Somebody told me di Lisa_Pan (/viewuser.php?uid=141780)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Back to the past (o capitolo 5) ***
Capitolo 7: *** Back to the past(seconda parte)o capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Addio Peter (capitolo 8) ***
Capitolo 10: *** Watercolor(capitolo 9) ***
Capitolo 11: *** Una donna speciale(capitolo 10) ***
Capitolo 12: *** The same person (Epilogo) ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
+
Guardai quella scena
senza capire realmente cosa stava accadendo. Peter Pan era davanti ai
miei occhi, esattamente come lo avevo immaginato, i suoi occhi, i suoi
colori, persino il suo sorriso...era lui. Era esattamente lui. Mi
guardava, oserei dire, quasi più confuso di me, cerava
spiegazioni, sicuramente si stava chiedendo chi fossi. Se gli avessi
detto che quello li davanti ai suoi occhi era..beh si, si potrebbe dire
che ero suo padre. Se gli avessi detto che ero suo padre, conoscendolo
sarebbe fuggito. Si ma dove? Solo in quel momento cominciai a guardarmi
intorno, eravamo in un' enorme e tonda bolla, che si colorava dei
più differenti riflessi in base all'angolo con cui la luce
si poggiava suulla sua parete. Sembrava di essere in un arcobaleno. Non
sarebbe potuto fuggire quindi, nessuno dei due si sarebbe potuto
muovere da li dentro, perciò eravamo costretti a rimanere
li, a guardarci per ora, a studiarci. Capii che anche lui era giunto a
quelle conclusioni, e in sincrono ci sedemmo sul pavimento curvo di
quello strano mezzo di fortuna sul quale ci trovavamo.
Il suo viso mutava
espressione in base a ciò che gli passava
per la testa. Era spaventato, no curioso. Ora si guardava intorno
confuso. Adesso spazientito. "Quante domante avrà
da
farmi?" pensai, chiudendo gli occhi e sorridendo.
Spazio Autrice:
E
siamo al prologo della mia
prima Ff. Come avete capito il protagonista è Peter Pan mentre
per quanto riguarda gli spunti ripresi per questa storia sono tratti
dal film ma soprattutto dal libro. I miei
mi hanno cresciuta con questa
storia e credo che abbiano segnato così il punto di non
ritorno per me. Ormai credo che non ci siano più speranze
che io cresca oltre un certo limite:P
Spero di aver catturato un pò della vostra
curiosità! A domani per il primo capitolo!
Buona giornata a tutti!!!:)
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
capitolo 1
Quella
sera Peter aveva messo i Bimbi Sperduti a letto prima
del solito, la giornata di caccia era stata più faticosa del
previsto e subito
dopo cena i Bimbi andavano in giro per la tana come corpi senza
controllo
sbattendo contro ogni cosa che gli si parasse davanti. Wendy era in
piedi
vicino alla tavola che sparecchiava e si muoveva a grandi passi verso
la cucina
riponendo ogni cosa al suo posto come una buona mamma. Peter la
osservava
incuriosito, seguiva i suoi movimenti concentrandosi
sull’andatura e sul suo
fare aggraziato. Si concentrò sulla veste bianca tempestata
di foglie che in
quel momento danzava seguendo i passi di Wendy, guardandola Peter si
ricordò
della nuvola che quella mattina aveva avvistato proprio sulla baia dei
pirati,
una nuvola soffice e dal sapore buonissimo che solleticava lo stomaco
appena
ingerita.
Finito di rassettare la dolce nuvola informò Peter che
sarebbe andata a dormire e che se nel caso lui non l’avesse
seguita di non fare
troppo tardi “i bambini come te dovrebbero dormire
più di quanto dormi tu!”.
Peter le rispose con una smorfia e rimase a guardarla mentre
si coricava nel letto pensando “si è proprio una
nuvola”. Provò a stendersi ma
all’improvviso si accorse di non aver sonno e
sentì l’irrefrenabile voglia di
volare fino alla cascata delle sirene.
Sgusciò fuori dalla tana respirando l’aria dolce e
fresca
della notte e cogliendo una leggera corrente di vento si
lasciò sollevare da
essa e si fece cullare fino alla cascata.
Si
adagiò su di una roccia posta esattamente al centro
dell’insenatura, incrociò le gambe e si
tirò indietro stendendosi e portando le
braccia a cuscino sotto la nuca. Chiuse e riaprì gli occhi
proprio mentre una
stella lasciava la sua scia nel cielo. Rise dell’accaduto.
Una risata fresca e
piena come quella dei bambini, che fa sorridere chi
l’ascolta. Lui in fondo era
IL bambino.
Concentrato com’era sulle stelle non si accorse che qualcuno
si stava avvicinando alla roccia lentamente. A tendergli
l’agguanto fu Giglio
Tigrato che gli saltò addosso ricoprendolo di acqua
proveniente dai vestiti e
dai capelli gocciolanti della piccola pellerossa.
Appena vide che Peter rimase impassibile
s’indispettì e mise
il broncio sedendosi a gambe e braccia incrociate, la bocca corrucciata
si
rilassò in pochi secondi e la rabbia lasciò il
posto alla curiosità. Quella
sera Peter era stranamente pensieroso, così gli chiese cosa
gli passasse per la
testa.
“ mi stavo chiedendo..Giglio Tigrato vedi, io so come si
chiamano quei puntini lassù..stelle giusto? Ma cosa vuol
dire? Insomma...cosa sono le stelle?".
Giglio Tigrato scoppiò in una fragorosa risata pensando che
Peter stesse scherzando, ma appena vide lo sguardo interrogativo del
ragazzo
smise e sgranò gli occhi, poi si ricompose e cercando le
parole giuste
cominciò…
“ehm…” tossì non sapendo cosa
dire, si sforzò di riportare
alla mente quello che il nonno le aveva raccontato da piccola sulle
stelle e
provò a spiegarlo a Peter, che la guardava ancora con la
stessa espressione
da…bimbo. Si distese e
ricominciò “quando io essere piccola
pellerossa nonno
raccontare me strana storia su stelle. Lui dire me che stelle essere
anima di
antenati valorosi che quando essere morti lasciare corpo e tornare a
essere
spirito puro e leggero. Più uomo comportare bene in vita
più anima essere
leggera e pura per stare vicino a luna”.
Sperava che questo sarebbe bastato a Peter così
girò la
testa e lo guardò sorridendo, Peter la fissò per
un
attimo e le disse “raccontami ancora, spiegami
meglio,
voglio conoscere la tua storia”
La pellerossa si rigirò a guardare le stelle e si
concentrò.
Era difficile parlare in quel modo, era la più brava ma
alcune parole le
sfuggivano e ora non le trovava, si ricordò che Peter
riusciva a capire la
lingua dei pellerossa così comincio a parlargli in quel modo
tanto curioso
fatto di suoni e gesti che Peter traduceva così
-“di una persona prima del corpo
nasce un anima, l’anima raccoglie tutto ciò che il
corpo percepisce
traducendolo in pensieri che poi diventano ricordi. il corpo invecchia,
l’anima
invece essendo fatta di sensazioni, emozioni non può
invecchiare, si trasforma
ma non invecchia. Nonno dice che l’anima di una persona buona
alla morte del
corpo esce da esso illuminando il circostante di una luce intensa e
calda.
Nonno dice che per un istante riesci a sentire tutto ciò che
quell’anima ha
provato durante la vita del corpo, senti il dolore, la rabbia, la
felicità. Per
un attimo senti che il cuore esplode e l’unico tuo desiderio
e che tutto questo
non finisca perché per la prima volta ti senti davvero
libero da ogni limite
fisico. L’attimo dopo l’anima scatta via verso il
cielo facendosi spazio di fianco
alla luna. Nonno dice che se ti concentri riesci a vedere la Luna che
sorride
alla nuova arrivata donandole un po’ della sua
luce.”.
“se un anima ha subito e inflitto solo sofferenze alla morte
del corpo essa brillerà di una luce soffocata e
ciò che trasmetterà sarà solo
paura e tristezza, sotto il suo influsso senti ancora di più
la pressione del
corpo che quasi ti schiaccia, una volta in cielo quell’anima
prende posto nei
punti più lontani di esso dove la luna non è
capace di dar loro della luce. Nonno
dice anche che nei giorni di luna piena quando le anime risplendono
della loro
luce più intensa esse
si rispecchiano
nel mare e solo per quella notte tu puoi toccarle e sentire quello che
hanno da
dire. Nonno dice che questa storia l’ha ricevuta in dono da
una delle anime al
fianco destro della luna, diceva che era speciale ma non mi ha mai
detto
perché…soddisfatto?”.
Peter ci pensò su, ci pensò proprio tanto.
Così tanto che i
suoi occhi cominciarono a brillare di una luce strana di riflesso a
quella delle
stelle, sembrava stesse diventando egli stesso una stella. Alla fine si
girò e
disse “quando volo lissù sento delle voci
e dei suoni strani, unici.
Tintinnano nelle orecchie, fanno il solletico, mi entrano in petto e mi
formicola il cuore. Solo una volta ho risentito quei suoni, ero davanti
ad una
finestra e un esserino piccolissimo tenuto in braccio da una donna
bellissima
ha aperto gli occhi ed emesso quel tintinnio tanto particolare. Alla
Mamma si
sono illuminati gli occhi e quelli del bambino si sono accesi carichi
di una
luce azzurrina. È durato per pochi secondi ma mi ha tanto
incuriosito. Quando
mi sono rimesso in volo per tornare all’Isola quel tintinnio
mi ha seguito
infrangendosi in tanti altri tintinnii, era tutto uno squillare intorno
a me. Quella
notte davanti alla tana ho trovato una fatina ad aspettarmi, era nuda,
piccola,
e brillava tantissimo. Era appena nata. Era Campanellino! Lei mi
guardava e io
la guardavo divertita cercando qualche foglia per coprirla, poi mi ha
preso un
dito con le sue manine e mi ha detto di guardare in alto e
l’ho vista..c’era
una luce in più quella notte! Lo giuro!”.
“cosa vuoi dire Peter?”. Giglio Tigrato non lo
seguiva più.
Peter sembrava infastidito quando rispose “sto
dicendo che secondo me tuo
nonno si sbaglia, secondo me le stelle e le fate sono fatte della
stessa cosa,
non lo vedi come brillano entrambe? Hanno la stessa luce e fanno lo
stesso
suono! Giglio…le fate e le stelle sono fatte di quel
tintinnio, quel bambino
quella sera ha creato Campanellino e quella stella! È la
risata! È la risata
secondo me che ha creato tutto questo, ed è per questo che
quando guardi il
cielo sembra che loro ti rispondano!”.
Peter si era messo in piedi sulla roccia e saltava su di essa
sbracciando verso la pellerossa e sorridendo come se avesse scoperto
qualcosa
di straordinario. In realtà lo aveva scoperto per davvero,
Giglio Tigrato era
rimasta a bocca aperta, non sapeva più cosa credere, Peter
le aveva mostrato
qualcosa di meraviglioso, qualcosa al quale non aveva mai pensato.
Guardò Peter
prendere il volo e allontanarsi verso la tana col naso
all’insù per continuare
a guardare le stelle, fece appena in tempo a
urlargli, “Peter, pensi che
anch’io abbia creato una stella? Pensi che ci sia una stella
tutta mia lissù?”
metà della frase finì per essere catturata dal
vento, non arrivando così a
Peter che ormai era soltanto un puntino nel cielo. Giglio si distese
un’altra
volta guardando il cielo interrogandolo avidamente, sperando che la sua
stella
le avrebbe risposto. Proprio quando stava per chiudere gli occhi e
rialzarsi
una stella si stacco dal cielo lasciando visibile una scia. La
pellerossa saltò
esultante e corse verso l’accampamento con l’unico
desiderio che le restava per
quella notte: raccontare tutto al nonno.
SA
Ecco il mio primo capitolo. E'
forse il più semplice, questo è il trampolino per
i capitoli che verrano. Avevo avuto la folle idea di far parlare Giglio
Tigrato così come ho fatto nelle prime righe ma credo che a
quest'ora mi sarei trovata circa a metà capitolo:) Non vedo
l'ora di sapere che ne pensate. Spero che vi sia piaciuto e che vi
abbia incuriosita ancora di più! Grazie per essere passate e
buona giornataaaa! Io ora corro al mare!
ps: nel prossimo capitolo ci
saranno come protagonisti Peter e Wendy.
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Capitolo 3 *** capitolo 2 ***
capitolo 2
“prenditi
quella medicina Pennino o giuro che t’infilzo con
la mia spada!!”.
“Ma Peter non mi vaaaaaa…sta lontana da
me!”-.
Wendy inseguiva Pennino per la tana, mancava solo lui tutti
gli altri avevano già preso la medicina e stavano accasciati
a terri a fare
smorfie per il suo gusto orrendo, in realtà erano solo gocce
di rugiada, Wendy
lo sapeva e quello della medicina la mattina diventava uno dei suoi
più grandi
divertimenti sull’isola.
Peter stava seduto sul suo trono di legno e foglie e rideva
tenendosi lo stomaco. Alla fine Wendy si arrese e si buttò a
terra incrociando
le gambe e fulminando Pennino con lo sguardo mentre il bambino esultava
saltellando e canticchiando. Peter vedendo Wendy arrabbiata si
alzò in piedi
corse verso Pennino e fissandolo negli occhi disse -“se
questa medicina non ti
piace vado immediatamente a prendere l’altra!”-, il
bimbo sperduto corse da
Wendy e prese da solo la medicina, era terrorizzato gli occhi
schizzavano da
una parte all’altra della tana, e la bambina avrebbe voluto
consolarlo
abbracciarlo e dirgli che non era successo nulla. Wendy era una buona
mamma,
nessuno lo avrebbe messo in dubbio ma quella sera preferì
godersi la vittoria e
guardò Pennino esultante. Le bambine sanno essere angeli e
monelle allo stesso
tempo!
Peter uscì dalla tana per andare a perlustrare il territorio
circostante, e Wendy lo seguì.
“Peter, di quale medicina parlavi? Perché Pennino
ha reagito
in quel modo?”
Peter sembrò non
ascoltarla nemmeno, girava intorno all’albero cercando
tracce, odori, suoni che
facessero capire che qualcuno li aveva scoperti. Quando ebbe appurato
che tutto
era come lo aveva lasciato la sera prima, guardò Wendy
“seguimi!”.
la prese per mano e si alzarono in volo, Wendy amava quando
Peter lo faceva, si sentiva libera, leggera, se poteva volare poteva
fare
tutto, davvero tutto, senza più limite. Le piaceva pensare
questo mentre
sorvolavano la foresta fino ad arrivare in cima all montagna proprio
sul lato
che dava sulla baia dei pirati, alla giusta distanza che permetteva
loro di
essere al sicuro dallo sguardo “acuto” di Spugna
che in quel momento , come in
qualsiasi altro momento, ronfava con la schiena poggiata
all’albero maestro.
Trovarono
posto sudi una roccia muschiata a strapiombo
sull’infinito mare. Peter si adagiò su di essa,
pancia all’ingiù, Wendy lo
imitò ma prima ricoprì la roccia di un letto di
foglie così che il muschio non
le avrebbe sporcato la veste bianca. “Una nuvola, è proprio
una nuvola!”
“Guarda!” Peter le passò la sua lente e
lei poté vedere
Uncino infuriarsi con Spugna destandolo violentemente dai suoi
sogni. “Guarda
il petto di uncino. A destra. È appena visibile ma se ti
concentri riesci a
vederla, una piccola ampolla che contiene un liquido rosso. Quella
è la
medicina che prometto alle canaglie quando non prendono la tua.
È un veleno
distillato dai suoi occhi rossi mentre piange, è un misto di
malignità,
gelosia, disonore. Ti uccide all’istante!”. Peter
guardava Wendy aspettando che
la paura s’impadronisse di lei, ma nn ebbe
l’effetto sperato. Wendy girò il
volto e guardò negli occhi Peter per qualche secondo poi lo
stupì.
“Perché odi così tanto quel pirata
Peter? Perché siete
nemici?”.
Peter guardò Wendy senza
capire. “cos’è un
nemico?”
La bambina non ci credeva, gli chiese come fosse possibile
che lui non sapesse cosa fosse un nemico, -"insomma lo hai sotto il
naso ogni
giorno come fai a non saperlo?!". Pan le ricordò dove si
trovavano e che ad
accudirlo duramnte la sua prima settimana di vita erano stati degli
uccelli e che quindi non doveva stupirsi se
conosceva le cose con nomi diversi da quelli che conosceva lei. Wendy
si scusò
e cercò di spiegargli cosa fosse un nemico attraverso il suo
modo straordinario
di raccontare vicende, quella ragazza aveva la favola in corpo.
“A Londra, vicino casa mia, abita una ragazzina dai capelli
biondi, lunghi e ricci, ha degli occhi azzurrogrigio che congelano
chiunque
essi guardino, è più
grande di me di
pochi anni eppure questo semplice fatto la fa sentire in obbligo di
torturare
me e i miei fratelli. Anche la povera Nana è stata tirata in
ballo, spesso la
ritroviamo sul ciglio del giardino che piange a causa di quella
bambina.
Insieme ai suoi fratelli si diverte a tirarle pietre e a punzecchiarla
con un
bastone. Abbiamo provato tante volte a farla smettere ma quel suo
aspetto
angelico inganna sempre mio padre convincendolo della sua innocenza e
della
nostra colpevolezza. Non proviamo ad ucciderci come fate tu ed Uncino
ma l’odio
che proviamo l’una verso l’altra è
esattamente lo stesso. A volte vorrei
staccarle tutti i capelli!”.
Peter rise divertito dell’espressione di Wendy, non si
sarebbe mai aspettato quella reazione, lei è sempre
così controllata e
razionale. Lei è una mamma, non una piratessa omicida!
“io non odio Uncino! Io mi diverto! Se non ci fosse lui
quest’isola avrebbe molti meno divertimenti, lui mi riempie
le giornate! Lui mi
cerca io gli scappo sotto il naso, lui si arrabbia e io rido imitando
la sua
voce facendo impazzire i suoi scagnozzi! Sono tutti degli stoccafissi,
non c’è
una volta che non si fanno imbrogliare. Uncino senza di me non avrebbe
altro
motivo per rimanere in questa baia, si annoierebbe tutto il giorno e
sarebbe
costretto a suonare il piano ad ogni ora, minuto e secondo. Spugna dice
che
suona divinamente, io mi diverto a urlargli il contrario da una delle
aperture
della barca, lui va su tutte le furie e comincia a lanciare qualsiasi
cosa gli
sia vicina in quel momento! Ti sembrerà strano ma Uncino
è l’unico che non se
ne sia mai andato dall’isolo, è l’unico
che non mi abbia lasciato solo qui. Lui
c’è sempre. Ora che ci penso dovrei ringraziarlo,
ma poi sarei costretto a
spiegargli il perché e di fargli complimenti proprio non se
ne parla!”.
“quindi per te tutto questo è un gioco?”
Wendy non voleva
crederci
“Le bambine provano troppe cose, cercano di spiegarsi tutto
e crescono prima dei bambini! Con Uncino mi diverto, e anche lui si
diverte,
perché dovremmo smettere? Grazie a lui so chi non devo e non
voglio essere; so
chi sono i miei amici e i miei compagni e chi invece devo evitare
perché è
dalla sua parte; grazie a lui conosco questa foresta meglio di chiunque
altro,
sono veloce, furbo e attento. Tu no hai delle certezze? Bene lui
è la mia!”. Pan
riprese la sua lente e se la insaccò nei pantaloncini di
foglie. Sembrava
quasi…soddisfatto quando si girò verso Wendy e le
sorrise tendendole la mano
che l’avrebbe aiutata ad alzarsi.
La bambina dal canto sua, era rimasta a bocca aperta, per la
prima volta un bambino le aveva tolto le parole di bocca, lei sempre
così
preparata su tutto ora non sapeva cosa rispondere a Peter. Il fatto
è che non
c’era nulla da rispondere, aveva ragione. Per tutti i pesci
aveva ragione!
Sorrise e prese la sua mano stringendola forte e si tirò su.
Peter si allontanò per seguire la corrente che li avrebbe
riportati alla tana,
lei lo guardò, scosse la testa e
pensò “chi
l’avrebbe mai detto?! A volte le mamme hanno da imprare dai
loro
figli più di quanto esse hanno da insegnargli!".
SA
E
siamo al secondo capitolo di questa Ff, vorrei sapere cosa ne pensate
fino ad ora!:) In ogni caso in questo capitolo ho voluto sottolineare
l'enorme importanza di Uncino nella storia di Peter Pan, per Barry
è un personaggio fondamentale ma assume aspetti a volte
molto diversi tra loro. Presto ci sarà un capitolo dedicato
solo a quei due!
Yaaaaaaawn! Mi sono appena svegliata e sono ancora con gli occhi chiusi
dal sonno. Stanotte ho fatto un sogno stupendo e svegliarmi
è stato difficile non so se qualcuno può capire
se vi dico Brandon Boyd...sbav...
Vaaa bene, ora vi lascio, provo a darmi una svegliata in qualche modo!
Buona giornata a tutte e fatemi sapere che ne pensate! E grazie a chi
è arrivato fino a questo punto.
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
capitolo 3 da continuare
Le parole di Peter quella mattina avevano generato in Wendy un vero e
proprio tornado per la testa. Lo aveva considerato in tanti modi, prima
di tutto era solamente un personaggio delle proprie favole raccontato
mille volte davanti ai suoi fratelli e immaginato chissà quante
nei suoi sogni; poi scoperto essere realtà è
diventato il suo modello, la sua speranza, il suo sogno di restare per
sempre bambina e di fuggire a quella enorme responsabilità che
è crescere; i pochi giorni passati alla tana aveva costretto
Wendy a ricredersi su tutto, lui si era un sogno, una speranza, ma le
faceva venire i nervi, era il bambino più maleducato e
scosiderato che avesse mai conosciuto, arrogante e presuntuoso. Le
manie di Peter a sentirsi sempre "il meraviglioso", "l'unico", la
mandavano su tutte le furie ed era inutile arrabbiarsi perchè
l'avrebbe avuta vinta sempre e solo lui, oppure metteva il broncio e
non ascoltava più niente e nessuno. Era un bambino, cosa ci si
può aspettare da un bambino se non questo? senza contare il
fatto che lui era per davvero un bambino unico nel suo genre. Ma questo
a Wendy non importava, lei lo voleva in un modo e lui si comportava
esattamente nella maniera opposta. Sono o non sono anche questi
capricci di una bambina? una bambina un pò più
responsabile, ma pur sempre una bambina.
Quella mattina Wendy aveva visto una parte di Peter che l'aveva
stupita, spiazzata. Stava seduta a terra a giocare con un fiore dai
colori assolutamente inusuali, che teneva fra le dita. quando Wendy se
lo faceva rigirare tra un dito e l'altro i petali di esso assumevano
colorazioni che variavano dall'azzurro al viola, e dal viola divenivano
quasi rosa. Tutto su quell'isola era elemento di stupore e quel
pomeriggio Wendy si tormentava esattamente su uno dei principali
elementi dell'isola: Peter Pan.
" naaaa, ora basta!"Gettò il fiore a terra e alzò lo sguardo
incrociando quello di Peter che si era fermato con della legna in mano
attirato dall'esclamazione di Wendy.
"cosa c'è" nel dire questo, si alzò e pose la legna su
un fianco della tana assieme ad un'altra catasta che aveva raccolto
pochi minuti prima. Si asciugò il sudore con il dorso della mano
e tornò a guardare Wendy con sguardo interrogativo, esortandola
con i gesti a spiegarsi.
" quelle cose che hai detto oggi...non erano da te, cioè quando
mai tu dici o fai una cosa sensata? Sei solo un bambino capriccioso che
segue i propri istinti dimenticandosi di chi gli sta intorno! l'unico
motivo per cui ti tieni vicino quei poveri bambini è
perchè ti fanno sentire più importante di quello che sei,
perchè acconsentono ad ogni tuo capriccio." cominciò la
frase con tono incerto e confuso e la concluse quasi urlando per quanto
fosse arrabbiata. Proprio mentre Peter stava per ribattere lei lo
bloccò furiosa e continuò a parlare "Ti osservo ogni
giorno e gli unici interessi a cui dai una certa rilevanza sono
unicamente i tuoi! e..."
"Wendy il primo giorno che sei arrivata sull'isola ti ho dato una casa
no? ti ho fatto diventare la mamma di quei bambini, e ti do da
mangiare, ti diverti, che altro vuoi?" la tranquillità con cui
quel bambino affrontava certi discorsi ti spiazzava.
"Perchè sei tu che vuoi ascoltare le miei storie! Sei sempre
stato solo tu, e quei bambini ti appoggiano solamente!"Wendy era
diventata paonazza, il tono tranquillo di Peter la infastidiva non lo
sopportava, per le i significava sottolineare nuovamente il suo fare
arrogante!
E' impressionante come l'umore dei bambini cambi da un momento
all'altro senza che nessuno ne capisca il motivo,. Pochi secondi prima
cade dalle scale, si sbuccia un ginocchio e ride di se stesso, subito
dopo una foglia gli cade sul naso e lui comincia a strillare e a
piangere tutte le lacrime possibili. La voce di Peter si alzò
incredibilmente fino a diventare un tutt'uno con il rumore del mare che
si agitava furioso contro gli scogli. Eppure se fossi stato li a
guardare il mare avresti giurato che precisamente un attimo prima il
mare era una tavola. " Tu non capisci nulla sei solo una....". Pan si
pietrificò. Wendy di risposta cominciò a dargli addosso,
ad esortarlo a dire quello che doveva se aveva il coraggio. Ma Peter
non si mosse, era come chiuso in una bolla, intorno a lui c'era solo
silenzio, la voce della bambina gli arrivava ovattata, come s in quel
momento le stesse parlando una formica. Un'unica cosa interessava a
Peter in quel momento, c'era solo una piccola e fiebile traccia che
catturava l'attenzione del ragazzo.
Puff
"...SEI UN INGRATO!!!!" Wendy ansimava, non aveva più fiato,
aveva urlato contro Peter tutto quello che si teneva dentro da tempo,
senza però riuscire a dirgli quello che voleva. Era partita con
buone intenzioni e alla fine si era ritrovata a riempirlo di insulti e
basta. Peter la guardò sorridendo. Non aveva ascoltato una
singola parola di quello che Wendy le aveva detto e non se ne
curò affatto. Stava lì in piedi a guardarla respirare
velocemente, e sosteneva il suo sguardo omicida, a stento trattenne una
delle sue sonore risate.
Improvvisamente, come tutto ciò che faceva Peter del resto,
disse " pochi secondi fa...è passato Uncino nelle
vicinanze" e
sogghignando aggiunse "ci doveva essere anche Spugna con lui, si
sentiva una puzza tremenda!".
Wendy lo guardò sgomenta, nei suoi occhi rabbia, delusione e
amarezza si rincorrevano attraverso una serie di riflessi. Alla fine si
rassegnò e si seddette a terra con un tonfo schiacciando
quel bellissimo fiore con cui giocava poco prima. -"è per quello
che ti sei fermato all'improvviso e hai assunto quell'aria da stoccafisso
come dici tu?" disse facendo il verso a Peter, il quale rispose
semplicemente con un cenno del capo. " e mi diresti come questo sia
possibile, grande capo?".
"poi dici a me di essere ottuso! Hai cinque sensi e ti limiti ad
usarne solo uno! Come riconosceresti le persone se non avessi occhi per
guardare?"
"con le orecchie che domande! riconoscerei in lontananza una voce
familiare!" Wendy non ne era per niente sicura, ma dare ragione a
Peter in quel momento era l'ultima cosa che avrebbe voluto! Lo
innervosiva e in ogni caso era sicura che stesse dicendo una
stupidaggine, cos'era un cane?
"Non puoi fidarti solo dei suoni! Si confondono, si allontanano,
alcuni sono troppo simili ad altri. Non puoi affidarti ad un senso
solo,o a due, anche se sono ancora molto incerto sul fatto che tu
riesca a distinguere chiaramente delle voci.." guardò Wndy con
aria di sfida; " su quest'isola poi delle voci non puoi assolutamente
fidarti, dei suoni si, ma delle voci no, come puoi con uno come me
sull'isola che le imita perfettamente tutte quante? Anche Uncino ci sa
fare, ma con quel timbro così....adulto," sputò quella
parola tutto d'un fiato come se non volesse tenerla troppo a lungo
sulla punta della lingua "Se non basta quello che vedi, quello che
tocchi e quello che ascolti per riuscire a riconoscere cosa hai
davanti, allora entrano in gioco gli odori. Ognuno ha un odore diverso
addosso,è come se vi lasciaste una scia dietro lunga decine di
metri, riesco a sentirvi nonostante l'infinità di profumi che ci
sono in questa foresta, per non parlare di quelli che ci sono sulla
riva e nel mare."
" Su Peter non ti rendi conto che è impossibile? Persino per te!"
Peter sorvolò quel piccolo spazio di terra che lo divideva da
Wendy e le andò alle spalle chiudendole gli occhi. rimase in
quella posizione per un tempo interminabile, Wendy non si era mossa di
un millimetro, era rimasta piantata a terra, le guance le stavano
diventando porpora dallo stupore e dall'ibarazzo. Quando Peter
sentì che il suo respiro si era regolarizzato, sollevò
una mano dal viso di Wendy impedendole ancora di vedere, e raccolse un
fiore da terra. "Annusalo e descrivi quello che senti senza
tralasciare nessun dettaglio" le portò il fiore sulla punta del
naso. Quando Wendy sentì un leggero solletico sulla punta del
naso si distanziò un pò spaventata, poi si calmò e
si sporse in avanti avvicinandosi ai petali del fiore. Ne aspirò
il profumo e cercò di fare come le aveva detto Peter. "Che
cavolo significa descrivine ogni particolare? Profuma, tutto qui.".
Dal silenzio di Peter, Wendy capì che non si sarebbe arreso
facilmente. Sbuffò, ma poi si concentrò, riportando la
punta del naso vicino ai petali del fiore, lo stesso sul quale si era
seduta poco fa, cercando di capire cosa le chiedeva Peter. Dopo una
manciata di minuti che a Wendy sembrò infinita Peter le tolse il
fiore da davanti al naso e gliene porse un altro, facendola avvicinare
delicatamente ad esso le chiese di fare quello che aveva fatto poco fa.
Wendy si avvicinò, aspirò e capì.
Peter la lasciò in quel modo ancora per un pò, poi le
tolse anche l'altro palmo dal viso e si spostò di fronte a lei
guardandola impaziente. "Allora...cos'hai sentito?" le sorrise e
quando incrociò lo sguardo di Wendy ne rimase sorpreso.
Sorrideva, con gli occhi lucidi, sembrava stesse per starnutire quando
invece disse "com'è possibile?".
SA
Pubblico oggi perchè probabilmente inizio prossima
settimana non ci sono e non avrò modo di pubblicare i capitoli.
Il continuo di questo capitolo lo pubblicherò giovedì!
Da qui in poi diventano più lunghi e più "interessanti",
i temi sono un pò più complessi e ci saranno più
riferimenti al libro.
Comunque, grazie a chi legge e alla pazza che recensisce. Ditemi cosa ne pensate. Alla prossima!
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
capitolo 4
"Io non ho fatto nulla, ho solo aspettato che i tuoi occhi si
abituassero al buio e le tue orecchie ai suoni, anche minimi. L'unica
cosa che mancava erano i profumi, gli odori, il tuo naso ci ha messo un
pò a percepirli ma dalla tua faccia vedo che il risultato
non
è male!" sorrideva compiaciuto "allora cos' hai sentito?".
"All'inizio nulla, pensavo mi stessi facendo uno scherzo come tuo
solito e mi stavo seriamente arrabbiando, poi quando ho visto che
facevi sul serio ho provato a concentrarmi e a capire cosa cercavi di
dirmi e l'ho sentito. Quel qualcosa che mi hai messo davanti al naso
aveva un profumo dolcissimo, sapeva di...mmm..." chiuse gli occhi "di
miele e" li riaprì "e latte, si miele e latte! Quando lo hai
allontatanato ho continuato a percepire quel profumo vicino a me, non
con la stessa intensità ma lo sentivo. Quell'altro qualcosa
che
mi hai avvicinato al naso era completamente contrastante con l'altro
odore, quel profumo mi è entrato subito in gola,
mi ha
quasi stordita per quanto fosse forte e me ne sono subito allontanata.
Qualsiasi cosa tu mi abbia aiutata a fare è meraviglioso!
L'ultimo odore che ho annusato lo avevo già sentito, era nel
giardino di casa mia a Londra, mamma ne fa crescere enormi
quantità fra i cespugli che circondano la casa. E' un fiore
ma
non ne ricordo il nome, ha un profumo buonissimo, fresco, sa di pioggia
estiva e di solito si usa per tener lontano gli animali dalle
abitazioni poichè ne irrita il sistema olfattivo. Lo
conoscevo
ma non così! Non mi ero mai accorta di quanto fosse intenso
e
forte, sento ancora il naso pizzicare! Perchè non me ne sono
mai
accorta fino ad ora? Eppure non passa inosservato, lo sento ancora
adesso con la stessa intensità!"
"Perchè tutte le altre volte eri ditratta! Te l'ho detto,
quando
guardi qualcosa mille altre ti distraggono: il rumore di qualcuno che
ti passa di fianco in quel momento, il colore di un oggetto che
è
vicino a quel qualcosa che attira la tua attenzione senza volerlo, e
magari la tua concentrazione è rivolta ad altri pensieri non
direttamente legati a quell'oggetto in particolare. Spesso accade che
quando si osserva qualcosa in realtà si sta solo pensando ad
altro, guardo un fiore e nel frattempo penso a cosa passa per la testa
ad Uncino, a cosa stanno combinando nella tana i marmocchi, a quale
storia racconterai stasera. Se in quel momento qualcuno ti chiedesse di
che colore è il fiore che stai guardando tu non sapresti
nemmeno
rispondere perchè non lo stai guardando affatto! Guarda
Uncino,
non ci vorrebbe molto a trovarmi, la tana è proprio al
centro
della foresta e i segni sono evidenti, eppure lui non ci ha mai
trovati. Gli adulti sono così, si concentrano su tutto
tranne
che su quello che realtmente potrebbe essergli utile!"
"Quanto tempo ci è voluto perchè tu imparassi a
fare tutto questo? A non distrarti?"
"Io non ho dovuto imprarare. Io non so cosa provi tu, cosa senti. Io
sono abituato a questi odori, questi colori, rumori, so
com'è
fatta una superfice. Certo a volte devo concentrarmi un pò,
ma
non come te. Io non conosco il vostro mondo, me ne accorgo ogni volta
che parlo con te."
Wendy si guardò intorno avida di sapere cosa avrebbe potuto
scoprire se avesse avuto un pò delle capicità di
Peter.
Poi tornò a guardare lui e le tornarono in mente gli stessi
pensieri di quella mattina. Non si sarebbe mai aspettata che da Peter
potesse nascere così tanta meraviglia. Le sembrava
così
poco attento a lei, ai bambini, a quello che lo circondava, le era
sempre sembrato che a lui importasse solo di se stesso, che capisse
solo quello che lo riguardava e basta. Sapeva che Peter aveva un limite
e che non l'avrebbe mai sorpassato. Ora lo guardava e si chiedeva
quante altre cose avrebbe potuto imprarare da lui e che lui di limiti
non ne aveva...non ancora almeno. E nel pensare questo
si mise a ridere. "io
che imparo da
Peter! Se me lo avessero detto anche solo ieri sera avrei risposto che
fosse impossibile! Invece me ne sto qui, a farmi dare lezioni sul mondo
da uno che del mondo ne ha visto meno di me." Se vi
dicessi che
dare ragione a Peter e ammettere di sapere molto meno di quanto
immaginasse fosse facile per Wendy mentirei; era
una bambina
intelligente, speciale e lei lo sapeva benissimo, non era presuntuosa
ma sapeva di cosa era capace e nessuno le avrebbe potuto far cambiare
idea; nessuno tranne Peter. Il solo fatto che in un solo giorno quel
ragazzo le aveva mostrato quanto fossero costrette le sue conoscenze la
mandava sui nervi. Peter le aveva parlato di certezze, bene in quel
momento Wendy veniva privata delle sue, o parte delle sue e per
questo si sentiva persa, confusa e non lo poteva sopportare.
"Wendy, riusciresti a ritrovare l'oggetto che ti ho fatto annusare per
primo chiudendo gli occhi e concentrandoti?" per Peter sembrava
così semplice, per lui era come un gioco e voleva che anche
per
lei lo diventasse. Ma era difficile per Wendy, molto difficile. La sua
famiglia si preoccupava di farla diventare una donna, imponendole
regole giorno per giorno. Suo padre cercava di conquistare un posto
d'eccezione nella banca in cui lavorava e il fatto che sua figlia
andava in giro raccontando strane favole lo circondava di una cattiva
luce, perciò la sgridava continuamente. Sua zia aveva il
pensiero costantemente rivolto verso i vicini e di cosa potessero
pensare di quella bambina tanto strana che non si decideva a diventare
un adulta. L'unica persona che lasciava che Wendy si facesse cullare da
sogni e fantasia era sua madre, una donna bellissima che ricordava o
semplicemente sentiva ancora che qualcosa come quello che provava Wendy
quando raccontava le storie era ancora in lei. Ognuno di noi almeno una
volta è stato sull'isola, o semplicemente ha visto quel
bambino
di nome Peter Pan volare vicino alle nostre finestre, e in un modo o
nell'altro quell'incontro rimane impresso nei nostri occhi, i bambini
impiegano un pò meno a dimenticarlo, o ad accantonarlo,
nelle
bambine quel ricordo svanisce ma parte di esso si trasforma in
sensazioni, istinto. Ecco perchè le mamme raccontano favole
ai
propri bambini perchè c'è qualcosa in esse che da
loro la certezza che essi hanno bisogno di credere nel meraviglioso.
Wendy era ancora un bambina, e in lei quelle sensazioni erano
più
forti che mai, ma il giorno stesso in cui lascò
casa per
volare sull'isola i genitori la stavano per far diventare adulta,
facendo così affievolire il ricordo. Peter le stava
chiedendo
davvero un grande sforzo. Prima con la storia sul fatto che potesse
volare, poi le sirene, i pirati, gli indiani, per non parlare delle
fate...ed ora con il fatto del sentire senza lasciarsi distrarre. Si
sentiva davvero stanca e confusa. Il dover far cadere quelle concezioni
che aveva impiegato tempo e fatica ad acquisire la stava provando in
ogni senso.
"Peter non ci riesco, sono stanca e poi...non capisco come dovrei fare"
il tono era spazientito e infastidito.
Peter dal canto suo, non ammetteva rifiuti, Wendy quel pomeriggio era
il suo capriccio e i capricci dei bambini non vanno mai presi alla
leggera. "Sei solo una bambina!" disse ridendo.
"Cosa vorresti dire?" Wendy era scoppiata, non si controllava
più, con quella frase Peter aveva scatenato la furia che
c'era
in lei "non sono stupida sai? E tutta quella storia che le bambine sono
meglio di 20 bambini sperduti? Sei uno stupido egoista!"
Rimase in silenzio a lungo, Peter si era disteso sull'erba e
guardava il cielo fischiettando come se non fosse accaduto nulla,
mentre Wendy lo guardava furiosa. Alla fine cercando di non farsi
vedere, chiuse gli occhi e cercò di ricordare il profumo che
aveva sentito, quello dolce. "latte
e miele, latte e miele, latte e miele...latte e..."inspirò
una grossa quantità di aria e mosse la testa nella direzione
opposta rispetto a quella dove prima era rivolta "miele! Trovato!"
aprì gli occhi e si alzò velocemente per poi
correre
nella stessa direzione, colse da terra
un fiore e lo annusò. Trionfante si mise in piedi e sorrise.
Peter era ancora nella stessa posizione quando Wendy gli
sbattè
il fiore sul petto. Quando vide che Peter non si muoveva,
sbuffò
e sogghignando soddisfatta prese a camminare di ritorno alla tana.
Appena la sentì lontana Peter aprì gli occhi e
strinse il
fiore tra le mani guardandolo per un pò con il sorriso di
chi
aveva ottenuto esattamente ciò che voleva. Nascose il fiore
nel
sacchetto che aveva legato al fianco vicino al pugnale e si
rialzò incamminandosi anche lui verso la tana. Quella sera
Wendy non gli avrebbe rivolto la parola, Peter lo sapeva, ma non se ne
curava, era riuscito ad averla vinta su di lei, soddisfazione troppo
grande da essere ignorata!
S|A
Se state leggendo ora vi do un caloroso buongiorno! Questa mattina mi
sono svegliata felice e con un mal di schiena tremendo! Oggi da me
è festa e faranno i fuochi d'artificio a mezzanotte quindi penso
che domani vi ritroverete immersi in qualche piccola storia uscita
così a caso! Comunque...passiamo al capitolo.
Allora questo è il piccolo continuo del capitolo numero treee(fa
il verso a Mike) dove Peter spiega a Wendy a cosa sia servito tutto
quel annusare di qua e annusare di la, in poche parole il nostro bel
ragazzotto ha insegnato alla nostra bella bimba a non chiudersi al
mondo, ad estendere i propri sensi facendone crollare i limiti.
Nel prossimo ci sarà una piccolissima new entry...vi lascio un mini spoiler che dovrebbe farvi capire qualcosa:
"La ricordava
molto diversa, molto più giovane. La ricordava con ricci
morbidi e biondi che le ricadevano sulle spalle e che incorniciavano
quel visino tondo ma perfetto dalle guance rosse e dal nasino piccolo e
ben proporzionato al resto del volto. Ricordava le manine piccole e
morbide con le quali afferrava la mano di Peter quando lo voleva
vicino, quando aveva bisogno di protezione."
Vorrei
ringraziare Sere che mi segue e recensisce e che stanotte
resterà da me!:) Ringrazio anche tutti coloro che leggono
e vorrei chiedervi di recensire o lasciare due piccole paroline per
farmi capire anche solo cosa ne pensate e se avete consigli da darmi vi
ringrazio già in anticipo!
Goodbye my darling!
|
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Capitolo 6 *** Back to the past (o capitolo 5) ***
capitolo 5
Come previsto
Wendy non gli parlò tutta la sera, tranne che per dirgli che
lei andava a dormire e quindi di non fare tardi. Peter sapeva che le
sarebbe passato, quindi la lasciò andare senza dire o
chiedere nulla.
L'isola nelle ore subito dopo il tramonto diventava ancora
più fantastica di come la immaginate: il mare si colora di
sfumature di rosso e blu che si mescolano tra di loro creando contrasti
di luce meravigliosi; la luce flebile del sole, ancora non del tutto
scomparso dietro le montagne, si rispecchia nel mare e rincorre le onde
creando un gioco di riflessi che si cercano come ossessi; sembra
quasi che il mare si ricopra di polvere di stelle e fata e che al
minimo respiro di esso questa si sposti come spinta da un vento
invisibile e percorra l'intera superfice alimentandosi della luce del
sole.
La leggera e fresca brezza marina dà ossigeno alla foresta,
la quale
sembra risvegliarsi e dare inizio ad una danza lenta e silenziosa. E'
l'ora in cui le fate iniziano ad uscire dalle loro piccole tane
riempiendo l'intera isola di dolci tintinnii. I pirati tornano sulla
riva con le scialuppe, piantano le tende e, disponendosi a semicerchio,
accendono al centro di esso il fuoco per cucinare e riscaldarsi
riempiendo l'isola di aromi invitanti.
Oltre quel cielo, a Londra e in ogni altro paese, le famiglie si alzano
dalla tavola e si riuniscono in salotto ad ascoltare della musica o a
leggere dei libri mentre i bambini tentano in ogni modo di fuggire dal
bagno dove li attende una vasca piena di schiuma.
Sotto casa Darling c'è un uomo per strada che suona la
chitarra strimpellando una malinconica melodia, attorno a lui si sono
radunate tre o quattro persone che si fanno consolare lasciando che
quella musica faccia riaffiorare ricordi soffocati. Poco più
lontano da quell'uomo, in un edificio interamente di legno e dal
pavimento di coccio rosso fuoco, vengono servite birre e zuppe calde,
il fumo delle cucine si alza alto dal camino disegnando una curiosa
colonna in cielo. Al suo interno due ragazzi suonano su un piccolo
palchetto rialzato anch'esso di legno, un ragazzo suona la chitarra e
l'altro canta. La gente li osserva, qualcuno li segue con la testa,
altri sono totalmente persi nei loro pensieri.
Nel giardino di casa Darling c'è Nana che riposa nella
cuccia
osservando il cielo alla ricerca di tre puntini distinti che facciano
capire che i tre bambini sono tornati a casa. Sembra pronta ad abbaiare
quando invece nota dispiaciuta che tre uccellini si sono posati sul
tetto dell'edificio. Al piano di sopra nella stanza dei bambini la
signora Darling legge un libro distrattamente interrompendosi per
rivolgere lo sguardo speranzoso e triste al cielo. Non sa dove essi
siano, sa solo che anche lei da piccola era stata da qualche parte
anche se non ricorda dove, e sente che quel posto l' ha resa felice ma
anche consapevole. Spera di rivederli, spera che non rimangano li per
sempre, spera di non esser stata così dura con loro da
convinverli a non tornare mai più a casa. Una lacrima scende
sul volto della donna, scivola sulla rosea guancia, le sfiora l'angolo
della bocca, quello con il bacio nascosto e dal mento ricade sul libro
bagnandone una pagina.
"Ehi tu! io ti conosco! Mi ricordo di te!"
Una signora anziana affacciata ad una finestra di fronte all'edificio
dei Darling gridava in direzione di Peter che dallo spavento si era
nascosto sopra il tetto. Quanto stonavano quelle grida in una notte
così silenziosa!
"Ehi, ti ho visto esci fuori, vieni qui! uccellaccio!" ora l'anziana
stava esagerando, il tono di voce si era alzato ancora, tanto da
attirare l'attenzione del signore dalla melodia malinconica. Non si
può rompere quell'atmosfera così perfetta, non si
possono interrompere i ricordi. Quelle grida stavano distruggendo una
cornice perfetta.
Peter aspettò che la signora si fosse arresa e che
rientrasse in casa
distogliendo l'attenzione dal cielo, poi uscì dal
nascondiglio e volò al capezzale della finestra. "Come fai a
conoscermi? come fai a ricordarti di me?"
L'anziana sobbalzò. Si voltò verso Peter e con
estrema lentezza si portò a sedere su una poltrona malandata
posta vicino al camino fatto di mattoncini e coccio. Non faceva freddo
eppure il camino era acceso e lei indossava abiti pesanti. Si
portò la coperta di lana a coprire le ginocchia e
tornò a guardare Peter, che nel frattempo era entrato nella
camera e si era accomodato a terra davanti al camino di fronte alla
signora. Ora, davanti al camino con la luce scoppienttante del fuoco,
Peter riconobbe l'anziana signora che aveva di fronte.
La ricordava
molto diversa, molto più giovane. La ricordava con ricci
morbidi e biondi che le ricadevano sulle spalle e che incorniciavano
quel visino tondo ma perfetto dalle guance rosse e dal nasino piccolo e
ben proporzionato al resto del volto. Ricordava le manine piccole e
morbide con le quali afferrava la mano di Peter quando lo voleva
vicino, quando aveva bisogno di protezione.
Ricordava benissimo quegli occhi, non erano cambiati, loro. Azzurri.
Quando Peter li guardava pensava unicamente alla sola persona che aveva
come lei gli occhi di quel blu intenso, glaciale: Uncino. Quella
bambina, quella donna, aveva gli occhi dello stesso colore di Uncino, e
come loro, questi avevano lo stesso potere attrattivo.
"Si diventa così?"
"Cosa vuoi dire?"
"Si diventa così quando si cresce? Si diventa
così quando si sceglie di essere adulti?"
"Sì, si diventa così, ma solo dopo tanto tempo."
"Dopo quanto tempo sei diventata così tu?"
"Dopo ottantotto anni dall'ultima volta che ci siamo visti Peter!"
"Perchè si diventa così?"
"Quando decidi di crescere, accetti molti cambiamenti. Accetti la
scuola ogni giorno, accetti il lavoro, accetti la famiglia, i figli, le
responsabilità. Dimentichi spesso di darti una pausa,
dimentichi i giochi che facevi da bambino ammettendo altri
divertimenti. Dimentichi di aver bisogno delle favole la sera prima di
addormentarti, del bacio della buonanotte, della giornata al parco con
gli amici a giocare a rotolarti a terra. Cominciano a farti male le
ferite, ti crescono le braccia, le gambe. Improvvisamente non entri
più nel lettino e sei costretto a prendere un letto
più grande, un letto vero. Butti via l'orsacchiotto con cui
dormi, perchè ormai sei troppo grande per quello e cominci a
prendere l'abitudine di pensare prima di prendere sonno rischiando di
perderlo definitivamente. Allora a quel punto fai ricorso a dei rimedi
per dormire e sogni poco e spesso se sogni è per fare degli
incubi. Impari parole come stress, stipendio, rincaro, crisi. Tutto
perde d'importanza, poche cose rimangono fondamentali, veramente
fondamentali, nella tua vita. Fino a che, quando meno te lo aspetti,
tutto
questo finisce e ti ritrovi ad essere nonna, ad accudire i figli dei
tuoi figli. Vedi il tuo viso cambiare, trasformarsi, assumere curve e
pieghe che non avresti mai immaginato di prendere. Ti senti sempre meno
forte, e cominci ad avere freddo anche quando fuori non fa
così tanto freddo, e senti tremendamente caldo quando fuori
non fa poi così tanto caldo."
" Basta! Mi spaventi così!"
"Oh no Peter, la vita è dura. Crescere è una
bella scelta da fare, ma se la fai scegli di prendere il cattivo
assieme al buono. Il cattivo ti spaventa ma solamente perchè
non sei a conoscenza del buono. La morte, la vecchiaia, le
responsabilità, sono cose che ti fanno a pezzi, ti piegano
in due e ti straziano l'anima ma dall'altra parte c'è sempre
qualcosa che fa rimarginare quelle ferite rendendoti ancora
più forte, proprio quando meno te lo aspetti. Restare
bambini, oh si sarebbe stupendo! Ma laddove la scelta è
unica, ovvero crescere per forza, l'andare incontro a tale scelta non
è poi così negativo e sgradevole. Anche la vita
peggiore può avere risvolti positivi se sai trovarli."
"Ti prego raccontami cosa è successo quando sei tornata a
casa!"
Il fuoco scoppiettava nel camino, l'anziana signora si alzò
dalla poltrona e scese al piano di sotto a riscaldare un recipiente con
dell'acqua. Appena la tisana fu pronta si strinse nella coperta e
risalì le scale lentamente seguita da Peter che, pur essendo
impaziente di conoscere la storia, apsettava rispettoso che la donna
fosse pronta. Entrò nella stanza e si diresse verso una
piccola libreria alla ricerca di qualcosa. Quando lo trovò
vi soffiò sopra. Era...qualcosa, non si capiva cosa
poichè era ricoperto da anni di polvere. La donna vi
passò sopra il palmo della mano liberando un piccolo tratto
di quel qualcosa
lasciando intravedere una scritta. ALBUM. Era un album fotografico.
"Album fotografico
di
Maimie Mannering"
SA
Buongiorno a
tutti, questa mattina mi sono svegliata felice e se vi dicessi che
è anche merito di qualcuno di voi che legge, beh credetemi
perchè è esattamente così!! Ho un male
alla schiena incredibile e stare seduta su questa diamine di sedia fa
abbastanza male.
Comunque passiamo al capitolo in se per se...abbiamo scoperto chi era
questa new entry nella nostra storia, in realtà è
tutt'altro che new poichè si tratta di Maimie, la
inquietante prima bambina ad essere rimasta chiusa nei giardini di
Kengsinton e a conoscere le case. Chi di voi ha letto la storia
saprà di un particolare molto utile che
comparirà sicuramente nel prossimo capitolo.
Grazie a chi continua a leggere e a chi recensisce, approposito devo
ringraziare la piccola Black
Ice a questo proposito e la solita Serena che non
mi abbandona mai.
Goodbye my Darling! E, spero, alla prossima.
Ps:
chiunque voglia dirmi cosa pensa della storia i suoi commenti sono
assolutamente ben accetti!
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Capitolo 7 *** Back to the past(seconda parte)o capitolo 6 ***
capitolo 6
Il calore del camino si stava diffondendo nella stanza nonostante la
finestra fosse rimasta aperta.
"Le foto, Peter, sono uno dei modi migliori per non cancellare i ricordi.
In questi pezzi di carta sono racchiusi attimi di vita fondamentali. C'è tutta me stessa. C'è la mia storia."
Cominciò a sfogliare l'album sospirando e
carezzando alcune foto. Cominciò a spiegare chi fossero le
persone ritratte assieme a lei. Parlò dei suoi figli. Entrambi
si erano laureati ed ora lavoravano uno come avvocato e uno come
banchiere. Disse che non li vedeva da troppo tempo, ormai, e che non era più una delle preoccupazioni fondamentali
della loro vita.
A Natale mandavano le cartoline e le foto con i loro
figli che crescevano a vista d'occhio. Tutti avevano qualcosa della
nonna: chi gli occhi azzurri, chi i riccioli biondi, chi il visino
paffuto. Era impossibile non ricordarsi della donna quando si
guardavano quei bambini.
Si soffermò su di una foto in particolare che ritraeva una
ragazza alta, snella, dai capelli corti, ricci e biondi. Al suo fianco
vi era un ragazzo, alto poco più di lei, dai capelli rossi che
la teneva a cavalcioni sulla schiena e rideva divertito. Peter
pensò che stessero davvero bene. Erano felici. I loro
sorrisi erano bellissimi.
"Questo era mio marito Peter, lo conobbi a scuola e restammo amici per
tanto, davvero tanto tempo. Andammo all'università insieme e
una volta laureati ci accorgemmo che quel qualcosa che c'era tra di noi
era di più. Ci sposammo l'anno seguente. Entrambi lavoravamo
e mandavamo avanti questa casa, un tempo più luminosa e
accogliente. Vi erano fiori ovunque...aspetta..." girò le
pagine alla ricerca di qualcosa e quando lo trovò Peter
sospirò meravigliato "questa è una foto di questa
stanza durante il nostro secondo anno di matrimonio e quel marmocchio
nella culla è il mio primo figlio. Quando mio marito
è morto questa casa ha perso vitalità. Era un
raggio di sole. Avevo lui e non volevo altro. Ora che non
c'è mi accorgo di aver bisogno di molte cose Peter. Oh, ma
non quelle che tutti pensano. Io ho bisogno di affetto, amore, gioia.
Ho bisogno di ricordare cos'è la vita perchè, sai,
io sento che non è ancora giunto il momento di sparire da
questo mondo per me. Ho ancora troppe cose da imparare!"
Mentre parlavano il camino si stava spegnendo, così Maimie,
ogni tanto, si alzava per rianimare la fiamma. Peter sorrideva ai
racconti della donna, la guardava e sentire quanta vita scorreva nelle
sue parole lo animava di una strana vitalità. Sentiva
l'energia scorrere nelle vene. Sapeva di essere felice. Quella donna
gli stava mostrando quello che lui non avrebbe mai potuto avere e se, in
un primo momento, aveva avuto paura di perdere tutto questo, ora non ci
pensava più, ora aveva vissuto i suoi anni di adulto
attraverso i racconti magnifici di quella donna. Quella sera era stato
a Parigi dove ,seduto ad una panchina circondata dai fiori, aveva
mangiato del pane morbido e caldo; era stato in Italia dove aveva
girato per paesi stupendi e diversi tra loro, si era stupito dei mille
dialetti che si parlavano anche solo a distanza di pochi chilometri;
aveva visto Dublino e ammirato i paesi verdi dell'Irlanda. Stava
viaggiando da più di un ora quando Maimie si
fermò lasciando che Peter assemblasse insieme i pezzi del
puzzle che era la sua vita.
"Peter devo farti vedere una cosa..."
Peter alzò lo sguardo ancora perso in quei mondi fantastici.
"Ti ricordi quando ogni tanto in quel parco, portavo quella scatolina
piccola e nera che faceva quello strano rumore?"
"Mmm...si, aveva una lente di vetro davanti!"
"Quella cosa serve a fare le foto. Mio padre era un fotografo e me la
regalò che non la riuscivo a reggere nemmeno con due mani
per quanto fossi piccola. Quella volta al parco ho scattato una foto a
noi due vicino alla casetta delle fate. Guarda!" Le rilucevano gli
occhi, sembrava che da un momento all'altro sarebbe scoppiata a
piangere. Non lacrime di tristezza ma di gioia. Solo di gioia!
Peter guardò quella foto tenendola stesa a terra. Le sue
espressioni erano indecifrabili, andavano dalla pura e semplice
curiosità, al compiacimento, dalla rabbia allo scoppiare dal
ridere senza motivo. La donna lo guardava e ad ogni cambio di umore
sorrideva, oppure, sobbalzava spaventata e sorpresa. Peter
guardò la donna e poi la bambina della foto.
"Sai non sei cambiata tantissimo!"
"Ma che dici Pan sono totalmente diversa!"
"No non è vero, i tuoi occhi..sono sempre gli stessi, li
guardo e non posso non pensare alla Maimie bambina, c'è la
stessa forza. Quando ti stavo vicino mi sentivo felice non ti fermavi mai. Avrei davvero voluto che restassi con me, ma
dovevi tornare dalla tua mamma." restò in silenzio a
guardare quella foto...."e se ci fossimo sposati...la tua vita non
sarebbe stata così! Non ci sarebbero stati tutti questi
bimbi e tu..non avresti visto quei posti stupendi!".
L'idea lo
terrorizzava, glielo si leggeva chiaramente in volto. Stava male, si
agitava.
"Maimie sono contento che tu abbia scelto di crescere! Mi piace
quello che mi hai raccontato oggi e mi piace che tu abbia avuto una
vita così bella! Avrei voluto davvero portarti sull'isola,
ma poi non avrei potuto ascoltare questo racconto stupendo, non avrei
mai saputo cosa significa vivere una vita diversa dalla mia. Io oggi ho vissuto la tua vita,
sono diventato un vechietto con te! E sai che ti dico?"
"No Peter, dimmi"
"Mi è piaciuto tantissimo! Maimie grazie!"
"Peter e la foto? Cosa mi dici della foto? Insomma, guarda me e guarda
te. Non è buffo?"
"Maimie è stupenda questa foto! Non riesco a pensare che
metà di questa foto ha continuato per la sua strada
crescendo e diventando come la donna che ho di fronte e che l'altra
metà sia rimasta lì, in quella casetta sotto la
neve. E' strano, anche perchè non mi ero mai reso conto di
quanto tempo fosse passato. Non avevo mai contato i giorni ne gli anni,
sull'isola non esiste nulla di tutto ciò. Può
passare un anno come può passare un minuto, tu non te ne
accorgi. Fino a quando non torni qui...qui il tempo sembra correre e
tutti voi correte con lui. Mi fa paura questa corsa a crescere! E' come
se non faceste mai in tempo a fare tutto e poi trovate ogni modo per
impegnarvi ancora di più."
"Avete i visi stanchi, arrabbiati. Vi guardate tra voi come se non vi
conosceste eppure, vi incontrate ogni giorno mentre camminate per
strada. I vostri sguardi nascondono tante paure e sono sempre impegnati
da mille pensieri. Non riesco a mettermi nei vostri panni, ci provo
perchè vorrei conoscervi ma non ci riesco. Oggi nella tua
storia, sembrava stessi vivendo con te, ma tu sei sempre stata diversa
Maimie, tu avevi gli occhi liberi da tutto questo, anche adesso che hai
sulle spalle una vita e tante preoccupazioni sembra che in te ci sia
altro, più importante di ogni altra cosa, che cancella via
ogni cosa cattiva e lascia che tu sia libera. So che non puoi ma so
anche che se solo te lo chiedessi, tu torneresti con me in quel parco a
giocare con le tue fate."
"Andiamoci Peter! Accompagnami!"
"Maimie non posso! Non posso camminare per queste strade come se niente
fosse...però forse posso fare una cosa..." il volto di Peter
s'illuminò, uscì un attimo dalla finestra seguito
dallo sguardo delle donna e quando rientrò al suo fianco
c'era Campanellino che lo seguiva ovunque andava ma che in quel momento
era rimasta fuori perchè spaventata da Maimie. "Lei
è Campanellino, la mia fata, non è male se riesci
a farti capire e a conquistare la sua simpatia."
Maimie lanciò via la coperta e cercò di alzarsi
per andare incontro alla fata. Quando le fu abbastanza vicina, un
sorriso spuntò sul suo viso. Non posso descrivervi come
fosse perchè non ci sarebbero le parole giuste. Provate ad
immaginare un bambino sorridere, è bello vero? Rendetelo
ancora più dolce e luminoso, quello era il sorriso di
Maimie. Un sorriso di qualcuno al quale era stato restituito un sogno e
una speranza. Campanellino fu divertita da quel sorriso e
toccò con la manina la guancia di Maimie facendole il
solletico. Le piaceva. Maimie le piaceva.
"L'hai conquistata Maimie!"
Campanellino si allontanò un pò avvicinandosi
all'orecchio di Peter per dirgli qualcosa che Peter poi tradusse per la
donna. "Campanellino vuole sapere se hai un desiderio, lei lo
realizzerà per te!"
La donna tornò seria per qualche secondo rifiutando
l'offerta e dicendo che non lo meritava, che non poteva, che non
sapeva. Campanellino insisteva e nel farlo fece tornare il sorriso a
Maimie che non resisteva allo scampanellio acuto della fata. "Bene se
insisti allora, penso che chiederò il mio piccolo desiderio."
Peter e Campanellio erano in attesa, stavano morendo dalla
curiosità, i loro occhi erano spalancati e se Maimie non
avesse parlato immediatamente presto sarebbero caduti a terra. "vorrei
poter riavere la mia casetta, quella che le fate mi costruirono la
prima notte che rimasi chiusa nel giardino, per favore!"
Campanellino si portò le manine sul mento con fare pensoso.
Corrucciò la bocca e si concentrò. All'improvviso sorrise e
corse fuori dalla finestra. Tornò nella stanza mentre tra le
mani aveva un mucchietto di neve che aveva preso chissà dove
dato che, quella sera, di neve non ce n'era la minima traccia. Nella
stanza la luce aumentò pian piano mentre la neve tra le mani
di Campanellino si illuminava di una luce bluastra. Quando la luce fu troppo
forte Peter e Maimie furono costretti a chiudere gli occhi che
riaprirono solo quando furono certi che nella stanza era tornato il
candore rossastro proveniente dall'unica fonte di luce li dentro oltre
a Campanellino: il camino.
Ai piedi del letto, addossata alla parete c'era la casetta costruita
dalle fate per Maimie durante la prima notte nei giardini. Era
esattamente come la ricordava solamente un pò più
grande da permettere alla bimba, ormai cresciuta, di entrarci
comodamente. Era bellissima. Era lei. Era la sua casetta.
Maimie non sapeva come ringraziare, era lì in piedi a bocca
aperta davanti alla porticina che guardava Campanellino cercando le
parole giuste. Chiuse gli occhi e sospirò un impercettibile
"Grazie!" prima di scoppiare in lacrime di gioia.
Peter e Campanellino non volevano disturbarla, volevano che restasse li
con il suo sogno ad un palmo dal naso così cominciarono ad
allontanarsi. Erano quasi alla finestra quando Maimie
afferrò la mano di Peter ricordando proprio quei momenti in
cui lei lo cercava per sentirsi protetta. Peter sorrise e si
girò verso di lei che non piangeva più ma
sorrideva felice. Davvero felice.
SA
Buongiorno, oggi un pò più tardi del solito. Ho appena
finito di pranzare e vedere un film un pò...strano. Questi sono
due dei capitoli ai quali tenevo di più. Maimie è la
figura, dopo Uncino e Peter, che più mi affascinava della
favola. M'incuriosiva del perchè Barry avesse scelto lei e non
Tommy, il fratellino di lei. Ho cercato di rispondermi più volte
ma non sono ancora riuscita a trovare una risposta decente.
Spero vi sia piaciuto, volevo che Peter avesse la possibilità di
capire cosa volesse dire davvero crescere e volevo che il lettore
capisse che per lui, restare bambino, non è un capriccio,
è una realtà ben radicata e motivata.
Aspetto i vostri commenti:)
Buon pomeriggio!
Ps: grazie a chi legge, chi preferisce e a chi recensisce! Un bacio!!!
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
cAPITOLO 7
"Peter...Peter!"
"Non stavo dormendo!"
"Si...come sempre.."
Nel frattempo che Peter parlava con Maimie, sull'isola, il tempo scorreva
veloce. La notte era passata e, quando il bambino fece ritorno
sull'isola, i primi chiarori dell'alba facevano capolino dal mare.
Svegliarsi fu un' impresa. Era più di un ora che Wendy stava
china su di lui e lo chiamava, aveva provato anche con degli schiaffi
ma con nessun risultato. Alla fine aveva urlato e Peter era riuscito a
sentirla nei suoi sogni e, come ogni mattina, giurava di essere
già sveglio.
"Peter noi andiamo al campo, vieni con noi?"
"No, io devo fare una cosa, ci vediamo dopo Wendy" leggiadro
uscì dalla tana e volò verso il mare. Si mise seduto
sulla sabbia e aspettò che succedesse.
Il mare era una tavola, quella mattina, e rifletteva i raggi del sole
rischiarando l'enorme massa blu che lo componeva, frammentando i suoi
colori in miriadi di sfumature. Impercettibilmente il mare
cominciò a gonfiarsi, cose se respirasse, le onde da flebili
increpature divennero alte e violente. Si arrotolavano su se stesse
formando degli enormi riccioli che, una volta sciolti, lasciavano come
segno del loro passaggio una scia di schiuma bianca e morbida.
Le parole di Maimie avevano lasciato in Peter una profonda cicatrice,
non di quelle che si fanno i bambini cadendo a terra e che impiegano
pochi giorni a rimargiarsi. Quelle cicatrici lasciano solamente piccoli
segni bianchi, quasi impercettibili. La cicatrice che Maimie aveva
lasciato in Peter era qualcosa di più profondo e radicato,
sentiva il suo effetto lungo tutto il corpo. Aveva avuto
difficoltà a volare quella sera, non perchè non avesse
pensieri felici, solamente sentiva il peso del suo corpo. Vedere quegli
occhi così com'erano una volta su quel corpo così diverso.
Il mare gridava. Tuonava. Ben in vista c'era il suo polmone, un piccolo
isolotto poco distante dalla costa completamente ricoperto di
conchiglie e strane creature marine. Il perchè lo chiamassero
polmone era comprensibile, dato che quel piccolo pezzo di terra si
alzava e si abbassava come se si stesse nutrendo d'aria pulita ed espellesse quella cattiva. Una volta Peter c'era stato, aveva
solleticato il polmone del mare e giurò di aver sentito uno
strano rumore provenire dalle profondità di esso. Come
conseguenza a quel rumore si creò sulla superfice un veloce
vortice che sparì dopo pochi secondi. Alcuni uccelli, che
assistirono alla scena, spiegarono a Peter che aveva causato uno
starnuto al mare e che presto lo avrebbe punito.
Ovviamente il mare non punì mai Peter, poichè il ragazzo
aveva il totale rispetto per quella natura che gli faceva da casa. Con
il mare in particolare aveva un rapporto speciale. Era stato la sua
culla i primi giorni sull'isola, le sue onde lo avevano accompagnato
nel sonno e la leggera brezza mattutina lo avevano destato dolcemente
dai suoi sogni. Il mare aveva regalato a Peter il dono di comprendere
la sua voce poichè ormai entrambi non potevano fare a meno della
rispettiva compagnia.
Ai lettori poco attenti sembrerà impossibile. Ma io vorrei
ricordare loro che siamo in un posto speciale e che stiamo parlando di
un ragazzo dalle incredibili capacità. Quanti di voi non si sono
mai ritrovati a cercare conforto in qualcosa che non fosse una persona?
Che sia una giornata al parco sotto l'ombra fresca di un albero; che
sia sul proprio letto, chiuso tra le mura di una casa; anche il
narratore ammetterà di aver cercato rifugio in qualcosa di
più grande di lui che potesse dargli maggiore conforto.
Immaginate il mare, nella sua piena grandezza. Immaginate quella voce
così felbile ma paradossalmente possente. Immaginate il vostro
corpo, disteso sulla spiaggia e le vostre orecchie protese verso quel
rumore che chiameremo suono. Chiudete gli occhi e dimenticatevi
di essere materia, fondetevi con l'aria, con la sabbia, con l'acqua e
con quel suono dolce e vellutato. Non potete non essere in sintonia con
quell'atmosfera, entra dentro di voi mutando ogni singola molecola che
compone il vostro corpo. Il tuo sangue diventa più fluido e
trasparente e non senti più quel peso che ti affannava il
respiro. Il mare depura la tua anima, ti libera dal peso dei tuoi
pensieri e non ti fa sentire solo.
Peter ha un modo di parlare con il mare. Lui si siede sulla sabbia e
chiude gli occhi aspettando che esso si gonfi e si faccia furia,
così da essere in totale sintonia con la burrasca che si scatena
dentro il petto del ragazzo. I loro pensieri si uniscono e le loro voci
si bilanciano, diventando un unico suono. Peter prende il suo piffero e
suona. Suona fino a quando non ha più fiato. Il mare lo ascolta
comprendendo quel suono e mutandolo in parole. Non pensate che le
parole del mare siano come le comuni e umane parole. Quella distesa
infinita nasconde più segreti di qualsiasi altro essere vivente
e non. Se parlasse lingue comuni quei segreti sarebbero gettati al
vento e lui finirebbe di essere quel grande rifugio che adesso
è. No, le sue parole sono sconosciute a tutti, anche allo stesso
Peter, lui ha solo un modo per comprendere quello che il mare vuole
comunicargli. Si limita li il dono di Peter.
Vi prego di non sottovalutare questo dono poichè è molto
più grande di quanto pensiate. Le parole del narratore non
possono spiegarvi l'immenso valore di ciò che il mare ha fatto
rivelando parte di se a Peter. So solo che a noi umani questo dono
è totalmente privato, perchè le risposte che noi
cerchiamo non possiamo ottenerle. Non
cerchiamo risposte, solamente nuove domande. Perciò anche se il
mare ci provasse, a comunicare con noi, noi non saremmo mai pronti alle
sue risposte.
Peter mise fine al flusso dei suoi pensieri e cercò di lasciarsi
andare. Prese il piffero e cominciò a suonare la melodia
più dolce che orecchie umane potrebbero mai ascoltare.
Portava in se la freschezza della neve, la leggerezza del vento e la
forza distruttrice del fuoco. Portava sulle onde delle sue note la
forza cullatrice delle onde del mare. Non c'era elemento che sfuggisse
a Peter, non c'era momento in cui lui distogliesse l'attenzione da
tutto ciò che lo circondava. Chiunque avesse avuto la mia stessa
fortuna, ovvero chiunque avesse avuto modo di osservare ed ascoltare,
sarebbe rimasto incantato da quelle note così pulite e leggere.
Il mare si calmò poichè Peter quella sera non era
agitato. Sentimento nuovo costellava la mente di Peter, forse potremmo
definirla rassegnazione. Dare nomi ai sentimenti di un bambino è
assolutamente restrittivo poichè i bamnini provano sentimenti
assolutamente al di là di ogni immaginario.
Peter aveva domande, eccome se ne aveva.
Quella sera c'era altro che
turbava Peter: la risposta a quelle domande. Aveva ascoltato storie di ogni genere. Sapeva cosa
voleva dire crescere, certo che lo sapeva. Ma Maimie quella sera lo
aveva messo di fronte ad un'altra realtà. Lui e Maimie erano
esattamente la stessa persona, si sentivano così simili e
vicini, era per questo che Peter avrebbe voluto che restasse con lui,
nei Giardini, e che non lo lasciasse per tornare a casa dalla mamma. Ma
lei lo aveva lasciato e gli aveva detto che doveva tornare ma che
sarebbe andata a salutarlo più volte. Da allora Peter fa quella
stessa promessa a tutti coloro che vanno sull'isola per poi lasciarli
con il ricordo di Peter Pan per sempre impresso nelle loro menti. Peter
è consapevole del conforto che danno quelle parole, ma nella
mente di un adulto presto quei ricordi svaniscono e l'assenza di Peter
viene giustificata con l'assenza di ricordi su di lui. Peter invece
ricordava Maimie, lui la sentiva vicnino ogni giorno. I bambini non
dimenticano mai i propri compagni di giochi. Ognuno di loro ha qualcosa
che rimane impressa nella mente degli altri bambini, così quando
un bambino guarderà un pallone ricorderà del suo amico
così tanto bravo a giocare col pallone. Ci sono tanti meccanismi
che scattano e regolano i pensieri di piccoli umani, nessuno di noi
potrebbe dare una spiegazione sensata ad ognuno di essi.
Ovviamente il ricordo di Maimie era un ricordo felice per Peter, ma la
realtà a cui quella donna lo aveva posto di fronte era
così troppo....vera. Peter aveva sentito la sua pelle
arricciarsi e il suo corpo crescere, aveva sentito il peso delle
responsabilità e perfino il piacere scorrergli nelle vene. Per
quanto fosse impossibile il ragazzo provò anche il dolore di un
parto, sensazione per sempre sconosciuta agli uomini. Quelle sensazioni
si erano riversate nella mente di Peter tutte insieme e avevano avuto
l'effetto di una bomba.
Era spaesato, si sentiva strano, pieno. La sera prima aveva vissuto
qualcosa di assolutamente incredibile, i medici sarebbero capaci di
dire che il sistema nervoso di Peter in quel momento era fuori uso,
inefficente poichè compresso da emozioni assolutamente inadatte
alla mente di un bambino.
Questo forse potrebbe succedere ad un bambino normale, ma Peter non era normale, ovviamente.
Quelle sensazioni inadatte a un bambino comune, in lui formavano
esperienze. Peter adesso non aveva più nulla da perdere. Era
stato bimbo, poi era cresciuto ed ora aveva finalmente scelto
definitivamente che, essere bambino, era davvero ciò che avrebbe
voluto continuare a fare per sempre. Non avrebbe potuto spiegarlo a
nessuno, come avrebbe fatto? Con quali parole avrebbe spiegato loro il
modo in cui una sera era cresciuto e come in quella sera stessa aveva
deciso di tornare bambino?
Era decisamente difficile. E sicuramente qualsiasi mente umana avrebbe
rigettato quell'idea, giudicando Peter pazzo. Un bambino pazzo, non ho
mai compreso come si potesse dare ad un bambino del pazzo.
Il mare cercava il vero problema che si celava in Peter. Fluiva in lui
e scorreva per il suo corpo.
Maimie era cresciuta. Maimie era invecchiata e lui era li sull'isola
ancora bambino ancora felice. Prese la foto e la strinse tra le mani.
Il mare fuoriuscì dalle sue dita e cominciò a vorticare intorno al volto di Maimie.
Lei è cresciuta ed era felice, Peter lo sapeva, lo aveva visto.
Aveva visto un pò di tristezza nei suoi occhi, certo, ma
è bastato davvero poco per farla tornare come prima. Per farla
sorridere come in quella foto, dove le sue guance erano rosse e morbide
e dove i suoi occhi brillavano contenti e agli angoli della bocca
comparivano due fossette appena accennate. Peter si stava chiedendo
cosa fosse per tutti i bambini che vanno sull'isola. Si stava chiedendo
se fosse giusto chiedere loro di rimanere sull'isola e di non crescere
con lui. Si stava chiedendo se fosse giusto obbligarli a dimenticare la
mamma e il papà, in fondo non tutti i genitori sono cattivi. I
genitori di Wendy non avevano chiuso la finestra. I genitori di Wendy
non si erano dimenticati dei loro bambini.
Lui aveva deciso di stare via perchè sapeva che i suoi genitori
lo avevano dimenticato, ma se gli altri sarebbero voluti andare via
glielo avrebbe permesso. Maimie glielo aveva fatto capire. Se lei era cresciuta ed ora
era felice, allora, anche gli altri bambini lo sarebbero stati.
Aveva la soluzione, forse aveva davvero trovato la domanda che cercava.
"E se gli dicessi che possono tornare a casa?"
Si stava alzando e stava per spiccare il volo verso il campo quando
qualcosa lo attirò a terra. Il mare lo aveva riportato
giù e lo aveva messo davanti ad una più dura
realtà.
"Sai che resterai solo?"
Non ci aveva pensato. Ecco che il cambiamento repentino dell'umore di
un bambino stava di nuovo avvenendo nella testa di Peter. Non voleva
restare solo, non era giusto, lui aveva fatto così tanto per gli
altri. Gli aveva dato una casa, gli aveva salvati dalle carrozzine e
gli aveva isegnato a volare e ad avere sempre pensieri felici. Loro
stavano bene sull'isola e non gli avevano mai chiesto di tornare a casa
dalle loro mamme quindi era inutile che chiedesse loro di tornare a
casa. Non voleva che lo lasciassero li da solo, non perchè
avesse bisogno di loro, non lo avrebbe mai ammesso Peter. Il motivo era
che, senza di loro, non avrebbe avuto altri con cui giocare.
I bambini, creature angeliche e diaboliche allo stesso tempo, capaci di
cambiare idea in una frazione di secondo ed estremamente intelligenti.
Riescono a percepire la verità con estrema semplicità e,
in un modo assolutamente inconcepibile, riescono a giostrarla come
vogliono. Sono egoisti, capricciosi, eppure riescono a fare la
felicità di ognuno di noi. Esseri sensazionali.
Peter Pan sapeva che un giorno sarebbero tornati a casa e decise che
non li avrebbe fermati. Ma fino ad allora lui non avrebbe dato motivo
loro di pensare ad una cosa del genere. Il giusto compromesso.
SA
Buongioooooooooooooorno mondo! Ma quanto è difficile
riuscire a stare tranquilli in questi giorni? La qui presente Lisa non
sta molto bene!
Comunqueeee...questo capitolo è stato scritto con anima, mente e
corpo. Il mare, ma che cosa bellissima può esere il mare eh? Non
avevo parole per descriverlo, ho pensato a tutto, davvero tutto ma non
ci riuscivo. oi alla fine ho scritto queste poche parole sperando che
nessuno mi fucile per una descrizione così rstrittiva. Sta quasi
per concludersi la storia, siamo a poco più della sua
metà! Ed io ho queste due persone fantastiche che continuano a
recensire regalandomi parole bellissime ogni volta!!! Ili_Sere_nere e Black ice. Grazieeeeee!!!!!!
Grazie anche a chi segue, mi piacerebbe tanto se lasciaste un piccolo
commento, segno del vostro passaggio. Non fa mai male qualche consiglio!
Buona giornata a tutti!
Spoilerino, ino, ino:
"Wendy aspetta..." La bambina si fermò e si girò a guardare Peter.
"Cosa c'è?" Gli occhi le brillavano, sperava avesse cambiato
idea. Si sbagliava. Peter voleva capire una cosa che forse non avrebbe
capito mai da solo.
"Devo chiederti una cosa..." Guardava per terra, si vergognava un
pò forse, per lui era tutto un gioco ma quella sera il gioco si
stava facendo troppo reale e così pensò di concluderlo
per bene "...mi potresti raccontare dell'amore Wendy?"
Per chi vuole c'è anche quest'altra mia storia piccina piccina pronta ad essere letta da voi:)Wish you were here.
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Capitolo 9 *** Addio Peter (capitolo 8) ***
capitolo 8
Giorno della partenza:
Peter:
Quel giorno arrivò più veloce che mai e, come si era
ripromesso, non avrebbe mai chiesto loro di restare. Wendy li aveva
tirati tutti verso di se, adesso Peter sarebbe rimasto davvero solo
sull'isola. I bimbi sperduti volevano tornare a casa, si erano ricordati
tutti delle loro mamme e volevano che Wendy li riportasse da loro.
Wendy aveva accettato, ovviamente, e aveva cercato di convincere Peter
con tutta se stessa, senza alcun risultato.
"Devo restare qui per i bambini che verranno, sai che ce ne saranno
tanti, i bambini cadono sempre dalle carrozzine e tutti loro vorranno
volare fin qui. Se voi volete andare andate ma lasciate stare me. Vi
accompagnerò a casa e poi me ne andrò." Peter era seduto
sul suo trono e suonava il piffero, note rotte, dure, direi quasi
aspre. Era un suono che rispecchiava benissimo il suo umore. Non
era triste, sapeva, era consapevole che doveva succedere. Era
infastidito da Wendy, perchè provava a convincere lui.Perchè ciò che diceva non aveva senso.
O almeno, non avevano senso per un bambino. Wendy parlava da adulta e
Peter si rifiutava di comprenderla.
"Peter, potrò tornare sull'isola ogni tanto?"
"No, Wendy, quando vai via non puoi tornare."
"Ah..capisco..." Wendy lasciò la medicina sul tavolo
perchè Peter la prendesse e
cominciò a camminare verso l'esterno della tana, dove gli altri
l'aspettavano già pronti a partire. Molti dei bambini non
avevano nemmeno salutato Peter. E' inutile ripetervi l'uso comune dei
bambini di dimenticarsi all'istante di ciò che li ha fatti
felici prima, nel momento in cui c'è qualcos'altro che li fa
felici adesso.
"Wendy, aspetta..." La bambina si fermò e si girò a guardare Peter.
"Cosa
c'è?" Gli occhi le brillavano, sperava avesse cambiato idea. Si
sbagliava. Peter voleva capire una cosa che forse non avrebbe capito
mai da solo.
"Devo
chiederti una cosa..." Guardava per terra, si vergognava un pò, forse,
per lui era tutto un gioco ma quella sera il gioco si stava facendo
troppo reale e così, pensò di concluderlo per bene "...mi potresti
raccontare dell'amore Wendy?"
La
piccola, ormai adulta, sgranò gli occhi, stupita, e si mise
accanto a Peter cercando di raccogliere qualche storia per spiegare al
ragazzo che aveva di fianco, cosa provasse lei per lui. Sapete, qui il
narratore ha qualche dubbio. Credo che la bambina abbia da sempre
confuso l'enorme ammirazione che provava per Peter come amore, come
infatuazione. Lei era ormai adulta e l'amore che provava non era
quello che una bambina prova per un altro bambino, ovvero quell'amore
infantile, ingenuo e disinteressato. Peter avrebbe accettato
quell'amore, lui lo conosceva, poichè era quello che lui provava
per Wendy. L'amore che Wendy provava era diverso. Un amore che Peter
non avrebbe potuto provare. La sera in cui Wendy era stata portata
sulla nave di Uncino,
lui le aveva chiesto di diventare una pirata e di restare sulla nave.
So
che vorreste che io vi dicessi che lei non ci ha nemmeno pensato ma
sapete che non è così. Conoscete Wendy, sa
essere molto capricciosa ed egoista quando vuole e quella sera lo
è stata più di ogni altra volta.
Era stata ammaliata dagli occhi di quell'uomo. Lui la faceva sentire
grande, importante. Le aveva parlato di sentimenti, di amore.
Sentimenti di cui con Peter non avrebbe mai potuto parlare,
perchè lo riteneva incapace di provarne. Era per Uncino che
Wendy cominciava a provare quell'accenno di amore adulto fatto di
tormenti e frasi non dette. Il dubbio del narratore è
esattamente questo. Ma di certo non scalfisce ciò che Wendy
disse a Peter, poichè di amore adulto Wendy, comunque, ne sapeva
qualcosa in più del ragazzo, è solo che non sapeva verso
chi era rivolto.
"Sai Peter, l'amore e l'amicizia, sono due cose fin troppo simili.
Diciamo che sono due sfumatoure dello stesso ed identico colore, una un
pò più chiara ed una leggermente più scura ed
intensa. Un colore non può fare a meno di nessuna di queste
sfumature. Una tela avrà sempre il suo chiaro-scuro. Una foto
sarà sempre bianca e nera. Ogni cosa ha delle sue sfaccettature
e i nostri sentimenti principali giocano tutti su queste due sfumature.
E ovviamente queste due sfumature possono scambiarsi facilmente. Spesso
un amore diventa amicizia o viceversa un'amicizia diventa un amore."
"Ti accorgi di amare una persona quando guardi i suoi occhi e sai che
non potresti mai smettere di farlo, quando riesci a capire che non
riusciresti nemmeno a chiudere i tuoi ed interrompere, per un secondo, il
contatto con i suoi. Ad un suo piccolo gesto verso di te il cuore
comincia a battere forte, senti il calore percorrere il corpo, la
testa girare leggera e le guance arrossarsi. Probabilmente qualcuno ti
dirà che brilli più del solito, che i tuoi occhi hanno
una luce diversa e che non ci sei più con la testa. Hai
degli atteggiamenti esagerati, la voce si alza in sua presenza e
gesticoli come un burattino nella mani di un burattinaio ubriaco. Mamma
diceva che si è innamorata di papà perchè la
faceva sorridere. Beh quello è il passo decisivo, se un ragazzo
fa ridere una ragazza, vuol dire che lei sta bene con lui. Probabilmente
lei ride perchè si sente al sicuro, perchè sa che con lui
sta bene e che tutto il resto non conta. Lei ride perchè si
sente libera, leggera, e, se ride sinceramente, non c'è più
nulla che può fermarla."
"Amare in fin dei conti significa sentirsi liberi di dire ciò
che si pensa. I segreti non esistono perchè sai che, in un modo o
nell'altro, lui ti capirà o almeno ci proverà. Vedi
è un pò come nell'amicizia, ma nell'amore c'è una
cosa in più che, nell'amicizia, è solo accennato. Il bisogno
fisico. Sai, fino a ieri non capivo cosa volesse dire, ma oggi che i
ricordi sono riaffiorati del tutto, ricordo bene quello che mamma
cercò di spiegarmi tra un rossore e colpo di tosse. Quando ami
una persona sei legata a lei con il cuore o con la mente. Quando ami
una persona senti il bisogno di condividere tutto con lei, anche te
stesso. Siamo come due pezzi di puzzle che devono essere uniti. Si,
è esattamente così."
Peter cercava di capire e, nel farlo, ricordava ciò che Maimie gli
aveva raccontato di se e dell'uomo nella foto. Così riuscì a farsi
un'idea di ciò che Wendy intendeva. Come ogni bambino, Wendy si
sarebbe aspettata che Peter si schifasse o s'indignasse.
"Si possono amare più persone? Insomma puoi provare tutto questo per persone diverse?"
Sapeva sempre come stupirla.
"Questo non lo so. Penso sia possibile, si. Penso che anche l'amore
possa avere milioni di sfumature. Può capitare che tu abbia
altri pezzi di puzzle con cui possa combaciare. Si
giustificherebbero molte cose, ma credo che l'amore vero sia sempre
verso un'unica persona e, credo, sia verso quella di cui ami anche i
difetti. Sono sempre quelle caratteristiche che distinguono le persone,
ognuno può avere infiniti pregi ma, stranamente, sono sempre i
difetti che colpiscono più di tutto. Se impari ad amare quelli
più di altro, allora hai trovato la persona che amerai tutta la
vita. E a quel punto penso scompaiano anche gli altri pezzi di puzzle."
Wendy si era alzata in piedi e camminava per la tana ancora immersa in
quelle parole appena dette. Pensava alla reale possibilità
di
amare due persone e di come si sarebbe comportata lei, in tal caso. E
se non riuscisse a scegliere? Troppo difficile scegliere tra due
persone fantastiche...troppo difficile...
"Grazie Wendy!" I suoi pensieri vennero interroti da Peter che la
guardava soddisfatto. Adesso sapeva cosa significava amare, sapeva
quanto fosse difficile scegliere e di quanto fosse importante quella
scelta. Tutta la vita è un tempo così lungo, soprattutto
per lui. Non avrebbe mai sopportato il fatto di scegliere la persona
sbagliata. Ripensò a quando aveva chiesto a Maimie di sposarlo,
non aveva provato nulla di ciò che Wendy gli aveva descritto,
era più semplice. Stava bene e voleva continuare a stare bene
con Maimie, cosa c'era di più semplice e giusto di così?
I bambini, creature fantastiche.
Wendy uscì dalla tana lasciando che Peter la guardasse uscire
per sempre da quella stanza, da quel posto e dalla sua vita. Per sempre.
Uncino:
Li aveva catturati uno per uno, fuori dalla tana. Finalmente ce l'aveva
fatta, li aveva tutti, mancava solo lui. Ora avrebbe potuto ucciderlo e
vendicarsi per tutto quello che gli aveva fatto passare in quei lunghi
ed infiniti anni. L'uncino ribolliva di rabbia, desideroso di afferrare
Peter per i capelli e mettere fine a quell'estenuante lotta contro la
forza di gravità.
Non era riuscito ad arrivare a lui direttamente, dormiva nella tana.
Anche per Uncino sarebbe stato troppo crudele ucciderlo lì mentre era
indifeso. Era disonorevole per due come
loro, il loro duello aveva bisogno di una conclusione teatrale. Al calo
del sipario si sarebbe dovuto sentire un coro di applausi scoppiare
fragorosi nella sala. Perciò lasciò cadere gocce di quel
suo veleno micidiale nella medicina di Wendy.
Non si sarebbe mai aspettato che una piccola fata si sarebbe messa in mezzo e avrebbe salvato il suo compagno.
Quando se lo ritrovò davanti agli occhi sulla nave, ogni sua
speranza di chiudere con qull'atto il sipario erano svanite, c'era
ancora un altro atto da recitare e si sarebbe concluso con la morte di
lui o con quella di Peter.
Peter volava e lui era a terra era una lotta affatto equilibrata.
Campanellino ebbe la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al
momento sbagliato. Uncino usò la sua polvere per librarsi in
aria sospinto dai quei suoi pensieri felici così tanto atroci
per qualsiasi altra persona sana di mente. Lottavano da un tempo
interminabile. Il cielo era il loro palcoscenico, si era colorato di un
blu intenso con sfumature rosee. Le luci erano calate e un grande
occhio di bue era stato rivolto verso quei due, che si sorridevano l'un
l'altro, coscenti di essere i veri protagonisti della storia.
Ci fu un black-out. L'occhio di bue si spense e la scena venne
illuminata dalla scarsa luce delle stelle che, piano piano, facevano
capolino nel cielo. I due si fermarono per riprendere fiato, ma nessuno
voleva ricominciare a combattere. Quella lotta andava avanti da troppo
ed ora che stava per finire, si resero conto che c'era qualcosa che si
dovevano dire. Qualcosa di davvero importante.
Si posarono sull'albero maestro della nave, coperti dall'enorme vela
bianca. Pesavano le parole e sceglievano il punto da dove cominciare,
nessuno dei due sapeva quale fosse quello giusto, così, uno dei
due partì da un punto qualsiasi e parlò.
"Pan, così è la fine eh?" sospirò.."da quanto va
avanti questa storia? Io non lo ricordo più. Non combatto
più con un motivo preciso, l'uncino ormai fa parte di me, anzi
dovrei quasi ringraziarti perchè questo arnese mi è molto
più utile di quanto pensassi. Prima ero mosso solo dalla rabbia
generata dall'enorme torto che mi avevi fatto, lottavo perchè,
per colpa tua, dovevo vivere con il terrore per quel dannatto
coccodrillo, lottavo perchè volevo indietro il mio onore.
Lottavo con te perchè tu avevi tutto quello che io avrei sempre
voluto avere. Si, proprio così. Pan, sono adulto ed ho molte di
quelle cose che tu non potrai mai avere, ma questo non mi consola. Tu
sei felice qui. Tu hai molte delle fortune che io non ho mai potuto
avere. Guarda i tuoi compagni: si fidano davvero di te, non è il
terrore che li muove. E' l'avventura, è la voglia di starti
accanto, divertirsi con te. Bambini, voi siete bambini. Siete leggeri,
liberi, spensierati. Nessun tormento si nasconde nelle vostre menti, i
piccoli problemi di ogni giorno spariscono, lasciando spazio a emozioni
e sensazioni fin troppo grandi anche solo per la mia immaginazione. Tu
hai Wendy, una mamma. A me mancano questi affetti, manca chi si possa
preoccupare di me. Posso contare solo su me stesso. Sono solo Pan."
"Non sei solo Uncino, ci sono io" ovvio no?
"Come puoi dire questo?"
"Fin quando uno dei due sarà vivo, entrambi avremo un
obbiettivo: uccidere l'altro. Le giornate saranno piene, il tempo
scorrerà tesssendo una strategia dopo l'altra. Tu luciderai i
tuoi Uncini, avrai i giusti motivi. Come puoi dire di non avre nulla?
Tu hai un obbiettivo. Una volta che porterai a termine questo
obbiettivo un altro prenderà il suo posto. Per me tutto questo
è solo divertimento ma per voi adulti è sempre tutto
diverso e più complicato, come se ci fossero milioni di sensi
per ogni situazione."
Uncino lo guardava pensieroso, aveva ragione. Peter aveva ragione.
Quella battaglia andava finita. Aveva un compito, un obbiettivo. Una
certezza.
La luce si riaccese, lo scontro doveva riprendere, l'atto finale era stato ormai scritto.
I due si alzarono. Uncino impugnò la sua spada con rinnovata
determinazione. Si mise di fronte a Peter e cominciò a danzare
con la sua lama. Dalla nave si vedevano i riflessi delle due lame che
s'intrecciavano e si strecciavano. Era una danza lenta, poi veloce. Il
mare cominciò ad agitarsi. In cielo le nuvole si disposero in
vortice al cui centro accoglieva le due figure, ormai indistinte,
impegnate in qualcosa di estremamente grande ed importante. Qualcosa di
intimo e profondo. Era uno scontro tra persone magnifiche, uno scontro
tra bene e male mascherati da pirata e da bambino. Bene e male che
volteggiavano tra un corpo ed un altro. Bene e male che si mischiavano
distruggendo ogni legge, ogni senso comune.
Sapevano entrambi come sarebbe andata a finire. Il bambino doveva
sopravvivere, il bambino era la speranza. Il bambino era sogno,
imaginazione, favola. Era il bacio della buonanotte della mamma. Uncino
era l'ombra che si celava negli incubi dei bambini e, di ombre, le
stanze ne erano piene. Uncino doveva morire.
In qualche modo lo sapeva anche lui, Uncino, ed era pronto. Consapevole
del ruolo che aveva avuto in quella storia. Il sipario stava per calare
sulle sue spalle ritraendo un Peter Pan vincitore.
Ecco la fine. La sente Uncino. Incombe sempre più su di lui. La
tenda rossa di velluto stava calando. Sentì il suo
morbido tessuto sfiorargli la pelle.
Eppure, non aveva paura. Non temeva la morte. Uncino l'aveva sempre
rincorsa, sapeva che faccia aveva. L'aveva incontrata spesso negli
occhi di chi riusciva ad assaggiare il suo uncino. Ci aveva discusso,
ne aveva pesato le sfaccettature. Adesso si trovava di fronte ai suoi
occhi, di nuovo, con l'unica differenza che, questa volta, ad essere
accolto fra le sue braccia, era lui stesso. Lui portatore di morte, si
lasciò cullare leggiadro tra le braccia della nera
incappucciata. Avrebbe voluto spiegare a Peter cosa volesse dire, cosa
fosse poter morire. Avrebbe voluto dirgli che era vero, morire
può essere una grandiosa avventura.
L'ultima..grandiosa..avventura.
SA
Giorno a tutti! Questa notte è stata un tormento, non c'è
una notte in cui non faccio incubi catastrofici. Non ce la faccio
più, mi sveglio più stanca di quando mi sono addormentata.
Siamo veramente quasi giunti alla fine della storia, adesso ci saranno
dei capitoli molto simili tra loro, con i diversi punti di vista dei
protagonisti. Ognuno avrà un tipo di contatto con Peter, molto
personale. Oggi avete visto la partenza dei bambini e la morte di
Uncino, nel prossimo capitolo vedrete due personaggi che volevo
esaltare in maniera più evidente di quanto avesse fatto Barry.
Specialmente uno.
Grazie mille per essere arrivati fin qui.
Grazie a chi legge, a chi segue, chi preferisce e a chi recensisce. Una catasta di pensieri felici per voi(magari anche per me).
Goodbye my darling!
|
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Capitolo 10 *** Watercolor(capitolo 9) ***
Capitolo 9
Giorno del ritorno:
Sign. ra Darling:
I suoi occhi, dolci e premurosi, guardavano il cielo alla ricerca di
quei tre puntini indistinti che erano i suoi figli. Gli occhi stanchi,
occhi colmi di lacrime e speranze. Occhi carichi di sogni vissuti e
dimenticati. Lei sapeva, lei sentiva. Percepiva la grandezza di quel
posto, percepiva l'entusiasmo che avevano lasciato i suoi bambini
sull'uscio della finestra. Intrappolato tra quel mondo e la loro
fantasia. Stava lì, seduta, ad aspettare con un braccio teso
verso la finestra a sfiorare quel leggero ed impercettibile muro di
entusiasmo. Le sue dita scomparivano mentre nella sua immaginazione
comparivano visi familiari, visi che le ricordavano quanto fosse stata
felice e quanto le mancassero quelle emozioni così vive e forti.
Era combattuta, lo si capiva. Avrebbe voluto con tutta se stessa avere
la possibilità di raggiungere la sua piccola. In cuor suo era
preoccupata. Ma nella sua mente, la sua immaginazione, tesseva una
ragnatela di gelosia ed invidia. Qualcosa che si avvicinasse a quei
sentimenti tanto vicini e naturali ai bambini. La sua fantasia la stava
portando da loro, mentre il suo corpo la inchiodava su quella sedia e
alle sue responsabilità.
Era adulta ormai, lo sapeva. Ma non poteva lasciar andare via quelle
fantastiche sensazioni che le permettevano di meravigliarsi ancora del
mondo. Doveva contenerle certo, ma non lasciarle per sempre. In quel
momento, però, esse stavano prendendo il sopravvento, qualcosa
nella donna stava cambiando. Riaffiorando.
Vedeva quegli occhi guardarla, osservarla. La stavano studiando, lo
sapeva. Cercavano un motivo per cui quella finestra fosse ancora
aperta. Vi leggeva paura, speranza e un leggero velo di malinconia. Il
suo cuore di mamma avrebbe voluto prendere il suo viso e stringerlo al
petto. Cullarlo tra le braccia e donargli calore, amore. Amore che gli
era stato privato. Amore da cui era stato tradito. Voleva fargli capire
che crescere in un mondo come il suo non fosse così tremendo.
Lo guardò a lungo e capì che non sarebbe servito tutto
questo. Lui era speciale. Lui era fantasia, sogno. Lui era tutto
ciò che lei cercava, tutto ciò di cui aveva bisogno e che
sentiva perduto in sè. Lei sapeva che quel ragazzo le avrebbe
risposto...
"No signora non serve. Ho avuto una mamma e mi ha lasciato,
dimenticato. Ho capito cos'è la vita, l'ho provata, sentita. Ho
deciso di restare così, ho deciso che non voglio le vostre
preoccupazioni, non voglio rimpianti. Voglio la gioia, la
semplicità e le emozioni più forti. La meraviglia
alberga nel mio cuore, l'entusiasmo fa muovere il mio corpo e le mie
ali sono piene dei vostri sogni."
Sentì chiare quelle parole risuonare nella sua testa. Quegli
occhi continuavano a guardarla. Li stava immaginando? Che cosa sarebbe
cambiato? Lo guardava, guardava lui o il suo spettro, questo non
contava. La cosa importante era quello che il suo cuore le diceva.
Voleva tendere la mano verso di lui, chiedere di portarla via con se.
Voleva tornare in quel posto...ma quale posto? Chi era quello sguardo
così attento che la guardava? Da dove nascevano quei sentimenti,
quei desideri?
Il dubbio, la confusione...la ragione, la riportarono alla
realtà. Sentì delle urla provenire dal centro della stanza
e sentì la veste sfuggire dalla sedia. Si girò e quegli
occhi sognatori si riempirono di lacrime e gioia. Tutto ciò che
era riaffiorato sparì in lei, lasciando il posto a sentimenti
che nessuno mai avrebbe saputo o pouto spiegare. Cosa possa provare una
madre al momento in cui i suoi bambini tornano a casa..questo era un
segreto che nemmeno Peter avrebbe potuto scoprire. Era una domanda che
sarebbe rimasta in sospeso su quell'uscio della finestra. Amore
all'interno, felicità eterna dall'altra. Troppo sottile la
distanza tra le due cose, ma immensamente difficile scegliere se
oltrepassare l'uscio.
L'ombra sparì dai suoi occhi, portandosi dietro sogni e speranze
e regalando una nota di colore e gioia a quella donna dagli occhi di
sogni.
Sig. Darling
La sentiva. La sentiva piangere al piano di sopra. La sentiva
pronunciare i loro nomi e sapeva quale dolore le si celava nel cuore.
Era consapevole anche delle fantasie che le corredavano la mente, li
aveva visti anche lui quegli occhi. Li aveva riconosciuti, fra tutti.
Incrociandoli aveva sentito per la prima volta il peso delle sue
responsabilità. Per la prima volta chiudere quel cassetto fu
impossibile. Era uscito dal lavoro e correva verso casa, sperando che
fossero tornati. Voleva abbracciarli, voleva dare un bacio a Wendy,
dire loro che era fiero, che le loro favole gli piacevano ma non voleva
ammetterlo. Guardava dal finestrino nero della carrozza quando i suoi
occhi si soffermarono su di lui. Era in cielo, seduto su di un
lampione, circondato da alberi dalle fronde verdi. Come aveva fatto a
notarlo? Era perfettamente in sintesi con quei colori. I suoi occhi, lo
avevano catturato. Si sentì invaso da una nuova vitalità,
da nuove speranze, da gioia ed emozioni che giurava di aver spento
molto tempo fa. Era stato difficile, aveva creato quel cassetto proprio
per quel motivo, vi nascondeva i propri sogni impedendo loro di
condizionare la sua vita fatta di regole e modi di fare. Di nascosto lo
apriva, ogni tanto, per godere di quei colori dei quali si era privato.
Sapeva che quel cassetto era la cosa più importante della sua
vita, conteneva la sua storia, la storia che non avrebbe mai raccontato
a nessuno. Quella dove i suoi bambini crescono incuranti dei vicini,
godendo ogni anno della loro giocosa infanzia. Quello dove le
preoccupazioni non esistevano.
Dannazione, era li, il cassetto si era aperto. Una luce immensa
proveniva da lì, la luce di quei sogni che hanno il colore e la
forza delle stelle. Si lasciò portare via dal calore tenendo
chiuse le mani sul pomello, pronto a chiudere quando sarebbe stato
soddisfatto.
Non ce la faceva. Li guardava e non riusciva ad abbandonarli. Cosa
aveva fatto quel bambino? Perchè era così difficile.
Pensò a cosa gli avrebbe risposto, lui.
"Ti ho ricordato quanto sono importanti i tuoi sogni. Ti ho ricordato
che non sei costretto a chiduere così spesso quel cassetto. Ogni
tanto puoi prendere qualcosa al suo interno e realizzarlo. La tua vita
non è fatta solo di regole e conti, le tue capacità non
si limitano a questo. I tuoi sogni, la tua fantasia, devono essere
alimento primario per i tuoi bambini. Le responsabilità e le
preoccupazioni tagliano le ali all'entusiasmo. L'amore che hai per loro
è più importante del giudizio dei vicini o di chi decide
del tuo futuro."
Quanto sembrarono reali quelle parole!
Prendere qualcosa e renderlo reale.
Ecco un sogno, ecco una speranza. Pescata tra il nulla ed il tutto di quell'infinito cassetto.
Il cassetto più profondo e colmo che io abbia mai visto.
"Ecco il mio sogno", lo stringeva tra le mani e permetteva che lo deliziasse e che lo rianimasse.
Un urlo dal piano di sopra, una voce che chiama e strilla il suo nome.
Corre, salta le scale. Sembra quasi che stia volando.
Il suo cuore ha smesso di battere e nelle sue vene scorre speranza.
Si ferma davanti alla finestra ignorando tutto e tutti. Nota quel sottile muro. Amore e gioia. Si volta e...
Amore, eccolo. Il cuore ne è colmo. Si abbandona ad esso e si
getta a terra facendo crollare qualsiasi congettura. Abbraccia i suoi
figli come non avrebbe mai fatto. Stringe le loro teste e piange,
piange felice.
I suoi bambini tornati per crescere guardavano un uomo pronto a tornare bambino per loro.
La vita di un uomo, strettamente legata a quella dei suoi figli. La vita di un uomo, non un uomo qualsiasi, un uomo che sogna.
Dedicata a: due persone speciali che mi hanno cresciuta tra sogni e fantasie. Grazie:)
SA
Eccomiiii, un pò in ritardo in verità. Questa mattina ho
ripreso un autobus da non so quanto tempo e ammetto che non mi mancava
affatto. Questo capitolo l'ho scritto nel giro di poche ore,
così di getto è uscito gfuori dalla mia testolina. Volevo
far emergere dalla storia due dei personaggi più curiosi che
Barry abbia mai creato, forse anche più curiosi degli esseri che
vivono sull'isola. Lui e lei, sono i genitori che Peter avrebbe dovuto
avere, ho cercato di far capire quanto siano speciali e diversi dal
resto del mondo.
Abbiamo detto che questo è il giorno del ritorno, bene, mancano
davvero pochissimi capitoli, due o tre mi sembra. Presto la storia
sarà conclusa. Grazie per chi mi ha seguita fino a questo punto.
Un grazie speciale ad Paolo (Ulisse 999) che dedica delle parole stupende a questa storia! Mi sembrava giusto ringraziarlo in questo modo.
Grazie anche a Serena e Ilaria che sono sempre li a seguirmi ovunque io vada:P
Grazie a chi legge, chi segue e preferisce. Vi chiedo sempre di
lasciarmi un commento, anche piccolo. Un buon consiglio non fa mai male.
Un abbraccio.
Lisa
Spoilerino:
"Era da quando suo fratello era morto che si ritrovava ogni anno, sempre
di più, a viaggiare in quel posto. Lontano da tutto e da tutti,
lontano da quel mondo a cui non apparteneva. Viaggiava con la fantasia,
scriveva di lui, di loro. Scriveva di essere speciali, unici. Scriveva
perchè non poteva fare altro, perchè quella, da tempo, era
la sua unica realtà."
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Capitolo 11 *** Una donna speciale(capitolo 10) ***
capitolo 10
Giorno dell'addio:
Era da quando suo fratello era morto che si ritrovava ogni anno, sempre
di più, a viaggiare in quel posto. Lontano da tutto e da tutti,
lontano da quel mondo a cui non apparteneva. Viaggiava con la fantasia,
scriveva di lui, di loro. Scriveva di essere speciali, unici. Scriveva
perchè non poteva fare altro, perchè quella, da tempo, era
la sua unica realtà. Non approvavano, solo uno lo appoggiava, e
quell'unica persona lo faceva solo per fini economici. Fini estranei a
quell'uomo.
Un uomo che desiderava solamente far conoscere a tutti che mondo si
celava dietro i suoi occhi. Un uomo che desiderava una vita più
libera e felice di quella che viveva.
Quando l'aveva conosciuta, nel parco, sapeva che lei era diversa.
Sapeva che c'era qualcosa, in quegli occhi, che lo avrebbe salvato,
portato via. I suoi bambini giocavano intorno a lei, erano tre, il
più interessante, Peter, era estraneo a tutto quello che
facevano i fratelli. Stava seduto a pensare, immaginare. C'era un mondo
in quella mente, lo sentiva. I loro pensieri erano in sintonia tra loro.
Quando le strinse la mano per conoscerla. Quando dimostrò ai
suoi bambini quanto la fantasia avrebbe potuto salvarli da qualsiasi
problema. Quando cercò di farli ridere creando piccoli
espedienti, in una situazione difficile. Quando portò a casa sua
l'isola che non c'è.
Le dimostrò che non stava scherzando. Che esisteva davvero un
posto fantastico dove i sogni diventano reali, dove le fate ti sfiorano
il viso. Dove puoi volare, dove puoi sentirti libero e dove i giochi
non hanno fine. Dove la felicità è un obbligo e nessuno
è capace di privarti di essa.
Peter Pan si muoveva sulla scena, cercava Campanellino e lei seguiva
quel ragazzo con occhi davvero felici. Lei ci stava entrando seriamente
in quel mondo, ci si stava perdendo e lo stava raggiungendo.
Le strinse la mano e le chiese dove volesse andare. Se quel posto era
di suo gradimento. Se volesse conoscere gli indiani. Lei gli chiese di
sedersi a terra e respirare quell'aria così bella e lontana
dalla realtà che l'aveva accolta fino a quel momento. Chiese lui
di restare lì per sempre, di far crescere i suoi bambini in un
mondo come quello, privo di crudeltà. Chiese lui di ripetere ai
suoi bambini che ci sarà sempre un posto come quello, dove
ripararsi quando le cose andranno male, dove trovare la forza per
affrontare relatà più dure.
Lui le diede un abbraccio, non osava avvicinarsi di più. Non ne
sentiva il bisogno. In quel momento stava condividendo con lei la cosa
più grande che il suo cuore potesse creare e avesse mai
creato. Voleva vederla davvero felice, per la prima ed ultima volta.
Voleva non dimenticare mai quegli occhi così tanto diversi.
La strinse in quell'abbraccio per pochi secondi che sembrarono
interminabili e lasciò che, lentamente, lasciasse il suo corpo,
si liberasse dal male e dal dolore. Lasciò che il peso tra le
sue braccia diminuiva sempre più, fino a diventare leggero come
una piuma. Fino a che non sparì per sempre tra quelle stelle
luminose del cielo. Lei, la più bella. Lei, di fianco alla luna.
Lei, la seconda stella a destra.
Lui si assunse la responsabilità di mantenere i suoi figli, lui
che non aveva più nessuno tranne che quella stella che lo
guardava senza mai lasciarlo.
Li fece stare bene, ogni giorno, quando i loro occhi divenivano bui e
spenti, lasciava che entrassero nel suo mondo e si lasciassero cullare
dalle ali leggere della loro fantasia. Ogni giorno c'era una fata che
accarezzava i loro desideri intimandoli a non smettere mai di sognare
perchè dietro quei sogni c'è qualcosa di più
grande.
Peter era il più attento, il più responsabile. Lui
cresceva a vista d'occhio, è come se si stesse sforzando di non
essere bambino.
Era riuscito, quando c'era ancora lei, a farlo divertire, a fargli
dimenticare il peso delle sue responsabilità. A fargli capire
che non era lui a doversi preoccupare in quel modo ma che erano i
grandi, gli adulti, a dover pensare a come poterlo far stare bene.
Ma lui si arrabbiava, sgridava quell'uomo così attento a non fargli del male.
Un giorno stava scrivendo nel parco. Quello stesso parco dove non molto
tempo prima, così immaginava, aveva incontrato quelle persone
così fantastiche. Scriveva di loro, di lui. Scriveva una storia
che non avesse fine, pensava che se avesse scritto di una storia senza
fine nessuno nella sua vita sarebbe scomparso, nemmeno lui. Quando
scriveva quell'uomo, le sue parole vibravano nell'aria, attorno a lui si
formava un'atmosfera sospesa come se il tempo si fermasse. Chi si
trovava lì vicino riusciva a sentire la voce dei suoi pensieri,
i suoi personaggi recitare. Quelli che avevano questa fortuna, andavano
in giro raccontando di un uomo capace di far parlare le sue creature,
disegnate su pezzi di carta percorsi da sensazioni sconosciute a
qualsiasi altro uomo.
Peter si avvicinò a lui, triste. Era davvero triste. Un bambino
non dovrebbe avere quegli occhi, un bambino non dovrebbe avere tutto
quel peso sulle spalle.
Lui continuava a scrivere osservando Peter con la coda dell'occhio. Il
bambino aveva portato con se un piccolo quaderno. Lo riconobbe, era
quello che gli aveva dato in regalo tempo prima che accadesse tutto
ciò. Voleva diventare uno scrittore, voleva che le sue opere
facesero felici i bambini e avrebbe voluto che la sua mamma fosse stata
felice leggendo le sue storie.
Le raccontava sottovoce ai fiori del giardino, al cane nel parco, agli
uccellini al laghetto. Non voleva che nessun umano lo sentisse, aveva
paura della loro serietà, aveva paura che lo rimproverassero,
che gli dicessero che fossero storie inutili, quelle, e che la
realtà era un'altra.
Lui lo guardava e capiva ciò che pensava. Si era sentito spesso
anche lui così, era incredibile quanto fossero così
simili. Lui e il bambino, un adulto ed un piccolo esserino.
"Non la dimenticherai lo sai?"
"......."
"Non potrai dimenticarla, non ci riuscirai nemmeno volendolo"
"......"
"Non era una mamma come le altre, era diversa, speciale. Lei ricordava
cosa fosse la felicità. Lei sentiva i vostri desideri e cercava
di crescervi spingendovi a rincorrere i vostri sogni per vederli, un
giorno, realizzarsi davanti ai vostri occhi."
"....."
"Non la dimenticherò. L'isola è per lei, lei è l'unica ad esserci stata. Vuoi andarci Peter?"
".........."
"Cè posto anche per te, sai? Ci sei già stato, ma non te
lo ricordi. Hai giocato a fare il pirata, hai giocato a fare l'indiano.
Torna ad essere quel bambino Peter. Torna a raccontare le tue storie
come facevi con quegli animali. Torna a scrivere di te e dei tuoi
fratelli. Scrivi di lei."
".........non so come si fa...."
"Si che lo sai. I bambini possiedono il dono della sincerità,
nessuno più di loro saprebbe dire cosa una persona è
stata nella sua vita e cosa ha lasciato in chi le è
sopravvissuto. Vostra madre era speciale come potresti non sapere cosa
scrivere su di lei?"
"Saprei cosa scrivere! Non so farlo!
"Apri il quaderno e prendi una penna. Disegna i suoi occhi, le sue
carezze, i suoi abbracci, li ricordi bene Peter? Parla di questo, parla
di loro. Racconta la storia di una mamma e dei suoi bambini. Racconta
del viaggio sull'isola. Racconta le tue avventure. Non puoi
dimenticarla. Lei è in te, ha lasciato a te il compito di
ricordare cosa è stata e cosa sarà, per sempre grazie a
te."
"Si può scrivere di questo? Si può scrivere di cose che nessuno potrebbe capire mai?"
"Si deve scrivere di questo Peter, non per gli altri, per te stesso, in
modo che chi leggerà le tue storie troverà qualcosa di se
stesso in una tua parola e potrà dire - questo bambino ha
raccontato di me-. E' così che le persone restano per sempre in
noi. Tu, tua madre, i tuoi fratelli, diventeranno parte di ognuno di
noi e non potranno lasciarla andare via."
Si guardarono per qualche istante, entrambi avevano gli occhi pieni di
entusiasmo. Avevano un compito. Sapevano cosa avrebbero scritto. Si
lasciarono andare a quel pomeriggio fresco. Le guance solcate dalle
lacrime. Era triste non averla più materialmente tra loro. Ma le
sue parole risuonavano nelle loro orecchie, il suo porfumo inebriava le
loro narici e la sua pelle scivolava leggera sulle loro guance.
Ricordavano di lei ogni singolo particolare. Non l'avrebbero lasciata
andare via, mai più.
Viveva in loro.
"Era speciale la mamma"
"Si, Peter, lo era per davvero".
Un uomo, si chiamava James. Molti lo ricordano come J.M. Barrie.
Lei lo chiamava Peter Pan. La sua creatura migliore diceva, più reale di qualsiasi altro personaggio, diceva.
"Sai...io l'ho conosciuto Peter Pan"
Gli aveva detto una volta, in salotto, mentre lui le raccontava delle avventure sull'isola.
"Davvero? E com'è?"
"Non molto diverso da noi, di aspetto. Ma profondamente lontano da
tutto quello che tormenta le nostre menti, lui è unico, lui
è fantastico."
"Deve essere stato un bell'incontro!"
"Oh...si...lo è stato!"
Un'incontro che non avrebbe mai più dimenticato.
SA
Buongiornoooo.
Questa capitolo è totalmente dedicato a Barrie, il fantastico
scrittore che ha creato questo bambino così speciale. Questo
vuol dire solo una cosa, che siamo veramente arrivati quasi alla fine
di questa raccolta di storie. Grazie per essere arrivati fin qui, e
grazie a chi segue, preferisce e recensisce. Grazie qnche a chi legge
solamente. Se volete potete passare qui Dream on: Wish you were here
è il gruppo dell'altra storia che sto scrivendo ma pubblico
anche elementi che appartengono a questa storia quindi, se volete siete
i benvenuti:)
Ora vi lascio, ho un computer portatile da scartare!!!:)
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Capitolo 12 *** The same person (Epilogo) ***
capitolo 11
Epilogo-Giorno dell'incontro:
Quella mattina mi svegliai, reduce di un sogno fantastico. Mi alzai e mi
misi a sedere sul letto. Ero storidito e stanco. Davanti ai miei occhi
si srotolavano le immagini di quel sogno fuori da ogni immaginario.
Presi il mio quaderno e cominciai a scriverne.
Aprii gli occhi in una stanza buia,
la mia. Accesi li lume posto di fianco al mio letto e mi guardai
intorno. C'era qualcosa che non quadrava. Di fianco a me Peter dormiva
beato, il suo respiro caldo e dolce riempiva la stanza.
Mi alzai infilandomi il cappotto. Sentivo un bisogno irrefrenabile di
raggiungere l'esterno della mia abitazione, di respirare l'aria fredda
della notte. Aprii la porta e in pochi passi fui fuori dall'enorme
abitazione dalla facciata accogliente.
C'era una strana atmosfera nell'aria, le luci erano accese ed emanavano
un'illuminazione soffusa, sull'arancione. Dalle abitazioni, ai fianchi
della strada, si percepiva la flebile fiamma giallognola dei lumini
accesi nelle camere dei bambini. Le stelle in cielo brillavano
più forte che mai, contribuendo all'illuminazione generale di
quella strana serata, con la loro luce bluastra. Avvertivo dei
movimenti attorno a me, strani campanellii risuonavano nelle mie
orecchie. In ogni direzione. Ogni tanto scorgevo un mucchietto di
quelle che mi sembravano lucciole e le rincorrevo tentando di
afferrarne una delicatamente.
Continuavo a camminare senza badare minimamente dove stessi andando. Lasciavo che fossero i miei passi a condurmi.
Mi ritrovai davanti alle fantastiche porte rosse dei Giardini di
Kensington. C'era un lucchetto a chiudere le porte tra loro. Mi
avvicinai, desideroso di sfiorare quel ferro che immaginavo esser
freddo come la notte.
Tesi una mano verso le porte e sfiorai delicatamente un ricciolo in
ferro battuto. A quel tocco, il cancello emise uno strano rumore. Dopo
pochi secondi le porte si aprirono.
Attorno agli stipiti c'erano enormi lucciole che emettevano strani scampanellii.
Non mi stupii, in qualche modo sapevo che sarebbe successo.
Le lucciole mi condussero al centro del parco. Mi misi seduto su di una
panchina dello stesso colore delle porte dei giardini. Rosso fuoco. Non
erano fredde, anzi, la temperatura in quel posto era calda e
accogliente.
Chiusi gli occhi e respirai a fondo l'aria che c'era intorno a me.
Aveva un odore fresco e dolce allo stesso tempo. Sembrava sapere di
gelsomino. Rimasi ad occhi chiusi a cercare di dare un nome a quel
grazioso profumo. Non so se fosse possibile ma, giurai di sentire del
gelsomino fuso all'odore fresco della neve candida.
La temperatura, l'aria e lo scampanellio intorno a me contribuirono a
lasciare che la mia mente abbandonasse il mio corpo. Sentii il mio peso
svanire, sentii che mi stavo librando in aria grazie ad una forza
sconosciuta.
Aprii gli occhi e notai che quelle lucciole erano, in realtà,
esseri graziosi con ali sulle spalle. Erano più luminosi di
quegli insetti fantastici e lo scampanellio era in realtà la loro dolce voce.
Le loro voci tintinnavano al di sopra di ogni altro
rumore, erano musica. Alcune fate danzavano sotto i miei piedi. Altre
mi sfioravano con le loro dolci manine lasciando scie di polvere sulla
mia pelle.
Erano creature che avevo solamente immaginato, sembrava che il mio
libro stesse diventando realtà. Che ogni mia parola stesse
prendendo vita in quella notte così piena di magia.
Pensai di essere felice e sotto la forza di quel pensiero abbandonai
definitivamente il mio corpo volando nel cielo al fianco delle stelle.
La raggiunsi. La seconda stella a destra. La toccai. Sentii la sua
forza sommergere la mia anima, entrare nella mia mente, sfondare le
porte del mio cuore e lasciare che rimanessi spiazzato davanti alla
forza di quella stella immensa.
Non vedevo più nulla, solo luce bianca intorno a me. Le fate
erano sparite, il cielo e la terra con loro. Mi girai e il respiro mi
si gelò in gola.
Guardai quella scena
senza capire realmente cosa stava accadendo. Peter Pan era davanti ai
miei occhi, esattamente come lo avevo immaginato, i suoi occhi, i suoi
colori, persino il suo sorriso...era lui. Era esattamente lui. Mi
guardava, oserei dire, quasi più confuso di me, cerava
spiegazioni, sicuramente si stava chiedendo chi fossi. Se gli avessi
detto che quello li davanti ai suoi occhi era..beh si, si potrebbe dire
che ero suo padre. Se gli avessi detto che ero suo padre, conoscendolo
sarebbe fuggito. Si ma dove? Solo in quel momento cominciai a guardarmi
intorno, eravamo in un' enorme e tonda bolla, che si colorava dei
più differenti riflessi in base all'angolo con cui la luce
si poggiava suulla sua parete. Sembrava di essere in un arcobaleno. Non
sarebbe potuto fuggire quindi, nessuno dei due si sarebbe potuto
muovere da li dentro, perciò eravamo costretti a rimanere
li, a guardarci per ora, a studiarci. Capii che anche lui era giunto a
quelle conclusioni, e in sincrono ci sedemmo sul pavimento curvo di
quello strano mezzo di fortuna sul quale ci trovavamo.
Il suo viso mutava
espressione in base a ciò che gli passava
per la testa. Era spaventato, no curioso. Ora si guardava intorno
confuso. Adesso spazientito. "Quante domante avrà
da
farmi?" pensai, chiudendo gli occhi e sorridendo.
Non sarei stato io a cominciare la
conversazione. Avrei aspettato che prendesse confidenza e che
cominciasse a parlare lui. Ero impaziente di sentire la sua voce.
Volevo scoprire se era davvero così melodiosa come l'avevo
immaginata. Volevo sapere se sentendo la sua risata si riuscivano a
sentire le mille risate di ogni singolo bambino esistente sulla faccia
della terra. Avevo speso anni a sognare di quel fanciullo così
speciale, ora che era davanti ai miei occhi avrei voluto sfiorarlo e
sentire che fosse vero, che era realtà.
"Chi sei tu?" Chiese imbronciato. Come se tutto quello lo avessi combinato io! Era indisponente, non gli risposi.
Lui mi guardava arrabbiato e indispettito. Io facevo finta di guardare
fuori dalla bolla, eravamo sospesi su qualcosa di magnifico. C'era
un'isola proprio sotto di noi, circondata da un'infinita distesa di
acqua blu. Immagginai fosse l'oceano ma poi un'idea mi balzò
per la testa.
Mi misi in piedi e posai i palmi delle mani sulla superfice della
bolla. Avevo paura che scoppiasse facendoci cadere nel vuoto. Quando
però toccai quella parete lucida scoprii essere soffice e
flessibile.
Posai il mio sguardo su ogni singolo angolo di quel magnifico spettacolo. Non ci volevo credere. Era...era...
"E' l'isola che non c'è. Non ci sei mai stato?" Era lui. Non
più indisponente ma curioso e divertito. La sua voce, melodiosa,
entrò prepotente nelle mie orecchie e lasciò che tutto di
me si beasse di quell'infinita felicità mascherata in suono.
"Non l'avevo mai vista sotto questa prospettiva"!
Gli risposi consapevole che non avrebbe capito cosa intendevo realmente. Cominciò a darmi delucidazioni sull'isola.
"Li, quella è la Baia dei Pirati. La mattina risalgono l'ancora
e si fermano a largo. Hanno paura degli indiani e preferiscono stare in
mare. Scendono solo per seguire le mie tracce e quelle dei bambini che
erano con me. Quella è il campo indiano, ci abita la mia
amica..."
"Giglio tigrato" sospirai quel nome, rendendolo impercettibile. A lui
non sfuggì, mi guardò interrogativo. Gli feci cenno di
continuare.
"Al centro della foresta c'è la Tana è.."
"sotto terra, la si raggiunge scendendo all'interno di un tronco di un
albero secolare. Poco più avanti c'è la foresta delle
fate dove, all'interno dell'albero più grande della foresta,
c'è la sede ragale. La regina e il re ballano ogni sera sotto la
musica dolce ed unica delle fate. Conosco questo posto."
"Come fai a conoscerlo? Tu sei adulto, non puoi ricordarti dell'isola!"
"So anche come ci sia arriva su quest'isola Peter, so molte più cose di quante ne immagini!"
Distolsi lo sguardo dal panorama e piantai i miei occhi nei suoi. Mi
stava guardando. Non aveva paura, era curioso. La mia sapeva di storia
fantastica e voleva ascoltarla.
Risi e mi rimisi a sedere poggiando la schiena alla superfice tonda della bolla.
"Io sono uno scrittore Peter. Scrivo da quando ero bambino, soprattutto
dopo la morte di mio fratello David. La sua morte cambiò molte
cose: il rapporto con mia madre, il modo in cui io vedevo il mondo e le
persone, i rapporti che avevo con essi. Tutto non era più lo
stesso. Così cominciai a viaggiare con la fantasia e ad
immaginare molti posti fantastici. Solo uno però aveva il potere
di farmi sentire speciale. Solo in un posto riuscivo a sentirmi
realmente libero da tutto e da tutti. Viaggiavo continuamente
lì, immaginavo di portare qualcuno, ma non avevo nessuno a cui
rivelare il mio segreto. Nessuno avrebbe capito. Così, da solo,
mi rintanai in quel luogo così ricco di magia. Sono cresciuto ma
non ho mai lasciato che qualcuno mi privasse di ciò che la mia
immaginazione aveva creato. Ho conosciuto una persona, Una persona
fantastica. Le ho raccontato di quel posto e disse che sarebbe stato
magnifico se, un giorno, io l'avessi portata lì con me.
Aveva dei bambini, magnifici bambini. Ho scritto di tutti loro, Peter,
ho scritto delle loro avventure in quel posto. Ho scritto delle
magnifiche creature che lo abitavano ed ho immaginato i numerosi
pericoli ai quali sarebbero andati incontro."
"Come si chiamava quel posto?"
Mi guardava curioso, si era avvicinato a me come se stessi per
svelargli un segreto che non sarebbe dovuto uscire assolutamente da
quella bolla. Sorrisi e lo guardai.
"L'isola ch non c'è Peter."
"Cosa???"
Era stupito, quasi indignato. Realmente confuso.
"Quando ero piccolo immaginavo un posto dove tutte le leggi a cui era
stato abituato svanissero e dove un solo sentimento avrebbe regnato
sovrano: la felicità. Le diedi un nome impossibile, L'isola che
non c'è, nessuno avrebbe sospettato della sua esistenza, se non
c'è, non c'è e basta. Ma per me esisteva, ogni sera
viaggiavo verso di lei. Avendola creata io Peter il ricordo di essa non
sparì nel tempo. Anzi, aumentò il desiderio di
raggiungerla frequentemente. Quando morì la donna di cui ti
prlavo la vidi volare su nel cielo, vidi la sua enorme luce affiancarsi
a quella della luna. Lei divenne la seconda stella a destra e porta
diretta verso l'isola. Una porta fantastica, dal potere immenso di
eliminare preoccupazioni e responsabilità dal petto delle
persone, lasciando posto alla più disumana delle felicità"
"Ho scritto anche di te Peter. Tu, il fantastico bambino rimasto chiuso
nei giardini di Kensington. Ho scritto della tua infanzia tra i
volatili, ho scritto di re corvo, di Maimie. Ogni tua avventura l'ho
vissuta in prima persona scrivendone. I personaggi di Wendy e dei
bambini sperduti sono realmente ispirati a persone che ho conosciuto,
Peter, e che hanno fatto parte della mia vita un pò fuori
dal comune. Il tuo stesso nome viene da un bambino fantastico che ha
scritto delle tue avventre sull'isola che non c'è. Se lo
conoscessi ritroveresti molte cose che vi accomunano. Tu sei una
favola, la più bella per me."
" Vuol dire che io non esisto?"
"No Peter, vuol dire che non ho mai immaginato nulla e che tu ci sei
realmente stato nella mia mente in tutti questi tempi. Ti sto guardando
e sto cercando di spiegarmi come tutto questo sia possibile e l'unica
possibilità che mi viene in mente è questa..."
Passai ore a parlare con Peter di quello che pensavo. Gli svelai cosa
fosse realmente. Mi stupii con lui a riconoscere la realtà delle
cose. Sentivo il cuore esplodermi nel petto ogni volta che una
verità nasceva nella mia testa. Sollievo e conpiacimento
prendevano il posto di delusione e rassegnazione. Felicità, di
essa il cuore era pieno. Sentivo le ali sulle spalle sbattere veloci
tra loro e condurmi a terra. La bolla stava via via scendendo.
La trasparenza della sua superficie stava aumentando dal lato di Peter,
come se stesse per esplodere sotto il peso dell'esile corpo del
bambino. Il suo viaggio stava per concludersi e prima di scendere si
girò verso di me e disse: "Siamo la stessa persona io e te."
La bolla si posò a terrà e lasciò che Peter infrangesse la sua parete soffice.
Risalì veloce in cielo lasciando che i miei pensieri mi sommergessero riempiendo l'aria intorno a me di suoni e parole.
Ripensai a ciò che avevo detto a Peter.
Mi ritrovai di fronte ad una realtà disarmante, avrei voluto
scriverne, avrei voluto che tutti conoscessero il reale significato che
si celava dietro la storia di Peter Pan che io stesso avevo scritto.
Volevo urlare a tutti che quella storia parlava di un uomo.. Un uomo
che portava innumerevoli nomi, innumerevoli volti e voci. L'isola che
non c'è, in realtà, era quel cassetto pieno di sogni che
ognuno ha nelle proprie case, quello che apriamo di notte quando
sentiamo il bisogno di sentirci vivi e liberi. Quel cassetto che
nasconde il nostro vero essere proteggendolo dalle innumerevoli
costrizioni che ci opprimono. Vorrei dire a tutti che quell'innato
bisogno di essere felici, di cercare qualcosa che ci faccia stare bene
e che ci riporti ai puri e semplici sentimenti che caratterizzano i
bambini e il loro essere così speciali. Ognuno di noi dà
un nome a quel posto che si cela in noi, ognuno ci mette quello che
vuole, che siano sogni, che siano desideri, speranze emozioni. Che
siano semplici istantanee di un mondo che non vorremmo mai sparisse. Io
lo chiamo Isola che non c'è. Sbagliate a dire che essa non
esiste, sbagliate a credere che sia solo una favola. Non lo è.
Non lo è e non lo sarà mai fino a quando ognuno di noi
avrà la capacità di sognare. Il bambino che si nasconde
in noi sa quanto sia reale quel posto e quanto caratterizzi la nostra
esistenza. Peter Pan si chiama quel bambino. E' la rappresentazione
generale di quei sentimenti che nel tempo dimentichiamo di provare. E'
la rappresentazione di tutto ciò che dimentichiamo di saper fare.
Peter Pan non è una favola e la necessità di leggere su
di lui ne è una coferma. Se ognuno di noi fosse solo nero nn
saprebbe farsi coinvolgere dal bianco. Ognuno di noi è una
leggera sfumatura di grigio capace di accogliere in se ogni singolo
elemento di bianco. Il bianco fa parte di noi e ne farà parte
per sempre, così come quella strana figura che è Peter
Pan.
Ho scritto che solo i bambini possono conoscerlo e tornare in quel
posto fantastico ogni volta che vogliono ma mi sbagliavo. Certo per
loro è più facile, loro simbolo di purezza e
fanciullezza, sono molto più vicini alla felicità di
quanto lo possa essere un adulto.
Questo non toglie che agli adulti sia privato l'accesso a questo mondo.
Se ognuno di noi avessi il coraggio, una volta tanto, di aprire quel
cassetto e lasciare che un pò del suo contenuto ci coinvolga e
diventi realtà allora saremmo in grado di percepire ogni singola
emozione rimossa, ogni singolo attimo di felicità di cui ci
siamo privati. Riusciremmo a sentire il nostro corpo leggero. Certo non
si può volare ma perchè privarci della sensazione che si
prova ad essere leggeri come uccelli?
L'uomo così ottuso ed incapace di lasciarsi trasportare dagli
elementi più piccoli e semplici che lo circondano. L'uomo un
essere così estremamente occupato a raggiungere la
felicità che non si accorge che tutto ciò che fa in
realtà è il mezzo più diretto per allontanarsene
per sempre. Poi quando il tempo finisce, quando sai che è troppo
tardi, tutto ti si para davanti senza veli e senza maschere e tu ti
senti infinitamente stupido. Hai avuto la verità davanti agli
occhi per tutta la vita e non sei mai stato capace di osservare
attentamente. Hai guardato solo superficialmente. Hai avuto bisogno
delle parole di un ignoto scrittore, di una favola che raccontava
ciò che tu potevi essere così facilmente, bastava solo
che avessi la giusta forza di volontà per aprire gli occhi,
quelli veri.
Sapevo fin dall'inizio che tutto questo fosse reale ma sfuggivo con tutto me stesso da questa considerazione.
La parole di Peter riecheggiarono nella mia mente.
"Siamo la stessa persona io e te."
Aveva tremendamente ragione. Avevo fatto della mia vita la sua vita.
Ogni mio sogno, speranza, desiderio, ricordo, era perfettamente
riadattato al suo personaggio.
Ricordai delle sue parole, delle parole di quella donna che avevo sempre giudicato speciale, unica.
"Sai...io l'ho conosciuto Peter Pan"
Gli aveva detto una volta, in salotto, mentre lui le raccontava delle avventure sull'isola.
"Davvero? E com'è?"
"Non molto diverso da noi, di aspetto. Ma profondamente lontano da
tutto quello che tormenta le nostre menti, lui è unico, lui
è fantastico."
"Deve essere stato un bell'incontro!"
"Oh...si...lo è stato!"
Lei lo sapeva. Lo aveva capito prima di ogni altro, prima di me.
La bolla mi aveva riportato davanti ad una finestra. Riconobbi quella
finestra e rividi il mio viso di bambino affacciato ad essa. Quanto ero
triste, ero triste e sperduto. Mi sentivo rifiutato da mia madre,
sentivo il suo disprezzo arrivare dritto al petto. Era quel giorno, il
giorno in cui avevo cominciato ad immaginare.
Era il giorno in cui Peter Pan era uscito dalla finestra per non farvi mai più ritorno.
Posai la penna sul tavolo
chiudendo quella parentesi di una delle favole migliori che abbia mai
scritto. Nessuno mai sarebbe venuto a conoscenza di quelle pagine.
Poche e dirette. Nessuno avrebbe mai saputo la verità su quel
mondo fantastico.
Mi stropicciai un occhio con il dorso della mano e osservai il sole
dall'interno della mia stanza. Un nuovo giorno stava per iniziare. Una
nuova favola stava per essere scritta.
Peter Pan, Barrie. Due facce della stessa medaglia. Due volti di una stessa storia.
Note d'autore:
Ho deciso di pubblicare oggi il capitolo finale della storia
perchè a lunedì sposterò la pubblicazione
dell'altra storia che sto scrivendo.
Barrie meritava di essere ricordato come il vero ed unico Peter Pan.
L'interpretazione che io do alla sua favola è esattamente quella
che ha descritto Barrie, ho sempre pensato che l'insegnamento ch
quell'uomo voleva dare ad ognuno di noi era esattamente quello di non
dimenticare mai chi siamo e chi siamo stati, di ricordare
quandìto sia importante sognare e di come sia possibile
realizzare quello che sognamo.
Ho sempre amato le sue parole, le ho lette fino a consumare le pagine cercando di svelare i suoi segreti.
Ho sempre pensato che la sua non fosse solo una favola, che in ogni sua
pagina ci fosse una piccola verità e con il tempo ho scoperto
che era esattamente così.
Lo stesso Capitan Uncino non fu scelto a caso e con la messa in scena
di quest'opera Barrie ne spiegò il ruolo fondamentale. Egli era
la figura che generava il complesso edipico della piccola Wendy.
Ebbene questo è il capolinea. L'epilogo di una storia che mi ha portato via più di un mesetto.
Grazie infinite a chi ha seguito, preferito o semplicemente letto.
Un grazie speciale va a Serena,
autrice dell'immagine scelta per questo capitolo, mia amica e compagna
di ogni singola giornata e cazzata e attenta consigliera. Ti ho fatto
piacere una storia che non rintra nei tuoi interessi, credo di potermi
ritenere assolutamente lusngata e soddisfatta.
Grazie a Ilaria che mi ha
trovata e seguita. Lei che ha sempre le idee poco chiare su quello che
scrive e che ha una scarsa fiducia nelle sue capacita. Eppure sei
cpsì brava.
Grazie a Paolo che
è sempre pronto a fare complimenti a questa storia e la segue
attento. Le tue parole sono sempre ben scelte e pronte a farmi
sorridere.
Grazie anche alla nuova recensitrice che prima di arrivare a questo capitolo ci metterà un pò..MeikoMakoto, di cui ancora scopro il nome. Grazie delle tue recensioni e soprattutto dei tuoi complimenti.
Un bacio a tutti. Vi aspetto sull'altra ff..Wish you were here.
Un bacio.
Lisa
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