The other side of me

di _hurricane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bright eyes ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** The start of something new ***
Capitolo 4: *** First love ***
Capitolo 5: *** Beautiful lier ***
Capitolo 6: *** That light in your eyes ***
Capitolo 7: *** The most adorable thing ***
Capitolo 8: *** Don't kiss him ***
Capitolo 9: *** The threads of your heart ***
Capitolo 10: *** Shame ***
Capitolo 11: *** A part of you ***
Capitolo 12: *** Your smell, your heartbeat ***
Capitolo 13: *** The road to truth ***
Capitolo 14: *** Already chosen. ***
Capitolo 15: *** To see it all ***
Capitolo 16: *** Love told me ***
Capitolo 17: *** The strongest one ***
Capitolo 18: *** For you ***
Capitolo 19: *** Meeting ***
Capitolo 20: *** The moment ***
Capitolo 21: *** Everything about me ***
Capitolo 22: *** My boyfriend ***
Capitolo 23: *** Rise and fall ***
Capitolo 24: *** New entry ***
Capitolo 25: *** Meanwhile... ***
Capitolo 26: *** Beige sweet beige ***
Capitolo 27: *** Redemption ***
Capitolo 28: *** Forgiving ***
Capitolo 29: *** Baby, it's hot inside ***
Capitolo 30: *** Are you afraid? ***



Capitolo 1
*** Bright eyes ***


1 Bright eyes

 

 

Blaine Anderson amava molto la musica. Dire che la “amava”, in realtà, è un vero e proprio eufemismo: la musica era la sua vita.

Cantava al mattino, mentre si preparava per recarsi alla sua scuola, la Dalton Academy, e si divertiva ad annodarsi la cravatta a righe rosse e blu della divisa al ritmo delle note. Batteva il piede contro il pavimento del bagno mentre si lavava i denti, pur non potendo scandire bene le parole a causa dello spazzolino; poi concludeva la canzone, che aveva scelto a caso dalla lista che aveva stampata nella mente, mentre con una piroetta raccoglieva da terra la sua tracolla di cuoio.

Ovviamente canticchiava anche in macchina, accanendosi contro il pulsante della radio quando i vari canali non trasmettevano nulla di accettabile. Quando pensava alla sua vita passata, automaticamente associava ogni momento ad un sottofondo musicale, in particolare se si trovava a riguardare vecchie foto scannerizzate sul suo portatile.

Blaine Anderson amava la musica, così tanto che uno dei suoi passatempi preferiti, piuttosto che giocare a football o leggere all’ombra di un albero, era recarsi all’unico negozio di dischi di Lima che si potesse considerare tale.

Erano i primi di settembre, e con l’anno scolastico appena iniziato i suoi impegni in quanto solista di punta dei Warblers – il Glee Club della Dalton – non erano ancora così impellenti e gravosi da impedirgli di trovare il tempo di dedicarsi al suo hobby. Le provinciali erano ancora lontane, e le riunioni in quel primo periodo si limitavano a selezionare nuovi possibili membri: una cosa che a Blaine non era mai riuscita molto bene.

Nutriva una certa repulsione per qualunque azione che implicasse il “giudicare”, anzi odiava proprio quella parola. Fosse stato per lui, qualsiasi essere umano in grado di distinguere tra un Do ed un Mi avrebbe potuto far parte dei Warblers, e questo non avrebbe decisamente giovato alle loro prestazioni canore. Perciò, quando gli capitava di dover presenziare alle riunioni in qualità di giudice, più che altro si limitava ad assecondare le opinioni degli altri in modo da non influenzare più di tanto il voto, e soprattutto in modo da non dover giudicare personalmente.

Un pomeriggio, una volta finite le lezioni, il ragazzo dai ricci scuri decise di andare a spulciare gli scaffali del Lima Music Corner in cerca di qualche album semi-ignoto da poter ascoltare di sfuggita grazie alle cuffie disponibili in negozio e di cui potersi istantaneamente innamorare: gli era capitato più di una volta. Quando poi l’album era davvero ma davvero sconosciuto, andava in visibilio all’idea di essere uno dei pochi al mondo, insieme ai parenti dei membri della band in questione, a conoscerlo: lo faceva sentire in qualche modo speciale.

Spinse la porta a vetri dell’ampio negozio, diviso in sezioni come una libreria, e senza una meta precisa iniziò a percorrere il corridoio centrale, sbirciando i titoli in cerca di qualcosa che lo colpisse. Una parola, o magari un disegno particolare. La sua attenzione però venne attirata da qualcosa di leggermente diverso: un ciuffo di capelli alzato, perfettamente verticale e lucido di lacca appena spruzzata, che spuntava da dietro uno degli scaffali, coperto dalle custodie dei CD perfettamente allineate.

Blaine li guardò per qualche secondo, invidiando quanto fossero lisci e probabilmente molto facili da modellare. Stava per riabbassare lo sguardo sulle copertine che aveva davanti quando degli occhi di un azzurro chiarissimo incrociarono i suoi.

Sono verdi… o azzurri? si chiese in quella breve frazione di secondo. Molto breve, perché quelle due straordinarie fessure vennero quasi subito coperte dalle palpebre del ragazzo dai capelli laccati.

Blaine decise di non farci caso e continuò a vagare per il negozio con fare leggermente svogliato, visto che non c’era nulla di interessante.

Camminando a testa bassa – visto che solitamente i titoli meno famosi si trovavano in basso – si scontrò con qualcuno. Un ragazzo intento a leggere a bassa voce dei titoli da una custodia.

“Scusami tanto!” si affrettò a dire, imbarazzato. Il ragazzo dagli occhi chiari gli sorrise con spontaneità e rispose: “Tranquillo, non fa niente.”

Blaine si concesse il privilegio di osservarlo, visto che intanto aveva ripreso a guardare i titoli come se niente fosse: era uno dei ragazzi più belli che avesse mai visto. La pelle del viso era così liscia e pulita da far invidia alle modelle degli spot della L’Oreal, e l’assenza del minimo accenno di barba lo faceva sembrare più piccolo di quanto probabilmente non fosse.

Aveva un naso forse lievemente pronunciato rispetto al normale, ma la punta che finiva all’insù sembrava disegnata, scolpita da un artista che aveva volutamente deciso di dargli un’aria più sbarazzina. Le sopracciglia erano perfette, sicuramente frutto di un grande senso estetico e di una certa bravura con le pinzette – bravura di cui Blaine scarseggiava – e i capelli, come aveva già potuto notare, erano lisci, castani e meravigliosamente lucidi.

Una volta conclusa quella breve radiografia, così accurata che gli sembrò molto strano che il ragazzo non l’avesse notata, Blaine abbassò lo sguardo per vedere come era vestito. Indossava una camicia nera a maniche corte, abbastanza aderente da mostrare un piccolissimo accenno di addominali e braccia magre e lattee.

Solo in quel momento Blaine notò quanto la sua pelle, oltre ad essere priva di qualsiasi tipo di impurità, fosse chiara. Non era nemmeno sicuro che fosse una gradazione di rosa. Il nero della maglia era interrotto da una striscia grigia, quella di una tracolla che gli scendeva fino ad arrivare al fianco destro, appoggiata ai suoi jeans azzurro chiaro che aderivano perfettamente alle sue gambe come se qualcuno glieli avesse cuciti addosso.

“Hai bisogno di qualcosa?” chiese il ragazzo interrompendo la fugace ispezione di Blaine, che si affrettò a riportare lo sguardo sul suo viso per non sembrare una specie di maniaco.

“Oh, ehm, si… volevo… sapere il titolo di quel CD” disse indicando il disco nelle mani del ragazzo, consapevole di dover apparire un pazzo o più semplicemente un idiota.

Il ragazzo alzò un perfetto sopracciglio, ma fece finta di crederci e glielo porse dicendo: “Puoi prenderlo, tanto mi sa che non lo comprerò.” Fece per voltarsi e andarsene, ma Blaine si fece scappare un “Vieni spesso qui?” e dovette rimanere dov’era.

“Sì, non ci sono altri negozi così forniti a Lima” rispose il ragazzo.

“Però non ti ho mai visto” rispose Blaine, sentendosi uno stalker e maledicendosi per la sua sfrontatezza.

Era sempre stato bravo a flirtare: sapeva cosa dire e soprattutto come dirlo, o almeno questo gli avevano detto i pochi ragazzi con cui era stato. Ma se aveva un difetto, era sicuramente quello di non accertarsi di poter essere ricambiato prima di buttarsi a capofitto in un esplicito tentativo di abbordaggio, con risultati che potevano variare dal pieno successo al ridicolo ed umiliante fallimento. In fondo, non tutti i ragazzi di Lima erano gay.

Forse era stato l’aspetto così curato del ragazzo ad avergli trasmesso la certezza che almeno lui lo fosse. Insomma, tutti gli amici etero che aveva non si creavano impalcature di lacca in testa, non portavano magliette scandalosamente aderenti e non si facevano la ceretta alle braccia – o forse semplicemente il ragazzo dagli occhi chiari non aveva peli?

“Beh, ecco, forse veniamo in orari diversi” rispose guardandolo in modo leggermente preoccupato, come se fosse sotto interrogatorio. Blaine si rese conto di aver esagerato, ma decise che come minimo se ne sarebbe andato dal negozio conoscendo il nome di quel bellissimo ragazzo.

“Oh, scusa” disse però lui, tastandosi la tasca dei jeans per uscirne un iPhone di ultima generazione che stava visibilmente vibrando.

“Sì?” disse dopo aver toccato lievemente lo schermo ed esserselo appoggiato all’orecchio. “Va bene, arrivo” continuò, poi chiuse la chiamata e lo rimise al suo posto.

“Mio padre pretende che faccia i compiti, è meglio che vada” disse quindi stringendosi nelle spalle. Blaine non ebbe neanche il tempo di salutarlo, o di chiedergli il suo nome, che il ragazzo si voltò e raggiunse l’uscita a passo svelto.

Blaine lo guardò andar via, indugiando ovviamente sul suo sedere oscillante. Era proprio un bel sedere. Ancora più svogliato di prima, posò il CD che aveva in mano senza nemmeno guardarlo e si diresse alla porta a vetri dalla quale era entrato soltanto un quarto d’ora prima. Si guardò intorno, sperando di scorgere da qualche parte una macchia bianca e nera che somigliasse ad un essere umano, ma niente.

Era come svanito in una nuvola di fumo. Una nuvola di fumo dannatamente sexy.

 

* * *

 

“Sono a casa!”

Il ragazzo dagli occhi chiari annunciò il suo arrivo sbattendo la porta, con tono esasperato. Sapeva benissimo che non avrebbe fatto i compiti ugualmente, e aver fatto un viaggio a vuoto in macchina soltanto per essere richiamato a casa da suo padre lo aveva leggermente infastidito.

“Bene, adesso fa come ti ho detto. Se prendi un’altra C in matematica facciamo i conti” gli disse suo padre, Burt, apparendo dalla cucina con un sandwich in mano. Indossava una camicia a quadretti grigi e bianchi e un cappellino scuro con il suo nome stampato sopra e qualche ditata di grasso d’automobile sparsa qua e là. Se ci fosse stata una donna in casa, molto probabilmente non avrebbe permesso che un cappello rimanesse sporco così a lungo.

“Tanto ormai è risaputo che l’80% dell’intelligenza tra i due l’ho ereditato io!” disse una voce squillante da dietro di lui, quasi sicuramente proveniente dal divano del salotto.

“Così come l’80% della finocchiaggine, Kurt” disse il ragazzo voltandosi verso l’altro, steso comodamente sul divano con le gambe accavallate.

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Capitolo 2
*** Two ***


2 – Two

 

 

Colin sapeva che quella battuta avrebbe fatto imbestialire Kurt, e infatti gli venne rivolta la puntuale occhiata di rimprovero, la solita carta “Abbiamo condiviso lo stesso utero, non puoi trattarmi in questo modo!”

“Colin, lo sai che non mi piace quella parola” intervenne Burt mettendosi tra i due ed incrociando le braccia, pur tenendo il suo sandwich ancora stretto in mano.

“Sì sì, ok… scusami Kurt” disse il ragazzo dagli occhi chiari – Colin – senza sforzarsi di sembrare convincente. D’altronde, sapeva che suo fratello lo avrebbe perdonato all’istante. Guardò la perfetta copia di sé stesso spaparanzata sul divano beige del salotto mentre sorrideva compiaciuta, rivolgendogli un’occhiata affettuosa. Proprio come previsto, lo aveva già perdonato.

“Uh, a proposito” - disse portandosi una mano alla fronte, ricordando quello che si era prefissato di dirgli mentre tornava verso casa – “al negozio di dischi un tipo ha quasi cercato di molestarmi, deve avermi scambiato per te!”

Kurt lo guardò nuovamente accigliato, ma invece di arrabbiarsi scoppiò a ridere. Burt intanto, pur di non sentire qualcosa di osceno uscire dalle labbra di uno dei suoi figli, girò i tacchi e tornò in cucina senza dire una parola.

“Ah si? E com’era?” rispose Kurt mettendosi a sedere ed incrociando le gambe sul divano, come faceva sempre quando qualcosa sembrava essere interessante. Colin sorrise soddisfatto, gettò la tracolla ai piedi del divano e si sedette accanto a suo fratello, beandosi della curiosità che traspariva dai suoi occhi.

“Beh, aveva i capelli neri e pieni di gel, due sopracciglia che se le vedessi gli salteresti addosso urlando – un po’ come hai fatto con me prima di costringermi a diventare la tua cavia – e mi ha praticamente analizzato con i raggi X. Perciò direi che avresti buone probabilità!” rispose Colin.

“Come sarebbe? Ha guardato te, non me!”

“Kurt…” rispose Colin rivolgendogli uno sguardo eloquente.

“Non guardarmi così sai! Non potrei uscire con un ragazzo sapendo che ha cercato di flirtare con te, mi sentirei la ruota di scorta!”

“Ma se non sa nemmeno che siamo due ruote!”

Kurt rise alla battuta di suo fratello, specchiandosi in quegli occhi così inquietantemente uguali ai suoi. Gli sembrò così strano pensare che un altro ragazzo, poco tempo prima, li aveva guardati vedendoci dentro chissà che cosa.

Era risaputo che alla sua scuola, il liceo McKinley, lui era l’unico gay dichiarato… e infatti suo fratello, pur mascherando il tutto con la sua vena sarcastica, aveva probabilmente cercato di “lusingarlo” e fargli capire che, prima o poi, avrebbe trovato qualcuno come lui.

“Tutto questo non sarebbe successo se qualcuno” – Colin alzò palesemente la voce, in modo da farsi sentire da suo padre – “avesse lavato i vestiti che volevo mettere, invece di costringermi a indossare quelli della qui presente Lady Gaga!”

“Come ti permetti!” – rispose Kurt dandogli una gomitata – “E comunque dovresti sentirti onorato, il push-up dei miei jeans ti ha fatto fare colpo!”

“Quando uno dei tuoi pantaloni aderenti mi farà fare colpo su qualcuno che abbia le tette, allora ne riparleremo!”

Entrambi risero di gusto, e persino Burt, che aveva ascoltato dalla cucina, dovette trattenersi dall’imitarli. Quella era solo una delle tante conversazioni esilaranti alle quali aveva assistito nel corso di quegli anni, visto lo scherzo che il destino gli aveva voluto fare.

Sua moglie, venuta a mancare quando i due erano molto piccoli, era sempre stata molto orgogliosa di quanto i suoi figli fossero speciali: “le facce opposte di una stessa medaglia”, così li chiamava. Certo, qualunque madre che avesse due gemelli omozigoti avrebbe potuto dire una cosa simile, ma per gli Hummel l’espressione calzava proprio a pennello: era come se qualcuno avesse deciso di scindere la stessa persona in due, ma facendo in modo che ognuna delle copie fosse, a modo suo, perfetta. D’altronde, non si poteva dire che Kurt e Colin si completassero a vicenda: passavano buona parte del loro tempo a battibeccare come due vecchie zitelle.

“Allora, questi compiti?!” ribadì Burt spuntando ancora una volta in salotto, stavolta senza sandwich. Incrociò le braccia e iniziò a picchiettare sul parquet con il piede destro, rendendosi terribilmente fastidioso agli occhi di Colin, ed esilarante a quelli di Kurt.

“Va bene, ho capito, me ne vado!” rispose il primo sbuffando. Si alzò dal divano, riprese la tracolla e si diresse verso la piccola stanza che lui e suo fratello dividevano da sempre, al piano di sotto.

Kurt rimase lì dov’era, spossato da una giornata di scuola faticosa. Per l’ennesima volta, gli energumeni della squadra di football avevano pensato bene di rendere inutile la sua pulizia del viso con una granita alla fragola, David Karofsky lo aveva spinto contro un armadietto per un motivo che ancora gli sfuggiva, mentre al Glee Club Rachel Berry si ostinava a cantare canzoni che lui avrebbe cantato meglio.

A volte gli capitava di invidiare suo fratello, e pensare – sbagliando – che forse Colin era la versione migliore di lui. Quella giusta. Quella che non doveva costantemente parlare del suo orientamento sessuale, perché nessuno se ne faceva un problema – tranne quando lo scambiavano per lui, naturalmente. Il che capitava solo di tanto in tanto, nonostante fossero esteticamente identici: Colin infatti, ad eccezione di quel giorno, indossava vestiti completamente diversi da quelli che piacevano a Kurt.

Fermamente ostile a tutto ciò che potesse vagamente ispirare femminilità – forse proprio per prevenire di essere confuso – metteva più che altro magliette dimesse con stampe di band hardcore o felpe a tinta unita con la cerniera. Cappelli e stivaletti di pelle con i lacci, una delle cose che Kurt preferiva di più, lo facevano quasi rabbrividire, così come i lustrini e ovviamente le creme per il viso. Kurt lo aveva più volte maledetto con delle sottospecie di anatemi, predicendo per lui anni di acne irreversibile e punti neri grandi come vulcani hawaiani, ma nessuna delle sue previsioni si era mai avverata.

Tuttavia, tanto per rendere suo fratello soddisfatto, Colin si era lasciato convincere a farsi sistemare le sopracciglia e a poco a poco si era abituato alla lacca con la quale Kurt si divertiva a modellargli i capelli la mattina, in modo che fossero uguali ai suoi. Era più che certo che tenere il ciuffo basso sulla fronte fosse più da gay che alzarlo con la lacca (o almeno, questa era stata la sentita argomentazione di Kurt), e tagliarli era decisamente fuori questione. 

Un’altra cosa che differenziava tragicamente Colin da Kurt era la sua repulsione per il canto corale coreografato. “Ascoltare la musica è un conto, cantare muovendo i fianchi avanti e indietro su un palco è un altro” era stata la sua risposta alla timida richiesta del fratello di unirsi a lui nel Glee Club. Il che era decisamente un peccato: avevano caratteri praticamente opposti, ma la voce era pressoché identica.

Kurt, avendo un certo orecchio per le note, in realtà aveva stabilito che quella di Colin era più bassa di un’ottava, ma soltanto perché sin da piccolo si era sforzato così tanto per differenziarla dalla sua da finire per cambiarla leggermente. Tuttavia, se soltanto si fosse esercitato adeguatamente, avrebbe potuto raggiungere il Fa naturale proprio come suo fratello.

Alla notizia di poter essere in grado di eseguire un suono così femminile, Colin non aveva esattamente fatto i salti di gioia. “Non dire in giro che questa cosa potrei farla anch’io” aveva detto a Kurt un giorno, quando lo aveva sorpreso in camera mentre eseguiva un perfetto acuto da far invidia a Michael Jackson. E Kurt non l’avrebbe fatto.

Qualunque cosa che lo potesse distinguere dalla versione etero di sé stesso, era più che gradita.

 

 


 


Note di _hurricane:

Bene, adesso che il mistero è stato svelato, mi sembra giusto fare qualche precisazione. Mi rendo conto io stessa che l’idea è… strana. Diciamo che scrivere la storia (non ancora finita, in realtà) non è stato facile perché continuavo a temere che sarebbe sembrata un po’ malsana. E quelli che hanno letto “How can I break this spell?” ora si domanderanno “Ma hai per caso una specie di ossessione per i gemelli?”

La risposta è… sì xD

Tutto è nato da un discorso con mia sorella – sì, sempre la stessa dei Dwarflers! – anzi, più che altro da lei che parlava dei gemelli Hikaru e Kaoru dell’anime Host Club e io che stavo pensando a Kurt in quel preciso istante. La mia mente, che in quanto ad associazioni sembra avere qualche serio problema, ha unito le due cose e BOOM.

Kurt. Con un gemello. Un gemello identico e etero.

A proposito di questo, ci tengo a precisare che la cosa non cambierà e che non ci saranno risvolti incestuosi; rabbrividisco al solo pensiero, ma ho pensato che coi tempi che corrono fosse il caso di dirlo.

Sono curiosa di sapere cosa ne pensate… incrocio le dita e spero di non ricevere una marea di insulti e recensioni indignate!

Klisses to all of you <3

 

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Capitolo 3
*** The start of something new ***


3 – The start of something new

 

 

“Un Mocaccino grande, senza grassi, grazie” disse Kurt alla cassiera del Lima Bean il pomeriggio seguente. Quando stabiliva di volere del caffè non c’era santo che potesse trattenerlo in casa, visto che quello della macchinetta non aveva lo stesso sapore. E anche a costo di andare da solo, pretendeva di avere la sua dose di caffeina quotidiana.

Pagò la sua ordinazione e una volta ottenuto ciò che voleva si diresse al primo tavolino disponibile. Si appoggiò allo schienale della sedia e inspirò profondamente il profumo emanato dal bicchiere che teneva in mano, chiudendo gli occhi. Adorava l'odore del caffè, era amaro eppure incredibilmente avvolgente, un'infusione di energia che gli penetrava in corpo attraverso le narici.

Quando riaprì gli occhi, notò un ragazzo moro con indosso una divisa blu che lo stava fissando dalla cassa. Sembrava avere tutta l'aria di essere indeciso se salutarlo o meno, così Kurt fece due più due. Sgranò gli occhi, cercando di ricordare in pochi secondi la descrizione fatta da Colin.

Capelli neri e pieni di gel: beh, decisamente sì. Indica una grande attenzione per la cura personale, pensò.

Sopracciglia così spesse da volergli saltare addosso urlando: a malincuore, dovette ammettere di sì. Era forse l’unico difetto che era riuscito a riscontrare in quella fugace occhiata.

Analisi ai raggi X: con tutta probabilità gli aveva già fatto TAC, risonanza magnetica ed ECG – Kurt fece mente locale ricordando i nomi degli esami medici che menzionavano sempre in Grey’s Anatomy.

Il ragazzo moro si accorse di essere stato “riconosciuto”, così si avvicinò a passo sicuro verso di lui. Kurt deglutì, accorgendosi intanto che il suo caffè aveva perso un po’ del suo calore. Calore che si trasferì dal suo palmo alle sue guance, quando il ragazzo raggiunse il tavolo e gli disse: “Ciao! Ci rincontriamo di nuovo, che coincidenza!”

Si rese conto di avere pochi, anzi pochissimi secondi per decidere cosa fare. Avrebbe potuto dire la verità, ma forse quel ragazzo così affascinante – troppo affascinante, per il suo pressoché inesistente standard – avrebbe deciso di lasciar perdere, perchè in fondo non era lui la persona che stava cercando. Così sorrise, cercando di sembrare naturale, e rispose in modo neutro per non fare qualche clamorosa gaffe: “Eh si, è proprio vero!”

“Posso?” disse il ragazzo indicando la sedia vuota davanti a lui. Colin forse non aveva avuto tutti i torti: era proprio un tipo sfacciato. L’ideale per uno che, come Kurt, non era decisamente un asso nelle tattiche per “attaccare bottone” visto che non ne aveva mai avuto l’occasione.

“C-certo!” rispose quindi, approfittando della pausa della conversazione per sorseggiare finalmente il suo caffè fumante.

“Allora… non ricordo come ti chiami…” riprese il ragazzo in divisa dopo essersi seduto di fronte a lui, sfoggiando un sorriso che sembrava quasi… sarcastico. Fortunatamente Kurt se ne accorse, intuendo subito che la frase stava a significare che Colin, ringraziando il cielo, non aveva avuto il tempo di dirglielo. Poteva ancora salvare il salvabile.

“Kurt. Kurt Hummel” rispose con fermezza, come per volerlo sottolineare a scanso di equivoci.

“Io sono Blaine Anderson.”

Blaine… Kurt pensò di non aver mai sentito un nome così. Eppure seguiva moltissime serie TV, una vera e propria infinità a dirla tutta. Pensò anche di non aver mai visto qualcuno come Blaine. Al McKinley i ragazzi, fatta eccezione per lui, non erano molto curati, ed era più che certo che quella divisa blu avrebbe fatto apparire Finn, Puck, Sam e compagnia bella dei perfetti idioti.

Ma non era solo la divisa. C’era qualcosa, in quel ragazzo… una specie di innata, ammaliante sicurezza. Il fascino di chi probabilmente sa di essere irresistibile, eppure farà di tutto per non farlo pesare agli altri, né se ne farà mai un vanto. E poi, Kurt non era mai stato guardato in quel modo da nessuno.

Blaine infatti, proprio come in negozio con Colin, lo stava fissando attentamente, sorseggiando il suo caffè tra un’occhiata e l’altra. Paradossalmente, in quel momento, Kurt sperò che notasse qualcosa, un impercettibile dettaglio che gli facesse venire anche solo il dubbio di avere davanti un’altra persona. Sperò che quel ragazzo lo distinguesse, e che lo scegliesse.

“C’è qualcosa di diverso in te…” esordì Blaine dopo un lungo silenzio, facendo quasi strozzare Kurt. L’aveva sperato, e si era avverato… e adesso?

“…forse la voce. Per caso avevi il raffreddore ieri?” continuò.

“Come? Oh, si, proprio così. Quando mi raffreddo si abbassa di un’ottava” rispose Kurt, imponendosi di non balbettare e sembrare convincente.

“Un’ottava? Per usare una parola così, devi essere un cantante!” disse Blaine eccitato.

“Sì, faccio parte del Glee Club della mia scuola. Perché?”

“Perché anche io lo sono! Mai sentito parlare dei Warblers?” – Blaine stava quasi saltando sulla sedia a quel punto.

“Ehm, no, mi dispiace. Ma sono certo che siete molto bravi!” disse Kurt, mortificato.

“Dovresti venire a vederci! Perché non fai un salto da noi alla Dalton qualche volta?”

“Beh non saprei…” rispose Kurt arrossendo. Quel ragazzo stava seriamente flirtando con lui, o forse era solo interessato ad avere un altro fan adorante? Se lo chiedeva così a tutti, ne doveva avere già un centinaio.

La vibrazione del suo iPhone bianco perla salvò Kurt dall’imbarazzo. Abbassò gli occhi, lo tirò fuori dalla tasca del pantalone nero attillato e lesse il messaggio: “Papà vuole che torni presto, ha preparato una specie di soufflé per cena e vorrebbe il tuo parere. E io vorrei vivere almeno altri vent’anni evitando un’intossicazione alimentare.”

“Cavolo, devo proprio and-“ disse alzando nuovamente lo sguardo verso Blaine, ma lo vide sorpreso ed interdetto, gli occhi fissi sul suo cellulare. Beh, era di ultima generazione, e molti gli avevano fatto i complimenti per la grafica e la risoluzione della fotocamera, ma mai nessuno si era imbambolato così.

“Il tuo telefono” disse Blaine indicandolo con aria quasi accusatoria.

“Il mio telefono…?” rispose Kurt, leggermente preoccupato. Sembrava voler saltare sul tavolo e toglierglielo dalle mani, e avrebbe davvero dovuto passare sul suo curatissimo cadavere per riuscirci.

“Ieri era nero” concluse Blaine, rivolgendo finalmente lo sguardo su di lui.

Quanti dettagli potenzialmente irrilevanti era in grado di notare quel ragazzo?!

“Questo è di mio padre, me l’ha prestato perché il mio era scarico” rispose Kurt, formulando la prima frase che gli passò per la testa. La ripetè nella mente, e gli parve piuttosto credibile. E poi, uno non può essere così ricco da avere due, tre, quattro iPhone?

“Oh, capisco” rispose Blaine, quasi deluso dalla banalità della risposta.

“Comunque mi piacerebbe” disse Kurt mentre si alzava dalla sua sedia.

“Cosa?”

“Venire alla Dalton… a vedervi.”

“Davvero? E’ fantastico! Se vuoi puoi lasciarmi il tuo numero, così ti farò sapere la data della prossima esibizione pubblica.” 

“Va bene” rispose Kurt, sforzandosi di non arrossire mentre dettava il numero a quel ragazzo appena conosciuto, che era stato in grado di notare persino la differenza di voce tra lui e suo fratello. Una cosa impercettibile, della quale nemmeno le sue zie dell’Oklahoma si erano mai accorte. A parte l’abbigliamento, non c’era niente che potesse permettere ad un estraneo di distinguerli, non avendo avuto a che fare con i loro caratteri e non conoscendo il loro modo di vestire. Kurt pensò che quello fosse un vero e proprio segno del destino, e si augurò che quell’incontro fortuito fosse l’inizio di qualcos’altro.

“Allora a presto” disse Blaine dopo essersi salvato il numero in rubrica e aver riposto il cellulare nella sua tracolla.

“A presto” rispose Kurt sorridendogli timidamente.

Blaine lo guardò andar via, ritrovandosi a fissare il suo sedere, di nuovo. Il giorno prima era leggermente oscillante, ma quella volta lo era in un modo particolare: marcato, quasi voluto… femminile. Ecco, quella era la parola giusta. Non che gli dispiacesse, anzi.

I tratti delicati di quel ragazzo dagli occhi chiari erano semplicemente meravigliosi, e i suoi modi gentili gli apparivano come una silenziosa richiesta di affetto. Anche Blaine si augurò che quell’incontro fortuito fosse l’inizio di qualcos’altro. E lo era.

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Capitolo 4
*** First love ***


4 First love

 

 

Nei giorni seguenti, Kurt si pentì di aver lasciato il suo numero a Blaine senza preoccuparsi di chiedergli il suo. Forse non lo avrebbe nemmeno usato, in realtà, per la paura di sembrare una specie di disperato.

“Non si è ancora fatto sentire eh? Mi sa che era davvero cotto di me!” disse Colin più o meno tre giorni dopo, vedendo Kurt guardare lo schermo del suo iPhone con aria mesta. Ricevette in risposta la solita occhiata abbiamo-condiviso-lo-stesso-utero.

 

* * *

 

“Non posso credere che ti abbiano scambiato per me” disse Kurt in tono offeso mentre si toglieva un fazzoletto di seta dal taschino.

“A chi lo dici” rispose Colin stizzito, mentre si sforzava di tenere gli occhi chiusi aspettando che il fratello gli togliesse la granita blu acceso dalla faccia.

Kurt, con una flemma così metodica da risultare estenuante per il fratello, iniziò a lavare via i pezzetti di ghiaccio colorato dal suo collo, poi dalle guance e infine dalle palpebre chiuse.

“Ecco fatto” disse soddisfatto, prima di ripiegare il fazzoletto su se stesso. Sorrise in direzione del riflesso nitido di Colin nello specchio del bagno degli uomini. Un riflesso piuttosto arrabbiato.

“Ma cosa devo fare, andare in giro con una maglietta con scritto ‘Non sono Kurt’?!” disse il ragazzo alzando gli occhi al cielo.

Il fratello lo guardò accigliato, poi rispose sarcastico: “Se vuoi te la faccio, ma poi potrei anche pensare di indossarla io.”

Colin si voltò verso di lui, abbozzando un sorriso.

“E perché dovresti far finta di non essere te?” rispose, avvicinandosi leggermente.

“Perché è più facile essere te, Colin” ribattè Kurt, lo sguardo basso sul pavimento bianco sotto i loro piedi.

Colin inclinò la testa, costringendolo a guardarlo negli occhi.

“Devi proprio farmi dire qualcosa di tremendamente smielato, non è vero?”

“Uhm, tipo?”

“Tipo che non devi mai più dire una cosa così stupida.”

Kurt finalmente sorrise, quasi divertito da quanto suo fratello potesse essere affettuoso, se soltanto ci provava.

“Vi prego, il gay-incesto no!” esordì una voce forte alle spalle dei due. Un ragazzo di colore con indosso la giacca dei Titans, imponente e robusto, si stagliava sulla porta con una faccia a dir poco disgustata.

“Farò finta che tu non abbia detto nulla, Azimio” disse Colin a denti stretti, facendo un passo verso di lui.

“Perché, altrimenti?!” ribattè quello con aria di sfida.

“Ti spacco la faccia” rispose Colin in un soffio. Ormai era a pochi passi da quello che gli aveva gettato la granita in faccia pochi minuti prima, sentiva una vena del collo pulsare e una voglia irrefrenabile di usare il suo destro per provare la nuova mossa imparata a Kick-boxing. Sentì una mano trattenerlo per la maglia, da dietro, e si fermò.

“Colin, lascia stare” gli disse Kurt a bassa voce.

“Sì, lascia stare!” gli fece eco il bullo con un ghigno divertito.

Colin gli rivolse un’occhiata omicida, ma decise di seguire il consiglio del fratello. Suo padre non avrebbe apprezzato un altro richiamo del preside, inoltre una rissa in uno spazio così piccolo avrebbe finito per ferire Kurt. E quella sì che sarebbe stata una cosa difficile da perdonarsi.

Azimio capì le sue intenzioni, fece un’espressione impietosita come per dirgli “Lo sapevo” e in un attimo scomparve dalla soglia.

Colin sbuffò pesantemente, lo sguardo fisso davanti a lui, sullo scorcio di corridoio visibile.

“Andiamo, c’è geografia adesso” sentì dire a Kurt, che aveva lasciato la presa soltanto dopo aver visto il ragazzo di colore allontanarsi.

Colin annuì silenzioso e si avviò verso l’uscita, seguito a ruota dal gemello.

 

* * *

 

“Oggi alle 17:30, Dalton Academy, Sala Comune”

Così recitava un messaggio da un numero sconosciuto, apparso sullo schermo dell’i-Phone di Kurt mentre si trovava in aula canto per le prove del Glee Club, quello stesso giorno.

Le ragazze stavano cantando un mash-up di cui non ricordava il nome, ma tanto lo avrebbe dimenticato ugualmente: il suo sguardo si era ormai perso sullo schermo bianco e luminoso, analizzando ogni singola parola per imprimerla per bene nella mente.

Sorrise appena, poi si guardò intorno, accertandosi che nessuno potesse vedere ciò che stava facendo. Resosi conto che tutti erano rapiti dall’esibizione tranne lui, premette il dito sulla scritta “Rispondi” e digitò in pochi secondi: “Perfetto, grazie, ci sarò.”

Poteva forse mancare? L’unico ragazzo di sua conoscenza potenzialmente gay all’infuori di lui a Lima e dintorni gli aveva appena mandato un messaggio: era un evento che, come la cometa di Halley, si sarebbe ripetuto forse dopo altri tremila anni.

 

* * *

 

Se non fosse stato per le divise, verso le quali Kurt nutriva una repulsione naturale a causa della sua insopprimibile vena creativa, la Dalton Academy gli sarebbe apparsa come un vero e proprio paradiso. Tutto, dalle maniglie delle porte alle mattonelle, sembrava gridare quanto in quella scuola l’estetica fosse importante, se non fondamentale.

Forse era per quello che adottavano le divise: permettevano di inquadrare tutti in un unico, perfetto canone di eleganza, eleganza che si rifletteva nei divani di pelle scura, nei tavoli di legno lucido e nel corrimano in ferro battuto delle scale che Kurt stava scendendo con aria frastornata.

Ragazzi indaffarati e chiassosi gli passavano accanto, chi salendo e chi scendendo, mentre lui si guardava intorno cercando di capire quale delle tante stanze della scuola fosse la Sala Comune. Per logica avrebbe dovuto essere la più grande, ma a Kurt sembravano tutte enormi.

“Scusa, posso farti una domanda?” chiese ad un ragazzo in divisa che stava in piedi alla base delle scale, dandogli le spalle.

Il ragazzo si voltò, lo squadrò velocemente e rispose sorridendo: “Ma certamente Kurt!”

Kurt lo guardò fisso per un attimo praticamente eterno, poi tornò in sé e disse impacciato: “Ehi, ciao… beh, volevo sapere dov’era la Sala Comune!”

“Vieni, conosco una scorciatoia” gli rispose Blaine facendo un sorriso ancora più ampio.

Come se fosse la cosa più naturale del mondo – e nei secondi che seguirono, a Kurt sembrò così – lo prese per mano e lo fece scendere dalle scale, facendogli cenno di seguirlo con il capo. Si diressero verso un corridoio secondario, che in effetti era vuoto, e lo percorsero a passo svelto, le dita saldamente intrecciate. Kurt non potè fare a meno di guardare quel ragazzo con la coda dell’occhio, distogliendo lo sguardo ogni volta che quello color nocciola di Blaine incrociava il suo.

Alla fine arrivarono nella famosa Sala Comune, che era già piena di studenti. La maggior parte erano disposti lungo i lati della stanza, in attesa di qualcosa, mentre un gruppetto era in piedi al centro di essa. Blaine lasciò la mano di Kurt e gli sorrise, poi raggiunse i suoi compagni pronti per l’esibizione.

Kurt rimase lì dov’era, sull’ingresso, le mani ora strette intorno alla sua tracolla marrone, trepidanti per l’attesa. Un coro di armoniose voci maschili diede l’avvio a “Teenage Dream”, la canzone di Katy Perry che lui adorava. Blaine iniziò a cantarla, tenendo gli occhi fissi su di lui.

A Kurt sembrò di essere quasi trapassato da parte a parte, gli si gelò il sangue nelle vene e per tutto il tempo non potè far altro che fissarlo di rimando, immobile come il ghiaccio.

Non era la sensazione di freddo che sentiva quando una granita lo colpiva in pieno viso, o quando gli altri ragazzi in corridoio fissavano con sguardi di scherno i suoi maglioncini lunghi. Era un freddo… piacevole. Come se quel momento fosse cristallizzato nel tempo, una specie di nastro che andava avanti proprio lì, davanti ai suoi occhi, come se lui fosse solo uno spettatore. E forse era davvero così.

Perchè finita la canzone, Kurt si rese conto di essere stato lo spettatore della nascita del suo primo vero amore.

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Capitolo 5
*** Beautiful lier ***


5 Beautiful lier

 

 

Non appena i Warblers smisero di cantare, l’euforia generale travolse la stanza, con urla di approvazione e applausi sinceri da parte di tutti. Kurt non si rese nemmeno conto del fatto che Blaine si fosse avvicinato a lui, e infatti rispose con un bel po’ di ritardo alla sua domanda: “Allora, ti siamo piaciuti?”

“Sì, certamente! Siete stati grandi!” disse con un tono di voce eccessivamente alto, cercando di mascherare quanto fosse stravolto da quello che era appena successo, non davanti a lui ma dentro di lui.

Il cuore, che sembrava essersi fermato durante tutta la canzone, lentamente riprese a battere, ma non era più come prima. Era irregolare, affrettato. Si faceva più lento ogni volta che Blaine volgeva lo sguardo altrove, salutando di sfuggita qualche amico o ringraziando da lontano gli altri spettatori, poi tornava ad essere veloce ed incontrollabile quando riprendeva a guardarlo negli occhi. Era come se Blaine avesse in mano un filo, un sottile ed invisibile filo collegato ad una qualche leva del suo cuore, così da poter decidere se e come farlo battere.

“Ti ringrazio tanto” disse Blaine una volta che la maggior parte dei ragazzi ebbero lasciato la stanza. Kurt si chiese se in qualche modo lui fosse consapevole di avere tra le dita quel filo, visto che con quella frase lo aveva appena tirato di nuovo, accelerando la frequenza dei suoi battiti cardiaci.

Non sapendo cosa rispondere, si limitò a sorridergli con poca convinzione e ad abbassare lo sguardo.

“Ti va di bere qualcosa? Qui in caffetteria fanno dell’ottimo caffè, anche se non è buono come quello del Lima Bean!” gli disse Blaine con tono entusiasta, costringendolo a guardarlo di nuovo negli occhi.

Per Kurt fu un colpo mortale: Blaine era… speranzoso. Sembrava morire dalla voglia di sentire un “sì” uscire dalle sue labbra sottili, tanto brillavano i suoi occhi.

“Certo, con piacere” rispose abbozzando un altro sorriso: gli sembrò di non aver mai sorriso così tanto nello stesso giorno, e non era di certo un caso. Certo, suo fratello quando voleva sapeva farlo ridere, ma era diverso.

Il suo respiro tornava ad essere normale, quando smetteva di ridere. Il sangue fluiva correttamente, le mani non correvano incerte dalla tracolla alle tasche dei pantaloni e poi ai suoi ciuffi laccati, e gli occhi non spaziavano frenetici dai capelli, agli occhi, alle labbra di Colin.

Senza nemmeno rendersene conto, si ritrovò nella caffetteria della Dalton. Non differiva quasi per niente dal resto della scuola, e anche i piccoli tavoli sparsi rispecchiavano il suo stile raffinato. Dietro un lungo bancone, dei ragazzi un po’ più grandi di loro servivano bevande di vari tipi agli studenti in divisa.

Kurt e Blaine camminarono in quella direzione, e una volta giunti alla cassa fu Blaine, spavaldo come sempre, a parlare per primo rivolgendosi al ragazzo dietro il bancone: “Ehi Jason, come va? Allora, per me il solito frappuccino medio… tu cosa prendi Kurt?”

“Un Mocaccino senza grassi, per favore” disse mentre cercava il portafogli nella sua tracolla.

“Non pensarci nemmeno” lo apostrofò l’altro, alzando un sopracciglio. “Questa è praticamente casa mia, quindi offro io!”

“Va bene, ma vuol dire che dovrò ricambiare il favore prima o poi!” rispose Kurt facendo un piccolo sorriso, buttando lì una frase che gli permettesse di rivedere Blaine ancora una volta. Il moro gli rivolse un’occhiata decisamente entusiasta, prima di uscire qualche banconota dalla tasca e darla al barista.

“Andiamo a sederci, ce li portano al tavolo” disse indicando a Kurt di fare strada.

Si sedettero al primo tavolo disponibile e rimasero per un po’ in silenzio, ad osservarsi a vicenda. Ma mentre Blaine sembrava perfettamente in grado di reggere lo sguardo di Kurt, lui non poteva dire altrettanto. Riusciva a resistere pochi secondi, forse dieci, per poi abbassarlo sulle sue ginocchia come se si vergognasse di qualcosa. In realtà, era solo un modo per permettere al suo cuore di riprendere un ritmo normale.

“Ecco qui, ragazzi” disse il barista di poco prima consegnando loro le ordinazioni.

“Grazie” rispose Blaine sorridendogli, prima che si allontanasse.

“Allora…” – disse poi, tornando a guardare Kurt, - “…dov’è che vai a scuola tu?”

“McKinley” rispose Kurt semplicemente, con tono piatto.

“Qualcosa mi dice che non ti faccia proprio impazzire” disse infatti Blaine, inclinando la testa per cercare di decifrare la sua espressione.

“No, infatti.”

“E come mai?”

“Beh, ecco… a te non è mai capitato di essere… diciamo non apprezzato per i tuoi… per i tuoi gusti sessuali?” rispose Kurt un po’ interdetto, visto che non aveva ancora chiesto a Blaine se fosse effettivamente gay. Ogni singola fibra del suo corpo sembrava urlarlo, ma poteva anche essere la sua disperata immaginazione a fargli brutti scherzi.

“Non apprezzato è un eufemismo, comunque sì, mi è capitato” disse Blaine tranquillo mentre finiva il suo sorso di caffè. Kurt non potè fare a meno di notare una punta di amarezza, come se dietro quella frase ci fosse molto di più.

“Qui alla Dalton?” chiese curioso. Il fatto che quella scuola fosse così elegante non significava che non ci fossero bulli – in fondo, “figlio di papà” non vuol dire per forza bravo ragazzo – ma da subito, appena ci aveva messo piede, aveva sentito intorno a lui una specie di aura protettiva. Un’atmosfera composta, serena, e per lui terribilmente innaturale.

Come se fosse appena scappato da uno zoo per ritrovarsi in un giardino zen.

“No, ovviamente no,” – rispose infatti Blaine - “parlo della mia vecchia scuola, la Welby. Qui si sta benissimo, c’è una politica di tolleranza zero che ci permette di… essere noi stessi, ecco.”

Kurt lo guardò rapito, e non era più soltanto perché Blaine era ufficialmente la sua prima vera cotta – quella avuta per Finn Hudson l’anno prima, la ricordava con una punta di disgusto e auto-commiserazione – ma perché aveva appena detto le tre parole magiche. Essere-noi-stessi.

Blaine notò che si era perso in chissà quali pensieri, così continuò: “Però sappi che non me ne faccio un gran vanto. Insomma, credo sia molto più nobile restare e combattere, come fai tu.”

Kurt gli sorrise, sentendosi tremendamente lusingato. La verità era che non aveva mai saputo di avere altre opzioni, quindi in fondo non era poi tanto nobile. Ma con una punta di orgoglio, riflettè un attimo e si rese conto che forse era proprio così: ogni giorno, semplicemente andando a scuola e vestendosi come meglio credeva, dimostrava di essere coraggioso e fiero.

E per quanto quel piccolo ed elegante paradiso sembrasse allettante, si disse che non avrebbe sopportato l’idea di scappare. Ovviamente non pensò neanche per un secondo che Blaine fosse stato un codardo, perché non poteva sapere cosa gli fosse successo di preciso.

Blaine lo anticipò chiedendogli: “Pensi che sia un codardo, non è vero?”

“Non dire sciocchezze” rispose Kurt con voce ferma, come a volerlo rimproverare. Blaine accennò un sorriso, ringraziandolo silenziosamente.

Per un po’ si limitarono a bere i rispettivi caffè e lanciarsi occhiate, e una volta finito rimasero seduti a parlare dei loro gusti musicali e delle canzoni che avevano eseguito fino a quel momento ai loro Glee Club. Kurt si dimenticò completamente dell’episodio del negozio di dischi, e questo gli fece fare un tragico passo falso.

“…e poi, se c’è una cosa che odio, è l’heavy-metal. Insomma, cantano o urlano? Non l’ho mai capito” disse roteando gli occhi e gesticolando animatamente con la mano.

Sulle prime Blaine annuì, ma poi si bloccò, stringendo gli occhi come per volersi concentrare.

“Aspetta, dici sul serio? E perché avevi in mano un CD della sezione heavy-metal l’altro giorno?” chiese con aria confusa.

Kurt sbiancò. Letteralmente. Era comunque difficile distinguere la sua normale carnagione da quella, a parte quando aveva la nausea – e le scarpe della signorina Pillsbury ne sapevano qualcosa – ma in fondo non poteva essere certo di non essere sul punto di vomitare.

Maledisse suo fratello in tutte le lingue che conosceva – inglese, francese, e quel pizzico di spagnolo che Schuester era riuscito a inculcargli – poi cercò di tornare lucido per trovare qualcosa di sensato da dire.

Andiamo Kurt, pensa. Perché mai avresti dovuto cercare un CD così orrendo?

Per fortuna, l’illuminazione arrivò.

“Beh, era un regalo per… mio fratello. A lui piace, ma non so proprio come faccia!” disse con tutta la naturalezza che riuscì a racimolare, frugando tra il terrore e l’ansia. Almeno era una mezza bugia.

“Però alla fine non l’hai comprato…” meditò Blaine, ricordando quello che credeva essere Kurt allontanarsi a mani vuote.

“E’ che non me ne intendo, quindi non ero sicuro che fosse quello giusto.”

“E cosa gli hai comprato alla fine?”

“Uhm, ecco… ancora niente, per adesso. Magari gli prendo una polo.”

Kurt si strinse nelle spalle, pregando che Blaine decidesse saggiamente di cambiare discorso. Ma ovviamente non fu così.

“Che bello avere un fratello, a me piacerebbe da matti. Come si chiama?”

Kurt passò dal maledire Colin al maledire se stesso. Avrebbe potuto dire che era un regalo per un cugino, uno zio, un bisnonno con la fissa per il rock, ma no, aveva dovuto usare per forza quella parola.

Si trattava di mentire davvero, non semplicemente omettere. Mentire su cose ben più grandi di un CD heavy-metal. Mentire sul nome di Colin, su quanti anni avesse, sul suo aspetto. Mentire alla prima persona che sembrava essere davvero interessata a conoscere la sua vita.

“Colin” rispose seccamente, sperando che il suo tono facesse intuire a Blaine che era il caso di lasciar perdere.

“Noto una punta di fastidio” rispose infatti con aria sarcastica il Warbler.

Kurt tirò un sospiro di sollievo.

“E’ solo che non c’è un bel rapporto, tutto qui. Sai, cose tra fratelli.”

Beh, in fondo era una mezza bugia anche quella. Kurt si aggrappò a quella convinzione per sentirsi un po' più innocente, ma non funzionò molto.

“Capisco…” iniziò Blaine, poi abbassò lo sguardo al suo orologio da polso e continuò: “Wow, come vola il tempo quando si sta bene! Ho una lezione tra dieci minuti! Ci… ci sentiamo, vero?”

Ecco di nuovo lo sguardo speranzoso da cucciolo abbandonato sul ciglio della statale.

“Certo!” rispose Kurt, trovando impossibile non sorridere davanti a quei due occhioni nocciola così limpidi e sinceri.

Blaine lo salutò e si avviò verso l’uscita, lasciandolo al tavolo da solo, o meglio, in compagnia del suo senso di colpa.

Era ufficialmente troppo tardi: aveva avuto l'occasione di dirgli la verità e non l'aveva fatto. Da quel momento in poi, se l'avesse fatto, avrebbe dovuto anche ammettere di aver mentito. E mentire non era una cosa giusta da fare, specie nei confronti di un ragazzo così... così.

Kurt lo sapeva bene, eppure non si alzò dalla sedia per correre dietro a Blaine e rimediare.

Rimase lì seduto ancora un po', alienandosi dal vociare di sottofondo dei ragazzi ai tavoli intorno a lui, per riflettere sul da farsi e sulle scelte che aveva davanti.

Ovviamente, optò per quella sbagliata.

 

 

* * *

 

 

Note di _hurricane:

Ci tenevo a fare una piccola precisazione. Forse avrete notato che ho aggiunto in corso d'opera la nota OOC per Kurt, perchè mi sono resa conto che il carattere che gli ho dato rispecchia molto di più il suo modo di essere della prima serie, quando era più insicuro, rispetto a quello della seconda.

Non l'ho fatto volutamente: diciamo che la presenza di Colin mi ha portato inconsciamente a descriverlo così. Immaginate il Kurt "geloso" delle attenzioni di suo padre per Finn, e amplificate come possa sentirsi avendo un gemello identico, che in più è, nel suo immaginario, "tutto ciò che suo padre vorrebbe da un figlio" (a parte il fatto che va male a scuola - e poi ovviamente non è così, visto che Burt è un uomo adorabile!)

Immagino inoltre che vi starete chiedendo perchè Kurt si ostina a mentire - altra cosa che potrebbe far storcere il naso - ma vi assicuro che si capirà presto, e spero che, anche se non ne condividerete i motivi, capirete il suo ragionamento, perchè è piuttosto importante che sia così!

Grazie per l'attenzione, per le recensioni e per le letture, insomma grazie per TUTTO!

Klisses <3

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Capitolo 6
*** That light in your eyes ***


6 That light in your eyes

 

 

“Stai scherzando?!” esplose Colin quella sera a cena, davanti alla sua coscia di pollo con patatine.

“Non è che a forza di vivere con me sei diventato un po’ melodrammatico, Colin?” rispose Kurt con sufficienza, alzando un sopracciglio.

“Melodrammatico? Melodrammatico?! Mi stai chiedendo di trasferirmi dal McKinley soltanto per evitare che il tuo fidanzato mi veda con te! Oh, aspetta, non è nemmeno il tuo fidanzato!” sbottò Colin alzando una mano al cielo.

“Diciamo che avrei preferito dalla città, o dall’Ohio, ma forse è un po’ eccessivo.”

“Oh beh, grazie! E tu non dici niente?!”

I due fratelli si voltarono verso Burt, intento a masticare un pezzo di pollo strappato coi denti dalla coscia che teneva tra le mani unte.

L’uomo sgranò gli occhi e deglutì, sentendosi come penetrato da quei due sguardi chiarissimi. Già il doverne reggere uno era quasi impossibile, figurarsi tutti e due contemporaneamente.

“Uhm, beh, ecco… Kurt, credo che tuo fratello abbia ragione.”

Kurt alzò un sopracciglio e agitò le mani in segno di disapprovazione, prima di tornare ad infilzare con la forchetta la sua insalata.

“Forse…” - azzardò suo padre, con l’aria di chi si aspetta di ricevere un piatto addosso da un momento all’altro – “…dovresti dire la verità a questo ragazzo.”

“Oh si, certo, perché non ci ho pensato prima? Sai Blaine, il ragazzo che hai visto al negozio di CD e che hai squadrato dalla testa ai piedi, e quello che poi hai incontrato in caffetteria e hai invitato alla Dalton, beh, indovina? Non sono la stessa persona! Della serie: come azzerare le proprie possibilità con un ragazzo in cinque minuti o meno.”

“Magari la cosa gli farebbe piacere. Magari è una specie di… fantasia gay, immaginare due gemelli, sai” disse Colin trattenendo una risata.

Kurt sbattè i palmi sul tavolo.

“Ma quanto sei stupido?!” gridò prima di alzarsi e dirigersi a grandi passi verso la sua stanza.

Quando ci arrivò, si chiuse la porta alle spalle e vi si accasciò contro, lasciandosi sfuggire un profondo sospiro.

Aveva fatto un casino. Un vero e proprio casino.

Forse suo padre aveva ragione, sarebbe stato meglio dire la verità sin dall’inizio. In fondo Blaine aveva notato tante differenze, lo aveva quasi fatto sentire scelto, proprio come lui desiderava. Ma che cosa avrebbe fatto, se avesse scoperto di avere opzioni, possibilità?

Colin non era gay, certo, ma questo non cambiava le cose. Non avrebbe impedito a Kurt di pensare costantemente al fatto che Blaine, in tutta probabilità, si sarebbe chiesto come sarebbero andate le cose se lo fosse stato. Perché era inutile negare che anche lui se lo stava chiedendo.

Colin era carino. Beh, ovvio, era uguale a lui.

Era intelligente, nonostante andasse male in buona parte delle materie semplicemente per mancanza di interesse.

Era simpatico, ironico, certe volte molto irritante in realtà, ma era certo che a Blaine piacessero i tipi sfacciati e aperti come lui piuttosto che le persone timide e riservate.

Si vestiva malissimo, o almeno era così per Kurt, che sin da piccolo desiderava organizzare un falò con le magliette hardcore di suo fratello. Ma quella era una cosa facilmente rimediabile, e Blaine di sicuro non era un tipo così superficiale.

Perché il punto non era l’aspetto fisico. Non poteva esserlo: non c’era niente che li distinguesse. Blaine aveva notato Colin al negozio di CD soltanto perché c’era Colin in quel negozio. Era solo una coincidenza, e Kurt non era così stupido e insicuro da non capirlo.

Il punto era un altro: lui sarebbe sempre stato il secondo. Quello scelto perché beh, era lui il gemello gay. Tutto qui.

Il che derivava, più che altro, da una scarsa se non inesistente autostima di Kurt. Quando si trattava di vestiti o di canzoni, Kurt per se stesso era il migliore, sempre. Ma quando si trattava di ragazzi, improvvisamente si trasformava nella persona più insicura del mondo, e il senso di inferiorità che provava nei confronti di Colin di certo non aiutava.

Così prese una decisione, mentre se ne stava lì seduto sul pavimento, contro la porta. In un modo o nell’altro, avrebbe impedito a Blaine di scoprire dell’esistenza del suo gemello. Così Blaine avrebbe continuato a frequentarlo, ignaro di tutto, e chissà, magari si sarebbe innamorato di lui, di lui e basta.

E poi, se e quando sarebbe successo, Kurt gli avrebbe presentato Colin, e a quel punto Blaine sarebbe stato troppo innamorato di lui per arrabbiarsi più di tanto, avrebbe capito le sue paure ed insicurezze, e non avrebbe corso il rischio di avere dubbi tra loro due.

Kurt odiava mentire, ma in fondo sarebbe bastato non nominare Colin affatto e le sue bugie non sarebbero aumentate ulteriormente.

Il problema era che Colin non sembrava intenzionato ad assecondarlo, e non potendo rinchiuderlo in un bunker in Estremo Oriente per il resto dei suoi giorni, l’unica cosa da fare era tenere Blaine lontano da Lima, e soprattutto dal McKinley.

Ma c’era una cosa che Kurt non sapeva, perché se l’avesse saputa, di certo non avrebbe messo in piedi un piano del genere.

Kurt non sapeva che Blaine non aveva fatto altro che pensare a lui da quando si erano separati. Non ai suoi pantaloni attillati, né alla lacca dei suoi capelli. Pensava a lui.

Non avrebbe fatto alcuna differenza sapere che quello del negozio era un altro, perché Blaine si era innamorato di qualcosa di impalpabile e impossibile da spiegare, qualcosa che era certo di non aver visto in quel negozio, perché altrimenti se ne sarebbe già innamorato quel giorno.

Si era innamorato della luce negli occhi di Kurt. Aveva passato un’ora buona a domandarsi come avesse fatto a non vederla la prima volta. Forse non l’aveva notata proprio perché era la prima volta, ed era troppo preso dal suo aspetto per carpire qualcosa di così profondo e intenso?

No, impossibile. Quando lo aveva visto seduto al Lima Bean, l’aveva trovata così accecante che non c’era la più piccola possibilità che passasse inosservata, persino nel locale più affollato.

Forse semplicemente non c’era? Forse Kurt non era minimamente interessato la prima volta, e quella luce derivava dal fatto che avesse cambiato idea nei suoi confronti?

Forse. Ma a Blaine i conti non tornavano comunque. Era fin troppo pretenzioso credere che un bagliore del genere dipendesse da lui. Credere che non fosse semplicemente insito nel suo essere. Era troppo… bello, e speciale, e Blaine non si credeva così speciale da poter provocare qualcosa del genere in un’altra persona.

E infatti, c’era una cosa che lui non sapeva.

Non sapeva che quella luce non c’era la prima volta, semplicemente perché quello non era Kurt. Ovviamente non poteva saperlo.

E forse non lo avrebbe saputo per molto altro tempo.

 

* * *

 

Kurt odiava la frase “Ci sentiamo”. Era banale, terribilmente generica, specialmente se poi significava passare le giornate ad aspettare che l’altra persona si facesse effettivamente sentire.

Dopo più o meno tre giorni, si rese conto che forse Blaine era in attesa della stessa identica cosa. In fondo, era stato Blaine a chiedergli il numero di cellulare, ad invitarlo alla Dalton e poi a prendere un caffè. Forse glielo doveva.

Guardò il suo i-Phone in silenzio per quasi mezz’ora prima di afferrarlo con fin troppa convinzione e iniziare a digitare sullo schermo “Ciao Blaine, come va?”

Anche quello era banale, e terribilmente generico. Ma era il massimo a cui era riuscito a pensare per non sembrare già innamorato perso.

Blaine rispose poco dopo con un altrettanto generico “Tutto bene, e tu?”

Era evidente che la prima mossa toccava a lui. Inspirò profondamente.

“Bene, grazie… ti andrebbe di mangiare qualcosa insieme? Se non hai da fare, ovviamente.”

“Certo! Breadstix alle 8?”

Kurt si illuminò.

“Ok, ci vediamo lì, a più tardi!”

Posò l’i-Phone sul comodino e voltò lo sguardo verso l’armadio.

“E adesso, che cavolo mi metto?”

 

 

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Capitolo 7
*** The most adorable thing ***


 7 The most adorable thing

 

“Fammi capire bene, esci praticamente con una ragazza diversa a sera, e non puoi disdire un appuntamento per fare in modo che io esca con il mio primo possibile ragazzo?!”

“Oh Kurt, come sei perspicace!”

Kurt guardò Colin alzando un sopracciglio, in piedi al centro del salotto a pochi passi da lui.

Sentiva già le guance avvampare di rosso per l’agitazione e le lacrime riempirgli gli occhi per la rabbia, e non sapeva quale delle due odiare di più, perché in ogni caso il suo look perfetto era rovinato. Avrebbe dovuto mettere la cipria per riprendere il suo bellissimo colore rosato e poi avrebbe dovuto asciugarsi gli occhi con un fazzoletto, facendoli diventare rossi e gonfi.

“Non ti facevo così egoista” mormorò a denti stretti prima di voltarsi per dare le spalle a Colin, mentre alzava lo sguardo in alto per non piangere.

“Ah, io sarei l’egoista?!” sbottò Colin da dietro di lui, alzando il tono della voce.  “Ascolta Kurt, tu lo sai come la penso, sai che voglio che tu sia felice e mi piacerebbe davvero molto che tu riuscissi a trovare la persona giusta per te, ma mi sembra di aver scombussolato già abbastanza la mia vita a causa tua, e non ho intenzione di vivere come se fossi sotto il Programma di Protezione Testimoni per far ingranare la tua vita amorosa!”

Le parole arrivarono tutte d’un fiato, in fretta, ma non per questo fecero meno male.

A causa tua.

Oh, già. Colin si riferiva sicuramente al fatto che molte ragazze lo avevano scaricato soltanto perché non volevano che la gente dicesse di loro che facevano da copertura ad un ragazzo gay, a causa della loro somiglianza.

O al fatto che avesse ricevuto più granite in faccia del solito in quelle ultime settimane.

O al fatto che dovesse perennemente specificare “Sono Colin” quando andava agli allenamenti di football, o a lezione, perché a quanto pare era troppo sforzo per la gente ricordare che lui era quello che non indossava i papion.

Kurt si voltò. Era troppo tardi: stava già piangendo.

“E’ davvero questo quello che pensi? Sapevo di essere un peso per te, ma non credevo che pensassi che la tua vita sarebbe migliore se io non esistessi!” sbraitò alzando le braccia.

“Kurt, non intendevo-“

“La mamma mi aveva detto che tu eri speciale, che noi eravamo speciali, che ci completavamo e che insieme avremmo sempre superato tutto… ma forse aveva torto, forse staresti davvero meglio senza di me! Tutti stareste meglio! Papà avrebbe il figlio etero dei suoi sogni con cui aggiustare le auto e andare alle partite e tu saresti rispettato da tutti a scuola perché nessuno ti scambierebbe per ME!”

Anche quelle parole arrivarono tutte d’un fiato, e fecero altrettanto male. Colin indietreggiò.

“Kurt,” mormorò, lo sguardo al pavimento e i pugni serrati. “La mamma no.”

“Cosa?” chiese Kurt, troppo impegnato a sforzarsi di non singhiozzare per sentire un suono così basso.

“Non mettere in mezzo la mamma. Non ti azzardare mai più.”

Colin alzò lo sguardo e lo fulminò. Anche Kurt indietreggiò.

“Io… scusa…”

“Come al solito parli a raffica e mi metti in bocca parole che non ho detto. Non ho detto che starei meglio senza di te. Non ho detto che preferirei che non esistessi, né che lo preferirebbe papà. Dio, ho solo detto che avevo un appuntamento da Breadstix con una cheerleader da prima che lo prendessi tu con Blaine, quindi mi sembra il minimo che sia tu a disdirlo o a rimandarlo, e il fatto che io esca con una ragazza diversa al giorno non ti autorizza a pretendere che io sparisca dalla faccia della Terra perché tu devi trovarti il ragazzo. Lo sai che se c’è una cosa che odio è quando usi la tua omosessualità per avere ragione.”

Il tono di Colin sfumò dalla rabbia ad una discreta agitazione mentre finiva di parlare. Perché sì, suo fratello riusciva ad essere terribilmente infantile, stupido, egoista.

Ma se c’era una persona che sapeva quante ne avesse passate, quello era proprio lui.

Gli sguardi di scherno dei bambini dell’asilo quando lo vedevano giocare con la sua Barbie.

Le espressioni allibite e il chiacchiericcio delle bambine quando chiedeva loro di poter prendere il tè insieme.

La disapprovazione negli occhi delle sue zie una notte di Natale, quando aveva scartato con gioia un set di cerchietti e ferretti per capelli che aveva chiesto a Babbo Natale e che sua madre gli aveva comprato senza esitare.

L’imbarazzo alle elementari quando veniva preso in giro perché non sapeva giocare a football, e quello alle medie perché non aveva mai dato un bacio a nessuna ragazza.

Le granite in faccia e gli spintoni al liceo, per come si vestiva e per quello che era.

Colin sapeva benissimo che se c’era una persona al mondo a meritare qualcuno che la amasse, era Kurt.

E sapeva altrettanto bene che cancellare l’appuntamento con una cheerleader che era praticamente uscita con tutta la squadra non avrebbe cambiato la sua vita, né gli avrebbe precluso di trovare la felicità.

Fece un profondo sospiro, poi tirò fuori l’i-Phone dalla tasca e iniziò a digitare qualcosa.

“Colin, che stai-“

“Spero davvero che ne valga la pena, perché ho appena rinunciato ad una serata di pomiciate in macchina per te, quindi vedi di non mandare tutto all’aria con Mister Sopracciglia Triangolari.”

Kurt sorrise, gli occhi ancora lucidi, prima di gettare le braccia al collo di suo fratello.

 

* * *

 

Arrivò da Breadstix in perfetto orario, premurandosi di non arrivare in anticipo per non sembrare disperato, e di non arrivare in ritardo per non sembrare noncurante o così pieno di sé da dare per scontato che l’altro lo avrebbe aspettato senza battere ciglio.

Probabilmente Blaine aveva in mente la stessa idea, perché parcheggiarono quasi contemporaneamente davanti al locale e si accorsero l’uno dell’altro mentre scendevano dalle rispettive automobili.

Blaine chiuse la sua e camminò a passo sicuro verso Kurt, sfoggiando un ampio sorriso.

“Wow, abbiamo spaccato il minuto!” disse mentre lo raggiungeva.

Kurt si limitò a sorridergli, non sapendo che, quando lo faceva, la luce nei suoi occhi brillava ancora di più mandando Blaine in visibilio.

“Beh, approfittiamone, prima che si riempia” continuò con aria assente, totalmente abbagliato.

Non c’erano dubbi, quella luce c’era davvero e non poteva non essersene accorto la prima volta. Nel breve lasso di un secondo, si chiese nuovamente il motivo della sua assenza quel giorno.

“Sì, entriamo!” rispose Kurt con entusiasmo.

Presero posto ad un piccolo tavolo e dopo poco tempo ordinarono: Kurt scelse la sua solita insalata caprese con grissini inclusi – ovviamente – e Blaine una bistecca di manzo.

Passato l’imbarazzo iniziale successivo all’ordinazione, a causa del quale rimasero a fissarsi i pollici per qualche minuto, fu Blaine a parlare.

“Mi ha un po’… sorpreso il tuo invito” disse, perché era vero. Credeva di aver inquadrato Kurt: un ragazzo timido e fragile, decisamente non il tipo da invitarti al primo appuntamento. Perché era un appuntamento, vero?

“Beh sai, volevo ricambiare il favore della caffetteria” rispose Kurt, arrossendo lievemente.

“Ma questa è una cena, non ti aspetterai mica che io ti lasci pagare tutto il conto?”

Kurt arrossì ancora di più. Aveva detto una cosa totalmente priva di senso e Blaine sembrava non averci creduto molto.

“N-no, cioè, intendevo che sei stato gentile e volevo, ecco… essere gentile anch’io.”

Blaine sorrise. Non riuscì a farne a meno.

Perché Kurt che si mordeva il labbro, lo guardava negli occhi e poi abbassava lo sguardo sul menù come se non avesse già scelto che cosa mangiare, per poi prendere un grissino dal contenitore sul tavolo e giocarci nervosamente spargendo molliche ovunque, era la cosa più adorabile che avesse mai visto.

“Infatti sei stato molto gentile” rispose appoggiando il viso al dorso della mano, come per sorreggersi ed impedire al suo corpo di sciogliersi in una massa informe sul pavimento sotto di loro.

Kurt decise di cambiare improvvisamente discorso, perché quello era davvero troppo.

Perché Blaine che lo guardava sorridendo in quel modo, appoggiando il viso al dorso della mano con aria sognante, perdendo per un attimo la sicurezza che sembrava contraddistinguerlo sempre, era la cosa più adorabile che avesse mai visto. E il solo pensare di poterne essere il motivo rischiava di farlo sciogliere in una massa informe sul pavimento sotto di loro.

“Com’è andata la tua giornata?” chiese quindi, dopo aver reso il grissino che aveva in mano immangiabile.

“Solita vita. Alla Dalton è un po’ dura stare dietro a tutti i corsi, d’altronde è per quello che costa tanto, ma le prove dei Warblers mi danno un po’ di respiro” rispose Blaine, riprendendo una posizione semi-composta sulla sedia e buttandosi a capofitto nel discorso per mantenere una consistenza solida.

“Sembra proprio che tu ci tenga molto” rispose Kurt abbozzando un sorriso malinconico e nascondendo una punta di invidia. Stare nel Glee Club del McKinley gli piaceva molto, era innegabile, ma Blaine sembrava provare un senso di pace e tranquillità che a lui mancava.

Sembrava sentirsi fiero di se stesso, apprezzato, compreso. E Kurt sapeva di non possedere il carisma sufficiente per poter ottenere la stessa ammirazione nella sua scuola, ma allo stesso tempo non riusciva a fare a meno di sperare che accadesse. Sperare che il suo talento venisse valorizzato sopra quello degli altri.

Non che non fossero bravi, anzi, amava il suo gruppo proprio perché era fatto di voci uniche e tutte diverse che si completavano a vicenda, ma più di una volta si era sentito solo… parte dello sfondo.

Perché Rachel era una ragazza, e lui non era una ragazza, e mentre lei poteva sembrare assolutamente mozzafiato nel cantare le parti femminili di Wicked, agli occhi della gente lui sarebbe sembrato soltanto esibizionista, fuori posto, sbagliato.

Perché Blaine poteva cantare una canzone di Katy Perry e risultarne solo più affascinante, e nessuno alla Dalton si sarebbe mai azzardato a prenderlo in giro per questo, perché seriamente, quale persona sana di mente avrebbe mai potuto?

Ma se Kurt lo avesse fatto al McKinley, in un’aula che non era quella di canto, in un orario che non era quello consueto, nessuno avrebbe battuto i piedi sul pavimento per tenere il ritmo e nessuno avrebbe applaudito o lo avrebbe abbracciato con calore sul finale per fargli sapere quanto fosse stato fantastico.

“…Kurt?” disse Blaine passandogli una mano davanti agli occhi. Probabilmente aveva detto qualcosa che Kurt non aveva sentito, preso com’era dai suoi pensieri.

“Oh, scusami… che cosa avevi detto?” rispose Kurt scuotendo la testa, come se si fosse appena svegliato da un sogno.

“Niente di importante, figurati. Avevo solo detto che è proprio così, perché cantare con loro mi fa stare davvero bene e posso sempre essere me stesso” rispose Blaine con naturalezza.

Già, pensò Kurt abbassando lo sguardo.

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Capitolo 8
*** Don't kiss him ***


8 - Don’t kiss him

 


“E tu? Com’è andata la tua giornata?”

Kurt alzò lo sguardo dall’insalata che gli era appena stata messa davanti dalla cameriera del ristorante.

Ricapitolò brevemente la giornata nella sua mente: lezioni mattutine, spintone contro l’armadietto, preparazione della scaletta per le provinciali – scaletta che sapeva sarebbe cambiata almeno una ventina di volte – e a casa, per concludere in bellezza, la sua litigata con Colin.

Non potendo parlare di lui e non volendo rovinare l’appuntamento parlando di Karofsky, decise di mantenersi vago.

“Niente di che, stiamo preparando la scaletta per le provinciali… ma tu sei della concorrenza, quindi top secret!” concluse con una risatina divertita.

“Oh già… quindi non posso versarti del vino nel bicchiere per farti ubriacare e rivelarmi le canzoni, giusto?” rispose Blaine in tono sarcastico.

“Ovviamente no, e poi non ci riusciresti, io reggo benissimo l’alcool!” disse Kurt, ricordandosi istintivamente dell’unica volta in cui aveva bevuto per poi “farlo sapere” alle scarpe della Pillsbury.

A volte si chiedeva che fine avessero fatto: non gliele aveva mai più viste ai piedi.

“Perché mi suona tanto di bugia?! Scommetto che c’è tutta una storia dietro!”

“Beh, a dire il vero…”

“Dai, racconta!” esclamò Blaine quasi saltando sulla sedia, con in mano la forchetta.

Kurt si corresse: quella era la cosa più adorabile che avesse mai visto. Blaine che pendeva dalle sue labbra, che fremeva in attesa di sapere che cosa avrebbe detto dando per scontato che sarebbe stato un aneddoto divertente.

“Allora, c’era questa April Rhodes che…”

* * *

 

“…così mi spunta la Pillsbury davanti e io le faccio ‘Oh Bambi, ho pianto così tanto quando i cacciatori hanno sparato alla tua mamma!’ e le vomito sulle scarpe.”

Blaine lo guardò fisso per quello che sembrò un minuto prima di scoppiare a ridere a più non posso.

Kurt non riuscì a non farsi contagiare da quella risata così piena e meravigliosa, e rise di gusto alla sola idea che Blaine potesse trovare divertente una cosa che per lui era piuttosto raccapricciante.

Una cosa di cui si vergognava, perché risaliva a quando stava ancora “cercando se stesso”, cercando di capire chi era, o meglio lo stava nascondendo agli altri come fosse un’onta terribile.

Una cosa che Colin gli rinfacciava ogni volta che poteva per ricordargli che lui lo aveva in pugno, perché “se non fai questo allora dico a papà che ti sei sbronzato di prima mattina l’anno scorso”, come se Burt non avrebbe riso allo stesso identico modo se l’avesse scoperto.

Blaine si asciugò le lacrime dagli angoli degli occhi e si portò alla bocca un altro pezzo di bistecca, per poi parlare dopo averlo inghiottito.

“Credo di non aver mai riso così tanto.”

“Davvero? Allora mi ubriacherò più spesso, così avrò altri meravigliosi aneddoti da raccontarti.”

“Ammetto che mi piacerebbe sentirli, ma…”

Blaine si interruppe, poi continuò esitante: “Non ho potuto fare a meno di soffermarmi sulla prima parte della storia.”

“In che senso?” chiese Kurt inclinando la testa.

“Beh, la vodka, e le riviste per uomini… che ti passava per la testa? Insomma, non… non lo sapevi ancora?”

Blaine si morse il labbro: forse aveva parlato a sproposito. Anzi, senza il forse.

Infatti Kurt, ancora rosso in viso per le risate ma visibilmente più rosso all’improvviso, aveva abbassato lo sguardo come se lo avesse accusato di omicidio.

“Scusa, sono un idiota” disse Blaine, abbassando lo sguardo e maledicendosi da solo.

“No, dai, non dire così. Lo sapevo, certo che lo sapevo... L’ho sempre saputo. Io… mi vergognavo.”

Kurt alzò lo sguardo per incontrare quello di Blaine, e dentro ci vide la comprensione.

Non quella di chi dice “Posso capire come ci si sente”, ma quella di chi dice “So come ci si sente”.

“So come ci si sente” disse infatti, allungando d’istinto una mano verso la sua al centro del tavolo.

Toccò quella di Kurt con una delicatezza infinita, come se avesse paura di romperla o di toccarla con troppa forza e farla svanire sotto il suo palmo.

Come se avesse paura che Kurt la ritraesse. Ma Kurt non lo avrebbe mai, mai fatto, perché Blaine sapeva come ci si sentiva e non poteva tirarsi indietro da una cosa del genere. L’abitudine che aveva di crearsi un muro intorno e fare finta che andasse tutto bene non poteva valere con Blaine.

In quel momento, con quella mano calda e reale che avvolgeva la sua nel modo più dolce del mondo, Kurt decise che lo avrebbe fatto entrare.

Ma poi balenò nella sua mente Colin, più precisamente Blaine che scopriva di Colin, che guardava Kurt stranito, sicuramente arrabbiato, e più di tutto confuso, e capì di essere ad un bivio.

Lasciar entrare Blaine nella sua vita completamente, in quel preciso istante - perché nonostante fosse solo il primo appuntamento, e nessuno dei due lo avesse chiamato tale, c’era qualcosa di profondo che aleggiava tra loro - oppure tenergli preclusa per molto altro tempo quella parte segreta della sua esistenza, del suo io, fino al momento in cui lo avesse ritenuto opportuno.

Non ebbe il tempo di prendere una decisione, perché Blaine continuò: “Cavolo, stava andando tutto così bene e ho fatto danno, come al solito. Cambiamo discorso, che ne dici?”

“Va bene” rispose Kurt, trasalendo leggermente quando Blaine tolse la mano da sopra la sua per riprendere a mangiare.

Rimasero in silenzio per un po’, poi Kurt disse: “Dai, parlami un po’ di questi Warblers.”

Blaine non se lo fece ripetere due volte: adorava parlare di quello che gli piaceva, quindi di musica, e allo stesso tempo voleva a tutti i costi riportare il sorriso su quelle bellissime labbra rosate.

Si sforzò di enfatizzare le cose più divertenti che gli erano successe alla Dalton, nonostante lì i modi fossero sicuramente più impomatati rispetto ad una scuola pubblica, e ripetè le stesse frasi due volte quando Kurt sembrava apprezzarle tanto da ampliare il piccolo sorriso che era spuntato sul suo volto.

Gli raccontò di quando, durante una delle prove, aveva messo male un piede sul bracciolo del divano ed era caduto sopra Jeff, che aveva avuto il braccio ingessato per un mese; di quando ad una riunione Wes aveva esagerato con il martelletto da giudice e aveva spezzato in due la sua base di legno, facendo scoppiare tutti a ridere nel bel mezzo di un discorso terribilmente serio; di quando Thad aveva passato una notte insonne a causa del russare di David, suo compagno di stanza, e la mattina dopo si era messo la giacca della divisa al contrario.

Fu più o meno a quel punto che Kurt scoppiò a ridere, la sua risata dolce e cristallina come le urla divertite dei bambini al parco giochi, un richiamo irresistibile per Blaine quanto il canto tentatore di una sirena.

Perché in quel momento, Blaine sentì un desiderio irrefrenabile di alzarsi, fare il giro del tavolo, prendergli il viso tra le mani e baciarlo. Anzi, forse di salire sul tavolo, prendergli il viso tra le mani e baciarlo.

Più lo guardava ridere, più si soffermava su quelle adorabili fossette ai lati delle sue labbra, più veniva rapito dal dolce rossore delle sue guance che ora sembravano del colore delle ciliegie, più immaginava come sarebbe stato avere quel rossore sotto le dita e avere quelle labbra sopra le sue.

Più lo guardava ridere, più si perdeva nella luce dei suoi occhi che aveva fatto scomparire il mondo.

Strinse i pugni sotto il tavolo e si trattenne, perché sarebbe stata una cosa decisamente stupida da fare. Avventata, e forse persino maleducata, così senza chiedere permesso. Non era da lui, baciare in modo così irruento. Non sapeva se Kurt lo avesse voluto, non era un suo diritto farlo.

Contrasse le labbra come per volerle punire, perché la colpa era anche la loro, che nella sua mente già si adagiavano su quelle di Kurt combaciando con loro alla perfezione per poi muoversi in sincronia.

Rilasciò il respiro come per volersene liberare per sempre, perché la colpa era anche la sua, che gli mancava nel petto ogni volta che Kurt lo guardava negli occhi.

Ora aveva smesso di ridere, e stava mangiando con gusto il suo dessert alle fragole.

“Sembrano delle persone simpaticissime” disse, ormai quasi all’ultimo boccone.

“Sì, lo sono” rispose semplicemente Blaine, costringendosi a guardare con intensità la fetta di torta che stava mangiando per non dover guardare lui.

“Non mi sorprende che siano tuoi amici.”

Blaine non riuscì più a fare finta di essere interessato alle scaglie di cioccolato della sua torta e lo guardò. Sorrise, e Kurt sorrise di rimando.

Gli ci volle uno sforzo di volontà inimmaginabile per non alzarsi dalla sedia.

 

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Capitolo 9
*** The threads of your heart ***


9 The threads of your heart

 


L’appuntamento, o “l’uscita”, giusto per non voler mettere le mani avanti, era andato così bene che Blaine si era preso di coraggio e aveva invitato Kurt al cinema per quello stesso sabato sera. Kurt ovviamente aveva accettato, felice di non dover essere di nuovo lui a fare il primo passo perché sarebbe stato fin troppo imbarazzante mandare l’ennesimo sms di finto disinteresse.

Era abbastanza chiaro, senza bisogno delle parole, che qualcosa era cambiato per entrambi.

Blaine aveva aperto la portiera della macchina di Kurt come un vero gentiluomo, come se fossero già una coppia, e Kurt lo aveva ringraziato con un timido sorriso e poi lo aveva guardato allontanarsi fino alla sua auto con sguardo sognante, prima di tornare alla realtà, chiudere lo sportello e inserire la chiave nel cruscotto per mettere in moto.

Blaine non aveva acceso la radio, cosa che faceva sempre perché amava cantare in macchina, ed era anche utile per non addormentarsi. Ma non lo fece, perché avrebbe coperto, o meglio avrebbe distorto il pensiero che gli balenava nella mente.

Quello che lo accompagnò per tutto il viaggio di ritorno, e che lo cullò nei sogni.

Quello di guance arrossate, occhi languidi e labbra perfette.

Kurt non aveva guardato a destra e sinistra all’incrocio, non rischiando la vita soltanto perché era mercoledì sera e quasi nessuno a Lima andava in giro a quell’ora, visto che si lavorava il giorno dopo.

Si era messo a letto senza fare il rituale di idratazione, il che era un vero e proprio evento: riusciva a farlo anche con la febbre a 40, trovando una concentrazione che rasentava l’impossibile anche tra gli starnuti e la testa che pulsava.

Era così incredibile che Colin, intento a sfogliare una rivista di videogiochi per X-Box sul suo letto, se la abbassò sul petto e lo fissò intensamente mentre lo vedeva infilarsi il pigiama e sistemarsi sotto le coperte come se niente fosse.

“Kurt?”

“Mh?” rispose Kurt già ad occhi chiusi, immerso in chissà quali pensieri.

Precisamente, un sorriso raggiante, occhi nocciola e labbra perfette.

“Stai… stai male? L’uscita non è andata bene?”

“E’ andata benissimo.”

“E allora perché… niente, lascia stare.”

“Ok.”

Colin si appoggiò con un gomito sul cuscino e lo scrutò. Stava sorridendo. Ad occhi chiusi.

Come la prima notte in cui aveva dormito abbracciato alla bambola che lui gli aveva regalato per il compleanno, quella “che dice ‘mamma’ e muove le mani e le devi dare da mangiare altrimenti piange”.

Come quando la loro mamma raccontava le favole, seduta su una piccola sedia bianca tra i loro letti con un libro in grembo, e Kurt lentamente scivolava nel sonno con quel sorriso beato sul volto mentre lui non riusciva ad addormentarsi prima del finale.

Come quando, ad anni di distanza dalla sua morte, Colin lo aveva sentito piangere nel sonno e si era intrufolato nel suo letto per abbracciarlo, e Kurt, senza svegliarsi, aveva smesso all’istante e aveva sorriso.

Ma questa volta non dipendeva né da lui, né da sua madre. Dipendeva da qualcuno che Kurt conosceva da così poco tempo, ma che gli aveva già preso il cuore.

Colin ripose la rivista sul comodino e si infilò sotto le sue lenzuola, sperando di poter vedere quel sorriso tante altre notti ancora.

 

* * *

 

Dopo un’attenta riflessione, Kurt e Blaine avevano optato per una commedia romantica senza pretese, “Love and other drugs” (“Amore e altri rimedi”). Più che altro, Blaine aveva detto che per lui andava bene tutto e aveva lasciato carta bianca a Kurt, che dal canto suo ripudiava i film di supereroi e quelli eccessivamente violenti preferendo musical e storie d’amore sdolcinate.

E poi c’era quell’attrice, Anne Hathaway, che a lui piaceva tanto, e quell’attore che aveva recitato ne “I segreti di Brockback Mountain”, cosa al quale stava cercando fermamente di non pensare per non dover ricordare di quando suo padre, facendo zapping, aveva beccato quel film in tv in una scena “poco tranquilla” ed era sobbalzato sulla sedia facendo cadere un piatto del servizio buono.

Insomma erano lì al cinema, circondati da comitive di adolescenti in adorazione per Jake Gyllenhall, gruppetti di ragazzi quindicenni che si limitavano a dire cose come “Me la farei” e coppiette etero impegnate a fare altro, sbirciando il film di tanto in tanto giusto per capirne la trama a grandi linee.

Kurt, in effetti, se lo era sempre chiesto: che senso aveva spendere i soldi del biglietto e non vedere il film? Esistevano i motel per… per quello, no? Quelli più squallidi forse costavano anche meno di un biglietto del cinema.

Ad aggravare la situazione, c’era il fatto che, per quanto il film fosse indubbiamente romantico, lo era un po’ meno del previsto. Perché c’era sesso. Troppo sesso. Irriverente, ed esplicito, e… sessuale.

Il buio della sala salvò Kurt dal far vedere a Blaine quanto fosse rosso, praticamente paonazzo, e dal canto suo Blaine faceva di tutto per non guardare Kurt mentre scene poco caste si sviluppavano davanti ai loro occhi.

E mentre una coppia di ventenni se la spassava alla loro destra, Blaine si morse il labbro per resistere alla tentazione che lo stava cogliendo ancora una volta. Almeno da Breadstix non c’erano baci tutto intorno a lui, ma solo nella sua testa.

Usciti dal cinema, i due si fermarono sull’ingresso.

“E’ stato…” esordì Kurt, sistemandosi un ciuffo dietro l’orecchio.

“…imbarazzante” concluse Blaine per lui.

Si guardarono e scoppiarono a ridere nello stesso momento.

“Forse dovrebbero rivedere il concetto di ‘commedia romantica’ su Wikipedia” disse Kurt sorridendo divertito.

“Il prossimo film lo scelgo io!” rispose Blaine, sottintendendo che sì, ci sarebbe stato un altro film. Il primo di una lunga serie, possibilmente.

“Te lo concedo” rispose Kurt con un gesto di sufficienza della mano, come fosse davvero una sua concessione.

Si guardarono di nuovo, in silenzio.

“Comunque mi sono divertito” disse Blaine come per volerlo mettere in chiaro.

“Sì, anch’io” rispose Kurt.

Lo pensava davvero, ma la serata lo aveva anche lasciato… inquieto. Lì nell’oscurità, la spalla a pochi centimetri da quella di Blaine, la sua mano poggiata pigramente sul bracciolo e l’altra dentro lo scatolo di popcorn, aveva sentito qualcosa di strano e di nuovo nascere in lui.

Non riuscì a dargli un nome, incapace di comprendere una cosa che in realtà era semplice, elementare e soprattutto naturale. Era il bisogno di contatto fisico.

L’attrazione istintiva verso quel corpo così vicino seduto accanto al suo, e forse era vero, era dovuta al fatto che tutti intorno a loro sembravano non riuscire a farne a meno, ma non era soltanto quello.

Anche da Breadstix, il semplice contatto della mano di Blaine gli aveva provocato una strana scossa, un’attrazione. Blaine evidentemente continuava a tenere in mano i fili del suo cuore, e lo stava tirando sempre più vicino a sé, senza via di scampo.

Perché anche se la via ci fosse stata, Kurt non l’avrebbe mai imboccata.

Era calato il silenzio: nessuno dei due voleva salutare ma entrambi sapevano che era arrivato il momento di farlo, nonché il momento di stabilire se e quando si sarebbero rivisti.

“Allora…” iniziò Blaine con fare incerto.

“…buonanotte” – fu Kurt a concludere la frase stavolta.

“Domani sarò fuori città per stare con mio padre, sai lui… lui e mia madre sono separati” disse Blaine, ricordando improvvisamente che il giorno dopo era domenica.

“Oh, non- non me lo avevi detto. Mi dispiace” rispose Kurt un po’ impacciato.

Si doveva dire “mi dispiace” in casi del genere? In fondo non era mica… morto. Si rese conto solo in quel momento che lui e Blaine non avevano ancora parlato delle loro famiglie. In effetti erano usciti solo due volte, anzi una e mezza, visto che il cinema contava poco. Ma se davvero avevano intenzione di uscire altre volte avrebbero dovuto farlo, e quello, beh, quello era lasciar entrare Blaine nella sua vita.

Nelle sue vecchie ferite d’infanzia, nella paura che anche suo padre potesse ammalarsi di punto in bianco come sua madre, nell’angoscia delle volte in cui camminava per casa e di colpo la immaginava seduta sul divano, o a stirare davanti alla TV, o a fare le omelette dietro il bancone della cucina.

“Figurati, ci si fa l’abitudine” rispose Blaine abbozzando un sorriso.

Si augurarono la buonanotte senza dirsi quando si sarebbero rivisti, entrambi sperando che sarebbe accaduto presto, molto presto, perché se Blaine non faceva altro che pensare a come sarebbe stato baciare Kurt, Kurt non faceva altro che pensare a quanto volesse stringergli la mano per la strada come le coppiette che vedeva uscire dal cinema ridendo o lanciandosi occhiate maliziose – ma non la smettevano mai? – e ci pensava così intensamente che la mano quasi gli formicolava per il desiderio di allungarsi verso quella di Blaine.

Perché Blaine aveva in mano i fili del suo cuore, e anche solo parlando, sorridendo, o camminando via da lui lungo il marciapiede, li accorciava e li allungava in un modo che ovviamente non sapeva.

Perché se l’avesse saputo, li avrebbe presi tutti in una mano sola e avrebbe tirato con forza verso di sé, avrebbe colmato quella distanza che li separava e avrebbe stretto il cuore di Kurt tra le dita per non lasciarlo andare mai più.

 

 


 

 

 

Note di _hurricane:

Ditemi che non sono l'unica ad aver visto "Amore e altri rimedi" e ad aver pensato "Tanto valeva che mi noleggiavo un porno". Mi è balenato nella mente e ci stava troppo bene, dovevo metterlo per forza! Anche perchè, immagino avrete notato i riferimenti vari: Anne Hathaway sarà probabilmente la zia lesbica di Kurt, e Gyllenhall (amoreprofondoeincondizionato) ha recitato nel film sui cowboys omosessuali che anima ancora gli incubi del povero Burt Hummel.

Altra cosa: Sandra Duroy ha creato una fanart su questa storia, e DOVEVO farvela vedere, è stupenda! Grazie ancora!

http://www.facebook.com/photo.php?fbid=205829856147234&set=o.166027003474956&type=1&theater

L'immagine è stata postata sulla mia pagina di FB, a proposito... credevo di averla linkata, ma forse mi sono sbagliata!

Comunque è questa: http://www.facebook.com/pages/_hurricane-EFP/166027003474956

Per il resto, che dire? Una storia che inizialmente non convinceva neanche me, sta convincendo un sacco di gente.

Colin è diventato il sogno segreto di molte di voi, e scommetto che dopo questo capitolo lo è ancora di più. Non è adorabile? Ma sappiatelo, non ha ancora smesso di esserlo. Lo adoro. Lo dico sempre anche se lo ha partorito la mia mente, ma chi se ne frega, mi appartiene!

Baci a tutti e grazie di cuore! <3


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Capitolo 10
*** Shame ***


10 - Shame

 

 

Era iniziata una nuova settimana: di lezioni sempre più dure e difficili a mano a mano che l’anno scolastico entrava nel vivo per Blaine, e di spintoni sempre più forti per Kurt.

Lui e Blaine si sentivano via sms di tanto in tanto, ma Blaine era troppo impegnato a correre per i corridoi per essere in orario e Kurt era troppo impegnato a trattenersi dal chiamarlo al cellulare in lacrime e dirgli di venirlo a prendere e portarlo con lui alla Dalton.

Ma un giorno non ce la fece più.

Aveva risposto a Karofsky, gli aveva chiesto quale fosse il problema, perché ce l’aveva tanto con lui, perché non poteva vivere serenamente la sua vita senza sentire il bisogno di rovinare la sua. E Karofsky lo aveva baciato.

Lo aveva baciato.

Si era preso una cosa che non gli spettava, l’aveva deturpata e contaminata. E i baci dati a Brittany l’anno prima neanche contavano, perché Brittany era una ragazza, e di ragazze ne poteva baciare quante ne voleva, ma di ragazzi no.

Baciare un ragazzo era una cosa speciale, un’esperienza a cui pensava con occhi sognanti aspettando pazientemente che accadesse, e quando sarebbe accaduta lui avrebbe saputo che il ragazzo in questione era quello giusto.

Ma Karofsky lo aveva baciato, e a lui non era sembrato quello giusto. Era sembrato rude e inopportuno e indesiderato.

Perché Karofsky non gli sorrideva mai, non poggiava la mano sulla sua quando lo vedeva triste, non rideva di gusto alle sue battute, non sbatteva le palpebre divertito quando lo vedeva dire qualcosa di stupido.

Perché se c’era una persona che poteva prendersi il diritto di baciarlo senza chiederlo, era Blaine.

Così Kurt era scappato dallo spogliatoio piangendo e si era rifugiato in bagno, accucciandosi nel suo angolo più remoto come se servisse a qualcosa.

Stava per chiamare Blaine, ma all’improvviso si rese conto che, se le cose gli fossero sfuggite di mano, lui sarebbe andato al McKinley per consolarlo e in tutta probabilità avrebbe visto Colin.

Colin, che puntualmente fece il suo ingresso nel bagno maschile in quel preciso istante.

Sgranò gli occhi e gli si avvicinò a grandi passi, per poi chinarsi su di lui.

“Kurt? Kurt, cosa è successo?”

Kurt non fece in tempo a rispondere – e forse non ci sarebbe comunque riuscito – perché Karofsky, evidentemente in cerca di lui, entrò nella stanza. Guardò Kurt raggomitolato sul pavimento con lo sguardo della più completa colpevolezza, così sconfortato che Kurt, persino sotto la rabbia, l’odio e la frustrazione che provava verso di lui per avergli portato via una cosa tanto preziosa, quasi ne rimase impietosito.

Ma Colin non era dello stesso avviso.

“Ti ammazzo” disse a denti stretti, riconoscendo nello sguardo di Karofsky la prova tangibile che qualsiasi cosa fosse successa, la colpa era la sua.

“No! COLIN!” gridò Kurt alzandosi in piedi e avventandosi su di lui per fermarlo.

Ma Kurt non faceva Kick-Boxing, era uno sport troppo violento per i suoi gusti, e in quel momento se ne pentì amaramente perché forse, se avesse accettato di iscriversi in palestra insieme a Colin cinque anni prima, sarebbe riuscito ad afferrarlo in tempo prima che lui potesse prendere la rincorsa con il braccio destro e sferrare a Karofsky il pugno più forte al quale avesse mai assistito.

L’unica cosa che potè fare, subito dopo aver visto il bullo accasciarsi contro la porta chiusa per il pugno ricevuto, fu mettersi tra di loro in piedi.

Funzionava sempre: Colin era terrorizzato all’idea di fargli male da quando una volta, mentre si allenava con il suo sacco da box appeso in veranda, aveva sferrato una specie di strano calcio rotante avvitato colpendolo allo stomaco e rischiando di mandarlo all’ospedale.

E infatti Colin, già in posizione per un vero e proprio incontro sul ring, abbassò la guardia e lo fissò alzando un sopracciglio.

“Kurt, spostati” disse a voce bassa, ma come se fosse sul punto di gridare.

“Colin, fallo per me, lascia stare. Finirai dal preside e sarà solo colpa mia.”

Colin, che per tutto il tempo aveva tenuto gli occhi fissi su Karofsky, li spostò su di lui e abbozzò un sorriso. Perché quello era suo fratello: Dio solo sapeva che cosa gli avesse fatto quel ragazzo, e si preoccupava di evitare una sospensione a lui.

L’esitazione fu fatale: Karofsky si rimise in piedi, spinse via Kurt con una mano sola facendolo sbattere contro le porte verdi dei bagni, e ricambiò il favore colpendo Colin al labbro.

Colin cadde all’indietro e si sorresse al lavandino, asciugando con un dito il sangue che aveva iniziato ad uscire. Guardò Karofsky in cagnesco, rimettendosi lentamente in piedi.

“E così vorreste entrare nella mia One Man Band, eh?” disse una voce maschile dall’esterno, leggermente coperta da quelle dei ragazzi che affollavano il corridoio.

Sam, Puck e Mike, membri del Glee Club, entrarono nel bagno confabulando tra loro, prima che calasse il silenzio.

“Che succede?” disse Puck, muovendo lo sguardo da Kurt, appiattito contro le porte con aria letteralmente terrorizzata, a Colin, che sembrava un toro davanti ad un drappo rosso, per poi finire su Karofsky, in piedi accanto a loro sull’ingresso.

“Niente, è stato tutto risolto” disse lui a denti stretti, prima di voltarsi e lasciare la stanza.

Quelli erano amici di Kurt, e se si fosse nuovamente avventato su suo fratello avrebbe avuto tutti loro addosso. Senza contare che quel pugno sarebbe stato l’unico che avrebbe sferrato, perché sentiva di non avere neanche la forza per camminare.

Si chiuse la porta alle spalle a fatica e strascicò i piedi sul pavimento liscio, alla disperata ricerca di un posto in cui potersi rintanare per piangere senza doversi vergognare.

 

* * *

 

Kurt medicò la ferita di Colin senza dire una parola, limitandosi a fare cenni di assenso o dissenso con la testa.

“Ti ha spinto di nuovo, vero?” chiese Colin, appoggiato al lavandino mentre Kurt armeggiava con cotone e acqua ossigenata.

Lui fece sì con la testa.

“E ti ha picchiato?”

Fece no con la testa.

“Ti ha chiamato in qualche modo brutto?”

No con la testa.

“Quindi ti ha spinto e basta?”

Sì con la testa.

Kurt odiava mentire a Colin. Stava già mentendo a Blaine, in un certo senso, perciò quello era davvero troppo per lui.

Ma non riusciva a provare altro che non fosse vergogna per quello che era successo. Si sentiva uno stupido, fragile e impotente ragazzino che non era nemmeno in grado di impedire ad un’altra persona di baciarlo. Come se dovesse sempre essere protetto e tutelato dagli altri.

Da sua madre, quando le sue conoscenti un giorno lo avevano additato al supermercato, seduto dentro il carrello mentre studiava con interesse l’interno di una trousse.

Da suo padre, quando i suoi clienti dell’officina gli avevano chiesto perché non lo portasse mai alle partite come facevano loro con i propri figli, o perché si vestisse con quei “maglioni da femmina” e camminasse “sculettando come una femmina”.

E da Colin, che era pronto a beccarsi un pugno in faccia e anche di peggio dopo aver soltanto intuito che gli fosse accaduto qualcosa.

In quel momento pensò che magari avrebbe potuto non dirlo a lui ma dirlo a Blaine, nel pomeriggio, ormai lontano dal McKinley. Perché Blaine “sapeva come ci si sentiva” e forse, chissà, lo sapeva anche in quel caso.

Ma così Blaine sarebbe diventato l’ennesima persona a doverlo proteggere, a preoccuparsi per lui.

“Stai mentendo” disse Colin, interrompendo il silenzio e i suoi pensieri.

Dannazione.

 

 


 

 

Note di _hurricane:

Come avevo accennato in qualche risposta alle recensioni, sono arrivate le "nuvole". Spero che tutta la vicenda Karofsky, modificata secondo il mio punto di vista, risulti credibile, adeguata e trattata con sensibilità, perchè francamente io penso di averlo fatto.

So di essere ripetitiva, ma davvero non pensavo che la storia piacesse così tanto. Grazie ancora a tutti!

E adesso, cari, vi tocca. PUBBLICITA'!

1- le traduzioni della donna bionica, colei che dovrebbe donare il suo DNA alla scienza per garantire l'evoluzione della specie visto che si occupa di 3000 cose insieme, e BENE. Sto parlando di Martins, e queste sono le sue traduzioni attuali, oltre a Dalton su LiveJournal:

Go your own way / Unstable (con il mio umile e semi-superfluo aiuto di beta)

2- le due CrissColfer più famose d'Italia, se non le conoscete rimediate ADESSO. Scritte dalla meravigliosa DumbledoreFan:

CrissColfer? Cos'è, si mangia? / CrissColfer Live! Tour 2011

3- Blaine Anderson presents: the Pips! di ChemicalLady, che stimo davvero tanto perchè nonostante sia una specie di star del fandom continua a fare complimenti a ME xD

4- The Sidhe, la Klaine più bella della storia (concedetemelo!) scritta dall'autrice americana Chazzam e tradotta da me. Ormai mancano 2 capitoli alla fine, potete godervela tutta d'un fiato! Anche se davvero, esiste QUALCUNO che non la conosce?!

Grazie per l'attenzione <3

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Capitolo 11
*** A part of you ***


11 A part of you

 

“Stai mentendo.”

Non era una domanda. Colin sapeva che era così.

“Perché dovrei?” disse Kurt con nonchalance, ma facendo palesemente un passo indietro, sentendosi a disagio.

“Infatti, perché dovresti? Quindi non farlo" rispose Colin con ovvietà.

“Colin…”

“Insomma, mi sono preso un pugno e ho rovinato il mio bel visino per te, merito almeno la sincerità!”

“La metterai sempre su questo piano?! ‘Ti ho coperto quando ti sei ubriacato l’anno scorso’, ‘Ti ho permesso di tenere le scarpe coi lustrini nel mio armadio’, ‘Ho disdetto un appuntamento per te’, ‘Mi sono preso un pugno in faccia per te’?!” disse Kurt in tono accusatorio, enfatizzando i singoli avvenimenti elencandoli sulle dita della mano. Poi riprese ad occuparsi della ferita al labbro del fratello.

“Beh, hai detto nient- OUCH!”

“Oh, scusa” disse Kurt, sapendo di aver esagerato col disinfettante.

“Comunque,” – riprese Colin con noncuranza – “non farlo. Dimmi la verità. Ti conosco meglio di chiunque altro, Kurt.”

Kurt abbandonò cotone e disinfettante e si appoggiò al lavandino accanto a lui. Ormai avevano perso definitivamente l’ora di storia, ma non gli importava. Sospirò pesantemente prima di parlare.

“Mi ha baciato” disse a testa bassa, sempre più in preda alla vergogna.

“COSA?!” esclamò Colin, incapace di moderare il tono ad una notizia simile.

“Ti prego, non farmelo ripetere” disse Kurt, massaggiandosi le tempie tra pollice e medio.

“Ma… tu… cioè, tu non volevi, giusto?”

“No.”

“Ma lui… insomma, ti prende sempre in giro… non capisco!”

“Nemmeno io.”

Colin si alzò e si mise di fronte a lui, costringendolo ad alzare lo sguardo. Odiava non guardarlo negli occhi, perché era come se Kurt gli volesse tenere nascosto qualcosa, impedendo loro di riflettersi nei suoi. Ed è così innaturale tenere nascosto qualcosa al tuo riflesso.

“Kurt, forse è solo… confuso” disse dopo un po’, pensieroso. Kurt non rispose, si limitò a fissarlo, come se aspettasse una continuazione, una diagnosi, un miracoloso rimedio, qualsiasi cosa.

“Inutile dire che io non sono pratico di omosessualità repressa,” – esordì il ragazzo con un mezzo sorriso (e anche Kurt, per una frazione di secondo, sorrise) – “quindi direi che dovresti… uhm… parlarne con qualcuno.”

Kurt si accigliò.

“Per l’ennesima volta, non andrò dallo psicologo che mi ha consigliato zia Karen quando ha scoperto che usavo le fascette per capelli” disse alzando gli occhi al cielo.

“No, no, non intendo quello. Qualcuno… di cui ti fidi.”

Colin alzò un sopracciglio con aria eloquente, aspettando che Kurt capisse. Ci vollero pochi secondi.

“No.”

“Perché no?”

“Perché non voglio sembrare un povero cucciolo bisognoso di protezione, e poi non sa niente di tutta questa storia.”

“Come sarebbe?! Insomma Kurt, per la prima volta trovi qualcuno che sembra davvero andare bene per te, e fingi di essere qualcuno che non sei!”

La verità, uscita con tanta naturalezza dalle labbra di suo fratello, lo colpì.

“Che intendi dire?” chiese Kurt con sincero interesse. Colin sembrava improvvisamente essere diventato la coscienza che aveva cercato di soffocare fino a quel momento.

“Vuoi fatto un disegno? Non sa neanche che esisto, non sa di avermi visto con i suoi stessi occhi, non sa che vieni perseguitato da un idiota che adesso si è rivelato persino un gay incazzato nero. Insomma, chi sei tu quando sei con lui? E il bello è che tocca a me dirti queste cose terribilmente insulse sull’ “essere se stessi” e bla bla bla, il che non è normale.”

Colin iniziava davvero a preoccuparsi. Da quando era diventato lui quello saggio?

“Infatti non è normale. Mi stai spaventando.”

“E tu stai sviando il discorso.”

Kurt sospirò e si sistemò nervosamente i capelli, consapevole del fatto che dopo la spinta, la corsa e il pianto dovevano apparire un totale disastro.

“Ti stai sbagliando. Io non sono un’altra persona quando sono con Blaine. Omettere certe cose non vuol dire non essere se stessi.”

“Sì, se parliamo di omettere il tuo numero di scarpe, il tuo colore preferito e le tue intolleranze alimentari! Kurt, questa cosa fa parte della tua vita. Che tu lo voglia o no, quello che hai passato e quello che stai passando fanno parte di te. E beh, mi sento davvero un deficiente a dire quello che sto per dire, ma… io faccio parte di te. E se tu non mostrerai a Blaine tutto di te, quando lo scoprirà si sentirà preso in giro e magari si tirerà indietro. Non ci hai mai pensato?”

“Da quando sei diventato così saggio e onesto tu?” chiese Kurt, e Colin si ripetè la domanda nella mente per l’ennesima volta. “Voglio dire, le ragazze con cui esci pensano che tu abbia, e cito testualmente, quasi ucciso un ragazzo alle medie perché ti aveva guardato storto.

“KURT!”

“Ok, sì, certo che ci ho pensato. Ma il fatto è che… è complicato, Colin.”

Kurt distolse lo sguardo e sospirò.

“Scommetto che se ti sforzi riesci a spiegarmelo.”

Guardò suo fratello, sorpreso da tanta curiosità.

“Ma si può sapere perché ti importa tanto? Pensavo che ti saresti limitato ad assecondarmi in questa mia follia. Cosa è cambiato?”

Colin ci pensò su, continuando a sostenere quello sguardo di ghiaccio che a volte, solo a volte, gli faceva impressione perché era troppo uguale al suo. Era come guardarsi allo specchio e vedere i ricordi, i pensieri e le emozioni di un altro.

“Oggi mi sono reso conto che io non basto, Kurt. Che hai bisogno di qualcuno che ti capisca davvero, ed è inutile fingere: certe cose io e papà non potremo mai capirle. Ti ho visto l’altra sera, dopo l’appuntamento: non ti sei nemmeno idratato il viso. Io…” – esitò – “… magari non è quello giusto e sto parlando a vanvera, ma se lo fosse? Manderai tutto all’aria e non te lo perdonerai mai. E io non mi perdonerò mai se ti permetterò di continuare questa farsa.

Kurt si ritrasse lievemente, perché cavolo, quel discorso non faceva una piega. Ed era un discorso di Colin.

“Ok, chi sei tu e cosa hai fatto a mio fratello?” sbottò, puntando l'indice contro di lui con enfasi.

“Oh insomma! Pensavo avessi imparato che il tuo sarcasmo appositamente studiato per cambiare argomento non funziona con me!” esplose Colin, alzando le mani.

Kurt si massaggiò le tempie ed inspirò. Ormai doveva dirlo.

“Sono geloso” disse a voce bassa, praticamente impercettibile.

“Come?”

“Sono geloso” ripetè più forte. “Se Blaine sapesse che non ero io in quel negozio, quando ha notato te, si domanderebbe cosa sarebbe successo se lo avesse saputo dal principio. Se avesse saputo di poter scegliere.

Colin fece un passo indietro, frastornato. Aveva capito che era una cosa del genere, ma pensava che Kurt volesse semplicemente evitare di confondere Blaine, di farlo sentire stupido per non aver notato la differenza. Non aveva capito che c’era qualcosa di più profondo sotto.

“Ma Kurt… io non sono gay” disse con ovvietà, inclinando la testa.

“Ecco, lo vedi?! Ho ragione io!” esclamò Kurt alzando le braccia, frustrato.

“Che vuoi dire?” chiese Colin, sempre più confuso.

“Qual è la prima cosa che hai pensato? Che non sei gay! E se lo fossi? Se lo fossi, Blaine come farebbe a scegliere? Come farebbe a dire di preferire me, se in quel dannato negozio ha notato te?!”

Dirlo ad alta voce sembrava più doloroso che pensarlo, perché era diventato improvvisamente reale.

“Ma non lo sono, quindi il problema non si pone” rispose Colin, con un’ovvietà ancora più disarmante. Kurt sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

“Davvero Kurt, non ti seguo” ammise.

“Il punto è che io… non voglio essere il secondo. Non voglio essere scelto solo perché tu non puoi essere scelto. Non so in che altro modo dirtelo, francamente.”

Rimasero in silenzio a guardarsi, entrambi pensando a cosa dire per ribattere ad eventuali frasi dell’altro.

“Quindi, vediamo se ci arrivo… continuerai a nascondere la mia esistenza, fino a quando… Blaine non si innamorerà di te?” disse Colin dopo un po'.

Se si innamorerà mai di me. Comunque lo vedi? Se lo hai capito da solo, vuol dire che ha senso” rispose Kurt, fiero di se stesso.

No, l’ho capito da solo perché so come funziona quel cervello minuscolo che ti ritrovi. So che pensi sempre di essere inferiore, fuori posto, ma non è così. Insomma Kurt, siamo uguali, quindi se ci fossi stato tu in quel negozio sarebbe andata allo stesso modo. Ma ora sei tu ad uscire con Blaine, non io. E poi scusa, come pensi che ci rimarrà quando lo scoprirà? Fossi in lui ti tirerei qualcosa addosso.”

“Credi che non mi senta perennemente in colpa? Posso solo sperare che capisca, che la prenda bene. E poi siamo usciti solo due volte, non credi che sia inutile parlarne adesso?”

“No che non lo è, perché il punto è che adesso sei ancora in tempo, ma se tutto va bene presto non lo sarai più!”

Kurt abbassò lo sguardo e sospirò per quella che sembrò essere la centesima volta nel giro di un quarto d'ora.

Perché era la verità.

 

 

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Capitolo 12
*** Your smell, your heartbeat ***


12 Your smell, your heartbeat

 

 

Alla fine, Colin si era arreso. Avrebbe assecondato Kurt, nonostante continuasse a trovare la sua idea a dir poco malsana. E per “assecondare”, intendeva semplicemente smettere di dirgli quanto non la approvasse. Non poteva certo sparire, d’altronde.

Kurt e Blaine continuarono a sentirsi via messaggi per tutta la settimana, e a partire da quella successiva iniziarono a sentirsi anche per telefono prima di andare a dormire: si raccontavano a vicenda le loro giornate, anche se Kurt si impegnava sempre ad omettere quanto fosse frustrato e infelice per non rendere Blaine frustrato e infelice.

Le sue più grandi preoccupazioni sembravano essere i compiti eccessivi e la scelta delle canzoni, e Kurt era così estasiato nel sentire quella voce fresca e rilassata dall’altra parte della cornetta da non avere il coraggio di incrinarla con le sue preoccupazioni, sicuramente molto più grandi.

Perché Karofsky non lo aveva più spinto, ma più di una volta aveva incrociato il suo sguardo in corridoio e aveva sentito un brivido scorrergli lungo la spina dorsale.

 

* * *

 

“Blaine, potrei chiamarti a casa?”

Blaine lesse il messaggio comparso sullo schermo del suo cellulare e alzò un sopracciglio, vagamente preoccupato. Avevano stabilito un orario preciso per chiamarsi, dopo cena per non disturbare, e lui doveva ancora cenare: era molto strano.

Proprio per questo, si affrettò a rispondere “Sì, certo”. Il telefono squillò pochi minuti dopo e quando Blaine alzò la cornetta, quello che sentì non gli piacque per niente.

“P-pronto?” disse Kurt dall’altra parte del telefono, la voce incredibilmente bassa e il respiro affannoso.

Quello di chi sta cercando di non piangere.

Blaine lo capì subito e sentì una fitta di dolore al petto.

“Kurt? Che succede? Stai male?”

“Blaine, io- Blaine… Blaine…” e singhiozzi. Tanti, troppi.

Blaine si sforzò di rimanere lucido.

“Kurt, fa un respiro profondo, calmati… Sono qui, dimmi che succede, sono qui…”

“Ho bisogno di te. Ho bisogno di te, Blaine.”

Quasi gli cadde il telefono dalle mani. Perché quella era la richiesta d’aiuto più straziante che avesse mai sentito, ed era per lui, solo per lui.

Kurt non aveva bisogno di “qualcuno che gli stesse vicino”, altrimenti avrebbe chiamato una sua amica del Glee Club, quella Mercedes di cui parlava sempre con tanto affetto oppure Rachel, la prima donna di cui gli parlava con stizza ma alla quale sotto sotto voleva un gran bene.

Magari avrebbe chiesto aiuto a suo fratello, anche se non gliene aveva più parlato e sembrava non averci un buon rapporto, ma in fondo un fratello è pur sempre un fratello. Invece aveva chiesto di lui, aveva detto di aver bisogno di lui.

“Sto arrivando” rispose senza esitare.

 

* * *

 

Inventare una scusa a sua madre per motivare la sua uscita improvvisa non fu facile, ma alla fine optò per qualcosa del tipo “Ho preso per sbaglio la cravatta di Wes e devo riportargliela” nonostante non avesse alcun senso, dato che lo avrebbe visto il giorno dopo alla Dalton.

Kurt gli aveva dato appuntamento alla panchina che si trovava dall’altro lato della strada rispetto al cinema, all’entrata di un piccolo parco immerso nel verde.

Erano quasi le otto di sera, e i lampioni illuminavano la strada con una luce debole e soffusa, lasciando la panchina nella penombra.

Blaine parcheggiò di fretta la macchina senza neanche preoccuparsi di portarsi dietro le chiavi: sbattè lo sportello con forza e attraversò la strada, per dirigersi verso quel piccolo angolo nell’oscurità.

Due scintille gli indicarono la via, e capì subito che si trattava degli occhi di Kurt, che brillavano nel buio come stelle, resi ancora più lucidi dalle lacrime. Anche al buio, era sicuro che Kurt fosse bellissimo.

“Blaine?” disse lui, raggomitolato sulla panchina con le braccia strette al petto.

“Kurt, sono qui” disse Blaine mentre si sedeva al suo fianco, incerto su come muoversi.

Non erano fidanzati, non erano intimi, non erano un bel niente; l’istinto e il cuore gli dicevano Abbraccialo, stringilo, cullalo, mentre la testa gli diceva di aspettare che fosse lui a chiederlo.

Ma Kurt rimase in silenzio, la testa tra le ginocchia, tirando su col naso di tanto in tanto.

“Cosa è successo? Perché hai voluto vedermi proprio qui? E’ pericoloso, potevo venire a casa tua” chiese Blaine dopo un po’.

“Non volevo che mio padre mi vedesse così” disse Kurt, perché era la verità: tra le tante cose, aveva fatto promettere a Colin di non far preoccupare Burt inutilmente con quella storia che si poteva anche definire conclusa. Non sapendo che non lo era affatto.

Alzò il viso e appoggiò la guancia sulle ginocchia, continuando a tenerle con le braccia, per guardare Blaine.

“E’ un po’ lunga da spiegare” aggiunse.

“Io non ho fretta” rispose Blaine sorridendogli nel buio.

Kurt si sentì improvvisamente al sicuro, perché anche lì, su quella fredda panchina in un parco poco illuminato, Blaine gli trasmetteva calore.

Gli raccontò la vicenda sin dall’inizio, cercando di riassumere: gli disse che Karofsky lo aveva preso di mira già dall’anno precedente, ma che era peggiorato e non si limitava più alle granite in faccia; che aveva iniziato a spingerlo contro gli armadietti finchè lui non ce l’aveva fatta più e lo aveva affrontato, e allora lui gli aveva preso il viso tra le mani con forza e lo aveva baciato.

E poi aveva iniziato a guardarlo torvo finchè quella mattina, tra una lezione e l’altra, gli si era avvicinato e poi gli aveva sussurrato “Se lo dici a qualcuno ti ammazzo”.

Blaine ascoltò in silenzio, e quando capì che il racconto era finito continuò a non dire nulla. Lentamente, scivolò lungo la panchina fino a poter toccare la spalla di Kurt con la sua, gli avvolse un braccio intorno senza esitare e lo strinse a sé.

Kurt fece un lungo e profondo sospiro, come se quel contatto fosse qualcosa di indispensabile, di vitale, come se avere le braccia di Blaine intorno a lui fosse la cosa che aveva sempre sognato. Di certo, era la cosa che sognava da una settimana a quella parte.

Appoggiò la guancia al suo petto e si lasciò stringere sempre di più, tanto che Blaine riusciva quasi a toccarsi le spalle con le mani ormai.

Erano una cosa sola, Kurt respirava e Blaine respirava, Kurt sospirava e Blaine sospirava, Kurt spingeva di più la testa contro il suo petto e Blaine lo stringeva più forte, Kurt singhiozzava e Blaine gli accarezzava i capelli sperando di calmarlo, sperando che smettesse, perché se la sua risata era la cosa più bella che avesse mai sentito, il suo pianto era la più terribile.

“Ho avuto così tanta paura, Blaine” sussurrò Kurt, la testa ora proprio sotto il suo mento.

“Non ti succederà niente, Kurt. Te lo prometto” rispose Blaine, inclinando la sua per sfiorare i capelli di Kurt con la sua guancia.

Per inspirare il suo profumo e sentirlo dentro, sempre più dentro, imprimerselo nelle ossa e fare in modo che non svanisse mai più.

Fare in modo che quel profumo lo accompagnasse fin sotto le lenzuola, nei suoi sogni, poi la mattina dopo quando si sarebbe tolto quel filo di barba appena cresciuta, così forte da sovrastare quello della schiuma e quello del caffè che avrebbe preso a colazione, così dolce da lasciargli in bocca il sapore del miele e delle fragole.

E intanto Kurt sentiva il suo profumo, e il cuore di Blaine che batteva proprio sotto il suo orecchio, che sembrava chiamarlo e ipnotizzarlo.

Come se battesse per lui.

Cercò di ignorarlo, perché un cuore, un organo fatto di tessuti, carne, vene e sangue, non batte per nessuno se non per il corpo a cui appartiene.

Non batte per nessun motivo, se non per assicurare la vita a colui che lo possiede.

Eppure quel battito regolare, più accelerato a tratti – che strano, sembrava più veloce proprio quando Blaine inspirava tra i suoi capelli – alle sue orecchie non appariva meccanico e ripetitivo. A lui sembrava musica.

Ogni battito era diverso e creava insieme agli altri una melodia irresistibile, così bella, così perfetta, che Kurt desiderò ardentemente di riuscire a ricordarla e conservarla nella sua memoria, così che lo accompagnasse fin sotto le lenzuola quella notte, nei suoi sogni, e poi la mattina dopo, sovrastando quell’ammasso informe, vuoto e insensato di voci nei corridoi di persone di cui non gli importava e alle quali non importava di lui.

Rimasero senza dire niente per un tempo che sembrò infinito, ed entrambi avrebbero voluto che lo fosse.

Blaine continuò a respirare il profumo di Kurt, senza riuscire ad averne mai abbastanza.

Kurt continuò ad ascoltare il battito del cuore di Blaine, senza riuscire ad averne mai abbastanza.

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Capitolo 13
*** The road to truth ***


13 The road to truth

 

 

Riluttanti, si erano resi conto di non poter restare in quel modo per tutta la sera. O per tutta la vita.

“Kurt, c’è qualcosa che posso fare?” aveva chiesto Blaine prima di salutarlo.

“L’hai già fatta, sei venuto qui, per me” aveva risposto Kurt, gli occhi ancora lucidi, gonfi e arrossati. E nonostante quello, nonostante la notte che era ormai calata, la luce c’era ancora. C’era sempre stata.

Sempre, tranne quella prima volta di cui Blaine continuava a non capacitarsi.

 

* * *

 

Blaine dormì poco e male, quella notte.

Sperava che il profumo di Kurt potesse tranquillizzarlo e farlo addormentare, ma nonostante si aggrappasse a quel ricordo con forza sotto le lenzuola, continuava a pensare al motivo per cui lo aveva chiamato. Al fatto che qualcuno lo avesse fatto soffrire, piangere e temere per la sua vita.

Così quella mattina, dopo essersi messo la divisa e aver preso la sua tracolla di pelle, Blaine prese una decisione.

Non fece colazione e uscì presto di casa, perché sapeva di dover prendere una strada che non era quella verso la Dalton Academy; una strada che non aveva mai fatto e che conosceva soltanto a grandi linee.

La strada che lo avrebbe condotto al McKinley.

 

* * *

 

Parcheggiò l’auto e si guardò intorno, sorpreso nel non vedere nessuno. Evidentemente ci aveva messo più del previsto, fermandosi troppo spesso agli incroci per guardare le indicazioni, e si era perso la campanella iniziale. Poco male, pensò.

Entrò nella scuola e percorse il lungo corridoio d’ingresso, pieno di armadietti, che gli ricordò inquietantemente la sua vecchia scuola. Scacciò quel pensiero dalla mente e continuò a camminare tra studenti svogliati che di tanto in tanto alzavano lo sguardo per fissarlo con sospetto.

In effetti, sarebbe stato più saggio mettere i suoi vestiti e cercare di mimetizzarsi un po’ di più, piuttosto che andare in giro con una divisa che equivaleva ad un cartello con su scritto “Scuola privata”.

Una ragazza in particolare, intenta a riporre dei libri nel suo armadietto, lo stava squadrando da capo a piedi.

Indossava una gonna scozzese lunga fino al ginocchio, calzini bianchi e un maglione marrone scuro infilato dentro la gonna.

Blaine la vide concentrarsi particolarmente sul piccolo stemma che aveva sulla divisa, la “D” di Dalton, e poi aprire la bocca in segno di sconcerto prima di indicarlo come se fosse un enorme elefante fucsia e gridare “Spie! SPIE!”

Prima che la ragazza potesse scappare ad avvertire chissà chi, Blaine fece due passi in avanti e le disse gentilmente: “Spie? Io non sono una spia!”

Lei alzò un sopracciglio e si incrociò le braccia al petto, con aria inquisitoria.

“Ah no?” – disse, iniziando a picchiettare col piede sul pavimento, – “Non sei forse un Warbler della Dalton Academy?”

“S-sì, ma…”

“Visto? Lo sapevo! SPIE!”

La ragazza lo ripetè alzando il tono della voce, come se da un momento all’altro dovesse scattare una qualche specie di allarme provocando l’intervento di una squadra speciale di soccorso, che ovviamente non arrivò.

Anzi, il resto dei ragazzi che camminavano lungo il corridoio sembrò ignorare le sue urla, come se fossero parte della routine quotidiana – e forse, pensò Blaine con una punta di inquietudine, lo erano.

Riflettendoci, quella ragazza gli sembrava piuttosto familiare: nella sua mente iniziarono a fare eco frasi come “a volte credo che si vesta ad occhi chiusi” o “manie di persecuzione” o “mocassini orripilanti”.

Oh. Quella era Rachel Berry.

“Ascolta…” – disse alzando le braccia e ritraendosi in segno di resa, ricordando improvvisamente l’accurata descrizione di Kurt e rabbrividendo al pensiero – “…io non sono qui per spiare il tuo Glee Club. Sto cercando David Karofsky.”

Rachel aggrottò le sopracciglia, visibilmente sorpresa.

“E… perché?” chiese, come se le fosse dovuto.

Blaine ritrasse lievemente la testa, sorpreso dalla sfacciataggine della ragazza.

“Scusami, potresti solo… dirmi se sai dove trovarlo?”

“Beh, veramente non saprei… oh guarda, sei fortunato! Quel ragazzo laggiù,” – indicò un punto al di là della sua testa – “gioca a football con lui, magari lo sa.”

Blaine si voltò per poter vedere di chi stava parlando e… rimase a bocca aperta.

Rachel stava indicando Kurt. Quindi Kurt giocava… a football? Con Karofsky?

Impossibile, ricordava perfettamente di avergli sentito dire al telefono che non faceva più parte della squadra, anche se un tempo era stato un kicker fenomenale e le aveva fatto vincere la prima partita della stagione al ritmo di Single Ladies. Rideva ancora quando ci pensava.

Si voltò di nuovo per chiedere spiegazioni a Rachel, ma si era magicamente dileguata.

Così tornò a scrutare quello che sembrava essere Kurt, perché magari si era sbagliata, o forse c’era un altro ragazzo accanto a lui o dietro di lui e quindi si riferiva ad un’altra persona.

Ma nel corridoio ormai non era rimasto più nessuno, forse perché stava per suonare la campanella dell’ora successiva: c’era solo Kurt, una tracolla grigia poggiata pigramente sulla spalla – sembrava la stessa del negozio di CD - con indosso una maglietta blu scuro più larga di almeno due taglie e jeans scuri e strappati. Stava riponendo qualcosa nell’armadietto, e gli dava le spalle.

Blaine camminò a grandi passi verso di lui, leggermente incuriosito da quell’abbigliamento inusuale che non gli si addiceva per niente; pensò che forse era stato troppo giù di morale per vestirsi bene, anche se suonava strano lo stesso.

Kurt aveva passato ore al telefono cercando di spiegargli la differenza tra porpora e bordeaux, beige e ocra, facendolo ridere di gusto mentre lo sentiva trafficare con vestiti e grucce, intento a stabilire come vestirsi il giorno dopo.

La sua intenzione, o meglio quel poco che era riuscito a pianificare in macchina, era quella di incontrare Karofsky e parlarci, ma non era sicuro di volere Kurt con lui. Ma ormai Kurt era lì, e Blaine era troppo incuriosito dal modo in cui si era vestito e sospettoso riguardo alla storia del football per lasciar perdere.

“Ehi, Kurt!” disse ormai a pochi passi da lui, aspettando che si voltasse.

“Oh insomma, quante volte ve lo dovrò dire che non sono-“

Anche lui si voltò, e improvvisamente ammutolì.

Blaine trasalì.

Perché la luce… era sparita. Non c’era. Di nuovo. Come quella prima volta, al negozio di CD.

Ma non poteva essersene andata soltanto a causa della tristezza per quello che era successo con Karofsky, perché la sera prima quella luce c’era eccome. Tra le lacrime, i singhiozzi e i sospiri, brillava imperturbabile nei suoi occhi chiarissimi come se niente potesse indebolirla o spegnerla, e per Blaine era davvero così.

Allora perché, perché se n’era andata? Il mondo iniziava già a sembrargli più grigio, e si chiese come doveva essergli sembrato prima che la vedesse per la prima volta.

Avrebbe voluto chiederglielo, dirgli “Cosa è successo? Dov’è finita?”, ma sarebbe sembrato un pazzo. Perché forse quella luce la vedeva solo lui, nella sua testa.

Iniziava ad essere molto probabile a quel punto.

 

* * *

“B-Blaine! Cosa ci fai qui?” chiese Colin sgranando gli occhi.

Il meraviglioso nonché stupido piano di suo fratello era appena andato in fumo, o forse no? Poteva sempre mantenersi sul vago, dirgli di andarsene e che qualunque fosse il problema “ne avrebbero riparlato”.

“Io… ecco…” disse Blaine esitante, vergognandosi per aver cercato di fare una cosa a sua insaputa. Sperò davvero che Kurt non si arrabbiasse, in fondo era per il suo bene.

Ma si interruppe e strabuzzò gli occhi: c’era qualcos’altro che non andava in Kurt.

“Ehi, hai di nuovo il raffreddore? Te l’avevo detto che dovevamo vederci da te ieri sera, devi aver preso freddo” disse con aria saccente.

“Raffreddore?” chiese Colin, cercando di trovare un senso in quella frase.

Non aveva il naso rosso e non stava starnutendo ogni cinque minuti: perché Blaine pensava una cosa simile? Senza contare che non sapeva nemmeno che lui e Kurt si fossero visti. Certo, era uscito a “cena” con l’ennesima cheerleader la sera prima, ma Kurt glielo avrebbe sicuramente detto.

Forse si erano organizzati all’ultimo, e Kurt si era addormentato presto una volta tornato e la mattina dopo se l’era scordato. Eppure, conoscendolo, avrebbe passato tutto il viaggio in macchina a parlargli di quanto stupendo, dolce, gentile, premuroso e divertente fosse Blaine, come faceva ormai ogni volta dopo aver messo fine alle loro telefonate chilometriche.

Ma Kurt era stato terribilmente silenzioso quella mattina, quindi forse avevano litigato? Forse Blaine era venuto per chiedere scusa e lui avrebbe solo dovuto ascoltare e riferire?

“Sì, la tua voce è di nuovo più bassa di un’ottava” rispose Blaine con ovvietà, ma sempre più allarmato da tutto quel cambiamento.

In quel momento, Colin pensò davvero di dover prendere a sberle suo fratello.

Perché Blaine aveva notato la differenza tra le loro voci, e nessuno aveva mai notato una cosa così insulsa. Doveva pur dire qualcosa.

Si ripromise di farlo, ma di reggere il gioco mandando via Blaine con una buona scusa. Altrimenti le sberle le avrebbe prese pure lui.

“Oh, sì, devo essermi raff-“

Si interruppe. Blaine aveva distolto lo sguardo stranito che gli aveva rivolto fino a quel momento per dirigerlo altrove, al di là della sua spalla. Si voltò per capire quale fosse il motivo.

Alla fine del corridoio, in piedi, c’era Kurt.

 

 


 

 

 Note di _hurricane:

.................PLEASE, DON'T HATE ME.

Ve lo dico perchè odio quando gli autori fanno così, ma amo farlo io xD che ci volete fare?

Comunque volevo dirvi che tra due giorni parto per Londra, starò via una settimana, ma gli aggiornamenti avverranno comunque grazie alla mia sorella minore tutto-fare!  Quindi se non vi rispondo alle recensioni è per questo motivo :)

Sono curiosissima di sapere che ne pensate di queso capitolo!

Un bacione a tutti e... buona visione con The Purple Piano Project! **

 

 

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Capitolo 14
*** Already chosen. ***


14 Already chosen

 

 

A Kurt gelò il sangue nelle vene, e per un attimo pensò di non poter mai più essere in grado di respirare.

Come quando aveva sentito Blaine cantare “Teenage Dream”, anche ora si sentiva spettatore di ciò che gli accadeva intorno. Spettatore di se stesso mentre camminava lungo il corridoio, verso Blaine e Colin che stavano parlando, verso il tragico crollo del mondo perfetto che si era creato nella sua testa.

Un mondo in cui Blaine lo avrebbe amato per quello che era, quanto lui amava Blaine per quello che era. In modo semplice, puro, completo, forse anche assurdo perché chissà quante cose ancora non sapeva, di quanti difetti, tic nervosi o manie non era ancora a conoscenza, eppure non gli interessava affatto.

Che Blaine fosse miliardario o che vivesse sotto un ponte, che Blaine amasse davvero Funny Girl o che mentisse soltanto per impressionarlo, che Blaine fosse ateo, musulmano, buddhista, che avesse un fetish per le manette di peluche, che fosse un disastro in cucina… lo avrebbe amato comunque.

Da questo derivava la sua certezza che, se solo ci fosse stato il tempo e Blaine si fosse innamorato di lui, anche lui lo avrebbe amato comunque.

Ma adesso era finito tutto, perché semplicemente era troppo presto.

Amare una persona dal primo istante era piuttosto raro, oltre che forse infantile, stupido e controproducente, e che fosse successo anche a Blaine, in quella grande Sala Comune, era improbabile se non impossibile per lui.

Camminò verso Blaine lentamente, come se ad ogni passo volesse farne cento all’indietro, e nella sua mente disse addio al battito del suo cuore perché molto probabilmente non lo avrebbe potuto sentire mai più contro il suo viso.

Gli disse addio perché era certo che Blaine lo avrebbe odiato, non sapendo che lo amava già.

 

* * *

 

A Blaine gelò il sangue nelle vene, e per un attimo pensò di non poter mai più essere in grado di respirare.

Perché quello che stava camminando verso di lui era… Kurt.

E anche quello con cui stava parlando era Kurt. O forse no?

Più il ragazzo lungo il corridoio si avvicinava, più Blaine notava particolari lampanti, indizi palesi su chi dei due lo fosse.

Non aveva notato la postura svogliata del ragazzo con cui stava parlando, il suo modo di stare appoggiato all’armadietto che sembrava voler comunicare quante altre cose migliori avesse da fare che stare lì.

Non aveva notato che non era arrossito neanche un po’ quando lo aveva visto, e che non aveva abbassato lo sguardo imbarazzato quando aveva menzionato la sera prima.

Kurt lo avrebbe fatto, ne era certo.

Quel ragazzo che aveva davanti sembrava sfacciato, forse un po’ arrogante, e ormai era chiaro, Kurt non si sarebbe mai vestito in quel modo.

E poi c’era la luce.

La luce che Blaine riconobbe negli occhi di Kurt quando finalmente lo raggiunse.

Prima tirò un sospiro di sollievo, perché non si era sbagliato: esisteva davvero. Era ancora più palese adesso che poteva mettere a confronto quei due sguardi così inquietantemente simili ma per lui totalmente differenti.

Poi passò alla confusione totale: che diavolo stava succedendo?!

“Blaine…” disse Kurt con cautela, senza sapere come continuare la frase.

Colin approfittò del silenzio imbarazzante che era appena calato per andarsene via furtivamente, lasciandoli da soli nel corridoio. Girò l’angolo in quello che sembrò essere un nanosecondo.

“Kurt” rispose Blaine titubante, come se volesse dire “Perché sei tu, non è vero?”

“Io non… non so cosa dire” disse Kurt abbassando lo sguardo e coprendosi il viso con le mani per la vergogna.

“Potresti dirmi cosa sta succedendo” rispose Blaine, la voce che mostrava l’irritazione che a poco a poco stava montando dentro di lui, senza che se ne rendesse conto.

Kurt alzò il viso e lo guardò, pronto per dire le parole che sarebbero state la sua condanna. Ma valeva la pena tentare di spiegare… e soprattutto, glielo doveva.

“Blaine, lui è… è Colin, il mio gemello. Il fratello di cui non ti parlo mai.”

“Ma siete…”

“…identici, sì.”

Calò il silenzio, pesante come un’incudine. Un turbine di immagini iniziò a dimenarsi nella mente di Blaine, travolgendolo e sconvolgendolo, ma allo stesso tempo facendo chiarezza.

Perché improvvisamente tutto aveva senso. Quell’unica volta in cui la luce che adorava, quella che lo aveva fatto innamorare, non c’era stata, era perché non stava guardando gli occhi giusti.

“Il negozio di dischi. Lui-, tu-, era… era lui.”

Non era una domanda, ma Kurt rispose comunque.

“Sì.”

Blaine non capiva. O meglio, capiva, e finalmente poteva smettere di domandarsi cosa diamine fosse successo in quel negozio, ma non capiva perché fosse dovuto andare fino al McKinley per scoprirlo.

Non capiva perché Kurt avesse fatto finta di niente, la volta dopo al Lima Bean e poi alla caffetteria della Dalton, quando aveva finto di essere realmente andato in quel negozio per comprare un CD.

Un momento. Kurt gli aveva mentito.

Aveva lasciato che tutto iniziasse da una bugia e che Blaine si innamorasse dei suoi occhi, delle sue guance arrossate e del suo profumo che sapeva di miele, senza preoccuparsi di come si sarebbe sentito.

E per essere precisi, si sentiva preso in giro.

“Perché non me l’hai detto?” chiese, desideroso di capire e sperando che fosse un motivo sensato, nonostante gli sembrasse impossibile che ce ne fosse anche solo uno.

Kurt sospirò e si appoggiò all’armadietto con la schiena. Chiuse gli occhi, inspirò profondamente e poi parlò. A raffica, tutto in una volta.

Perché se si fosse fermato, probabilmente non sarebbe più riuscito a continuare. E quello che uscì fu decisamente più supplichevole e gesticolato di quanto avrebbe voluto, e poco convincente persino alle sue orecchie.

“Blaine, ti prego, devi perdonarmi! Io non so cosa mi sia passato per la testa, è solo che ho pensato che tu ti saresti posto delle domande se l’avessi saputo, perché in fondo hai notato lui e non me quel giorno… volevo che passassi del tempo con me, e magari… magari con il tempo io avrei capito che non c’era più niente da temere e te lo avrei detto! Avevo paura che se avessi potuto scegliere, non avresti scelto me!”

Blaine ascoltò le parole con attenzione, studiandole una per una e soffermandosi su quelle finali.

Avevo paura che se avessi potuto scegliere, non avresti scelto me.

Oh, già. Perché Kurt non lo sapeva.

“Ti avrei scelto comunque” disse a voce bassa, più a se stesso che a Kurt. Ma a lui quella frase non sfuggì, e trasalì.

“Che intendi dire?” chiese interdetto.

“I tuoi occhi” disse Blaine semplicemente, sentendosi scoperto e vulnerabile, perché dire a Kurt della luce quasi sicuramente immaginaria che vedeva nei suoi occhi equivaleva per lui a dirgli che lo amava, e dirgli che lo amava equivaleva a dirgli che quella bugia faceva ancora più male.

“Ma sono-“

“-azzurri come i suoi, sì. Ma Kurt, i tuoi occhi…”

Blaine fece una pausa. Era ancora in tempo.

Poteva ancora fingere di essere solo vagamente interessato a Kurt, così sarebbe sembrato molto meno ferito ai suoi occhi e anche molto meno stupido, perché chi si innamorava così facilmente e velocemente se non uno stupido?!

“…brillano” concluse.

Kurt lo fissò con quegli stessi occhi e desiderò di piangere tutte le sue lacrime in quel preciso istante.

Che cosa aveva fatto? Aveva preso in giro l’unica persona al mondo che li aveva già distinti, che lo aveva già scelto.

Blaine fece un sospiro, colto dalla voglia ormai irrefrenabile di tirar fuori tutta la verità.

“Finalmente tutto ha senso. Il cellulare di colore diverso, il CD heavy-metal, la voce più bassa e la… luce. Lo sai che da quando ci siamo rivisti, anzi visti, al Lima Bean, non faccio altro che domandarmi perché non l’avevo vista la prima volta? Cosa pensi che significhi questo?”

Kurt non rispose, perché la frase rimbombava troppo forte nella sua testa e se l’avesse detta sarebbe diventata reale.

E faceva già abbastanza male lì, reclusa, figurarsi se fosse echeggiata tutto intorno a lui.

Significa che se te l’avessi detto non sarebbe cambiato niente.

E invece era cambiato tutto, e la colpa era solo sua.

 

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Capitolo 15
*** To see it all ***


15 To see it all

 

 

La campanella suonò, fastidiosa come sempre e anche più del solito, mettendo fine alla loro discussione.

“Blaine, possiamo vederci stasera e… parlarne?” chiese Kurt esitante, sapendo di non meritarlo.

Blaine cambiò espressione un paio di volte: inizialmente ci fu quella scettica, perché la sua mente gli diceva “Assolutamente no”, poi passò a quella dubbiosa, perché in fondo “lo aveva fatto per paura di perderlo” e infine ci fu quella rassegnata, quella che si arrese alla voce del suo cuore che diceva “Ti amo, perché mi hai mentito?” e che smaniava per ottenere una risposta abbastanza convincente, che gli permettesse di andare avanti e guardarlo allo stesso modo.

Guardarlo come se non fosse un freddo e spietato imbroglione che si era preso gioco di lui, dando per scontato che lui ci sarebbe passato sopra, stregato dal suo fascino e ammaliato dai suoi modi di fare da ragazzo magrolino e androgino bisognoso di affetto e comprensione.

Perché adesso, all’improvviso, tutto sembrava così… calcolato. Ogni gesto e ogni parola di Kurt rivissero nella sua mente in uno scorrere rapido e confuso, proprio come i flashback dei film, ma con un significato del tutto diverso.

Blaine si chiese che cosa stesse pensando Kurt quella prima volta al Lima Bean, e poi alla Dalton, e poi ancora da Breadstix e al cinema.

Si chiese se avesse pesato e calcolato ogni singolo movimento delle sue mani o se avesse ampiamente previsto che lui si sarebbe innamorato del suo profumo, studiandone ad arte la miscela in modo da attrarlo a sé in una morsa senza via di fuga così come aveva studiato ad arte un modo per non dirgli la verità sin dall’inizio.

Perché se gli aveva tenuto nascosta una cosa del genere, che ai suoi occhi appariva stupida ed insignificante se l’avesse saputa, ma fondamentale adesso che l’aveva scoperta da solo, chissà quante altre cose non gli aveva detto.

Chissà quante sfumature della sua vita e del suo carattere teneva per sé, soltanto perché non le considerava abbastanza belle da mostrare, soltanto per chiuderlo ancora di più in quella morsa di occhi languidi, liquidi come pozze di acqua cristallina, profumo di miele, pelle candida.

Quella morsa che gli era sembrata così perfetta e spontanea e che adesso sembrava soltanto un grande inganno.

La verità era che Blaine odiava mentire e di conseguenza odiava le persone che mentivano.

E la cosa assurda era che tra tutti quelli che conosceva, lui avrebbe dovuto essere quello a ripudiare anche solo il concetto di verità.

Perché per amore della verità, aveva detto ai suoi genitori di essere omosessuale nel momento esatto in cui se ne era reso conto.

Così suo padre aveva iniziato a non guardarlo, che era anche peggio che essere guardato con disprezzo, perché almeno il disprezzo era qualcosa. Almeno, se suo padre lo avesse disprezzato, gli avrebbe dimostrato di avere un’opinione di lui. Di pensare a lui, di avere qualcosa da dire.

Ma suo padre, semplicemente, aveva deciso che non c’era niente da dire. Che la fiducia che riponeva in lui, perché andava bene a scuola, non violava mai il coprifuoco e dimostrava un discreto interesse per le macchine e per il football, non era più meritata e non c’era più alcun bisogno che lui gliela dimostrasse.

Per amore della verità, Blaine non aveva esitato a fare apertamente coming out, né aveva esitato ad invitare il suo amico John al ballo di fine anno.

Per amore della verità, non aveva negato di essere gay neanche quando negarlo gli avrebbe risparmiato qualche pugno o qualche insulto, perché preferiva guardarsi allo specchio e vedere un occhio nero e un labbro sanguinante piuttosto che smettere di essere se stesso anche solo per un istante, e non potersi guardare allo specchio affatto.

Eppure, nonostante tutto il dolore e l’umiliazione, Blaine aveva una profonda venerazione per la verità.

Credeva fermamente che aprirsi agli altri, concedere loro di vedere ogni singola parte del suo essere, fosse la cosa più giusta del mondo, la più naturale. Era così che doveva essere.

Se le persone fossero state in grado di guardare a fondo dentro le altre e vedere tutto, le parole non sarebbero più servite e le cose sarebbero state molto più semplici.

Se avesse potuto guardare dentro suo padre e vedere tutto, magari avrebbe capito come riguadagnarsi la sua fiducia.

Se avesse potuto guardare dentro il suo amico John dopo il ballo e vedere tutto, magari avrebbe capito come dirgli che gli dispiaceva e che era tutta colpa sua facendo in modo che lui gli credesse e gli rivolgesse di nuovo la parola.

Se avesse potuto guardare dentro quei bulli senz’anima e vedere tutto, magari avrebbe visto che un’anima c’era e avrebbe trovato il modo di raggiungerla, parlarle e costringerla ad uscire in superficie.

Se avesse potuto guardare dentro Kurt in quel preciso istante e vedere tutto, magari avrebbe capito la ragione vera e profonda del perché avesse deciso di dirgli una bugia, e lo avrebbe perdonato.

Ma nessuno al mondo riusciva ad essere così limpido e cristallino, Blaine lo sapeva bene.

E la cosa che faceva più male, era che aveva pensato che Kurt potesse esserlo.

Perché quella luce doveva voler dire qualcosa, se non l’aveva vista negli occhi di nessun altro.

Forse era proprio quello che stava cercando, lo spiraglio per raggiungere la parte più profonda e segreta dell’anima di una persona e vederla davvero. La verità.

Forse Kurt era l’unico che si sarebbe aperto a lui completamente, che gli avrebbe permesso di frugare tra le sue insicurezze, le sue passioni e i suoi pensieri più intimi senza mai tirarsi indietro.

E quando gli aveva telefonato e gli aveva detto di aver bisogno di lui, per poi lasciarsi abbracciare e piangere senza riserve contro il suo petto, Blaine aveva davvero pensato di averci visto giusto. Aveva pensato Oh, eccoti. E’ una vita che ti aspetto.

E’ una vita che aspetto di trovare qualcuno come te.

E’ una vita che aspetto di poter aprire il mio cuore a qualcuno sapendo che aprirà il suo a me.

E’ una vita che aspetto di stare con qualcuno sapendo che non mi mentirà mai.

“Va bene” rispose semplicemente, senza guardare Kurt negli occhi per non dover vedere quella luce che lo aveva preso in giro, almeno quanto lui.

“Dopo cena? Da me?” chiese Kurt inclinando la testa, cercando di incontrare il suo sguardo a tutti i costi per capire che cosa si stesse perdendo.

Perché era passato almeno un minuto tra la sua domanda e la risposta di Blaine, durante il quale le sue espressioni si erano susseguite senza una logica e i suoi occhi si erano fatti sempre più tristi, fin troppo tristi.

Kurt sapeva di avere torto, era ovvio che fosse così. Ed era anche ovvio che Blaine ce l’avesse con lui e che forse sarebbe stato così per un po’ di tempo, magari quel tanto che bastava per calmarsi, vedere tutto più lucidamente e chiarire.

Ma negli occhi di Blaine non c’era rabbia, o almeno lui non l’aveva vista. C’era un qualcosa di simile alla delusione, come se Kurt avesse fatto esattamente la cosa che non si aspettava da lui. Come se avesse appena infranto delle speranze di cui non era a conoscenza.

“Sì” rispose Blaine girando il viso verso gli armadietti chiusi, rifiutando apertamente, fisicamente, quella connessione di sguardi.

Si voltò del tutto, e camminò a grandi passi verso l’uscita.

 

* * *

 

Ad un orario all’incirca tra mezzanotte e l’una, Kurt si rese conto che la definizione di “dopo cena” era stata ormai ampiamente superata e che Blaine aveva già finito di mangiare da un pezzo.

Rimase seduto al tavolo della cucina fissando il grande orologio rotondo sopra il frigo, tamburellando con le dita sulla superficie di legno in modo da provocare almeno un suono che potesse distrarlo da quello che stava pensando.

Ma il picchiettare insistente e fastidioso divenne presto un rumore lontano, in sottofondo, troppo insulso per potergli impedire di chiedersi perché Blaine non si fosse presentato.

D’accordo, gli aveva mentito. Ma in fondo tutti mentono. Era impossibile che Blaine non avesse mentito almeno una volta.

Era così importante sapere che aveva un fratello gemello? O era importante soltanto perché Blaine aveva visto Colin e non lui la prima volta?

Ma se davvero lui “lo aveva già scelto”, che differenza faceva?

Forse il problema era di fondo, e non aveva niente a che vedere con la bugia in sé. Forse Blaine si era sentito tradito e preso in giro a prescindere dal motivo, e a quel punto per lui non ci sarebbe stato più nulla da fare o da dire per rimediare.

Kurt venne destato dai suoi pensieri da un fruscio tra le siepi che separavano il giardino dal vialetto esterno. Stupidi gatti, pensò.

Si alzò e guardò un’ultima volta l’orologio: si erano fatte le due di notte.

Blaine non sarebbe più venuto, e lui avrebbe passato una notte insonne a scervellarsi su come poter tornare indietro e rifare tutto da capo.

 

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Capitolo 16
*** Love told me ***


16 Love told me

 

Blaine parcheggiò la macchina qualche metro prima della casa di Kurt, spense il motore e rimase sul sedile a guardare un punto indefinito davanti a sé.

Ad un orario all’incirca tra la mezzanotte e l’una, si rese conto che la definizione di “dopo cena” era stata ormai ampiamente superata e che Kurt aveva già finito di mangiare da un pezzo. E intanto lui non aveva ancora deciso.

Una voce nella sua testa continuava a dirgli “Stai esagerando”, perché in effetti stava esagerando.

Ormai era arrivato a pensare le cose più assurde e riprovevoli: forse Kurt era andato al Lima Bean con il preciso intento di incontrarlo e “rimediare” al danno, invidioso di suo fratello? Anzi no, forse lo aveva visto chissà dove, aveva deciso di conquistarlo e aveva mandato Colin al suo posto al negozio perché beh, in fondo non faceva mica differenza.

Magari avevano intenzione di scambiarsi tra loro all’infinito, tanto lui non lo avrebbe mai capito, no? Cos’era, una specie di scommessa? Colin aveva scommesso che lui sarebbe riuscito a distinguerli e Kurt aveva scommesso il contrario? Forse si divertivano così, a puntare persone a caso per la strada e organizzare subdoli piani per passarsi il tempo ed annoiarsi un po’ meno?

Ok, non stava esagerando, stava vaneggiando.

Forse avrebbe dovuto mangiare un po’ di più a cena, magari avrebbe ragionato più lucidamente a stomaco pieno.

Fece un respiro profondo: doveva riuscire a riflettere. Ragionare. Distinguere.

Distinguere la finzione dalla realtà, la rabbia dalla delusione e il rancore dall’amore.

Distinguere tra ciò che avrebbe dovuto e ciò che avrebbe voluto fare.

Decise di andare per gradi, di prendersi il suo tempo, e si chiese perché non lo avesse stabilito prima, a casa sua, così da potersi chiudere a chiave nella sua stanza e lasciare il mondo fuori piuttosto che ritrovarsi con la fronte appoggiata al volante della sua auto in una strada scarsamente illuminata di Lima, a pochi passi da lui.

Sapeva che era vicinissimo, che forse era ancora sveglio e lo stava aspettando. Poteva vedere, tra i cespugli e le siepi curate lungo la strada, la luce accesa di una finestra esterna, e chissà, forse era proprio lì, in attesa.

Ma Blaine non poteva scendere dalla macchina senza prima aver fatto chiarezza dentro di sé, non avrebbe risolto nulla. Perciò si impose di ignorare quel bagliore e fare finta che non provenisse dalla casa di Kurt, e tornò a concentrarsi.

La finzione dalla realtà.

D’accordo, Kurt aveva finto. Precisamente, aveva finto di avere “un fratello con il quale non aveva un buon rapporto” quando invece il punto era che voleva tenergli nascosta la sua esistenza.

Aveva detto “Ero lì per comprare un CD a mio fratello” per rimediare alla gaffe della musica heavy-metal (all’improvviso, Blaine si rese conto che mentiva davvero male).

Aveva detto di “aver preso in prestito il telefono di suo padre” per rimediare alla sua acuta perspicacia riguardo al fatto che fosse di colore diverso.

Aveva detto di “avere la voce più bassa di un’ottava quando si raffreddava” per mascherare la differenza tra la sua e quella di Colin.

Facevano precisamente… quattro bugie. Ognuna piuttosto piccola e stupida, a dire il vero. Blaine pensò di poterci passare sopra, alzò la fronte dal volante ma poi la rimise dov’era. C’erano ancora altre cose da distinguere.

La rabbia dalla delusione.

Precisamente, la rabbia per essere stato preso in giro senza pensarci su due volte – perché, presupponendo che Kurt non lo avesse programmato, aveva stabilito nel giro di un secondo di non dire la verità al Lima Bean – dalla delusione per aver pensato, forse sbagliando, che Kurt fosse la persona che aveva sempre cercato.

Forse era proprio quello il punto: Blaine voleva troppo.

Aspettava la sua metà, la persona il cui essere avrebbe semplicemente combaciato con il suo, aderendo ai suoi contorni e fondendosi con esso.

Aspettava qualcuno che non sarebbe mai arrivato, perché in fondo, che cosa aveva fatto per meritare di essere così fortunato? Perché tra tanti doveva spettare a lui quel privilegio?

Ma allora quella persona era altrove, pensò. Non gli balenò nella mente neanche per un istante che quella persona poteva non esistere affatto. Blaine era fatto così, era un sognatore. Credeva nell’amore, nella verità e nell’unione di due anime che si trovano dopo tanto cercarsi.

E se davvero quella persona era altrove, allora perché sentiva di amare Kurt come non aveva mai amato nessuno? Dopo così poco tempo? Non poteva essere una cotta passeggera: se lo fosse stata, non si sarebbe sentito così deluso.

Il rancore dall’amore.

Precisamente, il rancore che sentiva di nutrire per Kurt per essere stato così razionale quando lui non lo era stato, dall’amore che continuava a provare, forte, bruciante, inspiegabile. Che sembrava inghiottire tutto il resto e dirgli Ma che diavolo stai facendo? Va da lui!

Distinguere tra ciò che avrebbe dovuto e ciò che avrebbe voluto fare.

Probabilmente avrebbe dovuto rimettere in moto, tornarsene a casa e dormirci su.

Ma quello che avrebbe voluto fare, era precipitarsi davanti alla porta di Kurt, aspettare che lui gli aprisse e dirgli “Ti amo”, così, senza pensarci. O forse baciarlo e basta, come aveva desiderato fare da Breadstix.

Guardò l’orologio che aveva al polso: erano quasi le due di notte, un orario a dir poco indecente per andare a casa di qualcuno.

Ma l’amore che provava gli disse di aprire lo sportello, e Blaine lo fece.

Poi gli disse di chiuderlo piano, per non fare rumore, e Blaine lo fece.

Gli disse di camminare sul marciapiede fino a raggiungere le siepi che lo separavano dal giardino di Kurt, lievemente illuminato dalla luce della finestra che a quanto pareva era la sua, e Blaine lo fece.

Gli disse di scostare le fronde per vedere chi ci fosse al di là di quel vetro, e Blaine lo fece.

Intravide Kurt che si voltava verso l’esterno, verso di lui, e si tirò indietro d’istinto lasciando che il cespuglio lo coprisse nuovamente.

Ci fu un attimo in cui tutto tacque, ma l’amore che provava disse a Blaine che Kurt aveva appena sospirato e lui decise di crederci.

Non fece in tempo a riaffiorare dalla siepe che la luce della finestra si era già spenta.

 

* * *

 

“Io continuo a non capire” esordì Colin mentre guidava verso il McKinley, la mattina dopo (era il suo turno di guidare all’andata quel giorno).

Kurt si voltò verso di lui con aria pigra e assonnata – come previsto, aveva dormito a tratti per un totale di due ore – cercando di non sbadigliare, per non rovinare la serietà della cosa che stava per dire.

O almeno, intuì che sarebbe stata seria dall’espressione stranamente concentrata di suo fratello sulla strada, cosa piuttosto inusuale. Una volta aveva dovuto pregarlo di smetterla di mangiare patatine in macchina visto che stava tenendo il volante con i gomiti.

Colin sbirciò leggermente verso di lui, evidentemente pensando che avrebbe risposto.

“Sto aspettando” disse Kurt, appoggiandosi al bordo del finestrino con il braccio e reggendosi la testa con il palmo.

“Beh, tanto per cominciare non capisco perché è venuto al McKinley ieri” iniziò Colin pensieroso. “Avevate litigato?”

“No” rispose Kurt, alzando la testa di scatto. Era stato così impegnato a sentirsi uno schifo da non chiedersi nemmeno una cosa così ovvia.

“E poi non capisco perché non è venuto ieri sera, insomma poteva sempre mandarti un messaggio per disdire. Lo faccio persino io, il che è tutto dire” concluse Colin.

“Forse era così arrabbiato che si è voluto vendicare, facendomi credere che sarebbe venuto. Lo trovo giusto” disse Kurt con aria assente, sperando che quella fosse davvero la verità, perché avrebbe preferito una stupida vendetta dettata dalla rabbia passeggera piuttosto che non sentire Blaine mai più, a causa di una profonda delusione. Quella che aveva visto nei suoi occhi e che sperava di aver travisato.

“Nah, non mi sembra il tipo da fare una cosa del genere” rispose Colin mentre entravano nel parcheggio della scuola, leggermente affollato di auto e di persone, per poi trovare uno spazio disponibile e posteggiare. Spense il motore e si tolse la cintura che Kurt lo aveva costretto a mettere.

“Già, neanche a-“ Kurt si interruppe.

Un ragazzo alto e massiccio, con indosso la giacca dei Titans, lo stava fissando con sguardo minaccioso a pochi passi di distanza, dove si era riunito con il suo solito gruppetto di giocatori di football.

Karofsky si era leggermente defilato dagli altri, intenti a scherzare tra loro con amichevoli pugni sulle spalle, e lo stava guardando come se lo volesse fulminare con lo sguardo.

Kurt pensò che, più che fulminarlo, lo avesse appena congelato.

“Kurt? Cosa stai guardando?” chiese Colin, e quando non ottenne risposta decise di seguire la traiettoria del suo sguardo terrorizzato fino ad arrivare a destinazione.

Kurt sentì un suono tra un sospiro e un grugnito, poi il rumore dello sportello che si apriva e si richiudeva e solo in quel momento realizzò che Colin aveva lasciato la macchina.

Si slacciò la cintura in tutta fretta e scese anche lui, raggiungendo suo fratello di corsa e afferrando la sua giacca da dietro.

“Fermati” gli sussurrò all’orecchio, cercando di non dare nell’occhio.

“Dammi un buon motivo per cui dovrei farlo” rispose Colin a denti stretti, le braccia lungo i fianchi e i pugni serrati. Karofsky li stava fissando, e lo sguardo non era svanito né era cambiato.

“Non ne vale la pena, è tutto a posto” rispose Kurt, tirandolo per costringerlo a voltarsi. Colin lo fece.

“Perché vuoi farmi ripetere che non puoi mentire con me? Basta, è deciso, gli spacco la faccia” disse Colin, facendo per voltarsi di nuovo.

“No! Colin, no, io- io andrò dal preside.”

Colin si fermò e aspettò che continuasse. Sapeva che l’avrebbe fatto.

“Andrò dal preside e gli dirò degli spintoni.”

“Promettimelo.”

“Promettimi che non ti metterai nei guai per me.”

Colin si voltò e i due si guardarono.

“Lo prometto” dissero in coro.

 



 

 

Hello there! Sono appena tornata! Vi risparmio la pantomima su quanto Londra sia meravigliosa e su quanto la mia vita sembri ancora più misera tornata in questo buco di città.

Sappiate che ho letto tutte le recensioni in macchina sulla via del ritorno, e che risponderò alle prossime come sempre, anzi scusate se non ho risposto a quelle precedenti! Vi adoro tutti, uno per uno, non sapete quanto mi faccia piacere leggere le vostre opinioni!

Ci sarà ancora un po' di angst come potrete capire - The Sidhe mi ha leggermente influenzato - but stay strong!

Baci a tutti, _hurricane

 

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Capitolo 17
*** The strongest one ***


 

Piccola nota: per quanto sia umanamente possibile, penso che dopo questo capitolo amerete Colin ancora di più. Just sayin'.

 

 

17 The strongest one

 

 

“Che cosa stai guardando?”

David si voltò. Il suo amico Azimio lo stava guardando con le braccia incrociate e un sopracciglio alzato, con aria vagamente inquisitoria.

“Niente.”

Azimio si puntellò sui piedi per alzarsi un po’ di più e scrutare al di là della sua testa.

“I fratelli Hummel, eh? Allora non sono l’unico che ha pensato all’incesto gay!” disse storcendo le labbra per il disgusto, mentre vedeva i due fratelli allontanarsi insieme.

“Incesto?!” chiese David leggermente sconvolto anche dalla sola idea che fosse possibile una cosa simile.

“E’ quando due persone imparentate fanno porcherie” rispose Azimio con fare saccente.

“Sì, lo so cos’è un incesto!” rispose David alzando le braccia al cielo.

“Bleah, come se non fosse già abbastanza disgustoso sapere che Fatina dagli Occhi Blu potrebbe guardarti il sedere mentre cammini” disse il suo amico, quasi parlando a se stesso. Scosse la testa con disapprovazione e si voltò, tornando a parlare con gli altri Titans.

“Sondaggio: chi di voi pensa che gli Hummel si diano da fare tra di loro?”

David rabbrividì e si allontanò in fretta per non sentire le risate dei suoi compagni di squadra.

 

* * *

 

“No Colin, non posso farlo.”

Kurt si fermò davanti alla porta del preside Figgins, suo fratello in piedi subito dietro di lui.

“Ma hai promesso.”

“Lo so, ma non posso… io… ho bisogno di lui” rispose Kurt, prima di voltarsi per incontrare il suo sguardo sorpreso.

“Oh” fu tutto quello che disse Colin. Rimasero in silenzio sulla porta per qualche secondo.

“Allora chiamalo” aggiunse all’improvviso.

“Sei pazzo? Probabilmente mi odia a morte” rispose Kurt abbassando la testa, cercando di combattere la convinzione crescente che invece avrebbe dovuto fare ciò che diceva Colin.

Sapeva che Blaine sarebbe subito accorso in suo aiuto, e proprio per questo non voleva chiamarlo. Non voleva approfittare di quanto fosse buono, gentile e onesto.

“Non credo che sia così,” – rispose suo fratello – “comunque resta il fatto che hai promesso. O lo fai adesso, senza di lui, o rimandi la cosa, ma non mi sentirei tranquillo e non so cosa potrei fare nel frattempo.”

“Colin, mi stava solo guardando, non fare il melodramm-“

Dio, Kurt, vuoi darci un taglio?!” quasi gridò Colin, noncurante dei ragazzi che passavano per il corridoio.

“Calmati” gli disse Kurt, vagamente allarmato dal suo improvviso cambio d’umore.

“Ho fatto finta” – disse Colin, moderando forzatamente il tono – “di non capire che c’era dell’altro, perché aspettavo che me ne parlassi, o che ne parlassi con Blaine. Ma ora la situazione è degenerata e non puoi fare affidamento su di lui, o meglio non vuoi. Perciò questo è quanto. Sputa il rospo.”

Kurt sospirò, frustrato. Suo fratello iniziava a diventare veramente irritante, visto che nell’ultimo periodo non faceva altro che dire la cosa giusta.

“Ti arrabbierai. Perderai il controllo. Ti conosco” disse guardandolo negli occhi, sperando che capisse e lasciasse perdere. Sospirò ancora di più quando capì di doverlo dire.

“Ha detto…” iniziò, prima che gli occhi gli si riempissero di lacrime.

“Kurt?” disse Colin allarmato, afferrandolo per le spalle. “Cosa? Ha detto cosa?”

Kurt chiuse gli occhi e poi li riaprì quando parlò.

“Che se lo dico a qualcuno mi ammazza.”

Vide gli occhi di Colin prima spalancarsi per lo shock, e poi restringersi per la furia accecante che lo travolse. Quella che lo coglieva sempre quando succedeva qualcosa che non poteva controllare, che lo faceva sentire incredibilmente frustrato e inutile.

La prima volta che Kurt aveva visto quella furia, ne era rimasto spaventato a tal punto da scoppiare a piangere lui stesso. Avevano sei anni, e lui era appena stato spinto da un bambino più grande, forse di otto, che non voleva che prendesse in mano il suo Action-Man perché “non era un giocattolo per femmine”.

Quel bambino, il primo di tanti, fu la causa che portò Colin a sviluppare un profondo senso di protezione nei suoi confronti, che se ai tempi dell’infanzia si era limitato a insulti o a fare la spia con le maestre dell’asilo, era ben presto diventato qualcosa di molto più fisico.

E quando un giorno, al parco, il bambino di turno aveva guardato Kurt con disprezzo mentre sistemava il suo piccolo servizio da tè di porcellana sul prato verde, Colin lo aveva scacciato in malo modo mentre osservava rapito suo fratello che disponeva i dolci meticolosamente sulla tovaglia quadrettata da pic-nic, e sua madre, seduta poco più in là intenta a leggere un libro, lo aveva guardato con gli occhi lucidi e gli aveva detto “Sono così fiera di te, Colin”.

Colin sapeva che Kurt non era in grado di difendersi, come sapeva anche che la meschinità di quei bambini probabilmente non li avrebbe abbandonati una volta diventati adulti. Così, quel giorno, aveva deciso che sarebbe stato quello più forte dei due.

Anni più tardi, decise di iscriversi a Kick-Boxing perché gli piaceva, ma segretamente anche perché i suoi muscoli apparivano ridicolmente più piccoli di quelli dei suoi compagni di squadra, che avevano iniziato a prendere di mira Kurt.

E in quel momento, in piedi ancora imbambolato davanti a suo fratello, Colin si disse che non era servito a niente.

Perché il mondo era rimasto uguale, le persone erano ancora subdole, e Kurt stava ancora soffrendo.

Ma stranamente, una calma, risoluta convinzione si impossessò di lui. Sapeva esattamente cosa fare, e questa volta non avrebbe usato i suoi pugni, per quanto desiderasse ardentemente farlo.

“Colin?” chiese Kurt, preoccupato dal suo silenzio e soprattutto dal fatto che non fosse già corso via gridando e smaniando per la testa di Karofsky.

“Non andare dal preside” sussurrò lui, lo sguardo assente, lasciando lentamente la presa dalle sue spalle.

“Ma hai detto-“

“Fidati di me. Non farò niente di quello che pensi” disse Colin, e Kurt acconsentì perché semplicemente non poteva fare altrimenti.

 

* * *

 

L’allenamento di football era finito, e i ragazzi stavano ormai lasciando lo spogliatoio dopo essersi fatti la doccia.

Colin si infilò le mutande da sotto l’asciugamano che aveva stretta intorno ai fianchi, i muscoli accentuati del petto ora visibili, ma quasi sempre nascosti dalle sue magliette dimesse e troppo grandi. Si rimise i jeans e la maglia e si guardò intorno, per capire quanti erano rimasti e quanti se n’erano già andati.

C’erano solo lui, Azimio e Karofsky.

La cosa doveva andare in modo leggermente diverso, ma era chiaro che i due ragazzi davanti a lui sarebbero usciti dallo spogliatoio insieme, e lui non poteva rimandare. Così decise di farlo ugualmente.

Si avvicinò a Karofsky con il petto in fuori e lo sguardo fiero, lasciando presagire il peggio.

“Com’è che siete sempre insieme voi due?” disse in tono beffardo, fermandosi a pochi centimetri da lui.

Azimio e Karofsky, intenti a riporre le divise sporche nei loro borsoni sulle panche bianche dello spogliatoio, alzarono lo sguardo con sorpresa. Solitamente Colin li evitava, visto che era risaputo che pensassero le cose più assurde su lui e Kurt. Sedare la sua voglia di prenderli a calci era più facile, se non li vedeva.

“Cos’è, tuo fratello ti ha mollato per Ricky Martin e tu ti senti solo, dolcezza?” chiese Azimio, sempre con la battuta pronta. Karofsky invece era stranamente silenzioso.

“E tu non dici niente?” disse Colin rivolgendosi a lui e ignorando palesemente il ragazzo di colore, che si sentì quasi offeso dalla sua indifferenza.

“Che cosa vuoi?” rispose lui in tono secco.

“Sapere che ti passa per la testa” disse Colin, avvicinandosi ancora di più. Karofsky non si ritrasse.

“Pensavo che la cosa fosse risolta dopo la nostra chiacchierata in bagno” disse.

Azimio guardò prima lui e poi Colin, essendo allo scuro della cosa, ma non disse nulla.

“Non direi” disse Colin, prima di spingerlo con tutte e due le mani contro l’armadietto.

Azimio scattò all’istante e fece altrettanto, ma a differenza sua lo tenne fermo contro l’armadietto del lato opposto, afferrandolo per la maglia, aspettando che il suo amico si rimettesse in piedi e lo raggiungesse. Colin non si dimenò, né disse nulla.

“Dai, dagli una lezione” disse Azimio sorridendo, continuando a guardare Colin negli occhi per incutergli terrore. Un terrore che non c’era affatto.

Karofsky sembrò esitare, e Colin notò che aveva l’aria stanca, quasi afflitta. La cosa non lo impietosì, comunque.

“Che c’è, non hai il coraggio?” disse con un sorriso persino più beffardo di quello di Azimio, che lo guardò un po’ sorpreso. Ovviamente non si domandò il perché di tanta audacia, visto che non gli interessava.

Karofsky grugnì, punto sul vivo, ma rimase in silenzio a guardarlo.

“Sei proprio una checca” disse Colin trattenendo una risata meschina.

Karofsky perse il controllo e lo colpì con un pugno allo zigomo.

“Andiamo” disse poi mentre si voltava esasperato.

Il ragazzo di colore lasciò la presa. Aspettò che Colin si accasciasse sul pavimento, poi gli sferrò un calcio allo stomaco e, ridendo, si diresse verso l’uscita al fianco del suo compagno di squadra.

Colin si portò le mani alla pancia, dolorante, e sorrise compiaciuto.

 

 


 

 

 ... e si, il particolare di Colin che si infila le mutande da sotto l'asciugamano era buttato lì giusto per arraparvi. AH, che subdola!

 

 

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Capitolo 18
*** For you ***


18 For you

 

Colin si alzò da terra lentamente, sentendo lo stomaco e lo zigomo pulsare per il dolore, ma non gli importava. Si accertò della presenza di sangue portandosi un indice alla guancia, e scoprì compiaciuto che c’era eccome.

Raccolse da terra il suo borsone per l’allenamento, si mise la tracolla in spalla e uscì dallo spogliatoio.

Una cheerleader alta, magra e con lisci capelli biondi stretti in una coda di cavallo era in piedi dall’altra parte del corridoio, appoggiata al muro come se fosse in attesa. Appena lo vide infatti scattò in piedi e gli venne incontro.

“Ehi Colin, sono rimasta qui ad aspettare come mi avevi detto! Stasera mi porti da Breadstix come promesso, vero?” disse con sguardo speranzoso, aprendosi in un ampio sorriso.

“Certo Brittany, ma prima dobbiamo fare un’ultima cosa” rispose Colin, gemendo quando il sorriso che tentò di fare di rimando gli fece pulsare ancora di più la ferita.

“Ti fa molto male?” disse lei, un po’ preoccupata.

“No, è tutto a posto… Piuttosto, li hai visti, non è vero?”

“Sì, sono appena usciti, dopo tutti gli altri della squadra. E Azimio ha detto qualcosa tipo ‘Io lo avrei colpito più forte’ o forse ‘Ho un debole per le torte’, secondo te-“

“Credo sia più plausibile la prima opzione, Brittany” rispose Colin alzando gli occhi al cielo.

Forse doveva scegliere una cheerleader più sveglia, ma l’ingenuità di Brittany era proprio quello che gli serviva. Nessuno avrebbe pensato che stesse mentendo.

Lei lo guardò un po’ assorta, probabilmente interrogandosi sul significato della parola “plausibile”, ma non fece in tempo a chiedere delucidazioni che una ragazza corpulenta con grandi occhiali da vista, con indosso un maglione a righe palesemente in contrasto con la gonna a balze a pallini, li raggiunse e li interruppe.

“La telecamera che ho messo in corridoio ha registrato tutto, ma per avere il nastro pretendo un’aggiunta del 10%, Hummel due” disse con un sopracciglio alzato, porgendo una mano a palmo aperto in attesa della sua ricompensa.

“D’accordo Lauren, ma ricorda che tu devi dire che la telecamera era lì da prima per un progetto scolastico” rispose Colin con aria soddisfatta.

Quando la ragazza si limitò ad annuire rassicurante, rimanendo con la mano aperta, lui scosse la testa esasperato e si chinò per aprire il borsone. Tirò fuori una confezione formato famiglia di Mars, Sneakers e altri snack altamente calorici e gliela porse.

“E’ un piacere fare affari con te. Dal preside tra cinque minuti?” disse lei, mentre se la metteva sotto braccio.

“Perfetto” rispose Colin annuendo e facendo cenno a Brittany di seguirlo.

 

* * *

 

“Brittany, indica su questa bambola il punto in cui Karofsky ha colpito Colin” disse la Sylvester, coach dei Cheerios, porgendole un inquietante pupazzo di pezza raffigurante, a grandi linee, lo stesso Colin.

Lui rabbrividì guardandolo, e soprattutto si domandò come la coach avesse fatto a rimediarne uno in così poco tempo, visto che erano nell’ufficio del preside Figgins da dieci minuti scarsi.

Brittany, come da copione, aveva detto di aver visto Karofsky uscire dallo spogliatoio insieme al suo amico che aveva detto “Io lo avrei colpito più forte” – che fosse vero o meno, importava poco – e subito dopo Colin, con lo zigomo sanguinante.

Lauren era accorsa prontamente in aiuto brandendo la cassetta, dicendo che si era dimenticata di aver lasciato una telecamera in corridoio per un progetto e di essere trasalita vedendo il ragazzo in quelle condizioni, premurandosi di denunciare subito la cosa.

Inutile dire che, ad un occhio più attento, la cosa sarebbe sembrata una coincidenza fin troppo fortunata. Ma i fatti parlavano chiaro: il resto della squadra aveva inequivocabilmente lasciato lo spogliatoio da tempo, e Colin non si era di certo tirato un pugno da solo.

E gli unici che avrebbero potuto cercare attenuanti dicendo che erano stati provocati, erano i diretti interessati. 

“Ma Sue, la ragazza non ha visto lo scontro vero e proprio,” - si intromise il preside Figgins da dietro la sua scrivania - “e poi mi sembra abbastanza palese che lo ha colpito allo zigomo.”

La Sylvester, seduta sul divanetto dell’ingresso accanto alla cheerleader, gli rivolse uno sguardo torvo.

“Vorresti forse che il duro lavoro sartoriale di venti bambini thailandesi sottopagati venisse sprecato? Ho ordinato una bambola di pezza per ognuno degli studenti e professori di questa scuola, e intendo farne buon uso!”

Colin, seduto di fronte alla scrivania mentre si teneva un impacco di ghiaccio sul viso, la guardò leggermente sconvolto.

Oh, ecco come faceva ad avere una sua bambola a portata di mano. Non potè fare a meno di immaginarla con un enorme spillo in mano mentre la torturava.

La Sylvester si accorse del suo sguardo tra il confuso e il terrorizzato e gli disse: “Beh, per te e il tuo clone ne ho una sola ovviamente, con i vestiti intercambiabili. Con la crisi economica bisogna risparmiare il più possibile, sai.”

Ignorando la sua espressione allibita, la donna continuò: “Allora, Brittany?”

La ragazza bionda fece finta di pensarci su – o forse lo fece davvero, pensò Colin – e poi premette l’indice sulla guancia della bambola, sotto l’occhio sinistro.

Figgins alzò le braccia al cielo con aria eloquente, ma la Sylvester lo ignorò e annunciò con tono solenne: “Bene, direi che è tutto molto chiaro. Proporrei una bella espulsione, per dare l’esempio.”

“Vorrei ricordarti che sono io il preside, Sue” rispose Figgins esasperato.

“Vorrei ricordarti che io ho voce in capitolo sia quando i miei Cheerios sono vittime di violenza, sia quando ne sono testimoni, perché potrebbero subire gravi traumi psicologici. E’ scritto nel mio contratto” rispose lei, alzandosi dal divano con l’intento di tirar fuori un foglio dal retro dei pantaloni della tuta.

“Ma lei non ha assistito allo scontro! Era in corridoio!” ripetè il preside sbattendo le mani sulla scrivania.

“Sì, ma è stato molto traumizzante” disse Brittany, facendo l’occhiolino a Colin.

Per fortuna il preside e la coach erano intenti a guardarsi l’un l’altro e non se ne accorsero, così come ignorarono lo strafalcione grammaticale della ragazza.

“Comunque,” – riprese Figgins, massaggiandosi le tempie – “direi che Sue ha ragione. Colin, sei libero di esporre denuncia, intanto noi provvederemo all’espulsione. Spero non ricapiti più e ti auguro una buona giornata.”

“Grazie Signor Preside” rispose Colin, accentuando volutamente la sua smorfia di sofferenza mentre sentiva la guancia praticamente intorpidita dal freddo dell’impacco.

Si alzò e si diresse verso l’uscita dell’ufficio, seguito da Brittany e Lauren.

 

* * *

 

Kurt era appoggiato allo sportello della macchina, ancora nel parcheggio, in attesa di suo fratello. Era abbastanza veloce a fare la doccia, perciò era sempre piuttosto puntuale nel raggiungerlo dopo aver finito l’allenamento.

Erano passati dieci minuti dal suo solito orario di arrivo, e Kurt si stava già preoccupando. L’espressione risoluta di Colin nel dirgli di non andare dal preside non diceva nulla di buono.

Si chiese improvvisamente se avesse fatto bene a fidarsi senza chiedere ulteriori spiegazioni, e stava già raccogliendo la tracolla per andare a cercarlo, quando lo vide apparire in lontananza.

Non appena Colin fu abbastanza vicino, Kurt sobbalzò.

“Colin, ma che hai fatto?! Avevi detto-“

“Che non avrei fatto niente di quello che pensavi” completò la frase Colin, incrociando le braccia.

“Beh, non direi!” sbottò Kurt, modificando subito la sua espressione arrabbiata in una preoccupata quando si soffermò sul livido.

“Perché, pensavi forse che mi sarei fatto dare un pugno per far espellere Karofsky?” chiese suo fratello sorridendo. Kurt indietreggiò.

“Tu… che hai fatto?! Ma, Col-“

“Ora è tutto risolto, e tu non devi nemmeno preoccuparti di raccontare a qualcuno quella brutta storia. Perfetto, no?” disse lui, iniziando a fare il giro dell’auto per sedersi al lato del passeggero. Al ritorno, toccava a Kurt guidare.

Si fermò a metà strada, davanti alla macchina, quando vide Kurt tremare leggermente.

“Tu… tu hai fatto questo… per me…” biascicò lui mentre lacrime iniziavano a rigargli il viso.

“Kurt, ti prego!” disse Colin roteando gli occhi e alzando le braccia.

“Ok, ok, la smetto” rispose Kurt tirando su col naso e asciugandosi gli occhi e le guance con la manica del maglione.

Aprì lo sportello e si sistemò sul sedile del guidatore, per poi richiuderlo.

“Colin?” disse prima di allacciarsi la cintura e mettere in moto.

“Sì?” disse suo fratello, seduto accanto a lui.

“Ti voglio bene.”

“Anch’io, Kurt.”

 

 


 


 Note di _hurricane:

Oh, Colin. E' normale avere una storia d'amore platonica con un personaggio inventato, per giunta inventato da me?!

Comunque, questa nota è qui per rassicurarvi su una cosa: l'assenza di Blaine. Mi rendo conto che sia alquanto sentita, e che possa sembrare strana in una storia Klaine, ma ho voluto dargli il tempo di "pensare" e ne ho approfittato per chiudere questa brutta storia.

Ma dal prossimo capitolo, Blaine is back!

Ed è così che Maria vi dice Ciao :D

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Capitolo 19
*** Meeting ***


19 Meeting


Una volta arrivato a casa, Colin disse a suo padre di essere stato coinvolto in una rissa nello spogliatoio a causa di una ragazza contesa, e di aver ricevuto un pugno mentre tentava di dividere due ragazzi. Kurt gli chiese silenziosamente scusa con gli occhi, mentre mangiava la sua cena dall’altro lato del tavolo.

Si sentiva improvvisamente più leggero al pensiero che la sua vita sarebbe tornata al suo briciolo di normalità, e non potè fare a meno di chiedersi che cosa avrebbe fatto se Colin non ci fosse stato. Se non fosse mai esistito.

Non gli era mai capitato di desiderare davvero che fosse così, ovviamente, ma si sa, i bambini sono spesso avidi di attenzione, affetto e considerazione, e una o due volte quella domanda era balenata nella sua mente.

Se Colin non ci fosse, la mamma preparerebbe pancakes in più per me?

Se Colin non ci fosse, papà chiederebbe a me di aiutarlo in officina?

Se Colin non ci fosse, a Natale i cugini giocherebbero con le mie bambole invece che con le sue macchinine?

Se Colin non ci fosse, Blaine starebbe insieme a me?

Oh. Blaine.

Ma quella non era certo colpa di Colin, come non lo era il resto delle cose che aveva pensato nel corso di quegli anni.

“Bene, io vi lascio, ho una signorina da portare a cena e… beh, sì, a cena” esordì Colin, che infatti si era seduto a tavola ma senza toccare cibo.

Burt gli lanciò uno sguardo eloquente e alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla.

“Chi?” chiese Kurt.

Lo domandava sempre, anche se il nome era irrilevante visto che non si trattava mai della stessa ragazza. Si era chiesto spesso che cosa avrebbe fatto suo fratello, una volta che le ragazze dei Cheerios fossero finite.

Sarebbe passato al Club di scenografia o a quello di scacchi?

“Brittany Pierce. Tu dovresti saperne qualcosa, Kurt” rispose Colin ammiccando, riferendosi al pietoso tentativo di Kurt di sembrare etero risalente all’anno passato. Kurt e Burt si guardarono e poi abbassarono gli occhi sui loro piatti.

“Sai, devo ricambiare un favore” aggiunse il ragazzo sorridendo.

Gli aveva raccontato a grandi linee, tornando verso casa, il suo piano geniale, ma non aveva detto come avrebbe ricompensato la cheerleader. Kurt si rilassò, sorrise e gli augurò una buona serata.

Prima di riprendere a spiluccare dal suo piatto e pensare a Blaine, di nuovo.

 

* * *

 

“Perché è un bravo ragazzo, perché è un bravo ragazzo, perché è un bravo ragazzoooo! Nessuno lo può negar!”

I Warblers intonarono in coro la canzone, stranamente senza strani e meccanici ticchettii di sottofondo, prima di brindare per il compleanno di uno dei loro componenti, David.

Era uno dei migliori amici di Blaine, l’unico oltre Wes ad essere a conoscenza del fatto che fosse uscito con Kurt un paio di volte. Ma Blaine era sempre piuttosto riservato, e non gli aveva parlato di quanto le cose si fossero complicate.

Aveva troppa paura che il suo amico, dando voce al buon senso che aveva perso, gli dicesse “Lascia perdere, non ne vale la pena” oppure “Sei uno stupido sentimentalista esagerato”. Perché in entrambi i casi non avrebbe saputo se essere d’accordo o meno, e la cosa lo avrebbe solo confuso ulteriormente lasciandogli la pulce nell’orecchio più di quanto non l’avesse già.

David gli diede una lieve spallata, essendo seduto accanto a lui, e lo invitò a brindare nuovamente.

“A noi!” disse con un ampio sorriso, mostrando i denti bianchissimi in contrasto con la pelle scura. Blaine gli sorrise e brindò.

Stava finendo di bere quando una figura all’ingresso del locale attirò la sua attenzione.

Alto, snello, pelle chiarissima, capelli perfettamente laccati, giacca di pelle nera, era di spalle e stava parlando con il dipendente all’ingresso per chiedere un tavolo, affiancato da una ragazza bionda. Fece un cenno d’assenso, si voltò per raggiungere quello assegnato e-

Oh.

Niente luce.

Era Colin.

Blaine si lasciò scappare un sospiro, non sapendo se considerarlo di sollievo o di frustrazione. David lo notò e seguì la traiettoria del suo sguardo assorto.

“Ehi, quello è il ragazzo di cui mi parlavi?” chiese con aria curiosa. “Ma è… con una ragazza!”

Blaine, già sovrappensiero, si destò e si voltò verso di lui.

“No, quello è il suo gemello” disse in tono di sufficienza, come se fosse scontato e David avesse dovuto capirlo subito.

“Il suo gemello etero, a quanto pare” aggiunse. Colin infatti non solo era con una ragazza, ma aveva anche un braccio intorno alle sue spalle.

All’improvviso sembrò illuminarsi, e alzò il viso dal palmo sul quale lo aveva appoggiato.

“Il suo gemello etero!” ripetè.

Il suo compagno lo guardò con aria confusa. “E… quindi?”

“Uh? No, niente, è solo… strano” rispose Blaine, già perso nei pensieri.

Non si era neanche posto la domanda, e se ne era appena reso conto. Non se lo era chiesto perché tanto non importava, visto che era già innamorato di Kurt.

Ora che lo aveva realizzato, si stava domandando: ma allora di che cosa aveva paura? Lui non lo avrebbe potuto scegliere comunque!

Oh, ecco cosa. Non avrebbe potuto. E Kurt non avrebbe mai saputo se lo avesse voluto.

All’improvviso, Blaine pensò a come si dovesse sentire. A quanto potesse essere stato umiliante per lui sapere che aveva tentato di flirtare con suo fratello.

Di sfuggita, e con esitazione, Kurt gli aveva detto per telefono che non aveva mai avuto un ragazzo. Blaine non aveva indagato oltre, sentendosi quasi onorato da quella fessura di verità, la sua tanto agognata verità, che Kurt gli aveva voluto concedere nonostante dovesse vergognarsene.

Così si rese conto che forse lui era per Kurt una speranza, più di quanto non lo fosse Kurt per lui.

La speranza di essere amato e capito per la prima volta, probabilmente contaminata da quello che era successo.

Prima che potesse alzarsi, lasciare i soldi sul tavolo e correre a prendere la macchina – perché lo avrebbe fatto – si accorse che anche Colin lo stava guardando.

Il ragazzo disse qualcosa alla biondina che era con lui, che annuì e andò a sedersi, e poi si diresse verso il suo tavolo con le mani nelle tasche e il passo sicuro.

Oh, era così poco Kurt, così diverso, così non lui, che Blaine fu ancora più certo di non poter avere dubbi.

“Ciao” gli disse Colin una volta raggiunto il tavolo.

I Warblers, fino a quel momento intenti a ridere e scambiarsi battute, si girarono tutti verso di lui come se l’avessero provato e poi verso Blaine. Sembrava stessero guardando un film d’azione in attesa del colpo di scena.

“Ciao” rispose Blaine, cercando di fare il disinvolto pur sapendo di essere lievemente osservato.

“Ti posso parlare?” chiese Colin, facendo un lieve cenno del capo verso l’uscita del ristorante. Blaine annuì e senza dire una parola si alzò per seguirlo.

Una volta nel parcheggio, sotto la luce fioca di uno dei lampioni che lo illuminavano, i due si fermarono. Fu Colin a parlare per primo, senza tanti convenevoli e andando dritto al punto.

“Perché eri al McKinley l’altra mattina?” chiese con un tono che a Blaine sembrò di accusa.

“Io… non so se te ne posso parlare…” disse esitante, non sapendo il grado reale di confidenza tra i fratelli.

“Che vuoi dire?” chiese Colin.

“Non so se Kurt ti ha parlato dei suoi… problemi a scuola” disse Blaine, cercando di mantenersi sul vago. Vide Colin illuminarsi.

“Oh… eri lì per Karofsky” disse, e non era una domanda. Blaine stava per dire di sì ugualmente, ma l’altro continuò: “E cosa volevi fare esattamente?”

“Beh, ecco… parlarci, credo” rispose grattandosi la nuca. Solo in quel momento si rese conto del livido sul volto di Colin e trasalì.

Il ragazzo se ne accorse, accennò una risata e disse: “Beh, come vedi non serve più. Comunque è bello che tu abbia avuto il pensiero.”

Blaine distolse lo sguardo dal livido per non sembrare impertinente, e chiese: “Ti ha chiesto Kurt di parlare con me? Per convincermi a chiarire?”

“No, lui… non mi parla molto di te. O meglio, parlava di te finchè si trattava di elencare i tuoi milioni di pregi, ma ultimamente devo cavargli le cose di bocca con le pinze.”

Blaine non potè fare a meno di arrossire lievemente al pensiero di un Kurt entusiasta che parlava bene di lui. Ma tornò alla realtà quando Colin, ignorando la sua aria assorta, continuò: “Però, se posso dirti una cosa… se vuoi chiudere con lui, fallo. Non tenerlo sulle spine in questo modo. Mi rendo conto che ti senti preso in giro, probabilmente da entrambi perché la colpa è anche mia, avendolo assecondato, ma l’altra sera… non è stato bello non presentarsi senza avvertire. Persino io disdico gli appuntamenti, e non sono esattamente un modello di onestà.”

Blaine rimase a fissarlo, facendosi interiormente sempre più piccolo a causa di quel rimprovero. Il punto è che lui si era presentato, ma il tempo gli era sfuggito di mano. Il tempo e i suoi pensieri.

“Io… sono solo un po’ confuso” rispose, non sapendo che altro dire. Quel ragazzo non sembrava esattamente la persona ideale con cui condividere i suoi profondi sentimenti.

“Oh” disse Colin, ritraendosi leggermente con un’aria tra l’allarmato e il pensieroso.

Blaine inclinò il capo e chiese: “Che ho detto?”

“Beh amico, pensavo che Kurt te lo avesse detto… sai, ecco, altra squadra” disse alzando le braccia, come per creare una barriera tra loro.

Blaine roteò gli occhi. “Non in quel senso! E’ solo che… non so che cosa dirgli.”

“Un bel ‘Ti amo, sposiamoci e adottiamo tanti bambini sudafricani’ andrà più che bene” rispose Colin sogghignando.

“Sei sempre così irritante o sono solo molto fortunato?” esplose Blaine. Non riusciva a credere di aver puntato anche solo per un attimo un ragazzo così arrogante.

“E’ un dono di natura,” – disse Colin con tranquillità, per niente toccato dall’offesa – “comunque io tornerei dalla mia bella cheerleader adesso. E se ti interessa saperlo… Kurt è a casa in questo momento.”

Detto ciò, si voltò e tornò all’interno del ristorante.

Blaine fissò lui, poi i suoi compagni di scuola che si intravedevano dalle ampie vetrate, e poi ancora la sua auto parcheggiata.

Sospirò pesantemente, quasi riempiendo l’aria dell’ansia che si portava nel cuore, e si incamminò per tornare al suo tavolo.

 


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Capitolo 20
*** The moment ***


20 The moment

 

“Credo che me ne andrò a letto” disse il padre di Kurt, seduto insieme a lui sul divano a guardare un noioso talk show televisivo da quasi un’ora.

“Va bene, io resto qui ancora un po’” rispose il figlio, prendendo il telecomando dal bracciolo per cambiare canale con aria svogliata.

Non appena Burt ebbe oltrepassato la porta del salotto per raggiungere la sua camera da letto, Kurt si lasciò sprofondare sul cuscino del divano e sospirò.

Il palinsesto televisivo era sempre stato così noioso, o era la mancanza delle sue telefonate del dopocena con Blaine a farlo sembrare tale?

La mancanza della sua voce calda, avvolgente e rassicurante persino dall’altra parte di un telefono, il suo divertimento quando veniva coinvolto nella scelta degli abbinamenti di colore per il suo outfit, il suo sincero interesse nell’ascoltarlo parlare dei vari intrecci amorosi del Glee Club, la sua comprensione quando gli diceva che avrebbe voluto cantare un assolo, ma che il professor Schuester non glielo avrebbe permesso.

A Kurt mancava già tutto di Blaine, e il bello è che non lo aveva mai avuto. Non era suo, allora perché pretendeva di poter risentire quella voce come se gli fosse dovuto? Perché scattava al minimo rumore che potesse somigliare a quello di un telefono? Perché guardava fuori dalla finestra, scrutando l’oscurità, sperando di vederlo apparire da un momento all’altro?

E proprio nell’istante in cui guardò, per quella che era forse la quinta volta, fuori dalla finestra, vide qualcosa. Una macchina aveva appena parcheggiato dall’altro lato della strada, poi le luci si erano spente e non era sceso nessuno.

Kurt si alzò dal divano, il cuore che martellava nel petto, e raggiunse il vetro per premervi il viso contro.

Strinse gli occhi per osservare meglio, e quando capì di chi si trattava, corse alla porta d’ingresso e uscì in strada.

 

* * *

 

Nel breve tratto che separava la porta principale di Breadstix dal tavolo dei Warblers, Blaine decise che ne aveva avuto abbastanza. Due giorni potevano essere considerati una buona punizione per Kurt, e di certo lo erano stati per lui.

Due giorni senza la sua voce squillante e piena di vita dall’altra parte del telefono, senza la certezza di poterlo sentire a fine giornata che lo accompagnava ogni minuto, rassicurandolo quando qualcosa andava storto e rallegrandolo ancora di più quando accadeva qualcosa di bello, perché sapeva che gliela avrebbe potuta raccontare, così come sapeva che Kurt avrebbe sinceramente gioito con lui, di qualunque cosa si trattasse.

A Blaine mancava l’entusiasmo di Kurt nello scegliere i vestiti al telefono, la passione che infondeva al suo racconto quando parlava delle coppie del Glee Club, lasciandosi andare a commenti pungenti e sarcastici che glielo facevano amare ancora di più.

Gli mancava la sua voglia di ottenere il posto meritato sulla scena, il desiderio di brillare e di essere visto dagli altri come la persona speciale che era.

Così decise che se erano bastati solo due giorni a farglielo mancare così tanto, doveva pur voler dire qualcosa.

Salutò David e il resto dei Warblers, scusandosi per doversene andare via in anticipo, e tornò nel parcheggio per salire in macchina.

Una volta arrivato davanti casa di Kurt, spense il motore e rimase a fissarla per qualche secondo. Non appena vide un movimento, una figura sfrecciare da quello che doveva essere il salotto – poteva riconoscere la luce della tv riflessa sui muri interni – verso la porta, spalancò lo sportello e uscì dalla macchina, in strada.

I due rimasero fermi dov’erano, Kurt sull’ingresso, sotto il portico, e Blaine a pochi passi dalla sua auto. Si guardarono negli occhi per un minuto interminabile.

Fu un istante, impercettibile per chiunque altro ma non per Blaine: l’istante in cui tutto cambiò.

Sentì nascere dentro di sé quella voglia incontrollabile che aveva provato da Breadstix alla loro prima uscita, che sembrava già così lontana, quel desiderio profondo di scoprire che sapore avessero le labbra di Kurt e che cosa si provasse a poterle baciare anche solo per un attimo.

Come se avesse potuto tirarsi indietro, una volta assaggiate.

Chiuse gli occhi, e quando li riaprì si rese conto di non poter più resistere. Perché quella voglia di unirsi a lui in un modo tanto intimo, di poter dire e pensare “Sei mio”, di stringerlo e baciarlo, di colpo annientò tutti i suoi dubbi e quel briciolo di rancore che si portava dentro.

Annullò tutte le sue domande, e a qualcuna diede anche una risposta.

Perché Kurt era lui.

 Era la persona che Blaine aveva sempre aspettato, nonostante gli avesse mentito.

In quell’istante, la verità che tanto amava perse il suo significato perché Blaine capì di amare Kurt di più.

 Capì che sprecare anche solo un altro attimo sarebbe stato un sacrilegio, perché era tutto lì. Non c’era più nessuno da cercare, nessuno spiraglio da trovare, nient’altro da capire. C’era solo qualche metro da colmare.

Attraversò la strada a grandi passi, i pugni serrati per l’agitazione al solo pensiero di ciò che stava per fare e il cuore pronto ad esplodere da un momento all’altro per l’amore che non riusciva più a contenere.

Con sua sorpresa, vide Kurt scendere gli scalini del portico di gran fretta e camminare verso di lui.

Si scontrarono a metà strada, sul marciapiede davanti casa Hummel; Blaine prese il viso di Kurt tra le mani, con decisione eppure con cura e delicatezza insieme, e lo baciò.

E si baciarono.

Perché Kurt non si tirò indietro, né si sorprese. Nel momento stesso in cui aveva visto Blaine iniziare a camminare verso di lui, aveva letto nel suo sguardo la sua intenzione e non aveva provato paura. Non aveva desiderato scappare via, o rinchiudersi in un bagno.

L’unica cosa che sentì quando immaginò le loro labbra incontrarsi, fu la curiosità di sapere come fosse baciare davvero, come nei film, le dita intrecciate ai capelli dell’altro e i corpi fusi insieme in un momento magico.

Ma non si era mai aspettato che potesse essere così. Dolce all’inizio, le mani di Blaine che avvolgevano le sue guance in un modo che gli tolse il fiato, le loro labbra premute le une sulle altre in un bacio dapprima casto ed esitante.

Ma Blaine aveva appena assaggiato le sue labbra, e sì, avevano proprio il sapore che pensava, di miele, fragole, di vento fresco d’estate, di pioggia lieve sulla pelle. Il sapore di tutto quello che c’era di buono nel mondo.

Il secondo del quale credeva di potersi accontentare ormai era passato, e Blaine era totalmente inebriato da quell’insieme di sensazioni e profumi, che gli era impossibile staccarsi.

Così fece tutto l’opposto: si avvicinò di più. Spostò le mani dietro la nuca di Kurt e lo spinse verso di sé, ed era la cosa più irruenta che avesse mai fatto: probabilmente se ne sarebbe pentito, ma in quel momento non gli importava.

Kurt alzò le braccia, fino a quel momento tenute penzoloni lungo i fianchi, e le portò dietro la testa di Blaine per accarezzare i suoi ricci neri, purtroppo leggermente fatti di gel a causa della ricorrenza del compleanno al quale aveva partecipato.

Si diedero qualche altro bacio sulle labbra, facendole schioccare, prima che tutto diventasse più passionale. Prima che le loro lingue si cercassero e si trovassero nello stesso istante.

Kurt pensò di essere nato per baciare Blaine. Forse soltanto cantare gli riusciva così naturale.

Credeva che sarebbe stato impacciato e maldestro, invece era come se sapesse esattamente cosa fare, anche se non era così. Era come se le sue labbra si muovessero indipendentemente dal suo controllo e dalla sua volontà, cercando quelle di Blaine per catturarle ancora e ancora, e gli sembrò di non poter essere mai in grado di smettere.

Gli sembrò tutto al posto giusto, per la prima volta nella sua vita. 

Fu come rendersi improvvisamente conto di essere stato solo la metà di qualcosa, per poi trovare l’altra e lasciarla combaciare.

 

* * *

 

Kurt e Blaine stavano ancora “combaciando”, quando due ampi coni di luce probabilmente provenienti dai fari di un’auto li investirono, facendoli ritrarre d’istinto e poi schermarsi gli occhi con le braccia.

Una macchina a dir poco familiare infatti accostò sulla strada accanto al marciapiede dove stavano in piedi. Kurt arrossì violentemente quando riconobbe suo fratello alla guida.

Lui abbassò il finestrino con disinvoltura e si protese per rivolgergli la parola, quasi scavalcando Brittany che era seduta accanto a lui.

“Ciao Blaine, vedo che non hai perso tempo!” disse con il suo sorriso migliore, o peggiore, a seconda delle circostanze. Certamente era il sorriso più compiaciuto, malizioso e irriverente che fosse in grado di fare.

Blaine rispose con un semplice “Ciao Colin”, e Kurt gli corse prontamente in aiuto chiedendo: “Cosa ci fai già a casa? Ci mettete così poco a mangiare?”

Il sorrisetto di Colin aumentò vistosamente.

“Beh, diciamo che non avevamo più voglia di mangiare. Vero, Brittany?”

“Eh già,” – rispose la biondina, sporgendo la testa fuori dal finestrino per rivolgersi a Kurt – “e poi volevo vedere se Colin è uguale a te anche nel modo di baciare, Kurt.”

Calò un silenzio così imbarazzante che la parola “imbarazzante” non avrebbe reso l’idea.

Blaine si girò sconcertato verso Kurt, e lui fece altrettanto, mascherando un’aria vagamente colpevole.

“E-ecco, io… l’anno scorso… era solo per, uhm, sperimentare” concluse, rosso come un peperone.

“Sta tranquillo Blaine, Kurtie-Bear è assolutamente puro e illibato” disse Colin con l’intento di rassicurare Blaine, senza preoccuparsi tanto di far desiderare a suo fratello di scomparire nelle viscere più profonde della terra.

Prima che qualcun altro potesse dire nulla, continuò: “Brittany, scendi e aspettami mentre io metto la macchina in garage, ok? E Kurt… potresti, ecco… fare una bella passeggiata? Vorrei tanto mostrare a Brittany la nostra stanza.”

“Ma sono già le undici, e dovrei cambiarmi” rispose Kurt indignato.

“Kurt” disse semplicemente Colin, alzando un sopracciglio mentre la bionda scendeva come le era stato chiesto.

“In realtà, credo che voglia fare sesso con me!” sussurrò la cheerleader all’orecchio di Kurt una volta richiusa la portiera.

Kurt sbiancò letteralmente e balbettò un “Oh! Cavolo, cioè, fantastico, io-“

“Facciamo una passeggiata, Kurt” lo salvò Blaine poggiandogli una mano sulla spalla, facendogli capire con lo sguardo che non intendeva solo permettere a Colin di mostrare a Brittany la sua collezione segreta di farfalle, ma molto probabilmente parlare, o…

Beh, o riprendere da dove erano stati interrotti.

 

 


 

 

Note di _hurricane:

Allora, questa nota è piuttosto necessaria perchè sento il bisogno di "spiegare" alcune cose. Il fatto è che la mia idea iniziale era fare in modo che Kurt e Blaine parlassero. Sul serio, ci ho provato, lo giuro. Ma niente. Non è uscito fuori niente.

Solitamente parto con un'idea iniziale per un capitolo, che a poco a poco si sviluppa e cambia quasi da sola, indipendentemente dalla mia volontà. Perciò ho pensato: "Ok, inizio a scriverlo, li faccio incontrare davanti casa, e qualcosa verrà fuori."

E non voglio che pensiate che ci ho messo il bacio per "colmare questa mancanza", perchè davvero, non è così. Non lo avrei fatto. Sarei rimasta ore a guardare lo schermo piuttosto che scrivere qualcosa che non sentivo.

Mi prenderete per pazza per quello che sto per dire, ma il fatto è che il bacio è praticamente venuto fuori "da solo". Cioè, Kurt e Blaine erano lì, io riuscivo a immaginarli - lo faccio sempre, altrimenti non riesco a scrivere! - e l'unica cosa che continuava a passarmi per la mente era questa. 

Cosa che mi è successa anche per un'altra scena, mooolto in là nella storia, che ovviamente non vi dirò, ahah :D

Mi rendo conto che potrà essere strano visto che Blaine era incazzato nero, ma non posso farci niente! Vi assicuro comunque che parleranno, direi che è anche giusto. Ma questa scena, condivisibile o meno... doveva andare così. Semplicemente.

Spero davvero che vi sia piaciuta :)

E grazie a tutti quanti, che state sopportando i miei continui cliffhangers! Siete fantastici!

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Capitolo 21
*** Everything about me ***


21 Everything about me

 

Dopo aver salutato Colin e Brittany, e dopo che Kurt ebbe intimato sottovoce a suo fratello di stare alla larga dal suo letto, lui e Blaine iniziarono la loro passeggiata lungo le strade semi-illuminate di Lima.

Camminarono per quasi dieci minuti in silenzio, entrambi fintamente rapiti dalle foglie autunnali lungo i marciapiedi, dagli alberi curati davanti alle case, dal cielo limpido pieno di stelle.

Alla prima panchina disponibile, Blaine esordì dicendo semplicemente: “Sediamoci.”

Kurt si sedette, e dopo che Blaine ebbe fatto lo stesso disse: “Blaine, mi dispiace tanto, non avrei dovuto farlo.”

“Intendi… baciarmi?” - O lasciarti baciare, per l’esattezza, pensò Blaine.

Kurt abbozzò un sorriso. “No, intendo mentirti.”

“Oh. Beh, sì. E’ vero” confermò lui, ricambiando quel timido sorriso.

Si rese conto che era finita. La battaglia era stata definitivamente persa, tanto valeva abbandonare le armi.

Più diceva a se stesso “Beh? Tutto qui? Non hai niente da dire? Non sei più arrabbiato?” più si rendeva conto che sì, era tutto lì, e che no, non aveva niente da dire.

Niente che non fosse “Ti amo, Kurt” o “Sei fantastico, Kurt”.

Ma Blaine non lo disse. Sapeva che era troppo presto, così come sapeva che spiegare a Kurt della luce che gli vedeva negli occhi lo avrebbe fatto sembrare una persona superficiale, che si innamora di una cosa apparente, esteriore.

Certo, per lui non era così, ma gli sembrava impossibile pensare di essere in grado di spiegarlo, di rendere credibile con le parole qualcosa che andava al di là delle parole stesse.

Così rimase in silenzio, chiedendosi silenziosamente come sarebbero andate le cose da quel giorno in poi.

Quel bacio aveva cambiato tutto in un modo che non aveva programmato, ed era avvenuto tutto così in fretta che entrambi erano ancora troppo presi dal turbinio degli eventi per ragionare lucidamente.

“Io spero… spero che potremo continuare a vederci” disse timidamente Kurt, quasi in un sussurro.

“Beh, non ti avrei baciato se avessi pensato il contrario, non credi?” chiese Blaine, quasi divertito da tanta insicurezza.

“No, immagino di no” rispose Kurt incrociando il suo sguardo per la prima volta da quando avevano iniziato la passeggiata.

“E non ti bacerei adesso.”

Blaine avvicinò il viso a quello di Kurt, ma sentì una mano poggiata sul suo petto, come per respingerlo.

“Aspetta” disse Kurt a bassa voce, ad un centimetro dalle sue labbra. “Voglio fare una cosa prima.”

“Che cosa?”

“Dirti la verità. Voglio che tu sappia tutto di me, Blaine. Niente più bugie, mai più” rispose Kurt.

Blaine lo guardò negli occhi, e gli sembrò di essere morto e finito direttamente in Paradiso senza neanche dover soffrire.

E ancora una volta pensò Oh, eccoti, ma questa volta lo fece con l’assoluta certezza che era vero.

Kurt si aprì a lui completamente in un modo che non aveva mai fatto, e più parlava, più si rendeva conto di quanto era stato stupido a pensare di non doverlo fare.

Gli raccontò della sua infanzia, del rapporto speciale che lui e Colin avevano con la loro mamma, dei bambini che lo isolavano e delle bambine che lo additavano e di Colin che lo difendeva sempre a spada tratta, anche a costo di perdere qualche amico lungo la strada, perché lui era “quello col fratellino strano”.

Gli raccontò dei Natali sereni passati in famiglia, i migliori dei quali erano quelli in assenza di zie inopportune, quando poteva ricevere dai suoi genitori i regali più strani senza doversi vergognare.

Gli raccontò di quando sua madre morì, di come lui e Colin, troppo piccoli per rendersi conto che la vita era fatta così, che le persone morivano pur non meritandolo e che quelli che rimanevano dovevano andare avanti con la loro vita, per un po’ di tempo non si parlarono nemmeno.

Di come ognuno di loro si chiuse in se stesso, nel dolore e nel ricordo di qualcosa che non sarebbe mai più tornato, troppo spaventato di condividerlo con l’altro perché non avrebbe fatto altro che aumentare il dolore.

Gli raccontò di come una notte Colin lo sentì piangere nel sonno e sgattaiolò nel suo letto, e lui fece finta di continuare a dormire per non dover ammettere di aver sperato che lo facesse anche tutte le notti precedenti, ma non potè fare a meno di sorridere ad occhi chiusi.

Raccontò a Blaine di quanto fu difficile per loro diventare adolescenti e far coesistere i loro hobby, come  la fissa per i giochi di ruolo online di Colin e la sua necessità di passare ore davanti al computer per aggiudicarsi i vestiti migliori ai prezzi più stracciati sulle aste di eBay.

Di quante volte litigarono, Colin sbattendo rumorosamente la porta per rintanarsi in camera e sfogarsi con la sua chitarra elettrica e Kurt andando a piangere in bagno, perché gli amici di Colin non volevano averlo intorno per paura che “gli saltasse addosso” e Colin non lo aveva difeso come avrebbe dovuto.

E poi gli raccontò di suo padre, di quanto lui fosse terrorizzato di non andare bene perché Colin faceva Kick-Boxing, guardava le partite di football stravaccato sul divano come uno scaricatore di porto, se ne intendeva di automobili e usciva con le ragazze.

E poi del liceo, di quanto si sentisse al sicuro nel Glee Club, di quanto fosse certo che quello era il suo posto nonostante tutti i problemi, i litigi, le incomprensioni e la megalomania quasi patologica di Rachel, e di quanto David Karofsky avesse fatto vacillare quel precario equilibrio che era riuscito a crearsi intorno, fragile come un castello di carta.

E alla fine, gli disse che quel castello era rimasto in piedi grazie a lui.

“A me?” chiese Blaine, che era rimasto zitto per tutto il tempo guardando Kurt con occhi sognanti, beandosi di tutte quelle preziose informazioni e crogiolandosi nella certezza di essere forse l’unica persona al mondo a conoscerle.

“Ma hai detto che Colin ha-“

“Sì, Colin si è beccato un pugno solo per me. Ma Blaine, se tu non ci fossi stato io non so che cosa avrei fatto. Tu… tu mi capisci. Non so bene come spiegarlo, è come se mi fosse sempre mancato qualcosa. Qualcuno. E io credo… credo che quel qualcuno sia tu.”

“Lo spero tanto, Kurt. Perché tu sei esattamente questo per me” rispose Blaine, allungando una mano per poggiarla sulla sua guancia.

Kurt sorrise e sospirò insieme. Era la sensazione più bella del mondo.

“Ora puoi baciarmi, se ti va” disse, non nascondendo un pizzico di imbarazzo che traspariva dalle sue guance.

“Non credi che dovrei… ricambiare il favore?” chiese Blaine, aggrottando le sopracciglia.

“Non sei obbligato.”

No, non lo era. Ma questo non gli impedì di farlo ugualmente.

Così anche Blaine raccontò.

Di quando si era reso conto che qualcosa non andava, perché pur essendo molto affezionato al suo compagno di banco delle medie, non era normale guardargli la mano, impegnata a scrivere sul quaderno di matematica, e sperare di poterla stringere tra le dita.

Di quando lo aveva detto a sua madre, che aveva sminuito la cosa dicendo “Non è niente, può succedere quando tieni molto ad una persona” pur avendo già capito tutto, e a suo padre, che a poco a poco lo aveva escluso dalla sua vita.

Di quando quella sera, quella fatidica sera, era stato pestato dai bulli perché aveva invitato quello stesso compagno di banco, rimasto suo amico fino a quel momento, al ballo della scuola.

Gli raccontò di come le parole gli avessero fatto più male dei calci, bruciando sulla pelle come se quei ragazzi gliele volessero marchiare a fuoco addosso.

Di quando il suo amico gli aveva detto che era tutta colpa sua e che non gli avrebbe mai più parlato, facendolo sentire ancora più sporco e colpevole soltanto per aver capito esattamente chi era e per averlo voluto dire a tutti, senza paura.

Poi gli raccontò di quanto le cose fossero migliorate una volta trasferitosi alla Dalton, dopo che le ferite esterne furono guarite e quelle interne un po’ meno, perché lì si era sentito apprezzato e giusto per la prima volta nella sua vita, ma allo stesso tempo terribilmente codardo per essersene andato.

Perchè quelle parole così meschine continuavano a rimbombargli nella testa e bruciare, tanto da farlo quasi impazzire.

A quel punto abbassò lo sguardo, così Kurt gli prese il mento e gli disse: “Blaine, non sei un codardo. Io mi sarei trasferito in un altro Stato, probabilmente. Mi sento così stupido, chissà cosa devi aver pensato quando ho fatto tutte quelle storie su Karofsky, mentre tu hai-“

“Kurt” disse Blaine, poggiandogli un indice sulle labbra. “Non è una gara. Non c’è più o meno dolore, più o meno umiliazione, e quello che Karofsky ha fatto non è meno grave di quello che è successo a me. Ti ha rubato una cosa preziosa. Non sai quanto mi faccia arrabbiare sapere di non potertela restituire.”

“Ma lo hai già fatto,” rispose Kurt, spostando il suo dito con gentilezza e conducendo le loro mani sulle sue gambe, prima di intrecciare le dita a quelle di Blaine, “perché quello di oggi sarà sempre il mio primo vero bacio.”

Blaine sorrise, così tanto da illuminare il buio della notte.

“Il primo di tanti” disse prima di colmare la distanza tra i loro volti.

 

 

 

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Capitolo 22
*** My boyfriend ***


22 My boyfriend

 

 

Fu strano come le cose cambiarono, senza tante parole.

Beh, in realtà di parole ce ne furono eccome: Kurt e Blaine parlarono praticamente per ore, tanto che ad un certo punto la madre di Blaine lo chiamò al cellulare chiedendogli se fosse andato fino in Guatemala per restituire la cravatta al suo compagno di scuola.

Ma nessuno dei due ammise ad alta voce che niente era più come prima. Che aprirsi in un modo così profondo era stato bellissimo e li aveva lasciati avvolti da un’incredibile sensazione di sicurezza, invece che dalla paura di essere ingannati o traditi dall’altro.

Nessuno dei due disse che poteva significare soltanto una cosa.

Così rimasero ignari di amarsi già in un modo incomprensibile per chiunque altro, ma forse non era poi così importante.

Perché adesso Kurt era di Blaine, e Blaine era di Kurt.

E ad entrambi, tanto bastava.

 

* * *

 

Passò una settimana, fatta di telefonate sempre più dolci e sporadiche uscite romantiche: Blaine tornava a casa esausto la sera, e Kurt era sempre più preso dalla scaletta per le provinciali adesso che non aveva altri problemi per la testa.

Adesso che tutto sembrava andare, finalmente, per il verso giusto.

Una sera, Kurt chiese a Blaine se avesse voglia di conoscere i ragazzi del Glee, e lui accettò.

Essere presentato ufficialmente come “ragazzo di Kurt” davanti ai suoi più cari amici sarebbe stato un modo fantastico di entrare a pieno titolo nel suo mondo, che conosceva soltanto tramite i suoi racconti a fine giornata. Senza contare che era davvero curioso di scoprire che tipi fossero.

Si incontrarono tutti da Breadstix, anche se lui avrebbe preferito qualcosa di meno formale, ma era l’unico posto sufficientemente carino dove si potesse mangiare grissini a oltranza e avere una piacevole conversazione allo stesso tempo.

Blaine andò a prendere Kurt a casa, ma ovviamente lo trovò in ritardo. Gli aprì la porta con aria concitata, il papillon ancora da allacciare e i capelli senza lacca – erano bellissimi, ovviamente – che gli ondeggiavano sulla testa mentre farfugliava qualcosa come: “Giuro, ci sono quasi, siediti lì, arrivo, sono pronto, un secondo solo!”

Blaine lo osservò divertito e poi girò la testa verso il punto che Kurt gli aveva indicato per aspettarlo.

Solo in quel momento vide suo padre seduto sul divano, che lo stava vagamente esaminando. Deglutì.

“Salve Signor Hummel, è un piacere conoscerla” disse avvicinandosi e tendendo una mano verso di lui.

Burt gliela strinse e rispose soltanto: “Piacere mio.”

Blaine prese posto accanto a lui e si sistemò il colletto della camicia, pensando che in quella casa dovesse fare davvero caldo.

“Possiamo andare Blaine!”

“Ciao Colin” disse Blaine senza battere ciglio, prima di voltarsi al di là del divano e trovarlo in piedi, le braccia incrociate al petto, con un sorriso compiaciuto che svanì all’istante.

“Ma come cavolo-“

“Stupido!” esordì Kurt spuntando dalla porta che conduceva alla scala di accesso alla loro stanza, prima di avvicinarsi a lui e dargli una gomitata al fianco.

Tutti quanti risero, e fu come se la tensione e l’imbarazzo si fossero magicamente dissolti. Burt infatti sembrò rilassarsi all’istante, e si rivolse a Blaine in tono affettuoso dicendogli: “E’ proprio come dice Kurt, sei straordinario!”

“Papà!” si lagnò Kurt, imbarazzato.

“Che ho detto?!” chiese suo padre, sinceramente ignaro della risposta.

“Lascia stare… comunque ora dobbiamo andare, non è vero, Blaine?”

“Ma io mi sto divertendo tanto” rispose Blaine, trattenendo un ghigno divertito. Vedere Kurt arrossire non aveva prezzo, era fantastico.

Quando Kurt lo guardò alzando un sopracciglio e si incrociò le braccia al petto, Blaine non potè più fare a meno di ridere, notando che Colin era nella stessa identica posizione accanto a lui.

I due gemelli si guardarono e si portarono le braccia lungo i fianchi nello stesso momento, finendo per provocare risate ancora più alte, anche da parte di Burt.

“Ok, andiamo” disse infine Blaine, dopo aver smesso di ridere.

Si avviarono insieme alla porta, dopo che Blaine ebbe salutato con cordialità sia suo padre che suo fratello.

“E’ perfetto” disse Burt sottovoce, abbozzando un sorriso.

"Lo so" rispose Colin.

 

* * *

 

I ragazzi del Glee Club furono tutti gentili con Blaine. Era evidente che sapere che Kurt avesse finalmente trovato qualcuno li riempiva di gioia, e nessuno di loro sembrava minimamente intenzionato a nasconderla.

Certo, ognuno la esprimeva a suo modo: Finn, il quarterback, era chiaramente uno di poche parole e si era limitato ad un “E’ davvero un piacere amico” e ad una pacca amichevole sulla spalla.

La cheerleader ispanica di nome Santana, che Blaine sapeva essere dotata di una schiettezza ai limiti della decenza, si era presentata per poi dire a voce fin troppo alta “E’ un po’ troppo basso, ma se una certa regola di cui parlano è vera, allora buon per te Kurt!” facendo scoppiare tutti a ridere.

Rachel si era scusata per averlo quasi aggredito fisicamente a scuola, ma non era riuscita a trattenersi dal dirgli “Se scopro che sei qui solo per spiarci, ti spiaccico un uovo sulla testa” facendo scoppiare nuovamente tutti a ridere, e solo qualche minuto dopo Blaine si ricordò di aver sentito parlare Kurt del fantastico e indimenticabile episodio di Jesse St. James, stella dei Vocal Adrenaline, che faceva colazione sui suoi capelli.

Nel corso della serata legò molto con Noah, che tutti chiamavano Puck, l’ebreo con i capelli da Mohicano che si rivelò essere un amante di vari cantanti semi-sconosciuti che a lui piacevano molto, e anche Santana si rivelò più simpatica di quanto non sembrasse all’inizio.

Brittany era cordiale e spontanea, anche se sembrava un po’ stupida, e Blaine non potè fare a meno di ridere quando lei gli chiese se fosse legale che degli uccelli gareggiassero in una competizione canora, visto che erano avvantaggiati per natura.

Inoltre, gli fu impossibile non notare gli sguardi che la ragazza si scambiava con Santana, e ad un certo punto credette anche di aver sentito una gamba dell’ispanica – seduta accanto a lui – spostarsi per trovare quella della bionda.

La serata passò velocemente, forse proprio perché stava andando tutto benissimo, e più volte Kurt strinse la mano di Blaine sotto il tavolo e gli sorrise radioso, come se volesse ringraziarlo di qualcosa. Come se non fosse Blaine a dover ringraziare lui.

Dopo che tutti se ne furono andati, rimasero ancora un po’ al tavolo, Kurt curiosissimo di sapere l’opinione di Blaine su di loro.

“Allora? Che ne pensi?” chiese sorridendo ampiamente.

“Sono fantastici” rispose con semplicità Blaine, ricambiando il sorriso e cercando ancora una volta la sua mano.

“Sii più specifico!” replicò Kurt mentre gliela stringeva. Blaine roteò gli occhi e ci pensò su.

“Uhm, beh, Puck è un po’ sfacciato ma si vede che in fondo è un bravo ragazzo. Finn non l’ho inquadrato bene, sarà che ogni volta che cercavo di parlargli rispondeva Rachel al posto suo… a proposito, era seria quando diceva che voleva farci conoscere i suoi papà? Per, beh, ecco… aiutarci?

Kurt arrossì. “Purtroppo credo che lo fosse, ma direi che non è il caso.”

“No, certo che no.”

Si guardarono per un secondo prima di abbassare lo sguardo nello stesso istante.

“Comunque…” – continuò Blaine con nonchalance – “…Brittany mi piace. Anche se non ho capito bene, pensavo stesse con tuo fratello, ma stasera si comportava in modo un po’ strano con Santana.”

“Blaine, non scervellarti tanto su quello che fa Brittany. Lei… beh, pensa una cosa e la fa. Anzi, diciamo che la fa e basta” disse Kurt, provocando la risata dell’altro.

“Comunque Colin non è interessato, gli piace solo spassarsela” aggiunse in tono piatto.

“Oh, capisco” rispose Blaine, nascondendo palesemente qualcos’altro.

“Puoi dirlo” disse Kurt con il sorrisetto compiaciuto di chi ha capito tutto.

“Cosa?”

“Che è un idiota.”

“Oh, ok… sì, un po’ lo è” rispose Blaine, grattandosi i capelli impacciato. Entrambi risero.

“E Mercedes? Lei ti piace vero?” chiese Kurt con il tono più carico di speranza e aspettativa del mondo. Anche se non fosse stata la verità, Blaine sarebbe morto piuttosto che deluderlo, specie vedendo un’espressione del genere sul suo viso.

“Certo! Mi ha un po’ preoccupato quando si è lamentata per l’assenza delle crocchette sul menù, ma mi piace” rispose.

Kurt rise di gusto: adorava il modo in cui il suo ragazzo – sorrise d’istinto nel pensarlo in quei termini – riusciva a notare i dettagli più importanti di chiunque. Un po’ come aveva notato quelli che gli avevano permesso di distinguerlo da Colin, pur non sapendone l’esistenza.

“Wow, e quello per cos’è?” chiese Blaine.

“Cosa?”

“Quel sorriso. Voglio saperlo!” rispose Blaine, portandosi la mano libera sotto il mento.

“E’ una cosa stupida” rispose Kurt, ma senza riuscire a fare a meno di sorridere ancora di più.

Blaine sbattè le palpebre in attesa, lo sguardo adorante. Kurt si sciolse come neve al sole.

“E’ solo che stavo pensando una cosa su di te, e invece di pensare ‘Blaine’ ho pensato ‘il mio ragazzo’, ed è… beh, è fantastico” disse.

Blaine fece una piccola risata e spostò la mano dal suo mento a quello di Kurt. Lo attrasse a sé e gli lasciò un leggero bacio sulle labbra.

“Andiamo, il tuo ragazzo ti riporta a casa.”

 

 


 

Note di _hurricane:

Come potete vedere, per ora navighiamo in un mare di zucchero e arcobaleni! Ma... guess what? Non sarà così per sempre!

Ebbene sì, dal prossimo capitolo ci sarà qualche problemino, vi dico soltanto che non potreste mai arrivarci perchè è una cosa che nella serie non è mai successa.

Domani e dopodomani sarò al Lucca Comics, chissà, magari incontrerò alcuni di voi senza saperlo! 

Baci a tutti <3


 

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Capitolo 23
*** Rise and fall ***


23 Rise and fall

 

Per Blaine non era mai stato un problema baciare Kurt in pubblico.

Da quando stavano insieme – due settimane ormai – lo faceva senza alcuno scrupolo, ogni volta che ne aveva voglia, e sembrava sempre la cosa più naturale del mondo. O almeno, lo era per loro.

Kurt e Blaine fingevano di non notare gli sguardi della gente quando uscivano insieme, camminando mano nella mano o abbracciandosi teneramente al cinema, come qualsiasi altra coppia innamorata. Entrambi sapevano di essere palesemente osservati e giudicati, ma a nessuno dei due importava molto.

Anzi, non importava affatto.

Finchè un giorno sembrò iniziare ad importare a Blaine.

Di punto in bianco, cominciò a tenere le mani in tasca mentre camminavano l’uno di fianco all’altro, e Kurt pensò che fosse soltanto perché dimenticava sempre i guanti e aveva freddo alle mani.

Ma poi disse anche “Kurt, c’è gente” il pomeriggio dopo, su una panchina del parco, ritraendosi lievemente per evitare le sue labbra.

E il giorno dopo ancora, declinò la sua proposta di andare a mangiare qualcosa a Westerville, vicino casa sua, così da non dover essere sempre Kurt a prendere la macchina e pagare i soldi della benzina.

Kurt iniziò a preoccuparsi molto: qualcosa non quadrava. Blaine era sempre stato gentile, affettuoso, e soprattutto non si era mai vergognato di quello che era né di mostrarlo apertamente.

Che cosa era cambiato? Lui aveva fatto qualcosa di sbagliato?

La questione rimase in sospeso, momentaneamente offuscata da quella delle provinciali dell’Ohio.

Sia i Warblers che le New Directions infatti si erano impegnati duramente nelle ultime settimane, temendosi a vicenda e ignorando la debole minaccia che potevano rappresentare gli anziani nostalgici della terza squadra partecipante.

Ovviamente la concentrazione per la gara non aveva per nulla ostacolato la nascita di discussioni all’interno del Glee Club di Kurt, dove Finn e Rachel, coppia di punta, erano stati “soppiantati” da Sam e Quinn per il numero principale.

Inutile dire che la cosa aveva generato il caos: un tentativo di sciopero della parola di Rachel, che a dirla tutta non sarebbe dispiaciuto a nessuno, e per giunta la sua rottura con Finn dopo aver scoperto che aveva fatto sesso con Santana l’anno precedente.

Intanto, i Warblers si allenavano con la solita metodica disciplina, soddisfatti di se stessi anche se nervosi in vista della performance. Era comunque un dato di fatto che la situazione del Glee Club del McKinley, in confronto alla loro, sembrava quella di uno zoo safari.

Quel fatidico giorno, le due squadre si incrociarono nell’ampio ingresso del teatro.

Mentre il professor Schuester e il Warbler designato – non avendo un coach – si avviavano al bancone centrale per avere disposizioni riguardo ai posti in sala e all’ordine con il quale si sarebbero esibiti, Kurt e Blaine ne approfittarono per corrersi incontro l’un l’altro.

Blaine era radioso e spontaneo com’era sempre stato, cosa che tranquillizzò Kurt e scacciò via tutte le preoccupazioni che erano inevitabilmente nate nella sua testa.

Il ragazzo moro infatti non esitò ad abbracciarlo con calore, sussurrandogli “Buona fortuna” all’orecchio, né tantomeno a dargli un bacio sulle labbra, seppur leggero. Erano in mezzo a centinaia di persone, sicuramente molte di più di quante ce ne potessero essere al parco pochi giorni prima. Continuava ad essere strano, molto strano, ma Kurt non ci fece caso.

Era troppo preso da quanto Blaine fosse bello, per farci caso.

Quelle divise avrebbero dovuto uniformarli, renderli tutti uguali e annullare le differenze.

Ma agli occhi di Kurt quel blu scuro non faceva altro che risaltare il colore della pelle di Blaine, e il colletto ben allacciato evidenziava di più la sua mascella, e la cravatta gli dava un’aria così elegante se unita alla compostezza dei suoi capelli (nonostante li preferisse liberi dal gel, ovviamente).

Lo guardò allontanarsi, saltellare in mezzo agli altri per infondere loro la grinta e la sicurezza che sembravano evaporare nell’aria dai suoi pori, ricevere pacche incoraggianti sulle spalle e darne altre ai suoi compagni di squadra.

E sorrise, perché non importava se lui era ancora una volta nelle retrovie, la figura sullo sfondo dello show di qualcun altro, e non importava che Rachel continuasse a parlare a raffica su quanto la performance ci avrebbe guadagnato se l’avesse cantata lei al posto di Quinn.

Niente importava, perché c’era Blaine.

 

* * *

 

I Warblers furono fantastici, proprio come quando Kurt li aveva visti esibirsi alla Dalton la sua prima e unica volta.

Li guardò affascinato dal suo posto in sala, insieme agli altri membri del suo gruppo, ma naturalmente la sua attenzione si focalizzò ben presto esclusivamente su Blaine.

Giusto in tempo per notare che lo aveva appena guardato, mentre pronunciava le parole “Watching you is the only drug I need” della canzone “Hey, Soul Sister”.

Kurt sorrise, i suoi occhi che brillavano nel buio e le sue guance rosse per l’emozione. Tornò ancora una volta quella sensazione: i fili del suo cuore che si muovevano avanti e indietro lungo il palco del teatro, a ritmo con i piedi e le mani di Blaine, o forse seguendo le onde sonore che giungevano fino a lui dalle sue labbra.

Sentì una lieve gomitata colpirgli il fianco, e si voltò.

“Hai visto? Ha guardato proprio te!” sussurrò Mercedes, seduta accanto a lui, prima di stringergli il braccio con forza e scuoterlo per l’entusiasmo.

Kurt le sorrise e si lasciò sballottare un po’ dalla sua migliore amica.

Quando la canzone finì, si alzò in piedi di scatto e applaudì, quasi saltando per il desiderio di far capire a Blaine quanto lo avesse realmente apprezzato. Lo vide sorridere nella sua direzione, e si portò una mano alle labbra per mandargli un bacio immaginario.

Blaine sembrò scoppiare a ridere, ma nell’euforia generale dei Warblers, al di là delle teste del pubblico in delirio davanti a lui, Kurt riuscì a vedere che si era poggiato una mano sul cuore, come per volerlo custodire proprio lì.

 

* * *

 

Fu un po’ deprimente vedere Blaine spostare continuamente la testa per guardarlo cantare, ma fu comunque meglio che non vederglielo fare affatto.

Le New Directions si esibirono con qualcosa di totalmente nuovo per loro, ma il pubblico sembrò rispondere positivamente. Quinn e Sam erano indubbiamente affiatati, nonostante mancasse loro la sicurezza che traspariva dalle voci di Finn e Rachel quando cantavano insieme.

Verso il finale, i Warblers iniziarono ad alzarsi dai loro posti per raggiungere la saletta interna a loro assegnata, in attesa di uscire sul palco per la premiazione. Kurt vide Blaine con la coda dell’occhio, in fila insieme a loro, che gli sorrideva con un’espressione incoraggiante mentre il numero si avviava alla fine.

Con sorpresa di tutti, la gara si concluse in parità. I due gruppi saltarono con gioia quasi in sincronia, e tra gli abbracci e le grida generali Kurt e Blaine non ebbero più l’occasione di salutarsi.

“Congratulazioni tesoro” fu il messaggio che ricevette Kurt sul suo iPhone, mentre il loro pullman usciva dal parcheggio per riportarli al McKinley, dove i genitori di ognuno erano in attesa.

Sorrise, sprofondando leggermente sul sedile accanto a Mercedes – che sembrava addormentarsi piuttosto velocemente – e rispose: “Anche a te! Sei stato fantastico.”

“Tu di più” rispose Blaine qualche minuto dopo.

Kurt fissò le parole attentamente, chiedendosi quanto potesse esserci di vero in quella frase.

Non poteva essere stato più fantastico di Blaine: lui era il centro della sua performance, era come il sole e tutti i pianeti gli giravano intorno, irradiati dalla luce abbagliante che emanava quando la sua voce si fondeva alla musica ritmata e al coro avvolgente creato dai suoi compagni.

Blaine era perfetto. E lo era così tanto, che forse pensava davvero una cosa del genere.

 

* * *

 

Il pomeriggio seguente, Kurt ebbe finalmente l’opportunità di scoprire quale fosse il problema di Blaine.

Il Lima Bean era chiuso per un giorno per la morte di un parente del proprietario, cosa che aveva sconvolto entrambi - e non per il lutto in sè - essendo bisognosi di caffè come se fosse aria.

Così, a malincuore, avevano optato per un’altra caffetteria, ripromettendosi di non tornarci mai più perché il Lima Bean aveva un significato molto più personale, e non potevano “tradirlo”.

Blaine non era molto pratico di Lima – sapeva solo arrivare lì, al McKinley, da Breadstix e a casa di Kurt – così Kurt gli diede indicazioni lungo la strada per condurlo ad un piccolo bar che sapeva essere accettabile.

“Ora gira a destra, in direzione di Westerville” disse, facendogli un cenno con la mano. Vide Blaine muoversi scompostamente sul sedile, come infastidito dall’affermazione.

“Blaine? Qualcosa non va?”

“No, è solo… non mi va molto” rispose Blaine, lo sguardo fisso sulla strada.

“Ma avevi detto che avevi voglia di caffè! Non dirmi che ti vergogni a farti vedere con me solo perchè siamo più vicini a casa tua” rispose Kurt, alzando un sopracciglio. Ormai quella era la sua teoria di punta, e non riuscì più a trattenerla.

“Ma che dici” disse Blaine a bassa voce, spostando una mano dal volante per massaggiarsi la tempia. Inspirò e continuò a guidare finchè Kurt non gli disse di fermarsi.

Non erano a Westerville, ma distava praticamente dieci minuti da lì. Troppo pochi per Blaine. Scese dalla macchina guardandosi intorno, poi aspettò che Kurt facesse lo stesso e richiuse lo sportello, rivolgendogli un sorriso che non lo convinse per niente.

Una volta entrati nel bar, Kurt gli prese d’istinto la mano e la strinse. Alzò lo sguardo e vide Blaine pietrificato.

“Blaine? Cosa-“

“Andiamocene” disse Blaine a denti stretti, voltandosi di scatto per dare le spalle alla cassa e lasciando così la sua mano.

“Perché? Che è successo?!” rispose Kurt allarmato, prendendolo per un braccio.

“Kurt, andiamocene e bas-“

“Anderson! Che piacere rivederti!” esordì una voce dalla cassa. Kurt alzò lo sguardo per vedere da dove provenisse, mentre Blaine chiuse gli occhi ed inspirò, senza girarsi.

“Che fai, non ci saluti nemmeno?” disse un’altra voce, più acuta.

Era quella di un ragazzo alto, dalle spalle larghe e i capelli biondi, mentre quello che aveva parlato per primo era un po’ più basso, anche se ugualmente massiccio, e li aveva scuri e ricci come quelli di Blaine.

Kurt ebbe un flashback. Blaine su una panchina che gli diceva esattamente quelle parole: “Uno di loro aveva i capelli proprio uguali ai miei.”

Sgranò gli occhi per l’orrore e la rabbia che gli si stavano accumulando dentro, e indietreggiò per aumentare la distanza tra lui e i ragazzi che avevano picchiato il suo fidanzato.

 

 



 

 Note di _hurricane:

I am a horrible, horrible person.

 

 

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Capitolo 24
*** New entry ***


24 New entry

 

Blaine cercò di ignorare i ragazzi e si avviò verso la porta, ma uno di loro fece un passo avanti e disse in tono di scherno: “Non ci presenti la tua ragazza?”

Kurt sentì i muscoli del braccio di Blaine irrigidirsi all’istante e lo lasciò, quasi spaventato. Non lo aveva mai visto così arrabbiato e terrorizzato allo stesso tempo, e gli si strinse il cuore ricordando quale fosse il motivo.

Blaine si voltò, la mascella serrata ma gli occhi che tradivano la paura, saettando tra i due ragazzi e Kurt in maniera quasi frenetica. Troppo, perché loro non se ne accorgessero.

“Ha paura che prenderemo a calci anche lei” disse il biondo all’altro dandogli una gomitata di complicità, a bassa voce per non farsi sentire dal cassiere, l’unico oltre a loro e il cameriere che serviva ai tavoli all’esterno.

Blaine riflettè in fretta: era pieno giorno, non erano sul retro di una palestra scolastica di notte, in attesa di una macchina che li venisse a prendere. Dovevano solo uscire, raggiungere la sua e andare il più lontano possibile. E c’erano persone ai tavoli fuori. Non era la stessa cosa.

Afferrò la mano di Kurt e lo strattonò verso l’uscita, dirigendosi a grandi passi verso la macchina dall’altro lato della strada.

Si fermò davanti allo sportello, lasciò la presa e iniziò a trafficare dentro la sua tasca per tirar fuori le chiavi, ma per l’agitazione la cosa gli risultò più difficile del previsto e i due li raggiunsero a passo tranquillo, come se niente fosse, probabilmente anche per non dare nell’occhio. Ormai i clienti erano fuori portata d’orecchio.

“Non sei per niente gentile” riprese il biondo, che era evidentemente il leader tra i due, appoggiandosi al cofano della macchina con la schiena e incrociandosi le braccia al petto, con aria fintamente stizzita.

Il moro rimase dietro Kurt e Blaine, come se volesse togliere loro qualsiasi possibilità di fuga. Kurt fece per muoversi e fare il giro dell’auto, ma il ragazzo gli si parò davanti, a pochi centimetri.

“Dove pensi di andare dolcezza?” disse mentre si avvicinava ancora, facendolo lentamente appiattire contro la macchina.

Blaine perse completamente la testa, alla vista di Kurt più pallido del solito e con quello stesso sguardo di paura che aveva quando gli aveva raccontato di Karofsky. Non avrebbe permesso che lo rivivesse a causa sua.

Si girò di scatto e afferrò il ragazzo dal colletto della maglia, per poi sbatterlo contro lo sportello proprio accanto a Kurt.

Blaine stesso non si rese conto della forza che mise in quel gesto, una forza che solitamente non aveva. Era sufficientemente muscoloso, sicuramente più di quando era andato al ballo alla sua vecchia scuola, ma quella forza non gli apparteneva, era come essere nel corpo di un altro.

Non… ti azzardare a toccarlo” disse a denti stretti, quasi sibilando, contro il viso del ragazzo.

“Wow, sei cambiato un sacco dall’ultima volta, Anderson! Sei un po’ meno femminuccia, come mai?” disse il biondo in tono divertito mentre si alzava dal cofano dove si era appoggiato, per niente turbato dal fatto che il suo amico fosse stato sbattuto contro lo sportello. Sembrava quasi un gioco per lui.

“Sarà perché la fai tu la donna, scommetto” continuò rivolgendosi a Kurt, che non potè fare a meno di rivolgergli uno sguardo di disprezzo.

Blaine lasciò la presa dal moro per avvicinarsi a lui, vedendolo in pericolo, ma quello ne approfittò per ricambiare il favore.

Lo afferrò e in un attimo ribaltò le posizioni; Blaine grugnì per il dolore che sentì alla schiena sbattendo contro la carrozzeria. Era evidente che il bullo, a differenza sua, non aveva sentito praticamente nulla.

Fu a quel punto che, finalmente, qualcuno sembrò notare qualcosa.

“Ehi, che succede laggiù?” gridò il cameriere dall’altro lato della strada, provocando la curiosità dei clienti ai tavoli che si voltarono a guardare verso di loro.

Il moro lasciò istantaneamente la presa, e il biondo indietreggiò di un passo e si voltò verso il bar.

“Niente, è tutto ok!” disse con un finto sorriso di tranquillità, sventolando una mano. Il cameriere non sembrò convinto, e rimase ad osservarli per un po’.

“E’ stato un piacere” aggiunse divertito, a voce più bassa, mentre faceva segno al suo amico di seguirlo per andarsene.

“Fateci uno squillo se ripassate da queste parti, così chiamiamo tutta la compagnia” disse il moro, sistemandosi la maglia sgualcita e rivolgendo loro uno sguardo di sufficienza.

Entrambi risero mentre si allontanavano lungo la strada.

Kurt rimase immobile, senza fiato, contro lo sportello. Blaine invece fece un profondo sospiro e scivolò lentamente verso il basso, fino a sedersi sull’asfalto. Alzò le mani per coprirsi il viso.

“Blaine, stai bene vero?” chiese Kurt, precipitandosi su di lui. Si accovacciò al suo fianco e gli poggiò una mano sul ginocchio.

“Scusami” rispose lui, continuando a tenere il viso tra le mani. Non stava piangendo, era solo… affranto.

“Ma che stai dicendo? Scusa di cosa?”

“Avrei dovuto insistere. Non dobbiamo venire da queste parti. Mai più” rispose Blaine, alzando finalmente lo sguardo e portando le braccia lungo i fianchi, con aria rassegnata.

Kurt ritrasse lievemente il viso e riflettè.

“E’ per questo che sei così strano in questi giorni? Che non mi prendi la mano e non mi baci mai?”

“E’ successo per caso. Stavo parlando con te al cellulare un giorno al supermercato, e ti ho chiamato... amore. Soltanto alla fine della chiamata mi sono reso conto che c’era uno di loro e mi stava guardando in modo strano. Credevo che avrebbero fatto qualcosa a me, e invece niente. Non volevo che lo capissero, che ci vedessero… scusami. Scusami tanto, Kurt” disse Blaine, lacrime silenziose che iniziavano a scorrere sulle sue guance.

Kurt non lo aveva mai visto piangere, e non gli piacque per niente scoprire come fosse. Era terribile.

Poteva sentire ogni lacrima come se provenisse dai suoi occhi, e ogni respiro affannato e pesante di Blaine gli faceva male al petto, come se togliesse aria a lui. Era troppo, troppo da sopportare.

Si chinò ancora di più e lo abbracciò forte, seppellendo il viso nell’incavo tra la spalla e il collo di Blaine.

“Non piangere” gli sussurrò mentre gli avvolgeva le braccia intorno al collo. “Non piangere, Blaine.”

“Ti avevo promesso che non ti sarebbe successo niente” disse Blaine, senza ricambiare l’abbraccio ma appoggiando la guancia ai suoi capelli morbidi. Kurt si ritrasse e gli prese il viso tra le mani.

“Infatti è così. Non mi è successo niente. Sei stato così coraggioso” disse prima di baciarlo sulla guancia, assaporando un po’ delle sue lacrime e sperando di farle andar via all’istante.

Blaine si arrese: gli avvolse le braccia intorno al collo e lo attrasse a sé in un bacio appassionato, cercando le sue labbra quasi disperatamente.

Quando si staccò, Kurt sospirò e sorrise.

“Andiamo,” gli disse mentre si rialzava e gli porgeva una mano per aiutarlo a fare lo stesso, “io ho ancora voglia di caffè!”

 

* * *

 

“Non immaginerete mai chi ho incontrato ieri” disse Paul, biondo e massiccio, seduto al solito tavolo della mensa scolastica circondato dai suoi fidati compagni di squadra. Accanto a lui, sempre presente come un’ombra, il ragazzo moro dai capelli ricci e folti.

“Chi?” chiese uno di loro con aria un po’ svogliata, mentre gli altri guardavano Paul in attesa sperando che valesse la pena ascoltare.

“Blaine Anderson” disse sogghignando, catturando immediatamente l’attenzione.

Quel Blaine Anderson? Quello per cui tu, Frank, Nathan e Peter eravate stati sospesi?” chiese lo stesso ragazzo che aveva fatto la domanda.

I diretti interessati si scambiarono sguardi complici, come fossero soddisfatti di poterlo dire in giro.

“Già. Ma stavolta era più agguerrito, e aveva un nuovo amichetto,” – rispose Paul – “o amichetta, a dirla tutta. Sembrava una ragazza, avete presente quelle checche con i maglioni lunghi e i papillon e i capelli pieni di lacca?”

La domanda fu seguita da una serie di versi disgustati e commenti sarcastici.

“Lo ha chiamato… Kurt, se non sbaglio” concluse il bullo.

Un ragazzo seduto a quello stesso tavolo alzò la testa dal suo piatto, sul quale era rimasto pienamente concentrato come per non voler sentire, e poi la riabbassò con aria pensierosa.

“Non l’ho mai visto in giro, dev’essere di quelle parti, forse Lima. Tu che sei di lì, per caso lo conosci?” riprese Paul, notando il silenzio del nuovo arrivato lì alla Welby High School di Westerville, la scuola pubblica di quella zona.

Karofsky alzò lo sguardo, senza dire una parola.

 

 


 


Note di _hurricane:

Lo so che il capitolo è breve e che probabilmente adesso sentite l'impulso di uccidermi, ma il cliffhanger era necessario per lasciarvi un po' a... riflettere. Cosa succederà adesso che Dave è finito proprio nella loro stessa scuola?

Ovviamente il nome è inventato, e non saprei dirvi se "legalmente" questa cosa sarebbe possibile: Dave dovrebbe trasferirsi per forza in un altro liceo di Lima, a meno che non cambi residenza? Boh, comunque, mi sono presa questa libertà ai fini della storia.

Have faith in me guys <3

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Capitolo 25
*** Meanwhile... ***


25 Meanwhile...

 

“Sei silenzioso stamattina” disse Colin, seduto al tavolo della mensa accanto a Kurt.

“Sto mangiando” rispose semplicemente il fratello, senza voltarsi per guardarlo.

“Solita recita eh?”

“Non mi va di parlarne” sbottò Kurt.

“L’importante è che sia tutto ok. Non c’entra Karofsky vero? Perché se è così io-“

Colin. E’ tutto ok. Non ho notizie di Karofsky da quando è stato espulso” lo rassicurò Kurt, stavolta guardandolo per fargli capire che era la verità. Lui sospirò.

“Va bene… anche se ultimamente mi nascondi le cose, e non mi piace” rispose Colin. Faceva sempre così: buttava lì una frase stizzita, vagamente triste e che esprimesse orgoglio ferito o delusione, aspettando che il gemello abboccasse all’amo.

“Colin, non sono obbligato a dirti tutto quello che mi passa per la testa” disse Kurt, cercando di mantenere il suo tono piatto e distaccato, conscio di quell’abile tattica.

“Una volta lo facevi” rispose l’altro, guardandolo fisso. Stavolta non era una tattica. O forse lo era? In effetti, il punto stava proprio nel fatto che non si capisse.

“Sì, beh, avevamo dieci anni” rispose Kurt sarcastico, ma l’espressione scocciata di Colin lo fece tornare serio.

“E’ solo che riguarda una cosa personale di Blaine, tutto qui. Prima o poi farete amicizia e te la racconterà” concluse, abbozzando un sorriso.

“Sarà, ma ho il vago sospetto di non andargli molto a genio” rispose Colin mentre giocherellava con una polpetta nel piatto.

“Beh, dopo quella storia è comprensibile che si senta a disagio… credo sia colpa mia, in un certo senso.”

“Sì, direi di sì.”

“A questo punto non dovresti dire ‘Ma no Kurt, cosa dici, non è affatto colpa tua’?”

I due gemelli si guardarono, entrambi con un’espressione ironica sul viso. Quasi la stessa espressione ironica sul viso.

“Naah!” rispose Colin, dandogli una gomitata al fianco per poi scoppiare a ridere.

 

* * *

 

“Allora? Lo conosci?” insistette Paul, appoggiando i gomiti sul tavolo liscio e bianco della mensa e tendendosi in avanti con fare quasi minaccioso, per costringere Dave ad incrociare il suo sguardo.

“No” rispose lui seccamente, guardandolo solo per un secondo prima di riportare gli occhi sul piatto. Si rese conto di essere un terribile bugiardo, e non fu l’unico.

“Lo conosce!” esclamò un altro dei bulli in questione, Nathan. Aveva i capelli castani ma così rasati che era difficile capirlo, se non fosse stato per il colore delle sopracciglia. La mancanza di capelli non faceva altro che far sembrare le sue spalle più larghe. Giocava a football, faceva nuoto e pugilato a livello agonistico; non era molto più robusto di Dave, ma sicuramente più pericoloso.

L’esitazione del nuovo arrivato rese palese il fatto che Nathan ci avesse azzeccato, così il ragazzo accanto a lui, Peter (il moro del giorno prima) rincarò la dose per farlo parlare: “Cosa ci nascondi, Dave? Non vorrai mica essere preso di mira dopo solo due settimane! Ti stai ambientando bene, non rovinare tutto…”

Gli altri ragazzi si voltarono quasi nello stesso momento per fissare Dave, sguardi divertiti e ghigni soddisfatti sui loro visi, come se si fossero messi d’accordo per terrorizzarlo.

Dave sapeva che, se solo avessero voluto, avrebbero reso la sua vita un vero inferno. Un inferno, proprio come era stata la vita di Kurt a causa sua prima che venisse espulso.

Dave non aveva detto niente quando era arrivata a casa sua la lettera del preside Figgins. Non si oppose, pur sapendo di essere stato palesemente provocato. Capì immediatamente perché Colin lo aveva fatto, e decise che era meglio così, per tutti.

Di sicuro era meglio per Kurt, e forse sarebbe stato meglio anche per lui. Avrebbe potuto cambiare scuola, magari ripulirsi della cattiva reputazione che si era creato intorno. Non che non l’avesse voluta.

All’inizio fu soltanto per fare amicizia. Azimio e gli altri della squadra di football erano ragazzi divertenti con cui sentirsi, uscire e pranzare in mensa, e sembravano apprezzare terribilmente la sua aria da duro. Così con il tempo iniziò ad apprezzarla anche lui. La paura e la riverenza negli occhi dei più deboli erano così… soddisfacenti.

I problemi nacquero insieme ai dubbi sulla sua sessualità: fu il crollo di un mondo di certezze. Un crollo graduale, mattone dopo mattone, di un palazzo costruito sulla falsità. A poco a poco si rese conto di indugiare troppo sui ragazzi nelle docce dello spogliatoio, e di non fare altrettanto con le gonne delle cheerleader, le loro cosce snelle che gli passavano continuamente accanto nei corridoi, o prima delle partite quando andavano a disporsi a bordo campo per la loro coreografia di apertura.

Forse avrebbe solo dovuto fare sesso con una di loro, per esserne sicuro. La sua testa era un turbinio di pensieri confusi.

E poi c’era Kurt.

Kurt, che andava in giro con sguardo fiero dicendo al mondo “Sono gay, e allora?” e a nessuno dei suoi amici sembrava importare. A loro andava bene comunque.

Dave invece non aveva veri amici. I giocatori della squadra non lo avrebbero più guardato in faccia, lo avrebbero deriso e improvvisamente avrebbe perso tutto il rispetto che si era guadagnato tra di loro.

Kurt era quello che lui non sarebbe mai stato, così Dave iniziò ad odiarlo. In realtà non odiava lui, odiava ciò che rappresentava. Ma questo non gli aveva impedito di trattarlo come l’ultimo degli uomini, e probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato.

E adesso, quella scuola di Westerville poteva davvero essere la sua rivincita. Ma ancora una volta l’argomento “Kurt” era spuntato fuori, come una persecuzione.

Dove sarebbe dovuto andare, in Africa? In capo al mondo, per non sentir più parlare di lui e rifarsi una vita?

“Lui… va alla mia vecchia scuola” rispose dopo un profondo sospiro. Pregò nella sua mente che il discorso finisse lì, ma ovviamente non venne accontentato.

“Oh, la cosa si fa interessante” meditò Frank, il bullo di colore, rimasto in silenzio fino a quel momento. Dave lo guardò interrogativo.

“Vuol dire che sai quando esce da scuola” rispose Frank alla sua silenziosa domanda.

“E quindi?” chiese Dave, stringendo i pugni sotto il tavolo.

“Beh, una bella trasferta non fa mai male, giusto ragazzi? Da quando Anderson si è trasferito in quella scuola di finocchi canterini, nessuna checca qui alla Welby si è azzardata a fare coming out! Finiremo per arrugginirci” disse il ragazzo, provocando risate da tutti quelli presenti al tavolo, tranne che da Dave, il terrore dipinto sul suo volto.

 

* * *

 

“Buon mesiversario tesoro” disse Blaine con un enorme sorriso sulle labbra, mentre Kurt apriva la portiera dell’auto per entrarvi dentro e sedersi accanto a lui. Era il 5 di novembre.

Kurt si sedette, richiuse lo sportello e gli avvolse le braccia intorno al collo, prima di cercare le sue labbra.

Non erano mai andati oltre quello: baci. Baci appassionati, alle volte molto appassionati, di quelli che dovevano essere interrotti perché ad entrambi mancava il fiato. Al cinema, in macchina, una volta a casa di Kurt quando Burt e Colin erano andati a vedere una partita di baseball di una squadra minore che sembrava appassionarli molto.

Baci sulle labbra, sul collo, dietro l’orecchio. Baci da far perdere la testa.

“Wow, se questo è il mio regalo, mi sta più che bene” disse Blaine senza fiato, quando le loro labbra si separarono. Kurt gli era ancora vicino, le mani strette tra i suoi ricci e il suo respiro terribilmente tentatore e udibile all’interno della macchina.

“Ma non è un vero regalo, se posso dartelo sempre!” rispose facendo una piccola risata.

“Uhm, allora lasciami pensare ad un regalo diverso…” sussurrò Blaine al suo orecchio, facendolo rabbrividire.

Era il profumo di Kurt, non era colpa sua. Era il modo in cui la sua pelle sembrava appartenente ad un altro mondo. Il modo in cui la linea del suo collo si interrompeva bruscamente incrociando quella della spalla, creando un incavo che sembrava fatto apposta per essere leccato. Il modo in cui si mordeva le labbra quando si staccavano dopo un bacio particolarmente umido, e quello in cui respirava affannosamente quando Blaine prendeva l’iniziativa e lo baciava di sorpresa.

Era colpa di Kurt se ora Blaine gli stava mordendo e succhiando un punto sotto il suo orecchio, mentre lo stava facendo lentamente appiattire contro il sedile, la palese intenzione di mettersi a cavalcioni su di lui mentre si torceva per evitare il cambio dell’auto tra di loro.

“Blaine…” sospirò Kurt, teso come una corda di violino ma innegabilmente rapito dall’attività che la lingua di Blaine sembrava eseguire con immenso piacere.

“Blaine, siamo… siamo davanti casa mia” riuscì a dire in un sussurro quasi impercettibile.

“Se vuoi andiamo da un’altra parte” rispose Blaine sulla pelle ormai arrossata del suo collo.

Kurt poggiò le mani sulle sue spalle e lo spinse leggermente all’indietro, in modo da guardarlo. Poi le spostò alle sue guance e gli sorrise.

“Perderemo la prenotazione” disse, quasi lagnandosene.

“Ma io non ho fame” rispose Blaine con un ghigno malizioso.

Kurt si morse un labbro con fare nervoso. Era innegabile che il suo ragazzo fosse un baciatore impeccabile, e che fosse terribilmente sexy. Era il primo per cui avesse mai provato un certo grado di attrazione fisica, qualcosa al di là della semplice voglia di intrecciare le dita della mano alle sue, come nei musical.

Ma quell’atmosfera calda ed erotica, quell’impulso che lui stesso sentiva, lo spaventavano a morte. Il sesso lo spaventava a morte. E poi era vero, avrebbero perso la prenotazione, ed era il loro mesiversario, non un giorno qualunque.

Blaine sembrò capire la sua esitazione e sospirò.

“Kurt, è tutto ok” disse lasciandogli un dolce e lieve bacio sulle labbra, prima di ritrarsi e tornare in posizione composta sul sedile del guidatore.

“Davvero?” chiese Kurt, guardandolo intensamente per capire a cosa stesse pensando.

“Davvero davvero” rispose Blaine, accarezzandogli la guancia con amore e sorridendogli. Si staccò da lui e fece per mettere in moto.

“Mettiti la cintura!” squittì Kurt in tono d’allarme, facendolo quasi sobbalzare.

Blaine roteò gli occhi ed eseguì l’ordine con aria svogliata.

“Spero per te che sia un bel regalo!”

 

 

 


 

Note di _hurricane:

E intanto il tempo passa, e con il tempo arrivano anche nuove 'tematiche'. Questo non significa che la questione Karofsky resterà in sospeso, naturalmente, ma per il prossimo capitolo vi concedo una pausa dall'angst per godervi il mesiversario dei piccioncini :)

Comunicazione di servizio: ieri ho finalmente concluso la long che si è appropriata della mia ispirazione in queste settimane, e ho pubblicato il primo capitolo. E' molto diversa da questa, proprio perchè mi piace cambiare altrimenti finirei per annoiarmi di me stessa xD

Datele un'occhiata se vi va! Questo è il link:

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=865278

Baci <3

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Capitolo 26
*** Beige sweet beige ***


26 Beige sweet beige

 

Kurt aveva prenotato in un ristorante in cui non erano mai stati, fondamentalmente perché troppo costoso ed esagerato per una normale cena nel mezzo della settimana.

Si erano messi d’accordo sul fatto che avrebbero diviso il prezzo, come era giusto che fosse: Kurt aveva fatto a meno di partecipare alla sua asta mensile su e-Bay, tenendo da parte la paghetta del mese, e Blaine aveva detto a suo padre di aver bisogno di una tracolla più grande, e quindi più costosa, visto che i libri da portare ogni giorno alla Dalton stavano aumentando. Era più che certo che non si sarebbe accorto del fatto che non l’avesse comprata, d’altronde.

Posteggiò nell’ampio parcheggio rigorosamente custodito del "Candles", si slacciò la cintura e scese dalla macchina per andare ad aprire il cofano. Kurt fece lo stesso e lo vide tirarne fuori un pacchetto blu con una coccarda dorata su un lato.

Sorrise e gli mostrò il suo, tenuto sul palmo della mano: era un cofanetto di forma rettangolare, e il fatto che non riportasse alcuna scritta suggeriva che fosse stato lui a confezionarlo. 

Blaine chiuse il cofano e tornò da lui, prendendolo per mano. Si sentiva di nuovo al sicuro nel farlo, da quando avevano deciso di uscire in posti che fossero al centro di Lima, dove quei ragazzi dagli orizzonti limitati probabilmente non si erano mai spinti.

E di certo non c’era il pericolo di incontrarli al cinema per la proiezione di commedie romantiche, né al Lima Bean. Nessuno di quei posti era a portata di mano per loro. Era stato solo un tragico caso, Blaine lo sapeva.

Certo, a volte lo attanagliava ancora il pensiero di uno di quei ragazzi che metteva le mani su Kurt e rabbrividiva. Sussultava quando vedeva qualcuno che potesse vagamente somigliare ad uno di loro.

Kurt era certo solo di una cosa, e lo era già da prima che i vecchi compagni di scuola di Blaine si facessero vivi. Sapeva per certo, con ogni fibra del suo corpo, di essere al sicuro con lui. Il modo in cui aveva perso le staffe anche solo al pensiero che qualcuno lo toccasse lo aveva colpito nel profondo.

E quella consapevolezza lo rassicurava e lo terrorizzava allo stesso tempo, perché Blaine avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggerlo. E quel “qualsiasi cosa” poteva anche significare scagliarsi contro dieci giocatori di football omofobi pronti al secondo round.

Ma si disse che quei ragazzi volevano solo spaventarli, e che non avrebbero rischiato grosso aggredendoli sul serio fuori dalla scuola, rischiando più di una sospensione.

Entrambi tranquilli e felici, entrarono nel ristorante per festeggiare un mese da quando si erano baciati, e silenziosamente messi insieme. Un mese.

Sembrava un’eternità, per tutti e due. Era come se si conoscessero da sempre, ma allo stesso tempo ogni giorno scoprivano qualcosa di nuovo dell’altro e se ne rallegravano.

Si sedettero al tavolo a loro assegnato, con tanto di bigliettino in carta ruvida con scritto sopra “Hummel”, e immediatamente un cameriere versò loro acqua naturale, senza che lo chiedessero. Si scambiarono occhiate impressionate e rimasero in silenzio, finchè quello non se ne andò lasciando i due menù rilegati in pelle sul tavolo.

“Ho come l’impressione che per i prossimi mesiversari dovremo accontentarci del McDonald” disse Blaine a bassa voce, mentre faceva correre lo sguardo sui prezzi esorbitanti dei piatti e si faceva un calcolo mentale.

Per fortuna suo padre gli aveva dato la carta di credito, ma forse si sarebbe domandato quanto potesse costare una tracolla che, in fin dei conti, era vagamente somigliante a quella che aveva detto di dover cambiare.

“Dio, piuttosto digiuno!” rispose Kurt, storcendo il naso nel sentir nominare la nemesi di tutto ciò che c’era di salutare e genuino nel mondo.

Blaine rise e riprese a guardare il menù.

Scelsero ciò che si potevano permettere: Kurt solo un primo – lasagna verde, contrassegnata dal suo amato asterisco dei “cibi freschi” – e Blaine soltanto una bistecca di manzo con contorno di patate. Si concessero di ordinare lo champagne, ovviamente, per festeggiare.

“Prima di brindare, voglio il mio regalo!” disse Kurt battendo le mani e saltando sulla sedia in un modo quasi infantile. Blaine lo guardò, e si innamorò appena un po’ di più.

Prese il pacchetto che aveva lasciato ai piedi della sua sedia e glielo porse, appoggiando il mento al palmo della mano come faceva sempre quando entrava in quella specie di trance adorante provocata da Kurt.

Il suo ragazzo afferrò letteralmente il pacco e lo aprì, per poi sbirciare dentro con la coda dell’occhio come se non l’avesse dovuto aprire da un momento all’altro, ma a distanza di un mese, e non potesse più aspettare.

Blaine vide i suoi occhi brillare più del solito di quella luce inconfondibile, e sospirò mentre Kurt sorrideva ampiamente infilando una mano nel pacco e lanciandogli un’occhiata di gratitudine ancora prima di rivelarne il contenuto.

Era una sciarpa, ed era beige.

 Blaine aveva più volte sentito parlare Kurt della fondamentale importanza della differenza tra le gradazioni di colori nella scelta di un outfit, perché non si può mica considerare il verde militare uguale al verde acido, o l’indaco al blu elettrico, o il porpora al magenta e il beige all’ocra. Proprio no.

Così Kurt aveva una fissazione, – una delle tante, in fatto di moda – una specie di missione che aveva deciso di perseguire: averle tutte. Tutte le sfumature possibili.

Quella era una mancante, e Blaine lo sapeva bene, come sapeva anche che Kurt comprava i vestiti da internet perché non c’erano negozi di abbigliamento tanto forniti a Lima, e perché i prezzi erano molto più convenienti.

Così si era fatto accompagnare da sua madre al centro commerciale più fornito di Westerville, dicendo di doverla regalare alla sorella di uno dei Warbler che faceva il compleanno – inutile dire che sua madre aveva fatto migliaia di domande su questa fantomatica ragazza, sperando che fosse “tornato in sé” – per farsi aiutare nel riconoscere il colore giusto.

“Blaine! Ma è… è beige!

L’affermazione sarebbe sembrata del tutto priva di senso per chiunque altro, ma Blaine sorrise estasiato e rispose: “Sì, lo so!”

Kurt se la strinse al petto come fosse un animale domestico, poi liberò una mano per allungare il braccio e stringere quella di Blaine.

“Adesso il tuo” disse, ritraendola nuovamente per frugare nella tasca dei suoi pantaloni.

Blaine osservò il pacchetto che Kurt gli diede, pensando istintivamente ad un gioiello e rabbrividendo al pensiero di quanto avesse potuto spendere per lui.

Lo scartò esitante, tanto che Kurt fu improvvisamente in apprensione, preoccupato dal fatto che potesse trovarlo banale. Forse lo era, ma non era riuscito a pensare a nient’altro.

La sua ansia svanì completamente quando Blaine si aprì in un sorriso a dir poco enorme.

“Un buono per il Lima Music Corner! Cinquanta CD a scelta! Ma è fantastico!”

“Sono contento che ti piaccia. Avevo paura che fosse, beh, banale” disse Kurt sorridendogli di rimando.

“E’ meraviglioso. Tu sei meraviglioso, Kurt. Io-“

“Ecco qui lo champagne, signori” esordì il cameriere poggiando due calici allungati sulla tovaglia bianca, per poi versarvi dentro lo champagne con atteggiamento formale.

Kurt prese il suo, poi disse: “A cosa brindiamo?”

Blaine fece altrettanto e lo guardò negli occhi. Riflettè per qualche secondo, poi disse: “Niente per sempre, niente promesse da mantenere, niente preoccupazioni per il futuro. Brindiamo a me e a te, che siamo diventati noi. Brindiamo al modo in cui ci siamo trovati senza cercarci. Brindiamo a quello che abbiamo, qui e ora.”

Kurt gli sorrise radioso. Era tutto quello che serviva.

“Cin cin!” disse, facendo scontrare i loro bicchieri.

 

* * *

 

Blaine accostò la macchina davanti casa di Kurt. Si guardarono per qualche secondo.

“Allora buonanotte” disse Blaine, lo sguardo perso nei lineamenti di Kurt, nel colore della sua pelle ancora più bianca nel buio della notte.

“Buonanotte” gli fece eco Kurt, avvicinandosi per baciarlo.

Vide Blaine stringere gli occhi in direzione del portico di casa sua, e si voltò.

Colin era seduto sugli scalini di legno, lo sguardo mesto e il mento appoggiato ai palmi delle mani, in una delle tute che usava come pigiami. Sembrava come se li stesse fissando con aria vagamente annoiata.

Kurt abbassò il finestrino e finalmente Colin si accorse di essere osservato allo stesso modo. Senza battere ciglio, disse a voce alta per farsi sentire: “Ragazzi, fate pure, non mi scandalizzo mica.”

Kurt si portò indice e pollice alla base del naso e inspirò.

“Colin, conosci il significato della parola privacy? Quella che io ti lascio quando devi far ‘vedere la stanza’ alla ragazza di turno?”

“Ma papà mi ha chiuso fuori perché ho preso un’altra F,” – iniziò suo fratello in tono lamentoso – “così ti aspettavo perché mi sto annoiando, ma minuto più minuto meno… mi giro dall’altro lato, d’accordo?”

Kurt sentì una risata soffocata dietro di lui. Blaine gli poggiò una mano sulla spalla.

“Grazie per la serata. Ti sognerò di sicuro” gli sussurrò all’orecchio, in modo che Colin non potesse sentire.

Kurt si voltò e gli diede un fugace bacio sulle labbra. “Io ti sogno sempre” rispose.

Gliene diede un altro e poi si slacciò la cintura per scendere dalla macchina.

Blaine lo vide camminare verso il portico e sedersi accanto al suo gemello, sugli scalini, stringendo ancora tra le mani il prezioso pacchetto contenente la sua sciarpa beige.

Sorrise quando lo vide aprirlo nuovamente per mostrarla a Colin, che fece un’espressione di finto apprezzamento e interesse mentre Kurt gli illustrava sicuramente tutti i possibili colori con cui avrebbe potuto abbinarla, e i vantaggi che ciò avrebbe comportato per il suo guardaroba.

“Blaine, col senno di poi, non è che potresti sbaciucchiartelo ancora un altro po’ vero?” gridò Colin per sovrastare il motore della macchina che veniva avviato da Blaine. Kurt tirò un lieve schiaffo alla spalla del fratello e si incrociò le braccia al petto, indignato.

Blaine rise di gusto, e partì.

 



 

 

Note di _hurricane:

Il nome del ristorante vi suona familiare? ;)

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Capitolo 27
*** Redemption ***


27 Redemption

 

“Io non… non credo che sia una buona idea” disse Dave massaggiandosi le tempie, seduto in macchina insieme ai quattro ragazzi della Welby che lo avevano costretto ad indicare loro la strada per il McKinley e a dirgli l’orario di uscita di Kurt.

Ovviamente aveva omesso di dire che gli Hummel erano due, per paura che i suoi compagni di scuola chiamassero i rinforzi. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, sapeva solo di essere in trappola.

Se li avesse appoggiati, qualunque fosse il loro piano, non sarebbe più riuscito a guardarsi allo specchio, cosa che gli risultava già difficile. Se li avesse ostacolati, avrebbe fatto meglio a non mettere più piede in quella scuola, e chiedere ai suoi di essere trasferito era fuori questione dopo quello che aveva fatto al McKinley.

La loro macchina era in un angolo, nascosta alla vista immediata da parte degli alunni che di lì a poco sarebbero usciti dalla scuola. Paul tamburellava con le dita sul volante, impaziente.

La campanella suonò, facendo sobbalzare Dave che stava ormai sudando freddo. Sperò che Kurt fosse assente, che avesse la febbre. In fondo era metà novembre, poteva succedere col freddo di quel periodo. Ma ovviamente non fu così.

I gemelli Hummel spiccavano tra la folla di studenti quasi imbufaliti che si dirigevano alle loro macchine, camminando a passo lento e flemmatico come se avessero tutto il tempo del mondo. Colin con la sua solita aria svogliata e dimessa di chi vorrebbe essere da tutt’altra parte, e Kurt con la sua andatura elegante, i fianchi ondeggianti e le spalle dritte.

Anche per chi non lo aveva mai visto, ci volle poco a capire che era lui, grazie alla descrizione poco gentile che aveva fatto Paul. Senza contare che il terrore sul volto di Dave quando i due ragazzi rimasero gli unici nel parcheggio era abbastanza palese.

“Sono l’unico a vedere doppio?” chiese Nathan dal sedile posteriore, tendendo il collo in avanti per guardare meglio.

“No, ho l’impressione che qualcuno qui abbia voluto farci una sorpresa” rispose Paul con aria stizzita, ma subito continuò: “Non fa niente Dave, in fondo due checche sono meglio di una!”

“Non… non sono tutti e due gay” rispose Dave, consapevole del fatto che la precisazione fosse stupida nonché del tutto irrilevante. I ragazzi infatti risero divertiti.

“Allora, ricapitolando,” – riprese Paul come se niente fosse – “vai da lui e lo convinci a seguirti fino a qui, tanto con questo fuoristrada qui accanto non può vederci. Oppure fa venire entrambi, insomma inventati qualcosa.”

Dave deglutì prima di chiedere. “E… poi?”

“Io metto in moto la macchina e ci facciamo un bel giretto, lontano da occhi indiscreti” rispose il ragazzo seduto accanto a lui con lo sguardo assente, perso in chissà quale previsione sull’immediato futuro. Gli fece gelare il sangue.

“Ma non rischiamo… la galera?” chiese.

“Figurati, basta terrorizzarlo a morte e non dirà niente. E poi non dobbiamo mica ucciderlo” rispose il bullo con noncuranza. Aveva l’aria di uno esperto in materia.

Vedendo Dave indugiare, Paul si spazientì.

“Senti amico, se non lo fai tu con le buone lo faccio io con le cattive. Pensavo avessi le palle per essere uno che conta a scuola, visto che sei stato espulso da questa. Cos’è, hai rubato il pennarello dalla lavagna?”

Le risate di scherno fecero tornare il sangue di Dave ad una temperatura normale, anzi fin troppo elevata. Chiuse gli occhi, serrò la mascella e li riaprì, per poi aprire lo sportello e richiuderlo con forza.

Avanzò a grandi passi verso Kurt e Colin, che erano arrivati davanti alla loro auto, dall’altra parte del parcheggio, e stavano discutendo su chi dei due dovesse guidare.

Colin stava trafficando con la sua copia delle chiavi, rimasta incastrata in una tasca interna del suo borsone sportivo, e per questo lo aveva appoggiato sul cofano e ci stava rovistando dentro, dando le spalle a suo fratello.

Kurt era in piedi a braccia conserte, picchiettando con il piede sull’asfalto come per fargli fretta, la testa inclinata verso di lui. Sentendo i passi di Dave, alzò lo sguardo e si bloccò.

Colin si accorse dell’improvviso cessare di quel suono irritante e si voltò.

“Cosa ci fai qui?” disse ancora prima che il ragazzo potesse raggiungerli.

Era come se il tempo non fosse mai passato: erano di nuovo lì, in quel parcheggio, Dave identico a com’era tranne per il fatto che la sua giacca da football era bianca e verde e riportava una grossa “W” all’altezza del cuore.

“Ho bisogno di parlare con Kurt in privato” disse Dave tutto d’un fiato.

“Non penso che lui abbia qualcosa da dirti” rispose Colin a denti stretti, muovendosi per fare un passo in avanti.

“Colin, aspetta” disse Kurt, la voce più sicura di quanto avrebbe creduto possibile. “Di che cosa vuoi parlarmi?” aggiunse, rivolgendosi a Dave.

“Beh, ecco… chiederti scusa, credo” rispose lui. In un certo senso era la verità. Anche se avrebbe dovuto scusarsi per molte più cose di quelle che Kurt poteva immaginare.

“Oh. Non me l’aspettavo” rispose Kurt, sinceramente colpito.

Leggeva negli occhi del suo ex-persecutore un qualcosa di simile al rimorso e al senso di colpa; sembravano occhi sinceri, e non era mai successo che Karofsky sembrasse dispiaciuto per qualcosa che lo riguardasse.

E Kurt era così spensierato, che l’unica cosa che riuscì a pensare in quel momento fu che chiarire con lui sarebbe stato solo un altro modo di rendere più felice la sua vita.

“Colin, aspettaci qui” disse, dopo aver riflettuto un po’.

“Kurt, stai scherzando vero?”

“Potrai comunque vederci, sta tranquillo. E poi, perché David dovrebbe tornare qui dopo più di un mese per farmi del male? Non avrebbe senso!” disse Kurt, dandogli una pacca rassicurante sulla spalla.

Colin gli rivolse uno sguardo preoccupato e lo seguì con gli occhi mentre Kurt si allontanava, proprio verso il lato opposto del parcheggio. Maledisse tra sé e sé quanto suo fratello potesse essere buono e incline a perdonare, e continuò a guardare, pronto a qualsiasi evenienza.

Kurt e Karofsky arrivarono a pochi metri dalla macchina dei bulli appositamente nascosta, e si fermarono. Erano più vicini alla loro che a quella di Kurt e Colin, ragionò Dave poco prima che Kurt gli dicesse: “Dimmi pure, ti ascolto.”

C’era un’ingenuità, una totale fiducia nei suoi occhi, che fece desiderare a Dave di scomparire. Letteralmente. Sparire in una voragine sotto i suoi piedi, che poi si sarebbe richiusa su di lui.

Fu indescrivibile la vergogna che provò in quell’istante al pensiero di quello che stava per fare, e lo travolse così violentemente da farlo bloccare per un consistente lasso di tempo, in preda ai pensieri.

“David?” disse Kurt, ancora in attesa.

In quel momento sentì degli sportelli aprirsi e alzò lo sguardo al di là del ragazzo davanti a lui.

“Va via” gli sussurrò Dave, che dava le spalle ai ragazzi in avvicinamento.

Kurt li guardò sconvolto, cercando di capire quale collegamento ci potesse essere tra Dave e quegli animali della vecchia scuola di Blaine. Poi notò che avevano la sua stessa giacca bianca e verde, e capì. Sempre più bianco in volto, indietreggiò di un passo.

Intanto, Colin si era letteralmente fiondato verso di loro, giusto in tempo per afferrare un Kurt praticamente congelato dal terrore per un braccio e trascinarlo verso la loro macchina. Non sapeva chi fossero quei ragazzi, ma il modo in cui erano scesi tutti nello stesso momento dall’auto non gli era piaciuto per niente, e tanto bastava.

Paul, imbestialito dal fatto che Dave era rimasto immobile senza fare niente, lo scansò di malo modo con una spallata e corse nella loro direzione, così veloce da riuscire quasi ad afferrare Kurt per la giacca. Ma poco prima di poterlo fare, sentì qualcuno fare lo stesso con lui e si voltò. Era Dave.

Kurt e Colin raggiunsero la macchina; Colin afferrò il borsone, infilò una mano nella tasca e tirò via le chiavi con il rischio di strapparla e portarsi via anche la stoffa interna. Kurt fece di corsa il giro della vettura e quando il fratello aprì la macchina si fiondò al suo interno, per poi chiudere lo sportello e mettere la sicura.

Mentre Colin metteva in moto e partiva – senza preoccuparsi della cintura, ma Kurt ci sarebbe tranquillamente passato sopra – lui lanciò uno sguardo al di là della sua testa.

“Oh mio Dio! Colin, dobbiamo aiutarlo!” sbraitò non appena vide Karofsky che cercava invano di opporsi a Paul, che gli aveva appena dato un pugno urlandogli contro qualcosa, e gli altri tre che lo tenevano fermo per essere d’aiuto al loro capobranco.

“Tu prendi il telefono e chiama la polizia, io continuo a guidare e ti porto via da qui” rispose suo fratello, premendo il piede sull’acceleratore con tutta la forza che aveva.

“Ma-“

“Kurt, li hai visti? Saprò anche fare a botte ma quelli sono dei gorilla, e tu pesi 50 chili con i vestiti addosso. Chiama la polizia!”

Kurt si affrettò a tirar fuori il suo iPhone dalla tasca dei pantaloni e digitò in fretta 911.

“Pronto? Chiamo dal parcheggio della McKinley High School di Lima, per favore venite subito! Stanno picchiando un ragazzo!” disse concitato, quasi gridando.

Riagganciò dopo aver risposto a qualche domanda pratica su quanti erano, se erano armati o meno e se lui era ancora presente sulla scena. Poi scoppiò in lacrime.

 


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Capitolo 28
*** Forgiving ***


28 Forgiving

 

“Vieni all’ospedale, è successa una cosa.”

Blaine lesse il messaggio di Kurt sul suo cellulare e assunse all’improvviso un pallore cadaverico che probabilmente non si sarebbe mai più manifestato sulla sua pelle olivastra.

“Stai bene vero?” riuscì a rispondere, le mani che già iniziavano a tremare e il sudore freddo lungo la tempia.

Kurt era all’ospedale. Ma gli aveva scritto un sms, non poteva essere così grave se era in grado di farlo. Blaine non ricevette risposta al messaggio, così prese le chiavi dal comodino dell’ingresso, salutò sua madre senza degnarsi di voltarsi a guardarla mentre lo faceva e raggiunse la macchina.

 

* * *

 

“KURT!”

Blaine fece irruzione nella sala d’attesa dell’ospedale quasi gridando, e se fosse stato abbastanza in sé da preoccuparsene, l’avrebbe trovata una cosa terribilmente maleducata da fare.

Le altre persone sedute lungo il corridoio e quelle in piedi, intente probabilmente a fare avanti e indietro in attesa di buone notizie sui loro cari, alzarono lo sguardo verso di lui con un’aria tra l’accusatorio e il comprensivo.

E poi lo vide: Kurt era seduto accanto a Colin con la testa tra le mani, suo fratello con in mano un bicchierone di caffè che sembrava volergli porgere a tutti i costi, sapendo quanto la caffeina, paradossalmente, rilassasse i suoi nervi. Kurt stava scuotendo il capo e sembrava non essersi accorto dell’ingresso di Blaine, né del suo grido.

Fu Colin a notarlo: alzò lo sguardo, strinse le palpebre come se lo stesse aspettando per lanciargli quel bicchiere addosso e poi sussurrò qualcosa a suo fratello. Blaine lo vide alzarsi e dirigersi a passo svelto verso di lui, che era ancora all’inizio del corridoio.

Colin non aspettò neanche di aver raggiunto Blaine per dirgli: “Kurt è riuscito a dirmi soltanto che erano bulli della tua scuola. Che diavolo hai fatto per metterteli contro? Non pensi a Kurt?! Al rischio che ha corso?”

Disse quelle parole quasi in un sussurro, probabilmente proprio per non essere sentito da Kurt. Ma Blaine le sentì forte e chiaro, come se Colin gliele avesse urlate nell’orecchio.

“Colin, rallenta, non ti seguo. Che è successo? Ti prego, dimmi che Kurt sta bene” disse con la voce dell’angoscia.

Il fatto che c’entrassero quei ragazzi non premetteva nulla di buono, e Blaine sentì l’estremo bisogno di scostare Colin con un braccio e correre ad abbracciare Kurt. Ma decise che sarebbe stato meglio farsi raccontare da Colin ciò che era successo, per non costringere Kurt a doverlo fare.

“Sì, sta bene” disse Colin, la voce addolcita dalla vista di Blaine in preda all’ansia. “Sicuramente a me manca la parte precedente, che forse tu saprai. Comunque, sono spuntati dal nulla e sembravano avere tutta l’intenzione di prendere Kurt e…”

Colin si interruppe e si massaggiò le tempie, inspirando. Perché stava per succedere proprio quello che aveva sempre cercato di evitare in tutti quegli anni, ed era stata la fortuna ad impedirlo. Se Karofsky non ci fosse stato, o non fosse stato incline a fermare quei ragazzi… non voleva neanche immaginare come sarebbe andata.

Faceva male fisicamente pensarci, e Colin era più che sicuro che fosse per un buon motivo: che avrebbe fatto male davvero, nel più profondo delle sue viscere.

E apparentemente, la colpa sembrava essere del ragazzo che aveva di fronte in quel momento. Ma sfogare la sua rabbia repressa su di lui non avrebbe migliorato le cose. Avrebbe soltanto fatto soffrire Kurt di più.

Blaine spalancò gli occhi per l’orrore. “Oh, Dio” sussurrò prima di coprirsi il viso con i palmi.

Colin distolse lo sguardo, perché non poteva farsi intenerire. Aveva delle domande e pretendeva delle risposte.

“Blaine, per favore calmati. Kurt sta bene, Karofsky è riuscito a trattenerli il tempo necessario per farci arrivare alla macchina. E’ per lui che siamo qui.”

Blaine alzò lo sguardo, tirando indietro le lacrime che inevitabilmente si stavano accumulando agli angoli dei suoi occhi. Perché Kurt aveva corso un pericolo, di nuovo, e lui non era stato lì per proteggerlo. E faceva male, fisicamente quasi.

“Karofsky?” chiese, sorpreso. Karofsky conosceva quei ragazzi? Pensò che il detto “Dio li fa e poi li accoppia” fosse terribilmente azzeccato.

“Sì, si è trasferito alla tua vecchia scuola a quanto pare. E credo che fosse d’accordo con loro, è venuto nel parcheggio e ha preso Kurt da parte per scusarsi e poi sono spuntati questi ragazzi. Ma poi, è stato come se… come se avesse cambiato idea all’improvviso, e ha cercato di fermarli. Io ho portato via Kurt con la macchina e ho chiamato la polizia, erano troppi e non potevo correre il rischio” disse Colin.

Blaine non disse nulla, impegnato ad assimilare tutte quelle nuove informazioni e soprattutto ad accettare il fatto di essere stato imprudente e stupido nel credere che, dopo l’episodio davanti al bar, non sarebbe successo nulla.

Segretamente aveva pensato che sarebbero venuti a cercarlo. Non lo avevano mai fatto prima di allora, forse perché non lo avevano mai visto con un ragazzo al suo fianco, ancora una volta fiero di se stesso nonostante quello che loro avevano fatto per fargli capire che non aveva motivo di esserlo, che non valeva niente.

Ma avevano fatto di peggio: avevano preso di mira Kurt per far soffrire lui, o forse semplicemente per sentirsi appagati. Ricordava bene quanto picchiarlo li avesse resi soddisfatti, come se quello fosse lo scopo della loro vita, e ricordava anche la pietà che aveva provato per loro nel rendersi conto che forse era davvero così.

Ma adesso la pietà sembrava svanita, perché si stava parlando di Kurt. Blaine sentì il bisogno improvviso di prendere a pugni qualcosa.

Colin assistette silenzioso al mutare delle sue espressioni, l’ultima delle quali fu quella della rabbia. Blaine stava inspirando in modo sempre più rapido e teneva le braccia strette lungo il corpo come per evitare di prendere la prima cosa che gli capitava a tiro e lanciarla contro il muro.

Non potè fare a meno di provare compassione, perché si sentiva allo stesso identico modo, ma continuò a parlare: “Blaine, ho bisogno di sapere perché lo hanno fatto. Sapere che c’è un perché, anche se non potrò mai capirlo.”

Blaine cercò di rilassare la mascella, ormai serrata. “L’altro giorno ci hanno visti insieme e hanno cercato di… intimidirci, ecco. Era come se gli desse fastidio vedere che andavo in giro col mio ragazzo senza vergogna, dopo che… mi hanno picchiato al ballo della scuola.”

Colin indietreggiò leggermente. “Oh, scusami, io-“

“Lascia perdere Colin. Non è questo il punto. Il punto è che sono stato uno stupido, e Kurt ha rischiato di subire lo stesso trattamento per colpa mia e io gli avevo promesso che non gli sarebbe successo niente finchè fossi stato al suo fianco” rispose Blaine velocemente, prima di guardare Kurt in lontananza con la coda dell’occhio.

Proprio in quel momento lui alzò lo sguardo e lo vide. Si alzò e gli corse letteralmente incontro, saltandogli al collo per abbracciarlo.

“Blaine, sei qui” sussurrò tirando indietro un singhiozzo, la voce attutita dai suoi ricci nei quali aveva affondato il viso.

“Sì” disse semplicemente Blaine, avvolgendogli le braccia intorno e stringendolo forte.

In quel momento entrò Burt, la tuta da lavoro ancora sporca di grasso d’automobile e gocce di sudore che gli imperlavano la fronte.

“Che è successo?” gridò mentre li raggiungeva, facendoli staccare l’uno dall’altro.

Colin li guardò complice, si avvicinò a suo padre e lo prese sottobraccio.

“Vieni papà, ti spiego tutto io.”

 

* * *

 

Kurt e Blaine attesero in silenzio, abbracciati, di poter vedere Karofsky. Blaine non riuscì a concentrarsi particolarmente sulle sue condizioni di salute, troppo impegnato a immaginare ciò che sarebbe potuto succedere. Immaginare Kurt al suo posto, sull’asfalto, che si copriva il volto con le braccia e gridava.

Sapeva che il merito era di Karofsky, e che in quanto ragazzo di Kurt lui avrebbe dovuto ringraziarlo, stringergli la mano e dirgli una tipica frase ad effetto come “Grazie per averlo salvato quando io non l’ho fatto”, ma continuava a soffermarsi sulla parte iniziale. Karofsky che era d’accordo con loro, che aveva attirato Kurt in una subdola trappola approfittando della sua buona fede.

Riusciva a immaginare in modo così vivido il suo volto ingenuo, la sua espressione accondiscendente nel volergli concedere il perdono che nessun altro avrebbe concesso.

Un infermiere li raggiunse e chiese: “Siete qui per David Karofsky?”

Kurt annuì e l’uomo fece loro cenno di seguirlo. Li condusse in una stanza poco più avanti e aprì la porta per farli entrare.

Dave era messo abbastanza male: aveva un braccio fasciato al petto, un occhio nero, il labbro spaccato e sicuramente altri lividi sparsi sul corpo, che loro non potevano vedere.

Quando li vide trasalì, evidentemente sorpreso.

“Cosa ci fai qui?” disse mentre si sistemava sul letto, mettendosi in posizione seduta.

Kurt guardò Blaine, che capì e lasciò andare la sua mano per permettergli di avvicinarsi al bordo del letto. Lui rimase in piedi, più distante. Non aveva niente da spartire con quel ragazzo.

“Volevo ringraziarti” disse Kurt semplicemente.

“Ringraziarmi?” chiese Dave, quasi sconcertato. “Ma se per poco non-“

“Ma non è successo, ed è stato grazie a te. Mi ha molto colpito quello che hai fatto” rispose Kurt.

Dave lo fissò, poi spostò lo sguardo su Blaine. “Tu sei Blaine Anderson, vero?”

Blaine sembrò leggermente sorpreso, ma rispose pacato: “Come fai a saperlo?”

“Loro mi hanno… parlato di te” rispose Dave, abbassando lo sguardo. Calò il silenzio.

“Credo che dovresti darci il numero dei tuoi genitori, per chiamarli” esordì Blaine dopo un po’, in tono distaccato.

Karofsky annuì pensieroso. “Mi si è rotto il cellulare, ma se me ne prestate uno lo posso fare io. Ma prima che andiate…”

Si fermò prima di continuare. “Kurt, ho bisogno di sapere che mi hai perdonato. Mi sento uno schifo, e non è per come sono ridotto. Oggi mi sono reso conto che ho toccato il fondo, e per risalire ho bisogno di sapere che non ti ho rovinato la vita in modo irreparabile. Anche se so di non meritare niente da te.”

Dave guardò Kurt con occhi tristi, come se non ci sperasse nemmeno. Si illuminò quando Kurt rispose tranquillamente: “Credo che tu sia già risalito, in questo preciso istante. Non hai bisogno del mio perdono per farlo, ma non mi costa niente dirti che lo hai. Non mi sento più minacciato da te.”

Detto questo, si riavvicinò a Blaine e lo prese per mano, abbozzando un sorriso.

“Forse è il caso che tu torni al McKinley. Credo che tu non sia più al sicuro alla Welby dopo quello che è successo… se ti servirà una mia dichiarazione al preside per tornare, la farò. Rimettiti presto, Dave” disse, prima di voltarsi e avviarsi verso l’uscita con il suo ragazzo al suo fianco.

 


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Capitolo 29
*** Baby, it's hot inside ***


29 Baby, it’s hot inside


Karofsky tornò al McKinley, proprio come aveva suggerito Kurt. Non raccontò ai suoi compagni di squadra il vero motivo delle botte che aveva preso, ma ne approfittò per far loro un discorso su quanto l’esperienza lo avesse sconvolto, facendogli capire che la violenza era terribilmente sbagliata e poteva davvero fare male a livello psicologico, oltre che fisico.

Alla proposta di smettere di fare i bulli e rigare dritto, le reazioni non erano state esattamente entusiaste, anche perché tutti concordavano sul fatto che “tirare granite in faccia, sbattere finocchi contro gli armadietti e sfotterli per come si vestono non è come picchiare una persona”.

Ma Karofsky aveva un indubbio ascendente sul resto della squadra, e senza il suo entusiasmo nell’organizzare bravate anche quello degli altri scemò leggermente. Ma non del tutto, come era prevedibile.

Colin assistette silenzioso ai loro discorsi negli armadietti, profondamente colpito dalle parole del ragazzo.

Tra Dave e Kurt non nacque l’amicizia che sarebbe stata forse prevedibile. Continuò ad esserci un certo distacco da parte di entrambi: Dave non voleva fare niente che potesse creargli altri problemi, e conoscendosi optò per il non fare niente in assoluto; Kurt, semplicemente, giunse alla conclusione di aver fatto quello che era giusto e di aver contribuito, con il suo perdono, alla sua “redenzione”.

I bulli della Welby vennero arrestati, condannati ad una diffida nei confronti di Blaine, Kurt e Dave (le varie testimonianze dei tre si erano accumulate, creando un quadro completo della situazione) e al carcere minorile per percosse per un determinato periodo di tempo.

I loro genitori non si sprecarono in tante scuse, ma fecero sapere con delle lettere che si sarebbero trasferiti altrove dopo la fine della condanna e che loro non avrebbero più sentito parlare dei loro figli. Probabilmente fu più una questione di salvataggio estremo della loro reputazione, ma aveva poca importanza.

Perché la vita riprese a scorrere, come scorreva prima e come avrebbe sempre fatto, lineare e indifferente ai problemi di quelle strane, complesse creature chiamate uomini.

 

* * *

 

Era l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie, e Blaine aveva espresso il desiderio di invitare Kurt alla Dalton per fargli vedere quanto la sua scuola diventasse bella e accogliente – più del solito – in quel periodo, piena di stelle di Natale, decorazioni, candele rosse sui ripiani dei caminetti accesi, mazzi di vischio appesi ai lampadari.

Perché beh, era una scuola esclusivamente maschile, ma essendo dalla mentalità molto aperta accettava ben volentieri di rispettare la tradizione e permettere qualche casto bacio sotto il vischio.

Blaine aspettò Kurt all’ingresso, un berretto di lana rossa sulla testa abbinato alla sciarpa, a braccia conserte. Non appena lo vide si illuminò e sorrise.

Kurt avrebbe dovuto essersi abituato a quella reazione, così spontanea e per questo meravigliosa, ma era impossibile. Blaine lo guardava e sembrava vivere sempre in attesa del suo arrivo.

“Ciao!” disse Blaine prendendolo per mano e dandogli un bacio sulle labbra, fredde ma per niente screpolate grazie ai prodotti che utilizzava. Era una cosa che lui adorava, il fatto che fossero sempre così morbide e vellutate.

Condusse il suo ragazzo lungo i corridoi perfettamente illuminati a giorno, anche se erano le sette di sera e ormai fuori era buio. C’erano candelabri attaccati ai muri ricoperti di mogano liscio, che uniti ai lampadari sul soffitto non facevano che migliorare l’atmosfera.

Ragazzi in divisa passarono accanto a loro da entrambi i lati del corridoio, alcuni salutando Blaine con la mano e sorridendo visibilmente nel vederlo mano nella mano con un ragazzo.

“Scommetto che quello è un Warbler” disse Kurt, quando un ragazzo di colore fece l’occhiolino a Blaine con aria divertita.

“Sì, è David!” rispose Blaine con una risatina.

Raggiunsero una piccola ma accogliente sala, con due divanetti di pelle marrone al centro, tappeti perfettamente rifiniti sopra il parquet, un camino acceso e un pianoforte in un angolo. Kurt, nonostante fosse rapito dalla bellissima atmosfera, non potè fare a meno di notare lo stereo grigio poggiato sopra un tavolino di legno.

Blaine se ne accorse e sorrise. Gli lasciò la mano, fece qualche passo indietro per chiudere la porta e poi raggiunse lo stereo.

“Canta con me” gli disse con occhi sognanti, prima di premere il tasto play.

Una musica dai toni vagamente natalizi riempì l’aria, espandendosi attraverso le onde sonore intorno a loro e, non si sa come, raggiungendo anche il cuore di Kurt. Era la prima volta che cantava con Blaine, e segretamente aveva sempre voluto farlo. Sapeva che sarebbe stato totalmente diverso che vederlo su un palco, insieme al suo Glee Club.

Riconobbe la canzone, e fece appena in tempo a tornare alla realtà per intonare la prima frase.

“I really can’t stay…”

“…but baby, it’s cold ouside!”

Fu strano. Fu la cosa più intima che avesse mai provato… come baciarsi. Non l’avevano mai provata insieme, eppure sapevano esattamente cosa fare. Anche quando le loro voci si sovrapponevano, non c’era esitazione, o paura di prevalere su quella dell’altro.

Si armonizzavano alla perfezione, come se fossero state create per cantare all’unisono, così come le loro labbra sembravano state create per incontrarsi e le loro dita per intrecciarsi e i loro respiri per fondersi e i loro cuori per battere insieme, l’uno per l’altro.

Fu perfetto.

“Oh, but it’s cold outside!”

La canzone finì: Kurt e Blaine erano al centro della stanza, in piedi, l’uno di fronte all’altro.

Blaine alzò lo sguardo, e con l’indice fece cenno a Kurt di fare lo stesso. C’era un mazzetto di foglie verdi sopra di loro.

Kurt lo guardò e sorrise divertito: non aveva mai baciato qualcuno sotto il vischio. Sarebbe stata l’ennesima cosa fatta con Blaine per la prima volta.

Fece un passo in avanti e si abbandonò nell’abbraccio istintivo del suo fidanzato, che lo avvolse del tutto e lo baciò teneramente.

Fu questione di poco prima che diventasse qualcosa di più appassionato, le loro lingue che si incontrarono nello stesso momento come se anche loro seguissero uno spartito musicale.

Blaine alzò una mano, prima poggiata sulla schiena di Kurt, per scostare la sciarpa che aveva al collo e baciarlo al di sotto della mascella, alternando baci e morsi e iniziando poi a succhiare la sua pelle lattea.

La stretta di Kurt intorno ai ricci sfortunatamente ricoperti di gel di Blaine si fece più salda, e un suo piccolo gemito di approvazione incoraggiò il Warbler a continuare. Lentamente, con la sola forza del corpo e senza interrompere la sua attività, lo spinse verso il divanetto dietro di loro.

“B-Blaine, che stai-“

“Beautiful, what’s your hurry?” gli sussurrò Blaine all’orecchio, intonando appena la melodia e facendolo rabbrividire fino alle dita dei piedi.

Andarono a scontrarsi con il bracciolo del divano, Kurt quasi seduto su di esso e il corpo caldo di Blaine contro il suo. Kurt iniziò a pensare che tra quello, il fuoco del camino e i vestiti pesanti che aveva addosso, iniziasse a fare davvero troppo caldo.

“I simply must go…” gli sussurrò sulle labbra, sorridendo quando Blaine scoppiò in una piccola risata.

“But baby, it’s cold outside” rispose il ragazzo riccioluto, sfilandogli con disinvoltura la sciarpa per riprendere da dove aveva interrotto.

“The a-answer is no…” rispose Kurt, anche se non era più tanto convinto.

“Mmmh but baby, it’s cold outside” intonò Blaine sulla pelle del suo collo, sfregandola col naso.

“This welcome has- uh!

Kurt si aggrappò alla pelle del divano dietro di lui e la strinse forte. Blaine aveva appena mosso i fianchi in avanti, contro di lui. Lo percepì sorridere sulla sua pelle, evidentemente soddisfatto di essere riuscito ad interromperlo.

Il ragazzo alzò il viso e lo riportò davanti a quello di Kurt, i loro corpi ancora aderenti l’uno all’altro, ma ora immobili. Avvicinò lentamente la bocca alla sua, ritraendola lievemente quando Kurt chiuse gli occhi e fece lo stesso, per incontrarla a metà strada.

“Gosh, your lips look delicious…”  disse, prima di permettere finalmente alle loro labbra di incontrarsi.

Kurt gemette di nuovo quando i fianchi di Blaine ripresero a muoversi, proprio mentre si baciavano. Divenne tutto più caldo, rude, ma in qualche modo ugualmente dolce. Un modo che Kurt stesso non riuscì a capire: come faceva ad essere dolce una cosa così irruenta come quella di afferrare il suo fianco con la mano e tenerlo fermo sul bracciolo?

Eppure lo era. Era fantastico. Senza nemmeno rendersene conto, aprì le gambe per far aderire ancora di più Blaine a lui.

Il suo ragazzo, uno sguardo scuro di lussuria negli occhi, lo prese per i fianchi e lo fece sedere sul bracciolo, insinuandosi nel suo grembo. Con una mano tenne ferma la sua schiena, per non farlo cadere, mentre con l’altra iniziò a tracciare una linea immaginaria lungo i bottoni del suo maglione, verso il basso.

“B-Blaine…”

“Shh” lo zittì lui con l’ennesimo, umido bacio.

Quando arrivò a sfiorare il bordo dei pantaloni di Kurt, lui si ritrasse visibilmente e si irrigidì. Blaine tolse subito la mano e lo guardò.

“Kurt?”

“Io… scusa, è solo che… non me la sento, ecco” rispose lui imbarazzato, muovendosi per rimettersi in posizione eretta.

“Beh, ma non dovevi mica fare niente” rispose Blaine, un ghigno divertito dalla sua insensata riluttanza.

“Non sono tipo da approfittarmi di te e lasciarti a bocca asciutta” disse Kurt, sfoderando la sua ironia salva-vita. Blaine rise. Inutile dire che gli dispiaceva, ma francamente non era poi così importante.

Guardava Kurt, e niente al mondo aveva importanza. Neanche quello. Forse.

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Capitolo 30
*** Are you afraid? ***


30 - Are you afraid?

 

I genitori di Blaine iniziarono a notare qualcosa. A dirla tutta, chiunque con un briciolo di perspicacia avrebbe capito che era innamorato, o che comunque aveva accanto a sé una persona a cui teneva molto: canticchiava per casa più spesso del solito, la sera usciva vestito di tutto punto, e ormai erano tre volte che afferrava le chiavi dal mobile dell’ingresso per precipitarsi chissà dove di gran fretta. Persino suo padre, incline ad ignorarlo, si accorse della cosa quando passava con lui i week-end; ma lasciò che fosse la sua ex-moglie ad interessarsene.

Mancava una settimana a Natale.

“Blaine, io e tuo padre ci chiedevamo se… va tutto bene a scuola” esordì a tavola sua madre, Karen. Durante le vacanze erano soliti cenare insieme, per dare una parvenza di normalità.

“Certo, perché non dovrebbe? Sono anche stato scelto per il duetto dello spettacolo natalizio” rispose Blaine in tono entusiasta, nascondendo la sua irritazione per il fatto che quell’importante risultato sembrasse interessare solo a lui.

“Ci sembri distratto, ecco” rispose sua madre, lanciando un’occhiata al padre di Blaine per ottenere approvazione. Rassicurata dal suo cenno di assenso, continuò: “Non vorremmo che altri pensieri ti distogliessero dallo studio.”

Blaine capì, ma decise di vedere fino a che punto si sarebbero spinti.

“Che tipo di pensieri?” chiese con aria ingenua.

“Beh ecco… la Dalton è una scuola maschile, è normale che tu ti possa distrarre… ma ti abbiamo mandato lì per tenerti al sicuro Blaine, e siamo, uhm, preoccupati” rispose sua madre, leggermente titubante sulle parole da utilizzare.

Era un campo assolutamente inesplorato, senza contare che sapeva benissimo di non poter ottenere niente di più che un cenno da parte del suo ex-marito, che le aveva stoicamente comunicato, anni prima, di non volerne sapere quasi nulla. Non sapeva se Blaine avesse avuto ragazzi in passato, ma se quello era l’effetto che gli facevano, se ne sarebbe sicuramente accorta.

“Siete preoccupati dal fatto che io possa essere felice?” rispose Blaine, improvvisamente serio. Guardò prima sua madre e poi suo padre, Liam, che roteò gli occhi con il palese intento di sminuire la sua affermazione.

“Cosa c’è, papà? Hai finalmente deciso che hai qualcosa da dire?” chiese il ragazzo appoggiando un gomito sul tavolo e fissandolo con sguardo accusatorio.

“Blaine! Non rivolgerti così a tuo padre!” esclamò Karen ad alta voce, raggiungendo un tono decisamente acuto.

Suo padre, come sempre, si prese il suo tempo. Sospirò, si massaggiò la tempia con aria riflessiva, e infine disse qualcosa che puntualmente deluse le aspettative.

“Io non ho niente da dire. Quello che fai nella tua vita privata non è affar mio, Blaine, finchè non influisce sulla tua vita scolastica per la quale paghiamo un capitale.”

“Cosa che non è ancora successa infatti” rispose Blaine a denti stretti.

“Hai detto bene, ancora. Stai al telefono fino a tardi e ti svegli tardi di conseguenza, studi meno per prepararti per uscire… io e tua madre non stiamo insieme, ma non credere che non mi racconti le cose. E’ solo questione di tempo. Torna con i piedi per terra e concentrati sul tuo futuro, su ciò che è davvero importante, invece che su qualche adolescente in vena di sperimentare che evidentemente non ha tutta questa preoccupazione per la sua carriera scolastica.”

L’uomo tornò a guardare la sua cena senza battere ciglio, come per voler appositamente evitare lo sguardo d’ira di Blaine, aizzato in particolare dalla definizione di “adolescente in vena di sperimentare”. Perché sì, la parola “gay” non era mai uscita dalla bocca di suo padre. Dirla avrebbe significato ammettere che era così, dare un nome a ciò che era e quindi riconoscere che lo era davvero.

Blaine ormai ci aveva fatto l’abitudine, ma sentire suo padre sminuire la cosa più bella della sua vita era troppo da sopportare.

Sbattè i palmi sul tavolo, facendo sobbalzare sua madre e le posate ai lati del suo piatto.

“Gay, papà. Siamo gay, è così che si dice.”

Non aggiunse altro, né suo padre replicò. Blaine si alzò dal tavolo e se ne andò in camera sua.

 

* * *

 

Le vacanze natalizie passarono in modo sereno sia per Kurt che per Blaine. Le preoccupazioni dei suoi genitori, infatti, non lo avevano mai toccato più di tanto, visto che aveva deciso che la loro opinione semplicemente non faceva testo.

Anzi, ne approfittò per passare più tempo con Kurt in posti che non fossero casa sua, dove infatti non aveva mai messo piede. A poco a poco, senza dare nell’occhio, stava diventando parte della routine quotidiana della famiglia Hummel, e la cosa lo rendeva felicissimo.

Adorava quanto Kurt fosse sempre perfetto – lacca, profumo, vestiti – ma vederlo nella sua “tenuta da casa” mentre mangiava biscotti senza grassi sul divano era uno spettacolo per il quale probabilmente avrebbe anche pagato. Era un qualcosa di così privato, intimo e naturale… come se gli si fosse rivelata la parte mancante, al di sotto della meravigliosa apparenza. Inutile dire che quella parte andava altrettanto bene per lui, se non di più.

Burt Hummel si rivelò sempre più gentile nei suoi confronti, sinceramente affascinato dalla sua capacità di distinguere Kurt da Colin. Scoprire inoltre che se ne intendeva di auto e di football fu una piacevole sorpresa, che permise a Blaine e al padre di Kurt di iniziare interessanti discussioni a tavola ponendo rimedio a silenzi imbarazzanti.

Colin rimaneva ancora la grande incognita per lui. Non gli stava esattamente simpatico: aveva l’aria di un ragazzo dall’ego smisurato, nonostante passasse davanti allo specchio la metà del tempo rispetto a Kurt. Anzi, forse era proprio quello il punto: probabilmente si considerava irresistibile già così, senza bisogno di tanti costosissimi prodotti alle erbe.

Si vestiva sempre in quel modo così dimesso e menefreghista, e Blaine non era uno che faceva tanto caso a queste cose, ma era l’atteggiamento a fare la differenza. La sfrontatezza con cui parlava al telefono con una ragazza, e mezz’ora dopo con un’altra, ripetendo addirittura le stesse falsissime frasi su quanto avesse voglia di rivederla.

La cosa che rendeva tutto terribilmente divertente era Kurt, che quando succedeva lanciava a Blaine espressioni divertite e complici o gli mimava con le labbra “E’ un idiota”, facendolo scoppiare a ridere nel silenzio, con il rischio di essere scoperto da Colin stesso.

Una scenetta del genere stava accadendo davanti ai suoi occhi in quel momento: era seduto con Kurt sul divano del salotto, un braccio avvolto pigramente intorno alle sue spalle, mentre il suo ragazzo faceva zapping con il telecomando. Burt era uscito a prendere una birra con degli amici, mentre Colin stava parlando al telefono, camminando avanti e indietro per la stanza: aveva una specie di patologia che gli impediva di parlare stando fermo, a quanto pareva.

“Tesoro, si sarà sbagliato, io frequento solo te” stava dicendo il ragazzo, un leggero ghigno divertito sulle sue labbra ma lo sguardo concentrato di chi lo dice credendoci. Blaine alzò lo sguardo al di là dei capelli di Kurt e roteò gli occhi.

“Finalmente una di loro se n’è accorta?” sussurrò all’orecchio di Kurt, che abbozzò una risatina.

“Figurati, tanto la convincerà. Oppure lei farà finta di crederci, è sempre così.”

“Proprio non capisco cosa ci trovino in lui” borbottò Blaine, lanciando di nuovo uno sguardo a Colin che ora aveva il gomito appoggiato al rilievo del caminetto e vi stava tamburellando sopra con le dita della mano libera.

“Beh, facile: è uguale a me” rispose Kurt, inclinando la testa per toccare quella di Blaine.

“Quanto sei modesto” rispose lui, stringendolo di più a sé.

“A-adesso? Ma dolcezza, è tardi, e-“

Pur non potendolo vedere, fu chiaro a entrambi che Colin era in difficoltà. Il suo tono sembrava aver perso la solita spavalderia. Per un attimo ci fu silenzio, interrotto soltanto dal vociare sommesso proveniente dalla tv al quale né Kurt né Blaine stavano prestando particolare attenzione.

“Casa libera, eh?” sentirono dire a Colin, la voce maliziosa. Come non detto.

“Mmh, ah si? E che altro? Continua a parlare baby, metto la giacca e arrivo.”

Colin passò davanti a loro, superando il divano, per raggiungere l’appendi-abiti dell’ingresso e prendere la sua giacca nera di pelle mentre teneva il telefono fermo tra la guancia e la spalla. Restrinse gli occhi nella loro direzione, mimando un sommesso “Cosa c’è?!” davanti ai loro sguardi interrogativi.

“Metti quello rosso, arrivo” disse al telefono con voce roca, e riagganciò. Si infilò la giacca e se la lisciò sul petto con fare soddisfatto.

“Beh?” ribadì scocciato, mentre si guardava attorno per cercare le chiavi della macchina.

“Non doveva venire Judy?” chiese Kurt alzando un sopracciglio, riferendosi ad una matricola che Colin aveva rimorchiato in mensa.

Colin si passò una mano tra i capelli e sospirò.

“Sì, infatti, per quello stavo prendendo tempo… ma insomma, è una matricola, dovrei insegnarle tutto io. Questa è roba seria.”

“Almeno dille di non venire, non ho intenzione di sorbirmi i suoi pianti a dirotto su quanto tu le abbia spezzato il cuore senza pietà” rispose il fratello. Blaine non potè fare a meno di pensare che fosse successo molte volte in passato.

“Cavolo, quell’episodio con Kathy ti ha proprio segnato nel profondo” disse Colin, facendogli capire di aver azzeccato in pieno. Blaine trattenne una risata.

“Comunque le mando un sms, così voi potete rimanere qui a fare i cowboys” continuò, facendo arrossire Kurt fino alla punta delle orecchie. Colin gli rivolse uno sguardo divertito, aprì la porta e se la richiuse alle spalle.

 

* * *


“Kurt?”

“Sì, Blaine?”

“Non… ecco, non dobbiamo fare i cowboys, puoi anche respirare adesso.”

Kurt si ricordò improvvisamente di farlo. Si voltò leggermente, torcendo il busto, per guardare Blaine.

“Vorresti, non è vero? So che è così” disse, abbassando subito lo sguardo.

Blaine gli prese il mento con due dita e lo costrinse ad incontrare il suo, pieno di calore e di amore.

Dio, se lo voleva. Dal duetto alla Dalton, i suoi sogni erano diventati fin troppo nitidi.

Ogni volta che si baciavano, o che le loro dita si intrecciavano, inevitabilmente sentiva di desiderare di più. Connettersi alla persona che amava nel modo più intimo del mondo, quello che non aveva condiviso mai con nessuno.

Farlo avrebbe significato fondersi completamente con Kurt, e non c’era niente al mondo che potesse valere più di quello.

Blaine voleva fare l’amore con Kurt, e solo in quel momento se ne rese conto, proprio quando lui glielo chiese così esplicitamente. Lo voleva così tanto.

“Sì” disse. Non avrebbe più mentito, era una promessa importante che avevano fatto e l’avrebbe mantenuta, anche a caro prezzo. “Ma… non dev’essere una cosa obbligatoria, Kurt. Solo quando e se anche tu lo vorrai.”

Ti prego, non dirmi che vuoi farlo dopo il matrimonio o cose del genere. Ti prego.

“E’ solo che… la sola idea mi terrorizza, Blaine” rispose Kurt, continuando a guardarlo. La tv ormai aveva la sola funzione di illuminare debolmente i loro profili, vicinissimi l’uno all’altro. C’erano solo loro, i loro respiri, sussurri e paure inconfessate, a quanto pareva.

“Va bene” rispose l’altro, il tono tranquillo di chi ha tutto sotto controllo. “Allora facciamo una cosa: quando senti di avere paura, dimmelo.”

Senza aspettare la risposta, Blaine catturò le labbra di Kurt con un bacio, avvolgendo il suo viso con entrambe le mani. Kurt sospirò mentre si baciavano, rilasciando un po’ della tensione dovuta alla conversazione.

Era vero: il sesso lo terrorizzava. Era innegabile il fatto che le cose alla Dalton fossero state… interessanti. Ma il solo pensiero di essere nudo, scoperto e vulnerabile davanti ad un’altra persona era troppo. Persino Colin, con il quale aveva condiviso i primi 9 mesi della sua esistenza, era obbligato a tenersi alla larga dal bagno quando faceva la doccia.

Però… quello era Blaine. E Kurt lo amava, tanto. Non era forse quello il punto? Abbassare le difese, certi del fatto che l’altra persona non se ne approfitterà mai?

Così Kurt cercò di rilassarsi, perché doveva a Blaine una chance. E anche a sé stesso, francamente. Perché insomma, se tutti alla sua età parlavano di sesso doveva pur esserci un motivo, e se Colin usciva di casa agli orari più improbabili al solo sentir nominare la parola “mutande”, doveva proprio valerne la pena. Scacciò dalla mente quell’ultimo pensiero – Colin unito a “mutande” – e tornò alla realtà, a quello che stava accadendo.

Blaine spostò una mano ai suoi capelli, attraendolo a sé per la nuca, e con la lingua lo invitò silenziosamente ad aprire la bocca. Kurt lasciò che il bacio divenisse più intenso, perché anche se si vergognava ad ammetterlo, amava quando succedeva.

Trasportato dal movimento della lingua di Blaine, tese anche lui le mani e le avvolse ai suoi ricci. Blaine, con una lentezza misurata ed estenuante, spostò una delle sue alla sua spalla, poi lungo il braccio e infine al fianco, facendola passare sotto la coscia di Kurt per invitarlo ad alzarla. Se lo mise a cavalcioni, interrompendo il bacio soltanto per un attimo.

Si guardarono negli occhi con straordinaria intensità.

“Hai paura?” chiese Blaine, soffiando sulle sue labbra.

“No” rispose Kurt, inclinandosi nuovamente e prendendo l’iniziativa, stavolta.

No, non aveva paura. Certo, era ancora totalmente vestito, ma le mani di Blaine che gli accarezzavano la schiena sopra la maglia, e il calore del suo corpo sotto di lui, e le sue labbra irruente non sembravano cose da cui scappare.

Una mano di Blaine arrivò a toccare il bordo inferiore della sua maglietta, iniziando ad alzarla leggermente. Kurt si irrigidì, ma lo lasciò fare. Alzò le braccia e se la fece togliere, rimanendo a petto nudo. Arrossì visibilmente quando Blaine rimase a fissarlo, lo sguardo rapito come fosse in trance a causa del colore etereo della sua pelle.

“Blaine, potresti… toglierla anche tu? Mi sento a disagio” disse, mordendosi un labbro.

Blaine rise nel vedere quanto fosse adorabilmente impacciato, e naturalmente si premurò di accontentarlo. Si sfilò la polo a maniche lunghe e la lanciò sul pavimento, poi prese una mano di Kurt con la sua e se la portò sul petto.

“Lo senti?” chiese. Kurt chiuse gli occhi per lasciare il mondo fuori. Era il battito del suo cuore, quello che aveva tanto amato sulla panchina, mesi prima, quando Blaine lo aveva stretto tra le sue braccia per farlo smettere di piangere.

“Batte solo per te” continuò Blaine, e Kurt sorrise radioso, pur mantenendo gli occhi chiusi.

Sentirlo dire a Blaine era una sensazione indescrivibile, era tutto quello che aveva sempre voluto.

Tum tum. Tum tum.

Il cuore di Blaine picchiettava sotto la pelle del suo palmo, come se volesse bussare. Sembrava dirgli “Lasciati andare”, o almeno a lui sembrò così.

Kurt aprì gli occhi di scatto, come se una rivelazione lo avesse colpito all’improvviso.

“Kurt? Tutto ok? Possiamo-“

“Ti amo” disse, portandosi la mano al suo cuore stavolta. Oddio. Lo aveva detto davvero.

Passarono secondi interminabili per lui. Blaine si sarebbe sentito obbligato a dirlo? Aveva rovinato un bel momento dicendo una cosa che avrebbe potuto dire in qualsiasi altro? Ma in fondo, una cosa più importante di quella non c’era.

Kurt avrebbe voluto dirgliela ogni giorno, ma era una cosa così palese, che quasi non ne sentiva il bisogno impellente. Ma quel momento fu diverso.

Il cuore di Blaine batteva per lui e avuta quella conferma, non poteva più tenerselo dentro. Le parole gli scoppiarono fuori dal petto come fuochi d’artificio e nonostante fosse in apprensione, non se ne pentì. Avevano un suono così bello, più bello di tutte le volte in cui se le era ripetute nella mente. Aleggiavano ancora nell’aria, poteva sentirle.

Non avrebbe mai pensato che dirlo potesse essere così liberatorio e sconvolgente. Ma allora, come doveva essere sentirlo dire di rimando?

Blaine lo guardò per secondi altrettanto interminabili, perché Kurt lo aveva colto di sorpresa. Era assurdo, ma non si era mai preoccupato di essere ricambiato. Amava Kurt e andava bene così. Sapere di poterlo avere accanto era abbastanza, era tutto ciò di cui aveva bisogno… non era il tipo da fissare un sentimento in qualcosa di stereotipato come una frase.

Anche perché una frase non rendeva bene l’idea. Per niente. Blaine amava Kurt in modo… totale. Amava anche i suoi difetti, le sue assurde manie, l’odore obiettivamente tremendo della sua lacca biologica, tutto. Non sarebbe riuscito a trovare un modo per renderlo a parole neanche se l’avesse voluto.

Eppure, avevano un suono così bello. Sentì il cuore battere all’impazzata mentre guardava Kurt e realizzava, solo in quel momento, che Kurt lo amava. Allo stesso modo.

E non appena se ne rese conto, fu più naturale e più facile che respirare prendergli il viso con entrambe le mani, avvicinarlo al suo e dirgli “Ti amo anch’io. Ti amo da impazzire.”

Kurt sorrise e lo baciò, avvolgendogli le braccia intorno e stringendolo a sé.

Rimasero così, stretti l’uno all’altro, il viso di Kurt nell’incavo del collo di Blaine.

“Da sempre” esordì lui all’improvviso, spezzando il silenzio. Kurt alzò leggermente il viso per guardarlo.

“Come?”

“Non saprei dirlo con certezza. Ma credo sia così da quando ti ho conosciuto, Kurt. Quando ho detto che i tuoi occhi brillano… Non era così per dire. E’ la verità. Non puoi neanche immaginare come siano adesso” rispose Blaine, perso in quella luce che lo abbagliò così tanto da farlo quasi commuovere.

“Blaine… anche per me è così” rispose Kurt, e l’altro assunse un’espressione sorpresa.

“Dal Lima Bean? Non ci credo” disse, avvicinando il naso al suo e accarezzandolo con dolcezza con la punta.

“Da Teenage Dream. So che è stupido, ma era come se… cantassi per me” riprese Kurt, assecondando il movimento di Blaine con un sorriso.

Blaine si ritrasse per dare un tono serio a ciò che stava per dire.

“Non è stupido. E’ così” rispose, prima di tirare di nuovo Kurt in un abbraccio.

 

* * *

 

Kurt e Blaine non fecero l’amore quella sera. Non fecero niente.

Ma l’amore impregnò l’aria comunque, molto più di quanto riesce a fare il sesso con il suo odore pungente, reale.

L’amore non ha odore, si sa. Così come non ce l’ha la felicità, o il dolore.

Le cose che contano, quelle che vengono dal cuore, non si possono né sentire, né vedere, né toccare. Eppure la loro presenza sembra molto più vivida di quella del vento, della pioggia sulla pelle o della sabbia sotto i piedi nudi.

L’amore era lì, sulla pelle dei loro petti attaccati e delle loro dita strette tra i capelli dell’altro. Fluttuava nella stanza come una densa foschia, che forse qualcuno avrebbe dissolto aprendo la porta da un momento all’altro, ricordando loro che quella era la realtà e nella realtà non si può restare seminudi sul divano di casa propria senza aspettarsi conseguenze.

Eppure, quando lentamente si rivestirono, ripresero a guardare la tv tenendosi per mano e infine si addormentarono, Burt entrò con aria assonnata dall’ingresso, e la foschia non svanì affatto.

L’uomo sembrò ridestarsi per un attimo, giusto il tempo di guardarli, per sorridere deliziato dalla gioia che evidentemente era troppo palese sui loro volti assopiti per non essere notata.

L’amore li cullò nei sogni e aspettò pazientemente il loro risveglio, e così avrebbe fatto per tutte le notti a venire.

 

 

 


 

 

Note di _hurricane:

Ho unito due capitoli che avrebbero dovuto essere separati, perchè mi sento davvero TROPPO in colpa per la lentezza degli aggiornamenti! Purtroppo sono ferma allo stesso punto della trama da molto tempo, quindi sto cercando di guadagnarne. Spero che ci sarete comunque, indipendentemente dall'attesa.

Love you <3

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