La Storia mia con Te - Prequel di Lady Aquaria (/viewuser.php?uid=119162)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Twist of Fate. ***
Capitolo 2: *** E da qui. ***
Capitolo 3: *** You had me from hello. ***
Capitolo 4: *** Taking Chances. ***
Capitolo 5: *** First time. ***
Capitolo 6: *** I've got you under my skin. ***
Capitolo 7: *** Come with me. ***
Capitolo 8: *** Benvenuta. ***
Capitolo 9: *** In good company. ***
Capitolo 10: *** It's a beautiful day. ***
Capitolo 11: *** Pocketful of sunshine. ***
Capitolo 12: *** Un'emozione inaspettata. ***
Capitolo 13: *** Under Pressure. ***
Capitolo 14: *** Let the bad times roll. ***
Capitolo 15: *** Nothing's impossible. ***
Capitolo 16: *** Que sera, sera. ***
Capitolo 17: *** If today was your last day. ***
Capitolo 18: *** When all is said and done. ***
Capitolo 19: *** Disillusion. ***
Capitolo 20: *** Trying not to love you. ***
Capitolo 21: *** Dimentica. ***
Capitolo 22: *** Surrender. ***
Capitolo 23: *** Love's a loaded gun (and it shoots to kill) ***
Capitolo 24: *** Distance. ***
Capitolo 25: *** If tomorrow never comes... ***
Capitolo 26: *** Feels like the end. ***
Capitolo 27: *** Here without you ***
Capitolo 28: *** Hurt. ***
Capitolo 1 *** Twist of Fate. ***
Capitolo 1 Prequel revisionato
1.
Twist
of Fate
"La
verità è che io faccio
fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a
liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è. C'è
sempre. Con il suo sorriso e i suoi occhi, perfino col
suo caratteraccio. E quando non c'è la cerco. La cerco in
casa, a Rodorio, la cerco
nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi
dei pochi
libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora
dappertutto. L'ho
cacciata, ma non riesco a levarmela dalla testa."
Milo tacque, aspettando
che Camus proseguisse.
Ma non lo fece, Camus
pareva perso in pensieri tutti suoi, pensieri che Milo conosceva fin
troppo
bene.
"Amico mio, sei messo
proprio male."
E tutto questo, a partire da quel
giorno al Goro-Ho.
*
Estate 2003, Goro-Ho (Cina).
L'aveva conosciuta quasi per caso, quando era stato
mandato in Cina dal Maestro Dohko su ordine del Grande Sacerdote
perché "qualcosa stava per succedere".
Lui doveva cercare di convincere il Saint di Libra a unirsi
alla loro causa e Ares aveva inviato lui perché
più diplomatico di DeathMask,
che scalpitava per andare ad attaccar briga da qualche parte.
Speranza vana.
"…non ho nessuna intenzione di muovermi da qui,
Aquarius." aveva ridacchiato Dohko, sempre costantemente fermo sul suo
picco. "….se Athena avesse voluto sollevarmi da questo
compito, l'avrei
già saputo. Dieci cavalieri d'oro sono più che
necessari per proteggere il
Grande Tempio." dichiarò infine, criptico, lasciando Camus
perplesso.
Dieci? Cosa…??
"Apprezzo molto la gentilezza che hai usato per
rivolgerti a me, ma…"
"Sono dell'idea che ogni cosa si può risolvere
parlando con calma, senza l'uso della violenza."
E DeathMask l'avrebbe usata, eccome.
"Sagge parole, mio buon ragazzo. Ma devo ugualmente
diniegare." concluse Dohko, chiudendo definitivamente la questione.
"Rientra al Santuario, Camus, e riferisci al Grande Sacerdote che non
è
mia intenzione disubbidire a un ordine della Dea, e che, pertanto, non
rientrerò ad Atene."
A Camus non rimase altro che restituire l'inchino che gli
aveva rivolto Dohko.
"Riferirò, Maestro."
"Maestro!"
Lo sguardo di ghiaccio del Gold Saint si posò sul giovane
allievo di Dohko, Shiryu, che doveva aver avvertito il suo cosmo.
"… cosa fate qui? Cosa volete??" gli aveva
domandato, con un atteggiamento che trovò irritante e
inutilmente aggressivo.
"Frena la tua lingua, ragazzo. Non
sono qui con intenzioni maligne, non indosso nemmeno
l'armatura." lo riprese Camus, incrociando le braccia sul petto e
squadrando il giovane da capo a piedi.
"Avete sentito che cos'ha detto? Il mio maestro non
si muoverà da qui! Andate!"
E allora, l'aveva vista.
"Non sono affari che ti riguardano, Shiryu, se ne
occuperà il maestro. Rientra dentro."
Non troppo alta, snella, lunghi capelli neri, decisamente
rassomigliante al ragazzo che era intervenuto in difesa di Dohko.
"Va tutto bene Mei, non preoccuparti." aveva
interloquito quest'ultimo. "E nemmeno tu, Shiryu. In ogni caso io e
Camus
abbiamo finito."
Dopo un breve cenno di saluto nei suoi confronti in
seguito a una lunga occhiata, la ragazza era quindi rientrata in casa
seguita
da Shiryu e da quella che, in base a quanto ricordava, doveva essere la
figlia
adottiva di Dohko.
*
Come previsto il Grande Sacerdote non fu felice della
risposta data da Camus e del suo insolito fallimento: se nemmeno lui,
il Diplomatico
del Santuario che svolgeva regolarmente il compito di ambasciatore in
giro per
il mondo, aveva convinto Dohko, avrebbe dovuto passare a mezzi di
persuasione
più… pesanti.
"Sono piuttosto contrariato, Camus. Avrei giurato di
vederti tornare insieme al vecchio Maestro… ma a quanto pare
l'osso è più duro
di quel che immaginavo."
"Non ha voluto sentire ragioni."
"…perché evidentemente non hai usato i modi
giusti." interloquì DeathMask, facendo il suo ingresso nel
tredicesimo
tempio. "Ora capisco perché mi avete chiamato, Eccellenza."
Camus assottigliò lo sguardo, mentre DeathMask si
avvicinava allo scranno.
"Le persone civili discutono, non
attaccano un rispettabile anziano così, giusto per
il gusto di muovere le mani." replicò.
"Quando richiederò il tuo intervento DeathMask,
allora potrai parlare." intervenne Ares, fermando sul nascere la sua
risposta verso Camus. "Le sue esatte parole?"
"Ha detto che non intende disobbedire a un ordine
della Dea e che non mi avrebbe seguito." ripeté Camus.
"Mh." Ares rifletté qualche istante sulle
parole di Camus, prima di fare un cenno in direzione di DeathMask. "Non
sono propenso a usare violenza su un nostro parigrado che ha quasi il
doppio
delle nostre età sommate insieme… ma la sua
presenza al Santuario è di vitale
importanza, la settima casa ha bisogno del suo custode e non deve
rimanere
disabitata."
"Ci penso io al vecchio Libra, vedrete."
"Immagino." fu il commento di Camus, guardando
in tralice il commilitone.
"Che intendi dire, fetuso??"
"Hai solo voglia di attaccare briga, tu. Non
otterrai niente, come sempre. Dohko ha deciso così, e
nessuno riuscirà a
smuoverlo."
"Sono molto persuasivo, io."
Camus ridacchiò appena.
"Che farai? Ti presenterai al Goro-Ho con coppola e fucile a canne
mozze
parlando come Vito Corleone?"
"Andrò come mi pare e vincerò dove tu hai fallito. Del resto vi avevo avvisato
Ares, ma voi non avete voluto darmi ascolto."
"Non mi sembra il luogo per parlare di questo. E
sia, Cancer, domani andrai tu in Cina."
DeathMask rise, con la solita risata satanica che metteva
i brividi.
"Ho carta bianca?"
Ares si alzò dallo scranno.
"L'importante è che porti il maestro qui, intero.
Per il resto, fa' come vuoi, uccidi chi ti pare se lo ritieni
necessario, ma Dohko
mi serve vivo." replicò
Ares,
enfatizzando l'ultima parola.
Uccidi chi ti pare?
Il suo pensiero corse, senza nemmeno accorgersene, alla
ragazza che aveva visto.
Che ne sarebbe stato di lei, se DeathMask avesse usato
anche solo un millesimo dei suoi poteri?
Si congedò, e tornò rapidamente all'undicesima
casa dove
ad attenderlo trovò come sempre Milo, questa volta
appoggiato alla sua Honda.
"Ha detto di no." disse, non appena lo vide.
"Ha detto di
no." annuì Camus. "Non potevo certo forzare la
mano, è pur sempre
il vecchio Maestro."
"E poi il vecchio Dohko è capacissimo di farti fuori
in pochi secondi, se gli va."
"Mh."
"C'è dell'altro."
"Sì ma non ho molto tempo per pensare a come rimediare al
disastro che sta
per accadere." rispose Camus.
"Già. Mentre pensi possiamo andare in quella taverna
a Megara, a bere qualcosa." disse Milo. "Dai, prendi la tua moto e
andiamo."
Scosse la testa.
"Non sono in vena di guidare." diniegò.
"Oh. E se invece scendessimo dal vecchio Mirkos, a farci due goccetti
di ouzo?"
Dal vecchio Mirkos, in quella bettola mascherata da bar?
"Assolutamente no." replicò. "L'ultima volta ho dovuto far
risuolare gli stivali: i pavimenti di quel locale sono più
appiccicosi di una fabbrica di colla."
Milo scoppiò a ridere.
"L'igiene non sarà il massimo ma la sua birra è
ottima."
"Avrei da ridire in merito. Su, levati quel ghigno dalla faccia e
andiamo."
"A proposito: tu hai la faccia di uno che è stato reso
felice da una donna."
Camus lo guardò, malissimo.
"Ho la mia solita faccia."
"Oh no. Hai capito bene che cosa intendo dire."
"Insomma, Milo, ma pensi solo al sesso?"
Milo scoppiò a ridere.
"Il sesso fa bene, mio caro, è uno dei motivi per cui
vivere. Mangiare,
bere e fare sesso. Ecco cosa ci tiene in vita!"
"Fare l'amore, Milo. Amore, non
sesso."
"Ah, l'amore, l'amore… quello lo fai con la tua
donna, ma se non ce l'hai, fai sesso, e basta." commentò
Milo.
Camus afferrò chiavi e casco, e salì in sella
alla sua Norton.
"Dai muoviti, Megara non è dietro l'angolo."
"Allora,
vuoi dirmi chi è, questa ragazza?"
Camus alzò gli occhi al cielo, mentre Milo faceva
l'occhiolino alla cameriera del pub, che gli aveva appena portato una
Caffrey's.
Lui si era limitato a un Kyr analcolico, non volendo rischiare la pelle
a
guidare ubriaco in moto.
"Quale ragazza?"
"Quella alla quale il tuo cervello sta pensando da
quando sei tornato dalla missione. La conosco?" proseguì
Milo.
"Chi ti dice che sto pensando a una ragazza?"
"Andiamo, non hai quello sguardo negli occhi nemmeno quando la tua
amata Paris
Saint Germain vince."
Tanto valeva dirglielo, visto che non l'avrebbe lasciato
stare.
"L'ho intravista al Goro-Ho."
Milo sgranò gli occhi.
"Non parli della figlia adottiva di Dohko, vero? La
piccola Shunrei è riserva di caccia di Shiryu, quello
t'ammazza!"
"No, stupido." disse, corredando le parole da
un'occhiata glaciale. "C'è un'altra ragazza, in quella casa.
Non parlavo
di Shunrei. È una …bambina."
Milo sorrise, sornione.
"Ha già tredici anni, sai che qualche epoca fa a
quell'età erano già pronte per sfornare qualche
pargolo?"
"E'-una-bambina."
ripeté Camus con una smorfia oltraggiata. "E non
è di lei che parlo. La
ragazza che ho visto ha come minimo la mia età."
"Ah, allora parli di Mei-Yin, la
sorella di Shiryu." disse. "L'ho vista una
volta sola…"
Camus sorseggiò la sua bevanda.
"…e?"
buttò lì, fingendo indifferenza.
Milo ci pensò su.
"Uhm… non so granché di lei. Comunque non
è
malaccio, a dirla tutta. All'incirca è un metro e
sessantasei, sessantotto al
massimo. Da quel che s'intravede dai vestiti dev'essere anche
particolarmente
magra e nervosa. Non ha molte curve però ha un bel corpo."
rispose. "Dicono
che abbia lunghi capelli neri e gli occhi del fratello, ma
più scuri… questo
però non posso confermartelo, non mi sono avvicinato
così tanto da verificare
se è vero o no."
Occhiata in tralice.
"Tessera sanitaria? Codice fiscale? Numero di ossa
fratturate?"
"Uh?" Milo parve confuso.
"Fortuna che non sapevi granché. Dì un
po’, le hai
fatto la radiografia??"
Milo sghignazzò.
"Quando una donna attira la mia attenzione, le
faccio anche un check-up completo, se voglio."
***
Lady Aquaria's corner.
(capitolo revisionato in data 07/05/2014)
Ho deciso di revisionare anche questa ff, aperta quasi
tre agosti fa (aperta per ampliare la storia tra Camus e Mei, dove
racconto
qualche retroscena o qualcosa lasciato un po' in ombra) dopo essermi
accorta di
qualche sciocchezzuola dettata dalla fretta e da qualche problema.
Qualche
capitolo sarà più lungo dell'originale, altri si
limiteranno a qualche
sporadica correzione.
1. il
titolo si riferisce a una stupenda canzone di Olivia Newton John,
"Twist
of fate", appunto, colonna sonora del film "Due come noi - Two of a
kind", che a me, in barba alle recensioni negative che il film ha
ricevuto, è piaciuto molto (e che non c'entra affatto con la
fanfic). Ho scelto
questo titolo perché significa "scherzo del destino"
perché, insomma,
Mei e Camus si conoscono così, grazie al destino.
2. I
fatti sono tutto traslati di circa diciassette anni rispetto alle date
dell'anime, più o meno. E non dite che non l'avevo detto.
è_é
3. Caffrey's:
è una birra scura irlandese, simile alle sue sorelle
più famose come Guinness o
Murphy's . Il Kyr, invece, di solito è alcoolico, ed
è composto da succo di
ribes e vino bianco, o champagne nel caso del Kyr Royal (tutte info
date da mia
sorella, che studia all'alberghiero). Nel pub che frequento di solito,
a Torino,
lo fanno anche analcolico, con l'acqua tonica.
Alla prossima!
Vale^^
Lady Aquaria
|
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Capitolo 2 *** E da qui. ***
secondo capitolo prequel
2.
E
da qui.
"Ma davvero? Vedi di farlo a qualcun'altra, il check-up."
Milo sogghignò ancora.
"E perché mai??" ribatté. "Cos'é,
l'hai
vista prima tu? Non sono del tutto sicuro che tu sia in grado di
maneggiare una
come lei. Al villaggio sotto il Goro-Ho dicono sia un bel peperino, il
Maestro
l'ha allenata personalmente."
"Non credevo fosse una sacerdotessa, non porta la
maschera." obiettò Camus.
"Infatti non lo è, Dohko ha affinato le sue
capacità
di artista marziale, che la ragazza ha iniziato ad apprendere dal suo
defunto
padre. E' bassa, ma è un concentrato di forza…
che c'è? Perché mi guardi
così?"
Camus puntò l'indice contro Milo.
"Dimmi la verità. Fai parte dell'EYP."
"No, niente servizi segreti, sono solo un attento
osservatore." rispose Milo, ridacchiando. "E comunque sai, non
m'interessa la tua fanciulla… per me è troppo
nervosa, preferisco le ragazze un
po' più floride."
"Scherza, scherza. Il pazzoide della quarta casa ha
ottenuto il permesso dal Grande Sacerdote a fare una strage. Ecco a
cosa sto
pensando da oggi."
"Esagerato." disse Milo.
"Gli ha affidato la missione al Goro-Ho che io ho
fallito, e gli ha dato carta bianca per agire come meglio crede."
spiegò
Camus. "Uccidi chi ti pare, il
Maestro mi serve vivo. Ti pare una cosa sensata da dire a uno
come Death? Che
dici, sono esagerato adesso?"
"Ha dato carta bianca a Death? Ma è impazzito?"
"A quanto pare…"
"E tu sei preoccupato per Dohko? Quello è ancora in
gambissima, potrebbe farci fuori tutti quanti senza nemmeno faticare,
altrochè... stai tranquillo, sa il fatto suo."
"Dohko sì. La ragazza, no."
Milo ridacchiò.
"Allora è lei la tua sola preoccupazione."
insinuò.
"E no, non iniziare con il discorso: siamo
paladini della giustizia, dobbiamo proteggere gli innocenti.
Cam, non
prendermi in giro."
"Ma lei è
un'innocente. Non merita di finire i suoi giorni con la fine atroce che le farebbe fare Death."
"E che cosa intendi fare?"
Camus finì la bevanda, pensieroso.
"Qualcosa m'inventerò." rispose.
"Se vuoi spezzare le gambe al granchietto sappi che
hai la mia approvazione e avrai il mio aiuto."
"Ah no. Il giorno in cui deciderò di fargli
abbassare la cresta dovrò essere da solo. Non intendo
condividere quel piacere
con nessuno. Posso concederti l'onore di finirlo, ma a pestarlo
sarò solo io."
"Sai Cam, a volte mi fai paura." commentò Milo,
poco dopo.
Stavolta fu Camus a sogghignare.
"Guardati
dalla furia dell'uomo paziente." rispose. "Sarà
meglio tornare al
Santuario, sia mai che quello decida di partire con anticipo."
Milo andò a pagare e tornarono al Santuario dove, tutto
baldanzoso, DeathMask si stava vantando con un paio di soldati semplici
dell'incarico ottenuto da Ares.
"Guardalo, com'è tronfio." commentò Camus. "La
sua stupidità lo porterà alla rovina, prima o
poi… tsk! ha carta bianca. So io
che cosa potrebbe farci, con quella carta."
"Non dirmelo, lo immagino da me…" ridacchiò
Milo.
Verso il
pomeriggio, mentre DeathMask, tronfio nella sua armatura
si recava da Ares per gli ultimi aggiornamenti, Camus decise di
anticiparlo e
andare in Cina: la ragazza che aveva visto, Mei,
era fuori a curare il giardino ignara di cosa stava per succedere di
lì a poco.
Non si spaventò quando lo vide comparire accanto al
grande salice che imperterrito da chissà quanti decenni, si
stagliava dietro la
pagoda.
"Nihao. O forse
sarebbe meglio… yassou."
si
corresse, passando al greco. "Vi ho già visto l'altro
giorno."
"Sì."
"Anche se non da così vicino." fece Mei.
"Oh. Ehm…" disse Camus, mal interpretando le
sue parole.
"Potete avvicinarvi, sono innocua."
"… disse quella con un tantō
infilato nella
cintola." Camus le indicò con un cenno l'arma in questione.
Mei
sorrise e si alzò, pulendosi le mani sotto il getto del tubo
per irrigare il
giardino.
"State tranquillo, non sono così stolta da pensare
di poter abbattere un Gold Saint con un misero pugnale."
"Adesso sì che sono tranquillo."
Lei rise.
"Il Maestro è sempre lì, al suo posto. E no, non
credo abbia cambiato idea dall'ultima volta che vi ha visto."
Sentiva il cosmo di DeathMask avvicinarsi e decise che
non poteva perdere altri istanti a parlare.
"Mei-Yin,
giusto? Senti, non posso perdere altro tempo."
"Perdere tempo? Ma cosa…??"
Ed eccolo, DeathMask, comparire dalla cascata in una
delle sue amate entrate in scena teatrali, il cosmo a proteggerlo
dall'acqua.
"Felice di
vedervi, Maestro."
"Il prode
Cancer…" disse Dohko, ironico."Così
sei tu il sicario mandato da Ares. Quale onore, per un vecchio come
me."
"Cosa sta succedendo?"
"Resta vicina a me e non ti succederà niente." le
disse.
"Ma… il maestro… mio fratello…!"
protestò la
ragazza. "E Shunrei!"
La tirò a sé e si teletrasportò dietro
a un enorme masso
in cima alla cascata azzerando il cosmo per evitare di essere avvertito
dal collega.
"Non c'è tempo." le disse, cercando di captare
la ragazzina dal quipao rosa.
La trovò nella foresta di bambù poco distante,
insieme a Kiki.
Menomale, è
con Kiki, pensò. Pur non essendo un Saint
ma solo l'apprendista di suo fratello Mu, sapeva come difendersi, e in
caso di
necessità l'avrebbe teletrasportata al sicuro.
"Credo che potremmo darci del tu, a
questo punto." sentì dire a Mei.
Preso dalla situazione, l'aveva sentita appena.
"… come?"
"Ho detto che a questo punto possiamo anche darci del tu,
visto e considerato che quello che stai stringendo
è il mio
seno destro e non la mia spalla."
Sgranò gli occhi, guardando Mei e costatando che aveva
ragione. Tolse subito la mano, imbarazzato.
"Chiedo umilmente scusa."
Una risata perfida li distrasse.
"Chi è quell'uomo?" domandò Mei in un sussurro,
sporgendosi appena dal masso.
"DeathMask di Cancer, il miglior sicario in
circolazione." le rispose. Ma non c'era nessuna ammirazione in quel
tono
di voce, solo disprezzo. E doveva provarne molto contro quell'uomo.
"È un tuo pari." affermò Mei.
"Sì. Di nome, ma non di fatto. Dovrebbe servire la
giustizia, invece quell'uomo è la cosa più
rivoltante che conosco."
L'uomo che aveva chiamato DeathMask si era avvicinato
minaccioso a Dohko, parlandogli, ma lontana com'era, non riusciva a
carpire
nemmeno una parola. Solo di quando in quando, si sentiva una risata
raccapricciante,
certo non del maestro.
"Si può sapere che cosa volete, dal maestro Dohko?
Non ha commesso nessun crimine, non s'è mai mosso da qui."
riprese Mei,
poco dopo.
"Il Grande Sacerdote vuole a tutti i costi
richiamarlo al Santuario, dice che ha consultato le stelle e sono
maligne…" le rispose, in automatico, come se lei potesse
comprendere.
"Pensavo che il Grande Sacerdote fosse una persona
ragionevole e rispettosa. Invece, sento solo energie negative provenire
da
Occidente, non è affatto il Santuario descritto dal Maestro."
Possibile che anche lei percepisse il Cosmo?
"Tu percepisci il Cosmo?"
"Certo che sì." replicò Mei, come se la cosa
fosse ovvia. "Sento quello di Shiryu da anni, sento anche quello degli
altri Saint. Percepisco la loro natura. Secondo te perché
ero così tranquilla
quando sei arrivato, poco fa?"
"Ah, ecco perché non mi hai lanciato quel
pugnale." commentò Camus.
Mei ridacchiò.
"Non l'avrei lanciato comunque, lo uso solo per
difesa, mai per l'attacco." rispose. "Se proprio devo attaccare, lo
faccio a mani nude."
"Devo quindi ritenermi fortunato, per non essere
stato attaccato in alcun modo?"
"Beh… non sono così sciocca da attaccare per
prima
un uomo del tuo calibro."
Camus inarcò un sopracciglio.
"E se ti avessi attaccato?"
"Beh, allora quel tantō sarebbe finito dritto nel
tuo occhio."
La guardò, stranito.
"Nell'occhio?" ripeté. "Perché non nel
cuore?"
"Uno perché indossi un'armatura e due perché nel
vostro caso gli occhi, e il cervello dietro essi, sono più
facilmente
raggiungibili."
"Brutale." commentò Camus.
"Forse. Ma di certo letale."
Come DeathMask in quel momento: appena posato lo sguardo
su Shiryu, iniziò ad attaccare anche lui.
"Un cavaliere
qualsiasi che sfida a duello un cavaliere d'oro…
è ridicolo!!" stava
dicendo Death."Mai prima d'ora avevo
sentito una cosa più assurda e sciocca di questa!!"
Idiota, avrebbe
voluto urlargli. Mai, mai sottovalutare un avversario, e Shiryu, anche
se un
modesto bronze, poteva dargli filo da torcere.
"C'è una prima
volta per tutto, e per te questa sarà anche l'ultima!"
Parlare. Doveva farla parlare, per non farle vedere
Shiryu cadere sotto i colpi di DeathMask.
"Allora, Mei-Yin." disse. Usò il suo nome per
intero, sperando di intavolare un discorso.
Mei rimase in silenzio un attimo e lui ne approfittò per
sbirciare, in tempo per vedere Shiryu scaraventato a terra da un colpo
appena accennato di DeathMask.
"Tu sai il mio nome, ma io ancora non so il
tuo." si decise Mei, come lui stesso aveva sperato.
Ridacchiò appena.
"Non è importante e… ed è anche un
filo
banale."
"Ma è un nome, è la prima cosa che ti
rappresenta.
Non può essere così brutto."
Silenzio.
"Camus. Mi chiamo Camus." le disse,
aspettandosi di vederla scoppiare a ridere.
"Come lo scrittore." rispose Mei, poco dopo.
"Già. Mia madre e i suoi nomi assurdi. Fortunatamente
non le piaceva Dostoevski." le rispose.
Adesso sì che Mei rise.
"Bè, anche Dostoevski era un grande scrittore."
"Sì… è quello che ha scritto l'idiota." replicò Camus,
continuando a monitorare la
situazione da basso.
"Ma ha scritto anche Delitto e Castigo… i Demoni..."
A proposito di demoni.
DeathMask fermò un colpo di Shiryu con la sola forza di
un dito, e poi, dopo aver iniziato a farlo vorticare come se non avesse
peso,
lo scaraventò nella cascata.
In quel caso, discorso o meno, Mei se ne accorse.
"Shiryu!" esclamò, uscendo allo scoperto.
"Torna qui!" disse Camus, riacciuffandola e
tirandola contro il suo petto, pregando che Death non l'avesse vista.
Non aveva messo in conto che Mei non era esattamente la
dolce e indifesa fanciulla che appariva a prima vista: tentava di
divincolarsi
con una forza tale che solo l'emanazione del proprio cosmo la stava
facendo placare.
"Ferma!" le disse. "Non senti? È ancora
vivo… sta bene…"
Bene… insomma,
se così si poteva dire…
Mei smise di dibattersi, cercando di captare qualcosa del
cosmo di Shiryu. Lo trovò, con difficoltà, in
fondo alla cascata: un cosmo
debole ma ancora vivo.
"… evitatemi
la predica, maestro. Sapete anche voi che il confine tra il bene e il
male è
molto sottile. Può anche darsi che Ares abbia commesso
ingiustizie, ma se alla
fine vincerà lui, le ingiustizie che avrà
compiuto si muteranno in atti di
giustizia necessaria dovuti alle circostanze ed al bisogno. Una volta
esteso il
suo potere sull'universo, chiamerà ben fatto quel che voi
ora chiamate con il
nome di ingiustizia." diceva DeathMask.
Idiota. Si ripeté Camus. Idiota e presuntuoso.
"Stolto."
fu la risposta di Dohko, ignorando la risposta piccata di
DeathMask, subito
dopo."L'ingiustizia non potrà mai
mutarsi in una cosa giusta! Le stragi, le uccisioni, le sopraffazioni
dei
popoli e delle genti, tutto ciò si lascia alle spalle il
tetro odore della
morte e non potrà mai essere chiamato con un nome diverso.
Quello che porta gli
uomini alla guerra e alla distruzione non avrà mai il nome
di giustizia per sé."
Sorrise appena, alle parole del saggio collega della
settima casa; peccato però che Death non fosse per nulla in
vena di cedere.
Caricò un altro dei suoi colpi, ma mentre lo stava
scagliando alle spalle di Dohko, ecco che una forza terribile si
sollevò dalla
cascata, lasciando Death di stucco.
Shiryu.
"È vivo, lo senti?" le ripeté.
Ma non ancora per molto. DeathMask stava per usare quel
colpo. Il sekishiki meikaiha.
E Shiryu… bè, non avrebbe avuto molte chances di
sopravvivenza.
"Giù!" le disse stringendola forte, mentre già
avvertiva le porte dell'Ade spalancarsi.
"Fermati, DeathMask."
Mei trattenne il respiro, mentre lui riconosceva il cosmo
del collega della prima casa.
"Dimentichi che stai affrontando un cavaliere a te
inferiore? Dunque non hai dignità, Cancer?"
L'aiutò a rimettersi in piedi e la prima cosa che lei
fece fu sbirciare.
"Un amico è giunto per salvare Shiryu." disse Dohko,
sorridendo all'amico.
"Già una volta ho aiutato quel ragazzo…"
"Sì." disse. "Lo riconosco. È il Saint solitario
che vive in Jamir… aiutò Shiryu con le armature
tempo fa."
"Mu dell'Ariete. È questo il suo nome."
"Attenti a
voi, traditori del Santuario!" diceva DeathMask,
allontanandosi per
scomparire dov'era apparso.
"Dove stai
andando, Cancer, vuoi rinunciare alla battaglia?" sbraitò
Shiryu.
"Zitto, idiota…!" sbottò Mei. "Ha sempre
avuto la lingua lunga, mio fratello…."
"Sarei un
pazzo, se credessi di potercela fare contro tre cavalieri
d'oro…" disse
DeathMask, guardando in direzione della sommità della
cascata e ghignando. "A presto, Shiryu! Ci
rivedremo al Santuario,
lì ci incontreremo di nuovo!"
"Felice di rivederti, cavaliere di Aries." salutò
Dohko. Guardò in direzione del masso. "E sono felice di
rivedere anche te,
Camus."
***
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 8 maggio 2014)
Piccola Postilla di fine capitolo: le parti in corsivo si
riferiscono a certe parti del dialogo tra Dohko e Death nell'episodio
39
"Una prova da superare", e si rifanno al doppiaggio italiano classico.
Per esigenze di copione ho dovuto modificare qualcosina qua e la'.
Anche questo reca un titolo di una canzone…questa
è E da
qui di Nek.
Ringrazio come sempre chi legge, recensisce, mette tra i
preferiti (merciiiiiii =)) e chi segue.
Alla prossima!
Vale^^
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 3 *** You had me from hello. ***
capitolo 3 revisionato
3.
You had me from hello.
The
first time I saw you it felt like
coming home
If I never told you I just want you to
know
You
had me from hello
(You had me from hello, BonJovi)
Dohko sorrise appena vide il
giovane collega dell'undicesima
casa scendere dall'altura sulla quale aveva fatto rifugiare la ragazza.
"Tutto bene, Mei?" domandò Shiryu.
"Tu, piuttosto." replicò Mei, guardando il
fratello già avvolto dalle affettuose braccia di Shunrei.
"Ahaha, dunque è la nostra Mei la ragione che ti ha
spinto a lasciare quel frigorifero che è la tua
casa…" commentò Dohko.
Camus arrossì impercettibilmente.
"Peut-être…"
commentò, a bassa voce.
Dohko ridacchiò.
"Avrei dovuto immaginarlo dalle strane vibrazioni
che avvertivo nell'aria l'altro giorno."
Mei si coprì gli occhi con una mano.
"Oddèi." mormorò.
"Ehm… sono desolato, Maestro.
Quando
sono tornato ad Atene senza di voi, Ares ha subito affidato l'incarico
a
DeathMask per convincervi a lasciare la Cina. Lo ammetto, ero
preoccupato per
l'incolumità della ragazza."
"La mia… incolumità?" ripeté,
guardandolo stupita.
Dohko rise, stavolta.
"La nostra Mei è una judoka di livello
yodan, credo che riesca a
proteggersi molto bene anche da
sola…"
Mei scattò, imbarazzata.
"Be', insomma… me la cavo." si
schermì.
Camus la guardò ammirato.
"Per essere una donna, sei molto
brava!!" esclamò Kiki, dando voce a un pensiero comune.
Mu lo guardò, severo.
"Kiki, non essere maleducato."
"Ma io non ho detto niente!" esclamò.
"Lodevole, davvero. Ma dubito che
possa servire a qualcosa, contro DeathMask." spiegò. "Non
voglio
essere sgradevole, ma… Cancer è venuto qui con
intenzioni non proprio
amichevoli, e…"
"A proteggere mia sorella ci sono
già io." sbottò Shiryu.
"Ripeto, non voglio essere
sgradevole, ma… vorrei farti notare che non sei nemmeno in
grado di proteggere
te stesso, figurarsi due donne." commentò Camus, piccato.
"Ma come…!" scattò Shiryu.
"Ragazzi, plachiamo gli animi."
intervenne Mu.
"Sì, meglio." concordò Shiryu,
rivolgendosi poi al maestro."Perché
non mi avete mai detto che eravate un Cavaliere d'Oro? "
Dohko si girò e sorrise all'allievo.
"Mai
rivelare un segreto prima del tempo, ricordalo. Piuttosto, Shiryu. Oggi
hai
dovuto fronteggiare un cavaliere a te superiore, dotato di poteri di
cui non
conoscevi nemmeno l'esistenza." rispose.
"Sì,
è vero, maestro. Per la prima volta ho provato una
sensazione di timore e
smarrimento…"
"Che
però hai saputo superare trovando in te la forza di
reagire…"
Mei ridacchiò.
"Già, eccome. O lui, o l'altro, come
nel Judo."
"Sono
molto orgoglioso di te, figliolo. Molto orgoglioso." disse
Dohko.
"A proposito… Judo?
Avrei giurato Taijiquan."
Camus la prese bonariamente in giro.
"Posso farti molto male anche col
Taijiquan. E tu non sapresti come difenderti, visto che non puoi usare
il Cosmo
contro chi non lo possiede."
"Non per essere pignolo, ma anche io
sono piuttosto bravo con i combattimenti a mani nude. Conosco il Systema e il Karate."
rispose Camus, guadagnandosi una lunga occhiata di
Mei, dal basso verso l'alto.
"Oh.
E quante altre parole pericolose?" replicò Mei.
"Bella questa." interloquì
Shiryu, che non poté vedere l'occhiataccia che Camus gli
riservò.
"Parlo seriamente."
"Bene, dunque dovrai provarmelo
prima o poi." disse Mei.
"Quando vuoi."
"Mh." fece Mei, ancora dubbiosa.
"Allora siamo d'accordo."
"Direi di sì."
"Quanto vorrei poter vedere quando
lo prendi a calci nel culo." borbottò Shiryu.
"Solo una cosa, Camus. Hai visto i
film di Bruce Lee?"
Lui ci pensò su un attimo.
"Credo di sì."
"E Matrix?"
"Sì." rispose Camus,
un'espressione interrogativa sul volto.
"Hai presente la scena in cui Morpheus sfida Neo sul tatami
virtuale?"
"…sì."
"Beh, Neo fa un gesto che a me piace davvero poco. Imita Bruce Lee per
qualche istante." disse Mei. "Se tieni alle tue ossa ti consiglio di
non ripeterlo, nemmeno per scherzo."
"Sei seria?"
"Molto
seria."
Mu richiamò il fratello, e così com'era
comparso, se ne andò.
"Be'… credo sia tardi e che sia il
caso che torni a occuparmi della mia dimora. Ciao, Mei." si
congedò Camus.
"Fammi sapere quando e dove. Sempre se ti va."
"Certo. Ho il permesso di
contattarti solo per questo o posso contattarti anche per altri motivi?"
"Dovrebbe essere una cosa da uomini fare la prima
mossa, no? Lasciamelo
fare." le rispose.
"Oh, d'accordo. Non vorrei
compromettere il tuo orgoglio maschio. Nihao…"
gli sorrise, prima che scomparisse come Mu.
"À
bientôt."
A
Dohko quella sera, non sfuggì l'aria
distratta di Mei. Era molto strana, non era da lei perdere tempo:
cucinava,
rassettava, sistemava il giardino e non rimaneva mai con le mani in
mano.
"Mei, per l'amor del cielo, a furia di strofinare
quel piatto andrà a finire che lo consumi. "
osservò Dohko, divertito.
Mei si riscosse. Posò il piatto nella credenza e
appese lo strofinaccio.
"Non sono in me, stasera." confessò. "Dev'essere
l'avvicinarsi dell'estate che crea di questi problemi."
"O secondo me, si tratta di Camus."
Mei ridacchiò.
"E cosa dovrebbe c'entrare lui?"
Dohko finì la sua tazza di tè.
"C'era alchimia tra voi due."
"Addirittura? Perdonate il mio scetticismo, ma di
lui conosco solo il nome, come fate a dire che tra me e lui
c'è alchimia?"
"Figlia mia, certe cose le capisco subito, anche
perché credo di essere un tantino più vecchio di
te." rispose Dohko. "Penso
che tu in qualche modo abbia attirato la sua attenzione. Altrimenti
perché
sarebbe tornato qui?"
"Era in missione."
"La missione di cui parli riguardava me e non era
più di sua competenza."
Mei si fermò a pensare un attimo su quelle parole.
"Voi dite che…? Oh, ne dubito. Chi si prenderebbe
una come me? Chi lo passa il guaio?"
"Beh, credo lui abbia già valutato i pro e i
contro della faccenda. Credo di potermi azzardare a dire che in qualche
modo gli
piaci. Non è da lui comportarsi così, quel
ragazzo ha sempre avuto un
temperamento gelido come i ghiacci della Siberia, da che lo conosco non
è mai
stato così estroverso al punto da… come dite voi
giovani d'oggi? flirtare con te. E
se oggi si è sciolto
un po’, c'è una ragione. E comunque, mi sa che un
po’ piaccia anche a te."
Mei scosse appena la testa.
"Lo conosco poco."
"Tutti ci conosciamo poco
all'inizio. Ci si conosce pian piano finché le cose verranno
da sé. L'amore
richiede tempo."
"Non state correndo un po' troppo? Non
so niente di lui." ripeté Mei. "Sì,
insomma….è carino,
d'accordo…"
"Dal tuo sguardo di prima, direi che
giudichi Camus molto più che carino."
"Bè… è attraente. E io certo non
sono insensibile." ribatté Mei, aiutando Dohko a indossare
la casacca che
Shunrei aveva rammendato mentre lei era impegnata in cucina.
"Ascoltami… se si trattasse di un
qualunque sbarbatello senza arte né parte ti avrei
già messa in guardia e da
buon padre l'avrei anche fatto correre via a calci nel sedere. Ma con
lui posso
stare tranquillo."
*
"Milo,
stai per innervosirmi." Camus
alzò lo sguardo dal tomo di grammatica tedesca per posarlo
su Milo che, per
l'ennesima volta in due giorni, era sgattaiolato all'undicesima casa
proprio
nelle ore che dedicava allo studio. "Oh santi numi…"
Due pezzi di nastro adesivo posizionati
sulle tempie tiravano gli occhi verso le orecchie, a mo' di occhi a
mandorla, sul
volto spiccavano due enormi baffoni posticci alla Confucio e in testa,
sopra i
capelli intrecciati alla bell'e meglio, faceva bella mostra di
sé un cappellino
di paglia a pagoda, ripescato insieme ai baffi da chissà
quale festa di
carnevale.
"Allola,
amico mio, che mi lacconti della bella cinesina? Fatto colpo?"
"Non so se scoppiare a riderti in
faccia o se brinarti." rispose Camus.
"E quanto sei antipatico, ridi ogni
tanto. Allora… fatto colpo?"
"Non lo so, non era mia intenzione fare colpo, solo salvarle la
vita."
"Hai
chiesto numelo di telefono?"
"Andiamo, Milo, sii serio."
Milo si tolse cappello e baffoni finti e
si sedette di fronte a lui.
"Sono serio, è questo il tuo
problema."sbirciò sul libro e osservò le
sottolineature che si fermavano
sulla terza riga. "Da quanto tempo sei su questa pagina?"
"…eh?"
"Cam, tu non stai studiando, stai
pensando a quella ragazza. Dimmi, almeno, ne vale la pena?"
Se
ne valeva la pena?
Ripensò a due pomeriggi prima e annuì.
Milo scrollò le spalle.
"È una ragazza orientale come tante
se ne vedono in giro, soprattutto in estate, con una macchina
fotografica
appesa al collo."
"Ragazze come lei, credimi, non ce
ne sono molte in giro." ribatté Camus, riprendendo a
sottolineare.
"Chissà che non contribuisca a farti
sciogliere un po’. Non ti avevo mai visto così."
disse Milo, ridacchiando.
"E chiudilo sto libro, inizia a vivere!" aggiunse, chiudendo il libro
di scatto e pizzicandogli le dita in mezzo.
"Insomma, Milo! Che cosa dovrei
fare? Andare in Cina e zomparle addosso?"
"Uhm, sì, tanto per iniziare.."
concordò Milo. "Dovresti farlo. Da che ti conosco non ti ho
mai visto con
una ragazza…"
"Perché nessuna delle ragazze del
luogo mi interessa e io non sono incline alle storie da una notte e
via. Voglio
l'amore io."
"O amore, o sesso… c'è sempre
l'attrazione di mezzo. Non dico di saltarle addosso come un animale, ma
nemmeno
puoi rimanere lì, a struggerti dietro un libro. Va' al Goro
Ho, parla con lei,
inizia a conoscerla. Chissà che non succeda qualcosa."
propose Milo.
Sì. Chissà.
***
Lady
Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 14 maggio
2014)
-Postilla n°1: il Judo e le cinture.
Posto il fatto che, come diceva molto
simpaticamente Bruce Lee "Le cinture servono a tenersi su i
pantaloni" devo fare una piccola precisazione in merito.
Oltre le classiche cinture bianco,
giallo, arancione, verde, blu e marrone, assegnate in seguito a
periodici esami
tecnici dell'Insegnante tecnico del club dove ci si allena, ci sono sei
dan di
cintura nera (Shodan, Nidan, Sandan, Yodan e Godan), tre
di bianco/rosso (Rokudan, Nanadan, Hachidan) e due, i
più importanti, di cintura rossa (Kudan e Jūdan).
Queste ultime (in Italia) vengono
assegnate da diverse cariche e organismi in seguito a campionati
regionali,
nazionali o olimpici. Dato che Mei non è una mariasusanna
qualunque, non è
esperta come Keiko
Fukuda,
ma se la sa cavare….
Il titolo del capitolo rimanda all'omonima
canzone di BonJovi.
Alla prossima!
Vale^^
Lady Aquaria
|
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Capitolo 4 *** Taking Chances. ***
quarto capitolo revisionato
4.
Taking
Chances.
But what do you
say to taking chances
What do you say
to jumping off the edge
and never
knowing if there's solid ground below
or a hand to
hold
or hell to pay
What do you say?
What do you say?
(Taking
Chances, Celine Dion)
Lontano dal caos di Pechino e dal
suo smog, quell'angolo di
Cina era davvero capace di proiettare in un mondo a parte;
inspirò a pieni
polmoni l'aria pura e vagamente profumata di gelsomino e di muschio,
quindi
osservò il panorama mozzafiato che si estendeva sotto i suoi
occhi: spiazzi
erbosi, corsi d'acqua e immense risaie a terrazzo lungo tutto il
pendio, il
cielo e il giardino di Mei.
Alle sue spalle la cascata, con il suo fragore e la sua
imponenza, si tuffava in un laghetto e proseguiva lungo la pianura
sottostante;
il sole era quasi del tutto tramontato e dipingeva il cielo di bagliori
rosati,
aranciati e violacei.
"Wow." sussurrò, affascinato. Aveva viaggiato parecchio
nella sua vita, soprattutto per conto del Santuario -raramente per
piacere
personale- e aveva potuto ammirare le meravigliose capitali europee, la
bellezza dei canyon nel nord America, il fascino mozzafiato dei deserti
africani… ma niente poteva essere paragonato a quella
meraviglia.
Non ne hai abbastanza di rose e fiori? La casa dopo
la tua ne è piena, non sei qui per ammirare il giardino, ma
per ammirare la
bella cinesina."
Ed ecco che arrivava il guastafeste per eccellenza, a
rovinare tutta la poesia del momento.
Camus sbuffò.
"Grazie per il promemoria Milo, credo di riuscire a
cavarmela da solo. Che ci fai qui?" sbottò, irritato.
Che diamine. Pizzicato in flagrante a fare la posta a una
ragazza: sarebbe diventato il bersaglio preferito di Milo.
"Vedo che hai seguito il mio consiglio, anche se non
vedo la pulzella. L'hai freddata
col
tuo fascino gallico?"
No, rettificò. Era già
il bersaglio preferito di Milo.
Milo allungò il collo oltre lui.
"Bel tramonto, non è vero?"
"Splendido." rispose Camus. "Sarebbe ancora
più splendido se al tuo posto ci fosse lei."
"Perché? Io non ti vado bene?"
"Senti, sei il mio compagno di bevute e di
scorrazzate su due ruote ma… non sei proprio il mio tipo."
"E tu sicuramente non sei il mio. Voglio dire, un uomo
ha bisogno di passione, non di qualcuno che ti congela con un solo
sguardo."
Camus ghignò.
"Ti va di fortuna che non abbia questo potere,
altrimenti ti avrei congelato le chiappe anni fa."
"Sono il tuo migliore amico, non saresti capace di
farlo. E comunque hai quel qualcosa di troppo che sinceramente non
cerco
nell'anima gemella." lo snobbò Milo.
"Cosa, il cervello?"
"No. In ogni caso non saresti il mio tipo, nemmeno se fossi gay."
"MEI!"
Si girarono entrambi in direzione della pagoda, dove videro
Mei che, in cucina, si puliva le mani in uno strofinaccio.
"Cosa
c'è?"
"Voglio ancora pollo."
"Il signorino vuole."
commentò Camus, assottigliando lo sguardo.
"Come hai fatto a capire quel che dicono?"
"Sto pensando di seguire un corso di lingue orientali
una volta finito il corso di tedesco. Il russo già lo so,
pensavo a cinese o
giapponese. Nel caso, ho iniziato a seguire un corso propedeutico per
scegliere
al meglio e diciamo che ho iniziato a imparare qualcosa."
spiegò
velocemente Camus.
"Mi sa che hai già deciso cosa fare, vero?" sorrise Milo.
"Mah, vedrò cosa mi porterà il futuro."
"Certo."
Milo sobbalzò quando vide Mei piantare, letteralmente,
la mannaia nel suo ceppo.
"Tu cosa?"
"Uuuuh! Hai visto come maneggia la mannaia?"
esclamò Milo. "Femmina pericolosa."
"Perché non hai visto il pugnale che si porta
appresso."
Shiryu si corresse.
"Ehm… io vorrei ancora un po' di pollo. Se c'è."
"Ha corretto il tiro, hai sentito? Qui ci sarebbe
stato bene uno schiaffo, come quelli che dava mio padre." disse Camus.
"Tuo padre era severo?"
"Solo su certe cose. Ho alzato la voce con mia madre una sola volta,
parlandole come ha appena fatto Shiryu con sua sorella. Vivessi mille
anni non
scorderò mai il
suo sguardo duro e
gelido quando mi obbligò a chiedere scusa a mia madre per il
mio comportamento,
aggiungendo che mai più avrei dovuto rivolgermi a una donna
in quel modo."
Milo annuì.
"Giusto! Ora vai e fa' il tuo dovere prima che
decida di andare a dormire e ti lasci qui come un pivello. Vai, congelala col tuo savoir faire, lasciala
di ghiaccio con… eeeek!"
"E sta' un po’ zitto, diavolo d'un greco." sbottò
Camus, dopo aver spinto l'amico nella cascata.
Un volo di almeno quindici metri. Certo, se non fosse
stato un Gold Saint, non l'avrebbe mai fatto, non l'avrebbe mai spinto
nella
cascata, ma sapeva che non avrebbe riportato gravi danni.
Non al fisico, almeno.
"Questa è una dichiarazione di guerra!" gridò
Milo, immerso fino al collo.
"Come dici? La vuoi più fredda??" ribatté Camus
abbassando la
temperatura dell'acqua.
"Sei un…!" boccheggiò Milo. "Mi hai
già… congelato
abbastanza, aiutami a uscire!!!"
"Manco per sogno!" ribatté Camus, spiando Mei
che in cucina ritirava gli avanzi in frigo.
Dohko aveva ovviamente avvertito il cosmo dei
due amici
arrivare, prima Camus e poi Milo, intenzionato a prendere in giro
l'amico
d'infanzia.
"Mei credo che me ne andrò a dormire. La cena era
ottima, comunque."
Le nove e mezza.
"Così presto? Non vi sentite bene?"
"No, sono solo stanco… buona serata, mia cara."
le disse, sorridendo criptico e sornione.
"Buonanotte Maestro." rispose Mei, corrugando
la fronte. Di solito leggeva fino a un certo orario, prima di coricarsi.
"Via libera, Dohko è andato a dormire."
"Ho visto."
"O vai tu, o ci provo io!" disse Milo,
fradicio, accanto a lui.
"Provaci,
voglio proprio vedere. Ma se ci provi, al Santuario non ci torni
più,
dopo." ribatté Camus.
Milo sogghignò, quindi riapparve fuori dalla finestra
della cucina.
"Non è più in cucina. Che dici, sarà
nella sua
stanza? Vado a vedere?"
"Non osare!" sibilò Camus, trasportandosi allo
stesso punto.
"E allora sbrigati. E guai a te se torni a casa
senza averci provato." ridacchiò Milo, scomparendo subito
dopo lasciandolo
lì solo, fuori dalla finestra.
Gettò una rapida occhiata all'interno della casa, senza
notare alcun movimento. Che fare, dunque? Non era esperto nel settore.
Mei era rimasta in corridoio non appena aveva sentito i
due parlare fuori dalla finestra. Si sporse quel tanto che
bastò per vedere
Camus girare in tondo, nervoso.
"Wǎnshàng
hǎo."
Si girò di
scatto, verso quella voce argentina che l'aveva salutato, in cinese.
"Bonsoir."
ribatté, a voce bassa, puntando lo sguardo oltremare sulla
ragazza appoggiata
al davanzale. "Da dove spunti? Ho guardato appena qualche secondo fa e
la
cucina era vuota."
"Addestramento
ninja. Non mi hai visto perché ero appesa al soffitto: tu
non mi vedevi, ma io
vedevo te." ridacchiò Mei. "Ed eri lì, incantato,
a guardare il
cielo…"
Camus si
schermò il volto con una mano.
"Che
figura…"
"Ma no,
perché? Il tramonto qui fa sempre quest'effetto."
Camus sorrise,
ancora imbarazzato.
"Ehm…
possiamo parlare altrove? Comincio a sentirmi un'idiota."
"Certo."
sorridendo, Mei s'issò sul davanzale, lo scavalcò
ed eccola accanto a lui. "Ciao."
"Ciao."
Si mise a fissarlo
come quel pomeriggio, e dopo qualche secondo lui spostò il
peso da un piede
all'altro, leggermente imbarazzato.
"Accidenti
quanto sei alto."
"E' un
problema?"
"No, anzi. La cosa mi piace." rispose Mei. "Va bene, sto
iniziando a straparlare. Quel tuo amico… è ancora
qui?"
"DeathMask?
Non è un mio amico… e no, non è
qui… è sicuramente a Rodorio a sbronzarsi."
Mei corrugò la
fronte, poi lo invitò a sedersi accanto a sé su
una specie di enorme masso
liscio un po’ distante dalla pagoda -e dalla finestra di
Shiryu-.
"Rodorio?"
domandò. "Il villaggio che separa il Santuario dal resto del
mondo e che è
proibito nominare?"
" Non è
proibito nominarlo." la corresse Camus. "Solo che agli occhi della
gente comune non c'è nulla dopo il Partenone e Rodorio,
è che per ragioni di
sicurezza la barriera di Athena scherma il Santuario alla vista degli
estranei
e fa vedere loro una distesa con le rovine di un tempio sacro che
naturalmente
non esiste. Ma non è proibito parlarne, soprattutto a chi fa
parte di
quell'ambiente."
"Era una
battuta, Camus. Non ho mai visto il vostro mondo, ciò che so
lo devo al Maestro
e alla mia curiosità. Se la cosa ti può
consolare, non ci tengo a visitare un
luogo che non sento come mio e che non accetta le donne."
"A dire
il vero il nostro mondo accetta le donne, sono rare ma ci sono. Al
Santuario ad
esempio ce ne sono due… Shaina dell'Ofiuco e Marin
dell'Aquila. Altre sono
stanziate altrove, come June del Camaleonte e la sorella di Shaina, che
è stata
esiliata anni fa. È che ce ne sono molto poche
perché sono rare quelle che
superano l'addestramento e le difficoltà del nostro status:
la vita da Saint
non è già facile per noi uomini, figurarsi per le
donne."
"Immagino
che in qualche modo c'è sempre qualcuno che ricorda loro che
sono donne e
quindi… come dire… considerate inferiori."
"Gli
idioti e le mele marce ci sono dappertutto." commentò Camus.
"Eh sì.
Come dite voi in occidente? La madre degli imbecilli è
sempre incinta,
no?"
"Esatto.
E il Santuario purtroppo non è immune all'idiozia."
Mei annuì.
"E permettete loro anche di combattere o le relegate in cucina
o… perdona
l'audacia, in camera da letto?"
"In
cucina ci sono gli attendenti. In camera da letto… beh,
è un po' difficile,
poiché le stanze delle sacerdotesse sono ben separate dalle
Dodici Case."
Stavolta Mei
alzò gli occhi al cielo.
"Oddéi,
stavo scherzando! Possibile che non capisci quando scherzo?" lo prese
in
giro. "Come fai a essere sempre così impettito e serio? Se
fossi una
sacerdotessa e vivessi vicinissima a te, uno dei due impazzirebbe,
prima o poi:
o io cercando di farti ridere o tu cercando di non farlo."
Camus si
schiarì la voce.
"Ma per
fortuna non sei una di loro. Perché se lo fossi, non ti
sarebbe permesso
parlarmi così liberamente."
"Oh. In
quanto donna?" Mei corrugò la fronte, pensierosa. "Pensa che
io ero
convinta di trovarmi nel ventunesimo secolo."
"Beh, non
è per alterigia e sicuramente non per questioni legate al
sesso, è come nelle
caserme militari: un soldato non si rivolgerà mai a un
superiore con familiarità,
ti pare? Allo stesso modo nessuno al Santuario si rivolge a uno di noi
con il
tu, addirittura in certi casi non è permesso loro parlarci."
"Allora
perché dici che è una fortuna che non sia una di
loro? Non che io lo desideri,
anzi."
"Perché la tua vita sarebbe regolata da regole molto rigide,
dovresti
rinunciare alla tua vita normale,
anche al tuo essere donna. Avresti il volto coperto da una maschera e
dovresti
uccidere, o amare, l'uomo che
oserebbe disonorarti. E credimi, al Santuario non siamo tutti
nobiluomini, ci
sono anche persone che è meglio perdere che trovare."
Mei ci rifletté
su.
"Aspetta…
davvero sarei obbligata ad amare l'uomo che ha abusato di me?"
"Io non
ho parlato di abusare, ho parlato
di disonorare: una sacerdotessa si
disonora
guardando il suo viso senza maschera."
"Oh.
Allora diciamo che come sacerdotessa sarei un po' più
fortunata se venissi
disonorata da bei fusti come te." commentò Mei, facendolo
arrossire
ancora. "Parlando del volto e non di altro, beninteso."
"Anche
perché… prova ad avvicinarti a Shaina con certe
intenzioni."
"E vorrei
ben dire!" s'indignò Mei. "Non conosco questa Shaina, ma
sono sicura
che darebbe parecchio filo da torcere a chiunque armato di certe
intenzioni!"
Camus
ridacchiò.
"Shaina
da' sempre filo da torcere, ogni santo giorno."
Mei si
soffermò a guardarlo, rimanendo piacevolmente colpita dalla
gentilezza nei suoi
profondi occhi blu.
"Come ha
fatto un ragazzo come te a finire al Santuario?" domandò,
accorgendosi
tardi di aver fatto la domanda sbagliata.
"A cinque
anni fui portato via da Parigi e dai miei genitori e finii in Siberia,
per
poter controllare il mio Cosmo. E sono diventato ciò che
sono. Il Gold Saint dell'Acquario."
fu la risposta stringata di Camus.
Non amava
parlare della sua precedente vita in Francia di più di dieci
anni prima, quella
normale… non amava
ricordare che non
aveva mai più rivisto Josephine, sua madre.
"Non
avrei dovuto chiedertelo, mi dispiace."
Lui si schiarì la voce dopo diversi minuti.
"No, dispiace
a me averti risposto in malo modo."
Mei annuì, capendo che non doveva più entrare in
certi
discorsi, quindi ne cercò un altro.
"Sei di gennaio o febbraio?"
"Come?"
"Rappresenti l'Acquario, giusto? Perciò devi essere
dello stesso segno così come il Maestro è della
Bilancia. Tu devi essere per
forza dell' Acquario."
"Infatti." rispose Camus. "Febbraio. Il
7."
"Io sono di novembre, il 16." rispose Mei.
Camus roteò gli occhi.
"Scorpione.
Il segno di quel rompiballe di Milo."
"Dalla tua reazione deduco sia un punto a mio
svantaggio, eh?" sorrise Mei.
"Non proprio." le sorrise in risposta. "Il fatto che Milo rompa
le scatole sempre e comunque, al suo prossimo, non significa che anche
tu lo
sia."
"Oh, su questo non ci giurerei, fossi in te. Non
sono una brava donnina cinese, io. Rispondo a tono, faccio quello che
voglio e
non mi faccio influenzare dalle opinioni altrui." lo corresse, ridendo.
"E
non sono facile da gestire."
"Questo dovrebbe essere una sorta di
avvertimento?"
"Sì." disse Mei. "Perché se stai cercando
una ragazza tutta zucchero e dolcezza, pronta a pendere dalle tue
labbra tutto
il giorno, beh, non è il mio caso."
Camus le rispose dopo qualche attimo.
"Molto, molto bene. Sei diversa dalle altre ragazze che
conosco, e la cosa mi piace."
"Dici? Sono lunatica, polemica, ostinata… e Shiryu
aggiungerebbe anche con la lingua lunga.
Difficilmente sto buona e in silenzio."
"Un altro punto a tuo vantaggio. Non sopporto quelle
troppo docili."
Un sorriso a trentadue denti.
"Se ti piacciono le spine nel fianco, credo che avrò
ancora un'infinità di punti a mio vantaggio."
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 21 maggio 2014)
Come sempre, il titolo di una canzone; questa volta tocca
a Celine Dion. Cogliere le occasioni,
anche se ciò significa sorbirsi un'altra rappresentante
dello scorpione, vero
Camus?
Ringraziamenti, sempre e comunque, a chi legge,
recensisce e quant'altro. =)
Alla prossima!
Vale^^
Lady Aquaria
|
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Capitolo 5 *** First time. ***
capitolo riguardato
5.
First
time.
Looking at you,
holding my breath
For once in my life I'm scared to death
I'm taking a chance letting you inside
[First time, Lifehouse]
Nei pomeriggi che seguirono, le
visite di Camus al
Goro-Ho si fecero sempre più frequenti –quasi
quotidiane- e man mano sempre più
lunghe rispetto alle prime timide visite: spesso arrivava mentre Mei
era impegnata
nelle faccende domestiche e le teneva compagnia tra un'incombenza e
l'altra,
trovando piacevole il tempo che trascorreva in Cina.
E, dal canto suo, a Mei non dava fastidio la sua
presenza, anzi: si era scoperta a desiderare le sue visite quotidiane,
ad
attenderle quasi con impazienza.
"Oggi è in ritardo."
Alzando lo sguardo dalle peonie, Mei guardò Dohko e il
suo sorriso enigmatico dipinto sul viso.
"Chi, Maestro?"
"Hey, sono anziano, non stupido." ribatté
Dohko, divertito. "Sai a chi mi riferisco."
"…"
"Mei, prima di te ci sono passato anche io." le disse,
incoraggiandola a parlare. "Credi che mi sia sfuggita l'ansia con la
quale
attendi le sue visite?"
"E' che non so come interpretare tutto questo."
"Che cosa c'è da interpretare, mia cara? Se viene
qui ogni giorno un motivo c'è. Lo sto guardando in questo
momento." le
rispose, facendola arrossire. "Te l'ho detto, ci sono passato anche io:
ai
miei tempi, io e Mingxia..."
Non seppe che cosa successe ai tempi di Dohko poiché
quest'ultimo, guardando dietro di lei, si era zittito.
"Vi lascio soli." aggiunse poco dopo, alzandosi
e dirigendosi in casa sorreggendosi con il suo bastone.
"Temo d'essere
arrivato nel bel mezzo di un interessante racconto." si
scusò Camus.
"Sono certa che prima o poi lo finirà." disse
Mei.
"Maestro, siete assolutamente sicuro che non ci sia
alcun pericolo?" domandò Shiryu, avvertendo anche quel
pomeriggio il cosmo
del Gold Saint.
"Senti qualcosa di negativo provenire dal cosmo di
Camus, ragazzo?" domandò Dohko, serio, gettando un'occhiata
ai due ragazzi
intenti a parlare tra loro nel piccolo giardino. "Rispondimi, Shiryu.
Senti
aggressività? Credi voglia farle del male?"
Shiryu si schiarì la voce, ammettendo a malincuore che non
avvertiva alcun pericolo.
"La sola cosa in pericolo è la virtù di tua
sorella,
ma questo è un dettaglio che non ti riguarda."
commentò Dohko.
"Come, prego?"
"Nulla, nulla." Dohko scosse la testa,
divertito. "Niente d'importante. Smettila di seguire ogni loro
movimento,
tua sorella è abbastanza grande da sapersela cavare da sola."
Stavano parlando fitto da almeno un'ora, quei due. Shiryu
rientrò in casa lasciando solo Dohko.
Camus si
appoggiò contro il salice, sorseggiando il tè
che Mei gli aveva porto: un tè verde un po' troppo dolce per
le sue abitudini,
ma comunque gradevole.
"Tu e Shiryu siete fratelli di sangue, giusto?"
le domandò, guardando il suo volto di profilo e notando che,
nonostante la
palese somiglianza con il fratello, erano parecchie le differenze:
negli occhi
avevano lo stesso sguardo fiero, ma il suo era condito da un alone di
dolcezza
che a Shiryu mancava.
"Sì. Stessi genitori, non siamo fratellastri." rispose
Mei.
"Se posso rigirarti la stessa domanda che tempo fa hai
fatto a me… come sei finita dentro tutto questo?"
Mei sorrise appena, di un sorriso triste.
"Grazie al Cosmo di mio fratello. No, seriamente...
grazie a Dohko, che per me è come un secondo padre. Quando
Shiryu dopo
l'estrazione del luogo d'addestramento è stato inviato qui,
io stavo per finire
in un orfanotrofio… anche se a vederci non si direbbe, io e
Shiryu siamo molto
legati: il giorno della partenza lottò con tutte le sue
forze per non doversi
separare da me. Dohko decise diversamente, assumendosi tutte le
responsabilità
del caso."
Ebbe la tentazione di allungare una mano per carezzarle
la guancia, ma si trattenne.
"Anche tu devi aver sofferto."
"E molto, anche. Sono cose successe meno di dieci
anni fa e le ricordo fin troppo bene. Da allora, vivo qui." disse Mei.
"Senza Dohko chissà dove sarei adesso… non
esagero quando dico che,
genitori a parte, a lui devo tutto."
"Caspita."
"Che storia, eh…!" ridacchiò Mei.
"Riguardo i miei genitori, come mi avevi chiesto
giorni fa…"
Mei annuì, posando la mano sulla sua.
"Non devi parlarmene a forza, se non vuoi."
Un lieve sorriso.
"No, va tutto bene. Dopo l'addestramento, appena ho
avuto l'occasione di tornare in Europa, sono tornato a subito Parigi, a
cercarli."
"E li hai trovati?"
"In un certo senso. L'appartamento è rimasto quello
di un tempo, immutato. Loro… sono seppelliti al cimitero di
Passy."
"Non volevo rivangare ricordi dolorosi."
mormorò Mei. "Non volevo, mi dispiace."
"Dovevo parlarne con qualcuno, sono anni che mi
tengo tutto dentro." disse Camus. "Grazie per avermi ascoltato."
Mei scosse la testa.
"No, grazie a te per la fiducia che mi hai mostrato
aprendoti con me."
**
Camus
si voltò verso la porta degli appartamenti
privati. Chi poteva essere a quell'ora?
Era
tornato piuttosto tardi dalla Cina ed erano le otto di
sera passate.
Di nuovo uno scampanellio persistente e scocciato.
"J'arrive,
j'arrive! Un instant! " disse, andando ad aprire.
"Cos'è tutta
questa fretta?"
Quando
aprì la porta, si trovò di fronte Shura e Milo.
Arrabbiati.
"Salve."
disse quest'ultimo. "Stavamo cercando
il nostro migliore amico, un certo…Camus.
Quando lo vede può dirgli che due suoi amici hanno aspettato
due ore da soli al
cinema come due deficienti?"
"Il cinema…"
mormorò Camus, appoggiando
la testa allo stipite della porta. "Mi dispiace… me l'ero
proprio dimenticato.
Entrate, stavo per farmi un caffè."
"E il nostro migliore amico perché si è
dimenticato
di un appuntamento?" domandò Shura.
"Guarda che non te la cavi con un semplice caffè.
Vogliamo i dettagli."
"I dettagli di che cosa, prego?"
"Sì, i dettagli di cosa?" interloquì Shura,
curioso.
"Il nostro Cam s'è innamorato."
Seguì uno sguardo glaciale.
"Non mi sono innamorato." sbottò, arrossendo
come un ragazzino appena si fu rigirato verso il lavandino.
"Non ancora." lo prese in giro Milo. "Ma è
questione di tempo, e so che cosa succederà."
"Ah sì? Sei diventato un indovino?" sbottò
Camus, prendendo il pacchetto del caffè dal frigo.
"Ti sei innamorato." lo punzecchiò l'altro.
"Spesso e volentieri sei distratto, hai gli occhi che brillano, viaggi
spesso in Cina… sei…innamorato.
Oh
sì."
"Che cosa parlo con te di amore?" capitolò infine. "Nel
tuo vocabolario non esiste!"
"Hey hey hey, hombre.
Se lo fai sciacquato così il caffè, te lo puoi
bere." disse Shura.
"Allora fallo tu, che sei tanto bravo." disse
Camus, cedendogli cucina e caffettiera.
"Ignoralo. È arrabbiatissimo, al cinema dei
ragazzini ci hanno scambiato per una coppia gay, e lui…
bè, il suo caliente
sangue spagnolo non ha retto al colpo." disse Milo, liquidando
l'argomento
con un'alzata di spalle. "E così mentre noi ci annoiavamo al
cinema… eri in
Cina, ne ?"
"Sì."
"Bueno! E'
stato un pomeriggio divertente?"
Camus lo guardò in tralice.
"Non divertente come lo intendete voi. Con Mei ho
solo parlato."
"Certo che avete solo parlato, secondo me nemmeno
sai come s'inizia a fare sesso con una ragazza." lo prese in giro
Shura,
ridacchiando.
Stavolta lo fulminò con occhi di brace; rubò la
sigaretta
che Milo stava fumando e tirò un paio di boccate.
"Almeno i miei rapporti saranno veri, non scenette
forzate degne dei film porno di quinta categoria che guardi te, Casanova dei miei stivali."
replicò, piccato. "Che c'è? Ho dovuto installare
i doppi vetri alle
finestre, i gemiti che arrivano dal suo computer li sentono fino a
Patrasso!"
"No, ti stavo guardando perché mi hai fregato
l'ultima sigaretta rimasta, accidenti a te."
Camus storse il naso, spegnendo il mozzicone nel
posacenere –fino a quel momento intatto da anni- del
soggiorno.
"Oh, pardon.
Cos'erano… Gitanes, Gauloises?"
Il tono con cui lo chiese fece scoppiare Shura a ridere.
"Hey, gioia… non siamo all'ombra della torre Eiffel
qui." rispose Milo, divertito. "Erano Assos, credo. Comunque avete
parlato parecchio, tanto quanto è durato il film."
"Sì. Una noia mortale." s'intromise Shura,
voltandosi. "Non mi aspettavo una noia simile da John Woo."
"Che vi siete detti?" lo ignorò Milo.
"Parlavamo di noi, delle nostre vite prima che il
Santuario ci piombasse addosso. Lei mi ha detto di suo fratello e di
Dohko e
io…" disse Camus, abbassando la voce. "Io… le ho
parlato di mia
madre."
Milo sgranò gli occhi, stupito.
"… non l'hai mai fatto con nessuno..."
Infatti. La sua vita precedente al Santuario e alla
partenza per la Siberia era sempre stata segreta, sempre accuratamente
tenuta
sotto chiave e mai divulgata, con nessuno. Neanche con Milo,
quell'essere
rompiscatole al quale voleva bene come se ne vuole a un fratello.
Si era sempre tenuto tutto dentro, dietro quell'armatura
di ghiaccio che si era costruito con gli anni e che aveva creduto
impenetrabile.
Almeno, fino a quel momento.
"Sì, nemmeno con te che mi conosci da una vita. La
cosa mi spaventa."
"Perché?"
"Perché quella ragazza mi sta entrando nella pelle."
"E non è una buona cosa? Per me è un buon segno.
Magari può nascere qualcosa."
"No. Male.
Non può nascere qualcosa che è destinato a
finire. Ares…"
"Ares ha ipotizzato
una guerra. È solo un'ipotesi, per l'amor del cielo, non una
certezza. Vivi
tranquillo, goditi la tua ragazza. Chissà che Ares non
si sia sbagliato, e se
così fosse? La lasceresti, e ti troveresti solo."
"Come sempre." commentò Camus, amaro.
"A parte il fatto che non sei da solo. Ci siamo
noi." continuò Shura, smanettando con la caffettiera.
"Con tutto il rispetto, Shura. Camus intende solo,
senza donne. Non sei esattamente il nostro tipo, sai. Hai
quel… qualcosa in
più che noi non cerchiamo in
una compagnia."
"Aaah, comprendido."
"Non dirmi che hai di nuovo caricato la caffettiera
con mezzo pacchetto di caffè, Shura, l'ultima volta mi hai
fatto esplodere
caffè dappertutto." disse Milo, guardandolo mentre cercava,
a fatica, di
chiudere la macchinetta.
"Tranquilo!!"
commentò l'altro, nella lingua madre.
"Io non sono così tranquillo, non vorrei essere
costretto a ridare l'intonaco in giro."
"Per non parlare dell'esplosione! Hai idea dei danni
che può fare una moka quando esplode?" interloquì
Milo. "Persino
Shaka si è precipitato in casa mia domandandomi che cosa
fosse successo. No,
dico… Shaka. Renditi conto."
"Solo perché l'hai disturbato mentre meditava."
precisò Shura, accendendo il gas sotto la caffettiera.
"Comunque… senti. Presunta guerra o no, non farti
scappare quest'occasione che si è presentata. Continua ad
andare da lei, parlale,
fai qualcosa. Non lasciartela scappare."
"Altrimenti ci saresti tu, subito dopo, a
fregarmela?"
Milo lo guardò stizzito.
"Non lo farei mai, sei un amico! Io non desidero le
donne degli altri e poi… a me interessa Shaina."
"Shaina? Tienitela pure." commentò Camus.
"Certo. Scherzi? È sesso allo stato puro, quella
ragazza." commentò Milo, una strana luce negli occhi. "E'
dell'ariete, un segno di fuoco… se capisci cosa intendo."
Camus ridacchiò.
"E adesso? Chi è l'innamorato?"
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato
in data 14 settembre 2014)
-Il titolo si riferisce alla canzone First Time dei
Lifehouse.
-Gitanes e Gauloises
sono marche di sigarette
francesi mentre Assos, greche.
Detto ciò, alla prossima, ringraziando sempre che legge e
quant'altro. =)
Vale^^
Lady Aquaria
|
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Capitolo 6 *** I've got you under my skin. ***
capitolo 6 prequel revisionato
6.
I've
got you
under my skin.
I've got you
under my skin.
I've got you deep in the heart of me.
So deep in my heart that you're really a part
of me.
I've got you under my skin.
I'd tried so not to give in.
I said to myself: this affair never will go so
well.
But why should I try to resist when, baby, I
know so well
I've got you under my skin?
[I've got you under my skin – Frank
Sinatra]
"Oh, finiscila." sbottò Milo, arrossendo suo
malgrado. "Beh, signori… è stato un piacere per
me godere della vostra
strepitosa e appagante compagnia ma… sono ahimè
costretto a ritirarmi. Buona
serata."
"Ecco, tipico. Appena vieni punto sul vivo, ecco che
levi le tende. Sì, sì… ritirati pure,
codardo."
"Vedremo chi dei due sarà il vero codardo, se io o
tu, mio caro amico. Pensa a chi ti aspetta in Cina anziché
continuare a
prendermi in giro. Au revoir, mes amis."
Milo se ne andò piuttosto velocemente per evitare le
battute di Camus, che rimase solo con Shura.
"Cos'ha di speciale questa Mei?"
Bevve un lungo sorso di caffè prima di rispondere.
"E' diversa." disse infine. "Mi piace
parecchio."
"Oh, non si era mica capito sai?"
"Non… non è come le altre. Ha carattere."
"E' una bella ragazza, almeno?"
"Hai presente quel film dove tutto ruota intorno a
una spada leggendaria che viene trafugata da una guerriera?"
Shura annuì.
"Per l'amore di Athena, Camus… se assomiglia anche
solo vagamente all'attrice che soccorre il suo amato morente, allora
non è quel
granché di bellezza."
"Esattamente a
chi ti riferisci? Io parlo della ragazza giovane, quella che
ruba la
spada."
Finalmente Shura parve capire.
"Oh. Ah!! Beh, non male."
Certo, non male davvero. Evitò di sottolineare ancora che
l'aveva attratto il carattere e non la bellezza della ragazza: la
bellezza di
una persona era una cosa a lungo andare effimera, era il carattere
quello che
durava nel tempo.
"Beh, vedo che hai i pensieri impelagati altrove. La
settimana prossima abbiamo in programma una nuova serata al cinema,
spero non
ci darai ancora buca."
Si riscosse in tempo per rispondere a Shura.
"Vedrò quel che posso fare." sorrise, guardando
poi l'amico dirigersi verso la porta d'ingresso.
Shura aveva ragione, aveva i pensieri rivolti altrove… a
più di seimila chilometri di distanza per essere esatti,
rivolti a una ragazza
capace di catalizzare i suoi pensieri su di sé: dopo una
settimana l'attrazione
verso quella giovane cinese non era scemata, anzi. E la cosa lo stupiva
non
poco; abituato a congelare tutta la gamma delle emozioni umane sotto
una spessa
coltre di ghiaccio, quei sentimenti estranei alla sua natura ora lo
sconvolgevano
nel più profondo.
Altro che nella pelle, Mei era entrata molto più in
profondità.
Quel pomeriggio decise di recarsi al Goro-Ho con un
considerevole anticipo rispetto alla solita ora, appostandosi appena
fuori
dalla pagoda con il cosmo azzerato.
Ignara della sua presenza –o almeno così sperava-
Mei
stava rassettando una camera insieme a Shunrei, che le stava parlando;
non
comprese che cosa stessero dicendo le due ragazze, ma d'un tratto
sentì
chiaramente il proprio nome e d'istinto acutizzò i sensi
tentando di captare
qualcosa con il pochissimo cinese che conosceva: si comportava alla
stregua di
uno stalker, ma si accorse di non poterne fare a meno.
D'un tratto la vide arrossire, nascondendo il viso dietro
le mani mentre Shunrei la incalzava.
"Hǎo
ba, hǎo
ba. Wǒ
hěn xǐhuān
tā!" le rispose
infine. D'accordo, va bene. Lui mi
piace molto!
Mi piace molto.
Camus si trovò a sorridere dietro il salice, abbassando
involontariamente lo sguardo.
"Oggi non viene a farti visita?"
"Non lo so." rispose Mei.
"Però lo speri."
Dispiegò il lenzuolo con un gran sorriso, sistemandolo
bene sotto il materasso.
"Dai, c'è ancora parecchio da fare."
"Lui ti piace!"
"Beh… è un bel ragazzo, non trovi?"
Shunrei ridacchiò.
"Sì, anche se il colore dei suoi capelli non mi piace."
Mei pensò al rosso scuro dei capelli di Camus e il suo
sorriso divenne più ampio.
"A me piace molto, invece." rispose. "Dopo
una vita trascorsa in mezzo a ragazzi con i capelli neri, i suoi sono
stati una
sorpresa."
"Eppure il figlio dei Guo non ha i capelli
neri…" commentò Shunrei. "Sai, quello che ti fa
la corte e che si è
tinto biondo ossigenato."
Mei proruppe in una smorfia.
"Oddéi ti prego no… ha infilato la testa in un
secchio
di ammoniaca per cercare di sembrare più giovane, santi
numi!" esclamò Mei,
con una smorfia di puro orrore dipinto in volto. "E poi ha quarantasei
anni!"
Shunrei scoppiò a ridere.
"Sapevo che mi avresti risposto così." disse.
"Camus quanti anni ha più di te?"
"Solo nove mesi."
"Soltanto?"
Entrambe si girarono verso il giardino, dove avevano
sentito per pochi istanti arrivare qualcuno.
"E' arrivato alla fine, visto?"
Istintivamente si guardò nello specchio, sistemandosi due
ciocche di capelli fuori posto.
"Ti piace, lo sapevo! Ammettilo!!"
"D'accordo, va
bene! Lui mi piace molto!"
Si tolse il grembiule e corse fuori cercando di fare meno
rumore possibile.
"Cosa stai cercando? Posso aiutarti?"
Camus si riscosse di colpo, trovandosi faccia a faccia
con l'oggetto dei suoi pensieri.
"Ma che diavolo? …come hai fatto a… insomma, eri
laggiù in camera…" le disse, sentendosi
decisamente uno stalker.
"Cioè, intendevo dire…"
"Come ho fatto a capire che sei qui nonostante
avessi il Cosmo azzerato? Dovrei essere cieca per non notare la zazzera
di
capelli rossi che spicca tra i rami." replicò Mei. "E
poi… sei a
favore di vento, e qui sei il solo che profuma di agrumi e lavanda.
Buon
profumo, tra l'altro."
Si sistemò meglio il cesto col bucato sul fianco e gli
fece cenno di seguirla. "Pensavo non venissi più, di solito
arrivi molto
prima."
"A dire la verità ero qui da un po', a
guardarti." disse, coprendosi poi il volto. "Oh
non."
"Finché non mi spunti in camera in piena notte
minacciando di strangolarmi con una corda di violino, allora va bene.
Sei in
tempo per la cena, comunque."
Sorrise appena.
"Non riuscirei a buttare giù nemmeno una briciola,
ho lo stomaco chiuso."
Mei lo guardò.
"In effetti sei strano oggi." fece Mei,
dispiegando un lenzuolo per stenderlo sul filo.
Camus sospirò ancora, poi si alzò e
l'aiutò a stendere:
aveva urgenza di parlarle.
"Puoi fermarti un minuto, per favore?" le
domandò, prendendola per mano. L'invitò a
prendere posto accanto a sé, sul
piccolo porticato che dava sul giardino. "Come avrai capito in questi
giorni, non sono un ragazzo di molte parole. Di solito tendo a
seppellire i
miei sentimenti sotto una coltre di ghiaccio senza esternare mai quel
che provo,
con nessuno. Da quando ti conosco invece, il mio mondo si è
capovolto. E' come
se non avessi più certezze, tranne quella che sei l'unica
che mi è entrata
nella pelle."
"Ci conosciamo da una settimana…" disse Mei, in
un fil di voce.
"Lo so, forse non ha senso. Ed è proprio questo che
mi sconvolge. Non riesco a pensare a nient'altro, in questi giorni, se
non a
te."
E Mei si ritrovò a torturare un lembo della tovaglia
appena lavata.
"Accidenti." commentò.
"Ti prego… dì qualcosa, mi sento un perfetto
idiota." disse Camus.
"Un senso ce l'ha eccome." rispose Mei,
arrossendo suo malgrado. "Penso anche io a te. Pensavo al fatto che mi
piaci e che non sapevo come dirtelo. Ecco, adesso siamo in due a
sentirci
idioti."
Camus si schiarì la voce.
Quella confessione indiretta gli procurò un gran sorriso
sulle labbra. Sapeva naturalmente che il suo interesse era ricambiato,
altrimenti non avrebbe certo insistito. Tuttavia quelle parole gli
trasmisero
un'insolita euforia.
"Potremmo parlarne a cena. Da me."
Mei sorrise, stupita.
"Da te?"
"Sì, ma non ho secondi fini… solo farti provare
la mia
umile cucina."
Lo guardò, ammirata.
"Un ragazzo che cucina? La faccenda diventa
interessante."
"Più che altro, una faccenda necessaria, se ti
affidano due allievi e devi provvedere a te stesso e a loro. Ho
imparato pian
piano, per tentativi…"
"Meglio di niente, ti pare?" gli rispose. "E
sia, proviamo."
"Metti qualcosa di pesante, farà decisamente freddo
per te." Finì di stendere il bucato e posò la
cesta sotto il portico.
"Ci metto due minuti, arrivo." gli sorrise.
Shiryu era in salone con Shunrei, e non la sentì entrare
né uscire poco dopo con un cappotto in mano.
"Non capisco che cosa intendevi dire prima. Questo
potrebbe bastare?"
Camus saggiò la consistenza del tessuto.
"Per qualche minuto dovrebbe bastare, accenderò il
fuoco." le rispose, criptico, avvicinandosi a lei. "Posso?"
aggiunse, cingendole la vita e tirandola a sé.
Non ebbe il tempo di rispondere che Camus aveva già
teletrasportato entrambi in un altro luogo.
"Dove siamo?"
Doveva essere la stanza principale di quella casa: un enorme
camino di pietra dominava la scena e a terra, davanti a esso, faceva
mostra di
sé un grande tappeto sui toni del blu e del rosso che,
appena tessuto, doveva
aver avuto dei colori molto accesi. Un divano blu ravvivato da coperte
e
cuscini e un tavolo con quattro sedie erano i mobili principali,
accompagnati
da cassepanche e armadietti vari disposti lungo le pareti interamente
perlinate
in legno chiaro. Accanto al camino, un porta attrezzi e un contenitore
porta
ciocchi completavano l'arredamento; collegata a quel salone intravide
una
stanza adibita probabilmente a cucina e, infine, un'altra stanzetta
separata
dal resto da una tenda di tessuto grezzo.
Camus scostò delle grezze tende bianche da una delle
finestre.
"Siamo in Siberia, nella mia isba."
"Dèi del cielo." esclamò Mei, avvicinandosi e
guardando
fuori: una distesa infinita di neve e ghiaccio dove il cielo, bianco e
carico
di neve, si confondeva con la terra. "Come…come diamine ci
siamo finiti,
qui?"
"Una caratteristica di noi Gold Saint. Possiamo
spostarci alla velocità della luce." spiegò
Camus, infilando dei ciocchi
di legno e delle pagine di un vecchio giornale ingiallito nel camino e
gettandovi dentro un fiammifero.
"Anche gli onori di casa. Se alla pagoda non ci
fossimo io o Shunrei, Shiryu morirebbe di fame, sicuramente dentro
abiti
stazzonati e sporchi. Non è capace di occuparsi di una casa,
di fare il bucato
o di cucinarsi un uovo." sorrise Mei, avvicinandosi al fuoco.
"Dimmi un po’. Sei una di quelle tutte schizzinose
che mangiucchia appena un po’ di sedano o sei una buona
forchetta?"
"Mangio e basta, e al diavolo la dieta. Nessuno
nasce perfetto, quindi perché accanirsi per avere un fisico
particolare?"
Camus sorrise compiaciuto.
"Interessante. Continui a guadagnare punti."
Dopo aver guardato un'occhiata veloce in giro, Mei decise
di accomodarsi sul tappeto mentre Camus le parlava del luogo e della
difficoltà
iniziale ad adattarsi, quando era piccolo.
"E' incredibile come ci si senta terribilmente
frastornati quando il mondo ti frana sotto i piedi e le radici che ti
hanno
tenuto ancorato vengono strappate con insensibile crudeltà.
Purtroppo non ho
difficoltà a immaginarti, bimbo spaesato e terrorizzato,
trapiantato
bruscamente qui in mezzo al nulla."
Le si sedette di fronte.
"E' impossibile da spiegare a parole."
convenne. "Capisci in fretta che non hai altra scelta se non quella di
adattarti:
non esiste più la tua vita precedente, c'è solo
il futuro e l'ignoto. Inizi ad
adattarti, poi ti rassegni e infine, ti abitui. Sulle prime tremi fino
a
battere convulsamente i denti per il gelo che ti penetra nelle ossa e
sembra
non volerti abbandonare, finché non impari a gestirlo e,
infine, a governarlo. Ma
poi scopri che non sei tu a governare il ghiaccio, ma è lui
a governare te,
perché non solo ha preso possesso del tuo corpo, ma anche
delle tue emozioni.
Sei abituato a badare a te stesso e fare affidamento su poche persone,
ti
convinci che vivrai la tua esistenza da solo perché nessuna
persona sana di
mente vorrebbe vivere accanto a uno come te e quando infine trovi
qualcuna che
ti piace e con la quale potersi aprire, la cosa ti spaventa
perché non sai come
gestirla."
"Nessuna persona sana di mente… ma chi ti dice che
io lo sia?"
Lui sorrise in risposta, decidendo poi di alzarsi per
controllare la cena.
Un pasto senza troppe pretese, con pietanze che lei sicuramente
non doveva aver mai mangiato prima e che, nonostante il sapore
insolito, parvero
piacerle.
"Come ti sembra la cena?"
Mei fece la scarpetta con un pezzo di focaccia e assaporò
la salsina che aveva accompagnato le carote.
"Buona, direi." rispose. "Sento un
retrogusto di zenzero, è possibile?"
"Era nella salsa." disse Camus.
"Mi sembrava, infatti." Mei posò il piatto
accanto a sé –non avevano cenato sul tavolo, ma
erano rimasti sul tappeto- e
bevve un po' d'acqua mentre Camus spizzicava i resti della focaccia.
"Chissà quanto tempo hai impiegato per cucinare tutto
questo."
Lui si schiarì la voce.
"Era una cosa premeditata, a dire il vero. Ho
preparato tutto ieri sera, e prima di venire da te ho scongelato."
ammise,
con un certo imbarazzo.
"Non arrossire, mi sta piacendo tutto questo."
gli disse. "Lo apprezzo molto."
Ci fu un attimo di silenzio che entrambi non seppero come
interpretare, quindi Camus si alzò quasi di scatto diretto
ai fornelli.
"Cam, tutto bene?"
"Sii grata al mio tempismo." disse lui, mostrandole
la padella. "Abbiamo corso il rischio di restare senza dolce."
"Oh, mio eroe!" esclamò Mei, enfatizzando
volutamente il tono drammatico con la quale aveva risposto. "Come
potrò
mai ripagarti?"
Di riflesso Camus inarcò un sopracciglio, guardandola
fissa negli occhi.
"Ti ho già accennato al fatto che da dove provengo
io non siamo tutti nobiluomini?"
"Sì?!"
"Ebbene, alla tua domanda, Milo ti sarebbe saltato
addosso."
Mei sentì l'improvvisa tensione formatasi nel momento in
cui lui aveva inarcato il sopracciglio defluire dal proprio corpo
così com'era
arrivata.
"E tu sei troppo nobile per farlo?" domandò
divertita, ingoiando un boccone di frittella con panna e lamponi.
"No. Sto facendo uno sforzo atroce per non
farlo." le rispose, facendola sorridere.
"Avresti qualcosa in contrario se fossi io a prendere
l'iniziativa?"
"Aspetta un attimo, non è ancora detto che i miei
sforzi funzioneranno."
"In questo caso allora vale la pena aspettare."
rispose Mei, mettendosi comoda.
Camus posò il proprio piatto accanto a sé e si
allungò
verso di lei. Fino a quel momento la serata proseguiva a gonfie vele
pur avendo
pianificato solo la cena, tuttavia si scoprì estremamente
felice riguardo
quell'intermezzo –desiderato ovviamente, ma non
pianificato… non era ancora
così subdolo-.
Almeno finché la porta dell'isba si aprì, di
colpo.
Camus si raddrizzò e si schiarì rumorosamente la
voce,
richiamando immediatamente l'attenzione del nuovo arrivato.
Appena posato lo sguardo sul Maestro e la ragazza che era
nella stanza con lui, Hyoga realizzò di essere arrivato nel
momento sbagliato e
si sentì avvampare maledicendo il suo tempismo.
"Oooh, cavolo." esclamò,
dando loro le spalle una volta realizzato che cosa avesse appena
interrotto.
Mei si ritrasse imbarazzata afferrando la prima cosa che
trovò sul tappeto –la t shirt di Camus- mentre
quest'ultimo si alzava in piedi
dandole tutto il tempo per rassettarsi. "Hyoga." disse, passando poi
al russo. "Confido che giustificherai la tua intrusione con ragioni di
profondo valore. "
Hyoga chinò la testa.
"Ero venuto per vedere voi, Maestro. Ho bisogno di
parlarvi."
"È una cosa così importante? Possiamo parlarne domani?"
Hyoga guardò brevemente Mei e annuì.
"Certo, maestro." oggi, o domani, che fretta
c'era? "Jacov, torna a casa… ci vediamo domani, okay?"
Appena vide il ragazzino sparire in fondo al sentiero che
portava all'isba, Hyoga si chiuse la porta alle spalle, diretto alle
stanzette
del piano di sopra.
"Mi dispiace." mormorò a Mei, schiarendosi poi
la voce. "Hyoga! Avvicinati, voglio presentarti una persona."
E il ragazzo, ubbidiente, si avvicinò squadrando Mei con
i suoi occhi chiari come il ghiaccio.
"Non so se il tuo amico ti ha mai parlato di lei,
ma…"
Hyoga annuì.
"Più o meno. Sei la sorella di Shiryu." disse, rivolgendosi
direttamente a lei.
"Universalmente conosciuta come Mei-Yin. Ciao."
salutò Mei, allungando la mano destra, contrariamente a
quanto si usava nel suo
Paese, dove il contatto fisico era ridotto ai soli membri della
famiglia.
Una stretta di mano parecchio salda per una ragazza di
quella corporatura; in effetti, assomigliava parecchio al suo amico, ma
Shiryu
non aveva mai speso molte parole nei suoi riguardi, perciò
di lei sapeva molto
poco. Ebbe però l'impressione che se la sarebbe ricordata
per sempre o comunque
negli anni a venire.
"Noi andiamo, Hyoga." disse Camus, d'un tratto.
"Mi raccomando, spranga bene la porta. Io accompagno Mei a casa."
*
"Temo che per questa sera sia tutto." esordì
Camus, una volta giunti al Goro-Ho. "Ti ringrazio per aver accettato
l'invito e per la bella serata."
"Non deve per forza di cose finire qui, in questo
modo." gli rispose Mei, guardandolo negli occhi e sfoggiando una certa
dose d'audacia.
"Ma qui c'è tuo fratello." le rispose.
L'isba era decisamente un luogo più ideale rispetto alla
pagoda dove non c'era una benché minima speranza d'avere
intimità.
"Shiryu è l'ultimo dei miei pensieri." replicò
Mei, voltandosi verso la pagoda: la luce in cucina era spenta, segno
che tutti
erano ritirati nelle loro stanze, e una luce appena soffusa
s'intravedeva dalla
camera dell'anziano Maestro, sicuramente impegnato a leggere, come
tutte le
sere a quell'ora. "Mio fratello non è dappertutto e non
conosce tutti gli
anfratti del posto. Seguimi."
Lanciando un'occhiata circospetta alla pagoda, la seguì
lungo il giardino dove avevano parlato poche ore prima, fino a un
sentiero che
costeggiava il bacino nel quale la possente cascata si gettava prima di
proseguire
la sua corsa a valle.
"Dove mi stai portando?" le domandò, quando
superarono uno stretto arco scavato nella pietra.
"In una grotta dietro la cascata che ho scoperto da
ragazzina. Spesso, per fuggire da mio fratello, prendo un libro e un
thermos di
tè e mi rifugio qui. E' l'unico posto dove posso stare
tranquilla." gli
rispose. "Ma qui occorre fare attenzione, perché spesso e
volentieri la
roccia, in questo punto, è..."
Non gli riuscì di afferrarla in tempo, che Mei
finì in
acqua.
"…scivolosa?" concluse lui, reprimendo una
risatina. "Grazie per l'avvertimento. Magari avresti potuto seguirlo tu
stessa."
Mei boccheggiò.
"Spiritoso. Anche il fondo è scivoloso!" disse,
tentando di rimettersi in piedi ma senza successo.
Camus si chinò, sporgendosi verso di lei.
"Coraggio, ti aiuto…"
Fu decisamente una pessima mossa.
Appena ebbe preso la sua mano, Mei lo tirò con sé
in
acqua, per poi rialzarsi in piedi con scioltezza quando lo vide
riemergere.
"Oh scusa, che sbadata." cinguettò. "Mi
era parso di sentire una risatina, e ho pensato bene di vendicarmi."
"Ah sì?" quando la vide issarsi sulla riva, la raggiunse
con due ampie falcate e la tirò di nuovo giù a
forza.
Mei guardò le labbra di Camus e i suoi occhi, che
brillavano a pochi centimetri da lei, e pensando a quanto successo poco
prima
nell'isba, il cuore tornò a batterle come un tamburo nel
petto.
"Dovremmo uscire da qui, troppa umidità."
mormorò con un filo di voce, nervosa. "Non so te, ma non ho
intenzione di
aggiungere la voce broncopolmonite
alla lista dei ricordi legati alla mia prima volta." avvampò
imbarazzata
quando pronunciò quelle parole.
"Neanche per me sarebbe una bella cosa da
ricordare."
Issandosi sul sentiero che prima di cadere stavano
percorrendo, Mei si accorse di tremare: per il freddo, per la
situazione o più
probabilmente per entrambe le cose. La maglietta di Camus che s'era
infilata
all'isba in fretta e furia, ora fradicia, non aiutava di certo.
"Dovrò fare affidamento su di te, temo…
perché non
ho la più pallida idea su come iniziare…" disse
Mei, a voce bassissima.
Le scostò la frangia umida dal volto e la fissò
dritta
negli occhi, prima di sfilarle la maglietta e baciarla.
**
Nei film melensi e fin troppo romantici accade sempre
tutto in maniera perfetta.
La giusta atmosfera, un lettone comodo e soffice dove
cedere alle lusinghe di Morfeo, i protagonisti che arrivano al
traguardo
insieme…
Non diventerai
cinico proprio ora eh, Camus?
Certo, quello non era proprio il luogo più adatto dove
fare l'amore, ma insomma, aveva quel tocco romantico che non guastava.
La cascata che nascondeva la grotta al mondo lasciava
filtrare poca luce, era vero, ma quella penombra era suggestiva, a modo
suo. Il
futon che con gesti febbrili lui e Mei avevano tirato fuori da un
armadio a
prova d'umidità non era paragonabile un materasso spesso
venticinque
centimetri, ma era comodo.
Se si ignorava la sottile umidità dovuta all'acqua che
scorreva a venti metri da loro, quel luogo intimo non era affatto male.
Ridacchiò, e Mei si mosse appena contro di lui.
Doveva aver freddo, almeno a giudicare dalla pelle d'oca
delle braccia. Futon o meno, erano nudi e ancora umidi.
"Hai freddo?" le sussurrò, stringendola di più
contro il proprio corpo.
Mei sospirò appena, godendosi il tepore di quelle
braccia, non sentendo nient'altro che il cuore di Camus contro la sua
schiena e
il fragore della cascata.
"Un po’."
"E freddo a parte, come ti senti?"
"Meravigliosamente bene." rispose Mei, con un
gran sorriso.
Impiegò qualche istante per farle una domanda che in quel
momento gli pareva urgente.
"Ti ho fatto male?" domandò infine con
parecchio imbarazzo, a bassissima voce. Mei non gli rispose subito;
colto da un
leggero disagio si puntellò su un gomito e la
guardò.
"Un po'."
ammise infine Mei.
Si distese di nuovo, lasciandosi sfuggire, senza volerlo,
un'imprecazione.
"Mi dispiace così tanto." disse, coprendosi il
viso con le mani.
"Nessuno dei due sapeva che cosa fare, e allora?" sorrise Mei.
"Guarda che faccia, sono ancora tutta intera." si rigirò tra
le sue
braccia, accoccolandosi contro il suo petto, e cercò di
cambiare discorso. "Saggia
idea, quella del futon, vero? Cam? Guardami, non è successo
niente di male."
"Oh sì. Il futon è sicuramente da aggiungere
sulla
lista dei bei ricordi legati alla prima volta." convenne lui dopo
qualche
minuto.
"Io invece credo che, campassi mille anni, non
dimenticherò mai il modo in cui, a un certo punto mi hai
guardata." confessò
Mei. "Come per accertarti che fossi vera e non un sogno."
"Io non sarei riuscito a spiegarlo meglio." le rispose, lasciando che
esplorasse ancora il suo corpo. In risposta la strinse ancora un
po’,
accarezzandole la schiena. "Mei?"
"…mmh?"
"Vorresti venire con me ad Atene?"
***
Lady Aquaria's corner.
(capitolo revisionato in data 9
dicembre 2014)
Eccomi qui, con un capitolo ricco di avvenimenti. Hyoga
qui ha 14 anni, in linea con l'anime. Non ho menzionato il Maestro dei
ghiacci,
perché semplicemente non c'è, nella mia fic.
Quando Hyoga appare di colpo, e Camus gli dice che lo
crede in Giappone, combacia al momento dell'anime in cui Hyoga va in
Siberia
per parlare con il maestro dei ghiacci, ma trova il villaggio sotto
assedio e
si trova costretto a ucciderlo. Grazie come sempre a chiunque legge e
tutto il
resto, a GioTanner che mi ha dato un paio di consigli.
Alla prossima,
Vale^^
Lady Aquaria
|
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Capitolo 7 *** Come with me. ***
capitolo 7 prequel
7.
Come with me.
Come with me, close
your eyes,
Hold
my hand, it'll be
alright
Don't
be scared, don't
be shy
Lift
your head it's
going to be alright.
[Come with me-Phil Collins]
Il silenzio che seguì quelle parole lo spiazzò.
Aveva
posto quella domanda, stupidamente, e altrettanto stupidamente aveva
pensato
che Mei avrebbe accettato subito la sua proposta. Non sapeva nemmeno
per quale
motivo l'aveva fatta.
"Bè… io… dimentica quello che ho
detto."
balbettò. Si mise a sedere, riavviandosi i capelli umidi e
sentendosi più
stupido che mai.
Che dannazione gli era venuto in mente di chiederle una
cosa simile?
Perché mai avrebbe dovuto seguirlo, in fondo lo conosceva
appena, e lei -ne aveva avuto la prova poche ore prima- era una ragazza
seria.
Scattò appena avvertì la sua mano posarsi sulla
schiena.
"Mica ti ho detto di no." gli sorrise. "Non
ho mai visto la Grecia. Ma… non sapevo fosse possibile per
voi, portarvi una
donna appresso."
Camus si girò verso di lei, incrociando le gambe e
avvicinando la torcia.
"Al Santuario nessuna legge, scritta o verbale, ci
vieta di avere una ragazza."
Ricevette un sorriso in risposta.
"Dohko mi disse che la vostra prima priorità
dovrebbe essere la dea."
"A dire il vero, nessuno si è mai posto quel
problema, visto e considerato che nessuno, salvo rari casi, ha mai
avuto una…
come dire… compagna. Dobbiamo obbedienza alla nostra Dea ma
siamo comunque esseri
umani, con i nostri bisogni e i nostri sentimenti."
Anche Mei si mise a sedere; Camus guardò i lunghi capelli
che le coprivano il seno.
"Già."
"Quello che mi preoccupa di più saranno le reazioni
dei miei compagni. Sai, non capita tutti i giorni che un blocco
di ghiaccio come me si trovi una ragazza, e adesso che ne ho
una, partiranno subito i commenti, soprattutto quelli di Milo." le
spiegò
Camus.
Gli sorrise, negli occhi un luccichio particolare.
"E da quando sono la tua ragazza?" sussurrò Mei.
Lui arrossì e abbassò lo sguardo, a corto di
parole.
Si fece più vicina a lui, posando la testa sulla sua
spalla e circondandogli la vita con un braccio.
"Di solito non amo i titoli, ma questo mi
piace." gli sussurrò, felice. Era convintissima di quello
che aveva appena
detto. Era seriamente felice di seguirlo ad Atene, anche se agli occhi
degli
altri, era forse un passo troppo affrettato.
Ma aveva agito tutta la sua vita in modo assennato,
pensando prima agli altri e poi, se avanzava, a sé stessa.
Si sentiva bene.
Che male c'era in ciò?
Alzò lo sguardo e, seguendo un improvviso impulso,
seguì
con la punta delle dita la cicatrice che gli attraversava una spalla,
sentendolo fremere, arrivando a una seconda che dalla scapola
attraversava
tutto il muscolo dorsale fin quasi al gluteo.
"Cosa fai?" mormorò Camus, voltandosi appena.
"Come ti sei procurato queste? Durante
l'addestramento?"
"N-no. Io... sì, ma fu a causa di una mia
negligenza, sottovalutai le correnti del lago e uno spuntone di
ghiaccio quasi
mi aprì in due la schiena."
"Ahi." Mei risalì con le mani fino alle
spalle, raccogliendo di lato i suoi capelli. "È per
nascondere questi
segni che porti i capelli così lunghi?"
"No, semplicemente perchè mi piace portarli
così." le rispose, sorridendole. "A te non piacciono?"
"Sì." disse Mei. "È che prima di te non
avevo mai conosciuto nessuno con i capelli rossi come i tuoi."
Si girò proprio mentre Mei aveva deciso di posare un
bacio sulla cicatrice sulla spalla, e un brivido lo scosse.
"Mei." bisbigliò, cercando, senza successo, di
tenere a bada la voce. Quando i loro sguardi s'incontrarono,
alzò una mano,
l'attirò a sé e la baciò.
Poco dopo, quando il bacio s'interruppe, Mei si mise a
cavalcioni su di lui, scostandogli dei ciuffi dal volto.
"Dopo dovrò andare a prendere qualcosa in casa. Il
minimo indispensabile, almeno."
"Certo." annuì Camus. Mei lo baciò ancora e lui
spostò le mani sui suoi fianchi, scoprendo che aveva la
pelle d'oca. "Mei,
aspetta. Per te fa freddo qui... sarebbe saggio entrare in casa, prima
che tu
possa ammalarti."
Si rivestirono alla bell'e meglio, faticando a infilare i
vestiti bagnati e rientrarono nella pagoda rabbrividendo all'aria della
notte.
Fecero meno rumore possibile, tuttavia, quando passarono
davanti alla porta di Dohko, questa si spalancò.
"Mei?!" mormorò Dohko, guardando la ragazza
che, capelli scarmigliati e umidi, indossava una maglietta visibilmente
più
grande, tenendo stretti al petto i vestiti che aveva indossato quel
giorno
insieme a della biancheria maschile e un paio di mocassini. "Che
cosa...? Camus?!"
aggiunse, quando finalmente intravide anche lui, dietro Mei,
praticamente
svestito a eccezione dei jeans.
"Maestro…" disse Camus a mo' di saluto,
imbarazzato come un adolescente scoperto a pomiciare.
"I-io... noi... ehm..." iniziò a balbettare
Mei, avvampando. "Noi..."
Dohko notò dei segni inequivocabili addosso a Camus e
sorrise.
"Non hai bisogno di darmi alcuna spiegazione, sono
stato giovane anche io." sorrise Dohko.
"Se vi abbiamo offeso in qualche modo, vi domando
scusa." interloquì Camus.
"Mio caro ragazzo, perchè dovrei essere offeso? Sono
stanco, non offeso. Buonanotte." rispose Dohko, congedandoli.
Mei si sentì avvampare quando si chiuse la porta della
propria stanza alle spalle. Girò la chiave nella serratura e
intravide Camus
intento a guardarsi intorno, le mani infilate nelle tasche dei jeans.
"Chiedo scusa, ha sempre avuto un'udito
finissimo." esordì, sentendo la propria voce un po' tremula
a causa della
tensione.
"Immagino. È il Saint più potente del Santuario,
il
più anziano ed esperto..." commentò Camus.
"L'udito fine è la
dotazione standard, nel suo caso."
La tensione sessuale che li aveva attraversati prima di
entrare in casa e prima di incappare in Dohko pareva essere scomparsa;
sospirando, Mei aprì l'armadio, prendendo una borsa
abbastanza capiente e dei
vestiti asciutti.
"Puoi farti una doccia mentre io metto via
qualcosa." gli disse, porgendogli un completo di cotone pesante, un
karategi nero profilato di bianco. "Apparteneva a mio padre, a occhio e
croce dovrebbe andarti bene... mi spiace, ma sono i soli vestiti da
uomo che
ho."
"Grazie." rispose Camus, prendendo
rispettosamente i vestiti che Mei gli aveva offerto. "Tuttavia insisto
affinché sia tu a farla per prima, io sopporto bene il
freddo."
"D'accordo." sorrise Mei. Si sfilò la maglietta
-blu notte, dell'Hard Rock Café di Parigi- e si chiuse in
bagno, ripensando a
quanto successo.
*
"Vai da qualche parte?"
Mei si voltò a guardare il fratello, fermo sulla porta
della sua stanza.
"Sì."
"Ti cerco da tutto il pomeriggio, e ti trovo solo
ora. In compagnia di quel Gold Saint a quest'ora di notte."
Gold Saint che, in quel momento, si trovava nel suo
bagno.
"Cos'è successo tra di voi?" incalzò Shiryu.
"Come?"
"Non far finta di non capire. Sinceramente, Mei, io
non ti capisco. Lo conosci appena. Come puoi fidarti di lui al punto
da...
seguirlo dall'altra parte del mondo? Come puoi essere così
avventata,
sorella?"
"Io non sono avventata.
Mi sento di farlo, mi fido di lui."
Shiryu annuì.
"Certo. Ti è bastata una settimana scarsa per
fidarti di lui?"
"Hai detto bene, non capisci. Non puoi capire quello
che provo." protestò Mei. "È che a te non va
giù che per una volta
penso a me, prima che a te."
Le afferrò un braccio, fermandola.
"Sei cattiva, se pensi questo di me. Mi sta a cuore
la tua felicità, ti voglio bene. Ma io non ci vedo nulla di
buono in tutto ciò.
Potresti provare a conoscerlo meglio prima, no? Insomma….Lo
frequenti, ci esci
un po’, magari fra qualche mese…"
Mei si liberò dalla sua stretta.
"No no no, aspetta. Shiryu… sveglia! Siamo nel
ventunesimo secolo, non nel diciottesimo!" esclamò Dohko,
comparendo alle
sue spalle. "Ai miei tempi si faceva così, ragazzo, adesso i
tempi sono
decisamente cambiati! Lascia stare tua sorella, e và a
dormire."
Camus uscì dal bagno, nel karategi prestatogli da Mei;
Shiryu scosse la testa poi uscì.
"Non sto simpatico a tuo fratello." disse
Camus.
"Fa sempre così, con tutti." cercò di
giustificarlo Mei.
"Era una constatazione, non una domanda. So di stare
antipatico a tuo fratello."
Mei chiuse finalmente la zip della valigia.
"Lo so. Lo fa con tutti." ripeté. "Credo
di essere pronta. Possiamo andare."
Camus annuì, quindi, dopo averla attesa mentre salutava
cognata e fratello, l'attirò a sé,
teletrasportandosi al Santuario.
"Ed eccoci." le disse, lasciandola andare e
prendendole la borsa che si era portata dietro. "Però,
viaggi leggero.
Tutto bene?"
A dirla tutta si sentiva come se avesse fatto un viaggio
in ascensore a velocità elevata.
"Mi gira un po' la testa, ma adesso passa."
replicò Mei, guardando al di là del parapetto.
Aveva visto il mare una volta
sola, durante le uniche vacanze che avevano trascorso, tutti insieme in
Italia,
nella terra di sua madre.
Non aveva calcolato il fuso orario, però.
Aveva lasciato il Goro-Ho in piena notte, e ora era
catapultata indietro di sette ore, alle nove di sera. Il sole era
tramontato da
un po’, e in lontananza s'intravedeva un faro, e le luci del
porto e della
costa, ferventi di vita.
Spostando lo sguardo, Mei intravide gli altri templi.
"Sarebbe possibile visitare la casa del
Maestro?"
"Dovresti avere il permesso del suo custode, ma non
hai problemi in tal senso, quindi credo proprio di sì." le
rispose. "Andiamo
dentro, Mei. Sarai stanca."
Annuì seguendo Camus, che non si era accorto dell'arrivo di
Aphrodite.
"E che cavolo, và avanti!" sbraitò DeathMask,
il naso incollato allo schermo del cellulare, scontrandosi con lui.
"Hai visto anche tu?" sussurrò Aphrodite,
facendogli cenno di non gridare.
"Che cosa? Che la compagnia telefonica mi ha di
nuovo fregato due euro?"
"Ma no! Camus. E' in compagnia."
Death sollevò lo sguardo, finalmente, dall'apparecchio.
"Ferma, frena un attimo!" esclamò. "Monsieur
Ghiacciolò… s'è portato una
donna a casa?"
**
"Come mai gli altri hanno una casa rettangolare, e
tu… tonda?"
domandò Mei,
entrando.
"L'anticamera è tonda. La parte in fondo, quella con
i miei appartamenti, è squadrata." rispose Camus, posando la
sua borsa sul
tavolo. "Ma comunque, non ti saprei rispondere."
"L'importante è avere un tetto sulla testa, quadrato o tondo
che
sia." commentò Mei, pratica. In quello che doveva essere il
salotto,
intravide una libreria zeppa di cd e lp.
"Ma…
accidenti, quanta musica ascolti!"
"Mi piace avere dietro tutta la mia musica
preferita. Molti di questi erano dischi
dei miei
genitori…" spiegò Camus. "Li ho portati da
Parigi, quando mi sono
riappropriato del mio appartamento."
"Prima o poi ci tornerai?"
Si strinse nelle spalle.
"Forse, un domani."
"Ah, capisco…"disse lei. Non ne voleva
parlare, probabilmente. Scorse i titoli dei vari cd. Musica pop,
chanson
française, classica. Almeno un centinaio di cd, a occhio e
croce; innumerevoli
gli lp. Ne estrasse uno: l'Aida,
cantata da Maria Callas. "Vedo che ti piace anche la musica lirica."
"Sì, l'apprezzo molto." disse Camus,
precedendola in cucina. "E a te piace l'opera?"
"Difficile non apprezzarla se tua madre era una
soprano. Non la seguo più come una volta, mi risveglia
troppi ricordi. Ma da
piccola, quando mamma si preparava per un'opera, stavo ore ad
ascoltarla. Più
di una volta ho seguito la prima direttamente
dietro le quinte. Tuttavia,
non disdegno anche alcune sue colleghe come Maria Callas o Mirella
Freni."
"Tua madre era una cantante lirica?"
"Soprano e mezzosoprano, aveva studiato per
entrambi i toni. Mi capitò di vederla interpretare la
Bohème in due ruoli
diversi: Mimì e Musetta... io la preferivo quando
interpretava Musetta. Era
strepitosa."
"Oh."
"Tra tutte, amo la Tosca: è stato amore a prima
vista. E adoro la
Bohème. E dimmi, tu ne
hai?"
Non ebbe modo di risponderle, però, perché Milo
comparve davanti alla porta degli appartamenti, un sorriso sornione
stampato in
faccia, mentre passava lo sguardo dall'amico alla ragazza.
"Yasas."
***
Lady
Aquaria's corner.
[Capitolo
revisionato in data 22 gennaio 2015]
-Maria Callas e Mirella
Freni sono due straordinarie soprano, che io ascolto e apprezzo
particolarmente.
-Yasas: in greco, significa ciao o salve.
E Milo è….bè. Il solito impiccione.
Ma a noi piace così, no?
Alla prossima, e grazie, davvero grazie, a chi legge,
recensisce e segue. Grazie!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 8 *** Benvenuta. ***
capitolo 8 prequel
8.
Benvenuta.
Si girò curiosa verso il ragazzo che era appena comparso
davanti alla porta: biondo, incredibili occhi azzurro scuro, alto, con
un
sorriso sfrontato dipinto sul volto e lo sguardo curioso nei suoi
confronti.
"Yasas." ripeté, verso Camus, che lo fissava.
Questi tirò un paio di sospiri, cercando di non perdere la
calma.
"Salut, Milo." rispose. "Prima che tu
possa dire qualche idiozia delle tue…"
"Devo portare la moto a fare un controllo, avevi
detto, mh? Beh, amico mio, devo ammettere che è parecchio
migliorata dall'ultima
volta che l'ho vista. Non ricordavo certi particolari."
ridacchiò Milo,
mimando con le mani due seni. "La carrozzeria, soprattutto." aggiunse
allusivo, prima di dare una lunga occhiata al didietro di Mei.
"Tre ore
d'allenamento al giorno serviranno pure a qualcosa."
commentò Mei,
incrociando le braccia sul petto. "Suppongo
lui sia Milo."
Milo, d'istinto, guardò l'amico.
"Mei parla greco?"
"…se mi avessi lasciato parlare…"
"Certo
che parlo
greco, il Maestro Dohko me l'ha insegnato." replicò Mei.
"Yiasu!" esclamò Milo,
abbracciandola di slancio e lasciandole
due baci sulle guance. "Ti
kanis? Hiero polis!"
[Ciao! Piacere di conoscerti, come stai?]
Camus gli elargì una pacca in testa, mormorandogli
qualcosa.
"Ma che ho fatto??" sbottò Milo, guardandolo
stranito. "Perché non dovevo salutarla??"
Camus la guardò.
"Chiedo scusa. Milo è uno zoticone dei
peggiori." le disse.
"Dice che non avrei dovuto salutarti."
"Non dovevi salutarla come hai fatto tu, con i baci
e il contatto fisico…"
"Ma sai che hai ragione?" disse Milo. Si
avvicinò alla prima casa e afferrò lo zerbino,
iniziando ad agitarlo come un
indiano alle prese con i segnali di fumo. "Ciao!!! Lieto di conoscerti!!!
Come stai??"
"Ma perché ho un amico così scemo?!"
"Camus… va bene così, non poteva saperlo e io non
mi
sono offesa." mormorò Mei. "Ciao Milo!!! Sono contenta anche
io di
conoscerti, Camus mi ha parlato tanto di te!!"
Milo lanciò uno sguardo in tralice all'amico.
"Tsk… immagino: avrà detto che sono la piattola
che
lo tormenta da quando siamo bambini e che avrebbe preferito lasciarmi
annegare
quando a dieci anni sono scivolato giù dagli scogli."
"Avrei detto la sacrosanta verità." intervenne
Camus.
Mei guardò entrambi.
"No. Ha detto che sei stato il primo che l'ha fatto
sentire a casa dopo essere stato
sradicato da Parigi, ha detto che ti considera il suo migliore amico e
che,
anche se troppo espansivo per i suoi standard, sei una gran brava
persona,
ecco."
"Oh, ma così mi commuovi! Una gran
brava persona… mi stupisci, amico."
sospirò Milo con
fare teatrale mentre Camus si allontanava in direzione della camera,
dove posò il
borsone di Mei. "Comunque, ieri sera hai disertato la grigliata di
Alde."
Camus fece spallucce.
"Aldebaran capirà, ma ieri sera ho avuto ben altro
da fare."
E di nuovo, Milo passò lo sguardo da Camus a Mei.
"E immagino anche cosa. Ma tranquillo, Alde non si è
offeso e, anzi, ha spostato la grigliata a oggi." disse. "Vi ho
sentito arrivare ed ero curioso."
"Hai soddisfatto la tua curiosità adesso?"
domandò Camus.
Milo assottigliò lo sguardo.
"Oh. Capisco che non vedi l'ora di rimanere solo
soletto con la tua bella, due cuori e un letto…ma..."
"Perbacco, che intuito."
"Invece, vi tocca aspettare. L'attesa aumenta il
desiderio, giusto?"
"Il Grande Sacerdote è al Santuario?" domandò
Camus, facendosi improvvisamente serio.
"No. È allo Star Hill da ieri pomeriggio, a
consultare le stelle. Per qualche giorno staremo tranquilli." rispose
Milo, corrugando la fronte al cambio repentino di argomento. "Allora,
Mei…
sarai dei nostri?"
Guardò Camus, che annuì.
"Okay."
"Così conoscerai gente nuova… a parte il vecchio
Dohko, non conoscerai nessuno, in quell'angolo di Cina dimenticato
dagli
Dèi." disse Milo. "Tra mezz'ora, alla seconda casa."
"Solo mezz'ora? Per esperienza personale, ti dico
che a una donna mezz'ora sola non basta, da' retta a me." intervenne un
terzo ragazzo, che iniziò a guardarla a lungo, da capo a
piedi. "Su… se
non ci pensa questo buzzurro, a presentarci… io sono
Aphrodite."
"Mei." si presentò, sorridendo in risposta.
D'un tratto un penetrante e persistente odore di fumo e
un paio d'occhi rossi.
"Cos'è…? La principessina della città
proibita non
acconsente a stringere la mano a noi poveri mortali?"
Ridusse gli occhi a due fessure, squadrandolo.
Lo stesso ragazzo che era arrivato al Goro-Ho quel
pomeriggio, per convincere il
Maestro a raggiungere il Santuario.
"Mei è cinese e in Cina non ci si saluta con i baci
sulle guance, né il contatto fisico…"
spiegò Aphrodite. "Al di là
della mia casa, c'è una biblioteca. Potresti anche usarla
qualche volta, non ti
mangia."
"Ahahahah, okay. Allora… i miei
ossequi, principessina. Se non sbaglio sei la sorella del
lucertolone."
La somiglianza con Shiryu era anche palese, ora che ce
l'aveva di fronte: il taglio degli occhi era uguale e, scommetteva,
anche il
carattere doveva essere molto simile a quella del fratello minore.
Mei non rispose, limitandosi ad alzare il mento con
orgoglio.
"Sì, non sbaglio. Avete lo stesso sguardo
strafottente negli occhi. A proposito, come sta il fratellino? Si
è ripreso o è
ancora sotto shock per il bagnetto nella cascata?"
"E lui è DeathMask. Ma ovviamente lo conosci
già."
"Sì. E avrei preferito non rivedere più la sua
faccia."
Death proruppe in una delle sue risate.
"Temeraria e arrogante come il fratellino, eh?
Quelli come voi me li mangio a colazione."
"Sai, DeathMask? Sarebbe bene parlare solo quando si
deve dire qualcosa che valga più del silenzio." rispose Mei.
Camus ridacchiò.
"Hai fegato, signorina." disse Death, tirando
una lunga boccata dalla sigaretta e allungando una mano verso di lei.
"Toccami e ti garantisco che con quella mano non
toccherai più niente."
"Ghiacciolino, tieni a bada la tua donna prima che
decida di appenderla insieme alle altre alla quarta casa."
"Questo tuo atteggiamento da vero duro dovrebbe
farmi paura?"
Le soffiò il fumo in faccia.
"Sei impaurita?"
"I pagliacci mi fanno ridere, non paura."
tagliò corto Mei. "E ora vogliate scusarmi, avrei da fare
prima di
cena."
"A tal proposito sarà meglio scendere alla seconda o
chi lo sente Alde? A dopo, allora." Aphrodite colse la palla al balzo
tirandosi dietro anche DeathMask.
"Milo?" disse Camus. "Credo che Mei abbia
bisogno di darsi una sistemata…"
Distolse lo sguardo da Mei e guardò l'amico.
"..sì. Certo! A dopo!" sorrise sornione,
allontanandosi.
Appena la porta si fu richiusa alle sue spalle, Camus
vide Mei dirigersi verso le camere e la indirizzò verso la
propria.
"Se non te la senti, non siamo obbligati ad andarci.
Alde capirà."
"No, è che… non so se sono gradita, ecco. Sono i
tuoi amici, il tuo gruppo, e io sono un'ospite."
"Sei molto più che questo, Mei. Fai parte della mia
vita, non sei assolutamente un'ospite."
Parte della sua
vita.
"Sei la mia ragazza, giusto?"
Sorrise.
"Sì."
"Allora andrà tutto bene. La mia stanza è
questa." le disse, aprendo la spessa porta di legno massiccio.
"Ammesso che tu voglia dormire con me. Altrimenti posso sistemarti
nella
stanza in fondo al corridoio."
"Dormire? Non abbiamo mai parlato di… dormire."
ribatté Mei, con lo
stesso tono scherzoso.
Non si vestì né con gli abiti tradizionali -
fuori luogo-
né con vestiti troppo eleganti –anche se di
elegante possedeva ben poco-.
Camus entrò in camera, in accappatoio, afferrando una
camicia blu e un paio di jeans e osservandola mentre disegnava due
linee nette
sulle palpebre con un eyeliner.
Ballerine, t-shirt e jeans, i capelli raccolti in una
coda: era la prima volta che la vedeva in abiti occidentali. La
trovò parecchio
carina anche se, a dirla tutta, forse un po' troppo magra e nervosa.
"…sì, lo so. Madre Natura non è stata
molto generosa
con me, da mia madre ho ereditato tante cose, ma non le forme." sorrise
Mei, mal interpretando il suo sguardo.
"Non pensavo a questo, non hai nulla che non va:
quel che ho visto e toccato mi è parecchio piaciuto. Solo
che… ora che ti
guardo meglio, penso che tu sia troppo magra."
Mei annuì.
"Beh, capita se ci si allena tre ore al giorno. Eppure
credimi, mangio tantissimo."
"Non offenderti, ma a vederti non si direbbe."
"Ti dimostrerò il contrario." asserì Mei.
"Organizzate spesso
queste cene?"
"Non tutti i giorni, ma sì, piuttosto spesso."
rispose lui, dirigendola verso la seconda casa. "Di solito
c'è tanto di
quel cibo che a fine serata anziché camminare, si rotola."
"Salve!" esclamò Aldebaran, gioviale, appena li
vide.
Mei dovette piegare la testa indietro, per guardarlo.
"Ciao." rispose. Ma quant'era alto quell'uomo?
"Lui è Aldebaran, Saint del Toro." li presentò
Camus.
"Grande e grosso, ma innocuo. È un baule di
bontà." interloquì Mu. "Ciao, Mei."
Un volto conosciuto, in mezzo a tanti altri sconosciuti -o
sgraditi, come Death-.
Mei fece un leggero inchino.
"Maestro." salutò.
"Mu."
la corresse l'interessato. "Quella palla al piede di Kiki
già lo
conosci…"
"Non sono una palla al piede, sono bravo, io!"
sbottò il ragazzino.
"Sì, quando dormi."
"Shaka fa sapere che arriverà in ritardo."
disse un ragazzo alto e moro, dal marcato accento spagnolo.
"Tipico.
Oh, Shura, lei è Mei, la ragazza di Camus." li
presentò Mu.
"'Sera"
rispose Shura, guardandola appena e dedicandosi al suo cellulare.
"E saluta come si deve!" intervenne un altro
ragazzo, castano, schiaffandogli una sberla in testa. "Sii educato.
Ciao,
sono Aiolia."
Mei sorrise.
"Ciao."
E, in quella marea di uomini, Mei intravide anche una
donna.
"Ma guarda… arriva una donna al santuario e nessuno
mi avverte?"
Aiolia le cinse subito le spalle, corredando il gesto con
un bacio sulla guancia.
"Rimediamo subito." disse Mei, facendosi avanti
per prima. "Ciao, sono Mei."
La stretta di mano di Marin era calda, e affettuosa.
"Ciao, Mei. Sono Marin." si presentò.
"Benvenuta."
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 26
gennaio 2015)
Scrivere questo capitolo mi ha richiesto tempo,
soprattutto per cercare alcune informazioni e renderle al meglio, una
volta
buttate giù; in secondo luogo volevo presentare Mei ai gold,
senza farla
apparire la classica tipa che viene accettata da tutti a occhi chiusi,
magari
con gridolini di giubilo.
No, oltre al fatto che l'avrei fatta apparire per la
marysue che non è, non sarebbe stato veritiero. Non si
può risultare simpatici
a tutti, infatti Death non va giù: non è molto
propenso ad accettarla, sia
perché è una donna (eh
sì….Death, qui, è ancora uno dalla
mentalità un filo
maschilista…), sia perché è la sorella
di Shiryu, col quale ha un conto in
sospeso (ricordate, vero, che è intervenuto Mu per salvare
le chiappe di
Shiryu? XD).
Anche dopo la revisione è rimasto piccino…
è un po' un
filler, diciamo, i capitolo lunghi sono i prossimi.
Infine, il titolo, riprende la canzone di Laura Pausini,
"Benvenuto". Ho solo cambiato la lettera finale.
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 9 *** In good company. ***
capitolo 9 prequel revisionato
9.
In
good company.
"Grazie." sorrise Mei, lievemente rincuorata.
"Finché non me l'ha detto Camus, non sapevo ci fossero
donne, qui… credevo
che questo piccolo mondo fosse popolato solo da uomini."
"Siamo pochissime, ma ci siamo e sappiamo farci
valere." disse una seconda ragazza, sbucando da un accesso laterale.
Death si accese una sigaretta, squadrando Shaina che si
avvicinava alla cinese.
"Sono Shaina." si presentò, tendendo la mano a
Mei.
Death non lasciò la presa, anzi.
"Niente donne, dicevi? E invece hai visto? Hai
trovato qualcuno con cui poterti fare le unghie e i capelli!" la derise
ironico, soffiandole in faccia il fumo della sua sigaretta. "Non sei
contenta? Dai, và a prendere il beauty!"
"Death…" iniziò Aphrodite.
"…anzi, che qualcuno le presti phon e
piastra…!"
"Ça suffit."
rispose Camus, scocciato, intervenendo.
"Lo dico io se basta o no, ghiacciolino."
replicò Death, schiacciando il mozzicone sotto il tacco. La
squadrò malevolo,
soffermandosi sugli occhi e sui lineamenti, così simili a
quelli di Shiryu.
"Adesso mi toccherà sorbirmi anche questa palla al piede,
dopo quel
buffone di suo fratello."
"Modera i termini." l'interruppe Mei. "È
di mio fratello che stai parlando!"
Death inarcò un sopracciglio, ridipingendosi il solito
ghigno sulla faccia.
"Oh, lo so benissimo. Sciocca mammoletta da due
soldi che fa lo sbruffone con chiunque si ponga sul suo cammino. Prima
o poi
finirò il lavoro con lui."
Ridusse gli occhi a due fessure.
Chi era quell'uomo, per esprimere giudizi di quel genere
su Shiryu?
Che suo fratello fosse un saccente arrogante incapace di
trattenersi di fronte alle provocazioni era vero. Ma sentire certe cose
da una
persona indegna come lui, beh…
"Tu non vali nemmeno la metà
di quel che vale mio fratello! Non tollero simili paragoni da
un uomo che ha attaccato a quel modo un guerriero di casta
più bassa e che
voleva obbligare un uomo anziano a seguirlo con la forza. Fai male a
sottovalutare Shiryu: prima o poi sarà lui
a finire il lavoro con te."
Non resistette.
La guardò un attimo come se le fossero appena spuntate le
antenne e le scoppiò a ridere in faccia.
"Lui… cosa?" disse, tra una risata e l'altra.
"Lui…
che cosa? Finirà il lavoro?"
"DeathMask…" disse Aphrodite. "Puoi anche
chiudere il becco e troncarla qui. "
Lo ignorò, facendosi più vicino a Mei e
avvicinando il
volto al suo.
Milo prese Camus per un braccio.
"Cam… non per essere polemici, ma… okay, Mei
è cazzuta, è
simpatica e beh, comincio ad
apprezzarla proprio per questo, ma forse
sta provocando un po’ troppo Death, ti pare?"
sussurrò Milo.
"Mei sa il fatto suo."
"Immagino. Ma ti ricordo che alla quarta casa ci
sono anche teste di donne e bambini: Death è imprevedibile e
non si fa problemi
a ucciderne un'altra."
"Quando tuo fratello passerà per le mie mani… e
vedrai, succederà…
te lo restituirò
in una tabacchiera." le sibilò, chiudendo con uno scatto il
pugno che
aveva sollevato a mezz'aria, per rimarcare il concetto. "Ammesso che
rimanga qualcosa di lui."
"Allora buona fortuna: te ne servirà
parecchia." ribatté Mei, colpo su colpo. "Sei solo un povero
vigliacco che parla e basta."
Death rivolse il suo sguardo rosso contro Camus.
"La tua picciotta comincia a starmi simpaticamente
sulle palle."
"Smettila di fare lo stronzo, allora."
interloquì Milo.
Le puntò contro l'indice, minaccioso.
"Quando avrò finito con tuo fratello, passerò a
te." le sibilò, in italiano. "Capirai per quale motivo mi
chiamano DeathMask. Mi implorerai
di
ucciderti."
"Credi che sia una donnetta isterica? Mi dispiace,
ma non imploro nessuno."
"Basta." tuonò Aphrodite, vero DeathMask.
"Stai esagerando."
"Me ne fotto." berciò DeathMask.
Aldebaran passò tra i due, in mano una teglia fumante.
"Largo, fate largo." disse, colpendo
volontariamente Death a una spalla. "Permesso!! Non litigate prima di
mangiare, o la bile vi farà perdere l'appetito."
"Ne dubito." rispose Mei. "Io sono
tranquillissima."
Kiki uscì di corsa dalla prima casa, correndo verso lo
spiazzo della seconda casa dov'era imbandita la cena.
"Si mangiaaa!" esclamò, afferrando un grissino
dal cesto sul tavolo e intingendolo nella salsa della teglia.
"Kiki!" lo riprese Mu, subito. "Non si
fa!!"
"Ma io ho fame!"
Mu si puntò le mani sui fianchi.
"Che maleducato! Mi domando chi cavolo ti ha
insegnato a fare così."
"Tu, fratellone."
Alde gli scompigliò i capelli, sorridendo e lisciando la
tovaglia.
"Dì un po’, Mei, mica sei a dieta?"
"Assolutamente no." rispose, adocchiando la
teglia. "Che cosa sono? Il profumo promette bene."
Alde sorrise, gonfiando il petto, orgoglioso.
"Avocados
ripieni." rispose. "Una volta ogni due settimane organizziamo
queste cene….la volta scorsa è toccata alla
cucina svedese. Stasera menù
brasiliano: avocados ripieni, peixada e passoca di banane e frutta
esotica."
"E cucini tu?"
"Quasi sempre io. La maggior parte di loro, nemmeno
sa cos'è una cucina." scherzò, alzando la voce.
"Tra l'altro, menù pensato apposta per voi due
piccioncini." intervenne Milo, circondando le spalle di Mei,
indicandole
le varie teglie. "Negli avocados ci sono le cipolle, e nella zuppa di
pesce c'è l'aglio."
"Si chiama Peixada, non è una zuppa di pesce."
protestò Alde.
"Fa' lo stesso." minimizzò Milo.
"No che non fa lo stesso!!"
Camus venne in soccorso di Mei, prendendosela da parte.
"Questo Santuario è una manica di pazzi." le
disse, ridacchiando appena. "Manca qualcuno all'appello, ma siamo tutti
qui."
"Chi manca?"
"Ovviamente Dohko che è rimasto in Cina, il Saint
dei Gemelli che è latente da anni, Aiolos che non
c'è più, e Shaka che è un
ritardatario cronico, e che non scenderà finché
non avrà concluso la sua
sessione di meditazione."
Dalla seconda casa la vista e la prospettiva su Atene
erano diverse rispetto alla sua, ma era ugualmente spettacolare.
"Il sole è già tramontato, purtroppo, e
c'è già il
chiasso luminoso dei lampioni e delle insegne al neon…
domani, lo prometto, ci
godremo il tramonto dal balcone di casa." le disse, abbracciandola,
circondandole la vita.
Annuì appena, perdendosi a guardare l'Egeo che lambiva
Atene e il Pireo, il suo porto. Pur essendo tramontato, il sole creava
ancora
qualche fantastico gioco di luci, nel cielo arancio e violaceo, solcato
da
qualche nube qua e là.
"Sei stanca?"
Annuì ancora, sbadigliando, stavolta.
"Chiedo scusa. Non sono abituata a viaggiare tanto,
e questo cambio di fuso orario mi ha sballata un po’."
Per abitudine Mei
sedeva di lato, lasciando i due posti capotavola al Maestro Dohko e a
Shiryu,
in quanto uomini di casa; si accomodò quindi accanto a
Marin, indecisa se
sedersi accanto a Camus, o no: non erano soli e dato l'ambiente
piuttosto
maschilista, voleva evitare gaffes o brutte figure, e non aveva
intenzione di
inimicarsi qualcun altro.
Fu Camus a
venirle incontro sedendosi accanto a lei e facendo sedere qualcun altro
al suo
solito posto.
"Perché ti sei seduta qui?"
Scrollò le spalle.
"Non cambiare abitudini per me. Siediti dove sei
abituato, io mi troverò bene qui."
"Allora…"
Milo tentò di avviare una conversazione. "Che te ne pare? Ti
piace la
Grecia, Mei?"
"Non ho
ancora visto molto, però mi piace." rispose Mei.
"Si può
sempre ovviare a questa mancanza, portandoti in giro a scoprire questa
bella
città." disse Marin.
Death unì le mani
e in falsetto imitò Mei.
O quanto meno, tentò
di farlo, non riuscendone a imitare l'accento cinese.
"Che bello, così andiamo a fare shopping!"
"Come al solito qui manca la buona creanza, non mi
stupisco affatto."
Mei si voltò verso il ragazzo biondo che era appena
arrivato. Il ritardatario cui si riferiva Camus, senza dubbio.
Indossava una lunga tunica di foggia orientale, e sulla
fronte, semi-nascosto tra i capelli biondi, un tilak rosso.
"Shaka della Vergine." sussurrò Camus.
"Oh, il nostro Buddha si è degnato di accordarci il
piacere della sua presenza. Quale onore." commentò Death,
non ottenendo
nessuna risposta da Shaka, che l'oltrepassò senza fare una
piega.
"Parla di meno e pensa a non strozzarti mentre
mangi." commentò invece Mu.
Durante quella cena dove i ragazzi liberi dalle costrizioni
dei loro ruoli -perché Ares era assente-, potevano essere
ragazzi normali come
tutti, si creò un clima conviviale che a Mei piacque molto.
In Cina era raro
poter trascorrere una sera così, non capitava quasi mai. Di
solito, Dohko e
Shiryu arrivavano quando la cena era già pronta, e dopo
averla consumata,
andavano a dormire, o guardavano la tv.
Lì invece era tutto diverso.
Scoprì che Aldebaran era un omone grande, grosso e
simpatico, che cercava di mettere chiunque a proprio agio;
scoprì che Aiolia
era il fratello minore del compianto Saint del Sagittario, e che era
una
persona molto alla mano, oltre che innamoratissimo di Marin
-praticamente, non
aveva occhi che per lei- e scoprì che Shaka non era cieco
come aveva pensato
all'inizio, ma teneva chiusi gli occhi per potenziare il cosmo.
"Non sono
cieco." le aveva detto, indovinando i suoi pensieri. "Li tengo chiusi per strategia."
Shura forse era uno dei pochi che stava zitto sulle sue,
mentre Death aveva l'abitudine di parlare anche troppo.
"….chissà come si sentiranno soli, in Cina, il
povero lucertolone e il vecchio incartapecorito." riprese Death,
durante
il dolce. "Non ti senti in colpa, per loro?"
"No. Perché non sono soli."
"Ah, giusto! Giusto, l'avevo dimenticato. Il
lucertolone ha la fidanzatina." sghignazzò DeathMask. "Una
bella
rottura di palle, altroché!"
"Rottura di scatole o meno, Death, lui ha una
compagnia più piacevole di una collezione di giornaletti
porno sotto il
materasso." ribatté Milo, scoccandogli un'occhiata
sarcastica. "A
proposito, come va la tua tendinite? Dev'essere dura non poter usare la
mano
destra per un po'."
Mei posò il bicchiere, sogghignando appena, in sua
direzione.
Bastarono quelle
parole a zittire Death, almeno per il resto della cena.
***
Lady Aquaria's corner:
[Capitolo revisionato in data 20
febbraio 2015]
I ringraziamenti, come sempre d'obbligo, a chi
legge/recensisce/segue, grazie ^^.
Detto ciò, le varie traduzioni/spiegazioni:
Stavolta il titolo non riprende nessuna canzone, e il
capitolo è ristretto esattamente com'era in origine ^^' :)
-Ça suffit: basta!
-Avocados ripieni, Peixada e Passoca di banane e frutta
esotica: si tratta di piatti tipici brasiliani: il primo è
un antipasto a base
di avocado, cucinato con pollo, spezie….e cose varie; la
seconda è un piatto a
base di pesce, aglio e pomodori; la terza è un dolce con
purea di banane e
frutta tropicale.
Alla prossima,
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 10 *** It's a beautiful day. ***
capitolo 10 prequel rivisto
10.
It's a beautiful day.
It's a beautiful
day
The sun is
shining
I feel good
And no one's
gonna to stop me
now,
oh yeah
It's a beautiful
day
I feel good, I
feel right
And no one, no
one's gonna
stop me now
[Queen
– It's a beautiful day]
Dopo l'ennesimo sbadiglio di Mei, Camus riuscì a
sganciarsi dal resto del gruppo per andare a dormire
-giacché di dormire si
sarebbe trattato-: Mei era distrutta.
"Kali̱nýchta!"
[buonanotte!] augurò loro Milo, corredando il saluto con
un'occhiata sorniona e
allusiva.
"Ci sarà tempo per quello, Mei stasera è
stanchissima." rispose Camus, imbarazzato.
"Stasera. Ma domattina…" s'aggiunse Shura.
"Non pensate davvero a nient'altro, voi due? Siete
impossibili!"
A Pechino a quell'ora stava albeggiando e contando il
fuso orario, praticamente Mei aveva completato due giri d'orologio
senza
toccare il letto: era certo che, una volta in casa, le sarebbe bastato
sfiorare
il letto per addormentarsi.
Infatti,
sorrise Camus.
Nemmeno il tempo d'infilarsi il pigiama, si era
addormentata.
La raggiunse qualche minuto più tardi dopo aver sistemato
un paio di cose in casa.
A differenza sua però, non riuscì ad
addormentarsi
subito; chissà perché, con circa sedici ore al
giorno in cui poter pensare
tranquillamente, il suo cervello decideva di pensare
la sera, prima di addormentarsi. E non si trattava di
pensieri leggeri, ma veri e propri dubbi esistenziali.
Uno su tutti… aveva fatto bene a coinvolgerla
così, con
lui, con il suo mondo?
Non sapeva quanto sarebbe durato, l'ambiente in cui
viveva non gli dava particolari chances di pensare al futuro, come
Saint di
Athena doveva vivere giorno per giorno, poiché il domani era
alquanto incerto
per lui e i compagni.
La guerra tanto paventata sarebbe potuta scoppiare da un
momento all'altro, magari il Grande Sacerdote era andato allo Star Hill
per
avere delucidazioni proprio su quell'evento. O magari sarebbe potuto
succedere
qualunque cosa nel frattempo.
Forse, entrambi erano stati troppo precipitosi: pur
essendo felice di averla al proprio fianco, non poteva non pensare a
certi
eventi e certe conseguenze.
Scivolò in un sonno senza sogni quasi senza accorgersene.
*
Mei riaprì gli occhi a fatica, corrugando la fronte: addosso
avvertiva le tracce di una stanchezza piuttosto insolita, come se
avesse fatto
le ore piccole e avesse dormito poco e male.
Si stupì dell'insolita tranquillità della propria
stanza:
la cascata pareva essersi zittita di colpo, come quando, diversi anni
prima, una
frana a monte ne aveva deviato l'afflusso ed era rimasta a secco per
quasi due
mesi.
Ma soprattutto… perchè
Shiryu ancora non l'aveva chiamata per avere la colazione? Strano. Di
solito se
non trovava tutto già bell'e pronto sul tavolo prima di
allenarsi, s'arrabbiava
e iniziava a borbottare come una pentola d'acqua in ebollizione.
Alziamoci, vecchia
mia.
Si stiracchiò, stirando le gambe e spalancando le braccia
di scatto accorgendosi tardi dell'orologio appeso al muro: le undici?!
"Aïe! "
Oh cavolo. Aprì
gli occhi, completamente sveglia, voltandosi di scatto verso sinistra.
"Bonjour!
" disse Camus, massaggiandosi il naso dolorante.
Oh, ora si ricordava tutto.
La notte prima, ciò che era successo dietro la cascata,
la proposta di Camus e il viaggio in Grecia, la cena e infine la
stanchezza. Si
ricordava a malapena di essersi infilata a letto, ma non si ricordava
affatto
di Camus che si coricava.
"Ti muovi sempre così tanto la mattina?"
Si muoveva tanto giacché dormiva da
sola.
"Buongiorno" rispose, a bassa voce "è
tardissimo, perché non mi hai svegliata prima?"
"Non ho sentito la sveglia." ammise Camus,
facendo strane smorfie.
"…ti ho fatto male?"
Le sorrise, negando con un cenno della testa.
"Hai ancora sonno." le disse, guardandola
divertito mentre tentava con ogni mezzo di tenere gli occhi aperti per
più di
tre secondi di fila. "Perché non rimani ancora qui, mentre
metto su
qualcosa da mettere sotto i denti?"
Si stropicciò gli occhi; perché il cervello non
collaborava? Era sveglia, no? Che gli costava ordinare al resto del
corpo di
alzarsi e iniziare quella nuova giornata?
"Di solito… io preparo la colazione." biascicò,
sbadigliando.
"In Cina, forse. Io però non ti ho invitata qui per
farmi da schiava, per quanto ne so, c'è già
qualcuno, a casa tua, che tratta te
e la tua amica come schiave tuttofare."
"Shunrei non è solo un'amica… diciamo pure che
è mia
cognata."
Povera ragazza,
pensò Camus, guardandosi bene dal dirlo ad alta voce.
"Per la colazione hai qualche preferenza? Di
solito mangi dolce o salato?" domandò invece.
"Dipende da come mi gira appena sveglia." gli
rispose.
Camus si alzò dal letto, offrendole la vista del suo
posteriore.
"E… stamattina come ti gira?" le domandò,
afferrando i pantaloni di un pigiama e infilandoseli. "Mei?"
Si schiarì la voce, sentendosi avvampare appena Camus
la colse in flagrante, persa a guardarlo.
"Abbiamo fatto qualcosa, stanotte?" domandò,
confusa.
"Non che io ricordi." le rispose, divertito.
"Eravamo entrambi troppo stanchi per fare qualunque altra cosa a parte
dormire."
"Ah. Beh… ehm… è che tu…
insomma…"
"Io dormo così."
"Bene."
"Niente che tu non abbia già visto, comunque, no?"
Sì, certo. Di sera, con la scarsa luce offerta da una
torcia elettrica. Dietro quella cascata non aveva visto quel
granché, e trovarselo
di fronte, nudo, faceva il suo
bell'effetto: non era un tipo dalla muscolatura particolarmente marcata
–non
era come quei tipi delle riviste maschili con gli addominali a
blocchetti e i
muscoli obliqui marcati- ma aveva un bel fisico atletico e scattante e
una
bella schiena, decisamente maschile.
Il resto, meglio non commentarlo.
"A-ha. " balbettò Mei, deglutendo.
"Dunque hai deciso?"
"No."
"No a
cosa??"
"N-no, non so come… ehm… mi gira,
fa' tu."
"Okay, allora ti preparerò una delle mie
omelette." decise Camus.
"Stavolta però non bruciarla." commentò lei,
issandosi su un gomito.
"Va bene, questa te la concedo…" le rispose
lui, già in corridoio.
Lo sentì poi fischiettare, in cucina, e decise di
farsi una doccia mentre lui pensava alla colazione.
Scese dal letto guardandosi intorno mentre raccattava il
borsone e cercava ciò che le serviva. Una bella stanza,
tutto sommato in
ordine, illuminata principalmente dalla portafinestra che dava sul
giardino che
si affacciava sull'Acropoli e sulla baia del porto -a Camus era
sì toccata la
casa rotonda, e di conseguenza leggermente più piccola
rispetto alle altre, ma
in compenso godeva di un'ottima vista-, e dall'impronta decisamente
maschile,
semplice e senza troppi fronzoli. Una cassettiera in mogano con gli
oggetti
personali, l'orologio da polso accanto a una clessidra e una foto
incorniciata,
raffigurante due sposini… i suoi genitori probabilmente.
Decise di non curiosare tra le sue cose, e si recò,
infine, in bagno.
Si sentì insolitamente libera.
Poter indugiare qualche minuto in più a letto, potersi
concedere una doccia in santa pace senza nessuno pronto a strillare se
non
trovava le cose come voleva lui; amava suo fratello, era il solo membro
della sua
famiglia rimasto in vita -a parte sua cugina Zhi e sua madre, che si
erano
trasferite a Nanchino per lavoro, dopo la morte di Shen Tao ShuFang,
suo zio-
ma a volte Shiryu era troppo arrogante, troppo impertinente. Sperava
solo che
cambiasse mentre cresceva, in fondo aveva solo quattordici anni, ne
aveva di
strada da fare…
*
Camus, in cucina, aveva caricato la caffettiera e
messo l'infusore con l'Assam nella
teiera, non conoscendo bene i gusti di Mei.
Ciò che gli pareva strano, era che nessuno dei suoi pari
era ancora salito -o sceso- a disturbarlo per poter ficcare il naso nei
suoi
affari, ma soprattutto in quelli di Mei.
Che diamine, era così strano che anche lui avesse una
donna? Era così strano che anche lui provasse dei sentimenti?
Abituato sin da piccolo a non esternarli, era stupito
per l'intensità di quello che aveva provato nelle ultime
ore: al Santuario tutti
dicevano di lui che era algido, un muro di ghiaccio, un
blocco di ghiaccio
vivente, addirittura.
Peccato che nessuno di loro, Milo a parte, lo conoscesse
davvero bene.
Perso nei suoi pensieri, non sentì Mei arrivare in
cucina, né tantomeno la sentì sedersi a tavola.
"Allora, hai deciso? Dolce o salato?" lo
prese di soprassalto. "Non sento odore di bruciato, perciò
l'omelette
dev'essere ancora commestibile."
"Ma che simpaticona." le rispose.
Mei si versò una tazzina di caffè, zuccherandolo
con
calma e corrugando la fronte, sentendosi osservata; rialzò
lo sguardo giusto
per incontrare quello calmo e divertito di Camus.
"….oh… ehm… il caffè era
tuo?"
"No."
Mei rise.
"Oh capito. Adesso che mi vedi bene, alla luce del
sole, hai deciso che non sono poi quel granché…
capelli in disordine, niente
trucco… non sono proprio quel che si può definire
una meraviglia."
"Ma smettila. Pensavo che vestita così, mi viene proprio voglia di saltarti
addosso." scherzò
Camus.
"Era appunto questa la
reazione cui miravo. L'ho fatto apposta,visto?"
"Molto sexy…" disse
Camus. "Con le… mucchine stilizzate…"
Mei seguì il suo
sguardo.
"Non sono mucchine."
obiettò.
"Oh. Non sarai un po'
troppo grande per Hello Kitty?"
"Non è Hello Kitty,
si
chiama Pucca… se ti piace tanto, ne regalo una anche a
te."gli rispose.
"Eh, come no. Poi magari
mi faccio il giro di tutto il Santuario con la suddetta maglietta
indosso."
"Ovviamente, altrimenti
dove sta il divertimento?" replicò lei, sgranocchiando un
paio di
biscotti. "O potrei fare un paio di foto e ricattarti, dopo."
Camus ridacchiò.
"Sogna, sogna… tanto non succederà." disse.
"Allora
c'è qualcosa che vorresti fare per prima cosa, ora che sei
qui?"
A parte non pensare a nulla, vivere libera e mangiare?
"La mia richiesta potrebbe suonare spudorata, alle
tue orecchie."
Camus sorrise.
"Beh, faremo anche quello. Ma fuori è una bella
giornata."
"Allora sì, qualcosa c'è." sorrise lei in
risposta. "Portami al mare."
***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 20
febbraio 2015]
No, non mi sono dimenticata di aggiornare, semplicemente
vado molto molto e ancora molto lenta per tanti motivi, alcuni
più o meno
"leggeri" altri piuttosto "pesanti", che mi riguardano
molto da vicino, e che mi distraggono -al momento non riesco a trovare
altri
termini- dallo scrivere.
-Pucca ed Hello Kitty sono © e ® dei rispettivi
proprietari;
-Aïe! è
l'esclamazione, in francese, corrispondente al nostro: ahia!
-L'Assam, oltre a essere una regione dell'India
nord-orientale, è una varietà di tè
nero dal gusto deciso e maltato e un colore
molto scuro.
Come sempre, detto ciò, ringrazio chi
legge/segue/recensisce. Grazie come sempre, di cuore :)
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 11 *** Pocketful of sunshine. ***
capitolo 11 prequel
11.
Pocketful of sunshine.
Take me away
(take me away)
To better days (to better days)
Take me away (take me away)
A hiding place (a hiding place)
I got a pocket, got a pocketful of sunshine.
I got a love, and I know that it's all mine.
[Natasha Bedingfield – Pocketful of
sunshine]
Al mare.
A quella richiesta, Camus tentennò un secondo di troppo:
a essere sincero non aveva pensato a che cosa fare una volta arrivato
ad Atene
con lei, non aveva programmato nulla, preso com'era stato dagli ultimi
avvenimenti e anche la decisione di prenderla con sé era
giunta così, di
slancio.
"È una richiesta così insolita?"
domandò Mei.
No, insolita no. L'unica spiaggia disponibile in zona era
quella piccola del Santuario dove, per inciso, non ci andava
praticamente mai: non
era un tipo da spiaggia lui, soffriva il caldo e quelle rare volte che
s'era
lasciato convincere dai compagni ad unirsi a loro, era sceso con i
bermuda, le
infradito e la felpa di Alice Cooper -che gli avevano regalato qualche
compleanno prima- trascorrendo la giornata a leggere i grandi classici
della
sua letteratura preferita –quella russa- mentre gli altri
sguazzavano al largo.
"Rilassati, non intendo stare al mare tutto il
giorno a sollazzarmi e prendere il sole. Intendo fare una passeggiata,
prendere
un po’ d'aria fresca. Non esci mai, tu?"
Si legò i capelli con un vecchio elastico, diniegando.
"Non spesso."
"Non spesso…" ripeté Mei. "Sei un…
topo di
biblioteca? Ho visto molti libri in casa…"
Arrossì appena, suo malgrado.
"...già." rispose. "Non mi piace prendere
il sole come fanno gli altri perché non sopporto il caldo.
Preferisco leggere,
soprattutto quelli che gli altri considerano mattoni."
Mei annuì.
"I classici della letteratura russa che tutti più o
meno leggiamo a scuola, o parli anche di opere che non sono lette dai
più?"
"Adesso sto concludendo Sof'ja
Petrovna, un
romanzo degli anni quaranta ambientato
durante le purghe staliniane che l'autrice Lidja Korneevna scrisse
ispirandosi
alla sua vita reale."
"Non ne ho mai sentito parlare." ammise Mei. "Su certe cose sono
ignorante, sono rimasta ai classici Anna Karenina, Delitto e
Castigo… non
conosco i contemporanei. È una storia triste, immagino."
"Molto. Nel
'37 il marito, il fisico Matvej Bronštejn, fu arrestato e
condannato a dieci
anni di reclusione e Lidja non poté scrivergli né
avere sue notizie, scoprendo
solo molti anni dopo che Matvej era stato fucilato subito dopo la
sentenza."
"Oh
no." commentò Mei.
"È un
romanzo che apprezzo molto, Lidja aveva fegato il romanzo fu scritto
durante il
periodo stesso, all'epoca era proibito scrivere e conservare certi
documenti,
pena la vita."
"Anche oggi
scrivere certe cose nel posto sbagliato può costarti la
testa." commentò
Mei. "Spero di non trovarmi mai in quelle condizioni: non sapere come
sta
l'uomo che ami, dov'è, non poter avere sue
notizie… preferirei tante altre
cose, ma non questo."
"Già… ehm…
ti
chiedo scusa se ti sto annoiando… è che a me
piace leggere."
Mei gli sorrise, strofinandogli le spalle.
"Non devi vergognarti se ti piace leggere. Conosco
gente che nemmeno sa cos'è un libro…"
Sì, ne conosceva un paio anche lui, ma non tra i compagni
parigrado, ma tra alcuni Silver Saint che trascorrevano più
tempo nella sala
giochi piuttosto che in una libreria.
I primi giri per la spiaggia li fecero in silenzio,
passeggiando con calma, con la risacca e i gabbiani come unico
sottofondo: nulla
di troppo smielato, nessuna occhiata languida né mani nelle
mani, per quello ci
sarebbe stato tempo.
"Come padrone di casa sono uno sfacelo, chiedo
scusa." disse Camus, d'un tratto.
"E perché? Le uniche conversazioni che sento al Goro-Ho
riguardano arti marziali e sport…" rispose Mei.
"Allenamenti, armature,
karate… ascolto certe conversazioni da tutta la vita,
è bello cambiare un
po'."
*
"Shiryu, benedetto figliolo, perché sei già in
piedi? Hai l'aria di uno che non riesce a trovar pace."
Già in piedi? E quando mai aveva toccato il letto? A
essere del tutto sincero, non aveva proprio chiuso occhio: il resto
della notte
l'aveva trascorso nel salottino, insaccato sulla poltrona accanto alla
finestra.
No, non trovava pace e non era tranquillo, non lo era per niente da
quando era
partita: pensava costantemente a sua sorella, in Grecia.
Non aveva idea quella sciocca, del ginepraio nel quale
s'era cacciata. Non immaginava nemmeno lontanamente che Aquarius,
magari, la
stava prendendo in giro?
Quello non poteva essersi innamorato di lei così, di
punto in bianco, e in sua sorella non cercava certo l'amore…
solo che lei,
sciocca, l'avrebbe capito troppo tardi.
"Non avevo sonno." fu la risposta. "Non
puoi avere sonno quando hai la testa piena di… cose."
Dohko sorrise all'espressione da "uomo vissuto"
che aveva messo su Shiryu.
"E dimmi… ne hai molte?" chiese, divertito.
"Che cosa tiene sveglio un ragazzo della tua età, figliolo?"
"Pensieri, maestro. Troppi pensieri, troppi."
Lo sapeva bene a che cosa stava pensando, naturalmente.
Aveva qualche anno più
di lui, e non
gli era difficile immaginare a che cosa stava pensando l'allievo.
A sua sorella, Mei. Partita –ma non per sempre, sapeva
bene anche questo- per seguire il proprio cuore.
"Pensieri, uhm? Molti dei quali sbagliati, ragazzo
mio. Pensi a tua sorella?"
Richiuse la finestra sbuffando stizzito.
Ad Atene doveva essere mattina da un po’ mentre le prime
luci dell'alba avevano appena rischiarato il cielo del Goro-Ho: sua
sorella se
n'era andata in piena notte, senza avvertire nessuno. Se non l'avesse
scoperta,
non gliel'avrebbe nemmeno detto.
"È dunque sbagliato pensare e preoccuparsi per
Mei?" domandò. "È sbagliato provare dei
sentimenti così forti per la
ragazza che s'è presa cura di te?"
"Oh no." replicò Dohko, sorseggiando il suo tè.
"È giusto preoccuparsi, un uomo deve
proteggere le donne della sua famiglia, ad ogni costo e con ogni mezzo.
È
questo che ci rende uomini degni di questo nome. Ma sbagli a pensare
che Camus
si stia prendendo gioco di tua sorella."
Shiryu sobbalzò, quasi.
"Io non…"
"Oh, è proprio questo che pensi. Sei geloso di tua
sorella. Temi che Camus, ora che è con lei, la illuda, la
usi finché avrà
voglia per poi gettarla via come un gioco vecchio in attesa di un nuovo
passatempo. Sì, forse al Santuario altri potrebbero farlo, e
ne conosco
qualcuno. Ma credimi, sbagli sul suo conto… lo conosco, sai.
È un ragazzo
complicato, introverso, freddo… ma non è arido
come credi, non sarebbe capace
di ferire volontariamente qualcuno. Credo, anzi… sono certo
che sia
sinceramente attratto da Mei."
Shiryu prese a camminare avanti e indietro, pensieroso.
"Sì, so io che cosa l'attrae di Mei. Ma è mia
sorella, e non l'avrà di certo da lei." disse Shiryu,
risoluto. "Che
lo cerchi in qualcun altro."
Dohko scosse la testa, divertito.
"Non per rimproverarti o smontarti, figliolo, ma…
è
già successo."
*
"Da quanto tempo non vedevo il mare."
"Non ne hai abbastanza di vedere e sentire acqua?
Hai una cascata che ti scorre a venti metri dalla finestra, al posto
tuo sarei stanco."
Mei scrollò le spalle.
"Non sono affatto stanca, a lungo andare ci si
abitua e quel suono diventa familiare, quasi rassicurante…
una cascata non è
come il mare." si tolse le scarpe, tenendole per i lacci e affondando
le
dita dei piedi nella sabbia bagnata della battigia. "L'ultima volta ero
piccola e c'erano ancora entrambi i nostri genitori."
"Quanti anni fa?"
"Ehm… circa sei."
"Ti va di parlarne o è un brutto tasto?"
Sospirò.
"Finché non devo spiegare in dettaglio la loro
morte, mi va. Non fu una vacanza lunghissima quella ma fu bella, e la
ricordo
sempre con piacere: noi quattro, un ombrellone e una spiaggia italiana.
Una
rarità, dato il lavoro di mia madre e i costanti allenamenti
di mio padre. L'ultima
vacanza, l'ultimo bel ricordo. Poi mio padre fu selezionato per una
competizione di karate e… non so perché,
diversamente dal solito mia madre decise
di seguirlo, portandoci con loro."
"Non succedeva mai?"
"Molto raramente, perché di solito mia madre era
frequentemente
in giro per teatri. In ogni caso, finirono i loro giorni in fondo a un
dirupo,
precipitando con la loro auto giù da un viadotto poco fuori
Tokyo." rispose
Mei, sedendosi su uno scoglio.
Camus la raggiunse.
"Ne parli come se non fosse successo a te."
"In che senso?"
"Ne parli in maniera molto asettica, come se fosse
successo a qualcun altro."
"Semplicemente perché cerco di non ricordare spesso.
È una ferita ancora
aperta e fa male."
"Cosa state facendo? Lasciateli stare, fatevi gli
affari vostri." disse Mu, scuotendo la testa. Milo li stava fissando da
un
po’, dallo spiazzo della prima casa, commentando talvolta ad
alta voce con
Shura.
"Ma guarda te… nemmeno un bacio, un abbraccio…
Camus,
fa' qualcosa!"
Shura regolò il binocolo.
"Stanno parlando."
"Sì?" Milo gli prese il binocolo tra le mani. "So
io di che cosa stanno parlando. Libri, scommetto. Mattoni russi dei
secoli
passati con protagonisti persone dai nomi impronunciabili…"
"Tsk…" ridacchiò Shura. "Impronunciabili
solo per gli analfabeti, hermano."
"Io analfabeta? E tu chi pensi di essere, Miguel de
Cervantes?" sbottò Milo.
"No, solo uno con più cervello di te." ribatté
Shura.
L'altro picchiettò sulla sua testa.
"Ma davvero? Nemmeno sapevo che ne avessi uno…"
"Comincia a far davvero caldo, vuoi rientrare?"
domandò Mei.
"Se desideri rimanere posso sopportare ancora un
po’, non ho problemi."
"No." Mei scrollò le spalle. "Possiamo
anche venire in spiaggia più tardi quando fa buio e non
c'è sole."
Camus si alzò poco dopo annuendo.
"Okay." annuì. "Prima di pranzo possiamo
andare al mercato di Rodorio, ci sono cose caratteristiche che vorrei
farti
vedere."
"Uh! Si muovono!"
Milo si sporse dal parapetto.
"Si dirigono alla caletta! Bravo Camus, così mi
piaci!" esclamò Milo, strofinandosi le mani.
"Milo, se scivoli e ruzzoli giù non verrò a
raccoglierti."
l'ammonì Mu.
"Mi lasceresti cadere?"
"Eccome."
"…mi lasceresti davvero finire i miei giorni
sfracellato sugli scogli? Ricoperto di sangue con le mosche che mi
girano
intorno?"
Aldebaran storse il naso.
"Ti spiace smetterla? Starei mangiando."
Milo lo liquidò con un gesto della mano.
"E quando mai, tu mangi sempre."rispose,
sbirciando nella scodella di plastica che l'altro reggeva nella mano.
"Cos'è, gyros?"
"Sì."
"Sei stato a Rodorio? Perché non mi hai
aspettato?"
"Falso allarme, Milo. Non la sta portando alla
caletta… la porta al mercato." lo distrasse Shura.
"Al mercato? Ah però. No, Cam così non va affatto
bene, no."
Shura nascose il binocolo.
"Ehm… credo ci abbiano visti."
Camus si accorse dei due compagni che li stavano spiando
e agitò la mano.
"Chi saluti??" domandò Mei.
"Alza lo sguardo e sorridi." le rispose. "Siamo
spiati. Questo Santuario è peggio di un parco di Atene alle
quattro di
pomeriggio quand'è pieno di vecchiette. Troppi pettegoli."
Mei ridacchiò, e Camus le cinse le spalle.
"Andiamo. Forse riusciamo ancora a trovare il
chioschetto con la galaktoboureko e il caffè
frappé. Se ti va, anche il gyros."
"Suona promettente! Andiamo!"
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 5
maggio 2015)
-Sof'ja
Petrovna: vi rimando alla pagina wikipedia omonima.
-Galaktoboureko: dolce tipico greco, composto da pasta
fillo e una crema composta da vaniglia e semolino. È
estremamente calorica, ma
anche estremamente buona.
-Gyros: versione greca del kebab; a differenza di
quest'ultimo, usa carne di maiale.
-Il caffè
frappé è
un'invenzione greca.
I suoi ingredienti di base sono caffè
istantaneo, zucchero e acqua.
La sua scoperta è
stata casuale:
durante la Fiera
Internazionale
di Salonicco nel 1957,
il rappresentante della multinazionale
Nestlé in Grecia Ioannis Dritsas presentò un
nuovo prodotto per bambini, una
bevanda al cioccolato da preparare istantaneamente mescolandolo con il
latte e
agitando con lo shaker.
Dimitrios
Vakondios, impiegato, aveva l'abitudine di bere caffè
istantaneo della Nestlè.
In una pausa durante il congresso, decise di bere del caffè,
ma poiché non
trovò acqua calda, pensò di usare lo shaker per
preparare il caffè con l'acqua
fredda. Mise caffè, zucchero e acqua, lo agitò e
creò il primo caffè frappé della
storia. Dopo anni affermò di non potersi rendere conto che
un semplice
esperimento lo avesse portato alla scoperta della bevanda analcolica
più
celebre della Grecia.
Come sempre grazie a chi legge. Alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 12 *** Un'emozione inaspettata. ***
capitolo 12
12.
Un'emozione
inaspettata.
Mei
s'era addormentata sul
divano dopo aver trascorso l'intera mattina in spiaggia e a passeggio;
non era
stanca, Camus era sicuro ci volesse ben altro perché
lo fosse, probabilmente era colpa del caldo intenso
che permeava Atene e il Santuario anche a maggio e che doveva averla
spossata,
come succedeva a chi non era abituato a quel genere di temperature.
Le
drappeggiò addosso una sua felpa giusto per
non farle prendere troppo freddo –all'interno della sua casa,
causa il proprio
Cosmo, la temperatura era più bassa rispetto all'esterno,
aggirandosi intorno
ai 20°C costanti d'estate e ai 9°C d'inverno- prestando
attenzione a non
svegliarla.
Le
scostò i capelli dal volto, sorridendo
appena, quindi indugiò qualche istante seduto sul bordo del
divano perso nei
suoi pensieri, finché non si alzò per dirigersi
in cucina a piedi nudi.
Nel
corridoio il ritratto a olio di Degél pareva
scrutarlo con sguardo severo, mentre camminava: il pittore che aveva
ritratto
il suo predecessore –così come aveva fatto con gli
altri Gold Saint- lo aveva dipinto
con uno sguardo che pareva seguirlo ovunque, come se Degél
avesse guardato
diritto in un immaginario obiettivo fotografico.
"Già
immagino ciò che state pensando, non
c'è bisogno di guardarmi così."
mormorò tra sé e sé, scuotendo la
testa e
tirando dritto fino alla cucina. Aprì la finestra che dava
sul porto, in
lontananza, e s'affacciò.
Fantastico,
ora parlava anche con i quadri.
Ma
era certo che se quel quadro avesse potuto
l'avrebbe rimproverato sul serio; Degél pareva dirgli che
stava sbagliando, che
i Saint normalmente evitavano di avere una famiglia perché
di solito avevano
vita breve: innamorarsi e costruire un rapporto duraturo, con una
compagna e
dei figli era imprudente, dal momento che si rischiava di lasciarli
presto da
soli. Era il loro destino, semplicemente, e nessuno ancora aveva fatto
eccezione.
E
lui non era certo un uomo normale, non conduceva,
una vita come quella dei mercanti di Rodorio che si
alzavano dai loro
letti la mattina
presto prima dell'alba ed erano
sicuri di tornare la sera tardi dalle loro famiglie e dalle loro mogli,
lui si
alzava la mattina vivendo alla giornata, senza sapere se sarebbe
arrivato al
tramonto.
Detto
ciò, doveva anche ammettere che al
Santuario non esistevano leggi che impedissero loro di crearsene una,
erano
liberi di fare ciò che desideravano.
"À
votre avis, Degél, est-ce que je fais une bêtise?"domandò
a bassa voce, come se Degél potesse
davvero ascoltarlo e rispondergli. [Secondo
voi, Degél, sto commettendo un'errore?]
Si
diede mentalmente dello stupido, scuotendo la
testa e pensando a cosa preparare da mangiare: a differenza di qualche
suo
collega –come Shaka- lui non disponeva di attendenti o
ancelle per propria
scelta personale, preferendo fare tutto da sé essendo
così abituato fin
dall'età di dieci anni.
Avrebbe
preparato qualcosa di russo –di
francese, a parte origini e nome non gli era rimasto
granché-, sicuro che Mei
avrebbe apprezzato: la soljanka, un
piatto che aveva spesso mangiato da piccolo e che sapeva
cucinare…cucinare…una
parola piuttosto grossa, tuttavia
rispetto a Milo che andava avanti con i cibi precotti e surgelati,
poteva
benissimo considerarsi cuoco.
*
Mu
levò lo sguardo dallo Star Hill,
l'espressione interrogativa in volto mentre tornava alle solite
occupazioni
che sbrigava al Santuario, ove
era tornato una
settimana prima.
Era
strano, pensò, il Sacerdote non si recava
mai così spesso nel luogo in cui cercava risposte dalle
stelle; era un evento
piuttosto raro, di norma non si muoveva dal tredicesimo tempio ed
invece in
quel periodo trascorreva interi giorni sul picco –come in
quel momento-.
Non
che gl'importasse granché di ciò che
combinava il Grande Sacerdote, non nutriva particolare stima o fiducia
nei suoi
confronti, sentiva che qualcosa in lui non andava per il verso giusto,
ma erano
opinioni che doveva tenere per sé: c'erano troppe spie al
Santuario,
soprattutto sgherri di Gigars, che, pur mantenendosi lontani dalle
dodici case
e dai loro abitanti, gravitavano un po’ troppo intorno alle
loro esistenze.
Avrebbe
preferito mille volte tornare in Jamir,
dove le uniche sue compagne erano le montagne e un silenzio assoluto.
Kiki
ritornò dalle sue scorribande nei dintorni,
ridacchiando allegro.
Beh…
quasi
assoluto, si corresse.
"Chi hai fatto impazzire oggi?" gli
domandò. Se aveva di nuovo disturbato Shaka in meditazione,
presto avrebbe di
nuovo ricevuto la visita del Saint, seccato e indignato per l'irruenza
del
ragazzino. "Non sei andato ancora alla sesta casa, vero?"
"No.
La sua ancella non mi ha fatto
entrare." rispose Kiki, dispiaciuto.
"Grazie
ad Athena." sospirò Mu.
"Allora che hai combinato fin'ora?"
Kiki
posò il pallone che aveva sottobraccio,
quindi si sedette a gambe incrociate sul muretto più vicino
a Mu, guardandolo
com'era solito fare quando il Saint trafficava con le
armature.
"Non
sai cos'ha sentito Milo,
stanotte!" esclamò il ragazzino, con un tono che gli
ricordò le vecchine
di Rodorio radunate nella piazza principale intente a scambiarsi le
ultime
novità.
Sperò
vivamente non si trattasse di Camus e la
sua compagna -pettegolezzo del periodo, a quanto pareva, molto
apprezzato da
ancelle poco discrete e piuttosto invidiose della straniera che aveva
preso al lazo uno dei Dodici-,
perché, pur con tutto il rispetto che Camus e Mei
meritavano, era stufo di
sentirne parlare, soprattutto nei modi più variegati
possibili.
"Posso
immaginare." replicò,
allungando una mano. "Mi passi lo scalpello, per favore?"
Di
storielle ne aveva sentite anche troppe: a
sentire le ancelle, la giovane cinese era arrivata in Grecia in stato interessante, e il Saint s'era
assunto le responsabilità del figlio o, secondo il racconto
più interessante e
fantasioso che aveva sentito, Camus l'aveva comprata
dalla sua famiglia per farne una schiava.
Nessuno
andava a pensare che forse quei due
provavano qualcosa nei confronti l'uno dell'altra, figurarsi; magari
non era
proprio amore, ma ci voleva parecchia distorta fantasia per concepire
certe assurdità.
Sospirò:
in ogni caso, ciò che facevano non avrebbe
dovuto interessare a nessuno, men che meno a Kiki e gli altri Gold
Saints,
tuttavia rispose calmo come suo solito.
"Cosa?"
domandò infine, quando si
accorse che Kiki non avrebbe mollato l'osso facilmente.
"Qualcuno
ha picchiato Gigars."
Inarcò
il sopracciglio, rialzandosi.
Evidentemente il Primo Ministro di Ares era scomodo a molte persone,
dato il
suo comportamento dispotico. Da una parte, se era davvero stato
malmenato, quell'idiota
aveva trovato pane per i suoi denti, imbattendosi in qualcuno con
abbastanza
fegato da tenergli testa e addirittura aggredirlo, dall'altra il
Santuario, per
colpa sua, avrebbe perso dei validi soldati di guardia
–perché era sicuramente
stato compiuto da soldati semplici che conoscevano ancora poco le
regole del
Santuario- che sarebbero stati giustiziati per il loro comportamento.
"Accidenti."
commentò, senza
particolare intonazione.
"Accidenti
sì." interloquì Aldebaran,
incrociando le braccia sul petto.
"E
tu da dove sbuchi??" esclamò Kiki,
sobbalzando quando se lo trovò a pochi centimetri da
sé, seduto sullo stesso
muretto, a gambe incrociate.
"Ciao, pulce." ridacchiò Aldebaran.
Mu
piegò le labbra in un sorriso
accennato.
"Kiki,
ritireresti gli strumenti al posto
mio?" domandò, in un muto invito a lasciarli da soli.
Il
fratellino, che era esuberante ma non
stupido, afferrò subito il significato delle parole,
scendendo e sbuffando.
"Sì,
me ne vado."
"Si
sa di chi è la colpa?" domandò
soltanto, mentre Kiki rientrava in casa.
"Uno
sparuto gruppo di nuove leve durante
la visita di Gigars nella caserma dei soldati. L'hanno tramortito in
due con un
colpo alla testa e da due son diventati sei, quindi dieci."
spiegò Aldebaran,
conciso. "Puoi ben immaginare com'è proseguita
la cosa."
Mu
s'avvicinò all'amico.
"A
me non dispiace." ammise.
"Gigars è uno sbruffone che fa il gradasso con i deboli e il
debole con i
gradassi. Senza Ares non sarebbe nessuno."
Aldebaran
annuì.
"Non
dispiace neanche a me, peccato che
quei dieci non solo non hanno risolto la situazione, ma perderanno pure
la
vita." rispose. "Il Silver Saint di Lizard li giustizierà
domani sera
al tramonto."
Mu
stavolta storse la bocca. Misty di Lizard non
godeva di una buona reputazione, anzi, si diceva che fosse un sadico
che prima
di giustiziare le sue vittime facesse passar loro le pene dell'inferno.
"Che
Buddha sia clemente con loro."
commentò, infine. "In fondo erano giovani e Gigars
è un tiranno alimentato
dalle manie di grandezza del Sacerdote. Dimmi solo che non saremo
costretti ad
assistere."
L'altro
scosse la testa.
"Non
credo, no. Penso piuttosto che Gigars
voglia in tutti i modi evitare che la voce si sparga in giro: sai, meno
persone
sanno che cosa gli è successo, meglio è per il
suo ego."rispose. "E
poi come ha suggerito Shaka, abbiamo
ospiti al Santuario e
il Sacerdote
pare non gradire pubblicità negativa."
"Ma davvero?"
La
notizia dell'agguato a Gigars, a dispetto di
quest'ultimo, aveva fatto il giro del Santuario passando di sussurro in
sussurro e arricchendosi man mano di particolari più o meno
veri.
Milo
preferì evitare l'argomento con Camus. Conoscendolo
si sarebbe preoccupato ed era l'ultima cosa che desiderava per l'amico.
Dopo
Joséphine e Alexandre era ben difficile vederlo rilassato e per una
volta in
cui appariva felice, non voleva avvelenargli quei giorni con quella
storia.
Anzi.
Visto che Camus pareva possedere il dono
di comprendere il suo stato d'animo anche senza parlare, si dipinse un
bel
sorriso sulle labbra e salutò sia lui che Mei di ritorno dal
mercato di
Rodorio, a giudicare dalle borse che la ragazza teneva sottobraccio.
"Finalmente
cacci il naso fuori dalla ghiacciaia
anche per scendere al mercato
e non solo per visitare la biblioteca. Oh guarda… dopo anni
riesco a vederti
addosso anche un colore che non sia il bianco mozzarella." aggiunse,
guardando le spalle di Camus scottate dal sole.
"Sì,
sono passato al rosso gambero."
rispose Camus, pronto a regalargli un pugno al minimo accenno di
amichevoli
pacche sulle spalle screpolate ma, contro ogni aspettativa, Milo non
accennò ad
alcuno scherzo: sorrise a Mei cingendole la vita in un abbraccio e
rubando una
mela dal sacchetto di carta che teneva sottobraccio.
"Giretto
per Rodorio? E a parte le
mele, cos'altro le hai fatto apprezzare? L'hai portata dal panettiere?"
volle sapere Milo.
"Sì
e una volta basta e avanza."
interloquì Camus, prima che Mei potesse
rispondere.
"Perché?
Non ti piace la focaccia
alle olive, Mei?"
"No, è che a me non piacciono le occhiate del
garzone sul suo posteriore." aggiunse Camus, fulminando
con lo sguardo la mano di Milo sul fianco della ragazza.
"Ahah,
sei geloso." ridacchiò
Milo, in greco.
L'amico si schiarì la voce, arrossendo.
"Smettila."
"Bè, in fondo hai ragione a esserlo." aggiunse
Milo, gustandosi la mela. "Uhm…che
varietà
sono? Fuji? Renette?"
"Secondo
te a Rodorio sanno quali sono le
mele Fuji?" obiettò Camus, guardando l'orologio.
"Era
per fare due chiacchiere. Le ho
mangiate in Giappone e mi erano piaciute molto…
Mei,
sei mai stata in Giappone?" continuò Milo.
Mei
si schiarì la voce.
"Ehm…
sì,
una volta …"
rispose, vaga.
"E
non ne vuole parlare." aggiunse
Camus, ricordandosi dei suoi genitori e del viadotto fuori Tokyo, che
aveva
fatto sviluppare a Mei una sorta di repulsione verso quel Paese.
"…sono
un'idiota, scusami. Bè…ci vediamo
più tardi eh!" salutò Milo.
Un
comportamento strano per Milo, che di solito
non era così… serio.
Il solito Milo
avrebbe approfittato della situazione per regalargli un paio di
schiaffi a mano
aperta sulle spalle ustionate ridendo come un cretino subito dopo e
invece
pareva aver abbandonato l'aria gioviale del tutto inspiegabilmente,
preoccupato
per qualcosa.
Corrugò
la fronte, chiedendogli silenziosamente
che cos'avesse e Milo scosse la testa, come a rassicurarlo.
"Tu
non me la conti giusta." disse,
assottigliando lo sguardo.
"…che?"
fece Milo.
Camus
incrociò le braccia sul petto.
"Milo,
on va en parler."
gli
disse Camus. "E sai che sono serio." [Milo,
dobbiamo parlare.]
"Mei, ti do' un consiglio su come maneggiare questo
ghiacciaio artico che è il tuo moroso. Se inizia a parlare
russo o francese,
stagli alla larga, perché diventa seriamente pericoloso. Per
il resto, è un
mostro di bontà." disse
Milo rubando una
seconda mela dal sacchetto facendo ridacchiare Mei.
"Tranquillo.
Camus è
l'ultima persona della quale potrei avere paura."
"Non
saprei, sai?
Prova ad averlo di fronte quando è al limite della sua
pazienza, poi ne
riparleremo."
"Non
tergiversare." lo ammonì Camus. "Passerò
più tardi."
Inutile.
Non poteva
tenergli nascosto proprio niente.
"Oui,
mon capitain." ridacchiò, facendo un saluto
militare a Camus e scoccando
un occhiolino a Mei prima di rientrare in casa. "…oh che
diavolo…?!"
Uno
dei soldati di Gigars, in sua impaziente
attesa fuori dall'ingresso laterale dell'ottava casa.
"Ares
richiede la presenza del Saint di
Scorpio con urgenza." l'avvisò, pronto a scortarlo al
tredicesimo tempio.
"Tutto
okay?" domandò Mei, guardando
Camus mentre rientravano. Di colpo s'era fatto pensieroso, dopo una
mattina
trascorsa al mercato a passeggiare tra le bancarelle e ridere, come una
coppia
qualunque.
"M-mh."
rispose Camus sfilandosi la
canotta per infilarsi una maglietta.
Milo
gli teneva nascosto qualcosa. Ma cosa?
"Forse
avresti dovuto indossare la
maglietta prima di scottarti." ridacchiò Mei.
Annuì,
soprapensiero, sfiorandosi le spalle
arrossate e posando la maglietta su una sedia.
"Sì,
forse."
Mei
si sedette sul tavolo, gli prese le mani e
l'attirò verso di sé.
"È
stata una bella giornata… grazie."
Le
sorrise, chinandosi per darle un bacio. Lo
ringraziava ogni volta per cose così semplici.
In che razza di modo la trattava Shiryu, se una semplice visita al
mercato le
faceva quell'effetto?
"Dovresti
mettere qualcosa sulle spalle…
vediamo… se sono avanzate un paio di patate da ieri sera,
potrei schiacciarle e
farti un impacco…"
Camus ridacchiò.
"E
poi che farai, mi
metterai in forno?" scherzò.
*
Fermo
in attesa davanti ad
Ares, Milo non comprendeva il motivo di quella convocazione. Doveva
riguardare
la faccenda di Gigars, poco ma sicuro: aveva forse cambiato idea
riguardo i
soldati e stava per chiedergli di sostituire Misty per l'esecuzione?
L'uomo
si schiarì la voce e si alzò dallo
scranno.
"Se
ti stai chiedendo perché ti ho
convocato, Scorpio, ti accontento subito." disse, d'un tratto.
"Vi
ascolto."
Il
Sacerdote parve scegliere con cura le parole
da usare; prendendosi tutto il tempo del mondo, allungò la
coppa a un'ancella
poco distante affinché la riempisse di vino, quindi la
congedò.
"Tu
e Aquarius vi conoscete da parecchio
tempo…"
Una
vita, praticamente: si sostenevano a vicenda
da quando entrambi erano arrivati al Santuario, più di dieci
anni prima.
"Sì?"
rispose cautamente, cercando di
capire dove volesse parare il Sacerdote.
"Perciò
dovresti conoscerlo bene."
Decise
di rimanere sul vago.
"Abbastanza."
"Abbastanza?
Stai cercando di prenderti gioco di me?" lo riprese Ares, contrariato.
"Siete l'uno l'ombra dell'altro da quando eravate due poppanti e mi
rispondi che lo conosci solo abbastanza?"
Non
ottenne replica.
"Va
bene, sorvoliamo
su questa sciocchezza, ho cose più importanti da chiederti."
disse,
liquidando l'incidente con un gesto della mano. "In quanto suo amico
dovresti
conoscere anche le persone che frequenta, dico bene?"
"In
un certo senso."
Il Sacerdote sogghignò,
dietro la maschera.
"Bene,
lo prendo per un sì. Dunque sai
dirmi chi è quella ragazza."
Milo
corrugò la fronte. Che cosa voleva Ares da
Mei?
"Scorpio,
ho fatto una domanda ed esigo una
risposta." sibilò Ares, calmo.
"Si
chiama Mei-Yin, ed è la compagna
di Camus."
Dietro
la maschera blu, Saga socchiuse gli occhi:
aveva avvertito una
strana sensazione la
prima volta che l'aveva vista –dallo Star Hill- e continuava
ad avvertirla ogni
volta che posava lo sguardo sulla giovane. C'era qualcosa che non
riusciva a
spiegarsi.
"La
compagna di Aquarius." ripeté. "Dunque le voci
erano vere, anche
se i termini utilizzati erano molto meno gentili di questo."
Chiacchiere
di ancelle
invidiose che si ritenevano alquanto seccate dal fatto che una
straniera,
arrivata da poco, avesse catturato l'attenzione di un Gold Saint.
"Parlami
di
lei."
A
dire il vero di lei sapeva quel poco che aveva
scoperto e quel poco che Camus gli aveva detto: una ragazza tutto
sommato
carina, simpatica e alla mano, non altezzosa come suo fratello.
"Non
l'ho frequentata spesso, di lei so
poco dato che è una ragazza riservata." rispose, stringato.
Ares
tornò a sedersi
sullo scranno, pensieroso.
"Ah
sì? Riservata e discreta."
Tutto
ciò non gli piaceva granché poteva anche
trattarsi di una spia al servizio di qualcuno esterno al Santuario che
voleva
fargli la pelle: secondo quanto riferito da DeathMask, la giovane era
stata
addestrata alle arti marziali da Dohko in persona, che indubbiamente in
tale
frangente era uno dei migliori insegnanti al mondo; pur non avendo
sviluppato
il proprio Cosmo, la ragazza poteva essere in grado di uccidere
qualcuno grazie
alle tecniche apprese.
"Portala
qui." decise infine. "La
voglio conoscere."
***
Lady Aquaria's corner.
[Capitolo revisionato
in data 5 maggio 2015]
-Gigars compare solo per qualche breve momento in circa
cinque, sei episodi dell'anime, ma è totalmente assente nel
manga così come diversi
altri personaggi. Tuttavia mi serviva, ergo, eccolo. Non
interferirà ancora
molto, se vi ricordate, fa una brutta fine, prima che arrivi Phaeton.
-La casa di Camus è piuttosto fredda ed è
così che l'ho
sempre immaginata -come si può anche dedurre dagli episodi
dedicati allo
scontro con Hyoga, dove la casa dell'acquario è permeata da
una sorta di
nebbiolina-, insomma, è fredda a causa dell'emanazione del
suo Cosmo.
-Il ritratto di Degél. Secondo mia personale visione
(avuta in seguito a una meravigliosa fanart trovata su Tumblr) i Saint
hanno,
nelle loro Case, qualcosa che ricordi loro chi erano i loro
predecessori, in
tal caso un ritratto al quale il giovane Camus si rivolge come se si
rivolgesse
a un vecchio amico.
-La Soljanka è un piatto russo, cucinato in maniera
differente -carne, verdure o pesce- ed è una specie di zuppa.
-La Fuji è una varietà di mela creata in Giappone
negli
anni trenta, ecco spiegato il perché Milo le ha mangiate in
Giappone. A quanto
pare, sono piuttosto consumate, nel Sol Levante.
-Le patate e l'impacco... l'amido contenuto nelle patate
costituisce un ottimo rimedio contro le scottature e gli eritemi solari
(ovviamente, quelli leggeri...) e si possono applicare crude, a fette,
oppure
schiacciate e applicate con una benda.
-La canzone del titolo è di Raf.
Alla prossima.
Lady Aquaria.
|
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Capitolo 13 *** Under Pressure. ***
capitolo 12
13.
Under
pressure.
Milo rimase di stucco alla richiesta del Grande
Sacerdote, tuttavia non mostrò alcuna emozione limitandosi
ad annuire.
"Se Vostra Grazia me lo concede, potrei conoscere il
motivo di questa… richiesta?"
domandò con indifferenza: non doveva mostrarsi troppo
interessato di fronte ad
Ares, quest'ultimo poteva anche insospettirsi e tacere, impedendogli
così di
avvertire Camus.
Saga attese qualche minuto prima di rispondere, guardando
Milo da dietro la maschera e cercando inutilmente di decifrare il suo
sguardo.
"Non hai mai avanzato questioni su nessuna missione
che ti ho affidato in passato, non hai mai mostrato certe
curiosità. Cos'è
cambiato, Scorpio?" domandò Ares. "Perché,
così improvvisamente,
desideri conoscere le motivazioni che ci sono dietro una mia richiesta?"
Perché c'erano missioni e missioni, perché se si
trattava
di punire estranei e traditori in nome del Santuario non batteva
ciglio, era il
suo dovere ed era stato addestrato per questo, ma per certe questioni,
soprattutto quelle che riguardavano persone con le quali aveva certi
legami, la
faccenda gli importava eccome.
Conosceva Camus da troppo tempo per poter agire contro di
lui in un qualche modo.
"Non è cambiato nulla. Avanzo questioni solo se devo
agire sulle persone che mi sono vicine."
Ares annuì.
"La tua lealtà nei confronti di Camus è
ammirevole,
davvero. Se non fossi un mio Gold Saint, a quest'ora saresti
già dentro la
cella di Capo Sounio. Risponderò alla tua domanda se sarai
così gentile da
rispondere a una mia curiosità. Stai rischiando grosso per
un amico, Scorpio.
Dimmi, ne vale la pena? Credi davvero che la tua fiducia sia ben
riposta?"
Milo sollevò il mento in un gesto orgoglioso.
"Ne sono certo." rispose. Per l'amico avrebbe
messo la mano sul fuoco, avrebbe fatto qualunque cosa, certo che Camus
la
pensava nello stesso modo.
"Perbacco, sono davvero colpito da ciò. Eccoti
dunque la mia risposta: desidero scambiare qualche parola con la
ragazza,
stabilire se è un potenziale pericolo per la sicurezza del
Santuario o una
qualche spia. Ho risposto sufficientemente ai tuoi dubbi?"
Che sciocchezza, Mei un pericolo per il Santuario? Una
spia?!
Milo corrugò la fronte, era tutto così assurdo,
Mei era
una ragazza per certi versi fuori dagli schemi, ma era tutt'altro che
pericolosa; stava per intervenire in sua difesa quando DeathMask
s'intromise
nel suo solito modo.
"È una femmina."
interloquì, con disprezzo."Le femmine
qui portano solo guai."
Milo lo ignorò.
"Solo l'ignoranza porta guai." commentò.
"E sicuramente Mei non è un problema per noi, non possiede
alcun potere
visto che non ha sviluppato il suo Cosmo. "
"O magari sa più di quel che immaginiamo: Dohko
può
aver coltivato il suo Cosmo così come ha fatto con il
Dragone e averle
insegnato come tenerlo nascosto." insisté DeathMask.
Ares cambiò espressione, non aveva pensato a
quell’opportunità.
"Uhm. Potrebbe essere, sì. Era esattamente ciò
che
ho pensato anche io all'inizio… DeathMask, potresti avere
ragione."
Figlio di buona
donna.
"Ma davvero, Death? Ci vuole autocontrollo e molto
addestramento per riuscire a tener nascosto il Cosmo e non è
cosa da tutti.
Ripeto quindi che è una ragazza come tante, che non
è certo qui per minacciare
il Santuario." proseguì Milo, iniziando a perdere le staffe.
"Come fai a essere così sicuro?"
Era molto più che sicuro, era certo che l'anziano Dohko,
se avesse davvero colto del potenziale in Mei, l'avrebbe addestrata
così come
aveva fatto con Shiryu e Ōko, anche se col secondo le cose non erano
andate
esattamente come previsto.
"Dohko non l'ha addestrata o a questo punto ce ne
saremmo accorti. Se
non l'ha fatto, se
non ha impiegato le sue energie per lei, significa che non possiede
alcun
potere." disse Milo. "E infine Camus non avrebbe mai portato qui
qualcuno in grado di minacciare il Santuario."
Sperò che l'allusione alle capacità di Camus
servisse a
qualcosa: Camus era il diplomatico del Santuario, quello che Ares
mandava in
viaggio per trattative o impedire futuri problemi.
Un incarico estremamente delicato che gli era valsa l'assoluta
fiducia dello stesso Ares.
"La mente di Camus è annebbiata, per non dire
altro." provò a dire DeathMask.
Milo prese definitivamente fuoco, voltandosi di scatto
verso DeathMask.
"Non ti permettere di insultare un uomo che vale
dieci volte te." sibilò rabbioso. "Non
osare."
Ares si schiarì rumorosamente la voce.
"Placate gli animi." ordinò.
Ripensò più e più volte alle parole di
Milo e ripensò
anche a Camus: in effetti non aveva mai dato problemi, aveva sempre
portato a
termine ogni missione assegnata e soprattutto, era un uomo con un
grande senso
di responsabilità.
"Te lo concedo Milo, Camus non farebbe mai una cosa
simile. La ragazza non possiede poteri degni di nota e poi, che cosa
mai
potrebbe fare contro dei Gold Saint? Nulla, verrebbe spazzata via.
Tuttavia
voglio parlarle ugualmente, quindi la porterai qui. E tu DeathMask,
chiama a
raccolta gli altri Gold Saint, che vengano subito."
Milo e DeathMask corrugarono la fronte.
"È una riunione informale o … che cosa devo
dire?" domandò quest'ultimo.
"Informale, naturalmente. I Chrysos Synageyn si
svolgono nella Sala d'Oro e non si indicono per quisquilie del genere,
dovresti
saperlo." rispose seccamente Ares, facendo ridacchiare Milo tra
sé e sé.
*
Mei posò la tazza di thè sul tavolino accanto al
dolcetto
acquistato a Rodorio e controllò l'impacco che aveva
spalmato sulle spalle di
Camus.
Nonostante la doccia a temperatura polare che aveva fatto
per mitigare il bruciore, la situazione non era migliorata, anzi. La
pelle,
oltre a essere bollente, era anche rossa.
"Uhm. Temo di aver sottovalutato la situazione e
soprattutto il sole greco. Le patate qui possono fare ben poco."
mormorò
Mei, dopo aver rimosso l'impacco e avergli pulito le spalle. "Dovremmo
passare in farmacia per un antistaminico."
Camus si sistemò sulla poltrona, indicandole l'armadietto
dei medicinali.
"Dovrei avere qualcosa là dentro." le indicò.
Frugò nell'armadietto, prendendo un vasetto con un
preparato artigianale della farmacia di Rodorio.
"Questo?"
"Bingo."
Mei aprì il vasetto, storcendo il naso subito dopo.
"…questa cosa puzza.".
"Sa di lavanda." rispose Camus. "O meglio,
dovrebbe. Il fiore non ha un odore così forte."
Prelevato un po’ di unguento gli posò le mani
sulle
spalle iniziando a massaggiare con delicatezza.
"Ho le mani fredde, mi dispiace."
Le piazzò a tradimento le mani sulle gambe, facendola
trasalire.
"Queste sono
mani fredde." le fece notare, ricevendo in risposta un pizzicotto sulla
spalla lesionata. "Aïe!"
"Non lo fare più, ti prego." disse Mei.
"Altrimenti avrai tanti bolli rossi insieme alle lentiggini."
"Efelidi."
la corresse il ragazzo. "Sono efelidi, che a differenza delle
lentiggini
non spuntano dappertutto, solo in certi punti e solo quando mi espongo
al
sole."
"Ah sì? Sai che non ci ho fatto caso?" ridacchiò
Mei. "Se ti faccio male non hai che da avvertirmi."
Nonostante la sua struttura fisica non era proprio
delicata, lo stava impastando come se stesse maneggiando un blocco di
pasta di
pane.
"Se mi fai male, sarò costretto a prendere
provvedimenti." disse, fingendosi serio.
Mei richiuse il barattolo e si asciugò le mani in uno
strofinaccio che mise poi a lavare.
"Ma davvero?"
Camus le prese la mano e la tirò a sé, facendola
sedere
sulle proprie ginocchia.
"Oh. A cosa devo tutta questa intraprendenza? C'era
qualche sostanza psicotropa nel frappé?"
"Sarà il colpo di sole." sorrise Camus.
"Non ho voglia di uscire, che ne dici? Stasera intendo rimanere qui a
poltrire tutta sera con un pigiama sformato, calzini e una tanica di
gelato
davanti a un film. Che ne dici?"
Mei finse di pensarci su.
"Perché no? Il film lo scelgo io."
"Hey no. Questa è casa mia, decido io." ribatté
Camus. Si chinò a baciarla. "Ma … potremmo anche
negoziare. Io propongo, e
magari ne parliamo … sì?"
"Okay, si può fare. Spara."
"X-Men …
" iniziò Camus.
Fantascienza e mutanti.
"… c'è Wolverine! Mi piacerebbe, sì."
annuì
Mei. "C'è Hugh Jackman. Mi piace eccome."
Camus corrugò la fronte.
" Magari Il
Gladiatore?"
Stavolta fu Mei a corrugare la fronte.
"No. Sangue, battaglie e teste che saltano. Non è il
caso."
Camus prese un altro dvd.
"The Gift."
propose. "Una veggente e un omicidio. È un thriller
fantastico."
Lei studiò il dvd per un attimo.
"C'è Keanu Reeves, mi piace! Aggiudicato, guardiamo
questo." esclamò alzandosi e posando il dvd
sull'apparecchio. "Che
c'è?"
Camus incrociò le braccia sul petto.
"Non sono molto sicuro di voler vedere questo
film."
"Sei geloso di un attore? Un uomo che vive dalla
parte opposta del mondo e che non vedrò mai?" gli
domandò, tornando a
sedersi sulle sue ginocchia e cercando una posizione comoda.
"Quello è famoso e ricco. E anche belloccio. Io non
sono bello e non ho granché da offrire." disse Camus. "Lui
ha il
fascino esotico, io sono un pel-di-carota che si scotta al sole."
Mei lo tirò verso di sé.
"Tu dici troppe sciocchezze, per i miei gusti."
sussurrò, prima di baciarlo.
*
Milo scese rapido fino all'undicesima casa, intravedendo
di sfuggita i soldati di Gigars spargersi per le dodici case chiamare a
rapporto gli altri Gold Saint.
Brutto affare,
davvero brutto affare.
Ares voleva parlare con Mei, di sicuro non sarebbe stata
una conversazione amichevole sulle stagioni e sul tempo, nonostante le
sue
rassicurazioni.
Soprattutto, Camus non sarebbe stato affatto contento
della situazione.
Indugiò un po’ davanti all'undicesima casa e
quando
entrò, si sentì a disagio per gli amici; la porta
che separava gli appartamenti
privati dalla Sala di rappresentanza era aperta e la varcò
dopo aver bussato.
"Quello è
famoso e ricco. E anche belloccio. Io non sono bello e non ho
granché da
offrire." stava dicendo Camus. "Lui
ha il fascino esotico, io sono un pel-di-carota che si scotta al
sole."
Okay, aveva la certezza di trovarli, non avrebbe dovuto
girare mezza Rodorio o, peggio, mezza Atene.
Mei doveva aver risposto, aveva sentito un sussurro dopo
e poi, più nulla, a parte i rumori tipici di chi era nel bel
mezzo di attività
private.
"Oh, fantastico, ci mancava solo questo."
mormorò. In effetti, affacciandosi nel salone, li intravide
sul divano, lui a
torso nudo, lei in slip e maglietta.
Grandioso.
Come annunciarsi senza far arrabbiare Camus e senza far
prendere loro un colpo?
Arretrò di qualche passo, quindi, preso un sospiro, si
schiarì la voce.
"Kalispera!!" esclamò. "Si può entrare o
vi state rotolando sul tappeto?"
Subito dopo li sentì alzarsi dal divano, seguiti dal
rumore di qualcuno che cade.
"Porca
miseria! Ti sei fatta male?"
"Ahia, la
gamba!"
"Stai
sanguinando! Hai colpito lo spigolo?"
"Ah-ehm si può?" insisté Milo, affacciandosi di
nuovo. "Salve!!"
"Milo!" disse Camus, inarcando un sopracciglio.
"Che c'è?"
No, decisamente non era contento di quell'interruzione;
Mei si era infilata i pantaloni alla bell'e meglio , mentre
quest'ultimo si
stava infilando la maglietta, lo sguardo di ghiaccio.
"Mi dispiace interrompere il vostro idillio, ma
avrei bisogno di parlarvi."
Camus sbuffò.
"Non potevi aspettare domani per le tue faccende
amorose?" sbottò.
"Senti, no, non è proprio il caso di fare così,
non
sono qui per parlare di me e delle mie cavolate. Sarei qui in veste
ufficiale,
vi devo condurre da Ares."
L'altro notò in quel momento che Milo stava indossando
l'armatura.
Corrugò la fronte, lasciando perdere ogni battuta
sarcastica riguardo le sue pene amorose e guardò prima Mei,
poi di nuovo Milo.
"Devi condurci
da Ares? Entrambi?" domandò Camus.
Prendere tempo o tergiversare con l’amico era inutile e,
anzi, aveva già perso troppo tempo.
"Ares vuole parlare con Mei." spiegò. "Ha
convocato tutti noi Gold nella sala del tredicesimo tempio per
…"
Mei fece per parlare, ma Camus la interruppe.
"Aspetta. Per quale motivo vuole parlare con
Mei?"
"Amico, calmati."
"Non ho intenzione di calmarmi. Spero tu stia
scherzando." sbottò Camus, riducendo gli occhi a due fessure.
Milo spostò il peso da un piede all'altro.
Avrebbe voluto scherzare, davvero, ma era un ordine
proveniente direttamente da Ares, e non si poteva discutere.
"Lo preferirei."
Camus si riavviò i capelli in un gesto nervoso.
"E come dovrei prepararla in questi giorni, per
questo colloquio?"
Milo si schiarì la voce, sempre più imbarazzato.
"Giorni? Temo dovrai riuscirci in pochi minuti.
Ares vuole vederla ora."
"Ma non è nemmeno una di noi, per quale motivo Ares
la vuole incontrare?" domandò Camus.
"Pensa che la tua morosa sia una
spia." ghignò DeathMask, comparendo insieme a
Shaka e Aphrodite.
Ecco, ci mancava solo lui, l'assassino preferito di
Ares.
"Tu cortesemente, scostati e pensa agli affari
tuoi." sbottò Camus, prendendo Milo da parte.
Non faceva parte delle loro schiere, ma faceva comunque
parte di quel mondo, per via di Shiryu e Dohko: in un certo senso,
anche lei
c'era dentro fino al collo.
"Per Athena Death, chiudi il becco!" esclamò
Aphrodite. "Ascolta, per usare parole sue, Ares vuole capire se Mei
è un
pericolo per il Santuario o no. Non è come ha detto
quest'idiota."
"Allora com'è?" sbottò Camus.
"Vuole solo parlare e basta, non puoi dire che con
il nostro mondo non c'entri nulla, è sorella di un Bronze e
vive a stretto
contatto con il Gold di Libra che ancora non si è presentato
a rapporto. Sono
elementi più che sufficienti per dubitare di lei."
interloquì Shaka.
"Se avesse davvero voluto creare dei problemi,
l'avrebbe già fatto." obiettò Milo.
"Forse non ha ancora avuto il tempo per agire,
pensaci. Secondo me, questa il Cosmo lo sa gestire benissimo,
è una spia di
qualche astrusa divinità del suo paese, se non di Dohko
stesso." berciò
DeathMask. "Oppure è una poveraccia in cerca di denaro che
una notte
approfitterà del sonno per ripulirti casa."
Camus lo fissò malevolo.
"A differenza tua non frequento donnacce di quella
risma." replicò. "In ogni caso, non ho richiesto la tua
opinione in
merito."
"Fa' come vuoi ghiacciolino, non dire che non ti ho
avvertito."
Aphrodite si avvicinò a Mei.
"La state terrorizzando." interloquì. "Il
Grande Sacerdote è severo ma non è una cattiva
persona, agisce per conto di
Athena."
"Ci sono poche cose in grado di terrorizzarmi."
mormorò Mei.
DeathMask la guardò e sogghignò tracciandosi
un'immaginaria linea sulla gola col pollice.
"Lo vedremo. Sei nei guai, cinesina."
"Io sarò anche nei guai, ma quando arriverà il
momento, mio fratello ti farà ingoiare tutti i denti."
sibilò Mei. "E
succederà, vedrai."
"Una cosa è certa, non ha paura di Death."
disse Aphrodite.
"Che cosa ti da' tutta questa sicurezza?"
domandò l'altro, socchiudendo gli occhi rossi.
"La testardaggine di Shiryu. Ti ha giurato vendetta,
stai pur certo che la otterrà." replicò Mei. "Non
hai idea della
forza che possiede."
La risata satanica di DeathMask risuonò in tutta
l'undicesima casa.
"Cam fidati di me, vuole solo parlare." tentò
di calmarlo Milo. "Va tutto bene, ci sono io con voi."
Mei si alzò dal divano.
"Vado a mettermi qualcosa addosso."
"Mei, non sei obbligata a presenziare se non
vuoi." disse Camus. "Mi assumerò io tutte le
responsabilità del
caso."
"E farti finire nei guai? Non ho nulla da
nascondere, io." replicò Mei. "Discorso chiuso, io
verrò con
voi."
"Lascia che dia un'occhiata a quel taglio." si
offrì Aphrodite. "Non è una scusa per guardarti
mezza nuda, sto studiando
medicina."
Lasciarono soli i due uomini e andarono in camera; aveva
affrontato cose ben peggiori e più dolorose di quella,
sarebbe certo
sopravvissuta.
Camus aprì la box dell'armatura e la indossò,
cercando di
non perdere ancora la calma, soprattutto di fronte ad Ares.
"Ci sono io amico, non ti lascio solo." ripeté
Milo. "State tranquilli, non succederà niente."
"E allora perché ho una brutta sensazione? Perché
DeathMask ha detto- …?"
"DeathMask ha provato in ogni modo a mettere Mei in
cattiva luce. Per un attimo c'è anche riuscito e ho fatto di
tutto per
convincerlo del contrario."
"Avrei preferito avere più tempo per
prepararla."
"Cam. Sono certo che saprà comportarsi, non è
tonta." disse Milo.
Mei era tornata in salotto giusto in tempo per sentire
l'ultimo scambio di battute.
"Grazie per la fiducia Camus." disse,
incrociando le braccia sul petto. "Che cosa temete, un attentato? Che
mi
presenti di fronte ad Ares imbottita di tritolo e che al momento
opportuno mi
faccia saltare per aria?"
Camus si grattò di nuovo la testa.
"Naturalmente no. Ma sarà come trovarsi a cospetto
di un re, bisogna mantenere un certo comportamento. Devi aspettare che
sia lui
a parlare per primo e che sia lui a concederti la parola, ad esempio."
In quell'ambiente Camus, era totalmente diverso dallo
stesso ragazzo conosciuto in Cina, era freddo e scostante come si
richiedeva a
un soldato.
"Allora andiamo." disse Milo. "Ad Arles
non piace aspettare."
Camus guardò l'amico uscire, quindi le afferrò il
gomito.
"Cosa c'è ancora? Devi dirmi qualcos'altro?"
"Sì, devo dirti che mi hai frainteso." le
disse. "Che non era mia intenzione insinuare alcunché e che
mi dispiace
averti cacciato in questo guaio."
"Non è colpa tua." rispose Mei.
*
La sala del trono del tredicesimo tempio doveva esser
stata concepita da un architetto che sapeva il fatto suo in materia:
lucidi
marmi pregiati ricoprivano i pavimenti, bianche colonne corinzie
reggevano gli
altissimi soffitti a volta coperti da superbi affreschi alle pareti,
pesanti
tendaggi rosso cupo schermavano la luce proveniente dai finestroni dai
vetri
istoriati –aggiunti ovviamente
in
epoca più recente che quella greca antica- e raffinate
appliques alle pareti
sostituivano antiche torce.
Infine, su una piattaforma rialzata e coperta da una
passatoia rosso sangue, svettava lo scranno di pietra sul quale il
Grande
Sacerdote era assiso come un sovrano d'altri tempi.
Decisamente un ambiente enorme, con il doppio scopo di
esaltare la magnificenza di Athena e del suo emissario e annichilire i
nemici
condotti al loro cospetto.
Mei tuttavia non ne rimase impressionata: Dohko, nei
momenti di pausa tra le innumerevoli ore trascorse ad addestrare il suo
discepolo, aveva speso tante parole a descrivere il Santuario e i suoi
abitanti, aiutando Shiryu a capire di chi fidarsi e chi no, ma,
soprattutto,
aveva trascorso parte di quelle ore a ricordare i suoi vecchi compagni
d'armi,
amici preziosi e insostituibili che avevano abitato quelle stanze nei
secoli
passati.
"Ci siamo." sussurrò Camus, dietro di lei.
"Benvenuta." disse Ares poco dopo, a voce
alta. "Tu devi essere Mei."
Non s'inchinò di fronte al Grande Sacerdote come aveva
fatto Camus chinando appena la testa, restò immobile nella
stessa posizione che
aveva assunto entrando nella sala, con le mani intrecciate sul grembo,
senza
muovere un solo muscolo e si accorse che, seminascosti nell'ombra,
c'erano i
rimanenti Gold Saint.
Gettò
un'occhiata in tralice verso Shaka: non si fidava di lui, era una
persona
pericolosa, dietro quell'aspetto apparentemente tranquillo.
Aldebaran aveva
tutta l'aria di voler essere altrove piuttosto che là dentro
e molti altri
presenziavano annoiati quasi; solo Milo e Camus erano in allerta,
mentre
DeathMask sogghignava poco distante da Shaka e dal Sacerdote.
Quest'ultimo non
riusciva ancora a collocarlo: amico no di certo, se aveva inviato un
emissario al
Goro-Ho per uccidere il Maestro. Semplicemente non le ispirava molta
fiducia,
non le piaceva per niente, il cosmo che percepiva era negativo.
E quella
maschera, poi … di sicuro aveva molte cose da nascondere e
come diceva sempre
il Maestro Dohko, bisognava diffidare di chi nascondeva il proprio
volto e
agiva lontano dalla luce del sole.
"Vieni
avanti." l'invitò l'uomo con una particolare voce metallica
–dovuta alla
maschera, forse-,
muovendo appena
il braccio per consentire ai Gold Saint presenti di alzarsi.
Mei guardò
istintivamente Milo –Camus era dietro di lei e non aveva
intenzione di
mostrarsi spaventata voltandosi-, che le fece un lieve cenno come per
tranquillizzarla: Camus si fidava di lui e tanto le bastava per fidarsi
a sua
volta.
Fece come le era
stato detto, muovendo un paio di passi sempre costantemente seguita da
Camus.
Saga si sistemò
meglio sullo scranno, sondando la giovane con gli occhi ridotti a due
fessure,
dietro la maschera: non pareva avere nulla d'offensivo, eppure
possedeva
qualcosa che lo inquietava e che non sapeva decifrare.
"Di norma
ci si inchina di fronte al Celebrante di Athena." osservò
Shaka, serafico.
"Come rappresentante della Dea, mancare di rispetto a lui equivale a
mancare di rispetto ad Athena stessa."
"Suvvia
Shaka, calmati. È nuova qui e non conosce le usanze del
Santuario, dico
bene?" intervenne Saga, dietro la maschera.
Mei sospirò
appena, scegliendo con cura le parole.
"Conosco
bene le usanze del Santuario e rispetto le divinità
straniere, ma di norma mi inchino
solo di fronte agli
altari dei miei Avi e dei miei Dei. Rispetto Athena, ma non
è una mia Dea,
quindi non m'inchino di fronte al suo celebrante." rispose Mei,
risoluta.
"Sfacciata!"
esclamò Shaka piccato.
Camus fece un
passo avanti, il Cosmo all'erta e Ares si alzò dallo
scranno.
"Shaka, Shaka. Va tutto bene, non è successo
niente." disse Ares bonariamente, fermando il cavaliere della Vergine.
"Insomma, è una fanciulla, non vedi?"
Fanciulla che non sapeva come catalogare, ma sicuramente,
ora che l'aveva davanti, indifesa: che pericolo poteva mai costituire
per loro?
Certo, era un'esperta di arti marziali ma qualche calcio o qualche
mossa di
judo che cosa potevano mai fare, a confronto con i loro poteri?
"Siediti, cara." aggiunse, indicandole con un
cenno della testa la poltrona accanto allo scranno. Allungò
una mano in segno
d'invito. "Parliamo un po’."
Mei intrecciò le mani sul grembo, ignorando il gesto di
Ares.
"Se non vi dispiace, preferisco stare in
piedi."
L'uomo rise, sedendosi, apparentemente indifferente al
suo rifiuto.
"Se mi dispiacesse, cambieresti forse idea?"
"No."
"Sei sempre così prevenuta, di solito?"
Mi riesce difficile comportarmi
normalmente con chi nasconde il proprio volto dietro a una maschera.
"A volte non mi fido neanche della mia stessa
ombra." replicò Mei.
"D'accordo. Sono certo che Aquarius sia impaziente
di conoscere il motivo di questo colloquio, anche se sono altrettanto
sicuro
che Scorpio, in tal senso, mi abbia già ampiamente
preceduto." iniziò
Ares. "Ti osservo da quando sei arrivata, e per quanto ci abbia
provato,
nonostante le mie ampie capacità, non riesco a…
decifrarti. Non riesco a capire
nulla di te, non riesco a captare il tuo Cosmo. Tu sai cos'è
il Cosmo, non è
vero?"
"So cos'è. Ma a differenza di mio fratello, non
posseggo certe capacità." rispose Mei.
Suo fratello, già.
Saga si accomodò di nuovo, fermandosi a pensare: Shiryu
del Dragone faceva parte delle schiere più basse
dell'esercito di Athena che,
come Dohko, ancora non aveva risposto al suo ordine.
Inoltre il vecchio maestro sapeva troppe cose sul suo
conto: chi gli assicurava che quel manipolo di Bronze, insieme a Dohko,
non
stesse escogitando un piano per farlo fuori?
"Non le hai sviluppate
perché non si sono manifestate apertamente e non hai seguito
un ottimo
addestramento." la corresse Ares. "Mantenere il Cosmo in stato di
quiescenza richiede un perfetto controllo e tu, mia cara, sei troppo
giovane ed
inesperta per poter anche solo pensare di fare una cosa simile."
"… o al contrario sa dissimulare bene."
interloquì DeathMask.
"Ne abbiamo già parlato." lo mise a tacere
Ares. "A questo punto, dato che non costituisci alcun pericolo per il
Santuario e per Athena… potresti esserci molto utile."
Mei suo malgrado sorrise.
"Non capisco in che modo potrei esserlo. Per come la
vedo io, vi difendete benissimo da soli senza aver bisogno di una
judoka."
rispose, sempre all'erta, facendolo ridere di nuovo.
Quella risata, amplificata dal metallo della maschera e
dalla forte eco della sala, le mise i brividi addosso.
"Oh no, non necessitiamo del tuo judo, no."
rispose Ares. "Potremmo aver bisogno di te per altri motivi."
"Ad esempio?" replicò Mei, fulminando con lo
sguardo DeathMask e la sua occhiata lasciva.
Ares tornò serio.
"Immagino che anche tu, come qualsiasi essere umano
onesto, desideri la pace… giusto?" chiese Ares. "Il
Santuario ha
visto troppe guerre, e in nome di cosa? Del potere? Bisogna riaffermare
il
potere di Athena, far capire a tutti che Ella intende mantenere la
giustizia e
la pace, così come ha sempre fatto, sin dalla notte dei
tempi."
Camus mosse un passo avanti.
"Se posso far notare una cosa a Vostra Grazia, non
possedendo poteri particolari, che cosa potrebbe fare per noi?"
"Molto più di quel che immagini, Camus. So che
c'è
qualcuno che la pensa diversamente e che vuole dichiarare guerra al
Santuario.
Ho bisogno di scoprire chi è e che cosa vorrebbe fare. Ed
eliminarlo alla
radice."
Mei corrugò la fronte.
"E che cosa c'entro io?"
"Tu entri in gioco proprio a questo punto. Sarai i
miei occhi dove io non posso arrivare."
In breve, in sala, si levò un coro di voci: Aldebaran era
incredulo quasi quanto Mei, Camus e Milo; non l'aveva detto
apertamente, ma era
ovvio che l'oggetto di tanto interesse era l'anziano Maestro.
"Come?" esclamò Mei. "Dovrei fare il doppiogioco?"
***
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 6
maggio 2015)
-Il titolo rimanda alla canzone dei Queen;
-Ares/Saga, io, lo vedo così, è una mia
personale visione, è negativa
forse, ma per me è così:
-La sala d'Oro dovrebbe essere una vasta stanza
circolare, priva di pareti ma delimitata da numerose colonne, ma in
base a
quanto si vede è palesemente sopraelevata rispetto al resto
del Santuario ed
offre una visuale abbastanza completa, il che, insieme a diverse
immagini
esterne, conferma che si trova all’interno della torre della
Meridiana.
Che altro dire? Buona lettura!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 14 *** Let the bad times roll. ***
capitolo 14
14.
Let the bad times roll.
[Imparerai
a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai
tante maschere e pochi volti.]
-Luigi
Pirandello. Uno, nessuno e
centomila-
Cosa
vuoi che
sia? Passa tutto quanto.
Solo
un po' di
tempo e ci riderai su.
[Ligabue
– Cosa
vuoi che sia]
Si trovò gli occhi di tutti puntati addosso e
cominciò a
pensare che, forse, aveva capito male.
Doveva aver frainteso qualcosa: per quanto conoscesse il greco, di sicuro aveva compreso una cosa per un'altra.
Ares si schiarì la voce.
"Doppiogioco? No, cara, non è una cosa così squallida come pensi. Vedi? Si tratta di
aiutare Athena a capire di chi può fidarsi e chi no,
aiutarla a mantenere
l'ordine delle cose." spiegò l'uomo. "È un modo
per capire chi
potrebbe costituire pericolo per lei."
E Athena non era abbastanza in gamba da capire da sola di
chi fidarsi e chi no? I dodici uomini più potenti del mondo
non erano in grado,
da soli, di fiutare i pericoli e proteggerla?
Comunque non aveva alcuna intenzione di distruggere il
rapporto che aveva con Dohko, senza contare che avrebbe anche perso la
sua
fiducia e quella di Shiryu: per lei Dohko era un secondo padre, una
persona
straordinaria che si era preso cura di lei in un momento difficile
della sua
vita.
E Shiryu?
Conoscendolo non se la sarebbe presa con lei, ma avrebbe
attribuito subito la colpa a Camus, l'avrebbe accusato di averla
plagiata, in
qualche modo: già lo vedeva come una potenziale minaccia, se
poi avesse
scoperto una cosa del genere…
In sala qualcuno si schiarì la voce.
"Permettetemi di dirvi che la ritengo un'idea
pessima, Vostra Grazia." disse Shaka distraendola dai propri pensieri.
"Davvero pessima."
"E perché mai? È sveglia e intelligente,
può
benissimo essere utile alla nostra causa." obiettò il Grande
Sacerdote.
Shaka si voltò verso Mei, come se la stesse osservando ad
occhi chiusi.
"Secondo il mio modesto parere, la ragazza non mi
pare adatta a questo compito e vi spiego anche il perché:
una missione di
questa portata richiede sangue freddo e buon autocontrollo sia per
portarla avanti
che per non farsi scoprire e… senza offesa Camus, sono
sicuro che la signorina
crollerebbe dopo poco tempo, preda dei rimorsi di coscienza."
spiegò.
"In tal caso ciò si rivelerebbe controproducente per noi: il
nemico, alla
luce dei fatti, sarebbe in netto vantaggio e potrebbe approfittarne
sapendoci
vulnerabili."
Lei almeno aveva ancora una coscienza; in quella stanza
quante persone potevano ancora vantarsi di averne una?
E Camus? si
chiese aveva ancora una coscienza?
Difficile a dirsi; improvvisamente pensò che erano
tantissime le cose che non conosceva del ragazzo che aveva seguito
dall'altra
parte del suo mondo e che, in quel momento, era molto diverso dal
ragazzo che
aveva conosciuto in Cina.
Si portò una mano al volto con fare pensieroso e Camus le
circondò la vita con un braccio, forse per rassicurarla in
qualche modo; il
solo e unico gesto umano che le aveva concesso da quando erano in
quella sala.
"Vostra Grazia, se permettete, intendo
riaccompagnare Mei all'undicesima casa, sia per avere tempo per pensare
che per
riposare." intervenne Camus, interrompendo Ares e Shaka.
"Non devo pensarci, la mia risposta è no!"
protestò Mei, a bassa voce.
La presa si fece più forte.
"Silenzio."
le sibilò.
La stava aiutando, stava provando a cavarla d'impaccio
nel modo più diplomatico possibile, perché non lo
capiva? Già non era un
compito facile, se poi faceva di tutto per mettergli i bastoni tra le
ruote…
Ares annuì dopo qualche minuto, quindi alzò la
mano in
un gesto affermativo, permettendo loro di uscire.
"L'udienza non è terminata, devo prendermi qualche
minuto per pensare." ordinò poco dopo, rivolto ai Saints
ancora presenti
in sala.
"Accidenti." commentò Camus, scendendo
rapidamente le scale fino alla dodicesima casa. "Questa cosa mi ha
colto
di sorpresa, non riesco a capire cos'abbia portato Ares a credere di
poterti
assegnare una tale missione. Ma vedrai, Shaka lo convincerà
di certo a
lasciarti stare, Ares tiene molto in considerazione la sua parola."
Oh, l'aveva notato. Paradossalmente aveva ricevuto più
aiuto da Shaka, che non la poteva soffrire –sentimento
reciproco- piuttosto che
da lui.
"Sai, credo di averlo notato." replicò piccata,
tentando di divincolarsi. "Perché tu non hai detto
assolutamente niente in
mio favore, anzi."
Camus la voltò di scatto.
"Non posso aiutarti se tu fai di tutto per cacciarti
nei guai!" rispose.
"Cacciarmi nei guai? Ho solo difeso le cose in cui
credo, ho salvato il mio rapporto con le persone più
importanti della mia
vita!" sbottò Mei. "Dunque è questo
ciò che fate, qui? Traviate la
gente per portarla a eseguire ogni vostro ordine?"
Aveva ancora nella testa le parole di Ares: prendere
informazioni per conto del
Santuario e riportare ogni singolo movimento di Dohko. Non
l'avevano detto
chiaramente ma era quello il vero termine di ciò che le era
stato ordinato: fare il doppiogioco.
Fingere con Dohko e riportare ogni singola parola al
Santuario, fingere che andasse tutto bene, fare domande scomode e
riportare le
risposte ottenute ad Ares.
E per chi diavolo l'aveva scambiata, per un agente
segreto, una spia, un personaggio di qualche astruso film di
spionaggio? Una
Bond girl, forse?
Camus la sospinse gentilmente nell'undicesima casa,
quindi chiuse rapidamente la porta alle loro spalle.
D'un tratto Mei trattenne il respiro. Finalmente le era
tutto chiaro.
"Dimmi che non mi hai portata qui per questo
motivo." disse Mei.
"Prego?" domandò Camus.
"Il Maestro ha ignorato per due volte l'ordine di
tornare qui perciò per Ares e per voi è
diventato un problema. Allora avete
pensato a un piano alternativo e dopo aver scoperto che con lui abitano
tre
persone, avete scelto la meno problematica da usare:
Shiryu è già un Saint e non potevate usare lui,
Shunrei è
poco più che una ragazzina, quindi la scelta è
ricaduta su di me sperando nella
mia resa e che io accettassi la proposta di Ares…
è per questo che sei
venuto in Cina a cercarmi? Per usarmi?"
sbottò Mei.
"Spero che tu stia scherzando." commentò Camus,
oltraggiato.
"Piuttosto dimmi… come avete scelto il candidato per
questo compito? La missione ti è capitata per sbaglio dopo
aver estratto il
bastoncino più corto o ti sei candidato volontario? E adesso
spiegami come…
come diavolo fate a vivere in
questo
modo e dormire tranquillamente la notte? Sotterfugi, intrighi,
segreti… non
sapevo di essere finita dritta dritta alla corte dei Borgia!"
Camus inarcò un sopracciglio, quindi la guardò
fisso.
"Hai finito?" domandò, calmo. "Pensavo che
Dohko ti avesse istruita sui nostri usi, qui al Santuario."
Trasse un lungo sospiro.
"Dohko mi ha insegnato che al Santuario si protegge
il mondo e la vostra Dea. Certo non
mi ha detto che fate il lavaggio del cervello alla gente e la
costringete a
scendere a patti del genere!"
Lui posò l'elmo dell'armatura e si riavviò i
capelli in
un gesto nervoso.
"Prima di tutto nessuno ti ha obbligata a fare
nulla, soprattutto nessuno qui ti ha fatto il lavaggio del cervello.
Punto
secondo, parli del Santuario come se fosse un'associazione criminale. E
non lo
è." rispose Camus. "Quella di Ares era solo una richiesta.
Per te
forse è discutibile, ma era una richiesta."
Vederlo così calmo la fece infuriare di più.
"Forse? Era
un ordine mascherato da richiesta.
Un
ordine al quale non intendo obbedire per nessuna ragione al mondo! La
mia
morale è diversa dalla vostra: io ne ho una e voi?" disse
Mei. "E tu?
Hai una morale, Camus? Hai ancora una coscienza?"
"La nostra morale è salvare il mondo dai pericoli e
proteggere Athena da ogni minaccia esterna." disse Camus. "Anche nel
vostro mondo c'è un Dio che preserva la pace, dovresti
quindi capire Athena e
il nostro operato."
"Ah no, non prendermi in giro, dubito fortemente che
Athena incoraggi simili comportamenti! Guan Yu non obbligherebbe
qualcuno a
comportamenti così vili. Io non tradirò mai
i miei Avi e Dohko in questo modo, non farò mai il
doppiogioco, non posso
comportarmi così vigliaccamente con un uomo che per me ha
fatto così tanto. Se
tu e i tuoi compagni volete tradire i vostri Avi così,
fatelo pure, non mi
riguarda affatto. Ma nel mio mondo non funziona così, non si
tradisce la
fiducia di chi ti ha aiutato nel momento del bisogno."
sbottò Mei. "A
te piace tradire la memoria dei tuoi genitori? Buon
per te."
"I miei genitori fanno parte del mio passato, non
esistono più e quindi non li sto tradendo. Sono esistiti, punto. Per me c'è solo il
presente e basta, non piango su ciò che è
stato. Sono un guerriero di Athena, è così che
sono ed è così che devo
essere." rispose lui.
"In Cina ti sei presentato in maniera diversa…
rispetto al ragazzo di qualche giorno fa sembri un'altra persona.
Cos'è
cambiato nel frattempo?" si trovò, suo malgrado, a sorridere
rabbiosa.
"Già, che stupida. Ora che da me hai ottenuto quello che
desideravi, non
hai più bisogno di essere accomodante."
Lui sussultò oltraggiato come se fosse appena stato
stilettato a tradimento, ma prima che potesse risponderle a tono, Milo
tornò a
chiamarlo.
"Hey amico, non ti cambiare. Il Grande Sacerdote
vuole vederti di nuovo e stavolta Mei può rimanere qui."
disse Milo.
Reprimendo un moto di rabbia, Camus annuì,
indossò ancora
l'elmo e guardò Mei.
"Potrei dirti tante cose per discolparmi e provarti
che sono lo stesso che hai conosciuto, ma non crederesti a niente,
testarda e
ottusa come sei. Ti ritrovo ancora qui, quando torno?"
Lei alzò lo sguardo: stava scherzando?
"Con me ho pochi euro e non posso spostarmi alla
velocità della luce. Dove potrei mai andare?" chiese,
brusca. "Almeno
non prendermi in giro."
Lui si schiarì la voce.
"Ascolta, nessuno ti sta trattenendo con le catene,
sei libera di tornare a casa, se lo desideri." rispose Camus. "Se
vuoi andar via, quando torno sarò io stesso a
riaccompagnarti al Goro-Ho."
Annuì, quindi li sentì uscire di nuovo.
Sul tavolino c'era ancora la tazza di tè
–ovviamente
diventato freddo- e il dolce; i telecomandi degli apparecchi e la
custodia
ancora aperta del dvd.
I programmi della serata andati in fumo nel giro di pochi
secondi: chi diamine aveva ancora voglia di cenare e guardare un film,
dopo le
ultime cose accadute?
Lei no di certo.
Lo conosci appena.
Come puoi fidarti di lui al punto da seguirlo dall'altra parte del
mondo?
Lo conosceva da poco, in effetti. Di lui sapeva ciò che
le aveva detto sui suoi genitori, ciò che le aveva detto il
Maestro … di colpo
-non riuscì a spiegarsi come- iniziò a balenarle,
in testa, un solo pensiero.
Perché diamine
aveva seguito Camus?
Provò a ragionarci su dopo aver tentato, inutilmente, di
cacciar via quel pensiero dalla mente: certo non l'aveva seguito per la
bellezza, né per la sua posizione di Gold Saint.
Forse l'aveva seguito per sentirsi meno sola e meno
sfruttata a casa, per evadere da quell'angolo di mondo dove lei e
Shunrei erano
considerate solo dei problemi.
Eppure, maledizione, qualcosa di positivo doveva averlo
visto in lui, no?
Decise di riscaldare il tè, lasciando stare il dolce -le
si era chiuso lo stomaco-; avrebbe fatto una doccia e si sarebbe messa
a
dormire: decisamente meglio che aspettarlo e litigare, anche se come
serata non
era sicuramente il massimo della vita.
Non poteva lamentarsi però, di solito al Goro-Ho le
toccava servire suo fratello.
*
"Se vuoi andar
via, quando torno sarò io stesso a riaccompagnarti al Goro
Ho. dico, sei
scemo?" domandò Milo. "Facevi prima a cacciarla!"
Camus lo guardò appena.
"Che cosa dovevo dirle? Non è una prigioniera, se
vuole andare non posso certo trattenerla con la forza, ti pare?"
Milo allargò le braccia, sconsolato.
"Non era quello che voleva sentirsi dire! Voleva
essere rassicurata! Già sei stato freddo in sala, potevi
dire altro."
"Non sono stato freddo, ho solo ragionato con
freddezza, tutto qui. Questo è il mio modo di fare, dovresti
conoscermi
bene."
"Io ti conosco, ma lei?"
"Lei imparerà." rispose Camus, pratico.
"In fondo dobbiamo imparare a conoscerci entrambi."
Milo inarcò un sopracciglio.
"Direi che per certi versi vi siete già conosciuti
bene." commentò. "E sono certo che la tua freddezza ha avuto
la
meglio anche in quel caso."
Preferì sorvolare sull'affermazione troppo intima, quindi
portò la conversazione su un piano più neutro.
"Che cosa vuole il Grande Sacerdote?" domandò
cercando di darsi un tono.
"Bah." sbottò Milo, arrendendosi. "Ha
preso una decisione su Mei, comunque."
Annuì.
"Shaka l'ha convinto a lasciarla stare."
continuò Milo: il Grande Sacerdote aveva infine deciso di
lasciar perdere le
assurde idee su Mei: Shaka aveva ragione, in fondo era una ragazzina
senza
cosmo, che evidentemente non aveva ereditato gli stessi doni concessi
al
fratello. "Penso che voglia dirtelo di persona."
"Oh, bene." sospirò Camus.
"Quando torni giù, cerca di scusarti con lei. Camus,
la freddezza che usi in missione e al Santuario è il tuo
marchio di fabbrica,
d'accordo, ma deve rimanere fuori dalla tua vita privata,
così facendo
allontani le persone, anche quelle che ti vogliono bene."
*
Il tè riscaldato aveva un sapore orrendo e Mei
posò la tazza
sul tavolino con una gran smorfia.
Sbadigliando, spense la tv e s'appoggiò allo schienale
del divano, sospirando.
"Che razza di serata." si lamentò: seduta su un
divano, sola e con una tazza di tè. Fantastico. Di sicuro,
poi, le buone notizie non erano
finite lì.
Tacque di colpo,
avvertendo un leggero fruscio di stoffa che strusciava sul pavimento:
lo sentì
chiaramente, in corridoio, nel silenzio che avvolgeva
l'undicesima casa.
"Camus? Sei tu?" domandò, dopo essersi alzata
dal divano, guardinga; probabilmente la riunione era finita e stava per
dirle
che cos'aveva deciso Ares. Dal corridoio non le giunse alcuna risposta.
"Sei ancora arrabbiato? Allora dai, qual è il
verdetto?" domandò con calma cercando di riprendere, almeno
in casa,
l'atmosfera che c'era stata prima dell'interruzione di Milo.
S'affacciò in
corridoio e avvertì qualcosa passarle vicino lentamente.
Accesa la luce però,
si accorse che in corridoio non c'era nessuno.
Era una situazione strana, animali in casa non ce n'erano
e sicuramente non erano ladri. "Cam?" ripeté.
La stessa ombra intravista prima la vide poco dopo, in
fondo, verso la biblioteca.
A quel punto sicuramente non era Camus, si sarebbe già
palesato, le avrebbe già detto qualcosa, non era tipo da
fare scherzi.
"C'è qualcuno?" esclamò infine ad alta voce,
iniziando a muovere qualche passo e fermandosi davanti allo studio di
Camus.
Fu allora che la vide.
"Oddèi, non ci credo."
La finestra.
C'era la finestra aperta; uno spiraglio di pochi centimetri,
ma sufficiente a far muovere qualche foglio e la tenda.
Richiuse la finestra, spense la luce e iniziò a
ridacchiare, rimproverandosi. Il fruscio che aveva sentito non era
dovuto a
nulla di particolare, la stanchezza le aveva semplicemente giocato un
brutto
scherzo.
"Sciocca. Ti lasci suggestionare come una
bambina." si disse, decidendo di tornare in cucina. Girò sui
tacchi e
attraversò un alone bluastro.
"Allora, hai capito? Sii gentile, cerca di
scusarti." disse Milo. "Prima della mia interruzione stavate
facendo…"
Camus si schiarì la voce, imbarazzato.
"Stavamo facendo gli affari nostri." replicò,
avvampando.
"Bene! Riprendi da dove vi siete interrotti!"
Non era mica così facile, non avevano certo un
interruttore che potevano accendere o spegnere come desideravano.
"Ci proveremo." rispose.
Milo gli piazzò una pacca a mano aperta in piena schiena,
facendolo sbilanciare.
"Benissimo! Allora ti lascio in buone mani."
sghignazzò, lasciandolo davanti all'undicesima casa. "Ci
vediamo domani. E
mi raccomando, fa' il tuo dovere e non deludermi eh."
Cretino.
Scosse la testa e si avviò agli appartamenti, sperando di
trovare Mei ben disposta e non arrabbiata come prima –anche
se aveva tutte le
ragioni per esserlo-.
"Mei?" s'annunciò, entrando. "Sei già a
letto?" aggiunse, accendendo la luce del corridoio. La vide
lì, in fondo,
in vestaglia e capelli sciolti, le mani premute sul petto. "Ma che
…? Volevi
farmi prendere un infarto?"
Per così poco? Se poco prima ci fosse stato lui al posto
suo, che avrebbe fatto?
"Ti spaventi per niente."
"… che cosa fai, in piedi e al buio?" proseguì
Camus, togliendosi l'armatura. "A quest'ora, ti credevo già
a letto."
"Ci stavo andando, infatti. Ma ho sentito dei rumori
in corridoio, pensavo fossi tu e invece era… niente, non ci
crederesti."
rispose Mei. Camus non pareva tipo da credere in certe cose, era troppo
razionale; se gli avesse detto della presenza di un'entità
nell'undicesima
casa, probabilmente, le avrebbe riso in faccia, dopo averla guardata
come
un'aliena.
"E invece?"
Mei andò a lavare la tazza, quindi scosse la testa.
"Niente,
lascia stare."
Camus incrociò le braccia, appoggiandosi allo stipite
della porta.
"E invece era che
cosa?" ripeté.
"Pensavo fossi tu ma quando mi sono affacciata in
corridoio, prima ho sentito qualcosa passarmi vicino, quindi, davanti
alla
biblioteca, ho visto un'ombra e ho attraversato un'entità
bluastra."
rispose Mei.
Come aveva immaginato, Camus corrugò la fronte e la
guardò con un'aria strana.
"Se corrughi la fronte ancora un po’ diventi uno
Sharpei." lo prese in giro. "Visto? Facevo meglio a non
parlartene."
Ombre, presenze, entità… Camus si
schiarì la voce.
"Entità…bluastra." ripeté.
"…sì. L'anima di chi era vivo e non lo
è più."
spiegò Mei.
"Tu senti gli spiriti?"
Non comprese appieno il tono che aveva usato.
"Sai Cam, non capisco se la tua è una domanda seria
o se mi stai deridendo." rispose, infine.
Beh, deriderla no, appartenevano a mondi diversi dalle usanze
diverse, solo che le cose nelle quali lei credeva per lui erano cose
astratte,
verso le quali era scettico.
"Non ti sto prendendo in giro o userei altri toni e
altri modi. Ti ho solo fatto una domanda."
Corrugò la fronte, ma tuttavia rispose.
"Sono abituata a crederci e sentirli, se sono
vicini. E posso assicurarti che prima, in corridoio, ne ho sentito uno."
Un'entità buona, del tutto innocua sulla quale aveva
percepito una particolare tristezza nel momento in cui l'aveva
attraversata.
"Non mi sembri impaurita." notò Camus.
"Non temo i fantasmi, sono gli spiriti delle persone
che in qualche modo ci hanno amato o han fatto parte della nostra
storia."
spiegò Mei. "Perché mai dovrei aver paura?"
"In occidente i fantasmi generano soprattutto orrore
in chi li vede." rispose Camus.
"Correggimi se sbaglio, ma nella società
greco-romana non si temevano i fantasmi."
Camus deglutì, quindi prese un gran sospiro.
"Io però non sono greco, sono francese." disse,
come per scusarsi. "Non ci credo, perciò dubito di riuscire
a vederne uno,
ma sono sicuro che se dovesse succedermi non starei qui a parlarne
tranquillamente."
"Hai mai fatto del male a qualcuno, Camus? Qualcuno
che magari è anche morto?"
"No."
"Dunque, non hai nulla da temere." gli rispose.
"Beh, sono davvero stanca, vado a dormire."
"Tornando al discorso di prima… "la fermò
"…voglio
precisare che non c'è mai stata nessuna missione che ti
riguarda direttamente.
DeathMask era stato inviato in Cina per riportare con le sue cattive
maniere
Dohko al Santuario e se sono arrivato è stato unicamente per
salvarti. Inoltre
nessuno mi ha obbligato a tornare in seguito e se l'ho fatto, l'ho
fatto solo
per te. Nessun bastoncino o nessuna estrazione a sorte, a dire il vero
loro
nemmeno sapevano di noi due. Pensi forse che se fossi stato obbligato a
fare
qualcosa nei tuoi confronti ti avrei raccontato cose che nemmeno Milo
conosce?
Pensi che mi sarei permesso di provare qualcosa per te?"
***
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 7
maggio 2015)
-Il titolo fa riferimento a una
canzone di Paul Westerberg e
dei The Vandals.
-Camus e Shiryu non andranno mai d'accordo. Ma proprio
mai, come si può già immaginare da questi
capitoli, semplicemente perché Shiryu
non ha alcuna intenzione di provare a comprendere Camus e
ciò che lo lega a sua
sorella.
-Guan Yu
nel pantheon cinese è
considerato il dio della guerra e delle arti marziali mistiche, anche
se
tuttavia si tratta di una divinità amante della pace e poco
propensa a spargere
sangue dei deboli; un po’ come Athena che è anche
dea della guerra, ma nei suoi
aspetti nobili.
-Avi, Spiriti e
Fantasmi: nella cultura
orientale –naturalmente con metodi e pratiche che variano da
paese a paese-
esiste il cosiddetto Culto degli Antenati (o Avi) , che
è una parte
importante del loro sistema di credenze.
In
Cina,
il culto degli antenati (拜祖,
bàizǔ,
o 敬祖,
jìngzǔ),
ha lo scopo di onorare
il ricordo delle imprese
nobili degli antenati: l'uomo
pietoso
riconosce e onora nei genitori, negli anziani e negli antenati la causa
ultima
della propria esistenza.
Fondamentalmente si basa sulla convinzione che tra i vivi
e i morti c'è una connessione, che i vivi devono sostenere
gli spiriti degli
antenati –con preghiere e offerte- e proteggere le loro tombe
per assicurarsi
così il loro aiuto, che porterà loro
prosperità e buona fortuna. Se ciò non
dovesse accadere l'antenato potrebbe diventare uno spirito esiliato dal
mondo
degli spiriti e diventare uno spettro maligno e vendicativo.
Per
questo
vengono allestiti altari
in
onore degli
antenati, sui quali si prega e si devolvono doni, spesso
cibo o monete.
Con questo capitolo introduco uno degli aspetti
fondamentali del mio personaggio: Mei abbraccia il credo Taoista e
crede
fermamente nel culto degli antenati, in casa è abituata a
tenere un piccolo
altare sul quale prega le foto dei suoi cari e le tavolette votive
recanti i
loro nomi e riesce a vedere i fantasmi e gli spiriti senza averne paura
(in
oriente, infatti, gli spettri e i fantasmi non sono elementi negativi e
paurosi
come in occidente).
-Sharpei:
presumo abbiate tutti presente com'è fatto un cane di questa
razza.
As always, spero sia stata una buona lettura.
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 15 *** Nothing's impossible. ***
capitolo 15
15.
Nothing's impossible.
How did we get
to be this far apart?
I want to be with you, something to share
I want to be near you, sometimes I care
Even the stars look brighter tonight
Nothing's impossible
I still believe in love at first sight
Nothing's impossible
[Depeche Mode
– Nothing's impossible]
"A questo punto non so più che cosa pensare."
ammise Mei a bassa voce, rivolta più a sé stessa
che non a lui. "Troppe
domande senza risposte."
Camus le diede il tempo di rifletterci su un attimo,
quindi allungò una mano fino a sfiorarle una guancia,
sperando che non si
ritraesse.
"Se sei qui" azzardò "in fondo conosci già
le risposte."
La prima parte della notte trascorse senza alcun intoppo,
la lite era stata accantonata –solo momentaneamente;
chissà perché qualcosa le
diceva che il Gran Sacerdote non avrebbe mollato tanto facilmente
l'osso- e
Camus dormiva tranquillo, almeno a giudicare dal respiro regolare.
Lei invece, no: era stanca ed era stata spesso sul punto
di addormentarsi, ma qualcosa l'aveva sempre tenuta sveglia.
Da quando era uscita dal tredicesimo tempio aveva il
pensiero fisso su Ares e sugli altri abitanti del Santuario.
…nessuno mi ha
obbligato a tornare in Cina e se in seguito l'ho fatto, l'ho fatto solo
per te.
Pensi forse che se fossi stato obbligato a fare qualcosa nei tuoi
confronti ti
avrei raccontato cose che nemmeno Milo conosce? Pensi che mi sarei
permesso di
provare qualcosa per te?
Probabilmente era davvero sincero, a quel punto dubitava
seriamente che fosse capace di mentire e per certi versi aveva anche
ragione,
se non gli fosse importato nulla, non sarebbe ritornato in Cina dopo
averla
difesa durante l'intervento di DeathMask. E di certo non avrebbe
insistito per
chiarirsi con lei, poche ore prima.
Gli lanciò una breve occhiata, quindi si alzò dal
letto
badando bene a non svegliarlo e infilata una vestaglia, uscì
dalla camera
diretta in cucina: chissà, forse una tisana avrebbe
contribuito a farla
addormentare.
Attraversò il corridoio a testa bassa, lo sguardo rivolto
al display del cellulare e al messaggino che Shunrei le aveva appena
inviato –dimentica
del fuso orario- senza notare lo stesso alone bluastro incrociato la
sera
precedente.
"Sto bene.
Rassicura Shiryu, va tutto bene." rispose digitando
velocemente sulla
tastiera. Andava tutto bene, in fondo. Se gli avesse detto la
verità, Shiryu
avrebbe sicuramente frainteso e avrebbe sollevato il solito, inutile
polverone,
sicuramente l'ultima cosa della quale aveva bisogno in quel momento.
Riposto il cellulare in tasca, spillò dell'acqua bollente
dal samovar accanto al microonde, aprì la credenza alla
ricerca del barattolo
ermetico intravisto la sera prima, contenente la tisana –alla malva, come indicava l'etichetta- e
allungò la mano alla
ricerca dell'infusore.
"Aïe!
"
Un mormorio quasi indefinito che lei aveva a malapena
sentito.
Stavolta, colta alla sprovvista, Mei sobbalzò borbottando
qualcosa in cinese, lasciando cadere l'infusore nel lavello:
corrugò la fronte,
muovendo qualche passo fino al corridoio ed attraversando ancora
l'alone.
"Mademoiselle, sono certo che esistano modi più…
piacevoli di incontrarci, sapete?"
Mei si voltò ancora, confusa.
"Dietro di voi."
"Oddèi… mi dispiace." mormorò Mei.
L'aveva attraversato ancora, e,
poco ma
sicuro, la cosa non doveva essere piacevole, per lui.
"Non mi avete recato alcun danno, sono io a
chiedervi venia, vi ho spaventata."
Ah no, c’erano ben altre cose in grado di spaventarla, ma
di certo non i fantasmi.
Impiegò comunque qualche secondo per calmarsi e prendere
fiato; solo allora riuscì ad alzare lo sguardo sull'alone
blu che aveva
davanti.
"Non è niente, sono abituata a cose peggiori."
rispose, tentando di minimizzare –come dimenticarsi dello
spettro maligno che
aveva infestato la casa di sua cugina? Quello sì era stato
tremendo.- "A
dire il vero, per un attimo ho pensato a uno scherzo di dubbio gusto
operato da
una certa persona alla quarta casa che si diverte a giocare con gli
spiriti." Mei trasse quindi un gran respiro. "Non fate caso alle mie
parole. Voi dovete essere chi penso, comunque."
L'entità iniziò ad acquistare pian piano un
aspetto più
definito, mostrandosi per com'era realmente: un giovane uomo con abiti
d'altri
tempi, un volto regale e occhi luminosi e attenti. Degél,
l'uomo del ritratto,
il predecessore di Camus.
Dohko le aveva parlato spesso di lui, l'uomo che era
deceduto ad Atlantide: un guerriero talvolta freddo ma di gran cuore,
prezioso
amico e alleato. Per molti aspetti le ricordava il suo successore,
tuttavia non
riusciva a comprendere del tutto quello strano alone triste che
avvertiva in
lui nonostante le informazioni ricevute da Dohko.
S'inchinò rispettosamente, emozionata."Oh, come
immaginavo. Siete il Maestro Degél." disse, pronunciando il
suo nome con
un misto di ammirazione e profondo rispetto.
L'uomo chinò appena la testa in risposta al suo saluto.
"Ho deluso le vostre aspettative?" replicò
Degél.
Sorrise appena.
"No, certo. Sono onorata di fare la vostra
conoscenza. Ho sentito tanto parlare di voi."
*
Davanti alla quarta casa DeathMask s'accese una
sigaretta, volgendo lo sguardo verso l'undicesima e sbuffando
sonoramente.
Non era insolita la comparsa degli spiriti dei precedenti
Saint d'Oro, spesso non si facevano nemmeno sentire e non creavano
problemi, ma
sapere che qualcun altro oltre lui al Santuario era in grado di
sentirli e
contattarli poteva costituire una bella gatta da pelare: solo gli Dei
sapevano
che cosa Mei e lo spettro si stavano dicendo, ma ormai era troppo tardi
per
tornare da Ares e fargli notare quel nuovo dettaglio.
E poi, con almeno tre parigrado dalla parte della ragazza
–quattro, si corresse, pensando all'interesse che Aphrodite
aveva mostrato nei
confronti della cinese- era in netta minoranza. Meglio tacere e pensare
al da
farsi da solo e senza l'intervento di nessuno.
"Ti tengo d'occhio, picciotta."
pensò a voce alta, espirando poco dopo una nuvola
di fumo. Avrebbe fatto di tutto per scoprire quanti più
dettagli poteva sulla
sua vita e su ciò che combinava con Aquarius.
"Chi tieni d'occhio?"
Death guardò Aphrodite, poco distante da lui –di
ritorno
da una missione, di sicuro- e aspirò una lunga boccata prima
di decidersi a
rispondere.
"Niente, nessuno." rispose, facendo spallucce.
L'altro si massaggiò il collo, spossato.
"Per il momento farò finta di niente, Tore. Adesso
sono stanco, ma domattina ne riparleremo, d'accordo?"
Death gettò a terra la sigaretta e la spense col tacco.
"Come ti pare, cumpà."
"Bene. Vedi di non combinare disastri fino a domani.
Ne sei capace, sì?"
"Sì, mammina."
replicò Death, prima di rientrare in casa.
"Farò finta di non aver sentito." disse
Aphrodite, scuotendo la testa.
*
"Perdonate la mia audacia, ma sono curioso di
conoscere il motivo che ha spinto una fanciulla giovane come voi a
stabilirsi
in un posto come questo." domandò Degél.
Sulle prime si era guardato intorno, concentrandosi sulla
stanza e osservando incuriosito molti oggetti, spiegandole subito dopo
che di
solito abitava nell'ultima stanza
in
fondo alla casa, quella che Camus usava a mo' di studio e che aveva
osato
spostarsi solo per poterle parlare.
"Mi spiego meglio. A parte le ancelle, nessuna donna
ha mai abitato queste stanze. Potete non rispondermi o rimettermi a
posto a
male parole, se vi
sentite offesa."
Probabilmente sì, era stato troppo audace, pensò
Degél,
ma era curioso: anche se l'avvento di quella che il suo successore e i
suoi
compagni chiamavano tecnologia
aveva
migliorato la qualità della vita del Santuario, rimaneva pur
sempre un luogo
inospitale per una fanciulla non abituata agli usi del luogo.
Mei sorrise.
"Non mi avete offesa."
Giustamente quella era casa sua, da qualche anno conviveva
con un uomo e di colpo ecco che si aggiungeva una donna.
Ovviamente voleva saperne di più. Dopotutto era pur
sempre un uomo del diciottesimo secolo, un periodo nel quale il
rapporto tra
uomini e donne era completamente diverso e dove era assolutamente
impensabile
una convivenza tra due persone al di fuori di un regolare matrimonio.
Degél interruppe il suo flusso di pensieri dopo aver
qualche istante.
"Desolato, devo contraddirvi. A differenza di molti
altri non sono come pensate. I tempi sono cambiati e lo capisco bene."
"Prego?" replicò Mei, corrugando la fronte.
"Nulla di così grave." minimizzò
Degél.
"Ad ogni modo dovrei parlarvi. Avete del tempo da dedicarmi?"
**
Camus si levò a sedere e si guardò intorno,
cercando di
mettere a fuoco la stanza con la poca luce offerta dalle primissime ore
del
giorno e si accorse di essere da solo; sospirò cercando alla
cieca qualcosa da
mettersi addosso, quindi uscì dalla camera.
"Mei?" l'aveva sentita borbottare qualcosa
riguardo a una tisana –ma quanto tempo prima?- e poi,
più nulla. "Mei, ci
sei ancora?"
Non la trovò in cucina come aveva immaginato, ma nel
piccolo salottino, raggomitolata in poltrona, addormentata.
Degél arretrò, lasciando spazio al suo
successore, che si
era accovacciato di fronte alla ragazza.
Li guardò un po' prima di lasciarsi sfuggire un lieve
sorriso amaro, ripensando a sé e a Seraphina.
"…che ore sono?" biascicò Mei.
"Uhm… sta albeggiando e… hai trascorso qui tutta
la
notte."
Lei mise giù le gambe, raddrizzandosi e facendo una
smorfia dopo aver mosso la testa e Camus toccò la tazza con
l'acqua.
"Questa ormai è fredda."
"…ovviamente, Cam. Stavo per prepararla quando
Degél
è…" replicò Mei, interrompendosi.
"Quando Degél è…?" ripeté.
"Beh, continua.
Che è successo con Degél, ci hai parlato?"
"Prima di risponderti, è una domanda seria la tua, o
è sarcastica?"
Camus si strofinò le tempie, sospirando.
"Santi numi, perché ti metti sempre sulla difensiva?
Lo capiresti se fossi sarcastico, credimi! Chiedi a Milo come mi
comporto
quando lo divento." replicò. "Allora… dici che
c'è il suo spirito
qui… prima non parlavi certo da sola."
Mei si strinse di più nella vestaglia, indecisa.
"Sì. Anche se… parlare non è il
termine più adatto,
considerato che ho parlato più io di lui."
Camus annuì.
"Immagino."
"Ricorda te, per certi versi. Siete simili in molte
cose… Dohko dice spesso che parte dei vostri predecessori
vivono in voi."
Stavolta Camus storse la bocca.
"Simili? Magari. Vorrei possedere un decimo della
conoscenza che possedeva Degél. Al suo confronto sono
ignorante." rispose.
"Ha tutt'ora la fama di essere uno degli uomini più sapienti
del
Santuario. Io m'intendo di fisica e di qualcos'altro, ma da qui a
essere simile
a lui…"
Mei guardò oltre le sue spalle e sorrise. I fantasmi non
potevano arrossire, ma se avesse potuto, Degél l'avrebbe
fatto, se lo sentiva:
serio o no, sarebbe arrossito.
Camus seguì il suo sguardo e corrugò la fronte.
"Si trova qui, ora?" le domandò.
Mei annuì, indicandogli la porta.
"Non può vedermi." le disse Degél.
"Non ti offendi, vero, se ti dico che non lo
vedo?" disse Camus, subito dopo.
Lei agitò la mano, come per minimizzare la cosa.
"Non ci credi, perciò non lo vedi."
"Uh, d'accordo. Di che cosa avete parlato, se non
sono indiscreto?"
Degél aveva parlato poco, come aveva detto prima. Non
doveva mai essere stato uno di troppe parole, ma quelle poche le
avevano fatto
comprendere diverse cose che lei, ostinatamente, non aveva voluto
capire su
Camus, sul Santuario. Persino su sé stessa e su loro due.
Camus forse non era stato troppo gentile con lei davanti
al Grande Sacerdote, ma non l'aveva fatto con cattiveria, solo per
sviare
l'attenzione da lei.
"Le scelte di un uomo non sono mai
facili, a maggior ragione se è un Saint di Athena." le
aveva detto a
un certo punto. "Voi non avete mai
fronteggiato una scelta impegnativa?"
Bisognava anzitutto definire meglio il concetto di impegnativo.
"Credo di aver
compreso i dubbi che vi assillano, mademoiselle, vi osservo da tempo.
Tuttavia dovete
considerare che persone come me e come il mio successore non sempre
possono
comportarsi come desiderano. Talvolta siamo obbligati ad indossare
certe… maschere, anche
se non vogliamo." aveva
cercato di farle capire. "Siamo in
noi quando siamo al sicuro nel nostro focolare e dobbiamo essere
diversi quando
l'occasione lo richiede. Quest'oggi Camus è stato obbligato
a essere
diverso."
C'era stato un momento, però, in cui aveva stentato a
riconoscere in Camus lo stesso ragazzo che aveva conosciuto in Cina: al
tredicesimo tempio Camus aveva come smesso i panni umani
per indossare quelli del guerriero freddo, razionale e
controllato.
"Credetemi, lo
conosco da quando era poco più che un fanciullo. Non vi
addolorerebbe
intenzionalmente per nessuna ragione."
Mei aveva annuito.
"Ma è un guerriero
e deve comportarsi come tale."
"Doveva fartelo capire Degél?" domandò infine
Camus, dopo aver ascoltato pazientemente tutto il racconto di Mei.
"Devo
mantenere due distinti comportamenti: quello pubblico e quello privato.
Quando
sono Aquarius devo comportarmi come si addice a un guerriero dei
ghiacci,
quando sono Camus lascio Aquarius fuori dalla porta… per
questo sono stato
freddo, oggi. Tutto qui. Cerca di capirmi, non posso agire come un uomo
qualunque."
Annuì di nuovo, mentre vide Degél sorridere e
annuire
appena, prima di lasciarli soli.
Camus si guardò intorno.
"Lui è ancora qui?"
"No."
"E… ehm… lui di solito non compare anche in
camera,
giusto?" domandò, facendola ridacchiare.
"Ma no. Di solito vive nel tuo
studio, che ai suoi tempi era la sua camera. Non spia
nessuno, tranquillo."
Si sporse fino a parlarle nell'orecchio.
"Menomale. Perché ho intenzione di fare qualcosa con
te che potrebbe scandalizzarlo."
*
Milo guardò l'orologio per l'ennesima volta
–mezzogiorno
meno un quarto- e si stupì di nuovo per l'insolito ritardo
di Camus: di solito
a quell'ora avevano già terminato tre belle ore di
allenamento.
"Camus è di nuovo in ritardo eh?" domandò
Aphrodite, cogliendolo di sorpresa.
Milo sobbalzò e si guardò intorno prima di
squadrare
l'amico.
"Accidenti a te Aphrodite, devi smetterla di
spuntare alle spalle della gente!" sbraitò. "Da dove salti
fuori?"
"Ero giù nell'arena." rispose Aphrodite.
"Dicevo… Camus è di nuovo in ritardo? Lo aspetti
da tanto?"
"Mh." gli rispose. "Sono passato stamattina
con le baklava ed era chiuso in
casa.
Sono passato mezz'ora fa con le spanakopita
ed è ancora a casa."
Aphrodite gettò un'occhiata verso l'interno
dell'undicesima casa e ridacchiò.
"Con una bella fanciulla per le mani, starei chiuso
in casa anche io." replicò. Gl'indicò il
sacchetto che aveva posato
accanto a sé con un cenno. "Provengono dal solito fornaio di
Rodorio?"
"Certo che sì. La moglie del fornaio mi conosce da
quando ero un tenero e coccoloso batuffolino e spesso mi regala dei
pezzi di
focaccia." rispose Milo.
"Tenero e
coccoloso batuffolino? Non
farmi
ridere e spara meno sciocchezze, ti prego." ribatté
Aphrodite, afferrando
il sacchetto e accorgendosi che era vuoto. "Dov'è finita la spanakopita?"
"Al sicuro."
"…?"
Milo si massaggiò lo stomaco.
"Qui." rispose.
Aphrodite sbirciò l'etichetta adesiva sul sacchetto e
sgranò gli occhi.
"Un chilo? Hai spazzolato un chilo di spanakopita da
solo?"
"A-ha. E un vasetto di yogurt e miele." replicò
Milo.
"Perdiana, sei un pozzo senza fondo. Se io mangiassi
con la tua stessa voracità sarei un barile." disse
Aphrodite. "Oh, god dag!" [Buongiorno]
"Bonjour."
salutò Camus. "Ça va?
"
Milo alzò lo sguardo sull'amico e su Mei subito dietro di
lui e sorrise sornione: entrambi parevano stanchi e appena usciti dalla
galleria del vento.
"Dormito male?"
"Più o meno." rispose Mei. Prima il fantasma di
Degél, poi Camus… dormire era stato impossibile.
"Dormito? Secondo te han la faccia di due che hanno
dormito?" ridacchiò Aphrodite.
"Era una domanda retorica infatti." annuì Milo.
"Allora?"
"Allora cosa? Vuoi anche sapere i particolari?" domandò
Camus.
"No, non è il caso." interloquì Aphrodite.
"Ogni tanto sarebbe bene farsi gli affari propri, Milo."
Sogghignando, Milo guardò ancora i due, intravedendo
qualcosa tra i capelli di Mei.
"Sì, certo." rispose, togliendo qualche filo
d'erba rimasto impigliato nella chioma della ragazza. "Affari vostri,
naturalmente. Vi va di uscire per pranzo o preferite restare chiusi in
casa?
Sapete, non si può campare di solo amore."
replicò Milo. Guardò Mei
rientrare in casa per riassettarsi e assestò un amichevole
pugno sulla spalla
di Camus. "Devo dedurre che avete fatto pace?"
"Sì." rispose Camus, a bassa voce. Con un… piccolo aiuto esterno, ma avevano
accantonato la questione. Decise però di non dire a nessuno
del fantasma,
troppe cose da spiegare e troppa poca voglia per farlo. "Sì,
tutto a
posto."
Almeno lo sperava.
***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 8
maggio
2015]
Allora, è trascorso un po' dall'ultimo capitolo, ma ci ho
pensato su parecchio prima di pubblicarlo, per via della presenza di
Degél,
personaggio che apprezzo moltissimo ma che non ho ancora imparato a
giostrare
al meglio.
-Aïe! è un'esclamazione tipica, equivalente di Ahi!
-Baklava: è un dessert ricchissimo di zucchero, frutta
secca e miele molto popolare in Turchia e in quasi tutte le cucine
arabe e
balcaniche.
-Spanakopita: snack / antipasto salato che assomiglia
vagamente alla torta pasqualina, naturalmente prevede la feta e diversi
ingredienti, ma il risultato ci assomiglia molto.
-God Dag: buongiorno, in svedese.
Alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 16 *** Que sera, sera. ***
capitolo 16
16.
Que
sera, sera.
[Dum
loquimur fugerit invida aetas:
carpe diem, quam minimum credula
postero.]
Orazio, (Odi 1, 11, 8)
Que sera, sera
Whatever will be, will be
The future's not ours to see
Que sera, sera
(Doris
Day, Que sera sera)
Nella settimana che seguì, il Grande Sacerdote
tornò a
occuparsi delle solite faccende e non riprese mai più
pubblicamente l'argomento
che aveva tenuto occupato mezzo Santuario per giorni, perciò
il tutto fu presto
accantonato; aveva più volte tenuto sotto sorveglianza la
giovane cinese e si
era assolutamente convinto sulla sua innocenza.
Nessun Cosmo da controllare, nessun possibile nemico,
quindi nessun problema.
"Abbiamo dunque appurato una volta per tutte che la
ragazza non possiede Cosmo e che non è una minaccia per la
stabilità del
Santuario…" iniziò Ares interrompendosi qualche
secondo.
Aphrodite corrugò la fronte e guardò rapido prima
il
Pontefice, poi DeathMask e il suo ghigno: c'era un "ma" in sospeso
che non gli piaceva affatto e che arrivò, puntuale, poco
dopo.
"…ma Shiryu e Dohko costituiscono un enorme punto
interrogativo." proseguì Ares. "O almeno, il giovane
Dragone."
Shura, che fino a quel momento era rimasto in silenzio,
interloquì.
"L'anziano Maestro, a mio avviso, è piuttosto
inoffensivo, il suo Cosmo è calmo da anni. Shiryu del
Dragone invece non è che
un comune Bronze Saint… che pericolo potrebbe mai
costituire?" ragionò.
Era un errore sottovalutare l'avversario, ma
evidentemente nessuno dei due ricordava quella regola basilare: il
giovane
allievo di Libra poteva anche essere sbruffone, ma se l'anziano Maestro
aveva
deciso di farne un guerriero –e c'era riuscito, il giovane
possedeva un Cosmo
niente male- non era proprio il caso di sottovalutarlo. Il Maestro,
infine, era
un sopravvissuto della precedente guerra sacra, era una pietra miliare
del
Santuario e tutti loro avevano imparato a mostrargli l'assoluto
rispetto che
meritava.
Beh, non tutti.
"Infatti il lucertolone è un idiota." DeathMask
interruppe Shura, accompagnando il tutto col suo solito ghigno
diabolico.
"E' uno sbruffone, un pallone gonfiato bravo solo con le parole, non ho
dovuto nemmeno faticare per sconfiggerlo."
Sfido io. Un Gold
Saint contro un guerriero di casta inferiore privo
dell'armatura… come potevi
non avere la meglio?
"Non mi risulta che tu l'abbia sconfitto."
disse Aphrodite, non riuscendo a trattenersi.
"Sono solo dettagli, la prossima volta non sarà
così
fortunato." replicò DeathMask, assottigliando irritato lo
sguardo.
"Bene allora, non ci sono problemi e tutto procede
per il meglio. Ad ogni modo mi ritirerò ancora una volta
sullo Star Hill per
controllare i movimenti di alcune stelle, perciò nelle
prossime settimane non
sarò presente." concluse Ares, alzandosi e concludendo
così il colloquio.
"Potete ritirarvi."
*
Milo salì fischiettando fino alla casa dell'acquario, il
chiodo appoggiato su una spalla e gli occhiali da sole inforcati; aveva
dato
appuntamento ai piccioncini davanti
alla prima casa, ma dopo una quindicina di minuti aveva deciso di
raggiungerli:
evidentemente dovevano essersene dimenticati.
"Cam! Pensavo vi foste dimenticati
dell'appuntamento!" esclamò, appena lo vide davanti
l'undicesima casa,
seduto sulle scale. "Allora, andiamo o no?"
Camus sbuffò appena, irritato da qualcosa che Milo non
riusciva a capire: insomma, la lite era stata dimenticata, no?
"…avete litigato di nuovo?" tirò a indovinare
Milo.
"Per fortuna no." replicò Camus.
"Allora si sente poco bene?"
"No, no. Tutto benone. Appena Shiryu smette di
trattenerla al telefono, scendiamo."
"Ah, adesso capisco. Che cosa diavolo vuole
ancora?" disse Milo, posando a terra il casco.
"Non lo so. So solo che superata la lite, negli
ultimi giorni tutto andava bene, filava tutto liscio come l'olio e
arriva lui a
scombinare tutto." rispose Camus. "D'accordo, sono contento che abbia
così tanto a cuore sua sorella, ma…"
Probabilmente anche lui avrebbe agito così se avesse
avuto una sorella, avrebbe cercato in ogni modo di proteggerla,
ma…. una cosa
era proteggere, un'altra soffocarla come stava facendo Shiryu.
Come indovinando i suoi pensieri, Milo lo interruppe.
"Senti Cam, un conto è avere a cuore una persona, un
altro conto è tarparle le ali." obiettò Milo, che
s'addentrò appena
nell'undicesima casa da dove si sentiva Mei urlare, chiaramente
furiosa. "Questo
non è provare amore fraterno, è assillare!"
"Se cerchi di capirci qualcosa fai un buco
nell'acqua, sta urlando in cinese." lo distrasse Camus.
"Ah." Milo alzò le mani in segno di resa.
"Non capisco un'acca, ci rinuncio. Quel
ragazzo è una piaga umana. Cam, dovessi mai sposarti o
andare a convivere con
lei, per il suo bene, portala il più lontano possibile dal
fratello. Non
importa dove, purché a mille miglia lontana da lui."
"Come
siete
esagerati." intervenne Aldebaran. "In fondo è un adolescente
che si
preoccupa per la sorella, quanti ragazzi di quell'età lo
farebbero? Insomma,
provate a mettervi nei suoi panni."
"Potrei
capirlo se il
ragazzo di sua sorella fosse un tossico che vive sotto i ponti, ma
Camus è una
persona per bene…!" insorse Milo. "E Shiryu agisce per
gelosia,
secondo me."
Per
gelosia e perché non aveva più una schiava a sua
completa disposizione,
pensò Camus,
alzandosi.
Mei
uscì poco dopo, mentre
riponeva nella tasca dei jeans il cellulare.
"Eccomi,
scusate il
ritardo."
"Tutto
bene?"
Come no, una favola.
"Sì,
tutto
bene." rispose invece, alzando poi lo sguardo su Milo che aveva
fischiato
in sua direzione. "… uh?"
"Aspetta
aspetta… fa'
un po' vedere che hai lì…" disse Milo, girandole
intorno e concentrando la
sua attenzione sul giacchetto che lei indossava.
Camus
inarcò un
sopracciglio.
"Quando
poi ha finito
di farti la radiografia, possiamo andare." disse Camus, guardando
l'amico
che non smetteva di fissare con insistenza Mei.
"Mei,
dimmi un po'.
Gene o Paul?"
"Beh…
Paul,
direi." rispose Mei.
"Ahia.
Così mi
deludi." protestò Milo. "Il Demone
non ha esercitato alcun fascino su di te?"
"No."
ridacchiò
Mei. "Anche se devo ammettere che apprezzo lo stesso Gene Simmons,
specie
nei tardi anni 80, sai… ad esempio nel videoclip di Reason to live."
"E
so anche perché.
Eh brava!!" scherzò Milo, circondandole le spalle e
incamminandosi con lei
giù per le scale.
"Beh,
Camus… non te
la prendere, dai… finché guarda e non allunga le
mani va ancora bene."
scherzò Aldebaran.
"Non
arriverebbe a
tanto. E' un burlone, ma non è così scemo da
voler incorrere volontariamente
nella mia ira." rispose Camus. "No, seriamente. Mi fido di lui, so
che non farebbe mai una cosa del genere."
**
Shiryu
ripose il
telefonino, pensieroso.
Perché
non riusciva più a
parlare con sua sorella senza far storie inutili? Dov'era finito il
rapporto
che avevano avuto da ragazzini? Dov'era finita sua sorella?
"Cos'è
successo?" domandò Shunrei, ferma sulla porta della sua
stanza. "Non
ti ha risposto?"
"Oh
no. Mi ha
risposto eccome… non l'hai sentita strillare?" rispose
Shiryu.
"Uhm…
no."
"Buon
per te,
significa che hai ancora entrambi i timpani."
"Che
hai combinato
per farla strillare?"
Shiryu
scrollò le spalle,
minimizzando.
"Ma
niente, le ho
solo telefonato, mi mancava e volevo parlarle."
Shunrei
si strinse nella
vestaglia.
"…e?"
"E
cosa?"
"Che
le hai
detto?"
Era
restio a parlarne.
"Niente,
non è
successo niente." sdrammatizzò.
"Senti,
tua sorella
non si arrabbia di certo perché le telefoni. Conoscendoti,
le avrai detto
qualcosa che l'ha irritata." interloquì Dohko, in fondo al
corridoio.
"Hai toccato un certo tasto, vero?"
Shiryu
sbuffò appena.
Beh,
sì. Aveva accennato
–no, aveva di nuovo affrontato, si corresse- l'argomento Camus e Mei era scattata come una molla.
"Mi
ha detto di non
assillarla e di smetterla di provare a convincerla a tornare a casa,
perché
dov'è si trova bene."
"Non
hai risposto
alla mia domanda." obiettò Dohko.
"Le
ho chiesto se si
trovava bene e come la trattavano al Santuario. Per qualche minuto
è andato
tutto okay, poi ho ripreso un certo argomento e…"
"E
non ha gradito
l'intrusione nella sua sfera privata." concluse Dohko per lui. "Certo
che si trova bene, benedetto ragazzo. Quante volte devo ripetertelo?"
No, Mei non era arrabbiata per l'intromissione, era
furiosa per la sua ultima genialata. Col senno di poi, si era accorto
che aveva
avuto tutte le ragioni per infuriarsi, accidenti a lui e alla sua
lingua lunga.
*
Non
s'era arrabbiata per
le domande di suo fratello, si preoccupava per lei così come
lei faceva per lui.
Era normale voler sapere se al Santuario la trattavano bene e
quant'altro.
Meno
normale era, però,
reagire con cattiveria al secco no!
ricevuto alla richiesta di tornare a casa.
"Io
ti ho avvertita, poi non dire che non te
l'avevo detto e soprattutto non venire a piangere sulla mia spalla!"
Probabilmente
Shiryu non
avrebbe nemmeno voluto dire quelle parole, forse erano uscite di getto
e in un
momento di rabbia, ma l'avevano ferita; era rimasta in silenzio un
attimo,
prima di rilasciare il fiato e rispondere a tono.
"Non
succederà, non ti darò questa soddisfazione.
Non ti chiederò mai nulla, Shiryu."
Chissà
che cos'era
successo per indurlo a parlarle in quel modo, che cos'era successo a
suo
fratello per farlo incattivire così.
"Stavi
litigando con
tuo fratello?" la scosse Camus, sedendosi al tavolo con una birra
piccola
in mano.
Mei
prese il proprio
boccale e annuì.
"…
sì. Ultimamente
non facciamo altro."
"Ultimamente… cioè
da quando ci conosciamo." la corresse Camus.
Non
sapeva come
rispondergli. In effetti Shiryu era diventato impossibile da quel
giorno al Goro-Ho,
solo che sulle prime l'aveva attribuito alla mezza sconfitta subita
contro
DeathMask, mentre nei giorni successivi era diventato chiaro che era
Camus la
causa del suo malumore.
Il
perché, le era quasi
sconosciuto.
Shiryu
non è sempre così,
avrebbe voluto dirgli, in sua difesa. C'erano dei
momenti nei quali sapeva essere piuttosto dolce, dietro la maschera del
saccente, c'erano delle volte in cui, nonostante la giovane
età, si comportava
come un fratello affettuoso e non come un insopportabile polemico.
"…hey,
frena un po',
vacci piano." disse Camus d'improvviso, facendole posare il boccale.
"Non è mica acqua."
"Uhm?"
"Vacci
piano, con
questa." le indicò la birra. "Sei sicura di essere in grado
di
reggerla?"
Mei
sorrise.
"Spero." rispose.
Camus
prese il boccale e
assaggiò.
"Perché
hai ordinato
una birra così forte?"
"A
dire il vero ero
soprapensiero, Milo deve averla ordinata per me." replicò
Mei.
"Pensavo alla telefonata e ho sentito a malapena ciò che mi
stava dicendo,
ricordo di aver annuito un paio di volte…"
"Immaginavo."
commentò Camus, alzandosi. "Ti prendo qualcosa da mangiare.
A stomaco
vuoto quella stroncherebbe anche un elefante."
"…
ah." fece
Mei. "Meglio, altrimenti potrei far sbilanciare la moto e finiremmo per
ammazzarci da qualche parte a causa mia."
"Perché
è fredda e
potrebbe causarti una congestione, zuccona."
Milo
tornò al tavolo poco
dopo, stecca da biliardo in mano e sorriso da trentadue denti stampato
sulle
labbra.
"Hey,
ti ha lasciata
sola?" domandò, allegro, prendendo il boccale che Mei aveva
appena rimesso
giù. "Hai bevuto tu? Non ti facevo tipo da birra."
"Era
la tua?"
"Temo
di sì. Ma
tranquilla, non mi scandalizzo mica se una donna beve,
purché non si ubriachi e
non diventi molesta come quella là." replicò
Milo, dopo aver trangugiato
un gran sorso, indicando una donna visibilmente ubriaca che sbraitava
parole
incomprensibili nel microfono dell'angolo karaoke.
"Non
c'è problema, io
sono stonata anche da sobria." rispose Mei. "Non farò mai
karaoke in
vita mia."
"Bene,
lieto di
saperlo. Urgh… senti? Sta uccidendo gli Eurythmics."
"…
con tutto il
rispetto per gli Eurythmics… se ci pensi, poteva andar
peggio: poteva uccidere
Queen o Kiss e allora sarebbe stata davvero una blasfemia."
commentò Mei.
Milo
poso di nuovo il
boccale.
"Uhm.
Questo è
vero." concordò. "Stiamo per finire una partita, vuoi unirti
a
noi?"
"Lo
farei, se sapessi
giocare a biliardo."
"Beh,
si può sempre
imparare." ridacchiò Milo.
"I
soli giochi di
società che conosco bene sono il mahjong,
il go e il bowling." disse Mei.
"Oh.
Non potevi dirlo
prima?"
"Cosa?"
interloquì Camus, tornando al tavolo con una tiropita calda.
"Mei
sa giocare a
bowling. A saperlo, potevamo chiamare gli altri e sfidarci." rispose
Milo.
Camus
guardò l'orologio.
"Sono
appena le
dieci. Possiamo sempre farlo." propose.
"Naaah.
Shaka a
quest'ora già dorme."
Mei
ridacchiò.
"Ho
come idea che
Shaka non sarebbe venuto comunque."
"Su
questo hai
ragione. Ma Aldebaran e Aphrodite sarebbero venuti volentieri." Milo
fece
spallucce, prendendo il cellulare. "Io ci provo, magari sono ancora
svegli."
"In
quel caso Alde e
Phro li prendo io." disse Camus.
"Te
li scordi."
fece Milo.
"Ce
li
giochiamo?"
"Birra
e
wurstel?"
Camus
inarcò un
sopracciglio.
"Okay,
okay.
Scherzavo." ridacchiò Milo. "Che dici, Palla
8?"
"Sai
che non sono
bravo col biliardo."
"Appunto."
"Freccette?"
propose Camus, indicandogli il bersaglio appeso al muro, poco distante
da loro.
Mei
corrugò la fronte.
"Vi
giocate i
compagni?"
"Ma
ovviamente. Se
hai Alde in squadra vinci di sicuro, in una partita, tempo fa,
è riuscito a
fare tre strike di fila. Tre."
spiegò Camus.
"Accidenti!"
esclamò Mei.
"Nemmeno
Aphrodite è
da sottovalutare." li interruppe Milo. "Tu non hai idea di che cosa
può fare su una pista da bowling o sotto un canestro."
"Ah
sì?"
Camus
si alzò.
"Bien, dai. Ciarla di meno e muoviti."
gl'intimò, dirigendosi
al bersaglio.
"Oh
insomma, fate sul
serio??"
"Oh
sì." rispose
Milo, posando la stecca nell'alloggiamento al muro. "Non scherziamo
mica
noi."
"Non
su certe
cose." concordò Camus. "Il primo che s'avvicina per tre
volte al
Bull's Eye si aggiudica Phro e Alde. Intesi?"
Venti
minuti dopo erano
ancora lì a giocarsi i compagni, entrambi pari, con i
suddetti come pubblico.
"Ragazzi,
a che ora
chiude il bowling?" domandò Aiolia.
"Alle due." sbuffò Death.
"Oh
bè. Abbiamo un
paio d'ore di tempo, se si danno una mossa." disse Shura.
Camus
afferrò una
freccetta e si posizionò per lanciarla.
"…ed
ecco Guglielmo
Tell nella sua migliore esibizione…" lo prese in giro Milo.
"Senti,
puoi
cortesemente allontanarti? Non mi piace avere gente intorno quando sto
per
lanciare." replicò Camus.
Milo
alzò le mani in segno
di resa.
"Oh,
non sia mai.
Largo al grande Robin Hood, non lo deconcentriamo."
"Ma
quanto sei
divertente." ribatté Camus. "Anche i migliori han bisogno di
concentrazione." aggiunse, lanciando in seguito la freccetta e facendo
centro. "Tre Bull's Eye su tre. Amico… Phro, Alde e Death li
prendo in
squadra con me."
Milo
fischiò ammirato.
"Sì, sì. Sei bravo, te lo concedo. Prenditi pure
i due supercampioni di
bowling, io prendo Shura, Aiolia e…Mei." disse Milo,
afferrando Mei per un
braccio e tirandola a sé. "Non ti spiace, vero?"
"Ehilà,
non
trattateci come pacchi, vi sentiamo!" disse Aphrodite.
"Ehm…
ho detto che
son capace a giocare, non a fare chissà cosa."
bisbigliò Mei.
"Mah
sì, non siamo
mica alle olimpiadi, no?"
Più
tardi…
"Un
altro giro."
ordinò Death in direzione della cameriera.
"Non
per me, una
birra basta e avanza." rispose Aphrodite. "E anche tu, Milo, dovresti
bere meno, sei in moto."
"Infatti,
ho già
bevuto."
"Ma
chi se ne
importa, è la nostra sera libera, quindi berrò io
le vostre." disse Death.
"Grazie
ad Athena,
sono io il guidatore designato, ergo toccherà a me riportare
te e le altre
chiappe flaccide a casa, dopo." sospirò Aphrodite, con una
punta di
rassegnazione. "Spero solo che non succeda come l'ultima volta."
Mei
scrutò l'altro con
curiosità.
"Perché,
che è
successo?"
"Il
suo stomaco non
ha retto i cinque Long Island che aveva trangugiato nel corso della
serata e
diciamo che ha rifatto completamente gli interni della mia povera
Ulysse del
'98." spiegò Aphrodite.
"Bleah."
fece
Mei.
"Bleah
sì."
concordò Death. "Soprattutto perché per togliere
la puzza di vomito dai
tappetini e dalla moquette ho dovuto lavargli l'auto da cima a fondo
una mezza
dozzina di volte. Anche se auto non
è
il termine più adatto, è una carretta."
"Prima di ridere per la mia auto, pensa a pagare le
rate della tua."
replicò Aphrodite, piccato, prima di eseguire un tiro fluido
che però non portò
a segno alcuno strike, ma che
lasciò
in piedi due soli birilli, lontanissimi tra loro.
"E che cavolo."
"Ahah,
auguri per il
prossimo tiro, amico." ghignò Death, sorseggiando la sua
birra.
"Porta
sfortuna." protestò Aphrodite.
"Appunto."
"Vi
ricordo che siete
nella mia squadra, quindi fate il vostro dovere e cianciate di meno."
interloquì Camus. "E tu che fai qui, spii le nostre mosse
per riferirle a
Milo?" aggiunse, verso Mei.
"A
dire il vero
cercavo di imparare qualcosa." ammise l'interpellata, sorridendo.
"Sciò,
sciò."
scherzò Camus.
Aphrodite
soppesò la
boccia che aveva appena preso dalle guide e fece un gran sospiro
guardando la
pista e i birilli 7 e 10, mentre Aldebaran parlottava con lui sul tiro
da
eseguire.
"Uno
Snake eyes. Che sfortuna."
commentò
Camus.
Milo
ghignò poco distante
da loro, richiamando Mei per il prossimo turno.
"Non
parlare col
nemico." disse, lanciando un'occhiata divertita all'amico.
"Hey
Milo, mi faresti
la cortesia di spostare la mano in una zona più neutrale?"
sbottò Camus,
alludendo alla mano che Milo aveva piazzato sul fianco di Mei.
Shura
scarabocchiò
qualcosa su un blocco, mentre al tavolo a fianco, Camus e gli altri
esultavano
per il tiro vincente di Aphrodite.
"E
ora siamo a
venticinque punti di svantaggio… per fortuna possiamo ancora
recuperarli."
disse, guardando il tabellone. "A chi tocca ora lanciare?"
Milo
indicò Mei.
"Dolcezza,
la pista è
tutta tua."
Prese
una boccia e la
rigirò tra le mani un paio di volte, prima di infilare le
dita nei fori e
prepararsi a lanciare.
"…in
quel modo la
lancerai nel canale." intervenne Aldebaran.
"Come?"
si fermò
Mei.
Aphrodite
si avvicinò e le
tolse di mano la boccia.
"Hai
preso una boccia
da spare, quindi sbagliata."
precisò, cambiandola con un'altra boccia. "E poi sbagli
presa. Infili
medio e anulare nei fori gemelli e non indice e medio… e il
pollice nel terzo,
così…"
"…fin
qui ci
sono." commentò Mei.
"Bene,
è già
qualcosa, ti pare? Ora fai qualche passo verso la pista, piega
leggermente le
gambe e punta verso i birilli, così." la guidò
Aphrodite. Mei buttò giù
sette birilli su dieci. "Non male, non male. Devi applicarti un po' ma
niente male."
"Che
fai, fraternizzi
col nemico?" fece Death.
"Beh
dai, siamo in
vantaggio di parecchi punti, possiamo permettercelo."
La
partita si concluse con
la schiacciante vittoria della squadra di Camus: recuperare i punti,
dopo i tre
strike di fila che Aldebaran aveva messo a segno era diventato
praticamente
impossibile per Milo e, a dispetto di quanto pronosticato da Aphrodite,
DeathMask non diede di stomaco in auto –ma a casa-.
Mei
si era divertita
parecchio quella sera per lasciarsi rovinare l'umore da suo fratello,
calcolando anche che, una volta al Santuario, lei e Camus avevano
continuato a
divertirsi: aveva deciso di mettere da parte la lite con Shiryu, prima
o poi
–aveva deciso- ne avrebbe parlato, ma non subito.
L'indomani
mattina…
Rimasta
sola in casa
mentre Camus era impegnato giù nell'arena –ancora
si chiedeva dove avesse
trovato la forza di alzarsi così presto dopo la serata al
bowling e la notte
insonne appena trascorsa-, Mei lavò i piatti sporchi e
sistemò la cucina prima
di avventurarsi, incerta, nello studio in fondo al corridoio: in quella
stanza
avvertiva chiaramente la presenza di Degél e sperava di non
disturbarlo.
Camus
non aveva modificato
granché l'arredamento originario, i mobili di quella stanza
erano ancora quelli
del diciottesimo secolo, quelli appartenuti al suo predecessore.
Il
letto era stato
spostato sotto la finestra e usato a mo' di divano, la scrivania
d'ebano e la
Savonarola erano state sistemate in un angolo e le pareti erano
occupate dalle
librerie, ricolme di libri e qualche sporadico oggetto. Le sole
modifiche che
Camus aveva apportato erano i propri oggetti personali, il pc portatile
e la
stampante, la lampada a muro sopra la scrivania e delle semplicissime
tende
bianche alla finestra.
Si
guardò intorno, ma in
quel momento non c'era traccia di Degél, quindi si
accomodò alla scrivania, divise
in due il mazzo che aveva portato con sé dal Goro-Ho ed
estrasse sei carte,
sistemandole in tre file da due a faccia in giù dopo averle
mescolate con cura.
Trasse un gran respiro prima di girare le prime due e si
rilassò solo dopo
averle viste.
Yu, il Fervore
e K'un, il Ricettivo: amore
improvviso,
cambiamento, attesa, sentimenti intensi e segreti, situazioni da
accogliere in
quanto inviate dal destino… due esagrammi piuttosto
positivi, tutto sommato,
che descrivevano piuttosto bene il passato appena trascorso; Camus era
arrivato
nella sua vita all'improvviso e allo stesso modo la sua vita aveva
preso una
piega del tutto imprevista, soprattutto perché si era
trasferita.
Girò le due carte centrali e le studiò
attentamente.
Ch'ien, la Modestia
e Kuei Mei, la Ragazza che va
sposa: prudenza, rapporto solido
e momento difficile; possibili novità in
arrivo, ottima intesa, relazione sincera.
In parte coincideva anche il presente: il rapporto
costruito con Camus, anche se costruito in breve tempo, pareva essere
solido.
O quantomeno, lo sperava.
Le ultime due carte avrebbero rivelato qualcosa sul suo
futuro, ma era incerta se voltarle o no: le consultazioni dell'I-Ching,
come
qualunque altro metodo divinatorio, andavano prese per le pinze, e
oltretutto
c'erano due sensazioni opposte che da una parte la spingevano
affinché voltasse
le carte, dall'altra la facevano desistere.
Poco dopo notò Degél entrare nella stanza e
"sedersi" sul suo vecchio letto, lo sguardo attento rivolto a
chissà
cosa fuori, in lontananza.
"Temo di avervi rubato il posto." si scusò Mei.
"Tra qualche minuto vi lascio tranquillo."
"Non mi state recando alcun disturbo. Potete
rimanere, se lo desiderate." replicò Degél,
osservando un oggetto posato
sulla mensola della finestra. "State divinando?"
D'istinto Mei guardò le carte non ancora scoperte.
"Diciamo di sì, anche se non sono pratica come
vorrei." rispose. "Non sono capace come mia nonna."
Degél seguì il suo sguardo e indicò le
carte sul tavolo.
"Non siate precipitosa nel voler conoscere il vostro
futuro, potreste farvi suggestionare e correre il rischio di cambiare
qualcosa.
Potreste perdere qualcuno per sempre." le disse.
"Che intendete dire?"
"Vi suggerisco di riporre quelle carte e non
adoperarle per conoscere il vostro futuro." replicò
Degél, con freddezza.
Mei corrugò la fronte.
"… perché voi lo conoscete?"
"Prego?"
"Voi conoscete il futuro?"
Degél incrociò le braccia sul petto, scrutando la
giovane.
"L'onniscienza è un dono riservato esclusivamente
agli Dei." rispose. "A nessun mortale è concesso conoscere
il proprio
destino. Se anche possedessi quel dono, mia cara, non mi sarebbe
consentito
proferire alcuna parola in proposito. Non cercate risposte per qualcosa
che
ancora dev'essere scritto. Vivete i vostri giorni così come
arrivano e godetene
appieno."
Mei sospirò, quindi afferrò le carte e, senza
guardarle,
le infilò nuovamente nel mazzo, rimescolandole bene e
riponendole nella loro
custodia.
In un certo senso Degél aveva ragione, meglio vivere alla
giornata, meglio seguire quel consiglio.
Meglio non pensare
al domani.
***
Lady Aquaria's corner
[Capitolo revisionato in data 8
maggio 2015]
-Gene e Paul, ora farò un po' il capitan ovvio della
situazione, sono due componenti dei Kiss.
Con il termine Demone, mi riferisco
a
Gene Simmons e al suo trucco di
scena, e Reason to live
è una loro
stupenda canzone.
-Palla 8 è una
specialità del biliardo.
-Il Bull's Eye è da considerarsi, se non erro, il centro
e l'anello che lo circonda nel tabellone circolare delle freccette e
ovviamente
centrarlo vale molti punti.
-"Prima di
ridere per la mia auto, pensa a pagare le rate della tua."
è una
carinissima frase che ho trovato navigando su Facebook e che, secondo
il link,
era affissa su un vecchissimo modello di Fiat.
-Termini del bowling:
Strike: si
ottiene abbattendo tutti i birilli al primo tiro.
Snake eyes: se
al primo tiro non si fa strike si ottiene uno split, cioè
una particolare
sistemazione dei birilli che prevede un tiro difficile per abbatterli.
Uno
snake eyes si ottiene se i birilli rimasti in piedi sono due e sono
distanti
tra loro.
Boccia da spare:
più leggera di una boccia da strike, serve in caso di spare,
quando bisogna
raggiungere con precisione i birilli rimasti in piedi.
-Mei, come ho detto, è taoista e in questo capitolo sta
consultando l'I-Ching.
Questo metodo di divinazione si può consultare in due modi:
lanciando tre
apposite monetine e tracciando gli esagrammi dopo aver interpretato le
monetine
o si può consultare come un vero e proprio mazzo di carte,
come si fa con i
tarocchi. Per questa specie di "lettura" ho consultato i libri a mia
disposizione e qualche applicazione online.
Come sempre, grazie a chi legge, recensisce e
quant'altro. Lo apprezzo sempre tanto.
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 17 *** If today was your last day. ***
capitolo 17 prequel
17.
If today was your last day.
If today was
your last day
and tomorrow was too late
Could you say goodbye to yesterday?
Would you live each moment like your last?
(…)
Would you find that one you're dreamin' of?
Swear up and down to God above
That you finally fall in love
(Nickelback, If today was your last day)
Una
decina di giorni
più tardi, Star Hill.
Saga distolse lo sguardo dal cielo massaggiandosi le
tempie, stanco: da quanto tempo non riusciva più a dormire
una notte intera?
Forse troppo, pensò, gettando con desiderio un'occhiata alla
teiera colma
d'infuso di papavero.
No, toglitelo dalla
testa. Non è il caso di dormire proprio adesso.
Oltrepassò deciso la scrivania e si diresse al bacile
accanto al letto, gettandosi acqua gelida sul viso nel tentativo di
svegliarsi
un po' prima di tornare a consultare mappe stellari e antichi
almanacchi con
fare pensieroso; in quegli ultimi giorni aveva notato qualcosa di
anomalo,
luminescenze insolite che non aveva affatto gradito. Cinque
costellazioni in
particolare, poi, sembravano spiccare tra tutte e forse era ancora
troppo
presto per ipotizzare qualunque cosa, ma avrebbe iniziato a prendere
alcune
misure di sicurezza: al suo rientro al tredicesimo tempio, per
cominciare,
avrebbe subito indetto un Chrysos Synagein e richiamato i Gold Saint
all'ordine.
Sì, decise. Anche con soli nove Gold Saint a guardia dei
rispettivi templi, chiunque avesse osato muoversi contro di lui avrebbe
trovato
morte certa: aveva investito troppo tempo ed energia per abbandonare
tutto a un
passo dalla vittoria e di sicuro non si sarebbe lasciato sconfiggere da
un
manipolo di Saint senza nerbo.
Gettò un ultimo sguardo a Polluce, particolarmente
luminosa in quel periodo e, interpretandolo come un segno di buon
auspicio, si
versò una tazza d'infuso con un gran sorriso sulle labbra.
Goro-Ho.
Non sapeva perché ma sentiva che qualcosa non andava per
il verso giusto.
Shiryu si fermò qualche istante, accaldato, levando il
volto al cielo: stava sicuramente
per
succedere qualcosa, sentiva in sé un presentimento negativo
che non lo faceva
dormire da giorni, inducendolo a rigirarsi inquieto nel letto.
"Shiryu! Possibile che nemmeno nelle tue condizioni
riesci a star fermo un attimo?" domandò Dohko, interrompendo
i suoi
pensieri e scrutandolo con aperta curiosità.
"Non riesco a restare con le mani in mano, devo
distrarmi e impedire ai pensieri di prendere il sopravvento." rispose
Shiryu. Aveva imparato a fare le stesse cose di prima anche con il suo
handicap, perché dunque restare in casa ad auto commiserarsi
più del dovuto?
"Qualcosa ti turba." asserì Dohko, poco dopo.
"No, va tutto bene." rispose con una punta
d'ironia, riprendendo a far legna. Sistemò un po' incerto un
nuovo ciocco sul
ceppo e poco dopo calò l'accetta su esso, anche se avrebbe
preferito calare
quella scure su qualcuno
anziché sul
legno.
"A me non sembra, figliolo."
Stavolta si fermò sul serio, riponendo la scure al suo
posto e dedicando attenzione a Dohko.
"Vi chiedo umilmente scusa se vi ho offeso in
qualche modo." rispose. "Sono stanco, Maestro, non volevo mancarvi di
rispetto."
In effetti le occhiaie e l'ombra di qualche ruga la
dicevano lunga sullo stato psicofisico del suo allievo.
"D'accordo, scuse accettate. Stavi pensando a tua
sorella?"
"A dire il vero, non solo." ammise Shiryu. Certo, pensava a sua
sorella e ciò era inevitabile, ma in quei giorni era ben
altro a preoccuparlo;
gli avvenimenti degli ultimi tempi avevano scatenato in lui una ridda
di
pensieri che spesso si confondevano tra loro: DeathMask di Cancer e le
sue
minacce, i Saint incontrati in Grecia e le voci sul
Santuario… se poi pensava
che Mei era in mezzo a quella gente, beh, era naturale per lui essere
in
pensiero.
"Credo di aver capito. Non crucciarti troppo Shiryu,
quando sarà il momento l'acqua della vita farà il
suo effetto e tornerai a
vedere come una volta. E' solo questione di tempo, figliolo, quello
guarisce
ogni cosa."
"Lo spero." rispose Shiryu senza spiegare le
vere ragioni del suo malessere. L'acqua della vita, certo…
scosse la testa, un
po' sconsolato, prima di avviarsi in casa seguito da Shunrei che, con
il suo
solito entusiasmo, iniziò a proporgli un bagno e qualcosa di
fresco da bere.
Francamente, dopo i primi giorni di ottimistica speranza,
aveva iniziato a dubitare dell'effettiva efficacia di quell'acqua miracolosa, e nemmeno l'ottimismo di
Seiya, che quasi ci aveva rimesso l'osso del collo per procurargli
quella
bisaccia d'acqua, di Shunrei e del Maestro riuscivano a rassicurarlo.
Aprì la mano e l'alzò, strizzando gli occhi come
un miope
che cerca di mettere a fuoco qualcosa senza i propri occhiali, senza vedere nient'altro che il solito,
desolante buio.
"Ah!" gemette, premendosi poi le tempie con le
mani.
No, quell'acqua forse non serviva proprio a nulla.
"Tutto bene?" domandò Shunrei, apprensiva.
Se un mal di testa lancinante, l'angoscia e il malumore
si potevano catalogare sotto la voce tutto
bene, allora sì, tutto
bene.
"No." rispose, tetro. Sentì la ragazza entrare
e chiudere la porta, quindi avvertì lo scricchiolio dello
sgabello di vimini
accanto alla vasca da bagno.
"Cosa senti?"
Non sapeva bene come risponderle, quindi lo fece con
un'altra domanda.
"Tornerò mai a vedere?"
"Certo che sì!" esclamò subito Shunrei.
"…e quando?"
"Quando il tuo corpo sarà pronto" -almeno non
aveva risposto come il Maestro, pensò Shiryu con una
smorfia- "e quando
accadrà qualcosa abbastanza potente e straordinario da
restituirti il giusto
vigore." rispose infine Shunrei, accarezzandogli una guancia.
Qualcosa abbastanza potente e straordinario? Beh,
non restava che aspettare…
Atene.
Seduta nel dehors di un kafeneio, Mei girò il cucchiaino
nella coppa di yogurt dopo aver aggiunto una dose generosa di miele e
mandorle
sotto lo sguardo divertito di Camus.
"…fame?" scherzò quest'ultimo, piluccando un
cubetto di feta dai resti della
propria insalata.
Mei scosse la testa.
"Veramente no, sarei piena, ma sai com'è… il
posto
per un paio di dolci c'è sempre." rispose.
Lui sorrise.
"Ah, ovviamente. Infatti ho letto da qualche parte
che forse abbiamo un secondo piccolo stomaco creato apposta per i
dolci."
asserì, con aria fintamente seria. "Giusto accanto allo
stomaco
principale."
"Ma davvero?"
"Oh sì. Si apre nel momento stesso in cui si chiude quello
principale."
In tutta risposta Mei affondò il cucchiaino nello yogurt
e sospirò deliziata.
"Sì? Allora credo di possederne almeno cinque o
sei." replicò, allegra. "Sai che da quando sono qui devo
aver messo
su almeno tre chili? Me ne sono accorta ieri quando ho provato a
chiudere la
zip dei miei vecchi jeans. Ma sai cosa? Non m'importa. Mi sento
benissimo."
Camus si sporse verso di lei e abbassò la voce.
"Un modo per farteli smaltire lo troviamo,
fidati."
"Ottimo! Unirei l'utile al dilettevole, giacché non
ho soldi per rifarmi il guardaroba e non ho intenzione di levarli dai
risparmi
per l'università." rispose Mei.
Camus ingollò una baklava e la guardò.
"Vuoi frequentare l'università?"
"Sì. Da ragazzina volevo diventare un medico, ma poi
ho messo i piedi per terra e pensando più realisticamente,
ho accantonato
l'idea per qualcosa di più pratico."
"… che sarebbe?"
"Vorrei perfezionarmi nelle Arti Marziali e poterle
insegnare, un giorno. Mi piacerebbe poter aiutare le ragazze a
difendersi con
l'Aikido, o le donne incinte a rilassarsi con il Taijiquan, giusto per
farti un
paio di esempi." rispose Mei. "Niente di così grandioso, non
sono il
tipo da ambire al premio Nobel."
"Beh, però come programma non è male."
annuì
Camus.
"E tu? Non abbiamo mai parlato di queste cose e sono
curiosa di sapere che cosa vorresti fare, quali sono i tuoi progetti di
vita." disse Mei, pentendosi poco dopo dell'ultima frase appena detta.
Stavolta Camus sorrise un po' amaro.
"Con il mio mestiere
non posso permettermi il lusso di progetti a lungo termine, come un
poliziotto,
potrei alzarmi una mattina e non arrivare vivo alla sera…"
Mei si schiarì la voce un po' imbarazzata.
"Sì, beh… nel limite del possibile,
intendo…"
"Ad ogni modo, come il mio predecessore mi piace
studiare e vorrei perfezionare le lingue che conosco e impararne di
nuove.
Nemmeno io ho grandi progetti."
Mei terminò il suo yogurt.
"Anche voi avete studiato per conto vostro come fa
mio fratello, dunque."
"In un certo senso, sì."
"A questo punto, pur avendo detestato l'idea di
alzarmi prestissimo la mattina per tanti anni, sono felice di aver
frequentato
regolarmente le scuole e di aver frequentato altre persone." disse Mei.
"C'è anche da dire però che non ero io che dovevo
allenarmi per diventare
Saint, grazie al cielo."
Già. In un certo
senso buon per te, quante sofferenze ti sei risparmiata,
pensò.
"Se tu possedessi un Cosmo, saresti una seconda
Shaina." disse invece.
Mei ridacchiò.
"Perché, anche lei è una polemica, acida,
cocciuta e
lunatica spina nel fianco con un carattere impossibile? No,
perché a me non
sembra affatto così."
Lo era, lo era. Mei non aveva mai visto Shaina in azione,
era il terrore delle sue allieve.
"Beh, siete… grintose
entrambe." replicò Camus diplomaticamente
scegliendo accuratamente la
parola. Sarebbe stato meglio non ripetere quelle parole al Santuario:
meglio
non solleticare l'ira -o l'ego- di Shaina.
"Grintosa"
ripeté Mei ridacchiando "si nota che sei il diplomatico del
Santuario."
Camus sorrise.
"Beh, ci provo. E' che preferirei non avere a che
fare con una donna infuriata." rispose, facendola ridere.
"Oh, su questo puoi stare tranquillo, non mi
arrabbio tanto facilmente." replicò Mei. "Solo se mi danno
un buon
motivo e per fortuna non succede spesso. Però…
ecco, potrei arrabbiarmi
seriamente se non mi porti via da qui, prima che ordini un altro
yogurt."
Camus stavolta ridacchiò.
"D'accordo. Allora… tra ieri e oggi abbiamo visitato
il Benaki e il museo d'arte bizantina… potrei portarti al
museo del folklore e
la Galleria Municipale. Ci sono collezioni assai interessanti e non
sono tanto
lontane da qui." aggiunse, indicandole un punto sulla mappa.
"Andiamo!" replicò, allegra. "Anzi…
potremmo posticipare a domani la visita della Galleria e…
chiuderci in
camera."
Lui si fermò.
"E tu baratteresti un pomeriggio culturale con un
pomeriggio chiusi in camera?"
"Sì." rispose Mei, senza esitazione.
Le afferrò la mano e s'incamminò in direzione
opposta a
quella dei musei, facendola ridere.
Cominciava ad abituarsi a quella vita così diversa da
quella che conduceva di solito. Alzarsi un po' più tardi,
uscire un po' più
spesso e passeggiare con calma, erano piccoli lussi che ora era ben
felice di
concedersi.
Soprattutto l'alzarsi più tardi, sorrise guardando Camus,
anche se ciò significava rimanere a letto a lungo, ma
dormire ben poco.
Undicesima casa.
Fermo alla finestra, Degél osservava i giovani Saint
allenarsi nell'arena senza tuttavia prestar loro molta attenzione, i
pensieri
rivolti altrove.
Aveva mentito.
Lui, che in tutta la sua vita terrena non era mai stato
capace di farlo, l'aveva fatto: sapeva che cosa c'era in serbo per Mei
e per il
giovane Aquarius, l'aveva visto anche senza l'ausilio delle carte
divinatorie
che la giovane cinese aveva portato con sé.
Una menzogna
pronunciata a fin di bene, ma pur sempre una mera menzogna.
Le carte che aveva impedito a Mei di voltare, Sung
e Tun, dal valore negativo rispetto
alla questione che la giovane aveva
rivolto ai propri Déi, avrebbero scatenato una serie di
azioni dalle
conseguenze inimmaginabili sul futuro di entrambi.
E il loro immediato futuro era già
stato scritto.
Non potrei dirvi
nulla nemmeno se lo volessi.
Se le avesse detto di Saga e di ciò che aveva fatto
durante la cosiddetta Notte degli
Inganni, che era lui
l'usurpatore, lui il responsabile
di
tutto, avrebbe certamente provato
ad
avvertire Camus e magari anche il suo amico Milo, che riponeva fiducia
assoluta
nel Pontefice al comando e con ogni probabilità avrebbe
posto Camus in una
posizione scomoda e oltre lui, avrebbe perso anche la vita.
È necessario che gli eventi si succedano come previsto.
Avrebbero sofferto entrambi nello stesso modo. Avrebbero
sopportato l'abbandono e la distanza, avrebbero condotto per qualche
tempo vite
separate, ma si sarebbero ritrovati, avrebbero avuto qualcosa di
estremamente
importante in comune che li avrebbe sempre legati l'uno all'altra.
Sono desolato, Mei.
Saga si preparò a rientrare al tredicesimo tempio:
riordinò le mappe e gli strumenti utilizzati durante quella
settimana trascorsa
a consultare le stelle e ripassò mentalmente il discorso che
avrebbe fatto
quella sera, durante il Chrysos Synagein.
Presto sarebbero
giunti nemici di Athena, spergiuri che avevano rinnegato la
fedeltà della Dea e
che avrebbero avuto l'ardire di detronizzarla, se non fermati in tempo.
Ragion
per cui ecco che si rendeva necessaria la presenza di tutti i Gold
Saint
disposti alla difesa delle loro Case, per impedire al nemico l'accesso
alle
sacre stanze della divina figlia di Zeus.
In quel modo si sarebbe liberato dei Bronze traditori,
avrebbe continuato indisturbato a regnare sovrano assoluto sul
Santuario –e sul
mondo- e nessuno avrebbe mai scoperto chi, da tredici anni a quella
parte,
sedeva sul trono.
Sera.
"…come fai?"
Mei corrugò la fronte, guardando Camus seduto dall'altra
parte del divano, con aria interrogativa.
"A far cosa?"
"A mangiare wasabi come se fosse crema
pasticcera." spiegò Camus, indicandole il cartoccio dal
quale Mei stava
mangiando. "Mi ricordi Jean Reno in Wasabi."
"Oh. Merito della trisnonna Jian Shu e del suo pollo
Kung Pao." rispose Mei. "Era del Sichuan e nelle vene le scorreva
peperoncino, non sangue."
"…e hai preso questa resistenza da lei, immagino."
Mei rise.
"Credo di sì. Pensa che è morta otto anni fa alla
tenera età di centodue
anni arzilla come
pochi, mentre stava masticando un Bih
Jolokia, un peperoncino fortissimo." raccontò.
"Azzardo una diagnosi… infarto?" domandò Camus,
sorseggiando l'Asahi.
"No." negò Mei. "Bà
mi raccontò che un pezzo del peperoncino che stava mangiando
in
quel momento l'aveva soffocata."
A Camus sfuggì una mezza risatina che mascherò
con un
colpo di tosse.
"…che brutto modo per morire."
"Ripensandoci, povera nonna Shu, anche a me vien da
ridere… soprattutto se pensi che in vita sua aveva superato
malattie che
avrebbero stecchito un elefante." aggiunse Mei.
Camus afferrò un hosomaki e lo intinse appena nel wasabi.
"Io non lo farei, fossi in te." disse Mei.
"La roba piccante non è afrodisiaca?"
Mei sogghignò.
"Non che tu ne abbia bisogno. Comunque io non darei
molta corda a queste sciocchezze…" lo vide prendere una
considerevole
quantità di wasabi e sospirò. "Okay. Vado a
prenderti sale e pane, così
magari riesco ancora a salvarti qualche papilla gustativa."
"Ti dimostrerò che so resistere anch'io."
asserì invece Camus, pregando silenziosamente di non fare la
stessa, pessima
figura dell'amico di Jean Reno.
"Contento tu…" gli rispose, sedendosi di nuovo
e guardandolo.
In risposta, senza distogliere lo sguardo da quello di
Mei, Camus addentò il boccone con un atteggiamento di sfida.
Mei si aspettò tosse, occhi sgranati e volto rosso come
il fuoco, ma non successe niente.
"Visto?"
"Io aspetterei a cantare vittoria, magari è wasabi
a…
a scoppio ritardato, probabilmente farà effetto
più tardi." asserì Mei.
"Dipende dal tipo di effetto, potrebbe anche essere
piacevole."
Degél aveva visto Milo dirigersi all'undicesima casa e
s'era diretto in salotto per avvisare Mei, ma fece subito retrofront
non appena
la vide in braccio a Camus: per uno spirito era impossibile arrossire,
ma era
comunque imbarazzato.
Milo arrivò svelto alla casa di Aquarius, avvolta nella
debole luce del crepuscolo, e per poco non ruzzolò
inciampando in qualcosa.
"Che vizio, quello di piazzare vasi
dappertutto." borbottò, appuntandosi mentalmente di farlo
presente a
Camus.
Mei si staccò di colpo, guardando verso il corridoio.
"Cos'è stato?"
"Se vivessimo in un film di terza categoria a questo
punto avrei fatto una pessima battuta." le rispose Camus.
"Sono seria." rispose Mei, alzandosi da lui e
dirigendosi in corridoio.
"Milo." disse Degél, indicandole la porta.
"Milo?!" ripeté Mei ad alta voce.
"Che…?!"
Aprì la porta trovandosi di fronte proprio Milo.
"Ehm… nessun ladro, sono solo io. Chiedo
venia per l'interruzione, ma…"
"Ecco, devo dire che il tempismo certo non ti manca,
questa è la seconda volta… non ti hanno mai
insegnato che bisogna annunciarsi
prima di piombare in casa d'altri, magari con un sms?"
domandò Mei in tono
scherzoso, facendosi da parte per farlo passare. "Stavolta ti
è anche
andata bene, non eravamo svestiti. Non ancora, almeno."
Milo accennò un sorriso nervoso in risposta distogliendo
lo sguardo dall'eloquente bollo rosso sul collo di Mei e la maglietta
di Camus
–per lei decisamente grande- dell'Hard Rock Cafè
che stava indossando; di lì a
qualche ora non sarebbe stata più così allegra:
un Chrysos Synagein non portava
quasi mai nulla di buono.
"E io continuo ad essere desolato per questo."
le rispose. "Ma ho urgenza di parlare con Camus. Adesso."
"Oh." fece lei perdendo il sorriso dopo aver
captato l'urgenza nella voce dell'amico. "Okay. Lo trovi in salotto."
"Efcharistò."
rispose Milo, lasciandola sola in corridoio.
Degél guardò il cavaliere di Scorpio raggiungere
Camus
per annunciargli la convocazione, quindi focalizzò la sua
attenzione su Mei
che, ancora ferma in corridoio, lo stava guardando come in cerca di
risposte.
Risposte che non
poteva concederle.
Sul tavolino, Milo vide cartocci e vaschette vuote,
misera testimonianza della cena appena consumata.
"…sushi?"
Camus annuì, posando le hashi.
"Non ho particolarmente apprezzato il sushi
all'anguilla, ma devo dire che il wasabi non è
così atroce come dicono."
rispose, offrendogli una Asahi.
"Ascolta…" iniziò Milo, prima di sorbire un
lungo sorso di birra a mo' d'incoraggiamento.
"Dimmi."
"Ares."
"Sì?"
"E' appena tornato."
"…e? Devo cavarti le parole di bocca?"
"Ci vuole tutti alla Sala d'Oro, nelle nostre
armature, per un Chrysos Synagein. Tra un'o-" guardò
l'orologio appeso al
muro "...a dire il vero, ormai tra mezz'ora."
"…adesso? A quest'ora??!"
"A quest'ora, poiché si tratta di una questione
urgente e alquanto spinosa. Ha anche aggiunto immediatamente,
Camus."
Camus si alzò borbottando un: merde!
tra i denti.
"Come facevate a sapere che era Milo, quello alla
porta?"
"Ehm…"
"Cosa sta succedendo?" domandò Mei, in un
soffio.
Oh, non ne avete
idea.
"Sapete cos'è un Chrysos Synagein?"
Mei corrugò la fronte.
"No." rispose. "Dovrò andare anch'io, come
l'ultima volta?!"
Pensò qualche istante sulle parole più
appropriate da
adoperare per risponderle.
"Temo proprio di no, mademoiselle.
Solo i Gold Saint sono ammessi a quest'assemblea,
dove solitamente si disquisisce di argomenti piuttosto delicati."
Camus e Milo, nelle loro armature, passarono in mezzo a
loro, ignorando del tutto la presenza di
Degèl.
"A quanto pare sembra impossibile riuscire a
trascorrere una serata tranquilli dopo un buon take away giapponese e
qualche
dvd…" scherzò Mei, tentando di spezzare
l'improvvisa e inspiegabile
tensione creatasi in casa.
Camus sorrise appena, quindi seguendo uno strano impulso,
le circondò le spalle attirandola a sé e
lasciandole un lieve bacio sulle
labbra.
"Ti aspetto, magari la serata riusciamo ancora a
salvarla." sussurrò Mei, qualche istante dopo, ricevendo in
risposta una
carezza in testa.
Temo di no,
pensò Degél, rimanendo qualche istante a guardare
i due giovani allontanarsi in
direzione della Torre della Meridiana.
Mei nel frattempo era andata a infilarsi una tuta e
nell'attesa del ritorno di Camus, aveva deciso di tenersi occupata
sistemando
il caos che si era creato in salotto, riponendo in frigo gli avanzi e
gettando
i contenitori vuoti.
"Almeno abbiamo mangiato…" sospirò.
"Quanto tempo durano di solito queste… riunioni?"
"Il tempo adoperato per questo genere di adunanze,
mademoiselle, è soggetto all'argomento trattato. Spesso si
tratta di una
manciata di ore, ma ho sentito di Synagein durati interi giorni."
Si lasciò andare sul divano.
"Oh. Capisco."
Le venti meno quindici minuti.
"Se vi fa piacere potrei farvi compagnia."
"Certo." sorrise Mei, improvvisamente stanca.
"E se posso chiedervi una cosa…"
"Ditemi."
"Smettetela di chiamarmi mademoiselle, il mio nome
lo conoscete."
"Non ho mai partecipato a un Synagein."
"Nemmeno io." rispose Camus, stringato. "E sono certo che come
esperienza non mi piacerà affatto."
Imboccarono il sentiero tra la sesta e la settima casa
diretti alla torre della Meridiana e alla sua Sala d'Oro in un silenzio
irreale, finché non intravidero Aphrodite e DeathMask
intenti a parlare, una
ventina di metri davanti a loro.
"…stavo guardando la partita." stava dicendo
Death, tra un tiro e l'altro della sua senza filtro.
"E chi stava vincendo?" chiese Aphrodite.
"Il Catania era in vantaggio di due. Fetusi!"
"Beato lui che non ha altro cui pensare…"
mormorò Camus. Mentre il parigrado parlava di partite e
derby, lui non riusciva
a pensare a niente, a parte chi l'aspettava all'undicesima casa.
Fermò Milo e lo guardò, negli occhi una strana
espressione.
"Ho sbagliato
tutto." sussurrò.
"Che cosa?" fece Milo. Impiegò qualche istante
a capire. "Mei. No! No, non hai sbagliato nulla, che ti salta in testa?
Quello che facciamo quando non siamo in servizio, per così
dire, non riguarda
nessun altro che noi stessi."
Camus inarcò un sopracciglio.
"Il problema è, sottospecie di aracnide, che noi
siamo sempre in servizio."
"Cam, cerca di scongelare qualche neurone… sei in
servizio quando indossi la tua armatura, ma nelle quattro mura dei tuoi
appartamenti sei solo Camus, non Aquarius. Entiendes?"
Shura spuntò alle loro spalle.
"Capire cosa?" domandò, incuriosito.
"Affari nostri, va avanti se hai fretta." disse
Milo.
Shura borbottò qualcosa in spagnolo e proseguì
sorpassando i due.
"In che guaio l'ho cacciata." pensò Camus tra
sé e sé, mentre il portone a doppio battente
della Sala d'Oro si apriva dinanzi
a loro.
***
Lady Aquaria's corner
(Capitolo revisionato in data 20
maggio 2015)
Dunque, come successo nella storia principale, ho
apportato importanti modifiche relative al nome di un certo
personaggio; così
come di là ho cambiato Flare in Freya, da qui in poi ho
deciso di usare Ares e
non Arles, così com'è usato in origine.
Per questo capitolo ho sofferto come si soffre durante un
parto, e no, non solo per ciò che sta per succedere, ma per
il tempo impiegato
a scriverlo. Parto podalico e trigemino insieme, oltretutto: volevo
velocizzare
un po' le cose ma nello stesso tempo concedere a Cam e Mei un po' di
tempo
insieme prima del prossimo capitolo, già completo, che era
lì nella cartella
sul desktop in attesa che la sottoscritta terminasse questo appena
postato.
Orbene, i ringraziamenti sono sempre i soliti e sempre
doverosi: a chi recensisce, segue e a chi, tramite messaggi privati
anche su
fb, s'interessa della mia fanfiction e della mia pg.
Grazie
mille!!
-If
today was your last day è dei Nickelback
-Infuso di papavero: tralasciando da parte gli echi
Martiniani che possono ricordare il latte di papavero ampiamente
consumato
nella sua saga, l'infuso di papavero è considerato, al pari
della valeriana o
del tiglio, ottima contro l'insonnia;
-Polluce: stella beta dei Gemelli, di solito la più
luminosa dell'intera costellazione;
-Sichuan, pollo Kung Pao e Jean Reno in Wasabi: dunque,
la cucina del Sichuan, regione sud occidentale della Cina, è
famosa per la sua
cucina piccante, e il pollo Kung Pao è un piatto tipico
piuttosto speziato;
Wasabi è un gran bel film con Jean Reno, risalente al 2001.
Famosa la scena in
cui Hubert e Momo mangiano insieme e Hubert mangia quantità
di Wasabi che
stenderebbero un elefante senza battere ciglio mentre Momo per poco non
ci
rimane secco XD qui la scena;
-Bih Jolokia: conosciuto anche come Ghost Chili, si
racconta essere la terza varietà di peperoncino
più piccante al mondo.
-Bà: vezzeggiativo che significa papà, in cinese.
-Sale e pane per mitigare il bruciore: contrariamente a
quanto si pensa e spesso a quanto si fa, non è con acqua o
vino che si mitiga
il bruciore dovuto a spezie e piccante, ma con il sale e la mollica di
pane o
in alternativa, come spesso succede nei ristoranti indiani, con dello
yogurt,
che contrasta l'azione della capsicina;
-Efcharisto: grazie, in greco;
-Hashi: bacchette;
-Asahi: birra giapponese;
...alla prossima!
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 18 *** When all is said and done. ***
capitolo 18 prequel rivisto
18.
When all is said and done.
Leggo nei tuoi occhi quello che io
sto pensando
non
può finire tutto così.
E
resterò a guardarti mentre ti allontanerai
e
non saprò se mai ti rivedrò.
[Raf,
In questa notte]
Fu il primo a lasciare il Chrysos Synagein: furioso,
s'avviò a passo marziale diretto alla sua casa.
"Cam! Sembra tu abbia il demonio alle calcagna,
fermati!" esclamò Milo.
Demonio?
No. Forse non aveva quello alle calcagna, ma qualcosa che
per lui in quel momento era anche peggio.
Nemici del Santuario. Invasori. Guerra.
Qualcosa che per lui, per loro, era
molto peggio.
Presumo non
siate a
conoscenza del motivo per il quale vi ho convocato…
Sulle prime aveva pensato a una qualche missione, non era
raro essere richiamati da Ares per l'affidamento di incarichi speciali,
ma poi
ripensandoci, li aveva sempre convocati al tredicesimo tempio, mai alla
Sala
d'Oro e soprattutto mai tutti insieme.
Da che aveva memoria, non aveva mai preso parte a un
Chrysos Synagein in tutta la sua vita.
Aveva lanciato un'occhiata a Milo, pensieroso quanto lui,
quindi si era concentrato sulle parole di Ares.
…ho consultato le
stelle a lungo, nei giorni scorsi e… ciò che ho
visto non mi è affatto
piaciuto.
E da quel momento, Ares era partito in quarta a spiegare
loro delle costellazioni sistemate in maniera anomala, di luci e
luminescenze
che non avevano lasciato presagire nulla di buono, di stelle che
lanciavano
segnali inquietanti e tanti altri oscuri presagi, fino a nemici del
Santuario
che progettavano un'invasione. Nemici, a suo dire, provenienti dalla
casta più
bassa e incontrollata delle schiere dei Saints, protettori o presunti
tali, di
Athena.
Era bastata quella parola, invasori,
a fargli scattare qualcosa dentro, portandolo a ignorare
in toto tutte le parole che erano seguite.
Nemici del Santuario. Invasori. Guerra.
Il resto del Chrysos Synagein era trascorso anche troppo
lentamente per lui, le successive tre ore di riunione, tra le parole di
Ares e
le domande, i progetti e i piani operati dai suoi compagni non facevano
che
acuire la sua insofferenza. Sentendosi improvvisamente soffocare, non
aveva visto
l'ora di uscire e prendere aria, la mente che lavorava frenetica sulle
informazioni appena ricevute.
E, non appena Ares aveva concesso loro il permesso di
lasciare la sala, si era precipitato fuori a rotta di collo seguito,
naturalmente, da Milo.
Troppe cose in una volta sola, troppo alta la posta in
gioco.
Il suo pensiero era uno e uno soltanto: Mei.
Si fermò di scatto, tutt'a un tratto incerto: che cosa
avrebbe fatto una volta iniziato l'assalto?
Dove avrebbe potuto sistemarla per non coinvolgerla?
"Oh, finalmente." lo raggiunse Milo. "Che
ti è preso?"
Forse non l'aveva nemmeno sentito, Camus pareva preso da
pensieri tutti suoi.
"Cam?"
La biblioteca o la soffitta dell'undicesima casa forse
erano sicuri e lei poteva stare dove nessuno si sarebbe accorto della
sua
presenza, oppure…
No, che cosa
gli passava per la testa? Non poteva sapere che cosa sarebbe successo,
e se
avesse dovuto usare i suoi colpi più potenti, avrebbe
congelato l'intera casa e
con essa, anche la stessa Mei.
E poi… se tra i nemici paventati da Ares ci fosse stato
anche Shiryu? Come si sarebbero comportati trovandosi di fronte l'un
l'altro,
magari all'undicesima casa?
Mei avrebbe dovuto scegliere uno dei due, schierandosi a
favore suo o di suo fratello commettendo qualcosa che l'avrebbe
sicuramente
segnata: avrebbe tradito il proprio sangue o il proprio cuore?
Il proprio sangue…
No. Non poteva metterla di fronte a quella scelta.
"Milo..."
"Sì?" domandò quest'ultimo, rimangiandosi la
battuta che avrebbe
voluto fargli e sospingendolo verso l'ottava casa.
"Milo, come si fa a… farsi odiare da una
donna?"
L'altro sgranò gli occhi, guardandolo come se Camus gli
avesse appena detto di essere il figlio segreto di Darth Vader.
"Come? Come sarebbe a dire come si fa a farsi
odiare da una donna? Che significa?"
Il piano iniziava a farsi largo nella sua testa, le idee
che fluivano come un fiume in piena: Mei non avrebbe dovuto scegliere
affatto,
l'avrebbe fatto al posto suo.
Non poteva obbligarla a tradire suo fratello, a rovinare
la sola famiglia che le rimaneva.
Avrebbe fatto in modo di farsi odiare, solo in quel caso
Mei sarebbe stata al sicuro, protetta.
"Esattamente ciò che intendo dire. Vorrei sapere
come posso fare per farmi odiare da Mei." ripeté Camus.
Milo lo fermò.
"Un momento, spegni la radio. Vuoi che ti dica come
essere odiato?!" ripeté Milo. "Per caso mi è
partita una Scarlet
Needle che ti ha centrato giusto il cervello?"
"Guarda che sono serio."
"Anche io. Farai tutto da solo, amico, perché non ti
aiuterò a rovinare la vita di nessuno."
Non si trattava di rovinare, ma di salvare. Quante
probabilità aveva Mei di sopravvivere a un qualsiasi scontro
al Santuario?
Nessuna. Senza cosmo né potere alcuno, sarebbe andata
incontro a morte certa.
"Milo…"
"Prima dimmi che cos'hai in mente."
"Ti costa tanto fare qualcosa per me senza avere
alcuna spiegazione in cambio? Quante volte l'ho fatto, per te?"
"Se devo aiutarti a fare qualcosa che presumo sia stupido, pretendo qualche dettaglio."
Si guardò intorno; nell'ottava casa non c'era nessun
altro a parte loro due, ma per sicurezza lo precedette all'interno
delle stanze
di Milo, quindi chiuse la porta e iniziò lentamente a
spiegare.
"Queste sono un mucchio di stronzate e tu lo sai. Ma
non sarebbe più facile dirle tutto, eh? Spiegarle che cosa
potrebbe succedere e
lasciarla libera di agire di conseguenza?"
"NO!" insisté Camus. "Se le dicessi la
verità, lei resterebbe qui con me. Ed è una cosa
che non voglio."
"E' egoista scegliere al posto suo!"
"Forse. Ma non deve tradire suo fratello per
me."
"Non sarebbe un vero e proprio tradimento, sarebbe
una scelta dettata dal cuore. Son fratelli, nulla finirebbe tra loro."
Camus sbuffò. Perché
Milo non capiva?
"Senti, leggi qualche rivista femminile, guardati qualche patetico film
strappalacrime,
ispirati a ciò che vuoi ma non chiedere a
me come farti odiare." replicò Milo. "Anzi. Chiedi
a DeathMask, è
piuttosto bravo a suscitare odio nella gente."
"MALEDIZIONE MILO, PERCHÉ NON CAPISCI?!"
esplose Camus, perdendo il controllo.
"Perché tutto ciò è assurdo. Quello
che mi sto
chiedendo da mezz'ora a questa parte è perché?
" rispose Milo. "Io davvero non ti capisco. Prima la illudi e
ora…
"
"Hai sentito quello che ha detto Ares, o no?"
sbottò Camus. "La guerra contro gli invasori è
imminente. Non pensare che
mi faccia piacere la cosa, la sola idea che ora devo dirle…"
"… che l'hai illusa…"
completò Milo per lui.
"No, io non
l'ho illusa." sbottò Camus, falciandolo con uno sguardo di
fuoco.
Milo allargò le braccia, sorridendo in un gesto ironico.
"Ah no?
Non l'hai illusa? Sei sicuro?"
"Sì."
"Si, certo.
Infatti tu non sei andato in Cina a
salvarla da Death, che era andato a mettere a ferro e fuoco il Goro-Ho.
Non sei
tornato a parlare con lei il giorno dopo, spedendo il sottoscritto
nella
cascata, vero?"
"Smettila."
"E non sei tornato per una settimana intera per parlarle,
trascorrere del tempo con lei
e… fare anche qualcos'altro
con lei,
vero?"
"Milo, finiscila."
"La verità, Cam, è che in qualche modo l'hai
sedotta, l'hai portata qui, illudendola di poter creare qualcosa con
lei…"
"Piantala!"
"… l'hai cotta per bene, te la sei portata a letto e
adesso… la lasci…!
Ma bravo! Bel
comportamento da uomo."
Ma sentitelo, il
grand'uomo.
"Tu non sai niente
di me e di lei. Non sai quello che c'è tra noi due e quanto
significa per
me!" protestò Camus. "E non
sai che cosa vuol dire per me lasciarla andare."
"So che lei ti ha fatto scoprire di avere un
cuore!" insisté Milo.
Gli voltò le spalle furioso con lui, e con se stesso, per
essersi esposto tanto.
"Cretino io e la mia linguaccia lunga."
borbottò Camus.
"E so che quel cuore te l'ha fatto battere davvero
per la prima volta in vita
tua." continuò Milo, impietoso. "Perché dopo Parigi, e dopo Joséphine,
hai smesso di essere un essere vivente per diventare un…
cinico blocco di
ghiaccio senza sentimenti!"
"NON…!" Camus l'ammonì, l'indice puntato contro
di lui, minaccioso. "Non parlare
di cose che non conosci."
Milo lo ignorò.
"Mei invece ti ha fatto sentire vivo e
tu hai paura!
Perché non sia mai che anche tu ti lasci andare a sentimenti
umani, meglio
restare il solito antipatico Mr. Freeze!"
Camus incrociò le braccia sul petto.
"E da quando tu sei diventato il mio psicanalista?"
Milo fece spallucce.
"Patetico il tuo tentativo di sviare il discorso con
del sarcasmo. Tentativo mal riuscito, tra l'altro. Non c'è
bisogno di avere una
laurea in psicologia per capirlo, Cam, ti sei legato a lei
più di quanto
immaginassi."
Su questo però aveva ragione, era vero.
A differenza di tanti altri non era mai stato un tipo da
avventure mordi e fuggi, non era mai stato uno che faceva sesso -prima
di Mei,
tra l'altro, con nessuna- perché così gli diceva
la zucca.
Si era davvero innamorato di Mei, o non l'avrebbe nemmeno
cercata, dopo averla salvata.
"Sì." capitolò infine, a bassa voce. "E
non ho altra scelta. Non posso rischiare di farne una vedova prima
ancora di
chiederle di…" s'interruppe.
"Di chiederle… cosa?
" lo incalzò Milo.
"Non ha nessuna importanza." rispose Camus.
"Ormai quel che volevo fare non conta più niente. Come
quella volta al
Goro-Ho voglio proteggerla, perciò la lascio."
Milo restò dov'era.
"E se quest'ipotetica guerra non dovesse mai aver
luogo?" insinuò. "Pensaci."
"Non dire sciocchezze."
"Sono serissimo. Ares
ha consultato le stelle… okay, forse ci ha
azzeccato. E… se si fossero
sbagliate, le… stelle ?"
disse,
mimando le virgolette su stelle.
"Se fosse uno sbaglio? Sai anche tu che le stelle sono mutevoli, parte
del
tuo cosmo deriva da quello di Degél, non sei ignorante in
materia. Possono
anche sbagliare."
Camus rimase fermo davanti a lui, sempre di spalle.
"E se non fosse così?? Soffrirebbe per me, per la
mia morte. Invece, se la lascio, mi odierebbe e smetterebbe di
preoccuparsi per
me."
"La tua… ? Perché diavolo sei convinto di
morire?"
"… perché in battaglia uno vince e l'altro
muore." rispose Camus.
Milo provò a seguire il suo ragionamento.
"Vuoi dirmi che ti lasceresti uccidere
da Shiryu per non farla soffrire?!"
"Ma no, idiota." Camus trasse un lungo respiro,
simile al respiro di chi cerca spasmodicamente ossigeno dopo essere
rimasto a
lungo sotto l'acqua. "E' che… se ci sarà Hyoga,
non avrò coraggio
sufficiente per ucciderlo. Non potrei."
L'altro corrugò la fronte.
"Fammi capire. Decidi di lasciarla così che se Hyoga
dovesse ucciderti… lei non soffrirebbe perché ti
odia? E' così?" fece
Milo. Non attese la risposta. "E poi sarei io
l'idiota?"
Lo oltrepassò: inutile incaponirsi. Se aveva deciso
così,
Cam non si sarebbe smosso.
"… Milo…"
"Se ti fa piacere pensarla così perché credi che
in
questo modo non ti sentirai un mostro… pensala pure in
questo modo."
disse. "Odiarti, di sicuro ti
odierà. È automatico, odiamo quello che ci
ferisce, perché siamo umani... ma
hai ragione, sai? Ti odierà per qualche tempo, poi se ne
farà una ragione. Ti
dimenticherà e… magari si rifarà una
vita."
"Glielo auguro. Le auguro il meglio che la sua vita potrà
offrirle."
"Una vita con un altro uomo."
"Ovviamente. Meglio un uomo normale
che uno come me."
Milo sogghignò, per provocarlo.
"… un uomo che dividerà con lei le sue giornate,
le
sue risate… le sue notti…"
"…"
"… che la stringerà
a sé e la bacerà."
Camus fremette.
"Smettila."
"…e la toccherà,
e l'avrà…
esattamente come l'hai avuta
tu."
"Milo, basta!"
"…e invocherà il suo
nome, mentre il tuo sarà
solo uno
sbiadito ricordo. È questo che vuoi?"
Certo che non lo voleva, Milo lo sapeva benissimo. Era
stupido da pensare, ma fremeva al solo pensiero di Mei con un altro
uomo, però…
che diavolo avrebbe dovuto fare?
Quando si voltò, aveva gli occhi lucidi.
"Mi conosci troppo bene, amico mio. Ma sai anche che
non ho scelta."
Milo gli posò una mano sulla spalla.
"C'è sempre una scelta."
Camus ricambiò il gesto.
"Non per dei Saint come noi." rispose, prima di
entrare in casa e mettere in atto il suo piano.
La tv era accesa, ma a parte le voci degli attori, non
sentiva nient'altro.
"Mei?"
Era forse uscita dimenticandosi di spegnere la tv? Se era
così, era un bel guaio per lui: non poteva rimandare
qualcosa che avrebbe
dovuto fare subito, dopo l'adrenalina e il coraggio che aveva raccolto
sarebbero svaniti.
"Mei!"
Mei si riscosse di colpo non appena avvertì i passi in
corridoio, guardandosi intorno e rendendosi conto di trovarsi ancora in
salotto,
dove s'era assopita davanti alla tv accesa mentre aspettava il suo
ritorno.
"…ciao!" lo salutò, allegra, spegnendo la tv.
"Ammetto di essermi addormentata mentre t'aspettavo invece di sistemare
due cose come avrei dovuto, ma sai com'è… le
televendite tra un tempo e l'altro
sono più efficaci della valeriana e… no,
accidenti, il film è anche finito…"
Aveva pensato a cosa dirle nel tragitto verso
l'undicesima casa, ma qualunque discorso si era come cancellato dalla
sua mente
non appena l'aveva vista sul divano, mezza addormentata.
Fece un grande sforzo per non rispondere al bacio di Mei
e per scostarla con fare brusco da sé.
"Cosa…?! Che succede? Non ti senti bene?"
"Sto benissimo." replicò, brusco.
"Raccogli le tue cose e vattene."
Sbarrò gli occhi e iniziò a balbettare qualcosa;
negli
occhi le lesse troppe domande inespresse.
"Sei sveglia o sei ancora tra le nuvole? Ti ho detto
di raccogliere le tue cose e andartene."
Il suo sguardo corse a Milo, che però abbassò
subito gli
occhi con aria colpevole.
"Cosa… sta
succedendo?" domandò a Milo. "E' successo qualcosa di
particolare? Ares…
gli ha fatto il lavaggio del cervello?"
Camus le
schioccò le dita davanti al volto.
"Hey, non
guardare lui, sto parlando io con te." le disse, afferrandole il mento
e
girandole il viso verso di sé con un gesto non troppo
gentile.
"Non
toccarmi." l'ammonì Mei improvvisamente sulla difensiva,
liberandosi della
sua presa con un colpo di taglio sulla mano di Camus e facendosi male
per via
dell'armatura. Ares doveva aver usato qualche tecnica psichica
particolare, di
quelle che, come aveva spiegato Dohko tempo prima, erano capaci di
intrappolare
la volontà di un uomo e possederla a tal punto che diventava
quasi un burattino
nelle sue mani; il ragazzo che aveva di fronte era totalmente diverso
da quello
uscito poche ore prima per quella riunione.
"Uuuh,
quanto fuoco. La sola cosa che mi ha attirato di te." le disse,
privandosi
dell'armatura. "E poi… non
toccarmi?
Ma se fino a questa mattina non facevi che implorarmi
di farlo."
"Adesso
basta." intervenne Milo. "Stai esagerando."
Ignorando Milo e
la morsa gelida che iniziava a stringergli il cuore,
proseguì facendole il
verso e facendola avvampare fino alle punte dei capelli.
Ma rimase
impassibile quando si beccò un ceffone.
"Tsk."
sogghignò, mentre Mei scrollava la mano, dolorante per lo
schiaffo appena dato.
"Guarda in che guaio mi sono cacciato solo per aver cercato un po' di compagnia. Ho sbagliato a portarti qui,
non avrei dovuto… sono un guerriero, la mia
fedeltà ad Athena viene prima di
tutto e soprattutto viene prima di una ragazzina che al suo confronto
è
insignificante."
Lo schiaffo che
Mei gli aveva appena elargito per la seconda volta era anche peggiore
del
primo, tanto che gli fece voltare la testa: sentiva la guancia in
fiamme e si
sentiva come se l'occhio sinistro dovesse schizzargli fuori dall'orbita
da un
momento all'altro.
"Insignificante?
Ero insignificante anche
quando eri a letto con me o in quei casi tornavo utile?"
sibilò Mei. Lo
strattonò, con rabbia. "Abbi almeno il coraggio di guardarmi
in
faccia!"
Sentì la bile
risalire l'esofago e farsi strada nella sua gola con il suo sapore
acido,
tuttavia riuscì a posare lo sguardo nel suo, anche se con
fatica, riuscendo
anche a dipingersi un sorriso sarcastico sulle labbra.
"E' stato tutto finto, allora. Mi hai presa in giro
fin dall'inizio, perché sono una stupida campagnola che per
te era una preda
facile…!" disse Mei, amareggiata. "E io ci sono cascata con
tutte le
scarpe. Déi che stupida, che
stupida
sono stata! Non avrei mai dovuto fidarmi di te, mai! Ti
sei divertito in queste settimane, giusto? Chissà come
dev'essere
stato spassoso vedermi capitolare, in Cina, quando abbiamo…"
s'interruppe,
ricacciando indietro le lacrime. "Prima le visite, le belle
chiacchierate
sulla tua infanzia, su tua madre, sulla tua vita… poi tutto
quel bel teatrino
da gran seduttore all'isba e io, cretina,
che ho ceduto. Ora che mi hai avuta non sono nient'altro che un gioco
vecchio,
per te. Dunque dimmi… ti sei divertito? TI
SEI DIVERTITO?"
Camus intravide
Milo sulla soglia della cucina, alle spalle di Mei.
Scuoteva la
testa, un'espressione indecifrabile sul volto.
No. Non si era divertito, non l'aveva affatto presa in
giro. Aveva creduto
e continuava a credere in quello che avevano, non era mai stato un
gioco.
"Oh
sì." decise di rispondere, corredando tutto con un ghigno
malevolo.
"Ovviamente mi sono divertito. Quale uomo si tira indietro di fronte a
una
bella occasione di svago, soprattutto se è economico e facile?"
Mei sussultò
come se avesse appena ricevuto una coltellata a tradimento.
Intercettò il
terzo schiaffo prima che lo colpisse di nuovo, la mano stretta intorno
al suo
polso e negli occhi uno sguardo di ghiaccio.
"E saresti tu
l'uomo? Di fronte a me vedo solo un
verme."
"Prendi le
tue cose e vattene." sibilò Camus in risposta, aumentando la
stretta sul
polso fino a farla gemere dal dolore. "Subito."
"Al diavolo
tu e Athena, vorrei non averti mai incontrato!" sbottò Mei,
liberandosi
con uno strattone.
Milo si scostò
lasciando passare Mei, quindi guardò Camus, prima di
applaudire.
"Mi
complimento con te. Pensare che non hai dovuto nemmeno consultare
DeathMask, è
tutta roba tua. Complimenti,
davvero." disse, a bassa voce. "Bello schifo."
"Almeno
taci, per l'amor del cielo." fece Camus. "Taci."
Si sentiva un
verme già per conto suo senza dover sopportare anche le sue
battute.
*
Via.
Doveva andarsene, non intendeva restare un altro minuto;
prima se ne andava meglio era per tutti, soprattutto per lei.
Corse in camera attraversando involontariamente Degél,
fermo in corridoio, quindi afferrò il
borsone di tela col quale era arrivata e lo riempì in
fretta, infilando le sue
poche cose a caso e in modo rabbioso: magliette e vestiti
appallottolati o
piegati a casaccio, biancheria sporca insieme a quella pulita... non
aveva
importanza, la sola cosa che contava era fuggire il più
lontano possibile da
lì.
Milo si girò di
nuovo verso Camus, scuotendo la testa.
"Tu… tu sei
un…!" sbottò Milo.
"Cosa?"
"Sei il più
grande pezzo d'idiota che abbia mai conosciuto. Ripensaci. Non
permetterle di
andarsene così… dille qualcosa, spiegale
perché, sei ancora in tempo!"
"Ne abbiamo
già parlato e sai come la penso. E comunque non si fiderebbe
più di me, l'ho
già fatto apposta."
"Ma non è
giusto." capitolò Milo, arrendendosi.
E che cosa c'era
di giusto, nelle loro vite? Niente.
"Ho deciso
e non cambio idea." replicò perentorio, in un tono che non
ammetteva
replica alcuna, prima di dirigersi fuori. "Avvertimi quando ha
finito."
Mei richiuse la
zip del borsone quindi si sfilò dal polso il braccialetto
portafortuna che
Camus le aveva regalato tre settimane prima, a Rodorio, e lo
posò sul
cassettone insieme al fermacapelli smaltato.
"Quelli
sono doni, non dovreste restituirli."
Mei levò lo
sguardo su Degél.
"Per me
sono oggetti senza alcun valore." replicò. "Non voglio nulla
di
suo."
Non voleva alcun
ricordo, visto che quei pochi che aveva, Camus li aveva rovinati appena
mezz'ora prima. Ricontrollò velocemente in giro, sperando di
non aver
dimenticato nulla di proprio.
"Madem-…Mei,
sono certo che non appena tornerete
a ragionare lucidamente, comprenderete le ragioni di tutto questo."
disse
Degél, cercando di moderarsi il più possibile per
non rivelarle nulla.
"Posso giurarvi che lui non è così."
Mei alzò una
mano per zittirlo.
"O così o
no, posso giurarvi che la cosa non
mi
riguarda più." replicò. "Non mi riguarda
più Camus, non mi riguarda
più questo Santuario, non m'interessa più nulla.
Voglio solo dimenticarmi
questi giorni e… dimenticarmi di lui."
Degél annuì, con
uno strano sorriso enigmatico.
"Credetemi
se vi dico che avrete sempre qualcosa o qualcuno
che vi ricorderà l'uomo che amate."
Sicuro.
Shiryu avrebbe
fatto del suo meglio per ricordarle quanto fosse stata stupida nel
fidarsi di
Camus. Le avrebbe ricordato quell'errore
finché avrebbe avuto respiro.
Temo di no, Mei.
Non mi riferivo a vostro
fratello.
Degél scosse la
testa mentre la ragazza si preparava per lasciare definitivamente
quella casa,
chiedendosi se le visioni che aveva avuto riguardo lei e il suo
successore si
sarebbero trasformate in realtà o no.
"Sono
sicuro che ti pentirai amaramente di questa decisione."
Oh sì. Ma da
solo, chiuso nelle quattro pareti sicure della sua stanza.
"Va bene,
continua così. Io vado a vedere se è pronta."
disse Milo.
Camus si girò.
"L'accompagno
io."
Milo lo fermò
brusco.
"Ah no,
rimani dove sei, hai già fatto troppe cazzate e dubito che
lei ti voglia
vicino. Poi, pensa a chi troveresti
ad aspettarti in Cina." obiettò Milo. "Shiryu
sarà anche un misero
Saint di bronzo, ma sono sicuro che sarebbe capace di farti davvero
vedere le
stelle, quando si tratta di sua sorella."
"E perché a
te non dovrebbe far nulla?"
"Perché io
non gli do' alcun motivo per attaccarmi." ribatté Milo.
Rientrò in casa
e la vide in fondo al corridoio: valigia in mano, s'era sistemata
accanto alla
porta in attesa di poter essere riaccompagnata a casa.
"Sei qui,
pensavo fossi ancora in camera."
"Fortunatamente viaggio leggera." replicò Mei, senza
particolare
intonazione.
"Vedo."
sorrise appena Milo. "Ehm… lui è fuori,
se…"
Uno sbuffo,
stavolta seccato.
"Dovrebbe
importarmi?"
"Intendevo,
è fuori, se vuoi salutarlo o che so io."
Mei lanciò una
rapida occhiata in giardino e serrò gli occhi.
"No.
Desidero solo andarmene. Non ho più niente per cui valga la
pena restare."
***
Lady Aquaria's
corner
(Capitolo
revisionato in data 15 giugno 2015)
Il terribile
capitolo 18.
Terribile per
me, ovviamente, poiché nello scrivere avevo dei profondi
rimorsi di coscienza
nei confronti di quella specie di figlia che è Mei.
Benone. Adesso
che ho superato lo scoglio, devo
anche dire che, ahimè, questo è il primo di un
paio (ehm…più di un paio a dire
il vero) capitoli un po' angst, perciò lettore
avvisato… procuratevi dei
fazzoletti XD
Come
sempre, il
titolo è una canzone e si riferisce all'omonimo successone
degli ABBA.
Ringrazio chi legge, chi recensisce e quant'altro. Alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 19 *** Disillusion. ***
capitolo 19 prequel rivisto
19.
Disillusion.
How
can I forget you when my world is breaking down
you’re all I had, you’re all I want
disillusion, disillusions now, that’s all I have
[Disillusion,
Abba]
In quelle ultime tre settimane il Goro-Ho non era
cambiato di una virgola: a quanto pareva la vita era trascorsa placida
come
sempre, i suoi equilibri millenari erano rimasti immutati.
Eppure le sembrava di essere lontana da quel luogo da
così tanto tempo che in quel momento le pareva impossibile
pensare di tornare a
viverci: era e sarebbe sempre stata casa sua, ma non era per nulla
sollevata di
trovarsi di nuovo lì, dopo tre settimane vissute come fuori
dal mondo.
Era cambiata a tal punto?
Era cambiata così tanto in quel breve soggiorno greco da
non sentirsi più a suo agio in quel luogo che l'aveva
accolta e protetta da
quando era una bambina?
In verità temeva la routine di tutti i giorni: era stato
bello trascorrere del tempo con un ragazzo che la faceva stare bene,
che si
occupava di lei, che non la trattava come la schiavetta tuttofare di
casa.
Era stato bello sentirsi amata.
"Tutto bene?"
Sobbalzò e scosse la testa, incapace di spiegare a Milo
ciò che sentiva.
"Diciamo di sì."
"Quel diciamo
non mi piace nemmeno un po'."
"Lo so. Ma mentirei se ti dicessi che va tutto
bene."
Le sorrise, tentando di esserle di conforto.
"Se c'è qualcosa che posso fare, o se avessi mai
bisogno di qualcosa …"
"No, ho già tutto ciò di cui ho bisogno."
rispose Mei, lanciando un'occhiata alla pagoda.
Di cos'altro poteva
mai avere bisogno, pensò, amara, quando
in quella casa aveva tutto ciò che potesse mai desiderare?
"Di qualunque cosa tu possa improvvisamente aver
bisogno, non esitare a chiamarmi, d'accordo? Mei, sono serio." disse
Milo,
scribacchiando qualcosa su un foglietto.
Un numero di cellulare. Suo malgrado, visto che aveva
voglia di fare tutto, fuorché di sorridere, Mei sorrise.
"Mi costerà una fortuna in bollette telefoniche.
Magari chiederò al Maestro di contattarti per me."
Milo le sfiorò un braccio.
"Anzi, no. Verrò personalmente di tanto in tanto per
visitarti. Ci conosciamo da poco eppure so già che non
chiederai al Maestro di
chiamarmi, né tantomeno comporrai quel numero." disse Milo.
"Perciò,
che ti piaccia o no, ogni tanto mi vedrai arrivare per romperti un po'
le
scatole."
"Grazie di tutto, Milo. Davvero."
"Credimi… il modo in cui ti ha trattata è
stato…
atroce, ma non l'ha fatto per cattiveria. Lui non è
così."
"Pensa se l'avesse fatto per cattiveria."
commentò Mei.
"Lui è uno
stronzo."
Mei sospirò.
"Ti chiedo scusa fin da adesso per tutte le cose
offensive che dirà." disse a bassa voce, riferendosi a
Shiryu, che stava
arrivando e aveva sentito le parole di Milo.
"Intanto modera i termini. E poi… ti spiace? Starei
parlando con tua sorella." rispose Milo, sbuffando. "Di cose private
che non richiedono la tua saccente
presenza."
"Shiryu, rientra in casa, subito."
"Al posto tuo seguirei il consiglio di tua
sorella."
"Con chi ho l'onore di parlare?"
"Milo dello Scorpione." rispose l'interessato,
incrociando le braccia sul petto.
Uno dei dodici Gold Saint, quindi parigrado di Camus.
"Dunque quel dannato è anche così codardo da
mandare
avanti il suo compare? Aveva paura di farsi vedere e affrontarmi?"
Milo lo guardò un istante, prima di scoppiargli a ridere
in faccia dopo le ultime parole: Camus? Avere paura di uno come lui?
"Io ho impedito a Camus di riportarmi qui."
interloquì Mei.
"Hai fatto bene, non sarebbe tornato a casa tutto
intero." proseguì Shiryu, inducendo Milo a ridere
più forte.
"Questa è proprio bella."
"Le mie parole sono così divertenti?"
"Non ne hai idea." ridacchiò Milo. "Perché
tu non avresti alcuna speranza contro Camus."
Nonostante l'atteggiamento velatamente aggressivo del
Gold Saint, Shiryu non mollò l'osso.
"Quello è un autentico bastardo, esattamente come
immaginavo che fosse. Se Mei è qui ed è in questo
stato, significa che s'è
approfittato di lei, e questo è il risultato."
berciò Shiryu, ignorando
l'allusione. "Sono cieco, ma sento benissimo come sta e riesco ancora
bene
a mettere ko qualcuno. Perciò dì al tuo compare
che è molto meglio per lui se
non si fa mai più vedere qui, non se vuole tenersi la pelle
ben attaccata al
corpo."
Milo lo squadrò da capo a piedi, inarcando un
sopracciglio, ironico.
"Dubito seriamente che tu riesca a capire davvero
che cosa prova tua sorella. Ad ogni modo, parli un po' troppo per i
miei gusti,
ragazzo, dovresti imparare a chiudere la bocca, di tanto in tanto."
disse
Milo. "Soprattutto su questioni che non
ti riguardano."
"Quello che riguarda Mei riguarda anche me."
"Ah
no, Shiryu." sbottò Mei. "Io non m'intrometto
nelle tue
questioni private con Shunrei, e voglio la stessa discrezione da parte
tua."
Sentì il
ragazzo
aumentare il Cosmo, come se stesse per attaccarlo."Frena il tuo ardore,
ragazzino. Sono sicuro che ci rivedremo presto. E adesso vorrei parlare
con tua
sorella. Da solo." insisté Milo, aspettando a parlare
finché non lo vide
rientrare in casa con Shunrei. "Ascolta, se per qualunque motivo hai
bisogno di stare da sola o hai la necessità di trovare un
posto alternativo per
vivere se Shiryu ti rende la vita impossibile, sappi che puoi sempre
usare la
casetta che ho a Milos, dove mi sono allenato. E' ovvio, non
è un villone
hollywoodiano né tantomeno un resort turistico, è
già tanto se c'è l'acqua
corrente e spesso… molto spesso
in
verità, l'elettricità le fa un po' girare, ma per
staccare la spina è un ottimo
posto."
Mei si massaggiò le tempie.
"Accetterei volentieri la tua generosa offerta,
Milo, ma… se lo scoprisse Camus sarebbero problemi
e… non voglio essere io la
causa della vostra rottura. La vostra è una gran bella
amicizia, come raramente
ne ho viste, e dato che non voglio causarvi problemi sono costretta a
declinare."
"Considero Camus molto più che un semplice amico e
per me ha un valore inestimabile, ma nemmeno lui può dirmi
che cosa posso o non
posso fare, perché è una cosa che non permetto a
nessuno. Perciò sappi che se
avessi bisogno io sarò sempre disponibile ad aiutarti."
controllò
l'orologio e fece una smorfia. "Ora credo sia meglio che vada, Camus si
starà chiedendo perché ci sto mettendo
così tanto e non ho alcuna intenzione di
sentirmelo nelle orecchie."
"Allora non farlo insospettire." rispose Mei.
"Bene. Ci vediamo presto." promise Milo,
accompagnandola sulla soglia di casa e scomparendo per tornare al
Santuario.
"Lasciate ogni
speranza voi ch'entrate." sussurrò Mei, poco prima
di entrare.
Infatti, così come aveva previsto, una volta varcata
quella soglia fu subito raggiunta da Shiryu.
"Che cos'è successo?"
"Niente."
"Cosa ti ha fatto quel porco?"
"Niente."
"Il suo compare tornerà di nuovo?"
"Niente." replicò ancora Mei, meccanicamente.
"Cosa…? Mei, che…?"
"Niente. Niente, niente, NIENTE!!!!
Non è successo niente che ti riguardi, Shiryu!"
scattò Mei. "Stammi
lontano, non voglio né vederti, né sentirti.
Inizieresti con i tuoi sermoni
filosofici, inizieresti a bombardarmi di parole e consigli non
richiesti,
proveresti come sempre a mettermi contro Camus! E io non voglio
ascoltarti!
Stammi lontano."
Corse su per le scale, si chiuse la porta della propria
stanza alle spalle e vi si appoggiò, cercando di riprendere
fiato.
"Fermati Shiryu." disse Dohko, bloccandolo
prima di raggiungere le scale. "Tua sorella ha bisogno di stare da sola
per un po'."
*
Tornato al Santuario, Milo evitò volutamente l'undicesima
casa preferendo troncare sul nascere discussioni che comunque non
avrebbero
portato a nulla.
Scelse un film e l'infilò nel lettore, quindi
versò
l'acqua bollente nel barattolo di noodles precotti e richiuse
l'involucro di
alluminio, prima di versarsi una generosa pinta di birra ripensando a
quella
lunghissima e folle giornata.
Come si poteva
essere così idioti?
E sì che Camus era uno degli uomini più
intelligenti che
avesse mai incontrato, eppure mai aveva visto una persona comportarsi
in un
modo così imbecille.
"Sei proprio un'idiota."
"Ce l'hai con me?"
Milo si voltò, guardando Camus fuori dal salotto.
"…qui dentro vedi un altro idiota coi capelli rossi
che ha appena preso a calci nel sedere la propria vita?"
Camus levò gli occhi al cielo.
"Se n'è appena andata. Per quanto tempo intendi
torturarmi con Mei?"
Lo sguardo di Milo si velò d'un certo sadismo.
"Per tutto il tempo che riterrò necessario."
replicò, afferrando le bacchette e mescolando il condimento
nei noodles
bollenti. "Non posso prenderti a cuspidate, quindi procedo con qualcosa
di
più sottile e doloroso del mero dolore fisico. "
Ci fu uno sbuffo da parte di Camus, ma non di disappunto
né di rabbia.
"Speravo che almeno tu mi comprendessi, Milo. Invece
scopro che sei una delusione." rispose, dopo qualche istante.
"La cosa è reciproca." disse Milo. Sobbalzò
poco dopo quando Camus assestò un pugno allo stipite della
porta, rabbioso.
"Eh
bien, va donc te faire foutre!"
**
La strana stanchezza che si sentiva addosso da qualche
giorno non accennava affatto a diminuire, anzi. Alla stanchezza
iniziale, che
aveva attribuito al cambio di fuso orario e alla rabbia che aveva
provato
contro Camus, si era aggiunta anche una debolezza, un senso di ossa
rotte che
non le piaceva affatto. Sulle prime aveva liquidato il tutto alla
reclusione
forzata che si era autoimposta: da quando Milo l'aveva riaccompagnata a
casa,
in effetti, si era rintanata in camera, senza uscirne nemmeno per
cenare
insieme a Shiryu, Dohko e Shunrei, intenzionata a rimanere in un limbo
tutto
suo nel quale a nessuno era permesso entrare.
Poi però il tutto non era scomparso nemmeno con il
paracetamolo, e stava seriamente iniziando a preoccuparsi: e se fosse
stata
l'influenza aviaria che aveva iniziato a girare, la causa di tutto?
Ti prego, no. Fa'
che non sia l'aviaria. La prospettiva di finire in
quarantena, analizzata
come un microbo su un vetrino non l'allettava di certo. Forse
però è il caso di consultare un medico.
"Lasciala stare, Shiryu. Quando se la sentirà, ti
parlerà. Adesso lasciala stare, vieni via." disse Dohko, in
fondo al
corridoio.
"Sono preoccupato. Esce da quella dannata stanza
solo quando è certa di essere sola in casa, mangia poco e da
sola, si rifiuta
di vedere chiunque, di prendere un po' d'aria… e sono
trascorse quasi tre
maledette settimane da quand'è tornata. Non posso
più tollerare di saperla in
quello stato."
"Siamo tutti preoccupati, ragazzo mio." lo corresse Dohko. "Ma
non è con l'insistenza che otterrai qualcosa. Se nemmeno Mu
riesce a smuoverla,
sarà bene lasciarla sola e lasciarle lo spazio del quale ha
bisogno."
"Temo voglia commettere qualche sciocchezza."
"Tua sorella non è stupida, non crucciarti
inutilmente."
Mu si fece avanti.
"Io ci provo. Voglio dire, posso provare a parlarle,
a smuoverla ma… ognuno ha i suoi tempi di reazione e non
posso forzarla a fare
qualcosa contro la sua volontà."
"Qualunque cosa sarà comunque d'aiuto."
interloquì Shunrei. "Non fa entrare neanche me."
Mu annuì, quindi la seguì lungo il corridoio,
esitando un
istante sulla porta e trovandola, come aveva previsto, chiusa a chiave.
"… mi servirebbe una forcina e una chiave."
domandò a Shunrei, che gli porse lo spillone che le teneva
su lo chignon.
Seguendo tutto con un gran sorriso, Dohko si rivolse a
Mu.
"Hai un nuovo hobby? Fai anche lo
scassinatore?"
"Sono diventato un esperto grazie a quella piaga che
è mio fratello." spiegò Mu, armeggiando con lo
spillone e la maniglia,
finché non udì il tintinnio della chiave sul
pavimento della camera. "Non
è una cosa moralmente corretta, ma in casi
d'emergenza…"
Quando entrò nella stanza fu assalito da una cappa d'afa
spaventosa, coadiuvata dalle finestre serrate.
"C'è da soffocare qui." commentò a bassa voce,
prima di avvicinarsi
al letto.
La vivida luce della lampada dietro le palpebre serrate,
poi una mano posata sul fianco: una mano grande ma leggera, che la
strappò al
sonno.
Che ora era? Era giorno o notte?
"Mei."
Si decise a riaprire gli occhi, incontrando l'espressione
gentile di Mu.
"Zăoshang hăo."
sorrise quest'ultimo, con dolcezza. [Buongiorno]
Lei si stropicciò gli occhi, poi lo guardò.
"Maestro!
Cosa…?" biascicò appena con la voce roca e la
bocca impastata. Cercò di
voltarsi ma un dolore improvviso alla schiena la costrinse a desistere.
"Ci mancava anche la schiena…"
"Forse perché sei ferma a letto da troppo tempo.
Ascolta. Shunrei, il Maestro e tuo fratello hanno insistito
affinché venissi
qui a farti visita." spiegò Mu. "Hanno detto che non fai che
dormire."
"Sono stanca."
"Come stanca? Dormi ininterrottamente da due
giorni." obiettò Shiryu, fermo sulla porta. A Mu non
sfuggì l'occhiataccia
che Mei rivolse al fratello, e si schiarì la voce.
"Posso parlare con tua sorella da solo, Shiryu? Te
ne sarei grato." domandò Mu, con calma. "Allora, che cosa
succede?"
"Nulla."
"Shiryu dice che non esci da questa stanza da almeno
tre giorni. "
"E' così."
"Ti va di parlarne?"
E cosa c'era da dire che lui già non sapesse?
Mal interpretando il suo silenzio, Mu proseguì.
"Preferisci parlare con Milo?"
"No, Maestro, non è questo il punto. E' che non so
come spiegare a parole ciò che sento ora. Mi sento stanca,
le ossa rotte e
voglio solo dormire e non pensare più a niente."
spiegò Mei. "Ma sto
bene! Starò bene, sono forte io. Ho le spalle forti, ho
sopportato di peggio.
Magari è una stupida forma d'influenza stagionale."
"A giugno? Sai, Mei… qualche volta bisogna
permettere a sé stessi di abbassare la guardia e smettere di
fingere di stare
bene. E dubito sia influenza. Il tuo malessere ha un nome ben preciso."
Camus.
D'improvviso la stanchezza parve trasformarsi in quella
rabbia repressa che faticava a sfogare.
"Al diavolo. Ho abbassato la guardia una volta sola
ed ecco com'è finita. Mi ero ripromessa di non soffrire
più dopo Tokyo, dopo
tutto quello che mi è successo e invece…"
sussurrò Mei, asciugandosi
rabbiosamente gli occhi. "Invece mi son lasciata incantare da un paio
d'occhi blu."
"Pensi che piangere ti farà sentire meglio?"
Sicuramente no, dato il mal di testa che aveva.
"No."
"Allora non pensi sia il caso di rimboccarti le
maniche e riprendere in mano la tua vita? Hai già pianto
abbastanza per quel
cretino, non credi?" intervenne Milo, comparendo nella stanza.
"Credo sia meglio non farti trovare qui, Shiryu è
sul piede di guerra." disse Mu.
"Ma davvero? Che venga pure, sono dell'umore
adatto." disse Milo, sfoderando Antares. "Non posso fracassare la
testa vuota del mio migliore amico, quindi me la prendo col primo
decerebrato
disponibile. Qualcosa in contrario, Mei?"
"Avete litigato ancora?" domandò Mu.
"Litigato è un parolone.
Ho passato le ultime due ore a urlare come un dannato mentre lui stava
lì,
impassibile. E mi ha lasciato addosso una tale voglia di fracassare
qualcosa
che…"
Mei scosse la testa, tirandosi le coperte fino a coprirsi
totalmente.
"Fa' quello che devi, basta che poi mi lasciate in
pace."
"Senti, adesso basta." Milo afferrò le lenzuola
con le quali Mei si copriva e le scaraventò a terra. "Alza
il culo da quel
letto, forza."
"Che modi sono questi? Milo, non credo questo sia
l'atteggiamento giusto per…" intervenne Mu.
"Senti… se quell'idiota ha deciso di mandare
all'aria la sua vita, non significa che anche lei debba farlo. Mei, ti
concedo
trenta minuti per renderti presentabile, dopodiché ti
prenderò di peso e ti
getterò fuori di qui."
Mei ficcò la testa sotto il cuscino.
"Non hai nulla di meglio da fare?"
"Ti restano ventinove minuti e trenta secondi, fossi
in te li userei con cura." l'ammonì Milo.
Non le avrebbe dato tregua, perciò si decise ad alzarsi
dal letto, le gambe un po' malferme.
"Dovresti mangiare, ancora un po' scompari."
commentò Mu. "Non ti reggi nemmeno in piedi."
Annuì appena, sorridendo stanca in sua direzione mentre
Milo armeggiava in bagno.
"Vorresti anche spogliarmi e lavarmi la
schiena?" lo prese in giro.
In risposta Milo si rimboccò le maniche.
"Non avrei alcun problema a riguardo." replicò,
prima che Mu lo sospingesse verso la porta.
"Dì meno sciocchezze Milo." lo riprese,
chiudendosi la porta alle spalle.
Si trascinò in bagno reggendosi a fatica, quindi si
spogliò e s'infilò nella doccia lasciando che
l'acqua le togliesse di dosso tutta
la stanchezza e il torpore che i giorni trascorsi a letto le avevano
causato.
Shunrei entrò nella camera di Mei e aprì subito
la
finestra lasciando che l'aria fresca di quella bella giornata estiva la
invadesse, quindi cambiò le lenzuola, infilando quelle
sporche e i vestiti che
Mei si era tolta in un gran cesto di vimini.
"Davvero non ha mangiato per giorni?" domandò
Mu, quando la ragazza uscì dalla stanza.
Shunrei gli spiegò che dopo i primi giorni durante i
quali l'aveva sentita piangere, Mei si era isolata dal resto del mondo
uscendo
dalla propria stanza solo quando non c'era nessuno in casa -giusto per
mangiare- e che negli ultimi giorni era caduta in una specie di sonno
profondo
senza voler né vedere né sentire nessuno. Aveva
anche provato a lasciarle un
vassoio con i pasti sul tavolino del corridoio, trovandolo sempre
intonso.
"Ci penso io." decise Milo, ascoltando quanto
Mu gli aveva appena tradotto. "Non può annullarsi per quel
cretino."
"Non essere severo con Camus, non puoi sapere che
cosa si cela nell'angolo più intimo del suo cuore." gli
rispose Mu.
"E poi, al posto suo non sai come avresti agito."
"Sì invece." lo corresse Milo. "Non sarei
stato così avventato."
Mu scosse la testa.
"E' facile parlare quando sei al di fuori di una
situazione." proseguì. "Stai aiutando Mei e ciò
ti rende onore, ma
pensa anche a Camus quando torneremo al Santuario. A modo suo sta
soffrendo
anche lui."
Milo stava per rispondere piccato quando Mei finalmente
uscì dalla stanza.
"Soddisfatto? Sono anche in anticipo di cinque
minuti rispetto quanto ordinato." commentò Mei, ironica.
Aveva intrecciato i capelli ancora umidi e tentato di
coprire il colorito grigiastro del viso con qualche pennellata di
fondotinta,
ma i segni dei giorni trascorsi chiusa nelle quattro pareti della sua
stanza si
vedevano ancora bene.
"Bene. Mi conosci abbastanza da sapere che non parlo
mai a vanvera quando minaccio qualcosa."
"Milo…"
"Oh, dimenticavo, mio signore…
ciò che indosso è di vostro gradimento o devo
provvedere a indossare qualcos'altro?"
Un respiro profondo.
"La mia risposta potrebbe non piacerti."
"No, perché se desiderate, potrei sempre prendere
l'abito da sera nel baule di mia madre."
"PER LA MISERIA MEI, ORA BASTA!" sbottò Milo,
afferrandola per un polso. "Basta!!!"
Riapparvero tutti e tre all'interno di una casetta dalle
pareti bianco calce, in un luogo che Mei non aveva mai visto prima.
"Posso almeno sapere dove mi hai portato?"
Milo spalancò la porta della casa, mostrandole il mar
Egeo.
"Milos, mio luogo di nascita e di addestramento."
Mei si guardò intorno.
"Ma… ti avevo detto che non avevo alcuna intenzione
di venire qui! Non posso lasciare il Goro-Ho!"
Lui azzerò il proprio cosmo, quindi guardò i due
amici.
"Rilassati, nessun trasferimento. Ti ho portato qui
per farti mangiare." rispose, mentre Mu sgranava gli occhi.
"Sì, per
mangiare. Da sola non l'avrebbe fatto, quindi ecco che ci pensa thio Milo."
*
Camus volse lo sguardo a est, pensieroso: aveva
chiaramente percepito gli spostamenti di Milo e di Mu: dalla Cina si
erano
mossi verso ovest fino a Milos e aveva chiamato a sé tutta
la forza di volontà
disponibile per non seguirli e scoprire che cosa stava succedendo alle
sue
spalle.
"Spero tu non
stia facendo nulla di ciò che penso."
"Non sapevo di
doverti avvertire anche per un piatto di trippa nella mia taverna
preferita."
"Milo."
"Ho deciso di
portare Mu a provare la favolosa trippa alle olive di Ireni."
"Xenia."
"Scusami?"
"Xenia. Se è
la taverna che penso io, la proprietaria si chiama Xenia."
"Xenia, Ireni…
che differenza fa?"
"Come pensavo.
Non solo stai offendendo la mia intelligenza, ma continui a prendermi
in
giro." rispose. "Ma
d'accordo, continua a farlo finché credi, ma sappi che se
sei con chi penso io,
e sono sicuro che lei è
lì con te,
d'ora in avanti ti converrà stare il più
possibile lontano dalla mia
casa."
Milo parve esitare un attimo.
"Parleremo
quando torno."
Camus serrò i pugni.
"Non
disturbarti." rispose infine, chiudendo la comunicazione
telepatica
con Milo.
Pestò un pugno sul parapetto di pietra accorgendosi solo
in quel momento che in parte era ricoperto da una crosta -non troppo
spessa, in
verità- di ghiaccio.
Sto perdendo la
ragione.
"Nobile Camus, siete atteso."
Espirò lentamente, quindi si girò e senza degnare
d'uno
sguardo l'ancella che l'aveva chiamato, si diresse al tredicesimo
tempio.
Una volta all'interno, marciò dritto verso il trono,
trovandolo vuoto.
"Per di qua, Aquarius." lo chiamò Ares, seduto
con indolenza su un ampio rialzo coperto di cuscini e tappeti
preziosissimi, attorniato
da diverse ragazze come un sultano d'altri tempi nel proprio harem
personale.
Come da prassi, s'inginocchiò e si tolse l'elmo,
attendendo il permesso di rialzarsi, che arrivò poco dopo.
"Questa tua udienza giunge in un momento nel quale i
miei compiti sono più che mai impegnativi."
Camus non perse tempo a guardarsi intorno, si limitò a
tenere a freno la lingua e l'ironia che aveva imparato a usare grazie a
Milo,
per rispondere con molta diplomazia anche se era palese la natura dei compiti appena interrotti.
"Me ne rendo conto, Eccellenza." rispose.
Ares gl'indicò l'angolo opposto del rialzo e, dietro la
maschera, sorrise.
"Prendi posto, mettiti a tuo agio mentre mi spieghi
il perché di questa riunione."
Non aveva alcuna intenzione di imitarlo: la lascivia era
un atteggiamento che non l'aveva mai sfiorato in passato quand'era
solo,
figurarsi in quel momento. Lasciarsi toccare da quelle ragazze, o da
qualunque
altra ragazza, avrebbe infranto una tacita promessa che aveva fatto a
sé stesso
e a Mei, il giorno in cui se n'era andata, una promessa che riteneva sacra.
"Preferisco restare qui." rispose, con
fermezza.
"Oh, d'accordo." sogghignò Ares. "Non sai
a cosa rinunci, però."
Passò in rassegna, rapido, le fanciulle: alcune carine,
altre piuttosto belle. Quelle ragazze potevano anche avere forme
scultoree e
perfette e curve invitanti, capelli d'oro o cioccolato, occhi
d'ametista o
grigio perla, ma nessuna di loro era lei.
A quelle oche arrendevoli preferiva di gran lunga una
ragazza che a dispetto delle altre aveva un carattere particolare
–impossibile, si
corresse-, occhi
semplicemente verdi e imperfetti capelli neri, di quelli che la mattina
la
facevano assomigliare a un leone con la criniera scomposta piuttosto
che a una
modella patinata appena uscita da una sessione di trucco.
Non sapeva a cosa rinunciava, ma sapeva che cosa avrebbe
perso.
D'un tratto però, sentì una mano insinuarsi tra i
suoi
capelli e giocare sinuosa con essi fino a sfiorargli il collo:
scattò rapido
afferrando il polso di una delle ancelle che fino a poco prima era
stata in
adorazione di Ares: una ragazzina che non doveva avere più
di diciassette anni,
dalla pelle chiarissima e intensi occhi viola.
"Non farlo mai
più." l'ammonì allontanandola con un gesto
stizzito e fermo e con un tono
di voce freddo come i suoi occhi, in uno sguardo che parve spaventarla.
"Non sono interessato a questo genere d'intrattenimento." aggiunse,
in direzione di Ares, che dopo qualche attimo si alzò,
allontanando le
fanciulle da sé.
"Cora, non otterrai nulla dal fedele Camus, mia
cara. Egli appartiene già a una donna." lo prese in giro,
non ottenendo
alcuna reazione da parte dell'interessato. "Andate, riprenderemo
più
tardi."
Camus attese finché le ragazze non furono uscite, quindi
si schiarì la voce.
Ottenuto quanto richiesto al Grande Sacerdote, s'affrettò
a tornare all'undicesima casa alla svelta, prima che Ares potesse
tornare sui
suoi passi e impedirgli di partire.
Uscendo dal tredicesimo tempio, incrociò ancora le stesse
ragazze di prima; alla sua vista la fanciulla che Ares aveva chiamato
Cora
abbassò lo sguardo e si prostrò ai suoi piedi.
"Supplico il vostro perdono per avervi recato
offesa, mio signore." balbettò la giovane, scossa.
Quasi provò pena per quella ragazza, che sicuramente era
stata indotta a comportarsi in quel modo, poco prima in sala: sul polso
spiccavano ancora i segni della sua presa e, pensò, doveva
averle anche fatto
male.
"Rialzati. E non chiamarmi signore."
le disse, oltrepassandola.
*
Sotto continua insistenza di Milo, Mei aveva messo a
tacere lo stomaco con due abbondanti porzioni di tyropita e una coppa
di yogurt
e miele.
"Cominciavo ad avere fame, in effetti." fece
Mei, dopo aver spazzolato gli ultimi residui di yogurt.
"Ma dai?" la riprese Mu. "Il rantolo del
tuo stomaco si sentiva fino in Jamir."
"Esagerato." replicò lei. "E' quest'aria di mare che mette
addosso la fame… poi i vari chioschetti e bancarelle di
stuzzichini
aiutano…"
Lasciò vagare lo sguardo sull'Egeo e sul sole morente,
mentre il suo stomaco continuava a protestare.
"Potresti accettare la proposta di Milo e sistemarti
qui per un po'. Potrebbe farti bene cambiare aria."
"No. Avrei troppo tempo libero per pensare."
replicò Mei. "Troverò un lavoro e
m'iscriverò all'Università come avevo in
programma di fare. Il passato appartiene al passato ed è
lì che deve
stare."
Milo si sedette di nuovo, posando una bottiglia d'acqua
sul tavolo.
"Era lui." asserì Mei.
"Lui chi?"
"Andiamo, Milo. Quando comunicate tra voi percepisco
chiaramente il vostro Cosmo. Ed era piuttosto arrabbiato."
"Sì."
"E sa che siamo qui. Cioè… che siete qui con
me."
"Parlerò dopo con lui, ma come ti ho già detto,
non
devo dar conto a… lui di quel che faccio." ripeté
Milo.
"Puoi anche pronunciare il suo nome, stiamo parlando
di Camus, non di Lord Voldemort." sospirò Mei.
"Pensavo…"
"Cosa? Non è il suo nome che mi ferisce, è la sua
costante presenza." obiettò lei. "Per smettere di pensarci
dovrei
strapparmi via il cervello e senza non si può stare."
Mu posò il bicchiere di retsina.
"…vuoi dire il cuore."
la corresse.
"No. A quello ci ha già pensato Camus." replicò
Mei. "Sentite, ho altri piani per la mia vita che star
qui con le mani in mano a piangermi
addosso, visto che l'ho già fatto negli ultimi tre giorni."
"Ben detto."
"Parli sul serio o è l'alcool a parlare per te?" Mu
indicò la
bottiglia di retzina quasi vuota.
"Non ho bevuto, veramente." obiettò.
"Giusto." disse Milo. "Ti sistemi, vai ad
abitare da sola, ti trovi un compagno e tutto questo sarà un
ricordo."
Mei lo fermò.
"No, frena." disse. "Nessun
compagno."
"Come?"
"Nessun compagno. Non metterò mai più la mia vita
nelle mani di un uomo. Provvederò a me stessa e basta, d'ora
in avanti."
"Ma sei giovane… piuttosto carina… non vuoi avere
qualcuno che ti accolga, un domani, quando torni da lavoro e sei
stanca? E che
magari ti massaggi i piedi?" proseguì Milo.
Mei rise.
"Miei Dèi, no. Mi basterà un bel gattone o un
cane.
Sai, credo che solo un animale possa darti quel tipo d'amore
incondizionato e
fedele."
"Non hai mica intenzione di diventare una gattara
acida?"
"Anche no. Un gattone e magari, come Samantha Jones, qualche bel fusto
che
mi scaldi di tanto in tanto."
Mu alzò lo sguardo e la fissò.
"Co…?"
"Scherzavo." lo tranquillizzò Mei.
Mu tornò al Santuario prima di Milo, lasciando che fosse
quest'ultimo
a riaccompagnare Mei a casa."Guarda che so benissimo che tutto il
discorso
di prima era un discorso fatto così, a caso." fece Milo.
"Ehi, non è vero. La mia prozia è esistita
davvero
ed ha vissuto davvero tutta la vita senza mai sposarsi. Si è
divertita
parecchio anche senza essere sposata." rispose Mei. "Ma…
uhm… ha
anche avuto dodici figli da otto uomini diversi..."
"…che cosa??!"
"Sì… mio padre non aveva una buona opinione di
sua
zia, ma comunque chi sono io per giudicarla? Sono fermamente convinta a
non
ripercorrere le sue orme, perciò tranquilli… non
farò la stessa cosa.
Divertirmi sì, cacciarmi
nei guai
come stava per succedere, no."
Milo piegò di lato la testa, guardandola.
"Quest'armatura che ti sei costruita addosso forse
riesce a convincere Mu, ma non convince me. So che ti manca e non
c'è nulla di
male nell'ammetterlo. Camus manca anche a me se restiamo lontani per
troppo
tempo… insomma, è già dura sentire la
mancanza del tuo migliore amico,
figurarsi del tuo grande amore."
"Grande amore?
Non starai sopravvalutando un tantino la cosa? Grande amore forse per
me, ma
non per lui. E poi… chi ti dice che sia stato grande?
So come vanno queste cose, okay? Non sono stupida, so come
va il mondo. Aveva voglia di compagnia, ha trovato me e…
beh, ammetto che ci
siamo divertiti… e ha chiuso la storia così come
fanno tutti gli uomini o le
donne che non vogliono impegnarsi. Succede."
Milo assottigliò lo sguardo.
"Ti ho già detto che con me la tua armatura non
funziona?"
Mei si arrese.
"Sì."
"Allora smettila di dire stronzate."
Come diamine spiegargli che in tre settimane non era
riuscita in alcun modo a dimenticarlo, a farsi una ragione di quanto
successo?
Come spiegargli che aveva alternato momenti nei quali era stata apatica
e
incapace di non fare nient'altro a parte pensare e guardare il soffitto
e altri
momenti nei quali la rabbia era stata così esplosiva da
offuscare anche la
ragione?
"Bene, dai. Non mi resta che tornare alla base e
affrontare quella zucca vuota." disse Milo. "Come ti ho già
detto,
aspettati altre visite, non intendo lasciarti sola."
Lei annuì, sorridendo appena.
"Se potessi…" iniziò poi, interrompendosi di
colpo. Stava per chiedergli di fare cosa,
per lei?
"Sì?"
"Nulla."
"Devo dirgli qualcosa?" intuì Milo.
Sì.
Che l'amava.
Che l'avrebbe aspettato, anche per sempre. Che avrebbe
potuto mandarlo al diavolo come aveva già fatto,
all'inferno, dappertutto e nei
posti più balordi, ma che sarebbe andata ovunque, per
riprenderselo. Avrebbe
dovuto dirgli che per lui, avrebbe –citando un film- attraversato gli oceani del tempo, per
ritrovarlo.
"Maledizione."
Mei s'asciugò le guance. "Maledizione, non riesco a odiarlo
come dovrei.
Mi è entrato nella pelle, lo sento
dentro di me come se… come se fosse impresso a fuoco sulla
mia
carne."
"E' la stessa cosa che mi ha detto lui, tempo fa, su
di te."
Stentava a crederci, ma non glielo disse.
"Non… non digli niente, okay? Per favore. Non dirgli
quel che ho detto su di lui, non voglio diventare ancora l'oggetto del
suo
scherno."
"Tranquilla."
*
Entrò come una furia all'undicesima casa, sbattendo la
porta e facendo quasi prendere un colpo a Camus, in salotto.
"L'hai uccisa."
Camus lo guardò.
"Excuse-moi?"
"Tu l'hai uccisa, Camus. Hai ucciso la Mei che
abbiamo imparato a conoscere e al suo posto hai lasciato un relitto."
sbottò Milo. "Si è reclusa in casa per tre
settimane e negli ultimi tre
giorni non ha fatto che dormire! Ha un aspetto pessimo ed è
colpa tua."
"Si rimetterà in fretta." mormorò, in risposta.
"Sai bene che non sarà così. Sono stato da lei.
Io e
Mu abbiamo sudato sette camicie per convincerla a uscire da quella
stanza, per
convincerla a mangiare un boccone e smettere di dormire. Non
è più una ragazza,
è un relitto. Ed è colpa tua."
Camus tentò di mettere la discussione su un piano ironico.
"Oh, immagino fosse così malmessa da necessitare
dell'arrivo del baldo cavaliere dalla scintillante armatura che la
traesse in
salvo dal cattivone di turno sul proprio candido destriero."
Milo frugò nei jeans e prese una piccola fotocamera.
"La tua definizione di malmessa si
avvicina almeno un po' a questa?"
Consapevole che se non l'avesse guardata almeno una volta
Milo non l'avrebbe lasciato in pace, Camus prese la fotocamera e
sbirciò il
display, zittendosi quasi all'istante e sgranando gli occhi: sguardo
spento e
occhiaie sotto gli occhi, colorito strano, zigomi pronunciati. I
vestiti che
parevano cascarle addosso.
"Questa non è Mei." mormorò.
"Sì invece, guarda bene."
"Non può essere."
Milo incrociò le braccia sul petto, assottigliando lo
sguardo.
"…non riesco a
odiarlo come dovrei. Mi è entrato nella pelle, lo sento dentro di me come se fosse impresso a fuoco sulla
mia carne."
ripeté, ottenendo l'attenzione di Camus.
"Come?"
"Avevo promesso a Mei di non dirti niente, eppure
eccomi qui che infrango una promessa per cercare di farti capire che
cosa hanno
causato le tue azioni."
Camus poggiò i gomiti sulle ginocchia e si prese la testa
tra le mani, come faceva quando era preda di una forte emicrania.
"… e che cosa potevo dirle? Oh,
Mei, scusami. Devo chiederti di tornare in Cina, sai…
domani, o fra
settimane o mesi, ci sarà un attacco qui, e…
vedi? Potrei morire, o uccidere
tuo fratello." sbottò Camus. "Sii serio,
dannazione."
Milo lo guardò, negli occhi uno sguardo di fuoco.
"E pensi di averle fatto del bene così? L'hai vista
com'è, pensi che sia contenta? Io le avrei detto la
verità, le avrei spiegato
tutto, avrebbe capito. E avrebbe deciso da sola che cosa fare, come
doveva
essere."
"Sarebbe rimasta con me, e con lei qui non avrei
combattuto con la necessaria lucidità. E metti che gli
invasori siano davvero
chi Arles ha profetizzato… tra loro potrebbe esserci suo
fratello, con che
coraggio le avrei chiesto di scegliere tra me, uno sconosciuto, e suo
fratello?
Hai idea di quanto tiene a lui?"
"E tu hai idea di quanto tiene a te?"
"No."
"Appunto. Senti, dopo sei libero di farmela pagare
come mi hai promesso oggi, ma lascia che ti dica una cosa: fa' che
tutto questo
sia solo temporaneo, fa' che un domani, senza l'ombra della guerra,
possiate
riprendere da dove avete interrotto. Altrimenti la daresti davvero
vinta a
Shiryu." disse Milo. "E adesso dai, coraggio."
L'altro sospirò, stanco.
"Lasciami solo." replicò, alzandosi mentre
continuava a premersi le tempie, la testa che gli pulsava
dolorosamente.
"D'accordo. Cerca di abituarti, Cam, perché è
esattamente così che finirai se continui a percorrere questa
strada."
replicò Milo, prima di lasciarlo solo, come egli stesso
desiderava.
Al diavolo, pensò,
andando nel suo studio a cercare gli
antidolorifici nel cassetto della scrivania. Se
è così che dovrò vivere,
così sia.
Eppure, desiderò per un attimo
essere diverso, essere un'altra persona. Essere un ragazzo comune e
poter amare
liberamente come chiunque, poter amare senza avere il terrore di
danneggiare
nessuno.
…dopo Joséphine,
hai smesso di essere un essere vivente per diventare un cinico blocco
di
ghiaccio senza sentimenti!
Joséphine… ricordava ancora, a distanza di anni,
l'ultimo
sguardo di sua madre: un ricordo che gli gravava sul petto come un
macigno, un
ricordo che si andava sommando allo sguardo deluso e stanco di Mei.
Mi hai sempre presa
in giro… sono insignificante, ma a letto non lo ero,
vero?... vorrei non averti
mai incontrato!
No, non lo era.
Se solo avesse potuto dirle tutto, se avesse potuto farle
capire che l'aveva fatto per lei e per nessun altra, se solo avesse
capito che
avrebbe preferito morire piuttosto che ferirla in quel modo…
Diede un pugno alla prima cosa che gli capitò sotto tiro,
pentendosene subito dopo.
***
Lady Aquaria's corner:
(Capitolo revisionato in data 18
giugno 2015)
Lo so. Questo capitolo contiene qualche parolaccia e una
frase alquanto colorita, chiedo venia.
By the
way, passo alle note.
-"Eh bien, va
donc te faire foutre!" è l'equivalente francese di
"Ma và a quel
paese!" E sì, ho volutamente trascritto la traduzione
più
"fine".
-L'Aviaria iniziò a svilupparsi all'incirca nel 2003,
quando cioè è in parte ambientata la fic.
-Thio: zio
-Retsina:
particolare tipo di vino greco
-"L’avrei
mandato al Diavolo, all’Inferno, da qualunque parte, ma
giuro, sarei sempre
andata a riprenderlo." è una frase che ho beccato
su Facebook e che,
cercandola su Google, ho trovato in numerosi riscontri. Non conoscendo
l'autore
certo, rimando al primo blog nel quale l'ho trovata, questo.
-"Ho
attraversato gli oceani del tempo per trovarti" è
l'esatta frase che
ho riadattato. Chiedo venia al grande Gary Oldman e al suo Dracula per
averla
indegnamente presa in prestito.
So di essere anche in ritardo con la long-fic principale
e mi spiace per questo. Ho perso troppo tempo in chiacchiere e
amenità varie e
l'ho trascurata D: in ogni caso sto pian piano correggendo i vecchi e
obsoleti
capitoli e spero di proseguire con i nuovi quanto prima, stavolta senza
incertezze e intoppi.
Ringrazio come sempre chi segue, chi legge e chi mi fa
sapere che ne pensa, lo apprezzo sempre molto.
Alla prossima!
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 20 *** Trying not to love you. ***
capitolo 20 rivisto prequel
20.
Trying not to love you.
‘Cause
trying not to love you, only goes so far
Trying not to need you, is tearing me apart
Can’t see the silver lining, from
down here on the
floor
And I just keep on trying, but I
don’t know what for
‘Cause trying not to love you
Only makes me love you more
[Trying not to love you, Nickelback]
"Che maledizione hai combinato?"
Camus sollevò fugacemente lo sguardo dal proprio braccio.
"Allegro
Chirurgo Live Edition."
replicò ironico, iniziando a darsi i punti. "La missione di oggi è una sutura,
quella di domani un'appendicectomia."
L'amico lo guardò con un sopracciglio inarcato.
"Hai già provveduto alla lobotomia,
a quanto vedo." replicò Milo, ricevendo in risposta
il dito medio. "Non prendertela con me, sei tu che mi servi le
battutacce
su un piatto d'argento. Mi spieghi che cos'è successo?"
Era tornato indietro non appena aveva avvertito il suo Cosmo
agitarsi come raramente accadeva, quindi s'era trovato di fronte a
quello
spettacolo: schegge di vetro nel lavandino per metà pieno
d'acqua insanguinata
e Camus chino sul lavabo, intento a ricucirsi
l'avambraccio.
Milo afferrò un asciugamano dal mobiletto e lo
dispiegò.
"Guarda che macello… chi cavolo credi di essere? John Rambo? Ricucirsi il braccio da
solo… ma dai, che cavolata. Muoviti, andiamo da Aphrodite."
lo esortò,
riuscendo a levargli di mano l'ago, mentre Camus s'avvolgeva il braccio
nell'asciugamano.
"Credevo di dare un pugno al muro, invece l'ho dato
al vetro."
"Bravo."
disse Milo, sbirciando i pochi punti messi un po' a sghimbescio e
piuttosto
distanziati tra loro. "Comunque come ricamatore fai davvero pena."
"Sai com'è, non stavo rammendando un calzino."
rispose Camus, mentre entravano di soppiatto nella dodicesima casa,
trovando
Aphrodite intento a studiare.
"Avete una buona scusa per il vostro disturbo,
immagino. Vi avverto: per studiare non sto dormendo da diverse notti,
ho dato
buca alla sosia di Anne Hathaway e ho l'esame a breve." li
avvisò.
"Se a causa vostra non riuscirò a studiare abbastanza e mi
rovinerò la
media con un voto scarso, potete anche dire addio alle vostre
miserabili
esistenze."
Milo sospinse Camus verso di lui, scostando
l'asciugamano.
"E' una scusa abbastanza buona?" domandò,
indicandogli il disastro con un
cenno.
Gli occhi di Aphrodite s'illuminarono come per magia,
come quelli di un bambino davanti ai cancelli di EuroDisney. Dopo
qualche
attimo di estatico silenzio nel quale aveva guardato rapace
l'asciugamano che
aveva praticamente cambiato colore, posò il libro sulla
poltrona e gli dedicò
subito attenzione.
"In bagno, subito." ordinò, gli occhi sgranati
che brillavano di una luce che Camus definì agghiacciante.
"Comincio a pensare d'aver sbagliato a portarti
qui." sussurrò Milo, ricevendo un'occhiataccia gelida.
"Ma che meraviglia!
Una ferita da taglio!" continuava l'altro, sempre
più su di giri,
legandosi i capelli in una coda e iniziando ad armeggiare con i
mobiletti del
bagno. "Dal vivo è tutta un'altra cosa rispetto ai manichini
con il sangue
finto!"
"Anche io sono differente dai manichini: se mi fai
male, ti sferro un gancio che te lo ricordi."
"Manichini?!"
"Ovviamente, sono ancora uno studente, i pazienti
veri non li vedrò prima di anni." rispose Aphrodite.
Rincuorante.
"Aphrodite, devo iniziare a preoccuparmi?" fece
Camus, guardando la miriade di oggetti che l'amico stava estraendo da
una
grande borsa nera per riporli ordinatamente su un asciugamano pulito.
"Per caso ho una bloody
rose in mano?"
"No."
"Allora non hai nulla per cui preoccuparti." rispose
Aphrodite, iniziando a detergere delicatamente l'area intorno alla
ferita con i
gesti quasi automatici e sicuri di un chirurgo in sala operatoria.
"Okay…
scherzi a parte, cos'è successo?"
"Il vetro della mia finestra."
"Incidente domestico?"
Camus inarcò un sopracciglio.
"No. Ero
annoiato e non sapevo che fare."
Aphrodite gettò l'asciugamano sporco e sbuffò
quando si
accorse dei pochi punti messi da Camus.
"Odio quando voi profani
tentate imprese che vanno palesemente oltre le vostre limitate
capacità."
commentò, esaminando la ferita. "Quanto sangue è
uscito?"
"Beh, dovresti vedere il suo bagno com'è
ridotto."
Camus riservò l'ennesima occhiataccia a Milo.
"Hey, guarda che la lingua per rispondere mi
funziona ancora bene."
"Sei sicuro di sapere che cosa stai facendo,
vero?" interloquì Milo, preoccupato.
"Sicuramente ne so più di te e di Rambo."
replicò Aphrodite, indicando Camus con un cenno. "Vedo che
hai usato
banale filo di cotone e un ago da cucito, scommetto non sterilizzato.
Ad ogni
modo… non pare nemmeno profonda."
"Mi spiace averti deluso in tal modo, la prossima
volta cercherò di trapassarmi il braccio da parte a parte."
"Sì, ti prego. Una ferita lacero-contusa
con qualche tendine reciso sarebbe stata più gradita
alla mia sete di conoscenza medica." convenne Aphrodite, inarcando un
sopracciglio, contrariato da quel sarcasmo insolito e fuori luogo.
"Ma tu senti questo…"
"Milo, che cosa gli hai dato per renderlo così
chiacchierone? Quasi lo preferisco quando è il solito
insopportabile
ghiacciolo."
"Ne dubito. Camus è ingestibile in entrambi i casi
se decide di fare lo stronzo." rispose Milo.
Camus fece una smorfia sentendo il pizzicore del filo
strusciare nelle carni, ma dopo qualche secondo, tornò
subito serio.
"Mi dispiace, sono un po' lento con le suture. Se
vuoi ho dell'anestetico nella borsa."
"Va bene così."
Aphrodite fece un mezzo ghigno.
"Però, quanta stoicità."
Per tutta risposta, Camus scostò i capelli dalla schiena
e con la mano libera tirò su la maglietta, scoprendo il
dorso e la cicatrice
che l'attraversava.
"Ho passato di peggio."
"D'accordo, non parlo più."
"A
proposito di ghiacciolo… se questa cosa arrivasse alle
orecchie degli
altri…"
"Fammi
indovinare… mi congeli le chiappe?"
Camus
assottigliò lo sguardo.
"So
diventare più ingestibile
di quel che
pensa Milo."
Aphrodite diede
volutamente uno strattone al filo e fece sobbalzare Camus, quindi si
sporse
verso l'amico.
"Anche io."
"Io non
scherzerei con uno che ha dei bisturi a portata di mano."
interloquì Milo,
dalla parte opposta della cucina.
"Sei
proprio uno stupido. Mai sentito parlare di segreto professionale?"
Milo intanto
girovagava curiosando qua e là.
"Parlavi di
lei, prima?" domandò, continuando a guardare la foto che
l'amico aveva
fissato al frigo con un paio di magneti, che lo ritraeva insieme a una
gran
bella ragazza.
"Ja."
rispose Aphrodite, continuando
a suturare senza distogliere lo sguardo. "Iris."
"Non
esageravi quando dicevi che assomigliava all'attrice."
commentò Milo.
Aphrodite ghignò
appena, controllando la continuità dei punti appena messi.
"Frequentiamo
lo stesso corso."
"Visto che
siamo in argomento, in che cosa vorresti specializzarti?"
"Sono
indeciso tra pediatria e traumatologia." rispose Aphrodite. "E no,
non fatemi battute squallide come Death, che vorrebbe spingermi verso
ginecologia."
"Tipico di
DeathMask." Camus alzò gli occhi al cielo.
"Lungi da
me." rispose invece Milo.
"Secondo
me, traumatologia. Senza dubbio
traumatologia. Ti sei eccitato davanti al mio braccio, non mi
è difficile
immaginarti al settimo cielo un domani alle prese con addomi squarciati
e
fratture esposte." rispose Camus.
"Ecco, tu
viaggi sulla mia stessa lunghezza d'onda. Traumatologia è la
mia prima scelta,
se dovessi fallire, cosa che non succederà mai,
ho comunque pediatria." rispose Aphrodite. "Camus, qui ho finito.
Mettiti l'anima in pace, ti rimarrà una cicatrice."
"Non
m'importa."
"Sembra di
vedere la cucitura dei tacchini ripieni che negli USA cucinano per il
ringraziamento." commentò Milo.
"Quelli
messi da Rambo invece erano più belli? Posso chiamarti
Rambo, sì?"
"No, se
vuoi che ti risponda." replicò Camus.
"Piuttosto,
ragazzi… mi sembra superfluo dirvi di tacere, riguardo Iris.
Finché questa
situazione d'emergenza non si sarà risolta, è
meglio che nessuno sappia della
sua liaison con me."
"Sai che
non sono tipo da pettegolezzi."
"Di te mi
fido, infatti." Aphrodite guardò prima Camus, quindi Milo.
"Temo la
lingua lunga dell'aracnide."
"Sarò muto
come un pesce." giurò Milo.
"Ti
converrà esserlo o diventerai davvero muto. Come un uomo
morto, però."
minacciò l'altro, facendo comparire una rosa tra le sue
dita. "Perché
fonti certe mi dicono che non è una bella cosa morire grazie
a una di queste. "
Milo deglutì
nervoso alla vista della rosa nera.
"Io lo
prenderei in parola." interloquì Camus, sistemando qua e
là il bendaggio
appena fatto da Aphrodite. "Grazie, comunque."
"Di niente.
Ah, finché non guarisce, io mi fascerei l'altro braccio,
come si faceva durante
l'addestramento, sai. Da' meno nell'occhio rispetto a una fasciatura
singola."
Camus si alzò
dallo sgabello.
"Ci
penserò, grazie."
"Non far
cedere i punti o dovrò rimetterli da capo." si
raccomandò Aphrodite. "Adesso
fuori dai piedi, che se riesco a finire il capitolo in tempo forse
riesco a
chiamare Iris e fare del buon sesso telefonico."
Milo corrugò la
fronte.
"Tu fai
sesso telefonico?"
"Sì, ed è molto più eccitante di quel
che credi." replicò Aphrodite.
"Bah."
si lasciò sfuggire Camus.
"Uh?"
"Bah." ripeté. "Io
sono un tipo all'antica, preferisco avere Mei tra le braccia piuttosto
che
dall'altra parte del filo."
Mei.
Serrò gli occhi.
Perché era così complicato levarsela dalla testa?
"Hai
detto…?"
"Sì, l'ho detto. E non ne voglio parlare." rispose a Milo,
prima di
tornare nella quiete di casa sua.
Andava tutto
bene. Non c'era nulla per cui preoccuparsi: tutto procedeva per il
meglio, così
come sarebbe dovuto essere, andava tutto
estremamente bene.
Varcò la soglia
della sua casa con l'intenzione di spegnere momentaneamente il cervello
e
dormire, ma le sue intenzioni, l'avrebbe scoperto di lì a
breve, sarebbero
state stravolte.
"Chiunque
tu sia, hai pochi secondi per uscire vivo
da qui." sibilò, avvertendo una presenza in casa e sentendo
la propria
rabbia ritornare prepotente, come quel pomeriggio al tredicesimo
tempio.
Intravide dei movimenti in bagno, raggiungendo il malcapitato con ampie
falcate. "Ti avevo avvisato!" aggiunse, fermandosi alla vista della ragazza tremante accanto al lavandino
macchiato di sangue.
"Maledizione."
imprecò, scaricando
la Diamond Dust contro la vasca da
bagno e congelandone il rubinetto. "Avrei potuto ucciderti!
Che cosa ci fai qui?"
Tentando di
calmarsi, Cora alzò lo sguardo e balbettò
qualcosa in risposta.
"Mi hanno
assegnata a voi."
"Oh, bene."
mormorò Camus tra sé e
sé, invitandola ad uscire dal bagno con un ampio gesto del
braccio.
Assurdo. Aveva più volte detto che non aveva
bisogno di un attendente, poiché
perfettamente in grado di provvedere a sé stesso.
"Chi?"
le domandò. "Chi ti ha
mandata?"
Lei fece il nome di Fedra, l'anziana governante di Ares che, tra le
tante
mansioni, si occupava anche di coordinare le varie ancelle del
Santuario.
Ares. Sicuramente era tutta opera sua.
"Ha detto
che avrei potuto esservi d'aiuto con la vostra casa poiché
siete solo."
"Con la mia
casa o con me?" le
domandò,
secco, facendola arrossire. Chissà quanto si era divertito
Ares a immaginarlo
con una delle sue ancelle: molto probabilmente era tutto un piano per
vederlo
capitolare e poter avere qualcosa col quale ricattarlo.
Hey calma, non sei
mica in un film di 007…
"Fedra sa
molto bene che riesco a provvedere egregiamente a me stesso." aggiunse,
incrociando le braccia sul petto. "E sa anche che fiuto una menzogna a
chilometri di distanza, quindi te lo chiederò ancora una
volta. Chi ti ha
mandata davvero? Ares?"
"Vi ho già
detto che è stata Fedra!" esclamò Cora,
esasperata. "Ho scelto questa
casa perché l'alternativa era la quarta."
Non era la prima
volta che sentiva di ancelle terrorizzate all'idea di finire da
DeathMask: tre
di loro erano scomparse dopo essere state assegnate a lui e
naturalmente la
cosa, unita alla sua pessima fama di assassino senza morale, aveva
scatenato
una sorta di terrore cieco nei suoi confronti.
"Anzitutto
non rispondermi con questo tono." l'ammonì. "Ad ogni modo
non ho
tempo né voglia di discutere. Torna da Fedra, non so
come… impiegarti."
"Non voglio
finire alla quarta casa… vi prego, non so dove altro
andare!" con un gesto
che Camus trovò fin troppo teatrale, Cora si
prostrò di nuovo ai suoi piedi,
piangendo.
Si massaggiò
l'attaccatura del naso, domandandosi che cosa potesse aver mai fatto
nelle sue
precedenti vite per meritare simili grane in questa: doveva pur esserci
un
motivo. Aveva forse insultato o mancato di rispetto qualche
divinità?
"Rialzati."
sibilò. "Imparerai presto che con me queste patetiche
scenette
strappalacrime non attaccano. Vuoi restare? E sia. Ma ti avverto: se
quanto
accaduto oggi al tredicesimo tempio dovesse mai ripetersi, e spero per
te che
ciò non avvenga, sarò io stesso a portarti alla
quarta casa."
Cora annuì,
inchinandosi e seguendolo.
"Dunque…
visto e considerato che sono obbligato ad
averti tra i piedi, sono costretto a porre dei limiti. Puoi girare
liberamente
per casa e renderti utile come
meglio
credi. Ma la' in fondo c'è il mio studio e, poco prima, la
mia stanza. Entrambe
ti sono proibite." le spiegò Camus, perentorio. "Te lo
ripeterò una
volta soltanto: qualsiasi atteggiamento ambiguo nei miei confronti ti
faranno
guadagnare un viaggio di sola andata per la casa del Cancro."
"Va
bene."
"E' tutto
chiaro?"
"Molto chiaro, sign-…"
"Bene.
Benvenuta all'inferno."
Nei giorni che
seguirono, l'atteggiamento di Camus nei confronti di Cora non
migliorò, anzi.
Da qualche parte dentro di sé sapeva benissimo che quella
povera ragazza non
aveva fatto nulla per meritarsi il suo trattamento, eppure non riusciva
ancora
a levarsi dalla mente l'idea che Ares, attraverso di lei, stesse per
giocargli
un tiro mancino: era diventato così insofferente a
quell'imposizione che Cora
aveva imparato a rendersi invisibile, evitando di rimanere nella stessa
stanza
ed evitando persino, se possibile, di incrociare il suo cammino.
"Ehilà."
"Ciao."
Milo posò un
telo su una panca e decise di iniziare l'allenamento quotidiano facendo
qualche
vasca in piscina.
"Come va il
braccio?"
"Benone." rispose Camus, mentre Milo si liberava dei vestiti
rimanendo con i calzoncini da bagno. "Chi ti ha fatto quel livido sulle
costole?"
Di riflesso Milo
si toccò la parte interessata con una smorfia.
"Lascia
perdere. Qualche notte fa ho avuto un incubo, mi sono svegliato di
soprassalto
scivolando giù dal letto e ficcandomi l'angolo del comodino
nelle costole. Non
ti dico il dolore."
"E che hai
sognato di tanto pauroso?"
L'altro fece mente locale.
"Ehm…
sognavo di essere il Re Scorpione, sai, quello del film."
"Non mi
dire."
"Credimi! "
"wefergserA un
certo punto, mentre guidavo l'Armata di Anubi su Tebe…"
"Addirittura? Ehi,
modera un po' il tuo Ego."
"…scoprivo
di essere diventato una donna! Al che inizio a gridare e correre
così forte che
l'ambiente intorno a me diventa sfocato fino a diventare nero e sento
la tua
voce che mi dice Milo, tu sei l'Eletto!"
Camus sollevò
entrambe le sopracciglia.
"Che
cosa?"
"Io,
l'Eletto? Non è possibile ti dico, così
ricomincio a correre e salto da un
tempio all'altro finché il programma si dissolve e io cado
nel vuoto, che in
realtà non era vuoto, ma solo il mio pavimento."
Un silenzio
imbarazzante riempì ben presto lo spogliatoio della palestra.
"Quant'era
forte lo spinello che hai fumato?"
"Giuro,
nessuna canna. Facevo zapping ieri sera mentre ero mezzo addormentato
dalla
noia, saltando da un canale all'altro e niente, mi sono risvegliato
proprio
mentre Linda Blair vomitava in faccia al prete."
"Miei dei,
ricordami di non venire mai a casa tua a guardare la tv." Camus rispose
con una smorfia.
"In verità,
volevo parlarti di altro. Stamani sono stato al mercato."
Camus sollevò le braccia sulla testa allungandosi il
più possibile, quindi
iniziò a piegarsi verso destra e verso sinistra ritmicamente.
"…e hai
bisogno di allenamento extra perché hai svaligiato di nuovo
la bottega del
pasticciere." ridacchiò. "D'accordo, fatti sotto."
Milo lo guardò.
"Come
fai?"
"A fare cosa?" Camus corrugò la fronte, continuando il
riscaldamento.
"A passare
da stati di estrema bastardaggine a questi stati pseudo simpatici."
"Ho fatto
qualcosa che può giustificare quest'affermazione?"
"Non a me. Come stavo dicendo, stamani sono stato al mercato
e… mentre il
fruttivendolo sceglieva le mie mele, ho sentito un certo discorso tra
Asha e le
altre ancelle." rispose Milo. "Sai, subito non ho capito di chi
stessero parlando, ma a un tratto una di loro, credo si trattasse
dell'ancella
che si occupa della settima e della nona casa, ha detto qualcosa tipo gelido bastardo senza cuore e ho capito
che stavano parlando di te."
Camus annuì.
"Gelido bastardo
senza cuore. Avrei
preferito: il francese dagli occhi di
ghiaccio, ma non si può pretendere tutto dalla
vita." replicò.
"Che hai
combinato a quella povera ragazza?"
"All'ancella della nona casa? Niente, nemmeno la conosco!"
"Parlo della tua attendente. Ho sentito dire che l'hai trattata
male."
Camus cambiò
espressione.
"Ciò che
succede dentro le mura della mia casa riguarda solo me." rispose.
"Cora ha tendenze melodrammatiche, per lei anche uno sguardo equivale a
un
maltrattamento."
"Sì, li
conosco i tuoi sguardi. Altro che maltrattamento, tu sei capace di
uccidere con
uno sguardo."
"Magari
fossi capace di farlo." ribatté Camus. "Non ho
più voglia di tirare
pugni, credo che andrò a correre."
"Sai,
esiste un luogo chiamato aggressività
passiva e tu sei il suo re." disse Milo. "Ma so che da
qualche
parte lì dentro, dietro quella maschera,
c'è ancora il mio migliore amico, l'uomo che stimo
più di chiunque altro al
mondo. Lascialo uscire, non lasciarlo sotto chiave per sempre."
"Il problema
è, Milo, che la chiave che tiene chiusi il vecchio Camus e
il suo cuore… quella
chiave… non ce l'ho io." rispose, prima di lasciarlo solo
nella grande
palestra.
*
Seduta in
compagnia di Mu, Mei stentava ancora a credere a quello che le stava
succedendo.
Quando quella
mattina si era presentata in ospedale, era sicurissima di dover essere
operata
di appendicite o di essere schiaffata in quarantena grazie al nuovo
terrificante ceppo influenzale che stava terrorizzando mezzo mondo.
Invece la
realtà dei fatti l'aveva colta di sorpresa come un temporale
improvviso: dopo
quasi un'ora di attesa preda di sudori freddi, nausea e capogiri e un
altro
paio d'ore di esami e visite, il medico che l'aveva visitata aveva
escluso
l'aviaria e, soprattutto, l'appendice infiammata.
"Mi
dispiace averti disturbato e averti costretto ad aspettare quasi
quattro ore,
ma il Maestro non può muoversi e se avessi portato Shunrei
con me, Shiryu
avrebbe iniziato a fare troppe domande." spiegò Mei. "E sei
il solo
di cui possa fidarmi, in questo momento."
"Nessun
disturbo." rispose Mu, sorridendo. Quando Mei l'aveva chiamato si era
stupito non poco, soprattutto per la richiesta che gli aveva fatto.
"Sono
contento di sapere che non hai nulla di grave, stamattina
eri…"
"Stamattina
ero in uno stato pietoso." l'interruppe Mei.
"Stavo per
dire che stamattina non eri per niente in forma." proseguì
Mu. "Per
fortuna non si tratta né di aviaria né di
appendicite, come pensavi. Scusa se
mi permetto, ma alla fine che cos'era?"
"Un brutto
calo di pressione, ha detto il medico. Ha anche aggiunto che sudori
freddi,
nausea e capogiri sono sintomi piuttosto comuni e che comunque tendono
a
scemare dal secondo trimestre in poi."
Mu sgranò gli
occhi.
"Sei…?"
"Già. Il
che mi risolleva il morale, ero terrorizzata dall'idea di morire sotto
i
ferri."
"E ti ha
detto da quanto tempo sei incinta?"
"Cinque settimane." rispose Mei, un po' brusca, fulminandolo con lo
sguardo. "Credo proprio sia di Camus, visto che non ho avuto uomini al
di
fuori di lui, né prima né soprattutto dopo
averlo conosciuto."
"Non
metterti sulla difensiva, non intendevo insinuare nulla. M'interessava
sapere
quand'è prevista la nascita." rispose Mu, paziente.
"Prima
settimana di febbraio, probabilmente intorno al sei."
Mu sorrise.
"Pensa un
po'. Alla vigilia del suo compleanno."
"Sì, sembra fatto apposta." rispose Mei. "Come se avessimo
studiato a tavolino quando concepirlo."
"Beh, un
dono piuttosto insolito per festeggiare, ma pur sempre un dono. Camus
ne sarà
contento."
"No."
Mei scosse la testa. "No. Lui non lo deve sapere."
"Come?"
"Camus non
deve sapere di questo bambino. Dati gli ultimi sviluppi, penserebbe
chissà
cosa, che magari la mia intenzione era quella di farmi mettere incinta
e di
intrappolarlo con una gravidanza."
"Se
parliamo della stessa persona dubito seriamente che possa raggiungere
tali
livelli di malignità." la corresse Mu.
Mei scosse la
testa.
"Tu non hai
sentito le sue parole né hai visto la sua espressione gelida
mentre mi sputava
addosso ogni sorta di veleno." rispose. "Non sai che cos'ho dovuto
sentire."
Guarda in che guaio
mi sono cacciato solo per aver cercato un po' di compagnia.
Scacciò quelle parole e sbuffò: chissà
che cosa le
avrebbe vomitato addosso scoprendo della sua gravidanza.
"Posso solo
immaginarlo, ma quello che c'è stato tra voi due non c'entra
nulla con questa
creatura. Devi permettere loro di conoscersi, permettere a Camus di
conoscere
suo figlio e viceversa. Non puoi davvero pensare a una cosa del genere,
è una
crudeltà gratuita che Camus non merita, qualunque cosa ti
abbia detto."
"Non voglio
impedirgli di conoscere suo figlio, ma prima che ciò avvenga
intendo
dimostrargli che so cavarmela benissimo da sola, senza il suo
aiuto… che tra
l'altro non voglio." puntualizzò ancora Mei.
"Vorrà dire che rimanderò
l'università e nel frattempo cercherò un lavoro
per mantenermi. Ma da lui non
voglio nemmeno uno yuan."
Mu scosse la
testa.
"E' una
pessima idea."
Mei annuì.
"Sì. E'
stata davvero una pessima idea. Dovevo arrangiarmi da sola come ho
sempre
fatto, non so perché ti ho chiamato."
"… non
essere testarda come tuo fratello." la fermò. "Non ti sto
dicendo di
dirglielo perché voglio importi la mia volontà,
ma perché Camus prima o poi lo
verrà a sapere, e saperlo da qualcun altro lo
manderà in bestia."
Mei si riavviò i
capelli in un gesto nervoso.
"Sarebbe
una cosa che sono in grado di gestire."
"Ah no, ne
dubito." rispose Mu, alzandosi a sua volta, comprendendo che Mei stava
per
congedarlo. "Non dirò nulla come vuoi, ma quando Camus si
arrabbierà al
punto da ghiacciare l'intero Santuario per settimane e verrà
qui furioso a
chiederti spiegazioni…!"
"…non
dire che non te l'avevo detto."
Mei concluse al posto suo. "Non succederà. Camus arrabbiato
è l'ultimo dei
miei problemi, so come gestire la cosa. Grazie per avermi accompagnata
in
ospedale, l'ho apprezzato molto."
"Di nulla.
Abbi cura di te." replicò Mu, prima di sparire per tornare
in Jamir.
Sgattaiolò
silenziosamente in casa rintanandosi nella Stanza degli Avi e, una
volta chiusa
a chiave, s'inginocchiò sull'enorme cuscino di fronte al
piccolo altare,
l'ecografia in mano e tanti, troppi pensieri in mente.
Superata la
sorpresa iniziale, ecco che erano subentrati i dubbi, più
forti delle sue
certezze e dei suoi buoni propositi: che cosa avrebbe fatto da quel
momento in
poi?
"Ecco una lista di
integratori da
assumere lungo tutto l'arco della gestazione." aveva detto il ginecologo del policlinico
poco prima di congedarla. "Ci
rivediamo per la seconda ecografia tra un mese e mezzo. Ammesso che lo
voglia
tenere, altrimenti può anche cambiare medico."
Aveva risposto
scioccata e anche sgarbata all'uomo, ribattendo seccamente che non
aveva alcuna
intenzione di rinunciare a quel bambino.
Ma una volta
esaurita l'adrenalina e la determinazione con la quale aveva risposto
al dottore,
ecco che altri dubbi l'avevano assillata: come avrebbe affrontato
quell'esperienza senza nessuno accanto? Come avrebbe fatto a tirar su
una
creatura da sola, senza un riferimento paterno? Sarebbe stata una buona
mamma
come lo era stata sua madre per lei, e sua nonna ancora prima?
Posò l'ecografia
accanto a sé e accese tre incensi verdi, quindi si
chinò fino a toccare con la
fronte il pavimento rivestito di tatami iniziando a pregare i suoi avi
affinché
l'accompagnassero benevolmente lungo i sette mesi e mezzo che sarebbero
seguiti.
Mai come in questo
momento ho bisogno del
tuo aiuto, mamma. Tu hai allevato me e Shiryu, aiutami ad allevare
questo
bambino.
Sì, ma sua madre
aveva cinque anni più di lei quando l'aveva avuta, anche lei
era stata una
giovane mamma, ma aveva cresciuto una bambina insieme a suo marito.
Per un solo
breve istante, colta da un'ondata di sconforto insolita per lei,
pensò che,
forse, aveva ragione Mu, Camus avrebbe dovuto sapere di quel bambino e
aiutarla, forse doveva mettere da parte l'orgoglio e assicurare a suo
figlio,
al loro figlio, un futuro con entrambi i genitori…
"Miei Dei, che
cos'ho fatto?"
…questo, finché
non avvertì la presenza di qualcuno accanto a sé.
"Degél."
disse, a mo' di saluto.
"Mei."
le rispose lo spirito, cordiale. "Temo di essere ambasciatore di
cattive
novelle."
Oh, bene. Quella
giornata prometteva di terminare così com'era iniziata: in
maniera memorabile.
"Si tratta
di Camus?" gli domandò, sentendosi una sciocca subito dopo:
avrebbe voluto
prendersi a schiaffi sia per la domanda che aveva appena rivolto a
Degél, sia
per il tono da ragazzetta sentimentale che aveva usato.
Degél sorrise.
"No. Lui
sta… bene." disse,
esitando
sull'ultima parola. "Non preoccupatevi per lui."
"Avete
esitato." gli fece notare Mei. "Lui
non sta bene."
"Ci pensate
ancora."
"Penso a
lui ogni giorno." rispose Mei, senza esitazione. "Penserò
sempre a
lui. E d'ora in avanti anche questo bambino mi farà pensare
a lui."
Il bambino che
avrebbe cresciuto da sola, tra l'altro, ma non lo disse a voce alta.
"Non mi
avete risposto, comunque." disse Mei. "E non vi lascerò in
pace
finché non mi avrete risposto."
Degél la guardò
con occhi sgranati.
"Come,
prego?"
"Mi avete
sentito." replicò Mei. "E pazienza se vi manco di rispetto
parlandovi
in questo modo e che molto probabilmente inizierete col perseguitarmi,
ma vi ho
fatto una domanda e vorrei una risposta, se non vi dispiace. Lui come
sta davvero?"
Degél annuì,
incrociando le braccia sul petto.
"Vi ha mai
detto nessuno che siete-…?"
"Irrispettosa,
arrogante, insolente, sfacciata e sfrontata? Lo so."
"…insolita."
rispose Degél.
"Almeno per me. Non sono abituato ad avere a che fare con donne con il
vostro carattere."
"Prima
vorrei la mia risposta, poi parleremo delle donne che avete
frequentato."
"Adesso
siete insolente." disse Degél.
"D'accordo,
ma state tergiversando. Come sta lui?"
L'espressione
stupita di Degél si trasformò in un sorriso.
"Molto
bene. Allora perché non iniziate a chiamarlo col suo nome,
dato che dobbiamo
parlare di Camus?"
"Certo.
Allora come sta Camus, davvero?"
"Il suo
umore è molto peggiorato. Sembra sia diventato insofferente
a ogni cosa e, mi
duole ammetterlo, anche sgradevole." rispose Degél, sempre
ben attento a
che cosa rivelare. "La corazza che sta erigendo per proteggersi diventa
spessa di giorno in giorno."
Mei sospirò.
"A lungo
andare quel freddo finirà con l'ucciderlo."
mormorò. Scosse la testa come
per cacciare via quei pensieri e sorrise a Degél. "Ecco. Adesso potete anche parlarmi di quelle cattive novelle."
"Oh, certo.
Temo abbiate sollevato le ire di vostra madre."
Di bene in meglio.
"Cosa
intendete dire?"
Degél parve
scegliere con cura le parole da utilizzare, e nel mentre Mei lo vide girarsi più volte alla sua
destra, come
se qualcuno gli stesse suggerendo cosa dire.
"Madame Letizia… e vi prego di non serbare rancore nei miei
confronti in
quanto umile ambasciatore, mi manda a dirvi che si sente delusa dal
vostro
comportamento di poco fa. Dice che ha allevato una ragazza forte
affinché
diventasse una donna ancora più forte e che quanto successo
si addice veramente
poco a voi."
"A chi lo
dice…" commentò Mei, asciugandosi le guance col
dorso della mano. "A
volte vorrei prendermi a sberle."
Cosa le era
passato per la mente? Tornare da Camus con la coda tra le gambe,
implorando il
suo aiuto e umiliandosi in quel modo di fronte a un uomo che l'aveva
già
umiliata e derisa abbastanza… che sciocchezza assurda.
"La sola
persona verso la quale nutro un profondo rancore è la
sottoscritta, nessun
altro." sospirò Mei. "Mi sembra strano dire certe cose,
ma… quando…
ehm… vedete mia madre,
ditele che non
avrà più alcun motivo di sentirsi delusa."
"Lei vi sente già, Mei. E' qui, ma è uno spirito
ancora troppo giovane e
inesperto per essere in grado di palesarsi. Ora sono desolato, ma devo
lasciarvi."
"Un'ultima
cosa, poi prometto che cercherò di non darvi più
fastidio."
"Ditemi."
"Quella
volta che mi avete impedito di girare le ultime tre carte…
era questo che mi avete impedito di
vedere?"
"Come vi ho
già detto, non posso rispondere a questa domanda."
"Alla
prossima, allora." lo congedò Mei, senza insistere.
"Au revoir, Mei."
*
Quando rientrò
dopo due ore di corsa, era fradicio e aveva i muscoli doloranti: aveva
corso
finché l'acido lattico non l'aveva costretto letteralmente
in ginocchio, in
spiaggia, costringendolo a fermarsi e pensare.
"Maledizione."
Così non poteva
andare avanti, aveva bisogno di allontanarsi da tutto e da tutti, ma
finché Ares
non gli accordava il permesso di allontanarsi per il periodo che aveva
richiesto all'ultima udienza, non poteva lasciare il Santuario.
Quando
sarò abbastanza tranquillo potrò
accordarti il permesso che desideri, Camus. Fino ad allora, sei
necessario qui.
Pestò un pugno
sulla sabbia, frustrato, ricavandone nient'altro che un dolore sordo al
braccio,
segno che con ogni probabilità i punti messi da Aphrodite
s'erano staccati.
"Così
non va bene. Non pensarci o va a
finire che impazzisci."
Non pensare a
lei, concentrarsi solo sul suo compito… cose semplici in
apparenza, ma
piuttosto difficili da portare a termine, se ogni angolo di casa gli
ricordava
Mei: sul cassettone gli oggetti che le aveva donato erano ancora dove
lei li
aveva lasciati quel pomeriggio, nel cassetto del comodino c'era ancora
la
maglietta dei Kiss che nella fretta aveva dimenticato sotto il cuscino
e in
bagno, sul lavandino, la matita nera che sicuramente non aveva visto
mentre
raccoglieva le sue cose.
"Sto
già impazzendo."
***
Lady Aquaria's
corner
(Capitolo
revisionato in data 20 giugno 2015)
Oh signur, ecco
che la mia Grey's dipendenza ciccia fuori nei modi più
imprevedibili... e se
nelle sere estive con i palinsesti vuoti come Torino in agosto decidi
di
riguardare TUTTO Grey's Anatomy dopo aver rivisto la trilogia di Rambo
per la
miliardesima volta, capita anche questo, di scrivere di Camus che si
ricuce
allegramente da solo: manca solo il colonnello Trautman, poi avrei
fatto l'en
plein. XD
Povera me.
Poi, come se non
bastasse, la notizia che Milo, in LoS, è donna. No,
aspettate. Parliamone.
Ha fatto venire
gl'incubi a me, figuratevi a lui.
Tornando seria…
nonostante la mia lentezza, sono felice di vedere che qualche anima pia
segue
ancora le mie storie. A loro il mio grazie di cuore.
-Linda Blair interpretò la ragazzina indemoniata
dell'Esorcista;
-"Esiste un luogo chiamato aggressività passiva e tu
sei la sua regina" sarebbe la frase originale, simpaticamente rubata al
bel Derek Shepherd;
-"…tre incensi verdi" secondo alcune credenze
cinesi, l'incenso è un modo che i vivi hanno per comunicare
con i defunti o con
le potenze divine; a seconda delle varie culture, comunque, le regole
impongono
di accendere incensi in un determinato
numero e/o colore a seconda di ciò che ci si appresta a
fare: per onorare o
comunicare con gli Dei si accendono incensi rossi (se la
divinità è vegetariana
gli incensi saranno gialli) e se invece ci si appresta a comunicare con
gli
spiriti, si accendono incensi verdi, di solito in numero dispari, uno o
tre.
Grazie come
sempre, alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 21 *** Dimentica. ***
capitolo 21 prequel revisionato
21.
Dimentica.
Dimentica
l'amore e forse
anche il dolore
passerà
dimentica le
cose belle
e tutto il male
sai
di colpo
sparirà...
…dimentica
tu
fallo per me
che ancora non
so
dimenticare
te…
[Raf –
Dimentica]
Quello che seguì
fu un periodo relativamente tranquillo, anche se Camus avrebbe
preferito
rintanarsi nella sua amata Siberia fino alla tanto temuta guerra,
piuttosto che
trascorrere l'attesa, che diventava ogni giorno sempre più
snervante, al
Santuario.
I suoi giorni,
indipendentemente dal caldo torrido di quell'estate o dalle prime
piogge
autunnali, erano diventati ripetitivi: duro allenamento tutte le
mattine –anche
se agli esercizi preferiva la scherma con Shura o il karate con Milo o
Aphrodite-, pranzo, studio intensivo fino a tarda sera e, dopo lo
studio, si
coricava molto presto, spesso dopo aver saltato la cena.
Non lasciava
spazio ai pensieri neanche un istante: l'ultima volta che aveva pensato
a Mei
aveva quasi ceduto al desiderio di recarsi in Cina e implorare il suo
perdono.
Una cosa,
quella, che non avrebbe potuto mai
permettersi di fare, per il bene di entrambi.
Rientrando in
casa dopo il consueto allenamento con Shura, trovò Cora in
cucina, sul volto
un'espressione poco amichevole.
"Maestro."
lo salutò.
"Cora."
"Vi siete
allenato anche questa mattina."
"Come
sempre." replicò Camus, infilando nel cesto dei panni
sporchi gli
indumenti che usava per la scherma e il karate. "Le mie abitudini ti
creano
fastidio, forse?" aggiunse, ironico.
"Ieri sera
non avete cenato." rispose Cora, indicando il vassoio che gli aveva
lasciato sul tavolo e che aveva ritrovato quella mattina ancora intonso.
"Non avevo
fame."
"E neanche
la sera prima."
"Non avevo
fame neanche la sera prima."
Cora ripose la
ciotola di zuppa in frigorifero insieme all'insalata e alla trota che
gli aveva
cucinato.
"E' un
peccato divino sprecare il cibo in questo modo. Non potete allenarvi
come un
indemoniato senza nutrirvi: state dimagrendo a vista d'occhio! Il
vostro corpo
prima o poi vi presenterà il conto."
Sbuffò irritato
dall'insistenza di Cora.
"Vorrà dire
che lo pagherò."
Cora scosse la
testa.
"Quando
succederà, e credetemi, succederà…
sarà troppo salato, persino per voi."
**
16
novembre, Goro-Ho.
Dal canto suo, a
Mei non andava poi così meglio: se al Santuario Camus
continuava a perdere
peso, Mei lo acquistava di settimana in settimana, seguendo
rigorosamente le
istruzioni del ginecologo. Tuttavia il suo piccolo equilibrio
interiore,
recuperato a fatica dopo il ritorno da Atene e mantenuto intatto grazie
anche
al lavoro che aveva trovato –insegnante di Taijiquan in un
dojo in città-, era
stato nuovamente incrinato grazie al fratello, che, una volta scoperta
per caso
la gravidanza, non le aveva dato tregua finché non era
finita in ospedale:
Shunrei le aveva raccontato che il Maestro l'aveva affrontato fuori di
sé dalla
rabbia.
"Non l'avevo mai
visto così furioso, ho
avuto paura, credimi."
Mai come la paura
che aveva avuto lei, al pensiero di poter perdere la sua bambina. Le
ore in
ospedale, preda di doloretti vari dovuti all'estrema rabbia che aveva
provato e
alla tensione che era seguita, erano state atroci.
"Non ti faccio visita da giorni." osservò Milo
dopo essere arrivato, puntuale come sempre, al Goro-Ho. "Ti chiedo
scusa.
E' che al Santuario ci sono state delle ribellioni e ho avuto diverse
gatte da
pelare."
"E hanno mandato te?"
Non comprese il tono che Mei aveva usato, tuttavia
rispose tranquillo.
"O me, o DeathMask. E sai, meglio morire alla svelta
e in maniera più o meno indolore che subire le peggiori
torture."
Mei continuò a stendere il
bucato senza voltarsi.
"Capisco."
Percepì un tono di voce
parecchio strano in lei: qualcosa non andava bene? Era forse legato al
bambino
che portava in grembo?
"Tutto bene?" le
domandò.
"Cosa ti fa pensare il
contrario?"
"E' successo qualcosa."
"No."
"Non era una
domanda." replicò Milo. "Mei, guardami. Guardami e dimmi che
va tutto
bene, se ci riesci."
La sentì sospirare.
"O me lo dici tu, o sarò
costretto ad acchiappare tuo fratello ed estorcergli la
verità con la
forza." insistette. "Dopo il mio trattamento non so quante
possibilità avrà di sopravvivere, ma va beh, a
quello penseremo dopo."
"Ecco, sei contento?"
sbottò Mei, voltandosi. "Non sto bene, ho trascorso le
ultime quaranta ore
in ospedale."
Il suo pallore e le occhiaie
che le cerchiavano di scuro gli occhi lo spaventarono non poco.
"Che cosa è
successo?" domandò, sentendosi il cuore in gola. Se fosse
successo
qualcosa a lei o al bambino e Camus l'avesse scoperto, l'avrebbe ucciso
per non
averla protetta abbastanza.
Gli avrebbe fatto passare le
pene dell'inferno per non averlo informato della gravidanza, ma
l'avrebbe
sicuramente anche ucciso se le
fosse
successo qualcosa.
"Ho trascorso gli ultimi
due giorni in ospedale, dove mi hanno ricoverato d'urgenza."
spiegò Mei,
riluttante. "L'ira quasi mi stava provocando un aborto. Argomento che,
tra
le righe, è stata la causa del mio malessere."
"Tu cosa?" esclamò Milo,
prendendola per le spalle.
Aveva tenuto nascosta la
gravidanza al fratello in ogni modo possibile approfittando della sua
cecità,
finché il fato non ci aveva messo lo zampino. Le parole che
aveva rivolto a
Camus erano irripetibili, ma ancora di più le parole che
erano seguite dopo.
"Non penserai davvero di tenerlo?"
"Non ho mai pensato il contrario."
"Fossi in te prenderei in considerazione
l'idea di abortire. Anzi,
credo dovresti farlo."
Mai aveva provato una rabbia
così smisurata.
"Pensaci, non
è un'idea così
malvagia." aveva
detto
Shiryu, massaggiandosi la guancia dolorante.
"Sparisci dalla
mia vista, verme."
"Devi almeno
pensarci. Come intendi
crescere questo bambino?"
"A costo di fare
ogni sacrificio
possibile, a costo di fare anche tre lavori al giorno e spaccarmi la
schiena
per lui, ecco come intendo crescerlo."
"Senza padre? Che
vita avrebbe questa
creatura senza padre?"
"Gli
farò da madre e padre, se
necessario."
"Crescerà
insieme agli altri bambini
del villaggio che lo scherniranno perché bastardo. Le donne ti
additeranno
come una sgualdrina facile che si è fatta fregare da un laowai. Non sarai più libera nemmeno di andare
al
mercato! Nessuno ti assumerà, nemmeno per fare pulizie!"
"Allora
lascerò per sempre questo
posto."
"Non dire
assurdità."
"Ascoltami bene,
Shiryu. Dovessi anche
finire col prostituirmi e vivere in un monolocale a Pechino mangiando
solo
sedano e acqua per garantire a mia figlia una vita dignitosa e tutto
ciò di cui
avrà bisogno, non ti darò mai la soddisfazione di
vedermi strisciare ai tuoi
piedi in cerca d'aiuto. Mai!"
"Dèi del cielo,
Mei!"
"Stai tranquillo, il pericolo è passato e stiamo
bene." rispose. "Non mi
aveva mai parlato così. Prima dell'arrivo del Saint di
Cancer, quel giorno, era
una persona del tutto diversa."
Probabilmente
DeathMask aveva in qualche modo trasmesso qualche microscopica parte
della
propria crudeltà a Shiryu, durante quell'attacco:
eventualità molto rara, ma
non impossibile.
"…per carità, non dirlo a
nessuno."
"Certo che non lo dico a nessuno. Camus soprattutto, se non vuoi
rendere
vedova Shunrei prima ancora d'avere possibilità di sposarsi
con tuo
fratello." rispose Milo. "Con ogni probabilità, Camus
sarebbe capace
di uccidere anche me, se ti accadesse qualcosa."
"Perché mai dovrebbe?"
"Uhm… perché si preoccupa? Perché il
suo primo
pensiero al risveglio e l'ultimo prima di dormire sono rivolti a te?"
esclamò Milo. "Credo che lui sappia benissimo dove vado
quando mi assento
dal Santuario. E non poter venire qui ad accertarsi di persona sul tuo
stato di
salute lo fa impazzire: ricordi quando io e Mu ti portammo a Milos per
farti
mangiare? A tua insaputa, e mi dispiace dovertelo dire così,
ti scattai una
foto e… una volta a casa, affrontai Camus facendogliela
vedere."
Si ricordava eccome, in quel periodo era in uno stato
pietoso.
"L'avrai traumatizzato, poveraccio." scherzò
Mei. "E in tutto questo, dovrebbe fartela pagare perché
vieni a farmi
visita? Che assurdità."
"Beh… davvero non immagini il perché? E' geloso,
anche se non lo ammetterebbe mai, nemmeno sotto tortura." rispose Milo.
Mei posò un paio di maglioni nel cesto del bucato.
"Altra assurdità. Sei un bravo ragazzo, Milo,
davvero. Ma non sei il mio tipo e comunque, non ti ho mai visto sotto
quest'aspetto." disse Mei, ferma. "E poi… ci si preoccupa e
si è
gelosi verso chi si ama, non verso chi ti è indifferente."
Milo le raccolse il cesto e si offrì di aiutarla.
"Sbagli, Mei. Per lui non sei affatto indifferente,
credimi."
Sbatté una tovaglia nel cesto che Milo portava
sottobraccio con più forza del dovuto e per poco non gli
fece rovesciare tutto
in terra.
"Si permette il lusso di essere geloso perché non
gli sono indifferente, ma allo stesso tempo mi ha cacciata.
Eppure non si dovrebbe essere gelosi di un gioco:
guarda in che guaio mi sono cacciato per aver
cercato un po' di
compagnia. Guarda che non ho l'Alzheimer, ricordo ancora
troppo bene le sue
parole. Sono stata un bel passatempo e una facile preda,
nient'altro. Io cinese, noi
cinesi sciocche e stupide bamboline olientali." rispose Mei,
caustica,
posandosi le mani sul ventre. "Oh
no. Te lo prometto, non mi arrabbierò più."
aggiunse, in cinese,
rivolta al bambino.
"Oddio no, Mei… no! Non è così.
Déi, lui… "
iniziò Milo "…non si dà pace. Ha
eretto un muro altissimo tra sé e noi
altri, quando cerco di parlare di te cambia discorso e diventa
intrattabile."
Mei si asciugò rabbiosamente due lacrime.
"Però mi scaricata come una qualunque storiellina
estiva." replicò. "Me lo merito d'altronde, non sono stata
nient'altro che questo e me ne rendo conto solo ora. Alla fine ha
ragione mio
fratello, non sono che una sgualdrinella facile."
"Non osare mai più dire una cosa del genere!
Maledizione, Mei, sono serio! Vorrei poterti spiegare, credimi. Vorrei
poterti
dire perché l'ha fatto." tentò di spiegarle. "Se
sapesse che sei
incinta, sono certo che amerebbe il vostro bambino così come
ama te."
"Bambina."
"Prego?"
"Aspetto una bambina, una femmina." rispose
Mei. "Grazie a Kwan Yin non è un maschio, ho pregato ogni
giorno affinché
me lo negasse, così almeno ho la certezza di non vedermelo
portar via da Ares,
un giorno. Ma è una femmina, e se anche per pura sfortuna
ereditasse il Cosmo
di suo padre, nessuno me la porterebbe via, poiché una donna
non può aspirare a
un'armatura d'oro."
Aveva pianto di sollievo
per giorni interi quando l'ecografia le aveva confermato il sesso del
nascituro.
Milo si schiarì la voce: a dire il vero, non era detto
che una donna non potesse aspirare a una carica così
importante, semplicemente
nel corso della storia del Santuario non era mai successo prima che uno
di loro
mettesse su famiglia al punto da procreare e quindi trasmettere il
Cosmo a un
figlio. In ogni caso, se la creatura avesse ereditato davvero il Cosmo
paterno
–anche questa, eventualità rara, se non impossibile-,
Mei, volente o no, avrebbe dovuto cedere la bambina così
come le loro madri
avevano dovuto fare con loro.
"Il tuo
successore non è uno scavezzacollo come te, ma a quanto pare
ha la tua stessa
lingua lunga. Devi intervenire, Cardia. Io
non ho potere sul tuo successore, ma tu, naturalmente, sì."
"Non ti
agitare inutilmente, non le sta rivelando niente d'importante, stanno
solo
conversando."
Degél assottigliò lo sguardo.
"Sai anche tu
che cosa potrebbe succedere se gli sfuggisse qualche parola di troppo."
Cardia levò gli occhi al cielo.
"Quella
fanciulla è nata sotto il mio segno, ha un'anima molto
robusta. La sottovaluti."
"In questo
momento è solo una fanciulla gravida che teme di non poter
crescere la sua
creatura. Se il tuo successore le rivelasse qualcosa di troppo e lei si
sentisse male, le conseguenze potrebbero essere disastrose."
"Conosci già
il futuro, perché ti preoccupi tanto?"
"Quest'incognita
non era prevista! Tu non comprendi la portata di quello che potrebbe
succedere:
se le capitasse qualcosa, Camus potrebbe anche non presidiare
più la sua casa
per starle vicino, l'esito della guerra sarebbe radicalmente diverso e
il
futuro prenderebbe direzioni che neanche noi siamo in grado di
prevedere.
Fermalo prima che possa dire cose delle quali potremmo tutti seriamente
pentirci."
Cardia sbuffò.
"E sia."
rispose. "Però sono convinto che
quella specie di scatola magica e
quelle immagini in movimento che i
nostri successori gradiscono tanto abbiano avuto effetti negativi sulla
tua
mente."
"Televisione. Si
chiama televisione." lo corresse Degél.
"Come vuoi."
rispose Cardia.
"A dire il vero…" s'interruppe Milo, portandosi
d'improvviso una mano in testa. "Ahia!"
"Cosa c'è?"
"Credo che qualcosa mi abbia punto."
Mei corrugò la fronte.
"Vespe e calabroni dovrebbero essere in letargo, visto che fa
freddo." rispose, allungando la mano e palpando il piccolo ponfo tra i
capelli di Milo. "Ma posso sempre sbagliarmi."
"Pazienza, non importa. Brucia un po' ma non è
insopportabile."
"Una Scarlet
Needle. Hai usato una Scarlet Needle per
zittire il tuo successore." esclamò
Degél. "I miei complimenti."
"Sentirà
bruciare per qualche ora, poi passerà. E' immune ai suoi
colpi, stai
tranquillo."
"…comunque mi spiace vederti così abbattuta. Un
po'
mi manca la Mei che rispondeva per le rime a Death, la Mei solare."
Mei sorrise amara.
"Quella Mei non la vedrai mai più. La Mei sciocca e
ingenua pronta ad abbandonare tutto per seguire due occhi blu non
esiste più,
Milo. Se n'è andata insieme alla sua ingenuità."
Sapeva perfettamente che nessuna parola avrebbe potuto
confortarla in alcun modo. Le sorrise triste, quindi le porse il cesto
che si
era portato appresso e che aveva messo da parte quando si era
preoccupato.
"Ascolta… spero possa tirarti su il morale." le
disse, porgendoglielo. "So che è il tuo compleanno, quindi
auguri!"
"A parte il Maestro, sei il solo che se ne sia
ricordato." sorrise Mei. "Ti ringrazio."
Scostò la prima pagina di un quotidiano ateniese col
quale Milo aveva coperto il contenuto del cesto, e vi frugò
dentro: un involucro
da pasticceria, una rosa, una voluminosa busta argentata e un cofanetto
di
legno chiaro intarsiato.
Facile immaginare i mittenti dei primi due. Aprì la busta
e dentro vi trovò una felpa dei Kiss nera, con il logo della
band sul petto e
The Demon sulla schiena.
"Tu sei tutto matto!" esclamò Mei, scoppiando a
ridere.
"Probabilmente ti andrà un po' larga, ma ho pensato
potesse tornarti utile, visto che l'inverno è vicino e il
parto è ancora
lontano. Ti terrà al caldo." spiegò Milo.
"Aphrodite dice che la rosa
ti terrà compagnia molto a lungo senza appassire e beh, il
dolce, come
immaginerai, è da parte di Aldebaran."
"…e il cofanetto?"
Milo esitò.
"Quello… ehm…" mormorò. "Camus me l'ha
mostrato stamattina, di ritorno da Atene. E' per te."
Mei sfiorò con delicatezza l'intarsio sul coperchio -una
rosa dei venti con le indicazioni in un alfabeto a lei sconosciuto- e
aprì
lentamente il cofanetto esagonale: all'interno, un braccialetto
d'argento con
diversi ciondoli di cristallo raffiguranti le varie forme dei cristalli
di
neve.
"Si è ricordato…" mormorò, sfiorando
le maglie
che componevano il monile.
Le accarezzò la testa, con affetto.
"Certo che si è ricordato. Vedi che non sei
indifferente ai suoi occhi?"
*
Tornato a casa dopo aver trascorso quasi tutto il
pomeriggio con Mei, Milo posò il cestino di vimini sul
tavolo, appuntandosi
mentalmente di restituirlo ad Asha il giorno dopo, e
sospirò, pensieroso:
quell'ipotetica guerra aveva già combinato disastri prima
ancora d'iniziare,
aveva trasformato radicalmente –in peggio- le vite di tutti
loro. Camus e Mei
non potevano certo andare avanti così: pur fingendosi
indifferenti, non
riuscivano a smettere di preoccuparsi l'uno verso l'altra.
"Che cavolo di
situazione." commentò tra sé e
sé.
A essere proprio sincero, quel braccialetto Camus l'aveva sì
comprato per Mei,
ma non l'aveva incaricato di consegnarlo. Conoscendolo, si sarebbe
irritato
parecchio, anche se irritato non
era
affatto il termine più indicato.
Non osò immaginare che cosa avrebbe potuto combinare una
volta scoperta sua figlia. A Mei non avrebbe fatto nulla di male,
l'avrebbe
strigliata per bene con una ramanzina epica, ma a lui, lo sapeva bene,
avrebbe
riservato –e a ragione- la parte peggiore: lui più
di chiunque altro sapeva
come avrebbe reagito Camus e quanto pericolosa poteva essere la sua ira.
Aveva promesso a Mei di mantenere il silenzio su quella
creatura, ma anche a Camus aveva fatto delle promesse, quand'erano poco
più che
fanciulli.
In un modo o nell'altro, avrebbe comunque tradito la
fiducia di uno dei due.
"Athena,
aiutami. Mostrami quel che devo fare."
Perso nei suoi pensieri, avvertì appena, e solo all'ultimo,
il lieve fruscio di
stoffa nella stanza; affilò l'unghia, pronto a colpire
l'impudente che aveva
osato introdursi, e di soppiatto anche, nell'ottava casa. Non era tipo
da
perdersi in parole inutili quando doveva colpire, perciò
caricò la Scarlet
Needle e la lanciò, incurante: peggio per chi aveva osato
violare le sue mura.
Ma, al contrario di ciò che accadeva sempre, non
udì
nessun gemito di dolore, solo uno sbuffo scocciato.
"Ma che accidenti... Cam!"
Brillavano di una strana luce gli occhi di Camus nella
penombra della stanza, anche se il suo volto non tradiva la minima
emozione,
era come scavato nel ghiaccio.
Di solito, avrebbe commentato qualcuno, con la solita
flemma che precede la tempesta.
"Che cavolo..." si lamentò Milo, accendendo la
luce. "Mi hai fatto prendere un colpo."
Camus continuava a seguirlo con lo sguardo, restando
seduto sulla poltrona del salotto con la solita aria gelida e
imperscrutabile.
"Ti sembra il modo di fare, questo? Nella mia casa,
al buio, a farmi prendere un mezzo infarto?? Se ti avessi colpito ti
avreifatto
male." aggiunse, indicandogli l'unghia, che si ritrasse tornando
normale.
"Molto male."
L'altro finalmente si decise a parlare. E la tempesta
paventata prima, finalmente arrivò.
"Il tuo pomeriggio al Goro-Ho è stato
piacevole?" domandò Camus, sempre calmo e glaciale.
"Il mio... cosa?"
"Non credere di poterti fare beffe di me come ti
pare. Sono più intelligente di quel che credi. Sei andato in
Cina, da
Mei."
"Certo che ci sono andato, è il suo
compleanno." rispose.
Camus annuì.
"Lo so che
è il suo compleanno. Ma non si tratta solo di questo."
Ecco, ci siamo. Ora mi striglia per quel
dannato braccialetto.
"Posso spiegarti." esordì.
Camus annuì, sogghignando ironico.
"Puoi
spiegarmi." ripeté, caustico. "Sono curioso di
sentire quali
sciocchezze inizierai a propinarmi, dal momento che so già
tutto."
Rimase a fissare il suo volto inespressivo per qualche
secondo: esattamente, che cosa sapeva?
Difficilmente sapeva di sua figlia, o in quel momento non
sarebbe stato così tranquillo.
"Che cosa
sai?" domandò cauto, mentre Camus assottigliava lo sguardo.
"Ci stai provando con lei. Altrimenti per quale
motivo da mesi ti rechi in Cina almeno due volte a settimana? Passi una
volta,
due, tre… ma qui si è superato il limite."
Boccheggiò, scosso dalle parole dell'amico.
Aveva frainteso tutto, considerava Mei una buona amica e
non l'aveva mai vista sotto quella
luce. Mai.
"Che cosa??"
domandò, oltraggiato. "Spero tu stia scherzando!"
Camus si alzò, riducendo gli occhi a due fessure,
iniziando a girargli intorno.
"Perché non vai a cercare compagnia altrove? Con la
cameriera del pub di Megara, ad esempio. Vi spogliate con lo sguardo
ogni volta
che vi posate gli occhi addosso. Fai quello che più sei
bravo a fare, ma non farlo con Mei."
"Fare il gigione
con le ragazze, flirtarci e scherzare non significa saltare da un letto
all'altro! Finché non faccio del male a nessuno, posso fare
quello che mi pare,
e non permetterti più di parlarmi in questo modo!"
sbottò Milo,
spintonandolo con malagrazia lontano da sé. "Chi credi di
essere? Mio
padre?"
"No, ringraziando gli Dèi. Ma vedi solo di stare
lontano da lei o giuro che ti
farò
passare i quindici minuti più brutti della tua vita."
minacciò Camus.
"E sai che posso farlo."
Milo lo guardò, accorgendosi che con ogni
probabilità
l'amico non doveva essere del tutto in sé.
"Ne riparleremo quando sarai sobrio." disse,
mettendo a tacere la vocina interna che gli consigliava di assestare un
bel
destro sulla mandibola di Camus. "Va' a farti una doccia fredda e a
dormire, non sei in te."
Camus si voltò di scatto, bloccando la porta prima che
Milo potesse chiuderla.
"Cosa ti fa pensare che sia ubriaco?"
"Se fossi sobrio non mi parleresti in questo
modo."
Mattina, 17 novembre.
Impiegò qualche istante ad aprire gli occhi e mettere a
fuoco il soffitto, in un bagno di sudore e preda di una strana
spossatezza che
non sapeva a cosa attribuire; Camus allungò la mano al
comodino afferrando
l'orologio, accorgendosi che erano le undici passate.
"Dannazione."
borbottò, scostando le lenzuola e alzandosi. Ricadde sul
letto come privo di
forze e corrugò la fronte. "Okay, calma. A tutto
c'è una
spiegazione."
Raggiunto il bagno dopo vari tentennamenti, rimase
diverso tempo di fronte allo specchio a domandarsi che cosa,
esattamente, fosse
successo la sera prima, per essere ridotto in quello stato.
C'era stata una qualche festa alla quale si era ubriacato
al punto da non reggersi più in piedi?
Che sciocchezza.
No, doveva essere successo ben altro. Lui non si
ubriacava praticamente mai.
"Maestro, come vi sentite stamani?"
Quando incrociò il suo sguardo, Cora strinse le lenzuola
al petto, chinando il volto per non doverlo guardare, come ormai era
abituata a
fare.
"Come se avessi la febbre." rispose,
sciacquandosi il volto con l'acqua fredda. "Dove sono stato ieri
sera?"
"So che vi siete recato all'ottava casa, dalla quale
siete tornato come se…" s'interruppe la ragazza.
"Come se?"
Cora sospirò.
"Come se foste un'altra persona." rispose.
"Eravate fuori di voi dalla rabbia, blateravate qualcosa che non ho
compreso, e vi ho sentito più volte lamentarvi, nella notte."
Annuì.
"Non ricordo niente di tutto ciò." disse
infine. "Cora, sono stanco di parlare al tuo cranio. Puoi anche
guardarmi
quando ti parlo, ti assicuro che non mordo."
"Voi mi avete detto di non…"
"Ti dissi di non rivolgerti a me chiamandomi signore
e di non entrare nella mia
stanza e nel mio studio, ma non ti ho mai proibito di guardarmi mentre
ti
parlo."
Cora sollevò il volto dopo diversi secondi, accennando un
lieve sorriso imbarazzato quando si accorse dello sguardo di Camus.
"Milo di Scorpio ha chiesto di voi, stamattina
presto. Ha detto che vi attende all'ottava casa." disse, ricordandosi
del
messaggio che il Gold Saint le aveva affidato.
"Bene. Grazie." rispose Camus. Corrugò la
fronte quando si accorse che Cora aveva lo sguardo fisso su di lui.
"Cosa
c'è?"
"Credo che vi abbia punto qualcosa, avete un brutto
sfogo sul collo. Vedete? Proprio qui." gl'indicò, tenendosi
a debita
distanza: una specie di abrasione lunga un paio di centimetri, larga quanto l'unghia del
mignolo, dolorosa
al tatto e circondata da un alone rosso.
Accidenti.
Dopo
una veloce doccia, si
cambiò e si decise ad andare all'ottava casa pur sentendosi
ancora debole, sperando
di non finire lungo e disteso da qualche parte.
"Salve."
lo
salutò Milo, quando lo sentì entrare in casa.
"Ciao.
Riesci a
spiegarmi che cosa è successo ieri sera? Mi sono svegliato
in uno stato pietoso
e non ricordo un accidenti... mi sono forse ubriacato?"
"Non
proprio."
gli rispose Milo, vago.
"Oh
bene. La giornata
non poteva iniziare meglio di così. In più, come
se non bastasse, mi sono anche
accorto di aver perso il braccialetto che avevo comprato per Mei.
Dannazione."
A
quel punto Milo si
schiarì la voce.
"Il
braccialetto. Sì.
Credo sia il motivo per il quale abbiamo iniziato a litigare, ieri."
"Noi
abbiamo
litigato?"
"Sissignore."
rispose Milo. "Ancora qualche minuto e saremmo venuti alle mani."
"E
cosa c'entra il
braccialetto?"
"Ieri
era il
compleanno di Mei, ricordi? Così quando sono andato da lei,
gliel'ho
dato."
Camus
sgranò gli occhi.
"Un
momento. Tu cosa?"
"Tu
non avresti mai
avuto il coraggio di darglielo, quindi l'ho fatto al posto tuo. Avresti
dovuto
vedere che faccia ha fatto quando l'ha visto."
"Santi
numi, non
avresti dovuto farlo."
"Siete
due emeriti
idioti. Quando capirete lo sbaglio che state facendo, quando tu lo capirai, sarà troppo
tardi."
Camus
si prese la testa
tra le mani.
"Non
ricominciare con
questa storia, ti prego."
Mei
era un tasto ancora
troppo doloroso. Aveva sperato che i sentimenti nei suoi confronti
s'attenuassero col passare del tempo, ma in cuor suo aveva sempre
saputo che
era una battaglia persa in partenza.
Milo sorbì un lungo sorso di caffè, guardando
l'amico.
"Potessi, vi aprirei la testa, a tutt'e due. A te
per un motivo, a lei per l'altro." si fermò prima che
potesse dire
qualcosa di troppo. "Imbecilli."
"Non hai niente di più forte?" domandò Camus,
quando vide la tazza di caffè posata sul tavolino di fronte
a lui.
"A quest'ora? Un po' presto mi pare, no?"
replicò Milo, corrugando la fronte quando vide lo sfogo sul
collo di Camus. Gli
scostò i capelli e s'avvicinò per guardare meglio.
"Stai invadendo la mia sfera personale e la cosa mi
irrita."
"Non ho intenzione di saltarti addosso, come ti ho detto già
altre volte,
tra le gambe hai quel qualcosa di
troppo che non cerco in una partner."
Quando comprese che cosa aveva causato quello sfogo
sull'amico, si coprì la bocca con una mano, preoccupato.
"E' solo la puntura di un ragno, rilassati."
fece Camus. "Forse è questo che ha causato lo sfogo e il
malessere."
"Ahem… no. E' la puntura di un altro genere di
aracnide." spiegò. "Non ti arrabbi se ti dico una cosa,
vero?"
"Dipende."
"Quello è il segno di una mia Scarlet Needle." ammise Milo.
Di riflesso Camus portò una mano al collo, sulla ferita,
e assottigliò lo sguardo.
"Mi hai
colpito?"
"Non è stata una cosa fatta apposta!"
"Ho trascorso una notte orrenda, con allucinazioni, dolore e tutta una
serie
di sintomi che preferisco non doverti ripetere e tu dici che non
è stata
voluta?"
"Servono quindici punture per morire, una sola è
pressoché inutile." spiegò Milo. "A uno del tuo
calibro massimo che
provoca sono questi sintomi, nulla di preoccupante."
"E vorrei ben dire, ci mancava il contrario!"
A quanto pareva era stato abbastanza rapido da dirigere il colpo
altrove per
non colpirlo in pieno e l'aveva solo preso di striscio, quel tanto che
bastava,
però, a provocare gli stessi sintomi di una forte influenza.
"Ti dico che mi dispiace, okay? Pensavo a un intruso
e non ci ho pensato due volte, ecco. Davvero Cam, non ti farei mai
volontariamente del male."
"Anche perché prima di morire per una tua Scarlet
Needle riuscirei a lanciarti un'Aurora Execution e congelarti le
viscere,
parola mia." protestò Camus.
"Hey, tu vai già sul pesante, non ti ho lanciato
mica un'Antares!"
Camus aprì le braccia, lasciando indifeso il petto.
"Fallo, se vuoi. Tanto, peggio di così non può
andare." replicò, non ricevendo altra risposta se non uno
sguardo
contrito. Lasciò l'ottava casa e si rintanò,
pensieroso, a casa: aveva perso
già troppo tempo e aveva un esame a breve.
"Maestro, vi
arrabbiate se oso farvi una domanda?"
Camus sollevò lo
sguardo dal libro di grammatica tedesca sul quale stava studiando
ininterrottamente da ore e lo posò, per prima cosa, sul
vassoio che Cora
reggeva tra le mani, sentendo l'immediata reazione dello stomaco.
"No." le
rispose, concedendole il permesso di entrare nello studio.
"Non uscite
da qui da quando siete rientrato e ho visto che come il solito, non
avete
ancora mangiato, quindi ho pensato di portarvi qualcosa."
spiegò Cora,
prima di porgergli qualcosa. "Prima stavo rassettando in salotto e tra
due
libri che stavo spolverando ho trovato questa."
La foto che Milo
aveva insistito per scattare a lui e Mei durante una giornata trascorsa
ad
Atene e che, nonostante le sue rimostranze in merito, su quanto
detestasse
comportarsi come un turista qualunque, li ritraeva all'Acropoli.
"Ebbene?"
"Chiedo venia
per la mia curiosità. È la vostra sposa?"
Non proprio, a
dire il vero.
"Ni."
rispose. Non aveva avuto modo
di chiederla in sposa, ma era così che considerava Mei.
Cora corrugò la
fronte.
"Temo di
essere un poco confusa dalla vostra risposta."
"Ni,
perché pur considerandola mia
moglie, non siamo sposati."
Ecco perché quella
volta, mesi prima, quando spinta da Ares l'aveva toccato, aveva reagito
in quel
modo.
"Vi ha
rifiutato?"
Suo malgrado,
Camus sorrise.
"Oh no. Direi
piuttosto che è colpa mia."
Cora sgranò gli occhi.
"Voi avete
rifiutato lei?"
"Direi che ho
rinunciato a lei, è
diverso."
"Perché?"
Bella domanda.
"Per amore."
"Come si fa a
rinunciare per amore a una persona
che si ama?"
"Si deve, a
volte, se la vita di quella persona è più
importante della propria."
rispose Camus. "A volte siamo costretti a scegliere tra due mali, e
spesso
la sola cosa che puoi fare è scegliere il male minore."
E perdere la vita
di Mei sarebbe stato mille volte più atroce che rinunciarvi.
"Eppure,
l'amate ancora."
"Ho detto che ho rinunciato a lei, non che ho smesso di amarla." la
corresse Camus. "Non sono libero, Cora, mi pareva d'avertelo detto e
ripetuto."
"Io non
intendevo affatto…" si difese Cora, diventando pallida.
"Guarda che
la faccenda della quarta casa era un bluff, quando ti ho minacciata ero
furioso."
Lei sospirò.
"A tal
proposito devo ancora chiedervi perdono per quanto accaduto davanti al
sommo Ares.
Non avevo idea che voi foste già impegnato."
"Non pensarci
più, è passato." le rispose, scribacchiando su un
quaderno. "So che
sei stata obbligata a comportarti in quel modo. Tuttavia il divieto
riguardante
la mia stanza e il mio studio è e rimane attivo."
"Sì
Maestro."
"E'
tutto?"
"Sì… chiedo
scusa per avervi disturbato."
"Non fa
nulla." Camus voltò pagina e scribacchiò ancora
qualcosa, che catturò
l'attenzione di Cora.
"Ahem…
scusate se mi permetto di correggervi ma il superlativo di gut non è gutten,
ma am besten."
Voltò un paio di pagine, corrugando la fronte.
"Oh. Grazie per la correzione." la ringraziò.
"Hai studiato lingue?"
"No. Conosco solo il greco e il tedesco poiché mio padre era
ateniese e
mia madre era di Klagenfurt." spiegò Cora. "Vi lascio
studiare."
Appena la ragazza lo lasciò solo, chiuse il libro e prese
la foto, guardandola.
Ricordava quell'abbraccio davanti al Partenone, il
sorriso di Mei, il loro abbraccio, qualcosa che non avrebbe
più vissuto.
Era davvero quello, il suo destino? Rimanere solo dopo
aver assaggiato quel momento di vera felicità?
Più tardi, quella sera, adducendo come scusa un'emicrania
dovuta allo studio intensivo e al colpo ricevuto da Milo,
rifiutò l'invito di
quest'ultimo e Shura ad andare al solito pub a bere qualcosa: non
appena vide i
fari delle due moto sparire nella notte, guardò l'orologio,
deciso a fare qualcosa
per la quale, lo sapeva bene, si sarebbe pentito nei giorni a venire.
Al Goro-Ho, esattamente come aveva immaginato calcolando
il fuso orario, era notte fonda; disattivò il Cosmo per
evitare di essere
percepito e s'avvicinò, cauto, al letto.
Sotto spesse coperte che lasciavano intravedere appena il
suo esile corpo, Mei stava dormendo su un fianco abbracciata ad un
cuscino, il
viso congestionato dopo aver, a quanto sembrava dagli occhi rossi,
pianto a
lungo. Al polso destro, luccicante grazie ai pochi raggi che filtravano
dalle
tende, faceva bella mostra di sé il braccialetto che le
aveva, in un certo
senso, donato.
Gli mancava oltre ogni dire.
Le sfiorò una guancia col dorso delle dita, tenendo a
bada con immensa fatica l'impulso di distendersi accanto a lei,
prenderla tra
le braccia e sussurrarle che era stato tutto un brutto incubo e che
andava
tutto bene.
"So di averti
fatto molto male e credimi, odio me stesso per questo."
mormorò.
Sapeva che la cosa migliore da fare era svignarsela alla svelta prima
che si
svegliasse, eppure era così difficile… si
chinò fino a essere vicinissimo al
suo volto "Mi ci è voluto tutto
questo tempo per dirtelo, ma… ti amo.
E non hai idea di quanto sia difficile per me restarti lontano e
fingere che
sia tutto a posto. Ti amo e mi manchi, non sai quanto. E un giorno
capirai
perché ti ho fatto tutto questo."
Si concesse un delicato bacio sulla fronte quindi, dopo
aver frugato nella tasca posteriore dei pantaloni, posò, sul
materasso, un
altro dono per Mei, augurandole un buon compleanno.
**
Si svegliò di scatto, accorgendosi di aver dormito
–eufemisticamente parlando- ancora una volta, raggomitolato
nella poltrona del
salotto. Con una smorfia di dolore si rialzò massaggiandosi
il collo dolorante
giusto in tempo per sentire bussare alla porta.
S'avvicinò lentamente e dallo spioncino vide Milo e Cora.
"Vedete? Non risponde. Si comporta così da
giorni."
"Camus, avanti, so che sei dietro la porta. So che
ci sei e che mi stai guardando dallo spioncino senza rispondermi
sperando che
molli l'osso e me ne vada, ma non lo farò."
Piccola spiona.
"Vattene."
sibilò. "Cora, quando ti ho detto che avresti avuto qualche
giorno libero
non significava: dai l'allarme a tutto il
dannato Santuario. Andatevene."
Milo annuì: come aveva previsto, Camus era dietro la
porta e nel silenzio dell'undicesima casa, attraverso quei pochi
centimetri,
poteva anche sentirlo respirare.
"Ah no. Ora mi ascolti. Sei chiuso qui dentro da
giorni, non sarebbe ora di uscire e di vedere gente?"
"No."
"Ma non puoi rimanere chiuso là dentro."
"Certo che posso."
Frustrato, Milo appoggiò la fronte alla porta.
"Dannato francese, tu e la tua ostinazione. Almeno
lasciami entrare."
"Esattamente, quale parte di no non
ti è chiara?"
"Oh, capisco. Sei diventato un vampiro e temi la
luce del sole perché letale."
Idiota. Seduto
a terra, la schiena contro la porta, Camus scosse la testa.
"Camus sto per perdere la pazienza. O apri questa
maledetta porta o la sfondo." borbottò Milo.
"…je
ne veux pas sortir, je ne veux pas voir
personne, je ne veux pas parler à qui que ce soit, je veux
rester seul! Va-t'en."
replicò Camus, fermo.
"Laisse-moi en paix." [Non voglio uscire, non
voglio vedere nessuno, non voglio parlare con nessuno, voglio restare
solo!
Vattene! Lasciami in pace!]
"Sai che non parlo francese."
"Afìste me
ìsycho!" [Lasciami
in pace!]
Su insistenza di Milo, Cora se ne andò, lasciando soli i
due uomini.
"Dèi del cielo, sono preoccupato per te!"
"Non devi."
"Siamo amici, è mio dovere preoccuparmi per te. Dai,
apri… parliamone."
Camus si alzò esasperato. Aprì la porta e senza
aspettare
Milo, si diresse in camera, afferrando due giacconi dall'armadio.
"…per Athena, finalmente rivedo la tua faccia,
iniziavo a dimenticarmi come fosse fatta." esclamò Milo,
sgranando gli
occhi quando vide le occhiaie sotto gli occhi blu dell'amico e la sua
barba di
almeno tre giorni. "Nosferatu? Sei proprio tu?"
In risposta Camus gli piazzò in mano un cappotto.
"Ne vuoi parlare? Bene. Allora seguimi e stai
zitto."
"Ma…"
"Ancora una sillaba e ti faccio passare un brutto
quarto d'ora, parola mia."
Milo mimò il movimento di una
cerniera sulle labbra.
"Sarebbe la volta
buona."
***
Lady Aquaria's corner.
(Capitolo revisionato in data 31 agosto
2015)
Qui appare anche Cardia, in via del tutto eccezionale
poiché non credo
ci sarà modo di... come dire… usarlo ancora.
Tuttavia ho cercato di mantenerlo più IC possibile secondo
come si comporta nel
LC e nel Gaiden a lui dedicato. Così non fosse, fatemelo
notare
(gentilmente). Inoltre, per quanto riguarda i miei
personalissimi punti di
vista, i Gold del passato hanno, in un certo senso, potere d'azione sui
loro
successori come in questo caso, nel quale Cardia zittisce Milo con una
Scarlet
Needle che, comunque, non ha effetto su di lui poichè
immune. Potere che
possono usare solo in certi casi e non per i propri scopi personali.
-Gut, gutten, am besten: ho cercato
su Wiki. Ergo, se è sbagliato, fatemelo notare.
-Laowai: straniero, in cinese.
-...bamboline
olientali, olientali, con la "l" e non con la "r" è voluto,
non è un errore di battitura. :)
Per il resto, le note sono direttamente nel testo.
Grazie come sempre a chi segue e recensisce, alla prossima!
Lady Aquaria
|
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Capitolo 22 *** Surrender. ***
capitolo 22 prequel
22.
Surrender.
I can't pretend anymore
That
I'm not affected, I'm not moved
I
can't lie to myself, that I'm not, always
thinking of you
You
make me strong
You
show me I'm not weak to fall in love
When
I thought I'd never need, now I can't get
enough
I surrender
I
can't pretend anymore
I
can't lie to myself that I'm not always
thinking of you
[Laura Pausini - Surrender].
Milo strizzò gli occhi, irritato dalla luce intensa della
torcia elettrica accesa dietro le palpebre e da Camus che continuava a
scuoterlo.
"La-lasciami i-in pace, non s-sono m-morto."
balbettò, con una nota d'irritazione nella voce.
"Non ancora."
lo corresse Camus,
posandogli addosso un'altra coperta spessa, badando bene a coprirgli
anche la
testa. "Ma se ti addormenti, morirai sul serio."
Gli avrebbe risposto volentieri con un gesto
scaramantico, ma aveva a malapena forza per respirare, figurarsi per
rispondere
in malo modo. Come se non bastasse, avvertì anche qualcosa
di appuntito dargli
noia in mezzo alla schiena.
"E resta sveglio, accidenti a te." l'ammonì
Camus, rifilandogli un paio di ceffoni prima di allontanarsi in
direzione del
cucinino sperando che il suo piccolo espediente –l'angolo di
un tavolino
premuto tra le scapole- bastasse a tenere sveglio Milo. Anche
nell'altra
stanza, riusciva chiaramente a sentire l'amico battere i denti: che
idea
idiota, quella di portarlo con sé a Kobotec.
"Milo? Sei ancora sveglio?"
Naturalmente sono
ancora sveglio, pensò Milo, con irritazione sempre
maggiore: non stai zitto un solo istante,
come potrei
dormire con te che continui a parlarmi, schiaffeggiarmi e scuotermi?
Lanciò uno sguardo fuori dalla finestrella, ascoltando il
sibilo del vento e della neve che brinava i vetri.
E quel cretino di Rocky
Balboa si è infilato volontariamente in questo inferno di
ghiaccio. Che imbecille.
Sentì il tintinnio di un cucchiaino, quindi la voce di
Camus ritornare vicina.
"Portarti a pescare è stata davvero una pessima
idea." ammise Camus, piazzandogli tra le mani una tazza bollente.
"Riesci
a reggerla?"
Milo annuì: appena avvertito il calore emanato dalla
ceramica, le dita si erano serrate automaticamente.
"Anzi, a dirla tutta, è stata una pessima idea
portarti qui." concluse infine Camus, valutando ancora una volta
l'amico,
con attenzione: il volto aveva ripreso un poco di colore e le labbra
avevano
perso parte del bluastro, ma l'ipotermia era una bestia infida e
subdola, e non
poteva permettersi di abbassare ancora la guardia.
"E' stata… u-una pe-pessima… idea…
co-correre… sul
ghiaccio." aggiunse Milo, battendo i denti dal freddo.
"Quello sicuramente."
annuì Camus. "Te l'avevo anche detto."
Chissà quanto ti
stai divertendo, eh, Camus?
Aveva immaginato l'esito di quel pomeriggio non appena
Milo aveva iniziato a correre sul fiume ghiacciato, per
scaldarsi, come aveva detto. La crepa che s'era aperta nel
ghiaccio era stata troppo veloce anche per lui ed entrambi erano finiti
nell'acqua gelida.
Milo sorbì un sorso di tè, quindi
guardò Camus intento a
dispiegare i suoi vestiti accanto al camino.
"Fai attenzione, bevi piccoli sorsi."
"C-ci ma-manchere-rebbe a-anche u-una be-bella
ustione."
"L'ustione al palato sarebbe l'ultimo dei tuoi
problemi: con il freddo intenso il sangue defluisce dalle
estremità e si mette
a protezione degli organi vitali. Se ti facessi bere velocemente o ti
avessi
immerso in un bagno bollente, l'improvviso
flusso di sangue freddo proveniente dalla periferia per via del
riscaldamento rapido
avrebbe potuto provocarti un'improvvisa e probabilmente fatale aritmia."
E
ci mancherebbe anche l'aritmia. Ammirava
il suo predecessore, rispettava il suo modo
di combattere e la sua visione dell'esistenza, a volte desiderava avere
il suo
stesso coraggio e spirito indomito, ma di emulare la sua malattia no,
non se ne
parlava.
"…alla fine… il brutto quarto d'ora…
me l'hai fatto
passare… lo stesso."
"Io?!" Camus si voltò, il maglione di Milo
ancora in mano. "Non ti ho obbligato io a comportarti da
irresponsabile,
là fuori."
Non riusciva a trovare le parole adatte a spiegare
l'intensità del freddo patito quando erano caduti in acqua.
Come aveva detto
qualcuno, in un film: cadere in acque
gelide come quelle laggiù... è come avere tutto
il corpo trafitto da mille
lame. Non riesci a respirare. Non riesci a pensare a nulla, tranne che
al
dolore.
E accidenti se era vero.
"Adesso riesci a sentire le dita?" la voce
dell'amico lo riportò alla realtà.
Posò la tazza a terra accanto a sé e
allungò
le gambe, muovendo le dita dei piedi. "Uhm, sì. Ma sei
ancora pallido come
un morto, perciò rimarrai buono accanto al fuoco per un
altro paio d'ore."
"Sì mamma."
Camus si diresse al piano di sopra; Milo lo sentì frugare
dentro un armadietto cigolante, i suoi passi sulle assi di legno che
scricchiolavano con ogni movimento.
"Tu stai bene?" gli domandò, avvertendo con
sollievo d'aver smesso di balbettare.
"Io sì."
"Certo, tu hai il Paraflu nelle vene…" borbottò
Milo.
"No, sono solo più allenato di te." rispose
Camus, tornando giù con i vestiti asciutti e altri
sottobraccio: un paio di calzoni
blu e una maglietta verdastra. "Tieni, dovrebbero andarti un po'
stretti
ma sono i soli vestiti che ho qui. Ti serve qualcos'altro?"
"No. Ho fame. Parecchia fame. Mi sento lo stomaco
incollato alla spina dorsale. Dov'è la cena?"
Camus sbuffò con rabbia.
"Oh… vuoi
la cena? Peccato che il persico che aveva abboccato è
scappato con la mia canna
da pesca quando ci hai fatto fare il bagno!" disse Camus. "La mia
canna da pesca nuova, oltretutto!"
"Mi dispiace."
"Era fantastica, in carbonio e fibra di vetro, ci
avevo messo un'eternità a trovare quella perfetta!"
Milo roteò gli occhi.
"Oh cielo. Quante storie per venti euro. Te li
restituisco e tornerai a pescare come prima."
"Novantacinque euro e settantadue centesimi. Altro
che venti euro." lo corresse Camus. "Aveva anche il mulinello
silenzioso…"
"Hai davvero speso tutti quei soldi per un bastone e
un po' di spago? Sul serio?"
L'altro assunse l'espressione tipica delle sue ramanzine.
"Hey, con bastone e spago ci pescava Sampei, la
pesca è un'attività seria e come tale va presa:
provaci tu a pescare il persico
con…"
"Okay, okay d'accordo. Ti regalerò una canna nuova!
Ma smettila di ciarlare, ho fame!! Cosa c'è da mangiare?"
"C'era zuppa
di pesce, che è ovviamente da escludere dato che
l'ingrediente principale è
sfuggito al suo destino. Ma pazienza, andrò al villaggio a
comprare qualcosa da
mangiare. Comunque, in bagno l'acqua è ancora tiepida, puoi
andare a lessare un
po' mentre aspetti, se hai ancora freddo. A quest'ora credo tu non
corra più
rischi."
"E me lo chiedi?" Milo
s'alzò a fatica, le gambe ancora
indolenzite, e s'avviò a passo lento al piccolo bagno. "Ouch!"
"Cosa c'è ancora?"
"Ho pestato qualcosa." spiegò Milo,
controllando sotto il piede. Un orecchino
?! "E questo da dove salta fuori?"
Guardò l'orecchino nel palmo di Milo e suo malgrado
deglutì, avvertendo uno strano peso nel centro del petto.
"…io… io vado." balbettò, la gola
improvvisamente secca. "Sarò di ritorno a breve, nel
frattempo non
demolirmi casa."
"Hey Cam! Tutto bene?!"
"No."
Sellò Yzar accertandosi che fosse coperto abbastanza,
quindi partì alla volta del villaggio mentre fuori la neve
cadeva placida.
Al contrario, il suo animo era in tumulto.
*
"Camus, smettila, stai zitto un attimo! Non fai che
parlare da quando sei tornato!" Distogliendo lo sguardo dalle montagne
in
lontananza, fuori dalla finestra, Camus inarcò le
sopracciglia.
"…hai detto qualcosa?"
"Ti ho detto di tacere prima che mi venga un mal di
testa colossale." rispose Milo.
"Ma se non ho aperto bocca."
"Appunto."
L'altro sorbì un lungo sorso di thè, prima di
masticare
controvoglia un boccone di carne.
"Sai
che non sono mai
stato un gran chiacchierone."
"No,
lo so benissimo,
ma non è questo. Sei strano da quando ho pestato
quell'orecchino."
Già,
l'orecchino.
Come
se non avesse già
abbastanza cose, o ricordi, legati a lei.
Come se la sua costante presenza non fosse già sufficiente.
Camus
guardò il piccolo
pendente di giada posato sul tavolo e scosse la testa.
"Pensava
d'averlo
perso accanto alla cascata, quella sera… e invece era qui.
Ormai mi sono reso
conto che non esiste più alcun posto sicuro
per me: l'undicesima casa è piena di ricordi, Rodorio
è pieno di ricordi…
neanche l'isba è sicura adesso. Sembra quasi che la vita ci
provi gusto a
prendersi gioco di me. Più cerco di dimenticarla e di
allontanare il suo
pensiero dalla mia mente, più il destino me la mette di
fronte."
"L'hai
appena detto:
il destino."
Prese
la bussola che un
tempo era appartenuta ad Isaac e guardò verso est: il Goro-Ho
non era poi così
distante da Kobotec.
"Siamo
così vicini in
questo momento, eppure…non potremmo essere più
lontani di così."
Milo
si servì una seconda
porzione di stufato.
"Milleduecento
chilometri, metro più, metro meno. Giusto dietro l'angolo."
sorrise.
"Questo stufato ha un sapore strano: la carne ha una consistenza strana
e
il sapore lo è ancora di più."
Camus
gettò uno sguardo
nella pentola di coccio.
"…e
ti accorgi che la
carne ha un gusto diverso dal solito dopo averne spazzolato
più della
metà?"
"Sarà
colpa del
freddo patito oggi, che magari mi ha congelato le papille gustative e
non mi fa
riconoscere i sapori. Che carne è?"
"Qualcosa
che
sicuramente non hai mai assaggiato prima o riconosceresti lo stufato di
Mar'ya
tra mille."
"Selvaggina?
Non sarà
quella roba esotica che ogni tanto Asha cerca di propinarci?
Sarà mica
pavone?"
"Eh,
come no! Qui in Siberia siamo pieni di pavoni!" esclamò
Camus, ironico.
"Allora cos'è, cinghiale?"
"Senti, non ci arriveresti mai. E' alce. E' lo stufato di alce di
Mar'ya,
la locandiera." rispose Camus, aprendo in due uno dei panini rustici
che
la ragazza aveva messo nel cesto insieme alla pentola e ad altre
vettovaglie, e
riempiendolo con i rimasugli dello stufato."Qualcosa che non puoi
descrivere a parole."
Milo
lo osservò basito,
proteggendo d'istinto il proprio piatto ancora pieno.
"…alla
faccia del
panino imbottito." commentò. "Il cucciolino di casa aveva un
po'
d'appetito?"
"Muoviti
a vuotare il
piatto o spazzolo anche il tuo."
"Devi
prima passare
sul mio cadavere."
L'altro
valutò la
situazione mentre addentava, affamato come non mai, il panino.
"Beh,
diciamo che sei
ancora debilitato dalla quasi ipotermia di oggi, siamo immersi nel
gelo, che
tra le righe, ti ricordo, è il mio elemento…
basterebbe anche solo una misera Diamond Dust
per metterti fuori gioco e
rubarti il pasto."
"Davvero
mi faresti
questo?"
"Sì."
Nonostante
quell'ultimo
scambio di battute, Milo capì che Camus non era del tutto in
sé.
"Dammi
quell'orecchino, glielo riporto appena tornerò a farle
visita." disse Milo
allungando la mano.
Già,
le sue visite in
Cina.
Inarcò
un sopracciglio, masticando
rabbiosamente.
"Dovremmo
parlarne
sai, di queste tue visite."
"Ancora
con questa
storia? E' vero, le faccio spesso visita, indipendentemente da tutto
quanto,
dalle tue scelte e da quelle del Grande Sacerdote, è mia
amica, e a me piace
far visita agli amici. Sai benissimo che non ho mai visto Mei sotto quella luce, sai che per me è
un'amica e
basta."
Camus
annuì.
"Non
potrei tollerare
un simile tradimento da parte tua: potrei tollerare tante cose in nome
della
nostra amicizia, ma mai, mai una
cosa
simile." disse, serio. "Ti farei provare tanto di quel freddo, che
quello patito oggi al lago, al confronto, era niente."
"Dovremmo
parlare di
un sacco di cose, Cam." puntualizzò Milo cambiando discorso
senza
lasciarsi intimidire. "Anzi, siamo qui per questo no? Per parlare. Ebbene, facciamolo. Su."
L'altro
si alzò di scatto.
"…caffè?"
domandò.
Milo
in risposta sfoderò
Antares.
"Seduto."
gl'intimò.
"Stavolta
lo prenderò
anche io. Nero, forte e amaro. Sì." Camus gli diede le
spalle, posando i
piatti sporchi nel lavello. Qualcosa gli saettò con un
sibilo accanto
all'orecchio; alzando lo sguardo notò un foro in una delle
padelline di rame appese
al muro. "…ti sei bevuto il cervello?"
"La
prossima te la
pianto nel cranio se non ti siedi qui subito." disse Milo, scostando la
sedia di Camus con un leggero calcio dato sotto il tavolo.
"Non
ti arrendi
mai?"
"Subito." sibilò Milo, con una
freddezza che Camus raramente
gli aveva sentito usare.
Lasciò
stare la caffettiera, afferrando invece la proverbiale vodka da un
pensile e
posando due bicchierini sul tavolo.
"Temo
d'aver bisogno
di qualcosa di più forte della caffeina." spiegò,
versando due dosi generose
di vodka nei bicchierini, verdi come l'etichetta della bottiglia."Na zdorovje!"
"Stin ijiasas. Anzi no. Non alla salute,
brindiamo alla
verità." propose Milo, buttando giù il liquido
d'un fiato. "…porca miseria!"
"Un
altro?"
"No,
basta così per
ora." Milo coprì il bicchierino con la mano e lo
guardò in tralice.
"Non mi farai ubriacare per non dovermi parlare. Semmai è il
contrario. Io
farò ubriacare te."
Camus
proruppe in un
ghigno ironico.
"Ubriacarmi?
Io?
Nemmeno dovessi bere tutta la distilleria Moskovskaya." rispose.
Tornò
serio. "Vuoi la verità? Eccola. La verità
è che io faccio fatica a non
pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un
po' la
testa ma non riesco perché lei
c'è, c'è
sempre. Mi mancano il suo sorriso e
i
suoi occhi, mi manca perfino il suo caratteraccio e spesso, troppo
spesso, la
cerco. In casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho
imparato ad
apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai
cosa? C'è
ancora. E' ancora dappertutto, lei…"
Milo
tacque, aspettando
che Camus proseguisse.
"Amico
mio, sei messo
proprio male."
"…oddei
quanto sono
patetico."
"Ma
perché?"
Fece
spallucce, non
sapendo come rispondere.
"Per
me non sei
patetico."
"Oh,
non ancora, in
effetti manca qualche dettaglio qua e là: fazzolettini
appallottolati sparsi a
terra, un cd di musica sdolcinata con canzoni che parlano di addii e i
miei
occhi rossi e gonfi." ribatté Camus.
Milo
sorrise.
"Gli
occhi rossi già
ci sono." lo corresse.
"…co-?"
fece,
portandosi una mano agli occhi, sorpreso: quando accidenti aveva
pianto? "Oh."
"Sfogarti
ti farà
bene, non preoccuparti per questo. Del resto da quanto ci conosciamo?
Sai che
non ti giudico."
Sì,
lo sapeva, e per
questo, tra le tante altre cose, gli era grato: per quanto espansivo,
ciarliero
e talvolta invadente, Milo non aveva la brutta abitudine di giudicare
qualcuno.
"Avevo
cinque anni
quando ho pianto l'ultima volta: ero qui, la prima notte trascorsa
lontano da
mia madre. Avevo freddo e avevo paura, volevo tornare tra le sue
braccia,
sentirmi amato e protetto, sentire la sua voce rassicurarmi. Col tempo
capii
che non l'avrei mai più rivista, e pian piano, chiusi tutti
i miei sentimenti
al sicuro, per tenerli al nascosto dal mondo… erano solo
miei." iniziò
Camus. "E per me andava benissimo così. Mostravo a tutti
solo ciò che
volevo mostrare…"
"…non
ti sei mai
confidato apertamente neanche con me…" annuì Milo.
"Lo
so, ma non ho mai
agito con cattiveria: nonostante tutto tu rimani il solo che di me
conosce più
di tutti gli altri."
"A
parte Mei."
"Già,
a parte Mei. E'
entrata nella mia vita e mi ha letteralmente spogliato di ogni difesa.
Ha
afferrato quei sentimenti, li ha portati alla luce e se li è
portati via."
sorrise nervoso. "Se fossi il personaggio di un libro, sarei l'Uomo di
Latta: senza cuore."
Milo
scosse la testa e
sorrise.
"Nient'affatto,
un
cuore ce l'hai ancora, altrimenti non parleresti così."
"Allora
sarò Jurij
Živago."
"E
cioè? Ti sposerai e tradirai tua moglie con Mei che nel
frattempo
diventa la tua amante?"
"Affatto.
Morirò
d'infarto nel tentativo di inseguire una donna che credo sia lei."
"E
se invece
smettessi di dire sciocchezze e iniziassi a fare la cosa giusta,
cioè tornare
in Cina e riprendertela?"
"Magari
potessi. Quel
treno è perso."
L'altro
gli rifilò una
pacca non proprio amichevole sul braccio.
"Semplicemente,
tu e
Mei non eravate su quello giusto, e presto prenderete entrambi quello
che vi
porta nella direzione giusta."
Sbuffò,
tra il divertito e
il seccato.
"Dovresti
smetterla
di leggere dubbi libri di filosofia spiccia." replicò,
afferrando ancora
una volta la bottiglia di vodka. "Dai, bevi con me." riempì
i
bicchierini e ne allungò uno a Milo. "Alle occasioni
perdute."
"…alle
occasioni che
ritroverete." insisté Milo. "Come brindano qui?"
"Na zdorovje."
"E allora na zdorovje."
Camus buttò giù il
liquido senza fare una piega, contrariamente a Milo che
tossì fino a lacrimare, la vodka che bruciava man mano che
attraversava
l'esofago.
"… come dannazione fate a bere
questa roba?"
"Pappamolla." replicò Camus.
"Piuttosto… questa faccenda
non deve uscire da queste quattro mura, intesi?"
"Intesi.
Nessuno
saprà niente, il tuo segreto è al sicuro con me."
"Non
è per me che
sono preoccupato. Se il nemico scoprisse che ciò che provo
per lei è ancora
vivo, potrebbe coinvolgerla in modi che io non posso e non voglio
immaginare.
Al Goro-Ho, lontana da me, è al sicuro."
Il
freddo che l'aveva ghermito
nelle ultime ore era finalmente scomparso, addosso Milo non lo sentiva
più: le
sue membra erano tornate calde come prima. Ma si rese conto che il
freddo che
l'amico aveva di nuovo addosso, quello, non se ne sarebbe andato via
facilmente.
"Anzi,
spero di non
aver compromesso tutto." proseguì Camus, ricevendo in cambio
una strana
occhiata. "Vorrei non averlo fatto, ma ti ho mentito, e forse l'ho
messa
in pericolo."
"…?"
"Non
stavo male,
l'altra sera. Sono stato da Mei."
"Cam…"
Anche
in quel caso, non doveva essersi accorto della gravidanza.
"Dovevo vederla. E' stato più forte di me. Ne avevo bisogno."
"Ti
stai distruggendo."
mormorò Milo, cominciando seriamente a preoccuparsi.
"No,
sbagli. Sono già
distrutto."
**
"Ti prego, non mi mandare via."
"Decidi da sola. Io vorrei che tu restassi. Davvero,
Jen. Ma forse
sentirai la mancanza dei tuoi genitori. Se si trattasse di nostra
figlia, anche
noi la cercheremmo. Sono certo che le mancheremmo. Jen, io voglio
che… tu sia
mia per sempre. Farò qualunque cosa, vedrai. Te lo prometto,
il mio cuore è
sincero. Noi abbiamo una leggenda: a chiunque osa saltare da quel
monte, si
dice che il cielo esaudisca un desiderio. Io conosco un ragazzo che per
far
guarire i suoi genitori saltò giù da quel monte.
Lui non morì, e non rimase
neanche ferito, e il padre e la madre come d'incanto guarirono subito.
Il suo
desiderio si era avverato. Se ci credi accade, e io ci credo. Gli
anziani
dicono: se segui il tuo cuore, i desideri si avverano."
Era uno dei suoi film preferiti, eppure, in
quel momento, non riusciva a
sopportarlo.
Per Shunrei che, nemmeno a metà
film, già piangeva a dirotto per la tragica
fine del maestro Li Mu Bai che si dichiara alla sua bella Yu Shu Lien
in punto
di morte, per dirne una, oppure, più probabile,
perché le vicende dei suoi
personaggi preferiti, Jen e Lo, assomigliavano pericolosamente ai suoi
trascorsi con Camus.
Beh, non proprio, in un certo senso Jen era
stata più fortunata di lei.
Si
alzò, sbuffando.
"Buonanotte."
augurò.
"Ma
come? Te ne vai
già a dormire? La parte più bella deve ancora
arrivare!"
Oltrepassò
Shunrei, ignorò
la mano che Shiryu aveva teso a mo' di saluto, e si diresse al piano di
sopra.
"Sono
incinta, sono
stanca e ho parecchio sonno. Quindi, buonanotte. Buonanotte, Maestro."
ripeté. Fece un inchino a Dohko e finalmente si chiuse nella
sua stanza.
Se
segui il tuo cuore, i
desideri si avverano.
Sì,
magari fosse così facile anche la realtà,
pensò, tutt'altro che allegra. Incinta
al sesto mese e mezzo, da sola e in un luogo dove essere una
madre single era una maledizione.
"Forse
dovrei davvero
andare via."
A
Milos, magari, come le
aveva proposto Milo.
Oppure
ricominciare
proprio da capo, da sola, in un posto dove nessuno la conosceva e dove
nessuno
l'avrebbe giudicata una sgualdrina facile che era stata messa nei guai
e
abbandonata.Poteva essere una bella idea, quella di fare armi e bagagli
e
lasciare tutto per una nuova vita.
In
Australia, perché no?
Certo, l'idea della neve in pieno agosto e della spiaggia affollata a
dicembre
era bizzarra, ma…
"Quante
sciocchezze."
Si
riscosse di colpo, intravedendo
Degél seduto in fondo al letto.
"Quale
audacia
dimostrate, monsieur. Da solo, con
una donna, nella sua stanza. Devo ritenermi lusingata o preoccuparmi
per la mia
virtù?" domandò Mei. Tacque un istante, quindi
scoppiò a ridere. "Oh
no, dimenticavo che la mia virtù è già
stata presa. Buffo, non trovate? Dovrete
accontentarvi di una single sedotta e abbandonata."
Degél
inclinò la testa e
corrugò la fronte.
"Una
donna nelle
vostre condizioni non dovrebbe nemmeno guardarlo, il vino. Siete sotto
l'influsso
di qualche spirito?"
"Certo
che no."
"E allora siete sotto l'influsso di qualche scorpione
di troppo, mademoiselle, e temo anche di sapere a chi
attribuire la colpa del vostro comportamento."
Mei
scostò le lenzuola,
infilandosi la vestaglia.
"Sono
stata
insolente. Vi chiedo umilmente scusa." sussurrò Mei,
mortificata.
E
allora Degél sorrise,
d'un sorriso divertito.
"Non
crucciatevi per
questo, so che era una burla. Anzi, in tal caso oserei dire che sarei
io, a
dovermi scusare. In vita non ho maturato esperienza alcuna in merito e
ci
saremmo imbarazzati entrambi."
L'implicito
significato di
quelle parole la fecero ammutolire: incredibile com'era possibile
passare dalla
mortificazione all'imbarazzo in pochi istanti.
"…credo
che sia
giunto il momento di cambiare argomento."
"Oh,
d'accordo. Non
era mia intenzione affrontare subito la questione, ma poiché
insistete… sono
qui perché in questi giorni ho percepito in voi qualcosa che
non mi è affatto
piaciuto."
"Vale
a dire?"
"Vi
state arrendendo."
"Non
vi
capisco."
"Un mio conterraneo, l'illustre
François De La Rochefoucauld, vissuto all'epoca del grande
Luigi XIV, disse: l'amour aussi bien que le
feu ne peut
subsister sans un mouvement continuel; et il cesse de vivre
dès qu'il cesse
d'espérer ou de craindre." rispose
Degél. "L'amore,
come il fuoco, non può sopravvivere
senza un moto continuo. Cessa di vivere non appena cessa di sperare o
temere. E
voi, mia cara, vi state arrendendo."
Le
salì, spontaneo, un sorriso triste.
"Quando
una persona si arrende, significa che ha sperato fino alla
fine in qualcosa e vi rinuncia. Io non spero più in niente."
"Abbiate
pazienza, abbiate fede. Avete degli amici che vi vogliono
bene, un maestro che vi considera come una figlia, avete trovato di che
vivere…
presto avrete la vostra bambina… sono ragioni più
che sufficienti per restare.
E poi, le cose cambieranno, vedrete. Fidatevi di me, cambieranno. E un
domani
ripenserete a questi momenti e vi sentirete una sciocca per aver
pensato di
lasciar perdere tutto. Fidatevi di me."
Vorrei
davvero poterlo fare.
"Finirò
con l'aspettare in eterno."
"Ma
no. Vi chiedo solo di pazientare. Siete una fanciulla forte,
riuscirete ad uscire vincitrice anche da questa tempesta."
"Sono
stanca di combattere da sola. Lo faccio da tutta la vita, ho
bisogno di qualcuno che mi stia vicino e mi sostenga."
"Tutti
ne necessitiamo, Mei."
"Restatemi
accanto."
"Lo
sto già facendo. Potete contare su di me."
**
Se quella breve e improvvisata gita
a Kobotec aveva irritato il Grande Sacerdote, questi non lo
diede a vedere. Si comportò del tutto normalmente, come
aveva sempre fatto,
inviando di tanto in tanto alcuni di loro in giro per varie missioni
senza
lasciare sguarnito il Santuario. Niente pareva turbare il suo umore.
Al contrario, quello di Camus peggiorò visibilmente dopo
quei giorni.
L'insofferenza verso quell'attesa si acuiva sempre di
più, e spesso, per questo motivo, si chiudeva in casa
uscendone solo ed
esclusivamente per allenarsi o per qualche missione, declinando
qualunque tipo
di invito. Se poi a quelle emozioni negative si aggiungevano anche
tutte le
volte che avvertiva Milo spostarsi in Cina, l'insofferenza si
trasformava in
vere e proprie dimostrazioni aperte di rabbia, il che significava
strati di
ghiaccio lungo il perimetro dell'undicesima casa e sui gradini che la
precedevano e la seguivano. A parte Milo o Shura, nessuno osava
addentrarsi nei
meandri dell'undicesima casa, persino Cora smise di entrarvi, per il
freddo che
emanavano quelle mura e per la soggezione che provava nei confronti di
Camus
quelle rare volte che riusciva ad incrociarlo sul suo cammino.
Superato dicembre, poi, con l'arrivo del nuovo anno, le
visite di Milo divennero quotidiane e, come se già tutto il
resto non fosse sufficiente,
col passare del tempo a Milo si aggiunsero anche Aioria e Aphrodite.
Per fare
cosa, non lo sapeva: erano parecchio riservati su quell'argomento,
nessuno gli
forniva spiegazioni e lui certo non faceva domande, per evitare
chiarimenti
privati e dolorosi.
Certe cose era meglio tenerle per sé, e comunque avrebbe
avuto
ben altro cui pensare: Ares aveva finalmente comunicato che la guerra
che aveva
previsto mesi prima avrebbe avuto luogo a breve, forse nel giro di una
manciata
di settimane, se non di meno.
Uno degli ultimi traditori del Santuario era caduto
proprio quel giorno d'inizio febbraio: le voci sulla caduta dell'Isola
di
Andromeda e del suo Maestro, il Silver Saint di Cepheus, si erano
diffuse come
un incendio in una sterpaia.
"Ho saputo che stamani mi hai cercato."
Camus levò lo sguardo su Milo, appena entrato nelle sue
stanze private.
"Sì. Per un'inezia che però ho già
risolto."
gli rispose, invitandolo a entrare nel suo studio.
"Oh, come non detto dunque." sorrise Milo.
"Non mi hai trovato perché ero in missione."
Cosa non rara per loro, in quei giorni.
"Ah." commentò. "Non lo sapevo."
richiuse il libro di tedesco e lo accantonò, alzandosi per
prendere una boccata
d'aria dalla finestra. "Hai saputo della caduta di Andromeda? Era
l'argomento più gettonato stamani a Rodorio."
"…sì…"
"Ho sentito che l'isola è andata completamente
distrutta e i suoi abitanti uccisi da due di noi. Non so quanto questo
sia
veritiero, sappiamo entrambi che le voci di paese ingigantiscono ogni
cosa e
che da un granello di sabbia ne fanno una tempesta: ma se fosse vero,
mi
domando chi sia stato a farlo. Due contro uno, né
più né meno come DeathMask
che attaccò un Saint a lui inferiore."
Era rimasto genuinamente colpito da quella dimostrazione
di forza: che motivo c'era di uccidere tutti gli abitanti? Aveva
pensato, con
uno strano magone in gola, che mai, per nessuna ragione e per seguire
nessun
ordine, avrebbe fatto del male agli abitanti di Kobotec.
Milo rispose dopo diversi istanti.
"Hai detto bene, le voci di paese ingigantiscono
ogni cosa." rispose, soppesando le parole. "Per cominciare, l'isola
non era abitata."
Camus si girò di scatto.
"…"
"Poi, mi conosci. Per nessuna ragione attaccherei
dei civili. I soli abitanti dell'isola erano Albiore e i suoi allievi,
una
ragazza e due ragazzi."
Conosceva Albiore di Cepheus di fama, sapeva che era il
maestro di uno dei compagni di Hyoga e che era un insegnante severo, ma
che,
come lui, era parecchio affezionato ai suoi allievi, un guerriero
assennato e
giusto, insomma, che a differenza di altri maestri non era un
sanguinario.
"Che ne è stato di loro?"
"Albiore li ha fatti fuggire prima di affrontarmi,
sull'isola eravamo rimasti io e lui."
"E chi altri?"
"Lasciami parlare. Albiore aveva rifiutato la
convocazione di Ares, e di conseguenza egli mi ha inviato a valutare la
situazione, vedere se era o no un possibile traditore. Una volta
arrivato, è
nata una discussione parecchio accesa che è sfociato in un
combattimento."
"In paese parlavano di due Gold Saint."
"Infatti, ma non sapevo dell'intervento di
Aphrodite. Albiore mi aveva messo alle strette, avevo il braccio
bloccato e non
potevo attaccare né difendermi, finché d'un
tratto la sua difesa è venuta meno
e ho portato a segno il mio attacco. Solo quando ho visto la royal demon rose accanto al suo corpo ho
capito che Ares aveva inviato anche Aphrodite."
Quindi non era stato un attacco impari.
"Che tu sappia Ares ha dato altri ordini in
merito?"
Milo comprese la domanda implicita dell'amico e sorrise
appena.
"No, nessun ordine riguardante l'estremo oriente,
puoi stare-…"
"Non osare dirmi di stare tranquillo, perché in
questo periodo sono tutto fuorché calmo." berciò
Camus, a corto di
pazienza. Dopo l'annuncio definitivo della guerra, il solo e unico
pensiero che
affollava la sua mente riguardava Mei e la sua incolumità:
bastava niente, un
minimo capriccio di Ares e tutti i suoi sforzi sarebbero stati vani.
Avrebbe
sacrificato tutto per niente.
Milo si avvicinò ancora, parlando con un filo di voce.
"…ho i miei informatori al tredicesimo tempio, in
caso succedesse qualcosa, ti darei sicuramente l'allarme."
Quelle parole avrebbero dovuto tranquillizzarlo, eppure,
sentiva che tutto quello che aveva si stava per sgretolare.
Il peggio stava per avvenire e non c'era niente che
potesse fare per fermarlo.
***
Lady Aquaria's corner:
Oddio quanto sono lunghe queste note D:
-Quel
cretino di Rocky Balboa...
Nel quarto capitolo della
famosa saga del pugile Rocky, quest'ultimo si prepara all'incontro con
il suo
avversario Ivan Drago proprio nella fredda Russia.
-Cadere
in acque gelide come quelle...
Suppongo abbiate visto
Titanic, la versione del 1997. Ebbene, quando Rose tenta il suicidio e
viene
interrotta da Jack, quest'ultimo, per distrarla e quindi salvarla,
inizia a
parlarle. D'un tratto le racconta un episodio della sua infanzia nel
quale
spiega a Rose che cosa significa, per esperienza personale, scivolare
in acque
molto molto fredde. Ho riportato le esatte parole del doppiaggio
italiano.
-Paraflu:
è il nome
commerciale
dell'antigelo che comunemente si adopera nelle auto per evitare che
l'acqua del
radiatore si geli durante l'inverno.
-Ho
lo stomaco incollato alla spina dorsale…
Mai visto "I due
superpiedi quasi piatti"? E' una battuta di Terence Hill.
-Sampei
il pescatore era il protagonista dell'omonimo anime
di...beh... svariati anni fa. XD
-Stufato
di alce: nei paesi scandinavi e in Russia si usa anche
questo tipo di carne.
-Na
zdorovje e Stin ijiasas,
in russo e greco, sono usati al posto del nostro Cin cin! nei brindisi,
come
dire: alla salute!
-L'uomo
di latta fa parte del mondo del Mago di Oz: da giovane
umano, è stato ridotto a uomo di latta, quindi senza cuore,
per via di una
maledizione.
-Il dialogo che ascolta Mei
fa parte invece del film "La tigre e il dragone" e coinvolge la
giovane Jen e il suo innamorato.
-La faccenda dell'Isola di
Andromeda: pur avendo rivisto più volte l'anime e avendo
anche chiesto un
consulto esterno (u.u) non mi è ben chiara la collocazione
temporale esatta di
quell'attacco. Insomma, so che è ovviamente prima delle
Dodici Case, ma per il
resto, zero assoluto. A parte la licenza poetica, ho deciso di
utilizzare
Albione (o meglio, Albiore) e non Dedalus come nel manga, come maestro
di Shun.
Che dire, lo preferisco.
Come sempre, i miei ringraziamenti a chi
segue, legge e trova due paroline
da dedicarmi a mo' di recensione. Grazie mille.
Lady Aquaria
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Capitolo 23 *** Love's a loaded gun (and it shoots to kill) ***
capitolo 23 prequel
23.
Love's a loaded gun (and
it shoots to kill)
[Non siamo mai così
indifesi
verso la sofferenza, come nel momento in cui amiamo.]
Sigmund Freud
Love kills,
thrills you through your heart
Love kills, tears you right apart
[The Queen – Love Kills]
Sometimes love's a loaded gun
And it shoots to kill
[Alice Cooper – Love's a loaded gun]
6 febbraio, sera.
Camus s'affacciò
dal parapetto che delimitava lo spiazzo antistante l'undicesima casa
con una
strana inquietudine: troppi movimenti quella sera, troppi cosmi
agitati; sulle
prime non aveva fatto caso al Cosmo di Dohko, solitamente
così tranquillo che
una persona meno abituata a percepirlo non lo avvertiva neanche, poi,
quello di
Shiryu e infine, quello di Aiolia.
"Avete bisogno
di qualcos'altro, Maestro?"
Non si voltò
nemmeno per rispondere a Cora, lo sguardo fisso a est, come se il cielo
potesse
dargli le risposte che stava cercando.
"No."
"Come volete.
Dunque col vostro permesso mi ritiro, buonanotte."
"Altrettanto."
rispose, avvertendo in quel momento Aphrodite che si trasportava fino
in Cina.
Troppe cose che non
gli tornavano. Che diavolo stava
succedendo?
"A volte mi
sento fortunato a non possedere alcuna nozione di medicina o un qualche
potere
di guarigione." esordì Milo. "Non è la prima
volta che Aiolia e
Aphrodite si recano al Goro-Ho a sorbirsi i lamenti del giovane
Dragone: si
dice che durante gli ultimi scontri si sia volontariamente accecato per
sfuggire allo scudo di Algol di Perseo."
Sinceramente, con
una gran punta di cattiveria, pensò che di Shiryu non gli
importava granché.
"Non lo
invidio neanche un po'."
"Pazzo
scellerato." proseguì Milo, appoggiandosi al parapetto
accanto all'amico.
"Alcuni soldati l'hanno visto infilarsi due dita negli occhi. Miei
dèi, ma
ci pensi? Quale persona sana di mente farebbe mai una cosa del genere
per
sconfiggere un nemico? Insomma, Perseo non fu così idiota."
"A sua difesa,
e credimi, mi stupisce anche solo pensarlo, posso dire che Algol non
era un
avversario facile." aggiunse Camus.
"Sicuramente
no." proseguì Milo. "Solo che... vedi? Io trovo persino
difficile
usare il collirio, non riesco a immaginarmi nei suoi panni."
"Beh, credo tu
non sia il solo: durante certe missioni ho trovato impossibile mettere
il khôl
come usano certi popoli del deserto per proteggere gli occhi dalla
sabbia e
dalle irritazioni: col tempo ho imparato, ma le prime volte lacrimavo."
Milo lo guardò.
"Ti truccavi?
Che sfortuna, avrei tanto voluto vederti."
"Solo gli
occhi." puntualizzò Camus, omettendo volontariamente di
menzionare alle
foto che lo ritraevano nel Sahara, in abiti locali.
Nonostante l'arrivo
di Milo, però, la strana sensazione che l'aveva colto prima,
quando era uscito
di corsa fuori casa, non si era affatto affievolita.
"Invece io ho
come l'impressione che Shiryu non sia la vera causa di tutti questi
movimenti." disse infine, dopo qualche attimo.
"Cosa vuoi
dire?"
"Troppe cose
che non tornano e che mi sfuggono. Beh, buonanotte. Io vado a dormire."
"Di già?! Insomma,
sono solo le dieci meno venti!"
"Buonanotte."
Non pensare a lei, Cam.
Non puoi andare avanti così, tutto questo non ti fa bene.
La sua crosta di
ghiaccio si stava facendo sempre più spessa.
"Kaliniktà."
Si svegliò un paio
d'ore dopo, durante un sonno parecchio agitato: la sensazione di tutti
quei serpenti
avvinghiati alle sue gambe era ancora troppo reale. Poteva ancora
avvertire le
spire viscide dei rettili farsi strada su di lui, e quell'ultimo
essere, quello
che l'aveva finito con la sua
puntura...
Una strana sensazione al petto lo costrinse ad alzarsi e
a uscire di casa, guardando a oriente.
Che fosse successo
qualcosa a Mei?
Boccheggiò un paio di volte, mentre la sensazione
spariva, lasciando posto a una strana serenità.
E se andassi da
lei?
Il dolore sordo tornò improvvisamente, acuto, e lo
costrinse in ginocchio, davanti all'undicesima casa: Aiolia
ritornò diversi
minuti dopo la mezzanotte, lo intravide parlottare con Mu alla prima
casa.
Doveva a tutti costi sapere cos'era successo, decise.
Cardia si voltò verso l'amico, un'espressione incredula
sul volto.
"Non fosti tu
a dirmi che non è nostro diritto interferire nelle questioni
dei vivi?"
"Infatti. E
come d'abitudine agisco per il suo bene, non certo per mio diletto."
"Cagionargli
dolori al cuore non gli ha certamente giovato. Come hai potuto fargli
questo
sapendo che cosa ho dovuto sopportare?"
"Cardia, ti prego, questo non è il momento migliore per
discuterne."
"Avresti
dovuto trovare un altro modo per distrarlo dai suoi propositi!"
"Cardia, basta."
Camus salì di buon'ora in Biblioteca, alla ricerca di
qualche risposta riguardante l'assurdo sogno che l'aveva tormentato: in
quella
dell'undicesima casa, ereditata da Degél, non aveva trovato
alcun testo
riguardante i sogni.
"Sognare
tanti serpenti assieme denota un momento particolare della vostra vita,
popolata
di insicurezze, timori, repressione di impulsi e confusione.
Sognare un
serpente che striscia:
potreste
essere vittima di inganni o provare incertezze e angoscia.
Sognare un
serpente che si avvinghia denota troppo
autocontrollo."
Un brivido lungo la
spina dorsale lo scosse: il ribrezzo che provava per quegli animali era
aumentato dopo quell'incubo. Ma era l'ultimo elemento a tormentarlo.
Lasciò
aperto il tomo sul tavolo e si allontanò per cercare quello
sugli aracnidi; nel
mentre, Milo, entrato in biblioteca, sbirciava con curiosità
i pochi appunti
che aveva lasciato accanto al libro:
"Confusione,
autocontrollo, inganni. Qualcuno
non è sincero con me.(?)"
Levò gli occhi al
cielo. Possibile che un uomo pragmatico e con i piedi ben piantati per
terra come
Camus potesse credere all'oniromanzia?
Che sciocchezza, cercare risposte in quei
modi assurdi.
Non proprio
sciocchezze, ad essere sinceri. Quando aveva visto la bambina, quando
aveva
visto quanto intensamente ella assomigliasse a suo padre, era scattato
qualcosa
nella sua mente: diglielo, ha ogni
diritto di sapere la verità.
Camus stava tornando al
grande tavolo posto al centro degli scaffali; lo sentì
parlottare tra sé e sé e
decise di nascondersi.
"Che insetti
schifosi." borbottò Camus, sfogliando rapido i capitoli
dedicati ai ragni
per passare a quello che lo interessava.
Milo sbirciò quel libro
dal suo nascondiglio: sulla pagina che Camus stava consultando
campeggiava un
enorme scorpione.
"Un androctonus
crassicauda, uno tra gli
scorpioni killer più pericolosi del mondo."
esordì, uscendo allo scoperto
e facendo sobbalzare l'amico. "E' di piccola taglia ma è
letale: con la
sua puntura sprigiona una neurotossina in grado di uccidere un uomo in
salute.
Poi qui c'è il mio preferito, il pandinus
imperator: grande e grosso ma quasi innocuo, fa male se
riesce a pungere,
ma la sua tossina principale è studiata per la cura delle
aritmie."
"Ne ho visto
uno." disse Camus, soffocando l'impulso di gridargli contro per lo
spavento.
"Qui?!
Impossibile, vivono entrambi nei deserti nordafricani o del medio
oriente. In
Grecia puoi trovare, al massimo, un comune euscorpius
sicanus che ti provoca un bozzo doloroso. Lo so
perché ho subito la sua
puntura durante l'addestramento: camminai scalzo per giorni prima di
poter indossare
di nuovo i calzari, un male che non ti dico. Sai che sono immune al
veleno
della maggior parte di queste bestioline? Non so a quale di queste
specie
pericolose appartenesse il veleno usato nel rituale per ottenere
l'armatura, ma
se sono sopravvissuto a quello, credo di poter sopravvivere a tutto."
"L'ho visto in
sogno." terminò l'altro.
"Mi pungeva mentre avevo le gambe bloccate da una miriade di
serpenti."
Milo restò qualche
istante in silenzio, interrogativo.
"Okay, hai fumato
qualche erba strana quando sei entrato in casa? Guai a fumare l'alloro,
Athena
potrebbe non prenderla bene." sospirò. "Okay, dai, la
smetto. E' che
mi stupisce il fatto che uno come te possa credere a queste cose."
"Io non ricordo
mai i sogni che faccio durante la notte, anzi, non so nemmeno se sogno
davvero.
Un sogno è il modo che ha il nostro inconscio per avvertirci
di qualcosa, e voglio
capire che cosa sta cercando di dirmi il mio."
Sognare
di essere punti indica un forte pericolo e
provoca in noi una forte sensazione di angoscia: il morso da parte di
animali
velenosi, indica una nostra debolezza. Siamo stati colpiti in modo da
non
poterlo evitare. Questo tipo di rappresentazione può essere
associata ai nostri
rapporti, sia con collaboratori o amici e/o famiglia.
Camus appuntò
qualcos'altro sul suo taccuino, mentre Milo rimuginava su quelle parole.
Devi dirglielo.
Deve sapere.
"Camus, devo
parlarti di una cosa." mormorò, svelto, prima che la ragione
avesse la
meglio sui sentimenti.
L'altro alzò lo
sguardo, quel tanto che bastava per vedere un soldato della guardia di
Ares
entrare in biblioteca.
"Ares richiede la
vostra presenza, nobile Scorpio."
Con grande stupore di
Camus, Milo assestò un pugno rabbioso sul ripiano del
tavolo, imprecò e si
schiarì la voce.
"Arrivo."
rispose.
"Che cosa dovevi
dirmi? E' urgente?"
"Non posso parlarne qui, di fretta."
Guardò Milo scomparire
verso l'uscita, dimenticandosi presto di ciò che aveva detto
per dedicarsi alla
sua ricerca, e per i successivi giorni, per via di una missione,non
avrebbe più
avuto modo di riprendere l'argomento.
Dopo quel sogno aveva indagato a lungo seguendo ogni
indizio a sua disposizione. Ma dopo due settimane, ancora fermo al
punto di
partenza e con i pochi indizi che conducevano a piste morte, aveva
deciso di
fare un ultimo tentativo prima di lasciar perdere: tutto sarebbe dipeso
da
quell'ultima volta.
Si trasportò quindi in Cina, deciso a porre fine a
quanto, per lui, era diventato insopportabile, ma non si era aspettato
di
trovare Mu laggiù al Goro-Ho; ciò poteva
costituire un problema.
Si appiattì contro il muro, azzerò il cosmo e si
mise in
ascolto pur sapendo benissimo che era sbagliato origliare, ma non aveva
poi
tanta scelta: non era mai stata sua abitudine fare domande dirette su
argomenti
che lo riguardavano troppo da vicino e che lo facevano soffrire: non
voleva
suscitare l'interesse dei suoi parigrado e soprattutto non voleva
scatenare
nessun pettegolezzo intorno a sé.
"Se mio fratello scopre che sono qui…"
Già, Kiki. Aveva inviato Cora a chiamarlo e una volta
arrivato davanti all'undicesimo tempio, l'aveva portato con
sé senza pensarci
due volte.
"A lui penserò io." rispose, secco. "Ti ho portato con me
perché
il mio cinese è pessimo, e se Mu ha qualcosa da dire in
merito, dovrà vedersela
con me, non con te. Avanti. Ora traduci."
"Se traduco che cosa ottengo in cambio?"
domandò quindi Kiki, con il solito sorriso birichino che si
spense non appena
ebbe captato lo sguardo gelido di Camus. "Scherzavo."
"Sono felice
di saperla in salute. Dunque nessuna complicazione, è andato
tutto per il
meglio?"
Di quelle prime parole scambiate tra i due aveva capito
solo poche parole afferrate per caso.
"E così ha
avuto una bambina." proseguiva Mu.
"Pensavo ne
fossi al corrente. Quel Saint, Aiolia, pensavo l'avesse detto."
Kiki si sporse appena, intravedendo la schiena di Shiryu.
"No, al
Santuario nessuno ha detto nulla. Sapevo della gravidanza
perché Mei stessa mi
aveva informato, ma non sapevo altro.
E come l'ha chiamata?"
"Meglio così,
comunque, che non si sappia in giro o Mei mi ucciderebbe. L'ha chiamata
Lixue e
ha aggiunto uno sciocco nome francese che francamente trovo inutile."
"Non sta a te
decidere se il nome di tua nipote è assurdo o banale. Non
è tua figlia."
"Aimée.
Continuo a ripetere che è assurdo."
"Aimée significa amata,
Shiryu. E sono certo che lo sarà. Lixue invece
neve graziosa: mi piace, ha una bella
musicalità. Un nome
che si addice alla figlia del ghiaccio." diceva Mu.
Accanto a lui, Camus fremeva impaziente: ne avvertiva il
nervosismo.
"Mi
raccomando, nessuno deve sapere."
Camus corrugò la fronte guardando Kiki che, attento,
ascoltava. Continuava a percepire solo poche parole a casaccio e la
cosa lo
mandava letteralmente in bestia.
Si sporse, giusto in tempo per vedere Mu scrollare la
testa.
"Io rispetto
la decisione di Mei, ma Camus dovrà sapere che è
diventato padre."
"Non è
necessario." disse infine Shiryu. "Oh
ecco che arriva."
Sgranò gli occhi, incredulo.
"Ho sentito chiaramente il mio nome… allora, mi dici
che cosa sta succedendo o devo strapparti le parole di bocca una per
una?"
Kiki si grattò la testa, con la pessima sensazione che di
lì a poco si sarebbe scatenato un disastro di dimensioni
epiche: se prima si
era domandato quale ira sarebbe stato meglio affrontare, se quella di
Camus o
quella di suo fratello, in quel momento ne ebbe la certezza.
"Non ti piacerà." capitolò infine, mentre un
vagito piuttosto potente accompagnava quelle parole.
D'istinto si sporse fino a vedere all'interno, e allora
li vide: Shiryu e Dohko, appena dietro Mu, e Shunrei accanto a Mei, che
era in
piedi al centro della stanza con un neonato
tra le braccia.
"E' tua figlia."
disse finalmente Kiki, concentrando tutto ciò che aveva
ascoltato in tre
semplici parole.
Dohko captò il suo cosmo fuori dalla pagoda e si
voltò,
scoprendolo al di là dei vetri, lo sguardo fisso sulla
neonata, il cuore e
l'animo in tumulto.
"Mei." le disse semplicemente, indicandole la
finestra con un cenno.
Mosse qualche passo indietro, allontanandosi dalla
pagoda, mentre Mei posava sua figlia in braccio a Mu e usciva di casa,
nel
gelido inverno cinese.
"Dove vai? Fuori c'è un freddo atroce!"
Mu aveva ragione: fuori faceva un freddo incredibile, e
avrebbe dovuto seguire il suo consiglio e rientrare in casa, ma il
freddo che
stava patendo non era niente in confronto a quello che aveva sentito
quando
aveva incrociato lo sguardo di Camus attraverso la finestra. Lo
chiamò,
rabbrividendo e stringendosi nel kimono rosso che Shiryu le aveva
donato
qualche tempo prima, blanda protezione contro quel gelo.
"So che sei qui, ti ho visto." balbettò,
muovendo qualche passo nonostante iniziasse a non sentire
più i piedi.
Si concesse un minuto per osservarla, nascosto in mezzo
agli alberi del giardino: spiccava come una maestosa peonia rossa in
mezzo al
candore della neve che cadeva da giorni in quella regione.
Quando sentì il proprio nome, serrò gli occhi e
trattenne
il respiro.
Aveva seguito le sue impronte sulla neve fresca e ora era
lì, a pochi passi: avrebbe potuto allungare le braccia e
stringerla a sé, ma
ricacciò indietro quell'impulso a forza, dopo aver sentito
sua figlia piangere,
dentro casa. Silenzioso come sempre, le spuntò alle spalle,
riattivando il
Cosmo di colpo e facendola trasalire.
"Non ti
muovere." le intimò, la voce di un ottava
più bassa, gelida come non
mai. "Potrei non rispondere di me."
"Ti... ti devo parlare."
"E' un po'
tardi, non credi?" sibilò, avvertendo la rabbia
rimontargli addosso,
cieca. Le si avvicinò quel tanto che bastava per parlarle
nell'orecchio, prima
di scomparire. "Non temere, ci rivedremo."
Mei si sentì cedere e s'accasciò in ginocchio,
tremando
sempre più vistosamente, finché non
arrivò Dohko, ad avvolgerla nel suo Cosmo.
"Rientra, Mei. Finirai con l'ammalarti." le
disse, indulgente.
"Maestro... che cos'ho fatto?!"
"Figlia mia." sospirò Dohko, accarezzandole la
testa. "Ormai è troppo tardi per chiederselo."
**
Quando Milo lo vide correre come se avesse avuto il
diavolo alle calcagna capì subito che era successo qualcosa
di grave; Camus oltrepassò
il retro dell'ottava casa così di fretta e con una tale
urgenza che le battute
sarcastiche che gli erano salite alle labbra gli si erano bloccate in
gola.
"Che sta succedendo?" gli domandò, non
ottenendo risposta. "Camus! Ma che diavolo…? Potresti
rispondermi? Mi stai
facendo preoccupare!"
Ignorò Milo e marciò dritto all'undicesima casa,
chiudendogli quasi la porta in faccia.
Non ti piacerà
gli aveva detto Kiki.
E infatti, non gli era affatto piaciuto.
E' tua figlia.
Lui, padre? Era
diventato padre e Mei non gli aveva detto niente?
In nove mesi non aveva mai pensato di avvertirlo, in
qualche modo?
L'avrebbe sentito. Oh, se l'avrebbe sentito.
Si accasciò contro la porta quasi senza forze, nel petto
un dolore sordo come se l'avessero appena pugnalato a tradimento.
In effetti non è
proprio quello che è successo?
Per Athena, stentava a crederci. Non si trattava di
stupidaggini, ma di una bambina! Gli aveva nascosto sua figlia! Come aveva potuto?
Riprese fiato rendendosi conto di averlo trattenuto
involontariamente per diversi secondi, quindi urlò con tutto
quello che aveva
in gola.
Dall'altro lato della porta, Milo si spaventò sul serio
quando
lo sentì gridare: mille scenari gli si affacciarono alla
mente, e tutti
comprendevano Mei.
Le era successo qualcosa di grave? O, peggio,
era successo qualcosa alla
bambina?
"Cam! Per Athena, rispondimi!" insisté Milo,
afferrando la maniglia e scoprendo che la porta era aperta e Camus vi
era
appoggiato contro. "Dimmi qualcosa!"
Ma che rispondere e rispondere… a malapena riusciva a
respirare, sopraffatto da sensazioni e sentimenti troppo grandi e
potenti.
Si trascinò di corsa in bagno e diede di stomaco, mentre
Milo entrava in casa.
Non può averlo
fatto davvero, non può avermi fatto questo.
"Maledizione Camus, calmati!" lo riprese, scostandogli
i capelli dal volto. Lo aiutò a rimettersi in piedi: tremava
ed era in un bagno
di sudore e, cosa peggiore, continuava a premersi una mano sul petto.
"Oh
Athena, non ti ho mai visto così. Vuoi farti venire un
infarto? Mi spieghi che
cosa accidenti c'è?"
Camus biascicò qualcosa, ma era troppo sconvolto per
parlare chiaramente e con calma: Milo non riuscì a capire
che poche parole
afferrate per caso... Mei, Cina, cattiveria...
"Finirai con l'iperventilare... non capisco,
accidenti... è successo qualcosa a tua figlia?"
A ripensarci, forse, sarebbe stato meglio non
toccare quel tasto: lo sguardo che
ricevette in risposta lo attraversò come una scarica
elettrica.
"Tu sapevi?"
Lo guardò con aria colpevole, a differenza sua Milo non
riusciva a mentire né a dissimulare. Quando ci provava,
Camus lo scopriva
subito: se ne accorgeva perché iniziava a tamburellare le
dita sul primo
oggetto disponibile, vizio che aveva adottato da bambino e non aveva
mai perso.
Sì, lo sapeva, e in qualche modo aveva anche provato a
dirglielo, anche se non
aveva fatto abbastanza tentativi. Vederlo in quello stato
aumentò i suoi sensi
di colpa.
"Sì, ma ascoltami..."
"Sapevi che Mei era incinta… e non mi hai mai detto niente?!" sbottò, scrollando
via la
mano che gli aveva messo su una spalla.
Milo non sapeva che cosa rispondergli. Aveva tutte le
ragioni del mondo per essere arrabbiato, e niente di ciò che
avrebbe detto poteva
cambiare lo stato delle cose.
"...ti prego..."
"Da quanto tempo sapevi?"
"Che importanza ha adesso?"
"Rispondimi."
"Da settembre." rispose Milo, in un sussurro
quasi impercettibile.
"Settembre."
ripeté Camus. "E in sei mesi non hai mai avuto un minuto di
tempo per
avvertirmi? Non ti è mai passato per la mente di avvisarmi,
di pensare che
avevo ogni sacrosanto diritto di saperlo?"
"Sei arrabbiato e lo comprendo bene, ma… per favore,
Cam…"
Non riuscì a fermare il ghigno ironico che gli
salì alle
labbra. Arrabbiato? Lui?
No, arrabbiato era un eufemismo,
era
molto più che arrabbiato, dentro di sé provava
così tanti sentimenti, tutti
insieme, che Milo non ne aveva neanche idea.
"Non sai proprio niente." rispose gelido.
"Tu non hai idea di come mi sento ora."
"E allora parla! Sono tuo amico, gli amici servono anche
a questo!"
"Amico? Bella
faccia tosta. Gli amici non si comportano in questo modo. Adesso
capisco il
senso di tutti quei continui spostamenti in Cina, capisco quel gran
movimento
di cosmi verso oriente dell'altra notte… eh già.
Tutti sapevate di mia figlia e
nessuno, nessuno ha avuto la
decenza
di informarmi a riguardo." sbottò Camus. "Nemmeno
tu. Come hai potuto farmi questo?"
Il suo sguardo ferito lo colpì.
"L'avevo promesso a Mei." rispose Milo.
"Oh, le avevi fatto una promessa, ora si spiega
tutto." disse Camus, sempre più ironico. "E che mi dici
delle
promesse che avevi fatto a me?
Delle
promesse che ci siamo scambiati da bambini, sulla lealtà
reciproca e sul fatto
che ci saremmo coperti le spalle a vicenda, che saremmo sempre stati
onesti
l'un con l'altro? Dov'è questa tua onestà, Milo?"
"Le promesse le mantengo sempre, Camus, che siano
rivolte a te o ad altre persone. Sono leale e corretto, sono lo stesso
Milo che
hai conosciuto da bambino."
"Lo sei?" perché gli avevano giocato quel tiro
mancino? Perché Mei aveva tenuto tutto nascosto e
perché Milo aveva taciuto? "Passi
Mu col quale non sono in confidenza… passi Shiryu che mi ha
sempre remato
contro ed è stato zitto per cattiveria, ma tu… da
te non me lo sarei mai
aspettato."
Milo scoppiò a ridere, istericamente.
"Ah sì? E quante cose tu hai fatto che io non avrei
mai pensato potessi fare? Io sono così, come sono sempre
stato. Sono
quell'amico a volte troppo invadente, col carattere troppo estroverso,
quello
che cerca di tirarti su il morale con le battute sciocche e che spesso
fa il
cascamorto con le belle ragazze. Ma bada, solo cascamorto,
perché contrariamente a quel che pensate tutti quanti
non mi porto a letto qualunque cosa respiri. Io sono anche una persona
seria,
leale, sono un buon... anzi... sono un ottimo
amico: Mei mi ha fatto promettere di non dirti nulla perché
era convinta che
l'avresti accusata di essere rimasta incinta apposta per intrappolarti
e io
come amico ho assecondato la sua richiesta. Punto."
Per come la vedeva lui, era solo una mera scusa campata
per aria, dato che entrambi sapevano che non era e non sarebbe mai
stato quel
genere di ragazzo, era una stupidaggine buttata lì solo per
coprire quella
crudeltà immeritata.
L'avrebbe sentito,
eccome. Arrabbiato com'era, sarebbe stato capace di
qualunque cosa.
"E' una scusa assurda questa, sa benissimo che non
avrei mai pensato una cosa del genere. Quando abbiamo perso il
controllo e
l'abbiamo fatto nonostante non avessi con me le necessarie precauzioni,
sapevo
a che cosa potevamo andare incontro, tutti e due lo sapevamo. Quindi
no, non ci
credo. Mi ha deliberatamente escluso." replicò Camus, prima
di andare in
salotto. "L'hai vista?"
"Sì, credo che si stia ancora riprendendo dal parto,
Aphrodite mi ha detto che è stato parecchio doloroso, ma in
fondo sono
trascorse due settimane circa e dovrebbe già essere in grado
di riprendere le
sue normali attività." rispose Milo, seguendolo.
"Parlavo di mia... figlia."
Com'era strano pronunciare quella parola. Figlia.
Bastava una sola parola, a
volte, a cambiare radicalmente la vita: ora sapeva che c'era una parte
di sé,
al mondo, una parte che aveva bisogno di lui così come lui
aveva bisogno di
lei.
"Sì." rispose Milo, cauto. "L'ho vista. Ed
è incredibilmente bella."
Uno scricciolino di tre chili e ottocento grammi, con una
gran massa di capelli rossi: non appena aveva posato lo sguardo su di
lei, gli
era sembrato di vedere la versione in miniatura dell'amico; inoltre,
senza
farsi notare da nessuno, le aveva anche scattato una foto: non era
granché, il
suo cellulare non permetteva foto particolarmente nitide, ma era
sufficiente a
mostrargli il volto di sua figlia.
Ed eccola lì, la bambina.
Nella foto dormiva placida nella sua culla; aveva gli
occhi chiusi, ma poteva comunque vedere il ciuffo rosso scuro spuntare
dalla
cuffietta. Scorrendo avanti le foto, ne vide un'altra dove era stretta
tra le
braccia di sua madre: nonostante il parto e il corpo appesantito dalla
gravidanza, si accorse che non era cambiata, era bellissima come se la
ricordava.
O almeno, lui la trovava tale.
Milo le aveva scattato diverse foto, alcune un po' troppo
sfocate, segno che le aveva scattare di corsa e segretamente, altre per
fortuna, più dettagliate. Ma dopo un po' posò il
cellulare sul tavolino,
accanto a un sacchetto di biscotti che Milo aveva posato poco prima e
si prese
il viso tra le mani tentando in ogni modo di non cedere alla rabbia che
minacciava ancora di esplodere da un momento all'altro.
"Non te la prendere."
"Come, scusa?"
"Cam, avete il cinquanta percento di colpa…"
Era stato un brutto periodo per entrambi, ma lui non
avrebbe mai fatto una cosa del genere, non le avrebbe mai nascosto una
cosa
così importante.
"Il cinquanta percento? Che cosa vorresti dire?"
"Beh, tu l'hai lasciata."
"E questo giustifica le sue azioni? Non l'ha
concepita da sola, quella bambina è tanto sua quanto mia!"
D'accordo. Poteva capire tutto, la rabbia, la
frustrazione… ma quello no.
Quello era troppo anche per lui.
Il dolore al petto tornò di nuovo, costringendolo a
prendere dei grandi respiri per calmarsi.
"Come ha potuto farmi questo?" ripeté ancora
una volta, incapace di darsi pace. "Tu le hai parlato, sei rimasto in
contatto con lei, hai quindi uno straccio di spiegazione da darmi?"
Qualcuno in casa si schiarì la voce: Mu, seguito da
Aphrodite.
"Se mi è permesso intervenire, vorrei spiegarti come
sono andate le cose. So che sono l'ultima persona che in questo momento
vorresti vedere ma se potessi concedermi qualche minuto per
parlarti..."
interloquì Mu, sulla porta del salotto. Non ottenendo
risposte contrarie,
proseguì. "Quando si è accorta di aspettare un
bambino non ha voluto dirti
nulla perché non voleva che tu pensassi fosse rimasta
incinta di proposito per
incastrarti. So che serve a poco, ma ho tentato di farle cambiare idea
e di
farti sapere di questa storia, anche Aphrodite ha provato a schiarirle
le idee
ma la conosci meglio di noi, non c'è stato verso."
Camus annuì appena, strofinandosi gli occhi.
"Posso capire come ti senti ma..."
"Ah no, ne dubito. Non credo che tu possa capire
anche solo lontanamente come mi
sento." sbottò Camus, brusco, interrompendo Mu. "Mi sento tradito. Mi sento derubato.
Sono stanco.
Sono così arrabbiato che
potrei
andare in Cina e rivoltare il Goro-Ho, Maestro Dohko o no. Sono
così furioso che se
avessi Mei tra le mani
sarei capace di strangolarla!"
"Certe cose non andrebbero nemmeno pensate!"
protestò Mu. "Per quanto avversa sia questa situazione, per
te, non è una
buona ragione per pensare e tantomeno pronunciare ad alta voce cose di
questa
gravità."
"Infatti non è una buona ragione,
è un'ottima
ragione." il puzzo delle pessime sigarette tipiche dei chioschi del
porto,
zuppe di catrame, annunciò l'arrivo di DeathMask. "Se fossi
al posto tuo, quella sarebbe
già in viaggio verso l'ade
e la sua testa farebbe già compagnia alle altre. Le notizie
corrono veloci, paparino, sia
quelle belle che quelle
brutte. E da quel che ho sentito entrando, la tua morosa ha pensato
bene di
tenerti nascosto tutto."
Riacquistato il suo usuale contegno gelido, Camus si schiarì
la voce.
"Questa faccenda non ti riguarda, nessuno ha chiesto
la tua opinione."
"Questo è vero." convenne DeathMask, spegnendo
il mozzicone nel posacenere sul tavolino. "Ma lascia che ti dica una
cosa:
non puoi permetterle di metterti i piedi in testa così,
ricorda chi sei e fai
in modo che anche lei se lo ricordi. Se io fossi al posto tuo, le
porterei via
la marmocchia. Hai detto di essere suo padre, no? Ammesso che sia
davvero così,
cosa della quale dubito fortemente, hai anche tu dei diritti. Vai in
Cina e te
la prendi senza tante storie. Sii uomo, mostrale chi comanda."
"E per mostrarle chi comanda, dovrebbe portarle via
la bambina? Non hanno tutti i torti se ti definiscono mostro."
interloquì
Aphrodite. "Ho aiutato io Mei a partorire, insieme ad Aiolia. L'ho
guardata bene, ha i tuoi stessi capelli e, parola mia, pare averti
rubato il
volto. E' la tua miniatura, credimi."
"So perfettamente che è mia figlia,
non ho bisogno di conferme."
DeathMask scoppiò in una risata, facendo spallucce.
"Povera anima."
disse in italiano, prima di tornare al greco. "Sono un mostro? Sai che
m'importa? L'odio degli altri mi rende potente e orgoglioso. Porti la
marmocchia qui e la dai in mano a un paio di balie, poi impedisci alla
strega
di vederla, fine della storia. Così impara ad avere rispetto
per gli altri, ad
avere rispetto per il suo uomo."
Oh sì, conoscendolo, DeathMask l'avrebbe fatto
sicuramente.
"Sei un essere
rivoltante." sibilò Camus, rispondendo a DeathMask
nella sua lingua,
ignorando l'ondata di disgusto che era seguita al suo ragionamento.
"Lo so, lo so.
Ma io non permetto a nessuno di farmi trattare come una pezza da piedi.
Dì un
po', ma hai ancora un briciolo di amor proprio? Pensi di alzare il culo
da quel
divano e far valere le tue ragioni o resti lì?
Dov'è finita la tua dignità?"
***
Lady Aquaria's corner
Per prima cosa, il titolo: rimanda a una canzone di Alice
Cooper.
-L'interpretazione dei sogni la trovate a queste pagine: serpenti
e scorpioni;
lo scorpione, comunque, è un elemento volutamente inserito e
si riferisce, in
questo caso, sia a Milo (perché non è stato
sincero nei confronti dell'amico)
sia a Mei (che appartiene al segno dello scorpione e che insomma, ha
tenuto
nascosta una notizia di uno spessore non indifferente).
-Cardia e Degél tornano a essere delle guest-stars del
capitolo. Sono due personaggi che adoro e che nel limite del sensato
cercherò
di utilizzare per brevi spezzoni.
-Le descrizioni degli scorpioni citati da Milo li trovate
qui: androctonus
crassicauda,
pandinus
imperator
ed
euscorpius
sicanus.
-Il khôl,
o kohl, è un cosmetico che
in alcune zone del medio oriente o in alcune regioni dell'Africa,
è utilizzato
maggiormente per ragioni "mediche" più che per ragioni
estetiche. Vi
rimando come sempre alla wiki.
-Camus, come tutti ben sapete, è uno di quei personaggi
che tiene tutto ciò che prova dietro una spessa corazza
protettiva. Ma sono
dell'idea che, come tutte le persone, anche lui abbia un limite, oltre
il quale
la suddetta corazza non può più fare niente:
qualunque essere umano ne ha uno,
e il suo è appena stato superato. Quindi sì, qui
è particolarmente OOC ma
concedetegli una debolezza, ogni tanto. In fondo ha appena scoperto
dell'esistenza di sua figlia, non ha scoperto una sciocchezza
irrilevante.
Per questo capitolo credo sia tutto, grazie come sempre a
chi recensisce (e chiedo venia per il ritardo col quale vi rispondo, ma
sappiate
che sono sempre ben accette!) e segue.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 24 *** Distance. ***
24 prequel
24.
Distance.
Don’t you wish you were?
Don’t you wish I was?
Something more than mystery to uncover
Don’t you wish I was?
Don’t you wish we were?
Lovers without distance from each other
And I had wished you were
And I had wished we were
Lovers without distance, distance from each
other
[Neverending White Lights - Distance]
La neve, col suo odore di ghiaccio e infinito, aveva
coperto muschi e gelsomini. Gli spiazzi erbosi erano ammantati di
bianco, i
corsi d'acqua erano quasi immobili nella staticità del gelo
e le immense risaie
a terrazzo attendevano la primavera e una nuova semina.
Il cielo era niveo e carico della neve che presto sarebbe
caduta ancora su quelle terre.
Il giardino di Mei, come tutto il resto, era sottomesso
alla morsa del freddo, fatta eccezione per l'erica che cresceva lungo
il
perimetro della pagoda e per qualche elleboro.
Aveva pensato a lungo nelle ultime due notti, incapace di
chiudere occhio. Aveva rimuginato, riflettuto, pianto. Aveva gridato la
sua
rabbia fino a seccarsi la gola, il cuore in tempesta.
Aveva maledetto il suo
nome e costretto l'intero Santuario in una morsa di atroce gelo al
quale
nessuno dei suoi compagni d'armi era abituato.
"Per ridurre
il Santuario in questo stato, proprio tu che abitualmente sei una
persona responsabile
e quieta, dev'esserti successo qualcosa di grave." gli aveva
chiesto
Ares, dopo averlo convocato al tredicesimo tempio. Si era domandato quanto sapesse il Grande Sacerdote di
sua figlia. Aphrodite, senza dubbio, doveva averlo già messo
a conoscenza di
quel piccolo particolare.
"Non accadrà
mai più." aveva
risposto
senza aggiungere altro.
"Ti concedo il
permesso di recarti in Cina a sistemare i tuoi affari."
"Grazie."
"A guerra
finita, tuttavia, discuteremo circa un certo problema, e tu sai a che
cosa
alludo."
Inspirò a pieni polmoni l'aria fredda, cercando di trarre
quanto più coraggio possibile dal gelo che lo circondava e
si apprestò a
entrare nella pagoda, trovandosi di fronte Dohko.
"Maestro." lo salutò, inchinandosi in segno di
rispetto.
"Entra, Camus."
"...preferisco aspettarla qui."
"Entra." ripeté Dohko.
Obbedì senza ulteriori indugi; all'interno non era
cambiato niente dall'ultima volta, salvo forse le tracce della presenza
di un
neonato in casa, a partire dalla carrozzina parcheggiata in un angolo,
nei
pressi del camino.
"Mei è uscita con Shunrei, torneranno a breve.
Accomodati. Ti piace il tè?"
"Non sono venuto per fare quattro chiacchiere davanti a tè e
biscotti."
"Sì, so bene che il tuo obiettivo è un altro. Ma
finché Mei non ritorna, dovrai accontentarti di questo
povero vecchio."
rispose Dohko, paziente, posando due tazze sul tavolo.
Il tè che Dohko gli stava offrendo odorava di terra. E
pioggia. Terra bagnata: un odore
insolito per un tè.
Tuttavia, per educazione e per non offendere il proprio ospite, bevve
un sorso,
facendo involontariamente una smorfia.
"Ha un gusto atroce, non è vero?"
Camus accennò appena un sorriso.
"...è... particolare."
"Ha un brutto sapore, puoi anche dirlo, non mi
offendo. Il Pu-Erh è così: il primo impatto ha lo
stesso effetto di un uppercut al
mento, ti destabilizza. Ma
al di là del brutto sapore, è un tè
che controlla il colesterolo, mantiene
l'equilibrio tra Yin e Yang e... beh, lenisce le ferite."
"...non sono ferito."
"Non nel corpo." rispose Dohko, sibillino.
"Bevi. Ti accorgerai che non è poi così male."
Al primo sorso ne seguì un altro, ma cos'avrebbe dovuto
sentire? In quel momento per lui non era altro che un tè
strano.
"Va meglio?"
Annuì appena, per educazione.
"E' un po' come certe persone, non credi? Ti destabilizzano, ma alla
fine
non sono così male come credevi. Tieni, mangia qualcosa e
lascia perdere il tè,
il mio buon vecchio amico Shion, che ai nostri tempi mi fece scoprire
questo
tè, non si offenderà di certo. Dici di non essere
ferito, eppure sento la tua
rabbia. La sento da giorni."
Bastasse una tazza
di tè dal gusto discutibile a farmi passare le ferite
dell'animo...
"Cercherete di trattenermi?"
"Non ne sarei in grado."
"Allora non vorrete dirmi che adesso mi farete uno
di quei discorsi da padre preoccupato?"
"Tu lo vorresti?"
"No."
"No. Non
ti farò alcun discorso, anche perché hai ogni
diritto ad essere
arrabbiato."
"Almeno lo riconoscete."
Dohko sorrise mesto.
"Al posto tuo sarei arrabbiato anche io, non posso
certo negarlo. Ma devo avvertirti che comprendo anche il punto di vista
di Mei.
Non ti farò alcuna predica perché so che sei un
ragazzo giudizioso."
Camus percepì chiaramente il ma in
sospeso. Ma Dohko non proseguì il suo discorso.
*
Di ritorno dal mercato insieme a
Shunrei, Mei provava una strana inquietudine che tentava in tutti i
modi di
dissipare per non trasmettere malumore alla neonata che dormiva placida
nella
sua fascia.
"Non avrei dovuto chiederti di
accompagnarmi al mercato." si scusò Shunrei, ricordando
ancora le occhiate
e le parole maligne che avevano seguito Mei lungo tutto il percorso tra
le
bancarelle. "La prossima volta cercherò di sbrigarmela da
sola."
Gli sguardi duri e maligni e le parole
cariche di veleno della gente erano
arrivati non appena avevano visto la bambina stretta al suo petto:
aveva
coperto Lixue in tutti i modi possibili per impedire a quei villici
ignoranti e
bigotti di vederla. Se volevano offendere lei, liberi di farlo, ma la
sua
bambina no.
"La gente ha sempre bisogno di sparlare,
Shunrei, e il più delle volte
lo fa per sfuggire qualche istante alla vita miserabile che li
perseguita dalla
nascita e che li perseguiterà fino alla morte. L'anno scorso
è toccato a Jung-Sook
e l'anno prossimo probabilmente toccherà a Feng Lu o
qualunque altra ragazza
del villaggio. Quest'anno è stato il mio turno. Che parlino
pure, prima o poi
la cosa scemerà e cominceranno a parlare d'altro. In ogni
caso ti ringrazio per
avermi convinta a uscire. Se fossi rimasta ancora a lungo in quella
camera,
sarei impazzita." sorrise a Shunrei, grata. La ragazzina si
offrì di
tenerle la bambina, ma diniegò, fermandosi di scatto.
Lui.
Sapeva che prima o poi sarebbe tornato, gliel'aveva promesso qualche
sera
prima, e sapeva anche con assoluta certezza che quell'incontro non
sarebbe
stato facile, per nessuno dei due: l'aveva sentito, il suo Cosmo,
espandersi
preda della rabbia. Una furia cieca, che non aveva mai percepito in
lui. E
allora aveva sentito il proprio stomaco serrarsi in una morsa di paura,
ben
sapendo che quella rabbia, prima o poi, le si sarebbe rovesciata
addosso con
tutta la sua potenza.
Ed eccola, infatti.
"L'hai sentito?"
Ovviamente.
"Cosa facciamo?"
"Tu, niente. Per quanto mi riguarda
farò ciò che avrei dovuto fare già
tempo fa: affrontarlo."
Aveva temuto e bramato quell'incontro al
tempo stesso, consapevole che non
sarebbe stata una passeggiata. A poche decine di metri dalla pagoda, lo
vide.
"Resto con te."
No, non c'era alcun bisogno di aiuto, era una cosa che
poteva e doveva fare da sola.
"Bonjour."
lo salutò, facendolo
trasalire. Il suo sguardo blu si focalizzò prima su di lei,
poi su Lixue, che
aveva sistemato in una fascia porta bebè, stretta al seno,
al caldo sotto
diversi strati di vestiti.
"Ciao." le rispose, con una voce così gelida che la fece
rabbrividire.
Non sapeva cosa
fare, non osò muoversi.
"Qual buon vento ti porta? La Siberia è qualche chilometro
più in
su." scherzò, cercando di stemperare la tensione. "Hai
sbagliato
rotta?"
"No." era proprio quella la sua destinazione "Mei, ho la faccia
di uno che vuole scherzare?"
Decisamente no.
Camus allungò la mano, scostando la mantella e le maglie di
Mei che
proteggevano la bambina dal freddo, guardandola con uno sguardo
indecifrabile.
"Seguimi, dobbiamo parlare"
"Ah, ça va sans dire!" le
rispose, a
denti stretti.
Lo superò,
avvertendo il suo
sguardo penetrante su di sé.
"Stai
tranquillo, sono capace da me di portare un sacchetto."
diniegò, non
appena Camus tentò di prenderle di mano il sacchetto della
spesa.
Appena in casa, posò la borsa sul tavolo, preparandosi
mentalmente alla discussione, mentre Camus guardava Shunrei e Dohko,
invitandoli silenziosamente a uscire.
"Vi lascio soli." esordì Dohko, incrociando
l'espressione di Camus. "Shunrei, c'è ancora tempo per
preparare la cena,
cara. Hanno parecchio di cui parlare."
Non appena soli, Camus chiuse la porta che comunicava con
la stanza principale della casa dietro di sé, mentre Mei
slegava la fascia che
tratteneva Lixue.
"So che sei arrabbiato." esordì, con una
pessima scelta di parole. "Ma per favore, cerca di capirmi."
"Con che coraggio mi dici una cosa del genere?"
Come rispondergli? Aveva ragione.
Tacque, posandogli delicatamente la bambina fra le sue braccia.
Lo vide sgranare gli occhi, trattando la piccola come un oggetto di
cristallo pronto
a infrangersi da un momento all'altro.
"Puoi stringerla se vuoi. Non si romperà." gli
sussurrò.
"Appoggia la sua testa contro il tuo cuore, i suoi battiti la terranno
calma."
Non le rispose, limitandosi ad arrossire e a sedersi su
una poltrona, sentendosi cedere.
...ha i tuoi stessi
capelli e, parola mia, pare averti rubato il volto. E' la tua
miniatura,
credimi.
I capelli, invero, erano più scuri dei suoi, viravano
verso un intenso rosso ciliegia e... aveva ragione Aphrodite, era la
sua copia.
"Come si chiama?" le domandò, gelido.
"Lixue Aimée. Il suo nome cinese
significa neve graziosa."
spiegò, trasalendo.
Un nome scelto non a caso. La neve era legata al freddo e
quindi, indirettamente, Mei aveva voluto dare alla bimba un legame con
lui, che
di quell'elemento era padrone.
"Non ti perdonerò mai
per quello che mi hai fatto." sibilò, con un tono carico
d'accuse. "Perché non ne sapevo nulla? Ho saputo di lei per caso, maledizione. Per
caso."
Si sentì tremendamente in colpa, ma a che cosa potevano
mai servire, i suoi sensi di colpa, in casi come quello? A niente. Non
si
poteva tornare indietro.
"Non ti è mai passato per l'anticamera del cervello
che forse avrei dovuto saperlo?"
"Ci ho pensato, credimi."
"NON MENTIRMI! Avrei potuto fare
qualcosa. Non avevi il diritto di tenermi all'oscuro di una cosa di
questa
importanza!"
E cosa avrebbe
potuto fare, ad esempio? Avrebbe dovuto dargli anche la soddisfazione
di
vederla strisciare ai suoi piedi chiedendo aiuto, magari?
"Hai già fatto abbastanza, direi. Sono indipendente
e so cavarmela da sola. Non ci serve niente." disse, sulla difensiva.
Camus parve faticare a trattenersi; se ne accorse dal
Cosmo, che iniziava ad agitarsi e che teneva a freno a fatica, per non
nuocere
a Lixue.
"Mei, questa bambina è anche mia
figlia. Ho i tuoi stessi doveri e diritti
nei suoi confronti."
Diritti?
Quali diritti andava vantando?
"Hey, aspetta un po' prima di accampare diritti
su di lei." sbottò Mei.
"Tu non hai alcun diritto sulla mia bambina."
"Sono suo padre." sibilò
Camus, rabbioso, con
una luce carica di rabbia negli occhi.
"Aver dato un po' di seme non ti rende
automaticamente padre."
"Vuoi davvero avventurarti per questo discorso?
Quello che avrei da dirti potrebbe non piacerti."
La guardò con uno sguardo che sì trasudava
risentimento,
ma che nascondeva altro sotto.
Vi lesse determinazione, e non le
piacque affatto.
Quando i suoi occhi tornarono a posarsi sulla bambina,
tornarono a essere dolci, come se li ricordava. Guardava Lixue come per
imprimersi nella mente ogni lineamento, ogni singolo dettaglio.
"Hai ragione." convenne lui, dopo diversi
minuti. "Si diventa padre quando
senti la tua creatura nel ventre di
sua madre, quando la vedi nascere,
quando senti il suo respiro regolare nel sonno. Quando ti prendi cura
di
lei."
Capì d'avergli elargito una cattiveria del tutto gratuita
e ingiustificata quando sentì quelle parole, pronunciate con
una freddezza
insolita.
"Si diventa padre quando hai la possibilità di crescere la tua creatura. Hai ragione.
Peccato che tutto questo mi sia stato precluso."
sibilò Camus. "Perché tu
me l'hai
impedito."
"…"
"E ora ho tutte le intenzioni di rimediare al tempo perso a causa
tua." si alzò dopo tanti, troppi interminabili minuti, la
piccola ancora
stretta tra le braccia, e le voltò le spalle.
Quello che aveva detto DeathMask di sicuro non le sarebbe
piaciuto così come non era piaciuto a lui, ma diamine,
l'avrebbe usato come
minaccia se Mei l'avesse portato all'esasperazione come stava facendo.
"Al posto tuo
le porterei via la marmocchia." aveva detto DeathMask, con
una
naturalezza che gli aveva messo i brividi addosso. "Hai
detto di essere suo padre, no? Ammesso che sia davvero così,
cosa della quale dubito fortemente, hai anche tu dei diritti. Vai in
Cina e te
la prendi senza tante storie. Sii uomo, mostrale chi comanda."
"E per
mostrarle chi comanda, dovrebbe portarle via la bambina? Non hanno
tutti i
torti se ti definiscono mostro."
aveva obiettato Aphrodite.
DeathMask aveva fatto spallucce, ridendo di gusto.
"Sai che
m'importa? L'odio degli altri mi rende potente e orgoglioso."
aveva
replicato. "Porti la marmocchia qui
e la dai in mano a un paio di balie, poi impedisci alla strega di
vederla, fine
della storia. Così impara ad avere rispetto per gli altri,
ad avere rispetto
per il suo uomo."
"Sei un essere
rivoltante." aveva infine trovato la forza di dirgli,
superato il
disgusto iniziale.
In un paio di occasioni, dovette ammettere a sé stesso,
aveva anche pensato di
farlo, quando la rabbia aveva raggiunto picchi estremi. Ma... ad esser
sincero
non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, non era una persona
così
spregevole da strappare un bambino dalle braccia di sua madre, non
quando lui e
Joséphine avevano subito la stessa sorte. E poi... beh, non
avrebbe mai fatto
del male a Mei.
Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, Mei
assottigliò lo sguardo.
"E quindi, che cos'hai intenzione di fare? Parla
pure liberamente, non trattenerti." lo esortò. "Credi
davvero di
poterti prendere mia figlia e portarla via? Credi che te lo lascerei
fare?"
La guardò da sopra la spalla con aria di sfida
sogghignando appena.
"Ci sto pensando sai? In effetti potrei prendere un
paio di attendenti e lasciarla alle loro cure, durante le mie assenze."
le
rispose, con una calma che la fece rabbrividire. "Mais
tu n'a pas d'avoir peur, ma petite, mes absences ne seront pas trop
nombreuses.
Potrei avere la possibilità di averla
con me tutti i giorni e di
vederla crescere. Potrei
cullarla la
notte, se dovesse fare dei brutti sogni: mais
tu ne feras pas des cauchemars, parce que je vais te garder de tous les
cauchemars du monde. Potrei portarla a Kobotec,
crescerla nella mia
isba o a Parigi, educarla secondo i miei principi
et je t'enseignerai à parler le russe et à
patiner. Ma non
preoccuparti, naturalmente le parlerò anche di te, a tempo
debito, quando
chiederà di sua madre."
Rabbrividì sul serio, ancora confusa da quelle frasi che
Camus aveva volutamente pronunciato in francese e che non aveva
compreso,
guardando istintivamente Lixue ancora stretta tra le sue braccia: si
rese
improvvisamente conto che avrebbe potuto farlo davvero, anche in quel
momento,
sparire con sua figlia e impedirle ogni contatto futuro.
Che cosa le avrebbe raccontato, parlando di lei?
Le avrebbe costruito intorno un castello di menzogne,
dicendole che sua madre l'aveva abbandonata
o, nel migliore dei casi, che era morta.
Si rese conto che sua figlia, la sua amata bambina,
quella stessa creatura per la quale aveva lottato con tutte le forze,
non
avrebbe avuto neanche un ricordo di lei.
"E che cosa le racconterai, che l'ho abbandonata o
che sono morta?"
"Ah non lo so. Potrei dirle che sei morta. In un
certo senso per me lo sei."
"Non oseresti." replicò in un fil di voce,
sentendo il cuore saltare qualche battito e ignorando lo strappo che
l'ultima
frase aveva fatto nella sua anima.
"Scommettiamo?"
Avvertì le ginocchia cedere, ma mai si sarebbe prostrata
supplice davanti a lui.
"So perfettamente che contro di te non avrei neanche
una possibilità di farcela, potresti uccidermi in qualunque
istante con una
minima mossa." disse. "Ma sbagli se pensi di poter avere vita facile.
Potrai prenderti la mia bambina solo dopo avermi uccisa, e sono pronta
a
lottare e a vendere cara la mia pelle per lei."
Sogghignò come divertito dalle sue parole, conscio di
avere la situazione dalla sua parte.
Che cosa farò, se dovesse davvero
portarsi via Lixue?
"E che cosa potresti fare? Niente,
l'hai detto tu stessa. Potrei fartela pagare cara per il
resto dei tuoi giorni. Potrei allungare la mano e chiuderla sulla tua
gola fino
a soffocarti, come ho minacciato di fare quando ho scoperto questo tiro
mancino. E la sola ragione per cui non lo faccio è qui, tra
le mie braccia,
perché non voglio assolutamente che mia figlia subisca
quanto ho subito io. E'
solo per lei che non ti farò nulla. Perché non
voglio renderla orfana."
Spaventata, brandì il cellulare che fino a quel momento
era rimasto sul tavolo e glielo mostrò.
"Ho registrato tutto!"
"... dunque?"
quasi le rise in faccia. "Io avrei il Grande Sacerdote dalla mia parte,
ricordatelo."
Il silenzio che seguì quelle parole, unito alla tensione,
crearono un'atmosfera insostenibile.
E se avesse lasciato da parte l'orgoglio, lo stesso che
aveva portato Camus e lei a quel punto?
L'orgoglio annienta
ogni cosa.
"Non portarmela via." mormorò a un certo punto,
suonando patetica persino alle sue orecchie.
Lixue gli strinse un dito, guardandolo con gli occhi
spalancati, e lui ricambiò con altrettanta
intensità quello sguardo.
"Non fare agli
altri ciò che non vuoi sia fatto a te."
"Non farmi questo."
"E tu cos'hai fatto a me?" replicò Camus. "Se
al posto mio ci fosse stato DeathMask, a quest'ora la tua testa farebbe
compagnia alle altre nella quarta casa e la bambina finirebbe in mano a
chissà
chi. Quell'essere spregevole dice che sarebbe la giusta punizione per
quello
che mi hai fatto."
Cos'avrebbe potuto fare per impedirgli di portare via
Lixue? Niente. Nessuno le avrebbe permesso di tornare al Santuario e di
rivederla, assolutamente nessuno.
"Ti prego
non portarla via, ho lottato tanto
per averla." lo implorò infine, la voce rotta. "E' la sola
cosa che
mi rimane di..."
... di te.
La sentì singhiozzare appena, agitata e terrorizzata.
Serrò gli occhi, scuotendo la testa.
"Quanto vorrei davvero essere un gelido
bastardo senza cuore: mi
risparmierei tante sofferenze." mormorò, facendole capire
che quello di
poco prima era stato solo un bluff. Avvicinò la piccina al
volto, ne inspirò il
profumo, quindi la posò tra le braccia di sua madre prima di
elargirle una
lunga carezza sulla testa. Gli si strinse il cuore quando la vide,
tremante, stringersi
la neonata al petto. Scostò una sedia dal tavolo e la
indusse gentilmente a
sedersi, prima che potesse crollare in terra da un momento all'altro,
quindi si
accovacciò di fronte a lei.
"Ascolta, ora la poserò là dentro, d'accordo?
Devo
parlarti." in risposta ottenne solo un singhiozzo più forte,
ma aveva
bisogno di parlarle.
Come le aveva detto, prese gentilmente Lixue dalle sue braccia e la
sistemò
nella carrozzina, quindi le prestò di nuovo attenzione.
"Non mi crederai, eppure non ti farei mai
una cosa del genere." le disse.
"Guardami, Mei."
Lo fece, dopo diversi istanti, gli occhi rossi.
"Preferirei morire
piuttosto che farti del male." aggiunse Camus. "Continuo ad amarti
troppo per ferirti come tu hai fatto con me."
"E tu pensi davvero che sia stato facile per me
nasconderti Lixue?" mormorò Mei. "Sapere che avrei potuto
chiamarti
in qualunque momento per avvisarti e allo stesso tempo impedirti di
umiliarmi
ancora? Avrei dovuto farlo, è questo che avresti voluto?
Vedermi supplice ai
tuoi piedi implorando il tuo aiuto dopo quello che è
successo? Questi mesi non
sono stati facili per me."
"Oh, invece per me è stato come bere un bicchier
d'acqua." le rispose.
"Come facevo a immaginare il contrario? L'ultima
immagine che ho di te è quella di un dannato codardo che
dopo essersi divertito
per bene con una ragazza, si accorge di non avere più alcun
motivo per tenerla
con sé e le volta le spalle mentre l'amico la riporta a
casa." proseguì
Mei, stanca. "Ma del resto non posso darti alcuna colpa, tu hai
semplicemente preso quel che ti veniva offerto… se non lo
prendevi da me,
l'avresti preso da qualcun'altra.
Ma hai
trovato la povera campagnola che si è concessa
così, dopo neanche dieci giorni
e quindi…"
Camus scosse la testa.
"Però, che gran considerazione hai per me e per la
nostra storia."
"Storia? Come dicono i ragazzi del villaggio, per te
è stata una botta e via."
"Nessuno conosce i nostri trascorsi meglio di noi. E
poi, come ti permetti a sminuire e calpestare quel che provo per te? La
mia non
è stata una scelta facile! Ti accorgerai presto, molto
presto, che le scelte di
un uomo nella mia posizione non sono mai
facili. E tu non hai alcun diritto di trattarmi come se fossi un gran
mucchio
di letame!" disse Camus, alzando involontariamente la voce che
s'incrinò
suo malgrado in più punti, prendendole il volto tra le mani
e guardandola
dritta negli occhi. "Oddio, come
siamo arrivati a questo?... è vero, sono furioso con te, avrei dovuto sapere della
gravidanza, avrei dovuto
e voluto prendere le mie
responsabilità e sono così arrabbiato che potrei
congelarti viva, ma non potrei
mai portarti via nostra figlia. Hai capito? Ci sarà un
momento nel quale
capirai tutto quanto, nel quale
capirai che ti ho amata, e ti amo, in una maniera inspiegabile a
parole, nel
quale capirai che la nostra storia per me è importante. E
forse sarà troppo
tardi, per entrambi."
"E che cosa avrei dovuto pensare? Sono stata male
per settimane intere, non facevo che pensare a te, a quelle parole... e
poi è
arrivata la gravidanza, non avevo nessuna idea sul da farsi e... non ti
ho
detto niente perché..."
La tirò a sé, stringendola.
"Tu parli così
perché non sai come sto senza te. Non puoi capire cosa vuol
dire svegliarmi la
mattina senza i tuoi occhi e senza la tua voce. Non puoi capire quanto
male fa
ogni tuo abbraccio o bacio mancato. Non lo sai quanto può
esser vuota una
giornata senza sentirti ridere. E' difficile. Ma è colpa
mia, perché non mi
basta pensarti, non sono bravo a vivere come prima, come quando non ti
conoscevo.
Perché sei tu,
è il tuo profumo
perché è il tuo
sorriso quello che mi manca. Io senza non
ce la faccio, e tu non puoi capirmi, lo so."
"Che cos'hai detto?"
Qualcosa che non poteva permettersi di provare.
*
"Camus, grazie al cielo sei tornato in tempo."
"...niente paura, non era mia intenzione disertare."
replicò,
ironico.
Milo sbuffò.
"Proprio il momento giusto per scherzare, eh. Ares
ha imposto il coprifuoco."
"Lui... cosa?!"
Gli spiegò che Ares aveva avuto informazioni in merito a
cinque bronze Saint diretti verso il Santuario e che, per ragioni di
sicurezza,
nessuno di loro era più autorizzato a lasciare le proprie
case.
"... e le ancelle sono state scortate fino a
Rodorio, alle loro abitazioni." concluse Milo.
"Sì, proprio
una gran rottura di palle." berciò DeathMask,
spegnendo la sigaretta
che stava fumando. "Così adesso mi toccherà
cucinare e stirare."
"...il che significa" interloquì qualcuno
"che voi tre dovreste essere nelle vostre case. Nessuno entra e nessuno
esce dal Santuario fino a nuovo ordine."
Tre paia d'occhi si posarono immediatamente sul soldato
che aveva parlato: uno sbarbatello che non doveva avere più
di quindici anni,
probabilmente una delle nuove reclute.
"Ehi, ragazzino. Con chi minchia
credi di parlare? Con tuo fratello?"
"Spero che le nuove reclute non siano tutte così
intraprendenti o al luogotenente di Ares toccherà
addestrarne a centinaia..."
mormorò Milo, quando vide DeathMask avvicinarsi alla
guardia.
Camus scosse la testa, avviandosi verso casa, cercando in
tutti i modi di ignorare il ragazzo che aveva iniziato a implorare
pietà.
"Dì qualcosa, parla. Non voglio sentire le urla che
seguiranno." disse a Milo, accelerando il passo. L'altro si
schiarì la
voce, raggiungendolo.
"Sei stato fuori tanto tempo, dove sei stato?"
"Secondo te?"
"Oh. E l'hai vista, dunque. Cos'hai fatto?"
"Le ho detto tutto quello che pensavo. Le ho
vomitato addosso tutta la rabbia che provavo, ogni cosa. L'ho
minacciata di
portarle via la bambina fino a farla piangere. Ecco che cos'ho fatto."
gli
rispose. "E so di aver sbagliato, non c'è bisogno che tu me
lo dica."
"E Mei?"
"Beh... mi ha risposto per le rime, almeno, fino a
un certo punto. Abbiamo parlato. Le ho detto che cosa provo esattamente
per lei
ma naturalmente non mi ha compreso, dato che ho parlato in francese. Ci
siamo
abbracciati. L'ho stretta un'ultima volta ed eccomi qua."
"Sento che c'è
qualcosa che non va, laggiù. Ares non è chi dice
di essere, quell'uomo nasconde
qualcosa. Stai attento."
"Qualunque
siano i tuoi dubbi, non farne mai parola con nessuno. Mai."
"Non dev'essere stato facile."
Ovviamente no. Nel giro di poco era passato attraverso
emozioni così contrastanti tra loro, che l'avevano svuotato.
Si sentiva molto
più che stanco.
"C'era anche suo fratello?"
Ora che ci pensava, non ricordava di averlo visto.
Conoscendolo, l'avrebbe sicuramente apostrofato, eppure nonostante il
Cosmo
attivo, di Shiryu neanche l'ombra: al Goro-Ho c'erano solo l'anziano
Dohko e le
due donne.
"...no. E spero che non sia tra i cinque che stanno
arrivando qui."
"Beh, almeno l'hai evitato."
Shiryu era il minore dei suoi problemi, a dirla tutta. Da
quella mattina il suo chiodo fisso era ciò che gli aveva
detto Ares, riguardo
al problema e cioè sua
figlia, sul
quale discutere.
"Milo, devo chiederti un favore."
"Dimmi."
"E' una cosa seria ed è di vitale importanza per me, e te lo
chiedo perché
non mi fido di nessuno, solo di te." mormorò Camus. "Ares ha
fatto
strane allusioni riguardo mia figlia. Se per qualche ragione non
dovessi essere
in grado di proteggere lei e sua madre, fallo tu al mio posto. Trova
loro un
posto sicuro per tenerle lontane da Ares. Fai qualunque cosa, ma non
lasciarle
nelle sue mani."
Milo non riusciva a spiegarsi il perché di tanto
interesse verso la bambina, tuttavia annuì.
"Certo. Con ogni mezzo, anche quelli illegali. Farò
tutto il possibile."
Nel silenzio inquietante di quella sera, denso di
tensione, Camus si trovò a vagare, silenzioso,
nell'undicesima casa, ancora una
volta in compagnia dei suoi pensieri.
Su cinquantadue bronze Saint quante possibilità c'erano che
tra i cinque in
arrivo ci fosse anche Shiryu?
Doveva sistemare un paio di faccende prima di affrontare
qualunque cosa, e Lixue e sua madre erano le più importanti
della lista.
***
Lady Aquaria's corner
Buon cielo quanto tempo è passato dall'ultimo capitolo...
dunque, spero di rimettermi in pari anche con la principale, ormai i
capitoli
da rivedere sono pochissimi, grazie al cielo.
Tornando a questo...
-Camus, mentre parla con Mei dei suoi ipotetici progetti,
si rivolge a sua figlia in francese, di proposito. Per stabilire un
primo
contatto privato con sua figlia, qualcosa che sia soltanto loro, e per
escludere volutamente Mei da quel momento.
Augurandomi che il mio francese sia quantomeno passabile,
le frasi che Camus dice alla figlia sono queste:
ma non
temere, piccola mia, non saranno tante // ma sicuramente non ne avrai,
perché
li scaccerò tutti // ti insegnerò il russo e
t'insegnerò a pattinare.
-Il Pu-Erh
è un
particolare tè dello Yunnan, dal gusto insolito.
-L'uppercut, o montante,
è un colpo del pugilato.
-L'orgoglio
annienta ogni cosa, aforisma attribuito a Madre Teresa.
-Non fare agli
altri ciò che non vuoi sia fatto a te: etica della
reciprocità, concetto
espresso praticamente in tutte le religioni, islam, cristianesimo,
confucianesimo,
antica Roma, antica Grecia...
-Le parole che Camus dice a Mei poco prima di tornare al
Santuario le ho trovate (e riadattate) da una nota su una pagina
Facebook che
però, al momento della stesura di queste note, non trovo
più. Qualora le
trovassi, editerò questa nota.
Mi scuso per il ritardo col quale rispondo alle
recensioni, ma il tempo è quel che è e
sicuramente la mia non è svogliatezza,
anzi. Vi ringrazio come sempre.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 25 *** If tomorrow never comes... ***
25 prequel
25.
If Tomorrow never comes...
…if my time
on earth were through
And she must
face this world without me
Is the love I
gave her in the past
Gonna be
enough to last
If tomorrow
never comes
[Ronan
Keating - If tomorrow never comes]
Il dolore ti
colpisce alle spalle a tradimento, senza preavviso. Si insinua dentro
come
un'infezione, contagia qualunque cosa incontra: i ricordi, i gesti, i
sorrisi.
Annienta ogni pensiero razionale, ti mozza il respiro.
Nell'esatto
istante
in cui avverte il suo Cosmo spegnersi, sente qualcosa spezzarsi dentro.
Aveva sempre
trovato sciocca quell'espressione, ogniqualvolta l'aveva trovata in un
romanzo
aveva richiuso il libro. Insomma, si
era detta, com'è possibile restare
in
vita anche dopo che qualcosa, probabilmente il cuore, si è
spezzato?
Eppure,
è
esattamente quello che aveva appena sentito.
Shunrei la
osservava dalla finestra della cucina. Piegata su sé stessa,
i capelli sparsi
tutt'intorno e le mani premute sulla testa, percepiva il suo dolore e
lo
comprendeva fin troppo bene. L'aveva provato non più di
un'ora prima, quando
Shiryu aveva affrontato il Saint di Capricorn e per qualche lunghissimo
momento, aveva creduto di averlo perso.
Quando
iniziarono
le urla, tormentate e disperate, serrò gli occhi, incapace a
muoversi.
**
Tredici ore prima...
Una volta,
durante una missione in estremo oriente, lui e Milo erano rimasti
coinvolti in
un terremoto. Ricordava bene quei momenti: si erano trovati in un parco
pubblico e d'un tratto gli animali si erano ammutoliti. Gli uccelli
sugli
alberi avevano smesso di cantare e i cani ai guinzagli dei loro padroni
si
erano accucciati terrorizzati, la coda tra le zampe.
C'erano
stati
interminabili secondi di un silenzio terrificante, segnato anche da un
cielo
dai toni innaturali, quindi gli uccelli erano volati via, mentre i cani
guaivano spaventati.
E allora
l'aveva sentito: un boato, forte e spaventoso. Un rombo che sulle prime
qualcuno aveva scambiato per un botto di capodanno, ma che poi si era
rivelato
per quel che era: il ruggito di un terremoto.
Dopo, la
terra aveva iniziato a tremare, istanti che l'avevano lasciato senza
fiato.
"Non hai mai sentito
un
terremoto?" gli
aveva domandato Milo, del tutto tranquillo.
No, era
stata
la prima volta e francamente, aveva sperato fosse anche l'ultima.
Il silenzio
che permeava l'intero Santuario quella mattina era inquietante allo
stesso modo.
Uscì
dall'undicesima casa, il corpo insolitamente imperlato di sudore e il
fiato che
si condensava in nuvolette nell'aria gelida di febbraio: a parte il suo
stesso
respiro, non si udiva nulla.
Istintivamente
guardò verso oriente.
"Spero
stiate
bene." pensò, sobbalzando quando, da Rodorio, gli giunsero
chiari e forti
i rintocchi delle campane.
Le sei del
mattino, il villaggio stava per svegliarsi come ogni giorno, nonostante
all'alba
mancasse ancora un po'; pescatori e fornai erano già al
lavoro e presto la
piazza centrale avrebbe accolto i banchi del mercato: un giorno
all'apparenza
come tutti gli altri.
Sento che
c'è qualcosa che non va,
laggiù. Stai attento.
Chiuse gli
occhi, continuando a pensare alla sua famiglia, a migliaia di
chilometri di
distanza.
Famiglia.
Quando aveva
scoperto dell'esistenza di sua figlia, si era illuso di poter gettare
il
passato alle spalle, lasciarlo lì dov'era e ricominciare da
capo, prendere
Lixue e sua madre e portarle con sé in Francia, vivere come
una famiglia.
Illuso.
"Abbi
cura di te e di nostra figlia." mormorò al vento, prima di
rientrare in
casa.
"Ti sento
inquieta. Ti va di parlarne?"
Mei
rimestò
la zuppa nella pentola, prima di rispondere a Dohko.
"Ho un
brutto presentimento, Maestro."
Una
sensazione opprimente al petto che l'aveva colta da quando si era
alzata e che
pareva acuirsi di ora in ora.
"È
per
tuo fratello?"
A dirla tutta Shiryu era l'ultimo dei suoi pensieri.
"Non
proprio."
"Oh, non
preoccuparti per Camus: lui sa il fatto suo. Qualunque cosa succeda, sa
badare
a sé stesso."
"Ne sono
certa."
"Shiryu
è andato in Grecia insieme ai suoi compagni, e il loro
atterraggio dovrebbe
avvenire a momenti: entro poche ore dovrebbero trovarsi a cospetto del
Grande
Sacerdote insieme a Lady Kido."
Sempre se ci arrivano.
"Non
sarà facile." proruppe Mei, dopo qualche minuto di silenzio.
"No, per
niente." convenne Dohko. "Quest'oggi sarà una giornata
molto, molto
lunga e soprattutto molto dura."
"Sì."
annuì Mei. "E io dovrei essere laggiù, non qui."
Dohko scosse la testa.
"No. Tu sei qui perché Camus
vuole che tu
sia al sicuro." la redarguì, in un tono che Mei non aveva
mai sentito
prima. "Quindi, prima che tu possa fare qualche passo falso, come
cercare
di raggiungere il Santuario e mettere entrambi in una situazione
spiacevole,
pensaci bene."
Non rispose
e
aiutò Shunrei ad apparecchiare tavola, salvo poi
allontanarsi con una scusa preferendo
chiudersi nella Stanza degli Avi insieme a Lixue.
Qualunque
cosa avrebbe fatto, niente l'avrebbe distratta da quanto stava per
accadere a
migliaia di chilometri lontano; avvertiva distintamente i Cosmi di suo
fratello
e dei suoi amici –a quell'ora ormai atterrati in terra
greca-, quello di Milo
all'ottava casa e quello insolitamente inquieto di Camus,
all'undicesima.
Riusciva persino a immaginarlo, chiuso nel suo studio ma soprattutto
chiuso in
sé stesso, a rimuginare.
Ciò
che la
agitò di più furono i movimenti poco chiari e
concitati che avvertiva, seppur a
malapena, al tredicesimo tempio.
Accese gli
incensi e s'inchinò di fronte al piccolo altare, iniziando a
pregare qualunque
divinità e qualunque antenato all'ascolto.
Stai attento, ti
prego.
Nelle sue
stanze, Camus trascorse le successive due ore a metter via tutta una
serie di
oggetti che avrebbe affidato a Mei: gli oggetti che le aveva donato e
che quel giorno lei aveva
volutamente
dimenticato, fotografie, documenti importanti e istruzioni che le
sarebbero servite,
qualora avesse perduto la vita e di conseguenza essere impossibilitato
a
proteggerla.
Giorni prima
avrebbe dovuto spiegarle tante cose e istruirla sul da farsi, ma la
rabbia e
l'amarezza gli avevano offuscato il pensiero al punto da dimenticarsene
e ora era
pentito di essersi lasciato sopraffare da quei sentimenti negativi.
Il segnale
d'allarme dal tredicesimo tempio giunse improvviso e fin troppo chiaro,
e Camus
avvertì il cuore accelerare: aveva ancora disperatamente
bisogno di tempo. Sistemata
la cassetta in un luogo sicuro, ripose la chiave nel suo studio e
indossò la
sua armatura.
"Sono già
arrivati?" domandò
mentalmente a Milo, prestando
attenzione a ogni singolo movimento all'interno del Santuario.
"Sì, Ares
ha inviato qualcuno ad
accoglierli."
Un Silver
Saint, a giudicare dall'emanazione del suo Cosmo. Cinque persone erano
giunte
ai cancelli del Santuario: una ragazza e quattro modesti Bronze Saints.
"Bene. Occhi aperti,
Milo."
"Camus... tra di
loro c'è-"
"Lo so, l'ho
sentito. Me ne occuperò
a tempo debito."
"E c'è
anche Shiryu."
Difficile
non
accorgersene, ma del resto, era una possibilità che aveva
già preso in
considerazione.
"So anche questo."
"...che Athena vegli
sul tuo
cammino." concluse
Milo dopo pochi istanti di silenzio.
"E sul tuo, amico
mio." lo
congedò Camus, interrompendo la
comunicazione. "Che Athena vegli su tutti noi."
Maledizione, Hyoga.
Che diamine ci fai
qui?
*
Prima ora,
Ariete.
I minuti
precedenti la prima casa erano stati frenetici, e non aveva compreso
nulla di
quanto accaduto a migliaia di chilometri di distanza. Shiryu stava
bene? Stava
procedendo tutto per il meglio? Avevano già incontrato
l'emissario mandato da
Ares?
Già,
Ares.
Quell'uomo
continuava a non convincerla, non era realmente chi cercava di
apparire, c'era
qualcosa di sottilmente pericoloso in lui, che non riusciva a
spiegarsi.
L'unica cosa
certa era che suo fratello e i suoi amici erano finiti dritti nella
tana del
leone, come agnelli mandati a morire.
"Dovrebbero
aver già iniziato, ma io non sento niente."
Scacciò
quei
pensieri e tornò in sé, prestando attenzione a
Shunrei.
"Neanche
io." tagliò corto, cercando di concentrarsi su quanto stava
succedendo;
sapeva che la casa di Aquarius era ancora lontana, ma...
"Tu li
conosci da vicino. Che poteri hanno? Rappresentano una minaccia?"
domandò
Shunrei.
Qualcuno
forse no, ma si trattava di due di loro, forse tre. Dalla prima casa
non
sentiva nulla, tutto taceva: con molta probabilità, Mu li
stava aiutando.
"Io ho
conosciuto i ragazzi dietro le armature, non i guerrieri. E non hanno
mai fatto
cenno ai loro poteri, né io ho avanzato questioni in merito.
In ogni caso, la
tua è una domanda generale o vuoi sapere di qualcuno in
particolar modo?"
volle sapere.
Shunrei si
torse le mani.
"Camus
rappresenta una minaccia?" sussurrò.
Lui no. Non
per Shiryu almeno.
"No,
ma..." esordì dopo qualche istante, scegliendo con cura le
parole.
"...non tutti sono come Mu, sai. Probabilmente riceveranno un aiuto
anche
da Aldebaran, ma dalla terza casa in poi, beh...sono Gold Saints,
possiedono un
potere tale che non possiamo immaginare quanto esso sia vasto e
potente. Si
spostano alla velocità della luce, pensa di quali altri
prodigi potrebbero
essere capaci."
E se erano
forti quanto i loro predecessori, c'era ben poco da scherzare.
"Sì,
ma
poi ci sarebbe Aiolia, lui..."
Aiolia era diverso già
da qualche
giorno, aveva sentito una sorta di profondo, radicale cambiamento in
lui: non
era più il ragazzo che l'aveva aiutata durante il parto
insieme ad Aphrodite,
ma decise di tacere e di lasciare che Shunrei si crogiolasse nella sua
infinita
speranza.
"Già,
è
vero...quasi mi ero dimenticata di lui." le fece un sorriso finto,
sperando di essere convincente.
Mu e
Aldebaran li avrebbero aiutati, sicuramente anche Dohko in qualche
modo. Ma i
restanti, soprattutto DeathMask e Shaka, alla sesta casa, avrebbero
costituito un
ostacolo più che pericoloso. Avrebbe potuto succedere di
tutto, in quelle case:
forse, non avrebbero nemmeno fatto in tempo a raggiungere la casa della
Bilancia.
Seconda ora,
Toro e terza, Gemelli.
Il Cosmo
attivo e all'erta, l'armatura indosso, Camus si sedette alla sua
scrivania,
afferrando un libro, un tagliacarte e dei fogli. Era un azzardo
scrivere delle
lettere, dopotutto non sapeva nemmeno se Mei avrebbe avuto
l'opportunità di
leggerle, ma si accorse che non poteva non lasciarle qualcosa, a parte
quella
cassetta opportunamente nascosta.
Doveva
sapere.
Aveva il
diritto di conoscere il perché di quella decisione e quanto
gli era costato
prenderla, doveva sapere che la sua sola intenzione era stata
–ed era- quella
di proteggerla nonostante l'avesse perduta per sempre.
Poggiò
il
pennino della stilografica sul foglio e prese un gran respiro,
lasciando fluire
sulla carta tutto ciò che avrebbe voluto dirle di persona.
Mia... amata? adorata? cara,
se stai leggendo queste parole significa che hai capito il senso delle
frasi
che ti ho lasciato sul cassettone. Le avrebbe lasciato degli
indizi per
condurla a quelle lettere, troppo personali da poter essere lasciate in
giro. Spero anzitutto di aver sufficiente
tempo
per scrivere tutto ciò che ho bisogno di dirti,
perché sento tuo fratello e i
suoi amici uscire dalla prima casa e a questo punto potrebbe succedere
qualunque cosa.
L'ultima volta ci
siamo lasciati in malo
modo, pieni di rancore e parole non dette, trasportati da sentimenti
più forti
della ragione. Ti prego di perdonarmi per ciò che ti ho
detto l'altro giorno. Avrei
preferito un altro finale per noi, ma spesso
nelle nostre vite, le cose non vanno come desideriamo.
Si
fermò un istante
non appena avvertì l'oscillazione nel Cosmo di Aldebaran e
quello di Seiya e
compagni, probabilmente scaraventati da qualche parte dall'onda d'urto
del suo
vigoroso parigrado.
Okay, prima le cose
più importanti. Sul
dorso del libro dove hai trovato queste carte dovresti aver trovato una
chiave:
apre una scatola che ho provveduto a nascondere –in maniera
sciocca e forse un
po' azzardata- nel piccolo gazebo in giardino, dietro una delle grate
della
struttura. Degél mi odierà per aver usato
qualcosa di suo per i miei scopi
personali, ma è un posto sicuro, o almeno spero. Ti ho
lasciato delle
istruzioni al suo interno, se Ares sopravvive a tutto questo, vorrei
che tu le
seguissi. Milo ti darà una mano, puoi fidarti ciecamente di
lui.
Si
alzò,
prendendo a camminare avanti e indietro per la stanza, pensieroso: in
condizioni normali, non sarebbe mai ricorso a mezzi quasi illegali, ma
c'era la
sua famiglia di mezzo. Ripensò alla cassetta nascosta in
giardino: era davvero
un posto sicuro? Insomma, in certi casi i nascondigli più
comuni non erano
l'armadio, o il bagno, o sotto il letto? A chi sarebbe venuto in mente
di
occultare qualcosa all'aperto, in pieno inverno?
Calmati,
così peggiori solo le cose.
Tornò a sedersi dopo lunghi istanti nei quali aveva cercato
di captare qualcosa
dei cinque ragazzi fermi diverse case più in giù.
Ancora lontani, ma allo
stesso tempo troppo, troppo vicini.
...non ho risposte,
io stesso fatico a
comprendere il disegno dietro tutto questo. Non ti ho allontanata per
mancanza
d'amore, ma perché al contrario ti amavo (e ti amo) troppo
per poterti
permettere di fare una scelta che ti avrebbe lacerata. Se ti avessi
confessato
ogni cosa e tu fossi rimasta, a quest'ora saremmo stati insieme, ma...
a quale
prezzo? Non potevo permetterti di scegliere tra me e tuo fratello. So
già quali
saranno le tue obiezioni quando leggerai, ti conosco, ma sistemarti al
villaggio insieme alle ancelle, sapendoti qui vicino e quindi in
pericolo,
avrebbe peggiorato tutto. L'amore è una distrazione e una
debolezza, per quelli
come me, e adesso capisco perché nessun Saint, né
ora né nelle epoche passate,
ha mai preso moglie: troppe distrazioni, troppe debolezze. Troppo da
perdere.
Ecco un'altra di
quelle scelte difficili
delle quali ti parlai tempo fa, ricordi?
Tu sei il mio punto
debole, Mei. Se ti
succedesse qualcosa, non me lo perdonerei mai.
Sciocco
sentimentale. Aveva sempre spinto i suoi allievi a lasciarsi tutto alle
spalle
in battaglia, di non lasciarsi distrarre, eppure era il primo a
infrangere le
sue stesse regole. Mei ormai era troppo radicata in lui per poterla
estirpare.
Era la sua debolezza e probabilmente sarebbe stata anche la sua fine.
Tu mi hai distrutto.
Anni spesi a
difendermi dietro cortine di freddo e tu, in poco tempo, hai distrutto
il lavoro
di tutta una vita con ogni parola, ogni sorriso, ogni minimo gesto.
Con quel pomeriggio.
Dietro la cascata mi hai spogliato di ogni difesa e di qualunque
maschera
costruita ad arte, mi hai lasciato nudo e inerme. Ero solo io, e per
quanto
insignificante, hai amato me, non il guerriero. Tra le tue braccia ho
scoperto
un porto sicuro, un posto felice, nel quale ho trovato riparo e calore
e che mi
è costato -ti supplico di credermi- abbandonare e sprangare
per tornare al gelo
che mi circonda da sempre.
Ti
sembrerò uno sciocco sentimentale,
ora, e probabilmente non mi crederai ma io ho ancora bisogno di te,
esattamente
come ho bisogno dell'aria che respiro.
"No,
questo forse non dovevo scriverlo." sospirò, conscio di
essersi esposto
come non mai. Riusciva persino a capire come doveva sentirsi un
paziente in
sala operatoria durante un'operazione a cuore aperto: nudo e totalmente
esposto
alla mercé dei medici.
Guardò
i
fogli che aveva riempito con la sua calligrafia sottile e fitta,
decidendo di
lasciare tutto così come l'aveva scritto, restando nudo e
totalmente esposto
alla mercé di Mei.
Guardò
rapidamente fuori, accorgendosi che la seconda ora era passata da un
bel pezzo.
Sentì Milo avvicinarsi e decise di uscire.
Ares non
è chi dice di essere, quell'uomo
nasconde qualcosa.
La corsa di
Shiryu e dei suoi compagni pareva essersi bloccata alla terza casa.
Sentiva un
Cosmo al suo interno, eppure il Saint di Gemini latitava da tempo.
"Sarà
un
miracolo se sopravvivono alla sesta casa." esordì Milo,
fermo dinanzi l'atrio
dell'undicesima casa. "Comunque, hai sentito anche tu quel Cosmo alla
terza?"
"Difficile
non sentirlo." rispose Camus. "Tu piuttosto, non dovresti essere tre
case più in giù, in questo momento?"
Milo
notò
solo allora che cosa stesse facendo l'amico.
"Perdiana,
anche io dovrei fare testamento, anche se non ho molto da offrire ai
posteri."
lo prese in giro. "Oppure che cosa sono, le tue memorie?"
"Né
l'uno né l'altro." tagliò corto Camus.
Non si
offese
di fronte alla reticenza dell'amico, tuttavia decise di concentrarsi un
po' sul
conflitto in atto da Gemini.
"Per
essere ragazzini, non sono niente male." esordì diversi
minuti dopo.
"Alla prima e seconda casa si sono ammorbiditi, ma contro gli altri
parigrado? Contro di noi? Cosa potranno mai fare?"
"Sottovalutare
un avversario è un grave errore." lo redarguì
Camus. "Saranno anche
dei ragazzini e dei modesti Bronze, ma non è il metallo
dell'armatura che
determina il valore di un uomo in battaglia."
"Allora
sarò ben felice di testare il loro valore, se riusciranno a
superare
Shaka." ridacchiò Milo.
"Fa'
ciò
che vuoi, ma fai attenzione a chi
metterai
alla prova."
"Stai
tranquillo, so che Hyoga l'hai addestrato per bene, non mi piace l'idea
di
avere a che fare con le sue trappole di ghiaccio."
"Ti
converrà farlo, se non vuoi incappare nella mia ira."
Gli
scoccò un
ghigno in risposta.
"Hai
sentito? Si sono divisi. Pare che due siano usciti mentre due siano
rimasti
intrappolati nelle illusioni di Gemini."
Shiryu era
uscito, Hyoga era rimasto.
"Dannazione." si ritrovò a
mugugnare.
"Oh, e
di che ti preoccupi? Ricorda chi c'è ad attendere lui e
Seiya: ne vedremo delle
belle."
"DeathMask
lo massacrerà." sospirò Camus. "E non mi sembra
un buon motivo per
sorridere."
Due boati
improvvisi, a distanza ravvicinata. Un Cosmo estraneo. Un terzo boato,
che,
letteralmente, parve scuotere il Santuario intero.
"Qualcuno
sta giocando con i varchi dimensionali. Credo che sia il caso di
tornare alle
proprie postazioni." commentò Milo, alzandosi prima di
correre di gran
lena all'ottava casa.
Già.
Ripose di
corsa carte e penna nello studio e tornò fuori,
concentrandosi su quella debole
scintilla di Cosmo che prima aveva solo percepito e che ora sentiva
molto più
vicina.
Seppur
azzardata, prese una certa decisione.
"Hai
lasciato la tua casa?!"
"A
quanto pare."
"Non dirmi che sei diretto alla settima."
"Non te lo dirò."
Milo non
tentò di fermarlo o di trattenerlo, tuttavia, avendo
riconosciuto il Cosmo
appena arrivato alla settima casa, temeva ciò che sarebbe
potuto succedere e le
ripercussioni che avrebbe avuto la psiche di Camus.
"Hyoga." disse soltanto.
"Hyoga."
"Tenterai
di dissuaderlo da un'impresa impossibile?"
"No,
anche perché lo conosco come le mie tasche, è
testardo come un mulo e nessuno
riuscirebbe a convincerlo a rinunciare. Nemmeno io."
"Dunque tenterai di fermarlo prima che possa arrivare da me?"
sogghignò Milo.
"Da te o
da Shura o Aphrodite." lo corresse Camus.
"Oh,
capisco. Per te sarà come bere un bicchier d'acqua, lo
sconfiggerai senz'ombra
di dubbio." commentò Milo. "Non fargli troppo male."
Camus
s'infilò l'elmo.
"Ho
addestrato io quel ragazzo, so di che cosa è capace e non lo
sottovaluto perché
ho insegnato egregiamente. Non
sarà
un gioco da ragazzi, perché si batterà fino alla
morte." rispose, prima di
uscire dall'ottava casa.
Varcò
la
soglia di Libra nel silenzio assoluto, interrotto dal suono ritmico dei
propri
passi e da un tonfo nella sala principale. Ancora immerso nel buio dei
corridoi
mal illuminati della settima casa, guardò Hyoga rialzarsi e
guardarsi interrogativo
intorno.
"Sono
riuscito a uscire dall'altra dimensione... ma dove mi trovo?
Sembrerebbe una
delle dodici case..."
Che intuito, pensò,
prima di muovere qualche passo
ed esporsi alla luce che il lucernario lasciava filtrare. Hyoga gli
dedicò immediatamente
attenzione, sgranando gli occhi dalla sorpresa.
"Maestro!"
"È
da
tanto tempo che non ci vediamo, Hyoga." esordì. "Ho sperato
fino
all'ultimo di non vederti, oggi."
Il ragazzo
corrugò la fronte, senza sapere che cosa rispondergli.
Replicò con una domanda.
"Siamo
all'undicesima casa?"
"No, la
mia è più avanti. Questa è la settima,
la casa della Bilancia."
"La casa
del vecchio maestro di Shiryu."
"Già.
Ma
come saprai, lui non si sposta dal Goro-Ho da lungo tempo, il che
significa che
questo luogo è incustodito."
"E
perché vi trovate qui?" gli domandò Hyoga,
diretto.
"Per fermarti."
Quarta ora,
Cancro.
Sapeva
quanto
doveva essergli costato quel gesto. Nonostante percepisse il Cosmo di
Camus
fulgido e vigoroso, come se nell'ultima mezz'ora non avesse affrontato
nessuno,
avvertiva anche l'alone di rammarico e tristezza dietro quella calma
apparente.
So che non volevi
farlo, non darti colpe.
Stava bene,
ed era la sola cosa che contava in quel momento. Smosse le ceneri
nell'incensiere e scese dabbasso, un poco più tranquilla di
quando si era
chiusa in quella stanza, trovando Shunrei e il Maestro: a quanto
pareva, le
abitudini di tutti, quel giorno, erano passate in secondo piano.
"Prima
hai detto che Camus non costituisce una minaccia, ma hai sentito il suo
Cosmo?"
Diamine
sì,
se l'aveva sentito.
"Fa parte
della schiera più forte dei Saints di Athena, è
naturale che il suo Cosmo sia
forte." minimizzò, trattenendosi dal ricordarle che Camus,
in quel
frangente, era l'ultimo dei suoi problemi. "Ti ho detto che Camus non
è
una minaccia per Shiryu, ed è vero. Il suo obiettivo
è il suo allievo, quindi
non attaccherà nessun altro a meno che, ovviamente, non sia
costretto."
"Se
dovesse farlo..."
"Ci
porremo il problema se e quando questo si presenterà: nel
frattempo non fasciarti
la testa prima di essertela rotta." replicò Mei, dedicandosi
poi ad
allattare Lixue.
Ammesso che riesca
ad arrivarci,
all'undicesima casa.
Come se
Dohko
le avesse appena letto nel pensiero, si schiarì la voce,
prorompendo poi in un
lamento.
"La mia
povera, vecchia schiena." sospirò. "Shunrei, cara, saresti
così
gentile da andare a prendermi il cuscino che ho lasciato in camera?"
Gentile come
sempre, Shunrei si alzò senza fare una piega, lasciando i
due soli.
"Credo
di aver messo Shiryu nei guai." mormorò Mei a bassissima
voce, sperando
che Shunrei non la sentisse.
"In che
modo?"
Tu non vali nemmeno
la metà di quel che
vale mio fratello! Non tollero simili paragoni da un uomo che ha
attaccato a
quel modo un guerriero di casta più bassa e che voleva
obbligare un uomo
anziano a seguirlo con la forza. Fai male a sottovalutare Shiryu: prima
o poi
sarà lui a finire il lavoro con te!!
Gli
raccontò
di quando, mesi prima, aveva risposto a tono a DeathMask nel difendere
Shiryu.
E adesso che suo fratello aveva spronato Seiya a proseguire verso il
Leone
restando solo a fronteggiarlo, si sentiva responsabile di qualcosa.
"Credo
che dovresti seguire il consiglio che hai dato a Shunrei poco fa e
concedere a
tuo fratello un po' di fiducia senza fermarti alle apparenze. Shiryu e
i suoi
amici hanno Athena in persona dalla loro parte, perciò
smetti di
preoccuparti."
Più
facile a
dirsi che a farsi.
Come aveva
intuito già nel momento in cui, senza troppa fatica, aveva
spedito Shiryu nella
cascata, DeathMask era un avversario da non sottovalutare.
Capì che da quello
scontro solo uno ne sarebbe uscito vivo.
Shiryu, non deludermi.
La furia
omicida di DeathMask e la straordinaria bravura con la quale egli la
utilizzava
si scatenò non appena decise di fare sul serio. Le sembrava
di trovarselo
ancora di fronte agli occhi, con la sua risata demoniaca e il suo
ghigno, mentre
fronteggiava Shiryu come mesi prima, lì al Goro-Ho, ma
questa volta nessuno
sarebbe intervenuto in difesa di suo fratello.
Shunrei
corse
fuori dalla pagoda non appena fu chiaro che Shiryu era in pericolo,
ignorando
le proteste di Dohko e Mei.
Farò
anche io così? si
domandò, anche io dovrò
pregare per la sua salvezza?
Eppure non
ce
n'era alcun bisogno, aveva già sentito di cosa era capace.
Hyoga aveva superato
i compagni per caso e ora sarebbe rimasto nella casa di Libra in quel
sarcofago
di ghiaccio, i suoi compagni con molta probabilità non
avrebbero superato la
sesta casa... che motivo c'era di preoccuparsi?
Andava tutto bene.
Quinta ora,
Leone e Sesta, Vergine.
"Si
stanno avvicinando, dovresti tornare ai tuoi alloggiamenti."
"Sono da
Aiolia, ne avranno per un po'. E poi, comunque, ricordati che devono
passare
per la sesta casa prima di arrivare da me, e beh, non credo che per
loro sarà
facile." minimizzò Milo. "Hai sentito di Shiryu?"
A quanto
pareva, il giovane dragone aveva sconfitto DeathMask: tutti avevano
sentito il
loro parigrado scomparire nell'aldilà senza fare ritorno tra
i vivi, tirato giù
a forza dalle stesse anime che lui aveva ucciso.
"Eccome,
e la cosa non mi stupisce." replicò. "Ma DeathMask avrebbe
dovuto
aspettarselo, dato che ha avuto la bella idea di mettere in mezzo la
ragazzina."
"Sì.
Un
Cosmo davvero potente, quel ragazzo è pieno di sorprese, e
io che pensavo che
la sua fosse solo boria."
"Vorrei
vedere te al suo posto, se sentissi che la persona che detesti di
più al mondo
sta per uccidere la tua donna." sbottò Camus.
"Quando
ho percepito i suoi poteri farsi strada fino in Cina, ho temuto potesse
colpire
anche Mei e vostra figlia."
"Non
l'ha fatto perché mi conosce abbastanza bene da sapere come
avrei reagito. Il
dolore che hai patito quel giorno a Kobotec quando stavi per morire
assiderato,
te lo garantisco, sarebbe stato nulla in confronto a quello che avrei
inflitto
a lui. E non sarei stato misericordioso come Shiryu."
Milo rimase
stupito per la veemenza e per la rabbia con la quale aveva risposto, e
per la
strana luce nei suoi occhi blu.
"Come
stai?"
Camus si
appoggiò alla colonna dietro di sé.
"Come
vuoi che stia? Ho perso Isaak, ho perso mia figlia e ora ho perso anche
Hyoga." mormorò, stanco. Il primo, perso anni prima in
Siberia, sua
figlia, creatura amata che aveva conosciuto tardi e che probabilmente
non
avrebbe mai più rivisto e Hyoga, che
aveva preferito mettere
fuori gioco per non permettere ad alcun parigrado di affrontarlo e
ucciderlo.
Il Cosmo di
Aiolia ebbe un picco incredibile e si voltarono entrambi verso la
quinta casa,
stupiti: se non si ricordavano male, Aiolia aveva in simpatia Seiya,
più di una
volta era intervenuto in suo favore e comunque, essendo allievo di
Marin,
difficilmente avrebbe alzato un dito contro di lui.
"Comincio
seriamente a non capirci più nulla." borbottò
Milo.
"Benvenuto
nel club." rispose Camus,
distrattamente.
"Insomma...
ho sempre creduto che Aiolia avesse in simpatia il giovane Seiya, anche
perché
allievo di Marin... l'ha aiutato più volte e ora lo sta
affrontando senza
pietà. Senti il suo Cosmo?"
"Difficilmente
un uomo cambia così radicalmente nel giro di poco tempo,
dev'essere successo
qualcosa. Qualcuno con forti poteri psichici deve avergli fatto il
lavaggio del
cervello, non c'è altra spiegazione."
"Non sono in
molti qui a possedere poteri di questo
genere... hai dei sospetti?"
Qualunque siano i
tuoi dubbi, non farne
mai parola con nessuno. Mai.
Seguendo il proprio consiglio, decise di tacere a riguardo.
"Ma no, direi piuttosto delle sensazioni. Molte cose non sono come
sembrano."
Tante,
troppe
cose non andavano per il verso giusto, ma era meglio tacere e non
esternare a
nessuno, nemmeno a Milo, quelli che erano dubbi o sospetti. Se certe
cose
fossero trapelate e arrivate alle orecchie sbagliate, avrebbe passato
dei guai
seri, e probabilmente Mei con lui. Per quanto avesse fatto il possibile
per
allontanarla e tenerla fuori da certe faccende, era comunque coinvolta.
Dovesse finire nei guai per me non me lo
perdonerei mai.
Nel silenzio
che seguì, Milo si accese una sigaretta, decidendo di
seguire lo scontro in
atto alla quinta casa.
"Improvvisamente
sei silenzioso." notò Camus, una decina di minuti dopo. Si
accese la
sigaretta che Milo gli aveva offerto poco prima e
giocherellò con l'accendino.
"È per il giovane spasimante di Shaina?"
"Il cosa?"
"Cassios,
l'allievo di Shaina."
"So chi è." rispose Milo, brusco.
"Non
prendertela con me, al Santuario tutti sanno che ha una cotta per lei.
O forse
dovevo dire quasi tutti."
"Beh, tanto
lei non ricambia."
La sua
sicurezza lo divertì.
"Che ne
sai?"
"...perché il mio istinto dice che ha apprezzato, e anche
molto, ciò che
ha visto tempo fa."
Camus fece
mente locale, corrugando la fronte e aspirando dalla sigaretta. Quando
ricordò,
scoppiò a ridere.
"Parli della
serenata che le hai fatto nel cuore della
notte, nudo come un verme?"
Milo
roteò gli occhi.
"Oddio...
intanto stava albeggiando e non era in piena notte, poi non ero nudo.
Quando
sono uscito di casa, ero vestito."
"E nel
tragitto dall'ottava casa al gineceo hai inavvertitamente perso i
vestiti,
mutande comprese?"
"Ero brillo e avevo intenzione di dichiararmi."
"D'accordo,
ma potevi almeno aspettare ancora un po' prima di mostrarle la
mercanzia."
ridacchiò. "Certe trattative si portano a termine con calma
e
pazienza."
"E tu
quanto hai pazientato?"
Camus fece
mente locale.
"Una
settimana, ma in mia difesa posso dirti che nel mio caso gli eventi
hanno preso una piega diversa da quella prevista."
"Ma non
ti sei tirato indietro."
"No. E
sono felice di non averlo fatto."
Ammutolirono
quando si accorsero della morte di Cassios, incapaci di credere che
Aiolia
avesse sul serio ucciso a sangue freddo quel ragazzo dalle
capacità palesemente
inferiori alle sue. Il giovane non era mai stato un esempio di
simpatia, ma a
detta di Shaina, gentile e premuroso, a modo suo.
"A
questo punto non mi resta che darti ragione." mormorò Milo.
"Non
volevo aver ragione, amico mio. Preferivo sbagliarmi, credimi."
Milo rimase ancora un po' in sua compagnia, attento alle mosse del loro
parigrado e valutando i tre sventurati che, per fortuna o per
chissà che altro,
erano giunti, contro ogni aspettativa, fino alla sesta casa. Decise che
Shiryu,
per quanto irritante, era un discreto stratega e che Seiya aveva fegato
da
vendere, soprattutto per il modo in cui aveva spinto Shaka a rivolgere
loro
attenzione. Shun era il più calmo dei tre ma sapeva che
erano proprio le
persone più calme a riservare le sorprese più
inattese.
"Ah,
però." proruppe parecchio dopo, distraendo Camus dai propri
pensieri.
"Avevo udito delle voci riguardo il giovane Andromeda, sapevo che non
era
così calmo e pacato come appare, ma la realtà
supera qualunque immaginazione.
Ha appena tirato fuori l'asso vincente."
"Parli
di suo fratello? Ho sentito molto sul suo conto: ha vissuto l'inferno
durante
l'addestramento e ne è uscito vivo. A differenza di suo
fratello ha un
carattere duro, difficile e molti stentano a credere che siano
fratelli. È lui
la vera sorpresa dello scontro, non Shun."
Mei
seguì gli
scontri alla sesta casa con apprensione: se nemmeno Shaka era in grado
di
bloccare l'ascesa dei tre Bronze, gli eventi sarebbero precipitati
sicuramente.
I tre, Shiryu compreso, avrebbero raggiunto più velocemente
l'undicesima casa
e, di conseguenza, la loro meta, due templi dopo. Gli unici ostacoli
che
sarebbero rimasti tra loro e Camus sarebbero stati Milo e Shura, ma a
quel
punto, chissà che cosa sarebbe potuto succedere.
Degél la vegliò a lungo, preda dei sensi di colpa
che provava nei suoi
confronti: nulla l'avrebbe preparata a quanto sarebbe successo entro
poche ore
e lui poteva fare ben poco per alleviare il suo dolore.
Rimase in silenzio senza palesarsi, ascoltando le sue preghiere
–dirette a
Shaka, affinché facesse il suo dovere senza fallire- e,
più tardi, le sue
maledizioni –dirette a Shiryu, reo di aver liberato Hyoga dal
feretro di
ghiaccio del suo successore-.
Semplicemente,
gli eventi stavano facendo il loro corso così come lui li
conosceva. Dirle la
verità, tuttavia, avrebbe scatenato una serie di reazioni
tali da sconvolgerli
in modi che non poteva e voleva immaginare.
Serrò
la
lingua dietro i denti, implorando silenzioso il perdono della ragazza
che,
inginocchiata, pregava per la sorte già decisa del suo amato.
Ottava ora.
Scorpione.
Non aveva pensato a quell'opportunità. Il pensiero che
avrebbero potuto utilizzare
le armi della Bilancia per liberare Hyoga non l'aveva nemmeno sfiorato,
eppure
capì che non era solo grazie alla spada che Shiryu aveva
aiutato l'amico, era
soprattutto grazie al suo Cosmo, che dallo scontro alla quarta casa si
era come
rafforzato, anche per merito di DeathMask e delle sue geniali
idee.
"Stolto."
borbottò. A Shiryu, o a
sé stesso?
Scandagliò
attentamente la situazione, sentendo Shun fermo alla settima casa e
Seiya e
Shiryu nell'ottava, dove Milo ancora non si era palesato, forse in
procinto di
preparare una teatrale entrata in scena.
Si
appoggiò al
parapetto, scorgendo l'ottava casa tre templi più
giù e aspettando la mossa
dello scorpione: da quella distanza riusciva chiaramente a percepire
gli stati
d'animo dei due giovani preoccupati per Shun che, a quanto pareva, era
intenzionato a usare il proprio Cosmo per salvare Hyoga
dall'assideramento.
"...come Andromeda
nel mito, Shun
finirà col sacrificarsi."
"Allora torniamo
indietro, prima che sia troppo tardi."
Ed eccola,
la mossa di Milo.
Riattivò
il Cosmo, bloccando i due prima di palesarsi.
"Eh no. Volete farmi
questo sgarbo? Uscire dall'ottava casa senza salutarne il custode?"
Milo
avanzò
lentamente dall'oscurità dell'ottava casa, concedendosi
tutto il tempo del
mondo per osservare i suoi avversari parlottare tra loro: il giovane
allievo di
Marin, dal temperamento testardo e focoso, quindi Shiryu,
più mite e assennato.
"Shaka aveva ragione, non avete nemmeno un briciolo di buona
educazione.
Ma non posso non notare la vostra intelligenza: Shiryu ha detto bene,
non vi
lascerò tornare indietro, ma allo stesso tempo, non vi
lascerò andare avanti. Ora
che siete nella mia casa, dove diavolo credete di andare?"
Senza dar
loro il tempo di replicare, li immobilizzò qualche minuto
con il restrinction, il suo colpo
meno potente.
Non era Camus, pur volendo bene a Mei non si sarebbe lasciato
sconfiggere da
Shiryu. Decise che avrebbe dato loro l'opportunità di
arrendersi e andar via,
piuttosto che passare direttamente alle maniere forti.
"Non
riesco a muovermi! Lo scorpione immobilizza la preda prima di iniettare
il
veleno mortale!" sussurrò Seiya.
"Di
questo passo verremo sconfitti."
"Ma tua
sorella non ti ha detto niente?"
"No."
Su quello,
ricordò Shiryu, era stata molto, molto stringata. Per quanto
ne sapeva, Mei
poteva conoscere tutti i loro segreti, i loro colpi, i loro poteri. Ma
con lui
non ne aveva fatto parola.
"Certo
che no." interloquì Milo. "Se conosco tua sorella, e la
conosco, sono
certo che non sia una spia. Perciò mi spiace per voi,
nessuna informazione
riguardo ciò che so fare, lo scoprirete nel corso del
combattimento. E non
credere nemmeno per un secondo di poterti giocare quella carta:
l'essere
fratello di Mei non ti darà alcun beneficio. Noto che hai la
vista a posto, Dragone.
Bene, perché non mi piace attaccare persone in
difficoltà."
"La mia
vista non ha nulla a che vedere con le mie capacità."
"Non ne dubito." replicò Milo, con un sogghigno che smentiva
le sue
parole.
"Ho
sconfitto Cancer, poche ore fa, senza l'ausilio della mia vista e..."
"Fortuna." lo interruppe l'altro. "È stata fortuna, la tua.
O
sfortuna di DeathMask, dipende dal punto di vista."
Shiryu
serrò
i pugni. Assottigliando lo sguardo ed espandendo il Cosmo, rispose al
colpo di
Milo con un Rozan Shōryūha che,
tuttavia, portò a un nulla di fatto.
"E
questo l'avresti appreso dal Maestro Dohko? Il
sommo drago che sorge dai monti Ro. E pensare che ne ho
sentito parlare, ma
credo sia noto per il nome, non
certo
per altro."
Suo
malgrado,
Camus ridacchiò appena, nel sentire Milo rispondere con quel
tono sarcastico
nei confronti di Shiryu. Decise di concedersi ancora qualche minuto
fuori,
appoggiato al parapetto, per seguire lo scontro in atto all'ottava casa.
"Non ti
sto sottovalutando, ho persino badato a evitarti, nonostante tu sia
poco più di
un nulla. Non l'hai notato? Eri distratto?"
"Shiryu,
fai attenzione." interloquì Seiya.
"No,
perché? Non ho intenzione di attaccarlo." Non
ancora. "Lo lascerò fare. Coraggio, prova ancora
se ne hai
la forza, non ti eviterò stavolta, te l'assicuro."
Camus
percepì
chiaramente Shiryu cedere sotto il proprio colpo, che Milo gli aveva
rispedito
indietro. Negli attimi che seguirono sentì Seiya scagliarsi
contro Milo,
invano, e il suo amico indirizzare ai due ragazzi la prima scarlet needle. Insufficiente ad
ucciderli, ma forte abbastanza da
creare loro il primo di una lunga lista di problemi.
"Seiya,
devo ammettere che la tua intelligenza mi sorprende: in effetti, non
è
sufficiente una sola puntura per morire. Come hai detto poco fa, lo
scorpione
uccide con lentezza. Potrebbero volerci quindici punture per farvi
esalare l'ultimo
respiro: vi spegnerete molto lentamente!" riprese Milo, pronto a
proseguire con la sua opera. Fu interrotto, però.
Quasi le
prese un colpo quando si accorse che era stato Hyoga a interrompere
Milo:
convinta che nonostante l'intervento di Shiryu alla settima casa, il
giovane
fosse troppo debilitato per riprendersi e combattere, aveva intravisto
una
speranza in quel giorno tremendo.
Pessimo
errore.
Ti conviene
sopravvivere, Shiryu, perché
giuro sull'anima dei nostri genitori, te la farò pagare
cara, non ne hai idea.
Le sorprese
all'ottava casa non erano ancora finite, però. Nel
successivo lasso di tempo,
nonostante Dohko e le sue richieste, si accorse che Shiryu non era il
solo
responsabile di quel ritorno così sgradito.
La nona ora
trascorse relativamente in fretta, tra un'incombenza domestica e
l'altra,
ignara di quanto stesse accadendo: a parte qualche sporadico sprazzo di
Cosmo,
gli avvenimenti della nona casa giunsero parecchio disturbati.
Decima ora.
Capricorno.
Sporgendosi
dal proprio tempio, Camus intravide i giovani bronze uscire dalla
decima casa,
tronfi nella convinzione dell'aver superato con così tanta
facilità la decima
casa, incuranti del pericolo che avevano alle spalle. Se conosceva
Shura, e lo
conosceva, sapeva che mai, per nessuna ragione avrebbe versato sangue
all'interno del suo tempio, soprattutto non alla presenza della statua
rappresentante la loro Dea.
Ancora una
volta si scoprì stupito dall'amico, soprattutto quando
sorprese i quattro
ragazzi aprendo una voragine tra la decima e l'undicesima casa. Non
badò alle
parole di Shiryu, la sua attenzione si focalizzò su Hyoga,
al di qua della
spaccatura aperta da Shura insieme a Shun e Seiya.
"Hai
suggerito ai tuoi amici di saltare, ma tu non l'hai fatto. Come mai?
Non sei
pronto di gambe così come lo sei con le parole?!"
Spera solo che non
inizi a parlare, si trovò
a pensare, iniziando a seguire
lo scontro; a quanto sembrava lo scontro alla quarta casa aveva davvero
rafforzato
Shiryu, donandogli la chiave di una forza superiore. DeathMask,
nella sua boria, aveva pensato di
poterlo fermare, di poterlo piegare alla propria superbia e invece,
aveva
contribuito a plasmare un guerriero più forte.
Nonostante
la
perdita dello scudo e di qualunque efficace difesa, Shiryu resisteva
stoicamente a Shura e alle ferite inflitte da
quest'ultimo.Inspirò
profondamente prima di contattare Mei, che sapeva attenta a quanto
stava
accadendo.
"Mei?"
Nel sentire la sua
voce
dritta nella sua testa, Mei sobbalzò sorpresa, interrompendo
la propria
preghiera.
"Camus?
Stai bene?"
"Sì.
Ascolta, devi fare qualcosa per
me."
"Cosa?"
"Smetti di seguire
lo scontro."
"Come?"
"Hai sentito. Smetti
di seguire lo
scontro, prendi la bambina e andate via da lì."
"Cosa?
Perché? C'è mio fratello adesso e..."
"Shiryu non uscirà dalla decima
casa." le
disse a bruciapelo. "Mi hai capito? Shiryu
non oltrepasserà
la casa del capricorno."
Col cuore in
gola, Mei corrugò la fronte.
"Non
è
detto. Non hai sentito il suo Cosmo?" replicò lei, con una
punta
d'orgoglio.
Certo, aveva
appena fermato l'Excalibur di Shura
con la sola forza delle mani, ma non era sufficiente a sconfiggerlo:
dall'inizio dello scontro, nonostante il rinnovato vigore, Camus aveva
subito
capito che per Shiryu c'era ben poco da fare contro l'amico.
"Conosco Shura." la interruppe. "Dipendesse da me lo lascerei passare, ma non
contare su Shura per
questo. Smetti di seguire quanto sta succedendo, non devi sentirlo
morire."
Sbirciò
fuori
dall'undicesima casa, guardando i due avversari davanti al decimo
tempio: dopo
averlo privato dell'armatura e di qualunque difesa, Shura
attaccò brutalmente e
violentemente il suo avversario, colpendolo in pieno petto.
Persino
dalle colonne di Aquarius riusciva a vedere il sangue vivo sgorgare
dalla ferita.
Rientrò
rapido in casa, prima di parlarle di cose più personali.
"Non devi assistere
a tutto questo.
Non voglio, tu non..."
D'un tratto,
un'esplosione, seguita dal Cosmo più potente che avesse mai
percepito e da una
luce quasi accecante che pareva sul punto di fagocitare l'intero
Santuario.
"Il
Rozan Kōryūha."
bisbigliò Mei, inorridita.
"Cosa?"
"La
tecnica proibita." Mei corse alla finestra, guardando con
crescente orrore la scia luminosa che aveva appena preso forma a
occidente.
"Non può, se la usa, lui..."
Morirà.
Incapace di
muoversi, rimase ancora lì alla finestra, a guardare
impietrita la scia
luminosa che aveva preso la sua forma definitiva e stava lentamente
attraversando il cielo, consumando la vita di suo fratello.
Avvertì una fitta,
mentre Shunrei, da basso, singhiozzava disperata.
"Volevo
evitarti
tutto questo."
"Non
potevi, è mio fratello, l'avrei sentito comunque."
Restò
in silenzio qualche secondo, pensando a ciò che stava per
dirle.
"Sei
ancora lì?"
"È
arrivato il mio
turno." le
rispose, percependo i Cosmi di Seiya, Shun e Hyoga fermi sulle scale
che portavano alla sua casa. Erano distratti da Shiryu, e aveva ancora
qualche
secondo a disposizione.
"Oddèi,
no."
Gli si strinse il cuore
nell'udire il tono di Mei.
"Ricordi
le parole
che ti dissi al nostro ultimo incontro?"
Ci sarà
un momento nel quale capirai tutto
quanto, nel quale capirai che ti ho amata, e ti amo, in una maniera
inspiegabile a parole, nel quale capirai che la nostra storia per me
è
importante. E forse sarà troppo tardi, per entrambi.
"...sì."
"Ti
prego di non
dimenticarle."
Serrò
gli
occhi, sentendo le gambe sul punto di cedere.
"Mi stai
dicendo addio?"
"Ricorda le mie
parole, Mei." si
raccomandò, prima di
interrompere la comunicazione mentale.
Nei secondi
che seguirono lo spegnimento del decimo fuoco
della meridiana, Camus si chiuse la porta della camera alle spalle
senza
voltarsi indietro, senza ripensare a mesi prima, quando l'aveva divisa
con lei.
Evitò di ripensare a quei giorni felici e alle foto che
aveva sistemato sul
cassettone, evitò di ripensare ai suoi occhi e al faccino di
sua figlia.
L'elmo ben calato sulla testa, si scrollò di dosso ogni caro
ricordo,
spedendoli uno per uno nella parte più recondita del suo
essere.
Non poteva permettersi debolezze, ora che stava andando a morire.
Qualcosa, in
lei, gridava con lo stesso dolore della ragazza al piano di sotto.
Shiryu era
suo fratello, con lui aveva condiviso lo stesso sangue, era ovviamente
addolorata per la sua perdita ma quando Hyoga era stato liberato dalla
teca di
ghiaccio creata da Camus, e Milo l'aveva graziato aiutandolo nella sua
impresa,
le sue speranze si erano affievolite, improvvisamente consapevole del
fatto che
al loro prossimo scontro, uno dei due non sarebbe sopravvissuto.
Controllò
rapidamente sua figlia nella sua stanza, ignara di quel che era appena
successo
e di quel che sarebbe accaduto di lì a poco, quindi senza
farsi sentire, tornò
nella Stanza degli Avi, conscia che i successivi sessanta minuti
sarebbero
stati i più lunghi della sua vita.
***
Lady
Aquaria's corner.
Oddio, da
quanto tempo non aggiornavo il prequel. Questo era un capitolo molto
ostico, durante
la stesura del quale ero indecisa su cosa e quanto riportare e cosa
eliminare.
Sulle prime
era lungo circa diecimila parole, che ho ridotto a circa
seimilanovecento-e
qualcosa-, dato che beh, tutti sappiamo che cosa è successo
no?
La struttura
è un tantino particolare, molto schematizzato, ma
è stato partorito così nel
corso delle ultime settimane e tale rimane. È stato un parto
lungo e
travagliato, irto di ostacoli e ripensamenti e... del tutto senza
anestesia.
Ma la cosa
peggiore è stato il dover ripercorrere l'episodio 67: per me
è stato peggio di
una pugnalata a tradimento nella schiena.
Dato che
però
la scalata è descritta dai punti di vista di Camus, Mei e
Milo (ma soprattutto
Mei), ho cercato di non riportare per intero ogni singolo scontro (o
sarei
ancora alla terza casa...), di mescolare un po' i dialoghi, utilizzando
sia
quelli classici che siamo abituati ad ascoltare dalla notte dei tempi,
sia
quelli originali giapponesi, trovati nei sottotitoli in italiano dei
dvd e di
favorire situazioni in favore di altre.
A
bientôt.
Lady Aquaria
|
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Capitolo 26 *** Feels like the end. ***
26.
Feels like the end.
"Don't wait...
," you say.
You say "... they've gone home."
Sleep with the lights off when you're alone.
Silence so mighty you go deaf;
Bombs are going off inside your chest.
I know you wanted to be loved,
But you're bleeding left alone... so, so, so
alone...
Singing where does time go from here?
[Mikky Ekko - Feels like the end]
La zazzera di capelli rossi, insoliti in quella parte del
mondo, era stato il primo dettaglio a catturare la sua attenzione.
Molti dei
suoi nuovi compagni erano biondicci come lui, o con i capelli scuri.
Uno di
loro aveva persino i capelli bianchi come quelli degli anziani che a
Rodorio
intrecciavano i vimini e bevevano ouzo
la sera, tra una partita a carte e un passo di syrtos.
Ma rossi, di quel rosso intenso che alla luce del sole ricordava le
ciliegie
mature, mai.
Aveva l'aria compita e seria, mentre seguiva il maestro
verso la tredicesima casa, dove, ad aspettarlo, avrebbe sicuramente
trovato
Shion.
"Molto bene,
ne manca solo più uno, poi il Santuario sarà al
completo."
"Ho sentito dire che ha seri
problemi a relazionarsi e che probabilmente è autistico o
cose così."
"Non è bello
ciò che hai detto, Saga, e i bambini potrebbero averti
sentito. Il rapporto del
Maestro Volya dice che è un bambino schivo e riservato, che
dà poca confidenza,
ma è tranquillo e studioso e con uno spiccato senso ad
apprendere in fretta:
dice che ha imparato a parlare fluentemente anche il russo e il greco
in poco
tempo."
Si chiamava Camus, proveniva dalla Francia ma aveva
trascorso gli anni dell'addestramento in Russia ed era il Saint
dell'Acquario,
quindi avrebbe occupato l'undicesima casa –aveva spiegato
Aiolos, introducendo
ai giovanissimi Gold Saint il loro parigrado-.
"Ti ci vorrà
qualche giorno per abituarti a questo nuovo ambiente, ma sono certo che
tutti i
tuoi compagni faranno del loro meglio per farti sentire a casa."
si
era raccomandato infine Aiolos, lanciando un paio di significative
occhiate
ammonitrici a un paio di loro "mi
aspetto educazione e collaborazione da tutti voi, ragazzi, e che
soprattutto
non si ripeta quanto successo all'arrivo di Shaka: anche Camus
è un bambino
riservato, vi toccherà sudare per avere la sua amicizia."
E in effetti, quanto pronosticato da Aiolos era vero.
Aveva sudato le proverbiali sette camicie prima di poter fare breccia
nel
carattere introverso di Camus e conquistarsi così la sua
fiducia, ma una volta
dentro il suo ristrettissimo cerchio, si era reso conto che c'era ben
altro
dietro la sua faccina seria -beh, a essere sinceri l'aveva tormentato
così
tanto che Camus si era arreso, ma era una cosa, questa, che non avrebbe
mai
ammesso con nessuno-.
Superata l'infanzia, erano sopraggiunti gli anni dello
studio e dell'insegnamento, Camus si era trasferito temporaneamente in
Siberia
per seguire i due allievi e poi ancora gli esami scolastici
–all'epoca si era
domandato come diamine avrebbero superato facilmente in pochi mesi
quanto i
ragazzi normali studiavano in anni-, la patente, il motorino, le
ragazze,
persino una figlia. Niente e nessuno era mai stato in grado di
interferire, per
qualche tempo aveva creduto che un'amicizia come la loro sarebbe stata
capace
di affrontare e vincere il mondo.
Ma non aveva fatto i conti con la morte, che si era
presentata nelle vesti del suo più caro allievo.
A distanza di quasi ventiquattr'ore riusciva ancora a
sentire le braccia intorpidite dal gelo emanato dal corpo esanime di
Camus,
mentre le tempie martellavano impietose e una strana sensazione gli
serrava il
petto in una morsa. Si trovò suo malgrado a ridere
nervosamente: custodiva
moltissimi ricordi con Camus, ricordi di situazioni tragicomiche e
serie,
legati all'allenamento, allo studio, a stupidaggini o faccende gravi
ma...
quello era il solo che riusciva a richiamare alla memoria in quel
momento.
Fino al giorno prima era andato tutto bene, Camus era
vivo, avevano parlato e scherzato per spezzare la tensione e ora... ora
il suo
cadavere giaceva su un letto di marmo.
"Milo?"
Aiolia avanzò piano verso l'amico, immobile nella sala
principale dell'ottavo tempio in piedi e con lo sguardo fisso su un
punto
imprecisato. Sembrava in trance, persino le palpebre parevano fisse.
"Seiya e i suoi compagni hanno dato
dimostrazione, con le loro azioni, che ciò che io pensavo
era giusto. A questo
punto credo che chiunque di voi sappia che tredici anni orsono, Aiolos,
fratello maggiore di Aiolia, fu indegnamente etichettato come
traditore, reo
d'aver rapito, dal Santuario, una neonata in fasce… quella
stessa bambina, la
futura Saori Kido, che è senza dubbio Athena e che oggi per
un soffio è
scampata alla morte grazie al sacrificio dei suoi Saints."
Non appena Dohko aveva iniziato a spiegare, il suo primo
impulso era stato quello di fermarlo: chiunque era a conoscenza di
quella
famosa notte e nessuno di loro, soprattutto Aiolia, amava sentirla
ripetere.
Poi però Dohko aveva continuato con particolari del tutto
sconosciuti che
avevano gelato loro il sangue nelle vene.
"Tuttavia
all'epoca, Aiolos a parte, un'altra persona era al corrente della
verità, la
stessa che aveva appena ucciso, in segreto, il Pontefice del Santuario
e ne
aveva usurpato il posto: in quella stessa notte tentò di
assassinare anche la
piccola Athena, ma nel tentativo di fermarlo, Aiolos scoprì
che quell'uomo
altri non era che Saga, Gold Saint dei Gemelli. È stato
allora che, nel timore
d'esser smascherato, Saga accusò Aiolos di tradimento. Shura
poi, fece il
resto, convinto come tutti voi d'esser nel giusto."
Già, Shura aveva fatto il resto.
A dire il vero tutti loro in quella storia avevano avuto
la loro parte di responsabilità, lui compreso. Per tredici
anni aveva servito
quell'uomo dalla doppia faccia, uccidendo in suo nome senza porre
alcuna
domanda, per tredici anni aveva giurato assoluta lealtà a un
essere che aveva
approfittato della loro buona fede e che senza pensarci due volte aveva
versato
il sangue del Pontefice, quasi commesso infanticidio e infangato un
innocente
nella memoria di tutti loro.
A chi o a cosa serviva, ora, essere a conoscenza di
quella verità nascosta per così tanto tempo? A
nulla. E certo non era di alcuna
utilità ai quattro uomini che nella sala accanto giacevano
in attesa d'essere
degnamente sepolti, quattro uomini che, come lui, avevano speso gran
parte
delle loro esistenze al servizio di un commediante abile nel distorcere
la
realtà e nel tessere inganni.
Possibile che il comportamento di Saga non avesse mai
insospettito nessuno? Eppure, a ripensarci adesso, c'erano stati, nel
tempo,
segnali sulla dubbia integrità del Sacerdote… la
vera domanda era: perché non ci ho
mai fatto caso?
Incredibile pensare con quanta vergognosa facilità tutti,
lui compreso, avevano creduto a Saga, abbandonando Aiolos al suo
destino.
"Milo?"
ripeté Aiolia, cercando di attirare la sua attenzione. "Stai
bene?"
Milo parve riscuotersi di colpo.
"No.Vorrei poter riaprire gli occhi domattina e
scoprire che è stato tutto un incubo."
Oltrepassò Aiolia dirigendosi verso le salme distese sui
loro letti di pietra: il suo sguardo corse rapidamente all'elmo di
Shura, che
in tutta quella storia aveva contribuito forse più di
chiunque altro al destino
del loro compagno; chissà se aveva mai avuto un momento
d'esitazione, se aveva
mai pensato a cosa stesse facendo mentre feriva a morte l'uomo che
aveva
cercato di salvare tutti loro.
Preso un gran respiro, scostò il lenzuolo che copriva
Camus e guardò il suo volto livido.
"E tu, amico mio, ci hai mai pensato?" domandò,
seguendo il filo dei propri pensieri.
Almeno lui, tra loro due, aveva avuto un'esitazione nei
confronti del Grande Sacerdote? A
differenza sua Camus era stato meno impulsivo in vita e magari qualche
sospetto
l'aveva avuto.
"Temo non possa risponderti."
Si rese conto d'aver pensato a voce alta solo quando si
trovò faccia a faccia con Mu.
"Stavo ancora pensando alle parole del Maestro."
rispose, a mo' di spiegazione. "Saga è stato davvero bravo a
ingannarci
per tutti questi anni. Abbiamo scoperto la verità ora che
è troppo tardi per i
nostri compagni."
L'altro annuì.
"Sì, è vero, ma tutto ciò ci
servirà da monito per
il futuro." osservò Mu. "Non possiamo sapere che cosa
sarebbe
successo se tutto ciò fosse uscito allo scoperto molto
prima."
Beh, sicuramente Saga non avrebbe avuto vita facile.
"Se soltanto avessi avuto un sospetto, uno solo.
Invece non ho mai dubitato della buona fede del Grande Sacerdote,
eseguivo
tutto ciò che mi ordinava senza domandarmi se fosse giusto o
no." disse
Milo. "Avrei potuto fare qualcosa."
"Sono solo supposizioni, Milo, non possiamo tornare
indietro." replicò Mu, guardandolo sedersi accanto alla
salma di Camus,
prima di prendersi la testa tra le mani. "Pensare adesso non serve.
Dovresti dormire, prima dei funerali c'è ancora tempo."
E chi riusciva a farlo? Mu non aveva idea di quanti
pensieri e sensi di colpa affollavano la sua mente, così
tanti che gli era
difficile perfino riposare.
"Non ho intenzione di disertare la veglia funebre
del mio più caro amico, e poi...ho una faccenda delicata da
sistemare."
replicò, prima di scomparire verso oriente.
Shaka smosse le ceneri nell'incensiere e accese dei nuovi
bastoncini, in attesa dei rituali in uso in occasioni come quelle: i
corpi
sarebbero stati lavati e avvolti nei sudari, sarebbero stati vegliati
nelle
loro rispettive case –quantomeno, in quelle ancora in piedi-
e, infine,
seppelliti prima del sorgere del nuovo giorno.
"Temo di sapere dov'è andato Milo." sospirò,
guardando Mu.
*
Al Goro-ho era già sera quando Milo si presentò
alla
pagoda.
La notte precedente era stata travagliata e difficile,
spiegò Shunrei, parlando
in un greco che alle sue orecchie risultava un po' grezzo. Lei e il
Maestro
avevano dormito molto poco, l'unica che pareva aver dormito un po' era
la
piccola Lixue.
"E Mei?"
"Lei ha avuto un tracollo nervoso." rispose Shunrei. "Io e il
Maestro l'abbiamo trascinata dentro con la forza, e nonostante le abbia
preparato un potente infuso, ha trascorso la notte gridando e invocando
il suo nome nel sonno. Non ha quasi
più
voce e ho paura che possa commettere delle sciocchezze."
Annuì. Era stata una notte difficile per tutt'e due,
nemmeno lui aveva riposato sereno, anzi.
"Sono qui per accompagnarvi al Santuario: Shiryu ha
bisogno di cure e riposo e Mei... beh... dov'è ora?"
Lo accompagnò fino alla porta della Stanza degli Avi, da
dietro la quale filtrava un penetrante odore d'incenso.
"È qui da stamattina, a malapena ha toccato cibo ed
è uscita solo per badare a Lixue."
"Va bene, ci penso io. Preparati e prepara anche la
bambina." le disse, prima di bussare ed entrare.
All'interno della piccola stanza il fumo degli incensi
era quasi insopportabile; Mei era inginocchiata su un grande cuscino,
mentre
pregava silenziosamente davanti a un piccolo altare colmo di fotografie
e
tavolette di legno.
La oltrepassò, aprendo la finestra e prendendo una lunga
boccata d'aria fresca.
"So che stai pregando e mi dispiace per i miei modi
bruschi." esordì, notando che Mei non si era praticamente
mossa. "Prima
dell'alba ci saranno i funerali e tra poche ore inizierà la
veglia. So che stai
male, provo le tue stesse cose. Ma... dobbiamo dirgli addio."
Sollevò su di lui uno sguardo stanco, provato dalla notte
insonne e dal dolore.
"Non posso." mormorò, la voce roca.
"So che stai male, davvero." ripeté Milo.
"Non so se posso farcela."
"Ascolta, non posso obbligarti a fare qualcosa, se
non vuoi. Ma so che se non verrai con me, se non gli dirai addio,
finirai col
pentirtene."
Mei si mise a sedere, stanca della posizione.
"Mi ha parlato prima che iniziasse l'undicesima ora...
lui mi ha già detto addio ma... io non sono pronta a dirlo a
lui. Non ce la
faccio."
Milo si tolse l'armatura, sedendosi poi sul cuscino
accanto al suo.
"Anche io preferisco ricordarlo com'era quando era
qui con noi, ma ne abbiamo fatte così tante insieme che non
posso voltargli le
spalle proprio ora." proseguì. "Sai, ho moltissimi ricordi
legati
alla nostra amicizia, molte cose belle e com'è normale,
anche cose brutte.
Eppure il solo ricordo che il mio cervello ha riportato a galla
è legato alla
nostra infanzia, al momento in cui Camus arrivò al
Santuario. Avresti dovuto
vederlo, pallido da far paura, i capelli così rossi che
potevano vederli
persino a Sparta, il visetto tutto serio con il suo solito cipiglio...
impiegò
due giorni netti per prendersi la prima scottatura, era pieno di
lentiggini e
sulle spalle erano comparse certe bolle..."
"Efelidi." lo corresse Mei, impulsivamente.
"Giusto." convenne Milo, sorridendo. "Il
che lo indusse a non scendere più in spiaggia per diverso
tempo e, una volta
diventato adulto, a coprirsi durante quelle rare volte in cui si
convinceva a
scendere con noi. Lo prendevamo sempre in giro, io e Shura, per questo.
Pensa,
una volta si avventurò in spiaggia con infradito, bermuda e
felpa... ah, e con
uno dei suoi mattoni russi tra le mani, ovviamente."
"Mi sarebbe piaciuto vederlo."
"Beh, purtroppo non si può tornare indietro, ma... puoi
vederlo
adesso." Milo ritornò sul discorso di partenza. "Non fargli
questo,
Mei. Non fargli questo."
*
Era strano ripercorrere quelle scale dopo tanto tempo,
soprattutto ora che le case erano metà danneggiate e
disabitate: la sala del
tredicesimo tempio, ora che Ares era stato sconfitto, aveva perso molti
di
quegli elementi cupi e inquietanti che aveva visto tempo prima, ma i
segni
della lotta consumata in quel luogo erano ancora ben visibili, Milo le
aveva
raccontato che la lotta tra Seiya e il Sacerdote impostore, Saga, era
stata
lunga e atroce.
Attraverso il portone doppio, aperto, intravide i cinque
letti di pietra dov'erano stati sistemati i resti dei Gold Saint
deceduti in
quell'impresa, in attesa di essere composti e sepolti; in un angolo,
intenti a
parlottare tra loro, Seiya e i suoi amici.
Shunrei quasi impazzì dalla gioia nel vedere Shiryu,
correndogli poi incontro e piangendo per il sollievo.
Abbozzò un sorriso quando incrociò lo sguardo del
fratello, ma decise di
oltrepassare lui e Shunrei, pensando che avrebbe dato tutto
ciò che possedeva
per poter fare la stessa cosa con Camus.
"Ah, lo sapevo." sbottò Shaka, freddando Milo
con uno sguardo di ghiaccio. "Per tutti gli Dèi, Milo,
perché l'hai
portata qui?"
Mu guardò i due, quindi circondò le spalle di Mei.
"Vieni, ti accompagno." le sorrise,
rassicurante.
"Mu, no." lo fermò Milo. "Aspetta un
attimo."
Shaka s'avvicinò a Milo e l'afferrò per un
braccio.
"Ho detto: perché
l'hai portata qui?" ripeté.
"Perché l'ho ritenuto giusto. Ha sentito Camus
morire e voleva vederlo. Punto." ribatté Milo, gelido.
L'altro abbassò la voce di due toni.
"C'è il giovane Saint del Cigno, di là."
Questo poteva essere un problema, in effetti.
"Ebbene? Ha la bambina con sé e ben altro cui
pensare "
"Ebbene,
potrebbe comunque fare una scenata."
Mei si voltò e lo guardò con astio.
"Oh, tranquillo, nessuna scenata. Non mi strapperò i
capelli o graffiarmi a sangue la faccia, se è quello che speri. Non darò mai a nessuno
questa soddisfazione, men che meno a
uno come te." replicò Mei.
Shaka inspirò profondamente.
"Ringrazia la tua buona stella se ne hai una, per la
mia clemenza. Altrimenti avrei già usato il Tenbu Hōrin per
il tuo ardire."
"Per quel che mi riguarda, potresti anche usarlo."
ribatté Mei. "Non ci provo nemmeno a difendermi.
Così vediamo quanto onore
possiede l'uomo più vicino ad
Athena."
Shaka mosse un passo avanti e si trovò la mano di Aldebaran
sulla spalla.
"Misura bene le tue parole, donna:
potrei dimenticarmi dei giuramenti fatti!"
"Già solo a pensare a una cosa del genere ti rende
uguale, se non peggiore, dell'uomo
che ha dato vita a tutto questo." sbottò Mei.
"Milo, vedi di tenere a freno la sua lingua
biforcuta o sarai tu a rispondere per lei."
"Calmiamo gli animi ragazzi, siamo tutti agitati e
sconvolti e diciamo cose che non dovremmo nemmeno pensare."
interloquì Aldebaran, mentre Milo scortava Mei nella
sala accanto.
Shaka si scrollò di dosso la mano dell'amico.
"È giovane e sconvolta." gli disse Aiolia.
"Non è in sé, altrimenti…"
"Altrimenti nulla, quella vipera arrogante avrebbe risposto
così
comunque."
"Questa cosa non mi piace nemmeno un po'."
l'ammonì Milo, serio.
"Cosa, il fatto che ho risposto male a Shaka?"
"Ascoltami attentamente, adesso. Abbiamo entrambi
perso persone importanti, d'accordo? Oggi ho perso degli amici, ho
perso l'uomo
che per me non era solo il mio migliore amico, ma un fratello.
Posso immaginare che cosa provi, perché il tuo dolore
è
anche il mio, e so che come me spesso reagisci al dolore con
l'aggressività. So
che stai male da morire adesso e ti comprendo. Ma per nessun motivo al
mondo ti
puoi permettere di parlare in questo modo con uno di noi, a maggior
ragione
adesso che Camus non è più in grado di
proteggerti come prima."
"Non ho bisogno di protezione."
"Sì invece, non ne hai idea." obiettò Milo. "Mi
ha chiesto di proteggere te e vostra figlia, ma non posso farlo se ti
ostini a
cacciarti nei guai."
"Ho solo risposto a tono, non l'ho aggredito con una scure."
"Ebbene, non lo devi fare! Apprezzo il tuo carattere
forte, ma qui certe azioni hanno un peso che tu non saresti in grado di
sopportare: non dureresti una settimana a Capo Sounio."
"Che cosa potrebbe mai fare, prendersi la mia
vita?" domandò Mei. "Che se la prenda, se lo desidera. Se
non fosse
per mia figlia, mi renderebbe un gran favore."
"Non voglio sentire queste cose e sicuramente
nemmeno Camus."
"Camus non può
più sentire niente." sibilò Mei, con
una luce strana negli occhi, che
Milo non aveva mai visto. "Camus non
può più sentire, o pensare, o parlare.
Perciò, per la miseria, non dire che
cosa avrebbe o no voluto sentire. Non può più
fare niente."
E chi l'ha ucciso è
ancora vivo, aggiunse mentalmente.
"Seiya, Ikki, Shun, mio fratello, Hyoga. Athena li
ha salvati, ma non ha salvato loro."
proseguì, indicando le salme con un ampio gesto del braccio.
"Perché?
Eppure anche loro sono morti in suo nome."
"Nessuno conosce i disegni degli Dèi." rispose
Milo.
"Non prendermi in giro. Athena è come una madre
snaturata che preferisce gli ultimi arrivati, gli scriccioli di casa,
ai figli
più grandi. Mio fratello e i suoi amici sono i preferiti di mamma Athena e per questo motivo
è stata
concessa loro una seconda possibilità."
Parole dettate dalla rabbia, dal dolore, dalla
frustrazione. Sicuramente, in un altro momento, Mei non le avrebbe
neanche
pensate.
Le sorrise triste.
"Shura è morto per Shiryu, per concedergli una
seconda possibilità. Non sei
contenta di questo?"
Lei e Shunrei avevano sentito chiaramente il Cosmo di
Shiryu innalzarsi fino a limiti mai raggiunti: utilizzando la tecnica
proibita,
Shiryu si era sì elevato al di sopra del suo avversario, ma
a scapito della
vita.
Vita che, al contrario delle aspettative, aveva
conservato grazie al sacrificio di Shura.
"C'è un braciere o qualcosa dove posso mettere gli
incensi?" si schiarì la voce, cambiando discorso di punto in
bianco. Milo
annuì, e le mostrò lo stesso braciere pieno di
sabbia dove Shaka aveva già
acceso degli incensi quella mattina.
"Grazie."
Mu nel frattempo si era avvicinato ai due.
"Se vuoi posso tenere io la piccola."
Annuì, posando Lixue tra le sue braccia, e dalla borsa
che portava con sé estrasse un involto con dei bastoncini
d'incenso.
"È il penultimo là in fondo."
Il penultimo, tra i resti di Shura e Aphrodite.
"L'ho visto." rispose, stringata.
"Non sei obbligata a pregare per tutti loro. Se vuoi
puoi andare direttamente da Camus, nessuno ti biasimerà per
questo."
"Le mie usanze mi impongono di onorare
ognuno di loro per evitare che colti
da spirito di vendetta, si trasformino in spettri maligni."
spiegò Mei,
iniziando con l'accendere un bastoncino d'incenso. "Preferirei evitare
la
presenza di DeathMask in casa mia sotto tale forma."
Malgrado la serietà che il luogo imponeva, Milo
ridacchiò
appena.
"Se ben ricordo, non temevi DeathMask."
"Io no. Non l'ho temuto e non lo temerò mai, ma i
miei avi non si meriterebbero la sua sgradevole presenza. Piuttosto,
come… come
procederete? Li seppellirete o…" la voce parve smorzarsi
nella sua gola.
"…perché se così non fosse, non
resterò qui a vedere il suo corpo
bruciare."
Milo le strofinò affettuosamente il braccio.
"No, nessuna pira. Come da tradizione, ognuno di
loro verrà spostato nella propria casa, sarà
lavato, preparato e vegliato tutta
la notte in attesa dei funerali prima dell'alba. Saranno sepolti nel
cimitero
del Santuario."
"Hai qualche richiesta in particolare da fare?"
domandò Mu.
Mei scosse la testa.
"Sono cresciuta in una famiglia mista, in mezzo a
tradizioni diverse tra loro: per mia madre, cristiana, la morte
significava
vestirsi di nero e compiangere il morto. Per mio padre, taoista, la
morte si
accoglieva con vestiti bianchi, incensi e fuochi d'artificio scaccia
spiriti.
Camus non era né cristiano, né taoista quindi non
condividerebbe nessuna delle
mie usanze. Rispetterò le quelle in uso qui al Santuario,
qualunque esse siano,
ma ho solo una richiesta da fare: desidero prender parte alla
preparazione della
salma e alla veglia."
Mu scambiò un'occhiata con Shaka.
"Perché guardi me? È il grande sacerdote che
accorda
questi permessi, non io." rispose quest'ultimo.
Già, il grande sacerdote, che Saga aveva ucciso prima di
prenderne il posto. Il Santuario, si accorse Mu d'improvviso, era
sguarnito
proprio di una figura chiave.
Quasi seguendo lo stesso pensiero, tutti parvero
accorgersene tutt'a un tratto.
"Mu, tu sei discepolo del precedente pope, perciò
credo che dovresti pensarci tu." proseguì Shaka.
"Io?"
"Potresti essere il nuovo grande sacerdote ad interim, in attesa delle
elezioni." interloquì Aldebaran, appoggiando l'idea di
Shaka. "Sei
saggio, comprensivo, paziente ma anche severo quando l'occasione lo
richiede.
Saresti perfetto."
"Sento puzza di sviolinata. Beh, non credo di
esserne all'altezza, comunque credo che non ci siano problemi, no?
Insomma, conosci
già il Santuario, quindi direi che puoi partecipare a quanto
richiesto."
"Vi ringrazio, Maestro." Mei s'inchinò a Mu,
quindi infilò altri bastoncini d'incenso nel braciere e pian
piano l'odore
penetrante della resina invase la sala, sovrapponendosi a quelli
già accesi da
Shaka.
Non spese una sola parola per Saga, stentando ad
associare il volto gentile che stava guardando all'aguzzino che aveva
mandato
quegli uomini a morire, e nemmeno degnò di uno sguardo
DeathMask. Le
dispiaceva, certo, di fronte alla Morte c'era ben poco per cui gioire,
ma non
riusciva a pensare ad alcuna parola buona per loro.
Si soffermò qualche secondo davanti al letto dove erano
stati sistemati i resti di Shura –"Ti
consiglio di non sbirciare sotto il lenzuolo, non è un bello
spettacolo."-
e
sfiorò una mano di Aphrodite: entrambi
le avevano dimostrato una certa amicizia, e il secondo l'aveva anche
aiutata,
settimane prima. Infine, Camus: accanto a lui, la testa china, Hyoga
stava
pregando in una strana lingua, sgranando un rosario.
Milo si schiarì la voce, catturando l'attenzione del
ragazzo, e con un cenno del capo gli fece capire che era meglio per
tutti se
lasciava il capezzale del Maestro per qualche istante.
"Prosti."
mormorò Hyoga, quando incrociò il suo sguardo. "Lypàme polì."
"Ti dispiacerà."
lo corresse Mei, tagliente. "Eccome se ti dispiacerà. Non
infangherò la
memoria di Camus nel giorno delle sue esequie, ma un giorno, che sia
tra un
mese o fra trent'anni, i nostri destini s'incroceranno. Allora sì che ti
dispiacerà."
"Hyoga, vai." l'ammonì Milo.
Si mosse rapido, tornando dagli amici.
"Pare proprio che tu abbia trovato la tua
nemesi." osservò Ikki.
"Agisce così spinta dal dolore." interloquì Shun.
"Il suo animo soffre, ma non è cattiva. Non credo sia
davvero capace di
far volontariamente del male a qualcuno."
Anche il mio
soffre! avrebbe voluto urlare Hyoga. Anche
io soffro, che cosa credi? Che cosa crede quella dannata strega, che
sia stato
facile?
Shiryu scosse la testa.
"In ogni caso, Hyoga… non gravitarle troppo
intorno." lo consigliò.
Mei allungò una mano al volto di Camus, sfiorandoglielo e
sorprendendosi dal gelo che, nonostante fossero già
trascorse diverse ore dallo
scontro con Hyoga, il suo corpo continuava ad emanare.
"Perché è ancora così freddo?"
"Avresti dovuto vedere com'era sistemata
l'undicesima casa. Lui... beh, ci è voluto un po' per
poterlo sistemare
qui." interloquì Aiolia, ricevendo in risposta lo sguardo
indecifrabile di
Mei e quello di fuoco di Milo.
"Che tatto, i
miei complimenti." sibilò Milo, a bassa voce.
"Grazie per la tua esaustiva ed empatica
analisi." rispose Mei, atona.
"...mi dispiace, non era mia intenzione
deriderti." si scusò Aiolia corrugando la fronte.
Mei però non lo stava già più
ascoltando.
"Duìbùqǐ." sussurrò
Mei, tornando ad accarezzare il volto di Camus. [Mi dispiace.]
Sarebbe dovuta rimanere e affrontare il
proprio destino. Avrebbe dovuto
capire fin da subito che quel pomeriggio lui l'aveva mandata via per
proteggerla e salvarle la vita.
Invece di capirlo, gli aveva riversato
addosso tutto il rancore del
mondo.
Si chinò fino a posare la testa
sulla sua, fronte contro fronte,
piangendo.
"Ti prego,
perdonami."
mormorò, in cinese. "Perdonami per
quello che ti ho fatto."
Lo guardò come se sperasse che,
da un momento all'altro, Camus potesse
aprire gli occhi e risponderle. Qualcosa, nel suo profondo, rifiutava
di
accettare che quel corpo gelido, dalle labbra livide e coperto da uno
strato di
brina, non sarebbe mai più tornato caldo come un tempo,
rifiutava l'idea che
quelle braccia non l'avrebbero più stretta, rifiutava il
pensiero che quel
cuore, che una volta sentiva battere regolare sotto l'orecchio quando
riposava
sul suo petto, sarebbe rimasto fermo in eterno.
Reprimendo a fatica le lacrime, Milo
allungò una mano e le accarezzò
la testa.
"Sei sicura di sentirti bene?"
La risposta le uscì con un filo di voce che Milo
riuscì a
udire con molta fatica.
"No." Non
si sentiva per niente bene.
"Stai tranquilla, sono qui con te." rispose
Milo, pronto a sorreggerla: qualcosa gli diceva che non avrebbe retto
tanto a
lungo.
"Avrei dovuto ignorare le sue parole e
restare." mormorò Mei, la voce colma di rimpianto.
"Non avresti potuto fare niente, Mei. Tu saresti morta e con te, tua
figlia. Avresti reso vano il suo gesto. Ti ha mandata via per non
costringerti
a scegliere tra lui e Shiryu e fare qualcosa che ti avrebbe cambiata."
"Quella scelta mi ha cambiata comunque. Non
avevi il diritto di scegliere al posto
mio."
"E che cosa avresti fatto, se avessi potuto
scegliere?"
"Sarei rimasta." rispose, senza esitare.
"E saresti morta."
"Una parte di me è morta comunque. La sola persona
che mi tiene ancorata su questa terra è Lixue, altrimenti il
mio unico
desiderio da quando ho sentito il suo Cosmo spegnersi è
quello di addormentarmi
e non svegliarmi mai più."
"Non dire così."
Aldebaran si avvicinò ai due, schiarendosi la voce.
"Scusatemi, ragazzi. Le ancelle hanno sistemato le
ultime cose e prima della veglia si deve procedere con i rituali."
"Al
Santuario si segue
il rito funebre in uso fin dai tempi antichi: onorare un defunto
è un fondamentale
atto di pietà nei suoi confronti, indispensabile per
permettere all'anima di riposare
in pace nell'ade e per evitare che essa sia condannata a vagare e
perseguitare
chi le ha negato l'estremo saluto." le spiegò Mu mentre
accompagnavano la
salma di Camus all'undicesima casa. "Più o meno come nel
taoismo, se gli
onori funebri sono esigui o mancanti, l'anima potrebbe diventare
spirito
maligno e causare danni ai vivi."
"È
per questo che
osserviamo il culto degli antenati." annuì Mei.
"Già.
Come ti abbiamo
già spiegato, abbiamo esposto i corpi, tra poco saranno
lavati e rivestiti
nelle loro case, vegliati e domattina, sepolti."
"E
Shura? La decima casa
è crollata, dove sarà sistemato?"
Mu
sospirò appena.
"Ho
dato ordini di
sistemarlo alla nona, Aiolia mi ha dato il suo benestare dicendo che
Aiolos
avrebbe dato il permesso senza pensarci due volte."
Come
per le rimanenti case,
l'undicesima era stata sistemata affinché potesse accogliere
il suo
proprietario: davanti alla porta un'anfora colma d'acqua accoglieva i
visitatori e lungo il cornicione alcune corone di mirto e alloro
diffondevano
un gradevole profumo.
"Vi
ringrazio per la spiegazione."
*
Ci volle più del dovuto per preparare il corpo di Camus:
sotto l'effetto del gelo intenso dello scontro mortale, gli arti erano
così
rigidi che avevano dovuto applicare il massimo della cautela, ma alla
fine ce
l'avevano fatta: accuratamente lavato e rivestito, i capelli pettinati
e ben
sistemati, il corpo era stato disteso nella sala principale di
Aquarius,
coperto fino al petto da un drappo blu notte.
"Ci è voluto un po', ma finalmente posso rivedere il
colore della sua pelle." mormorò Mei, stanca, posando la
casacca
dell'hanfu su una sedia sistemata accanto a Camus. "Spero di non dover
mai
più fare una cosa del genere, è stato terribile."
"Posso solo immaginare."
Si sfilò una delle due catenine che portava al collo i
cui ciondoli, una volta uniti, formavano il simbolo del Tao, e
agganciò il
ciondolo bianco al collo di Camus, sistemandolo sul suo petto, sotto la
veste
bianca con la quale era stato vestito.
"So che non c'entra niente con la vostra Dea, ma ti
supplico, non lasciare che gliela tolgano. Ti prego."
"Non succederà." annuì Milo. "Ascolta,
Mei. Hyoga vorrebbe prender parte alla veglia, si chiedeva se poteva
entrare o
no."
Si voltò appena, intravedendo il giovane in fondo, sulla
soglia dell'undicesima casa. Certo, per quanta rabbia provasse, per
quanta
voglia avesse di rompergli tutte le ossa, non poteva impedirgli di
vegliare il
suo maestro.
"Per me va bene." rispose. "Farei un torto
a Camus se glielo impedissi. E poi, sia mai che vada in giro a
spacciarsi per
vittima della vipera arrogante."
Mei, ti prego, non
fare così.
"Torno subito, ho bisogno di sciacquarmi la
faccia." disse, prima di addentrarsi negli appartamenti privati che un
tempo aveva condiviso con Camus.
"Come sta?" domandò Hyoga, dopo qualche minuto.
"Come vuoi che stia? Come una donna che ha perso il
padre di sua figlia." rispose Milo. "Sembra forte, ma una volta a
casa, una volta che l'adrenalina avrà terminato il suo
effetto, non so come
reagirà a tutto questo."
"Non doveva finire così." commentò Hyoga.
"Le cose mi sono sfuggite di mano."
"Sai che non me ne sono accorto?" sbottò
l'altro, sarcastico. "Pensa se avessi pianificato tutto, a quest'ora
non
ci sarebbe più nemmeno questa casa."
Hyoga represse un moto di rabbia.
"Cosa credete tutti quanti, che sia facile per me, o
che sia contento di come sono andate le cose? No. Non so nemmeno come
fare
ammenda."
"Non puoi fare ammenda, così come non può farla
Saga
che ha dato vita a questa carneficina. Ci sono errori ai quali
semplicemente
non si può porre rimedio: ci convivi e basta." rispose Milo.
"Cerca
di non combinare altri disastri mentre io vado a vedere se ha bisogno
di
qualcosa."
La trovò in bagno, immobile davanti allo specchio del
lavandino, lo sguardo fisso su un punto imprecisato, come in trance.
Mosse un
passo, palesandosi, e Mei parve riscuotersi, prendendo qualcosa da una
tasca
nascosta nella gonna dell'hanfu.
"...non pensavo di avere gli occhi in questo
stato." disse Mei, a mo' di spiegazione. S'instillò un paio
di gocce di
collirio per ogni occhio e sorrise nervosa. "Tutto a posto, andiamo."
"Tutto bene?"
"Benissimo, non ti preoccupare." lo superò,
fermandosi poi davanti alla porta della camera. "Vorrei dare
un'occhiata,
credo di aver dimenticato qualcosa quando me ne sono andata."
La cassettiera di mogano era sempre lì, così come
l'orologio da polso e la fotografia dei suoi genitori. Il letto era in
ordine, dei
vestiti erano piegati e sistemati accuratamente su un cuscino, come se
fossero
in attesa del loro proprietario. Sul comodino un libro faceva compagnia
al cellulare
di Camus, spento.
"È entrato qualcuno qui, prima di noi?"
Milo corrugò la fronte.
"Non che io sappia, alle ancelle non è permesso
entrare in camera, Camus l'aveva proibito, quindi è tutto
come lui l'ha
lasciato." le rispose. "Perché?"
"Senti anche tu questo odore?"
"Sento solo quello della cera da mobili."
"No, parlo di agrumi e lavanda... come fai a non sentirlo? In questo
punto
è molto forte." insisté Mei. Alla seconda
occhiata interrogativa, trasse
un sospiro. "Lui è qui."
"Certo che è
qui, è in sala." avrebbe voluto risponderle.
Decise di tacere,
guardandola prendere una foto dal cassettone, rigirarsela tra le mani e
sgranare gli occhi.
"È per me." mormorò Mei, mostrandogli una busta
fissata al retro della foto.
"Allora
aprila." la esortò.
"Au milieu de la haine,
j’ai trouvé qu’il y avait, en moi, un
amour invincible.
Dans le milieu des larmes, j’ ai trouvé
qu’il y avait, en moi, un sourire
invincible.
Au milieu du chaos, j’ai trouvé qu’il y
avait, en moi, un calme
invincible.
J’ai réalisé, à travers tout
cela, que… au milieu de l’hiver, j’ai
trouvé qu’il y avait, en moi, un été
invincible.
Et cela me rend heureux.
Car il dit que peu importe comment le monde pousse contre moi, en moi,
il ya
quelque chose plus fort, quelque chose de mieux, poussant de retour.
Bien
à vous, Camus."
"Ma
che significa tutto
questo?"
"Non
lo so, non parlo
francese." Mei dispiegò il foglio, scoprendo che di quelle
parole, Camus
ne aveva anche trascritto la traduzione in greco.
"…continuo
a non
capire." ripeté Milo. "Comunque attenta, c'è un
post scriptum."
"Eftychós
gia mou, i mitéra mou den agapoún Dostoevski."
lesse Mei. E fu come ricevere una doccia
fredda e improvvisa. "Oddèi."
"Per
Athena, Mei, mi
spieghi che cosa sta succedendo?"
"Fortunatamente per me, mia madre non amava
Dostoevskij." ripeté
Mei. "Tu non puoi capire."
Lo
lasciò nella stanza di
Camus insieme ai suoi interrogativi e corse allo studio.
"Mei!!" gridò Milo. "Aspetta!"
All'apparenza,
era una specie
di poesia scritta così, una sorta di ultima dedica, e non
avrebbe fatto caso
agli indizi disseminati in quelle poche righe.
…au milieu de l'hiver, j'ai
trouvé qu'il y avait, en moi, un été
invincibile… Camus
aveva sottolineato due volte, con un tratto
leggero della penna, la parola été, estate, aveva
riportato un aforisma del suo
omonimo e, infine, le aveva ricordato la risposta che le aveva dato il
giorno
in cui si erano conosciuti, mesi prima.
"Tu sai il mio
nome, ma io ancora non so il tuo."
"Non è
importante e… ed è anche un filo banale."
"Ma è un nome,
è la prima cosa che ti rappresenta. Non può
essere così brutto."
Un certo silenzio aveva seguito quelle parole, lo
rammentava come fosse appena accaduto.
"Camus. Mi
chiamo Camus."
"Come lo
scrittore."
"Già. Mia
madre e i suoi nomi assurdi. Fortunatamente non le piaceva Dostoevski."
"Oddèi."
ripeté,
quasi come un mantra, intenta a cercare qualcosa.
"Eccoti!"
esclamò
Milo. "Potresti per favore calmarti e spiegarmi?"
"Dopo.
Un libro, sto
cercando un libro."
"Non
mi dire." Milo
si guardò intorno, demoralizzato: quella stanza era piena
zeppa di libri.
"Potresti darmi un indizio? L'autore, per cominciare? O qui finiamo a
Pasqua."
"Albert
Camus."
rispose Mei.
Milo
si mise di buona lena a
cercare, pur non avendo idea del titolo esatto.
"L'Envers et l'Endroit...Caligula...Le Mythe de Sisyphe... non far caso al
mio francese, è pessimo e Camus mi rimprovera spesso per
questo motivo. Mi rimproverava."
si corresse Milo.
"Anche
fosse non potrei
correggerti, visto che non parlo francese."
"No?"
"No.
Ma sono decisa a
volerlo apprendere, sai, un giorno ci ritroveremo insieme
nell'aldilà."
Milo
si schiarì la voce, non
sapendo come rispondere all'ultima affermazione.
"La Peste...
L'Étranger...
potrebbe essere questo qui?"
Mei
scosse la testa.
"Lo
straniero é tra i
romanzi forse più conosciuti dello scrittore, dubito
fortemente che Camus mi
abbia lasciato qualcosa d'importante proprio in un libro famoso."
"D'accordo... Le
Malentendu...
L'État de siège... L'Homme
révolté...
uffa..."
Ignorando
Milo, Mei cercó
attentamente tra i libri dietro la scrivania, quelli che Camus amava di
più:
dopo la trilogia di Tolkien e vari romanzi epici, saggi e raccolte,
finalmente,
trovó quel che cercava.
L'Été.
"L'ho
trovato,
Milo." gli disse, interrompendo le sue ricerche.
Un
libro dall'aspetto
vissuto, dalla copertina consunta in più punti; sul retro,
appiccicata con un leggero
nastro adesivo, una chiave.
"Sei
sicura di quel che
stai facendo?"
"Credo
di sì. Camus mi
ha lasciato diversi indizi e so che il libro è questo ma..."
Milo
s'avvicinó alla
scrivania e prese il tagliacarte.
"Posso?"
le
domandó, ricevendo poco dopo il libro. Giunto alla terza
pagina di copertina,
infiló la lama nel risguardo e con delicatezza, la
sollevó rivelando una serie
di sottili fogli piegati in tre, zeppi di scritte. "Et
voilà."
"Come
facevi a sapere
dove cercare?" chiese Mei, stupita.
"Che
io sia dannato!
Quel filibustiere... ha copiato un film! E, pur avendolo visto insieme
a lui,
credimi, non ci sarei arrivato: vedi? In Tomb Raider, Lord Croft lascia
un
messaggio a sua figlia Lara in questo stesso modo."
"Un
giorno dovrai
farmelo vedere." rispose Mei.
Dispiegò
i fogli dopo diversi
istanti, scoprendosi agitata.
"Ti
lascio sola."
sorrise Milo. "Io... torno di là, a far compagnia
a Camus."
"Mia cara, se
stai leggendo queste parole significa che hai capito il senso delle
frasi che
ti ho lasciato sul cassettone. Spero
anzitutto di aver sufficiente tempo per scrivere tutto ciò
che ho bisogno di
dirti, perché sento tuo fratello e i suoi amici uscire dalla
prima casa e a
questo punto potrebbe succedere qualunque cosa.
L'ultima volta ci siamo lasciati in malo modo, pieni di rancore e
parole non
dette, trasportati da sentimenti più forti della ragione. Ti
prego di
perdonarmi per ciò che ti ho detto l'altro giorno. Avrei
preferito un altro finale per noi, ma spesso nelle nostre vite, le
cose non vanno come desideriamo.
Desideravo
altre cose per
noi. Una casa, una famiglia, una vita normale, come quella di un uomo
comune,
ma... come sai, io non sono un uomo comune. Okay, prima
le cose più
importanti. Sul dorso del libro dove hai trovato queste carte dovresti
aver
trovato una chiave: apre una scatola che ho provveduto a nascondere
–in maniera
sciocca e forse un po' azzardata- nel piccolo gazebo in giardino,
dietro una
delle grate della struttura. Degél mi odierà per
aver usato qualcosa di suo per
i miei scopi personali, ma è un posto sicuro, o almeno
spero. Ti ho lasciato
delle istruzioni al suo interno, se Ares sopravvive a tutto questo,
vorrei che
tu le seguissi. Milo ti darà una mano, puoi fidarti
ciecamente di lui."
Quasi nove fogli, tanti quante le ore trascorse
nell'attesa di incontrare il suo allievo e donargli l'ultimo
insegnamento,
quello più importante. Fogli sottili, fitti della sua
calligrafia elegante e
affusolata. Fogli nei quali le aveva chiesto perdono, nei quali aveva
sperato
di non essere odiato, di essere capito e di essere perdonato per tutto
il
dolore che aveva causato.
"Camus. Sono io che devo chiederti perdono."
sussurrò.
Sgattaiolò rapida in giardino, recuperò quanto
indicato
da Camus e nascose il cofanetto nella sacca che si era portata
appresso,
tornando poi in sala come se niente fosse, anche se quelle lettere le
avevano
lasciato un tale senso di abbandono e perdita addosso che si
domandò se e come
avrebbe superato tutto.
"Sai..." esordì, dopo attimi di pesante
silenzio, dovuto soprattutto alla presenza di Hyoga. "Secondo la mia
religione, quando un uomo muore nella sua casa, è fatto
obbligo coprire gli
specchi perché si dice che guardare il riflesso della bara
porta sfortuna e per
evitare che l'anima del defunto possa afferrare chiunque si specchi e
possa
portarlo con sé nell'aldilà."
Milo sollevò lo sguardo sull'amica.
"Prima non stavi controllando gli occhi rossi."
"No." sospirò Mei. "Lo stavo
aspettando."
"..."
"Sto impazzendo." Mei scosse la testa. "...dovrebbero
ricoverarmi e gettar via la chiave."
"Credo che questo sia il tuo modo per reagire al
dolore, l'aggrapparti alla tua fede e le tue credenze, intendo. Io non
ho idea
di cosa farò quando questo giorno sarà finalmente
finito. Non lo so, credimi...
forse farei meglio ad attaccarmi alla bottiglia e cercare conforto
nell'oblio."
"Fammi sapere se funziona, così magari ci provo
anche io."
"Tu hai una bambina da crescere, non dire sciocchezze."
Mei si lasciò andare contro lo schienale.
"Lo so. Ma darei qualunque cosa per non sentire
questo dolore."
"Dobbiamo solo aspettare che passi." mormorò
Milo.
"Vorrei poterti dire che passerà, ma non è
vero." interloquì Hyoga, di punto in bianco. "Magari fosse
così
facile, ci sono già passato e anche io ho provato a
dimenticare, in ogni modo possibile.
Provi a fare altro, a tenere la mente occupata ma arriva sempre quel
momento in
cui stacchi un attimo la spina ed ecco che inevitabilmente ci pensi."
Afferrando la coperta che Milo aveva appoggiato sul
bracciolo della poltrona, si alzò, lanciando un'occhiataccia
al ragazzo.
"Ho bisogno di prendere una boccata d'aria, non
riesco a respirare qui dentro."
Certo che non sarebbe passato, parlava proprio lui che
aveva causato tutto quel dolore. E poi, con una bambina che glielo
rammentava
ogni giorno, dimenticare sarebbe stato impossibile.
Uscì nel giardino sul retro e nell'aria gelida della
notte e rabbrividì, guardando in lontananza le luci di Atene
e il suo porto.
Il profumo di lavanda e agrumi tornò prepotente e
cercò in
ogni modo di non cedere ai ricordi che quell'odore le suscitava,
fallendo
miseramente.
Al Santuario, sin dall'epoca dei miti, era d'uso inumare
anziché cremare come si faceva nel resto della Grecia:
rigorosamente prima
dell'alba, una processione seguiva il carro con la salma fino al
cimitero, dove
veniva sistemata in un feretro insieme a qualche oggetto personale. Di
norma si
teneva un discorso in suo onore, insieme a una ricca libagione e ai
Giochi.
Tuttavia dato che le salme erano cinque e non una sola e
il tempo non era sufficiente, si optò per una cerimonia di
gruppo, più sobria
rispetto ai secoli passati: Mu ne fu dispiaciuto, ma non si poteva fare
altrimenti.
Mei si accodò con Milo dietro Camus, notando che dietro
le salme di Saga e DeathMask non c'era nessuno. Suo fratello e Seiya
seguivano
Shura e, voltandosi appena, scoprì che Shun e Ikki
accompagnavano la salma di
Aphrodite. Al seguito di quel lugubre corteo, il resto dei Gold Saints
rimasti.
"Sei silenziosa. Parla, non tenere tutto
dentro." sussurrò Milo.
"Meglio di no, in questo momento ho solo voglia di
urlare fino a farmi scoppiare la gola." mugugnò Mei in
risposta.
"Urlare e commettere atti che mi metterebbero nei guai fino al collo.
Preferisco tacere e tenere tutto dentro."
Controllò la piccola stretta al suo petto, al sicuro nella
sua fascia, e tornò
a guardare Camus.
"Vuoi che lo allontani?" le domandò Milo a
bassissima voce, indicandole con un cenno Hyoga accanto a lui.
"No."
Mu tenne un breve discorso ricordando quanto successo e
ricordando uno a uno i loro compagni; personalmente, pensò
Mei, avrebbe usato
ben altre parole nei confronti di Saga.
Non batté ciglio durante l'inumazione dei Saints della
terza e quarta casa, provò un certo magone quando
toccò a Shura (e in seguito,
ad Aphrodite) e quando venne il turno di Camus, aiutò Milo a
sistemarlo nella
bara, mentre il desiderio di urlare svaniva a favore di una cieca
rabbia e un
istinto omicida che si acuì nel sentire la voce di Hyoga
pregare di nuovo in
quella sua strana lingua.
"Puoi chiedere perdono quanto vuoi, non servirà a
niente." sibilò in sua direzione, la voce colma d'odio
mentre si chinava
sulla lapide. "Non ho mai odiato così intensamente qualcuno
così come odio
te. Miei Dèi, dovresti esserci tu, qui sotto. Tu."
Il profumo sentito all'undicesima casa tornò ancora, ma
questa volta lo ignorò, troppo furiosa per cogliere
qualunque rimprovero.
Vorrei poterti dire
che passerà, Camus, ma non è vero. Ti amo, ma
questo non posso proprio farlo, e
tu non puoi obbligarmi ad accettarlo, nemmeno per amor tuo.
***
Lady Aquaria's corner
Come nella vita reale, al dolore ognuno reagisce a modo
suo.
A un lutto, personalmente, reagisco chiudendomi nel silenzio e
nell'auto
isolamento, a piangere finché non mi passa. Quando
morì mia nonna, e dopodomani
saranno quattro anni, ricordo che insieme a lacrime e silenzio ci fu
una fase
aggressiva pazzesca, soprattutto contro quelle persone che si fingevano
amiche
e che invece erano serpi.
Ma non tutti siamo uguali, giusto? C'è chi reagisce
gettandosi a capofitto nel
lavoro, o in attività adrenaliniche o in qualsivoglia cosa
per non doverci
pensare.
O chi, come Mei, reagisce così: fingendosi forte fuori, ma
crollando dentro.
Reagendo con l'aggressività piuttosto che con
l'introversione. L'ho descritta
così, se la cambiassi non sarebbe più Mei e lei
è come una figlia: i figli si
possono guidare, non cambiare.
Per esigenze di copione alcune cose sono state cambiate rispetto
all'anime e al manga.
By the way, varie spiegazioni lungo il capitolo:
-Prosti e lypàme
poli significano mi dispiace in
russo e in greco, almeno, secondo i miei frasari. In caso fossero
sbagliati,
eventuali correzioni sono gradite.
-La citazione
che Camus utilizza per indirizzare Mei alle lettere è del
suo omonimo, tratta
da "Ritorno a Tipasa", da "L'Estate".
-Le varie info riguardanti i riti funebri in uso nella
Grecia antica e in
Cina
le ho tratte da diversi siti.
Grazie a chi recensisce e segue anche con la mia lentezza
cronica. Grazie molte.
Alla prossima!
Lady Aquaria
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Capitolo 27 *** Here without you ***
27 prequel
27.
Here
without you.
A
hundred days have made me older
Since
the last time that I saw your pretty face.
A
thousand lies have made me colder
And
I don't think I can look at this the same.
All
the miles that separate
Disappear
now when I'm dreamin' of your face.
I'm
here without you baby
But
you're still on my lonely mind.
I
think about you baby and I dream about you all the time.
I'm
here without you baby
But
you're still with me in my dreams
[3
Doors Down – Here without you]
"Come immaginavo, sei qui."
Sulle prime
Camus
non riconobbe quella voce: a essere sincero non l'aveva mai sentita in
vita
sua.
"Non vedo come la
cosa possa
interessarvi."
replicò, sulla difensiva. Corrugando la fronte, si
voltò, per rimanere di
stucco subito dopo. Si alzò, prestando immediatamente
attenzione all'uomo che
aveva di fronte: l'uomo del ritratto appeso all'undicesima casa, il suo
diretto
predecessore. "Voi?"
"Desideravo molto conoscerti, Camus,
sebbene mi dolga sapere che ciò sia accaduto troppo
prematuramente."
"Io... non pensavo
neanche di avere
quest'opportunità."
"Ma avresti dovuto immaginarlo, dato l'esito dello scontro da
Aquarius." replicò
Degél, calmo. "E se sei qui, come
ogni giorno, a vegliare sulla tua famiglia."
Serrò
gli
occhi, stanco. Non era in quel modo che aveva programmato di
proteggerla.
Vegliava su
loro da quando aveva chiuso gli occhi all'undicesima casa, minuto
più minuto
meno. In tutta la sua esistenza non aveva mai creduto, nemmeno un
secondo, a
spiriti e fantasmi, eppure era diventato come Degél, uno di
loro.
"Devo ammettere che vi immaginavo
diverso."
"Diverso... come?"
Gli
occhi, dietro la
sottile ed elegante montatura metallica, brillavano allegri e curiosi e
sembravano scrutarlo nel profondo. Degél mostrava un sincero
e aperto interesse
nei suoi confronti, e seppur senza darlo a vedere, sentiva che era
anche
emozionato nel fare la sua conoscenza. Ma a un certo punto
iniziò a sentirsi in
imbarazzo e distolse lo sguardo.
"Non so."
"Non
sai." Degél ridacchiò appena. "Eppure
sei quel tipo di persona che conosce le risposte a ogni cosa."
"Non sempre."
"Dunque, se me lo concedi, risponderò io per te. Posso?
Orbene...
considerando le tue reazioni di quel pomeriggio all'undicesima casa,
oserei
quasi dire che ti aspettassi un fantasma degno della letteratura,
avvolto in un
sudario e circondato da una luce abbagliante, di quelli che amano
salire nel
mondo dei vivi per inorridire il prossimo."
"Non ho mai pensato
una cosa del
genere!"
"Oh, lo so." annuì
Degél.
"Però potrei farlo. Kardia e
Manigoldo si cimentano in questo tipo di passatempo di quando in quando
e si
dicono divertiti."
"Voi
non
mi sembrate quel tipo di persona capace di giocare simili scherzi."
obiettò Camus.
"Tu
dici? Sebbene non
abbia mai
approvato i loro metodi, devo ammettere di aver provato un sottile velo
di
perfida soddisfazione nel vedere l'occupante della quarta casa
sobbalzare nel
letto. Manigoldo è sempre stato abile nel riconoscere le
paure e i punti deboli
di qualcuno."
DeathMask aveva
punti deboli? Era quasi
incredibile.
"Tutti ne abbiamo almeno uno, per
quanto ci irriti ammetterlo." Degél rispose al suo
ultimo pensiero. "Quello di DeathMask era ben
celato nel
suo cuore, ma Manigoldo è stato capace di trovarlo, seppur
con un certo
impegno. Una bambina, sua sorella. Quando ho scoperto che era lei che
sfruttavano per terrorizzare il tuo commilitone, ho sottoposto lui e
Kardia a
una reprimenda che ancora la rammentano. Riprendendo le fila del
discorso,
comunque, credo che la teoria più probabile sia un'altra:
semplicemente pensavi
che Mei fosse una squilibrata."
"Dèi, no!" protestò
Camus, con veemenza.
"Dohko e DeathMask
possiedono lo
stesso potere."
proseguì Degél. "Certo,
in forma
molto più potente rispetto a quella della ragazza. Mei ha
buone capacità, ma
sono acerbe: può percepire e interagire con gli spiriti, ma
non può evocarli.
Sua madre a parte, tu saresti di certo il primo che lei richiamerebbe a
sé.
Siete l'uno il punto debole dell'altro, ma a onor del vero, tu ne hai
due."
Lei e la
loro
bambina, che non era più in grado di proteggere: le
guardò, la prima chinata a
pregare, la seconda mentre dormiva tranquilla accanto a lei.
"Non crucciarti per
loro: tua figlia
è sotto la mia tutela e a Mei ci pensa Kardia. Tuttavia...
non dovresti stare
qui."
Camus
distolse
lo sguardo da Mei, intenta a uscire dal suo sacrario, e lo
posò su Degél.
"Non giudicatemi.
Anche voi al mio
posto sareste qui vicino alla vostra donna." rispose.
Degél
pensò
subito a Seraphina.
"Avrei dato volentieri la mia vita
per salvare la sua, come tu hai fatto con Mei."
annuì poco dopo.
"E poi, cos'altro
potrei fare?
Comunque non può vedermi né sentirmi." replicò
atono, senza giustificarsi per esser stato colto lì
per l'ennesima volta.
Degél proruppe in una risatina.
"Io ho impiegato duecento anni per
riuscirci, tu sei troppo giovane e inesperto. E in ogni caso, non hai
tutto
questo tempo a disposizione, per tua fortuna."
"Cosa intendete
dire?"
"Sei solo di passaggio qui, non è ancora il tuo tempo. Sul
mio destino era
ben delineata la mia morte, la storia la conosci. Ma tu..." s'interruppe
Degél. Parve pensare su
come proseguire col suo discorso, quindi sospirò. "D'accordo, posso dirtelo, dal momento che al tuo
ritorno non
ricorderai una sola parola di quanto sto per dirti. Arriveranno altri
figli, i
nipoti, si rafforzerà un legame importante. Ci saranno
ostacoli, perché così è
la vita, ma li supererete. Ci vorrà tempo, ma tornerai da
lei."
"Sono morto, come
posso farlo?"
"Fidati di ciò che dico. Sarai messo a dura prova, dovrai
sopportare dolori
che piegherebbero chiunque, ma sei forte. Comprenderai che la
ricompensa che ti
aspetta varrà tutta la pena."
Posarono
entrambi lo sguardo su Mei, e Camus chiuse gli occhi un istante, colmo
di
rimpianti per le questioni rimaste in sospeso tra di loro.
"Non so cosa farei per
poter..."
Degél
si
voltò di scatto, indovinando i suoi pensieri.
"No! Te lo impedirei con ogni mezzo:
le cagioneresti un dolore incommensurabile e danneggeresti le trame del
destino. Qualunque tua avventata interferenza potrebbe cambiare tutto
il vostro
futuro. Sii paziente, altro non puoi fare." lo interruppe,
severo. "Nel più profondo, non so
come, Mei
riesce a percepirti. Già
questo
potrebbe essere un problema. Non causarne altri."
Più di una volta si era accorto che quando era
nelle vicinanze, Mei
guardava in sua direzione, senza tuttavia vederlo. A Milo, una volta,
aveva
detto che spesso in casa sentiva odore di lavanda e agrumi, lo stesso
che aveva
sentito addosso a lui quand'era in vita.
"Lavanda e agrumi?"
"Un'acqua di colonia
italiana che mi
piace particolarmente."
rispose Camus. "Vi dispiacerebbe
smettere di leggere i miei pensieri? Ne avrei qualcuno
privato che non mi va di condividere."
Mei non
faceva altro che pregare, pregare, pregare.
Mangiava il necessario per poter allattare e quando la bambina dormiva,
sfamata
e pulita, non faceva che chiudersi nella Stanza degli Avi, invocando
silenziosamente il suo nome.
Era crudele
essere lì con lei, percepire il suo dolore e non poter
intervenire in alcun
modo.
"È una donna forte, si
riprenderà." pronosticò
Degél, corrugando improvvisamente la fronte:
Mei, forse immersa nei suoi pensieri, teneva la mano premuta sul cuore
esattamente come Camus in quel momento.
Conoscendola si sarebbe sicuramente ripresa, ma... quando?
"Ma certo... come ho fatto a non pensarci prima? Ho sottovalutato la
questione." riprese Degél, distogliendo lo sguardo
non appena la
ragazza ebbe iniziato a spogliarsi.
"Può dunque sentire anche gli altri Saints caduti?"
"Con quest'intensità potrebbe
percepire solo suo fratello, qualora dovesse accadere un imprevisto
celato
anche ai miei sensi, per via dei legami di sangue..."
"Io e Mei non siamo
imparentati."
obiettò, continuando a tenere gli occhi fissi su di lei.
Notò con
preoccupazione che la sua magrezza era più accentuata, una
volta tolti i
vestiti: non la ricordava così, le sue mani avevano memoria
di ben altre forme.
"Ah, tu dici? Non sono avvezzo ad
adoperare lo stesso linguaggio di Kardia, pertanto ne userò
uno più consono: vi
siete uniti carnalmente, avete dato alla luce la vostra creatura. Il
legame
c'è, anche se è diverso da quello che la lega al
fratello. Per questo lei
continua a sentirti. Per quanto riguarda gli altri Saints, lei
può solo
percepire i loro Cosmi, quando essi sono vivi, ma da deceduti, solo in
rari
casi... forse sentirà Dohko, per il quale prova un affetto
filiale, o Milo, per
via della loro amicizia."
Quell'ultima
affermazione lo scosse nel profondo: si scoprì
agitato come poche volte era successo.
"Milo
morirà?" lo interruppe
nuovamente, gli occhi
sgranati e colmi di panico.
**
Acqua, acqua
e fango dappertutto: il villaggio sottostante il Goro-Ho era stato a
malapena
lambito dall'ondata di morte e distruzione che Poseidone aveva
scagliato sul
mondo, ma nonostante questo, il mercato era praticamente sfornito dei
beni di
prima necessità.
Mei
rincasò
con la poca spesa che era riuscita a fare, decidendo di chiedere aiuto
a Milo
affinché l'accompagnasse a far spesa a Rodorio, o ad Atene.
Capì
che
qualcosa non andava per il verso giusto non appena ebbe messo piede in
casa.
"...è
tornata."
"Le hai detto che saremmo venuti, vero?"
"Lasciate fare a me, ci penso io."
Corrugò la fronte, posando i sacchetti in cucina e
dirigendosi velocemente in giardino.
Shiryu fu il primo ad alzarsi, seguito da Seiya, Ikki e Shun, e infine,
Hyoga.
"Mei!" sorrise suo fratello, raggelandosi non appena ebbe
intercettato il suo sguardo.
"Fratello. Noto che questa volta,
stranamente, sei riuscito a riportare a casa gli occhi. Ma
che bravo ragazzo." commentò Mei, acida, ignorando
le
occhiate esterrefatte di Shunrei. Poi, il suo sguardo si
spostò su Hyoga.
"Che diavolo ci fate qui?"
"Mi sa che non gliel'ha detto."
Colpito dal
livore col quale stava guardando l'amico, Shun mosse un passo avanti.
"Abbiamo
bisogno di riposarci un paio di giorni, le nostre ferite sembrano
gravi, ma non
siamo conciati male." minimizzò.
"Parla
per te." borbottò Seiya, che tentava disperatamente di non
cedere al
prurito dei punti che il medico della fondazione Kido, il giorno prima,
gli
aveva applicato.
"Possiamo restare qui? Solo un paio di giorni, promesso."
Shiryu si
schiarì la voce, imbarazzato.
"Avresti dovuto
avvertirmi." borbottò
Mei, passando al cinese.
"Mi avresti detto di
no."
"No, avrei preso mia
figlia e me ne
sarei andata. Sono tua sorella maggiore, Shiryu, gradirei un minimo
dello
stesso rispetto che riservi ai tuoi amici e alla tua Dea." sbottò,
prima di recuperare la calma.
"Dovrete adattarvi a dormire tutti nella stessa stanza."
Seiya
proruppe nel suo solito sorriso scanzonato.
"Nessun
problema, vero ragazzi?"
"Abbiamo due stanze per
gli ospiti." obiettò Shiryu.
"Una è diventata la stanza di mia figlia.
Molte cose sono cambiate durante la tua assenza."
replicò Mei,
facendosi da parte e facendo rientrare i ragazzi. Hyoga, invece, non
mosse un
muscolo.
"Non è stata mia l'idea." esordì, una volta
rimasti soli.
"Vorrei poter essere ovunque, ma non qui."
"..."
"Io... posso anche stare nella stalla, se non mi vuoi in casa."
"Non
abbiamo una stalla, mi dispiace." fu la replica secca di Mei.
"Mi arrangio anche a dormire all'addiaccio. Sopporto bene il freddo."
La
somiglianza con Shiryu, pensò Hyoga, si limitava solo ad
alcuni tratti somatici:
come il fratello, Mei aveva i caratteri tipici dei popoli orientali
–occhi allungati,
capelli scuri e folti, una certa fierezza- ma il temperamento e
l'ardore che
sentiva scorrerle nelle vene, non aveva nulla a che vedere con Shiryu
che, tra
i due, era sicuramente il più riflessivo e meno incline a
cedere all'istinto.
"Entra.
Muoviti, prima che ci ripensi."
Le sorrise
suo malgrado, grato per non dover dormire fuori, con
l'umidità della notte.
"Grazie per la tua gentilezza." le rispose, soprapensiero.
"Osi
anche fare lo spiritoso?"
Hyoga la
superò svelto, salendo al piano di sopra e raggiungendo gli
amici: Shiryu stava
mostrando loro la casa, mentre Shunrei sistemava la camera per loro.
"Presta
attenzione a questa porta." sibilò infine, fredda. "Questa
stanza è
comunicante con la mia, e ti è proibito entrare. Guai, se ti scopro qui dentro. Potrei
ucciderti, e non
scherzo."
"Lo
so."
"Non so cosa Shiryu abbia raccontato di me, ma sappi che sono molto
peggio
di quel che sembro. Stai lontano da me e da mia figlia e tutto
andrà bene."
Non poteva
evitare la sua presenza, ma poteva quantomeno impedirgli di avere
contatti con
Lixue.
La bambina
stretta tra le braccia, Mei si sedette accanto alla culla, guardando
quella
creatura preziosa e indifesa, che doveva proteggere a tutti i costi.
Gli occhi
erano i suoi –o meglio, retaggio di sua madre- ma quei
capelli rossi e quei
tratti le rammentavano ogni giorno ciò che aveva perso e che
non sarebbe mai più
stato.
"La cena
è pronta." Shiryu entrò nella stanza dopo aver
bussato.
"Non ho fame." rispose, atona.
"Mei, ti
prego."
"No,
Shiryu. Nessun tuo Mei con la
vocina
zuccherosa può farmi calmare."
"Sei
arrabbiata."
"Arrabbiata…Shiryu,
che parolona… sono furiosa!"
"Perché
ci sono i miei amici?"
"Per
tutti gli dèi, Shiryu. Lo sai benissimo che non è
questo il motivo."
"È
perché c'è Hyoga?"
Che intuito, i miei
complimenti.
"Dì
a
Shunrei che mi dispiace, ma non cenerò con voi. Porgi le mie
scuse al
Maestro."
"Come
vuoi." capitolò Shiryu, lasciandola sola.
"C'era
una tensione pazzesca nell'aria...ve ne siete accorti?"
domandò Seiya.
Solo uno sprovveduto
non se ne sarebbe
accorto, pensò
Hyoga,
senza rispondere alla domanda dell'amico.
"Per un
attimo ho temuto che il cibo fosse avvelenato."
"Ma smettila." sbottò Shun.
"Magari
lo era davvero, con un veleno che agisce lentamente, e non ce ne siamo
accorti
perché farà effetto nella notte e moriremo tutti
nel sonno." ridacchiò
Ikki."Ecco perché non ha mangiato con noi."
"Ti ci metti pure tu, adesso? Non sarebbe in grado di farci del male. "
rispose Shun. "Il suo animo è buono."
Hyoga scosse la testa.
"Amico
mio, come si vede che la conosci davvero poco."
Il rancore
che le aveva letto negli occhi quel pomeriggio era indescrivibile a
parole;
avesse potuto, gli avrebbe volentieri cavato il cuore dal petto, e se
non
l'aveva fatto, c'era solo un motivo.
"Perché,
tu sì? Ti ricordo che ha perso una persona amata, chiunque
reagirebbe in quel
modo."
Già, perché lui invece non soffriva da quel
giorno, oh no. Non aveva sofferto
nel ritrovarsi di fronte alla sua illusione, nell'avvertire lo spirito
di Camus
infondergli forza, ad Asgard. No, lui era immune dalla sofferenza, un
muro di
gomma contro il quale rimbalzava ogni cosa.
Al diavolo!
"Io
esco, ho bisogno di prendere un po' d'aria." tagliò corto,
nervoso.
Scese dabbasso, uscendo in giardino nell'aria fredda della sera e
prendendo
grossi respiri: si sentiva soffocare, un altro minuto là
dentro e avrebbe dato
di matto.
Beh, non che fuori fosse meglio: mescolato all'odore della neve, un
profumo
dolciastro che minacciava di peggiorare il suo mal di testa.
"Mio
Dio, che cos'è?" borbottò, tappandosi il naso.
"Ti prego, Camus.
Mostrati."
Era Mei.
Alzò
lo sguardo e vide una finestra del sotto tetto fiocamente illuminata.
Doveva
essere la stanza che usavano per pregare, Shiryu si era raccomandato di
non
entrarvi per nessun motivo, dal
momento che in quella stanza riposavano le anime dei loro Avi e che
l'ingresso
di persone estranee alla famiglia era considerato sacrilegio.
Rientrò
rapido e senza far rumore salì le scale fino ad arrivare a
pochi metri dalla
porta socchiusa, da dove filtrava, più penetrante, lo stesso
odore avvertito in
giardino: doveva essere l'incenso che bruciava nell'incensiere
intarsiato
accanto a Mei.
La vide
seduta
sui talloni in una tipica posa da artista marziale, mentre parlava, lo
sguardo
volto al soffitto. Peccato non comprendere una sola parola di cinese:
sentì più
volte il nome di Camus e il suo… difficile non immaginare
l'argomento di quelle
parole.
"Non posso vederti, ma so che sei qui, Camus.
Ti sento. Percepirei la tua presenza
anche a chilometri di distanza: so anche che puoi sentirmi ma non puoi
parlarmi
e di questo, al momento, sono grata agli Dèi,
perché posso dirti tutto quello
che meriti senza che tu possa fermarmi." si
schiarì la voce. "Sei una carogna
subdola e infida, uno
stramaledetto demone dai capelli rossi, so che sei stato tu a mandarli
qui. So
che cosa stai cercando di fare, ma non te lo permetterò, e
poco importa,
credimi, se arriverai al punto di maledirmi o che so io. Non credere
che
mandando Hyoga qui io sia disposta a conoscerlo e comprendere le
ragioni del
tuo assassinio, perché se così fosse allora, non
mi conosci ancora abbastanza.
Non ho intenzione di conoscerlo quindi smettila di fare ciò che stai facendo. Qualunque
cosa tu stia facendo."
"Dovesse
scoprirti qui, finiresti in guai seri." mormorò Dohko,
spuntandogli alle
spalle all'improvviso e facendolo sobbalzare.
"Non
volevo spiare, Maestro." si scusò Hyoga, prima di imboccare
rapidamente le
scale.
"Lo so,
ma lei la prenderebbe sul personale." lo seguì Dohko.
"Sembra forte e
invincibile, ma in questo periodo è fragile come non lo
è mai stata. Conosco
quella ragazza da quando era poco più che una bambina, e
questa è la prima
volta che la vedo in questo stato. Non forzarle la mano, potresti fare
più
danni che altro."
"Vorrei
solo spiegarle come sono andate le cose e chiederle scusa."
"Ti
capisco, ma non è un buon momento."
Shunrei
aprì
la finestra, facendo uscire l'aria viziata della stanza e avvicinandosi
a Mei,
riversa a terra.
"Di
nuovo gli incensi forti, Mei?" sospirò, raccogliendo la
scatolina e riponendola
al suo posto. "Quando la smetterai di farti del male?!"
L'altra
borbottò, protestando per quell'intrusione.
"Lixue
stava piangendo, le ho dato il biberon che avevi preparato.
Così facendo non
fai del male solo a te stessa, lo stai facendo anche a tua figlia.
È questo che
vuoi?"
"Non ho
bisogno della tua predica." protestò Mei. "Tu non capisci,
non sai
cosa sto passando. Torna da Shiryu, deve ancora guarire, pensa a lui!
Io darei
qualunque cosa per poterlo fare con Camus. Stagli vicino, tu che puoi.
E
lasciatemi in pace, tutti quanti. Non voglio la compassione di nessuno."
Era tanto,
chiedere un po' di pace?
Il giorno successivo il suo umore certo non era migliorato
così come la sua
insofferenza nei confronti di qualunque cosa. Si occupò di
sua figlia, praticò
taijiquan come tutte le mattine e restò chiusa nelle sue
stanze fino a
pomeriggio inoltrato.
"Ti
trovo bene."
Mei sollevò appena lo sguardo dalla pentola, intravedendo
Milo sulla porta
della cucina.
"Arrabbiata" puntualizzò
quindi Milo, incrociando lo sguardo dell'amica "ma ti trovo bene."
"Così come ieri, l'altro ieri e via discorrendo." gli
rispose.
"Si tira avanti, altro non si può fare."
Era alquanto facile indovinare la causa del malumore di Mei: Shiryu,
ritornando
a casa dopo lo scontro negli abissi, si era portato appresso anche gli
amici
dopo aver ricevuto le prime cure all'ospedale della Fondazione Kido.
Tra
questi, Hyoga.
"C'è
un
buon profumo qui." Milo cambiò discorso, posando sul tavolo
i sacchetti
che aveva portato con sé. "Cosa c'è di buono per
cena?"
"Maiale al profumo di pesce." gli rispose, lasciandolo sbigottito.
"Come
sarebbe?!"
"È
solo
carne cucinata con erbe e spezie che di solito si usano per cucinare il
pesce,
niente miscugli azzardati." lo rassicurò, prendendo un
peperoncino e
spezzettandolo grossolanamente nella pentola. "Sarei felice di averti a
cena, se non hai null'altro di meglio da fare."
"Resto
volentieri." annuì lui, sorridendole.
"Ti
ringrazio molto, speravo mi rispondessi così, ho bisogno di
una persona amica
accanto."
"Beh, se
hai bisogno di qualcosa, non hai che da chiedere, lo sai."
Si
guardò
intorno, notando una lavagnetta con delle date e dei numeri segnati
ordinatamente; pensando riguardasse la piccola, si avvicinò
e, pur non
comprendendo quanto scritto in cinese, lesse attentamente ogni data e
ogni
numero. Poi, cambiò repentinamente espressione: qualcosa non
tornava. Quei
numeri non potevano riferirsi al peso di Lixue.
"Ti ho mentito, poco fa."
"In
merito a cosa?"
"In
realtà non ti trovo bene."
"Ah beh,
ti ringrazio molto."
"Quel cinquanta si riferisce al
tuo peso, vero? Sei dimagrita di nuovo, come quella volta?"
"L'allattamento mi sta prosciugando le energie." tagliò
corto Mei.
"Certo."
rispose Milo, per nulla convinto. Allungò una mano e le
sfiorò una guancia col
dorso delle dita. "So esattamente come ti senti, ma non ti abbattere
così."
"Starò
bene, non ti preoccupare." presa una radice di zenzero, ne aggiunse un
poco nella ricetta e tornò a mescolare il tutto, facendo
sprigionare l'aroma
della spezia.
"Mi
piace quest'odore." Milo cambiò ancora una volta discorso.
"Copre quello
di terra bagnata. Cominciavo a non poterne più, mai vista
tanta pioggia in vita
mia."
"A chi lo dici. Ascoltavo notizie terrificanti al telegiornale e
speravo
di non doverne sentire più... centomila dispersi in Francia,
la Germania
piegata dagli alluvioni...qui il volume della cascata è
triplicato e grazie al
cielo il fiume è molto più in basso, altrimenti
le inondazioni avrebbero
colpito anche noi. E per fortuna ci sei stato tu, a darci una mano...
non so ancora
come ringraziarti per il tuo aiuto."
Milo le sorrise e si sedette.
"Anche tu mi avresti aiutato, se fosse stato il contrario. Le notizie
che
hai sentito sono anche peggiori...gli sfollati sono all'ordine delle
centinaia
di migliaia, il numero dei morti è solo ipotizzato, ma
dicono superi il mezzo
milione... mezza Europa è piegata dalle inondazioni e anche
negli Stati Uniti
non se la sono passata bene: cinquantamila vittime solo sulla costa
occidentale, mentre l'Asia è ancora flagellata dai
terremoti. Poseidone si è
divertito parecchio." replicò, osservandola mentre
trafficava con la
teiera e una pirofila. Quando Mei gli offrì una tazza di
tè e un dolce, la
ringraziò.
"Stavo
pensando... potresti stare un po' con noi, al Santuario. Ti farebbe
bene
cambiare un po' d'aria, stare un po' al mare. All'ottava casa
c'è una stanza in
più e saresti la benvenuta."
"Ti sono grata per tutto, davvero. Ma non ho alcuna intenzione di
tornare
al Santuario, men che meno adesso che Camus giace in quel cimitero." lo
interruppe, risoluta. "Non posso tornare, mi dispiace, quel luogo
è pieno
di ricordi."
"Permettimi
di insistere."
Non gli rispose, preferendo concentrarsi sulla cena e anzi, parlando
della
battaglia conclusa da poco.
"L'ho
sentita."
"Chi?"
domandò Milo, corrugando la fronte.
"Quella
ragazza, su ad Asgard."
"...la principessa Freya?"
"Non so come, ma ho avvertito il suo dolore. So che è
assurdo, nemmeno la
conosco, ma credo che l'aver provato così intensamente il
dolore della perdita,
mi abbia reso più sensibile nel percepirlo. Hyoga
è una piaga su questa Terra.
Quante altre vite dovrà strappare, quante altre donne
dovrà rendere vedove
prima che qualcuno fermi per sempre il suo cammino? Sai, io ho seguito
tutti i
loro scontri, ho sentito mio fratello indebolirsi e reagire, i suoi
compagni
affrontare avversari difficili in territori ostici... ma ho seguito con
particolare interesse i suoi scontri. Fino alla fine ho sperato che i
suo
avversari lo uccidessero."
Mei... ti prego...
"Mei, certe
cose non dovresti nemmeno pensarle. Pensi che la morte di Hyoga possa
in
qualche modo restituirti ciò che hai perso? Potrai
infliggergli tutte le
punizioni di questo mondo, potrai insultarlo o prenderlo a pugni, la
situazione
comunque non cambierà."
"Non
farlo, Milo. Non trattarmi da stupida." sbottò Mei. "Non
cambierà la
situazione, ma farà stare meglio me."
"Ne sei proprio certa? Le mani sporche di sangue non fanno star bene
nessuno." le rispose, serio. "Camus non ti perdonerebbe mai. Anche
fosse, una volta scemata l'adrenalina, saresti schiacciata dal senso di
colpa.
Prendere la vita di un uomo non è facile come credi."
Non le
avrebbe raccontato di cosa si provava nel guardare la vita scivolare
via dagli
occhi di una persona, degli strascichi che una cosa di quel genere
lasciava
nell'animo.
Certo, aveva
le capacità per farlo e magari in un momento di rabbia cieca
avrebbe anche
potuto ucciderlo, ma poi?
"Tu
l'hai mai fatto?" si sentì domandare, dopo alcuni minuti.
"Sì."
"E
Camus?"
"Al Santuario aveva ricevuto l'ordine di eliminare Hyoga, ma ha deciso
diversamente. Non avrebbe mai potuto farlo."
"Non
parlavo solo dello scontro al Santuario."
"No, mai." ribadì Milo. "Ha sempre
ignorato qualunque ordine prevedesse un'esecuzione e quasi è
finito nei guai
per questo."
"È
stato
punito per aver scelto di non uccidere?"
"No, perché ho portato a termine io certi suoi ordini.
Finché si tratta di
nemici, lo fai senza pensarci perché devi difenderti. Ma
quando si tratta di
ragazzi che fino al giorno prima hai visto nell'arena e che scappano
per
sfuggire a una vita dura, beh... è un'altra questione." le
rispose.
"Nessuno lo sa, confido nel tuo silenzio o potrei pagare per questo."
"Lo
so." annuì Mei. "Se l'aria al Santuario è
irrespirabile come qualche
mese fa... chi c'è al potere, adesso che Ares non
c'è più?"
"Mu. Eletto ad interim finché l'emergenza non
sarà passata. Ma ci sono
cose che è meglio non divulgare per nessun motivo, neanche
in tempi di relativa
calma."
"Certo."
A cena, Shun
si sforzò in tutti i modi di mantenere un tono neutrale a
tavola. Avviava
discussioni su ogni genere di argomento, interessandosi agli studi
marziali di
Shiryu e Mei, ponendo domande specifiche sul judo, o sul taijiquan,
alle quali
quest'ultima rispondeva con educazione, ma con una freddezza di fondo
che
tuttavia non lo scoraggiò affatto.
Hyoga fece ben attenzione a non intervenire in alcun modo, lasciando
che
fossero gli altri a parlare. Scoprì che l'idolo di Mei era
forse il più famoso
tra gli artisti marziali del mondo, Bruce Lee, che nonostante la sua
giovane
età era cintura nera e che –anche se questo a
differenza di Shiryu- parlava
correttamente anche l'italiano, lingua materna, perché la
loro madre era stata una
cantante lirica italiana.
"Davvero? Hai girato il mondo, allora!" esclamò Shun a un
certo
punto.
"In un certo senso..."
"Qual
è
il posto più bello che hai visitato?"
"Ce ne
sono tanti, non posso sceglierne solo uno."
"Hai
viaggiato anche tu, prima dell'addestramento?" Shun si rivolse a Shiryu.
A giudicare dalle fotografie che Mei custodiva gelosamente e che li
ritraeva
tutti e quattro insieme, sì, ma a differenza di sua sorella,
non aveva seguito
assiduamente la madre nei suoi viaggi di lavoro.
"Dev'essere stato bello." interloquì Milo.
"Finché è durato, sì." convenne Mei.
"Perché
poi cos'è successo?" volle sapere Seiya.
"Un incidente." rispose Shiryu, per lei. "Non è facile
parlarne.
Certi ricordi uccidono."
Ikki
ridacchiò.
"I
ricordi uccidono, dici? Ti è andata bene, non hai dovuto
affrontare
Lymnades..."
"Già, pensa quanto mi è andata bene che sono
stato preso come puntaspilli
da Crisaore." replicò Shiryu. "Ho fatto un ottimo affare."
"Shiryu,
parli così perché tu non l'hai affrontato e non
puoi sapere di cosa fosse
capace, ma riusciva ad eviscerare i tuoi segreti più
profondi. Ti è davvero
andata bene non averci avuto a che fare: sembrava leggerti come un
libro
aperto." aggiunse Shun. "Ha ingannato Seiya sfruttando Marin e Seika,
ingannato me sfruttando Ikki e..."
"Ha
fregato voi mammolette, perché con me i suoi metodi non
hanno funzionato."
puntualizzò Ikki, omettendo di precisare che Lymnades si era
accorto del suo
punto debole quando era troppo tardi e che anche per quel motivo, lui,
se l'era
cavata.
"Con
te ha avuto meno tempo per agire, ma credimi quando ti dico che era
eccezionale
a scoprire il tuo punto più debole!" aggiunse Seiya. "Ha
fregato
anche Hyoga, e sì che lui è un esempio di
freddezza..."
L'attenzione
di Mei si risvegliò come d'incanto, iniziando a fissare
Hyoga con uno sguardo
indecifrabile.
Lui doveva esser
stato ingannato con il ricordo di sua madre, pensò,
con una punta di cattiveria.
Hyoga
ripensò a quei momenti, a quando l'illusione di Lymnades,
così viva e reale,
aveva fatto breccia nelle sue difese e nel suo buonsenso. Qualcosa in
lui
sapeva che quel Camus non era vero, non era il suo Maestro. Eppure la
ragione
era stata letteralmente messa nel sacco da quella trappola ben
architettata.
Quei modi, quel sorriso, le sue parole così simili alle
sue... l'inganno era
stato dolorosamente perfetto, almeno, fino alla stilettata che Lymnades
aveva
scagliato.
"Non
mi va di parlarne." cercò di troncare la discussione,
invano.
"E
invece Lymnades ti ha infinocchiato lo stesso. Con Aquarius." Seiya
proseguì impietoso, ignorando le sue occhiate gelide.
"Seiya..."
borbottò Shiryu, corredando l'ammonimento con
un'occhiataccia e un calcio sotto
il tavolo.
"Uh!!!
Il budino di riso! Ikki, mi passi il latte di cocco, per favore?"
interloquì
Shun, allungando il braccio verso l'altro lato del tavolo, dove sedeva
suo fratello.
"Camus?" ripeté Mei, gelida,
ignorando i tentativi del giovane di cambiare discorso. "È lui il tuo punto debole? Io lo definirei
senso di colpa."
"Mei,
per favore." interloquì Milo, tentando inutilmente di
calmarla.
"È
giusto, devi avere sensi di colpa.
Significa che sai di essere in torto."
"Non
è
il momento per-..."
"Hai ragione." Mei parve calmarsi. "Non è un buon momento,
troppi testimoni. Quando arriverà il momento opportuno, ne
parleremo." si
alzò, raccogliendo il proprio piatto e dirigendosi in cucina.
Hyoga si
alzò
subito dopo.
"Lascia stare, per favore." disse Milo.
"Niet." sbottò l'altro. "No. Vuole a tutti i costi fare la
vittima? Bene, adesso le darò un buon motivo per avercela
con me."
"Non
peggiorare la situazione!"
"Definisci peggiorare."
sbraitò. "Peggiore delle sue continue frecciatine? O dei
suoi sguardi
carichi d'odio? Oppure delle continue e non proprio velate minacce di
morte?
Soffro anche io, cosa accidenti credete, tutti quanti? Ne ho fin sopra
i
capelli di tutto questo, adesso basta."
Mei stava
ancora
borbottando tra sé e sé, quando lui si chiuse la
porta della cucina alle
spalle.
"Certo che hai fegato. Te lo riconosco, hai più coraggio di
quel che
pensavo." commentò lei, quando si accorse di lui.
"Ti sfugge un piccolo particolare: non
ho paura di te."
"Dovresti averne." ribatté Mei.
Quel suo
comportamento lo mandò in bestia.
"Vuoi
finire il lavoro di Isaak? Prego, accomodati." Hyoga si
strappò
rabbiosamente la benda e le offrì l'occhio ferito. "Avanti. Strappami gli occhi, tutti e due.
Piantami qualche coltello
nel petto. E dopo? Ti sentirai meglio? Pensi forse che Camus
tornerà una volta
che mi avrai ucciso?"
"Calmati,
piccino." lo prese in giro Mei. "Mangerai, dormirai e guarirai sotto
il mio stesso tetto. Non dovrai temere avvelenamenti o agguati di
nessun genere
da me, perché non è il mio modo di agire. Una
volta sistemate le ossa rotte,
una volta che i tuoi lividi si saranno riassorbiti e che il tuo occhio
tornerà
a vedere, solo allora ti affronterò. Non è mia
abitudine infierire su chi è
debole."
"Maestro. Dovete
perdonarmi, ma sto
per chiedervi qualcosa che sicuramente non vi piacerà."
"Cosa, Camus?"
Impiegò
qualche secondo
a rispondergli.
"Voglio bene a Hyoga come se ne
vuole a un figlio, e amo lei come nessun'altra persona al mondo. Sono
due parti
importanti della mia vita e non riesco a immaginare un futuro senza uno
dei
due. Ne ho già persa una, non voglio perderne altre."
"Temi per il tuo allievo?"
"Per entrambi." precisò Camus. "È
furibonda, neanche Milo riesce a farla ragionare. Potrebbe davvero
commettere l'irreparabile e a quel punto la situazione non farebbe che
peggiorare, la sua vita sarebbe rovinata per sempre.Voglio
fermarla, devo almeno provarci."
Degél annuì grave.
"Nessuno di noi due può
interferire,
devo interpellare Kardia. Devo avvertirti però: trovo i suoi
metodi efficaci,
ma poco ortodossi: non userà mezze misure, sarà
brutale e inumano."
"È commovente la fiducia che riponi in me." interloquì l'interessato. "Mi
dilettavo a essere sadico e inumano con i nemici, non con
tutti e sicuramente non con una donna. Su una cosa però ha
ragione: sarò
brutale. Una terapia d'urto è sempre brutale."
***
Lady
Aquaria's corner
È trascorso un sacco di tempo dall'ultimo aggiornamento, ma
non mi sono
dimenticata del prequel: come avete notato, ho preferito saltare i
dettagli delle
battaglie contro Asgard e contro Poseidone per andare alla vigilia
della guerra
contro Hades, più impegnativa sul fronte narrativo.
Lo so da me, Mei è un tantino negativa in questo capitolo,
ma cercate di
capirla, povera.
Passo alle note:
-La canzone del titolo si riferisce all'omonima canzone dei 3 Doors
Down.
-Maiale al
profumo di pesce: come spiega Mei, si tratta di carne condita con
spezie e/o
ingredienti solitamente utilizzati per il pesce. È un metodo
diffuso
soprattutto nel Sichuan.
-La conta
delle vittime degli alluvioni di Poseidone sono tratte dal manga.
Grazie come sempre a chi segue e/o recensisce, seppur le mie
risposte
arrivino sempre in ritardo, sappiate che sono molto apprezzate.
Alla
prossima,
Lady
Aquaria
|
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Capitolo 28 *** Hurt. ***
28. prequel
27.
Hurt
Would
you tell me I was wrong?
Would
you help me understand?
Are
you lookin' down upon me?
Are
you proud of who I am?
[Christina
Aguilera - Hurt]
AVVERTIMENTO:
TW, descrizione
in dettaglio di scene cruenti
Wei-He,
suo
padre, era stato un grande studioso di tutto ciò che
riguardava la cultura
giapponese: aveva studiato e si era specializzato in arti marziali
prettamente
nipponiche, praticandole insieme a quelle della sua terra natia, ne
aveva
assimilato usi e costumi accorpandoli ai propri e aveva sviluppato una
certa
passione nei riguardi dei samurai
nonostante il parere fortemente contrario di certi membri della sua
famiglia,
che verso il Giappone coltivavano un odio profondo, figlio del massacro
di
Nanjing.
Nel corso
degli anni, soprattutto in quelli che avevano preceduto la nascita di
Shiryu,
aveva cercato di trasmettere le sue passioni anche a lei, ma dal canto
suo, nonostante
gli sforzi paterni, di quel Paese aveva imparato ad amare solo il
sushi, il judō
e l'aikidō.
Una
cosa però le era rimasta impressa: il rigido codice morale
dei samurai tanto
ammirati da suo padre, il bushidō.
"Non posso pretendere che tu lo
segua, Mei-Yin, del resto sei ancora una bambina e non sei in grado di
capire appieno
il significato profondo di queste parole, però mi aspetto
che un domani, quando
sarai una donna adulta e avrai a che fare con le difficoltà
della vita, tu
possa ricordarle e, finalmente, comprenderle."
Onestà, coraggio, compassione, sincerità, onore e
lealtà. Una morale
dietro l'altra, fino ad arrivare a quella che
Wei-He considerava la più importante, alla stregua del non uccidere biblico. Le aveva mostrato
l'ideogramma 礼, Rei, cortesia,
e si era raccomandato di ascoltarlo bene, di imprimere nella
sua mente le
sue parole, e in effetti
così aveva sempre vissuto: sapeva di non avere mai deluso le
aspettative
paterne, neanche e soprattutto quando, quella volta al Santuario, Saga
le aveva
velatamente chiesto di fare la spia per conto suo. Aveva preferito
incorrere in
rischi inimmaginabili pur di non tradire né lui
né Dohko.
"Non hai motivo per comportarti in maniera crudele, non hai bisogno di
mostrare la tua forza. Sii gentile anche con i nemici. Senza tale
dimostrazione
di rispetto esteriore un uomo è poco più di un
animale."
Certo, belle
parole, le sue. Peccato che suo padre non le avesse lasciato scritto
nulla su
come comportarsi in caso di un torto subito. Cos'avrebbe dovuto fare? Porgere l'altra guancia e ignorare
quanto successo per lasciare Hyoga libero di agire indisturbato,
padrone di
vivere una vita che aveva, al contrario, sottratto a Camus?
Prese il tantō che le aveva donato anni prima e seguì con le
dita i complicati
intarsi del fodero, traendo un gran respiro.
"Ho compreso le tue parole, papà,
ma
io non sono un Samurai. Voglio vendicarmi di un torto subito, non
dilungarmi in
stupide dimostrazioni di forza. Non mi aspetto che tu capisca,
né tantomeno attendo il
tuo perdono. Non ho intenzione di lasciar correre, non stavolta."
Il corridoio
era immerso nell'oscurità, una condizione perfetta per
quanto stava per fare:
nessuno l'avrebbe vista e nessuno avrebbe potuto fermarla.
Sguainò il tantō e si diresse alla stanza in fondo al
corridoio, scoprendo che
la porta non era chiusa a chiave, poteva entrare senza alcun problema.
Hyoga dormiva
supino, un braccio alzato a coprirsi gli occhi, l'altra sullo stomaco:
sembrava
il ritratto dell'innocenza, abbandonato com'era al sonno. Si mosse
quasi in
trance, il pugnale saldo nella sua mano dominante, il braccio pronto a
scattare.
Il primo
fendente lo colse di sorpresa destandolo immediatamente dal sonno:
impiegò qualche
istante a mettere a fuoco Mei, lo sguardo maligno negli occhi e la
scintilla
sinistra della luce sulla lama, già sporca del suo sangue.
"Come dici? Non ti
sento." gli
sorrise Mei, quanto tentò di biascicare qualcosa
nonostante il dolore
lancinante all'addome e alle braccia, con le quali cercava inutilmente
di
parare i colpi.
Il secondo lo colpì alla coscia, il terzo –l'ultimo–
alla gola, con precisione chirurgica: una volta aveva letto, da qualche
parte,
che la carotide recisa portava alla morte in pochi secondi. Dodici, all'incirca.
Li contò uno
per uno, guardando Hyoga annaspare, osservando il suo sangue inzuppare
con ampi
spruzzi le lenzuola e gocciolare a terra, sporgendosi fino a guardare
da vicino
i suoi occhi spegnersi e il corpo rilassarsi senza vita.
"Va meglio?"
Quella voce la scosse nel profondo. Sobbalzò, guardando
Camus accanto al corpo
di Hyoga, una mano protesa a chiudergli gli occhi in un gesto pietoso.
"Mei, perchè?"
Lasciò la presa sul pugnale, che cadde a terra con un rumore
sordo attutito dal
tappeto, mentre Camus avvicinatosi a lei, le accarezzava la testa.
"Ti ha ucciso." mormorò.
"E ti senti meglio, adesso?"
Difficile a
dirsi. Avrebbe dovuto provare sollievo, essere soddisfatta dalla
vendetta
portata a termine, eppure... l'odore ferroso del sangue la
colpì come un pugno
allo stomaco, insieme allo sguardo severo di Camus che la trafiggeva.
"Dovevo fare
qualcosa. Lui ti ha
ucciso." continuò
Mei, allungando la mano fino a sfiorargli la guancia gelida. "L'ho fatto per noi."
"Allora, Mei, perché non sei felice?"
Le mani divennero improvvisamente fredde, e un'orrenda sensazione di
appiccicaticcio la indusse a guardare giù, sul sangue che le
stava inzuppando i
piedi e che, si accorse con orrore, non apparteneva al cadavere: sul
corpo di
Camus erano comparse le stesse identiche ferite che aveva inferto a
Hyoga.
"Oddio no, no!" iniziò a
gridare, cercando di tamponargli
il collo.
"Ti rendi conto di
cos'hai
fatto?"
Camus
guardò con
orrore Hyoga entrare nella stanza di Mei e quest'ultima afferrare il
pugnale
prima di tirare fendenti alla cieca.
"BASTA!" gridò contro Kardia, pregando che Mei si
riprendesse
prima dell'irreparabile.
"Kardia, direi che è sufficiente." intervenne
anche Degél.
Kardia guardò prima l'amico, quindi interruppe
quanto stava facendo e lanciò
un'occhiata penetrante a Camus.
"Hai insistito tu per avere il mio
aiuto ed eri stato avvertito riguardo i miei metodi." gli
fece notare.
"Sì, e maledico il momento in cui l'ho fatto."
replicò Camus,
furibondo. "Ho chiesto il vostro
intervento nella speranza che l'avreste aiutata, non che l'avreste
torturata
così!"
"Torturata? Mio caro
ragazzo, io e
te abbiamo idee molto divergenti a riguardo. Ho solo solleticato la sua
psiche,
facendo leva sui punti giusti, nulla di più."
Kardia non
aveva impiegato molto tempo a trovare, nella mente di Mei, il dettaglio
da
usare: aveva tralasciato subito i ricordi d'infanzia e dei genitori,
decidendo
di focalizzarsi proprio su Camus che, era evidente, era il suo punto
più debole.
Lui e Manigoldo avevano col tempo affinato le loro abilità
usando DeathMask
come cavia, e non era stato difficile manipolare i suoi sogni
affinchè
veicolassero un messaggio preciso. Il pugnale che la ragazza conservava
sotto
il cuscino non l'aveva proprio previsto, quello doveva ammetterlo,
così come la
reazione che aveva avuto e che aveva quasi portato alla morte prematura
del
giovane cigno.
"Ma vi rendete conto
di cosa dite? Avrebbe
potuto farsi del male, l'ha quasi ucciso! "
"Avresti preferito
l'alternativa?
Avresti preferito vederla davvero uccidere il tuo allievo? Non sono io
a
doverti ricordare che ha le capacità e la rabbia per poterlo
fare."
"Alternativa che grazie a voi stava per diventare realtà,
c'è mancato
pochissimo!" gridò
Camus.
Kardia non fu
sorpreso dallo scoppio d'ira di Camus, che trovò
comprensibile dato quanto era
appena successo, tuttavia lo guardò con un ghigno.
"Ammiro il tuo ardore, davvero, ma
ti consiglio in futuro di non rivolgerti più a me in questo
modo se non vuoi
affrontare conseguenze spiacevoli."
"Io credo che abbiate già superato
il limite."
interloquì Degél.
"Smettetela,
tutti e due."
Pochi minuti prima…
L'insonnia
che lo accompagnava fin dai tempi dell'orfanotrofio si era
ripresentata,
puntuale, anche durante quelle notti trascorse in Cina. Vuoi per il
sonno
leggero, vuoi per la costante sensazione di pericolo che avvertiva in
quel
luogo, oppure per il dolce russare
di
Seiya nella brandina accanto, non riusciva a dormire come avrebbe
desiderato.
"Tappati
quella bocca!" borbottò Ikki, rifilando un improvviso quanto
efficace
calcio alle gambe di Seiya, che, miracolo!
smise di russare. Troppo rumore per i suoi gusti, per certi
versi gli
mancavano le notti all'isba, dove il silenzio era stato talmente
profondo da
essere quasi surreale.
Si alzò, badando bene a non finire nel raggio d'azione di
Ikki, e scese in
cucina; in frigo, alcune bottigliette piene di liquido bianco
–latte materno,
ipotizzò– dalle quali
rimase ben lontano, una brocca con del tè, confezioni con
scritte in greco provenienti
da Atene o dal Santuario, gli avanzi della cena e frutta a lui
sconosciuta.
Presa una mela trovata per caso, iniziò a sbucciarla,
restando in allerta e
pronto a svignarsela al primo accenno di pericolo: Shiryu minimizzava,
ma era
così che si sentiva in quella casa.
Bevve due
lunghi sorsi d'acqua, ripose il bicchiere sul gocciolatoio, e si
avviò silenzioso
in corridoio, fermandosi di colpo quando le urla ebbero inizio, grida
che
provenivano dalla stanza di Mei e nella quale fece irruzione senza
tante
cerimonie.
Fortunatamente nessun nemico all'orizzonte: era scivolata dal letto nel
sonno e
le lenzuola le si erano aggrovigliate intorno alle sue gambe
impedendole i
movimenti: doveva esser questo il motivo di tanta angoscia. Si
avvicinò per
aiutarla, chiamandola più volte, finché non si
trovò a schivare per un soffio
un fendente.
"No, non toccarmi!" gridò
Mei.
Alzò le mani
in segno di resa, rendendole ben visibili affinché si
calmasse e deponesse
quella lama.
"Va
tutto bene." disse Hyoga, con una calma che era ben lungi dal provare.
"Oddèi. Cosa
ci fai qui?" ansimò Mei, ancora sotto choc. Si
guardò intorno, temendo
ancora di vedere quell'orribile scena sotto gli occhi. Per fortuna, non
era
successo niente d'irreparabile: lui era vivo e lei non aveva ucciso
nessuno. "Stai bene?"
Hyoga corrugò la fronte: il graffio sul collo bruciava un
po', ma non era nulla
di grave.
"Se sto...?" ripetè, confuso. "Tu, stai
bene?"
Mei finalmente depose l'arma, realizzando quanto fosse stata vicina a
compiere
un gesto atroce. Ma quell'incubo era stato così vivido da
sembrare vero...
sollevò le mani, cercando il sangue che le aveva macchiate
quando aveva cercato
di tamponare le ferite sul collo di Camus, ma, ringraziando il cielo,
erano
pulite. Agguantò in fretta il cestino sotto la scrivania e
diede violentemente
di stomaco.
"Cosa sta succedendo qui?!" esclamò Shiryu, sulla porta
della stanza
di Mei.
"Credo che tua sorella non stia bene." spiegò Hyoga. Avrebbe
voluto
aiutarla, ma l'istinto gli diceva di non abbassare la guardia, di
starle
lontano così come lei gli aveva intimato.
"Questo
lo vedo, ma cos'è successo?"
"Rimanderei
le spiegazioni a un'altra volta, se non vi spiace.
"interloquì Shunrei.
"Shiryu, occupati di Hyoga mentre io mi occupo di Mei."
Shiryu fece
quanto richiestogli da Shunrei e accompagnò l'amico in
bagno, armeggiando poi
con l'armadietto delle medicine.
"Guarda
che faccia." commentò. Hyoga aveva assunto un colorito
cinereo e sembrava
lottare a viva forza per non crollare a terra da un momento all'altro.
"Oddio, siediti."
"Credo che vomiterò anche io." disse, alzando la tavoletta
del wc.
La mattina arrivò presto, ancora carica della tensione della
notte appena
finita.
"Sapevo
di trovarti qui." sospirò Shiryu, chiudendosi alle spalle la
porta della
stanza degli avi.
"Come sta Hyoga?" domandò subito Mei, senza
lasciargli il tempo di dire altro. Shiryu si accomodò sul
cuscino accanto alla
sorella, notando i suoi occhi rossi e gonfi e il malefico pugnale al
sicuro nel
suo fodero.
"Fisicamente bene, ha solo un graffio. É però
spaventato, anche se non lo
da' a vedere."
Inspirò l'odore del franchincenso che bruciava
nell'incensiere, quindi riaprì
gli occhi e guardò il fratello.
"Comprensibile, l'ho quasi spedito all'altro mondo." annuì
Mei.
"Hai finalmente deciso di lasciarlo qui?" le chiese quindi,
indicandole il pugnale con lo sguardo.
"Sì, preferisco tenerlo al sicuro per evitare altri
potenziali guai come
quello di stanotte." rispose.
"Ah,
tenere lui al sicuro." la
riprese. "Non che serva poi a molto, sai, tu sei pericolosa anche a
mani
nude, e allora chi terrà al sicuro noi?" aggiunse
sorridendo, ricevendo in
risposta un'occhiata stanca. "…scusami, pensavo di
sdrammatizzare un po'.
Hai voglia di dirmi che cos'è successo?"
Fu lei a sospirare: non che ci fosse poi così tanto da
capire, sicuramente poi
Hyoga aveva già raccontato tutto nei dettagli.
"Ti prego, non è proprio il momento."
Shiryu lasciò cadere l'argomento, almeno per un po',
appuntandosi mentalmente
di riprenderlo appena possibile. Guardò la sorella pregare,
sorrise nel vedere
le foto dei loro genitori sul piccolo altare, quindi diede due buffetti
affettuosi sulla spalla di Mei a mo' di saluto, decidendo di lasciarla
sola.
Nei giorni seguenti, nessuno fece parola dell'accaduto ed entrambi
cercarono di
evitarsi il più possibile; a tavola Hyoga si chiudeva nei
suoi soliti silenzi,
parlando il meno possibile e, lei semplicemente fingeva che non fosse
successo
nulla, anche se spesso, troppo spesso, aveva flash di quell'incubo.
Separò
i vestiti puliti e asciutti in due ceste e, una volta riposta nella sua
stanza la
cesta con le sue cose, si diresse alla camera dove dormivano i ragazzi,
prima
di prepararsi per l'appuntamento: Shiryu era uscito con Shunrei e gli
amici già
da un po', e solitamente approfittava di momenti come quelli per
svolgere le
mansioni di casa senza avere gente intorno.
Aperta la porta, si accorse tardi che non tutti gli amici del fratello
erano
usciti: aveva dato per scontato, dalle parole di Shiryu di quella
mattina, che
sarebbero usciti tutti loro, invece Hyoga era rimasto.
Imbarazzato a livelli impossibili da esprimere a parole, si
coprì con la prima
cosa che riuscì a trovare, sentendosi a disagio nell'esser
stato beccato, nudo
come un verme, proprio da Mei. Le diede le spalle per infilarsi un paio
di
jeans –di Ikki, tra l'altro– pescati dalla pila
sulla sedia, cercando di darsi
un contegno.
"...niente che non abbia già visto." commentò
Mei, distogliendo lo sguardo
per dargli il tempo di coprirsi. "Esco subito, qui ci sono i vestiti
puliti, li lascio qui… non so a chi appartenga cosa, quindi
ve li dividerete
più tardi."
"Non
si usa più bussare?" borbottò, schiarendosi la
voce.
Mei si fermò sull'uscio, voltandosi di nuovo verso di lui.
"Ma senti chi parla." rispose, memore di quanto accaduto mesi prima,
a Kobotec. "Pensavo fossi uscito con mio fratello e i vostri amici.
Comunque, hai bisogno di qualcosa?"
"Sì, di stare in pace." le rispose, iniziando poi ad
armeggiare con
flaconi e garze. Mei notò solo in quel momento che l'occhio
ferito di Hyoga era
sbendato ed esposto.
"Quello
è acido borico."
Hyoga
corrugò la fronte,
sollevando il flacone in questione.
"Non
saprei." rispose, atono. "Pensavo fosse collirio."
Doveva aver
frugato nell'armadietto delle medicine in bagno e pescato flaconi a
caso, senza
capire che cosa stesse prendendo date le etichette in cinese;
andò in bagno a
recuperare il flacone giusto e la scatola con bende e cerotti.
"Per una ferita come la tua non va bene, l'organismo potrebbe assorbire
troppo
acido borico e finiresti col soffrire di effetti
collaterali… ecco, tieni,
questi cerottoni li usava Shiryu quando ha avuto quei problemi agli
occhi. E
quelle ferite che ho intravisto sulla schiena s'infetteranno, se non le
curi,
possibile che il medico della fondazione Kido non ti abbia dato niente,
un
unguento, un disinfettante..? Dovrei avere qualcosa, ma non so se va
bene…"
Serrò la zip della felpa fin sotto il mento, confuso dal
comportamento di Mei.
"No, no, ferma, faccio da solo." la fermò, prendendole di
mano il
batuffolo di ovatta imbibito di un liquido rossastro a lui sconosciuto
e
appoggiandolo con delicatezza sulla palpebra chiusa. "Cos'è?
Ti preoccupi
per me, adesso?"
Nel silenzio
che seguì, la sentì respirare con rabbia.
"Arrangiati." gli rispose,
dirigendosi
ad ampie falcate verso la porta.
Hyoga borbottò
qualcosa nella sua lingua natia, sbuffando frustrato.
"Mi
dispiace." aggiunse, inducendola a fermarsi. "Non volevo essere
scortese, ma non so come comportarmi con te, sei inquietante! Che
diamine, un
attimo prima sei una persona normale, quello dopo un demone assetato di
sangue!
Per poco non mi ammazzi e adesso mi aiuti con la medicazione, oscilli
tra
gentilezza e istinti omicidi, spiegami tu come faccio a stare
tranquillo in tua
presenza."
*
"Ciò
che
più mi piace di queste nostre uscite è il poter
vedere scorci sempre nuovi di
Atene. Sento sempre nostalgia per la Grecia, quando sono a casa."
ammise
Mei, passeggiando accanto a Milo in uno dei tanti mercati di Atene. "La
cucina, l'odore del mare, il sole…"
"E io
che speravo fossi io, a mancarti…" scherzò Milo.
"Anche
tu, ovviamente." sorrise Mei. "Ti
ringrazio come sempre per avermi accompagnata a fare spesa: non faccio
in tempo
a fare provviste che le dispense si svuotano…"
"E io come sempre ti dico che non c'è problema, lo faccio
volentieri."
replicò Milo. "Come stai? Come vanno le cose?"
"Benino
a entrambe le domande." rispose Mei, dispiegando la borsa di stoffa e
sistemandovi la verdura che aveva appena comprato. Preferì
non raccontargli del
malessere che l'aveva colta subito dopo l'incubo e che la perseguitava
da
giorni, o avrebbe dovuto raccontargli tutto dal principio.
"So che
c'è stato un mezzo incidente l'altra notte."
esordì poi Milo di punto in
bianco, dopo che si furono allontanati dal banco della verdura.
Mei si preparò mentalmente a una lunghissima filippica, ma
non c'era traccia di
rimprovero nello sguardo dell'amico.
"Te l'ha detto Hyoga." sospirò. Che sciocca, certo che
gliel'aveva
detto. Ancora più sciocco era stato credere di poter evitare
un confronto in
merito.
"Sì, ma lui per primo ha specificato che non è
stato intenzionale
perchè non eri cosciente e che per poco non ti ha preso un
colpo quando ti sei
accorta di quel che stava per succedere. Ha aggiunto che l'hai aiutato
a
medicare l'occhio e che sei più gentile con lui." le
circondò
affettuosamente le spalle con un braccio prima di proseguire. "Per quel
che può servire, sono fiero
di
te."
"… e
quest'ultima cosa te l'ha detta prima o dopo averti raccontato che mi
ha
definito demone assetato di sangue?
Perché ti ha raccontato tutto, vero, non solo la parte che
gli faceva comodo."
"Non ha omesso niente."
"Beh, almeno è stato onesto."
"Non dovrebbe essere una sorpresa, ricordati di chi è stato
allievo."
"Eh…
a proposito di onestà, posso contare su una tua sincera e
onesta risposta alla
domanda che sto per farti?"
"Rispondo sempre sinceramente, ma devo avvertirti che non tutti
apprezzano
questa mia caratteristica." annuì Milo.
"Sono diventata una persona orribile, dopo quel che è
successo
all'undicesima casa?" Mei abbassò la voce.
Milo corrugò la fronte.
"Beh, oddio… orribile no, non esageriamo. Hai scelto Hyoga
come tuo
personale capro espiatorio per una cosa che lui non ha di certo voluto,
sei… onestamente e sinceramente parlando, un tantino
rompiscatole." rispose Milo,
schietto. "Ma ehi, niente che non si possa correggere lavorandoci un
po'
su."
"Senti, non vorrai farmi credere che tu non hai provato nemmeno un po'
di
rabbia, perché non me la bevo."
L'aiutò a riporre il sacchetto della frutta in una seconda
borsa di tela,
quindi si decise a risponderle.
"A dire il vero, per un attimo ho desiderato ardentemente poter radere
al
suolo la terza casa e dar fuoco al cadavere di Saga, ma è
una cosa durata
davvero un attimo. Tu, bella mia,
covi rancore da allora e di fegato ne hai uno solo, non dimenticarlo."
"Sono
orribile."
"No, non ho detto questo, e già il fatto che hai capito da
te che c'è
qualcosa che non va nei tuoi modi di fare dimostra che non lo sei. Sei
intelligente, brillante, una persona forte e indomita. Sei passionale,
del
resto sei una scorpione, è nella nostra natura.
Però bella mia, sei cocciuta,
orgogliosa e troppo impulsiva." proseguì Milo. "Non che
Camus non ne avesse,
anzi. Aveva un cuore d'oro, ma era testardo e rompiscatole, un po' come
te."
Mei
annuì, sorridendo amaramente.
"Già, Camus. Sappiamo bene quanti difetti avesse. Sono certa
che l'incubo
sia opera sua."
"Ma
figurati! Ti ama, non farebbe mai..."
"Senti, è vero che io lo conosco da molto meno tempo di te,
che forse lo
conosciamo su due piani diversi e che certamente tu sai più
cose di me. Ma non
ci vuole chissà quale grado di conoscenza per capire che
Camus, per quel
ragazzo, avrebbe fatto e farebbe di tutto." sospirò Mei.
"Anche
interferire con il mio sonno o chiedere a qualcun altro di farlo. Tante
cose mi
hanno portata a pensarlo: il fine di quell'incubo era chiaro, credimi,
era un
vero e proprio ammonimento: se uccidi
lui, uccidi anche me."
Milo
corrugò
la fronte.
"Sì,
questo in effetti sarebbe da lui." convenne. "Ascolta, so che non ti
piace l'idea di rivedere il Santuario, ma puoi fermarti ancora un po' o
devi tornare
subito a casa? Non ti tratterrò a lungo, promesso."
Giunti
davanti alla casa dell'Ariete, Mei volse lo sguardo verso l'undicesima,
distogliendolo quasi subito.
"Ti va
di andare su un attimo?" le propose, cogliendo la sua occhiata. "Io
vado ogni mattina, a controllare che tutto sia a posto."
"Anche
tu non riesci a toglierlo dalla mente." disse Mei, dopo qualche istante
di
silenzio.
"Chi, Camus? Scherzi? Penso a lui ogni santo giorno. Sento la sua
mancanza
quanto te. Come hai detto, i rapporti che Camus aveva con noi erano
diversi, ma
alla base c'è lo stesso affetto: è quello che mi
manca. Sento la mancanza
perfino dei suoi silenzi, figurati."
L'undicesima casa era rimasta tal quale l'ultima volta, forse solo la
temperatura interna era cambiata: senza il cosmo di Camus, si era
adattata alla
media stagionale di quella regione.
"Ti aspetto all'ottava casa, quando avrai finito. Resta tutto il tempo
che
vuoi, ti lascio tranquilla."
"Posso davvero restare un po' sola qui? Tu non resti?"
"L'altra
volta sono rimasto perché avevo timore che tu potessi
commettere qualche
sciocchezza." ammise Milo, riferendosi alla veglia. La vide sgranare
gli
occhi. "Beh, mi hai chiesto tu di essere sincero con te. Io ti aspetto
all'ottava."
Lo sentì uscire dall'undicesima casa e si diresse alla
camera di Camus,
sedendosi poi sul bordo del letto e guardandosi intorno.
Adocchiò la sua
macchina fotografica, una Canon Eos, e premette il pulsante di avvio,
constatando che nonostante il periodo di inutilizzo, aveva ancora una
discreta
percentuale di batteria.
La sua parte razionale le diceva di non scorrere le fotografie, di
lasciar
stare per non incorrere in ricordi dolorosi, ma prima che potesse
ascoltarla,
l'emotività ebbe il sopravvento.
L'ultima foto che Camus aveva scattato ritraeva un tramonto rosso fuoco
sull'Egeo: riconobbe le luci del Pireo e le silhouette delle barche
attraccate
ai pontili. Scorse le precedenti, tralasciando al momento foto di
viaggi e
dettagli che per Camus erano stati tanto importanti da essere
fotografati, quindi
arrivò alle foto che avevano scattato durante le sue tre
settimane al
Santuario. Una di queste doveva averla scattata Milo e li ritraeva sul
divano
dell'undicesima casa durante una di quelle sere piovose nelle quali
avevano
preferito stare a casa anziché uscire. Ricordava ancora
perfettamente
quell'attimo.
Si asciugò gli occhi e si permise di prendere le cose che
aveva volutamente,
mesi prima, lasciato nella stanza di Camus e non riuscì a
resistere all'impulso
di aprire i cassetti e prendere qualcosa da portare via come ricordo.
Si portò
al volto una camicia, constatando con dispiacere che dell'odore di
Camus non
era rimasta alcuna traccia.
Milo la sentì entrare in casa propria dopo una buona
mezz'ora.
"Aspetta, ti do' un sacchetto." le disse Milo, guardando le cose che
reggeva tra le braccia: la reflex e il cellulare di Camus, una
boccetta, degli
indumenti accuratamente piegati. Dispiegò un sacchetto di
carta che Mei
riconobbe come quelli che al mercato si usavano per la frutta, e glielo
porse
prima di tornare a controllare i fornelli.
"Credi che possa prendere queste cose?"
Milo le sorrise, tirando giù la zip della felpa e
mostrandole una maglietta
legata al mondo di Star Wars.
"Beh, questa era sua." le rispose. "Prendi ciò che vuoi,
sicuramente lui non si offenderà."
"La fotocamera la prendo solo in prestito, vorrei fare una copia delle
foto e poi la restituisco, giuro."
"Puoi tenerla. Meglio con te che a farle prendere polvere in un
armadio."
Le offrì il pranzo
che aveva acquistato poco prima al mercato, protestando dinanzi alla
riluttanza
di Mei e promettendole di riportarla a casa appena finito.
"...vino?"
le domandò, con la bottiglia a mezz'aria poco sopra il suo
bicchiere.
"Lo prenderei volentieri, ma sto allattando." diniegò Mei,
guardando gli
orecchini che aveva acquistato a una bancarella: piuttosto semplici
rispetto ad
altri molto più elaborati e ricchi di particolari, ma
qualcosa di quei monili
l'aveva attirata da subito. Si tolse i cerchietti che aveva indossato
quella
mattina e provò gli orecchini nuovi.
"Come mi stanno?" domandò, spostando indietro i capelli.
"Direi bene. Sai, quello è il nodo di Eracle, simbolo che
è usato fin
dall'antichità come protezione e come simbolo di impegno e
amore immortale."
"Non lo
sapevo."
Milo parve
ricordare di colpo qualcosa, lo vide andare a spulciare nelle tasche
del
giaccone e prendere un sacchettino di carta colorata.
"Prima
che mi dimentichi, tieni: il ciondolo è per te, il bracciale
per per Lixue."
All'interno, un
ciondolo grande quanto una moneta da due euro, appeso a una catenina
argentea,
insieme a un braccialetto elastico con le perline dello stesso colore
del
ciondolo.
"Lo vedo spesso sulle bancarelle, ma non so che cos'è."
ammise Mei.
"Un amuleto antimalocchio, lo chiamiamo mati.
Protegge dal male." le spiegò Milo. "Se un giorno
dovesse mai rompersi, significa che ha assolto al suo compito e ti ha
protetta
assorbendo ciò che stava per colpirti. Qui prendiamo il
malocchio molto, molto
sul serio, quindi non prendermi in giro."
Mei aprì il gancetto della catenina e indossò
l'amuleto, sorridendogli.
"Sono la prima che si arrabbia se qualcuno prende in giro le mie
credenze,
perché mai dovrei prendere in giro le vostre? É
molto bello, grazie." lo
ringraziò, sistemando il ciondolo sotto il maglione. "Posso
chiederti come
vanno le cose con Shaina?"
Milo posò nel piatto il resto dell'involtino di melanzane
che aveva appena
addentato vorace e le rispose dopo aver deglutito.
"Bene, anche se non come vorrei. Siamo saint entrambi e
finchè il
Santuario sarà in allerta, di notte io non potrei lasciare
l'ottava casa e lei
non potrebbe lasciare il gineceo, ma… ci vediamo lo stesso,
anche se clandestinamente
e di rado e per quanto siano intensi i momenti che trascorriamo
insieme, non è
proprio la migliore delle situazioni."
"Mi dispiace." replicò Mei, sincera.
"É una
situazione temporanea, o almeno spero. Una volta che lo stato di
allerta
smetterà di essere necessario, niente e nessuno
riuscirà a tenermi lontano da
lei. Ma tu mangia, la saganaki non è buona se si fredda."
disse quindi
Milo, cercando di sviare il discorso.
Comprese subito la sua ritrosia nel parlare di quell'argomento, quindi
decise di
mangiare e lasciar perdere.
"Hai parlato
di uno stato di allerta poco fa, è successo qualcosa?"
"Ancora
no, ma temo stia per succedere. Non avrei nemmeno dovuto portarti qui,
se devo
essere sincero, questo posto non è il più sicuro
del mondo, e se dovesse
accaderti qualcosa, Camus non me lo perdonerebbe mai." Milo
abbassò la
voce. "Il Santuario è in fermento. Come sai, Mu è
il nuovo Grande
Sacerdote ad interim e come Shaka dice di aver avvertito strani
movimenti a
Oriente."
Mei corrugò la fronte.
"In effetti... qualche giorno fa li ho visti giungere al
Goro–Ho, ma non
conosco l'argomento della loro conversazione e il Maestro non ne ha
fatto
parola." ricordò. "É strano già da
giorni, mangia poco, dorme ancora
meno, e non si muove dal suo picco, non importa se piove o
c'è il sole, lui
rimane lì, irremovibile. Ho stupidamente pensato che fosse a
causa del
trambusto che governa casa da quando sono arrivati Shiryu e i suoi
amici, ma ho
paura che ci sia ben altro sotto."
Terminarono
di mangiare quindi, come le aveva promesso, la riaccompagnò
a casa.
"Mi
prometti che proverai ad essere più indulgente con Hyoga?
Non pretendo che
diventiate migliori amici, ma almeno che siate civili tra di voi: avete
entrambi qualcosa in comune, potete provare a partire da
lì." si
raccomandò Milo, posando le borse sul tavolo.
"Non perori la tua causa mettendo Camus di mezzo."
Milo le
rivolse un'occhiata delle sue, e Mei sospirò.
"Va bene, ho capito. Ci proverò." si arrese. "Promesso."
"Brava
ragazza." sorrise Milo, stringendola in un abbraccio. "Ora vado, ci
sentiamo presto."
Restò a fissare a lungo il punto in cui Milo
sparì tornando in Grecia, avvertendo
uno strano groppo in gola.
***
Lady
Aquaria's corner:
Magari l'avvertimento t.w. è un poco esagerato, ma ho
preferito inserirlo. Non mi faccio
viva sui lidi di Efp da tantissimo tempo, complici anche svariati gravi
problemi
di natura personale. Proseguire le due fic principali ha richiesto
più tempo
del dovuto più che altro perché,
ahimè, avevo perso il filo del discorso e
stavo per scrivere una cosa per un'altra.
Sto già
abbozzando il prossimo capitolo e il finale della long principale
è già bello
che imbastito, mancano solo i punti definitivi.
Grazie comme toujour a chi ancora
segue e mi lascia scritte due parole. Vi rispondo in ritardo, ma vi
leggo.
Lady Aquaria
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