Il profumo dei lillà di etienne86 (/viewuser.php?uid=111670)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 Epilogo ***
Capitolo 1 *** capitolo 1 ***
capitolo 1
CAPITOLO 1
Oscar aprì gli occhi, nel vano
tentativo di interrompere quel continuo flusso di pensieri che non
l'abbandonava dalla sera precedente. La luce che filtrava dai
tendaggi alle finestre le confermò che era ormai giorno, un
giorno piovoso. Nel silenzio della sua stanza percepiva con
chiarezza l'incessante picchiettio della pioggia battente sulle
vetrate.
Richiuse gli occhi e sospirò.
Inutile cercare di riposare, con tutti i dolori che sentiva in ogni
parte del corpo. Inutile cercare di evitare i ricordi di quegli
attimi che incessantemente, dalla sera prima, la torturavano. Ma
diversamente da quanto si potesse credere non era la furia della
folla ad averla scossa, e neanche aver rivisto il Conte di Fersen
dopo tanto tempo. No. Era stato il pensiero di perdere Andrè
ad averla fatta sentire disperata, come non le era mai capitato.
E anche questo non era vero.
Il suo cuore riportò alla luce
un altro ricordo, di almeno quindici anni prima, la voce di
Girodelle nei corridoi antistanti gli appartamenti reali che le
comunicava l'imminente condanna di Andrè per l'incidente
occorso alla Delfina, quando aveva insistito per cavalcare,
nell'intento di imitare la sua rivale, la Contessa Du Burry. Anche
allora aveva ignorato tutto, le parole del suo secondo, il dolore
lancinante alla spalla, la debolezza che aumentava man mano che
perdeva sangue, perchè il pensiero di Andrè sul
patibolo era per lei inaccettabile.
Ma non aveva riconosciuto le reali
motivazioni del suo sentire. Era per il suo innato senso di
giustizia, per la generosità verso un servo cresciuto comunque
accanto a lei da sempre, come un fratello. Così si era
convinta e così il mondo aveva accettato la sua spropositata
reazione, che si era spinta fino a sfidare apertamente il Re. E per
lo stesso motivo la sera prima aveva cercato di attirare su di sé
la folla inferocita, per un puro senso di giustizia e verità,
perchè Andrè non poteva morire per qualcosa che non
era...
Si mise seduta sul letto, appoggiò
i piedi a terra e fissò lo sguardo sconsolato sulle mani
mollemente abbandonate sulle gambe. Quelle mani sottili, che
Nanny aveva amorevolmente avvolto in bende qualche ora prima, su
indicazione del dottore, quelle mani inutili, che non le erano
servite, perchè questa volta non era riuscita a salvare lei
Andrè. L'aveva fatto il suo cuore, gridando in faccia a lei
stessa e a Fersen la sua verità. Una verità negata e
custodita per tanti anni, lo sentiva chiaramente. Perchè anche
quando si diceva che Fersen fosse l'unico uomo che avrebbe mai
potuto amare, era Andrè il sole che riscaldava i suoi giorni.
Si prese la testa tra le mani. Lei lo
aveva respinto! Dopo una vita insieme l'aveva trattato come un
inutile servo! Dopo esserle stato accanto, sempre, coerente con se
stesso ma accettando le sue decisioni, dopo averle salvato la vita
innumerevoli volte, senza gloria, come se fosse la cosa più
naturale del mondo, come se le fosse dovuto, dopo averle sacrificato
un occhio, senza recriminazioni, anzi, mitigando i suoi sensi di
colpa e il suo desiderio di vendetta! E adesso che il suo sentimento
aveva un nome, e anche un volto, adesso che la verità era lì,
tra le sue mani vuote, fasciate, adesso non sapeva cosa farsene. Si
sentiva imbambolata, incapace di decidere, incapace di muoversi.
Un sommesso colpo alla porta della sua
camera la riportò alla realtà. Con la coda dell'occhio
vide una cameriera posare timidamente un vassoio nel salottino
accanto alla sua camera e allontanarsi rapidamente. In un attimo la
raggiunse l'inconfondibile e familiare profumo della cioccolata di
Nanny. Quindi si alzò, si vestì e si accomodò
per gustare la bevanda che la vecchia governante le aveva preparato,
forse con l'intento di addolcire il suo risveglio. La giornata era
davvero buia e piovosa, come aveva intuito a letto. Chissà
come stava Andrè, se era riuscito a riposare, se era già
sveglio... Chissà come avrebbe occupato quella lunga giornata
piovosa lontano dalla caserma.
Il pensiero di loro due di nuovo
insieme in quella casa per quella convalescenza forzata la fece
sorridere felice, involontariamente. Le era sempre piaciuto poter
stare a casa con Andrè, quando fuori il tempo imperversava e
non c'erano impegni di lavoro a costringerli sotto le intemperie.
Spesso ascoltava i suoi discorsi, da sempre più loquace di
lei, oppure leggevano insieme qualcosa, a lungo stavano semplicemente
vicini, in silenzio, ed il piacere di quella intimità ormai
persa la rattristò nuovamente.
Persa per colpa sua, ormai non
provava neanche più a negarlo. Persa perchè non aveva
capito che non era scontata, che non era facile da provare ancora,
con qualcun altro. Quanto le mancava il vecchio Andrè, quel
sorriso dolce e rassicurante, il modo garbato che aveva di prenderla
in giro, la saggezza con cui frenava i suoi impulsi, la capacità
di aiutarla nelle difficoltà senza che neanche se ne
accorgesse, senza intaccare minimamente il suo orgoglio. E tutto
questo a senso unico. Lei non si era mai chiesta se lui avesse dei
problemi, o dei progetti o delle idee. Anche quando aveva condiviso
con lei l'esperienza delle riunioni clandestine in cui si discuteva
del futuro della Francia, aveva liquidato le sue osservazioni
ricordandogli che non era un nobile, che non se ne doveva
preoccupare. Che meschina egoista!
Nanny la raggiunse per sincerarsi
delle sue condizioni e lei cercò subito di sdrammatizzare e
chiese di Andrè. Era svenuto mentre in carrozza lo portava in
salvo verso Palazzo Jarjayes, giusto prima di chiederle se stava
bene, se le avevano fatto qualcosa. Poi, giunti a destinazione, era
stata immediatamente portata nelle sue stanze da Nanny, che
capeggiava uno stuolo di cameriere agitate e lo aveva letteralmente
perso di vista. Avrebbe voluto che il medico, dopo averlo visitato,
l'avesse raggiunta per aggiornarla sulle sue condizioni, ma Nanny
era stata irremovibile sul fatto di lasciarla tranquilla a riposare.
“E' pieno di lividi e fasciature, ma
ha detto che tre giorni gli basteranno per tornare in caserma”
rispose Nanny liquidando in fretta le sue domande. Fu quasi delusa di
saperlo a casa con lei per così poco tempo, però non
sarebbe andata a trovarlo nella sua camera per tutto l'oro del mondo!
Nanny si accomiatò con i soliti modi ossequiosi e
rimasta sola Oscar continuò a bere la cioccolata, cercando di
mettere ordine nei suoi pensieri un po' contraddittori.
Non lo sentì entrare e quasi
sobbalzò quando lo vide a pochi metri da lei. Le sembrò
formale, distaccato. Aveva un braccio appeso al collo e fasciature
ovunque,dalla testa ai piedi. Il suo sguardo era imperturbabile. Le
comunicò in modo asciutto di essersi sincerato del rientro
del Conte di Fersen nei suoi alloggi, sano e salvo.
“Mi fa piacere” rispose in maniera
altrettanto formale e non potè evitare di domandarsi, mentre
lo fissava, se pensava che nel suo cuore albergasse ancora un tenero
sentimento per il nobile svedese. Certo Andrè non le diede
modo di scoprirlo e dopo aver rifiutato una tazza di cioccolata si
congedò da lei. Impeccabile come il più esemplare dei
domestici. “Perchè non ti ho chiesto di farmi compagnia
comunque? Perchè tutta la mia prontezza di decisione e la mia
capacità di azione svaniscono se devo svelarti un po' dei miei
sentimenti?”
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Capitolo 2 *** Capitolo2 ***
Capitolo 2
Piccola
premessa. Spero di non offendere le fan di Fersen, che non esce molto
bene da questo capitolo. Ho scritto quella che è sempre stata
l'opinione che mi sono fatta sul suo personaggio, in particolare
nell'episodio dell'incidente a cavallo di M.Antonietta.
CAPITOLO 2
La
giornata proseguì lentamente. All'ora di pranzo la pioggia
diede una tregua e suo padre la raggiunse per accertarsi delle sue
condizioni. Già verso la fine del pranzo la nubi avevano
lasciato il posto ad un cielo terso e ad un tiepido sole. Oscar si
sistemò con un libro sulla balconata che sovrastava
l'ingresso posteriore di Palazzo Jarjayes, verso il prato e la
fontana vicino alle scuderie. Leggeva distrattamente,
aspettando in realtà di
scorgere Andrè fuori dalla sua stanza. Le sarebbe bastato un
ordine per averlo seduto di fronte a lei, a farle compagnia. Ma non
riusciva più a pensare a lui come a qualcuno a cui impartire
comandi, almeno al di fuori di quelli militari. Voleva vederlo e
nel contempo temeva si sarebbe sentita impacciata, voleva guardarlo,
ammirare quel suo triste sguardo e tuttavia aveva paura che lui le
leggesse dentro, scoprendo la verità sui suoi sentimenti. E
si dava della stupida per questo atteggiamento puerile e da
femminuccia, che non avrebbe mai creduto potesse appartenerle.
Alzò lo
sguardo al rumore degli zoccoli di un cavallo che lo scudiero dei
Jarjayes stava conducendo alle stalle. Riconobbe in un istante lo
stallone del Conte di Fersen e mentre ancora si chiedeva cosa potesse
significare, fu raggiunta in terrazza da un servitore che annunciava
la visita per lei del conte svedese. Oscar chiuse il libro con un
colpo secco, lo appoggiò sul tavolo e diede sbrigativamente
indicazioni su dove condurre l'ospite.
Perchè
Fersen era lì? Forse voleva solo sincerarsi delle sue
condizioni, ma perchè venire di persona? Come lo avrebbe
affrontato dopo aver letto tutta la sua incredulità la notte
precedente, quando gli aveva rivelato i suoi più segreti
sentimenti con una sola piccola parola di tre lettere, che valeva
più di mille discorsi?
Fersen entrò nell'ampio salone
di Palazzo Jarjayes con un vago senso di disagio. Ricordava
perfettamente la circostanza della sua ultima visita, anche se erano
trascorsi parecchi mesi ormai.
Quando il cameriere tornò con le
disposizioni di madamigella Oscar, fu interrotto da Andrè,
che si offrì di accompagnarlo.
“Salve Andrè, sono felice di
vedervi già in piedi dopo il tragico accidente occorso ieri a
voi e a Madamigella Oscar”. Andrè alzò lo sguardo
dopo un rapido inchino e lo fissò in un modo che Fersen non
riuscì a decifrare, denso di una certa inquietudine ed
amarezza.
“Vi ringrazio immensamente per aver
salvato la vita a Madamigella Oscar e aver impedito che le
conseguenze dell'aggressione subita fossero più gravi. Con
permesso..” e si congedò rapidamente.
Fersen rimase allibito dal tono formale
di Andrè, con cui aveva condiviso cene e brindisi, corse a
cavallo e sfide con la spada, ma soprattutto che non avesse fatto
cenno al salvataggio della sua stessa vita. Ricordava un giovane
solare ed allegro, di compagnia gradevole e molto discreto, così
diverso dall'uomo cupo con cui aveva da poco parlato. La ferita e la
cecità dell'occhio sinistro sembravano aver spento qualcosa
anche nell'animo di Andrè. Era ancora perso i questi pensieri
quando sentì aprirsi la porta e gli comparve Oscar, anche lei
con vistose fasciature al capo ed alle mani, anche lei con uno
sguardo spento, infelice, nonostante il sorriso con cui lo accolse.
“Grazie Conte von Fersen della
visita, mi spiace che vi siate disturbato di persona, le strade
saranno ancora difficoltose a causa delle piogge di stanotte”,
continuò osservando i numerosi schizzi di fango
sull'immacolata divisa del conte. Anche Oscar gli sembrò
eccessivamente formale nei suoi riguardi. “Lieto di rivedervi in
buone condizioni, Oscar; avete davvero corso un grave pericolo
ieri...” “Si, è stato incredibilmente imprudente da parte
mia” ammise, abbassando lo sguardo.
Fersen non indugiò
ulteriormente sul vero scopo della sua visita.
“Oscar, tanti anni fa, in nome della
vostra fedeltà ed amicizia per la regina Maria Antonietta, vi
siete permessa di venire a parlarmi di faccende private ma molto
importanti, con garbo ed estrema franchezza”. Si interruppe
all'ingresso di un servitore con il the. Oscar si alzò e si
diresse alle vetrate, voltando le spalle al suo ospite ed ignorando
il vassoio lasciato lì per loro.
“Voi sapete perchè sono qui,
Oscar. Sono venuto perchè credo di poter ricambiare il vostro
gesto di amicizia e di poter essere io, questa volta, a darvi un
consiglio, spinto dall'affetto e dalla stima che non ho mai cessato
di nutrire per voi” Tacque un istante, in attesa di una replica che
non venne. Oscar continuava a fissare fuori dalle vetrate, senza
voltarsi, senza muovere un solo muscolo.
Fersen si avvicinò di un passo
ed abbassò leggermente il tono di voce.
“Quello che inconsapevolmente mi
avete confessato ieri notte mi ha sorpreso, Madamigella Oscar, è
vero, ma è qualcosa che ho sempre sospettato, da quando vi
conosco, ed è forse stato il vero motivo per cui non ho
realizzato i vostri sentimenti per me” Oscar si girò di
scatto e sgranò gli occhi.
“Su voi ed il vostro attendente si è
sempre fatto un gran pettegolezzo a corte e finchè ho
ignorato la vostra vera natura, ho ritenuto fosse una di quelle
relazioni che non potevano che rimanere segrete, e non certo per la
differenza di rango...” Sorrise al ricordo di questa sua
iniziale considerazione su Oscar e Andrè e non resse lo
sguardo sempre più scandalizzato della giovane.
“Quando poi ho scoperto che eravate
una donna , in occasione del vostro ferimento conseguente
all'incidente a cavallo della principessa, il vostro legame mi è
sembrato l'ennesima relazione tra servo e padrone” continuò,
mentre Oscar era tornata a voltargli le spalle. “Ed è stato
chiaro che era amore, e non un banale passatempo da parte di
entrambi” Sentì Oscar emettere una leggera risatina
sarcastica.
“Andrè non fece nulla per
nascondere la sua disperazione per le vostre condizioni e voi, Oscar,
vi siete gettata in sua difesa con un impeto che al momento non
compresi, ma che in seguito mi fu chiaro...”
“Credevo aveste compreso che il mio
era un moto di ribellione verso un'assurda ingiustizia, altrimenti
perchè appoggiarmi di fronte all'intera corte? Fu proprio in
virtù di quel vostro gesto che cominciai a guardarvi con
occhi diversi...”
“Vi debbo una confessione, Oscar-la
interruppe Fersen, mentre tornava ad accomodarsi-in quel frangente
ignoravo che sotto la divisa di Capitano delle Guardie Reali si
celasse una fanciulla, ed il mio intento era quello di conquistarmi
la vostra simpatia. Francamente non capivo tutta quella agitazione
per il destino di un anonimo servitore, ma ho pensato di sfruttare
l'occasione per entrare nelle vostre grazie. Dovevo godere della
vostra benevolenza per poter avvicinare la regina, eravate sempre
molto attenta e solerte nell'intervenire e proteggerla” A queste
parole Fersen smise di sorridere, divenendo molto serio. Oscar si era
nuovamente voltata, con uno sguardo insieme deluso e scandalizzato.
“A essere sincero fino in fondo-
continuò- se avessi saputo che eravate una donna avrei
certamente fatto ricorso ad espedienti più seduttivi ed
adatti al gentil sesso....Non guardatemi così, Oscar,
pensavate che non avessi mai sfruttato il mio fascino per
accontentare i capricci di qualche dama di compagnia pur di
assicurarmi discrezione e silenzio?”
Oscar non credeva alle sue orecchie.
Aveva tante volte sentito pettegolezzi sula condotta morale di
Fersen , ma li aveva attribuiti alle malelingue invidiose che
crescevano in ogni angolo di Versailles. Non lo credeva capace di
simili bassezze e di tradire così il suo amore per la Regina.
Non era forse per questo che non si era mai sposato? Per essere solo
suo?
“Voi mi avete idealizzato, Oscar, ed
io vi ho assecondato in questo per il mio personale tornaconto, ma
questo non toglie che vi abbia davvero stimato, ancor più
per l'integrità che realmente vi appartiene e a cui io ho
solo potuto aspirare. Forse , se non mi fossi intromesso nella
vostra vita e non vi avessi coinvolto nelle mie vicende amorose con
la regina Maria Antonietta, forse avreste capito prima a chi
appartiene il vostro cuore”
Con questa frase rialzò lo
sguardo verso Oscar, che continuava a voltargli le spalle, ma intanto
si era appoggiata con la mano sulla fronte contro la vetrata, come se
soffrisse per qualcosa che rimbalzava su di lei a distanza di anni.
Pensò a come Fersen le fosse sembrato simile a lei e diverso
da tutti i cortigiani e approfittatori che avevano infestato la
reggia e la vita stessa dei sovrani. Invece l'amante segreto della
regina era molto più simile a loro e benchè i suoi
intenti fossero dettati da un grande amore, non aveva esitato a
comportarsi come tutti gli altri pur di raggiungere ciò che
voleva.
E realizzò, tristemente, che
l'unico animo puro che aveva davvero incontrato nella sua vita era
Andrè. Non era assetato di ricchezza o potere, non nutriva
sentimenti di vendetta per nessuno, anelava solo al suo amore e
nell'attesa aveva invece amato senza riserve, senza mai pensare alle
conseguenze per sé, senza calcoli. Era questa consapevolezza
che le faceva sentire un sordo dolore nel petto. I loro cuori erano
cresciuti insieme, vicini ed affini, finchè lei non si era
allontanata, presa da miraggi ingannevoli: la sua carriera militare,
prima e infine una platonica attrazione per il conte svedese.
“So che state pensando alla
incolmabile differenza di classe sociale tra voi e Andrè, al
fatto che la vostra non sarà mai un'unione da vivere alla
luce del sole, ma per quanto dolore vi possa procurare, sarà
anche l'unica possibile fonte di felicità per voi.”
“No, non è questo...”
sussurrò Oscar , senza quasi avere la forza di dire a voce
alta la verità che le si era presentata innanzi in quei
momenti.
“Ditelo Oscar” la incalzò
Fersen. Solo allora si girò a guardarlo, e fu colpito dalla
autentica disperazione che lesse negli occhi della donna, di solito
così fieri e impenetrabili.
“Non lo merito...io il suo amore non
lo merito più!” e suo malgrado, nonostante la vergogna,
sentì un fiume di lacrime solcarle il volto. Istintivamente si
girò nuovamente verso la finestra e fu allora che lo vide.
Andrè, con la divisa dei soldati
della guardia, conduceva il suo cavallo fuori dalla scuderia. Si
muoveva lentamente e aveva sciolto dalla fascia di sostegno il
braccio sinistro. Montò a cavallo con un movimento rapido,
sistemò nuovamente il braccio ferito immobilizzandolo e con la
mano destra guidò l'animale verso il cancello della tenuta.
Quando in lontananza sentì sua nonna che lo chiamava
incredula, spronò il cavallo con un colpo di talloni e
scomparve rapidamente dalla sua vista, senza voltarsi. Oscar rimase
come inebetita, troppo sorpresa per reagire, con un senso di vuoto e
di perdita spropositati, mentre la voce di Fersen le arrivava come
ovattata. “Andrè...” le sfuggì ed appoggiò
entrambe le mai sul vetro della finestra, come se quel gesto avesse
potuto fermarlo. Poi si riscosse, e, ignorando le ultime parole del
Conte lo ringraziò e uscì senza aspettare che si
accomiatasse da lei.
Si diresse stancamente sulle scale,
verso la sua camera, mentre il suo ospite la osservava nell'androne
con l'assoluta certezza che il sentimento che aveva solo intuito la
notte precedente, era più forte e devastante per Oscar di
quanto immaginasse lei stessa.
Andrè rientrò nella
camerata sotto lo sguardo indifferente dei suoi compagni. Gettò
il sacco in un angolo e si coricò sulla branda gemendo a denti
stretti per il dolore. La cavalcata fino a Parigi era stata
durissima, ai dolori fisici si era aggiunto il solito tormento per
Oscar. L'aveva vista con il viso trasognante quella stessa mattina,
ancora persa nei pensieri derivanti dalla vista del suo antico
amore, e quando Fersen era giunto a Palazzo Jarjayes per una visita,
aveva sentito l'impulso irrefrenabile di fuggire da loro. Non avrebbe
resistito ad assistere ancora una volta ai postumi di questo rapporto
così dilaniante per lei, alla tristezza che avrebbe scorto sul
suo viso per tutto quello che avrebbe voluto essere e non era mai
stato tra lei e il nobile svedese, alla malinconia che sempre seguiva
ai loro incontri. Un tempo era stato la spalla discreta di questi
sfoghi, aveva fatto suo il dolore di Oscar, ma adesso sentiva tutto
questo come un peso insostenibile, una sofferenza che non era più
in grado di sopportare senza temere di impazzire.
Alain rientrò dopo circa un'ora
dal suo turno di guardia e fu l'unico a avvicinarsi e rivolgergli la
parola: “Allora, Grandier, l'avete scampata bella tu e il biondo
comandante l'altra notte! Com'è che sei già tornato tra
noi? Credevo avresti fatto la convalescenza a casa con la tua lei...”
“Palazzo Jarjayes è la dimora
del comandante, non mia...e comunque è tanto tempo che non mi
prendo cura di lei e non potrei più farlo neanche se volessi”
Alain stava già per rispondergli
stuzzicandolo nuovamente, ma qualcosa nella voce di Andrè lo
fece desistere. Poveraccio, pensò, è già
conciato per le feste e costretto a passare il tempo in questi
scomodi giacigli, deve aver buoni motivi per rinunciare alle comodità
di palazzo,meglio non infierire...e con un sorrisino sarcastico
stampato in faccia si diresse verso la propria branda.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo 3
Questo
capitolo è melassa pura, perdonate l'eccesso zuccherino...ma si
inizia ad accennare a qualcosa che Andrè ha in mente.
CAPITOLO 3
Il colonnello D'Agoult entrò
educatamente nell'ufficio di Oscar.
“Lieto di vedervi così presto
tra noi, comandante. Non vi aspettavo per oggi e ho quindi provveduto
personalmente alle consegne dei turni e delle ronde”
“Parigi è diventata davvero
una polveriera... raccomandate agli uomini la massima prudenza”
“Certamente, comandante. Ah, a
proposito: il soldato Grandier è rientrato 3 giorni fa, ho
firmato al vostro posto la sua riammissione, ma ho preferito
assegnarlo a servizi interni, mi è sembrato ancora debilitato
dall'incidente” Tacque in attesa di un commento, infine concluse
“Si è offerto di occuparsi dei cavalli”
“Avete adempiuto a tutto
perfettamente, colonnello, vi ringrazio per il vostro impeccabile
servizio”
“Credo fareste meglio a non uscire di
ronda per oggi, comandante”
Oscar lo guardò e gli sorrise.
Il colonnello D'Agoult aveva dei modi quasi paterni nei suoi
confronti, più di quanti ne avesse il suo vero padre.
“Grazie, colonnello -lo rassicurò- seguirò
il vostro consiglio”.
Si salutarono velocemente e Oscar fu di
nuovo sola.
Avrebbe di gran lunga preferito uscire per le strade di
Parigi, dove la sua attenzione sarebbe stata occupata a perlustrare
la situazione, piuttosto che rimanere in caserma a far niente. Dopo
aver firmato gli ultimi documenti che il colonnello le aveva lasciato
sulla scrivania, si avviò con lo sguardo diritto a fare un
giro all'armeria e ai posti di sentinella. Al suo arrivo i soldati
si irrigidivano nel saluto militare.
Era una giornata tiepida, con un sole
caldo ed una leggera brezza, tipica della stagione primaverile.
Oscar
chiuse gli occhi e respirò profondamente.
Sentiva il vento
sospingerle dolcemente i capelli, l'aria era fresca e pulita, dopo
le prolungate piogge dei giorni precedenti, e si sentiva, quasi
impercettibile, il profumo dei fiori di lillà provenire dai
piccoli cespugli selvatici, cresciuti negli angoli più
trascurati della caserma .
Il silenzio di quel momento, l'aria tra i capelli e il delicato profumo dei fiori la portarono con la
mente lontano da Parigi, ai giorni spensierati in cui si prendeva
una pausa e con il suo attendente raggiungeva la sua tenuta di
Arras. Ricordò la sua risata sincera ed allegra, era così
reale, le sembrava di sentirla veramente...
Spalancò gli occhi. Udiva
davvero la risata di un uomo, ed era quella di Andrè,
mescolata ad un vociare infantile. Dio, da quanto non sentiva Andrè
ridere così! Non potè resistere alla curiosità
di capire cosa lo divertisse e seguì quei suoni.
Davanti alle stalle della caserma
c'era un'ampia fontana, non elegante come quella di Palazzo Jarjayes,
una grossolana vasca rettangolare, scrostata. Andrè si trovava
lì dentro con un cavallo dal pelo scuro, e lo spazzolava
ritmicamente, dandole le spalle.
Ma non era solo. Cinque o sei
ragazzini dall'età indecifrabile, tutti di piccola statura,
dall'aria smunta ed emaciata, coperti di vestiti logori, gli
stavano attorno, imitando i suoi gesti. Il più piccolo era
sulle sue spalle, anche lui con una spazzola, e strigliava goffamente
la criniera del cavallo.
Andrè dava indicazioni su come
compiere il lavoro e i ragazzini lo seguivano con attenzione.
Dovevano essere i figli dei soldati, venuti insieme alle madri a
trovare i genitori.
Ad un certo punto Andrè condusse
fuori dalla vasca il cavallo e lo riportò nella stalla. Tornò
con la sua borsa ed estrasse alcune mele rosse. Oscar immaginò
le avesse portate lì dopo il suo breve rientro a Palazzo. I
bambini gridarono di gioia come di fronte al più inestimabile
dei tesori. Andrè calcolò che non ne aveva una per
tutti e per evitare discussioni, estrasse un piccolo coltello e le tagliò
a metà. Adesso erano tutti seduti attorno a lui, sul bordo
della vasca, e si godevano un piccolo momento di felicità,
nella loro vita fatta di stenti.
Oscar guardava la scena seminascosta
all'ombra di una colonna. Si sentiva una ladra colta a spiare
qualcuno, ma ne era come rapita e non riusciva ad allontanarsi.
Senza accorgersene, stava sorridendo. Andrè era così
dolce, sembrava perfettamente a suo agio con quei bambini e lei era
estasiata a guardarlo in un ruolo che non aveva mai immaginato per
lui. Era bellissimo, questo le disse il suo cuore. E lei non lo mise
a tacere, ascoltò le dolci parole che le sussurrava e guardò
l'uomo che conosceva da sempre, con la camicia bagnata aderente alla
pelle, i capelli arruffati e quella meravigliosa risata, in mezzo ad
un nugolo di mocciosi adoranti. Allora il suo cuore la condusse più
lontano, altrove, in un'immagine dove c'era anche lei, e i bambini
erano bellissimi, con i capelli scuri e profondi occhi verdi, come i
suoi...
“Ciao, Oscar” la sua voce la
risvegliò come uno schiaffo e la riportò alla realtà.
I bambini si stavano allontanando con le madri verso l'uscita
della caserma e lui si stava asciugando le mani, mentre le si era
avvicinato di qualche passo.
Oscar si sentì avvampare le
guance, come se lui le avesse letto nel pensiero. Gli sorrise, quasi
timidamente.
Andrè pensò che era incantevole, che non
la vedeva così serena e dolce con lui da tanto tempo. Ricambiò
il suo sorriso, poi considerò che probabilmente era felice per
la visita di Fersen, forse il loro era stato un incontro di
riconciliazione, magari con buone prospettive per il futuro. E lui,
lui era solo un povero illuso, destinato alla miseria e alla cecità,
inabile ormai anche a fare il soldato semplice. Ma questa era la
realtà, inutile continuare a negarlo. Era giunto il momento
di affrontarla e anche di mantenere la sua promessa. In fondo,
pensare che potesse essere felice almeno lei, era quasi una
consolazione.
Con un passo si fece più vicino.
Adesso, nonostante le pessime condizioni del suo occhio destro,
poteva vederla nitidamente, in pieno sole. I riflessi dorati dei suoi
capelli, mossi dal vento, il blu trasparente dei suoi occhi, la sua
pelle diafana, con le guance lievemente arrossate...Riconobbe in quei
lineamenti la sua Oscar,
quella che era sempre stata, fin da quando l'aveva conosciuta,
bambina. E controllando un dolore sordo ma profondo, suo compagno
ormai da una vita, le disse piano “Rientro nei miei alloggi, per
sistemarmi...”
Oscar teneva i suoi
occhi inchiodati nello sguardo profondo di Andrè, quasi
ipnotizzata. L'uomo esitò un istante, poi, con un movimento leggero
della mano, le sistemò una ciocca sfuggita alla sua chioma e
trattenuta sulle sue labbra e le sussurrò
“Sii felice,
Oscar”
Rimase
sconcertata da quelle parole, ma non fece in tempo a replicare che
Andrè si era già diretto alla sua camerata.
Nonostante l'intensità di quel breve incontro, Oscar
percepiva un fondo di definitiva tristezza nelle parole dell'amico e
una stretta allo stomaco che aveva il sapore di un addio.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4
Capitolo 4
Nel tardo pomeriggio un messaggero del Generale Bouille raggiunse gli
uffici del Comandante della Guardia Nazionale con un dispaccio urgente.
Dal giorno successivo gli uomini comandati da Oscar avrebbero
avuto il compito di tutelare l'ordine pubblico durante l'insediamento
dei rappresentanti dei Tre Stati nel Palazzo che ospitava la
riunione degli Stati Generali, nonchè di sorvegliarlo
all'esterno per tutta la durata dei lavori, con turni sicuramente
prolungati oltre il dovuto.
Oscar lesse le indicazioni del Generale e pensò subito a come
organizzarsi.
Voleva avvisare immediatamente i suoi uomini e,
sebbene fosse l'ultima serata di libera uscita, intendeva
assicurarsi che non rientrassero troppo tardi e ubriachi fradici,
dal momento che non sapeva quando avrebbe potuto permettere loro
una pausa per ritemprarsi.
Decise quindi di convocare il colonnello D'Agoult nel suo ufficio.
"Colonnello, abbiamo ricevuto ordini pressanti, e molto gravosi, a
partire da domani. So che gli uomini sono già in libera uscita,
vorrei tuttavia il loro rientro per le dieci di stasera, allo
scopo di aggiornarli prima che siano troppo ubriachi o disfatti
dall'ennesima rissa. Immagino conosciate i locali dove sono
soliti trascorrere le serate di libertà. Vi chiedo di
accompagnarmi per radunarli all'ora stabilita"
Il colonnello la fissò con un leggero imbarazzo.
"Comandante, concordo pienamente con voi, ma lasciate che mi occupi da
solo di richiamare i soldati. Ecco...vorrei evitare di farvi addentrare
in quartieri della città che godono di pessima
reputazione e dove la vostra divisa di alto ufficiale non passerebbe
inosservata..."
"Neanche la vostra, se è per questo" gli ribattè, aggrottando le sopracciglia.
"Comandante, vorrei aggiungere che, ehm, forse i soldati, che
già non gradiranno l'interruzione dai loro svaghi,
potrebbero risentirsi e...insomma, non gradire la vostra presenza in
locali dove gli incontri sono, come dire..."
"Ho capito, preferite evitare che metta piede in qualche squallido bordello..."
"Si, comandante" ammise D'Agoult , abbassando lo sguardo.
Riflettè un attimo e pensò che probabilmente il suo
secondo aveva ragione.
Sapeva che, nonostante si fosse conquistata la
loro stima, i suoi militari non dimenticavano mai che fosse una
donna.
"D'accordo, colonnello, vi aspetterò qui in caserma. Agite nei
limiti che potete con discrezione. Non voglio uomini tirati fuori dai
letti dei postriboli in mutande! Mi basta che siano tutti di rientro
per le dieci"
Il colonnello chinò il capo in senso affermativo ed uscì.
Oscar si alzò e si diresse alla finestra.
Doveva organizzare le
idee, pensare a un discorso per comunicare qualcosa di sgradito e
gravoso per i suoi uomini, qualcosa che probabilmente molti di loro non
condividevano, ma la sua mente fu presto rapita da altri pensieri.
Si
chiedeva se anche Andrè quella sera fosse in qualche squallida
taverna a bere vino scadente e a divertirsi con qualche
sgualdrina...Perchè no? In fondo l'aveva visto uscire con
i suoi commilitoni, al tramonto, e dove altro poteva essere andato?
E' assurdo-pensava-mi
fa male immaginarti con un'altra, anche se a pagamento, e se questo mio
ordine potesse mandare a monte un simile incontro , sarei quasi
sollevata . Dio, ma cosa vado pensando! Sorrise, ridendo di se stessa.
Finalmente sentì il rumore dei cavalli rieccheggiare
nel cortile deserto della caserma.
Si infilò i guanti, si
abbottonò la giacca dell'uniforme e si accinse a
raggiungere i suoi uomini.
All'ingresso l'aspettava il colonnello D'Agoult: "Tutti presenti, tranne due, che stanno comunque rientrando"
"Ottimo, colonnello" rispose Oscar, e varcò la soglia della camerata.
Fu accolta da una scia di borbottii e lamentele, da sguardi già spenti dal troppo alcool.
"Soldati, ho purtroppo ricevuto ordini molto impegnativi per noi dal Comando Generale di Parigi".
Ancora lamentele.
"Da domani saremo in servizio permanente fuori dal palazzo degli Stati Generali"
Le sue parole furono seguite da un coro di NO.
Cercò invano tra
quelle facce sfatte e rabbiose il volto solidale di Andrè, e non
lo trovò. Ignorò a fatica una fitta di dolore.
"Cercate di riposare per questa notte, vi attendo pronti domani mattina alle 8.00 nel cortile"
Si girò per uscire, stavolta in un silenzio glaciale.
Prima di
varcare definitivamente la porta si voltò a guardare i suoi
uomini e con tono sincero aggiunse
"Vi avrei davvero voluto risparmiare tutto questo".
Era quasi mezzanotte ed Oscar non riusciva a dormire.
Nel corridoio fuori dal suo ufficio, avvolta nell'oscurità,
fissava l'ingresso della caserma, attendendo il rientro di
Andrè.
Era lì da più di un'ora, ormai.
Prima che si unisse ai suoi compagni, aveva incrociato Alain.
Cercando
di dissimulare la sua ansia gli aveva chiesto di Andrè.
"Il colonnello D'Agoult ci ha trovati tutti nello stesso
bordello a Parigi, ma Andrè non è mai venuto a putt..
,volevo dire, a spassarsela con noi"
Spiò la reazione di Oscar, che guardava imperturbabile l'oscurità davanti a lei.
"A parte che non penso Andrè abbia problemi a trovare una
femmina disponibile, senza bisogno di pagarla, perchè
attira le donne come il miele le api... quando lo abbiamo
provocato a riguardo ci ha risposto che non potrebbe mai divertirsi con
ragazze che si vendono, poco più che bambine, per
povertà e disperazione! Ci ha detto che a guardarle gli torna in
mente una certa Rosalie, conosciuta anni fa, e invece di sentirsi
eccitato prova solo una grande tristezza "
Oscar abbassò il capo e non nascose un leggero sorriso.
Alain le si avvicinò, e chinandosi verso di lei aggiunse "
Ben strano il nostro Grandier, vero? Ma non so se vi convenga
aspettarlo in piedi, domani sarà una giornata pesante anche per
Voi, e torna sempre tardi quando va da Madame Dressie"
Non attese la sua reazione e si allontanò salutandola "Buonanotte, Comandante"
Non era più riuscita a staccarsi dalla finestra.
Al sollievo per
aver saputo che non frequentava donne di strada era seguita la
curiosità per la signora nominata dal suo amico.
Era ovvio che non
si trattava della tenutaria di un casino, ma allora chi era?
Andrè che attira le donne come il miele le api...
Maledizione, in parte sapeva che era vero.
A Palazzo Jarjayes non
c'era giovane cameriera che non avesse fatto un pensiero su di lui, e a
Versailles i sorrisini dietro ai ventagli di dame annoiate di
tutte le età, rivolti al suo attendente, si sprecavano.
Non le era
mai importato. L'indifferenza di Andrè per quei sordidi richiami
le aveva permesso di non sentirsi mai minacciata.
Lui non mancava
mai, l'attendeva con quel dolce sorriso che c'era sempre per lei, solo
per lei.
In quel momento lo vide rientrare. Le sembrò più stanco del solito, curvo sul suo cavallo.
Vorrei scendere adesso per riferirti
io quello che ci attende domani, per darti la buonanotte con una
carezza, ma ho paura che qualcunaltro ti abbia già consolato
stanotte.
Dio, Oscar, domani ti aspetta una missione complicata, dovrai
guidare i tuoi uomini cercando di evitare la necessità di un
loro intervento contro la popolazione e tu stai qui a fantasticare su
Andrè e le sue avventure sotto le lenzuola!
Sei un
soldato, maledizione, resta concentrata sui tuoi doveri!
Alle 8,00 in punto tutti i soldati erano schierati davanti a lei, ed il colonnello D'Agoult al suo fianco.
Seria e concentrata, questa volta si rivolse a loro evitando appositamente di cercare lo sguardo di Andrè.
"Seguitemi al Palazzo dell'Assemblea degli Stati Generali e fate
esattamente ciò che vi ordinerò.
A nessuno interessa, in
fondo, se scoppieranno dei disordini e degli scontri tra noi e la
popolazione.
Siamo gli unici in grado di evitarlo e forse i soli
davvero interessati a farlo". Girò il suo cavallo e si
diressero a Parigi.
Dopo un paio d'ore tutti gli uomini erano ai loro posti, e
Oscar assolutamente concentrata e determinata ad eseguire gli
ordini in modo impeccabile.
Il loro turno si protrasse per l'intera giornata e continuò per buona parte della notte, fortunatamente senza incidenti.
Solo alle prime luci dell'alba, la compagnia A dei Soldati della
Guardia giunse sul posto per dare il cambio agli uomini di Oscar.
Era esausta per la tensione accumulata, per la pioggia che quel giorno
non aveva dato un attimo di tregua, per tutti i problemi che emergevano
nell'assemblea e che ritardavano l'inizio dei lavori.
Se la
convocazione degli Stati Generali, in cui il popolo riponeva tutta la
sua fiducia per risollevarsi dalla miseria, avesse fallito, non
riusciva ad immaginare le conseguenze per la Francia e la Corona.
Avrebbe desiderato tornare a Palazzo Jarjayes, magari facendosi
accompagnare da Andrè, ma non sapeva per quanto tempo gli
avrebbero lasciati tranquilli, in caserma, così decise di
fermarsi a Parigi e, dopo una rapida rinfrescata, si recò nel
suo ufficio per firmare le ultime carte che il colonnello D'Agoult le
aveva preparato.
Leggeva rapidamente i documenti, tenendo a
mezz'aria la penna intinta di inchiostro, ed altrettanto
rapidamente apponeva la sua firma.
Poi improvvisamente si fermò, e si sentì gelare il sangue.
"Congedo definitivo del soldato semplice Andrè Grandier"...Oscar
sbarrò gli occhi e scorse rapidamente il foglio per
arrivare a leggere le motivazioni.
"...causa cecità imminente, comprovata da lettera del dottor..."
Spostò la sua attenzione su quest'ultimo foglio: era
davvero la calligrafia del medico che anche lei conosceva.
Dalla penna sgocciolava lentamente l'inchiostro, ma lei restava
immobile, impietrita.
Rammentò di non averlo visto per
tutta la giornata, ma in fondo di non averlo nemmeno cercato,
volontariamente.
Andrè se ne era andato, e stava perdendo definitivamente la
vista.
Ricordò di come l'aveva salutata solo due
giorni prima e capì che già allora sapeva che si
sarebbe congedato, e non gliel'aveva detto.
Non era stata felice di vederlo tra i soldati della Guardia
Nazionale dopo la dolorosa confessione del suo amore per
lei, ma in realtà questa sensazione era durata davvero poco,
sostituita da una sorta di sollievo e serenità, sulle cui
origini non si era, ovviamente, fermata a riflettere
, come sempre, quando qualcosa faceva vibrare le corde del suo
cuore
E adessso sentiva una voce martellare nella sua testa che era rimasta definitivamente sola.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Capitolo 5
Entra in scena un nuovo
personaggio femminile, determinante per questa fic... e si capisce che
Andrè sta per dare una svolta alla sua vita (o almeno crede)
Domani parto, se vorrete potrete leggere il resto della storia tra una settimana
Grazie a tutte/i i fanlettori , senza di voi scrivere non avrebbe senso!
Capitolo 5
Andrè arrivò alla tenuta di Madame Dressie con le prime luci dell'alba.
Era un'elegante ma sobria dimora alle porte di Parigi, immersa nel
verde ai piedi delle dolci colline che delimitavano la periferia
settentrionale della capitale.
Oltre alla villa padronale era dotata di una piccola depandance,
dove Andrè aveva insistito per sistemarsi, nonostante l'offerta
della proprietaria di ospitarlo nell'edificio principale.
Therese Dressie era stata l'unica luce in un periodo terribilmente buio della sua vita.
Non si frequentavano da molto, ma l'intelligenza e la
sensibilità della donna avevano contribuito a farlo
sentire immediatamente a suo agio con lei.
L'aveva conosciuta subito
dopo essersi arruolato nella Guardia Nazionale, tramite la dolce
Diane, sorella di Alain.
Andrè le aveva confidato le sue difficoltà nella lettura,
a causa del progressivo peggioramento della vista, e di quanto ne
soffrisse, tanto più che i libri erano diventati la sua
unica
compagnia nei momenti liberi, dopo la rottura con Oscar.
E
l'unico passatempo che riuscisse ad attenuare le sue angosce ed il
bisogno di affogarle nell'alcool.
Therese Dressie aveva fatto della lettura e della scrittura per gli altri una sorta di lavoro (1) .
Le si rivolgevano facoltosi commercianti analfabeti per la loro
corrispondenza; nobili o facoltosi borghesi per la lettura
di un romanzo o di un recente trattato letterario; amava lei
stessa intrattenersi con la musica e la letteratura e poterle
condividere con chi non aveva avuto i mezzi per ricevere un'adeguata
educazione, ma aveva la naturale sensibilità per apprezzarle.
E non disdegnava di leggere le lettere appassionate e i
teneri messaggi amorosi che giovani e fanciulle, come
Diane, le portavano, contando sulla sua discrezione e la sua
affettuosa complicità.
Quando le era stato presentato il giovane soldato, aveva immediatamente
riconosciuto il ragazzo dai lunghi capelli scuri e dai sinceri occhi
verdi che frequentava, come lei, le riunioni clandestine nella piccola
chiesetta di campagna qualche tempo addietro.
L'aveva notato perchè non era mai riuscita a capire chi fosse e cosa facesse nella vita.
Arrivava da solo, non interveniva mai, ma non si perdeva una sola parola.
Ricordò di averlo visto una sola volta in compagnia di una
persona, evidentemente un personaggio importante, dal momento che
faceva di tutto per mimetizzarsi e nascondere il suo volto,
diversamente da lui.
Poi era sparito nel nulla e a lei erano rimaste aperte tutte le domande sulla sua identità.
In memoria di questa iniziale "conoscenza" e della simpatia che
già allora le aveva ispirato, Therese non aveva mai voluto
accettare compensi da lui.
Andrè le piaceva: era
dolce e determinato, aveva modi gentili ma spontanei, emanava la
grandezza che solo un forte sentimento e un grande cuore
conferiscono ad un uomo.
Lui aveva sostituito in breve tempo le nottate ad ubriacarsi per
dimenticare gli occhi blu del suo comandante con le serate da Therese,
ad ascoltare le sue letture, a commentare insieme gli avvenimenti di
quel periodo o semplicemente a rilassarsi godendo del suo talento al
pianoforte.
Era una donna piena di vita e di ottimismo, che irradiava
una forza solare, così diversa dalla cieca determinazione
autodistruttiva che ormai guidava le scelte di Oscar.
Il primo romanzo che Therese gli aveva proposto per le loro letture fu "La nuova Eloisa" (2) di
Russeau.
Andrè rimase colpito dalla perspicacia della donna e di
lì a poco le aveva aperto il suo cuore, parlandole di Oscar e
della vita trascorsa al suo fianco.
Era incredibile come la possibilità di confidarsi ed essere ascoltato avesse alleggerito il suo animo.
Sua nonna e Alain avevano intuito i suoi sentimenti e mai cercato di
approfondire con lui; Oscar gli aveva severamente precluso ogni
possibilità di aggiungere una sola parola a quelle
già dette.
Therese non aveva fatto molti commenti ai suoi racconti, ma una sera,
poco prima dell'incidente a St. Antoine, aveva affermato, con tono
sicuro "Oscar vi ama, Andrè"
"No, vi sbagliate. Per Oscar sono un fratello che, innamorandosi di lei, ha commesso un peccato mortale, incestuoso".
Therese si era limitato a fissarlo, scuotendo la testa.
"Ho visto Oscar innamorata, con gli occhi sognanti e un tumulto
nel cuore trattenuto a stento, ovviamente per un altro uomo, e non si
è mai comportata così con me"
"Suvvia, Andrè, siete stato voi a raccontarmi che ha offerto la
sua vita in cambio della vostra davanti a Sua Maestà, che
ha liberato il Cavaliere Nero perchè voi gliel'avete
chiesto, deludendo le aspettative di suo padre, e anche adesso non vi
ha allontanato dalla Guardia Nazionale, quando le basterebbero
poche righe per farvi trasferire ad un altro reggimento.
Lei vi ama, come sa fare. Ricordate che è stata allevata come un uomo..."
"Ma per un uomo si è vestita da donna- la interruppè Andrè- una sola volta..."
E si coprì gli occhi con la mano, perchè la visione di
Oscar in abito da sera era così vivida nella sua memoria,
come la sofferenza di sapere per chi lo aveva fatto.
"Occhi sognanti, abiti e lustrini! Andrè, queste sono le fantasie di una ragazzina, non l'amore di una donna..."
"E se anche fosse? Se aveste ragione voi e Oscar mi amasse, quasi senza saperlo, che cosa cambierebbe, per me?"
"Su questo concordo con voi, Andrè- aveva concluso Therese- una
amore che non sia riconosciuto e vissuto è come un fiore
lasciato a seccare e dimenticato tra le pagine di un libro"
Dopo l'episodio dell'aggressione a St. Antoine, quando aveva
preso la sua decisione, Therese era stata la prima ed unica persona con
cui si era confidato e la sola a cui sentisse di poter
chiedere aiuto.
"Non approvate vero, M.me Dressie?" le aveva chiesto subito dopo averle rivelato i suoi propositi.
Therese gli si era avvicinata con un dolce sorriso, gli aveva
accarezzato il viso, sfiorando la cicatrice sulla guancia sinistra e
gli aveva semplicemente risposto "Potete venire qui quando
volete e per tutto il tempo che vi servirà, Andrè.
Disponete di casa mia come fosse vostra"
Andrè era commosso da tanta generosità, e aveva
interpretato come un segno del destino la possibilità di
risolvere così rapidamente il problema della sua futura
sistemazione.
Era rientrato in seguito all'ordine di D'Agoult, al quale
aveva chiesto una licenza prima della firma del Comandante sul suo
congedo definitivo.
Infine, col cuore a pezzi, ma senza esitazioni,
aveva riempito un sacco delle sue poche cose, aveva scritto due
righe ad Alain e prima che fosse giorno era uscito dalla caserma e
dalla vita di Oscar.
Due piccole note:
1- la figura di Therese è ispirata ad un ruolo realmente
esistente nelle società con un diffuso analfabetismo, che
riguardava tutte le classi sociali, come nella Francia di fine '700,
dove pochissime persone venivano istruite a leggere e scrivere
2- Storia d'amore tra una giovane nobile e un popolano; lei
è costretta a sposare un marchese che prende come precettore
l'innamorato segreto della moglie. Passano la loro esistenza
desiderandosi senza però cedere al peccato. Solo in punto di
morte lei gli confiderà tutto il suo amore. Nel manga
è Girodel a consigliare ad Andrè la lettura
del romanzo di Russeau, quando chiede la mano di Oscar, per fargli
capire come possono andare a finire le cose quando si ama una persona
di diversa classe sociale...che simpatico!
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Capitolo 6
Eccomi tornata nel caldo africano! Nel frattempo è arrivato l'aggiornamento del mio nuovo nickname, ma sono sempre io...
Capitolo 6
I giorni che seguirono furono molto impegnativi per la Compagnia B dei Soldati della Guardia.
Ore ed ore in servizio fuori dal Palazzo dove erano riuniti
i rappresentanti dei Tre Stati, senza peraltro che la situazione dei
lavori si sbloccasse.
Oscar visse quelle settimane completamente assorbita dai suoi compiti,
concentrata ad occuparsi unicamente delle condizioni dei suoi
uomini.
Trascorse molte ore sotto la pioggia, con la divisa ed i capelli
zuppi d'acqua, ignorando la debolezza che sentiva crescere, la
febbriciattola persistente, mangiando poco e riposando ancora meno. E
non per senso del dovere, o almeno non solo per quello.
E' che nulla le importava più, non sentiva altro scopo che
eseguire gli ordini e non c'era pasto o ora di sonno che la facesse
sentire ritemprata.
Alain era l'unico ad aver notato il suo comportamento e, senza troppe
riflessioni, lo aveva associato al congedo di Andrè.
Sull'argomento il comandante gli aveva rivolto la parola solo una volta.
"Da quanto sapevi che Andrè stava perdendo la vista dall'occhio destro?"
Gliel'aveva gettato in faccia quasi fosse responsabile di
come erano andate le cose tra loro. E Alain si era irritato, e
nonostante i gradi e il titolo nobiliare le aveva risposto in modo
velenoso
"Non l'ha mai detto apertamente, ma ce ne eravamo accorti tutti,
comandante. Se solo ogni tanto voi l'aveste guardato, guardato
veramente..."
Sapeva di farle male e aveva voluto fargliene. Oscar si era come
rinchiusa in sè dopo quella risposta e non aveva più
aggiunto una parola a riguardo.
Adesso la guardava passeggiare davanti a loro,
avanti e indietro col suo passo marziale, sotto la pioggia battente, con lo sguardo
glaciale e il viso pallidissimo, e si convinse che stesse cercando di
punirsi, in qualche modo.
Un soldato la raggiunse correndo e la informò che era attessa
dal colonnello Le Baume, inviato dal generale Bouille, all'ingresso
principale del palazzo per ricevere aggiornamenti. Alzò lo
sguardo su Alain e gli ordinò di venire con lei.
"L'ordine del Re è di sgombrare il palazzo con la forza, se
necessario. I rappresentanti del Clero e della Nobiltà stanno
già lasciando il salone, ma i rappresentanti del popolo
rifiutano di considerare sciolta l'assemblea"
"Mi state chiedendo di entrare lì dentro e di alzare le armi su
uomini inermi, che si trovano lì per volere del popolo francese?"
replicò la donna urlando, e accompagnò queste
parole con un gesto del braccio ad indicare la folla radunata davanti a
loro.
"Non ve lo sto chiedendo, comandante, ve lo sto ordinando, perchè questa è la volontà del Re!"
"No, non lo farò, non darò MAI un simile ordine ai miei uomini!"
Girò sui tacchi e si allontanò, prontamente seguita da Alain, mentre rieccheggiavano le grida del colonnello
"La pagherete, Jarjayes, questa è insubordinazione!"
Oscar si avviò a grandi passi verso il colonnello D'Agoult.
"Alain, porta qui il mio cavallo" poi rivolgendosi al suo secondo
continuò "vi lascio il comando. Devo parlare con la massima
urgenza a Sua Maestà la Regina" concluse, montando in groppa a
Cesar, e si allontanò rapidamente, sola nella pioggia.
Quando raggiunse Versailles era il primo pomeriggio e aveva smesso di piovere.
Oscar si sistemò i capelli e l'uniforme mentre aspettava l'arrivo della regina, con uno strano stato d'animo.
Doveva solo alla sua antica amicizia il fatto di essere ricevuta da sua
Maestà senza preavviso, e ciononostante non sapeva più se
si sentisse amica di quella donna...
Troppe scelte, troppo diverse...ma in fondo Maria Antonietta su tanti
aspetti della sua vita non aveva potuto scegliere, come lei,
d'altronde. Poi pensò alla miseria di migliaia di
francesi, senza possibilità di riscatto, e si sentì
meschina per le sue giustificazioni.
Alla fine il rumore della porta e l'arrivo della sovrana la riportarono alla realtà e allo scopo della sua visita.
Guardò Maria Antonietta e la trovò così cambiata,
quasi sfiorita; non era passato un mese dalla morte di suo figlio
Joseph.
"Penserà lo stesso di me, fradicia di pioggia e di fatica"
La regina le si avvicinò, sfoggiando il suo miglior sorriso
"Sono così lieta di vedervi, Oscar"
"Spero stiate bene Maestà, e grazie per avermi ricevuto senza preavviso"
Maria Antonietta le sorrise con simpatia
"Maestà, sono qui per supplicarvi di intercedere presso il
Re per revocare lo scioglimento dell'Assemblea Nazionale"
A queste parole la regina parve quasi infastidita.
"I rappresentanti del Terzo Stato sono una massa di reazionari
che intendono semplicemente esautorare il Re dei suoi poteri,
poteri che gli sono stati conferiti da Dio! Come potete difendere
la causa di quella plebaglia, proprio voi, madamigella, che siete
stata quasi linciata senza nessun motivo e nessuna colpa!"
"E invece è proprio perchè ho sperimentato la violenza di
cui il popolo è capace che eviterei di provocarlo,
screditando i suoi rappresentanti!"
"Mi dispiace, madamigella Oscar, ma non posso accontentarvi, ormai è tutto deciso..."
Calò un lungo minuto di silenzio tra le due donne, in cui
entrambe pensarono a quanto si fossero sentite vicine anni addietro e a
come fossero ora irrimediabilmente lontane.
Oscar concluse il loro incontro con un inchino, e si allontanò senza aggiungere una parola.
Mentre rimontava in sella a Cesar vide in lontananza un uomo con
la divisa della sua compagnia che si avvicinava al galoppo.
Quando riconobbe il colonnello D'Agoult gli corse incontro.
"Cosa è successo, colonnello? Perchè siete qui? Dove sono i miei uomini?"
"Comandante, il generale Bouille in persona ha voluto assumere il
comando, considerando la vostra assenza un atto di insubordinazione e
sospendendo me per non aver fatto eseguire gli ordini. La maggior parte
dei soldati si è rifiutata di ubbidire al generale, ribadendo la
loro fedeltà a voi e sono stati arrestati dai soldati della
Guardia Reale e condotti alle prigioni di Abbaye. Verranno condannati a
morte per diserzione"
Oscar lo fissava col viso terreo, stringendo le redini.
"Voi tornate in caserma, io cercherò un modo per tirare fuori di
prigione i nostri ragazzi" e con un colpo di talloni
ripartì al galoppo, lasciando la reggia alle sue spalle.
Le ci vollero pochi minuti per raggiungere la sede del Comando della Guardia Reale, sita a pochi chilometri da Versailles.
Chiese di essere ricevuta dal colonnello Girodel, che non la fece attendere.
"Madamigella Oscar, è così bello rivedervi, anche se in
una situazione così tragica. Il generale Bouille era
letteralmente furioso con voi e non so se vi rendiate conto in quale
tremenda posizione avete messo la vostra persona e l'intera
Compagnia, per non parlare della vostra famiglia".
Oscar cercò di reprimere l'irritazione provocata da quelle parole.
"Sono qui per questo, Girodel. I miei soldati non c'entrano niente.
Arrestate me e liberate loro. Hanno semplicemente seguito i miei ordini"
Girodel le si avvicinò sorridendo
"Non cambierete mai, vero, Oscar? Ma qui non si tratta di salvare la
testa di un attendente per il capitombolo di una principessa, lo
capite? I vostri uomini sapevano bene che gli ordini del generale
annullavano i vostri, conoscono le gerarchie militari. Il generale ne
vuole fare un esempio per disincentivare analoghi comportamenti
in altri corpi dell'esercito, i cui membri provengono dal popolo.
L'ultima cosa che gli serve è prendersela con una nobile, figlia
di un caro amico e da sempre nelle simpatie della regina"
Oscar avrebbe voluto urlare dalla rabbia, per il senso di impotenza che provava.
Cadde sulle ginocchia ed abbassò il capo, sforzandosi di trattenere le lacrime.
Girodel si chinò davanti a lei.
"Oscar..." e allungò una mano per sfiorarle i capelli, ma si
fermò trafitto dal gelido sguardo che gli rivolse mentre alzava
di scatto la testa.
"Concedetemi almeno una visita per vederli e...congedarmi da loro"
Girodel si alzò e si avvicinò alla porta
"Come volete, madamigella Oscar. Attendete qui. Vi farò
consegnare il lasciapassare con la mia firma. Ma poi sparite, ve ne
prego- concluse voltandosi verso di lei- lasciate che si spenga il
clamore di questa vicenda, non armate i vostri nemici di validi
pretesti per chiedere al re la corte marziale anche per voi!"
Oscar lesse quasi una supplica negli occhi del suo ex vice, dettata
dallo stesso sentimento che qualche mese prima lo aveva indotto
a chiederla in moglie, e annuì senza parlare.
Girodel fu di parola, e pochi minuti dopo Oscar cavalcava spronando Cesar, diretta alla prigione militare di Abbaye.
Una guardia la condusse stancamente lungo una scala a chiocciola verso la cella della torre.
Oscar dovette appoggiarsi all'umido muro della prigione, colta da un senso crescente di spossatezza.
"Non posso mollare ora" andava ripetendosi nella mente.
Quando giunsero al pesante portone in ferro che rinchiudeva Alain
e gli altri, il carceriere lo aprì e la spinse dentro malamente
sibilando "Avete due minuti"
Oscar piombò nella quasi totale oscurità e le ci vollero
alcuni secondi di adattamento prima di scorgere le sagome
di una dozzina dei suoi uomini addossate alle pareti e, tra
queste, il volto familiare di Alain.
"Alain, soldati, sono io! Il vostro comandante!"
Li vide muoversi, come scuotendosi da una sorta di torpore. Fu Alain a parlare sopra il vociare sorpreso dei suoi compagni.
"Hanno arrestato anche voi? Non intendono eseguire un regolare processo nemmeno con voi?"
"No, Alain, non mi hano ancora arrestato, ma non ci vorrà molto.
Devo tentare il tutto per tutto prima che sia troppo tardi.
Ascolta Alain, non ho tanto tempo per parlare con voi , però ho
un piano che potrebbe funzionare e, ecco, io volevo chiederti
se... insomma, avrei bisogno di sapere dov'è Andrè, se tu
lo sai..."
Anche nel buio della cella l'uomo potè notare che aveva
tenuto gli occhi bassi nel fargli questa domanda e che le sue
pallidissime guance si erano di colpo colorite.
In un'altra occasione non si sarebbe trattenuto dal punzecchiarla
per questa sua piccola dimostrazione di imbarazzo e vergogna, ma
consapevole del momento critico e della serietà della sua
richiesta, le rispose come di fronte ad un ordine.
"Vive da Madame Dressie" e le fornì rapidamente le indicazioni per raggiungere la nuova dimora del suo amico.
Il sole era vicino al tramonto quando finalmente Oscar varcò i cancelli della tenuta di Madame Dressie.
La
pioggia del mattino le si era asciugata addosso, non aveva mangiato
nulla per l'intera giornata, era stata per ore in sella al suo Cesar e
tutta la stanchezza accumulata le calò addosso, come un pesante
mantello.
Smontò da cavallo e si diresse all'ingresso della villa, improvvisamente titubante.
Non
sapeva quale situazione l'attendeva oltre quella porta. Soprattutto,
non era certa che l'avrebbe sopportata. Per quel che ne sapeva lei,
avrebbe potuto aprire la porta Madame Grandier.
"Al diavolo!- si disse-c'è
in gioco la vita di dodici uomini, tra i quali un suo caro amico. Anche
se si è rifatto una vita, Andrè rimane un uomo generoso e altruista, mi
aiuterà"
E con questo pensiero trovò il coraggio di battere alla porta.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Capitolo 7
E finalmente l'incontro tra Oscar e Therese....
Capitolo 7
Oscar si guardava attorno, nervosa. In lontananza, oltre la porta, le
giungevano chiaramente le note di un pianoforte, che con il suo arrivo
aveva interrotto.
Tuttavia non dovette attendere molto.
Le aprì una signora, sulla cinquantina, i cui lineamenti tradivano una evidente bellezza in età giovanile.
Aveva
una folta chioma argentata raccolta in una semplice acconciatura, che
conferiva tuttavia una notevole eleganza al suo volto.
Di sicuro non
aveva l'aspetto ed il portamento di una domestica. Oscar rimase un
attimo interdetta e la sua ospite approfittò di questa esitazione per
rompere il silenzio, sorridendole.
"Buonasera , Colonnello de Jarjayes. Sono Therese Dressie, prego, accomodatevi!"
Lo stupore della giovane crebbe ulteriormente.
Andrè doveva aver parlato a lungo di lei perchè riuscisse a riconoscerla senza averla mai vista prima.
Ma
che tipo di rapporto poteva esserci tra lui e una donna così? E perchè
una persona che viveva in una dimora signorile apriva personalmente la
porta di casa, senza lasciare l'incombenza a domestici?
Questi furono i suoi ultimi pensieri coerenti prima di avvertire
un intenso capogiro e la sensazione di perdere le forze.
Quando si riprese, Oscar era sdraiata in un letto, vestita solo
della sua camicia e, dalla luce delle candele accese, capì che il
sole era tramontato da un pezzo. A fatica mise a fuoco la sagoma
di una persona accanto a lei, poi, riconosciuta la figura di
Madame Dressie, ricordò immediatamente il motivo per cui si trovava lì.
"Devo urgentemente parlare con Andrè Grandier" le disse con un filo di voce, ma determinata.
Therese si alzò, voltando lo sguardo ai piedi del letto.
Fu allora che si accorse di Andrè.
Appoggiato alla colonna di legno del baldacchino, fissava un punto indefinito davanti a se.
"Oh, Andrè..." le uscì dalle labbra, come un sussurro di sollievo.
Il solo vederlo le scatenò una tempesta nel cuore: gioia
perchè era lì con lei, mescolata alla terribile nostalgia
che aveva provato per lui e che aveva represso durante
quel periodo di separazione e il desiderio di essergli vicino, di
confortarlo per la perdita dell' unico occhio rimastogli.
Andrè le si avvicinò, mantenendo lo sguardo fisso davanti a se, seguendo con le dita il bordo del letto.
Therese gli tocco il braccio, lasciandogli il suo posto e
si congedò da loro.
L'uomo si avvicinò
ulteriormente, sfiorando le lenzuola con la mano destra, poi le sue
dita incontrarono quelle affusolate e sottili di Oscar, che
gli prese la mano, attirandolo verso di se. Sentì alle sue spalle
la sedia lasciata vuota da madame Dressie e si accomodò, mentre
Oscar continuava a trattenere la mano nella sua.
Non riusciva a parlare, sopraffatto dalle emozioni che provava; il
cuore gli martellava nel petto, come non gli capitava da qualche
settimana e sentiva quell'attrazione irresistibile verso
di lei e la sua vita, quel laccio che lo legava a lei contro
ogni ragionevolezza e quasi contro gli eventi, che tendevano a
separarli . Ma soprattutto si sentì semplicemente felice.
Ormai con la flebile luce di una candela Andrè distingueva
appena la sagoma della donna e non poteva vedere con quali occhi
colmi di lacrime ed emozioni lo fissava.
"Devo parlarti, Andrè -pensava - devo
spiegarti il mio piano per salvare Alain e gli altri soldati, devo
raccontarti in che guaio sono finita, ma è così bello
averti qui, vicino a me, e non riesco a staccarmi dal calore della tua
mano. E i tuoi occhi, Andrè! Perchè non mi hai parlato
dei tuoi occhi, perchè non mi hai voluto vicino?"
L'uomo interruppe il flusso dei suoi pensieri rompendo il silenzio
"Hai detto di dovermi parlare, Oscar. Sono qui, ti ascolto"
Oscar non fu certa di interpretare il tono con cui le si
rivolse e, quasi riscuotendosi, ritirò la mano dalla sua.
"Ho ignorato l'ordine del generale Bouille di sgomberare i
rappresentanti del Terzo Stato dall'aula dell'Assemblea"
"Lo so" la interruppe Andrè e, quasi intuendo la sua
incredulità spiegò "Madame Dressie era tra la folla fuori dal
palazzo dell'Assemblea, questa mattina"
Oscar provò per l'ennesima volta stupore ed incredulità
per ciò che riguardava quella donna, ma non si fece distrarre.
"Alain e altri
12 tuoi compagni sono stati arrestati e verranno condannati a morte per
insubordinazione per essermi stati fedeli.
Io stessa sarò
presto, diciamo, "ricercata" dall'esercito e comunque mi hanno
attualmente destituita.
Vorrei mettermi in contatto con Bernard per chiedergli aiuto, e tu sai dove trovarlo.
Se richiamasse una folla fuori dal carcere militare chiedendo la liberazione
dei prigionieri, forse il Re la decreterebbe, per evitare inutili
disordini. Puoi garantire a Bernard che l'esercito non
interverrà con la forza per sedare i manifestanti,
spiegherò al colonnello D'Agoult come agire. E' una persona
affidabile e di buon senso"
Quando ebbe concluso, Oscar si sentì esausta.
Andrè attese che finisse il suo discorso, poi si alzò dicendole
"Ho capito perfettamente, Oscar. Andrò subito a parlare con
Bernard. Tu cerca di riposarti" e si alzò per andarsene.
"Andrè, aspetta" L'uomo si fermò, voltandosi appena.
"Adesso è troppo buio per la tua vista, vai pure quando sorgerà il sole..."
"Per me Oscar è ormai quasi sempre buio, mi sto abituando" sorrise ironico, girandosi nuovamente verso la porta.
"Ancora una cosa, Andrè. " Questa volta il giovane si bloccò con la mano sulla maniglia, senza voltarsi .
"Farei qualsiasi cosa per salvare i miei uomini, anche offrire la mia stessa vita, se servisse.
Ma se qualcosa andasse storto, se tu dovessi trovarti in pericolo, ti prego, lascia perdere e torna qui.
Io non potrei...la tua vita per me vale....vale più di tutto, Andrè"
L'uomo sentì un tremito, come se una scossa lo avesse
attraversato e percepì nuovamente il desiderio di spingersi
oltre il confine che sentiva esistere tra loro, da sempre.
Ma poi
ricordò il dolore per come lo aveva respinto, la promessa che le
aveva fatto allora e il suo giuramento durante la notte di St.Antoine. Annuì
stancamente e uscì, senza una parola.
Dalle cucine lo raggiunse nell'ingresso la padrona di casa.
"Devo andare a Parigi da un amico, per conto di Oscar" le riferì laconico.
"Porta con te Gustave" rispose Therese, indicando un ragazzino in
piedi vicino alle scale, che senza attendere risposta, uscì per
preparare i cavalli.
Andrè prese due mantelli, in previsione dell'ennesimo temporale.
"Andrè" lo richiamò Therese
"Si?"
"Torna presto, ha la febbre alta" disse la donna indicando la stanza dove riposava Oscar.
Andrè si avviò verso Parigi insieme al suo fedele
compagno, con l'intenzione di tornare il prima possibile a casa Dressie.
Era quasi mezzanotte e Andrè tornava sul suo cavallo, affiancato dal puledro cavalcato da Gustave.
Avrebbe voluto lanciarsi al galoppo, correre più veloce
del vento per tornare da Oscar. Ma sapeva che non gli era più
possibile.
E che se poteva muoversi a quell'ora della notte lo doveva
alla preziosa compagnia di Gustave.
Il suo giovane amico era un orfano dall'età sconosciuta,
che aveva salvato dal suo sfruttatore settimane addietro,
pochi giorni dopo il suo trasferimento a casa Dressie, quando aveva
accompagnato Therese al mercato, con l'intenzione di aiutarla e
fare un saluto a Rosalie. Non aveva retto alla scena del piccolo preso
a frustate da un uomo che vendeva fascine di legna, ed era intervenuto
strappandogli la frusta in modo rabbioso. Si era rivolto al ragazzino
chiedendogli se fosse suo padre, ma prima che potesse rispondere si era
sentita la fragorosa risata dell'uomo
"Figlio mio questo cane rognoso che non sa nemmeno parlare?"
Andrè non lo aveva neanche degnato di uno sguardo e tendendo la
mano al bambino gli aveva semplicemente detto "Vieni con me"
Il piccolo si era messo subito al suo fianco, nascondendosi dietro al suo corpo, intimorito.
"Ehi, un momento, bellimbusto! L'ho regolarmente pagato per cinque monete!"
"Tu cosa?" gli ringhiò Andrè, pieno d'ira.
L'uomo lo fissò attentamente per un istante. Non poteva esserne
certo, ma dal suo abbigliamento e dai modi poteva trattarsi di un ricco
borghese e perfino di un nobile, in vena di gesti generosi.
Spostò lo sguardo sul suo schiavo vestito di stracci e
pensò che non ne valeva la pena.
E fu così che Andrè portò a casa Dressie un nuovo
ospite e poichè non sembrava possedere nemmeno un nome, lo
chiamò Gustave.
Doveva avere supergiù 11 o 12 anni. Difficile capire da dove
venisse; pur comprendendo perfettamente quello che gli veniva detto,
Gustave parlava molto poco, e male.
Dal momento del loro incontro Gustave non si era più separato da
Andrè; lo aiutava in tutte quelle incombenze rese difficli dalla
sua vista, spesso anticipando le sue richieste, e nel contempo
Andrè gli insegnava a fare tutto quello che sapeva, soprattutto
con i cavalli. E gli insegnava a parlare. L'aveva ripulito, gli dava da
mangiare e tra i due era nato subito un affetto reciproco.
Madame Dressie aveva guardato Andrè con aria interrogativa,
quando era intervenuto di fronte ai maltrattamenti su quel
piccolo sconosciuto. "Mi farò carico io di tutto ciò che
lo riguarda" aveva chiarito subito.
"Non mi preoccupo di questo, Andrè. Mi chiedevo solo perchè..."
"Perchè potevo essere io, poteva essere il mio destino se non mi avessero voluto a Palazzo Jarjayes"
Lei gli aveva posato una mano sulla spalla, con un gesto complice.
"Se penso che questa gente, così crudele con gli orfani,
è la stessa che inveisce contro i soprusi dei nobili...Io
sono cresciuto al servizio di una famiglia di conti, molto in vista, e
non sono mai stato trattato così" aveva riflettuto quasi tra se
e se.
"E' così, Andrè. Il bene e il male non sono mai tutti da una parte" aveva replicato la donna.
Quando finalmente varcò i cancelli della tenuta, Gustave
smontò da cavallo e prese le redini di quello di Andrè,
anticipando la sua richiesta e lasciandolo così libero di
raggiungere subito la sua amica.
Andrè fu accolto da Madame Dressie, che usciva dalla stanza dove riposava Oscar.
"La febbre è salita, continuava ad agitarsi e a delirare. Adesso
le ho dato un infuso di valeriana e passiflora, riposerà."
Andrè si fermò sulla porta, quasi indeciso se entrare o meno. Le ultime parole di Therese lo convinsero.
"Ha continuato a chiamarti, Andrè"
La stanza era praticamente buia, era rimasta accesa solo una lanterna ad olio sul comodino.
L'uomo si sedette sul bordo del letto, sospirando. Percepiva
l'mmobilità della donna, il respiro regolare dettato dal sonno.
"Ho parlato con Bernard, Oscar, come mi hai chiesto. Verrà qui domani per prendere accordi con te "
Non si decideva ad allontanarsi e ad andare a letto.
"Sono felice di averti incontrato nuovamente, e ancor di
più di esserti stato di aiuto. Non capitava ormai da tanto tempo.
Ma anche se mi sono allontanato, se ho rinunciato all'unica cosa che mi
era rimasta del mio amore per te, accompagnarti e stare al tuo fianco, non ho mai smesso di pensare a te...tu, Oscar sei il mio
solo destino, e io posso soltanto amarti, senza mai nessun freno"(1)
Si chinò su di lei e la baciò, delicatamente, trattenendo
le sue labbra in un tenero bacio, che non avrebbe mai voluto
concludere.
Ma si staccò infine da lei, sfiorandole il viso con la mano e col sapore delle sue labbra raggiunse le sue stanze.
(1) da una canzone
bellissima di Marco Mengoni, che mi ha fatto pensare ad
Oscar ed Andrè dalla prima volta che l'ho sentita
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Capitolo 8
Questo
è un capitolo un po' lento , centrato su un dialogo tra oscar e
therese. Emergono dettagli sul personaggio di M.me Dressie e ,
dopo l'accenno nel capitolo 3, si dovrebbe capire a cosa si
riferisce il titolo della fic....
Capitolo 8
Oscar si svegliò lentamente. Sentì dapprima il cinguettio
degli uccelli, proveniente dal giardino, poi i raggi di luce smorzati
dal tendaggio parzialmente accostato ai vetri, infine passi veloci e
leggeri aldilà della porta.
Le ci vollero alcuni secondi per ricordare dov'era, e questa consapevolezza la riempì di gioia.
Era da Andrè. A casa di una signora gentile e generosa, che non era la sua donna!
Si sentiva bene, riposata e in forze.
Sul comodino accanto al suo letto qualcuno aveva lasciato un semplice
vaso con fiori bianchi e violetti, il cui delicato profumo riempiva la
stanza.
Allontanò le lenzuola e scese dal letto. Vestiva unicamente con
la camicia che portava sotto la divisa: non c'era traccia dei
pantaloni, della giacca e dei suoi stivali.
In compenso, su una poltrona vicino al letto, era stata lasciata una
vestaglia da camera, di taglio maschile. Oscar la indossò e si
avvicinò alle finestre, per scostare le tende ed aprire le
vetrate.
La camera dava su un ampio balcone pieno di fiori, con un piccolo
tavolino e due sedie, dal quale si godeva una deliziosa quanto intima
vista del giardino della tenuta.
Rimase qualche minuto in quel piccolo angolo di paradiso, con una
sensazione di beatitudine che le era sconosciuta, così in
contrasto col momento critico che stava vivendo e con la
drammaticità della situazione che doveva affrontare.
Eppure non avvertì più l'ansia e la frustrazione che l'avevano accompagnata il giorno precedente.
Che fosse l'effetto di questa signora misteriosa, che ospitava
Andrè e che le aveva aperto le porte di casa sua come fosse una
amica di vecchia data, pur non avendola mai vista prima?
Rientrò nella camera e si guardò attorno, con
l'inevitabile occhio investigatore del soldato, alla ricerca di qualche
dettaglio che le parlasse di lei.
La stanza era arredata in modo semplice, ma con un accostamento dei
colori e con la presenza di alcuni elementi d'arredo che la rendevano
davvero graziosa ed accogliente.
Tra questi la colpì un quadro collocato sopra il camino.
Non sembrava l'opera di un artista famoso, era piuttosto piccolo, pur
volendo imitare lo stile rococò dei ritratti
dell'epoca. Rappresentava una scena molto di moda in quel periodo: una
piccola immagine bucolica, con due giovani fanciulle vestite
elegantemente che tenevano in grembo la prima un cestino di fiori, la
seconda un coniglietto, mentre ai loro piedi una servetta della stessa
età era intenta a porgere una ciotola di cibo ad un gattino
infiocchettato.
Oscar sorrise in silenzio. Aveva sempre considerato ridicole queste
scenette dove principesse e contessine imitivano contadinelle con
i loro abiti sfarzosi, rendendo l'immagine tutt'altro che credibile;
tuttavia questo stile era molto diffuso, e persino Maria Antonietta
aveva prediletto questa messinscena ai rigidi e formali ritratti da
lasciare ai posteri.
Stava per allontanarsi dal quadro quando una piccola scritta vicino alla cornice catturò la sua attenzione.
Maggio 1748, Le contessine De Sauvignon e seguiva lo scarabocchio dello sconosciuto autore dell'opera.
In quel momento sentì bussare alla porta e, dopo aver risposto, vide entrare Madame Dressie.
"Buongiorno, colonnello. Sono molto felice di vedervi in piedi, ieri notte ci avete fatto preoccupare"
Oscar non ricordava molto, ma le sembrava improbabile essere stata così male da come si sentiva quella mattina.
"Vi ringrazio per la vostra gentilezza, e mi rammarica molto avervi causato disagio con la mia indisposizione"
"E' stato un piacere potervi soccorrere, colonnello"
Oscar non potè ignorare il fatto che Madame Dressie le si
rivolgeva sempre al maschile, pur sapendo con certezza, avendola
spogliata, che fosse una donna.
Therese si accorse che Oscar stava guardando il quadro.
"Non possiedo grandi opere d'arte, colonnello, ma quel quadro è
davvero di cattivo gusto. Non lo getto nel camino sopra il quale è appeso
solo per motivi affettivi..."
Oscar la osservò con sguardo interrogativo.
"Accomodatevi sul terrazzo, dovete fare colazione per rimettervi in forze"
Oscar seguì la padrona di casa e quando si sistemarono furono
raggiunte da una cameriera, coi capelli grigi che sfuggivano alla
cuffietta copricapo, pressapoco della stessa età della sua
signora.
"Se volete qualcosaltro, colonnello, non avete che da chiedere"
"Va benissimo, grazie"
"Bene, Marie, grazie molte"
Oscar riportò il discorso sul quadro.
"Stavate dicendo, Madame, che quella tela ha per voi un valore affettivo. L'avete forse acquistata insieme alla tenuta?"
Madame Dressie rise.
"No no, colonnello, questa casa è stata progettata e costruita
da mio marito, Armand Dressie. Quel quadro mi è caro
perchè ritrae me e mia sorella da bambine, insieme a
Marie..."
Oscar rimase con la tazza sospesa in aria, stupita per l' ennesima volta da quella donna.
"Voi... voi siete di famiglia nobile?"
"Sono nata come la figlia del Conte de Sauvignon, ma la mia famiglia sono stati mio marito, i miei figli e la mia fedele Marie"
"Conte de Sauvignon...." Oscar cercava nella memoria tracce di questo cognome nobiliare.
"Non lo conoscete di certo, colonnello. La mia famiglia di origine non
ha mai brillato per ricchezza e notorietà. Mio padre era un uomo
pavido e incapace, con il terrore di tutte le possibili malattie e i
disturbi più inverosimili. Spendeva tutto il suo tempo, e il suo
denaro, in cure costosissime quanto inutili e sempre circondato da
medici e studiosi, dei cui consigli non riusciva a fare a meno.
Questa sua debolezza mi ha tuttavia permesso di conoscere l'amore della mia vita, Armand.
Era l'aiutante dello speziale che procurava a mio padre erbe ed infusi curativi.
Quando lo conobbi avevo tredici anni e lui quattordici. Mi colpì
subito con i suoi folti capelli, biondi e ribelli, e gli occhi scuri che
tradivano una grande intelligenza ed un'acuta sensibilità.
Mentre il suo dominus, il noto farmacista Antoine Baumè (1) si
intratteneva con mio padre, vagava per il giardino osservando le piante
che vi crescevano. Si avvicinò sentendomi suonare al pianoforte
e per entrambi fu subito amore"
"Amore..." ripetè Oscar
"Be', non lo capimmo allora. Eravamo poco più che bambini,
entrambi digiuni di faccende sentimentali.
Ma ricordo perfettamente che
appena incrociai il suo sguardo mi sentii a casa, capii che non sarei
stata mai più sola...
Non so esprimerlo diversamente, non credo
che possiate capire"
Oscar chinò il capo. La capiva, certo che la capiva: aveva
provato esattamente la stessa cosa quando aveva visto per la prima
volta il suo Andrè.
Madame Dressie notò la reazione di Oscar, ma finse indifferenza e continuò
"Per farla breve il nostro rapporto maturò col tempo e
diventammo amanti. Sapevamo entrambi che la mia famiglia non avrebbe
mai acconsentito ad un matrimonio con un popolano, per quanto colto, ma
ad un certo punto una scelta definitiva fu inevitabile.
Mio padre non aveva i mezzi per concedermi una dote sostanziosa e
quindi non poteva aspirare ad un partito prestigioso; quando
compii sedici anni scelse come mio futuro marito un cugino di mia
madre, vedovo. "
Oscar la fissava senza toccare cibo.
"Scelsi l'amore e lasciai la mia famiglia ed il mio titolo nobiliare, e non mi sono mai pentita, nemmeno un secondo"
"E vostra sorella? Non vi è dispiaciuto separarvi da lei?"
"Mia sorella aveva un anno meno di me. Morì a tredici anni di
tifo. L'unica persona a cui ero davvero affezionata era Marie, figlia
della nostra cuoca e da sempre nostra domestica. Mi seguì
dimostrando un affetto ed una fedeltà che non mi hanno mai
abbandonato. Per me è come una sorella, mangiamo insieme e ci
dividiamo i compiti domestici, da quando sono rimasta sola..."
"Vostro marito?"
"Armand è mancato quattro anni fa. Un malore improvviso. Era
seduto alla sua scrivania, intento a scrivere le sue ennesime
annotazioni sulle proprietà delle erbe medicinali. Non ha mai
smesso di studiare le piante e devo ammettere che certe sue
osservazioni sono davvero geniali.
Mi ha sempre coinvolto nei suoi studi e nella sua attività di
farmacista, mi ha insegnato a curare tante malattie. L'idea
di costruire questa tenuta nacque dal desiderio di crearsi un proprio
orto botanico ed una serra per poter coltivare direttamente le piante
che utilizzava per i suoi medicamenti e i suoi esperimenti. Era un uomo
davvero unico... la mia metà! "
Oscar era impressionata dal racconto della sua ospite.
Quella storia lasciava come un eco dentro di lei, la sensazione che
contenesse le risposte a domande che si erano affacciate alla sua mente
e che lei aveva ricacciato nell'oblio. L'amore al di là dei
ranghi e delle classi sociali; la propria metà, come Madame
Dressie l'aveva definita, che si trova dove non avremmo mai creduto.
Therese Dressie si riprese dai suoi pensieri e si scusò per aver
intrattenuto così a lungo la giovane convalescente.
"Purtroppo, comandante, ho fatto pulire la vostra divisa ma non
è ancora pronta e... non possiedo abiti di taglio maschile che
si adattino alla vostra esile figura"
"Non preoccupatevi, Madame Dressie, nell'attesa questa vestaglia
andrà benissimo, non intendo darmi alle mondanità!" rispose
La donna stava lasciando la stanza quando Oscar la richiamò
"Mi scusi, madame. Che fiori sono questi che avete lasciato nella mia stanza?"
Therese si fermò e la fissò.
"Li ha colti per voi Andrè, quando è rientrato da Parigi.
Sono fiori di lillà, ne crescono molti qui nel giardino"
Oscar non potè evitare di sorridere, felice.
"Sapete, colonnello, i cespugli di lillà crescono selvatici,
negli angoli più impervi, tenaci e resistenti, e nessuno
li nota, sembrano comune sterpaglia..ma quando fioriscono, sono tra gli
spettacoli più belli della natura, con il loro inconfondibile
profumo e le delicate varietà di colori dei loro petali ! Non
credete anche voi?"
La lasciò senza attendere la sua
risposta.
(1) Farmacista
francese realmente esistito, uno dei fondatori della farmacopea
moderna...tanto per essere sempre aderente alla "realtà"
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Capitolo 9
Capitolo cruciale.
Andrè finalmente spiega cosa si cela dietro al suo addio
all'esercito, ma rinfaccia alla sua bella tutta la sua
indifferenza degli ultimi tempi...e la costringe ad un po' di sana
autocritica!
Capitolo 9
Terminata la colazione Oscar uscì a fare una passeggiata in giardino.
La tenuta era davvero molto curata, ma originale, lontana dallo stile "all'inglese"
che conosceva per aver frequentato negli anni passati le dimore
dei nobili più in vista e Versailles stessa.
Ad un certo
punto si girò di scatto, con la sensazione di essere seguita, e
si trovò di fronte un ragazzino molto magro, con i capelli
corti e dritti e le orecchie a sventola , che le sorrideva timidamente.
"Ciao" lo salutò Oscar, guardandolo con aria interrogativa.
Il giovinetto si appoggiò la mano al petto e disse "Gustave" poi
puntò il dito verso di lei e disse "Andrè?" con tono interrogativo.
Annuì, senza essere sicura di aver capito il messaggio del
ragazzetto, il quale si voltò e cominciò a camminare.
Oscar lo seguì lungo un viottolo che portava ad una piccola costruzione immersa nel verde.
Quando la raggiunse, Gustave indicò la porta e si allontanò.
Oscar divenne titubante. Dall'interno non proveniva alcun rumore e improvvisamente non seppe cosa fare.
Si avvicinò ad una finestra con le tende scostate, e ciò che vide la lasciò senza fiato.
Andrè dormiva in un ampio letto, supino, abbracciando con le
mani il guanciale.
Era nudo, completamente, con il lenzuolo che gli
copriva parzialmente le gambe e lambiva i suoi glutei. Si soffermò a guardare
il volto incorniciato dai capelli scuri, le spalle ampie, la
schiena muscolosa e si sentì avvampare.
Il suo corpo di donna,
avvolto nella vestaglia da uomo, desiderava essere in quel letto,
tra le sue braccia, sotto quel corpo che stava ammirando, in segreto.
Non si rese conto che Gustave nel frattempo aveva bussato e aperto la porta . Vide
dalla finestra Andrè sollevare il volto, scendere rapidamente dal letto
e, di fronte alla sua nudità, Oscar distolse lo sguardo bruscamente.
L'uomo indossò i pantaloni e
la camicia che il ragazzino gli allungava e corse fuori scalzo, mentre
Oscar, imbarazzata, si stava allontanando.
"Oscar!Aspetta!"
La giovane si fermò, ma ancora confusa dalle sue stesse emozioni preferì non voltarsi.
Lui la raggiunse e le si mise davanti.
"Come stai Oscar? Sei già in piedi?"
"Si grazie, Andrè" rispose, sfuggendo il suo sguardo. Nonostante
la sua pessima vista , temeva quegli occhi che da sempre leggevano
dentro la sua anima come su un libro aperto.
"Immagino volessi sapere com'è andato il mio incontro con Bernard..."
Annuì, alzando finalmente gli occhi su di lui .
"Vieni, sediamoci" e la condusse sui gradini in marmo della piccola depandance.
Si sedettero vicini, e mentre Andrè le ripeteva gli accordi
presi con l'amico rivoluzionario per quel pomeriggio, Oscar lo fissava, pensando a
come era incredibile essere seduta lì, con lui, e come si
sentisse in grado di fronteggiare qualsiasi avversità, con lui
accanto.
E quando Andrè terminò il suo resoconto, decise, senza
pensare, di affrontare una questione che la tormentava dal momento del
suo congedo dall'esercito.
"Andrè, ascolta, io...io volevo chiederti una cosa"
Lo vide voltarsi e aggrottare le sopracciglia, mentre lei si fissava le mani.
"Considerando le tue condizioni fisiche ritengo sia stato corretto, da
parte tua, lasciare la Guardia Nazionale, ma mi chiedevo,
ecco...perchè non me ne hai parlato?" Tacque un momento,
giocherellando nervosamente con un filo d'erba.
"Per tanti motivi, Oscar..."
"Dimmene qualcuno" lo incalzò.
"Ho accusato i primi disturbi poco dopo la liberazione di Bernard, ma
non volevo far preoccupare nessuno, il dottore non sapeva quale fosse
la prognosi..." Il tono della sua voce si tinse di amarezza e di un
velo di rancore.
"Quando i dolori e i momenti di cecità sono aumentati, tu...tu
eri stravolta per la fine della tua amicizia con il conte di
Fersen, determinata a dare questa assurda svolta alla tua vita.
Di me non ti importava niente, Oscar, anzi in realtà credo che
in quel periodo non ti importasse neanche di te stessa! Ignoravi i miei
suggerimenti già da tanto tempo, alla fine per te risultavo
superfluo anche come attendente, che senso avrebbe avuto dirti che stavo
diventando cieco? Per aumentare i tuoi sensi di colpa ed indurti a
compatirmi? No, grazie- continuò, scuotendo la testa in un gesto
di diniego- Potevo sopportare, anche se a fatica, il mio tremendo
destino, ma non avrei mai potuto accettare la tua pietà.
Io non ho rimpianti per come sono andate le cose nella vicenda del
Cavaliere Nero... e nemmeno per quello che è successo dopo"
Oscar si strinse nelle spalle. Sapeva che Andrè si riferiva alla
notte del loro diverbio, finito con la sua confessione d'amore.
Non ne avevano mai più parlato, per sua volontà, ma
capì che era una questione che avrebbe dovuto affronatare se
voleva ristabilire un rapporto sincero con lui. Ed era certa di
volerlo, con tutto il cuore. Lo lasciò continuare.
"Non mi perdonerò mai per la violenza con cui ho esternato i miei sentimenti, ma..."
"...ma io avevo superato tutti i limiti, Andrè. Lo so. La prima
a essere violenta sono stata io. Ho sfogato su di te tutta la mia
amarezza e la mia frustrazione, come ho sempre fatto, sin da bambina. E
ho sbagliato, senza più l'attenuante della mia immaturità.
Mi dispiace, mi dispiace tanto"
Andrè rimase interdetto per la piega che aveva preso quella
conversazione, ma soprattutto per le scuse di Oscar su di un episodio
lontano nel tempo, che aveva irrimediabilmente segnato il loro
rapporto. E per il quale era certo di essersi attirato tutto il suo
disprezzo.
"E sempre perchè temevi di farmi pena che ho dovuto sapere del tuo congedo attraverso un documento ufficiale?"
"Non ho chiesto il tuo parere quando mi sono arruolato, e comunque me
lo hai espresso chiaramente quando mi hai visto il giorno del tuo
arrivo. Non vedo perchè avrei dovuto farlo quando ho deciso di
mollare!"
C'era rabbia ora nelle sue parole, un rancore a lungo represso che
finalmente usciva allo scoperto. Si alzò con l'animo in fiamme,
dandole le spalle.
"Tu non hai semplicemente lasciato l'esercito, Andrè- disse
piano- tu hai lasciato ME, senza dirmi nulla, senza che neanche sapessi
dov'eri finito!"
"Aveva qualche importanza per te, Oscar?" ribattè sarcastico,
pronto a ricevere la solita stoccata dal suo comandante.
Invece seguì uno strano silenzio, popolato solo dei rumori provenienti dal giardino, intorno a loro.
La sua vista era ormai compromessa, ma il suo udito si era affinato molto, e fu certo di sentire Oscar piangere sommessamente.
Si voltò e si riavvicinò, inginocchiandosi davanti a lei.
Le sue lacrime lo intenerivano. Quanto era donna nelle sue reazioni emotive! (1)
"Scusami, Oscar, non volevo essere così duro con te"
Lei scosse la testa, mordendosi le labbra, con gli occhi bassi.
"Mi sono arruolato perchè ero davvero convinto che avresti avuto bisogno di me, dei miei consigli, del mio appoggio.
Ma da quella maledetta sera non mi hai più aperto il tuo
cuore e quanto a difenderti...per te ci vorrebbe un uomo come il conte
di Fersen, o il colonnello Girodelle, qualcuno che comandi un
esercito!" cercò di ironizzare, per farla sorridere.
Oscar fissò lo sguardo in quello di Andrè, con gli occhi
lucidi di lacrime. E lui vi si perse, come sempre, come era accaduto dal
primo momento in cui l'aveva vista, quasi trent'anni prima.
Riconobbe quella sensazione così familiare di resa totale
davanti a lei, il crollo di tutte le difese che un uomo può
erigere davanti ad un amore così assoluto....la rabbia che
evapora, l'orgoglio che si ammorbidisce...
Avrebbe voluto stringerla a sè, accarezzarle i capelli e
rassicurarla, ma sapeva che Oscar aveva sempre negato a se stessa
quel genere di manifestazione di affetto. Sentì tuttavia che era
finalmente giunto il momento di essere sinceri, fino in fondo.
"Ricordi quando ci hanno aggredito a St. Antoine?"
Oscar sgranò gli occhi. Certo che lo ricordava, non era stata più la stessa da quella notte!
"In quella occasione ho finalmente realizzato che non potevo più
illudermi di riuscire a proteggerti come avevo sempre fatto, per
una vita. Mi sono sentito in balia di forze sovrumane, dove persino la
mia morte non sarebbe stata sufficiente a salvarti.
Quando mi sono trovato ai piedi della forca a cui volevano impiccarmi,
sicuro che per me non ci fosse più scampo, disperato all'idea
che ti stessero facendo lo stesso, o peggio, ho pregato. Si, ho pregato
Dio che ti salvasse!" e chinò il capo, mentre lacrime silenziose
solcavano il suo viso di fronte a quel ricordo.
"In momenti come quelli, un uomo è disposto a qualsiasi
sacrificio pur di essere ascoltato, ma io a cosa potevo rinunciare?
Avevo solo la felicità di stare con te, di fare ancora parte,
anche se poco, anche se in modo marginale, della tua vita. E ho giurato
che se ci fossimo salvati ci avrei rinunciato, perchè sebbene
fosse poca cosa, per me era tutto...E sai una cosa, Oscar? -
continuò, quasi ridendo - la risposta alle mie preghiere
è stato l'arrivo di Fersen e del suo reggimento!"
Adesso il tono della sua voce era colmo di amarezza, quella confessione cominciava a graffiargli il cuore.
Oscar era ammutolita.
Aveva temuto che il suo sentimento per lei si fosse affievolito,
addirittura che si fosse legato ad un'altra donna e invece
era stato più forte di tutto, aveva resistito al suo rifiuto,
alla sua freddezza e si era infine consumato in un ultimo gesto
estremo, prima di una morte che sembrava inevitabile.
Avrebbe voluto aprirgli il suo cuore, ma non trovava le parole.
Andrè non sembrava aspettarsi una risposta, tornò verso i
gradini, che cominciò a salire per tornare in casa. Oscar si
riscosse.
"Aspetta, Andrè, parlami ancora... Raccontami di Madame Dressie. Come sei arrivato a stare qui con lei?"
"Sai quante cose non sei più in grado di fare, Oscar,
quando stai diventando cieco? Non puoi più leggere, non
puoi cavalcare o tirare di scherma. Avevo finito col passare tutto il
mio tempo libero da solo, ad ubriacarmi, maledicendo il mio destino.
E' stata la sorella di Alain a presentarci e Therese ha fatto per me
tutto quello che mi sarei potuto aspettare da un amico sincero.
Soprattutto mi ha ascoltato, senza mai giudicarmi.
E' una donna intelligente, colta, aperta. E' la madre che non ho avuto,
l'amico che non ho incontrato. La persona grazie alla quale non ho
finito per sentirmi una nullità.
Non so perchè lo faccia.
Forse perchè, dopo una vita accanto ad un marito che
si occupa delle sofferenze umane, ha imparato come prendersi cura degli
altri. Forse perchè le ricordo suo figlio, come mi ha detto una
volta, rimasto a vivere in America dopo aver combattuto la Guerra di
Indipendenza. Forse perchè vede in me qualcosa di buono, da non
lasciare sprecato.
Non lo so, sinceramente. Posso solo dirti che da quando la conosco, e
da quando ho Gustave vicino a me, non mi sono sentito più solo.
Ed era tanto tempo che trascorrevo i miei giorni in totale
solitudine..."
Oscar ascoltò tutte quelle parole come una serie di schiaffi.
Una sconosciuta e un povero orfano avevano fatto per Andrè
quello che lei, valoroso soldato, erede di un prestigioso casato, al
fianco di Andrè fin dall'infanzia, non aveva nemmeno immaginato.
Si rese conto di quanto si può far male, non facendo nulla.
Di quanto si fosse, in effetti, concentrata solo su di sè, dopo
la chiusura dei suoi rapporti con Fersen e la regina Maria Antonietta.
Non aveva solo interrotto il circolo vizioso di quell'infelice
triangolo amoroso, aveva escluso dalla sua vita tutte le persone che le
volevano bene.
Ma se il destino voleva concederle un'altra occasione con Andrè, pensò, non se la sarebbe lasciata scappare.
(1) Non datemi della maschilista! Lungi da me affermare che le lacrime siano prerogativa delle donne!
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Capitolo 10
Capitolo lungo, con numerosi flash back e diversi punti di vista.
Volevo dividerlo ma non mi piaceva come veniva...anche così non mi convince del tutto
Come per il capitolo 9, anche qui la mia Oscar fa qualcosa che mi sarebbe tanto piaciuto vedere..
.
Capitolo 10
Andrè attendeva all'esterno delle scuderie, stringendo
nervosamente le briglie del suo cavallo, in un'evidente stato di
ansia.
Il giorno precedente Bernard si era incontrato con Oscar a casa
Dressie.
La sentenza di condanna a morte per i soldati della
guardia ribelli era stata emessa, come previsto, senza un regolare
processo, e sarebbe stata eseguita due giorni dopo, 1 luglio 1789.
Si erano quindi accordati per scatenare una manifestazione di protesta il giorno seguente.
Oscar aveva voluto che Andrè fosse presente al loro incontro e
gli aveva chiesto di accompagnarla davanti alla prigione di
Abbaye per seguire gli eventi.
"Sei impazzita, Oscar? Fino a ieri sera avevi la febbre e domani vuoi
unirti ad una protesta di piazza, magari sotto l'acqua
battente?
E poi cosa succederebbe se la grazia del Re non arrivasse? Se qualcuno ti riconoscesse? Hai pensato alle conseguenze?"
La donna lo aveva fissato senza parlare, felice, nonostante la sfuriata, che si preoccupasse così per lei.
"Ascolta, Andrè, non voglio discutere con te. Non sono
incosciente come pensi, vedrai che non mi noterà nessuno!"
"Maledizione, Oscar! Non mi ascolti mai!"
"Su questo ti sbagli, e tanto. In passato mi sono
comportata come una bambina testarda, ma non stavolta. Fidati di
me!"
Queste ultime parole gli risuonavano di continuo nella testa, ma non sortivano l'effetto di restituirgli tranquillità.
Anche il monito con cui li aveva salutati Bernard ("Lasciate questo paese e trasferitevi all'estero!"(1) ) era stato allarmante.
Gustave lo fissava, con aria indagatrice, ma Andrè non vedeva sufficientemente bene da notare quello sguardo.
Da quando era arrivata la sua eccentrica amica - non aveva mai visto
una donna bellissima vestire da uomo e per di più fare il
soldato- non era più lui. La sua inquietudine era palpabile, era
diventato taciturno, spesso sembrava altrove con la testa. Però
una cosa era chiara anche ad un ragazzetto come lui: tutto questo era
la conseguenza del suo amore per quella donna.
Anche a lui piaceva, sebbene potesse sembrare fredda e scostante in un primo momento.
Il giorno prima lo aveva raggiunto nelle stalle, intento a strigliare Cesar. Lo aveva ringraziato.
"Mi ha insegnato Andrè" aveva detto con fierezza.
Oscar gli aveva risposto con uno sguardo carico di dolcezza, poi gli aveva fatto una proposta.
"Se vuoi, quando torneremo da Parigi, potrei darti qualche lezione di.."
"Pianoforte? Andrè mi ha raccontato voi bravissima" la precedette col suo idioma stentato.
Lei aveva riso. "Stavo per dire spada,
ma se preferisci il pianoforte va benissimo. In effetti le tue mani
magre e le tue dita lunghe sembrano più adatte alla musica che
ai duelli!"
Gustave temeva di averla offesa. Ma lei si era avvicinata e gli aveva accarezzato i capelli ispidi e ribelli.
Poi gli aveva scaldato il cuore con il complimento più bello che potesse sentire.
"Anche se non sei suo figlio, mi ricordi tanto Andrè da piccolo.
Anche lui non era bellicoso e credo mi seguisse nei duelli di scherma e
nelle scazzottate per accontentarmi..."
Adesso era lì con lui, ad attendere la nuova ospite di
Madame Dressie: dovevano andare a Parigi, poi li avrebbe
aspettati in un quartiere tranquillo, insieme ai cavalli. Non si
potevano lasciare incustoditi i due animali in una città
assediata dalla fame e dalla disperazione!
In realtà avrebbe anche dovuto compiere una piccola missione segreta per madamigella, nell'attesa del loro ritorno.
Andrè cercava di controllare l'agitazione che quella sortita
con Oscar gli aveva messo addosso, ma sapeva che anche il suo protetto l'aveva
notata.
Se solo la sua vista non fosse stata così compromessa! Erano un
trio scalcagnato: un uomo quasi cieco, un ragazzino gracile ed indifeso
ed una donna tanto bella, quanto spavalda ed irragionevole!
Finalmente vide Gustave, a cui aveva affidato le redini di Cesar,
alzarsi e restare impalato: Oscar doveva essere arrivata!
Si
alzò per voltare il suo cavallo e partire, e dovette richiamare
il ragazzo, che sembrava una statua di gesso.
"Forza Gustave, muoviti! Lascia Cesar e monta in sella davanti a me!"
Quasi non credette alle sue orecchie quando udì la voce del suo
giovane amico, mai così limpida, rivolgersi ad Oscar
"
Siete bellissima , Madamigella"
Andrè si voltò di riflesso, ma davanti agli occhi non
vide l'immagine familiare, per quanto sfuocata, del suo
comandante, con la divisa blu ed i galloni scintillanti: a pochi
metri da lui si stagliava la sagoma di una fanciulla, con le
vesti coperte da un ampio mantello.
Quando questa figura
misteriosa abbassò il copricapo, riconobbe la chioma dorata
di Oscar.
"Bene, Andrè. Sono convinta che in abiti civili, femminili
perdipiù, non potrà riconoscermi nessuno! Possiamo
andare? "
L'uomo non rispose, e si voltò immediatamente.
Se si
fosse soffermato un istante di più avrebbe potuto
inquadrare un dettaglio, mettere a fuoco un particolare e non voleva.
Sarebbero stati dei ricordi maligni, come insidiosi strumenti di
tortura per quando si fosse trovato solo, a pensare a lei, a soffrire
ancora, e ancora.
Non si scambiarono una parola per l'intero tragitto.
Dopo aver lasciato Gustave e i cavalli in un luogo sicuro, si incamminarono a piedi verso la prigione militare.
Oscar suggerì di sistemarsi sul tetto dell'Abbazia di
St.Germain, da cui si godeva un'ampia visuale dell'ingresso del carcere
e delle vie antistanti. Erano entrati nella chiesa e da qui, lungo una
scala a chiocciola avevano raggiunto il punto desiderato senza essere
notati da nessuno.
Era ancora presto, ma Bernard aveva già comiciato la sua
orazione davanti a Palais Royal, attirando un capannello di circa 50 persone. La sua voce
risuonava forte e vibrante nelle strade, fino a loro. Andrè
stava con le braccia conserte davanti al basso parapetto ornato di
piccole statue di santi e demoni, mentre Oscar, alle sue spalle,
si era seduta sulle tegole leggermente inclinate del tetto in stile
gotico della chiesa. Lo fissava, sperando che si voltasse a
guardarla, che parlasse con lei, ma sembrava volutamente assente e
disinteressato.
Pensò alla conversazione avuta con Madame Dressie mentre le preparava l'abito che avrebbe indossato quel giorno.
Aveva pensato che senza la sua divisa da ufficiale si sarebbe
mimetizzata meglio e avrebbe evitato di essere riconosciuta, ma
non era il solo motivo di quello stratagemma.
Voleva vestirsi da donna, voleva farlo per Andrè. E Therese lo
aveva capito, senza chiederle nulla, e aveva scelto un vestito
semplice, per consentire
alla giovane di cavalcare senza difficoltà, ma elegante,
in un delicato raso di seta, color carta da zucchero, per mettere in
risalto l'incarnato e gli occhi di Oscar, al quale aveva abbinato un
lungo mantello scuro, con copricapo, per renderla meno appariscente in
mezzo ad una folla di popolani.
Mentre Therese, insieme a Marie, si dava da fare con ago e filo
per adattare l'abito alle misure di Oscar, aveva
approfittato dell'occasione di trovarsi sola con lei per parlarle con
franchezza.
"Madamigella Oscar..."
Per la prima volta da quando era arrivata le si rivolgeva con quell'appellativo.
"Non mi chiamate più 'colonnello', Madame Dressie?" la provocò
"No, perchè non mi sto rivolgendo al soldato , ma alla donna che siete.
Spero di non apparirvi indelicata con le mie parole, ma sono abituata alla sincerità.
Non sono certo un medico, ma ho visto passare tra queste mura
molte persone sofferenti, ed ho imparato a riconoscere i sintomi di
certe malattie..."
Malattie? Di cosa diavolo stava parlando? Perchè diceva certe cose a lei?
"Perdonate, madame, non vi seguo..."
"Il vostro pallore, madamigella, la debolezza che avete accusato,
insieme al vostro stato cagionevole ed alla febbre, costituiscono
i primi segni della consunzione "(2)
Oscar la guardava incredula: cosa stava farneticando quella donna?
"Vi prego di credermi, Oscar. Non mi permetterei mai di gettare su di
voi una diagnosì così grave se non fossi certa di
ciò che dico. Se non volete ascoltarmi, almeno sentite il parere
di un dottore..."
Oscar rimase in silenzio, a riflettere. Aveva lei stessa avuto il
sentore che i suoi disturbi non fossero un problema passeggero.
E madame Dressie non era una persona che parlava a vanvera. In
effetti negli ultimi giorni il riposo forzato le aveva giovato, ma le settimane precedenti erano state molto dure, nonostante fosse abituata
da anni alle condizioni della vita militare.
"Non è una malattia incurabile - continuò Therese - se si
interviene in tempo utile. Mio marito aveva steso una serie di
annotazioni per i suoi pazienti, che comprendevano un soggiorno
in montagna, dove l'aria è più fine, il riposo assoluto,
un'alimentazione ricca di carne (3) , l'assunzione di sostanze rinforzanti, come la pappa reale o gli estratti di radici...
Io credo sia giunto il momento per voi di fare una scelta. Potete
prendervi cura di voi stessa e dell'uomo che amate, oppure
ignorare tutto e continuare la vostra vita così come l'avete
vissuta finora..."
"Siete molto diretta, Madame Dressie"
"Volete che vi rassicuri raccontandovi fandonie? Volete sentire
frivolezze come nei salotti di Versailles, così da non guardare
in faccia la realtà?"
"Mi state dicendo che dovrei lasciare tutto quello che sono stata per
diventare qualcosa...qualcuno che...Non so, non so se ne sono capace..."
"Capace di cosa?"
"Di renderlo felice!"
"Come potete avere dei dubbi? Vi ha amata sempre, con i vostri difetti
e le vostre virtù, le vostre scelte e i vostri errori! Dovete
solo dare spazio ai sentimenti che provate per lui. Perchè
voi lo amate, vero?"
Oscar la fissò "Si, lo amo"
Che effetto le faceva dirlo a voce alta, dirlo a qualcuno!
"Ma questo non mi aiuta, madame Dressie, mi confonde! L'ho deluso
così tante volte, adesso non potrei sopportarlo! Se non fossi in
grado di curarmi ed occuparmi di lui? Vorrei che fosse libero di
seguire i suoi ideali, di prendere parte a questa nuova era che si
prepara per la Francia! Come faccio, se gli dico che l'amo ma che sono
malata?"
"Continuate a non capire, Oscar. La ricetta per la felicità non
esiste, non avrete mai garanzie su questo. Ma la vostra educazione
militare dovrebbe avervi insegnato che esistono sempre margini di
incertezza. In battaglia come nella vita.
Meglio osare e pentirsi, che non osare e pentirsi. L'ha scritto Machiavelli, un abile stratega politico e militare, non un poeta!
Andrè non è un bambino da accudire e proteggere,
è in grado di affrontare la realtà, forse più di
voi! E comunque, in amore il sostegno è reciproco, le
difficoltà sono condivise e la felicità è...tanta,
madamigella Oscar, più di quanto il vostro cuore possa
contenere!"
Tornò con i pensieri al momento presente, al suo Andrè
che ostinatamente le voltava le spalle. Forse vestirsi da donna non era
stata una buona idea. Di nuovo le tornarono alla mente le parole
di Madame Dressie a riguardo
"Ricordate, Oscar, che Andrè vede molto male. Siete una donna di
poche parole, abituata a controllare le proprie emozioni. Se
Andrè un tempo poteva leggerle nei vostri occhi, ora per lui
è più difficile, non sempre è nelle condizioni di
farlo. Dovete trovare il modo di comunicargli i vostri sentimentie. Se
mi permettete, dovete essere più diretta, dovete trovare altre
strade per arrivare a lui..."
"Oscar,vieni a vedere come procede la situazione -la distolse
Andrè. "Dai rumori mi sembra che si sia già raccolta
parecchia gente, ma non sono sicuro"
In effetti erano ormai numerose le persone assiepate davanti al portone
del carcere, e i soldati di guardia continuavano a scambiarsi
sguardi carichi di preoccupazione. Di lì a poco si levarono
grida a favore della liberazione dei militari condannati.
La situazione andò progressivamente peggiorando, venne
rafforzato il numero di guardie al portone della prigione, Oscar era
sicura che ormai anche i capi dei secondini fossero informati
della protesta che si svolgeva quel giorno. Finalmente vide
uscire un messaggero a cavallo diretto alla reggia di Versailles.
Ci siamo Pensò, e
dal quel momento lo stomaco le si chiuse in una morsa, che
crebbe quando il cavaliere ricomparve per le vie di Parigi,
stringendo tra le mani una pergamena col sigillo reale.
Oscar si avvicinò ad Andrè, e senza parlare gli
prese la mano. Lui ricambiò, senza distogliere lo sguardo dalla
prigione e dalla folla urlante.
"Per volontà di sua maestà Luigi XVI e della regina Maria
Antonietta, i soldati della Guardia Nazionale hanno ricevuto la grazia
ed il loro comandante, Oscar Francois de Jarjayes, potrà
riassumere i suoi gradi ed il suo ruolo. I sovrani si auspicano, per il
futuro, una maggiore lealtà verso la corona!"
Oscar si gettò istintivamente tra le braccia di Andrè
"Sono salvi, sono salvi" ripeteva tra le lacrime.
"Forza, raggiungiamo l'ingresso, voglio salutarli, anche se da lontano"
Andrè non fece in tempo a ribattere, che Oscar già lo
stava tirando per le scale della chiesa, senza abbandonare la sua
mano.
Quando Alain e gli altri soldati sfilarono festanti tra le due ali di
folla che si erano aperte al loro passaggio, Andrè lo
chiamò e l'amico, voltandosi, non riconobbe immediatamente il
suo comandante. Poi sgranò gli occhi, rivolse loro una
strizzatina di intesa e fece finta di niente, scoppiando in una
fragorosa risata.
"Adesso possiamo tornare a casa" sospirò la giovane, e si
allontanò da Abbaye a passo leggero, con le dita ancora
intrecciate a quelle di Andrè.
Da lontano, un cavaliere col volto nascosto dal bavero di un mantello, li osservava e li seguiva con lo sguardo.
La cercava da giorni, da quando aveva disatteso gli ordini impartiti dal generale Bouille.
Si trovava a Versailles proprio quando era giunta notizia della rivolta per la liberazione dei soldati della Compagnia B.
Era certo che ci fosse lei dietro a quella protesta e
che sarebbe stata presente, in qualche modo. La conosceva bene.
Al punto di poterla individuare, anche vestita da donna.
(1) frase tratta dal manga
(2) termine dell'epoca per definire la tubercolosi
(3) solito tocco realistico: erano i rimedi effettivamente suggeriti
fino all'avvento degli antibiotici per attenuare il decorso della
malattia
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Capitolo 11
Capitolo 11
Erano circa le cinque del pomeriggio quando raggiunsero i loro cavalli, e
una fine pioggerellina aveva cominciato a bagnare le strade.
"Sarà meglio sbrigarci, Andrè"
Rivolse uno sguardo furtivo a Gustave, che fece un segno affermativo
con la testa: aveva eseguito la piccola incombenza che la donna gli
aveva richiesto senza incontrare ostacoli.
Mentre raggiungevano la tenuta di Madame Dressie la pioggia divenne
più violenta e giunsero alle scuderie lanciando i cavalli al
galoppo.
Oscar smontò rapidamente e lasciò le redini di Cesar al ragazzo.
"Occupati tu dei cavalli, noi corriamo a ripararci!"
Gustave le rispose con un sorriso complice e prima che Andrè
potesse dire qualcosa, la giovane lo stava guidando verso la sua depandance, tenendolo per mano.
Fecero l'ultimo tratto correndo, obbligati a saltare per evitare le
pozzanghere che si erano già formate. Quando arrivarono alla
tettoia dell'ingresso, si fermarono ansanti e scoppiarono a ridere. Ad
Andrè sembrò di essere tornati ragazzi, quanti acquazzoni
avevano preso durante le loro scorribande! Sarebbe stato sotto quella
tettoia, a tenerla per mano tutto il giorno, ma rammentò il
malessere che l'aveva colpita solo pochi giorni prima e la
invitò ad entrare.
"Vieni, Oscar. Accendo il fuoco, così potrai asciugarti"
Mentre Andrè armeggiava con la legna chino davanti al camino,
Oscar si liberò del mantello e si avvicinò, fino a
lambire con la gonna del suo vestito il corpo dell'uomo,
inginocchiato.
"Non hai detto niente...di come sto con quest'abito" disse piano.
Andrè rispose, mentre le prime fiammelle si sprigionavano dalla legna secca.
"So che sei vestita come una signora, ma vedo solo colori sfumati, non
riesco a farmi un'idea di come stai... e ringrazio Dio che sia
così-aggiunse con amarezza- perchè la prima ed unica
volta che ti ho visto in abiti femminili mi ha segnato l'anima,
irrimediabilmente e-alzò gli occhi verso di lei- crudelmente.
Non era per me, ma per l'amore di un altro uomo..."
"Di quella serata l'unica sensazione felice che ricordo è stato
il momento in cui il tuo sguardo si è posato su di me"
"Se lo dici tu, Oscar... Io non ho mai saputo niente di quello che
è successo dopo, al ballo" replicò, aggiungendo nuova
legna al fuoco che via via si animava.
"Fersen mi ha notato, mi ha invitato a danzare e mi ha raccontato che assomigliavo al suo migliore amico"
buttò fuori lei, tutto di un fiato. "Sono letteralmente scappata
dal ballo in lacrime. Volevi sapere altri dettagli?" concluse con tono
pungente, ma in realtà sentiva le lacrime negli occhi,
pronte a tradirla ancora.
Tra loro calò il silenzio.
"Vorrei che tu mi ammirassi ancora, Andrè, come quella sera. Io adesso sono qui, e sono vestita così, per te"
L'uomo sospirò e, alzando la testa verso di lei, rispose sorridendo amareggiato.
"E' troppo tar..." ma non finì la frase, perchè
sentì l'indice di Oscar posarsi sulle sue labbra, per zittirlo.
Rammentò le parole di Therese: dovete trovare altre strade per arrivare a lui...
"Chiudi gli occhi, Andrè"
"Guarda Oscar che non c'è bisogno..."
"Chiudi gli occhi, ti prego"
Il giovane la assecondò, ancora in ginocchio davanti al camino.
Trattenne il fiato quando sentì le mani di Oscar prendere le sue e guidarle sulla sua gonna.
La sua voce riempì la stanza, come un dolce sussurro.
"E' un abito semplice ma raffinato, di seta, lo senti? con tanti piccoli fiori impunati sulla gonna"
Le dita di Andrè scorrevano sul pregiato tessuto e si soffermavano sui piccoli ricami che lei descriveva.
Lo invitò ad alzarsi in piedi, mentre portava le sue mani fino alla vita.
"Qui la gonna è trattenuta da un nastro, legato sulla schiena, dov'è decorato da una cascata di piccoli fiori."
Andrè fece scivolare le mani fino a quel punto e sentì la gonna del vestito premere sulle sue gambe.
In quella posizione la stava praticamente abbracciando, i loro volti,
vicinissimi, si sfioravano sulle tempie. Il cuore cominciò a
martellargli nel petto: così era ancora più intenso
che ammirarla semplicemente!
Sentiva il suo profumo, e i suoi capelli, leggeri, sfiorargli la
guancia. Percepiva il suo respiro, quasi affannoso, evidenziato dai
movimenti, sempre più rapidi, del corpino che la stringeva.
Adesso anche Oscar aveva chiuso gli occhi. Il delicato tocco di
Andrè, il suo corpo così vicino al suo le regalavano
sensazioni nuove ed intense, come se fiamme di fuoco lambissero la sua pelle di ghiaccio.
Riprese le sue mani e le appoggiò sul bustino.
Andrè la sfiorò con delicatezza, portandosi dalla vita
alla scollatura dell'abito. Oscar deglutì a fatica e
continuò
"Il corpino è rivestito dall'intreccio di questi nastri di raso
e il decolletè è impreziosito da una sottile rima
di pizzo"
L'uomo esitò quando sentì sotto i polpastrelli le
rotondità del seno di Oscar, ma lei continuva a guidarlo,
trattenendolo dolcemente per i polsi. Quando infine toccò la sua
pelle, seguendo l'orlo della scollatura, si sentì come
bruciare, mentre i loro volti erano così vicini , che gli
sembrava di sentire le sue labbra tremare. Allungò le sue
mani dal petto fino al collo e alla nuca della donna, scoperti dalla
coda con cui tratteneva i suoi lunghi capelli e percepì
chiaramente il suo abbandono sotto le sue carezze, il capo
leggermente reclinato indietro, sui suoi palmi. Sentì
la sua pelle fredda, percorsa da sottili brividi sotto le sue
dita.
"Hai freddo Oscar, la tua pelle è gelata come il ghiaccio"
queste parole le giunsero come svegliandola da un sogno.
Senza allontanarsi di un centimetro, Andrè si sfilò la giacca e la avvolse, coprendole le spalle.
Fu immediatamente circondata dal calore del suo corpo, dal profumo
di lui che le inebriava i sensi. Senza pensare afferrò le
mani di Andrè, che le accostava il bavero sul petto, e se
le portò alle labbra.
"Perdonami!"
La voce di Andrè le arrivò come una calda carezza vicino
all'orecchio, che scivolò lungo il collo, togliendole il fiato.
"Perdonarti cosa?"
Gli lasciò le mani per aggrapparsi al suo petto.
"Per tutte le volte che non ho visto, non ho ascoltato, non ho detto e non ho sentito.
Per tutto il tempo che ho lasciato passare senza dirti..."
Ad un tratto esitò.
Ma Andrè non la lasciò andare, le si fece ancora
più vicino, e muovendo le lebbra sul suo orecchio le
sussurrò.
"Dimmelo, Oscar"
Allora chiuse gli occhi, lo strinse ancora di più.
"Che ti amo, Andrè Grandier. Come nessuno prima"
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Capitolo 12 *** Capitolo 12 ***
Capitolo 12
Finalmente
l'amore. Il sesso scritto non è il mio forte, spero di non
deludere nessuno. Anche qui ho trascritto come l'ho immaginato, visto
che nella storia originale mancano i dettagli (e per fortuna,
così ognuno può sognarselo come vuole...)
Capitolo 12
Dopo le sue parole, il silenzio, riempito unicamente dal picchiettio della pioggia, sui vetri, e dal crepitio della legna, che ardeva nel camino.
Sentì le braccia di Andrè stringerla, con forza e
dolcezza insieme, e le sua labbra posarsi tremanti sulla sua spalla
nuda, per poi risalire, come in una leggera carezza, fino all'orecchio,
sotto al quale si fermò in un primo bacio.
Senza interrompere il contatto con la sua pelle, le sue labbra
seguirono una strada invisibile lungo il suo viso, fino ad
incontrare la sua bocca. Fu un bacio leggero, di un attimo, bruciante,
poi Andrè si staccò da lei, fermandosi vicinissimo, come
in attesa.
Oscar fu travolta dal desiderio di quel contatto; si alzò sulle
punte e colmò quell'impercettibile spazio che ancora li
separava.
Fu subito un bacio profondo, in cui si mescolavano i loro respiri, le loro lingue, i loro nomi sussurrati.
E in quel momento Oscar si sentì cadere, come quando da
ragazza si gettava sulla spiaggia, in Normandia, e la risacca delle
violente onde della Manica le toglieva con forza la sabbia da
sotto i piedi. Come allora, anche adesso Andrè la sosteneva, e
lei si aggrappò al suo collo e affondò le mani nei suoi
capelli. Caddero infine sulla superficie morbida del suo letto, il
corpo di Andrè sul suo.
Si separò immediatamente da lei, sostenendosi con le braccia, e le rivolse uno sguardo incerto, ansimando.
Temeva di essersi spinto troppo oltre, temeva di non riuscire a leggere nei suoi occhi le sue intenzioni.
Oscar capì, e allungando una mano verso di lui gli sorrise, sfiorandogli le labbra.
"Tienimi con te"
Lui fermò le sue dita e le baciò i polpastrelli. La sua voce risuonò profonda e calda.
"Se ti avrò stanotte, non riuscirò più a lasciarti andare"
"Allora tienimi con te, per sempre"
Si chinò su di lei e catturò nuovamente la sua bocca, mentre affondava le mani tra i suoi capelli.
Sentì il corpo di Andrè colmo di passione
stringersi sul suo e la voglia prepotente della sua pelle
addosso alla propria.
Si mise seduta, voltandogli le spalle, e spostò la coda di
capelli per mostrargli l'allacciatura dell'abito lungo la
schiena.
Poi chiuse gli occhi, sentendo le dita del giovane sciogliere uno
ad uno i lacci del corsetto e aprirlo delicatamente, coprendo di baci
la pelle che via via scopriva. Oscar si alzò, lasciò che
l'abito si ammucchiasse ai suoi piedi e si sfilò le scarpe.
Si volse nuovamente verso Andrè e senza distogliere lo sguardo
dal suo, si sciolse i capelli con un unico movimento fluido del
capo, lasciandoli ricadere sulle spalle.
Gli sfilò gli stivali e lui si sedette con le gambe sul letto e
la schiena appoggiata alla testata. Come ipnotizzato, seguiva i lenti
movimenti della donna, che adesso aveva acceso due lampade ad olio e le
aveva sistemate ai due lati del letto.
Poi lo raggiunse, vestita solo della camiciola e delle culotte di
cotone leggero, con le calze che le avvolgevano le gambe sopra il
ginocchio. Allungò una gamba verso di lui, come per
una tacita richiesta.
Andrè slacciò i nastri e lentamente le sfilò le calze.
Oscar gettò indietro la testa, con gli occhi chiusi, travolta
dal piacere del tocco di Andrè che si sostituiva al
tessuto sulla sua pelle, dalla coscia fino all'incavo del ginocchio
e poi ancora lungo i polpacci, fino alla caviglia.
Si lasciò scivolare sul lenzuolo, mentre l'uomo ripercorreva a
ritroso con le labbra la strada appena tracciata dalle sue mani, e
proseguiva poi sul suo ventre fino al petto, abbassandole la camiciola
fino a scoprire i seni, mentre le sue mani si insinuavano sotto il
tessuto delle culotte e le stringevano i fianchi.
Con un movimento rapido si mise di schiena e la portò sopra di
lui. Oscar si sfilò la camiciola davanti ai suoi occhi
bramosi ed infine si liberò delle culotte.
Si distese nuda, sul suo corpo, e gli aprì la camicia sul petto,
sfilandola dai pantaloni. Mentre gliela toglieva completamente lo
baciò ancora sulla bocca, a lungo, poi si staccò e con le
labbra lucide di saliva gli sfiorò il mento, scese lungo il
collo, poi il petto, finalmente scoperto, e con la lingua lasciò
una scia sottile fino all'ombelico. Sentiva la voce di Andrè in
gemiti trattenuti, il suo nome invocato, come in una dolce supplica.
Prese il bordo dei pantaloni e glieli tolse, insime alle calze.
Andrè la afferrò dolcemente per le spalle e se la
riportò addosso, tenendola per i fianchi. I loro volti erano
vicinissimi e sorrise di gratitudine perchè a quella distanza
poteva ancora vedere gli occhi blu della giovane, limpidi e pieni
d'amore, le labbra rosse, schiuse in un sorriso che era una conferma, i
capelli fluenti che le incorniciavano il viso e quasi pudicamente le
coprivano i piccoli seni.
Le accarezzò il viso, poi la avvicinò lentamente alla sua bocca tenendola per la nuca.
Seduta a cavalcioni su di lui, Oscar poteva percepire tutta la passione
del giovane premere tra le sue cosce, quasi in attesa che lei si
sentisse pronta. L'ennesimo gesto d'amore che quell'uomo le donava.
Si alzò leggermente sulle ginocchia e gli parlò sulla labbra.
"Sono tua, Andrè e tu, tu mi appartieni" e scese lentamente,
fino a sentire i loro corpi finalmente uniti, ed un'onda di calore
irradiarsi dal suo ventre fino alla radice dei capelli.
Non ci fu
paura. Non ci fu dolore.
Dopo alcuni movimenti lenti, in cui Andrè la sosteneva e guidava, la spinse dolcemente supina, sotto di lui.
Oscar chiuse gli occhi, allungò le mani sulla sua schiena,
fino ai lombi, di cui seguiva il movimento, ritmico, dapprima lento poi
sempre più veloce e deciso, finchè lo
sentì tremare dentro di lei e soffocare una gemito tra i
suoi capelli.
Un'ultima stretta.
"Ti amo, Oscar. Ti amerò per sempre"
Andrè scivolò fuori dal suo corpo e si sdraiò al
suo fianco.
Ancora con un residuo di dubbio, non tanto sul suo
desiderio, quanto sul fatto che le fosse piaciuto, che non ne fosse
rimasta delusa. Non sapeva cosa si aspettasse Oscar dall'amore carnale,
non ne avevano mai parlato.
Lei si voltò, e senza dire una parola appoggiò il viso
sul suo petto, all'altezza del cuore, e lo sentì battere,
ancora veloce e irregolare, per lei, per averla amata.
Quel rumore sordo sotto il suo orecchio fu come una nenia per il
suo corpo stanco, spossato da tutte le emozioni di quella giornata, e i
movimenti regolari del petto del suo uomo come il dolce dondolio di una
culla.
Mentre la mente di Andrè si affollava di domande sul loro
futuro, il cuore di Oscar si addormentava nel piacere del
presente, stretta a lui ma già rapita da Morfeo.
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Capitolo 13 *** Capitolo 13 ***
Capitolo 13
Capitolo in cui si chiarisce il piccolo segreto tra oscar e gustave...
Capitolo 13
Fuori era buio, ma la luce delle due lampade ad olio era ancora intensa.
La guardava, appoggiato sul gomito, placidamente addormentata, con i
capelli sparsi sul cuscino e le labbra socchiuse, persa nei suoi
sogni. Gli sembrava incantevole, come non era mai stata, al punto
che gli occhi da soli non potevano bastare a comprendere tutta la sua
bellezza.
Sentiva già rinnovarsi il desiderio di lei, la voglia di
perdersi nella sua carne, di sentirla aprirsi e riempirsi di lui.
Un brivido corse lungo la sua schiena. Il fuoco del camino era
ormai ridotto ad un cumulo di cenere e braci, e a malincuore si
allontanò dal corpo caldo della donna e scese dal letto.
Si infilò i pantaloni e la camicia ed aggiunse altra legna, ravvivando le braci a colpi di soffietto.
Si voltò a guardare nuovamente il corpo addormentato di Oscar, la sua
Oscar. I suoi pensieri tornarono ai tanti avvenimenti di quella
giornata. Alain e gli altri soldati erano stati graziati, e al
loro comandante erano stati restituiti i gradi ed il posto di comando.
C'era certamente la mano della regina dietro tanta benevolenza!
Adesso lei poteva tornare a guidare i soldati della Guardia Nazionale,
in una posizione difficile, schiacciata tra le pressioni del
popolo, ormai deciso a pretendere i propri diritti, e la
resistenza della monarchia, che unita al clero ed alla nobiltà,
perseverava nella difesa dei propri privilegi. E lui non avrebbe potuto
più seguirla.
Nel suo cuore, così nascosto da non volerlo quasi ammettere con
se stesso, albergava il desiderio segreto che lei scegliesse di stare
con lui, con tutto quello che comportava. L'avrebbe sposata all'alba di
quello stesso giorno, se avesse acconsentito. Ma si rendeva conto
che per Oscar era una decisione più drastica, significava
rinunciare a tutto quello che era stata, il suo titolo nobiliare,
la sua carriera militare ed anche al potere che ne derivava.
Significava abbandonare la lotta, proprio nel momento in cui diventava
determinante schierarsi. E in tutta la sua vita insieme a lei,
non l'aveva mai vista tirarsi indietro davanti ad una sfida.
Voleva che sapesse che l'avrebbe amata sempre, fino all'ultimo battito
del suo cuore, anche se avesse indossato nuovamente l'uniforme da
ufficiale, anche se fosse tornata alla sua vita da uomo. Temeva che si
lasciasse guidare dalla pietà per le sue condizioni, così
come vent'anni prima aveva intrapreso la carriera militare per
compiacere le cieche ambizioni paterne.
Si infilò la giacca e gli stivali ed uscì, nella completa
oscurità. Sentì l'aria fredda sul viso, mista alle
goccioline che il vento scuoteva dagli alberi sui suoi capelli, e con
passo deciso raggiunse casa Dressie.
Erano circa le nove di sera e preferì passare dalle cucine, dove sapeva avrebbe trovato Gustave e le due donne.
Erano tutti lì, in effetti, attorno al tavolo. Avevano finito di
cenare, e si volsero sorpresi quando lo videro varcare la
soglia, solo.
"Buonasera, Andrè. Pensavo di mandare Gustave con qualcosa da
mangiare, per voi e madamigella Oscar" e indicò con lo sguardo
una cesta di vimini, coperta con un tovagliolo, già pronta sulla
dispensa.
L'uomo abbassò la testa, colto da un improvviso imbarazzo: era
chiaro a tutti i presenti quello che era accaduto tra loro due quel
pomeriggio.
Madame Dressie cercò di stemperare il suo disagio. Gli
allungò la cesta e cercando i suoi occhi gli disse a bassa voce
"Siamo tutti felici che vi siate ritrovati, Andrè. Eravate due
metà dello stesso cuore, divise da troppo tempo"
L'uomo strinse i pugni.
"Sono venuto qui a prendere una cosa, Madame Dressie"
Therese lo guardò con aria interrogativa: era teso, e non ne capiva il motivo.
"Consegnatemi la divisa di Oscar, e la sua spada. Saranno pronte, ormai"
La donna rimase sconcertata, e si voltò verso Gustave, quasi chiedendo un suo intervento.
Andrè pensò che si opponesse, per qualche motivo.
"Oscar ha indossato abiti femminili, oggi, ma quella non è...
non è la sua natura, la condizione che ha scelto, a cui è
abituata.
So che lo ha fatto per amor mio, ma non voglio obbligarla ad essere
diversa da quella che è. L'ho sempre amata, e l'amo tuttora,
così com'è. Senza condizioni. Voglio che sappia che non
la costringo a scegliere tra me e la sua vita."
Therese rimase immobile.
"Vi prego, so che non siete d'accordo, ma per me è importante. Datemi la sua uniforme!"
Adesso la sua voce suonava come una supplica.
"Ascoltate, Andrè. Io...non mi permetterei mai di scegliere
cos'è giusto al vostro posto, o al posto di madamigella Oscar,
ma - e di nuovo girò lo sguardo in direzione di Gustave, che
abbassò gli occhi, quasi colpevole -la sua divisa e la sua spada
non sono più qui!" Andrè la guardò
esterefatto, non riusciva a capire il senso di quelle parole.
"Che significa?"
Si rivolse a Gustave, ma il ragazzino si strinse nelle spalle, perseverando nel suo mutismo. Intervenne Therese.
"Gustave le ha riportate stamattina a Palazzo Jarjayes, su richiesta di
Oscar, insieme ad una lettera per il Generale, suo padre. Lo ha pregato di non dirti nulla..."
L'uomo spalancò gli occhi per lo stupore, interdetto, come se la
comprensione di quel gesto faticasse a raggiungere il suo cuore.
Therese sorrise e sospingendolo verso la porta, in un tacito invito a tornare da lei, gli disse
"Scegliere è saper rinunciare. E la tua Oscar ha già scelto"
Fu allora che il giovane capì appieno il significato di quella
consegna, del suo abbigliamento di quel giorno, di decisioni messe in
pratica, prima ancora di avergli rivelato di amarlo!
Sentì l'urgenza di tornare da lei, e, dimenticando il cibo preparato per loro, si precipitò fuori dalle cucine.
Dopo che la porta si richiuse, sbattendo dietro di lui, Therese si
rivolse a Gustave, ancora confuso, accarezzandogli la testa
"Portagli il cestino e lascialo fuori, sui gradini...prima che il nostro Grandier faccia morire di fame la sua amata!"
Andrè correva nel buio, rapito da una felicità che rasentava la follia, e raggiunse la depandance, entrando come se lo stesse inseguendo un fulmine.
Quasi si strappò gli abiti di dosso, mentre Oscar alzava il
capo, svegliata dal trambusto. Gettò malamente gli stivali e si
infilò nudo nel letto.
"Hai le mani fredde, dove sei st..."
Non riuscì a finire la frase, travolta dalla foga con cui lui la strinse, entrando in lei, senza una parola.
Solo quando lo circondò con le sue gambe e lo abbracciò a
sua volta, assecondando il suo imperioso desiderio, Andrè si
calmò e riprese ad amarla lentamente, con dolcezza, tenendola
però saldamente per i fianchi, completamente abbandonato sul suo
corpo.
E quando infine il piacere si spense, rimase sopra di lei, col volto
nascosto sul suo seno e le braccia allacciate dietro la sua schiena,
mentre sentiva le sue dita affondare tra le ciocche dei suoi capelli,
accarezzandolo teneramente e la sua voce sussurrare come un eco "Ti
amo, Andrè...quando siamo insieme, sento di vivere, sento di vivere" (1)
(1) Direi che è superfluo indicare la fonte di questa citazione...
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Capitolo 14 *** Capitolo 14 ***
Capitolo 14
Capitolo
di transizione, dove si spiega l'identità di quello che
alcune di voi hanno definito il cavaliere misterioso..
e dove inizia un nuovo giorno per oscar e andrè.
Capitolo 14
Era l'alba del 30 giugno 1789 .
L'enorme palazzo giaceva ancora nel silenzio. Augustin de Jarjayes
aveva trascorso quella notte insonne, come la precedente.
All'ira che lo aveva accecato qualche giorno prima, si era aggiunta la
necessità di ricevere spiegazioni, e l'ansia di non sapere a chi
rivolgersi per averle.
Non poteva credere al resoconto del colonnello Le Baume e nemmeno
alla parola del suo amico, il generale Bouille: quella che avevano
descritto non poteva essere sua figlia Oscar.
Dopo l'incontro coi massimi vertici militari, al cospetto di sua
maestà Luigi XVI, durante il quale i suoi nemici storici
avevano chiesto addirittura l'abrogazione del suo titolo
nobiliare e gli amici di una vita avevano taciuto, imbarazzati,
era rientrato a palazzo, preparandosi ad affrontare la figlia ribelle e
a punirla personalmente.
Ma Oscar non era rientrata a casa, nè in caserma, dove l'aveva
fatta cercare. Sembrava svanita nel nulla, e così il suo ex
attendente, che aveva lasciato l'esercito da tempo.
Si era persino rivolto a Nanny, la vecchia governante, intimandole di
parlare, ma questa gli aveva giurato, in lacrime, di non sapere nulla,
che Andrè le faceva recapitare brevi messaggi in cui la
rassicurava sulle sue condizioni, senza mai indicare dove si fosse
trasferito.
Imprecò a voce alta. Ancora una volta maledisse la decisione di
fare di sua figlia un soldato, e la sua debolezza per averle permesso
di mandare in fumo il matrimonio col conte Girodel.
"Se adesso fosse sua moglie, tutto questo non sarebbe successo!"
In lontananza udì i primi rumori della servitù muoversi per la casa.
Si accasciò su una poltrona e, tenendosi la testa tra le mani, crollò in un sonno profondo ma agitato.
Si svegliò di soprassalto, poche ore dopo. Qualcuno bussava
delicatamente ma con insistenza alla porta.
Possibile che i domestici
non comprendessero un ordine tanto semplice quanto quello di non
disturbarlo MAI, per nessun motivo?
"Avanti!" gridò, già in preda all'ira.
Nanny fece timidamente capolino.
"Generale, vi chiedo umilmente scusa! Sono mortificata per avervi
svegliato, ma...è arrivato per voi questo..." e
allungò verso l'uomo un sacco di iuta, chiuso da uno spago. Il
generale la fissava, senza modificare la sua espressione di
totale disappunto.
"...da parte di madamigella Oscar"
All'udire quel nome, si gettò sull'involucro e poi immediatamente alle finestre, allontanando le tende con violenza.
"Dov'è? Chi l'ha portato?"
"Un ragazzino, padrone, mai visto prima. Ha detto solo 'Da parte di Oscar per il Generale' ed è sparito"
"Sparito?"
"Si, generale, era a cavallo..."
"A cavallo? Cos'altro mi nascondi?" l'aggredì con furia, notando il suo tono esitante.
"Era Cesar. Se n'è andato col cavallo di Oscar, ne sono certa"
L'uomo era ancora più confuso. Le fece un gesto sbrigativo, per
dirle di allontanarsi, e non appena sentì la porta chiudersi
dietro di lei, strappo con foga lo spago e aprì il sacco.
Si ritrovò tra le mani l'uniforme della figlia, perfettamente
lavata e ripiegata. Sentì il rumore della sua spada cadere per
terra.
"Ma che diavolo...."
Dal sacco scivolò fuori un foglio ripiegato, senza sigilli.
Riconobbe subito la calligrafia di Oscar. Lesse velocemente, mentre
sentiva il cuore pulsare impazzito nel petto. Quando ebbe finito
alzò gli occhi, sbarrati e stringendo la lettera nel pugno della
mano, uscì gridando a gran voce "Sellate il mio cavallo!"
Quando raggiunse Versailles, trovò sua moglie ad attenderlo vicino al Bacino di Latona, nei giardini della reggia.
Marguerite sapeva che doveva aver ricevuto notizie di Oscar
per precipitarsi a corte senza preavviso, e gli spazi aperti
erano anche i più discreti per parlare.
Il generale rimase in piedi davanti a lei, mentre le allungava un
foglio stropicciato. Poi le voltò le spalle, lasciandola leggere
a bassa voce, fissando l'orizzonte.
Caro padre,
da quando sono nata, ad oggi,
ho cercato di condurre la mia vita seguendo i vostri ideali, pensando
sempre di scegliere ed agire in modo da rendervi orgoglioso di me. Non
so se ci sono riuscita, ma vi posso giurare che ogni volta è
stato nelle mie intenzioni.
Non l'ho fatto per dovere, o per paura.
L'ho fatto per amore, per dimostrarvi tutto l'affetto che nutro per voi.
Allo stesso modo, oggi, devo fare una scelta diversa e separarmi dalla strada che ho percorso finora, accanto a voi, per voi.
Non lo faccio perchè sono una figlia ribelle o ingrata. A
condurre le mie decisioni è il motivo di sempre: l'amore.
L'amore per un uomo, che non siete voi.
L'amore più forte che abbia mai provato nella mia vita,
più di quello che mi legherà a mio padre, finchè
vivrò.
Non so se avete mai sperimentato qualcosa di così intenso,
e bello, che ti fa piegare, senza soggiogarti, che diventa il tuo
padrone, senza farti sentire schiavo.
Se avete mai provato un sentimento così, capirete, senza che
aggiunga altro. Se ignorate cosa sia, non potrò trovare parole
per spiegarvelo, non lo capirete mai.
E in entrambi i casi, vi chiedo solo il perdono per la delusione che vi arreco, rinnovandovi il mio più sincero affetto.
Oscar
La madre di Oscar alzò gli occhi sul marito, sospirando.
"Sapete di chi parla?"
L'uomo annuì.
"Cosa intendete fare?"
"C'è solo una cosa che possa fare, come padre e come fedele servitore dei miei sovrani..."
Furono interrotti da un messo reale.
"Sua maestà l'attende, Conte de Jarjayes"
Si allontanò senza guardarla, lasciandole la lettera tra le mani.
Luigi XVI teneva sospeso il sigillo reale, mentre fissava lo sguardo negli occhi imperturbabili del generale.
"Siete certo, generale, della vostra richiesta? Non conosco molti padri che vorrebbero questo per la propria figlia..."
Il conte si inchinò leggermente.
"Sarò sempre grato a sua maestà per avermi esaudito"
Alle spalle del sovrano, Maria Antonietta lo scrutava severamente.
Il re appose il sigillo e consegnò la pergamena al padre di Oscar.
Furono interrotti da grida concitate provenienti dai corridoi. I tre si guardarono confusi.
Sembrava fosse scoppiato un tumulto all'esterno della prigione di
Abbaye: il popolo chiedeva la grazia per i soldati di Oscar Francois de
Jarjayes.
Mimetizzato tra la folla all'esterno del carcere, ma a debita distanza,
cercava con gli occhi una giovane donna dai capelli biondi, sua figlia.
Era certo che avesse architettato la sommossa per ottenere la grazia
dei suoi uomini, e che avrebbe voluto assistere di persona all'evento.
E sapeva che non avrebbe indossato la divisa da ufficiale.
Solo al termine di quella assurda giornata, quando i soldati sfilarono
tra le vie di Parigi, riuscì finalmente a vederla. Stringeva la
mano di un uomo che gli era altrettanto familiare, Andrè.
Senza farsi notare li seguì fino ai cancelli di una tenuta
alla periferia della città, a lui sconosciuta. Li
osservò dirigersi di corsa alle scuderie, mentre iniziava a
piovere con insistenza.
Rimase a fissarli finchè non uscirono dalla sua vista.
Poi girò il cavallo e si diresse al galoppo verso palazzo Jarjayes.
Forse, finalmente, quella notte sarebbe riuscito a dormire.
Era l'alba del 1 luglio 1789.
Oscar si svegliò felice, ma assolutamente affamata.
Uscì dal letto per cercare qualcosa nella piccola dispensa della
stanza, infilandosi in fretta la camicia di Andrè.
L'odore del suo uomo sulla pelle le inebriò i sensi.
Si voltò a guardarlo. Dormiva con un'aria beata e
soddisfatta, un braccio piegato dietro la testa e l'altro mollemente
appoggiato sul ventre. Quante volte lo aveva visto riposare
così, gettato sull'erba, quando, poco più che bambini,
uscivano a cavalcare nelle ore di svago! Obbligato ad alzarsi all'alba
per assolvere a numerose mansioni prima di occuparsi di lei, era sempre
pronto a recuperare un po' di sonno nei momenti di pausa.
Se non fosse stato per il suo stomaco, che reclamava di essere
ascoltato, sarebe tornata subito nel letto per fare ancora l'amore con
lui. Non credeva potesse essere così appagante. Non
credeva avrebbe più potuto vivere senza.
Si stava perdendo in queste fantasie quando avvertì una sorta di
bruciore dal petto risalire fino alla bocca. Cominciò ad
essere scossa da violenti colpi di tosse, che la costrinsero a
piegarsi, colta da un'improvvisa fame d'aria.
Fissò il palmo della sua mano: piccole gocce di sangue scuro si stagliavano sul pallore della sua pelle.
Chiuse la mano a pugno, e si lasciò lentamente scivolare lungo
il muro. Appoggiò la testa alle ginocchia, in preda ad un
dolore lacerante misto a rabbia.
Perchè proprio adesso? E alzò il pugno pronta a sferrare un colpo a terra per la frustrazione.
Una presa ferma e gentile blocco il suo braccio. Alzò la testa e
ritrovò lo sguardo limpido e sereno di Andrè. Non era
più il ragazzino addormentato, era l'uomo che l'aveva soccorsa
sempre, senza che lei dovesse chiedere, o spiegare. L'uomo che
sapeva consolarla con piccoli gesti discreti ma importanti. Era il suo
Andrè. Aprì delicatamente la sua mano e con un fazzoletto
la pulì delle tracce lasciate dalla sua malattia. Sfiorò
con le labbra il palmo della sua mano poi la prese in braccio e la
adagiò sul letto. Lei lo trattenne in una stretta con le braccia.
"Sono qui Oscar, sono con te. Adesso niente può più dividerci *."
La donna sentì per la prima volta nella sua vita la paura della morte.
"Andrè, vorrei...vorrei che mi dicessi che un giorno diventerò tua moglie*"
La strinse ancora di più e le rispose sorridendo, parlandole piano vicino all'orecchio.
"Certo Oscar, lo diventerai! E' la cosa che più desidero al mondo*!"
Si allontanò per prendere una cesta lasciata fuori dall'uscio.
"Gustave ci ha portato la colazione, ti preparo qualcosa"
* varie frasi tratte dall'anime
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Capitolo 15 *** Capitolo 15 ***
Capitolo 15
Capitolo breve, che
definirei di transizione, centrato ancora su un confronto tra Oscar e
Therese. Necessario per legare due fasi diverse della fic (diciamo che
da qui in avanti si discosta dalla trama dell'anime, per ovvii motivi),
ma in cui fondamentalmente non succede niente.
Leggetelo di giorno, potreste addormentarvi...
A breve aggiungerò quindi il capitolo 16.
Capitolo 15
Oscar visse quei primi giorni a casa Dressie come sospesa in un
limbo, tra un mondo esterno che si sgretolava inesorabilmente e
l'oasi felice racchisa tra quelle mura, insieme ad Andrè.
Nessuno degli altri ospiti le permetteva di fare alcuno sforzo.
Trascorreva le sue giornate passeggiando per la tenuta, leggendo e
suonando il pianoforte, spesso intrattenendo in questo modo Gustave e
le altre due donne o aiutandole nelle incombenze meno gravose.
A causa della spirale di violenza che si era abbattuta su Parigi,
teatro quotidiano di saccheggi e aggressioni, sempre più di
rado si aggiravano all'esterno della tenuta, e per qualsiasi
commissione si prestava Andrè, a volte insieme al suo giovane
protetto.
Per questo Oscar durante il
giorno non lo vedeva per ore. La sera,
però, era per loro due: la trascorrevano inizialmente
insieme a Therese, ma la donna era sempre più spesso stanca e
andava a coricarsi presto. Allora era Oscar che leggeva ad
Andrè, che suonava per lui, oppure lo ascoltava raccontare gli
avvenimenti
della giornata, abbracciandolo. Spesso questi momenti erano il preludio a notti infuocate dalla passione, consumata nella piccola depandance.
Nonostante l'uomo la avesse rassicurata sul fatto che potesse
continuare ad usare un abbigliamento maschile, Oscar aveva
immediatamente apprezzato gli indubbi vantaggi delle vesti
feminili, che le consentivano di esporsi alle sue carezze leggere; ai suoi baci rubati, sul collo e sul seno; alle sue
sortite sotto le gonne, quando si amavano furtivamente negli angoli
più disparati, travolti da un desiderio che non poteva aspettare.
Andrè si stava adoperando nell' organizzare il loro matrimonio,
atto necessario prima di partire per raggiungere una località
più consona alla salute di Oscar. Purtroppo non era
semplice, considerando che si trattava di un'unione illecita, che
comportava il ripudio obbligato da parte della famiglia della sposa.
Vivevano quindi in una situazione di peccaminoso concubinato (1), e
proprio per non offendere la sensibilità della loro generosa
ospite, Oscar aveva delicatamente affrontato la questione con lei, dopo
la sua prima notte con Andrè.
Madame Dressie stava raccogliendo alcune verdure nel piccolo orto della
tenuta, mentre Oscar le faceva compagnia, seduta all'ombra di una
pianta di fichi. Le aveva chiesto, tenendo gli occhi fissi sulla
piccola cesta che aveva in grembo, se avesse qualcosa in
contrario al fatto che dividesse la depandance con Andrè.
La donna aveva interrotto il suo lavoro e l'aveva guardata negli occhi.
"Madamigella Oscar, se fossi assennata e piena di giudizio, vi direi
che non si conviene, finchè non sarete legalmente uniti in
matrimonio. Ma la verità è che... penso sia meglio
così, per tutti e due.
Da quando siete arrivata non ho più sentito Andrè
lamentarsi per la sua vista, mette gioia in tutto quello che fa
e...fischietta continuamente, non trovate?"
Oscar rise con lei.
"E anche voi, se mi permettete, avete una luce negli occhi che prima
non c'era. Ritengo - continuò con un finto accento di
serietà -che il caldo abbraccio in cui lui vi avvolge la notte
abbia dei benefici anche sulla vostra salute..."
Oscar la guardò di sottecchi. Era di certo cambiata, un tempo
non avrebbe permesso a nessuno di prenderla affettuosamente in
giro così, su un argomento tanto delicato...
Therese era davvero una
persona eccezionale, come non ne aveva mai
conosciute prima. E lo era tanto più perchè aveva
condotto un'esistenza pari a quella delle altre donne. Non era come
lei, che risultava straordinaria per l'educazione maschile
ricevuta e per la sucessiva carriera militare. No. La
caratteristica che rendeva Therese
diversa da tutte le dame che aveva conosciuto stava nella sua
mentalità, nel suo pensiero. Era lì che esprimeva tutto
il suo coraggio e la sua forza, non con la spada.
Aveva sfidato le leggi secolari della sua società, laddove lei si era limitata a duelli e a caccia al ladro.
E pur vivendo una fase della sua vita piena di felicità, quella
felicità completa che aveva sognato per tanto tempo, Oscar
sentiva una strisciante inquietudine, svincolata dalla sua
malattia.
Temeva che un amore come quello che la univa ad Andrè,
così disdicevole e contro le regole, potesse esistere
solo tra le mura di quella casa, protetto dalla forza d'animo
della sua proprietaria.
Come i fiori di lillà, rigogliosi nel suo giardino, calpestati altrove.
(1) giudizio ovviamente riferito alla mentalità dell'epoca, non fraintendetemi...
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Capitolo 16 *** Capitolo 16 ***
Capitolo 166
Capitolo 16
Quando Alain, Bernard e altri tre soldati della guardia varcarono i
cancelli di casa Dressie, il campanile di Montmartre batteva le tre
del pomeriggio.
Entrarono nel viale della tenuta, seguendo le note di un
pianoforte in lontananza.
Dapprima una breve melodia, fluida e
scorrevole, seguita a breve distanza da una sua ripetizione, con
qualche pausa e qualche steccata di troppo. Sembrava di sentire un
maestro col proprio allievo.
Mentre Bernard e gli altri si avviarono all'ingresso, Alain
seguì la musica dirigendosi nel giardino.
Da un'ampia vetrata,
aperta, si vedevano le spalle di un ragazzetto seduto al
pianoforte accanto ad una giovane donna, con i capelli biondi,
raccolti, ed un leggero abito rosa pastello. Alain si tolse il cappello
e fece scorrere gli occhi sull'esemplare di femmina che aveva
davanti, soffermandosi sul collo esile, sulla pelle chiarissima
lasciata scoperta dai capelli, sulla vita sottile e sulle dita che
faceva scorrere sui tasti con tanta maestria. Stava immaginando quelle
dita intente in qualcos'altro, quando la donna si voltò ed Alain
riconobbe nella fonte dei suoi turpi pensieri il suo comandante.
"Che mi venga un colpo..." esclamò l'uomo.
Oscar si alzò di scatto, ed altrettanto repentinamente il
soldato le fece il saluto militare. Poi abbassò la mano,
incerto, sentendosi un po' stupido. In quel momento furono
raggiunti da Andrè insieme a Bernard e agli altri uomini.
Si accomodarono nei due piccoli sofà vicino al pianoforte, mentre Andrè rimase leggermente in disparte.
Dopo i saluti e i ringraziamenti, fu Bernard a prendere la parola, rivolgendosi direttamente ad Oscar,
senza manifestare alcuna sorpresa nel trovarla vestita con abiti
femminili, insieme al suo ex attendente, o comunque senza darlo a vedere.
"Parigi è una capitale sotto assedio. Il re ha richiamato in
città tutti i corpi militari dell'esercito, che si stanno
insediando nai vari quartieri. Non solo i reggimenti dalle diverse
province, ma anche i contingenti stranieri, gli ussari e le guardie
svizzere (1). Probabilmente qualche battaglione si
accamperà anche qui, hanno bisogno di spazio e
approvvigionamenti, e di certo non andranno a disturbare nelle
lussuose ville dei nobili."
Oscar ascoltava in silenzio.
"Sta per scoppiare la Rivoluzione, - continuò Bernard- una
guerra tra il popolo francese e l'esercito al servizio dei nobili e
della famiglia reale. Noi siamo certamente più numerosi, ma
disarmati e senza alcuna preparazione militare"
"Comandante, - continuò Alain- abbiamo saputo dal colonnello D'Agoult che avete
lasciato l'esercito e rinunciato ai vostri titoli nobiliari. Avete
lottato con tutte le vostre forze per farci liberare dal carcere
militare. Noi siamo qui per invitarvi ad unirvi al popolo ed essere al
suo fianco.
Abbiamo bisogno di cervelli come il vostro se vogliamo avere almeno una speranza di contrastare l'esercito!"
"Io ho fatto la mia scelta" replicò Oscar, indicando con la mano il suo abito femminile.
"Nessuno vi chiede di indossare l'uniforme, o di rinunciare alla vostra
vita da donna! Vorremmo solo che voi foste la nostra guida e vi uniste
ai capi dei rivoluzionari. Voi siete addestrata per condurre un
attacco o organizzare una difesa, conoscete le caserme militari, i magazzini in cui sono custodite le armi..."
La giovane si voltò istintivamente verso Andrè, che finora era stato in silenzio, appoggiato al muro.
Bernard lo invitò a sbilanciarsi
"Andrè è dalla nostra parte, vero? Lo è sempre stato, dai tempi del Cavaliere Nero"
L'uomo alzò lentamente lo sguardo e lo puntò negli occhi di Bernard.
"Sono dalla parte dei miserabili, degli affamati, dei disperati che non
sanno nemmeno se arriveranno a domani. Come voi. Ma tu chiederesti una
cosa del genere a Rosalie? E tu, Alain, manderesti davanti ai cannoni
tua sorella Diane?"
"Avanti Andrè, non puoi paragonare le doti e le capacità di Oscar a quella di una donna comune!"
"Non stavo facendo un paragone di meriti, Bernard, ma di
sentimenti. Perchè qualsiasi cosa sia in grado di fare Oscar,
nel mio cuore lei vale quanto Rosalie nel tuo! "
"Lo so che non vorresti mai esporre la donna che ami al pericolo di una
battaglia, ma credimi, Andrè, non potrete rimanere immuni dai
disordini e dalle sommosse che si scateneranno a Parigi nei prossimi
giorni. E' imminente l'allontanamento da parte del Re del
ministro Necker e tu sai cosa significa. Finora l'esercito ha
controllato la situazione perchè
siamo praticamente disarmati, ma ci stiamo organizzando per
impossessarci delle armi e delle munizioni e a quel punto la guerriglia
sarà inevitabile, e sarete costretti a schierarvi! La
lotta armata non risparmierà nessuno, nè donne nè
bambini. E se vuoi saperlo, Rosalie sarà al mio fianco, insieme a
mio figlio, che porta in grembo!"
Oscar si portò le mani alla bocca, pensando alla sua piccola
Rosalie in procinto di diventare madre, mentre Andrè rimase
impassibile.
"Bernard, ho seguito tante riunioni e assemblee sulla tragica
situazione del nostro paese. Trovo intollerabili le condizioni di vita
a cui è costretta la maggior parte dei francesi, per consentire un lusso sfrenato
a pochi eletti. Ma questa rivoluzione, come la chiami tu, ha
mille anime e troppi capi. Tra di voi ci sono persone come Saint Just,
che uccide indiscriminatamente i nobili solo in quanto tali. Senza
neanche immaginare le conseguenze. Vi siete mai domandati che ne è
stato dei contadini che lavoravano le loro terre? Credete davvero che averli lasciati a se stessi senza
nessuno che li amministrasse sia stato un bene? Qualcuno di voi
è in grado di produrre ricchezza? Siete solo capaci di
strapparla ai nobili, ma quando sarà finita, quando sara stato
tutto saccheggiato, cosa darete da mangiare al popolo? Lo aizzate come
una bestia feroce ed affamata, ma non lo controllate e ...vi
sfuggirà di mano, forse addirittura vi si ritorcerà
contro! Perchè l'altro giorno hai detto ad Oscar di lasciare il paese?"
Bernard non rispose, preso in contropiede dal veemente discorso di
Andrè.
"Perchè sai benissimo che si scatenerà una guerra contro
i nobili che non risparmierà nessuno, che non terrà conto
delle persone, di come sono, di quello che hanno fatto, ma solo del titolo che portano! Oscar
è stata ostacolata al suo arrivo alla Guardia Nazionale solo
perchè aristocratica e donna, senza che nessuno considerasse le sue
capacità e il suo grande cuore, mentre io sono stato
pestato a sangue dai miei commilitoni e chiamato cane dei nobili (2) solo
per aver servito presso la famiglia Jarjayes, che mi ha sempre
trattato come un figlio! Gustave, invece, è stato
comprato, come un animale, da un popolano che lo usava come schiavo!
Davvero pensi che lo sfruttamento stia solo dalla parte dei ricchi?
Davvero ritieni che gli aristocratici siano tutte persone senza meriti?"
"Se Oscar fosse una rivoluzionaria a tutti gli effetti, diventerebbe
un'eroina del popolo francese, nessuno le torcerebbe un capello!"
replicò Bernard.
"E a suo padre? A sua madre, da anni dama di compagnia della tanto
odiata regina austriaca? Alle sue sorelle?
Una volta armati vi
scaglierete contro tutto il suo mondo, i suoi affetti. Oscar
avrà anche rinunciato al suo titolo, ma non può
cancellare i sentimenti dal suo cuore.
Se proprio vuoi saperlo,
Bernard, io per primo devo la vita alla regina, quanto tu la devi a me. Se
non si fosse inginocchiata davanti a Luigi XV e non avesse supplicato
per risparmiarmi dalla pena di morte, forse non sarei qui. E anche tu
Alain,- continuò volgendosi all'amico- credi che saresti stato
graziato se non fosse per l'antica amicizia tra Oscar e Maria
Antonietta? Certo, la sommossa scatenata davanti alle carceri ha messo
a conoscenza i sovrani della situazione, ma sono sicuro che nella loro
decisione ha avuto peso la riconoscenza che nutrono per Oscar e la sua
famiglia."
Nessuno osò replicare.
"Comunque Oscar non è solo un abile soldato ed un comandante con
esperienza: è una donna in grado di pensare con la sua testa e
di prendere le sue decisioni...ed io non sarò certo di intralcio
alle sue volontà!"
E terminata la frase si voltò come per andarsene.
In quel momento entrò Gustave gridando verso di lui.
"Andrè, i soldati, stanno arrivando i soldati!"
Bernard, Alain e gli altri si alzarono immediatamente.
"Meglio non farci trovare qui!" esclamò Bernard.
Andrè indicò loro rapidamente l'uscita dalle cucine, che portava al retro
della tenuta.
"Sarò sempre tuo amico, Bernard, ma rifletti su ciò che ti ho detto e ....abbraccia per me Rosalie!"
Si scambiarono una stretta di mano.
Prima di allontanarsi, Alain si avvicinò ad Oscar ed accennò un baciamano.
"Spero di rivedervi presto, mio comandante!"
Oscar gli sorrise imbarazzata.
"Dì a Bernard che gli farò avere una risposta e portate i miei saluti a Rosalie!"
Quando i loro amici furono in salvo e si avvicinarono i nuovi
arrivati, si accorsero che si trattava di un piccolo drappello di sei
uomini guidati da un alto ufficiale.
Gustave guardava ammirato le loro scintillanti divise, simili a quelle
create dalla sua fantasia, quando Andrè raccontava storie di
avventure
cavalleresche, lette da bambino.
Lo colpirono soprattutto gli occhi azzurri e
severi del generale al comando, che , nonstante incutessero soggezione, gli sembravano tanto familiari.
(1) In effetti esistevano
già dai tempi del Re Sole piccoli reggimenti di milizie
straniere "a pagamento" che comprendevano, oltre ai dragoni
svedesi del nostro caro Fersen, mercenari prussiani (noti come
ussari) e svizzeri
(2) frase dell'anime in lingua giapponese del noto episodio di pestaggio
in caserma, ovviamente modificata dalla traduzione italiana
perchè troppo "violenta"
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Capitolo 17 *** Capitolo 17 ***
Capitolo 16
Capitolo 17
Oscar si avvicinò al drappello di soldati, chiedendo ad Andrè e Gustave di allontanarsi.
Il padre non potè ignorare quanto la figlia avesse mantenuto uno
sguardo fiero e coraggioso, nonostante l'abbigliamento le conferisse
grazia e delicatezza. Non erano certo la divisa e la spada l'origine
della sua forza d'animo. Provò una punta di orgoglio
nell'ammirare la giovane donna che gli si parava innanzi e notò
qualcosa di inedito nei suoi occhi e nell'espressione del suo viso,
quella particolare bellezza che solo l'amore può
portare.
"Siete venuto per arrestarmi?" chiese Oscar, spostando lo sguardo
dai soldati dietro al generale alla pergamena che il padre
stringeva in una mano.
"No, Oscar" le rispose con voce rassegnata, mentre smontava da cavallo.
"Voglio solo parlare con te"
C'era un tono di tristezza e rimpianto nella sua voce.
Seguì la figlia verso una piccola panca di marmo bianco in mezzo al giardino di Therese Dressie.
Il generale si sedette e cominciò a guardarsi attorno. Sembrava
prendere tempo.
Oscar pensò che non lo aveva mai visto
così, le parve persino invecchiato.
"Quanti fiori, qui attorno. E' certamente un luogo un po'...selvatico" commentò.
"Madame Dressie adora la natura..."
"Già, Madame Dressie- ripetè il generale in tono
sarcastico- la notorietà dello scandalo di cui fu protagonista
trentanni fa è seconda solo alla fama di suo marito come
farmacista..."
La figlia non rispose, infastidita da quel commento.
"Ti ha già sposato?" Chiese bruscamente voltandosi verso Andrè, che li osservava in lontananza.
La donna scosse la testa.
Seguì un momento di silenzio.
"Ascolta,
Oscar. Come ti ho già detto quando ricevesti l'offerta di
matrimonio del conte de Girodel, sono sinceramente pentito di averti cresciuto come
un uomo. Lo sono ancor di più adesso che il nostro paese versa
in una situazione così critica. Quanto mi sarebbe stato di
conforto saperti lontano dagli scontri, protetta nella casa di uomo che
si prendesse cura di te!"
"Purchè quell'uomo fosse nobile..." aggiunse Oscar.
"Io ti ho messo accanto Andrè, ed è l'unica scelta di cui
non mi sono mai pentito. Non credo esista al mondo qualcuno che possa
amarti quanto lui, e se fosse stato un aristocratico avrei caldeggiato
la vostra unione da sempre. Ho saputo che ti avrebbe reso felice prima
che lo capissi tu..." concluse con amarezza.
"Un tempo mi sarei scagliato con violenza contro una vostra relazione,
ma oggi, coi cambiamenti che incalzano, mi rendo conto che una differenza di
rango che mi appare incolmabile può davvero non significare
nulla. Il mondo in cui sono cresciuto e in cui ho vissuto sta crollando
e forse, nella nuova era che lo seguirà, un rapporto come il
vostro sarà considerato accettabile.
Ma il tuo titolo nobiliare, Oscar, non è come un' uniforme, che
ti puoi togliere e gettare via. Fa parte di te, parla delle tue
origini, racchiude quello che sei. Non voglio che ci rinunci! Non devi
farlo per Andrè!"
"Padre, io ho deciso..."
La interruppe, alzandosi e dirigendosi verso il giovane.
"Lo sai che se un popolano vuole sposare un nobile deve chiedere il permesso del Re?"
Gli chiese bruscamente.
Senza aspettare la sua risposta, gli allungò la pergamena col sigillo dei Borboni.
"Questo è il permesso per l'unione tra la contessa Oscar
Francois de Jarjayes ed Andrè Grandier, uomo privo di titolo
nobiliare"
Andrè era sinceramente senza parole.
"Ricordati che grazie a questo documento lei rimarrà sempre mia figlia, anche quando sarà tua moglie!"
Poi si sfilò dalla sella un cofanetto di legno e glielo consegnò.
"Questo ve lo regala mia moglie e so che tua nonna ha voluto aggiungere qualcosa"
Andrè aprì la piccola scatola di legno. Era un carillon
che aveva sempre amato da bambino, a cui non osava nemmeno avvicinarsi,
perchè di proprietà della contessa... Conteneva la
statuetta di una creatura mitologica, una piccola sirena dai lunghi
capelli biondi, come Oscar. Nel piccolo vano al di sotto di
questa, la madre di Oscar aveva messo diverse banconote.
Ma Andrè fu colpito da un piccolo sacchetto di velluto
consunto, che rammentava gelosamente custodito da Nanny nel suo
portagioie. Sentì sotto le dita la forma di un piccolo anello.
"Credo fosse di tua madre" spiegò il generale, distogliendo lo sguardo.
Andrè lo sfilò dall'involucro e si trovò tra le
mani un anello d' argento, annerito, con un cameo di corniola.
Si sedette ammutolito, mentre una lacrima sfuggiva al suo occhio e solcava silenziosa il suo volto.
Il generale si avvicinò al suo cavallo, pronto ad andarsene.
"So che le darai tutte le gioie che una giovane donna merita. Ti chiedo solo una cosa"
Il giovane tornò a fissarlo con la vista appannata dalle lacrime.
"Lasciate Parigi! E prenditi cura di lei come del più prezioso dei fiori!"
Poi rivolse un ultimo sguardo alla figlia.
"Addio, Oscar"
La giovane gli prese la mano, prima che spronasse il cavallo.
"Non ditemi addio, padre. Sono certa che ci rivedremo"
Ma l'uomo non riuscì a risponderle, tormentato, suo malgrado, da un triste presentimento.
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Capitolo 18 *** Capitolo 18 ***
Capitolo 18
Capitolo 18
Le note di una musica veloce e potente, suonata con vigore e maestria, arrivavano quasi con prepotenza fino alle cucine.
Madame Dressie puntò gli occhi su Andrè, con fare
interrogativo, mentre tra le sue mani si formava
velocemente un gomitolo di lana. Gustave l'aiutava, seduto davanti a
lei, con la matassa di filato trattenuta dalle sue braccia alzate.
"Fa così quando è nervosa..." spiegò l'uomo.
"Pensavo si fosse rasserenata dopo l'incontro col padre"
"Oscar è combattuta tra la richiesta di unirsi ai rivoltosi e la
necessità di condurre una vita diversa per la sua malattia"
"Ma Andrè, le sue condizioni sono molto serie, non c'è neanche da avere il minimo dubbio su cosa..."
"Madame- la interruppe Andrè- da quando la conosco, Oscar non ha
mai seguito le indicazioni di un medico: di fronte ad una ferita che
richiedeva un mese di riposo, lei si alzava dopo quindici giorni. E a
essere sincero, nemmeno io...benchè sapessi a quali conseguenze
sarei andato incontro" Therese capì che si riferiva alla perdita
del suo occhio sinistro.
Gustave ascoltava in silenzio, e non appena terminò la sua
incombenza con la padrona di casa, si alzò e lasciò la stanza.
Quando Oscar terminò il brano, era quasi sfinita. Sentiva la pelle del
collo madida di sudore e leggeri formicolii lungo tutte le dita.
Ebbe quasi un sobbalzo quando vide Gustave seduto sul pavimento
davanti a lei, con le ginocchia raccolte e la schiena
appoggiata al muro.
"Bella...un po' forte" fu il suo semplice commento.
"Non vai ancora a letto?"
Scosse piano la testa, senza distogliere gli occhi dai suoi.
"Allora andrete con gli uomini che ho visto oggi? Tornate a fare il soldato?"
Oscar sorrise, intenerita dall'evidente preoccupazione del suo giovane amico.
"Vieni qui, Gustave" e lo invitò a sedersi accanto a lei.
"Ti ricordi come stavi prima di incontrare Andrè?"
"Io...ricordo solo tanta fame, tanto freddo in inverno e -quasi si vergognò ad ammetterlo- tante bastonate"
"Io non voglio che altri bambini patiscano quello che hai passato tu, per questo vorrei fare la rivoluzione"
Cercava di esprimersi nel modo più semplice possibile, pensando ai limiti del ragazzino.
"Io...non capisco cos'è questa rivoluzione" replicò scandendo l'ultima parola.
"La rivoluzione è una cosa che va fatta per cambiare completamente la vita di tutti "
Vide che aveva l'aria ancora più confusa.
"E' qualcosa che quando arriva fa stare meglio chi soffriva, come te"
"Andrè!" esclamò, come colto da un'illuminazione.
"Andrè è stato la mia rivoluzione! Prima di lui stavo
male, poi è arrivato e la mia vita è- si fermò
cercando il vocabolo- felice..."
"Ecco, qualcosa del genere"
"E dopo la rivoluzione staranno tutti meglio, nessuno soffrira più?"
"Io spero di si" gli rispose
Lo vide perplesso.
"Io ho conosciuto tanta gente cattiva..staranno meglio anche loro?"
Oscar rimase un attimo spiazzata da quella osservazione.
"Sai, Gustave, è facile diventare cattivi, quando si ha fame..."
"Voi lo diventereste? O Andrè ? Madame Dressie? "
Oscar sorrise.
"No, credo di no...ma sai, devi avere qualcuno che nella vita ti insegni a non diventarlo, capisci cosa intendo?"
"Non so... io sono piccolo, ma non ho mai visto qualcuno cattivo diventare buono, con la fame o senza..."
E mestamente si alzò e si diresse alla porta.
"E Andrè verrà con voi?"
Oscar lesse la paura nel tono della sua voce, l'antico, infantile timore dell'abbandono.
"Non ti lascerà mai, Gustave. Stanne certo"
Si
separò dalla sua bocca a malincuore, col fiato corto, mentre
l'intensità del piacere appena provato si spegneva lentamente,
come un'onda del mare che piano scivola via. Restò ancora sopra
di lui ed aprì gli occhi.
Lo guardò, i capelli scuri sparsi sul cuscino e la pelle di un
irreale colore verde azzurro, illuminata dalla fredda luce lunare. Le
ricordò per un momento le statue di bronzo dei personaggi
mitologici, che emergevano dalle acque dei bacini nei giardini di
Versailles. In lontananza si udiva il verso di una civetta solitaria.
Era ancora dentro di lei. Sembrava che quella notte non volesse
separarsi dalla profondità del suo corpo. Oscar si fece
scivolare piano sopra di lui, cercando il conforto delle sue braccia
strette attorno alla sua schiena. Non osava parlare. Tanto Andrè
leggeva nel suo animo, come sempre.
Le accarezzo dolcemente i capelli.
"Hai pensato alla proposta di Bernard?" le chiese, riportandola inevitabilmente alla realtà.
"Ho pensato soprattutto alle tue parole, Andrè. Perchè
non hai spiegato della mia malattia? Questo avrebbe indotto certamente
Bernard a desistere..."
"Non credo che la malattia lo avrebbe fermato, come non credo che fermerebbe te..."
"Cosa intendi dire?"
"Sappiamo entrambi che avresti bisogno di riposo assoluto per guarire,
e altrettanto bene sappiamo che non sei in grado di stare
senza far niente, come in questi ultimi giorni, se non per breve tempo."
Sospirò."Non ho mai pensato fosse facile amarti, Oscar. Non ho mai creduto ti sarebbe bastato
essere semplicemente madame Grandier"
"Meritavi una donna diversa, una che ti seguisse nei tuoi sogni, un angelo del focolare..."
" Sei tu i miei sogni, Oscar. Sei tu il mio focolare. Ti ho sempre
amata e ti amo per quella che sei. Non è l'uniforme a renderti
impavida e generosa, non è una veste femminile a fare di
te una donna. Una donna unica e meravigliosa. Ai miei occhi lo
sei
sempre stata, fin da quando ti ho conosciuto la prima volta, sulle
scale del grande salone del palazzo, con la tua piccola spada legata
alla cintola e i capelli corti"
Oscar sorrise ripensando quel momento della loro infanzia.
"Spero di sbagliarmi riguardo all'esito della rivoluzione, ma le
avvisaglie non sono incoraggianti. So che rappresenta la sfida
più importante per la tua vita, so che credi negli ideali che difende, e che non vuoi rinunciarci,
costi quel che costi. Vorrei solamente che non ci dovessimo separare
per questo. Vorrei venire con te, come sempre. So che la mia vista
è un ostacolo, ma troverò il modo..."
Sentì le braccia di Oscar avvolgerlo in un abbraccio improvviso.
"Io voglio diventare tua moglie, Andrè, lo voglio sopra ogni cosa!"
"Ascolta Oscar. Con il permesso del re, dovrebbe essere
più semplice trovare un prete disposto a sposarci. Madame
Dressie mi ha suggerito di rivolgermi a qualcuno nei dintorni di Parigi, visto che qui in città i prelati
sono tutti nascosti nelle loro canoniche, spaventati dall'odio del
popolo per i loro secolari privilegi. Andrò con Gustave e poi lo
farò tornare da te per dirti quando raggiungermi e per
accompagnarti. E' meglio che io non torni. In città si
stanno riversando reggimenti da tutte le province, con posti di blocco
e frequenti scontri coi soldati. Quando saremo sposati potremo tornare e
unirci a Bernard, Alain e gli altri.
Se invece vorrai partire, credo che ormai la figlia di Madame Dressie
abbia ricevuto la lettera di sua madre, e abbia preparato tutto
per il nostro arrivo a Montreaux, come avevamo pattuito. "
Interpretò il silenzio della donna come un assenso.
La sentì sdraiarsi al suo fianco e appoggiare come sempre il capo sul suo petto, all'altezza del cuore.
Il suo sogno fu interrotto da un bacio delicato sulla guancia. La
debole luce dell'alba entrava dalla finestra illuminando il letto
disfatto.
"Io e Gustave siamo pronti, Oscar"
Gli sfiorò il viso con una mano.
"Ci vediamo presto, amore mio" gli sussurrò con la voce ancora
impastata dal sonno, e sentì la porta richiudersi dietro di lui.
Altre voci la risvegliarono, più tardi. Alzò la testa dal
cuscino, cercando di decifrare i suoni che provenivano dal giardino.
Rumore di zoccoli e nitriti di cavalli. Molti cavalli.
Scese dal letto, indossò una vestaglia e si avvicinò alla finestra, scostando leggermente le tende.
Da quel punto della depandance non poteva avere un'ampia visuale del giardino.
Stava per uscire quando si bloccò. Riconobbe la voce di
Madame Dressie rispondere alle richieste di un uomo, dal tono
energico e vibrante, come quello di un militare.
E dall'accento inconfondibile.
Quello degli ussari.
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Capitolo 19 *** Capitolo 19 ***
Capitolo 19
Capitolo 19
Con le braccia conserte, appoggiata al muro dele cucine, Oscar
osservava Madame Dressie e Marie lavorare alacremente attorno ad
un enorme pentolone, già sul fuoco a quell'ora della
mattina.
"Adesso ci toccherà cucinare per venti persone!" si lamentò la cameriera.
"Purtroppo, staranno qui finchè non avranno consumato
tutte le scorte di cibo e i prodotti dell'orto, poi se ne andranno-
disse Therese rivolta ad Oscar- Come le cavallette! Siamo davvero
piombati in uno stato di guerra!"
Oscar fremeva. Non sopportava di trovarsi in quella situazione e di
non poter fare nulla per aiutare le due donne, che con
tanta generosità si erano prodigate per lei. Therese notò
la sua insofferenza.
"Vado a vedere cosa combinano" concluse la giovane, nel tentativo di distrarsi.
"State attenta, madamigella" la ammonì Therese. Oscar si
voltò con sguardo interrogativo. La donna la guardava
carica di materna apprensione.
"Non siete avvezza a valutare i pericoli che correte, in quanto donna in mezzo a tanti uomini, soldati mercenari oltretutto..."
"State tranquilla, sono meno sprovveduta di quanto crediate!"
Si diresse nei giardini dietro la villa e li trovò tutti a
bivaccare. Qualcuno sonnecchiava all'ombra di un albero, un gruppetto
giocava ai dadi accucciato per terra, altri disfavano i pochi bagagli.
L'attenzione di Oscar fu attirata da una coppia che si trovava in
disparte:parlavano a voce bassa , mentre si guardavano
attorno, indicando ogni tanto col dito un punto imprecisato verso
la città.
Uno era alto e slanciato, coi capelli brizzolati: dai gradi e dalle
medaglie appuntate sulla divisa, doveva essere il loro ufficiale.
L'altro, che suppose fosse il suo vice, era più basso,
corpulento, con i capelli rossicci e gli occhi di un colore
indefinibile, feroci. Non era un ragazzo, come gli altri, doveva avere
supergiù l'età di Oscar. La donna passò loro
davanti con aria distratta e avvertì immediatamente lo sguardo
dell'uomo puntare su di lei e seguirne il percorso.
Si avviò verso le scuderie, da cui provenivano i nitriti
nervosi di Cesar. La vicinanza di tutti gli altri cavalli lo
rendenvano irritabile. Strappò ciuffi di erba fresca ed
entrò nella stalla, con l'intento di consolarlo, lasciando la
porta aperta per permettere alla luce di entrare.
"Stai tranquillo, Cesar- gli disse accarezzandogli il muso- appena Gustave farà ritorno ce ne andremo".
Sentì il cigolio della porta alle sue spalle e rapidamente
piombò nella semioscurità. Cesar allontanò la
testa dalle sue mani e cominciò a scalpitare, nervoso.
"Chi è là?" intimò Oscar, socchiudendo gli occhi per adattarsi al buio improvviso.
La risposta fu il rumore di passi pesanti verso di lei.
Quando fu a pochi centimetri da lei, riconobbe l'uomo che aveva notato
appena prima insieme all'ufficiale. Non parlava, e la fissava con gli
occhi di chi si sente padrone della situazione.
Oscar lo fissò a sua volta.
"Cosa volete?"
Alla sua domanda il ghigno del soldato si trasformò in un sorriso malevolo.
Che caratterino- pensò-ha il tono di un comandante dell'esercito! Sarà il caso di toglierle tutta questa baldanza.
Le si fece addosso, e con un forte accento germanico le sussurrò
nell'orecchio "E' il vostro cavallo?". Cesar nitrì, quasi
volendo rispondere.
"Siete una puledra che sa scegliere i suoi stalloni. Scommetto
che vi piace essere montata a dovere..." E fece scivolare
l'indice lungo il collo di Oscar fino a raggiungere l'insenatura del
suo petto, scoperta dalla scollatura dell'abito , dove lo infilò.
"Credevo che solo le nobili di Francia avessero una pelle così liscia e bianca..."
"Toglietemi subito le mani di dosso" gli intimò, scandendo piano le parole.
Avrebbe riso di un ordine così ridicolo se non fosse stato per
gli occhi di quella donna. Lo fissavano senza cedimenti, senza tradire
la minima paura. Non era abituato ad essere guardato così
dalle fanciulle. Esitò un attimo ad allontanarsi, quasi a voler
saggiare la forza della sua resistenza, quando sentì
qualcosa di freddo e duro premere al centro delle sue gambe.
Una pistola. Quella femmina stava puntando un'arma direttamente sui suoi attributi.
Oscar lo vide sbiancare e lentamente sfilare il dito dalla sua scollatura.
"E adesso volete essere così gentile da aprire la porta della scuderia?"
L'uomo obbedì.
"Uscite immediatamente e non provate mai più ad avvicinarvi a me
o a qualsiasi altro ospite di questa casa!"
Andrè uscì dalla piccola cappella e si trovò
nel chiostro del convento, dove Gustave lo stava aspettando. Era
felice, al limite dell'incredulità.
"Oggi devo fare delle visite al villaggio,venite domani, se volete con
un testimone , altrimenti chiederò a qualche confratello, e
celebreremo questo matrimonio"
Così aveva detto padre Vincent.
E Andrè andava ripetendosi nella mente questa frase, quasi
inebetito. Il giorno seguente, 14 luglio, lui ed Oscar sarebbero stati
marito e moglie, uniti per sempre davanti a Dio e agli uomini. La loro
unione sarebbe stata inviolabile.
Aveva fatto bene a rivolgersi al convento dei frati di Rebais, nel
piccolo villaggio di Meaux, che gli avevano persino offerto
ospitalità per la notte. Andrè conosceva
perfettamente il luogo: da piccolo sua nonna lo obbligava a
recarvisi tutti gli anni, la prima domenica di maggio, a venerare una
preziosa statua della Madonna, a cui era particolarmente devota.
Sorrise pensando a sua nonna. Avrebbe voluto che fosse lì con loro, ma si rendeva conto che era un'idea impraticabile.
Non voleva pensare a cosa sarebbe successo dopo le nozze.
Non voleva immaginare Oscar al comando dei rivoluzionari, con lui al seguito, quasi cieco.
Non voleva ricordare la sua malattia, che avrebbe seguito il suo decorso, senza freni.
Chiuse gli occhi, col volto baciato dal sole.
Niente preoccupazioni, Andrè. Goditi questo momento, sarà un giorno perfetto.
Gustave lo guardava in attesa.
"Allora, ragazzo sei pronto? Credo ti ci vorranno un paio d'ore per
fare ritorno a piedi a casa Dressie. Dì ad Oscar di prepararsi e
domani mattina, di buon'ora, vi aspetto qui".
Mentre Gustave si allontanava di buona lena, fiero dell'incarico
affidatogli, Andrè mise la mano in tasca e prese tra le
dita il piccolo anello di sua madre, che Marie aveva ripulito con tanta
premura. Ancora poche ore e quel piccolo gioiello d'argento avrebbe
sugellato il sogno che si portava nel cuore da una vita.
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Capitolo 20 *** Capitolo 20 ***
Capitolo 20
Capitolo 20
Era ormai buio.
Il giardino di Madame Dressie era illuminato da un grossò
falò acceso proprio davanti alla casa, attorno al quale si erano
riuniti gli ussari, completamente ubriachi. Le loro voci sguaiate
riempivano l'aria con canzoni volgari. Dove avessero trovato
l'acquavite per ridursi così era un mistero, in una città
dove ormai scarseggiava tutto.
Madame Dressie, insieme a Marie e a Gustave, stava ormai relegata in
cucina, cercando di dissimulare l'ansia crescente per quella
situazione, mentre Oscar aveva dovuto cedere la depandance in cui aveva condiviso i suoi giorni con Andrè all'ufficiale del reggimento straniero.
Era
stata felice delle notizie portate da Gustave. Soprattutto di sapere
Andrè lontano da quel covo di mercenari senza scrupoli.
Rintanata nel
sottotetto della villa, nascosta nell'oscurità,
dietro un abbaino lasciato aperto, spiava da ore i soldati accampati
sotto di lei, cercando di capire quali ordini avessero ricevuto e come
avrebbero agito i giorni successivi. Se ne stava rannicchiara nel buio,
perfettamente immobile, con le orecchie tese. Era allenata a condizioni
del genere: quante conversazioni private di suo padre aveva spiato da
bambina, a volte spingendosi fin sui cornicioni del palazzo. Come
quella volta che il generale si era recato nella camera di
Andrè, quando lei, quattordicenne, non voleva diventare capitano
delle Guardie Reali! Andrè, Andrè... continuava a fare
capolino nei suoi pensieri, ma in quel momento non poteva distrarsi. Domani sarà il nostro giorno, ma oggi...oggi devo restare coi piedi per terra, devo sfruttare al massimi questa situazione!
Fino a quel momento, tuttavia, non aveva sentito nulla di rilevante.
Finalmente vide l'ufficiale allontanarsi da quella chiassosa
marmaglia, accompagnato dal suo secondo. Cambiò posizione,
seguendo i loro spostamenti.
Parlavano la loro lingua madre, a voce piuttosto alta, certi che nessuno potesse capirli.
In quel momento Oscar ringraziò mentalmente il padre per averla
costretta a studiare i testi di strategia militare scritti dai generali
prussiani. Fu in grado di tradurre poche parole, sufficienti tuttavia
per farsi un'idea del contenuto della loro conversazione.
Si aspettavano un attacco dei rivoluzionari alla fortezza della
Bastiglia, con lo scopo di procurarsi armi e munizioni. Proprio per
questo, all'interno del carcere, non era stato lasciato
neanche un granello di polvere da sparo, e si supponeva che il
piccolo contingente di guardie svizzere, assegnato al governatore De
Launay (1),
fosse in grado di disperdere una folla disarmata per quanto numerosa.
Il compito del reggimento degli ussari era quello di intervenire, con
altri corpi dell'esercito francese, qualora il popolo fosse
riuscito a penetrare nella fortezza: con la cavalleria leggera
avrebbero chiuso la strada ai rivoltosi, bloccandoli dentro le mura
della Bastiglia.
Se il popolo avesse vinto l'assedio, sarebbe stato un bagno di sangue.
Le sue dita scorrevano veloci sui
tasti d'ebano e avorio del pianoforte, diffondendo nell'aria una musica
celestiale. Lui stesso si sentiva come un angelo, una creatura
ultraterrena. Nemmeno madamigella Oscar aveva mai suonato così
bene...
"Gustave, Gustave!"
Qualcuno lo stava chiamando, scuotendogli con insistenza la spalla e facendo sfumare il suo splendido sogno.
Aprì gli occhi. Oscar era davanti a lui, con un mantello ed un cappuccio a coprirle la testa.
Era l'alba del 14 luglio 1789.
Adesso l'avrebbe accompagnata da Andrè per celebrare il loro matrimonio nel piccolo monastero fuori città.
"Ascolta, Gustave. Devi vestirti immediatamente, sellare Cesar e
condurlo fuori dalla scuderia senza farti scoprire dagli ussari.
Dormono pesantemente, ma è meglio essere prudenti"
Il ragazzino sorrise. La tenera impazienza della donna, che
evidentemente non vedeva l'ora di raggiungere il suo amore, gli fece
perdonare quel brusco risveglio e la fine del suo magico sogno.
"Su, vai. Io ti aspetto fuori dalla tenuta"
Si alzò dal letto e guardò fuori dalla finestra. Oscar
stava superando l'accampamento degli ussari con agili balzi,
perfettamente a suo agio nell'oscurità. In un attimo
uscì dalla sua vista.
Rimase un momento a pensare a come sembrasse più un abile soldato che una promessa sposa.
Quando montò sul suo cavallo, dietro di lui, gli sussurrò
"Portami da Bernard"
Gustave si voltò di scatto, incredulo
"Ma, madamigella...Andrè vi aspetta al monastero di Rebais, è tutto pronto!"
"Non preoccuparti, faremo in tempo. Devo solo dare delle informazioni
al mio amico. Ne va della sua vita e di quella di molte altre persone"
La accontentò, sentendosi tuttavia in difetto nei confronti di
Andrè, come se stesse venendo meno ad una promessa.
Giunti vicino al quartiere dove abitavano Bernard e Rosalie, smontarono
da cavallo e nascosero Cesar nel cortile di una casa abbandonata.
Proseguirono a piedi, percorrendo le strade rasenti ai muri, spesso
dovendosi rifugiare in qualche anfratto per evitare le ronde di
soldati che, dopo i pattugliamenti notturni, facevano ritorno alle
rispettive caserme.
Quando finalmente furono arrivati, Oscar picchiò piano sulla
porta. Aprì Rosalie, lasciando solo uno spiraglio per vedere di
chi si trattava.
"Madamigella Oscar!" esclamò, con gli occhi già colmi di lacrime di commozione.
"Shhh!" le intimò l'amica, mentre entrava seguita da Gustave.
"Ascolta Rosalie, Bernard è in casa? Ho delle informazioni importanti per lui!"
"Ah, bene Oscar, sei tu!" disse Bernard, comparendo dall'altra stanza.
"Ascoltami, Bernard, è di vitale importanza. Tu e gli altri capi della rivoluzione dovete sapere
una cosa. Domani..."
L'uomo la interuppe.
"Andiamo al nostro quartier generale- le disse sospingendola verso la
porta- così potrai comunicare a tutti le informazioni di
cui sei in possesso"
Si voltò a salutare rapidamente Rosalie ed uscì, tenendo sottobraccio Oscar, seguiti da Gustave.
"Sapevo che avresti sposato la causa del popolo francese!" la apostrofò, quasi euforico.
Camminarono per circa dieci minuti. Ormai la maggior parte dei soldati
era rientrata e le strade si stavano ripopolando di cittadini.
Nessuno fece caso a loro, sembravano un'innocua famigliola.
Giunti ad un vecchio edificio, scesero una rampa di scale,
fatiscente, che conduceva ad un locale seminterrato. Appena
varcarono la soglia, le narici di Oscar furono investite
dall'odore di chiuso e di fumo del locale. Era una stanza con le
poche finestre sbarrate, sedie sparse un po' d'ovunque, ed un ampio
tavolo al centro, disseminato di bicchieri e bottiglie vuote,
insieme a resti di cibo.
L'aria era riempita dal vociare di diversi gruppetti di uomini, dall'aspetto più disparato.
L'ingresso di Bernard, accompagnato da una donna, generò un silenzio immediato (2).
Solo uno dei presenti sembrò riconoscerla. Era un giovane
dai capelli fluenti e lisci, con labbra carnose e due occhi quasi
femminili, con lunghe ciglia. Ma in contrasto con questi
lineamenti quasi fanciulleschi , l'espressione del suo viso emanava
crudeltà e sadismo.
Sbucando da un angolo buio le si avvicinò con sorriso beffardo.
"Ohohi! Che onore! Niente di meno che il Colonnello Oscar Francois de Jarjayes!"
Oscar lo fissò. Era certa di non averlo mai visto prima, eppure
qualcosa in lui le era familiare. Socchiuse gli occhi, studiando i
lineamenti del suo viso.
Lo sconosciuto sembrò accorgersene e spostò la sua attenzione su Bernard.
"Allora Bernard, cosa ci porti? Una povera donna col suo orfanello?"
disse ridendo e facendosi gioco del suo compagno. Bernard lo
ignorò.
"Ascoltate tutti. Lei è Oscar Francois de Jarjayes, l'ex
comandante dei soldati delle Guardia che abbiamo fatto liberare pochi
giorni fa"
Tutti cominciarono a bisbigliare e ad annuire con la testa.
"Ha informazioni rilevanti per la nostra causa, stiamola tutti a sentire"
Al suo invito calò il silenzio.
Oscar si fece avanti ed appoggiò le braccia sul tavolo, voltando lo sguardo su tutti i presenti.
"Ho saputo che domani avete intenzione di guidare la folla contro la Bastiglia"
"Si, è vero" esclamarono in molti
"Bene, le vostre intenzioni sono quelle di procurarvi munizioni per
continuare la lotta e difendervi dai soldati schierati contro di voi.
Ma questa informazione è arrivata al Comando Generale
dell'Esercito, che ha svuotato completamente il carcere, lasciandovi
solo il necessario per difendersi da un eventuale attacco! Se
realizzerete i vostri piani, rischierete la vita di molti per
niente"
Fu interrotta da un coro di imprecazioni e di dissenso.
"Ma allora cosa ci consigli di fare?" le chiese Bernard.
Oscar lo fissò, ed un lampo attraversò i suoi occhi.
"Andare a prenderci le armi al Palazzo degli Invalidi. Non si aspettano
di essere colpiti proprio lì, li coglieremo di sorpresa!"
Questa volta le sue parole scatenarono grida di giubilo ed entusiasmo.
Bernard la prese per le spalle, quasi scuotendola.
"Allora, comandante? Cosa aspettiamo?"
Poche ore dopo un fiume di popolani urlanti si riversava correndo nelle
strade verso il Palazzo degli Invalidi, poco lontano dall'argine
meridionale della Senna.
Erano uomini, donne, bambini di tutte le età, con gli occhi che
ardevano di entusiasmo, pieni di energia nonostante la fame e la
miseria che li affliggevano.
Oscar, in sella al suo cavallo, li ammirava con orgoglio. Stava
regalando loro un sogno, quello di diventare padroni del loro destino,
di possedere la forza per poterlo cambiare.
Giunti nel magazzino dell'esercito, seguì personalmente la
razzia di tutte le munizioni, indicando quali prelevare e spiegando
come trasportarle. Imbracciò un fucile e davanti a decine di
uomini diede istruzioni su come caricare l'arma e su come puntare
e sparare.
Si sentiva anche lei contagiata dall'euforia generale, anche lei parte
di quel meraviglioso movimento che stava prendendo corpo e che si
chiamava Rivoluzione.
Tutti inneggiavano a lei, le ubbidivano, guardavano a lei come a una guida.
Solo gli occhi di un ragazzino, spaurito e incredulo, la seguivano con
apprensione, con lo stesso doloroso stupore di chi vede crollare un
castello di carta faticosamente costruito.
(1): Marchese de Launay, governatore del carcere della Bastiglia il famoso 14 luglio 1789
(2): il movimento rivoluzionario fu un movimento assolutamente
"maschilista", eravamo ancora lontani dalla parità tra i sessi
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Capitolo 21 *** Capitolo 21 ***
Capitolo 21
Il
precedente capitolo non è stato accolto molto bene dalle
lettrici che seguono la mia fic. Per questo temo la lapidazione...
Credo che ognuno abbia una sua idea di come Oscar avrebbe dovuto
comportarsi di fronte agli eventi storici di quel periodo. Questa
è la mia visione, che non vuole essere nè assoluta
nè per forza veritiera. L'unica vera è quella della Ikeda
, il resto può piacere oppure no, ma resta semplicemente una
questione di gusti.
Grazie a tutte quelle che vorranno arrivare fino in fondo e a quelle arrivate sino a qui.
Capitolo 21
Una folla multicolore si dirigeva verso la città. Davanti i
bambini, con l'allegria di chi va ad una festa, in fondo gli uomini
più giovani e robusti, che trainavano i cannoni.
Il campanile di una chiesetta lungo il percorso battè mezzogiorno.
Era in ritardo al suo appuntamento con Andrè. Lo avrebbe trovato
sicuramente imbronciato, e sorrise tra sè pensando a come
farsi perdonare, quella notte...
Girò il cavallo e sussurrò a Gustave " Seguiamo Bernard
fino a Parigi, poi da lì proseguiremo per il monastero di Rebais"
Il bambino non rispose. Era taciturno, non sembrava minimamente coinvolto dal giubilo che si era diffuso tra i manifestanti.
Le sarebbe piaciuto salutare madame Dressie; si era allontanata alle
prime luci dell'alba come un ladro, ma non voleva correre rischi coi
mercenari accampati nella sua tenuta.
Quando furono in prossimità della Senna, spronò Cesar e
raggiunse gli uomini a capo del corteo, per salutare Bernard.
"Andrè mi aspetta al monastero di Rebais: oggi diventerò
sua moglie" affermò, arrossendo suo malgrado. "Porta i miei
saluti a Rosalie e abbiate cura di voi !"
L'uomo che marciava al fianco del suo amico la fissò con malcelata cattiveria.
"Chissà cosa direbbe vostro padre, colonnello, a vedervi aiutare
i rivoltosi mentre ripuliscono l'esercito delle sue scorte di
munizioni?!" e scoppiò in una risata maligna.
"E' stata una fortuna non riuscire ad ammazzarvi, qualche tempo fa,
però mi resterà sempre il rammarico che mi abbiate tolto
di mano i reali di Spagna, quando li avevo in pugno..."
"Piantala, Saint Just!" lo redarguì Bernard.
Oscar spalancò gli occhi per lo stupore. Ecco chi era: il
misterioso assassino dal volto mascherato, che seminava il terrore tra
i nobili di Parigi e che per sbaglio aveva ferito suo padre! Le tornarono alla mente le parole di Andrè. Questa rivoluzione ha mille anime e troppi capi.
Ricordò come aveva definito Saint Just. Lei non aveva
creduto possibile che fosse così vicino al marito di Rosalie.
E mentre realizzava questi pensieri, fermò Cesar e lasciò
che i due uomini, e il popolo dietro di loro, le sfilassero davanti.
Non appena furono sul ponte del fiume, Saint Just saltò sul
parapetto e cominciò ad aizzare la
folla.
"Abbasso i tiranni! Alla Bastiglia! Distruggiamola!!"
Con un balzo tornò sulla strada e cominciò a correre,
seguito dalla gente urlante, che agitava in aria le armi appena
conquistate.
Oscar assistette alla scena incredula: non capiva perchè
volessero dirigersi alla Bastiglia quando lei aveva spiegato loro le
conseguenze di un simile attacco, e soprattutto , quando li aveva
informati che non c'erano munizioni e nemmeno prigionieri politici.
Quella decisione le sembrò una sorta di ripicca da parte di
Saint Just nei suoi confronti, una specie di gioco di potere per
dimostrarle il suo ascendente sulle folle, e la sua
capacità di condurle dove lui voleva.
Quel uomo è un pazzo- pensò-non mi farò coinvolgere in questo gioco al massacro!
Eppure, come se un misterioso passaparola si fosse diffuso per le vie
di Parigi, cominciarono a confluire da tutte le strade e le viuzze dei
vari quartieri, orde di cittadini armati di fucile o di semplici
bastoni, insieme a donne e bambini, diretti sulla riva settentrionale
della Senna, dove si trovava l'antica fortezza, da secoli emblema
dell'assoluto potere monarchico.
Oscar, che doveva attraversare il fiume, si ritrovò praticamente
bloccata con Cesar e Gustave, preoccupata per il nervosismo del
cavallo, sempre più difficile da controllare.
Quando finalmente oltrepassò il Ponte de Sully, era completamente imprigionata dalla folla.
Decise di fermarsi col cavallo in un vicolo laterale. Guardava le
persone che sfilavano come un'esercito interminabile sotto i suoi occhi
e le rimasero impressi i loro sguardi: non c'era più la gioia e
l'entusiasmo che vi aveva letto quella mattina, al Palazzo degli
Invalidi, ma una rabbia cieca e incontrollata, quasi animalesca, che le
incuteva disagio. Sentì come non mai l'assenza di
Andrè al suo fianco, la mancanza della sua incredibile
capacità di "vedere"la realtà e le persone, nonostante
fosse quasi cieco.
Ad un tratto si sentì chiamare.
"Comandante! Comandante! Oscar!"
Dall'altra parte della strada vide alcuni soldati della Guardia, senza
la giacca ed il cappello della loro divisa, tra cui Alain e
Lasalle. Questi ultimi si distaccarono dal gruppo e la raggiunsero a
fatica.
"Alain, Lasalle, andatevene subito! L'attacco alla fortezza è
un gesto folle ed inutile! L'esercito si aspetta che il popolo si
concentri alla prigione, farà intervenire la cavalleria e
potrebbe esserci una strage! " I due si guardarono increduli, e le
rivolsero un'occhiata dubbiosa.
"Credimi Alain. Ho parlato stamattina con Bernard e l'ho guidato al
Palazzo degli Invalidi per procurarsi le munizioni. La Bastiglia
è stata svuotata di tutto, prigionieri compresi!"
"Ma se abbiamo le armi potremo difenderci e anche conquistarla!" esclamò Lasalle.
"Se forzerete le mura l'esercito aspettarà che un
mare di gente si riversi nel cortile per chiudere loro la strada. Vi
massacreranno, per niente!"
Le sue ultime parole furono coperte da un sordo frastuono proveniente dalla piazza alle loro spalle.
Le si gelò il sangue. Era un colpo di cannone.
"Credo sia troppo tardi per tornare indietro, comandante" le disse Alain, che come lei aveva capito.
"Ha mancato il bersaglio" gli rispose, attenta a sentire il rumore di un eventuale secondo tiro.
"Non sono capaci di utilizzarli, si faranno solo del male... con tutte
quelle donne e quei bambini al seguito!" esclamò spazientita.
"Comandante, dobbiamo raggiungere la piazza e voi dovete prendere il comando!"
"No, Alain. Io e Gustave raggiungeremo Andrè, che ci aspetta al
villaggio di Meaux, da ieri! Vi ho spiegato come stanno le cose: se voi
volete farvi ammazzare non è un problema mio!" E fece voltare
Cesar.
"Ma comandante, che ne sarà di Bernard e Rosalie?"
Si fermò di colpo. "Rosalie?"
"Certo, ha raggiunto suo marito proprio ora, insieme a Diane, era poco davanti a noi..."
Oscar si spinse col cavallo fino alla fine del vicolo. La strada
principale era ancora ocupata da una miriade di persone. Scorse con gli
occhi quella moltitudine, cercando la figura familiare della sua
giovane amica. Infine la vide, insieme ad un gruppo di altre donne, la
mano a sostenere il ventre rotondo, mentre percorreva il
lungofiume, ormai irraggiungibile.
Si voltò nuovamente verso i due uomini e smontò da cavallo.
Alain lesse nei suoi occhi la determinazione e la prontezza di azione che ormai conosceva, ed ammirava.
"Lasalle, prendi il mio cavallo e fatti guidare da Gustave al convento
di Rebais. Devi avvisare Andrè di quello che sta succedendo in
città"
Digli di non tornare, di aspettarmi lì, che lo raggiungerò...
Queste furono le parole che le suggerì il suo cuore, ma le morirono in gola.
Era inutile recapitare un messaggio simile ad Andrè. Non
l'avrebbe mai lasciata sola a combattere, non l'avrebbe mai lasciata
sola...in qualunque caso. Non era giusto per loro due, non era giusto
per il piccolo Gustave, ma il suo reale desiderio era che venisse da
lei, il prima possibile.
Lasalle la guardava, aspettando ulteriori indicazioni.
"Digli che è scoppiata la rivoluzione e ....che ho bisogno di lui!"
Mentre il soldato prendeva le redini, Gustave saltò giù dalla sella.
"Che fai, Gustave? Devi andare con lui, devi metterti al sicuro, nel monastero!"
"Io resto qui, con voi" fu la sua semplice risposta.
Avrebbe dovuto sgridarlo, convincerlo, e invece gli sorrise.
"Sei proprio tale quale a lui!"
Poi si rivolse ad Alain. "Noi invece dobbiamo raggiungere la
postazione dei cannoni. Forse, con tiri mirati, andati a segno,
riusciremo a indebolire le torri, e a convincere il
governatore de Launay alla resa, senza che sia necessario
abbassare il ponte levatoio e invadere l'interno della fortezza con centinaia di
persone..."
L'uomo la osservò senza fiatare: era davvero la persona
più intelligente e coraggiosa che avesse mai incontrato.
Era inutile starsene lassù, tanto non vedeva niente. Eppure non
poteva fare a meno di rimanere sul piccolo campanile e guardare
verso la strada che dal borgo conduceva all'abbazia. La strada da cui
doveva arrivare Oscar, insieme a Gustave.
Ma ormai le campane avevano suonato mezzogiorno da un pezzo e la
sua futura sposa avrebbe dovuto essere già lì.
Sentì padre Vincent alle sue spalle.
"Vedete qualcosa, padre?" gli chiese serrando dolorosamente i pugni, con la voce velata di disperazione.
"No, mi dispiace, Andrè"
Appoggiò la fronte al muro del campanile e in silenzio
sferrò un pugno contro le pietre secolari con cui era costruito.
"Ascolta, Andrè. Stamattina sono passate di qui alcune famiglie,
in fuga da Parigi. Hanno raccontato che la città è
invasa dai soldati, che i rivoltosi si sono armati, che continuano
saccheggi e disordini. Forse la tua Oscar non ha potuto lasciare la
dimora della sua ospite o ha trovato qualche difficoltà ad
allontanarsi, ma vedrai che è al sicuro ..."
"Non la conoscete, padre. Lei non è come le altre donne, lei non
è... come nessun altro! Non riesco a immaginare qualcosa
che avrebbe potuto fermarla, oggi. E' in pericolo, lo
sento!" E si avvicinò alla scala del campanile, per andarsene.
"Non puoi tornare a Parigi, da solo. Vedi così male,
Andrè. Dalle ancora un po' di tempo, aspetta fino a domani!"
"No, non voglio attendere oltre! Meglio adesso, con la piena luce del sole!"
Scese i primi gradini, poi si voltò verso il prete.
"Grazie di tutto, padre. Io...io spero di rivedervi!"
"Quando riuscirete io sarò qui, pronto a celebrare il vostro matrimonio!"
Il giovane si allontanò.
"Che Dio vi protegga!" mormorò, quando lo vide scendere a cavallo lungo i campi, verso la città.
Lasalle faticava a muoversi. Le vie erano occupate da barricate
improvvisate, fatte di mobili e carrozze rovesciate. Nelle
strade vicino alla Bastiglia l'affollamento era tale che il cavallo di
Oscar rimaneva fermo per lunghi minuti nella calca. Era sempre
più nervoso, e Lasalle insieme a lui. Sentiva i muscoli
dell'animale fremere sotto le sue gambe, e la sua testa scuotersi con
colpi violenti, come a voler sfuggire alla
stretta delle redini.
Stava sudando copiosamente, pensando all'incombenza che il suo
comandante gli aveva affidato e alla sua incapacità di uscire da
quella intricata situazione.
Di fronte all'ennesimo drappello di cittadini che gli bloccava il
passaggio, esasperato dal cavallo ormai insofferente ai suoi comandi,
prese il fucile e sparò in aria, convinto di aprirsi
rapidamente un varco nella folla.
Ma non aveva previsto la reazione dello stallone, che, spaventato dal
rumore, tentò dapprima di correre ed infine, bloccato nella
fuga, inarcò con forza la schiena fino a liberarsi del suo goffo
cavaliere.
L'uomo cadde pesantemente sul selciato, battendo la fronte.
L'ultima cosa che vide, prima di perdere i sensi, furono gli zoccoli di
Cesar, che trovato finalmente un varco, si allontanava al
galoppo.
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Capitolo 22 *** Capitolo 22 ***
capitolo xx
Finalmente
questo lungo 14 luglio sta volgendo al termine. La descrizione di
ciò che avvenne è in parte vera, in parte assolutamente
inventata. Anche se ultimamente, come introduzione ai miei capitoli,
invoco la clemenza delle lettrici, ci tengo a dirvi che apprezzo
qualsiasi commento vi venga in mente.
Capitolo 22
Il sole era ancora alto quando
finalmente Andrè fece ritorno a casa Dressie. Stava per raggiungere la
villa, quando fu quasi travolto da un piccolo reggimento di cavalleria
che sfrecciava fuori dalla tenuta. Faceva fatica a distinguere le
divise, ma i colori sgargianti delle loro uniformi e l'alto cappello
con pennacchio gli tolsero ogni dubbio: erano ussari.
Il suo cuore
cominciò a tremare: se avevano occupato le proprietà di
madame Dressie, potevano aver fatto del male ad Oscar, o a
qualcunaltro. Forse le avevano impedito di lasciare la casa per
raggiungerlo.
Mentre indugiava su questi pensieri,
fu raggiunto dal boato di una cannonata. Seguì un
silenzio spettrale, non si udiva il cicalio dei grilli o il cinguettio
degli uccelli. Una breve pausa, poi un secondo boato.
Andrè rimase come paralizzato, incredulo. Non capiva cosa stesse
succedendo, l'unica cosa certa era che quel
frastuono proveniva dal centro della città. Avvertì il rumore di passi di
corsa sul selciato davanti a casa Dressie: si stava avvicinando un gruppo numeroso, costituito da uomini e
donne. Quando furono abbastanza vicini li sentì gridare "Alla
Bastiglia! Alla Bastiglia!"
Una terza cannonata.
In un barlume di lucidità la sua mente
cominciò a girare velocemente: la Bastiglia era sotto
assedio, aggredita da colpi di cannone. Il popolo non possedeva armi
simili. Il popolo non era in grado di farle funzionare. Questo
significava che alcuni militari si erano uniti ai rivoluzionari, e chi
se non i suoi compagni della Guardia Nazionale? I colpi non erano
casuali, erano studiati, seguivano una strategia...Oscar...era l'unica
a poter guidare i suoi ex soldati e la folla contro la fortezza,
simbolo della tirannia monarchica.
Si voltò un attimo verso il verde della tenuta. Non un solo
rumore proveniva da quella parte. Entrò di pochi passi, giusto
quelli necessari per raggiungere le scuderie e, senza entrare, fischiò il suo
abituale richiamo per Cesar. Silenzio. Solo il sordo nitrito degli
altri cavalli.
Si voltò ed iniziò a correre.
Fece allineare tutti i cannoni.
"Più vicino, e sollevate le bocche di 45°!"
La scena che si presentava sotto le mura della Bastiglia era davvero
incredibile. Una fila di cannoni, sacchi di sabbia come protezione tra
questi, e una donna, con i lunghi capelli biondi ormai sciolti, agitati dal
vento, a dirigere quelle potenti armi, insieme ad un ragazzino, poco
distante da lei.
"Puntate. Uno, due, tre...FUOCO!" e accompagnò l'ordine alzando una spada col braccio destro.
Due colpi a segno, e le postazioni dei cannoni della torre meridionale
della Bastiglia era completamente sgretolate. Nascosto dietro le mura,
il Marchese de Launay osservava preoccupato la moltitudine ammassata
oltre il fossato della prigione. Aveva solo meno di cinquanta guardie
svizzere a difesa della rocca, e non voleva colpire a cannonate la
popolazione. In fondo non doveva difendere niente: non custodiva armi
di sorta, e nel carcere rimanevano sette prigionieri, piuttosto
insignificanti. Non vedeva l'ora di porre fine a quell'assedio.
"Alzate bandiera bianca e fate entrare una delegazione del popolo per trattare la resa"
La vista del lenzuolo bianco che sventolava attraverso il fumo grigio
che si levava dalla torre della Bastiglia fu accolto da un grido di
entusiasmo.
Bernard si avvicinò al ponte levatoio per incontrarsi con de Launay, seguito da Saint Just.
"No, Saint Just, verrà lei con me" affermò Bernard, indicando Oscar.
"Come desideri" rispose l'uomo, fingendo accondiscendenza .
Senza farsi vedere, Gustave sgattaiolò dietro ad Oscar, si arrampicò sulle mura e si nascose in una feritoia.
La trattativa fu rapida. Il Marchese de Launay chiedeva
l'incolumità per se e i propri uomini in cambio delle chiavi
della fortezza.
Quando ormai si stavano congedando, Oscar vide il volto del governatore
sbiancare improvvisamente, mentre fissava qualcosa alle sue spalle. Si
voltò: Saint Just e altri sei rivoltosi si erano arrampicati
sulle mura, approfittando della tregua, e stavano abbassando il ponte
levatoio.
In pochi secondi si scatenò l'inferno. Decine di manifestanti,
armati di spade e bastoni, si riversarono nel cortile della Bastiglia.
Le guardie svizzere non fecero in tempo a reagire, che de Launay era
già stato preso e trascinato via.
"Jarjayes, la vostra parola! Mi avete dato la vostra parola!!!" fu
l'ultimo grido disperato del marchese, poi fu inghiottito dalla folla.
Oscar cercò di intervenire, ma non poteva nulla contro quella
muraglia umana, dalla quale alla fine si levò, come un macabro
trofeo, la testa di de Launay issata su una picca .
I soldati iniziarono a sparare dalle mura, ma furono presto raggiunti e
trascinati di sotto, dove subirono lo stesso trattamento
del loro superiore. Nel frattempo i rivoltosi si impossessavano del
carcere, liberando i pochi prigionieri residenti e conducendoli
all'esterno come degli eroi.
Oscar rimase tutto quel tempo immobile, nel mezzo del cortile, la sua mente non riusciva ad assimilare ciò che i suoi
occhi vedevano. Perchè? Perchè? Perchè?
Questo interrogativo continuava a martellare nella sua testa, senza
trovare risposta. Quella che era nata come una legittima lotta
per la libertà e l'uguaglianza si stava trasformando in una
barbarie.
Non potè dire per quanto tempo rimase così, come estraniata da ciò che le accadeva attorno.
Poi, così come erano entrati, i popolani cominciarono a correre
disordinatamente verso l'uscita: stava arrivando la cavalleria, come aveva loro preannunciato.
Ancora incapace di reagire, Oscar fu urtata e gettata a terra,
calpestata nel caos generato dall'arrivo dell'esercito. Si coprì
la testa come potè, mentre udiva attorno a lei grida di uomini e
donne feriti, corpi che cadevano, colpiti dai proiettili, il leggero
tremore sul terreno, per il peso dei cavalli che si muovevano attorno a
lei.
Quando le parve che quella carneficina fosse finalmente finita,
alzò il capo e si mise in ginocchio, la spada ancora stretta
nella mano, a fissare il cortile popolato solo dai numerosi cadaveri,
quelli dei rivoltosi uccisi, insieme a quelli
dei soldati svizzeri e del Marchese de Launay, orrendamente mutilati.
Fu in quel momento che l'ussaro la vide.
Stava ormai ritirandosi col suo reggimento, ma guidato dall' istinto
del cacciatore, si era voltato un'ultima volta verso l'interno della
Bastiglia, prima di salire sul ponte levatoio. La riconobbe subito: era
la donna dagli occhi di ghiaccio che aveva osato umiliarlo il giorno
prima.
Senza chiedere permesso al suo ufficiale, girò il cavallo e lo spronò verso di lei, sfoderando la spada.
"Muori, lurida cagna francese!" le urlò nella sua lingua madre, avventandosi su di lei.
Solo allora la donna si voltò. E fu un attimo. Lo sguardo
assassino dell'ussaro, il luccichio della spada...e un urlo disperato a
riempirle le orecchie, coprendo ogni altra sensazione. L'urlo
dell'innocenza martoriata in quel lungo pomeriggio alla
Bastiglia, proveniente da una feritoia.
Andrè correva confuso, in preda al terrore. Da una vita era
in grado di percepire il pericolo, quando minacciava la sua Oscar. E in
quei momenti lo sentiva chiaramente allungare gli artigli su di lei,
capiva di avere poco tempo. Malediceva la sua pessima vista, che
lo rallentava nella sua corsa, e che lo aveva portato fuori
strada diverse volte.
Quando si ritrovò a poche centinaia di metri dalla fortezza
avvenne l'inverosimile. Una folla disordinata si riversò per la
strada, fuggendo dalla Bastiglia, inseguita dalla cavalleria leggera dell'esercito, mentre urlava in preda al terrore.
Andrè inizialmente tentò di resistere e continuare ad
avvicinarsi, ma rischiava di essere gettato a terra e calpestato,
dovette rifugiarsi in un portone e attendere che il fiume umano
davanti a lui si disperdesse . Passarono alcuni minuti che per lui
durarono ore, dilaniato dalla consapevolezza che se la gente fuggiva,
se non si udiva più il rombo dei cannoni, significava che il
popolo aveva perso i propri capi.
Appena gli fu possibile, incurante del pericolo di essere colpito dai
militari, si rigetto nella mischia e faticosamente raggiunse la
rocca.
Salì sul ponte levatoio tremando. La cavalleria aveva sì
disperso i manifestanti, ma non si era impossessata della
Bastiglia, l'aveva abbandonata a se stessa, come la carcassa di un
animale.
Ed ora che tutto era finito, Andrè scorgeva, tra il fumo e la
polvere, le ombre di uomini che si aggiravano come avvoltoi, spogliando
i cadaveri di ciò che poteva essere rubato, trafugando tutto
quello che poteva essere portato via: sacchi di farina, vecchie
armi medioevali, suppelletili e persino pentole e candelabri. Nel cupo
silenzio che avvolgeva la scena, gli pareva di sentire il verso
sinistro dei corvi, appollaiati sulle mura.
"Oscar!" gridò con tutto il fiato che aveva in gola, sentendosi già bruciare gli occhi per le lacrime.
Nessuno rispose, nessuno lo degnò di uno sguardo. Poi alle sue spalle, sentì una timida presa sul suo braccio.
"Andrè, sono io, Lasalle"
Si voltò immediatamente, e lo afferrò per le spalle, scuotendolo.
"Dov'è Oscar, dimmi dov'è!"
"Non lo so- rispose quasi tremando- mi aveva dato il suo cavallo per
venire ad avvisarti, ma sono caduto e...l'ho perso" ammise con
vergogna. "Quando mi sono ripreso sono tornato qui, fuori dalle mura,
ma lei non c'era...era dentro con Bernard, per trattare la resa"
Andrè si stava allontanando, il suo ex commilitone non gli
era di nessun aiuto, quando udì un lamento, un urlo di dolore
represso e contenuto, ma proprio per questo carico di violenza e
intensità. E riconobbe la voce del suo vecchio compagno Alain.
"Alain dove sei? Alain?" chiese Andrè voltandosi, cercando per terra il corpo dell'amico.
"E' laggiù" gli indicò Lasalle.
Lo intravide, inginocchiato di spalle, sotto le mura, chino sul corpo
di una donna, di cui scorgeva l'ampia gonna e le gambe. Lasalle
sembrava aver perso il coraggio di parlare. Dovette avvicinarsi per
riconoscere il volto angelico e i lunghi capelli castani di Diane, con
gli occhi vitrei spalancati sul cielo sopra di lei, la mano appoggiata
sul petto squarciato dal colpo di un fucile.
Non riuscì a dire una parola: troppo crudele la morte di una
fanciulla che ancora doveva sbocciare, che ancora doveva vivere,
e amare, e che nella sua breve esistenza non aveva mai fatto del male a
nessuno.
"Dio, ti prego, fammi trovare Oscar, fa che la trovi viva..."
Come se un angelo lo avesse ascoltato, una piccola mano riempì la sua. Gustave.
Senza dire una parola lo condusse in un punto preciso del
cortile, scavalcando con una calma inquietante i cadaveri gettati
ovunque.
Andrè la riconobbe subito. Il corpo abbandonato, prono, il
volto nella polvere. Accanto a lei, una spada spezzata a metà,
come da una mossa di difesa.
Si gettò su di lei, la prese tra le braccia, con le dita
sfiorò il suo volto, liberandolo dai frammenti di terra,
bagnandolo di lacrime. Appoggiò la fronte alla sua, invocando
piano il suo nome, come una preghiera. Sentì la mano della donna
appoggiarsi al suo braccio. Fu travolto dalla gioia davanti al blu dei
suoi occhi, che lo guardavano e lo riconoscevano, e pianse ancora
di più, senza riuscire a fermarsi. Oscar alzò la mano,
bianca di polvere, sul suo viso, come a voler fermare quelle lacrime.
"Tienimi con te...per sempre"
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Capitolo 23 *** Capitolo 23 ***
Capitolo 23
Siamo
praticamente giunti al termine. Ho limato molto questo capitolo, dove
inizialmente mi dilungavo in un dialogo "filosofico" tra oscar e
andrè. Ma poi ho pensato che tra loro non c'erano mai molte
parole e ho preferito accorciare. Seguirà un breve epilogo, col
quale approfitterò per salutarvi tutte...
Capitolo 23
Prese coscienza di dov'era lentamente, come quando ci si risveglia dopo
un sogno molto coinvolgente. Fai fatica a capire se sei ancora
addormentato o già dentro la realtà.
Fissava il soffitto sopra di lei, quelle decorazioni familiari, e
intanto sentiva, nel silenzio assoluto, il rumore dell'acqua che cadeva nella vasca, mentre
Andrè strizzava la spugna. Lo guardò. Con gesti leggeri e
delicati, la stava lavando della sporcizia accumulata sulla sua pelle
quel giorno. Sembrò ignorare il suo risveglio.
"Andrè.." lo chiamò. Il giovane continuò, come se lei non avesse parlato.
"Ti prego, Andrè, guardami! Lo so che ti ho deluso, che mi hai
aspettato..." Come le costava parlare, si sentiva la gola secca e la
testa così pesante!
"Lo so, Oscar. Non sono arrabbiato".
La sollevò dal bordo della vasca e versò una brocca
d'acqua tiepida sui suoi lunghi capelli. Notò i petali di rosa
galleggiare attorno al suo corpo: di certo un'attenzione di Nanny per
la sua bambina!
"Perchè mi hai portato qui?"
Tutto si sarebbe aspettata, tranne di ritrovarsi a Palazzo Jarjayes.
"Ho visto gli ussari da Madame Dressie, questo pomeriggio, non volevo tornare da loro. Ho
chiesto a Lasalle di farle avere nostre notizie, spero che stavolta gli
riesca..." concluse in tono sarcastico.
"Già..."annuì la donna.
"Comunque ho ritrovato Cesar mentre tornavamo qui. Dopo aver
disarcionato il povero Lasalle deve aver seguito la via di casa"
La fece alzare, la avvolse in un telo e la
portò in braccio nell'adiacente camera da letto. La aiutò a infilarsi una camicia da notte pulita e le
rimboccò le coperte, come ad una bambina.
"Buonanotte Oscar"
Lo trattenne per un braccio e gli disse piano, titubante.
"Non resti con me stanotte?"
"Siamo a casa di tuo padre, Oscar, e non siamo nemmeno sposati"
Sentì il suo corpo tendersi mentre pronunciava quest'ultima parola.
"Ho dovuto litigare con mia nonna per potermi occupare di te, prima, e
non voglio oltremodo urtare la sensibilità di nessuno. Se avrai bisogno di
me puoi trovarmi nella mia vecchia stanza, nell'ala della servitù. Ho fatto mettere un
giaciglio anche per Gustave"
Il piccolo Gustave! Aveva ancora nelle orecchie il grido che aveva
lanciato di fronte al soldato prussiano, nel piazzale della Bastiglia.
Dal suo nascondiglio aveva assistito a tutti gli orrendi avvenimenti di
quel pomeriggio.
"Come sta?" chiese, investita dai sensi di colpa.
"Non è ferito, ma...non parla. Non parla più."
Stava correndo sul lungofiume,
rasente il muro dell'argine. Indossava la sua vecchia divisa di
comandante della Guardia Metropolitana, e impugnava una pistola. Poco
distante la seguivano i suoi fedelissimi, Andrè ed Alain in
testa. Dall'altra riva della Senna un soldato nemico la vide e le puntò il fucile contro.
Le sembrò di vedere la traiettoria del proiettile, certa che
ormai l'avrebbe colpita. Ma un suo soldato si gettò davanti a
lei, facendole scudo col proprio corpo e cadde colpito ai suoi piedi.
Quando si chinò e lo voltò, vide il volto di
Andrè. Le sorrideva, un sorriso che conosceva da sempre, che non
era mai cambiato, che aveva impresso nell'anima.
Si stringeva una mano al petto, ma non riusciva a trattenere un copioso
getto di sangue. Sembrava non soffrire nemmeno, pur essendo consapevole
della vita che fuggiva da lui. E lei gli stringeva la mano, senza
tuttavia riuscire a trattenerlo."Non lasciarmi, Andrè!Ti prego, non lasciarmi!"
Si svegliò di soprassalto, gridando. I capelli
appiccicati alla fronte madida di sudore, le membra ghiacciate. Un
incubo. Era stato solo un terribile incubo, ma il cuore le batteva
furiosamente nel petto e sentiva le guance bagnate di lacrime.
Si prese la testa tra le mani. Scottava, e percepiva quell'improvvisa
sensazione di fame d'aria che ormai sapeva riconoscere. La
malattia, che le aveva concesso una breve tregua durante il suo
soggiorno a casa Dressie, era infine sopraggiunta a reclamare
dazio per quella giornata di fatica.
Si era sempre nascosta al mondo intero quando stava male, come se
ammalarsi fosse il segno di una debolezza che non poteva permettersi,
ma in quel momento il suo corpo e il suo cuore reclamavano la vicinanza
dell'unica persona in grado di dare un senso a tutto quello che
accadeva nella sua vita: Andrè. Non le importava che non fossero
legalmente uniti davanti al mondo, o che fossero a casa di suo padre, o
che tra quelle mura lei fosse la figlia del padrone e lui un semplice
servitore, doveva andare da lui.
Si alzò dal letto e per poco non cadde a terra. Si sentiva
debole e dolorante, ma lentamente, aggrappandosi alle pareti,
percorse il lungo corridoio che conduceva alle camere della
servitù.
La porta della sua stanza era socchiusa, la aprì con una leggera
pressione delle dita. La finestra era spalancata, le tende agitate dal
vento. Fu investita da una folata di aria fredda, primo segnale di un
temporale in arrivo, e un brivido la scosse.
Gustave dormiva rannicchiato su un piccolo
letto improvvisato, vicino allo scrittoio. Poco lontano vide la
sagoma di Andrè, sdraiato, con le braccia incrociate dietro la testa, la
camicia aperta e sfilata dai pantaloni. Entrò quasi strisciando
i piedi, con le ultime forze che le rimanevano.
"Oscar!" La riconobbe subito, anche nell'oscurità.
Lei non disse una parola e gli si sdraiò accanto, come fosse la
cosa più naturale di questo mondo, come se fosse da sempre il
suo posto.
Andrè esitò solo un attimo, poi la strinse a sè. E
sentì la pelle fredda e sudata, i brividi che la scuotevano, i
pugni stretti per lo sforzo di arrivare fino a lui. La sistemò
sotto le coperte, si spogliò e la raggiunse.
Oscar non avrebbe potuto descrivere le sensazioni che le regalò
quel contatto col calore del suo corpo, come se lui fosse l'unica fonte
di vita possibile, per lei, come se fosse una parte di sè, di
cui sentiva la mancanza non appena si allontanava. E come un rito,
appoggiò la testa sul suo petto, ascoltò quel cuore che
era anche suo, quel costante rumore così vicino, che le
raccontava di una vita spesa al suo fianco, spesa per amarla, come
nessuno aveva saputo fare.
Andrè non parlò, e non ci fu bisogno di parole.
Perchè in quel abbraccio Oscar trovò il conforto
per tutte le ferite che quella terribile giornata le aveva inferto, e la
forza per lasciare andare il dolore e la paura, sotto forma di un
silenzioso fiume di lacrime.
L'alba la trovò sola. Aveva dormito un sonno pesante e senza
sogni, ma si sentiva indolenzita e dolorante. La febbre, però, era
passata.
Gustave riposava ancora, ma le coperte gettate per terra e i cuscini
scomposti tradivano una notte agitata. Oscar si avvicinò alla
finestra e guardò all'esterno. La camera di Andrè si
affacciava sul giardino posteriore della casa, verso le scuderie. Lo
vide sullo stesso terrazzo in cui si trovava lei, dopo
l'aggressione a Saint Antoine, nel momento in cui Fersen era
venuto a parlarle.
Seduto, con la schiena appoggiata al muro, lanciava piccole manciate di granaglie ad uno stormo di colombi bianchi.
Lo raggiunse, scalza, coprendosi le spalle con una coperta.
La salutò con un sorriso, mentre gli uccelli si alzavano in
volo al suo arrivo.
Si sedette per terra, insieme a lui, tra le sue gambe,
appoggiando la schiena al suo petto, e lui chiuse le braccia e
affondò il volto nei suoi capelli. Poteva sentire i pensieri
agitarsi dentro di lei, come le ali di un uccello trattenuto tra
le mani.
"Andrè, dimmi, che cosa devo fare? Dimmelo tu, Andrè..."(1)
L'uomo sospirò.
"Segui il tuo cuore, Oscar! Gli
ideali di questa rivoluzione devono essere vissuti col cuore, altrimenti si trasformeranno in
una cieca rivalsa, in un capovolgimento di potere, che non
cambierà le sorti della Francia.
So che credi nell'uguaglianza tra gli uomini, non potresti amarmi, diversamente.
So che saresti disposta a morire per difendere quello in cui credi, e per me."
Improvvisamente abbassò la voce, e le parlò quasi sussurandole nell'orecchio.
"Ma vorrei che per me trovassi anche il coraggio di vivere...Io
so qual è il mio compito, ciò
per cui credo di essere nato. Amarti, occuparmi di te, renderti felice
e proteggerti. L'ho fatto per una vita e continuerò a
farlo. Sia che voglia dire cercarti tra i caduti su un campo di
battaglia, o tenerti stretta la notte, quando ti assale le
febbre. Ma preferirei una vita intera da servo insieme a te che vivere
da uomo libero, in un mondo più giusto, dove non ci sia
tu! "
Oscar non rispose, appoggiò mollemente la testa sulla sua spalla e insieme attesero il nuovo giorno.
Quando il sole illuminò completamente i loro corpi abbracciati, fu lei a rompere il silenzio.
"Credi che padre Vincent sia ancora disposto a sposarci, oggi?"
Andrè tacque, ma la stretta attorno a lei si fece più forte, stava sorridendo.
"Vado a svegliare Gustave..."
Oscar si alzò con lui e si avvicinò alla balaustra, lo sguardo perso nel verde davanti a lei.
Forse non avrebbe più potuto combattere per i suoi ideali, ma avrebbe potuto viverli.
Improvvisamente, un sorriso le increspò le labbra. Non se ne era
mai accorta, fino a quel momento, ma anche nel giardino di palazzo
Jarjayes, dove aveva trascorso un'intera esistenza, lontano dalle
aiuole curate e dai roseti dalle varietà più rare, i
cespugli di lillà in fiore regalavano la loro bellezza a chi
sapeva notarli.
(1) frase tratta dall'anime (puntata 39)
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Capitolo 24 *** Capitolo 24 Epilogo ***
Capitolo 24-Epilogo
E
con questo sono davvero arrivata alla fine. Ringrazio chi mi ha seguito
fin qui, chi ha apprezzato la mia versione di questa meravigliosa
storia d'amore, chi ha commentato, chi ha dissentito, ma è
arrivato fino in fondo.
Grazie della compagnia che mi avete fatto, chiudere questa fic è
un po' come salutare tante amiche. Vi ringrazio per avermi fatto
scoprire un mondo di persone che condividono la stessa identica
passione, spesso da decenni, come me, che porta il nome di Lady Oscar
Epilogo
Montreaux, settembre 1789
Dalla finestra che si affacciava sul lago Lemano, Oscar guardava
i boschi che ormai si tingevano di colore rosso e giallo. Le
prime temperature autunnali la costringevano in casa per lunghe ore,
mentre Andrè e Alain si occupavano delle varie incombenze.
L'ex soldato li aveva raggiunti in Svizzera alla fine di agosto.
L'avevano trovato fuori dalla loro casa, come un cane randagio, con i
capelli e la barba lunghi e l'aspetto di un vagabondo, al punto che era
stato Andrè a riconoscerlo per primo, dal rumore dei suoi passi.
Dopo la presa della Bastiglia si era unito al gruppo di Saint Just,
abbandonandosi a terribili episodi di violenza per vendicare la
morte di sua sorella Diane. In seguito, resosi conto che quella
serie di efferate aggressioni non leniva minimamente il suo dolore,
aveva improvvisamente deciso di lasciare Parigi e di ritrovare i suoi
vecchi amici.
Oscar e Andrè si erano sistemati nella casa sul lago di
proprietà di Monsieur Bouget, genero di Madame Dressie. Quando
la sua famiglia si era ingrandita con la nascita di quattro figli,
aveva deciso di trasferirsi in una dimora più spaziosa,
lasciando la vecchia villa, agibile solo in parte, alla coppia giunta
da Parigi. Alain stava aiutando Andrè nella
ristrutturazione della casa e nella sistemazione dei terreni
circostanti, e in quella nuova vita fatta di piccoli risultati
concreti aveva ritrovato un po' di serenità.
Gustave seguiva i due uomini dappertutto, ma da quel lontano 14
luglio non aveva più pronunciato una singola parola. Durante il
loro viaggio sul Rodano avevano fatto tappa a Chancy e
Andrè aveva cercato un notaio cui far redigere un legale atto di
adozione del bambino. Gustave era stato visibilmente felice, ma non era
bastato a fargli tornare il desiderio di esprimersi.
Mentre si accingeva a rispondere ad una lettera di madame Dressie,
Oscar lo osservava, seduto sul molo, le gambe penzoloni, mentre muoveva
le dita sulle assi di legno, come se stesse suonando un ipotetico
pianoforte. Aveva rinunciato ad insegnargli la lettura delle note, tale
era la sua abilità nel memorizzare i movimenti
delle mani mentre la osservava al piano, e suonava per ore, in
solitudine, dando prova di un talento eccezionale.
Ad un tratto gli si avvicinò una ragazzina,
all'incirca sua coetanea, con due lunghe trecce di capelli rossi dalle
quali sfuggivano ciocche disordinate, con la gonna alzata e legata in
vita, imbracciando arco e frecce, come una piccola
divinità della caccia. Oscar la riconobbe: era Eleonore, la
nipotina di Madame Dressie. Ultima nata dopo tre fratelli maschi, era
una vero terremoto, più simile ad un elfo dei boschi che ad una
leggiadra fanciulla in fiore. Probabilmente cercava di coinvolgere
Gustave in qualche gioco bellicoso, e lo vide rifiutare, scuotendo il
capo. La bambina si allontanò, senza troppo rammarico, ma
Oscar notò come il ragazzo si fosse voltato e la seguisse con lo
sguardo. Era tempo che non lo vedeva mostrare interesse per qualcuno.
Tornò alla sua corrispondenza, e quando lo cercò nuovamente sul molo, vide che si era allontanato.
Pochi minuti dopo fu raggiunta dalla musica proveniente dal salone e sorrise tra sè per questa sua inguaribile passione.
Si alzò per raggiungerlo, ma sulla soglia si fermò. Non
era solo. Eleonore aveva abbandonato le sue armi e si era seduta
accanto a lui, le gambe incrociate, il mento appoggiato sul palmo delle
mani.
Oscar lo guardò con affetto. Suonava divinamente, e lo faceva
per lei. Ogni tanto i loro sguardi si incrociavano: il ragazzo mite e
taciturno e la bambina vivace e combattiva. E in quello
scambio di sguardi Oscar riconobbe il seme di un sentimento grande e
potente, che a volte germoglia dentro di noi, frutto del fugace
incontro in un momento della fanciullezza, per sfociare, da
adulti, in un amore che diventa un destino, e ti riempie la vita.
Quando la musica terminò, Oscar sentì le lacrime offuscarle la vista.
Una piccola mano, tesa verso la ragazzina seduta ai suoi piedi, e un sorriso colmo di tenerezza, denso di promesse.
"Ciao, mi chiamo Gustave Grandier..."
Oscar e Andrè vissero a
Montreaux durante gli anni più accesi della Rivoluzione
Francese, ed ospitarono nella loro casa molti connazionali in fuga
dalle epurazioni radicali dei diversi movimenti politici
rivoluzionari, che si susseguirono nel corso degli anni,
compreso Bernard Chatelet e la sua famiglia, dopo il suo allontanamento
ideologico da Robespierre e Saint Just.
Anche il Conte di Fersen fu loro ospite, durante i suoi peregrinaggi
per le corti d'Europa , alla ricerca di appoggi per salvare la famiglia
reale di Francia.
Therese Dressie lasciò Parigi e li raggiunse nel 1791, quando
imperversò il periodo del Terrore. Augustine de Jarjayes
morì difendendo i sovrani durante l'attacco al Palazzo delle
Tuileries il 10 agosto 1792.
Quando Luigi XVI fu condannato alla ghigliottina il 21 gennaio 1793,
Oscar decise che non sarebbe mai più tornata in Francia.
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