Little England! What A Mess!

di Mayo Samurai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi raccomando, tutte le porte ben chiuse. ***
Capitolo 2: *** Perchè un buon bagno risolve qualsiasi problema! ***
Capitolo 3: *** Qui ci vuole... un samurai!! ***
Capitolo 4: *** "Sssssh, ci sono qua io." ***
Capitolo 5: *** Purtroppo è facile perdersi. ***
Capitolo 6: *** Buon Halloween! ***



Capitolo 1
*** Mi raccomando, tutte le porte ben chiuse. ***


Ed eccomi qui con un’altra long fic tutta made in Moniko-chan e tutta (naturalmente) UsUk!
Muhahahah *ha un attacco sclerotico*
Scusate, vi mollo subito così andate a leggere!
Buona lettura!
Ciaossu!
 
 
 
 
Alfred attraversò quasi di corsa il vialetto, era impaziente di rivedere Arthur.
Finalmente dopo mesi di preparativi, richieste ai capi e suppliche, era riuscito a liberarsi dal lavoro di nazione per una settimana, e a organizzare una bella vacanza a casa di Arthur.
Non che si potesse considerare vacanza sette giorni in compagnia di un Inghilterra che si sarebbe lamentato delle terra inesistente che avrebbe portato in casa e del disordine che l’americano scatenava solo trovandosi nella stanza.
Atterrò con un balzo entusiasta sul pianerottolo e con la stessa allegria suonò il campanello.
Aspettò
Doveva ammettere che gli mancava l’inglese anche la sua terribile cucina.
Suonò ancora.
“magari non andrà male” pensò a grattarsi il mento, e poi se avrebbe sopportato sicuramente avrebbe avuto il suo premio, magari vestito da cameriere.
Suonò di nuovo.
Rimase in silenzio a contemplare la porta, poi iniziò a battere colpi sul legno.
“ARTHUR! APRI QUESTA CAVOLO DI PORTA!” urlò.
Ma niente.
Nessuno venne ad aprire.
Poggiò un orecchio alla porta e gli sembrò di sentire dei passi, piccoli e frettolosi, del tutto diversi da quelli di Arthur.
Si staccò turbato, lasciò la valigia all’ingresso e fece il giro della casa, provando ad entrare dalla cucina.
Mancò anche lì, la porta era chiusa a chiave.
Provò ad aprirla scuotendola, ma pensando che Inghilterra non sarebbe stato contento di avere una porta scardinata, ci rinunciò, e tentò dalla cantina.
Questa volta ebbe fortuna, aprì le ante della botola che portava alla cantina e uno sbuffo d’aria marcia e fredda gli arrivò in faccia, facendolo rabbrividire.
Non gli era mai piaciuta la cantina di Inghilterra, era più buia delle altre e sentiva sempre strani rumori provenire del pavimento.
Per un attimo, con la coda dell’occhio, gli sembrò di intravedere le tende della stanza al secondo piano muoversi, ma quando voltò tutta la testa non vide più nulla.
Facendosi coraggio varcò la stanza scura, cercando di ignorare le figure nere che si stagliavano lugubri attorno a lui.
Aprì la porta della cantina e si ritrovò nel corridoio, accolse con gioia la luce del sole che entrava dalle finestre e si poggiò alla porta, sospirando, era dentro.
Si guardò attorno e vide che era tutto in ordine, fece un giro veloce del primo piano, ma Arthur non era lì.
Controllò bene ogni stanza: cucina, bagno, salotto e sgabuzzino, ma niente.
Non provò a chiamarlo, quel silenzio tombale lo turbava, e gli sembrava un sacrilegio provare a interromperlo.
Si mise di fronte alle scale e si voltò verso il salotto, sbuffando: che fine aveva fatto Inghilterra? Che fosse stato vittima di ladri? O di un suo stesso incantesimo?
Posizione molto stupida, quella scelta da Alfred, perché non si accorse della piccola figura che appiattita nell’ombra, lo scrutava.
Senza capire da dove fosse arrivata, si ritrovò una piccola freccia nella spalla.
Urlò di dolore e sorpresa, si portò la mano alla spalla ferita, ritraendola subito, aveva mosso la freccia, che al minimo tocco si mosse nella carne, facendogli vedere le stelle dal dolore.
Ancora confuso e dolorante si sentì arrivare addosso qualcosa di piccolo, che lo agguantò al collo e riuscì a scaraventarlo a terra grazie all’effetto sorpresa.
Batté dolorosamente la testa a terra e percepì una lama fredda posarsi sulla giugulare.
Si sforzò di non deglutire.
“chi sei!? Cosa vuoi!?” strillò la cosa che si era posizionata sul suo petto.
Aprì gli occhi con fatica, la botta lo aveva stordito per bene, e si ritrovò a fissare un paio di occhi verdi che ricambiavano lo sguardo ostili.
Rimase a bocca aperta, seduto sul suo petto, che gli puntava un coltello alla gola, ci stava un piccolo Inghilterra, con un’espressione tutt’altro che gentile.
Il bambino strillò di nuovo, movendo appena la lama, che segnò un piccolo taglio sul collo di America.
“chi sei!? Che ci fai qui!?”
Capì che era terrorizzato, tremava da capo a piedi, ma gli occhi erano fermi e freddi.
Parlò con calma e dolcezza, sperando di tranquillizzarlo:” hi! Mi chiamo Alfred F. Jones, e rappresento l’America!”
Decise di stare al gioco, qualunque esso fosse, magari alla fine questo piccolo Arthur gli avrebbe spiegato tutto.
L’altro lo guardò stranito:” l’America…?” chiese, sembrava sorpreso di sentire quel nome.
“si! Il continente a ovest dell’Europa!”
Fu questo che spaventò più di ogni altra cosa il piccolo Inghilterra.
Sgranò gli occhi e lo guardò come se fosse verde e con le antenne.
“impossibile…” sussurrò:” n-non ci sono… continenti di là!” urlò confuso.
Alfred era spaesato tanto quanto lui:” n–non sai chi sono? Non ti ricordi di me?” mormorò, temendo la risposta.
“no”
Alfred sentì qualcosa spezzarsi dentro di sé.
Si aspettava quella risposta fin dal primo momento che Arthur l’aveva guardato stupito, quando gli aveva detto di essere l’America.
“ah… capisco…” strinse i denti e studiò meglio questo nuovo Arthur.
Non aveva abbandonato né il coltello né l’espressione dura, i capelli erano più spettinati che mai e leggermente più lunghi.
Il corpo era quello di un bambino, ma aveva tutta l’aria dei averne passate di tutti i colori.
“hey… che ne dici di spostarti? Così possiamo parlare tranquillamente… non ti farò del male…”
Ancora una volta disse la cosa sbagliata, Arthur visibilmente terrorizzato, sobbalzò, e fece pressione sul collo, piccoli rivoli di sangue scivolarono sul pavimento.
“BUGIARDO! Dicono tutti così! Ma mentono! E mi fanno del male!” strillò esasperato, rimase ansante sul petto delle americano, gli occhi ora erano anche lucidi.
“lo giuro…” sussurrò Alfred:” non voglio farti del male… tranquillo”
Parlò con calma, nonostante il taglio sul collo gli bruciava.
Questa volta sembrò funzionare, perché Arthur scostò il coltello ma non si mosse di più.
“lo giuri sul tuo orgoglio?” chiese serio.
Alfred annuì.
Il bambino scese e fece un passo indietro, tenendosi a debita distanza dall’altro che si metteva seduto e si strofinava il collo.
Sentì un rumore metallico e capì che aveva mollato il coltello, ma ora gli puntava addosso l’arco, carico
Si tolse la freccia ancora incastrata e mugolò di dolore, non era in profondità, ma bruciava come l’inferno.
Si sangue si era già fermato, così dedicò la sua attenzione al piccolo Arthur, che non lo perdeva d’occhio neanche per un attimo.
“allora” cominciò, ignorando le ferita alla spalla, che aveva cominciato a prudere:” ti ho già detto il mio nome, qual è il tuo?” pensò che rivolgersi a lui come se fosse la prima volta che lo vedeva fosse la cosa migliore.
“Arthur Kirkland… rappresento la Britannia”
Britannia? Alfred aggrottò le sopracciglia, ne aveva sentito parlare, ma lui Arthur l’aveva sempre conosciuto come Inghilterra.
“dove siamo ora?” chiese il piccolino, tendendo l’arco.
“… come!? Non sai nemmeno dove ci troviamo!?” esclamò Alfred.
“STAI INDIETRO!” urlò l’altro, mirando l’arco verso la testa di America, che si era mosso troppo in fretta.
A quanto pare il fatto di non sapere dove fosse, era molto imbarazzante per Arthur, lo vide arrossire sotto i graffi e le terra sulle guancie.
“comunque siamo in Inghilterra”
“eh?”
“casa tua”
Il bambino si zittì e scoccò un’occhiata al corridoio:” casa mia?” bisbigliò a sé stesso, come se non potesse essere vero.
“si, questa è casa tua”
Lo vide tentennare e giochicchiare con l’arco, ma non lo abbassò.
“che ne dici di abbassare le armi?” chiese Alfred speranzoso, controllare ogni minimo movimento delle piccole dita, pregando che non mollassero la presa, era snervante.
“te lo scordi! Non mi fido di te!”
Alfred sospirò, se lo aspettava.
Sbirciò l’altro, notando che non solo le guancie erano sporche e graffiate, ma anche le mani e i piedini scalzi che spuntavano dalla tunica sgualcita.
Indossava anche un mantello verde scuro, dotato di cappuccio, che toccava terra.
Si chiese da che secolo provenisse, per esser ridotto così, da adulto era molto più elegante e pulito.
Mentre era perso nel suoi pensieri, notò che Arthur si era allontanato e si guardava attorno guardingo.
Pensò che fosse l’occasione perfetta per sottrargli l’arco e silenzioso si alzò, seguendolo.
Non appena avvertì le mani di Alfred alla vita, sobbalzò e tentò di liberarsi, agitandosi come un’anguilla.
“LASCIAMI ANDARE! BASTARDO! METTIMI GIU’ STRONZO!” Alfred si chiese da dove avesse imparato tutte quelle parolacce e tentò di prendergli l’arco.
Sfortunatamente Arthur si voltò e gli assestò un’unghiata sul naso, graffiandolo e facendogli partire gli occhiali.
Urlò di dolore ma non mollò la presa, Arthur per tutta risposta gli afferrò la mano e la morse.
Urlò una seconda e lo lasciò andare.
Credeva che sarebbe caduto a terra rovinosamente, ma con agilità atterrò in piedi a scattò verso le scale, chinandosi afferrò il coltello e scappò al piano superiore.
Imprecando lo seguì, senza curarsi di recuperare gli occhiali si precipitò al suo inseguimento.
Era sicuro che si fosse rintanato in camera sia, e senza esitare entrò.
Era tutto tranquillo, forse troppo, si guardò attorno, ma Arthur si era nascosto bene.
Si chinò e guardò sotto il letto e le poltrone, controllò anche per la cappa del camino ma niente.
Si rialzò, magari si era sbagliato, fece per uscire e si accorse dell’ombra scusa che si allungava su di lui.
Scartò appena in tempo, evitando che la libreria gli cadesse addosso:” SCHIACCIAMO GLI INVASORI!” urlò Arthur, dall’alto dello scaffale che crollava.
Con un agile balzo atterrò sul letto, illeso, e guardò con sfida Alfred, che non lo notò intento com’era a balzare indietro fuori dalla stanza.
Atterrò in corridoio e si accorse che esser stato chiuso fuori, si rialzò e tentò di sfondare la porta, con magri risultati, la libreria doveva essere atterrata proprio davanti alla porta, bloccandola.
“APRI QUESTA MALEDDETTA PORTA! SUBITO!” urlò esasperato.
“vattene via! Via! Sei un bugiardo!” strillò in risposta Arthur.
Solo ora Alfred si rese conto di esser stato troppo brusco e che molto probabilmente, dietro quella porta, Arthur era terrorizzato.
Sospirò e poggiò la fronte alla porta:” mi dispiace…” mormorò:”non volevo spaventarti…”
Silenzio.
Alfred attese una risposta, ma non sentendola tentò di aprire la porta.
Questa riuscì ad aprirla leggermente e sbirciò dentro.
Ritirò immediatamente la testa, una freccia si era incastrata proprio dove qualche secondo prima c’era la testa di Alfred.
“VATTENE!”
Con quell’urlo Alfred capì che per adesso, tentar di parlare con Arthur andava ben oltre le sue facoltà.
Sospirò e scese in salotto a recuperare gli occhiali, per poi andare in bagno, a lavarsi i graffi.
Mentre cercava del disinfettante pensò che se cominciava il quel modo non sarebbe riuscito in niente.
Sospirò di nuovo e sentì dei tonfi provenire dal piano superiore, si stava barricando.
Fissò il soffitto per qualche secondo poi uscì, aveva bisogno di rinforzi.
 
 
 
Matthew arrivò nel tempo record di mezz’ora.
Seguendo le istruzioni del fratello passò dalla cantina, sbucando in salotto.
“Alfred… dove sei?”
Il fratello spuntò dalla cucina:” Matt! Grazie al cielo sei arrivato!” esclamò avvicinandosi.
“ciao Alfred… che ti sei fatto!?” chiese notando i graffi sul naso e sul collo.
“eh? Questi? Non è niente… un gatto! E un cane! Mentre venivo qui!”
Matthew aggottò le sopracciglia:” ah si? Alfred non dire le bugie, non ne sei capace…”
“ma è la verità!”
“allora quello che ti ha morso deve essere un chihuahua con problemi ai denti e così il gatto che ti ha graffiato, è da un po’ che non si faceva le unghie e ha utilizzato la tua faccia come grattino…”
Alfred ammutolì, non era capace a mentire, e così decise di raccontare tutto a Matthew, che alla fine lo guardò sorpreso.
“wow… e non sai come ha fatto?”
“no… mi serve il tuo aiuto per stanarlo!”
“stanarlo!? Non è mica un animale!”
Alfred si indicò i segni sul viso.
“… ok… e come facciamo?”
“con le scope è ovvio! Però mi serve che gli blocchi la strada per le scale! Così lo acciuffiamo!”
Canada mormorò qualcosa che sembrò molto “sembra che stiamo cacciando un animale pericoloso” ma non fece obbiezioni.
“fa attenzione, non risparmia nessuno!  E non si ricorderà neppure di te! O meglio… non ti conosce affatto!”
A questa affermazione Matthew si fermò e pensò un attimo in più del fratello:” aspetta! Ci credo che non si fida di te!” esclamò superando Alfred e sbarrandogli la strada:” è spaventato a morte! Pensa se tu fossi perso in un’era che non conosci! E ti vedi arrivare una persona perfettamente sconosciuta! Saresti anche tu spaventato a morte!”
Alfred si fermò e provò ad ascoltare il fratello:” non dobbiamo trattarlo come se fosse pericoloso, dobbiamo trattarlo con gentilezza…  Inghilterra è cresciuto rischiando la pelle ogni giorno… e lo sta facendo anche adesso, per questo dobbiamo trattarlo al meglio, come degli alleati!  E non come degli invasori!” concluse guardando il fratello negli occhi:” hai capito?”
Alfred annuì e lasciò la scopa a metà scala e silenziosamente si avviò verso la camera di Arthur:”si è barricato qui dentro, la porta è bloccata dalla libreria che mi ha tirato addosso e la finestra è troppo alta per esser scalata… non può scappare”
Matthew guardò preoccupato la porta poi delicatamente cominciò a bussare.
Sentirono chiaramente il rumore di oggetti spostati e anche qualche imprecazione, poi il silenzio.
“I-Inghilterra? Posso entrare? Sono Canada…”
“vattene! Non voglio vedere nessuno!”
America fece per intervenire ma Canada lo bloccò:” sta tranquillo… noi non vogliamo farti del mal-“
“BUGIARDO! VATTENE!”
“vattene e bugiardo sono le sue parole preferite… ha reagito così anche con me... sembra terrorizzato a morte da quella frase…”
Matthew sospirò:” ti prego… te lo giuro…”
“ha detto così anche lo schifoso che c’è con te! Si l’ho sentito! E non mi fido degli amici di chi mi attacca alle spalle!”
Canada guardò male il fratello, che si fece piccolo piccolo, mormorando delle scuse.
“devi credermi! Siamo disarmati! E vogliamo solo parlare con te!”
“…”
Rimasero in silenzio per un po’:” come sei arrivato qui? Ti ricordi?” chiese Canada con voce dolce.
Silenzio.
“c’era del fumo… proprio in questa stanza sono capitato… non lo so bene… stavo parlando con il mio unicorno…”
Alfred sgranò gli occhi a quella parola, ma Matthew lo ignorò.
“e mi sono ritrovato qui.. c’era tanto fumo viola.. non lo so…”
Altro silenzio.
“davvero non siete armati?”
Entrambi i fratelli sorrisero:” esatto…” cominciò Alfred.
“STA ZITTO TU!”
“... comunque non potete entrare! Questo è il mio fortino! Sciò!”
“piccolo bas-“
“Alfred!”
“scusa…”
Matthew sospirò: “io non posso stare qui ancora per molto, ho preso al balzo questa richiesta ma ora sono proprio alle strette, non posso assentarmi dall’ufficio per troppo tempo… ma tu che ci fai qui?”
Alfred arrossì:” e-ecco… mi ero preso una settimana per passarla con Arthur..” Canada sorrise:” ma con questo imprevisto mi sa che è andato tutto a monte!”
Sospirò:” vieni… andiamo a casa..:”
“che!? Non puoi lasciarlo qui da solo!”
Alfred lo squadrò e si indicò nuovamente i segni lasciati dal’incontro ravvicinato con Arthur.
“è solo un bambino! Anche se… selvaggio e piuttosto violento…”
“... non mi fido tanto…”
“credi che se Arthur ti avesse abbandonato al primo segno di disobbedienza tu saresti qua?”
Questa cosa lo colse alla sprovvista, guardò stralunato il fratello, che lo fissava serio:” pensaci… glielo devi…” sussurrò, sperando di convincere il fratello.
“o-ok… ma verrai ogni tanto a darmi una mano! Anche tu glielo devi!”
Matthew sorrise ancora i più:” contaci! E poi... questo è un lavoro che solo i super eroi possono fare! No?”
Vedere il volto di America illuminarsi a quelle parola gli bastava più di ogni altra risposta.
 
 
 
“ARTHUUUURRR!! Mi apri? Ho qui un bel piatto gustoso!” disse bussando alla porta.
“è una mia specialità! Hamburger!” disse orgoglioso.
“… non la voglio la tua sporcizia!”
Alfred si trattenne a dirgliele dietro:” ma assaggialo almeno! Guarda, te lo lascio qui, fuori dalla porta, così tu lo prendi ok?”
Poggiò il piatto a terra e si allontanò in silenzio, non scese tutte le scale, attese che Arthur si facesse vivo.
Rimase per un bel po’ ad aspettare che uscisse, e fintamente dopo un’oretta (l’aveva calcolata con l’orologio da polso) Arthur sbucò dalla porta, dopo un gran fracasso per spostare la libreria, guardingo si portò dentro il piatto.
Sentì tintinnare le posate, segno che le aveva guardate e poi scartate come cose inutili.
Sospirò e cominciò a magiare la sua cena, per la prima volta, in silenzio.
 
 
 
Quando fu ora di andare a dormire salì al piano di sopra e si mise di fronte alla stanza di Arthur, bussò un paio di volte e come al solito sentì il solito trambusto di oggetti che si spostano e poi silenzio.
“volevo solo augurarti la buona notte” disse Alfred.
Arthur non rispose subito, rimase in silenzio.
Accettando la mancanza di parola come unica risposta, Alfred si voltò e si avviò verso la stanza degli ospiti.
“b-buonanotte!”
Si voltò verso la stanza, anche se soffocato dalla parte lo aveva sentito benissimo.
Sorrise e si avviò verso la sua stanza, non potendo sperare che come inizio potesse andare meglio.
 
 
 
 
HOOOOOLAAAAAA!!
Ciaossu e ben tornati! Questo per chi mi ha seguito nella fic Angelo custode e un bel benvenuto a chi invece legger per la prima volta le mie idee.
Bhe che posso dire? A parte che vi aspetto numerosi, non so come ringraziare tutti quelli che hanno recensito l’altra long fic.. veramente, sono immensamente felice, voi non sapete quanto.
Sono anche contenta di aver trovato un titolo tutta da sola :D è la cosa più difficile
Vi lascio, così potete recensire in santa pace.
Perché lo farete verooo? *W* *affila falce*
Kufufufufufu……….
 
 
E il mio fighissimo tormentone: commentate! Perché i commenti sono il cibo per noi scrittori, non costiamo tanto e regaliamo sorrisi e risa, e anche qualche lacrima! Quindi orsù! Sfamate le bocche insaziabili degli artisti! *fa un inchino teatrale*
Ciaossu!

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Capitolo 2
*** Perchè un buon bagno risolve qualsiasi problema! ***


Canada arrivò a casa di Inghilterra verso le dieci di mattina.
Era riuscito a strappare un paio d’ore al proprio capo ed era sicuro che Alfred avrebbe avuto bisogno d’aiuto.
Passò direttamente dalla cantina, accordandosi che fosse il modo migliore, così da tenere porte e finestre ben chiuse nel caso di una tentata fuga da parte di Arthur.
Sbucò in corridoio e si diresse in cucina, sperando che il fratello fosse già sveglio.
“Matt... sei tu?”
La voce di Alfred era strascicata e stanca, e Matthew si chiese cosa potesse essergli capitato.
Non appena entrò in cucina stentò a riconoscere il fratello, che aveva occhiaie scure che incorniciavano gli occhi azzurri e stanchi, i capelli spettinati e il Nantucket che ricadeva in mezzo agli occhi.
“Ma che...”
“Non mi ha lasciato dormire...” Sibilò Alfred, stringendo la tazza di caffè.
“Neanche per un benedettissimo secondo...”
“C-che ha fatto?”
“Rumore... per tutta la notte.. Spostava mobili! Faceva cadere libri... Scavava!”
“Scavava!?”
“Si... probabilmente stava smontando il pavimento.”
Matthew guardò il soffitto, in direzione della stanza di Arthur.
“Ora sembra silenzioso...”
“Si è addormentato verso le sei... ma io non sono riuscito a dormire lo stesso...” Borbottò America strofinandosi il viso.
Matthew sospirò. “Che hai intenzione di fare?”
“Non lo so... ieri gli ho portato la cena in camera... ma ci ha messo un’ora intera prima di decidersi a uscire per prenderla.”
“Beh, penso che possiamo provare a portargli la colazione...”
“Prenderlo per fame! Non male...”
“Smettila di parlare di lui come se fosse un animale! Dobbiamo esser
gentili se vogliamo...”
“...”
“stanarlo...” Sospirò infine Canada.
Matthew si mise a preparare dei pancake, mentre Alfred finiva il caffè e si ridestava un po’.
Poco dopo sentirono dei passi al piano superiore: Arthur doveva essersi svegliato.
“Ecco fatto.” Fece Matthew, posando su un piatto una pila ancora calda di frittelle.
“Waa... pancake!” Alfred si avvicinò famelico, tendendo subito le mani.
“Giù le mani! Sono per Arthur, se riusciamo a ottenere la sua fiducia riusciremo a farlo uscire.”
Salirono al piano superiore, fermandosi di fronte alla porta.
“Ing-Britannia! Ti abbiamo portato la colazione!” Disse Matthew bussando delicatamente.
Sentirono i soliti rumori, e poi silenzio.
“Non la voglio...” Rispose imbronciato Arthur.
“Ma che dici!?” Sbottò Alfred. “I pancake sono buonissimi! Dovresti almeno assaggiarli!”
“...Con te non ci parlo!”
“Urgh!”
“Su, non litigate.” Fece Canada, poggiando il piatto a terra.
“Te lo lasciamo qui, noi andiamo.”
Detto questo si allontanarono, nascondendosi sulle scale come aveva fatto Alfred la sera prima.
Questa volta non si fece attendere molto.
Dopo neanche dieci minuti -in seguito ad una dolorosa lotta interna di
cui si vedevano i segni sul visetto insicuro- uscì, si guardò attorno guardingo e, preso il piatto rientrò subito.
“Ecco fatto! Se continuiamo così, sono sicuro che entro poco si fiderà di noi.” Disse Matthew, rialzandosi, per poi rivolgersi al fratello.
“Se riesci a farlo uscire vedi di trattarlo come se fosse di cristallo... è molto insicuro... e non essere troppo brusco.”
Scese le scale e si avviò verso la cantina.
“Vai di già?” Chiese Alfred con una nota di insicurezza nella voce.
“Si, sono stato fin troppo tempo lontano da casa... il mio capo continua ad assillarmi sul lavoro che c’è da fare... sarà meglio che ti porti avanti anche tu con il mestiere, visto che ci vorrà un po’ per farlo uscire...” Rispose indicando il soffitto.
Salutò il fratello e uscì.
Alfred aspettò un po’ prima di salire e tentare di comunicare con Arthur, e così attese seduto di fronte alla porta, scrutandola attentamente, pronto e vigile.
A un certo punto sentì rumore di piatti infranti, seguito da un urlo e un tonfo.
“Arthur!” Alfred si alzò di scatto e bussò alla porta.
“Arthur, che è successo!? Tutto bene!?”
“V-vattene! Non ti voglio!”
“Ti sei fatto male?!”
Arthur si zittì, e Alfred potè sentire solo un leggere ansimare, poi un naso che tirava su.
“A-alla mano...” Pigolò Arthur.
Alfred sospirò preoccupato. “Esce tanto sangue?”
“... Si...” Piagnucolò Arthur.
America sentì che tratteneva un singhiozzo e sorrise.
“Se.. mi lasci entrare...” Attese. “Posso fasciarti la ferita...”
Era sicuro che Arthur stesse soppesando la proposta. Non si sentiva nessun rumore, neanche il respiro.
Poi la chiave nella toppa girò.
Sentì uno scalpiccio e poi un leggero tonfo.
Aprì lentamente e sbirciò all’interno, sbiancando alla vista della camera sfasciata:il pavimento era pieno di libri e piume, e le tre librerie erano rovesciate a mo’ di riparo sopra il camino.
Il letto era stato squartato, le lenzuola erano ammassate nel camino,
sporche di cenere, mentre al materasso -dopo esser stato trascinato
per metà stanza e poi abbandonato lì- mancava un quarto, tagliato via grossolanamente.
Al pavimento mancava qualche asse, usata per bloccare la porta, a giudicare dai segni che il legno riportava.
L’unica cosa intatta erano i cuscini, posti sul rialzo del camino, sul pezzo di materasso mancante, dove si era messo adesso Arthur, che reggeva il coltello con la mano sana.
Alfred sbatté le palpebre, chiedendosi come un bambino, anche se nazione, potesse combinare uno sfascio simile.
Notò che i piatti giacevano poco più in là. Dovevano esser caduti perché in bilico, ed erano sporchi di sangue.
Ignorando il caos che regnava si avvicinò lentamente al bambino, che lo guardava serio.
“Se non mi lasci vedere la mano, come faccio a curarla?” Chiese Alfred, notando che Arthur si ostinava a nasconderla.
Titubante, il piccolo la mostrò: il taglio non era né profondo né lungo, solo molto sporco, e sanguinava ancora.
“Non è grave... dobbiamo solo dare una ripulita al taglio.” Spiegò America, senza azzardarsi a toccare la mano.
Il bambino annuì.
“Dovremmo andare in bagno.” Arthur lo guardò senza capire.
“Dovremmo uscire.”
A quelle parole, il piccolo sbiancò e fece un balzo indietro, nascondendosi tra le lenzuola sporche di fuliggine.
“No! Così ti sporchi ancora di più!” Alfred si tese, cercando di acchiapparlo, ma si rese conto che il gesto aveva spaventato ancora di più Arthur, che ora lo guardava con occhi lucidi e sgomenti.
“Scusa...” Mormorò sedendosi e abbassando le braccia. “Ma così il taglio peggiora...”
Alfred si rialzò e si avviò verso la porta, voltandosi quando fu allo stipite.
“Vieni?”
Aveva capito che forzandolo non avrebbe ottenuto niente.
Doveva lasciarlo decidere, anticipando però gli aspetti positivi di ciò che voleva facesse.
Titubante, anche Arthur si alzò, tenendosi però a debita distanza e portandosi dietro il coltello.
Alfred si avviò verso il bagno e si inginocchiò di fronte alla vasca.
Il bambino si fermò sulla porta, scrutando il bagno con un cipiglio impensierito.
“Tranquillo, non ti succederà niente, vieni.” Lo invitò Alfred.
L’altro fece qualche passo, sobbalzando quando i piedini toccarono la superficie fredda e liscia delle piastrelle.
Alfred ridacchiò e aprì l’acqua della vasca, facendo sgranare gli occhi ad Arthur.
“C-cosa... è una... fonte magica?” Chiese il piccolo, torcendosi le mani e guardando impressionato il rubinetto.
“Hahaha!! No, è un rubinetto. Poi ti spiego.” Rispose America, prendendo un asciugamano e bagnandolo con l’acqua tiepida.
“Ora dovresti mettere la mano qui sotto” Fece Alfred, indicando il rubinetto. “Poi passo con il panno e puliamo bene la ferita.”
Arthur si avvicinò insicuro e mise la mano sotto l’acqua, chiudendo gli occhi e voltando la testa, spaventato a morte.
Ma quando il palmo toccò l’acqua calda li riaprì subito, guardando piacevolmente sorpreso il taglio che si ripuliva.
“Bene.. ora mi passi la mano?”
Senza pensare, Arthur gli tese la manina e Alfred passò delicatamente il panno sulla ferita.
“Haia!” Il piccolo fece per ritirarla, ma l’altro lo fermò prima, gli sfiorò la mano e gli fece un gran sorriso.
“Fa un po’ male, ma resisti, poi finisce tutto.” Mormorò.
Trattenendo ogni lamento, Arthur osservò il ragazzo pulirgli il taglio con grande precisione e delicatezza.
Quando America ebbe finito, il piccolo guardò sorpreso la ferita, oramai solo un segno rosso sul palmo.
“Prima di fasciarla preferirei pulire gli altri tagli.” Disse America, alludendo ai graffi che ricoprivano il viso di Arthur.
Il bambino portò la mano al viso e sembrò pensarci su.
“Riempio la vasca, così ti fai un bel bagno!” Fece Alfred, aspettando che l’acqua sporca venisse risucchiata, per poi riempire la vasca con acqua pulita.
“Dovresti toglierti la tunica e il mantello...” Lo incitò America, vedendo che non si era ancora mosso.
Lo vide anche arrossire violentemente e stringere la tunica, recuperando il coltello che aveva precedentemente lasciato.
“Stai... Lontano.” Sibilò allontanandosi dal ragazzo, che per tutta risposta lo guardò confuso.
“Eh?”
“Schifoso maniaco!” Ringhiò:“Sei come la rana... maniaco!” Continuò, sempre più rosso in volto.
“Non capisco...” Mormorò Alfred. Aveva già sentito il termine ‘rana’, solo che non riusciva a ricordare dove.
“Ti sbagli, puoi fare il bagno da solo. Io posso anche uscire!”
L’altro lo guardò sorpreso, per poi soppesare la proposta ed annuire.
“Va bene... ma che cosa sono quelli?” Chiese il piccolo, accennando ai vari saponi posti sui ripiani.
“Quelli?” Alfred si voltò. “...Sono pozioni magiche!” Esclamò prendendone uno.
“Guarda, questa fa comparire le bolle!” Continuò, versando il bagnoschiuma e agitando l’acqua.
Sotto lo sguardo sbigottito di Arthur, una nuvola di schiuma cominciò ad alzarsi dalla vasca, riempiendola.
“Ecco fatto! Strofinati bene i graffi, mi raccomando.” Disse Alfred, rialzandosi:“Se hai problemi, chiamami, ok?”
Il bambino non lo degnò di uno sguardo, intento com’era a toccare la schiuma e a guardare le piccole bolle arcobaleno che gli scoppiavano tra le mani.
Alfred sorrise e chiuse la porta del bagno, sedendosi accanto.
Sentì poco dopo il rumore di risacca d’acqua e provò ad immaginarselo nascosto tra le bolle, a saggiare la nuova scoperta di un bagno caldo.
Troppo curioso di saper cosa stesse combinando, Alfred aprì la porta, e guardò dentro.
Fortunatamente Arthur gli dava le spalle.
Lo vide giocare estasiato con la bolle: le prendeva e le soffiava via, trattenendo una risata alla vista della schiuma rosea volteggiare in aria.
Vide anche che lanciava occhiate preoccupate all’asciugamano e ai propri tagli.
Si sposò appena in tempo, per poi sentire Arthur che lo chiamava.
Entrò in bagno, trattenendo a stento un sorriso. Il piccolo lo guardava imbarazzato, nascosto tra le bolle.
“M-mi dai una mano? Non riesco... a pulirmi i graffi...” Borbottò, rosso in viso, tendendo le braccia.
Alfred sorrise e, preso il panno, lo strofinò delicatamente sui tagli.
Alcuni si riaprirono, ancora freschi, altri invece rimasero pallidi come prima.
Con grande imbarazzo di Arthur, pulì anche quelli sulle gambe.
“Bruciano...” Mormorò il piccolo, sfiorandosene uno sulla guancia.
“Non toccarli.” Lo riprese Alfred, scostandogli gentilmente la mano.
Arthur annuì e prese a tormentarsi l’asciugamano con cui era stata avvolto.
“Mi prometti che resti qui? Così prendo bende e vestiti puliti.” Il bambino annuì di nuovo e Alfred sorrise, come a ringraziarlo.
Andò a frugare nei cassetti di Arthur, quelli ancora intatti dopo il passaggio del bambino.
Non trovando altro che vestiti della dimensione di un adulto, prese una la maglietta che sembrava più piccola, di un bel verde chiaro.
Accontentandosi andò al piano inferiore e recuperò il kit di pronto soccorso e tornò su.
Arthur si stringeva l’asciugamano addosso e guardava con timore riverenziale la doccia. Probabilmente stava rimuginando sul soffione, chiedendosi se avrebbe potuto prendere vita ed attaccarlo.
“Ma quello... non è un serpente... vero?” Chiese titubante ad Alfred non appena lo vide, indicandoglielo.
America rise: “No, no, tranquillo. In questa casa no c’è nulla da temere.”
Disse, inginocchiandosi davanti a lui.
Aprì la custodia del kit tirando fuori bende, cerotti e disinfettante.
“E quello cos’è?” Domandò il piccolo, guardando intimorito la boccetta verdognola.
“E’ una pozione buona.” Spiegò Alfred. “Prima brucia un po’, ma cura benissimo le ferite.”
Arthur non replicò, ma continuò ad avere un atteggiamento guardingo nei confronti della boccetta.
Rimase in silenzio anche quando Alfred passò il cotone imbevuto del disinfettante sulla ferita alla mano. Digrignò i denti e si morse la lingua, ma rimase zitto.
Here!” Disse Alfred, mentre fasciava il taglio.
“Non toccarti nessun cerotto e nemmeno questa benda, ok?”
L’altro annuì.
“Ho trovato solo questa.” Disse poi, mostrandogli la maglietta.
“Però è pulita, basterà solo sistemarla...”
Gliela infilò, facendo attenzione a non toccare i graffi più fastidiosi.
Come sospettava, la maglietta restava abbondante, e solo se il piccolo teneva le braccia alzate aveva qualche speranza di restargli addosso.
Arthur guardò speranzoso Alfred, che si alzò e recuperò una spilla dal cucito dell’Inglese.
Dopo aver lottato un po’, riuscì a fissare il collo, in modo che fosse più stretto e comodo.
La lunghezza era perfetta. Il bordo inferiore gli sfiorava i piedini.
Well done!” Disse soddisfatto Alfred, mettendosi i pugni sui fianchi.
“Ora sei pulito e ordinato. Magari una spuntata ai capelli...”
“No!!”
Arthur fece un balzo indietro, coprendosi i capelli con le mani.
“I miei capelli vanno bene così!” Urlò, guardando Alfred in cagnesco.
“Vanno benissimo...” Borbottò ancora.
“Ok,ok...” Rispose l’altro, alzando le mani. “Non te lo chiedo più.”
Arthur arrossì improvvisamente, e le mani passarono dalla testa alle gambe. Cominciò a saltellare sul posto, con sguardo imbarazzato e lanciando occhiate nervose tutt’attorno.
“Uhm? Qualcosa no va?”
“D-devo... fare pipì...”
Alfred trattenne una risata. E’ così carino! pensò.
“Allora siediti lì.” Disse, indicando il water. “Vieni.”
Il bambino si avvicinò, ma guardò il water impaurito.
“E’-è... una fossa?” Chiese stranito, senza staccare gli occhi dal sanitario.
“Eh?... ah... si, una fossa rialzata, diciamo.”
Lo prese per le ascelle e lo mise seduto sul wc.
Arthur però lanciava di continuo sguardi preoccupati al buco sotto di sé.
“N-non è... che esce un mostro?”
Questa volta Alfred non potè trattenersi, gettò indietro la testa e rise forte.
“N-no! Hahahaha! Nessun mostro uscirà da nessuna parte! La casa è sicura e poi ci sono io! L’eroe!”
Il bambino lo guardò affascinato.
“Wow... e... che cos’è un eroe?”
Toccò ad Alfred stupirsi, ma ricordandosi del perché fossero lì si affrettò a sollevare la maglietta di Arthur.
“Ti spiego dopo, ora...”
“Hei! Lasciami!!” Urlò il piccolo, coprendosi imbarazzato.
“Va’ via! Mi arrangio!”
America sbatté gli occhi, ma non poté replicare di fronte a un’espressione così risoluta.
“Ok, ok... quella la puoi usare per pulirti.” Disse alzandosi e indicando la carta igienica.
Arthur gli lanciò un’occhiata imbarazzata e annuì.
“Sciò!”
Alfred uscì e aspettò alla porta, seguendo le azioni del bambino coi rumori.
Si rese conto che Arthur era un bambino davvero strano. Prima non voleva nessuno, cacciandolo malamente, poi invece chiedeva aiuto, mostrandosi impaurito e timoroso.
Non riusciva a capacitarsi di questo comportamento e si chiese se l’orgoglio di Arthur fosse già così grande anche quanto era piccolo.
“Alfred... ho finito...”
Il ragazzo entrò e lo trovò già in piedi, a qualche passo dal wc.
Alfred gli sorrise e tirò l’acqua, facendo fare un balzo ad Arthur.
“E’-è... cos’è?” Chiese mordendosi il labbro e giocando con le bende.
“L’ho scaricata...” Ma l’altro continuò a guardarlo confuso.
“...Lascia stare, cose difficili per un bambino.” Disse, molto imbarazzato del fatto di dover spiegare come funziona lo sciacquone.
“Alfred...”
“Si, che c’è?”
Arthur gli fece segno di abbassarsi e, quando il ragazzo si inginocchiò, borbottò imbarazzato un “grazie”.
“Oh! Di nulla!”
“E... mi dispiace...” Aggiunse, poggiando la mano sana in mezzo agli occhi di America, dove erano ancora visibili i graffi lasciati.
“...Ah, beh, non c’è problema... Sono l’eroe, io! Non mi sono fatto niente!”
“Ooh... e che cos’è un eroe?”
“Un eroe? Beh, è qualcuno che aiuta le persone, salva donne e bambini e protegge le città!”
“Come i cavalieri!” Esclamò entusiasta Arthur, con gli occhi che brillavano.
“S-si... forse...”
“I cavalieri sono coraggiosi e forti! E sono valorosi! Salvano le donzelle e combattono i cattivi! Anche gli eroi lo fanno?”
“Si...” Alfred sorrise. “Si, anche gli eroi...”
Arthur gli sorrise, ammirato.
A un certo punto il cellulare di Alfred squillò. Arthur sobbalzò e si guardò attorno.
“Da dove viene? Che musica è?”
“L’inno americano!” Disse Alfred, prendendo il telefonino dalla tasca posteriore dei jeans.
“Tranquillo arrivo subito.” Si alzò, diede un buffetto ad Arthur sulla testa e uscì dal bagno.
Hi Matt!”
Ciao Alfred, ho chiamato per sapere come va. Sei riuscito a farlo uscire?”
“Non solo! Gli ho fatto anche il bagno!”
Wow! E come hai fatto?”
Alfred raccontò velocemente al fratello gli eventi di quella mattina.
Capisco. Direi che quei piatti ti abbiano aiutato...”
“Dici giusto!”
E come sta ora?”
“Bene, anche se è sempre un po’ spaventato. Cavoli sembra... che sia venuto dal passato!”
Questo è ovvio! Dice di esser Britannia, ed è il vecchio nome di Inghilterra.”
“Ah... non lo sapevo...”
Ma come!”
Alfred arrossì.
“Hai chiamato per farmi la predica?” Borbottò offeso.
No, volevo chiederti se avevi bisogno di aiuto per il pranzo...”
“E perché?”
Perché solo tu sopravvivi mangiando tutti i gironi nei fastfood! E non dirmi che non l’avresti portato lì, ti conosco. Posso provare a venir a preparare qualcosa, però... ho un’idea! Perché non chiedi a Francis di aiutarti?
“Eh? Francia?”
Si, forse lui e Inghilterra non saranno in buoni rapporti ma è il miglior cuoco in circolazione, e di sicuro saprebbe preparare un pasto decente.”
Alfred annuì. “Ok, grazie... Ah, dimenticavo! Potresti comprare dei vestiti da bambino? E... dei pannolini, sai com’è...”
Certo, ci vediamo. Ciao!”
“Ciao...”
Mise giù e tornò da Arthur, che un po’ più sicuro si era seduto sul tappeto e si guardava i piedi, giocando con le dita.
Non appena Alfred entrò in bagno balzò in piedi e gli si avvicinò, sorridente.
“E ora che si fa?” Gli chiese eccitato. Passata la paura, in Arthur si faceva spazio una grande curiosità.
“Beh... prima di tutto ci tagliamo le unghie, così non si rompono e non ti fai male.”
“Le unghie? Non vanno bene così?” Alzò la mano, mostrando le dita, dotate di unghie fin troppo lunghe e rotte per un bambino.
“Si, ma tranquillo, non farà male.”
“Io sono tranquillo. Ho un cavaliere-eroe con me! Non devo temere nulla, no?” Disse entusiasta, e Alfred sentì il cuore sciogliersi.
Arrossì compiaciuto. “Si...”
Prese delle forbicine da un cassetto e si mise in grembo Arthur, che non protestò. Anzi, sembrava addirittura contento mentre guardava attentamente le lame tagliare con gran precisione le unghie rovinate.
“Certo che questo posto è strano... è tutto così diverso da casa mia!”
“Ah si? E com’era casa tua?”
Il bambino scrollò le spalle.
“Vivevo in un castello, anche se gli ambienti chiusi non mi piacciono...”
Alfred sudò freddo.
“Ma questa casa mi piace! Ha un buon’odore!”
America tirò un sospiro di sollievo. Arthur non aveva manifestato nessun desiderio d’evadere.
Finito di tagliare le unghie, si alzarono.
“Ora devo chiamare un amico, mi aspetti qui?” Chiese Alfred, tirando fuori il cellulare e digitando il numero di Francis.
“Con quello? Perché usi una pietra e non i piccioni?”
“Eh? I piccioni?” Guardò il telefono, poi il bambino, e capì.
“Ah, no! Questa è... una pietra magica! Puoi chiamare le persone con questa!”
“M-ma... allora oltre che essere un eroe sei anche un mago!” Esclamò ammirato Arthur, stringendo i pugnetti.
“Fai un sacco di magie! Fai scorrere l’acqua quando vuoi e comunichi con le pietre... è grandioso!” Concluse alzando le braccia e guardandolo estasiato.
“Sei il miglior cavaliere-eroe che abbia mai conosciuto!”
Alfred non poté che arrossire e sbattere le palpebre, guardando riconoscente il bambino.
“G-grazie...” Mormorò, allontanandosi per parlare con Francis, che non appena America poggiò il cellulare all’orecchio rispose.
Bounjour! A cosa devo la tua chiamata?”
“Ciao Francis, mi serve il tuo aiuto...”
Ok, dimmi pure, cherie.”
Alfred raccontò, come aveva fatto con Canada, i fatti di quei due giorni e quando finì, Francia rimase in silenzio.
Quindi... Arthùr è tornato piccolo?”
“Si.”
Alfred sentì suonare il campanello, scese, aprì la porta e si ritrovò di fronte Francis, che scostatolo con eleganza, entrò in casa piazzandosi in mezzo al salotto.
“Dov’è il piccolo?”
“Alfred, chi è?” In quel momento Arthur scese le scale, tenendosi al corrimano e scendendo con attenzione, per via dei gradini troppo alti.
Nel momento in cui vide Francis sbiancò e quasi inciampando sui suoi stessi passi, filò in camera, mentre Francis gli corse dietro, seguito da Alfred che tentava di fermarlo.
“Non puoi avvicinarti a lui in quel modo! L’hai terrorizzato!”
Protestò l’americano quando il francese si fermò di fronte alla stanza di Arthur.
“Tranquillo cherie, conosco Arthùr da sempre, ha sempre fatto così quando mi vedeva... ma poi lo riacchiappavo sempre!” Disse allegro, aprendo la porta.
Alfred capì che qualcosa non andava dalla facilità con cui Francis era
entrato in camera, lo sentì esclamare un mon Dieu! Davanti allo sfascio causato da Arthur, ma non si fermò
“Arthùr, dove sei?” Cinguettò, avvicinandosi pericolosamente al camino.
Nel momento in cui si chinò per controllare, Arthur uscì dal suo nascondiglio, fornito dalle librerie accatastate, e balzò addosso a Francia, riuscendo a mandarlo lungo disteso grazie al peso e alla posizione sfavorevole del francese.
Come aveva fatto ad Alfred, si mise sul petto di Francia e gli puntò il coltello alla gola, guardandolo con odio.
“Vattene via, stupida rana!” Sibilò minaccioso.
“O-oh, salut Arthùr! È da un pò che non ci si vede!”
Il bambino fece una smorfia.
Shut up stupid frog! Non sei il benvenuto qui...” Ringhiò il piccolo, facendo pressione sul coltello.
“Ah! Ma accogli così un vecchio amico?”
“Tu non sei un amico” Scostò il coltello, ma solo per alzarlo e sferrarlo su Francia.
Il colpo sarebbe andato a segno se non fosse che Alfred fu più veloce, agguantando per la collottola Arthur, sollevandolo e allontanandolo da Francis.
“Mettimi giù! Devo fare fuori il bastardo ora che ne ho l’occasione!!”
Sbraitò il bambino, agitandosi come un’anguilla.
“Sta’ calmo! E non ti permetto di far del male a nessun’altro! Francia
non è qui per conquistarti, ma solo per aiutarmi!”
Arthur si era bloccato non appena aveva sentito la frase del male a nessun’altro e ora stava fissando Alfred, profondamente offeso e dispiaciuto.
Alfred lo rimise giù, facendolo sedere a terra.
“E se ora ascolti senza tentare di uccidere nesso, mi fai un piacere.”
Continuò secco l’americano
“Francis è qui perché mi serve una mano per preparare da mangiare...”
“Io non mangio la roba della rana...”
“Tu fai quello che dico io!” Ribatté deciso Alfred.
“Francis, ti andrebbe di darmi una mano per il pranzo di oggi, e semmai anche per i giorni a seguire?”
“Io ti aiuterei volentieri, cherie...” Disse rialzandosi. “Ma non credo che Arthùr...”
“Non storpiare il mio nome!!”
“...Voglia che gli prepari qualcosa...”
Alfred passò lo sguardo da Arthur -che sedeva a braccia incrociate dando le spalle a tutti- a Francis, che studiava la camera con stupore.
“E se... preparo io?”
Tutti e due si voltarono a fissare America.
“Intendo... Francis mi dice come fare, ma cucino io.”
“Cherie... sei sicuro? Senza offesa, ma non credo che tu riesca...”
“Zitto rana!! Alfred è l’eroe! E lui può fare tutto!” Esclamò Arthur, balzando in piedi e mettendosi tra le due nazioni, guardando in cagnesco Francis.
Quest’ultimo guardò stupito Alfred che si limitò ad alzare le spalle.
“Ok, se il piccolo Arthùr lo vuole...” Mormorò uscendo. “Ti aspetto in cucina.”
Rimasti soli, Alfred lanciò un’occhiata ad Arthur, che rosso in volto e imbronciato, raccoglieva il coltello e lo nascondeva dentro ad un libro.
“Grazie per avermi difeso...” Cominciò Alfred.
“... Hmpf, prego... ma spero che tu non voglia che io ti ringrazi per avermi fermato” Borbottò. “Sono furioso con te...”
Alfred rise divertito.
“Ok, ok, scusa allora, ma il sangue non viene via facilmente...”
Anche Arthur ridacchiò.
“Mi dispiace che tu debba sopportare Francis, ma io non so cucinare bene e se stai male Matthew mi fa la pelle, he-he...”
“...Lo fai per il mio bene... lo capisco.” Rispose il piccolo, annuendo appena.
“Allora lo sopporterò.”
Alfred gli sorrise riconoscente e molto più rilassati, scesero al piano inferiore.
“Controllo io Francis.” Disse Arthur, prendendo arco e frecce.
Alfred sorrise. “Tranquillo, so difendermi.” Fece, scompigliandogli i capelli.
Quando arrivarono in cucina, Francis li aspettava già pronto.
“Allora cherie, che cosa vuoi da mangiare?” Chiese sorridente, chinandosi verso Arthur. Ma il bambino rimase in silenzio.
Tirò i jeans di Alfred e gli sussurrò ad un orecchio. America annuì.
“Certo, ok, ora glielo dico.” Si rivolse a Francis.
“Vorrebbe... un hamburger!”
“Che!? E come fa a conoscerli!?”
L’americano si portò una mano dietro la testa.
“Gliel’ho servito ieri sera, quando ancora non voleva uscire... Sembra che gli sia piaciuto!”
Francis lo guardò male e poi sospirò.
“Beh, ma non puoi mangiare quella roba per sempre...” Borbottò.
Alla fine Francis rimase solo per evitare che Alfred utilizzasse mezzo panetto di burro o mettesse troppo condimento.
Arthur, dal canto suo, non era felice della presenza del francese e continuava a dimostrarlo puntandogli addosso l’arco ogni qual volta che gli passavo troppo vicino e passando il resto del tempo a guardarlo in cagnesco.
Et voilà!” Esclamo Francis, mettendo in tavola la carne ben cotta.
“Oh... Alfred ha preparato anche delle patatine.”
Il bambino guardò incuriosito le patatine fritte.
“Ma che strane... sembrano d’oro!” Esclamò toccandone una, ma ritraendo la mano immediatamente. Scottavano ancora.
Quando fu il tempo di sedersi a tavola, Arthur rimase un po’ in disparte, guardando torvo Francia.
“Io non mangio con la rana...”
Alfred alzò gli occhi al cielo e sospirò. “Me lo fai questo piacere?”
“...”
“Per favore...”
“... Ok...” Borbottò il piccolo, mettendosi a sedere. Alfred aveva messo un paio di cuscini sulla sedia, in modo che Arthur fosse alla giusta altezza.
Avrebbero mangiato con tranquillità, se non fosse stato che Arthur e Francis continuavano a scambiarsi sguardi omicidi e il bambino facesse fatica a utilizzare forchetta e coltello insieme.
“Sono... capace... è solo che è difficile!” Sbottò dopo l’ennesimo stridio causato dalla forchetta contro il piatto.
“Non sono abituato...”
Alla fine ci rinunciò e mollò coltello e forchetta, facendosi aiutare da Alfred.
Scacciarono -a dire il vero lo fece Arthur- Francis verso le due, quando quest’ultimo non ebbe più scuse per rimanere.
Prima che se ne fosse andato, Alfred era riuscito a rifilargli le lenzuola sporche, chiedendogli di lavargliele.
“Fallo tu, cherie. Arthur sarà anche antiquato, ma la lavatrice c’è l’ha!” Aveva all’inizio risposto il francese.
“Sono io a non saperla usare... il bucato lo fa sempre Tony.”
“Tony? L’alieno?” Aveva esclamato Francis, incredulo.
“Tony non è un alieno! È mio amico!” Aveva invece risposto America, indignato.
Un po’ perplesso, Francis era tornato a casa con le lenzuola.

 

La giornata passò tra le diverse stanze della casa di Arthur, che correva qua e là indicando tutto e chiedendo puntualmente che cosa fosse e a cosa servisse.
E la risposta ricorrete era E’ magia!
Alfred, non potendo spiegare concetti che al tempo di Arthur non esistevano, trovava molto difficile esporre nozioni senza mandare in confusione il piccolo.
Finito il giro Arthur chiese di uscire, ma purtroppo era già calata la sera, e bravo cacciatore qual’era accettò di buon grado di restare in casa, a osservare il giardino scuro.
Quando fu ora di andare a dormire Alfred, si ritrovò davanti ad un quesito: chiedere ad Arthur se voleva dormire ancora in camera propria o con lui.
Da una parte moriva dalla voglia di stringere l’inglese, piccolo o adulto che fosse, e dall’altra sapeva che il bambino era restio ai contatti umani.
Ma vedendolo lì, solo su quel pezzo di materasso, non riuscì a trattenersi.
“Se vuoi puoi dormire con me...”
Si morse il labbro, dandosi più volte dello stupido. Perché avrebbe
dovuto accettare
? si chiese, vedendolo arrossire e pensarci su.
“N-non serve...” Borbottò infine. “Grazie lo stesso...”
Alfred doveva aspettarselo.
Gli diede delle nuove lenzuola, spiegandogli che anche se il camino era sicuro non era il posto più adatto per dormire. Così riuscì convincerlo di spostarsi almeno un po’, giusto per non sporcare ancora le lenzuola.
Gli diede la buona notte e se ne andò a dormire, sognando di poter riabbracciare Arthur senza problemi e questi, ritornato adulto, ricambiava l’abbraccio con gioia.
 
 
 
Questo è una piccola introduzione di Zazzy, la mia beta-reader (o che contentezza) trovarla è stata una vera fortuna! Devo ringraziare qualcuno lassù.
Bhè, ora cominciamo:
 
 

Mo:” Bentornati!! Grazie ancora per la quantità assurda di recensioni che avete lasciato!”
??:” Vai così! *sventola striscione*
AltraMe:” Ma se sono appena sei…”
Mo:” Ah, ciao AltraMe, ragazzi, questa è "l'AltraMe" il mio adorabile alterego, il mo contrario.
AltraMe: Evviva...
??: Simpaticissima, peraltro!
Mo:” Beh, siccome non sei d’utilità passiamo ad altro... Un ringraziamento speciale a Zazzy! Che si è offerta per farmi da beta reader! Un applauso!”
Zazzy: Marhaba/Bonjour/Hola/Hello/Ciao a tutti! °-^”
Mo: “Accidenti, ma quanti saluti sai? Cioè, che lingue sono?
Zazzy: “In ordine: Arabo, Francese, Spagnolo, Inglese etc etc…e Italiano XD Eh sai, poliglotta di sangue misto ^^
Mo”Sangue misto? Che forza! Chissà quali super poteri avrai ricevuto!”
AltraMe:” Idiota..”.
Zazzy: *ignorando l’alter ego di Monica* Huh, beh... da Spagna e Francia ho ereditato la malizia!”
Fr:” Bonjour! Parlavate di me?”
Mo:” Sparisci! Pussa via!”
Zazzy: “Heilà ‘parente’! :D”
Fr: “Parente’?”
Zazzy: “Oui! Almeno, ho degli avi francesi! ^^”
Fr:”Oh! Bene, direi di ritenermi fortunato ad avere una ‘parente’ così carina! *patta Zazzy*
Zazzy: *CoffCoff* Huh, beh... merçi beaucoup ^////^”
Mo: “Stavamo dicendo... anche da Spagna la malizia? A me Antonio non è sembrato tanto sveglio...
Sp: “Dicevate? :D”
Zazzy: “Hola Antonio! Como estas? Todo bien? ^^”
Sp: “Bien, bien! Y tu? :)”
*e i due iniziarono a chiacchierare amabilmente*
Mo:” ...mi sa che devo continuare da sola...”
Fr: “Ma non sei sola, ma cherie!”
Mo: “Aah! Statte lontano, vade retro Satana!”
Fr: “Devi ammettere che un Satana più bello no lo tuvée vouz...”
Zazzy: *finisce la conversazione con Spagna e si congeda* Francis, s’en aller! °-° Rischi la vita!
Fr: “Ma no, sono sicuro che non c’è nulla da temere, Monica è una ragazza dolce e cari-“
Mo: “Prova solo a toccarmi e ti trituro la faccia!”
AltraMe: “Ben detto!”
Fr: “Cherie, perché sei così cattiva? ç__ç”
Mo: “Tu non allungare le mani e io non ti uccido, semplice”
Fr: “Urgh... ok, starò lontano...”
Mo:” *CoffCoff* Dov’eravamo rimaste?”
Zazzy: “Huh, all’elenco delle nazionalità dei miei parenti ^^’’
Mo: “Ah, già! Dunque, oltre a Supein e Furansu, da che altre nazioni erano i tuoi avi?”
Zazzy: “Allora, meglio fare una scaletta: Austria, Germania, Russia, America, Inghilterra, Polonia e ho cittadinanza Svizzera ^^ Non mi sorprendo se salta fuori qualcos’altro XD”
Mo: “Forte! E io che al massimo sono mezza bergamasca-bresciana...Pazienza...”
Zazzy:“XD Ringrazio i miei avi emigranti...”
Mo: “Oooh, che bello! E io che spero tanto di riuscire a viaggiare per il mondo...”
Zazzy: Aww, anche io... i miei nonni mi hanno sempre portata in giro da piccola, ma mi ricordo poco, e poi adesso mio nonno non sta bene...”
*ricordi agrodolci di pomeriggi estivi* ...Ma suvvia! *CoffCoff* Non siamo qui per parlare di me! u__u”
Mo: “Io sono cresciuta in campagna, perciò adoro starmene all’aria aperta... Non so quanto darei per farmi una corsa per le praterie inglesi! ... Iggy! Arrivooooo!!”
AltraMe: “E tu andresti in Inghilterra solo per correre?”
Mo: “Si! Ah, e per bere il mio amato tè <3”
Zazzy: Io per andare a parlare Inglese *-* E’ una lingua tanto espressiva... >.<
Mo: “Anche quello... Solo che parlare in lingua madre con un inglese troppo orgoglioso un po’ mi demoralizza...
Zazzy: “Hai ragione... ce ne vorrebbe uno alla mano, abbastanza empatico…”
Fr: “Come me!”
Mo: “Zitto tu! Che voi Francesi siete peggio di loro! Parlate apposta con i vostri dialetti per non farci capire... sciò! Questa sera non sono in vena di difenderti”
Zazzy: “Su questo ha ragione...”
Fr: “Ti ci metti anche tu adesso? ç__ç”
Zazzy: “Nawh, io ti voglio bene, me su certi aspetti tutti sbagliamo ^^”
Fr: “Oh, grazie cherie!”
Zazzy: “Ne’ pas de probleme ^^”
Fr: “Oh! Parla anche Francese! Cherie!!
*e partirono pure loro a conversare amabilmente*
Mo: “Beh, ora -presentata la mia beta- mi dedicherò a voi cari recensori! ^^”
 
*si schiarisce la gola*
Marlot: grazie, fa sempre piacere sapere che il tuo modo di scrivere piace, e poi sentirsi dire che come descrivi i personaggi sono tutti IC… è perfetto!
Ora penso che dopo questo capito ti sia chiaro come Alfie riesce a ottenere la sua fiducia, d’altronde Arthur è solo un bambino, spaventato, e quindi, chi meglio di un Eroe-Cavaliere può aiutarlo? XD
 
 
Hanon993: bentornata! Davvero continui a leggere angelo custode? Oh che bello! Allora mi sa proprio che se voglio dare un… pizzichino in più di che so io dovrò svegliarmi! Bhè, grazie per aver recensito.
La tua duojiin preferita si chiama mica “appear”? perché se è quella che ho letto anch’io è magnifica, altrimenti vedrò di trovare il modo per ottenerla *W*
 
 
Zazzy: bhè, grazie per aver recensito e per esserti offerta mia Beta-reader, ^^ e mi fa moltissimissimo piacere che nonostante non sia il tuo genere, ti piace.
E poi non smetterò do ringraziarti, perché mi correggi le fic e mi insegni tante belle cose su come si scrive correttamente *W* *bambina ritardata mode on*
 
MagicLily:_ purtroppo ho dovuto interrompere accademia mondiale perché troppo presa da questa fic, ma non appena la sistemo per bene vedrai che riparto anche con quella! *W*
Mi sa che è troppo tardi per Arthur, adora gli hamburger, per lui carne cotta era un lusso e potersela mangiare ogni giorno è un sogno, ma tranquilla, ci tengo alla linea del mio adorato inglese, quindi imporrò ad Alfred di preparare qualcos’altro, giusto per evitare che ad Arthur scoppi il fegato per le troppe schifezze che ingurgita Alfred.
Grazie ^^
 
 
Konoha_Hellsign_94: non so se prendermela con te o con me stessa, dico, come si fa a riuscire a farsi spoilerare praticamente tutto il capitolo!?
Bho, tanto alla fine ti faccio leggere tutto, quindi è anche colpa mia… ma tanto su Accademia Mondiale terrò la bocca ben chiusa!
E il dissidio tra Danimarca e Russia è finalmente finito! Aprite le bottiglie festeggiate! Perché la pace è tornata!
: D
 
 
Ivan_kirkland: bentornata anche a te! Hehe, spero che questa storia riesca a prenderti come “Angelo Custode” perché ci tengo tanto! *W*
Come vedi non ha fatto troppa fatica a ingraziarselo, la fortuna è dalla sua parte (non proprio fortuna, diciamo un… volere superiore XD)
 
 
E quindi come al solito vi dico: commentate! Perché i commenti sono il cibo per noi scrittori, non costiamo tanto e regaliamo sorrisi e risa, e anche qualche lacrima! Quindi orsù! Sfamate le bocche insaziabili degli artisti! *fa un inchino teatrale*
Ciaossu!

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Capitolo 3
*** Qui ci vuole... un samurai!! ***


 
 
Da quel giorno Arthur seguì Alfred come un cagnolino devoto al proprio padrone.
Gli correva tra le gambe e sfuggiva ai rimproveri ghignando divertito, accelerando e nascondendosi alla vista del ragazzo che, stando al gioco, improvvisava una partita di nascondino praticamente ogni mezz’ora.
Alla mattina stupì il piccolo con una semplice tazza di caffè e tè caldo e, come sospettava, quest’ultimo era il favorito del bambino.
Proprio quella mattina passò Canada, che portò un paio di ricambi adatti alla nuova taglia di Arthur.
Dapprima li squadrò, reputandoli troppo strani rispetto a quelli a cui era abituato, ma poi -notando che erano comodi- li indossò senza fare storie.
Come Alfred, Matthew risultò subito degno della fiducia di Arthur, grazie all’aria dolce e rassicurante che aveva e ai suoi formidabili pancake, di cui sia Alfred che il bambino facevano ogni volta piazza pulita.
Dopo colazione Alfred acconsentì ad uscire. Ormai aveva conquistato la fiducia del piccolo e si sentiva sicuro, quindi si limitò a raccomandare ad Arthur di non superare né la ringhiera né la staccionata posteriore, dotata di un cancelletto che portava a un sentiero che si diramava nella foresta dietro casa.
Ma non servì, perché il giardino era molto spazioso e pieno di cespugli dove il bambino adorava infilarsi, tornando con una pigna o un fiore che puntualmente poggiava sul tavolino di ferro nero al quale Alfred e Matthew sedevano, guardando il bambino e cercando di sistemare un po’ il lavoro arretrato.
Ma la temperatura deliziosa di fine estate e i continui “resoconti” di Arthur, del tipo:
“Ho visto una lucertola enorme! L’ho quasi acchiappata ma è scappata lo stesso...” o “Mi sa che ho trovato la tana di una volpe e credo che ci siano dentro la mamma con i cuccioli!” Rendevano faticoso il lavoro.
I due sorridevano ogni volta, commentando con un semplice “Wow!” o scompigliandogli i capelli.
“Non facevo Arthur così...” Cominciò America.
“Scalmanato?”
“Esatto! Ho sempre pensato che fosse un musone anche da piccolo.”
“Beh, forse lo faceva con le persone che non conosceva bene o quelle che non sopportava... Con noi è sempre stato sorridente e gentile. O mi sbaglio?” Concluse Matthew.
Alfred ripensò alle volte che, dopo aver litigato con Francia o qualche suo subordinato, Arthur diventava di pessimo umore, ma ogni volta che gli si avvicinava sorrideva nuovamente, tornando a essere il suo adorato fratellone.
“Vero...” Riflettè.
Lo guardò infilarsi a quattro zampe in un cespuglio, capendo come facesse ad esser sempre pieno di graffi.
“E’ così curioso! Ieri abbiamo passato l’intero pomeriggio a esplorare ogni stanza, e mi chiedeva tutto!”
“E tu che hai fatto?”
“Potevo solo rispondere che era magia... non posso spiegargli l’elettricità! Sarebbe troppo complicato!”
Canada sorrise comprensivo.
“Hai agito bene. Credo che non sia il caso di fargli vedere cose tecnologiche... ma anche solo di una decina di anni più in là di lui, lo manderemmo in confusione.”
“Purtroppo gli ho fatto vedere il mio cellulare... ha squillato!”
Vedendo che il fratello stava per commentare, si affrettò ad aggiungere: “Ma gli ho detto che era una pietra, tranquillo.”
“Beh... finché se le beve siamo salvi, no?”
Alfred annuì ridendo. Poi Canada aggiunse, con tono serio:
“Hai già cercato un modo per mandarlo indietro?”
La domanda arrivò inaspettata ad America, che sobbalzò e guardò il fratello spaesato.
“Io...”
“Non ci avevi ancora pensato, vero?”
“No.”
Canada scrollò le spalle. “Fa niente, è comprensibile. Tempo di fartelo amico, no? Però oggi o domani devi darti da fare, non possiamo tenerlo così per sempre, e la tua vacanza sta per finire.”
Alfred chinò il capo sconfortato: era vero.
Matthew aveva ragione, non poteva tenerlo così per sempre, anche se questa nuova versione era sempre allegra e lo adorava.
Lo cercò con lo sguardo, ma vide solo i cespugli muoversi e gli venne da sorridere.
Si ricordava le volte quand’era lui, da piccolo, a nascondersi nei campi di grano e che Arthur, confuso da tutto quell’oro, non riuscisse a trovarlo. Spesso America gli faceva gli agguati, balzandogli sulle spalle e buttandolo a terra.
“Però...” Cominciò. “Non saprei a chi rivolgermi, dopotutto è Arthur l’esperto di magia, no?”
Matthew ci pensò un po’ su.
“Beh... puoi pur sempre chiedere a Giappone. Se non mi sbaglio nel suo folklore si è sempre parlato di sacerdoti con poteri magici, quindi penso che anche Kiku ne sappia qualcosa, no?”
Alfred non rispose, soppesando la risposta.
Era vero che Arthur non amava gli estranei, ma Kiku era un tipo pacato e gentile, anche lui restio ai contatti umani, a differenza di Italia del Nord.
Probabilmente lui e Arthur sarebbero andato molto d’accordo.
“Mmh, mi sembra una buona idea... Grazie!”
Canada gli sorrise gentile ed entrambi ripresero ad osservare Arthur che giocava.
 
Matthew rimase per il pranzo e dopo che se ne fu andato, raccomandando al fratello di chiamare al più presto Giappone, Alfred e Arthur rimasero soli. Uno indeciso sul da farsi, l’altro troppo eccitato per stare fermo.
“Posso uscire ancora? Devo finire di esplorare il giardino!” Disse fissando intensamente Alfred, che gli sorrise ed annuì.
America lo vide schizzare fuori ad una velocità paurosa e scomparire di nuovo tra i cespugli.
Si sedette al tavolino e tirò fuori il proprio cellulare, componendo il numero di Giappone.
moshi moshi.
Hi Kiku!”
Oh, Alfred-kun. A cosa devo la tua chiamata?
“Ecco, vedi... è una storia piuttosto lunga e divertente! Sei hai tempo te la racconto.”
Dall’altro capo del telefono Giappone annuì.
Certo, fai pure.
Alfred si schiarì la voce e cominciò a raccontare.
“Quindi... è tornato piccolo e non sai come farlo tornare indietro, giusto?
“Si... Canada mi ha consigliato di chiedere a te. Io di magia non ne so nulla, hahaha!!”
Giappone annuì di nuovo, e il campanello squillò.
Non avendo ancora imparato la lezione, America andò ad aprire la porta e, come Francis il giorno prima, Kiku -stranamente su di giri- entrò in casa e, togliendosi le scarpe con un gesto fulmineo della caviglia, avanzò e grandi falcate verso il giardino.
“Con permesso.” Si ricordò di dire nella sua foga.
Si fermò sulla soglia del giardino e lo scrutò con attenzione, fissando poi intensamente un cespuglio.
“E’ nascosto tra le fronde... non sarà facile stanar-”
“E’ là.” Disse semplicemente Kiku, indicando l’arbusto che non aveva smesso di fissare.
“M-ma... come fai a saperlo?!”
“Sono un discendente samurai, per me è naturale!” Rispose pacato, con un luccichio negli occhi.
Alfred guardò sorpreso e turbato l’altra nazione, passando di continuo lo sguardo da Giappone al cespuglio.
“Se esci non ti verrà fatto alcun male.” Esclamò Kiku, mettendosi le mani nelle maniche, in attesa.
Il cespuglio si mosse, ma solo per far passare una freccia, che Giappone afferrò al volo con un rapido gesto.
What the hell!! Arthur! Ma che fai?!”
“Tranquillo Alfred-kun, è solo un pò spaventato.”
America strinse le labbra.
“Prima che ti attacchi di nuovo... lo tiro fuori io.” Disse, avvicinandosi al cespuglio.
Scostati i primi rami lo trovò subito, rannicchiato in un angolino, ben riparato dai rami più bassi.
Stringeva l’arco e lanciava occhiate di fuoco a Giappone.
“E’ un intruso.” Fece il piccolo, aumentando la presa sull’arma.
“No, ascoltami. Giappone è qui per aiutarti... e poi, come hai fatto a riprendere l’arco?! Non era in camera?”
Arthur scrollò le spalle. “Un bravo cacciatore si porta sempre dietro la sua arma.”
Alfred sospirò. “D’accordo, ma ora vedi di uscire. Non essere ostile nei confronti di Kiku, non ti farà niente.”
Vedere America, chino su un cespuglio e nascosto per metà dai rami e parlare con Arthur era davvero strano. Kiku si trattenne a scattare una foto, pensando la batteria sarebbe servita successivamente per documentare la trasformazione di Inghilterra.
“Ecco fatto!” Disse Alfred, di ritorno con il piccolo Arthur tra le braccia.
Il bambino tentava in tutti i modi di nascondersi da Giappone, ma allo stesso tempo cercava di fronteggiarlo con coraggio, alla ricerca dell’occasione propizia per colpirlo.
Vedendolo così insicuro, mentre cercava di nascondersi nelle pieghe della felpa del ragazzo, in Giappone scattò l’anima otaku, e con un gesto fulmineo tirò fuori la macchina fotografica e fece una rapidissima foto.
Il movimento sfuggì ad Alfred come fu limpido per Arthur.
“Che cosa hai fatto?!” Chiese inviperito e spaventato.
“Eh?” Kiku rimase sorpreso. Come aveva fatto un bambino così piccolo ad accorgersi del suo movimento?
“Hai tirato fuori qualcosa e poi l’hai nascosta di nuovo! Cos’è, una bomba?!”
Alfred passava lo sguardo confuso da Giappone ad Inghilterra.
“Capisco... sei un abile cacciatore, Arthur-san.” Disse, facendo un inchino.
“Mi dispiace per esser stato così brusco.” E qui Alfred fece una faccia ancora più confusa.
Kiku continuò. “Non volevo spaventarla, ma solo... conoscerla.”
Giappone aveva dosato le parole e i tempi, così da pronunciare il tutto in modo così perfetto che se anche fosse stato un lupo cattivo, America-Capuccetto ci sarebbe cascato in pieno.
Anche Arthur sembrava affascinato, ma rimase guardingo, mentre la presa sulle spalle del ragazzo si attenuava.
“Mi chiamo Kiku.” Continuò, facendo un altro inchino. “Konnichiwa, Arthur-san.”
“... P-piacere... sono Britannia...”
Giappone guardò un attimo sorpreso il piccolo, ma poi sorrise.
“Bene, mi fa piacere che siamo giunti alle parole. E ora, se mi permetti...” E tirò fuori la macchina fotografica. “Posso fare qualche foto?”
Lo chiese con un’espressione maniacale, che fece rabbrividire i presenti, tanto che Alfred fece un passo indietro. “Non so se...”
“E’ senza flash, non gli darà fastidio.” Rispose, con l’apparecchio già alzato e calibrato.
“Arthur...” America si voltò verso il bambino. “Ora... dovresti stare buono un attimo, ok? Questo ragazzo non ti farà niente, te lo prometto. Però dei restare fermo... ok?”
“Non importa, sono abbastanza abile per fare delle belle foto anche in movimento.” Disse Kiku, allargando le gambe e mettendosi in posizione, come se dovesse affrontare un nemico.
Alfred sopirò e mise a terra Arthur che, però non ancora del tutto convinto, fece un balzo e andò a nascondersi tra le gambe di America.
Nello stesso momento Kiku scattò ben tre fotografie, tutte con gesti fulminei, sorridendo soddisfatto del suo operato.
“Tre... non male.”
“Tre?! M-ma sono passati solo... tre secondi!”
“E’ tecnologia giapponese, la migliore sul marcato. E questa...” Sollevò la macchina. “Questa è la migliore!”
Alfred sbattè gli occhi frastornato, sapeva che Kiku alcune volte poteva esser strano, ma vederlo così... ambiguo, lo inquietava.
Intanto Arthur scrutava il nuovo arrivato da dietro le gambe del ragazzo, aggrappato ai pantaloni. Non aveva smesso di fissare la macchina.
“Che è quella cosa?” Chiese, astenendosi dall’indicarla. Non gli piaceva per niente.
“Oh, questa? È un-”
Alfred agitò la mani e scosse la testa con foga, fermando Kiku appena in tempo.
“E’ una pietra magica! Serve per... catturare’ le immagini.”
Arthur lo guardò impaurito.
“C-catturare?!” Cominciò a tremare, tormentandosi le mani.
“No! Non in quel senso..! Come faccio a spiegartelo..?” Chiese esasperato, in ginocchio di fronte al bambino. “Serve... per ricordare...”
L’altro lo guardò sorpreso.
“Serve per... ricordare le cose, si. Penso che tu sappia che dopo un po’ le cose si rovinano o si rompono, no?”
Il bambino annuì.
“Ecco, e questa pietra serve per... immagazzinare’ le immagini, le cose... Fa dei disegni velocissimi ma molto belli. Non so come spiegare... ma è una bella cosa, se usi questa pietra puoi portarti il disegno delle cose che vedi per sempre. Naturalmente se vuoi cancellarli puoi, ma dopo che lo hai fatto il disegno non esisterà più... capisci?” Alfred terminò il discorso con uno sguardo speranzoso, mentre Arthur rifletteva a testa bassa.
“E’... bello quello che fa. Dei quadri portatili... giusto?”
Il ragazzo sorrise, sollevato che il piccolo avesse capito e che lo avesse accettato.
“Esatto! Già, proprio così!”
L’altro accennò ad un sorriso.
“Si... così posso ricordarmi le cose, o rivederle quanto non sono vicine.”
America ridacchiò. “Esatto, bravo...”
Gli scompigliò i capelli, ringraziando il cielo che Arthur fosse già sveglio da piccolo.
“Oh-mio-dio... è così... kawaii!!
Esclamò Kiku tremando leggermente, rosso in volto.
Come un indemoniato aveva scattato una quantità assurda di foto, dall’ inizio del discorso di Alfred fino alla fine.
“Siete dei soggetti fantastici!” Disse esaltato, riguardando le foto.
Quell’affermazione ad America non piacque.
Riprese in braccio Arthur che, vedendo che non gli era successo nulla, si sporgeva leggermente per osservare meglio lo strano aggeggio che l’orientale teneva tra le mani.
Allungò la manina.
“Posso... vedere anch’io?” Chiese, più curioso che mai.
Per poco a Giappone non venne un infarto. Fece altre tre foto e poi gli passò la macchia.
Il bimbo la scrutò attentamente, rigirandosela tra le mani.
“Mmh...” Guardò nel obbiettivo, e Kiku rimpianse di avergliela passata; ogni momento era buono per scattare delle foto!
Dopo un’attenta osservazione, Arthur restituì la macchina a Giappone.
“E’ strana, ma molto interessante!” Esclamò, mostrando un leggero sorriso al giapponese.
Altre foto.
“Herm... Kiku, non è che potresti fermarti un attimo ed aiutarmi?”
Giappone annuì.
“Farò del mio meglio Alfred-kun!” E tornò a fare altre foto.
Alfred sospirò esasperato, ma lo lasciò fare.
Finalmente, dopo diversi minuti, Kiku si fermò ed ascoltò con attenzione Alfred.
“Non so come farlo tornare indietro... intendo, nel suo tempo.” Disse, mentre osservava Arthur controllare le sue frecce.
Entrambi avevano appurato che fosse stato meglio se il piccolo non avesse sentito i loro discorsi, giusto per non mandarlo in confusione.
“Mmh, la cosa è complicata” Rispose Kiku, sorseggiando il tè appena preparato.
Si sistemò meglio sulla sedia.
“Purtroppo è Arthur-san quello più esperto di magia. Io so come rompere le maledizioni, o applicarle... e non sono nemmeno sicuro che si tratti di una maledizione. Hai per caso delle prove?”
Alfred lo osservò con un cipiglio vacuo.
“Eh? In che senso?”
“Oggetti, segni... qualsiasi cosa che dimostri che è stata compiuta una magia.”
“Mmh... Arthur è solito usare cerchi alchemici. O demoniaci, dipende... ma i suoi incantesimi non funzionano mai! Hahaha!!”
Giappone prese un altro sorso.
“...Potrebbe essere un errore come potrebbe esser riuscito in pieno.”
“Naah, Arthur non vorrebbe mai tornare piccolo!”
“Anche questo è da considerare.”
Ci fu un minuto di silenzio.
“Dove lo hai trovato?”
“Non l’ho trovato io, è lui che ha trovato me. Mi è saltato addosso puntandomi un coltello alla gola.” E si indicò un segno roseo sul collo. “Potrebbe esser spuntato ovunque. probabilmente in cantina... è lì che ama fare i suoi riti.”
Concluse America, assumendo un’espressione inquietante e agitando le mani per enfatizzare il concetto.
Kiku sorrise leggermente. “Può darsi. Semmai posso andare in esplorazione io, chissà quante magie potrebbero essere nascoste negli angoli più oscuri...”
“C-che intendi?” Chiese Alfred, turbato. Lui ci era passato, per quella cantina!
“Intendo, la magia potrebbe... ristagnare, e quindi diventare pericolosa e molto più potente.”
Alfred gemette di paura, mentre Kiku sembrava tranquillissimo.
“Andrò da solo, e controllerò se ci sono tracce di magia.”
L’altro annuì poco convinto, e lo accompagnò alla porta del sotterraneo.
“Buona fortuna...” Mormorò America, vedendo sparire l’atra nazione nell’oscurità.
Preferì tornare in giardino anziché rimanere sulla soglia come un ebete, scrutando il buoi totale.
Si sedette al tavolo e venne raggiunto da Arthur. “E Kiku dov’è?”
“E’... fa un giro della casa.”
“Dove?!” Chiese, improvvisamente turbato.
Alfred sbattè gli occhi. “E’ andato in cantina...”
“Ah, ok.” Il piccolo si calmò all’istante, poi proseguì. “E... volevo chiederti una cosa.”
“Si, dimmi.”
“Sai dove porta quel sentiero?” Chiese, indicando la stradina che si perdeva tra gli alberi dietro casa.
Aggrottò leggermente le sopracciglia, guardando di striscio il bambino: non sembrava interessato più di tanto a qual sentiero. Gli mancava completamente il luccichio che aveva mentre esploravano la casa, sembrava solo curioso.
“Va nella foresta, non vedi?”
L’altro annuì. “E la foresta dove finisce?”
“Herm, questo... questo non lo so, mi dispiace.”
Il bambino non era deluso, ed annuì un’altra volta.
“Pazienza, grazie.” E tornò a giocare.
Alfred lo seguì con lo sguardo per un po’, inquieto, ma vedendo che non accennava minimamente a voler oltrepassare il cancelletto si rilassò, attendendo il ritorno di Kiku.
Giappone fece rapporto cinque minuti dopo.
“Purtroppo non ho trovato niente che possa dimostrare l’utilizzo di magia, solo grossi ragni e polvere.” Disse, sedendosi.
“Grazie... e ora che si fa?”
L’altro scrollò le spalle.
“Non saprei... Mmh...” Si portò una mano al mento, rimuginando, ma dopo un po’ ci rinunciò, sospirando pesantemente.
“Non saprei proprio, dovrei documentarmi sulla magia occidentale.”
“E’ così diversa da quella orientale?” Fece Alfred, curioso.
“Molto. Naturalmente ogni mago ha un proprio modo di fare, ma a grandi linee le magie sullo stesso territorio sono molto simili.” Si alzò e fece un inchino.
“Chiamerò quando avrò scoperto qualcosa, se invece scopri tu qualcosa chiama, ok? Ogni dettaglio può esser rilevante!” Esclamò alzando l’indice.
“Forse prendi la cosa troppo sul serio...”
Giappone sorrise. “Fare quel tipo di magie richiede un certo livello, Alfred-kun... e il loro utilizzo può esser svariato...”
Alfred aggrottò le sopracciglia e lo guardò turbato. L’orientale aveva una faccia strana, che fece venire i brividi all’americano.
“Beh, è tempo per me di tornare a casa, salutami Arthur-san” Kiku fece un ultimo inchino e se ne andò.
Alfred si sfregò il collo, confuso: che segni doveva cercare, lui?!
A malapena sapeva riconoscere i cartelli stradali! Come avrebbe fatto a riconoscere segni magici?!
Il suo dissidio venne interrotto da Arthur, che gli corse tra le gambe.
“Oh ciao! Ma... sei fradicio! Che è successo?!”
“Sta piovendo, non vedi?” Rispose il piccolo, guardandolo stranito.
Il ragazzo alzò lo sguardo e vide che effettivamente il prato era ormai zuppo.
“Certo che qui il tempo cambia in fretta...” Borbottò, chiudendo le finestre, per poi rivolgersi ad Arthur.
“Stai bene? È meglio che ti asciughi, sei tutto bagnato.”
Il piccolo scrollò le spalle. “Non è niente... ci sono abituato.”
Alfred si chiese che tipo di intemperie avesse affrontato per dire una cosa del genere davanti a un acquazzone.
“Beh, a me non interessa. Vieni, è meglio darsi una bella asciugata.”
Lo accompagnò al bagno dove, dopo averlo avvolto con un grosso asciugamano, gli asciugò i capelli, togliendogli i vestiti bagnati.
Il piccolo era ancora restio a farsi vedere nudo, e quindi scacciò Alfred senza mezzi termini, affermando di poter far da solo.
Dopo averlo cambiato, Alfred si mise sul divano.
Avrebbe voluto guardarsi un po’ di Tv, ma Matthew gli aveva consigliato di non usare o far vedere oggetti tecnologici ad Arthur.
“A parte che gli farebbe male, e anche a te.” Gli aveva detto quella mattina stessa, sottolineando il fatto che il fratello spendesse fin troppo tempo davanti alla Tv.
“E’ meglio non mandarlo in confusione, ti immagini se tornasse nel suo tempo e gli sfuggisse di aver visto queste cose? Sarebbe il caos quando verrebbero create!”
“... In che senso?”
“Si chiederebbero come è possibile che Arthur fosse a conoscenza di questi oggetti senza nemmeno averli visti o inventati lui!”
Alfred aveva alzato gli occhi al cielo, pensando. Non aveva capito bene quello che il fratello gli aveva spiegato, ma per farlo contento aveva annuito ed assicurato che non avrebbe fatto uso di tv o computer.
“Per una settimana intera...” Borbottò, steso tra i morbidi cuscini del divano.
Chiuse gli occhi, rilassandosi un po’. Gli piaceva schiacciare dei pisolini a casa di Arthur, era molto più silenziosa della sua; il cellulare non squillava in continuazione e il computer non emetteva il solito ronzio fastidioso. Certo, vivere in un casa così silenziosa era leggermente inquietante, ma aveva i suoi vantaggi.
“Alfred, mi annoio.”
Alzò le palpebre e si voltò, ritrovandosi a fissare Arthur che, in piedi davanti a lui, ricambiava lo sguardo.
“Mi annoio.” Ripeté, per enfatizzare il concetto.
Alfred sospirò. “Che vuoi fare?”
Il bambino si guardò attorno e poi alzò le spalle.
“Vorrei uscire, ma non posso; vorrei controllare il mio arco, ma è già a posto; dovrei parlare con il mio re, ma lui non c’è qui e-”
“Ho capito, ho capito, ho capito!” Lo interruppe Alfred, alzandosi e avviandosi fuori dalla stanza.
Tornò indietro con lapis e fogli bianchi, che mise sul tavolino del salotto.
“Ecco. Puoi disegnare, se vuoi.”
Arthur guardò affascinato le matite colorate.
Probabilmente non avevano ancora creato quei colori al suo tempopensò il ragazzo, vedendolo sgranare gli occhi e sorridere, piacevolmente stupito da quella magia’.
Soddisfatto della sua grande idea, America si risistemò sul divano, pronto a fare un bel pisolino.
 
 
Non sapeva quanto aveva dormito, sapeva solo che era sera tarda e che il suo stomaco brontolava.
Fuori si sentiva il ticchettio gentile della pioggia. A quanto pare non aveva ancora smesso.
Cercò di alzarsi, ma un peso a livello della pancia lo fermò: Arthur si era raggomitolato lì.
Una manina stringeva un foglio, mentre l’altra stringeva la felpa del ragazzo, che mezzo intontito e mezzo addolcito lo guardò con affetto.
Lanciò un’occhiata anche agli altri fogli, sparsi un po’ ovunque.
Tra qualche strappo fatto dalla foga nel disegnare aveva potuto riconoscere chiaramente Francia, con un’espressione tutt’altro che felice disegnata sul volto, e fin troppo rosso.
Poi vide anche altre persone, rosse di capelli e con le stesse sopracciglia di Arthur, ma non riconoscendole pensò che fossero persone normali che gli avevano fatto un torto.
Adocchiò anche schizzi verdi e rosa, con molti segni colorati attorno. Da quello che capì con una semplice occhiata ritraevano delle figure con ali azzurre e abiti smeraldini, ma senza volto.
Prese il bambino in braccio e lo sistemò sdraiato, mettendolo in una posizione ben più comoda di quella in cui si era addormentato.
Gli sfilò delicatamente il foglio dalle mani e lo guardò bene: ritraeva quelli che dovevano essere lui e Matthew; era riuscito a capirlo solo grazie ai due ciuffi che spuntavano tra il giallo dei capelli. Uno bello ritto per Alfred e uno ricciolo per Matthew.
Doveva aver tentato di disegnare anche gli occhiali ad entrambi, viste le strane righe blu che passavano sui volti rosa.
Trattenne una risata mentre il cuore accelerava i battiti, felice come una pasqua.
Ricordava che anche lui come spesso tentava di disegnare Arthur, ma con scarsi risultati.
Una volta gli aveva fatto le sopracciglia così spesse che Inghilterra ci era rimasto male. Ma poi, avendo capito che voleva solo disegnare il suo adorato fratellone al meglio, lo aveva perdonato ed aveva attaccato il disegno in corridoio.
“Così tutti potranno vederlo!” Gli aveva detto, scompigliandogli i capelli e regalandogli uno splendido sorriso.
Notò anche una scritta, in alto a destra, ma non la capì. Non era inglese e non assomigliava a nessun tipo di scrittura araba o orientale.
Un po’ perplesso mise il disegno sul tavolo e si alzò.
 
 
Non ci fu bisogno di svegliare Arthur, visto che gli era bastato sentire i rumori dalla cucina che era già balzato in piedi, arrampicandosi sul bancone per vedere meglio.
Questa volta America aveva preferito non chiamare Francis. In più pioveva a dirotto e preferiva rimanere un po’ solo con il piccolo.
Vedere un’altra persona di cui non si fidava completamente, anzi, che odiava a morte, di sicuro non gli avrebbe giovato.
Una chiamata però, gliel’aveva fatta lo stesso, giusto per farsi consigliare sul menù.
Francis aveva cominciato a snocciolare una serie di piatti, molti dei quali Alfred non riusciva nemmeno a pronunciarne, dall’aria molto complicata.
“Qualcosa di semplice Francis, per piacere.” Gli aveva implorato, dopo cinque minuti buoni di monologo.
“Mmh, allora prepara la pasta! È semplice e nutriente. E magari usa qualche condimento. Poco burro!”
Gli raccomandò prima di mettere giù.
Per questo, quando mise in tavola un bel piatto di pennette in bianco, Arthur le guardò sorpreso.
“... Mmh, non hanno tanto profumo. Che cosa sono?”
“E’ pasta, ed è buonissima. Su, assaggia!” Ci versò sopra una generosa spolverata di formaggio grattugiato, che si sciolse a contatto con la pasta calda.
Arthur infilzò un pennetta piena di formaggio e la sollevò, scrutandola interessato. Ci soffiò sopra e poi la mise in bocca.
“...E’ buonissima!” Esclamò, e con gioia cominciò a mangiare.
Alfred lo guardò con affetto. gli sembrava di vedere sé stesso.
Quando Arthur gli preparava da magiare si gettava con la stessa foga e felicità sul piatto, continuando a cantare le lodi del suo fratellone.
Tentò di mangiare anche un terzo piatto, ma Alfred aveva sbagliato a leggere le dosi ed ormai era finita.
“La possiamo fare anche domani.” Lo consolò, scompigliandogli i capelli.
Il bambino annuì.
“Giusto. E poi ne ho mangiata troppa.” Continuò, leggermente turbato. “Un buon cacciatore non dovrebbe rimpinzarsi così...”
“Ma qui non serve che cacci!” Disse America con un sorriso, ritornando in salotto.
“Cosa stavi disegnando qui?” Chiese poi, prendendo in mano i fogli con su le creature senza volto.
“Fate.”
Il tono di voce che usò non piacque per niente ad Alfred. Gli scoccò un’occhiata e vide che aveva un’espressione vacua mentre afferrava il foglio.
“Non si può disegnare il volto delle fate, sono troppo belle. E anche se sono vanitose se la prenderebbero a morte se qualcuno le disegnasse senza chiedere il loro permesso... o le disegnasse male.” Concluse, guardando malinconico il proprio operato.
“Secondo me sono belle.” Disse America, afferrando i bordi del foglio e allontanandolo e avvicinandolo di continuo, come per osservarlo meglio.
“Sarebbero più belle se disegnassi anche gli occhi!” Detto questo prese la matita azzurra, e fece per tracciare qualche linea, ma Arthur fu più veloce.
“No!!” Urlò, aggrappandosi al suo braccio.
“Ma... che hai?!”
“Le fate si arrabbiano molto! Non dovresti farlo!”
Alfred guardò scocciato il foglio. “Un sacco di bambini le disegnano...”
A quell’affermazione Arthur sgranò gli occhi. “Come?! Tutte così?!”
L’altro annuì
“E-e... non è successo loro niente?!”
“No.” Sorrise Alfred.
Il bambino si zittì e si sedette a terra, sconvolto e confuso.
“Ma... perché..?” Sembrava seriamente ferito e offeso, come se gli fosse stato portato via un regalo.
Si tormentò la maglietta per un po’, e solo quanto Alfred gli rivolse la parola si ridestò dai suoi pensieri.
“Vuol dire che forse... le hanno disegnante bene...”
“Lo spero per loro...” Commentò il piccolo a mezza voce, scuro in volto.
America sospirò. Più lo conosceva, più si accorgeva di quanto fosse strano.
Lo lasciò lì a rimuginare -non dell’umore adatto per fare qualcos’altro- fino alle dieci. Poi, con uno sbadiglio rumoroso e un sonoro stiracchiamento, si alzò in piedi ed annunciò ad Arthur che fosse meglio per lui che andasse a dormire.
Il bambino non fece storie e si cambiò, augurando la buona notte al ragazzo.
Alfred si chiuse la porta alle spalle e sospirò.
Sentiva le mani prudere ogni volta che si avvicinava ad Arthur; voleva baciarlo e stringerlo come faceva quando lo rivedeva dopo tanto tempo.
Ma si doveva trattenere. Oltre che sconveniente, il nuovo Arthur non glielo avrebbe mai permesso, rispedendolo da dove era venuto con una bella unghiata, e magari con qualche freccia sulla schiena.
Gli sarebbe bastato anche solo dormir insieme... sentiva la mancanza del corpo dell’inglese contro il suo. Il respiro caldo e tranquillo di Arthur sul suo collo, il ritmico pulsare del suo cuore contro il suo petto...
Strinse i pugni e chiuse gli occhi, sospirando una seconda volta.
Sarebbe stato meglio farlo tornare normale al più presto, anche se una piccola vocina continuava a ripetergli insistentemente: “Non farlo.”
 
 
 
 
SCUSATE!! Scusate veramente il mio ritardo stratosferico, purtroppo non ricordo nemmeno il motivo del perché ci abbia messo così tanto, ma di sicuro era lo studio… e anche un po’ colpa della beta-reader *punzecchia con un bastone* no, scherzo, è grazie a lei che le mie fic risplendono! :D
*si butta a terra* chiedo venia! çAç
Bhè, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e a tutti quelli che lo pensano… ALFRED NON E’ UN PEDOFILO! Ecco! Cioè… IO, posso sembrarlo, Konoha_Hellsing può confermare, ma comune non lo sono, sfollo di brutto quando vedo i bambini vero, perché sono una cosa assolutamente adorabile, ma… no, non sono quel tipo di pervertita ^^
Passiamo ai ringraziamenti:
 
Konoha:Hellisng_94 : e per wquesto capitolo niente spoiler! Muhahahah! XD a parte qualche noti zietta sparsa qua e là, cercherò di non cadere più nella trappola e di imparare a tenere la bocca cucita!
Altrimenti te la cucio, io, col filo grosso! NdAltraMe
Antipatica… NdMe
 
 
MagicLily: per l’alimentazione di Arthur tranquilla, nenahce a me piacerebbe vedere il piccolo Inghilterra diventare un patito degli hamburger… anche se una certa persona mi ha chiesto una certa cosa… va bhè,
grazie delle recensioni e spero che questo capitolo ti sia piaciuto! ^^ *ho scritto tutto giusto senza sosta!!! Yeeeeeeeeeeeeeeeeeee*
 
 
_Zazzy: Alfred non è un pedofilo! … almeno… non credo… *comicnia a dire scuse campate per aria*
Coff, coff, tornandoa  noi, grazie per tutto il lavoro fatto e per le cose che mi insegni ^^
*mochiiiiiiii…. Devo provare a farli anch’io…*
 
 
Hanon9933: naaa, i pannolini li pensavo per la notte ^^ è comunque piuttosto piccolo 85-6 anni… almeno credo…)
L’ho trovata in inglese, su faccia libro! Sperando che ti prenda il link (si legge un po’ male perché quello stupido sito sgrana tutto -.-) http://www.facebook.com/media/set/fbx/?set=a.150577441673269.33240.100001630412336 ^^
Grazie per le recensioni.
   E quindi come al solito vi dico: commentate! Perché i commenti sono il cibo per noi scrittori, non costiamo tanto e regaliamo sorrisi e risa, e anche qualche lacrima! Quindi orsù! Sfamate le bocche insaziabili degli artisti! *fa un inchino teatrale*
Ciaossu!

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Capitolo 4
*** "Sssssh, ci sono qua io." ***


Il giorno dopo Alfred si svegliò di buon’ora.
Si stiracchiò, allungando le gambe tra le coperte calde e guardò fuori dalla finestra.
Pioveva ancora, ma questo non bastò a guastare il buon umore che si era annidato dentro di lui.
Fece tutto con calma, rimase in contemplazione  del proprio piede scalzo per un po’ e grattandosi il collo e sbadigliando sonoramente si alzò.
Si fermò di fronte alla stanza di Arthur, dove era solito dormire quando veniva a trovarlo, e sbirciò all’interno, cercando di fare il minor rumore possibile.
Si accorse immediatamente che la temperatura nella stanza era molto più bassa rispetto al resto della casa.
Rabbrividì nel pigiama e capì che il freddo e gli spifferi d’aria che gli si infilavano nella maglietta erano causati dalla finestra lasciata aperta.
L’attenzione corse subito al bambino, che dormiva placidamente, completamente avvolto e raggomitolato nelle coperte, tanto che spuntavano solo i capelli e la fronte.
Sospirò sollevato e lo guardò affettuosamente, andando a chiudere la finestra.
Quando il flusso d’aria si interruppe, Arthur si svegliò immediatamente, tirandosi in piedi e guardandosi attorno guardingo.
Si calmò solo quando vide Alfred e allora si concesse uno sbadiglio e una stropicciata d’occhi.
good morning… come mai la finestra aperta?” chiese il ragazzo avvicinandosi e chinandosi verso di lui.
Il bambino scrollò le spalle:” mi piace il suono e l’odore della pioggia, è rilassante.”
Arthur fece un leggero sorriso e uscì dalla stanza:”che si mangia? Ho fame!” urlò saltellando giù per le scale.
Lo ritrovò in cucina che guardava fuori dalla finestra, con cipiglio pensieroso.
America aprì il frigo e si accorse che era praticamente vuoto, guardò anche negli scaffali, ma anche quelli lo delusero.
Si fermò in mezzo alla stanza e si mise le mani sui fianchi, pensando a una soluzione.
“Alfred?” la voce di Arthur lo ridestò dai suoi pensieri:”qualcosa non va?” chiese il piccolo guardandolo leggermente preoccupato.
“a-ah, niente! Tranquillo, dovremo fare un po’ di compere.”
“compere? E perché?”
“la dispensa è vuota e per qu-“
“allora ci penso io!” esclamò Arthur entusiasta:” caccerò qualche animale e vedrai che colazione deliziosa preparerò!!” tentò di andare al piano superiore per recuperare arco e frecce, ma venne prontamente agguantato per la collottola.
“nononono! Non serve! Grazie per la tua disponibilità ma va bene così!” esclamò Alfred, sperando di convincerlo:”andiamo a comprare qualcosa” ma l’altro lo guardò spaesato:” così staremo anche fuori, ok?” aggiunse.
Lo mise a terra:”ora andiamo a cambiarci, così facciamo colazione fuori.”
“fuori?” il bambino scoccò un’occhiata febbrile alla finestra e poi ad Alfred:”anche se piove?”
L’altro annuì.
Arthur fece un gran sorriso e corse in camera, tempo per Alfred di arrivare al piano superiore che era già pronto:”ecco, sono pronto, andiamo?”
Il ragazzo rise forte e si chinò per sistemarli la maglietta”: si, si, ora se aspetti che mi preparo anch’io…” il bambino annuì e guardò Alfred sparire in camera sua.
Dopo cinque minuti era fuori, Arthur si precipitò tra le sue gambe, tirandogli i pantaloni:”andiamo! Andiamo!”
Alfred rise ancora, prima di uscire si mise alla ricerca di un key-way per Arthur.
“non c’è né uno della tua taglia…” mormorò guardando l’impermeabile e poi il corpicino esile del bambino:”ma possiamo farlo andare bene!” esclamò sistemandolo addosso a Inghilterra.
Arthur lo guardò sorpreso e confuso, sollevò i lembi e osservò a lungo le maniche troppo grandi per lui, tastando con timore la strana componente del key-way.
Alfred sorrise, gli arrotolò le maniche e legò i lembi, in modo che fossero alla lunghezza giusta.
“ecco fatto! E tieni questo!” disse sistemandogli il cappuccio, recuperò un ombrello e uscirono.
La pioggia non era forte, perciò era molto piacevole passeggiare.
Arthur camminava a fianco di Alfred, tenendo ben stretto un dito dell’americano, guardandosi attorno estasiato.
Alfred preferì passare per le vie secondarie, in modo da non immergersi nel traffico mattutino londinese.
Per fortuna, essendo ormai orario di lavoro, non incontrarono macchine- a parte qualche parcheggiata- che Arthur osservò attentamente, girandoci attorno un paio di volte e puntualmente domandando di che cosa si trattasse.
“sono… creature magiche, che le persone usano per spostarsi.”
Il bambino, che aveva una mano appoggiata alla portiera della macchina, fece un balzo notevole, allontanandosi immediatamente.
“e-e ora… come mai non si muove?” mormorò spiando l’auto dalle gambe di Alfred.
“sta dormendo.”
Arthur la osservò con cupidigia, desideroso di poterla studiare meglio, ma Alfred preferì avviarsi, il suo stomaco aveva brontolato per l’ennesima volta.
Decise di fermarsi al bar (devo decidere il nome XD) dove era solito andare con Arthur, la clientela era poca e tranquilla.
“un bar per vecchietti, come te!” aveva detto una volta, facendo arrabbiare Inghilterra.
Aprì la porta e un campanello risuonò nel locale.
Per via della pioggia la stanza era avvolta da una rilassante penombra, che attutiva i suoni e conferiva al locale un’aria pacata.
Il barista salutò con un cenno il ragazzo, facendogli un bel sorriso.
Alfred, seguito dal bambino, andò a sistemarsi in un angolino, in modo da rimanere in disparte e tranquilli.
“questa osteria è molto pulita.” Osservò Arthur guardandosi attorno.
America sorrise leggermente osservando il bambino che studiava la lista con interesse, senza capire veramente ciò che c’era scritto.
“cosa vi porto?”
Una bella ragazza fece un gran sorriso ad Alfred, sollevando blocchetto e penna.
Rivolse un sorriso anche ad Arthur, che arrossì e si nascose dietro al menù.
“fai due brioche, una alla marmellata e una al cioccolato, e un cappuccio e un succo…” scoccò un’occhiata al bambino, ancora rintanato nel suo nascondigli improvvisato:”…all’albicocca grazie.”
La ragazza terminò con uno svolazzo di prendere le ordinazioni e se ne andò, senza aver scoccato un’ultima occhiata ad Alfred.
“è stata troppo sfacciata!”
America si voltò verso Arthur, che guardava quasi disgustato la cameriera.
“eh?”
“hai visto come ti guardava!? Quel sorriso non era di cortesia! Dovrebbe almeno chiederti di sposarla prima di rivolgersi così a te!”
Alfred si strozzò con la sua stessa saliva.
“una fanciulla non dovrebbe sorridere in quel modo a uno sconosciuto! E hai visto come si veste? È sfacciata!”
Il ragazzo lanciò un’occhiata ai jeans e alla maglietta della ragazza.
“erm… è normale…”
“che cosa!?” Arthur rimase a bocca aperta, sbatté gli occhi confuso e scosse la testa, borbottando qualcosa sulla pudicità (ma come si scrive!? D: ogni tanto mi invento le parole) delle ragazze.
Alfred sospirò e lo lasciò sbollire, in attesa del caffè.
Quando la cameriera gli portò le ordinazioni, Arthur le rivolse uno sguardo così serio che la ragazza ci rimase male.
Sbatté le palpebre smarrita e mise, in tutta fretta, il succo sul tavolo, preferendo rivolgersi ad Alfred.
“che carino… è il tuo fratellino?”
L’americano passò lo sguardo da Arthur alla ragazza:”eee… si! Si chiama Arthur, su Artie, saluta!” esclamò poggiando una mano sulla testa del bambino e scompigliandogli i capelli.
Arthur bofonchiò un saluto, tenendo la testa bassa.
Alfred invece sorrise a mo di scusa:”perdonalo, è un po’ timido!”
Più sollevata la ragazza sorrise a sua volta.
“Alfred che cos’è questo strano panino?”
America aveva dimenticato dell’innata curiosità di Arthur e della capacità dei bambini di fare domande inopportune al momento giusto.
Rimase in silenzio un attimo, tempo che gli bastò per vedere la cameriera con un’espressione sorpresa e Arthur che giochicchiava con la briosce con interesse.
“erm…” deglutì:” hahahaha! I bambini! Sempre a fare domande!” disse poggiandosi al tavolo per nascondere Arthur dalla vista.
La ragazza ridacchiò insicura e si allontanò.
Nello stesso momento Alfred tirò un sospiro di sollievo e si voltò verso il bambino, che ignorando completamente la situazione si era messo a mangiare entusiasta la briosce.
“certo che sei un diavoletto…” borbottò, addentando la sua colazione.
Finito di mangiare se ne andarono, senza che la ragazza sorrise incerta al piccolo e diede un biglietto ad Alfred.
“che c’è scritto!? Che c’è scritto!?” chiese Arthur quando furono usciti, sollevandosi sulle punte.
“erm… niente…” mormorò l’altro, gettando il foglietto nel primo cestino che trovò.
“era una richiesta di matrimonio?”
Alfred si bloccò sul marciapiede, facendo frenare bruscamente anche Arthur, accanto a lui.
“m-ma che dici!?”
Il bambino lo guardò accigliato:” bhè, se una ti guarda così vuol dire che ti viole sposare! Certo… avrebbe dovuto essere un po’ più riservata, ma vuol dire che ti vuole a tutti i costi!” concluse sorridendo e stringendo i pugnetti.
Alfred sospirò pesantemente:” non avrei potuto accettare…”
“eh!? Perché?”
“perché… io amo già qualcuno, e quel qualcuno ricambia” spiegò inginocchiandosi davanti al bambino.
“ed è una bella fanciulla?”
L’altro trattenne una risata:”no, cioè, si.. lo è, molto bella! Hehe!”
“perché ridi?”
“niente, niente, su cammina…”
 
 
 
Dopo esser stati fuori per tutta mattina, passata a passeggiare per la piovosa Londra e fare spesa per i giorni avvenire, i due tornarono a casa.
Alfred preparò un pranzo veloce (pasta ancora, perché avevano chiamato sia Matthew che Francis, ricordandogli più volte i valori nutrizionali e le dosi esatte per un bambino) e verso le l’una si misero in salotto.
“Alfred.” Chiamò il bambino dopo qualche minuto di silenzio.
“mmm?”
“posso uscire? Mi sto annoiando…”
Il ragazzo guardò fuori dalla finestra, effettivamente aveva smesso di piovere, ma come minimo il giardino era un pantano.
Ma visto che il cervellino di Alfred non fece mai questo ragionamento, annuì:” vengo anch’io!” esclamò alzandosi.
Purtroppo la pioggia, oltre aver reso il prato un colabrodo, aveva bagnato tutti i rami degli arbusti, e in un tentativo di infilarcisi, Arthur si ritrovò la schiena fradicia.
“mmm, mi sa che per oggi niente esplorazione…” borbottò Alfred.
Il bambino abbassò la testa dispiaciuto ma non commentò.
Vedendolo così abbattuto ad Alfred venne un’idea:”hey! Ho io un gioco!” disse, e sparì in casa.
Tornò poco dopo con un pallone da calcio e della stoffa nera.
“ecco qua!” si mise al tavolino fuori e tagliò la stoffa, ricavandone due maschere nere, molto simili a quelle di Zorro:” tieni, indossala!”
Arthur obbedì e si mise la benda, fortunatamente Alfred aveva fatto i buchi al posto giusto, così che il bambino non ebbe difficoltà a vedere attraverso.
Poi America si alzò di nuovo e usando bastoncini, palette, vasi e quant’altro, riempì il giardino di segnali.
“Alfred… a che serve tutta questa roba?” domandò Arthur quando il ragazzo tornò da lui.
“è per giocare ad Alfredball!”
“eh? E che gioco è?”
“il più bello del mondo!” esclamò Alfred prendendo in mano il pallone da calcio.
“mmm, e quali sono le regole?”
“quelle che vuoi!”
“ma! Non si può giocare a un gioco del genere!” strillò Arthur al ragazzo, che già si allontanava, verso i segnali che delimitavano la porta di Arthur.
“invece si! Hahahaha! E se non ti spicci farò punto!”
Il bambino lo guardò come si guardano i matti, e poi, sbuffando, si lanciò al suo inseguimento.
Si divertirono un mondo.
Il terreno bagnato impediva una corsa uniforme, ma le scivolate in cui si esibivano entrambi facevano così ridere che anche il malcapitato si metteva a sghignazzare.
Le regole poi se le inventarono tutte al momento.
“eh no! Lì è la zona del “non fai punto perché ci sono le manguste e devi cantare con loro!”su! Canta!” esclamò Arthur.
“no! Ho toccato la bandierina del “non canto finché tu non salti”! quindi devi saltare!”
Il bambino sbuffò ma acconsentì, e mentre saltellava attorno al ragazzo, quest’ultimo ne approfittò per lanciare la palla verso la porta.
“punto!”
“non è valido! Ora devi cantare “tante scuse a me”! Canta!”
Alfred rise e cominciò a cantare una canzoncina completamente inventata al momento, alla quale di unì anche il bambino, costretto dalla regola “in due si canta meglio”.
Quando scese la sera i due rientrarono in casa, ricoperti di fango dalla testa ai piedi e bagnati fradici.
Alfred notò che avevano anche lasciato impronte dappertutto:” mmm, meglio pulire, o quando torna normale Inghilterra mi scuoia vivo… però dopo!”
Arthur intanto cercava di togliersi la maglietta bagnata, che gli si era incastrata in testa, causando lo strizza mento dell’indumento e quindi una considerevole quantità d’acqua per terra.
“n-non riesco a togliermela! Ma cos’è!? Una trappola per topi!?” sbottò confuso, con un braccio fuori e l’altro ancora incastrato.
Alfred rise forte e andò a liberarlo, lasciandolo con la canottiera leggera e fradicia, il bambino starnutì.
“mmm, qui ci vuole un bel bagno caldo!” esclamò l’americano prendendolo in braccio e portandolo al piano superiore.
“u-un altro bagno? Davvero!?”
L’americano rise di nuovo davanti all’espressione estasiata e gioiosa del bambino, che si dimenava tra le sue braccia per arrivare prima.
“calmo, calmo, ora fammi riempire la vasca…”
Girò il rubinetto e mentre aspettava che si scaldasse il bagno, si avvicinò per spogliare Arthur, ma ricordatosi che al bambino non piaceva esser visto nudo, si fermò a metà strada, ritraendosi.
“Alfred  che c’è?”
Alzò lo sguardo e incontrò quello verde smeraldo dell’altro, che ricambiava preoccupato.
“niente… io esco, così fai da solo.” Fece un sorriso e fece per alzarsi, anche se il suo movimento fu bloccato ad Arthur, che gli si era aggrappato ai pantaloni.
“… f-faresti il… bagno con me? Per aiutarmi…. A lavarmi bene?” mormorò, e a fine frase nascose il viso nelle pieghe dei jeans.
Alfred trattenne una risata e si grattò la guancia rossa:”ok, ti aiuto.”
Si spogliò velocemente e si immerse nell’acqua calda con grande piacere, affondò tra le bolle e rilassò i muscoli freddi e indolenziti, lasciandosi sfuggire un sospiro di piacere.
Si rimise seduto subito, prendendo in braccio Arthur e immergendolo nell’acqua, che accolse con uno scalpiccio felice dei piedi.
Il bambino era quasi completamente oscurato dalle bolle candide, e ogni tanto vedeva spuntare una manina che le afferrava.
“vieni qui che ti lavo i capelli…” prese uno shampoo con la destra, mentre con la sinistra cinse la vita ad Arthur e lo avvicinò.
Inizialmente sembrava scocciato dalle mani nei capelli, ma quando le dita cominciarono a massaggiare la cute si calmò subito, rabbrividendo leggermente.
Alfred sorrise dolcemente e sfilò le dita dai capelli di Arthur, diventati ormai una massa bianca e spumosa:”ora chiudi gli occhi ok?”
Il bambino obbedì e rise, riempiendosi la bocca di schiuma e acqua, quando il getto caldo del soffione gli rovesciò addosso l’acqua, sciacquandogli i capelli.
Tossì un po’ e sbatté gli occhi arrossati (la curiosità l’aveva vinto un’altra volta) mentre Alfred scoppiò in un’allegra risata alla vista del viso spaesato del bambino.
“ti avevo detto occhi chiusi!”
“ma non la bocca!” ribatté tossendo ancora e grattandosi la lingua, schifato dal sapore dello shampoo.
Scosse la testa e si stropicciò gli occhi, mugolando infastidito.
Alfred rise ancora e si passò le mani piene di shampoo nei capelli, strofinando.
“hey! Adesso lo faccio io!” esclamò Arthur, affondando le manine dei capelli del ragazzo e agitandolo freneticamente.
Alfred sopportò a denti stretti le tirate e i graffi (involontari e non) che il piccolo gli assestava, movendo velocemente le sue piccole dita.
“ecco fatto!” disse soddisfatto, rimirando la strana acconciatura che aveva donato ad Alfred.
“pffff…. Hahaha! Sembri un cane!” Arthur scoppiò a ridere, mentre l’altro si sciacquava i capelli.
“dai, girati che ti lavo la schiena…”
 
 
 
La giornata e il bagno avevano sfinito il bambino, che non appena si appoggiò ai cuscini del divano si addormentò, facendo sorridere e arrossire Alfred, che gli carezzò i capelli e gli si sedette accanto.
Decise che per quella volta un po’ di Tv se l’era meritata, così afferrato il telecomando, cercò il suo canale preferito, ricordandosi di tener basso il volume.
I capelli di Arthur sfioravano i pantaloni del ragazzo, il quale accarezzava distrattamente quei fili biondi.
Sospirò nel sonno e si girò sul fianco, viso rivolto allo schienale.
Alfred lo guardò affettuosamente, ricordandosi di come si addormentava al suono del respiro di Arthur, sia quando era piccolo, sia quando da adulto.
Gli piaceva tantissimo poggiare la testa sulle gambe dell’inglese e addormentarsi lì, quando era ancora un bambino Arthur lo riportava nel suo letto senza problemi, ma crescendo la cosa non era più fattibile, e allora capitava spesso che dormissero sul divano.
Alfred sbadigliò e sentì lo stomaco brontolare, allora grattandoselo si alzò, facendo attenzione a non svegliare il bambino.
Fortunatamente si era ricordato di comperare anche il pane per gli hamburger, anche se era molto scettico sul sapore, era pur sempre cibo inglese.
Quindi si preparò, finalmente, un bel hamburger come piaceva a lui, ripieno di tutte quelle schifezze che avrebbero fatto impallidire chiunque da quante calorie contenevano.
Tornò al divano e si godette la sua cena, chiedendosi se era il caso di svegliare Arthur.
Alla fine scelse di lasciarlo dormire e di portarlo a letto lui.
Quando si ritrovò di fronte al camino della stanza di Inghilterra provò l’irresistibile tentazione di dormire con lui, in un letto vero e completo.
Strinse leggermente la presa sul corpicino che teneva in braccio e si morse il labbro, rimuginando.
Da una parte lo voleva tutto per sé, anche il semplice guardarlo mentre dormiva poteva bastargli, dall’altra, una vocina gli ricordava che Arthur era suscettibile, e che qualunque cosa fattagli senza il suo permesso avrebbe comportato una strigliata e magari anche un morso, in questo caso.
Sospirò pesantemente e lo poggiò al materasso, coprendolo per bene e avvertendo più delle altre volte la mancanza del suo calore.
 
 
 
Si svegliò di soprassalto verso le due di notte; non ricordava il sogno fatto, e si chiese se fosse stata la tempesta, che fuori infuriava, a svegliarlo.
Tutto sudato si tolse le coperte di dosso, grattandosi il collo e guardando l’ora.
Si schiarì la gola e si accorse di avere una gran sete, così si alzò e andò in cucina a recuperare un bel bicchiere di coca cola.
Tornò di sopra grattandosi un fianco e si fermò di fronte alla camera di Arthur, domandandosi se stesse dormendo bene.
Mentre abbassava la maniglia e socchiudeva la porta, avvertì-sollevato- che la temperatura nella stanza era normale.
Sbirciò dentro ma non vide nulla, era tutto così scuro che a stento riconosceva le finestre, da cui si intravedeva il buio della notte e la pioggia battente.
Si preoccupò quando non sentì il tipico respiro del sonno, allora aprì la porta un po’ di più, entrando.
Non appena fece un passo un tuono squarciò il cielo, illuminando la stanza.
Alfred fece un balzo indietro alla vista del bambino, era stato solo per un secondo, ma aveva chiaramente visto Arthur guardarlo con terrore e odio, mentre stringeva il coltello con ambedue le mani, nascosto nell’oscurità del camino.
Spaventato cercò l’interruttore, ma si accorse che il temporale aveva fatto saltare la corrente, lasciandoli al buio.
Sentì il tipico rumore di legno che si piega, e realizzò che aveva caricato l’arco e che ora, glielo stava puntando contro, scambiandolo per qualche minaccia.
Rimase immobile, bloccato dalla pesantezza dell’aria e dallo sguardo penetrante del bambino; se lo sentì addosso come se fosse stato materiale.
Nei pochi secondi in cui lo aveva visto gli era parso di esser squadrato da un pericoloso felino, che ora continuava a fissarlo con quei suoi occhi magnetici.
“A-Arthur... sono io, Alfred…”
Sentì che l’altro sospirava gravemente, riprendendo a respirare normalmente.
Alfred avanzò lentamente e a tentoni, avvicinandosi sempre più, e quando si ritrovò davanti al camino si inginocchiò, cercando nell’ombra la figura di Arthur.
Il piccolo gli si fiondò tra le braccia, stringendo convulsamente la maglietta del ragazzo.
“dobbiamo barricarci Alfred! Non siamo al sicuro qui! Dobbiamo nasconderci, stanno arrivando me lo sento!” sussurrò con voce strozzata, stonata per un bambino di sei anni, e guardandosi attorno febbrilmente.
“chi sta arrivando Arthur, chi?” Alfred tentò di tenergli ferma la testa e di farsi spiegare che cosa intendesse, ma Arthur continuò a guardarsi attorno e sussurrando:”stanno arrivando!”
America guardò preoccupato il bambino, che si dimenava terrorizzato, era leggermente sudato e gli occhi erano spalancati più che mai, mentre la piccola bocca era piegata in una smorfia di panico, mostrando i dentini e le gengive, che venivano puntualmente coperti dalla mano, che veniva morsa ripetutamente.
Si alzò e sbirciò fuori dalla finestra, cercando le figure invisibile di cui Arthur parlava con tanto sgomento.
“Arthur… chi sta arrivando?” ridomandò, mantenendo un tono calmo e serio, sperando di infondere la stessa calma al bambino.
“LORO! Loro con i solo soldati! Vogliono la mia terra, vogliono me! Vogliono la mia vita! Mi vogliono morto, morto!” sibilò afferrando il bavero del pigiama e scuotendolo.
Alfred lesse il panico totale in quegli occhi smeraldo e riuscì a formulare solo una domanda:”chi?”
Il bambino si zittì e si morse il labbro, trattenendo le lacrime:”F-Francia! I vichinghi! S-Scandinavia! I miei fratelli! Vogliono la mia terra, v-voglion me… mi fanno del male…  oh ti prego nascondiamoci! Faranno del male anche a te! Prenderanno anche la tua terra! Sono qui fuori Alfred, ci stanno aspettando! Approfittano della pioggia per non essere visti, i tuoni coprono il rumore dei loro stivali! Ci stanno attendendo! Non appena ci addormenteremo penetreranno in casa e si attaccheranno!” strillò esasperato dal fatto che l’altro non capisse, respirò affannato. Con le lacrime che minacciavano di scendere.
“ti prego nascondiamoci…”
Il ragazzo lo fissò in silenzio per qualche secondo, trattenendo quasi il respiro.
“… nascondiamoci…”
Alfred chiuse gli occhi e sospirò pesantemente, poggiò a terra Arthur e si avviò:”aspettami qui.” Mormorò prima di uscire.
“eh!? NO! NO! Fermati! Fermati!” il bambino strillò e si lanciò al suo inseguimento, tentò di aggrapparsi ai pantaloni ma dovette mollare la presa sulle scale.
Non appena furono a piano terra Arthur si lanciò sulle gambe della nazione, scoppiando a piangere e urlando di fermarsi:” ti prego! Fermati! No, no! Ti faranno del male! Ti prego fermati! Alfred! Alfred!” il tono che usava non era più da bambino, ma da adulto, lo stesso che aveva quando si arrabbiava sul serio, e ora, quel tono così maturo mescolato alla disperazione e allo sgomento, suonava così insopportabilmente stridulo.
Alfred si fermò di fronte alla porta e con un gesto brusco si staccò Arthur dalla gamba, scostandolo quanto bastava per aprire la porta.
“NO! FERMO!” Arthur cercò di aggrapparsi alla sua mano, ma non  riuscì a fermarlo, lasciando setto segni rossi.
“fermati ti prego…” pigolò in ginocchio sulla soglia, tremando come una foglia.
America avanzò fino a metà vialetto e a piedi scalzi, con la pioggia che gli inzuppava il pigiama, si mise a gridare al cielo:”VOOOOIIII!! Chiunque sia qui fuori e stia cercando di entrate se lo può scordare! Ci sono qui io, l’eroe! Provate solo ad avvicinarvi e vi rispedisco a casa con la coda tra le gambe!!”
Rimase ansante nella pioggia, in attesa:”ALLORA!?”
Rimase in silenzio a scrutare l’oscurità e sperò che i vicini di Arthur non lo avessero sentito.
Poi udì un pianto e avvertì la stretta di Arthur sulle gambe, sorrise, lo prese in braccio e tornò in casa, chiudendo la porta.
 
 
 
“c-credevo… che ti avrebbero portato via…” mormorò il bambino, lasciandosi sfuggire un singhiozzo, si stropicciò gli occhi e si accoccolò meglio contro il petto del americano, tremando leggermente.
Alfred si era cambiato, ma non avendo un ricambio si era messo una tuta, altrettanto comoda e morbida, mentre Arthur, dopo averlo asciugato e avergli fatto indossare una grossa maglietta, lo aveva avvolto in una coperta; ed ora stavano sdraiati in salotto, coperti da un morbido plaid, sui cuscini del divano.
Il piccolo tirò sul col naso e si grattò di nuovo gli occhi.
America gli carezzava il capino umido, continuando a chiedersi che tipo di intemperie gli era toccato affrontare per sopravvivere.
Arthur sospirò:”mi dispiace di averti graffiato…” mormorò sfiorando la mano del ragazzo, che scosse la testa e si sistemò meglio sui cuscini.
“e mi dispiace di averti fatto andare sotto la pioggia… li hai scacciati tutti… grazie, sei il miglior cavaliere-eroe del mondo!” disse affondando il visetto nella felpa, stringendo la stoffa.
Alfred sorrise leggermente, era sicuro che non c’era nessuno lì fuori, ma il bambino era così sicuro che per poco non si convinceva pure lui.
“non volevo portarli qui…” mormorò:” credevo… speravo che non avessero seguito… ma Francia…” aggrottò le sopracciglia, cupo:” lo sentivo che sarebbe cresciuto in fretta… siete tutti grandi lo so… solo io sono rimasto piccolo… e debole…” si strinse le manine al petto, fissando la felpa di Alfred malinconico.
Non riusciva a capire fino in fondo quelle parole, rimanere piccolo? Che intendeva Arthur?
Rimase in silenzio e continuò ad accarezzargli la testa, moriva dalla voglia di conoscere di più su Arthur, desiderava farsi raccontare di quando era ancora piccolo, per riuscire a capire a fondo questo suo terrore per gli altri.
Espirò dal naso e rannicchiò le gambe, chiudendo Arthur in una calda morsa, creata dal suo corpo e dallo schienale del divano.
“su, ora dormi un po’, ci sono qua io…” sussurrò al suo orecchio, come tanto tempo prima faceva Inghilterra con lui, quando aveva gli incubi.
Il bambino strofinò il viso nella felpa e chiuse gli occhi, aggrappandosi al tessuto, e dopo qualche secondo era già bello che addormentato.
Alfred continuò ad osservarlo, finchè le palpebre non gli si chiusero e i muscoli si rilassarono, cedendo al confortevole tempore del sonno.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
… non so se mettermi a correre o stare qui.. tanto credo che mi acchiappereste lo stesso… ok
Chiedo immensamente scusa per il ritardo, solitamente mi piace postare i cap con distanza di 5-6 gironi e non di più! Questa volta la scuola non c’entra, sono pigra io… çAç gomena sai!
 
b-bhè, passiamo ai ringraziamenti… e vedete di aumentare un pochetto con commenti, solo tre? Accidenti e pensare che ro partita con 6! E dico 6 recensioni! Che fine avete fatto? Non lasciatemi qui, ve ne prego… çAç
comunque ecco qui:
 
Hullabaloos: scusa per il ritardo e grazie per aver recensito, sei la benvenuta e sarai adorata ancora di più se commentari anche il prossimo capitolo… *occhi dolci non jutsu* no, niente di pericoloso per il piccolo Britannia, è solo che non sa usare la magia e quindi si auto maledice XD
 
Konoha_hellsing_94: Sono riuscita a farti spoiler solo per una piccolissima parte! Sto migliorando! Muhahaha! XD e esatto, Alfred non è un pedofilo, solo gli manca Arthur adulto ^^
 
 
Zazzy: con te è difficile… mmmm guarda, ci ho tentato veramente di scrivere di meno, e questa volta mi sono trattenuta, “solo” sette pagine XD ah, quasi dimenticavo, adesso gliene dico quattro… garzie per il tuo lavoro e per la recensione ^^
 
 
 
Questa è una veloce spiegazione dei comportamenti dei personaggi, che potrebbero esser scambiati come OOC, se non ve ne frega niente andate pure avanti, senò ecco qui la mia visione dei fatti:
Giappone l'ho fatto così perchè in quanto nazione rappresenta i pregi e i difetti dei giapponesi, e essere otaku per loro... è un insulto, è offensivo (per quanto ne so) e quindi è considerato un difetto di Nihon, e poi, dove lo trovi un giapponese che non faccia le foto a tutto? pure Hiramuya ha diecimila foto dei posti che visita! ne ha un sacco nel suo blog.
Alfred, per lui mi è venuta dopo l'idea, ma ho pensato che, in tutti, quando si è di fronte a un bambino o ci si deve prendere cura di qualcuno, scatti una specie di "istinto materno" che anche gli idioti come Alfred hanno, perchè per l'appunto, avendo solo l'istinto come modalità di pensiero è una cosa possibile.
e poi Alfred ama tantissimo Arthur (OMGNSJKASKK sclero necessario) e quindi cercherebbe ti fare del suo meglio, in quanto eroe personale di Iggy! :D
Arthur, nonostante rappresenti l'Inghilterra ed è sempre scontroso e borbottone anche da bambino, ma per un buon motivo, è sempre dovuto scappare da i "grandi" (perchè erano tutti più grandi di lui) e dai fratelli (SCOZIAAAAAA!!! MUORI STR-è*éçù°éç§ùè!!!!  scusate, ma odio quello stupido fumatore...) e quindi non si è mai fidato di nessuno, e anche per questo, credo cha era terrorizzato da loro, era pur sempre un bambino, solo, contro un sacco di persone tutte più grandi di lui, Francia ad esempio aveva si e no dieci anni, almeno il doppio di Arthur.
E poi non è che stia facendo dei favoritismi, la maggior parte delle nazioni ha avuto dei genitori, mentre altre, tipo Cina, Russia, no, se la son sempre dovuta cavare da soli, e spesso, nel caso di Ivan, sottomessi violentemente da qualcun altro. (Arthur esisteva già hai tempi di nonno Roma, chiamato appunto Britannia) Alfred invece ha subito cercato di farselo amico, ed è stato gentile e disponibile (non subito perchè è comunque un idiota XD) e poi lo ha curato, e per Arthur (meglio, per me) vale molto, non per niente lo ha nominato cavaliere-eroe! lo vede come un cavaliere, figure di rilievo nel secolo in cui Arthur era un peciottino...
Ho scritto che è rimasto piccolo per tanto tempo perché credo che sia così, che si sia sviluppato in ritardo, ma che lo abbia fatto con maestosità, (diciamocelo, Arthur è un gran bel pezzo di gnaro! *Q*) e che dopo si sia vendicato, giustamente, su chi gli avesse fatto dei torti… kufufufufu
Non mi prendete per una manica alla scena del bagno XD io amo quando mi grattano la schiena, divento come il pane, e mi metto a fare le fusa.
C’è chi invece va in brodo di giuggiole quando gli si massaggia la testa.
Dimenticavo, “l’Alfredball” è la parodia del “Calvinball” gioco che compare nelle strisce di Calvin and Hobbes, fumetto americano che io adoro, se non lo conoscete… filate subito a leggere! E se lo conoscete… bhè, spero che appurerete con me che è geniale!
 
 
“VEDET DI RINGRAZIARE ANZHE ZAZZY PER QUESTA FIC! È LA MIA BETRA-READER ED è UNA RAGAZZA FANTASTICA, UN Po’ DI GLORIA ANCHE PER LEI! Perché è GRAZIE AL SUO LAVORO SE VOI LEGGETE CON FLUENTALITà!”
“questa parola non esiste!” NdAltraMe
“chissene! Esprime bene il concetto!” NdMe
“sigh…” NdAltraMe
“ stavo dicendo… RIGRAZIATE ANCHE ZAZZY CAPITO!?”
“che in questo caso non ha potuto lavorare, ma cause forze maggiori”
“DICASI STUPIDA SCUOLA”
“metti via quel megafono e andiamo a prendere il thè… io ho fame.”
“certo!”
 
 
“… ho capito perché avete commentato di meno!? OMG! Non ho metto il mio tormentone! O___O”
 
commentate! Perché i commenti sono il cibo per noi scrittori, non costiamo tanto e regaliamo sorrisi e risa, e anche qualche lacrima! Quindi orsù! Sfamate le bocche insaziabili degli artisti! *fa un inchino teatrale*
Ciaossu!

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Capitolo 5
*** Purtroppo è facile perdersi. ***


  Sbatté gli occhi confuso, ancora insonnolito girò la testa, chiedendosi perché si sentisse la schiena scoperta, in preda agli spifferi. Rabbrividì e si sistemò il plaid, rendendosi conto solo ora di essersi addormentato sul divano con Arthur tra le braccia.
Sospirò e strofinò il viso sul cuscino, chiudendo gli occhi, mentre pian piano le immagini della sera precedente gli tornarono in mente, socchiuse le palpebre e spiò il visetto addormentato del bambino, trovandolo dannatamente indifeso, avvolto nella coperta con le manine che stringevano la felpa, guancie rosse e bocca semi aperta.
Sospirò una seconda volta e lo strinse maggiormente, poggiando il mento sulla testa del piccolo, accarezzandogli distrattamente i capelli sul collo morbido. Dopo quella notte si sentiva ancora più in dovere di difenderlo, come poteva lasciarlo tornare al suo tempo, dove sarebbe stato in pericolo costante, in balia delle grinfie delle altre nazioni?
Si sentiva uno schifo al solo pensiero di mandarlo indietro.
Sentì un mugolio e credette che Arthur si stesse svegliando, ma il piccolo si limitò a sfregare il viso sul petto di Alfred e far schioccare le labbra, sospirando sollevato, riprendendo a dormire.
America passò delicatamente il pollice sulle palpebre abbassate, studiando il volto addormentato del bambino. Gli pizzicò leggermente le guancie, trovandole morbide e lisce, Arthur aggrottò le sopracciglia, assumendo un’espressione adorabilmente buffa che fece ridere Alfred, che si sentì il cuore accelerare i battiti e le guancie scaldarsi.
 Sospirò di nuovo e gli scostò i capelli dalla fronte, sfiorandogliela delicatamente, nemmeno fosse di vetro.
Chiuse gli occhi di scatto e si scostò, alzandosi gli sistemò le coperte addosso e se andò in cucina, stiracchiandosi, per preparare una colazione coi fiocchi.
Quando Arthur si svegliò si spaventò non poco, non sentendo più la presenza di Alfred accanto si allarmò e si alzò immediatamente. Corse in cucina, guidato dal rumore di padelle, e quando vide la schiena di America si rilassò, sospirando sollevato.
Prese una sedia e l’avvicinò al bancone, salendoci sopra e spiando quello che stava facendo il ragazzo.
Rimase affascinato dal piccolo fuocherello che bruciava sotto la padella scusa e si nascose oltre il bordo quando un pezzo di carne, lungo e sottile, atterrò sul fondo, causando uno sfrigolio ed un odorino delizioso.
oh, good morning, sleep well?”
Il bambino annuì, completamente assorto dalla cottura del bacon. Alfred sorrise e tolse la carne ormai cotta e la mise su un piatto posato lì accanto, spense il fuoco e lo prese il piatto con la destra, mentre la sinistra andò a stringere una caraffa di succo, poggiando il tutto sulla tavola già apparecchiata.
Arthur lanciò un “wow” quando si accorse della colazione, composta da una pila di fette biscottate dal colore dorato, accompagnate da almeno quattro tipi di marmellata e un panetto di burro. Guardò con l’acquolina in bocca il bacon che ancora sfrigolava, accanto a un cestello contente brioche.
Alfred ghignò quando si accorse dell’espressione rapita del piccolo e scompigliandogli i capelli andò ad aprire alla porta, quando sentì il campanello suonare.
“oh, hi Matt!”
“hi Alfred, scusa se arrivo così all’improvviso, ma ho la mattinata libera e volevo vedere come stava andando la vostra convivenza.”
L’altro fece un gran sorriso:”benissimo direi! Guarda che colazione ho preparato!”
Canada guardò stupito la tavola imbandita, alla quale era già seduto Arthur, che si allungava sul tavolo cercando di raggiungere il piatto di bacon.
“wow.. ben fatto!” esclamò avvicinandosi.
“ciao Matthew! Hai visto che colazione eh?” il bambino balzò giù dalla sedia e raggiunse il ragazzo, che si chinò per salutarlo.
“Alfred ha preparato la migliore colazione del mondoooo!” esclamò allargando le braccia e sorridendo a trentadue denti.
“dai, siediti e mangia con noi!” si intromise Alfred, dandogli una pacca sulla spalla.
“oh… grazie… a dir la verità non ho ancora fatto colazione..” mormorò prendendo posto.
Si sedettero anche Alfred e Arthur, che si gettarono sul cibo come se non mangiassero da giorni. Matthew osservò incuriosito il comportamento del bambino, così diverso da quello a cui era abituato. Pensò che la fretta nei suoi movimenti fosse data dall’esperienza del lento che viene mangiato dal veloce.
Si mise in bocca un pezzo di brioche e lo guardò mentre masticava in fretta il bacon.
Ad Alfred c’era abituato, ma ad Arthur no.
“mangiate con calma.”
 
 
 
Quando terminarono di assaltare la colazione, i due ragazzi si misero a lavare i piatti mentre Arthur andava alla finestra per guardare fuori, rimanendo deluso dal pantano che era diventato il giardino.
“Alfred, hai trovato un modo per farlo tonate a casa?”
Il ragazzo si sbloccò, con le mani ancora in acqua:” ecco… ci sono state delle complicazioni…”
Matthew sospirò gravemente:” prima lo mandi indietro prima tornerà adulto.”
“mmm e chi te lo dice? Io… non so che tipo di incantesimo ha fatto… non so nemmeno come funzionano!” protestò.
“appunto per questo devi cercare qualcosa.” Canada fissò il fratello che stava in silenzio, guardandosi le mani insaponate.
“finito qui andremo in biblioteca e cercheremo qualcosa ok?”
Alfred annuì mesto mesto, ricominciando a lavare i piatti.
Quando finirono si avviarono immediatamente in biblioteca, seguiti da Arthur che gli trotterellava dietro. Non appena aprirono la porta ed entrarono il piccolo lanciò un grido sorpreso e si lanciò in mezzo agli scaffali.
“wow! Guardate quanti libri! Tantissimi libri! Che bello!”
Alfred e Matthew sorrisero a vederlo così contento, mentre schizzava da libreria a libreria e fermandosi solo pochi attimi per controllare i libri, prima di ripartire a tutta birra.
I due fratelli si misero alla ricerca del libro che li avrebbe aiutati, controllando la tipologia grazie alla targhette sugli scaffali.
“ALFRED!ALFRED!”
Arthur arrivò di corsa con un grosso libro sotto braccio :”guarda che cosa ho trovato!”
Il canadese e l’americano si scambiarono un’occhiata perplessa, che avesse trovato il libro? Si chiesero straniti, visto che con lui non ne avevano parlato.
“guarda!” esclamò il bambino sollevando il volume.
“fiabe… che c’è scritto qui?” chiese Alfred sistemandosi gli occhiali nel tentativo di capirci qualcosa, ma il nome dell’autore era rovinato e così faticava a comprenderlo.
“Come fai a non conoscerlo!? È famosissimo!” il piccolo guardò con occhi luccicanti il libro:”anche se non capisco come mai sia così vecchio… è appena uscito!”
I ragazzi sgranarono gli occhi, se quel libro era appena uscito quando Arthur era un bambino significava che aveva almeno mille anni!
“però è ancora leggibile.” Disse Arthur seduto sul pavimento, intento a sfogliare le pagine leggere e ingiallite.
“me le leggeresti?” chiese con occhi supplicanti, guardando in direzione di Alfred.
“erm… adesso non posso… dopo… forse” esibì un sorriso insicuro, sperando di convincere il bambino, aveva buttato un occhio alle pagine, rendendosi conto immediatamente che non riusciva a capire ciò che c’era scritto, essendo una scrittura mai vista prima.
Il bambino annuì, prese il libro e si allontanò, probabilmente alla ricerca di qualche altro cimelio.
Alfred sospirò e ricominciò la ricerca.
Dopo aver passato l’intera mattinata cercando un libro che aveva tutta l’aria di essersi volatilizzato, Alfred e Matthew si accasciarono sulle poltrone della biblioteca, allungando le gambe sotto il tavolino di legno.
“non ce la faccio più…” borbottò America togliendosi le scarpe coi piedi.
“non dirlo a me…” rispose il fratello, stanco tanto quanto lui.
Entrambi lanciarono un’occhiata torva ad Arthur, il quale non aveva ancora smesso di esplorare la stanza.
Quando tornò si arrampicò sulla poltrona dove stava Alfred e si sedette in grembo al ragazzo, poggiandogli il libro sul petto:”potresti leggermelo?”
L’americano guardò preoccupato il fratello che ricambiò.
Alfred prese il libro e osservò le pagine, non riuscendo a comprendere niente di quello che c’era scritto. Si rese conto però, che i simboli impressi sulla carta erano gli stessi usati da Arthur sul loto disegno.
Aprì la bocca e guardò il bambino, che lo fissava sorridente.
“quale vuoi che legga?”
“la prima! Comincia da lì!”
Si morse l’interno guancia e saettò lo sguardo ovunque, in cerca di aiuto.
Che arrivò dal campanello di casa, che squillò.
Arthur si voltò di scatto e scese dalle gambe del ragazzo, che sospirò sollevato e si alzò per andare a rispondere.
“Kiku!”
Il giapponese sorrise e fece un leggero inchino:” konnichiwa Alfred-kun, Matthew-kun, Arthur-san.” Entrò in casa e si tolse le scarpe:“credo di aver capito ce è successo… posso parlarvi in privato?”
I due annuirono e fecero per andare in cucina, ma anche Arthur li seguì.
“erm… Arthur? Vorremmo parlare noi, da soli… i grandi…” cominciò Alfred, abbassandosi alla sua altezza.
“anch’io sono grande!” esclamò offeso il bambino:”… non sarò molto alto ma le cose le capisco!” pestò il piede per terra e guardò il ragazzo con occhi lucidi.
America ricambiò lo sguardo smarrito e dispiaciuto, s’era scordato del “piccolo” complesso di inferiorità del bambino.
“lo so… ma è una cosa importante…” mormorò accarezzandogli la testa.
Arthur sbuffò e guardò il pavimento:” ok…” borbottò deluso.
Alfred sorrise dolcemente:”grazie.” Mormorò prima di andare in cucina e chiudere la porta.
Il bambino restò a guardare la porta ancora per poco, prima di prendere il suo mantello, voltarsi e uscire in giardino.
 
 
 
 
“come ho già detto prima credo di aver capito che cosa è successo.” Iniziò Kiku guardando i due fratelli:” e come ho già detto ad Alfred-kun, credo che Arthur-san abbia utilizzato un cerchio alchemico, l’unica cosa che non capisco è che fine abbia fatto.”
“sarà sparito no?” chiese Alfred.
Giappone scosse la testa:”mi sono informato, i cerchi di quel tipo scompaiono quando la magia si interrompe o li mago che l’ha eseguita muore, e siccome Inghilterra è ancora vivo e piccolo, ho da pensare che sia ancora attivo. Ma quello che mi stupisce è che non ne percepisco la presenza.”
“wow, puoi percepire la magia?” chiese Matthew ammirato.
“più o meno, più che altro uso questi” disse, e tirò fuori dei biglietti, lunghi e bianchi con delle scritte nere sul dorso.
“wow…”
“e funzionano?” i due si sporsero sul tavolo.
“certo, questi sono amuleti segnalatori e hanno sempre funzionato, solitamente si mettono a bruciare in presenza di magia… ma non capisco perché non abbiano ancora reagito, sono molto potenti, riuscirebbero a trovare tracce di magia ovunque.”
I tre fissarono i foglietti ancora per un attimo, prima si risedersi con un sospiro.
“se continuiamo così non arriveremo da nessuna parte…” mormorò Alfred, Matthew strinse Kumajiro a sé, guardando pensieroso il tavolo:”non… potremmo chiedere a lui?”
Gli altri due lo fissarono incuriositi.
“intendo… non dirgli che lui è qui per via di una magia, ma chiedergli come funziona… magari lo sa…”
Kiku si portò la mano al mento:”non sembra una cattiva idea… ma prima di coinvolgerlo preferirei dare un’occhiata al piano di sopra, magari gli amuleti provano qualcosa.” Mormorò prima di sparire dietro la porta.
Alfred fece un lungo sospiro e si accasciò sul tavolo, allungando le braccia davanti a sé.
“è dura prendersi cura di Arthur eh?”
Alzò lo sguardo e incontrò quello del fratello:” anche per un eroe è stancante no?”
America sorrise leggermente:” un po’… più che altro son le notti in bianco… eh,eh… già due…” guardò fuori dalla finestra, intravedendo il vialetto d’entrata.
“anche se abbiamo cominciato col piede sbagliato mi piace molto la compagnia di Arthur… è piacevole stare con lui, anche se è solo un bambino.” Concluse con un sorriso dolce.
Matthew guardò con affetto il fratello, prima che gli squillasse il cellulare:”oh pronto? Ah capo… cosa? Cioè, si, ok arrivo subito… ho capito.” Chiuse la chiamata e si alzò:”purtroppo mi ha appena chiamato il boss… se ci sono novità o problemi chiama pure ok?”
Alfred annuì e si alzò per accompagnare il fratello:”bhè, ci vediamo.”
Matthew sorrise e si allontanò per il vialetto umido.
Si chiuse la porta alle spalle e raggiunse Kiku al piano superiore, non prima di aver sbirciato il giardino, per controllare Arthur, il quale, seduto sulla staccionata, giocava con delle foglie, sgambettando e canticchiando.
“trovato qualcosa?” chiese avvicinandosi a Giappone, chino sul pavimento.
“non capisco… gli amuleti non rilevano nulla.” Mormorò perplesso, si alzò e guardò Alfred:”non so che fare… forse non ha eseguito la magia qui… magari in giardino?”
America scosse la testa:” non credo… o meglio, non so, ma me lo sento che non è lì.”
Kiku lo guardò pensieroso:”ok, al massimo lo cercherai tu, d’accordo?”
Alfred annuì.
“bene, tornerò quanto avrò trovato un modo per potenziare questi, così forse non sono abbastanza forti.”
Scesero le scale e si avviarono alla porta:” non una parola con Arthur e se trovi qualcosa-“
“lo so, lo so, me lo ha già detto Matt.”
Giappone sorrise leggermente e si rimise le scarpe, inchinandosi per salutare. Alfred alzò la mano e richiuse la porta, sospirando. Guardò fuori dalla finestra alla ricerca di Arthur.
Non trovandolo.
Aprì di scatto i vetri e si sporse, vedendo i cespugli poco più in là agitarsi, sospirò sollevato e si sedette sul divano, accedendo la Tv.
 
 
 
Quando il suo stomaco brontolò capì che era ora di pranzo, si alzò e uscì in giardino, sperando che se avesse fatto scegliere ad Arthur cosa mangiare forse l’avrebbe perdonato.
“Arthur! Vieni fuori, ti voglio chiedere una cosa!”
Silenzio.
Il ragazzo pensò che fosse offeso e non rispondesse apposta, quindi iniziò a perlustrare i cespugli.
“Arthur? Se vieni fuori ti preparerò la più grande bistecca che tu abbia mai visto, Arthur? Arthur?”
Si fermò sotto la grande quercia e si guardò attorno smarrito:“Britannia?” tentò.
Ma ancora niente.
“Arthur!” urlò spaventato e arrabbiato allo stesso tempo.
Ma nessuno rispose.
Deglutì rumorosamente e continuò la sua ricerca. Si poggiò alla staccionata e guardò tra gli alberi scuri dietro casa:”Arthur!?” chiamò per l’ennesima volta.
Strinse le dita attorno al legno, chiedendosi dove poteva esser finito.
“non può esser uscita da davanti, l’avrei visto, e poi non ha il coraggio di aggirarsi da solo per la città…” mormorò a sé stesso:”può esser andato solo…” alzò lo sguardo verso la foresta:”qui dentro.”
 
 
 
Arthur camminava tranquillo tra le foglie, calciandole e facendo cadere pioggia dorata, rossa e marrone tutt’intorno.
La piccola fatina al suo fianco fece una capriola in aria e gli atterrò sulla testa, sistemandosi tra i capelli.
“hanno da parlare loro.” Borbottò calciando un sasso:”cosa da grandi.” Disse ancora passando la mano sotto il naso:”io non gli servo… come al solito…” mormorò con gli occhi lucidi, fermandosi si guardò attorno e si rese conto di essersi allontanato parecchio:”forse dovrei tornare indietro…” ma la fatina gli tirò una ciocca e lo incitò a proseguire, e si spostò poi al suo orecchio.
“hai ragione Nancy, non gli servo… andiamo avanti.” E riprese a camminare, con la fatina che gli sussurrava all’orecchio.
“cosa!? Rainbowfairy è qui!?” la piccola creatura annuì e Arthur sorrise:” è fantastico! Sbrighiamoci! È da un sacco di tempo che non la vedo!” esclamò mettendosi a correre e addentrandosi sempre di più.
 
 
 
“ARTHUR! ARTHUR!” abbassò le mani e si guardò attorno, perché non rispondeva? Che si fosse fatto male?
Si girò e cercò la figura della casa dietro di sé, la intravide tra gli alberi e si voltò di nuovo, rimettendosi le mani attorno alla bocca e chiamando a gran voce il bambino, con il peso sul cuore che diventava ogni attimo sempre più pesante.
 
 
 
“RAINBOWFAIRY!” urlò Arthur accelerando il passo.
Un magnifico cavallo bianco, con un corno sulla fronte, alzò il muso al richiamo del piccolo, che gli si lanciò addosso abbracciando il muso candido dell’animale.
“oooh! Che bello rivederti!” esclamò strofinando il naso sul pelo raso del cavallo, che con le morbide e calde labbra fece per mangiucchiarli i capelli, facendo ridere la piccola nazione.
L’animale era piuttosto sorpreso di ritrovare il suo padroncino tornato piccolo, ma conoscendolo capì immediatamente che era sotto l’effetto di un incantesimo, difatti odorava non poco di magia, che riconobbe come quella del’inglese, per cui, non si allarmò.
Arthur si staccò e si specchiò negli occhioni blu dell’unicorno, che nitrì dolcemente spingendolo un po’.
“certo che và tutto bene! Sono qui perché… volevo vederti!”
Rainbowfairy nitrì di nuovo, questa volta con tono serio, ammutolendo il bambino.
Il piccolo abbassò lo sguardo dispiaciuto:” è-è la verità!” protestò stringendo i pugnetti.
L’unicorno sbuffò e scosse la morbida criniera.
“… non voglio tornare… non adesso…” mormorò a capo chino.
Nancy guardò dispiaciuta Arthur, Rainbowfairy era una creatura saggia e buona, ma vedere il piccolo Britannia così le spezzava il cuore, così si avvicinò all’orecchio dell’animale e lo supplicò di far fare un giro ad Arthur sulla sua groppa, poi lo avrebbero riportato a casa.
L’unicorno passò lo sguardo dalla fatina al bambino un paio di volte, prima di sbuffare e dare un buffetto al piccolo.
Nitrì e lo vide aprirsi in un enorme sorriso, prima che gli abbracciasse stretto stretto il muso:”grazie!” esclamò al settimo cielo, si frugò nel mantello, cercando la tasca interna, e tirò fuori un paio di zollette di zucchero:”tieni, non sono come i dolcetti che ho di solito ma sono buonissime lo stesso!”
Il cavallo riconobbe subito i piccoli cubetti bianchi e nitrendo felice li spazzolò in un attimo.
“li avevo presi come scorta per le esplorazioni, ma se ne vuoi ancora dimmelo! Ne vuoi una anche tu Nancy?”
La fatina annuì gioiosa e ne prese una tra le minuscole braccia,stringendola come se fosse oro. Se ne mise una in bocca anche Arthur, prima che Rainbowfairy lo afferrasse per la collottola e se lo caricasse in groppa.
 
 
 
“ARTHUUUURRR!?” ormai non aveva più voce, tossì un paio di volte e deglutì, mordendosi le labbra, mentre il pensiero di Arthur ferito gli riempiva la testa, impedendogli di pensare normalmente.
Aveva una gran voglia di piangere, e di farsi del male per la sua stupidità, come poteva permettere ad Arthur di allontanarsi così? Come eroe non vali niente, gli sussurrò un vocina.
Con mani tremanti afferrò il cellulare e chiamò Matthew, avvertendolo del problema.
“è-è terribile! Alfred non fare scemenze e chiama la polizia! Anche se sei una nazione non ha i super poteri! Se ti addentri lì da solo rischi di perderti pure tu!”
“NON POSSO ASPETTARE ANCORA!!” sbraitò furioso:” e se fosse ferito? E se fosse in pericolo? Io chiamo la polizia ma entro! Non cercare di fermarmi perché tanto sono già dentro!”
“Alfred! Per piacere ragiona!”
“NO! Devo trovarlo prima che sia troppo tardi! E poi…” alzò lo sguardo al cielo:” sta per piovere.”
 
 
 
Arthur rise e si aggrappò alla criniera, stringendosi per bene:” più veloce, più veloce!!” strillò euforico, mentre le zampe di Rainbowfairy atterravano esperte sul terreno umido, lanciando dappertutto foglie e zolle di terra.
Saltò un tronco e il bambino scoppiò a ridere, mentre Nancy si teneva ai suoi capelli, contenta tanto quanto il padroncino. L’unicorno prese una curva così stretta che per poco non scivolava, facendo sbiancare i due fantini, che risero di nuovo, quando la “vettura” si ristabilì.
“è bellissimo stare di nuovo con voi!” esclamò Arthur, stringendo le gambe al dorso caldo dell’animale, che nitrì contento.
Il bambino notò uno spiazzo libero poco più in là, e pensò che fosse un posto perfetto dove fermarsi a riposare un attimo:”hey! Guarda! Di là, di là!”
L’animale scrollò la testa e si diresse verso la direzione indicata dal piccolo.
“ecco proprio qui!” urlò Arthur, indicando il terreno.
Ci fu un grosso scoppio.
Rainbowfairy nitrì spaventata e cominciò a sgroppare, Nancy si coprì le orecchie a punta con le manine e volò via terrorizzata e Arthur, il quale avendo mollato la presa sulla criniera per indicare il luogo, tentò di ristabilirsi, cercando di afferrare i fili bianchi.
Ci fu un secondo scoppio.
Questa volta l’unicorno impennò e si eresse sulle gambe posteriori, facendo cadere il bambino dalla sua groppa, nitrì sgomenta e dopo aver scalciato come un matto corse nella foresta, spaventata a morte del quei rumori.
Arthur, rimasto a terra si rannicchiò su sé stesso, premendosi le mani sulle orecchie, chiedendosi quale mostruosa creatura avesse provocato quei bruttissimo scoppi.
Sentì una terza esplosione e scoppiò a piangere terrorizzato, se fosse stato un po’ più grande avrebbe capito che chi causava quegli scoppi erano fucili, di cacciatori passati lì vicino, ma essendo solo un bambino di sei anni con la mentalità ferma nel medioevo rimase dov’era, tremando e pregando il signore che qualsiasi cosa fosse non si avvicinasse e se ne andasse senza accorgersi di lui.
Rimase immobile come una statua per qualche minuto, spiegando le orecchie per captare qualsiasi suono che gli confermasse che la cosa se ne fosse andata. Quando fu sicuro che non c’era più nessuno si azzardò a sollevare il viso, sporco di terra, foglie e lacrime ancora calde, che sgorgavano dagli occhi.
E solo in quel momento, solo nella foresta si rese conto di essersi perso, e che i suoi amici fatati fossero scomparsi, spaventati tanto quanto lui.
Cercò di trattenersi ma non riuscì, e sentì lacrimoni bollenti scivolargli dalle guancie e bagnare ancora di più i pantaloni sporchi.
Si portò le manine sbucciate al viso e tentò di pulirsi le lacrime, chiamando a gran voce il nome di America, sperando che lo sentisse e lo salvasse.
 
 
 
Alfred evitò l’ennesima scivolata e schivò un ramo umido.
Si fermò un attimo solo per cercare di captare qualche suono, rumore o richiamo che gli avrebbero confermato la presenza del bambino.
“ARTHUUUURRR!!” chiamò mettendosi le mani a coppa attorno alla bocca.
Niente.
Solo il fruscio delle ali di uccelli spaventati e il gracchiare di cornacchie.
Sentì qualcosa di umido colpirgli il naso, e si rese conto che era un grosso gocciolone, appena caduto dal cielo, e nel giro di due minuti, Alfred stava cercando Arthur nel bel mezzo di un acquazzone
 
 
 
 
Il bambino riuscì a mettersi in piedi,nonostante le gambe gli tremassero dal freddo e dal dolore, si strofinò il naso e si guardò attorno: era pur sempre una nazione lui! E prima di incontrare Alfred questa cosa gli era capitata un sacco di volte!
Ma in una foresta che conosceva, qua, nonostante America gli avesse detto che era casa sua, non riusciva a riconoscere niente.
Tirò su col naso e chinò il capo, sconfortato. Fece un paio di passi per accertarsi che le non si fosse rotto niente e si mise alla ricerca di un riparo.
 
 
 
America raggiunse uno strano spiazzo, dove c’erano un sacco di sfoglie smosse e terra rivoltata, ansante si fermò nel centro, osservando gli alberi fradici attorno a lui, alla ricerca di altri segnali: forse Arthur era stato lì.
Si chiese come mai erano presenti anche orme di cavallo, piuttosto profonde e sconnesse, come se il cavallo che le aveva lasciate fosse terrorizzato.
Non sapeva quanto aveva ragione.
Fece il giro completo della radura, non più larga di venti passi, ma non trovò niente che appartenesse al bambino.
Con la pioggia che gli appiccicava i vestiti addosso e il caldo causato dalla corsa probabilmente si sarebbe beccato un broncopolmonite con i fiocchi, ma non gli importava, primo doveva trovare Arthur, chissene della sua salute quando c’era in gioco quella della persona che amava di più al mondo, e secondo, lui era l’eroe, che non si arrende mai e non conosce la malattia e la fatica!
Si schiarì la gola e si sistemò gli occhiali, riprendo a marciare, seguendo quella che sembrava una scia, lasciata da piccoli piedi strascicanti.
 
 
 
 
Non riusciva a trovare nessun riparo, vagava da quanto ormai? I piedini, gelidi e doloranti, gli imploravano di fermarsi, ovunque, ma di fermarsi. Ma il cervello, molto più ostinato comandava di proseguire, finche non avrebbe trovato un buon posto dove riposare.
Si fermò solo per sistemare il mantello sulle spalle, ormai zuppo pesava tantissimo e faticava non poco a portarselo dietro. Rabbrividì quando lo poggiò sulle spalle, toccando le pelle del collo, e si voltò, si sentiva stranamente osservato o braccato. Forse era la mancanza della presenza di Alfred che causava questo, lui era sempre braccato, ma quanto stava in compagnia del ragazzo si sentiva al sicuro come non mai, protetto da tutto e da tutti.
Tirò sul col naso e senza risultati se lo strofinò sulla manica, non poteva arrendersi ora, non l’aveva mai fatto e mai lo avrebbe fatto, doveva proseguire anche se aveva paura, freddo ed era stanco, senza la pioggia che gli picchiava come tanti chiodi in testa sarebbe riuscito a pensare correttamente e a trovare la strada di casa, ne era certo.
Sentì un ramo spezzarsi poco più in là e fece un balzo all’indietro, guardingo.
Purtroppo inciampò in una radice infima, ebbe solo il tempo di sbirciare al di là della propria spalla prima di iniziare a ruzzolare giù per un leggero pendio. Tentò di aggrapparsi alle foglie o rami, ma era tutto troppo scivoloso e non riuscendo a far presa su niente tentò di riparasi con le braccia e di rannicchiarsi, mentre rotolava giù, trascinando con sé foglie e terra.
Quando finalmente si fermò la testa gli doleva e girava vorticosamente, cercò di mettersi seduto nonostante il capogiro, ma un fitta al polso lo fece desistere.
Si raggomitolò su sé stesso, tremante, gli faceva male tutto, il mondo non smetteva di girare e aveva freddo, tanto freddo.
Tossì e strinse i denti, cercano non piangere:”Alfred non mi troverà mai, e io rimarrò qui per sempre…” pigolò sconfortato, mentre i grossi lacrimoni tornarono a scivolare dagli occhi: ”Alfred, dove sei?”
 
 
“Arthur!” accelerò il passo quando sentì uno strano rumore, di foglie smosse e terra che frana.
Ne era sicuro, pochi attimi prima era riuscito a vedere una piccola figura più avanti, a causa della pioggia e degli occhiali ormai appannati non aveva capito bene di che si trattasse, ma qualcosa dentro di lui li aveva suggerito che poteva essere Arthur.
Finalmente raggiunse il punto dove aveva visto la figura e notò che il terreno più avanti non era mosso, quindi, voleva dire che Arthur era lì vicino!
Con rinnovata speranza lo chiamò di nuovo, deglutì e rimase in attesa di risposta.
“A-Alfred…”
Rizzò le spalle e cominciò a guardarsi attorno febbrilmente, era la voce di Arthur! Ne era sicurissimo!
“Arthur! Dove sei!?”
“qui!”
“qui dove?!” non riusciva a capire da dove provenisse, lo scrosciare dell’acqua e l’eco che si disperdeva tra gi alberi non lo aiutavano affatto.
“qui Alfred!” capiva dal tono che era spaventato e che stava mettendo tutta la sua forza per rispondere.
“dove!?” ripeté l’americano. Facendo un passo per poco non scivolò per un pendio, fortunatamente riuscì ad aggrapparsi e non cadde, guardò giù e notò che nella terra era stata lasciato un solco, sconnesso, che terminava con un fagotto verde scuro.
“Alfred sono qui!” urlò il fagotto, e il ragazzo capì.
“ARTHUR!” urlò anche lui e li lasciò andare, tenendo le gambe ben salde e busto ritto, in modo da scivolare senza pericolo. Non appena sentì il terreno piano sotto i piedi si lanciò verso il bambino, inciampando nei suoi stessi passi.
“Arthur! Arthur!” chiamò, afferrando il fagotto e voltandolo; rannicchiato tra le pieghe del mantello verde c’era Arthur, in lacrime, con il viso sporco di terra e foglie.
Alfred tremò e gli tolse lo sporco, prima di abbracciarlo stretto. Sentì le manine del bambino aggrapparsi tremanti alla felpa e il visetto affondare tra le pieghe, in cerca di riparo.
“cosa ti salta in mente di allontanarti così!? Eh?!” urlò America stringendolo:”almeno dirmelo! Maledetto! Mi hai fatto correre sotto la pioggia! Ti rendi conto del pericolo che hai corso?! E se non ti trovavo più!?” lo scostò per parlargli in faccia, e lo guardò negli occhi.
“a cosa stavi pensando?” sussurrò, abbassando improvvisamente il tono della voce.
Al bambino tremò il labbro e si passò la mano sugli occhi, nel tentativo di asciugarli:”v-voi… dovevate stare da soli, i-io so-no piccolo e d-debole, non vi servo vero!?” strillò e tirò sul col naso:”i-io sono sempre inutile… anche gli altri me lo dicono… inutile e debole!”
Alfred lo guardò senza capire:”ma che dici!? Non è vero che sei inutile, se qualcuno dice che non serve il tuo aiuto o la tua presenza non vuol dire che sei inutile! Io non credo che tu sia inutile, sai cacciare, sei agilissimo, e la prima volta che ci siamo visti mi hai anche steso a terra ricordi!?”
Arthur lo fissò in silenzio, con viso stravolto.
“sei un bambino incredibile, forse perché sei una nazione, ma come bambino sei spettacolare…” sorrise dolcemente vedendo di esser riuscito a calmarlo:”non sei inutile, e ti basterà crescere per capirlo, devi solo portare pazienza.”
“d-diventare grande…?”
“si, adulto… sono sicuro che diventerai una grande nazione.” Concluse Alfred, carezzandogli i capelli. Con quel gesto si rese conto di una cosa.
“aspetta…” poggiò la mano sulla fronte del piccolo e impallidì:”ma tu sei bollente!” ci poggiò anche le labbra per esser sicuro, e sentì chiaramente la fronte del bambino andare in fiamme:”dobbiamo andarcene subito da qui e tornare a casa!” esclamò balzando in piedi:”ma come si fai a non accorgerti che hai la febbre?”
La piccola nazione si strofinò la fronte, mugolando leggermente:” sono abituato… però mi fa male il polso…” pigolò mostrandoglielo.
Alfred lo afferrò con due dita, muovendolo delicatamente e facendo sfuggire un gemito di dolore dalle labbra del bambino.
“non è rotto, è solo slogato, appena arriviamo a casa lo sistemiamo ok?”
Arthur annuì e si nascose tra le sue braccia. Il ragazzo sorrise leggermente e pian piano cominciò a risalire, alla volta di casa.
 
 
 
 
“ODDIO ALFRED!!” Matthew gli corse in contro sbracciandosi, quasi inciampando nel terreno umido, lasciandosi alle spalle due volanti della polizia e un’ambulanza, con le sirene accese.
Non appena i due furono a portata di braccio li strinse forte, piangendo dalla gioia.
“siete due scemi lo sapete? Mi avete fatto morire di paura!” gli urlò contro staccandosi e guardandoli entrambi.
“grazie per l’accoglienza Matt, ma preferirei portare Arthur in un luogo asciutto…” mormorò Alfred sorridendo, ma prima che potesse portarlo dentro lo raggiunge un poliziotto, seguito da due infermieri.
“aspetti, è questo il bambino dato per disperso?”
Alfred annuì.
“bene, dovremmo fare dei controlli, non sembrate messi molto bene…” si introdusse un infermiere, allungando le braccia per prendere in braccio Arthur, ma America si ritrasse, stringendolo di più.
“faccio da solo grazie…” mormorò. I due infermieri si guardarono perplessi, mentre il poliziotto aggrottava le sopracciglia.
“Alfred non fare lo scemo, vogliono solo accertarsi che stia bene, e faresti bene a farti vedere pure tu.” Lo riprese Matthew, guardandolo severamente.
Il ragazzo tentò di replicare, ma il fratello aveva ragione, quindi lasciò che lo prendessero in braccio e li seguì nell’ambulanza.
 
 
 
“è tutto a posto, abbiamo fasciato il polso e somministrato degli antibiotici, ora deve solo riposare, siete stato bravo e fortunato a trovarlo subito, se fosse rimasto sotto la pioggia ancora un po’ la febbre avrebbe potuto peggiorare.” L’infermiere fece un gran sorriso ad Alfred, mentre chiudeva le porte posteriori dell’ambulanza.
“grazie per averlo curato... e mi dispiace di aver reagito così…” mormorò chinando il capo.
L’altro scosse la testa:” non c’è problema, è normale esser attaccati così tanto a una persona da non volerla lasciarla andare, se si tratta di un bambino poi, indifeso. E’ una reazione comune, guardi, ho dovuto strappare tante volte pazienti moribondi dalle mani dei parenti, troppo scioccati per lasciarli, ma poi tutti si scusano. È lo shock del momento, è normale.” Concluse aprendo invece la porta dalla parte del guidatore:”lo tenga al caldo ma non lo faccia sudare, o la situazione potrebbe peggiorare… non ho mai visto un bambino così strano, non si è lamentato neppure una volta, e sembrava lucido come se non avesse niente.”
“ci è abituato.” Rispose meccanicamente Alfred.
L’infermiere lo guardò stralunato ma il ragazzo scosse la testa:”scusi, riflesso incondizionato…”
L’altro lo guardò per qualche secondo, prima di salire in macchina, accenderla e partire. Alfred lo guardò allontanarsi, poi si voltò e tornò in casa, raggiungendo il fratello e il bambino.
 
 
 
Gli sistemò per la terza volta la pezza sulla fronte, si accasciò sulla sedia e si strofinò gli occhi, stanco.
Forse era stata una cattiva idea quella di mandare Matthew a casa, dicendogli che poteva farcela da solo, tanto, doveva solo badare a un bambino malato, che non si muove e non fa rumore.
Ma non aveva fatto i conti con i sensi di colpa e con l’angoscia della sua visione nel letto, leggermente tremante con viso impegnato in un’espressione dolorante.
Sospirò e chiuse gli occhi, sapeva che era solo una leggera febbre, e che le nazioni guariscano molto più in fretta delle persone se non si tratta di una pestilenza o un contagio popolare, ma nonostante questo non riusciva a calmarsi, e continuava a contare i rantolii e i respiri sconnessi del bambino, terrorizzato dall’idea che si potessero fermare.
“sei un’idiota…” mormorò a sé stesso, nascondendo il volto tra le mani e poggiando i gomiti sulle ginocchia:”dovevi controllarlo meglio… sei o non sei l’eroe?” continuò scuotendo leggermente la testa.
Alzò lo sguardo sul piccolo e lo tenne fisso sugli occhi chiusi, un po’ strizzati.
Arthur si mosse nel sonno e la pezza gli cadde, mentre Alfred allungava la mano per sistemagliela, pronto a farlo molte altre volte in quella notte.
 
 
 
 
 
 
 
 
E finalmente ho finito! Cribbio! Questo capitolo è venuto lunghissimo! 9 pagine! Si, sto cercando di cambiare discorso del fatto che sono in ritardo stratosferico, mi ero immaginata la mia estate passata a scrivere fic su fic, completando i lavori lasciati indietro e cominciandone di nuove, ma l’estate è corta, e io ho questi 3 mesi pieni come un uovo, quindi, se il capitoli non arrivano prendetevela con… l’estate e il caldo, visto che la scuola è finita (bene) e non ho più questa scusa.
Bhè, una piccola spiegazione, sto tentando di “studiare” l’essere chiamato nazione, di capire come funziona il suo corpo, così simile a quello umano ma anche così differente… come teoria iniziale e di cui ne sono sicura e che scrivo qui è quella della malattia abbreviata, cioè, se si ammala il “corpo” della nazione, la malattia, qualunque fosse durerebbe la metà del tempo, o anche di meno, solo se la malattia colpisce il popolo come pestilenze o robe simili, allora la malattia dura tanto quanto dura la pestilenza… comprendete? XD colpa di Jack, amo quell’uomo.
E comune ho tante altre teorie, e quando arriverò a una conclusione intelligente per tutte le esprorrò *si sente molto scienziata, scienziata pazza, come dice il profe di gestione:”siete tutti scienziati pazzi!” (aggiungete accento del sud)*
E non so quanti capitoli mancano, perché se la musa ispiratrice è gentile con me forse ne vengono fuori almeno altri… due o tre, altrimenti il prossimo dovrebbe essere l’ultimo, ma siccome son testarda questa fic la voglio più lunga dell’altra! E scritta meglio… adesso vado a correggerla, che è meglio!
Se il formato è piccolo fatemelo sapere, grazie ^^ è per voi.
E con questo credo di aver finito… e non prendetemi per una maniaca, capisco di esserlo fino al midollo peggio di Francia, ma mi piace tantissimissimo il piccolo Britannia, E’ UNA COSA ADDORABBILE! *badilata volante*
Ok, scusate e tornate pure a fare quello che stavate facendo prima di leggere il capitolo, ci vediamo alla prossima- NdAltraMe
CIAOSSU!!! *altra badilata*
Perdonate gli errori, ma siccome Zazzy, nonostante la sua bravura, non credo che riesca a correggere 10 pagine in un’oretta, quindi portate pazienza e spero che ce ne siano pochi.
E poi non ho voglia di rileggere 10 pagine per la… quarta volta.
 






commentate! Perché i commenti sono il cibo per noi scrittori, non costiamo tanto e regaliamo sorrisi e risa, e anche qualche lacrima! Quindi orsù! Sfamate le bocche insaziabili degli artisti! *fa un inchino teatrale*
Ciaossu!

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Capitolo 6
*** Buon Halloween! ***


Per l’ennesima volta la testa di America crollò sotto il suo stesso peso, e per l’ennesima volta Alfred si svegliò di soprassalto, spaesato e assonnato.
Si stropicciò gli occhi e li spostò poi sulla piccola figura del bambino accanto a sé.
Arthur aveva ancora la febbre.
Tossiva ogni tanto e respirava affannosamente, aveva fatto una veloce ricerca in internet e aveva letto di tenere il paziente coperto, purché la temperatura corporea non fosse troppo alta.
Prese la pezza dalla piccola fronte aggrottata e la immerse nella bacinella accanto a sé, ci aveva messo del giacchio dentro, ma ormai era tutto sciolto, come l’acqua, ormai finita.
Sbuffò e andò in cucina per rifornirsi, tremando per la stanchezza e nervosismo: era tutta la notte che lo sorvegliava, sentiva il cervello chiuso in una morsa pressante, che gli aveva causato un bel malditesta, risalì le scale e si risedette sulla sedia, sistemandogli il panno sulla fronte.
Il bambino sospirò sollevato e sembrò calmarsi. Aveva il terrore che sarebbe finito cotto vivo, ma aveva letto che se il paziente, sudato, prendeva aria le cose peggioravano, e perciò era in costante ansietà. Non sapeva se tenerlo coperto o scoperto, aveva il continuo terrore di sbagliare, e peggiorare drasticamente la situazione.
Alfred si tolse gli occhiali e li poggiò sul comodino, prima di strofinarsi con vigore il viso, sperando di svegliarsi.
L’unica cosa che lo teneva sveglio in assenza di caffè era il pensiero che era tutta colpa sua se Arthur si era ammalato, avrebbe dovuto dargli ascolto e magari esser più convincente, o almeno richiamarlo prima, o…
Sentì il bambino tossire e bloccò i suoi pensieri, Arthur sembrava che si stesse svegliando: “A-Alfred?” Chiese confuso, il delirio della febbre doveva avergli offuscato la mente.
“si, sono io..” sussurrò sedendosi sul letto e carezzandogli la guancia.
L’altro rimase un attimo in silenzio, mentre grosse lacrime cominciarono a scenderli dalle guancie.
“no! Non piangere va tutto bene, ci sono qua io, tranquillo…” cercò di calmarlo ma fu inutile, con un gemito il piccolo scosse la testa, singhiozzando leggermente:”m-mi dispiace… sono solo uno stupido e inutile bambino!” singhiozzò portandosi le manine al viso e strofinandosi debolmente le guancie, a quanto sembrava, l sua mente era ferma a qualche ore prima, quando Alfred lo aveva ritrovato nel bosco, zuppo e ferito: ”ti do un sacco di problemi vero?” fece un paio di respiri profondi e ricominciò a parlare: ”sarebbe meglio che non esistessi… come dice Ian, sono inutile e debole, non diventerò mai una nazione!” il tono si era alzato leggermente, causando uno restringimento della morsa che attanagliava la testa di America.
“no, non è vero, tu non sai inutile, te l’ho già detto ricordi? E smetti di pensare male… diventerai una delle nazioni più potenti che siano mai esistite… te lo assicuro…” mormorò chinandosi sul bambino.
“crescerai, certo ci vorrà del tempo, ma vedrai, crescerai e diverrai forte…” gli carezzò la testolina umida e sorrise dolcemente, scostò delicatamente le mani dal viso di Arthur, e con la pezza gli asciugò le lacrime: ”ora, pensa solo a dormire e a guarire, ok?”
Il piccolo lo guardò confuso, poi annuì e chiuse gli occhi, addormentandosi immediatamente, sfinito.
Alfred sospirò sollevato, prendersi cura di un bambino non era facile, però, stranamente, quando era piccolo, non gli era mai sembrato che Arthur fosse così stanco… cioè, lui lo era sempre quando arrivava, magari era scocciato per qualche litigata, ma quando stava con lui era sempre pieno di energie, e le brutte occhiaie che aveva quando arrivava sparivano.
Che facesse finta di avere tutta quell’energia? Si chiese Alfred mentre si sistemava sulla sedia, molto più scomoda del letto, magari sarebbe riuscito a stare in piedi tutta la notte in questo modo.
Si grattò il collo e sbadigliò, era abituato a fare maratone notturne di videogiochi, ma ciò significava tenere la mente vigile, patatine e coca cola a volontà, con quelle almeno riusciva a superare la notte, e la mattina era sempre fresco come una rosa.
Guardò ancora un attimo la figura di Britannia, il quale aveva cominciato a respirare un po’ meglio, e si lasciò scappare uno sbadiglio, ma non si addormentò.
Lui era l’eroe, e non un eroe qualunque, era l’eroe di Arthur, e non poteva permettersi di abbandonarlo. L’aveva giurato a sé stesso e all’inglese, che gli sarebbe rimasto sempre vicino: ”per l’eternità! Visto che siamo nazioni!” aveva esclamato allegramente stringendo Arthur a sé, facendogli scappare una risata.
Sorrise a quel ricordo e si sistemò sulla sedia, motivato a combattere contro sé stesso e a rimanere sveglio a vegliare Arthur, anche per tutta la notte se era necessario.
 
 
 
Si accorse di essersi addormentato con le braccia incrociate e testa a penzoloni quanto qualcuno gli suono direttamente nelle orecchie un campanello.
Fece un balzo e cadde a terra, trascinando con sé la sedia, facendo un gran fracasso. Si rialzò dolorante e sbirciò Arthur, minimamente toccato da tutto quel rumore.
Il campanello suonò di nuovo e appurato che non c’era nessuno in camera capì che qualcuno stava suonando alla porta.
Si alzò barcollando, manco fosse ubriaco si trascinò al piano inferiore, lasciandosi cadere sulla maniglia.
“santo cielo Alfred, ma che ti succede?” la voce del fratello, nonostante fosse una delle più basse che avesse sentito, gli trapanò le orecchie dolorosamente, mentre sentiva le sue mani prenderlo per le spalle e sollevarlo, visto che era finito in ginocchio.
“Matthew?” mormorò cercando di fare leva sulle gambe, diventate improvvisamente di gelatina.
“si, sono io ma che ti è successo? Hai delle occhiaie terribili!”
Alfred barcollò un attimo, e prima che finisse a terra Canada riuscì a farlo sedere sul divano.
“ho tenuto d’occhio Arthur per tutta la notte… è colpa mia se si è ammalato, e devo vegliare su di lui…” disse, con mezza voce, stanca e pesante.
“dio, Alfred sei un cadavere… anche se scotti come una stufa!” Matthew si allarmò quando sentì la fronte del fratello in fiamme: “tu devi riposare, guarda, ci penso io a te e a Inghilterra, ora fila a dormire, ti accompagno.”
America scosse la testa, che rimbombò dolorosamente: “noo, devo… pensarci io…” si portò una mano alle tempie e chiuse gli occhi, fermandosi, a differenza del salotto che girava vorticosamente.
“non ti reggi nemmeno in piedi, vieni…” mormorò Canada, riuscendo a trascinarlo a letto, e lasciandolo dormire tranquillamente.
 
 
 
 
Quando si svegliò aveva una gran sete, assaggiò l’aria trovandosi la bocca secca ma impastata. Fece per alzarsi, ma un capogiro lo fece desistere da ogni intento.
“no, stai giù, Arthur sta bene.” Matthew gli mise la pezza sulla fronte, e sistemandogli le coperte gli porse un bicchiere d’acqua, che non tardò a scolare.
“d-dov’è?” domandò. Era senza occhiali e steso sul letto, con il pavimento che ondeggiava. I cuscini lo tenevano sollevato di poco, in modo che potesse bere senza problemi ma che rimanesse abbastanza comodo.
“qui accanto a te.”
Abbassò lo sguardo e si ritrovò ad affondare il naso negli spettinati capelli del bambino, che riposava placido, con la testolina poggiata al suo braccio e il corpicino rannicchiato contro il suo petto.
“si è svegliato mezzora fa senza febbre e ha insistito per vederti.” Canada rise gentilmente: “ci tiene a te, ha detto.”
Alfred guardò commosso il piccolino sdraiato vicino a sé, e con le ultime forze che gli rimanevano gli carezzò la testa: “grazie…” mormorò prima di riaddormentarsi, molto più sereno.
 
 
 
 
Quando si svegliò per la seconda volta la febbre si era attenuata, e si sentiva molto meglio. Solitamente non si ammalava quasi mai, e quando gli capitava, durava pochissimo.
Ringraziò il fatto di essere una nazione e si mise a sedere, accorgendosi di esser solo nella stanza. Cercò gli occhiali e li inforcò, riuscendo a mettere a fuoco finalmente l’ambiente attorno a sé. Senza quei piccoli pezzi di vetro era perduto.
Si grattò il collo e si sistemò i cuscini, in modo da potersi rilassare e stare comodamente seduto.
Si ricordava di aver sorvegliato Inghilterra per tutta la notte, che fosse arrivato suo fratello e che Arthur avesse dormito con lui. Ma ora nessuno dei due era nella stanza, e per via delle porte spesse non sentiva nessun rumore giungere da fuori.
Per questo motivo quando la porta si aprì di scatto fece un balzo, prima di capire che chi aveva spalancato la porta con tale vigore era Arthur, che con un vassoio in testa, sostenuto dalle piccola braccia, entrò nella stanza, seguito da Matthew che cercava di fermarlo.
“v-va piano… rischi di rovesciare tutto!”
“devo portarglielo in fretta! Così si sveglia!” esclamò mollando tutto sul comodino e accorgendosi solo adesso che Alfred era sveglio, e lo guardava divertito.
“ALFRED!” urlò, e gli balzò in braccio, affondando il viso tra le pieghe della maglietta e stringendo la stoffa.
“mi dispiace! Mi dispiace tantissimo! Ti sei ammalato per colpa mia! Matthew me lo ha detto! È tutta colpa mia!” disse, alzando la testa e mostrando i suoi occhioni pieni di lacrime.
“su,su non è niente davvero, ora sto molto meglio.” Rispose il ragazzo, carezzandogli le guancie e asciugandogli il visetto.
“ti ho tenuto d’occhio come tu hai fatto per me!” esclamò sorridendogli: “un favore per un altro!”
Alfred lo guardò ammirato: “ti ha cambiato la pezza e ti ha tenuto compagnia.” Disse Canada avanzando e sedendosi sul letto: “è stato un bravissimo cavaliere.”
Il bambino sorrise felice e si allungò per recuperare il piatto sul vassoio, ancora posato sul comodino.
“ti ho anche preparato il pranzo! Apri la bocca!” disse deciso, afferrando con una mano la forchetta e sistemandosi sul bacino di America, che guardò dubbioso la pietanza.
Canada rise: “è semplice riso, e visto che c’è un coraggioso cavaliere qui con te io posso anche andare, sono giù da basso, se vi serve aiuto.” Commentò, prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle.
Alfred lo guardò riconoscente, e ben presto si ritrovò la forchetta sulle labbra, mentre Arthur continuava a premere dicendo: ”di aaaaah!”
E così America fu imboccato amorevolmente da un piccolo Inghilterra, che si stava, a quanto pare, divertendo un mondo a prendersi cura dell’americano.
Premuroso come il giorno che lo conobbe il quel campo d’erba sconfinato, Arthur si rivolgeva al ragazzo chiedendogli di continuo se avesse bisogno di qualcosa, morbosamente attaccato a lui e insistente come le nonne, che ti vogliono sempre rifilare qualcosa da mangiare, dicendo: “ sei così magro! Tieni! Mangia qualcosa!”
Alfred si divertiva vederlo scorrazzare per la stanza, a piedi scalzi balzava di continuo sul letto, per andare da un capo all’altro, per recuperare magari un cuscino o un libro a caso che il ragazzo gli indicava.
Canada si occupò di loro tutto il giorno, preparandogli la cena e affermando che prendersi cura di Arthur in quelle condizioni o Alfred era la stessa identica cosa.
Solo verso sera, Alfred avvertì una spiacevole fitta alle meningi, segno che si stava sforzando troppo, nonostante si sentisse in forma. Ma Matthew fu irremovibile, preparò la cena per tutti e tre e non gli permise di scendere, dicendo di aspettare almeno il giorno successivo, giusto per evitare qualsiasi caduta rovinosa, causata da capogiri improvvisi.
Il piccolo Britannia non si staccava mai da lui, cenarono insieme, e dopo essersi cambiato, si infilò sotto le coperte con lui, dicendo di voler finire il suo lavoro di cavaliere.
Alfred lo guardò amorevolmente, ringraziandolo e ringraziando la fortuna di avere Arthur lì con sé.
 
 
 
 
 
Il giorno dopo stavano entrambi egregiamente, dopo molte raccomandazioni da parte di Matthew, diventato fin troppo ansioso, i due rimasero soli, e senza ulteriori indugi uscirono. Il brutto tempo sen’era andato e l’erba era calda e asciutta, così Arthur potè dedicarsi ai suoi giochi senza sporcarsi più di tanto.
Mentre Alfred posava il piatto sul tavolo, contenente un grossa bistecca, davanti ad Arthur, notò il calendario, e sorrise gioioso. Tra due giorni sarebbe stato Halloween.
A quanto pare Arthur non conosceva ancora quella festa, dopo tutto, pensò il ragazzo con un pizzico di orgoglio, l’ho inventato io Halloween! Quindi, scoppiò a ridere quando vide la faccia tra il perplesso e l’interessato di Arthur quando gli raccontò della festa.
“ci si traveste da mostri e si spaventa le gente.” Gli spiegò, mentre il bambino lo guardava affascinato:“si dice “dolcetto o scherzetto!” se ti danno i dolci bene, altrimenti gli si fa qualche scherzo!” Arthur ridacchiò: “è stata inventata per scacciare le malattie, ma oggi i bambini e i ragazzi la festeggiano per ottenere dolci e stare svegli fino a tardi.” Disse Alfred ridendo.
“wow… e dove la fanno?” gli chiese curioso, aggrappandosi ai suoi pantaloni.
L’altro scrollò le spalle: “dappertutto, si gira per le case.” Il piccolo annuì: “hai detto che si traveste… tu cosa ti metti… e io!?” chiese allarmato, rendendosi conto di non sapere che mettersi.
“hahaha, lo vedrai domani sera, e tranquillo, al tuo costume ci penso io.” Disse, ricordando con rammarico il magnifico travestimento di Inghilterra dell’anno scorso: un vampiro vestito di azzurro.
Era palese che il costume non andasse anche a lui, così rimediò comprandone uno da diavolo, che gli fece provare.
Inizialmente il bambino si prese un bello spavento a sentire la parola “diavolo”, ma ricordandosi che doveva terrorizzare la gente, l’idea gli piacque molto, tanto da farlo sorridere inquietante e far spaventare un po’ Alfred.
La tanta agognata serata arrivò.
Per Alfred era un divertimento normale, gli piaceva andare in giro a chiedere dolci. Per Arthur invece fu una dolorosa attesa, passata davanti allo specchio e a rompere le scatole ad America, chiedendogli di continuo tra quanto andavano.
Quando il ragazzo aprì la porta di casa, Inghilterra si fiondò in giardino, saltellando di qua e di là, incitando Alfred ad accelerare. Quasi navigava nel vestito da diavolo che gli aveva comprato da un cerchietto con le cornina scarlatte attaccate,una giacchetta dello stesso colore e pantaloni lunghi fino alla caviglia, sempre rossi e una deliziosa coda forcuta, lunga quanto il braccio, che fluttuava ad ogni passo, sfiorando il terreno. In più gli aveva disegnato dei baffetti, che lo fecero ridere molto.
L’americano rise di fronte a tanto entusiasmo, e gli prese la mano, mentre con l’altra teneva un sacchetto, iniziando il loro giro.
Molti bambini guardavano ammirati il costume di Alfred, mascherato da Jason con vestiti “modernizzati” . cioè un pastrano lungo e logoro, per metà arancio e metà verde marcio. Gilè e calzoni castani chiari, camicia bianca e maschera insanguinata da hokey sul viso, spostata sulla desta. Se da una parte Alfred attirava gli sguardi dei bambini, Arthur attirava quelli delle ragazze, intenerite dalla piccola forca di plastica rossa nella manina del bambino. Si avvicinavano con sacchetti pieni di caramelle, accompagnate dal fratellino o dalla sorellina più piccola. Si fermavano e facevano un sacco di complimenti ai due, mentre si mangiavano con gli occhi Alfred, si perdevano in moine davanti ad Arthur e alla sua adorabile coda da diavoletto, che diventava del colore della sua giacchetta.
Il bambino rimase deluso nel costatare che metteva tenerezza invece che incutere timore e sgomento come si era aspettato.
Alfred rise di gusto: “ormai è così, poche sono le cose che spaventano ad Halloween.” Disse, con una piccola punta di nostalgia.
Quando arrivarono nel cuore di Londra, Arthur gli strattonò la mano, indicandogli un signore elegantemente vestito. Da sotto il mantello e tuba neri, si intravedeva un panciotto dello stesso colore, con un bell’orologio d’oro da taschino che spuntava, nascosto da una giacca allacciata solo per i primi tre bottoni del fondo, che svolazzava ad ogni passo. Pantaloni scuri molto eleganti e una camicia a fronzoli. Svolazzava per le strade con una grossa borsa da dottore dei vecchi tempi in mano. Portava anche degli eleganti guanti bianchi, che gli facevano sembrare le mani scheletriche.
“chi è, chi è!?” chiese trepidante, appendendosi al suo braccio, seguendo e contando ogni passo dell’uomo, che avanzava tra le persone e i bambini a passaggio con grazia, quasi come un essere innaturale.
Alfred riconobbe subito l’uomo. Era un racconta storie di paura. Inizialmente, al “ghost walk” era nata a Brighton, una deliziosa località di mare, volta verso la Francia. Ma con passare del tempo era arrivata anche a Londra, appassionando molte persone. Deglutì nervoso, l’anno scorso Inghilterra l’aveva convinto a seguirlo nella sua passeggiata. Non aveva dormito per i tre giorni a seguire.
“è… un signore…”
“che racconta storie di paura in giro per Londra.”
Entrambi si voltarono, e videro Francis che li guardava divertito. Arthur gli ringhiò contro e sollevò il piccolo forcone, inviperito, mentre Alfred lo guardò malissimo.
“che ci fai qui rana!? Sparisci prima che ti scagli addosso legioni di demoni!” disse il bambino, suscitando la risata del francese. A quanto pare il piccolo inglese credeva che indossare quel costume gli desse anche poteri soprannaturali.
“sono venuto a godermi un po’ di Halloween, sapevo che vi avrei trovato in giro. Poi a casa mi stavo annoiano.” Disse avanzando. Era vestito da fantasma, a quanto sembrava.
“un fantasma di un signore.” Precisò, quando Alfred glielo fece notare, in effetti gli elegantissimi abiti del barocco lasciavano a intendere. Bianchi, con rifiniture viola, erano fin troppo raffinati per una serata a spasso. Quel tipo di abbigliamento avrebbe fatto un figurone alle feste esclusive, anche per le strade di Londra a dire la verità, risultando forse un po’ pacchiano. Solamente il panno posato sulla testa del francese e la lanterna che teneva in mano potevano lasciar intendere da che cosa fosse travestito.
“vattene, non sei il benvenuto!” gli urlò contro Arthur, picchiandogli la sua piccola arma sulle ginocchia, facendolo ridere di nuovo.
Francis agitò la lanterna che teneva nella destra e lo ignorò: “come mai non porti il piccolo Arthùr a sentire le storie di paura?  Sono sicuro che a lui piacerebbero.”
“non storpiare il mio nome!” strillò inviperito: “e che intendi con storie di paura?” chiese, cercando di mascherare il tono interessato sotto i baffetti alla Dalì, disegnato sotto il naso.
“mio piccolo diavoletto, quello che ho detto! Racconta storie di paura. Bisogna seguirlo, altrimenti lo perdete!”
Arthur si voltò speranzoso verso Alfred, supplicandolo con gli occhi, di seguire quel signore così interessante.
L’americano rifilò un’ultima occhiataccia al francese, che dal canto suo se la rideva della grossa, e sospirò: “se proprio ci tieni…” mormorò, prima che Arthur gli agguantasse le gambe, stringendole felice: “grazie!”
Sorrise anche lui, vedere Inghilterra  felice era il suo unico scopo.
 
 
 
 
 
“e con un coltellaccio… gli staccò la mano di netto!” l’uomo vestito di scuro tirò fuori un coltello di plastica, artisticamente insanguinato, e lo agitò sul proprio polso.
Arthur rise e fece finta di spaventarsi e rintanarsi nella giacca di Alfred, che era sbiancato.
Francis, dopo averli accompagnati e appurato che il tizio parlava inglese, decise di lasciarli soli, alla ricerca di qualche bella turista francese. Sparendo come uno spettro tra le persone, canticchiando qualcosa in francese e dondolando cupamente la lanterna faceva voltare inquietate e affascinate le persone che incontrava, che lo fissavano come se fosse un’apparizione.
Così per Alfred era cominciata l’agonia. Purtroppo, essendo in autunno inoltrato, le giornate erano visibilmente più corte, e quindi la sera scendeva prima. Per questo rabbrividì quando passarono nel vicoletto tra due cupe case, dalle finestre scure come la pece. Aveva accettato solo per far felice Arthur, il quale, gioioso, beveva ogni lettera scandita dal racconta storie, facendo finta di spaventarsi come il resto del gruppo. Solo i bambini più piccoli e Alfred si spaventavano alle sue storie, ai manichini e agli oggetti finti che estraeva con gesti teatrali dalla borsa da medico.
Quando la passeggiata finì, Alfred trascinò un fin troppo entusiasta Arthur fino a casa, chiudendo la porta a doppia mandata e tirando giù le tapparelle, accendendo ogni luce che gli capitasse a tiro.
“che ti succede Alfred?” si voltò e vide Arthur, nel bel mezzo del tappeto del salotto, quello di fronte al camino, che lo guardava preoccupato, anche se alla luce della lampada del comò accanto al divano, gli donavano un’aria spettrale, oscurando metà del viso. Il costume da diavolo poi non aiutava.
Rabbrividì e scosse la testa: “n-niente, a-andiamo a dormire…” mormorò, prendendolo in braccio e avviandosi al piano superiore, accendendo le luci a suo passare e spegnendole solo quando furono entrambi pronti.
 
 
 
Alfred si svegliò di soprassalto, con ancora il peso spaventoso di un incubo nella testa. Gli fischiarono le orecchie per qualche secondo, prima che calasse il silenzio più completo. Respirò a fondo, cercando di fare il minor rumore possibile, terrorizzato dall’idea che qualsiasi cosa che sia annidasse sotto il letto, nell’armadio e negli angoli potesse sentirlo.
Riuscì a calmare il tremore delle mani con uno sforzo enorme, imponendosi di credere che non c’era niente nella stanza.
Un rumorino intermittente lo fece voltare verso la finestra. Come il picchiettio di un ramo (o di un’unghia) trapanava le orecchie del ragazzo. Non ci sono alberi da quella parte. Quel pensiero gli bastò per andare a far benedire tutto il tempo passato a tranquillizzarsi. Strizzò gli occhi e artigliò le coperte, tremando violentemente.
Se ci fosse stato Arthur… sia adulto che bambino, che dormiva placido nell’altra stanza. Non avrebbe avuto problemi a urlare il nome dell’inglese, o a buttarsi nel suo letto, cercando il suo abbraccio rassicurante. Ma adesso non poteva mostrarsi debole davanti a lui, non adesso che lo aveva preso come modello.
Raccolse ogni briciola del suo coraggio e si voltò, mettendosi di fianco, convincendosi a dormire.
Rimase tranquillo per un po’, riuscendo a captare i suoni più flebili e a individuarne la causa, terrena.
Quando sentì la porta scricchiolare però, decise che ogni cosa potesse anche andare dove diceva lui, perché non sarebbe stato fermo quando l’oscurità l’avrebbe afferrato con i cuoi artigli.
Cominciò a respirare affannosamente, mentre percepiva la porta spalancarsi. Stando di schiena dall’ingresso, poteva far finta di dormire, e forse la cosa che avanzava lentamente nella stanza se ne sarebbe andata.
Ma quando sentì una presenza alla proprie spalle, proprio ai piedi del letto, si zittì completamente, in ascolto. Trattenendo il fiato, riuscì a sentire solo il suo cuore che martellava frenetico contro il petto, rimbombando in gola e nelle orecchie.
Sentì che la figura smetteva di respirare e poi agire.
Quando la sentì atterrare su di sé urlò, trovandola consistente e pesante.
“ALFRED! Alfred calmati, sono io!”
Sentire la voce, anche se infantile, di Arthur, fu un enorme sollievo, tanto da fargli bloccare sul posto le braccia, che fino a pochi secondi prima si agitavano, cercando afferrare qualcosa davanti a loro.
Sentì il “clik” di una lampada e la calmante luce arancio dell’abajure sul comodino si riflettè negli occhi preoccupati di Arthur.
“ti ho sentito urlare.” Disse il bambino, arrampicandosi sul letto: “e quando sono entrato non respiravi più! Mi sono spaventato tantissimo!” gli disse in tono di rimprovero, ricordandogli tanto quello che usava quando era grande.
Alfred chiuse gli occhi e si lasciò cadere sul cuscino, respirando profondamente, avvertì le manine di Inghilterra poggiarsi sul petto, poco più sotto del collo: “tutto a posto?”
Il ragazzo aprì un occhio, sorridendo appena: “si, tranquillo… scusami se ti ho svegliato.” Mormorò scompigliandogli dolcemente i capelli.
Anche il bambino sorrise, molto più sollevato: “hai fatto un incubo?” lo spaventava la perspicacia di Arthur. Da adulto poteva esser normale, ma da bambino era leggermente inquietante.
Sentendosi improvvisamente tornato piccolo a sua volta, Alfred annuì mesto, facendo sorridere l’altro.
“ormai è tutto finito, sei sveglio e ci sono io, nessuno ti prenderà.” Gli disse.
America rimase sorpreso nel sentire le stesse parole che Arthur, ogni volta che il ragazzo si infilava nel suo letto, gli sussurrava prima di stringerlo e di cullarlo, finchè non si fosse addormentato.
“si… ci sei tu.” Mormorò sorridendogli a sua volta.
“starò qui finchè non ti riaddormenti, ho tanto da ripagare e non posso permettere che i mostri si portino via il mio cavaliere.” Disse allegro, girandosi e dandogli le spalle, sedendosi accanto a lui, con i piedi penzolanti.
Alfred lo guardò commosso, come quando aveva la febbre Arthur lo stava assistendo, nonostante avesse sì e no 6 anni. Si mise di fianco, in modo da par poggiare al bambino alla sua pancia, dandogli una confortevole poltrona.
Il biondo rise e si strusciò un po’, rannicchiando le piccole gambe al petto. Con la manina destra accarezzò la fronte di America, facendo arrossire.
“quando si ha un incubo è meglio accertarsi che la persona non abbia la febbre e stia delirando.” Spiegò: “ e in questo modo la si tranquillizza.”
Ad Alfred non poteva interessargli di più se fosse vero oppure no, lasciò che quel piccolo bambino lo soccorresse come meglio riteneva, finchè non si addormentò, affrontando la notte senza sogni né incubi.
 
 
 
 
 
 
 
Probabilmente starete pensando di impalarmi, e vi do ragione, molta ragione, si,si *intanto si allontana a passetti*
Mi dispiace tanto di esser così in ritardo, mi ci sono messa sotto ma le idee non venivano. Poi puff! Eccole tutte insieme, così adesso il prossimo cap è già mezzo pronto qui *indica testa* e lo sarà, spero, anche su carta. Quindi… PERDONATEMI! Ç___ç
Purtroppo non ho tantissimo tempo, e se non pubblico adesso mi dimentico… quindi vi ringrazio tutti, soprattutto la nuova arrivata ^^ Lok6grande, grazie mille, spero che i capitoli saranno di tuo gradimento ^^
Se ci sono errori è perché non trovo la mia beta reader, e anche lei è comunque occupata.
 
 
 
commentate! Perché i commenti sono il cibo per noi scrittori, non costiamo tanto e regaliamo sorrisi e risa, e anche qualche lacrima! Quindi orsù! Sfamate le bocche insaziabili degli artisti! *fa un inchino teatrale*
Ciaossu!

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