Capitolo
tre: Dave lo sa
Il
malumore
non le era ancora passato del tutto.
Sdraiata
sul divano, le gambe allungate sul tavolino in vetro del salotto,
guardava con sguardo truce la televisione senza, però, seguire
minimamente la trasmissione.
Era
inevitabile. Per quanto anche gli altri le dicessero di non farne una
tragedia- o, perlomeno, di smetterla per un attimo di pensarci, lei
proprio non ci riusciva.
Il
discorso
della Preside le rimbombava nelle orecchie, costante e fastidioso
come il ronzio di una mosca nell'orecchio.
Afferrò
il
telecomando all'improvviso e, con rabbia, spense la televisione-
dopodiché lanciò il telecomando sulla poltrona vicina.
L'aggeggio
atterrò, rimbalzò sul cuscino color lavanda e si schiantò sul
pavimento bianco. Il rumore secco e tintinnante delle pile che
rotolavano sulla superficie levigata attirò l'attenzione della madre
della ragazza.
«Che
cos'è
caduto?».
Lulu
alzò
gli occhi al cielo. Quella donna era un caso perso. Entrava in un
evidente stato di ansia per cose del tutto inutili- come la caduta di
un pidocchioso telecomando o per una lampadina fulminata. Quando
invece c'era davvero da preoccuparsi, chissà per quale motivo,
continuava imperterrita a sorridere, sia con le labbra che con gli
occhi che diventavano due piccole fessurine nere.
«Il
telecomando» borbottò Lulu, raccogliendone da terra i pezzi. «Non
l'ho fatto apposta» buttò poi lì, quasi automaticamente, a mo' di
scusa.
Alice
si
porto le mani ai fianchi e si eresse in tutta la sua, seppur scarsa,
statura.
«Lucrezia,
possibile che tu debba sempre avere i modi di un elefante?» la
rimproverò. «Augurati che funzioni, altrimenti ogni volta che dovrò
cambiare canale chiamerò te per farlo».
Lulu
sbuffò. Guardò sua mamma tornare in cucina, sempre in equilibrio
sugli inseparabili tacchi.
Osservò
le
sue gambette corte, coperte solo da un paio di pantaloncini da
ginnastica.
Lei
non
assomigliava per niente alla madre. Aveva sfavillanti occhi nocciola,
il viso a forma di cuore e un'arcata sopraccigliare invidiabile.
Non
che
fosse esattamente scontenta del suo aspetto- sapeva perfettamente di
essere carina, ma ecco, quell'altezza non avrebbe mai smesso di
crearle, se non problemi, imbarazzi.
Essere
alte
un metro e sessanta arrotondato sulla carta d'identità e avere anche
una corporatura minuta, che di certo non regala centimetri,
presentava degli strani sconvenienti.
Tipo
essere
scambiata per una bambina, oppure dare l'insensata illusione di
essere un tenero zuccherino da coccolare. Era sicura che, un giorno o
l'altro, qualcuno le avrebbe infilato a forza un completo da bimbetta
solo per poter esclamare “quanto è tenera!”.
L'improvviso
rumore del citofono ridestò Lulu dai suoi pensieri, facendola
sobbalzare sul posto. Osservò pigramente la madre sgambettare a
piccoli passi verso il citofono, alzarlo e schiacciare il bottoncino
nero senza nemmeno domandare “chi è?”, per poi tornare in
cucina.
Pochi
secondi dopo il rumore dei piedi che sfregavano sullo zerbino fuori
la porta precedette
l'entrata
del padre.
«Ciao»
fece, appoggiando la ventiquattrore in pelle marrone al fianco del
divano. «Cosa c'è per cena? Sto morendo di fame, oggi è stata una
giornata non piena, di più».
Sprofondò
nel divano, le braccia allungate sullo schienale; con gli occhi
chiusi dietro le lenti degli occhiali, l'espressione era quasi
pacifica.
«Ciao
papà!» esclamò Lulu nell'orecchio del povero genitore, che
spalancò di colpo gli occhi, spaventato e disorientato al contempo.
Si voltò verso sinistra, poi a destra.
Il
viso di
Lulu era a pochi centimetri dalla sua faccia, sorridente e birichino.
Era ancora troppo facile, per lui, rivederla come quando aveva
quattro anni- quegli stupidi scherzi lo riportavano indietro nel
tempo, esattamente come faceva l'espressione che li accompagnava.
Le
scompigliò i capelli.
«Ciao,
principessa».
Lulu
lo
guardò male. «Papà, non sono una principessa» si lamentò.
Aldo
rise.
«No, forse no». Lanciò una breve occhiata alla porta della cucina
semichiusa, dalla quale proveniva un gran baccano- un misto di
tintinnio di posate, pentole che entravano in collisione e
imprecazioni poco chiare. «Cosa sta... ehm... cucinando tua madre?»
le chiese, senza preoccuparsi di celare l'apprensione.
Lulu
trattenne un risolino. Da quando la cuoca era entrata in maternità,
lasciando alla povera Alice tutto il lavoro da fare, la situazione a
casa oscillava fra il critico e il comico.
Non
più
abituata a svolgere i lavori di casa, i primi giorni se l'era dovuta
vedere con montagne di piatti da lavare, pavimenti da lucidare e
letti da rifare si erano dimostrati dapprima un ostacolo
insormontabile, per poi diventare solo una grandissima scocciatura.
Ma
ciò che
più preoccupava gli altri abitanti di casa Prestichi era, appunto,
la cucina di Alice. La buona volontà non mancava, questo è certo.
Erano i risultati, a lasciare un po' a desiderare- anche se Lulu
sospettava che la rosticceria di fronte casa non fosse poi così
dispiaciuta per loro, dato che erano diventati i loro migliori
acquirenti.
«E'
pronto!».
Gli
spaghetti erano arrotolati sulla forchetta, sospesa a mezz'aria, a
metà strada tra il piatto ancora pieno e la bocca ancora vuota.
«Allora»
esordì Aldo, cercando di trovare un argomento di conversazione che
gli facesse dimenticare la cena, o che, allo stesso modo, non gli
ricordasse la necessità di assumere una nuova domestica. «Com'è
andato il primo giorno di scuola?».
Immediatamente,
il viso di Lulu si accese di una forte tonalità di rosso ed iniziò
ad emanare calore proprio, gli occhi le si strinsero fino a diventare
piccoli come due capocchie di spillo, le labbra si assottigliarono
tanto da scomparire e gli spaghetti nel suo piatto vennero infilzati
con talmente tanta forza che per un attimo la stessa Lulu temette di
rompere il piatto.
Alice
alzò
gli occhi al cielo, sbuffando spazientita.
Aveva
fatto
centro, pensò orgoglioso. Quello sì che doveva essere un
argomento spiacevole.
«Successo
qualcosa?» incalzò, fingendo serietà ed approfittando della
situazione per rimettere la forchetta nel piatto.
Con
gli
occhi ancora bassi sul piatto, Lulu borbottò: «Cambiamenti».
Alice
lanciò un'occhiata di rimprovero al marito. Aveva passato tutto il
pomeriggio a cercare di distrarla. Quando era tornata a casa dal
lavoro e l'aveva trovata a compilare moduli d'iscrizione per istituti
professionali, i nervi a fior di pelle e la macchina da cucire
infilata nell'immondizia quasi le veniva un colpo.
Si
era
impegnata a farla ragionare dicendole che non era proprio una pessima
notizia- di conseguenza le aveva anche mentito spudoratamente, perché
anche lei, esterna in tutto e per tutto alla scuola, capiva quanto
fosse idiota quel “progetto”.
Quell'occhiata
più che eloquente, tuttavia, non dissuase il marito a porre la
domanda successiva, questa volta sinceramente incuriosito: «Che
genere di cambiamenti?».
«Nuovi
compagni addetti all'immagine» sputò con disprezzo la ragazza. «Un
giro di parole del cazzo per dire modelli, papà» aggiunse,
spazientita, in risposta all'espressione dubbiosa del padre.
«E'
così
una disgrazia?».
Il
tono di
Aldo era ingenuo, candido, sinceramente interessato. Come poteva
sapere che quella domanda avrebbe scatenato l'Uragano Lulu per la
seconda volta in poche ore?
«Tu
mi
chiedi se è così una disgrazia?» ripeté lei, scandendo bene ogni
parola. «No, ma perché mai dovrebbe essere una disgrazia. Mi sono
impegnata Dio solo sa quanto per essere ammessa in quella scuola che
dovrebbe essere tanto prestigiosa e proprio all'anno di
specializzazione mi viene appioppata una ragazzina pelle e ossa da
vestire come se fosse una Barbie! Ma perché mai dovrebbe essere una
disgrazia, anzi, che bella notizia!».
Lulu
disse
tutto senza quasi prendere mai fiato, in un tono isterico, la voce
che andava crescendo fino ad arrivare ad un'ottava- o forse anche due
sopra la norma.
Aldo
la
guardò, incapace di dire alcunché per almeno due minuti, durante i
quali gli unici rumori della stanza erano i miagolii insistenti del
gatto grasso e il respiro affannoso di Lulu.
«E...
ehm... tu... hai fatto sapere la tua opinione, immagino»
suppose infine, lanciando un'occhiata
indagatrice alla moglie, che gli rispose con lo sguardo più
rassegnato del suo repertorio.
«Certo
che sì!» rispose fiera la ragazza. «La
vecchiaccia ha avuto un po' da dire,
ma...».
Aldo
la interruppe: «Non venirmi
a dire che sei finita in presidenza il primo giorno Lucrezia. P
Per
favore».
Lulu
posò di nuovo lo sguardo sul suo piatto mentre, sotto il tavolo, si
strofinava i piedi scalzi.
Se
proprio ci teneva, non gliel'avrebbe detto. Iniziava a sentirsi un
po' in colpa. A fine anno le avevano fatto promettere, genitori e
amici, che non avrebbe più creato troppi guai polemizzando su ogni
singola cosa. Nutrivano molta fiducia, soprattutto visto che durante
l'estate appena trascorsa sembrava essersi data una regolata.
Invece,
ecco che aveva perso la pazienza il primo giorno di scuola.
«E'
per una cosa diversa, papà. Non mi ha nemmeno messo una nota,
abbiamo solo...» tentò di giustificarsi, prima di venire interrotta
una seconda volta dalla voce pacata di suo padre.
«Dimmi
una cosa. Questi... modelli, resteranno con voi per tutto l'anno?».
«Soltanto
quelli che hanno fatto domanda d'integrazione. Gli altri si faranno
vivi esclusivamente per i progetti» spiegò, cercando di non far
trasparire troppo il suo fastidio.
Aldo
annuì, pensieroso.
«Capisco»
disse infine. «E' un'iniziativa un po' idiota, in effetti».
Sorrise
complice alla figlia.
Vedendolo
sorridere- un sorriso talmente simile al suo che, se non fosse stato
per i baffi, le sarebbe sembrato un riflesso, Lulu si rilassò e
ingollò la prima forchettata della sua cena.
Sua
madre stava davvero migliorando.
Quella
mattina Lulu portava i capelli legati in uno chignon disordinato.
«Pensavi
di essere in ritardo o era solo pigrizia per non volerli pettinare?».
Dave
le arrivò alle spalle, stringendole la testolina spettinata con
entrambe le mani.
Lulu
sovrappose le sue mani a quelle dell'amico, stupendosi nel trovarle
così morbide. Abituata com'era a vederlo lavorare per nove mesi
l'anno con stoffe e materiali di tutti i tipi, si era abituata a
sentirle secche, a vederle piene di graffietti.
Perciò,
ogni settembre, quando ormai sedevano a scuola, si stupiva di quanto
in realtà le mani dell'amico fossero ben curate; e se ne dispiaceva,
un po', perché sapeva che sarebbe durato ancora per poco.
«Oggi
fa tanto caldo» gli spiegò infine. «Sono tanto pesanti».
Dave
infilò il dito indice sotto l'elastico azzurro e lo tirò a sé,
sciogliendo così i capelli dell'amica. Le ciocche scure le ricaddero
sulle spalle, andarono a coprirle la nuca.
«Così
stai molto meglio» le fece notare, accompagnando la frase con
un'improbabile strizzatina d'occhio. «I capelli raccolti ti fanno il
collo lungo».
Con
supponenza, Lulu ribatté: «Dovevi andare a fare il parrucchiere,
altroché lo stilista».
«Baggianate,
baggianate» tagliò corto Dave. «Toccare i capelli unti di tutti
quegli estranei. Brr. Mi vengono i brividi solo a pensarci».
Si
strinse fra le sue stesse braccia in un gesto teatrale, come a farsi
calore in una giornata gelida e ventosa.
Lulu
rise. «Come se tutti al mondo avessero i capelli unti».
Dave
fece spallucce. «Certo. Non tutti possono vantare una chioma
perfetta come la tua. O la mia».
Si
lisciò con fare ammiccante il ciuffo biondiccio sulla fronte.
In
quel momento, il cellulare di Lulu squillò. La ragazza frugò
nell'astuccio blu.
«Un
messaggio» borbottò a bassa voce, più a sé stessa che non a Dave.
Premette
il tasto centrale. Non appena vide il nome del mittente, Lulu rificcò
il cellulare nell'astuccio e, con uno scatto veloce, ne chiuse la
zip.
«Di
chi era?».
Lulu
si girò. Dave aveva una strana espressione di gongolante piacere
dipinta in viso. Gli occhi brillavano di una strana luce- una luce
molto, troppo, intensa.
Dave
sa, non poté fare a meno di
pensare la ragazza. Lui lo sa, lo sa.
Tuttavia,
decise comunque di salvaguardare la sua posizione mentendo
spudoratamente.
«La
Vodafone che rinnova la promozione». La sua voce era tranquilla,
contenuta. Lulu imprecò mentalmente. Ma per favore. Con quel tono
non sarebbe riuscita a prendere in giro neanche Linda, la persona più
ingenua che conoscesse, figurarsi Dave, il Re delle Balle.
«Quale
promozione?».
«La
1 cent parole e messaggi».
«Quanto
ti hanno scalato?».
«Tre
euro».
«Sicura?».
«Certo».
«Nessun
dubbio?».
«Nessuno».
«Nemmeno
se ti dicessi che la promozione ti è stata rinnovata alla festa e
che fino a ieri sera non avevi credito nel cellulare?».
Porca
merda.
«Ehm...
vedi... è che... visto che non avevo soldi alla festa, questa
mattina, prima di venire a scuola, mi sono fermata in un'edicola e ho
fatto una ricarica» balbettò impacciata. «Così mi hanno detto
che è stata rinnovata».
Lulu
sorrise fiduciosa sotto i baffi. Anche se lui sapeva, quella era una
scusa a dir poco perfetta. Non aveva più prove contro di lei. Niente
che la potesse incolpare. Solo effimere- se non troppo supposizioni.
L'assenza di prove oggettive la rendeva salva, innocente.
In
queste condizioni,
pensò, neanche il commissario
Poirot potrebbe incastrarmi, e nemmeno quella cornacchia della
Flatcher.
Dave
osservò l'espressione compiaciuta dipinta sul volto dell'amica.
Pensava di averlo fregato. In parte era così, ovviamente- come
poteva dimostrarle di sapere quel che sapeva senza ammettere che
aveva origliato, o che era complice di qualcosa?
Semplicemente
non poteva.
Ma
Dave sapeva che Lulu sapeva che lui sapeva.
Questa
era già una piccola vittoria.
Lulu
stava per dire qualcos'altro, quando una ragazza le si parò davanti,
interrompendo la sua discussione con Dave.
Era
alta- almeno dieci centimetri più di lei, teneva i capelli biondi
tagliati un un carré liscio e ordinato e portava sul naso degli
occhiali a farfalla cerchiati di plastica nera.
Lulu
non l'aveva mai vista prima, eppure indossava la divisa
scolastica. Portava la stessa gonna grigia, una polo uguale alla sua.
Doveva essere indubbiamente una della scuola.
E
allora perché non l'aveva mai vista?
Dietro
di lei, Dave, che era stato più veloce a capire l'entità della
studentessa sconosciuta, impallidì; era proprio vero, le bionde
erano proprio stupide. Le faceva anche compassione, a dire il
vero. Era una bella ragazza e aveva un'aria gentile.
Peccato
che avesse disturbato la persona sbagliata.
«Tu
sei Lucrezia, giusto?». Senza aspettare risposta, la bionda
continuò, con un tono abbastanza cinguettante e, forse, un po'
troppo zelante: «Mi avevano detto di cercare una ragazza bassina e
con i capelli lunghi, scuri... sicuramente affiancata o da un tipo
greco o da uno come lui», indicò Dave con un gesto del capo e un
gran sorriso che scopriva tutti i denti canditi stampato in faccia.
«Ho indovinato, giusto?».
Lulu
iniziava ad irritarsi. Odiava le persone che ponevano tutto sotto
forma di domanda.
Giusto?
Giusto?
Era
una cosa che facevano solo due tipi di persone: o quelle
profondamente insicure, o quelle che si fingevano profondamente
insicure.
Ad
occhio e croce, la bionda non poteva che appartenere alla seconda
categoria, con quei capelli corti e quelle lunghe gambe secche.
Inoltre,
non tollerava che qualcuno parlasse di Jamie come “un tipo greco”-
un po' perché era impensabile che una gallinella così non
conoscesse il suo nome, un po' perché non era greco che per metà;
allo stesso modo, le dava fastidio che qualcuno sottolineasse con
così poco tatto la sua bassa statura- se poi questa cosa proveniva
da una stangona alta almeno un metro e settanta, la cosa diventava
inaccettabile.
Sgarbata,
le chiese: «Chi diamine sei, tu?».
La
bionda si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
«La
Preside mi ha...».
Lulu
scosse la testa, contrariata. Le bionde erano proprio stupide.
«Ti
ho chiesto per caso chi ti ha mandato ad infastidirmi?». Le lanciò
un'occhiata talmente piena di astio che la bionda ne restò
spiazzata. «La risposta è no. Ti ho chiesto chi diamine sei».
La
bionda sorrise. Un sorriso questa volta tirato, rigido, quasi di
superiorità.
«Mi
chiamo Viola» si presentò infine, tendendo la mano a Lulu.
All'ennesimo rinnego, l'espressione di Viola si indurì maggiormente,
ma, volenterosa nel voler essere gentile non si scoraggiò. Porse
invece la mano a Dave che, seppur ancora un po' confuso, gliela
strinse.
«Davide».
«Viola».
Dopodiché si rivolse ancora a Lulu, che, dal canto suo, non smetteva
di guardarla in cagnesco. «Sono una delle nuove studentesse, la
Preside ti ha indicata come, ehm, punto di riferimento o roba
simile».
Fu
solo in quel momento che Lulu comprese appieno cosa
fosse quella rompiscatole.
Fu
solo in quel momento che Lulu comprese appieno perché le sembrasse
il nemico.
Fu
solo in quel momento che Lulu comprese appieno che Viola la bionda
era il nemico.
Lulu
allora la guardò- la guardò per bene.
I
suoi occhi saettarono dall'alto a al basso, per poi riscendere, dalla
testa ai piedi.
«Quindi
tu sei una nuova compagna addetta all'immagine».
Lulu
non seppe dire se Viola proprio non avesse colto la neanche tanto
sottile nota di sarcasmo nella sua voce o se semplicemente decise di
non cedere alle preoccupazioni.
«Esatto»
fu invece la sua allegra risposta. «Quando mi hanno proposta per
questo e allora ho chiesto anche di fare l'esame d'integrazione».
«E
tu credi di poter affrontare Costumistica senza una base».
«Ho
passato l'esame» rispose Viola sulla difensiva. «Se
non fosse stato così mi avrebbero bocciata».
Lulu
sventolò la mano in segno di sufficienza.
«Quegli
esami sono solo formalità. Vedrai che ti arriverà l'avviso di
bocciatura alla fine del primo trimestre».
A
quelle parole, l'espressione di Viola s'indurì di colpo. Dietro le
lenti i suoi occhi, che fino a quel momento erano riusciti ad essere
brillanti nonostante la scortesia, divennero di pietra.
«Ah».
Viola osservò il ghigno della nuova compagna di classe con crescente
astio. La cosa che più la infastidiva era che lei non aveva fatto
niente per guadagnare l'antipatia di quella nana- si era solo
impegnata ad essere gentile. «Quindi non mi aiuterai o mi farai da
rifermento, immagino».
Lulu
annuì: «Precisamente».
«Bene».
Adesso la voce della ragazza bionda era dura, priva di una
qualsivoglia gentilezza. A che sarebbe servito, cercare di essere
simpatica a Lucrezia e al suo patetico gruppo? Si era guadagnata il
suo odio dal nulla; non aveva certo intenzione di farsi mettere i
piedi in testa. «E' stato un piacere, Davide».
Dave
la osservò girar loro le spalle e marciare al suo posto- tre banchi
più avanti, fino a farsi cadere sulla sedia e presentarsi alla sua
compagna di banco, una certa Angela, se la memoria non lo ingannava.
Dopodiché
guardò Lulu. Non si stupì nel trovarla a braccia conserte, il
labbro superiore leggermente alzato in un'inconfondibile smorfia di
disgusto.
«Lulu»
iniziò a dire con voce incerta, «forse
hai un tantino esagerato con lei. Sembrava gentile».
«Tutta
strategia» disse di rimando la ragazza, per niente pentita del suo
comportamento. «Le ho solo detto come stanno le cose, comunque. È
da stupidi pensare di poter iscriversi in questa scuola al terzo anno
e venire promossi. Proprio una cosa da ingenui, ecco».
«Sarà».
Dave
si perse nel rumore che le dita di Lulu facevano tamburellando contro
il banco.
Inspiegabilmente,
ritornò con il pensiero al messaggio di prima. Forse avrebbe dovuto
confessare chiaramente a Lulu quello che sapeva e cosa poteva fare-
anche se questo avrebbe comportato il rompere una promessa fatta ad
un amico.
Immerso
com'era nei suoi pensieri non si rese conto che l'ultima campanella
era suonata e che la professoressa di Italiano, ormai entrata in aula
da diversi secondi, lo stava guardando corrucciata.
«De
Franceschi». Dave sobbalzò. «Sono sicura che per lei le vecchie
abitudini siano difficili a morire, ma sarebbe carino se sparisse
dalla mia vista almeno per quest'anno».
Mentre
camminava a passo di marcia verso la sua classe, Dave si ripromise di
non ficcarsi mai più in simili faccende- a volte era meglio non
sapere.
shootingstar_
parla a ruota libera.
Ommioddio. Ho scritto questo papiro
di capitolo tre volte. La prima volta non mi piaceva, la seconda volta
l'ho accidentalmente cancellato (sono un paguro bernardo ç_ç) e la
terza è questa. Sono talmente stanca e assonnata che non capisco se ne
sia soddisfatta o meno, e il pensiero di appena quattro ore sonno mi fa
venire voglia di suicidarmi.
Oh, e dovrei chiudere la
bottiglietta di the, prima che il gatto la rovesci.
In ogni caso, parlando di cose un
po' più serie (yawn). In questo capitolo non compare Jamie e io ne sono
dispiaciuta ç_ç in questo capitolo a dire il vero non compare nessuno,
LOL, ma vabbè, il prossimo sarà più collettivo, per così dire.
No beh, sto crollando. Quindi la
smetto di cianciare e lascio a voi i commenti u__u
E ricordiamocelo. DAVE SA.
Spero di aggiornare presto!!
Un bacio a tutti *-*
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