Paper Plane

di shootingstar_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di un nuovo anno. ***
Capitolo 2: *** Di ritardi e di cadute. ***
Capitolo 3: *** Dave lo sa. ***



Capitolo 1
*** L'inizio di un nuovo anno. ***


Capitolo uno: l'inizio di un nuovo anno.



Il primo giorno di scuola era sempre, inevitabilmente e non molto inspiegabilmente una mastodontica scocciatura- e questo giusto per riportare in parole povere ciò che Lulu pensava riguardo il doversi alzare a quell'ora indecente dopo tre mesi di vacanza.

La ragazza, ancora avvolta alla bell'e meglio dalle lenzuola lilla aggrovigliate, ancora con gli occhi serrati, ficcò una mano sotto il cuscino con l'impellente desiderio di far tacere quel dannatissimo cellulare.

Quando finalmente la musica si arrestò e la camera tornò in silenzio, la ragazza bofonchiò al cuscino: «Ancora cinque minuti, solo cinque minuti» prima di tornare in quello che i medici riconoscerebbero senza alcuna difficoltà come stato di catalessi.


I proverbiali cinque minuti erano già passati da un pezzo quando Lulu si svegliò di soprassalto, assordata dai colpi secchi alla porta che, stupidamente, nel sonno, aveva scambiato per spari.

Subito dopo i colpi alla porta si aggiunse la voce di sua madre a perforarle le orecchie.

«Lucrezia, scendi subito da quel letto!».

«Mmh» mormorò la ragazzina. «Ora, ora».

«Finalmente» la sentì borbottare dall'altra parte della porta. Il ticchettio dei tacchi di quella donna era come un martello pneumatico nella testa di Lulu. Che poi, chissà perché si era già messa le scarpe. «Ah, sbrigati. Questa mattina ho un appuntamento, non posso accompagnarti».

Ecco svelato il mistero.

Lulu si destò subito. «E me lo dici solo ora?» le urlò di rimando. «Non farò mai in tempo!».

«Certo che sì tesoro mio. La colazione è sul tavolo. Divertiti a scuola».

Lulu sbuffò, passandosi una mano tra i lunghi capelli scuri tutti annodati. Recuperò il cellulare da sotto il cuscino, sperando con tutto il cuore che quella spiritosa di sua madre l'avesse presa solo un po' in giro.

In alto a destra, scritto chiaramente in nero, l'ora segnava 7.45. Non ci voleva un genio in matematica per capire che non ce l'avrebbe mai fatta a fare tutto e ad essere a scuola alle 8.10.

Lulu sorrise alla foto di sfondo, dopodiché si decise finalmente ad alzarsi dal letto.

Mentre si trascinava in bagno come uno zombie, poté constatare che il mal di testa della sera prima non le era ancora passato- allo stesso modo, la sensazione di nausea le attanagliava ancora lo stomaco brontolante.

La prima cosa che vide una volta arrivata in bagno, oltretutto, non migliorò affatto né il suo umore né la sua salute.

Eccola, era lì, lì che la guardava con quella sua aria insolente, di sfida.

Lulu avrebbe davvero voluto prenderla a pugni, farle del male, ma tanto lo sapeva che non sarebbe servito a niente. Era solo una stupidissima divisa, e combattere una divisa era ancor più difficile che combattere una persona in carne ed ossa- ma d'altronde quell'orrido completo era l'incarnazione del male.

Dopo essersi lavata, pettinata- la sola cosa impiegava diversi minuti- e truccata per quanto potesse truccarsi, Lulu si avvicinò alla divisa appesa alla gruccia.

Sapeva che era una cosa alquanto improbabile, ma avrebbe potuto giurare che quel mostro la stesse guardando dall'alto in basso.

Strinse l'orlo della gonna grigia, pensando, per quella che doveva essere la duecentesima volta in due anni di carriera scolastica, che l'obbligo della divisa era proprio un bel paradosso.

Fra tutti, proprio loro.

Naturalmente la sua era una scuola famosa, prestigiosa e anche a pagamento, per quanto la quota fosse modesta, su questo non v'erano dubbi.

Era altrettanto vero, però, che la loro era una scuola di moda e sartoria.

Passavano le giornate a studiare le caratteristiche fisiche delle persone e, di conseguenza, a tagliare, progettare e cucire in base a queste caratteristiche.

E allora, si chiese frustata mentre indossava la polo blu, perché lei era obbligata a indossare quell'abominio che le faceva le gambe e il busto ancor più corti di quanto già non fossero?

Per non parlare di quando sarebbe arrivato l'inverno. Lì le sarebbe toccato anche mettere le calze- allora sì che si sarebbe sentita come un vero spaventapasseri in miniatura.

Rassegnata, Lulu agguantò al volo la cartella per tre quarti vuota dalla scrivania, infilò il cellulare in tasca, scese al piano di sotto, agguantò al volo il pezzo di torta per la colazione e uscì di casa senza rendersi conto di non aver chiuso la porta a chiave.


Stava correndo quando qualche pazzo che gridò il suo nome la indusse ad inchiodare.

«Lulu, ehi, Lulu!».

La ragazza si voltò in fretta. Aveva riconosciuto la voce. L'aveva riconosciuta subito, e subito i suoi istinti omicidi si erano placati. Se avesse ritardato, sarebbe entrata alla seconda ora, non era poi la fine del mondo.

Lasciò cadere la cartella, che si accasciò, ripiegandosi su se stessa, sul cemento.

In meno di un secondo, Lulu aveva ripreso a correre, ma questa volta nella direzione opposta, questa volta in direzione del ragazzo che l'aveva chiamata. In men che non si dica l'aveva già raggiunta e gli era già letteralmente saltata in braccio.

Il ragazzo scoppiò a ridere: «Lulu, Lulu, mi stai tirando il collo!».

«Scusa, scusa» si affrettò a dire, per poi sistemarsi meglio, incrociare le gambe attorno alla vita del ragazzo e senza accennare di volerglisi staccare di dosso. «Ora va meglio, dico bene?».

Sorridendo il ragazzo disse semplicemente: «Mi sei mancata tanto».

Lulu gli stampò un bacio sulle labbra.

«Anche tu». Il suo tono era serio, stranamente serio. Lo guardò un attimo negli occhi, gli occhi color cioccolato che aveva imparato a leggere così bene in quegli anni. «E immagino che tu rimanga sempre...».

«...irrimediabilmente gay, esatto».

Ancora stretta a lui, Lulu sbuffò. «E per fortuna. Altrimenti mi sarebbe toccato contenderti con tutte le galline che ti sarebbero letteralmente saltate addosso».

«Lulu, non esagerare» le disse. «E poi ti starebbe bene. Io devo contenderti continuamente».

Lulu sciolse la presa e atterrò dolcemente. Fece una piccola smorfietta. Per un attimo, in braccio al suo migliore amico, si era sentita alta.

«Dai, raccogli la cartella, o qualcuno te la calpesterà».

«Sissignore».


Erano ormai vicinissimi alla scuola e per qualche strana ragione- o più semplicemente per quella che doveva essere stata l'addizione fra una corsa perdifiato e una sostanziale dose di fortuna non erano più in ritardo.

«Com'è andata la festa ieri?».

Lulu continuò a camminare. Al solo sentire nominare la parola “festa” la nausea tornò a farle visita- non che se ne fosse mai completamente andata, a dirla tutta.

In un flash che dovette durare al massimo un secondo, ecco passarle davanti agli occhi i momenti peggiori della serata, colorati delle tonalità di tutto ciò che aveva osato ingerire.

«Ehi, Lulu?».

«Non lo vorresti sapere, Jamie, non lo vorresti proprio sapere» gli rispose infine in tono lugubre. «Non so nemmeno se Dave sia riuscito a tornare a casa, a dire il vero».

James reprimette una risata. «Certo che sì. Vedrai, oggi sarà pronto e pimpante ad aspettarci».

«Sarà» si limitò a replicare la ragazza. «In ogni modo siamo arrivati a destinazione. Yu-ooh».

I due amici osservarono la scuola.

Il cancello nero, in ferro battuto, impreziosito da pretenziosi ghirigori era aperto, pronto ad accoglierli tutti, come sicuramente avrebbe annunciato la preside al discorso di inizio anno.

L'edificio, imponente nella sua struttura simile a quella bizantina, con le sue finestre piccole ma luminose, gettava ombra sul cortile popolato da studenti in grigio e blu.

Da quella distanza era pressoché impossibile distinguere qualcuno, qualche faccia famigliare, o anche solo gli studenti dai bidelli, anche loro con l'imposizione di tali colori nelle loro divise.

James prese la mano dell'amica.

«Andiamo, Lulu, non fare troppe storie. Sai benissimo che a te non potrebbe che andar bene». Le regalò un sorriso d'incoraggiamento prima di continuare dicendo: «E poi lo sai benissimo che il mondo ti trova bellissima anche con la divisa».

In tutta risposta, la ragazza gli pestò il piede, si liberò dalla stretta della sua mano e, avventurandosi oltre quel cancello che per qualche ragione le aveva sempre messo inquietudine, iniziò a cercare il resto del gruppo.


«Dave! Ehi, Dave!».

Un ragazzo non poi molto più alto di lei si girò. Sventolò la mano in segno di saluto.

«Venite, venite».

La voce era ancora in qualche modo impastata, le ombre violacee che gli circondavano gli occhi appena più chiari di quelli di James lo facevano sembrare pallido, se non grigio. Eppure, non appena furono abbastanza vicini, il ragazzo non esitò a correre a salutarli.

«Jamie» fece, accompagnando il nome con una pacca alla spalla dell'amico. «Com'era la Grecia?».

«Esattamente come l'anno scorso» gli rispose, restituendogli la pacca sulla spalla. «Avete fatto baldoria ieri sera, eh».

Dave esibì un mezzo sorriso: «Me l'han detto».

Lulu rise. Dopodiché si guardò attorno.

«Gli altri dove sono?».

Dave scosse la testa. «Non ne ho la più pallida idea. Comunque vige la solita regola, se non ci si becca qua, ci si vede all'ingresso dell'Aula Magna».

Il rumore metallico e monotono della prima campanella dell'anno, quella più temuta dagli studenti, quella che segnava l'inizio di un altro anno di fatiche dopo i mesi estivi riempì l'aria.

«Come non detto» disse James. «Andiamo».











shootingstar_'s angle.
Buongiorno a tutti. Ovviamente nessuno mi conosce- piacere, sono shootingstar_, fino a qualche giorno fa "nota" come Minnie e sono qui a presentarvi la mia prima, nuova, long fic originale. Con questo non vi voglio dire di essere clementi. Al contrario, se c'è da tartassare, fatelo *additt
Come ben si capisce, Paper Plane si presenta come un'altra commedia scolastica. Tuttavia ho deciso di ambientare la storia in una scuola di moda, tanto per cambiare un po' e per dare un tocco di originalità.
In questo primo capitolo appaiono i primi tre personaggi: Lulu, diminutivo di Lucrezia (cognome Poschini), Jamie (James Dukas) e Dave (Davide Belotti). Tuttavia, se le cose procederanno secondo i piani, i personaggi saranno molti di più :3
Ovviamente la scuola è fittizia, ambientata possibilmente in un posto fittizio, il sistema scolastico è altrettanto fittizio- nel senso che non seguirà i nostri regolari canoni, così come fittizzie sono le situazioni eccetera eccetera.
Inoltre, vi chiedo di tenervi bene a mente il cellulare di Lulu e la foto di sfondo che ancora non è stata descritta ma che, sempre secondo i miei piani, dovrebbe rivelarsi importante ai fini della storia.
Ecco, è tutto, almeno credo.
Spero vivamente di avervi incuriositi, spero che recensiate e che qualcuno mi segua :3
Grazie mille per la pazienza, vi prometto che cercherò di aggiornare al più presto!
shootingstar_

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Capitolo 2
*** Di ritardi e di cadute. ***


Capitolo due: di ritardi e di cadute



Lulu sbuffò.

«Incredibile. Incredibile. E io credevo di essere in ritardo». Si guardò in giro, gli occhi che saettavano da una parte all'altra della stanza. «Anche Luca. Non ci posso credere».

James sbirciò dentro l'Aula Magna. «Sta per iniziare, ormai hanno preso quasi tutti posto».

Anche Dave si affacciò alla porta. «Per fortuna Ste ci sta tenendo i posti» disse, facendo un cenno all'unico che, stranamente, era riuscito ad arrivare in perfetto orario. Dave diede un'altra occhiata. «Non vi sembra che ci sia più gente del solito?».

«Più novizie».

«Sarà». Dave fece spallucce e affondò le mani nelle tasche profonde della divisa. «In ogni modo, sono arrivati».

Si girarono tutti verso i quattro individui che stavano correndo verso di loro, scomposti nelle loro divise, spettinati e con un'aria terribilmente allarmata in volto.

Un attimo prima che il grande marasma accadesse, Lulu aveva giusto pensato che non avrebbero dovuto correre in quel modo nei corridoi. I pavimenti erano così tirati a lucido che l'odore sintetico del limone si espandeva in tutto l'edificio- una condizione riservata esclusivamente al primo giorno di scuola, chiaramente; i due ragazzi avevano i pantaloni quasi calati e Luca stava cercando di infilarsi la cintura strada facendo.

Quel che mise più in allarme Lulu, tuttavia, non furono i pantaloni dei ragazzi i pavimenti freschi di straccio, bensì le scarpe della ragazza con i capelli mogano legati in una coda che lasciava liberi numerosi ciuffi ribelli.

«Lin, attenta! Hai le...» cercò di avvertirla.

Inutile, aveva aspettato troppo.

La ragazza, nel correre, era appena inciampata nelle sue stesse stringhe, rovinando a terra. La cartella, lanciata durante la caduta, era finita fra i piedi di Luca che nel tentativo di reggersi in piedi si era aggrappato ad Alex.

Per un attimo, sembrava che ce l'avessero fatta, ma nemmeno il tempo di tirare un respiro di sollievo che Alex perse l'equilibrio e cadde su Nadia, china a controllare come stesse l'amica.

«Ahia!» strillò Nadia, ora schiacciata sul pavimento. «Per l'amor del cielo, leva immediatamente il tuo culo dalla mia schiena o te la farò pagare, Alex».

Il ragazzo sbuffò: «E' necessario essere sempre così gentile?».

«Ancora qui? Ti ho detto di alzarti».

«Io invece non voglio».

«Alex, ti avverto...».

«Cosa?» rise lui. «Sei un cosino pelle e ossa, non mi faresti nemmeno un livido».

Nadia divincolò il braccio quel tanto che bastava per raggiungere la sua spalla e tirargli un pugno.

«Cafone» gli disse, il tono tagliente come il bordo di un foglio di carta assassino. «Alzati» gli intimò poi per la quarta volta.

Alex aprì la bocca per ribattere, ma venne interrotto dal pronto intervento di Ste che, alzatosi dalla sua postazione in Aula Magna, aveva ben pensato di porre fine al battibecco che, lo sapeva, sarebbe potuto durare anche per altri venti minuti.

Inoltre, Alex ne sarebbe uscito sconfitto e umiliato per l'ennesima volta- e sarebbe stato davvero, davvero troppo patetico anche solo da vedere, figuriamoci da sopportare.

«Ehi, smettetela» abbaiò, la voce profonda seria in contrasto con il mezzo ghigno che gli piegava le labbra in una linea irregolare. «Alzati, amico. Avanti».

Gli porse la mano destra.

Alex la guardò per qualche secondo, indeciso se afferrarla e ritirarsi o se continuare a battibeccare nel tentativo di conquistare finalmente una vittoria contro la bionda.

Alla fine, però, il buon senso ebbe il sopravvento sul testosterone e afferrò la mano- accompagnando il tutto alzando gli occhi al cielo e con un teatrale sospiro ben poco credibile.

«Grazie, Ste» disse Lin. «Questi brutti idioti non si erano mica accorti che io ero rimasta sotto con la faccia schiacciata contro il pavimento».

Si alzò, si raddrizzò la gonna, si lisciò la maglietta ed, infine, si allacciò le scarpe.

«Come i cretini» borbottò fra sé, «inciampare nei lacci delle scarpe. Neanche avessi cinque anni e fossi stata bocciata all'asilo. Che razza di idiota».

Lulu e Jamie si scambiarono un'occhiata. Subito distolsero lo sguardo l'uno dall'altra, ma fu del tutto inutile.

La risata di Lulu, dapprima soffocata, presto si trasformò in un vero e proprio scoppio fragoroso al quale si aggiunse a ruota la risata scomposta di Dave e quella quasi cristallina di Jamie.

Mentre Ste rientrava a prendere i posti- o meglio, a far spostare chi aveva equivocato e aveva avuto la brillante idea di occuparli, Lin continuava a parlare da sola e Nadia ed Alex non la smettevano di guardarsi in cagnesco Luca sorrise mestamente.

«Io non riderei troppo se fossi in voi, comunque».

«Dai cazzo, non iniziare a fare il melodrammatico il primo giorno» lo schernì Dave. «Sai che palle doverti sopportare già da subito depresso».

In tutta risposta, Luca gli mostrò il dito medio per poi continuare: «Non è per fare il melodrammatico, è per ieri sera».

Lulu lo guardò, perplessa. Con tutta quella caduta spettacolare ad effetto domino si era dimenticata dell'espressione vagamente preoccupata che i suoi amici esibivano al loro arrivo, che aveva automaticamente collegata alla paura di arrivare in ritardo.

A quanto pareva, però, non era quella la motivazione- e chiunque sapeva che ciò che preoccupava Luca era bene che preoccupasse tutti.

«Ieri sera?» ripeté. Proprio non capiva. Luca aveva le sopracciglia corrucciate, e anche quello non era affatto un buon segno- e a dirla tutta non era neanche tanto bello da vedere, visto lo stato pietoso in cui si trovavano. Si girò verso Jamie e Dave, gli unici, a parte lei, che sembravano non aver idea di cosa si stesse parlando. «Che è successo ieri sera?».

James fece spallucce. «Ah, io non c'ero» le fece notare.

«Uhm» rimuginò Dave, accarezzandosi il profilo del mento col pollice e l'indice. «Sono successe tante cose ieri sera. Linda ha vomitato in macchina di suo padre, Lulu ha fatto un mezzo strip tease, Alex è uscito in balcone con l'uccello al vento, io... meglio sorvolare».

Lulu inarcò le sopracciglia, sorpresa. Nonostante i suoi ricordi della sera prima fossero, lo doveva ammettere, parecchio confusi, ricordava perfettamente Dave come il più conciato di tutti. Se era per lui che temeva maggiormente quando esausta aveva deciso di far ritorno a casa un motivo ci sarà pur stato.

«E tu come fai a ricordarti tutto? Io non ricordo di Alex!». E per fortuna, pensò mentre lo diceva. «Sicuro di non esserti inventato tutto?».

Dave le fece l'occhiolino. «E' solo questione d'esperienza. Solo questione d'esperienza».

Dopodiché si grattò la base del collo con palese falsa modestia.

Luca si schiarì la voce prima di riportarli alla realtà con il discorso lasciato in sospeso.

«Non è niente di tutto ciò. Comunque» si ritrovò a sorridere suo malgrado, «è vero che Alex ha sventolato l'uccello alla finestra».

Jamie scosse la testa, falsamente disperato: «Ma cosa devo fare con voi...».

«Mangiarci insieme al budino» esclamò Lin apparendo alle spalle del ragazzo. «Sai ancora di mare piccolo Jamie».

James arricciò leggermente le labbra carnose e, decidendo di ignorare l'ultima parte della frase chiese invece: «Perché con il budino e non, che so, con le patate?».

Lin gli scoccò un bacio sulla guancia.

«Perché ho voglia di budino, che domande» rispose con naturalezza. «Ci sei mancato taaaanto, vagabondo che non sei altro».

«Sì, certo, okay» sbottò impaziente Lulu, il piede che già batteva a terra. «Ma se non sbaglio stavamo parlando della cosa sconvolgente di ieri sera che nessuno a parte voi eletti ricorda».

Anche Alex s'intromise nella conversazione: «A me l'ha detto Luca questa mattina».

«Certo, perché tu eri troppo occupato a far vedere le tue grazie alle mie vicine di casa, genio» rimbeccò Nadia. «Se così non fosse stato avresti avuto l'accortezza di ascoltare la telefonata che è arrivata a Ste».

Jamie si girò verso l'amico seduto ancora solo nell'Aula Magna, la testa che oscillava da un lato all'altro a ritmo di musica. Non che a Stefano dispiacesse stare in disparte, a dirla tutta. Almeno per quanto riguardava le prime ore del giorno, adorava starsene tranquillo per i fatti suoi. Lui e i suoi auricolari.

Per la prima volta dopo anni di amicizia, James si chiese se non fosse proprio per quel suo carattere così apparentemente schivo che un miliardo di ragazze smaniassero per lui o se fosse semplicemente perché era uno dei pochi ragazzi dell'Istituto ad essere totalmente, completamente, indiscutibilmente eterosessuale.

«Oh, insomma». Lulu era sull'orlo dell'arrabbiatura. Odiava essere tenuta all'oscuro, odiava quel clima di segretezza, odiava quel continuo concentrarsi su cose inutili invece che sul punto della situazione. «Ci volete dire di che razza di telefonata parlate o ve lo dobbiamo cavare a forza di bocca?».

Luca si passò una mano sui capelli corti, tagliati di fresco.

«Hai ragione, scusa. Vedi, si tratta di...».

Troppo tardi.

I ragazzi ammutolirono all'istante. Sembrava che un gelo polare avesse preso il posto della temperatura piacevolmente mite di settembre. Il clima si raggelò talmente tanto che, Lulu ne era certa, se qualcuno avesse osato alitare, dalla bocca dell'audace idiota sarebbe uscita una nuvoletta di condensa biancastra.

Accanto a lei Dave deglutì rumorosamente. Con la coda dell'occhio vide il pomo d'Adamo dell'amico alzarsi ed abbassarsi in modo quasi convulso.

Infine, arrivò la voce. Quella voce. La voce che tutti gli studenti, dal primo all'ultimo, speravano di non sentire mai.

Perché, vedete, non importa che scuola frequenti, se paghi o meno una retta per assistere le lezioni, se il tuo edificio scolastico è antico o se è semplicemente un ricavato di un capanno. Non importa se sei obbligato ad indossare la divisa ogni singolo giorno dell'anno o se, invece, devi passare più tempo davanti all'armadio scegliendo i vestiti che per fare colazione, doccia e quant'altro.

È una verità universalmente nota: la voce della preside è l'ultima cosa che vorresti udire.

«Già a far chiasso nei corridoi il primo giorno, vedo».

Jamie cercò di guardare la donna negli occhi, ma desistette subito- e, dallo sguardo basso di tutti gli altri, era evidente che non era stato l'unico ad aver fallito clamorosamente.

D'altronde, la leggenda che gli occhi di quel surrogato di donna ti potessero friggere il cervello aveva avuto delle testimonianze molto interessanti. Per questo era meglio non rischiare.

«B... buongiorno, signora Preside» balbettò Linda, spinta da un moto improvviso di coraggio. «Ha passato delle buone vacanze?».

Ma a quel punto la voce della ragazza era talmente flebile che fu difficile stabilire per il gruppo di ragazzi se la Preside avesse volutamente ignorato la domanda di Linda o se, invece, semplicemente non l'avesse proprio sentita.

«Lucrezia Prestichi, James Dukas, Linda Decchi, Luca Bianchi, Alessandro Marchetti, Davide De Franceschi, Nadia Bosco».

Elencò i loro nomi come un triste appello, come il detective snocciola i nomi degli indiziati principali alla fine di un giallo.

Anche se non la volevano- non la potevano guardare negli occhi, sapevano che quelle labbra dipinte con il rossetto viola, messo fuori dai reali bordi nel tentativo disperato di donare una forma a quella riga piatta erano dischiuse in un sorriso malevolo.

«Ne manca uno, se non vado errando... In ogni modo, sappiate che quest'anno vi tengo d'occhio. Trovo sia inammissibile che già dal primo giorno voi rechiate disturbo schiamazzando in modo così riprovevole nei corridoi. Questa scuola non è....».

Da quel punto in poi tutti i ragazzi, nessuno escluso, staccarono la spina e tutto ciò che sentirono del resto del discorso della Preside fu un ronzio monotono- come d'altronde lo era la sua voce.

Ripresero giusto in tempo per sentirla dire: «E non ammetterò più ritardi, né dai più bravi né da quelli che sono stati promossi per circostanze che oserei chiamare fortuite. Adesso tutti dentro, muoversi».


«Ah, sfigati, vi siete beccati il discorso personale dalla vecchiaccia».

Ste non poteva fare a meno di sorridere. Erano piccole soddisfazioni, quelle. Il più rimproverato era sempre stato lui. Ogni volta che la Vichinga (com'era amabilmente soprannominata la Preside dagli studenti) lo incrociava per i corridoi aveva sempre qualcosa da ridire. La cravatta annodata male, una sigaretta appoggiata dietro l'orecchio, anche solo uno spillo dimenticato affrancato ai pantaloni era, per lui, motivo di rimprovero. Ecco perché, per una volta, si sentiva straordinariamente fortunato. Per la prima volta in quattro anni era riuscito ad evitarla.

Sarebbe stata una giornata memorabile, senza alcun dubbio.

Due posti più in là, Lulu diede una gomitata nelle costole a Nadia.

«Pss».

Nadia abbassò la testa fino a ritrovarsi alla stessa altezza del viso di Lulu.

«Di cosa stavate parlando prima tu e Luca?» bisbigliò. «Dai, dimmelo, sono curiosa».

«Aspetta ancora un po' e te lo spiegheranno loro» bisbigliò di rimando la bionda, indicando con un cenno del capo il palchetto dove i professori e gli ex rappresentanti d'Istituto sedevano tranquilli.

Quell'affermazione, tuttavia, non fece altro che aumentare l'impazienza di Lulu.

«Dai Nadiiiin. Dimmelo dimmelo dimmelo. Riguarda la scuola per caso?».

Un moto di nervoso iniziò a salire dallo stomaco- sapeva essere davvero al pari di una marmocchia ma, prima che questo potesse prendere il sopravvento, Nadia decise di far qualcosa che la facesse sentire più comoda sulla sedia in legno scuro.

Per questo utilizzò la testa della sua piccola amica come appoggia braccio.

Sconfitta, Lulu incrociò le braccia al petto.

Fortunatamente, Nadia aveva ragione. Dopo neanche un minuto d'attesa il professore di Educazione Fisica si avvicinò al microfono con l'ingrato compito di controllarne il corretto funzionamento, per poi allontanarsi discreto lasciando così il posto alla Preside che, di discreto, non aveva neanche i lobi delle orecchie.

«E' un onore, per me, porgervi i miei saluti e augurarvi un buon inizio anno anche questo quadrimestre». Incerti applausi dalla sala. «Sono altresì lieta di mettervi al corrente di alcune novità che daranno una sferzata d'aria fresca all'anno scolastico che sta per cominciare».

Sussurri concitati rimbombarono nell'aula.

Le dita di Stefano scattarono all'iPod, la barra del volume si colorò tutta di verde, ma adesso la sua testa con i suoi capelli quasi grigi sparati in tutte le direzioni non si muoveva più a tempo di musica. Quello era puro dissenso. Accanto a lui, Luca teneva gli occhi chiusi e la testa china, retta dalle sue stesse mani disposte a calice, come se il peso della notizia che stavano per udire non potesse essere sopportato due volte. Alex, dal canto suo, si limitava a stare scomposto sulla sedia, del tutto insensibile a... beh, a tutto ciò che riguardasse quella scuola, a dire il vero. Anche Linda, seppur stranamente, non esagerò affatto: al contrario, si limitò a guardare davanti a sé con curiosità, i capelli ora sciolti sulle spalle.

«Ci siamo» sussurrò infine Nadia a Lulu. «Tieniti forte e stai zitta».

Lulu non ebbe tempo di interrogarsi su quell'ultima affermazione perché, esattamente un secondo dopo, la Preside, quella vecchiaccia, avrebbe comunicato la notizia che le avrebbe distrutto quell'anno scolastico sul nascere.

«SILENZIO!» tuonò. «Dicevo. È con mio grande piacere che informo voi, nuovi e vecchi studenti, che quest'anno a farci compagnia ci saranno nuovi compagni addetti all'immagine».

Nuovi compagni addetti all'immagine.

Lulu deframmentò, analizzò e ricompose la frase nella sua testa. Non aveva alcun senso.

«Nuovi compagni addetti all'immagine» si ripeté a mezza voce. «Nuovi com...».

Ma poi tutto fu chiaro. La presenza di più alunni nell'Aula, quei discorsi blateranti in corridoio sul cancellare i vecchi stereotipi.

Come accidenti aveva fatto a non arrivarci prima?

Lulu non ebbe tempo di interrogarsi su cosa stesse facendo, o se la frase d'ammonimento di Nadia c'entrasse qualcosa- anche se credeva proprio di sì, perché un secondo dopo era in piedi, le braccia rigide lungo i fianchi come quelle di un soldatino, le manine strette in pugno e il suo “ma stiamo scherzando?!” riecheggiava ancora fra le pareti.





shootingstar_'s angle

Buongiorno e ecco il secondo capitolo, dove nuovi personaggi- alcuni dei quali marginali e altri un po' più importarnti entrano in scena.
Innanzi tutto c'è Ste, quello che pare un po' asociale. Nadia, combattiva e palesemente altezzosa. Linda, un po' sciocca, sbadata e tanto allegra. Luca, il più organizzato e saggio del gruppo. Infine Alex, l'antitesi (?!) di Luca.
Di questo capitolo mi ha divertito molto rivivere alcune scene della festa. Dave riserverà grandi sorprese a tal proposito. Lui sa. Ricordatevelo, lui sa sempre. Insomma, questo è un modo per dire che non ha detto proprio tutto, che più avanti ci si ritornerà, a quel party.
Mi è anche piaciuto dare qualche battuta stupida a Lin, è una ragazza divertente e spero che la appreziate uwu
Ah, piccola curiosità. Jamie è mezzo greco e mezzo inglese. Non so perché ma è così e__e
Anche la Preside, che donna twt Mi fa paura twt
Oh, e non temete, la scena finale verrà ripresa nel prossimo capitolo, così da spiegare ancor meglio l'evidenza uu
Eeeee niente. Spero vi sia piaciuto ~
Consigli, recensioni eccetera sempre bene accetti
shootingstar_

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Capitolo 3
*** Dave lo sa. ***


Capitolo tre: Dave lo sa


Il malumore non le era ancora passato del tutto.

Sdraiata sul divano, le gambe allungate sul tavolino in vetro del salotto, guardava con sguardo truce la televisione senza, però, seguire minimamente la trasmissione.

Era inevitabile. Per quanto anche gli altri le dicessero di non farne una tragedia- o, perlomeno, di smetterla per un attimo di pensarci, lei proprio non ci riusciva.

Il discorso della Preside le rimbombava nelle orecchie, costante e fastidioso come il ronzio di una mosca nell'orecchio.

Afferrò il telecomando all'improvviso e, con rabbia, spense la televisione- dopodiché lanciò il telecomando sulla poltrona vicina.

L'aggeggio atterrò, rimbalzò sul cuscino color lavanda e si schiantò sul pavimento bianco. Il rumore secco e tintinnante delle pile che rotolavano sulla superficie levigata attirò l'attenzione della madre della ragazza.

«Che cos'è caduto?».

Lulu alzò gli occhi al cielo. Quella donna era un caso perso. Entrava in un evidente stato di ansia per cose del tutto inutili- come la caduta di un pidocchioso telecomando o per una lampadina fulminata. Quando invece c'era davvero da preoccuparsi, chissà per quale motivo, continuava imperterrita a sorridere, sia con le labbra che con gli occhi che diventavano due piccole fessurine nere.

«Il telecomando» borbottò Lulu, raccogliendone da terra i pezzi. «Non l'ho fatto apposta» buttò poi lì, quasi automaticamente, a mo' di scusa.

Alice si porto le mani ai fianchi e si eresse in tutta la sua, seppur scarsa, statura.

«Lucrezia, possibile che tu debba sempre avere i modi di un elefante?» la rimproverò. «Augurati che funzioni, altrimenti ogni volta che dovrò cambiare canale chiamerò te per farlo».

Lulu sbuffò. Guardò sua mamma tornare in cucina, sempre in equilibrio sugli inseparabili tacchi.

Osservò le sue gambette corte, coperte solo da un paio di pantaloncini da ginnastica.

Lei non assomigliava per niente alla madre. Aveva sfavillanti occhi nocciola, il viso a forma di cuore e un'arcata sopraccigliare invidiabile.

Non che fosse esattamente scontenta del suo aspetto- sapeva perfettamente di essere carina, ma ecco, quell'altezza non avrebbe mai smesso di crearle, se non problemi, imbarazzi.

Essere alte un metro e sessanta arrotondato sulla carta d'identità e avere anche una corporatura minuta, che di certo non regala centimetri, presentava degli strani sconvenienti.

Tipo essere scambiata per una bambina, oppure dare l'insensata illusione di essere un tenero zuccherino da coccolare. Era sicura che, un giorno o l'altro, qualcuno le avrebbe infilato a forza un completo da bimbetta solo per poter esclamare “quanto è tenera!”.

L'improvviso rumore del citofono ridestò Lulu dai suoi pensieri, facendola sobbalzare sul posto. Osservò pigramente la madre sgambettare a piccoli passi verso il citofono, alzarlo e schiacciare il bottoncino nero senza nemmeno domandare “chi è?”, per poi tornare in cucina.

Pochi secondi dopo il rumore dei piedi che sfregavano sullo zerbino fuori la porta precedette

l'entrata del padre.

«Ciao» fece, appoggiando la ventiquattrore in pelle marrone al fianco del divano. «Cosa c'è per cena? Sto morendo di fame, oggi è stata una giornata non piena, di più».

Sprofondò nel divano, le braccia allungate sullo schienale; con gli occhi chiusi dietro le lenti degli occhiali, l'espressione era quasi pacifica.

«Ciao papà!» esclamò Lulu nell'orecchio del povero genitore, che spalancò di colpo gli occhi, spaventato e disorientato al contempo. Si voltò verso sinistra, poi a destra.

Il viso di Lulu era a pochi centimetri dalla sua faccia, sorridente e birichino. Era ancora troppo facile, per lui, rivederla come quando aveva quattro anni- quegli stupidi scherzi lo riportavano indietro nel tempo, esattamente come faceva l'espressione che li accompagnava.

Le scompigliò i capelli.

«Ciao, principessa».

Lulu lo guardò male. «Papà, non sono una principessa» si lamentò.

Aldo rise. «No, forse no». Lanciò una breve occhiata alla porta della cucina semichiusa, dalla quale proveniva un gran baccano- un misto di tintinnio di posate, pentole che entravano in collisione e imprecazioni poco chiare. «Cosa sta... ehm... cucinando tua madre?» le chiese, senza preoccuparsi di celare l'apprensione.

Lulu trattenne un risolino. Da quando la cuoca era entrata in maternità, lasciando alla povera Alice tutto il lavoro da fare, la situazione a casa oscillava fra il critico e il comico.

Non più abituata a svolgere i lavori di casa, i primi giorni se l'era dovuta vedere con montagne di piatti da lavare, pavimenti da lucidare e letti da rifare si erano dimostrati dapprima un ostacolo insormontabile, per poi diventare solo una grandissima scocciatura.

Ma ciò che più preoccupava gli altri abitanti di casa Prestichi era, appunto, la cucina di Alice. La buona volontà non mancava, questo è certo. Erano i risultati, a lasciare un po' a desiderare- anche se Lulu sospettava che la rosticceria di fronte casa non fosse poi così dispiaciuta per loro, dato che erano diventati i loro migliori acquirenti.

«E' pronto!».


Gli spaghetti erano arrotolati sulla forchetta, sospesa a mezz'aria, a metà strada tra il piatto ancora pieno e la bocca ancora vuota.

«Allora» esordì Aldo, cercando di trovare un argomento di conversazione che gli facesse dimenticare la cena, o che, allo stesso modo, non gli ricordasse la necessità di assumere una nuova domestica. «Com'è andato il primo giorno di scuola?».

Immediatamente, il viso di Lulu si accese di una forte tonalità di rosso ed iniziò ad emanare calore proprio, gli occhi le si strinsero fino a diventare piccoli come due capocchie di spillo, le labbra si assottigliarono tanto da scomparire e gli spaghetti nel suo piatto vennero infilzati con talmente tanta forza che per un attimo la stessa Lulu temette di rompere il piatto.

Alice alzò gli occhi al cielo, sbuffando spazientita.

Aveva fatto centro, pensò orgoglioso. Quello sì che doveva essere un argomento spiacevole.

«Successo qualcosa?» incalzò, fingendo serietà ed approfittando della situazione per rimettere la forchetta nel piatto.

Con gli occhi ancora bassi sul piatto, Lulu borbottò: «Cambiamenti».

Alice lanciò un'occhiata di rimprovero al marito. Aveva passato tutto il pomeriggio a cercare di distrarla. Quando era tornata a casa dal lavoro e l'aveva trovata a compilare moduli d'iscrizione per istituti professionali, i nervi a fior di pelle e la macchina da cucire infilata nell'immondizia quasi le veniva un colpo.

Si era impegnata a farla ragionare dicendole che non era proprio una pessima notizia- di conseguenza le aveva anche mentito spudoratamente, perché anche lei, esterna in tutto e per tutto alla scuola, capiva quanto fosse idiota quel “progetto”.

Quell'occhiata più che eloquente, tuttavia, non dissuase il marito a porre la domanda successiva, questa volta sinceramente incuriosito: «Che genere di cambiamenti?».

«Nuovi compagni addetti all'immagine» sputò con disprezzo la ragazza. «Un giro di parole del cazzo per dire modelli, papà» aggiunse, spazientita, in risposta all'espressione dubbiosa del padre.

«E' così una disgrazia?».

Il tono di Aldo era ingenuo, candido, sinceramente interessato. Come poteva sapere che quella domanda avrebbe scatenato l'Uragano Lulu per la seconda volta in poche ore?

«Tu mi chiedi se è così una disgrazia?» ripeté lei, scandendo bene ogni parola. «No, ma perché mai dovrebbe essere una disgrazia. Mi sono impegnata Dio solo sa quanto per essere ammessa in quella scuola che dovrebbe essere tanto prestigiosa e proprio all'anno di specializzazione mi viene appioppata una ragazzina pelle e ossa da vestire come se fosse una Barbie! Ma perché mai dovrebbe essere una disgrazia, anzi, che bella notizia!».

Lulu disse tutto senza quasi prendere mai fiato, in un tono isterico, la voce che andava crescendo fino ad arrivare ad un'ottava- o forse anche due sopra la norma.

Aldo la guardò, incapace di dire alcunché per almeno due minuti, durante i quali gli unici rumori della stanza erano i miagolii insistenti del gatto grasso e il respiro affannoso di Lulu.

«E... ehm... tu... hai fatto sapere la tua opinione, immagino» suppose infine, lanciando un'occhiata indagatrice alla moglie, che gli rispose con lo sguardo più rassegnato del suo repertorio.

«Certo che sì!» rispose fiera la ragazza. «La vecchiaccia ha avuto un po' da dire, ma...».

Aldo la interruppe: «Non venirmi a dire che sei finita in presidenza il primo giorno Lucrezia. P

Per favore».

Lulu posò di nuovo lo sguardo sul suo piatto mentre, sotto il tavolo, si strofinava i piedi scalzi.

Se proprio ci teneva, non gliel'avrebbe detto. Iniziava a sentirsi un po' in colpa. A fine anno le avevano fatto promettere, genitori e amici, che non avrebbe più creato troppi guai polemizzando su ogni singola cosa. Nutrivano molta fiducia, soprattutto visto che durante l'estate appena trascorsa sembrava essersi data una regolata.

Invece, ecco che aveva perso la pazienza il primo giorno di scuola.

«E' per una cosa diversa, papà. Non mi ha nemmeno messo una nota, abbiamo solo...» tentò di giustificarsi, prima di venire interrotta una seconda volta dalla voce pacata di suo padre.

«Dimmi una cosa. Questi... modelli, resteranno con voi per tutto l'anno?».

«Soltanto quelli che hanno fatto domanda d'integrazione. Gli altri si faranno vivi esclusivamente per i progetti» spiegò, cercando di non far trasparire troppo il suo fastidio.

Aldo annuì, pensieroso.

«Capisco» disse infine. «E' un'iniziativa un po' idiota, in effetti».

Sorrise complice alla figlia.

Vedendolo sorridere- un sorriso talmente simile al suo che, se non fosse stato per i baffi, le sarebbe sembrato un riflesso, Lulu si rilassò e ingollò la prima forchettata della sua cena.

Sua madre stava davvero migliorando.


Quella mattina Lulu portava i capelli legati in uno chignon disordinato.

«Pensavi di essere in ritardo o era solo pigrizia per non volerli pettinare?».

Dave le arrivò alle spalle, stringendole la testolina spettinata con entrambe le mani.

Lulu sovrappose le sue mani a quelle dell'amico, stupendosi nel trovarle così morbide. Abituata com'era a vederlo lavorare per nove mesi l'anno con stoffe e materiali di tutti i tipi, si era abituata a sentirle secche, a vederle piene di graffietti.

Perciò, ogni settembre, quando ormai sedevano a scuola, si stupiva di quanto in realtà le mani dell'amico fossero ben curate; e se ne dispiaceva, un po', perché sapeva che sarebbe durato ancora per poco.

«Oggi fa tanto caldo» gli spiegò infine. «Sono tanto pesanti».

Dave infilò il dito indice sotto l'elastico azzurro e lo tirò a sé, sciogliendo così i capelli dell'amica. Le ciocche scure le ricaddero sulle spalle, andarono a coprirle la nuca.

«Così stai molto meglio» le fece notare, accompagnando la frase con un'improbabile strizzatina d'occhio. «I capelli raccolti ti fanno il collo lungo».

Con supponenza, Lulu ribatté: «Dovevi andare a fare il parrucchiere, altroché lo stilista».

«Baggianate, baggianate» tagliò corto Dave. «Toccare i capelli unti di tutti quegli estranei. Brr. Mi vengono i brividi solo a pensarci».

Si strinse fra le sue stesse braccia in un gesto teatrale, come a farsi calore in una giornata gelida e ventosa.

Lulu rise. «Come se tutti al mondo avessero i capelli unti».

Dave fece spallucce. «Certo. Non tutti possono vantare una chioma perfetta come la tua. O la mia».

Si lisciò con fare ammiccante il ciuffo biondiccio sulla fronte.

In quel momento, il cellulare di Lulu squillò. La ragazza frugò nell'astuccio blu.

«Un messaggio» borbottò a bassa voce, più a sé stessa che non a Dave.

Premette il tasto centrale. Non appena vide il nome del mittente, Lulu rificcò il cellulare nell'astuccio e, con uno scatto veloce, ne chiuse la zip.

«Di chi era?».

Lulu si girò. Dave aveva una strana espressione di gongolante piacere dipinta in viso. Gli occhi brillavano di una strana luce- una luce molto, troppo, intensa.

Dave sa, non poté fare a meno di pensare la ragazza. Lui lo sa, lo sa.

Tuttavia, decise comunque di salvaguardare la sua posizione mentendo spudoratamente.

«La Vodafone che rinnova la promozione». La sua voce era tranquilla, contenuta. Lulu imprecò mentalmente. Ma per favore. Con quel tono non sarebbe riuscita a prendere in giro neanche Linda, la persona più ingenua che conoscesse, figurarsi Dave, il Re delle Balle.

«Quale promozione?».

«La 1 cent parole e messaggi».

«Quanto ti hanno scalato?».

«Tre euro».

«Sicura?».

«Certo».

«Nessun dubbio?».

«Nessuno».

«Nemmeno se ti dicessi che la promozione ti è stata rinnovata alla festa e che fino a ieri sera non avevi credito nel cellulare?».

Porca merda.

«Ehm... vedi... è che... visto che non avevo soldi alla festa, questa mattina, prima di venire a scuola, mi sono fermata in un'edicola e ho fatto una ricarica» balbettò impacciata. «Così mi hanno detto che è stata rinnovata».

Lulu sorrise fiduciosa sotto i baffi. Anche se lui sapeva, quella era una scusa a dir poco perfetta. Non aveva più prove contro di lei. Niente che la potesse incolpare. Solo effimere- se non troppo supposizioni. L'assenza di prove oggettive la rendeva salva, innocente.

In queste condizioni, pensò, neanche il commissario Poirot potrebbe incastrarmi, e nemmeno quella cornacchia della Flatcher.


Dave osservò l'espressione compiaciuta dipinta sul volto dell'amica. Pensava di averlo fregato. In parte era così, ovviamente- come poteva dimostrarle di sapere quel che sapeva senza ammettere che aveva origliato, o che era complice di qualcosa?

Semplicemente non poteva.

Ma Dave sapeva che Lulu sapeva che lui sapeva.

Questa era già una piccola vittoria.


Lulu stava per dire qualcos'altro, quando una ragazza le si parò davanti, interrompendo la sua discussione con Dave.

Era alta- almeno dieci centimetri più di lei, teneva i capelli biondi tagliati un un carré liscio e ordinato e portava sul naso degli occhiali a farfalla cerchiati di plastica nera.

Lulu non l'aveva mai vista prima, eppure indossava la divisa scolastica. Portava la stessa gonna grigia, una polo uguale alla sua. Doveva essere indubbiamente una della scuola.

E allora perché non l'aveva mai vista?

Dietro di lei, Dave, che era stato più veloce a capire l'entità della studentessa sconosciuta, impallidì; era proprio vero, le bionde erano proprio stupide. Le faceva anche compassione, a dire il vero. Era una bella ragazza e aveva un'aria gentile.

Peccato che avesse disturbato la persona sbagliata.

«Tu sei Lucrezia, giusto?». Senza aspettare risposta, la bionda continuò, con un tono abbastanza cinguettante e, forse, un po' troppo zelante: «Mi avevano detto di cercare una ragazza bassina e con i capelli lunghi, scuri... sicuramente affiancata o da un tipo greco o da uno come lui», indicò Dave con un gesto del capo e un gran sorriso che scopriva tutti i denti canditi stampato in faccia. «Ho indovinato, giusto?».

Lulu iniziava ad irritarsi. Odiava le persone che ponevano tutto sotto forma di domanda.

Giusto? Giusto?

Era una cosa che facevano solo due tipi di persone: o quelle profondamente insicure, o quelle che si fingevano profondamente insicure.

Ad occhio e croce, la bionda non poteva che appartenere alla seconda categoria, con quei capelli corti e quelle lunghe gambe secche.

Inoltre, non tollerava che qualcuno parlasse di Jamie come “un tipo greco”- un po' perché era impensabile che una gallinella così non conoscesse il suo nome, un po' perché non era greco che per metà; allo stesso modo, le dava fastidio che qualcuno sottolineasse con così poco tatto la sua bassa statura- se poi questa cosa proveniva da una stangona alta almeno un metro e settanta, la cosa diventava inaccettabile.

Sgarbata, le chiese: «Chi diamine sei, tu?».

La bionda si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

«La Preside mi ha...».

Lulu scosse la testa, contrariata. Le bionde erano proprio stupide.

«Ti ho chiesto per caso chi ti ha mandato ad infastidirmi?». Le lanciò un'occhiata talmente piena di astio che la bionda ne restò spiazzata. «La risposta è no. Ti ho chiesto chi diamine sei».

La bionda sorrise. Un sorriso questa volta tirato, rigido, quasi di superiorità.

«Mi chiamo Viola» si presentò infine, tendendo la mano a Lulu. All'ennesimo rinnego, l'espressione di Viola si indurì maggiormente, ma, volenterosa nel voler essere gentile non si scoraggiò. Porse invece la mano a Dave che, seppur ancora un po' confuso, gliela strinse.

«Davide».

«Viola». Dopodiché si rivolse ancora a Lulu, che, dal canto suo, non smetteva di guardarla in cagnesco. «Sono una delle nuove studentesse, la Preside ti ha indicata come, ehm, punto di riferimento o roba simile».

Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno cosa fosse quella rompiscatole.

Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno perché le sembrasse il nemico.

Fu solo in quel momento che Lulu comprese appieno che Viola la bionda era il nemico.

Lulu allora la guardò- la guardò per bene.

I suoi occhi saettarono dall'alto a al basso, per poi riscendere, dalla testa ai piedi.

«Quindi tu sei una nuova compagna addetta all'immagine».

Lulu non seppe dire se Viola proprio non avesse colto la neanche tanto sottile nota di sarcasmo nella sua voce o se semplicemente decise di non cedere alle preoccupazioni.

«Esatto» fu invece la sua allegra risposta. «Quando mi hanno proposta per questo e allora ho chiesto anche di fare l'esame d'integrazione».

«E tu credi di poter affrontare Costumistica senza una base».

«Ho passato l'esame» rispose Viola sulla difensiva. «Se non fosse stato così mi avrebbero bocciata».

Lulu sventolò la mano in segno di sufficienza.

«Quegli esami sono solo formalità. Vedrai che ti arriverà l'avviso di bocciatura alla fine del primo trimestre».

A quelle parole, l'espressione di Viola s'indurì di colpo. Dietro le lenti i suoi occhi, che fino a quel momento erano riusciti ad essere brillanti nonostante la scortesia, divennero di pietra.

«Ah». Viola osservò il ghigno della nuova compagna di classe con crescente astio. La cosa che più la infastidiva era che lei non aveva fatto niente per guadagnare l'antipatia di quella nana- si era solo impegnata ad essere gentile. «Quindi non mi aiuterai o mi farai da rifermento, immagino».

Lulu annuì: «Precisamente».

«Bene». Adesso la voce della ragazza bionda era dura, priva di una qualsivoglia gentilezza. A che sarebbe servito, cercare di essere simpatica a Lucrezia e al suo patetico gruppo? Si era guadagnata il suo odio dal nulla; non aveva certo intenzione di farsi mettere i piedi in testa. «E' stato un piacere, Davide».

Dave la osservò girar loro le spalle e marciare al suo posto- tre banchi più avanti, fino a farsi cadere sulla sedia e presentarsi alla sua compagna di banco, una certa Angela, se la memoria non lo ingannava.

Dopodiché guardò Lulu. Non si stupì nel trovarla a braccia conserte, il labbro superiore leggermente alzato in un'inconfondibile smorfia di disgusto.

«Lulu» iniziò a dire con voce incerta, «forse hai un tantino esagerato con lei. Sembrava gentile».

«Tutta strategia» disse di rimando la ragazza, per niente pentita del suo comportamento. «Le ho solo detto come stanno le cose, comunque. È da stupidi pensare di poter iscriversi in questa scuola al terzo anno e venire promossi. Proprio una cosa da ingenui, ecco».

«Sarà».

Dave si perse nel rumore che le dita di Lulu facevano tamburellando contro il banco.

Inspiegabilmente, ritornò con il pensiero al messaggio di prima. Forse avrebbe dovuto confessare chiaramente a Lulu quello che sapeva e cosa poteva fare- anche se questo avrebbe comportato il rompere una promessa fatta ad un amico.

Immerso com'era nei suoi pensieri non si rese conto che l'ultima campanella era suonata e che la professoressa di Italiano, ormai entrata in aula da diversi secondi, lo stava guardando corrucciata.

«De Franceschi». Dave sobbalzò. «Sono sicura che per lei le vecchie abitudini siano difficili a morire, ma sarebbe carino se sparisse dalla mia vista almeno per quest'anno».


Mentre camminava a passo di marcia verso la sua classe, Dave si ripromise di non ficcarsi mai più in simili faccende- a volte era meglio non sapere.







shootingstar_ parla a ruota libera.
Ommioddio. Ho scritto questo papiro di capitolo tre volte. La prima volta non mi piaceva, la seconda volta l'ho accidentalmente cancellato (sono un paguro bernardo ç_ç) e la terza è questa. Sono talmente stanca e assonnata che non capisco se ne sia soddisfatta o meno, e il pensiero di appena quattro ore sonno mi fa venire voglia di suicidarmi.
Oh, e dovrei chiudere la bottiglietta di the, prima che il gatto la rovesci.
In ogni caso, parlando di cose un po' più serie (yawn). In questo capitolo non compare Jamie e io ne sono dispiaciuta ç_ç in questo capitolo a dire il vero non compare nessuno, LOL, ma vabbè, il prossimo sarà più collettivo, per così dire.
No beh, sto crollando. Quindi la smetto di cianciare e lascio a voi i commenti u__u
E ricordiamocelo. DAVE SA.
Spero di aggiornare presto!!
Un bacio a tutti *-*

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