Pan"

Gli aveva detto una volta, in salotto, mentre lui le raccontava delle avventure sull'isola.
"Davvero? E com'è?"
"Non molto diverso da noi, di aspetto. Ma profondamente lontano da tutto quello che tormenta le nostre menti, lui è unico, lui è fantastico."
"Deve essere stato un bell'incontro!"
"Oh...si...lo è stato!"

Lei lo sapeva. Lo aveva capito prima di ogni altro, prima di me.

La bolla mi aveva riportato davanti ad una finestra. Riconobbi quella finestra e rividi il mio viso di bambino affacciato ad essa. Quanto ero triste, ero triste e sperduto. Mi sentivo rifiutato da mia madre, sentivo il suo disprezzo arrivare dritto al petto. Era quel giorno, il giorno in cui avevo cominciato ad immaginare.
Era il giorno in cui Peter Pan era uscito dalla finestra per non farvi mai più ritorno.

Posai la penna sul tavolo chiudendo quella parentesi di una delle favole migliori che abbia mai scritto. Nessuno mai sarebbe venuto a conoscenza di quelle pagine. Poche e dirette. Nessuno avrebbe mai saputo la verità su quel mondo fantastico.
Mi stropicciai un occhio con il dorso della mano e osservai il sole dall'interno della mia stanza. Un nuovo giorno stava per iniziare. Una nuova favola stava per essere scritta.



Peter Pan, Barrie. Due facce della stessa medaglia. Due volti di una stessa storia.


Note d'autore:

Ho deciso di pubblicare oggi il capitolo finale della storia perchè a lunedì sposterò la pubblicazione dell'altra storia che sto scrivendo.
Barrie meritava di essere ricordato come il vero ed unico Peter Pan. L'interpretazione che io do alla sua favola è esattamente quella che ha descritto Barrie, ho sempre pensato che l'insegnamento ch quell'uomo voleva dare ad ognuno di noi era esattamente quello di non dimenticare mai chi siamo e chi siamo stati, di ricordare quandìto sia importante sognare e di come sia possibile realizzare quello che sognamo.
Ho sempre amato le sue parole, le ho lette fino a consumare le pagine cercando di svelare i suoi segreti.
Ho sempre pensato che la sua non fosse solo una favola, che in ogni sua pagina ci fosse una piccola verità e con il tempo ho scoperto che era esattamente così.
Lo stesso Capitan Uncino non fu scelto a caso e con la messa in scena di quest'opera Barrie ne spiegò il ruolo fondamentale. Egli era la figura che generava il complesso edipico della piccola Wendy.
Ebbene questo è il capolinea. L'epilogo di una storia che mi ha portato via più di un mesetto.
Grazie infinite a chi ha seguito, preferito o semplicemente letto.
Un grazie speciale va a Serena, autrice dell'immagine scelta per questo capitolo, mia amica e compagna di ogni singola giornata e cazzata e attenta consigliera. Ti ho fatto piacere una storia che non rintra nei tuoi interessi, credo di potermi ritenere assolutamente lusngata e soddisfatta.
Grazie a Ilaria che mi ha trovata e seguita. Lei che ha sempre le idee poco chiare su quello che scrive e che ha una scarsa fiducia nelle sue capacita. Eppure sei cpsì brava.
Grazie a Paolo che è sempre pronto a fare complimenti a questa storia e la segue attento. Le tue parole sono sempre ben scelte e pronte a farmi sorridere.
Grazie anche alla nuova recensitrice che prima di arrivare a questo capitolo ci metterà un pò..MeikoMakoto, di cui ancora scopro il nome. Grazie delle tue recensioni e soprattutto dei tuoi complimenti.
Un bacio a tutti. Vi aspetto sull'altra ff..Wish you were here.
Un bacio.
Lisa


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