i would never be satisfied if I couldn't see those eyes.

di u n b r o k e n
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** → hey there delilah ***
Capitolo 2: *** → two different worlds collide ***
Capitolo 3: *** → introducing me. ***
Capitolo 4: *** → love is on its way ***
Capitolo 5: *** → my best friend's girl ***
Capitolo 6: *** → the sound of a fight ***
Capitolo 7: *** → why you gotta be so mean? ***
Capitolo 8: *** → turn off the lights ***



Capitolo 1
*** → hey there delilah ***


Pilot
Dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima; che se guardi davvero negli occhi di una persona riesci a vedere tutto ciò che c’è dentro di lei: i suoi pensieri, le sue paure più profonde, le sue debolezze.
Io non lo so se è vero. Ma se è così allora nella mia anima non c’è niente: perché nemmeno io riesco ad attraversare i miei occhi, superare quella barriera invisibile, quello specchio ghiacciato che li rende sempre così tetri ed inquietanti. Guardando un paio di occhi come i miei non penseresti mai che un’anima così possa provare dei sentimenti, perché degli occhi così non posseggono un’anima. Ovviamente, tutto nel concetto degli occhi che rispecchiano l’anima.
Ma se non fosse così? Se gli occhi fossero tutto il contrario di ciò che sta all’interno? Se anche la mia natura, per quanto glaciale e da brividi fosse solo una copertura? E se sotto ci fosse qualcosa di più?
 
« Delilah Hai preso i tuoi occhiali da vista? E lo spazzolino? E-»
«Sì, mamma» la bloccai con una voce roca e assonnata, e con un grosso sospiro. Seguii con gli occhi i movimenti delle mani di un'hostess che parlava in una lingua che evidentemente non era la sua e tentava di spiegare qualcosa a un anziano signore con un apparecchio acustico. Con la poca pazienza che mi ritrovo,non avrei senz'altro voluto essere nei suoi panni. «Ti troverai bene da zia Violet.» disse lei con tenue sorriso che probabilmente era più per rassicurare se stessa che me. Guardai gli occhi di mia madre che nel frattempo aveva posato una mano sulla mia spalla e lei spezzo bruscamente il contatto visivo guardando la mia valigia. Ero abituata a questo tipo di cose. Ero abituata al fatto che mia madre volesse piangere tutte le volte che mi guardava negli occhi. Gliene avevo fatte passare di tutti i colori a mia madre. Eppure era li a cercare di offrimi una vita migliore. E io ero li incapace di mettere da parte il mio orgoglio per far uscire dalla mia bocca un semplice grazie o per farla un sorriso che sapevo quanto per lei contasse.
«Lo sai che non me ne voglio andare.» mi limitai a dire seccamente alzando le spalle noncurante. Non avevo accettato la decisione dei miei genitori di mandarmi via da san francisco anche se forse la parte più remota di me era a conoscenza del fatto che era la cosa migliore da fare.
«Tu devi andare.» Mio padre chiuse una chiamata sul blackberry e ci raggiunse,guardandomi negli occhi severamente. tutto il contrario di mia madre. «non si discute più su questo punto.» aggiunse affondando le mani nell'elegante pantalone con una piega perfetta. Questo erano i miei genitori, perfetti. E io ero sicuramente un errore di calcolo nella grande equazione della loro vita.
«Mi sento come se la mia vita fosse nelle mie mani,sul serio!» esclamai sarcastica alzando lo sguardo. Odiavo chi doveva scegliere per me.
«Tu non ti meriti la tua vita nelle tue mani considerando quello che ne hai fatto.» rispose mio padre. Cercai di richiamare all'ordine la poca pazienza di cui ero munita e sospirai senza dire una parola. In fondo non lo potevo biasimare, ma non l'avrei mai detto ad alta voce.
«Volo M29 in partenza per Los Angels» Sentii una voce elettronica pronunciare quelle parole e mi alzai afferrando il mio bagaglio. Mi voltai verso i miei, tenendo la testa alta con un’espressione sicura dipinta sul volto. Diedi un’occhiata a mia madre che però mi ignorava, decisamente troppo occupata a strapparsi via un filo fuori posto dalle cuciture della camicetta. Mio padre mi diede una pacca sulla spalla e mi sforzai di sorridergli lievemente.
«Mi raccomando» disse lui semplicemente. Rimasi a guardarlo in faccia con le orecchie tese per cogliere altre sue parole ma non disse più nulla. Annuii in maniera impercettibile mentre finalmente lo sguardo di mia madre si posava sul mio, ma troppo intimidito si spostava verso qualcos’altro sulla mia faccia: non so, forse mi guardava il naso o le sopracciglia, ma sono più che sicura che non avesse il coraggio di guardarmi dritta negli occhi. Nessuno ce l’ha mai avuto, e io non so il perché: e così e basta. Prendere o lasciare: e io ho deciso di fare l’indifferente, visto che questo è ciò con cui devo convivere per il resto della mia vita. E anche se forse a volte è comodo credere che questo accada per via dei miei occhi agghiaccianti, purtroppo sapevo perfettamente che, sempre a causa mia, i miei occhi erano diventati un misto di cattiveria e d’odio, avevano respinto tutta la gente dalle buone intenzioni e adesso non potevo più farci nulla, perché queste erano le conseguenze.
«Vieni qui» udii mentre le labbra di mia madre tremavano a quelle parole che lei stessa era riuscita a pronunciare e che evidentemente stupivano anche lei, e il suo sguardo tetro si affievoliva, addolcendosi sempre di più. Riuscivo quasi a notare un luccichio lontano, fin troppo lontano per essere definito una lacrima vera e propria. Le sue braccia si tesero in avanti e fece qualche passo verso di me, prima di avvolgermi con esse, stringendomi a lei. Questo era il primo vero abbraccio che avevamo dopo tutto quel casino che avevo combinato: era ancora molto lontana, ma rispetto alla situazione in cui ci trovavamo era già un grande passo avanti. Rimasi con gli occhi sbarrati per qualche secondo quando ci staccammo, incredula di ciò che era appena accaduto.
«Vado» riuscii a rantolare con la mia solita voce roca, ma se non fossi così orgogliosa probabilmente ammetterei che stavolta non si trattava del fatto che fossi assonnata perché erano le cinque del mattino. Probabilmente rivelerei che c’era qualcosa all’interno della mia gola che mi impediva di parlare, e che il mio corpo sembrava essersi fatto di gelatina in quell’istante. Strinsi i pugni più forte che potevo e serrai i denti, imponendomi di smetterla. Quella non ero io: quella era la parte di me debole, la parte di me che non riusciva a resistere e che dovevo ricacciare indietro. La parte di me che avevo combattuto così tanto nell’ultimo periodo, quella che adesso doveva sparire e non tornare mai più, perché io ero forte. Vidi i miei annuire piano e senza dire nulla girai i tacchi con un cenno, percorrendo per la mia strada verso il volo M29, che mi avrebbe portata verso la mia nuova vita. Che volessi prenderne parte davvero, non ne ero ancora del tutto sicura, ma si sa, certe cose finiscono per essere più grandi di noi, che lo si voglia o meno.

u n b r o k e n corner :3 

cccciao a tutti! siamo carla e manuela e siamo due semplici ragazze che si sono impegnate tanto per partorire questa storia dal nulla e alle quali farebbe davvero tanto tanto taaaanto piacere se leggeste e recensiste! Non importa anche se dite cose brutte o fate commenti cattivi - okay magari quelli evitateli - però siate sinceri, è questo che vogliamo dire!

ps questa è la nostra Delilah :3 

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Capitolo 2
*** → two different worlds collide ***


Salve a tutti :3 sono manuela e carla che vi parlanoo u_u volevamo ringraziare tutti i recensori ovvero stylesapproves oh siamo contenti di essere la tua prima recensione then *-* haha e per quanto riguarda il macello di cui parli,dovrai avere pazienza ma non ti deluderemo u.u Fooshly grazie grazie grazie :3 vedrai non ti deluderemo e ci metterai nelle preferite! haha Onlysunshine siamo contente che ti piaccia e speriamo apprezzi anche questo :D questo capitolo è stato scritto dal punto di vista di Kimberly che è una delle protagoniste della fanfic,piano piano le conocerete tutte (: grazie a chi ha messo la ff nelle preferite/seguite/ricordate ci fate taaanto felici *-* e sopratutto non risparmiatevi dal recensire se leggete please çç ci date lo stimolo per andare avanti grazia e tutti speriamo vi piaccia,questo capitolo lo abbiamo sempre scritto in collaborazione <3 ps dal prossimo capitolo entrano i fratelli,don't worry! haha


Kimberly;
 
«Buongiorno!» Irruppi nella cucina e vidi mia madre alle prese con i fornelli e sorrisi vedendo quanto si dava da fare. Mia madre era senz'altro una donna meravigliosa ma c'era una cosa che non le veniva affatto bene: cucinare. E tutte le volte che la vedevo maneggiare pentole sorridevo intenerita sapendo che io ero il motivo principale per cui lei lavorava con tanto impegno. Mi aveva tirata su tutta da sola. Senza l'aiuto di nessuno, senza la minima presenza di un uomo. Eppure ero venuta su bene, di certo non mi serviva altro per essere felice. O forse questo era quello di cui tentavo di convincermi da anni.
Mentirei se dicessi che la totale assenza di un padre nella mia vita mi ha sempre lasciato indifferente, ma alla fine se oggi mi guardo allo specchio mi piace la persona che sono diventata e sono fiera di me e di mia madre. Non mi ricordo neanche di lui, mio padre è come una presenza astratta nella mia vita di cui non mi piace parlare o sentire parlare.
«Buongiorno amore, sto tentando di cucinare qualcosa di commestibile» disse mia madre con una smorfia divertita.
«Mamma senza offesa ma, non pensi che faremmo più bella figura con Delilah se fossi passata in rosticceria stamattina?» Alzai un sopracciglio con aria interrogativa per poi ridere leggermente notando la sua espressione che disapprovava ciò che dicevo. «Okay non importa, non vedo l'ora di vederla!» salterellai allegramente dietro il tavolo e mi sedetti su uno sgabello prendendo una mela dal cesto al centro del tavolo.
«Lo so, ne parli da settimane» disse mia madre sorridendo appena senza guardarmi.
Già, ero eccitata all'idea di rivedere mia cugina Delilah che non vedevo da circa una decina di anni. L'ultima volta che l'avevo vista avevamo entrambe sette o otto anni e non avevo idea di come era diventata. Non avevo idea di cosa avesse fatto in tutto questo tempo,ma le volevo bene. In fondo era una di famiglia.
«Però è un grande gesto di maturità quello di decidere di venire a Los Angeles anticipatamente per ambientarsi» dissi annuendo. In fondo la ammiravo, io non avrei mai lasciato la mia vita e il mio mondo così da un momento all'altro. E lei lo faceva perché tra un anno avrebbe dovuto iscriversi alla UCLA e voleva ambientarsi a Los Angeles prima dell'Università. Questa era quello che mia mamma mi disse. Non sarei mai riuscita a lasciare i miei migliori amici e la mia vita un anno prima per ambientarmi meglio nella nuova città, anzi a dire il vero non ero neanche sicura di essere capace di abbandonare Los Angeles per l’Università. Non ci avevo pensato molto, ma adesso che l’ultimo anno stava per cominciare dovevo seriamente prendere delle decisioni, e mi aveva lasciata spiazzata e anche un po’ sconsolata venire a sapere che mia cugina aveva già scelto l’Università e non solo, stava trasferendosi un anno prima in città.
«E’ una ragazza dalle idee chiare» disse mia madre con un cenno della testa, senza distogliere lo sguardo dai fornelli.
«Io non ce l’avrei mai fatta» commentai, e vidi mia madre scrollare le spalle con un sospiro sconsolato, come se fosse totalmente persa in altri pensieri. Poi scosse la testa e sembrò tornare alla realtà.
«Siete due persone diverse» si limitò a dire seria facendo di nuovo spallucce. Mia madre sapeva che non mi andava molto di parlare di Università, perché era un argomento che un po’ mi spaventava. Non ero sicura di voler andare alla UCLA, ma allo stesso tempo non riuscivo a sopportare di lasciare Los Angeles. Di lasciare mia madre, e tutti i miei amici. Come avrei fatto senza? «Comunque, cos’hai intenzione di fare oggi?» mia madre mi distrasse dai miei pensieri, e mi resi conto che stavo fissando il vuoto. Scossi la testa e diedi un morso alla mia mela, guardando mia madre e cercando di fare mente locale.
Delilah aveva detto che sarebbe arrivata intorno alle dieci del mattino. «Sono le nove e mezza» annunciai facendo scorrere il mio sguardo sull’orologio appeso alla parete della cucina. «Vorrei passare da Nick, non lo vedo da un po’. E’ un problema se porto Delilah con me?» annunciai pensierosa prendendo un altro morso della mia mela.
«Certo che no. Anzi è meglio, così comincia da subito a farsi nuovi amici. Ed è brava gente» la guardai per un attimo un po’ perplessa: certo che era brava gente, probabilmente in città non esisteva famiglia migliore della famiglia Jonas. E in ogni caso non riuscivo ad immaginare perché mai Delilah avrebbe dovuto frequentare cattiva gente. Finii di mangiare la mia mela in silenzio e mi diressi verso il bagno per fare una doccia veloce, e nello stesso momento in cui finii di vestirmi udii suonare alla porta: in quell’istante avvertii un clangore di padelle provenire dalla cucina, e mia madre imprecare apertamente.
«Apro io!» Risi divertita immaginandomi la scena e mi diressi alla porta per poi aprirla più in fretta che potevo.
Per un momento rimasi immobile a fissarla, sull’uscio della porta. La ragazza che mi trovavo davanti non sembrava per niente la Delilah che ricordavo dalle mie memorie d’infanzia: eppure i tratti somatici erano uguali, gli stessi capelli scuri e morbidi, la stessa pelle liscia e perfetta, gli stessi occhi. Distolsi immediatamente lo sguardo da quei due specchi ghiacciati che un po’ mi davano i brividi e mi fissavano di rimando, impassibili. Di diverso c’era sicuramente qualcos’altro, e non mi ci volle molto per accorgermi che si trattava del sorriso: nella mia mente avevo una Delilah piccola e spensierata, con una risata melodiosa ed un sorriso perennemente dipinto sul volto. Questa Delilah non sorrideva, e sulle sue labbra non c’era neanche un minimo accenno ad una qualsiasi smorfia: gli angoli di esse erano semplicemente rivolti verso il basso mentre i suoi occhi da brivido mi squadravano dall’alto verso il basso, senza una particolare espressione. Dopo qualche secondo mi resi conto che quella situazione era a dir poco imbarazzante e strana, perciò mi avvicinai a lei e l’abbracciai calorosamente.
«Sono così contenta di vederti!» dissi sorridendo, ma la sua reazione non fu quella che mi aspettavo, per niente. Non ricambiò l’abbraccio, ma non mi spinse via nemmeno: rimase impassibile alla mia stretta, senza dire o fare nulla, e a quel punto mi tirai indietro guardandola. La sua espressione non era mutata di una virgola. Evidentemente le cose non sarebbero andate come mi aspettavo.
«Ti faccio vedere la tua camera» dissi un po' confusa facendole spazio per entrare. Era come se non conoscessi affatto la ragazza che avevo davanti. 
E da un lato ci poteva anche stare perchè l'ultima volta che l'avevo vista l'unica passione che ci accomunava era quella per le barbie,però era cambiato qualcosa in lei. 
Nei suoi occhi ghiacciati quasi trasparenti si celava qualcosa che mi metteva i brividi,e ogni traccia di innocenza era completamente svanita.
Lei non disse nulla ed entrò nella casa con un sospiro scrutando l'ingresso. Quando fummo nella sua stanza aprii la porta confidando nel fatto che apprezzasse il luogo in cui avrebbe trascorso tanto tempo per il resto dell'anno. L'avevo arredata io stessa non appena avevo saputo che sarebbe venuta a vivere da noi e mi ero divertita da pazzi a farlo. «Ecco qui!» Annunciai aprendo la porta,lei guardò dentro alla stanza qualche secondo e poi si decise ad entrare. 
«Lì c'è l'armadio,quello è il tuo portatile e...» Mi bloccai confusa dalle mie stesse parole. Sapeva i nomi degli oggetti,perchè glie li stavo dicendo? evidentemente volevo parlare e trovare qualche appiglio per iniziare una conversazione ma lei non sembrava euforica. Sembrava un corpo senz'anima in realtà,il modo in cui si muoveva,e tra l'altro non avevo neanche sentito la sua voce ancora.
«Vado da un'amico più tardi,vuoi venire con me?» Chiesi sorridente nella speranza di sentirle pronunciare qualche parola.
La osservai posare la valigia sul letto facendo spallucce «Va bene.» disse aprendo quest'ultima. Qualcosa nella sua voce,come nei suoi occhi era completamente cambiata. «Allora ti...lascio riposare. a dopo» Le sorrisi ed uscii dalla sua stanza per poi entrare nella mia camera e buttarmi sul letto,pensando.
Magari le mancava gia San Francisco. Magari si era trasferita lasciando situazione in sospeso con i suoi amici...sicuramente questo comportamento non dipendeva da me. o almeno lo speravo vivamente.

 
ed ecco la nostra bellissima kimberly (: 

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Capitolo 3
*** → introducing me. ***


salve a tutti gente :3 siamo di nuovo qui,ad aggiornare. La fanfic ancora non ha riscosso molto successo,visto che le recensioni sono praticamente nulle ma ringraziamo tutte quelle che,fortunatamente lo fanno (:  grazie a Fooshly  siamo contente che tu ci segua (: e grazie alla lunga recensione di  The White Soul che ci ha dato la carica per scrivere *www* vedete ci servono,per capire cosa vi piace quindi fatele fatele fatele u.u non siate timidi avanti! infine grazie a cui ha messo la ff tra le preferite/seguite/ricordate.  non vediamo l'ora di poter dare il via alle storie tra i nostri protagonisti e non vi deluderemo promesso (: manu&carla <3 

Kimberly;
 
Per raggiungere casa Jonas si impiegavano cinque minuti a piedi da dove abitavo io. La giornata era calda e assolata, sembrava di essere in piena estate quando in realtà eravamo già a metà Settembre: il che mi ricordava automaticamente che tra appena qualche giorno sarebbe ricominciata la scuola. Sbuffai rumorosamente al pensiero, mentre entravo all’interno del vialetto di casa Jonas, con Delilah al seguito. Non aveva proferito parola per tutto il tragitto, e nonostante fossimo state cinque minuti buoni a camminare, e io stessa avessi provato ad attaccare conversazione, lei non aveva fatto altro che rispondere a monosillabi: o ancora peggio con qualche cenno della testa. E senza mai guardarmi, perché piuttosto sembrava interessata nella strada di fronte a lei, come se avesse bisogno di concentrarsi per camminare o sarebbe caduta da un momento all’altro.
Suonai al campanello e qualche istante dopo venne ad aprire un ragazzo alto una spanna più di me, dai capelli riccioluti ed il viso sottile. Non appena i suoi occhi color nocciola incontrarono i miei, vidi un sorriso farsi largo sulla sua faccia e le sue braccia muscolose si allargarono per farmi spazio. Ovviamente non ci pensai due volte prima di avvicinarmi e affondare la testa contro il suo petto, abbracciandolo.
Nick era il mio migliore amico. No, non quel tipo di migliore amico che una ragazza dice di avere per sentirsi più figa agli occhi delle altre, lui lo era davvero in tutti i sensi: non avevo classifiche, paragoni, migliori amiche e migliori amici, c’era solo lui e basta. Ovviamente avevo altre persone che consideravo mie amiche, ma nessuna amicizia era paragonabile a quella che condividevo con lui. Parlavamo di tutto, dalle più grandi cavolate ai fatti sentimentali: non mi facevo problemi a parlare di ragazzi con lui, e viceversa. Certo, era da un po’ di tempo a questa parte avevo smesso di parlare con Nick dei miei affari di cuore, perché sarebbe stato abbastanza… strano, ecco. E lui non aveva più affari di cuore da condividere con me, da quando stava insieme alla nuova ragazza, Britney. Ma ehi, questo non voleva certo dire che non avevamo più nulla di cui parlare, anzi: trovavamo sempre un modo per passare un po’ di tempo insieme e chiacchierare.
Sospirai piano, respirando il suo profumo inconfondibile.
«Kim finalmente,pensavo fossi morta!» Esordì Nick non appena sciogliemmo l'abbraccio, sorridendomi. Rimasi qualche secondo ad assaporare con gli occhi quel meraviglioso tratto delle sue labbra piegato all'insù per dare vita ad uno dei sorrisi più belli che avessi mai visto.
Non ci vedevamo da davvero troppo tempo ed essendo migliori amici così attaccati, non ci eravamo abituati. Ma con lo studio e i preparativi per l'arrivo di Delilah avevo passato una settimana in apnea tra i miei impegni.
«Hai ragione,sono stata occupata» Risposi ricambiando flebilmente il sorriso, mi spostai lasciando a Nick la visuale della ragazza che stava dietro di me.
«Oh, lei è Delilah mia cugina, la ragazza di cui ti avevo parlato. Delilah lui è Nick, il mio migliore amico» li presentai sorridendo.
Mia cugina senza ingannare le mie aspettative guardò il riccio per pochi secondi riservandogli un'occhiata che non si poteva assolutamente decifrare. O forse era soltanto di indifferenza. Conoscevo bene Nick,e riuscii a leggere nel suo volto a mo’ di libro aperto che non era così contento della reazione noncurante di mia cugina.
«Oh beh,piacere!» Esclamò lui senza perdersi d'animo tendendo la mano verso la ragazza.
Delilah gliela strinse quasi contro voglia e poi ci fece entrare in casa. Casa Jonas,la conoscevo anche fin troppo bene, ci passavo anche più tempo che a casa mia in realtà. Ero un'amica di famiglia, ma con Nick era tutto portato a un livello superiore perché beh Nick... era Nick.
Non c'era altro da dire.
Con lui era tutto naturale, con lui ero me stessa al cento per cento senza dovermi preoccupare di niente. Passare del tempo con lui era una ventata di aria fresca per me,anche se solitamente ci passavo assieme 12 ore su 24.
«Fa’ pure Kim!» Disse Nick ridendo appena quando mi fui buttata sul divano. Alzai le spalle sorridendo e afferrai un cuscino stringendolo,quando tornò si sedette sul divano assieme a me mentre Delilah era su una poltrona,ma non sembrava spaesata.
No,non aveva mai un'espressione che potesse far pensare a nulla di indifeso.
«Novità?» Chiesi guardando gli occhi nocciola del mio amico. Lui ci pensò qualche secondo e poi alzò le spalle.
«No,niente di che. Ho passato molto tempo con Britney perché la mia migliore amica mi ha bellamente ignorato» disse con finto tono scocciato.
Cercai di sorridere ma sinceramente mi riusciva difficile ogni volta che in una frase compariva il nome Britney.
Britney.
Bionda.
Bella.
Cheerleader.
Un po' oca.
Penso che abbia il seno rifatto.
Queste erano le associazioni che mi saltavano in mente tutte le volte che me la nominava. Come avrete capito, no, non mi stava per nulla simpatica. Ma la vita era la sua e avrei dovuto adattarmi, mica me la dovevo sposare io. Certamente speravo che neanche lui la sposasse.
Okay forse ero gelosa di quella ragazza ma solo perché... non volevo che Nick rimanesse ferito. Sì, questa era la versione ufficiale.
 
Delilah;
Capii subito in che situazione si trovassero quei due. Insomma ero silenziosa non scema. E poi non ero di natura silenziosa, e Kim lo sapeva perché mi conosceva quando ancora ero un candida bambina con un futuro roseo davanti. Lei non c'era quando invece questo futuro mutò da rosa a nero,e lei non poteva sapere perché ero così oggi.
In fondo mi sentivo un po' in colpa per il modo in cui l'avevo trattata in quelle ore, così fredda, distaccata e noncurante. Ma dovevo ancora smaltire la rabbia che provavo nei confronti dei miei che mi avevano obbligata ad andarmene. E poi mi dovevo scogliere,ero troppo tesa e non mi pareva di conoscerla,non ancora almeno. Ma torniamo alla loro situazione... si vedeva a kilometri di distanza che il suo migliore amico era qualcosa di più per lei.
Lo capii guardando il modo in cui lei osservava, quasi in adorazione mistica, il suo sorriso. D'altro canto non c'era che dire, era un bel ragazzo e sembrava gentile.
Ma io, io da due anni a questa parte non ero gentile neppure con chi faceva il santo con me.
Mente i due amici chiacchieravano allegramente io mi guardavo attorno non mostrando alcun cenno di curiosità o altre emozioni nell'espressione del viso.
«Allora Delilah,ti piace Los Angeles?» La voce gentile del ragazzo mi distrasse dai miei pensieri e mi voltai a guardarlo sciogliendo un po' i nervi e abbozzando un mezzo sorriso. Non volevo pensassero che fossi vittima di una paralisi facciale, e poi dovevo smetterla di fare l'acida. Ma sempre senza sbilanciarmi perché quello che feci - pur avendoli stupiti - non era un sorriso vero e proprio ma più un… movimento delle labbra?
«E’... diversa.» Mi limitai a commentare, la città in sé era bella ma era l'ultimo dei posti in cui avrei voluto stare ora come ora.
«Sì, sono stato a San Francisco da piccolo, è bellissima.» disse Il ragazzo. Io annuii distrattamente.
«Posso usare il bagno?» Chiesi di scatto dopo alzandomi. Nick annuii e mi disse che si trovava su per le scale in fondo al corridoio così mi incamminai verso il bagno, lo aprii senza curarmi di bussare. Probabilmente perché pensavo non ci fosse nessuno se non noi tre in casa visto che durante il tempo di amabili chiacchiere non si era sentito alcun rumore esterno.
Mi trovai davanti un ragazzo con solo un asciugamano legato in vita, un addome scolpito, capelli corvini tagliati corti. Ci guardammo qualche secondo, sconcertati.
Pensai che da un momento all'altro mi avrebbe tirato addosso qualche oggetto impuntito credendomi una maniaca ma non lo fece. Non si sentiva in imbarazzo mezzo nudo davanti a me probabilmente perché il suo sguardo ora era solo incuriosito, passava i suoi occhi su ogni centimetro di pelle per guardarmi.
«Chi sei?» Chiese con fin troppa tranquillità. Neanche io, seppur all'apparenza priva di emozioni sarei stata così calma.
«La… cugina di Kim. Siamo venuti a trovare Nick.» dissi non avendo la minima idea di che rapporti avesse lui con quest'ultimo. Ma suo padre evidentemente non lo era. Forse era suo fratello. «Oh, io sono Joe» Disse alzando le spalle nude «Ti serve il bagno?» Annuii impercettibile e poi mossi la testa più decisamente,lui mi superò ed uscii dal bagno senza dire una parola. 

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Capitolo 4
*** → love is on its way ***


salve a tutti gente :3 questo capitolo è arrivato un po' più in ritardo rispetto al ritmo in cui postavamo gli altri ma ci auguriamo di non deludervi,qui leggerete invece cosa succede nella vita del nostro fratellone più grande kev <3 grazie mille a tutti i recensori,ci date la carica e siete gentilissimi,speriamo solo di avere qualche lettore in più c.c nel prossimo capitolo ci trasferiremo a scuola e ne vedrete delle belle tra la fredda delilah,l'euforica kim,il migliore amico nicola e giuseppe signor gironudopercasa v.v  vi lasciamo con tanto zucchero tra kevin e danielle (: alla prossima <3
kevin;
Tic. Tac. Tic. Tac. Tic. Tac.
Il rumore quasi frastornante dopo un po’ era diventato l’unica cosa che riuscissi a sentire, era entrato nella mia testa e aveva cominciato a martellare incessantemente minuto per minuto, secondo per secondo, fino a quando non ero stato sicuro di essere vicino alla soglia della pazzia. Se anche solo il rumore si fosse fermato non me ne sarei accorto, perché ero sicuro che un angolino del mio cervello aveva cominciato a ticchettare all’unisono con esso, ed avrebbe continuato a farlo autonomamente anche senza quello stupidissimo orologio.
Eppure non era l’unico suono all’interno della stanza: c’era il computer preistorico dell’ufficio che emetteva ogni tanto sbuffi e lamenti, il signor McDonald che blaterava a vuoto con una voce roca e monotona, e si riuscivano anche a sentire i clacson delle automobili ed i vari rumori del traffico provenienti dalla strada. Eppure nonostante tutto, l’unica cosa su cui ero riuscito a concentrarmi era stato proprio il ticchettare ripetitivo e perenne dell’orologio, che sembrava aver voglia di continuare così all’infinito. Se c’era un suono che detestavo era proprio quello, associato alla consapevolezza che mancava ancora tanto, troppo tempo prima di potermi dichiarare finalmente libero. Non avevo neanche più voglia di posare il mio sguardo sulle lancette che, nonostante l’incessante e ripetitivo ticchettare secondo per secondo, sembravano essere sempre impassibili; perché dopo tutto sapevo che se l’avessi guardato sarebbero passati neanche cinque minuti dall’ultima volta che ci avevo dato un’occhiata.
Di norma non mi trovavo così annoiato a lavoro – okay sì, ma questa volta era un’esagerazione. C’era sempre qualcuno con cui discutere, parlare, qualcuno da consigliare e sì, anche da litigare. Ma il signor McDonald non era nessuno di questi. Non sapevo proprio il perché, ma non appena varcava la soglia di quell’ufficio tutto sembrava diventare grigio, e non perché mettesse paura o altro, ma semplicemente perché era un uomo monotono e… spento. Aveva gli occhi neri e bui, i capelli bianchi perfettamente pettinati con una riga laterale drittissima. La sua faccia, a parer mio, aveva sempre avuto qualcosa di strano: era sempre immobile e indecifrabile, anche quando parlava. Uno dei miei passatempi preferiti a lavoro era studiare le espressioni della gente – sì, perché non si è capito? Io a lavoro faccio tutto tranne che lavorare seriamente -, ma con lui era impossibile, in quanto non possedeva alcuna espressione: era perennemente immobilizzato, quasi avesse una plastica facciale perenne. E a vederlo in faccia non si direbbe proprio che in realtà fosse un tipo logorroico, anche se i suoi interminabili discorsi sembravano essere una continua ripetizione delle stesse parole: bla, bla, bla, e poi bla, bla, strabla, e ancora bla. A dire il vero non l’avevo mai ascoltato molto attentamente.
«Dovrei andare adesso. Passerò domani per parlare con tuo padre» mi disse l'uomo passandomi accanto. Annuii distrattamente, come ero solito fare. Non morivo esattamente dalla voglia di conversare con quell'uomo. Ad ogni modo vederlo andare via mi mise ancora più ansia. Volevo uscire da quell'ufficio perché una volta fuori avrei visto la luce del sole e respirato aria che non fosse già stata usurpata da una quarantina di persone in ufficio.
Quello non era ciò che volevo, non volevo diventare come McDonald: non volevo diventare spento, non volevo smettere di sentirmi vivo. Erano ben altre le cose che volevo e non comprendevano una noiosa vita da impiegato, volevo realizzarmi e dire di aver vissuto in pieno la mia vita, di aver lasciato il segno e di aver fatto qualcosa...
Il telefono squillò distraendomi dai miei pensieri, che erano sempre gli stessi, purtroppo. Risposi al cellulare senza neanche preoccuparmi di vedere il numero sul display. Sapevo solo che se fosse stato mio padre per dirmi di restare in ufficio oltre l'orario, sarei sbottato come mai in vita mia.
Ero di natura una persona abbastanza tranquilla, ma cavolo, quando si trattava del mio futuro mi alteravo. Il mio futuro non avrebbe potuto essere in quel maledettissimo ufficio, non lo avrei permesso perché avevo ancora abbastanza amor proprio.
«Amore, pronto?! Ci sei?» mi ammorbidii immediatamente nel sentire la voce della mia ragazza e sorrisi istintivamente. Almeno c'era lei.
La donna di cui ero completamente ed incondizionatamente innamorato, che riusciva sempre a farmi sorridere, che mi sosteneva anche in questo momento che consideravo transitorio nella mia vita. Mi diceva di non preoccuparmi, che gli sviluppi sarebbero venuti da sé, e io mi lasciavo cullare da quel dolce sorriso, rassicurato. Dovrebbe essere il contrario forse, eh? Sì probabile. Ma ad ogni modo, la mia donna era stupenda e a volte doveva fare la parte di tutti e due.
«Ciao amore» risposi senza trattenere un sorriso.
«A che ora stacchi oggi?» chiese lei non appena sentì la mia voce. Sbuffai. Non ne avevo idea, me lo chiedevo anche io da tanto.
«Non lo so» mugugnai sconfitto «Ora lascio un messaggio a mio padre e stacco. Non ne posso più di vedere cartacce e qua non entra nessuno. Il mondo ha smesso di comprare auto!» esclamai, ma in realtà era meglio così. Beh forse non per mio padre e la sua concessionaria di auto, ma per me era meglio così.
La sentii ridere leggermente dall'altro capo del telefono. «Va bene Kev, ci vediamo dopo, allora» riattaccò dopo avermi mandato un bacio, afferrai la giacca e scappai da quel posto deprimente.
Il traffico delle cinque del pomeriggio era a dir poco incredibile, non avevo mai visto una cosa del genere, poi. Mi ci volle un’oretta buona prima di arrivare davanti a casa di Danielle, e non ebbi neanche il tempo di passare a prenderle un mazzo di fiori.
Non avrebbe senso descrivere l’espressione che prese vita sul mio volto non appena lei aprì la porta di casa, perché basterebbe dire che ero il perfetto ritratto della felicità. Ogni volta che la vedevo, il solito enorme sorriso si impadroniva del mio volto, mi illuminava gli occhi come non mai e mi sentivo la persona più felice del mondo, semplicemente rispecchiandomi nei suoi occhi color cioccolato. Per me era questa la felicità, ed equivaleva ad un nome sulla terra: Danielle. Lei era il mio tutto e senza di lei non ero niente, ero miserabile. Non riuscivo ad immaginare una vita senza di lei, e addirittura non riuscivo a ricordare come facessi a vivere e andare avanti prima di incontrarla. Ma adesso lei era con me, e saremmo stati insieme per sempre, poco ma sicuro. Se qualcosa fosse successo tra di noi… no, non volevo pensarci. Non volevo neanche immaginarmi di stare separato da quegli splendidi occhi marroni.
«Amore» dissi facendo un passo in avanti sull’uscio della porta e cingendole i fianchi per attirarla a me.
«Amore, com’è andata oggi?» chiese lei sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi, e quasi meccanicamente un sorriso prese piede anche sul mio volto, più grande del precedente. Anche se si parlava di lavoro, cosa che io detestavo, con lei era tutto stupendo.
«Niente di che, le solite cose. Il signor McDonald si è chiuso nel mio ufficio per almeno due ore» commentai con una scrollata di spalle ed un’espressione annoiata «E la tua giornata com’è andata?» chiesi di rimando.
Lei scrollò le spalle a sua volta distogliendo lo sguardo, e giocherellando distrattamente con il colletto della mia camicia. «Sono stata tutta la mattina a casa. Questo pomeriggio sono uscita con mia madre, sono tornata un’oretta fa» spiegò lei annuendo e sollevai un angolo della bocca.
«Che ne dici piuttosto se entriamo? Non ho intenzione di baciarti sull’uscio della porta, davanti a tutti» risi leggermente: ero una persona a cui piaceva molto la privacy, e detestavo il fatto che qualcuno potesse guardarmi mentre passavo del tempo con la mia ragazza. Lei ridacchiò e mi tirò all’interno del salone. Chiusi la porta alle nostre spalle, per poi raggiungere le sue labbra con le mie.

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Capitolo 5
*** → my best friend's girl ***


Kimberly;
Se c’è una cosa che io considero peggiore di scegliere i regali di Natale per i parenti ed essere costretta a scegliere tra budino e creme caramel, è decidere cosa indossare il primo giorno di scuola. Non sono una persona dai mille pregiudizi, ma da che mondo è mondo, la gente ha sempre cercato di farsi bella il primo giorno di scuola: sfoggiare i più bei vestiti e insomma, dimostrare al resto della scuola che l’estate non la si è passata chiusi in camera a far niente. Il primo giorno tutti sembrano piuttosto cool e strafighi. Non importa poi cosa si fa dal secondo giorno, perché già dal secondo giorno di scuola la popolazione studentesca ritrova gli equilibri naturali: i nerd tornano ad essere nerd, gli sfigati ritornano sfigati, i secchioni riprendono in mano la calcolatrice, e per quanto riguarda cheerleader e giocatori di football… quelli rimangono dove sono, i soliti “fighi da paura”. Io non credo di essere mai rientrata in qualcuna di queste categorie (o meglio, lo spero), non sono né nerd né una super popolare. Sono solo… io. Non mi sono mai sentita appartenente ad un gruppo particolare, semplicemente perché a scuola c’eravamo io e Nick; questo era il mio “gruppo” e mi bastava così: ma mi risultava difficile credere che quest’anno le cose sarebbero rimaste allo stesso modo, considerato che lui aveva fatto nuove conoscenze, e la sua nuova ragazza era a capo delle cheerleaders. Era inutile perciò illudermi che avrebbe passato tutto il suo tempo con me come era stato per gli altri anni.
Certo io avevo Delilah. Già, Delilah. La situazione tra noi, non posso dire che non fosse migliorata, ma non era andata come speravo. Lei era sempre così fredda e tesa con me, avevamo parlato un po’, ma non la definirei una vera e propria chiacchierata, più che altro un cortese scambio di opinioni ogni tanto. In ogni caso lei era una tipa ben educata nonostante i suoi toni, ma evidentemente quello era il suo carattere: non era esattamente gentile perché non parlava molto e spesso e volentieri evitava le domande mie e di mia madre, ma era educata e non aveva causato problemi. Secondo mia madre era solo una questione di cambiamento, dovevo darle il tempo di ambientarsi meglio in città e in famiglia prima che si aprisse di più. Io speravo che fosse così, anche perché non amavo il silenzio né dover sopportare una persona così fredda e distaccata in casa mia, dove amavo ridere e scherzare.
Ora però immagino di aver perso il filo del discorso. Da dove è partito tutto questo? Ah già, i vestiti, quasi me ne dimenticavo. Dicevo, volevo sembrare carina e fare una bella impressione il primo giorno, anche se finii per indossare un semplice paio di jeans, le solite converse nere e una maglietta senza maniche colorata.
La scuola non era molto lontana da casa mia, ma in ogni caso decisi che avremmo preso la macchina per fare prima, anche perché avremmo avuto un paio di cose da fare prima del suono della campanella. Innanzi tutto c’era da mostrare velocemente la scuola a Delilah, ritirare gli orari e farle assegnare un armadietto.
«Grandioso!» commentai sorridente mentre guardavo il numero impresso sopra al bigliettino che ci aveva dato la segretaria «Il tuo armadietto è a pochi armadietti dal mio» sentenziai mentre svoltavamo l’angolo e le porgevo il fogliettino in mano. Raggiungemmo il corridoio in questione e le mostrai l’armadietto 315, ovvero il suo. Lei lo aprì seguendo la combinazione segnata sul biglietto e cominciò a posarci dentro i libri. Notando che se la cavava benissimo da sola feci qualche passo avanti fino a raggiungere il 322, notando con piacere che un ragazzo stava frugando all’interno del 323, mentre dei ricciolini facevano capolino da sopra lo sportello aperto di esso.
«Che ci fai qui a quest’ora?» domandai all’improvviso. Il ragazzo si mosse e sentii un rumore metallico, e poi un’imprecazione. Nick chiuse lo sportello e mi squadrò da capo a piedi massaggiandosi la testa.
«Ouch!» commentò lui con una smorfia «Non potresti fare un po’ più di attenzione, Kim?»
«Scusami, ti sei fatto male?» chiesi senza riuscire a trattenere una risata, notando la sua espressione.
«Abbastanza»
«Fammi vedere» gli misi una mano sulla spalla costringendolo ad abbassare la testa, tastai con la mano tra i suoi ricci morbidi e definiti, ma non sentivo niente di niente. «Quanto sei paranoico Nick, non ti sei fatto proprio niente. E poi con la testa dura che ti ritrovi non potresti mai avvertire danni celebrali. E anche in quel caso non sarebbe poi un grave problema» scherzai guardandolo e scompigliandogli i ricci ridendo piano.
«Idiota» replicò lui massaggiandosi la testa.
«Comunque, che ci fai qui a quest’ora? Se non sbaglio hai i ritardi nel sangue, tu» commentai sarcasticamente mentre aprivo l’armadietto e cominciavo a sistemare i libri all’interno.
«Britney vuole che l’aspetti al suo armadietto, e ho come l’impressione che se non mi faccio trovare lì all’orario in cui lei arriva di solito, vale a dire esattamente alle otto meno dieci, finirò per fare una brutta fine» disse lui sorridendo mentre roteava gli occhi. Ma dal suo intero discorso l’unica parola che io capii fu Britney, e non avevo più bisogno di udire altro. La conoscevo quella ragazza, ed era capace di far fare a Nick tutto ciò che voleva, nonostante lui fosse solitamente una persona autonoma e che ragionava con la sua testa.
«Capisco» dissi mascherando una smorfia disgustata con una risata divertita «scommetto che non le piacerebbe, no» commentai posando alcune matite nuove nel portapenne dell’armadietto.
«Meglio prevenire che curare» osservò lui annuendo distrattamente, poi sollevò un sopracciglio «e tu invece, come mai così mattiniera? Un proposito per il nuovo anno o cosa?»
Scoppiai a ridere e scossi la testa. «Proposito per il nuovo anno? Neanche per sogno!» dissi sicura con un sorriso divertito «Dovevo aiutare Delilah con alcune cose. Stai sicuro che da domani tornerò ad essere la solita ritardataria» promisi annuendo.
«Ne sono certo. Comunque, vi va di sedervi con noi a pranzo?» chiese lui rivolto sia a me che a Delilah, che nel frattempo si era avvicinata accanto a me e non me ne ero neanche accorta. Esitai per un istante. Ovviamente per “noi” lui intendeva se stesso e Britney, e possibilmente qualche altra cheerleader pompata. No, grazie. Preferivo stargli lontano in quel caso, e tra l’altro non ero poi tanto sicura che Britney mi avrebbe gradita, visto che da quelle poche volte che l’avevo vista era riuscita a far trapelare bene tramite sbuffi e occhiatacce che le stavo sulle palle, e fine della storia. Ma lui dopo tutto era il mio migliore amico e non potevo dirgli di no.
Sospirai leggermente abbassando lo sguardo, poi annuii. «D’accordo, ci vediamo a pranzo allora» dissi e lui sorrise salutandoci prima di allontanarsi verso un altro corridoio.
 
Le prime lezioni passarono piuttosto in fretta, per mia sfortuna. I professori si erano limitati a fare discorsi e discorsi su quanto quest’anno sarebbe stato duro per noi, la scelta del college giusto e cazzate del niente. Uguale, niente lezione a cui pensare, più pensieri che arrovellano la testa di Kim. Bingo! E più le ore passavano più detestavo il fatto che il tempo scorresse e volevo maledire quella di solito tanto amata campanella, ma che oggi volevo mettere a tacere una volta per tutte, perché mi avvicinava sempre di più al momento in cui, lo sapevo, avrei dovuto sorbire le smancerie di Britney e Nick. Non so poi spiegare quanto agonizzante per me fu sentire il trillo della campanella che segnava l’ora di pranzo.
Sbuffai pesantemente raccogliendo i miei libri e non feci altro che sbuffare mentre mi dirigevo verso la sala mensa insieme a Delilah, fino a quando non fu lei stessa a farmi notare che ero diventata piuttosto irritante, perciò smisi.
 
Mi guardavo intorno alla ricerca di Nick seduto a qualche tavolo, ma di lui neanche l’ombra. E invece dei suoi ricci mi ritrovai a scorgere i capelli biondo ramato di qualcun altro. Feci cenno a Delilah di seguirmi, e mi avvicinai al loro tavolo. Ogni singolo passo sembrava essere sempre più difficile e sentivo i piedi ancorati al terreno. Ad un tratto udii Delilah sbuffare, mi prese per un braccio e mi trascinò fino al tavolo. Non appena avemmo superato la distanza di sicurezza gli occhi di quasi tutti i presenti al tavolo scattarono su di noi, ma quelli che sembravano più infastiditi dalla nostra presenza erano ovviamente quelli della bionda. Al tavolo con lei stavano sedute due ragazze dai capelli rossicci e lo sguardo spento, completamente uguali. Tiffany e Jessica Lewis, gemelle, note per essere leccapiedi di Britney. Entrambe aspiravano ad essere nominate vice-capitano delle cheerleaders da Britney, ma a quanto mi avevano detto lei le prendeva solo in giro, perché non avrebbe nominato nessuna delle due. Incrociai lo sguardo della bionda: le braccia mi tremavano un po’, quasi fossi impaurita. Okay, correggo: io ero impaurita. Britney mi metteva sempre una strana inquietudine, e mi trovavo in soggezione ogni volta che c’era lei in giro.
«Che ci fate qui?» domandò lei con lo stesso tono che avrebbe emesso una vipera accanita.
Stavo per risponderle, quando vidi Delilah posare il suo vassoio con un tonfo sul tavolo, esattamente nel posto di fronte a Britney, con aria sicura. «Ci ha invitate Nick» disse convinta e si sedette con tranquillità, ricambiando le occhiatacce di Britney. Avrei dovuto ricordarmi di ringraziarla più tardi. Certo, quella era una buona scusa e non poteva dire nulla in contrario. Ma lei era Britney e avrebbe sicuramente trovato qualcosa da ridire, anche semplicemente prendendoci in giro per i nostri vestiti o capelli, avrebbe trovato un modo per farci sentire estranee e a disagio.
Britney aveva la bocca aperta per parlare, ma in quello stesso istante le altre due sedie libere del tavolo vennero occupate da due ragazzi.
«Il professore non ci lasciava più andare» disse Lucas roteando gli occhi annoiato, prima di bere dalla sua bottiglietta d’acqua. Nick non disse niente, ma si limitò a sorridere a me e a Delilah, per poi voltarsi verso la sua ragazza. Questa non gli diede neanche il tempo di parlare che si attaccò come una piovra alle sue labbra, cominciando a baciarlo passionalmente davanti a tutti. Lui sembrava un po’ restio alla cosa: ma Nick era Nick, era sempre una persona così privata e riservata, mentre lei era Britney e viveva per la vita pubblica: mi chiedevo semplicemente come mai stessero insieme se erano così diversi. Mi sforzai a distogliere lo sguardo dalle loro facce appiccicate, per voltarmi verso Lucas.
«Hanno assillato anche voi con la storia del college e degli esami?» chiesi distrattamente al ragazzo, prendendo una forchettata di pasta. Lui scosse la testa sorridendo sarcasticamente.
«Non me ne parlare» disse scrollando le spalle «se hanno intenzione di fare così tutto l’anno giuro che non mi faccio più vedere e prendo a studiare a casa».
Annuii piano e feci spallucce. «Non è una brutta idea» commentai, mentre Nick si staccava da Britney. Lei per tutta risposta si aggrappò alla sua nuca avvicinandolo di più a sé, ma lui riuscì in qualche modo a distaccarsi e a ficcarle un pezzo di pane in bocca. Io, Delilah e Lucas scoppiammo a ridere di gusto, mentre Britney e le gemelle rimasero impassibili, anzi con uno sguardo piuttosto scazzato.
Lei lo rimproverò con lo sguardo, ma lui si limitò ad arricciare il naso in una smorfia per poi guardarmi e sorridere. Ricambiai il suo sorriso, ma mi si spense immediatamente sul volto non appena vidi Britney che di nascosto mi fulminava con lo sguardo.
Eh no, proprio non le piacevo.

 
Ciao a tutti gente! (Sempre che ci sia ancora qualcuno che ci segue ç__ç)
Anyway, vi ringraziamo per i commenti (anche se per l'ultimo capitolo ne abbiamo ricevuto solamente uno, va beh facciamo finta di niente u__u) e se leggete la nostra fanfic nel silenzio senza dirci nulla! Grazie a tutti coloro che seguono/preferiscono/ricordano la nostra fic, e sarebbe carino avere qualche recensione in più, perché davvero ci motiva di più a continuare la storia! :3
In questo capitolo vediamo i nostri protagonisti affrontare il primo giorno di scuola (; speriamo che il capitolo sia stato di vostro gradimento, a presto (forse anche subitissimo) il prossimo, peace and love! <3
vi lasciamo le foto dei nostri personaggi nuovi!
                          
                              

 tiffany e jessica :3
 brtiney
lucas!

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Capitolo 6
*** → the sound of a fight ***


Delilah;
Quando tutto finì e dovemmo tornare a casa,non sapevo se essere incredibilmente felice o triste (il che non faceva poi tanta differenza per gli altri perché ormai mi consideravano tutti apatica, data la mia permanente espressione imperturbabile sul volto).
Felice, perché era finito il primo giorno di scuola.
Triste, perché invece di passare il mio pomeriggio nella mia stanza in compagnia dell'ossigeno da respirare sarei dovuta andare a casa di Nick, o meglio, a casa Jonas.
Tre giorni prima mi ero ritrovata con un bel po' di new entry che si erano letteralmente catapultate nella mia vita. C'era Kimberly, mia cugina, ma era inevitabile che almeno con lei avrei dovuto avere un rapporto che superasse il buongiorno e buonanotte, e forse volevo averlo, era fantastica con me e me ne rendevo conto ma ero ancora nel mio blocco di ghiaccio che non si sarebbe sciolto facilmente.
Poi c'era Nick che mi aveva fatto da subito una buona impressione, ma valeva lo stesso discorso fatto per Kim, e poi... il ragazzo mezzo nudo della doccia, Joe. O almeno mi pare che si chiamasse così. Mi avevano informata del fatto che Nick avesse tre fratelli, il pomeriggio di tre giorni prima.
Joe, Kevin e Frankie. Così capii l'identità del ragazzo nella doccia, ma non proferii comunque parola sul fatto di averlo incontrato.
Quel pomeriggio mi ritrovai davanti all'enorme porta di casa di Nick e quando entrammo per studiare mi catapultai su quella che ormai consideravo la mia poltrona, isolata e in un punto strategico del salotto per non essere troppo in vista.
«Entrate ragazze» annunciò un sorridente Nick dopo aver aperto la porta di casa.
Con il mio zaino in spalla entrai un po' sofferente e quando ci fummo seduti per iniziare a studiare sentimmo dei passi dal salotto. «Sarà Joe» ci informò Nick alzando le spalle.
«Buongiorno gente!» Vidi entrare Joe dalla porta che collegava la cucina al salotto.
Nick lo salutò con un cenno del capo mentre Kimberly gli sorrideva raggiante salutandolo con la mano. «Joe lei è..»
«Delilah, sì l'ho gia conosciuta» Joseph terminò la frase di Kimberly e si avvicinò alla mia poltrona sedendosi su un braccio. Mi ritirai istintivamente schiacciandomi dall'altro lato della poltrona e vidi un'espressione corrucciata nascergli sul volto.
«Mi dispiace, che la prima volta tu mi abbia visto mezzo nudo, ma non sono un maniaco» disse Joe ridendo probabilmente riguardo la mia reazione da riccio che si ritira.
Mi limitai da alzare le spalle, ignorando la sua frase e aprii il mio libro mentre sentivo ancora i suoi occhi confusi addosso.
«Che vuol dire che l'hai visto mezzo nudo?» chiese Kim con tono a metà tra il divertito e il sorpreso, sbuffai sfogliando il libro, non era un'argomentazione interessante come avessi conosciuto quel tipo.
«Stava facendo la doccia, credo, e sono entrata in bagno» mi limitai a spiegare cercando di trattenermi da sbottare con un sonoro "che cazzo ti guardi?" a Joe che mi fissava insistentemente.
Sia Nick che Kim presero a ridere e Joe li seguì. Peccato che a me non facesse ridere.
«Come mai ti sei trasferita a Los Angeles, Delilah?» Argomento tabù. Mi irrigidii automaticamente deglutendo, infastidita da quella domanda. Sperai che lo notasse e che cambiasse argomento, ma alzai lo sguardo e lui continuava a guardarmi, con espressione estremamente curiosa.
«Per l'Università» tagliai corto.
«Ma devi ancora fare l'ultimo anno di liceo» rispose prontamente guardandomi negli occhi.
Avevo quasi paura, quando la gente mi guardava negli occhi perché temevo che ci trovasse quello che ci trovavo io: il vuoto totale.
Mi stavo spazientendo, e pregavo perché si facesse i santissimi fatti suoi. «Per ambientarmi, dato che comincerò l'Università qui il prossimo anno.»
Discorso chiuso, ecco cosa lasciava intendere il mio tono di voce ma lui finse bellamente di non recepirlo. «Che studierai?» sbuffai e lo guardai negli occhi. Fui stupita dal modo in cui mi guardava, desideroso di sapere qualcosa su di me. Forse perché negli ultimi tempi mi avevano tutti guardato con compassione e tristezza, o addirittura non mi avevano guardata.
«Studiamo per favore?» mi rivolsi a Kim e Nick. Neanche sapevo che università avrei scelto perché quella era soltanto una balla. Non era per quello che mi ero trasferita, e io lo sapevo bene.
«Hai le idee confuse?» chiese Joe.
«No, le ho molto chiare.» e all'università non ci voglio andare aggiunsi mentalmente, dopo aver risposto freddamente.
Vidi Joe scuotere la testa e raggiungere il divano per sedersi. «D’accordo regina delle nevi» sussurrò con un ghigno sulla faccia prima di buttarsi sul divano,ma lo sentii ugualmente e il mio carattere che in realtà era polemico,e non così taciturno venne fuori.
«Come scusa?» dissi guardandolo.
«Hai qualcosa contro le conversazioni civili, o sei semplicemente cresciuta al polo nord?» Chiese Joe ridendo. Ridussi gli occhi a una fessura guardandolo, in un modo che non definirei esattamente carino.
«E il tuo corpo rigetta materia grigia, o fai solamente finta di non accorgerti che non abbia voglia di parlare di certi argomenti?» Chiesi acida. Notai lo sgomento negli occhi di praticamente tutti i presenti. Probabilmente perché prima nessuno di loro mi aveva sentita articolare una frase di senso compiuto, neanche fossi dislessica. Ok ero un po' chiusa in me stessa, era un problema così grande?
«Scusami se ho cercato di rivolgerti la parola e farti sentire la benvenuta!» Esclamò irritato Joe assumendo un tono sarcastico.
«Stavo bene anche senza, grazie.» Dissi secca. Da dove veniva tutta quella confidenza? sapevo a malapena il suo nome.
«Come ti pare» disse ridendo nervosamente «Ma non ti lamentare per come ti ho chiamata dato che con quegli occhi e quello sguardo mi stai facendo gelare le ossa.»
Occhi, il mio punto debole. Quindi davano i brividi anche a lui, buono a sapersi. Deglutii sentendomi sempre più tesa e rigida.
«Okaay,magari andiamo di là Nick?» Kim mi fece sussultare, e distogliere la vista da quell'intenso gioco di sguardi. Li vidi sgattaiolare in cucina. Che bisogno c'era di lasciarmi da sola con quello che già mi stava pesantemente sulle palle? Da sola i miei istinti omicidi avrebbero preso il sopravvento.
«Oh mi dispiace, vuol dire che mi farò un trapianto di bulbi oculari solo per te, visto che ti inquieto.» Dissi con un fintissimo sorriso sarcastico.
«Non mi inquietano i tuoi occhi, hai gli occhi più belli che abbia mai visto, mi inquieta il modo in cui mi guardi.» Disse accigliato, scrutandomi, come se volesse capire. Come se volesse cogliere qualche segnale che gli facesse scoprire qualcosa in più di me e della mia vita
Eravamo passati ai complimenti? Cos'è adesso, avrei dovuto dire grazie? «Mi stai sulle palle, e ti guardo di conseguenza.» Sincerità ModeOn. Lo vidi sorridere, come se si aspettasse da me esattamente quella risposta, e non lo accettavo. Non ero mai stata una persona prevedibile io, per nessuno. «Ti faccio ridere o hai paura di me? definisci.» Dissi bloccando la sua risata. Alzò lo sguardo scettico e poi vidi nascere un sorriso sul suo volto.
«Entrambe.» Disse guardandomi intensamente negli occhi. Spezzai bruscamente il contatto visivo guardando altrove. «Che c'è sei tu ad avere paura di me adesso?» Chiese mordendosi il labbro.
«Ho visto tante di quelle cose nella mia vita, che tu sei l'ultima che potrebbe crearmi anche solo un pizzico di paura.» Dissi calma alzandomi e raggiungendo Kim e Nick lasciando sul divano, ancora più dubbioso a pensare a qualunque interpretazione della mia frase.
«Potete tornare sul campo di battaglia, abbiamo finito.» Annunciai entrando in cucina. Quando tornammo in salotto, con mio sommo piacere Joe era sparito, così potemmo passare il resto del pomeriggio a studiare in tranquillità e io potei tornare a fare.
 
«Tutto bene?» Vidi i capelli scuri di Kim affacciarsi alla porta di camera mia. Alzai la testa dal cuscino per guardarla e annuii.
In pochi secondi mi raggiunse e si sedette ai piedi del letto,sorridendomi. «Quindi hai deciso di inserire Joseph sulla lista nera?» Chiese lei sorridendo appena.
«E’ arrogante» Mi limitai a commentare alzando le spalle.
«E’ solo, sai… curioso.»
«Non c'è niente di cui essere curiosi, sono qui per l'università e basta.» Notai solo dopo che il mio tono era troppo duro, e quella frase era stata pronunciata con troppa enfasi come se dovessi effettivamente nascondere il vero motivo. «E’ solo che sono riservata.» Mi affrettai ad aggiungere in tono più morbido. La vidi annuire sorridendo.
«Già, lo abbiamo notato tutti credo.» Si alzò e camminò fino alla porta ma si fermò sull'uscio girandosi per guardarmi. «Buonanotte Delilah.»
Per prendere sonno,quella notte dovetti prima rigirarmi nel letto come se invece del materasso ci fossero spine sotto di me.
Mi tornavano in mente i miei, mi tornava in mente quanto li avevo delusi, come li avevo trattati. Tutte le cazzate che avevo fatto negli ultimi anni, non erano giustificabili.
E per quanto provassi ad addossare la colpa a qualcun altro, mi sentivo solo una persona immatura che non riusciva a prendersi le proprie responsabilità.
Avevo preso io le decisioni che mi avevano portata a questo punto della mia vita. Ero stata io che al bivio, avevo scelto la strada sbagliata, io e nessun'altro.
Ero ancora turbata dal mondo in cui quel ragazzo mi guardava, come se volesse scavarmi dentro. E forse era per questo che mi stava così antipatico, non potevo permettere che qualcuno aprisse la botola del mio passato e ci frugasse all'interno. Dovevano tutti smetterla di essere così curiosi e di saperne di più sulla mia vita, perché quello che avrebbero trovato li avrebbe solo spaventati.

E per la gioia di The white soul in questo capitolo vi introduciamo Joseph,e vi diamo un'anteprima del rapporto con Delilah v__v haha grazie a tutte le nostre lettrici,questa storia non sta andando alla grande XD però noi autrici ci siamo molto affezionate e ci stiamo lavorando con impegno,progettando idee per i capitoli futuri,quindi perfavore una appello disperato lasciate recensioni se leggete çwç ci sentiamo più motivate e meno ignorate! haha grazie a chi ha messo la fanfic nelle preferite/ricordate/seguite e a tutte le pooche persone che recensiscono! haha alla prossima <3 

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Capitolo 7
*** → why you gotta be so mean? ***


Kimberly;
«Dove vai, moretta?» disse una voce calda e divertita alle mie spalle, mentre mi sentivo strattonare per il cappuccio della felpa.
«In un posto dove non ci sia tu!» replicai fingendo un tono freddo e distaccato. Tirai il naso all’in su con una finta aria distaccata. Come già prevedevo, l’orlo della felpa cominciò a comprimermi il collo mentre lui mi tirava all’in dietro, e fui costretta a fare qualche passo nella sua direzione, con un sospiro. «Che vuoi?» domandai secca, costringendomi ad utilizzare ancora quel tono offeso con lui. Ma come potevo continuare a guardarlo con durezza quando lui aveva posato la mano sulla mia spalla e mi guardava con uno dei suoi migliori sguardi da cane bastonato?
«Ce l’hai ancora per ieri sera, Kim?» domandò Nick fissandomi, pur sempre con aria scherzosa.
Incrociai le braccia al petto evitando il suo sguardo in maniera superba e mormorai un «Sì» convinto.
«Mi dispiace davvero. Britney mi ha tartassato per uscire e non potevo dirle di no» disse con un sospiro sconsolato, e sembrava sentirsi un po’ più colpevole.
«Ma potevi dire di no a me, vero?» dissi sollevando un sopracciglio. Non ero arrabbiata, davvero. Cioè, all’inizio quando Nick la sera prima mi aveva chiamato per annullare i nostri piani per vedere un film insieme ci ero rimasta male, ma poi l’avevo capito; lui non diceva mai di no a Britney, e dopo tutto lei era la sua ragazza e io solo un’amica: nella scala delle priorità lei veniva per prima. Mi chiedevo semplicemente dove io fossi posizionata nella sua scaletta, ma forse non volevo saperlo.
Lui sospirò di nuovo e abbassò lo sguardo tristemente. «Te l’ho già detto che mi dispiace?» riprese.
Forse era meglio smetterla con questa farsa, perciò scossi la testa e gli rivolsi un sorriso. «Non fa niente, lo capisco» dissi scrollando le spalle con noncuranza.
«Comunque voglio farmi perdonare. Ci vediamo questo pomeriggio?» chiese lui speranzoso. Roteai gli occhi al cielo con un sospiro. Fortuna che conoscevo la sua agenda degli appuntamenti meglio di lui, o si sarebbe ritrovato nei casini più volte senza di me.
«Stasera non dovevi andare al cinema con Britney?» domandai inarcando un sopracciglio.
«Oh, è vero. Beh non credo si arrabbierà se per una volta scarico lei per stare con te. Possiamo vederci da Starbucks, ti va?» disse sicuro.
Scossi la testa ed incrociai le braccia al petto. Come potevo dire di no ad una proposta del genere? Aveva pure intenzione di scaricare la sua ragazza per me: probabilmente mi sarei dovuta sentire in colpa, ma era ormai troppo che non passavamo un pomeriggio insieme, da soli. Un po’ per colpa di Britney e un po’ a causa di Delilah, eravamo stati entrambi occupati negli ultimi tempi.
«D’accordo» sfoderai uno dei miei migliori sorrisi «ma come faccio ad essere sicura che non mi darai buca un’altra volta?» domandai sarcastica.
Lui aggrottò le sopracciglia. «Perché lo sai che non lo farei mai» disse serio, un po’ confuso.
«L’hai fatto ieri. Voglio essere sicura»
«Okay, allora ti prometto che -»
«Dammi la tua dog tag» dissi, senza dargli neanche il tempo di continuare la frase.
«Io… cosa?» chiese lui, completamente confuso.
«Voglio la tua dog tag» ripetei, indicando con lo sguardo la piastrina d’acciaio che gli pendeva dal collo.
«E perché mai?» continuò senza sembrare capirci molto.
«E’ una cosa a cui tieni. Così posso essere sicura che non mi darai buca questa sera, visto che vorrai riprendertela» annuii convinta. La sua dog tag era uno degli oggetti più preziosi per lui, e non andava mai da nessuna parte senza. In questo modo sarei stata certa che si sarebbe presentato all’appuntamento: non sapevo perché, ma sembrava quasi surreale l’idea di poter passare un po’ di tempo sola con lui, che mi ritrovavo ad avere bisogno di qualcosa che me lo accertasse.
«Stai scherzando?»
«No, sono seria»
Nick roteò gli occhi al cielo con uno sbuffo, nonostante fossi sicura che servisse solo per mascherare un sorriso divertito: glielo potevo leggere anche negli occhi. Portò le mani al collo afferrando la catenina e se la tolse, per poi infilarla sopra la mia testa. «Ecco. Contenta?»
«Come una pasqua» replicai dopo aver dato un’occhiata alla dog tag che adesso pendeva sul mio petto, e gli rivolsi un enorme sorriso. «Te la riporto stasera» dissi frettolosamente, sentendo la campanella che dichiarava l’inizio delle lezioni tartassarmi le orecchie. Feci per allontanarmi, ma prima che potessi farlo lo sentii afferrarmi per il polso e mi attirò a sé, lasciandomi un bacio sulla guancia. Per un istante, i miei occhi incontrarono i suoi color nocciola, e ancora una volta dovetti sforzarmi per distogliere lo sguardo. Gli rivolsi un altro enorme sorriso a trentadue denti prima di correre via in direzione dell’aula di chimica.
Le prime due lezioni della giornata le avevo senza Delilah: avevo fatto in modo che la segretaria facesse coincidere quasi tutti i nostri orari, ma non era stato possibile per i corsi di chimica e spagnolo, che frequentavamo separatamente. In ogni caso Delilah non sembrava avere problemi a stare da sola, anzi ero convinta che a volte si trovasse meglio da sola che in compagnia di qualsiasi altro essere vivente.
In compenso però, a lezione di spagnolo ero con Britney, ed eravamo pure compagne di banco – come se questa fosse una specie di consolazione. Non chiedetemi perché, non lo so pure io: la professoressa aveva deciso che la mia media alta nella materia avrebbe aiutato quell’ignorantona di Britney a migliorarsi, ma per quanto riguardava me non accennavo ad aiutarla, e lei mi ignorava come al solito.
Eppure durante quell’ora lei non fece altro che fissarmi, tutto il tempo: non riuscii a capirne il motivo, mi sentivo incredibilmente in soggezione però, perché il suo sguardo spento e smorto non faceva altro che posarsi sulla mia persona. Perciò fui incredibilmente felice quando il trillo della campanella annunciò la fine dell’ora.
Nonostante tutto però, continuavo a sentirmi osservata: mi guardai alle spalle più volte mentre camminavo per i corridoi, ma giunsi più volte alla conclusione che si trattava solo di un’impressione, probabilmente dovuta al fatto che quell’idiota aveva passato sessanta minuti esatti a radiografarmi dalla testa ai piedi.
Mi diressi nel bagno delle ragazze, che fortunatamente era deserto, e allora il pensiero che mi stessi facendo i film in testa cominciò a crescere maggiormente, visto che mi sentivo come… pedinata: anche se di fatto ero sola. Quando uscii però udii uno scatto alla porta e mi voltai immediatamente, solo per vedere Britney e le due gemelle al seguito. Sospirai di sollievo, ero veramente un’idiota a volte, quando mi facevo prendere dalla paranoia.
«Oh, ciao Britney. Ragazze» salutai cordialmente con un cenno della testa, sforzandomi di sorridere loro.
Eppure tutt’e tre sembravano interessate in qualcos’altro, e non la smettevano di fissarmi come Britney aveva fatto prima per un’intera ora. Non ebbi neanche il tempo di chiedere loro che problema avessero che quasi si avventarono su di me, e mi ritrovai spiaccicata contro il muro dalle due gemelle, mentre Britney se la rideva, divertita. «Co-cosa?» balbettai incerta, mentre Tiffany e Jessica mi comprimevano contro il muro ghiacciato e umido del bagno.
Britney si fece più vicina e mi fissò divertita, arrotolando distrattamente uno dei suoi boccoli biondicci intorno al suo indice. «Hai finito di fare la stronzetta?» domandò.
«Ma che diavolo stai dicendo?» dissi dimenandomi, ma non riuscivo a muovermi più di tanto. Le due rossicce mantenevano la loro morsa stretta intorno alle mie spalle e sulle mie braccia, ben salde in modo da non farmi scappare. E nel frattempo la paura saliva pian piano, perché non avevo la più pallida idea di cosa fossero capaci né tanto meno di cosa volessero farmi. Eppure non mostrai alcun segno di titubanza.
«Lo so che sei gelosa di me. Sono la ragazza più popolare della scuola, sono bella e ho talento. E poi ho Nicky. Ma non hai motivo di competere con me, non sei alla mia altezza» disse Britney con una smorfia tremenda.
«Nicky?» domandai sarcastica, come a sfotterla. Questo soprannome non l’avevo ancora sentito, evidentemente Nick le aveva proibito di usarlo in pubblico, perché era palese che lo odiasse, lo conoscevo fin troppo bene.
Per tutta risposta ricevetti uno schiaffo in pieno viso. «Smettila di usare questo tono. Lo so che vuoi Nick. Ma è il mio ragazzo, chiaro?»
Strabuzzai gli occhi, incredula. Cercai di mantenere un tono calmo e pacato. «Ne sono consapevole. E non ho la minima intenzione di soffiarti Nick. E’ solo un amico» mi sforzai di non balbettare e sembrare insicura.
«Sei una bugiarda» disse in un fiotto di veleno, avvicinando il suo volto al mio. E stavolta dovetti davvero richiamare tutte le forze del mio corpo per trattenermi dallo sputarle in un occhio. «Si vede da cento miglia che lo vuoi. Ma lui è mio» dichiarò arricciando leggermente il naso, e poi per sdrammatizzare fece una risatina. Iena. Sembrava una iena.
«Te l’ho detto e te lo ripeto: non sono minimamente interessa-»
«E allora perché rubi la sua roba?» tagliò corto lei, quasi gridando.
«Ma non ho la più pallida idea di cosa tu stia…» la mia voce si affievolì pian piano, quando notai che stava fissando l’oggetto che pendeva dal mio collo. Oh. Che idiota. «Hai frainteso tutto» cercai di spiegarle, con un tono più calmo «è stato Nick a darmela -»
«Sei una bugiarda!» gridò ancora, e tirò via la collana dal mio collo talmente forte che riuscì a spezzare la catenina. Poi se la rigirò contenta tra le mani, con un sorriso simile a quello che sembra apparire sul volto di un serpente non appena ha conquistato la sua preda. Lasciò scivolare la dog tag casualmente nella sua borsa di pelle, prima di tornare a guardarmi. «Ecco fatto» replicò contenta, piegando leggermente la testa di lato.
Sospirai impercettibilmente. Adesso che si era presa la dog tag, mi avrebbe lasciato in pace finalmente?
«Devo farti capire che non è così che funziona, piccoletta» Evidentemente no. Non ebbi neanche il tempo di parlare che mi ritrovai scaraventata all’interno di uno dei bagni, per terra.
«E vedi di non importunare ancora il mio ragazzo» fu l’ultima cosa che sentii, prima di vedere la porta sbattere davanti a me con uno scatto, e poi più nulla.
Non so ben dire per quanto tempo rimasi chiusa all’interno di quel bagno microscopico, ma mi sembrò un’eternità. I pensieri mi si arrovellavano nella testa mentre cercavo di trovare una posizione più comoda e allo stesso tempo igienica per passare il tempo. Non riuscivo a capire per quale motivo Britney dovesse essere così cattiva con me, dopo tutto io non le avevo fatto niente e le sarebbe bastato dirmi che le dava fastidio il fatto che indossassi la dog tag del suo ragazzo e l’avrei tolta immediatamente: l’ultima cosa che volevo fare era mettermi in mezzo tra di loro. Certo, non consideravo la loro relazione una delle migliori, specialmente per Nick, ma mi ero messa da parte perché non era affar mio. E proprio quando cercavo di tirarmi fuori dai guai, ecco che i guai mi venivano a prendere e mi trascinavano sul campo di battaglia, con la forza.
Per non so quanto ancora rimasi sola con i miei pensieri, ad arrovellarmi sul perché certa gente dovesse essere così cattiva. Fu verso l’ora di pranzo che udii uno scatto alla porta del bagno e sentii dei passi avvicinarsi. Finalmente, dopo più di due ore qualcuno andava in bagno! O ero stata sfigata io oppure, e ci avrei giurato, Britney e le sue amichette avevano appeso fuori dal bagno qualche cartello con scritto “fuori servizio”. Cominciai a bussare freneticamente, chiedendo aiuto. I passi si avvicinarono sempre di più, fino a quando non udii una voce familiare fuori dalla mia porta.
«Chi c’è lì dentro?» domandò.
«Delilah!» dissi sollevata.
«Kim?» chiese lei con il suo solito tono freddo, che stavolta sembrava un po’ stupito.
«Sono io. Puoi tirarmi fuori?» chiesi speranzosa.
«Non c’è chiave qui» replicò lei ancora sorpresa.
«Devono averla tolta» osservai alzandomi in piedi.
«Chi?»
«Britney e le sue amiche»
«Britney? E’ stata lei che ti ha ficcato lì dentro?» chiese, e sembrò quasi… irritata. Ma no, era solo una mia impressione che mia cugina si stesse preoccupando di me, lei era sempre così fredda e indifferente verso tutto. Figurarsi se si preoccupava di me.
«Sì. E’ una lunga storia, ti spiego quando sono fuori. Allora, puoi farmi uscire?»
«Penso di sì. Mi serve una forcina» mormorò tra sé e sé. Me ne sfilai una dai capelli e gliela porsi da sotto la porta. Qualche minuto dopo, in seguito a qualche scatto fallito, finalmente la porta si aprì, e posso giurare che non ero mai stata così contenta di vedere quegli occhi di ghiaccio di fronte a me.
 
Prima di decidermi ad uscire ci misi secoli. Stetti davanti allo specchio del mio bagno per interminabili minuti.
E no, non per farmi bella, o perché era Nick che dovevo incontrare, ma per riuscire a fare un sorriso che mi convincesse, che desse l'impressione esterna che non stessi fingendo ma che fossi davvero serena, come la mattina a scuola con Nicholas, prima che accadesse tutto.
Eppure per quanto provassi a piegare le labbra in tutte le direzioni, mostrando i denti, nascondendoli o facendo qualunque altro tipo di sforzo, non c'era verso che dal mio viso uscisse un vero e proprio sorriso, che avrebbe soddisfatto Nick.
Mi conosceva fin troppo bene, e si sarebbe subito accorto di quanto fossi turbata, e fui quasi tentata di dargli buca io questa volta, ma non potevo, non volevo.
La seconda grande brutta sorpresa della giornata, oltre al simpatico colloquio manesco con Britney, arrivò proprio quando entrai nello Starbucks e non ci trovai Nick dentro. Non c'era traccia del mio migliore amico, né nella caffetteria, né appena fuori. Eppure ero abbastanza convinta che lo avrei trovato lì, dato che ero già in ritardo io di dieci minuti.
Presi un caffè e mi sedetti su uno dei tavolini più vicini alla finestra per tenere d'occhio la strada, ma lui non arrivava mai. Evidentemente, non aveva trovato il modo di dare buca a Britney per uscire con me.
Quell'idea mi irritava a morte, e neanche io sapevo così bene perché. Sbuffai e presi il mio caffè ancora mezzo pieno per tornare a casa, okay stavolta non l'avrebbe passata liscia e non sarebbe bastato uno sguardo tenero per farmi passare la rabbia che avevo dentro.
E non era solo per Nick che ero arrabbiata, in quel momento tutti gli eventi di quella mattinata mi stavano tornando in mente e non facevo altro che darmi della stupida. Perché diavolo non avevo reagito? Perché avevo lasciato che Britney mi trattasse così? Di sicuro non ero una di quelle persone che risponde alla violenza con altra violenza. Però non sarei neanche dovuta stare lì a lasciarmi schiaffeggiare, anche se ero talmente stupita dalla cattiveria di quella ragazza che non riuscivo a pensare di reagire.
«Sono a casa» gridai per farmi sentire da mia madre mentre aprivo la porta, la chiusi alle mie spalle e sentii dei passi raggiungermi dalla cucina.
«Kim, finalmente! Ti sto aspettando a casa da venti minuti.» Nick mi stava davanti a braccia conserte e con espressione preoccupata ma anche irritata. «Così non avevi tempo per venire da Starbucks con me, ma da sola ci sei potuta andare?» chiese lui guardando il bicchiere che avevo in mano, con tono inquisitorio.
«Eh? cosa stai dicendo?» Ma che cosa aveva? Che cos'era, una sua tattica per farmi passare dalla parte del torto? Era stato lui a darmi buca fino a prova contraria.
«Britney a scuola mi ha ridato la mia dog tag e io le ho chiesto come mai ce l'avesse lei, dato che l'avevo data a te come garanzia che mi presentassi, questo pomeriggio» iniziò a spiegare Nick. «Ovviamente, si è arrabbiata perché sarei dovuto uscire con lei, ma ho preferito vedere te. Ma quando si è calmata mi ha detto che le hai chiesto di darmi la dog tag e di dirmi che non saresti potuta essere alla caffetteria oggi pomeriggio» terminò lui guardandomi.
Oh, era questo che gli aveva detto Britney? Piano brillante, molto ben architettato devo dire. Brava Britney, non avevo messo in conto che fosse anche bugiarda oltre che cattiva e perfida. Adesso lo sapevo però.
Ma non mi restava che assecondare la sua teoria perché logicamente, non avrei potuto dire così a Nick su due piedi "No guarda che la dogtag me l'ha strappata dal collo la tua amata fidanzata dopo avermi dato uno schiaffo, per gelosia". Strinsi i denti e annuii.
«Si è vero, Delilah aveva bisogno di me, scusami. Siamo uscite, doveva parlarmi.» mi inventai d'un tratto e ringraziai il cielo che mia cugina passasse sempre poco tempo in casa, e molto fuori. Neanche io sapevo cosa faceva precisamente, ma a quanto avevo capito faceva lunghe passeggiate per starsene da sola.
«E dove è lei adesso?» continuò lui con il suo interrogatorio.
«E’ voluta rimanere da sola per un po'.» spiegai trovando un tono convincente.
Mi dispiaceva mentire e mi dispiaceva anche tirare in ballo Delilah, ma era la mia ultima spiaggia.
«D’accordo» Nick sospirò in segno di resa e annuii. «Però possiamo stare un po' insieme adesso,giusto?» chiese sorridendomi.
Cercai di ricambiare quel sorriso anche se non mi riuscii affatto bene e mi buttai sul divano mormorando un «Certamente.»
Lui mi guardò con fare sospettoso, e avvicinò il suo viso al mio. «Stai bene?» chiese guardandomi dritta negli occhi. Per un momento, i suoi stupendi occhi nocciola che fissavano così intensamente i miei mi tolsero il fiato, ma poi si riallontanò e potei riprendere a respirare a pieni polmoni.
«Sì, sì, tutto bene.» dissi.
«Sicura?»
«Certo.» ribadii annuendo.
«Kimberly, ti conosco da quando giocavi con le bambole e mi costringevi a fare Ken per la tua barbie, capisco quando qualcosa non va. Avanti parla.» disse lui con tono apprensivo cingendomi le spalle con un braccio. Non resistetti e posai il capo sul suo petto sospirando.
«Non ti costringevo Nick, la verità è che mentre tutti i tuoi coetanei giocavano a pallone con i loro amici tu preferivi giocare con le bambole, ammettilo» tentai di sviare il discorso ridendo piano mentre lui mi accarezzava i capelli.
Lo sentii ridere piano e lasciarmi un bacio su di essi. «Le bambole erano solo una scusa per poter stare con te, eri più intelligente di qualunque mio altro amico maschio, mi sono sempre trovato benissimo con te, lo sai» disse lui, e anche se non lo guardavo potevo percepire il suo sorriso.
Sorrisi anche io istintivamente e alzai lo sguardo per incrociare di nuovo i suoi occhi. «E anche io lo sai. Se non ti ho ancora scaricato un motivo ci sarà» dissi accennando una risata.
«Oh e pensi che ti dovrei ringraziare per non avermi ancora scaricato?» domandò lui divertito.
«Forse. A volte sai essere davvero insopportabile Nicholas» dissi punzecchiandolo e lasciandogli un pizzicotto sul fianco.
«Ahi! Non è vero, sono adorabile» ribatté lui con un tono finto e offeso.
«Non è vero hai una mare di difetti» replicai dandogli un'altro pizzicotto.
«Beh e tu sei violenta. E quali sarebbero questi difetti?» chiese ancora tentando di nascondere il suo tono divertito.
«Mhh, sei ritardatario, alla mattina presto sei la persona più scontrosa dell'universo, se perdi a qualche cosa anche al gioco più stupido del mondo ti arrabbi come se ti avessero appena investito il cane e…»
«Ehy non mi toccare Elvis.» mi interruppe lui ridendo.
«E quando hai una chitarra in mano se qualcuno ti chiama e ti distrae dal tuo lavoro gli ringhi addosso.» terminai ignorando la sua interruzione e poi risi.
«Avanti lo sai che prendo molto seriamente la musica» mi spiegò lui sorridendo.
«E io sostengo questa tua passione, sono la tua fan numero uno lo sai» replicai ridendo. Adoravo la musica di Nick, i suoi testi, la sua voce. Forse ero di parte, ma era davvero un bravo musicista. Peccato che fosse sconosciuto al mondo però, beh non sapevano quello che si perdevano.
«Certo Kim. Ma... siamo sicuri che stai bene?» riprese inaspettatamente il discorso primario e io mi lasciai sfuggire un sospiro.
«Ma sì tranquillo è solo che... Delilah mi preoccupa.» dissi. Beh, mezza verità. Meglio di nulla.
«Oh è per questo? e perché?» domandò lui.
«Beh ecco sta sempre da sola, è sempre sulle sue. E in più la litigata con Joe l’ha ammutolita ancora di più, se è possibile» spiegai.
«Si dovrà ambientare, sta’ tranquilla. E per quanto riguarda lei e Joseph... sono così divertenti, lasciali litigare, sono uno spasso!» disse Nick ridendo all'ultima frase.
Scossi la testa sorridendo e gli diedi l'ennesimo pizzicotto. «Sei un proprio uno stupido» dissi facendo una smorfia divertita.
***
ed eccoci qua con il settimo capitolo della storia :3 questo è leggermente più lungo dei soliti,ma i dialoghi dominano la narrazione,quindi speriamo comunque che non vi annoi.
Per una delle due scrittrici,scrivere questo capitolo è stata una vera sofferenza. In primis perchè non aveva ispirazione e poi perchè quando finalmente lo aveva praticamente finito,quel simpaticano del suo portatile gli ha cancellato tutto HAHAH viva la sfiga u.u comunque,speriamo davvero che vi piaccia,ci stiamo davvero impegnando con questa storia e vi anticipiamo che abbiamo gia programmato otto capitoli ricchi di eventi e di idee stupende *-* in due,abbiamo visto,non manca mai l'argomentazione su cui stendere il capitolo. Speriamo che apprezziate il nostro lavoro (: Grazie a tutti i recensori,vi incitiamo a recensire se leggete,sempre,qualcunque cosa vogliate dire c.c ci fanno venire voglia di scrivere all'infinito. Ok,grazie a tutti vi amiamo alla prossima u_u
ps: se non recensite verrete perseguitate dalla maledizione *tisibloccailpceticancellatuttelecoseimportanti* HAHA adios u.u
                                                                                              

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Capitolo 8
*** → turn off the lights ***


Delilah;

Mi sentivo un po’ stanca. Avevo studiato un intero pomeriggio e adesso mi toccava pure mettermi a cucinare. Ma dopo tutto era stata Kim a chiedermelo, e per quanto avessi voluto dirle di no alla fine avevo ceduto, forse perché non avrei ancora voluto sentirmi in colpa. E poi trovavo che lei si stesse comportando nel migliore dei modi con me, nonostante il mio atteggiamento freddo e strafottente, perciò in qualche modo dovevo ripagarla, no? Anche se non ne ero molto entusiasta.
Stavamo lì tutt’e due, in piedi a lavorare davanti al ripiano della cucina, avvolte dal silenzio più assoluto. E la cosa non mi dispiaceva. Presi a tagliuzzare un’altra carota in piccoli cubetti mentre Kim mischiava l’insalata nella ciotola. Neanche l’idea di questa cena mi rendeva piuttosto entusiasta a dire il vero: mia cugina aveva deciso di invitare i tre fratelli Jonas, più il loro amico Lucas e una certa Danielle, che da quanto mi aveva spiegato era la fidanzata del più grande dei tre.
«Delilah, mi passi il sale?» Kim mi distolse dai miei pensieri. Annuii impercettibilmente e glielo porsi, sebbene avesse potuto arrivarci benissimo da sola. La sentii sospirare sconsolata mentre smanettava sull’insalatiera. Si schiarì la gola una volta, e mentre sembrava alla ricerca delle parole da utilizzare presi un’altra carota e cominciai a sminuzzarla, con le orecchie ben tese. «Io… non ti ho ancora ringraziato per ieri» disse infine, mentre con un’estrema precisione sminuzzava anche lei una carota; i suoi pezzetti erano piccoli e accurati, mentre i miei erano grossi e disordinati. «Grazie» ribadì poi, con un sospiro e mi rivolse un sorriso.
Annuii piano accennando ad una smorfia. Non mi andava davvero di risponderle, mi bastava farle capire che era tutto okay e non c’erano problemi. Ma dovetti sforzarmi a pronunciare un «Non c’è di che» stentato quando vidi la delusione farsi largo nei suoi occhi. Abbassai lo sguardo e tornai alle mie carote, mentre udivo un altro suo sospiro stentato, come se volesse dire “io ci ho provato”.
«Non sei molto loquace» osservò lei, focalizzando la sua attenzione sui tagli netti che affliggeva alla carota.
No, infatti. risposi nella mia mente. Non che non fossi davvero loquace, ma più che altro non trovavo il motivo di sprecare le parole quando si poteva benissimo parlare con la gente a gesti o ad occhiate. Le parole sono preziose.
«Spero che… sia tutto a posto, ecco» mormorò lei incerta «ho fatto qualcosa di sbagliato?» continuò.
Sbuffai, stufa. Lei non aveva fatto niente di sbagliato. I miei non avevano fatto niente di sbagliato. Ero stufa di sentirmi dire queste parole più e più volte: la verità era che ero io quella sbagliata in quella situazione, la mia vita che era sotto sopra e il mio mondo che era diverso.
«No» dissi con voce un po’ roca e mi schiarii la gola, senza guardarla e concentrandomi sul ripiano di fronte a me. «Sono… sono io. Sono poco loquace. Ma è tutto a posto, sta’ tranquilla»
A quelle parole sembrò rilassarsi un po’, ma non sembrava essere completamente soddisfatta. «L’ho notato» mormorò con una smorfia lievemente sarcastica e annuì.
Sbuffai. Dopo tutto prima o poi avrei dovuto parlarle, non potevo restare muta all’infinito. «Piuttosto» dissi «non mi hai voluto raccontare cos’è successo ieri con le tre ochette» dissi mascherando la mia curiosità con un tono indifferente.
Lei sembrò irrigidirsi per un momento, poi scosse violentemente la testa. «Non è importante»
«Non è importante?» domandai scettica, inarcando un sopracciglio «ti ha chiuso nel cesso con la forza e non è importante?»
Lei sbuffò di nuovo e in quell’istante riuscì pure a tagliarsi il dito con il coltello. Una goccia di sangue fuoriuscì lenta dalla sua pelle, e lei imprecò. Mise il dito sotto il getto d’acqua del lavandino e mi guardò per la prima volta quel pomeriggio negli occhi: ma come da copione, distolse subito lo sguardo. «Te lo dirò, okay? Solo… non dirlo a nessuno» Incrociai le braccia al petto e la guardai, in attesa. Per chi mi aveva presa? Sembravo davvero una tipa che spiattellava le cose in giro? «Nick mi ha dato la sua dog tag: ci saremmo dovuti vedere nel pomeriggio. Britney l’ha vista ed è andata su tutte le furie. Mi ha seguito nel bagno e ha cominciato a sparare cazzate su come io sia gelosa di lei e Nick e sul fatto che lo debba lasciare in pace perché è il suo ragazzo. Si è presa la dog tag e mi ha chiusa in bagno» Ascoltai il suo discorso per filo e per segno, e più parlava e più mi convincevo della stronzaggine di questa Britney: non che non l’avessi capito da subito, il tipo che era. Mi chiedevo semplicemente perché Nick stesse con lei, che era il suo completo opposto.
«E’ una stronza» dissi freddamente abbassando lo sguardo, come se la cena fosse realmente la cosa più importante della mia vita in quel momento. Chissà perché, anche se in quell’istante Kim scelse di tacere, sapevo che si trovava d’accordo con me. «E tu perché non hai reagito?» domandai, anche se già immaginavo la sua risposta.
«Erano in tre» si giustificò «e tu mi hai vista? Non sono esattamente il tipo che farebbe a pugni e se la caverebbe contro tre cheerleader» spostai lo sguardo verso di lei: mia cugina aveva un colpo fragilino ed esile, sembrava potersi spezzare con un semplice spintone. Io dal mio canto avevo una costituzione diversa: ero più slanciata e avevo un po’ più di sostanza, pur essendo sempre magra come uno stecchino. Ma in ogni caso lei non sembrava per nulla una che poteva avere la meglio su tre ragazze come Britney, Tiffany e Jessica.
Scossi comunque piano la testa «L’hai detto a Nick?»
«Ma non ci penso nemmeno» sembrò allarmarsi, come se avesse paura che io ne potessi fare parola con lui: ma per quanto potessi interessarmi alle sue vicende erano comunque fatti suoi e non mi sarei impicciata.
«E perché no?» aggrottai le sopracciglia, incredula: Britney era tremenda, e questo era un valido motivo per indurre Nick a rendersi conto della sua vera natura. Perché mai non voleva risolvere le cose una volta per tutte?
«Non voglio intromettermi nella loro relazione» si giustificò lei scrollando le spalle, come se tutto ciò che era successo il giorno prima non fosse niente di che. Cose che capitano insomma, essere chiusi nel bagno dalla bulletta della scuola. Succede un giorno sì ed uno no.
«Scusa se te lo dico, ma a me sembra che lei si stia intromettendo nella tua amicizia con Nick» dissi convinta. Li avevo visti lei e Nick insieme, e quando non c’era Britney sembravano essere fatti l’uno per l’altra, e non solo come amici. Ma quando arrivava il terzo biondo incomodo e si aggrappava al collo di Nick come una sanguisuga, mia cugina faceva un passo indietro e quasi quasi non rivolgeva più parola a Nick, probabilmente per paura di una delle reazioni esagerate della biondona cotonata.
«E’… è diverso. Io e Nick siamo amici, lei e Nick stanno insieme. Conta di più la loro relazione»
Scossi di nuovo la testa finendo di sminuzzare un’altra carota e portai i pezzettini all’interno di una ciotola. «Io non credo proprio» replicai convinta, girandomi e appoggiando la schiena al ripiano della cucina, mentre incrociavo le braccia al petto. Kim e Nick erano veri amici, Britney e lui passavano tutto il tempo a pomiciare bellamente in pubblico, e in quelle rare eventualità in cui parlavano lui stava zitto e lei lo rimproverava per qualcosa. Ugh. Come faceva a vivere quel ragazzo? Specie quando c’era una ragazza meravigliosa come Kim che lo aspettava dietro l’angolo, chissà da quanto: doveva essere a dir poco cieco. «Non capisco perché non gli dici che ti piace» dissi di punto in bianco. Kim si voltò a guardarmi e poi scoppiò in una risata isterica e nervosa.
«Ma che stai dicendo?» disse tra le risate «Nick è il mio migliore amico!» continuò, mettendo una mano sull’addome, come a calmare le sue risate. Ha ha ha. Che grande divertimento. Rimasi seria a fissarla, e quando ebbe finito continuai.
«Da quant’è che glielo tieni nascosto?» domandai di nuovo, mantenendo il mio tono serioso.
Il suo sguardo sembrò affievolirsi, per poi assumere un’espressione che un po’ mi faceva pena, ecco. «E’ così evidente?» chiese poi, mordicchiandosi il labbro inferiore. Come dirle di no? Praticamente ogni volta che aveva il ricciolino davanti il suo sguardo proclamava amore da tutte le direzioni. Non era una cosa brutta, dopo tutto. Annuii semplicemente, fissandola. Lei sospirò e spostò lo sguardo verso il pavimento, poi di nuovo su di me. «Da due anni, circa. Ma lui non se ne è mai accorto e non è interessato a me» la vidi sospirare sconsolata.
«E tu come fai ad esserne certa?»
«Lo so e basta»
«Lo sai e basta?»
domandai, scettica. Questo era il peggior atteggiamento possibile, a parer mio, che si poteva assumere in caso di avversità. Come sarebbe andato avanti il mondo se la gente avesse continuamente proclamato di “saperlo e basta”, se si fosse rifiutata di riconoscere i propri errori? Se la gente smettesse di imparare il mondo si bloccherebbe, basterebbe soltanto che tutti cominciassero ad essere testardi quanto Kim ed essere sicuri di sapere tutto di tutti. E io stessa lo avevo passato sulla mia pelle, che gli errori sono i nostri migliori maestri di vita: e Kim di certo errava nell’affrontare la situazione in questo modo, ma per quel poco che la conoscevo avevo capito che non era una persona che amava mettersi nei pasticci per poi risolverli, preferiva non crearli in partenza, pur dovendo rimanere scontenta da questa sua situazione. E io in questo non ci vedevo niente di giusto. «Non devi vederla così. Ci sono tante cose che non sai».
                                                                     


«Apro io!» Annunciò Kimberly alzandosi dal divano, presa da un improvviso scatto di energia. Eravamo sdraiate su quel divano quasi mezz'ora, e io continuavo a sentirmi a pezzi, anche se non avevo fatto particolari sforzi quella mattina.
Da un punto di vista fisico, ma da quello psicologico allora, decisamente ne avevo fatti: mi ero sforzata di apparire umana con Kim, e avevo scoperto che il fatto che io mi comportassi con meno indifferenza aveva giovato al nostro rapporto.
«Ciao ragazzi!» Sentii esclamare dall'ingresso.
Non mi scomodai ad alzarmi e rimasi comoda sul divano fissando il televisore spento come se stessi realmente seguendo la più interessante trasmissione di tutti tempi.
«Dan! come stai?» Kim si affrettò ad abbracciare una bella ragazza castana, che teneva la mano di uno dei ragazzi che non avevo ancora visto, ne dedussi che fosse Kevin.
Entrarono tutti in soggiorno e presero posto nei divani. Kim mi presentò Danielle e Kevin e mi sforzai di sorriderle stringendogli le mani, senza preoccuparmi troppo però di risultare euforica, come sembrava essere Kim.
Kim lo era sempre, quando si trattava di Nick.
E proposito di lui, il riccio mi sorrise e mi salutò cordialmente, e io non facevo che fissare la lastrina di ferro incisa che gli pendeva dal collo. L'oggetto della disputa, insomma.
Mi costrinsi a distogliere lo sguardo quando sentii qualcuno buttarsi a peso morto sul divano, da parte a me.
Girai la testa lentamente e vidi Joseph guardarmi, sorridendo.
Non potevo sopportare quel sorrisino arrogante, lo avrei preso a schiaffi così volentieri. Ma già che avevo fatto dei passi avanti con Kim, non volevo rovinare tutto e per quanto fossi impulsiva sospirai e girai la testa senza considerarlo, lui ne sembrò deluso ma non fece in tempo a dire nulla.
«Okay venite la cena si fredda» disse Kim sempre sorridendo, facendo strada.
Fui contenta di vedere che Joe non si sedette vicino a me, come mi ero immaginata facesse, era troppo occupato a chiacchierare con il suo amico Lucas, mentre Kim si punzecchiava con Nick e Kevin e Danielle erano una cosa come la coppia più bella del mondo. Ma non mi dispiaceva trovarmi da sola mentre tutti erano "accoppiati", figurarsi se a me dispiaceva di restare sola.
Meno stavo con la gente, meglio era.
Mangiammo chiacchierando del più e del meno - okay forse la frase più corretta sarebbe: mangiammo mentre loro chiacchieravano del più e del meno - e scoprì che Joe andava al College e studiava pubbliche relazioni, ma da come ne parlava le mie deduzioni erano le seguenti: non amava poi tanto studiare e faceva l'università solo per essere più indipendente dalla sua famiglia, vivere da solo eccetera, e che Kevin lavorava in un'autoconcessionaria, e non sembrava piacergli.
Fu Lucas, stavolta a incriminare il mio silenzio.
«Ti piace la nuova scuola Delilah?» Domandò Lucas e per tutta risposta mi cadde dalle mani la forchetta con cui stavo torturando il cibo nel piatto, che fece un rumore assordante all'impatto con la ceramica.
«Mi manca la mia.» dissi presa da un improvviso attacco di sincerità, sviando comunque la sua domanda.
«Già me lo immagino. Ti mancano i tuoi amici e la vita a San Francisco vero?» domandò con un sorriso. Le sue domande, rimanevano molto più sul vago di quelle dirette di Joseph e comunque non mi davano poi tutto questo fastidio.
Forse perché Lucas mi stava abbastanza simpatico, era l'unico a scuola che mi spronava si a parlare, ma che mi lasciava in pace se vedeva che non ero dell'umore.
«Già.» dissi per poi ricominciare a mangiare.
Il discorso scivolò via e il resto della serata passò velocemente, con mio grande stupore. Stavo lì zitta, ad ascoltare i loro discorsi mentre mangiavo. Parlavano di cose che appartenevano anche a me e mi sarei potuta tranquillamente inserire in una conversazione e dire la mia ma preferivo mangiare in silenzio e fu quello che feci.
Quando finalmente finimmo tutti aiutai Kim e sparecchiare e tornammo in soggiorno.
«Beh complimenti ragazze, ancora non c'è nessuna intossicazione alimentare in vista!» Disse Nick ridacchiando e ricevette un pugno in pieno petto da una divertita Kim, mentre prendevamo tutti posto in soggiorno.
«Non parlare troppo presto, potrei aver messo qualcosa nel tuo pia-»
«Che è successo?»
Domandò quella che sembrava la voce di Kevin, che proveniva dalla mia destra.
Le luci si erano improvvisamente spente, la televisione accesa non faceva più da sottofondo e intorno a noi c'era il buio totale.
Sentii Kim sbuffare «E’ saltata la luce. Cavolo è la seconda volta in due settimane!» Disse scocciata. «Vado a prendere delle candele.» disse e riuscii a malapena a distinguere la sua sagoma alzarsi dal divano.
«No Kim, vado io.» Mi affrettai a dire alzandomi dal divano.
«Oh okay. Sai dove sono vero?» mi domandò un po' sorpresa.
«Certo, faccio in un attimo» dissi per poi avvicinarmi alle scale, e raggiunsi la mia camera. Tenevo un paio di candele nel cassetto del comodino, in caso fosse appunto saltata la luce e sapevo che anche Kim le teneva, quattro candele sarebbero bastate, speravo.
Entrai in camera mia tastando dappertutto con la speranza di non finire col sedere a terra e quando raggiunsi il comodino presi le due candele profumate e cercai nella tasca dei miei jeans stesi sul letto un accendino.
Lo estrassi e cominciai a maneggiare con la candela quando sentii una mano posarsi sulla mia spalla e istintivamente, tirai una gomitata dietro di me.
Sentii subito dopo un verso dolorante e mi girai allarmata,stavo proprio per chiedere scusa quando la luce della candela mi permise di vedere una smorfia di dolore sul volto di Joseph. «Ma sei stupido o cosa? Mi hai spaventata idiota!» Esclamai quasi urlando riprendendo a respirare normalmente.
Continuò a massaggiarsi il punto della pancia dove lo avevo colpito ma la sua faccia tornò ad un'espressione normale e non più dolorante.
«Davvero? Eppure le ultime parole che mi hai detto erano simili a "Non mi spaventerai mai nella vita"» Disse lui, quasi soddisfatto di se stesso.
«Che cosa vuoi?»
«Niente,sono venuto ad aiutarti»
alzò le spalle con un mezzo sorriso.
«Ce la faccio anche da sola grazie.» Dissi per poi girarmi alla ricerca di altre candele anche se ero quasi certa che non ce ne fossero più.
«Da sola, ma non ti stanchi mai di stare da sola?» domandò lui incrociando le braccia sul petto.
«No. Grazie per l'interessamento. » Dissi cercando di superarlo per uscire ma lui mi bloccò prontamente il passaggio.
«Per la seconda volta, che cosa vuoi Joe?» Chiesi pronunciando per la prima volta il suo nome.
«Andiamo, esattamente che cosa ti ho fatto di male?» Chiese continuando a fissarmi fastidiosamente negli occhi.
Era l'unico che li guardava e basta senza dover distogliere lo sguardo.
«Ricordo di averti già detto che mi stai sulle palle.»
«Motivazioni?»
«Sei arrogante e non sai quando stare zitto.»
«E tu sei asociale e costantemente di malumore.»

Aggrottai la fronte, ferma sul posto. Non gli avevo chiesto di dirmi che ne pensava di me, era proprio l'ultima cosa di cui mi importava al mondo.
«Non mi conosci.» mi limitai a spiegargli.
«Ma neanche tu.» rispose lui testardamente. Ed era vero non lo conoscevo, infatti era tutta una questione di antipatia a pelle.
«Già e non ci tengo.» risposi con un sorriso arrogante.
«Sei una stronza» disse lui ridendo. Non era offeso, ma divertito. E neanche io mi offendevo a un'affermazione del genere, sapevo di esserlo. Con lui almeno.
«Si, hai scoperto l'acqua calda, mi fai uscire adesso?» chiesi evitando il suo sguardo.
«Perché sei così fredda? Sembri nutrire un odio esagerato per qualunque altro essere vivente.» Colpì lui continuando a guardarmi.
«Non sono affari tuoi.» tagliai corto. Non era il mio carattere e non volevo mentire dicendolo. Ero così per tutto quello che avevo passato nella vita ma di certo non mi sarei messa a raccontarlo a lui.
«No ma sto subendo il tuo fascino misterioso.» disse lui con un sorrisetto divertito. Mi faceva girare la testa come passava dall'insultarmi a farmi dei complimenti (sempre che si possano definire tali, certo).
«Sei veramente imp-»
«Dovresti davvero scioglierti. Non so perché tu sia così rigida, e se non me lo vuoi dire okay, anche se lo scoprirò, però pensa al mio consiglio.»
Non mi fece finire la mia frase e prese a sputare i suoi consigli indesiderati.
Rimasi a guardarlo, non avendo idea di come difendermi. Perché aveva ragione, ero troppo fredda, i miei motivi li avevo.
«Questa la prendo io» disse rubandomi dalle mani la candela spenta, la accese e uscii dalla stanza. «Sta’ attenta a non cadere» disse prima di sparire nel buio.
Presi le altre due candele e mi avviai di nuovo di sotto, sistemandole per il soggiorno.
«Finalmente, come mai ci hai messo tanto?» Domandò Kim. Guardai istintivamente Joe che mi stava sorridendo seduto sulla sua poltrona.
«Scusami, non le trovavo.» Dissi frettolosamente. La luce tornò circa un quarto d'ora dopo, e un'oretta dopo tutti se ne andarono a casa propria mentre io Kim li accompagnavamo alla porta.
«Oh dimenticavo, ho intravisto il tuo tatuaggio. Dovrai mostrarmelo un giorno.» Mi sussurrò Joe all'orecchio prima di andarsene come tutti gli altri e io rimasi un secondo ferma, con gli troppo aperti. Come aveva fatto a vedere il mio tatuaggio? La maglia che indossavo mi lasciava scoperta una spalla ed evidentemente aveva visto i caratteri della scritta in corsivo sulla mia schiena. Ma c'era buio,come diavolo ci era riuscito? Sospirai e diedi la buonanotte a Kim, per poi andare a dormire.

***
buongiorno popolo di efp (Y) Come state? noi bene,anche se non ce lo avete chiesto u.u grazie grazie hahah,anywayy che dire su questo capitolo? Kim fa una sorta di ammissione a Delilah,e le dice di essere presa dal suo migliore amico. il loro rapporto ha gia fatto un passo avanti,ma ancora hanno molta strada da fare. Joe e Delilah si punzecchiano come sempre e nel prossimo capitolo per le due coppie ne vedrete delle belle! Grazie a tutti i recensori e a tutti quelli che inseriscono la fanfic nelle preferite/seguite/ricordate. Ovviamente nelle note delle autrici non puo' mancare l'incitamento a recensire! lol. ma quando recensite ci sentiamo talmente cariche che possiamo postarvi anche giorno per giorno,invece se non ci si caga ci passa la voglia D: haha quindi vi supplichiamo,lasciateci un commentino se avete letto dai çç al prossimo capitolo ragazze e grazie di tutto <3

 

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