Sinonimi della parola amore di KikiWhiteFly (/viewuser.php?uid=33036)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 1 *** Primo capitolo ***
Sinonimi
della parola amore
I.
Grossomodo
sono le tre di mattina e Sana è ancora sveglia, piuttosto
turbata
invero, si gira e si rigira tra le lenzuola cercando una posizione
comoda o, forse, una ragione per riposare qualche ora la mente.
Ma,
a discapito di ogni giustificazione, Sana conosce sin troppo bene la
ragione della sua insonnia: si trova accanto a lei, beatamente
addormentato.
Non
ce la fa, non ce la fa proprio: Rei la odierà fra qualche
ora –
lo conosce, prevede già le sue reazioni – ma il
senso di colpa le
attanaglia in tal maniera lo stomaco che sente il bisogno di
rifuggirgli. Ma, anche oltrepassata la soglia di quell'appartamento,
il malessere continua a divorarla all'interno: è una
sensazione che
ha sperimentato sin troppe volte, ormai è ordinaria
amministrazione.
Raccatta
le sue cose a terra, si veste velocemente e dà una rapida
spazzolata
ai capelli; poi, il suo sguardo si dirige verso la prona figura del
manager, del tutto ignaro di quella fuga nel cuore della notte.
Sana
si morde il labbro inferiore con veemenza – quasi le sembra
ingiusto abbandonarlo così, senza la benché
minima spiegazione –,
dopodiché decide di lasciargli due righe scritte.
Grossomodo,
si sente uno schifo.
Cammina
lungo le strade deserte, accompagnata solamente da un soffio di vento
che spira da Nord e che pare proprio indugiare sulle sue spalle;
eppure, confrontato a ciò che la investe dentro, il tempo
passa in
secondo piano.
Quel
che la divora all'interno non ha un nome, è soltanto una sensazione:
la stessa che si prova quando si commette per la prima volta
un
atto senza ragione – come quando da bambini si decide di
disobbedire di proposito ai moniti dei propri genitori –, il
piacere di farlo e nient'altro.
Ecco,
sì, è quel “nient'altro” ad
inghiottirla, a consumarla
mordacemente giorno dopo giorno.
È
il sesso e nient'altro, il sapore insipido di quelle parole sulla
bocca.
La
consapevolezza è più dolorosa della stessa
irriverenza, a volte –
di questa massima, ormai, ne ha fatto una parabola personale. E,
pensando a quanto possa essere caduta in basso, prova una sensazione
di ineffabile vuoto nel cuore.
Qualche
anno fa tutto era diverso – quanto possono pesare un paio
d'anni
sulle spalle, eh? –, a partire dal fatto che Akito Hayama era
accanto a lei.
Tempo
fa, molto tempo fa.
Allora
credeva davvero nel futuro: Hayama riusciva a riempire i pieni ed i
vuoti, sorprendentemente era l'unico in grado di scavare l'infinito
pozzo di cui si era colmata la sua anima.
Quando
aveva fatto ritorno da Los Angeles – tre lunghi anni, il
tempo di
diventare “adulti” – Sana lo aveva
accolto a braccia aperte,
come se il tempo non fosse mai trascorso.
Al
diavolo le dicerie della gente, al diavolo ogni insinuazione: il loro
amore aveva resistito e, da quel momento in avanti, ad attenderli era
solamente un raggiante futuro.
Con
Hayama aveva condiviso le prime esperienze, si era fidata di lui,
aveva lasciato che le sue mani cingessero i suoi fianchi e, con
estrema cautela, si fossero concesse l'indulgenza di amarla
perdutamente. E Sana aveva tremato quella prima volta – forse
anche
la seconda e, molto probabilmente, anche la terza – poi tutto
era
diventato più naturale, semplice, spontaneo.
«Dovrebbero
nascerne di nemici
come noi...», aveva ridacchiato.
Improvvisamente
aveva ricordato i loro battibecchi alle scuole elementari ed il lungo
cammino che avevano percorso negli anni – sino ad arrivare a
quel
fatidico “come noi”.
Poi,
circa un anno e mezzo dopo, il loro destino cambiò davvero:
«Me ne
torno a Los Angeles».
Ecco,
poche e cruciali parole che l'avevano fatta crollare per l'ennesima
volta; improvvisamente, le ginocchia sembrarono cederle ed anche
respirare parve esser diventata una gran fatica.
«Tornerai?
Cosa vai a -»
«Voglio
diventare un dottore, Sana. E voglio prendere esempio da colui che mi
ha curato a Los Angeles».
Il
mondo che si sgretolava sotto i suoi piedi, l'orribile sensazione di
sentir cedere la sua terraferma. Hayama,
sì, che sino a quel
momento era stata una delle poche certezze della sua vita ora si
stava disfacendo di lei.
Si
chiese se quei tre anni l'avesse davvero aspettata o se, invece,
fosse stata lei ad attendere il suo sogno.
Spesso
aveva sentito dire che l'America era la patria dei sogni, il “sogno
americano” per eccellenza, quando si metteva piede
in quella
terra voltarsi indietro diventava sempre più difficile.
Impossibile.
«Ci
abbandoni».
Non
avrebbe mai potuto dimenticare l'espressione rabbuiata di Akito, men
che meno il suo tono fintamente dispiaciuto. Forse l'amava,
sì, ma
quel che desiderava veramente non era tra le sue braccia – l'amore,
a volte, necessitava
di un sinonimo che lo convincesse a restare coi piedi ben saldi per
terra.
Sana
non trovò altre ragioni da potergli offrire – non
che
equiparassero il sogno di Akito, perlomeno – e, giustamente,
Hayama
le voltò le spalle un'ultima volta: ecco, sì, era
così che avrebbe
voluto ricordarlo... niente abbracci struggenti, baci appassionati
oppure addii compassionevoli.
Un
sogno che svaniva, tutto lì.
La
sera stessa, in lacrime, si recò dall'unica persona che
aveva saputo
confortarla nei momenti peggiori: il suo “primo vero
amore”, Rei
Sagami, l'unico di cui si poteva fidare.
«Cos'hai?».
Le
parole si sprecavano tra le braccia di Rei, erano soffocate nella sua
giacca: Sana restò immobile, affogando e macchiando di
dolore il suo
pregiato tailleur per interminabili minuti; lui non le disse niente,
lei gli si strinse accanto finché non iniziò a
singhiozzare anziché
piangere.
«Hayama
mi ha lasciata. Ancora».
Si
sedette sul divano di casa sua, con le ginocchia chiuse e le braccia
tremanti – un moto di rabbia le attraversò il
corpo –, a
sprecare le sue lacrime per un tipo come Hayama.
Rei
se ne stava seduto accanto a lei, un braccio appoggiato al bracciolo
del divano e l'altro lasciato cadere a penzoloni; i proverbiali
occhiali da sole di notte si dimostravano pressoché inutili
e Sana
poté ammirare – pur con la vista un po' appannata
– i suoi
magnifici occhi azzurri.
«Non
ti merita, Sana. So che è difficile crederlo in questo
momento ma un
giorno amerai
ancora».
Singhiozzò
nuovamente, quelle parole erano cemento nel suo
cuore.
«Rei...»,
attirò la sua attenzione, pur con tono flebile,
«... non esiste un
sinonimo
della parola amore, vero?».
L'amico
la fissò con occhi stralunati un sol istante, poi
annuì: «Se
esistesse, il mondo ne sarebbe talmente pieno che nessuno soffrirebbe
più».
Ed
era una grande verità, a ben pensarci: esistevano talmente
tanti
contrari della parola “amore”
che elencarli tutti sarebbe
impossibile. Di sinonimi, invece, il mondo non ne aveva mai trovato
uno: né amicizia, né affetto e men che meno
compassione potevano
eguagliarsi all'infinita potenza di quell'unica ed inconfondibile
parola.
«Ma,
solo per stasera, puoi far finta che
esista?».
Solo
per stasera, diceva Sana, come avrebbe potuto negarsi a due occhioni
così pieni di lacrime?
Il
tempo si fermò, in quel momento, Rei dimenticò
completamente la
carica che ricopriva nei confronti di Sana e, quest'ultima,
offrì le
sue labbra su un piatto d'argento.
Era
un modo come un altro di affogare nel dolore, un dolce
modo di
sopperire alla sofferenza.
E
se dapprima le loro labbra potevano sembrare incerte, una volta
trovato il giusto equilibrio e assecondati gli uni e gli altri
desideri, collaborarono assieme: le braccia di Sana si avvolsero
attorno al suo collo e le sue gambe si avvitarono attorno al torace
dell'uomo. Quasi in perfetta sincronia, Rei si lasciò andare
per la
prima volta nella sua vita e si lasciò guidare –
come ammaliato
dall'incanto di una sirena – nella sua camera.
Affogare
e risalire a galla erano
parole complementari quella notte: sinonimi, in breve, di un flusso
continuo che li avrebbe condotti solamente alla perdizione.
Sana
ripensa a tutte quelle cose, le attraversano la mente come lampi:
sono flash, brevi e mutevoli, la sua mente non riesce proprio a
divagare.
Le
strade di Tokyo sono fredde ed umide, alle tre di mattina: Sana, mai
come in quel momento, si sente così in simbiosi
con loro.
~
Note:
Inizio
col dire che non sono impazzita – non definitivamente,
almeno.
Sono
sempre un'accanita Akito/Sana (*-*), questo voleva
essere un
esperimento. Che, poi, ho fatto concorrere per lo Sfigapairing
Contest indetto da
FataFaby89 e classificatasi –
inaspettatamente – prima.
<3.
L'idea
è partita da una domanda fondamentale che mi sono fatta:
esiste un
sinonimo della parola amore? - da lì il titolo, infatti.
Il
fatto è che non c'è nulla di eguagliabile o,
quanto meno,
raggiungibile ad esso... ed io, nella mia fan fiction – una
breve
long di tre capitoli – ho voluto dare le relative spiegazioni
e
supposizioni alla domanda.
Se
vorrete seguirmi, mi farà piacere. :).
Una
precisazione: il fatto che Akito “voglia diventare un
dottore”,
si basa su un dato certo. Se avete letto “Deep
Clear”
sapete a cosa mi riferisco. <3. Presumibilmente, quindi, i
protagonisti hanno sui venti/ventidue anni qui.
Al
prossimo,
Kì.
|
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Capitolo 2 *** Secondo capitolo ***
II.
«Lei
è il suo manager, vero?».
Rei
annuisce, quella definizione gli calza proprio a pennello; Sana,
accanto a lui, sorride raggiante – sa recitare bene la sua
parte,
lei –,
l'unica cosa che
sembra disturbarla è
l'insistenza dell'intervistatrice riguardo la sua vita
privata.
Rei,
solitamente, se ne sta in disparte; attende che il turno della
protetta finisca, così da poterla accompagnare fino al suo
nuovo
appartamento
– uno
spazioso alloggio situato nei quartieri alti di Tokyo
–, salutarla e tornarla a trovare con una vecchia aiuto
qualche ora più tardi.
Senza occhiali,
ovviamente, privandosi dei
tailleur eleganti e delle cravatte costose; si potrebbe dire quasi
che la personalità di Rei
Sagami di notte
fonda muti radicalmente.
Ogni
sera la stessa solfa: tutto per non alimentare i pettegolezzi,
già.
Stanno
sempre lì, come cani da guardia, pronti a saltare addosso al
primo
malcapitato: si appostano per qualche ora, talvolta per
una notte
intera, cercando voci infondate da poter far circolare in giro.
A
ben pensarci, se la loro relazione – così, almeno,
Rei prova a
definirla – saltasse fuori la copertura salterebbe e le
testate di
giornale
parlerebbero
chiaro: “Rei Sagami: l'inconfessabile
amore di Sana Kurata” o “Sindrome
di Peter Pan, per
Rei Sagami?” .
E,
ancora, sarebbe addirittura saltato fuori che la loro storia durasse
da anni.
A quel punto
sarebbero intervenute anche le alte forze
dell'ordine ed avrebbero avviato un'inchiesta –
qualcuno avrebbe
trovato il modo di incastrarlo,
infine,
perché il mondo dello
spettacolo funziona anche così.
Ad
ogni modo, Rei l'aveva amata per la prima volta un paio d'anni prima
quando, con il cuore a pezzi e gli occhi riempiti di lacrime,
lo
aveva supplicato di poter ripiegare un po' del suo dolore tra
le sue
braccia.
Seppur cosciente
del rischio che stava correndo, Rei aveva
ceduto alle sue richieste - non aveva mai saputo fare un cenno di
diniego
con lei, pazzesco
– e si era lasciato andare completamente.
Dopo
la storia con Asami la sua fiducia nell'amore ne era uscita
fortemente sconfitta, un bacio o forse più con quella che
aveva
reputato
fino ad allora
“una bambina” da cui prendere e dare
ordini, non poteva sicuramente turbarlo.
Aveva
fatto mente locale solo il giorno dopo, quando si era accorto di
stringere tra le sue braccia il corpo di Sana e di aver
intrecciato
tra le sue dita lunghe ciocche ramate – d' un tratto,
la “bambina”
che aveva tanto adorato gli sembrò improvvisamente
cresciuta
e
trasformatasi in una magnifica donna. E, diavolo, lo faceva
impazzire.
«Dimentichiamo
questo equivoco...», le aveva detto poche ore dopo,
pregandola di
coprirsi con un lenzuolo.
Sana
aveva rabbuiato lo sguardo, Rei non aveva indugiato oltre sulla sua
espressione – in quel momento, se solo avesse voluto, avrebbe
potuto fargli cambiare idea.
Qualche
minuto dopo Sana uscì dalla sua camera di tutto punto:
osservando i
suoi boccoli armoniosamente arricciati ed
il vestito con le
spalline
ben stirato, Rei si convinse che lei avrebbe gettato nel
dimenticatoio quel che era stata quella notte.
«Ci
vediamo alle due».
Mormorò
flebilmente.
«Cosa?»,
frastornato, attonito e forse ancora un po' incosciente, a Rei quelle
parole parvero un lampo a ciel sereno.
«Agli
studi, alle due, Rei...», rinvigorì solo
successivamente, dopo aver
osservato la figura di Sana che si allontanava a
passi lenti e
misurati da lui, «... E, comunque, non
sarò io a cercarti».
Sana
gli aveva lanciato un proiettile che gli risultò d'un tratto
difficile schivare – breve e diretta, era davvero cresciuta la
sua bambina.
I
giorni seguenti aveva cercato di evitarla, per quanto possibile; si
era dato per malato – una scusa convincente, no, ad occhi
estranei
– lasciando
nelle mani di
qualcun altro il controllo degli impegni
quotidiani di Sana, momentaneamente.
Non
sperava di fuggire per sempre da ciò che era accaduto quella
notte,
non era sua intenzione comportarsi così vigliaccamente;
eppure,
qualcosa
all'interno lo divorava, l'unica persona che poteva dargli
delle risposte era Sana – curiosamente.
Aveva
iniziato a tempestarla di chiamate, allora, quasi sentisse il bisogno
estremo di vederla – cos'era quell'improvvisa dipendenza
dalle sue
labbra, eh? – o, almeno, di sentirla.
Le
aveva risposto di tarda notte, circa le due di mattina, con la voce
un po' impastata dal sonno.
«Te
l'avevo detto che... che non sarei stata io a cercarti».
Nel
suo tono c'era un ché di ammonitorio e, forse, una punta di
orgoglio.
Rei
lasciò che le parole di Sana gli scivolassero via come
l'olio,
sentirla gli era così vitale che si
lasciò cadere sul divano
– quasi fosse una liberazione – non
appena
udì il suo
inconfondibile tono di voce.
«Ho
bisogno di vederti».
Ecco,
lo aveva detto, ora poteva farsi infangare umanamente da lei.
«Curioso»,
Sana ridacchiava dall'altra parte del ricevitore, non senza una
leggera punta di sarcasmo, «Anche io».
Rei
stava per chiederle se per lei fosse stato un gioco e se si fosse
divertita a controllarlo come una buffa marionetta, finché
il
campanello non suonò.
Fissò
per un momento il cordless, poi, si disse, non poteva essere.
Non
la sentiva da due giorni, non c'era stato alcuno scambio di opinioni
tra loro ultimamente e l'ultima cosa che rimaneva da fare
era
vedersi; tenendo bene in mente quelle premesse, Rei
si avvicinò alla
porta e la aprì lentamente.
Con
suo immenso stupore, Sana era proprio davanti a lui: le trecce
sfatte, un cappottino leggero, il cellulare in mano.
«Pensavo
stessi al telefono...», ridacchiò tra
sé e sé, notando che aveva
poggiato il cordless sul mobile d'ingresso, «M-Mi...
mancavi».
Poi
chinò lo sguardo e quando ebbe il coraggio di sollevare il
capo, le
lacrime le avevano già infangato il volto – era
pur sempre
bellissima e,
cosa più
importante, si era precipitata di notte fonda nel suo
appartamento... doveva pur voler dire qualcosa, no?
“Sento
che respiri forte in questa cornetta: maledetta, mi separa dalla tua
bocca.”
Note:
secondo
e penultimo capitolo, il prossimo chiuderà la storia.
In
realtà questa fan fiction era stata
“concepita” come una
one-shot ma accadono così tante cose e c'è un
alternarsi tra
passato/passato remoto/presente che ho preferito suddividerla onde
evitar confusione.
La
citazione finale è la “lyrics bonus” che
avevamo la possibilità
di inserire. : ).
La
canzone usata è “Il
solito sesso” di Max Gazzé [click!]
Grazie
per i commenti, le preferite/seguite/ricordate... vi adoroH
<3.
Kì.
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Capitolo 3 *** Terzo capitolo ***
Ultimo
capitolo, sì.
Lo
dedico a tutte voi, ovunque voi siate, che siete
“dei
casi impossibili” - leggete quest'ultimo capitolo e capirete
il
senso di questa definizione –, che non potreste mai sostituire
con
un sinonimo e che, nonostante tutto, ci credete ancora.
Questo
capitolo è dedicato anche a me stessa, in fondo, dovrei
convincermi
che prima o poi quel “sinonimo”
diventerà
una
definizione.
A
voi, lettori. <3.
III.
Due
anni dopo, all'incirca, la loro storia non è cambiata di una
virgola
– pensa Sana rigirandosi il lucidalabbra tra le dita, mentre
attende Rei in auto.
Ancora
non hanno parlato, non sul serio: si sono limitati ad uno scambio di
opinioni – ad occhi estranei potrebbe sembrare un litigio ma
Sana
sostiene che si tratta di “una civile
conversazione” –, bel
modo di inaugurare una nuova giornata.
Eccolo,
finalmente, con qualche scartoffia in mano; Rei le passa con poco
riguardo una pila di fogli, a primo acchito le suscitano una certa
impressione.
«Una
serie di copioni. Sono film che ti hanno proposto. Dovresti
sceglierne tre».
Il
fatto che dialoghi con lei sotto forma di
monosillabi – come
un alieno qualsiasi, insomma – le fa intuire facilmente fino
a che
punto possa essere arrabbiato.
Sana
annuisce, prova a leggere i copioni per qualche minuto ma non ci
riesce; Rei, accanto a lei, è gelido e distaccato, non
può fare a
meno di notarlo.
«Scusami
per ieri. Io... io credo di aver avuto paura».
Improvvisamente,
Sana sente una frenata terribile ed è terrore per un attimo
nel suo
sguardo; Rei si apposta in un angolo semi-deserto, si libera degli
occhiali da sole e si prende la testa fra le mani.
Lei
lo osserva senza sillabare una parola: non saprebbe davvero cosa dire
in un momento del genere, ormai anche lui avrà capito che
quella
relazione, per lei, altro non è che un sinonimo
della parola
amore.
Sinonimo,
attenzione: per definizione è una parola simile ad un altro
termine,
non sarà mai uguale allo stesso.
Non
sarà mai amore.
E
quelle parole, così fredde e glaciali, rimbombano nella
testa di Rei
giorno e notte – non lo lasciano respirare, non
può nulla contro
la loro potenza.
Rei
potrebbe amarla al contrario, sì, in
effetti sarebbe meglio:
non dovrebbe struggersi in quel modo, ben sapendo che lei non
l'avrebbe mai amato completamente.
Quel
poco potrebbe bastare per renderlo felice al momento, probabilmente,
ma per quanto ancora potrebbe perdurare quell'effimera
felicità?
Sana
se ne sta in disparte, con aria discostante, quasi la cosa non la
riguardasse; Rei allora ingrana la marcia, svolta in tutt'altra
direzione e non si cura delle domande di Sana che, secondo dopo
secondo, pare possedere un tono sempre più allarmato.
Finché,
a conti fatti, capisce che persino le parole sono superflue; Rei si
ferma solo dopo un'ora – minuto più, minuto meno
–, non è
difficile intuire dove la stia portando.
Basta
un'occhiata, uno sguardo in alto e l'espressione di Sana muta
radicalmente: tutti i suoi programmi, a quanto pare, sono stati
completamente cancellati... Rei vuole portarla in viaggio?
È
l'aeroporto di Tokyo, uno dei più grandi internazionalmente,
Sana
stenta a credere ai suoi stessi occhi.
È
una follia quella che stanno commettendo – o, meglio, stanno
per
commettere – ed è così assurda che le
parole non possono
esprimere il suo disappunto.
«Hai
un aereo da prendere, a quanto pare», Sana non riesce quasi
ad
articolare le parole, è così impossibile quella
situazione che
spiegarla risulterebbe un'impresa pressoché vana.
Rei
l'ha accompagnata ad un aeroporto, a sua insaputa, un modo gentile
come un altro per liquidare la loro storia.
«Perché
mi stai facendo questo?».
Domanda
esterrefatta, fissando l'imperiosa scritta in alto.
Poi,
intuisce: Rei non l'ha portata lì per raggiungere una
destinazione
casuale, lei si trova all'aeroporto di Tokyo per arrivare alla
sua
meta – Akito Hayama, una nazione senza eguali nel
suo cuore.
«Sei
tu a farti questo, Sana».
Non
può dargli tutti i torti, Sana si limita a negare
placidamente con
il capo.
«Non
puoi lasciarmi partire».
Rimbecca,
in un vano tentativo di salvezza.
«Sono
il tuo manager, posso cambiare i tuoi impegni in un attimo».
Giusta
osservazione, ancora una volta non può dargli torto.
«Non
puoi farmi questo. Lui non mi ama più... e io, io
non amo più
lui!».
E,
mentre prova a convincersene mentalmente, un groppo in gola le blocca
il respiro ed un leggero tremito alle mani pare avvisarla che sta
mentendo a se stessa.
Rei
lo intuisce facilmente, è così trasparente
ai suoi occhi.
«Non
prenderti in giro, Sana. Se tu gli volessi bene, se tu desiderassi
vederlo, se tu volessi andarlo a trovare, se tu vorresti scrivergli
una lettera... io ne sarei felice, davvero. Ma tu... tu lo ami come
il primo giorno. Tu sei uno di quei casi impossibili».
Rei
si prende nuovamente la testa tra le mani, non riesce nemmeno ad
immaginare quanta sofferenza starà provando in quel momento
a causa
sua.
«I-Impossibili?».
«Sei
una di quelle rare persone che non potrebbe mai vivere con un
sinonimo. Non potresti mai amare un sinonimo. Tu
vuoi
tutto, Sana, oppure niente».
Ecco,
sì, lui ha capito perfettamente qual è la sua
idea di “amore”:
non è metà cuore, non è
metà anima, non è metà corpo...
è
tutto, meravigliosamente e spaventosamente tutto di se
stessi. Fa
così paura che si concede una volta nella vita e, purtroppo
per Rei,
Hayama si è già appropriato di tutto ciò.
Se
solo non avesse conosciuto quell'odiosa e scorbutica perla del suo
ex-fidanzato, probabilmente si sarebbe innamorata follemente di Rei
–
anzi, ne è certa, in fondo cadere ai suoi piedi non le
sarebbe
risultato difficoltoso.
Invece,
si ama sempre il contrario di ciò che
si vorrebbe veramente:
a quanto pare, Hayama è la sfida della sua vita –
e, realizza in
quel momento, la vuole vincere.
Sana
si accinge quasi ad aprire la portiera dell'auto, finché
qualcosa
non la pietrifica: gli occhi di Rei, semplicemente, si specchiano nei
suoi. Tenta di domandargli perdono ma lo trova pressoché
inutile –
dovrebbe scusarsi di amare troppo Hayama e Rei non potrebbe mai
assolverla da un peccato così grande.
«Rei...
posso baciarti un'ultima volta?».
È
una richiesta legittima, dopotutto, sebbene lei detesti gli
struggenti addii.
«È
un sinonimo della parola addio, vero?».
Sana
non risponde, è una domanda retorica.
È
un bacio, un ultimo e perfetto bacio, non ha nulla a che fare con
l'amore: è un sinonimo, sì, in cui riversano
ambedue i sentimenti
che li legano da anni.
È
semplicemente un modo per dire addio, dolce e doloroso, un
mai
più.
~
Note:
sì, ho scritto su questo “crack pairing”
ma, mi spiace, io
l'happy ending tra questi due proprio non ce
lo
vedo. Ci vedo più Rei che, da uomo maturo, lascia
“spiccare il
volo” a Sana.
Chissà,
magari potrei prendere spunto da questa storia e, un giorno,
scriverci una long. Partendo proprio da questo momento, intendo.
Ma
moooolto più in là, a
Settembre devo postare un'altra storia
e non vorrei incasinarmi la vita da fanwriter come al solito. u__u.
Per
il resto, vi ringrazio di aver letto ed apprezzato.
Se
avete condiviso un po' i pensieri di Sana, che in fondo sono i miei,
mi fa piacere.
:).
A
presto!
Kì.
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