Shine On

di Light D
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Shine On

Capitolo Primo

So at my show on Monday
I was told that someday
You'd be on your way to better things
It's not about your make-up
Or how you try to shape up
To these tiresome paper dreams
(She moves in her own way – The Kooks)

La prima volta che gli occhi di Dafne Sullivan incrociarono quelli di Nicolas Bermejo era una mattina come tante nell’affollato Starbucks di Regent’s Street a Londra. Lei aveva appena ordinato il suo doppio caffé macchiato alla vaniglia e lui glielo stava preparando velocemente, per riuscire a far fronte alla schiera di affamati clienti che si stava creando dietro le esili spalle della ragazza. Il giorno in cui gli occhi di Dafne e Nicolas si incrociarono, tuttavia, fu lo stesso giorno in cui nello stesso Starbucks di Regent’s Street anche gli occhi di Evan Johnson, il secolare fidanzato di Dafne, si incrociarono eloquentemente con quelli di Nicolas. In quello stesso giorno, in quella stessa via ma non in quello Starbucks, qualche ora dopo anche gli occhi di Claudia, migliore amica di Dafne, si incrociarono con quelli di Nicolas non tanto eloquentemente come il biglietto che gli lasciò di sfuggita con su scritto il proprio numero. Quel trenta settembre le vite di quei quattro ventenni londinesi si intrecciarono in un modo catastroficamente imprevedibile e inconsapevole. Forse quello era veramente il cosiddetto destino.

Dafne staccò le proprie labbra da quelle di Evan con un leggero gemito, mentre lui si accasciava di fianco a lei sfinito. Le passò un braccio intorno alle spalle, baciandole poi leggermente la fronte con un sorriso a fior di labbra.
-Amore, domani sera vado a vedere una partita con i ragazzi, non ti dispiace?- Era una domanda retorica quella che rivolse Evan a Dafne e, quest’ultima, lo sapeva perfettamente. Si strinse nelle spalle come ormai era abituata a fare e puntò gli occhi sul soffitto.
-Non c’è problema.- Tanto non è che abbiamo qualcosa di entusiasmante da fare. Aggiunse mentalmente con un sospiro. Stavano insieme dal primo anno di superiori ed ora erano entrambi iscritti al secondo anno di università: sei anni di storia. Sei anni di storia che cominciavano a pesare con la loro routine, con la loro monotonia... Sì, probabilmente molte coppie erano in grado di amarsi ancora come prima, molte coppie stavano ancora bene insieme sia dentro che fuori dal letto, ma Dafne si sentiva cambiata, diversa. Non era più la stessa Dafne di sei anni prima, non aveva più gli stessi desideri, gli stessi obbiettivi... Aveva nuove esigenze, nuovi sogni, mentre con Evan sembrava tutto così incredibilmente statico, invariato. Non c’era mai quel briciolo di novità, quel brivido di freschezza, tutto così piatto... E la cosa peggiore era che non sapeva se lo amava ancora. Era affezionata a tutto di lui, certo. A vederlo nella pausa pranzo fra una lezione e l’altra, a studiare con lui, a fare le lunghe passeggiate a Hyde Park, a andare a cena con i suoi genitori... Ma quella infinita ripetitività dei loro gesti la spaventava, la faceva indietreggiare ogni volta.
-Hai sentito, Claudia?- Domandò Evan ad un tratto. Dafne si rigirò fra le lenzuola e lo vide in bagno a lavarsi il viso. Lo guardò per qualche istante, interdetta. Per quanto tempo si era soffermata sulle proprie riflessioni?

-No, perché?- Deglutì, sedendosi e portando il lenzuolo a coprirle i seni.
-Dice che Valerie e Ben stanno organizzando la festa del secolo. Domani sera. Potremmo andarci, no?- Un'altra domanda retorica.
-Certo.- Abbozzò un sorriso, che Evan neanche notò, essendo troppo impegnato a fissare il proprio riflesso nello specchio. –Più tardi la chiamo.- Lo vide sistemarsi il colletto della polo appena indossata e allacciarsi la cintura firmata. Poi tornò in camera da letto e prese la giacca.
-Io vado a lezione.- Si chinò sulle labbra di Dafne, lasciandole un leggero e soffice bacio. –Quando esci lasci le chiavi alla portinaia.- E con quelle parole lasciò la casa con una folata di freddo alle proprie spalle. La ragazza restò per qualche istante seduta nella medesima posizione sul letto, con l’immagine nella mente di Evan ancora alla porta: i capelli biondo cenere, gli occhi blu, il portamento elegante ed i vestiti scelti accuratamente ogni mattina. Scosse la testa, lasciando che quella fittizia immagine si svolatilizzasse dalla sua mente, si alzò e sistemò frettolosamente il letto. Raccolse i suoi vestiti, si buttò sotto il getto gelido della doccia e poi si rivestì altrettanto velocemente. Si guardò alle specchio per qualche istante, mentre si allacciava i bottoni della camicetta azzurra. I lunghi capelli castani ricadevano lisci ed ordinati sulle spalle, fino all’altezza del seno. Gli occhi azzurri scrutavano se stessi, contornati da un filo di matita marrone e mascara, esaltati nella propria bellezza. Aveva un fisico esile, una altezza modesta, una ragazza piuttosto ordinaria che, con suo rancore, conduceva una vita altrettando ordinaria.
Si voltò di scatto, dando le spalle al proprio riflesso e raccolse la sua borsa, dirigendosi poi verso l’uscita. Lasciò l’appartamento di Evan e scese le scale, lasciando poi le chiavi alla portinaia. Una volta per strada si fermò ad osservare il maestoso Hyde Park: voleva andare a casa propria, posare le cose, godersi la comodità del proprio letto; contemporaneamente doveva andare a lezione, andare a studiare, chiamare Claudia, fare trecentomila cose che, come al solito Evan non poteva fare. Scosse la testa, passandosi entrambe le mani fra i capelli e si incamminò verso Regent’s Street, voleva il suo solito caffé da Starbucks, voleva sedersi, aprire il portatile e rilassarsi, staccare completamente da quella monotona quotidianità. Quella mattina sentiva veramente di essere arrivata al limite, di non poter più reggere quell’odiosa ruotine.

Il suo arrivo al famoso bar fu sancito dal forte odore di caffé che penetrò violentemente nelle sue narici. Sorrise: le piaceva il caffé, le era sempre piaciuto, aveva quel qualcosa di europeo, di italiano e lei amava l’Italia, amava Venezia, amava Roma. Ricordava ancora la settimana di amore con Evan dopo i loro ultimi esami al liceo. Erano passati due anni. Fortunatamente quella mattina lo Starbucks era praticamente vuoto. Forse perché erano le dieci e già tutti avevano avuto il tempo di andare a prendere il solito caffé e andare a lavoro, andare a lezione. C’erano solo un paio di turisti che seduti su delle poltrone scrutavano attentamente una cartina della città. Si avvicinò alla cassa e notò che c’erano solo due persone a lavorare lì quella mattina, solitamente erano almeno in quattro.
-Vuole ordinare?- Un ragazzo dal voto estremamente familiare si sporse dal bancone, rivolgendole un ampio sorriso. Dafne lo osservò, riflettendo su altre occasioni in cui lo aveva incontrato, ma non le venne in mente nulla. Aveva i capelli neri, folti, di quel spettinato elegante e attraente. Gli occhi erano a mandorla, scuri quanto i capelli e la pelle mulatta.
-Vorrei un caffé.- Balbettò, ancora incantata, ancora immobile a fissare i lineamenti perfetti di quel viso metà latino e metà orientale. –Ehm... Un doppio caffé macchiato alla vaniglia cioé...- Si riprese, arrossendo visibilmente. La sua pelle chiarissima lasciava trasparire ogni singolo rossore. Lui sorrise, apparentemente non facendo caso a quel rossore di troppo e comunicò l’ordine alla ragazza bionda che lavorava con lui quella mattina. Non c’era nessun altro da servire e conseguentemente si soffermò a guardare Dafne, che cercava di rendersi indaffarata per spezzare quell’imbarazzo.
-Sono due pound e novantacinque centesimi.- Disse ad un certo punto il ragazzo. Lei trasalì, presa di sorpresa e lui ridacchiò per la sua reazione. Dopo qualche istante Dafne tirò fuori il portafoglio e pagò, accennando un tiratissimo sorriso. Lui le diede il resto e lo scontrino. –Vieni spesso qui?- Le domandò con un sorriso, scrutandola curiosamente.
-Sì, piuttosto spesso.- Rispose, tenendo sempre lo sguardo basso mentre nascondeva il portafoglio nella borsa.
-Ero sicuro di averti già vista infatti.- A quelle parole Dafne alzò lo sguardo e realizzò che era proprio in quello Starbucks che aveva visto quel ragazzo tante volte. Ma ogni volta c’era sempre troppa gente, troppa fila e non si era mai riuscita a soffermare sul suo viso, sui suoi occhi, sul suo portamento. Sorrise tranquillamente questa volta. –Come ti chiami?-
-Dafne.- Disse in un sussurro. Lui parve sentirlo e sorrise.
-E’ pronto il caffé per Dafne?- Domandò alla biondina che con una risata gli passò la tazza fumante. –Ecco qui, Dafne.- Sembrava divertirsi a ripetere il suo nome. Si guardarono per qualche istante e nel momento in cui lei aprì la bocca per domandargli il suo di nome, qualcuno si schiarì la voce alle sue spalle. Si voltò e notò che si era creata una piccola fila. Con gesti goffi e poco coordinati salutò lo sconosciuto ragazzo dello Starbucks e si allontanò dal bancone, fissando terra e sedendosi sulla prima poltrona libera. Posò la tazza sul tavolino e fece dei respiri profondi: il suo cuore stava battendo a mille e lei si sentiva estremamente accaldata. Non era successo nulla in fondo, niente di niente. Aveva parlato con quel ragazzo. Con quanti ragazzi aveva parlato in vent’anni di vita? Scosse la testa e rilassò i muscoli, aprendo il pugno che aveva serrato fortemente con la mano sinistra: vide appallottolato lo scontrino e lo aprì nel tentativo di distrarsi. Siete stati serviti da: Nicolas. Lesse cento volte quelle cinque parole, sentendosi nuovamente catapultata in un altro universo. Si girò verso il bancone e lo vide servire un ragazzo indiano, dispensando sempre i suoi favolosi sorrisi. Fissò la tazza con il caffé, non più fumante, e dopo aver riposto accuratamente quel prezioso scontrino nel portafoglio portò la tazza alle proprie labbra e bevve ad una velocità da non lei non considerata possibile quel caffé ormai gelido. Perché si stava emozionando a tal punto per uno stupido scambio di parole, per uno stupido nome stampato su uno stupido scontrino di uno stupitò doppio caffé macchiato alla vaniglia?
Mandò giù l’ultimo sorso quasi con violenza e si alzò, sistemandosi la camicetta e indossando il maglione che aveva buttato per ogni evenienza nella borsa. Controllò di non aver dimenticato nulla e si diresse verso l’uscita, bene attenta a non indirizzare neanche uno sguardo a quel bancone.
-Torna presto, Dafne!- Eppure quella voce la costrinse a sorridere spontaneamente, a girarsi, a fare un cenno con la mano nella direzione di quello stesso bancone che prima aveva evitato tanto attentamente. Sapeva che sarebbe tornata presto, sapeva che avrebbe nuovamente cercato quei cinque minuti di emozioni, sapeva che sarebbe stato quello sconosciuto Nicolas a donargliele senza alcuna pretesa.
-A presto, Nicolas.- Mormorò e fu sicura che lui capì quel leggero mormorio lasciato al vento. Lui le sorrise e tornò a dedicare la propria attenzione ai clienti. Lei gli sorrise e uscì, lasciando che la porta sbattendo alle proprie spalle. Camminò come stordita per Regent’s Street, incurante degli altri passanti, delle parole che sentiva, delle classiche spallate londinesi che riceveva. Scese gli scalini che portavano alla metropolitana, aspettò pazientemente il treno e andò verso la biblioteca universitaria. Sentiva che quella routine era stata irrimediabilmente spezzata e si sentiva estremamente leggera e piena di brividi di fronte quella prospettiva.

Quelle tre ore passate nella biblioteca erano state probabilmente le più inutili degli ultimi due anni. Aveva fissato la pagina che doveva riempire con un saggio quella sulla Guerra Fredda per circa un’ora e mezza e l’altra ora e mezza l’aveva impiegata a fissare il libro da cui doveva prendere spunto. In conclusione non aveva scritto neanche mezza riga, solo parole non collegate e non collegabili fra loro. Inspirò la fredda aria londinese non appena chiuse la porta della biblioteca alle proprie spalle e si andò a sedere su una panchina, accendendosi poi una sigaretta. Tirò fuori il cellulare dalla borsa e cercò il numero di Claudia e la chiamò, inspirando ed espirando il fumo della sua Lucky Strike nel frattempo.
-Hey, amica!- La apostrofò la voce calda dall’altra parte del telefono.
-Claudia!- Dafne deglutì e si guardò le unghie. –Evan mi ha detto di una festa di Valerie e Ben...-
-Sì, sì!- Sembrava tutta su di giri. –Senti, se ci vediamo fra dieci minuti al bar dell’università ne parliamo. Che ne dici?-
-Certo!- Fece una pausa per fare un tiro. –A fra dieci minuti allora.-
-Ciao, splendore!- Sentì il “tu-tu-tu” e spinse il pulsante rosso, alzandosi dalla panchina e tirando lontano il mozzicone della sigaretta.
Conosceva Claudia da tutta la vita.
Si erano incontrate la prima volta alle elementari: era il primo giorno di scuola e Dafne si era appena trasferita a Londra da Sheffield a causa del lavoro del padre. Frequentavano entrambe la prestigiosa King’s College Elementary School, insieme a tutte le figlie di papà (alle elementare maschi e femmine erano separati) e pretendenti alle più alte cariche civili e private. Si erano incontrate in classe e si erano sedute silenziosamente a due banchetti singoli vicini, sorridendosi. Claudia si distinse subito per la sua schiettezza, la sua loquacità ed il suo carattere estremamente estroverso. Dafne rimase sempre maggiormente nell’ombra: silenziosa, introversa, dedita agli studi, pochi amici ma sempre ben scelti. Anche fisicamente si erano sempre distinte, soprattutto quando cominciarono il liceo: Claudia era prosperosa, biondissima, sempre deliziosamente abbellita dal trucco, sempre vestita perfettamente e pronta ad esaltare le sue forme, il suo fisico che lasciava senza fiato ogni ragazzo; Dafne invece era castana, esile, un tipo che non si notava e che non amava i vestiti succinti, non amava mettersi in mostra. Erano la coppia di amiche più strana e più commentata per i corridoi della King’s College High School.
Anche nella scelta dell’amore si erano distinte.
Dafne aveva conosciuto Evan la prima settimana di liceo durante la lezione di economia; si erano piaciuti, si erano frequentati, si erano messi insieme, si erano innamorati. Dafne aveva dato a lui il suo primo bacio, aveva fatto con lui la prima volta l’amore: ogni esperienza, ogni sorriso, ogni brivido era stato il primo e lo aveva vissuto grazie ad Evan. Claudia invece non aveva mai conosciuto, almeno diceva, il vero amore. Tanti ragazzi, tante esperienze, tante litigate fra Dafne e le loro nemiche che definivano Claudia una poco di buono.
Quando Dafne arrivò al bar fu costretta a scacciare l’immagine della piccola Claudia e della teen-ager Claudia per incontrate la Claudia ventenne, come al solito impeccabile nell’aspetto con la sua Marlboro Light fra le dita. Si abbracciarono leggermente, sorridendosi a vicenda e sedendosi.
-Non sai quante cose ho da raccontarti.- Prima che Dafne potesse aprire bocca, Claudia la travolse con la sua parlantina sciolta. Classico. –Penso di aver incontrato il ragazzo giusto. Quello che dici... Hey, questa volta mi innamoro per davvero!- Sorrideva raggiante e Dafne si sentì leggera, felice. Le piaceva ascoltare i problemi degli altri in modo da non doversi esporre con i propri. Sentiva di rendersi fragile e vulnerabile con le proprie mani ogni volta che si esponeva troppo. –Si chiama Nick, ha vent’anni e ci siamo conosciuti all’Apple Store in Regent’s Street.- Sospirò, guardando il cielo. –Un figo strepitoso, cosa te lo dico a fare! Il classico tipo che piace a me, quello che lo guardi e dici “Caspiterina, me lo farei all’istante!”- Ridacchiarono e Claudia continuò il proprio racconto. –Allora ho comprato la pennetta USB che mi serviva, ho preso lo scontrino e ci ho scritto sopra il mio nome e il mio numero. Dopo un mirato e preciso scambio di sguardi, credimi, decisamente eloquenti mi sono avvicinata e gli ho dato lo scontrino. Tempo quindici minuti e... BAM! Mi ha richiamata!-
-La solita sfrontata.- Commentò con dolcezza Dafne.
-Bella mia, se non sei sfrontata non combini niente al giorno d’oggi! A meno che non fai di cognome Sullivan e non sei in procinto di sposarti con l’uomo della tua vita!-
-Non sono in procinto di sposarmi.- Disse con una smorfia Dafne. Il pensiero di prolungare quella routine con Evan fino alla morte la faceva rabbrividire... per l’orrore.
-Lo sarai presto, fidati... State insieme da una vita!-
-Sei anni.-
-La solita pignola.- Claudia sorrise, dando un giocoso buffetto sulla guancia all’amica che, forzatamente, sorrise a propria volta. –Comunque la sera mi sono rivista con Nicky e ci siamo presi un paio di drink. Vorrei poterti dire che tipo è, che lavoro fa, dove vive... Ma dopo quei drink abbiamo deciso di aprire una bottiglia di vino a casa mia e sai come finiscono le bottiglie aperte in casa Nicolson.- Sorrise maliziosa e si cimentò nel raccontare, questa volta più a bassa voce tutte le acrobazie sessuali che aveva sperimentate con quel Nick. Parlava velocemente, elettrizzata, senza alcun pudore, senza tralasciare nessun dettaglio e Dafne la ascoltava in silenzio, come sempre. Da un lato voleva dirle che non era quello il modo di incontrare il ragazzo giusto, che portarselo subito a letto non era una grande mossa... Dall’altro lato rifletteva sul fatto che evidentemente a lei andava bene così e la invidiava. Sì, la invidiava perché infondo lei non era intrappolata in una maledetta routine con un ragazzo che non sapeva più se amava. Lei era libera, libera di conoscere chiunque volesse, libera di vivere, vivere con la ‘V’ maiuscola, vivere ogni singolo istante senza rimpiangere nulla.
Mentre Claudia sembrava descrivere il libro del Kamasutra da cima a fondo, il pensiero di Dafne volò a Nicolas.
Nicolas ed il suo sorriso. Nicolas e quei suoi modi di fare. Nicolas e quel suo sguardo incantatore, velato da quel perfetto alone di mistero.
Come poteva pensare così tranquillamente, a cuor leggero a Nicolas? Lei stava con Evan, lei amava Evan. Scosse la testa, ma l’immagine del cameriere di Starbucks non svanì.
Guardò Claudia e volle interromperla per un istante, parlarle del suo rapporto con Evan, parlarle dell’incontro con Nicolas.
Eppure non poteva. Aveva paura, paura di esternare ciò che pensava. Perché nel momento in cui si confessano le cose a qualcun altro, quelle stesse cose sono rese reali. E non c’era nulla di vero. Era tutta una futile invenzione della sua mente. Nicolas era un cameriere e come tale doveva risultare gentile, affabile. Lei era sempre stata fedele col corpo e con la testa ad Evan ed era decisa a continuare per quella via. Se fosse stato necessario, non sarebbe più tornata in quello Starbucks.
Il solo pensiero le sembrava assurdo e illogico.
-Mi stai ascoltando o ti sei persa nel tuo reame, bella addormentata?- Dafne alzò lo sguardo dalle proprie unghie e guardò Claudia negli occhi. Abbozzò un sorriso e si passò la mano fra i capelli, come faceva sempre nei momenti in cui si sentiva più spaesata, più nervosa.
-Scusa, stavo pensando al saggio breve che devo scrivere... Mi sono persa le ultime cose che hai detto.- Arrossì lievemente e l’amica le sorrise con dolcezza.
-Stavo dicendo che domani sera c’è la festa di Valerie e Ben... Hanno affittato un locale a Soho per festeggiare il compleanno di Valerie, siamo stati tutti invitati ed io porterò Nick.- Sorrise radiosa quando pronunciò il nome del nuovo ragazzo, che poi non era probabilmente il così definibile “ragazzo ufficiale”.
-Mi pare una prospettiva allettante.- Sorrise, compiacendo così l’amica. –Potremmo andare a cercare un vestito e poi andarci a prendere un aperitivo con Evan e gli altri prima che cominci la loro tanto agognata partita. Che te ne pare?-

Alle diciotto in punto Claudia, Dafne, Evan e tutti gli altri del loro secolare gruppo si incontrarono a Covent Garden. Le due amiche erano andate a fare compere a Regent’s Street e Dafne aveva accuratamente evitato di passare davanti lo Starbucks. Avevano preso i vestiti per la festa del giorno seguente e si erano fermate a chiaccherare ancora un po’ al ristorante giapponese dove avevano pranzato.
Salirono gli scalini del locale che affacciava sul noto quartiere londinese e fecero le proprie ordinazioni. Quando la giovane cameriera si fu allontanata, Evan passò un braccio intorno alle spalle di Dafne e la baciò con dolcezza. Claudia sedeva accanto a loro, mentre gli altri tre ragazzi, con i quali Evan sarebbe andato a vedere la partita, discutevano degli ultimi articoli sportivi pubblicati sulla loro rivista preferita.
-Amore, sai che Claudia sostiene di aver conosciuto l’amore della sua vita?- La ragazza interpellata che fino a quel momento si era dedicata a sorseggiare il suo Martini bianco, alzò lo sguardo di scattò e fulminò Dafne. –Hey, si tratta di Evan... Lui sa sempre tutto di noi. Giusto, tesoro?-
-Certo, scusa... Volevo che fosse una sorpresa.- Fece un sorriso fin troppo tirato, che tuttavia Dafne non notò in quanto si voltò a guardare Evan. Se non fosse stato per il rumore di bicchieri rotti proveniente dall’altro tavolo, probabilmente Dafne avrebbe notato come i muscoli del collo di Evan si erano irrigiditi e del gelo che traspariva dagli sguardi che si scambiavano Claudia ed Evan. Forse avrebbe colto in quegli sguardi un qualcosa di celato, un qualcosa di mai rivelato, forse avrebbe guardato con occhi diversi quei due pilastri della propria vita, forse si sarebbe schiarita le idee su molteplici dubbi. Eppure il destino sembrò voler nascondere ancora un po’ quella storia e quel bicchiere rotto salvò una storia, un’amicizia e tre intere vite, che altrimenti si sarebbero andare a frantumare a causa della dura realtà.
-Ce lo farà conoscere domani.- Disse infine Dafne, quando lo spettacolo del bicchiere rotto alle sue spalle non le parve più interessante. –Magari faremo delle uscite a quattro finalmente.- Claudia ridacchiò nervosamente, nascondendo il proprio sconcerto dietro il bicchiere, dove ormai non c’era più il Martini ma solo il ghiaccio.
-Beh, allora non vedo l’ora di conoscere questo uomo che metterà la testa a posto alla nostra piccola Claudia.- Disse Evan, baciando nuovamente Dafne e bevendo sorsi più lunghi della sua Heineken. Deglutì e si unì alla conversazione dei suoi amici, facendo precipitosi pronostici sugli esiti della partita di quella sera.
-Vado un attimo a rifarmi il trucco in bagno.- Sbottò ad un certo punto Claudia, alzandosi e sorridendo. Si allontanò velocemente dal tavolo, catturando lo sguardo di diversi uomini presenti in quel locale e catturando, soprattutto, lo sguardo di Evan.
-Daf, Evan ci dice sempre che sei una studentessa modello.- Esordì George, moro dagli occhi verdi, con un largo sorriso.
-Infatti, oh, dacci un po’ di ripetizioni.- Aggiunse Matthew, guardando curiosamente la ragazza.
-Oppure fai gli esami al posto nostro.- Si intromise anche Paul, ridacchiando.
-Cento sterline a testa e si può fare.- Commentò Evan. Dafne lo guardò e scoppiò a ridere, accompagnata dalle risate degli altri ragazzi.
-Chiamo un attimo a casa.- Si alzò, guardando poi Dafne che lo guardava interdetta. –Questa mattina mamma mi ha chiamata differenti volte e non le ho risposto perché avevo lezione di matematica. Si starà preoccupato, la conosci.- Mormorò quelle parole all’orecchio della propria ragazza che sorrise rassicurata e tornò a chiaccherare con gli altri amici. Evan si allontanò frettolosamente, guardando preoccupato il tavolo dov’era seduta Dafne e notando con sollieva che lei non lo stava seguendo con lo sguardo. Girò l’angolo e vide, come previsto, Claudia poggiata al muro che portava ai bagni.

Quando quell’aperitivo terminò, i ragazzi andarono verso casa di Evan, Claudia prese la metropolitana diretta a casa sua, un po’ fuori il centro di Londra e Dafne decise di fare una passeggiata lì nei dintorni. Da Covent Garden raggiunse Leicester Square, poi Piccadilly Circus ed infine si incamminò per Regent’s Street. Londra la sera era sempre splendida: le luci, la vita che traboccava dai ristoranti, dai locali aperti. Faceva fresco, sicuramente, ma era quel fresco leggero, gentile, che si insidiava sotto la pelle e faceva venire dei brividi che ti facevano capire di essere vivo, di far parte di quel posto, una leggera emozione incomprensibile a chiunque non si fosse mai trovato a camminare da solo per le vie di quella città, chiunque non si fosse mai trovato a inspirare quella miriade di odori che andavano dallo smog al più pregiato profumo acquistabile da Harrod’s.
-Dafne? Sempre qui in giro bazzichi?- La ragazza sobbalzò e si voltò di scatto, incrociando gli occhi di Nicolas. Era vestito normalmente e in una mano teneva una bustina dove probabilmente era piegata la divisa di Starbucks. Sorrise e si rese conto che si trovava proprio davanti quel bar, che era appena stato chiuso. Come le era venuto solamente in mente di fare una passeggiata lì?
-Stavo tornando a casa.- Abbozzò un leggero sorriso. –Faccio sempre questa strada.- Aggiunse, passandosi una mano fra i capelli.
-Abiti in zona?- Le si avvicinò piano e lei fu quasi spaventata dall’impatto che ebbero su di lei quei pochi passi nella sua direzione.
-Alla fine di Oxford Street, a Tottenham Court Road in pratica.- Si sorrisero a vicenda e lui giocherellò con i manici della busta che stringeva nelle mani.
-Beata te che stai a due passi, io devo arrivare a Liverpool Street.- Scrollò le spalle. –A proposito, ti va di accompagnarmi a Oxford Circus, così prendo la metropolitana?- Dafne si limitò ad annuire e a stringersi nelle spalle. Infondo erano poche centinaia di metri: alla fine di Regent’s Street si trovava la fermata della metropolitana che interessava Nicolas.
Inizialmente camminarono in silenzio e fu in quel silenzio che Dafne si sentì affogare.
Nonostante non parlassero sentiva miriadi di parole che intercorrevano fra loro.
Era come se la loro conoscenza, la loro vicinanza fosse naturale, predisposta da tempo.
Forse si stava immaginando tutto, come al solito, in un disperato tentativo di sfuggire alla realtà della quotidianità.
-Studi?- La domanda di Nicolas la fece nuovamente trasalire.
-Relazioni Internazionali alla London School of Economics.- Rispose quasi meccanicamente.
-Wow.- Ridacchiò, guardandola curiosamente. –Una studentessa modello insomma, è la scuola prediletta dai secchioni!-
-Quella è Oxford.- Gli fece la linguaccia, quasi sentendosi più tranquilla, più leggera. –E tu? Studi?-
-L’anno scorso studiavo economia a Cambridge, quest’anno faccio economia alla UCL.- Dafne strabuzzò gli occhi e gli diede un leggero colpetto sulla spalla, solo dopo accorgendosi di quella improvvisa disinvoltura nel rapportarsi con lui. Immediatamente infilò le mani nelle tasche dei jeans, pentendosi della propria sfrontatezza.
-E dai a me della secchiona! Cambridge ed ora UCL! Come mai hai cambiato?- Lui le sorrise, abbassando per un istante lo sguardo e poi tornando a guardare dritto davanti a sé.
-Non mi sono più potuto permettere Cambridge. La UCL stando a Londra mi permette di lavorare e studiare contemporaneamente. Anche se ammetto che è dura.-
-Ah...- Dafne si fissò le unghie, imbarazzata nuovamente. –Non mi sarei dovuta intromettere, mi dispiace.-
-Non ti perdonerò mai infatti.- Ridacchiò ed anche lei scoppiò a ridere, nuovamente più rilassata. Parlare con Nicolas la metteva a proprio agio. –A proposito di studiare... Io ora tornerei a casa a fare esercizi di matematica e leggere i libri che ci hanno dato per la prossima settimana.-
Solo in quel momento Dafne realizzò che erano già arrivati a Oxford Circus.
Era volato in quel modo il tempo? Possibile? Da quando si sentiva a proprio agio con gli sconosciuti? Quella spigliata era Claudia, non lei. Quella che piaceva alle persone era sempre Claudia, non lei. Gli sorrise con innocenza e dolcezza.
-Vai, non ti voglio trattenere.- Disse, ridacchiando leggermente.
-Ti accompagnerei volentieri a casa ma capisco che possa sembrare il molestatore di turno che ti scorta sotto casa e si segna l’indirizzo.- Scoppiarono a ridere contemporaneamente.
-Secondo me è ora che tu vada a studiare ‘ché mi pare tu senta la mancanza dei libri.- Nicolas le fece la linguaccia. Sistemandosi poi lo zaino sulle spalle e smettendo di giocherellare con la busta di carta.
-Hai ragione, Dafne.- Pronunciò il suo nome in una maniera estremamente dolce, calda, confortante. –Domani passa allo Starbucks, ti offro il tuo doppio caffé macchiato alla vaniglia e ti perdono per avermi sottratto un po’ di prezioso tempo allo studio.-
Le fece l’occhiolino e prima che lei potesse ribattere in qualsiasi modo, scese velocemente le scale e scomparve dalla sua vita.
Dafne rimase per lunghi istanti in cima alla scalinata a fissare il tunnel sotterraneo. Il cuore batteva ancora a mille.
Nuovamente si era lasciata incantare da quel ragazzo.
Nuovamente si era persa ad osservare le sue movenze.
Nuovamente si era persa ad ascoltare le sue eleganti parole.
Aveva conosciuto qualcosa in più di lui, aveva scrutato qualcosa in quegli occhi a mandorla.
Eppure sembrava ancora più lontano, ancora più misterioso, ancora più irraggiungibile.
E lei aveva Evan. Doveva tornare da Evan.
Perché lei amava Evan.
Giusto?
Scosse la testa e si incamminò lungo Oxford Street il più velocemente possibile. Non voleva pensare, non voleva riflettere, non voleva avere problemi. Ma come faceva a non avere problemi se ogni volta sembrava che la perseguitassero? Come faceva a vivere tranquillamente la vita che voleva vivere? Voleva essere felice insieme a Evan, voleva continuare la loro lunga storia senza alcun intralcio, lo voleva con tutta se stessa eppure sembra esserle impossibile. Quando tornò a casa fumò l’ultima sigaretta, chiuse le finestre e la porta e si nascose sotto la coperta, desiderosa di fare tabula rasa nella sua mente. Eppure nel momento in cui fu sul punto di addormentarsi e di lasciarsi andare fra le braccia di Morfeo, comparve nella sua mente la nitida immagine di Nicolas che le serviva il caffé allo Starbucks di Regent’s Street.

*
Eccomi qui con questa nuova fan-fiction.
E’ la prima volta che posto su EFP e spero che vi piaccia, non so esattamente cosa aspettarmi.
Ho mischiato un po’ di tutto, un po’ di mie passioni, un po’ di mie fisse (Londra ad esempio).
L’idea mi è venuta durante un viaggio in aereo e l’ho sviluppata minuziosamente.
Spero di ricevere commenti, consigli e critiche!
Thanks a lot,

Light.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


So here I am, once again!
Sono contenta che alle persone che hanno letto il primo capitolo sia piaciuta l’idea.
Eccomi col secondo capitolo, che spero vi piacerà ugualmente e vi permetterà di conoscere meglio Nicolas e Dafne.
Come vedete si stanno cominciando a conoscere ed il rapporto fra Evan e Dafne sembra essere sul punto di giungere al capolinea.
Ma andrà veramente così?
Aspetto con ansia le vostre impressioni!
Un abbraccio e ... alla prossima!
J



Shine On
Capitolo Secondo

 

I'm so scared to lose you now
S
o easy to lose you now
Because there calling at my door
So I'm locking up my door
(Be Mine – The Kooks)

 

 

 

Quando quella mattina Dafne aprì gli occhi e fissò il soffitto del proprio appartamento, si domandò se il giorno precedente fosse stato solamente un sogno. Aveva veramente parlato con Nicolas? E, soprattutto, Nicolas aveva avuto veramente quell’effetto devastante su di lei. Sembrava essere passato uno tsunami nella sua vita, un terremoto dalle conseguenze irriversibili. Tutto ciò era stato causato da un semplice ragazzo, un semplice cameriere dello Starbucks, un semplice studente di economia.
Guardò la sveglia: erano le dieci e venti di sabato, lo stesso sabato della festa di Valerie e Ben. Si sedette sul letto, sbuffando. Non aveva voglia di andare a festeggiare, di andarsi ad ubriacare, di divertirsi fino a notte fonda. Evan amava quel tipo di serata, Claudia anche... Lei non centrava nulla in quell’ambiente, lei era totalmente estranea al fenomeno di massa del sabato sera di uscire fuori di testa. Il cellulare, lasciato sul comodino di fianco alla sveglia suonò ad alto volume. Il nome di Evan apparve sullo schermo ad intermittenza.
-Amore, buongiorno.- La dolce voce di Evan la fece sorridere, anche se il sorriso era l’ultimo ad essere desiderato dalle labbra della ragazza.
-Buongiorno. Oggi ci vediamo a pranzo, vero?- Una abitudine che Dafne aveva sempre amato della sua routine quotidiana con Evan era sicuramente il pranzo di sabato e la successiva passeggiata ad Hyde Park con Lyla, il golden retriever di Evan. Il ragazzo rimase un attimo in silenzio, sospirando poi.
-Mi dispiace, amore, ma oggi non posso.- Disse con totale apatia. Il sorriso si spense immediatamente sulle labbra di Dafne, che scostò le coperte e si alzò dal letto, cominciando a camminare per la propria stanza, nervosa.
-E’ il terzo sabato di fila che saltiamo il pranzo.- Protestò in un misto di delusione e di rabbia. –Che hai da fare questa volta?-
-Devo vedermi con mia madre.- Rispose secco.
-Ma anche lo scorso sabato dovevi vederti con tua madre ed anche quello prima!- Sentiva puzza di menzogna. Ma perché avrebbe mai dovuto mentirle? Scosse la testa, scacciando quell’orrida prospettiva dalla propria immaginazione. –Possiamo andare insieme a casa dei tuoi, se ti va.- Propose, cercando di addolcire il proprio tono.
-Amore, tranquilla, è solo che mia madre non si sente molto bene. Faccio velocemente e ci vediamo a casa tua prima di andare alla festa. Ti passo a prendere io.- La liquidò velocemente. Talmente velocemente che Dafne riuscì solo a rispondere con un paio di monosillabi. “Ah”, “ok”, “sì”. –Ti chiamo più tardi. Ti amo.-
-Già.- Mormorò Dafne, fissando lo schermo che indicava che la telefonata era realmente terminata. –Anche io.- Mentre diceva quelle due parole si fissava allo specchio, tutt’altro che convinta dell’essere convincente. Nella penombra della stanza il suo viso appariva stanco, appesantito da problemi ma detti, mai affrontati, appesantito da quella quotidianità che, sempre più, le stava stretta. Troppo stretta.
Aprì bruscamente le tende, non facendo una piega per l’esagerata quantità di luce che entrò nella sua stanza. Sistemò frettolosamente il letto, si buttò sotto la doccia e si vestì ad una velocità non concepibile per una esponente del sesso femminile. Trucco e parrucco le rubarono pochissimo tempo e, altrettanti pochi minuti, furono sprecati per preparare la borsa con un paio di libri ed il computer. Aveva intenzione di andare alla biblioteca universitaria per provare a scrivere quel dannato saggio breve per il professor Collins eppure non appena si trovò a Oxford Street, il suo pensiero volò alla sera precedente, a Nicolas, al caffé che le aveva promesso. Si impossessò di lei il desiderio di vendicarsi, di far capire ad Evan che lei aveva una vita al di fuori di lui, di Claudia, che anche lei poteva vivere senza chiudersi perennemente in biblioteca a studiare...e Nicolas era la vita che le era venuta a bussare alla porta, era la vita che la spingeva a provare qualcosa di nuovo, a rischiare, anche se solo da un punto di vista puramente psicologico, puramente emozionale.
Così in un tempo record si trovò davanti al bancone dello Starbucks, nuovamente svuotato visto l’orario, davanti il volto di Nicolas che si illuminò in uno splendido sorriso non appena la vide lì, le mani incrociate sotto il seno per l’imbarazzo, una strana espressione sul viso.
-Non credevo saresti venuta.- Disse, mentre segnava su un biglietto l’ordine che ormai aveva imparato a memoria.
-Le tue movenze da maniaco non mi hanno spaventata. Il tuo piano di allontanarmi non è riuscito.- Non sapeva dove aveva preso quella confidenza, ma la voglia di ridere, di rischiare si era impossessata da lei dopo un lunghissimo tempo. Lui spalancò leggermente gli occhi, scoppiando poi a ridere.
-Ho detto che te lo avrei offerto.- Con un gesto le disse di mettere nuovamente il portafoglio che Dafne aveva appena sfoderato nella borsa. –Verrò pur sabotato nei miei diabolici piani ma mantengo sempre la mia parola, sappilo.-
-Sono indecisa se prendere queste parole come una promessa o come una minaccia.- Si sorrisero e Dafne abbassò lo sguardo, tornando a rintanarsi nel suo guscio da ragazza timida.
-Ecco il tuo doppio caffé macchiato alla vaniglia.- Lo ringraziò silenziosamente per aver spezzato quell’imbarazzo e prese la tazza.
-Grazie.- Mormorò con dolcezza e lui sorrise. –Grazie per il caffé.- Puntualizzò.
-Di niente, Dafne.- Nuovamente il suo nome era stato pronunciato in quella maniera divina. Lei chinò leggermente il capo e fece per voltarsi, quando lui la afferrò per un gomito. Era la prima volta che i loro corpi si sfiorarono e lei si sentì sciogliere come ghiaccio al sole. –Io stacco per l’ora di pranzo, ti va di mangiare qualcosa insieme?- Inconsapevolmente, senza rifletterci, Dafne annuì con decisione, accompagnando quel gesto con un ampio sorriso.

Quando Nicolas comparve davanti a Dafne vestito in jeans, camicia e maglioncino, la ragazza rimase interdetta per l’alone di mistero, di fascino che lasciava trapelare in ogni suo movimento. I capelli neri erano leggermente spettinati e perfettamente ordinati in quel disordine, i suoi occhi neri come i capelli brillavano e il suo sorriso sembrava dirle “Vieni con me, vedrai cose mai viste!”. Dafne scosse leggermente la testa e si alzò, indossando a propria volta il maglione e sistemando la borsa a tracolla. Uscirono in silenzio dal locale, fermandosi poi davanti l’entrata, entrambi indaffarati ad accendersi una sigaretta, e scoppiarono a ridere contemporaneamente per la sincronizzazione con la quale fecero quel gesto.
-Cosa hai voglia di mangiare?- Domandò Nicolas dopo quelle innocenti risate.
-Hai proposto tu di pranzare insieme, conseguemente sta a te la scelta.- Rispose prontamente Dafne.
-Quando ti sciogli sei un bel peperino, eh!- Dafne arrossì immediatamente, abbassando lo sguardo. –Guarda che è un complimento. Non sai quante ragazze sfacciate conosco ogni giorno. Piene di sé e piene di coraggio, ci scambi due parole e sono vuote e sconclusionate come un’arancia spremuta.- Le sorrise, indicandole la direzione verso la quale avrebbero dovuto camminare. –Tu invece sembri dire “Prova a scoprirmi, se puoi” ed è proprio questo che mi incuriosce di te, anche quando ordini solamente un doppio caffé macchiato.- Dafne si fermò per un istante, si trovavano all’altezza di Piccadilly Circus.
-Hey, farmi arrossire non era nei piani. Dobbiamo pranzare, o no?- Lui scoppiò a ridere e, facendole passare un braccio intorno alle spalle, la fece continuare a camminare. Un nuovo contatto, dei nuovi brividi. Forse che anche lui esercitava quel fascino su di lei perché era diverso, perché sembrava essere un forziere pieno di sorprese, pieno di meraviglie. Gli sorrise, come inebetita e continuò a camminare al suo fianco, senza neanche pensare a spostare quel suo braccio dalle proprie spalle.
-Che te ne pare di un ristorante cinese?- Propose Nicolas e Dafne si rese conto che erano giunti proprio nei pressi di Chinatown. –Ti piace il cinese, vero? Altrimenti potrei disconoscerti e bandirti da ogni Starbucks del paese... Niente più doppio caffé macchiato alla vaniglia!- Alzò il dito a mo’ di minaccia e Dafne scoppiò a ridere, portando una mano a stringere il dito di Nicolas e facendogli abbassare il braccio. Solo dopo aver compiuto quel gesto si rese conto di averlo preso effettivamente per mano, ma ugualmente decise di non desidestere, di non scappare come sempre dalla realtà.
-Mi piace moltissimo in cinese, probabilmente è la mia cucina estera preferita, dopo quella italiana.- Rispose con dolcezza e lui sorrise, non interrompendo quell’improvviso contatto fra le loro mani, senza muoversi di un centimetro. Sotto la luce del sole di mezzogiorno era più bello del solito, il volto radioso, quel sorriso energico, quella testa apparentemente piena di obbiettivi, piena di sogni. Le sembrava una persona che conosceva da secoli, le sembrava così perfetto, le sembrava una persona che sapeva tutto di lei, molto più di quante le sembrasse tale Evan dopo sei anni di relazione.
Solo dopo che si furono seduti al tavolo ed ebbero ordinato delle specialità cinesi consigliate vivamente da Nicolas stesso, il ragazzo raccontò delle sue origini orientali. Era nato a Shangai, dove il padre francese, un uomo a sua volta di origini africane, aveva conosciuto la madre, cinese, e se ne era perdutamente innamorato, portandola via dopo la nascita del primogenito dalla Cina e dal suo duro regime. Dafne scoprì in quella stessa occasione che il nome del ragazzo non si pronunciava rudemente con la ‘S’ finale, tipicamente all’inglese quindi, ma alla francese, con una pronuncia da far venire i brividi per la sensualità di cui era impregnata.
-Quindi ora vivi con i tuoi?- Domandò curiosamente Dafne dopo aver sentito l’epopea della sua famiglia. Nel frattempo erano arrivati degli strani involtini di gamberi che ricopersero entrambi abbondandemente con salsa di soia. A quella domanda tuttavia fu il sorriso di Nicolas a spegnersi, mentre giocherellava con le bacchette. Alzò gli occhi dal piatto ed irrigidì ogni singolo muscolo, guardando cupemente la ragazza.
-No, diciamo che non ho più alcun rapporto con i miei genitori.- Disse secco, portando poi un involtino alla bocca e mandandolo giù dopo averlo masticato appena. Dafne si sentì nuovamente in imbarazzo e osservò il cibo con talmente tanto interesse da farlo sembrare una scoperta degna di Nobel. Non riuscì neanche a mormorare un “mi dispiace”, immersa com’era nei sensi di colpa e nella vergogna di aver tirato nuovamente in ballo un argomento off limits, come la sera prima riguardo Cambridge e la UCL. Improvvisamente Nicolas allungò la propria mano sul tavolo, andando a prendere quella di Dafne, che immediatamente si irrigidì. La ragazza alzò gli occhi e si sentì sprofondare negli occhi neri di Nicolas, nelle migliaia di emozioni che trasmettevano e abbozzò un leggerissimo sorriso. –Non ti devi sentire in colpa, né imbarazzata. Non potevi saperne nulla.- Dafne annuì leggermente e lui non si mostrò propenso a scostare la propria mano. Ogni millimetro di pelle interessato dal contatto con la mano elegante di Nicolas sembrava bruciare, ardere come una foresta appena incendiata in piena estate e pregava inconsapevolmente che quel contatto non venisse mai interrotto.
-Buoni questi involtini.- Quelle tre, stupide parole furono le uniche che uscirono dalle labbra leggermente tremanti di Dafne. Sorrisero entrambi prima di scoppiare a ridere e tornare a dedicare la propria attenzione a quel pranzo, senza privarsi di qualche fugace occhiata mirata a guardare l’uno il comportamento dell’altro. Dafne non si era mai sentita così fresca, così leggera... Sembravano essere passati secoli dall’ultima volta in cui il suo cuore aveva battuto in quel modo per un tocco, per un gesto.

Dafne si stava guardando e riguardando allo specchio. Indossava l’abito monospalla nero che aveva acquistato il giorno prima insieme a Claudia, abbastanza soddisfatto del risultato. I capelli castani erano lasciati cadere liberi e leggermente mossi, l’abito arrivava fino alla metà delle cosce e ai piedi portava delle eleganti scarpe nere lucide. Fece un paio di giri su se stessa, rifinendosi poi il mascara. Nel frattempo la porta di casa si aprì ed entrò Evan, che aveva citofonato pochi minuti prima. Si avvicinò allo specchio e si posizionò dietro le spalle di Dafne, baciandole con dolcezza il collo. La guardò dal riflesso.
-Come sta tua madre, amore?- Domandò dolcemente Dafne, sistemandosi una ciocca di capelli qua e là.
-Si sta riprendendo.- Disse sbrigativo. –Non sarà troppo da donna di basso borgo questo abito?- Aggiunse a sorpresa e Dafne spalancò gli occhi indignata.
-Che problemi hai?- Si voltò di scatto, furente. Non era abituata a sentirsi criticare per gli abiti che portava, odiava mettersi in mostra ma ogni tanto le piace farsi un po’ più carina ed apprezzabile.
-Ho problemi dal momento che la mia fidanzata sembra debba rimorchiare qualcuno.- Le fece notare la non lunghezza dell’abito e la spalla lasciata scoperta.
-Io sto con te e lo sanno tutti. Non posso più neanche vestirmi decentemente a vent’anni?- Sbottò, allontanandosi da lui e andando a preparare la borsa.
-Ci sono vestiti e vestiti.- Evan si sedette sul letto, anzi per dirla tutta si stese comodamente.
-Sembri un marito cinquantenne che ha paura che la sua donna scappi, santo cielo!- Era nervosa, anche troppo.
-Di sicuro se fossi tuo marito non andrei in giro con una moglie che sembra una puttana!- Lo schiaffo che Dafne tirò a Nicolas fu estremamente veloce, perfettamente indirizzato alla guancia destra.
-Non ti devi permettere, stronzo.- Buttò la borsa sul letto e con le lacrime agli occhi andò in bagno. –Vacci da solo a quella schifosa festa.- Sbatté la porta del bagno e si sedette su una sedia, portandosi le mani fra i capelli.
Era sempre così. Geloso, stramaledettamente geloso di lei.
Eppure lei non poteva essere gelosa. Se lei faceva o provava solamente a fare una scenata di quel tipo lui si offendeva, non le parlava.
Lei doveva essere perfetta, imperturbabile, l’ideale di moglie perfetta dell’ottocento.
Sempre pronta ad accogliere fra le proprie braccia il peggior esemplare di uomo.
Evan bussò con un tocco leggero alla porta e Dafne alzò gli occhi, passandosi le mani fra i capelli.
-Cosa vuoi?- Domandò con la voce leggermente rotta.
-Amore, aprimi. Ti voglio chiedere scusa. Il malessere di mia madre mi rende estremamente nervoso. Non me la dovrei prendere con te.- Dafne restò per qualche istante seduta su quella sedia, deglutì e si alzò, andando ad aprire la porta. Evan entrò, le portò le mani al viso e la tirò verso di sé, abbracciandola. Lei si lasciò stringere, immobile, incapace di parlare e respirare, piena di rancore, piena di noia, piena di esasperazione.
-Andiamo, sennò facciamo tardi.- Disse ancora stizzita e si incamminò verso l’uscita, prendendo il cappotto e specchiandosi un’ultima volta.
Il tragitto fino al locale avvenne nel più completo silenzio. Dafne poggiò la fronte al finestrino ed osservò la città, mentre Evan guidava, avendo rinunciato ad instaurare una conversazione con la ragazza dopo un paio di risposte fredde di lei.
Le sembrava insopportabile stare in quella macchina con lui.
Le sembrava così chiuso, così limitato, così incapace di qualsiasi sentimento, di qualsiasi rivoluzione.
Le sembrava piatto.
Le sembrava di aver conosciuto tutto ormai di lui e che non ci fosse più nulla di esplorare nella sua mente.
Non era come Nicolas.
Quel pranzo con Nicolas sembrava averle aperto un mondo, un mondo di sensazioni, di possibilità.
Come poteva vivere la sua relazione con Evan sapendo che lì fuori, nel mondo, c’erano ancora infinite possibilità?
Forse era sopravvissuta in quella opprimente relazione solo perché non aveva avuto mai il coraggio di conoscere altro.
Era sempre stata troppo ancora a loro, alla loro storia, alla loro adolescenza e non si era resa conto che nel frattempo il tempo era trascorso.
Aveva bisogno di aria.
Aveva bisogno di vita.
Sì, forse aveva bisogno di Nicolas.
Ma non fisicamente di Nicolas, ma dell’idea di Nicolas, dell’idea di libertà, di novità.
Guardò Evan e sentì il gelo nel proprio corpo, nella propria anima, se esisteva realmente un’anima negli esseri umani.

Quando Evan e Dafne entrarono nel locale, tutti gli invitati erano quasi arrivati; a occhio e croce c’era almeno un centinaio di persone presente a quella festa. Evan e Dafne camminavano l’uno affianco all’altra nel più completo silenzio; lui non aveva fatto nulla per avvicinare la ragazza a sé, per chiederle cosa non andasse e lei, di certo, non aveva fatto nessun passo nella direzione di lui, ferita com’era nell’orgoglio e piena di dubbi e problemi.
Si diressero sempre silenziosamente verso il bancone, scambiandosi un paio di sguardi ogni tanto solo per concordare se stesso camminando nella stessa e giusta direzione. Quando furono arrivati all’elegante bar di legno scuro, Evan ordinò per entrambi, come sempre, e si limitò a porgere il bicchiere di Cosmopolitan a Dafne, che a sua volta ringraziò incurvando leggermente il lato destro della bocca.
-Eccovi, siete finalmente arrivati!- Ben e Valerie arrivarono come una furia verso di loro: il classico esempio di coppia felice nonostante dieci anni di storia, con i loro bellissimi sorrisi impressi sulle labbra e sui denti resi perfetti da anni ed anni di dentista. Lui indossava un  abito blu notte con una camicia bianca sotto e delle scarpe di pelle tirate a lucido; lei un vestito lungo verde smeraldo, probabilmente della miglior fattura, e delle splendide scarpe dorate dal tacco vertiginoso. Anche esteriormente trasmettevano equilibrio e perfezione.
-Tantissimi auguri, Val.- Dafne abbracciò l’amica e poi salutò con due cordiali baci sulle guance Ben, mentre Evan faceva lo stesso e porgeva il pacchetto con il proprio regalo a Valerie. Lei sorrise raggiante, probabilmente soddisfatta dell’importante firma letta sulla bustina e si dileguò insieme al fidanzato alla ricerca di nuovi ospiti da salutare. Dafne notò che sfoggiava a destra e a manca un enorme e stupendo anello che portava sulla mano sinistra: che forse Ben le avesse fatto una proposta ufficiale? Fece spallucce, tornando a sorseggiare il proprio drink, con Evan sempre accanto a lei, come una presenza inevitabile e, soprattutto, insopportabile.
-Non ho visto ancora Claudia.- Disse ad un certo punto Evan, che aveva affondato le mani nelle tasche dei pantaloni e si stava guardando curiosamente intorno. Dafne lo seguì nella sua ricerca ma non riuscì a scorgere da nessuna parte la chioma dorata dell’amica. Fece nuovamente spallucce, sospirando.
-Avrà fatto tardi con la sua nuova fiamma. Sai com’è fatta Claudia.- Si limitò a dire.
-Eccome.- Mormorò semplicemente Evan, lanciando una fugace occhiata alla propria ragazza. Si andarono a sedere su dei divanetti in pelle bianca ai lati di quella che si stava trasformando in una pista da ballo, mentre i camerieri portavano bottiglie su bottiglie di champagne per scaldare la serata. Dafne pensò che per scaldare la sua di serata ed il suo cuore ci sarebbe voluta come minimo una fiamma ossidrica.
-Cos’ha tua madre?- Domandò Dafne nel tentativo di fare un po’ di conversazione e nel tentativo di schiarirsi le idee sulle programmate scomparse di Evan.
-Polmonite. Non la vuole proprio smettere di fumare.- La guardò, inarcando un sopracciglio. –E’ un vizio comune.- Dafne colse la frecciatina e sbuffò.
-Non ricominciamo per cortesia. Lei ha cinquant’anni, io ne ho venti. Lasciami in pace con le tue paternali almeno questa sera, Evan, non sei proprio nelle condizioni di farle.- Fu molto secca nel liquidarlo. Evan fece per aprir bocca ma la squillante voce di Claudia e la sua appariscente presenza occuparono interamente la visuale di entrambi.
-Buona sera, coppietta felice!- C’era un qualcosa di sadico nella sua voce. In una mano stringeva un calice di champagne e nell’altra la mano di un ragazzo, nascosto dalla penombra. Solo quando egli si avvicinò maggiormente, venendo illuminato da una luce che si trovava perfettamente sopra le loro teste, Dafne riconobbe Nicolas e per poco non le andò di traverso lo champagne che stava sorseggiando da qualche minuto. –Vi presento Nicolas.- Guardò il ben noto a Dafne ragazzo, sorridendo melliflua. –Nicky, questi sono Dafne ed Evan, prossimi al matrimonio.-
Prima che Dafne riuscisse a formulare un qualsiasi pensiero, riuscisse a decifrare lo sguardo di Nicolas e le emozioni che aveva provato nel sapere che lei era “prossima al matrimonio”, nonostante questa fosse una totale menzogna, e nel cercare di capire perché fosse talmente scombussalata e gelosa per aver visto Nicolas e Claudia insieme, Evan si alzò di scatto, i muscoli del collo tesi e lo sguardo decisamente furente. Sembrava essere totalmente fuori di sé.
-Mi pareva di averti detto di non farti più vedere in giro, Bermejo.- Ringhiò, dando una spinta a Nicolas per allonarlo da sé. Nicolas si limitò ad accennare un sorriso ed affondare le mani nelle tasche dei pantaloni dell’abito. –Quale parte del nostro discorso non ti è stata chiara all’epoca?-
-Forse dovrei fartela io questa domanda, Evan.- Nicolas parlava calmo e Dafne non capiva come loro due facessero a conosceri. Che problemi avevano, soprattutto? Evan non le aveva mai accennato di litigi, di scontri con un qualche Nicolas Bermejo. –Quale parte del discorso non è stata chiara? E quale parte delle botte che hai preso non ti ha schiarito un po’ le idee che hai in quella testa bacata?-
-Non ti devi permettere.- Un’altra spinta. Nessuna reazione da parte di Nicolas. –Claudia, da quand’è che frequenti questa feccia della società?- Guardò la bionda che, intimorita, abbassò lo sguardo e si avvicinò a Dafne, lasciando Nicolas solo a fronteggiare Evan.
-Da quand’è che hai problemi con la gente? Lascialo in pace e andiamocene.- Dafne si intromise, afferrando Evan per un braccio e tentando di allontanarlo da Nicolas. Quest’ultimo la guardò in un misto di dolcezza, comprensione e gratitudine.
-Tu devi stare zitta e farti gli affari tuoi, stupida!- La spinse via con violenza, scaricando poi la rabbia accumulata sul volto di Nicolas con un pugno preciso. Claudia corse via a cercare qualcuno della sicurezza, mentre Dafne guardava attonita il proprio ragazzo e il labbro spaccato di Nicolas che, tuttavia, continuava a non reagire. Sapeva che Evan si stava arrabbiando perché Nicolas non gli stava dando di occasione di sfogarsi, non reagendo in alcun modo.

-Vedo che non hai migliorato la qualità dei tuoi pugni, Evan.- Sentì un tono irrisorio nelle parole di Nicolas. –Ricordo che ti consigliai una palestra dove fare pratica, forse hai perso l’indirizzo.- Fece una pausa, avvicinandosi ad Evan sempre con le mani in tasca. –Forse vuoi che io te lo risegni?- Fece appena in tempo a terminare la frase che Evan si scagliò nuovamente su di lui. Dafne si intromise nuovamente, afferrando Evan per un braccio e spingendolo via.
-Lascialo perdere, stai facendo una pessima figura.- Mormorò al suo orecchio, mentre la gente smetteva di ballare e li osservava perplessa. In tutta risposta Evan reagì a quella presa muovendosi con tanta energia e violenza da far schiantare un forte colpo della propria mano direttamente sul viso di Dafne. La ragazza barcollò, indietreggiando, e non fece in tempo ad aprire bocca per offenderlo, per fargli capire cosa aveva fatto, che Nicolas colpì il volto di Evan, prima di essere trascinato fuori da un buttafuori. Claudia aveva detto che era stato lui e non Evan a cominciare tutto. Chissà perché.
-Amore, scusami...- Improvvisamente Evan parve rinsavire e si voltò verso Dafne, ancora immobile con le mani sul proprio viso. Indietreggiò istintivamente.
-Lasciami stare. Non mi devi toccare, maiale.- Con quelle parole si allontanò in fretta, gli occhi che bruciavano per le lacrime che volevano uscire, il cuore spezzato che quel colpo ricevuto fisicamente e moralmente.
-Allora tornaci a piedi a casa!- Fu l’unica risposta che sentì. Quando si voltò per guardando in pieno volto, vide un occhio arrossato ed un labbro leggermente spaccato. Claudia al suo fianco che lo teneva per un braccio e una folla di invitati attonita che la guardava andare via. Camminò con passo più deciso, come trasportata in una dimensione parallela. Ritirò il cappotto dal guardaroba, sistemò la sciarpa intorno al proprio collo ed uscì all’aria aperta.
Cosa diamine era successo?
Il gelo della notte londinese sembrava acuire il suo dolore, sembrava immobilizzarla all’interno di quel vortice di emozioni contrastanti, di domande senza risposta.
-Ti porto io a casa.- Una voce calda, estremamente confortante la fece voltare. Nicolas Bermejo era lì in piedi affianco a lei, che le tendeva la propria mano e la guardava con dolcezza. Notò solo in quell’istante che aveva il volto sporco di sangue a causa del labbro e del sopracciglio spaccato. Fortunatamente non sembravano necessitare di punti e di cure ospedaliere quelle due ferite.  Dafne annuì inconsapevolmente, come quando l’aveva invitata a pranzo quella mattina e prese la sua mano. Lui sigillò quel contatto con decisione e la tirò verso di sé, accogliendola fra le proprie braccia in un caldo e lungo abbraccio.

Quando Dafne aprì nuovamente gli occhi, si ritrovò stesa su un divano. Guardò il soffitto e vide che era in legno, lei non aveva un soffitto in legno. Si sedette di scatto, guardandosi spaventata intorno e rendendosi conto che si trovava in una mansarda sicuramente non di sua conoscenza. Solo qualche istante dopo sbucò da una porta la conosciuta figura di Nicolas con nelle mani due grosse tazze fumanti.
-Dove sono?- Domandò immediatamente Dafne, sentendosi improvvisamente gelare.
-Siamo a casa mia. Appena siamo saliti in macchina ti sei addormentata e non sapevo dove portarti e non volevo svegliarti.- Fece una pausa, sedendosi affianco a lei. –Quindi ti ho portata qui. Mi dispiace se ti ho creato un qualche disagio, ma mi è parsa l’unica soluzione. Hai dormito quattro ore circa.- Le porse la grande tazza e lei la prese, ancora tremante. Era té caldo, talmente caldo da scaldarla solo tramite il contatto con le sue mani.
-Grazie.- Mormorò, soffiando poi leggermente sulla bevanda. –Per tutto.- Aggiunse, sempre volenterosa di puntualizzare.
-Ti senti bene?- Domandò, accennando un sorriso. Dafne annuì, spostando poi lo sguardo sul suo labbro e sul sopracciglio: le ferite erano state ripulite dal sangue in quelle ore. Lui allungò la mano a sistemarle una ciocca di capelli dietro le orecchio e a quel contatto rabbrividì per il dolore. Si ricordò improvvisamente del colpo di Evan e le salì la rabbia, la tristezza, tutto il rancore, tutti i dubbi. Nicolas parve comprendere il mix di emozioni che si fece spazio nell’animo della ragazza e chinò leggermente il volto. –Hai un brutto livido, mentre dormivi ci ho messo del ghiaccio ma non è migliorato molto.- Dafne si alzò in silenzio e si avvicinò alla prima superficie riflettente che vide. Il riflesso che vide la fece inorridire: il suo viso di per sé smunto e chiaro, era arrossato e tutta la gote destra del viso era leggermente violacea: lì si sarebbe creato un livido di dimensioni e colori biblici. Si passò le mani fra i capelli e guardò Nicolas, tornando a sedersi sul letto senza proferire parola. –A proposito,...- Si alzò, cercando qualcosa che Dafne non riusciva a vedere dietro il divano. -...Questo continua a vibrare da un bel po’.-
-Oh...- Dafne prese il proprio cellulare fra le mani: venticinque chiamate senza risposta di Evan. Continuava a suonare e Dafne sentì il proprio cuore stringersi violentemente. Guardò Nicolas e posò il telefono a terra con un sospiro.
In quell’istante Dafne colse l’occasione per guardarsi intorno mentre continuava a bere il proprio té caldo. Si trovavano in una mansarda di dimensioni modeste: in quello che doveva essere il soggiorno c’era il divano dove si trovava, un televisore, la scrivania ed un letto a due piazze. Scorgeva la cucina, da dove prima era sbucato Nicolas ed un bagno. Viveva lì allora? Da solo? I suoi genitori dov’erano? Eppure quelle domande si aggiunsero all’innumerevole fila di quesiti che si era andata a creare dopo l’incontro-scontro con Evan alla festa di Valerie e Ben.
Guardò Nicolas, affogando nei suoi occhi neri, e si domandò mentalmente come facesse a conoscere Evan e cosa li aveva accomunati in passato per rendere così aspro il solo vedersi. Lui ricambiò il suo sguardo, con quei fantastici occhi a mandorla che trasmettevano dolcezza, quei capelli neri leggermente scompigliati che ricadevano sulla fronte, il naso dritto, le labbra schiuse e leggermente gonfie per l’impatto con le nocche di Evan. All’improvviso Nicolas le sorrise, illuminando quasi la stanza con i suoi denti dritti, perfettamente bianchi come se appena usciti da una pubblicità di dentifrici.
-So di doverti molte spiegazioni.- Disse ad un certo punto quasi leggendo nella mente della ragazza. Dafne si limitò ad annuire leggermente, totalmente ipnotizzata dalle sue movenze, dalle sue dita che le carezzavano delicatamente i capelli sciolti e scomposti. –Ma ora sei stanca e credo tu debba riposarti.- Continuò, mordendosi leggermente il labbro inferiore. –Vorrei che tu rimanessi qui questa notte ed anche domani, finché non ti sarai ripresa ed il tuo viso non sarà migliorato. Ok?-
-Come farai con il lavoro?- Domandò sinceramente interessata, sentendosi quasi un peso per lui, che infondo era un completo sconosciuto.
-Domani ho il turno fino a mezzogiorno. Se quando ti svegli stai male o hai bisogno di qualcosa, chiamami senza farti problemi e torno subito a casa.- Le sorrise con dolcezza. –L’importante è che tu stia bene.- A quelle parole il cuore di Dafne fu sul punto di esplodere, di liquefarsi.
-Grazie.- Mormorò, rendendosi solo in quel momento della loro vicinanza. Entrambi seduti sul divano con una tazza bollente fra le mani, la mano di Nicolas fra i suoi capelli.
-Ora ti chiederei di spostarti sul letto.- Disse e Dafne avvampò improvvisamente. Nicolas scosse la testa e ridacchiò. –Io dormo sul divano ovviamente.-
-Non potrei mai chiederti tanto...-
-Infatti te lo sto chiedendo, no ordinando, io.- Dafne capì dal suo tono e dal suo sguardo che non avrebbe accettato repliche. Si alzò lentamente, posando la tazza sulla scrivania, e si avvicinò al letto.
-Ti porto dei pantaloni della tuta ed una maglietta, così stai a tuo agio.- Fece per andare verso l’armadio ma si fermò, tornando a due passi da Dafne, troppo vicino. –Senti, vorrei solo dirti che quando dicevo che tu eri diversa dalle altre e che le solite sgallettate non mi interessano, lo dicevo seriamente.- In quel momento Dafne ricordò il proprio sconforto nell’averlo visto con Claudia. –La tua amica, Claudia, mi ha attratto a sé con i soliti mezzi sfacciati, non saprei neanche dirti che tipo è per quanto poco abbiamo parlato...- Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata al ricordo dei dettagli prettamente sessuali del loro incontro. Nicolas portò le dita sotto il mento di Dafne, costringendola a guardarlo negli occhi. –Tu hai quel quid in più, quel qualcosa che mi spinge a cercarti, a voler passare del tempo con te anche se so che per il momento tu sei impegnata, anche se non saprei dire la stessa cosa del tuo cuore...- Si allontanò improvvisamente e il cuore di Dafne prese a battere, mentre lo guardava armeggiare con le ante dell’armadio. Le portò una maglietta ed un paio di pantaloni della tuta come promesso e la guardò intensamente negli occhi. –Abbiamo tutto il tempo del mondo infondo, no?- Con quell’ultima, sconclusionata frase, lasciò Dafne piena di dubbi accanto al letto con i vestiti fra le mani.
Su una cosa aveva avuto decisamente ragione Nicolas: lei era impegnata, ma il suo cuore no.

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