La Storia mia con Te - Prequel

di Lady Aquaria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Twist of Fate. ***
Capitolo 2: *** E da qui. ***
Capitolo 3: *** You had me from hello. ***
Capitolo 4: *** Taking Chances. ***
Capitolo 5: *** First time. ***
Capitolo 6: *** I've got you under my skin. ***
Capitolo 7: *** Come with me. ***
Capitolo 8: *** Benvenuta. ***
Capitolo 9: *** In good company. ***
Capitolo 10: *** It's a beautiful day. ***
Capitolo 11: *** Pocketful of sunshine. ***
Capitolo 12: *** Un'emozione inaspettata. ***
Capitolo 13: *** Under Pressure. ***
Capitolo 14: *** Let the bad times roll. ***
Capitolo 15: *** Nothing's impossible. ***
Capitolo 16: *** Que sera, sera. ***
Capitolo 17: *** If today was your last day. ***
Capitolo 18: *** When all is said and done. ***
Capitolo 19: *** Disillusion. ***
Capitolo 20: *** Trying not to love you. ***
Capitolo 21: *** Dimentica. ***
Capitolo 22: *** Surrender. ***
Capitolo 23: *** Love's a loaded gun (and it shoots to kill) ***
Capitolo 24: *** Distance. ***
Capitolo 25: *** If tomorrow never comes... ***
Capitolo 26: *** Feels like the end. ***
Capitolo 27: *** Here without you ***
Capitolo 28: *** Hurt. ***



Capitolo 1
*** Twist of Fate. ***


Capitolo 1 Prequel revisionato

1.

Twist of Fate

"La verità è che io faccio fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è. C'è sempre. Con il suo sorriso e i suoi occhi, perfino col suo caratteraccio. E quando non c'è la cerco. La cerco in casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora dappertutto. L'ho cacciata, ma non riesco a levarmela dalla testa."
Milo tacque, aspettando che Camus proseguisse.
Ma non lo fece, Camus pareva perso in pensieri tutti suoi, pensieri che Milo conosceva fin troppo bene.
"Amico mio, sei messo proprio male."

E tutto questo, a partire da quel giorno al Goro-Ho.

*

Estate 2003, Goro-Ho (Cina).
L'aveva conosciuta quasi per caso, quando era stato mandato in Cina dal Maestro Dohko su ordine del Grande Sacerdote perché "qualcosa stava per succedere".
Lui doveva cercare di convincere il Saint di Libra a unirsi alla loro causa e Ares aveva inviato lui perché più diplomatico di DeathMask, che scalpitava per andare ad attaccar briga da qualche parte.
Speranza vana.
"…non ho nessuna intenzione di muovermi da qui, Aquarius." aveva ridacchiato Dohko, sempre costantemente fermo sul suo picco. "….se Athena avesse voluto sollevarmi da questo compito, l'avrei già saputo. Dieci cavalieri d'oro sono più che necessari per proteggere il Grande Tempio." dichiarò infine, criptico, lasciando Camus perplesso.
Dieci? Cosa…??
"Apprezzo molto la gentilezza che hai usato per rivolgerti a me, ma…"
"Sono dell'idea che ogni cosa si può risolvere parlando con calma, senza l'uso della violenza."
E DeathMask l'avrebbe usata, eccome.
"Sagge parole, mio buon ragazzo. Ma devo ugualmente diniegare." concluse Dohko, chiudendo definitivamente la questione. "Rientra al Santuario, Camus, e riferisci al Grande Sacerdote che non è mia intenzione disubbidire a un ordine della Dea, e che, pertanto, non rientrerò ad Atene."
A Camus non rimase altro che restituire l'inchino che gli aveva rivolto Dohko.
"Riferirò, Maestro."
"Maestro!"
Lo sguardo di ghiaccio del Gold Saint si posò sul giovane allievo di Dohko, Shiryu, che doveva aver avvertito il suo cosmo.
"… cosa fate qui? Cosa volete??" gli aveva domandato, con un atteggiamento che trovò irritante e inutilmente aggressivo.
"Frena la tua lingua, ragazzo. Non sono qui con intenzioni maligne, non indosso nemmeno l'armatura." lo riprese Camus, incrociando le braccia sul petto e squadrando il giovane da capo a piedi.
"Avete sentito che cos'ha detto? Il mio maestro non si muoverà da qui! Andate!"
E allora, l'aveva vista.
"Non sono affari che ti riguardano, Shiryu, se ne occuperà il maestro. Rientra dentro."
Non troppo alta, snella, lunghi capelli neri, decisamente rassomigliante al ragazzo che era intervenuto in difesa di Dohko.
"Va tutto bene Mei, non preoccuparti." aveva interloquito quest'ultimo. "E nemmeno tu, Shiryu. In ogni caso io e Camus abbiamo finito."
Dopo un breve cenno di saluto nei suoi confronti in seguito a una lunga occhiata, la ragazza era quindi rientrata in casa seguita da Shiryu e da quella che, in base a quanto ricordava, doveva essere la figlia adottiva di Dohko.

*


Come previsto il Grande Sacerdote non fu felice della risposta data da Camus e del suo insolito fallimento: se nemmeno lui, il Diplomatico del Santuario che svolgeva regolarmente il compito di ambasciatore in giro per il mondo, aveva convinto Dohko, avrebbe dovuto passare a mezzi di persuasione più… pesanti.
"Sono piuttosto contrariato, Camus. Avrei giurato di vederti tornare insieme al vecchio Maestro… ma a quanto pare l'osso è più duro di quel che immaginavo."
"Non ha voluto sentire ragioni."
"…perché evidentemente non hai usato i modi giusti." interloquì DeathMask, facendo il suo ingresso nel tredicesimo tempio. "Ora capisco perché mi avete chiamato, Eccellenza."
Camus assottigliò lo sguardo, mentre DeathMask si avvicinava allo scranno.
"Le persone civili discutono, non attaccano un rispettabile anziano così, giusto per il gusto di muovere le mani." replicò.
"Quando richiederò il tuo intervento DeathMask, allora potrai parlare." intervenne Ares, fermando sul nascere la sua risposta verso Camus. "Le sue esatte parole?"
"Ha detto che non intende disobbedire a un ordine della Dea e che non mi avrebbe seguito." ripeté Camus.
"Mh." Ares rifletté qualche istante sulle parole di Camus, prima di fare un cenno in direzione di DeathMask. "Non sono propenso a usare violenza su un nostro parigrado che ha quasi il doppio delle nostre età sommate insieme… ma la sua presenza al Santuario è di vitale importanza, la settima casa ha bisogno del suo custode e non deve rimanere disabitata."
"Ci penso io al vecchio Libra, vedrete."
"Immagino." fu il commento di Camus, guardando in tralice il commilitone.
"Che intendi dire, fetuso??"
"Hai solo voglia di attaccare briga, tu. Non otterrai niente, come sempre. Dohko ha deciso così, e nessuno riuscirà a smuoverlo."
"Sono molto persuasivo, io."
Camus ridacchiò appena.
"Che farai? Ti presenterai al Goro-Ho con coppola e fucile a canne mozze parlando come Vito Corleone?"
"Andrò come mi pare e vincerò dove tu hai fallito. Del resto vi avevo avvisato Ares, ma voi non avete voluto darmi ascolto."
"Non mi sembra il luogo per parlare di questo. E sia, Cancer, domani andrai tu in Cina."
DeathMask rise, con la solita risata satanica che metteva i brividi.
"Ho carta bianca?"
Ares si alzò dallo scranno.
"L'importante è che porti il maestro qui, intero. Per il resto, fa' come vuoi, uccidi chi ti pare se lo ritieni necessario, ma Dohko mi serve vivo." replicò Ares, enfatizzando l'ultima parola.
Uccidi chi ti pare?
Il suo pensiero corse, senza nemmeno accorgersene, alla ragazza che aveva visto.
Che ne sarebbe stato di lei, se DeathMask avesse usato anche solo un millesimo dei suoi poteri?
Si congedò, e tornò rapidamente all'undicesima casa dove ad attenderlo trovò come sempre Milo, questa volta appoggiato alla sua Honda.
"Ha detto di no." disse, non appena lo vide.
"Ha detto di no." annuì Camus. "Non potevo certo forzare la mano, è pur sempre il vecchio Maestro."
"E poi il vecchio Dohko è capacissimo di farti fuori in pochi secondi, se gli va."
"Mh."
"C'è dell'altro."
"Sì ma non ho molto tempo per pensare a come rimediare al disastro che sta per accadere." rispose Camus.
"Già. Mentre pensi possiamo andare in quella taverna a Megara, a bere qualcosa." disse Milo. "Dai, prendi la tua moto e andiamo."
Scosse la testa.
"Non sono in vena di guidare." diniegò.
"Oh. E se invece scendessimo dal vecchio Mirkos, a farci due goccetti di ouzo?" 
Dal vecchio Mirkos, in quella bettola mascherata da bar?
"Assolutamente no." replicò. "L'ultima volta ho dovuto far risuolare gli stivali: i pavimenti di quel locale sono più appiccicosi di una fabbrica di colla."
Milo scoppiò a ridere.
"L'igiene non sarà il massimo ma la sua birra è ottima."
"Avrei da ridire in merito. Su, levati quel ghigno dalla faccia e andiamo."
"A proposito: tu hai la faccia di uno che è stato reso felice da una donna."
Camus lo guardò, malissimo.
"Ho la mia solita faccia."
"Oh no. Hai capito bene che cosa intendo dire."
"Insomma, Milo, ma pensi solo al sesso?"
Milo scoppiò a ridere.
"Il sesso fa bene, mio caro, è uno dei motivi per cui vivere. Mangiare, bere e fare sesso. Ecco cosa ci tiene in vita!"
"Fare l'amore, Milo. Amore, non sesso."
"Ah, l'amore, l'amore… quello lo fai con la tua donna, ma se non ce l'hai, fai sesso, e basta." commentò Milo.
Camus afferrò chiavi e casco, e salì in sella alla sua Norton.
"Dai muoviti, Megara non è dietro l'angolo."

"Allora, vuoi dirmi chi è, questa ragazza?"
Camus alzò gli occhi al cielo, mentre Milo faceva l'occhiolino alla cameriera del pub, che gli aveva appena portato una Caffrey's. Lui si era limitato a un Kyr analcolico, non volendo rischiare la pelle a guidare ubriaco in moto.
"Quale ragazza?"
"Quella alla quale il tuo cervello sta pensando da quando sei tornato dalla missione. La conosco?" proseguì Milo.
"Chi ti dice che sto pensando a una ragazza?"
"Andiamo, non hai quello sguardo negli occhi nemmeno quando la tua amata Paris Saint Germain vince."
Tanto valeva dirglielo, visto che non l'avrebbe lasciato stare.
"L'ho intravista al Goro-Ho."
Milo sgranò gli occhi.
"Non parli della figlia adottiva di Dohko, vero? La piccola Shunrei è riserva di caccia di Shiryu, quello t'ammazza!"
"No, stupido." disse, corredando le parole da un'occhiata glaciale. "C'è un'altra ragazza, in quella casa. Non parlavo di Shunrei. È una …bambina."
Milo sorrise, sornione.
"Ha già tredici anni, sai che qualche epoca fa a quell'età erano già pronte per sfornare qualche pargolo?"
"E'-una-bambina." ripeté Camus con una smorfia oltraggiata. "E non è di lei che parlo. La ragazza che ho visto ha come minimo la mia età."
"Ah, allora parli di Mei-Yin, la sorella di Shiryu." disse. "L'ho vista una volta sola…"
Camus sorseggiò la sua bevanda.
"…e?" buttò lì, fingendo indifferenza.
Milo ci pensò su.
"Uhm… non so granché di lei. Comunque non è malaccio, a dirla tutta. All'incirca è un metro e sessantasei, sessantotto al massimo. Da quel che s'intravede dai vestiti dev'essere anche particolarmente magra e nervosa. Non ha molte curve però ha un bel corpo." rispose. "Dicono che abbia lunghi capelli neri e gli occhi del fratello, ma più scuri… questo però non posso confermartelo, non mi sono avvicinato così tanto da verificare se è vero o no."
Occhiata in tralice.
"Tessera sanitaria? Codice fiscale? Numero di ossa fratturate?"
"Uh?" Milo parve confuso.
"Fortuna che non sapevi granché. Dì un po’, le hai fatto la radiografia??"
Milo sghignazzò.
"Quando una donna attira la mia attenzione, le faccio anche un check-up completo, se voglio."

***

Lady Aquaria's corner.
(capitolo revisionato in data 07/05/2014)
Ho deciso di revisionare anche questa ff, aperta quasi tre agosti fa (aperta per ampliare la storia tra Camus e Mei, dove racconto qualche retroscena o qualcosa lasciato un po' in ombra) dopo essermi accorta di qualche sciocchezzuola dettata dalla fretta e da qualche problema. Qualche capitolo sarà più lungo dell'originale, altri si limiteranno a qualche sporadica correzione.

1. il titolo si riferisce a una stupenda canzone di Olivia Newton John, "Twist of fate", appunto, colonna sonora del film "Due come noi - Two of a kind", che a me, in barba alle recensioni negative che il film ha ricevuto, è piaciuto molto (e che non c'entra affatto con la fanfic). Ho scelto questo titolo perché significa "scherzo del destino" perché, insomma, Mei e Camus si conoscono così, grazie al destino.

2. I fatti sono tutto traslati di circa diciassette anni rispetto alle date dell'anime, più o meno. E non dite che non l'avevo detto. è_é

3. Caffrey's: è una birra scura irlandese, simile alle sue sorelle più famose come Guinness o Murphy's . Il Kyr, invece, di solito è alcoolico, ed è composto da succo di ribes e vino bianco, o champagne nel caso del Kyr Royal (tutte info date da mia sorella, che studia all'alberghiero). Nel pub che frequento di solito, a Torino, lo fanno anche analcolico, con l'acqua tonica.

Alla prossima!
Vale^^

Lady Aquaria

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Capitolo 2
*** E da qui. ***


secondo capitolo prequel

2.

E da qui.

 
"Ma davvero? Vedi di farlo a qualcun'altra, il check-up."
Milo sogghignò ancora.
"E perché mai??" ribatté. "Cos'é, l'hai vista prima tu? Non sono del tutto sicuro che tu sia in grado di maneggiare una come lei. Al villaggio sotto il Goro-Ho dicono sia un bel peperino, il Maestro l'ha allenata personalmente."
"Non credevo fosse una sacerdotessa, non porta la maschera." obiettò Camus.
"Infatti non lo è, Dohko ha affinato le sue capacità di artista marziale, che la ragazza ha iniziato ad apprendere dal suo defunto padre. E' bassa, ma è un concentrato di forza… che c'è? Perché mi guardi così?"
Camus puntò l'indice contro Milo.
"Dimmi la verità. Fai parte dell'EYP."
"No, niente servizi segreti, sono solo un attento osservatore." rispose Milo, ridacchiando. "E comunque sai, non m'interessa la tua fanciulla… per me è troppo nervosa, preferisco le ragazze un po' più floride."
"Scherza, scherza. Il pazzoide della quarta casa ha ottenuto il permesso dal Grande Sacerdote a fare una strage. Ecco a cosa sto pensando da oggi."
"Esagerato." disse Milo.
"Gli ha affidato la missione al Goro-Ho che io ho fallito, e gli ha dato carta bianca per agire come meglio crede." spiegò Camus. "Uccidi chi ti pare, il Maestro mi serve vivo. Ti pare una cosa sensata da dire a uno come Death? Che dici, sono esagerato adesso?"
"Ha dato carta bianca a Death? Ma è impazzito?"
"A quanto pare…"
"E tu sei preoccupato per Dohko? Quello è ancora in gambissima, potrebbe farci fuori tutti quanti senza nemmeno faticare, altrochè... stai tranquillo, sa il fatto suo."
"Dohko sì. La ragazza, no."
Milo ridacchiò.
"Allora è lei la tua sola preoccupazione." insinuò. "E no, non iniziare con il discorso: siamo paladini della giustizia, dobbiamo proteggere gli innocenti. Cam, non prendermi in giro."
"Ma lei è un'innocente. Non merita di finire i suoi giorni con la fine atroce  che le farebbe fare Death."
"E che cosa intendi fare?"
Camus finì la bevanda, pensieroso.
"Qualcosa m'inventerò." rispose.
"Se vuoi spezzare le gambe al granchietto sappi che hai la mia approvazione e avrai il mio aiuto."
"Ah no. Il giorno in cui deciderò di fargli abbassare la cresta dovrò essere da solo. Non intendo condividere quel piacere con nessuno. Posso concederti l'onore di finirlo, ma a pestarlo sarò solo io."
"Sai Cam, a volte mi fai paura." commentò Milo, poco dopo.
Stavolta fu Camus a sogghignare.
"Guardati dalla furia dell'uomo paziente." rispose. "Sarà meglio tornare al Santuario, sia mai che quello decida di partire con anticipo."
Milo andò a pagare e tornarono al Santuario dove, tutto baldanzoso, DeathMask si stava vantando con un paio di soldati semplici dell'incarico ottenuto da Ares.
"Guardalo, com'è tronfio." commentò Camus. "La sua stupidità lo porterà alla rovina, prima o poi… tsk! ha carta bianca. So io che cosa potrebbe farci, con quella carta."
"Non dirmelo, lo immagino da me…" ridacchiò Milo.

Verso il pomeriggio, mentre DeathMask, tronfio nella sua armatura si recava da Ares per gli ultimi aggiornamenti, Camus decise di anticiparlo e andare in Cina: la ragazza che aveva visto, Mei, era fuori a curare il giardino ignara di cosa stava per succedere di lì a poco.
Non si spaventò quando lo vide comparire accanto al grande salice che imperterrito da chissà quanti decenni, si stagliava dietro la pagoda.
"Nihao. O forse sarebbe meglio… yassou." si corresse, passando al greco. "Vi ho già visto l'altro giorno."
"Sì."
"Anche se non da così vicino." fece Mei.
"Oh. Ehm…" disse Camus, mal interpretando le sue parole.
"Potete avvicinarvi, sono innocua."
"… disse quella con un tantō infilato nella cintola." Camus le indicò con un cenno l'arma in questione.
Mei sorrise e si alzò, pulendosi le mani sotto il getto del tubo per irrigare il giardino.

"State tranquillo, non sono così stolta da pensare di poter abbattere un Gold Saint con un misero pugnale."
"Adesso sì che sono tranquillo."
Lei rise.
"Il Maestro è sempre lì, al suo posto. E no, non credo abbia cambiato idea dall'ultima volta che vi ha visto."
Sentiva il cosmo di DeathMask avvicinarsi e decise che non poteva perdere altri istanti a parlare.
"Mei-Yin, giusto? Senti, non posso perdere altro tempo."
"Perdere tempo? Ma cosa…??"
Ed eccolo, DeathMask, comparire dalla cascata in una delle sue amate entrate in scena teatrali, il cosmo a proteggerlo dall'acqua.
"Felice di vedervi, Maestro."
"Il prode Cancer…"
disse Dohko, ironico."Così sei tu il sicario mandato da Ares. Quale onore, per un vecchio come me."
"Cosa sta succedendo?"
"Resta vicina a me e non ti succederà niente." le disse.
"Ma… il maestro… mio fratello…!" protestò la ragazza. "E Shunrei!"
La tirò a sé e si teletrasportò dietro a un enorme masso in cima alla cascata azzerando il cosmo per evitare di essere avvertito dal collega.
"Non c'è tempo." le disse, cercando di captare la ragazzina dal quipao rosa.
La trovò nella foresta di bambù poco distante, insieme a Kiki.
Menomale, è con Kiki, pensò. Pur non essendo un Saint ma solo l'apprendista di suo fratello Mu, sapeva come difendersi, e in caso di necessità l'avrebbe teletrasportata al sicuro.
"Credo che potremmo darci del tu, a questo punto." sentì dire a Mei.
Preso dalla situazione, l'aveva sentita appena.
"… come?"
"Ho detto che a questo punto possiamo anche darci del tu, visto e considerato che quello che stai stringendo è il mio seno destro e non la mia spalla."
Sgranò gli occhi, guardando Mei e costatando che aveva ragione. Tolse subito la mano, imbarazzato.
"Chiedo umilmente scusa."
Una risata perfida li distrasse.
"Chi è quell'uomo?" domandò Mei in un sussurro, sporgendosi appena dal masso.
"DeathMask di Cancer, il miglior sicario in circolazione." le rispose. Ma non c'era nessuna ammirazione in quel tono di voce, solo disprezzo. E doveva provarne molto contro quell'uomo.
"È un tuo pari." affermò Mei.
"Sì. Di nome, ma non di fatto. Dovrebbe servire la giustizia, invece quell'uomo è la cosa più rivoltante che conosco."
L'uomo che aveva chiamato DeathMask si era avvicinato minaccioso a Dohko, parlandogli, ma lontana com'era, non riusciva a carpire nemmeno una parola. Solo di quando in quando, si sentiva una risata raccapricciante, certo non del maestro.
"Si può sapere che cosa volete, dal maestro Dohko? Non ha commesso nessun crimine, non s'è mai mosso da qui." riprese Mei, poco dopo.
"Il Grande Sacerdote vuole a tutti i costi richiamarlo al Santuario, dice che ha consultato le stelle e sono maligne…" le rispose, in automatico, come se lei potesse comprendere.
"Pensavo che il Grande Sacerdote fosse una persona ragionevole e rispettosa. Invece, sento solo energie negative provenire da Occidente, non è affatto il Santuario descritto dal Maestro."
Possibile che anche lei percepisse il Cosmo?
"Tu percepisci il Cosmo?"
"Certo che sì." replicò Mei, come se la cosa fosse ovvia. "Sento quello di Shiryu da anni, sento anche quello degli altri Saint. Percepisco la loro natura. Secondo te perché ero così tranquilla quando sei arrivato, poco fa?"
"Ah, ecco perché non mi hai lanciato quel pugnale." commentò Camus.
Mei ridacchiò.
"Non l'avrei lanciato comunque, lo uso solo per difesa, mai per l'attacco." rispose. "Se proprio devo attaccare, lo faccio a mani nude."
"Devo quindi ritenermi fortunato, per non essere stato attaccato in alcun modo?"
"Beh… non sono così sciocca da attaccare per prima un uomo del tuo calibro."
Camus inarcò un sopracciglio.
"E se ti avessi attaccato?"
"Beh, allora quel tantō sarebbe finito dritto nel tuo occhio."
La guardò, stranito.
"Nell'occhio?" ripeté. "Perché non nel cuore?"
"Uno perché indossi un'armatura e due perché nel vostro caso gli occhi, e il cervello dietro essi, sono più facilmente raggiungibili."
"Brutale." commentò Camus.
"Forse. Ma di certo letale."
Come DeathMask in quel momento: appena posato lo sguardo su Shiryu, iniziò ad attaccare anche lui.
"Un cavaliere qualsiasi che sfida a duello un cavaliere d'oro… è ridicolo!!" stava dicendo Death."Mai prima d'ora avevo sentito una cosa più assurda e sciocca di questa!!"
Idiota
, avrebbe voluto urlargli. Mai, mai sottovalutare un avversario, e Shiryu, anche se un modesto bronze, poteva dargli filo da torcere.
"C'è una prima volta per tutto, e per te questa sarà anche l'ultima!"
Parlare. Doveva farla parlare, per non farle vedere Shiryu cadere sotto i colpi di DeathMask.
"Allora, Mei-Yin." disse. Usò il suo nome per intero, sperando di intavolare un discorso.
Mei rimase in silenzio un attimo e lui ne approfittò per sbirciare, in tempo per vedere Shiryu scaraventato a terra da un colpo appena accennato di DeathMask.
"Tu sai il mio nome, ma io ancora non so il tuo." si decise Mei, come lui stesso aveva sperato.
Ridacchiò appena.
"Non è importante e… ed è anche un filo banale."
"Ma è un nome, è la prima cosa che ti rappresenta. Non può essere così brutto."
Silenzio.
"Camus. Mi chiamo Camus." le disse, aspettandosi di vederla scoppiare a ridere.
"Come lo scrittore." rispose Mei, poco dopo.
"Già. Mia madre e i suoi nomi assurdi. Fortunatamente non le piaceva Dostoevski." le rispose.
Adesso sì che Mei rise.
"Bè, anche Dostoevski era un grande scrittore."
"Sì… è quello che ha scritto l'idiota." replicò Camus, continuando a monitorare la situazione da basso.
"Ma ha scritto anche Delitto e Castigo… i Demoni..."
A proposito di demoni.
DeathMask fermò un colpo di Shiryu con la sola forza di un dito, e poi, dopo aver iniziato a farlo vorticare come se non avesse peso, lo scaraventò nella cascata.
In quel caso, discorso o meno, Mei se ne accorse.
"Shiryu!" esclamò, uscendo allo scoperto.
"Torna qui!" disse Camus, riacciuffandola e tirandola contro il suo petto, pregando che Death non l'avesse vista.
Non aveva messo in conto che Mei non era esattamente la dolce e indifesa fanciulla che appariva a prima vista: tentava di divincolarsi con una forza tale che solo l'emanazione del proprio cosmo la stava facendo placare.
"Ferma!" le disse. "Non senti? È ancora vivo… sta bene…"
Bene… insomma, se così si poteva dire…
Mei smise di dibattersi, cercando di captare qualcosa del cosmo di Shiryu. Lo trovò, con difficoltà, in fondo alla cascata: un cosmo debole ma ancora vivo.
"… evitatemi la predica, maestro. Sapete anche voi che il confine tra il bene e il male è molto sottile. Può anche darsi che Ares abbia commesso ingiustizie, ma se alla fine vincerà lui, le ingiustizie che avrà compiuto si muteranno in atti di giustizia necessaria dovuti alle circostanze ed al bisogno. Una volta esteso il suo potere sull'universo, chiamerà ben fatto quel che voi ora chiamate con il nome di ingiustizia." diceva DeathMask.
Idiota. Si ripeté Camus. Idiota e presuntuoso.
"Stolto." fu la risposta di Dohko, ignorando la risposta piccata di DeathMask, subito dopo."L'ingiustizia non potrà mai mutarsi in una cosa giusta! Le stragi, le uccisioni, le sopraffazioni dei popoli e delle genti, tutto ciò si lascia alle spalle il tetro odore della morte e non potrà mai essere chiamato con un nome diverso. Quello che porta gli uomini alla guerra e alla distruzione non avrà mai il nome di giustizia per sé."
Sorrise appena, alle parole del saggio collega della settima casa; peccato però che Death non fosse per nulla in vena di cedere.
Caricò un altro dei suoi colpi, ma mentre lo stava scagliando alle spalle di Dohko, ecco che una forza terribile si sollevò dalla cascata, lasciando Death di stucco.
Shiryu.
"È vivo, lo senti?" le ripeté.
Ma non ancora per molto. DeathMask stava per usare quel colpo. Il sekishiki meikaiha.
E Shiryu… bè, non avrebbe avuto molte chances di sopravvivenza.
"Giù!" le disse stringendola forte, mentre già avvertiva le porte dell'Ade spalancarsi.
"Fermati, DeathMask."
Mei trattenne il respiro, mentre lui riconosceva il cosmo del collega della prima casa.
"Dimentichi che stai affrontando un cavaliere a te inferiore? Dunque non hai dignità, Cancer?"
L'aiutò a rimettersi in piedi e la prima cosa che lei fece fu sbirciare.
"Un amico è giunto per salvare Shiryu." disse Dohko, sorridendo all'amico.
"Già una volta ho aiutato quel ragazzo…"
"Sì." disse. "Lo riconosco. È il Saint solitario che vive in Jamir… aiutò Shiryu con le armature tempo fa."
"Mu dell'Ariete. È questo il suo nome."
"Attenti a voi, traditori del Santuario!" diceva DeathMask, allontanandosi per scomparire dov'era apparso.
"Dove stai andando, Cancer, vuoi rinunciare alla battaglia?" sbraitò Shiryu.
"Zitto, idiota…!" sbottò Mei. "Ha sempre avuto la lingua lunga, mio fratello…."
"Sarei un pazzo, se credessi di potercela fare contro tre cavalieri d'oro…" disse DeathMask, guardando in direzione della sommità della cascata e ghignando. "A presto, Shiryu! Ci rivedremo al Santuario, lì ci incontreremo di nuovo!"
"Felice di rivederti, cavaliere di Aries." salutò Dohko. Guardò in direzione del masso. "E sono felice di rivedere anche te, Camus."

***

 
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 8 maggio 2014)
Piccola Postilla di fine capitolo: le parti in corsivo si riferiscono a certe parti del dialogo tra Dohko e Death nell'episodio 39 "Una prova da superare", e si rifanno al doppiaggio italiano classico. Per esigenze di copione ho dovuto modificare qualcosina qua e la'.
Anche questo reca un titolo di una canzone…questa è E da qui di Nek.
Ringrazio come sempre chi legge, recensisce, mette tra i preferiti (merciiiiiii =)) e chi segue.
Alla prossima!
Vale^^

Lady Aquaria

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Capitolo 3
*** You had me from hello. ***


capitolo 3 revisionato

3.

You had me from hello.

 

The first time I saw you it felt like coming home
If I never told you I just want you to know
You had me from hello
(You had me from hello, BonJovi)

 

Dohko sorrise appena vide il giovane collega dell'undicesima casa scendere dall'altura sulla quale aveva fatto rifugiare la ragazza.
"Tutto bene, Mei?" domandò Shiryu.
"Tu, piuttosto." replicò Mei, guardando il fratello già avvolto dalle affettuose braccia di Shunrei.
"Ahaha, dunque è la nostra Mei la ragione che ti ha spinto a lasciare quel frigorifero che è la tua casa…" commentò Dohko.
Camus arrossì impercettibilmente.
"Peut-être…" commentò, a bassa voce.
Dohko ridacchiò.

"Avrei dovuto immaginarlo dalle strane vibrazioni che avvertivo nell'aria l'altro giorno."
Mei si coprì gli occhi con una mano.
"Oddèi." mormorò.
"Ehm… sono desolato, Maestro. Quando sono tornato ad Atene senza di voi, Ares ha subito affidato l'incarico a DeathMask per convincervi a lasciare la Cina. Lo ammetto, ero preoccupato per l'incolumità della ragazza."
"La mia… incolumità?" ripeté, guardandolo stupita.
Dohko rise, stavolta.
"La nostra Mei è una judoka di livello
yodan, credo che riesca a proteggersi molto bene anche da sola…"
Mei scattò, imbarazzata.
"Be', insomma… me la cavo." si schermì.
Camus la guardò ammirato.
"Per essere una donna, sei molto brava!!" esclamò Kiki, dando voce a un pensiero comune.
Mu lo guardò, severo.
"Kiki, non essere maleducato."
"Ma io non ho detto niente!" esclamò.
"Lodevole, davvero. Ma dubito che possa servire a qualcosa, contro DeathMask." spiegò. "Non voglio essere sgradevole, ma… Cancer è venuto qui con intenzioni non proprio amichevoli, e…"
"A proteggere mia sorella ci sono già io." sbottò Shiryu.
"Ripeto, non voglio essere sgradevole, ma… vorrei farti notare che non sei nemmeno in grado di proteggere te stesso, figurarsi due donne." commentò Camus, piccato.
"Ma come…!" scattò Shiryu.
"Ragazzi, plachiamo gli animi." intervenne Mu.
"Sì, meglio." concordò Shiryu, rivolgendosi poi al maestro."Perché non mi avete mai detto che eravate un Cavaliere d'Oro? "
Dohko si girò e sorrise all'allievo.
"Mai rivelare un segreto prima del tempo, ricordalo. Piuttosto, Shiryu. Oggi hai dovuto fronteggiare un cavaliere a te superiore, dotato di poteri di cui non conoscevi nemmeno l'esistenza." rispose.
"Sì, è vero, maestro. Per la prima volta ho provato una sensazione di timore e smarrimento…"
"Che però hai saputo superare trovando in te la forza di reagire…"
Mei ridacchiò.
"Già, eccome. O lui, o l'altro, come nel Judo."
"Sono molto orgoglioso di te, figliolo. Molto orgoglioso." disse Dohko.
"A proposito… Judo? Avrei giurato Taijiquan." Camus la prese bonariamente in giro.
"Posso farti molto male anche col Taijiquan. E tu non sapresti come difenderti, visto che non puoi usare il Cosmo contro chi non lo possiede."
"Non per essere pignolo, ma anche io sono piuttosto bravo con i combattimenti a mani nude. Conosco il Systema e il Karate." rispose Camus, guadagnandosi una lunga occhiata di Mei, dal basso verso l'alto.
"Oh. E quante altre parole pericolose?" replicò Mei.
"Bella questa." interloquì Shiryu, che non poté vedere l'occhiataccia che Camus gli riservò.
"Parlo seriamente."
"Bene, dunque dovrai provarmelo prima o poi." disse Mei.
"Quando vuoi."
"Mh." fece Mei, ancora dubbiosa. "Allora siamo d'accordo."
"Direi di sì."
"Quanto vorrei poter vedere quando lo prendi a calci nel culo." borbottò Shiryu.
"Solo una cosa, Camus. Hai visto i film di Bruce Lee?"
Lui ci pensò su un attimo.
"Credo di sì."
"E Matrix?"
"Sì." rispose Camus, un'espressione interrogativa sul volto.
"Hai presente la scena in cui Morpheus sfida Neo sul tatami virtuale?"
"…sì."
"Beh, Neo fa un gesto che a me piace davvero poco. Imita Bruce Lee per qualche istante." disse Mei. "Se tieni alle tue ossa ti consiglio di non ripeterlo, nemmeno per scherzo."
"Sei seria?"
"Molto seria."
Mu richiamò il fratello, e così com'era comparso, se ne andò.
"Be'… credo sia tardi e che sia il caso che torni a occuparmi della mia dimora. Ciao, Mei." si congedò Camus. "Fammi sapere quando e dove. Sempre se ti va."
"Certo. Ho il permesso di contattarti solo per questo o posso contattarti anche per altri motivi?"
"Dovrebbe essere una cosa da uomini fare la prima mossa, no? Lasciamelo fare." le rispose.
"Oh, d'accordo. Non vorrei compromettere il tuo orgoglio maschio. Nihao…" gli sorrise, prima che scomparisse come Mu.
"À bientôt."

A Dohko quella sera, non sfuggì l'aria distratta di Mei. Era molto strana, non era da lei perdere tempo: cucinava, rassettava, sistemava il giardino e non rimaneva mai con le mani in mano.
"Mei, per l'amor del cielo, a furia di strofinare quel piatto andrà a finire che lo consumi. " osservò Dohko, divertito.
Mei si riscosse. Posò il piatto nella credenza e appese lo strofinaccio.
"Non sono in me, stasera." confessò. "Dev'essere l'avvicinarsi dell'estate che crea di questi problemi."
"O secondo me, si tratta di Camus."
Mei ridacchiò.
"E cosa dovrebbe c'entrare lui?"
Dohko finì la sua tazza di tè.
"C'era alchimia tra voi due."
"Addirittura? Perdonate il mio scetticismo, ma di lui conosco solo il nome, come fate a dire che tra me e lui c'è alchimia?"
"Figlia mia, certe cose le capisco subito, anche perché credo di essere un tantino più vecchio di te." rispose Dohko. "Penso che tu in qualche modo abbia attirato la sua attenzione. Altrimenti perché sarebbe tornato qui?"
"Era in missione."
"La missione di cui parli riguardava me e non era più di sua competenza."
Mei si fermò a pensare un attimo su quelle parole.
"Voi dite che…? Oh, ne dubito. Chi si prenderebbe una come me? Chi lo passa il guaio?"
"Beh, credo lui abbia già valutato i pro e i contro della faccenda. Credo di potermi azzardare a dire che in qualche modo gli piaci. Non è da lui comportarsi così, quel ragazzo ha sempre avuto un temperamento gelido come i ghiacci della Siberia, da che lo conosco non è mai stato così estroverso al punto da… come dite voi giovani d'oggi? flirtare con te. E se oggi si è sciolto un po’, c'è una ragione. E comunque, mi sa che un po’ piaccia anche a te."
Mei scosse appena la testa.
"Lo conosco poco."
"Tutti ci conosciamo poco all'inizio. Ci si conosce pian piano finché le cose verranno da sé. L'amore richiede tempo."
"Non state correndo un po' troppo? Non so niente di lui." ripeté Mei. "Sì, insomma….è carino, d'accordo…"
"Dal tuo sguardo di prima, direi che giudichi Camus molto più che carino."
"Bè… è attraente. E io certo non sono insensibile." ribatté Mei, aiutando Dohko a indossare la casacca che Shunrei aveva rammendato mentre lei era impegnata in cucina.
"Ascoltami… se si trattasse di un qualunque sbarbatello senza arte né parte ti avrei già messa in guardia e da buon padre l'avrei anche fatto correre via a calci nel sedere. Ma con lui posso stare tranquillo."

*

"Milo, stai per innervosirmi." Camus alzò lo sguardo dal tomo di grammatica tedesca per posarlo su Milo che, per l'ennesima volta in due giorni, era sgattaiolato all'undicesima casa proprio nelle ore che dedicava allo studio. "Oh santi numi…"
Due pezzi di nastro adesivo posizionati sulle tempie tiravano gli occhi verso le orecchie, a mo' di occhi a mandorla, sul volto spiccavano due enormi baffoni posticci alla Confucio e in testa, sopra i capelli intrecciati alla bell'e meglio, faceva bella mostra di sé un cappellino di paglia a pagoda, ripescato insieme ai baffi da chissà quale festa di carnevale.
"Allola, amico mio, che mi lacconti della bella cinesina? Fatto colpo?"
"Non so se scoppiare a riderti in faccia o se brinarti." rispose Camus.
"E quanto sei antipatico, ridi ogni tanto. Allora… fatto colpo?"
"Non lo so, non era mia intenzione fare colpo, solo salvarle la vita."
"Hai chiesto numelo di telefono?"
"Andiamo, Milo, sii serio."
Milo si tolse cappello e baffoni finti e si sedette di fronte a lui.
"Sono serio, è questo il tuo problema."sbirciò sul libro e osservò le sottolineature che si fermavano sulla terza riga. "Da quanto tempo sei su questa pagina?" 
"…eh?"
"Cam, tu non stai studiando, stai pensando a quella ragazza. Dimmi, almeno, ne vale la pena?"
Se ne valeva la pena?
Ripensò a due pomeriggi prima e annuì.
Milo scrollò le spalle.
"È una ragazza orientale come tante se ne vedono in giro, soprattutto in estate, con una macchina fotografica appesa al collo."
"Ragazze come lei, credimi, non ce ne sono molte in giro." ribatté Camus, riprendendo a sottolineare.
"Chissà che non contribuisca a farti sciogliere un po’. Non ti avevo mai visto così." disse Milo, ridacchiando. "E chiudilo sto libro, inizia a vivere!" aggiunse, chiudendo il libro di scatto e pizzicandogli le dita in mezzo.
"Insomma, Milo! Che cosa dovrei fare? Andare in Cina e zomparle addosso?"
"Uhm, sì, tanto per iniziare.." concordò Milo. "Dovresti farlo. Da che ti conosco non ti ho mai visto con una ragazza…"
"Perché nessuna delle ragazze del luogo mi interessa e io non sono incline alle storie da una notte e via. Voglio l'amore io."
"O amore, o sesso… c'è sempre l'attrazione di mezzo. Non dico di saltarle addosso come un animale, ma nemmeno puoi rimanere lì, a struggerti dietro un libro. Va' al Goro Ho, parla con lei, inizia a conoscerla. Chissà che non succeda qualcosa." propose Milo.
Sì. Chissà.

***

Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 14 maggio 2014)
-Postilla n°1: il Judo e le cinture.
Posto il fatto che, come diceva molto simpaticamente Bruce Lee "Le cinture servono a tenersi su i pantaloni" devo fare una piccola precisazione in merito.
Oltre le classiche cinture bianco, giallo, arancione, verde, blu e marrone, assegnate in seguito a periodici esami tecnici dell'Insegnante tecnico del club dove ci si allena, ci sono sei dan di cintura nera (
Shodan, Nidan, Sandan, Yodan e Godan), tre di bianco/rosso (Rokudan, Nanadan, Hachidan) e due, i più importanti, di cintura rossa (Kudan e Jūdan).
Queste ultime (in Italia) vengono assegnate da diverse cariche e organismi in seguito a campionati regionali, nazionali o olimpici. Dato che Mei non è una mariasusanna qualunque, non è esperta come Keiko Fukuda, ma se la sa cavare….
Il titolo del capitolo rimanda all'omonima canzone di BonJovi.
Alla prossima!
Vale^^

Lady Aquaria

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Capitolo 4
*** Taking Chances. ***


quarto capitolo revisionato

4.

Taking Chances.

But what do you say to taking chances
What do you say to jumping off the edge
and never knowing if there's solid ground below
or a hand to hold
or hell to pay
What do you say?
What do you say?

(Taking Chances, Celine Dion)

 

Lontano dal caos di Pechino e dal suo smog, quell'angolo di Cina era davvero capace di proiettare in un mondo a parte; inspirò a pieni polmoni l'aria pura e vagamente profumata di gelsomino e di muschio, quindi osservò il panorama mozzafiato che si estendeva sotto i suoi occhi: spiazzi erbosi, corsi d'acqua e immense risaie a terrazzo lungo tutto il pendio, il cielo e il giardino di Mei.
Alle sue spalle la cascata, con il suo fragore e la sua imponenza, si tuffava in un laghetto e proseguiva lungo la pianura sottostante; il sole era quasi del tutto tramontato e dipingeva il cielo di bagliori rosati, aranciati e violacei.
"Wow." sussurrò, affascinato. Aveva viaggiato parecchio nella sua vita, soprattutto per conto del Santuario -raramente per piacere personale- e aveva potuto ammirare le meravigliose capitali europee, la bellezza dei canyon nel nord America, il fascino mozzafiato dei deserti africani… ma niente poteva essere paragonato a quella meraviglia.
Non ne hai abbastanza di rose e fiori? La casa dopo la tua ne è piena, non sei qui per ammirare il giardino, ma per ammirare la bella cinesina."
Ed ecco che arrivava il guastafeste per eccellenza, a rovinare tutta la poesia del momento.
Camus sbuffò.
"Grazie per il promemoria Milo, credo di riuscire a cavarmela da solo. Che ci fai qui?" sbottò, irritato.
Che diamine. Pizzicato in flagrante a fare la posta a una ragazza: sarebbe diventato il bersaglio preferito di Milo.
"Vedo che hai seguito il mio consiglio, anche se non vedo la pulzella. L'hai freddata col tuo fascino gallico?"
No, rettificò. Era già il bersaglio preferito di Milo.
Milo allungò il collo oltre lui.
"Bel tramonto, non è vero?"
"Splendido." rispose Camus. "Sarebbe ancora più splendido se al tuo posto ci fosse lei."
"Perché? Io non ti vado bene?"
"Senti, sei il mio compagno di bevute e di scorrazzate su due ruote ma… non sei proprio il mio tipo."
"E tu sicuramente non sei il mio. Voglio dire, un uomo ha bisogno di passione, non di qualcuno che ti congela con un solo sguardo."
Camus ghignò.
"Ti va di fortuna che non abbia questo potere, altrimenti ti avrei congelato le chiappe anni fa."
"Sono il tuo migliore amico, non saresti capace di farlo. E comunque hai quel qualcosa di troppo che sinceramente non cerco nell'anima gemella." lo snobbò Milo.
"Cosa, il cervello?"
"No. In ogni caso non saresti il mio tipo, nemmeno se fossi gay."
"MEI!"
Si girarono entrambi in direzione della pagoda, dove videro Mei che, in cucina, si puliva le mani in uno strofinaccio.
"Cosa c'è?"
"Voglio ancora pollo."

"Il signorino vuole." commentò Camus, assottigliando lo sguardo.
"Come hai fatto a capire quel che dicono?"
"Sto pensando di seguire un corso di lingue orientali una volta finito il corso di tedesco. Il russo già lo so, pensavo a cinese o giapponese. Nel caso, ho iniziato a seguire un corso propedeutico per scegliere al meglio  e diciamo che ho iniziato a imparare qualcosa." spiegò velocemente Camus.
"Mi sa che hai già deciso cosa fare, vero?" sorrise Milo.
"Mah, vedrò cosa mi porterà il futuro."
"Certo."
Milo sobbalzò quando vide Mei piantare, letteralmente, la mannaia nel suo ceppo.
"Tu cosa?"
"Uuuuh! Hai visto come maneggia la mannaia?" esclamò Milo. "Femmina pericolosa."
"Perché non hai visto il pugnale che si porta appresso."
Shiryu si corresse.
"Ehm… io vorrei ancora un po' di pollo. Se c'è."
"Ha corretto il tiro, hai sentito? Qui ci sarebbe stato bene uno schiaffo, come quelli che dava mio padre." disse Camus.
"Tuo padre era severo?"
"Solo su certe cose. Ho alzato la voce con mia madre una sola volta, parlandole come ha appena fatto Shiryu con sua sorella. Vivessi mille anni non scorderò mai  il suo sguardo duro e gelido quando mi obbligò a chiedere scusa a mia madre per il mio comportamento, aggiungendo che mai più avrei dovuto rivolgermi a una donna in quel modo."
Milo annuì.
"Giusto! Ora vai e fa' il tuo dovere prima che decida di andare a dormire e ti lasci qui come un pivello. Vai, congelala col tuo savoir faire, lasciala di ghiaccio con… eeeek!"
"E sta' un po’ zitto, diavolo d'un greco." sbottò Camus, dopo aver spinto l'amico nella cascata.
Un volo di almeno quindici metri. Certo, se non fosse stato un Gold Saint, non l'avrebbe mai fatto, non l'avrebbe mai spinto nella cascata, ma sapeva che non avrebbe riportato gravi danni.
Non al fisico, almeno.
"Questa è una dichiarazione di guerra!" gridò Milo, immerso fino al collo.
"Come dici? La vuoi più fredda??" ribatté Camus abbassando la temperatura dell'acqua.
"Sei un…!" boccheggiò Milo. "Mi hai già… congelato abbastanza, aiutami a uscire!!!"
"Manco per sogno!" ribatté Camus, spiando Mei che in cucina ritirava gli avanzi in frigo.

Dohko aveva ovviamente avvertito il cosmo dei due amici arrivare, prima Camus e poi Milo, intenzionato a prendere in giro l'amico d'infanzia.
"Mei credo che me ne andrò a dormire. La cena era ottima, comunque."
Le nove e mezza.
"Così presto? Non vi sentite bene?"
"No, sono solo stanco… buona serata, mia cara." le disse, sorridendo criptico e sornione.
"Buonanotte Maestro." rispose Mei, corrugando la fronte. Di solito leggeva fino a un certo orario, prima di coricarsi.
"Via libera, Dohko è andato a dormire."
"Ho visto."
"O vai tu, o ci provo io!" disse Milo, fradicio, accanto a lui.
"Provaci, voglio proprio vedere. Ma se ci provi, al Santuario non ci torni più, dopo." ribatté Camus.
Milo sogghignò, quindi riapparve fuori dalla finestra della cucina.
"Non è più in cucina. Che dici, sarà nella sua stanza? Vado a vedere?"
"Non osare!" sibilò Camus, trasportandosi allo stesso punto.
"E allora sbrigati. E guai a te se torni a casa senza averci provato." ridacchiò Milo, scomparendo subito dopo lasciandolo lì solo, fuori dalla finestra.
Gettò una rapida occhiata all'interno della casa, senza notare alcun movimento. Che fare, dunque? Non era esperto nel settore.
Mei era rimasta in corridoio non appena aveva sentito i due parlare fuori dalla finestra. Si sporse quel tanto che bastò per vedere Camus girare in tondo, nervoso.
"Wǎnshàng hǎo."
Si girò di scatto, verso quella voce argentina che l'aveva salutato, in cinese.
"Bonsoir." ribatté, a voce bassa, puntando lo sguardo oltremare sulla ragazza appoggiata al davanzale. "Da dove spunti? Ho guardato appena qualche secondo fa e la cucina era vuota."
"Addestramento ninja. Non mi hai visto perché ero appesa al soffitto: tu non mi vedevi, ma io vedevo te." ridacchiò Mei. "Ed eri lì, incantato, a guardare il cielo…"
Camus si schermò il volto con una mano.
"Che figura…"
"Ma no, perché? Il tramonto qui fa sempre quest'effetto."
Camus sorrise, ancora imbarazzato.
"Ehm… possiamo parlare altrove? Comincio a sentirmi un'idiota."
"Certo." sorridendo, Mei s'issò sul davanzale, lo scavalcò ed eccola accanto a lui. "Ciao."
"Ciao."
Si mise a fissarlo come quel pomeriggio, e dopo qualche secondo lui spostò il peso da un piede all'altro, leggermente imbarazzato.
"Accidenti quanto sei alto."
"E' un problema?"
"No, anzi. La cosa mi piace." rispose Mei. "Va bene, sto iniziando a straparlare. Quel tuo amico… è ancora qui?"

"DeathMask? Non è un mio amico… e no, non è qui… è sicuramente a Rodorio a sbronzarsi."
Mei corrugò la fronte, poi lo invitò a sedersi accanto a sé su una specie di enorme masso liscio un po’ distante dalla pagoda -e dalla finestra di Shiryu-.
"Rodorio?" domandò. "Il villaggio che separa il Santuario dal resto del mondo e che è proibito nominare?"
" Non è proibito nominarlo." la corresse Camus. "Solo che agli occhi della gente comune non c'è nulla dopo il Partenone e Rodorio, è che per ragioni di sicurezza la barriera di Athena scherma il Santuario alla vista degli estranei e fa vedere loro una distesa con le rovine di un tempio sacro che naturalmente non esiste. Ma non è proibito parlarne, soprattutto a chi fa parte di quell'ambiente."
"Era una battuta, Camus. Non ho mai visto il vostro mondo, ciò che so lo devo al Maestro e alla mia curiosità. Se la cosa ti può consolare, non ci tengo a visitare un luogo che non sento come mio e che non accetta le donne."
"A dire il vero il nostro mondo accetta le donne, sono rare ma ci sono. Al Santuario ad esempio ce ne sono due… Shaina dell'Ofiuco e Marin dell'Aquila. Altre sono stanziate altrove, come June del Camaleonte e la sorella di Shaina, che è stata esiliata anni fa. È che ce ne sono molto poche perché sono rare quelle che superano l'addestramento e le difficoltà del nostro status: la vita da Saint non è già facile per noi uomini, figurarsi per le donne."
"Immagino che in qualche modo c'è sempre qualcuno che ricorda loro che sono donne e quindi… come dire… considerate inferiori."
"Gli idioti e le mele marce ci sono dappertutto." commentò Camus.
"Eh sì. Come dite voi in occidente? La madre degli imbecilli è sempre incinta, no?"
"Esatto. E il Santuario purtroppo non è immune all'idiozia."
Mei annuì.
"E permettete loro anche di combattere o le relegate in cucina o… perdona l'audacia, in camera da letto?"

"In cucina ci sono gli attendenti. In camera da letto… beh, è un po' difficile, poiché le stanze delle sacerdotesse sono ben separate dalle Dodici Case."
Stavolta Mei alzò gli occhi al cielo.
"Oddéi, stavo scherzando! Possibile che non capisci quando scherzo?" lo prese in giro. "Come fai a essere sempre così impettito e serio? Se fossi una sacerdotessa e vivessi vicinissima a te, uno dei due impazzirebbe, prima o poi: o io cercando di farti ridere o tu cercando di non farlo."
Camus si schiarì la voce.
"Ma per fortuna non sei una di loro. Perché se lo fossi, non ti sarebbe permesso parlarmi così liberamente."
"Oh. In quanto donna?" Mei corrugò la fronte, pensierosa. "Pensa che io ero convinta di trovarmi nel ventunesimo secolo."
"Beh, non è per alterigia e sicuramente non per questioni legate al sesso, è come nelle caserme militari: un soldato non si rivolgerà mai a un superiore con familiarità, ti pare? Allo stesso modo nessuno al Santuario si rivolge a uno di noi con il tu, addirittura in certi casi non è permesso loro parlarci."
"Allora perché dici che è una fortuna che non sia una di loro? Non che io lo desideri, anzi."
"Perché la tua vita sarebbe regolata da regole molto rigide, dovresti rinunciare alla tua vita normale, anche al tuo essere donna. Avresti il volto coperto da una maschera e dovresti uccidere, o amare, l'uomo che oserebbe disonorarti. E credimi, al Santuario non siamo tutti nobiluomini, ci sono anche persone che è meglio perdere che trovare."

Mei ci rifletté su.
"Aspetta… davvero sarei obbligata ad amare l'uomo che ha abusato di me?"
"Io non ho parlato di abusare, ho parlato di disonorare: una sacerdotessa si disonora guardando il suo viso senza maschera."
"Oh. Allora diciamo che come sacerdotessa sarei un po' più fortunata se venissi disonorata da bei fusti come te." commentò Mei, facendolo arrossire ancora. "Parlando del volto e non di altro, beninteso."
"Anche perché… prova ad avvicinarti a Shaina con certe intenzioni."
"E vorrei ben dire!" s'indignò Mei. "Non conosco questa Shaina, ma sono sicura che darebbe parecchio filo da torcere a chiunque armato di certe intenzioni!"
Camus ridacchiò.
"Shaina da' sempre filo da torcere, ogni santo giorno."
Mei si soffermò a guardarlo, rimanendo piacevolmente colpita dalla gentilezza nei suoi profondi occhi blu.
"Come ha fatto un ragazzo come te a finire al Santuario?" domandò, accorgendosi tardi di aver fatto la domanda sbagliata.
"A cinque anni fui portato via da Parigi e dai miei genitori e finii in Siberia, per poter controllare il mio Cosmo. E sono diventato ciò che sono. Il Gold Saint dell'Acquario." fu la risposta stringata di Camus.
Non amava parlare della sua precedente vita in Francia di più di dieci anni prima, quella normale… non amava ricordare che non aveva mai più rivisto Josephine, sua madre.
"Non avrei dovuto chiedertelo, mi dispiace."
Lui si schiarì la voce dopo diversi minuti.

"No, dispiace a me averti risposto in malo modo."
Mei annuì, capendo che non doveva più entrare in certi discorsi, quindi ne cercò un altro.
"Sei di gennaio o febbraio?"
"Come?"
"Rappresenti l'Acquario, giusto? Perciò devi essere dello stesso segno così come il Maestro è della Bilancia. Tu devi essere per forza dell' Acquario."
"Infatti." rispose Camus. "Febbraio. Il 7."
"Io sono di novembre, il 16." rispose Mei.
Camus roteò gli occhi.
"Scorpione. Il segno di quel rompiballe di Milo."
"Dalla tua reazione deduco sia un punto a mio svantaggio, eh?" sorrise Mei.
"Non proprio." le sorrise in risposta. "Il fatto che Milo rompa le scatole sempre e comunque, al suo prossimo, non significa che anche tu lo sia."
"Oh, su questo non ci giurerei, fossi in te. Non sono una brava donnina cinese, io. Rispondo a tono, faccio quello che voglio e non mi faccio influenzare dalle opinioni altrui." lo corresse, ridendo. "E non sono facile da gestire."
"Questo dovrebbe essere una sorta di avvertimento?"
"Sì." disse Mei. "Perché se stai cercando una ragazza tutta zucchero e dolcezza, pronta a pendere dalle tue labbra tutto il giorno, beh, non è il mio caso."
Camus le rispose dopo qualche attimo.
"Molto, molto bene. Sei diversa dalle altre ragazze che conosco, e la cosa mi piace."
"Dici? Sono lunatica, polemica, ostinata… e Shiryu aggiungerebbe anche con la lingua lunga. Difficilmente sto buona e in silenzio."
"Un altro punto a tuo vantaggio. Non sopporto quelle troppo docili."
Un sorriso a trentadue denti.
"Se ti piacciono le spine nel fianco, credo che avrò ancora un'infinità di punti a mio vantaggio."
 
***
 
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 21 maggio 2014)
Come sempre, il titolo di una canzone; questa volta tocca a Celine Dion. Cogliere le occasioni, anche se ciò significa sorbirsi un'altra rappresentante dello scorpione, vero Camus?
Ringraziamenti, sempre e comunque, a chi legge, recensisce e quant'altro. =)
Alla prossima!
Vale^^

Lady Aquaria

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Capitolo 5
*** First time. ***


capitolo riguardato

5.

First time.

 

Looking at you, holding my breath
For once in my life I'm scared to death
I'm taking a chance letting you inside
[First time, Lifehouse]

Nei pomeriggi che seguirono, le visite di Camus al Goro-Ho si fecero sempre più frequenti –quasi quotidiane- e man mano sempre più lunghe rispetto alle prime timide visite: spesso arrivava mentre Mei era impegnata nelle faccende domestiche e le teneva compagnia tra un'incombenza e l'altra, trovando piacevole il tempo che trascorreva in Cina.
E, dal canto suo, a Mei non dava fastidio la sua presenza, anzi: si era scoperta a desiderare le sue visite quotidiane, ad attenderle quasi con impazienza.
"Oggi è in ritardo."
Alzando lo sguardo dalle peonie, Mei guardò Dohko e il suo sorriso enigmatico dipinto sul viso.
"Chi, Maestro?"
"Hey, sono anziano, non stupido." ribatté Dohko, divertito. "Sai a chi mi riferisco."
"…"
"Mei, prima di te ci sono passato anche io." le disse, incoraggiandola a parlare. "Credi che mi sia sfuggita l'ansia con la quale attendi le sue visite?"
"E' che non so come interpretare tutto questo."
"Che cosa c'è da interpretare, mia cara? Se viene qui ogni giorno un motivo c'è. Lo sto guardando in questo momento." le rispose, facendola arrossire. "Te l'ho detto, ci sono passato anche io: ai miei tempi, io e Mingxia..."
Non seppe che cosa successe ai tempi di Dohko poiché quest'ultimo, guardando dietro di lei, si era zittito.
"Vi lascio soli." aggiunse poco dopo, alzandosi e dirigendosi in casa sorreggendosi con il suo bastone.
"Temo d'essere arrivato nel bel mezzo di un interessante racconto." si scusò Camus.
"Sono certa che prima o poi lo finirà." disse Mei.
"Maestro, siete assolutamente sicuro che non ci sia alcun pericolo?" domandò Shiryu, avvertendo anche quel pomeriggio il cosmo del Gold Saint.
"Senti qualcosa di negativo provenire dal cosmo di Camus, ragazzo?" domandò Dohko, serio, gettando un'occhiata ai due ragazzi intenti a parlare tra loro nel piccolo giardino. "Rispondimi, Shiryu. Senti aggressività? Credi voglia farle del male?"
Shiryu si schiarì la voce, ammettendo a malincuore che non avvertiva alcun pericolo.
"La sola cosa in pericolo è la virtù di tua sorella, ma questo è un dettaglio che non ti riguarda." commentò Dohko.
"Come, prego?"
"Nulla, nulla." Dohko scosse la testa, divertito. "Niente d'importante. Smettila di seguire ogni loro movimento, tua sorella è abbastanza grande da sapersela cavare da sola."
Stavano parlando fitto da almeno un'ora, quei due. Shiryu rientrò in casa lasciando solo Dohko.

Camus si appoggiò contro il salice, sorseggiando il tè che Mei gli aveva porto: un tè verde un po' troppo dolce per le sue abitudini, ma comunque gradevole.
"Tu e Shiryu siete fratelli di sangue, giusto?" le domandò, guardando il suo volto di profilo e notando che, nonostante la palese somiglianza con il fratello, erano parecchie le differenze: negli occhi avevano lo stesso sguardo fiero, ma il suo era condito da un alone di dolcezza che a Shiryu mancava.  
"Sì. Stessi genitori, non siamo fratellastri." rispose Mei.
"Se posso rigirarti la stessa domanda che tempo fa hai fatto a me… come sei finita dentro tutto questo?"
Mei sorrise appena, di un sorriso triste.
"Grazie al Cosmo di mio fratello. No, seriamente... grazie a Dohko, che per me è come un secondo padre. Quando Shiryu dopo l'estrazione del luogo d'addestramento è stato inviato qui, io stavo per finire in un orfanotrofio… anche se a vederci non si direbbe, io e Shiryu siamo molto legati: il giorno della partenza lottò con tutte le sue forze per non doversi separare da me. Dohko decise diversamente, assumendosi tutte le responsabilità del caso."
Ebbe la tentazione di allungare una mano per carezzarle la guancia, ma si trattenne.
"Anche tu devi aver sofferto."
"E molto, anche. Sono cose successe meno di dieci anni fa e le ricordo fin troppo bene. Da allora, vivo qui." disse Mei. "Senza Dohko chissà dove sarei adesso… non esagero quando dico che, genitori a parte, a lui devo tutto."
"Caspita."
"Che storia, eh…!" ridacchiò Mei.
"Riguardo i miei genitori, come mi avevi chiesto giorni fa…"
Mei annuì, posando la mano sulla sua.
"Non devi parlarmene a forza, se non vuoi."
Un lieve sorriso.
"No, va tutto bene. Dopo l'addestramento, appena ho avuto l'occasione di tornare in Europa, sono tornato a subito Parigi, a cercarli."
"E li hai trovati?"
"In un certo senso. L'appartamento è rimasto quello di un tempo, immutato. Loro… sono seppelliti al cimitero di Passy."
"Non volevo rivangare ricordi dolorosi." mormorò Mei. "Non volevo, mi dispiace."
"Dovevo parlarne con qualcuno, sono anni che mi tengo tutto dentro." disse Camus. "Grazie per avermi ascoltato."
Mei scosse la testa.
"No, grazie a te per la fiducia che mi hai mostrato aprendoti con me."

 **

Camus si voltò verso la porta degli appartamenti privati. Chi poteva essere a quell'ora?
Era tornato piuttosto tardi dalla Cina ed erano le otto di sera passate.
Di nuovo uno scampanellio persistente e scocciato.

"J'arrive, j'arrive! Un instant! " disse, andando ad aprire. "Cos'è tutta questa fretta?"
Quando aprì la porta, si trovò di fronte Shura e Milo.
Arrabbiati
.
"Salve." disse quest'ultimo. "Stavamo cercando il nostro migliore amico, un certo…Camus. Quando lo vede può dirgli che due suoi amici hanno aspettato due ore da soli al cinema come due deficienti?"
"Il cinema…" mormorò Camus, appoggiando la testa allo stipite della porta. "Mi dispiace… me l'ero proprio dimenticato. Entrate, stavo per farmi un caffè."
"E il nostro migliore amico perché si è dimenticato di un appuntamento?" domandò Shura.
"Guarda che non te la cavi con un semplice caffè. Vogliamo i dettagli."
"I dettagli di che cosa, prego?"
"Sì, i dettagli di cosa?" interloquì Shura, curioso.
"Il nostro Cam s'è innamorato."
Seguì uno sguardo glaciale.
"Non mi sono innamorato." sbottò, arrossendo come un ragazzino appena si fu rigirato verso il lavandino.
"Non ancora." lo prese in giro Milo. "Ma è questione di tempo, e so che cosa succederà."
"Ah sì? Sei diventato un indovino?" sbottò Camus, prendendo il pacchetto del caffè dal frigo.
"Ti sei innamorato." lo punzecchiò l'altro. "Spesso e volentieri sei distratto, hai gli occhi che brillano, viaggi spesso in Cina… sei…innamorato. Oh sì."
"Che cosa parlo con te di amore?" capitolò infine. "Nel tuo vocabolario non esiste!"
"Hey hey hey, hombre. Se lo fai sciacquato così il caffè, te lo puoi bere." disse Shura.
"Allora fallo tu, che sei tanto bravo." disse Camus, cedendogli cucina e caffettiera.
"Ignoralo. È arrabbiatissimo, al cinema dei ragazzini ci hanno scambiato per una coppia gay, e lui… bè, il suo caliente sangue spagnolo non ha retto al colpo." disse Milo, liquidando l'argomento con un'alzata di spalle. "E così mentre noi ci annoiavamo al cinema… eri in Cina, ne ?"
"Sì."
"Bueno! E' stato un pomeriggio divertente?"
Camus lo guardò in tralice.
"Non divertente come lo intendete voi. Con Mei ho solo parlato."
"Certo che avete solo parlato, secondo me nemmeno sai come s'inizia a fare sesso con una ragazza." lo prese in giro Shura, ridacchiando.
Stavolta lo fulminò con occhi di brace; rubò la sigaretta che Milo stava fumando e tirò un paio di boccate.
"Almeno i miei rapporti saranno veri, non scenette forzate degne dei film porno di quinta categoria che guardi te, Casanova dei miei stivali." replicò, piccato. "Che c'è? Ho dovuto installare i doppi vetri alle finestre, i gemiti che arrivano dal suo computer li sentono fino a Patrasso!"
"No, ti stavo guardando perché mi hai fregato l'ultima sigaretta rimasta, accidenti a te."
Camus storse il naso, spegnendo il mozzicone nel posacenere –fino a quel momento intatto da anni- del soggiorno.
"Oh, pardon. Cos'erano… Gitanes, Gauloises?"
Il tono con cui lo chiese fece scoppiare Shura a ridere.
"Hey, gioia… non siamo all'ombra della torre Eiffel qui." rispose Milo, divertito. "Erano Assos, credo. Comunque avete parlato parecchio, tanto quanto è durato il film."
"Sì. Una noia mortale." s'intromise Shura, voltandosi. "Non mi aspettavo una noia simile da John Woo."
"Che vi siete detti?" lo ignorò Milo.
"Parlavamo di noi, delle nostre vite prima che il Santuario ci piombasse addosso. Lei mi ha detto di suo fratello e di Dohko e io…" disse Camus, abbassando la voce. "Io… le ho parlato di mia madre."
Milo sgranò gli occhi, stupito.
"… non l'hai mai fatto con nessuno..."
Infatti. La sua vita precedente al Santuario e alla partenza per la Siberia era sempre stata segreta, sempre accuratamente tenuta sotto chiave e mai divulgata, con nessuno. Neanche con Milo, quell'essere rompiscatole al quale voleva bene come se ne vuole a un fratello.
Si era sempre tenuto tutto dentro, dietro quell'armatura di ghiaccio che si era costruito con gli anni e che aveva creduto impenetrabile.
Almeno, fino a quel momento.
"Sì, nemmeno con te che mi conosci da una vita. La cosa mi spaventa."
"Perché?"
"Perché quella ragazza mi sta entrando nella pelle."
"E non è una buona cosa? Per me è un buon segno. Magari può nascere qualcosa."
"No. Male. Non può nascere qualcosa che è destinato a finire. Ares…"
"Ares ha ipotizzato una guerra. È solo un'ipotesi, per l'amor del cielo, non una certezza. Vivi tranquillo, goditi la tua ragazza. Chissà che Ares non si sia sbagliato, e se così fosse? La lasceresti, e ti troveresti solo."
"Come sempre." commentò Camus, amaro.
"A parte il fatto che non sei da solo. Ci siamo noi." continuò Shura, smanettando con la caffettiera.
"Con tutto il rispetto, Shura. Camus intende solo, senza donne. Non sei esattamente il nostro tipo, sai. Hai quel… qualcosa in più che noi non cerchiamo in una compagnia."
"Aaah, comprendido."
"Non dirmi che hai di nuovo caricato la caffettiera con mezzo pacchetto di caffè, Shura, l'ultima volta mi hai fatto esplodere caffè dappertutto." disse Milo, guardandolo mentre cercava, a fatica, di chiudere la macchinetta.
"Tranquilo!!" commentò l'altro, nella lingua madre.
"Io non sono così tranquillo, non vorrei essere costretto a ridare l'intonaco in giro."
"Per non parlare dell'esplosione! Hai idea dei danni che può fare una moka quando esplode?" interloquì Milo. "Persino Shaka si è precipitato in casa mia domandandomi che cosa fosse successo. No, dico… Shaka. Renditi conto."
"Solo perché l'hai disturbato mentre meditava." precisò Shura, accendendo il gas sotto la caffettiera.
"Comunque… senti. Presunta guerra o no, non farti scappare quest'occasione che si è presentata. Continua ad andare da lei, parlale, fai qualcosa. Non lasciartela scappare."
"Altrimenti ci saresti tu, subito dopo, a fregarmela?"
Milo lo guardò stizzito.
"Non lo farei mai, sei un amico! Io non desidero le donne degli altri e poi… a me interessa Shaina."
"Shaina? Tienitela pure." commentò Camus.
"Certo. Scherzi? È sesso allo stato puro, quella ragazza." commentò Milo, una strana luce negli occhi. "E' dell'ariete, un segno di fuoco… se capisci cosa intendo."
Camus ridacchiò.
"E adesso? Chi è l'innamorato?"

***

Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 14 settembre 2014)
-Il titolo si riferisce alla canzone First Time dei Lifehouse.
-Gitanes e Gauloises sono marche di sigarette francesi mentre Assos, greche.
Detto ciò, alla prossima, ringraziando sempre che legge e quant'altro. =)
Vale^^

Lady Aquaria

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Capitolo 6
*** I've got you under my skin. ***


capitolo 6 prequel revisionato

6.

I've got you under my skin.

I've got you under my skin. 
I've got you deep in the heart of me. 
So deep in my heart that you're really a part of me. 
I've got you under my skin. 
I'd tried so not to give in. 
I said to myself: this affair never will go so well. 
But why should I try to resist when, baby, I know so well 
I've got you under my skin?
[I've got you under my skin – Frank Sinatra]
 
"Oh, finiscila." sbottò Milo, arrossendo suo malgrado. "Beh, signori… è stato un piacere per me godere della vostra strepitosa e appagante compagnia ma… sono ahimè costretto a ritirarmi. Buona serata."
"Ecco, tipico. Appena vieni punto sul vivo, ecco che levi le tende. Sì, sì… ritirati pure, codardo."
"Vedremo chi dei due sarà il vero codardo, se io o tu, mio caro amico. Pensa a chi ti aspetta in Cina anziché continuare a prendermi in giro. Au revoir, mes amis."
Milo se ne andò piuttosto velocemente per evitare le battute di Camus, che rimase solo con Shura.
"Cos'ha di speciale questa Mei?"
Bevve un lungo sorso di caffè prima di rispondere.
"E' diversa." disse infine. "Mi piace parecchio."
"Oh, non si era mica capito sai?"
"Non… non è come le altre. Ha carattere."
"E' una bella ragazza, almeno?"
"Hai presente quel film dove tutto ruota intorno a una spada leggendaria che viene trafugata da una guerriera?"
Shura annuì.
"Per l'amore di Athena, Camus… se assomiglia anche solo vagamente all'attrice che soccorre il suo amato morente, allora non è quel granché di bellezza."
"Esattamente a chi ti riferisci? Io parlo della ragazza giovane, quella che ruba la spada."
Finalmente Shura parve capire.
"Oh. Ah!! Beh, non male."
Certo, non male davvero. Evitò di sottolineare ancora che l'aveva attratto il carattere e non la bellezza della ragazza: la bellezza di una persona era una cosa a lungo andare effimera, era il carattere quello che durava nel tempo.
"Beh, vedo che hai i pensieri impelagati altrove. La settimana prossima abbiamo in programma una nuova serata al cinema, spero non ci darai ancora buca."
Si riscosse in tempo per rispondere a Shura.
"Vedrò quel che posso fare." sorrise, guardando poi l'amico dirigersi verso la porta d'ingresso.
Shura aveva ragione, aveva i pensieri rivolti altrove… a più di seimila chilometri di distanza per essere esatti, rivolti a una ragazza capace di catalizzare i suoi pensieri su di sé: dopo una settimana l'attrazione verso quella giovane cinese non era scemata, anzi. E la cosa lo stupiva non poco; abituato a congelare tutta la gamma delle emozioni umane sotto una spessa coltre di ghiaccio, quei sentimenti estranei alla sua natura ora lo sconvolgevano nel più profondo.
Altro che nella pelle, Mei era entrata molto più in profondità.
 
Quel pomeriggio decise di recarsi al Goro-Ho con un considerevole anticipo rispetto alla solita ora, appostandosi appena fuori dalla pagoda con il cosmo azzerato.
Ignara della sua presenza –o almeno così sperava- Mei stava rassettando una camera insieme a Shunrei, che le stava parlando; non comprese che cosa stessero dicendo le due ragazze, ma d'un tratto sentì chiaramente il proprio nome e d'istinto acutizzò i sensi tentando di captare qualcosa con il pochissimo cinese che conosceva: si comportava alla stregua di uno stalker, ma si accorse di non poterne fare a meno.
D'un tratto la vide arrossire, nascondendo il viso dietro le mani mentre Shunrei la incalzava.
"Hǎo ba, hǎo ba. Wǒ hěn xǐhuān tā!" le rispose infine. D'accordo, va bene. Lui mi piace molto!
Mi piace molto.
Camus si trovò a sorridere dietro il salice, abbassando involontariamente lo sguardo.
 
"Oggi non viene a farti visita?"
"Non lo so." rispose Mei.
"Però lo speri."
Dispiegò il lenzuolo con un gran sorriso, sistemandolo bene sotto il materasso.
"Dai, c'è ancora parecchio da fare."
"Lui ti piace!"
"Beh… è un bel ragazzo, non trovi?"
Shunrei ridacchiò.
"Sì, anche se il colore dei suoi capelli non mi piace."
Mei pensò al rosso scuro dei capelli di Camus e il suo sorriso divenne più ampio.
"A me piace molto, invece." rispose. "Dopo una vita trascorsa in mezzo a ragazzi con i capelli neri, i suoi sono stati una sorpresa."
"Eppure il figlio dei Guo non ha i capelli neri…" commentò Shunrei. "Sai, quello che ti fa la corte e che si è tinto biondo ossigenato."
Mei proruppe in una smorfia.
"Oddéi ti prego no… ha infilato la testa in un secchio di ammoniaca per cercare di sembrare più giovane, santi numi!" esclamò Mei, con una smorfia di puro orrore dipinto in volto. "E poi ha quarantasei anni!"
Shunrei scoppiò a ridere.
"Sapevo che mi avresti risposto così." disse. "Camus quanti anni ha più di te?"
"Solo nove mesi."
"Soltanto?"
Entrambe si girarono verso il giardino, dove avevano sentito per pochi istanti arrivare qualcuno.
"E' arrivato alla fine, visto?"
Istintivamente si guardò nello specchio, sistemandosi due ciocche di capelli fuori posto.
"Ti piace, lo sapevo! Ammettilo!!"
"D'accordo, va bene! Lui mi piace molto!"
Si tolse il grembiule e corse fuori cercando di fare meno rumore possibile.
 
"Cosa stai cercando? Posso aiutarti?"
Camus si riscosse di colpo, trovandosi faccia a faccia con l'oggetto dei suoi pensieri.
"Ma che diavolo? …come hai fatto a… insomma, eri laggiù in camera…" le disse, sentendosi decisamente uno stalker. "Cioè, intendevo dire…"
"Come ho fatto a capire che sei qui nonostante avessi il Cosmo azzerato? Dovrei essere cieca per non notare la zazzera di capelli rossi che spicca tra i rami." replicò Mei. "E poi… sei a favore di vento, e qui sei il solo che profuma di agrumi e lavanda. Buon profumo, tra l'altro."
Si sistemò meglio il cesto col bucato sul fianco e gli fece cenno di seguirla. "Pensavo non venissi più, di solito arrivi molto prima."
"A dire la verità ero qui da un po', a guardarti." disse, coprendosi poi il volto. "Oh non."
"Finché non mi spunti in camera in piena notte minacciando di strangolarmi con una corda di violino, allora va bene. Sei in tempo per la cena, comunque."
Sorrise appena.
"Non riuscirei a buttare giù nemmeno una briciola, ho lo stomaco chiuso."
Mei lo guardò.
"In effetti sei strano oggi." fece Mei, dispiegando un lenzuolo per stenderlo sul filo.
Camus sospirò ancora, poi si alzò e l'aiutò a stendere: aveva urgenza di parlarle.
"Puoi fermarti un minuto, per favore?" le domandò, prendendola per mano. L'invitò a prendere posto accanto a sé, sul piccolo porticato che dava sul giardino. "Come avrai capito in questi giorni, non sono un ragazzo di molte parole. Di solito tendo a seppellire i miei sentimenti sotto una coltre di ghiaccio senza esternare mai quel che provo, con nessuno. Da quando ti conosco invece, il mio mondo si è capovolto. E' come se non avessi più certezze, tranne quella che sei l'unica che mi è entrata nella pelle."
"Ci conosciamo da una settimana…" disse Mei, in un fil di voce.
"Lo so, forse non ha senso. Ed è proprio questo che mi sconvolge. Non riesco a pensare a nient'altro, in questi giorni, se non a te."
E Mei si ritrovò a torturare un lembo della tovaglia appena lavata.
"Accidenti." commentò.
"Ti prego… dì qualcosa, mi sento un perfetto idiota." disse Camus.
"Un senso ce l'ha eccome." rispose Mei, arrossendo suo malgrado. "Penso anche io a te. Pensavo al fatto che mi piaci e che non sapevo come dirtelo. Ecco, adesso siamo in due a sentirci idioti."
Camus si schiarì la voce.
Quella confessione indiretta gli procurò un gran sorriso sulle labbra. Sapeva naturalmente che il suo interesse era ricambiato, altrimenti non avrebbe certo insistito. Tuttavia quelle parole gli trasmisero un'insolita euforia.
"Potremmo parlarne a cena. Da me."
Mei sorrise, stupita.
"Da te?"
"Sì, ma non ho secondi fini… solo farti provare la mia umile cucina."
Lo guardò, ammirata.
"Un ragazzo che cucina? La faccenda diventa interessante."
"Più che altro, una faccenda necessaria, se ti affidano due allievi e devi provvedere a te stesso e a loro. Ho imparato pian piano, per tentativi…"
"Meglio di niente, ti pare?" gli rispose. "E sia, proviamo."
"Metti qualcosa di pesante, farà decisamente freddo per te." Finì di stendere il bucato e posò la cesta sotto il portico.
"Ci metto due minuti, arrivo." gli sorrise.
Shiryu era in salone con Shunrei, e non la sentì entrare né uscire poco dopo con un cappotto in mano.
"Non capisco che cosa intendevi dire prima. Questo potrebbe bastare?"
Camus saggiò la consistenza del tessuto.
"Per qualche minuto dovrebbe bastare, accenderò il fuoco." le rispose, criptico, avvicinandosi a lei. "Posso?" aggiunse, cingendole la vita e tirandola a sé.
Non ebbe il tempo di rispondere che Camus aveva già teletrasportato entrambi in un altro luogo.
"Dove siamo?"
Doveva essere la stanza principale di quella casa: un enorme camino di pietra dominava la scena e a terra, davanti a esso, faceva mostra di sé un grande tappeto sui toni del blu e del rosso che, appena tessuto, doveva aver avuto dei colori molto accesi. Un divano blu ravvivato da coperte e cuscini e un tavolo con quattro sedie erano i mobili principali, accompagnati da cassepanche e armadietti vari disposti lungo le pareti interamente perlinate in legno chiaro. Accanto al camino, un porta attrezzi e un contenitore porta ciocchi completavano l'arredamento; collegata a quel salone intravide una stanza adibita probabilmente a cucina e, infine, un'altra stanzetta separata dal resto da una tenda di tessuto grezzo.
Camus scostò delle grezze tende bianche da una delle finestre.
"Siamo in Siberia, nella mia isba."
"Dèi del cielo." esclamò Mei, avvicinandosi e guardando fuori: una distesa infinita di neve e ghiaccio dove il cielo, bianco e carico di neve, si confondeva con la terra. "Come…come diamine ci siamo finiti, qui?"
"Una caratteristica di noi Gold Saint. Possiamo spostarci alla velocità della luce." spiegò Camus, infilando dei ciocchi di legno e delle pagine di un vecchio giornale ingiallito nel camino e gettandovi dentro un fiammifero.
"Anche gli onori di casa. Se alla pagoda non ci fossimo io o Shunrei, Shiryu morirebbe di fame, sicuramente dentro abiti stazzonati e sporchi. Non è capace di occuparsi di una casa, di fare il bucato o di cucinarsi un uovo." sorrise Mei, avvicinandosi al fuoco.
"Dimmi un po’. Sei una di quelle tutte schizzinose che mangiucchia appena un po’ di sedano o sei una buona forchetta?"
"Mangio e basta, e al diavolo la dieta. Nessuno nasce perfetto, quindi perché accanirsi per avere un fisico particolare?"
Camus sorrise compiaciuto.
"Interessante. Continui a guadagnare punti."
Dopo aver guardato un'occhiata veloce in giro, Mei decise di accomodarsi sul tappeto mentre Camus le parlava del luogo e della difficoltà iniziale ad adattarsi, quando era piccolo.
"E' incredibile come ci si senta terribilmente frastornati quando il mondo ti frana sotto i piedi e le radici che ti hanno tenuto ancorato vengono strappate con insensibile crudeltà. Purtroppo non ho difficoltà a immaginarti, bimbo spaesato e terrorizzato, trapiantato bruscamente qui in mezzo al nulla."
Le si sedette di fronte.
"E' impossibile da spiegare a parole." convenne. "Capisci in fretta che non hai altra scelta se non quella di adattarti: non esiste più la tua vita precedente, c'è solo il futuro e l'ignoto. Inizi ad adattarti, poi ti rassegni e infine, ti abitui. Sulle prime tremi fino a battere convulsamente i denti per il gelo che ti penetra nelle ossa e sembra non volerti abbandonare, finché non impari a gestirlo e, infine, a governarlo. Ma poi scopri che non sei tu a governare il ghiaccio, ma è lui a governare te, perché non solo ha preso possesso del tuo corpo, ma anche delle tue emozioni. Sei abituato a badare a te stesso e fare affidamento su poche persone, ti convinci che vivrai la tua esistenza da solo perché nessuna persona sana di mente vorrebbe vivere accanto a uno come te e quando infine trovi qualcuna che ti piace e con la quale potersi aprire, la cosa ti spaventa perché non sai come gestirla."
"Nessuna persona sana di mente… ma chi ti dice che io lo sia?"
Lui sorrise in risposta, decidendo poi di alzarsi per controllare la cena.
Un pasto senza troppe pretese, con pietanze che lei sicuramente non doveva aver mai mangiato prima e che, nonostante il sapore insolito, parvero piacerle.
"Come ti sembra la cena?"
Mei fece la scarpetta con un pezzo di focaccia e assaporò la salsina che aveva accompagnato le carote.
"Buona, direi." rispose. "Sento un retrogusto di zenzero, è possibile?"
"Era nella salsa." disse Camus.
"Mi sembrava, infatti." Mei posò il piatto accanto a sé –non avevano cenato sul tavolo, ma erano rimasti sul tappeto- e bevve un po' d'acqua mentre Camus spizzicava i resti della focaccia. "Chissà quanto tempo hai impiegato per cucinare tutto questo."
Lui si schiarì la voce.
"Era una cosa premeditata, a dire il vero. Ho preparato tutto ieri sera, e prima di venire da te ho scongelato." ammise, con un certo imbarazzo.
"Non arrossire, mi sta piacendo tutto questo." gli disse. "Lo apprezzo molto."
Ci fu un attimo di silenzio che entrambi non seppero come interpretare, quindi Camus si alzò quasi di scatto diretto ai fornelli.
"Cam, tutto bene?"
"Sii grata al mio tempismo." disse lui, mostrandole la padella. "Abbiamo corso il rischio di restare senza dolce."
"Oh, mio eroe!" esclamò Mei, enfatizzando volutamente il tono drammatico con la quale aveva risposto. "Come potrò mai ripagarti?"
Di riflesso Camus inarcò un sopracciglio, guardandola fissa negli occhi.
"Ti ho già accennato al fatto che da dove provengo io non siamo tutti nobiluomini?"
"Sì?!"
"Ebbene, alla tua domanda, Milo ti sarebbe saltato addosso."
Mei sentì l'improvvisa tensione formatasi nel momento in cui lui aveva inarcato il sopracciglio defluire dal proprio corpo così com'era arrivata.
"E tu sei troppo nobile per farlo?" domandò divertita, ingoiando un boccone di frittella con panna e lamponi.
"No. Sto facendo uno sforzo atroce per non farlo." le rispose, facendola sorridere.
"Avresti qualcosa in contrario se fossi io a prendere l'iniziativa?"
"Aspetta un attimo, non è ancora detto che i miei sforzi funzioneranno."
"In questo caso allora vale la pena aspettare." rispose Mei, mettendosi comoda.
Camus posò il proprio piatto accanto a sé e si allungò verso di lei. Fino a quel momento la serata proseguiva a gonfie vele pur avendo pianificato solo la cena, tuttavia si scoprì estremamente felice riguardo quell'intermezzo –desiderato ovviamente, ma non pianificato… non era ancora così subdolo-.
Almeno finché la porta dell'isba si aprì, di colpo.
Camus si raddrizzò e si schiarì rumorosamente la voce, richiamando immediatamente l'attenzione del nuovo arrivato.
 
Appena posato lo sguardo sul Maestro e la ragazza che era nella stanza con lui, Hyoga realizzò di essere arrivato nel momento sbagliato e si sentì avvampare maledicendo il suo tempismo.
"Oooh, cavolo." esclamò, dando loro le spalle una volta realizzato che cosa avesse appena interrotto.
Mei si ritrasse imbarazzata afferrando la prima cosa che trovò sul tappeto –la t shirt di Camus- mentre quest'ultimo si alzava in piedi dandole tutto il tempo per rassettarsi. "Hyoga." disse, passando poi al russo. "Confido che giustificherai la tua intrusione con ragioni di profondo valore. "
Hyoga chinò la testa.
"Ero venuto per vedere voi, Maestro. Ho bisogno di parlarvi."
"È una cosa così importante? Possiamo parlarne domani?"
Hyoga guardò brevemente Mei e annuì.
"Certo, maestro." oggi, o domani, che fretta c'era? "Jacov, torna a casa… ci vediamo domani, okay?"
Appena vide il ragazzino sparire in fondo al sentiero che portava all'isba, Hyoga si chiuse la porta alle spalle, diretto alle stanzette del piano di sopra.
"Mi dispiace." mormorò a Mei, schiarendosi poi la voce. "Hyoga! Avvicinati, voglio presentarti una persona."
E il ragazzo, ubbidiente, si avvicinò squadrando Mei con i suoi occhi chiari come il ghiaccio.
"Non so se il tuo amico ti ha mai parlato di lei, ma…"
Hyoga annuì.
"Più o meno. Sei la sorella di Shiryu." disse, rivolgendosi direttamente a lei.
"Universalmente conosciuta come Mei-Yin. Ciao." salutò Mei, allungando la mano destra, contrariamente a quanto si usava nel suo Paese, dove il contatto fisico era ridotto ai soli membri della famiglia.
Una stretta di mano parecchio salda per una ragazza di quella corporatura; in effetti, assomigliava parecchio al suo amico, ma Shiryu non aveva mai speso molte parole nei suoi riguardi, perciò di lei sapeva molto poco. Ebbe però l'impressione che se la sarebbe ricordata per sempre o comunque negli anni a venire.
"Noi andiamo, Hyoga." disse Camus, d'un tratto. "Mi raccomando, spranga bene la porta. Io accompagno Mei a casa."

*

"Temo che per questa sera sia tutto." esordì Camus, una volta giunti al Goro-Ho. "Ti ringrazio per aver accettato l'invito e per la bella serata."
"Non deve per forza di cose finire qui, in questo modo." gli rispose Mei, guardandolo negli occhi e sfoggiando una certa dose d'audacia.
"Ma qui c'è tuo fratello." le rispose.
L'isba era decisamente un luogo più ideale rispetto alla pagoda dove non c'era una benché minima speranza d'avere intimità.
"Shiryu è l'ultimo dei miei pensieri." replicò Mei, voltandosi verso la pagoda: la luce in cucina era spenta, segno che tutti erano ritirati nelle loro stanze, e una luce appena soffusa s'intravedeva dalla camera dell'anziano Maestro, sicuramente impegnato a leggere, come tutte le sere a quell'ora. "Mio fratello non è dappertutto e non conosce tutti gli anfratti del posto.  Seguimi."
Lanciando un'occhiata circospetta alla pagoda, la seguì lungo il giardino dove avevano parlato poche ore prima, fino a un sentiero che costeggiava il bacino nel quale la possente cascata si gettava prima di proseguire la sua corsa a valle.
"Dove mi stai portando?" le domandò, quando superarono uno stretto arco scavato nella pietra.
"In una grotta dietro la cascata che ho scoperto da ragazzina. Spesso, per fuggire da mio fratello, prendo un libro e un thermos di tè e mi rifugio qui. E' l'unico posto dove posso stare tranquilla." gli rispose. "Ma qui occorre fare attenzione, perché spesso e volentieri la roccia, in questo punto, è..."
Non gli riuscì di afferrarla in tempo, che Mei finì in acqua.
"…scivolosa?" concluse lui, reprimendo una risatina. "Grazie per l'avvertimento. Magari avresti potuto seguirlo tu stessa."
Mei boccheggiò.
"Spiritoso. Anche il fondo è scivoloso!" disse, tentando di rimettersi in piedi ma senza successo.
Camus si chinò, sporgendosi verso di lei.
"Coraggio, ti aiuto…"
Fu decisamente una pessima mossa.
Appena ebbe preso la sua mano, Mei lo tirò con sé in acqua, per poi rialzarsi in piedi con scioltezza quando lo vide riemergere.
"Oh scusa, che sbadata." cinguettò. "Mi era parso di sentire una risatina, e ho pensato bene di vendicarmi."
"Ah sì?" quando la vide issarsi sulla riva, la raggiunse con due ampie falcate e la tirò di nuovo giù a forza.
Mei guardò le labbra di Camus e i suoi occhi, che brillavano a pochi centimetri da lei, e pensando a quanto successo poco prima nell'isba, il cuore tornò a batterle come un tamburo nel petto.
"Dovremmo uscire da qui, troppa umidità." mormorò con un filo di voce, nervosa. "Non so te, ma non ho intenzione di aggiungere la voce broncopolmonite alla lista dei ricordi legati alla mia prima volta." avvampò imbarazzata quando pronunciò quelle parole.
"Neanche per me sarebbe una bella cosa da ricordare."
Issandosi sul sentiero che prima di cadere stavano percorrendo, Mei si accorse di tremare: per il freddo, per la situazione o più probabilmente per entrambe le cose. La maglietta di Camus che s'era infilata all'isba in fretta e furia, ora fradicia, non aiutava di certo.
"Dovrò fare affidamento su di te, temo… perché non ho la più pallida idea su come iniziare…" disse Mei, a voce bassissima.
Le scostò la frangia umida dal volto e la fissò dritta negli occhi, prima di sfilarle la maglietta e baciarla.
 
**
 
Nei film melensi e fin troppo romantici accade sempre tutto in maniera perfetta.
La giusta atmosfera, un lettone comodo e soffice dove cedere alle lusinghe di Morfeo, i protagonisti che arrivano al traguardo insieme…
Non diventerai cinico proprio ora eh, Camus?
Certo, quello non era proprio il luogo più adatto dove fare l'amore, ma insomma, aveva quel tocco romantico che non guastava.
La cascata che nascondeva la grotta al mondo lasciava filtrare poca luce, era vero, ma quella penombra era suggestiva, a modo suo. Il futon che con gesti febbrili lui e Mei avevano tirato fuori da un armadio a prova d'umidità non era paragonabile un materasso spesso venticinque centimetri, ma era comodo.
Se si ignorava la sottile umidità dovuta all'acqua che scorreva a venti metri da loro, quel luogo intimo non era affatto male.
Ridacchiò, e Mei si mosse appena contro di lui.
Doveva aver freddo, almeno a giudicare dalla pelle d'oca delle braccia. Futon o meno, erano nudi e ancora umidi.
"Hai freddo?" le sussurrò, stringendola di più contro il proprio corpo.
Mei sospirò appena, godendosi il tepore di quelle braccia, non sentendo nient'altro che il cuore di Camus contro la sua schiena e il fragore della cascata.
"Un po’."
"E freddo a parte, come ti senti?"
"Meravigliosamente bene." rispose Mei, con un gran sorriso.
Impiegò qualche istante per farle una domanda che in quel momento gli pareva urgente.
"Ti ho fatto male?" domandò infine con parecchio imbarazzo, a bassissima voce. Mei non gli rispose subito; colto da un leggero disagio si puntellò su un gomito e la guardò.
"Un po'." ammise infine Mei.
Si distese di nuovo, lasciandosi sfuggire, senza volerlo, un'imprecazione.
"Mi dispiace così tanto." disse, coprendosi il viso con le mani.
"Nessuno dei due sapeva che cosa fare, e allora?" sorrise Mei. "Guarda che faccia, sono ancora tutta intera." si rigirò tra le sue braccia, accoccolandosi contro il suo petto, e cercò di cambiare discorso. "Saggia idea, quella del futon, vero? Cam? Guardami, non è successo niente di male."
"Oh sì. Il futon è sicuramente da aggiungere sulla lista dei bei ricordi legati alla prima volta." convenne lui dopo qualche minuto.
"Io invece credo che, campassi mille anni, non dimenticherò mai il modo in cui, a un certo punto mi hai guardata." confessò Mei. "Come per accertarti che fossi vera e non un sogno."
"Io non sarei riuscito a spiegarlo meglio." le rispose, lasciando che esplorasse ancora il suo corpo. In risposta la strinse ancora un po’, accarezzandole la schiena. "Mei?"
"…mmh?"
"Vorresti venire con me ad Atene?"
 
***

Lady Aquaria's corner.
(capitolo revisionato in data 9 dicembre 2014)
Eccomi qui, con un capitolo ricco di avvenimenti. Hyoga qui ha 14 anni, in linea con l'anime. Non ho menzionato il Maestro dei ghiacci, perché semplicemente non c'è, nella mia fic.
Quando Hyoga appare di colpo, e Camus gli dice che lo crede in Giappone, combacia al momento dell'anime in cui Hyoga va in Siberia per parlare con il maestro dei ghiacci, ma trova il villaggio sotto assedio e si trova costretto a ucciderlo. Grazie come sempre a chiunque legge e tutto il resto, a GioTanner che mi ha dato un paio di consigli.
Alla prossima,
Vale^^
Lady Aquaria

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Capitolo 7
*** Come with me. ***


capitolo 7 prequel

7.
Come with me.

Come with me, close your eyes,
Hold my hand, it'll be alright
Don't be scared, don't be shy
Lift your head it's going to be alright.
[Come with me-Phil Collins]
 
Il silenzio che seguì quelle parole lo spiazzò. Aveva posto quella domanda, stupidamente, e altrettanto stupidamente aveva pensato che Mei avrebbe accettato subito la sua proposta. Non sapeva nemmeno per quale motivo l'aveva fatta.
"Bè… io… dimentica quello che ho detto." balbettò. Si mise a sedere, riavviandosi i capelli umidi e sentendosi più stupido che mai.
Che dannazione gli era venuto in mente di chiederle una cosa simile?
Perché mai avrebbe dovuto seguirlo, in fondo lo conosceva appena, e lei -ne aveva avuto la prova poche ore prima- era una ragazza seria.
Scattò appena avvertì la sua mano posarsi sulla schiena.
"Mica ti ho detto di no." gli sorrise. "Non ho mai visto la Grecia. Ma… non sapevo fosse possibile per voi, portarvi una donna appresso."
Camus si girò verso di lei, incrociando le gambe e avvicinando la torcia.
"Al Santuario nessuna legge, scritta o verbale, ci vieta di avere una ragazza."
Ricevette un sorriso in risposta.
"Dohko mi disse che la vostra prima priorità dovrebbe essere la dea."
"A dire il vero, nessuno si è mai posto quel problema, visto e considerato che nessuno, salvo rari casi, ha mai avuto una… come dire… compagna. Dobbiamo obbedienza alla nostra Dea ma siamo comunque esseri umani, con i nostri bisogni e i nostri sentimenti."
Anche Mei si mise a sedere; Camus guardò i lunghi capelli che le coprivano il seno.
"Già."
"Quello che mi preoccupa di più saranno le reazioni dei miei compagni. Sai, non capita tutti i giorni che un blocco di ghiaccio come me si trovi una ragazza, e adesso che ne ho una, partiranno subito i commenti, soprattutto quelli di Milo." le spiegò Camus.
Gli sorrise, negli occhi un luccichio particolare.
"E da quando sono la tua ragazza?" sussurrò Mei.
Lui arrossì e abbassò lo sguardo, a corto di parole.
Si fece più vicina a lui, posando la testa sulla sua spalla e circondandogli la vita con un braccio.
"Di solito non amo i titoli, ma questo mi piace." gli sussurrò, felice. Era convintissima di quello che aveva appena detto. Era seriamente felice di seguirlo ad Atene, anche se agli occhi degli altri, era forse un passo troppo affrettato.
Ma aveva agito tutta la sua vita in modo assennato, pensando prima agli altri e poi, se avanzava, a sé stessa. Si sentiva bene.
Che male c'era in ciò?
Alzò lo sguardo e, seguendo un improvviso impulso, seguì con la punta delle dita la cicatrice che gli attraversava una spalla, sentendolo fremere, arrivando a una seconda che dalla scapola attraversava tutto il muscolo dorsale fin quasi al gluteo.
"Cosa fai?" mormorò Camus, voltandosi appena.
"Come ti sei procurato queste? Durante l'addestramento?"
"N-no. Io... sì, ma fu a causa di una mia negligenza, sottovalutai le correnti del lago e uno spuntone di ghiaccio quasi mi aprì in due la schiena."
"Ahi." Mei risalì con le mani fino alle spalle, raccogliendo di lato i suoi capelli. "È per nascondere questi segni che porti i capelli così lunghi?"
"No, semplicemente perchè mi piace portarli così." le rispose, sorridendole. "A te non piacciono?"
"Sì." disse Mei. "È che prima di te non avevo mai conosciuto nessuno con i capelli rossi come i tuoi."
Si girò proprio mentre Mei aveva deciso di posare un bacio sulla cicatrice sulla spalla, e un brivido lo scosse.
"Mei." bisbigliò, cercando, senza successo, di tenere a bada la voce. Quando i loro sguardi s'incontrarono, alzò una mano, l'attirò a sé e la baciò.
Poco dopo, quando il bacio s'interruppe, Mei si mise a cavalcioni su di lui, scostandogli dei ciuffi dal volto.
"Dopo dovrò andare a prendere qualcosa in casa. Il minimo indispensabile, almeno."
"Certo." annuì Camus. Mei lo baciò ancora e lui spostò le mani sui suoi fianchi, scoprendo che aveva la pelle d'oca. "Mei, aspetta. Per te fa freddo qui... sarebbe saggio entrare in casa, prima che tu possa ammalarti."
Si rivestirono alla bell'e meglio, faticando a infilare i vestiti bagnati e rientrarono nella pagoda rabbrividendo all'aria della notte.
Fecero meno rumore possibile, tuttavia, quando passarono davanti alla porta di Dohko, questa si spalancò.
"Mei?!" mormorò Dohko, guardando la ragazza che, capelli scarmigliati e umidi, indossava una maglietta visibilmente più grande, tenendo stretti al petto i vestiti che aveva indossato quel giorno insieme a della biancheria maschile e un paio di mocassini. "Che cosa...? Camus?!" aggiunse, quando finalmente intravide anche lui, dietro Mei, praticamente svestito a eccezione dei jeans.
"Maestro…" disse Camus a mo' di saluto, imbarazzato come un adolescente scoperto a pomiciare.
"I-io... noi... ehm..." iniziò a balbettare Mei, avvampando. "Noi..."
Dohko notò dei segni inequivocabili addosso a Camus e sorrise.
"Non hai bisogno di darmi alcuna spiegazione, sono stato giovane anche io." sorrise Dohko.
"Se vi abbiamo offeso in qualche modo, vi domando scusa." interloquì Camus.
"Mio caro ragazzo, perchè dovrei essere offeso? Sono stanco, non offeso. Buonanotte." rispose Dohko, congedandoli.
Mei si sentì avvampare quando si chiuse la porta della propria stanza alle spalle. Girò la chiave nella serratura e intravide Camus intento a guardarsi intorno, le mani infilate nelle tasche dei jeans.
"Chiedo scusa, ha sempre avuto un'udito finissimo." esordì, sentendo la propria voce un po' tremula a causa della tensione.
"Immagino. È il Saint più potente del Santuario, il più anziano ed esperto..." commentò Camus. "L'udito fine è la dotazione standard, nel suo caso."
La tensione sessuale che li aveva attraversati prima di entrare in casa e prima di incappare in Dohko pareva essere scomparsa; sospirando, Mei aprì l'armadio, prendendo una borsa abbastanza capiente e dei vestiti asciutti.
"Puoi farti una doccia mentre io metto via qualcosa." gli disse, porgendogli un completo di cotone pesante, un karategi nero profilato di bianco. "Apparteneva a mio padre, a occhio e croce dovrebbe andarti bene... mi spiace, ma sono i soli vestiti da uomo che ho."
"Grazie." rispose Camus, prendendo rispettosamente i vestiti che Mei gli aveva offerto. "Tuttavia insisto affinché sia tu a farla per prima, io sopporto bene il freddo."
"D'accordo." sorrise Mei. Si sfilò la maglietta -blu notte, dell'Hard Rock Café di Parigi- e si chiuse in bagno, ripensando a quanto successo.
 
*
 
"Vai da qualche parte?"
Mei si voltò a guardare il fratello, fermo sulla porta della sua stanza.
"Sì."
"Ti cerco da tutto il pomeriggio, e ti trovo solo ora. In compagnia di quel Gold Saint a quest'ora di notte."
Gold Saint che, in quel momento, si trovava nel suo bagno.
"Cos'è successo tra di voi?" incalzò Shiryu.
"Come?"
"Non far finta di non capire. Sinceramente, Mei, io non ti capisco. Lo conosci appena. Come puoi fidarti di lui al punto da... seguirlo dall'altra parte del mondo? Come puoi essere così avventata, sorella?"
"Io non sono avventata. Mi sento di farlo, mi fido di lui."
Shiryu annuì.
"Certo. Ti è bastata una settimana scarsa per fidarti di lui?"
"Hai detto bene, non capisci. Non puoi capire quello che provo." protestò Mei. "È che a te non va giù che per una volta penso a me, prima che a te."
Le afferrò un braccio, fermandola.
"Sei cattiva, se pensi questo di me. Mi sta a cuore la tua felicità, ti voglio bene. Ma io non ci vedo nulla di buono in tutto ciò. Potresti provare a conoscerlo meglio prima, no? Insomma….Lo frequenti, ci esci un po’, magari fra qualche mese…"
Mei si liberò dalla sua stretta.
"No no no, aspetta. Shiryu… sveglia! Siamo nel ventunesimo secolo, non nel diciottesimo!" esclamò Dohko, comparendo alle sue spalle. "Ai miei tempi si faceva così, ragazzo, adesso i tempi sono decisamente cambiati! Lascia stare tua sorella, e và a dormire."
Camus uscì dal bagno, nel karategi prestatogli da Mei; Shiryu scosse la testa poi uscì.
"Non sto simpatico a tuo fratello." disse Camus.
"Fa sempre così, con tutti." cercò di giustificarlo Mei.
"Era una constatazione, non una domanda. So di stare antipatico a tuo fratello."
Mei chiuse finalmente la zip della valigia.
"Lo so. Lo fa con tutti." ripeté. "Credo di essere pronta. Possiamo andare."
Camus annuì, quindi, dopo averla attesa mentre salutava cognata e fratello, l'attirò a sé, teletrasportandosi al Santuario.
"Ed eccoci." le disse, lasciandola andare e prendendole la borsa che si era portata dietro. "Però, viaggi leggero. Tutto bene?"
A dirla tutta si sentiva come se avesse fatto un viaggio in ascensore a velocità elevata.
"Mi gira un po' la testa, ma adesso passa." replicò Mei, guardando al di là del parapetto. Aveva visto il mare una volta sola, durante le uniche vacanze che avevano trascorso, tutti insieme in Italia, nella terra di sua madre.
Non aveva calcolato il fuso orario, però.
Aveva lasciato il Goro-Ho in piena notte, e ora era catapultata indietro di sette ore, alle nove di sera. Il sole era tramontato da un po’, e in lontananza s'intravedeva un faro, e le luci del porto e della costa, ferventi di vita.
Spostando lo sguardo, Mei intravide gli altri templi.
"Sarebbe possibile visitare la casa del Maestro?"
"Dovresti avere il permesso del suo custode, ma non hai problemi in tal senso, quindi credo proprio di sì." le rispose. "Andiamo dentro, Mei. Sarai stanca."
Annuì seguendo Camus, che non si era accorto dell'arrivo di Aphrodite.
"E che cavolo, và avanti!" sbraitò DeathMask, il naso incollato allo schermo del cellulare, scontrandosi con lui.
"Hai visto anche tu?" sussurrò Aphrodite, facendogli cenno di non gridare.
"Che cosa? Che la compagnia telefonica mi ha di nuovo fregato due euro?"
"Ma no! Camus. E' in compagnia."
Death sollevò lo sguardo, finalmente, dall'apparecchio.
"Ferma, frena un attimo!" esclamò. "Monsieur Ghiacciolò… s'è portato una donna a casa?"
 
**
 
"Come mai gli altri hanno una casa rettangolare, e tu… tonda?" domandò Mei, entrando.
"L'anticamera è tonda. La parte in fondo, quella con i miei appartamenti, è squadrata." rispose Camus, posando la sua borsa sul tavolo. "Ma comunque, non ti saprei rispondere."
"L'importante è avere un tetto sulla testa, quadrato o tondo che sia." commentò Mei, pratica. In quello che doveva essere il salotto, intravide una libreria zeppa di cd e lp. "Ma… accidenti, quanta musica ascolti!"
"Mi piace avere dietro tutta la mia musica preferita. Molti di questi erano dischi dei miei genitori…" spiegò Camus. "Li ho portati da Parigi, quando mi sono riappropriato del mio appartamento."
"Prima o poi ci tornerai?"
Si strinse nelle spalle.
"Forse, un domani."
"Ah, capisco…"disse lei. Non ne voleva parlare, probabilmente. Scorse i titoli dei vari cd. Musica pop, chanson française, classica. Almeno un centinaio di cd, a occhio e croce; innumerevoli gli lp. Ne estrasse uno: l'Aida, cantata da Maria Callas. "Vedo che ti piace anche la musica lirica."
"Sì, l'apprezzo molto." disse Camus, precedendola in cucina. "E a te piace l'opera?"
"Difficile non apprezzarla se tua madre era una soprano. Non la seguo più come una volta, mi risveglia troppi ricordi. Ma da piccola, quando mamma si preparava per un'opera, stavo ore ad ascoltarla. Più di una volta ho seguito la prima direttamente dietro le quinte. Tuttavia, non disdegno anche alcune sue colleghe come Maria Callas o Mirella Freni."
"Tua madre era una cantante lirica?"
"Soprano e mezzosoprano, aveva studiato per entrambi i toni. Mi capitò di vederla interpretare la Bohème in due ruoli diversi: Mimì e Musetta... io la preferivo quando interpretava Musetta. Era strepitosa."
"Oh."
"Tra tutte, amo la Tosca: è stato amore a prima vista.  E adoro la Bohème. E dimmi, tu ne hai?"
Non ebbe modo di risponderle, però, perché Milo comparve davanti alla porta degli appartamenti, un sorriso sornione stampato in faccia, mentre passava lo sguardo dall'amico alla ragazza.
"Yasas."
 
***
Lady Aquaria's corner.
[Capitolo revisionato in data 22 gennaio 2015]
-Maria Callas e Mirella Freni sono due straordinarie soprano, che io ascolto e apprezzo particolarmente.
-Yasas: in greco, significa ciao o salve.
E Milo è….bè. Il solito impiccione.
Ma a noi piace così, no?
 
Alla prossima, e grazie, davvero grazie, a chi legge, recensisce e segue. Grazie!

Lady Aquaria

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Capitolo 8
*** Benvenuta. ***


capitolo 8 prequel

8.
Benvenuta.

 
Si girò curiosa verso il ragazzo che era appena comparso davanti alla porta: biondo, incredibili occhi azzurro scuro, alto, con un sorriso sfrontato dipinto sul volto e lo sguardo curioso nei suoi confronti.
"Yasas." ripeté, verso Camus, che lo fissava.
Questi tirò un paio di sospiri, cercando di non perdere la calma.
"Salut, Milo." rispose. "Prima che tu possa dire qualche idiozia delle tue…"
"Devo portare la moto a fare un controllo, avevi detto, mh? Beh, amico mio, devo ammettere che è parecchio migliorata dall'ultima volta che l'ho vista. Non ricordavo certi particolari." ridacchiò Milo, mimando con le mani due seni. "La carrozzeria, soprattutto." aggiunse allusivo, prima di dare una lunga occhiata al didietro di Mei.
"Tre ore d'allenamento al giorno serviranno pure a qualcosa." commentò Mei, incrociando le braccia sul petto. "Suppongo lui sia Milo."
Milo, d'istinto, guardò l'amico.
"Mei parla greco?"
"…se mi avessi lasciato parlare…"
"Certo che parlo greco, il Maestro Dohko me l'ha insegnato." replicò Mei.
"Yiasu!" esclamò Milo, abbracciandola di slancio e lasciandole due baci sulle guance. "Ti kanis? Hiero polis!" [Ciao! Piacere di conoscerti, come stai?]
Camus gli elargì una pacca in testa, mormorandogli qualcosa.
"Ma che ho fatto??" sbottò Milo, guardandolo stranito. "Perché non dovevo salutarla??"
Camus la guardò.
"Chiedo scusa. Milo è uno zoticone dei peggiori." le disse.
"Dice che non avrei dovuto salutarti."
"Non dovevi salutarla come hai fatto tu, con i baci e il contatto fisico…"
"Ma sai che hai ragione?" disse Milo. Si avvicinò alla prima casa e afferrò lo zerbino, iniziando ad agitarlo come un indiano alle prese con i segnali di fumo. "Ciao!!! Lieto di conoscerti!!! Come stai??"
"Ma perché ho un amico così scemo?!"
"Camus… va bene così, non poteva saperlo e io non mi sono offesa." mormorò Mei. "Ciao Milo!!! Sono contenta anche io di conoscerti, Camus mi ha parlato tanto di te!!"
Milo lanciò uno sguardo in tralice all'amico.
"Tsk… immagino: avrà detto che sono la piattola che lo tormenta da quando siamo bambini e che avrebbe preferito lasciarmi annegare quando a dieci anni sono scivolato giù dagli scogli."
"Avrei detto la sacrosanta verità." intervenne Camus.
Mei guardò entrambi.
"No. Ha detto che sei stato il primo che l'ha fatto sentire a casa dopo essere stato sradicato da Parigi, ha detto che ti considera il suo migliore amico e che, anche se troppo espansivo per i suoi standard, sei una gran brava persona, ecco."
"Oh, ma così mi commuovi! Una gran brava persona… mi stupisci, amico." sospirò Milo con fare teatrale mentre Camus si allontanava in direzione della camera, dove posò il borsone di Mei. "Comunque, ieri sera hai disertato la grigliata di Alde."
Camus fece spallucce.
"Aldebaran capirà, ma ieri sera ho avuto ben altro da fare."
E di nuovo, Milo passò lo sguardo da Camus a Mei.
"E immagino anche cosa. Ma tranquillo, Alde non si è offeso e, anzi, ha spostato la grigliata a oggi." disse. "Vi ho sentito arrivare ed ero curioso."
"Hai soddisfatto la tua curiosità adesso?" domandò Camus.
Milo assottigliò lo sguardo.
"Oh. Capisco che non vedi l'ora di rimanere solo soletto con la tua bella, due cuori e un letto…ma..."
"Perbacco, che intuito."
"Invece, vi tocca aspettare. L'attesa aumenta il desiderio, giusto?"
"Il Grande Sacerdote è al Santuario?" domandò Camus, facendosi improvvisamente serio.
"No. È allo Star Hill da ieri pomeriggio, a consultare le stelle. Per qualche giorno staremo tranquilli." rispose Milo, corrugando la fronte al cambio repentino di argomento. "Allora, Mei… sarai dei nostri?"
Guardò Camus, che annuì.
"Okay."
"Così conoscerai gente nuova… a parte il vecchio Dohko, non conoscerai nessuno, in quell'angolo di Cina dimenticato dagli Dèi." disse Milo. "Tra mezz'ora, alla seconda casa."
"Solo mezz'ora? Per esperienza personale, ti dico che a una donna mezz'ora sola non basta, da' retta a me." intervenne un terzo ragazzo, che iniziò a guardarla a lungo, da capo a piedi. "Su… se non ci pensa questo buzzurro, a presentarci… io sono Aphrodite."
"Mei." si presentò, sorridendo in risposta.
D'un tratto un penetrante e persistente odore di fumo e un paio d'occhi rossi.
"Cos'è…? La principessina della città proibita non acconsente a stringere la mano a noi poveri mortali?"
Ridusse gli occhi a due fessure, squadrandolo.
Lo stesso ragazzo che era arrivato al Goro-Ho quel pomeriggio, per convincere il Maestro a raggiungere il Santuario.
"Mei è cinese e in Cina non ci si saluta con i baci sulle guance, né il contatto fisico…" spiegò Aphrodite. "Al di là della mia casa, c'è una biblioteca. Potresti anche usarla qualche volta, non ti mangia."
"Ahahahah, okay. Allora… i miei ossequi, principessina. Se non sbaglio sei la sorella del lucertolone."
La somiglianza con Shiryu era anche palese, ora che ce l'aveva di fronte: il taglio degli occhi era uguale e, scommetteva, anche il carattere doveva essere molto simile a quella del fratello minore.
Mei non rispose, limitandosi ad alzare il mento con orgoglio.
"Sì, non sbaglio. Avete lo stesso sguardo strafottente negli occhi. A proposito, come sta il fratellino? Si è ripreso o è ancora sotto shock per il bagnetto nella cascata?"
"E lui è DeathMask. Ma ovviamente lo conosci già."
"Sì. E avrei preferito non rivedere più la sua faccia."
Death proruppe in una delle sue risate.
"Temeraria e arrogante come il fratellino, eh? Quelli come voi me li mangio a colazione."
"Sai, DeathMask? Sarebbe bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio." rispose Mei.
Camus ridacchiò.
"Hai fegato, signorina." disse Death, tirando una lunga boccata dalla sigaretta e allungando una mano verso di lei.
"Toccami e ti garantisco che con quella mano non toccherai più niente."
"Ghiacciolino, tieni a bada la tua donna prima che decida di appenderla insieme alle altre alla quarta casa."
"Questo tuo atteggiamento da vero duro dovrebbe farmi paura?"
Le soffiò il fumo in faccia.
"Sei impaurita?"
"I pagliacci mi fanno ridere, non paura." tagliò corto Mei. "E ora vogliate scusarmi, avrei da fare prima di cena."
"A tal proposito sarà meglio scendere alla seconda o chi lo sente Alde? A dopo, allora." Aphrodite colse la palla al balzo tirandosi dietro anche DeathMask.
"Milo?" disse Camus. "Credo che Mei abbia bisogno di darsi una sistemata…"
Distolse lo sguardo da Mei e guardò l'amico.
"..sì. Certo! A dopo!" sorrise sornione, allontanandosi.
Appena la porta si fu richiusa alle sue spalle, Camus vide Mei dirigersi verso le camere e la indirizzò verso la propria.
"Se non te la senti, non siamo obbligati ad andarci. Alde capirà."
"No, è che… non so se sono gradita, ecco. Sono i tuoi amici, il tuo gruppo, e io sono un'ospite."
"Sei molto più che questo, Mei. Fai parte della mia vita, non sei assolutamente un'ospite."
Parte della sua vita.
"Sei la mia ragazza, giusto?"
Sorrise.
"Sì."
"Allora andrà tutto bene. La mia stanza è questa." le disse, aprendo la spessa porta di legno massiccio. "Ammesso che tu voglia dormire con me. Altrimenti posso sistemarti nella stanza in fondo al corridoio."
"Dormire? Non abbiamo mai parlato di… dormire." ribatté Mei, con lo stesso tono scherzoso.
Non si vestì né con gli abiti tradizionali - fuori luogo- né con vestiti troppo eleganti –anche se di elegante possedeva ben poco-.
Camus entrò in camera, in accappatoio, afferrando una camicia blu e un paio di jeans e osservandola mentre disegnava due linee nette sulle palpebre con un eyeliner.
Ballerine, t-shirt e jeans, i capelli raccolti in una coda: era la prima volta che la vedeva in abiti occidentali. La trovò parecchio carina anche se, a dirla tutta, forse un po' troppo magra e nervosa.
"…sì, lo so. Madre Natura non è stata molto generosa con me, da mia madre ho ereditato tante cose, ma non le forme." sorrise Mei, mal interpretando il suo sguardo.
"Non pensavo a questo, non hai nulla che non va: quel che ho visto e toccato mi è parecchio piaciuto. Solo che… ora che ti guardo meglio, penso che tu sia troppo magra."
Mei annuì.
"Beh, capita se ci si allena tre ore al giorno. Eppure credimi, mangio tantissimo."
"Non offenderti, ma a vederti non si direbbe."
"Ti dimostrerò il contrario." asserì Mei. "Organizzate spesso queste cene?"
"Non tutti i giorni, ma sì, piuttosto spesso." rispose lui, dirigendola verso la seconda casa. "Di solito c'è tanto di quel cibo che a fine serata anziché camminare, si rotola."
"Salve!" esclamò Aldebaran, gioviale, appena li vide.
Mei dovette piegare la testa indietro, per guardarlo.
"Ciao." rispose. Ma quant'era alto quell'uomo?
"Lui è Aldebaran, Saint del Toro." li presentò Camus.
"Grande e grosso, ma innocuo. È un baule di bontà." interloquì Mu. "Ciao, Mei."
Un volto conosciuto, in mezzo a tanti altri sconosciuti -o sgraditi, come Death-.
Mei fece un leggero inchino.
"Maestro." salutò.
"Mu." la corresse l'interessato. "Quella palla al piede di Kiki già lo conosci…"
"Non sono una palla al piede, sono bravo, io!" sbottò il ragazzino.
"Sì, quando dormi."
"Shaka fa sapere che arriverà in ritardo." disse un ragazzo alto e moro, dal marcato accento spagnolo.
"Tipico. Oh, Shura, lei è Mei, la ragazza di Camus." li presentò Mu.
"'Sera" rispose Shura, guardandola appena e dedicandosi al suo cellulare.
"E saluta come si deve!" intervenne un altro ragazzo, castano, schiaffandogli una sberla in testa. "Sii educato. Ciao, sono Aiolia."
Mei sorrise.
"Ciao."
E, in quella marea di uomini, Mei intravide anche una donna.
"Ma guarda… arriva una donna al santuario e nessuno mi avverte?"
Aiolia le cinse subito le spalle, corredando il gesto con un bacio sulla guancia.
"Rimediamo subito." disse Mei, facendosi avanti per prima. "Ciao, sono Mei."
La stretta di mano di Marin era calda, e affettuosa.
"Ciao, Mei. Sono Marin." si presentò. "Benvenuta."
 
***
 
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 26 gennaio 2015)
Scrivere questo capitolo mi ha richiesto tempo, soprattutto per cercare alcune informazioni e renderle al meglio, una volta buttate giù; in secondo luogo volevo presentare Mei ai gold, senza farla apparire la classica tipa che viene accettata da tutti a occhi chiusi, magari con gridolini di giubilo.
No, oltre al fatto che l'avrei fatta apparire per la marysue che non è, non sarebbe stato veritiero. Non si può risultare simpatici a tutti, infatti Death non va giù: non è molto propenso ad accettarla, sia perché è una donna (eh sì….Death, qui, è ancora uno dalla mentalità un filo maschilista…), sia perché è la sorella di Shiryu, col quale ha un conto in sospeso (ricordate, vero, che è intervenuto Mu per salvare le chiappe di Shiryu? XD).
Anche dopo la revisione è rimasto piccino… è un po' un filler, diciamo, i capitolo lunghi sono i prossimi.
Infine, il titolo, riprende la canzone di Laura Pausini, "Benvenuto". Ho solo cambiato la lettera finale.
Lady Aquaria

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Capitolo 9
*** In good company. ***


capitolo 9 prequel revisionato
9.
In good company.

"Grazie." sorrise Mei, lievemente rincuorata. "Finché non me l'ha detto Camus, non sapevo ci fossero donne, qui… credevo che questo piccolo mondo fosse popolato solo da uomini."
"Siamo pochissime, ma ci siamo e sappiamo farci valere." disse una seconda ragazza, sbucando da un accesso laterale.
Death si accese una sigaretta, squadrando Shaina che si avvicinava alla cinese.
"Sono Shaina." si presentò, tendendo la mano a Mei.
Death non lasciò la presa, anzi.
"Niente donne, dicevi? E invece hai visto? Hai trovato qualcuno con cui poterti fare le unghie e i capelli!" la derise ironico, soffiandole in faccia il fumo della sua sigaretta. "Non sei contenta? Dai, và a prendere il beauty!"
"Death…" iniziò Aphrodite.
"…anzi, che qualcuno le presti phon e piastra…!"
"Ça suffit." rispose Camus, scocciato, intervenendo.
"Lo dico io se basta o no, ghiacciolino." replicò Death, schiacciando il mozzicone sotto il tacco. La squadrò malevolo, soffermandosi sugli occhi e sui lineamenti, così simili a quelli di Shiryu. "Adesso mi toccherà sorbirmi anche questa palla al piede, dopo quel buffone di suo fratello."
"Modera i termini." l'interruppe Mei. "È di mio fratello che stai parlando!"
Death inarcò un sopracciglio, ridipingendosi il solito ghigno sulla faccia.
"Oh, lo so benissimo. Sciocca mammoletta da due soldi che fa lo sbruffone con chiunque si ponga sul suo cammino. Prima o poi finirò il lavoro con lui."
Ridusse gli occhi a due fessure.
Chi era quell'uomo, per esprimere giudizi di quel genere su Shiryu?
Che suo fratello fosse un saccente arrogante incapace di trattenersi di fronte alle provocazioni era vero. Ma sentire certe cose da una persona indegna come lui, beh…
"Tu non vali nemmeno la metà di quel che vale mio fratello! Non tollero simili paragoni da un uomo che ha attaccato a quel modo un guerriero di casta più bassa e che voleva obbligare un uomo anziano a seguirlo con la forza. Fai male a sottovalutare Shiryu: prima o poi sarà lui a finire il lavoro con te."
Non resistette.
La guardò un attimo come se le fossero appena spuntate le antenne e le scoppiò a ridere in faccia.
"Lui… cosa?" disse, tra una risata e l'altra. "Lui… che cosa? Finirà il lavoro?"
"DeathMask…" disse Aphrodite. "Puoi anche chiudere il becco e troncarla qui. "
Lo ignorò, facendosi più vicino a Mei e avvicinando il volto al suo.
Milo prese Camus per un braccio.
"Cam… non per essere polemici, ma… okay, Mei è cazzuta, è simpatica e beh, comincio ad apprezzarla proprio per questo, ma  forse sta provocando un po’ troppo Death, ti pare?" sussurrò Milo.
"Mei sa il fatto suo."
"Immagino. Ma ti ricordo che alla quarta casa ci sono anche teste di donne e bambini: Death è imprevedibile e non si fa problemi a ucciderne un'altra."
"Quando tuo fratello passerà per le mie mani… e vedrai, succederà… te lo restituirò in una tabacchiera." le sibilò, chiudendo con uno scatto il pugno che aveva sollevato a mezz'aria, per rimarcare il concetto. "Ammesso che rimanga qualcosa di lui."
"Allora buona fortuna: te ne servirà parecchia." ribatté Mei, colpo su colpo. "Sei solo un povero vigliacco che parla e basta."
Death rivolse il suo sguardo rosso contro Camus.
"La tua picciotta comincia a starmi simpaticamente sulle palle."
"Smettila di fare lo stronzo, allora." interloquì Milo.
Le puntò contro l'indice, minaccioso.
"Quando avrò finito con tuo fratello, passerò a te." le sibilò, in italiano. "Capirai per quale motivo mi chiamano DeathMask. Mi implorerai di ucciderti."
"Credi che sia una donnetta isterica? Mi dispiace, ma non imploro nessuno."
"Basta." tuonò Aphrodite, vero DeathMask. "Stai esagerando."
"Me ne fotto." berciò DeathMask.  
Aldebaran passò tra i due, in mano una teglia fumante.
"Largo, fate largo." disse, colpendo volontariamente Death a una spalla. "Permesso!! Non litigate prima di mangiare, o la bile vi farà perdere l'appetito."
"Ne dubito." rispose Mei. "Io sono tranquillissima."
Kiki uscì di corsa dalla prima casa, correndo verso lo spiazzo della seconda casa dov'era imbandita la cena.
"Si mangiaaa!" esclamò, afferrando un grissino dal cesto sul tavolo e intingendolo nella salsa della teglia.
"Kiki!" lo riprese Mu, subito. "Non si fa!!"
"Ma io ho fame!"
Mu si puntò le mani sui fianchi.
"Che maleducato! Mi domando chi cavolo ti ha insegnato a fare così."
"Tu, fratellone."
Alde gli scompigliò i capelli, sorridendo e lisciando la tovaglia.
"Dì un po’, Mei, mica sei a dieta?"
"Assolutamente no." rispose, adocchiando la teglia. "Che cosa sono? Il profumo promette bene."
Alde sorrise, gonfiando il petto, orgoglioso.
"Avocados ripieni." rispose. "Una volta ogni due settimane organizziamo queste cene….la volta scorsa è toccata alla cucina svedese. Stasera menù brasiliano: avocados ripieni, peixada e passoca di banane e frutta esotica."
"E cucini tu?"
"Quasi sempre io. La maggior parte di loro, nemmeno sa cos'è una cucina." scherzò, alzando la voce.
"Tra l'altro, menù pensato apposta per voi due piccioncini." intervenne Milo, circondando le spalle di Mei, indicandole le varie teglie. "Negli avocados ci sono le cipolle, e nella zuppa di pesce c'è l'aglio."
"Si chiama Peixada, non è una zuppa di pesce." protestò Alde.
"Fa' lo stesso." minimizzò Milo.
"No che non fa lo stesso!!"
Camus venne in soccorso di Mei, prendendosela da parte.
"Questo Santuario è una manica di pazzi." le disse, ridacchiando appena. "Manca qualcuno all'appello, ma siamo tutti qui."
"Chi manca?"
"Ovviamente Dohko che è rimasto in Cina, il Saint dei Gemelli che è latente da anni, Aiolos che non c'è più, e Shaka che è un ritardatario cronico, e che non scenderà finché non avrà concluso la sua sessione di meditazione."
Dalla seconda casa la vista e la prospettiva su Atene erano diverse rispetto alla sua, ma era ugualmente spettacolare.
"Il sole è già tramontato, purtroppo, e c'è già il chiasso luminoso dei lampioni e delle insegne al neon… domani, lo prometto, ci godremo il tramonto dal balcone di casa." le disse, abbracciandola, circondandole la vita.
Annuì appena, perdendosi a guardare l'Egeo che lambiva Atene e il Pireo, il suo porto. Pur essendo tramontato, il sole creava ancora qualche fantastico gioco di luci, nel cielo arancio e violaceo, solcato da qualche nube qua e là.
"Sei stanca?"
Annuì ancora, sbadigliando, stavolta.
"Chiedo scusa. Non sono abituata a viaggiare tanto, e questo cambio di fuso orario mi ha sballata un po’."
 
Per abitudine Mei sedeva di lato, lasciando i due posti capotavola al Maestro Dohko e a Shiryu, in quanto uomini di casa; si accomodò quindi accanto a Marin, indecisa se sedersi accanto a Camus, o no: non erano soli e dato l'ambiente piuttosto maschilista, voleva evitare gaffes o brutte figure, e non aveva intenzione di inimicarsi qualcun altro.
Fu Camus a venirle incontro sedendosi accanto a lei e facendo sedere qualcun altro al suo solito posto.
"Perché ti sei seduta qui?"
Scrollò le spalle.
"Non cambiare abitudini per me. Siediti dove sei abituato, io mi troverò bene qui."
"Allora…" Milo tentò di avviare una conversazione. "Che te ne pare? Ti piace la Grecia, Mei?"
"Non ho ancora visto molto, però mi piace." rispose Mei.
"Si può sempre ovviare a questa mancanza, portandoti in giro a scoprire questa bella città." disse Marin.
Death unì le mani e in falsetto imitò Mei.
O quanto meno, tentò di farlo, non riuscendone a imitare l'accento cinese.
"Che bello, così andiamo a fare shopping!"
"Come al solito qui manca la buona creanza, non mi stupisco affatto."
Mei si voltò verso il ragazzo biondo che era appena arrivato. Il ritardatario cui si riferiva Camus, senza dubbio.
Indossava una lunga tunica di foggia orientale, e sulla fronte, semi-nascosto tra i capelli biondi, un tilak rosso.
"Shaka della Vergine." sussurrò Camus.
"Oh, il nostro Buddha si è degnato di accordarci il piacere della sua presenza. Quale onore." commentò Death, non ottenendo nessuna risposta da Shaka, che l'oltrepassò senza fare una piega.
"Parla di meno e pensa a non strozzarti mentre mangi." commentò invece Mu.
 
Durante quella cena dove i ragazzi liberi dalle costrizioni dei loro ruoli -perché Ares era assente-, potevano essere ragazzi normali come tutti, si creò un clima conviviale che a Mei piacque molto. In Cina era raro poter trascorrere una sera così, non capitava quasi mai. Di solito, Dohko e Shiryu arrivavano quando la cena era già pronta, e dopo averla consumata, andavano a dormire, o guardavano la tv.
Lì invece era tutto diverso.
Scoprì che Aldebaran era un omone grande, grosso e simpatico, che cercava di mettere chiunque a proprio agio; scoprì che Aiolia era il fratello minore del compianto Saint del Sagittario, e che era una persona molto alla mano, oltre che innamoratissimo di Marin -praticamente, non aveva occhi che per lei- e scoprì che Shaka non era cieco come aveva pensato all'inizio, ma teneva chiusi gli occhi per potenziare il cosmo.
"Non sono cieco." le aveva detto, indovinando i suoi pensieri. "Li tengo chiusi per strategia."
Shura forse era uno dei pochi che stava zitto sulle sue, mentre Death aveva l'abitudine di parlare anche troppo.
"….chissà come si sentiranno soli, in Cina, il povero lucertolone e il vecchio incartapecorito." riprese Death, durante il dolce. "Non ti senti in colpa, per loro?"
"No. Perché non sono soli."
"Ah, giusto! Giusto, l'avevo dimenticato. Il lucertolone ha la fidanzatina." sghignazzò DeathMask. "Una bella rottura di palle, altroché!"
"Rottura di scatole o meno, Death, lui ha una compagnia più piacevole di una collezione di giornaletti porno sotto il materasso." ribatté Milo, scoccandogli un'occhiata sarcastica. "A proposito, come va la tua tendinite? Dev'essere dura non poter usare la mano destra per un po'."
Mei posò il bicchiere, sogghignando appena, in sua direzione.
Bastarono quelle parole a zittire Death, almeno per il resto della cena.
 
***
 
Lady Aquaria's corner:
[Capitolo revisionato in data 20 febbraio 2015]
I ringraziamenti, come sempre d'obbligo, a chi legge/recensisce/segue, grazie ^^.
Detto ciò, le varie traduzioni/spiegazioni:
Stavolta il titolo non riprende nessuna canzone, e il capitolo è ristretto esattamente com'era in origine ^^' :)
-Ça suffit: basta!
-Avocados ripieni, Peixada e Passoca di banane e frutta esotica: si tratta di piatti tipici brasiliani: il primo è un antipasto a base di avocado, cucinato con pollo, spezie….e cose varie; la seconda è un piatto a base di pesce, aglio e pomodori; la terza è un dolce con purea di banane e frutta tropicale.
Alla prossima,

Lady Aquaria

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Capitolo 10
*** It's a beautiful day. ***


capitolo 10 prequel rivisto
10.
It's a beautiful day.
It's a beautiful day
The sun is shining
I feel good
And no one's gonna to stop me now,
oh yeah
It's a beautiful day
I feel good, I feel right
And no one, no one's gonna stop me now
[Queen – It's a beautiful day]
 
Dopo l'ennesimo sbadiglio di Mei, Camus riuscì a sganciarsi dal resto del gruppo per andare a dormire -giacché di dormire si sarebbe trattato-: Mei era distrutta.
"Kali̱nýchta!" [buonanotte!] augurò loro Milo, corredando il saluto con un'occhiata sorniona e allusiva.
"Ci sarà tempo per quello, Mei stasera è stanchissima." rispose Camus, imbarazzato.
"Stasera. Ma domattina…" s'aggiunse Shura.
"Non pensate davvero a nient'altro, voi due? Siete impossibili!"
A Pechino a quell'ora stava albeggiando e contando il fuso orario, praticamente Mei aveva completato due giri d'orologio senza toccare il letto: era certo che, una volta in casa, le sarebbe bastato sfiorare il letto per addormentarsi.
Infatti, sorrise Camus.
Nemmeno il tempo d'infilarsi il pigiama, si era addormentata.
La raggiunse qualche minuto più tardi dopo aver sistemato un paio di cose in casa.
A differenza sua però, non riuscì ad addormentarsi subito; chissà perché, con circa sedici ore al giorno in cui poter pensare tranquillamente, il suo cervello decideva di pensare la sera, prima di addormentarsi. E non si trattava di pensieri leggeri, ma veri e propri dubbi esistenziali.
Uno su tutti… aveva fatto bene a coinvolgerla così, con lui, con il suo mondo?
Non sapeva quanto sarebbe durato, l'ambiente in cui viveva non gli dava particolari chances di pensare al futuro, come Saint di Athena doveva vivere giorno per giorno, poiché il domani era alquanto incerto per lui e i compagni.
La guerra tanto paventata sarebbe potuta scoppiare da un momento all'altro, magari il Grande Sacerdote era andato allo Star Hill per avere delucidazioni proprio su quell'evento. O magari sarebbe potuto succedere qualunque cosa nel frattempo.
Forse, entrambi erano stati troppo precipitosi: pur essendo felice di averla al proprio fianco, non poteva non pensare a certi eventi e certe conseguenze.
 
Scivolò in un sonno senza sogni quasi senza accorgersene.
 
*
 
Mei riaprì gli occhi a fatica, corrugando la fronte: addosso avvertiva le tracce di una stanchezza piuttosto insolita, come se avesse fatto le ore piccole e avesse dormito poco e male.
Si stupì dell'insolita tranquillità della propria stanza: la cascata pareva essersi zittita di colpo, come quando, diversi anni prima, una frana a monte ne aveva deviato l'afflusso ed era rimasta a secco per quasi due mesi.
Ma soprattutto… perchè Shiryu ancora non l'aveva chiamata per avere la colazione? Strano. Di solito se non trovava tutto già bell'e pronto sul tavolo prima di allenarsi, s'arrabbiava e iniziava a borbottare come una pentola d'acqua in ebollizione.
Alziamoci, vecchia mia.
Si stiracchiò, stirando le gambe e spalancando le braccia di scatto accorgendosi tardi dell'orologio appeso al muro: le undici?!
"Aïe! "
Oh cavolo. Aprì gli occhi, completamente sveglia, voltandosi di scatto verso sinistra.
"Bonjour! " disse Camus, massaggiandosi il naso dolorante.
Oh, ora si ricordava tutto.
La notte prima, ciò che era successo dietro la cascata, la proposta di Camus e il viaggio in Grecia, la cena e infine la stanchezza. Si ricordava a malapena di essersi infilata a letto, ma non si ricordava affatto di Camus che si coricava.
"Ti muovi sempre così tanto la mattina?"
Si muoveva tanto giacché dormiva da sola.
"Buongiorno" rispose, a bassa voce "è tardissimo, perché non mi hai svegliata prima?"
"Non ho sentito la sveglia." ammise Camus, facendo strane smorfie.
"…ti ho fatto male?"
Le sorrise, negando con un cenno della testa.
"Hai ancora sonno." le disse, guardandola divertito mentre tentava con ogni mezzo di tenere gli occhi aperti per più di tre secondi di fila. "Perché non rimani ancora qui, mentre metto su qualcosa da mettere sotto i denti?"
Si stropicciò gli occhi; perché il cervello non collaborava? Era sveglia, no? Che gli costava ordinare al resto del corpo di alzarsi e iniziare quella nuova giornata?
"Di solito… io preparo la colazione." biascicò, sbadigliando.
"In Cina, forse. Io però non ti ho invitata qui per farmi da schiava, per quanto ne so, c'è già qualcuno, a casa tua, che tratta te e la tua amica come schiave tuttofare."
"Shunrei non è solo un'amica… diciamo pure che è mia cognata."
Povera ragazza, pensò Camus, guardandosi bene dal dirlo ad alta voce.
"Per la colazione hai qualche preferenza? Di solito mangi dolce o salato?" domandò invece.
"Dipende da come mi gira appena sveglia." gli rispose.
Camus si alzò dal letto, offrendole la vista del suo posteriore.
"E… stamattina come ti gira?" le domandò, afferrando i pantaloni di un pigiama e infilandoseli. "Mei?"
Si schiarì la voce, sentendosi avvampare appena Camus la colse in flagrante, persa a guardarlo.
"Abbiamo fatto qualcosa, stanotte?" domandò, confusa.
"Non che io ricordi." le rispose, divertito. "Eravamo entrambi troppo stanchi per fare qualunque altra cosa a parte dormire."
"Ah. Beh… ehm… è che tu… insomma…"
"Io dormo così."
"Bene."
"Niente che tu non abbia già visto, comunque, no?"
Sì, certo. Di sera, con la scarsa luce offerta da una torcia elettrica. Dietro quella cascata non aveva visto quel granché, e trovarselo di fronte, nudo, faceva il suo bell'effetto: non era un tipo dalla muscolatura particolarmente marcata –non era come quei tipi delle riviste maschili con gli addominali a blocchetti e i muscoli obliqui marcati- ma aveva un bel fisico atletico e scattante e una bella schiena, decisamente maschile.
Il resto, meglio non commentarlo.
"A-ha. " balbettò Mei, deglutendo.
"Dunque hai deciso?"
"No."
"No a cosa??"
"N-no, non so come… ehm… mi gira, fa' tu."
"Okay, allora ti preparerò una delle mie omelette." decise Camus.
"Stavolta però non bruciarla." commentò lei, issandosi su un gomito.
"Va bene, questa te la concedo…" le rispose lui, già in corridoio.
Lo sentì poi fischiettare, in cucina, e decise di farsi una doccia mentre lui pensava alla colazione.
Scese dal letto guardandosi intorno mentre raccattava il borsone e cercava ciò che le serviva. Una bella stanza, tutto sommato in ordine, illuminata principalmente dalla portafinestra che dava sul giardino che si affacciava sull'Acropoli e sulla baia del porto -a Camus era sì toccata la casa rotonda, e di conseguenza leggermente più piccola rispetto alle altre, ma in compenso godeva di un'ottima vista-, e dall'impronta decisamente maschile, semplice e senza troppi fronzoli. Una cassettiera in mogano con gli oggetti personali, l'orologio da polso accanto a una clessidra e una foto incorniciata, raffigurante due sposini… i suoi genitori probabilmente.
Decise di non curiosare tra le sue cose, e si recò, infine, in bagno.
 
Si sentì insolitamente libera.
Poter indugiare qualche minuto in più a letto, potersi concedere una doccia in santa pace senza nessuno pronto a strillare se non trovava le cose come voleva lui; amava suo fratello, era il solo membro della sua famiglia rimasto in vita -a parte sua cugina Zhi e sua madre, che si erano trasferite a Nanchino per lavoro, dopo la morte di Shen Tao ShuFang, suo zio- ma a volte Shiryu era troppo arrogante, troppo impertinente. Sperava solo che cambiasse mentre cresceva, in fondo aveva solo quattordici anni, ne aveva di strada da fare…
 
*
 
Camus, in cucina, aveva caricato la caffettiera e messo l'infusore con l'Assam nella teiera, non conoscendo bene i gusti di Mei.
Ciò che gli pareva strano, era che nessuno dei suoi pari era ancora salito -o sceso- a disturbarlo per poter ficcare il naso nei suoi affari, ma soprattutto in quelli di Mei.
Che diamine, era così strano che anche lui avesse una donna? Era così strano che anche lui provasse dei sentimenti?
Abituato sin da piccolo a non esternarli, era stupito per l'intensità di quello che aveva provato nelle ultime ore: al Santuario tutti dicevano di lui che era algido, un muro di ghiaccio, un blocco di ghiaccio vivente, addirittura.
Peccato che nessuno di loro, Milo a parte, lo conoscesse davvero bene.
Perso nei suoi pensieri, non sentì Mei arrivare in cucina, né tantomeno la sentì sedersi a tavola.
"Allora, hai deciso? Dolce o salato?" lo prese di soprassalto. "Non sento odore di bruciato, perciò l'omelette dev'essere ancora commestibile."
"Ma che simpaticona." le rispose.
Mei si versò una tazzina di caffè, zuccherandolo con calma e corrugando la fronte, sentendosi osservata; rialzò lo sguardo giusto per incontrare quello calmo e divertito di Camus.
"….oh… ehm… il caffè era tuo?"
"No."
Mei rise.
"Oh capito. Adesso che mi vedi bene, alla luce del sole, hai deciso che non sono poi quel granché… capelli in disordine, niente trucco… non sono proprio quel che si può definire una meraviglia."
"Ma smettila. Pensavo che vestita così, mi viene proprio voglia di saltarti addosso." scherzò Camus.
"Era appunto questa la reazione cui miravo. L'ho fatto apposta,visto?"
"Molto sexy…" disse Camus. "Con le… mucchine stilizzate…"
Mei seguì il suo sguardo.
"Non sono mucchine." obiettò.
"Oh. Non sarai un po' troppo grande per Hello Kitty?"
"Non è Hello Kitty, si chiama Pucca… se ti piace tanto, ne regalo una anche a te."gli rispose.
"Eh, come no. Poi magari mi faccio il giro di tutto il Santuario con la suddetta maglietta indosso."
"Ovviamente, altrimenti dove sta il divertimento?" replicò lei, sgranocchiando un paio di biscotti. "O potrei fare un paio di foto e ricattarti, dopo."
Camus ridacchiò.
"Sogna, sogna… tanto non succederà." disse. "Allora c'è qualcosa che vorresti fare per prima cosa, ora che sei qui?"
A parte non pensare a nulla, vivere libera e mangiare?
"La mia richiesta potrebbe suonare spudorata, alle tue orecchie."
Camus sorrise.
"Beh, faremo anche quello. Ma fuori è una bella giornata."
"Allora sì, qualcosa c'è." sorrise lei in risposta. "Portami al mare."
 
***
 
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 20 febbraio 2015]
No, non mi sono dimenticata di aggiornare, semplicemente vado molto molto e ancora molto lenta per tanti motivi, alcuni più o meno "leggeri" altri piuttosto "pesanti", che mi riguardano molto da vicino, e che mi distraggono -al momento non riesco a trovare altri termini- dallo scrivere.
-Pucca ed Hello Kitty sono © e ® dei rispettivi proprietari;
-Aïe! è l'esclamazione, in francese, corrispondente al nostro: ahia!
-L'Assam, oltre a essere una regione dell'India nord-orientale, è una varietà di tè nero dal gusto deciso e maltato e un colore molto scuro.
Come sempre, detto ciò, ringrazio chi legge/segue/recensisce. Grazie come sempre, di cuore :)

Lady Aquaria 

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Capitolo 11
*** Pocketful of sunshine. ***


capitolo 11 prequel
11.
Pocketful of sunshine.
Take me away (take me away)
To better days (to better days)
Take me away (take me away)
A hiding place (a hiding place)
I got a pocket, got a pocketful of sunshine.
I got a love, and I know that it's all mine.
[Natasha Bedingfield – Pocketful of sunshine]
Al mare.
A quella richiesta, Camus tentennò un secondo di troppo: a essere sincero non aveva pensato a che cosa fare una volta arrivato ad Atene con lei, non aveva programmato nulla, preso com'era stato dagli ultimi avvenimenti e anche la decisione di prenderla con sé era giunta così, di slancio.
"È una richiesta così insolita?" domandò Mei.
No, insolita no. L'unica spiaggia disponibile in zona era quella piccola del Santuario dove, per inciso, non ci andava praticamente mai: non era un tipo da spiaggia lui, soffriva il caldo e quelle rare volte che s'era lasciato convincere dai compagni ad unirsi a loro, era sceso con i bermuda, le infradito e la felpa di Alice Cooper -che gli avevano regalato qualche compleanno prima- trascorrendo la giornata a leggere i grandi classici della sua letteratura preferita –quella russa- mentre gli altri sguazzavano al largo.
"Rilassati, non intendo stare al mare tutto il giorno a sollazzarmi e prendere il sole. Intendo fare una passeggiata, prendere un po’ d'aria fresca. Non esci mai, tu?"
Si legò i capelli con un vecchio elastico, diniegando.
"Non spesso."
"Non spesso…" ripeté Mei. "Sei un… topo di biblioteca? Ho visto molti libri in casa…"
Arrossì appena, suo malgrado.
"...già." rispose. "Non mi piace prendere il sole come fanno gli altri perché non sopporto il caldo. Preferisco leggere, soprattutto quelli che gli altri considerano mattoni."
Mei annuì.
"I classici della letteratura russa che tutti più o meno leggiamo a scuola, o parli anche di opere che non sono lette dai più?"
"Adesso sto concludendo Sof'ja Petrovna, un romanzo degli anni quaranta ambientato durante le purghe staliniane che l'autrice Lidja Korneevna scrisse ispirandosi alla sua vita reale."
"Non ne ho mai sentito parlare." ammise Mei. "Su certe cose sono ignorante, sono rimasta ai classici Anna Karenina, Delitto e Castigo… non conosco i contemporanei. È una storia triste, immagino."

"Molto. Nel '37 il marito, il fisico Matvej Bronštejn, fu arrestato e condannato a dieci anni di reclusione e Lidja non poté scrivergli né avere sue notizie, scoprendo solo molti anni dopo che Matvej era stato fucilato subito dopo la sentenza."
"Oh no." commentò Mei.
"È un romanzo che apprezzo molto, Lidja aveva fegato il romanzo fu scritto durante il periodo stesso, all'epoca era proibito scrivere e conservare certi documenti, pena la vita."
"Anche oggi scrivere certe cose nel posto sbagliato può costarti la testa." commentò Mei. "Spero di non trovarmi mai in quelle condizioni: non sapere come sta l'uomo che ami, dov'è, non poter avere sue notizie… preferirei tante altre cose, ma non questo."
"Già… ehm… ti chiedo scusa se ti sto annoiando… è che a me piace leggere."
Mei gli sorrise, strofinandogli le spalle.
"Non devi vergognarti se ti piace leggere. Conosco gente che nemmeno sa cos'è un libro…"
Sì, ne conosceva un paio anche lui, ma non tra i compagni parigrado, ma tra alcuni Silver Saint che trascorrevano più tempo nella sala giochi piuttosto che in una libreria.
I primi giri per la spiaggia li fecero in silenzio, passeggiando con calma, con la risacca e i gabbiani come unico sottofondo: nulla di troppo smielato, nessuna occhiata languida né mani nelle mani, per quello ci sarebbe stato tempo.
"Come padrone di casa sono uno sfacelo, chiedo scusa." disse Camus, d'un tratto.
"E perché? Le uniche conversazioni che sento al Goro-Ho riguardano arti marziali e sport…" rispose Mei. "Allenamenti, armature, karate… ascolto certe conversazioni da tutta la vita, è bello cambiare un po'."
 
*
 
"Shiryu, benedetto figliolo, perché sei già in piedi? Hai l'aria di uno che non riesce a trovar pace."
Già in piedi? E quando mai aveva toccato il letto? A essere del tutto sincero, non aveva proprio chiuso occhio: il resto della notte l'aveva trascorso nel salottino, insaccato sulla poltrona accanto alla finestra. No, non trovava pace e non era tranquillo, non lo era per niente da quando era partita: pensava costantemente a sua sorella, in Grecia.
Non aveva idea quella sciocca, del ginepraio nel quale s'era cacciata. Non immaginava nemmeno lontanamente che Aquarius, magari, la stava prendendo in giro?
Quello non poteva essersi innamorato di lei così, di punto in bianco, e in sua sorella non cercava certo l'amore… solo che lei, sciocca, l'avrebbe capito troppo tardi.
"Non avevo sonno." fu la risposta. "Non puoi avere sonno quando hai la testa piena di… cose."
Dohko sorrise all'espressione da "uomo vissuto" che aveva messo su Shiryu.
"E dimmi… ne hai molte?" chiese, divertito. "Che cosa tiene sveglio un ragazzo della tua età, figliolo?"
"Pensieri, maestro. Troppi pensieri, troppi."
Lo sapeva bene a che cosa stava pensando, naturalmente. Aveva qualche anno più di lui, e non gli era difficile immaginare a che cosa stava pensando l'allievo.
A sua sorella, Mei. Partita –ma non per sempre, sapeva bene anche questo- per seguire il proprio cuore.
"Pensieri, uhm? Molti dei quali sbagliati, ragazzo mio. Pensi a tua sorella?"
Richiuse la finestra sbuffando stizzito.
Ad Atene doveva essere mattina da un po’ mentre le prime luci dell'alba avevano appena rischiarato il cielo del Goro-Ho: sua sorella se n'era andata in piena notte, senza avvertire nessuno. Se non l'avesse scoperta, non gliel'avrebbe nemmeno detto.
"È dunque sbagliato pensare e preoccuparsi per Mei?" domandò. "È sbagliato provare dei sentimenti così forti per la ragazza che s'è presa cura di te?"
"Oh no." replicò Dohko, sorseggiando il suo tè. "È giusto preoccuparsi, un uomo deve proteggere le donne della sua famiglia, ad ogni costo e con ogni mezzo. È questo che ci rende uomini degni di questo nome. Ma sbagli a pensare che Camus si stia prendendo gioco di tua sorella."
Shiryu sobbalzò, quasi.
"Io non…"
"Oh, è proprio questo che pensi. Sei geloso di tua sorella. Temi che Camus, ora che è con lei, la illuda, la usi finché avrà voglia per poi gettarla via come un gioco vecchio in attesa di un nuovo passatempo. Sì, forse al Santuario altri potrebbero farlo, e ne conosco qualcuno. Ma credimi, sbagli sul suo conto… lo conosco, sai. È un ragazzo complicato, introverso, freddo… ma non è arido come credi, non sarebbe capace di ferire volontariamente qualcuno. Credo, anzi… sono certo che sia sinceramente attratto da Mei."
Shiryu prese a camminare avanti e indietro, pensieroso.
"Sì, so io che cosa l'attrae di Mei. Ma è mia sorella, e non l'avrà di certo da lei." disse Shiryu, risoluto. "Che lo cerchi in qualcun altro."
Dohko scosse la testa, divertito.
"Non per rimproverarti o smontarti, figliolo, ma… è già successo."
 
*
 
"Da quanto tempo non vedevo il mare."
"Non ne hai abbastanza di vedere e sentire acqua? Hai una cascata che ti scorre a venti metri dalla finestra, al posto tuo sarei stanco."
Mei scrollò le spalle.
"Non sono affatto stanca, a lungo andare ci si abitua e quel suono diventa familiare, quasi rassicurante… una cascata non è come il mare." si tolse le scarpe, tenendole per i lacci e affondando le dita dei piedi nella sabbia bagnata della battigia. "L'ultima volta ero piccola e c'erano ancora entrambi i nostri genitori."
"Quanti anni fa?"
"Ehm… circa sei."
"Ti va di parlarne o è un brutto tasto?"
Sospirò.
"Finché non devo spiegare in dettaglio la loro morte, mi va. Non fu una vacanza lunghissima quella ma fu bella, e la ricordo sempre con piacere: noi quattro, un ombrellone e una spiaggia italiana. Una rarità, dato il lavoro di mia madre e i costanti allenamenti di mio padre. L'ultima vacanza, l'ultimo bel ricordo. Poi mio padre fu selezionato per una competizione di karate e… non so perché, diversamente dal solito mia madre decise di seguirlo, portandoci con loro."
"Non succedeva mai?"
"Molto raramente, perché di solito mia madre era frequentemente in giro per teatri. In ogni caso, finirono i loro giorni in fondo a un dirupo, precipitando con la loro auto giù da un viadotto poco fuori Tokyo." rispose Mei, sedendosi su uno scoglio.
Camus la raggiunse.
"Ne parli come se non fosse successo a te."
"In che senso?"
"Ne parli in maniera molto asettica, come se fosse successo a qualcun altro."
"Semplicemente perché cerco di non ricordare spesso. È una ferita ancora aperta e fa male."
 
"Cosa state facendo? Lasciateli stare, fatevi gli affari vostri." disse Mu, scuotendo la testa. Milo li stava fissando da un po’, dallo spiazzo della prima casa, commentando talvolta ad alta voce con Shura.
"Ma guarda te… nemmeno un bacio, un abbraccio… Camus, fa' qualcosa!"
Shura regolò il binocolo.
"Stanno parlando."
"Sì?" Milo gli prese il binocolo tra le mani. "So io di che cosa stanno parlando. Libri, scommetto. Mattoni russi dei secoli passati con protagonisti persone dai nomi impronunciabili…"
"Tsk…" ridacchiò Shura. "Impronunciabili solo per gli analfabeti, hermano."
"Io analfabeta? E tu chi pensi di essere, Miguel de Cervantes?" sbottò Milo.
"No, solo uno con più cervello di te." ribatté Shura.
L'altro picchiettò sulla sua testa.
"Ma davvero? Nemmeno sapevo che ne avessi uno…"
"Comincia a far davvero caldo, vuoi rientrare?" domandò Mei.
"Se desideri rimanere posso sopportare ancora un po’, non ho problemi."
"No." Mei scrollò le spalle. "Possiamo anche venire in spiaggia più tardi quando fa buio e non c'è sole."
Camus si alzò poco dopo annuendo.
"Okay." annuì. "Prima di pranzo possiamo andare al mercato di Rodorio, ci sono cose caratteristiche che vorrei farti vedere."
 
"Uh! Si muovono!"
Milo si sporse dal parapetto.
"Si dirigono alla caletta! Bravo Camus, così mi piaci!" esclamò Milo, strofinandosi le mani.
"Milo, se scivoli e ruzzoli giù non verrò a raccoglierti." l'ammonì Mu.
"Mi lasceresti cadere?"
"Eccome."
"…mi lasceresti davvero finire i miei giorni sfracellato sugli scogli? Ricoperto di sangue con le mosche che mi girano intorno?"
Aldebaran storse il naso.
"Ti spiace smetterla? Starei mangiando."
Milo lo liquidò con un gesto della mano.
"E quando mai, tu mangi sempre."rispose, sbirciando nella scodella di plastica che l'altro reggeva nella mano. "Cos'è, gyros?"
"Sì."
"Sei stato a Rodorio? Perché non mi hai aspettato?"
"Falso allarme, Milo. Non la sta portando alla caletta… la porta al mercato." lo distrasse Shura.
"Al mercato? Ah però. No, Cam così non va affatto bene, no."
Shura nascose il binocolo.
"Ehm… credo ci abbiano visti."
 
Camus si accorse dei due compagni che li stavano spiando e agitò la mano.
"Chi saluti??" domandò Mei.
"Alza lo sguardo e sorridi." le rispose. "Siamo spiati. Questo Santuario è peggio di un parco di Atene alle quattro di pomeriggio quand'è pieno di vecchiette. Troppi pettegoli."
Mei ridacchiò, e Camus le cinse le spalle.
"Andiamo. Forse riusciamo ancora a trovare il chioschetto con la galaktoboureko e il caffè frappé. Se ti va, anche il gyros."
"Suona promettente! Andiamo!"
 
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 5 maggio 2015)
-Sof'ja Petrovna: vi rimando alla pagina wikipedia omonima.
-Galaktoboureko: dolce tipico greco, composto da pasta fillo e una crema composta da vaniglia e semolino. È estremamente calorica, ma anche estremamente buona.
-Gyros: versione greca del kebab; a differenza di quest'ultimo, usa carne di maiale.
-Il caffè frappé è un'invenzione greca. I suoi ingredienti di base sono caffè istantaneo, zucchero e acqua. La sua scoperta è stata casuale: durante la Fiera Internazionale di Salonicco nel 1957, il rappresentante della multinazionale Nestlé in Grecia Ioannis Dritsas presentò un nuovo prodotto per bambini, una bevanda al cioccolato da preparare istantaneamente mescolandolo con il latte e agitando con lo shaker.
Dimitrios Vakondios, impiegato, aveva l'abitudine di bere caffè istantaneo della Nestlè. In una pausa durante il congresso, decise di bere del caffè, ma poiché non trovò acqua calda, pensò di usare lo shaker per preparare il caffè con l'acqua fredda. Mise caffè, zucchero e acqua, lo agitò e creò il primo caffè frappé della storia. Dopo anni affermò di non potersi rendere conto che un semplice esperimento lo avesse portato alla scoperta della bevanda analcolica più celebre della Grecia.
Come sempre grazie a chi legge. Alla prossima!

Lady Aquaria

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Capitolo 12
*** Un'emozione inaspettata. ***


capitolo 12
12.
Un'emozione inaspettata.
 
Mei s'era addormentata sul divano dopo aver trascorso l'intera mattina in spiaggia e a passeggio; non era stanca, Camus era sicuro ci volesse ben altro perché lo fosse, probabilmente era colpa del caldo intenso che permeava Atene e il Santuario anche a maggio e che doveva averla spossata, come succedeva a chi non era abituato a quel genere di temperature.
Le drappeggiò addosso una sua felpa giusto per non farle prendere troppo freddo –all'interno della sua casa, causa il proprio Cosmo, la temperatura era più bassa rispetto all'esterno, aggirandosi intorno ai 20°C costanti d'estate e ai 9°C d'inverno- prestando attenzione a non svegliarla. 
Le scostò i capelli dal volto, sorridendo appena, quindi indugiò qualche istante seduto sul bordo del divano perso nei suoi pensieri, finché non si alzò per dirigersi in cucina a piedi nudi.
Nel corridoio il ritratto a olio di Degél pareva scrutarlo con sguardo severo, mentre camminava: il pittore che aveva ritratto il suo predecessore –così come aveva fatto con gli altri Gold Saint- lo aveva dipinto con uno sguardo che pareva seguirlo ovunque, come se Degél avesse guardato diritto in un immaginario obiettivo fotografico. 
"Già immagino ciò che state pensando, non c'è bisogno di guardarmi così." mormorò tra sé e sé, scuotendo la testa e tirando dritto fino alla cucina. Aprì la finestra che dava sul porto, in lontananza, e s'affacciò.
Fantastico, ora parlava anche con i quadri.
Ma era certo che se quel quadro avesse potuto l'avrebbe rimproverato sul serio; Degél pareva dirgli che stava sbagliando, che i Saint normalmente evitavano di avere una famiglia perché di solito avevano vita breve: innamorarsi e costruire un rapporto duraturo, con una compagna e dei figli era imprudente, dal momento che si rischiava di lasciarli presto da soli. Era il loro destino, semplicemente, e nessuno ancora aveva fatto eccezione. 
E lui non era certo un uomo normale, non conduceva, una vita come quella dei mercanti di Rodorio che si alzavano dai loro letti la mattina presto prima dell'alba ed erano sicuri di tornare la sera tardi dalle loro famiglie e dalle loro mogli, lui si alzava la mattina vivendo alla giornata, senza sapere se sarebbe arrivato al tramonto.
Detto ciò, doveva anche ammettere che al Santuario non esistevano leggi che impedissero loro di crearsene una, erano liberi di fare ciò che desideravano.
"À votre avis, Degél, est-ce que je fais une bêtise?"domandò a bassa voce, come se Degél potesse davvero ascoltarlo e rispondergli. [Secondo voi, Degél, sto commettendo un'errore?]
Si diede mentalmente dello stupido, scuotendo la testa e pensando a cosa preparare da mangiare: a differenza di qualche suo collega –come Shaka- lui non disponeva di attendenti o ancelle per propria scelta personale, preferendo fare tutto da sé essendo così abituato fin dall'età di dieci anni. 
Avrebbe preparato qualcosa di russo –di francese, a parte origini e nome non gli era rimasto granché-, sicuro che Mei avrebbe apprezzato: la soljanka, un piatto che aveva spesso mangiato da piccolo e che sapeva cucinare…cucinare…una parola piuttosto grossa, tuttavia rispetto a Milo che andava avanti con i cibi precotti e surgelati, poteva benissimo considerarsi cuoco.

*

Mu levò lo sguardo dallo Star Hill, l'espressione interrogativa in volto mentre tornava alle solite occupazioni che sbrigava al Santuario, ove era tornato una settimana prima.
Era strano, pensò, il Sacerdote non si recava mai così spesso nel luogo in cui cercava risposte dalle stelle; era un evento piuttosto raro, di norma non si muoveva dal tredicesimo tempio ed invece in quel periodo trascorreva interi giorni sul picco –come in quel momento-.
Non che gl'importasse granché di ciò che combinava il Grande Sacerdote, non nutriva particolare stima o fiducia nei suoi confronti, sentiva che qualcosa in lui non andava per il verso giusto, ma erano opinioni che doveva tenere per sé: c'erano troppe spie al Santuario, soprattutto sgherri di Gigars, che, pur mantenendosi lontani dalle dodici case e dai loro abitanti, gravitavano un po’ troppo intorno alle loro esistenze. 
Avrebbe preferito mille volte tornare in Jamir, dove le uniche sue compagne erano le montagne e un silenzio assoluto.
Kiki ritornò dalle sue scorribande nei dintorni, ridacchiando allegro.
Beh… quasi assoluto, si corresse.
"Chi hai fatto impazzire oggi?" gli domandò. Se aveva di nuovo disturbato Shaka in meditazione, presto avrebbe di nuovo ricevuto la visita del Saint, seccato e indignato per l'irruenza del ragazzino. "Non sei andato ancora alla sesta casa, vero?"
"No. La sua ancella non mi ha fatto entrare." rispose Kiki, dispiaciuto.
"Grazie ad Athena." sospirò Mu. "Allora che hai combinato fin'ora?"
Kiki posò il pallone che aveva sottobraccio, quindi si sedette a gambe incrociate sul muretto più vicino a Mu, guardandolo com'era solito fare quando il Saint trafficava con le armature.
"Non sai cos'ha sentito Milo, stanotte!" esclamò il ragazzino, con un tono che gli ricordò le vecchine di Rodorio radunate nella piazza principale intente a scambiarsi le ultime novità.
Sperò vivamente non si trattasse di Camus e la sua compagna -pettegolezzo del periodo, a quanto pareva, molto apprezzato da ancelle poco discrete e piuttosto invidiose della straniera che aveva preso al lazo uno dei Dodici-, perché, pur con tutto il rispetto che Camus e Mei meritavano, era stufo di sentirne parlare, soprattutto nei modi più variegati possibili.
"Posso immaginare." replicò, allungando una mano. "Mi passi lo scalpello, per favore?" 
Di storielle ne aveva sentite anche troppe: a sentire le ancelle, la giovane cinese era arrivata in Grecia in stato interessante, e il Saint s'era assunto le responsabilità del figlio o, secondo il racconto più interessante e fantasioso che aveva sentito, Camus l'aveva comprata dalla sua famiglia per farne una schiava. 
Nessuno andava a pensare che forse quei due provavano qualcosa nei confronti l'uno dell'altra, figurarsi; magari non era proprio amore, ma ci voleva parecchia distorta fantasia per concepire certe assurdità.
Sospirò: in ogni caso, ciò che facevano non avrebbe dovuto interessare a nessuno, men che meno a Kiki e gli altri Gold Saints, tuttavia rispose calmo come suo solito.
"Cosa?" domandò infine, quando si accorse che Kiki non avrebbe mollato l'osso facilmente.
"Qualcuno ha picchiato Gigars."
Inarcò il sopracciglio, rialzandosi. Evidentemente il Primo Ministro di Ares era scomodo a molte persone, dato il suo comportamento dispotico. Da una parte, se era davvero stato malmenato, quell'idiota aveva trovato pane per i suoi denti, imbattendosi in qualcuno con abbastanza fegato da tenergli testa e addirittura aggredirlo, dall'altra il Santuario, per colpa sua, avrebbe perso dei validi soldati di guardia –perché era sicuramente stato compiuto da soldati semplici che conoscevano ancora poco le regole del Santuario- che sarebbero stati giustiziati per il loro comportamento.
"Accidenti." commentò, senza particolare intonazione.
"Accidenti sì." interloquì Aldebaran, incrociando le braccia sul petto.
"E tu da dove sbuchi??" esclamò Kiki, sobbalzando quando se lo trovò a pochi centimetri da sé, seduto sullo stesso muretto, a gambe incrociate.
"Ciao, pulce." ridacchiò Aldebaran.
Mu piegò le labbra in un sorriso accennato.
"Kiki, ritireresti gli strumenti al posto mio?" domandò, in un muto invito a lasciarli da soli.
Il fratellino, che era esuberante ma non stupido, afferrò subito il significato delle parole, scendendo e sbuffando.
"Sì, me ne vado."
"Si sa di chi è la colpa?" domandò soltanto, mentre Kiki rientrava in casa.
"Uno sparuto gruppo di nuove leve durante la visita di Gigars nella caserma dei soldati. L'hanno tramortito in due con un colpo alla testa e da due son diventati sei, quindi dieci." spiegò Aldebaran, conciso. "Puoi ben immaginare com'è proseguita la cosa."
Mu s'avvicinò all'amico.
"A me non dispiace." ammise. "Gigars è uno sbruffone che fa il gradasso con i deboli e il debole con i gradassi. Senza Ares non sarebbe nessuno."
Aldebaran annuì.
"Non dispiace neanche a me, peccato che quei dieci non solo non hanno risolto la situazione, ma perderanno pure la vita." rispose. "Il Silver Saint di Lizard li giustizierà domani sera al tramonto."
Mu stavolta storse la bocca. Misty di Lizard non godeva di una buona reputazione, anzi, si diceva che fosse un sadico che prima di giustiziare le sue vittime facesse passar loro le pene dell'inferno.
"Che Buddha sia clemente con loro." commentò, infine. "In fondo erano giovani e Gigars è un tiranno alimentato dalle manie di grandezza del Sacerdote. Dimmi solo che non saremo costretti ad assistere."
L'altro scosse la testa.
"Non credo, no. Penso piuttosto che Gigars voglia in tutti i modi evitare che la voce si sparga in giro: sai, meno persone sanno che cosa gli è successo, meglio è per il suo ego."rispose. "E poi come ha suggerito Shaka, abbiamo ospiti al Santuario e il Sacerdote pare non gradire pubblicità negativa."
"Ma davvero?"

La notizia dell'agguato a Gigars, a dispetto di quest'ultimo, aveva fatto il giro del Santuario passando di sussurro in sussurro e arricchendosi man mano di particolari più o meno veri. 
Milo preferì evitare l'argomento con Camus. Conoscendolo si sarebbe preoccupato ed era l'ultima cosa che desiderava per l'amico. Dopo Joséphine e Alexandre era ben difficile vederlo rilassato e per una volta in cui appariva felice, non voleva avvelenargli quei giorni con quella storia.
Anzi. Visto che Camus pareva possedere il dono di comprendere il suo stato d'animo anche senza parlare, si dipinse un bel sorriso sulle labbra e salutò sia lui che Mei di ritorno dal mercato di Rodorio, a giudicare dalle borse che la ragazza teneva sottobraccio.
"Finalmente cacci il naso fuori dalla ghiacciaia anche per scendere al mercato e non solo per visitare la biblioteca. Oh guarda… dopo anni riesco a vederti addosso anche un colore che non sia il bianco mozzarella." aggiunse, guardando le spalle di Camus scottate dal sole.
"Sì, sono passato al rosso gambero." rispose Camus, pronto a regalargli un pugno al minimo accenno di amichevoli pacche sulle spalle screpolate ma, contro ogni aspettativa, Milo non accennò ad alcuno scherzo: sorrise a Mei cingendole la vita in un abbraccio e rubando una mela dal sacchetto di carta che teneva sottobraccio.
"Giretto per Rodorio? E a parte le mele, cos'altro le hai fatto apprezzare? L'hai portata dal panettiere?" volle sapere Milo.
"Sì e una volta basta e avanza." interloquì Camus, prima che Mei potesse rispondere.
"Perché? Non ti piace la focaccia alle olive, Mei?"
"No, è che a me non piacciono le occhiate del garzone sul suo posteriore." aggiunse Camus, fulminando con lo sguardo la mano di Milo sul fianco della ragazza.
"Ahah, sei geloso." ridacchiò Milo, in greco.
L'amico si schiarì la voce, arrossendo.
"Smettila."
"Bè, in fondo hai ragione a esserlo." aggiunse Milo, gustandosi la mela. "Uhm…che varietà sono? Fuji? Renette?"
"Secondo te a Rodorio sanno quali sono le mele Fuji?" obiettò Camus, guardando l'orologio.
"Era per fare due chiacchiere. Le ho mangiate in Giappone e mi erano piaciute molto… Mei, sei mai stata in Giappone?" continuò Milo.
Mei si schiarì la voce.
"Ehm… sì, una volta …" rispose, vaga.
"E non ne vuole parlare." aggiunse Camus, ricordandosi dei suoi genitori e del viadotto fuori Tokyo, che aveva fatto sviluppare a Mei una sorta di repulsione verso quel Paese.
"…sono un'idiota, scusami. Bè…ci vediamo più tardi eh!" salutò Milo.
Un comportamento strano per Milo, che di solito non era così… serio. Il solito Milo avrebbe approfittato della situazione per regalargli un paio di schiaffi a mano aperta sulle spalle ustionate ridendo come un cretino subito dopo e invece pareva aver abbandonato l'aria gioviale del tutto inspiegabilmente, preoccupato per qualcosa.
Corrugò la fronte, chiedendogli silenziosamente che cos'avesse e Milo scosse la testa, come a rassicurarlo.
"Tu non me la conti giusta." disse, assottigliando lo sguardo.
"…che?" fece Milo.
Camus incrociò le braccia sul petto.
"Milo, on va en parler." gli disse Camus. "E sai che sono serio." [Milo, dobbiamo parlare.]
"Mei, ti do' un consiglio su come maneggiare questo ghiacciaio artico che è il tuo moroso. Se inizia a parlare russo o francese, stagli alla larga, perché diventa seriamente pericoloso. Per il resto, è un mostro di bontà." disse Milo rubando una seconda mela dal sacchetto facendo ridacchiare Mei.
"Tranquillo. Camus è l'ultima persona della quale potrei avere paura."
"Non saprei, sai? Prova ad averlo di fronte quando è al limite della sua pazienza, poi ne riparleremo."
"Non tergiversare." lo ammonì Camus. "Passerò più tardi."
Inutile. Non poteva tenergli nascosto proprio niente.
"Oui, mon capitain." ridacchiò, facendo un saluto militare a Camus e scoccando un occhiolino a Mei prima di rientrare in casa. "…oh che diavolo…?!"
Uno dei soldati di Gigars, in sua impaziente attesa fuori dall'ingresso laterale dell'ottava casa.
"Ares richiede la presenza del Saint di Scorpio con urgenza." l'avvisò, pronto a scortarlo al tredicesimo tempio.

"Tutto okay?" domandò Mei, guardando Camus mentre rientravano. Di colpo s'era fatto pensieroso, dopo una mattina trascorsa al mercato a passeggiare tra le bancarelle e ridere, come una coppia qualunque.
"M-mh." rispose Camus sfilandosi la canotta per infilarsi una maglietta.
Milo gli teneva nascosto qualcosa. Ma cosa?
"Forse avresti dovuto indossare la maglietta prima di scottarti." ridacchiò Mei.
Annuì, soprapensiero, sfiorandosi le spalle arrossate e posando la maglietta su una sedia.
"Sì, forse."
Mei si sedette sul tavolo, gli prese le mani e l'attirò verso di sé.
"È stata una bella giornata… grazie."
Le sorrise, chinandosi per darle un bacio. Lo ringraziava ogni volta per cose così semplici. In che razza di modo la trattava Shiryu, se una semplice visita al mercato le faceva quell'effetto?
"Dovresti mettere qualcosa sulle spalle… vediamo… se sono avanzate un paio di patate da ieri sera, potrei schiacciarle e farti un impacco…" 
Camus ridacchiò.
"E poi che farai, mi metterai in forno?" scherzò.

*

Fermo in attesa davanti ad Ares, Milo non comprendeva il motivo di quella convocazione. Doveva riguardare la faccenda di Gigars, poco ma sicuro: aveva forse cambiato idea riguardo i soldati e stava per chiedergli di sostituire Misty per l'esecuzione?
L'uomo si schiarì la voce e si alzò dallo scranno.
"Se ti stai chiedendo perché ti ho convocato, Scorpio, ti accontento subito." disse, d'un tratto.
"Vi ascolto."
Il Sacerdote parve scegliere con cura le parole da usare; prendendosi tutto il tempo del mondo, allungò la coppa a un'ancella poco distante affinché la riempisse di vino, quindi la congedò.
"Tu e Aquarius vi conoscete da parecchio tempo…"
Una vita, praticamente: si sostenevano a vicenda da quando entrambi erano arrivati al Santuario, più di dieci anni prima.
"Sì?" rispose cautamente, cercando di capire dove volesse parare il Sacerdote. 
"Perciò dovresti conoscerlo bene."
Decise di rimanere sul vago.
"Abbastanza."
"Abbastanza? Stai cercando di prenderti gioco di me?" lo riprese Ares, contrariato. "Siete l'uno l'ombra dell'altro da quando eravate due poppanti e mi rispondi che lo conosci solo abbastanza?"
Non ottenne replica.
"Va bene, sorvoliamo su questa sciocchezza, ho cose più importanti da chiederti." disse, liquidando l'incidente con un gesto della mano. "In quanto suo amico dovresti conoscere anche le persone che frequenta, dico bene?"
"In un certo senso."
Il Sacerdote sogghignò, dietro la maschera.
"Bene, lo prendo per un sì. Dunque sai dirmi chi è quella ragazza."
Milo corrugò la fronte. Che cosa voleva Ares da Mei? 
"Scorpio, ho fatto una domanda ed esigo una risposta." sibilò Ares, calmo.
"Si chiama Mei-Yin, ed è la compagna di Camus."
Dietro la maschera blu, Saga socchiuse gli occhi:  aveva avvertito una strana sensazione la prima volta che l'aveva vista –dallo Star Hill- e continuava ad avvertirla ogni volta che posava lo sguardo sulla giovane. C'era qualcosa che non riusciva a spiegarsi.
"La compagna di Aquarius." ripeté. "Dunque le voci erano vere, anche se i termini utilizzati erano molto meno gentili di questo."
Chiacchiere di ancelle invidiose che si ritenevano alquanto seccate dal fatto che una straniera, arrivata da poco, avesse catturato l'attenzione di un Gold Saint.
"Parlami di lei."
A dire il vero di lei sapeva quel poco che aveva scoperto e quel poco che Camus gli aveva detto: una ragazza tutto sommato carina, simpatica e alla mano, non altezzosa come suo fratello.
"Non l'ho frequentata spesso, di lei so poco dato che è una ragazza riservata." rispose, stringato.
Ares tornò a sedersi sullo scranno, pensieroso.
"Ah sì? Riservata e discreta."
Tutto ciò non gli piaceva granché poteva anche trattarsi di una spia al servizio di qualcuno esterno al Santuario che voleva fargli la pelle: secondo quanto riferito da DeathMask, la giovane era stata addestrata alle arti marziali da Dohko in persona, che indubbiamente in tale frangente era uno dei migliori insegnanti al mondo; pur non avendo sviluppato il proprio Cosmo, la ragazza poteva essere in grado di uccidere qualcuno grazie alle tecniche apprese. 
"Portala qui." decise infine. "La voglio conoscere."
 
***
Lady Aquaria's corner.
[Capitolo revisionato in data 5 maggio 2015]
-Gigars compare solo per qualche breve momento in circa cinque, sei episodi dell'anime, ma è totalmente assente nel manga così come diversi altri personaggi. Tuttavia mi serviva, ergo, eccolo. Non interferirà ancora molto, se vi ricordate, fa una brutta fine, prima che arrivi Phaeton.
-La casa di Camus è piuttosto fredda ed è così che l'ho sempre immaginata -come si può anche dedurre dagli episodi dedicati allo scontro con Hyoga, dove la casa dell'acquario è permeata da una sorta di nebbiolina-, insomma, è fredda a causa dell'emanazione del suo Cosmo.
-Il ritratto di Degél. Secondo mia personale visione (avuta in seguito a una meravigliosa fanart trovata su Tumblr) i Saint hanno, nelle loro Case, qualcosa che ricordi loro chi erano i loro predecessori, in tal caso un ritratto al quale il giovane Camus si rivolge come se si rivolgesse a un vecchio amico.
-La Soljanka è un piatto russo, cucinato in maniera differente -carne, verdure o pesce- ed è una specie di zuppa.
-La Fuji è una varietà di mela creata in Giappone negli anni trenta, ecco spiegato il perché Milo le ha mangiate in Giappone. A quanto pare, sono piuttosto consumate, nel Sol Levante.
-Le patate e l'impacco... l'amido contenuto nelle patate costituisce un ottimo rimedio contro le scottature e gli eritemi solari (ovviamente, quelli leggeri...) e si possono applicare crude, a fette, oppure schiacciate e applicate con una benda.
-La canzone del titolo è di Raf.
Alla prossima.

Lady Aquaria.

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Capitolo 13
*** Under Pressure. ***


capitolo 12
13.
Under pressure.

Milo rimase di stucco alla richiesta del Grande Sacerdote, tuttavia non mostrò alcuna emozione limitandosi ad annuire.
"Se Vostra Grazia me lo concede, potrei conoscere il motivo di questa… richiesta?" domandò con indifferenza: non doveva mostrarsi troppo interessato di fronte ad Ares, quest'ultimo poteva anche insospettirsi e tacere, impedendogli così di avvertire Camus.
Saga attese qualche minuto prima di rispondere, guardando Milo da dietro la maschera e cercando inutilmente di decifrare il suo sguardo.
"Non hai mai avanzato questioni su nessuna missione che ti ho affidato in passato, non hai mai mostrato certe curiosità. Cos'è cambiato, Scorpio?" domandò Ares. "Perché, così improvvisamente, desideri conoscere le motivazioni che ci sono dietro una mia richiesta?"
Perché c'erano missioni e missioni, perché se si trattava di punire estranei e traditori in nome del Santuario non batteva ciglio, era il suo dovere ed era stato addestrato per questo, ma per certe questioni, soprattutto quelle che riguardavano persone con le quali aveva certi legami, la faccenda gli importava eccome.
Conosceva Camus da troppo tempo per poter agire contro di lui in un qualche modo.
"Non è cambiato nulla. Avanzo questioni solo se devo agire sulle persone che mi sono vicine."
Ares annuì. 
"La tua lealtà nei confronti di Camus è ammirevole, davvero. Se non fossi un mio Gold Saint, a quest'ora saresti già dentro la cella di Capo Sounio. Risponderò alla tua domanda se sarai così gentile da rispondere a una mia curiosità. Stai rischiando grosso per un amico, Scorpio. Dimmi, ne vale la pena? Credi davvero che la tua fiducia sia ben riposta?"
Milo sollevò il mento in un gesto orgoglioso.
"Ne sono certo." rispose. Per l'amico avrebbe messo la mano sul fuoco, avrebbe fatto qualunque cosa, certo che Camus la pensava nello stesso modo.
"Perbacco, sono davvero colpito da ciò. Eccoti dunque la mia risposta: desidero scambiare qualche parola con la ragazza, stabilire se è un potenziale pericolo per la sicurezza del Santuario o una qualche spia. Ho risposto sufficientemente ai tuoi dubbi?"
Che sciocchezza, Mei un pericolo per il Santuario? Una spia?!
Milo corrugò la fronte, era tutto così assurdo, Mei era una ragazza per certi versi fuori dagli schemi, ma era tutt'altro che pericolosa; stava per intervenire in sua difesa quando DeathMask s'intromise nel suo solito modo.
"È una femmina." interloquì, con disprezzo."Le femmine qui portano solo guai."
Milo lo ignorò.
"Solo l'ignoranza porta guai." commentò. "E sicuramente Mei non è un problema per noi, non possiede alcun potere visto che non ha sviluppato il suo Cosmo. "
"O magari sa più di quel che immaginiamo: Dohko può aver coltivato il suo Cosmo così come ha fatto con il Dragone e averle insegnato come tenerlo nascosto." insisté DeathMask.
Ares cambiò espressione, non aveva pensato a quell’opportunità.
"Uhm. Potrebbe essere, sì. Era esattamente ciò che ho pensato anche io all'inizio… DeathMask, potresti avere ragione."
Figlio di buona donna.
"Ma davvero, Death? Ci vuole autocontrollo e molto addestramento per riuscire a tener nascosto il Cosmo e non è cosa da tutti. Ripeto quindi che è una ragazza come tante, che non è certo qui per minacciare il Santuario." proseguì Milo, iniziando a perdere le staffe.
"Come fai a essere così sicuro?"
Era molto più che sicuro, era certo che l'anziano Dohko, se avesse davvero colto del potenziale in Mei, l'avrebbe addestrata così come aveva fatto con Shiryu e Ōko, anche se col secondo le cose non erano andate esattamente come previsto.
"Dohko non l'ha addestrata o a questo punto ce ne saremmo accorti.  Se non l'ha fatto, se non ha impiegato le sue energie per lei, significa che non possiede alcun potere." disse Milo. "E infine Camus non avrebbe mai portato qui qualcuno in grado di minacciare il Santuario."
Sperò che l'allusione alle capacità di Camus servisse a qualcosa: Camus era il diplomatico del Santuario, quello che Ares mandava in viaggio per trattative o impedire futuri problemi.
Un incarico estremamente delicato che gli era valsa l'assoluta fiducia dello stesso Ares.
"La mente di Camus è annebbiata, per non dire altro." provò a dire DeathMask.
Milo prese definitivamente fuoco, voltandosi di scatto verso DeathMask.
"Non ti permettere di insultare un uomo che vale dieci volte te." sibilò rabbioso. "Non osare."
Ares si schiarì rumorosamente la voce.
"Placate gli animi." ordinò.
Ripensò più e più volte alle parole di Milo e ripensò anche a Camus: in effetti non aveva mai dato problemi, aveva sempre portato a termine ogni missione assegnata e soprattutto, era un uomo con un grande senso di responsabilità.
"Te lo concedo Milo, Camus non farebbe mai una cosa simile. La ragazza non possiede poteri degni di nota e poi, che cosa mai potrebbe fare contro dei Gold Saint? Nulla, verrebbe spazzata via. Tuttavia voglio parlarle ugualmente, quindi la porterai qui. E tu DeathMask, chiama a raccolta gli altri Gold Saint, che vengano subito."
Milo e DeathMask corrugarono la fronte.
"È una riunione informale o … che cosa devo dire?" domandò quest'ultimo. 
"Informale, naturalmente. I Chrysos Synageyn si svolgono nella Sala d'Oro e non si indicono per quisquilie del genere, dovresti saperlo." rispose seccamente Ares, facendo ridacchiare Milo tra sé e sé.
 
*
 
Mei posò la tazza di thè sul tavolino accanto al dolcetto acquistato a Rodorio e controllò l'impacco che aveva spalmato sulle spalle di Camus.
Nonostante la doccia a temperatura polare che aveva fatto per mitigare il bruciore, la situazione non era migliorata, anzi. La pelle, oltre a essere bollente, era anche rossa.
"Uhm. Temo di aver sottovalutato la situazione e soprattutto il sole greco. Le patate qui possono fare ben poco." mormorò Mei, dopo aver rimosso l'impacco e avergli pulito le spalle. "Dovremmo passare in farmacia per un antistaminico."
Camus si sistemò sulla poltrona, indicandole l'armadietto dei medicinali.
"Dovrei avere qualcosa là dentro." le indicò.
Frugò nell'armadietto, prendendo un vasetto con un preparato artigianale della farmacia di Rodorio.
"Questo?"
"Bingo."
Mei aprì il vasetto, storcendo il naso subito dopo.
"…questa cosa puzza.".
"Sa di lavanda." rispose Camus. "O meglio, dovrebbe. Il fiore non ha un odore così forte."
Prelevato un po’ di unguento gli posò le mani sulle spalle iniziando a massaggiare con delicatezza.
"Ho le mani fredde, mi dispiace."
Le piazzò a tradimento le mani sulle gambe, facendola trasalire.
"Queste sono mani fredde." le fece notare, ricevendo in risposta un pizzicotto sulla spalla lesionata. "Aïe!"
"Non lo fare più, ti prego." disse Mei. "Altrimenti avrai tanti bolli rossi insieme alle lentiggini."
"Efelidi." la corresse il ragazzo. "Sono efelidi, che a differenza delle lentiggini non spuntano dappertutto, solo in certi punti e solo quando mi espongo al sole."
"Ah sì? Sai che non ci ho fatto caso?" ridacchiò Mei. "Se ti faccio male non hai che da avvertirmi."
Nonostante la sua struttura fisica non era proprio delicata, lo stava impastando come se stesse maneggiando un blocco di pasta di pane.
"Se mi fai male, sarò costretto a prendere provvedimenti." disse, fingendosi serio.
Mei richiuse il barattolo e si asciugò le mani in uno strofinaccio che mise poi a lavare.
"Ma davvero?"
Camus le prese la mano e la tirò a sé, facendola sedere sulle proprie ginocchia.
"Oh. A cosa devo tutta questa intraprendenza? C'era qualche sostanza psicotropa nel frappé?"
"Sarà il colpo di sole." sorrise Camus. "Non ho voglia di uscire, che ne dici? Stasera intendo rimanere qui a poltrire tutta sera con un pigiama sformato, calzini e una tanica di gelato davanti a un film. Che ne dici?"
Mei finse di pensarci su.
"Perché no? Il film lo scelgo io."
"Hey no. Questa è casa mia, decido io." ribatté Camus. Si chinò a baciarla. "Ma … potremmo anche negoziare. Io propongo, e magari ne parliamo … sì?"
"Okay, si può fare. Spara."
"X-Men … " iniziò Camus.
Fantascienza e mutanti.
"… c'è Wolverine! Mi piacerebbe, sì." annuì Mei. "C'è Hugh Jackman. Mi piace eccome."
Camus corrugò la fronte.
" Magari Il Gladiatore?"
Stavolta fu Mei a corrugare la fronte.
"No. Sangue, battaglie e teste che saltano. Non è il caso."
Camus prese un altro dvd.
"The Gift." propose. "Una veggente e un omicidio. È un thriller fantastico."
Lei studiò il dvd per un attimo.
"C'è Keanu Reeves, mi piace! Aggiudicato, guardiamo questo." esclamò alzandosi e posando il dvd sull'apparecchio. "Che c'è?"
Camus incrociò le braccia sul petto.
"Non sono molto sicuro di voler vedere questo film."
"Sei geloso di un attore? Un uomo che vive dalla parte opposta del mondo e che non vedrò mai?" gli domandò, tornando a sedersi sulle sue ginocchia e cercando una posizione comoda.
"Quello è famoso e ricco. E anche belloccio. Io non sono bello e non ho granché da offrire." disse Camus. "Lui ha il fascino esotico, io sono un pel-di-carota che si scotta al sole."
Mei lo tirò verso di sé.
"Tu dici troppe sciocchezze, per i miei gusti." sussurrò, prima di baciarlo.
 
*
 
Milo scese rapido fino all'undicesima casa, intravedendo di sfuggita i soldati di Gigars spargersi per le dodici case chiamare a rapporto gli altri Gold Saint.
Brutto affare, davvero brutto affare.
Ares voleva parlare con Mei, di sicuro non sarebbe stata una conversazione amichevole sulle stagioni e sul tempo, nonostante le sue rassicurazioni.
Soprattutto, Camus non sarebbe stato affatto contento della situazione.
Indugiò un po’ davanti all'undicesima casa e quando entrò, si sentì a disagio per gli amici; la porta che separava gli appartamenti privati dalla Sala di rappresentanza era aperta e la varcò dopo aver bussato.
"Quello è famoso e ricco. E anche belloccio. Io non sono bello e non ho granché da offrire." stava dicendo Camus. "Lui ha il fascino esotico, io sono un pel-di-carota che si scotta al sole."
Okay, aveva la certezza di trovarli, non avrebbe dovuto girare mezza Rodorio o, peggio, mezza Atene.
Mei doveva aver risposto, aveva sentito un sussurro dopo e poi, più nulla, a parte i rumori tipici di chi era nel bel mezzo di attività private.
"Oh, fantastico, ci mancava solo questo." mormorò. In effetti, affacciandosi nel salone, li intravide sul divano, lui a torso nudo, lei in slip e maglietta.
Grandioso.
Come annunciarsi senza far arrabbiare Camus e senza far prendere loro un colpo?
Arretrò di qualche passo, quindi, preso un sospiro, si schiarì la voce.
"Kalispera!!" esclamò. "Si può entrare o vi state rotolando sul tappeto?"
Subito dopo li sentì alzarsi dal divano, seguiti dal rumore di qualcuno che cade.
"Porca miseria! Ti sei fatta male?"
"Ahia, la gamba!"
"Stai sanguinando! Hai colpito lo spigolo?"
"Ah-ehm si può?" insisté Milo, affacciandosi di nuovo. "Salve!!"
"Milo!" disse Camus, inarcando un sopracciglio. "Che c'è?"
No, decisamente non era contento di quell'interruzione; Mei si era infilata i pantaloni alla bell'e meglio , mentre quest'ultimo si stava infilando la maglietta, lo sguardo di ghiaccio.
"Mi dispiace interrompere il vostro idillio, ma avrei bisogno di parlarvi."
Camus sbuffò.
"Non potevi aspettare domani per le tue faccende amorose?" sbottò.
"Senti, no, non è proprio il caso di fare così, non sono qui per parlare di me e delle mie cavolate. Sarei qui in veste ufficiale, vi devo condurre da Ares."
L'altro notò in quel momento che Milo stava indossando l'armatura.
Corrugò la fronte, lasciando perdere ogni battuta sarcastica riguardo le sue pene amorose e guardò prima Mei, poi di nuovo Milo.
"Devi condurci da Ares? Entrambi?" domandò Camus.
Prendere tempo o tergiversare con l’amico era inutile e, anzi, aveva già perso troppo tempo.
"Ares vuole parlare con Mei." spiegò. "Ha convocato tutti noi Gold nella sala del tredicesimo tempio per …"
Mei fece per parlare, ma Camus la interruppe.
"Aspetta. Per quale motivo vuole parlare con Mei?"
"Amico, calmati."
"Non ho intenzione di calmarmi. Spero tu stia scherzando." sbottò Camus, riducendo gli occhi a due fessure.
Milo spostò il peso da un piede all'altro.
Avrebbe voluto scherzare, davvero, ma era un ordine proveniente direttamente da Ares, e non si poteva discutere.
"Lo preferirei."
Camus si riavviò i capelli in un gesto nervoso.
"E come dovrei prepararla in questi giorni, per questo colloquio?"
Milo si schiarì la voce, sempre più imbarazzato.
"Giorni? Temo dovrai riuscirci in pochi minuti. Ares vuole vederla ora."
"Ma non è nemmeno una di noi, per quale motivo Ares la vuole incontrare?" domandò Camus.
"Pensa che la tua morosa sia una spia." ghignò DeathMask, comparendo insieme a Shaka e Aphrodite.
Ecco, ci mancava solo lui, l'assassino preferito di Ares.
"Tu cortesemente, scostati e pensa agli affari tuoi." sbottò Camus, prendendo Milo da parte.
Non faceva parte delle loro schiere, ma faceva comunque parte di quel mondo, per via di Shiryu e Dohko: in un certo senso, anche lei c'era dentro fino al collo.
"Per Athena Death, chiudi il becco!" esclamò Aphrodite. "Ascolta, per usare parole sue, Ares vuole capire se Mei è un pericolo per il Santuario o no. Non è come ha detto quest'idiota."
"Allora com'è?" sbottò Camus.
"Vuole solo parlare e basta, non puoi dire che con il nostro mondo non c'entri nulla, è sorella di un Bronze e vive a stretto contatto con il Gold di Libra che ancora non si è presentato a rapporto. Sono elementi più che sufficienti per dubitare di lei." interloquì Shaka.
"Se avesse davvero voluto creare dei problemi, l'avrebbe già fatto." obiettò Milo.
"Forse non ha ancora avuto il tempo per agire, pensaci. Secondo me, questa il Cosmo lo sa gestire benissimo, è una spia di qualche astrusa divinità del suo paese, se non di Dohko stesso." berciò DeathMask. "Oppure è una poveraccia in cerca di denaro che una notte approfitterà del sonno per ripulirti casa."
Camus lo fissò malevolo.
"A differenza tua non frequento donnacce di quella risma." replicò. "In ogni caso, non ho richiesto la tua opinione in merito."
"Fa' come vuoi ghiacciolino, non dire che non ti ho avvertito."
Aphrodite si avvicinò a Mei.
"La state terrorizzando." interloquì. "Il Grande Sacerdote è severo ma non è una cattiva persona, agisce per conto di Athena."
"Ci sono poche cose in grado di terrorizzarmi." mormorò Mei.
DeathMask la guardò e sogghignò tracciandosi un'immaginaria linea sulla gola col pollice.
"Lo vedremo. Sei nei guai, cinesina."
"Io sarò anche nei guai, ma quando arriverà il momento, mio fratello ti farà ingoiare tutti i denti." sibilò Mei. "E succederà, vedrai."
"Una cosa è certa, non ha paura di Death." disse Aphrodite.
"Che cosa ti da' tutta questa sicurezza?" domandò l'altro, socchiudendo gli occhi rossi.
"La testardaggine di Shiryu. Ti ha giurato vendetta, stai pur certo che la otterrà." replicò Mei. "Non hai idea della forza che possiede."
La risata satanica di DeathMask risuonò in tutta l'undicesima casa.
"Cam fidati di me, vuole solo parlare." tentò di calmarlo Milo. "Va tutto bene, ci sono io con voi."
Mei si alzò dal divano.
"Vado a mettermi qualcosa addosso."
"Mei, non sei obbligata a presenziare se non vuoi." disse Camus. "Mi assumerò io tutte le responsabilità del caso."
"E farti finire nei guai? Non ho nulla da nascondere, io." replicò Mei. "Discorso chiuso, io verrò con voi."
"Lascia che dia un'occhiata a quel taglio." si offrì Aphrodite. "Non è una scusa per guardarti mezza nuda, sto studiando medicina."
Lasciarono soli i due uomini e andarono in camera; aveva affrontato cose ben peggiori e più dolorose di quella, sarebbe certo sopravvissuta.
Camus aprì la box dell'armatura e la indossò, cercando di non perdere ancora la calma, soprattutto di fronte ad Ares.
"Ci sono io amico, non ti lascio solo." ripeté Milo. "State tranquilli, non succederà niente."
"E allora perché ho una brutta sensazione? Perché DeathMask ha detto- …?"
"DeathMask ha provato in ogni modo a mettere Mei in cattiva luce. Per un attimo c'è anche riuscito e ho fatto di tutto per convincerlo del contrario."
"Avrei preferito avere più tempo per prepararla."
"Cam. Sono certo che saprà comportarsi, non è tonta." disse Milo.
Mei era tornata in salotto giusto in tempo per sentire l'ultimo scambio di battute.
"Grazie per la fiducia Camus." disse, incrociando le braccia sul petto. "Che cosa temete, un attentato? Che mi presenti di fronte ad Ares imbottita di tritolo e che al momento opportuno mi faccia saltare per aria?"
Camus si grattò di nuovo la testa.
"Naturalmente no. Ma sarà come trovarsi a cospetto di un re, bisogna mantenere un certo comportamento. Devi aspettare che sia lui a parlare per primo e che sia lui a concederti la parola, ad esempio."
In quell'ambiente Camus, era totalmente diverso dallo stesso ragazzo conosciuto in Cina, era freddo e scostante come si richiedeva a un soldato.
"Allora andiamo." disse Milo. "Ad Arles non piace aspettare."
Camus guardò l'amico uscire, quindi le afferrò il gomito.
"Cosa c'è ancora? Devi dirmi qualcos'altro?"
"Sì, devo dirti che mi hai frainteso." le disse. "Che non era mia intenzione insinuare alcunché e che mi dispiace averti cacciato in questo guaio."
"Non è colpa tua." rispose Mei.
 
*
 
La sala del trono del tredicesimo tempio doveva esser stata concepita da un architetto che sapeva il fatto suo in materia: lucidi marmi pregiati ricoprivano i pavimenti, bianche colonne corinzie reggevano gli altissimi soffitti a volta coperti da superbi affreschi alle pareti, pesanti tendaggi rosso cupo schermavano la luce proveniente dai finestroni dai vetri istoriati –aggiunti ovviamente in epoca più recente che quella greca antica- e raffinate appliques alle pareti sostituivano antiche torce.
Infine, su una piattaforma rialzata e coperta da una passatoia rosso sangue, svettava lo scranno di pietra sul quale il Grande Sacerdote era assiso come un sovrano d'altri tempi.
Decisamente un ambiente enorme, con il doppio scopo di esaltare la magnificenza di Athena e del suo emissario e annichilire i nemici condotti al loro cospetto.
Mei tuttavia non ne rimase impressionata: Dohko, nei momenti di pausa tra le innumerevoli ore trascorse ad addestrare il suo discepolo, aveva speso tante parole a descrivere il Santuario e i suoi abitanti, aiutando Shiryu a capire di chi fidarsi e chi no, ma, soprattutto, aveva trascorso parte di quelle ore a ricordare i suoi vecchi compagni d'armi, amici preziosi e insostituibili che avevano abitato quelle stanze nei secoli passati.
"Ci siamo." sussurrò Camus, dietro di lei.
"Benvenuta." disse Ares poco dopo, a voce alta. "Tu devi essere Mei."
Non s'inchinò di fronte al Grande Sacerdote come aveva fatto Camus chinando appena la testa, restò immobile nella stessa posizione che aveva assunto entrando nella sala, con le mani intrecciate sul grembo, senza muovere un solo muscolo e si accorse che, seminascosti nell'ombra, c'erano i rimanenti Gold Saint.
Gettò un'occhiata in tralice verso Shaka: non si fidava di lui, era una persona pericolosa, dietro quell'aspetto apparentemente tranquillo.
Aldebaran aveva tutta l'aria di voler essere altrove piuttosto che là dentro e molti altri presenziavano annoiati quasi; solo Milo e Camus erano in allerta, mentre DeathMask sogghignava poco distante da Shaka e dal Sacerdote.
Quest'ultimo non riusciva ancora a collocarlo: amico no di certo, se aveva inviato un emissario al Goro-Ho per uccidere il Maestro. Semplicemente non le ispirava molta fiducia, non le piaceva per niente, il cosmo che percepiva era negativo.
E quella maschera, poi … di sicuro aveva molte cose da nascondere e come diceva sempre il Maestro Dohko, bisognava diffidare di chi nascondeva il proprio volto e agiva lontano dalla luce del sole.
"Vieni avanti." l'invitò l'uomo con una particolare voce metallica –dovuta alla maschera, forse-,
muovendo appena il braccio per consentire ai Gold Saint presenti di alzarsi.
Mei guardò istintivamente Milo –Camus era dietro di lei e non aveva intenzione di mostrarsi spaventata voltandosi-, che le fece un lieve cenno come per tranquillizzarla: Camus si fidava di lui e tanto le bastava per fidarsi a sua volta.
Fece come le era stato detto, muovendo un paio di passi sempre costantemente seguita da Camus.
Saga si sistemò meglio sullo scranno, sondando la giovane con gli occhi ridotti a due fessure, dietro la maschera: non pareva avere nulla d'offensivo, eppure possedeva qualcosa che lo inquietava e che non sapeva decifrare.
"Di norma ci si inchina di fronte al Celebrante di Athena." osservò Shaka, serafico. "Come rappresentante della Dea, mancare di rispetto a lui equivale a mancare di rispetto ad Athena stessa."
"Suvvia Shaka, calmati. È nuova qui e non conosce le usanze del Santuario, dico bene?" intervenne Saga, dietro la maschera.
Mei sospirò appena, scegliendo con cura le parole.
"Conosco bene le usanze del Santuario e rispetto le divinità straniere, ma di norma mi inchino solo di fronte agli altari dei miei Avi e dei miei Dei. Rispetto Athena, ma non è una mia Dea, quindi non m'inchino di fronte al suo celebrante." rispose Mei, risoluta.
"Sfacciata!" esclamò Shaka piccato.
Camus fece un passo avanti, il Cosmo all'erta e Ares si alzò dallo scranno.
"Shaka, Shaka. Va tutto bene, non è successo niente." disse Ares bonariamente, fermando il cavaliere della Vergine. "Insomma, è una fanciulla, non vedi?"
Fanciulla che non sapeva come catalogare, ma sicuramente, ora che l'aveva davanti, indifesa: che pericolo poteva mai costituire per loro? Certo, era un'esperta di arti marziali ma qualche calcio o qualche mossa di judo che cosa potevano mai fare, a confronto con i loro poteri?
"Siediti, cara." aggiunse, indicandole con un cenno della testa la poltrona accanto allo scranno. Allungò una mano in segno d'invito. "Parliamo un po’."
Mei intrecciò le mani sul grembo, ignorando il gesto di Ares.
"Se non vi dispiace, preferisco stare in piedi."
L'uomo rise, sedendosi, apparentemente indifferente al suo rifiuto.
"Se mi dispiacesse, cambieresti forse idea?"
"No."
"Sei sempre così prevenuta, di solito?"
Mi riesce difficile comportarmi normalmente con chi nasconde il proprio volto dietro a una maschera.
"A volte non mi fido neanche della mia stessa ombra." replicò Mei.
"D'accordo. Sono certo che Aquarius sia impaziente di conoscere il motivo di questo colloquio, anche se sono altrettanto sicuro che Scorpio, in tal senso, mi abbia già ampiamente preceduto." iniziò Ares. "Ti osservo da quando sei arrivata, e per quanto ci abbia provato, nonostante le mie ampie capacità, non riesco a… decifrarti. Non riesco a capire nulla di te, non riesco a captare il tuo Cosmo. Tu sai cos'è il Cosmo, non è vero?"
"So cos'è. Ma a differenza di mio fratello, non posseggo certe capacità." rispose Mei.
Suo fratello, già.
Saga si accomodò di nuovo, fermandosi a pensare: Shiryu del Dragone faceva parte delle schiere più basse dell'esercito di Athena che, come Dohko, ancora non aveva risposto al suo ordine. 
Inoltre il vecchio maestro sapeva troppe cose sul suo conto: chi gli assicurava che quel manipolo di Bronze, insieme a Dohko, non stesse escogitando un piano per farlo fuori?
"Non le hai sviluppate perché non si sono manifestate apertamente e non hai seguito un ottimo addestramento." la corresse Ares. "Mantenere il Cosmo in stato di quiescenza richiede un perfetto controllo e tu, mia cara, sei troppo giovane ed inesperta per poter anche solo pensare di fare una cosa simile."
"… o al contrario sa dissimulare bene." interloquì DeathMask.
"Ne abbiamo già parlato." lo mise a tacere Ares. "A questo punto, dato che non costituisci alcun pericolo per il Santuario e per Athena… potresti esserci molto utile."
Mei suo malgrado sorrise.
"Non capisco in che modo potrei esserlo. Per come la vedo io, vi difendete benissimo da soli senza aver bisogno di una judoka." rispose, sempre all'erta, facendolo ridere di nuovo.
Quella risata, amplificata dal metallo della maschera e dalla forte eco della sala, le mise i brividi addosso.
"Oh no, non necessitiamo del tuo judo, no." rispose Ares. "Potremmo aver bisogno di te per altri motivi."
"Ad esempio?" replicò Mei, fulminando con lo sguardo DeathMask e la sua occhiata lasciva.
Ares tornò serio.
"Immagino che anche tu, come qualsiasi essere umano onesto, desideri la pace… giusto?" chiese Ares. "Il Santuario ha visto troppe guerre, e in nome di cosa? Del potere? Bisogna riaffermare il potere di Athena, far capire a tutti che Ella intende mantenere la giustizia e la pace, così come ha sempre fatto, sin dalla notte dei tempi."
Camus mosse un passo avanti.
"Se posso far notare una cosa a Vostra Grazia, non possedendo poteri particolari, che cosa potrebbe fare per noi?"
"Molto più di quel che immagini, Camus. So che c'è qualcuno che la pensa diversamente e che vuole dichiarare guerra al Santuario. Ho bisogno di scoprire chi è e che cosa vorrebbe fare. Ed eliminarlo alla radice."
Mei corrugò la fronte.
"E che cosa c'entro io?"
"Tu entri in gioco proprio a questo punto. Sarai i miei occhi dove io non posso arrivare."
In breve, in sala, si levò un coro di voci: Aldebaran era incredulo quasi quanto Mei, Camus e Milo; non l'aveva detto apertamente, ma era ovvio che l'oggetto di tanto interesse era l'anziano Maestro.
"Come?" esclamò Mei. "Dovrei fare il doppiogioco?"
***
 
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 6 maggio 2015)
-Il titolo rimanda alla canzone dei Queen;
-Ares/Saga, io, lo vedo così, è una mia personale visione, è negativa forse, ma per me è così:
-La sala d'Oro dovrebbe essere una vasta stanza circolare, priva di pareti ma delimitata da numerose colonne, ma in base a quanto si vede è palesemente sopraelevata rispetto al resto del Santuario ed offre una visuale abbastanza completa, il che, insieme a diverse immagini esterne, conferma che si trova all’interno della torre della Meridiana.
Che altro dire? Buona lettura!

Lady Aquaria

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Capitolo 14
*** Let the bad times roll. ***


capitolo 14
14.
Let the bad times roll.
[Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.] 
-Luigi Pirandello. Uno, nessuno e centomila-

Cosa vuoi che sia? Passa tutto quanto.
Solo un po' di tempo e ci riderai su.
[Ligabue – Cosa vuoi che sia]
 
Si trovò gli occhi di tutti puntati addosso e cominciò a pensare che, forse, aveva capito male.
Doveva aver frainteso qualcosa: per quanto conoscesse il greco, di sicuro aveva compreso una cosa per un'altra.
Ares si schiarì la voce.
"Doppiogioco? No, cara, non è una cosa così squallida come pensi. Vedi? Si tratta di aiutare Athena a capire di chi può fidarsi e chi no, aiutarla a mantenere l'ordine delle cose." spiegò l'uomo. "È un modo per capire chi potrebbe costituire pericolo per lei."
E Athena non era abbastanza in gamba da capire da sola di chi fidarsi e chi no? I dodici uomini più potenti del mondo non erano in grado, da soli, di fiutare i pericoli e proteggerla?
Comunque non aveva alcuna intenzione di distruggere il rapporto che aveva con Dohko, senza contare che avrebbe anche perso la sua fiducia e quella di Shiryu: per lei Dohko era un secondo padre, una persona straordinaria che si era preso cura di lei in un momento difficile della sua vita.
E Shiryu?
Conoscendolo non se la sarebbe presa con lei, ma avrebbe attribuito subito la colpa a Camus, l'avrebbe accusato di averla plagiata, in qualche modo: già lo vedeva come una potenziale minaccia, se poi avesse scoperto una cosa del genere…
In sala qualcuno si schiarì la voce.
"Permettetemi di dirvi che la ritengo un'idea pessima, Vostra Grazia." disse Shaka distraendola dai propri pensieri. "Davvero pessima."
"E perché mai? È sveglia e intelligente, può benissimo essere utile alla nostra causa." obiettò il Grande Sacerdote.
Shaka si voltò verso Mei, come se la stesse osservando ad occhi chiusi.
"Secondo il mio modesto parere, la ragazza non mi pare adatta a questo compito e vi spiego anche il perché: una missione di questa portata richiede sangue freddo e buon autocontrollo sia per portarla avanti che per non farsi scoprire e… senza offesa Camus, sono sicuro che la signorina crollerebbe dopo poco tempo, preda dei rimorsi di coscienza." spiegò. "In tal caso ciò si rivelerebbe controproducente per noi: il nemico, alla luce dei fatti, sarebbe in netto vantaggio e potrebbe approfittarne sapendoci vulnerabili."
Lei almeno aveva ancora una coscienza; in quella stanza quante persone potevano ancora vantarsi di averne una?
E Camus? si chiese aveva ancora una coscienza?
Difficile a dirsi; improvvisamente pensò che erano tantissime le cose che non conosceva del ragazzo che aveva seguito dall'altra parte del suo mondo e che, in quel momento, era molto diverso dal ragazzo che aveva conosciuto in Cina.
Si portò una mano al volto con fare pensieroso e Camus le circondò la vita con un braccio, forse per rassicurarla in qualche modo; il solo e unico gesto umano che le aveva concesso da quando erano in quella sala.
"Vostra Grazia, se permettete, intendo riaccompagnare Mei all'undicesima casa, sia per avere tempo per pensare che per riposare." intervenne Camus, interrompendo Ares e Shaka.
"Non devo pensarci, la mia risposta è no!" protestò Mei, a bassa voce.
La presa si fece più forte.
"Silenzio." le sibilò.
La stava aiutando, stava provando a cavarla d'impaccio nel modo più diplomatico possibile, perché non lo capiva? Già non era un compito facile, se poi faceva di tutto per mettergli i bastoni tra le ruote…
Ares annuì dopo qualche minuto, quindi alzò la mano in un gesto affermativo, permettendo loro di uscire.
"L'udienza non è terminata, devo prendermi qualche minuto per pensare." ordinò poco dopo, rivolto ai Saints ancora presenti in sala.
 
"Accidenti." commentò Camus, scendendo rapidamente le scale fino alla dodicesima casa. "Questa cosa mi ha colto di sorpresa, non riesco a capire cos'abbia portato Ares a credere di poterti assegnare una tale missione. Ma vedrai, Shaka lo convincerà di certo a lasciarti stare, Ares tiene molto in considerazione la sua parola."
Oh, l'aveva notato. Paradossalmente aveva ricevuto più aiuto da Shaka, che non la poteva soffrire –sentimento reciproco- piuttosto che da lui.
"Sai, credo di averlo notato." replicò piccata, tentando di divincolarsi. "Perché tu non hai detto assolutamente niente in mio favore, anzi."
Camus la voltò di scatto.
"Non posso aiutarti se tu fai di tutto per cacciarti nei guai!" rispose.
"Cacciarmi nei guai? Ho solo difeso le cose in cui credo, ho salvato il mio rapporto con le persone più importanti della mia vita!" sbottò Mei. "Dunque è questo ciò che fate, qui? Traviate la gente per portarla a eseguire ogni vostro ordine?"
Aveva ancora nella testa le parole di Ares: prendere informazioni per conto del Santuario e riportare ogni singolo movimento di Dohko. Non l'avevano detto chiaramente ma era quello il vero termine di ciò che le era stato ordinato: fare il doppiogioco.
Fingere con Dohko e riportare ogni singola parola al Santuario, fingere che andasse tutto bene, fare domande scomode e riportare le risposte ottenute ad Ares.
E per chi diavolo l'aveva scambiata, per un agente segreto, una spia, un personaggio di qualche astruso film di spionaggio? Una Bond girl, forse?
Camus la sospinse gentilmente nell'undicesima casa, quindi chiuse rapidamente la porta alle loro spalle.
D'un tratto Mei trattenne il respiro. Finalmente le era tutto chiaro.
"Dimmi che non mi hai portata qui per questo motivo." disse Mei.
"Prego?" domandò Camus.
"Il Maestro ha ignorato per due volte l'ordine di tornare qui perciò per Ares e per voi è diventato un problema. Allora avete pensato a un piano alternativo e dopo aver scoperto che con lui abitano tre persone, avete scelto la meno problematica da usare: Shiryu è già un Saint e non potevate usare lui, Shunrei è poco più che una ragazzina, quindi la scelta è ricaduta su di me sperando nella mia resa e che io accettassi la proposta di Ares… è per questo che sei venuto in Cina a cercarmi? Per usarmi?" sbottò Mei.
"Spero che tu stia scherzando." commentò Camus, oltraggiato.
"Piuttosto dimmi… come avete scelto il candidato per questo compito? La missione ti è capitata per sbaglio dopo aver estratto il bastoncino più corto o ti sei candidato volontario? E adesso spiegami come… come diavolo fate a vivere in questo modo e dormire tranquillamente la notte? Sotterfugi, intrighi, segreti… non sapevo di essere finita dritta dritta alla corte dei Borgia!"
Camus inarcò un sopracciglio, quindi la guardò fisso.
"Hai finito?" domandò, calmo. "Pensavo che Dohko ti avesse istruita sui nostri usi, qui al Santuario."
Trasse un lungo sospiro.
"Dohko mi ha insegnato che al Santuario si protegge il mondo e la vostra Dea. Certo non mi ha detto che fate il lavaggio del cervello alla gente e la costringete a scendere a patti del genere!"
Lui posò l'elmo dell'armatura e si riavviò i capelli in un gesto nervoso.
"Prima di tutto nessuno ti ha obbligata a fare nulla, soprattutto nessuno qui ti ha fatto il lavaggio del cervello. Punto secondo, parli del Santuario come se fosse un'associazione criminale. E non lo è." rispose Camus. "Quella di Ares era solo una richiesta. Per te forse è discutibile, ma era una richiesta."
Vederlo così calmo la fece infuriare di più.
"Forse? Era un ordine mascherato da richiesta. Un ordine al quale non intendo obbedire per nessuna ragione al mondo! La mia morale è diversa dalla vostra: io ne ho una e voi?" disse Mei. "E tu? Hai una morale, Camus? Hai ancora una coscienza?"
"La nostra morale è salvare il mondo dai pericoli e proteggere Athena da ogni minaccia esterna." disse Camus. "Anche nel vostro mondo c'è un Dio che preserva la pace, dovresti quindi capire Athena e il nostro operato."
"Ah no, non prendermi in giro, dubito fortemente che Athena incoraggi simili comportamenti! Guan Yu non obbligherebbe qualcuno a comportamenti così vili. Io non tradirò mai i miei Avi e Dohko in questo modo, non farò mai il doppiogioco, non posso comportarmi così vigliaccamente con un uomo che per me ha fatto così tanto. Se tu e i tuoi compagni volete tradire i vostri Avi così, fatelo pure, non mi riguarda affatto. Ma nel mio mondo non funziona così, non si tradisce la fiducia di chi ti ha aiutato nel momento del bisogno." sbottò Mei. "A te piace tradire la memoria dei tuoi genitori? Buon per te."
"I miei genitori fanno parte del mio passato, non esistono più e quindi non li sto tradendo. Sono esistiti, punto. Per me c'è solo il presente e basta, non piango su ciò che è stato. Sono un guerriero di Athena, è così che sono ed è così che devo essere." rispose lui.
"In Cina ti sei presentato in maniera diversa… rispetto al ragazzo di qualche giorno fa sembri un'altra persona. Cos'è cambiato nel frattempo?" si trovò, suo malgrado, a sorridere rabbiosa. "Già, che stupida. Ora che da me hai ottenuto quello che desideravi, non hai più bisogno di essere accomodante."
Lui sussultò oltraggiato come se fosse appena stato stilettato a tradimento, ma prima che potesse risponderle a tono, Milo tornò a chiamarlo.
"Hey amico, non ti cambiare. Il Grande Sacerdote vuole vederti di nuovo e stavolta Mei può rimanere qui." disse Milo.
Reprimendo un moto di rabbia, Camus annuì, indossò ancora l'elmo e guardò Mei.
"Potrei dirti tante cose per discolparmi e provarti che sono lo stesso che hai conosciuto, ma non crederesti a niente, testarda e ottusa come sei. Ti ritrovo ancora qui, quando torno?"
Lei alzò lo sguardo: stava scherzando?
"Con me ho pochi euro e non posso spostarmi alla velocità della luce. Dove potrei mai andare?" chiese, brusca. "Almeno non prendermi in giro."
Lui si schiarì la voce.
"Ascolta, nessuno ti sta trattenendo con le catene, sei libera di tornare a casa, se lo desideri." rispose Camus. "Se vuoi andar via, quando torno sarò io stesso a riaccompagnarti al Goro-Ho."
Annuì, quindi li sentì uscire di nuovo.
Sul tavolino c'era ancora la tazza di tè –ovviamente diventato freddo- e il dolce; i telecomandi degli apparecchi e la custodia ancora aperta del dvd.
I programmi della serata andati in fumo nel giro di pochi secondi: chi diamine aveva ancora voglia di cenare e guardare un film, dopo le ultime cose accadute?
Lei no di certo.
Lo conosci appena. Come puoi fidarti di lui al punto da seguirlo dall'altra parte del mondo?
Lo conosceva da poco, in effetti. Di lui sapeva ciò che le aveva detto sui suoi genitori, ciò che le aveva detto il Maestro … di colpo -non riuscì a spiegarsi come- iniziò a balenarle, in testa, un solo pensiero.
Perché diamine aveva seguito Camus?
Provò a ragionarci su dopo aver tentato, inutilmente, di cacciar via quel pensiero dalla mente: certo non l'aveva seguito per la bellezza, né per la sua posizione di Gold Saint.
Forse l'aveva seguito per sentirsi meno sola e meno sfruttata a casa, per evadere da quell'angolo di mondo dove lei e Shunrei erano considerate solo dei problemi.
Eppure, maledizione, qualcosa di positivo doveva averlo visto in lui, no?
Decise di riscaldare il tè, lasciando stare il dolce -le si era chiuso lo stomaco-; avrebbe fatto una doccia e si sarebbe messa a dormire: decisamente meglio che aspettarlo e litigare, anche se come serata non era sicuramente il massimo della vita.
Non poteva lamentarsi però, di solito al Goro-Ho le toccava servire suo fratello.
 
*
 
"Se vuoi andar via, quando torno sarò io stesso a riaccompagnarti al Goro Ho. dico, sei scemo?" domandò Milo. "Facevi prima a cacciarla!"
Camus lo guardò appena.
"Che cosa dovevo dirle? Non è una prigioniera, se vuole andare non posso certo trattenerla con la forza, ti pare?"
Milo allargò le braccia, sconsolato.
"Non era quello che voleva sentirsi dire! Voleva essere rassicurata! Già sei stato freddo in sala, potevi dire altro."
"Non sono stato freddo, ho solo ragionato con freddezza, tutto qui. Questo è il mio modo di fare, dovresti conoscermi bene."
"Io ti conosco, ma lei?"
"Lei imparerà." rispose Camus, pratico. "In fondo dobbiamo imparare a conoscerci entrambi."
Milo inarcò un sopracciglio.
"Direi che per certi versi vi siete già conosciuti bene." commentò. "E sono certo che la tua freddezza ha avuto la meglio anche in quel caso."
Preferì sorvolare sull'affermazione troppo intima, quindi portò la conversazione su un piano più neutro.
"Che cosa vuole il Grande Sacerdote?" domandò cercando di darsi un tono.
"Bah." sbottò Milo, arrendendosi. "Ha preso una decisione su Mei, comunque."
Annuì.
"Shaka l'ha convinto a lasciarla stare." continuò Milo: il Grande Sacerdote aveva infine deciso di lasciar perdere le assurde idee su Mei: Shaka aveva ragione, in fondo era una ragazzina senza cosmo, che evidentemente non aveva ereditato gli stessi doni concessi al fratello. "Penso che voglia dirtelo di persona."
"Oh, bene." sospirò Camus.
"Quando torni giù, cerca di scusarti con lei. Camus, la freddezza che usi in missione e al Santuario è il tuo marchio di fabbrica, d'accordo, ma deve rimanere fuori dalla tua vita privata, così facendo allontani le persone, anche quelle che ti vogliono bene."
 
*
 
Il tè riscaldato aveva un sapore orrendo e Mei posò la tazza sul tavolino con una gran smorfia.
Sbadigliando, spense la tv e s'appoggiò allo schienale del divano, sospirando.
"Che razza di serata." si lamentò: seduta su un divano, sola e con una tazza di tè. Fantastico. Di sicuro, poi, le buone notizie non erano finite lì.
Tacque di colpo, avvertendo un leggero fruscio di stoffa che strusciava sul pavimento: lo sentì chiaramente, in corridoio, nel silenzio che avvolgeva l'undicesima casa.
"Camus? Sei tu?" domandò, dopo essersi alzata dal divano, guardinga; probabilmente la riunione era finita e stava per dirle che cos'aveva deciso Ares. Dal corridoio non le giunse alcuna risposta.
"Sei ancora arrabbiato? Allora dai, qual è il verdetto?" domandò con calma cercando di riprendere, almeno in casa, l'atmosfera che c'era stata prima dell'interruzione di Milo. S'affacciò in corridoio e avvertì qualcosa passarle vicino lentamente. Accesa la luce però, si accorse che in corridoio non c'era nessuno.
Era una situazione strana, animali in casa non ce n'erano e sicuramente non erano ladri. "Cam?" ripeté.
La stessa ombra intravista prima la vide poco dopo, in fondo, verso la biblioteca.
A quel punto sicuramente non era Camus, si sarebbe già palesato, le avrebbe già detto qualcosa, non era tipo da fare scherzi.
"C'è qualcuno?" esclamò infine ad alta voce, iniziando a muovere qualche passo e fermandosi davanti allo studio di Camus.
Fu allora che la vide.
"Oddèi, non ci credo."
La finestra.
C'era la finestra aperta; uno spiraglio di pochi centimetri, ma sufficiente a far muovere qualche foglio e la tenda.
Richiuse la finestra, spense la luce e iniziò a ridacchiare, rimproverandosi. Il fruscio che aveva sentito non era dovuto a nulla di particolare, la stanchezza le aveva semplicemente giocato un brutto scherzo.
"Sciocca. Ti lasci suggestionare come una bambina." si disse, decidendo di tornare in cucina. Girò sui tacchi e attraversò un alone bluastro.
 
"Allora, hai capito? Sii gentile, cerca di scusarti." disse Milo. "Prima della mia interruzione stavate facendo…"
Camus si schiarì la voce, imbarazzato.
"Stavamo facendo gli affari nostri." replicò, avvampando.
"Bene! Riprendi da dove vi siete interrotti!"
Non era mica così facile, non avevano certo un interruttore che potevano accendere o spegnere come desideravano.
"Ci proveremo." rispose.
Milo gli piazzò una pacca a mano aperta in piena schiena, facendolo sbilanciare.
"Benissimo! Allora ti lascio in buone mani." sghignazzò, lasciandolo davanti all'undicesima casa. "Ci vediamo domani. E mi raccomando, fa' il tuo dovere e non deludermi eh."
Cretino.
Scosse la testa e si avviò agli appartamenti, sperando di trovare Mei ben disposta e non arrabbiata come prima –anche se aveva tutte le ragioni per esserlo-.
"Mei?" s'annunciò, entrando. "Sei già a letto?" aggiunse, accendendo la luce del corridoio. La vide lì, in fondo, in vestaglia e capelli sciolti, le mani premute sul petto. "Ma che …? Volevi farmi prendere un infarto?"
Per così poco? Se poco prima ci fosse stato lui al posto suo, che avrebbe fatto?
"Ti spaventi per niente."
"… che cosa fai, in piedi e al buio?" proseguì Camus, togliendosi l'armatura. "A quest'ora, ti credevo già a letto."
"Ci stavo andando, infatti. Ma ho sentito dei rumori in corridoio, pensavo fossi tu e invece era… niente, non ci crederesti." rispose Mei. Camus non pareva tipo da credere in certe cose, era troppo razionale; se gli avesse detto della presenza di un'entità nell'undicesima casa, probabilmente, le avrebbe riso in faccia, dopo averla guardata come un'aliena.
"E invece?"
Mei andò a lavare la tazza, quindi scosse la testa.
"Niente, lascia stare."
Camus incrociò le braccia, appoggiandosi allo stipite della porta.
"E invece era che cosa?" ripeté.
"Pensavo fossi tu ma quando mi sono affacciata in corridoio, prima ho sentito qualcosa passarmi vicino, quindi, davanti alla biblioteca, ho visto un'ombra e ho attraversato un'entità bluastra." rispose Mei.
Come aveva immaginato, Camus corrugò la fronte e la guardò con un'aria strana.
"Se corrughi la fronte ancora un po’ diventi uno Sharpei." lo prese in giro. "Visto? Facevo meglio a non parlartene."
Ombre, presenze, entità… Camus si schiarì la voce.
"Entità…bluastra." ripeté.
"…sì. L'anima di chi era vivo e non lo è più." spiegò Mei.
"Tu senti gli spiriti?"
Non comprese appieno il tono che aveva usato.
"Sai Cam, non capisco se la tua è una domanda seria o se mi stai deridendo." rispose, infine.
Beh, deriderla no, appartenevano a mondi diversi dalle usanze diverse, solo che le cose nelle quali lei credeva per lui erano cose astratte, verso le quali era scettico.
"Non ti sto prendendo in giro o userei altri toni e altri modi. Ti ho solo fatto una domanda."
Corrugò la fronte, ma tuttavia rispose.
"Sono abituata a crederci e sentirli, se sono vicini. E posso assicurarti che prima, in corridoio, ne ho sentito uno."
Un'entità buona, del tutto innocua sulla quale aveva percepito una particolare tristezza nel momento in cui l'aveva attraversata.
"Non mi sembri impaurita." notò Camus.
"Non temo i fantasmi, sono gli spiriti delle persone che in qualche modo ci hanno amato o han fatto parte della nostra storia." spiegò Mei. "Perché mai dovrei aver paura?"
"In occidente i fantasmi generano soprattutto orrore in chi li vede." rispose Camus.
"Correggimi se sbaglio, ma nella società greco-romana non si temevano i fantasmi."
Camus deglutì, quindi prese un gran sospiro.
"Io però non sono greco, sono francese." disse, come per scusarsi. "Non ci credo, perciò dubito di riuscire a vederne uno, ma sono sicuro che se dovesse succedermi non starei qui a parlarne tranquillamente."
"Hai mai fatto del male a qualcuno, Camus? Qualcuno che magari è anche morto?"
"No."
"Dunque, non hai nulla da temere." gli rispose. "Beh, sono davvero stanca, vado a dormire."
"Tornando al discorso di prima… "la fermò "…voglio precisare che non c'è mai stata nessuna missione che ti riguarda direttamente. DeathMask era stato inviato in Cina per riportare con le sue cattive maniere Dohko al Santuario e se sono arrivato è stato unicamente per salvarti. Inoltre nessuno mi ha obbligato a tornare in seguito e se l'ho fatto, l'ho fatto solo per te. Nessun bastoncino o nessuna estrazione a sorte, a dire il vero loro nemmeno sapevano di noi due. Pensi forse che se fossi stato obbligato a fare qualcosa nei tuoi confronti ti avrei raccontato cose che nemmeno Milo conosce? Pensi che mi sarei permesso di provare qualcosa per te?"
 
***
 
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 7 maggio 2015)
-Il titolo fa riferimento a una canzone di Paul Westerberg e dei The Vandals.
-Camus e Shiryu non andranno mai d'accordo. Ma proprio mai, come si può già immaginare da questi capitoli, semplicemente perché Shiryu non ha alcuna intenzione di provare a comprendere Camus e ciò che lo lega a sua sorella.
-Guan Yu nel pantheon cinese è considerato il dio della guerra e delle arti marziali mistiche, anche se tuttavia si tratta di una divinità amante della pace e poco propensa a spargere sangue dei deboli; un po’ come Athena che è anche dea della guerra, ma nei suoi aspetti nobili.
-Avi, Spiriti e Fantasmi: nella cultura orientale –naturalmente con metodi e pratiche che variano da paese a paese- esiste il cosiddetto Culto degli Antenati (o Avi) , che è una parte importante del loro sistema di credenze. 
In Cina, il culto degli antenati (拜祖, bàizǔ, o 敬祖, jìngzǔ), ha lo scopo di onorare il ricordo delle imprese nobili degli antenati: l'uomo pietoso riconosce e onora nei genitori, negli anziani e negli antenati la causa ultima della propria esistenza.
Fondamentalmente si basa sulla convinzione che tra i vivi e i morti c'è una connessione, che i vivi devono sostenere gli spiriti degli antenati –con preghiere e offerte- e proteggere le loro tombe per assicurarsi così il loro aiuto, che porterà loro prosperità e buona fortuna. Se ciò non dovesse accadere l'antenato potrebbe diventare uno spirito esiliato dal mondo degli spiriti e diventare uno spettro maligno e vendicativo. 
Per questo vengono allestiti altari in onore degli antenati, sui quali si prega e si devolvono doni, spesso cibo o monete.
Con questo capitolo introduco uno degli aspetti fondamentali del mio personaggio: Mei abbraccia il credo Taoista e crede fermamente nel culto degli antenati, in casa è abituata a tenere un piccolo altare sul quale prega le foto dei suoi cari e le tavolette votive recanti i loro nomi e riesce a vedere i fantasmi e gli spiriti senza averne paura (in oriente, infatti, gli spettri e i fantasmi non sono elementi negativi e paurosi come in occidente).
-Sharpei: presumo abbiate tutti presente com'è fatto un cane di questa razza.
 
As always, spero sia stata una buona lettura.

Lady Aquaria

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Capitolo 15
*** Nothing's impossible. ***


capitolo 15
15.
Nothing's impossible.

 

How did we get to be this far apart? 
I want to be with you, something to share
 
I want to be near you, sometimes I care
 
Even the stars look brighter tonight
 
Nothing's impossible
 
I still believe in love at first sight
 
Nothing's impossible
 

[Depeche Mode – Nothing's impossible]



"A questo punto non so più che cosa pensare." ammise Mei a bassa voce, rivolta più a sé stessa che non a lui. "Troppe domande senza risposte."
Camus le diede il tempo di rifletterci su un attimo, quindi allungò una mano fino a sfiorarle una guancia, sperando che non si ritraesse.
"Se sei qui" azzardò "in fondo conosci già le risposte."
 
La prima parte della notte trascorse senza alcun intoppo, la lite era stata accantonata –solo momentaneamente; chissà perché qualcosa le diceva che il Gran Sacerdote non avrebbe mollato tanto facilmente l'osso- e Camus dormiva tranquillo, almeno a giudicare dal respiro regolare.
Lei invece, no: era stanca ed era stata spesso sul punto di addormentarsi, ma qualcosa l'aveva sempre tenuta sveglia.
Da quando era uscita dal tredicesimo tempio aveva il pensiero fisso su Ares e sugli altri abitanti del Santuario.
…nessuno mi ha obbligato a tornare in Cina e se in seguito l'ho fatto, l'ho fatto solo per te. Pensi forse che se fossi stato obbligato a fare qualcosa nei tuoi confronti ti avrei raccontato cose che nemmeno Milo conosce? Pensi che mi sarei permesso di provare qualcosa per te?
Probabilmente era davvero sincero, a quel punto dubitava seriamente che fosse capace di mentire e per certi versi aveva anche ragione, se non gli fosse importato nulla, non sarebbe ritornato in Cina dopo averla difesa durante l'intervento di DeathMask. E di certo non avrebbe insistito per chiarirsi con lei, poche ore prima.
Gli lanciò una breve occhiata, quindi si alzò dal letto badando bene a non svegliarlo e infilata una vestaglia, uscì dalla camera diretta in cucina: chissà, forse una tisana avrebbe contribuito a farla addormentare.
Attraversò il corridoio a testa bassa, lo sguardo rivolto al display del cellulare e al messaggino che Shunrei le aveva appena inviato –dimentica del fuso orario- senza notare lo stesso alone bluastro incrociato la sera precedente.
"Sto bene. Rassicura Shiryu, va tutto bene." rispose digitando velocemente sulla tastiera. Andava tutto bene, in fondo. Se gli avesse detto la verità, Shiryu avrebbe sicuramente frainteso e avrebbe sollevato il solito, inutile polverone, sicuramente l'ultima cosa della quale aveva bisogno in quel momento.
Riposto il cellulare in tasca, spillò dell'acqua bollente dal samovar accanto al microonde, aprì la credenza alla ricerca del barattolo ermetico intravisto la sera prima, contenente la tisana –alla malva, come indicava l'etichetta- e allungò la mano alla ricerca dell'infusore.
"Aïe! "
Un mormorio quasi indefinito che lei aveva a malapena sentito.
Stavolta, colta alla sprovvista, Mei sobbalzò borbottando qualcosa in cinese, lasciando cadere l'infusore nel lavello: corrugò la fronte, muovendo qualche passo fino al corridoio ed attraversando ancora l'alone.
"Mademoiselle, sono certo che esistano modi più… piacevoli di incontrarci, sapete?"
Mei si voltò ancora, confusa.
"Dietro di voi."
"Oddèi… mi dispiace." mormorò Mei.
L'aveva attraversato ancora,  e, poco ma sicuro, la cosa non doveva essere piacevole, per lui.
"Non mi avete recato alcun danno, sono io a chiedervi venia, vi ho spaventata."
Ah no, c’erano ben altre cose in grado di spaventarla, ma di certo non i fantasmi.
Impiegò comunque qualche secondo per calmarsi e prendere fiato; solo allora riuscì ad alzare lo sguardo sull'alone blu che aveva davanti.
"Non è niente, sono abituata a cose peggiori." rispose, tentando di minimizzare –come dimenticarsi dello spettro maligno che aveva infestato la casa di sua cugina? Quello sì era stato tremendo.- "A dire il vero, per un attimo ho pensato a uno scherzo di dubbio gusto operato da una certa persona alla quarta casa che si diverte a giocare con gli spiriti." Mei trasse quindi un gran respiro. "Non fate caso alle mie parole. Voi dovete essere chi penso, comunque."
L'entità iniziò ad acquistare pian piano un aspetto più definito, mostrandosi per com'era realmente: un giovane uomo con abiti d'altri tempi, un volto regale e occhi luminosi e attenti. Degél, l'uomo del ritratto, il predecessore di Camus.
Dohko le aveva parlato spesso di lui, l'uomo che era deceduto ad Atlantide: un guerriero talvolta freddo ma di gran cuore, prezioso amico e alleato. Per molti aspetti le ricordava il suo successore, tuttavia non riusciva a comprendere del tutto quello strano alone triste che avvertiva in lui nonostante le informazioni ricevute da Dohko.
S'inchinò rispettosamente, emozionata."Oh, come immaginavo. Siete il Maestro Degél." disse, pronunciando il suo nome con un misto di ammirazione e profondo rispetto.
L'uomo chinò appena la testa in risposta al suo saluto.
"Ho deluso le vostre aspettative?" replicò Degél.
Sorrise appena.
"No, certo. Sono onorata di fare la vostra conoscenza. Ho sentito tanto parlare di voi."
 
*
 
Davanti alla quarta casa DeathMask s'accese una sigaretta, volgendo lo sguardo verso l'undicesima e sbuffando sonoramente.
Non era insolita la comparsa degli spiriti dei precedenti Saint d'Oro, spesso non si facevano nemmeno sentire e non creavano problemi, ma sapere che qualcun altro oltre lui al Santuario era in grado di sentirli e contattarli poteva costituire una bella gatta da pelare: solo gli Dei sapevano che cosa Mei e lo spettro si stavano dicendo, ma ormai era troppo tardi per tornare da Ares e fargli notare quel nuovo dettaglio.
E poi, con almeno tre parigrado dalla parte della ragazza –quattro, si corresse, pensando all'interesse che Aphrodite aveva mostrato nei confronti della cinese- era in netta minoranza. Meglio tacere e pensare al da farsi da solo e senza l'intervento di nessuno.
"Ti tengo d'occhio, picciotta." pensò a voce alta, espirando poco dopo una nuvola di fumo. Avrebbe fatto di tutto per scoprire quanti più dettagli poteva sulla sua vita e su ciò che combinava con Aquarius.
"Chi tieni d'occhio?"
Death guardò Aphrodite, poco distante da lui –di ritorno da una missione, di sicuro- e aspirò una lunga boccata prima di decidersi a rispondere.
"Niente, nessuno." rispose, facendo spallucce.
L'altro si massaggiò il collo, spossato.
"Per il momento farò finta di niente, Tore. Adesso sono stanco, ma domattina ne riparleremo, d'accordo?"
Death gettò a terra la sigaretta e la spense col tacco.
"Come ti pare, cumpà."
"Bene. Vedi di non combinare disastri fino a domani. Ne sei capace, sì?"
"Sì, mammina." replicò Death, prima di rientrare in casa.
"Farò finta di non aver sentito." disse Aphrodite, scuotendo la testa.
 
*
 
"Perdonate la mia audacia, ma sono curioso di conoscere il motivo che ha spinto una fanciulla giovane come voi a stabilirsi in un posto come questo." domandò Degél.
Sulle prime si era guardato intorno, concentrandosi sulla stanza e osservando incuriosito molti oggetti, spiegandole subito dopo che di solito abitava nell'ultima stanza in fondo alla casa, quella che Camus usava a mo' di studio e che aveva osato spostarsi solo per poterle parlare.
"Mi spiego meglio. A parte le ancelle, nessuna donna ha mai abitato queste stanze. Potete non rispondermi o rimettermi a posto a male parole, se  vi sentite offesa."
Probabilmente sì, era stato troppo audace, pensò Degél, ma era curioso: anche se l'avvento di quella che il suo successore e i suoi compagni chiamavano tecnologia aveva migliorato la qualità della vita del Santuario, rimaneva pur sempre un luogo inospitale per una fanciulla non abituata agli usi del luogo.
Mei sorrise.
"Non mi avete offesa."
Giustamente quella era casa sua, da qualche anno conviveva con un uomo e di colpo ecco che si aggiungeva una donna.
Ovviamente voleva saperne di più. Dopotutto era pur sempre un uomo del diciottesimo secolo, un periodo nel quale il rapporto tra uomini e donne era completamente diverso e dove era assolutamente impensabile una convivenza tra due persone al di fuori di un regolare matrimonio.
Degél interruppe il suo flusso di pensieri dopo aver qualche istante.
"Desolato, devo contraddirvi. A differenza di molti altri non sono come pensate. I tempi sono cambiati e lo capisco bene."
"Prego?" replicò Mei, corrugando la fronte.
"Nulla di così grave." minimizzò Degél. "Ad ogni modo dovrei parlarvi. Avete del tempo da dedicarmi?"
 
**
 
Camus si levò a sedere e si guardò intorno, cercando di mettere a fuoco la stanza con la poca luce offerta dalle primissime ore del giorno e si accorse di essere da solo; sospirò cercando alla cieca qualcosa da mettersi addosso, quindi uscì dalla camera.
"Mei?" l'aveva sentita borbottare qualcosa riguardo a una tisana –ma quanto tempo prima?- e poi, più nulla. "Mei, ci sei ancora?"
Non la trovò in cucina come aveva immaginato, ma nel piccolo salottino, raggomitolata in poltrona, addormentata.
Degél arretrò, lasciando spazio al suo successore, che si era accovacciato di fronte alla ragazza.
Li guardò un po' prima di lasciarsi sfuggire un lieve sorriso amaro, ripensando a sé e a Seraphina.
"…che ore sono?" biascicò Mei.
"Uhm… sta albeggiando e… hai trascorso qui tutta la notte."
Lei mise giù le gambe, raddrizzandosi e facendo una smorfia dopo aver mosso la testa e Camus toccò la tazza con l'acqua.
"Questa ormai è fredda."
"…ovviamente, Cam. Stavo per prepararla quando Degél è…" replicò Mei, interrompendosi.
"Quando Degél è…?" ripeté. "Beh, continua. Che è successo con Degél, ci hai parlato?"
"Prima di risponderti, è una domanda seria la tua, o è sarcastica?"
Camus si strofinò le tempie, sospirando.
"Santi numi, perché ti metti sempre sulla difensiva? Lo capiresti se fossi sarcastico, credimi! Chiedi a Milo come mi comporto quando lo divento." replicò. "Allora… dici che c'è il suo spirito qui… prima non parlavi certo da sola."
Mei si strinse di più nella vestaglia, indecisa.
"Sì. Anche se… parlare non è il termine più adatto, considerato che ho parlato più io di lui."
Camus annuì.
"Immagino."
"Ricorda te, per certi versi. Siete simili in molte cose… Dohko dice spesso che parte dei vostri predecessori vivono in voi."
Stavolta Camus storse la bocca.
"Simili? Magari. Vorrei possedere un decimo della conoscenza che possedeva Degél. Al suo confronto sono ignorante." rispose. "Ha tutt'ora la fama di essere uno degli uomini più sapienti del Santuario. Io m'intendo di fisica e di qualcos'altro, ma da qui a essere simile a lui…"
Mei guardò oltre le sue spalle e sorrise. I fantasmi non potevano arrossire, ma se avesse potuto, Degél l'avrebbe fatto, se lo sentiva: serio o no, sarebbe arrossito.
Camus seguì il suo sguardo e corrugò la fronte.
"Si trova qui, ora?" le domandò.
Mei annuì, indicandogli la porta.
"Non può vedermi." le disse Degél.
"Non ti offendi, vero, se ti dico che non lo vedo?" disse Camus, subito dopo.
Lei agitò la mano, come per minimizzare la cosa.
"Non ci credi, perciò non lo vedi."
"Uh, d'accordo. Di che cosa avete parlato, se non sono indiscreto?"
Degél aveva parlato poco, come aveva detto prima. Non doveva mai essere stato uno di troppe parole, ma quelle poche le avevano fatto comprendere diverse cose che lei, ostinatamente, non aveva voluto capire su Camus, sul Santuario. Persino su sé stessa e su loro due.
Camus forse non era stato troppo gentile con lei davanti al Grande Sacerdote, ma non l'aveva fatto con cattiveria, solo per sviare l'attenzione da lei.
"Le scelte di un uomo non sono mai facili, a maggior ragione se è un Saint di Athena." le aveva detto a un certo punto. "Voi non avete mai fronteggiato una scelta impegnativa?"
Bisognava anzitutto definire meglio il concetto di impegnativo.
"Credo di aver compreso i dubbi che vi assillano, mademoiselle, vi osservo da tempo. Tuttavia dovete considerare che persone come me e come il mio successore non sempre possono comportarsi come desiderano. Talvolta siamo obbligati ad indossare certe… maschere, anche se non vogliamo." aveva cercato di farle capire. "Siamo in noi quando siamo al sicuro nel nostro focolare e dobbiamo essere diversi quando l'occasione lo richiede. Quest'oggi Camus è stato obbligato a essere diverso."
C'era stato un momento, però, in cui aveva stentato a riconoscere in Camus lo stesso ragazzo che aveva conosciuto in Cina: al tredicesimo tempio Camus aveva come smesso i panni umani per indossare quelli del guerriero freddo, razionale e controllato.
"Credetemi, lo conosco da quando era poco più che un fanciullo. Non vi addolorerebbe intenzionalmente per nessuna ragione."
Mei aveva annuito.
"Ma è un guerriero e deve comportarsi come tale."
"Doveva fartelo capire Degél?" domandò infine Camus, dopo aver ascoltato pazientemente tutto il racconto di Mei. "Devo mantenere due distinti comportamenti: quello pubblico e quello privato. Quando sono Aquarius devo comportarmi come si addice a un guerriero dei ghiacci, quando sono Camus lascio Aquarius fuori dalla porta… per questo sono stato freddo, oggi. Tutto qui. Cerca di capirmi, non posso agire come un uomo qualunque."
Annuì di nuovo, mentre vide Degél sorridere e annuire appena, prima di lasciarli soli.
Camus si guardò intorno.
"Lui è ancora qui?"
"No."
"E… ehm… lui di solito non compare anche in camera, giusto?" domandò, facendola ridacchiare.
"Ma no. Di solito vive nel tuo studio, che ai suoi tempi era la sua camera. Non spia nessuno, tranquillo."
Si sporse fino a parlarle nell'orecchio.
"Menomale. Perché ho intenzione di fare qualcosa con te che potrebbe scandalizzarlo."
 
*
 
Milo guardò l'orologio per l'ennesima volta –mezzogiorno meno un quarto- e si stupì di nuovo per l'insolito ritardo di Camus: di solito a quell'ora avevano già terminato tre belle ore di allenamento.
"Camus è di nuovo in ritardo eh?" domandò Aphrodite, cogliendolo di sorpresa.
Milo sobbalzò e si guardò intorno prima di squadrare l'amico.
"Accidenti a te Aphrodite, devi smetterla di spuntare alle spalle della gente!" sbraitò. "Da dove salti fuori?"
"Ero giù nell'arena." rispose Aphrodite. "Dicevo… Camus è di nuovo in ritardo? Lo aspetti da tanto?"
"Mh." gli rispose. "Sono passato stamattina con le baklava ed era chiuso in casa. Sono passato mezz'ora fa con le spanakopita ed è ancora a casa."
Aphrodite gettò un'occhiata verso l'interno dell'undicesima casa e ridacchiò.
"Con una bella fanciulla per le mani, starei chiuso in casa anche io." replicò. Gl'indicò il sacchetto che aveva posato accanto a sé con un cenno. "Provengono dal solito fornaio di Rodorio?"
"Certo che sì. La moglie del fornaio mi conosce da quando ero un tenero e coccoloso batuffolino e spesso mi regala dei pezzi di focaccia." rispose Milo.
"Tenero e coccoloso batuffolino?  Non farmi ridere e spara meno sciocchezze, ti prego." ribatté Aphrodite, afferrando il sacchetto e accorgendosi che era vuoto. "Dov'è finita la spanakopita?"
"Al sicuro."
"…?"
Milo si massaggiò lo stomaco.
"Qui." rispose.
Aphrodite sbirciò l'etichetta adesiva sul sacchetto e sgranò gli occhi.
"Un chilo? Hai spazzolato un chilo di spanakopita da solo?"
"A-ha. E un vasetto di yogurt e miele." replicò Milo.
"Perdiana, sei un pozzo senza fondo. Se io mangiassi con la tua stessa voracità sarei un barile." disse Aphrodite. "Oh, god dag!" [Buongiorno]
"Bonjour." salutò Camus. "Ça va? "
Milo alzò lo sguardo sull'amico e su Mei subito dietro di lui e sorrise sornione: entrambi parevano stanchi e appena usciti dalla galleria del vento.
"Dormito male?"
"Più o meno." rispose Mei. Prima il fantasma di Degél, poi Camus… dormire era stato impossibile.
"Dormito? Secondo te han la faccia di due che hanno dormito?" ridacchiò Aphrodite.
"Era una domanda retorica infatti." annuì Milo. "Allora?"
"Allora cosa? Vuoi anche sapere i particolari?" domandò Camus.
"No, non è il caso." interloquì Aphrodite. "Ogni tanto sarebbe bene farsi gli affari propri, Milo."
Sogghignando, Milo guardò ancora i due, intravedendo qualcosa tra i capelli di Mei.
"Sì, certo." rispose, togliendo qualche filo d'erba rimasto impigliato nella chioma della ragazza. "Affari vostri, naturalmente. Vi va di uscire per pranzo o preferite restare chiusi in casa? Sapete, non si può campare di solo amore." replicò Milo. Guardò Mei rientrare in casa per riassettarsi e assestò un amichevole pugno sulla spalla di Camus. "Devo dedurre che avete fatto pace?"
"Sì." rispose Camus, a bassa voce. Con un… piccolo aiuto esterno, ma avevano accantonato la questione. Decise però di non dire a nessuno del fantasma, troppe cose da spiegare e troppa poca voglia per farlo. "Sì, tutto a posto."
Almeno lo sperava.

***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 8 maggio 2015]
Allora, è trascorso un po' dall'ultimo capitolo, ma ci ho pensato su parecchio prima di pubblicarlo, per via della presenza di Degél, personaggio che apprezzo moltissimo ma che non ho ancora imparato a giostrare al meglio.
-Aïe! è un'esclamazione tipica, equivalente di Ahi!
-Baklava: è un dessert ricchissimo di zucchero, frutta secca e miele molto popolare in Turchia e in quasi tutte le cucine arabe e balcaniche.
-Spanakopita: snack / antipasto salato che assomiglia vagamente alla torta pasqualina, naturalmente prevede la feta e diversi ingredienti, ma il risultato ci assomiglia molto.
-God Dag: buongiorno, in svedese.
Alla prossima!

Lady Aquaria

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Capitolo 16
*** Que sera, sera. ***


capitolo 16
16.
Que sera, sera.
 
[Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.]
Orazio, (Odi 1, 11, 8)

Que sera, sera 
Whatever will be, will be
 
The future's not ours to see
 
Que sera, sera

(Doris Day, Que sera sera)



Nella settimana che seguì, il Grande Sacerdote tornò a occuparsi delle solite faccende e non riprese mai più pubblicamente l'argomento che aveva tenuto occupato mezzo Santuario per giorni, perciò il tutto fu presto accantonato; aveva più volte tenuto sotto sorveglianza la giovane cinese e si era assolutamente convinto sulla sua innocenza.
Nessun Cosmo da controllare, nessun possibile nemico, quindi nessun problema.
"Abbiamo dunque appurato una volta per tutte che la ragazza non possiede Cosmo e che non è una minaccia per la stabilità del Santuario…" iniziò Ares interrompendosi qualche secondo.
Aphrodite corrugò la fronte e guardò rapido prima il Pontefice, poi DeathMask e il suo ghigno: c'era un "ma" in sospeso che non gli piaceva affatto e che arrivò, puntuale, poco dopo.
"…ma Shiryu e Dohko costituiscono un enorme punto interrogativo." proseguì Ares. "O almeno, il giovane Dragone."
Shura, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, interloquì.
"L'anziano Maestro, a mio avviso, è piuttosto inoffensivo, il suo Cosmo è calmo da anni. Shiryu del Dragone invece non è che un comune Bronze Saint… che pericolo potrebbe mai costituire?" ragionò.
Era un errore sottovalutare l'avversario, ma evidentemente nessuno dei due ricordava quella regola basilare: il giovane allievo di Libra poteva anche essere sbruffone, ma se l'anziano Maestro aveva deciso di farne un guerriero –e c'era riuscito, il giovane possedeva un Cosmo niente male- non era proprio il caso di sottovalutarlo. Il Maestro, infine, era un sopravvissuto della precedente guerra sacra, era una pietra miliare del Santuario e tutti loro avevano imparato a mostrargli l'assoluto rispetto che meritava.
Beh, non tutti.
"Infatti il lucertolone è un idiota." DeathMask interruppe Shura, accompagnando il tutto col suo solito ghigno diabolico. "E' uno sbruffone, un pallone gonfiato bravo solo con le parole, non ho dovuto nemmeno faticare per sconfiggerlo."
Sfido io. Un Gold Saint contro un guerriero di casta inferiore privo dell'armatura… come potevi non avere la meglio?
"Non mi risulta che tu l'abbia sconfitto." disse Aphrodite, non riuscendo a trattenersi.
"Sono solo dettagli, la prossima volta non sarà così fortunato." replicò DeathMask, assottigliando irritato lo sguardo.
"Bene allora, non ci sono problemi e tutto procede per il meglio. Ad ogni modo mi ritirerò ancora una volta sullo Star Hill per controllare i movimenti di alcune stelle, perciò nelle prossime settimane non sarò presente." concluse Ares, alzandosi e concludendo così il colloquio. "Potete ritirarvi."
 
*
 
Milo salì fischiettando fino alla casa dell'acquario, il chiodo appoggiato su una spalla e gli occhiali da sole inforcati; aveva dato appuntamento ai piccioncini davanti alla prima casa, ma dopo una quindicina di minuti aveva deciso di raggiungerli: evidentemente dovevano essersene dimenticati.
"Cam! Pensavo vi foste dimenticati dell'appuntamento!" esclamò, appena lo vide davanti l'undicesima casa, seduto sulle scale. "Allora, andiamo o no?"
Camus sbuffò appena, irritato da qualcosa che Milo non riusciva a capire: insomma, la lite era stata dimenticata, no?
"…avete litigato di nuovo?" tirò a indovinare Milo.
"Per fortuna no." replicò Camus.
"Allora si sente poco bene?"
"No, no. Tutto benone. Appena Shiryu smette di trattenerla al telefono, scendiamo."
"Ah, adesso capisco. Che cosa diavolo vuole ancora?" disse Milo, posando a terra il casco.
"Non lo so. So solo che superata la lite, negli ultimi giorni tutto andava bene, filava tutto liscio come l'olio e arriva lui a scombinare tutto." rispose Camus. "D'accordo, sono contento che abbia così tanto a cuore sua sorella, ma…"
Probabilmente anche lui avrebbe agito così se avesse avuto una sorella, avrebbe cercato in ogni modo di proteggerla, ma…. una cosa era proteggere, un'altra soffocarla come stava facendo Shiryu.
Come indovinando i suoi pensieri, Milo lo interruppe.
"Senti Cam, un conto è avere a cuore una persona, un altro conto è tarparle le ali." obiettò Milo, che s'addentrò appena nell'undicesima casa da dove si sentiva Mei urlare, chiaramente furiosa. "Questo non è provare amore fraterno, è assillare!"
"Se cerchi di capirci qualcosa fai un buco nell'acqua, sta urlando in cinese." lo distrasse Camus.
"Ah." Milo alzò le mani in segno di resa. "Non capisco un'acca, ci rinuncio. Quel ragazzo è una piaga umana. Cam, dovessi mai sposarti o andare a convivere con lei, per il suo bene, portala il più lontano possibile dal fratello. Non importa dove, purché a mille miglia lontana da lui."
"Come siete esagerati." intervenne Aldebaran. "In fondo è un adolescente che si preoccupa per la sorella, quanti ragazzi di quell'età lo farebbero? Insomma, provate a mettervi nei suoi panni."
"Potrei capirlo se il ragazzo di sua sorella fosse un tossico che vive sotto i ponti, ma Camus è una persona per bene…!" insorse Milo. "E Shiryu agisce per gelosia, secondo me."
Per gelosia e perché non aveva più una schiava a sua completa disposizione, pensò Camus, alzandosi.
Mei uscì poco dopo, mentre riponeva nella tasca dei jeans il cellulare.
"Eccomi, scusate il ritardo."
"Tutto bene?"
Come no, una favola.

"Sì, tutto bene." rispose invece, alzando poi lo sguardo su Milo che aveva fischiato in sua direzione. "… uh?"
"Aspetta aspetta… fa' un po' vedere che hai lì…" disse Milo, girandole intorno e concentrando la sua attenzione sul giacchetto che lei indossava.
Camus inarcò un sopracciglio.
"Quando poi ha finito di farti la radiografia, possiamo andare." disse Camus, guardando l'amico che non smetteva di fissare con insistenza Mei.
"Mei, dimmi un po'. Gene o Paul?"
"Beh… Paul, direi." rispose Mei.
"Ahia. Così mi deludi." protestò Milo. "Il Demone non ha esercitato alcun fascino su di te?"
"No." ridacchiò Mei. "Anche se devo ammettere che apprezzo lo stesso Gene Simmons, specie nei tardi anni 80, sai… ad esempio nel videoclip di Reason to live."
"E so anche perché. Eh brava!!" scherzò Milo, circondandole le spalle e incamminandosi con lei giù per le scale.
"Beh, Camus… non te la prendere, dai… finché guarda e non allunga le mani va ancora bene." scherzò Aldebaran.
"Non arriverebbe a tanto. E' un burlone, ma non è così scemo da voler incorrere volontariamente nella mia ira." rispose Camus. "No, seriamente. Mi fido di lui, so che non farebbe mai una cosa del genere."
 
**
 
Shiryu ripose il telefonino, pensieroso.
Perché non riusciva più a parlare con sua sorella senza far storie inutili? Dov'era finito il rapporto che avevano avuto da ragazzini? Dov'era finita sua sorella?
"Cos'è successo?" domandò Shunrei, ferma sulla porta della sua stanza. "Non ti ha risposto?"
"Oh no. Mi ha risposto eccome… non l'hai sentita strillare?" rispose Shiryu.
"Uhm… no."
"Buon per te, significa che hai ancora entrambi i timpani."
"Che hai combinato per farla strillare?"
Shiryu scrollò le spalle, minimizzando.
"Ma niente, le ho solo telefonato, mi mancava e volevo parlarle."
Shunrei si strinse nella vestaglia.
"…e?"
"E cosa?"
"Che le hai detto?"
Era restio a parlarne.
"Niente, non è successo niente." sdrammatizzò.
"Senti, tua sorella non si arrabbia di certo perché le telefoni. Conoscendoti, le avrai detto qualcosa che l'ha irritata." interloquì Dohko, in fondo al corridoio. "Hai toccato un certo tasto, vero?"
Shiryu sbuffò appena.
Beh, sì. Aveva accennato –no, aveva di nuovo affrontato, si corresse- l'argomento Camus e Mei era scattata come una molla.
"Mi ha detto di non assillarla e di smetterla di provare a convincerla a tornare a casa, perché dov'è si trova bene."
"Non hai risposto alla mia domanda." obiettò Dohko.
"Le ho chiesto se si trovava bene e come la trattavano al Santuario. Per qualche minuto è andato tutto okay, poi ho ripreso un certo argomento e…"
"E non ha gradito l'intrusione nella sua sfera privata." concluse Dohko per lui. "Certo che si trova bene, benedetto ragazzo. Quante volte devo ripetertelo?"
No, Mei non era arrabbiata per l'intromissione, era furiosa per la sua ultima genialata. Col senno di poi, si era accorto che aveva avuto tutte le ragioni per infuriarsi, accidenti a lui e alla sua lingua lunga.
 
*
 
Non s'era arrabbiata per le domande di suo fratello, si preoccupava per lei così come lei faceva per lui. Era normale voler sapere se al Santuario la trattavano bene e quant'altro.
Meno normale era, però, reagire con cattiveria al secco no! ricevuto alla richiesta di tornare a casa.
"Io ti ho avvertita, poi non dire che non te l'avevo detto e soprattutto non venire a piangere sulla mia spalla!"
Probabilmente Shiryu non avrebbe nemmeno voluto dire quelle parole, forse erano uscite di getto e in un momento di rabbia, ma l'avevano ferita; era rimasta in silenzio un attimo, prima di rilasciare il fiato e rispondere a tono.
"Non succederà, non ti darò questa soddisfazione. Non ti chiederò mai nulla, Shiryu."
Chissà che cos'era successo per indurlo a parlarle in quel modo, che cos'era successo a suo fratello per farlo incattivire così.
"Stavi litigando con tuo fratello?" la scosse Camus, sedendosi al tavolo con una birra piccola in mano.
Mei prese il proprio boccale e annuì.
"… sì. Ultimamente non facciamo altro."
"Ultimamente… cioè da quando ci conosciamo." la corresse Camus.
Non sapeva come rispondergli. In effetti Shiryu era diventato impossibile da quel giorno al Goro-Ho, solo che sulle prime l'aveva attribuito alla mezza sconfitta subita contro DeathMask, mentre nei giorni successivi era diventato chiaro che era Camus la causa del suo malumore.
Il perché, le era quasi sconosciuto.
Shiryu non è sempre così, avrebbe voluto dirgli, in sua difesa. C'erano dei momenti nei quali sapeva essere piuttosto dolce, dietro la maschera del saccente, c'erano delle volte in cui, nonostante la giovane età, si comportava come un fratello affettuoso e non come un insopportabile polemico.
"…hey, frena un po', vacci piano." disse Camus d'improvviso, facendole posare il boccale. "Non è mica acqua."
"Uhm?"
"Vacci piano, con questa." le indicò la birra. "Sei sicura di essere in grado di reggerla?"
Mei sorrise.
"Spero." rispose.

Camus prese il boccale e assaggiò.
"Perché hai ordinato una birra così forte?"
"A dire il vero ero soprapensiero, Milo deve averla ordinata per me." replicò Mei. "Pensavo alla telefonata e ho sentito a malapena ciò che mi stava dicendo, ricordo di aver annuito un paio di volte…"
"Immaginavo." commentò Camus, alzandosi. "Ti prendo qualcosa da mangiare. A stomaco vuoto quella stroncherebbe anche un elefante."
"… ah." fece Mei. "Meglio, altrimenti potrei far sbilanciare la moto e finiremmo per ammazzarci da qualche parte a causa mia."
"Perché è fredda e potrebbe causarti una congestione, zuccona."
Milo tornò al tavolo poco dopo, stecca da biliardo in mano e sorriso da trentadue denti stampato sulle labbra.
"Hey, ti ha lasciata sola?" domandò, allegro, prendendo il boccale che Mei aveva appena rimesso giù. "Hai bevuto tu? Non ti facevo tipo da birra."
"Era la tua?"
"Temo di sì. Ma tranquilla, non mi scandalizzo mica se una donna beve, purché non si ubriachi e non diventi molesta come quella là." replicò Milo, dopo aver trangugiato un gran sorso, indicando una donna visibilmente ubriaca che sbraitava parole incomprensibili nel microfono dell'angolo karaoke.
"Non c'è problema, io sono stonata anche da sobria." rispose Mei. "Non farò mai karaoke in vita mia."
"Bene, lieto di saperlo. Urgh… senti? Sta uccidendo gli Eurythmics."
"… con tutto il rispetto per gli Eurythmics… se ci pensi, poteva andar peggio: poteva uccidere Queen o Kiss e allora sarebbe stata davvero una blasfemia." commentò Mei.
Milo poso di nuovo il boccale.
"Uhm. Questo è vero." concordò. "Stiamo per finire una partita, vuoi unirti a noi?"
"Lo farei, se sapessi giocare a biliardo."
"Beh, si può sempre imparare." ridacchiò Milo.
"I soli giochi di società che conosco bene sono il mahjong, il go e il bowling." disse Mei.
"Oh. Non potevi dirlo prima?"
"Cosa?" interloquì Camus, tornando al tavolo con una tiropita calda.
"Mei sa giocare a bowling. A saperlo, potevamo chiamare gli altri e sfidarci." rispose Milo.
Camus guardò l'orologio.
"Sono appena le dieci. Possiamo sempre farlo." propose.
"Naaah. Shaka a quest'ora già dorme."
Mei ridacchiò.
"Ho come idea che Shaka non sarebbe venuto comunque."
"Su questo hai ragione. Ma Aldebaran e Aphrodite sarebbero venuti volentieri." Milo fece spallucce, prendendo il cellulare. "Io ci provo, magari sono ancora svegli."
"In quel caso Alde e Phro li prendo io." disse Camus.
"Te li scordi." fece Milo.
"Ce li giochiamo?"
"Birra e wurstel?"
Camus inarcò un sopracciglio.
"Okay, okay. Scherzavo." ridacchiò Milo. "Che dici, Palla 8?"
"Sai che non sono bravo col biliardo."
"Appunto."
"Freccette?" propose Camus, indicandogli il bersaglio appeso al muro, poco distante da loro.
Mei corrugò la fronte.
"Vi giocate i compagni?"
"Ma ovviamente. Se hai Alde in squadra vinci di sicuro, in una partita, tempo fa, è riuscito a fare tre strike di fila. Tre." spiegò Camus.
"Accidenti!" esclamò Mei. 
"Nemmeno Aphrodite è da sottovalutare." li interruppe Milo. "Tu non hai idea di che cosa può fare su una pista da bowling o sotto un canestro."
"Ah sì?"
Camus si alzò.
"Bien, dai. Ciarla di meno e muoviti." gl'intimò, dirigendosi al bersaglio.
"Oh insomma, fate sul serio??"
"Oh sì." rispose Milo, posando la stecca nell'alloggiamento al muro. "Non scherziamo mica noi."
"Non su certe cose." concordò Camus. "Il primo che s'avvicina per tre volte al Bull's Eye si aggiudica Phro e Alde. Intesi?"
 
Venti minuti dopo erano ancora lì a giocarsi i compagni, entrambi pari, con i suddetti come pubblico.
"Ragazzi, a che ora chiude il bowling?" domandò Aiolia.
"Alle due." sbuffò Death.

"Oh bè. Abbiamo un paio d'ore di tempo, se si danno una mossa." disse Shura. 
Camus afferrò una freccetta e si posizionò per lanciarla.
"…ed ecco Guglielmo Tell nella sua migliore esibizione…" lo prese in giro Milo.
"Senti, puoi cortesemente allontanarti? Non mi piace avere gente intorno quando sto per lanciare." replicò Camus.
Milo alzò le mani in segno di resa.
"Oh, non sia mai. Largo al grande Robin Hood, non lo deconcentriamo."
"Ma quanto sei divertente." ribatté Camus. "Anche i migliori han bisogno di concentrazione." aggiunse, lanciando in seguito la freccetta e facendo centro. "Tre Bull's Eye su tre. Amico… Phro, Alde e Death li prendo in squadra con me."
Milo fischiò ammirato.
"Sì, sì. Sei bravo, te lo concedo. Prenditi pure i due supercampioni di bowling, io prendo Shura, Aiolia e…Mei." disse Milo, afferrando Mei per un braccio e tirandola a sé. "Non ti spiace, vero?"

"Ehilà, non trattateci come pacchi, vi sentiamo!" disse Aphrodite.
"Ehm… ho detto che son capace a giocare, non a fare chissà cosa." bisbigliò Mei.
"Mah sì, non siamo mica alle olimpiadi, no?"
 
Più tardi…
"Un altro giro." ordinò Death in direzione della cameriera.
"Non per me, una birra basta e avanza." rispose Aphrodite. "E anche tu, Milo, dovresti bere meno, sei in moto."
"Infatti, ho già bevuto."
"Ma chi se ne importa, è la nostra sera libera, quindi berrò io le vostre." disse Death.
"Grazie ad Athena, sono io il guidatore designato, ergo toccherà a me riportare te e le altre chiappe flaccide a casa, dopo." sospirò Aphrodite, con una punta di rassegnazione. "Spero solo che non succeda come l'ultima volta."
Mei scrutò l'altro con curiosità.
"Perché, che è successo?"
"Il suo stomaco non ha retto i cinque Long Island che aveva trangugiato nel corso della serata e diciamo che ha rifatto completamente gli interni della mia povera Ulysse del '98." spiegò Aphrodite.
"Bleah." fece Mei.
"Bleah sì." concordò Death. "Soprattutto perché per togliere la puzza di vomito dai tappetini e dalla moquette ho dovuto lavargli l'auto da cima a fondo una mezza dozzina di volte. Anche se auto non è il termine più adatto, è una carretta."
"Prima di ridere per la mia auto, pensa a pagare le rate della tua." replicò Aphrodite, piccato, prima di eseguire un tiro fluido che però non portò a segno alcuno strike, ma che lasciò in piedi due soli birilli, lontanissimi tra loro. "E che cavolo."
"Ahah, auguri per il prossimo tiro, amico." ghignò Death, sorseggiando la sua birra.
"Porta sfortuna." protestò Aphrodite.
"Appunto."
"Vi ricordo che siete nella mia squadra, quindi fate il vostro dovere e cianciate di meno." interloquì Camus. "E tu che fai qui, spii le nostre mosse per riferirle a Milo?" aggiunse, verso Mei.
"A dire il vero cercavo di imparare qualcosa." ammise l'interpellata, sorridendo.
"Sciò, sciò." scherzò Camus.
Aphrodite soppesò la boccia che aveva appena preso dalle guide e fece un gran sospiro guardando la pista e i birilli 7 e 10, mentre Aldebaran parlottava con lui sul tiro da eseguire.
"Uno Snake eyes. Che sfortuna." commentò Camus.
Milo ghignò poco distante da loro, richiamando Mei per il prossimo turno.
"Non parlare col nemico." disse, lanciando un'occhiata divertita all'amico.
"Hey Milo, mi faresti la cortesia di spostare la mano in una zona più neutrale?" sbottò Camus, alludendo alla mano che Milo aveva piazzato sul fianco di Mei.
Shura scarabocchiò qualcosa su un blocco, mentre al tavolo a fianco, Camus e gli altri esultavano per il tiro vincente di Aphrodite.
"E ora siamo a venticinque punti di svantaggio… per fortuna possiamo ancora recuperarli." disse, guardando il tabellone. "A chi tocca ora lanciare?"
Milo indicò Mei.
"Dolcezza, la pista è tutta tua."
Prese una boccia e la rigirò tra le mani un paio di volte, prima di infilare le dita nei fori e prepararsi a lanciare.
"…in quel modo la lancerai nel canale." intervenne Aldebaran.
"Come?" si fermò Mei.
Aphrodite si avvicinò e le tolse di mano la boccia.
"Hai preso una boccia da spare, quindi sbagliata." precisò, cambiandola con un'altra boccia. "E poi sbagli presa. Infili medio e anulare nei fori gemelli e non indice e medio… e il pollice nel terzo, così…"
"…fin qui ci sono." commentò Mei.
"Bene, è già qualcosa, ti pare? Ora fai qualche passo verso la pista, piega leggermente le gambe e punta verso i birilli, così." la guidò Aphrodite. Mei buttò giù sette birilli su dieci. "Non male, non male. Devi applicarti un po' ma niente male."
"Che fai, fraternizzi col nemico?" fece Death.
"Beh dai, siamo in vantaggio di parecchi punti, possiamo permettercelo."
 
La partita si concluse con la schiacciante vittoria della squadra di Camus: recuperare i punti, dopo i tre strike di fila che Aldebaran aveva messo a segno era diventato praticamente impossibile per Milo e, a dispetto di quanto pronosticato da Aphrodite, DeathMask non diede di stomaco in auto –ma a casa-.
Mei si era divertita parecchio quella sera per lasciarsi rovinare l'umore da suo fratello, calcolando anche che, una volta al Santuario, lei e Camus avevano continuato a divertirsi: aveva deciso di mettere da parte la lite con Shiryu, prima o poi –aveva deciso- ne avrebbe parlato, ma non subito.
 
L'indomani mattina…
Rimasta sola in casa mentre Camus era impegnato giù nell'arena –ancora si chiedeva dove avesse trovato la forza di alzarsi così presto dopo la serata al bowling e la notte insonne appena trascorsa-, Mei lavò i piatti sporchi e sistemò la cucina prima di avventurarsi, incerta, nello studio in fondo al corridoio: in quella stanza avvertiva chiaramente la presenza di Degél e sperava di non disturbarlo.
Camus non aveva modificato granché l'arredamento originario, i mobili di quella stanza erano ancora quelli del diciottesimo secolo, quelli appartenuti al suo predecessore.
Il letto era stato spostato sotto la finestra e usato a mo' di divano, la scrivania d'ebano e la Savonarola erano state sistemate in un angolo e le pareti erano occupate dalle librerie, ricolme di libri e qualche sporadico oggetto. Le sole modifiche che Camus aveva apportato erano i propri oggetti personali, il pc portatile e la stampante, la lampada a muro sopra la scrivania e delle semplicissime tende bianche alla finestra.
Si guardò intorno, ma in quel momento non c'era traccia di Degél, quindi si accomodò alla scrivania, divise in due il mazzo che aveva portato con sé dal Goro-Ho ed estrasse sei carte, sistemandole in tre file da due a faccia in giù dopo averle mescolate con cura. Trasse un gran respiro prima di girare le prime due e si rilassò solo dopo averle viste.
Yu, il Fervore e K'un, il Ricettivo: amore improvviso, cambiamento, attesa, sentimenti intensi e segreti, situazioni da accogliere in quanto inviate dal destino… due esagrammi piuttosto positivi, tutto sommato, che descrivevano piuttosto bene il passato appena trascorso; Camus era arrivato nella sua vita all'improvviso e allo stesso modo la sua vita aveva preso una piega del tutto imprevista, soprattutto perché si era trasferita.
Girò le due carte centrali e le studiò attentamente.
Ch'ien, la Modestia e Kuei Mei, la Ragazza che va sposa: prudenza, rapporto solido e momento difficile; possibili novità in arrivo, ottima intesa, relazione sincera.
In parte coincideva anche il presente: il rapporto costruito con Camus, anche se costruito in breve tempo, pareva essere solido.
O quantomeno, lo sperava.
Le ultime due carte avrebbero rivelato qualcosa sul suo futuro, ma era incerta se voltarle o no: le consultazioni dell'I-Ching, come qualunque altro metodo divinatorio, andavano prese per le pinze, e oltretutto c'erano due sensazioni opposte che da una parte la spingevano affinché voltasse le carte, dall'altra la facevano desistere.
Poco dopo notò Degél entrare nella stanza e "sedersi" sul suo vecchio letto, lo sguardo attento rivolto a chissà cosa fuori, in lontananza.
"Temo di avervi rubato il posto." si scusò Mei. "Tra qualche minuto vi lascio tranquillo."
"Non mi state recando alcun disturbo. Potete rimanere, se lo desiderate." replicò Degél, osservando un oggetto posato sulla mensola della finestra. "State divinando?"
D'istinto Mei guardò le carte non ancora scoperte.
"Diciamo di sì, anche se non sono pratica come vorrei." rispose. "Non sono capace come mia nonna."
Degél seguì il suo sguardo e indicò le carte sul tavolo.
"Non siate precipitosa nel voler conoscere il vostro futuro, potreste farvi suggestionare e correre il rischio di cambiare qualcosa. Potreste perdere qualcuno per sempre." le disse.
"Che intendete dire?"
"Vi suggerisco di riporre quelle carte e non adoperarle per conoscere il vostro futuro." replicò Degél, con freddezza.
Mei corrugò la fronte.
"… perché voi lo conoscete?"
"Prego?"
"Voi conoscete il futuro?"
Degél incrociò le braccia sul petto, scrutando la giovane.
"L'onniscienza è un dono riservato esclusivamente agli Dei." rispose. "A nessun mortale è concesso conoscere il proprio destino. Se anche possedessi quel dono, mia cara, non mi sarebbe consentito proferire alcuna parola in proposito. Non cercate risposte per qualcosa che ancora dev'essere scritto. Vivete i vostri giorni così come arrivano e godetene appieno."
Mei sospirò, quindi afferrò le carte e, senza guardarle, le infilò nuovamente nel mazzo, rimescolandole bene e riponendole nella loro custodia.
In un certo senso Degél aveva ragione, meglio vivere alla giornata, meglio seguire quel consiglio.
Meglio non pensare al domani.
 
***
 
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 8 maggio 2015]
-Gene e Paul, ora farò un po' il capitan ovvio della situazione, sono due componenti dei Kiss. Con il termine Demone, mi riferisco a Gene Simmons e al suo trucco di scena, e Reason to live è una loro stupenda canzone.
-Palla 8 è una specialità del biliardo.
-Il Bull's Eye è da considerarsi, se non erro, il centro e l'anello che lo circonda nel tabellone circolare delle freccette e ovviamente centrarlo vale molti punti.
-"Prima di ridere per la mia auto, pensa a pagare le rate della tua." è una carinissima frase che ho trovato navigando su Facebook e che, secondo il link, era affissa su un vecchissimo modello di Fiat.
-Termini del bowling:
Strike: si ottiene abbattendo tutti i birilli al primo tiro.
Snake eyes: se al primo tiro non si fa strike si ottiene uno split, cioè una particolare sistemazione dei birilli che prevede un tiro difficile per abbatterli. Uno snake eyes si ottiene se i birilli rimasti in piedi sono due e sono distanti tra loro.
Boccia da spare: più leggera di una boccia da strike, serve in caso di spare, quando bisogna raggiungere con precisione i birilli rimasti in piedi.
-Mei, come ho detto, è taoista e in questo capitolo sta consultando l'I-Ching.
Questo metodo di divinazione si può consultare in due modi: lanciando tre apposite monetine e tracciando gli esagrammi dopo aver interpretato le monetine o si può consultare come un vero e proprio mazzo di carte, come si fa con i tarocchi. Per questa specie di "lettura" ho consultato i libri a mia disposizione e qualche applicazione online.
Come sempre, grazie a chi legge, recensisce e quant'altro. Lo apprezzo sempre tanto.

Lady Aquaria

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Capitolo 17
*** If today was your last day. ***


capitolo 17 prequel

 

 

17.
If today was your last day.
If today was your last day 
and tomorrow was too late 
Could you say goodbye to yesterday? 
Would you live each moment like your last? 
(…) 
Would you find that one you're dreamin' of? 
Swear up and down to God above 
That you finally fall in love 
(Nickelback, If today was your last day)


Una decina di giorni più tardi, Star Hill.
Saga distolse lo sguardo dal cielo massaggiandosi le tempie, stanco: da quanto tempo non riusciva più a dormire una notte intera? Forse troppo, pensò, gettando con desiderio un'occhiata alla teiera colma d'infuso di papavero.
No, toglitelo dalla testa. Non è il caso di dormire proprio adesso.
Oltrepassò deciso la scrivania e si diresse al bacile accanto al letto, gettandosi acqua gelida sul viso nel tentativo di svegliarsi un po' prima di tornare a consultare mappe stellari e antichi almanacchi con fare pensieroso; in quegli ultimi giorni aveva notato qualcosa di anomalo, luminescenze insolite che non aveva affatto gradito. Cinque costellazioni in particolare, poi, sembravano spiccare tra tutte e forse era ancora troppo presto per ipotizzare qualunque cosa, ma avrebbe iniziato a prendere alcune misure di sicurezza: al suo rientro al tredicesimo tempio, per cominciare, avrebbe subito indetto un Chrysos Synagein e richiamato i Gold Saint all'ordine.
Sì, decise. Anche con soli nove Gold Saint a guardia dei rispettivi templi, chiunque avesse osato muoversi contro di lui avrebbe trovato morte certa: aveva investito troppo tempo ed energia per abbandonare tutto a un passo dalla vittoria e di sicuro non si sarebbe lasciato sconfiggere da un manipolo di Saint senza nerbo.
Gettò un ultimo sguardo a Polluce, particolarmente luminosa in quel periodo e, interpretandolo come un segno di buon auspicio, si versò una tazza d'infuso con un gran sorriso sulle labbra.
 
Goro-Ho.
Non sapeva perché ma sentiva che qualcosa non andava per il verso giusto.
Shiryu si fermò qualche istante, accaldato, levando il volto al cielo: stava sicuramente per succedere qualcosa, sentiva in sé un presentimento negativo che non lo faceva dormire da giorni, inducendolo a rigirarsi inquieto nel letto.
"Shiryu! Possibile che nemmeno nelle tue condizioni riesci a star fermo un attimo?" domandò Dohko, interrompendo i suoi pensieri e scrutandolo con aperta curiosità.
"Non riesco a restare con le mani in mano, devo distrarmi e impedire ai pensieri di prendere il sopravvento." rispose Shiryu. Aveva imparato a fare le stesse cose di prima anche con il suo handicap, perché dunque restare in casa ad auto commiserarsi più del dovuto?
"Qualcosa ti turba." asserì Dohko, poco dopo.
"No, va tutto bene." rispose con una punta d'ironia, riprendendo a far legna. Sistemò un po' incerto un nuovo ciocco sul ceppo e poco dopo calò l'accetta su esso, anche se avrebbe preferito calare quella scure su qualcuno anziché sul legno.
"A me non sembra, figliolo."
Stavolta si fermò sul serio, riponendo la scure al suo posto e dedicando attenzione a Dohko.
"Vi chiedo umilmente scusa se vi ho offeso in qualche modo." rispose. "Sono stanco, Maestro, non volevo mancarvi di rispetto."
In effetti le occhiaie e l'ombra di qualche ruga la dicevano lunga sullo stato psicofisico del suo allievo.
"D'accordo, scuse accettate. Stavi pensando a tua sorella?"
"A dire il vero, non solo." ammise Shiryu. Certo, pensava a sua sorella e ciò era inevitabile, ma in quei giorni era ben altro a preoccuparlo; gli avvenimenti degli ultimi tempi avevano scatenato in lui una ridda di pensieri che spesso si confondevano tra loro: DeathMask di Cancer e le sue minacce, i Saint incontrati in Grecia e le voci sul Santuario… se poi pensava che Mei era in mezzo a quella gente, beh, era naturale per lui essere in pensiero.
"Credo di aver capito. Non crucciarti troppo Shiryu, quando sarà il momento l'acqua della vita farà il suo effetto e tornerai a vedere come una volta. E' solo questione di tempo, figliolo, quello guarisce ogni cosa."
"Lo spero." rispose Shiryu senza spiegare le vere ragioni del suo malessere. L'acqua della vita, certo… scosse la testa, un po' sconsolato, prima di avviarsi in casa seguito da Shunrei che, con il suo solito entusiasmo, iniziò a proporgli un bagno e qualcosa di fresco da bere.
Francamente, dopo i primi giorni di ottimistica speranza, aveva iniziato a dubitare dell'effettiva efficacia di quell'acqua miracolosa, e nemmeno l'ottimismo di Seiya, che quasi ci aveva rimesso l'osso del collo per procurargli quella bisaccia d'acqua, di Shunrei e del Maestro riuscivano a rassicurarlo.
Aprì la mano e l'alzò, strizzando gli occhi come un miope che cerca di mettere a fuoco qualcosa senza i propri occhiali, senza vedere nient'altro che il solito, desolante buio.
"Ah!" gemette, premendosi poi le tempie con le mani.
No, quell'acqua forse non serviva proprio a nulla.
"Tutto bene?" domandò Shunrei, apprensiva.
Se un mal di testa lancinante, l'angoscia e il malumore si potevano catalogare sotto la voce tutto bene, allora sì, tutto bene.
"No." rispose, tetro. Sentì la ragazza entrare e chiudere la porta, quindi avvertì lo scricchiolio dello sgabello di vimini accanto alla vasca da bagno.
"Cosa senti?"
Non sapeva bene come risponderle, quindi lo fece con un'altra domanda.
"Tornerò mai a vedere?"
"Certo che sì!" esclamò subito Shunrei.
"…e quando?"
"Quando il tuo corpo sarà pronto" -almeno non aveva risposto come il Maestro, pensò Shiryu con una smorfia- "e quando accadrà qualcosa abbastanza potente e straordinario da restituirti il giusto vigore." rispose infine Shunrei, accarezzandogli una guancia.
Qualcosa abbastanza potente e straordinario? Beh, non restava che aspettare…
 
Atene.
Seduta nel dehors di un kafeneio, Mei girò il cucchiaino nella coppa di yogurt dopo aver aggiunto una dose generosa di miele e mandorle sotto lo sguardo divertito di Camus.
"…fame?" scherzò quest'ultimo, piluccando un cubetto di feta dai resti della propria insalata.
Mei scosse la testa.
"Veramente no, sarei piena, ma sai com'è… il posto per un paio di dolci c'è sempre." rispose.
Lui sorrise.
"Ah, ovviamente. Infatti ho letto da qualche parte che forse abbiamo un secondo piccolo stomaco creato apposta per i dolci." asserì, con aria fintamente seria. "Giusto accanto allo stomaco principale."
"Ma davvero?"
"Oh sì. Si apre nel momento stesso in cui si chiude quello principale."
In tutta risposta Mei affondò il cucchiaino nello yogurt e sospirò deliziata.
"Sì? Allora credo di possederne almeno cinque o sei." replicò, allegra. "Sai che da quando sono qui devo aver messo su almeno tre chili? Me ne sono accorta ieri quando ho provato a chiudere la zip dei miei vecchi jeans. Ma sai cosa? Non m'importa. Mi sento benissimo."
Camus si sporse verso di lei e abbassò la voce.
"Un modo per farteli smaltire lo troviamo, fidati."
"Ottimo! Unirei l'utile al dilettevole, giacché non ho soldi per rifarmi il guardaroba e non ho intenzione di levarli dai risparmi per l'università." rispose Mei.
Camus ingollò una baklava e la guardò.
"Vuoi frequentare l'università?"
"Sì. Da ragazzina volevo diventare un medico, ma poi ho messo i piedi per terra e pensando più realisticamente, ho accantonato l'idea per qualcosa di più pratico."
"… che sarebbe?"
"Vorrei perfezionarmi nelle Arti Marziali e poterle insegnare, un giorno. Mi piacerebbe poter aiutare le ragazze a difendersi con l'Aikido, o le donne incinte a rilassarsi con il Taijiquan, giusto per farti un paio di esempi." rispose Mei. "Niente di così grandioso, non sono il tipo da ambire al premio Nobel."
"Beh, però come programma non è male." annuì Camus.
"E tu? Non abbiamo mai parlato di queste cose e sono curiosa di sapere che cosa vorresti fare, quali sono i tuoi progetti di vita." disse Mei, pentendosi poco dopo dell'ultima frase appena detta.
Stavolta Camus sorrise un po' amaro.
"Con il mio mestiere non posso permettermi il lusso di progetti a lungo termine, come un poliziotto, potrei alzarmi una mattina e non arrivare vivo alla sera…"
Mei si schiarì la voce un po' imbarazzata.
"Sì, beh… nel limite del possibile, intendo…"
"Ad ogni modo, come il mio predecessore mi piace studiare e vorrei perfezionare le lingue che conosco e impararne di nuove. Nemmeno io ho grandi progetti."
Mei terminò il suo yogurt.
"Anche voi avete studiato per conto vostro come fa mio fratello, dunque."
"In un certo senso, sì."
"A questo punto, pur avendo detestato l'idea di alzarmi prestissimo la mattina per tanti anni, sono felice di aver frequentato regolarmente le scuole e di aver frequentato altre persone." disse Mei. "C'è anche da dire però che non ero io che dovevo allenarmi per diventare Saint, grazie al cielo."
Già. In un certo senso buon per te, quante sofferenze ti sei risparmiata, pensò.
"Se tu possedessi un Cosmo, saresti una seconda Shaina." disse invece.
Mei ridacchiò.
"Perché, anche lei è una polemica, acida, cocciuta e lunatica spina nel fianco con un carattere impossibile? No, perché a me non sembra affatto così."
Lo era, lo era. Mei non aveva mai visto Shaina in azione, era il terrore delle sue allieve.
"Beh, siete… grintose entrambe." replicò Camus diplomaticamente scegliendo accuratamente la parola. Sarebbe stato meglio non ripetere quelle parole al Santuario: meglio non solleticare l'ira -o l'ego- di Shaina.
"Grintosa" ripeté Mei ridacchiando "si nota che sei il diplomatico del Santuario."
Camus sorrise.
"Beh, ci provo. E' che preferirei non avere a che fare con una donna infuriata." rispose, facendola ridere.
"Oh, su questo puoi stare tranquillo, non mi arrabbio tanto facilmente." replicò Mei. "Solo se mi danno un buon motivo e per fortuna non succede spesso. Però… ecco, potrei arrabbiarmi seriamente se non mi porti via da qui, prima che ordini un altro yogurt."
Camus stavolta ridacchiò.
"D'accordo. Allora… tra ieri e oggi abbiamo visitato il Benaki e il museo d'arte bizantina… potrei portarti al museo del folklore e la Galleria Municipale. Ci sono collezioni assai interessanti e non sono tanto lontane da qui." aggiunse, indicandole un punto sulla mappa.
"Andiamo!" replicò, allegra. "Anzi… potremmo posticipare a domani la visita della Galleria e… chiuderci in camera."
Lui si fermò.
"E tu baratteresti un pomeriggio culturale con un pomeriggio chiusi in camera?"
"Sì." rispose Mei, senza esitazione.
Le afferrò la mano e s'incamminò in direzione opposta a quella dei musei, facendola ridere.
Cominciava ad abituarsi a quella vita così diversa da quella che conduceva di solito. Alzarsi un po' più tardi, uscire un po' più spesso e passeggiare con calma, erano piccoli lussi che ora era ben felice di concedersi.
Soprattutto l'alzarsi più tardi, sorrise guardando Camus, anche se ciò significava rimanere a letto a lungo, ma dormire ben poco.
 
Undicesima casa.
Fermo alla finestra, Degél osservava i giovani Saint allenarsi nell'arena senza tuttavia prestar loro molta attenzione, i pensieri rivolti altrove.
Aveva mentito.
Lui, che in tutta la sua vita terrena non era mai stato capace di farlo, l'aveva fatto: sapeva che cosa c'era in serbo per Mei e per il giovane Aquarius, l'aveva visto anche senza l'ausilio delle carte divinatorie che la giovane cinese aveva portato con sé.
Una menzogna pronunciata a fin di bene, ma pur sempre una mera menzogna.
Le carte che aveva impedito a Mei di voltare, Sung e Tun, dal valore negativo rispetto alla questione che la giovane aveva rivolto ai propri Déi, avrebbero scatenato una serie di azioni dalle conseguenze inimmaginabili sul futuro di entrambi.
E il loro immediato futuro era già stato scritto.
Non potrei dirvi nulla nemmeno se lo volessi.
Se le avesse detto di Saga e di ciò che aveva fatto durante la cosiddetta Notte degli Inganni, che era lui l'usurpatore, lui il responsabile di tutto, avrebbe certamente provato ad avvertire Camus e magari anche il suo amico Milo, che riponeva fiducia assoluta nel Pontefice al comando e con ogni probabilità avrebbe posto Camus in una posizione scomoda e oltre lui, avrebbe perso anche la vita.
È necessario che gli eventi si succedano come previsto.
Avrebbero sofferto entrambi nello stesso modo. Avrebbero sopportato l'abbandono e la distanza, avrebbero condotto per qualche tempo vite separate, ma si sarebbero ritrovati, avrebbero avuto qualcosa di estremamente importante in comune che li avrebbe sempre legati l'uno all'altra.
Sono desolato, Mei.
 
Saga si preparò a rientrare al tredicesimo tempio: riordinò le mappe e gli strumenti utilizzati durante quella settimana trascorsa a consultare le stelle e ripassò mentalmente il discorso che avrebbe fatto quella sera, durante il Chrysos Synagein.
Presto sarebbero giunti nemici di Athena, spergiuri che avevano rinnegato la fedeltà della Dea e che avrebbero avuto l'ardire di detronizzarla, se non fermati in tempo. Ragion per cui ecco che si rendeva necessaria la presenza di tutti i Gold Saint disposti alla difesa delle loro Case, per impedire al nemico l'accesso alle sacre stanze della divina figlia di Zeus.
In quel modo si sarebbe liberato dei Bronze traditori, avrebbe continuato indisturbato a regnare sovrano assoluto sul Santuario –e sul mondo- e nessuno avrebbe mai scoperto chi, da tredici anni a quella parte, sedeva sul trono.
 
Sera.
"…come fai?"
Mei corrugò la fronte, guardando Camus seduto dall'altra parte del divano, con aria interrogativa.
"A far cosa?"
"A mangiare wasabi come se fosse crema pasticcera." spiegò Camus, indicandole il cartoccio dal quale Mei stava mangiando. "Mi ricordi Jean Reno in Wasabi."
"Oh. Merito della trisnonna Jian Shu e del suo pollo Kung Pao." rispose Mei. "Era del Sichuan e nelle vene le scorreva peperoncino, non sangue."
"…e hai preso questa resistenza da lei, immagino."
Mei rise.
"Credo di sì. Pensa che è morta otto anni fa alla tenera età di centodue anni arzilla come pochi, mentre stava masticando un Bih Jolokia, un peperoncino fortissimo." raccontò.
"Azzardo una diagnosi… infarto?" domandò Camus, sorseggiando l'Asahi.
"No." negò Mei. " mi raccontò che un pezzo del peperoncino che stava mangiando in quel momento l'aveva soffocata."
A Camus sfuggì una mezza risatina che mascherò con un colpo di tosse.
"…che brutto modo per morire."
"Ripensandoci, povera nonna Shu, anche a me vien da ridere… soprattutto se pensi che in vita sua aveva superato malattie che avrebbero stecchito un elefante." aggiunse Mei.
Camus afferrò un hosomaki e lo intinse appena nel wasabi.
"Io non lo farei, fossi in te." disse Mei.
"La roba piccante non è afrodisiaca?"
Mei sogghignò.
"Non che tu ne abbia bisogno. Comunque io non darei molta corda a queste sciocchezze…" lo vide prendere una considerevole quantità di wasabi e sospirò. "Okay. Vado a prenderti sale e pane, così magari riesco ancora a salvarti qualche papilla gustativa."
"Ti dimostrerò che so resistere anch'io." asserì invece Camus, pregando silenziosamente di non fare la stessa, pessima figura dell'amico di Jean Reno.
"Contento tu…" gli rispose, sedendosi di nuovo e guardandolo.
In risposta, senza distogliere lo sguardo da quello di Mei, Camus addentò il boccone con un atteggiamento di sfida.
Mei si aspettò tosse, occhi sgranati e volto rosso come il fuoco, ma non successe niente.
"Visto?"
"Io aspetterei a cantare vittoria, magari è wasabi a… a scoppio ritardato, probabilmente farà effetto più tardi." asserì Mei.
"Dipende dal tipo di effetto, potrebbe anche essere piacevole."
Degél aveva visto Milo dirigersi all'undicesima casa e s'era diretto in salotto per avvisare Mei, ma fece subito retrofront non appena la vide in braccio a Camus: per uno spirito era impossibile arrossire, ma era comunque imbarazzato.
Milo arrivò svelto alla casa di Aquarius, avvolta nella debole luce del crepuscolo, e per poco non ruzzolò inciampando in qualcosa.
"Che vizio, quello di piazzare vasi dappertutto." borbottò, appuntandosi mentalmente di farlo presente a Camus.
Mei si staccò di colpo, guardando verso il corridoio.
"Cos'è stato?"
"Se vivessimo in un film di terza categoria a questo punto avrei fatto una pessima battuta." le rispose Camus.
"Sono seria." rispose Mei, alzandosi da lui e dirigendosi in corridoio.
"Milo." disse Degél, indicandole la porta.
"Milo?!" ripeté Mei ad alta voce. "Che…?!"
Aprì la porta trovandosi di fronte proprio Milo.
"Ehm… nessun ladro, sono solo io.  Chiedo venia per l'interruzione, ma…"
"Ecco, devo dire che il tempismo certo non ti manca, questa è la seconda volta… non ti hanno mai insegnato che bisogna annunciarsi prima di piombare in casa d'altri, magari con un sms?" domandò Mei in tono scherzoso, facendosi da parte per farlo passare. "Stavolta ti è anche andata bene, non eravamo svestiti. Non ancora, almeno."
Milo accennò un sorriso nervoso in risposta distogliendo lo sguardo dall'eloquente bollo rosso sul collo di Mei e la maglietta di Camus –per lei decisamente grande- dell'Hard Rock Cafè che stava indossando; di lì a qualche ora non sarebbe stata più così allegra: un Chrysos Synagein non portava quasi mai nulla di buono.
"E io continuo ad essere desolato per questo." le rispose. "Ma ho urgenza di parlare con Camus. Adesso."
"Oh." fece lei perdendo il sorriso dopo aver captato l'urgenza nella voce dell'amico. "Okay. Lo trovi in salotto."
"Efcharistò." rispose Milo, lasciandola sola in corridoio.
Degél guardò il cavaliere di Scorpio raggiungere Camus per annunciargli la convocazione, quindi focalizzò la sua attenzione su Mei che, ancora ferma in corridoio, lo stava guardando come in cerca di risposte.
Risposte che non poteva concederle.
 
Sul tavolino, Milo vide cartocci e vaschette vuote, misera testimonianza della cena appena consumata.
"…sushi?"
Camus annuì, posando le hashi.
"Non ho particolarmente apprezzato il sushi all'anguilla, ma devo dire che il wasabi non è così atroce come dicono." rispose, offrendogli una Asahi.
"Ascolta…" iniziò Milo, prima di sorbire un lungo sorso di birra a mo' d'incoraggiamento.
"Dimmi."
"Ares."
"Sì?"
"E' appena tornato."
"…e? Devo cavarti le parole di bocca?"
"Ci vuole tutti alla Sala d'Oro, nelle nostre armature, per un Chrysos Synagein. Tra un'o-" guardò l'orologio appeso al muro "...a dire il vero, ormai tra mezz'ora."
"…adesso? A quest'ora??!"
"A quest'ora, poiché si tratta di una questione urgente e alquanto spinosa. Ha anche aggiunto immediatamente, Camus."
Camus si alzò borbottando un: merde! tra i denti.
 
"Come facevate a sapere che era Milo, quello alla porta?"
"Ehm…"
"Cosa sta succedendo?" domandò Mei, in un soffio.
Oh, non ne avete idea.
"Sapete cos'è un Chrysos Synagein?"
Mei corrugò la fronte.
"No." rispose. "Dovrò andare anch'io, come l'ultima volta?!"
Pensò qualche istante sulle parole più appropriate da adoperare per risponderle.
"Temo proprio di no, mademoiselle. Solo i Gold Saint sono ammessi a quest'assemblea, dove solitamente si disquisisce di argomenti piuttosto delicati."
Camus e Milo, nelle loro armature, passarono in mezzo a loro, ignorando del tutto la presenza di Degèl.
"A quanto pare sembra impossibile riuscire a trascorrere una serata tranquilli dopo un buon take away giapponese e qualche dvd…" scherzò Mei, tentando di spezzare l'improvvisa e inspiegabile tensione creatasi in casa.
Camus sorrise appena, quindi seguendo uno strano impulso, le circondò le spalle attirandola a sé e lasciandole un lieve bacio sulle labbra.
"Ti aspetto, magari la serata riusciamo ancora a salvarla." sussurrò Mei, qualche istante dopo, ricevendo in risposta una carezza in testa.
Temo di no, pensò Degél, rimanendo qualche istante a guardare i due giovani allontanarsi in direzione della Torre della Meridiana.
Mei nel frattempo era andata a infilarsi una tuta e nell'attesa del ritorno di Camus, aveva deciso di tenersi occupata sistemando il caos che si era creato in salotto, riponendo in frigo gli avanzi e gettando i contenitori vuoti.
"Almeno abbiamo mangiato…" sospirò. "Quanto tempo durano di solito queste… riunioni?"
"Il tempo adoperato per questo genere di adunanze, mademoiselle, è soggetto all'argomento trattato. Spesso si tratta di una manciata di ore, ma ho sentito di Synagein durati interi giorni."
Si lasciò andare sul divano.
"Oh. Capisco."
Le venti meno quindici minuti.
"Se vi fa piacere potrei farvi compagnia."
"Certo." sorrise Mei, improvvisamente stanca. "E se posso chiedervi una cosa…"
"Ditemi."
"Smettetela di chiamarmi mademoiselle, il mio nome lo conoscete."
 
 
"Non ho mai partecipato a un Synagein."
"Nemmeno io." rispose Camus, stringato. "E sono certo che come esperienza non mi piacerà affatto."
Imboccarono il sentiero tra la sesta e la settima casa diretti alla torre della Meridiana e alla sua Sala d'Oro in un silenzio irreale, finché non intravidero Aphrodite e DeathMask intenti a parlare, una ventina di metri davanti a loro.
"…stavo guardando la partita." stava dicendo Death, tra un tiro e l'altro della sua senza filtro.
"E chi stava vincendo?" chiese Aphrodite.
"Il Catania era in vantaggio di due. Fetusi!"
"Beato lui che non ha altro cui pensare…" mormorò Camus. Mentre il parigrado parlava di partite e derby, lui non riusciva a pensare a niente, a parte chi l'aspettava all'undicesima casa.
Fermò Milo e lo guardò, negli occhi una strana espressione.
"Ho sbagliato tutto." sussurrò.
"Che cosa?" fece Milo. Impiegò qualche istante a capire. "Mei. No! No, non hai sbagliato nulla, che ti salta in testa? Quello che facciamo quando non siamo in servizio, per così dire, non riguarda nessun altro che noi stessi."
Camus inarcò un sopracciglio.
"Il problema è, sottospecie di aracnide, che noi siamo sempre in servizio."
"Cam, cerca di scongelare qualche neurone… sei in servizio quando indossi la tua armatura, ma nelle quattro mura dei tuoi appartamenti sei solo Camus, non Aquarius. Entiendes?"
Shura spuntò alle loro spalle.
"Capire cosa?" domandò, incuriosito.
"Affari nostri, va avanti se hai fretta." disse Milo.
Shura borbottò qualcosa in spagnolo e proseguì sorpassando i due.
"In che guaio l'ho cacciata." pensò Camus tra sé e sé, mentre il portone a doppio battente della Sala d'Oro si apriva dinanzi a loro.
 

***

Lady Aquaria's corner
(Capitolo revisionato in data 20 maggio 2015)
Dunque, come successo nella storia principale, ho apportato importanti modifiche relative al nome di un certo personaggio; così come di là ho cambiato Flare in Freya, da qui in poi ho deciso di usare Ares e non Arles, così com'è usato in origine.
Per questo capitolo ho sofferto come si soffre durante un parto, e no, non solo per ciò che sta per succedere, ma per il tempo impiegato a scriverlo. Parto podalico e trigemino insieme, oltretutto: volevo velocizzare un po' le cose ma nello stesso tempo concedere a Cam e Mei un po' di tempo insieme prima del prossimo capitolo, già completo, che era lì nella cartella sul desktop in attesa che la sottoscritta terminasse questo appena postato.
Orbene, i ringraziamenti sono sempre i soliti e sempre doverosi: a chi recensisce, segue e a chi, tramite messaggi privati anche su fb, s'interessa della mia fanfiction e della mia pg.
Grazie mille!!
 
-If today was your last day è dei Nickelback
-Infuso di papavero: tralasciando da parte gli echi Martiniani che possono ricordare il latte di papavero ampiamente consumato nella sua saga, l'infuso di papavero è considerato, al pari della valeriana o del tiglio, ottima contro l'insonnia;
-Polluce: stella beta dei Gemelli, di solito la più luminosa dell'intera costellazione;
-Sichuan, pollo Kung Pao e Jean Reno in Wasabi: dunque, la cucina del Sichuan, regione sud occidentale della Cina, è famosa per la sua cucina piccante, e il pollo Kung Pao è un piatto tipico piuttosto speziato; Wasabi è un gran bel film con Jean Reno, risalente al 2001. Famosa la scena in cui Hubert e Momo mangiano insieme e Hubert mangia quantità di Wasabi che stenderebbero un elefante senza battere ciglio mentre Momo per poco non ci rimane secco XD qui la scena;
-Bih Jolokia: conosciuto anche come Ghost Chili, si racconta essere la terza varietà di peperoncino più piccante al mondo.
-Bà: vezzeggiativo che significa papà, in cinese.
-Sale e pane per mitigare il bruciore: contrariamente a quanto si pensa e spesso a quanto si fa, non è con acqua o vino che si mitiga il bruciore dovuto a spezie e piccante, ma con il sale e la mollica di pane o in alternativa, come spesso succede nei ristoranti indiani, con dello yogurt, che contrasta l'azione della capsicina;
-Efcharisto: grazie, in greco;
-Hashi: bacchette;
-Asahi: birra giapponese;
...alla prossima!


Lady Aquaria

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Capitolo 18
*** When all is said and done. ***


capitolo 18 prequel rivisto
18.
When all is said and done.

 

Leggo nei tuoi occhi quello che io sto pensando
non può finire tutto così.
E resterò a guardarti mentre ti allontanerai
e non saprò se mai ti rivedrò.
[Raf, In questa notte]
 
Fu il primo a lasciare il Chrysos Synagein: furioso, s'avviò a passo marziale diretto alla sua casa.
"Cam! Sembra tu abbia il demonio alle calcagna, fermati!" esclamò Milo.
Demonio?
No. Forse non aveva quello alle calcagna, ma qualcosa che per lui in quel momento era anche peggio.
Nemici del Santuario. Invasori. Guerra.
Qualcosa che per lui, per loro, era molto peggio.
Presumo non siate a conoscenza del motivo per il quale vi ho convocato… Sulle prime aveva pensato a una qualche missione, non era raro essere richiamati da Ares per l'affidamento di incarichi speciali, ma poi ripensandoci, li aveva sempre convocati al tredicesimo tempio, mai alla Sala d'Oro e soprattutto mai tutti insieme.
Da che aveva memoria, non aveva mai preso parte a un Chrysos Synagein in tutta la sua vita.
Aveva lanciato un'occhiata a Milo, pensieroso quanto lui, quindi si era concentrato sulle parole di Ares.
…ho consultato le stelle a lungo, nei giorni scorsi e… ciò che ho visto non mi è affatto piaciuto.
E da quel momento, Ares era partito in quarta a spiegare loro delle costellazioni sistemate in maniera anomala, di luci e luminescenze che non avevano lasciato presagire nulla di buono, di stelle che lanciavano segnali inquietanti e tanti altri oscuri presagi, fino a nemici del Santuario che progettavano un'invasione. Nemici, a suo dire, provenienti dalla casta più bassa e incontrollata delle schiere dei Saints, protettori o presunti tali, di Athena.
Era bastata quella parola, invasori, a fargli scattare qualcosa dentro, portandolo a ignorare in toto tutte le parole che erano seguite.
Nemici del Santuario. Invasori. Guerra.
Il resto del Chrysos Synagein era trascorso anche troppo lentamente per lui, le successive tre ore di riunione, tra le parole di Ares e le domande, i progetti e i piani operati dai suoi compagni non facevano che acuire la sua insofferenza. Sentendosi improvvisamente soffocare, non aveva visto l'ora di uscire e prendere aria, la mente che lavorava frenetica sulle informazioni appena ricevute.
E, non appena Ares aveva concesso loro il permesso di lasciare la sala, si era precipitato fuori a rotta di collo seguito, naturalmente, da Milo.
Troppe cose in una volta sola, troppo alta la posta in gioco.
Il suo pensiero era uno e uno soltanto: Mei.
Si fermò di scatto, tutt'a un tratto incerto: che cosa avrebbe fatto una volta iniziato l'assalto?
Dove avrebbe potuto sistemarla per non coinvolgerla?
"Oh, finalmente." lo raggiunse Milo. "Che ti è preso?"
Forse non l'aveva nemmeno sentito, Camus pareva preso da pensieri tutti suoi.
"Cam?"
La biblioteca o la soffitta dell'undicesima casa forse erano sicuri e lei poteva stare dove nessuno si sarebbe accorto della sua presenza, oppure…
No, che cosa gli passava per la testa? Non poteva sapere che cosa sarebbe successo, e se avesse dovuto usare i suoi colpi più potenti, avrebbe congelato l'intera casa e con essa, anche la stessa Mei.
E poi… se tra i nemici paventati da Ares ci fosse stato anche Shiryu? Come si sarebbero comportati trovandosi di fronte l'un l'altro, magari all'undicesima casa?
Mei avrebbe dovuto scegliere uno dei due, schierandosi a favore suo o di suo fratello commettendo qualcosa che l'avrebbe sicuramente segnata: avrebbe tradito il proprio sangue o il proprio cuore?
Il proprio sangue…
No. Non poteva metterla di fronte a quella scelta.
"Milo..."
"Sì?" domandò quest'ultimo, rimangiandosi la battuta che avrebbe voluto fargli e sospingendolo verso l'ottava casa.
"Milo, come si fa a… farsi odiare da una donna?"
L'altro sgranò gli occhi, guardandolo come se Camus gli avesse appena detto di essere il figlio segreto di Darth Vader.
"Come? Come sarebbe a dire come si fa a farsi odiare da una donna? Che significa?"
Il piano iniziava a farsi largo nella sua testa, le idee che fluivano come un fiume in piena: Mei non avrebbe dovuto scegliere affatto, l'avrebbe fatto al posto suo.
Non poteva obbligarla a tradire suo fratello, a rovinare la sola famiglia che le rimaneva.
Avrebbe fatto in modo di farsi odiare, solo in quel caso Mei sarebbe stata al sicuro, protetta.
"Esattamente ciò che intendo dire. Vorrei sapere come posso fare per farmi odiare da Mei." ripeté Camus.
Milo lo fermò.
"Un momento, spegni la radio. Vuoi che ti dica come essere odiato?!" ripeté Milo. "Per caso mi è partita una Scarlet Needle che ti ha centrato giusto il cervello?"
"Guarda che sono serio."
"Anche io. Farai tutto da solo, amico, perché non ti aiuterò a rovinare la vita di nessuno."
Non si trattava di rovinare, ma di salvare. Quante probabilità aveva Mei di sopravvivere a un qualsiasi scontro al Santuario?
Nessuna. Senza cosmo né potere alcuno, sarebbe andata incontro a morte certa.
"Milo…"
"Prima dimmi che cos'hai in mente."
"Ti costa tanto fare qualcosa per me senza avere alcuna spiegazione in cambio? Quante volte l'ho fatto, per te?"
"Se devo aiutarti a fare qualcosa che presumo sia stupido, pretendo qualche dettaglio."
Si guardò intorno; nell'ottava casa non c'era nessun altro a parte loro due, ma per sicurezza lo precedette all'interno delle stanze di Milo, quindi chiuse la porta e iniziò lentamente a spiegare.
 
"Queste sono un mucchio di stronzate e tu lo sai. Ma non sarebbe più facile dirle tutto, eh? Spiegarle che cosa potrebbe succedere e lasciarla libera di agire di conseguenza?"
"NO!" insisté Camus. "Se le dicessi la verità, lei resterebbe qui con me. Ed è una cosa che non voglio."
"E' egoista scegliere al posto suo!"
"Forse. Ma non deve tradire suo fratello per me."
"Non sarebbe un vero e proprio tradimento, sarebbe una scelta dettata dal cuore. Son fratelli, nulla finirebbe tra loro."
Camus sbuffò. Perché Milo non capiva?
"Senti, leggi qualche rivista femminile, guardati qualche patetico film strappalacrime, ispirati a ciò che vuoi ma non chiedere a me come farti odiare." replicò Milo. "Anzi. Chiedi a DeathMask, è piuttosto bravo a suscitare odio nella gente."
"MALEDIZIONE MILO, PERCHÉ NON CAPISCI?!" esplose Camus, perdendo il controllo.
"Perché tutto ciò è assurdo. Quello che mi sto chiedendo da mezz'ora a questa parte è perché? " rispose Milo. "Io davvero non ti capisco. Prima la illudi e ora… "
"Hai sentito quello che ha detto Ares, o no?" sbottò Camus. "La guerra contro gli invasori è imminente. Non pensare che mi faccia piacere la cosa, la sola idea che ora devo dirle…"
"… che l'hai illusa…" completò Milo per lui.
"No, io non l'ho illusa." sbottò Camus, falciandolo con uno sguardo di fuoco.
Milo allargò le braccia, sorridendo in un gesto ironico.
"Ah no? Non l'hai illusa? Sei sicuro?"
"Sì."
"Si, certo. Infatti tu non sei andato in Cina a salvarla da Death, che era andato a mettere a ferro e fuoco il Goro-Ho. Non sei tornato a parlare con lei il giorno dopo, spedendo il sottoscritto nella cascata, vero?"
"Smettila."
"E non sei tornato per una settimana intera per parlarle, trascorrere del tempo con lei e… fare anche qualcos'altro con lei, vero?"
"Milo, finiscila."
"La verità, Cam, è che in qualche modo l'hai sedotta, l'hai portata qui, illudendola di poter creare qualcosa con lei…"
"Piantala!"
"… l'hai cotta per bene, te la sei portata a letto e adesso… la lasci…! Ma bravo! Bel comportamento da uomo."
Ma sentitelo, il grand'uomo.
"Tu non sai niente di me e di lei. Non sai quello che c'è tra noi due e quanto significa per me!" protestò Camus. "E non sai che cosa vuol dire per me lasciarla andare."
"So che lei ti ha fatto scoprire di avere un cuore!" insisté Milo.
Gli voltò le spalle furioso con lui, e con se stesso, per essersi esposto tanto.
"Cretino io e la mia linguaccia lunga." borbottò Camus.
"E so che quel cuore te l'ha fatto battere davvero per la prima volta in vita tua." continuò Milo, impietoso. "Perché dopo Parigi, e dopo Joséphine, hai smesso di essere un essere vivente per diventare un… cinico blocco di ghiaccio senza sentimenti!"
"NON…!" Camus l'ammonì, l'indice puntato contro di lui, minaccioso. "Non parlare di cose che non conosci."
Milo lo ignorò.
"Mei invece ti ha fatto sentire vivo e tu hai paura! Perché non sia mai che anche tu ti lasci andare a sentimenti umani, meglio restare il solito antipatico Mr. Freeze!"
Camus incrociò le braccia sul petto.
"E da quando tu sei diventato il mio psicanalista?"
Milo fece spallucce.
"Patetico il tuo tentativo di sviare il discorso con del sarcasmo. Tentativo mal riuscito, tra l'altro. Non c'è bisogno di avere una laurea in psicologia per capirlo, Cam, ti sei legato a lei più di quanto immaginassi."
Su questo però aveva ragione, era vero.
A differenza di tanti altri non era mai stato un tipo da avventure mordi e fuggi, non era mai stato uno che faceva sesso -prima di Mei, tra l'altro, con nessuna- perché così gli diceva la zucca.
Si era davvero innamorato di Mei, o non l'avrebbe nemmeno cercata, dopo averla salvata.
"Sì." capitolò infine, a bassa voce. "E non ho altra scelta. Non posso rischiare di farne una vedova prima ancora di chiederle di…" s'interruppe.
"Di chiederle… cosa? " lo incalzò Milo.
"Non ha nessuna importanza." rispose Camus. "Ormai quel che volevo fare non conta più niente. Come quella volta al Goro-Ho voglio proteggerla, perciò la lascio."
Milo restò dov'era.
"E se quest'ipotetica guerra non dovesse mai aver luogo?" insinuò. "Pensaci."
"Non dire sciocchezze."
"Sono serissimo. Ares ha consultato le stelle… okay, forse ci ha azzeccato. E… se si fossero sbagliate, le… stelle ?" disse, mimando le virgolette su stelle. "Se fosse uno sbaglio? Sai anche tu che le stelle sono mutevoli, parte del tuo cosmo deriva da quello di Degél, non sei ignorante in materia. Possono anche sbagliare."
Camus rimase fermo davanti a lui, sempre di spalle.
"E se non fosse così?? Soffrirebbe per me, per la mia morte. Invece, se la lascio, mi odierebbe e smetterebbe di preoccuparsi per me."
"La tua… ? Perché diavolo sei convinto di morire?"
"… perché in battaglia uno vince e l'altro muore." rispose Camus.
Milo provò a seguire il suo ragionamento.
"Vuoi dirmi che ti lasceresti uccidere da Shiryu per non farla soffrire?!"
"Ma no, idiota." Camus trasse un lungo respiro, simile al respiro di chi cerca spasmodicamente ossigeno dopo essere rimasto a lungo sotto l'acqua. "E' che… se ci sarà Hyoga, non avrò coraggio sufficiente per ucciderlo. Non potrei."
L'altro corrugò la fronte.
"Fammi capire. Decidi di lasciarla così che se Hyoga dovesse ucciderti… lei non soffrirebbe perché ti odia? E' così?" fece Milo. Non attese la risposta. "E poi sarei io l'idiota?"
Lo oltrepassò: inutile incaponirsi. Se aveva deciso così, Cam non si sarebbe smosso.
"… Milo…"
"Se ti fa piacere pensarla così perché credi che in questo modo non ti sentirai un mostro… pensala pure in questo modo." disse. "Odiarti, di sicuro ti odierà. È automatico, odiamo quello che ci ferisce, perché siamo umani... ma hai ragione, sai? Ti odierà per qualche tempo, poi se ne farà una ragione. Ti dimenticherà e… magari si rifarà una vita."
"Glielo auguro. Le auguro il meglio che la sua vita potrà offrirle."
"Una vita con un altro uomo."
"Ovviamente. Meglio un uomo normale che uno come me."
Milo sogghignò, per provocarlo.
"… un uomo che dividerà con lei le sue giornate, le sue risate… le sue notti…"
"…"
"… che la stringerà a sé e la bacerà."
Camus fremette.
"Smettila."
"…e la toccherà, e l'avrà… esattamente come l'hai avuta tu."
"Milo, basta!"
"…e invocherà il suo nome, mentre il tuo sarà solo uno sbiadito ricordo. È questo che vuoi?"
Certo che non lo voleva, Milo lo sapeva benissimo. Era stupido da pensare, ma fremeva al solo pensiero di Mei con un altro uomo, però… che diavolo avrebbe dovuto fare?
Quando si voltò, aveva gli occhi lucidi.
"Mi conosci troppo bene, amico mio. Ma sai anche che non ho scelta."
Milo gli posò una mano sulla spalla.
"C'è sempre una scelta."
Camus ricambiò il gesto.
"Non per dei Saint come noi." rispose, prima di entrare in casa e mettere in atto il suo piano.
La tv era accesa, ma a parte le voci degli attori, non sentiva nient'altro.
"Mei?"
Era forse uscita dimenticandosi di spegnere la tv? Se era così, era un bel guaio per lui: non poteva rimandare qualcosa che avrebbe dovuto fare subito, dopo l'adrenalina e il coraggio che aveva raccolto sarebbero svaniti.
"Mei!"
Mei si riscosse di colpo non appena avvertì i passi in corridoio, guardandosi intorno e rendendosi conto di trovarsi ancora in salotto, dove s'era assopita davanti alla tv accesa mentre aspettava il suo ritorno.
"…ciao!" lo salutò, allegra, spegnendo la tv. "Ammetto di essermi addormentata mentre t'aspettavo invece di sistemare due cose come avrei dovuto, ma sai com'è… le televendite tra un tempo e l'altro sono più efficaci della valeriana e…  no, accidenti, il film è anche finito…"
Aveva pensato a cosa dirle nel tragitto verso l'undicesima casa, ma qualunque discorso si era come cancellato dalla sua mente non appena l'aveva vista sul divano, mezza addormentata.
Fece un grande sforzo per non rispondere al bacio di Mei e per scostarla con fare brusco da sé.
"Cosa…?! Che succede? Non ti senti bene?"
"Sto benissimo." replicò, brusco. "Raccogli le tue cose e vattene."
Sbarrò gli occhi e iniziò a balbettare qualcosa; negli occhi le lesse troppe domande inespresse.
"Sei sveglia o sei ancora tra le nuvole? Ti ho detto di raccogliere le tue cose e andartene."
Il suo sguardo corse a Milo, che però abbassò subito gli occhi con aria colpevole.
"Cosa… sta succedendo?" domandò a Milo. "E' successo qualcosa di particolare? Ares… gli ha fatto il lavaggio del cervello?"
Camus le schioccò le dita davanti al volto.
"Hey, non guardare lui, sto parlando io con te." le disse, afferrandole il mento e girandole il viso verso di sé con un gesto non troppo gentile.
"Non toccarmi." l'ammonì Mei improvvisamente sulla difensiva, liberandosi della sua presa con un colpo di taglio sulla mano di Camus e facendosi male per via dell'armatura. Ares doveva aver usato qualche tecnica psichica particolare, di quelle che, come aveva spiegato Dohko tempo prima, erano capaci di intrappolare la volontà di un uomo e possederla a tal punto che diventava quasi un burattino nelle sue mani; il ragazzo che aveva di fronte era totalmente diverso da quello uscito poche ore prima per quella riunione.
"Uuuh, quanto fuoco. La sola cosa che mi ha attirato di te." le disse, privandosi dell'armatura. "E poi… non toccarmi? Ma se fino a questa mattina non facevi che implorarmi di farlo."
"Adesso basta." intervenne Milo. "Stai esagerando."
Ignorando Milo e la morsa gelida che iniziava a stringergli il cuore, proseguì facendole il verso e facendola avvampare fino alle punte dei capelli.
Ma rimase impassibile quando si beccò un ceffone.
"Tsk." sogghignò, mentre Mei scrollava la mano, dolorante per lo schiaffo appena dato. "Guarda in che guaio mi sono cacciato solo per aver cercato un po' di compagnia. Ho sbagliato a portarti qui, non avrei dovuto… sono un guerriero, la mia fedeltà ad Athena viene prima di tutto e soprattutto viene prima di una ragazzina che al suo confronto è insignificante."
Lo schiaffo che Mei gli aveva appena elargito per la seconda volta era anche peggiore del primo, tanto che gli fece voltare la testa: sentiva la guancia in fiamme e si sentiva come se l'occhio sinistro dovesse schizzargli fuori dall'orbita da un momento all'altro.
"Insignificante? Ero insignificante anche quando eri a letto con me o in quei casi tornavo utile?" sibilò Mei. Lo strattonò, con rabbia. "Abbi almeno il coraggio di guardarmi in faccia!"
Sentì la bile risalire l'esofago e farsi strada nella sua gola con il suo sapore acido, tuttavia riuscì a posare lo sguardo nel suo, anche se con fatica, riuscendo anche a dipingersi un sorriso sarcastico sulle labbra.
"E' stato tutto finto, allora. Mi hai presa in giro fin dall'inizio, perché sono una stupida campagnola che per te era una preda facile…!" disse Mei, amareggiata. "E io ci sono cascata con tutte le scarpe. Déi che stupida, che stupida sono stata! Non avrei mai dovuto fidarmi di te, mai! Ti sei divertito in queste settimane, giusto? Chissà come dev'essere stato spassoso vedermi capitolare, in Cina, quando abbiamo…" s'interruppe, ricacciando indietro le lacrime. "Prima le visite, le belle chiacchierate sulla tua infanzia, su tua madre, sulla tua vita… poi tutto quel bel teatrino da gran seduttore all'isba e io, cretina, che ho ceduto. Ora che mi hai avuta non sono nient'altro che un gioco vecchio, per te. Dunque dimmi… ti sei divertito? TI SEI DIVERTITO?"
Camus intravide Milo sulla soglia della cucina, alle spalle di Mei.
Scuoteva la testa, un'espressione indecifrabile sul volto.
No. Non si era divertito, non l'aveva affatto presa in giro. Aveva creduto e continuava a credere in quello che avevano, non era mai stato un gioco.
"Oh sì." decise di rispondere, corredando tutto con un ghigno malevolo. "Ovviamente mi sono divertito. Quale uomo si tira indietro di fronte a una bella occasione di svago, soprattutto se è economico e facile?"
Mei sussultò come se avesse appena ricevuto una coltellata a tradimento.
Intercettò il terzo schiaffo prima che lo colpisse di nuovo, la mano stretta intorno al suo polso e negli occhi uno sguardo di ghiaccio.
"E saresti tu l'uomo? Di fronte a me vedo solo un verme."
"Prendi le tue cose e vattene." sibilò Camus in risposta, aumentando la stretta sul polso fino a farla gemere dal dolore. "Subito."
"Al diavolo tu e Athena, vorrei non averti mai incontrato!" sbottò Mei, liberandosi con uno strattone.
Milo si scostò lasciando passare Mei, quindi guardò Camus, prima di applaudire.
"Mi complimento con te. Pensare che non hai dovuto nemmeno consultare DeathMask, è tutta roba tua. Complimenti, davvero." disse, a bassa voce. "Bello schifo."
"Almeno taci, per l'amor del cielo." fece Camus. "Taci."
Si sentiva un verme già per conto suo senza dover sopportare anche le sue battute.
 
*
 
Via.
Doveva andarsene, non intendeva restare un altro minuto; prima se ne andava meglio era per tutti, soprattutto per lei.
Corse in camera attraversando involontariamente Degél, fermo in corridoio, quindi afferrò il borsone di tela col quale era arrivata e lo riempì in fretta, infilando le sue poche cose a caso e in modo rabbioso: magliette e vestiti appallottolati o piegati a casaccio, biancheria sporca insieme a quella pulita... non aveva importanza, la sola cosa che contava era fuggire il più lontano possibile da lì.
 
Milo si girò di nuovo verso Camus, scuotendo la testa.
"Tu… tu sei un…!" sbottò Milo.
"Cosa?"
"Sei il più grande pezzo d'idiota che abbia mai conosciuto. Ripensaci. Non permetterle di andarsene così… dille qualcosa, spiegale perché, sei ancora in tempo!"
"Ne abbiamo già parlato e sai come la penso. E comunque non si fiderebbe più di me, l'ho già fatto apposta."
"Ma non è giusto." capitolò Milo, arrendendosi.
E che cosa c'era di giusto, nelle loro vite? Niente.
"Ho deciso e non cambio idea." replicò perentorio, in un tono che non ammetteva replica alcuna, prima di dirigersi fuori. "Avvertimi quando ha finito."
 
Mei richiuse la zip del borsone quindi si sfilò dal polso il braccialetto portafortuna che Camus le aveva regalato tre settimane prima, a Rodorio, e lo posò sul cassettone insieme al fermacapelli smaltato.
"Quelli sono doni, non dovreste restituirli."
Mei levò lo sguardo su Degél.
"Per me sono oggetti senza alcun valore." replicò. "Non voglio nulla di suo."
Non voleva alcun ricordo, visto che quei pochi che aveva, Camus li aveva rovinati appena mezz'ora prima. Ricontrollò velocemente in giro, sperando di non aver dimenticato nulla di proprio.
"Madem-…Mei, sono certo che non appena tornerete a ragionare lucidamente, comprenderete le ragioni di tutto questo." disse Degél, cercando di moderarsi il più possibile per non rivelarle nulla. "Posso giurarvi che lui non è così."
Mei alzò una mano per zittirlo.
"O così o no, posso giurarvi che la cosa non mi riguarda più." replicò. "Non mi riguarda più Camus, non mi riguarda più questo Santuario, non m'interessa più nulla. Voglio solo dimenticarmi questi giorni e… dimenticarmi di lui."
Degél annuì, con uno strano sorriso enigmatico.
"Credetemi se vi dico che avrete sempre qualcosa o qualcuno che vi ricorderà l'uomo che amate."
Sicuro.
Shiryu avrebbe fatto del suo meglio per ricordarle quanto fosse stata stupida nel fidarsi di Camus. Le avrebbe ricordato quell'errore finché avrebbe avuto respiro.
Temo di no, Mei. Non mi riferivo a vostro fratello.
Degél scosse la testa mentre la ragazza si preparava per lasciare definitivamente quella casa, chiedendosi se le visioni che aveva avuto riguardo lei e il suo successore si sarebbero trasformate in realtà o no.
 
"Sono sicuro che ti pentirai amaramente di questa decisione."
Oh sì. Ma da solo, chiuso nelle quattro pareti sicure della sua stanza.
"Va bene, continua così. Io vado a vedere se è pronta." disse Milo.
Camus si girò.
"L'accompagno io."
Milo lo fermò brusco.
"Ah no, rimani dove sei, hai già fatto troppe cazzate e dubito che lei ti voglia vicino. Poi, pensa a chi troveresti ad aspettarti in Cina." obiettò Milo. "Shiryu sarà anche un misero Saint di bronzo, ma sono sicuro che sarebbe capace di farti davvero vedere le stelle, quando si tratta di sua sorella."
"E perché a te non dovrebbe far nulla?"
"Perché io non gli do' alcun motivo per attaccarmi." ribatté Milo.
Rientrò in casa e la vide in fondo al corridoio: valigia in mano, s'era sistemata accanto alla porta in attesa di poter essere riaccompagnata a casa.
"Sei qui, pensavo fossi ancora in camera."
"Fortunatamente viaggio leggera." replicò Mei, senza particolare intonazione.

"Vedo." sorrise appena Milo. "Ehm… lui è fuori, se…"
Uno sbuffo, stavolta seccato.
"Dovrebbe importarmi?"
"Intendevo, è fuori, se vuoi salutarlo o che so io."
Mei lanciò una rapida occhiata in giardino e serrò gli occhi.
"No. Desidero solo andarmene. Non ho più niente per cui valga la pena restare."
 

***

Lady Aquaria's corner
(Capitolo revisionato in data 15 giugno 2015)
Il terribile capitolo 18.
Terribile per me, ovviamente, poiché nello scrivere avevo dei profondi rimorsi di coscienza nei confronti di quella specie di figlia che è Mei.
Benone. Adesso che ho superato lo scoglio, devo anche dire che, ahimè, questo è il primo di un paio (ehm…più di un paio a dire il vero) capitoli un po' angst, perciò lettore avvisato… procuratevi dei fazzoletti XD

Come sempre, il titolo è una canzone e si riferisce all'omonimo successone degli ABBA. Ringrazio chi legge, chi recensisce e quant'altro. Alla prossima!

Lady Aquaria

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Capitolo 19
*** Disillusion. ***


capitolo 19 prequel rivisto
19.
Disillusion.

 

How can I forget you when my world is breaking down
you’re all I had, you’re all I want
disillusion, disillusions now, that’s all I have
[Disillusion, Abba]
 
In quelle ultime tre settimane il Goro-Ho non era cambiato di una virgola: a quanto pareva la vita era trascorsa placida come sempre, i suoi equilibri millenari erano rimasti immutati.
Eppure le sembrava di essere lontana da quel luogo da così tanto tempo che in quel momento le pareva impossibile pensare di tornare a viverci: era e sarebbe sempre stata casa sua, ma non era per nulla sollevata di trovarsi di nuovo lì, dopo tre settimane vissute come fuori dal mondo.
Era cambiata a tal punto?
Era cambiata così tanto in quel breve soggiorno greco da non sentirsi più a suo agio in quel luogo che l'aveva accolta e protetta da quando era una bambina?
In verità temeva la routine di tutti i giorni: era stato bello trascorrere del tempo con un ragazzo che la faceva stare bene, che si occupava di lei, che non la trattava come la schiavetta tuttofare di casa.
Era stato bello sentirsi amata.
"Tutto bene?"
Sobbalzò e scosse la testa, incapace di spiegare a Milo ciò che sentiva.
"Diciamo di sì."
"Quel diciamo non mi piace nemmeno un po'."
"Lo so. Ma mentirei se ti dicessi che va tutto bene."
Le sorrise, tentando di esserle di conforto.
"Se c'è qualcosa che posso fare, o se avessi mai bisogno di qualcosa …"
"No, ho già tutto ciò di cui ho bisogno." rispose Mei, lanciando un'occhiata alla pagoda.
Di cos'altro poteva mai avere bisogno, pensò, amara, quando in quella casa aveva tutto ciò che potesse mai desiderare?
"Di qualunque cosa tu possa improvvisamente aver bisogno, non esitare a chiamarmi, d'accordo? Mei, sono serio." disse Milo, scribacchiando qualcosa su un foglietto.
Un numero di cellulare. Suo malgrado, visto che aveva voglia di fare tutto, fuorché di sorridere, Mei sorrise.
"Mi costerà una fortuna in bollette telefoniche. Magari chiederò al Maestro di contattarti per me."
Milo le sfiorò un braccio.
"Anzi, no. Verrò personalmente di tanto in tanto per visitarti. Ci conosciamo da poco eppure so già che non chiederai al Maestro di chiamarmi, né tantomeno comporrai quel numero." disse Milo. "Perciò, che ti piaccia o no, ogni tanto mi vedrai arrivare per romperti un po' le scatole."
"Grazie di tutto, Milo. Davvero."
"Credimi… il modo in cui ti ha trattata è stato… atroce, ma non l'ha fatto per cattiveria. Lui non è così."
"Pensa se l'avesse fatto per cattiveria." commentò Mei.
"Lui è uno stronzo."
Mei sospirò.
"Ti chiedo scusa fin da adesso per tutte le cose offensive che dirà." disse a bassa voce, riferendosi a Shiryu, che stava arrivando e aveva sentito le parole di Milo.
"Intanto modera i termini. E poi… ti spiace? Starei parlando con tua sorella." rispose Milo, sbuffando. "Di cose private che non richiedono la tua saccente presenza."
"Shiryu, rientra in casa, subito."
"Al posto tuo seguirei il consiglio di tua sorella."
"Con chi ho l'onore di parlare?"
"Milo dello Scorpione." rispose l'interessato, incrociando le braccia sul petto.
Uno dei dodici Gold Saint, quindi parigrado di Camus.
"Dunque quel dannato è anche così codardo da mandare avanti il suo compare? Aveva paura di farsi vedere e affrontarmi?"
Milo lo guardò un istante, prima di scoppiargli a ridere in faccia dopo le ultime parole: Camus? Avere paura di uno come lui?
"Io ho impedito a Camus di riportarmi qui." interloquì Mei.
"Hai fatto bene, non sarebbe tornato a casa tutto intero." proseguì Shiryu, inducendo Milo a ridere più forte.
"Questa è proprio bella."
"Le mie parole sono così divertenti?"
"Non ne hai idea." ridacchiò Milo. "Perché tu non avresti alcuna speranza contro Camus."
Nonostante l'atteggiamento velatamente aggressivo del Gold Saint, Shiryu non mollò l'osso.
"Quello è un autentico bastardo, esattamente come immaginavo che fosse. Se Mei è qui ed è in questo stato, significa che s'è approfittato di lei, e questo è il risultato." berciò Shiryu, ignorando l'allusione. "Sono cieco, ma sento benissimo come sta e riesco ancora bene a mettere ko qualcuno. Perciò dì al tuo compare che è molto meglio per lui se non si fa mai più vedere qui, non se vuole tenersi la pelle ben attaccata al corpo."
Milo lo squadrò da capo a piedi, inarcando un sopracciglio, ironico.
"Dubito seriamente che tu riesca a capire davvero che cosa prova tua sorella. Ad ogni modo, parli un po' troppo per i miei gusti, ragazzo, dovresti imparare a chiudere la bocca, di tanto in tanto." disse Milo. "Soprattutto su questioni che non ti riguardano."
"Quello che riguarda Mei riguarda anche me."
"Ah no, Shiryu." sbottò Mei. "Io non m'intrometto nelle tue questioni private con Shunrei, e voglio la stessa discrezione da parte tua."
 Sentì il ragazzo aumentare il Cosmo, come se stesse per attaccarlo."Frena il tuo ardore, ragazzino. Sono sicuro che ci rivedremo presto. E adesso vorrei parlare con tua sorella. Da solo." insisté Milo, aspettando a parlare finché non lo vide rientrare in casa con Shunrei. "Ascolta, se per qualunque motivo hai bisogno di stare da sola o hai la necessità di trovare un posto alternativo per vivere se Shiryu ti rende la vita impossibile, sappi che puoi sempre usare la casetta che ho a Milos, dove mi sono allenato. E' ovvio, non è un villone hollywoodiano né tantomeno un resort turistico, è già tanto se c'è l'acqua corrente e spesso… molto spesso in verità, l'elettricità le fa un po' girare, ma per staccare la spina è un ottimo posto."
Mei si massaggiò le tempie.
"Accetterei volentieri la tua generosa offerta, Milo, ma… se lo scoprisse Camus sarebbero problemi e… non voglio essere io la causa della vostra rottura. La vostra è una gran bella amicizia, come raramente ne ho viste, e dato che non voglio causarvi problemi sono costretta a declinare."
"Considero Camus molto più che un semplice amico e per me ha un valore inestimabile, ma nemmeno lui può dirmi che cosa posso o non posso fare, perché è una cosa che non permetto a nessuno. Perciò sappi che se avessi bisogno io sarò sempre disponibile ad aiutarti." controllò l'orologio e fece una smorfia. "Ora credo sia meglio che vada, Camus si starà chiedendo perché ci sto mettendo così tanto e non ho alcuna intenzione di sentirmelo nelle orecchie."
"Allora non farlo insospettire." rispose Mei.
"Bene. Ci vediamo presto." promise Milo, accompagnandola sulla soglia di casa e scomparendo per tornare al Santuario.
"Lasciate ogni speranza voi ch'entrate." sussurrò Mei, poco prima di entrare.
Infatti, così come aveva previsto, una volta varcata quella soglia fu subito raggiunta da Shiryu.
"Che cos'è successo?"
"Niente."
"Cosa ti ha fatto quel porco?"
"Niente."
"Il suo compare tornerà di nuovo?"
"Niente." replicò ancora Mei, meccanicamente.
"Cosa…? Mei, che…?"
"Niente. Niente, niente, NIENTE!!!! Non è successo niente che ti riguardi, Shiryu!" scattò Mei. "Stammi lontano, non voglio né vederti, né sentirti. Inizieresti con i tuoi sermoni filosofici, inizieresti a bombardarmi di parole e consigli non richiesti, proveresti come sempre a mettermi contro Camus! E io non voglio ascoltarti! Stammi lontano."
Corse su per le scale, si chiuse la porta della propria stanza alle spalle e vi si appoggiò, cercando di riprendere fiato.
"Fermati Shiryu." disse Dohko, bloccandolo prima di raggiungere le scale. "Tua sorella ha bisogno di stare da sola per un po'."
 
*
 
Tornato al Santuario, Milo evitò volutamente l'undicesima casa preferendo troncare sul nascere discussioni che comunque non avrebbero portato a nulla.
Scelse un film e l'infilò nel lettore, quindi versò l'acqua bollente nel barattolo di noodles precotti e richiuse l'involucro di alluminio, prima di versarsi una generosa pinta di birra ripensando a quella lunghissima e folle giornata.
Come si poteva essere così idioti?
E sì che Camus era uno degli uomini più intelligenti che avesse mai incontrato, eppure mai aveva visto una persona comportarsi in un modo così imbecille.
"Sei proprio un'idiota."
"Ce l'hai con me?"
Milo si voltò, guardando Camus fuori dal salotto.
"…qui dentro vedi un altro idiota coi capelli rossi che ha appena preso a calci nel sedere la propria vita?"
Camus levò gli occhi al cielo.
"Se n'è appena andata. Per quanto tempo intendi torturarmi con Mei?"
Lo sguardo di Milo si velò d'un certo sadismo.
"Per tutto il tempo che riterrò necessario." replicò, afferrando le bacchette e mescolando il condimento nei noodles bollenti. "Non posso prenderti a cuspidate, quindi procedo con qualcosa di più sottile e doloroso del mero dolore fisico. "
Ci fu uno sbuffo da parte di Camus, ma non di disappunto né di rabbia.
"Speravo che almeno tu mi comprendessi, Milo. Invece scopro che sei una delusione." rispose, dopo qualche istante.
"La cosa è reciproca." disse Milo. Sobbalzò poco dopo quando Camus assestò un pugno allo stipite della porta, rabbioso.
"Eh bien, va donc te faire foutre!"
 
**
 
La strana stanchezza che si sentiva addosso da qualche giorno non accennava affatto a diminuire, anzi. Alla stanchezza iniziale, che aveva attribuito al cambio di fuso orario e alla rabbia che aveva provato contro Camus, si era aggiunta anche una debolezza, un senso di ossa rotte che non le piaceva affatto. Sulle prime aveva liquidato il tutto alla reclusione forzata che si era autoimposta: da quando Milo l'aveva riaccompagnata a casa, in effetti, si era rintanata in camera, senza uscirne nemmeno per cenare insieme a Shiryu, Dohko e Shunrei, intenzionata a rimanere in un limbo tutto suo nel quale a nessuno era permesso entrare.
Poi però il tutto non era scomparso nemmeno con il paracetamolo, e stava seriamente iniziando a preoccuparsi: e se fosse stata l'influenza aviaria che aveva iniziato a girare, la causa di tutto?
Ti prego, no. Fa' che non sia l'aviaria. La prospettiva di finire in quarantena, analizzata come un microbo su un vetrino non l'allettava di certo. Forse però è il caso di consultare un medico.
 
"Lasciala stare, Shiryu. Quando se la sentirà, ti parlerà. Adesso lasciala stare, vieni via." disse Dohko, in fondo al corridoio.
"Sono preoccupato. Esce da quella dannata stanza solo quando è certa di essere sola in casa, mangia poco e da sola, si rifiuta di vedere chiunque, di prendere un po' d'aria… e sono trascorse quasi tre maledette settimane da quand'è tornata. Non posso più tollerare di saperla in quello stato."
"Siamo tutti preoccupati, ragazzo mio." lo corresse Dohko. "Ma non è con l'insistenza che otterrai qualcosa. Se nemmeno Mu riesce a smuoverla, sarà bene lasciarla sola e lasciarle lo spazio del quale ha bisogno."
"Temo voglia commettere qualche sciocchezza."
"Tua sorella non è stupida, non crucciarti inutilmente."
Mu si fece avanti.
"Io ci provo. Voglio dire, posso provare a parlarle, a smuoverla ma… ognuno ha i suoi tempi di reazione e non posso forzarla a fare qualcosa contro la sua volontà."
"Qualunque cosa sarà comunque d'aiuto." interloquì Shunrei. "Non fa entrare neanche me."
Mu annuì, quindi la seguì lungo il corridoio, esitando un istante sulla porta e trovandola, come aveva previsto, chiusa a chiave.
"… mi servirebbe una forcina e una chiave." domandò a Shunrei, che gli porse lo spillone che le teneva su lo chignon.
Seguendo tutto con un gran sorriso, Dohko si rivolse a Mu.
"Hai un nuovo hobby? Fai anche lo scassinatore?"
"Sono diventato un esperto grazie a quella piaga che è mio fratello." spiegò Mu, armeggiando con lo spillone e la maniglia, finché non udì il tintinnio della chiave sul pavimento della camera. "Non è una cosa moralmente corretta, ma in casi d'emergenza…"
Quando entrò nella stanza fu assalito da una cappa d'afa spaventosa, coadiuvata dalle finestre serrate.
"C'è da soffocare qui." commentò a bassa voce, prima di avvicinarsi al letto.
 
La vivida luce della lampada dietro le palpebre serrate, poi una mano posata sul fianco: una mano grande ma leggera, che la strappò al sonno.
Che ora era? Era giorno o notte?
"Mei."
Si decise a riaprire gli occhi, incontrando l'espressione gentile di Mu.
"Zăoshang hăo." sorrise quest'ultimo, con dolcezza. [Buongiorno]
Lei si stropicciò gli occhi, poi lo guardò.
"Maestro! Cosa…?" biascicò appena con la voce roca e la bocca impastata. Cercò di voltarsi ma un dolore improvviso alla schiena la costrinse a desistere. "Ci mancava anche la schiena…"
"Forse perché sei ferma a letto da troppo tempo. Ascolta. Shunrei, il Maestro e tuo fratello hanno insistito affinché venissi qui a farti visita." spiegò Mu. "Hanno detto che non fai che dormire."
"Sono stanca."
"Come stanca? Dormi ininterrottamente da due giorni." obiettò Shiryu, fermo sulla porta. A Mu non sfuggì l'occhiataccia che Mei rivolse al fratello, e si schiarì la voce.
"Posso parlare con tua sorella da solo, Shiryu? Te ne sarei grato." domandò Mu, con calma. "Allora, che cosa succede?"
"Nulla."
"Shiryu dice che non esci da questa stanza da almeno tre giorni. "
"E' così."
"Ti va di parlarne?"
E cosa c'era da dire che lui già non sapesse?
Mal interpretando il suo silenzio, Mu proseguì.
"Preferisci parlare con Milo?"
"No, Maestro, non è questo il punto. E' che non so come spiegare a parole ciò che sento ora. Mi sento stanca, le ossa rotte e voglio solo dormire e non pensare più a niente." spiegò Mei. "Ma sto bene! Starò bene, sono forte io. Ho le spalle forti, ho sopportato di peggio. Magari è una stupida forma d'influenza stagionale."
"A giugno? Sai, Mei… qualche volta bisogna permettere a sé stessi di abbassare la guardia e smettere di fingere di stare bene. E dubito sia influenza. Il tuo malessere ha un nome ben preciso."
Camus.
D'improvviso la stanchezza parve trasformarsi in quella rabbia repressa che faticava a sfogare.
"Al diavolo. Ho abbassato la guardia una volta sola ed ecco com'è finita. Mi ero ripromessa di non soffrire più dopo Tokyo, dopo tutto quello che mi è successo e invece…" sussurrò Mei, asciugandosi rabbiosamente gli occhi. "Invece mi son lasciata incantare da un paio d'occhi blu."
"Pensi che piangere ti farà sentire meglio?"
Sicuramente no, dato il mal di testa che aveva.
"No."
"Allora non pensi sia il caso di rimboccarti le maniche e riprendere in mano la tua vita? Hai già pianto abbastanza per quel cretino, non credi?" intervenne Milo, comparendo nella stanza.
"Credo sia meglio non farti trovare qui, Shiryu è sul piede di guerra." disse Mu.
"Ma davvero? Che venga pure, sono dell'umore adatto." disse Milo, sfoderando Antares. "Non posso fracassare la testa vuota del mio migliore amico, quindi me la prendo col primo decerebrato disponibile. Qualcosa in contrario, Mei?"
"Avete litigato ancora?" domandò Mu.
"Litigato è un parolone. Ho passato le ultime due ore a urlare come un dannato mentre lui stava lì, impassibile. E mi ha lasciato addosso una tale voglia di fracassare qualcosa che…"
Mei scosse la testa, tirandosi le coperte fino a coprirsi totalmente.
"Fa' quello che devi, basta che poi mi lasciate in pace."
"Senti, adesso basta." Milo afferrò le lenzuola con le quali Mei si copriva e le scaraventò a terra. "Alza il culo da quel letto, forza."
"Che modi sono questi? Milo, non credo questo sia l'atteggiamento giusto per…" intervenne Mu.
"Senti… se quell'idiota ha deciso di mandare all'aria la sua vita, non significa che anche lei debba farlo. Mei, ti concedo trenta minuti per renderti presentabile, dopodiché ti prenderò di peso e ti getterò fuori di qui."
Mei ficcò la testa sotto il cuscino.
"Non hai nulla di meglio da fare?"
"Ti restano ventinove minuti e trenta secondi, fossi in te li userei con cura." l'ammonì Milo.
Non le avrebbe dato tregua, perciò si decise ad alzarsi dal letto, le gambe un po' malferme.
"Dovresti mangiare, ancora un po' scompari." commentò Mu. "Non ti reggi nemmeno in piedi."
Annuì appena, sorridendo stanca in sua direzione mentre Milo armeggiava in bagno.
"Vorresti anche spogliarmi e lavarmi la schiena?" lo prese in giro.
In risposta Milo si rimboccò le maniche.
"Non avrei alcun problema a riguardo." replicò, prima che Mu lo sospingesse verso la porta.
"Dì meno sciocchezze Milo." lo riprese, chiudendosi la porta alle spalle.
Si trascinò in bagno reggendosi a fatica, quindi si spogliò e s'infilò nella doccia lasciando che l'acqua le togliesse di dosso tutta la stanchezza e il torpore che i giorni trascorsi a letto le avevano causato.
Shunrei entrò nella camera di Mei e aprì subito la finestra lasciando che l'aria fresca di quella bella giornata estiva la invadesse, quindi cambiò le lenzuola, infilando quelle sporche e i vestiti che Mei si era tolta in un gran cesto di vimini.
"Davvero non ha mangiato per giorni?" domandò Mu, quando la ragazza uscì dalla stanza.
Shunrei gli spiegò che dopo i primi giorni durante i quali l'aveva sentita piangere, Mei si era isolata dal resto del mondo uscendo dalla propria stanza solo quando non c'era nessuno in casa -giusto per mangiare- e che negli ultimi giorni era caduta in una specie di sonno profondo senza voler né vedere né sentire nessuno. Aveva anche provato a lasciarle un vassoio con i pasti sul tavolino del corridoio, trovandolo sempre intonso.
"Ci penso io." decise Milo, ascoltando quanto Mu gli aveva appena tradotto. "Non può annullarsi per quel cretino."
"Non essere severo con Camus, non puoi sapere che cosa si cela nell'angolo più intimo del suo cuore." gli rispose Mu. "E poi, al posto suo non sai come avresti agito."
"Sì invece." lo corresse Milo. "Non sarei stato così avventato."
Mu scosse la testa.
"E' facile parlare quando sei al di fuori di una situazione." proseguì. "Stai aiutando Mei e ciò ti rende onore, ma pensa anche a Camus quando torneremo al Santuario. A modo suo sta soffrendo anche lui."
Milo stava per rispondere piccato quando Mei finalmente uscì dalla stanza.
"Soddisfatto? Sono anche in anticipo di cinque minuti rispetto quanto ordinato." commentò Mei, ironica.
Aveva intrecciato i capelli ancora umidi e tentato di coprire il colorito grigiastro del viso con qualche pennellata di fondotinta, ma i segni dei giorni trascorsi chiusa nelle quattro pareti della sua stanza si vedevano ancora bene.
"Bene. Mi conosci abbastanza da sapere che non parlo mai a vanvera quando minaccio qualcosa."
"Milo…"
"Oh, dimenticavo, mio signore… ciò che indosso è di vostro gradimento o devo provvedere a indossare qualcos'altro?"
Un respiro profondo.
"La mia risposta potrebbe non piacerti."
"No, perché se desiderate, potrei sempre prendere l'abito da sera nel baule di mia madre."
"PER LA MISERIA MEI, ORA BASTA!" sbottò Milo, afferrandola per un polso. "Basta!!!"
Riapparvero tutti e tre all'interno di una casetta dalle pareti bianco calce, in un luogo che Mei non aveva mai visto prima.
"Posso almeno sapere dove mi hai portato?"
Milo spalancò la porta della casa, mostrandole il mar Egeo.
"Milos, mio luogo di nascita e di addestramento."
Mei si guardò intorno.
"Ma… ti avevo detto che non avevo alcuna intenzione di venire qui! Non posso lasciare il Goro-Ho!"
Lui azzerò il proprio cosmo, quindi guardò i due amici.
"Rilassati, nessun trasferimento. Ti ho portato qui per farti mangiare." rispose, mentre Mu sgranava gli occhi. "Sì, per mangiare. Da sola non l'avrebbe fatto, quindi ecco che ci pensa thio Milo."
 
*
 
Camus volse lo sguardo a est, pensieroso: aveva chiaramente percepito gli spostamenti di Milo e di Mu: dalla Cina si erano mossi verso ovest fino a Milos e aveva chiamato a sé tutta la forza di volontà disponibile per non seguirli e scoprire che cosa stava succedendo alle sue spalle.
"Spero tu non stia facendo nulla di ciò che penso."
"Non sapevo di doverti avvertire anche per un piatto di trippa nella mia taverna preferita."
"Milo."
"Ho deciso di portare Mu a provare la favolosa trippa alle olive di Ireni."
"Xenia."
"Scusami?"
"Xenia. Se è la taverna che penso io, la proprietaria si chiama Xenia."
"Xenia, Ireni… che differenza fa?"
"Come pensavo. Non solo stai offendendo la mia intelligenza, ma continui a prendermi in giro." rispose. "Ma d'accordo, continua a farlo finché credi, ma sappi che se sei con chi penso io, e sono sicuro che lei è lì con te, d'ora in avanti ti converrà stare il più possibile lontano dalla mia casa."
Milo parve esitare un attimo.
"Parleremo quando torno."
Camus serrò i pugni.
"Non disturbarti." rispose infine, chiudendo la comunicazione telepatica con Milo.
Pestò un pugno sul parapetto di pietra accorgendosi solo in quel momento che in parte era ricoperto da una crosta -non troppo spessa, in verità- di ghiaccio.
Sto perdendo la ragione.
"Nobile Camus, siete atteso."
Espirò lentamente, quindi si girò e senza degnare d'uno sguardo l'ancella che l'aveva chiamato, si diresse al tredicesimo tempio.
Una volta all'interno, marciò dritto verso il trono, trovandolo vuoto.
"Per di qua, Aquarius." lo chiamò Ares, seduto con indolenza su un ampio rialzo coperto di cuscini e tappeti preziosissimi, attorniato da diverse ragazze come un sultano d'altri tempi nel proprio harem personale.
Come da prassi, s'inginocchiò e si tolse l'elmo, attendendo il permesso di rialzarsi, che arrivò poco dopo.
"Questa tua udienza giunge in un momento nel quale i miei compiti sono più che mai impegnativi."
Camus non perse tempo a guardarsi intorno, si limitò a tenere a freno la lingua e l'ironia che aveva imparato a usare grazie a Milo, per rispondere con molta diplomazia anche se era palese la natura dei compiti appena interrotti.
"Me ne rendo conto, Eccellenza." rispose.
Ares gl'indicò l'angolo opposto del rialzo e, dietro la maschera, sorrise.
"Prendi posto, mettiti a tuo agio mentre mi spieghi il perché di questa riunione."
Non aveva alcuna intenzione di imitarlo: la lascivia era un atteggiamento che non l'aveva mai sfiorato in passato quand'era solo, figurarsi in quel momento. Lasciarsi toccare da quelle ragazze, o da qualunque altra ragazza, avrebbe infranto una tacita promessa che aveva fatto a sé stesso e a Mei, il giorno in cui se n'era andata, una promessa che riteneva sacra.
"Preferisco restare qui." rispose, con fermezza.
"Oh, d'accordo." sogghignò Ares. "Non sai a cosa rinunci, però."
Passò in rassegna, rapido, le fanciulle: alcune carine, altre piuttosto belle. Quelle ragazze potevano anche avere forme scultoree e perfette e curve invitanti, capelli d'oro o cioccolato, occhi d'ametista o grigio perla, ma nessuna di loro era lei.
A quelle oche arrendevoli preferiva di gran lunga una ragazza che a dispetto delle altre aveva un carattere particolare –impossibile, si corresse-, occhi semplicemente verdi e imperfetti capelli neri, di quelli che la mattina la facevano assomigliare a un leone con la criniera scomposta piuttosto che a una modella patinata appena uscita da una sessione di trucco.
Non sapeva a cosa rinunciava, ma sapeva che cosa avrebbe perso.
D'un tratto però, sentì una mano insinuarsi tra i suoi capelli e giocare sinuosa con essi fino a sfiorargli il collo: scattò rapido afferrando il polso di una delle ancelle che fino a poco prima era stata in adorazione di Ares: una ragazzina che non doveva avere più di diciassette anni, dalla pelle chiarissima e intensi occhi viola.
"Non farlo mai più." l'ammonì allontanandola con un gesto stizzito e fermo e con un tono di voce freddo come i suoi occhi, in uno sguardo che parve spaventarla. "Non sono interessato a questo genere d'intrattenimento." aggiunse, in direzione di Ares, che dopo qualche attimo si alzò, allontanando le fanciulle da sé.
"Cora, non otterrai nulla dal fedele Camus, mia cara. Egli appartiene già a una donna." lo prese in giro, non ottenendo alcuna reazione da parte dell'interessato. "Andate, riprenderemo più tardi." 
Camus attese finché le ragazze non furono uscite, quindi si schiarì la voce.
 
Ottenuto quanto richiesto al Grande Sacerdote, s'affrettò a tornare all'undicesima casa alla svelta, prima che Ares potesse tornare sui suoi passi e impedirgli di partire.
Uscendo dal tredicesimo tempio, incrociò ancora le stesse ragazze di prima; alla sua vista la fanciulla che Ares aveva chiamato Cora abbassò lo sguardo e si prostrò ai suoi piedi.
"Supplico il vostro perdono per avervi recato offesa, mio signore." balbettò la giovane, scossa.
Quasi provò pena per quella ragazza, che sicuramente era stata indotta a comportarsi in quel modo, poco prima in sala: sul polso spiccavano ancora i segni della sua presa e, pensò, doveva averle anche fatto male.
"Rialzati. E non chiamarmi signore." le disse, oltrepassandola.
 
 
*
 
Sotto continua insistenza di Milo, Mei aveva messo a tacere lo stomaco con due abbondanti porzioni di tyropita e una coppa di yogurt e miele.
"Cominciavo ad avere fame, in effetti." fece Mei, dopo aver spazzolato gli ultimi residui di yogurt.
"Ma dai?" la riprese Mu. "Il rantolo del tuo stomaco si sentiva fino in Jamir."
"Esagerato." replicò lei. "E' quest'aria di mare che mette addosso la fame… poi i vari chioschetti e bancarelle di stuzzichini aiutano…"
Lasciò vagare lo sguardo sull'Egeo e sul sole morente, mentre il suo stomaco continuava a protestare.
"Potresti accettare la proposta di Milo e sistemarti qui per un po'. Potrebbe farti bene cambiare aria."
"No. Avrei troppo tempo libero per pensare." replicò Mei. "Troverò un lavoro e m'iscriverò all'Università come avevo in programma di fare. Il passato appartiene al passato ed è lì che deve stare."
Milo si sedette di nuovo, posando una bottiglia d'acqua sul tavolo.
"Era lui." asserì Mei.
"Lui chi?"
"Andiamo, Milo. Quando comunicate tra voi percepisco chiaramente il vostro Cosmo. Ed era piuttosto arrabbiato."
"Sì."
"E sa che siamo qui. Cioè… che siete qui con me."
"Parlerò dopo con lui, ma come ti ho già detto, non devo dar conto a… lui di quel che faccio." ripeté Milo.
"Puoi anche pronunciare il suo nome, stiamo parlando di Camus, non di Lord Voldemort." sospirò Mei.
"Pensavo…"
"Cosa? Non è il suo nome che mi ferisce, è la sua costante presenza." obiettò lei. "Per smettere di pensarci dovrei strapparmi via il cervello e senza non si può stare."
Mu posò il bicchiere di retsina.
"…vuoi dire il cuore." la corresse.
"No. A quello ci ha già pensato Camus." replicò Mei. "Sentite, ho altri piani per la mia vita che  star qui con le mani in mano a piangermi addosso, visto che l'ho già fatto negli ultimi tre giorni."
"Ben detto."
"Parli sul serio o è l'alcool a parlare per te?" Mu indicò la bottiglia di retzina quasi vuota.
"Non ho bevuto, veramente." obiettò.
"Giusto." disse Milo. "Ti sistemi, vai ad abitare da sola, ti trovi un compagno e tutto questo sarà un ricordo."
Mei lo fermò.
"No, frena." disse. "Nessun compagno."
"Come?"
"Nessun compagno. Non metterò mai più la mia vita nelle mani di un uomo. Provvederò a me stessa e basta, d'ora in avanti."
"Ma sei giovane… piuttosto carina… non vuoi avere qualcuno che ti accolga, un domani, quando torni da lavoro e sei stanca? E che magari ti massaggi i piedi?" proseguì Milo.
Mei rise.
"Miei Dèi, no. Mi basterà un bel gattone o un cane. Sai, credo che solo un animale possa darti quel tipo d'amore incondizionato e fedele."
"Non hai mica intenzione di diventare una gattara acida?"
"Anche no. Un gattone e magari, come Samantha Jones, qualche bel fusto che mi scaldi di tanto in tanto."
Mu alzò lo sguardo e la fissò.
"Co…?"
"Scherzavo." lo tranquillizzò Mei.
 
Mu tornò al Santuario prima di Milo, lasciando che fosse quest'ultimo a riaccompagnare Mei a casa."Guarda che so benissimo che tutto il discorso di prima era un discorso fatto così, a caso." fece Milo.
"Ehi, non è vero. La mia prozia è esistita davvero ed ha vissuto davvero tutta la vita senza mai sposarsi. Si è divertita parecchio anche senza essere sposata." rispose Mei. "Ma… uhm… ha anche avuto dodici figli da otto uomini diversi..."
"…che cosa??!"
"Sì… mio padre non aveva una buona opinione di sua zia, ma comunque chi sono io per giudicarla? Sono fermamente convinta a non ripercorrere le sue orme, perciò tranquilli… non farò la stessa cosa. Divertirmi , cacciarmi nei guai come stava per succedere, no."
Milo piegò di lato la testa, guardandola.
"Quest'armatura che ti sei costruita addosso forse riesce a convincere Mu, ma non convince me. So che ti manca e non c'è nulla di male nell'ammetterlo. Camus manca anche a me se restiamo lontani per troppo tempo… insomma, è già dura sentire la mancanza del tuo migliore amico, figurarsi del tuo grande amore."
"Grande amore? Non starai sopravvalutando un tantino la cosa? Grande amore forse per me, ma non per lui. E poi… chi ti dice che sia stato grande? So come vanno queste cose, okay? Non sono stupida, so come va il mondo. Aveva voglia di compagnia, ha trovato me e… beh, ammetto che ci siamo divertiti… e ha chiuso la storia così come fanno tutti gli uomini o le donne che non vogliono impegnarsi. Succede."
Milo assottigliò lo sguardo.
"Ti ho già detto che con me la tua armatura non funziona?"
Mei si arrese.
"."
"Allora smettila di dire stronzate."
Come diamine spiegargli che in tre settimane non era riuscita in alcun modo a dimenticarlo, a farsi una ragione di quanto successo? Come spiegargli che aveva alternato momenti nei quali era stata apatica e incapace di non fare nient'altro a parte pensare e guardare il soffitto e altri momenti nei quali la rabbia era stata così esplosiva da offuscare anche la ragione?
"Bene, dai. Non mi resta che tornare alla base e affrontare quella zucca vuota." disse Milo. "Come ti ho già detto, aspettati altre visite, non intendo lasciarti sola."
Lei annuì, sorridendo appena.
"Se potessi…" iniziò poi, interrompendosi di colpo. Stava per chiedergli di fare cosa, per lei?
"Sì?"
"Nulla."
"Devo dirgli qualcosa?" intuì Milo.
Sì.
Che l'amava.
Che l'avrebbe aspettato, anche per sempre. Che avrebbe potuto mandarlo al diavolo come aveva già fatto, all'inferno, dappertutto e nei posti più balordi, ma che sarebbe andata ovunque, per riprenderselo. Avrebbe dovuto dirgli che per lui, avrebbe –citando un film- attraversato gli oceani del tempo, per ritrovarlo.
"Maledizione." Mei s'asciugò le guance. "Maledizione, non riesco a odiarlo come dovrei. Mi è entrato nella pelle, lo sento dentro di me come se… come se fosse impresso a fuoco sulla mia carne." 
"E' la stessa cosa che mi ha detto lui, tempo fa, su di te."
Stentava a crederci, ma non glielo disse.
"Non… non digli niente, okay? Per favore. Non dirgli quel che ho detto su di lui, non voglio diventare ancora l'oggetto del suo scherno."
"Tranquilla."
 
*
 
Entrò come una furia all'undicesima casa, sbattendo la porta e facendo quasi prendere un colpo a Camus, in salotto.
"L'hai uccisa."
Camus lo guardò.
"Excuse-moi?"
"Tu l'hai uccisa, Camus. Hai ucciso la Mei che abbiamo imparato a conoscere e al suo posto hai lasciato un relitto." sbottò Milo. "Si è reclusa in casa per tre settimane e negli ultimi tre giorni non ha fatto che dormire! Ha un aspetto pessimo ed è colpa tua."
"Si rimetterà in fretta." mormorò, in risposta.
"Sai bene che non sarà così. Sono stato da lei. Io e Mu abbiamo sudato sette camicie per convincerla a uscire da quella stanza, per convincerla a mangiare un boccone e smettere di dormire. Non è più una ragazza, è un relitto. Ed è colpa tua."
Camus tentò di mettere la discussione su un piano ironico.
"Oh, immagino fosse così malmessa da necessitare dell'arrivo del baldo cavaliere dalla scintillante armatura che la traesse in salvo dal cattivone di turno sul proprio candido destriero."
Milo frugò nei jeans e prese una piccola fotocamera.
"La tua definizione di malmessa si avvicina almeno un po' a questa?"
Consapevole che se non l'avesse guardata almeno una volta Milo non l'avrebbe lasciato in pace, Camus prese la fotocamera e sbirciò il display, zittendosi quasi all'istante e sgranando gli occhi: sguardo spento e occhiaie sotto gli occhi, colorito strano, zigomi pronunciati. I vestiti che parevano cascarle addosso.
"Questa non è Mei." mormorò.
"Sì invece, guarda bene."
"Non può essere."
Milo incrociò le braccia sul petto, assottigliando lo sguardo.
"…non riesco a odiarlo come dovrei. Mi è entrato nella pelle, lo sento dentro di me come se fosse impresso a fuoco sulla mia carne." ripeté, ottenendo l'attenzione di Camus.
"Come?"
"Avevo promesso a Mei di non dirti niente, eppure eccomi qui che infrango una promessa per cercare di farti capire che cosa hanno causato le tue azioni."
Camus poggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa tra le mani, come faceva quando era preda di una forte emicrania.
"… e che cosa potevo dirle? Oh, Mei, scusami. Devo chiederti di tornare in Cina, sai… domani, o fra settimane o mesi, ci sarà un attacco qui, e… vedi? Potrei morire, o uccidere tuo fratello." sbottò Camus. "Sii serio, dannazione."
Milo lo guardò, negli occhi uno sguardo di fuoco.
"E pensi di averle fatto del bene così? L'hai vista com'è, pensi che sia contenta? Io le avrei detto la verità, le avrei spiegato tutto, avrebbe capito. E avrebbe deciso da sola che cosa fare, come doveva essere."
"Sarebbe rimasta con me, e con lei qui non avrei combattuto con la necessaria lucidità. E metti che gli invasori siano davvero chi Arles ha profetizzato… tra loro potrebbe esserci suo fratello, con che coraggio le avrei chiesto di scegliere tra me, uno sconosciuto, e suo fratello? Hai idea di quanto tiene a lui?"
"E tu hai idea di quanto tiene a te?"
"No."
"Appunto. Senti, dopo sei libero di farmela pagare come mi hai promesso oggi, ma lascia che ti dica una cosa: fa' che tutto questo sia solo temporaneo, fa' che un domani, senza l'ombra della guerra, possiate riprendere da dove avete interrotto. Altrimenti la daresti davvero vinta a Shiryu." disse Milo. "E adesso dai, coraggio."
L'altro sospirò, stanco.
"Lasciami solo." replicò, alzandosi mentre continuava a premersi le tempie, la testa che gli pulsava dolorosamente.
"D'accordo. Cerca di abituarti, Cam, perché è esattamente così che finirai se continui a percorrere questa strada." replicò Milo, prima di lasciarlo solo, come egli stesso desiderava.
Al diavolo, pensò, andando nel suo studio a cercare gli antidolorifici nel cassetto della scrivania. Se è così che dovrò vivere, così sia.
Eppure, desiderò per un attimo essere diverso, essere un'altra persona. Essere un ragazzo comune e poter amare liberamente come chiunque, poter amare senza avere il terrore di danneggiare nessuno.
…dopo Joséphine, hai smesso di essere un essere vivente per diventare un cinico blocco di ghiaccio senza sentimenti!
Joséphine… ricordava ancora, a distanza di anni, l'ultimo sguardo di sua madre: un ricordo che gli gravava sul petto come un macigno, un ricordo che si andava sommando allo sguardo deluso e stanco di Mei.
Mi hai sempre presa in giro… sono insignificante, ma a letto non lo ero, vero?... vorrei non averti mai incontrato!
No, non lo era.
Se solo avesse potuto dirle tutto, se avesse potuto farle capire che l'aveva fatto per lei e per nessun altra, se solo avesse capito che avrebbe preferito morire piuttosto che ferirla in quel modo…
Diede un pugno alla prima cosa che gli capitò sotto tiro, pentendosene subito dopo.
 

***

Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 18 giugno 2015)
Lo so. Questo capitolo contiene qualche parolaccia e una frase alquanto colorita, chiedo venia.
By the way, passo alle note.
-"Eh bien, va donc te faire foutre!" è l'equivalente francese di "Ma và a quel paese!" E sì, ho volutamente trascritto la traduzione più "fine".
-L'Aviaria iniziò a svilupparsi all'incirca nel 2003, quando cioè è in parte ambientata la fic.
-Thio: zio
-Retsina: particolare tipo di vino greco
-"L’avrei mandato al Diavolo, all’Inferno, da qualunque parte, ma giuro, sarei sempre andata a riprenderlo." è una frase che ho beccato su Facebook e che, cercandola su Google, ho trovato in numerosi riscontri. Non conoscendo l'autore certo, rimando al primo blog nel quale l'ho trovata, questo.
-"Ho attraversato gli oceani del tempo per trovarti" è l'esatta frase che ho riadattato. Chiedo venia al grande Gary Oldman e al suo Dracula per averla indegnamente presa in prestito.
So di essere anche in ritardo con la long-fic principale e mi spiace per questo. Ho perso troppo tempo in chiacchiere e amenità varie e l'ho trascurata D: in ogni caso sto pian piano correggendo i vecchi e obsoleti capitoli e spero di proseguire con i nuovi quanto prima, stavolta senza incertezze e intoppi.
Ringrazio come sempre chi segue, chi legge e chi mi fa sapere che ne pensa, lo apprezzo sempre molto.
Alla prossima!
Lady Aquaria

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Capitolo 20
*** Trying not to love you. ***


capitolo 20 rivisto prequel
20.
Trying not to love you.

 

‘Cause trying not to love you, only goes so far
Trying not to need you, is tearing me apart
Can’t see the silver lining, from down here on the floor
And I just keep on trying, but I don’t know what for
‘Cause trying not to love you
Only makes me love you more
[Trying not to love you, Nickelback]
 
"Che maledizione hai combinato?"
Camus sollevò fugacemente lo sguardo dal proprio braccio.
"Allegro Chirurgo Live Edition." replicò ironico, iniziando a darsi i punti. "La missione di oggi è una sutura, quella di domani un'appendicectomia."
L'amico lo guardò con un sopracciglio inarcato.
"Hai già provveduto alla lobotomia, a quanto vedo." replicò Milo, ricevendo in risposta il dito medio. "Non prendertela con me, sei tu che mi servi le battutacce su un piatto d'argento. Mi spieghi che cos'è successo?"
Era tornato indietro non appena aveva avvertito il suo Cosmo agitarsi come raramente accadeva, quindi s'era trovato di fronte a quello spettacolo: schegge di vetro nel lavandino per metà pieno d'acqua insanguinata e Camus chino sul lavabo, intento a ricucirsi l'avambraccio.
Milo afferrò un asciugamano dal mobiletto e lo dispiegò.
"Guarda che macello… chi cavolo credi di essere? John Rambo? Ricucirsi il braccio da solo… ma dai, che cavolata. Muoviti, andiamo da Aphrodite." lo esortò, riuscendo a levargli di mano l'ago, mentre Camus s'avvolgeva il braccio nell'asciugamano. 
"Credevo di dare un pugno al muro, invece l'ho dato al vetro."
"Bravo." disse Milo, sbirciando i pochi punti messi un po' a sghimbescio e piuttosto distanziati tra loro. "Comunque come ricamatore fai davvero pena."
"Sai com'è, non stavo rammendando un calzino." rispose Camus, mentre entravano di soppiatto nella dodicesima casa, trovando Aphrodite intento a studiare.
"Avete una buona scusa per il vostro disturbo, immagino. Vi avverto: per studiare non sto dormendo da diverse notti, ho dato buca alla sosia di Anne Hathaway e ho l'esame a breve." li avvisò. "Se a causa vostra non riuscirò a studiare abbastanza e mi rovinerò la media con un voto scarso, potete anche dire addio alle vostre miserabili esistenze."
Milo sospinse Camus verso di lui, scostando l'asciugamano.
"E' una scusa abbastanza buona?" domandò, indicandogli il disastro con un cenno.
Gli occhi di Aphrodite s'illuminarono come per magia, come quelli di un bambino davanti ai cancelli di EuroDisney. Dopo qualche attimo di estatico silenzio nel quale aveva guardato rapace l'asciugamano che aveva praticamente cambiato colore, posò il libro sulla poltrona e gli dedicò subito attenzione.
"In bagno, subito." ordinò, gli occhi sgranati che brillavano di una luce che Camus definì agghiacciante.
"Comincio a pensare d'aver sbagliato a portarti qui." sussurrò Milo, ricevendo un'occhiataccia gelida.
"Ma che meraviglia! Una ferita da taglio!" continuava l'altro, sempre più su di giri, legandosi i capelli in una coda e iniziando ad armeggiare con i mobiletti del bagno. "Dal vivo è tutta un'altra cosa rispetto ai manichini con il sangue finto!"
"Anche io sono differente dai manichini: se mi fai male, ti sferro un gancio che te lo ricordi."
"Manichini?!"
"Ovviamente, sono ancora uno studente, i pazienti veri non li vedrò prima di anni." rispose Aphrodite.
Rincuorante.
"Aphrodite, devo iniziare a preoccuparmi?" fece Camus, guardando la miriade di oggetti che l'amico stava estraendo da una grande borsa nera per riporli ordinatamente su un asciugamano pulito.
"Per caso ho una bloody rose in mano?"
"No."
"Allora non hai nulla per cui preoccuparti." rispose Aphrodite, iniziando a detergere delicatamente l'area intorno alla ferita con i gesti quasi automatici e sicuri di un chirurgo in sala operatoria. "Okay… scherzi a parte, cos'è successo?"
"Il vetro della mia finestra."
"Incidente domestico?"
Camus inarcò un sopracciglio.
"No. Ero annoiato e non sapevo che fare."
Aphrodite gettò l'asciugamano sporco e sbuffò quando si accorse dei pochi punti messi da Camus.
"Odio quando voi profani tentate imprese che vanno palesemente oltre le vostre limitate capacità." commentò, esaminando la ferita. "Quanto sangue è uscito?"
"Beh, dovresti vedere il suo bagno com'è ridotto."
Camus riservò l'ennesima occhiataccia a Milo.
"Hey, guarda che la lingua per rispondere mi funziona ancora bene."
"Sei sicuro di sapere che cosa stai facendo, vero?" interloquì Milo, preoccupato.
"Sicuramente ne so più di te e di Rambo." replicò Aphrodite, indicando Camus con un cenno. "Vedo che hai usato banale filo di cotone e un ago da cucito, scommetto non sterilizzato. Ad ogni modo… non pare nemmeno profonda."
"Mi spiace averti deluso in tal modo, la prossima volta cercherò di trapassarmi il braccio da parte a parte."
"Sì, ti prego. Una ferita lacero-contusa con qualche tendine reciso sarebbe stata più gradita alla mia sete di conoscenza medica." convenne Aphrodite, inarcando un sopracciglio, contrariato da quel sarcasmo insolito e fuori luogo.
"Ma tu senti questo…"
"Milo, che cosa gli hai dato per renderlo così chiacchierone? Quasi lo preferisco quando è il solito insopportabile ghiacciolo."
"Ne dubito. Camus è ingestibile in entrambi i casi se decide di fare lo stronzo." rispose Milo.
Camus fece una smorfia sentendo il pizzicore del filo strusciare nelle carni, ma dopo qualche secondo, tornò subito serio.
"Mi dispiace, sono un po' lento con le suture. Se vuoi ho dell'anestetico nella borsa."
"Va bene così."
Aphrodite fece un mezzo ghigno.
"Però, quanta stoicità."
Per tutta risposta, Camus scostò i capelli dalla schiena e con la mano libera tirò su la maglietta, scoprendo il dorso e la cicatrice che l'attraversava.
"Ho passato di peggio."
"D'accordo, non parlo più."
"A proposito di ghiacciolo… se questa cosa arrivasse alle orecchie degli altri…"
"Fammi indovinare… mi congeli le chiappe?"
Camus assottigliò lo sguardo.
"So diventare più ingestibile di quel che pensa Milo."
Aphrodite diede volutamente uno strattone al filo e fece sobbalzare Camus, quindi si sporse verso l'amico.
"Anche io."
"Io non scherzerei con uno che ha dei bisturi a portata di mano." interloquì Milo, dalla parte opposta della cucina.
"Sei proprio uno stupido. Mai sentito parlare di segreto professionale?"
Milo intanto girovagava curiosando qua e là.
"Parlavi di lei, prima?" domandò, continuando a guardare la foto che l'amico aveva fissato al frigo con un paio di magneti, che lo ritraeva insieme a una gran bella ragazza.
"Ja." rispose Aphrodite, continuando a suturare senza distogliere lo sguardo. "Iris."
"Non esageravi quando dicevi che assomigliava all'attrice." commentò Milo.
Aphrodite ghignò appena, controllando la continuità dei punti appena messi. "Frequentiamo lo stesso corso."
"Visto che siamo in argomento, in che cosa vorresti specializzarti?"
"Sono indeciso tra pediatria e traumatologia." rispose Aphrodite. "E no, non fatemi battute squallide come Death, che vorrebbe spingermi verso ginecologia."
"Tipico di DeathMask." Camus alzò gli occhi al cielo.
"Lungi da me." rispose invece Milo.
"Secondo me, traumatologia. Senza dubbio traumatologia. Ti sei eccitato davanti al mio braccio, non mi è difficile immaginarti al settimo cielo un domani alle prese con addomi squarciati e fratture esposte." rispose Camus.
"Ecco, tu viaggi sulla mia stessa lunghezza d'onda. Traumatologia è la mia prima scelta, se dovessi fallire, cosa che non succederà mai, ho comunque pediatria." rispose Aphrodite. "Camus, qui ho finito. Mettiti l'anima in pace, ti rimarrà una cicatrice."
"Non m'importa."
"Sembra di vedere la cucitura dei tacchini ripieni che negli USA cucinano per il ringraziamento." commentò Milo.
"Quelli messi da Rambo invece erano più belli? Posso chiamarti Rambo, sì?"
"No, se vuoi che ti risponda." replicò Camus.
"Piuttosto, ragazzi… mi sembra superfluo dirvi di tacere, riguardo Iris. Finché questa situazione d'emergenza non si sarà risolta, è meglio che nessuno sappia della sua liaison con me."
"Sai che non sono tipo da pettegolezzi."
"Di te mi fido, infatti." Aphrodite guardò prima Camus, quindi Milo. "Temo la lingua lunga dell'aracnide."
"Sarò muto come un pesce." giurò Milo.
"Ti converrà esserlo o diventerai davvero muto. Come un uomo morto, però." minacciò l'altro, facendo comparire una rosa tra le sue dita. "Perché fonti certe mi dicono che non è una bella cosa morire grazie a una di queste. "
Milo deglutì nervoso alla vista della rosa nera.
"Io lo prenderei in parola." interloquì Camus, sistemando qua e là il bendaggio appena fatto da Aphrodite. "Grazie, comunque."
"Di niente. Ah, finché non guarisce, io mi fascerei l'altro braccio, come si faceva durante l'addestramento, sai. Da' meno nell'occhio rispetto a una fasciatura singola."
Camus si alzò dallo sgabello.
"Ci penserò, grazie."
"Non far cedere i punti o dovrò rimetterli da capo." si raccomandò Aphrodite. "Adesso fuori dai piedi, che se riesco a finire il capitolo in tempo forse riesco a chiamare Iris e fare del buon sesso telefonico."
Milo corrugò la fronte.
"Tu fai sesso telefonico?"
"Sì, ed è molto più eccitante di quel che credi." replicò Aphrodite.

"Bah." si lasciò sfuggire Camus.
"Uh?"
"Bah." ripeté. "Io sono un tipo all'antica, preferisco avere Mei tra le braccia piuttosto che dall'altra parte del filo."

Mei.
Serrò gli occhi. Perché era così complicato levarsela dalla testa?
"Hai detto…?"
"Sì, l'ho detto. E non ne voglio parlare." rispose a Milo, prima di tornare nella quiete di casa sua.

Andava tutto bene. Non c'era nulla per cui preoccuparsi: tutto procedeva per il meglio, così come sarebbe dovuto essere, andava tutto estremamente bene.
Varcò la soglia della sua casa con l'intenzione di spegnere momentaneamente il cervello e dormire, ma le sue intenzioni, l'avrebbe scoperto di lì a breve, sarebbero state stravolte.
"Chiunque tu sia, hai pochi secondi per uscire vivo da qui." sibilò, avvertendo una presenza in casa e sentendo la propria rabbia ritornare prepotente, come quel pomeriggio al tredicesimo tempio. Intravide dei movimenti in bagno, raggiungendo il malcapitato con ampie falcate. "Ti avevo avvisato!" aggiunse, fermandosi alla vista della ragazza tremante accanto al lavandino macchiato di sangue.
"Maledizione." imprecò, scaricando la Diamond Dust contro la vasca da bagno e congelandone il rubinetto. "Avrei potuto ucciderti! Che cosa ci fai qui?"
Tentando di calmarsi, Cora alzò lo sguardo e balbettò qualcosa in risposta.
"Mi hanno assegnata a voi."
"Oh, bene." mormorò Camus tra sé e sé, invitandola ad uscire dal bagno con un ampio gesto del braccio.
Assurdo. Aveva più volte detto che non aveva bisogno di un attendente, poiché perfettamente in grado di provvedere a sé stesso.
"Chi?" le domandò. "Chi ti ha mandata?"
Lei fece il nome di Fedra, l'anziana governante di Ares che, tra le tante mansioni, si occupava anche di coordinare le varie ancelle del Santuario.

Ares. Sicuramente era tutta opera sua.
"Ha detto che avrei potuto esservi d'aiuto con la vostra casa poiché siete solo."
"Con la mia casa o con me?" le domandò, secco, facendola arrossire. Chissà quanto si era divertito Ares a immaginarlo con una delle sue ancelle: molto probabilmente era tutto un piano per vederlo capitolare e poter avere qualcosa col quale ricattarlo.
Hey calma, non sei mica in un film di 007…
"Fedra sa molto bene che riesco a provvedere egregiamente a me stesso." aggiunse, incrociando le braccia sul petto. "E sa anche che fiuto una menzogna a chilometri di distanza, quindi te lo chiederò ancora una volta. Chi ti ha mandata davvero? Ares?"
"Vi ho già detto che è stata Fedra!" esclamò Cora, esasperata. "Ho scelto questa casa perché l'alternativa era la quarta."
Non era la prima volta che sentiva di ancelle terrorizzate all'idea di finire da DeathMask: tre di loro erano scomparse dopo essere state assegnate a lui e naturalmente la cosa, unita alla sua pessima fama di assassino senza morale, aveva scatenato una sorta di terrore cieco nei suoi confronti.
"Anzitutto non rispondermi con questo tono." l'ammonì. "Ad ogni modo non ho tempo né voglia di discutere. Torna da Fedra, non so come… impiegarti."
"Non voglio finire alla quarta casa… vi prego, non so dove altro andare!" con un gesto che Camus trovò fin troppo teatrale, Cora si prostrò di nuovo ai suoi piedi, piangendo.
Si massaggiò l'attaccatura del naso, domandandosi che cosa potesse aver mai fatto nelle sue precedenti vite per meritare simili grane in questa: doveva pur esserci un motivo. Aveva forse insultato o mancato di rispetto qualche divinità?
"Rialzati." sibilò. "Imparerai presto che con me queste patetiche scenette strappalacrime non attaccano. Vuoi restare? E sia. Ma ti avverto: se quanto accaduto oggi al tredicesimo tempio dovesse mai ripetersi, e spero per te che ciò non avvenga, sarò io stesso a portarti alla quarta casa."
Cora annuì, inchinandosi e seguendolo.
"Dunque… visto e considerato che sono obbligato ad averti tra i piedi, sono costretto a porre dei limiti. Puoi girare liberamente per casa e renderti utile come meglio credi. Ma la' in fondo c'è il mio studio e, poco prima, la mia stanza. Entrambe ti sono proibite." le spiegò Camus, perentorio. "Te lo ripeterò una volta soltanto: qualsiasi atteggiamento ambiguo nei miei confronti ti faranno guadagnare un viaggio di sola andata per la casa del Cancro."
"Va bene."
"E' tutto chiaro?"
"Molto chiaro, sign-…"

"Bene. Benvenuta all'inferno."
 
Nei giorni che seguirono, l'atteggiamento di Camus nei confronti di Cora non migliorò, anzi. Da qualche parte dentro di sé sapeva benissimo che quella povera ragazza non aveva fatto nulla per meritarsi il suo trattamento, eppure non riusciva ancora a levarsi dalla mente l'idea che Ares, attraverso di lei, stesse per giocargli un tiro mancino: era diventato così insofferente a quell'imposizione che Cora aveva imparato a rendersi invisibile, evitando di rimanere nella stessa stanza ed evitando persino, se possibile, di incrociare il suo cammino.
"Ehilà."
"Ciao."
Milo posò un telo su una panca e decise di iniziare l'allenamento quotidiano facendo qualche vasca in piscina.
"Come va il braccio?"
"Benone." rispose Camus, mentre Milo si liberava dei vestiti rimanendo con i calzoncini da bagno. "Chi ti ha fatto quel livido sulle costole?"

Di riflesso Milo si toccò la parte interessata con una smorfia.
"Lascia perdere. Qualche notte fa ho avuto un incubo, mi sono svegliato di soprassalto scivolando giù dal letto e ficcandomi l'angolo del comodino nelle costole. Non ti dico il dolore."
"E che hai sognato di tanto pauroso?"
L'altro fece mente locale.

"Ehm… sognavo di essere il Re Scorpione, sai, quello del film."
"Non mi dire."
"Credimi! "
"wefergserA un certo punto, mentre guidavo l'Armata di Anubi su Tebe…"
"Addirittura? Ehi, modera un po' il tuo Ego."
"…scoprivo di essere diventato una donna! Al che inizio a gridare e correre così forte che l'ambiente intorno a me diventa sfocato fino a diventare nero e sento la tua voce che mi dice Milo, tu sei l'Eletto!"
Camus sollevò entrambe le sopracciglia.
"Che cosa?"
"Io, l'Eletto? Non è possibile ti dico, così ricomincio a correre e salto da un tempio all'altro finché il programma si dissolve e io cado nel vuoto, che in realtà non era vuoto, ma solo il mio pavimento."
Un silenzio imbarazzante riempì ben presto lo spogliatoio della palestra.
"Quant'era forte lo spinello che hai fumato?"
"Giuro, nessuna canna. Facevo zapping ieri sera mentre ero mezzo addormentato dalla noia, saltando da un canale all'altro e niente, mi sono risvegliato proprio mentre Linda Blair vomitava in faccia al prete."
"Miei dei, ricordami di non venire mai a casa tua a guardare la tv." Camus rispose con una smorfia.  
"In verità, volevo parlarti di altro. Stamani sono stato al mercato."
Camus sollevò le braccia sulla testa allungandosi il più possibile, quindi iniziò a piegarsi verso destra e verso sinistra ritmicamente.

"…e hai bisogno di allenamento extra perché hai svaligiato di nuovo la bottega del pasticciere." ridacchiò. "D'accordo, fatti sotto."
Milo lo guardò.
"Come fai?"
"A fare cosa?" Camus corrugò la fronte, continuando il riscaldamento.

"A passare da stati di estrema bastardaggine a questi stati pseudo simpatici."
"Ho fatto qualcosa che può giustificare quest'affermazione?"
"Non a me. Come stavo dicendo, stamani sono stato al mercato e… mentre il fruttivendolo sceglieva le mie mele, ho sentito un certo discorso tra Asha e le altre ancelle." rispose Milo. "Sai, subito non ho capito di chi stessero parlando, ma a un tratto una di loro, credo si trattasse dell'ancella che si occupa della settima e della nona casa, ha detto qualcosa tipo gelido bastardo senza cuore e ho capito che stavano parlando di te."

Camus annuì.
"Gelido bastardo senza cuore. Avrei preferito: il francese dagli occhi di ghiaccio, ma non si può pretendere tutto dalla vita." replicò.
"Che hai combinato a quella povera ragazza?"
"All'ancella della nona casa? Niente, nemmeno la conosco!"
"Parlo della tua attendente. Ho sentito dire che l'hai trattata male."

Camus cambiò espressione.
"Ciò che succede dentro le mura della mia casa riguarda solo me." rispose. "Cora ha tendenze melodrammatiche, per lei anche uno sguardo equivale a un maltrattamento."
"Sì, li conosco i tuoi sguardi. Altro che maltrattamento, tu sei capace di uccidere con uno sguardo."
"Magari fossi capace di farlo." ribatté Camus. "Non ho più voglia di tirare pugni, credo che andrò a correre."
"Sai, esiste un luogo chiamato aggressività passiva e tu sei il suo re." disse Milo. "Ma so che da qualche parte lì dentro, dietro quella maschera, c'è ancora il mio migliore amico, l'uomo che stimo più di chiunque altro al mondo. Lascialo uscire, non lasciarlo sotto chiave per sempre."
"Il problema è, Milo, che la chiave che tiene chiusi il vecchio Camus e il suo cuore… quella chiave… non ce l'ho io." rispose, prima di lasciarlo solo nella grande palestra.
 
*
 
Seduta in compagnia di Mu, Mei stentava ancora a credere a quello che le stava succedendo.
Quando quella mattina si era presentata in ospedale, era sicurissima di dover essere operata di appendicite o di essere schiaffata in quarantena grazie al nuovo terrificante ceppo influenzale che stava terrorizzando mezzo mondo. Invece la realtà dei fatti l'aveva colta di sorpresa come un temporale improvviso: dopo quasi un'ora di attesa preda di sudori freddi, nausea e capogiri e un altro paio d'ore di esami e visite, il medico che l'aveva visitata aveva escluso l'aviaria e, soprattutto, l'appendice infiammata.
"Mi dispiace averti disturbato e averti costretto ad aspettare quasi quattro ore, ma il Maestro non può muoversi e se avessi portato Shunrei con me, Shiryu avrebbe iniziato a fare troppe domande." spiegò Mei. "E sei il solo di cui possa fidarmi, in questo momento."
"Nessun disturbo." rispose Mu, sorridendo. Quando Mei l'aveva chiamato si era stupito non poco, soprattutto per la richiesta che gli aveva fatto. "Sono contento di sapere che non hai nulla di grave, stamattina eri…"
"Stamattina ero in uno stato pietoso." l'interruppe Mei.
"Stavo per dire che stamattina non eri per niente in forma." proseguì Mu. "Per fortuna non si tratta né di aviaria né di appendicite, come pensavi. Scusa se mi permetto, ma alla fine che cos'era?"
"Un brutto calo di pressione, ha detto il medico. Ha anche aggiunto che sudori freddi, nausea e capogiri sono sintomi piuttosto comuni e che comunque tendono a scemare dal secondo trimestre in poi."
Mu sgranò gli occhi.
"Sei…?"
"Già. Il che mi risolleva il morale, ero terrorizzata dall'idea di morire sotto i ferri."
"E ti ha detto da quanto tempo sei incinta?"
"Cinque settimane." rispose Mei, un po' brusca, fulminandolo con lo sguardo. "Credo proprio sia di Camus, visto che non ho avuto uomini al di fuori di lui, né prima né soprattutto dopo averlo conosciuto."

"Non metterti sulla difensiva, non intendevo insinuare nulla. M'interessava sapere quand'è prevista la nascita." rispose Mu, paziente.
"Prima settimana di febbraio, probabilmente intorno al sei."
Mu sorrise.
"Pensa un po'. Alla vigilia del suo compleanno."
"Sì, sembra fatto apposta." rispose Mei. "Come se avessimo studiato a tavolino quando concepirlo."

"Beh, un dono piuttosto insolito per festeggiare, ma pur sempre un dono. Camus ne sarà contento."
"No." Mei scosse la testa. "No. Lui non lo deve sapere."
"Come?"
"Camus non deve sapere di questo bambino. Dati gli ultimi sviluppi, penserebbe chissà cosa, che magari la mia intenzione era quella di farmi mettere incinta e di intrappolarlo con una gravidanza."
"Se parliamo della stessa persona dubito seriamente che possa raggiungere tali livelli di malignità." la corresse Mu.
Mei scosse la testa.
"Tu non hai sentito le sue parole né hai visto la sua espressione gelida mentre mi sputava addosso ogni sorta di veleno." rispose. "Non sai che cos'ho dovuto sentire."
Guarda in che guaio mi sono cacciato solo per aver cercato un po' di compagnia.
Scacciò quelle parole e sbuffò: chissà che cosa le avrebbe vomitato addosso scoprendo della sua gravidanza.
"Posso solo immaginarlo, ma quello che c'è stato tra voi due non c'entra nulla con questa creatura. Devi permettere loro di conoscersi, permettere a Camus di conoscere suo figlio e viceversa. Non puoi davvero pensare a una cosa del genere, è una crudeltà gratuita che Camus non merita, qualunque cosa ti abbia detto."
"Non voglio impedirgli di conoscere suo figlio, ma prima che ciò avvenga intendo dimostrargli che so cavarmela benissimo da sola, senza il suo aiuto… che tra l'altro non voglio." puntualizzò ancora Mei. "Vorrà dire che rimanderò l'università e nel frattempo cercherò un lavoro per mantenermi. Ma da lui non voglio nemmeno uno yuan."
Mu scosse la testa.
"E' una pessima idea."
Mei annuì.
"Sì. E' stata davvero una pessima idea. Dovevo arrangiarmi da sola come ho sempre fatto, non so perché ti ho chiamato."
"… non essere testarda come tuo fratello." la fermò. "Non ti sto dicendo di dirglielo perché voglio importi la mia volontà, ma perché Camus prima o poi lo verrà a sapere, e saperlo da qualcun altro lo manderà in bestia."
Mei si riavviò i capelli in un gesto nervoso.
"Sarebbe una cosa che sono in grado di gestire."
"Ah no, ne dubito." rispose Mu, alzandosi a sua volta, comprendendo che Mei stava per congedarlo. "Non dirò nulla come vuoi, ma quando Camus si arrabbierà al punto da ghiacciare l'intero Santuario per settimane e verrà qui furioso a chiederti spiegazioni…!"
"…non dire che non te l'avevo detto." Mei concluse al posto suo. "Non succederà. Camus arrabbiato è l'ultimo dei miei problemi, so come gestire la cosa. Grazie per avermi accompagnata in ospedale, l'ho apprezzato molto."
"Di nulla. Abbi cura di te." replicò Mu, prima di sparire per tornare in Jamir.
Sgattaiolò silenziosamente in casa rintanandosi nella Stanza degli Avi e, una volta chiusa a chiave, s'inginocchiò sull'enorme cuscino di fronte al piccolo altare, l'ecografia in mano e tanti, troppi pensieri in mente.
Superata la sorpresa iniziale, ecco che erano subentrati i dubbi, più forti delle sue certezze e dei suoi buoni propositi: che cosa avrebbe fatto da quel momento in poi?
"Ecco una lista di integratori da assumere lungo tutto l'arco della gestazione." aveva detto il ginecologo del policlinico poco prima di congedarla. "Ci rivediamo per la seconda ecografia tra un mese e mezzo. Ammesso che lo voglia tenere, altrimenti può anche cambiare medico."
Aveva risposto scioccata e anche sgarbata all'uomo, ribattendo seccamente che non aveva alcuna intenzione di rinunciare a quel bambino.
Ma una volta esaurita l'adrenalina e la determinazione con la quale aveva risposto al dottore, ecco che altri dubbi l'avevano assillata: come avrebbe affrontato quell'esperienza senza nessuno accanto? Come avrebbe fatto a tirar su una creatura da sola, senza un riferimento paterno? Sarebbe stata una buona mamma come lo era stata sua madre per lei, e sua nonna ancora prima?
Posò l'ecografia accanto a sé e accese tre incensi verdi, quindi si chinò fino a toccare con la fronte il pavimento rivestito di tatami iniziando a pregare i suoi avi affinché l'accompagnassero benevolmente lungo i sette mesi e mezzo che sarebbero seguiti.
Mai come in questo momento ho bisogno del tuo aiuto, mamma. Tu hai allevato me e Shiryu, aiutami ad allevare questo bambino.
Sì, ma sua madre aveva cinque anni più di lei quando l'aveva avuta, anche lei era stata una giovane mamma, ma aveva cresciuto una bambina insieme a suo marito.
Per un solo breve istante, colta da un'ondata di sconforto insolita per lei, pensò che, forse, aveva ragione Mu, Camus avrebbe dovuto sapere di quel bambino e aiutarla, forse doveva mettere da parte l'orgoglio e assicurare a suo figlio, al loro figlio, un futuro con entrambi i genitori…
"Miei Dei, che cos'ho fatto?"
…questo, finché non avvertì la presenza di qualcuno accanto a sé.
"Degél." disse, a mo' di saluto.
"Mei." le rispose lo spirito, cordiale. "Temo di essere ambasciatore di cattive novelle."
Oh, bene. Quella giornata prometteva di terminare così com'era iniziata: in maniera memorabile.
"Si tratta di Camus?" gli domandò, sentendosi una sciocca subito dopo: avrebbe voluto prendersi a schiaffi sia per la domanda che aveva appena rivolto a Degél, sia per il tono da ragazzetta sentimentale che aveva usato.
Degél sorrise.

"No. Lui sta… bene." disse, esitando sull'ultima parola. "Non preoccupatevi per lui."
"Avete esitato." gli fece notare Mei. "Lui non sta bene."
"Ci pensate ancora."
"Penso a lui ogni giorno." rispose Mei, senza esitazione. "Penserò sempre a lui. E d'ora in avanti anche questo bambino mi farà pensare a lui."
Il bambino che avrebbe cresciuto da sola, tra l'altro, ma non lo disse a voce alta.
"Non mi avete risposto, comunque." disse Mei. "E non vi lascerò in pace finché non mi avrete risposto."
Degél la guardò con occhi sgranati.
"Come, prego?"
"Mi avete sentito." replicò Mei. "E pazienza se vi manco di rispetto parlandovi in questo modo e che molto probabilmente inizierete col perseguitarmi, ma vi ho fatto una domanda e vorrei una risposta, se non vi dispiace. Lui come sta davvero?"
Degél annuì, incrociando le braccia sul petto.
"Vi ha mai detto nessuno che siete-…?"
"Irrispettosa, arrogante, insolente, sfacciata e sfrontata? Lo so."
"…insolita." rispose Degél. "Almeno per me. Non sono abituato ad avere a che fare con donne con il vostro carattere."
"Prima vorrei la mia risposta, poi parleremo delle donne che avete frequentato."
"Adesso siete insolente." disse Degél.
"D'accordo, ma state tergiversando. Come sta lui?"
L'espressione stupita di Degél si trasformò in un sorriso.
"Molto bene. Allora perché non iniziate a chiamarlo col suo nome, dato che dobbiamo parlare di Camus?"
"Certo. Allora come sta Camus, davvero?"
"Il suo umore è molto peggiorato. Sembra sia diventato insofferente a ogni cosa e, mi duole ammetterlo, anche sgradevole." rispose Degél, sempre ben attento a che cosa rivelare. "La corazza che sta erigendo per proteggersi diventa spessa di giorno in giorno."
Mei sospirò.
"A lungo andare quel freddo finirà con l'ucciderlo." mormorò. Scosse la testa come per cacciare via quei pensieri e sorrise a Degél. "Ecco. Adesso potete anche parlarmi di quelle cattive novelle."
"Oh, certo. Temo abbiate sollevato le ire di vostra madre."
Di bene in meglio.
"Cosa intendete dire?"
Degél parve scegliere con cura le parole da utilizzare, e nel mentre Mei lo vide girarsi più volte alla sua destra, come se qualcuno gli stesse suggerendo cosa dire.
"Madame Letizia… e vi prego di non serbare rancore nei miei confronti in quanto umile ambasciatore, mi manda a dirvi che si sente delusa dal vostro comportamento di poco fa. Dice che ha allevato una ragazza forte affinché diventasse una donna ancora più forte e che quanto successo si addice veramente poco a voi."

"A chi lo dice…" commentò Mei, asciugandosi le guance col dorso della mano. "A volte vorrei prendermi a sberle."
Cosa le era passato per la mente? Tornare da Camus con la coda tra le gambe, implorando il suo aiuto e umiliandosi in quel modo di fronte a un uomo che l'aveva già umiliata e derisa abbastanza… che sciocchezza assurda.
"La sola persona verso la quale nutro un profondo rancore è la sottoscritta, nessun altro." sospirò Mei. "Mi sembra strano dire certe cose, ma… quando… ehm… vedete mia madre, ditele che non avrà più alcun motivo di sentirsi delusa."
"Lei vi sente già, Mei. E' qui, ma è uno spirito ancora troppo giovane e inesperto per essere in grado di palesarsi. Ora sono desolato, ma devo lasciarvi."

"Un'ultima cosa, poi prometto che cercherò di non darvi più fastidio."
"Ditemi."
"Quella volta che mi avete impedito di girare le ultime tre carte… era questo che mi avete impedito di vedere?"
"Come vi ho già detto, non posso rispondere a questa domanda."
"Alla prossima, allora." lo congedò Mei, senza insistere.
"Au revoir, Mei."
 
*
 
Quando rientrò dopo due ore di corsa, era fradicio e aveva i muscoli doloranti: aveva corso finché l'acido lattico non l'aveva costretto letteralmente in ginocchio, in spiaggia, costringendolo a fermarsi e pensare.
"Maledizione."
Così non poteva andare avanti, aveva bisogno di allontanarsi da tutto e da tutti, ma finché Ares non gli accordava il permesso di allontanarsi per il periodo che aveva richiesto all'ultima udienza, non poteva lasciare il Santuario.
Quando sarò abbastanza tranquillo potrò accordarti il permesso che desideri, Camus. Fino ad allora, sei necessario qui.
Pestò un pugno sulla sabbia, frustrato, ricavandone nient'altro che un dolore sordo al braccio, segno che con ogni probabilità i punti messi da Aphrodite s'erano staccati.
"Così non va bene. Non pensarci o va a finire che impazzisci."
Non pensare a lei, concentrarsi solo sul suo compito… cose semplici in apparenza, ma piuttosto difficili da portare a termine, se ogni angolo di casa gli ricordava Mei: sul cassettone gli oggetti che le aveva donato erano ancora dove lei li aveva lasciati quel pomeriggio, nel cassetto del comodino c'era ancora la maglietta dei Kiss che nella fretta aveva dimenticato sotto il cuscino e in bagno, sul lavandino, la matita nera che sicuramente non aveva visto mentre raccoglieva le sue cose.
"Sto già impazzendo." 

***

 

Lady Aquaria's corner
(Capitolo revisionato in data 20 giugno 2015)
Oh signur, ecco che la mia Grey's dipendenza ciccia fuori nei modi più imprevedibili... e se nelle sere estive con i palinsesti vuoti come Torino in agosto decidi di riguardare TUTTO Grey's Anatomy dopo aver rivisto la trilogia di Rambo per la miliardesima volta, capita anche questo, di scrivere di Camus che si ricuce allegramente da solo: manca solo il colonnello Trautman, poi avrei fatto l'en plein. XD
Povera me.
Poi, come se non bastasse, la notizia che Milo, in LoS, è donna. No, aspettate. Parliamone.
Ha fatto venire gl'incubi a me, figuratevi a lui.
Tornando seria… nonostante la mia lentezza, sono felice di vedere che qualche anima pia segue ancora le mie storie. A loro il mio grazie di cuore.
 
-Linda Blair interpretò la ragazzina indemoniata dell'Esorcista;
-"Esiste un luogo chiamato aggressività passiva e tu sei la sua regina" sarebbe la frase originale, simpaticamente rubata al bel Derek Shepherd;
-"…tre incensi verdi" secondo alcune credenze cinesi, l'incenso è un modo che i vivi hanno per comunicare con i defunti o con le potenze divine; a seconda delle varie culture, comunque, le regole impongono di accendere incensi in un determinato numero e/o colore a seconda di ciò che ci si appresta a fare: per onorare o comunicare con gli Dei si accendono incensi rossi (se la divinità è vegetariana gli incensi saranno gialli) e se invece ci si appresta a comunicare con gli spiriti, si accendono incensi verdi, di solito in numero dispari, uno o tre.
Grazie come sempre, alla prossima!

Lady Aquaria

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Capitolo 21
*** Dimentica. ***


capitolo 21 prequel revisionato
21.
Dimentica.
Dimentica l'amore e forse
anche il dolore passerà

dimentica le cose belle
e tutto il male sai
di colpo sparirà...
…dimentica tu fallo per me
che ancora non so
dimenticare te…
[Raf – Dimentica]
 
Quello che seguì fu un periodo relativamente tranquillo, anche se Camus avrebbe preferito rintanarsi nella sua amata Siberia fino alla tanto temuta guerra, piuttosto che trascorrere l'attesa, che diventava ogni giorno sempre più snervante, al Santuario.
I suoi giorni, indipendentemente dal caldo torrido di quell'estate o dalle prime piogge autunnali, erano diventati ripetitivi: duro allenamento tutte le mattine –anche se agli esercizi preferiva la scherma con Shura o il karate con Milo o Aphrodite-, pranzo, studio intensivo fino a tarda sera e, dopo lo studio, si coricava molto presto, spesso dopo aver saltato la cena. 
Non lasciava spazio ai pensieri neanche un istante: l'ultima volta che aveva pensato a Mei aveva quasi ceduto al desiderio di recarsi in Cina e implorare il suo perdono.
Una cosa, quella, che non avrebbe potuto mai permettersi di fare, per il bene di entrambi.
 
Rientrando in casa dopo il consueto allenamento con Shura, trovò Cora in cucina, sul volto un'espressione poco amichevole.
"Maestro." lo salutò.
"Cora."
"Vi siete allenato anche questa mattina."
"Come sempre." replicò Camus, infilando nel cesto dei panni sporchi gli indumenti che usava per la scherma e il karate. "Le mie abitudini ti creano fastidio, forse?" aggiunse, ironico.
"Ieri sera non avete cenato." rispose Cora, indicando il vassoio che gli aveva lasciato sul tavolo e che aveva ritrovato quella mattina ancora intonso.
"Non avevo fame."
"E neanche la sera prima."
"Non avevo fame neanche la sera prima."
Cora ripose la ciotola di zuppa in frigorifero insieme all'insalata e alla trota che gli aveva cucinato.
"E' un peccato divino sprecare il cibo in questo modo. Non potete allenarvi come un indemoniato senza nutrirvi: state dimagrendo a vista d'occhio! Il vostro corpo prima o poi vi presenterà il conto."
Sbuffò irritato dall'insistenza di Cora.
"Vorrà dire che lo pagherò."
Cora scosse la testa.
"Quando succederà, e credetemi, succederà… sarà troppo salato, persino per voi."
 
**
 
16 novembre, Goro-Ho.
Dal canto suo, a Mei non andava poi così meglio: se al Santuario Camus continuava a perdere peso, Mei lo acquistava di settimana in settimana, seguendo rigorosamente le istruzioni del ginecologo. Tuttavia il suo piccolo equilibrio interiore, recuperato a fatica dopo il ritorno da Atene e mantenuto intatto grazie anche al lavoro che aveva trovato –insegnante di Taijiquan in un dojo in città-, era stato nuovamente incrinato grazie al fratello, che, una volta scoperta per caso la gravidanza, non le aveva dato tregua finché non era finita in ospedale: Shunrei le aveva raccontato che il Maestro l'aveva affrontato fuori di sé dalla rabbia.
"Non l'avevo mai visto così furioso, ho avuto paura, credimi."
Mai come la paura che aveva avuto lei, al pensiero di poter perdere la sua bambina. Le ore in ospedale, preda di doloretti vari dovuti all'estrema rabbia che aveva provato e alla tensione che era seguita, erano state atroci.
 
"Non ti faccio visita da giorni." osservò Milo dopo essere arrivato, puntuale come sempre, al Goro-Ho. "Ti chiedo scusa. E' che al Santuario ci sono state delle ribellioni e ho avuto diverse gatte da pelare."
"E hanno mandato te?"
Non comprese il tono che Mei aveva usato, tuttavia rispose tranquillo.
"O me, o DeathMask. E sai, meglio morire alla svelta e in maniera più o meno indolore che subire le peggiori torture."
Mei continuò a stendere il bucato senza voltarsi.
"Capisco."
Percepì un tono di voce parecchio strano in lei: qualcosa non andava bene? Era forse legato al bambino che portava in grembo?
"Tutto bene?" le domandò.
"Cosa ti fa pensare il contrario?"
"E' successo qualcosa."
"No."
"Non era una domanda." replicò Milo. "Mei, guardami. Guardami e dimmi che va tutto bene, se ci riesci."
La sentì sospirare.
"O me lo dici tu, o sarò costretto ad acchiappare tuo fratello ed estorcergli la verità con la forza." insistette. "Dopo il mio trattamento non so quante possibilità avrà di sopravvivere, ma va beh, a quello penseremo dopo."
"Ecco, sei contento?" sbottò Mei, voltandosi. "Non sto bene, ho trascorso le ultime quaranta ore in ospedale."
Il suo pallore e le occhiaie che le cerchiavano di scuro gli occhi lo spaventarono non poco.
"Che cosa è successo?" domandò, sentendosi il cuore in gola. Se fosse successo qualcosa a lei o al bambino e Camus l'avesse scoperto, l'avrebbe ucciso per non averla protetta abbastanza.
Gli avrebbe fatto passare le pene dell'inferno per non averlo informato della gravidanza, ma l'avrebbe sicuramente anche ucciso se le fosse successo qualcosa.
"Ho trascorso gli ultimi due giorni in ospedale, dove mi hanno ricoverato d'urgenza." spiegò Mei, riluttante. "L'ira quasi mi stava provocando un aborto. Argomento che, tra le righe, è stata la causa del mio malessere."
"Tu cosa?" esclamò Milo, prendendola per le spalle.
Aveva tenuto nascosta la gravidanza al fratello in ogni modo possibile approfittando della sua cecità, finché il fato non ci aveva messo lo zampino. Le parole che aveva rivolto a Camus erano irripetibili, ma ancora di più le parole che erano seguite dopo.
"Non penserai davvero di tenerlo?"
"Non ho mai pensato il contrario."
"Fossi in te prenderei in considerazione l'idea di abortire. Anzi, credo dovresti farlo."
Mai aveva provato una rabbia così smisurata.
"Pensaci, non è un'idea così malvagia." aveva detto Shiryu, massaggiandosi la guancia dolorante.
"Sparisci dalla mia vista, verme."
"Devi almeno pensarci. Come intendi crescere questo bambino?"
"A costo di fare ogni sacrificio possibile, a costo di fare anche tre lavori al giorno e spaccarmi la schiena per lui, ecco come intendo crescerlo."
"Senza padre? Che vita avrebbe questa creatura senza padre?"
"Gli farò da madre e padre, se necessario."
"Crescerà insieme agli altri bambini del villaggio che lo scherniranno perché bastardo. Le donne ti additeranno come una sgualdrina facile che si è fatta fregare da un laowai. Non sarai più libera nemmeno di andare al mercato! Nessuno ti assumerà, nemmeno per fare pulizie!"
"Allora lascerò per sempre questo posto."
"Non dire assurdità."
"Ascoltami bene, Shiryu. Dovessi anche finire col prostituirmi e vivere in un monolocale a Pechino mangiando solo sedano e acqua per garantire a mia figlia una vita dignitosa e tutto ciò di cui avrà bisogno, non ti darò mai la soddisfazione di vedermi strisciare ai tuoi piedi in cerca d'aiuto. Mai!"
"Dèi del cielo, Mei!"
"Stai tranquillo, il pericolo è passato e stiamo bene." rispose. "Non mi aveva mai parlato così. Prima dell'arrivo del Saint di Cancer, quel giorno, era una persona del tutto diversa."
Probabilmente DeathMask aveva in qualche modo trasmesso qualche microscopica parte della propria crudeltà a Shiryu, durante quell'attacco: eventualità molto rara, ma non impossibile.
"…per carità, non dirlo a nessuno."
"Certo che non lo dico a nessuno. Camus soprattutto, se non vuoi rendere vedova Shunrei prima ancora d'avere possibilità di sposarsi con tuo fratello." rispose Milo. "Con ogni probabilità, Camus sarebbe capace di uccidere anche me, se ti accadesse qualcosa."
"Perché mai dovrebbe?"
"Uhm… perché si preoccupa? Perché il suo primo pensiero al risveglio e l'ultimo prima di dormire sono rivolti a te?" esclamò Milo. "Credo che lui sappia benissimo dove vado quando mi assento dal Santuario. E non poter venire qui ad accertarsi di persona sul tuo stato di salute lo fa impazzire: ricordi quando io e Mu ti portammo a Milos per farti mangiare? A tua insaputa, e mi dispiace dovertelo dire così, ti scattai una foto e… una volta a casa, affrontai Camus facendogliela vedere."
Si ricordava eccome, in quel periodo era in uno stato pietoso.
"L'avrai traumatizzato, poveraccio." scherzò Mei. "E in tutto questo, dovrebbe fartela pagare perché vieni a farmi visita? Che assurdità."
"Beh… davvero non immagini il perché? E' geloso, anche se non lo ammetterebbe mai, nemmeno sotto tortura." rispose Milo.
Mei posò un paio di maglioni nel cesto del bucato.
"Altra assurdità. Sei un bravo ragazzo, Milo, davvero. Ma non sei il mio tipo e comunque, non ti ho mai visto sotto quest'aspetto." disse Mei, ferma. "E poi… ci si preoccupa e si è gelosi verso chi si ama, non verso chi ti è indifferente."
Milo le raccolse il cesto e si offrì di aiutarla.
"Sbagli, Mei. Per lui non sei affatto indifferente, credimi."
Sbatté una tovaglia nel cesto che Milo portava sottobraccio con più forza del dovuto e per poco non gli fece rovesciare tutto in terra.
"Si permette il lusso di essere geloso perché non gli sono indifferente, ma allo stesso tempo mi ha cacciata. Eppure non si dovrebbe essere gelosi di un gioco: guarda in che guaio mi sono cacciato per aver cercato un po' di compagnia. Guarda che non ho l'Alzheimer, ricordo ancora troppo bene le sue parole. Sono stata un bel passatempo e una facile preda, nient'altro. Io cinese, noi cinesi sciocche e stupide bamboline olientali." rispose Mei, caustica, posandosi le mani sul ventre. "Oh no. Te lo prometto, non mi arrabbierò più." aggiunse, in cinese, rivolta al bambino.
"Oddio no, Mei… no! Non è così. Déi, lui… " iniziò Milo "…non si dà pace. Ha eretto un muro altissimo tra sé e noi altri, quando cerco di parlare di te cambia discorso e diventa intrattabile."
Mei si asciugò rabbiosamente due lacrime.
"Però mi scaricata come una qualunque storiellina estiva." replicò. "Me lo merito d'altronde, non sono stata nient'altro che questo e me ne rendo conto solo ora. Alla fine ha ragione mio fratello, non sono che una sgualdrinella facile."
"Non osare mai più dire una cosa del genere! Maledizione, Mei, sono serio! Vorrei poterti spiegare, credimi. Vorrei poterti dire perché l'ha fatto." tentò di spiegarle. "Se sapesse che sei incinta, sono certo che amerebbe il vostro bambino così come ama te."
"Bambina."
"Prego?"
"Aspetto una bambina, una femmina." rispose Mei. "Grazie a Kwan Yin non è un maschio, ho pregato ogni giorno affinché me lo negasse, così almeno ho la certezza di non vedermelo portar via da Ares, un giorno. Ma è una femmina, e se anche per pura sfortuna ereditasse il Cosmo di suo padre, nessuno me la porterebbe via, poiché una donna non può aspirare a un'armatura d'oro."
Aveva pianto di sollievo per giorni interi quando l'ecografia le aveva confermato il sesso del nascituro.
Milo si schiarì la voce: a dire il vero, non era detto che una donna non potesse aspirare a una carica così importante, semplicemente nel corso della storia del Santuario non era mai successo prima che uno di loro mettesse su famiglia al punto da procreare e quindi trasmettere il Cosmo a un figlio. In ogni caso, se la creatura avesse ereditato davvero il Cosmo paterno –anche questa, eventualità rara, se non impossibile-, Mei, volente o no, avrebbe dovuto cedere la bambina così come le loro madri avevano dovuto fare con loro.
 
"Il tuo successore non è uno scavezzacollo come te, ma a quanto pare ha la tua stessa lingua lunga. Devi intervenire, Cardia. Io non ho potere sul tuo successore, ma tu, naturalmente, sì."
"Non ti agitare inutilmente, non le sta rivelando niente d'importante, stanno solo conversando."
Degél assottigliò lo sguardo.
"Sai anche tu che cosa potrebbe succedere se gli sfuggisse qualche parola di troppo."
Cardia levò gli occhi al cielo.
"Quella fanciulla è nata sotto il mio segno, ha un'anima molto robusta. La sottovaluti."
"In questo momento è solo una fanciulla gravida che teme di non poter crescere la sua creatura. Se il tuo successore le rivelasse qualcosa di troppo e lei si sentisse male, le conseguenze potrebbero essere disastrose."
"Conosci già il futuro, perché ti preoccupi tanto?"
"Quest'incognita non era prevista! Tu non comprendi la portata di quello che potrebbe succedere: se le capitasse qualcosa, Camus potrebbe anche non presidiare più la sua casa per starle vicino, l'esito della guerra sarebbe radicalmente diverso e il futuro prenderebbe direzioni che neanche noi siamo in grado di prevedere. Fermalo prima che possa dire cose delle quali potremmo tutti seriamente pentirci." 
Cardia sbuffò.
"E sia." rispose. "Però sono convinto che quella specie di scatola magica e quelle immagini in movimento che i nostri successori gradiscono tanto abbiano avuto effetti negativi sulla tua mente."
"Televisione. Si chiama televisione." lo corresse Degél.
"Come vuoi." rispose Cardia.
 
"A dire il vero…" s'interruppe Milo, portandosi d'improvviso una mano in testa. "Ahia!"
"Cosa c'è?"
"Credo che qualcosa mi abbia punto."
Mei corrugò la fronte.
"Vespe e calabroni dovrebbero essere in letargo, visto che fa freddo." rispose, allungando la mano e palpando il piccolo ponfo tra i capelli di Milo. "Ma posso sempre sbagliarmi."
"Pazienza, non importa. Brucia un po' ma non è insopportabile."
 
"Una Scarlet Needle. Hai usato una Scarlet Needle per zittire il tuo successore." esclamò Degél. "I miei complimenti."
"Sentirà bruciare per qualche ora, poi passerà. E' immune ai suoi colpi, stai tranquillo."
 
"…comunque mi spiace vederti così abbattuta. Un po' mi manca la Mei che rispondeva per le rime a Death, la Mei solare."
Mei sorrise amara.
"Quella Mei non la vedrai mai più. La Mei sciocca e ingenua pronta ad abbandonare tutto per seguire due occhi blu non esiste più, Milo. Se n'è andata insieme alla sua ingenuità."
Sapeva perfettamente che nessuna parola avrebbe potuto confortarla in alcun modo. Le sorrise triste, quindi le porse il cesto che si era portato appresso e che aveva messo da parte quando si era preoccupato.
"Ascolta… spero possa tirarti su il morale." le disse, porgendoglielo. "So che è il tuo compleanno, quindi auguri!"
"A parte il Maestro, sei il solo che se ne sia ricordato." sorrise Mei. "Ti ringrazio."
Scostò la prima pagina di un quotidiano ateniese col quale Milo aveva coperto il contenuto del cesto, e vi frugò dentro: un involucro da pasticceria, una rosa, una voluminosa busta argentata e un cofanetto di legno chiaro intarsiato.
Facile immaginare i mittenti dei primi due. Aprì la busta e dentro vi trovò una felpa dei Kiss nera, con il logo della band sul petto e The Demon sulla schiena.
"Tu sei tutto matto!" esclamò Mei, scoppiando a ridere. 
"Probabilmente ti andrà un po' larga, ma ho pensato potesse tornarti utile, visto che l'inverno è vicino e il parto è ancora lontano. Ti terrà al caldo." spiegò Milo. "Aphrodite dice che la rosa ti terrà compagnia molto a lungo senza appassire e beh, il dolce, come immaginerai, è da parte di Aldebaran."
"…e il cofanetto?"
Milo esitò.
"Quello… ehm…" mormorò. "Camus me l'ha mostrato stamattina, di ritorno da Atene. E' per te."
Mei sfiorò con delicatezza l'intarsio sul coperchio -una rosa dei venti con le indicazioni in un alfabeto a lei sconosciuto- e aprì lentamente il cofanetto esagonale: all'interno, un braccialetto d'argento con diversi ciondoli di cristallo raffiguranti le varie forme dei cristalli di neve.
"Si è ricordato…" mormorò, sfiorando le maglie che componevano il monile.
Le accarezzò la testa, con affetto.
"Certo che si è ricordato. Vedi che non sei indifferente ai suoi occhi?"
 
*
 
Tornato a casa dopo aver trascorso quasi tutto il pomeriggio con Mei, Milo posò il cestino di vimini sul tavolo, appuntandosi mentalmente di restituirlo ad Asha il giorno dopo, e sospirò, pensieroso: quell'ipotetica guerra aveva già combinato disastri prima ancora d'iniziare, aveva trasformato radicalmente –in peggio- le vite di tutti loro. Camus e Mei non potevano certo andare avanti così: pur fingendosi indifferenti, non riuscivano a smettere di preoccuparsi l'uno verso l'altra.
"Che cavolo di situazione." commentò tra sé e sé.
A essere proprio sincero, quel braccialetto Camus l'aveva sì comprato per Mei, ma non l'aveva incaricato di consegnarlo. Conoscendolo, si sarebbe irritato parecchio, anche se irritato non era affatto il termine più indicato.
Non osò immaginare che cosa avrebbe potuto combinare una volta scoperta sua figlia. A Mei non avrebbe fatto nulla di male, l'avrebbe strigliata per bene con una ramanzina epica, ma a lui, lo sapeva bene, avrebbe riservato –e a ragione- la parte peggiore: lui più di chiunque altro sapeva come avrebbe reagito Camus e quanto pericolosa poteva essere la sua ira.
Aveva promesso a Mei di mantenere il silenzio su quella creatura, ma anche a Camus aveva fatto delle promesse, quand'erano poco più che fanciulli.
In un modo o nell'altro, avrebbe comunque tradito la fiducia di uno dei due.
"Athena, aiutami. Mostrami quel che devo fare."
Perso nei suoi pensieri, avvertì appena, e solo all'ultimo, il lieve fruscio di stoffa nella stanza; affilò l'unghia, pronto a colpire l'impudente che aveva osato introdursi, e di soppiatto anche, nell'ottava casa. Non era tipo da perdersi in parole inutili quando doveva colpire, perciò caricò la Scarlet Needle e la lanciò, incurante: peggio per chi aveva osato violare le sue mura.
Ma, al contrario di ciò che accadeva sempre, non udì nessun gemito di dolore, solo uno sbuffo scocciato.
"Ma che accidenti... Cam!"
Brillavano di una strana luce gli occhi di Camus nella penombra della stanza, anche se il suo volto non tradiva la minima emozione, era come scavato nel ghiaccio.
Di solito, avrebbe commentato qualcuno, con la solita flemma che precede la tempesta.
"Che cavolo..." si lamentò Milo, accendendo la luce. "Mi hai fatto prendere un colpo."
Camus continuava a seguirlo con lo sguardo, restando seduto sulla poltrona del salotto con la solita aria gelida e imperscrutabile.
"Ti sembra il modo di fare, questo? Nella mia casa, al buio, a farmi prendere un mezzo infarto?? Se ti avessi colpito ti avreifatto male." aggiunse, indicandogli l'unghia, che si ritrasse tornando normale. "Molto male."
L'altro finalmente si decise a parlare. E la tempesta paventata prima, finalmente arrivò.
"Il tuo pomeriggio al Goro-Ho è stato piacevole?" domandò Camus, sempre calmo e glaciale.
"Il mio... cosa?"
"Non credere di poterti fare beffe di me come ti pare. Sono più intelligente di quel che credi. Sei andato in Cina, da Mei."
"Certo che ci sono andato, è il suo compleanno." rispose.
Camus annuì.
"Lo so che è il suo compleanno. Ma non si tratta solo di questo."
Ecco, ci siamo. Ora mi striglia per quel dannato braccialetto.
"Posso spiegarti." esordì.
Camus annuì, sogghignando ironico.
"Puoi spiegarmi." ripeté, caustico. "Sono curioso di sentire quali sciocchezze inizierai a propinarmi, dal momento che so già tutto."
Rimase a fissare il suo volto inespressivo per qualche secondo: esattamente, che cosa sapeva?
Difficilmente sapeva di sua figlia, o in quel momento non sarebbe stato così tranquillo.
"Che cosa sai?" domandò cauto, mentre Camus assottigliava lo sguardo.
"Ci stai provando con lei. Altrimenti per quale motivo da mesi ti rechi in Cina almeno due volte a settimana? Passi una volta, due, tre… ma qui si è superato il limite."
Boccheggiò, scosso dalle parole dell'amico.
Aveva frainteso tutto, considerava Mei una buona amica e non l'aveva mai vista sotto quella luce. Mai.
"Che cosa??" domandò, oltraggiato. "Spero tu stia scherzando!"
Camus si alzò, riducendo gli occhi a due fessure, iniziando a girargli intorno.
"Perché non vai a cercare compagnia altrove? Con la cameriera del pub di Megara, ad esempio. Vi spogliate con lo sguardo ogni volta che vi posate gli occhi addosso. Fai quello che più sei bravo a fare, ma non farlo con Mei."
"Fare il gigione con le ragazze, flirtarci e scherzare non significa saltare da un letto all'altro! Finché non faccio del male a nessuno, posso fare quello che mi pare, e non permetterti più di parlarmi in questo modo!" sbottò Milo, spintonandolo con malagrazia lontano da sé. "Chi credi di essere? Mio padre?"
"No, ringraziando gli Dèi. Ma vedi solo di stare lontano da lei o giuro che ti farò passare i quindici minuti più brutti della tua vita." minacciò Camus. "E sai che posso farlo."
Milo lo guardò, accorgendosi che con ogni probabilità l'amico non doveva essere del tutto in sé.
"Ne riparleremo quando sarai sobrio." disse, mettendo a tacere la vocina interna che gli consigliava di assestare un bel destro sulla mandibola di Camus. "Va' a farti una doccia fredda e a dormire, non sei in te."
Camus si voltò di scatto, bloccando la porta prima che Milo potesse chiuderla.
"Cosa ti fa pensare che sia ubriaco?"
"Se fossi sobrio non mi parleresti in questo modo."
 
Mattina, 17 novembre.
Impiegò qualche istante ad aprire gli occhi e mettere a fuoco il soffitto, in un bagno di sudore e preda di una strana spossatezza che non sapeva a cosa attribuire; Camus allungò la mano al comodino afferrando l'orologio, accorgendosi che erano le undici passate.
"Dannazione." borbottò, scostando le lenzuola e alzandosi. Ricadde sul letto come privo di forze e corrugò la fronte. "Okay, calma. A tutto c'è una spiegazione."
Raggiunto il bagno dopo vari tentennamenti, rimase diverso tempo di fronte allo specchio a domandarsi che cosa, esattamente, fosse successo la sera prima, per essere ridotto in quello stato.
C'era stata una qualche festa alla quale si era ubriacato al punto da non reggersi più in piedi?
Che sciocchezza.
No, doveva essere successo ben altro. Lui non si ubriacava praticamente mai.
"Maestro, come vi sentite stamani?"
Quando incrociò il suo sguardo, Cora strinse le lenzuola al petto, chinando il volto per non doverlo guardare, come ormai era abituata a fare.
"Come se avessi la febbre." rispose, sciacquandosi il volto con l'acqua fredda. "Dove sono stato ieri sera?"
"So che vi siete recato all'ottava casa, dalla quale siete tornato come se…" s'interruppe la ragazza.
"Come se?"
Cora sospirò.
"Come se foste un'altra persona." rispose. "Eravate fuori di voi dalla rabbia, blateravate qualcosa che non ho compreso, e vi ho sentito più volte lamentarvi, nella notte."
Annuì.
"Non ricordo niente di tutto ciò." disse infine. "Cora, sono stanco di parlare al tuo cranio. Puoi anche guardarmi quando ti parlo, ti assicuro che non mordo."
"Voi mi avete detto di non…"
"Ti dissi di non rivolgerti a me chiamandomi signore e di non entrare nella mia stanza e nel mio studio, ma non ti ho mai proibito di guardarmi mentre ti parlo."
Cora sollevò il volto dopo diversi secondi, accennando un lieve sorriso imbarazzato quando si accorse dello sguardo di Camus.
"Milo di Scorpio ha chiesto di voi, stamattina presto. Ha detto che vi attende all'ottava casa." disse, ricordandosi del messaggio che il Gold Saint le aveva affidato.
"Bene. Grazie." rispose Camus. Corrugò la fronte quando si accorse che Cora aveva lo sguardo fisso su di lui. "Cosa c'è?"
"Credo che vi abbia punto qualcosa, avete un brutto sfogo sul collo. Vedete? Proprio qui." gl'indicò, tenendosi a debita distanza: una specie di abrasione lunga un paio di centimetri,  larga quanto l'unghia del mignolo, dolorosa al tatto e circondata da un alone rosso.
Accidenti.
 
Dopo una veloce doccia, si cambiò e si decise ad andare all'ottava casa pur sentendosi ancora debole, sperando di non finire lungo e disteso da qualche parte.
"Salve." lo salutò Milo, quando lo sentì entrare in casa.
"Ciao. Riesci a spiegarmi che cosa è successo ieri sera? Mi sono svegliato in uno stato pietoso e non ricordo un accidenti... mi sono forse ubriacato?"
"Non proprio." gli rispose Milo, vago.
"Oh bene. La giornata non poteva iniziare meglio di così. In più, come se non bastasse, mi sono anche accorto di aver perso il braccialetto che avevo comprato per Mei. Dannazione."
A quel punto Milo si schiarì la voce.
"Il braccialetto. Sì. Credo sia il motivo per il quale abbiamo iniziato a litigare, ieri."
"Noi abbiamo litigato?"
"Sissignore." rispose Milo. "Ancora qualche minuto e saremmo venuti alle mani."
"E cosa c'entra il braccialetto?"
"Ieri era il compleanno di Mei, ricordi? Così quando sono andato da lei, gliel'ho dato."
Camus sgranò gli occhi.
"Un momento. Tu cosa?"
"Tu non avresti mai avuto il coraggio di darglielo, quindi l'ho fatto al posto tuo. Avresti dovuto vedere che faccia ha fatto quando l'ha visto."
"Santi numi, non avresti dovuto farlo."
"Siete due emeriti idioti. Quando capirete lo sbaglio che state facendo, quando tu lo capirai, sarà troppo tardi."
Camus si prese la testa tra le mani.
"Non ricominciare con questa storia, ti prego."
Mei era un tasto ancora troppo doloroso. Aveva sperato che i sentimenti nei suoi confronti s'attenuassero col passare del tempo, ma in cuor suo aveva sempre saputo che era una battaglia persa in partenza.
Milo sorbì un lungo sorso di caffè, guardando l'amico.
"Potessi, vi aprirei la testa, a tutt'e due. A te per un motivo, a lei per l'altro." si fermò prima che potesse dire qualcosa di troppo. "Imbecilli."
"Non hai niente di più forte?" domandò Camus, quando vide la tazza di caffè posata sul tavolino di fronte a lui.
"A quest'ora? Un po' presto mi pare, no?" replicò Milo, corrugando la fronte quando vide lo sfogo sul collo di Camus. Gli scostò i capelli e s'avvicinò per guardare meglio.
"Stai invadendo la mia sfera personale e la cosa mi irrita."
"Non ho intenzione di saltarti addosso, come ti ho detto già altre volte, tra le gambe hai quel qualcosa di troppo che non cerco in una partner."
Quando comprese che cosa aveva causato quello sfogo sull'amico, si coprì la bocca con una mano, preoccupato.
"E' solo la puntura di un ragno, rilassati." fece Camus. "Forse è questo che ha causato lo sfogo e il malessere."
"Ahem… no. E' la puntura di un altro genere di aracnide." spiegò. "Non ti arrabbi se ti dico una cosa, vero?"
"Dipende."
"Quello è il segno di una mia Scarlet Needle." ammise Milo.
Di riflesso Camus portò una mano al collo, sulla ferita, e assottigliò lo sguardo.
"Mi hai colpito?"
"Non è stata una cosa fatta apposta!"
"Ho trascorso una notte orrenda, con allucinazioni, dolore e tutta una serie di sintomi che preferisco non doverti ripetere e tu dici che non è stata voluta?"
"Servono quindici punture per morire, una sola è pressoché inutile." spiegò Milo. "A uno del tuo calibro massimo che provoca sono questi sintomi, nulla di preoccupante."
"E vorrei ben dire, ci mancava il contrario!"
A quanto pareva era stato abbastanza rapido da dirigere il colpo altrove per non colpirlo in pieno e l'aveva solo preso di striscio, quel tanto che bastava, però, a provocare gli stessi sintomi di una forte influenza.
"Ti dico che mi dispiace, okay? Pensavo a un intruso e non ci ho pensato due volte, ecco. Davvero Cam, non ti farei mai volontariamente del male."
"Anche perché prima di morire per una tua Scarlet Needle riuscirei a lanciarti un'Aurora Execution e congelarti le viscere, parola mia." protestò Camus.
"Hey, tu vai già sul pesante, non ti ho lanciato mica un'Antares!"
Camus aprì le braccia, lasciando indifeso il petto.
"Fallo, se vuoi. Tanto, peggio di così non può andare." replicò, non ricevendo altra risposta se non uno sguardo contrito. Lasciò l'ottava casa e si rintanò, pensieroso, a casa: aveva perso già troppo tempo e aveva un esame a breve.
 
 
"Maestro, vi arrabbiate se oso farvi una domanda?"
Camus sollevò lo sguardo dal libro di grammatica tedesca sul quale stava studiando ininterrottamente da ore e lo posò, per prima cosa, sul vassoio che Cora reggeva tra le mani, sentendo l'immediata reazione dello stomaco.
"No." le rispose, concedendole il permesso di entrare nello studio.
"Non uscite da qui da quando siete rientrato e ho visto che come il solito, non avete ancora mangiato, quindi ho pensato di portarvi qualcosa." spiegò Cora, prima di porgergli qualcosa. "Prima stavo rassettando in salotto e tra due libri che stavo spolverando ho trovato questa."
La foto che Milo aveva insistito per scattare a lui e Mei durante una giornata trascorsa ad Atene e che, nonostante le sue rimostranze in merito, su quanto detestasse comportarsi come un turista qualunque, li ritraeva all'Acropoli.
"Ebbene?"
"Chiedo venia per la mia curiosità. È la vostra sposa?"
Non proprio, a dire il vero.
"Ni." rispose. Non aveva avuto modo di chiederla in sposa, ma era così che considerava Mei.
Cora corrugò la fronte.
"Temo di essere un poco confusa dalla vostra risposta."
"Ni, perché pur considerandola mia moglie, non siamo sposati."
Ecco perché quella volta, mesi prima, quando spinta da Ares l'aveva toccato, aveva reagito in quel modo.
"Vi ha rifiutato?"
Suo malgrado, Camus sorrise.
"Oh no. Direi piuttosto che è colpa mia."
Cora sgranò gli occhi.

"Voi avete rifiutato lei?"
"Direi che ho rinunciato a lei, è diverso."
"Perché?"
Bella domanda.
"Per amore."
"Come si fa a rinunciare per amore a una persona che si ama?"
"Si deve, a volte, se la vita di quella persona è più importante della propria." rispose Camus. "A volte siamo costretti a scegliere tra due mali, e spesso la sola cosa che puoi fare è scegliere il male minore."
E perdere la vita di Mei sarebbe stato mille volte più atroce che rinunciarvi.
"Eppure, l'amate ancora."
"Ho detto che ho rinunciato a lei, non che ho smesso di amarla." la corresse Camus. "Non sono libero, Cora, mi pareva d'avertelo detto e ripetuto."

"Io non intendevo affatto…" si difese Cora, diventando pallida.
"Guarda che la faccenda della quarta casa era un bluff, quando ti ho minacciata ero furioso."
Lei sospirò.
"A tal proposito devo ancora chiedervi perdono per quanto accaduto davanti al sommo Ares. Non avevo idea che voi foste già impegnato."
"Non pensarci più, è passato." le rispose, scribacchiando su un quaderno. "So che sei stata obbligata a comportarti in quel modo. Tuttavia il divieto riguardante la mia stanza e il mio studio è e rimane attivo."
"Sì Maestro."
"E' tutto?"
"Sì… chiedo scusa per avervi disturbato."
"Non fa nulla." Camus voltò pagina e scribacchiò ancora qualcosa, che catturò l'attenzione di Cora.
"Ahem… scusate se mi permetto di correggervi ma il superlativo di gut non è gutten, ma am besten."
Voltò un paio di pagine, corrugando la fronte.
"Oh. Grazie per la correzione." la ringraziò. "Hai studiato lingue?"
"No. Conosco solo il greco e il tedesco poiché mio padre era ateniese e mia madre era di Klagenfurt." spiegò Cora. "Vi lascio studiare."
Appena la ragazza lo lasciò solo, chiuse il libro e prese la foto, guardandola.
Ricordava quell'abbraccio davanti al Partenone, il sorriso di Mei, il loro abbraccio, qualcosa che non avrebbe più vissuto.
Era davvero quello, il suo destino? Rimanere solo dopo aver assaggiato quel momento di vera felicità?
 
Più tardi, quella sera, adducendo come scusa un'emicrania dovuta allo studio intensivo e al colpo ricevuto da Milo, rifiutò l'invito di quest'ultimo e Shura ad andare al solito pub a bere qualcosa: non appena vide i fari delle due moto sparire nella notte, guardò l'orologio, deciso a fare qualcosa per la quale, lo sapeva bene, si sarebbe pentito nei giorni a venire.
Al Goro-Ho, esattamente come aveva immaginato calcolando il fuso orario, era notte fonda; disattivò il Cosmo per evitare di essere percepito e s'avvicinò, cauto, al letto.
Sotto spesse coperte che lasciavano intravedere appena il suo esile corpo, Mei stava dormendo su un fianco abbracciata ad un cuscino, il viso congestionato dopo aver, a quanto sembrava dagli occhi rossi, pianto a lungo. Al polso destro, luccicante grazie ai pochi raggi che filtravano dalle tende, faceva bella mostra di sé il braccialetto che le aveva, in un certo senso, donato.
Gli mancava oltre ogni dire.
Le sfiorò una guancia col dorso delle dita, tenendo a bada con immensa fatica l'impulso di distendersi accanto a lei, prenderla tra le braccia e sussurrarle che era stato tutto un brutto incubo e che andava tutto bene.
"So di averti fatto molto male e credimi, odio me stesso per questo." mormorò. Sapeva che la cosa migliore da fare era svignarsela alla svelta prima che si svegliasse, eppure era così difficile… si chinò fino a essere vicinissimo al suo volto "Mi ci è voluto tutto questo tempo per dirtelo, ma… ti amo. E non hai idea di quanto sia difficile per me restarti lontano e fingere che sia tutto a posto. Ti amo e mi manchi, non sai quanto. E un giorno capirai perché ti ho fatto tutto questo."
Si concesse un delicato bacio sulla fronte quindi, dopo aver frugato nella tasca posteriore dei pantaloni, posò, sul materasso, un altro dono per Mei, augurandole un buon compleanno.
 
**
 
Si svegliò di scatto, accorgendosi di aver dormito –eufemisticamente parlando- ancora una volta, raggomitolato nella poltrona del salotto. Con una smorfia di dolore si rialzò massaggiandosi il collo dolorante giusto in tempo per sentire bussare alla porta.
S'avvicinò lentamente e dallo spioncino vide Milo e Cora.
"Vedete? Non risponde. Si comporta così da giorni."
"Camus, avanti, so che sei dietro la porta. So che ci sei e che mi stai guardando dallo spioncino senza rispondermi sperando che molli l'osso e me ne vada, ma non lo farò."
Piccola spiona.
"Vattene." sibilò. "Cora, quando ti ho detto che avresti avuto qualche giorno libero non significava: dai l'allarme a tutto il dannato Santuario. Andatevene."
Milo annuì: come aveva previsto, Camus era dietro la porta e nel silenzio dell'undicesima casa, attraverso quei pochi centimetri, poteva anche sentirlo respirare.
"Ah no. Ora mi ascolti. Sei chiuso qui dentro da giorni, non sarebbe ora di uscire e di vedere gente?"
"No."
"Ma non puoi rimanere chiuso là dentro."
"Certo che posso."
Frustrato, Milo appoggiò la fronte alla porta.
"Dannato francese, tu e la tua ostinazione. Almeno lasciami entrare."
"Esattamente, quale parte di no non ti è chiara?"
"Oh, capisco. Sei diventato un vampiro e temi la luce del sole perché letale."
Idiota. Seduto a terra, la schiena contro la porta, Camus scosse la testa.
"Camus sto per perdere la pazienza. O apri questa maledetta porta o la sfondo." borbottò Milo.
"…je ne veux pas sortir, je ne veux pas voir personne, je ne veux pas parler à qui que ce soit, je veux rester seul! Va-t'en." replicò Camus, fermo. "Laisse-moi en paix." [Non voglio uscire, non voglio vedere nessuno, non voglio parlare con nessuno, voglio restare solo! Vattene! Lasciami in pace!]
"Sai che non parlo francese."
"Afìste me ìsycho!" [Lasciami in pace!]
Su insistenza di Milo, Cora se ne andò, lasciando soli i due uomini.
"Dèi del cielo, sono preoccupato per te!"
"Non devi."
"Siamo amici, è mio dovere preoccuparmi per te. Dai, apri… parliamone."
Camus si alzò esasperato. Aprì la porta e senza aspettare Milo, si diresse in camera, afferrando due giacconi dall'armadio.
"…per Athena, finalmente rivedo la tua faccia, iniziavo a dimenticarmi come fosse fatta." esclamò Milo, sgranando gli occhi quando vide le occhiaie sotto gli occhi blu dell'amico e la sua barba di almeno tre giorni. "Nosferatu? Sei proprio tu?"
In risposta Camus gli piazzò in mano un cappotto.
"Ne vuoi parlare? Bene. Allora seguimi e stai zitto."
"Ma…"
"Ancora una sillaba e ti faccio passare un brutto quarto d'ora, parola mia."
Milo mimò il movimento di una cerniera sulle labbra.
"Sarebbe la volta buona."
 
***

Lady Aquaria's corner. 
(Capitolo revisionato in data 31 agosto 2015)
Qui appare anche Cardia, in via del tutto eccezionale poiché non credo ci sarà modo di... come dire… usarlo ancora. Tuttavia ho cercato di mantenerlo più IC possibile secondo come si comporta nel LC e nel Gaiden a lui dedicato. Così non fosse, fatemelo notare (gentilmente). Inoltre, per quanto riguarda i miei personalissimi punti di vista, i Gold del passato hanno, in un certo senso, potere d'azione sui loro successori come in questo caso, nel quale Cardia zittisce Milo con una Scarlet Needle che, comunque, non ha effetto su di lui poichè immune. Potere che possono usare solo in certi casi e non per i propri scopi personali.
-Gut, gutten, am besten: ho cercato su Wiki. Ergo, se è sbagliato, fatemelo notare. 
-Laowai: straniero, in cinese.
-...bamboline olientali, olientali, con la "l" e non con la "r" è voluto, non è un errore di battitura. :) 
Per il resto, le note sono direttamente nel testo.
Grazie come sempre a chi segue e recensisce, alla prossima!

Lady Aquaria

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Capitolo 22
*** Surrender. ***


capitolo 22 prequel
22.
Surrender.

I can't pretend anymore 
That I'm not affected, I'm not moved 
I can't lie to myself, that I'm not, always thinking of you 
You make me strong 
You show me I'm not weak to fall in love 
When I thought I'd never need, now I can't get enough 

I surrender 

I can't pretend anymore 
I can't lie to myself that I'm not always thinking of you

[Laura Pausini - Surrender].

 

Milo strizzò gli occhi, irritato dalla luce intensa della torcia elettrica accesa dietro le palpebre e da Camus che continuava a scuoterlo.
"La-lasciami i-in pace, non s-sono m-morto." balbettò, con una nota d'irritazione nella voce.
"Non ancora." lo corresse Camus, posandogli addosso un'altra coperta spessa, badando bene a coprirgli anche la testa. "Ma se ti addormenti, morirai sul serio."
Gli avrebbe risposto volentieri con un gesto scaramantico, ma aveva a malapena forza per respirare, figurarsi per rispondere in malo modo. Come se non bastasse, avvertì anche qualcosa di appuntito dargli noia in mezzo alla schiena.
"E resta sveglio, accidenti a te." l'ammonì Camus, rifilandogli un paio di ceffoni prima di allontanarsi in direzione del cucinino sperando che il suo piccolo espediente –l'angolo di un tavolino premuto tra le scapole- bastasse a tenere sveglio Milo. Anche nell'altra stanza, riusciva chiaramente a sentire l'amico battere i denti: che idea idiota, quella di portarlo con sé a Kobotec.
"Milo? Sei ancora sveglio?"
Naturalmente sono ancora sveglio, pensò Milo, con irritazione sempre maggiore: non stai zitto un solo istante, come potrei dormire con te che continui a parlarmi, schiaffeggiarmi e scuotermi?
Lanciò uno sguardo fuori dalla finestrella, ascoltando il sibilo del vento e della neve che brinava i vetri.
E quel cretino di Rocky Balboa si è infilato volontariamente in questo inferno di ghiaccio. Che imbecille.
Sentì il tintinnio di un cucchiaino, quindi la voce di Camus ritornare vicina.
"Portarti a pescare è stata davvero una pessima idea." ammise Camus, piazzandogli tra le mani una tazza bollente. "Riesci a reggerla?"
Milo annuì: appena avvertito il calore emanato dalla ceramica, le dita si erano serrate automaticamente.
"Anzi, a dirla tutta, è stata una pessima idea portarti qui." concluse infine Camus, valutando ancora una volta l'amico, con attenzione: il volto aveva ripreso un poco di colore e le labbra avevano perso parte del bluastro, ma l'ipotermia era una bestia infida e subdola, e non poteva permettersi di abbassare ancora la guardia.
"E' stata… u-una pe-pessima… idea… co-correre… sul ghiaccio." aggiunse Milo, battendo i denti dal freddo.
"Quello sicuramente." annuì Camus. "Te l'avevo anche detto."
Chissà quanto ti stai divertendo, eh, Camus?
Aveva immaginato l'esito di quel pomeriggio non appena Milo aveva iniziato a correre sul fiume ghiacciato, per scaldarsi, come aveva detto. La crepa che s'era aperta nel ghiaccio era stata troppo veloce anche per lui ed entrambi erano finiti nell'acqua gelida.
Milo sorbì un sorso di tè, quindi guardò Camus intento a dispiegare i suoi vestiti accanto al camino.
"Fai attenzione, bevi piccoli sorsi."
"C-ci ma-manchere-rebbe a-anche u-una be-bella ustione."
"L'ustione al palato sarebbe l'ultimo dei tuoi problemi: con il freddo intenso il sangue defluisce dalle estremità e si mette a protezione degli organi vitali. Se ti facessi bere velocemente o ti avessi immerso in un bagno bollente, l'improvviso flusso di sangue freddo proveniente dalla periferia per via del riscaldamento rapido avrebbe potuto provocarti un'improvvisa e probabilmente fatale aritmia."
E ci mancherebbe anche l'aritmia. Ammirava il suo predecessore, rispettava il suo modo di combattere e la sua visione dell'esistenza, a volte desiderava avere il suo stesso coraggio e spirito indomito, ma di emulare la sua malattia no, non se ne parlava.
"…alla fine… il brutto quarto d'ora… me l'hai fatto passare… lo stesso."
"Io?!" Camus si voltò, il maglione di Milo ancora in mano. "Non ti ho obbligato io a comportarti da irresponsabile, là fuori."
Non riusciva a trovare le parole adatte a spiegare l'intensità del freddo patito quando erano caduti in acqua. Come aveva detto qualcuno, in un film: cadere in acque gelide come quelle laggiù... è come avere tutto il corpo trafitto da mille lame. Non riesci a respirare. Non riesci a pensare a nulla, tranne che al dolore.
E accidenti se era vero.
"Adesso riesci a sentire le dita?" la voce dell'amico lo riportò alla realtà. Posò la tazza a terra accanto a sé e allungò le gambe, muovendo le dita dei piedi. "Uhm, sì. Ma sei ancora pallido come un morto, perciò rimarrai buono accanto al fuoco per un altro paio d'ore."
"Sì mamma."
Camus si diresse al piano di sopra; Milo lo sentì frugare dentro un armadietto cigolante, i suoi passi sulle assi di legno che scricchiolavano con ogni movimento.
"Tu stai bene?" gli domandò, avvertendo con sollievo d'aver smesso di balbettare.
"Io sì."
"Certo, tu hai il Paraflu nelle vene…" borbottò Milo.
"No, sono solo più allenato di te." rispose Camus, tornando giù con i vestiti asciutti e altri sottobraccio: un paio di calzoni blu e una maglietta verdastra. "Tieni, dovrebbero andarti un po' stretti ma sono i soli vestiti che ho qui. Ti serve qualcos'altro?"
"No. Ho fame. Parecchia fame. Mi sento lo stomaco incollato alla spina dorsale. Dov'è la cena?"
Camus sbuffò con rabbia.
"Oh… vuoi la cena? Peccato che il persico che aveva abboccato è scappato con la mia canna da pesca quando ci hai fatto fare il bagno!" disse Camus. "La mia canna da pesca nuova, oltretutto!"
"Mi dispiace."
"Era fantastica, in carbonio e fibra di vetro, ci avevo messo un'eternità a trovare quella perfetta!"
Milo roteò gli occhi.
"Oh cielo. Quante storie per venti euro. Te li restituisco e tornerai a pescare come prima."
"Novantacinque euro e settantadue centesimi. Altro che venti euro." lo corresse Camus. "Aveva anche il mulinello silenzioso…"
"Hai davvero speso tutti quei soldi per un bastone e un po' di spago? Sul serio?"
L'altro assunse l'espressione tipica delle sue ramanzine.
"Hey, con bastone e spago ci pescava Sampei, la pesca è un'attività seria e come tale va presa: provaci tu a pescare il persico con…"
"Okay, okay d'accordo. Ti regalerò una canna nuova! Ma smettila di ciarlare, ho fame!! Cosa c'è da mangiare?"
"C'era  zuppa di pesce, che è ovviamente da escludere dato che l'ingrediente principale è sfuggito al suo destino. Ma pazienza, andrò al villaggio a comprare qualcosa da mangiare. Comunque, in bagno l'acqua è ancora tiepida, puoi andare a lessare un po' mentre aspetti, se hai ancora freddo. A quest'ora credo tu non corra più rischi."
"E me lo chiedi?"  Milo s'alzò a fatica, le gambe ancora indolenzite, e s'avviò a passo lento al piccolo bagno. "Ouch!"
"Cosa c'è ancora?"
"Ho pestato qualcosa." spiegò Milo, controllando sotto il piede. Un orecchino ?! "E questo da dove salta fuori?"
Guardò l'orecchino nel palmo di Milo e suo malgrado deglutì, avvertendo uno strano peso nel centro del petto.
"…io… io vado." balbettò, la gola improvvisamente secca. "Sarò di ritorno a breve, nel frattempo non demolirmi casa."
"Hey Cam! Tutto bene?!"
"No."
Sellò Yzar accertandosi che fosse coperto abbastanza, quindi partì alla volta del villaggio mentre fuori la neve cadeva placida.
Al contrario, il suo animo era in tumulto.
 
*
 
"Camus, smettila, stai zitto un attimo! Non fai che parlare da quando sei tornato!" Distogliendo lo sguardo dalle montagne in lontananza, fuori dalla finestra, Camus inarcò le sopracciglia.
"…hai detto qualcosa?"
"Ti ho detto di tacere prima che mi venga un mal di testa colossale." rispose Milo.
"Ma se non ho aperto bocca."
"Appunto."
L'altro sorbì un lungo sorso di thè, prima di masticare controvoglia un boccone di carne.
"Sai che non sono mai stato un gran chiacchierone."
"No, lo so benissimo, ma non è questo. Sei strano da quando ho pestato quell'orecchino."
Già, l'orecchino.
Come se non avesse già abbastanza cose, o ricordi, legati a lei. Come se la sua costante presenza non fosse già sufficiente.
Camus guardò il piccolo pendente di giada posato sul tavolo e scosse la testa.
"Pensava d'averlo perso accanto alla cascata, quella sera… e invece era qui. Ormai mi sono reso conto che non esiste più alcun posto sicuro per me: l'undicesima casa è piena di ricordi, Rodorio è pieno di ricordi… neanche l'isba è sicura adesso. Sembra quasi che la vita ci provi gusto a prendersi gioco di me. Più cerco di dimenticarla e di allontanare il suo pensiero dalla mia mente, più il destino me la mette di fronte."
"L'hai appena detto: il destino."
Prese la bussola che un tempo era appartenuta ad Isaac e guardò verso est: il Goro-Ho non era poi così distante da Kobotec.
"Siamo così vicini in questo momento, eppure…non potremmo essere più lontani di così."
Milo si servì una seconda porzione di stufato.
"Milleduecento chilometri, metro più, metro meno. Giusto dietro l'angolo." sorrise. "Questo stufato ha un sapore strano: la carne ha una consistenza strana e il sapore lo è ancora di più."
Camus gettò uno sguardo nella pentola di coccio.
"…e ti accorgi che la carne ha un gusto diverso dal solito dopo averne spazzolato più della metà?"
"Sarà colpa del freddo patito oggi, che magari mi ha congelato le papille gustative e non mi fa riconoscere i sapori. Che carne è?"
"Qualcosa che sicuramente non hai mai assaggiato prima o riconosceresti lo stufato di Mar'ya tra mille."
"Selvaggina? Non sarà quella roba esotica che ogni tanto Asha cerca di propinarci? Sarà mica pavone?"
"Eh, come no! Qui in Siberia siamo pieni di pavoni!" esclamò Camus, ironico.
"Allora cos'è, cinghiale?"
"Senti, non ci arriveresti mai. E' alce. E' lo stufato di alce di Mar'ya, la locandiera." rispose Camus, aprendo in due uno dei panini rustici che la ragazza aveva messo nel cesto insieme alla pentola e ad altre vettovaglie, e riempiendolo con i rimasugli dello stufato."Qualcosa che non puoi descrivere a parole."

Milo lo osservò basito, proteggendo d'istinto il proprio piatto ancora pieno.
"…alla faccia del panino imbottito." commentò. "Il cucciolino di casa aveva un po' d'appetito?"
"Muoviti a vuotare il piatto o spazzolo anche il tuo."
"Devi prima passare sul mio cadavere."
L'altro valutò la situazione mentre addentava, affamato come non mai, il panino.
"Beh, diciamo che sei ancora debilitato dalla quasi ipotermia di oggi, siamo immersi nel gelo, che tra le righe, ti ricordo, è il mio elemento… basterebbe anche solo una misera Diamond Dust per metterti fuori gioco e rubarti il pasto."
"Davvero mi faresti questo?"
"Sì."
Nonostante quell'ultimo scambio di battute, Milo capì che Camus non era del tutto in sé.
"Dammi quell'orecchino, glielo riporto appena tornerò a farle visita." disse Milo allungando la mano.
Già, le sue visite in Cina.
Inarcò un sopracciglio, masticando rabbiosamente.
"Dovremmo parlarne sai, di queste tue visite."
"Ancora con questa storia? E' vero, le faccio spesso visita, indipendentemente da tutto quanto, dalle tue scelte e da quelle del Grande Sacerdote, è mia amica, e a me piace far visita agli amici. Sai benissimo che non ho mai visto Mei sotto quella luce, sai che per me è un'amica e basta."
Camus annuì.
"Non potrei tollerare un simile tradimento da parte tua: potrei tollerare tante cose in nome della nostra amicizia, ma mai, mai una cosa simile." disse, serio. "Ti farei provare tanto di quel freddo, che quello patito oggi al lago, al confronto, era niente."
"Dovremmo parlare di un sacco di cose, Cam." puntualizzò Milo cambiando discorso senza lasciarsi intimidire. "Anzi, siamo qui per questo no? Per parlare. Ebbene, facciamolo. Su."
L'altro si alzò di scatto.
"…caffè?" domandò.
Milo in risposta sfoderò Antares.
"Seduto." gl'intimò.
"Stavolta lo prenderò anche io. Nero, forte e amaro. Sì." Camus gli diede le spalle, posando i piatti sporchi nel lavello. Qualcosa gli saettò con un sibilo accanto all'orecchio; alzando lo sguardo notò un foro in una delle padelline di rame appese al muro. "…ti sei bevuto il cervello?"
"La prossima te la pianto nel cranio se non ti siedi qui subito." disse Milo, scostando la sedia di Camus con un leggero calcio dato sotto il tavolo.
"Non ti arrendi mai?"
"Subito." sibilò Milo, con una freddezza che Camus raramente gli aveva sentito usare.
Lasciò stare la caffettiera, afferrando invece la proverbiale vodka da un pensile e posando due bicchierini sul tavolo.
"Temo d'aver bisogno di qualcosa di più forte della caffeina." spiegò, versando due dosi generose di vodka nei bicchierini, verdi come l'etichetta della bottiglia."Na zdorovje!"
"Stin ijiasas. Anzi no. Non alla salute, brindiamo alla verità." propose Milo, buttando giù il liquido d'un fiato. "…porca miseria!"
"Un altro?"
"No, basta così per ora." Milo coprì il bicchierino con la mano e lo guardò in tralice. "Non mi farai ubriacare per non dovermi parlare. Semmai è il contrario. Io farò ubriacare te."
Camus proruppe in un ghigno ironico.
"Ubriacarmi? Io? Nemmeno dovessi bere tutta la distilleria Moskovskaya." rispose. Tornò serio. "Vuoi la verità? Eccola. La verità è che io faccio fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è, c'è sempre. Mi mancano il suo sorriso e i suoi occhi, mi manca perfino il suo caratteraccio e spesso, troppo spesso, la cerco. In casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora dappertutto, lei…"
Milo tacque, aspettando che Camus proseguisse.
"Amico mio, sei messo proprio male."
"…oddei quanto sono patetico."
"Ma perché?"
Fece spallucce, non sapendo come rispondere.
"Per me non sei patetico."
"Oh, non ancora, in effetti manca qualche dettaglio qua e là: fazzolettini appallottolati sparsi a terra, un cd di musica sdolcinata con canzoni che parlano di addii e i miei occhi rossi e gonfi." ribatté Camus.
Milo sorrise.
"Gli occhi rossi già ci sono." lo corresse.
"…co-?" fece, portandosi una mano agli occhi, sorpreso: quando accidenti aveva pianto? "Oh."
"Sfogarti ti farà bene, non preoccuparti per questo. Del resto da quanto ci conosciamo? Sai che non ti giudico."
Sì, lo sapeva, e per questo, tra le tante altre cose, gli era grato: per quanto espansivo, ciarliero e talvolta invadente, Milo non aveva la brutta abitudine di giudicare qualcuno.
"Avevo cinque anni quando ho pianto l'ultima volta: ero qui, la prima notte trascorsa lontano da mia madre. Avevo freddo e avevo paura, volevo tornare tra le sue braccia, sentirmi amato e protetto, sentire la sua voce rassicurarmi. Col tempo capii che non l'avrei mai più rivista, e pian piano, chiusi tutti i miei sentimenti al sicuro, per tenerli al nascosto dal mondo… erano solo miei." iniziò Camus. "E per me andava benissimo così. Mostravo a tutti solo ciò che volevo mostrare…"
"…non ti sei mai confidato apertamente neanche con me…" annuì Milo.
"Lo so, ma non ho mai agito con cattiveria: nonostante tutto tu rimani il solo che di me conosce più di tutti gli altri."
"A parte Mei."
"Già, a parte Mei. E' entrata nella mia vita e mi ha letteralmente spogliato di ogni difesa. Ha afferrato quei sentimenti, li ha portati alla luce e se li è portati via." sorrise nervoso. "Se fossi il personaggio di un libro, sarei l'Uomo di Latta: senza cuore."
Milo scosse la testa e sorrise.
"Nient'affatto, un cuore ce l'hai ancora, altrimenti non parleresti così."
"Allora sarò Jurij Živago."
"E cioè? Ti sposerai e tradirai tua moglie con Mei che nel frattempo diventa la tua amante?"
"Affatto. Morirò d'infarto nel tentativo di inseguire una donna che credo sia lei."
"E se invece smettessi di dire sciocchezze e iniziassi a fare la cosa giusta, cioè tornare in Cina e riprendertela?"
"Magari potessi. Quel treno è perso."
L'altro gli rifilò una pacca non proprio amichevole sul braccio.
"Semplicemente, tu e Mei non eravate su quello giusto, e presto prenderete entrambi quello che vi porta nella direzione giusta."
Sbuffò, tra il divertito e il seccato.
"Dovresti smetterla di leggere dubbi libri di filosofia spiccia." replicò, afferrando ancora una volta la bottiglia di vodka. "Dai, bevi con me." riempì i bicchierini e ne allungò uno a Milo. "Alle occasioni perdute."
"…alle occasioni che ritroverete." insisté Milo. "Come brindano qui?"
"Na zdorovje."
"E allora na zdorovje."
Camus buttò giù il liquido senza fare una piega, contrariamente a Milo che tossì fino a lacrimare, la vodka che bruciava man mano che attraversava l'esofago.
"… come dannazione fate a bere questa roba?"
"Pappamolla." replicò Camus. "Piuttosto… questa faccenda non deve uscire da queste quattro mura, intesi?"
"Intesi. Nessuno saprà niente, il tuo segreto è al sicuro con me."
"Non è per me che sono preoccupato. Se il nemico scoprisse che ciò che provo per lei è ancora vivo, potrebbe coinvolgerla in modi che io non posso e non voglio immaginare. Al Goro-Ho, lontana da me, è al sicuro."
Il freddo che l'aveva ghermito nelle ultime ore era finalmente scomparso, addosso Milo non lo sentiva più: le sue membra erano tornate calde come prima. Ma si rese conto che il freddo che l'amico aveva di nuovo addosso, quello, non se ne sarebbe andato via facilmente.
"Anzi, spero di non aver compromesso tutto." proseguì Camus, ricevendo in cambio una strana occhiata. "Vorrei non averlo fatto, ma ti ho mentito, e forse l'ho messa in pericolo."
"…?"
"Non stavo male, l'altra sera. Sono stato da Mei."
"Cam…"
Anche in quel caso, non doveva essersi accorto della gravidanza.    
"Dovevo vederla. E' stato più forte di me. Ne avevo bisogno."

"Ti stai distruggendo." mormorò Milo, cominciando seriamente a preoccuparsi.
"No, sbagli. Sono già distrutto."
 
**
 
"Ti prego, non mi mandare via."
"Decidi da sola. Io vorrei che tu restassi. Davvero, Jen. Ma forse sentirai la mancanza dei tuoi genitori. Se si trattasse di nostra figlia, anche noi la cercheremmo. Sono certo che le mancheremmo. Jen, io voglio che… tu sia mia per sempre. Farò qualunque cosa, vedrai. Te lo prometto, il mio cuore è sincero. Noi abbiamo una leggenda: a chiunque osa saltare da quel monte, si dice che il cielo esaudisca un desiderio. Io conosco un ragazzo che per far guarire i suoi genitori saltò giù da quel monte. Lui non morì, e non rimase neanche ferito, e il padre e la madre come d'incanto guarirono subito. Il suo desiderio si era avverato. Se ci credi accade, e io ci credo. Gli anziani dicono: se segui il tuo cuore, i desideri si avverano."
Era uno dei suoi film preferiti, eppure, in quel momento, non riusciva a sopportarlo.
Per Shunrei che, nemmeno a metà film, già piangeva a dirotto per la tragica fine del maestro Li Mu Bai che si dichiara alla sua bella Yu Shu Lien in punto di morte, per dirne una, oppure, più probabile, perché le vicende dei suoi personaggi preferiti, Jen e Lo, assomigliavano pericolosamente ai suoi trascorsi con Camus.
Beh, non proprio, in un certo senso Jen era stata più fortunata di lei.
Si alzò, sbuffando.
"Buonanotte." augurò.
"Ma come? Te ne vai già a dormire? La parte più bella deve ancora arrivare!"
Oltrepassò Shunrei, ignorò la mano che Shiryu aveva teso a mo' di saluto, e si diresse al piano di sopra.
"Sono incinta, sono stanca e ho parecchio sonno. Quindi, buonanotte. Buonanotte, Maestro." ripeté. Fece un inchino a Dohko e finalmente si chiuse nella sua stanza.
Se segui il tuo cuore, i desideri si avverano.
Sì, magari fosse così facile anche la realtà, pensò, tutt'altro che allegra. Incinta al sesto mese e mezzo, da sola e in un luogo dove essere una madre single era una maledizione.
"Forse dovrei davvero andare via."
A Milos, magari, come le aveva proposto Milo.
Oppure ricominciare proprio da capo, da sola, in un posto dove nessuno la conosceva e dove nessuno l'avrebbe giudicata una sgualdrina facile che era stata messa nei guai e abbandonata.Poteva essere una bella idea, quella di fare armi e bagagli e lasciare tutto per una nuova vita.
In Australia, perché no? Certo, l'idea della neve in pieno agosto e della spiaggia affollata a dicembre era bizzarra, ma…
"Quante sciocchezze."
Si riscosse di colpo, intravedendo Degél seduto in fondo al letto.
"Quale audacia dimostrate, monsieur. Da solo, con una donna, nella sua stanza. Devo ritenermi lusingata o preoccuparmi per la mia virtù?" domandò Mei. Tacque un istante, quindi scoppiò a ridere. "Oh no, dimenticavo che la mia virtù è già stata presa. Buffo, non trovate? Dovrete accontentarvi di una single sedotta e abbandonata."
Degél inclinò la testa e corrugò la fronte.
"Una donna nelle vostre condizioni non dovrebbe nemmeno guardarlo, il vino. Siete sotto l'influsso di qualche spirito?"
"Certo che no."
"E allora siete sotto l'influsso di qualche scorpione di troppo, mademoiselle, e temo anche di sapere a chi attribuire la colpa del vostro comportamento."

Mei scostò le lenzuola, infilandosi la vestaglia.
"Sono stata insolente. Vi chiedo umilmente scusa." sussurrò Mei, mortificata.
E allora Degél sorrise, d'un sorriso divertito.
"Non crucciatevi per questo, so che era una burla. Anzi, in tal caso oserei dire che sarei io, a dovermi scusare. In vita non ho maturato esperienza alcuna in merito e ci saremmo imbarazzati entrambi."
L'implicito significato di quelle parole la fecero ammutolire: incredibile com'era possibile passare dalla mortificazione all'imbarazzo in pochi istanti.
"…credo che sia giunto il momento di cambiare argomento."
"Oh, d'accordo. Non era mia intenzione affrontare subito la questione, ma poiché insistete… sono qui perché in questi giorni ho percepito in voi qualcosa che non mi è affatto piaciuto."
"Vale a dire?"
"Vi state arrendendo."
"Non vi capisco."
"Un mio conterraneo, l'illustre François De La Rochefoucauld, vissuto all'epoca del grande Luigi XIV, disse: l'amour aussi bien que le feu ne peut subsister sans un mouvement continuel; et il cesse de vivre dès qu'il cesse d'espérer ou de craindre." rispose Degél. "L'amore, come il fuoco, non può sopravvivere senza un moto continuo. Cessa di vivere non appena cessa di sperare o temere. E voi, mia cara, vi state arrendendo."
Le salì, spontaneo, un sorriso triste.
"Quando una persona si arrende, significa che ha sperato fino alla fine in qualcosa e vi rinuncia. Io non spero più in niente."
"Abbiate pazienza, abbiate fede. Avete degli amici che vi vogliono bene, un maestro che vi considera come una figlia, avete trovato di che vivere… presto avrete la vostra bambina… sono ragioni più che sufficienti per restare. E poi, le cose cambieranno, vedrete. Fidatevi di me, cambieranno. E un domani ripenserete a questi momenti e vi sentirete una sciocca per aver pensato di lasciar perdere tutto. Fidatevi di me."
Vorrei davvero poterlo fare.
"Finirò con l'aspettare in eterno."
"Ma no. Vi chiedo solo di pazientare. Siete una fanciulla forte, riuscirete ad uscire vincitrice anche da questa tempesta."
"Sono stanca di combattere da sola. Lo faccio da tutta la vita, ho bisogno di qualcuno che mi stia vicino e mi sostenga."
"Tutti ne necessitiamo, Mei."
"Restatemi accanto."
"Lo sto già facendo. Potete contare su di me."
 
**
 
Se quella breve e improvvisata gita a Kobotec aveva irritato il Grande Sacerdote, questi non lo diede a vedere. Si comportò del tutto normalmente, come aveva sempre fatto, inviando di tanto in tanto alcuni di loro in giro per varie missioni senza lasciare sguarnito il Santuario. Niente pareva turbare il suo umore.
Al contrario, quello di Camus peggiorò visibilmente dopo quei giorni.
L'insofferenza verso quell'attesa si acuiva sempre di più, e spesso, per questo motivo, si chiudeva in casa uscendone solo ed esclusivamente per allenarsi o per qualche missione, declinando qualunque tipo di invito. Se poi a quelle emozioni negative si aggiungevano anche tutte le volte che avvertiva Milo spostarsi in Cina, l'insofferenza si trasformava in vere e proprie dimostrazioni aperte di rabbia, il che significava strati di ghiaccio lungo il perimetro dell'undicesima casa e sui gradini che la precedevano e la seguivano. A parte Milo o Shura, nessuno osava addentrarsi nei meandri dell'undicesima casa, persino Cora smise di entrarvi, per il freddo che emanavano quelle mura e per la soggezione che provava nei confronti di Camus quelle rare volte che riusciva ad incrociarlo sul suo cammino.
Superato dicembre, poi, con l'arrivo del nuovo anno, le visite di Milo divennero quotidiane e, come se già tutto il resto non fosse sufficiente, col passare del tempo a Milo si aggiunsero anche Aioria e Aphrodite. Per fare cosa, non lo sapeva: erano parecchio riservati su quell'argomento, nessuno gli forniva spiegazioni e lui certo non faceva domande, per evitare chiarimenti privati e dolorosi.
Certe cose era meglio tenerle per sé, e comunque avrebbe avuto ben altro cui pensare: Ares aveva finalmente comunicato che la guerra che aveva previsto mesi prima avrebbe avuto luogo a breve, forse nel giro di una manciata di settimane, se non di meno.
Uno degli ultimi traditori del Santuario era caduto proprio quel giorno d'inizio febbraio: le voci sulla caduta dell'Isola di Andromeda e del suo Maestro, il Silver Saint di Cepheus, si erano diffuse come un incendio in una sterpaia.
"Ho saputo che stamani mi hai cercato."
Camus levò lo sguardo su Milo, appena entrato nelle sue stanze private.
"Sì. Per un'inezia che però ho già risolto." gli rispose, invitandolo a entrare nel suo studio.
"Oh, come non detto dunque." sorrise Milo. "Non mi hai trovato perché ero in missione."
Cosa non rara per loro, in quei giorni.
"Ah." commentò. "Non lo sapevo." richiuse il libro di tedesco e lo accantonò, alzandosi per prendere una boccata d'aria dalla finestra. "Hai saputo della caduta di Andromeda? Era l'argomento più gettonato stamani a Rodorio."
"…sì…"
"Ho sentito che l'isola è andata completamente distrutta e i suoi abitanti uccisi da due di noi. Non so quanto questo sia veritiero, sappiamo entrambi che le voci di paese ingigantiscono ogni cosa e che da un granello di sabbia ne fanno una tempesta: ma se fosse vero, mi domando chi sia stato a farlo. Due contro uno, né più né meno come DeathMask che attaccò un Saint a lui inferiore."
Era rimasto genuinamente colpito da quella dimostrazione di forza: che motivo c'era di uccidere tutti gli abitanti? Aveva pensato, con uno strano magone in gola, che mai, per nessuna ragione e per seguire nessun ordine, avrebbe fatto del male agli abitanti di Kobotec.
Milo rispose dopo diversi istanti.
"Hai detto bene, le voci di paese ingigantiscono ogni cosa." rispose, soppesando le parole. "Per cominciare, l'isola non era abitata."
Camus si girò di scatto.
"…"
"Poi, mi conosci. Per nessuna ragione attaccherei dei civili. I soli abitanti dell'isola erano Albiore e i suoi allievi, una ragazza e due ragazzi."
Conosceva Albiore di Cepheus di fama, sapeva che era il maestro di uno dei compagni di Hyoga e che era un insegnante severo, ma che, come lui, era parecchio affezionato ai suoi allievi, un guerriero assennato e giusto, insomma, che a differenza di altri maestri non era un sanguinario.
"Che ne è stato di loro?"
"Albiore li ha fatti fuggire prima di affrontarmi, sull'isola eravamo rimasti io e lui."
"E chi altri?"
"Lasciami parlare. Albiore aveva rifiutato la convocazione di Ares, e di conseguenza egli mi ha inviato a valutare la situazione, vedere se era o no un possibile traditore. Una volta arrivato, è nata una discussione parecchio accesa che è sfociato in un combattimento."
"In paese parlavano di due Gold Saint."
"Infatti, ma non sapevo dell'intervento di Aphrodite. Albiore mi aveva messo alle strette, avevo il braccio bloccato e non potevo attaccare né difendermi, finché d'un tratto la sua difesa è venuta meno e ho portato a segno il mio attacco. Solo quando ho visto la royal demon rose accanto al suo corpo ho capito che Ares aveva inviato anche Aphrodite."
Quindi non era stato un attacco impari.
"Che tu sappia Ares ha dato altri ordini in merito?"
Milo comprese la domanda implicita dell'amico e sorrise appena.
"No, nessun ordine riguardante l'estremo oriente, puoi stare-…"
"Non osare dirmi di stare tranquillo, perché in questo periodo sono tutto fuorché calmo." berciò Camus, a corto di pazienza. Dopo l'annuncio definitivo della guerra, il solo e unico pensiero che affollava la sua mente riguardava Mei e la sua incolumità: bastava niente, un minimo capriccio di Ares e tutti i suoi sforzi sarebbero stati vani. Avrebbe sacrificato tutto per niente.
Milo si avvicinò ancora, parlando con un filo di voce.
"…ho i miei informatori al tredicesimo tempio, in caso succedesse qualcosa, ti darei sicuramente l'allarme."
Quelle parole avrebbero dovuto tranquillizzarlo, eppure, sentiva che tutto quello che aveva si stava per sgretolare.
Il peggio stava per avvenire e non c'era niente che potesse fare per fermarlo.
 
***
Lady Aquaria's corner:
Oddio quanto sono lunghe queste note D:
-Quel cretino di Rocky Balboa...
Nel quarto capitolo della famosa saga del pugile Rocky, quest'ultimo si prepara all'incontro con il suo avversario Ivan Drago proprio nella fredda Russia.
-Cadere in acque gelide come quelle...
Suppongo abbiate visto Titanic, la versione del 1997. Ebbene, quando Rose tenta il suicidio e viene interrotta da Jack, quest'ultimo, per distrarla e quindi salvarla, inizia a parlarle. D'un tratto le racconta un episodio della sua infanzia nel quale spiega a Rose che cosa significa, per esperienza personale, scivolare in acque molto molto fredde. Ho riportato le esatte parole del doppiaggio italiano.
-Paraflu: è il nome commerciale dell'antigelo che comunemente si adopera nelle auto per evitare che l'acqua del radiatore si geli durante l'inverno.
-Ho lo stomaco incollato alla spina dorsale…
Mai visto "I due superpiedi quasi piatti"? E' una battuta di Terence Hill.
-Sampei il pescatore era il protagonista dell'omonimo anime di...beh... svariati anni fa. XD
-Stufato di alce: nei paesi scandinavi e in Russia si usa anche questo tipo di carne.
-Na zdorovje e Stin ijiasas, in russo e greco, sono usati al posto del nostro Cin cin! nei brindisi, come dire: alla salute!
-L'uomo di latta fa parte del mondo del Mago di Oz: da giovane umano, è stato ridotto a uomo di latta, quindi senza cuore, per via di una maledizione.
-Il dialogo che ascolta Mei fa parte invece del film "La tigre e il dragone" e coinvolge la giovane Jen e il suo innamorato.
-La faccenda dell'Isola di Andromeda: pur avendo rivisto più volte l'anime e avendo anche chiesto un consulto esterno (u.u) non mi è ben chiara la collocazione temporale esatta di quell'attacco. Insomma, so che è ovviamente prima delle Dodici Case, ma per il resto, zero assoluto. A parte la licenza poetica, ho deciso di utilizzare Albione (o meglio, Albiore) e non Dedalus come nel manga, come maestro di Shun. Che dire, lo preferisco.
Come sempre, i miei ringraziamenti a chi segue, legge e trova due paroline da dedicarmi a mo' di recensione. Grazie mille.
Lady Aquaria

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Capitolo 23
*** Love's a loaded gun (and it shoots to kill) ***


capitolo 23 prequel
23.
Love's a loaded gun (and it shoots to kill)
[Non siamo mai così indifesi verso la sofferenza, come nel momento in cui amiamo.]
Sigmund Freud

Love kills, thrills you through your heart
Love kills, tears you right apart
[The Queen – Love Kills]
 
Sometimes love's a loaded gun
And it shoots to kill
[Alice Cooper – Love's a loaded gun]
 
6 febbraio, sera.
Camus s'affacciò dal parapetto che delimitava lo spiazzo antistante l'undicesima casa con una strana inquietudine: troppi movimenti quella sera, troppi cosmi agitati; sulle prime non aveva fatto caso al Cosmo di Dohko, solitamente così tranquillo che una persona meno abituata a percepirlo non lo avvertiva neanche, poi, quello di Shiryu e infine, quello di Aiolia.
"Avete bisogno di qualcos'altro, Maestro?"
Non si voltò nemmeno per rispondere a Cora, lo sguardo fisso a est, come se il cielo potesse dargli le risposte che stava cercando.
"No."
"Come volete. Dunque col vostro permesso mi ritiro, buonanotte."
"Altrettanto." rispose, avvertendo in quel momento Aphrodite che si trasportava fino in Cina.
Troppe cose che non gli tornavano. Che diavolo stava succedendo?
"A volte mi sento fortunato a non possedere alcuna nozione di medicina o un qualche potere di guarigione." esordì Milo. "Non è la prima volta che Aiolia e Aphrodite si recano al Goro-Ho a sorbirsi i lamenti del giovane Dragone: si dice che durante gli ultimi scontri si sia volontariamente accecato per sfuggire allo scudo di Algol di Perseo."
Sinceramente, con una gran punta di cattiveria, pensò che di Shiryu non gli importava granché.
"Non lo invidio neanche un po'."
"Pazzo scellerato." proseguì Milo, appoggiandosi al parapetto accanto all'amico. "Alcuni soldati l'hanno visto infilarsi due dita negli occhi. Miei dèi, ma ci pensi? Quale persona sana di mente farebbe mai una cosa del genere per sconfiggere un nemico? Insomma, Perseo non fu così idiota."
"A sua difesa, e credimi, mi stupisce anche solo pensarlo, posso dire che Algol non era un avversario facile." aggiunse Camus.
"Sicuramente no." proseguì Milo. "Solo che... vedi? Io trovo persino difficile usare il collirio, non riesco a immaginarmi nei suoi panni."
"Beh, credo tu non sia il solo: durante certe missioni ho trovato impossibile mettere il khôl come usano certi popoli del deserto per proteggere gli occhi dalla sabbia e dalle irritazioni: col tempo ho imparato, ma le prime volte lacrimavo."
Milo lo guardò.
"Ti truccavi? Che sfortuna, avrei tanto voluto vederti."
"Solo gli occhi." puntualizzò Camus, omettendo volontariamente di menzionare alle foto che lo ritraevano nel Sahara, in abiti locali.
Nonostante l'arrivo di Milo, però, la strana sensazione che l'aveva colto prima, quando era uscito di corsa fuori casa, non si era affatto affievolita.
"Invece io ho come l'impressione che Shiryu non sia la vera causa di tutti questi movimenti." disse infine, dopo qualche attimo.
"Cosa vuoi dire?"
"Troppe cose che non tornano e che mi sfuggono. Beh, buonanotte. Io vado a dormire."
"Di già?! Insomma, sono solo le dieci meno venti!"
"Buonanotte."
Non pensare a lei, Cam. Non puoi andare avanti così, tutto questo non ti fa bene.
La sua crosta di ghiaccio si stava facendo sempre più spessa.
"Kaliniktà."
 
Si svegliò un paio d'ore dopo, durante un sonno parecchio agitato: la sensazione di tutti quei serpenti avvinghiati alle sue gambe era ancora troppo reale. Poteva ancora avvertire le spire viscide dei rettili farsi strada su di lui, e quell'ultimo essere, quello che l'aveva finito con la sua puntura...
Una strana sensazione al petto lo costrinse ad alzarsi e a uscire di casa, guardando a oriente.
Che fosse successo qualcosa a Mei?
Boccheggiò un paio di volte, mentre la sensazione spariva, lasciando posto a una strana serenità.
E se andassi da lei?
Il dolore sordo tornò improvvisamente, acuto, e lo costrinse in ginocchio, davanti all'undicesima casa: Aiolia ritornò diversi minuti dopo la mezzanotte, lo intravide parlottare con Mu alla prima casa.
Doveva a tutti costi sapere cos'era successo, decise.
Cardia si voltò verso l'amico, un'espressione incredula sul volto.
"Non fosti tu a dirmi che non è nostro diritto interferire nelle questioni dei vivi?"
"Infatti. E come d'abitudine agisco per il suo bene, non certo per mio diletto."
"Cagionargli dolori al cuore non gli ha certamente giovato. Come hai potuto fargli questo sapendo che cosa ho dovuto sopportare?"
"Cardia, ti prego, questo non è il momento migliore per discuterne."

"Avresti dovuto trovare un altro modo per distrarlo dai suoi propositi!"
"Cardia, basta."
 
Camus salì di buon'ora in Biblioteca, alla ricerca di qualche risposta riguardante l'assurdo sogno che l'aveva tormentato: in quella dell'undicesima casa, ereditata da Degél, non aveva trovato alcun testo riguardante i sogni.
"Sognare tanti serpenti assieme denota un momento particolare della vostra vita, popolata di insicurezze, timori, repressione di impulsi e confusione.
Sognare un serpente che striscia: potreste essere vittima di inganni o provare incertezze e angoscia.
Sognare un serpente che si avvinghia denota troppo autocontrollo."
Un brivido lungo la spina dorsale lo scosse: il ribrezzo che provava per quegli animali era aumentato dopo quell'incubo. Ma era l'ultimo elemento a tormentarlo. Lasciò aperto il tomo sul tavolo e si allontanò per cercare quello sugli aracnidi; nel mentre, Milo, entrato in biblioteca, sbirciava con curiosità i pochi appunti che aveva lasciato accanto al libro:
"Confusione, autocontrollo, inganni. Qualcuno non è sincero con me.(?)"
Levò gli occhi al cielo. Possibile che un uomo pragmatico e con i piedi ben piantati per terra come Camus potesse credere all'oniromanzia?
Che sciocchezza, cercare risposte in quei modi assurdi.

Non proprio sciocchezze, ad essere sinceri. Quando aveva visto la bambina, quando aveva visto quanto intensamente ella assomigliasse a suo padre, era scattato qualcosa nella sua mente: diglielo, ha ogni diritto di sapere la verità.
Camus stava tornando al grande tavolo posto al centro degli scaffali; lo sentì parlottare tra sé e sé e decise di nascondersi.
"Che insetti schifosi." borbottò Camus, sfogliando rapido i capitoli dedicati ai ragni per passare a quello che lo interessava.
Milo sbirciò quel libro dal suo nascondiglio: sulla pagina che Camus stava consultando campeggiava un enorme scorpione.
"Un androctonus crassicauda, uno tra gli scorpioni killer più pericolosi del mondo." esordì, uscendo allo scoperto e facendo sobbalzare l'amico. "E' di piccola taglia ma è letale: con la sua puntura sprigiona una neurotossina in grado di uccidere un uomo in salute. Poi qui c'è il mio preferito, il pandinus imperator: grande e grosso ma quasi innocuo, fa male se riesce a pungere, ma la sua tossina principale è studiata per la cura delle aritmie."
"Ne ho visto uno." disse Camus, soffocando l'impulso di gridargli contro per lo spavento.
"Qui?! Impossibile, vivono entrambi nei deserti nordafricani o del medio oriente. In Grecia puoi trovare, al massimo, un comune euscorpius sicanus che ti provoca un bozzo doloroso. Lo so perché ho subito la sua puntura durante l'addestramento: camminai scalzo per giorni prima di poter indossare di nuovo i calzari, un male che non ti dico. Sai che sono immune al veleno della maggior parte di queste bestioline? Non so a quale di queste specie pericolose appartenesse il veleno usato nel rituale per ottenere l'armatura, ma se sono sopravvissuto a quello, credo di poter sopravvivere a tutto."
"L'ho visto in sogno." terminò l'altro. "Mi pungeva mentre avevo le gambe bloccate da una miriade di serpenti."
Milo restò qualche istante in silenzio, interrogativo.
"Okay, hai fumato qualche erba strana quando sei entrato in casa? Guai a fumare l'alloro, Athena potrebbe non prenderla bene." sospirò. "Okay, dai, la smetto. E' che mi stupisce il fatto che uno come te possa credere a queste cose."
"Io non ricordo mai i sogni che faccio durante la notte, anzi, non so nemmeno se sogno davvero. Un sogno è il modo che ha il nostro inconscio per avvertirci di qualcosa, e voglio capire che cosa sta cercando di dirmi il mio."
Sognare di essere punti indica un forte pericolo e provoca in noi una forte sensazione di angoscia: il morso da parte di animali velenosi, indica una nostra debolezza. Siamo stati colpiti in modo da non poterlo evitare. Questo tipo di rappresentazione può essere associata ai nostri rapporti, sia con collaboratori o amici e/o famiglia. 
Camus appuntò qualcos'altro sul suo taccuino, mentre Milo rimuginava su quelle parole.
Devi dirglielo. Deve sapere.
"Camus, devo parlarti di una cosa." mormorò, svelto, prima che la ragione avesse la meglio sui sentimenti.
L'altro alzò lo sguardo, quel tanto che bastava per vedere un soldato della guardia di Ares entrare in biblioteca.
"Ares richiede la vostra presenza, nobile Scorpio."
Con grande stupore di Camus, Milo assestò un pugno rabbioso sul ripiano del tavolo, imprecò e si schiarì la voce.
"Arrivo." rispose.
"Che cosa dovevi dirmi? E' urgente?"
"Non posso parlarne qui, di fretta."

Guardò Milo scomparire verso l'uscita, dimenticandosi presto di ciò che aveva detto per dedicarsi alla sua ricerca, e per i successivi giorni, per via di una missione,non avrebbe più avuto modo di riprendere l'argomento.
 
Dopo quel sogno aveva indagato a lungo seguendo ogni indizio a sua disposizione. Ma dopo due settimane, ancora fermo al punto di partenza e con i pochi indizi che conducevano a piste morte, aveva deciso di fare un ultimo tentativo prima di lasciar perdere: tutto sarebbe dipeso da quell'ultima volta.
Si trasportò quindi in Cina, deciso a porre fine a quanto, per lui, era diventato insopportabile, ma non si era aspettato di trovare Mu laggiù al Goro-Ho; ciò poteva costituire un problema.
Si appiattì contro il muro, azzerò il cosmo e si mise in ascolto pur sapendo benissimo che era sbagliato origliare, ma non aveva poi tanta scelta: non era mai stata sua abitudine fare domande dirette su argomenti che lo riguardavano troppo da vicino e che lo facevano soffrire: non voleva suscitare l'interesse dei suoi parigrado e soprattutto non voleva scatenare nessun pettegolezzo intorno a sé.
"Se mio fratello scopre che sono qui…"
Già, Kiki. Aveva inviato Cora a chiamarlo e una volta arrivato davanti all'undicesimo tempio, l'aveva portato con sé senza pensarci due volte.
"A lui penserò io." rispose, secco. "Ti ho portato con me perché il mio cinese è pessimo, e se Mu ha qualcosa da dire in merito, dovrà vedersela con me, non con te. Avanti. Ora traduci."
"Se traduco che cosa ottengo in cambio?" domandò quindi Kiki, con il solito sorriso birichino che si spense non appena ebbe captato lo sguardo gelido di Camus. "Scherzavo."
"Sono felice di saperla in salute. Dunque nessuna complicazione, è andato tutto per il meglio?"
Di quelle prime parole scambiate tra i due aveva capito solo poche parole afferrate per caso.
"E così ha avuto una bambina." proseguiva Mu.
"Pensavo ne fossi al corrente. Quel Saint, Aiolia, pensavo l'avesse detto."
Kiki si sporse appena, intravedendo la schiena di Shiryu.
"No, al Santuario nessuno ha detto nulla. Sapevo della gravidanza perché Mei stessa mi aveva informato, ma non sapevo altro. E come l'ha chiamata?"
"Meglio così, comunque, che non si sappia in giro o Mei mi ucciderebbe. L'ha chiamata Lixue e ha aggiunto uno sciocco nome francese che francamente trovo inutile."
"Non sta a te decidere se il nome di tua nipote è assurdo o banale. Non è tua figlia."
"Aimée. Continuo a ripetere che è assurdo."
"Aimée significa amata, Shiryu. E sono certo che lo sarà. Lixue invece neve graziosa: mi piace, ha una bella musicalità. Un nome che si addice alla figlia del ghiaccio." diceva Mu.
Accanto a lui, Camus fremeva impaziente: ne avvertiva il nervosismo.
"Mi raccomando, nessuno deve sapere."
Camus corrugò la fronte guardando Kiki che, attento, ascoltava. Continuava a percepire solo poche parole a casaccio e la cosa lo mandava letteralmente in bestia.
Si sporse, giusto in tempo per vedere Mu scrollare la testa.
"Io rispetto la decisione di Mei, ma Camus dovrà sapere che è diventato padre."
"Non è necessario." disse infine Shiryu. "Oh ecco che arriva."
Sgranò gli occhi, incredulo.
"Ho sentito chiaramente il mio nome… allora, mi dici che cosa sta succedendo o devo strapparti le parole di bocca una per una?"
Kiki si grattò la testa, con la pessima sensazione che di lì a poco si sarebbe scatenato un disastro di dimensioni epiche: se prima si era domandato quale ira sarebbe stato meglio affrontare, se quella di Camus o quella di suo fratello, in quel momento ne ebbe la certezza.
"Non ti piacerà." capitolò infine, mentre un vagito piuttosto potente accompagnava quelle parole.
D'istinto si sporse fino a vedere all'interno, e allora li vide: Shiryu e Dohko, appena dietro Mu, e Shunrei accanto a Mei, che era in piedi al centro della stanza con un neonato tra le braccia.
"E' tua figlia." disse finalmente Kiki, concentrando tutto ciò che aveva ascoltato in tre semplici parole.
Dohko captò il suo cosmo fuori dalla pagoda e si voltò, scoprendolo al di là dei vetri, lo sguardo fisso sulla neonata, il cuore e l'animo in tumulto.
"Mei." le disse semplicemente, indicandole la finestra con un cenno.
Mosse qualche passo indietro, allontanandosi dalla pagoda, mentre Mei posava sua figlia in braccio a Mu e usciva di casa, nel gelido inverno cinese.
"Dove vai? Fuori c'è un freddo atroce!"
Mu aveva ragione: fuori faceva un freddo incredibile, e avrebbe dovuto seguire il suo consiglio e rientrare in casa, ma il freddo che stava patendo non era niente in confronto a quello che aveva sentito quando aveva incrociato lo sguardo di Camus attraverso la finestra. Lo chiamò, rabbrividendo e stringendosi nel kimono rosso che Shiryu le aveva donato qualche tempo prima, blanda protezione contro quel gelo.
"So che sei qui, ti ho visto." balbettò, muovendo qualche passo nonostante iniziasse a non sentire più i piedi.
 
Si concesse un minuto per osservarla, nascosto in mezzo agli alberi del giardino: spiccava come una maestosa peonia rossa in mezzo al candore della neve che cadeva da giorni in quella regione.
Quando sentì il proprio nome, serrò gli occhi e trattenne il respiro.
Aveva seguito le sue impronte sulla neve fresca e ora era lì, a pochi passi: avrebbe potuto allungare le braccia e stringerla a sé, ma ricacciò indietro quell'impulso a forza, dopo aver sentito sua figlia piangere, dentro casa. Silenzioso come sempre, le spuntò alle spalle, riattivando il Cosmo di colpo e facendola trasalire.
"Non ti muovere." le intimò, la voce di un ottava più bassa, gelida come non mai. "Potrei non rispondere di me."
"Ti... ti devo parlare."
"E' un po' tardi, non credi?" sibilò, avvertendo la rabbia rimontargli addosso, cieca. Le si avvicinò quel tanto che bastava per parlarle nell'orecchio, prima di scomparire. "Non temere, ci rivedremo."
Mei si sentì cedere e s'accasciò in ginocchio, tremando sempre più vistosamente, finché non arrivò Dohko, ad avvolgerla nel suo Cosmo.
"Rientra, Mei. Finirai con l'ammalarti." le disse, indulgente.
"Maestro... che cos'ho fatto?!"
"Figlia mia." sospirò Dohko, accarezzandole la testa. "Ormai è troppo tardi per chiederselo."
 
**
 
Quando Milo lo vide correre come se avesse avuto il diavolo alle calcagna capì subito che era successo qualcosa di grave; Camus oltrepassò il retro dell'ottava casa così di fretta e con una tale urgenza che le battute sarcastiche che gli erano salite alle labbra gli si erano bloccate in gola.
"Che sta succedendo?" gli domandò, non ottenendo risposta. "Camus! Ma che diavolo…? Potresti rispondermi? Mi stai facendo preoccupare!"
Ignorò Milo e marciò dritto all'undicesima casa, chiudendogli quasi la porta in faccia.
Non ti piacerà gli aveva detto Kiki.
E infatti, non gli era affatto piaciuto.
E' tua figlia.
Lui, padre? Era diventato padre e Mei non gli aveva detto niente?
In nove mesi non aveva mai pensato di avvertirlo, in qualche modo?
L'avrebbe sentito. Oh, se l'avrebbe sentito.
Si accasciò contro la porta quasi senza forze, nel petto un dolore sordo come se l'avessero appena pugnalato a tradimento.
In effetti non è proprio quello che è successo?
Per Athena, stentava a crederci. Non si trattava di stupidaggini, ma di una bambina! Gli aveva nascosto sua figlia! Come aveva potuto?
Riprese fiato rendendosi conto di averlo trattenuto involontariamente per diversi secondi, quindi urlò con tutto quello che aveva in gola.
Dall'altro lato della porta, Milo si spaventò sul serio quando lo sentì gridare: mille scenari gli si affacciarono alla mente, e tutti comprendevano Mei.
Le era successo qualcosa di grave? O, peggio, era successo qualcosa alla bambina?
"Cam! Per Athena, rispondimi!" insisté Milo, afferrando la maniglia e scoprendo che la porta era aperta e Camus vi era appoggiato contro. "Dimmi qualcosa!"
Ma che rispondere e rispondere… a malapena riusciva a respirare, sopraffatto da sensazioni e sentimenti troppo grandi e potenti.
Si trascinò di corsa in bagno e diede di stomaco, mentre Milo entrava in casa.
Non può averlo fatto davvero, non può avermi fatto questo.
"Maledizione Camus, calmati!" lo riprese, scostandogli i capelli dal volto. Lo aiutò a rimettersi in piedi: tremava ed era in un bagno di sudore e, cosa peggiore, continuava a premersi una mano sul petto. "Oh Athena, non ti ho mai visto così. Vuoi farti venire un infarto? Mi spieghi che cosa accidenti c'è?"
Camus biascicò qualcosa, ma era troppo sconvolto per parlare chiaramente e con calma: Milo non riuscì a capire che poche parole afferrate per caso... Mei, Cina, cattiveria...
"Finirai con l'iperventilare... non capisco, accidenti... è successo qualcosa a tua figlia?"  
A ripensarci, forse, sarebbe stato meglio non toccare quel tasto: lo sguardo che ricevette in risposta lo attraversò come una scarica elettrica.
"Tu sapevi?"
Lo guardò con aria colpevole, a differenza sua Milo non riusciva a mentire né a dissimulare. Quando ci provava, Camus lo scopriva subito: se ne accorgeva perché iniziava a tamburellare le dita sul primo oggetto disponibile, vizio che aveva adottato da bambino e non aveva mai perso.
Sì, lo sapeva, e in qualche modo aveva anche provato a dirglielo, anche se non aveva fatto abbastanza tentativi. Vederlo in quello stato aumentò i suoi sensi di colpa.
"Sì, ma ascoltami..."
"Sapevi che Mei era incinta… e non mi hai mai detto niente?!" sbottò, scrollando via la mano che gli aveva messo su una spalla.
Milo non sapeva che cosa rispondergli. Aveva tutte le ragioni del mondo per essere arrabbiato, e niente di ciò che avrebbe detto poteva cambiare lo stato delle cose.
"...ti prego..."
"Da quanto tempo sapevi?"
"Che importanza ha adesso?"
"Rispondimi."
"Da settembre." rispose Milo, in un sussurro quasi impercettibile.
"Settembre." ripeté Camus. "E in sei mesi non hai mai avuto un minuto di tempo per avvertirmi? Non ti è mai passato per la mente di avvisarmi, di pensare che avevo ogni sacrosanto diritto di saperlo?"
"Sei arrabbiato e lo comprendo bene, ma… per favore, Cam…"
Non riuscì a fermare il ghigno ironico che gli salì alle labbra. Arrabbiato? Lui?
No, arrabbiato era un eufemismo, era molto più che arrabbiato, dentro di sé provava così tanti sentimenti, tutti insieme, che Milo non ne aveva neanche idea.
"Non sai proprio niente." rispose gelido. "Tu non hai idea di come mi sento ora."
"E allora parla! Sono tuo amico, gli amici servono anche a questo!"
"Amico? Bella faccia tosta. Gli amici non si comportano in questo modo. Adesso capisco il senso di tutti quei continui spostamenti in Cina, capisco quel gran movimento di cosmi verso oriente dell'altra notte… eh già. Tutti sapevate di mia figlia e nessuno, nessuno ha avuto la decenza di informarmi a riguardo." sbottò Camus. "Nemmeno tu. Come hai potuto farmi questo?"
Il suo sguardo ferito lo colpì.
"L'avevo promesso a Mei." rispose Milo.
"Oh, le avevi fatto una promessa, ora si spiega tutto." disse Camus, sempre più ironico. "E che mi dici delle promesse che avevi fatto a me? Delle promesse che ci siamo scambiati da bambini, sulla lealtà reciproca e sul fatto che ci saremmo coperti le spalle a vicenda, che saremmo sempre stati onesti l'un con l'altro? Dov'è questa tua onestà, Milo?"
"Le promesse le mantengo sempre, Camus, che siano rivolte a te o ad altre persone. Sono leale e corretto, sono lo stesso Milo che hai conosciuto da bambino."
"Lo sei?" perché gli avevano giocato quel tiro mancino? Perché Mei aveva tenuto tutto nascosto e perché Milo aveva taciuto? "Passi Mu col quale non sono in confidenza… passi Shiryu che mi ha sempre remato contro ed è stato zitto per cattiveria, ma tu… da te non me lo sarei mai aspettato."
Milo scoppiò a ridere, istericamente.
"Ah sì? E quante cose tu hai fatto che io non avrei mai pensato potessi fare? Io sono così, come sono sempre stato. Sono quell'amico a volte troppo invadente, col carattere troppo estroverso, quello che cerca di tirarti su il morale con le battute sciocche e che spesso fa il cascamorto con le belle ragazze. Ma bada, solo cascamorto, perché contrariamente a quel che pensate tutti quanti non mi porto a letto qualunque cosa respiri. Io sono anche una persona seria, leale, sono un buon... anzi... sono un ottimo amico: Mei mi ha fatto promettere di non dirti nulla perché era convinta che l'avresti accusata di essere rimasta incinta apposta per intrappolarti e io come amico ho assecondato la sua richiesta. Punto."
Per come la vedeva lui, era solo una mera scusa campata per aria, dato che entrambi sapevano che non era e non sarebbe mai stato quel genere di ragazzo, era una stupidaggine buttata lì solo per coprire quella crudeltà immeritata.
L'avrebbe sentito, eccome. Arrabbiato com'era, sarebbe stato capace di qualunque cosa.
"E' una scusa assurda questa, sa benissimo che non avrei mai pensato una cosa del genere. Quando abbiamo perso il controllo e l'abbiamo fatto nonostante non avessi con me le necessarie precauzioni, sapevo a che cosa potevamo andare incontro, tutti e due lo sapevamo. Quindi no, non ci credo. Mi ha deliberatamente escluso." replicò Camus, prima di andare in salotto. "L'hai vista?"
"Sì, credo che si stia ancora riprendendo dal parto, Aphrodite mi ha detto che è stato parecchio doloroso, ma in fondo sono trascorse due settimane circa e dovrebbe già essere in grado di riprendere le sue normali attività." rispose Milo, seguendolo.
"Parlavo di mia... figlia."
Com'era strano pronunciare quella parola. Figlia. Bastava una sola parola, a volte, a cambiare radicalmente la vita: ora sapeva che c'era una parte di sé, al mondo, una parte che aveva bisogno di lui così come lui aveva bisogno di lei.
"Sì." rispose Milo, cauto. "L'ho vista. Ed è incredibilmente bella."
Uno scricciolino di tre chili e ottocento grammi, con una gran massa di capelli rossi: non appena aveva posato lo sguardo su di lei, gli era sembrato di vedere la versione in miniatura dell'amico; inoltre, senza farsi notare da nessuno, le aveva anche scattato una foto: non era granché, il suo cellulare non permetteva foto particolarmente nitide, ma era sufficiente a mostrargli il volto di sua figlia.
Ed eccola lì, la bambina.
Nella foto dormiva placida nella sua culla; aveva gli occhi chiusi, ma poteva comunque vedere il ciuffo rosso scuro spuntare dalla cuffietta. Scorrendo avanti le foto, ne vide un'altra dove era stretta tra le braccia di sua madre: nonostante il parto e il corpo appesantito dalla gravidanza, si accorse che non era cambiata, era bellissima come se la ricordava.
O almeno, lui la trovava tale.
Milo le aveva scattato diverse foto, alcune un po' troppo sfocate, segno che le aveva scattare di corsa e segretamente, altre per fortuna, più dettagliate. Ma dopo un po' posò il cellulare sul tavolino, accanto a un sacchetto di biscotti che Milo aveva posato poco prima e si prese il viso tra le mani tentando in ogni modo di non cedere alla rabbia che minacciava ancora di esplodere da un momento all'altro.
"Non te la prendere."
"Come, scusa?"
"Cam, avete il cinquanta percento di colpa…"
Era stato un brutto periodo per entrambi, ma lui non avrebbe mai fatto una cosa del genere, non le avrebbe mai nascosto una cosa così importante.
"Il cinquanta percento? Che cosa vorresti dire?"
"Beh, tu l'hai lasciata."
"E questo giustifica le sue azioni? Non l'ha concepita da sola, quella bambina è tanto sua quanto mia!"
D'accordo. Poteva capire tutto, la rabbia, la frustrazione… ma quello no.
Quello era troppo anche per lui.
Il dolore al petto tornò di nuovo, costringendolo a prendere dei grandi respiri per calmarsi.
"Come ha potuto farmi questo?" ripeté ancora una volta, incapace di darsi pace. "Tu le hai parlato, sei rimasto in contatto con lei, hai quindi uno straccio di spiegazione da darmi?"
Qualcuno in casa si schiarì la voce: Mu, seguito da Aphrodite.
"Se mi è permesso intervenire, vorrei spiegarti come sono andate le cose. So che sono l'ultima persona che in questo momento vorresti vedere ma se potessi concedermi qualche minuto per parlarti..." interloquì Mu, sulla porta del salotto. Non ottenendo risposte contrarie, proseguì. "Quando si è accorta di aspettare un bambino non ha voluto dirti nulla perché non voleva che tu pensassi fosse rimasta incinta di proposito per incastrarti. So che serve a poco, ma ho tentato di farle cambiare idea e di farti sapere di questa storia, anche Aphrodite ha provato a schiarirle le idee ma la conosci meglio di noi, non c'è stato verso."
Camus annuì appena, strofinandosi gli occhi.
"Posso capire come ti senti ma..."
"Ah no, ne dubito. Non credo che tu possa capire anche solo lontanamente come mi sento." sbottò Camus, brusco, interrompendo Mu. "Mi sento tradito. Mi sento derubato. Sono stanco. Sono così arrabbiato che potrei andare in Cina e rivoltare il Goro-Ho, Maestro Dohko o no. Sono così furioso che se avessi Mei tra le mani sarei capace di strangolarla!"
"Certe cose non andrebbero nemmeno pensate!" protestò Mu. "Per quanto avversa sia questa situazione, per te, non è una buona ragione per pensare e tantomeno pronunciare ad alta voce cose di questa gravità."
"Infatti non è una buona ragione, è un'ottima ragione." il puzzo delle pessime sigarette tipiche dei chioschi del porto, zuppe di catrame, annunciò l'arrivo di DeathMask. "Se fossi al posto tuo, quella sarebbe già in viaggio verso l'ade e la sua testa farebbe già compagnia alle altre. Le notizie corrono veloci, paparino, sia quelle belle che quelle brutte. E da quel che ho sentito entrando, la tua morosa ha pensato bene di tenerti nascosto tutto."
Riacquistato il suo usuale contegno gelido, Camus si schiarì la voce.
"Questa faccenda non ti riguarda, nessuno ha chiesto la tua opinione."
"Questo è vero." convenne DeathMask, spegnendo il mozzicone nel posacenere sul tavolino. "Ma lascia che ti dica una cosa: non puoi permetterle di metterti i piedi in testa così, ricorda chi sei e fai in modo che anche lei se lo ricordi. Se io fossi al posto tuo, le porterei via la marmocchia. Hai detto di essere suo padre, no? Ammesso che sia davvero così, cosa della quale dubito fortemente, hai anche tu dei diritti. Vai in Cina e te la prendi senza tante storie. Sii uomo, mostrale chi comanda."
"E per mostrarle chi comanda, dovrebbe portarle via la bambina? Non hanno tutti i torti se ti definiscono mostro." interloquì Aphrodite. "Ho aiutato io Mei a partorire, insieme ad Aiolia. L'ho guardata bene, ha i tuoi stessi capelli e, parola mia, pare averti rubato il volto. E' la tua miniatura, credimi."
"So perfettamente che è mia figlia, non ho bisogno di conferme."
DeathMask scoppiò in una risata, facendo spallucce.
"Povera anima." disse in italiano, prima di tornare al greco. "Sono un mostro? Sai che m'importa? L'odio degli altri mi rende potente e orgoglioso. Porti la marmocchia qui e la dai in mano a un paio di balie, poi impedisci alla strega di vederla, fine della storia. Così impara ad avere rispetto per gli altri, ad avere rispetto per il suo uomo."
Oh sì, conoscendolo, DeathMask l'avrebbe fatto sicuramente.
"Sei un essere rivoltante." sibilò Camus, rispondendo a DeathMask nella sua lingua, ignorando l'ondata di disgusto che era seguita al suo ragionamento.
"Lo so, lo so. Ma io non permetto a nessuno di farmi trattare come una pezza da piedi. Dì un po', ma hai ancora un briciolo di amor proprio? Pensi di alzare il culo da quel divano e far valere le tue ragioni o resti lì? Dov'è finita la tua dignità?"
 
***
Lady Aquaria's corner
Per prima cosa, il titolo: rimanda a una canzone di Alice Cooper.
-L'interpretazione dei sogni la trovate a queste pagine: serpenti e scorpioni; lo scorpione, comunque, è un elemento volutamente inserito e si riferisce, in questo caso, sia a Milo (perché non è stato sincero nei confronti dell'amico) sia a Mei (che appartiene al segno dello scorpione e che insomma, ha tenuto nascosta una notizia di uno spessore non indifferente).
-Cardia e Degél tornano a essere delle guest-stars del capitolo. Sono due personaggi che adoro e che nel limite del sensato cercherò di utilizzare per brevi spezzoni.
-Le descrizioni degli scorpioni citati da Milo li trovate qui: androctonus crassicauda, pandinus imperator ed euscorpius sicanus.
-Il khôl, o kohl, è un cosmetico che in alcune zone del medio oriente o in alcune regioni dell'Africa, è utilizzato maggiormente per ragioni "mediche" più che per ragioni estetiche. Vi rimando come sempre alla wiki.
-Camus, come tutti ben sapete, è uno di quei personaggi che tiene tutto ciò che prova dietro una spessa corazza protettiva. Ma sono dell'idea che, come tutte le persone, anche lui abbia un limite, oltre il quale la suddetta corazza non può più fare niente: qualunque essere umano ne ha uno, e il suo è appena stato superato. Quindi sì, qui è particolarmente OOC ma concedetegli una debolezza, ogni tanto. In fondo ha appena scoperto dell'esistenza di sua figlia, non ha scoperto una sciocchezza irrilevante.
Per questo capitolo credo sia tutto, grazie come sempre a chi recensisce (e chiedo venia per il ritardo col quale vi rispondo, ma sappiate che sono sempre ben accette!) e segue.


Lady Aquaria

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Capitolo 24
*** Distance. ***


24 prequel
24.
Distance.
Don’t you wish you were?
Don’t you wish I was?
Something more than mystery to uncover
Don’t you wish I was?
Don’t you wish we were?
Lovers without distance from each other
And I had wished you were
And I had wished we were
Lovers without distance, distance from each other
[Neverending White Lights - Distance]
 
La neve, col suo odore di ghiaccio e infinito, aveva coperto muschi e gelsomini. Gli spiazzi erbosi erano ammantati di bianco, i corsi d'acqua erano quasi immobili nella staticità del gelo e le immense risaie a terrazzo attendevano la primavera e una nuova semina.
Il cielo era niveo e carico della neve che presto sarebbe caduta ancora su quelle terre.
Il giardino di Mei, come tutto il resto, era sottomesso alla morsa del freddo, fatta eccezione per l'erica che cresceva lungo il perimetro della pagoda e per qualche elleboro.
Aveva pensato a lungo nelle ultime due notti, incapace di chiudere occhio. Aveva rimuginato, riflettuto, pianto. Aveva gridato la sua rabbia fino a seccarsi la gola, il cuore in tempesta.
Aveva maledetto il suo nome e costretto l'intero Santuario in una morsa di atroce gelo al quale nessuno dei suoi compagni d'armi era abituato.
 
"Per ridurre il Santuario in questo stato, proprio tu che abitualmente sei una persona responsabile e quieta, dev'esserti successo qualcosa di grave." gli aveva chiesto Ares, dopo averlo convocato al tredicesimo tempio. Si era domandato quanto sapesse il Grande Sacerdote di sua figlia. Aphrodite, senza dubbio, doveva averlo già messo a conoscenza di quel piccolo particolare.
"Non accadrà mai più." aveva risposto senza aggiungere altro.
"Ti concedo il permesso di recarti in Cina a sistemare i tuoi affari."
"Grazie."
"A guerra finita, tuttavia, discuteremo circa un certo problema, e tu sai a che cosa alludo."
 
Inspirò a pieni polmoni l'aria fredda, cercando di trarre quanto più coraggio possibile dal gelo che lo circondava e si apprestò a entrare nella pagoda, trovandosi di fronte Dohko.
"Maestro." lo salutò, inchinandosi in segno di rispetto.
"Entra, Camus."
"...preferisco aspettarla qui."
"Entra." ripeté Dohko.
Obbedì senza ulteriori indugi; all'interno non era cambiato niente dall'ultima volta, salvo forse le tracce della presenza di un neonato in casa, a partire dalla carrozzina parcheggiata in un angolo, nei pressi del camino.
"Mei è uscita con Shunrei, torneranno a breve. Accomodati. Ti piace il tè?"
"Non sono venuto per fare quattro chiacchiere davanti a tè e biscotti."
"Sì, so bene che il tuo obiettivo è un altro. Ma finché Mei non ritorna, dovrai accontentarti di questo povero vecchio." rispose Dohko, paziente, posando due tazze sul tavolo.
Il tè che Dohko gli stava offrendo odorava di terra. E pioggia. Terra bagnata: un odore insolito per un tè.
Tuttavia, per educazione e per non offendere il proprio ospite, bevve un sorso, facendo involontariamente una smorfia.
"Ha un gusto atroce, non è vero?"
Camus accennò appena un sorriso.
"...è... particolare."
"Ha un brutto sapore, puoi anche dirlo, non mi offendo. Il Pu-Erh è così: il primo impatto ha lo stesso effetto di un uppercut al mento, ti destabilizza. Ma al di là del brutto sapore, è un tè che controlla il colesterolo, mantiene l'equilibrio tra Yin e Yang e... beh, lenisce le ferite."
"...non sono ferito."
"Non nel corpo." rispose Dohko, sibillino. "Bevi. Ti accorgerai che non è poi così male."
Al primo sorso ne seguì un altro, ma cos'avrebbe dovuto sentire? In quel momento per lui non era altro che un tè strano.
"Va meglio?"
Annuì appena, per educazione.
"E' un po' come certe persone, non credi? Ti destabilizzano, ma alla fine non sono così male come credevi. Tieni, mangia qualcosa e lascia perdere il tè, il mio buon vecchio amico Shion, che ai nostri tempi mi fece scoprire questo tè, non si offenderà di certo. Dici di non essere ferito, eppure sento la tua rabbia. La sento da giorni."
Bastasse una tazza di tè dal gusto discutibile a farmi passare le ferite dell'animo...
"Cercherete di trattenermi?"
"Non ne sarei in grado."
"Allora non vorrete dirmi che adesso mi farete uno di quei discorsi da padre preoccupato?"
"Tu lo vorresti?"
"No."
"No. Non ti farò alcun discorso, anche perché hai ogni diritto ad essere arrabbiato."
"Almeno lo riconoscete."
Dohko sorrise mesto.
"Al posto tuo sarei arrabbiato anche io, non posso certo negarlo. Ma devo avvertirti che comprendo anche il punto di vista di Mei. Non ti farò alcuna predica perché so che sei un ragazzo giudizioso."
Camus percepì chiaramente il ma in sospeso. Ma Dohko non proseguì il suo discorso.
 
*
 
Di ritorno dal mercato insieme a Shunrei, Mei provava una strana inquietudine che tentava in tutti i modi di dissipare per non trasmettere malumore alla neonata che dormiva placida nella sua fascia.
"Non avrei dovuto chiederti di accompagnarmi al mercato." si scusò Shunrei, ricordando ancora le occhiate e le parole maligne che avevano seguito Mei lungo tutto il percorso tra le bancarelle. "La prossima volta cercherò di sbrigarmela da sola."
Gli sguardi duri e maligni e le parole cariche di veleno della gente erano arrivati non appena avevano visto la bambina stretta al suo petto: aveva coperto Lixue in tutti i modi possibili per impedire a quei villici ignoranti e bigotti di vederla. Se volevano offendere lei, liberi di farlo, ma la sua bambina no.
"La gente ha sempre bisogno di sparlare, Shunrei, e il più delle volte lo fa per sfuggire qualche istante alla vita miserabile che li perseguita dalla nascita e che li perseguiterà fino alla morte. L'anno scorso è toccato a Jung-Sook e l'anno prossimo probabilmente toccherà a Feng Lu o qualunque altra ragazza del villaggio. Quest'anno è stato il mio turno. Che parlino pure, prima o poi la cosa scemerà e cominceranno a parlare d'altro. In ogni caso ti ringrazio per avermi convinta a uscire. Se fossi rimasta ancora a lungo in quella camera, sarei impazzita." sorrise a Shunrei, grata. La ragazzina si offrì di tenerle la bambina, ma diniegò, fermandosi di scatto.
Lui.
Sapeva che prima o poi sarebbe tornato, gliel'aveva promesso qualche sera prima, e sapeva anche con assoluta certezza che quell'incontro non sarebbe stato facile, per nessuno dei due: l'aveva sentito, il suo Cosmo, espandersi preda della rabbia. Una furia cieca, che non aveva mai percepito in lui. E allora aveva sentito il proprio stomaco serrarsi in una morsa di paura, ben sapendo che quella rabbia, prima o poi, le si sarebbe rovesciata addosso con tutta la sua potenza.
Ed eccola, infatti.

"L'hai sentito?"
Ovviamente.

"Cosa facciamo?"
"Tu, niente. Per quanto mi riguarda farò ciò che avrei dovuto fare già tempo fa: affrontarlo."
Aveva temuto e bramato quell'incontro al tempo stesso, consapevole che non sarebbe stata una passeggiata. A poche decine di metri dalla pagoda, lo vide.
"Resto con te."
No, non c'era alcun bisogno di aiuto, era una cosa che poteva e doveva fare da sola.
"Bonjour." lo salutò, facendolo trasalire. Il suo sguardo blu si focalizzò prima su di lei, poi su Lixue, che aveva sistemato in una fascia porta bebè, stretta al seno, al caldo sotto diversi strati di vestiti.
"Ciao." le rispose, con una voce così gelida che la fece rabbrividire.

Non sapeva cosa fare, non osò muoversi.
"Qual buon vento ti porta? La Siberia è qualche chilometro più in su." scherzò, cercando di stemperare la tensione. "Hai sbagliato rotta?"
"No." era proprio quella la sua destinazione "Mei, ho la faccia di uno che vuole scherzare?"
Decisamente no.
Camus allungò la mano, scostando la mantella e le maglie di Mei che proteggevano la bambina dal freddo, guardandola con uno sguardo indecifrabile.

"Seguimi, dobbiamo parlare"
"Ah, ça va sans dire!" le rispose, a denti stretti.
Lo superò, avvertendo il suo sguardo penetrante su di sé.
"Stai tranquillo, sono capace da me di portare un sacchetto." diniegò, non appena Camus tentò di prenderle di mano il sacchetto della spesa.
Appena in casa, posò la borsa sul tavolo, preparandosi mentalmente alla discussione, mentre Camus guardava Shunrei e Dohko, invitandoli silenziosamente a uscire.
"Vi lascio soli." esordì Dohko, incrociando l'espressione di Camus. "Shunrei, c'è ancora tempo per preparare la cena, cara. Hanno parecchio di cui parlare."
Non appena soli, Camus chiuse la porta che comunicava con la stanza principale della casa dietro di sé, mentre Mei slegava la fascia che tratteneva Lixue.
"So che sei arrabbiato." esordì, con una pessima scelta di parole. "Ma per favore, cerca di capirmi."
"Con che coraggio mi dici una cosa del genere?"
Come rispondergli? Aveva ragione.
Tacque, posandogli delicatamente la bambina fra le sue braccia. Lo vide sgranare gli occhi, trattando la piccola come un oggetto di cristallo pronto a infrangersi da un momento all'altro.
"Puoi stringerla se vuoi. Non si romperà." gli sussurrò. "Appoggia la sua testa contro il tuo cuore, i suoi battiti la terranno calma."
Non le rispose, limitandosi ad arrossire e a sedersi su una poltrona, sentendosi cedere.
...ha i tuoi stessi capelli e, parola mia, pare averti rubato il volto. E' la tua miniatura, credimi.
I capelli, invero, erano più scuri dei suoi, viravano verso un intenso rosso ciliegia e... aveva ragione Aphrodite, era la sua copia.
"Come si chiama?" le domandò, gelido.
"Lixue Aimée. Il suo nome cinese significa neve graziosa." spiegò, trasalendo.
Un nome scelto non a caso. La neve era legata al freddo e quindi, indirettamente, Mei aveva voluto dare alla bimba un legame con lui, che di quell'elemento era padrone.
"Non ti perdonerò mai per quello che mi hai fatto." sibilò, con un tono carico d'accuse. "Perché non ne sapevo nulla? Ho saputo di lei per caso, maledizione. Per caso."
Si sentì tremendamente in colpa, ma a che cosa potevano mai servire, i suoi sensi di colpa, in casi come quello? A niente. Non si poteva tornare indietro.
"Non ti è mai passato per l'anticamera del cervello che forse avrei dovuto saperlo?"
"Ci ho pensato, credimi."
"NON MENTIRMI! Avrei potuto fare qualcosa. Non avevi il diritto di tenermi all'oscuro di una cosa di questa importanza!"
E cosa avrebbe potuto fare, ad esempio? Avrebbe dovuto dargli anche la soddisfazione di vederla strisciare ai suoi piedi chiedendo aiuto, magari?
"Hai già fatto abbastanza, direi. Sono indipendente e so cavarmela da sola. Non ci serve niente." disse, sulla difensiva.
Camus parve faticare a trattenersi; se ne accorse dal Cosmo, che iniziava ad agitarsi e che teneva a freno a fatica, per non nuocere a Lixue.
"Mei, questa bambina è anche mia figlia. Ho i tuoi stessi doveri e diritti nei suoi confronti."
Diritti?
Quali diritti andava vantando?
"Hey, aspetta un po' prima di accampare diritti su di lei." sbottò Mei. "Tu non hai alcun diritto sulla mia bambina."
"Sono suo padre." sibilò Camus, rabbioso, con una luce carica di rabbia negli occhi.
"Aver dato un po' di seme non ti rende automaticamente padre."
"Vuoi davvero avventurarti per questo discorso? Quello che avrei da dirti potrebbe non piacerti."
La guardò con uno sguardo che sì trasudava risentimento, ma che nascondeva altro sotto.
Vi lesse determinazione, e non le piacque affatto.
Quando i suoi occhi tornarono a posarsi sulla bambina, tornarono a essere dolci, come se li ricordava. Guardava Lixue come per imprimersi nella mente ogni lineamento, ogni singolo dettaglio.
"Hai ragione." convenne lui, dopo diversi minuti. "Si diventa padre quando senti la tua creatura nel ventre di sua madre, quando la vedi nascere, quando senti il suo respiro regolare nel sonno. Quando ti prendi cura di lei."
Capì d'avergli elargito una cattiveria del tutto gratuita e ingiustificata quando sentì quelle parole, pronunciate con una freddezza insolita.
"Si diventa padre quando hai la possibilità di crescere la tua creatura. Hai ragione. Peccato che tutto questo mi sia stato precluso." sibilò Camus. "Perché tu me l'hai impedito."
"…"
"E ora ho tutte le intenzioni di rimediare al tempo perso a causa tua." si alzò dopo tanti, troppi interminabili minuti, la piccola ancora stretta tra le braccia, e le voltò le spalle.
Quello che aveva detto DeathMask di sicuro non le sarebbe piaciuto così come non era piaciuto a lui, ma diamine, l'avrebbe usato come minaccia se Mei l'avesse portato all'esasperazione come stava facendo.
"Al posto tuo le porterei via la marmocchia." aveva detto DeathMask, con una naturalezza che gli aveva messo i brividi addosso. "Hai detto di essere suo padre, no? Ammesso che sia davvero così, cosa della quale dubito fortemente, hai anche tu dei diritti. Vai in Cina e te la prendi senza tante storie. Sii uomo, mostrale chi comanda."
"E per mostrarle chi comanda, dovrebbe portarle via la bambina? Non hanno tutti i torti se ti definiscono mostro." aveva obiettato Aphrodite.
DeathMask aveva fatto spallucce, ridendo di gusto.
"Sai che m'importa? L'odio degli altri mi rende potente e orgoglioso." aveva replicato. "Porti la marmocchia qui e la dai in mano a un paio di balie, poi impedisci alla strega di vederla, fine della storia. Così impara ad avere rispetto per gli altri, ad avere rispetto per il suo uomo."
"Sei un essere rivoltante." aveva infine trovato la forza di dirgli, superato il disgusto iniziale.
In un paio di occasioni, dovette ammettere a sé stesso, aveva anche pensato di farlo, quando la rabbia aveva raggiunto picchi estremi. Ma... ad esser sincero non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, non era una persona così spregevole da strappare un bambino dalle braccia di sua madre, non quando lui e Joséphine avevano subito la stessa sorte. E poi... beh, non avrebbe mai fatto del male a Mei.
Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, Mei assottigliò lo sguardo.
"E quindi, che cos'hai intenzione di fare? Parla pure liberamente, non trattenerti." lo esortò. "Credi davvero di poterti prendere mia figlia e portarla via? Credi che te lo lascerei fare?"
La guardò da sopra la spalla con aria di sfida sogghignando appena.
"Ci sto pensando sai? In effetti potrei prendere un paio di attendenti e lasciarla alle loro cure, durante le mie assenze." le rispose, con una calma che la fece rabbrividire. "Mais tu n'a pas d'avoir peur, ma petite, mes absences ne seront pas trop nombreuses. Potrei avere la possibilità di averla con me tutti i giorni e di vederla crescere. Potrei cullarla la notte, se dovesse fare dei brutti sogni: mais tu ne feras pas des cauchemars, parce que je vais te garder de tous les cauchemars du monde. Potrei portarla a Kobotec, crescerla nella mia isba o a Parigi, educarla secondo i miei principi et je t'enseignerai à parler le russe et à patiner. Ma non preoccuparti, naturalmente le parlerò anche di te, a tempo debito, quando chiederà di sua madre."
Rabbrividì sul serio, ancora confusa da quelle frasi che Camus aveva volutamente pronunciato in francese e che non aveva compreso, guardando istintivamente Lixue ancora stretta tra le sue braccia: si rese improvvisamente conto che avrebbe potuto farlo davvero, anche in quel momento, sparire con sua figlia e impedirle ogni contatto futuro.
Che cosa le avrebbe raccontato, parlando di lei?
Le avrebbe costruito intorno un castello di menzogne, dicendole che sua madre l'aveva abbandonata o, nel migliore dei casi, che era morta.
Si rese conto che sua figlia, la sua amata bambina, quella stessa creatura per la quale aveva lottato con tutte le forze, non avrebbe avuto neanche un ricordo di lei.
"E che cosa le racconterai, che l'ho abbandonata o che sono morta?"
"Ah non lo so. Potrei dirle che sei morta. In un certo senso per me lo sei."
"Non oseresti." replicò in un fil di voce, sentendo il cuore saltare qualche battito e ignorando lo strappo che l'ultima frase aveva fatto nella sua anima.
"Scommettiamo?"
Avvertì le ginocchia cedere, ma mai si sarebbe prostrata supplice davanti a lui.
"So perfettamente che contro di te non avrei neanche una possibilità di farcela, potresti uccidermi in qualunque istante con una minima mossa." disse. "Ma sbagli se pensi di poter avere vita facile. Potrai prenderti la mia bambina solo dopo avermi uccisa, e sono pronta a lottare e a vendere cara la mia pelle per lei."
Sogghignò come divertito dalle sue parole, conscio di avere la situazione dalla sua parte.
Che cosa farò, se dovesse davvero portarsi via Lixue?
"E che cosa potresti fare? Niente, l'hai detto tu stessa. Potrei fartela pagare cara per il resto dei tuoi giorni. Potrei allungare la mano e chiuderla sulla tua gola fino a soffocarti, come ho minacciato di fare quando ho scoperto questo tiro mancino. E la sola ragione per cui non lo faccio è qui, tra le mie braccia, perché non voglio assolutamente che mia figlia subisca quanto ho subito io. E' solo per lei che non ti farò nulla. Perché non voglio renderla orfana."
Spaventata, brandì il cellulare che fino a quel momento era rimasto sul tavolo e glielo mostrò.
"Ho registrato tutto!"
"... dunque?" quasi le rise in faccia. "Io avrei il Grande Sacerdote dalla mia parte, ricordatelo."
Il silenzio che seguì quelle parole, unito alla tensione, crearono un'atmosfera insostenibile.
E se avesse lasciato da parte l'orgoglio, lo stesso che aveva portato Camus e lei a quel punto?
L'orgoglio annienta ogni cosa.
"Non portarmela via." mormorò a un certo punto, suonando patetica persino alle sue orecchie.
Lixue gli strinse un dito, guardandolo con gli occhi spalancati, e lui ricambiò con altrettanta intensità quello sguardo.
"Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te."
"Non farmi questo."
"E tu cos'hai fatto a me?" replicò Camus. "Se al posto mio ci fosse stato DeathMask, a quest'ora la tua testa farebbe compagnia alle altre nella quarta casa e la bambina finirebbe in mano a chissà chi. Quell'essere spregevole dice che sarebbe la giusta punizione per quello che mi hai fatto."
Cos'avrebbe potuto fare per impedirgli di portare via Lixue? Niente. Nessuno le avrebbe permesso di tornare al Santuario e di rivederla, assolutamente nessuno.
"Ti prego non portarla via, ho lottato tanto per averla." lo implorò infine, la voce rotta. "E' la sola cosa che mi rimane di..."
... di te.
La sentì singhiozzare appena, agitata e terrorizzata. Serrò gli occhi, scuotendo la testa.
"Quanto vorrei davvero essere un gelido bastardo senza cuore: mi risparmierei tante sofferenze." mormorò, facendole capire che quello di poco prima era stato solo un bluff. Avvicinò la piccina al volto, ne inspirò il profumo, quindi la posò tra le braccia di sua madre prima di elargirle una lunga carezza sulla testa. Gli si strinse il cuore quando la vide, tremante, stringersi la neonata al petto. Scostò una sedia dal tavolo e la indusse gentilmente a sedersi, prima che potesse crollare in terra da un momento all'altro, quindi si accovacciò di fronte a lei.
"Ascolta, ora la poserò là dentro, d'accordo? Devo parlarti." in risposta ottenne solo un singhiozzo più forte, ma aveva bisogno di parlarle.
Come le aveva detto, prese gentilmente Lixue dalle sue braccia e la sistemò nella carrozzina, quindi le prestò di nuovo attenzione.
"Non mi crederai, eppure non ti farei mai una cosa del genere." le disse. "Guardami, Mei."
Lo fece, dopo diversi istanti, gli occhi rossi.
"Preferirei morire piuttosto che farti del male." aggiunse Camus. "Continuo ad amarti troppo per ferirti come tu hai fatto con me."
"E tu pensi davvero che sia stato facile per me nasconderti Lixue?" mormorò Mei. "Sapere che avrei potuto chiamarti in qualunque momento per avvisarti e allo stesso tempo impedirti di umiliarmi ancora? Avrei dovuto farlo, è questo che avresti voluto? Vedermi supplice ai tuoi piedi implorando il tuo aiuto dopo quello che è successo? Questi mesi non sono stati facili per me."
"Oh, invece per me è stato come bere un bicchier d'acqua." le rispose.
"Come facevo a immaginare il contrario? L'ultima immagine che ho di te è quella di un dannato codardo che dopo essersi divertito per bene con una ragazza, si accorge di non avere più alcun motivo per tenerla con sé e le volta le spalle mentre l'amico la riporta a casa." proseguì Mei, stanca. "Ma del resto non posso darti alcuna colpa, tu hai semplicemente preso quel che ti veniva offerto… se non lo prendevi da me, l'avresti preso da qualcun'altra.  Ma hai trovato la povera campagnola che si è concessa così, dopo neanche dieci giorni e quindi…"
Camus scosse la testa.
"Però, che gran considerazione hai per me e per la nostra storia."
"Storia? Come dicono i ragazzi del villaggio, per te è stata una botta e via."
"Nessuno conosce i nostri trascorsi meglio di noi. E poi, come ti permetti a sminuire e calpestare quel che provo per te? La mia non è stata una scelta facile! Ti accorgerai presto, molto presto, che le scelte di un uomo nella mia posizione non sono mai facili. E tu non hai alcun diritto di trattarmi come se fossi un gran mucchio di letame!" disse Camus, alzando involontariamente la voce che s'incrinò suo malgrado in più punti, prendendole il volto tra le mani e guardandola dritta negli occhi. "Oddio, come siamo arrivati a questo?... è vero, sono furioso con te, avrei dovuto sapere della gravidanza, avrei dovuto e voluto prendere le mie responsabilità e sono così arrabbiato che potrei congelarti viva, ma non potrei mai portarti via nostra figlia. Hai capito? Ci sarà un momento nel quale capirai tutto quanto, nel quale capirai che ti ho amata, e ti amo, in una maniera inspiegabile a parole, nel quale capirai che la nostra storia per me è importante. E forse sarà troppo tardi, per entrambi."
"E che cosa avrei dovuto pensare? Sono stata male per settimane intere, non facevo che pensare a te, a quelle parole... e poi è arrivata la gravidanza, non avevo nessuna idea sul da farsi e... non ti ho detto niente perché..."
La tirò a sé, stringendola.
"Tu parli così perché non sai come sto senza te. Non puoi capire cosa vuol dire svegliarmi la mattina senza i tuoi occhi e senza la tua voce. Non puoi capire quanto male fa ogni tuo abbraccio o bacio mancato. Non lo sai quanto può esser vuota una giornata senza sentirti ridere. E' difficile. Ma è colpa mia, perché non mi basta pensarti, non sono bravo a vivere come prima, come quando non ti conoscevo. Perché sei tu, è il tuo profumo perché è il tuo sorriso quello che mi manca. Io senza non ce la faccio, e tu non puoi capirmi, lo so."
"Che cos'hai detto?"
Qualcosa che non poteva permettersi di provare.
 
*
 
"Camus, grazie al cielo sei tornato in tempo."
"...niente paura, non era mia intenzione disertare." replicò, ironico.
Milo sbuffò.
"Proprio il momento giusto per scherzare, eh. Ares ha imposto il coprifuoco."
"Lui... cosa?!"
Gli spiegò che Ares aveva avuto informazioni in merito a cinque bronze Saint diretti verso il Santuario e che, per ragioni di sicurezza, nessuno di loro era più autorizzato a lasciare le proprie case.
"... e le ancelle sono state scortate fino a Rodorio, alle loro abitazioni." concluse Milo.
"Sì, proprio una gran rottura di palle." berciò DeathMask, spegnendo la sigaretta che stava fumando. "Così adesso mi toccherà cucinare e stirare."
"...il che significa" interloquì qualcuno "che voi tre dovreste essere nelle vostre case. Nessuno entra e nessuno esce dal Santuario fino a nuovo ordine."
Tre paia d'occhi si posarono immediatamente sul soldato che aveva parlato: uno sbarbatello che non doveva avere più di quindici anni, probabilmente una delle nuove reclute.
"Ehi, ragazzino. Con chi minchia credi di parlare? Con tuo fratello?"
"Spero che le nuove reclute non siano tutte così intraprendenti o al luogotenente di Ares toccherà addestrarne a centinaia..." mormorò Milo, quando vide DeathMask avvicinarsi alla guardia.
Camus scosse la testa, avviandosi verso casa, cercando in tutti i modi di ignorare il ragazzo che aveva iniziato a implorare pietà.
"Dì qualcosa, parla. Non voglio sentire le urla che seguiranno." disse a Milo, accelerando il passo. L'altro si schiarì la voce, raggiungendolo.
"Sei stato fuori tanto tempo, dove sei stato?"
"Secondo te?"
"Oh. E l'hai vista, dunque. Cos'hai fatto?"
"Le ho detto tutto quello che pensavo. Le ho vomitato addosso tutta la rabbia che provavo, ogni cosa. L'ho minacciata di portarle via la bambina fino a farla piangere. Ecco che cos'ho fatto." gli rispose. "E so di aver sbagliato, non c'è bisogno che tu me lo dica."
"E Mei?"
"Beh... mi ha risposto per le rime, almeno, fino a un certo punto. Abbiamo parlato. Le ho detto che cosa provo esattamente per lei ma naturalmente non mi ha compreso, dato che ho parlato in francese. Ci siamo abbracciati. L'ho stretta un'ultima volta ed eccomi qua."
"Sento che c'è qualcosa che non va, laggiù. Ares non è chi dice di essere, quell'uomo nasconde qualcosa. Stai attento."
"Qualunque siano i tuoi dubbi, non farne mai parola con nessuno. Mai."
"Non dev'essere stato facile."
Ovviamente no. Nel giro di poco era passato attraverso emozioni così contrastanti tra loro, che l'avevano svuotato. Si sentiva molto più che stanco.
"C'era anche suo fratello?"
Ora che ci pensava, non ricordava di averlo visto. Conoscendolo, l'avrebbe sicuramente apostrofato, eppure nonostante il Cosmo attivo, di Shiryu neanche l'ombra: al Goro-Ho c'erano solo l'anziano Dohko e le due donne.
"...no. E spero che non sia tra i cinque che stanno arrivando qui."
"Beh, almeno l'hai evitato."
Shiryu era il minore dei suoi problemi, a dirla tutta. Da quella mattina il suo chiodo fisso era ciò che gli aveva detto Ares, riguardo al problema e cioè sua figlia, sul quale discutere.
"Milo, devo chiederti un favore."
"Dimmi."
"E' una cosa seria ed è di vitale importanza per me, e te lo chiedo perché non mi fido di nessuno, solo di te." mormorò Camus. "Ares ha fatto strane allusioni riguardo mia figlia. Se per qualche ragione non dovessi essere in grado di proteggere lei e sua madre, fallo tu al mio posto. Trova loro un posto sicuro per tenerle lontane da Ares. Fai qualunque cosa, ma non lasciarle nelle sue mani."
Milo non riusciva a spiegarsi il perché di tanto interesse verso la bambina, tuttavia annuì.
"Certo. Con ogni mezzo, anche quelli illegali. Farò tutto il possibile."
 
Nel silenzio inquietante di quella sera, denso di tensione, Camus si trovò a vagare, silenzioso, nell'undicesima casa, ancora una volta in compagnia dei suoi pensieri.
Su cinquantadue bronze Saint quante possibilità c'erano che tra i cinque in arrivo ci fosse anche Shiryu?
Doveva sistemare un paio di faccende prima di affrontare qualunque cosa, e Lixue e sua madre erano le più importanti della lista.
 
***
 
Lady Aquaria's corner
Buon cielo quanto tempo è passato dall'ultimo capitolo... dunque, spero di rimettermi in pari anche con la principale, ormai i capitoli da rivedere sono pochissimi, grazie al cielo.
Tornando a questo...
-Camus, mentre parla con Mei dei suoi ipotetici progetti, si rivolge a sua figlia in francese, di proposito. Per stabilire un primo contatto privato con sua figlia, qualcosa che sia soltanto loro, e per escludere volutamente Mei da quel momento.
Augurandomi che il mio francese sia quantomeno passabile, le frasi che Camus dice alla figlia sono queste:  ma non temere, piccola mia, non saranno tante // ma sicuramente non ne avrai, perché li scaccerò tutti // ti insegnerò il russo e t'insegnerò a pattinare.
-Il Pu-Erh è un particolare tè dello Yunnan, dal gusto insolito.
-L'uppercut, o montante, è un colpo del pugilato.
-L'orgoglio annienta ogni cosa, aforisma attribuito a Madre Teresa.
-Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te: etica della reciprocità, concetto espresso praticamente in tutte le religioni, islam, cristianesimo, confucianesimo, antica Roma, antica Grecia...
-Le parole che Camus dice a Mei poco prima di tornare al Santuario le ho trovate (e riadattate) da una nota su una pagina Facebook che però, al momento della stesura di queste note, non trovo più. Qualora le trovassi, editerò questa nota.
 
Mi scuso per il ritardo col quale rispondo alle recensioni, ma il tempo è quel che è e sicuramente la mia non è svogliatezza, anzi. Vi ringrazio come sempre.
 
Lady Aquaria

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Capitolo 25
*** If tomorrow never comes... ***


25 prequel
25.
If Tomorrow never comes...
 
…if my time on earth were through
And she must face this world without me
Is the love I gave her in the past
Gonna be enough to last
If tomorrow never comes
[Ronan Keating - If tomorrow never comes]
 
Il dolore ti colpisce alle spalle a tradimento, senza preavviso. Si insinua dentro come un'infezione, contagia qualunque cosa incontra: i ricordi, i gesti, i sorrisi. Annienta ogni pensiero razionale, ti mozza il respiro.
Nell'esatto istante in cui avverte il suo Cosmo spegnersi, sente qualcosa spezzarsi dentro.  
Aveva sempre trovato sciocca quell'espressione, ogniqualvolta l'aveva trovata in un romanzo aveva richiuso il libro. Insomma, si era detta, com'è possibile restare in vita anche dopo che qualcosa, probabilmente il cuore, si è spezzato?
Eppure, è esattamente quello che aveva appena sentito.
 
Shunrei la osservava dalla finestra della cucina. Piegata su sé stessa, i capelli sparsi tutt'intorno e le mani premute sulla testa, percepiva il suo dolore e lo comprendeva fin troppo bene. L'aveva provato non più di un'ora prima, quando Shiryu aveva affrontato il Saint di Capricorn e per qualche lunghissimo momento, aveva creduto di averlo perso.
Quando iniziarono le urla, tormentate e disperate, serrò gli occhi, incapace a muoversi.
 
**
 
Tredici ore prima...
Una volta, durante una missione in estremo oriente, lui e Milo erano rimasti coinvolti in un terremoto. Ricordava bene quei momenti: si erano trovati in un parco pubblico e d'un tratto gli animali si erano ammutoliti. Gli uccelli sugli alberi avevano smesso di cantare e i cani ai guinzagli dei loro padroni si erano accucciati terrorizzati, la coda tra le zampe.
C'erano stati interminabili secondi di un silenzio terrificante, segnato anche da un cielo dai toni innaturali, quindi gli uccelli erano volati via, mentre i cani guaivano spaventati.
E allora l'aveva sentito: un boato, forte e spaventoso. Un rombo che sulle prime qualcuno aveva scambiato per un botto di capodanno, ma che poi si era rivelato per quel che era: il ruggito di un terremoto.
Dopo, la terra aveva iniziato a tremare, istanti che l'avevano lasciato senza fiato.
"Non hai mai sentito un terremoto?" gli aveva domandato Milo, del tutto tranquillo.
No, era stata la prima volta e francamente, aveva sperato fosse anche l'ultima.
Il silenzio che permeava l'intero Santuario quella mattina era inquietante allo stesso modo.
Uscì dall'undicesima casa, il corpo insolitamente imperlato di sudore e il fiato che si condensava in nuvolette nell'aria gelida di febbraio: a parte il suo stesso respiro, non si udiva nulla.
Istintivamente guardò verso oriente.
"Spero stiate bene." pensò, sobbalzando quando, da Rodorio, gli giunsero chiari e forti i rintocchi delle campane.
Le sei del mattino, il villaggio stava per svegliarsi come ogni giorno, nonostante all'alba mancasse ancora un po'; pescatori e fornai erano già al lavoro e presto la piazza centrale avrebbe accolto i banchi del mercato: un giorno all'apparenza come tutti gli altri.
Sento che c'è qualcosa che non va, laggiù. Stai attento.
Chiuse gli occhi, continuando a pensare alla sua famiglia, a migliaia di chilometri di distanza.
Famiglia.
Quando aveva scoperto dell'esistenza di sua figlia, si era illuso di poter gettare il passato alle spalle, lasciarlo lì dov'era e ricominciare da capo, prendere Lixue e sua madre e portarle con sé in Francia, vivere come una famiglia.
Illuso.
"Abbi cura di te e di nostra figlia." mormorò al vento, prima di rientrare in casa.
 
"Ti sento inquieta. Ti va di parlarne?"
Mei rimestò la zuppa nella pentola, prima di rispondere a Dohko.
"Ho un brutto presentimento, Maestro."
Una sensazione opprimente al petto che l'aveva colta da quando si era alzata e che pareva acuirsi di ora in ora.
"È per tuo fratello?"
A dirla tutta Shiryu era l'ultimo dei suoi pensieri.

"Non proprio."
"Oh, non preoccuparti per Camus: lui sa il fatto suo. Qualunque cosa succeda, sa badare a sé stesso."
"Ne sono certa."
"Shiryu è andato in Grecia insieme ai suoi compagni, e il loro atterraggio dovrebbe avvenire a momenti: entro poche ore dovrebbero trovarsi a cospetto del Grande Sacerdote insieme a Lady Kido."
Sempre se ci arrivano.
"Non sarà facile." proruppe Mei, dopo qualche minuto di silenzio.
"No, per niente." convenne Dohko. "Quest'oggi sarà una giornata molto, molto lunga e soprattutto molto dura."
"Sì." annuì Mei. "E io dovrei essere laggiù, non qui."
Dohko scosse la testa.

"No. Tu sei qui perché Camus vuole che tu sia al sicuro." la redarguì, in un tono che Mei non aveva mai sentito prima. "Quindi, prima che tu possa fare qualche passo falso, come cercare di raggiungere il Santuario e mettere entrambi in una situazione spiacevole, pensaci bene."
Non rispose e aiutò Shunrei ad apparecchiare tavola, salvo poi allontanarsi con una scusa preferendo chiudersi nella Stanza degli Avi insieme a Lixue.
Qualunque cosa avrebbe fatto, niente l'avrebbe distratta da quanto stava per accadere a migliaia di chilometri lontano; avvertiva distintamente i Cosmi di suo fratello e dei suoi amici –a quell'ora ormai atterrati in terra greca-, quello di Milo all'ottava casa e quello insolitamente inquieto di Camus, all'undicesima. Riusciva persino a immaginarlo, chiuso nel suo studio ma soprattutto chiuso in sé stesso, a rimuginare.
Ciò che la agitò di più furono i movimenti poco chiari e concitati che avvertiva, seppur a malapena, al tredicesimo tempio.
Accese gli incensi e s'inchinò di fronte al piccolo altare, iniziando a pregare qualunque divinità e qualunque antenato all'ascolto.
Stai attento, ti prego.
 
Nelle sue stanze, Camus trascorse le successive due ore a metter via tutta una serie di oggetti che avrebbe affidato a Mei: gli oggetti che le aveva donato e che quel giorno lei aveva volutamente dimenticato, fotografie, documenti importanti e istruzioni che le sarebbero servite, qualora avesse perduto la vita e di conseguenza essere impossibilitato a proteggerla.
Giorni prima avrebbe dovuto spiegarle tante cose e istruirla sul da farsi, ma la rabbia e l'amarezza gli avevano offuscato il pensiero al punto da dimenticarsene e ora era pentito di essersi lasciato sopraffare da quei sentimenti negativi.
Il segnale d'allarme dal tredicesimo tempio giunse improvviso e fin troppo chiaro, e Camus avvertì il cuore accelerare: aveva ancora disperatamente bisogno di tempo. Sistemata la cassetta in un luogo sicuro, ripose la chiave nel suo studio e indossò la sua armatura.
"Sono già arrivati?" domandò mentalmente a Milo, prestando attenzione a ogni singolo movimento all'interno del Santuario.
"Sì, Ares ha inviato qualcuno ad accoglierli."
Un Silver Saint, a giudicare dall'emanazione del suo Cosmo. Cinque persone erano giunte ai cancelli del Santuario: una ragazza e quattro modesti Bronze Saints.
"Bene. Occhi aperti, Milo."
"Camus... tra di loro c'è-"
"Lo so, l'ho sentito. Me ne occuperò a tempo debito."
"E c'è anche Shiryu."
Difficile non accorgersene, ma del resto, era una possibilità che aveva già preso in considerazione.
"So anche questo."
"...che Athena vegli sul tuo cammino." concluse Milo dopo pochi istanti di silenzio.
"E sul tuo, amico mio." lo congedò Camus, interrompendo la comunicazione. "Che Athena vegli su tutti noi."
Maledizione, Hyoga. Che diamine ci fai qui?
 
*
 
Prima ora, Ariete.
I minuti precedenti la prima casa erano stati frenetici, e non aveva compreso nulla di quanto accaduto a migliaia di chilometri di distanza. Shiryu stava bene? Stava procedendo tutto per il meglio? Avevano già incontrato l'emissario mandato da Ares?
Già, Ares.
Quell'uomo continuava a non convincerla, non era realmente chi cercava di apparire, c'era qualcosa di sottilmente pericoloso in lui, che non riusciva a spiegarsi.
L'unica cosa certa era che suo fratello e i suoi amici erano finiti dritti nella tana del leone, come agnelli mandati a morire.
"Dovrebbero aver già iniziato, ma io non sento niente."
Scacciò quei pensieri e tornò in sé, prestando attenzione a Shunrei.
"Neanche io." tagliò corto, cercando di concentrarsi su quanto stava succedendo; sapeva che la casa di Aquarius era ancora lontana, ma...
"Tu li conosci da vicino. Che poteri hanno? Rappresentano una minaccia?" domandò Shunrei.
Qualcuno forse no, ma si trattava di due di loro, forse tre. Dalla prima casa non sentiva nulla, tutto taceva: con molta probabilità, Mu li stava aiutando.
"Io ho conosciuto i ragazzi dietro le armature, non i guerrieri. E non hanno mai fatto cenno ai loro poteri, né io ho avanzato questioni in merito. In ogni caso, la tua è una domanda generale o vuoi sapere di qualcuno in particolar modo?" volle sapere.
Shunrei si torse le mani.
"Camus rappresenta una minaccia?" sussurrò.
Lui no. Non per Shiryu almeno.
"No, ma..." esordì dopo qualche istante, scegliendo con cura le parole. "...non tutti sono come Mu, sai. Probabilmente riceveranno un aiuto anche da Aldebaran, ma dalla terza casa in poi, beh...sono Gold Saints, possiedono un potere tale che non possiamo immaginare quanto esso sia vasto e potente. Si spostano alla velocità della luce, pensa di quali altri prodigi potrebbero essere capaci."
E se erano forti quanto i loro predecessori, c'era ben poco da scherzare.
"Sì, ma poi ci sarebbe Aiolia, lui..."
Aiolia era diverso già da qualche giorno, aveva sentito una sorta di profondo, radicale cambiamento in lui: non era più il ragazzo che l'aveva aiutata durante il parto insieme ad Aphrodite, ma decise di tacere e di lasciare che Shunrei si crogiolasse nella sua infinita speranza.

"Già, è vero...quasi mi ero dimenticata di lui." le fece un sorriso finto, sperando di essere convincente.
Mu e Aldebaran li avrebbero aiutati, sicuramente anche Dohko in qualche modo. Ma i restanti, soprattutto DeathMask e Shaka, alla sesta casa, avrebbero costituito un ostacolo più che pericoloso. Avrebbe potuto succedere di tutto, in quelle case: forse, non avrebbero nemmeno fatto in tempo a raggiungere la casa della Bilancia.
 
Seconda ora, Toro e terza, Gemelli.
Il Cosmo attivo e all'erta, l'armatura indosso, Camus si sedette alla sua scrivania, afferrando un libro, un tagliacarte e dei fogli. Era un azzardo scrivere delle lettere, dopotutto non sapeva nemmeno se Mei avrebbe avuto l'opportunità di leggerle, ma si accorse che non poteva non lasciarle qualcosa, a parte quella cassetta opportunamente nascosta.
Doveva sapere.
Aveva il diritto di conoscere il perché di quella decisione e quanto gli era costato prenderla, doveva sapere che la sua sola intenzione era stata –ed era- quella di proteggerla nonostante l'avesse perduta per sempre.
Poggiò il pennino della stilografica sul foglio e prese un gran respiro, lasciando fluire sulla carta tutto ciò che avrebbe voluto dirle di persona.
Mia... amata? adorata? cara, se stai leggendo queste parole significa che hai capito il senso delle frasi che ti ho lasciato sul cassettone. Le avrebbe lasciato degli indizi per condurla a quelle lettere, troppo personali da poter essere lasciate in giro. Spero anzitutto di aver sufficiente tempo per scrivere tutto ciò che ho bisogno di dirti, perché sento tuo fratello e i suoi amici uscire dalla prima casa e a questo punto potrebbe succedere qualunque cosa.
L'ultima volta ci siamo lasciati in malo modo, pieni di rancore e parole non dette, trasportati da sentimenti più forti della ragione. Ti prego di perdonarmi per ciò che ti ho detto l'altro giorno. Avrei preferito un altro finale per noi, ma spesso nelle nostre vite, le cose non vanno come desideriamo.
Si fermò un istante non appena avvertì l'oscillazione nel Cosmo di Aldebaran e quello di Seiya e compagni, probabilmente scaraventati da qualche parte dall'onda d'urto del suo vigoroso parigrado.
Okay, prima le cose più importanti. Sul dorso del libro dove hai trovato queste carte dovresti aver trovato una chiave: apre una scatola che ho provveduto a nascondere –in maniera sciocca e forse un po' azzardata- nel piccolo gazebo in giardino, dietro una delle grate della struttura. Degél mi odierà per aver usato qualcosa di suo per i miei scopi personali, ma è un posto sicuro, o almeno spero. Ti ho lasciato delle istruzioni al suo interno, se Ares sopravvive a tutto questo, vorrei che tu le seguissi. Milo ti darà una mano, puoi fidarti ciecamente di lui.
Si alzò, prendendo a camminare avanti e indietro per la stanza, pensieroso: in condizioni normali, non sarebbe mai ricorso a mezzi quasi illegali, ma c'era la sua famiglia di mezzo. Ripensò alla cassetta nascosta in giardino: era davvero un posto sicuro? Insomma, in certi casi i nascondigli più comuni non erano l'armadio, o il bagno, o sotto il letto? A chi sarebbe venuto in mente di occultare qualcosa all'aperto, in pieno inverno?
Calmati, così peggiori solo le cose.
Tornò a sedersi dopo lunghi istanti nei quali aveva cercato di captare qualcosa dei cinque ragazzi fermi diverse case più in giù. Ancora lontani, ma allo stesso tempo troppo, troppo vicini.

...non ho risposte, io stesso fatico a comprendere il disegno dietro tutto questo. Non ti ho allontanata per mancanza d'amore, ma perché al contrario ti amavo (e ti amo) troppo per poterti permettere di fare una scelta che ti avrebbe lacerata. Se ti avessi confessato ogni cosa e tu fossi rimasta, a quest'ora saremmo stati insieme, ma... a quale prezzo? Non potevo permetterti di scegliere tra me e tuo fratello. So già quali saranno le tue obiezioni quando leggerai, ti conosco, ma sistemarti al villaggio insieme alle ancelle, sapendoti qui vicino e quindi in pericolo, avrebbe peggiorato tutto. L'amore è una distrazione e una debolezza, per quelli come me, e adesso capisco perché nessun Saint, né ora né nelle epoche passate, ha mai preso moglie: troppe distrazioni, troppe debolezze. Troppo da perdere.
Ecco un'altra di quelle scelte difficili delle quali ti parlai tempo fa, ricordi?
Tu sei il mio punto debole, Mei. Se ti succedesse qualcosa, non me lo perdonerei mai. 
Sciocco sentimentale. Aveva sempre spinto i suoi allievi a lasciarsi tutto alle spalle in battaglia, di non lasciarsi distrarre, eppure era il primo a infrangere le sue stesse regole. Mei ormai era troppo radicata in lui per poterla estirpare. Era la sua debolezza e probabilmente sarebbe stata anche la sua fine.
Tu mi hai distrutto. Anni spesi a difendermi dietro cortine di freddo e tu, in poco tempo, hai distrutto il lavoro di tutta una vita con ogni parola, ogni sorriso, ogni minimo gesto.
Con quel pomeriggio.
Dietro la cascata mi hai spogliato di ogni difesa e di qualunque maschera costruita ad arte, mi hai lasciato nudo e inerme. Ero solo io, e per quanto insignificante, hai amato me, non il guerriero. Tra le tue braccia ho scoperto un porto sicuro, un posto felice, nel quale ho trovato riparo e calore e che mi è costato -ti supplico di credermi- abbandonare e sprangare per tornare al gelo che mi circonda da sempre.  

Ti sembrerò uno sciocco sentimentale, ora, e probabilmente non mi crederai ma io ho ancora bisogno di te, esattamente come ho bisogno dell'aria che respiro.
"No, questo forse non dovevo scriverlo." sospirò, conscio di essersi esposto come non mai. Riusciva persino a capire come doveva sentirsi un paziente in sala operatoria durante un'operazione a cuore aperto: nudo e totalmente esposto alla mercé dei medici.
Guardò i fogli che aveva riempito con la sua calligrafia sottile e fitta, decidendo di lasciare tutto così come l'aveva scritto, restando nudo e totalmente esposto alla mercé di Mei.
Guardò rapidamente fuori, accorgendosi che la seconda ora era passata da un bel pezzo. Sentì Milo avvicinarsi e decise di uscire.
Ares non è chi dice di essere, quell'uomo nasconde qualcosa.
La corsa di Shiryu e dei suoi compagni pareva essersi bloccata alla terza casa. Sentiva un Cosmo al suo interno, eppure il Saint di Gemini latitava da tempo.
"Sarà un miracolo se sopravvivono alla sesta casa." esordì Milo, fermo dinanzi l'atrio dell'undicesima casa. "Comunque, hai sentito anche tu quel Cosmo alla terza?"
"Difficile non sentirlo." rispose Camus. "Tu piuttosto, non dovresti essere tre case più in giù, in questo momento?"
Milo notò solo allora che cosa stesse facendo l'amico.
"Perdiana, anche io dovrei fare testamento, anche se non ho molto da offrire ai posteri." lo prese in giro. "Oppure che cosa sono, le tue memorie?"
"Né l'uno né l'altro." tagliò corto Camus.
Non si offese di fronte alla reticenza dell'amico, tuttavia decise di concentrarsi un po' sul conflitto in atto da Gemini.
"Per essere ragazzini, non sono niente male." esordì diversi minuti dopo. "Alla prima e seconda casa si sono ammorbiditi, ma contro gli altri parigrado? Contro di noi? Cosa potranno mai fare?"
"Sottovalutare un avversario è un grave errore." lo redarguì Camus. "Saranno anche dei ragazzini e dei modesti Bronze, ma non è il metallo dell'armatura che determina il valore di un uomo in battaglia."
"Allora sarò ben felice di testare il loro valore, se riusciranno a superare Shaka." ridacchiò Milo.
"Fa' ciò che vuoi, ma fai attenzione a chi metterai alla prova."
"Stai tranquillo, so che Hyoga l'hai addestrato per bene, non mi piace l'idea di avere a che fare con le sue trappole di ghiaccio."
"Ti converrà farlo, se non vuoi incappare nella mia ira."
Gli scoccò un ghigno in risposta.
"Hai sentito? Si sono divisi. Pare che due siano usciti mentre due siano rimasti intrappolati nelle illusioni di Gemini."
Shiryu era uscito, Hyoga era rimasto.
"Dannazione." si ritrovò a mugugnare.
"Oh, e di che ti preoccupi? Ricorda chi c'è ad attendere lui e Seiya: ne vedremo delle belle."
"DeathMask lo massacrerà." sospirò Camus. "E non mi sembra un buon motivo per sorridere."
Due boati improvvisi, a distanza ravvicinata. Un Cosmo estraneo. Un terzo boato, che, letteralmente, parve scuotere il Santuario intero.
"Qualcuno sta giocando con i varchi dimensionali. Credo che sia il caso di tornare alle proprie postazioni." commentò Milo, alzandosi prima di correre di gran lena all'ottava casa.
Già.
Ripose di corsa carte e penna nello studio e tornò fuori, concentrandosi su quella debole scintilla di Cosmo che prima aveva solo percepito e che ora sentiva molto più vicina.
Seppur azzardata, prese una certa decisione.
"Hai lasciato la tua casa?!"
"A quanto pare."
"Non dirmi che sei diretto alla settima."
"Non te lo dirò."

Milo non tentò di fermarlo o di trattenerlo, tuttavia, avendo riconosciuto il Cosmo appena arrivato alla settima casa, temeva ciò che sarebbe potuto succedere e le ripercussioni che avrebbe avuto la psiche di Camus.
"Hyoga." disse soltanto.
"Hyoga."
"Tenterai di dissuaderlo da un'impresa impossibile?"
"No, anche perché lo conosco come le mie tasche, è testardo come un mulo e nessuno riuscirebbe a convincerlo a rinunciare. Nemmeno io."
"Dunque tenterai di fermarlo prima che possa arrivare da me?" sogghignò Milo.

"Da te o da Shura o Aphrodite." lo corresse Camus.
"Oh, capisco. Per te sarà come bere un bicchier d'acqua, lo sconfiggerai senz'ombra di dubbio." commentò Milo. "Non fargli troppo male."
Camus s'infilò l'elmo.
"Ho addestrato io quel ragazzo, so di che cosa è capace e non lo sottovaluto perché ho insegnato egregiamente. Non sarà un gioco da ragazzi, perché si batterà fino alla morte." rispose, prima di uscire dall'ottava casa.
Varcò la soglia di Libra nel silenzio assoluto, interrotto dal suono ritmico dei propri passi e da un tonfo nella sala principale. Ancora immerso nel buio dei corridoi mal illuminati della settima casa, guardò Hyoga rialzarsi e guardarsi interrogativo intorno.
"Sono riuscito a uscire dall'altra dimensione... ma dove mi trovo? Sembrerebbe una delle dodici case..."
Che intuito, pensò, prima di muovere qualche passo ed esporsi alla luce che il lucernario lasciava filtrare. Hyoga gli dedicò immediatamente attenzione, sgranando gli occhi dalla sorpresa.
"Maestro!"
"È da tanto tempo che non ci vediamo, Hyoga." esordì. "Ho sperato fino all'ultimo di non vederti, oggi."
Il ragazzo corrugò la fronte, senza sapere che cosa rispondergli. Replicò con una domanda.
"Siamo all'undicesima casa?"
"No, la mia è più avanti. Questa è la settima, la casa della Bilancia."
"La casa del vecchio maestro di Shiryu."
"Già. Ma come saprai, lui non si sposta dal Goro-Ho da lungo tempo, il che significa che questo luogo è incustodito."
"E perché vi trovate qui?" gli domandò Hyoga, diretto.
"Per fermarti." 
 
Quarta ora, Cancro.
Sapeva quanto doveva essergli costato quel gesto. Nonostante percepisse il Cosmo di Camus fulgido e vigoroso, come se nell'ultima mezz'ora non avesse affrontato nessuno, avvertiva anche l'alone di rammarico e tristezza dietro quella calma apparente.
So che non volevi farlo, non darti colpe.
Stava bene, ed era la sola cosa che contava in quel momento. Smosse le ceneri nell'incensiere e scese dabbasso, un poco più tranquilla di quando si era chiusa in quella stanza, trovando Shunrei e il Maestro: a quanto pareva, le abitudini di tutti, quel giorno, erano passate in secondo piano.
"Prima hai detto che Camus non costituisce una minaccia, ma hai sentito il suo Cosmo?"
Diamine sì, se l'aveva sentito.
"Fa parte della schiera più forte dei Saints di Athena, è naturale che il suo Cosmo sia forte." minimizzò, trattenendosi dal ricordarle che Camus, in quel frangente, era l'ultimo dei suoi problemi. "Ti ho detto che Camus non è una minaccia per Shiryu, ed è vero. Il suo obiettivo è il suo allievo, quindi non attaccherà nessun altro a meno che, ovviamente, non sia costretto."
"Se dovesse farlo..."
"Ci porremo il problema se e quando questo si presenterà: nel frattempo non fasciarti la testa prima di essertela rotta." replicò Mei, dedicandosi poi ad allattare Lixue.
Ammesso che riesca ad arrivarci, all'undicesima casa.
Come se Dohko le avesse appena letto nel pensiero, si schiarì la voce, prorompendo poi in un lamento.
"La mia povera, vecchia schiena." sospirò. "Shunrei, cara, saresti così gentile da andare a prendermi il cuscino che ho lasciato in camera?"
Gentile come sempre, Shunrei si alzò senza fare una piega, lasciando i due soli.
"Credo di aver messo Shiryu nei guai." mormorò Mei a bassissima voce, sperando che Shunrei non la sentisse.
"In che modo?"
Tu non vali nemmeno la metà di quel che vale mio fratello! Non tollero simili paragoni da un uomo che ha attaccato a quel modo un guerriero di casta più bassa e che voleva obbligare un uomo anziano a seguirlo con la forza. Fai male a sottovalutare Shiryu: prima o poi sarà lui a finire il lavoro con te!!
Gli raccontò di quando, mesi prima, aveva risposto a tono a DeathMask nel difendere Shiryu. E adesso che suo fratello aveva spronato Seiya a proseguire verso il Leone restando solo a fronteggiarlo, si sentiva responsabile di qualcosa.
"Credo che dovresti seguire il consiglio che hai dato a Shunrei poco fa e concedere a tuo fratello un po' di fiducia senza fermarti alle apparenze. Shiryu e i suoi amici hanno Athena in persona dalla loro parte, perciò smetti di preoccuparti."
Più facile a dirsi che a farsi.
Come aveva intuito già nel momento in cui, senza troppa fatica, aveva spedito Shiryu nella cascata, DeathMask era un avversario da non sottovalutare. Capì che da quello scontro solo uno ne sarebbe uscito vivo.
Shiryu, non deludermi.
La furia omicida di DeathMask e la straordinaria bravura con la quale egli la utilizzava si scatenò non appena decise di fare sul serio. Le sembrava di trovarselo ancora di fronte agli occhi, con la sua risata demoniaca e il suo ghigno, mentre fronteggiava Shiryu come mesi prima, lì al Goro-Ho, ma questa volta nessuno sarebbe intervenuto in difesa di suo fratello.
Shunrei corse fuori dalla pagoda non appena fu chiaro che Shiryu era in pericolo, ignorando le proteste di Dohko e Mei.
Farò anche io così? si domandò, anche io dovrò pregare per la sua salvezza?
Eppure non ce n'era alcun bisogno, aveva già sentito di cosa era capace. Hyoga aveva superato i compagni per caso e ora sarebbe rimasto nella casa di Libra in quel sarcofago di ghiaccio, i suoi compagni con molta probabilità non avrebbero superato la sesta casa... che motivo c'era di preoccuparsi?
Andava tutto bene.
 
Quinta ora, Leone e Sesta, Vergine.
"Si stanno avvicinando, dovresti tornare ai tuoi alloggiamenti."
"Sono da Aiolia, ne avranno per un po'. E poi, comunque, ricordati che devono passare per la sesta casa prima di arrivare da me, e beh, non credo che per loro sarà facile." minimizzò Milo. "Hai sentito di Shiryu?"
A quanto pareva, il giovane dragone aveva sconfitto DeathMask: tutti avevano sentito il loro parigrado scomparire nell'aldilà senza fare ritorno tra i vivi, tirato giù a forza dalle stesse anime che lui aveva ucciso.
"Eccome, e la cosa non mi stupisce." replicò. "Ma DeathMask avrebbe dovuto aspettarselo, dato che ha avuto la bella idea di mettere in mezzo la ragazzina."
"Sì. Un Cosmo davvero potente, quel ragazzo è pieno di sorprese, e io che pensavo che la sua fosse solo boria."
"Vorrei vedere te al suo posto, se sentissi che la persona che detesti di più al mondo sta per uccidere la tua donna." sbottò Camus.
"Quando ho percepito i suoi poteri farsi strada fino in Cina, ho temuto potesse colpire anche Mei e vostra figlia."
"Non l'ha fatto perché mi conosce abbastanza bene da sapere come avrei reagito. Il dolore che hai patito quel giorno a Kobotec quando stavi per morire assiderato, te lo garantisco, sarebbe stato nulla in confronto a quello che avrei inflitto a lui. E non sarei stato misericordioso come Shiryu."
Milo rimase stupito per la veemenza e per la rabbia con la quale aveva risposto, e per la strana luce nei suoi occhi blu.
"Come stai?"

Camus si appoggiò alla colonna dietro di sé.
"Come vuoi che stia? Ho perso Isaak, ho perso mia figlia e ora ho perso anche Hyoga." mormorò, stanco. Il primo, perso anni prima in Siberia, sua figlia, creatura amata che aveva conosciuto tardi e che probabilmente non avrebbe mai più rivisto e Hyoga, che aveva preferito mettere fuori gioco per non permettere ad alcun parigrado di affrontarlo e ucciderlo.
Il Cosmo di Aiolia ebbe un picco incredibile e si voltarono entrambi verso la quinta casa, stupiti: se non si ricordavano male, Aiolia aveva in simpatia Seiya, più di una volta era intervenuto in suo favore e comunque, essendo allievo di Marin, difficilmente avrebbe alzato un dito contro di lui.
"Comincio seriamente a non capirci più nulla." borbottò Milo.
"Benvenuto nel club." rispose Camus, distrattamente.
"Insomma... ho sempre creduto che Aiolia avesse in simpatia il giovane Seiya, anche perché allievo di Marin... l'ha aiutato più volte e ora lo sta affrontando senza pietà. Senti il suo Cosmo?"
"Difficilmente un uomo cambia così radicalmente nel giro di poco tempo, dev'essere successo qualcosa. Qualcuno con forti poteri psichici deve avergli fatto il lavaggio del cervello, non c'è altra spiegazione."
"Non sono in molti qui a possedere poteri di questo genere... hai dei sospetti?"
Qualunque siano i tuoi dubbi, non farne mai parola con nessuno. Mai.
Seguendo il proprio consiglio, decise di tacere a riguardo.
"Ma no, direi piuttosto delle sensazioni. Molte cose non sono come sembrano."

Tante, troppe cose non andavano per il verso giusto, ma era meglio tacere e non esternare a nessuno, nemmeno a Milo, quelli che erano dubbi o sospetti. Se certe cose fossero trapelate e arrivate alle orecchie sbagliate, avrebbe passato dei guai seri, e probabilmente Mei con lui. Per quanto avesse fatto il possibile per allontanarla e tenerla fuori da certe faccende, era comunque coinvolta.
Dovesse finire nei guai per me non me lo perdonerei mai.

Nel silenzio che seguì, Milo si accese una sigaretta, decidendo di seguire lo scontro in atto alla quinta casa.  
"Improvvisamente sei silenzioso." notò Camus, una decina di minuti dopo. Si accese la sigaretta che Milo gli aveva offerto poco prima e giocherellò con l'accendino. "È per il giovane spasimante di Shaina?"
"Il cosa?"
"Cassios, l'allievo di Shaina."
"So chi è." rispose Milo, brusco.

"Non prendertela con me, al Santuario tutti sanno che ha una cotta per lei. O forse dovevo dire quasi tutti."
"Beh, tanto lei non ricambia."
La sua sicurezza lo divertì.
"Che ne sai?"
"...perché il mio istinto dice che ha apprezzato, e anche molto, ciò che ha visto tempo fa."

Camus fece mente locale, corrugando la fronte e aspirando dalla sigaretta. Quando ricordò, scoppiò a ridere.
"Parli della serenata che le hai fatto nel cuore della notte, nudo come un verme?"
Milo roteò gli occhi.
"Oddio... intanto stava albeggiando e non era in piena notte, poi non ero nudo. Quando sono uscito di casa, ero vestito."
"E nel tragitto dall'ottava casa al gineceo hai inavvertitamente perso i vestiti, mutande comprese?"
"Ero brillo e avevo intenzione di dichiararmi."

"D'accordo, ma potevi almeno aspettare ancora un po' prima di mostrarle la mercanzia." ridacchiò. "Certe trattative si portano a termine con calma e pazienza."
"E tu quanto hai pazientato?"
Camus fece mente locale.

"Una settimana, ma in mia difesa posso dirti che nel mio caso gli eventi hanno preso una piega diversa da quella prevista."
"Ma non ti sei tirato indietro."
"No. E sono felice di non averlo fatto."
Ammutolirono quando si accorsero della morte di Cassios, incapaci di credere che Aiolia avesse sul serio ucciso a sangue freddo quel ragazzo dalle capacità palesemente inferiori alle sue. Il giovane non era mai stato un esempio di simpatia, ma a detta di Shaina, gentile e premuroso, a modo suo.
"A questo punto non mi resta che darti ragione." mormorò Milo.
"Non volevo aver ragione, amico mio. Preferivo sbagliarmi, credimi."
Milo rimase ancora un po' in sua compagnia, attento alle mosse del loro parigrado e valutando i tre sventurati che, per fortuna o per chissà che altro, erano giunti, contro ogni aspettativa, fino alla sesta casa. Decise che Shiryu, per quanto irritante, era un discreto stratega e che Seiya aveva fegato da vendere, soprattutto per il modo in cui aveva spinto Shaka a rivolgere loro attenzione. Shun era il più calmo dei tre ma sapeva che erano proprio le persone più calme a riservare le sorprese più inattese.

"Ah, però." proruppe parecchio dopo, distraendo Camus dai propri pensieri. "Avevo udito delle voci riguardo il giovane Andromeda, sapevo che non era così calmo e pacato come appare, ma la realtà supera qualunque immaginazione. Ha appena tirato fuori l'asso vincente."
"Parli di suo fratello? Ho sentito molto sul suo conto: ha vissuto l'inferno durante l'addestramento e ne è uscito vivo. A differenza di suo fratello ha un carattere duro, difficile e molti stentano a credere che siano fratelli. È lui la vera sorpresa dello scontro, non Shun."
 
Mei seguì gli scontri alla sesta casa con apprensione: se nemmeno Shaka era in grado di bloccare l'ascesa dei tre Bronze, gli eventi sarebbero precipitati sicuramente. I tre, Shiryu compreso, avrebbero raggiunto più velocemente l'undicesima casa e, di conseguenza, la loro meta, due templi dopo. Gli unici ostacoli che sarebbero rimasti tra loro e Camus sarebbero stati Milo e Shura, ma a quel punto, chissà che cosa sarebbe potuto succedere.
Degél la vegliò a lungo, preda dei sensi di colpa che provava nei suoi confronti: nulla l'avrebbe preparata a quanto sarebbe successo entro poche ore e lui poteva fare ben poco per alleviare il suo dolore.
Rimase in silenzio senza palesarsi, ascoltando le sue preghiere –dirette a Shaka, affinché facesse il suo dovere senza fallire- e, più tardi, le sue maledizioni –dirette a Shiryu, reo di aver liberato Hyoga dal feretro di ghiaccio del suo successore-.

Semplicemente, gli eventi stavano facendo il loro corso così come lui li conosceva. Dirle la verità, tuttavia, avrebbe scatenato una serie di reazioni tali da sconvolgerli in modi che non poteva e voleva immaginare.
Serrò la lingua dietro i denti, implorando silenzioso il perdono della ragazza che, inginocchiata, pregava per la sorte già decisa del suo amato.
 
Ottava ora. Scorpione.
Non aveva pensato a quell'opportunità. Il pensiero che avrebbero potuto utilizzare le armi della Bilancia per liberare Hyoga non l'aveva nemmeno sfiorato, eppure capì che non era solo grazie alla spada che Shiryu aveva aiutato l'amico, era soprattutto grazie al suo Cosmo, che dallo scontro alla quarta casa si era come rafforzato, anche per merito di DeathMask e delle sue geniali idee.

"Stolto." borbottò. A Shiryu, o a sé stesso?
Scandagliò attentamente la situazione, sentendo Shun fermo alla settima casa e Seiya e Shiryu nell'ottava, dove Milo ancora non si era palesato, forse in procinto di preparare una teatrale entrata in scena.
Si appoggiò al parapetto, scorgendo l'ottava casa tre templi più giù e aspettando la mossa dello scorpione: da quella distanza riusciva chiaramente a percepire gli stati d'animo dei due giovani preoccupati per Shun che, a quanto pareva, era intenzionato a usare il proprio Cosmo per salvare Hyoga dall'assideramento.
"...come Andromeda nel mito, Shun finirà col sacrificarsi."
"Allora torniamo indietro, prima che sia troppo tardi."
Ed eccola, la mossa di Milo.
Riattivò il Cosmo, bloccando i due prima di palesarsi.
"Eh no. Volete farmi questo sgarbo? Uscire dall'ottava casa senza salutarne il custode?"
Milo avanzò lentamente dall'oscurità dell'ottava casa, concedendosi tutto il tempo del mondo per osservare i suoi avversari parlottare tra loro: il giovane allievo di Marin, dal temperamento testardo e focoso, quindi Shiryu, più mite e assennato. "Shaka aveva ragione, non avete nemmeno un briciolo di buona educazione. Ma non posso non notare la vostra intelligenza: Shiryu ha detto bene, non vi lascerò tornare indietro, ma allo stesso tempo, non vi lascerò andare avanti. Ora che siete nella mia casa, dove diavolo credete di andare?"
Senza dar loro il tempo di replicare, li immobilizzò qualche minuto con il restrinction, il suo colpo meno potente. Non era Camus, pur volendo bene a Mei non si sarebbe lasciato sconfiggere da Shiryu. Decise che avrebbe dato loro l'opportunità di arrendersi e andar via, piuttosto che passare direttamente alle maniere forti.
"Non riesco a muovermi! Lo scorpione immobilizza la preda prima di iniettare il veleno mortale!" sussurrò Seiya.
"Di questo passo verremo sconfitti."
"Ma tua sorella non ti ha detto niente?"
"No."
Su quello, ricordò Shiryu, era stata molto, molto stringata. Per quanto ne sapeva, Mei poteva conoscere tutti i loro segreti, i loro colpi, i loro poteri. Ma con lui non ne aveva fatto parola.
"Certo che no." interloquì Milo. "Se conosco tua sorella, e la conosco, sono certo che non sia una spia. Perciò mi spiace per voi, nessuna informazione riguardo ciò che so fare, lo scoprirete nel corso del combattimento. E non credere nemmeno per un secondo di poterti giocare quella carta: l'essere fratello di Mei non ti darà alcun beneficio. Noto che hai la vista a posto, Dragone. Bene, perché non mi piace attaccare persone in difficoltà."
"La mia vista non ha nulla a che vedere con le mie capacità."
"Non ne dubito." replicò Milo, con un sogghigno che smentiva le sue parole.

"Ho sconfitto Cancer, poche ore fa, senza l'ausilio della mia vista e..."
"Fortuna." lo interruppe l'altro. "È stata fortuna, la tua. O sfortuna di DeathMask, dipende dal punto di vista."

Shiryu serrò i pugni. Assottigliando lo sguardo ed espandendo il Cosmo, rispose al colpo di Milo con un Rozan Shōryūha che, tuttavia, portò a un nulla di fatto.
"E questo l'avresti appreso dal Maestro Dohko? Il sommo drago che sorge dai monti Ro. E pensare che ne ho sentito parlare, ma credo sia noto per il nome, non certo per altro."
Suo malgrado, Camus ridacchiò appena, nel sentire Milo rispondere con quel tono sarcastico nei confronti di Shiryu. Decise di concedersi ancora qualche minuto fuori, appoggiato al parapetto, per seguire lo scontro in atto all'ottava casa.
"Non ti sto sottovalutando, ho persino badato a evitarti, nonostante tu sia poco più di un nulla. Non l'hai notato? Eri distratto?"
"Shiryu, fai attenzione." interloquì Seiya. 
"No, perché? Non ho intenzione di attaccarlo." Non ancora. "Lo lascerò fare. Coraggio, prova ancora se ne hai la forza, non ti eviterò stavolta, te l'assicuro."
Camus percepì chiaramente Shiryu cedere sotto il proprio colpo, che Milo gli aveva rispedito indietro. Negli attimi che seguirono sentì Seiya scagliarsi contro Milo, invano, e il suo amico indirizzare ai due ragazzi la prima scarlet needle. Insufficiente ad ucciderli, ma forte abbastanza da creare loro il primo di una lunga lista di problemi.
"Seiya, devo ammettere che la tua intelligenza mi sorprende: in effetti, non è sufficiente una sola puntura per morire. Come hai detto poco fa, lo scorpione uccide con lentezza. Potrebbero volerci quindici punture per farvi esalare l'ultimo respiro: vi spegnerete molto lentamente!" riprese Milo, pronto a proseguire con la sua opera. Fu interrotto, però.
 
Quasi le prese un colpo quando si accorse che era stato Hyoga a interrompere Milo: convinta che nonostante l'intervento di Shiryu alla settima casa, il giovane fosse troppo debilitato per riprendersi e combattere, aveva intravisto una speranza in quel giorno tremendo.
Pessimo errore.
Ti conviene sopravvivere, Shiryu, perché giuro sull'anima dei nostri genitori, te la farò pagare cara, non ne hai idea.
Le sorprese all'ottava casa non erano ancora finite, però. Nel successivo lasso di tempo, nonostante Dohko e le sue richieste, si accorse che Shiryu non era il solo responsabile di quel ritorno così sgradito.
La nona ora trascorse relativamente in fretta, tra un'incombenza domestica e l'altra, ignara di quanto stesse accadendo: a parte qualche sporadico sprazzo di Cosmo, gli avvenimenti della nona casa giunsero parecchio disturbati.
 
Decima ora. Capricorno.
Sporgendosi dal proprio tempio, Camus intravide i giovani bronze uscire dalla decima casa, tronfi nella convinzione dell'aver superato con così tanta facilità la decima casa, incuranti del pericolo che avevano alle spalle. Se conosceva Shura, e lo conosceva, sapeva che mai, per nessuna ragione avrebbe versato sangue all'interno del suo tempio, soprattutto non alla presenza della statua rappresentante la loro Dea.
Ancora una volta si scoprì stupito dall'amico, soprattutto quando sorprese i quattro ragazzi aprendo una voragine tra la decima e l'undicesima casa. Non badò alle parole di Shiryu, la sua attenzione si focalizzò su Hyoga, al di qua della spaccatura aperta da Shura insieme a Shun e Seiya.
"Hai suggerito ai tuoi amici di saltare, ma tu non l'hai fatto. Come mai? Non sei pronto di gambe così come lo sei con le parole?!"
Spera solo che non inizi a parlare, si trovò a pensare, iniziando a seguire lo scontro; a quanto sembrava lo scontro alla quarta casa aveva davvero rafforzato Shiryu, donandogli la chiave di una forza superiore.  DeathMask, nella sua boria, aveva pensato di poterlo fermare, di poterlo piegare alla propria superbia e invece, aveva contribuito a plasmare un guerriero più forte.
Nonostante la perdita dello scudo e di qualunque efficace difesa, Shiryu resisteva stoicamente a Shura e alle ferite inflitte da quest'ultimo.Inspirò profondamente prima di contattare Mei, che sapeva attenta a quanto stava accadendo.
"Mei?"
Nel sentire la sua voce dritta nella sua testa, Mei sobbalzò sorpresa, interrompendo la propria preghiera.
"Camus? Stai bene?"
"Sì. Ascolta, devi fare qualcosa per me."
"Cosa?"
"Smetti di seguire lo scontro."
"Come?"
"Hai sentito. Smetti di seguire lo scontro, prendi la bambina e andate via da lì."
"Cosa? Perché? C'è mio fratello adesso e..."
"Shiryu non uscirà dalla decima casa."  le disse a bruciapelo. "Mi hai capito? Shiryu non oltrepasserà la casa del capricorno."
Col cuore in gola, Mei corrugò la fronte.
"Non è detto. Non hai sentito il suo Cosmo?" replicò lei, con una punta d'orgoglio.
Certo, aveva appena fermato l'Excalibur di Shura con la sola forza delle mani, ma non era sufficiente a sconfiggerlo: dall'inizio dello scontro, nonostante il rinnovato vigore, Camus aveva subito capito che per Shiryu c'era ben poco da fare contro l'amico.
"Conosco Shura." la interruppe. "Dipendesse da me lo lascerei passare, ma non contare su Shura per questo. Smetti di seguire quanto sta succedendo, non devi sentirlo morire."
Sbirciò fuori dall'undicesima casa, guardando i due avversari davanti al decimo tempio: dopo averlo privato dell'armatura e di qualunque difesa, Shura attaccò brutalmente e violentemente il suo avversario, colpendolo in pieno petto.
Persino dalle colonne di Aquarius riusciva a vedere il sangue vivo sgorgare dalla ferita.
Rientrò rapido in casa, prima di parlarle di cose più personali.
"Non devi assistere a tutto questo. Non voglio, tu non..."
D'un tratto, un'esplosione, seguita dal Cosmo più potente che avesse mai percepito e da una luce quasi accecante che pareva sul punto di fagocitare l'intero Santuario.
"Il Rozan Kōryūha." bisbigliò Mei, inorridita.
"Cosa?"
"La tecnica proibita." Mei corse alla finestra, guardando con crescente orrore la scia luminosa che aveva appena preso forma a occidente. "Non può, se la usa, lui..."
Morirà.
Incapace di muoversi, rimase ancora lì alla finestra, a guardare impietrita la scia luminosa che aveva preso la sua forma definitiva e stava lentamente attraversando il cielo, consumando la vita di suo fratello. Avvertì una fitta, mentre Shunrei, da basso, singhiozzava disperata.  
"Volevo evitarti tutto questo."
"Non potevi, è mio fratello, l'avrei sentito comunque."
Restò in silenzio qualche secondo, pensando a ciò che stava per dirle.
"Sei ancora lì?"
"È arrivato il mio turno." le rispose, percependo i Cosmi di Seiya, Shun e Hyoga fermi sulle scale che portavano alla sua casa. Erano distratti da Shiryu, e aveva ancora qualche secondo a disposizione.
"Oddèi, no."
Gli si strinse il cuore nell'udire il tono di Mei.
"Ricordi le parole che ti dissi al nostro ultimo incontro?"
Ci sarà un momento nel quale capirai tutto quanto, nel quale capirai che ti ho amata, e ti amo, in una maniera inspiegabile a parole, nel quale capirai che la nostra storia per me è importante. E forse sarà troppo tardi, per entrambi.
"...sì."
"Ti prego di non dimenticarle."
Serrò gli occhi, sentendo le gambe sul punto di cedere.
"Mi stai dicendo addio?"
"Ricorda le mie parole, Mei." si raccomandò, prima di interrompere la comunicazione mentale.
Nei secondi che seguirono lo spegnimento del decimo fuoco della meridiana, Camus si chiuse la porta della camera alle spalle senza voltarsi indietro, senza ripensare a mesi prima, quando l'aveva divisa con lei. Evitò di ripensare a quei giorni felici e alle foto che aveva sistemato sul cassettone, evitò di ripensare ai suoi occhi e al faccino di sua figlia.
L'elmo ben calato sulla testa, si scrollò di dosso ogni caro ricordo, spedendoli uno per uno nella parte più recondita del suo essere.
Non poteva permettersi debolezze, ora che stava andando a morire.

 
Qualcosa, in lei, gridava con lo stesso dolore della ragazza al piano di sotto. Shiryu era suo fratello, con lui aveva condiviso lo stesso sangue, era ovviamente addolorata per la sua perdita ma quando Hyoga era stato liberato dalla teca di ghiaccio creata da Camus, e Milo l'aveva graziato aiutandolo nella sua impresa, le sue speranze si erano affievolite, improvvisamente consapevole del fatto che al loro prossimo scontro, uno dei due non sarebbe sopravvissuto.  
Controllò rapidamente sua figlia nella sua stanza, ignara di quel che era appena successo e di quel che sarebbe accaduto di lì a poco, quindi senza farsi sentire, tornò nella Stanza degli Avi, conscia che i successivi sessanta minuti sarebbero stati i più lunghi della sua vita.
 

***

Lady Aquaria's corner.
Oddio, da quanto tempo non aggiornavo il prequel. Questo era un capitolo molto ostico, durante la stesura del quale ero indecisa su cosa e quanto riportare e cosa eliminare.
Sulle prime era lungo circa diecimila parole, che ho ridotto a circa seimilanovecento-e qualcosa-, dato che beh, tutti sappiamo che cosa è successo no?
La struttura è un tantino particolare, molto schematizzato, ma è stato partorito così nel corso delle ultime settimane e tale rimane. È stato un parto lungo e travagliato, irto di ostacoli e ripensamenti e... del tutto senza anestesia.
Ma la cosa peggiore è stato il dover ripercorrere l'episodio 67: per me è stato peggio di una pugnalata a tradimento nella schiena.
Dato che però la scalata è descritta dai punti di vista di Camus, Mei e Milo (ma soprattutto Mei), ho cercato di non riportare per intero ogni singolo scontro (o sarei ancora alla terza casa...), di mescolare un po' i dialoghi, utilizzando sia quelli classici che siamo abituati ad ascoltare dalla notte dei tempi, sia quelli originali giapponesi, trovati nei sottotitoli in italiano dei dvd e di favorire situazioni in favore di altre.
A bientôt.
 
Lady Aquaria
 
 

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Capitolo 26
*** Feels like the end. ***


26.
Feels like the end.
 
"Don't wait... ," you say.
You say "... they've gone home."
Sleep with the lights off when you're alone.
Silence so mighty you go deaf;
Bombs are going off inside your chest.
I know you wanted to be loved,
But you're bleeding left alone... so, so, so alone...
Singing where does time go from here?
[Mikky Ekko - Feels like the end]
 

 

La zazzera di capelli rossi, insoliti in quella parte del mondo, era stato il primo dettaglio a catturare la sua attenzione. Molti dei suoi nuovi compagni erano biondicci come lui, o con i capelli scuri. Uno di loro aveva persino i capelli bianchi come quelli degli anziani che a Rodorio intrecciavano i vimini e bevevano ouzo la sera, tra una partita a carte e un passo di syrtos.
Ma rossi, di quel rosso intenso che alla luce del sole ricordava le ciliegie mature, mai.
Aveva l'aria compita e seria, mentre seguiva il maestro verso la tredicesima casa, dove, ad aspettarlo, avrebbe sicuramente trovato Shion.
"Molto bene, ne manca solo più uno, poi il Santuario sarà al completo."
"Ho sentito dire che ha seri problemi a relazionarsi e che probabilmente è autistico o cose così."
"Non è bello ciò che hai detto, Saga, e i bambini potrebbero averti sentito. Il rapporto del Maestro Volya dice che è un bambino schivo e riservato, che dà poca confidenza, ma è tranquillo e studioso e con uno spiccato senso ad apprendere in fretta: dice che ha imparato a parlare fluentemente anche il russo e il greco in poco tempo."
Si chiamava Camus, proveniva dalla Francia ma aveva trascorso gli anni dell'addestramento in Russia ed era il Saint dell'Acquario, quindi avrebbe occupato l'undicesima casa –aveva spiegato Aiolos, introducendo ai giovanissimi Gold Saint il loro parigrado-.
"Ti ci vorrà qualche giorno per abituarti a questo nuovo ambiente, ma sono certo che tutti i tuoi compagni faranno del loro meglio per farti sentire a casa." si era raccomandato infine Aiolos, lanciando un paio di significative occhiate ammonitrici a un paio di loro "mi aspetto educazione e collaborazione da tutti voi, ragazzi, e che soprattutto non si ripeta quanto successo all'arrivo di Shaka: anche Camus è un bambino riservato, vi toccherà sudare per avere la sua amicizia."
E in effetti, quanto pronosticato da Aiolos era vero. Aveva sudato le proverbiali sette camicie prima di poter fare breccia nel carattere introverso di Camus e conquistarsi così la sua fiducia, ma una volta dentro il suo ristrettissimo cerchio, si era reso conto che c'era ben altro dietro la sua faccina seria -beh, a essere sinceri l'aveva tormentato così tanto che Camus si era arreso, ma era una cosa, questa, che non avrebbe mai ammesso con nessuno-.
Superata l'infanzia, erano sopraggiunti gli anni dello studio e dell'insegnamento, Camus si era trasferito temporaneamente in Siberia per seguire i due allievi e poi ancora gli esami scolastici –all'epoca si era domandato come diamine avrebbero superato facilmente in pochi mesi quanto i ragazzi normali studiavano in anni-, la patente, il motorino, le ragazze, persino una figlia. Niente e nessuno era mai stato in grado di interferire, per qualche tempo aveva creduto che un'amicizia come la loro sarebbe stata capace di affrontare e vincere il mondo.
Ma non aveva fatto i conti con la morte, che si era presentata nelle vesti del suo più caro allievo.
A distanza di quasi ventiquattr'ore riusciva ancora a sentire le braccia intorpidite dal gelo emanato dal corpo esanime di Camus, mentre le tempie martellavano impietose e una strana sensazione gli serrava il petto in una morsa. Si trovò suo malgrado a ridere nervosamente: custodiva moltissimi ricordi con Camus, ricordi di situazioni tragicomiche e serie, legati all'allenamento, allo studio, a stupidaggini o faccende gravi ma... quello era il solo che riusciva a richiamare alla memoria in quel momento.
Fino al giorno prima era andato tutto bene, Camus era vivo, avevano parlato e scherzato per spezzare la tensione e ora... ora il suo cadavere giaceva su un letto di marmo.

"Milo?"
Aiolia avanzò piano verso l'amico, immobile nella sala principale dell'ottavo tempio in piedi e con lo sguardo fisso su un punto imprecisato. Sembrava in trance, persino le palpebre parevano fisse.
"Seiya e i suoi compagni hanno dato dimostrazione, con le loro azioni, che ciò che io pensavo era giusto. A questo punto credo che chiunque di voi sappia che tredici anni orsono, Aiolos, fratello maggiore di Aiolia, fu indegnamente etichettato come traditore, reo d'aver rapito, dal Santuario, una neonata in fasce… quella stessa bambina, la futura Saori Kido, che è senza dubbio Athena e che oggi per un soffio è scampata alla morte grazie al sacrificio dei suoi Saints."
Non appena Dohko aveva iniziato a spiegare, il suo primo impulso era stato quello di fermarlo: chiunque era a conoscenza di quella famosa notte e nessuno di loro, soprattutto Aiolia, amava sentirla ripetere. Poi però Dohko aveva continuato con particolari del tutto sconosciuti che avevano gelato loro il sangue nelle vene.
"Tuttavia all'epoca, Aiolos a parte, un'altra persona era al corrente della verità, la stessa che aveva appena ucciso, in segreto, il Pontefice del Santuario e ne aveva usurpato il posto: in quella stessa notte tentò di assassinare anche la piccola Athena, ma nel tentativo di fermarlo, Aiolos scoprì che quell'uomo altri non era che Saga, Gold Saint dei Gemelli. È stato allora che, nel timore d'esser smascherato, Saga accusò Aiolos di tradimento. Shura poi, fece il resto, convinto come tutti voi d'esser nel giusto."
Già, Shura aveva fatto il resto.
A dire il vero tutti loro in quella storia avevano avuto la loro parte di responsabilità, lui compreso. Per tredici anni aveva servito quell'uomo dalla doppia faccia, uccidendo in suo nome senza porre alcuna domanda, per tredici anni aveva giurato assoluta lealtà a un essere che aveva approfittato della loro buona fede e che senza pensarci due volte aveva versato il sangue del Pontefice, quasi commesso infanticidio e infangato un innocente nella memoria di tutti loro.
A chi o a cosa serviva, ora, essere a conoscenza di quella verità nascosta per così tanto tempo? A nulla. E certo non era di alcuna utilità ai quattro uomini che nella sala accanto giacevano in attesa d'essere degnamente sepolti, quattro uomini che, come lui, avevano speso gran parte delle loro esistenze al servizio di un commediante abile nel distorcere la realtà e nel tessere inganni.
Possibile che il comportamento di Saga non avesse mai insospettito nessuno? Eppure, a ripensarci adesso, c'erano stati, nel tempo, segnali sulla dubbia integrità del Sacerdote… la vera domanda era: perché non ci ho mai fatto caso?
Incredibile pensare con quanta vergognosa facilità tutti, lui compreso, avevano creduto a Saga, abbandonando Aiolos al suo destino.
"Milo?" ripeté Aiolia, cercando di attirare la sua attenzione. "Stai bene?"
Milo parve riscuotersi di colpo.
"No.Vorrei poter riaprire gli occhi domattina e scoprire che è stato tutto un incubo."
Oltrepassò Aiolia dirigendosi verso le salme distese sui loro letti di pietra: il suo sguardo corse rapidamente all'elmo di Shura, che in tutta quella storia aveva contribuito forse più di chiunque altro al destino del loro compagno; chissà se aveva mai avuto un momento d'esitazione, se aveva mai pensato a cosa stesse facendo mentre feriva a morte l'uomo che aveva cercato di salvare tutti loro.
Preso un gran respiro, scostò il lenzuolo che copriva Camus e guardò il suo volto livido.
"E tu, amico mio, ci hai mai pensato?" domandò, seguendo il filo dei propri pensieri.
Almeno lui, tra loro due, aveva avuto un'esitazione nei confronti del Grande Sacerdote?  A differenza sua Camus era stato meno impulsivo in vita e magari qualche sospetto l'aveva avuto.
"Temo non possa risponderti."
Si rese conto d'aver pensato a voce alta solo quando si trovò faccia a faccia con Mu.
"Stavo ancora pensando alle parole del Maestro." rispose, a mo' di spiegazione. "Saga è stato davvero bravo a ingannarci per tutti questi anni. Abbiamo scoperto la verità ora che è troppo tardi per i nostri compagni."
L'altro annuì.
"Sì, è vero, ma tutto ciò ci servirà da monito per il futuro." osservò Mu. "Non possiamo sapere che cosa sarebbe successo se tutto ciò fosse uscito allo scoperto molto prima."
Beh, sicuramente Saga non avrebbe avuto vita facile.
"Se soltanto avessi avuto un sospetto, uno solo. Invece non ho mai dubitato della buona fede del Grande Sacerdote, eseguivo tutto ciò che mi ordinava senza domandarmi se fosse giusto o no." disse Milo. "Avrei potuto fare qualcosa."
"Sono solo supposizioni, Milo, non possiamo tornare indietro." replicò Mu, guardandolo sedersi accanto alla salma di Camus, prima di prendersi la testa tra le mani. "Pensare adesso non serve. Dovresti dormire, prima dei funerali c'è ancora tempo."
E chi riusciva a farlo? Mu non aveva idea di quanti pensieri e sensi di colpa affollavano la sua mente, così tanti che gli era difficile perfino riposare.
"Non ho intenzione di disertare la veglia funebre del mio più caro amico, e poi...ho una faccenda delicata da sistemare." replicò, prima di scomparire verso oriente.
Shaka smosse le ceneri nell'incensiere e accese dei nuovi bastoncini, in attesa dei rituali in uso in occasioni come quelle: i corpi sarebbero stati lavati e avvolti nei sudari, sarebbero stati vegliati nelle loro rispettive case –quantomeno, in quelle ancora in piedi- e, infine, seppelliti prima del sorgere del nuovo giorno.
"Temo di sapere dov'è andato Milo." sospirò, guardando Mu.

*
 
Al Goro-ho era già sera quando Milo si presentò alla pagoda.
La notte precedente era stata travagliata e difficile, spiegò Shunrei, parlando in un greco che alle sue orecchie risultava un po' grezzo. Lei e il Maestro avevano dormito molto poco, l'unica che pareva aver dormito un po' era la piccola Lixue.
"E Mei?"
"Lei ha avuto un tracollo nervoso." rispose Shunrei. "Io e il Maestro l'abbiamo trascinata dentro con la forza, e nonostante le abbia preparato un potente infuso, ha trascorso la notte gridando e invocando il suo nome nel sonno. Non ha quasi più voce e ho paura che possa commettere delle sciocchezze."
Annuì. Era stata una notte difficile per tutt'e due, nemmeno lui aveva riposato sereno, anzi.
"Sono qui per accompagnarvi al Santuario: Shiryu ha bisogno di cure e riposo e Mei... beh... dov'è ora?"
Lo accompagnò fino alla porta della Stanza degli Avi, da dietro la quale filtrava un penetrante odore d'incenso.
"È qui da stamattina, a malapena ha toccato cibo ed è uscita solo per badare a Lixue."
"Va bene, ci penso io. Preparati e prepara anche la bambina." le disse, prima di bussare ed entrare.
All'interno della piccola stanza il fumo degli incensi era quasi insopportabile; Mei era inginocchiata su un grande cuscino, mentre pregava silenziosamente davanti a un piccolo altare colmo di fotografie e tavolette di legno.
La oltrepassò, aprendo la finestra e prendendo una lunga boccata d'aria fresca.
"So che stai pregando e mi dispiace per i miei modi bruschi." esordì, notando che Mei non si era praticamente mossa. "Prima dell'alba ci saranno i funerali e tra poche ore inizierà la veglia. So che stai male, provo le tue stesse cose. Ma... dobbiamo dirgli addio."
Sollevò su di lui uno sguardo stanco, provato dalla notte insonne e dal dolore.
"Non posso." mormorò, la voce roca.
"So che stai male, davvero." ripeté Milo.
"Non so se posso farcela."
"Ascolta, non posso obbligarti a fare qualcosa, se non vuoi. Ma so che se non verrai con me, se non gli dirai addio, finirai col pentirtene."
Mei si mise a sedere, stanca della posizione.
"Mi ha parlato prima che iniziasse l'undicesima ora... lui mi ha già detto addio ma... io non sono pronta a dirlo a lui. Non ce la faccio."
Milo si tolse l'armatura, sedendosi poi sul cuscino accanto al suo.
"Anche io preferisco ricordarlo com'era quando era qui con noi, ma ne abbiamo fatte così tante insieme che non posso voltargli le spalle proprio ora." proseguì. "Sai, ho moltissimi ricordi legati alla nostra amicizia, molte cose belle e com'è normale, anche cose brutte. Eppure il solo ricordo che il mio cervello ha riportato a galla è legato alla nostra infanzia, al momento in cui Camus arrivò al Santuario. Avresti dovuto vederlo, pallido da far paura, i capelli così rossi che potevano vederli persino a Sparta, il visetto tutto serio con il suo solito cipiglio... impiegò due giorni netti per prendersi la prima scottatura, era pieno di lentiggini e sulle spalle erano comparse certe bolle..."
"Efelidi." lo corresse Mei, impulsivamente.
"Giusto." convenne Milo, sorridendo. "Il che lo indusse a non scendere più in spiaggia per diverso tempo e, una volta diventato adulto, a coprirsi durante quelle rare volte in cui si convinceva a scendere con noi. Lo prendevamo sempre in giro, io e Shura, per questo. Pensa, una volta si avventurò in spiaggia con infradito, bermuda e felpa... ah, e con uno dei suoi mattoni russi tra le mani, ovviamente."
"Mi sarebbe piaciuto vederlo."
"Beh, purtroppo non si può tornare indietro, ma... puoi vederlo adesso." Milo ritornò sul discorso di partenza. "Non fargli questo, Mei. Non fargli questo."
 
*
 
Era strano ripercorrere quelle scale dopo tanto tempo, soprattutto ora che le case erano metà danneggiate e disabitate: la sala del tredicesimo tempio, ora che Ares era stato sconfitto, aveva perso molti di quegli elementi cupi e inquietanti che aveva visto tempo prima, ma i segni della lotta consumata in quel luogo erano ancora ben visibili, Milo le aveva raccontato che la lotta tra Seiya e il Sacerdote impostore, Saga, era stata lunga e atroce.
Attraverso il portone doppio, aperto, intravide i cinque letti di pietra dov'erano stati sistemati i resti dei Gold Saint deceduti in quell'impresa, in attesa di essere composti e sepolti; in un angolo, intenti a parlottare tra loro, Seiya e i suoi amici.
Shunrei quasi impazzì dalla gioia nel vedere Shiryu, correndogli poi incontro e piangendo per il sollievo.
Abbozzò un sorriso quando incrociò lo sguardo del fratello, ma decise di oltrepassare lui e Shunrei, pensando che avrebbe dato tutto ciò che possedeva per poter fare la stessa cosa con Camus.
"Ah, lo sapevo." sbottò Shaka, freddando Milo con uno sguardo di ghiaccio. "Per tutti gli Dèi, Milo, perché l'hai portata qui?"
Mu guardò i due, quindi circondò le spalle di Mei.
"Vieni, ti accompagno." le sorrise, rassicurante.
"Mu, no." lo fermò Milo. "Aspetta un attimo."
Shaka s'avvicinò a Milo e l'afferrò per un braccio.
"Ho detto: perché l'hai portata qui?" ripeté.
"Perché l'ho ritenuto giusto. Ha sentito Camus morire e voleva vederlo. Punto." ribatté Milo, gelido.
L'altro abbassò la voce di due toni.
"C'è il giovane Saint del Cigno, di là."
Questo poteva essere un problema, in effetti.  
"Ebbene? Ha la bambina con sé e ben altro cui pensare "
"Ebbene, potrebbe comunque fare una scenata."
Mei si voltò e lo guardò con astio.
"Oh, tranquillo, nessuna scenata. Non mi strapperò i capelli o graffiarmi a sangue la faccia, se è quello che speri. Non darò mai a nessuno questa soddisfazione, men che meno a uno come te." replicò Mei.
Shaka inspirò profondamente.
"Ringrazia la tua buona stella se ne hai una, per la mia clemenza. Altrimenti avrei già usato il Tenbu Hōrin per il tuo ardire."
"Per quel che mi riguarda, potresti anche usarlo." ribatté Mei. "Non ci provo nemmeno a difendermi. Così vediamo quanto onore possiede l'uomo più vicino ad Athena."
Shaka mosse un passo avanti e si trovò la mano di Aldebaran sulla spalla.
"Misura bene le tue parole, donna: potrei dimenticarmi dei giuramenti fatti!"
"Già solo a pensare a una cosa del genere ti rende uguale, se non peggiore, dell'uomo che ha dato vita a tutto questo." sbottò Mei.
"Milo, vedi di tenere a freno la sua lingua biforcuta o sarai tu a rispondere per lei."
"Calmiamo gli animi ragazzi, siamo tutti agitati e sconvolti e diciamo cose che non dovremmo nemmeno pensare." interloquì Aldebaran, mentre Milo scortava Mei nella sala accanto.
Shaka si scrollò di dosso la mano dell'amico.
"È giovane e sconvolta." gli disse Aiolia. "Non è in sé, altrimenti…"
"Altrimenti nulla, quella vipera arrogante avrebbe risposto così comunque."

"Questa cosa non mi piace nemmeno un po'." l'ammonì Milo, serio.
"Cosa, il fatto che ho risposto male a Shaka?"
"Ascoltami attentamente, adesso. Abbiamo entrambi perso persone importanti, d'accordo? Oggi ho perso degli amici, ho perso l'uomo che per me non era solo il mio migliore amico, ma un fratello. Posso immaginare che cosa provi, perché il tuo dolore è anche il mio, e so che come me spesso reagisci al dolore con l'aggressività. So che stai male da morire adesso e ti comprendo. Ma per nessun motivo al mondo ti puoi permettere di parlare in questo modo con uno di noi, a maggior ragione adesso che Camus non è più in grado di proteggerti come prima."
"Non ho bisogno di protezione."
"Sì invece, non ne hai idea." obiettò Milo. "Mi ha chiesto di proteggere te e vostra figlia, ma non posso farlo se ti ostini a cacciarti nei guai."
"Ho solo risposto a tono, non l'ho aggredito con una scure."
"Ebbene, non lo devi fare! Apprezzo il tuo carattere forte, ma qui certe azioni hanno un peso che tu non saresti in grado di sopportare: non dureresti una settimana a Capo Sounio."
"Che cosa potrebbe mai fare, prendersi la mia vita?" domandò Mei. "Che se la prenda, se lo desidera. Se non fosse per mia figlia, mi renderebbe un gran favore."
"Non voglio sentire queste cose e sicuramente nemmeno Camus."
"Camus non può più sentire niente." sibilò Mei, con una luce strana negli occhi, che Milo non aveva mai visto. "Camus non può più sentire, o pensare, o parlare. Perciò, per la miseria, non dire che cosa avrebbe o no voluto sentire. Non può più fare niente."
E chi l'ha ucciso è ancora vivo, aggiunse mentalmente.
"Seiya, Ikki, Shun, mio fratello, Hyoga. Athena li ha salvati, ma non ha salvato loro." proseguì, indicando le salme con un ampio gesto del braccio. "Perché? Eppure anche loro sono morti in suo nome."
"Nessuno conosce i disegni degli Dèi." rispose Milo.
"Non prendermi in giro. Athena è come una madre snaturata che preferisce gli ultimi arrivati, gli scriccioli di casa, ai figli più grandi. Mio fratello e i suoi amici sono i preferiti di mamma Athena e per questo motivo è stata concessa loro una seconda possibilità."
Parole dettate dalla rabbia, dal dolore, dalla frustrazione. Sicuramente, in un altro momento, Mei non le avrebbe neanche pensate.
Le sorrise triste.
"Shura è morto per Shiryu, per concedergli una seconda possibilità. Non sei contenta di questo?"
Lei e Shunrei avevano sentito chiaramente il Cosmo di Shiryu innalzarsi fino a limiti mai raggiunti: utilizzando la tecnica proibita, Shiryu si era sì elevato al di sopra del suo avversario, ma a scapito della vita.
Vita che, al contrario delle aspettative, aveva conservato grazie al sacrificio di Shura.
"C'è un braciere o qualcosa dove posso mettere gli incensi?" si schiarì la voce, cambiando discorso di punto in bianco. Milo annuì, e le mostrò lo stesso braciere pieno di sabbia dove Shaka aveva già acceso degli incensi quella mattina.
"Grazie."
Mu nel frattempo si era avvicinato ai due.
"Se vuoi posso tenere io la piccola."
Annuì, posando Lixue tra le sue braccia, e dalla borsa che portava con sé estrasse un involto con dei bastoncini d'incenso.
"È il penultimo là in fondo."
Il penultimo, tra i resti di Shura e Aphrodite.
"L'ho visto." rispose, stringata.
"Non sei obbligata a pregare per tutti loro. Se vuoi puoi andare direttamente da Camus, nessuno ti biasimerà per questo."
"Le mie usanze mi impongono di  onorare ognuno di loro per evitare che colti da spirito di vendetta, si trasformino in spettri maligni." spiegò Mei, iniziando con l'accendere un bastoncino d'incenso. "Preferirei evitare la presenza di DeathMask in casa mia sotto tale forma."
Malgrado la serietà che il luogo imponeva, Milo ridacchiò appena.
"Se ben ricordo, non temevi DeathMask."
"Io no. Non l'ho temuto e non lo temerò mai, ma i miei avi non si meriterebbero la sua sgradevole presenza. Piuttosto, come… come procederete? Li seppellirete o…" la voce parve smorzarsi nella sua gola. "…perché se così non fosse, non resterò qui a vedere il suo corpo bruciare."
Milo le strofinò affettuosamente il braccio.
"No, nessuna pira. Come da tradizione, ognuno di loro verrà spostato nella propria casa, sarà lavato, preparato e vegliato tutta la notte in attesa dei funerali prima dell'alba. Saranno sepolti nel cimitero del Santuario."
"Hai qualche richiesta in particolare da fare?" domandò Mu.
Mei scosse la testa.
"Sono cresciuta in una famiglia mista, in mezzo a tradizioni diverse tra loro: per mia madre, cristiana, la morte significava vestirsi di nero e compiangere il morto. Per mio padre, taoista, la morte si accoglieva con vestiti bianchi, incensi e fuochi d'artificio scaccia spiriti. Camus non era né cristiano, né taoista quindi non condividerebbe nessuna delle mie usanze. Rispetterò le quelle in uso qui al Santuario, qualunque esse siano, ma ho solo una richiesta da fare: desidero prender parte alla preparazione della salma e alla veglia."
Mu scambiò un'occhiata con Shaka.
"Perché guardi me? È il grande sacerdote che accorda questi permessi, non io." rispose quest'ultimo.
Già, il grande sacerdote, che Saga aveva ucciso prima di prenderne il posto. Il Santuario, si accorse Mu d'improvviso, era sguarnito proprio di una figura chiave.
Quasi seguendo lo stesso pensiero, tutti parvero accorgersene tutt'a un tratto.
"Mu, tu sei discepolo del precedente pope, perciò credo che dovresti pensarci tu." proseguì Shaka.
"Io?"
"Potresti essere il nuovo grande sacerdote ad interim, in attesa delle elezioni." interloquì Aldebaran, appoggiando l'idea di Shaka. "Sei saggio, comprensivo, paziente ma anche severo quando l'occasione lo richiede. Saresti perfetto."
"Sento puzza di sviolinata. Beh, non credo di esserne all'altezza, comunque credo che non ci siano problemi, no? Insomma, conosci già il Santuario, quindi direi che puoi partecipare a quanto richiesto."
"Vi ringrazio, Maestro." Mei s'inchinò a Mu, quindi infilò altri bastoncini d'incenso nel braciere e pian piano l'odore penetrante della resina invase la sala, sovrapponendosi a quelli già accesi da Shaka.
Non spese una sola parola per Saga, stentando ad associare il volto gentile che stava guardando all'aguzzino che aveva mandato quegli uomini a morire, e nemmeno degnò di uno sguardo DeathMask. Le dispiaceva, certo, di fronte alla Morte c'era ben poco per cui gioire, ma non riusciva a pensare ad alcuna parola buona per loro.
Si soffermò qualche secondo davanti al letto dove erano stati sistemati i resti di Shura –"Ti consiglio di non sbirciare sotto il lenzuolo, non è un bello spettacolo."-  e sfiorò una mano di Aphrodite: entrambi le avevano dimostrato una certa amicizia, e il secondo l'aveva anche aiutata, settimane prima. Infine, Camus: accanto a lui, la testa china, Hyoga stava pregando in una strana lingua, sgranando un rosario.
Milo si schiarì la voce, catturando l'attenzione del ragazzo, e con un cenno del capo gli fece capire che era meglio per tutti se lasciava il capezzale del Maestro per qualche istante.
"Prosti." mormorò Hyoga, quando incrociò il suo sguardo. "Lypàme polì." 
"Ti dispiacerà." lo corresse Mei, tagliente. "Eccome se ti dispiacerà. Non infangherò la memoria di Camus nel giorno delle sue esequie, ma un giorno, che sia tra un mese o fra trent'anni, i nostri destini s'incroceranno. Allora che ti dispiacerà."
"Hyoga, vai." l'ammonì Milo.
Si mosse rapido, tornando dagli amici.
"Pare proprio che tu abbia trovato la tua nemesi." osservò Ikki.
"Agisce così spinta dal dolore." interloquì Shun. "Il suo animo soffre, ma non è cattiva. Non credo sia davvero capace di far volontariamente del male a qualcuno."
Anche il mio soffre! avrebbe voluto urlare Hyoga. Anche io soffro, che cosa credi? Che cosa crede quella dannata strega, che sia stato facile?
Shiryu scosse la testa.
"In ogni caso, Hyoga… non gravitarle troppo intorno." lo consigliò.
Mei allungò una mano al volto di Camus, sfiorandoglielo e sorprendendosi dal gelo che, nonostante fossero già trascorse diverse ore dallo scontro con Hyoga, il suo corpo continuava ad emanare.
"Perché è ancora così freddo?"
"Avresti dovuto vedere com'era sistemata l'undicesima casa. Lui... beh, ci è voluto un po' per poterlo sistemare qui." interloquì Aiolia, ricevendo in risposta lo sguardo indecifrabile di Mei e quello di fuoco di Milo.
"Che tatto, i miei complimenti." sibilò Milo, a bassa voce.
"Grazie per la tua esaustiva ed empatica analisi." rispose Mei, atona.
"...mi dispiace, non era mia intenzione deriderti." si scusò Aiolia corrugando la fronte.
Mei però non lo stava già più ascoltando.
"Duìbùqǐ." sussurrò Mei, tornando ad accarezzare il volto di Camus. [Mi dispiace.]  
Sarebbe dovuta rimanere e affrontare il proprio destino. Avrebbe dovuto capire fin da subito che quel pomeriggio lui l'aveva mandata via per proteggerla e salvarle la vita.
Invece di capirlo, gli aveva riversato addosso tutto il rancore del mondo.
Si chinò fino a posare la testa sulla sua, fronte contro fronte, piangendo. 
"Ti prego, perdonami." mormorò, in cinese. "Perdonami per quello che ti ho fatto."
Lo guardò come se sperasse che, da un momento all'altro, Camus potesse aprire gli occhi e risponderle. Qualcosa, nel suo profondo, rifiutava di accettare che quel corpo gelido, dalle labbra livide e coperto da uno strato di brina, non sarebbe mai più tornato caldo come un tempo, rifiutava l'idea che quelle braccia non l'avrebbero più stretta, rifiutava il pensiero che quel cuore, che una volta sentiva battere regolare sotto l'orecchio quando riposava sul suo petto, sarebbe rimasto fermo in eterno.
Reprimendo a fatica le lacrime, Milo allungò una mano e le accarezzò la testa.
"Sei sicura di sentirti bene?"
La risposta le uscì con un filo di voce che Milo riuscì a udire con molta fatica.
"No." Non si sentiva per niente bene.
"Stai tranquilla, sono qui con te." rispose Milo, pronto a sorreggerla: qualcosa gli diceva che non avrebbe retto tanto a lungo.
"Avrei dovuto ignorare le sue parole e restare." mormorò Mei, la voce colma di rimpianto.
"Non avresti potuto fare niente, Mei. Tu saresti morta e con te, tua figlia. Avresti reso vano il suo gesto. Ti ha mandata via per non costringerti a scegliere tra lui e Shiryu e fare qualcosa che ti avrebbe cambiata."
"Quella scelta mi ha cambiata comunque. Non avevi il diritto di scegliere al posto mio."
"E che cosa avresti fatto, se avessi potuto scegliere?"
"Sarei rimasta." rispose, senza esitare.
"E saresti morta."
"Una parte di me è morta comunque. La sola persona che mi tiene ancorata su questa terra è Lixue, altrimenti il mio unico desiderio da quando ho sentito il suo Cosmo spegnersi è quello di addormentarmi e non svegliarmi mai più."
"Non dire così."
Aldebaran si avvicinò ai due, schiarendosi la voce.
"Scusatemi, ragazzi. Le ancelle hanno sistemato le ultime cose e prima della veglia si deve procedere con i rituali."

"Al Santuario si segue il rito funebre in uso fin dai tempi antichi: onorare un defunto è un fondamentale atto di pietà nei suoi confronti, indispensabile per permettere all'anima di riposare in pace nell'ade e per evitare che essa sia condannata a vagare e perseguitare chi le ha negato l'estremo saluto." le spiegò Mu mentre accompagnavano la salma di Camus all'undicesima casa. "Più o meno come nel taoismo, se gli onori funebri sono esigui o mancanti, l'anima potrebbe diventare spirito maligno e causare danni ai vivi."
"È per questo che osserviamo il culto degli antenati." annuì Mei.
"Già. Come ti abbiamo già spiegato, abbiamo esposto i corpi, tra poco saranno lavati e rivestiti nelle loro case, vegliati e domattina, sepolti."
"E Shura? La decima casa è crollata, dove sarà sistemato?"
Mu sospirò appena.
"Ho dato ordini di sistemarlo alla nona, Aiolia mi ha dato il suo benestare dicendo che Aiolos avrebbe dato il permesso senza pensarci due volte."
Come per le rimanenti case, l'undicesima era stata sistemata affinché potesse accogliere il suo proprietario: davanti alla porta un'anfora colma d'acqua accoglieva i visitatori e lungo il cornicione alcune corone di mirto e alloro diffondevano un gradevole profumo.  
"Vi ringrazio per la spiegazione."
 
*
 
Ci volle più del dovuto per preparare il corpo di Camus: sotto l'effetto del gelo intenso dello scontro mortale, gli arti erano così rigidi che avevano dovuto applicare il massimo della cautela, ma alla fine ce l'avevano fatta: accuratamente lavato e rivestito, i capelli pettinati e ben sistemati, il corpo era stato disteso nella sala principale di Aquarius, coperto fino al petto da un drappo blu notte.
"Ci è voluto un po', ma finalmente posso rivedere il colore della sua pelle." mormorò Mei, stanca, posando la casacca dell'hanfu su una sedia sistemata accanto a Camus. "Spero di non dover mai più fare una cosa del genere, è stato terribile."
"Posso solo immaginare."
Si sfilò una delle due catenine che portava al collo i cui ciondoli, una volta uniti, formavano il simbolo del Tao, e agganciò il ciondolo bianco al collo di Camus, sistemandolo sul suo petto, sotto la veste bianca con la quale era stato vestito.
"So che non c'entra niente con la vostra Dea, ma ti supplico, non lasciare che gliela tolgano. Ti prego."
"Non succederà." annuì Milo. "Ascolta, Mei. Hyoga vorrebbe prender parte alla veglia, si chiedeva se poteva entrare o no."
Si voltò appena, intravedendo il giovane in fondo, sulla soglia dell'undicesima casa. Certo, per quanta rabbia provasse, per quanta voglia avesse di rompergli tutte le ossa, non poteva impedirgli di vegliare il suo maestro.
"Per me va bene." rispose. "Farei un torto a Camus se glielo impedissi. E poi, sia mai che vada in giro a spacciarsi per vittima della vipera arrogante."
Mei, ti prego, non fare così.
"Torno subito, ho bisogno di sciacquarmi la faccia." disse, prima di addentrarsi negli appartamenti privati che un tempo aveva condiviso con Camus.
"Come sta?" domandò Hyoga, dopo qualche minuto.
"Come vuoi che stia? Come una donna che ha perso il padre di sua figlia." rispose Milo. "Sembra forte, ma una volta a casa, una volta che l'adrenalina avrà terminato il suo effetto, non so come reagirà a tutto questo."
"Non doveva finire così." commentò Hyoga. "Le cose mi sono sfuggite di mano."
"Sai che non me ne sono accorto?" sbottò l'altro, sarcastico. "Pensa se avessi pianificato tutto, a quest'ora non ci sarebbe più nemmeno questa casa."
Hyoga represse un moto di rabbia.
"Cosa credete tutti quanti, che sia facile per me, o che sia contento di come sono andate le cose? No. Non so nemmeno come fare ammenda."
"Non puoi fare ammenda, così come non può farla Saga che ha dato vita a questa carneficina. Ci sono errori ai quali semplicemente non si può porre rimedio: ci convivi e basta." rispose Milo. "Cerca di non combinare altri disastri mentre io vado a vedere se ha bisogno di qualcosa."
La trovò in bagno, immobile davanti allo specchio del lavandino, lo sguardo fisso su un punto imprecisato, come in trance. Mosse un passo, palesandosi, e Mei parve riscuotersi, prendendo qualcosa da una tasca nascosta nella gonna dell'hanfu.
"...non pensavo di avere gli occhi in questo stato." disse Mei, a mo' di spiegazione. S'instillò un paio di gocce di collirio per ogni occhio e sorrise nervosa. "Tutto a posto, andiamo."
"Tutto bene?"
"Benissimo, non ti preoccupare." lo superò, fermandosi poi davanti alla porta della camera. "Vorrei dare un'occhiata, credo di aver dimenticato qualcosa quando me ne sono andata."
La cassettiera di mogano era sempre lì, così come l'orologio da polso e la fotografia dei suoi genitori. Il letto era in ordine, dei vestiti erano piegati e sistemati accuratamente su un cuscino, come se fossero in attesa del loro proprietario. Sul comodino un libro faceva compagnia al cellulare di Camus, spento.
"È entrato qualcuno qui, prima di noi?"
Milo corrugò la fronte.
"Non che io sappia, alle ancelle non è permesso entrare in camera, Camus l'aveva proibito, quindi è tutto come lui l'ha lasciato." le rispose. "Perché?"
"Senti anche tu questo odore?"
"Sento solo quello della cera da mobili."
"No, parlo di agrumi e lavanda... come fai a non sentirlo? In questo punto è molto forte." insisté Mei. Alla seconda occhiata interrogativa, trasse un sospiro. "Lui è qui."
"Certo che è qui, è in sala." avrebbe voluto risponderle. Decise di tacere, guardandola prendere una foto dal cassettone, rigirarsela tra le mani e sgranare gli occhi.
"È per me." mormorò Mei, mostrandogli una busta fissata al retro della foto.
"Allora aprila." la esortò.
"Au milieu de la haine, j’ai trouvé qu’il y avait, en moi, un amour invincible.
Dans le milieu des larmes, j’ ai trouvé qu’il y avait, en moi, un sourire invincible. 
Au milieu du chaos, j’ai trouvé qu’il y avait, en moi, un calme invincible. 
J’ai réalisé, à travers tout cela, que…
 au milieu de l’hiver, j’ai trouvé qu’il y avait, en moi, un été invincible. 
Et cela me rend heureux. 
Car il dit que peu importe comment le monde pousse contre moi, en moi, il ya quelque chose plus fort, quelque chose de mieux, poussant de retour.

Bien à vous, Camus."
"Ma che significa tutto questo?"
"Non lo so, non parlo francese." Mei dispiegò il foglio, scoprendo che di quelle parole, Camus ne aveva anche trascritto la traduzione in greco.
"…continuo a non capire." ripeté Milo. "Comunque attenta, c'è un post scriptum."
"Eftychós gia mou, i mitéra mou den agapoún Dostoevski." lesse Mei. E fu come ricevere una doccia fredda e improvvisa. "Oddèi."
"Per Athena, Mei, mi spieghi che cosa sta succedendo?"
"Fortunatamente per me, mia madre non amava Dostoevskij." ripeté Mei. "Tu non puoi capire."
Lo lasciò nella stanza di Camus insieme ai suoi interrogativi e corse allo studio.
"Mei!!" gridò Milo. "Aspetta!"

All'apparenza, era una specie di poesia scritta così, una sorta di ultima dedica, e non avrebbe fatto caso agli indizi disseminati in quelle poche righe.
…au milieu de l'hiver, j'ai trouvé qu'il y avait, en moi, un été invincibile… Camus aveva sottolineato due volte, con un tratto leggero della penna, la parola été, estate, aveva riportato un aforisma del suo omonimo e, infine, le aveva ricordato la risposta che le aveva dato il giorno in cui si erano conosciuti, mesi prima.
"Tu sai il mio nome, ma io ancora non so il tuo."
"Non è importante e… ed è anche un filo banale."
"Ma è un nome, è la prima cosa che ti rappresenta. Non può essere così brutto."
Un certo silenzio aveva seguito quelle parole, lo rammentava come fosse appena accaduto.
"Camus. Mi chiamo Camus."
"Come lo scrittore."
"Già. Mia madre e i suoi nomi assurdi. Fortunatamente non le piaceva Dostoevski."
"Oddèi." ripeté, quasi come un mantra, intenta a cercare qualcosa.
"Eccoti!" esclamò Milo. "Potresti per favore calmarti e spiegarmi?"
"Dopo. Un libro, sto cercando un libro."
"Non mi dire." Milo si guardò intorno, demoralizzato: quella stanza era piena zeppa di libri. "Potresti darmi un indizio? L'autore, per cominciare? O qui finiamo a Pasqua."
"Albert Camus." rispose Mei.
Milo si mise di buona lena a cercare, pur non avendo idea del titolo esatto.
"L'Envers et l'Endroit...Caligula...Le Mythe de Sisyphe... non far caso al mio francese, è pessimo e Camus mi rimprovera spesso per questo motivo. Mi rimproverava." si corresse Milo.
"Anche fosse non potrei correggerti, visto che non parlo francese."
"No?"
"No. Ma sono decisa a volerlo apprendere, sai, un giorno ci ritroveremo insieme nell'aldilà."
Milo si schiarì la voce, non sapendo come rispondere all'ultima affermazione.
"La Peste... L'Étranger... potrebbe essere questo qui?"
Mei scosse la testa.
"Lo straniero é tra i romanzi forse più conosciuti dello scrittore, dubito fortemente che Camus mi abbia lasciato qualcosa d'importante proprio in un libro famoso."
"D'accordo... Le Malentendu... L'État de siège... L'Homme révolté... uffa..."
Ignorando Milo, Mei cercó attentamente tra i libri dietro la scrivania, quelli che Camus amava di più: dopo la trilogia di Tolkien e vari romanzi epici, saggi e raccolte, finalmente, trovó quel che cercava.
L'Été.
"L'ho trovato, Milo." gli disse, interrompendo le sue ricerche.
Un libro dall'aspetto vissuto, dalla copertina consunta in più punti; sul retro, appiccicata con un leggero nastro adesivo, una chiave.
"Sei sicura di quel che stai facendo?"
"Credo di sì. Camus mi ha lasciato diversi indizi e so che il libro è questo ma..."
Milo s'avvicinó alla scrivania e prese il tagliacarte.
"Posso?" le domandó, ricevendo poco dopo il libro. Giunto alla terza pagina di copertina, infiló la lama nel risguardo e con delicatezza, la sollevó rivelando una serie di sottili fogli piegati in tre, zeppi di scritte. "Et voilà."
"Come facevi a sapere dove cercare?" chiese Mei, stupita.
"Che io sia dannato! Quel filibustiere... ha copiato un film! E, pur avendolo visto insieme a lui, credimi, non ci sarei arrivato: vedi? In Tomb Raider, Lord Croft lascia un messaggio a sua figlia Lara in questo stesso modo."
"Un giorno dovrai farmelo vedere." rispose Mei.
Dispiegò i fogli dopo diversi istanti, scoprendosi agitata.
"Ti lascio sola." sorrise Milo. "Io... torno di là, a far compagnia a Camus."

"Mia cara, se stai leggendo queste parole significa che hai capito il senso delle frasi che ti ho lasciato sul cassettone. Spero anzitutto di aver sufficiente tempo per scrivere tutto ciò che ho bisogno di dirti, perché sento tuo fratello e i suoi amici uscire dalla prima casa e a questo punto potrebbe succedere qualunque cosa.
L'ultima volta ci siamo lasciati in malo modo, pieni di rancore e parole non dette, trasportati da sentimenti più forti della ragione. Ti prego di perdonarmi per ciò che ti ho detto l'altro giorno. Avrei preferito un altro finale per noi, ma spesso nelle nostre vite, le cose non vanno come desideriamo.

Desideravo altre cose per noi. Una casa, una famiglia, una vita normale, come quella di un uomo comune, ma... come sai, io non sono un uomo comune. Okay, prima le cose più importanti. Sul dorso del libro dove hai trovato queste carte dovresti aver trovato una chiave: apre una scatola che ho provveduto a nascondere –in maniera sciocca e forse un po' azzardata- nel piccolo gazebo in giardino, dietro una delle grate della struttura. Degél mi odierà per aver usato qualcosa di suo per i miei scopi personali, ma è un posto sicuro, o almeno spero. Ti ho lasciato delle istruzioni al suo interno, se Ares sopravvive a tutto questo, vorrei che tu le seguissi. Milo ti darà una mano, puoi fidarti ciecamente di lui."
Quasi nove fogli, tanti quante le ore trascorse nell'attesa di incontrare il suo allievo e donargli l'ultimo insegnamento, quello più importante. Fogli sottili, fitti della sua calligrafia elegante e affusolata. Fogli nei quali le aveva chiesto perdono, nei quali aveva sperato di non essere odiato, di essere capito e di essere perdonato per tutto il dolore che aveva causato.
"Camus. Sono io che devo chiederti perdono." sussurrò.
Sgattaiolò rapida in giardino, recuperò quanto indicato da Camus e nascose il cofanetto nella sacca che si era portata appresso, tornando poi in sala come se niente fosse, anche se quelle lettere le avevano lasciato un tale senso di abbandono e perdita addosso che si domandò se e come avrebbe superato tutto.
"Sai..." esordì, dopo attimi di pesante silenzio, dovuto soprattutto alla presenza di Hyoga. "Secondo la mia religione, quando un uomo muore nella sua casa, è fatto obbligo coprire gli specchi perché si dice che guardare il riflesso della bara porta sfortuna e per evitare che l'anima del defunto possa afferrare chiunque si specchi e possa portarlo con sé nell'aldilà."
Milo sollevò lo sguardo sull'amica.
"Prima non stavi controllando gli occhi rossi."
"No." sospirò Mei. "Lo stavo aspettando."
"..."
"Sto impazzendo." Mei scosse la testa. "...dovrebbero ricoverarmi e gettar via la chiave."
"Credo che questo sia il tuo modo per reagire al dolore, l'aggrapparti alla tua fede e le tue credenze, intendo. Io non ho idea di cosa farò quando questo giorno sarà finalmente finito. Non lo so, credimi... forse farei meglio ad attaccarmi alla bottiglia e cercare conforto nell'oblio."
"Fammi sapere se funziona, così magari ci provo anche io."
"Tu hai una bambina da crescere, non dire sciocchezze."
Mei si lasciò andare contro lo schienale.
"Lo so. Ma darei qualunque cosa per non sentire questo dolore."
"Dobbiamo solo aspettare che passi." mormorò Milo.
"Vorrei poterti dire che passerà, ma non è vero." interloquì Hyoga, di punto in bianco. "Magari fosse così facile, ci sono già passato e anche io ho provato a dimenticare, in ogni modo possibile. Provi a fare altro, a tenere la mente occupata ma arriva sempre quel momento in cui stacchi un attimo la spina ed ecco che inevitabilmente ci pensi."
Afferrando la coperta che Milo aveva appoggiato sul bracciolo della poltrona, si alzò, lanciando un'occhiataccia al ragazzo.
"Ho bisogno di prendere una boccata d'aria, non riesco a respirare qui dentro."
Certo che non sarebbe passato, parlava proprio lui che aveva causato tutto quel dolore. E poi, con una bambina che glielo rammentava ogni giorno, dimenticare sarebbe stato impossibile.
Uscì nel giardino sul retro e nell'aria gelida della notte e rabbrividì, guardando in lontananza le luci di Atene e il suo porto.
Il profumo di lavanda e agrumi tornò prepotente e cercò in ogni modo di non cedere ai ricordi che quell'odore le suscitava, fallendo miseramente.
 
Al Santuario, sin dall'epoca dei miti, era d'uso inumare anziché cremare come si faceva nel resto della Grecia: rigorosamente prima dell'alba, una processione seguiva il carro con la salma fino al cimitero, dove veniva sistemata in un feretro insieme a qualche oggetto personale. Di norma si teneva un discorso in suo onore, insieme a una ricca libagione e ai Giochi.
Tuttavia dato che le salme erano cinque e non una sola e il tempo non era sufficiente, si optò per una cerimonia di gruppo, più sobria rispetto ai secoli passati: Mu ne fu dispiaciuto, ma non si poteva fare altrimenti.
Mei si accodò con Milo dietro Camus, notando che dietro le salme di Saga e DeathMask non c'era nessuno. Suo fratello e Seiya seguivano Shura e, voltandosi appena, scoprì che Shun e Ikki accompagnavano la salma di Aphrodite. Al seguito di quel lugubre corteo, il resto dei Gold Saints rimasti.
"Sei silenziosa. Parla, non tenere tutto dentro." sussurrò Milo.
"Meglio di no, in questo momento ho solo voglia di urlare fino a farmi scoppiare la gola." mugugnò Mei in risposta. "Urlare e commettere atti che mi metterebbero nei guai fino al collo. Preferisco tacere e tenere tutto dentro."
Controllò la piccola stretta al suo petto, al sicuro nella sua fascia, e tornò a guardare Camus.
"Vuoi che lo allontani?" le domandò Milo a bassissima voce, indicandole con un cenno Hyoga accanto a lui.
"No."
Mu tenne un breve discorso ricordando quanto successo e ricordando uno a uno i loro compagni; personalmente, pensò Mei, avrebbe usato ben altre parole nei confronti di Saga.
Non batté ciglio durante l'inumazione dei Saints della terza e quarta casa, provò un certo magone quando toccò a Shura (e in seguito, ad Aphrodite) e quando venne il turno di Camus, aiutò Milo a sistemarlo nella bara, mentre il desiderio di urlare svaniva a favore di una cieca rabbia e un istinto omicida che si acuì nel sentire la voce di Hyoga pregare di nuovo in quella sua strana lingua.
"Puoi chiedere perdono quanto vuoi, non servirà a niente." sibilò in sua direzione, la voce colma d'odio mentre si chinava sulla lapide. "Non ho mai odiato così intensamente qualcuno così come odio te. Miei Dèi, dovresti esserci tu, qui sotto. Tu."
Il profumo sentito all'undicesima casa tornò ancora, ma questa volta lo ignorò, troppo furiosa per cogliere qualunque rimprovero.
Vorrei poterti dire che passerà, Camus, ma non è vero. Ti amo, ma questo non posso proprio farlo, e tu non puoi obbligarmi ad accettarlo, nemmeno per amor tuo.

 

***

Lady Aquaria's corner
Come nella vita reale, al dolore ognuno reagisce a modo suo.
A un lutto, personalmente, reagisco chiudendomi nel silenzio e nell'auto isolamento, a piangere finché non mi passa. Quando morì mia nonna, e dopodomani saranno quattro anni, ricordo che insieme a lacrime e silenzio ci fu una fase aggressiva pazzesca, soprattutto contro quelle persone che si fingevano amiche e che invece erano serpi.
Ma non tutti siamo uguali, giusto? C'è chi reagisce gettandosi a capofitto nel lavoro, o in attività adrenaliniche o in qualsivoglia cosa per non doverci pensare.
O chi, come Mei, reagisce così: fingendosi forte fuori, ma crollando dentro. Reagendo con l'aggressività piuttosto che con l'introversione. L'ho descritta così, se la cambiassi non sarebbe più Mei e lei è come una figlia: i figli si possono guidare, non cambiare.
Per esigenze di copione alcune cose sono state cambiate rispetto all'anime e al manga.
By the way, varie spiegazioni lungo il capitolo:
-Prosti e lypàme poli significano mi dispiace in russo e in greco, almeno, secondo i miei frasari. In caso fossero sbagliati, eventuali correzioni sono gradite.
-La citazione che Camus utilizza per indirizzare Mei alle lettere è del suo omonimo, tratta da "Ritorno a Tipasa", da "L'Estate".
-Le varie info riguardanti i riti funebri in uso nella Grecia antica e in Cina le ho tratte da diversi siti.
Grazie a chi recensisce e segue anche con la mia lentezza cronica. Grazie molte.
Alla prossima!

 

Lady Aquaria

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Capitolo 27
*** Here without you ***


27 prequel
27.
Here without you.
 
A hundred days have made me older
Since the last time that I saw your pretty face.
A thousand lies have made me colder
And I don't think I can look at this the same.
All the miles that separate
Disappear now when I'm dreamin' of your face.
I'm here without you baby
But you're still on my lonely mind.
I think about you baby and I dream about you all the time.
I'm here without you baby
But you're still with me in my dreams
[3 Doors Down – Here without you]

"Come immaginavo, sei qui."

Sulle prime Camus non riconobbe quella voce: a essere sincero non l'aveva mai sentita in vita sua.
"Non vedo come la cosa possa interessarvi." replicò, sulla difensiva. Corrugando la fronte, si voltò, per rimanere di stucco subito dopo. Si alzò, prestando immediatamente attenzione all'uomo che aveva di fronte: l'uomo del ritratto appeso all'undicesima casa, il suo diretto predecessore. "Voi?"
"Desideravo molto conoscerti, Camus, sebbene mi dolga sapere che ciò sia accaduto troppo prematuramente."

"Io... non pensavo neanche di avere quest'opportunità."
"Ma avresti dovuto immaginarlo, dato l'esito dello scontro da Aquarius."
replicò Degél, calmo. "E se sei qui, come ogni giorno, a vegliare sulla tua famiglia."
Serrò gli occhi, stanco. Non era in quel modo che aveva programmato di proteggerla.
Vegliava su loro da quando aveva chiuso gli occhi all'undicesima casa, minuto più minuto meno. In tutta la sua esistenza non aveva mai creduto, nemmeno un secondo, a spiriti e fantasmi, eppure era diventato come Degél, uno di loro.
"Devo ammettere che vi immaginavo diverso."

"Diverso... come?"
Gli occhi, dietro la sottile ed elegante montatura metallica, brillavano allegri e curiosi e sembravano scrutarlo nel profondo. Degél mostrava un sincero e aperto interesse nei suoi confronti, e seppur senza darlo a vedere, sentiva che era anche emozionato nel fare la sua conoscenza. Ma a un certo punto iniziò a sentirsi in imbarazzo e distolse lo sguardo.
"Non so."
"Non sai." Degél ridacchiò appena. "Eppure sei quel tipo di persona che conosce le risposte a ogni cosa."
"Non sempre."
"Dunque, se me lo concedi, risponderò io per te. Posso? Orbene... considerando le tue reazioni di quel pomeriggio all'undicesima casa, oserei quasi dire che ti aspettassi un fantasma degno della letteratura, avvolto in un sudario e circondato da una luce abbagliante, di quelli che amano salire nel mondo dei vivi per inorridire il prossimo."

"Non ho mai pensato una cosa del genere!"
"Oh, lo so." annuì Degél. "Però potrei farlo. Kardia e Manigoldo si cimentano in questo tipo di passatempo di quando in quando e si dicono divertiti."
"Voi non mi sembrate quel tipo di persona capace di giocare simili scherzi." obiettò Camus.
"Tu dici? Sebbene non abbia mai approvato i loro metodi, devo ammettere di aver provato un sottile velo di perfida soddisfazione nel vedere l'occupante della quarta casa sobbalzare nel letto. Manigoldo è sempre stato abile nel riconoscere le paure e i punti deboli di qualcuno."

DeathMask aveva punti deboli? Era quasi incredibile.
"Tutti ne abbiamo almeno uno, per quanto ci irriti ammetterlo." Degél rispose al suo ultimo pensiero. "Quello di DeathMask era ben celato nel suo cuore, ma Manigoldo è stato capace di trovarlo, seppur con un certo impegno. Una bambina, sua sorella. Quando ho scoperto che era lei che sfruttavano per terrorizzare il tuo commilitone, ho sottoposto lui e Kardia a una reprimenda che ancora la rammentano. Riprendendo le fila del discorso, comunque, credo che la teoria più probabile sia un'altra: semplicemente pensavi che Mei fosse una squilibrata."

"Dèi, no!" protestò Camus, con veemenza.
"Dohko e DeathMask possiedono lo stesso potere." proseguì Degél. "Certo, in forma molto più potente rispetto a quella della ragazza. Mei ha buone capacità, ma sono acerbe: può percepire e interagire con gli spiriti, ma non può evocarli. Sua madre a parte, tu saresti di certo il primo che lei richiamerebbe a sé. Siete l'uno il punto debole dell'altro, ma a onor del vero, tu ne hai due."
Lei e la loro bambina, che non era più in grado di proteggere: le guardò, la prima chinata a pregare, la seconda mentre dormiva tranquilla accanto a lei.
"Non crucciarti per loro: tua figlia è sotto la mia tutela e a Mei ci pensa Kardia. Tuttavia... non dovresti stare qui."
Camus distolse lo sguardo da Mei, intenta a uscire dal suo sacrario, e lo posò su Degél.
"Non giudicatemi. Anche voi al mio posto sareste qui vicino alla vostra donna." rispose.
Degél pensò subito a Seraphina.
"Avrei dato volentieri la mia vita per salvare la sua, come tu hai fatto con Mei." annuì poco dopo.

"E poi, cos'altro potrei fare? Comunque non può vedermi né sentirmi." replicò atono, senza giustificarsi per esser stato colto lì per l'ennesima volta.
Degél proruppe in una risatina.
"Io ho impiegato duecento anni per riuscirci, tu sei troppo giovane e inesperto. E in ogni caso, non hai tutto questo tempo a disposizione, per tua fortuna."

"Cosa intendete dire?"
"Sei solo di passaggio qui, non è ancora il tuo tempo. Sul mio destino era ben delineata la mia morte, la storia la conosci. Ma tu..."
s'interruppe Degél. Parve pensare su come proseguire col suo discorso, quindi sospirò. "D'accordo, posso dirtelo, dal momento che al tuo ritorno non ricorderai una sola parola di quanto sto per dirti. Arriveranno altri figli, i nipoti, si rafforzerà un legame importante. Ci saranno ostacoli, perché così è la vita, ma li supererete. Ci vorrà tempo, ma tornerai da lei."
"Sono morto, come posso farlo?"
"Fidati di ciò che dico. Sarai messo a dura prova, dovrai sopportare dolori che piegherebbero chiunque, ma sei forte. Comprenderai che la ricompensa che ti aspetta varrà tutta la pena."

Posarono entrambi lo sguardo su Mei, e Camus chiuse gli occhi un istante, colmo di rimpianti per le questioni rimaste in sospeso tra di loro.
"Non so cosa farei per poter..."

Degél si voltò di scatto, indovinando i suoi pensieri.
"No! Te lo impedirei con ogni mezzo: le cagioneresti un dolore incommensurabile e danneggeresti le trame del destino. Qualunque tua avventata interferenza potrebbe cambiare tutto il vostro futuro. Sii paziente, altro non puoi fare." lo interruppe, severo. "Nel più profondo, non so come, Mei riesce a percepirti. Già questo potrebbe essere un problema. Non causarne altri."
Più di una volta si era accorto che quando era nelle vicinanze, Mei guardava in sua direzione, senza tuttavia vederlo. A Milo, una volta, aveva detto che spesso in casa sentiva odore di lavanda e agrumi, lo stesso che aveva sentito addosso a lui quand'era in vita.

"Lavanda e agrumi?"
"Un'acqua di colonia italiana che mi piace particolarmente." rispose Camus. "Vi dispiacerebbe smettere di leggere i miei pensieri? Ne avrei qualcuno privato che non mi va di condividere."
Mei non faceva altro che pregare, pregare, pregare. Mangiava il necessario per poter allattare e quando la bambina dormiva, sfamata e pulita, non faceva che chiudersi nella Stanza degli Avi, invocando silenziosamente il suo nome.
Era crudele essere lì con lei, percepire il suo dolore e non poter intervenire in alcun modo.
"È una donna forte, si riprenderà." pronosticò Degél, corrugando improvvisamente la fronte: Mei, forse immersa nei suoi pensieri, teneva la mano premuta sul cuore esattamente come Camus in quel momento.
Conoscendola si sarebbe sicuramente ripresa, ma... quando?
"Ma certo... come ho fatto a non pensarci prima? Ho sottovalutato la questione."
riprese Degél, distogliendo lo sguardo non appena la ragazza ebbe iniziato a spogliarsi.
"Può dunque sentire anche gli altri Saints caduti?"

"Con quest'intensità potrebbe percepire solo suo fratello, qualora dovesse accadere un imprevisto celato anche ai miei sensi, per via dei legami di sangue..."

"Io e Mei non siamo imparentati." obiettò, continuando a tenere gli occhi fissi su di lei. Notò con preoccupazione che la sua magrezza era più accentuata, una volta tolti i vestiti: non la ricordava così, le sue mani avevano memoria di ben altre forme.
"Ah, tu dici? Non sono avvezzo ad adoperare lo stesso linguaggio di Kardia, pertanto ne userò uno più consono: vi siete uniti carnalmente, avete dato alla luce la vostra creatura. Il legame c'è, anche se è diverso da quello che la lega al fratello. Per questo lei continua a sentirti. Per quanto riguarda gli altri Saints, lei può solo percepire i loro Cosmi, quando essi sono vivi, ma da deceduti, solo in rari casi... forse sentirà Dohko, per il quale prova un affetto filiale, o Milo, per via della loro amicizia."

Quell'ultima affermazione lo scosse nel profondo: si scoprì agitato come poche volte era successo.
"Milo morirà?" lo interruppe nuovamente, gli occhi sgranati e colmi di panico.
 
**
 
Acqua, acqua e fango dappertutto: il villaggio sottostante il Goro-Ho era stato a malapena lambito dall'ondata di morte e distruzione che Poseidone aveva scagliato sul mondo, ma nonostante questo, il mercato era praticamente sfornito dei beni di prima necessità.
Mei rincasò con la poca spesa che era riuscita a fare, decidendo di chiedere aiuto a Milo affinché l'accompagnasse a far spesa a Rodorio, o ad Atene.
Capì che qualcosa non andava per il verso giusto non appena ebbe messo piede in casa.
"...è tornata."
"Le hai detto che saremmo venuti, vero?"
"Lasciate fare a me, ci penso io."

Corrugò la fronte, posando i sacchetti in cucina e dirigendosi velocemente in giardino.
Shiryu fu il primo ad alzarsi, seguito da Seiya, Ikki e Shun, e infine, Hyoga.
"Mei!" sorrise suo fratello, raggelandosi non appena ebbe intercettato il suo sguardo.

"Fratello. Noto che questa volta, stranamente, sei riuscito a riportare a casa gli occhi. Ma che bravo ragazzo." commentò Mei, acida, ignorando le occhiate esterrefatte di Shunrei. Poi, il suo sguardo si spostò su Hyoga. "Che diavolo ci fate qui?"
"Mi sa che non gliel'ha detto."

Colpito dal livore col quale stava guardando l'amico, Shun mosse un passo avanti.
"Abbiamo bisogno di riposarci un paio di giorni, le nostre ferite sembrano gravi, ma non siamo conciati male." minimizzò.
"Parla per te." borbottò Seiya, che tentava disperatamente di non cedere al prurito dei punti che il medico della fondazione Kido, il giorno prima, gli aveva applicato.
"Possiamo restare qui? Solo un paio di giorni, promesso."

Shiryu si schiarì la voce, imbarazzato.
"Avresti dovuto avvertirmi." borbottò Mei, passando al cinese.
"Mi avresti detto di no."
"No, avrei preso mia figlia e me ne sarei andata. Sono tua sorella maggiore, Shiryu, gradirei un minimo dello stesso rispetto che riservi ai tuoi amici e alla tua Dea." sbottò, prima di recuperare la calma. "Dovrete adattarvi a dormire tutti nella stessa stanza."
Seiya proruppe nel suo solito sorriso scanzonato.
"Nessun problema, vero ragazzi?"
"Abbiamo due stanze per gli ospiti." obiettò Shiryu.
"Una è diventata la stanza di mia figlia. Molte cose sono cambiate durante la tua assenza." replicò Mei, facendosi da parte e facendo rientrare i ragazzi. Hyoga, invece, non mosse un muscolo.
"Non è stata mia l'idea." esordì, una volta rimasti soli. "Vorrei poter essere ovunque, ma non qui."

"..."
"Io... posso anche stare nella stalla, se non mi vuoi in casa."

"Non abbiamo una stalla, mi dispiace." fu la replica secca di Mei.
"Mi arrangio anche a dormire all'addiaccio. Sopporto bene il freddo."

La somiglianza con Shiryu, pensò Hyoga, si limitava solo ad alcuni tratti somatici: come il fratello, Mei aveva i caratteri tipici dei popoli orientali –occhi allungati, capelli scuri e folti, una certa fierezza- ma il temperamento e l'ardore che sentiva scorrerle nelle vene, non aveva nulla a che vedere con Shiryu che, tra i due, era sicuramente il più riflessivo e meno incline a cedere all'istinto.
"Entra. Muoviti, prima che ci ripensi."
Le sorrise suo malgrado, grato per non dover dormire fuori, con l'umidità della notte.
"Grazie per la tua gentilezza." le rispose, soprapensiero.

"Osi anche fare lo spiritoso?"
Hyoga la superò svelto, salendo al piano di sopra e raggiungendo gli amici: Shiryu stava mostrando loro la casa, mentre Shunrei sistemava la camera per loro.
"Presta attenzione a questa porta." sibilò infine, fredda. "Questa stanza è comunicante con la mia, e ti è proibito entrare. Guai, se ti scopro qui dentro. Potrei ucciderti, e non scherzo."
"Lo so."
"Non so cosa Shiryu abbia raccontato di me, ma sappi che sono molto peggio di quel che sembro. Stai lontano da me e da mia figlia e tutto andrà bene."

Non poteva evitare la sua presenza, ma poteva quantomeno impedirgli di avere contatti con Lixue.
 
La bambina stretta tra le braccia, Mei si sedette accanto alla culla, guardando quella creatura preziosa e indifesa, che doveva proteggere a tutti i costi. Gli occhi erano i suoi –o meglio, retaggio di sua madre- ma quei capelli rossi e quei tratti le rammentavano ogni giorno ciò che aveva perso e che non sarebbe mai più stato.
"La cena è pronta." Shiryu entrò nella stanza dopo aver bussato.
"Non ho fame." rispose, atona.

"Mei, ti prego."
"No, Shiryu. Nessun tuo Mei con la vocina zuccherosa può farmi calmare."
"Sei arrabbiata."
"Arrabbiata…Shiryu, che parolona… sono furiosa!"
"Perché ci sono i miei amici?"
"Per tutti gli dèi, Shiryu. Lo sai benissimo che non è questo il motivo."
"È perché c'è Hyoga?"
Che intuito, i miei complimenti.
"Dì a Shunrei che mi dispiace, ma non cenerò con voi. Porgi le mie scuse al Maestro."
"Come vuoi." capitolò Shiryu, lasciandola sola.
 
"C'era una tensione pazzesca nell'aria...ve ne siete accorti?" domandò Seiya.
Solo uno sprovveduto non se ne sarebbe accorto, pensò Hyoga, senza rispondere alla domanda dell'amico.
"Per un attimo ho temuto che il cibo fosse avvelenato."
"Ma smettila." sbottò Shun.

"Magari lo era davvero, con un veleno che agisce lentamente, e non ce ne siamo accorti perché farà effetto nella notte e moriremo tutti nel sonno." ridacchiò Ikki."Ecco perché non ha mangiato con noi."
"Ti ci metti pure tu, adesso? Non sarebbe in grado di farci del male. " rispose Shun. "Il suo animo è buono."
Hyoga scosse la testa.

"Amico mio, come si vede che la conosci davvero poco."
Il rancore che le aveva letto negli occhi quel pomeriggio era indescrivibile a parole; avesse potuto, gli avrebbe volentieri cavato il cuore dal petto, e se non l'aveva fatto, c'era solo un motivo.
"Perché, tu sì? Ti ricordo che ha perso una persona amata, chiunque reagirebbe in quel modo."
Già, perché lui invece non soffriva da quel giorno, oh no. Non aveva sofferto nel ritrovarsi di fronte alla sua illusione, nell'avvertire lo spirito di Camus infondergli forza, ad Asgard. No, lui era immune dalla sofferenza, un muro di gomma contro il quale rimbalzava ogni cosa.
Al diavolo!

"Io esco, ho bisogno di prendere un po' d'aria." tagliò corto, nervoso.
Scese dabbasso, uscendo in giardino nell'aria fredda della sera e prendendo grossi respiri: si sentiva soffocare, un altro minuto là dentro e avrebbe dato di matto.
Beh, non che fuori fosse meglio: mescolato all'odore della neve, un profumo dolciastro che minacciava di peggiorare il suo mal di testa.

"Mio Dio, che cos'è?" borbottò, tappandosi il naso.
"Ti prego, Camus. Mostrati."
Era Mei. Alzò lo sguardo e vide una finestra del sotto tetto fiocamente illuminata. Doveva essere la stanza che usavano per pregare, Shiryu si era raccomandato di non entrarvi per nessun motivo, dal momento che in quella stanza riposavano le anime dei loro Avi e che l'ingresso di persone estranee alla famiglia era considerato sacrilegio.
Rientrò rapido e senza far rumore salì le scale fino ad arrivare a pochi metri dalla porta socchiusa, da dove filtrava, più penetrante, lo stesso odore avvertito in giardino: doveva essere l'incenso che bruciava nell'incensiere intarsiato accanto a Mei.
La vide seduta sui talloni in una tipica posa da artista marziale, mentre parlava, lo sguardo volto al soffitto. Peccato non comprendere una sola parola di cinese: sentì più volte il nome di Camus e il suo… difficile non immaginare l'argomento di quelle parole.
"Non posso vederti, ma so che sei qui, Camus. Ti sento. Percepirei la tua presenza anche a chilometri di distanza: so anche che puoi sentirmi ma non puoi parlarmi e di questo, al momento, sono grata agli Dèi, perché posso dirti tutto quello che meriti senza che tu possa fermarmi." si schiarì la voce. "Sei una carogna subdola e infida, uno stramaledetto demone dai capelli rossi, so che sei stato tu a mandarli qui. So che cosa stai cercando di fare, ma non te lo permetterò, e poco importa, credimi, se arriverai al punto di maledirmi o che so io. Non credere che mandando Hyoga qui io sia disposta a conoscerlo e comprendere le ragioni del tuo assassinio, perché se così fosse allora, non mi conosci ancora abbastanza. Non ho intenzione di conoscerlo quindi smettila di fare ciò che stai facendo. Qualunque cosa tu stia facendo."
"Dovesse scoprirti qui, finiresti in guai seri." mormorò Dohko, spuntandogli alle spalle all'improvviso e facendolo sobbalzare.
"Non volevo spiare, Maestro." si scusò Hyoga, prima di imboccare rapidamente le scale.
"Lo so, ma lei la prenderebbe sul personale." lo seguì Dohko. "Sembra forte e invincibile, ma in questo periodo è fragile come non lo è mai stata. Conosco quella ragazza da quando era poco più che una bambina, e questa è la prima volta che la vedo in questo stato. Non forzarle la mano, potresti fare più danni che altro."
"Vorrei solo spiegarle come sono andate le cose e chiederle scusa."
"Ti capisco, ma non è un buon momento."
 
Shunrei aprì la finestra, facendo uscire l'aria viziata della stanza e avvicinandosi a Mei, riversa a terra.
"Di nuovo gli incensi forti, Mei?" sospirò, raccogliendo la scatolina e riponendola al suo posto. "Quando la smetterai di farti del male?!"
L'altra borbottò, protestando per quell'intrusione.
"Lixue stava piangendo, le ho dato il biberon che avevi preparato. Così facendo non fai del male solo a te stessa, lo stai facendo anche a tua figlia. È questo che vuoi?"
"Non ho bisogno della tua predica." protestò Mei. "Tu non capisci, non sai cosa sto passando. Torna da Shiryu, deve ancora guarire, pensa a lui! Io darei qualunque cosa per poterlo fare con Camus. Stagli vicino, tu che puoi. E lasciatemi in pace, tutti quanti. Non voglio la compassione di nessuno."
Era tanto, chiedere un po' di pace?
Il giorno successivo il suo umore certo non era migliorato così come la sua insofferenza nei confronti di qualunque cosa. Si occupò di sua figlia, praticò taijiquan come tutte le mattine e restò chiusa nelle sue stanze fino a pomeriggio inoltrato.

"Ti trovo bene."
Mei sollevò appena lo sguardo dalla pentola, intravedendo Milo sulla porta della cucina.
"Arrabbiata" puntualizzò quindi Milo, incrociando lo sguardo dell'amica "ma ti trovo bene."
"Così come ieri, l'altro ieri e via discorrendo." gli rispose. "Si tira avanti, altro non si può fare."
Era alquanto facile indovinare la causa del malumore di Mei: Shiryu, ritornando a casa dopo lo scontro negli abissi, si era portato appresso anche gli amici dopo aver ricevuto le prime cure all'ospedale della Fondazione Kido. Tra questi, Hyoga.

"C'è un buon profumo qui." Milo cambiò discorso, posando sul tavolo i sacchetti che aveva portato con sé. "Cosa c'è di buono per cena?"
"Maiale al profumo di pesce." gli rispose, lasciandolo sbigottito.

"Come sarebbe?!"
"È solo carne cucinata con erbe e spezie che di solito si usano per cucinare il pesce, niente miscugli azzardati." lo rassicurò, prendendo un peperoncino e spezzettandolo grossolanamente nella pentola. "Sarei felice di averti a cena, se non hai null'altro di meglio da fare."
"Resto volentieri." annuì lui, sorridendole.
"Ti ringrazio molto, speravo mi rispondessi così, ho bisogno di una persona amica accanto."
"Beh, se hai bisogno di qualcosa, non hai che da chiedere, lo sai."
Si guardò intorno, notando una lavagnetta con delle date e dei numeri segnati ordinatamente; pensando riguardasse la piccola, si avvicinò e, pur non comprendendo quanto scritto in cinese, lesse attentamente ogni data e ogni numero. Poi, cambiò repentinamente espressione: qualcosa non tornava. Quei numeri non potevano riferirsi al peso di Lixue.
"Ti ho mentito, poco fa."

"In merito a cosa?"
"In realtà non ti trovo bene."
"Ah beh, ti ringrazio molto."
"Quel cinquanta si riferisce al tuo peso, vero? Sei dimagrita di nuovo, come quella volta?"
"L'allattamento mi sta prosciugando le energie." tagliò corto Mei.

"Certo." rispose Milo, per nulla convinto. Allungò una mano e le sfiorò una guancia col dorso delle dita. "So esattamente come ti senti, ma non ti abbattere così."
"Starò bene, non ti preoccupare." presa una radice di zenzero, ne aggiunse un poco nella ricetta e tornò a mescolare il tutto, facendo sprigionare l'aroma della spezia.
"Mi piace quest'odore." Milo cambiò ancora una volta discorso. "Copre quello di terra bagnata. Cominciavo a non poterne più, mai vista tanta pioggia in vita mia."
"A chi lo dici. Ascoltavo notizie terrificanti al telegiornale e speravo di non doverne sentire più... centomila dispersi in Francia, la Germania piegata dagli alluvioni...qui il volume della cascata è triplicato e grazie al cielo il fiume è molto più in basso, altrimenti le inondazioni avrebbero colpito anche noi. E per fortuna ci sei stato tu, a darci una mano... non so ancora come ringraziarti per il tuo aiuto."
Milo le sorrise e si sedette.
"Anche tu mi avresti aiutato, se fosse stato il contrario. Le notizie che hai sentito sono anche peggiori...gli sfollati sono all'ordine delle centinaia di migliaia, il numero dei morti è solo ipotizzato, ma dicono superi il mezzo milione... mezza Europa è piegata dalle inondazioni e anche negli Stati Uniti non se la sono passata bene: cinquantamila vittime solo sulla costa occidentale, mentre l'Asia è ancora flagellata dai terremoti. Poseidone si è divertito parecchio." replicò, osservandola mentre trafficava con la teiera e una pirofila. Quando Mei gli offrì una tazza di tè e un dolce, la ringraziò.

"Stavo pensando... potresti stare un po' con noi, al Santuario. Ti farebbe bene cambiare un po' d'aria, stare un po' al mare. All'ottava casa c'è una stanza in più e saresti la benvenuta."
"Ti sono grata per tutto, davvero. Ma non ho alcuna intenzione di tornare al Santuario, men che meno adesso che Camus giace in quel cimitero." lo interruppe, risoluta. "Non posso tornare, mi dispiace, quel luogo è pieno di ricordi."

"Permettimi di insistere."
Non gli rispose, preferendo concentrarsi sulla cena e anzi, parlando della battaglia conclusa da poco.

"L'ho sentita."
"Chi?" domandò Milo, corrugando la fronte.
"Quella ragazza, su ad Asgard."
"...la principessa Freya?"
"Non so come, ma ho avvertito il suo dolore. So che è assurdo, nemmeno la conosco, ma credo che l'aver provato così intensamente il dolore della perdita, mi abbia reso più sensibile nel percepirlo. Hyoga è una piaga su questa Terra. Quante altre vite dovrà strappare, quante altre donne dovrà rendere vedove prima che qualcuno fermi per sempre il suo cammino? Sai, io ho seguito tutti i loro scontri, ho sentito mio fratello indebolirsi e reagire, i suoi compagni affrontare avversari difficili in territori ostici... ma ho seguito con particolare interesse i suoi scontri. Fino alla fine ho sperato che i suo avversari lo uccidessero."

Mei... ti prego...
"Mei, certe cose non dovresti nemmeno pensarle. Pensi che la morte di Hyoga possa in qualche modo restituirti ciò che hai perso? Potrai infliggergli tutte le punizioni di questo mondo, potrai insultarlo o prenderlo a pugni, la situazione comunque non cambierà."
"Non farlo, Milo. Non trattarmi da stupida." sbottò Mei. "Non cambierà la situazione, ma farà stare meglio me."
"Ne sei proprio certa? Le mani sporche di sangue non fanno star bene nessuno." le rispose, serio. "Camus non ti perdonerebbe mai. Anche fosse, una volta scemata l'adrenalina, saresti schiacciata dal senso di colpa. Prendere la vita di un uomo non è facile come credi."

Non le avrebbe raccontato di cosa si provava nel guardare la vita scivolare via dagli occhi di una persona, degli strascichi che una cosa di quel genere lasciava nell'animo.
Certo, aveva le capacità per farlo e magari in un momento di rabbia cieca avrebbe anche potuto ucciderlo, ma poi?
"Tu l'hai mai fatto?" si sentì domandare, dopo alcuni minuti.
"Sì."
"E Camus?"
"Al Santuario aveva ricevuto l'ordine di eliminare Hyoga, ma ha deciso diversamente. Non avrebbe mai potuto farlo."

"Non parlavo solo dello scontro al Santuario."
"No, mai." ribadì Milo. "Ha sempre ignorato qualunque ordine prevedesse un'esecuzione e quasi è finito nei guai per questo."
"È stato punito per aver scelto di non uccidere?"
"No, perché ho portato a termine io certi suoi ordini. Finché si tratta di nemici, lo fai senza pensarci perché devi difenderti. Ma quando si tratta di ragazzi che fino al giorno prima hai visto nell'arena e che scappano per sfuggire a una vita dura, beh... è un'altra questione." le rispose. "Nessuno lo sa, confido nel tuo silenzio o potrei pagare per questo."

"Lo so." annuì Mei. "Se l'aria al Santuario è irrespirabile come qualche mese fa... chi c'è al potere, adesso che Ares non c'è più?"
"Mu. Eletto ad interim finché l'emergenza non sarà passata. Ma ci sono cose che è meglio non divulgare per nessun motivo, neanche in tempi di relativa calma."

"Certo."
 
A cena, Shun si sforzò in tutti i modi di mantenere un tono neutrale a tavola. Avviava discussioni su ogni genere di argomento, interessandosi agli studi marziali di Shiryu e Mei, ponendo domande specifiche sul judo, o sul taijiquan, alle quali quest'ultima rispondeva con educazione, ma con una freddezza di fondo che tuttavia non lo scoraggiò affatto.
Hyoga fece ben attenzione a non intervenire in alcun modo, lasciando che fossero gli altri a parlare. Scoprì che l'idolo di Mei era forse il più famoso tra gli artisti marziali del mondo, Bruce Lee, che nonostante la sua giovane età era cintura nera e che –anche se questo a differenza di Shiryu- parlava correttamente anche l'italiano, lingua materna, perché la loro madre era stata una cantante lirica italiana.
"Davvero? Hai girato il mondo, allora!" esclamò Shun a un certo punto.
"In un certo senso..."

"Qual è il posto più bello che hai visitato?"
"Ce ne sono tanti, non posso sceglierne solo uno."
"Hai viaggiato anche tu, prima dell'addestramento?" Shun si rivolse a Shiryu.
A giudicare dalle fotografie che Mei custodiva gelosamente e che li ritraeva tutti e quattro insieme, sì, ma a differenza di sua sorella, non aveva seguito assiduamente la madre nei suoi viaggi di lavoro.
"Dev'essere stato bello." interloquì Milo.
"Finché è durato, sì." convenne Mei.

"Perché poi cos'è successo?" volle sapere Seiya.
"Un incidente." rispose Shiryu, per lei. "Non è facile parlarne. Certi ricordi uccidono."

Ikki ridacchiò.
"I ricordi uccidono, dici? Ti è andata bene, non hai dovuto affrontare Lymnades..."
"Già, pensa quanto mi è andata bene che sono stato preso come puntaspilli da Crisaore." replicò Shiryu. "Ho fatto un ottimo affare."

"Shiryu, parli così perché tu non l'hai affrontato e non puoi sapere di cosa fosse capace, ma riusciva ad eviscerare i tuoi segreti più profondi. Ti è davvero andata bene non averci avuto a che fare: sembrava leggerti come un libro aperto." aggiunse Shun. "Ha ingannato Seiya sfruttando Marin e Seika, ingannato me sfruttando Ikki e..."
"Ha fregato voi mammolette, perché con me i suoi metodi non hanno funzionato." puntualizzò Ikki, omettendo di precisare che Lymnades si era accorto del suo punto debole quando era troppo tardi e che anche per quel motivo, lui, se l'era cavata.
"Con te ha avuto meno tempo per agire, ma credimi quando ti dico che era eccezionale a scoprire il tuo punto più debole!" aggiunse Seiya. "Ha fregato anche Hyoga, e sì che lui è un esempio di freddezza..."
L'attenzione di Mei si risvegliò come d'incanto, iniziando a fissare Hyoga con uno sguardo indecifrabile.
Lui doveva esser stato ingannato con il ricordo di sua madre, pensò, con una punta di cattiveria.
Hyoga ripensò a quei momenti, a quando l'illusione di Lymnades, così viva e reale, aveva fatto breccia nelle sue difese e nel suo buonsenso. Qualcosa in lui sapeva che quel Camus non era vero, non era il suo Maestro. Eppure la ragione era stata letteralmente messa nel sacco da quella trappola ben architettata. Quei modi, quel sorriso, le sue parole così simili alle sue... l'inganno era stato dolorosamente perfetto, almeno, fino alla stilettata che Lymnades aveva scagliato.
"Non mi va di parlarne." cercò di troncare la discussione, invano.
"E invece Lymnades ti ha infinocchiato lo stesso. Con Aquarius." Seiya proseguì impietoso, ignorando le sue occhiate gelide.
"Seiya..." borbottò Shiryu, corredando l'ammonimento con un'occhiataccia e un calcio sotto il tavolo.
"Uh!!! Il budino di riso! Ikki, mi passi il latte di cocco, per favore?" interloquì Shun, allungando il braccio verso l'altro lato del tavolo, dove sedeva suo fratello.
"Camus?" ripeté Mei, gelida, ignorando i tentativi del giovane di cambiare discorso. "È lui il tuo punto debole? Io lo definirei senso di colpa."
"Mei, per favore." interloquì Milo, tentando inutilmente di calmarla.
"È giusto, devi avere sensi di colpa. Significa che sai di essere in torto."
"Non è il momento per-..."
"Hai ragione." Mei parve calmarsi. "Non è un buon momento, troppi testimoni. Quando arriverà il momento opportuno, ne parleremo." si alzò, raccogliendo il proprio piatto e dirigendosi in cucina.

Hyoga si alzò subito dopo.
"Lascia stare, per favore." disse Milo.

"Niet." sbottò l'altro. "No. Vuole a tutti i costi fare la vittima? Bene, adesso le darò un buon motivo per avercela con me."
"Non peggiorare la situazione!"
"Definisci peggiorare." sbraitò. "Peggiore delle sue continue frecciatine? O dei suoi sguardi carichi d'odio? Oppure delle continue e non proprio velate minacce di morte? Soffro anche io, cosa accidenti credete, tutti quanti? Ne ho fin sopra i capelli di tutto questo, adesso basta."

Mei stava ancora borbottando tra sé e sé, quando lui si chiuse la porta della cucina alle spalle.
"Certo che hai fegato. Te lo riconosco, hai più coraggio di quel che pensavo." commentò lei, quando si accorse di lui.
"Ti sfugge un piccolo particolare: non ho paura di te."
"Dovresti averne." ribatté Mei.

Quel suo comportamento lo mandò in bestia.
"Vuoi finire il lavoro di Isaak? Prego, accomodati." Hyoga si strappò rabbiosamente la benda e le offrì l'occhio ferito. "Avanti. Strappami gli occhi, tutti e due. Piantami qualche coltello nel petto. E dopo? Ti sentirai meglio? Pensi forse che Camus tornerà una volta che mi avrai ucciso?"
"Calmati, piccino." lo prese in giro Mei. "Mangerai, dormirai e guarirai sotto il mio stesso tetto. Non dovrai temere avvelenamenti o agguati di nessun genere da me, perché non è il mio modo di agire. Una volta sistemate le ossa rotte, una volta che i tuoi lividi si saranno riassorbiti e che il tuo occhio tornerà a vedere, solo allora ti affronterò. Non è mia abitudine infierire su chi è debole."

"Maestro. Dovete perdonarmi, ma sto per chiedervi qualcosa che sicuramente non vi piacerà."
"Cosa, Camus?"
Impiegò qualche secondo a rispondergli.
"Voglio bene a Hyoga come se ne vuole a un figlio, e amo lei come nessun'altra persona al mondo. Sono due parti importanti della mia vita e non riesco a immaginare un futuro senza uno dei due. Ne ho già persa una, non voglio perderne altre."
"Temi per il tuo allievo?"
"Per entrambi."
precisò Camus. "È furibonda, neanche Milo riesce a farla ragionare. Potrebbe davvero commettere l'irreparabile e a quel punto la situazione non farebbe che peggiorare, la sua vita sarebbe rovinata per sempre.Voglio fermarla, devo almeno provarci."
Degél annuì grave.
"Nessuno di noi due può interferire, devo interpellare Kardia. Devo avvertirti però: trovo i suoi metodi efficaci, ma poco ortodossi: non userà mezze misure, sarà brutale e inumano."
"È commovente la fiducia che riponi in me."
interloquì l'interessato. "Mi dilettavo a essere sadico e inumano con i nemici, non con tutti e sicuramente non con una donna. Su una cosa però ha ragione: sarò brutale. Una terapia d'urto è sempre brutale."


***
 
Lady Aquaria's corner
È trascorso un sacco di tempo dall'ultimo aggiornamento, ma non mi sono dimenticata del prequel: come avete notato, ho preferito saltare i dettagli delle battaglie contro Asgard e contro Poseidone per andare alla vigilia della guerra contro Hades, più impegnativa sul fronte narrativo.
Lo so da me, Mei è un tantino negativa in questo capitolo, ma cercate di capirla, povera.
Passo alle note:
-La canzone del titolo si riferisce all'omonima canzone dei 3 Doors Down.

-Maiale al profumo di pesce: come spiega Mei, si tratta di carne condita con spezie e/o ingredienti solitamente utilizzati per il pesce. È un metodo diffuso soprattutto nel Sichuan.
-La conta delle vittime degli alluvioni di Poseidone sono tratte dal manga.
Grazie come sempre a chi segue e/o recensisce, seppur le mie risposte arrivino sempre in ritardo, sappiate che sono molto apprezzate.

Alla prossima,
 
Lady Aquaria
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 28
*** Hurt. ***


28. prequel

27.
Hurt

Would you tell me I was wrong?
Would you help me understand?
Are you lookin' down upon me?
Are you proud of who I am?
[Christina Aguilera - Hurt]

 

AVVERTIMENTO: TW, descrizione in dettaglio di scene cruenti

Wei-He, suo padre, era stato un grande studioso di tutto ciò che riguardava la cultura giapponese: aveva studiato e si era specializzato in arti marziali prettamente nipponiche, praticandole insieme a quelle della sua terra natia, ne aveva assimilato usi e costumi accorpandoli ai propri e aveva sviluppato una certa passione nei riguardi dei samurai nonostante il parere fortemente contrario di certi membri della sua famiglia, che verso il Giappone coltivavano un odio profondo, figlio del massacro di Nanjing.
Nel corso degli anni, soprattutto in quelli che avevano preceduto la nascita di Shiryu, aveva cercato di trasmettere le sue passioni anche a lei, ma dal canto suo, nonostante gli sforzi paterni, di quel Paese aveva imparato ad amare solo il sushi, il judō e l'aikidō.
Una cosa però le era rimasta impressa: il rigido codice morale dei samurai tanto ammirati da suo padre, il bushidō.
"Non posso pretendere che tu lo segua, Mei-Yin, del resto sei ancora una bambina e non sei in grado di capire appieno il significato profondo di queste parole, però mi aspetto che un domani, quando sarai una donna adulta e avrai a che fare con le difficoltà della vita, tu possa ricordarle e, finalmente, comprenderle."
Onestà, coraggio, compassione, sincerità, onore
e lealtà. Una morale dietro l'altra, fino ad arrivare a quella che Wei-He considerava la più importante, alla stregua del non uccidere biblico. Le aveva mostrato l'ideogramma
, Rei, cortesia, e si era raccomandato di ascoltarlo bene, di imprimere nella sua mente le sue parole, e in effetti così aveva sempre vissuto: sapeva di non avere mai deluso le aspettative paterne, neanche e soprattutto quando, quella volta al Santuario, Saga le aveva velatamente chiesto di fare la spia per conto suo. Aveva preferito incorrere in rischi inimmaginabili pur di non tradire né lui né Dohko.
"Non hai motivo per comportarti in maniera crudele, non hai bisogno di mostrare la tua forza. Sii gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale."

Certo, belle parole, le sue. Peccato che suo padre non le avesse lasciato scritto nulla su come comportarsi in caso di un torto subito. Cos'avrebbe dovuto fare? Porgere l'altra guancia e ignorare quanto successo per lasciare Hyoga libero di agire indisturbato, padrone di vivere una vita che aveva, al contrario, sottratto a Camus?
Prese il tantō che le aveva donato anni prima e seguì con le dita i complicati intarsi del fodero, traendo un gran respiro. 
"Ho compreso le tue parole, papà, ma io non sono un Samurai. Voglio vendicarmi di un torto subito, non dilungarmi in stupide dimostrazioni di forza. Non mi aspetto che tu capisca, né tantomeno attendo il tuo perdono. Non ho intenzione di lasciar correre, non stavolta."  
Il corridoio era immerso nell'oscurità, una condizione perfetta per quanto stava per fare: nessuno l'avrebbe vista e nessuno avrebbe potuto fermarla.
Sguainò il tantō e si diresse alla stanza in fondo al corridoio, scoprendo che la porta non era chiusa a chiave, poteva entrare senza alcun problema.
Hyoga dormiva supino, un braccio alzato a coprirsi gli occhi, l'altra sullo stomaco: sembrava il ritratto dell'innocenza, abbandonato com'era al sonno. Si mosse quasi in trance, il pugnale saldo nella sua mano dominante, il braccio pronto a scattare.
Il primo fendente lo colse di sorpresa destandolo immediatamente dal sonno: impiegò qualche istante a mettere a fuoco Mei, lo sguardo maligno negli occhi e la scintilla sinistra della luce sulla lama, già sporca del suo sangue.

"Come dici? Non ti sento." gli sorrise Mei, quanto tentò di biascicare qualcosa nonostante il dolore lancinante all'addome e alle braccia, con le quali cercava inutilmente di parare i colpi.
Il secondo lo colpì alla coscia, il terzo –l'ultimo– alla gola, con precisione chirurgica: una volta aveva letto, da qualche parte, che la carotide recisa portava alla morte in pochi secondi. Dodici, all'incirca.
Li contò uno per uno, guardando Hyoga annaspare, osservando il suo sangue inzuppare con ampi spruzzi le lenzuola e gocciolare a terra, sporgendosi fino a guardare da vicino i suoi occhi spegnersi e il corpo rilassarsi senza vita.

"Va meglio?"
Quella voce la scosse nel profondo. Sobbalzò, guardando Camus accanto al corpo di Hyoga, una mano protesa a chiudergli gli occhi in un gesto pietoso.
"Mei, perchè?"
Lasciò la presa sul pugnale, che cadde a terra con un rumore sordo attutito dal tappeto, mentre Camus avvicinatosi a lei, le accarezzava la testa.
"Ti ha ucciso." mormorò.
"E ti senti meglio, adesso?"
Difficile a dirsi. Avrebbe dovuto provare sollievo, essere soddisfatta dalla vendetta portata a termine, eppure... l'odore ferroso del sangue la colpì come un pugno allo stomaco, insieme allo sguardo severo di Camus che la trafiggeva.

"Dovevo fare qualcosa. Lui ti ha ucciso." continuò Mei, allungando la mano fino a sfiorargli la guancia gelida. "L'ho fatto per noi."
"Allora, Mei, perché non sei felice?"

Le mani divennero improvvisamente fredde, e un'orrenda sensazione di appiccicaticcio la indusse a guardare giù, sul sangue che le stava inzuppando i piedi e che, si accorse con orrore, non apparteneva al cadavere: sul corpo di Camus erano comparse le stesse identiche ferite che aveva inferto a Hyoga.

"Oddio no, no!" iniziò a gridare, cercando di tamponargli il collo.
"Ti rendi conto di cos'hai fatto?"

Camus guardò con orrore Hyoga entrare nella stanza di Mei e quest'ultima afferrare il pugnale prima di tirare fendenti alla cieca.
"BASTA!"
gridò contro Kardia, pregando che Mei si riprendesse prima dell'irreparabile.
"Kardia, direi che è sufficiente."
intervenne anche Degél.  
Kardia guardò prima l'amico, quindi interruppe quanto stava facendo e lanciò un'occhiata penetrante a Camus.
"Hai insistito tu per avere il mio aiuto ed eri stato avvertito riguardo i miei metodi." gli fece notare.
"Sì, e maledico il momento in cui l'ho fatto.
" replicò Camus, furibondo. "Ho chiesto il vostro intervento nella speranza che l'avreste aiutata, non che l'avreste torturata così!"

"Torturata? Mio caro ragazzo, io e te abbiamo idee molto divergenti a riguardo. Ho solo solleticato la sua psiche, facendo leva sui punti giusti, nulla di più."
Kardia non aveva impiegato molto tempo a trovare, nella mente di Mei, il dettaglio da usare: aveva tralasciato subito i ricordi d'infanzia e dei genitori, decidendo di focalizzarsi proprio su Camus che, era evidente, era il suo punto più debole. Lui e Manigoldo avevano col tempo affinato le loro abilità usando DeathMask come cavia, e non era stato difficile manipolare i suoi sogni affinchè veicolassero un messaggio preciso. Il pugnale che la ragazza conservava sotto il cuscino non l'aveva proprio previsto, quello doveva ammetterlo, così come la reazione che aveva avuto e che aveva quasi portato alla morte prematura del giovane cigno.
"Ma vi rendete conto di cosa dite? Avrebbe potuto farsi del male, l'ha quasi ucciso! "
"Avresti preferito l'alternativa? Avresti preferito vederla davvero uccidere il tuo allievo? Non sono io a doverti ricordare che ha le capacità e la rabbia per poterlo fare."
"Alternativa che grazie a voi stava per diventare realtà, c'è mancato pochissimo!"
gridò Camus.
Kardia non fu sorpreso dallo scoppio d'ira di Camus, che trovò comprensibile dato quanto era appena successo, tuttavia lo guardò con un ghigno.
"Ammiro il tuo ardore, davvero, ma ti consiglio in futuro di non rivolgerti più a me in questo modo se non vuoi affrontare conseguenze spiacevoli."
"Io credo che abbiate già superato il limite." interloquì Degél. "Smettetela, tutti e due."

Pochi minuti prima…
L'insonnia che lo accompagnava fin dai tempi dell'orfanotrofio si era ripresentata, puntuale, anche durante quelle notti trascorse in Cina. Vuoi per il sonno leggero, vuoi per la costante sensazione di pericolo che avvertiva in quel luogo, oppure per il dolce russare di Seiya nella brandina accanto, non riusciva a dormire come avrebbe desiderato.
"Tappati quella bocca!" borbottò Ikki, rifilando un improvviso quanto efficace calcio alle gambe di Seiya, che, miracolo! smise di russare. Troppo rumore per i suoi gusti, per certi versi gli mancavano le notti all'isba, dove il silenzio era stato talmente profondo da essere quasi surreale.
Si alzò, badando bene a non finire nel raggio d'azione di Ikki, e scese in cucina; in frigo, alcune bottigliette piene di liquido bianco –latte materno, ipotizzò– dalle quali rimase ben lontano, una brocca con del tè, confezioni con scritte in greco provenienti da Atene o dal Santuario, gli avanzi della cena e frutta a lui sconosciuta. Presa una mela trovata per caso, iniziò a sbucciarla, restando in allerta e pronto a svignarsela al primo accenno di pericolo: Shiryu minimizzava, ma era così che si sentiva in quella casa.
Bevve due lunghi sorsi d'acqua, ripose il bicchiere sul gocciolatoio, e si avviò silenzioso in corridoio, fermandosi di colpo quando le urla ebbero inizio, grida che provenivano dalla stanza di Mei e nella quale fece irruzione senza tante cerimonie.
Fortunatamente nessun nemico all'orizzonte: era scivolata dal letto nel sonno e le lenzuola le si erano aggrovigliate intorno alle sue gambe impedendole i movimenti: doveva esser questo il motivo di tanta angoscia. Si avvicinò per aiutarla, chiamandola più volte, finché non si trovò a schivare per un soffio un fendente.
"No, non toccarmi!" gridò Mei.
Alzò le mani in segno di resa, rendendole ben visibili affinché si calmasse e deponesse quella lama.
"Va tutto bene." disse Hyoga, con una calma che era ben lungi dal provare.
"Oddèi. Cosa ci fai qui?" ansimò Mei, ancora sotto choc. Si guardò intorno, temendo ancora di vedere quell'orribile scena sotto gli occhi. Per fortuna, non era successo niente d'irreparabile: lui era vivo e lei non aveva ucciso nessuno. "Stai bene?"
Hyoga corrugò la fronte: il graffio sul collo bruciava un po', ma non era nulla di grave.
"Se sto...?" ripetè, confuso. "Tu, stai bene?"
Mei finalmente depose l'arma, realizzando quanto fosse stata vicina a compiere un gesto atroce. Ma quell'incubo era stato così vivido da sembrare vero... sollevò le mani, cercando il sangue che le aveva macchiate quando aveva cercato di tamponare le ferite sul collo di Camus, ma, ringraziando il cielo, erano pulite. Agguantò in fretta il cestino sotto la scrivania e diede violentemente di stomaco.
"Cosa sta succedendo qui?!" esclamò Shiryu, sulla porta della stanza di Mei.
"Credo che tua sorella non stia bene." spiegò Hyoga. Avrebbe voluto aiutarla, ma l'istinto gli diceva di non abbassare la guardia, di starle lontano così come lei gli aveva intimato.
"Questo lo vedo, ma cos'è successo?"
"Rimanderei le spiegazioni a un'altra volta, se non vi spiace. "interloquì Shunrei. "Shiryu, occupati di Hyoga mentre io mi occupo di Mei."
Shiryu fece quanto richiestogli da Shunrei e accompagnò l'amico in bagno, armeggiando poi con l'armadietto delle medicine.
"Guarda che faccia." commentò. Hyoga aveva assunto un colorito cinereo e sembrava lottare a viva forza per non crollare a terra da un momento all'altro. "Oddio, siediti."
"Credo che vomiterò anche io." disse, alzando la tavoletta del wc.
La mattina arrivò presto, ancora carica della tensione della notte appena finita.

"Sapevo di trovarti qui." sospirò Shiryu, chiudendosi alle spalle la porta della stanza degli avi. 
"Come sta Hyoga?" domandò subito Mei, senza lasciargli il tempo di dire altro. Shiryu si accomodò sul cuscino accanto alla sorella, notando i suoi occhi rossi e gonfi e il malefico pugnale al sicuro nel suo fodero.
"Fisicamente bene, ha solo un graffio. É però spaventato, anche se non lo da' a vedere."
Inspirò l'odore del franchincenso che bruciava nell'incensiere, quindi riaprì gli occhi e guardò il fratello.
"Comprensibile, l'ho quasi spedito all'altro mondo." annuì Mei.
"Hai finalmente deciso di lasciarlo qui?" le chiese quindi, indicandole il pugnale con lo sguardo.
"Sì, preferisco tenerlo al sicuro per evitare altri potenziali guai come quello di stanotte." rispose.  
"Ah, tenere lui al sicuro." la riprese. "Non che serva poi a molto, sai, tu sei pericolosa anche a mani nude, e allora chi terrà al sicuro noi?" aggiunse sorridendo, ricevendo in risposta un'occhiata stanca. "…scusami, pensavo di sdrammatizzare un po'. Hai voglia di dirmi che cos'è successo?"
Fu lei a sospirare: non che ci fosse poi così tanto da capire, sicuramente poi Hyoga aveva già raccontato tutto nei dettagli.
"Ti prego, non è proprio il momento."
Shiryu lasciò cadere l'argomento, almeno per un po', appuntandosi mentalmente di riprenderlo appena possibile. Guardò la sorella pregare, sorrise nel vedere le foto dei loro genitori sul piccolo altare, quindi diede due buffetti affettuosi sulla spalla di Mei a mo' di saluto, decidendo di lasciarla sola.
Nei giorni seguenti, nessuno fece parola dell'accaduto ed entrambi cercarono di evitarsi il più possibile; a tavola Hyoga si chiudeva nei suoi soliti silenzi, parlando il meno possibile e, lei semplicemente fingeva che non fosse successo nulla, anche se spesso, troppo spesso, aveva flash di quell'incubo.
Separò i vestiti puliti e asciutti in due ceste e, una volta riposta nella sua stanza la cesta con le sue cose, si diresse alla camera dove dormivano i ragazzi, prima di prepararsi per l'appuntamento: Shiryu era uscito con Shunrei e gli amici già da un po', e solitamente approfittava di momenti come quelli per svolgere le mansioni di casa senza avere gente intorno.
Aperta la porta, si accorse tardi che non tutti gli amici del fratello erano usciti: aveva dato per scontato, dalle parole di Shiryu di quella mattina, che sarebbero usciti tutti loro, invece Hyoga era rimasto.
Imbarazzato a livelli impossibili da esprimere a parole, si coprì con la prima cosa che riuscì a trovare, sentendosi a disagio nell'esser stato beccato, nudo come un verme, proprio da Mei. Le diede le spalle per infilarsi un paio di jeans –di Ikki, tra l'altro– pescati dalla pila sulla sedia, cercando di darsi un contegno.
"...niente che non abbia già visto." commentò Mei, distogliendo lo sguardo per dargli il tempo di coprirsi. "Esco subito, qui ci sono i vestiti puliti, li lascio qui… non so a chi appartenga cosa, quindi ve li dividerete più tardi."
"Non si usa più bussare?" borbottò, schiarendosi la voce.
Mei si fermò sull'uscio, voltandosi di nuovo verso di lui.
"Ma senti chi parla." rispose, memore di quanto accaduto mesi prima, a Kobotec. "Pensavo fossi uscito con mio fratello e i vostri amici. Comunque, hai bisogno di qualcosa?"
"Sì, di stare in pace." le rispose, iniziando poi ad armeggiare con flaconi e garze. Mei notò solo in quel momento che l'occhio ferito di Hyoga era sbendato ed esposto.
"Quello è acido borico."
Hyoga corrugò la fronte, sollevando il flacone in questione.
"Non saprei." rispose, atono. "Pensavo fosse collirio."
Doveva aver frugato nell'armadietto delle medicine in bagno e pescato flaconi a caso, senza capire che cosa stesse prendendo date le etichette in cinese; andò in bagno a recuperare il flacone giusto e la scatola con bende e cerotti.
"Per una ferita come la tua non va bene, l'organismo potrebbe assorbire troppo acido borico e finiresti col soffrire di effetti collaterali… ecco, tieni, questi cerottoni li usava Shiryu quando ha avuto quei problemi agli occhi. E quelle ferite che ho intravisto sulla schiena s'infetteranno, se non le curi, possibile che il medico della fondazione Kido non ti abbia dato niente, un unguento, un disinfettante..? Dovrei avere qualcosa, ma non so se va bene…"
Serrò la zip della felpa fin sotto il mento, confuso dal comportamento di Mei.
"No, no, ferma, faccio da solo." la fermò, prendendole di mano il batuffolo di ovatta imbibito di un liquido rossastro a lui sconosciuto e appoggiandolo con delicatezza sulla palpebra chiusa. "Cos'è? Ti preoccupi per me, adesso?"
Nel silenzio che seguì, la sentì respirare con rabbia.
"Arrangiati." gli rispose, dirigendosi ad ampie falcate verso la porta.
Hyoga borbottò qualcosa nella sua lingua natia, sbuffando frustrato.
"Mi dispiace." aggiunse, inducendola a fermarsi. "Non volevo essere scortese, ma non so come comportarmi con te, sei inquietante! Che diamine, un attimo prima sei una persona normale, quello dopo un demone assetato di sangue! Per poco non mi ammazzi e adesso mi aiuti con la medicazione, oscilli tra gentilezza e istinti omicidi, spiegami tu come faccio a stare tranquillo in tua presenza."

*

"Ciò che più mi piace di queste nostre uscite è il poter vedere scorci sempre nuovi di Atene. Sento sempre nostalgia per la Grecia, quando sono a casa." ammise Mei, passeggiando accanto a Milo in uno dei tanti mercati di Atene. "La cucina, l'odore del mare, il sole…"
"E io che speravo fossi io, a mancarti…" scherzò Milo.
"Anche tu, ovviamente." sorrise Mei. "Ti ringrazio come sempre per avermi accompagnata a fare spesa: non faccio in tempo a fare provviste che le dispense si svuotano…"
"E io come sempre ti dico che non c'è problema, lo faccio volentieri." replicò Milo. "Come stai? Come vanno le cose?"
"Benino a entrambe le domande." rispose Mei, dispiegando la borsa di stoffa e sistemandovi la verdura che aveva appena comprato. Preferì non raccontargli del malessere che l'aveva colta subito dopo l'incubo e che la perseguitava da giorni, o avrebbe dovuto raccontargli tutto dal principio.
"So che c'è stato un mezzo incidente l'altra notte." esordì poi Milo di punto in bianco, dopo che si furono allontanati dal banco della verdura.
Mei si preparò mentalmente a una lunghissima filippica, ma non c'era traccia di rimprovero nello sguardo dell'amico.
"Te l'ha detto Hyoga." sospirò. Che sciocca, certo che gliel'aveva detto. Ancora più sciocco era stato credere di poter evitare un confronto in merito.
"Sì, ma lui per primo ha specificato che non è stato intenzionale perchè non eri cosciente e che per poco non ti ha preso un colpo quando ti sei accorta di quel che stava per succedere. Ha aggiunto che l'hai aiutato a medicare l'occhio e che sei più gentile con lui." le circondò affettuosamente le spalle con un braccio prima di proseguire. "Per quel che può servire, sono fiero di te."
"… e quest'ultima cosa te l'ha detta prima o dopo averti raccontato che mi ha definito demone assetato di sangue? Perché ti ha raccontato tutto, vero, non solo la parte che gli faceva comodo."
"Non ha omesso niente."
"Beh, almeno è stato onesto."
"Non dovrebbe essere una sorpresa, ricordati di chi è stato allievo."

"Eh… a proposito di onestà, posso contare su una tua sincera e onesta risposta alla domanda che sto per farti?"
"Rispondo sempre sinceramente, ma devo avvertirti che non tutti apprezzano questa mia caratteristica." annuì Milo.
"Sono diventata una persona orribile, dopo quel che è successo all'undicesima casa?" Mei abbassò la voce.
Milo corrugò la fronte.
"Beh, oddio… orribile no, non esageriamo. Hai scelto Hyoga come tuo personale capro espiatorio per una cosa che lui non ha di certo voluto, sei… onestamente e sinceramente parlando, un tantino rompiscatole." rispose Milo, schietto. "Ma ehi, niente che non si possa correggere lavorandoci un po' su."
"Senti, non vorrai farmi credere che tu non hai provato nemmeno un po' di rabbia, perché non me la bevo."
L'aiutò a riporre il sacchetto della frutta in una seconda borsa di tela, quindi si decise a risponderle.
"A dire il vero, per un attimo ho desiderato ardentemente poter radere al suolo la terza casa e dar fuoco al cadavere di Saga, ma è una cosa durata davvero un attimo. Tu, bella mia, covi rancore da allora e di fegato ne hai uno solo, non dimenticarlo."
"Sono orribile."
"No, non ho detto questo, e già il fatto che hai capito da te che c'è qualcosa che non va nei tuoi modi di fare dimostra che non lo sei. Sei intelligente, brillante, una persona forte e indomita. Sei passionale, del resto sei una scorpione, è nella nostra natura. Però bella mia, sei cocciuta, orgogliosa e troppo impulsiva." proseguì Milo. "Non che Camus non ne avesse, anzi. Aveva un cuore d'oro, ma era testardo e rompiscatole, un po' come te."
Mei annuì, sorridendo amaramente.
"Già, Camus. Sappiamo bene quanti difetti avesse. Sono certa che l'incubo sia opera sua."
"Ma figurati! Ti ama, non farebbe mai..."
"Senti, è vero che io lo conosco da molto meno tempo di te, che forse lo conosciamo su due piani diversi e che certamente tu sai più cose di me. Ma non ci vuole chissà quale grado di conoscenza per capire che Camus, per quel ragazzo, avrebbe fatto e farebbe di tutto." sospirò Mei. "Anche interferire con il mio sonno o chiedere a qualcun altro di farlo. Tante cose mi hanno portata a pensarlo: il fine di quell'incubo era chiaro, credimi, era un vero e proprio ammonimento: se uccidi lui, uccidi anche me."

Milo corrugò la fronte.
"Sì, questo in effetti sarebbe da lui." convenne. "Ascolta, so che non ti piace l'idea di rivedere il Santuario, ma puoi fermarti ancora un po' o devi tornare subito a casa? Non ti tratterrò a lungo, promesso."
Giunti davanti alla casa dell'Ariete, Mei volse lo sguardo verso l'undicesima, distogliendolo quasi subito.
"Ti va di andare su un attimo?" le propose, cogliendo la sua occhiata. "Io vado ogni mattina, a controllare che tutto sia a posto."
"Anche tu non riesci a toglierlo dalla mente." disse Mei, dopo qualche istante di silenzio.
"Chi, Camus? Scherzi? Penso a lui ogni santo giorno. Sento la sua mancanza quanto te. Come hai detto, i rapporti che Camus aveva con noi erano diversi, ma alla base c'è lo stesso affetto: è quello che mi manca. Sento la mancanza perfino dei suoi silenzi, figurati."
L'undicesima casa era rimasta tal quale l'ultima volta, forse solo la temperatura interna era cambiata: senza il cosmo di Camus, si era adattata alla media stagionale di quella regione.
"Ti aspetto all'ottava casa, quando avrai finito. Resta tutto il tempo che vuoi, ti lascio tranquilla."
"Posso davvero restare un po' sola qui? Tu non resti?"
"L'altra volta sono rimasto perché avevo timore che tu potessi commettere qualche sciocchezza." ammise Milo, riferendosi alla veglia. La vide sgranare gli occhi. "Beh, mi hai chiesto tu di essere sincero con te. Io ti aspetto all'ottava."
Lo sentì uscire dall'undicesima casa e si diresse alla camera di Camus, sedendosi poi sul bordo del letto e guardandosi intorno. Adocchiò la sua macchina fotografica, una Canon Eos, e premette il pulsante di avvio, constatando che nonostante il periodo di inutilizzo, aveva ancora una discreta percentuale di batteria.
La sua parte razionale le diceva di non scorrere le fotografie, di lasciar stare per non incorrere in ricordi dolorosi, ma prima che potesse ascoltarla, l'emotività ebbe il sopravvento.
L'ultima foto che Camus aveva scattato ritraeva un tramonto rosso fuoco sull'Egeo: riconobbe le luci del Pireo e le silhouette delle barche attraccate ai pontili. Scorse le precedenti, tralasciando al momento foto di viaggi e dettagli che per Camus erano stati tanto importanti da essere fotografati, quindi arrivò alle foto che avevano scattato durante le sue tre settimane al Santuario. Una di queste doveva averla scattata Milo e li ritraeva sul divano dell'undicesima casa durante una di quelle sere piovose nelle quali avevano preferito stare a casa anziché uscire. Ricordava ancora perfettamente quell'attimo.
Si asciugò gli occhi e si permise di prendere le cose che aveva volutamente, mesi prima, lasciato nella stanza di Camus e non riuscì a resistere all'impulso di aprire i cassetti e prendere qualcosa da portare via come ricordo. Si portò al volto una camicia, constatando con dispiacere che dell'odore di Camus non era rimasta alcuna traccia.
Milo la sentì entrare in casa propria dopo una buona mezz'ora.
"Aspetta, ti do' un sacchetto." le disse Milo, guardando le cose che reggeva tra le braccia: la reflex e il cellulare di Camus, una boccetta, degli indumenti accuratamente piegati. Dispiegò un sacchetto di carta che Mei riconobbe come quelli che al mercato si usavano per la frutta, e glielo porse prima di tornare a controllare i fornelli.
"Credi che possa prendere queste cose?"
Milo le sorrise, tirando giù la zip della felpa e mostrandole una maglietta legata al mondo di Star Wars.
"Beh, questa era sua." le rispose. "Prendi ciò che vuoi, sicuramente lui non si offenderà."
"La fotocamera la prendo solo in prestito, vorrei fare una copia delle foto e poi la restituisco, giuro."
"Puoi tenerla. Meglio con te che a farle prendere polvere in un armadio."
Le offrì il pranzo che aveva acquistato poco prima al mercato, protestando dinanzi alla riluttanza di Mei e promettendole di riportarla a casa appena finito.
"...vino?" le domandò, con la bottiglia a mezz'aria poco sopra il suo bicchiere.
"Lo prenderei volentieri, ma sto allattando." diniegò Mei, guardando gli orecchini che aveva acquistato a una bancarella: piuttosto semplici rispetto ad altri molto più elaborati e ricchi di particolari, ma qualcosa di quei monili l'aveva attirata da subito. Si tolse i cerchietti che aveva indossato quella mattina e provò gli orecchini nuovi.
"Come mi stanno?" domandò, spostando indietro i capelli.
"Direi bene. Sai, quello è il nodo di Eracle, simbolo che è usato fin dall'antichità come protezione e come simbolo di impegno e amore immortale."
"Non lo sapevo."
Milo parve ricordare di colpo qualcosa, lo vide andare a spulciare nelle tasche del giaccone e prendere un sacchettino di carta colorata.
"Prima che mi dimentichi, tieni: il ciondolo è per te, il bracciale per per Lixue."
All'interno, un ciondolo grande quanto una moneta da due euro, appeso a una catenina argentea, insieme a un braccialetto elastico con le perline dello stesso colore del ciondolo.
"Lo vedo spesso sulle bancarelle, ma non so che cos'è." ammise Mei.
"Un amuleto antimalocchio, lo chiamiamo mati. Protegge dal male." le spiegò Milo. "Se un giorno dovesse mai rompersi, significa che ha assolto al suo compito e ti ha protetta assorbendo ciò che stava per colpirti. Qui prendiamo il malocchio molto, molto sul serio, quindi non prendermi in giro."
Mei aprì il gancetto della catenina e indossò l'amuleto, sorridendogli.
"Sono la prima che si arrabbia se qualcuno prende in giro le mie credenze, perché mai dovrei prendere in giro le vostre? É molto bello, grazie." lo ringraziò, sistemando il ciondolo sotto il maglione. "Posso chiederti come vanno le cose con Shaina?"
Milo posò nel piatto il resto dell'involtino di melanzane che aveva appena addentato vorace e le rispose dopo aver deglutito.
"Bene, anche se non come vorrei. Siamo saint entrambi e finchè il Santuario sarà in allerta, di notte io non potrei lasciare l'ottava casa e lei non potrebbe lasciare il gineceo, ma… ci vediamo lo stesso, anche se clandestinamente e di rado e per quanto siano intensi i momenti che trascorriamo insieme, non è proprio la migliore delle situazioni."
"Mi dispiace." replicò Mei, sincera.
"É una situazione temporanea, o almeno spero. Una volta che lo stato di allerta smetterà di essere necessario, niente e nessuno riuscirà a tenermi lontano da lei. Ma tu mangia, la saganaki non è buona se si fredda." disse quindi Milo, cercando di sviare il discorso.
Comprese subito la sua ritrosia nel parlare di quell'argomento, quindi decise di mangiare e lasciar perdere.
"Hai parlato di uno stato di allerta poco fa, è successo qualcosa?"
"Ancora no, ma temo stia per succedere. Non avrei nemmeno dovuto portarti qui, se devo essere sincero, questo posto non è il più sicuro del mondo, e se dovesse accaderti qualcosa, Camus non me lo perdonerebbe mai." Milo abbassò la voce. "Il Santuario è in fermento. Come sai, Mu è il nuovo Grande Sacerdote ad interim e come Shaka dice di aver avvertito strani movimenti a Oriente."
Mei corrugò la fronte.
"In effetti... qualche giorno fa li ho visti giungere al Goro–Ho, ma non conosco l'argomento della loro conversazione e il Maestro non ne ha fatto parola." ricordò. "É strano già da giorni, mangia poco, dorme ancora meno, e non si muove dal suo picco, non importa se piove o c'è il sole, lui rimane lì, irremovibile. Ho stupidamente pensato che fosse a causa del trambusto che governa casa da quando sono arrivati Shiryu e i suoi amici, ma ho paura che ci sia ben altro sotto."
Terminarono di mangiare quindi, come le aveva promesso, la riaccompagnò a casa.
"Mi prometti che proverai ad essere più indulgente con Hyoga? Non pretendo che diventiate migliori amici, ma almeno che siate civili tra di voi: avete entrambi qualcosa in comune, potete provare a partire da lì." si raccomandò Milo, posando le borse sul tavolo.
"Non perori la tua causa mettendo Camus di mezzo."
Milo le rivolse un'occhiata delle sue, e Mei sospirò.
"Va bene, ho capito. Ci proverò." si arrese. "Promesso."
"Brava ragazza." sorrise Milo, stringendola in un abbraccio. "Ora vado, ci sentiamo presto."
Restò a fissare a lungo il punto in cui Milo sparì tornando in Grecia, avvertendo uno strano groppo in gola.
 

***

Lady Aquaria's corner:
Magari l'avvertimento t.w. è un poco esagerato, ma ho preferito inserirlo. Non mi faccio viva sui lidi di Efp da tantissimo tempo, complici anche svariati gravi problemi di natura personale. Proseguire le due fic principali ha richiesto più tempo del dovuto più che altro perché, ahimè, avevo perso il filo del discorso e stavo per scrivere una cosa per un'altra.
Sto già abbozzando il prossimo capitolo e il finale della long principale è già bello che imbastito, mancano solo i punti definitivi.
Grazie comme toujour a chi ancora segue e mi lascia scritte due parole. Vi rispondo in ritardo, ma vi leggo.

Lady Aquaria

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