Sinonimi della parola amore

di KikiWhiteFly
(/viewuser.php?uid=33036)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***





Sinonimi della parola amore










I.






Grossomodo sono le tre di mattina e Sana è ancora sveglia, piuttosto turbata invero, si gira e si rigira tra le lenzuola cercando una posizione comoda o, forse, una ragione per riposare qualche ora la mente.

Ma, a discapito di ogni giustificazione, Sana conosce sin troppo bene la ragione della sua insonnia: si trova accanto a lei, beatamente addormentato.

Non ce la fa, non ce la fa proprio: Rei la odierà fra qualche ora – lo conosce, prevede già le sue reazioni – ma il senso di colpa le attanaglia in tal maniera lo stomaco che sente il bisogno di rifuggirgli. Ma, anche oltrepassata la soglia di quell'appartamento, il malessere continua a divorarla all'interno: è una sensazione che ha sperimentato sin troppe volte, ormai è ordinaria amministrazione.

Raccatta le sue cose a terra, si veste velocemente e dà una rapida spazzolata ai capelli; poi, il suo sguardo si dirige verso la prona figura del manager, del tutto ignaro di quella fuga nel cuore della notte.

Sana si morde il labbro inferiore con veemenza – quasi le sembra ingiusto abbandonarlo così, senza la benché minima spiegazione –, dopodiché decide di lasciargli due righe scritte.



Grossomodo, si sente uno schifo.

Cammina lungo le strade deserte, accompagnata solamente da un soffio di vento che spira da Nord e che pare proprio indugiare sulle sue spalle; eppure, confrontato a ciò che la investe dentro, il tempo passa in secondo piano.

Quel che la divora all'interno non ha un nome, è soltanto una sensazione: la stessa che si prova quando si commette per la prima volta un atto senza ragione – come quando da bambini si decide di disobbedire di proposito ai moniti dei propri genitori –, il piacere di farlo e nient'altro.

Ecco, sì, è quel “nient'altro” ad inghiottirla, a consumarla mordacemente giorno dopo giorno.

È il sesso e nient'altro, il sapore insipido di quelle parole sulla bocca.

La consapevolezza è più dolorosa della stessa irriverenza, a volte – di questa massima, ormai, ne ha fatto una parabola personale. E, pensando a quanto possa essere caduta in basso, prova una sensazione di ineffabile vuoto nel cuore.




Qualche anno fa tutto era diverso – quanto possono pesare un paio d'anni sulle spalle, eh? –, a partire dal fatto che Akito Hayama era accanto a lei.

Tempo fa, molto tempo fa.

Allora credeva davvero nel futuro: Hayama riusciva a riempire i pieni ed i vuoti, sorprendentemente era l'unico in grado di scavare l'infinito pozzo di cui si era colmata la sua anima.

Quando aveva fatto ritorno da Los Angeles – tre lunghi anni, il tempo di diventare “adulti” – Sana lo aveva accolto a braccia aperte, come se il tempo non fosse mai trascorso.

Al diavolo le dicerie della gente, al diavolo ogni insinuazione: il loro amore aveva resistito e, da quel momento in avanti, ad attenderli era solamente un raggiante futuro.

Con Hayama aveva condiviso le prime esperienze, si era fidata di lui, aveva lasciato che le sue mani cingessero i suoi fianchi e, con estrema cautela, si fossero concesse l'indulgenza di amarla perdutamente. E Sana aveva tremato quella prima volta – forse anche la seconda e, molto probabilmente, anche la terza – poi tutto era diventato più naturale, semplice, spontaneo.


«Dovrebbero nascerne di nemici come noi...», aveva ridacchiato.

Improvvisamente aveva ricordato i loro battibecchi alle scuole elementari ed il lungo cammino che avevano percorso negli anni – sino ad arrivare a quel fatidico “come noi”.






Poi, circa un anno e mezzo dopo, il loro destino cambiò davvero: «Me ne torno a Los Angeles».

Ecco, poche e cruciali parole che l'avevano fatta crollare per l'ennesima volta; improvvisamente, le ginocchia sembrarono cederle ed anche respirare parve esser diventata una gran fatica.


«Tornerai? Cosa vai a -»

«Voglio diventare un dottore, Sana. E voglio prendere esempio da colui che mi ha curato a Los Angeles».

Il mondo che si sgretolava sotto i suoi piedi, l'orribile sensazione di sentir cedere la sua terraferma. Hayama, sì, che sino a quel momento era stata una delle poche certezze della sua vita ora si stava disfacendo di lei.

Si chiese se quei tre anni l'avesse davvero aspettata o se, invece, fosse stata lei ad attendere il suo sogno.

Spesso aveva sentito dire che l'America era la patria dei sogni, il “sogno americano” per eccellenza, quando si metteva piede in quella terra voltarsi indietro diventava sempre più difficile.

Impossibile.

«Ci abbandoni».

Non avrebbe mai potuto dimenticare l'espressione rabbuiata di Akito, men che meno il suo tono fintamente dispiaciuto. Forse l'amava, sì, ma quel che desiderava veramente non era tra le sue braccia – l'amore, a volte, necessitava di un sinonimo che lo convincesse a restare coi piedi ben saldi per terra.

Sana non trovò altre ragioni da potergli offrire – non che equiparassero il sogno di Akito, perlomeno – e, giustamente, Hayama le voltò le spalle un'ultima volta: ecco, sì, era così che avrebbe voluto ricordarlo... niente abbracci struggenti, baci appassionati oppure addii compassionevoli.

Un sogno che svaniva, tutto lì.





La sera stessa, in lacrime, si recò dall'unica persona che aveva saputo confortarla nei momenti peggiori: il suo “primo vero amore”, Rei Sagami, l'unico di cui si poteva fidare.


«Cos'hai?».

Le parole si sprecavano tra le braccia di Rei, erano soffocate nella sua giacca: Sana restò immobile, affogando e macchiando di dolore il suo pregiato tailleur per interminabili minuti; lui non le disse niente, lei gli si strinse accanto finché non iniziò a singhiozzare anziché piangere.

«Hayama mi ha lasciata. Ancora».

Si sedette sul divano di casa sua, con le ginocchia chiuse e le braccia tremanti – un moto di rabbia le attraversò il corpo –, a sprecare le sue lacrime per un tipo come Hayama.

Rei se ne stava seduto accanto a lei, un braccio appoggiato al bracciolo del divano e l'altro lasciato cadere a penzoloni; i proverbiali occhiali da sole di notte si dimostravano pressoché inutili e Sana poté ammirare – pur con la vista un po' appannata – i suoi magnifici occhi azzurri.

«Non ti merita, Sana. So che è difficile crederlo in questo momento ma un giorno amerai ancora».

Singhiozzò nuovamente, quelle parole erano cemento nel suo cuore.

«Rei...», attirò la sua attenzione, pur con tono flebile, «... non esiste un sinonimo della parola amore, vero?».

L'amico la fissò con occhi stralunati un sol istante, poi annuì: «Se esistesse, il mondo ne sarebbe talmente pieno che nessuno soffrirebbe più».


Ed era una grande verità, a ben pensarci: esistevano talmente tanti contrari della parola “amore” che elencarli tutti sarebbe impossibile. Di sinonimi, invece, il mondo non ne aveva mai trovato uno: né amicizia, né affetto e men che meno compassione potevano eguagliarsi all'infinita potenza di quell'unica ed inconfondibile parola.

«Ma, solo per stasera, puoi far finta che esista?».

Solo per stasera, diceva Sana, come avrebbe potuto negarsi a due occhioni così pieni di lacrime?

Il tempo si fermò, in quel momento, Rei dimenticò completamente la carica che ricopriva nei confronti di Sana e, quest'ultima, offrì le sue labbra su un piatto d'argento.

Era un modo come un altro di affogare nel dolore, un dolce modo di sopperire alla sofferenza.

E se dapprima le loro labbra potevano sembrare incerte, una volta trovato il giusto equilibrio e assecondati gli uni e gli altri desideri, collaborarono assieme: le braccia di Sana si avvolsero attorno al suo collo e le sue gambe si avvitarono attorno al torace dell'uomo. Quasi in perfetta sincronia, Rei si lasciò andare per la prima volta nella sua vita e si lasciò guidare – come ammaliato dall'incanto di una sirena – nella sua camera.

Affogare e risalire a galla erano parole complementari quella notte: sinonimi, in breve, di un flusso continuo che li avrebbe condotti solamente alla perdizione.





Sana ripensa a tutte quelle cose, le attraversano la mente come lampi: sono flash, brevi e mutevoli, la sua mente non riesce proprio a divagare.

Le strade di Tokyo sono fredde ed umide, alle tre di mattina: Sana, mai come in quel momento, si sente così in simbiosi con loro.




~




Note:


Inizio col dire che non sono impazzita – non definitivamente, almeno.

Sono sempre un'accanita Akito/Sana (*-*), questo voleva essere un esperimento. Che, poi, ho fatto concorrere per lo Sfigapairing Contest indetto da FataFaby89 e classificatasi – inaspettatamente – prima. <3.

L'idea è partita da una domanda fondamentale che mi sono fatta: esiste un sinonimo della parola amore? - da lì il titolo, infatti.

Il fatto è che non c'è nulla di eguagliabile o, quanto meno, raggiungibile ad esso... ed io, nella mia fan fiction – una breve long di tre capitoli – ho voluto dare le relative spiegazioni e supposizioni alla domanda.

Se vorrete seguirmi, mi farà piacere. :).

Una precisazione: il fatto che Akito “voglia diventare un dottore”, si basa su un dato certo. Se avete letto “Deep Clear” sapete a cosa mi riferisco. <3. Presumibilmente, quindi, i protagonisti hanno sui venti/ventidue anni qui.

Al prossimo,

Kì.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***



II.










«Lei è il suo manager, vero?».

Rei annuisce, quella definizione gli calza proprio a pennello; Sana, accanto a lui, sorride raggiante – sa recitare bene la sua parte, lei –, 

l'unica cosa che sembra disturbarla è l'insistenza dell'intervistatrice riguardo la sua vita privata.


Rei, solitamente, se ne sta in disparte; attende che il turno della protetta finisca, così da poterla accompagnare fino al suo nuovo appartamento 

– uno spazioso alloggio situato nei quartieri alti di Tokyo –, salutarla e tornarla a trovare con una vecchia aiuto qualche ora più tardi. 

Senza occhiali, ovviamente, privandosi dei tailleur eleganti e delle cravatte costose; si potrebbe dire quasi che la personalità di Rei 

Sagami di notte fonda muti radicalmente.

Ogni sera la stessa solfa: tutto per non alimentare i pettegolezzi, già.


Stanno sempre lì, come cani da guardia, pronti a saltare addosso al primo malcapitato: si appostano per qualche ora, talvolta per 

una notte intera, cercando voci infondate da poter far circolare in giro.

A ben pensarci, se la loro relazione – così, almeno, Rei prova a definirla – saltasse fuori la copertura salterebbe e le testate di giornale 

parlerebbero chiaro: “Rei Sagami: l'inconfessabile amore di Sana Kurata” o “Sindrome di Peter Pan, per Rei Sagami?” .

E, ancora, sarebbe addirittura saltato fuori che la loro storia durasse da anni. 

A quel punto sarebbero intervenute anche le alte forze dell'ordine ed avrebbero avviato un'inchiesta – qualcuno avrebbe trovato il modo di incastrarlo, 

infine, perché il mondo dello spettacolo funziona anche così.



Ad ogni modo, Rei l'aveva amata per la prima volta un paio d'anni prima quando, con il cuore a pezzi e gli occhi riempiti di lacrime,

lo aveva supplicato di poter ripiegare un po' del suo dolore tra le sue braccia. 

Seppur cosciente del rischio che stava correndo, Rei aveva ceduto alle sue richieste - non aveva mai saputo fare un cenno di diniego 

con lei, pazzesco – e si era lasciato andare completamente.

Dopo la storia con Asami la sua fiducia nell'amore ne era uscita fortemente sconfitta, un bacio o forse più con quella che aveva reputato 

fino ad allora “una bambina” da cui prendere e dare ordini, non poteva sicuramente turbarlo.

Aveva fatto mente locale solo il giorno dopo, quando si era accorto di stringere tra le sue braccia il corpo di Sana e di aver 

intrecciato tra le sue dita lunghe ciocche ramate – d' un tratto, la “bambina” che aveva tanto adorato gli sembrò improvvisamente cresciuta 

e trasformatasi in una magnifica donna. E, diavolo, lo faceva impazzire.


«Dimentichiamo questo equivoco...», le aveva detto poche ore dopo, pregandola di coprirsi con un lenzuolo.


Sana aveva rabbuiato lo sguardo, Rei non aveva indugiato oltre sulla sua espressione – in quel momento, se solo avesse voluto, avrebbe potuto fargli cambiare idea.

Qualche minuto dopo Sana uscì dalla sua camera di tutto punto: osservando i suoi boccoli armoniosamente arricciati ed 

il vestito con le spalline ben stirato, Rei si convinse che lei avrebbe gettato nel dimenticatoio quel che era stata quella notte.

«Ci vediamo alle due».

Mormorò flebilmente.

«Cosa?», frastornato, attonito e forse ancora un po' incosciente, a Rei quelle parole parvero un lampo a ciel sereno.

«Agli studi, alle due, Rei...», rinvigorì solo successivamente, dopo aver osservato la figura di Sana che si allontanava a 

passi lenti e misurati da lui, «... E, comunque, non sarò io a cercarti».


Sana gli aveva lanciato un proiettile che gli risultò d'un tratto difficile schivare – breve e diretta, era davvero cresciuta la sua bambina.





I giorni seguenti aveva cercato di evitarla, per quanto possibile; si era dato per malato – una scusa convincente, no, ad occhi estranei – lasciando

nelle mani di qualcun altro il controllo degli impegni quotidiani di Sana, momentaneamente.

Non sperava di fuggire per sempre da ciò che era accaduto quella notte, non era sua intenzione comportarsi così vigliaccamente; eppure, 

qualcosa all'interno lo divorava, l'unica persona che poteva dargli delle risposte era Sana – curiosamente.


Aveva iniziato a tempestarla di chiamate, allora, quasi sentisse il bisogno estremo di vederla – cos'era quell'improvvisa dipendenza

dalle sue labbra, eh? – o, almeno, di sentirla.

Le aveva risposto di tarda notte, circa le due di mattina, con la voce un po' impastata dal sonno.


«Te l'avevo detto che... che non sarei stata io a cercarti».


Nel suo tono c'era un ché di ammonitorio e, forse, una punta di orgoglio.

Rei lasciò che le parole di Sana gli scivolassero via come l'olio, sentirla gli era così vitale che si lasciò cadere sul divano – quasi fosse una liberazione – non

appena udì il suo inconfondibile tono di voce.

«Ho bisogno di vederti».

Ecco, lo aveva detto, ora poteva farsi infangare umanamente da lei.

«Curioso», Sana ridacchiava dall'altra parte del ricevitore, non senza una leggera punta di sarcasmo, «Anche io».


Rei stava per chiederle se per lei fosse stato un gioco e se si fosse divertita a controllarlo come una buffa marionetta, finché il campanello non suonò.

Fissò per un momento il cordless, poi, si disse, non poteva essere.

Non la sentiva da due giorni, non c'era stato alcuno scambio di opinioni tra loro ultimamente e l'ultima cosa che rimaneva da fare 

era vedersi; tenendo bene in mente quelle premesse, Rei si avvicinò alla porta e la aprì lentamente.

Con suo immenso stupore, Sana era proprio davanti a lui: le trecce sfatte, un cappottino leggero, il cellulare in mano.


«Pensavo stessi al telefono...», ridacchiò tra sé e sé, notando che aveva poggiato il cordless sul mobile d'ingresso, «M-Mi... mancavi».


Poi chinò lo sguardo e quando ebbe il coraggio di sollevare il capo, le lacrime le avevano già infangato il volto – era pur sempre bellissima e, 

cosa più importante, si era precipitata di notte fonda nel suo appartamento... doveva pur voler dire qualcosa, no?





Sento che respiri forte in questa cornetta: maledetta, mi separa dalla tua bocca.”









Note:

secondo e penultimo capitolo, il prossimo chiuderà la storia.

In realtà questa fan fiction era stata “concepita” come una one-shot ma accadono così tante cose e c'è un alternarsi tra passato/passato remoto/presente che ho preferito suddividerla onde evitar confusione.

La citazione finale è la “lyrics bonus” che avevamo la possibilità di inserire. : ).

La canzone usata è “Il solito sesso” di Max Gazzé [click!]

Grazie per i commenti, le preferite/seguite/ricordate... vi adoroH <3.


Kì.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***



Ultimo capitolo, sì.

Lo dedico a tutte voi, ovunque voi siate, che siete

dei casi impossibili” - leggete quest'ultimo capitolo e capirete

il senso di questa definizione –, che non potreste mai sostituire

con un sinonimo e che, nonostante tutto, ci credete ancora.

Questo capitolo è dedicato anche a me stessa, in fondo, dovrei

convincermi che prima o poi quel “sinonimo” diventerà

una definizione.

A voi, lettori. <3.






III.







Due anni dopo, all'incirca, la loro storia non è cambiata di una virgola – pensa Sana rigirandosi il lucidalabbra tra le dita, mentre attende Rei in auto.

Ancora non hanno parlato, non sul serio: si sono limitati ad uno scambio di opinioni – ad occhi estranei potrebbe sembrare un litigio ma Sana sostiene che si tratta di “una civile conversazione” –, bel modo di inaugurare una nuova giornata.

Eccolo, finalmente, con qualche scartoffia in mano; Rei le passa con poco riguardo una pila di fogli, a primo acchito le suscitano una certa impressione.

«Una serie di copioni. Sono film che ti hanno proposto. Dovresti sceglierne tre».

Il fatto che dialoghi con lei sotto forma di monosillabi – come un alieno qualsiasi, insomma – le fa intuire facilmente fino a che punto possa essere arrabbiato.

Sana annuisce, prova a leggere i copioni per qualche minuto ma non ci riesce; Rei, accanto a lei, è gelido e distaccato, non può fare a meno di notarlo.

«Scusami per ieri. Io... io credo di aver avuto paura».

Improvvisamente, Sana sente una frenata terribile ed è terrore per un attimo nel suo sguardo; Rei si apposta in un angolo semi-deserto, si libera degli occhiali da sole e si prende la testa fra le mani.

Lei lo osserva senza sillabare una parola: non saprebbe davvero cosa dire in un momento del genere, ormai anche lui avrà capito che quella relazione, per lei, altro non è che un sinonimo della parola amore.

Sinonimo, attenzione: per definizione è una parola simile ad un altro termine, non sarà mai uguale allo stesso.

Non sarà mai amore.

E quelle parole, così fredde e glaciali, rimbombano nella testa di Rei giorno e notte – non lo lasciano respirare, non può nulla contro la loro potenza.

Rei potrebbe amarla al contrario, sì, in effetti sarebbe meglio: non dovrebbe struggersi in quel modo, ben sapendo che lei non l'avrebbe mai amato completamente.

Quel poco potrebbe bastare per renderlo felice al momento, probabilmente, ma per quanto ancora potrebbe perdurare quell'effimera felicità?

Sana se ne sta in disparte, con aria discostante, quasi la cosa non la riguardasse; Rei allora ingrana la marcia, svolta in tutt'altra direzione e non si cura delle domande di Sana che, secondo dopo secondo, pare possedere un tono sempre più allarmato.


Finché, a conti fatti, capisce che persino le parole sono superflue; Rei si ferma solo dopo un'ora – minuto più, minuto meno –, non è difficile intuire dove la stia portando.

Basta un'occhiata, uno sguardo in alto e l'espressione di Sana muta radicalmente: tutti i suoi programmi, a quanto pare, sono stati completamente cancellati... Rei vuole portarla in viaggio?

È l'aeroporto di Tokyo, uno dei più grandi internazionalmente, Sana stenta a credere ai suoi stessi occhi.

È una follia quella che stanno commettendo – o, meglio, stanno per commettere – ed è così assurda che le parole non possono esprimere il suo disappunto.



«Hai un aereo da prendere, a quanto pare», Sana non riesce quasi ad articolare le parole, è così impossibile quella situazione che spiegarla risulterebbe un'impresa pressoché vana.

Rei l'ha accompagnata ad un aeroporto, a sua insaputa, un modo gentile come un altro per liquidare la loro storia.

«Perché mi stai facendo questo?».

Domanda esterrefatta, fissando l'imperiosa scritta in alto.

Poi, intuisce: Rei non l'ha portata lì per raggiungere una destinazione casuale, lei si trova all'aeroporto di Tokyo per arrivare alla sua meta – Akito Hayama, una nazione senza eguali nel suo cuore.

«Sei tu a farti questo, Sana».

Non può dargli tutti i torti, Sana si limita a negare placidamente con il capo.

«Non puoi lasciarmi partire».

Rimbecca, in un vano tentativo di salvezza.

«Sono il tuo manager, posso cambiare i tuoi impegni in un attimo».

Giusta osservazione, ancora una volta non può dargli torto.

«Non puoi farmi questo. Lui non mi ama più... e io, io non amo più lui!».

E, mentre prova a convincersene mentalmente, un groppo in gola le blocca il respiro ed un leggero tremito alle mani pare avvisarla che sta mentendo a se stessa.

Rei lo intuisce facilmente, è così trasparente ai suoi occhi.

«Non prenderti in giro, Sana. Se tu gli volessi bene, se tu desiderassi vederlo, se tu volessi andarlo a trovare, se tu vorresti scrivergli una lettera... io ne sarei felice, davvero. Ma tu... tu lo ami come il primo giorno. Tu sei uno di quei casi impossibili».

Rei si prende nuovamente la testa tra le mani, non riesce nemmeno ad immaginare quanta sofferenza starà provando in quel momento a causa sua.

«I-Impossibili?».

«Sei una di quelle rare persone che non potrebbe mai vivere con un sinonimo. Non potresti mai amare un sinonimo. Tu vuoi tutto, Sana, oppure niente».

Ecco, sì, lui ha capito perfettamente qual è la sua idea di “amore”: non è metà cuore, non è metà anima, non è metà corpo... è tutto, meravigliosamente e spaventosamente tutto di se stessi. Fa così paura che si concede una volta nella vita e, purtroppo per Rei, Hayama si è già appropriato di tutto ciò.

Se solo non avesse conosciuto quell'odiosa e scorbutica perla del suo ex-fidanzato, probabilmente si sarebbe innamorata follemente di Rei – anzi, ne è certa, in fondo cadere ai suoi piedi non le sarebbe risultato difficoltoso.

Invece, si ama sempre il contrario di ciò che si vorrebbe veramente: a quanto pare, Hayama è la sfida della sua vita – e, realizza in quel momento, la vuole vincere.


Sana si accinge quasi ad aprire la portiera dell'auto, finché qualcosa non la pietrifica: gli occhi di Rei, semplicemente, si specchiano nei suoi. Tenta di domandargli perdono ma lo trova pressoché inutile – dovrebbe scusarsi di amare troppo Hayama e Rei non potrebbe mai assolverla da un peccato così grande.


«Rei... posso baciarti un'ultima volta?».

È una richiesta legittima, dopotutto, sebbene lei detesti gli struggenti addii.

«È un sinonimo della parola addio, vero?».

Sana non risponde, è una domanda retorica.

È un bacio, un ultimo e perfetto bacio, non ha nulla a che fare con l'amore: è un sinonimo, sì, in cui riversano ambedue i sentimenti che li legano da anni.

È semplicemente un modo per dire addio, dolce e doloroso, un mai più.




~





Note: sì, ho scritto su questo “crack pairing” ma, mi spiace, io l'happy ending tra questi due proprio non ce

lo vedo. Ci vedo più Rei che, da uomo maturo, lascia “spiccare il volo” a Sana.

Chissà, magari potrei prendere spunto da questa storia e, un giorno, scriverci una long. Partendo proprio da questo momento, intendo.

Ma moooolto più in là, a Settembre devo postare un'altra storia e non vorrei incasinarmi la vita da fanwriter come al solito. u__u.

Per il resto, vi ringrazio di aver letto ed apprezzato.

Se avete condiviso un po' i pensieri di Sana, che in fondo sono i miei, mi fa piacere.

:).

A presto!


Kì.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=781195