Shine On di Light D (/viewuser.php?uid=144037)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Shine On
Capitolo Primo
So at
my show on Monday
I was told that someday
You'd be on your way to better things
It's not about your make-up
Or how you try to shape up
To these tiresome paper dreams
(She
moves in her own way – The Kooks)
La prima volta che gli occhi di Dafne Sullivan
incrociarono quelli di
Nicolas Bermejo era una mattina come tante nell’affollato
Starbucks di Regent’s
Street a Londra. Lei aveva appena ordinato il suo doppio
caffé macchiato alla
vaniglia e lui glielo stava preparando velocemente, per riuscire a far
fronte
alla schiera di affamati clienti che si stava creando dietro le esili
spalle
della ragazza. Il giorno in cui gli occhi di Dafne e Nicolas si
incrociarono,
tuttavia, fu lo stesso giorno in cui nello stesso Starbucks di
Regent’s Street
anche gli occhi di Evan Johnson, il secolare fidanzato di Dafne, si
incrociarono eloquentemente con quelli di Nicolas. In quello stesso
giorno, in
quella stessa via ma non in quello Starbucks, qualche ora dopo anche
gli occhi
di Claudia, migliore amica di Dafne, si incrociarono con quelli di
Nicolas non
tanto eloquentemente come il biglietto che gli lasciò di
sfuggita con su
scritto il proprio numero. Quel trenta settembre le vite di quei
quattro
ventenni londinesi si intrecciarono in un modo catastroficamente
imprevedibile
e inconsapevole. Forse quello era veramente il cosiddetto destino.
Dafne staccò le proprie labbra da
quelle di Evan con un leggero gemito,
mentre lui si accasciava di fianco a lei sfinito. Le passò
un braccio intorno
alle spalle, baciandole poi leggermente la fronte con un sorriso a fior
di
labbra.
-Amore, domani sera vado a vedere una partita con i ragazzi, non ti
dispiace?-
Era una domanda retorica quella che rivolse Evan a Dafne e,
quest’ultima, lo
sapeva perfettamente. Si strinse nelle spalle come ormai era abituata a
fare e
puntò gli occhi sul soffitto.
-Non c’è problema.- Tanto
non è che
abbiamo qualcosa di entusiasmante da fare. Aggiunse
mentalmente con un
sospiro. Stavano insieme dal primo anno di superiori ed ora erano
entrambi
iscritti al secondo anno di università: sei anni di storia.
Sei anni di storia
che cominciavano a pesare con la loro routine, con la loro monotonia...
Sì,
probabilmente molte coppie erano in grado di amarsi ancora come prima,
molte
coppie stavano ancora bene insieme sia dentro che fuori dal letto, ma
Dafne si
sentiva cambiata, diversa. Non era più la stessa Dafne di
sei anni prima, non
aveva più gli stessi desideri, gli stessi obbiettivi...
Aveva nuove esigenze,
nuovi sogni, mentre con Evan sembrava tutto così
incredibilmente statico,
invariato. Non c’era mai quel briciolo di novità,
quel brivido di freschezza,
tutto così piatto... E la cosa peggiore era che non sapeva
se lo amava ancora.
Era affezionata a tutto di lui, certo. A vederlo nella pausa pranzo fra
una
lezione e l’altra, a studiare con lui, a fare le lunghe
passeggiate a Hyde
Park, a andare a cena con i suoi genitori... Ma quella infinita
ripetitività
dei loro gesti la spaventava, la faceva indietreggiare ogni volta.
-Hai sentito, Claudia?- Domandò Evan ad un tratto. Dafne si
rigirò fra le
lenzuola e lo vide in bagno a lavarsi il viso. Lo guardò per
qualche istante,
interdetta. Per quanto tempo si era soffermata sulle proprie
riflessioni?
-No, perché?- Deglutì,
sedendosi e portando il lenzuolo a coprirle i seni.
-Dice che Valerie e Ben stanno organizzando la festa del secolo. Domani
sera.
Potremmo andarci, no?- Un'altra domanda retorica.
-Certo.- Abbozzò un sorriso, che Evan neanche
notò, essendo troppo impegnato a
fissare il proprio riflesso nello specchio. –Più
tardi la chiamo.- Lo vide
sistemarsi il colletto della polo appena indossata e allacciarsi la
cintura
firmata. Poi tornò in camera da letto e prese la giacca.
-Io vado a lezione.- Si chinò sulle labbra di Dafne,
lasciandole un leggero e
soffice bacio. –Quando esci lasci le chiavi alla portinaia.-
E con quelle
parole lasciò la casa con una folata di freddo alle proprie
spalle. La ragazza
restò per qualche istante seduta nella medesima posizione
sul letto, con
l’immagine nella mente di Evan ancora alla porta: i capelli
biondo cenere, gli
occhi blu, il portamento elegante ed i vestiti scelti accuratamente
ogni
mattina. Scosse la testa, lasciando che quella fittizia immagine si
svolatilizzasse dalla sua mente, si alzò e
sistemò frettolosamente il letto.
Raccolse i suoi vestiti, si buttò sotto il getto gelido
della doccia e poi si
rivestì altrettanto velocemente. Si guardò alle
specchio per qualche istante,
mentre si allacciava i bottoni della camicetta azzurra. I lunghi
capelli castani
ricadevano lisci ed ordinati sulle spalle, fino all’altezza
del seno. Gli occhi
azzurri scrutavano se stessi, contornati da un filo di matita marrone e
mascara, esaltati nella propria bellezza. Aveva un fisico esile, una
altezza
modesta, una ragazza piuttosto ordinaria che, con suo rancore,
conduceva una
vita altrettando ordinaria.
Si voltò di scatto, dando le spalle al proprio riflesso e
raccolse la sua
borsa, dirigendosi poi verso l’uscita. Lasciò
l’appartamento di Evan e scese le
scale, lasciando poi le chiavi alla portinaia. Una volta per strada si
fermò ad
osservare il maestoso Hyde Park: voleva andare a casa propria, posare
le cose,
godersi la comodità del proprio letto; contemporaneamente
doveva andare a
lezione, andare a studiare, chiamare Claudia, fare trecentomila cose
che, come
al solito Evan non poteva fare. Scosse la testa, passandosi entrambe le
mani
fra i capelli e si incamminò verso Regent’s
Street, voleva il suo solito caffé
da Starbucks, voleva sedersi, aprire il portatile e rilassarsi,
staccare
completamente da quella monotona quotidianità. Quella
mattina sentiva veramente
di essere arrivata al limite, di non poter più reggere
quell’odiosa ruotine.
Il suo arrivo al famoso bar fu sancito dal forte
odore di caffé che penetrò
violentemente nelle sue narici. Sorrise: le piaceva il
caffé, le era sempre
piaciuto, aveva quel qualcosa di europeo, di italiano e lei amava
l’Italia,
amava Venezia, amava Roma. Ricordava ancora la settimana di amore con
Evan dopo
i loro ultimi esami al liceo. Erano passati
due anni. Fortunatamente quella mattina lo Starbucks era
praticamente
vuoto. Forse perché erano le dieci e già tutti
avevano avuto il tempo di andare
a prendere il solito caffé e andare a lavoro, andare a
lezione. C’erano solo un
paio di turisti che seduti su delle poltrone scrutavano attentamente
una
cartina della città. Si avvicinò alla cassa e
notò che c’erano solo due persone
a lavorare lì quella mattina, solitamente erano almeno in
quattro.
-Vuole ordinare?- Un ragazzo dal voto estremamente familiare si sporse
dal
bancone, rivolgendole un ampio sorriso. Dafne lo osservò,
riflettendo su altre
occasioni in cui lo aveva incontrato, ma non le venne in mente nulla.
Aveva i
capelli neri, folti, di quel spettinato elegante e attraente. Gli occhi
erano a
mandorla, scuri quanto i capelli e la pelle mulatta.
-Vorrei un caffé.- Balbettò, ancora incantata,
ancora immobile a fissare i
lineamenti perfetti di quel viso metà latino e
metà orientale. –Ehm... Un
doppio caffé macchiato alla vaniglia cioé...- Si
riprese, arrossendo
visibilmente. La sua pelle chiarissima lasciava trasparire ogni singolo
rossore. Lui sorrise, apparentemente non facendo caso a quel rossore di
troppo
e comunicò l’ordine alla ragazza bionda che
lavorava con lui quella mattina.
Non c’era nessun altro da servire e conseguentemente si
soffermò a guardare
Dafne, che cercava di rendersi indaffarata per spezzare
quell’imbarazzo.
-Sono due pound e novantacinque centesimi.- Disse ad un certo punto il
ragazzo.
Lei trasalì, presa di sorpresa e lui ridacchiò
per la sua reazione. Dopo
qualche istante Dafne tirò fuori il portafoglio e
pagò, accennando un
tiratissimo sorriso. Lui le diede il resto e lo scontrino.
–Vieni spesso qui?-
Le domandò con un sorriso, scrutandola curiosamente.
-Sì, piuttosto spesso.- Rispose, tenendo sempre lo sguardo
basso mentre nascondeva
il portafoglio nella borsa.
-Ero sicuro di averti già vista infatti.- A quelle parole
Dafne alzò lo sguardo
e realizzò che era proprio in quello Starbucks che aveva
visto quel ragazzo
tante volte. Ma ogni volta c’era sempre troppa gente, troppa
fila e non si era
mai riuscita a soffermare sul suo viso, sui suoi occhi, sul suo
portamento.
Sorrise tranquillamente questa volta. –Come ti chiami?-
-Dafne.- Disse in un sussurro. Lui parve sentirlo e sorrise.
-E’ pronto il caffé per Dafne?- Domandò
alla biondina che con una risata gli
passò la tazza fumante. –Ecco qui, Dafne.-
Sembrava divertirsi a ripetere il
suo nome. Si guardarono per qualche istante e nel momento in cui lei
aprì la
bocca per domandargli il suo di nome, qualcuno si schiarì la
voce alle sue
spalle. Si voltò e notò che si era creata una
piccola fila. Con gesti goffi e
poco coordinati salutò lo sconosciuto ragazzo dello
Starbucks e si allontanò
dal bancone, fissando terra e sedendosi sulla prima poltrona libera.
Posò la
tazza sul tavolino e fece dei respiri profondi: il suo cuore stava
battendo a
mille e lei si sentiva estremamente accaldata. Non era successo nulla
in fondo,
niente di niente. Aveva parlato con quel ragazzo. Con quanti ragazzi
aveva
parlato in vent’anni di vita? Scosse la testa e
rilassò i muscoli, aprendo il
pugno che aveva serrato fortemente con la mano sinistra: vide
appallottolato lo
scontrino e lo aprì nel tentativo di distrarsi. Siete stati serviti da: Nicolas. Lesse
cento volte quelle cinque
parole, sentendosi nuovamente catapultata in un altro universo. Si
girò verso
il bancone e lo vide servire un ragazzo indiano, dispensando sempre i
suoi
favolosi sorrisi. Fissò la tazza con il caffé,
non più fumante, e dopo aver riposto
accuratamente quel prezioso scontrino nel portafoglio portò
la tazza alle
proprie labbra e bevve ad una velocità da non lei non
considerata possibile
quel caffé ormai gelido. Perché si stava
emozionando a tal punto per uno
stupido scambio di parole, per uno stupido nome stampato su uno stupido
scontrino di uno stupitò doppio caffé macchiato
alla vaniglia?
Mandò giù l’ultimo sorso quasi con
violenza e si alzò, sistemandosi la
camicetta e indossando il maglione che aveva buttato per ogni evenienza
nella
borsa. Controllò di non aver dimenticato nulla e si diresse
verso l’uscita,
bene attenta a non indirizzare neanche uno sguardo a quel bancone.
-Torna presto, Dafne!- Eppure quella voce la costrinse a sorridere
spontaneamente, a girarsi, a fare un cenno con la mano nella direzione
di
quello stesso bancone che prima aveva evitato tanto attentamente.
Sapeva che
sarebbe tornata presto, sapeva che avrebbe nuovamente cercato quei
cinque
minuti di emozioni, sapeva che sarebbe stato quello sconosciuto Nicolas
a donargliele
senza alcuna pretesa.
-A presto, Nicolas.- Mormorò e fu sicura che lui
capì quel leggero mormorio
lasciato al vento. Lui le sorrise e tornò a dedicare la
propria attenzione ai
clienti. Lei gli sorrise e uscì, lasciando che la porta
sbattendo alle proprie
spalle. Camminò come stordita per Regent’s Street,
incurante degli altri
passanti, delle parole che sentiva, delle classiche spallate londinesi
che
riceveva. Scese gli scalini che portavano alla metropolitana,
aspettò
pazientemente il treno e andò verso la biblioteca
universitaria. Sentiva che
quella routine era stata irrimediabilmente spezzata e si sentiva
estremamente
leggera e piena di brividi di fronte quella prospettiva.
Quelle tre ore passate nella biblioteca erano state probabilmente le
più
inutili degli ultimi due anni. Aveva fissato la pagina che doveva
riempire con
un saggio quella sulla Guerra Fredda per circa un’ora e mezza
e l’altra ora e
mezza l’aveva impiegata a fissare il libro da cui doveva
prendere spunto. In
conclusione non aveva scritto neanche mezza riga, solo parole non
collegate e
non collegabili fra loro. Inspirò la fredda aria londinese
non appena chiuse la
porta della biblioteca alle proprie spalle e si andò a
sedere su una panchina,
accendendosi poi una sigaretta. Tirò fuori il cellulare
dalla borsa e cercò il
numero di Claudia e la chiamò, inspirando ed espirando il
fumo della sua Lucky
Strike nel frattempo.
-Hey, amica!- La apostrofò la voce calda
dall’altra parte del telefono.
-Claudia!- Dafne deglutì e si guardò le unghie.
–Evan mi ha detto di una festa
di Valerie e Ben...-
-Sì, sì!- Sembrava tutta su di giri.
–Senti, se ci vediamo fra dieci minuti al
bar dell’università ne parliamo. Che ne dici?-
-Certo!- Fece una pausa per fare un tiro. –A fra dieci minuti
allora.-
-Ciao, splendore!- Sentì il “tu-tu-tu” e
spinse il pulsante rosso, alzandosi
dalla panchina e tirando lontano il mozzicone della sigaretta.
Conosceva Claudia da tutta la vita.
Si erano incontrate la prima volta alle elementari: era il primo giorno
di
scuola e Dafne si era appena trasferita a Londra da Sheffield a causa
del
lavoro del padre. Frequentavano entrambe la prestigiosa
King’s College
Elementary School, insieme a tutte le figlie di papà (alle
elementare maschi e
femmine erano separati) e pretendenti alle più alte cariche
civili e private. Si
erano incontrate in classe e si erano sedute silenziosamente a due
banchetti
singoli vicini, sorridendosi. Claudia si distinse subito per la sua
schiettezza, la sua loquacità ed il suo carattere
estremamente estroverso.
Dafne rimase sempre maggiormente nell’ombra: silenziosa,
introversa, dedita
agli studi, pochi amici ma sempre ben scelti. Anche fisicamente si
erano sempre
distinte, soprattutto quando cominciarono il liceo: Claudia era
prosperosa,
biondissima, sempre deliziosamente abbellita dal trucco, sempre vestita
perfettamente e pronta ad esaltare le sue forme, il suo fisico che
lasciava
senza fiato ogni ragazzo; Dafne invece era castana, esile, un tipo che
non si
notava e che non amava i vestiti succinti, non amava mettersi in
mostra. Erano
la coppia di amiche più strana e più commentata
per i corridoi della King’s
College High School.
Anche nella scelta dell’amore si erano distinte.
Dafne aveva conosciuto Evan la prima settimana di liceo durante la
lezione di
economia; si erano piaciuti, si erano frequentati, si erano messi
insieme, si
erano innamorati. Dafne aveva dato a lui il suo primo bacio, aveva
fatto con
lui la prima volta l’amore: ogni esperienza, ogni sorriso,
ogni brivido era
stato il primo e lo aveva vissuto grazie ad Evan. Claudia invece non
aveva mai
conosciuto, almeno diceva, il vero amore. Tanti ragazzi, tante
esperienze,
tante litigate fra Dafne e le loro nemiche che definivano Claudia una
poco di
buono.
Quando Dafne arrivò al bar fu costretta a scacciare
l’immagine della piccola
Claudia e della teen-ager Claudia per incontrate la Claudia ventenne,
come al
solito impeccabile nell’aspetto con la sua Marlboro Light fra
le dita. Si
abbracciarono leggermente, sorridendosi a vicenda e sedendosi.
-Non sai quante cose ho da raccontarti.- Prima che Dafne potesse aprire
bocca,
Claudia la travolse con la sua parlantina sciolta. Classico.
–Penso di aver
incontrato il ragazzo giusto. Quello che dici... Hey, questa volta mi
innamoro
per davvero!- Sorrideva raggiante e Dafne si sentì leggera,
felice. Le piaceva
ascoltare i problemi degli altri in modo da non doversi esporre con i
propri.
Sentiva di rendersi fragile e vulnerabile con le proprie mani ogni
volta che si
esponeva troppo. –Si chiama Nick, ha vent’anni e ci
siamo conosciuti all’Apple
Store in Regent’s Street.- Sospirò, guardando il
cielo. –Un figo strepitoso,
cosa te lo dico a fare! Il classico tipo che piace a me, quello che lo
guardi e
dici “Caspiterina, me lo farei
all’istante!”- Ridacchiarono e Claudia
continuò
il proprio racconto. –Allora ho comprato la pennetta USB che
mi serviva, ho
preso lo scontrino e ci ho scritto sopra il mio nome e il mio numero.
Dopo un
mirato e preciso scambio di sguardi, credimi, decisamente eloquenti mi
sono
avvicinata e gli ho dato lo scontrino. Tempo quindici minuti e... BAM!
Mi ha
richiamata!-
-La solita sfrontata.- Commentò con dolcezza Dafne.
-Bella mia, se non sei sfrontata non combini niente al giorno
d’oggi! A meno
che non fai di cognome Sullivan e non sei in procinto di sposarti con
l’uomo
della tua vita!-
-Non sono in procinto di sposarmi.- Disse con una smorfia Dafne. Il
pensiero di
prolungare quella routine con Evan fino alla morte la faceva
rabbrividire...
per l’orrore.
-Lo sarai presto, fidati... State insieme da una vita!-
-Sei anni.-
-La solita pignola.- Claudia sorrise, dando un giocoso buffetto sulla
guancia
all’amica che, forzatamente, sorrise a propria volta.
–Comunque la sera mi sono
rivista con Nicky e ci siamo presi un paio di drink. Vorrei poterti
dire che
tipo è, che lavoro fa, dove vive... Ma dopo quei drink
abbiamo deciso di aprire
una bottiglia di vino a casa mia e sai come finiscono le bottiglie
aperte in
casa Nicolson.- Sorrise maliziosa e si cimentò nel
raccontare, questa volta più
a bassa voce tutte le acrobazie sessuali che aveva sperimentate con
quel Nick.
Parlava velocemente, elettrizzata, senza alcun pudore, senza
tralasciare nessun
dettaglio e Dafne la ascoltava in silenzio, come sempre. Da un lato
voleva
dirle che non era quello il modo di incontrare il ragazzo giusto, che
portarselo subito a letto non era una grande mossa...
Dall’altro lato
rifletteva sul fatto che evidentemente a lei andava bene
così e la invidiava.
Sì, la invidiava perché infondo lei non era
intrappolata in una maledetta
routine con un ragazzo che non sapeva più se amava. Lei era
libera, libera di
conoscere chiunque volesse, libera di vivere, vivere con la
‘V’ maiuscola,
vivere ogni singolo istante senza rimpiangere nulla.
Mentre Claudia sembrava descrivere il libro del Kamasutra da cima a
fondo, il
pensiero di Dafne volò a Nicolas.
Nicolas ed il suo sorriso. Nicolas e quei suoi modi di fare. Nicolas e
quel suo
sguardo incantatore, velato da quel perfetto alone di mistero.
Come poteva pensare così tranquillamente, a cuor leggero a
Nicolas? Lei stava
con Evan, lei amava Evan. Scosse la testa, ma l’immagine del
cameriere di
Starbucks non svanì.
Guardò Claudia e volle interromperla per un istante,
parlarle del suo rapporto
con Evan, parlarle dell’incontro con Nicolas.
Eppure non poteva. Aveva paura, paura di esternare ciò che
pensava. Perché nel
momento in cui si confessano le cose a qualcun altro, quelle stesse
cose sono
rese reali. E non c’era nulla di vero. Era tutta una futile
invenzione della
sua mente. Nicolas era un cameriere e come tale doveva risultare
gentile,
affabile. Lei era sempre stata fedele col corpo e con la testa ad Evan
ed era
decisa a continuare per quella via. Se fosse stato necessario, non
sarebbe più
tornata in quello Starbucks.
Il solo pensiero le sembrava assurdo e illogico.
-Mi stai ascoltando o ti sei persa nel tuo reame, bella addormentata?-
Dafne
alzò lo sguardo dalle proprie unghie e guardò
Claudia negli occhi. Abbozzò un
sorriso e si passò la mano fra i capelli, come faceva sempre
nei momenti in cui
si sentiva più spaesata, più nervosa.
-Scusa, stavo pensando al saggio breve che devo scrivere... Mi sono
persa le
ultime cose che hai detto.- Arrossì lievemente e
l’amica le sorrise con
dolcezza.
-Stavo dicendo che domani sera c’è la festa di
Valerie e Ben... Hanno affittato
un locale a Soho per festeggiare il compleanno di Valerie, siamo stati
tutti
invitati ed io porterò Nick.- Sorrise radiosa quando
pronunciò il nome del
nuovo ragazzo, che poi non era probabilmente il così
definibile “ragazzo ufficiale”.
-Mi pare una prospettiva allettante.- Sorrise, compiacendo
così l’amica.
–Potremmo andare a cercare un vestito e poi andarci a
prendere un aperitivo con
Evan e gli altri prima che cominci la loro tanto agognata partita. Che
te ne
pare?-
Alle diciotto in punto Claudia, Dafne, Evan e tutti gli altri del loro
secolare
gruppo si incontrarono a Covent Garden. Le due amiche erano andate a
fare
compere a Regent’s Street e Dafne aveva accuratamente evitato
di passare
davanti lo Starbucks. Avevano preso i vestiti per la festa del giorno
seguente
e si erano fermate a chiaccherare ancora un po’ al ristorante
giapponese dove
avevano pranzato.
Salirono gli scalini del locale che affacciava sul noto quartiere
londinese e
fecero le proprie ordinazioni. Quando la giovane cameriera si fu
allontanata,
Evan passò un braccio intorno alle spalle di Dafne e la
baciò con dolcezza.
Claudia sedeva accanto a loro, mentre gli altri tre ragazzi, con i
quali Evan
sarebbe andato a vedere la partita, discutevano degli ultimi articoli
sportivi
pubblicati sulla loro rivista preferita.
-Amore, sai che Claudia sostiene di aver conosciuto l’amore
della sua
vita?- La ragazza interpellata che fino a quel momento si era dedicata
a
sorseggiare il suo Martini bianco, alzò lo sguardo di
scattò e fulminò Dafne.
–Hey, si tratta di Evan... Lui sa sempre tutto di noi.
Giusto, tesoro?-
-Certo, scusa... Volevo che fosse una sorpresa.- Fece un sorriso fin
troppo
tirato, che tuttavia Dafne non notò in quanto si
voltò a guardare Evan. Se non
fosse stato per il rumore di bicchieri rotti proveniente
dall’altro tavolo,
probabilmente Dafne avrebbe notato come i muscoli del collo di Evan si
erano
irrigiditi e del gelo che traspariva dagli sguardi che si scambiavano
Claudia
ed Evan. Forse avrebbe colto in quegli sguardi un qualcosa di celato,
un
qualcosa di mai rivelato, forse avrebbe guardato con occhi diversi quei
due
pilastri della propria vita, forse si sarebbe schiarita le idee su
molteplici
dubbi. Eppure il destino sembrò
voler
nascondere ancora un po’ quella storia e quel bicchiere rotto
salvò una storia,
un’amicizia e tre intere vite, che altrimenti si sarebbero
andare a frantumare
a causa della dura realtà.
-Ce lo farà conoscere domani.- Disse infine Dafne, quando lo
spettacolo del
bicchiere rotto alle sue spalle non le parve più
interessante. –Magari faremo
delle uscite a quattro finalmente.- Claudia ridacchiò
nervosamente, nascondendo
il proprio sconcerto dietro il bicchiere, dove ormai non
c’era più il Martini
ma solo il ghiaccio.
-Beh, allora non vedo l’ora di conoscere questo uomo che
metterà la testa a
posto alla nostra piccola Claudia.-
Disse Evan, baciando nuovamente Dafne e bevendo sorsi
più lunghi della
sua Heineken. Deglutì e si unì alla conversazione
dei suoi amici, facendo
precipitosi pronostici sugli esiti della partita di quella sera.
-Vado un attimo a rifarmi il trucco in bagno.- Sbottò ad un
certo punto
Claudia, alzandosi e sorridendo. Si allontanò velocemente
dal tavolo,
catturando lo sguardo di diversi uomini presenti in quel locale e
catturando,
soprattutto, lo sguardo di Evan.
-Daf, Evan ci dice sempre che sei una studentessa modello.-
Esordì George, moro
dagli occhi verdi, con un largo sorriso.
-Infatti, oh, dacci un po’ di ripetizioni.- Aggiunse Matthew,
guardando
curiosamente la ragazza.
-Oppure fai gli esami al posto nostro.- Si intromise anche Paul,
ridacchiando.
-Cento sterline a testa e si può fare.- Commentò
Evan. Dafne lo guardò e
scoppiò a ridere, accompagnata dalle risate degli altri
ragazzi.
-Chiamo un attimo a casa.- Si alzò, guardando poi Dafne che
lo guardava
interdetta. –Questa mattina mamma mi ha chiamata differenti
volte e non le ho
risposto perché avevo lezione di matematica. Si
starà preoccupato, la conosci.-
Mormorò quelle parole all’orecchio della propria
ragazza che sorrise
rassicurata e tornò a chiaccherare con gli altri amici. Evan
si allontanò
frettolosamente, guardando preoccupato il tavolo dov’era
seduta Dafne e notando
con sollieva che lei non lo stava seguendo con lo sguardo.
Girò l’angolo e
vide, come previsto, Claudia poggiata al muro che portava ai bagni.
Quando quell’aperitivo terminò, i ragazzi andarono
verso casa di Evan, Claudia
prese la metropolitana diretta a casa sua, un po’ fuori il
centro di Londra e
Dafne decise di fare una passeggiata lì nei dintorni. Da
Covent Garden
raggiunse Leicester Square, poi Piccadilly Circus ed infine si
incamminò per
Regent’s Street. Londra la sera era sempre splendida: le
luci, la vita che
traboccava dai ristoranti, dai locali aperti. Faceva fresco,
sicuramente, ma
era quel fresco leggero, gentile, che si insidiava sotto la pelle e
faceva
venire dei brividi che ti facevano capire di essere vivo, di far parte
di quel
posto, una leggera emozione incomprensibile a chiunque non si fosse mai
trovato
a camminare da solo per le vie di quella città, chiunque non
si fosse mai
trovato a inspirare quella miriade di odori che andavano dallo smog al
più
pregiato profumo acquistabile da Harrod’s.
-Dafne? Sempre qui in giro bazzichi?- La ragazza sobbalzò e
si voltò di scatto,
incrociando gli occhi di Nicolas. Era vestito normalmente e in una mano
teneva
una bustina dove probabilmente era piegata la divisa di Starbucks.
Sorrise e si
rese conto che si trovava proprio davanti quel bar, che era appena
stato
chiuso. Come le era venuto solamente in mente di fare una passeggiata
lì?
-Stavo tornando a casa.- Abbozzò un leggero sorriso.
–Faccio sempre questa
strada.- Aggiunse, passandosi una mano fra i capelli.
-Abiti in zona?- Le si avvicinò piano e lei fu quasi
spaventata dall’impatto
che ebbero su di lei quei pochi passi nella sua direzione.
-Alla fine di Oxford Street, a Tottenham Court Road in pratica.- Si
sorrisero a
vicenda e lui giocherellò con i manici della busta che
stringeva nelle mani.
-Beata te che stai a due passi, io devo arrivare a Liverpool Street.-
Scrollò
le spalle. –A proposito, ti va di accompagnarmi a Oxford
Circus, così prendo la
metropolitana?- Dafne si limitò ad annuire e a stringersi
nelle spalle. Infondo
erano poche centinaia di metri: alla fine di Regent’s Street
si trovava la
fermata della metropolitana che interessava Nicolas.
Inizialmente camminarono in silenzio e fu in quel silenzio che Dafne si
sentì
affogare.
Nonostante non parlassero sentiva miriadi di parole che intercorrevano
fra
loro.
Era come se la loro conoscenza, la loro vicinanza fosse naturale,
predisposta
da tempo.
Forse si stava immaginando tutto, come al solito, in un disperato
tentativo di
sfuggire alla realtà della quotidianità.
-Studi?- La domanda di Nicolas la fece nuovamente trasalire.
-Relazioni Internazionali alla London School of Economics.- Rispose
quasi
meccanicamente.
-Wow.- Ridacchiò, guardandola curiosamente. –Una
studentessa modello insomma, è
la scuola prediletta dai secchioni!-
-Quella è Oxford.- Gli fece la linguaccia, quasi sentendosi
più tranquilla, più
leggera. –E tu? Studi?-
-L’anno scorso studiavo economia a Cambridge,
quest’anno faccio economia alla
UCL.- Dafne strabuzzò gli occhi e gli diede un leggero
colpetto sulla spalla,
solo dopo accorgendosi di quella improvvisa disinvoltura nel
rapportarsi con
lui. Immediatamente infilò le mani nelle tasche dei jeans,
pentendosi della
propria sfrontatezza.
-E dai a me della secchiona! Cambridge ed ora UCL! Come mai hai
cambiato?- Lui
le sorrise, abbassando per un istante lo sguardo e poi tornando a
guardare
dritto davanti a sé.
-Non mi sono più potuto permettere Cambridge. La UCL stando
a Londra mi
permette di lavorare e studiare contemporaneamente. Anche se ammetto
che è
dura.-
-Ah...- Dafne si fissò le unghie, imbarazzata nuovamente.
–Non mi sarei dovuta
intromettere, mi dispiace.-
-Non ti perdonerò mai infatti.- Ridacchiò ed
anche lei scoppiò a ridere,
nuovamente più rilassata. Parlare con Nicolas la metteva a
proprio agio. –A
proposito di studiare... Io ora tornerei a casa a fare esercizi di
matematica e
leggere i libri che ci hanno dato per la prossima settimana.-
Solo in quel momento Dafne realizzò che erano già
arrivati a Oxford Circus.
Era volato in quel modo il tempo? Possibile? Da quando si sentiva a
proprio
agio con gli sconosciuti? Quella spigliata era Claudia, non lei. Quella
che
piaceva alle persone era sempre Claudia, non lei. Gli sorrise con
innocenza e
dolcezza.
-Vai, non ti voglio trattenere.- Disse, ridacchiando leggermente.
-Ti accompagnerei volentieri a casa ma capisco che possa sembrare il
molestatore di turno che ti scorta sotto casa e si segna
l’indirizzo.-
Scoppiarono a ridere contemporaneamente.
-Secondo me è ora che tu vada a studiare
‘ché mi pare tu senta la mancanza dei
libri.- Nicolas le fece la linguaccia. Sistemandosi poi lo zaino sulle
spalle e
smettendo di giocherellare con la busta di carta.
-Hai ragione, Dafne.- Pronunciò il suo nome in una maniera
estremamente dolce,
calda, confortante. –Domani passa allo Starbucks, ti offro il
tuo doppio caffé
macchiato alla vaniglia e ti perdono per avermi sottratto un
po’ di prezioso
tempo allo studio.-
Le fece l’occhiolino e prima che lei potesse ribattere in
qualsiasi modo, scese
velocemente le scale e scomparve dalla sua vita.
Dafne rimase per lunghi istanti in cima alla scalinata a fissare il
tunnel
sotterraneo. Il cuore batteva ancora a mille.
Nuovamente si era lasciata incantare da quel ragazzo.
Nuovamente si era persa ad osservare le sue movenze.
Nuovamente si era persa ad ascoltare le sue eleganti parole.
Aveva conosciuto qualcosa in più di lui, aveva scrutato
qualcosa in quegli
occhi a mandorla.
Eppure sembrava ancora più lontano, ancora più
misterioso, ancora più
irraggiungibile.
E lei aveva Evan. Doveva tornare da Evan.
Perché lei amava Evan.
Giusto?
Scosse la testa e si incamminò lungo Oxford Street il
più velocemente
possibile. Non voleva pensare, non voleva riflettere, non voleva avere
problemi. Ma come faceva a non avere problemi se ogni volta sembrava
che la
perseguitassero? Come faceva a vivere tranquillamente la vita che
voleva
vivere? Voleva essere felice insieme a Evan, voleva continuare la loro
lunga
storia senza alcun intralcio, lo voleva con tutta se stessa eppure
sembra
esserle impossibile. Quando tornò a casa fumò
l’ultima sigaretta, chiuse le finestre
e la porta e si nascose sotto la coperta, desiderosa di fare tabula
rasa nella
sua mente. Eppure nel momento in cui fu sul punto di addormentarsi e di
lasciarsi andare fra le braccia di Morfeo, comparve nella sua mente la
nitida
immagine di Nicolas che le serviva il caffé allo Starbucks
di Regent’s Street.
*
Eccomi qui con questa nuova fan-fiction.
E’ la prima volta che posto su EFP e spero che vi piaccia,
non so esattamente
cosa aspettarmi.
Ho mischiato un po’ di tutto, un po’ di mie
passioni, un po’ di mie fisse
(Londra ad esempio).
L’idea mi è venuta durante un viaggio in aereo e
l’ho sviluppata
minuziosamente.
Spero di ricevere commenti, consigli e critiche!
Thanks a lot,
Light.
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
So here I am,
once again!
Sono contenta che
alle persone
che hanno letto il primo capitolo sia piaciuta l’idea.
Eccomi col secondo capitolo, che spero vi piacerà ugualmente
e vi permetterà di
conoscere meglio Nicolas e Dafne.
Come vedete si stanno cominciando a conoscere ed il rapporto fra Evan e
Dafne
sembra essere sul punto di giungere al capolinea.
Ma andrà veramente così?
Aspetto con ansia le vostre impressioni!
Un abbraccio e ... alla prossima!
J
Shine On
Capitolo
Secondo
I'm so scared to lose you now
So
easy to lose you now
Because there calling at my door
So I'm locking up my door
(Be Mine – The Kooks)
Quando quella mattina Dafne aprì gli
occhi e fissò il soffitto del proprio
appartamento, si domandò se il giorno precedente fosse stato
solamente un
sogno. Aveva veramente parlato con Nicolas? E, soprattutto, Nicolas
aveva avuto
veramente quell’effetto devastante su di lei. Sembrava essere
passato uno
tsunami nella sua vita, un terremoto dalle conseguenze irriversibili.
Tutto ciò
era stato causato da un semplice ragazzo, un semplice cameriere dello
Starbucks, un semplice studente di economia.
Guardò la sveglia: erano le dieci e venti di sabato, lo
stesso sabato della
festa di Valerie e Ben. Si sedette sul letto, sbuffando. Non aveva
voglia di
andare a festeggiare, di andarsi ad ubriacare, di divertirsi fino a
notte
fonda. Evan amava quel tipo di serata, Claudia anche... Lei non
centrava nulla
in quell’ambiente, lei era totalmente estranea al fenomeno di
massa del sabato
sera di uscire fuori di testa. Il
cellulare, lasciato sul comodino di fianco alla sveglia
suonò ad alto volume.
Il nome di Evan apparve sullo schermo ad intermittenza.
-Amore, buongiorno.- La dolce voce di Evan la fece sorridere, anche se
il
sorriso era l’ultimo ad essere desiderato dalle labbra della
ragazza.
-Buongiorno. Oggi ci vediamo a pranzo, vero?- Una abitudine che Dafne
aveva
sempre amato della sua routine quotidiana con Evan era sicuramente il
pranzo di
sabato e la successiva passeggiata ad Hyde Park con Lyla, il golden
retriever
di Evan. Il ragazzo rimase un attimo in silenzio, sospirando poi.
-Mi dispiace, amore, ma oggi non posso.- Disse con totale apatia. Il
sorriso si
spense immediatamente sulle labbra di Dafne, che scostò le
coperte e si alzò
dal letto, cominciando a camminare per la propria stanza, nervosa.
-E’ il terzo sabato di fila che saltiamo il pranzo.-
Protestò in un misto di
delusione e di rabbia. –Che hai da fare questa volta?-
-Devo vedermi con mia madre.- Rispose secco.
-Ma anche lo scorso sabato dovevi vederti con tua madre ed anche quello
prima!-
Sentiva puzza di menzogna. Ma perché avrebbe mai dovuto
mentirle? Scosse la
testa, scacciando quell’orrida prospettiva dalla propria
immaginazione. –Possiamo
andare insieme a casa dei tuoi, se ti va.- Propose, cercando di
addolcire il
proprio tono.
-Amore, tranquilla, è solo che mia madre non si sente molto
bene. Faccio
velocemente e ci vediamo a casa tua prima di andare alla festa. Ti
passo a
prendere io.- La liquidò velocemente. Talmente velocemente
che Dafne riuscì
solo a rispondere con un paio di monosillabi. “Ah”,
“ok”, “sì”.
–Ti chiamo più
tardi. Ti amo.-
-Già.- Mormorò Dafne, fissando lo schermo che
indicava che la telefonata era
realmente terminata. –Anche io.- Mentre diceva quelle due
parole si fissava
allo specchio, tutt’altro che convinta dell’essere
convincente. Nella penombra
della stanza il suo viso appariva stanco, appesantito da problemi ma
detti, mai
affrontati, appesantito da quella quotidianità che, sempre
più, le stava
stretta. Troppo stretta.
Aprì bruscamente le tende, non facendo una piega per
l’esagerata quantità di
luce che entrò nella sua stanza. Sistemò
frettolosamente il letto, si buttò
sotto la doccia e si vestì ad una velocità non
concepibile per una esponente
del sesso femminile. Trucco e parrucco le rubarono pochissimo tempo e,
altrettanti pochi minuti, furono sprecati per preparare la borsa con un
paio di
libri ed il computer. Aveva intenzione di andare alla biblioteca
universitaria
per provare a scrivere quel dannato saggio breve per il professor
Collins
eppure non appena si trovò a Oxford Street, il suo pensiero
volò alla sera
precedente, a Nicolas, al caffé che le aveva promesso. Si
impossessò di lei il
desiderio di vendicarsi, di far capire ad Evan che lei aveva una vita
al di
fuori di lui, di Claudia, che anche lei poteva vivere senza chiudersi
perennemente in biblioteca a studiare...e Nicolas era la vita che le
era venuta
a bussare alla porta, era la vita che la spingeva a provare qualcosa di
nuovo,
a rischiare, anche se solo da un punto di vista puramente psicologico,
puramente emozionale.
Così in un tempo record si trovò davanti al
bancone dello Starbucks, nuovamente
svuotato visto l’orario, davanti il volto di Nicolas che si
illuminò in uno
splendido sorriso non appena la vide lì, le mani incrociate
sotto il seno per
l’imbarazzo, una strana espressione sul viso.
-Non credevo saresti venuta.- Disse, mentre segnava su un biglietto
l’ordine
che ormai aveva imparato a memoria.
-Le tue movenze da maniaco non mi hanno spaventata. Il tuo piano di
allontanarmi non è riuscito.- Non sapeva dove aveva preso
quella confidenza, ma
la voglia di ridere, di rischiare si era impossessata da lei dopo un
lunghissimo tempo. Lui spalancò leggermente gli occhi,
scoppiando poi a ridere.
-Ho detto che te lo avrei offerto.- Con un gesto le disse di mettere
nuovamente
il portafoglio che Dafne aveva appena sfoderato nella borsa.
–Verrò pur
sabotato nei miei diabolici piani ma mantengo sempre la mia parola,
sappilo.-
-Sono indecisa se prendere queste parole come una promessa o come una
minaccia.- Si sorrisero e Dafne abbassò lo sguardo, tornando
a rintanarsi nel
suo guscio da ragazza timida.
-Ecco il tuo doppio caffé macchiato alla vaniglia.- Lo
ringraziò
silenziosamente per aver spezzato quell’imbarazzo e prese la
tazza.
-Grazie.- Mormorò con dolcezza e lui sorrise.
–Grazie per il caffé.-
Puntualizzò.
-Di niente, Dafne.- Nuovamente il suo nome era stato pronunciato in
quella
maniera divina. Lei chinò leggermente il capo e fece per
voltarsi, quando lui
la afferrò per un gomito. Era la prima volta che i loro
corpi si sfiorarono e
lei si sentì sciogliere come ghiaccio al sole. –Io
stacco per l’ora di pranzo,
ti va di mangiare qualcosa insieme?- Inconsapevolmente, senza
rifletterci,
Dafne annuì con decisione, accompagnando quel gesto con un
ampio sorriso.
Quando Nicolas comparve davanti a Dafne vestito in jeans, camicia e
maglioncino,
la ragazza rimase interdetta per l’alone di mistero, di
fascino che lasciava
trapelare in ogni suo movimento. I capelli neri erano leggermente
spettinati e
perfettamente ordinati in quel disordine, i suoi occhi neri come i
capelli
brillavano e il suo sorriso sembrava dirle “Vieni con me,
vedrai cose mai
viste!”. Dafne scosse leggermente la testa e si
alzò, indossando a propria
volta il maglione e sistemando la borsa a tracolla. Uscirono in
silenzio dal
locale, fermandosi poi davanti l’entrata, entrambi
indaffarati ad accendersi
una sigaretta, e scoppiarono a ridere contemporaneamente per la
sincronizzazione con la quale fecero quel gesto.
-Cosa hai voglia di mangiare?- Domandò Nicolas dopo quelle
innocenti risate.
-Hai proposto tu di pranzare insieme, conseguemente sta a te la
scelta.-
Rispose prontamente Dafne.
-Quando ti sciogli sei un bel peperino, eh!- Dafne arrossì
immediatamente, abbassando
lo sguardo. –Guarda che è un complimento. Non sai
quante ragazze sfacciate
conosco ogni giorno. Piene di sé e piene di coraggio, ci
scambi due parole e
sono vuote e sconclusionate come un’arancia spremuta.- Le
sorrise, indicandole
la direzione verso la quale avrebbero dovuto camminare. –Tu
invece sembri dire
“Prova a scoprirmi, se puoi” ed è
proprio questo che mi incuriosce di te, anche
quando ordini solamente un doppio caffé macchiato.- Dafne si
fermò per un
istante, si trovavano all’altezza di Piccadilly Circus.
-Hey, farmi arrossire non era nei piani. Dobbiamo pranzare, o no?- Lui
scoppiò
a ridere e, facendole passare un braccio intorno alle spalle, la fece
continuare a camminare. Un nuovo contatto, dei nuovi brividi. Forse che
anche
lui esercitava quel fascino su di lei perché era diverso,
perché sembrava
essere un forziere pieno di sorprese, pieno di meraviglie. Gli sorrise,
come
inebetita e continuò a camminare al suo fianco, senza
neanche pensare a
spostare quel suo braccio dalle proprie spalle.
-Che te ne pare di un ristorante cinese?- Propose Nicolas e Dafne si
rese conto
che erano giunti proprio nei pressi di Chinatown. –Ti piace
il cinese, vero?
Altrimenti potrei disconoscerti e bandirti da ogni Starbucks del
paese...
Niente più doppio caffé macchiato alla vaniglia!-
Alzò il dito a mo’ di
minaccia e Dafne scoppiò a ridere, portando una mano a
stringere il dito di
Nicolas e facendogli abbassare il braccio. Solo dopo aver compiuto quel
gesto
si rese conto di averlo preso effettivamente per mano, ma ugualmente
decise di
non desidestere, di non scappare come sempre dalla realtà.
-Mi piace moltissimo in cinese, probabilmente è la mia
cucina estera preferita,
dopo quella italiana.- Rispose con dolcezza e lui sorrise, non
interrompendo
quell’improvviso contatto fra le loro mani, senza muoversi di
un centimetro.
Sotto la luce del sole di mezzogiorno era più bello del
solito, il volto
radioso, quel sorriso energico, quella testa apparentemente piena di
obbiettivi, piena di sogni. Le sembrava una persona che conosceva da
secoli, le
sembrava così perfetto, le sembrava una persona che sapeva
tutto di lei, molto
più di quante le sembrasse tale Evan dopo sei anni di
relazione.
Solo dopo che si furono seduti al tavolo ed ebbero ordinato delle
specialità
cinesi consigliate vivamente da Nicolas stesso, il ragazzo
raccontò delle sue
origini orientali. Era nato a Shangai, dove il padre francese, un uomo
a sua
volta di origini africane, aveva conosciuto la madre, cinese, e se ne
era
perdutamente innamorato, portandola via dopo la nascita del primogenito
dalla
Cina e dal suo duro regime. Dafne scoprì in quella stessa
occasione che il nome
del ragazzo non si pronunciava rudemente con la ‘S’
finale, tipicamente
all’inglese quindi, ma alla francese, con una pronuncia da
far venire i brividi
per la sensualità di cui era impregnata.
-Quindi ora vivi con i tuoi?- Domandò curiosamente Dafne
dopo aver sentito
l’epopea della sua famiglia. Nel frattempo erano arrivati
degli strani
involtini di gamberi che ricopersero entrambi abbondandemente con salsa
di
soia. A quella domanda tuttavia fu il sorriso di Nicolas a spegnersi,
mentre
giocherellava con le bacchette. Alzò gli occhi dal piatto ed
irrigidì ogni
singolo muscolo, guardando cupemente la ragazza.
-No, diciamo che non ho più alcun rapporto con i miei
genitori.- Disse secco,
portando poi un involtino alla bocca e mandandolo giù dopo
averlo masticato
appena. Dafne si sentì nuovamente in imbarazzo e
osservò il cibo con talmente
tanto interesse da farlo sembrare una scoperta degna di Nobel. Non
riuscì
neanche a mormorare un “mi dispiace”, immersa
com’era nei sensi di colpa e
nella vergogna di aver tirato nuovamente in ballo un argomento off
limits, come
la sera prima riguardo Cambridge e la UCL. Improvvisamente Nicolas
allungò la
propria mano sul tavolo, andando a prendere quella di Dafne, che
immediatamente
si irrigidì. La ragazza alzò gli occhi e si
sentì sprofondare negli occhi neri
di Nicolas, nelle migliaia di emozioni che trasmettevano e
abbozzò un
leggerissimo sorriso. –Non ti devi sentire in colpa,
né imbarazzata. Non potevi
saperne nulla.- Dafne annuì leggermente e lui non si
mostrò propenso a scostare
la propria mano. Ogni millimetro di pelle interessato dal contatto con
la mano
elegante di Nicolas sembrava bruciare, ardere come una foresta appena
incendiata in piena estate e pregava inconsapevolmente che quel
contatto non
venisse mai interrotto.
-Buoni questi involtini.- Quelle tre, stupide parole furono le uniche
che
uscirono dalle labbra leggermente tremanti di Dafne. Sorrisero entrambi
prima
di scoppiare a ridere e tornare a dedicare la propria attenzione a quel
pranzo,
senza privarsi di qualche fugace occhiata mirata a guardare
l’uno il
comportamento dell’altro. Dafne non si era mai sentita
così fresca, così
leggera... Sembravano essere passati secoli dall’ultima volta
in cui il suo
cuore aveva battuto in quel modo per un tocco, per un gesto.
Dafne si stava guardando e riguardando allo specchio. Indossava
l’abito
monospalla nero che aveva acquistato il giorno prima insieme a Claudia,
abbastanza soddisfatto del risultato. I capelli castani erano lasciati
cadere
liberi e leggermente mossi, l’abito arrivava fino alla
metà delle cosce e ai
piedi portava delle eleganti scarpe nere lucide. Fece un paio di giri
su se
stessa, rifinendosi poi il mascara. Nel frattempo la porta di casa si
aprì ed
entrò Evan, che aveva citofonato pochi minuti prima. Si
avvicinò allo specchio
e si posizionò dietro le spalle di Dafne, baciandole con
dolcezza il collo. La
guardò dal riflesso.
-Come sta tua madre, amore?- Domandò dolcemente Dafne,
sistemandosi una ciocca
di capelli qua e là.
-Si sta riprendendo.- Disse sbrigativo. –Non sarà
troppo da donna di basso
borgo questo abito?- Aggiunse a sorpresa e Dafne spalancò
gli occhi indignata.
-Che problemi hai?- Si voltò di scatto, furente. Non era
abituata a sentirsi
criticare per gli abiti che portava, odiava mettersi in mostra ma ogni
tanto le
piace farsi un po’ più carina ed apprezzabile.
-Ho problemi dal momento che la mia fidanzata sembra debba rimorchiare
qualcuno.- Le fece notare la non lunghezza dell’abito e la
spalla lasciata
scoperta.
-Io sto con te e lo sanno tutti. Non posso più neanche
vestirmi decentemente a
vent’anni?- Sbottò, allontanandosi da lui e
andando a preparare la borsa.
-Ci sono vestiti e vestiti.- Evan si sedette sul letto, anzi per dirla
tutta si
stese comodamente.
-Sembri un marito cinquantenne che ha paura che la sua donna scappi,
santo
cielo!- Era nervosa, anche troppo.
-Di sicuro se fossi tuo marito non andrei in giro con una moglie che
sembra una
puttana!- Lo schiaffo che Dafne tirò a Nicolas fu
estremamente veloce,
perfettamente indirizzato alla guancia destra.
-Non ti devi permettere, stronzo.- Buttò la borsa sul letto
e con le lacrime
agli occhi andò in bagno. –Vacci da solo a quella
schifosa festa.- Sbatté la
porta del bagno e si sedette su una sedia, portandosi le mani fra i
capelli.
Era sempre così. Geloso, stramaledettamente geloso di lei.
Eppure lei non poteva essere gelosa. Se lei faceva o provava solamente
a fare
una scenata di quel tipo lui si offendeva, non le parlava.
Lei doveva essere perfetta, imperturbabile, l’ideale di
moglie perfetta
dell’ottocento.
Sempre pronta ad accogliere fra le proprie braccia il peggior esemplare
di
uomo.
Evan bussò con un tocco leggero alla porta e Dafne
alzò gli occhi, passandosi
le mani fra i capelli.
-Cosa vuoi?- Domandò con la voce leggermente rotta.
-Amore, aprimi. Ti voglio chiedere scusa. Il malessere di mia madre mi
rende
estremamente nervoso. Non me la dovrei prendere con te.- Dafne
restò per
qualche istante seduta su quella sedia, deglutì e si
alzò, andando ad aprire la
porta. Evan entrò, le portò le mani al viso e la
tirò verso di sé,
abbracciandola. Lei si lasciò stringere, immobile, incapace
di parlare e
respirare, piena di rancore, piena di noia, piena di esasperazione.
-Andiamo, sennò facciamo tardi.- Disse ancora stizzita e si
incamminò verso
l’uscita, prendendo il cappotto e specchiandosi
un’ultima volta.
Il tragitto fino al locale avvenne nel più completo
silenzio. Dafne poggiò la
fronte al finestrino ed osservò la città, mentre
Evan guidava, avendo
rinunciato ad instaurare una conversazione con la ragazza dopo un paio
di
risposte fredde di lei.
Le sembrava insopportabile stare in quella macchina con lui.
Le sembrava così chiuso, così limitato,
così incapace di qualsiasi sentimento,
di qualsiasi rivoluzione.
Le sembrava piatto.
Le sembrava di aver conosciuto tutto ormai di lui e che non ci fosse
più nulla
di esplorare nella sua mente.
Non era come Nicolas.
Quel pranzo con Nicolas sembrava averle aperto un mondo, un mondo di
sensazioni, di possibilità.
Come poteva vivere la sua relazione con Evan sapendo che lì
fuori, nel mondo,
c’erano ancora infinite possibilità?
Forse era sopravvissuta in quella opprimente relazione solo
perché non aveva
avuto mai il coraggio di conoscere altro.
Era sempre stata troppo ancora a loro, alla loro storia, alla loro
adolescenza
e non si era resa conto che nel frattempo il tempo era trascorso.
Aveva bisogno di aria.
Aveva bisogno di vita.
Sì, forse aveva bisogno di Nicolas.
Ma non fisicamente di Nicolas, ma dell’idea di Nicolas,
dell’idea di libertà,
di novità.
Guardò Evan e sentì il gelo nel proprio corpo,
nella propria anima, se esisteva
realmente un’anima negli esseri umani.
Quando Evan e Dafne entrarono nel locale, tutti gli invitati erano
quasi
arrivati; a occhio e croce c’era almeno un centinaio di
persone presente a
quella festa. Evan e Dafne camminavano l’uno affianco
all’altra nel più
completo silenzio; lui non aveva fatto nulla per avvicinare la ragazza
a sé,
per chiederle cosa non andasse e lei, di certo, non aveva fatto nessun
passo
nella direzione di lui, ferita com’era
nell’orgoglio e piena di dubbi e
problemi.
Si diressero sempre silenziosamente verso il bancone, scambiandosi un
paio di
sguardi ogni tanto solo per concordare se stesso camminando nella
stessa e
giusta direzione. Quando furono arrivati all’elegante bar di
legno scuro, Evan
ordinò per entrambi, come sempre, e si limitò a
porgere il bicchiere di
Cosmopolitan a Dafne, che a sua volta ringraziò incurvando
leggermente il lato
destro della bocca.
-Eccovi, siete finalmente arrivati!- Ben e Valerie arrivarono come una
furia
verso di loro: il classico esempio di coppia felice nonostante dieci
anni di
storia, con i loro bellissimi sorrisi impressi sulle labbra e sui denti
resi
perfetti da anni ed anni di dentista. Lui indossava un
abito blu notte con una camicia bianca sotto
e delle scarpe di pelle tirate a lucido; lei un vestito lungo verde
smeraldo,
probabilmente della miglior fattura, e delle splendide scarpe dorate
dal tacco
vertiginoso. Anche esteriormente trasmettevano equilibrio e perfezione.
-Tantissimi auguri, Val.- Dafne abbracciò l’amica
e poi salutò con due cordiali
baci sulle guance Ben, mentre Evan faceva lo stesso e porgeva il
pacchetto con
il proprio regalo a Valerie. Lei sorrise raggiante, probabilmente
soddisfatta
dell’importante firma letta sulla bustina e si
dileguò insieme al fidanzato
alla ricerca di nuovi ospiti da salutare. Dafne notò che
sfoggiava a destra e a
manca un enorme e stupendo anello che portava sulla mano sinistra: che
forse
Ben le avesse fatto una proposta ufficiale? Fece spallucce, tornando a
sorseggiare il proprio drink, con Evan sempre accanto a lei, come una
presenza
inevitabile e, soprattutto, insopportabile.
-Non ho visto ancora Claudia.- Disse ad un certo punto Evan, che aveva
affondato le mani nelle tasche dei pantaloni e si stava guardando
curiosamente
intorno. Dafne lo seguì nella sua ricerca ma non
riuscì a scorgere da nessuna
parte la chioma dorata dell’amica. Fece nuovamente spallucce,
sospirando.
-Avrà fatto tardi con la sua nuova fiamma. Sai
com’è fatta Claudia.- Si limitò
a dire.
-Eccome.- Mormorò semplicemente Evan, lanciando una fugace
occhiata alla
propria ragazza. Si andarono a sedere su dei divanetti in pelle bianca
ai lati
di quella che si stava trasformando in una pista da ballo, mentre i
camerieri
portavano bottiglie su bottiglie di champagne per scaldare la serata.
Dafne
pensò che per scaldare la sua di
serata ed il suo cuore ci sarebbe voluta come minimo una fiamma
ossidrica.
-Cos’ha tua madre?- Domandò Dafne nel tentativo di
fare un po’ di conversazione
e nel tentativo di schiarirsi le idee sulle programmate scomparse di
Evan.
-Polmonite. Non la vuole proprio smettere di fumare.- La
guardò, inarcando un
sopracciglio. –E’ un vizio comune.- Dafne colse la
frecciatina e sbuffò.
-Non ricominciamo per cortesia. Lei ha cinquant’anni, io ne
ho venti. Lasciami
in pace con le tue paternali almeno questa sera, Evan, non sei proprio
nelle
condizioni di farle.- Fu molto secca nel liquidarlo. Evan fece per
aprir bocca
ma la squillante voce di Claudia e la sua appariscente presenza
occuparono
interamente la visuale di entrambi.
-Buona sera, coppietta felice!- C’era un qualcosa di sadico
nella sua voce. In
una mano stringeva un calice di champagne e nell’altra la
mano di un ragazzo,
nascosto dalla penombra. Solo quando egli si avvicinò
maggiormente, venendo
illuminato da una luce che si trovava perfettamente sopra le loro
teste, Dafne
riconobbe Nicolas e per poco non le andò di traverso lo
champagne che stava
sorseggiando da qualche minuto. –Vi presento Nicolas.-
Guardò il ben noto a
Dafne ragazzo, sorridendo melliflua. –Nicky, questi sono
Dafne ed Evan,
prossimi al matrimonio.-
Prima che Dafne riuscisse a formulare un qualsiasi pensiero, riuscisse
a
decifrare lo sguardo di Nicolas e le emozioni che aveva provato nel
sapere che
lei era “prossima al matrimonio”, nonostante questa
fosse una totale menzogna,
e nel cercare di capire perché fosse talmente scombussalata
e gelosa per aver
visto Nicolas e Claudia insieme, Evan si alzò di scatto, i
muscoli del collo
tesi e lo sguardo decisamente furente. Sembrava essere totalmente fuori
di sé.
-Mi pareva di averti detto di non farti più vedere in giro,
Bermejo.- Ringhiò,
dando una spinta a Nicolas per allonarlo da sé. Nicolas si
limitò ad accennare
un sorriso ed affondare le mani nelle tasche dei pantaloni
dell’abito. –Quale
parte del nostro discorso non ti è stata chiara
all’epoca?-
-Forse dovrei fartela io questa domanda, Evan.- Nicolas parlava calmo e
Dafne
non capiva come loro due facessero a conosceri. Che problemi avevano,
soprattutto? Evan non le aveva mai accennato di litigi, di scontri con
un
qualche Nicolas Bermejo. –Quale parte del discorso non
è stata chiara? E quale
parte delle botte che hai preso non ti ha schiarito un po’ le
idee che hai in
quella testa bacata?-
-Non ti devi permettere.- Un’altra spinta. Nessuna reazione
da parte di
Nicolas. –Claudia, da quand’è che
frequenti questa feccia della società?-
Guardò la bionda che, intimorita, abbassò lo
sguardo e si avvicinò a Dafne,
lasciando Nicolas solo a fronteggiare Evan.
-Da quand’è che hai problemi con la gente?
Lascialo in pace e andiamocene.-
Dafne si intromise, afferrando Evan per un braccio e tentando di
allontanarlo
da Nicolas. Quest’ultimo la guardò in un misto di
dolcezza, comprensione e
gratitudine.
-Tu devi stare zitta e farti gli affari tuoi, stupida!- La spinse via
con
violenza, scaricando poi la rabbia accumulata sul volto di Nicolas con
un pugno
preciso. Claudia corse via a cercare qualcuno della sicurezza, mentre
Dafne
guardava attonita il proprio ragazzo e il labbro spaccato di Nicolas
che,
tuttavia, continuava a non reagire. Sapeva che Evan si stava
arrabbiando perché
Nicolas non gli stava dando di occasione di sfogarsi, non reagendo in
alcun
modo.
-Vedo che
non hai migliorato la qualità dei tuoi pugni, Evan.-
Sentì un
tono irrisorio nelle parole di Nicolas. –Ricordo che ti
consigliai una palestra
dove fare pratica, forse hai perso l’indirizzo.- Fece una
pausa, avvicinandosi
ad Evan sempre con le mani in tasca. –Forse vuoi che io te lo
risegni?- Fece
appena in tempo a terminare la frase che Evan si scagliò
nuovamente su di lui.
Dafne si intromise nuovamente, afferrando Evan per un braccio e
spingendolo
via.
-Lascialo
perdere, stai facendo una pessima figura.- Mormorò al suo
orecchio,
mentre la gente smetteva di ballare e li osservava perplessa. In tutta
risposta
Evan reagì a quella presa muovendosi con tanta energia e
violenza da far
schiantare un forte colpo della propria mano direttamente sul viso di
Dafne. La
ragazza barcollò, indietreggiando, e non fece in tempo ad
aprire bocca per
offenderlo, per fargli capire cosa aveva fatto, che Nicolas
colpì il volto di
Evan, prima di essere trascinato fuori da un buttafuori. Claudia aveva
detto
che era stato lui e non Evan a cominciare tutto. Chissà
perché.
-Amore,
scusami...- Improvvisamente Evan parve rinsavire e si voltò
verso
Dafne, ancora immobile con le mani sul proprio viso.
Indietreggiò
istintivamente.
-Lasciami
stare. Non mi devi toccare, maiale.- Con quelle parole si
allontanò
in fretta, gli occhi che bruciavano per le lacrime che volevano uscire,
il
cuore spezzato che quel colpo ricevuto fisicamente e moralmente.
-Allora
tornaci a piedi a casa!- Fu l’unica risposta che
sentì. Quando si voltò
per guardando in pieno volto, vide un occhio arrossato ed un labbro
leggermente
spaccato. Claudia al suo fianco che lo teneva per un braccio e una
folla di
invitati attonita che la guardava andare via. Camminò con
passo più deciso,
come trasportata in una dimensione parallela. Ritirò il
cappotto dal
guardaroba, sistemò la sciarpa intorno al proprio collo ed
uscì all’aria
aperta.
Cosa
diamine era successo?
Il
gelo della notte londinese sembrava acuire il suo dolore, sembrava
immobilizzarla all’interno di quel vortice di emozioni
contrastanti, di domande
senza risposta.
-Ti
porto io a casa.- Una voce calda, estremamente confortante la fece
voltare.
Nicolas Bermejo era lì in piedi affianco a lei, che le
tendeva la propria mano
e la guardava con dolcezza. Notò solo in
quell’istante che aveva il volto
sporco di sangue a causa del labbro e del sopracciglio spaccato.
Fortunatamente
non sembravano necessitare di punti e di cure ospedaliere quelle due
ferite. Dafne annuì inconsapevolmente,
come quando l’aveva invitata a pranzo quella mattina e prese
la sua mano. Lui
sigillò quel contatto con decisione e la tirò
verso di sé, accogliendola fra le
proprie braccia in un caldo e lungo abbraccio.
Quando
Dafne aprì nuovamente gli occhi, si ritrovò stesa
su un divano. Guardò
il soffitto e vide che era in legno, lei non aveva un soffitto in
legno. Si
sedette di scatto, guardandosi spaventata intorno e rendendosi conto
che si
trovava in una mansarda sicuramente non di sua conoscenza. Solo qualche
istante
dopo sbucò da una porta la conosciuta figura di Nicolas con
nelle mani due
grosse tazze fumanti.
-Dove
sono?- Domandò immediatamente Dafne, sentendosi
improvvisamente gelare.
-Siamo
a casa mia. Appena siamo saliti in macchina ti sei addormentata e non
sapevo dove portarti e non volevo svegliarti.- Fece una pausa,
sedendosi
affianco a lei. –Quindi ti ho portata qui. Mi dispiace se ti
ho creato un
qualche disagio, ma mi è parsa l’unica soluzione.
Hai dormito quattro ore
circa.- Le porse la grande tazza e lei la prese, ancora tremante. Era
té caldo,
talmente caldo da scaldarla solo tramite il contatto con le sue mani.
-Grazie.-
Mormorò, soffiando poi leggermente sulla bevanda.
–Per tutto.-
Aggiunse, sempre volenterosa di puntualizzare.
-Ti
senti bene?- Domandò, accennando un sorriso. Dafne
annuì, spostando poi lo
sguardo sul suo labbro e sul sopracciglio: le ferite erano state
ripulite dal
sangue in quelle ore. Lui allungò la mano a sistemarle una
ciocca di capelli
dietro le orecchio e a quel contatto rabbrividì per il
dolore. Si ricordò
improvvisamente del colpo di Evan e le salì la rabbia, la
tristezza, tutto il
rancore, tutti i dubbi. Nicolas parve comprendere il mix di emozioni
che si
fece spazio nell’animo della ragazza e chinò
leggermente il volto. –Hai un
brutto livido, mentre dormivi ci ho messo del ghiaccio ma non
è migliorato
molto.- Dafne si alzò in silenzio e si avvicinò
alla prima superficie
riflettente che vide. Il riflesso che vide la fece inorridire: il suo
viso di
per sé smunto e chiaro, era arrossato e tutta la gote destra
del viso era
leggermente violacea: lì si sarebbe creato un livido di
dimensioni e colori
biblici. Si passò le mani fra i capelli e guardò
Nicolas, tornando a sedersi
sul letto senza proferire parola. –A proposito,...- Si
alzò, cercando qualcosa
che Dafne non riusciva a vedere dietro il divano. -...Questo continua a
vibrare
da un bel po’.-
-Oh...-
Dafne prese il proprio cellulare fra le mani: venticinque chiamate
senza risposta di Evan. Continuava a suonare e Dafne sentì
il proprio cuore
stringersi violentemente. Guardò Nicolas e posò
il telefono a terra con un
sospiro.
In
quell’istante Dafne colse l’occasione per guardarsi
intorno mentre
continuava a bere il proprio té caldo. Si trovavano in una
mansarda di
dimensioni modeste: in quello che doveva essere il soggiorno
c’era il divano
dove si trovava, un televisore, la scrivania ed un letto a due piazze.
Scorgeva
la cucina, da dove prima era sbucato Nicolas ed un bagno. Viveva
lì allora? Da
solo? I suoi genitori dov’erano? Eppure quelle domande si
aggiunsero
all’innumerevole fila di quesiti che si era andata a creare
dopo
l’incontro-scontro con Evan alla festa di Valerie e Ben.
Guardò
Nicolas, affogando nei suoi occhi neri, e si domandò
mentalmente come
facesse a conoscere Evan e cosa li aveva accomunati in passato per
rendere così
aspro il solo vedersi. Lui ricambiò il suo sguardo, con quei
fantastici occhi a
mandorla che trasmettevano dolcezza, quei capelli neri leggermente
scompigliati
che ricadevano sulla fronte, il naso dritto, le labbra schiuse e
leggermente
gonfie per l’impatto con le nocche di Evan.
All’improvviso Nicolas le sorrise,
illuminando quasi la stanza con i suoi denti dritti, perfettamente
bianchi come
se appena usciti da una pubblicità di dentifrici.
-So
di doverti molte spiegazioni.- Disse ad un certo punto quasi leggendo
nella
mente della ragazza. Dafne si limitò ad annuire leggermente,
totalmente
ipnotizzata dalle sue movenze, dalle sue dita che le carezzavano
delicatamente
i capelli sciolti e scomposti. –Ma ora sei stanca e credo tu
debba riposarti.-
Continuò, mordendosi leggermente il labbro inferiore.
–Vorrei che tu rimanessi
qui questa notte ed anche domani, finché non ti sarai
ripresa ed il tuo viso
non sarà migliorato. Ok?-
-Come
farai con il lavoro?- Domandò sinceramente interessata,
sentendosi quasi
un peso per lui, che infondo era un completo sconosciuto.
-Domani
ho il turno fino a mezzogiorno. Se quando ti svegli stai male o hai
bisogno di qualcosa, chiamami senza farti problemi e torno subito a
casa.- Le
sorrise con dolcezza. –L’importante è
che tu stia bene.- A quelle parole il
cuore di Dafne fu sul punto di esplodere, di liquefarsi.
-Grazie.-
Mormorò, rendendosi solo in quel momento della loro
vicinanza.
Entrambi seduti sul divano con una tazza bollente fra le mani, la mano
di
Nicolas fra i suoi capelli.
-Ora
ti chiederei di spostarti sul letto.- Disse e Dafne avvampò
improvvisamente. Nicolas scosse la testa e ridacchiò.
–Io dormo sul divano
ovviamente.-
-Non
potrei mai chiederti tanto...-
-Infatti
te lo sto chiedendo, no ordinando,
io.- Dafne capì dal suo tono e dal suo sguardo che non
avrebbe accettato
repliche. Si alzò lentamente, posando la tazza sulla
scrivania, e si avvicinò
al letto.
-Ti
porto dei pantaloni della tuta ed una maglietta, così stai a
tuo agio.-
Fece per andare verso l’armadio ma si fermò,
tornando a due passi da Dafne,
troppo vicino. –Senti, vorrei solo dirti che quando dicevo
che tu eri diversa
dalle altre e che le solite sgallettate non mi interessano, lo dicevo
seriamente.- In quel momento Dafne ricordò il proprio
sconforto nell’averlo
visto con Claudia. –La tua amica, Claudia, mi ha attratto a
sé con i soliti
mezzi sfacciati, non saprei neanche dirti che tipo è per
quanto poco abbiamo
parlato...- Lei abbassò lo sguardo, imbarazzata al ricordo
dei dettagli
prettamente sessuali del loro incontro. Nicolas portò le
dita sotto il mento di
Dafne, costringendola a guardarlo negli occhi. –Tu hai quel quid in
più, quel qualcosa che mi spinge
a cercarti, a voler passare del tempo con te anche se so che per il
momento tu
sei impegnata, anche se non saprei dire la stessa cosa del tuo
cuore...- Si
allontanò improvvisamente e il cuore di Dafne prese a
battere, mentre lo
guardava armeggiare con le ante dell’armadio. Le
portò una maglietta ed un paio
di pantaloni della tuta come promesso e la guardò
intensamente negli occhi.
–Abbiamo tutto il tempo del mondo infondo, no?- Con
quell’ultima,
sconclusionata frase, lasciò Dafne piena di dubbi accanto al
letto con i
vestiti fra le mani.
Su
una cosa aveva avuto decisamente ragione Nicolas: lei era impegnata, ma
il
suo cuore no.
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