I morti non cercano qualcuno che li vendichi, ma che li ricordi

di LeanhaunSidhe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Presentimenti e presenze ***
Capitolo 3: *** Presente e passato ***
Capitolo 4: *** Cercando di capire ***
Capitolo 5: *** I pensieri di chi vive nell'ombra ***
Capitolo 6: *** Chiarimenti ***
Capitolo 7: *** L'accordo ***
Capitolo 8: *** Quando il pericolo si fa realtà ***
Capitolo 9: *** Il primo scontro ***
Capitolo 10: *** Il passato del nemico ***
Capitolo 11: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 12: *** Speranza ***
Capitolo 13: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Aveva capelli rosso fuoco e occhi di smeraldo, occhi che non avrebbero più voluto vedere, chioma del colore del sangue. Lo stesso che le imporporava la veste prima candida.

Non erano riusciti ad usarle violenza, non avevano fatto in tempo, ma tutta quella a cui era stata costretta ad assistere l’aveva segnata. Un marchio a fuoco nella carne.

Avanzò a fatica verso le porte del Santuario: la Dea Atena era l’ultimo baluardo a cui chiedere aiuto. Non aveva più nulla da proteggere: ciò che amava l’avevano già distrutto.

Con quella schiacciante consapevolezza che predeva corpo si trascinò come un automa fino al portone centrale della cinta muraria. Le avrebbero dato asilo solo per come era stata ridotta.

Quando la sentinella la vide si lasciò scappare un’invocazione agli dei e si apprestò a offrirle il braccio. Chiese alla straniera chi fosse, da quale inferno fosse scampata, ma lei si ostinò a non rispondere nulla.

La sventurata viveva non il presente, ma il passato: la gente del suo villaggio che correva in cerca di una via di fuga, le urla, il terrore, il fumo, la morte. E quella morte la dilaniava. Non sapeva ancora che il loro carnefice, un ex-allievo traditore del Santuario era già stato messo ai ceppi e sarebbe stato giudicato di li a poco. Non le importava. I cavalieri di alto grado tornavano in vita, la gente comune no.

Era già stata abbandonata dai genitori quando era in fasce nei pressi di un villaggio greco, nei territori protetti da Atena. Era stata cresciuta da una famiglia del posto come se ne fosse davvero figlia. I suoi fratelli avevano capelli neri e iridi d’ebano, la pelle abbronzata, lei chiara come la neve e ,nonostante fosse stata diversa, l’avevano amata come una perla rara.

Li rivedeva in rapidi flash, mentre offrivano la schiena al nemico nel disperato tentativo di proteggerla. Ricominciò a piangere, ma le lacrime che le rigavano il volto non le parvero sue.

Dov’era Atena quando morivano? Che giustizia era quella che aveva tenuto in vita lei e sterminato gli altri? Le avessero fatto del male forse si sarebbe sentita meno in colpa.

Si aggrappò al braccio della guardia. Le gambe non la ressero e cadde in ginocchio. Il soldato la prese in braccio e continuò ad avanzare verso l’infermeria. All’interno trovarono due che litigavano animatamente di fronte lo studio del medico.

Uno alto, abbronzato, inveiva contro un ragazzo dai lineamenti gentili e aggraziati, stupendi a vedersi. Fu proprio questo a girarsi per primo, a chiedere spiegazioni. La guardia si fece indietro di un passo. Avrebbe dovuto inginocchiarsi, ma non poteva. Così esitava soltanto. Nel frattempo anche l’altro si era calmato e avvicinato, stranamente, con interesse.

La ragazza, per un momento, si concentrò su entrambi. Per primo guardò Aphrodite, ma la sua bellezza la lasciò indifferente. Rivolse un’occhiata fugace a Death Mask poi riprese a contemplare il soffitto.

Il cavaliere dei pesci li lasciò passare stizzito per tanta mancanza di attenzione, quello del cancro invece tacque. Lui uno sguardo come quello lo conosceva bene.

Consideratelo una sorta di prologo, un’inquadatura non ben definita dei personaggi principali, anche perchè casco dal sonno. Spero che una roba così, almeno come inizio possa interessare. Fatemi sapere gente. Kiss!

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Capitolo 2
*** Presentimenti e presenze ***


Death Mask aveva già visto quello sguardo, anche se raramente in verità.

Delle sue vittime poche erano quelle che si offrivano spontaneamente alla sua furia.

La prima volta che uccise gente di quel tipo imparò che erano le anime più tormentate, che i loro volti, appesi alla quarta casa, potevano fargli ribrezzo.

Lo fissavano mentre si aggirava per le stanze tetre della quarta casa, maschere spezzate in mezzo alle altre maschere mortuarie.

Se il dolore degli altri non lo sfiorava, la disperazione muta di quelli gli lasciava un buco allo stomaco.

Non gli rimproveravano certo di avergli tolto la vita: gli ricordavano di averlo fatto contro degli innocenti, quelli che loro amavano, per i quali erano disposti a qualsiasi sacrificio.E una volta che gli aveva tolto anche la speranza, restavano in appaenza simili a gusci vuoti, chè neanche di sopravvivere gli importava, neppure della vendetta.

Eppure percepiva il gorgo provenire da loro, come le correnti che si agitano sotto la superfice lacustre e possono trascinarti sul fondo, invisibili e letali.

Una maledizione sussurrata, che temeva gli sarebbe presto scivolata addosso. Per Cancer la propria salvezza era l’unica cosa importante.

Non li capiva. Si chiedeva cosa sarebbe successo se, un giorno, avesse incontrato un cavaliere così disperato da non credere più a niente, come quella fanciulla.

Cosa ne sarebbe stato di lui in uno scontro con un individuo simile? Avrebbe vinto col potere ancestrale del suo Cosmo, sicuramente. La sua mente ne era certa. Eppure il suo cuore ne dubitava.

Se l’amore spezzato fosse stato più potente dell’odio?Più dirompente della sua forza? Poi ricacciava quel pensiero nel profondo: un cavaliere del genere non esisteva.

Perchè mai avrebbe dovuto esserci un uomo d’armi tanto stupido? Ad essere così erano solo le persone inermi, ma le loro anime gli insinuavano quel tarlo rognoso in testa.

Erano fastidiose, perché il loro richiamo non chiedeva attenzione, ma la attirava. Anche se provava a ignorarle, loro restavano li, testarde, col loro spirito inquieto, e lo aspettavano.

Sapevano che Cancer sarebbe tornato, quasi gli leggessero dentro ciò che lui non voleva ammettere a se stesso: che di loro aveva paura.

Come in quel momento quasi temeva lei, una fanciulla moribonda che neppure lo calcolava.

Osservò il soldato condurla oltre la porta bianca. La voce aggraziata di Aphrodite gli giunse agli orecchi e istintivamente scacciò le lamentele dell’amico con un gesto secco della mano, come si allontana una mosca fastidiosa.

Neppure ricordava più per cosa stessero litigando, per quale motivo gli rimproverava di essere un buzzurro, quell’ennesima volta.

“Tutto a posto?”

Trasalì nel ritrovarsi oggetto di studio del cavaliere dei pesci, che lo scrutava minuzioso neanche fosse un alieno.

“Che vuoi ancora?”

Gli ruggì addosso. Mai avrebbe ammesso che era turbato.

“Sei sicuro di star bene?Sei così strano…”

“Sono esattamente come al mio solito, piantala”

L’altro continuò invece la sua analisi, impassibile.

“E’ la prima volta che le mie rose sortiscono un effetto simile, su di te poi mai me lo sarei aspettato…”

Cancer rimase zitto ad attendere la boiata. In realtà si accingeva a caricare il pugno con cui spaccargli la faccia.

“Non avrei mai creduto possibile che i miei amati fiori, per quanto efficaci, concedessero anche a te la facoltà di riuscire la controllare la rabbia e ragionare”

In quel frangente il santo dei pesci realizzò che la velocità nello schivare i colpi, a volte, è ben più importante di mantenere la messa in piega.

Il medico la osservò a lungo da dietro gli occhiali spessi. Indugiò su ogni articolazione, ogni ferita.

Muoveva lentamente ogni arto della ragazza: le pareva di manovrare una bambola di pezza. Fisicamente non c’erano grandi danni. La paziente necessitava solo di qualche fasciatura.

Era stanca, ma sana. Terminata la visita le chiese molte volte il nome, cosa le fosse accaduto: nulla.

Non ebbe risposta. Attribuì il fatto allo stress subito. La lasciò seduta sul lettino a contemplare il pavimento e chiamò un’inserviente non più giovanissima, dalle gote rosse e il viso sorridente.

Ad un cenno del medico questa intese e si accostò alla fanciulla. L’aiutò a scendere dal lettino e col braccio le circondò le spalle.

Era più piccola di lei, ma più robusta.

“Per prima cosa toglierai quegli abiti e ti darai una bella lavata”

Rimase all’inizio incerta non ottenendo risposta. Decise poi di non farci caso, sorrise di nuovo. Uscirono appoggiandosi l’una all’altra, lasciandosi l’infermeria alle spalle. La loro destinazione era una casetta dal tetto rosso alla periferia del villaggio.

La donna guidò la giovane all’interno della sua abitazione, semplice ma accogliente. Le indicò una sedia e le disse di aspettare.

“Ti porto asciugamani e vestiti puliti. Qui la gente è buona e ti sentirai presto a casa, vedrai”

Mentre armergiava nell’altra stanza, continuava a parlare.

“Non sono sola in questa casa.Un tempo c’era anche il mio povero marito, pace all’anima sua. Ora ci viviamo io e mia figlia. Si chiama Nausicaa e all’incirca ha la tuà età. Starete bene insieme, ne sono certa”

La sua voce giungeva ovattata da oltre il corridoio e la straniera si voltò nella sua direzione. Qualcosa l’aveva attirata.

Un bisbiglio, un sussurro che si confondeva con la voce della padrona di casa. Sentì calore, una sensazione familiare.

Istintivamente si alzò e si mosse verso la camera, sgusciò silenziosa, simile a un essere che si ciba della notte.

Si fermò poi, in attesa, sullo stipite della porta. In quel momento la serva fece per girarsi e le prese un colpo.

Lasciò cadere gli asciugamani e si portò la mano al cuore, cercando di calmarsi, dopo aver realizzato che non era accaduto nulla.

“Dei del cielo! Mi hai fatto prendere un colpo. Per un attimo quasi non mi sembravi…”

Non finì la frase. Come avrebbe potuto dire a quella fanciulla che addirittura non le era parsa umana, con quel candore irreale della pelle e quel sangue addosso?

La lasciò libera invece di espolarare la stanza. La osservò muovere qualche passo, osservare i dettagli di ciò che la circondava.

L’ispezione della giovane finì presto, quando incrociò la foto di un uomo sulla quarantina. La donna sorrire, si intenerì. Accennò un sì col capo alla tacita richiesta della sua ospite.

“Puoi prenderla in mano se vuoi”

La straniera eseguì. Osservò la foto per qualche minuto, tanto che all’altra cominciarono a sorgere dei dubbi.

“Stai bene?”

Gli iridi di smeraldo erano fissi, immoti sull’immagine dell’uomo: ne stavano captando ogni dettaglio oppure nulla?

Non un alito di vento turbava la pace di quella stanza, eppure una ciocca della chioma color sangue si mosse sulla fronte candida.

Di nuovo non le parve umana e si sentì in colpa. Aveva quasi repulsione per quella fanciulla. Non era da lei un pensiero così sciocco. Per convincersene le sfiorò le dita.

Le sentì calde, tenere, vive. Rassicurata da quel tocco le tolse la foto di mano per riappoggiarla sul comò di legno, dove era sempre stata. La prese per il polso e le indicò la strada.

“Usciamo. Ti mostro il resto della casa”

La guidò per il corridoio e la cucina, da dove veniva il profumo delle pietanze pronte per il pranzo.

La straniera, invece, restò a guardare ancora nel buio della stanza.

Aveva visto qualcosa che a pochi altri era concesso vedere. Alexandros la ricambiava con sguardo sollevato.

Il corpo evanescente di suo fratello si confuse con le ombre della casa fino a sparire. La salutò con un cenno del capo, che presto si sarebbero rivisti.

Non era ancora tempo di lasciarla andare.

Io ci provo: non so se un Cancer del genere è scredibile o toppo OOC e che impressione possa dare la protagoista. Se qualcuno mi avverte mi fa un grosso favore. Grazie a chi ha letto, recensito, aggiunto la storia tra preferite o seguite.Baci alla prox Lenna

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Capitolo 3
*** Presente e passato ***


Suo fratello aveva un occhio azzurro e uno verde. Per questo gli avevano dato il nome del grande condottiero macedone.

Alexandros amava oltremodo sua sorella. Per lei, aveva scelto il soprannome di un fiore. Diceva che i suoi capelli erano i petali, gli iridi di smeraldo le foglie, il suo sorriso, che si dischiudeva raramente, aveva la freschezza dei boccioli carichi di rugiada.

A questo ripensava la straniera, mentre lavava il basamento di una statua posta all’ingresso del campo femminile.

Avevano provato a darle diverse mansioni. Per nessuna si era tirata indietro. Si vedeva che era abituata a lavorare.

Avevano anche tentato ad instaurare un rapporto, ma lei non parlava, camminava tra le persone senza curarsi di nessuno. Ormai, nessuno notava il colore dei capelli o la carnagione troppo chiara. Il suo ostinato silenzio la rendeva quasi invisibile.

Delle allieve passarono alle sue spalle, rincorrendosi. Due sacerdotesse dalla maschera d’avorio la oltrepassarono lanciando una rapida occhiata.

Lei continuava a spostare la spazzola avanti e indietro, sul marmo lucente. Su quel lastrone, ci si poteva specchiare.

Si sedette un secondo a terra a gambe incrociate, per riprendere fiato. Riavviò dietro l’orecchio una ciocca sudata.

Aveva il fiatone. Con la fatica, il suo corpo le ricordava che era viva, ma l’anima era rimasta altrove.

Il suono del suo respiro copriva le urla della gente del suo villaggio, che le rimbombavano nella testa. Con un po’ di fortuna, avrebbe smesso pure di vedere Alexandros che la seguiva ovunque, preoccupato. Quell’immagine era solo frutto della sua mente.

Suo fratello, quello vero, era rimasto tra le macerie della loro casa: quando li aveva visti fuggire, il pazzo che aveva distrutto tutto, aveva lanciato un’onda d’urto.

Alexandros, che correva al suo fianco, aveva capito che non che non sarebbero riusciti a fuggire. L’aveva abbracciata, premendole forte la testa contro la propria spalla. Le aveva ripetuto che non l’avrebbe mai lasciata sola.

Al nemico diede la schiena. Poco dopo il vento li avvolse, la terra mancò da sotto i loro piedi. Ci fu un tremendo boato. Poi l’impatto col terreno, duro, impietoso, che non si curava dello scricciolare delle loro ossa.

Prima di svenire, la straniera aveva sentito un liquido caldo bagnarle il ventre.

Dopo qualche ora l’aveva svegliata il freddo. L'aveva sentito addosso, su tutto il corpo, come un peso che le impediva di muoversi. Infatti era bloccata. Nell’istante in cui aprì gli occhi e capì, iniziò a urlare.Con tutto il fiato che aveva nei polmoni.

Si allontanò da qualche metro da dove era, mise a fuoco l’orrore che si trovava attorno e riprese a urlare.

Vide il sangue sulla propria veste: quello di suo fratello. Alexandros era nella posa in cui la morte l’aveva colto, nel disperato tentativo di proteggerla, con gli occhi sbarrati, un rivolo di sangue che colava dalle labbra delicate.

Lei negò col capo. Volle svegliarsi. Attorno a lei c’erano corpi, fumo e rovine. Era sola.

Avrebbe voluto portare via Alexandros, o almeno salutarlo, ma non vi riuscì. Gli occhi gelidi di quel morto non erano quelli di suo fratello, che brillavano come braci di cometa. Quello non era lui.

Iniziò a correre per uscire dal villaggio, poi il sentiero, la strada, il Santuario. Corse fin quando le gambe la ressero, per ore, per arrivare ad Atene.

Si chiese perché l’istinto l’avesse condotta la, dopotutto, mentre raccoglieva da terra il secchio e la spugna. L’abitudine o un’illusione, forse.

Da quell’incubo Atena non l’avrebbe svegliata e l’ombra che la seguiva ne era la prova. Avrebbe dovuto chiudergli gli occhi prima di scappare, ma non vi riuscì. Non ne ebbe la forza.

Scacciò via una lacrima solitaria, la prima dopo tanto. Neppure piangere le dava sollievo. Così riprese a lavare, per cercare di non esistere. Neppure la morte le avrebbe strappato dall’anima un dolore così grande.

Cancer l’aveva stranamente incontrata ogni giorno, per qualche attimo solamente. Caso, o forse il desiderio di capire. Perché lei aveva la stessa espressione di certe maschere nel suo Tempio, composte e perfette in mezzo alle altre che si contorcevano. Ma quelle maschere erano immobili.

Quella strana creatura, invece, respirava. Non gli riusciva di chiamarla “donna”. Tali, per lui, erano quelle che si portava a letto o sistemavano le sue cose.Lei cos’era? Da viva, aveva l’espressione de morti.

Quel giorno aveva tempo e volle osservarla più a lungo. Si sistemò sul bordo di una fontana, a pochi metri dalla statua che lei lucidava.

Probabilmente assunse uno sguardo lascivo perché un soldato, passando, lo squadrò strano.

Alla straniera la sua presenza non faceva nè caldo nè freddo, come quella di chiunque altro. Lei strofinava il marmo e basta.

All’improvviso, però, cambiò qualcosa mentre si era fermata a riprendere fiato. Accanto a lei tremolava una figura evanescente, invisibile a ogni altro. Cancer realizzò che era uno spirito, un ragazzo.

La straniera aveva alzato il viso nella sua direzione. Aveva stropicciato gli occhi, da cui scendeva chiara una lacrima, cancellata in modo deciso e fugace. Raccolse secchio e spugna e passò attraverso allo spirito come se nulla fosse, per andarsene.

Dopo un istante di umanità era tornata un automa. Eppure, ne era certo, lei lo vedeva charamente. Il cavaliere si mosse tra i passanti, che si scansarono rispettosi al suo passaggio, la raggiunse.

L’agguantò per il braccio. La costrinse a voltarsi, mentre un bambino scappava spaventato dall’irruenza del suo gesto.

La fissò per lunghi secondi. Trovò che avesse qualcosa di innaturale, come le rose di Aphrodite, belle, ma che non appartengono del tutto a questo mondo.

Fu ricambiato senza paura: lei era inconsapevole di chi avesse innanzi e le leggeva nella mente.

Cancer vide l’intensità del legame fraterno, ma c’era altro.

“Perchè ignori così Alexandros?”

Lei inarcò appena le labbra. Posò a terra ciò che aveva in mano senza staccargli gli occhi di dosso.

Era la prima volta, da quando si trovava al Santuario, che si interessava a una persona. Era già qualcosa.

Stranamente, il cavaliere non si spazientì.

“Mi stai dicendo che lui esiste fuori dalla mia mente?Chi sei tu, che puoi vederlo?”

Era sincera e fu lasciata libera. Death Mask spiegò di essere cavaliere, indicò quale.

La straniera aveva udito della sua sinistra fama. Non aveva paura.

Era un piccolo miracolo che fosse uscita dal suo mondo e lo studiasse con stupore, come un bambino che vede per la prima volta qualcosa di magico e meraviglioso, che terrà sempre come il suo più intimo tesoro.

“Come ti chiami?”

Le chiese lui a un certo punto.

La vide arrossire. Forse non era così eterea, ma certo non meno bella delle rose che crescevano nel giardino della dodicesima casa.

“Mnemosine, signore”

La sua voce era sottile come il vento che attraversa i petali di un fiore, che passa tra le sue spine, trascina via un arcano profumo e si perde nel ricordo. Troppo leggera per essere reale e resistere al calore del sole di Grecia.

“Con tuo fratello, che pensi di fare?”

La straniera ci pensò.

“Non lo so”

Davvero non lo sapeva. Cancer però aveva visto il loro dolore.

“Sei l’ultima rimasta. E’ tuo dovere vendicarlo!”

Lo ruggì con un tono solenne.

“Non sono un cavaliere, signore”

La strattonò di nuovo per il braccio. L’attirò a sè.

“Dopo tutto quello che hai passato, come puoi dirlo?Per quale motivo credi che tuo fratello sia ancora accanto a te?”

Sentiva il cuore della fanciulla battere veloce, nonostante il pallore dell’incarnato. Lasciò che si voltasse verso il fratello per cercare la sua risposta.

Sentì parole che subito non avrebbe compreso.

“La vendetta non mi restituirà Alexandros e questo lui lo sa”

Vedeva chiaramente suo fratello assumere più potere, la sua immagine diventare più piena, segno che approvava sua sorella.

“I morti non cercano qualcuno che li vendichi, ma che li ricordi”

Alexandos sorrise. Sparì il sangue dal suo corpo. Cancer la lasciò andare, basito. Semplicemente non capiva.

Per lui, quel ragazzo era scemo pure da vivo.Eppure in cuor suo qualcosa non gli tornava. Mnemosine aveva molto da sistemare ancora. La allontanò da sè con un gesto deciso, tanto da farla vacillare.

“Allora perchè sei ancora così disperata?Le tue parole dicono una cosa, il tuo cuore dimostra altro.”

Aveva fatto centro, perchè la ragazza raccolse timida le proprie cose per poi andarsene.

Il fatto strano, però, fu che Alexandros, invece si seguirla, restò al fianco di Deah Mask.

Gli indicò un punto preciso, una persona coperta da un cappuccio.

Non appena si accorse di cessere osservata, la persona in questione girò i tacchi.

Era uno dei tanti mendicanti con la gobba e coperti di stracci.

Il cavaliere ne distinse solo una ciocca di capelli, sfuggiti alla copertura del cappuccio. Erano rossi come il sangue, identici a quelli di Mnemosine, ma oltre a quello, era qualcuno di completamente innocuo, ne era certo.

Fece per chiedere allo spirito del ragazzo, ma questo sparì.

Tornò a guardare verso il mendicante, ma non c’era più neppure quello.

Alzò le spalle e riprese la strada per la quarta casa. Se era qualcosa di strano, di sicuro per gli uomini non importava.

Della protagonista, che dire...è un personaggio che vorrei svelare poco a poco e spero tanto non risulti una mary sue, cancer, in questo capitolo forse l'ho un pò trascurato,rimedierò nel prossimo. L'importante è che non mi diventi troppo OOC o perlomeno palloso. Poi ringrazio chi ha recensito perchè mi da lo spunto per migliorare, chi legge, sperando che almeno un pò si diverta come faccio io mentre scrivo...per il resto, fatemi sapere che ne pensate, magari riesco a limare più danni possibile nel corso della storia. Grazie. Baci alla prox

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Capitolo 4
*** Cercando di capire ***


Death Mask finì d’un fiato il liquido cremisi racchiuso nel bicchiere di cristallo.

Quell’oggetto così raffinato cozzava coi suoi modi rudi, stonava con la la sua figura, con tutto ciò che lui era.

Rigirò il bicchiere vuoto tra le dita.

I riflessi del lampadario creavano strani giochi di luce rifrangendosi sulla superfice trasparente e perfetta.

Diafane figure si proiettavano sul muro immacolato innanzi a lui.

Liberò la mano dall’ingombro ponendolo sul tavolo. Concentrò l’attenzione sui giochi di luce e ombra che si paravano ai suoi occhi.

Braccia filiformi e dita che si rincorrevano, si disse. Sapeva che non era solo luce, ma anche intrecci di spiriti.

Simili manifestazioni non erano rare, all’interno della Quarta casa.

Ormai ci era abituato. Non si fossero verificati, forse si sarebbe sentito spaesato, privato. Si attaccò direttamente alla bottiglia, vuotandola del tutto.

Non aveva voglia di ubriacarsi, ma bisogno di pensare. A volte anche le belve più sanguinarie risploverano l’intelletto.

C’era un’immagine che si intrometteva nella sua mente e qualcosa che gl sfuggiva. Il mendicante indicato dallo spirito di Alexandros lo aveva colpito, nonostante tutto.

Non aveva cosmo, di questo era certo. Non era una minaccia, non per qualcuno del Santuario, almeno. Per esperienza sapeva che nella notte si celano molte “cose” che, nocive o meno, amano sfuggire all’umano sentire.

Quel mendicante, ne era certo, era uno di quelle. Mnemosine, non lo sapeva…L’aveva vista alla luce del giorno…delle tenebre aveva addosso il sentore, forse neppure lei stessa se ne accorgeva…

Il cappuccio e gli stracci del mendicante coprivano comunque un corpo che vantava i suoi stessi capelli: spruzzi di sangue fresco che schizza da un’arteria recisa, che brilla prima che soggiunga la morte.

Mnemosine pareva non avere sangue nelle vene. Per certi versi, davvero gli sembrava già morta.

Si era alzato da tavola. Aveva raggiunto la sala centrale della quarta casa, quella da cui passava chiunque chiedesse il privilegio da attraversarla.

Nel suo incedere, fu accompagnato da un turbinio di fuochi fatui. Era calmo, il custode di Ade, quella sera. Le maschere urlavano e piangevano meno del dovuto.

Si fermò dinnanzi a una di quelle senza espressione, di quelle che non tradivano la loro sofferenza.

La staccò dal muro e l’accostò davanti alla propria faccia. Cosa volesse fare, neppure lui lo discerneva con certezza.

Capire, oltre la paura e il disgusto voleva sapere.

“Spiegami”

La sua voce si perse tra quella dei fantasmi che aveva ucciso. Risuonò baritonale, profonda. Lo spirito di cui reggeva l’effige aveva udito la sua richiesta.

Gli si era portato al fianco e prendeva forma. Lo fissava con la stessa espressione della maschera. Aprì la bocca, non uscì un suono.

Cancer alzò la mano. Tutto attorno a lui si fece silenzio. All’oscuro custode importava di quell’anima solamente.

Le altre tacquero per paura e per rispetto. Anche tra i condannati vi era una gerarchia interna.

“Raccontami, fammi capire”

Cancer parlò di nuovo, a quell’anima e soprattutto a se stesso.

Il linguaggio dei morti non è lo stesso dei vivi e non è semplice da ascoltare.

Può essere un flusso di immagini che attinge a dentro di te e ti scava nel profondo. Gli spiriti vivono su un piano diverso della realtà e non hanno parole. Sono fatti d’aria, della stessa consistenza dei sogni e del pensiero. A questi si rifanno per comunicare e possono riaprire vecchie ferite.

Devi ssere abbastanza forte da non capitolare quando ti svelano nel profondo.

Cancer era sempre stato forte. Lo spirito aprì gli occhi, finalmente. Rivelò orbite vuote, da cui però sgorgavano lacrime. Inaspettatamente, aveva pure una voce.

“Cosa devo farti capire?Che sei un assassino lo conosci da te!”

Cancer ringhiò.Ricordava bene come aveva finito quella vittima.

“Tu!Tu maledetto ti sei gettato spontaneamente in Ade per mano mia!Non ricordi?Avresti potuto sottrarti al mio colpo, cosa che a pochi, fra quanti sono qui, è stata mai concessa! Allora io non volevo la tua vita. Tu!Tu spontaneamente l’hai offerta a me, tuo carnefice!”

L’anima sorrise. Se possibile, un ghigno più perfido del suo.

“Il Santo non capisce. Quale ironia in questo destino…”

“Spiegami dannazione!”

Cancer stritolò la maschera. L’aria sfrigolò come se si stesse accumulando elettricità. L’anima che lo derideva stava soffrendo. Una pantomima di dolore gli imbruttiva il volto fatto d’aria, dolore fisico e rabbia.

“Vuoi capire?E allora prova!”

Cancer si allontanò all’istante di un passo indietro. Le immagini che vedeva non erano diverse da quelle a cui era abituato: dei ragazzi spediti in Ade per mano sua, una donna che correva, un bambino.

Diverse erano le sensazioni che provava: percepiva con lo stesso cuore del possessore della maschera.

Riviveva il suo tormento. Si strinse le mani nei capelli, quasi a strapparli. Conosceva ogni più intimo recesso della tenebra che albergava in lui, l’aveva accettata con tutto il suo orrore.

I tormenti di quell’altro però non riusciva a sopportarli. Erano troppo. Urlò quando quelle persone, una a una, venivano risucchiati verso l’Ade.

Si ritrovò sudato, carponi, come le bestie che non sanno erigersi su due zampe. Scattò allora impedi, sudato, imbufalito.

Colui che era stato chiamato in causa, parlò.

“Quando tu me li hai strappati via, io sono rimasto a vederli morire, inerme. Avevo giurato di proteggerli e li ho lasciati in tua balia.

Li hai distrutti, a me non hai fatto niente. Mi hai sorpassato come se non esistessi. Io davvero non c'ero più.

Per questo ho voluto morire.Loro erano la mia vita. Adesso sai cosa si prova a morire pur avendo un corpo che respira. Maledetto ”

Cancer tremava dalla rabbia per quell’affronto, ma lo lasciò finire.

“I loro cari invocano allora il loro nome, sperando nel loro ritorno. Supplicano il Tonante e le loro preghiere si fermano a me.

Per non udirli più sono diventato pietra, più duro delle mura di questa Casa. Il prezzo era smettere di esistere. Ora non soffro più.”

L’anima tornò poi al suo posto, come maschera nelle mura. Non era per paura che si era ritratta. Il Custode lo sapeva.

Guardò innanzia sé il guscio vuoto dalla forma di volto umano. Le altre anime avevano ripreso coi loro lugubri lamenti.

Decise di sfogarsi altrove.

Sapere di essere malvoluto a quel modo lo aveva messo di pessimo umore, soprattutto perché, se uno solo così l’aveva tratto in difficoltà in quella maniera, gli altri sette otto che aveva in casa, il giorno che si fossero uniti nell’intento di fargliela pagare, gli avrebbero dato del filo da torcere.

Si allontanò quasi barcollando, anche se cercò di non darlo a vedere.

Non era ancora l’alba. Raggiunse il boschetto di fianco il campo d’addestramento.

Si sentiva ancora addosso le sensazioni di quel bastardo che aveva interrogato. Si sentì lo stomaco sottosopra.

Tossì. Un conato. Poco dignitosamente, diede di stomaco tra i cespugli. Si pulì la bocca, imprecando tutti gli dei che conosceva nella sua lingua natia.

Con tutto il cuore sperava di essere solo. Quando udì i rami piegarsi si sentì gelare. Stava ancora male per gli strascichi di quelle visioni.

“Chi è la?”

I rumori si fecero più distinti: chiunque fosse, si avvicinava.

“Vieni fuori o ti distruggo insieme a ogni cosa nel raggio di chilometri”

Qualcosa di rosso spuntò lentamente dal fianco di un tronco. Poco dopo apparve una tunica scura e la pelle troppo chiara di Mnemosine. Alle ultime tracce della notte, Cancer non ebbe dubbi sul fatto che non fosse del tutto umana.

La chiamò perentorio e lei si decise a uscire, nel suo modo calmo, senza paura.

“Che accidenti facevi la dietro? Mi spiavi forse?Razza di demone che trama nell’ombra!Che segreti nascondi, creatura immonda?”

L’aveva afferrata per il polso e inziato a strattonarla.

Aveva decisamente iniziato a sfogare la propria rabbia. La ragazza non disse nulla. Se provava dolore non lo diede a vedere. Cancer si fermò di scatto, sotto la pressione di qualcosa di morbido sul ventre.

Mnemosine, con se, aveva una borsa. Senza tante cerimonie gliela strappò e gettò lei a terra. Ne estrasse il contenuto. Una rosa bianca lo ghermì con le sue spine.

La guardà alla poca luce e riconobbe la belezza perfetta delle rose di Aphrodite.Si infuriò ancora di più, ritrovandosi ferito. I suoi occhi erano fiamma.

“Cosa te ne fai di questo fiore, strega? Come te lo sei procurato?”

Decisamente si era convinto che quella ragazza aveva un potere folle, con cui poteva trarlo in inganno. Ritrovò gli occhi di Mnemosine fissi su di lui.

“Me l’ha donato il custode delle dodicesima casa”

“Non dire assurdità: il Santo dei pesci custodisce queste rose come le cose più preziose. Mai si sarebbe separato di qualcosa di così gran valore per un essere insignificante come te!”

Gli fu risposto con la più semplice verità.

“Eppure lo ha fatto. Chiedete a lui, se non credete a me”

Furibondo lesse nella sua mente priva di barriere. Ripose il fiore nella borsa.

“Hai avuto l’ardire di chiedere una cosa così preziosa ad Aphrodite solo per portarla sulla tomba di tuo fratello?”

Mnemosine annuì, chinando il capo.

“Alzati e riprendi la tua borsa.”

La ragazza eseguì. Lo scrutava incerta, timorosa di sfiorare con la propria la sua mano. Prima di cacciarla via, fu fermata ancora.

“Che cavolo ci fai in giro a quest’ora? Un fiore puoi fartelo dare a ogni ora del giorno.”

La ragazza negò.

“Preferisco quest’ora. Al santo della Dodicesima Casa non ha dato fastidio. Poi è tutto calmo: non c’è ancora nessuno in giro e i servi non mi fanno domande, non devo dare risposte.Tutto è pace.”

“Sei un tipo da sarabanda, tu…”

Cancer si era decisamente calmato: stava ancora male e non gli conveniva fare l’idiota. L’attenzione con cui però veniva esaminato lo stava facendo alterare di nuovo.

“Se devi dirmi qualcosa fallo in fretta e vattene”

La osservò estrarre qualcosa dalla borsa. Con un fazzoletto di stoffa candida, la ragazza gli aveva pulito la guancia. Il cavaliere chiuse gli occhi un istante.

Quando li riaprì, dopo essersi dato del coglione per averlo fatto, tutto il fastidio era sparito. Stava di nuovo bene ed era sorto il sole. La ragazza se ne era andata in silenzio, senza aggiungere altro.

La vide inciampare e aggrapparsi a un ramo per non cadere. Era pallida. Malaticcia, si disse, ma di sicuro umana. Che gli avesse passato qualcosa lui?Se era stata lei a rimetterlo in sesto col suo tocco, forse non tutto gli esseri che vagano nella notte sono stati creati per recar dolore.

Stavolta mi sono dilungata più su Cancer...Come al solito ringrazio chiunque avrà voglia di raccontarmi le sue impressioni sul capitolo...Grazie a chi ha recensito e letto l'ultimo capitolo. Alla prossima.

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Capitolo 5
*** I pensieri di chi vive nell'ombra ***


Mnemosine era ritornata indietro, barcollante, imboccando la direzione contraria rispetto a quella presa DeathMask.

Dentro di sè, quella notte, aveva sentito fiorire due forze uguali, eppure opposte, destate dalla stessa persona.

Il cavaliere del Cancro stava male, per opera di qualcuno o qualcosa a lei affine. Fu un gesto dettato dal cuore, ma pure automatico.

Lo sentiva, lei e solo lei, o qualcuno come lei, aveva il potere di aiutarlo.

Ansimò e si accostò a un albero. Sotto le dita percepiva la superfice irregolare della corteccia.

Una fitta allo stomaco la fece piegare. Si accasciò, in preda a conati. Vomitò dietro ai cespugli.

Solo dopo una decina di minuti riuscì a rialzarsi. La voce di Alexandros le carezzava gli orecchi e le diceva di non mollare, che era forte, che era un peso che poteva portare.

Di nuovo in posizione eretta, si asciugò la bocca.

Non le girava più la testa e riprese a camminare. Qualsiasi malessere avesse sottratto al cavaliere, era stata in grado di superarlo.

Il cavaliere del Cancro aveva imboccato la direzione opposta. Non si era premurato di controllare le condizioni della ragazza.

Era invece preoccupato per ciò che lei si stava rivelando. Rientrato nel suo tempio, passò altero fra i fuochi fatui.

Guardò senza paura la maschera che poche ore prima gli aveva fatto passare momenti a dir poco spiacevoli. Si fermò qualche istante.

"Sta certo, amico, che presto verrò a capo della faccenda. Lo troverò, quello che ti ha aiutato. Sarà tuo compagno di sventura."

Gli angoli della bocca curvavano verso l'alto, tesi in un sorriso per metà beffardo e per metà ghigno. Era stanco, però, l'oscuro custode. Si ritirò subito dopo.

Diede le spalle all'intera sala e si diresse ai suoi appartamenti. Appena entrato nei lunghi corridoi tinteggiati di bianco, l'armatura si staccò dal suo corpo, per poi disporsi su un piedistallo incavato nel muro, a raffiguare il suo segno celeste.

La guardò appena, DeathMask, prima di proseguire. Si chiedeva perchè, quella notte, nonostante tutto, non l'avesse abbandonato.

Non si era certo comportato da signore, con quell'anima, nell'altra stanza. La risposta che seppe darsi fu uno sbadiglio. Avrebbe risolto l'enigma dopo qualche ora di sonno.

Non si era minimamente accorto della presenza che l'aveva seguito, dalla quarta casa al bosco e di nuovo al bosco alla sua dimora.

Un sorriso di scherno si dipinse sul volto pallidissimo del giovane, incorniciato da ricci selvaggi color del sague. Quelli come lui erano veloci, silenziosi e invisibili.

Soprattutto non si mescolavano agli uomini, se non per scopi ben precisi.Di certo non per aiutarli. Non di solito, almeno. La loro legge era chiara: se si affezionavano troppo agli umani pagavano un prezzo alto: la vita.

Lui alla propria pelle ci teneva. Cosa di cui alla sua simile, evidentemente, non importava. Si chiedeva perchè, poi. Che fosse innamorata del tenebroso cavaliere?

Lui un codice etico molto severo non lo aveva mai avuto. Di certo però non avrebbe permesso a una sua sorella di perire, specialmente per un demonio simile.

Forse lei era inesperta e non si era accorta delle colpe di quell'individuo. Cosa strana, dato che era riuscita a guarirlo, contrastando di netto la sua azione. Per salvarla poteva fare due cose: sistemare lui e controllare lei.

Non avrebbe permesso che lei perisse, non con un cuore così puro e dopo che erano rimasti così pochi.

Si ricalò il cappuccio sulla testa e saltò giù dalla balconata del cortile interno della quarta casa.

Era quasi l'alba. Gli abitanti del Santuario erano mattinieri. Si mise subito curvo e preparò il bastone a cui appoggiarsi.

Conosceva i vicoli per arrivare alla piazza del villaggio. Si sistemò in un angolo giusto prima che i venditori cominciassero ad allestire i loro banchi con le merci.

Gli passò accanto una donna con una cesta con del pane. Era una serva. Questa si fermò innanzi a lui e, inginocchiata, gli porse del pane ancora caldo.

"Gli dei ti rendano merito della tua carità, mia cara"

Disse lui, accettando la pagnotta. Era poco onesto, ma comodo, fingersi mendicante.

Osservò con lo sguardo la serva allontanarsi tra le vie ormai più popolate.

Se la sua sorella si fosse affezionata ad una persona così, magari avrebbe potuto capire. Ma di un pazzo assassino, che faceva soffrire le anime e gli causava tutti quei grattacapi, proprio non se ne poteva capacitare.

Ho messo in scena anche un altro personaggio, stavolta. Spero di destare almeno un pò la curiosità dei lettori. Sono sempre ben accetti pareri e critiche. Grazie a chi recensisce o legge soltanto. Un abbraccio a presto. Lenna

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Capitolo 6
*** Chiarimenti ***


Il sole era già alto e picchiava mostrando a pieno il calore di mezzogiorno.

Il mendicante portò il cappuccio a coprire meglio il viso e risprese a spiluccare il pane che gli era stato offerto in mattinata.

Ciò che vide lo lasciò basito.

Quella sua sorella camminava tra la folla, mostrando senza paura la particolarità del proprio aspetto. Possibile che non temesse di essere scoperta? Cosa la rendeva così sicura delle proprie capacità?

La osservò passare silenziosa, invisibile nel suo ostinato mutismo. Gli sguardi di quanti le prestavano un minimo di attenzione venivano respinti dalla sua fiera indifferenza.

Bastava dunque così poco per prendere in giro gli uomini? Evidentemente sì, data la facilità con cui girava la sua simile.

Molte volte la soluzione più geniale è la più folle o la più semplice.

Trovò che mai frase fu più azzeccata nel descrivere una persona.

Continuò a tenerla d'occhio. La ragazza aveva con sè una ramazza e degli stracci. Si era scelta un compito umile.

Lo spirito di un giovane la accompagnava, uno spirito che si voltò nella sua direzione con aria di sfida, che gli indicò un punto alle sue spalle.

ll mendicante si girò da quella parte e gli prese un colpo: Cancer!

Stava di nuovo bene, quel maledetto, anche troppo. Perchè andava dietro allo spirito del giovane anche lui?

Da quando gli spiriti, invece di chiedere il suo aiuto, gli davano addosso? A che gioco giocava quel fantasma?

Perso nei suoi pensieri, spaventato per la celerità degli eventi, non si mosse di un muscolo fino a quando Death Mask non gli fu di fronte e gli ordinò di alzare il capo.

Che il predatore potesse fiutare la sua paura? Evidentemente no: la dava semplicemente per scontata. Sudò gelido.

La voce imperiosa di Cancer lo obbligò ad eseguire il comando.

"Che c'è amico, sei sordo o solo idiota?"

Lui deglutì. Non riusciva a parlare. La voce gli moriva in gola. Inerte, si lasciò sollevare per la collottola.

Potè solo ringraziare che non gli andasse indietro il cappuccio. Quando iniziò a mancargli pure l'aria, udì finalmente una voce di donna.

"Perchè fate questo?"

Death Mask allentò la presa. Lo lasciò cadere come un peso morto a terra.

"Lo faccio per te, stupida!"

Quella sua sorella si chinò su di lui. Sui suoi occhi sterili, gli sembrò di scorgere pietà.

"Non vi ho mai chiesto nulla"

"Neppure io l'ho chiesto a te, eppure mi hai aiutato. Non voglio debiti con nessuno, soprattutto con te, mocciosa."

Il cavaliere, allora, tirò lei per un braccio e la scosse.

"Non vedi che questo disgraziato ti somiglia! Ha i tuoi capelli, la tua pelle e i tuoi occhi...e gli dei solo sanno cos'altro..."

"E allora? La mia madre naturale mi ha abbandonato ai pressi del villaggio dove sono cresciuta.

Fosse anche un mio fratello di sangue, per me questa persona è e resterà sempre un estraneo.

Non lo voglio morto unicamente perchè ho vissuto troppa violenza e il mio cuore, se dovesse assistere ad altra, non reggerebbe"

Il mendicante restò un atterrito spettatore. Mai avrebbe immaginato che il cavaliere della quarta casa le avrebbe prestato ascolto.

Infatti, dopo aver borbottato qualcosa, Death Mask aveva girato i tacchi contrariato. Dopo una manciata di secondi, la ragazza aveva ripreso ramazza e stracci.

"Aspetta! Permettimi almeno di ringraziarti. E' solo merito tuo se sono ancora vivo!"

Lei aveva solo annuito e si avviava.

"Dimmi almeno come ti chiami, cosicchè io possa raccomandarti agli dei, nelle mie preghiere. Sono povero, non potrei offrirti altro"

Non gli dava retta. La trattenne per il polso. Le mostrò i propri occhi. Non ottenne nulla.

"Io mi chiamo Kalen. Sono uno degli ultimi."

"Mnemosine."

La lasciò andare.

"Tutto qui? Sono un tuo simile. Non mi dici nulla?Io è da una vita che cerco qualcuno come me.”

“Cosa dovrei dirti?Tu per me sei un estreneo”

Lui insistette. Si ripetè più volte.

“Non capisci: siamo uguali! Abbiamo gli stessi poteri!”

Mnemosine si era resa conto, in quelle ultime ore, che in lei si era destata una strana forza.

“Allora spiegami: cosa sarebbero quelli come noi?”

Lui rimase spiazzato.

“Ti fai gioco di me o parli seriamente?”

Quando vide che, esasperata, se ne stava andando, intuì che era sincera. La incitò a seguirla fino a un punto più appartato, fuori dalle mura del villaggio.

Solo allora si tolse la copertura che teneva sul viso, mostrandosi per la sua giovane età.

Lesse stupore in quella fanciulla. Le permise di farsi toccare il viso.

“Sei reale? Come puoi somigliarmi così tanto?”

Sorrise, quasi commosso da quella ingenuità.

“In teoria ci somigliamo. Tu davvero sei cresciuta fra gli uomini ignara di tutto? Non ti eri mai accorta di essere diversa da loro?”

La vide sciogliersi. Non sapeva che era un piccolo miracolo.

“Dove sono cresciuta mi hanno amato. Se qualcuno mi offendeva per la stranezza del mio aspetto, la mia famiglia mi difendeva sempre, soprattutto mio fratello. Lui non mi abbandona mai neppure ora.”

“Lo vedo.”

La figura evanescente tremolò appena.

“Mi piacerebbe sapere perché tuo fratello ce l’ha con me e parteggia per Cancer.”

“Alexandros ha sempre agito per il mio bene.”

Era decisa nell’affermarlo e non sarebbe riuscito a convincerla del contrario.

“Se agisse per il tuo bene ti allontanerebbe da quel demonio! A quelli come noi non è permesso legarsi agli uomini, soprattutto a quelli come lui!

E’ stata una fortuna, per te, allontanarti dal luogo dove sei cresciuta. Avessi continuato a stare li, presto o tardi saresti stata punita! Tu…”

Avrebbe voluto raccomandarle di stare lontano da Cancer, chiarirle ogni dubbio, ma lei non glielo permise.

La rabbia in lei crebbe e rese forte il fantasma di Alexandros, tanto da permettergli di diventare tangibile.

Kalen prese a indietreggiare.

“Mnemosine, che …?”

Una stretta erculea gli serrava la gola e gli impediva di respirare.

“Fratello, no!”

Alexandros svanì in uno sbuffo di fumo, all’ordine di colei che gli permetteva tanto. Lei osservò il giovane boccheggiare.

“Quelli come noi forniscono alle anime che restano su questa terra le energie necessarie a portare a termine le faccende lasciate in sospeso. Tu sei la fiamma che alimenta Alexandros.”

A fatica si rimise impiedi.

“L’altra facoltà che abbiamo è inibire l’azione di qualcuno che è come noi. Però è una cosa difficile e di certo non indolore.

E’ quello che hai già fatto liberando il cavaliere della Quarta casa dal giogo in cui l’avevo stretto.”

Mnemosine era sconvolta. Guardava un punto alle sue spalle. “Ora ti chiedo: perché?

Non senti le urla che provengono dalla quarta casa? Non percepisci il dolore di quelle anime?”

Lei negò.

“Non ho mai ascoltato quelle voci. Le credevo frutto della mia mente.”

“Ascoltale! Sono reali! Sono il motivo per cui esistiamo. Portare a termine quel che ci chiedono è il nostro compito. Loro vogliono la testa di Cancer.”

Ora fu lei a tirarsi indietro, tremante.

“Tu sei pazzo.”

Kaleb cercò di trattenerla, ma l’immagine di Alexandros si frappose di nuovo tra loro e stavolta era più piena, minacciosa.

Quandò sparì, Mnemosine era corsa via, al sicuro all’interno del villaggio.

Come sempre posso dire: io ci ho provato. Stavolta ho spiegato un pò di più su Mnemosine, nel prossimo capitolo tornerà in scena Cancer. Ditemi che ne pensate... ben accetti anche commenti negativi. Un ringraziamento a chi ha aggiunto la mia storia tra le seguite I ringraziamenti diffusi alla prossima. Ciao!

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Capitolo 7
*** L'accordo ***


Mnemosine aveva iniziato a correre verso il sentiero che conduceva alle dodici case.

Non era mai stata veloce e, per la prima volta dopo tanto, il cuore aveva iniziato a batterle più in fretta nel petto.Sentiva il sangue scorrerle vorticoso nelle vene.Negli orecchi, aveva un rombo simile a quello di una cascata. Preda dell'emozione, fragile, umana.

Era piombata addosso al capitano delle guardie. L'aveva fatto sbilanciare ed era caduta. Non si era fermata a scusarsi.

Doveva correre. Nel suo villaggio non aveva avuto scelta. Li, anche con la forza, si sarebbe creata la possibilità di salvare qualcuno.

Poco importava se Death Mask non era innocente. Bastava solo che non morisse più nessuno. Piombò nella quarta casa urlando, senza preavviso. Invocava a gran voce il nome di Cancer.

Si accorse tardi di essere circondata dai fuochi fatui.

Avvenne quando un soffio gelido la avvolse e le si irrigidirono le membra. Si bloccò allora.

Si guardò intorno. Al suo fianco, davanti a lei, alle sue spalle: ovunque una testa incuneata nel muro reclamava la testa di Cancer.

Si portò le mani alle tempie: quel frastuono era assordante. Le voci si fusero in un sibilo penetrante che iniziò a lacerarle la mente.

Semplicemente si lasciò andare.

Se qualcuno non fosse accorso a sorreggerla, sarebbe stato un errore fatale.

Cancer era entrato in quella sala e, all'improvviso, tutto si era fatto silenzio. Poche ore prima, Alexandros si era manifestato a lui e gli aveva raccontato una storia.

Non era stata troppo esauriente, ma era onesta ed era il motivo che lo legava ancora alla terra: una vecchia promessa e la consapevolezza di non poterla esaudire.

Alexandros si era offerto come un agnello si offre al lupo: la propria anima per l'eternità, se solo avesse protetto Mnemosine. Qualcosa, allora, si era bloccato nel cavaliere.

Cancer aveva capito che c'era una parte inquietante in quella ragazza. Gli chiese perchè mai, accidenti, le volesse così bene. Il ragazzo non aveva esitato un solo istante.

"E' mia sorella, anche se appartiene a un'altra razza. Bisogna per forza dare un motivo all'amore?"

Death Mask ribattè di non poter capire i suoi motivi: lui l'amore non l'aveva mai provato.

"Mnemosine è un demone che cerca disperatamente di vivere come un essere umano, tu un essere umano che vive come un demone.

Avete scelto entrambi liberamente, anche se non del tutto coscienti della cosa. Siete molto più simili di quanto non credi."

Il cavaliere, pur potendo distruggerlo, era rimasto ad ascoltare.

"Io e lei siamo quanto di più diverso possa esistere. Ho rogne più grosse a cui badare. La fuori mi vogliono morto"

Alexandros era sempre stato un buon oratore. Anche se le parole non erano incoraggianti, capì, dal tono dell'interlocutore, che poteva convincerlo.

Giocò la sua carta migliore.

"Ti ha già salvato una volta dal mendicante. Se la terrai con te, potrà farlo ancora."

Cancer, allora, si alzò lentamente dalla poltrona. Sul viso, aveva un ghigno di sufficenza.

Passò in mezzo al ragazzo disperdendo la sua immagine che, probabilmente, non sarebbe più apparso in quel mondo.

La teneva tra le braccia, ora. Ne osservò il viso, pallidissimo.

Avesse avuto gli occhi aperti, brillanti come le gemme di primavera, forse il rosso delle labbra e dei capelli sarebbe stato meno sfacciato e fastidioso.

Era leggera. Non fosse stato per i contorni delicati del suo corpo, che gli impedivano di chiudere le dita, avrebbe pensato che sarebbe stata un sogno, fatta d'aria.

Eppure, i suoi passi per il quato tempio erano reali, come il respiro della creatura che trasportava.

La portò nella sua stanza e l'adagiò sul proprio letto.

Trascinò per sè una sedia e visi pose cavalcioni, con lo schienale davanti, sotto al mento. Per il momento l'avrebbe solo osservata.

Chiuse gli occhi e cercò di rammentare i particolari del racconto.

Cos'era che Alexandros gli aveva detto?

"Molto tempo dopo la creazione degli uomini, un dio alchimista e guerriero si innamorò di una femmina di demone.

Dalla loro unione nacquero due gemelli, Il secondo aveva pelle chiara, occhi verdi e capelli rossi. Aveva potere sugli spiriti vaganti della terra.

Era abile, pitente, guerriero. Col tempo ebbe una discendenza che sembrava forgiata a sua immagine, Peccò d'orgoglio: convinse i suoi a muovere guerra agli altri dei.

Lo scontro fu lungo e portò gravi perdite. Il demone-dio fu condannato a oblio e infamia, con lui i suoi discendenti. Fu obbligato, inotre, a vivere nell'ombra, ombra lui stesso, non più padroni, ma servi di quegli stessi spiriti erranti che ebbero l'ardire di chiamare al proprio fianco in battaglia.

Col tempo, la sua stirpe si fece invidiosa degli uomini, perchè questi potevano vivere alla luce del sole, avere un nome ed essere liberi.

Indurirono i cuori. Resero più severe le loro leggi, al punto che se un loro simile si affeziona troppo agli uomini viene esiliato, se ha l'ardire di amare uno di essi, viene ucciso.

La madre naturale di Mnemosine si era macchiata di entrambe le colpe.

Agonizzante, era riuscita a raggiungere il villaggio dove da bambino il ragazzo viveva con la famiglia. Lui era un bambino quando la piccola che sarebbe divenuta sua sorella fu affidata a suo padre.

La madre di Mnemosine svelò quanto poteva e si appellò alla loro pietà.

Quando suo padre e lui, che in quell'occasione era presente, accettarono, la misteriosa donna chiese che la piccola fosse chiamata "Memoria", perchè ricordasse da dove veniva e le persone che l'avessero amata nel corso della sua esistenza.

"Così come la amo io,che per lei dono la vita"

Poi, con un sortilegio, aveva immobilizzato tutti e due.

"Qualunque cosa accadrà, io ora so che, con voi, la mia piccola sarà felice"

Li ringraziò di nuovo e, seppur stremata, sparì. Dopo di allora, la cercarono a lungo, invano. Verosimilmente conoscevano la sua fine e desistettero.

A Mnemosine, avrebbero raccontato la verità nel momento esatto in cui la sua natura si fosse manifestata."

Cancer la vide girare il capoda una parte. Toccava a lui ,ora, testimoniare la verità.

"Sveglia, bella addormentata.!"

La voce di Death Mask suonava beffarda anche quando voleva essere solo simpatica e la sua, più che una battuta amichevole, risultò una minaccia a levare le tende nel più breve tempo possibile.

"Vuole ucciderti!"

Furono le prime parole che uscirono dalla bocca della fanciulla, non del tutto sveglia.

Il cavaliere alzò le spalle, un pò preoccupato, soprattutto curioso.

"Fra i tanti che vogliono farmi la pelle, chi è il disgraziato che conosci tu?"

"Kalen!Il mendicante che hai bloccato oggji! Quello che mi somiglia!"

La ragazza era agitata, l'altro circospetto.

"Come conosci il so nome e le sue intenzioni?"

"Me l'ha spiegato lui!"

"Sai cosa rischi, aiutando me e non lui?"

Ora fu lei ad essere sorpresa.

"La tua razza..."

"Non mi importa di chi mi ha abbandonato!"

Cancer, subito bloccato, si alzò di scatto. Le tirò unoschiaffo e la fece tacere.

Nel punto in cui l'aveva colpita, le sue dita sii erano impresse rosse e vive sulla pelle diafana. Contrariato, rigirò la sedia e si sedette normalmente, con lo schienale alle spalle.

"Adesso parlo io. Tu stai zitta"

Non era in grado di essre gentile e le vomitò addosso senza tanti complimenti quel che sapeva.

"Ora..."

Esordì a un certo punto

"Da quel poco che ho capito, il tuo sconsiderato gesto di salvarmi dai poteri dello straccione ti ha messo in una posizione scomoda, mia cara.

Se quel coglione col cappuccio lo riporta ai tuoi simili, rischi di fare, presto o tardi, la fine della tua povera mamma.

D'altra parte, gli stessi che si sono macchiati di quell'insano gesto, cercano di fare lo stesso con me"

Accostò di più la sedia al letto con le braci ardenti che aveva al posto degli occhi.

"Siamo sulla stessa barca io e te. Gli stessi individui ci faranno la pelle, tuttavia..."

Qui si tirò indietro, si appoggiò del tutto allo schienale. Incrociò le dita e se le pose in grembo. Non smise di fissarla per un solo istante.

"Continua ad annullare i poteri dei tuoi simili, se cercano di attaccarmi. Io proteggerò te.

Non ti torcerebbero un capello, mia cara.

Accetti?"

Mnemosine, del tutto scioccata, non rispondeva. Era sconvolta da quanto aveva appreso.

Per il cavaliere furono attimi che si dilatarono come secoli e pesarono come macigni.

Succede così, quando parte della tua esistenza è in mano a qualcuno di cui non si comprende l'anima, tantomeno il fine.

Attimi di puro silenzio.

.

Ringrazio: giuliettavr89,Mymoon96,Vale11, Violet Nearina,fenice88,Himechan,HOPE87,Mila83,ribrib20,sakura2480,Saphiras,Vale11, che hanno messo la storia fra i preferiti/seguiti/recensito. Su Mnemosine spero di aver chiarito un pò le cose. Death Mask è apparso poco anche qui, rispetto al mio progetto iniziale per questo capitolo e nel prossimo recupererò in tal senso, obbligatoriamente. Ribadisco che sono ben accerri commenri positivi, ma certo i negaticìvi mi servono comunque per migliorare. Un grazie particolare anche a chi legge soltanto. Ciao

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Capitolo 8
*** Quando il pericolo si fa realtà ***


“Cosa? No! Non voglio aiutarti! Perché dovrei?”

Cancer si alzò di scatto dalla sedia. Fremava dalla voglia di spaccarle la faccia. Si tratteneva giusto perché aveva bisogno di lei, e tanto.

“Sbaglio o pochi giorni fa frignavi perché non volevi assistere ad altra violenza? Se non mi aiuti di quella violenza non sarai solo spettatrice, ma anche oggetto!”

La ragazza si tirò indietro. Negò col capo e chiuse gli occhi. Portò le mani a tapparsi gli orecchi. Il cavaliere urlava troppo forte.

“Ti riserverebbero la stessa fine di tua madre. Moriresti, come tuo fratello.”

Lei continuava a negare, col capo, ma si muoveva più lentamente, che anche Cancer aveva abbassato il tono.

“Credi che tua madre e tuo fratello vorrebbero questo?”

Il cavaliere aveva imparato a usare parole “gentili”giusto quando voleva portarsi qualcuna a letto. Doveva essere diventato davvero bravo, perchè la fanciulla aveva abbassato le mani e con le dita stringeva convulsamente le lenzuola candide.

“Che ne vuoi sapere, tu, che pensi solo a sopravvivere, come le bestie?”

Per la prima volta, le lacrime di una donna lo spronarono a fermarsi per riflettere.

“Anzi, gli animali uccidono solo per procurarsi cibo o per difesa. Tu ci provi gusto. Sei un demonio.”

La fancuilla aveva raggiunto il bordo del letto e aveva poggiato i piedi nudi a terra. Continuò la riflessione senza essere fermata.

“Li sento, quelli la, tutti coloro che piangono nella quarta casa.”

Si volse verso Cancer e sipremeva la mano sul cuore.

“Come hai potuto fare a loro ciò che hanno fatto a mio fratello e a me? ”

Il cavaliere aveva ascoltato senza scomporsi l’analisi impietosa della sua persona. Una ragione la aveva, ma non aveva voglia di raccontare. Tuttavia, quando lei aveva ripreso a piangere, aveva provato ad asciugare le sue lacrime. Era compiaciuto che non si fosse tirata indietro, che non si sottraesse al tocco della sua mano.

“Non hai paura di me? Di qualcuno come me?”

La sentì negare, con la calma che la contraddistingueva, e rise.

Portò le dita al suo collo, in un gesto in cui, nei prossimi secondi, avrebbe potuto ucciderla o attirarla a sè. La luce della lampada si rifletteva con continuità sulla pelle di Cancer e di Mnemosine. Li avvolgeva come se fossero stati parti di un unico corpo.Lui si era aspettato di percepine il battito cardiaco accellerare. Nulla.

Allontanò appena il viso da lei e lo spostò di lato. Non l’aveva lasciata, ma era come se quegli occhi verdi lo avessero un po’ stordito.

“C’è stato un tempo in cui io ho avuto paura di quelli come me.”

Aveva posato la mano sul lenzuolo e poggiato la fronte su quella della ragazza.

“Poi sono diventato peggio.”

Mentre parlava la sua voce era un soffio caldo sulle labbra di quella creatura.

“Che accidenti mi stai facendo in questo momento? Anche le braccia stento a muovere. Sembro ubriaco.”

Riuscì, nonostante tutto, a staccarsi da lei. Poi un pensiero passò per la sua mente. Deglutì.

“Hai deciso di aiutare Kalen? Sgualdrina!”

La sua voce diveniva più fievole mentre Mnemosine congiungeva le mani dietro le sue spalle e si gettava addosso il suo peso.

“Cosa stai cercando di fare…?”

Con una certa fatica lei stava provando a sistemarlo in una posizione comoda sul letto e a un certo punto lo rovesciò supino, ma ci si ritrovò addosso.

Ora il cavaliere avvertiva distintamente il pericolo e, fosse stato libero nei movimenti e in altra situazione, avrebbe formulato ben altri pensieri.

Sentì le mani di Mnemosine far leva sul proprio petto per rialzarsi. Poi vide i suoi capelli cremisi che le cadevano a ciocche sul viso. Gli solleticavano la barba.

“Svegliati. Svegliati che arrivano!”

Il torpore andava e veniva. Era ancora frastornato.

“Svegliati. Giuro che ti aiuto!”

Il lampadario del soffitto, la luce accesa e Menosine vorticavano tutti insieme.

“Ti aiuterò. Prima scherzavo. Svegliati!”

Si accorse che piangeva, per via delle sue lacrime sulle mani.

“Andiamo…”

La porta si spalancò di colpo. Due figure coperte da mantelli logori avanzarono verso di loro. Mnemosine d’istinto lasciò Cancer e si pose impiedi innanzi a loro, le braccia spalancate e lo sguardo fermo.

Le due figure si tolsero i cappucci. Occhi verdi, pelle diafana e capelli rossi. Ma avevano un’espressione gelida che tutto era fuorchè umana.

“Scansati e forse non sarai punita.”

Mnemosine negò decisa e il pugno che la centrò al viso fu troppo rapido. Battè la testa alla parete e svenne all’istante.

Cancer ebbe bisogno di vedere il suo sangue macchiare la parete. Riuscì a stringere le dita e serrarle in un pugno. Urlò. Lui con un colpo aveva fracassato il cranio a un guerriero.

Mi rifaccio viva dopo tanto, sperando che il seguito della storia stuzzichi un pò la curiositò del lettore e non sia troppo noioso. Anche perchè sono pure stanca per cercare un titolo decente. Ciao Lenna!

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Capitolo 9
*** Il primo scontro ***


Si era destato all’improvviso e aveva ritrovato tutta la forza dirompente del proprio cosmo. Mentre quello già stecchito crollava a terra, aveva rifilato un gancio allo stomaco all’altro. Il secondo si piegò in due.

Il cavaliere gli diede le spalle e balzò verso l’altro lato della sala. Si accostò alla fanciulla e ne prese il viso fra le mani: lei respirava. Sosprirò anche lui e le riavviò una ciocca di capelli con una dolcezza che non aveva mai mostrato prima d’allora.

“Tu scherzavi quando la prima volta ti sei opposta ad aiutarmi, ma questi non sono come te.”

La prese in braccio e si lanciò verso la finestra. Non ci pensò due volte a buttarsi di sotto.

Atterrò leggero a terra. L’istinto gli diceva di allontanarsi quanto più velocemente possibile dalla quarta casa, lui, che ne era il custode. Digrignò i denti.

“Svegliati!”

Si guardò attorno, incerto. In un primo momento pensò di dirigersi al villaggio, ma la sensazione di essere braccato gli serrava lo stomaco. Strinse a sé di più la ragazza.

Aveva bisogno di un posto tranquillo per riordinare le idee, magari del consiglio e dell’aiuto di qualcuno. Mnemosine mugolò leggermente prima di aprire gli occhi. Stava per chiedergli qualcosa, ma intuì che era meglio tacere. Era stanca e la testa pulsava.

“Che accidenti cercavi di fare prima? Se ti trovi faccia a faccia con un nemico che non puoi battere, devi scappare!”

A quelle parole lei si indurì e la sua espressione divenne triste.

“L’ultima volta che sono scappata ho perso tutto.”

“Giusto. Hai fatto bene a restare. Hai rischiato di rimetterci le penne ma hai guadagnato me!”

Era una delle poche volte che lui provava davvero di essere simpatico.

Mnemosine lo guardava pensierosa. Quel ghigno che cercava di assomigliare a un sorriso le sembrava proprio un tentativo mal riuscito. Lei, invece, sapeva sorridere. Temeva di aver dimenticato come, ma le tornò naturale. Immutata fu pure l’emozione che con quel gesto causava nelle persone. Non si accorse di aver ottenuto quell’effetto con chi la trasportava.

Cancer taceva. Nonostante il pericolo era quasi sereno. Almeno più del solito, di tutti i giorni in cui si recava in battaglia. Continuava ad attraversare il sentiero che costeggiava le dodici case per raggiungere l’ultima.

Era in vista del giardino di Aphrodite. Trovava il profumo delle rose sempre più penetrante.

“Riesci a sopportare l’aroma dei fiori?”

La vide annuire, ma sentì che gli stringeva le braccia al collo. Inarcò un sopracciglio, sorpreso.

“Non hai paura di me e temi un mucchietto di fiorellini?”

Lei, aggrappata alla sua spalla, scrutava preoccupata l’immenso tappeto rosso che ricopriva quasi interamente le scale.

“Sono velenosi!”

Poi spostò gli occhi sul cavaliere, che se la rideva.

“Come lo sai? Bella, temeraria e pure perspicace!”

A lei, dei suoi lazzi, non importava.

“Non vorrai passarci in mezzo? Ci ammazzeremo!”

L’espressione di Cancer, stavolta, la tranquillizzò.

“In mezzo a queste rose velenose ce ne sono anche alcune normali, che tracciano un percorso sicuro verso la dodicesima casa. Solo noi custodi dorati sappiamo dove poter mettere i piedi senza restare uccisi.”

Lei nascose il viso contro il suo petto.

“Sei sicuro di ricordare dove passare?”

“Per chi accidenti mi hai preso?”

Sbottò stizzito.

“Certo che ricordo dove passare! Non sono mica deficiente.”

Death Mask non aveva i capelli lunghi; se li senti tirare.

“Deficiente forse no, ma lento sì! Ci sono alle calcagna.”

Il cavaliere girò il viso nella direzione puntata dal dito della fanciulla e quasi la lasciò cadere, in un moto che poteva parere sconforto, ma era soprattutto seccatura.

Mollò Mnemosine dopo pochi gradini, raccomandandole di non spostarsi.

“Dove ti ho messa io ci sono rose normali, metti i piedi due centimetri più in la e cadrai vittima delle rose di Pisces.”

Lei obiettò che anche l’odore di quelle rose poteva essere fatale.

“Sei una specie di demone, no? Non avrai danni per tanto poco!”

Aveva aperto ancora la bocca ma il monito del cavaliere unito alla sua espressione rabbiosa era un invito più che sufficiente a tacere.

Restò a contemplare la mole statuaria di quella persona mentre si allontanava e incrociò le braccia in grembo, come ad abbracciare se stessa. Si sentiva estremamente fragile. Una sensazione spiacevole si impossessava di lei. Qualcosa di sottile e insondabile.

“Fa attenzione!”

Gridò a Cancer che era deciso a fronteggiare apertamente gli aggressori.

“Tranquilla! Tra poco ce ne saranno tre di meno.”

Allo stesso ritmo dei passi del cavaliere, altri passi, però, si avvicinavano alle sue spalle. Una mano scivolò con le sue dita gelide a tapparle la bocca. La ragazza percepì un brivido salirle lungo tutta la spina dorsale mentre le forme di un corpo freddo e rigido aderivano alle sue e bloccavano ogni suo movimento. Tremò con ogni fibra del suo essere.

Una forza che nasceva neppure lei sapeva da dove la portò però a divincolarsi. Riuscì a strappare solo le labbra a quella presa troppo forte e chiamò di nuovo Cancer.

Il cavaliere si voltò, spazientito. Quando realizzò chi l’aveva presa restò senza fiato.

Una goccia fredda gli passò vicino alla tempia e colò fino alla guancia.

Riconosceva benissimo l’essere che teneva ferma Mnemosine. L’aveva ucciso, una volta. L’aveva affrontato pochi giorni prima, all’inizio di tutta quella storia. Quel volto privo di occhi l’aveva fracassato lui, con le sue mani.

Si guardò le dita e poi tornò a guardare la scalinata. Stava impazzendo? Altri tre ammantati comparvero dal nulla e si posizionarono ai lati della scalinata, ben attenti a non calpestare i gradini.

Si levarono i cappucci quasi all’unisono, tranne uno, che il cavaliere intuì essere quello che reggeva le fila del gioco. Quello, concentrato, gli dava le spalle, rivolto verso i templi precedenti.

Cancer li sentì ripetere tutti insieme una strana litania. Non conosceva la lingua, ma era qualcosa di ipnotico.

Capì che più tergiversava, più la situazione degenerava. Se ne faceva fuori il maggior numero possibile, probabilmente l’efficacia della loro azione sarebbe diminuita.

Mnemosine aveva cominciato a star male, la vide abbandonarsi tra le braccia di quella cosa.

“Lasciala andare, maledetto! E’ me che vuoi, no?”

Sollevò l’indice in aria, pronto a risucchiare tutti verso Ade. Doveva fare in fretta. Molte altre figure erano apparse sulle scale verso la dodicesima casa. Spalancò gli occhi. La lingua gli si era quasi bloccata.

Lui, vassallo della morte, desiderò con tutto se stesso di possedere il dono di infondere la vita. Avrebbe voluto far rinascere quel fantasma per poi ucciderlo altre mille volte ancora, nei modi più tremendi che conosceva.

Stava perdendo. Più realizzava di essere debole e più quell’altro acquistava forza.

“Lasciala andare!”

Allentò le braccia lungo i fianchi. Le sue dita, strette a pugno, fremevano.

“Devi lasciarla! Lei appartiene a me.”

Il volto senza occhi, che ormai vantava pure un corpo tangibile, si girò verso la ragazza. Mnemosine era svenuta.

“Tu tieni a lei. Sembra così assurdo. Tu, che tieni a qualcosa…”

Disse rivolto a Cancer.

“Quale immenso potere è nascosto in lei, per esserti tanto preziosa?”

Gli rispose il demone col viso coperto.

“Lei non ha poteri, ma solo colpe. Noi esistiamo per aiutare quelli come te a compiere le opere lasciate in sospeso.

Questa la condanna che scelsero per noi gli Dei. Se ci ribelliamo, la punizione è la morte. Lei aspetta solo il colpo fatale. Per cui non esitare. Gli Dei guidano la tua opera, ora.”

La maschera si girò verso Mnemosine.

“L’unico peccato che io vedo è di essere legata a un assassino. Nessuno fra gli Olimpi può chiedere per questo motivo la vita di una persona. L’anima di questa ragazza è ancora pura.”

L’incappucciato chinò il capo.

“Eppure è così da millenni.”

C’era amarezza nella sua voce, voglia di riscatto.

Sentimenti che lo distraevano e lo rendevano una preda più facile. Cancer se ne accorse e cercò di volgere la cosa in proprio favore. Gli strati di spirito, non annunciati, raggiunsero in pieno il capo di quello strano gruppo.

“E’ fatta!”

Il cavaliere esultò troppo presto. Erano spariti tutti, ma l’incappucciato restava dov’era. Impassibile, il demone iniziò ad avanzare tra le rose di Fish, immune all’effetto del veleno. Aveva un portamento regale, nonostante il manto logoro. Quando, poi, si decise a mostrare il viso, nella perfezione dei suoi lineamenti, il cavaliere riconobbe un alone divino.

Una cicatrice, che deturpava la guancia e saliva fino all’occhio destro, che restava chiuso, lo rendeva in parte selvaggio. L’aspetto era nell’insieme giovane, ma la saggezza che emanava il suo cosmo era antica.

Cancer non ebbe dubbi su chi si ritrovava davanti.

“Qual è il tuo vero nome, essere metà demone e metà dio?”

Il chiamato in causa esibì un sorriso per certi versi simile al suo.

“Mi chiamano in molti modi e nessuno ti riguarda. Ti risponderò quando entrerai nel numero di quanti sono costretto ad aiutare, forse.”

Cancer, anche se gli tremavano le gambe, gonfiò il petto.

“Non ti è bastata la lezione degli Olimpi, vecchio mio? Se concedi soddisfazione a uno come me, Zeus s’arrabbierà.”

Il suo avversario continuò ad osservarlo.

“Magari ne ho voglia… di far arrabbiare un po’ il vecchio satiro.”

Gli girò attorno come un predatore pronto all’attacco.

“Sento l’odore della tua paura e avverto il tuo cosmo crescere.”

Studiò la sua preda indietreggiare di un passo.

“Ho sempre ammirato questa contraddizione in voi esseri umani. Soprattutto in uno come te, che non sei certo un santo.”

Cancer non riuscì a inghiottire il groppo che gli si era formato in gola. Una mano artigliata gli aveva serrato la carotide e impediva il flusso di sangue.

“Ancor più mi spiace dover distruggere te, che addirittura brami una mia creatura.”

Il cavaliere, sollevato da terra, agitò i piedi in quella stessa aria che gli mancava dai polmoni.

“Chissà, magari verrò presto a chiedere perdono a lei e a te”_indicò con un cenno del capo Mnemosine_ “dalla’altra parte. Ma non oggi.”

La stretta attorno al collo del cavaliere diventò insopportabile.

Il demone fissò i propri occhi di giada, dispiaciuto, in quelli di carbone di Death Mask. Aggiunse un addio, che il cavaliere non udì. Cancer sbattè violentemente a terra, ma il dolore lo risvegliò. Il suo unico pensiero era sopravvivere e non da solo.

Si affrettò ad alzarsi. Si guardò attorno. Trasalì nello scorgere un rivolo cremisi colare dalla guancia non deturpata del suo assalitore. Un altro cosmo dorato si avvicinava.

Una rosa bianca spiccava tra quelle rosse nel tappeto vicino ai loro piedi.

Il demone giardò il cielo e il sole di mezzogiorno. Sbuffò.

“Lo sai: tornerò per finire l’opera.”

Death Mask sostenne il suo sguardo con aria di sfida.

“Quando vuoi. Ti aspetto.”

Lo tenne d’occhio finchè non sparì, come uno sbuffo di fumo, dal suo campo visivo. Raggiunse Mnemosine, ancora svenuta. Gettò via, con rabbia, la maschera senza occhi, riversa, innocua, vicina alla ragazza.

Una mano, aggraziata, gli sfiorò la spalla.

“Mai stato così felice di vederti, principessa.”

Non so se è palloso perché è lungo, non so se i personaggi sono credibili, non so se come faccia a faccia tra protagonisti e nemici è accettabile. So solo che ci ho provato e mi piacerebbe tanto sapere che ne pensate.

Baci Lenna

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Capitolo 10
*** Il passato del nemico ***


“Mai stato così felice di vederti, principessa.”

Cancer lo derideva paragonandolo all’eroina di una fiaba, una di quelle per bimbette, che finiscono bene. Quella volta era tremendamente sincero, stanco.

Aphrodite finse di ignorare il fatto che la abbracciasse e il sentimento rivelato con quel gesto. Si soffermò a osservare entrambi. Era certo di quello che aveva visto. Non era stupido.

“Che legame c’è tra questa ragazza e il tizio che ti ha attaccato?”

Il Cancro si irrigidì. Gli diede le spalle.

Da quando non erano più amici?

“Che c’è di così grosso dietro da doverlo nascondere persino a me?”

Aphrodite lo agguantò per il braccio. Lo costrinse a voltarsi. Si erano sempre detti ogni cosa, loro. Conoscevano segreti, l’uno dell’altro, che mai e poi mai avrebbero dovuto essere rivelati.

“Da quando non ti fidi più di me?”

C’era risentimento e offesa nella sua voce.

L’amico si decise a prestargli attenzione.

“Non è come le altre volte, tesoro. Quindi aria.”

Aveva enfatizzato le parole con un cenno del capo. Voleva che se ne andasse.

“Te lo sogni! Adesso parla!”

Sbuffò a quella prestesa. Mostrò di nuovo il volto, sfinito. Non aveva più voglia di scappare.

“Sono nella m. … Vuoi finirci con me? Poi non riuscirei a tirarti fuori.”

Il sorriso complice dell’altro lo rassicurò.

“Sbagli a considerarmi impedito come lo sei tu.” Soddisfatto, Pesci si era portato al suo fianco. Gli aveva posato la mano, delicata, sulla spalla. L’altro, come al solito, aveva sbuffato.

“Non mi toccare con quelle dita laccate da donna! Mi fa senso!”

Anche se quelle stesse dita maneggiavano fiori mortali.

Rispose col solito ghigno al sorriso etereo del compagno. Dopo poco, aveva iniziato a raccontare.

Aphrodite aveva sorbito delicato il vino rosso dal bicchiere di cristallo. Girava con una camicia di seta leggera, aperta sul davanti. Il ventre, glabro e perfetto, si intravedeva gentilmente. Era rimasto ad osservare le ultime gocce che si addensavano sul fondo trasparente.

“E’ fuori da ogni logica il tuo racconto. Eppure…”

La sua attenzione fu rivolta alla fanciulla, che dormiva beatamente, rannicchiata in posizione fetale, sul suo divano di pelle bianco.

“A me lei non sembra così agghiacciante. Magari, la tua Mnemosine è meno pericolosa di quanto pensi.”

Aveva sottolineato quel tua con una strana inflessione della voce, ma non ne fu colta la sfumatura. Decise di mostrarsi superiore a quella indifferenza.

“Avvertirai la Dea e gli altri cavalieri d’oro?”

Cancer inarcò un sopracciglio.

“Perché dovrei raccontare i fatti miei? Sono io in difficoltà, non quella cretina col sedere foderato di merletti.”

Il suo tono di voce era andato leggermente salendo. Il bicchiere da cui lui aveva bevuto era già vuoto da un pezzo. Si era passato una mano sulla faccia e poi tra i capelli.

“Io ho agito sempre e solo per me stesso. Gli altri non mi aiuterebbero, mai. Anzi, sono io che non accetto l’aiuto di nessuno di quegli ipocriti.”

Aphrodite tacque. Era consapevole che, qualsiasi parola fosse uscita dalla sua bocca, non sarebbe mai stata ascoltata. Tentò comunque.

“In ogni caso, il loro aiuto sarebbe utile. La dea ti proteggerebbe. Rimani sempre uno dei suoi paladini.”

Mentre parlava Cancer riuscì ad andare in bagno, passare dalla cucina, aprire una nuova bottiglia di vino e vuotarla fino alla metà.

Da tempo rassegnato a certe cafonaggini, il custode della dodicesima si era riempito da solo il proprio bicchiere.

“Cosa posso fare per te?”

Era serio. Una volta tanto lo fu pure il suo interlocutore.

“Proteggila fino a quando non torno.”

“E dove hai intenzione di andare, di grazia?”

Cancer scrollò le spalle.

“Dal bibliotecario, credo. Di vecchie leggende e stupidate simili è un esperto. Nei suoi vaneggiamenti troverò certo qualcosa.”

Aphrodite annuì distrattamente e sospirò. Mnemosine dormiva ancora e lui era rimasto solo.

Death Mask, curvo sulle panche della grande sala, decifrava i segni che aveva sotto agli occhi. Non gli era mai piaciuto studiare, ma era sveglio. Il greco antico lo aveva imparato subito, con una scioltezza che i suoi pari ancora gli invidiavano. Non lo sapeva declamare, perché era troppo rozzo. Ma pure con le pergamene più arcaiche, dove pure i sacerdoti avevano dubbi, lui intuiva il significato nascosto. Lui sapeva leggere tra le righe, svelare ciò che è celato.

Gli si era dipinto un sorrisetto particolare mentre avanzava nella storia. Non si accorse subito del piatto che gli era stato posto vicino.

Alzò solo un attimo il viso, seccato, verso il servetto tremante.

“Che c’è?”

“Mi manda il bibliotecario. Dice che ne avrete per tutta la notte e, così, mi ha incaricato di mandarvi la cena.” “Posalo e vattene.”

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e sgusciò veloce nelle ombre lunghe della sera che si facevano strada nell’ampio salone, in mattoni a pietra viva, illuminato solo da candelabri e bracieri.

Dalle finestre, immense, si potevano quasi toccare le stelle che brillavano in cielo. Il vecchio gli si avvicinò con passo stanco. Ci vedeva poco e si appoggiava a un bastone lavorato, col manico in avorio a formare una testa di nottola.

“Trovato ciò che cercate?”

Un mugugno con la bocca piena fu la risposta affermativa. Lo conosceva fin da piccolo e amava la sua mente brillante. L’aveva visto spesso rifugiarsi tra quelle mura. Era convinto che fosse il suo modo per sopportare la solitudine: quella di Cancer, di un ragazzo che vedeva i morti, era particolarmente difficile da sopportare.

Il vegliardo, avvolto nella sua tunica azzurro pallido, allungò il viso verso i fogli che allettevano tanto il lettore. Impallidì e quella reazione colpì il cavaliere.

“Ne sai qualcosa?”

Trasse per sé una sedia.

“Non molto in verità. Ci sono leggende più belle.”

“A me interessa questa.”

Si lisciò la barba. Esibì uno sguardo strano.

“Posso ardire a chiedervi perché? C’entra per caso la straniera, la ragazza che parla solo a voi?”

Cancer l’afferrò per il collo.

“Sono vecchio. Non temo la morte. E nella parte più scura di Ade ci finirei comunque.“

Boccheggiò.

“Farò in modo di rendere terribile quel poco che ti resta.”

Cercò di divincolarsi e fu lasciato andare. Capì, però, che non ci sarebbe stato un secondo avvertimento. Trovò il coraggio di sostenere lo sguardo del sacro custode, lo vide inarcare un sopracciglio.

“C’è un altro, come lei, che ogni anno torna sempre a visitare un punto preciso del grande tempio.”

Il vecchio sfogliò il tomo che c’era sul tavolo e indicò una figura con l’indice rugoso.

“Ha gli stessi occhi e gli stessi capelli della straniera, ma è alto, possente. Ha il passo più leggero delle vestali, lineamenti delicati quasi come quelli del sommo cavaliere di Pisces, però ha una cicatrice a destra.“

L’indice battè di nuovo sulla carta ingiallita. Cancer si accorse di sudare freddo e di essere diventato titubante.

“Sicuro di non aver solo visto uno che gli somiglia?”

“La prima volta che l’ho visto ero bambino: un apprendista. Era il tramonto e dovevo ancora acchiappare un maledetto coniglio, dalla mattina. L’animale entrò nel bosco e io lo seguii. C’era qualcosa di strano, nell’aria.

All’improvviso trovai uno seduto su una pietra. Portava un mantello scuro, rovinato. E quei capelli... Davvero mi parvero sangue. Di sangue aveva la bocca sporca.

Rimasi immobile a quella vista, paralizzato. Lui si pulì le labbra con una mano, sporca anch’essa. Nell’altra teneva qualcosa di straziato. Non so… un altro coniglio credo. So solo che lo stava mangiando crudo. Gli si muoveva ancora sotto le fauci quella povera bestia. Me lo ricordò ancora che spalancava la bocca per staccare la carne. Aveva canini lunghi quanto il mio naso.”

Il vecchio si sistemò gli occhiali. Non vantava certo il classico profilo greco, col naso storto e aquilino che gli troneggiava in mezzo alla faccia.

“Le sue dita brillarono agli ultimi raggi del sole e mi accorsi che aveva anche gli artigli, più lunghi dei denti.

Si curò di me solo dopo qualche istante, quando aveva finito. Stava per dire qualcosa, ma sono scappato. Da allora non ho più voluto assaggiare carne di coniglio.”

Aveva già raccontato quella storia, in verità, e ogni volta l’avevano preso per matto. Rendendosi conto che l’ascoltatore teneva le sue parole in gran conto, continuò.

Si protese dalla sedia, verso le pagine sgualcite. Andò avati di un paio di capitoli. Indicò un’altra immagine. Lo stesso personaggio carezzava, di profilo, una strana pietra.

“Che rappresenta?”

Il vecchio, sorpreso, gli rispose con ovvietà.

“Una tomba. Si dice che vi sia sepolta una antica abitante di Rodorio: una vestale macchiata di ignominia.”

Cancer si soffermò di più sul disegno a china. Più vi poggiava lo sguardo, più gli sembrava che in esso aumentasse il numero dei dettagli. Si massaggiò le palpebre, autoconvincendosi che fosse un effetto della stanchezza.

“Che c’entra la vestale con lui?”

“La ragazza fu uccisa per una condanna infamante: era incinta, quando, invece, doveva restare pura.”

Il cavaliere sorrise in un gesto d’apprezzamento.

“Il bambino era di quell’essere.”

Il vecchio annuì e girò la pagina. La nuova illustrazione mostrava un campo di battaglia e un cavaliere in armatura nera che avanzava tra i cadaveri.

“Lui tornò a vendicarsi. Fece strage dei carcerieri e dei cavalieri accorsi. Non risparmiò neppure le vergini vestali, compagne della donna. Fece tutto da solo, in una notte appena.”

“Finisci.”

Gli intimò a quel punto Cancer. Il racconto era quasi completo.

“Al mattino trovarono sangue e il segno di artigli che graffiavano le porte degli appartamenti privati di Athena. Era arrivato fino a li, e la sua furia avrebbe ucciso, se il sole non fosse nel frattempo sorto. Si narra, infatti, che il suo potere sia presente solo di notte.”

Dall’altra parte c’era solo la copertina logora.

“Zeus riuscì a fermarlo. Lo ferì al viso: la cicatrice. Gli infierì una condanna, per l’ardire che aveva avuto, a lui e alla sua gente.

Gli intimò di non tornare mai più al Santuario di Athena, sua figlia prediletta. Lui accettò, ma c’è un giorno, ogni anno, in cui trasgredisce quell’ordine.

Il giorno in cui ricorre l’anniversario della morte della fanciulla che aveva amato. In quel giorno torna a piangere sulla tomba. Il giorno cade oggi. Sono sicuro che adesso è alla zona destinata ai traditori.

Aspettando qulache minuto, lo troverò la. Io faccio così da quando sono bambino e lo trovo ogni anno. Magari è anche per questo che dicono che sono matto. Mi passa ogni volta un po’ della sua follia.”

Il cavaliere fissò stralunato il vecchio, che si era alzato dalla sedia, ignorandolo.

“Dove credi di andare, ora?”

L’uomo, confuso, si fermò un altro momento.

“Ve l’ho detto: a trovare lui, come ogni anno.”

Sul suo viso rugoso si delineò un alone sinistro.

“Venite con me?”

Chiuso con un gesto secco il libro, del tutto consapevole, davvero impaurito e soprattutto incazzato, Death Mask aveva deciso di andare. La notte stava per finire e, se quel che affermava il vecchio era vero, con essa i poteri del demone.

Quella poteva essere una delle poche occasioni per farlo fuori. A lui, di certo, non mancava il coraggio per rischiare.

Perdonate il ritardo dell'aggiornamento, ma non è semplice, per me, riuscire a terminare una storia. Spero che il seguito piaccia e, per critiche o apprezzamenti sono qua. Scrivo per me, ma anche per migliorare. Spero a presto: l'ispirazione non è mai un'ospite fissa a casa mia.

Baci Lenna

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Capitolo 11
*** Faccia a faccia ***


“Di un po’: manca ancora molto?”

Il cavaliere aveva allontanato con stizza l’ultima fronda che gli si era parata davanti alla faccia. Era già inciampato due o tre volte con le radici che sbucavano dal terreno e rendevano irregolare il tracciato del sentiero.

Come se non bastasse, il bibliotecario, che si appoggiava al bastone, procedeva con una lentezza per lui intollerabile.

“Accellerare un po’ il passo, nonno? Se continuiamo così arriviamo che è già mattina.”

“Ogni cosa a suo tempo. Oppure potete precedermi. Conoscerete sicuramente la strada.”

“Non mi sembra cortese.”

Le parole erano state pronunciate senza ringhiare. Il vegliardo si girò stranito.

“Ho molti anni, ma non sono così rincoglionito. In altra occasione mi avreste già ucciso per il fastidio che vi reco. Avete così tanta paura, prode Death Mask? Così tanta, da accontentarvi persino dell’aiuto di un povero vecchio?”

Il cavaliere lo sorpassò e non rispose.

“Credi quel che ti pare.”

Borbottò continuando verso il cimitero. I versi degli animali notturni erano ben percepibili e si confindevano col rumore della brezza primaverile che stormiva tra le foglie. Si dice che gli animali percepiscano in anticipo il pericolo, che, se serve, diventano più invisibili e silenziosi di ombre, per sottrarsi ad esso.

Gli animali, manifestando la loro presenza, sembravano dirgli che non c’era pericolo. Almeno, questo era ciò di cui voleva convincersi lui. Una mano lenta sulla spalla lo distrasse da quel pensiero. La sua guida gli era al fianco e indicava un’entrata secondaria del cimitero, uno stretto cancello di ferro con i cardini in parte divelti.

“Venite, di qua.”

Gli disse approssimandosi alle sbarre arrugginite e cercando di spostarle per permettere il passaggio.

Il cavaliere afferrò il cancello con una mano e lo scardinò del tutto. Entrò e non ci mise tanto, tra quelle tombe di cui nessuno si curava, coperte di muffa ed erbacce, ad individuare quella giusta.

Entrò silenzioso, quasi con riguardo, come se un gesto troppo busco potesse disturbare il sonno di quelle anime. In mezzo a lapidi senza nome, in realtà, era quasi a disagio. Perché ai traditori non è consentita la consolazione del ricordo.

Avanzò ancora e infine lo vide. Li vide. Coperti dallo stesso mantello logoro, abbracciati, legati da una morsa che la morte non era riuscita a consumare. A distruggere, come erano riusciti a fare invece degli uomini.

“Per Athena lei era solo un’ancella. Lui ne avrebbe fatto la sua regina. Loro figlio sarebbe stato un principe per la sua gente.”

Cancer notò solo allora che il vecchio gli era arrivato al fianco. Lo squadrò perplesso.

“Sono parole sue. E’ strano, sapete? Un essere come quello, che ha vissuto per millenni, che ha avuto origine all’inizio dei tempi, non disdegna di unirsi a una mortale. La ama così tanto da dannare se stesso. Torna qui, subisce una condanna divina, solo per rivedere poche ore all’anno il fantasma della donna che ha amato. Per avere ancora l’illusione di stringerla. Una volta era simile a un dio. Eppure, quando mi parla, mi guarda in faccia come a un suo pari, guarda me, che non valgo nulla. Negli anni, ha ascoltato le mie pene e le mie gioie, come se avessero un valore e un senso. L’hanno definito demonio, perché ha fatto strage di chi aveva ucciso la persona che amava. Ha voluto vendetta. Questa, sì, è una grave colpa. Mi viene da paragonarlo agli altri dei, a quelli veri, a cui noi mortali erigiamo templi e immoliamo sacrifici, che hanno violato, distrutto, stuprato e ucciso, succubi dei peggiori vizi umani. Però loro non possiamo chiamarli demoni. Sapete una cosa, cavaliere? Se fosse stato possibile servire lui, come onore per questa mia vita, volentieri, avrei scelto quello di servirlo.”

Impressionato, ma neanche troppo, da quelle rivelazioni, Cancer continuava ad osservare il suo avversario.

“Nessuno ti vietava di lasciare il Santuario di Athena, se non la ritenevi degna della venerazione che le è data, mio caro… Restare è stata una tua scelta, così come quella di non seguirlo.”

“Nessun mortale può seguirlo e Athena è la sola, fra gli dei, a poter essere considerata tale. Athena governa sulla terra e sugli uomini, come lui governava sulla sua razza, anche se era più un condottiero e un re, piuttosto che una divinità.”

Il vecchio, contrariato, impugnò più saldamente il suo bastone.

“Per stanotte non vi attaccherà, ma non lo sfidate. La sua furia è indomabile. Zeus stesso la temeva. Ora che colei che amava è morta, non avrebbe più ragione di scatenarla a pieno. Tuttavia, disturbategli quel poco di tempo che gli è concesso con la sua donna e potrebbe darvi addosso. Non vi conviene testare di persona se a ragione o a torto lo chiamano demone. Cercate, invece, di parlargli. Forse, avrete modo di sviare da voi stesso la sua condanna. Questo è ciò che posso fare, non tanto per voi, quanto piuttosto per la povera fanciulla della sua razza, che pare essersi innamorata di voi.”

Il cavaliere restò basito. Non si aspettava, da parte di qualcuno che neppure conosceva, un interesse profondo e sincero. Non lo avrebbe ringraziato. Non era da lui.

Poi, il bibliotecario battè sopra una lastra di pietra che una volta doveva abbellire il pavimento, segnando un percorso tra i giardini. Il demone, allora, fece capire di essersi accorto di loro. Si staccò appena dalla fanciulla e Cancer non potè fare a meno di notare quanto lei sembrasse tangibile, nulla a che vedere con Alexandros, che restava quasi sempre un’apparizione attraverso cui si poteva anche passare.

Il mantello scuro, con cui lui l’aveva coperta, aderiva perfetto sulle sue spalle. Per quanto gli riguardava, quella fanciulla era viva.

“Vedo che mi hai portato qualcuno, Are.”

Il bibliotecario si inchinò appena e il demone, addirittura, gli sorrise.

“Avvicinati.”

Lo fecero e il vecchio tese senza paura la mano verso di lui, che la strinse ricambiando il saluto. La sua mano fu avvolta interamente dagli artigli di quella creatura.

“Posso fare qualcosa, per te?”

“Sì.”

Indicò con un cenno del capo il cavaliere del Cancro.

“Ti prego, ascoltalo. Se ci fosse qualcosa, in lui, che possa allontanare la condanna…”

Il demone strinse forte le palpebre. Tese la bocca in una smorfia strana.

“Lui non ha mai ascoltato nessuno fra le sue vittime. Perché dovrei?”

Il vecchio si morse il labbro.

“E di quella tua figlia? Di lei, non ti importa? Non ha colpe. Almeno lei, potresti ascoltarla.“

Fino ad allora, l’ancella era rimasta in silenzio, come se cercasse di capire la situazione, spostando alternativamente lo sguardo su tutti gli altri presenti. Quando la tensione sembrò toccare il massimo e nessuno proferiva più parola, tirò debolmente la manica del suo uomo. Gli arrivava appena alla spalla. Aveva capelli color del miele e la pelle appena ambrata.

“Come si chiama lei?”

Chiese con un filo di voce. Doveva essere sempre stato il suo tono naturale. Cancer non potè fare a meno di notare la fragilità di quella giovinetta, così diversa da chi aveva valore per lui.

“Mnemosine.”

“Di quale colpa si è macchiata Mnemosine?”

Riluttante, il suo uomo rispose.

“Ha contravvenuto alle leggi. Ha aiutato qualcuno che eravamo incaricati di uccidere.”

La giovinetta abbassò il capo. Il suo volto sembrò perdersi nell’ombra.

“Ha avuto il coraggio di ribellarsi a una legge ingiusta. Un tempo anche tu eri così e anche io. Io lo so: mi hanno uccisa per questo.”

“Eli…”

Il cavaliere appuntò mentalmente il nome della ragazza, almeno sapeva come identificarla… La ragazza si era sciolta dal suo abbraccio. Il mantello che la copriva, cadendo, si gonfiò come sospinto da sbuffi di fumo. Eli gli riapparve al fianco.

“Adesso non sei diverso da quelli che mi hanno ucciso.”

Mentre piangeva e il suo volto impallidiva, un vistoso segno rosso appariva sul suo collo. Le gote si stingevano di un bianco innaturale e, dal segno che si allargava come lo squarcio di una ferita, usciva sangue.

Il demone, affranto, provò a sfiorarla appena, ma lei si tirò indietro. Chinò il capo e scomparve. Al cavaliere iniziò a macare l’aria. Se prima rischiava di essere distrutto solo per una qualche legge, da quel momento, farlo fuori, per il suo avversario, era diventato un fatto personale.

“Imuen, io…”

Il vecchio gli si mise davanti, sconvolto.

“Sono mortificato…quando l’ho condotto qui, non avrei mai immaginato niente di simile…”

Lasciò il bastone e si inginocchiò. Imuen, però, vedeva solo Cancer. Gli si parò innanzi e lo squadrò minaccioso. Il cavaliere abbozzò un sorriso di sfida.

“Litighi con lei e te la prendi con me, caro?”

Imuen ringhiò. Un verso basso e minaccioso. Era più simile a una belva che si preparava ad attaccare che a un essere umano. Immobile, attese che la luce del sole giungesse a colpirgli l’occhio. Voleva imrimersi in mente ogni particolare dell’avversario prima di sbranarlo.

“Amico, è giorno. Da qualche parte ho letto che sei forte solo di notte. Sbaglio?”

Rispose all’affronto, ma la sua voce non era più umana.

“Sei informato bene. La cosa non significa però che tu sei abbastanza forte da battermi ora.”

Un attimo dopo Cancer si ritrovò a schivare un destro diretto al suo viso. La lotta era iniziata.

Un mugolio sommesso destò l’attenzione del custode di Fish. Aveva da un po’ dato le spalle alla ragazza e si era messo a sistemare strani liquidi in piccole ampolle di cristallo. Gli occhi color di cielo si posarono leggeri verso la ragazza addormentata sul suo divano.

“Ben alzata.”

Gli sussurrò mentre lei poggiava i piedi nudi sul pavimento. Si sedette al suo fianco e le riavviò parte dei capelli dietro l’orecchio. Osservava la ferita alla sua tempia, non ancora rimarginata.

“Dovresti farti medicare.”

Mnemosine negò e spostò il viso di lato.

“Preferisci che me ne occupi io?”

Un altro gesto di diniego fu la tacita risposta. Aphrodite appuntò le mani sui fianchi.

“E’ un peccato che ti trascuri: sei così bella.”

Soddisfatto, si rese conto di averle strappato un timido sorriso, anche se amaro.

“Mio fratello mi diceva che assomigliavo a una rosa.”

Un brivido, gli salì poi lungo la schiena. Notò che il muro, dietro la ragazza, appariva come attraverso la canicola estiva.

“E’ tuo fratello, quello?”

Un altro cenno di assenso e l’immagine divenne visibile. Il cavaliere si alzò all’improvviso, conscio che stava assistendo alla manifestazione dei poteri della fanciulla. Non percepiva alcun cosmo provenire da lei e la cosa lo inquietava.

“Le rose che intendeva Alexandros però non sono pericolose come le vostre.”

Mnemosine lasciò il divano e si girò verso il fantasma. Il cavaliere aspettò che si dicessero qualcosa. Intese chiaramente che Alexandros parlava del suo amico in pericolo. Rapidissimo, richiamò a sé l’armatura.

“Dove lo trovo ora?”

La ragazza spiegò dove fosse. Provò a seguirlo, ma fu bloccata.

“Tu resti qui. Mi saresti solo di impiccio.”

Si inchinò e controvoglia assicurò che avrebbe obbedito. Non appena fu sola, però, si fiondò fuori dal dodicesimo tempio. Non prestò la minima attenzione alle raccomandazioni del fratello. Le ricacciò indietro, come se fossero solo bisbigli nel vento. L’istinto le diceva dove andare.

Sicura, indirizzava i piedi nella giusta direzione, verso le rovine del vecchio grande tempio, poi più su, nei pressi del cimitero. Si fermò quando iniziò a percepire qualcosa di caldo, di inanimato, tre fonti diverse. Chiuse gli occhi. Penso fra sé.

“Così, questi sono cosmi… l’energia che proviene dalle stelle.”

“Proprio così, sorella mia.”

Spaventata da quella voce alle sue spalle, si voltò per individuare Kalen. Col cuore ib gola, si accorse che non era solo, ma circondato da molte persone.

“Chi sono loro?”

Mesto, il ragazzo spiegò che erano le vittime di Cancer che volevano vendetta.

“Imuen ti chiede perdono. E’ stato costretto a darmi il potere per libelarli tutti. Siamo qui per la tua vita. Perdonaci se puoi.”

Allargò le braccia come a mostrarli tutti, in una muta presentazione. Il mantello che lo avvolgeva sparì, rivelando le fattezze di un giovane piuttosto magro, abbigliato in una strana tuta da combattimento scura, simile a quella degli apprendisti del Santuario. Iniziò ad avanzare verso di lei. Il gruppo di persone ai suoi lati fece altrettanto.

“Sarà una cosa rapida. Non sentirai tanto dolore.”

Per la prima volta in vita sua, Mnemosine capì cos'era davvero la paura.

Comincio ad avvicinarmi alla fine. Spero che ci sia ancora qualcuno che legge la mia storia. Ciao alla prossima

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Capitolo 12
*** Speranza ***


Atterrita, la ragazza si guardò attorno. Era circondata. Non aveva via di fuga. Le lacrime abbandonarono i suoi occhi sfuggendo al suo controllo. La bocca era tesa, spezzata tra la rabbia e la disperazione.

“Avevamo un accordo, io e te…”

Sentì le guance fredde, bagnate dal suo stesso pianto. Parlava rivolta a qualcuno più o meno nella sua situazione.

“Non è giusto…”

Poi aveva alzato il viso, verso Kalen.

“Se davvero sei dispiaciuto, lasciami andare. Il mio unico torto è di voler essere libera.”

Si battè la mano sul petto.

“L’unica differenza tra me e te è che io ho il coraggio di scegliere le mie azioni. Scegli anche tu, se lo desideri.”

Indicò una a una le anime attorno a lei.

“Non lasciarti sopraffare dal loro odio. Aiutarli è giusto, soccombere per loro no. Ciò che Cancer ha distrutto, noi possiamo ricrearlo. Siamo vivi, Kalen, liberi di poter ricostruire ciò che è buono e giusto. Io ignoro la colpa di cui si macchiò il nostro signore, i nostri avi, ma qualunque cosa sia, noi possiamo riparare tutto. Mi hanno insegnato che le colpe dei padri non ricadono sui figli, che la speranza può compiere miracoli…”

Il ragazzo negò col capo.

“Tu vaneggi. Non ti accorgi neppure dell’assurdità ciò che dici. Uccidere te è come uccidere un infante, tuttavia, per quanto io non voglia farlo, questo è il mio destino. Non ho altro da aggiungere, se non addio.”

Mentre alzava la mano per colpirla al capo, il cosmo di Cancer esplose in tutta la sua forza. Tutti si bloccarono, per un attimo sbalorditi da tanto potere. Poco prima che il colpo di grazia calasse sulla fanciulla, però, iniziò a manifestarsi un’altra energia.

“Io voglio la mia libertà Kalen. Lotterò come sta facendo ora Cancer, per ottenerla.“

L’ombra della fanciulla, resa visibile dai raggi lunari, iniziò a tremolare, come se fosse creata non dai raggi della’tro celeste ma da una luce traballante, simile a una fiamma.

“Lotterò come deve aver fatto mia madre.”

L’ombra divenne tangibile e la avvolse, come se fosse una barriera. Il cosmo di Cancer esplodeva ancora e la rinvogorì maggiormente. Le anime che cercavano di penetrarla ne erano completamente tagliate fuori. La graffiavano e il rumore delle loro unghie strideva come su di una lavagna.

In quei momenti, la ragazza cercò di calmarsi, di capire. L’unica cosa che le rimbombava in testa è: ci stai riuscendo. Puoi guadagnare tempo, forse anche scappare. Si portò una mano al petto per imporre pace al proprio respiro. Poi portò entrambe le mani alla barriera. Non sapeva perché o come, ma quello era il giusto modo.

La parete d’ombra che aveva creato, dopo pochi istanti, iniziò a crescere. Anche Kalen la sentiva vibrare, ne avvertì la forza. Insieme a tutti gli altri, fu spinto indietro da quell’ammasso d’ombra che cresceva. Si era ritrovato la mano di uno davanti agli occhi e il gomito di un altro nelle costole. Senza contare quello ch gli pestava il piede.

Cercò di divincolarsi, ma era schiacciato da quella piccola folla. Quando riuscì a muoversi che l’ombra stava cedendo, si accorse che Mnemosine era riuscita a scappare via. Ne intravide la chioma spostarsi tra i cespugli. Scosse il capo e risolse di lasciarla andare.

“Scegli pure la morte che preferisci, sorella mia, per mano del nostro signore, insieme alla persona che ami.”

Schioccò le dita e gli spiriti sparirono. Il tepore del sole gli scaldò le membra. Era mattina.

Mnemosine era in affanno. I rumori dello scontro le arrivavano agli orecchi. Sentì una voce imprecare e riconobbe Cancer. Chiuse gli occhi per farsi forza e superò il cancello laterale. Si stavano battendo li vicino. Scorse uno spirito tra le lapidi senza nome e le sterpaglie.

Decise di fermarsi. Riconobbe una ragazza all’incirca della sua età. Le sorrise e le sfiorò la spalla.

“Non vuoi dirmi il tuo nome?”

Ignorò apertamente lo squarcio alla sua gola e le vesti sporche di sangue. Le sollevò il mento.

“Eli, ti chiami così…vero?”

La ragazza annuì.

“Da quanto tempo sei qui?”

“Non lo so. Il tempo per me non ha senso. Come non ha senso che tu sia di fronte a me senza batter ciglio.”

Le sfiorò i capelli.

“Dei! So che non dovrei nominarli, io che sono per loro una traditrice, ma… non avrei mai pensato di rivedere questo viso. Io conoscevo tua madre.”

Qualcosa, in Mnemosine, si accese.

“Mia madre era come me?”

“Sì. Tua madre aveva la tua stessa luce negli occhi. Quando ero in vita, era raro ma non troppo che qualcuno della tua razza passasse per il santuario. Allora, Imuen e i suoi recavano servizio gradito alla dea, dando pace alle anime di quei guerrieri che non la trovavano neppure grazie al Gran Sacerdote o al Cavaliere del Cancro. Allora, anche Imuen aveva quella luce che ora hai tu, mentre ora nessuno della vostra razza è così.”

“Io non appartengo a quella razza. Non sono come gli assassini di mia madre. Ho lo stesso sangue, è vero, ma preferirei morire piuttosto che agire come loro.”

Sfiorò il collo di Eli e la ferita si sanò all’istante. Le sue vesti tornarono delle leggere tinte pastello di cui erano solo quando era in compagnia di colui che amava.

Persino il suo corpo acquistò consistenza. Mnemosine cercò poi di raggiungere i due avversari, che si fronteggiavano poco lontano. Eli la bloccò per il braccio.

“Sei impazzita? Che intenzioni hai?”

“Vado ad aiutare Cancer e lui potrà aiutare me. Sai, abbiamo stretto un patto noi due. Vogliamo essere salvi, entrambi.”

“Contro Imuen? Voi due soli? Non avete speranza! Cancer è già perduto! Tu invece devi scappare lontano, laddove nessuno possa trovarti!”

La sua presa era però poco salda e non la trattenne a lungo. Sorpresa, Mnemosine se la ritrovò al fianco.

“Mi innamorai di lui perché un tempo era come te. Per quel poco che posso, non gli permetterò di farti del male. Il mio più grande desiderio è che lui torni ad essere come te.”

Le sorrise, riconoscente. Insieme, si avviarono al campo di battaglia.

Quando arrivarono, Fish aveva il braccio che gli penzolava inerte lungo il fianco. Era impegnato contro tre energumeni e tre rose bianche erano pronte ad esser scagliate. Cancer aveva il braccio alzato, teso innanzi al viso. Ogni muscolo del suo corpo era teso nel tentativo di opporsi alla forza che lo trascinava verso l’avversario. Imuen, infatti, lo reclamava a sé dopo avergli serrato il polso con la sua frusta. Era concentrato. Tutto il resto del mondo non esisteva, finchè non si accorsero che erano li.

“Eli…”

Allentò solo un secondo la tensione e Death Mask ne approfittò per liberarsi. Si massaggiò il polso, chiedendosi che diavolo fosse preso a quel pazzo, quando le vide.

“Che accidenti ci fai qui? Sei impazzita? Scappa via.”

Si gettò sul demone e lo prese alle spalle.

“Via di qui, matte!”

Un secondo dopo era con la schiena a terra, inerme, mentre il suo nemico avanzava verso quella creatura ormai troppo preziosa per lui.

Il demone le si pose innanzi. Apparentemente calmo e sporco di polvere e lividi, la osservò a lungo.

“Tu hai fatto questo?”

Sfiorò Eli e lei pianse al suo tocco. Sbalordito, portò alla luce le gocce che gli bagnavano le mani.

“Di così tanto sei capace?”

Nello spiazzo vicino al cimitero, Imuen implorò Cancer di tacere. Obbligò i tre fantasmi a cui aveva momentaneamente ridato un corpo a tappare la bocca di Fish.

“Sembri viva, Eli… Non avrei creduto di vivere così a lungo per trovare chi sarebbe stato capace di tanto. Ci vogliono anni di addestramento, capacità che pochi fra noi posseggono. E’… Non è possibile questo.

Nessuno fra i miei ha raggiunto da secoli un tale livello da potere tanto…”

Non prestava neppure attenzione alla sua donna, che si poggiava al suo braccio.

“Anche per questo, lasciala andare.”

Imuen negò.

“Per questo, solo per oggi li lascio andare.”

Si rivolse al suo avversario.

“Death Mask. Questa fanciulla ha un potere tale da sfidare il mio. Se vi attacco ora, le sue forze unite alle tue possono annientarmi. Vi concedo tre giorni. Per sviluppare una strategia, per passarli insieme. Poi ci batteremo ancora, di notte. Sarà la resa dei conti. La mia vita o la vostra.”

Prese poi il braccio di Eli e sparirono in uno sbuffo di fumo bianco.

Aphrodite, all’improvviso libero, battè la fronte sul terreno. Di tutti, era quello che aveva capito meno.

Il prossimo capitolo sarà l'epilogo. Spero ci sia ancora qualcuno che legge. Alla prossima.

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Capitolo 13
*** Epilogo ***


Aphrodite si affrettò a rimettersi impiedi e pulirsi il viso dalla terra. Corse dai due e chiese che fine avesse fatto il loro avversario.

“Fammi un favore, bellezza: tornatene dai tuoi amati fiorellini. Non abbiamo più bisogno di te.”

Cancer con un braccio cinse le spalle di Mnemosine e con l’altro spinse via l’amico. La ragazza, però, non era molto ottimista e la cosa non sfuggì al Santo dei Pesci.

“Ha detto che tornerà fra tre giorni. Dovremo essere pronti per allora.” Spiegò mesta.

Death Mask si arrestò.

“Ha ammesso anche che non ci finiva oggi perché insieme eravamo fuori dalla sua portata. Temeva la sconfitta. Significa che possiamo batterlo.”

“Tornerà di notte e sarà più forte.”

Il cavaliere l’attirò a sé.

Il cavaliere la osservò mentre dormiva. Giocò coi suoi capelli attorno alle dita. Ricordò di quando era apprendista e se le trovava tagliate o rotte.

Ora, però, non provava dolore. L’aveva lasciata dormire appoggiata a lui. Provò a non svegliarla e recuperò una vestaglia. Soddisfatto, prese un vassoio col pasto e tornò in camera.

C’era un silenzio strano alla quarta casa. Nessuno dei dannati si lamentava. Ammise a se stesso che Mnemosine era diventata forte.

“Perché devo vestirmi così?”

Mnemosine si grattò il braccio con le fasce. Non le piaceva la tenuta da apprendista.

“Sei più libera nei movimenti.”

“Ma io non devo tirar pugni!”

Cancer si fermò e la guardò serio.

“Non si può mai sapere.”

La guidò poi per la quarta casa, verso una maschera che già conosceva meglio delle altre e gli piaceva molto meno. Appena la vide, la ragazza si voltò verso di lui.

“Che intenzioni hai? Lui ti vuole morto.”

“Ha cercato di uccidere anche te.”

Si riferì truce alla prima apparizione di Imuen. La ragazza guardò in terra.

“E’ diverso. Quando mi teneva, avvertivo chiaramente che lo faceva contro la sua indole. Era Imuen che lo obbligava. Da quel che ho capito, quelli della mia razza di rango basso possono solo dare corpo agli spiriti.

Se si tratta di spiriti potenti, rischiano pure di esserne soggiogati. Imuen, al contrario, può manipolarli, farne i suoi burattini.”

Cancer ridusse le palpebre a due fessure.

“Tu puoi fare altrattento?”

“No. Tuttavia, penso di poter risvegliare le volontà di quelli che controlla, almeno di alcuni. Posso rendergli la vita difficile, insomma.”

Compiaciuto, il cavaliere le posò una mano sulla spalla, causandole un brivido.

“Liberalo: voglio vedere se è come l’ultima volta.”

Mnemosine si staccò da lui decisa.

“Impedirò a lui di farti del male, ma non sperare che conceda a te di farne a lui. Questo sia chiaro.”

Cancer iniziò ad alterarsi.

“Se non ti sta bene, combatti Imuen da solo.”

Il cavaliere alzò le mani in segno di resa.

“Come desidera la signora. Sarò un bravo bambino, d’ora in poi.”

“Ti conviene.”

Sibilò lei mentre alzava un leggero fumo, simile a nebbia.

Mentre il vento gli sferzava il viso, Imuen pensava. Un ritmo diverso nel vortice della neve gli annunciò che non era più solo. Si girò verso l’entrata della grotta, verso colui che avanzava con una fiaccola in mano. La luce delle fiamme rischiarò appena le rocce e la sua figura. Egli vestiva sempre di bianco e gli somigliava. Le spade appese al fianco tintinnavano a ogni suo passo.

“Posso sedermi?”

Osservandolo, Imuen restava sempre stupito di quanto si somigliassero e di quanto fossero diversi. Si commiserò. Da quando suo fratello lo cercava e gli chiedeva il permesso di qualcosa?

“Fa come ti pare. Se preferisci, puoi tranquillamente andare al diavolo.”

Haldir non sapeva essere ironico o sorridere. Si sedette e basta, con la sua solita faccia fredda e accigliata.

“Hai bisogno di aiuto?”

Tra loro c’era sempre stato un rapporto di reciproca indifferenza. Da che ricordava, non una volta il fratello gli aveva offerto il proprio aiuto in tutti quegli anni. Non una volta che si fosse interessato a qualcosa di diverso dai fatti propri. Haldir era esattamente come il vento del nord che lo governava: freddo, solitario, tagliente e imperscrutabile. Andava e faceva ciò che voleva. Non era cattivo, ma del bene e del male non gli importava.

“Ti manda il vecchio?”

Capiva che, se era così, stava bollendo qualcosa in pentola. Quando mai loro due avevano sentito il bisogno del padre? Come si aspettava il gemello negò.

“Non lo sento da tanto. Mi occupo da solo della difesa.”

Altra cosa ovvia. Quella statua di ghiaccio neppure in punto di morte avrebbe permesso a qualcuno di mettere bocca sulle sue strategie di guerra. “Come mai sei così loquace stasera?”

Imuen provò a farlo alterare, almeno se ne sarebbe andato. Sapeva che era inutile. Il suo gemello era impermeabile a certe tecniche, ma lui era stanco anche per pensare.

“Ho perso nostra madre e ho un padre pazzo. Non voglio perdere anche mio fratello.”

Haldir era serio. Nei suoi occhi troppo chiari, le cui iridi quasi si perdevano nel bianco e grigio del vento, non c’era mai stata traccia di menzogna.

“Gli umani hanno risorse che neppure immagini.”

Imuen annuì. Per uno strano scherzo del destino anche lui aveva imparato a interessarsi agli uomini.

“Sai, un tempo ne avevo scelta una. Magari lo so, grazie.”

“Tu non sai!”

Il fratello aveva alzato la voce.

“Non sai, altrimenti non saresti stato così leggero. Ci sono esseri umani che possono anche distruggere dei. Quante volte dovrai vederlo per crederci?”

Che qualche essere umano lo avesse messo in difficoltà in un duello? L’avrebbe preso in giro a vita… Preferì tacere. “Come dovrei agire, dunque, secondo te?”

Haldir placò il vento. Era stato ascoltato. Tanto bastava.

”Ribellati. Torna quello che eri. Io e gli altri ti stiamo aspettando.”

Il demone dalle iridi color delle gemme spalancò gli occhi. Quasi balbettò.

“Ti rendi conto di quanto dici? Se gli olimpici sapessero…”

Il fratello impugnò la spada e mostrò l’elsa.

“Combatteremo. Ho un esercito pronto a seguirmi. Unisciti a me.”

Imuen negò di nuovo. Si alzò e gli diede le spalle.

“Tu sei sempre stato pazzo e tutti periranno con te.”

“Il vecchio è d’accordo. Tra pochi lustri i tempi saranno maturi. Le rune hanno parlato. Anche tu ci sei dentro.”

Sentendo nominare il padre, qualcosa, in lui, si riaccese.

“Cosa spinge il vecchio?”

“Il popolo. Non sopporta più di sentire i nostri nelle tenebre. Io sono con lui. Ci sei in mezzo pure tu, Imuen. E’ destino.”

Haldir si alzò e gli posò la mano sulla spalla.

“Se ce ne sarà bisogno, che tu lo voglia o no, sarò ad aiutarti.”

Parole che aveva pronunciato la prima volta da quando era nato. Spense poi la fiaccola e si avviò all’esterno. Allargò le braccia e il vento fece aderire il mantello al suo corpo. Dopo qualche attimo era sparito, come vento nel vento.

Imuen raccolse la fiaccola da terra. La riaccese. Ipnotizzato dalla fiamma, pensò. Nella mente, rivide suo padre e suo fratello, come era prima di Eli, cosa era divenuto dopo. A differenza di Haldir, a lui il destino era celato. Lui conosceva il passato. Aveva imparato una cosa, troppo a lungo dimenticata: se ci credi, a volte, un miracolo può accadere.

Recuperò l’ascia. Si specchiò nella foggia perfetta della lama. Da quanto non la usava? Eppure ricordava d’averla vista rossa di sangue, dello stesso colore dei suoi capelli. Quell’arma era stata forgiata dalle zanne di suo padre, protetta dalla magia di sua madre.

Non si sarebbe servito degli spiriti, ma solo della sua forza. Quella sua figlia gli avrebbe impedito di usare i soliti aiuti esterni. Lo avrebbe obbligato a usare non la magia, ma le armi.

Così, decise di combattere come un tempo, quando era ancora libero, quando poteva permettersi di amare un essere umano. Quello di Cancer sarebbe stato l’ultimo sacrificio. Promise che il prossimo sangue che avrebbe bevuto la sua arma sarebbe stato il sangue divino.

In un arco di tempo così breve Cancer non riuscì a fare di Mnemosine una guerriera, ma le diede abbastanza coraggio da sfidare la sorte e illudere lei e soprattutto se stesso, tanto da poter sperare.

L’aveva guardata, quel mattino dell’ultimo giorno, e non aveva riconosciuto niente della fanciulla che non parlava e si aggirava a Rodorio simile a un fantasma.

Aveva guardato se stesso, riflesso in uno specchio. Era un assassino. Doveva esserlo ancora per sopravvivere, ma aveva iniziato a far pace con qualche maschera alla quarta casa, almeno ci aveva provato, con quella senza occhi.

A quel fantasma Mnemosine aveva parlato. Era bastato informarne i cari della morte. Era sparito dal muro del quarto tempio e, pochi attimi prima che se andasse, il suo viso aveva brillato di una luce splendida, che non aveva visto in nessun uomo. Della persona che aveva ucciso non aveva riconosciuto neppure le fattezze. Mnemosine aveva compreso il suo stupore. Sorridente, gli aveva spiegato.

“Te l’ho già detto. I morti non cercano qualcuno che li vendichi, ma che li ricordi. I suoi cari ora sanno e lui ha pace.”

Aveva sbottato che se fosse morto lui, di certo lo avrebbero ricordato in molti, sicuro: avrebbero fatto la fila per ballare sulla sua tomba. Mnemosine gli aveva risposto che aveva un pessimo gusto e aveva arricciato il naso. Poi, all’improvviso, s’era fatta strana.

“Ci attaccherà qui, nel suo tempio.”

La ragazza aveva guardato tutti quei volti alle pareti, carezzato quelli accanto a cui era seduta.

“Imuen non è cattivo o malvagio per il gusto di esserlo come sei tu.”

Cancer inarcò un sopracciglio. “Ad ogni modo vuole farti la pelle.”

Le fece notare piccato, ma lei non ci badò.

“Ridarà la vita a tutti insieme. Ostacolare loro sarà la mia parte di condanna. Tu, invece, ti batterai con lui da solo, faccia a faccia. Sta saldo nel tuo cuore, perché lui lo è nel suo. Prega che la tua armatura sia robusta e prepara le armi. La parte più dura non sarà la mia, bensì la tua.”

Il cavaliere si sistemò vicino a lei.

“Che ne sai? Te l’ha detto la sua donna?”

Aveva colto nel segno. Fu informato che era stato usato qualcosa di simile quando a rischiare la testa era stata Athena.

“Dicono che il segno dei suoi artigli e della sua ascia sia ancora sulla parete degli appartamenti privati della dea, che Imuen colpì il braccio di Zeus, intervenuto a proteggere la figlia, restandone sfregiato. Imuen userà la stessa arma con te.”

Quali condannati che aspettano il carnefice, attesero la notte all’interno di quel tempio. Mnemosine aprì gli occhi, destata da strani rumori. Cancer esibì un ghigno. Schegge di pietra rotolavano sui pavimenti.

Le maschere vibravano nei loro loculi. La ragazza calciò via qualcosa che le toccava il piede: una mano. Ovunque, anche dal soffitto e dalle pareti, sbucavano arti che appartenevano a qualche maschera. Una moltitudine di fuochi fatui si accese a rischiarare l’ambiente di un lieve bagliore verdino.

A tutti i corpi emersi dalla roccia mancava qualche pezzo: ogni burattino era rappresentato nel modo esatto in cui era stato ucciso.

“Non sono più brutti del solito, tranquilla.”

Scherzò Death Mask per rincuorare la fanciulla. Dopo poco, si avvertì un’energia potente. Nella sua armatura nera, Imuen si palesò. Un fuoco fatuo gli sfiorò la spalla e fu riflesso, simile a una lucciola che si specchia in un lago, di notte.

Il suo viso era di un candore spettrale e i suoi capelli, ricci, lunghi e sciolti, sembravano bagnati e liquidi, adagiati sulle spalle e il mantello scuro che lo avvolgeva. L’asta che sorreggeva l’ascia sembrava alta quanto lui. Sul manico brillava una spirale incisa di arcani segni. La lama fu alzata per riflettere i raggi della luna.

“Inizia quando vuoi Mnemosine cara. Il mio esercito è qui per portarti con sé. Quanto a te…”

Con l’ascia fu indicato Cancer.

“La mia lama brama il tuo sangue.”

Il cavaliere dovette ammettere che lo ricordava più basso e gracilino. Una goccia di sudore gli colò giù per la tempia. Sentiva quel cosmo, diverso da tutti quelli che conosceva.

Era impressionante perché avvertiva dolore, rabbia, rimorso, tutte umane sensazioni che avrebbero reso debole e indeciso un guerriero. Dentro Imuen, invece, ardeva come un fuoco inestinguibile. In lui c’era qualcosa di unico.

Death Mask allontanò Mnemosine da sé e avanzò verso il suo avversario. Puntò l’indice verso l’alto a richiamare gli strati di spirito. Imuen piegò la testa di lato, curioso.

Poi brandì la sua arma. Il cavaliere fu schiacciato dal calore di fiamme che non bruciano, scaraventato indietro, addosso al muro. Il coprispalla ridotto in pezzi. Pochi istanti dopo era già a terra, immobile.

“No!”

La fanciulla era corsa in mezzo a loro, dopo essersi liberata dai fantasmi che la trattenevano. Aveva aperto le braccia e offerto il petto per proteggere chi amava, ancora.

“No, ti prego.”

Urlò a pieni polmoni. Il carnefice ripose l’ascia solo un momento. Dagli spiriti, si era staccata un’anima: una donna. Appena aveva raggiunto la ragazza, le bruciature sulla sua pelle erano scomparse. Somigliava al cavaliere svenuto.

Il demone la seguì con lo sguardo finché non raggiunse le sue vittime. Sapeva benissimo chi fosse.

“La prima vittima di quel vigliacco è stata sua madre. Ti rendi conto di chi ti ostini a difendere?”

La donna parlò, implorò pietà per sé e per il figlio. Il demone abbassò il capo.

“Prenderò solo Cancer.”

Mnemosine negò di nuovo. Non si sarebbe spostata.

“Va via. Via ti dico.”

Quelle parole gridate con rabbia non la spaventavano. Sapeva che, nonostante tutto, chi aveva di fronte non era malvagio.

“Mai senza di lui.”

Cancer, finalmente rinvenuto, si alzò impiedi. Barcollando, le raggiunse.

Le sorrise beffardo e stanco, scansandola di lato. “Dagli retta. Via di qua.”

“Non me ne vado senza di te.”

Le tirò uno schiaffo. La superò. Si girò solo un’altra volta verso lei e sua madre.

“Solo tu potevi trovare qualcuno che teneva a me, tra tutti questi. Perdonami madre. Grazie mia cara.”

Strizzò l’occhio e sorrise, anche se aveva le ossa rotte. Imuen recuperò saldamente l’ascia. Il suo tono era di chi conosce ciò che è già scritto e non può cambiarlo, pur volendo.

“Sei potente, figlia mia. Ma queste anime sono centinaia e tu ne hai liberata una sola. Il tuo potere non basta, non ancora.”

Furono pochi attimi. La donna che la incitava, delicata, a dirigersi con lei verso l’esterno, non era abbastanza salda.

La ragazza si girò di nuovo. Cancer aveva buttato il coprispalla a terra, scosso il braccio per liberarsi del sangue che colava. Aveva alzato il dito, pronto a colpire. L’ascia di Imuen richiamava un’energia fuori da ogni immaginazione.

Lei lo sapeva che erano forze squilibrate, che chi amava avrebbe perso. Non voleva. Chiuse gli occhi e corse. Death Mask la vide. Fermò il proprio colpo. Imuen non fece in tempo. Il cavaliere si precipitò su di lei. Furono sbalzati via entrambi. Crollarono tre colonne.

Quando riuscì a muoversi, il custode dorato percepì che il battito cardiaco della sua donna quasi non esisteva. La sua rabbia esplose disperata, ceca. Gli strati di spirito mirarono Imuen e lo presero in pieno. Il demone fu scaraventato indietro per qualche metro, ma non ebbe tanti danni. L’ascia tagliò di nuovo l’aria e le fiamme divorarono il cavaliere. Egli non si muoveva, ma impedì al proprio corpo di cedere.

Negli ultimi istanti di lucidità, lasciò che Imuen raccogliesse la sua donna da terra. Le anime, una a una, tornarono ad essere semplici maschere. Poi, il nulla.

Si destò il giorno dopo, sul pavimento della quarta casa. Aphrodite era con lui e cercava di svegliarlo. Cancer gli chiese di Imuen e Mnemosine, ma Fish rispose che non ne sapeva nulla. Addirittura, l’amico negava di averli mai conosciuti. Ci rimediò due sonori ceffoni, ma non si smosse da quel proposito.

Cancer indagò per giorni, cercò il bibliotecario, i testi che aveva letto sul demone che l’aveva fronteggiato poco tempo prima. Era come se Mnemosine fosse vissuta davvero solo nei suoi sogni. Quasi dubitò della propria sanità mentale.

Poi, passando per la quarta casa, notò un posto vuoto. Lì, dove era sempre stata la maschera di sua madre, quella di cui solo lui, quello che gli aveva rotto le ossa e la donna che amava potevano sapere.

Sospirò. Fuori era il solito Death Mask. Dentro, concordò con Imuen, certe cose sono e devono restare segrete.

Ho provato a migliorare il finale, ma per me la versione definitiva è la prima.Chiudo così definitivamente la storia.Spero non faccia troppo ribrezzo. Ciao!

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