Accade una notte

di roxy92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Faccia a faccia con la straniera ***
Capitolo 3: *** Il medaglione ***
Capitolo 4: *** Ricerca ***
Capitolo 5: *** Il nemico ***
Capitolo 6: *** La resa dei conti ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Aprì lentamente un occhio, disturbato nella sua meditazione notturna. Sopra di lui, le stelle brillavano silenti e guardinghe come al loro solito. Piccolo aveva avvertito una strana vibrazione, l’annuncio di qualcosa che stava per accadere. Non avrebbe saputo dire se in bene o in male ed era inquieto.

Un oggetto pesante cadde in acqua. Lo udì sbattere con un tonfo sordo ai piedi del fiume. Un mugolare sommesso gli permise di identificare qualcosa di vivo. Ne avvertì l’aura e non era umana. Sospirò seccato volando nella giusta direzione. Era sicuro solo di una cosa a quel punto: rogne.

Camminò sospettoso fino alla figura che emergeva solo parzialmente dall’acqua. La trovò più piccola di quanto si era immaginato.

“Ehi, tu! Chi sei e che ci fai qui?”

Non otteneva risposta. L’udito fine gli permetteva di sentire un soffio flebile, irregolare, più simile al ringhio soffuso di un animale che al respiro di una persona.

Di chiunque si trattasse, ne dedusse che non sarebbe sopravvissuto a lungo. Anche perché, pur non avendo una vista acuta quanto l’udito, gli pareva di vedere l’acqua più scura sotto quella creatura, di un preoccupante rosso vivo.

“Sei ferito, amico?”

Sbuffando, rendendosi conto che gli sarebbe capitato l’ingrato ruolo del buon samaritano, si avvicinò di più. Lunghe ciocche di un improponibile verde smeraldo, bagnate, aderivano perfettamente a un viso magro e pallido.

“Se non ti decidi a rispondere posso benissimo lasciarti li a morire.”

Il ferito strizzò le palpebre. A fatica alzò gli occhi scuri ai suoi piedi e non lo degnò di altra attenzione. Semplicemente, richiuse le palpebre e smise di respirare.

Ancora più seccato, il namecciano allungò le dita verso il suo collo, con l’intenzione di percepire il battito cardiaco.

Il suo urlo squarciò l’aria. C’era andato calmo, certo d’aver avanti qualcuno con un piede nella fossa. Mai si sarebbe immaginato che quel piccolo bastardo lo avrebbe morso.

“Razza di…!”

Se lo scrollò di dosso con uno schiaffo e stava per tirargli un pugno, quando il suo avversario, cadendo supino sullo stesso argine del fiume fino a poco prima era riverso, si rivelò essere una femmina, non sapeva di quale razza.

Piccolo se ne accorse dalle forme inconfondibili del corpo e del viso delicato. Se non le tirò davvero il colpo già pronto, fu perché lesse la disperazione in faccia e capì che, con quell’unico assalto, era del tutto priva di energia e incapace di muoversi. Provò disgusto quando notò quel rivolo viola colare dalle labbra pallide di quella creatura e sanò la propria mano ferita. Quella straniera aveva vere e proprie zanne al posto dei denti e l’anima svuotata di chi non ha più nulla da perdere.

Forse fu per quello che provò pena per lei. Cauto, le porse la propria borraccia e offrì la stessa acqua che era il suo nutrimento.

“Grazie.”

La straniera aveva impiegato un certo sforzo per parlare e aveva una strana voce, diversa da quella chiara e decisa del namecciano.

“Chi sei?”

“Leara.”

Piccolo ripose la borraccia e si alzò in piedi.

“Bena… Leara.”

Pronunciò con un po’ d’incertezza quel nome.

“Ascoltami bene: attaccami un’altra volta come prima e giuro che ti uccido. Ci siamo capiti?”

La giovane riuscì ad annuire appena. Non sembrava troppo intimorita dal cipiglio del guerriero.

“Come ti senti?”

“Male.”

Provò ad alzare la testa, ma fallì miseramente.

“Molto…male. Non riesco muovermi.”

“Perfetto. Giusto quello che volevo sentire.”

Piccolo non ebbe alcun dubbio a fidarsi, visto come era ridotta. La prese in braccio e spiccò il volo in fretta.

“Dove mi stai portando?”

La guardò di traverso. Per un attimo trattenne l’istinto di lasciarla cadere.

“Dove ti potranno curare e intendo andarci il più in fretta possibile. Non ho intenzione di avere niente a che fare con un animale selvatico come te.”

La vide ridere.

“Non è colpa mia se sei così lento da farti fregare da una moribonda.”

“Mi hai solo preso alla sprovvista!”

Urlò inferocito, facendola ridere di più.

“Non ti arrabbiare. Anzi, guarda, ti chiedo anche scusa. La prossima volta, prima di morderti, chiederò il permesso.”

Non rispose. In realtà era rimasto colpito dalla velocità di quella ragazza.

“Sei stata rapidissima, lo ammetto.”

Si stupì di vedere spento il sorriso beffardo di poco prima. Di sicuro, pensò, evocava i ricordi degli eventi appena trascorsi.

“Merito del mio maestro. Me lo disse fin dal primo giorno che non sarei stata abbastanza forte. Per sopravvivere, posso essere solo molto veloce. Solo, non lo sono stata abbastanza.”

La ragazza aveva serrato gli occhi con forza per impedirsi di piangere. Non ce l’aveva fatta e le lacrime, anche se poco, erano uscite comunque.

“Al diavolo!”

Il namecciano ignorò quell’imprecazione che rivolse contro se stessa. Rispose solo ad un’altra domanda.

“Dove mi stai portando?”

“Da Balzar. Quel gattaccio ha qualcosa che ti rimetterà subito in sesto.”

“Grazie. Davvero.”

Dopo quelle parole ci fu solo silenzio. Piccolo ne sentiva il respiro più regolare e profondo, di chi è scivolato in un sonno ristoratore, anche se popolato da brutti sogni. Di li a poco, giunsero in vista dell’obelisco.

Era mattina.

Non mi picchiate per l’idea balorda! Ammetto che è la prima volta che scrivo e che Piccolo è un personaggio che mi fa sognare. Però se proprio vi fa schifo questa fic fatelo sapere. Se invece la apprezzate un grazie appassionato. Ciao! ;)

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Capitolo 2
*** Faccia a faccia con la straniera ***


Si era limitato a raccontare lo stretto necessario a Balzar, per poi fuggire via dall’obelisco. Non sopportava la vista di quel gatto, ne la sua voce squillante. Ancora di più, voleva liberarsi della straniera che aveva portato lassù. La mollò senza troppe cerimonie a un curioso Jirobai.

“L’hai ridotta tu in questo stato?”

Piccolo lanciò un’occhiata talmente scura che il terrestre si morse letteralmente la lingua.

“Non ti scaldare. Era per chiedere. Si sa che sei forte… magari l’hai colpita per sbaglio.”

Il namecciano stava per colpire lui, invece, ma il richiamo accorato del gatto lo trattenne.

“Lo sai che parla a vanvera. Lascialo stare… Piuttosto…”

Si portò direttamente davanti a Jirobai, in modo da occultarlo completamente, e posò il bastone sulla spalla di Piccolo, dato che con la zampa non ci arrivava.

“…avrei bisogno di qualche dettaglio in più. E’ piovuta dal nulla, hai detto. Sicuro che provenga da tanto lontano?”

“Quando si sveglia può rispondere benissimo lei alle tue domande.”

Il guerriero aveva già liberato la propria spalla e si era diretto a passo sicuro verso il parapetto dell’obelisco. Deciso, spiccò il volo.

Udì chiaramente quando Balzar gli borbottava dietro di essere uno zoticone. Non l’avrebbe mai e poi mai dato a vedere ma, chissà perché, ogni volta che quel gatto lo insultava, sotto sotto, un pò gli veniva da ridere.

Era ritornato alla calma dei suoi allenamenti nei pressi della cascata. Udì dei passì e una voce che lo chiamava. Ignorò apertamente la seccatura e si trovò a schivare un’onda di luce di scarsa potenza che l’avrebbe centrato in pieno.

“Adesso che mi ha degnato della tua preziosa attenzione, puoi rispondere alla mia domanda?”

Scese a terra contrariato. In realtà, non appena aveva riconosciuto la voce della straniera aveva iniziato a salire più in alto. Purtroppo Leara, oltre ad essere una esperta seccatrice, aveva dimostrato di avere anche buona mira.

Quando atterrò, Piccolo si ritrovò di fronte una ragazza che appuntava le mani ai fianchi e gonfiava le gote come una bambina imbronciata. Senza lividi e impiedi, potè apprezzare una bellezza delicata, volutamente mantenuta a tratti selvaggia e un po’ acerba.

I capelli, sciolti e mossi, le arrivavano alle spalle ed erano trattenuti lontani dal viso da tre cerchi dorati che abbracciavano la nuca. Spiccavano chiaramente, con quel verde smeraldo, sulla pelle chiara, di una lieve tonalità azzurrina. Erano messe in bella mostra le orecchie, piccole come quelle degli uomini, ma che terminavano a punta. Gli occhi nero pece, dal taglio allungato e sottile, apparivano come due pozzi profondi, privi di pupilla.

Riflettevano in modo particolare la luce, come un onice scurissimo dalla superfice levigata. La tuta leggera, di un verde poco più tenue dei capelli, lasciava scoperte le braccia e le numerose cicatrici.

Il namecciano ne osservò una che partiva dal braccio e aveva tutta l’aria di nascondersi sotto la spalla e continuare vicino al collo. Accortasi del suo gesto, la ragazza, infastidita, si era nascosta il collo con l’altra mano.

“Mamma a papà non te l’hanno insegnato proprio il valore della discrezione?”

Se prima era solo infastidita, ora era particolarmente a disagio, mentre l’altro restava del tutto impassibile.

“Concorderai che non è certo il segno di un graffietto.”

“Non hai mai visto uno con una cicatrice? ”

“Ho visto solo validi guerrieri coperti di cicatrici.”

Lei rimase zitta qualche istante.

“Di un po’: ti ci impegni o ti viene naturale essere così odioso con le persone? Sfido io che sei sempre solo, se tratti in modo così barbaro chiunque s’avvicini a te.”

Del tutto impermeabile a quel commento, il namecciano si era alzato in volo, ma fu bloccato all’istante per il braccio.

“Mollami subito o ti disintegro.”

La faccia di quella ragazza era ancora più tosta della sua. “Devo sapere una cosa da te. Una sola poi non mi vedrai più. Lo giuro.”

Lei lo vide alzare gli occhi al cielo e restare in attesa. Sospirò e pose la domanda.

“Avevo un medaglione al collo ieri notte. Un medaglione rotondo, inciso, di un metallo scuro. Non lo trovo più. E’ della massima importanza, per me…”

Con le mani, ne indicava la grandezza.

“Non visto nulla del genere qua attorno.”

La tremenda delusione alle sue parole, palpabile sul viso di Leara, per un attimo convinse Piccolo a restare.

“Strano che l’hai perso. Di solito le donne tengono in gran conto i loro gioielli.”

Il potente guerriero si trovò fulminato da uno sguardo assassino. “Quell’oggetto mi serve per sopravvivere! E se non ce l’ho più addosso è perché hanno voluto essere sicuri di farmi fuori!”

La osservò battere il piede in terra con stizza e alzare un po’ di polvere.

“Il mio medaglione è qui attorno, dannazione! Lo sento!”

Era strano vedere qualcuno passare così in fretta dalla disperazione alla rabbia. Forse, però, non era neppure così arrabbiata.

“Come va la mano?”

Ancora confuso dalle troppe emozioni che si susseguivano in lei tanto in fretta, si stupì che potesse addirittura preoccuparsi per lui.

“Non hai morso abbastanza forte.”

Rispose roteando il polso sotto al suo naso.

“Meglio così. Significa che su di te il veleno dei miei denti non ha effetto.”

Se per la mente gli era passato di aver pietà di lei, ora il primo pensiero fu nuovamente quello di farla a pezzi. Il pugno che le aveva risparmiato la prima volta la mancò di netto.

“Ti avrei solo paralizzato per qualche istante, mica ucciso!”

Il cratere che aveva aperto per terra era esattamente ai piedi della fanciulla, che camminava scalza. Di nuovo, si stupì di quanto fosse rapida nei movimenti.

“Non vado in giro ad ammazzare la gente. Ti ho scambiato per un nemico e ho attaccato solo per difesa.”

Confuso dal suono caldo di quella voce, lasciò che si avvicinasse e arrivasse a sussurrargli all’orecchio.

“Non ho mai voluto farti del male. Io volevo solo sopravvivere.”

Si girò verso di lei e trovò il suo viso a pochi centimetri dal proprio. Lo scoprì bello, perché era piacevole tenere gli occhi su di esso. Ciò che non si aspettava, era che lei abbassasse lo sguardo per poi allontanarsi.

“E’ un peccato così grande voler sopravvivere?”

Istintivamente le sollevò il viso, ponendole due dita sotto al mento. Fu come se il nero profondo di quegli occhi lo attirasse in un pozzo senza fine, senza possibilità di scampo. Appena possibile, si allontanò deciso. Respirò un attimo con affanno.

La voce di Leara era cambiata. Era diventata più femminile, suadente.

“Mi compiaccio. Sei straordinario, guerriero. Nessuno, finora, ha mai resistito al potere dei miei occhi. Né vi si è sottoposto di sua volontà.”

La udì sorridere di lui, ma senza scherno.

“Senza il mio medaglione, può darsi che sarò morta domani. Ebbene, voglio andarmene senza rimpianti. La legge della mia gente è chiara. Mi hai salvato la vita. Posso e devo esaudire un tuo desiderio. Bada bene, uno solo. E sempre compatibile coi miei poteri.”

Come stordito dalla folle piega degli eventi, il namecciano cercò di porsi di nuovo in una posizione salda. Ragionò sul senso assurdo di quell’ultima frase. Guardò di nuovo Leara. Per fortuna, però, non era più sottoposto a quella sua strana forza.

Se state ancora leggendo senza meditare di uccidermi, ci vediamo al prossimo capitolo…Ciao! ;)

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Capitolo 3
*** Il medaglione ***


“Allora? Il gatto ti ha mangiato la lingua?”

Seduta a gambe incrociate su di una roccia, la ragazza aspettava con impazienza di liberarsi da quell’apparente impiccio.

“Posso esprimere un tuo desiderio. Non mi sembra una cosa così difficile da capire…”

Alzò il viso alle nubi che proiettavano la loro ombra su di lei per poi scattare in piedi con un balzo.

“Ricchezza, conoscenza, potere? Scruta negli intimi recessi del tuo cuore. Dimmi cosa desideri.”

Aveva preso ad avanzare nuovamente verso di lui. Stavolta il namecciano si girò dall’altra parte, avendo cura di non incrociare il suo sguardo.

“Sei una creatura ambigua. Chi mi assicura che non esaudirai il desiderio in modo da fregarmi? Come ci si può fidare di una capace di annebbiare la mente delle persone e immobilizzarti con un morso?”

Stavolta la risata di lei fu forte e argentina. Leara si trattenne la pancia, tanto pareva divertita dal timore dell’altro.

“Sono solo trucchi innocui, di cui sarebbe capace anche un bambino. Non pensavo di averti impressionato tanto.“

Tornata seria, si spiegò meglio.

“Il mio veleno immobilizza pochi minuti, mi concede giusto il tempo per scappare.”

“Quanto al potere dei miei occhi…”

Ammise quasi con tristezza.

“…si tratta di semplice ipnosi. Basta avere uno spirito molto forte, per non esserne soggiogati. Quanto a te, hai dimostrato di essere indomabile.”

Appena arrossito a quel complimento, il guerriero incrociò le braccia al petto.

“Resti comunque ambigua. E’ da pazzi fidarsi di te.”

Ad ogni modo, l’aveva guardata di nuovo. Si tranquillizzò di continuare a restare se stesso.

“Adesso che hai capito che non sto macchinando per ucciderti, ti sbrighi con quel desiderio?”

Il sorrisetto beffardo sulle labbra del namecciano, erano il segno che aveva deciso.

“Rendimi più forte.”

“Di quanto?”

Quella battuta lo irritò.

“Che significa di quanto?”

“Di quanto vuoi diventare più forte…”

La vide roteare la mano in aria come se stesse ripetendo a memoria qualcosa di molto noioso.

“Tu fa quel che puoi. Poi sparisci.”

Si costrinse ad ignorare la delusione della fanciulla.

“Posso farti diventare due volte più forte di quel che sei ora. Tuttavia…”

La tenne d’occhio mentre aveva preso a girargli attorno con l’aria furbetta di un bambino che sta per compiere una marachella.

“…col mio medaglione, credo di riuscire a farti diventare anche tre volte più forte di come sei ora. Perché non mi aiuti a cercarlo?”

Leara si sporse verso di lui, ma fu bloccata da una mano aperta dinnanzi alla faccia.

“Mi ci hai già fregato così, carina. Non credere di riuscirci di nuovo.”

Mettendo il broncio, lei assicurò che voleva niente più di quanto avesse detto.

“Pensaci. In fondo è un accordo vantaggioso per entrambi.”

Piccolo constatò che, dopotutto, non aveva nulla da perdere.

“Spiegami prima perché questo medaglione sarebbe tanto importante.”

Raggiante, la giovane gli raccontò di avere scelto di addestrarsi alla via della guerra.

“Nella mia razza, tre cose sono importanti per un guerriero: velocità, forza e magia. La magia di cui la mia gente è capace, per essere efficace, ha bisogno di una fonte di energia inesauribile. Il medaglione fa questo. Ogni giorno raccoglie la luce del sole e la converte in energia utile. Quando siamo privati del medaglione, la magia sfrutta direttamente il nostro corpo. In questo modo, abbiamo riserve sufficienti solo per 24 ore. Scaduto questo lasso di tempo, perdiamo ogni sorta di potere. Vedi da te che sono veloce ma ho una forza irrisoria. Sono una maga di grande abilità e attacco in questo modo. Senza il medaglione, posso solo scappare. Non ho una gran resistenza. Ipnosi e veleno sono solo sciocchi diversivi. Quando capiranno che sono viva e torneranno a cercarmi sarò priva di difese. Non avrò scampo. A meno che tu non mi aiuti a trovare ciò che ho perso. In cambio, prometto che ti renderò invincibile.”

Piccolo annuì. Pareva convinto.

“Raccontami pure dei tuoi nemici.”

La vide agitare le mani, come per scacciare una mosca fastidiosa.

“Nemici miei, non tuoi. Nella malaugurata ipotesi che ci trovassero insieme, a te non farebbero nulla. Neppure se provassi di aiutarmi.”

L’ultima frase era stata buttata là con uno scopo preciso, prontamente tradito. “Tranquilla, carina. Non ti toglierei mai il privilegio di risolvere da te i tuoi problemi.”

“E ti pareva! Alla faccia della cavalleria…”

Piccolo, dato l’udito sopraffino, recepì anche l’ultimo commento rivolto alla sua persona, anche se esposto a bassa voce. Sarcasticamente, non ebbe niente da obiettare, essendo perfettamente d’accordo. Capiva, invece, che c’erano particolari che gli erano stati taciuti ma non gli parvero rilevanti. Si accorse di aver sbagliato di grosso, poco dopo.

Dai prossimi comparirà anche qualcun altro. Speriamo bene. Nel frattempo spero che non risulti sgradevole questo, di capitolo. Ciao ciao! ;)


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Capitolo 4
*** Ricerca ***


Era già da mezz’ora che circolavano per quella radura, lei davanti e lui dietro. Piccolo si preoccupò che, se qualcuno avesse potuto vederlo in quella situazione, probabilmente ci avrebbe rimesso la faccia.

Aveva detto che non l’avrebbe protetta in alcun modo. Invece, la seguiva come un cane da guardia. Si sentì ribollire dentro a quel pensiero.

“Senti un po’, per quanto ancora andrà avanti questa scenetta? Tu non hai idea di dove cercare e io meno di te. Perdiamo solo tempo.”

Leara continuò a muovere pochi passi, poi si fermò e smise di giocare con la ciocca di capelli che attorcigliava tra le dita.

“Puoi ripetere? Ero assorta ad ascoltare il fiume.”

Si accorse allora di una vena che pulsava pericolosamente sulla tempia del guerriero.

“Beh? Sei per caso arrabbiato?”

Il chiamato in causa si impose di trattenersi. Si limitò ad alzare il tono di voce di più di un’ottava.”

“Stiamo perdendo tempo! Quel tuo maledetto medaglione è perduto!”

Per tutta risposta, la ragazza si girò e indicò una direzione precisa.

“Non manca molto. Da quella parte.”

“Te l’ha detto il fiume?”

Sbottò l’altro, sarcastico.

“Esatto.”

In dubbio per qualche istante se fosse stato preso in giro o meno, le impose di fermarsi afferrandole la spalla.

“Che significa che puoi parlare col fiume? Chi accidenti sei tu?”

Lei sbattè le palpebre più volte, stupita.

“Te l’ho detto. Sono Leara.”

Gli fu risposto con ovvietà. Piccolo storse la bocca, conscio ormai che doveva fare attenzione a quel che diceva, per essere capito a pieno.

“Che creatura sei? A quale razza appartieni?”

Aveva l’impressione di doverle cavare le parole di bocca. Non era a suo agio con qualcuno più silenzioso di lui. “Gli esseri umani ci chiamano spiriti dell’acqua.”

“Da dove vieni? Qual è il tuo pianeta?”

In quel momento si ricordò che secondo Balzar quella straniera non proveniva da tanto lontano.

“Io?”

Gli parve incerta.

“Io vengo dalla terra. Perché, cosa credi?” Sbigottito, le fece notare che pareva tutto, tranne una terrestre. La vide calciare via con il piede un sassolino che le era capitato davanti. Non c’era bisogno di essere geni per capire che quel discorso la metteva a disagio.

“Giriamo poco sulla terra. Per questo gli esseri umani non sono abituati a noi. I miei fratelli raccontavano spesso che ci scambiavate per alieni.”

A quel punto avrebbe voluto svelare a pieno quel mistero e non si sarebbe fermato di fronte al mutismo della ragazza. Non si aspettava però che lei avrebbe indicato un luccicare su un prato poco distante, ne che si sarebbe messa a saltare e battere le mani come una mocciosa.

Ancora non sapeva che dietro un sorriso si può nascondere tanto dolore e l’aveva lasciata fare come se si fosse stata un fenomeno da baraccone. Se le emozioni umane, per lui, erano un enigma, molto peggio si rapportava con lei, che cambiava umore spesso come le maree.

Aveva sbuffato e incrociato le braccia, tranquillizzato solo del fatto che col famoso medaglione, presto quella assurda storia sarebbe finita. Appoggiata la schiena al tronco dell’albero più vicino, incrociate le braccia al petto, aveva chiuso gli occhi per godere dei raggi del sole che filtravano fra le foglie.

Non se l’aspettava proprio che lei gli stampasse un bacio sulla guancia prima di correre a raccogliere quello stupido monile. Quando si rese conto dell’accaduto, diventò più rosso che verde.

Gli insulti peggiori che stava formulando gli morirono in gola. Il sorriso che si ritrovò a combattere in quell’istante era diverso da qualsiasi gli fosse stato rivolto prima, semplicemente disarmante.

Balbettò solo di aver a che fare con una matta e iniziò a pulirsi la guancia neanche fosse stato toccato da un mortale veleno.

“Non mi hai solo permesso di sopravvivere ma addirittura di continuare a lottare.”

Urlò abbastanza forte da mascherare l’incertezza nella propria voce.

“Mi interessa solo del desiderio che puoi esaudire!”

Leara, ormai, gli aveva dato le spalle ed era più lontana. Si arrestò solo un attimo per rispondergli, ma non tornò indietro.

“E’ inutile che fai tanto il duro! L’ho capito subito che non c’è male nel tuo cuore. Altrimenti neppure sotto minaccia di morte avrei promesso di renderti più forte!”

Il namecciano, offeso, le aveva dato le spalle. Mai avrebbe ammesso di aver davvero apprezzato quelle parole.

Terribilmente teso, si era rimesso ad osservare il sole: come se avesse voluto a tutti i costi tenere gli occhi aperti, a sfidare la luce dell’astro ad accecarlo. Era tornato subito calmo, rassicurato dalla propria intima forza.

Ormai di nuovo attento a ciò che lo circondava, avvertì subito quella vibrazione. Una goccia di sudore freddo gli colò giù dalla tempia. Individuò il nemico in un lampo. Si voltò deciso e, con orrore, lo percepì proprio alle spalle della ragazza.

“Spostati di lì! Ce l’hai alle spalle!”

Leara fu via in un battito di coglia con una capriola. In mano, vittoriosa, stringeva il suo medaglione. Si portò vicino a Piccolo e aprì le dita, pregustando già la sua ritrovata forza.

“Cerchi questo?”

Il nuovo arrivato mostrò un oggetto del tutto uguale al suo.

“Cavolo!” Solo allora, la ragazza si rese conto di avere recuperato un falso.

Perdonatemi, l’azione ancora scarseggia. Sono alle prime armi come writer. Se potete, portate un po’ di pazienza. Ciao! ;)

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Capitolo 5
*** Il nemico ***


La ragazza strinse l’oggetto tra le mani fino a ridurlo in pezzi. Strofinò i palmi per pulire ogni residuo, sul suo viso un’espressione scura.

Rimessa in piedi, squadrò con un certo disprezzo l’uomo appena giunto. Se provava paura, Piccolo capì che sapeva ben mascherarla.

Perché lui, un po’ di timore, se l’era fatto venire. Quello strano essere alto quanto lui e dalla muscolatura di un bisonte, benché immobile, come se valutasse la situazione, tutto sembrava fuorché innocuo.

Anzi, no, non era un bisonte. Nell’insieme poteva dirsi armonico. Vestiva alla stessa maniera di lei, aveva la stessa natura.

Nel buio delle sue iridi, però, pareva essere celato un mistero sgradevole e insondabile. Era un nero statico, immobile. Il namecciano immaginava così la fine di tutto.

Gli corse un brivido lungo la schiena al ricordo di come era la morte e lui l’aveva provata, per il piccolo Gohan. Ed era esattamente così. Le parole pronunciate da Leara furono come la macabra conferma del suo pensiero.

“Quale onore! Per finirmi è venuto il boia.”

La guardò bieco: per lui, quella fanciulla scherzava col fuoco. Quanto avrebbe resistito prima di scottarsi?

“Di un po’: dove l’hai lasciato quell’altro? Il tuo cervello, la tua ombra?”

Senza dubbio, sapeva quel che diceva. Un altro rumore e un’altra aura si manifestarono, all’improvviso. Stavolta, il namecciano sudò freddo. Non si era accorto di nulla. Si trattava di un avversario in grado di celare la sua aura fino all’ultimo.

Di sicuro era anche capace di mascherare l’esatta entità dei suoi poteri. Istintivamente, la fanciulla mosse un passo verso i due avversari.

“Non ci pensare neanche.”

Si voltò arrabbiato verso di lei.

“Non ce la farai mai da sola.”

“Lo so benissimo.”

Gli si parò davanti, ma lei non esitò a spingerlo indietro.

“Che intenzioni hai?”

Aveva compreso poco di lei. Non si capacitava però di quella volontà suicida. Perché ora si strappava la stoffa leggera della tuta per mostrargli la cicatrice?

“Me l’hanno procurata loro, questa. Tagliarono in due il corpo del mio maestro, che si era frapposto nel disperato tentativo di proteggermi. Gli volevo un bene dell’anima e adesso ce l’ho morto sulla coscienza. Non chiedermi di sopravvivere ancora a questo prezzo. Davvero, non me lo merito. ”

“Intendi dire che mi vuoi bene come ne volevi al tuo maestro?”

Ribatté sarcastico.

“No, mi hanno solo insegnato che non è onorevole servirsi del sacrificio di un idiota.”

Lo scambio di battute non era sfuggito al più basso degli spettatori, che aveva preso a scrutarli con disprezzo, per poi iniziare a battere le mani.

“Che bel quadretto! Sono commosso! Quasi mi piange il cuore a farti fuori.”

Sputò in terra per poi estrarre qualcosa dalla tasca dei pantaloni. “Quando hai finito di perdere tempo con quel coso dalla pelle verde, gradirei che ti impegnassi nello scontro, mia cara.”

Indicò il compagno. Un ghigno beffardo si impresse sulle sue labbra, alla rabbia della sua preda.

Perdonatemi per il ritardo dell’aggiornamento. Sto facendo una certa fatica a continuare la storia.

Credo sia dovuto al fatto che non mai scritto prima. Scusate!! Ciao! ;)

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Capitolo 6
*** La resa dei conti ***


Se avesse potuto vederli, avrebbe trovato, negli occhi di Leara, solo il nero della notte: la pupilla si era dilatata a dismisura, fino a coprire tutto il bianco che restava nelle orbite.

Allora, sarebbe di nuovo caduto vittima del suo potere.

Fu un brivido lungo la schiena che gli impedì di portarsi davanti a lei: una sorta di istinto che lo rendeva molto più ricettivo di molti fra i suoi amici combattenti.

La paura cedeva però il passo all’orgoglio. Le posò la mano sulla spalla e la sua presa era salda. Sotto le dita percepiva lo scempio di quella cicatrice. Poteva sentire le fibre muscolari tese, che vibravano al battito celere del cuore. La pelle era madida. Non allentò la presa. Le labbra di Piccolo si tesero in un sorriso beffardo. Dunque, anche lei aveva tanta paura.

“Che intenzioni hai?”

Ripeté per la terza volta. Negli attimi di silenzio che precedettero la risposta della fanciulla, si chiese se lei non stesse cercando di farsi coraggio o raccogliere le energie residue. Inaspettatamente, lasciò che le dita esili dell’altra si posassero sopra le sue. Al namecciano parve quasi che volessero intrecciarsi alle proprie, cercando conforto.

“Con la loro sconfitta, onorerò la morte del mio maestro.”

Leara aveva deciso. Si scostò all’improvviso, con un gesto secco, per liberarsi del loro contatto.

Strinse i pugni e corse. In un lampo fu ai piedi del gigante. Spiccò un salto. Gli arrivò alla spalla e spalancò la bocca. Aveva centrato l’obiettivo.

Piccolo inorridì. Le urlò poi di staccarsi di lì. L’avversario aveva alzato il braccio con l’intenzione di colpirla con un pugno alla nuca.

La squadrò con sufficienza, quando, velocissima, saltò a terra. Non gli faceva né caldo né freddo essere stato morso vicino alla giugulare.

“Sei diventata più temeraria.”

La sua voce era bassa e profonda. Parlava lentamente, come se non ne fosse davvero in grado o volesse infondere un certo peso alle sue parole.

Un fascio di luce si attorcigliò attorno al suo braccio e gli si svolse a attorno in una sinuosa e ampia spirale. A terra, lo schiocco sibilante di una frusta.

Piccolo aveva iniziato a inquadrare qualche tassello. Fu, però, l’altro avversario a dar corpo ai suoi pensieri.

“Immagini bene. La sgualdrina, una volta, è stata quasi uccisa da quell’arma.”

Questi si era seduto su un masso sporgente, con l’aria di chi assiste distrattamente a qualcosa di leggermente diverso dalla norma.

Sbadigliò e rigirò il medaglione che aveva rubato, certo che la cosa sarebbe finita di li a poco. Mugolò di dissenso quando Piccolo, avvicinatosi, lo privò della luce del sole.

Si sporse verso di lui con aria di sfida e dondolò il gioiello davanti il suo naso.

“Non mi dirai che vuoi batterti con me per riportare questo a lei…”

Lo impugnò poi saldo.

“Cosa ti ha promesso, in cambio dell’aiuto?”

Anche questo aveva le pupille nere come Leara. In lui, però, era interminabile come un pozzo senza fondo. La sua aura era difficile da scandagliare. Quel poco che si capiva era davvero malvagio.

Il namecciano indietreggiò di un passo, ma era già tardi. Si trovò all’improvviso preda del controllo mentale di quell’essere. Quando se ne accorse, cercò di spostarsi. Il suo corpo, però, pesava più di un macigno.

Un pugno diretto allo stomaco lo fece accasciare, pur essendo di bassa potenza. Carponi, non considerava più il suo sfidante così basso.

“Il mio nome è Leakonos.”

Distinse chiaramente i suoi passi. Provava a rialzarsi, invano. Quando l’ebbe davanti, fu riverso a terra da un calcio al viso. I suoi vestiti iniziavano a pesargli troppo addosso.

Strappò con rabbia i fili d’erba che sentiva sotto le mani. Ringhiò, la morsa sul suo corpo lo obbligava a restare a terra.

“So benissimo che se ci scontrassimo apertamente vinceresti tu, amico. Sei molto forte, troppo al di la della mia portata. Tuttavia, hai fatto l’imperdonabile errore di sfidarmi senza conoscermi.”

Raggelò un istante al ghigno che lo sovrastava.

“Sai, la mia specialità è il controllo mentale. Sono io che comando quel mastodonte.”

Lasciò che Leakonos si inginocchiasse e lo squadrasse con indifferenza.

“Devi sapere che lui e Leara sono fratelli di sangue. Eravamo tutti e tre allievi di quel vecchio stupido. Io però fui cacciato. Il maestro mi considerava infido. Sì, infido ed egoista.

Così mi definì, io, erede del re della civiltà del mare. Il maestro d’armi più famoso del regno preferì a me una coppia di frattelli: spuntati dal nulla, senza natali, senza nome.”

Impotente, assistette alla metamorfosi dell’astio all’odio.

“Sarò anche infido ed egoista, ma non sono sciocco. Dovevo lavare l’onta che avevo subito.

Irretire il gigante fu un gioco. Preso il controllo della sua mente, volevo fargli ammazzare la sorella e rinsavire di colpo. Una cosa veloce, pulita, divertente.”

Fu a quella parola che la rabbia iniziò ad impossessarsi di lui.

“Il vecchio, però, si accorse della cosa sul più bello. Li separò prima che il gigante strozzasse la sorellina. Tardò solo l’esecuzione.

Parò il colpo energetico diretto a Leara col suo corpo e ci lasciò le penne. La sgualdrina fuggì e da allora l’ho inseguita parecchio.”

Leakonos si girò un secondo, per osservare a che punto fosse lo scontro degli altri due. Sbuffò: ancora pari.

“Con lo status di figlio del re bastò la mia parola per fare di lei un’omicida ricercata in tutto il regno.”

C’era una luce strana nel suo sguardo.

“A ogni scontro diventava più veloce, più potente, più bella. La continua battaglia, da pezzo di carbone qual era, l’ha resa un diamante raro.

Per questo, giorni fa, le chiesi se volesse dimenticare il passato, entrare tra le mie fila. La cosa, però, non era di suo gradimento. Ha espresso, piuttosto, il desiderio di morire e ho voluto accontentarla. Credevo di esserci riuscito e mi ero preso questo come ricordo.“

Gli mostrò ancora il medaglione. Fino ad allora, il livore del suo animo era stato trattenuto da una apparente gelida indifferenza.

“Poi, dal nulla, ecco di nuovo, senza motivo apparente, la sua aura. E’ in vita, ancora più bella di come l’avevo lasciata, con te al suo fianco.

La gemma più rara e preziosa, in mano a un mostro orrendo e insignificante.”

Si era alzato impiedi e aveva aperto la mano. Sul suo viso, ormai, c’era solo odio.

“Ho voluto raccontarti la storia, prima di spedirti all’altro mondo. Ho provato a spiegarti che saresti rimasto in vita, se fossi rimasto al tuo posto. Cose preziose come lei, non possono essere donate a esseri infimi come te.”

Troppo odio per prestare attenzione all’avversario. Piccolo era stato zitto. Ancora immobilizzato, non aveva potuto rispondere e la sua rabbia era salita ogni attimo di più. Era una bomba pronta a esplodere.

Gli bastò l’attesa prima che il carnefice lanciasse il colpo di grazia. Il raggio che scaturì dai suoi occhi centrò Leakonos al petto.

Fu il suo turno del grande re di perdere il medaglione e non gli valse a nulla, per aver salva la vita, offrire anche quello della ragazza.

Prima di polverizzarlo con un’onda d’urto, il namecciano non sentì il desiderio di spiegargli proprio un bel niente.

Semplicemente, disgustato, distrusse il medaglione di quel pazzo e recuperò l’altro. Si era accorto che la ragazza ancora stava combattendo e la cosa non gli piaceva affatto.

“Leara! Dove accidenti siete tu e tuo fratello?”

L’istinto gli diceva che poteva urlare a voce alta. Quella volta, il suo istinto sbagliava.

Udì solo qualche goccia d’acqua che ricadeva sul fiume da una superfice alta. Si girò di scatto e gli prese un colpo, ritrovandosi completamente occultato da quell’essere.

Mai avrebbe immaginato, dall’alto dei suoi due metri abbondanti, che la sua ombra sarebbe stata sovrastata da qualcosa che veniva dall’acqua.

Deglutì un attimo, ma non ebbe dubbi su chi fosse quel mastodonte, anche se ora, a posto delle gambe, vantava una cangiante coda da pesce.

“Sei libero amico. Perché hai ancora quella faccia?”

Le squame rifletterono la luce del sole, tingendosi per un attimo dei colori più sgargianti.

“Non avvicinarti. Questa parte della storia non ti riguarda.”

Il namecciano si girò alla sinistra di quel coso e una roba più piccola emerse dalla corrente del fiume.

Ormai gli era chiara la definizione di spirito dell’acqua o, più comunemente, di sirena. Portò il braccio parallelo al terreno e mostrò il frutto del suo operato. Il sorriso di Leara era ancora amaro. Tuttavia, la fanciulla si avvicinò tendendo la mano. Dalle sue labbra, uscì un timido grazie.

“Neanche con la morte di chi lo controllava, tuo fratello è tornato in sé?”

Piccolo constatava l’ovvio. Si abbassò vicino all’argine del fiume, per permetterle di recuperare il monile senza emergere completamente. Mentre la osservava, era chiara la sua curiosità verso una creatura che non aveva mai visto. Arrossì, mentre lei tendeva le dita esitante.

Forse era perché, praticamente, indossava colo un corpetto a fascia a copertura del seno o perché la sua pelle dai riflessi azzurri, di una tonalità adatta a disperdersi tra i flutti, aveva un colore che gli piaceva davvero.

“Che intenzioni hai, ora?”

Le afferrò prontamente le dita e il suo era un tono che non ammetteva repliche. Sentiva che, altrimenti, gli sarebbe come sfuggita per sempre. A quel punto, doveva avere la sua risposta.

“Userò il medaglione per liberare mio fratello. Poi tornerò a renderti più forte, lo prometto.”

Non era convinto, eppure la lasciò andare. La osservò sorridergli un’ultima volta, prima di sparire nell’acqua, suo fratello con lei.

Si era messo a meditare vicino agli argini del fiume, nel punto in cui l’acqua si raccoglieva con velocità e forza, dopo essere scivolata nella cascata.

In lontananza, percepiva le aure dei due fratelli e il suo presentimento non era sbagliato: stavano combattendo. Era consapevole di non poter certo scendere sottacqua e restarci tanto a lungo come due creature nate in quell’habitat.

Negli ultimi minuti, però, in cui l’aura della fanciulla scemava e quella del fratello diventava più minacciosa, un pensiero folle stava prendendo forma senza il suo volere.

Lo ricacciava indietro con fatica. Una goccia di sudore colava lungo la tempia. Lei sapeva a cosa andava incontro ed era una sua scelta. Sua pure la scelta di non volerlo tra i piedi.

“Stupida.”

Sbottò d’un tratto a denti stretti, rivolto solo alla cascata.

L’acqua, a valle, era esplosa come in una fontana zampillante, per uno scoppio sommerso. Volò veloce in quella direzione e, quando il liquido sotto di lui, da trasparente, si fece rosso, si tuffò senza pensare.

Individuò subito una macchia azzurra che scendeva dolcemente verso il fondo, il cui percorso era tracciato da un fumo rosso che si disperdeva in fretta. Aprì la bocca per urlarne il nome e se la ritrovò piena d’acqua.

Risolvendo che tanto non l’avrebbe sentito, si sbrigò prenderla prima che toccasse fondo e cercò di nuotare verso l’esterno. Aveva fatto solo pochi metri, quando il gigante si svegliò all’improvviso.

Una corrente calda lo investì alle spalle e lo scaraventò dalla parte opposta rispetto a quella dove voleva andare. Era troppo forte ed era rimasto troppo a lungo sotto.

Quando la vista aveva iniziato ad annebbiarsi, gli sembrò che Leara aprisse gli occhi e lo prendesse per mano. Poi, di nuovo il buio.

Riaggiorno solo ora dopo tanto perchè prima non mi è stato possibile. Spero di non essere caduta troppo nell'OOC. Io ci ho provato. Magari fatemi sapere che ne pensate. Ciao!!

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Si svegliò con un mal di testa terribile. Si portò la mano alla tempia e cercò di alzarsi.

Soprattutto non capì dove fosse, fin quando non distinse la voce di una donna, in modo particolare quella di Chichi. Rabbrividì al pensiero dell’amico Sayan, che pregava la moglie di non privarlo del pranzo per qualche stupido e assurdo motivo.

“Vado a controllare come sta Piccolo, cara.”

Udì il suono inconfondibile di passi di corsa su per le scale, al di la della porta, che si spalancò all’istante.

“Ciao amico!”

Il Sayan aveva tutta l’aria di essere scampato all’ennesima lite con la moglie. Si terse il sudore dalla fronte con un sospiro di sollievo, per poi prendere la sedia dalla scrivania del figlio e sistemarsi di fianco al letto. Lo fissò, curioso.

Piccolo diventò rosso, infastidito da quell’attenzione.

“Si può sapere che hai da guardare?”

Sbraitò in malo modo, desideroso di finirla all’istante.

“Perchè non ci hai mai detto di essere così legato ad una sirena?”

Per un attimo gli mancò la terra sotto ai piedi. Prese fiato e, se fosse stato in forze, avrebbe finito l’amico a suon di pugni.

Solo dopo qualche minuto, smaltita la rabbia, riuscì a confessare di non ricordare assolutamente nulla.

Goku gli spiegò di essere accorso perché aveva sentito la sua aura spegnersi. L’aveva poi ritrovato parzialmente immerso nell’acqua del fiume, in braccio a una strana ragazza con la coda di pesce, che piangeva disperata perché non riusciva a svegliarlo e lo temeva morto.

“Anche lei era ferita, ma in modo leggero. Faceva una pena, poverina. Non c’è stato verso di convincerla a curarsi.

Tu, invece, bastava guardarti per capire che eri solo svenuto. Si sa che hai la testa dura.”

Piccolo si sporse verso di lui.

“Non dirmi che l’hai lasciata ferita e da sola! Lei era in pericolo!”

Goku negò.

“C’era suo fratello con lei. Si vedeva lontano un miglio che l’avrebbe protetta da tutto, a qualunque costo.”

Furono quelle parole a placare il namecciano. Se suo fratello fosse stato un pericolo, di certo, lui se ne sarebbe accorto.

Era passato qualche mese da allora. Piccolo aveva ricominciato subito ad allenarsi e lei era un pensiero persistente che gli attraversava la mente e non la voleva abbandonare.

L’onda d’urto che si ritrovò, a schivare, invece, era reale. Gli insulti aspettarono a uscire, quando vide chi aveva avuto l’ardire di indirizzare quel colpo alla sua persona.

Leara si riavviò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre aspettava che scendesse a terra, dopo aver sciolto la posizione del loto.

Gli si fiondò addosso e lo abbracciò forte, per quanto poteva. Di sicuro l’avrebbe staccata da sé arrabbiato. Non importava.

“Ti avevo fatto una promessa, che non ho mai mantenuto.”

Gli sussurrò all’orecchio, prima di iniziare ad allontanarsi. Il medaglione faceva bella mostra di sé su un abito dalla scollatura generosa che, a giudicare dal sorrisetto che le ammorbidiva le labbra, era stato messo proprio per causare una certa reazione.

Soddisfatta, osservava divertita le guance dell’uomo tingersi di un rosso appena accennato.

“Chi non muore si rivede…”

Bofonchiò l’altro, cercando di indirizzare lo sguardo verso il cielo che, d’improvviso, aveva assunto una tinta d’azzurro davvero interessante. La udì ridere e si decise a prestarle attenzione con una certa fatica.

“Tuo fratello che fine ha fatto?”

Buttò la, giusto per imporsi di non fare una figura che gli piaceva sempre meno.

“Ti ringrazia moltissimo ma non aspettarti di vederlo di persona. Lui detesta la terra ferma e, ora che è libero, dubito che vorrà più tornare qua sopra. Poi, nel nostro regno c’è molto da ricostruire.”

Quel cambiamento nel tono di voce, improvvisamente più dolce, lo convinse a prestarle attenzione. Constatò che guardarla esercitasse su di lui un effetto ancora maggiore di quanto ricordasse.

Si obbligò a non palesare il leggero tremore che sembrava essersi impossessato della sua persona.

“Prima di tutto, te l’ho detto, devo mantenere una vecchia promessa.”

Quel tremore, da leggero, divenne sempre più palese. Cercò di tirarsi indietro, ma la ragazza aveva poggiato la mano aperta sul suo petto e aveva iniziato a manifestare quel leggero potere ipnotico che riusciva come a impedirgli di scappare.

“Che intenzioni hai? Si può sapere?”

Intuì tardi che la leggera scossa di energia attraverso i muscoli e ogni fibra del suo corpo altro non era che l’avverarsi del suo passato desiderio. Fu libero di spostarsi dopo pochi attimi, la mano di Leara ancora sospesa a mezz’aria.

“Ho rispettato l’accordo. Il tuo livello di combattimento dovrebbe essere cresciuto di circa sei volte ora.”

Se era tutto a posto, si chiese, perché vedeva ancora in lei quella faccia scura? Istintivamente le posò una mano sulla spalla. Non sapeva bene come destreggiarsi.

”Che altro c’è che non va?”

Restò di sasso quando lei sospirò, neppure troppo decisa.

“Parla.”

“Io…avrei deciso di restare sulla terra ferma…per un po’.”

Non immaginava che, presto, sarebbe rimasto senza fiato.

“Sì, insomma, vorrei che tu…”

La osservava gesticolare in aria, torturarsi le mani.

“Giurami che non ti arrabbierai.”

Provò ad aprire bocca, confuso.

“Giuralo!”

Era curioso di dove volesse andare a parare. Sospettava qualche strano tiro mancino. Nonostante ciò, decise di accontentarla.

Non si aspettava che gli sarebbe saltata con le braccia al collo e l’avrebbe baciato con quell’impeto, per poi staccarsi e lasciarlo senza respiro. Quando si riebbe dalla sorpresa, lei si era allontanata di qualche passo. Lo fissava mordendosi il labbro.

“Avevi giurato che non ti saresti arrabbiato.”

Pigolò lei, fraintendendo del tutto la sua reazione. Il guerriero, infatti, se ne stava ancora immobile con un’espressione grave. Leara, allora, gli aveva dato le spalle, pronta a sparire con quel poco che restava del suo orgoglio ferito.

Urlò appena e cercò di scartare di lato, spaventata, ma fu il suo turno di essere bloccata. Piccolo l’aveva sorpresa e afferrata all’improvviso, con un’espressione di trionfo in volto, mentre blaterava qualcosa circa il fatto di essere diventato molto più veloce persino di lei, addirittura invincibile.

Lei gettò la testa all’indietro e sorrise, spensierata, mentre il vento le scompigliava i capelli. Si aggrappò a lui mentre la terra e l’acqua si facevano sempre più distanti dai suoi piedi. Volando, era stata portata fino a un punto più elevato da cui si godeva dell’intera vista della zona. Riluttante, posò la punta dei piedi a terra. Voleva averlo vicino. Attorcigliò meglio le dita alla stoffa della sua casacca. Si sporse a cercare ancora il contatto delle sue labbra. Sbuffò, quando questo le fu negato.

"Sai volare carina?"

Negò, confusa da quella domanda.

"So nuotare. Il mio elemento non è l'aria ma l'acqua. Anche uno zuccone come te l'avrà capito. Piuttosto, perchè mi hai portata quassù?"

Lo osservava farsi beffe della sua incapacità e fu tentata di assestargli un colpo energetico dei suoi, a tradimento. C'era dell'altro, però, e attese.

La voce di Piccolo risuonò decisa, ma velata come di una profondità nuova .

"Osservalo bene..."

Le indicò il paesaggio sotto di loro: il fiume e il fragore della cascata, l'asperità delle rocce e l'immensità del cielo.

"Questo mondo è così brutto in confronto al tuo?"

Leara si chiese, per un attimo, dove volesse andare a parare.

"Questo mondo per me ha valore come quello di origine, anche più..."

Si strinse di più a lui, come se il venticello che spirava lassù potesse davvero farle provare freddo.

"...perchè è in questo modo che sono tornata ad essere felice."

Il namecciano, allora, le cinse la vita sottile col braccio. "Allora non avrai nulla in contrario..."

Rispose, serio, all'ovvia e tacita domanda che seguiva la sua affermazione. La guardò negli occhi e, da quel momento, non ne fu più soggiogato.

"...a restare qui. Perchè sta pur certa che non ti lascerò più andar via."

Aveva rinforzato la presa, come a imprimere maggior fermezza alle sue parole, anche se il suo colorito, allora, virava a un rosso acceso.

Trovò che la risata argentina di lei e la sua voce, non del tutto umana, avessero un suono davvero gradevole. Gli piacque da morire quell'espressione da bambina in procinto di combinarne una.

"Non ho la minima intenzione di scappare."

Non si era mai sentito così completo ed euforico prima di allora. L'unica pecca, ripetè a se stesso, dopo qualche mese, era che Leara aveva stretto un'amicizia profonda con la moglie di Goku.

Del resto, aveva capito di essere fregato quando, pensandoci su, nonostante questo e i mille altri difetti che aveva scoperto nella compagna, mai e poi mai l'avrebbe lasciata.

Chiudo così questo piccolo racconto, che per me è stato un tentativo e un divertimento, non so se riuscito o meno. Grazie a chi ha aggiunto la storia tra preferiti/ricordati/seguiti, a chi ha recensito e con i propri commenti positivi o negativi mi ha permesso di emozionarmi e migliorare, a chi ha letto soltanto. Alla prossima! ;)

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