Pinole Valley High School, 1989-1990,

di Neal C_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dalle stelle alle stalle ***
Capitolo 2: *** Settembre: Primo giorno di scuola ***
Capitolo 3: *** Settembre: trave di fuoco ***
Capitolo 4: *** Ottobre: Post-test d'ingresso ***
Capitolo 5: *** Ottobre: strazi e rivelazioni ***
Capitolo 6: *** Novembre: fracasso d'inferno ***
Capitolo 7: *** Novembre: fottuti ladri ***
Capitolo 8: *** Novembre-Dicembre: Pax in bello ***
Capitolo 9: *** Dicembre: cotte e cazzi amari ***
Capitolo 10: *** Gennaio: una giornata diversa, piena di casini ***
Capitolo 11: *** Gennaio: delusioni e tradimenti ***
Capitolo 12: *** Febbraio: trasferimenti e pulizie di primavera ***
Capitolo 13: *** 16 Febbraio 1990 ***
Capitolo 14: *** 31 Luglio 1990: una lunga gita in campagna ***



Capitolo 1
*** Dalle stelle alle stalle ***



Dalle stelle alle stalle


Rodeo, California

31.08.1989

Dalle stelle alle stalle.  Ma perchè ci siamo trasferiti in questo posto dimenticato da Dio?
Ricordo ancora l'espressioni eccitate delle mie compagne di classe.
Lasciavo Berlino e andavo in America. Wow l'America!
Quanto rimpiango casa mia.
Tutto questo semplicemente perchè a mamma mancava la sua adorata California.
Tra sette mesi nascerà  Franz e mamma vuole assolutamente che cresca dove è cresciuta lei.
Mio padre ormai lavora in America da una vita e quindi ha insistito perchè la mamma torni  in California:  è più che contento di poterci vedere più di una volta al mese.
Ha una cattedra di Epidemiologia alla "School of Public Health", un dipartimento della UCLA, "Univesity of California, Los Angeles".
In effetti è grazie a lui che possiamo permetterci una vita come si deve perchè la mamma non lavora.
Scrive su un paio di settimanali, organizza corsi di giornalismo in inglese e tedesco ma questo è tutto.  La trovavo quasi sempre a casa, quando tornavo da scuola.
Ma adesso tutto cambia.
Adesso siamo in questo posto terrificante. Fa caldo, è afoso, sembra una periferia o una campagna. Le strade mi sembrano tutte uguali, tutte villette con il prato all'italiana, non c'è nessuno in giro, una desolazione!
Ci fermiamo con la macchina davanti a casa.
2388 Ramona Street.
Oddio, sembra davvero di stare in una di quelle ridicole commedie americane strappalacrime tipo "Io & Marley" o  nei telefilm tipo "Desperate Housewives".
Qualcosa mi dice che la mia vita sarà una palla.

******************

La nostra casa è totalmente anonima, un blocco di cartongesso e mattoncini basso, grigiastro con le imposte di legno bianche e le finestre con i battenti.
Mein Gott! *
Per non parlare di quest'orrida porta che sembra quella della baita di Heidi: ha due pannelli, uno superiore e uno inferiore e si possono tenere aperti o chiusi separatamente.
Alle finestre ci sono delle orride tendine panna a fiorellini beige, poi c'è il tetto tegolato, tanto per aumentare il rischio di rimanerci secchi, varcando la porta di casa.
Ma che carino il camino!
Sono sicura che la mamma non vedrà l'ora di provarlo, pretendendo che l'aiuti e rovinandomi così la serata.
E, invece di avere delle finestre sul tetto, come tutte le abitazioni normali, ha due specie di casettine con il tetto spiovente, con finestra sulla fiancata. Sembrano due grossi funghi che rendono tutto più schifosamente americano.
Immancabile il garage al lato, forse l'unica cosa buona che questa casupola abbia.
Almeno là posso conservare le mie bici e l'honda di papà.
Ma che ho fatto di male in questa vita, in quelle precedenti, in quelle successivo o in qualunque altra per meritarmi questo?

"Virginia! Was  machst du?  Heraus mit dir! " *


Ecco la mamma che diventa isterica.
Calma. Lei è incinta, ha tutte le ragioni per essere isterica.
E io sono incazzata con lei...non ce le ho anche io?

“Sofort” *

Mi caccio fuori dall’auto, una Opel Zafira metallizzata*, che ci etichetta subito come  “famiglia felice e incasinata, piena di robaccia sempre fra i piedi”. Per ora siamo ancora solo tre con un quarto in arrivo, non è granché come famiglia.
Mio padre sta già armeggiando con bagagliaio, stipato di valigie, due comodini, lampade varie, tende, tessuti, bustone  di asciugamani, piumini, copri piumini, federe, scatole di cartone con piatti, posate, zuppiere e vettovaglie varie.
L’unica cosa che mancano sono i libri. Quelli li consegna l’impresa dei trasporti internazionali.
 Non sarebbero entrati nemmeno in quindici Opel Zafira e poi sono la cosa più preziosa per i miei.
Ad esempio, io mi chiamo Virginia come Virginia Woolf, scrittrice dell’Inghilterra Vittoriana, grazie all’entusiasmo giovanile di una cara mamma femminista.
Virginia Foster.
A parte la storia del mio nome, direi che il mio cognome è di quanto più anonimo ci sia. Meglio così.

“Tesoro, comincia con gli scatoloni dei piatti...”

Magnifico. Sono davvero gentilissimi a chiedermi se mi piace il posto, se penso che mi ambienterò bene, se sono contenta di essere in America...
Sto oltrepassando la soglia di casa con uno scatolone in mano e un espressione tetra sul volto quando sento Josh Foster chiedermi, con uno di quei suoi sorrisi bianchi a trentadue denti:

“Allora, Vig, che ne pensi? Non è magnifica?”

Ma và a quel paese, và.

“Mhmm...”

Non voglio aggiungere altro. Intorno a me un orrenda carta da parati beige e bianca, in tinta con le tendine.
Almeno la casa è arredata. Un salone spazioso con camino in pietra, due divani e due poltrone a fiorellini, sempre stile tendina,  sul davanzale della finestra dei vasetti di gerani bianchi e rossi, quelli lunghi, bassi e in terracotta.
Mi sento male.
Passo alla cucina, arredata con un bancone bianco e gli sgabelli, con al centro una lunga tavola ovale da pranzo e l’ennesima orribile incerata a fiori.
Oddio ma chi è il deficiente che ha arredato questa casa? In cucina la carta da parati no!
 E a terra piastrelle beige chiaro.
Calma, Vig.
Appoggio lo scatolone per terra in cucina e decido di fare un giro prima di tornare ad aiutare mamma e papà.
Due bagni al piano terra, con piastrelle rigorosamente a fiorellini, uno piccolo bianco e l’altro beige.
Tutto questo beige mi farà vomitare prima o poi.
Un ripostiglio che sembra la mia camera da letto a Berlino.
MA A CHE CAVOLO SERVE UN RIPOSTIGLIO DI 2 X 6 METRIQUADRI?!?!?!?
Mio Dio, che spreco di spazi.
Salgo al piano superiore, la zona letto. Finalmente una cosa decente in tutta la casa!
La scala di legno: è senza fiorellini, è un bel legno scuro, color mogano e non color cacca, liscio al tatto e persino lucido dove non è impolverato. Un miraggio.
Il piano di sopra si riduce ad un corridoio con cinque camere da letto.
La mia è quella in fondo.
 Passi la carta da parati: la distruggerò appena posso.
Passi il letto a castello di legno di casa Heidi: costringerò la mamma a cambiarmelo.
Passi la scrivania per bambinetti delle medie: devo proprio cercare un negozio di arredamento.
Ma la Moquette...NO!

“MUUUUTTIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!!!” *

Urlo come una pazza. Mi precipito per le scale alla ricerca di mia madre, con gli occhi assetati di sangue.

“MAMMA! C’è LA MOQUETTE IN CAMERA MIA! CHE CACCHIO CI FA LA MOQUETTE IN CAMERA MIA?”

“Tesoro, non urlare, per favore, ho mal di testa. Vai ad aiutare tuo padre, io mi stendo un attimo.”

*************

Dopo sei ore di lavoro questa casa sembra un po’ meno americana e un po’ più incasinata.
Io proprio non capisco. Mamma sembra adorare questa casa. Mio padre adora mia madre e quindi della casa gliene importa poco. Ma sono tutti e due ciechi?

“Vig, tesoro, vieni qui”

Mia madre mi abbraccia e sorride come una bambina il giorno del suo compleanno.

“Mamma, tu vivevi qui?”

Mi fa un sorriso furbetto e fa cenno di sederci sul divano. Un divano a fiorellini. Censuriamo.

“Due strade più avanti. Mi sembra di essere tornata bambina. Anche io abitavo in una di queste villette un po’...rustiche”

Alla faccia del rustico!

“Ma ho la sensazione...insomma non era un po’ monotona come vita?”

“Affatto! Avevo un gruppo di amici con cui andavo in giro per la città, dalle tre del pomeriggio alle otto di sera. Poi mi toccava tornare dalla nonna altrimenti c’erano i paccheri del nonno ad aspettarmi.”

“Avevi tanti amici?”
“Si, ma i miei migliori amici erano Joe Richardson e Katia Dawson. E poi ovviamente c’era il mio ragazzo, Max Callaghan. Eravamo i Last Days ed eravamo unitissimi.”
“Last...che?”
“Formammo una band blues-jazz.”
“Una band?!?! Sul serio?!?”

Mi girai a guardarla. Non stava scherzando. Perché non mi aveva mai detto queste cose?
Lei era assolutamente rilassata, con la schiena appoggiata allo schienale del divano e guardava nel vuoto con un sorriso ebete sulla faccia.

“Katia era la voce, io ero la seconda voce e l’elettrica, Joe era la troba, Max era il piano e ogni tanto abbiamo anche ingaggiato Jamie perché fosse il nostro sassofono.”
“Oddio, mamma, Jamie?!?! Quel Jamie?!?!”
“Si tesoro, Jamie Falker, il tuo padrino. Quello che ha fatto incontrare me e Josh.”
“Ma lui...non faceva il conservatorio a Los Angeles?”
“Infatti componeva per noi durante l’inverno e veniva a suonare con noi d’estate.”

Oddio. Questo voleva dire che anche d’estate mia madre era rinchiusa in questa cittadina sperduta nel far west?

“Ma...non andavate in vacanza d’estate?”
“Tesoro, i miei erano squattrinati e io avevo i miei amici. Non avevo possibilità né voglia di andare in vacanza. Il nostro sogno era raggiungere Jamie a Los Angeles e suonare in un vero locale. Sai com’è... Ai miei tempi non ce n'erano molti come ora, ci voleva più di un qualsiasi bar per fare un concerto. Noi suonavamo in piazza davanti a tutti.”

Pazzesco. Sto conoscendo mia madre. O forse si sta facendo uno strano film. Forse è questo posto malefico che le fa questo effetto.

“Ma non ti vergognavi?”
“All’inizio da morire. Poi pian piano cominciavamo ad avere qualche fan. In realtà ho avuto davvero poco tempo per abituarmi, è durata un annetto e mezzo. Poi sono partiti tutti, me compresa.”
“E dove sei andata?”

Scoppia a ridere e, con il pugno, mi picchietta sulla tempia.

“E dove sarei potuta andare? A Berlino ovviamente! Accompagnai Jamie e poi andai a studiare Lettere alla Frei Universität. Per il resto... niente di nuovo.”

Era chiuso il discorso. Si capiva dal suo tono sbrigativo.
Danielle Foster si alza e a passo svelto si dirige in cucina mentre mugugna fra sé e sé.

“Stasera che si mangia...”
“Pizza!”

Salto in piedi.
Io AMO la pizza.
Il mio sogno è fare un giro gastronomico dell’Italia.
Beh, in realtà amo mangiare, in generale. Sono una di quelle secche secche, con un metabolismo accelerato che fa invidia a un colibrì e, soprattutto, a tutte le ragazze che ho conosciuto.
Quindi mangio qualsiasi cosa mi capiti a tiro in quantità mostruose.
Wihlelmina Meyer, in terza media, mi chiese ben tre volte che dieta facessi per mantenermi sempre così “in forma”. Però basta mezzo bicchiere di Champagne per farmi ubriacare.
Tanto non berrei mai mezzo bicchiere di Champagne né altre schifezze alcoliche.
Non mi piacciono, sono amare e pungono la lingua.

“Uhm...in effetti non è che ci sia qualcos’altro in casa.”

Ho vinto. Mamma sta prendendo il telefono e l’elenco.

“Amore...sarebbe bene che cominciassimo a comunicare solo in inglese così ti abitui. Poi c’è la scuola...”

Ecco mia madre che attacca a parlare il suo perfetto inglese con accento americano.
Ordina la pizza, si fa una chiacchierata con un certo Frank che deve essere un amico di vecchia data, forse un suo compagno ai tempi del liceo.

“Mamma, per me una quattro stagioni, mezza al pomodoro e mozzarella, una coca e un pezzo di torta di mele.”

Mamma blatera che è una bellezza. Decisamente un vecchio compagno di liceo.
Quando mette giù il telefono sembra emozionatissima.

“Vig, domani ti accompagnano a scuola Frank e Dominick.”
“Chi?”

Ok, se mi vedessi allo specchio potrei dire di aver fatto la mia solita faccia allarmata, quella di chi fiuta guai.

“Frank era il mio compagno di corso al Liceo. Allora non pensavo sarebbe rimasto qui, e tanto meno che avrebbe gestito una pizzeria. Aveva tutte le carte in regola per espatriare e andare a studiare ingegneria da qualche parte. E Dominick è ovviamente il figlio ed un tuo compagno di scuola! ”

Adesso comincia a mettermi ansia questo fatto della scuola. Guardo l’orologio sul muro. Sono ancora le nove e mezzo. Ho ancora una notte prima di dovermi preoccupare di fare amicizie o di risultare simpatica a chicchessia.

“Tesoro, come ti vesti?”

Sbuffo.

“E che ne so...”

Cosa pensa che potrei mettermi per il mio primo giorno di scuola in California?
Odio le domande a sproposito.

“Mettiti quella camicetta bianca che ti sta così bene, un paio di jeans, quelli scuri a sigaretta e sopra una giacchetta di cotone, quella blu. È andata?”

Alla fine farò come dice lei.
Non è il mio ideale di abbigliamento perfetto ma è la vecchia tattica della “brava ragazza innocente”.
Almeno finchè non mi danno l'uniforme.


“Ti ho lasciato una lista dei tuoi compagni di corso sulla scrivania. Siete diciassette se non mi sbaglio.”

Adesso si che mi sta esasperando.

“Mamma! E piantala! Non è mica la prima volta che metto piede in una scuola.”
“Oh non ti preoccupare anche io ero emozionatissima! Non andare a letto troppo tardi, mi raccomando.
Devi essere in forma!”

Mi sono stufata di sentire luoghi comuni.
Salirò in camera e tornerò a leggere  “il profumo”.
E non avrò un concentrato di ansia mammesca addosso per tutta la serata.

“Non ti preoccupare. Vado subito a letto.”

Le rubo un bacio e in fretta mi arrampico sulle scale.
Dal corridoio posso sentire mio padre che russa in camera.
Poveretto, si è svegliato alle quattro del mattino, ha preso il volo per Berlino, ci ha aiutato a mettere a posto le ultime cose e poi ha volato con noi  a Los Angeles e ha guidato  fino a qui. E, con qualche mio aiuto, è stato lui a rendere vivibile questa casa.
Mi chiudo in camera, mi butto sul letto e mi metto a sfogliare Suskind.
Non ho voglia di leggere.
Mi tremano un po’ le mani e vorrei poter chiamare Hanna ma lei in questo momento starà ancora dormendo e mi ucciderebbe.
E poi non si chiama la gente alle sei della mattina.
Lancio un’occhiata ai fogli di carta poggiati sulla scrivania. Non ho molta curiosità di conoscere i miei compagni ma non ho nient’altro da fare quindi, pigramente mi allungo fino alla scrivania e afferro i fogli.

Allen Leona
Anderson Charlie
Armstrong Billie Joe
Baker Charles
Barbera Collin
Campbell Anthony
Carter Josephine
Collins Fanny
Diaz Manuela
Edwards Michael
Foster Virginia
Green Thomas
Lopez Alejandra
Morgan Margarita
Numba Malika
Phillips Jack
Ramirez Sabina

 Il diciassette porta sfortuna.
Ricordo che questo è il mio ultimo pensiero prima di chiudere gli occhi.
Poi il buio.

Glossario

* Mein Gott! : oh mio Dio!
* "Virginia! Was  machst du?  Heraus mit dir! :  Virginia! Che stai facendo? Vieni fuori di lì!
* Sofort:  eccomi
* “MUUUUTTIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!!!” :  MAMIIIIIIIII!!!!!!!!!!!

 L’angolo dell’autrice

Ci ripensavo l’altro ieri e mi è venuta voglia di scriverla!
Diciamo che mi sono ispirata a quella che è una tendenza diffusa, almeno nella scuola italiana, cioè quella di mettere gli studenti più scarsi accanto a quelli più  brillanti perché si stabilisca una specie di solidarietà.
Purtroppo so ben poco della scuola americana e tutta la mia istruzione sulle High School viene da  programmi televisivi americani (si, anche cose come High School Musical... acqua passata <.<) e da qualche informazione che ho cercato sul web. Non ho la pretesa di scrivere da esperta della scuola americana ma in una fan fiction, ogni tanto bisogna saper perdonare!
Per il resto spero di non risultare incoerente o troppo poco verosimile. Ma siamo ancora agli inizi, è un po’ presto per cose del genere.
A titolo informativo: prima di scrivere mi sono andata a guardare su google map qualche strada di Rodeo e di Berlino giusto per avere una vaga idea di com’è l’atmosfera da quelle parte (beh, in parte Berlino fa parte delle mie esperienze personali quindi almeno su quella non dovrei fare gaff di sorta).
Ho controllato che negli anni ‘50-60 il jazz fosse almeno un po’ conosciuto in America, almeno quanto bastasse perché giovani musicisti della generazione precedente agli anni ‘80 si cimentassero in questo genere, benché sia decisamente più complicato del rock.
A proposito di Virginia Woolf che ho citato vi riporto qua un interessante articolo su lei e le sue manie.
Se vi interessa... xD
E, a proposito del libro che Vig sta leggendo,  “il profumo” di Suskind, sappiate che è meraviglioso, lo consiglio a tutti, perché attraverso le parole descrive gli odori e il senso dell’olfatto di un profumiere, nella Francia del XVIII secolo.
Beeeene! Spero di avervi interessato almeno un pochino!
Anche se vi avverto che non posso assicurare aggiornamenti costanti per questa ff.
Vediamo se ha più  successo della One-shot sul concerto xD
Auf wiedersehen,

Misa


p.s *Piccolo ANACRONISMO. Prima o poi rimedierò <.<


Postfazione alla prima modifica

è la seconda volta che scrivo questa dannata postfazione che il pc prima non mi ha salvato e che non ho salvato, da brava idiota.
Dunque, volevo ritornare sul discorso della scuola americana (non sono un'esperta, forse sono tutte c*****e ecc.) poichè ho pensato che la High School americana non deve essere molto diversa dal college inglese e potevo sfruttare una mia breve esperienza in quel contesto per rendere più realistica questa storiella xD
Inanzitutto ho sostituito il "classe" con "corso", perchè ricordo bene che le classi non erano fisse. Ognuno riceveva un'orario che coincideva con un gruppo di altre venti persone massimo e quindi, le classi non erano mai più numerose di quindici-venti alunni (vedete come sono civili gli inglesi! Se penso alle nostre classi di trenta-quaranta alunni mi viene il voltastomaco <.<). Erano gli studenti a doversi muovere per cercare la classe in cui si teneva la loro lezione e ovviamente i posti non erano fissi. Facevano a chi arrivava primo!
Questa è anche un'introduzione al secondo capitolo: il primo giorno di scuola.

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Capitolo 2
*** Settembre: Primo giorno di scuola ***



Primo giorno di scuola




Mi sveglio e la mia camera è illuminata di giallo.
Tutta colpa di questo trionfo di beige.
Io odio le cose gialle.
Mi ricordano il risotto allo zafferano: questo piatto dovrebbe scomparire da tutti i libri di ricette della terra.
Forse con il tempo anche la mamma se ne scorderebbe e così vivrei cene più tranquille.
La sveglia segna le sette e un quarto.
Non mi sono mai svegliata così tardi per andare a scuola.
Però, mi ha rassicurato la mamma, la Pinole Valley School non è lontana da casa nostra e la notizia originale è che è a cinque minuti da qui, andando a piedi, sulla Pinole Valley Road.*
Chi l'avrebbe mai immaginato. Questo posto è davvero un buco senza speranza.

***********************

La mamma mi ha preparato i toast con burro e marmellata d'arancia, il caffellatte, i cereali al cacao e una mela.
Spazzolo via tutto e la mela me la porto a scuola per merenda.
E sì, sono come i bambini dell'asilo che devono portarsi la merendina a scuola.
La verità è che a metà mattinata mi viene fame di dolce; la brioche non mi piace, non voglio mangiare tante schifezze e non mi va di delapidare la mia paghetta al bar della scuola.
Là al massimo ci prendo il caffè quando sto cadendo dal sonno. E poi ho una predilizione per le mele.
Sono comode da trasportare, le mangi dovunque, a morsi, senza bisogno di posate, tanto la buccia non solo è commestibile ma è anche la parte più saporita della mela!
Ok, torniamo a cosa mi dovevo mettere.
Come d'accordo, sono in Jeans, in camicetta bianca e in giacca, quella blu.
Se non fosse per il mio fido Eastpack* mi sentirei anonima. è verdescuro, pieno di scritte, stralci di canzoni in inglese o in tedesco, tutta musica pop che andava molto di moda nel mio Gymnasium*.
A differenza della mia vecchia classe, io non ho mai amato particolarmente la musica, anzi non la ascolto quasi.
In casa mia entra spesso il Jazz e il Blues perchè mamma e papà sono patiti di Miles Davis e simili.
Penso che gli ricordi la loro infanzia, la giovinezza o quel che è.
In fondo non sono poi così vecchi. La mia isterica mammina è appena quarantenne e mio padre ha cinque anni più di lei.
Preferisco che nessuno lo scopra.
Non voglio sentirmi uno sbaglio anche se, a parte la versione ufficiale della mamma "ho-sempre-desiderato-una-figlia-come-te", so benissimo che si erano semplicemente dimenticati il profilattico.
E li capisco. Io non farei mai un figlio a ventitre anni, neppure se mi pagassero.

Ho salutato, ho preso i soldi per il pranzo e mi sono avviata, tranquilla e rilassata.
Si, mi sento proprio serena...CAZZO!
Ho dimenticato il cellulare a casa!
Pazienza, ormai sono già al primo semaforo della "Contrada della Valle del Pinolo".
Si, avete capito bene. Nel paese dei balocchi.
Intorno a me, invece di pigne e pinoli, vedo intere scolaresche che passeggiano; i bambini corrono, vogliosi di raggiungere l'asilo nido, e i genitori chiacchierano amabilmente, lanciando ogni tanto un'occhiata ai figli.
Poi, pian piano, la fauna cambia.
I bambini diventano liceali che camminanoa gruppetti; le ragazze, da una parte, ridacchiano fra loro e i ragazzi, dall'altra, si spintonano e urlano parole incomprensibili, ad una mezza straniera quale io sono.
A Berlino potevo vantarmi di essere praticamente una madrelingua inglese, tanto che, quando andammo in gita alla caserma del Check Point Charlie*, io chiacchieravo tranquillamente con le sentinelle americane e mi divertivo a prendere in giro Hana che si era follemente innamorata di un biondino in divisa.
Oddio, quanto mi divertii quella volta. Spiattellai la cotta di Hana al soldato e ci mettemmo a sghignazzare come matti. Quando lo rivelai alla mia amica non mi parlò pr tre giorni, poi siccome non riuscivamo a fare l'una a meno dell'altra, avevamo finito per fare pace.
Ok, non divaghiamo.
Pensavo di considerarmi una buona madrelingua inglese...almeno fino a quel momento.
Con quello strano accento, quelle abbreviazioni, quelle espressioni e quello strano gergo giovanile non ci capivo un accidente.
Uhm...
Mio Dio, quest'uniforme è tristissima.
Per le ragazze, gonna blu, calze blu, camicetta bianca, maglioncino grigio con lo stemma della Pinole Valley: una pigna in filo verde e relativa scritta.
è davvero un orrore.
Intanto non amo le gonne, ma poi quello stemmino lì è semplicemente osceno.
Ci fa sembrare gli adepti della Guardia Forestale.
Le ragazze hanno tutti i capelli vaporosi, gonfi e cotonati, biondi, color del grano, gialli, neri, color cioccolato, rossastri. Molte contenevano quella massa informe con un frontino.*
I ragazzi hanno tutti i capelli a spazzola, tipo il Frankenstein di Mary Shelley, alcuni più corti, alcuni meno, alcuni con il ciuffo altri con una fronte altissima: stessi colori delle ragazze.
Diamine, io vestiti, accessori, style, tagli di capelli li ho sempre ignorati ma stavolta davvero mi pareva di assistere al passaggio di una mandria di buoi della stessa pezzatura, con gli stessi zoccoli, le stesse corna, lo stesso modo di sbuffare e far fremere le narici quando si fermano.
[Un centinaio di percore Dolly*.]
Mi sentivo osservata perchè non avevo pigne verdi sulla giacca, la mia camicetta aveva le punte del colletto più morbide della loro e la mia gonna era più corta.
Stavo attraversando la strada per infilarmi nel cortile quando sento un SUV* che bussa il clacson e mi frastorna.

"Virginia!"

Mi fermo interdetta. Ma chi potrà mai conoscermi in questo buco da telenovela americana?
Mi volto. Davanti a me c'è un tizio alla guida che mi sembra familiare.
Forse risale al periodo in cui ho vissuto a Los Angeles, quando avevo dieci anni. A dodici poi siamo tornati in Germania.
Eppure ricordo di averlo visto spesso, praticamente tutti i giorni, in quel periodo. E cucinava benissimo la pizza...
Oh mein Gott!!!* Frank!
Mi doveva venire a prendere stamattina e portarmi a scuola!!!
Scheiße!!!*
Vedo scendere dal SUV un ragazzo, deve essere Dominick; un mulatto con cortissimi rasta neri, leggermente spettinati e un sorriso imbarazzato.

"Ciao"
"Ciao"

Oddio, non mi sono ancora preparata l'espressione amichevole per rompere il ghiaccio.
Grazie al cielo c'è Frank che mi apostrofa così:

"E brava la nostra Virgin, s'è fatta grande! E forse non tanto virgin!"

Ridacchia con un vocione che riempie praticamente tutto il cortile.
Altro che rompere il ghiaccio. Mi fa arrossire fino alla radice dei capelli.
E anche Dominick vorrebbe sparire.

"Radio Virgin*, è meglio che vi date una mossa. Tu devi ancora ritirare l'uniforme"
"Ok, ciao Frank! Buona giornata!"

Finalmente esco dalla catalessi post-stupore. Dominick mi guarda riconoscente.
Ci avviamo verso l'ingresso.

"Senti, dov'è l'ufficio della cordinatrice, Ms. Lexington? Altrimenti richio davvero di fare tardi."
"Secondo piano, primo corridoio a destra, quarta porta."

Lo guardo stupita.
[Meglio di Google Map*]

"Leggi le targhette"
"Grazie"

Ci sorridiamo a vicendo, poi prendo le scale di marmetto e mi metto a correre, contando i piani, i corridoi e le porte.

*************************

Ho l'uniforme e il mio orario.
Magnifico, qui in America la scuola finisce alle quattro e non alle cinque e l'ultima ora, il più delle volte, è quella di educazione fisica.
Adesso devo solo trovare la classe, quella d'inglese.
Quando raggiungo l'aula, la lezione è cominciata da cinque minuti.
Mrs Carson mi saluta affabile, con un mezzo sorrisetto di circostanza, poi torna seria.

"Ragazzi, diamo il benvenuto ad una nostra nuova studentessa, Ms Foster. Virginia Foster."

Accento British. Accidenti, che ci fa un'inglese di Cambridge in un posto sperduto della California?
Le mie riflessioni sono interrotte dall'entrata di un ragazzo, evidentemente in ritardo, che non ha affatto l'aria di quello che si è sbracciato per arrivare in tempo.
Borbotta un "scusi il ritardo" e si va a sedere in ultima fila, dove c'è un unico banco vuoto.

"Giovanotto, è questo l'orario di presentarsi in classe?"

Tutti gli occhi sono puntati su di lui, inclusi i miei.
è...curioso.
Pensavo che in quella scuola fossero tutti uguali.
Lui non centra assolutamente niente.
Sembra uno di quegli ubriaconi che girano per i parchi di Berlino con le bottiglie di birra in mano, qualcuno con una cresta verde in testa.
Lui non ha creste ma i capelli sembrano bagnati o sporchi, trasudano gel, e hanno un colore indefinito, una specie di nero striato di blu. Tintura da supermercato*.
A dargli un'aria decisamente dark è il trucco pesante intorno agli occhi: matita nera.

"Perchè non indossa l'uniforme, Mr...?"

Solo allora mi accorgo che ha addosso dei Jeans consumai, un doppio giro di cintura di piccole borchie, e la felpa della Pinole Valley*, scolorita, con il logo rovinato.
Sotto, una maglia nera, e con sè, uno zaino che deve avere una decina d'anni, un tempo verde militare.

"Armstrong"
"Mr Armstrong, questo non è il modo di presentarsi a scuola. Sono trent'anni che gli studenti adottano l'uniforme dell'istituto. Ripeto: ha una buona ragione per presentarsi in ritardo e senza uniforme?"

Non risponde.
La Carson si è fatta paonazza e la sua faccia da aquila, con quel nasino all'insù, la rende simile ad una frittella al pomodoro.

"Armstrong!"

Starnazza come un'oca, nel silenzio più totale.
Vedo tutti disorientati; alcune ragazze sono scioccate, i ragazzi si dimenticano persino di bisbigliare.
Da quel poco che so di questo paese, mi pare che l'uniforme sia un obbligo quasi morale prima che istituzionale.
O qualcosa del genere. Fatto sta, che non è contemplato che uno studente si rifiuti di indossarla.

"Armstrong! in piedi! e risponda alla mia domanda!"

Cominciano a sentirsi bisbiglii e commenti vari ma non riesco a coglierli.
Armstrong si alza in piedi con aria di sufficienza.

"Perchè? Perchè è una merda. è una cosa idiota. Sono 100 dollari buttati nel cesso. Ecco perchè. Ho finito."

Detto questo torna a sedere, lo sguardo perso nei suoi pensieri.
Da parte mia lo guardo sbigottita. Ma è completamente impazzito? Si vuole far sospendere prima di incominciare l'anno?
Ma i suoi occhi verde intenso sono vacui, indifferenti, come se stessimo parlando ad un muro.
La Carson lo osserva, allucinata, con la sua faccia disgustata.

"Armstrong, come si permette?!?!? FUORI DI QUI!!!"

Come una furia, quella donna si precipita alla cattedra, frugando nella borsa e ne tira fuori una penna nera.

"Mi porti immediatamente la sua agenda!* "
"Non ce l'ho. L'ho persa."
"L'HA PERSA?!?!?! COME L'HA PERSA?!?!?!?
BASTA!!! FUORI!!! SUBITO!!!"

Me lo vedo passare davanti, quasi annoiato, mentre esce dall'aula con indolenza, salvo dare poi un segno di vita sbattendo la porta.
La Carson allora si rivolge a me che fino a quel momento ero rimasta ferma, di fianco alla cattedra.

"Si sbrighi a sedersi, Ms Foster. Ho perso già abbastanza tempo per oggi."

Aspra e velenosa, come una vipera.
Mi affretto a sedermi al posto di Armstrong mentre quella distribuisce dei test di ingresso.
Quando ricevo il mio, mi scocca un'occhiataccia di fuoco e non oso neppure ringraziarla

*********************




Note

* Controllato su Google map.


* Il marchio Eastpack nasce come produttore di borse e bagagli per la US Army, nel 1976 comincia a produrre una collezione per il mercato americano e diventa subito popolare nei campus universitari e nei college americani.


* Gymnasium: così è chiamato il liceo classico/ scientifico in Germania (molto simile al nostro s'altronde). Comunque quando parlo di scientifico intendo uno scientifico un po' blando. Per quelli più specifici esiste il tecnico che da loro è piuttosto complicato. Altrimenti ce ne è un terzo che è simile ad un alberghiero e che ti da, in pochi anni, la possibilità di lavorare.


* Check Point Charlie: Fino all'89 Berlino era divisa in due, Berlino Ovest, sotto gli americani, e Berlino Est, sotto la Russia sovietica. A separarli c'era il famoso Muro di Berlino e la frontiera era proprio il Check Point Charlie, ovviamente sorvegliato a vista da un lato da soldati americani e dall'altro da militi russi. Era assolutamente vietato tentare di varcare la frontiera senza un lasciapassare che si dava solo in pochi casi. Se si provava a oltrepassare il muro si veniva sparati a vista.


* Ebbene no, nemmeno la moda per capelli mi sono inventata. Erano esattamente così le capigliature dei diplomati dell'epoca. Se siete curiosi guardate l'album della classe 1989, dall'archivio della Pinole Valley High school.


* Ecco! questo è assolutamente ANACRONISTICO però era troppo bella per non metterla! Quindi consideratelo un mio commento fra le righe e se non sapete chi è la pecora Dolly, dovete assolutamente scoprirlo qui.

Vi anticipo che è il primo caso di clonazione animale e risale al 1996
(Quanto amo Google e Wikipedia!!!!)


*Probabilmente si trattava di una Toyota Land Cruiser, un SUV diffuso negli anni '80.


* Altro ANACRONISMO. Radio Virgin sarà lanciata in Inghilterra solo nel 1993. Accidenti, tutte le mie battute sono fuori luogo. Licenza d'autore? *_*


* ANACRONISMO. Ormai li metto fra parentesi quadra, và.


*Una citazione di un bel racconto di ginnix "Il primo giorno di scuola" E una seconda di un racconto altrettanto bello di Amy Jay Ramone "L'uomo nello specchio" .

* Non so se si usa in America, ma al College inglese ti danno loro un'agenda-diario che ti servirà per tutto l'anno scolastico dove i docenti possono scrivere ai genitori comunicazioni varie, segnare i buoni e i cattivi voti e firmarli pretendendo poi la firma dei genitori.



Glossario

*Mein Gott: Oh mio Dio (sempre meglio ripeterlo xD)
*Scheiße: Merda


Angolo dell'autrice


Così presto questo secondo capitolo? Ebbene si!
Lo avevo scritto in viaggio a Trieste in questi giorni e ora che ho finalmente Internet posso pubblicarlo, senza far aspettare chi legge e così ringrazio i quattro che hanno subito recensito la storia: Sociopath_ , Sidney22, Icegirl46, LoveLaw93.
Ringrazio quelli che si sono fermati a leggerla e quelli che seguono in silenzio:
bea_weasley e Lils_
Mi avete molto stimolato benchè non sapessi che avevate lasciato un commentino. Almeno fino ad oggi xD
Ho inserito oltre che il glossario anche le note per specificare alcune cose, giusto per rendere meno inverosimile la vicenda.
Purtroppo, siccome siamo nel ventunesimo secolo non ho potuto evitare alcuni ANASCRONISMI, sopratutto nelle battute, ma credo di averli segnalati tutti. Se trovate qualcosa che non quadra non esitate a segnalarlo!
Non vorrei che le note fossero scambiate per pedanteria ma serve a me per inquadrare il tempo e a voi per assicurarvi che non vi stia raccontando solo frottole.
A proposito del Check Point Charlie volevo aggiungere un'altra cosa: ho reputato verosimile che una scuola media fosse portato in visita alla frontiera con la DDR (Deutsche Demokratische Republik, parte est-sovietica) pensando allo spirito un po' patriottico-militare americano.
In quegli anni, durante la Guerra Fredda, fra i due blocchi, quello occidentale e quello sovietico, si faceva a gara a chi era più potente, a chi sfoggiava armi più letali, economie più ricche e di conseguenza lo sfoggio di una scolaresca occidentale, figlia della piccola borghesia tedesca, con una miriade di facce paffute, dovevano rappresentare una specie di manifesto del benessere che in teoria si viveva nel settore americano. Ecco perchè tutto il giro, la chiacchiera e la familiarità con i soldati americani, proprio sotto gli occhi delle sentinelle russe.
Era anche per rimarcare che, ora che erano lì, gli americani non si muovevano, anzi, erano amati dal popolo.
MA QUANTO SONO BRAVA A FARMI STE' SEGHE MENTALI !!!!!
E così ho introdotto il nostro BJ! Non so come ve lo immaginavate, io spero di essere rientrata nell'IC e di non essere stata troppo frettolosa nel volerlo inserire z.z
Ragazzi miei, verranno tempi duri per la nostra Vig...ma non anticipo niente! Nicht! Nada! Niet!
Non aspettate che pubblichi prima della settimana prossima e aspettatevi modifiche su modifiche, controlli su controlli ecc.
Bye Bye

Misa


p.s Oddio è cortissimo ò.ò E le note sono pure più lunghe del capitoloooo!!! Perdonate <.<

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Capitolo 3
*** Settembre: trave di fuoco ***




Ringraziamenti:


Colgo l’occasione per ringraziare tutti quelli che mi hanno fatto avere un loro parere, nello scorso capitolo: bea_weasley e Basket Case

Quelli che mi seguono: Basket Case, bea_weasley, Lils_ , LoveLaw93, Sidney22, Tanatos.
Mille grazie poi a Sidney22 che ha indicato la Pinole prima come “Ricordata” e poi come “preferita” e a Tanatos che l’ha inserita fra le “preferite”.


Settembre
Trave di fuoco



Dell’episodio di Armstrong si è parlato per più di una settimana.
Quando Dominick ed io l’abbiamo raccontato a Frank e mia madre, sono scoppiati a ridere e per poco non si rotolavano per terra. Che cavolo avevano da ridere non so...
“Un uomo con le palle!” era stato il commento di Frank.
Bello scemo, invece.
Era stato sospeso per tre giorni ed era tornato con un occhio nero che aveva assunto un colore violaceo: tipica tamponatura da borsa di ghiaccio.
Oh, dimenticavo, anche diversi lividi sulle braccia.
Magari si era azzuffato con uno dei suoi amichetti.
Nessuno osava sedersi vicino a lui e neppure vicino a me per cui eravamo spesso compagni di banco.
Ok, rettifico, sempre.
Non riuscivo a capire allora e nemmeno adesso.
Appena uscivo dalla classe, durante le pause o a pranzo, le mie compagne di corso mi sorridevano, ci scambiavamo due parole e, ultimamente, ho preso anche l’abitudine di sedermi alla mensa con Michael Edwards, Margarita Morgan e Sabina Ramirez.
Per un po’ non ho fatto caso al fatto che finivo sempre seduta vicino ad Armstrong ma, dopo questa prima settimana, la cosa comincia a pesarmi.

“Ragazzi, dove vi va di andare stasera?”

 Mike.
Quell’uomo è un vulcano di idee, un pozzo di simpatia e, perché no, di scienza.
è secchione almeno quanto me e corrono strane voci sul fatto che sia gay ma attacca bottone con tutte le ragazze che si trova a tiro per dimostrare al resto del mondo che è etero.
Tutte idiozie.

“Boh, io sono nuova, siete voi che dovete portarmi in giro.”

Mike ridacchia sotto i baffi:

“Hai capito la Virgin, che scarica barile! E va bene!  Lo conoscete il Rods Hickory Pit* ? ”
“L’ho sentito...non mi ricordo in che occasione. Ricordo solo che non era niente di buono!”
“E dai Meggy, proviamo no? Ci porta mio fratello che passa di lì con degli amici.”

Non so che tipo sia il fratello di Mike ma se è come lui allora sarà un tipo simpatico.
Cavolo, tra cinque minuti inizia la lezione di inglese e io sono ancora qui a chiacchierare.

“Ragazzi, non so voi ma io ho inglese e sono in ritardo”
“Anche noi! Mike, è andata. Ci vediamo all’uscita!”

Esclamano Sabina e Meggy, in coro.
Corriamo come delle forsennate per i corridoi e filiamo in classe.

**************************


Ecco la Carson che storce il naso e ci rivolge una delle sue occhiate severe.
Oddio, continua a guardarmi. Embè, ci sono solo io in classe?

“Finalmente possiamo iniziare a consegnare i risultati dei test”

Sottolinea il FINALMENTE e continua a fissarmi. Cristo.
Lo riceviamo tutti tranne Armstrong che sta affianco a me e scarabocchia qualcosa su un quaderno, o quello che ne è rimasto. A pensarci bene, l’unico che gli abbia mai visto in una settimana di convivenza.
Il voto è scritto in rosso, nell’apposito spazio.
Mi cade il foglio e sento le lacrime pungermi gli occhi.
D.
Perché poi?
Scorro il compito con aria febbrile.
Non ci sono correzioni di sorta!
Non ce la faccio.
La mia mano scatta da sola, in aria.
Quella stronza non aspettava altro.
La vedo che sorride, compiaciuta, e china il capo in segno di assenso.

“Prego, ms Foster.”
“Mrs Carson, non ho visto correzioni. Vorrei sapere il perché di questa D.”

Ecco, adesso che mi dici eh? Zoccola, prova a spiegarmela questa D.
Adesso mi dirai che non ti piace come scrivo, che sono uscita fuori traccia o che ne so.
Tutte scuse.
Non c’è neppure un errore, che cavolo vuoi correggere?!?!?
Quella continua a guardarmi, gelida, da arpia qual è.
Riesce anche a farmi sentire a disagio, brutta stronza.

“Ho trovato i suoi argomenti piuttosto mediocri Ms Foster. Sembra...come dire...ricopiato! si, ricopiato da un libro di storia della letteratura. E l’analisi! Dio, l’analisi di testi triti e ritriti.
Penso che chiunque in questa classe -udite udite-  Armstrong e Numba compresi, saprà di Amleto e del suo –Essere o non essere! Questo è il dilemma!”

Mima il gesto di un Amleto che regge il teschio e si passa la mano olivastra sulla fronte come se facesse chissà quale fatica. Vedo Malika Numba arrossire come un peperone e abbassare lo sguardo, mordendosi il labbro.
Dio, quanto la odio.
Malika viene dal Senegal e il suo inglese non è un granché; ma mortificarla così...
Mi prudono i pugni.

“Insomma! Un po’ di originalità giovanotti! Ms Foster, che le hanno insegnato lì, in Germania?”

MA COME SI PERMETTE?!?!?!
Che cazzo ne sa quella vecchia zitella acida di come e cosa si studia in Germania?
Devo avere un aspetto orribile o che so io perché intravedo Armstrong che mi getta uno strano sguardo; una via di mezzo fra il curioso e il sorpreso.
Praticamente la prima attenzione umana che ho ricevuto da lui in questa settimana.

“Fanculo, cazzo ne sai tu”

Spero che il mio sibilo gli arrivi mentre sento l’urgenza di uscire da questa schifosa stanza.

********************************


Ho bisogno di calmarmi altrimenti prendo a calci quella donna.
Ho bisogno di aria altrimenti penso che collasso.
Oh peggio, ho una reazione isterica e mi metto a singhiozzare davanti a quella puttana.
Oddio, questo mai!
Anche lui, però.
Quel cretino.
Mi guardava come se non capisse il motivo del mio pianto.
è palese il motivo! è un’ingiustizia!
Ok, d’accordo, non ho mai preso una D fino ad ora.
Io prendo sempre A.
Quando va male B.
Una volta, con una C in scienze, pensavo di aver toccato il fondo, ma quella almeno me la meritavo.
Questo no. E non è nemmeno colpa mia.
Perché quella brutta strega ce l’ha con me?
Io non le ho fatto proprio niente.
Mi sono trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato; cioè quando quel coglione di Armstrong ha fatto la sua bravata che non gli è servita a niente fra l’altro.
Infatti, da quando è tornato, indossa regolarmente l’uniforme anche se...a modo suo.
Camicia con il colletto sbottonato, portata fuori dai pantaloni, la cravatta allentata, niente maglione a V, e pantaloni dell’uniforme, grigi, stropicciati, probabilmente mai stirati.
Dimenticavo, la giacca, rigorosamente sbottonata.
Insomma, assolutamente senza speranza.
Che rabbia mi fanno quelli come lui.
Sono idioti che buttano il loro tempo invece di studiare o impiegare la loro intelligenza – quando ce l’hanno – in qualcosa di utile. Uno spreco.
E pure rompiscatole.
Se non  fosse per lui io avrei qualche possibilità con la Carson. Avrei iniziato dignitosamente il mio anno scolastico, magari avrei avuto un compagno di banco come Mike che sa farmi ridere anche quando sono seria e concentrata.

Vaffanculo


***************************


Mi passano a prendere Mike, Sab e Meggy verso le otto.
Il posto è a quindici minuti di macchina da casa mia. Tipo a nord di El Cerrito, 11490 San Pablo Avenue.*
Mamma è con Frank, tanto per cambiare e mi chiede se vogliamo portarci anche Dominick:
Lo farei anche ma non c’è posto in macchina.
Oltre ai miei ci sono altri quattro amici del fratello di Mike. Sento gli schiamazzi della banda asserragliata dentro il pulmino della famiglia Edwards.

“Dominick....facciamo un’altra volta, ok?”

Lui annuisce e io corro verso il pulmino che già bussa come un forsennato.
Mi fa un po’ pena, non ho voglia di girarmi indietro a salutarlo.
In realtà lui ha un anno meno di noi tutti.  
E poi fa la faccia del cucciolotto smarrito.
Sembra il cane di Hana quando sente la parola “bagnetto”.
Sicuramente non si troverebbe con i miei amici, è troppo piccolo.
Ecco, adesso mi sento un po’ meglio.
Provateci quando vi capita, è fenomenale quando dovete lasciare a casa il fratellino.
Tra qualche anno mi toccherà inventarmi di tutto e di più con il mio di fratellino.
Mi accoglie Mike con un sorrisone a trentadue denti.

“Ecco, Vig si che sa come ci si veste!”

Non so cosa intenda ma non sono esattamente vestita a festa.
Ho una salopette, sotto una maglietta nera a mezze maniche, un paio di sandali di cuoio con la fascia e una borsetta di pelle, una roba che sfoggiava mia madre alla mia età. Ci entrano a malapena un vecchio nokia e 30 dollari accartocciati dentro*.
Ma chi se ne frega no?
Io amo stare comoda e soprattutto amo la salopette benché mamma dica che non solo mi fa sembrare ancora più magra ma mi rende anche un maschiaccio.
Scemenze...se volevo sembrare un maschiaccio mettevo dei Levi’s Strauss 501* .
Quelli si che scendono dritti come spaghetti crudi, a vita alta per giunta.
A quel punto mia madre ribatterebbe che mi darebbero un’aria più sana ma lasciamo stare.
Bene...
Do un’occhiata a Sab e Meggy e finalmente capisco che cavolo intendeva Mike.
MA COME DIAVOLO SI SONO COMBINATE?!?!?
Sembrano due semafori.
Tutte e due in fuseaux*, una giallo e l’altra verde, sembrano rifiniti a colpi di evidenziatore. Una con una maglia a quadri gialla e nera e l’altra con un vestitino bianco a pois arancioni. Entrambe in adidas bianche e Meggy, non contenta del vestitino a pois, indossa anche degli scaldamuscoli color crema.
Alzo gli occhi al cielo.
Bene, se ci blocchiamo in mezzo alla strada almeno non avremo bisogno dei Gilet Alta visibilità, quelli di poliestere giallo/arancio fluorescente.

“O Cristo, Vig, sembri una vecchia! Ch’è tutto sto’ nero?”
“Beh, io almeno non sembro il faro di St. Augustine.”
“Che?”
“Uhm...niente niente.”

Oddio, a momenti l’America la conosco meglio di loro.
Devo aver letto da qualche parte del Faro di St. Augustine, in Florida, con la sua punta arancio.*
Boh...

“Partiamo!”

Mike allunga una mano e velocemente fa scorrere la portiera del pulmino.

“Sveglia Vig altrimenti facevi un volo fuori dalla macchina e tanti saluti”
“Mi stavi chiudendo una mano fuori!”
“E tu stavi contando le pecore prima di appisolarti! Sono solo le otto, per te è già ora di nanna? Oppure hanno ragione loro e sei una vecchia bacucca che si fa il riposino dopo cena!”

Gli mollo un pugno sulla spalla mentre tutto il pulmino ride.
Quell’idiota mi strappa pure una risata.
Rido più spesso di quanto sembri, sono questi giorni che mi hanno rabbuiata parecchio.
Ok, stop it. Just fun!

“Ehi, Virgin, non ti ho presentato mio fratello Julian* .”

Il tizio alla guida conferma con la sua voce profonda.

“Julian come Julian Cope.”
 
Chi?

“Questi sono i suoi amici Rodney, Carl e Markus. E quella è la sua ragazza...oddio, come ti chiami questa settimana, tigre?”
“Sei proprio uno stronzetto, Mike”

La stangona bionda ossigenata con i capelli ondulati raccolti in due codini, gonfi come un pallone aerostatico mi sorride.
Oddio, ha un dente d’oro. Questa è polacca, sicuro.

“Per te sono Lizz, Honey. Elzbiéta è lungo, sai com’è* ”

Si certo. Questa mi sta antipatica.
Sarà che quel Julian sembra carino e non mi va che stia con una che sembra una stronza.
Ma che vado a pensare? Manco fossi Mike! allora si che potrei avere qualcosa da ridire.

“Dove andiamo?”
“Ve l’ho già detto! Al Rod’s Hickory Pit!”
“Grazie Mike, geniale. Ma che posto è?”
“Vedrete, vedrete...”

Perché sghignazza in quel modo assolutamente idiota?
Qua c’è sotto qualcosa.

*****************************



Finalmente siamo arrivati.
Scendiamo mentre Julian parte in quarta, alla ricerca di parcheggio, poco più avanti, e i suoi amici con lui.
Con la coda nell’occhio vedo Meggy e Sab che osservano l’entrata del locale con una smorfia mezza disgustata.
Beh, diciamo che vestite come sono daranno un po’ nell’occhio...
C’è una fila spaventosa di ragazzi e ragazze, dai quindici ai trent’anni, tutti interamente in nero, con reti, catene, buchi dovunque, borchie, ganci e lacci di cuoio pendenti, giacche di pelle, giarrettiere, tartan scozzesi, camicie di flanella, pantaloni o jeans strappati, bustini a quadri con elaborati pizzi di un cotone scadente...
C’è persino un tutù.
Sembra quello del mio saggio di danza di sei anni fa.
Patetico.   
Un tizio che agita in aria le braccia da gorilla sfoggia un giubbotto con delle frange mostruosamente lunghe, frange che colpiscono tutti gli sventurati nel raggio di quaranta centimetri, quindi almeno tre persone per lato: sono tutti ammassati davanti all’ingresso!
Oddio, un trentenne! A trent’anni ti vesti ancora così!
Ma che, vuoi fare l’adolescente complessato per tutta la vita?
Non descriverò anche le capigliature; sembrano tanti galletti che chiocciano, con l’arcobaleno in testa.
Prevalgono colori assurdi come il blu, il turchese, il rosa shocking e il verde evidenziatore.
Sento i toni seccati di Sab che si agita come un’anima in pena.

“Mike...”
“Allora ragazzi! Che vi pare?”
“Michael Edwards...questo posto è una merda! Sono tutti drogati!”

Beh, in effetti.
Le facce di certi scimmioni sono piuttosto eloquenti.
E all’esterno c’è un grosso cartello plastificato giallo tenuto fermo da chili di nastro adesivo nero:

NO DRINK, NO DECK, NO SEX*

Siamo messi bene.

“Io non c’entro niente! È Jule che ci ha portato! Diceva che era carino qui!”

Certo.
Nel frattempo l’allegra compagnia di stangoni sono di ritorno.
Loro si che sono a tema, in nero, con le catene e tutto il resto.
Devo dire che in tutto questo probabilmente Jule è quello messo meglio ed è anche il primo che abbia mai visto a cui stanno bene le camicie a quadrettoni rosso scuro, stile country.

“Ragazzi, se c’è Ollie* abbiamo i tavoli proprio sotto il palco.”
“Chi suona?”
“Sconosciuti. I Roast e qualche cosa”
“Uhm...danno almeno toast gratis?”
“Infatti Jule che cazzo siamo venuti a fare qua? Potevamo andare al Ruthies Inn*!”
“Devo sistemare una questione.”
“E con chi?”
“Cazzi miei”

Andiamo di bene in meglio.
Quei tre, compresa la smorfiosa cotonata, si stanno avviando all’ingresso, Sab e Meggy continuano a lanciare occhiate equivoche all’autostrada, poi all’ingresso, a Mike e a me.
è quasi divertente vederle con gli occhi da fuori, con in faccia scritto, a caratteri cubitali,  I-M-B-A-R-A-Z-Z-O.

“Oddio, Mike ce ne andiamo da qualche parte?”
“E dove vuoi andare? Qua c’è solo la strada e non so manco dove siamo!”
“Perché non entriamo?”

Ecco, adesso le ragazze mi guardano orripilate.

“Ma che ti sei fumata? Io là dentro non ci metto piede!”
“Nemmeno io!”
“Ok, a dopo ragazze, io e Mike andiamo”

Bene. Non so come faremo ad entrare visto che c’è una fila che non finisce più.
Oddio, non ci credo!
Dal fabbricato di cemento sbuca Armstrong con una specie di grembiule nero e mezzo scucito.

“Edwards! Qualcuno di voi bastardi, qua fuori, si chiama Edwards?”

Gli lancio uno sguardo gelido.
Anche qui devo vedere la tua brutta faccia.
Ci squadriamo a vicenda.
Non mi ha nemmeno riconosciuto! Glielo leggo in faccia!

“Embè, cazzo guardi? Ti chiami Edwards?”
“Armstrong con il grembiulino? E che è successo? Oggi siamo meno anarchici del solito?”

Ma và, si è ricordato con chi sta parlando.
E si diverte pure; guardalo come sorride sornione.

“Ah tu...”

E questo è tutto quello che hai da dire, buffone?

“Qua mi pagano.* ”

 Ok, su questo non ho niente da ridire.

“Senti non ho tutta la notte. C’è un Edwards fra voi?”

Mike si fa avanti. Speriamo che legga il labiale.
Davvero non ho voglia di infilarmi qua dentro.
Il mio adorabile compagno di banco mi ha fatto passare la voglia di fare esperimenti.
E poi forse hanno ragione le ragazze, questo posto fa paura.
Davanti all’entrata ci sono per lo meno una cinquantina di bottiglie, sopratutto birre, dalla Bud, quella chiara e leggera, alla Tennent's*, una Vodka e qualche Rye Wiskey* e Jack Daniel’s.
Per non parlare della puzza di fumo e delle cicche di sigarette, canne e non so quale altra schifezza che rendono il posto ancora più nauseante.
Dentro magari questa roba è vietata ma qua fuori, hai voglia quanto ce n’è!
A-N-D-I-A-M-O-C-E-N-E

“Sei il fratello di Jule?”
“Si”
“E allora muovi il culo tu e le tue amichette.”

Detto questo ci volta le spalle e si incammina tranquillamente verso l’entrata, dando spintoni a destra e manca man mano che si avvicina all’ingresso.

********************************


Dentro questo posto non è male.
Tavolacci di legno massiccio scuro e panche senza schienale. Comodità O.5.
Alle pareti ci sono poster di bande a me sconosciute, manifesti con simboli anarchici, carbonari, massonici o che so io, oltre ai soliti teschi, pentacoli, croci sbarrate, graffiti, simboli della pace, mani stilizzate che facevano le corna o ci offrivano un bel dito medio, e affianco, poster di band un po’ più famose:  Clash, Sex Pistols, Led Zeppelin, Ramones, Black Sabbath o Deep Purple.
Oddio, famosi. Adesso non esageriamo.
O forse si; se li conosco io, devono essere piuttosto famosi.
Mi siedo dando le spalle ad un tizio praticamente tre volte me e mi ritrovo a fissare il muro alla mia destra.
Qualcuno ci ha attaccato un grosso adesivo quadrato con un porcellino salvadanaio rosato e pieno di scritte che vola nello spazio sopra una scritta in bianco: Pink Floyd.*
Mi ritrovo a pensare che assomiglia parecchio all’uomo alle mi spalle.
A parte l’affollamento generale, le chiacchiere, le risate sguaiate e gli urletti rochi di alcuni tipi sei tavoli più dietro, si sta abbastanza bene.
Quello che mi preoccupa è che siamo a neanche due metri dal palco su cui un paio di punkettoni stanno sistemando degli amplificatori.

“Ehi voi, che vi porto?”

Al tavolo affianco si sono sistemati Jule e i suoi amichetti.
Ci guardiamo fra di noi.
Armstrong intanto ha in mano un blocchetto e una penna e tamburella il piede per terra, impaziente.

“Che c’è da mangiare?”
In effetti ho una fame.
Oggi non ho cenato perché la mamma era dal tappezziere a scegliere finalmente una nuova fantasia per le poltrone del salotto.
E mi ha promesso che verso natale chiameremo qualcuno per togliere quell’orrida moquette.
Probabilmente lo faranno mentre io sarò a Berlino da Hana.
Questo natale lo passiamo a Berlino! Non vedo l’ora di rivederla!
Dobbiamo ancora accordarci per un orario a cui la posso chiamare, anche perché dovrò pur raccontare a qualcuno di questo dannato posto.
Spero le arrivi la lettera che le ho mandato.
Nel frattempo il nostro premuroso cameriere mi guarda con un sorriso ironico e ribatte:

“Qua non si mangia. Dove credi di stare, da Mc Donald’s?”
“Ma non avete niente di commestibile!?!?!?”
“Scherzi? Abbiamo Organic Bean Burrito, Red Vines, Tootsie Pops, Cheap Gum, Candy Bars, Danish, Chips, Nuts, Gum, Pop Tarts, Cliff Bars, Trio Bars, Luna Bars e Balance Bars* ”

Lo guardo orripilata.
Punto primo: tutte schifezze.
Punto secondo: le ha dette tutte d’un fiato senza neppure starci a pensar su.
Punto terzo: è tutto dolce! IO HO FAME!

“Per me un Danish. Prendiamo una confezione grande di Red vines per tutti? Ragazze che ne dite?”
“Mike, io sono a dieta.”
“Anche io!”

Ecco brave loro che non mangiano.

“E tu Vig?”
“Si, va bene, Mike, ma io ho fame e quattro bastoncini di liquirizia non mi sfamano mica.”
“E allora prendi il Burrito!”
“Ma ci sono i fagioli!”
“Aehm…”

Eccolo lì, il galletto blu in grembiulino che deve dire la sua.

“Quante preoccupazioni. Guarda che se ti scappa qualcosa, qua intorno ci sono almeno una cinquantina di persone che puzzano più di te, senza bisogno di ingoiare fagioli arrostiti.”
“Vaffanculo, Armstrong. Ok, prendo il Burritos.”
“Era ora!”

Scarabocchia in fretta sul blocchetto e sembra sul punto di andarsene quando Mike scatta in piedi.

“Ehi! E da bere?!”
“Acqua&Soda, Snapple, Juice Squeeze, Hansens, Apple Juice, Kerns, Orange Juice, Monster e Rockstar, sia Original che Diet *! Pensateci così magari un giorno mi fate sapere! ”

Sparisce fra i tavoli, di corsa, per poco non va a sbattere contro un altro cameriere biondo, sicuramente  tinto anche lui, con una lattina di Hanson in mano.
Si stringono il braccio e poi vanno ognuno per la propria strada.
Mike attira la mia attenzione, sventolandomi la mano davanti agli occhi.

“Acqua&Soda, Orange Juice e…?”

Lo guardo con tutta la ferocia che riesco a trovare.

“Mike…MAI PIU’ !”


***************************


   
    
Note

* Qua ho trovato fonti contraddittorie. La mia adorata Wikipedia mi dice che il primo nucleo dei GD ha iniziato al Rods Hickory Pit, dove lavorava come cameriera la madre di BJ. Una seconda fonte dice che invece loro iniziarono al 924 Gilman leggermente più a nord rispetto al primo locale. Questa è la fonte in questione.
 Ecco la mia politica: siccome Wiki quando parla della prima esibizione al Rods li definisce Sweet Child sono partita dal presupposto che quella al Gilman fosse invece un’esibizione successiva all’88-89 quando ormai erano diventato i Green Day ed avevano accolto nel gruppo Al Sobrante che, come batterista, rese il loro sound “meno leggero rispetto alle altre band”  (cit. Wiki)  
In ogni caso questo è il sito del Gilman. 
Interessante il fatto che non solo sono vietati gli alcolici ma non c’è niente da mangiare al di fuori di snack e barrette energetiche, benché il locale apra tra le otto e le nove.
Sarà che probabilmente in America si mangia tra le sei e le sette.
Proprio perché il Rod’s è stato chiuso mi sono concessa diverse libertà quindi è tutto piuttosto a fantasia!

* Oggi sono 20,4283 euro, ma allora probabilmente equivalevano ai nostri 25-30 euro.

*Vecchio indirizzo del Rods Hickory Pit (vedi sopra)

* Ringrazio mille volte chiunque sia quella santa che ha scritto questo bellissimo articolo sulla moda anni 80!   

* Non guardatemi male...ho pensato ad un faro ed è uscito questo!

*Si pronuncia Juliàn, un po’ alla francese ù.ù
A proposito di Julian Cope (musicista rock del gruppo post-punk  The Teardrop Explodes.)
Non ho ancora ascoltato niente di suo ma non so perché lo ho ritrovato in una delle mie svariate liste, come le chiamo io, ”i miei piccoli esperimenti” . E poi mi piacevano sia il nome che la sua biografia. Sembra un tipo a posto
ù.ù

* Non so come si pronunci esattamente. Io lo pronuncio “Elisvièta”. Poi fate voi <.<


* “Niente alcol, niente droga, niente sesso”. Insomma, un po’ sulla scia del Gilman..

* Ollie Jackson Armstrong, BJ’s mum.

* Altro locale famoso ai tempi di BJ, stesso stile del Rods.

* La Tennet’s ha un tasso alcolico che si aggira fra gli 8 e i 9 gradi.  La Bud invece è più chiara e leggera, circa 5 gradi.

* La California ha una piccola distilleria che produce Rye Wiskey ed è considerata una birra a buon mercato.

* BJ, prima di lasciare la scuola e dedicarsi alla musica, lavorava allo stesso locale della madre assieme a Mike Dirnt. (WIKI)

* Scusate ma non potevo non metterlo. È così cariiiiiiinoooooo! *_______*  (sospirone)

* Il menù è quello del Gilman, mi son detta che non poteva cambiare più di tanto...
- Organic Bean Burritos: tortillas ripiene di fagioli neri arrostiti, mais e cipolle servito con lo yoghurt e salse piccanti.  

- Red vines: bastoncini intrecciati di liquirizia o canditi alla fragola.
- Tootsie pops: lecca lecca ripieno di caramella e cioccolato 
- Cheap Gum: un chewie gum
- Candy Bars:  barrette al cioccolato o al caramello tipo Snickers, Kit Kat, Butterfinger, M&M’s, Crunch ecc.
- Danish : dolcetto di pasta a sfoglia a ciambella o a treccia con marmellata, cioccolato o miele

- Chips: patatine
- Nuts: noccioline
- Gum: gomme da masticare varie (non chiedetemi la differenza con le altre <.< )
- Pop Tarts:  biscotti cioccolato e cannella confezionati
- Cliff Bars: barrette organiche cioccolato, nocciole, mandorle e cannella
- Trio Bars: barrette con semi di sesamo, nocciola, frutta secca, zucchero di canna e sale
-
Luna Bars:  Barrette di cioccolato al latte, latte e cannella, latte e cocco e varie
- Balance Bars: Barrette di biscotto ricoperto di cioccolato con nocciole, mandorle. Caffè, miele. Yoghurt. Caramello, limone, cioccolato alla menta e varie 

*Bevande
Acqua&Soda: bevanda gasata o anche acqua tonica, tipo la Sweppes
- Snapple: Marca di Tea e succhi di frutta o limonate
- Juice Squeeze: Spremute
- Hansen’s: Marca di bevande gasate o energetiche e tea
- Apple juice: succo di mela
- Kerns: nato come Smith&Kerns, è una crema di cacao o di caffè con liquore
- Orange juice: succo d’arancia
- Monster: bevanda energetica tipo la Red Bull 
- Rockstar e Diet Rockstar: bevanda energetica. Si trova anche senza zucchero, zero carboidrati, con succo di mango, di guiava o di melograno, ai frutti tropicali, al limone, , alla coca cola, al caffè, al Mocha e alla vaniglia.


Angolo dell’autrice

Siiiii!!!! Ce l’ho fatta! Questo capitolo non arrivava più perchè avevo un sacco di incognite, non ero convinta e tutt’ora non so come sia uscito.
Care mie (userò il femminile e non me ne vogliate) questo è più un capitolo di ambiente che altro, con tanti di quei dialoghi da stupire persino me stessa!
Non pensavo che avrei mai scritto tanti dialoghi, di solito mi getto sulle parti narrative *_*
In ogni caso, spero che non appaia noioso, ma serve un po’ a caratterizzare l’ambiente in cui vivono che, grazie a internet, spero di essere riuscita a ricreare, più o meno.
Poi magari non ho capito un tubo…voi segnalate sempre neh! Ò.ò
La faticaccia è stata la parte del locale: prima capire quale dei due era (e qua nessuna fonte sembrava chiara) poi immaginarsi come potesse essere e poi infine la prodezza del Menù che probabilmente mai nessuno leggerà per intero ma che da un’idea di quante schifezze si mangino gli americani!
Madonna, quanto amo la cucina mediterraneaaaaa!
Ok, mi faccio facilmente corrompere da una bella barretta di cioccolata, ma quella è un’altra storia!
La parte più divertente invece è stata quella sulla moda anni ’80… mwaaaahahah fosse per me organizzerei sempre feste a tema, anzi, farei organizzare, perché odio occuparmi io dei preparativi e cose varie ^^
Anche stavolta le note sono lunghissime…soooorry <.<
E…indovinate chi è il tizio delle ultime tre righe?
Domanda da un centesimo visto che praticamente tutti l’avrete capito xD
Questo capitolo è un po’ più lungo innanzitutto perché non sono riuscita ad accorciarlo e poi perché siccome per tre giorni non scriverò, potrei arrivare un po’ in ritardo con la pubblicazione settimanale.
Insomma accontentatevi di questo coso e fatemi sapere se ve gusta!
Alla prossima

Misa

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Capitolo 4
*** Ottobre: Post-test d'ingresso ***




Ottobre
Post-test di ingresso

Finalmente respiro.
Sono state tre settimane di stress, di giornate passate a studiare, mangiare, studiare, tornare da scuola, di nuovo studiare, studiare, studiare...
Penso di aver passato due sabati su tre a casa in stato comatoso, mezza addormentata, mentre mamma e Frank uscivano, Dominick con un suo amico guardava la Tv e il loro gatto, Kelly, si acciambellava sul divano accanto a me, facendo le fusa.
Non amo particolarmente gli animali ma tutto sommato Kelly mi sta simpatica, soprattutto perché non me ne occupo io altrimenti penso che mi verrebbe una crisi isterica.
NO, non ho tempo per un gatto né per un altro animale e SI, sono la persona più insensibile sulla terra: non mi sciolgo in lacrime di commozione davanti ad un cucciolotto, non corro ad accarezzare tutti i cagnetti che passano per strada per poi chiedere al padrone con quella faccia di cazzo spaventosa “come si chiaaaama?” e sentirmi rispondere “Fido” oppure “Spike” oppure ancora “Lucky”.
Solo Dominick poteva chiamare un cane Grace Kelly, come la principessa di Monaco e attrice omonima.
A proposito di Nick, chissà cosa avrà pensato di me quel suo amico quando sono crollata sul divano.
Probabilmente non se ne sono nemmeno accorti.
Non si sono schiodati dallo schermo neppure per prendere da mangiare, hanno aspettato che mi svegliassi e andassi a  prendere sandwich al formaggio per tutti.
Immagino quanto possa essere faticoso trascinarsi fino in cucina per tirare lo sportello del frigo!
Quello che mi consola è che non sono stata l’unica ad avere la “Studiosite” acuta, le due settimane precedenti.
Nemmeno Sab e Meggy hanno messo piede fuori e Mike staccava il telefono e spariva fino alle nove di sera.
L’aria in classe era pesante, ogni settimana almeno tre test, fra inglese, matematica, biologia, storia, fisica, chimica, spagnolo, le prove di teatro e di disegno, e ovviamente il latino.
Eh sì, sono una delle cinque che si è iscritta alla classe di latino.
Inutile dire che l’ho fatto per la mamma; ci teneva che continuassi a farlo e non gettassi nel cesso tutte quelle nozioncine che mi ha inculcato Frau Schlissen*.
I corsi dopo pranzo sono davvero ridicoli rispetto a quelli per cui studiavo fino all’anno scorso.
Per una versione mi basta anche solo metà del vocabolario* che ho dovuto imparare in tre anni di latino.
Per il resto non è successo molto altro.
Oh si, l’homecoming, il ballo di inizio anno.
Ero malata e così me lo sono risparmiato.
Le ragazze sono venute da me a farsi i capelli e a prepararsi, mi hanno fatto un po’ di compagnia e poi mi hanno lasciato con Mike che ha disertato apposta per non abbandonarmi, da sola, con 39 e mezzo di febbre.
Penso sia il miglior amico maschio che abbia mai avuto fino ad ora, e, senza di lui, mi sarei depressa mille volte, aggirandomi per la cucina, avvolta in una coperta, alla ricerca del coltello da cucina, inneggiando al suicidio.
Fine della storia.
Sab e Meggy me l’hanno anche raccontato, credo.  Non le stavo ascoltando.

Ma che cavolo faccio? Mi sono incantata? Basta perdere tempo!
Allora dicevamo che in Coleridge* c’è il tema della leggenda e dell’ispirazione poetica che lo proietta in un ipotetico passato fantastico e che viene ripreso dal “Trascendentalismo” dell’Ottocento: un esempio sono Emerson e Thoreau e poi Stowe, che scrive “La capanna dello zio Tom” che critica lo schiavismo in Americ...

“Vig! c’è un tuo amico qui! Michael Edwards!”

Dio mio, non si può stare un attimo tranquilli...

“Veeeengoooo!”

Afferrò un paio di pantaloncini e me li infilo alla ben e meglio.
Non sopporto quella scrivania da bambinetti dell’asilo che mi ritrovo e preferisco cento volte studiare sul letto, con una delle maglie XXL che Frank usava nemmeno dieci anni fa.
è riuscito a perdere quasi venti chili in due anni. Roba da non credere.

“Ehi Vig, sono Mike.”

Ovviamente spalanca la porta senza bussare. Testa di cazzo.

“Cinque secondi fa ero in mutande Mike. Bussare no eh!?”
“Scusa tanto, ma che cavolo ci facevi in mutande sul letto con...VIRGIN!!!”
“Che c’è?”
“Abbiamo appena finito di studiare per i test e tu ripeti Coleridge?!?!?!? E che cazzo, ma sei proprio malata!”
“Lo so Mike, ma non voglio correre rischi con la Carson. Mi ha dato D al test di ingresso. Probabilmente  spera di farmelo ripetere e  prendermi impreparata per sghignazzare mentre mi piazza un meno sul registro!”
“Cristo...non se ne parla nemmeno! Adesso tu scendi con me e ce ne andiamo da qualche parte!”
 
Mi schiatto sul letto. Non ho nessuna voglia di uscire e ho una fottuta paura di non ricordarmi Coleridge. Quasi quasi mi faccio schifo da sola.

“No, mi scoccio di andare in giro e di vedere gente. Che ci fai qui, a proposito?”
“Mi scocciavo di studiare e starmene lì fermo come un idiota a ripetere roba che sia io che te sappiamo a memoria. Ecco perché.”

Silenzio.
Massì lo so, lo so...NON LO SO!!!

“Vig?!”
“Michael...”
“Che hai? Ch’è sta faccia?”
“Mike, perché nessuno vuole sedersi vicino a me, te compreso?”

Si agita, guarda altrove, si siede sul letto dandomi le spalle, tamburella il piede per terra e alla fine sospira.
Questo basta a farmi sentire di merda.

“Mike?!”
“Vig, non è colpa tua. È la Carson che ci terrorizza. Lei ti fissa sempre, te e Armstrong;  a nessuno di noi piacerebbe trovarsi nella vostra situazione. Insomma...capiscimi...”
“Se questa è una scusa, Edwards, è davvero patetica”
“Virgin, quella, l’anno scorso, quando è arrivata qui per la prima volta, ha preso in antipatia un tizio dalla media invidiabile, un certo Bill Jackson, lo ha portato agli esami* e poi lo ha fatto bocciare alla prova scritta di inglese.”
“Ma non è possibile bocciare qualcuno con un test a risposta multipla!* Specie uno bravo che conosce le risposte!”
“è questo il punto, Vig! Altrimenti dov’era la stranezza?”
“Ti spiace cambiare argomento? Sai com’è, quella donna mi fa già abbastanza irritare in classe, ci manca solo che mi tormenti anche a casa, mentre sto con il mio migliore amico.”
“Hai cominciato tu.”

Alza le mani in segno di resa, di scusa, di discolpa o che so io. O forse tutti e tre.
Proprio oggi doveva venire a trovarmi? Oggi che sto scazzata?
Vabbè, due parole, poi lo mando a casa e mi metto a dormire.

“Tra un mese è il compleanno di mio padre.”

Oddio, che cazzata! Che gliene frega a lui...

“Davvero? Quando?”
“Il ventisei novembre.”
“Un mese…hai voglia!”
“Era per dire…”
“Che gli regali?”
“Uhm...volevo rimettere in funzione la sua vecchia Honda*”
“Noooo...tuo padre ha una vecchia Honda?!?! Quanto vecchia?”
“è un famoso modello anni 70’, credo...”

Lo vedo entusiasta e deluso allo stesso tempo, ha smesso di dondolarsi e mi guarda estasiato con una strana vivacità negli occhi. è bastato davvero poco a farlo contento.
Quasi quasi potrei chiedere a lui...

“Bah, vecchia, di dieci anni fa. Questo è tutto quello che mi sai dire?!”

Scatta in piedi facendomi prendere un colpo. Poi si avvicina, mi afferra per un braccio e mi scuote.

“Su, fammela vedere! Magari ti posso dare una mano per rimetterla in funzione!”

Qualcosa mi dice che sto per cacciarmi in un guaio.
Mi alzo di malavoglia dal letto e mi avvio per il corridoio, facendo cenno a Mike di venirmi dietro.

“è in garage. Tu sai riparare moto? E da quando? ”
“Mio padre ci portava in officina da lui quando eravamo piccoli.
 Smontava le auto e noi stavamo a guardare. Julian è davvero bravo...
A me non ha mai appassionato molto, anzi so quel poco che basta per cambiare una gomma, raffreddare un po’ un motore surriscaldato...”
“Va bene, adesso zitto e aiutami a smontarla. C’è qualcosa che non va...e devi controllare cosa!”
“Ma per chi mi hai preso? Do un occhiata, mica te la riparo!”

**********************

L’unica cosa che amo di questa casa e che si può accedere al garage dall’interno della casa.
Ebbene si, quell’enorme stanzino che sembrava totalmente inutile nei suoi 2 x 6 mq finalmente acquista un senso:  nel mitico ripostiglio c’è una piccola porta per il garage.
Il portellone dell’ingresso principale è chiuso e quindi non si vede un tubo.
Accendo la luce.
Il box è piuttosto spazioso, l’auto, al centro della stanza, ci entra comodamente, in fondo a tutto ci sono ancora cataste di mobilio di scatoloni pieni che devono essere sistemati o smaltiti.
C’è polvere, tanta polvere, e non sarebbe un garage che si rispetti se non avesse perlomeno sei chili di ragnatele disseminate in giro.
Dietro l’auto ci sono la mia mountain bike, quella di mamma, di papà e altre due bici da città con tanto di cestino per le borse.
E poi c’è lei.
Honda CBX 1000, grigio metallizzata.
Da piccola sognavo di portarla sempre con me e di accudirla più di quanto facessi con Teddy Bear.
Ok, adesso forse esagero.
Però era veramente un mito per me, anche perché è una di quelle che sono uscite nel 78, originale, insomma.

“Caspita...è ridotta davvero uno schifo!”

Bah, se lo dice lui. A me sembra bellissima.

“Che ha?”
“Dio, Vig, intanto devi cambiare il sellino, gli specchietti sono rotti, la carrozzeria è lurida e anche rigata dietro, e poi le luci...”
“Fin qua ci arrivavo anche io, Mike”
“E le gomme. Forse dovresti cambiare anche le gomme. Poi bisognerà sicuramente controllare i freni, l’olio, e il motore. Che tu sappia si accende? ”
“Non lo so.”

Dietro di me, addossato alla parete c’è un cassettone.
Quello abbiamo deciso di lasciarlo in garage, innanzitutto perché è di truciolato e quindi fa schifo e non vale proprio la pena di tenerlo in casa, e poi perché ci serviva un mobiletto per conservare i libretti della lavatrice, della lavastoviglie, del microonde, della Tv, dell’auto e anche della moto.
Ci sono anche le chiavi con attaccato un portachiavi in legno con su scritto “HONDA”.
Facile da riconoscere, banale.

“La sai accendere?”
“No. Fai tu.”

Mike armeggia con la moto almeno un paio di minuti prima di inserire quella dannata chiave e girare.
Si accendono due spie, una gialla e una rossa, si muovono un paio di frecce nei tre quadranti circolari ma quella rimane zitta*.  

“Ma io l’ho accesa!”
“Beh, forse è rotta oppure...”
“Oppure cosa?”
“Oppure tu di moto non ne capisci un acca.”

Lo sento sbuffare e mi getta un’occhiataccia.
Presuntuoso come tutti gli uomini.

“Senti non potresti chiamare tuo fratello? Fra me e te, non sappiamo dove mettere le mani.”
“Ehi, parla per te!”
“Se il signor esperto-di-moto pensa di poter accendere quest’affare solo perché ha giocato tre volte nella sua vita ad ‘Hang on*’ prego, faccia pure...”
“Stronza”

Grazie al cielo Mike non se la prende più di tanto.
Forse a volte sono davvero acida; devo darmi una calmata o rischio di ferirlo seriamente uno di questi giorni.

“Jule? Sono Mike.
No, cretino, tuo fratello.
Hai da fare? Puoi venire?
Uhm...no, si tratta di un lavoro da officina.
Eddai, tanto non tieni un cazzo da fare.
Vig, va bene se si porta dietro dei tizi?”
“Tranquillo”
“Ok, 2388 Ramona Street.
Va bene. Sbrigatevi.”

***************************

Eccoli.
Non ci hanno messo nemmeno venti minuti.
Come al solito sono in macchina, in quattro, e fra di loro riconosco uno dei punkettoni del Rod’s.
Come si chiamava? Red, Rayd, Ned...qualcosa del genere.
Parcheggiano, per modo di dire, davanti a casa mia. Come al solito guida Julian.
Emergono dal furgoncino formato famiglia, oltre a NedComeSiChiamaLui anche una bionda pittata con il frisè*, vestita interamente di pelle nera, e un altro tizio, biondo anche lui, anzi platino.
A guardarlo bene, mi sembra sia il cameriere del Red’s.
Bah, potrei sbagliarmi.
Sto scoprendo che tanta gente mette il gel; non sono mica tutti uguali.
La bionda si avvicina, baldanzosa, con un bel sorrisone e la sua voce squillante:

“Ciao! Sono Jasmine! Questi sono Rodney, Mike, e Julian è quello al volante!”

Dio, quanto urla.
Sembra mia madre quando telefonava dalla Germania a Los Angeles, per sentire papà.
Più chilometri c’erano fra loro e più c’era la possibilità che i carabinieri ci multassero per “disturbo della quiete pubblica”.
Ah, ecco svelato il mistero di NedComeSiChiamaLui.

“Ciao.”
“Oh! Tu sei il fratellino di Julian! Ma che cariiino! Che bello conoscerti! Io sono Jasmine!”

Mike mi lancia uno sguardo perplesso.
 Probabilmente pensiamo la stessa cosa: ma ci è o ci fa?

“Si, infatti. Già, che bello.”
“Scusa ma non ho sentito il tuo nome! Come hai detto che ti chiami?! Vick, Vid, Vin…”
“Non l’ho detto.”
“Oh! E come ti chiami?!”
“Virginia”
“Oh! Anche una mia amica si chiama così!”

Questa tizia mi sta stonando.
Grazie al cielo Julian ha finito di parcheggiare e ci raggiunge con la sua inseparabile camicia di flanella.

“Ciao Virgin, questi sono Rodney Huston e Mike Pritchard. ”
“Glieli ho già presentati io! E poi ti sei dimenticato di me, amore!”

Oggi è il giorno delle verità svelate. Finalmente capisco che ci fa un’idiota patentata davanti alla porta di casa mia che starnazza come un’ochetta del Campidoglio*.

“Jule, che fine ha fatto Liz?”

La bionda mi guarda gelida e poi mi fa una smorfia di disprezzo e superiorità.
Cristo, ma se le sceglie apposta così stupide?

“Andata. ”

Silenzio.
Ops, devo aver detto qualcosa di sbagliato. Che peccato.

“Embè, qual è il problema? La macchina di mammina fa le bizze?”
“No. È semplicemente la mia Honda CBX 1000 che non parte.”

Ah, ah! Finalmente vedo un minimo di interesse accendersi negli occhi dei presenti.
Persino Mike-biondo-platino che fino a quel momento ha mantenuto un’aria indifferente, stile QualunqueCosaSiaNonMeNeFregaNiente aggrotta la fronte e da un segno di vita:

“Intendi…una  di quelle anni 70’ o una copia?”
“Classe 1979”
“E dov’è?”
 “Finalmente uno che fa una domanda intelligente! Cinque punti per Mike-biondo-platino!”

Oddio, l’ho detto.
E ho anche strappato un sorriso a quella specie di mummia con la mascella pronunciata.
Alleluja.
Mi dirigo verso il garage, magari sono abbastanza svegli da seguirmi?
Si, eccoli. Pare che ho stuzzicato la loro curiosità. O almeno quella dei maschietti perché la bionda sta bisbigliando qualcosa nelle orecchie di Julian, ma, visto che la voce di sta’ tizia raggiunge anche i centoventi decibel*, si sente lontano un miglio quello che dice.

- Che cazzo ci facciamo qui, cicci?
  Mi sto annoiando! Andiamo a casa mia!
- Prima finiamo qua.
- Preferisci una fottuta moto ad un ora di sesso con me? Che cazzo!
- C’è tempo. Mo’ non rompere.

Mi scappa una mezza risata e devo mordermi la lingua per nascondere la mia ilarità.
Questa tizia mi fa quasi pena. Povera cocca, ha paura che la mia moto le rubi il fidanzatino.
Giro lo sguardo e mi accorgo che Mike-biondo-platino è accanto a me e ogni tanto mi lancia delle strane occhiate come se mi stesse valutando.
Ha gli occhi chiari, azzurri, quegli occhi che hanno tanto successo con le ragazze, specie quando il tizio in questione tira fuori un’aria da cucciolo bastonato*.
Eccola lì, la mia Honda.
Sia Mike-biondo-platino che Jules le si avvicinano. Le girano con la stessa lentezza con cui gli avvoltoi nel deserto aspettano che la preda stramazzi a terra.

“Guardate che non morde.”
“Jules, io ho provato a girare la chiave, si sono accese due spie, una gialla e una rossa, ma la moto non ha fatto una piega. Del motore neanche l’ombra. Un silenzio di tomba.”
“Ehi, bello guarda che non basta mica girare la chiave”

Uhm… Mike-biondo-platino sembra l’esperto qua in mezzo.
Muove un passo verso di me e mi tende la mano.
Ci metto appena qualche secondo a capire che vuole. La chiave.

“è già dentro genio.”

Ritira la mano, lentamente. Sembra che faccia tutto con la lentezza di un vecchio bacucco.
Va a risparmio energetico, tipo me quando mi preparo a fare una cosa che mi annoia da morire.
Questo un po’ mi irrita, ma pazienza.
Si mette di fianco alla Honda e gira la chiave. Ecco le due famose lucette che scintillano.
Poi va a regolare una specie di manopola sul manubrio e poi schiaccia il bottone quadrato, appena sotto.
La moto emette un ruggito roco, leggero, una specie di rumore di sottofondo e poi improvvisamente si spegne mentre una delle spie rosse lampeggia insistentemente fino a tornare grigia e morta, come prima.

“Mancano sia olio che benzina… Jules, controlli tu i freni?”
“Non c’è niente da controllare finché non rimediamo una vaschetta dell’olio, Mike. Bisogna prendere anche nuove pastiglie. Anteriori e posteriori. E forse dobbiamo anche sostituire il disco. È rigato…”

Magnifico.
Devo dire che è davvero un idillio sentire questi due che fanno le loro elucubrazioni sui freni e i pezzi di ricambio.
Forse una delle poche volte in vita mia, fino ad ora,  che mi sento un’ignorante.

“Aehm…dove li trovo questi pezzi? E quanto mi costano?”
“E che ne so. Mica sono il tuo meccanico di fiducia.”

Ecco la bionda che fa i salti di gioia. Sta gongolando come uno che ha appena vinto un milione di dollari alla lotteria.

“è stato bello conoscervi! Jules, andiamo!”
“Julian, non conosci qualcuno da cui posso comprare questi pezzi?”

Con la coda nell’occhio vedo Jasmine che sembra piuttosto delusa. Povera, tutti la ignorano.
Se gli sguardi potessero uccidere probabilmente lei avrebbe già soddisfatto i suoi istinti omicidi.
E nessuno avrebbe più il problema della moto. Nemmeno io.
Anzi, io non avrei più problemi di sorta.
Nel frattempo Jules Edwars si accarezza il pizzetto scuro e scuote la testa.

“Conosco un paio di officine, ma non so se procurano anche pezzi per moto. Probabilmente si. Mike?”
“Io ce l’ho un contatto. ”

Per la prima volta la figura di Mike-biondo-platino ha un senso.
Lo guardo un po’ meglio. Sembra un tipo a posto.
Uno di quei tipi riflessivi, che sanno farsi da parte quando è il momento.
Insomma la spalla perfetta. Solo che da solo, senza il leader non rende un granché.
Remissivo, chissà se sa tirare fuori un po’ di grinta al momento giusto?
Tipi così sono abbastanza imprevedibili. Ti aspetti il leone che dorme, poi quello si sveglia e so’ cazzi.

“Grandioso! Pensi di poter intercedere per me?”

Intercedere per me… mi sembra di star organizzando il mio ritorno al creatore.
Fai il bravo angioletto* e fammi andare in paradiso!  

“Ok, dammi il tuo numero. Ti chiamo non appena so qualcosa.”
“Te lo scrivo.”

Strappo un pezzo di cartone da uno degli scatoloni sul retro, appena dietro la Honda.
L’impresa è pescare una penna da qualche parte. Puntualmente quando ne hai bisogno sono lontane anni luce.
Trovo un pennarello blu sotto il mobiletto di truciolato, probabilmente lo stesso usato per contrassegnare ciascuna delle scatole: “stoviglie” “lenzuola” “romanzi” “saggi”  “enciclopedia“ “gialli vari”  “noir” “libri di scuola” ecc.

“Ce l’abbiamo fatta?”
“Ecco qui. Fammi sapere in fretta, abbiamo poco più di un mese.”
“Per cosa?”
“Cazzi miei. Ho fretta.”

Non glielo dico. Ci conosciamo da appena dieci minuti e già deve sapere tutto di me?
Non mi va.
Mike-biondo-platino scrolla le spalle come se la cosa non gli interessasse minimamente.
Grazie tante, ci sono già passata.

“Ci si vede”
“Aspetta Jules! Poi me la monti tu, vero?”
“Ti ho detto che non sono il tuo meccanico.”
“Please!”
“Ci penso ok? Magari vengo qualche volta con Mike.”
“Gott, Ich liebe dich!*”

Gli salto al collo e lo abbraccio come se fossimo amici da una vita.
Lo sento irrigidirsi mentre una raffica di sguardi perplessi ci investono.
Sciolgo in fretta l’abbraccio.
Jules è basito, il sopracciglio destro alzato e rimane fermo, quasi instupidito.
Embè, si scandalizzano per così poco?
Jasmine si fa avanti con la grazia di un elefante.

“RAZZA DI SCHIFOSA PUTTANA!!!  GIU LE MANI!!!”

Devo aver urtato la suscettibilità di qualcuno.
La bionda guadagna terreno fino al braccio del fidanzatino e comincia a trascinarlo verso il portello d’uscita del garage.
Lui è troppo scimunito e non si accorge che sta facendo una figura di merda grande quanto una casa.
Sembra un bambinetto che viene trascinato dalla mammina fuori dalla sala giochi perché è ora di tornare a casa.
Tutti quanti sembrano abbandonare la scena, mano a mano mentre Mike finalmente mi rivolge la parola.

“Virgin, che cazzo fai?”
“Shhhhhh.”

Dopo un po’ sento il motore del furgoncino formato famiglia che parte a tutta birra mentre la bionda strepita contro  “quella zoccola, come si è permessa quella puttanella, fa tanto l’innocentina ma in realtà è una troia fatta e finita”.

“Vig…
Ehi, Vig…
VIG!?!”
“Che c’è?”
“Che cazzo hai fatto!”
“Ma tuo fratello dove le trova? Gliele vendono al supermarket con il prendi 3 paghi due?”

Mike alza gli occhi al cielo e io scoppio a ridere come non mi capitava da mesi.

***************************

“Buongiorno Mrs. Carson!”

Saluto in coro di tutta la classe mentre la strega entra in classe e posa la sua borsa da palestra sulla cattedra.  Almeno, visto che sei un’insegnante in tailleur, già che ci sei, procurati una borsa decente.

“I vostri test sono abbastanza nella media. Non ho di cui lamentarmi e così anche gli altri docenti.”

Fra le tante fortune che dovevano capitarmi ci mancava una stronza che oltre a renderci la vita un inferno è anche la coordinatrice del nostro corso.
In teoria, se ho qualche problema con qualcuno, insegnante o alunno che sia, dovrei rivolgermi a lei.
Peccato che io abbia un problema con lei.

“Tranne alcuni.”

C’è sempre un però.
Accanto a me, Armstrong si passa una mano fra i capelli: sono talmente appiccicati in testa che a malapena si scollano e il poveretto è costretto a usare entrambe le mani per sistemare meglio il ciuffo.
Visto che era in vena di cambiamenti si è schiarito le punte che adesso sono di un biondiccio rivoltante.
 
“In particolare quello della signorina Numba e del signor Armstrong.
Si da il caso che in nessuna delle materie abbiano ottenuto risultati positivi. ”

Guardo Malika. Da giorni viene a scuola con due occhiaie che sembrano due fossi.
Non pensavo che avrei mai visto una nera pallida.
È abbastanza impressionante, da una sensazione di malaticcio, di olivastro e di smagrito che mi fa accapponare la pelle.
L’ultima volta mi sono seduta in mensa vicino a lei mi ha raccontato che le cose fra la madre e il padre andavano davvero da schifo. Lui la tradiva con un’altra che aveva conosciuto sul lavoro.
In più il fratellino stava male; leucemia, credo.
Ma come si fa a lasciare soli la propria consorte quando vedi che tuo figlio sta veramente male e tua figlia soffre un casino tanto da prendere F a tutti i test.
Ho notato anche che ha fatto un sacco di assenze.

“Invece ho potuto valutare che i test migliori sono quelli della signorina Foster e del signor Edwards.”

Hai dovuto cedere, alla fine. Tutto il mondo si è accorto che sono da A.
Solo tu fai queste scene per principio. Ridicolo.

“Quindi, per migliorare la situazione della classe, vorrei applicare un metodo che mi è già riuscito sia alla Talented and Gifted di Dallas, sia alla Science and Engineering Magnet*”

Si, certo.
Il primo anno ti avranno anche tenuta ad infestare i loro corridoi poi, quando si sono accorti quanto valevi ti hanno gentilmente rimosso dall’incarico.
Tant’è vero che adesso sei in una delle scuole più sconosciute d’America ed è solo per queste quattro referenze che ti trattano da prima donna*.

“Vorrei che gli studenti migliori seguissero e aiutassero a migliorare i più scarsi.
A questo proposito, Ms, Foster, lei potrebbe seguire Ms. Numba e…”
“Mrs. Carson”

è la voce di Malika. Di solito è fioca come il miagolio di un gattino di pochi mesi ma proprio oggi la strega non la può ignorare.
Ma che fa? Si vuole scavare la fossa pure lei, con le sue mani?
Beh, così magari cambierò compagno di banco.
Non ne posso più di quel coglione di Armstrong.
In più, da quando ho ordinato i Burritos al Red’s, lui, ogni tanto, richiama la mia attenzione, strabuzzando gli occhi, arriccia il naso sventolando la mano e mi fa
“tu non senti puzza di merda? ”.  Poi, con gli occhi rigorosamente a palla, aggiunge mezzo schifato “mica hai mangiato fagioli arrostiti a colazione?”.
A parte ignorarlo e mandarlo a fanculo non so che altro fare.

“Ms Numba, stavo parlando. Come si permette di interrompermi?”
“Mrs. Carson,  io parto…per casa mia. in Africa.”
“Questi sono affari suoi, Ms Numba. Mi faccia finire altrimenti la mando fuori.”
“No, volevo dire che non ci sarò più in questa scuola. Quindi non serve la signorina Foster…”

Incrocio il suo sguardo. È afflitto.  Cristo, a questo siamo arrivati?

- Che è successo?
- Te lo spiego dopo.
- Sicura di stare bene?
- D-O-P-O

“Basta bisbigliare!
Ms Numba, le auguro un felice ritorno e le auguro di riuscire meglio a casa sua di quanto non abbia fatto qui.
Dicevo…
A questo punto, Ms Foster, lei seguirà Mr. Armstrong.
Vorrei che mi tenesse aggiornata sui suoi progressi, sugli argomenti recuperati e, alla fine di ogni trimestre vorrei che mi presentasse una piccola tesi su un argomento che ha particolarmente interessato il signor Armstrong.”

Ma questa è impazzita?
Punto uno: i coglioni non possono fare progressi. Altrimenti non sarebbero colgioni.
Punto due: in pratica devo fargli da baby-sitter e urlare dalla mattina alla sera “fai i compiti a casa, altrimenti a letto senza cena!”
Punto tre: un argomento che interessi Armstrong?  Uno così non è interessato ad un bel niente!
Uno testa bacata è, una testa bacata rimane. Punto.

“Mrs Carson, ma come faccio a seguirlo?  Praticamente… dovrei stargli con il fiato sul collo ventiquattro ore su ventiquattro!
Mi scusi, ma non si organizzano i corsi di recupero quest’anno?”
“Gestisco io i corsi di recupero quest’anno, Ms Foster.
E li sto organizzando.
Ora se mi lascia continuare…”

Da qui non sento più niente.
Dovrò perdere i miei pomeriggi a seguire uno scansafatiche che chiaramente non ha nessuna intenzione di mettersi a studiare né di provarci.
Mi alzo e chiedo il permesso per andare in bagno, dietro di me Armstrong scrolla le spalle e sbadiglia come se la cosa non lo riguardasse minimamente.

“Ms Foster! Prima che scompaia chissà dove, voglio informarla che fra due settimane ci sarà un altro test per quelli che devono riparare. Voglio darle un’altra possibilità, quindi aiuti il signor Armstrong a prepararsi per allora. E stavolta sia un po’ più originale nell’analisi. Mi aspetto il meglio.”

Anche le scadenze adesso.

“Ci conti”

*************************



Note

* Insegnante di latino di Virginia al Gymnasium

* Ho un amico che frequenta una scuola tedesca a cui vengono assegnati una serie di vocaboli latini da imparare a memoria per tradurre all’impronta...ed è moooooolto meno dipendente dal vocabolario di me!  (W il Castiglioni-Mariotti!)

* Non conosco i programmi scolastici americani e non ne trovo traccia quindi ho supposto che, all’inizio dell’ultimo anno, Vig studi più o meno quello che facciamo noi, cioè il romanticismo, in particolare quello americano che si manifesta con il romanzo dopo l’indipendenza americana. ( vd. La rinascenza trascendentalista 1835-1865)  

* Il nostro esame di maturità equivale, negli USA,  al “high school graduation examination” in cui non esistono gli orali (così come durante l’anno non esistono le interrogazioni) ma solo degli scritti, spesso test a risposta multipla e poi una tesina con collegamenti interdisciplinari, scritta. FONTE

* Per Josh Foster ho scelto una Honda CBX 1000 tipicamente anni 70’ (classe 1978)

* Per l’accensione della moto mi sono servita di questo video  * parte l’inno a Youtube*

* “Hang on” : Videogioco moto racing  anni 80’ 

* Acconciatura anni 80’, un po’ afrostyle IMG  


* ANACRONISMO: dubito che in America conoscano la famosa leggenda delle Oche del Campidoglio ma sicuramente avranno un’espressione analoga.

* 120 decibel è approssimativamente il volume della musica nelle discoteche (FONTI: Wiki e Yahoo Answear)

* Quella del gatto con gli stivali di Shreck 2, per intenderci xD

* Angelo viene dal greco [ἄγγελος, ánghelos] e all’origine significava “messaggero” (Wiki) . Notare il gioco di parole xD

* GLOSSARIO:  Gott, Ich liebe dich!: Dio, ti adoro! , con la stessa funzione dell’ “I love you” inglese   

* Secondo una lista che ho scovato su questo sito, Newsweek, una specie di giornale informatico queste due sarebbero ai primi posti nella classifica delle migliori High School Americane.

* ANACRONISMO: anche quest’espressione italiana avrà sicuramente un analogo inglese.
 Beato chi lo conosce da madrelingua Z.z
 
Ringraziamenti

EsterJoe e Talluchan, per averla inserita nelle seguite.




Angolo dell’autrice


Accidenti,  ho fatto prima di quanto immaginassi!
Ci ho lavorato per tre giorni e in particolare stanotte ho fatto tutta una tirata.
Ormai con l’estate arriva l’insonnia e con l’insonnia…questo, ecco xD
Bene, sono contenta di essere arrivata al punto. 
Finalemente Vig e BJ avranno l’occasione di conoscersi veramente.
Vorrei scusarmi con tutte voi (vi ricordo che ormai mi rivolgo al femminile, tanto siamo la maggioranza yeah!) per come ho trattato la figura di Mike.
Diciamo che questo fatto mi ha tormentato per ore e davvero non sapevo come dipingerlo.
Ho letto altre fic per vedere come altre avevano affrontato questa patata bollente ma, il più delle volte, le uniche a caratterizzare Mike veramente erano le Slash, le Lemon introspettive con pagine e pagine di tormenti interiori, di come Dirnt si sente tradito perché BJ sta con la moglie, con un’amante, con Tre ecc.
Insomma non erano molto utili allo scopo, quindi se dovesse risultarvi OOC fatemelo sapere anche se questa è l’unica idea che sono riuscita a farmi di lui, dalle interviste che ho letto e visto su Youtube e altro.
Solo adesso ho notato che tutte le ragazze al di fuori di Virgin e Malika sono davvero delle ochette insopportabili. Mi spiace, sappiate che non sono misogina, non odio il mio stesso sesso e non penso che il mondo sia in balia della chiattillagine xD
 (da notare un particolare, un chiattillo può ascoltare anche heavy metal e vestirsi con il giubbotto di pelle e la maglietta dei Led Zeppelin, ma si capisce dal comportamento che si atteggia e non è esattamente sincero anche se in buona fede. E con questo non voglio discriminare nessuno, ma parto dal presupposto che, a parte i GD,  ascoltiate rock…capiamoci xD )
Quando potrò cercherò di redimere la figura femminile…fino ad allora tenetevi questo capitolo, fatemi sapere se vi piace e lasciatemi andare a letto, và!
Alla prossima,

Misa

p.s  Non sapete quante ricerche ho fatto sulle moto per scrivere quelle quattro stronzate, non vi segnalo tutti i link anche perché nessuno li andrebbe ad aprire tutti. Forum e siti di tutti i tipi….buonanotte!

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Capitolo 5
*** Ottobre: strazi e rivelazioni ***



Ottobre
Strazi e rivelazioni


Alla fine non sono riuscita a scoprire il perché della partenza di Malika.
Quel giorno non mi ha aspettato per l’intervallo, a pranzo non c’era e solo il giorno dopo ho scoperto che aveva presentato una lettera di rinuncia agli studi.
Pensavo che a diciassette anni non si potesse lasciare la scuola ma a quanto pare aveva anche una delega di trasferimento.
Da brava stupida,  ho fatto passare almeno cinque giorni prima di decidermi a chiedere in segreteria il suo indirizzo.
Domani la vado a trovare.
Voglio almeno salutarla, augurarle buon viaggio; specie se ha deciso di tornare in Africa, non so come se la caverà, veramente.
Ne so poco dell’Africa e quel poco che so mi terrorizza.
Insomma, io non potrei mai vivere in uno stato come il Sierra Leone o la Costa d’Avorio o il Senegal con la fame, la guerra, la povertà…
L’unico posto ragionevole sarebbe il Sudafrica ma il sistema dell’apartheid mi ripugna.
Non so neppure lei di dove sia.
È strano come per noi qui, in America, o in Europa, l’Africa sia tutta uguale.
Già che c’ero ho preso anche l’indirizzo di Armstrong, visto che in questi giorni non si è fatto vedere.
D’altra parte non credo che abbia intenzione di ricevermi a casa, figuriamoci venire lui a casa mia.
Non prenderebbe mai l’iniziativa e anche io vorrei mandare tutto al diavolo.
Se non interessa a lui perché dovrebbe interessare a me!?

“Meine liebe, kannst du, bitte, den Tisch decken?* ”
“Gewiss doch*”
“Ehi, vipere che state mormorando in germanische, ja woll?!”
“Niente Frank, ho solo detto a Vig di avvelenare il tuo boccale di birra serale”
“Oh, quoque tu, Aprile*, cara mia.  ”
“Allora non ti sei trasformato in un asino lavorando nei forni eh?”
“Ehi cocca, il fatto che io abbia fatto il pizzaiolo invece che il latinista non significa che ho dimenticato tutto quel poco che abbiamo passato al liceo. Anzi! Potrei mettermi a fare il latinista quando voglio!”
“Uhm…certo, certo dicono tutti così! Proemio dell’Eneide? ”
“Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris, Italiam fato profugus Laviniaque venit litora…*”
“Cicerone, prima catilinaria!”
“Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet*?”

Mio dio, quando fanno così non li sopporto. Si beccano come due fidanzatini.
Mamma in questi ultimi mesi è stata davvero strana.
Non ha fatto altro che ridacchiare con Frank, giocando a chi dice la cosa più stupida.  
Ha riempito la casa di croccantini per gatti, tanto che Kelly ha messo su almeno tre chili, ha comprato a Dominick un videogioco e un paio di Levi’s, e nell’ultimo week-end ci ha portati tutti a cinema con l’espressione da “famigliola felice” stampata in faccia.
Ogni sera, verso le nove,  telefona a papà che continua a venire raramente, forse perché non ha la forza di farsi sei ore e mezza di macchina da Los Angeles.
Eppure adesso siamo molto più vicini, e lui aveva promesso che sarebbe venuto a trovarmi più spesso, specie all’inizio della scuola.
Quanto alle telefonate sono brevi e piene di raccomandazioni.
E poi scompare dalla nostra vita, almeno fino alle nove della sera dopo.

Squilla il telefono.
Chi sarà a quest’ora?
Di solito  lo stacchiamo perché non vogliamo seccature e tutti quelli che ci conoscono lo sanno; non si sognerebbero mai di chiamare all’ora di cena.
Mia madre risponde, ancora ridacchiando:

“Pronto, qui casa Foster.
Buonasera, piacere mio.
Virginia?  Mi scusi ma lei chi è?
Oh, capisco.
Un attimo che gliela passo.
Si, altrettanto. Grazie.
Arrivederla.
Vig, c’è qua un signore che vuole parlarti.”

Che?
Mamma deve vedere la mia faccia allucinata perché scrolla le spalle e mi sorride, divertita.

“Tesoro, il padre di un tuo compagno di classe. Sbrigati su.”

Prendo in mano la cornetta con un pessimo presentimento che mi ronza in testa come una zanzara fastidiosa.  
Il padre di Mike? Mamma l’avrebbe riconosciuto.
Il padre di Sab o di Meggy? E perché dovrebbe chiamarmi?
Il padre di…Malika? Ma che dico! Sto dando i numeri!

“Pronto. Chi parla?”
“Sono il padre di Billie Joe. Sei Virginia?”
“Come scusi?”
“Sei Virginia Foster?”
“Si, sono io.”
“Ho ricevuto una lettera di Mrs Carson, la vostra insegnante di inglese. Diceva che per il recupero di Billie dovevo rivolgermi a te.”
“Ehm…magari posso parlarne direttamente con lui, domani…o anche ora, insomma…”
“Guarda, in questo momento non c’è e non vorrei aspettare.
Potete incontrarvi lunedì, verso le quattro,  al **** di ***** Street* ? Per te va bene o è troppo presto?”
“Aehm…non possiamo fare quattro e mezza?”
“Va bene, quattro e mezza. Allora a domani, Virginia.”
“Va b-bene, uhm…buona sera.”

Oddio.
Domani, dopo scuola, devo correre prima a casa di Malika, perché lei parte domani alle sette, e poi a casa di Armstrong.
Non ci posso credere. Ho la sensazione che il mondo mi stia cadendo addosso.
Non ho preparato niente per un corso di recupero! Non ho fatto una lista degli argomenti.
Devo recuperare quei pochi appunti che ho preso in classe che sono sparpagliati per la camera, chissà dove.
Non sono una particolarmente ordinata, specie quando ho altro per la testa.
Per almeno due settimane ho dormito con gli appunti sparsi sul pavimento, i calzini e le magliette appallottolate e dimenticate sotto il letto, così come i miei pupazzi, e, sul comodino, due o tre bicchieri di carta sporchi di caffè, un thermos per il tea e la tazza, con le foglie ancora sul fondo.
Per non parlare delle briciole.  Sembrava una casa per studenti in cui non si organizzavano i turni per le pulizie da secoli.

“Virginia, che è successo? Che voleva quel tizio?”
“Cosa?”
“Che voleva quello a telefono?”
“è il padre di un mio compagno.”
“Ho capito ma…”
“Voleva che aiutassi suo figlio in inglese.”
“Ah. Ma non si organizzano i corsi di recupero?”
“Lascia perdere, mamma.”

Mi lascio cadere sul divano.
Dio, mi è passata la fame. Che rottura di coglioni.
Mi alzo subito dopo e vado verso la scala.
Devo organizzare qualcosa per domani; non posso mica presentarmi così?
Chissà se lui ha mai aperto un libro? Devo fargli fare anche qualche cenno sul programma dell’anno scorso?
Come può capire il romanzo di Irving oppure Poe se non sa neppure chi sia Brown*?
Dove ho messo quelle schede su Brown che mi ha dato la Carson all’inizio dell’anno?
Se non le trovo dovrò sperare che lui abbia il libro dell’anno scorso, se non lo ha riconsegnato alla prof*.

“Vig! Dove vai!? Stiamo aspettando te per mangiare!”
”Mamma, non ho fame. Vado a dormine.”
“Assolutamente no, signorina. Tu mangi troppo poco, sei magra come un’acciuga e io mi preoccupo!”
“Mamma, non lo hai mai fatto. Sono nata così! Non sono mica denutrita!”
“Amore, Frank ti trova pallida”

Oh, ma questa è scema. E che diavolo centra Frank in tutto questo!
Sono affari miei quanto mangio, quando mangio, dove, come, con chi ecc.
Mamma non mi ha mai fatto storie per queste scemenze.
E adesso, tutt’ad un tratto, fa la piantagrane?

“E chi se ne frega di quello che dice Frank!”
“Virginia, per piacere, non rispondere così e vieni a tavola.”
“Mamma, ti prego, sto morendo di sonno. Ti giuro che non ho fame, ho anche fatto merenda piuttosto tardi e ho i biscotti sullo stomaco.”
“Ti da fastidio lo stomaco?”

Ecco, magari così me ne libero.

“Si, mamma, ho bisogno di stendermi. Fammi andare a letto.”
“Ach so, meine liebe, gute nacht*”

Era ora.  
Che strazio.

******************************


Oggi la scuola sembrava non finire più.
 Se penso che mi aspetta un pomeriggio simile, mi deprimo.
Anche perché ho portato anche la cartellina degli appunti, con un vecchio libro di letteratura e storia anglo-americana che ho usato per prepararmi per il test.
Risale ai tempi di mia madre, è tutto scritto, pieno di appunti al margine, che occupano tutto lo spazio possibile tanto che mi sono adattata ad annotare tutto a parte, su dei foglietti, messi in punti strategici.
Vabbè, lasciamo stare.  Fatto sta, che adesso il mio fedele Eastpack pesa un casino.
 A proposito di mamma…
Non le ho detto niente di oggi.
Non le ho detto che sto cercando casa di Malika nel posto più desolato di Berkley, tre quartieri più a nord del nostro, né che vado a casa del mio sconosciuto compagno di banco.
Sono seduta in un piccolo pullmanino sgangherato che hanno il coraggio di chiamare autobus.
Probabilmente non mi avrebbe mai fatto andare da sola. O forse si, ma io non voglio correre il rischio.
Davanti a me è seduta una vecchietta che sta facendo le ragnatele.
Non so quando sia salita ma è seduta lì da più di venti fermate, con la testa abbandonata in avanti e la bocca semiaperta, e ogni tanto si lecca le labbra, cercando di non sbavare sul sedile.
è comico osservarla. Ho la sensazione che…. no… lo sapevo!
Sta dormendo! A questo punto avrà perso la fermata!
Accidenti, mi fa pena.

“Signora!”
“Auhm…roooonf…”
“Signora! Si svegli!”
“Uaaaahm…zzzzz…snort”
“SIGNORA!”
“Ah! Eh?! Chi? Che?!”

Finalmente! Ormai mezzo pullman mi sta guardando, decisamente incuriosito e un po’ sorpreso.
E la signora mi fissa come se fossi parte dei suoi sogni strampalati…o dei suoi incubi, non so.

“Mi scusi, signora, ma si era addormentata”
“Che?! Mi hanno derubata?!?!”
“No, dicevo che si era addormentata!”
“Cooosa?!?! Ti hanno malmenata?!??!”
“SI ERA A-D-D-O-R-M-E-N-T-A-T-A!!!”
“Aaaaah, cara ragazza, grazie, cara! ”

La signora si sporge contro il finestrino e sbatte la testa contro il vetro.
Sembra un incrocio fra un gattino e un rettile*.
Mi sporgo anche io per vedere a che punto siamo. Fra tre fermate devo scendere.
Speriamo che questa tizia non si metta a chiacchierare.

“Ma cara, dove siamo?”
“Aehm, siamo in California Street, all’altezza di Trigder Road.”
“Tigre, cara? Quale tigre? Qua non ci sono tigri. Non siamo mica in Malesia.”
“T-R-I-G-D-E-R   R-O-A-D”
“Ma cara, il pullman non passa per di là! Devi esserti sbagliata!”

Dio, che nervi questa tizia. Sembra davvero stonata come una campana.
Con mio grande disappunto la vecchietta si rivolge ad un tipo che stava seduto esattamente dietro di noi, con una lunga barba nera, cespugliosa e un espressione tanto seria da incutere rispetto e timore.

“Scusi signore, sa dirmi dove siamo?”
“California Street, all’altezza di Trigder Road “
“Oh, grazie mille, giovanotto.
Vedi cara? California Street, Trigder Road! Bambina! Mica ti eri persa?
Stavi pensando alle tigri e a Sandokan*? Oh, che bel cartone quello!
 Lo facevo vedere ai miei nipoti, qualche anno fa, quando abitavamo ancora a Cambridge.
Perché, bambina, io ho sempre vissuto qua, fino ai miei ventitre anni, poi ho sposato quella buon’anima di mio marito, Philips, e mi sono trasferita con lui a Cambridge e poi…blablabla…e siamo tornati nel…blablablabla… ”

Ecco, lo sapevo. E adesso chi la ferma più,
Si è messa a raccontarmi la storia della sua vita ma io non ho nessuna intenzione di ascoltare.
Innanzitutto non capisco se davvero era sorda o ha fatto finta di non sentirmi prima, quando le ho dato le indicazioni.
Eppure la voce del tizio barbuto era pure più grave e masticata della mia!
Modestamente, ho una voce bella limpida, e molte volte mi hanno fatto i complimenti perché scandivo bene le parole.
Insomma che diamine ha questa matta di una nonnina?
Speriamo che non si faccia accompagnare fin sotto casa.

“Blablabla…e quindi quando nacque Mary Jane…blablablabla…insomma, cara, capisci che roba? Se ne è andato di casa tre giorni dopo il parto e non è più tornato! Uomo degenere! Io ringrazio sempre il Signore di essermene liberata, certo, però…a quel modo…”
“Mi scusi, signora! Ma questa è la mia fermata! Devo scendere!”
“Ooooh, che fermata è?”
“L-A- T-E-R-Z-A!”
“Oh, è la mia. Ti accompagno io, cara. Potresti perderti. Vedi, qua non siamo mica in Malesia.
 Ma cara, non c’è bisogno di urlare, ci sento benissimo!”

Perfetto.
Lo sapevo che alla fine mi toccava accompagnarla.
Salto già dal pullman e poi tendo la mano alla signora, per aiutarla a scendere.
Speriamo che non abiti troppo lontano…anzi basta con questi “speriamo”!!!
Mi hanno già creato un sacco di guai!

“Piccolina, quanti anni hai? E come ti chiami, eh?”
“Mi chiamo VIRGINIA  e ho DICIASSETTE anni”
“Oh, Virginia. Scusami, dicevi? Mi sono distratta, quanti anni hai detto che hai? Quattordici? Quindici?”
“DICIASSETTE!”
“Oh, cara, sicura? Mica sei di nuovo con la testa fra le nuvole? A me sembri più piccolina! Così magra, caruccia, hai fame?”

Questa tipa mi ha rotto le scatole.
Affretto il passo. Ok, così non la agevolo di certo ma ho bisogno di sfogarmi:
Odio le persone irritanti e quelle sarcastiche, quindi, alle volte, anche me stessa, ma che ci posso fare?

“Rallenta, cara, non ti seguo bene…”
“Signora, conosce casa Numba? Dovrebbe essere su questa strada.”
“Uhm…Numba…la mia vicina! Anche lei una cara ragazza, sembra una scolaretta ma in realtà ha sei femmine e tre maschietti. Due maschietti sono piccolini, uno è malato, povero ciccino. E il più grande è rimasto in Sudan con altre tre figlie…”
“Si, esatto, loro. Siete vicini di casa?”
“è pochi metri più avanti! Pensa che quando si traferirono…blablabla…”

Grazie al cielo siamo a pochi passi dalla porta di una casa anonima, in cartongesso e mattoncini, grigiastra e dannatamente campagnola. Non troverò mai un condominio qui, a Berkley, mi ci posso giocare due dita della destra.

“Signora, è stato un piacere!
“Tesoruccio, torna a trovarmi qualche volta!”
“Aehm…certo! Arrivederla!”

Fuggo prima che la nonnina possa ripensarci e chiedere se può accompagnarmi a fare visita ai Numba.
E quando mi grida un po’ stridula “Cara, aspettami! È tanto tempo che non vedo i signori N…” io faccio finta di non sentire e affretto il passo.

******************************

Busso davanti alla porta di casa Numba.
Il loro giardino è nel caos più totale. Giocattoli per bambinetti dai cinque ai tredici anni, la pompa ad acqua che emerge dalla foresta dei cespugli che non vengono potati da un secolo. L’erba è alta, ci sono un paio di timidi alberelli che stanno soffocando sotto la stretta delle edere, parassite per natura, che hanno prosperato selvagge e indisturbate.
Mi apre una signora nera, due occhi scuri e profondissimi, di una bellezza sciupata, con gli occhi rossi e stanchi, in magliettona, pantaloncini e  grembiule e con uno chignon di ricci afro neri.

“Buongiorno. Sono Virginia Foster. C’è Malika?”
“Como scussa*?”
“Malika. C’è Malika?”

La donna non sembra ben capire cosa dico.  Si guarda intorno, afflitta e alza le mani, in segno di attesa.
Poi si rinfila dentro, come un animale che si ritira nella sua tana, spaventato.
Non oso guardare dentro. Non voglio sembrare una ficcanaso.
Dall’esterno si vede davvero poco, l’ingresso deve essere senza finestre perché è abbastanza buio.
Rosso. Vedo qualcosa di rosso. Forse la carta da parati.
 Se è davvero così allora è un pugno nell’occhio!
Dalla porta si affacciano un paio di testine ricciolute, piene di treccine e perline che mi osservano così intensamente da mettermi in imbarazzo.
Dimenticavo quanto sono delicati i bambini in questi frangenti…
Finalmente vedo Malika sulla soglia della porta.

“Ciao Malika!”
“Ciao”

La conversazione langue e le occhiate imbarazzanti continuano.
Accidenti, potevo portare un fiore, un dolcetto o un pensiero dall’America.
In fondo stanno per partire, che diamine…

“Io ho detto alla Carson che non serve che tu vieni, perché io torno a casa mia.”
“Oh, ma io sono venuta solo a salutarti. Volevo sapere come andava, se avevi voglia di raccontarmi cos’è successo…”
“Perché ti importa?”

Questa sua domanda mi spiazza. È fredda, gelida e sospettosa.
Sento le guance che avvampano; mi sto facendo rossa, non so se per l’imbarazzo o cosa.
Cresce anche l’indignazione. Io mi preoccupo per lei e quella che fa?
Mi tratta così?!

“Malika, non lo so se ti vedrò mai più. Una volta abbiamo parlato, mi hai raccontato tutto.
Credevo che avessi cominciato a fidarti di me. Io ero e sono tutt’ora sinceramente preoccupata per quello che è successo alla tua famiglia e voglio starti vicino, consolarti…
Vorrei che, una volta partita, tu ti ricordi che, qui a Berkley, hai potuto contare su un’amica, specie quando ne avevi più bisogno!”
“MA IO SONO STUFA! STUFA DI STARE IN QUESTO PAESE DI MERDA!
DOVE TUTTI TRATTANO DI MERDA,  DOVE NESSUNO è FIDATO, NESSUNO è AMICO!”

Oh mein Gott.
Sta piangendo.
Lacrime di rabbia.

“MALEDETTO IL GIORNO CHE SIAMO VENUTI QUI! BRUTTO STRONZO DI MIO PADRE. DEVE CREPARE!!!”

La abbraccio.
Lei versa tutte le sue lacrime sulla mia spalla; mi bagna la camicia dell’uniforme che diventa trasparente. Machissenefrega…
Sta singhiozzando talmente forte che ho paura che le manghi l’aria prima o poi.
Le teste che prima si sporgevano fissandomi sfacciatamente sono scomparse, con discrezione e in silenzio.
Non so che fare. Non la conosco abbastanza. Alla fine perché sono andata a salutarla?

“Shshshshshshshshsh…calmati, respira…”

Perché si.
Perché aveva bisogno di questo sfogo e non c’è niente di meglio che piangere sulla spalla di una persona amica.

“Io vollio tornale a caaaasssaaaa! Ma ho paura per mio fratello! Che se non troviamo uno buono dottore lui muore!”
“Shsh…Malika…guardami…Malika…va bene?
Sicuramente esistono ottimi dottori, gente in gamba che vedrà tuo fratello, anche se so che l’Africa non è un posto all’avanguardia, però adesso devi tranquillizzarti, aiutare il tuo fratellino a sorridere.
Se non lo fai tu, allora chi?”

 Mi sento un’idiota.
Ho paura che pensi che sto sparando solo baggianate, come dice il protocollo della conversazione modello.
E invece è l’unica cosa che penso e spero anche io per lei.
Pian piano si stacca da me e tira su con il naso, asciugandosi la faccia con il dorso della mano.

“Quel figlio di puttana di mio padre ha lasciato noi e adesso noi non possiamo stare qui da soli.
Mamma non parla una parola di inglese, capisce a malapena. E poi è sola, non c’è nessuno di famiglia ad aiutarci, né la nonna, né il nonno. Tutti in Sudan.”
“Allora torna a casa per affrontare questa cosa con la tua famiglia. E adesso fammi un bel sorriso, che le lacrime ti imbruttiscono!”
“Io…Grazie, Virginia, io adesso ricorderò sempre. Tu anche?”
“Io anche. Mi scriverai?”
“La posta non funziona molto. Io proverò.”
“Va bene. Il mio indirizzo ce l’hai?”

Scuote la testa.
Glielo annoto su un pezzetto di carta che lei si mette in tasca.
Rimaniamo a guardarci mentre i suoi occhi scuri riprendono quell’aria seria e indagatoria.

“Allora, buona vita qui in America- Se ti piace, rimani. Ma io odio questo posto.”
“Buon viaggio, Malika. Vedrai che tutto si sistemerà…anche io preferivo Berlino, ma pazienza!”

Finalmente mi fa un timido sorriso e sventola la mano in segno di saluto.
è contenta che io sia venuta.
Quanto sono contenta io, di essere venuta.
Meno male che le è tornato il sorriso.

Adesso dove prendo l’autobus?
Vediamo il prossimo passa alle…oddio!
Sono le quattro e mezza!!!
Sono le quattro e mezza e io sono ancora a quattro isolati da qui, con venti fermate che precedono la mia!
Arriverò in ritardo a casa di Armstrong.
Scheiße *!

********************************

Alle cinque e un quarto busso finalmente alla porta di casa Armstrong.
Sono in ritardo di tre quarti d’ora. Cazzo, e quelli mi staranno aspettando lì tutti fiduciosi!
 Chissà cosa avranno pensato. Forse che gli davo buca…
Nessuno viene ad aprire.
Può darsi che non mi hanno sentito.
Busso di nuovo, stavolta più a lungo, tanto che il campanello risuona anche oltre la porta di casa.

“Chi cazzo è a quest’or…?”

Mi trovo davanti un trentacinquenne o poco più grande che mi guarda malissimo come se avessi interrotto qualcosa di molto, molto importante.

“E tu chi sei? ”
“Aehm…sono Virginia Foster. C’è…uhm… Billie Joe?”
“Non c’è.”

Non è possibile.
Va bene, sono arrivata in ritardo di tre quarti d’ora, ma non può avermi mollato così, senza avvertirmi.

“Io…avevo un appuntamento alle quattro e mezza con Billie Joe. Dovevamo studiare insieme. È uscito da molto?”
“Studiare insieme, eh? Non è ancora rientrato, da stamattina.”

Che fastidio! Perché mi guarda in quel modo? Non mi crede?! Si facesse gli affari suoi questo idiota sulla porta.
Idiota e maleducato! Non mi ha nemmeno fatto accomodare a casa, come si usa fra persone civili.
Io sono in giro da stamattina e che cazzo!
No, aspetta…
DA STAMATTINA?!?!?!?
Mi ha appeso!
Semplicemente non ha intenzione nemmeno di presentarsi a casa sua!
Intanto il tipo sulla porta sembra essersi spazientito e sembra sul punto di cacciarmi via quando sentiamo entrambi un rumore di passi, sul cotto dell’ingresso.
Compare un ometto attempato, cinquanta anni abbondanti o anche di più, in babbucce e con una vecchia vestaglia a righe. Orribile.
Ha qualche capello bianco di qua e di là ma per il resto mantiene il suo castano un po’ innaturale.
Insomma ha l’aria di quello che deve rifarsi la tintura, che i capelli bianchi sono ricresciuti.
Ha un’aria assonnata, il viso gonfio e gli occhi rossi.
Mi sa che l’ho svegliato.
Mein Gott…

“Sei Virginia?”
“Si, sono io. Lei è il signor Armstrong?”
“Diciamo di si. Ma vieni, entra pure.
Alan, tu stai andando?”
“Si, Tim*, ci rivediamo la settimana prossima.”
“Ok, Ciao.
Vieni, Virginia.”
Non so se Billie Joe è in casa...”
“Aehm, mi ha detto il suo amico che non c’è.”
“Alan è mio figlio adottivo.”

Quel maleducato musone mezzo debosciato? Ma ha quasi quarant’anni!
Attraversiamo l’ingresso e ci andiamo a sedere in soggiorno.
Fino ad adesso niente di straordinario. La casa è un po’ sullo stile della mia, con un gusto meno orrido e meno floreale cosa di cui ringrazio mezzo mondo, Dio, o chi volete voi.
Tiro fuori una risatina nervosa, anche perché mi pare talmente strano…
faccio fatica ad assecondare la gente e mi sento a disagio per cui ridacchio e così faccio la figura della cretina.

“Strano davvero! E…quando torna Billie Joe di solito?”
“Di solito, verso le due di notte. Ma dipende dalle serate al Red’s.”
“Ah, giusto, dimenticavo che lavora lì.”
“Tsk, non è mica solo lavoro. Il turno finisce a mezzanotte per lui e a l’una per mia moglie.”
“Ah…e poi cosa fa?”
“Questo lo sa solo lui.”

Silenzio.
Non sappiamo che dirci.
Imbarazzo.
Adesso mi chiederà cosa stiamo studiando a scuola, tanto per non rimanere a guardarci, come pesci lessi.

“A che punto siete arrivati con il programma di inglese?”

Ecco appunto.

DLIIIN.
La porta mi ha salvato.
Bene, magari è lui che ha fatto tardi. Adesso mi sento meno in colpa e più tranquilla.
Certo, sarei voluta arrivare più tardi così da non trovarmi davanti una specie di cane da guardia alla porta e un orso che è stato costretto ad uscire dal suo letargo.
 Oddio, considerare quell’omino un orso vuol dire stimare Berkley una novella New York.
Tim va ad aprire e c’è un attimo di tensione fra padre e figlio.
Magnifico, ha anche litigato con i genitori.
Complimenti, Armstrong, sei il prototipo dell’adolescente ribelle.
Dopodiché il figlio supera il padre, velocemente, infilandosi in casa e andando verso le scale che portano al piano di sopra.

“C’è Mike? Dobbiamo provare.”

Provare cosa?
Il padre non gradisce e lo insegue a passi veloci e roboanti.

“Billie, oggi niente prove. Devi studiare. C’è qui Virginia Foster che ti aiuterà”
“Non me ne fotte un cazzo. Stamattina abbiamo incontrato Lawrence Livermore della Lookout!*, fra un paio di giorni dobbiamo registrare. Non ho tempo per studiare.”
“Ciao, Armstrong”

Bene, visto che si sta parlando anche di me,  qua dentro, mi metto in mezzo io.
Lui sta in prossimità delle scale e sembra desideroso di salirsene su.
Mi getta uno sguardo scocciato, come se gli stessi rovinando la gita della domenica.

“Senti, oggi no, va bene? Torna un altro giorno. Torna…venerdì. Anzi no. Venerdì c’è il Gilman.
Facciamo la settimana prossima. ok?”
“Armstrong, la settimana prossima c’è  il test. Mercoledì per l’esattezza.
Piantala di dire idiozie e fammi salire. Hai bisogno di carta, penna, un tavolo, una sedia e il tuo cervello. Troppo difficile? ”
“Ma come siamo rompicoglioni oggi, eh?! Ti ho detto che non posso. Ho da fare. Sono fottutamente impegnato. Così lo capisci meglio, miss mi-apro-il-culo-sui-libri-da-mattina-a-sera?”

Apro la bocca e la richiudo.
Non pensavo che ci sarei rimasta così male se un coglione mi avesse aggredito in questo modo.
Pensavo male. Non so che dire e in questo momento vorrei scomparire.
Mi sento smarrita e la cosa peggiore è che me lo si legge negli occhi.
Altolà! Non sarà un idiota qualsiasi a mettermi a tappeto!
Nel frattempo il padre mi si avvicina e fa, quasi sottovoce:

“Scusami, Virginia, puoi uscire un attimo? Rimani in salotto e aspetta un secondo.
Devo dire due parole a Billie.”
“Che cazzo rimani a fare? a questo punto vattene. Tanto io sto uscendo di nuovo.”

Eccolo che riparte alla carica.
Esco dalla stanza, furibonda.
Ma con che diritto mi risponde così!?
Sono IO quella che si è trascinata fino a casa sua, carica di appunti.
Sono IO quella che, ieri, ha passato la serata a prepararsi gli argomenti.
Sono IO quella che deve insegnargli qualcosa, visto che quello non ha mai fatto un emerito cazzo in vita sua.
Poi improvvisamente sento un colpo, come uno schiocco.
Neanche il tempo di sedermi che ho fatto un salto dal divano e mi sono spostata vicino alla porta almeno per controllare che tutti stiano bene.
Quello che vedo mi sconvolge.
Il padre sta prendendo a schiaffi il figlio.
E non sono scappellotti, sono schiaffi seri*, colpi che fanno un rumore incredibile, come due che si pestano su un ring.
Devo soffocare un urlo quando Armstrong va a sbattere contro il corrimano delle scale e cade a terra
Mio Dio! Ma quell’uomo è impazzito?
Come gli viene in mente di alzare le mani in questa maniera su suo figlio?!?!

-Adesso ascoltami bene, stronzetto, perché non mi ripeterò.
Non me ne frega un cazzo di quello che vuoi o non vuoi fare nella vita, se ti piace o non ti piace studiare, se vuoi continuare a fare il galletto sul palco con i tuoi amichetti, se vuoi fumarti quella merda che ti porti dietro o se vuoi sbronzarti fino a vomitare l’anima. L’unica cosa che mi importa è che tu ti prenda quel cazzo di diploma e ti levi dai coglioni.
Ma finché sei ancora minorenne non ti devi far bocciare altrimenti ti spacco il culo, hai capito bene?
- Vaffanculo,  lo so io quello che devo fare. Tu non sei mio padre, quindi non hai il diritto di dirmi né di farmi niente!
-Ragazzino, tuo padre è morto e sarebbe ora che ci rassegnassimo, che dici?
Vogliamo guardare in faccia la realtà? O quello sei bravo a farlo solo dopo che ti sei fumato una piantagione di marijuana?
Io amo tua madre e anche voi tutti, nonostante sembriate sopportarmi a malapena.
Ormai faccio parte della famiglia e quando parlo voglio essere ascoltato.
E non lo faccio perché così mi garba, sia ben chiaro. Non è che mi sono svegliato una mattina e ho deciso così perché mi andava, ma perché, senza quel fottuto diploma, non sei nessuno, hai capito?!
N-E-S-S-U-N-O!  Quindi smetti di giocare a fare la rockstar e diventa uomo!

*********************

Sono annichilita.
Svuotata, scimunita, intontita, allucinata, basita e chi ne ha più ne metta.
Sapevo che in alcune famiglie si veniva alle mani ma…insomma, prima quegli schiaffi, poi quella serie di insulti…  è orribile.
Non voglio più rimettere piede in questa casa, anzi, ne voglio uscire seduta stante.
Raccatto la mia roba il più velocemente possibile ma i fogli mi scivolano dalle mani.
Una decina di pagine si sparpaglia per terra.
Fanculo, me ne voglio solo andare. Lontano.
Voglio tornare a casa, farmi una dormita, dopo cena ripetere qual cosina dell’ultimo minuto e poi addormentarmi e dimenticare tutto.
Domani vado dalla Carson e le dico che mi mettesse pure F ma io qua non ci torno.
Sto cercando di recuperare alla ben e meglio gli appunti che sono scivolati sotto il divano quando sento la voce familiare di Armstrong, un po’strascicata:
“Lo devi muovere. Spostati che faccio io.”

Alzo lo sguardo e lo vedo lì, dietro al divano, mentre si succhia il labbro che sanguina.
Ha due guance rosse e gonfie, quella destra è la più violacea, e le labbra spaccate.
Mi sposto indietro, lentamente, senza emettere fiato.
Mi ricordo di averlo visto in una condizione simile appena un mese fa, dopo la bravata della divisa.
Oddio, no, non pensiamoci.
Lui trascina il divano più in là e io mi lancio in avanti per prendere i fogli.

“Stai bene? Sei pallida come un lenzuolo.”

Lui che chiede a me se sto bene?!?!? È il colmo!

“Io si…tu?”

Lui si stringe nelle spalle e annuisce.

“Scusa per prima, mi sono comportato da vero stronzo. Poi sono arrivato tardi e… mi dispiace che tu abbia assistito alla scena di prima., ”
“Allora non ti eri dimenticato…”
“No, Tim me lo aveva detto, ma io non ci ho fatto caso. In quel momento l’importante era Mike, le prove…scusa.”
“Tutto a posto ok? Dimentichiamo.”
“Come vuoi.”

Dai, che ho quasi finito.
Poi verrò fuori di qui.
Ho bisogno d’aria, di respirare, di riflettere e di pensare ad altro.

“Senti, si è fatto un po’ tardi per me. Devo andare.”
“Tardi? Sono appena le sei!”
“Aehm…ecco…io non lo so…forse ho della gente a cena. Forse mia madre ha bisogno di una mano. Dovrei tornare ad aiutarla.”
“E pranzate alle sette di sera?”

Dio, non so che inventarmi.
Che gli dico?
CheGliDicoCheGliDicoCheGliDico?!?!

“Scusami è che sono un soggetto asmatico e ho bisogno d’aria. Quindi devo uscire immediatamente da qui.”

Che scusa patetica. Fa veramente pena. Non ci crederà mai. Ci crede?
Non ci crede. Glielo leggo in faccia. Però non dice niente per un po’.
Poi attacca:

“Senti, facciamo così: adesso andiamo a farci un giro così ti riprendi e intanto mi fai una panoramica di quello che abbiamo fatto di inglese. Alle sette e mezza ci viene a prendere un mio amico che prima mi porta al Red’s, che stasera sono di servizio, e poi ti riporta a casa, ti va?”
“Per me è ok. Ma non prendi appunti?”
“No, ho una buona memoria.”

Ci avviamo fuori. Lui fa strada.
Finalmente quando sento l’aria fresca tiro un lungo respiro e mi sento meglio.
Quello strano dolore che mi attanaglia il petto si allevia.
Comincio a parlare, quasi meccanicamente, tenendo lo sguardo fisso sulla strada, sui fiorellini di campo nei prati dei vicini, sulle case, tutte con lo stesso marchio di fabbrica che grida ai quattro venti: “sono una casa americaaanaa.”
Evito di guardarlo il più possibile, quei lividi mi fanno impressione.
Intanto lui ascolta, con la fronte  leggermente aggrottata e la bocca semi aperta, cercando di mantenere la concentrazione costante.
Ogni tanto fa qualche domanda, domande intelligenti. 

è la prima impressione quella che conta?

*************************************


Glossario

* Meine liebe, kannst du bitte den Tisch decken? : Amore, puoi per favore apparecchiare la tavola?

* Gewiss doch : Certamente  (l’equivalente di of course)

*Ach so, meine liebe, gute nacht: Va bene, amore mio, buona notte

*Como scussa? : Come scusa?

* Scheiße! : Merda!

*Mein Gott : al solito vuol dire "Oh mio Dio"  


Note

* April:  nome della mamma di Virginia, concordato al vocativo.

* Proemio dell’Eneide, Virgilio

Prima Catilinaria, Cicerone 

* Non conoscendo ovviamente l’indirizzo di BJ ho adottato questo piccolo espediente <.<

*William Hill Brown scrive il primo romanzo americano (1798) ispirato ai “Dolori del giovane Werther ” di Goethe.  Washington Irving scrive una raccolta di short-stories che descrivono la vita inglese e il sogno americano.  Edgar Allan Poe, in pieno romanticismo americano, scrive racconti gotici e anticipa il romanzo polizesco.  FONTE

* I libri, nei paesi civili, invece di essere comprati ogni anno dagli studenti, vengono consegnati a ciascun alunno dall’insegnante, il primo giorno di scuola e vengono poi restituiti alla fine dell’anno a meno che lo studente non decida di comprarlo o prenda in prestito una copia dalla biblioteca (così però fissa il termine di scadenza che può rinnovare allargando i tempi finchè un giorno non è costretto a restituirlo).  Da noi invece il sistema costringe la famiglia dello studente a spendere cifre folli per comprare sempre la  nuova edizione di un certo testo, quasi identica alla vecchia ma, poiché è nuova, è impossibile trovarne una copia usata. Non siamo geniali?  =.=’

* Ragazzi, non confondiamoci, non è che la nonnina sia un personaggio oscuro e infido ma la metafora si riferisce ai sensi degli animali in questione. Il cucciolo di gatto, appena nato,  è cieco e i rettili sono sordi ma percepiscono le vibrazioni e così sopravvivono xD

*ANACRONISMO: La serie su Sandokan verrà trasmessa sul 4 Channel, in Inghilterra, solo a partire dal 1992. Però mi piaceva l’accostamento :)  Chiedo licenza d’autore!

* Per quanto ci abbia provato non sono riuscita a scovare nemmeno il nome del terzo marito di Ollie (il patrigno di BJ&Co) quindi me ne sono inventato uno <.< Probabilmente è una questione di diritto alla privacy…

*Lawrence Livermore era il proprietario di una piccola casa discografica indipendente, la “Lookout!” e suonava nel gruppo omonimo, lo stesso di cui faceva parte Trè Cool prima di diventare la fedele batteria dei GD. Verso l’inizio del 1989 i “Sweet Children” firmano un contratto con Livermore e registrano quattro canzoni (1000 Hours; Dry Ice;  Only of You; The One I Want) che furono pubblicate nell’Aprile dell’89 nell’album “1000 Hours”.  FONTE: “Green Day New Punk Explosion”


*FONTE: “Green Day New Punk Explosion”, intervista di Anna Armstrong (BJ’s sister)  su Rolling Stones 1995,  “…dopo la morte di nostro padre e con un patrigno che non piaceva a nessuno…”
 “la nostra era una famiglia piuttosto violenta: tra fratelli e sorelle si litigava un sacco, ci picchiavamo moltissimo. Non so da dove venisse tutta quella rabbia”
FONTE : “...purtroppo dette sfogo alla sua rabbia anche con la violenza fisica, sia a scuola che a casa, contro il suo patrigno.”


Ringraziamenti

Grazie a Bill22, BlumeInDerNacht e Italian Idiot per aver inserito la storia fra le seguite.
Grazie mille a Bill22 per averla segnalata come preferita.


Angolo dell’autrice

Buondì care mie,
già sento che questo capitolo riscuoterà diverse critiche o comunque verrà considerato un tantino inverosimile da alcune di voi.
Innanzitutto la telefonata a casa del patrigno  potrebbe essere considerata una forzatura.
A quanti sarà mai capitato che un (-o pseudo)genitore si impegni a chiamare un compagno di classe del figlio per definire i termini di un incontro?
Lo so che può sembrare strano ma, come avete avuto modo di capire, il patrigno, avendo ricevuto la lettera della prof. è deciso a parlare personalmente con colei che si occuperà del corso di recupero (più che comprensibile visto che se si fosse affidato al figliastro, hai voglia ad aspettare!) , infatti, il suo unico interesse è che BJ si diplomi e poi dopo potrà fare tutto quello che vorrà, e il padre non sarà più responsabile degli studi del figliastro essendo finita la scuola dell’obbligo xD
E io non me la sento affatto di condannarlo come accade in molte storie, in cui la situazione di BJ è presentata come una fase difficile della sua vita, nè voglio tirare in ballo più di tanto la famosa antipatia genitore adottivo-ragazzo. Tim prova affetto per i figli di Ollie benchè loro non siano disposti ad accettarlo come padre, e così, a maggior ragione, sentendosi responsabile di Billie, ha tutto il diritto di informarsi per i suoi corsi di recupero e dargli una strigliata.
Ci ho tenuto a inserire l' elemento del "non-hai-futuro-se-non-finisci-gli-studi" perché è un tema che ricorre nella storia di BJ.
Lui stesso ha dichiarato che se non avesse sfondato come rockstar sarebbe finito a fare lo spazzino.
Già ai suoi tempi era mal considerato lasciare la scuola senza riuscire o provare nemmeno a diplomarsi quindi un ragazzo che usciva da lì senza il diploma poteva fare davvero poco nella vita, e doveva talvolta umiliarsi, facendo lavori tristissimi (non so voi, ma a me la vita dello spazzino sembra terribilmente triste, senza offendere nessuno!  <.<)
Questo fra i cinque probabilmente è il capitolo più drammatico e con questo mi riferisco alla scena di Malika. Potrebbe risultare strano anche tutto questo affetto della protagonista per questa ragazza ma posso spiegare il tutto pensando ad una sorta di solidarietà fra loro. In fondo vengono entrambe dall’altra parte del mondo, e poi Vig ha sempre cercato di fare un passo avanti per integrarsi e sentirsi a suo agio con tutti in classe; questo spiega il suo bisogno di avere un compagno di banco che non sia un essere indifferente e annoiato con cui non si può trattare.
Almeno spero che l’incontro con l’eroica nonnina abbia alleggerito un po’ l’atmosfera...
Accidenti ma lo sapevate che fra BJ e il suo primo fratello ci sono 21 anni di differenza?!?!?!
E per questo parlo di un trantacinquenne ù,ù.
Un altro punto delicato è il piccolo “diverbio” che hanno avuto Tim e BJ.
All’inizio doveva essere solo un confronto verbale, poi ho trovato delle fonti che riportavano questi episodi come normale amministrazione e allora siamo passati alla violenza fisica.
Devo dire che non sono tanto scandalizzata e non la penso affatto come Virginia (al contrario di molte altre cose in cui mi ritrovo completamente )... io sono davvero convinta che qualche scapaccione aiuti a crescere (senza ovviamente sfociare nella violenza gratuita).
Certo, non ai livelli della bacchettata di cui ho scritto, ma penso che se mi avessero dato qualche pacchero in più forse sarei venuta su meglio xD
Quello che invece mi fa molto pensare è il terrore di aver reso in modo un po' OOC BJ e il suo patrigno (anche se c’è davvero poco da sapere su quest’ultimo che sembra non esistere per il resto del mondo ...).
Innanzitutto, nella caratterizzazione di Armstrong a fine capitolo, mi ha aiutato moltissimo leggere “Green Day: new punk explosion”  di Ben Myers (opportunamente prestatomi da una mia amica ), specie per quanto riguarda il suo atteggiamento nei confronti dello studio, della scuola e dei prof.

La scuola è una palla, così come lo studio è una perdita di tempo specie quando invece si potrebbe fare musica, ma oltre il cazzeggio, c’è anche una sorta di curiosità nei confronti del resto.
Infatti, almeno fino agli ultimi anni in cui gli Sweet Children cominciavano a ricevere le attenzioni del piccolo pubblico (in generale non più di una quarantina di persone a causa delle piccole dimensioni dei locali) e a entrare in contatto con la “Lookout!”, BJ è stato uno studente mediocre, ma non è mai stato bocciato, è sempre stato il tipo da ultimo banco, perso nei suoi pensieri, (testimonianza di un suo prof in una dichiarazione)  che faceva il minimo indispensabile per passare tutti gli anni.
Perciò sono partita dal presupposto che fosse un tipo sveglio (è stato lui per primo a contattare la “Lookout!” e ha organizzato diversi provini con la band perché voleva assolutamente fare un disco...) che avrebbe potuto fare molto di più se si fosse impegnato.
Poi sarete voi a giudicare, scusate per tutte queste spiegazioni ma avevo bisogno di metterle su carta e allegarle anche per sentirmi più sicura di quello che ho pensato mentre scrivevo questo capitolo!
Per qualsiasi incongruenza (e magari non solo per quella), fatevi sentire!
Bye bye,

Misa

p.s  stavolta ho aggiornato prestissimo...evidentemente ero ispirata! ;)

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Capitolo 6
*** Novembre: fracasso d'inferno ***



Novembre
fracasso d’inferno

Diciamo che niente è andato come avevo previsto, come avevo sperato, insomma, come doveva andare.
Sono andata dalla Carson per chiederle di cambiare “allievo”.
Lei mi ha ricevuto nel suo piccolo ufficio stipato di roba; gli armadi minacciavano di far saltare lo spago che era stato messo per reggere la capienza. Poi ho scoperto che, oltre alla sua roba, là dentro c’era tutto l’archivio di certe pratiche di registrazione di non so cosa.
Beh, diciamo che non mi interessava più di tanto, quello che mi importava e che mi ha strappato il primo sorriso della giornata è stato scoprire che Mrs. “prima donna” doveva dividere l’ufficio con chili e chili di cartacce inutili e doveva arrangiarsi con un cassettone!
Se ci ripenso faccio i salti di gioia!
Vabbè, senza esagerare adesso…
Lei mi ha ricevuto con la solita espressione annoiata e arcigna e quando le ho presentato la mia richiesta mi ha scrutato con quegli occhi da aquila predatrice e ha domandato  “perché?”
Era da un secolo che mi scervellavo per trovare una scusa ragionevole ma alla fine mi ero risolta a dire la verità, sperando che, nonostante l’ostilità reciproca, mi capisse.

“Perché in quella casa sono turbolenti e…maneschi e io non mi sento sicura”

Si, le ho detto proprio questo.
Lei mi ha guardato e poi si è messa a ridere.
E ti pareva. Dovevo aspettarmelo. Non concluderò niente.
In effetti non ho concluso un bel niente, nel senso che mi ha rimandato in classe sostenendo che qualche schiaffo non era “essere maneschi” ma “assennati e attenti nel ruolo di genitori”, che” gente sfaticata come Armstrong se lo meritava” e che io ero solo “una bambina impaurita perché i miei mi tenevano sotto una campana di vetro, perché ero una femminuccia di quelle obbedienti che cucinano e fanno le pulizie”.
Inutile dire che ci ho rinunciato. Quando uno è stupido è stupido.
Poi se è anche stronzo non vale proprio la pena di parlarci. Si rischia solo di farsi il sangue amaro.
L’unica manovra che ho adottato è  stata quella di evitare Armstrong come la peste.
Tanto so bene che se non mi muovo io, lui certo non mi viene a cercare.
Peccato che non mi sia riuscito più di tanto.
Proprio oggi, a pranzo, mentre ero seduta con Mike, vedo Armstrong che cammina spaesato per la mensa.
A pensarci bene non l’ho mai visto sedersi a mangiare, in questi due mesi di scuola.
Lo intravedo con la coda nell’occhio, lui si guarda intorno come se cercasse qualcuno e nel frattempo si muove come un emigrato in terra straniera.
-Magari ignorarlo funzionerà-  ho pensato.
Come al solito ho pensato male.
Intanto cerco di ascoltare le concitate spiegazioni di Mike che vuole assolutamente convertirmi ai “Jefferson” *

“Allora George si incazza un sacco con il figlio Lionel, hai presente? Quello di prima…”
“Uhm…si, si, certo…”
 “Perché George non può sopportare i bianchi e che fa il figlio? Va a fidanzarsi con una bianca, la figlia del vicino che lui non sopporta!
Ehi Vig…mi segui?”
“Si, certo Mike! Quello che si è sposato con quella nera…”
“Helen”
“Già bravo, Helen”
“Uhm…ok, in tutto questo Flo ne combina un’altra delle sue!”
“Mhm…chi è Flo?”
“La cameriera, quella pettegola e scansafatiche…”
“Si…e che fa?”
“Beh, il bastian contrario come al solito! Pensa che…”

Non ci credo. Cerca me.

“...e lo va a raccontare a tutta Manhattan”
“Chi?”
“Vig, stiamo parlando di Flo!”
 “Si, scusa è che mi sto confondendo”
“No, Vig!  è diverso! Non mi stai ascoltando!”

Mike mi guarda male e sbuffa come un cavallo, mentre dietro di lui compare Armstrong.
Non riesco più ad ignorarlo e gli lancio uno sguardo incuriosito, una tacita domanda.

“Viiiig...!”
“Ehi, ragazzina. Ti sei già rassegnata con me?”
“UAAH!!!”

Mike salta su come morso da una tarantola e va sbattere contro il tavolo.
Comincia a massaggiarsi la povera pancia, vittima dell’assalto.
E per di più sbraita come una casalinga isterica e incazzata.

“E che cavolo, Meggy! Potevi pure avvertire prima di spuntare dal nulla!”
“Chi è Meggy? La tua fidanzatina?
 Non ho ancora cambiato sesso fino a prova contraria.”
“Ma chi...Armstrong?”
“Uno a zero per te, Eddie*.”
“Ehi, io mi chiamo Mike”
“Boh, fa lo stesso. Eddie me lo ricordo meglio.”

Dio mio, sembrano avere tre mesi per ciascuno.
è meglio che prendo in mano la situazione altrimenti qua non si conclude niente.
Anche perché Mike sta facendo l’espressione da sono-un-duro che lo fa apparire ancora più un demente di quanto non sembri di solito.

“Ah si? E allora sai com’è? Allora io ti chiamerò...George!
Si...perchè fra i tre o quattro nomi che hai, quello che mi ricordo meglio è Joe, quello del mio cane.
Però ti associo a George, mio zio, che mi ha regalato il cane...”

Decisamente la situazione sta precipitando.
Armstrong mi lancia un’occhiata incredula e io non posso evitare di alzare gli occhi al cielo.

“Eddie, non so chi sia il tuo pusher ma me lo devi presentare. Ti ha fatto sballare di brutto.”
“Va bene! Adesso state calmi tutti e due ok? Piantatela di sparare cavolate oppure vi mollo in tronco! Tanto io qua ho finito di mangiare.”
“Perfetto, così usciamo da questo inferno, c’è una puzza di cavolo bollito da vomito.”
“Armstrong, io ho appena mangiato cavolo bollito”
“Sei vegetariana?”
“Beh...si”
“E poi uno si chiede perché è isterica.”
 “Io non sono affatto isterica!”
 “Disse, mentre stonava tutte le buon anime del tavolo affianco...”

In effetti ormai avevamo attirato l’attenzione di quelli del tavolo vicino che ci osservavano e nel frattempo ridacchiavano.
Che avessero da ridere, non so, ma ormai mi sono rassegnata all’idiozia della gente.
Lancio un’occhiata alla finestra-porta che affaccia sul cortile.
è davvero il massimo mangiare, con vista sul cortile cementato, con qualche aiuola striminzita;
uno non sa se deve rallegrarsi che non è stato ancora trasformato in un parcheggio o deprimersi per lo squallore del panorama.

“Ok, hai ragione andiamo fuori...Mike, vieni?”
“Dopo di te, Eddie.”
“Armstrong, piantala”
“Dopo di lei, prof.”

Lasciamo stare che è meglio.
Usciamo e io attraverso il cortile per andare verso un muretto che separa il grigio dal verde.
Mi siedo lì su, come faccio spesso, per passare gli ultimi dieci minuti di pausa.
Quei due mi seguono a ruota, Mike si porta dietro la banana  che avrebbe dovuto mangiare in mensa e butta la buccia in un cespuglio.

“Mike!”
“Embè? È natura, Vig!”
“Dio...vabbè insomma che vuoi, Armstrong?”

Ma il signorino è troppo occupato per rispondermi, intento a frugare nelle tasche della giacca;
non dovrebbe essere un’impresa visto che non sono più di due.
Finalmente caccia fuori le mani di tasca, stringendo un pacchetto di Winston Rosse*, con gran tranquillità lo apre, tira fuori una sigaretta e se la accende.

“Prof...mhm...mi ha lasciato a metà programma...dopo Coleridge cosa viene?”
“Ancora Coleridge, Vig?! Ma allora è una fissazione!”

Questo è Mike.
Lo ignoro.
Armstrong tira una boccata e praticamente me la soffia in faccia.
Mi viene da tossire e quasi gli sputo addosso.

“CofCofCof... cretino!”
“Oh, scusi, gradisce?”
“Ti spiace piantarla di darmi del lei?”
“Ma il -prof- sta male con il tu”
“Ecco, smetti anche di chiamarmi così!”
 “Ai tuoi ordini.
 Adesso sentimi un po’. Domani c’è il test e io sono fermo a Coleridge...”
“Pensavo che non te ne fregasse niente.”
“Diciamo che non piango se mi dai buca oggi.”

Lo guardo, stranita.
Comincia a diventare un mistero, questo tizio.
Oltre a quella del coglione e quella dell’angioletto studioso, quante altre facce ha?

“Disperati invece, perché sarò da te per le quattro.”

Oddio, ma perché l’ho detto! Io non ci voglio mettere più piede in casa sua!

“Possiamo fare quattro e mezza? Alle quattro sto...”
“No, quattro. Punto.”
“Un’altra cosa...non sono a casa, ti lascio l’indirizzo, ci incontriamo lì davanti. ”
“Lasciamelo sul banco.”
“Ok. A oggi. Ciao, Eddie.”
“Ciao, George.”

Prima di allontanarsi, butta la cicca per terra. Aspetto che si allontani prima di raccoglierla.
Mi danno fastidio questi comportamenti. Sono da idioti che non perdono nemmeno mezzo secondo a cercare un cestino.
Questa città fa già abbastanza schifo, come tutta l’America d'altronde, senza bisogno della cicca di qualcuno e della buccia di banana di qualcun altro.

********************

Dopo scuola mi sono fiondata a casa di Meggy che aveva il suo primo appuntamento con un certo tizio  che era venuto apposta da LA per incontrarla.
Da quel che ho capito si sono conosciuti in vacanza, e lui era il figliastro del secondo fidanzato di sua cugina, quella di trentasei anni.
Pare si piacciano un sacco.
Meggy non ha fatto altro che assillarmi perché ha paura che sembri strano.
Dice che potrebbero praticamente essere cugini, parenti o che so io e invece si comportano come se fossero solo due fidanzatini mooolto innamorati.
Ho letto certe lettere veramente sdolcinate, un idillio da romanzetto rosa.
Lui viene un week-end si e uno no per venire a trovare la madre e il parentame ma questa volta non sarà una cosa in famiglia.
Stavolta viene per Meggy e lei dovrà essere perfetta.

“Oddio Vig! non ho niente da mettere!
Lui è sempre così curato, sempre in giacca, cravatta, camicia con le iniziali ricamate sul taschino, pantaloni di sartoria!
Gli mancano solo i gemelli e sarebbe un perfetto gentleman!”
“Wow, il sogno di ogni ragazza, non c’è che dire”
“Eddai, piantala di prendermi per il culo, una buona volta!
Sono davvero disperata!”
“Immagino.
Va bene, se lui è così classico tu potresti mettere una bella gonna a pieghe, quelle che arrivano al ginocchio, e una bella camicetta con le rouches, così ti valorizza il vitino da vespa. Poooooi... ”
“Ma così non sembrerò una vecchia?”
“Non c’è problema, lui sembrerà più vetusto di te, tesoro.”
“Scema.”
“Oddio, Meggy, che vuoi che ti dica. Vacci in fuseaux fluorescenti con una grossa magliettona, quella con il labirinto di Tetris*.
In fondo tu ti vesti sempre così! Non capisco perché dovresti essere diversa dal solito.
E se poi scopre che ti vesti come un semaforo che fa? Ti molla?!”
“Virginia Foster! Mancano quattro ore all’appuntamento e tu fra nemmeno mezz’ora devi muoverti o arriverai in ritardo alla lezione con Armstrong!
Quindi ti consiglio di darmi una buona idea prima che mi incazzi!”

Che potevo fare?
Certo non potevo lasciarla nei guai!
Alla fine ho rovistato un po’ nel suo armadio e ne abbiamo tirato fuori un tubino rosato che stava benissimo con i suoi capelli castano scuro, sopra una giacca nera, e sotto un tacco nero piuttosto basso.
Insomma una cosa linda e pulita, quasi ridicola per un appuntamento alle sei del pomeriggio.
Ma stava talmente bene, con quel filo di trucco rosa poi.
E una è sistemata.
Non faceva che guardarsi e rimirarsi allo specchio, saltellava eccitatissima e squittiva “grazie” a ripetizione.
Modestamente.  

********************

Arrivo finalmente davanti al numero ** di ***** Street* e quello che vedo non mi piace nemmeno un po’ : una vecchia casa, piccolina, appena un po’ scalcagnata, con i muri pieni di scritte, qualche graffito sulle pareti grigiastre, i vetri delle finestre sono stati colorati di rosso, di blu di verde, con la tempera e quindi è impossibile vederne l’interno.
L’unica cosa che so per certo è che deve esserci qualcuno in casa, perché da dentro viene fuori un fracasso d’inferno.
Passo per il giardino, con un prato tanto alto  da sembrare uno di quei campi di grano pronti per la mietitura. Secondo me qua ci ricaviamo anche una trentina di balle di paglia.
Davanti all’entrata c’è qualche lattina, tre o quattro bottiglie del latte vuote, una pila di giornali sparsi per terra proprio davanti all’ingresso.
Cerco il campanello ma non c’è. È stato staccato.
Busso allora alla porta e aspetto.
Niente.
Mi sa che non mi sentono.
Allora, che ore sono?
ANCORA LE QUATTRO MENO UN QUARTO?!?!?
Io non ho nessuna intenzione di rimanere qui fuori fino alle quattro e mezza!
E se Armstrong si dimenticasse completamente del nostro appuntamento e rimanesse là dentro chissà fino a che ora?!
Non se ne parla.
Bene, allora come faccio a farmi sentire da quella gente che si è asserragliata là dentro?
Inizio a prendere a pugni la porta.
Poi mi stanco e mi metto a prenderla a calci.
Ancora niente.
Afferro due bottiglie del latte e comincio a colpirle fra loro sperando che almeno questo possa attirare la loro attenzione.
Mio Dio, ma che cazzo fanno là dentro?!?!
Stanno ascoltando un concerto tutto batteria e tamburi?!?!
Alla fine prendo l’ultima bottiglia di latte e la lancio contro una delle finestre.
Si spacca in mille pezzi e giù piovono i vetri oltre che qualche schizzo di latte residuo.
Finalmente si alza la finestra e  compare un tizio a me totalmente sconosciuto che si sporge abbasso.

“Chi cazzo è?! Brutto coglione vigliacco vieni fuori che ti prendo a calci in culo!”

Perfetto.
Temevo di aver sbagliato indirizzo.
Adesso so che sono nel posto giusto e mi tocca starnazzare come un’oca perché quel demente mi senta.
 
“Ehi, coso! La cogliona vigliacca sarà tua sorella! Apritemi, tu e la tua banda di amichetti che c’ho un appuntamento e non posso perdere il pomeriggio appresso a voi, razza di sordomuti!”
“Jay?! Ma chi è?!”
“Cazzo ne so!
Una che dice che tiene un appuntamento! Questa secondo me è più fumata di noi e si è fottuta il cervello!”
“Un appuntamento?!”

Finalmente spunta fuori la testa biondiccia di Armstrong.
Alzo la mano e gli faccio segno che quello è capace di non vedermi, scimunito com’è.

“Ma avevamo detto alle quattro e mezza!”
“No, carino, TU avevi detto alle quattro e mezza! Io avevo detto alle QUATTRO! E ormai posso dire di essere puntuale visto che dieci minuti li ho persi appresso a te e alla tua banda!”

Mi guarda appena un po’ spaesato come se fosse in dubbio sul da farsi.

“Embè, mi fai entrare o stiamo a guardarci come due pesci in un acquario?!”

Grazie al cielo annuisce e ritira la testa.
Dopo un po’ spunta dalla porta e la lascia aperta scomparendo di nuovo dentro.
Ma che gentile ad accogliermi, ad accompagnarmi dentro...
Niente, nada, niet.
Quando metto piede in casa vedo solo la sua schiena che percorre il corridoio e si infila in una stanza che dovrebbe essere un salotto.

“Chiudi la porta”

Laconico.
Che cosa stupida da dire, è ovvio che chiudo la porta! Io ho un’educazione!
Quando finalmente  faccio il mio ingresso in salotto mi viene un colpo.
Su due divani stanno spaparanzati due tizi, uno con dei rasta rossi e un altro con un chilo di gel in testa e i capelli biondo verdastri cortissimi, una ragazza con i capelli corti e bianchi almeno quanto il cerone che portava spalmato in faccia*, un altro paio di balordi, chi con creste multicolore, chi con i capelli lunghissimi, pieni di nodi, legati in una coda o lasciati sciolti che dimostrano tutto il loro lerciume.
Dietro ad una batteria assemblata alla ben e meglio c’è l’unico tizio che non sia tinto stratinto in questa stanza, a petto nudo, con un paio di bacchette in mano,  da un lato un paio di amplificatori che fino a quel momento devono aver ruggito, e una serie di fili li collegano ad un’elettrica e ad un basso.  Accanto al basso riconosco la figura di Mike-biondo-platino.
Mi basta girarmi un attimo per vedere, su un materasso, per terra, Julian, NedComeSiChiama e un tizio rosso di capelli.
Inutile dire per terra è un macello, peggio dell’entrata del Red’s, il mese scorso.
Però tutti mi sembrano ragionevolmente sobri e questo mi preoccupa ancor di più: vorrebbe dire che non puliscono da una vita e questo posto è il ritrovo dei ratti del quartiere.

“Finalmente!”

La tizia bianca che stava spalmata sul divano ha uno scatto, si alza e saltella fino a me, prendendomi una mano e sventolandola in aria, come se fossi la vincitrice  di chissà quale gara.

“Una ragazza! Era ora!”

Esplodono le risate. Li guardo come se fossero tutti dementi, inclusa la ragazza bianca che sventola il mio braccio.

“Benvenuta! Io sono Jenny. Questi sono...”
“Si, va bene, grazie, questa parte del copione la conosco. Quello è Armstrong, quello è Mike-biondo-platino, quello è Jules, quello è Nedcomesichiama, tu sei Jenny... ok, adesso puoi continuare tu.”
“Oh, vi conoscete?”
“Purtroppo si.”

La cosa deve divertirla non poco perché si mette a ridere, provocando l’ilarità generale del gruppetto: qualcosa mi dice che ci vuole poco a strappare loro una risata.

“Matt, Jason*, Stephen, Anthony,  quello alla batteria è Al Sobrante, quello accanto a Juls è Steave”

Uhm, quindi, ricapitolando: Matt-Rasta, Jason-verde-prato, Ste-cockscomb*, Tony-capellone, Al-drum*, Steave-il-.rosso.
Ma perché ogni volta che ho a che fare con Armstrong mi tocca assistere a presentazioni che durano tre ore?

“Capito.”
“Bene, allora adesso ti siedi vicino a me. Lasciamo che questi cristiani finiscano il pezzo, almeno.”
“Il pezzo?”

Ok, suppongo che adesso dovrei impormi e dare una sorta di ultimatum ad Armstrong costringendolo a mollare la chitarra elettrica che sta prendendo in mano.
Ma chi se ne frega.
Vediamo almeno se sono ascoltabili.

Late last night I had a dream
And she was in it again
She and I were in the sky
Flying hand in hand

I woke up in a cold sweat

Wishing she was by my side
Praying that she'll dry tears
Left on my face I've cried

Da una banda di anarchici mi sarei aspettata tutto tranne che una canzone d’amore.
Armstrong ha una voce nasale ma una chitarra energica, Al-drum è leggermente in ritardo con il tempo della batteria, Mike-biondo-platino… mah, ho la sensazione che non è tanto il suo strumento, il basso*. Deve averci poca familiarità.
Nel complesso è trascinante ma c’è molto rumore.
Sarà che non sono abituata al fracasso di questa specie di punk.
Intorno a me invece i ragazzi battono le mani, i piedi, urlano, cantano il ritornello che si ripete almeno cinque volte.

Oh I love her
Keep dreaming of her
Will I understand
If she wants to be my friend *

Davanti a noi, non tanto Mike-biondo-platino, quanto Armstrong si muove un sacco, sembra recitare su un palco davanti ad un pubblico, fa le boccacce, salta ed esagera i movimenti con la chitarra in mano, strimpellando teatrale.
Bah, tutto sommato sono quasi bravi va!
E soprattutto mi sembrano assolutamente spensierati, assorbiti dalla loro musica, come se si stessero divertendo un mondo.

Erase the pain that's in my heart...

Sento Jenny saltare in piedi e gridare, seguita da altri:

“Yuuuppiiiiiii!!!! E adesso una birraaa!!!”

Poi vedo quella pazza avventarsi su una bottiglia a metà di Matt-Rasta e lanciare la birra contro la band. La guardo allucinata mentre tutti sembrano eccitarsi all’idea di questo nuovo gioco.
Improvvisamente ecco che cominciano ad arrivare schizzi  di birra, dai fondi di bottiglia che giacevano abbandonati e indisturbati fino a qualche secondo fa.
Mi appiattisco contro il divano, di fianco a Jenny, cerco di sottrarmi e nel frattempo guardo Armstrong e Mike-biondo-platano che, mollati gli strumenti musicali, raccattano una serie di stracci, magliette, pantaloni, persino mutande, che giacevano per terra, dietro la batteria e cominciano a rispondere a suon di abiti. La batteria di Al-drum, viceversa, continua a scandire il tempo.
 Per il momento nessuno sembra far caso a me, acciambellata sul divano come un gattino spaventato, mentre loro se le lanciano di santa ragione, quando improvvisamente Jenny si volta e mi punta il dito contro.

“Forza ragazzi, diamole il benvenuto! È lei l’ospite della giornata!”

Mi sento piovere addosso la birra rimanente che mi spugna la camicia e i capelli, mi ritrovo addosso una vecchia felpa consumata, un paio di calzini puzzolenti, una canotta con macchie non ben identificate. Poi sento un peso sullo stomaco.
Oh mio Dio! Qualcuno mi è salito addosso!
Cazzo, mi sta schiacciando!!!

“AIUUUT...!!!”

Sento un grido mezzo strozzato provenire dalla mia bocca. Sto andando nel panico.
E se questi mi calpestano?!? Oddio, oddio, ODDIO!!!

“Wo, wo, wo, calmi! Sennò me la ammazzate!
Jenny! Scendi da lì!”

Riesco ad aprire un occhio, a malapena e vedo Armstrong che si sbraccia per cacciare via Jenny che si diverte a lanciarmi altra birra addosso, bagnandomi tutti i jeans.

“Jenny!!! E non sprecare la birra, cazzo!
Poi chi ce l’ha la grana?! Io no di certo?”

Questo sembra convincerli perché finalmente Jenny sembra scendere giù dal divano e, con spavalderia, si fa avanti barcollando e ridacchiando come una matta:

“Oh, oh Two Dollars! ci preoccupiamo per la nuova arrivata?!
 Ragazzi! Billie ha una cotta!
Oddio, come si chiama la tizia qui?”
“Virgin!”

Questa è la voce di Julian.
Tengo ancora la testa abbassata e riesco a stento a vedere una Jenny tutta eccitata e un Armstrong leggermente imbarazzato.

Oooooneee daaaaaaaay,
there wereeee two little guuuuuuys,
Biiiilliiieee and Giiiinnyyy.
The daaaaaay afteeeeeeer,
nooooone of theeeem waaaas… VIIIIRGIN!!!

La batteria tiene il ritmo mentre Jenny è la voce di questo pezzo stonato e improvvisato.
Poi, improvvisamente, lei prende a saltellare e a urlare, le mani al cielo:

“Con me! Tutti insieme!”

nooooone of theeeem was… VIIIIIRGIIN, aaaanymooore!!! *

Tutta la stanza si è messa a cantarla, persino Armstrong  che, dopo un attimo di imbarazzo, sembra gradire tutta questa attenzione.
Anzi! Lo vedo con la coda nell’occhio che si avventa sulla chitarra e comincia a comporre una melodia, quattro accordi strimpellati che diventano la colonna sonora della scena e accompagnano il coro e la batteria.
Non oso alzarmi. Sono stupefatta! Sembrano davvero bambinetti di tre anni!
E poi se mi alzo sarò praticamente nuda in pubblico visto che ormai mi hanno infradiciato la camicia.
Oddio, mi devo lavare i capelli! Questa Armstrong me la paga!

N-O-N-E  O-F  T-H-E-M  W-A-S  V-I-R-G-I-N....ANYMOOOOOOREEE!!!

Finalmente si zittiscono, alcuni si gettano a terra, ridendo a crepapelle e rotolandosi per terra, altri sghignazzano, fra i quali Mike-biondo-platino, altri ancora si accasciano da una parte e ingollano un altro po’ di birra.
Con un ultimo rif finale di elettrica e il fracasso dei piatti si conclude la canzoncina del momento.
Jenny si getta sul divano affianco a me e urla, selvaggiamente:

“Che ti credi, Billie, che solo tu sai scrivere canzoni?!?”
“Ma va a cagare, Jenny!”

La risposta è esilarata e mezza soffocata mentre quel cretino di Armstrong continua a ridere sonoramente.
Dopo un po’ torna una specie di calma, ricominciano i sussurri, le mezze parole ma io ancora non mi muovo. Poi sento una mano che mi stringe la spalla.

“Ehi, ragazzina, tutto bene? Sei viva?”
“Mhm...fuori dai piedi, Armstrong”
“Ok, sei viva.
Riesci almeno ad alzarti?”
“Non se ne parla.”
“Come vuoi.”

Mi molla così e torna alla sua adorata chitarra provando un paio di giri e di accordi in maggiore e in settima. È piuttosto veloce nel cambio, le dita slittano avanti e dietro per la tastiera.
Non ho nemmeno il tempo per meravigliarmi che Jenny mi chiama a gran voce.

“Giiiinny! Ti muovi?! Voglio spostare il divano!”
“Fanculo”
“Eddaiiii, ci son cadute le sigarette sotto!
TI preeeeeeeeego! Sono l’unica che ce le ha, lo so già! Loro le scroccano sempre!”
“Chiedi ad Armstrong, lui stamattina ce le aveva.”

Lui solleva il sopracciglio, leggermente irritato, ma scuote la testa.

“Finite”
Accidenti a questa birra che è dovunque. Mi fa venire freddo, anzi ho i brividi adesso che ci penso.
Se prendo un raffreddore per colpa loro, giuro su mia madre che...
Oddio, non devo starnutire, nonDevoStarnutire, nonDevoStarnutiiiireeee...!!!

“ETSCHUUUUUUUUUUUUUU’ !!!”
“Salute!”

Folgoro Jenny con lo sguardo.

“Ehi, Billie, la tua fidanzatina si prenderà un malanno!
Perché non la abbracci un po’ così non prende freddo?
Vi riscaldate a vicenda...”

Quello non risponde e continua a cercare complicati accordi con il barrè a testa bassa.

“Tsk che uomo ingrato che ti sei trovata, Ginny! Aspè che ti aiuto io.”

Cerco di ribellarmi ma quella mi tira su con forza e osserva la mia camicia fradicia come se fosse lo spettacolo della serata.

“Ooooops! Aspetta che ti troviamo qualcosa da mettere al posto di questa roba bagnata...
Mike! Che hai nel tuo armadio?!”

Insomma alla fine mi viene presentata una camicia bella lunga a quadri, e un paio di Jeans di almeno quattro taglie più grande della mia.

“Aehm...dov’è il bagno?”
“Macchè bagno, su cara che non ti guarda nessuno.”
“ma non è ver...!!!”

A tradimento Jenny da uno strattone alla camicetta; quella perde tre bottoni che vanno a rotolare sul pavimento.

“Cazzo, e stai ferma un attimo, brutta scema!”

Mi esce spontaneo, mentre mi giro verso la porta, dando le spalle al resto della truppa e strappandomi via la camicia in fretta e furia per sostituirla con l’altra.
Quando infilo i pantaloni sono più tranquilla. La camicia è talmente lunga che arriva giusto giusto a coprire le cosce.
Mein Gott, questa roba puzza! Puzza di sudore e di deodorante da supermercato.
Che orrore!

“Allora, Ginny, stai comoda?”
“Jenny...Ginny è davvero orribile...di solito mi chiamano o Virgin o Vig. Tu quale preferisci?”
“Oh, io preferisco Ginny!”
“Ma è una merda! Eddai, tutto, ma non chiamarmi Ginny!”

Mi ignora beatamente e sembra cambiare discorso, con naturalezza.
Nel frattempo siamo entrambe sedute sul divano e il resto della truppa è impegnata a passarsi il suo pacchetto di sigarette.
La finestra è chiusa e comincia a sentirsi una puzza di fumo davvero forte.
Fra un po’ sarà una camera a gas.

“Che ci fai qui, Ginny? Ha detto Jay che avevi un appuntamento...”
“Si, infatti. Con Armstrong. Dovevo spiegargli Coleridge e il romanticismo inglese.”
“Oh, oh! Allora vedi che lo ammette!
Biiiiillieeeee!!! Ammette che avevate un appuntamento!”
“Oddio, Jenny, ma sei completamente andata? Dovevamo studiare! Chiamalo romantico!”
“Beh, cazzo, dovevate parlare di romanticismo! Certe cose mica le si studia sui libri...”

I suoi occhi chiari, da gatta, passano da me a lui, con fare malizioso.
Nel frattempo mi si stende praticamente addosso, appoggiando la testa sulle mie gambe.
Io rimango ferma, forse un po’ rigida all’inizio, ma poi mi rilasso con lei che mi fissa dal basso, sorridendo amichevolmente, con una scintilla di ironia, da qualche parte...o è una mia sensazione?


“Ehi, Jenny. Piantala, ok? Io sono qui per fare una fottuta lezione di inglese e salvare il culo a Billie domani, al test della Carson.”
“Accidenti, vi siete costruiti bene l’alibi”
“Lascia perdere, con lei è inutile quando è in queste condizioni”

Sono costretta a girarmi per sapere chi ha commentato.
è Mike-biondo-platino che da uno sguardo alla sua camicia e al suo Jeans addosso a me e poi commenta di nuovo, con un mezzo sorriso:

“Ti stanno bene. Forse meglio che a me. Portateli.”
“Aehm...grazie... ma non fa nient...”
“Sul serio, portateli, che quei Jeans ormai mi vanno stretti e la camicia...ce ne ho un casino”

Questo sa tanto di bugia.
Anzi puzza di bugia come un’intera discarica in una giornata calda e ventosa.
Però lui mi fissa con i suoi occhi azzurri e mi sembra di specchiarmi in un cielo sereno, senza nuvole.
Cedo al suo invito e annuisco.

“Grazie”

Ammetto anche che sono molto comodi perché sono larghissimi un po’ dovunque e poi vanno anche di moda e non ho dovuto spendere un centesimo per uno di quei modelli complicatissimi e carastosi della Levi’s.
Nel frattempo Mike-biondo-platino continua a fissarmi come se gli ricordassi qualcosa.

“Ah, a proposito...”
“Spara”
“è lei il mio contatto”

Indica Jenny.
Non capisco subito.
Ci metto ancora qualche secondo a ricordare la nostra questioncina in sospeso, poi incrocio lo sguardo del bassista, sgomenta.
E io, per la mia preziosa Honda, dovrei rivolgermi a questa tizia?!?!
Non se ne parla neanche! Finisce che me la demolisce ancora prima di averla aggiustata!
è una pazza scatenata. È simpatica, vitale, un po’ tocca, un ottima compagnia e tutto quello che volete, ma è completamente suonata e mi incasinerà la vita.  Me lo sento...

“ Frena frena! Chi è lei, scusa? Che cavolo ne sa di motori?”
“Ehi, ciccia, in assenza di mio padre la reggo io l’officina. Te li trovo io i tuoi pezzi di ricambio, tranquilla. E quando sentirai il prezzo verrai a baciarmi i piedi.”
“Uhm, e quando ti va di venire a controllare di persona?”
“Anche oggi! Appena abbiamo finito qua, sono da te”

Finito?! E che c’è da finire qua?!
Stiamo bighellonando come tanti idioti!

“Uhm...ok, quando vuoi...”
“MA PORCA DI QUELLA PUTTANA DI TUA MADRE, JENNIFER!!!”

Sobbalziamo tutte e due.
Armstrong sta dando di matto, mentre si aggrappa con tutte le sue forze ad uno degli amplificatori che gronda birra a più non posso.

“Che vuoi, Billie?”
“Hai rotto l’amplificatore!!!”
“Maddai, vedrai che con qualche spintarella si rimette...”

Ma dopo cinque spintarelle quel coso rimaneva ancora muto.
Alla fine Jenny si rassegna e alza gli occhi al cielo.

“Te lo riparo, Billie, ok?”
“Si, così fai come l’altra volta, ne vogliamo parlare?!”
“Succede...”
“Fanculo, ma due in una settimana! È un fottutissimo record! E facci più attenzione!”

La vedo sfoderare la miglior espressione da cucciolo indifeso e pentito che abbia mai visto sulla faccia di una donna, almeno fin ora.
La cosa che mi diverte di più è che anche Armstrong si scioglie; la osserva per un attimo, un po’ imbambolato, poi bofonchia qualcosa, volta le spalle e raggiunge un altro gruppo.
Jenny torna a guardarmi soddisfatta, fischiettando un motivetto che non conosco.
E io intanto penso che abbiamo mandato a farsi benedire la nostra lezione di inglese.

*****************

Note

* I Jefferson, tipico telefilm anni 80’. 

* Eddie, diminutivo di Edward, in questo caso di Edwards, il cognome di Mike.

* Le Winston sono una marca abbastanza famosa, diffusa ed economica negli USA. Si trovano a 3.40-4.40 $ x20 pz, che equivalgono a 2,50- 3 euro (contando che le tasse sul tabacco in California sono abbastanza basse xD)

* Il gioco “Tetris” nasce proprio in quegli anni e andavano di moda quei magliettoni con i labirinti colorati ispirati al videogame xD

* Anche questo indirizzo è un’incognita, non so ancora TUTTO di loro ma un giorno accadrà mwaaaaahahahhah  *momento di gloria*  CofCof...dicevamo U.U

* Così per intenderci...
NO, non ve lo segnalato a caso e SI, finalmente rendo un po’ di dignità ad un personaggio femminile!

* Jason Andrew Relva, amico di infanzia di Mike Dirnt, muore a 19 anni, il 18 Aprile 1992. Mike lo ricorda nella canzone “J.A.R”   

* GLOSSARIO: “Cocksomb” cresta di gallo;  “drum” batteria

* La canzone in questione è Dry Ice, una delle prime canzoni che sono uscite con  la Lookout! Records.

* Secondo BJ, quando hanno registrato “Dry Ice” hanno dovuto suonarla ben 18 volte perché Al Sobrante faceva errori con la batteria. Mike Dirnt all’inizio della sua carriera è chitarrista, poi regalerà la sua chitarra ad Armstrong passando al basso. (WIKI-IT)

*GLOSSARIO canzone:  un giorno, c’erano due ragazzini, Billie e Ginny (altro diminutivo di Virginia), il giorno dopo, nessuno dei due era più vergine...
NOTA: Two Dollar Billie, leggendario soprannome di BJ a scuola perché vendeva spinelli pronti a soli due dollari. (talmente leggendario che ad un certo punto mi sono chiesta se valeva la pena di segnalarlo...tanto lo sapete praticamente tutte!)

Ringraziamenti

Ringrazio gigiola e Mike72 per avermi inserita nelle seguite.
E ovviamente tutti quelli che continuano a leggermi, seguirmi, commentare xD


Angolo dell'autrice


Buondì a tutte!
E anche questo capitolo è stato una vera sorpresa per me!
Avevo cominciato con un’idea (nemmeno troppo chiara) e ho finito per lasciare invece un sacco di spazio a questo nuovo personaggio.
Ebbene si! Alla fine mi sono risolta a cacciare fuori un personaggio femminile che non fosse un’ochetta giuliva e che valesse la pena di approfondire.
Quello che c’è da chiedersi invece è...ma che ruolo ha sta’ tizia nella storia?
Se avete letto bene fra le righe capirete perché è un personaggio fondamentale!
Se invece non avete capito (anche perchè non affatto ovvio) allora lo scoprirete più avanti... mwaaaahahahah
Innanzitutto voglio precisare una cosetta: sempre sul famoso “Green Day: New Punk Explosion” ho letto che in quegli anni Mike, all’età di 17 anni, abbandona casa perché la madre si trasferisce con la sorella a Santa Rosa. All’inizio Dirnt alloggia in casa Armstrong, pagando l’affitto con uno dei suoi lavoretti, poi però si trasferisce in un edificio (non meglio specificato) insieme ad una banda di suoi amici punk, dove spesso il gruppo va a provare.
Ho provato ad immaginarmi l’edificio in questione e ne è uscito questo e, stavolta mi sono abbastanza contenuta con la descrizione, anche se penso che le scene che ho descritto abbiano parlato da sé xD
Anche stavolta sono un po’ perplessa sull’IC di BJ e Mike, anche perché vi assicuro che si sta facendo sempre più complicato pensare con la loro testa <.<
Perciò mi aspetto raccomandazioni, rimproveri o rassicurazioni su questo fronte! :3
E adesso benedicetemi perché per la prima volta le note e il commento non sono tre volte più lunghi del chapter   U.U
Alla prossima,

Misa

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Capitolo 7
*** Novembre: fottuti ladri ***



Novembre 
fottuti ladri


Queste due settimane sono praticamente volate.
Intanto, all’alba del 9 Novembre, verso mezzogiorno, a mensa, ho ricevuto una telefonata entusiasta da Hana.
Non ci potevo credere quando ho visto il visore del mio Nokia illuminarsi e vibrare.
Per inciso, lo so che sembra strano che una ragazzina di diciassette anni abbia un cellulare ma è stata una delle condizioni a cui ho accettato di trasferirmi qui in America.
Speravo così di riuscire a sentire più spesso Hana e i miei amici berlinesi ma poi abbiamo scoperto che le tariffe per l’estero erano talmente alte che consumavo i soldi dopo nemmeno due minuti di chiamata.
Insomma, un affare.
Quella mattina però davvero mi è venuto un colpo.
Fortuna che ero in pausa pranzo, se mi beccava nel bel mezzo di una lezione facevo una brutta fine.

“Hana! Was machst du?! Ich bin in der Schule!*”
“Vig! Es ist gesturtz!!!”
“Was?”
“Die Mauer, Virginia! DIE MAUER IST GESTURTZ!!!”

O MEIN GOOOTT!!!!
Era caduto il muro! Non ci potevo credere!
Oddio e adesso?!?!?
Come avrebbero fatto?! Tutti i cittadini dell’est si sarebbero riversati ad Ovest, come l’ondata dei turchi e degli sloveni di questi ultimi anni*.
Non ci posso credere tutt’ora.
Hana avrebbe potuto riabbracciare i suoi cugini!
Mi stava parlando freneticamente nelle orecchie, a stento riuscivo a seguire la sua parlantina.
La cosa divertente di Hana è che, quando è contenta, mette il turbo, qualche volta comincia a balbettare e diventa mooolto difficile distinguere le parole.
Tutta colpa del suo accento bavarese.

“Sono così curiosa di sapere com’è Berlino Est! Stasera andiamo a cena da Kurt, Klara e Hans!
Non li ho mai visti! Oddio, muoio di curiosità!”
“Hana, è meraviglioso! A Natale, quando torno, mi dovrai assolutamente far fare un giro! Così mi fai conoscere questi famosi cugini!”

La sentivo che singhiozzava nel ricevitore.
Stava piangendo di gioia.
Non pensavo che Hana fosse così affezionata a questi cugini;
cugini che non ha mai visto per giunta.
Ma quanto sono stupida! Ovviamente non è questo il punto!
Il punto è che adesso le loro famiglie possono finalmente incontrarsi, che si può camminare liberamente, superando Kurfurstendamm* senza timore di essere sparati a vista, significa che, al prossimo concerto di Bruce Springsteen, potremo partecipare anche noi dell’Ovest, tutti insieme, come fratelli e concittadini*!


“Allora, vieni a Natale?”
“Si, te lo prometto.”
“Ti voglio bene, adesso vado!”
“Anche io, ciao Hana”
“Vig...è meraviglioso...”
“Si, lo so. È straordinario!”
“Ciao”
“Ciao”

Oh, no! Mi è finito il credito!
Ma perché a me?

***********************

Nemmeno tre giorni fa Jenny si è presentata con una nuova vaschetta dell’olio per i freni.
Alla fine ero riuscita a trascinarla fino in garage perché desse almeno un’occhiata alla moto.
Non è rimasta molto colpita. Fin dal primo sguardo si vedeva che un po’ se ne intendeva, cento volte più di Juls, Mike-biondo-platino  e tutti quelli lì, insomma.
è  venuta in pick-up, con la sua fidata cassetta degli attrezzi.
Pesa un’accidenti quella cosa, tanto che quando lei la prende in mano con quelle braccia sottili che si ritrova temo sempre che si possano spezzare. Invece lei ha una presa bella salda e la solleva senza apparenti grandi sforzi.
Si è seduta accanto alla moto, a gambe incrociate, con un paio di cacciavite in grembo e si è messa a svitare tutto il pacchetto di freni e frizione. Ha montato la vaschetta ad olio e mi ha lasciato una bottiglia da cinque litri di olio Bardhal* , una fornitura speciale che le era arrivata in omaggio con la vaschetta.
Penso si sia autoeletta  protettrice della mia Honda, forse per farsi perdonare di quel poco che mi ha fatto passare la settimana scorsa.
Quando sono tornata a casa mia madre ha strabuzzato gli occhi ed è rimasta sconvolta.

“Virgin! Cosa diavolo ci fai vestita in questo modo?! Dove è finita la tua divisa?!”
“Mamma...”
“Oddio, amore, mi nascondi qualcosa?! Dove sei stata?! CON CHI SEI STATA?!”
“Ma no, mamma...”
“Amore, io non pensavo che...insomma, non ne abbiamo ancora parlato!
Ach! Io ho anche finito le pillole!!!”
“MAMMA, CHIUDI QUELLA CAZZO DI BOCCA E ASCOLTAMI!”
“Virginia! Non ti permetto di rispondermi in questo modo!”
“Mamma, sto cercando di parlare ma tu non mi ascolti!
Ti prego, scusami...ma non è successo proprio niente!
Ero a casa di Mike... sono scivolata e sono andata a finire... nella vasca in cui stava facendo il bagnetto il cane!”
“Mike ha un cane?”
“Beh, in realtà è quello della vicina. Se ne è dovuto prendere cura lui per qualche giorno e siccome puzzava terribilmente ha deciso di fargli una bella lavata.”
“Uhm...e quindi questi vestiti sono di Mike?”
“Del fratello, credo. Quelli di Mike...non mi piacevano.”
“Uhm..amore, non so se crederci o no, sinceramente mi sembra la cosa più assurda che tu mi abbia mai raccontato!”
“Mamma! Te lo giuro! Prova a chiederlo a Mike!”
“I genitori lo sanno?”
“Charles e Fanny? Ma ti pare? Lui era a lavoro e lei era andata a fare la spesa. Poi Mike mi ha riaccompagnato a casa.”
“Amore, alle sette di sera, faceva la spesa?”
“Aveva finito gli Hamburger e la senape”

Non so se mia madre abbia fatto finta di crederci o alla fine si sia tranquillizzata sul serio.
Come al solito le mie scuse lasciano un tantino a desiderare.
Anzi, diciamolo, sono assolutamente ridicole.
Ho dovuto chiamare Mike per assicurarmi di avere una copertura, qualunque cosa accadesse.
Un giorno di questi finirò per metterlo nei guai.
Ma potevo mai raccontare a mia madre di essere stata ad un raduno di punk, brilli quel tanto che bastava per farmi una doccia di birra e prendermi a cuscinate con gli stracci puzzolenti di qualcuno di loro?
Appena ho potuto, ho messo subito da lavare la roba di Mike-biondo-platino; implorava di essere lavata!
Tornando a Jenny...
Ha infilato i freni a disco in una specie di bisaccia di pelle, un po’ vecchiotta, che sembra portarsi ovunque e mi ha detto che avrebbe richiesto il modello alla casa di produzione.
Insomma dovrei aspettare almeno due settimane prima che mi arrivino i pezzi.
Ho cercato di spiegarle che il compleanno di mio padre è fra una quindicina di giorni e quindi per allora la moto deve essere pronta, bella lucida, riverniciata e rimpacchettata per benino.
Ha scrollato le spalle come se la cosa andasse oltre le sue capacità di controllo.
Piuttosto ho scoperto un lato di lei che non avrei mai immaginato: ama il teatro.
L’ho invitata a casa, almeno per un bicchiere d’acqua e quando è entrata in soggiorno e ha visto la libreria si è messa a spulciare ogni singolo volume.
è rimasta affascinata dall’opera completa di Shakespeare e di Brecht*.
Alla fine la prima gliel’ho prestata con la promessa che me la riporti intera.
Quella di Brecht non posso dargliela perché non potrebbe mai capirla.
è in lingua originale, in tedesco. Non ci capirebbe un bel niente.
Devo dire che sono rimasta colpita.
La consideravo alla stregua di quella gentaglia che frequenta, tutti idioti, un tantino analfabeti, che probabilmente avranno letto in vita loro, si e no, qualche fanzine*.
E invece adora letteralmente leggere di teatro e il suo sogno è andare a vedere un’opera teatrale in un vero teatro, di quelli importanti come l’ Almeida Theatre di Londra o il Lyceum di NY*.
Mi sta notevolmente più simpatica rispetto alla prima volta che ci siamo incontrate.
Ok, chiamatemi anche prevenuta, ma se incontrate una pazza che vi vessa un’intera serata, alla fine potrà mai starvi simpatica?
Ecco, appunto.
Invece stavolta mi ha addirittura invitato a venirla a trovare alla sua officina, ha detto che ci pensa lei alla carrozzeria della mia moto, e che magari mi insegnerà qualcosa su come trattarla per non ridurla nelle stesse condizioni in cui l’ho trovata.
Mi ha chiesto di che colore voglio la carrozzeria.
Io trovo che sarebbe bellissima verde, ma non so se papà apprezzerebbe.
Ho pensato che farò ripassare il grigio metallizzato.
Meglio andare sul classico.

********************* 

Aspetto con impazienza che l’ora suoni e che la Carson entri in classe.
Ho dato il meglio di me, stavolta, e ho ripetuto fino allo sfinimento.
Adesso voglio sapere il risultato del test.
Armstrong, accanto a me, non sembra per niente preoccupato all’idea.
Alla fine ho dovuto fargli un veloce riassunto, prima che andasse a lavoro, quella sera stessa, e ho finito la spiegazione la mattina stessa del test, poco prima che ci consegnassero i fogli di verifica.
Eravamo solo io e lui a fare il test e ci hanno portato in un’altra classe, guardati a vista da una sottoposta della Carson, non so se sia ancora una studentessa che fa la capocorso, la responsabile di qualcosa o se sia una vera e propria insegnante di inglese.
Fatto sta che non era minimamente interessata alla nostra prova, sembrava avesse da fare:  un pacco di pratiche da sbrigare, moduli da riempire e un paio di lettere da scrivere.
Una impegnata.
Alla fine sono riuscita a suggerire ad Armstrong un paio di risposte anche se devo dire che non mi ha tormentato.
Mi aspettavo che facesse lo stronzo e il rompipalle e invece niente.
Se ne è stato buono buonino, tranne poi accusare la stanchezza per la troppa concentrazione, povero caro, e mettersi a sbadigliare platealmente.
 
Finalmente eccola che cammina con lentezza verso di noi, due fogli stretti in mano.
Sul retro del foglio, nella tabella del totale spicca una A bella grande e sotto la firma della strega.
Oh! Adesso si che ragioniamo!
Se non ho io A, chi diamine dovrebbe averlo!?
A costo di sembrare presuntuosa, so di meritarlo ed è cattiveria o stupidità negarmelo!
Vorrei mettermi a ballare ma mi trattengo.
La prof mi sta tenendo l’occhio, facendo finta di cercare gli appunti per la nuova lezione.
Meglio non infierire.
Il compito di Armstrong è abbandonato affianco a me, sul banco.
Lui sembra avergli dato solo una sbirciatina.

“Non ti segni gli errori?”
“Sarò uno sfigato ma almeno sono normale”
“Ah, ah, ah, molto spiritoso”
“E chi scherzava? Sono serissimo, io.”
“Come è andata?”

Lui mi sventola il compito sotto il naso.
D.
E io che pensavo che non valeva nemmeno una F.

“Beh, a qualcosa sono servite le quattro scemenze che ti ho spiegato.
Per lo meno hai preso un voto mediocre e non un’insufficienza.
Adesso ti basterà metterti a studiare un po’ per prendere almeno una C o una B!”
“Sto bene così grazie.”
“Cosa? Ma con D non hai ancora recuperato!”

Mi lancia uno sguardo insofferente come uno che è continuamente disturbato da una mosca fastidiosa.
Ma io non posso fare a meno di indignarmi.
Mi sembra una cosa inconcepibile che uno non cerchi di migliorarsi almeno per mettersi a posto nella vita, presentando un curriculum invidiabile.
Così chiunque ti assumerà in futuro e tu potrai farti valere per quello che sei.
Insomma, così uno può realizzarsi nella vita! Cosa ci può essere di meglio?!

“Ragazzina, io voglio solo passare l’anno, prendere quel fottuto diploma e poi hasta la vista.
Addio una volta per tutte. Non metterò più piede in una scuola finchè campo.”
“Senti, intanto io ho un nome. Non so se te ne sei accorto. Mi chiamo Virginia.
Guarda, non è tanto difficile da ricordare.”
“Oh, scusa tanto, Virginia.”
“Secondo, cosa credi di fare una volta preso il diploma? Vuoi finire in mezzo ad una strada?
Tutto quello che puoi fare è continuare a fare il cameriere a vita, strimpellando il sabato con gli amichetti al bar del paese. Non riuscirai mai a muoverti da questo posto ciecato e ci rimarrai per il resto della tua vita. Altro che sfigato! È una vita di merda! Mi viene la depressione solo a pensarci!”
“Beh, questi sono cazzi miei, se non ti dispiace. Per il resto, io vivo già alla giornata, ci sono abituato, mi piace avere quel soldo che mi basta per scolarmi una birra in compagnia e fumarmi una canna, tutti insieme, contenta? Questa è la mia massima aspirazione!”

Oddio, ecco che si mette a fare il drammatico.
Fa davvero delle strane facce, strabuzza gli occhi come un pesce palla e mi guarda con un sorriso che trasuda sarcasmo.

“Ma insomma! Stiamo facendo salotto là dietro?! Miss Foster! Vuole stare zitta un secondo?
E lei, signor Armstrong tenga la testa sul foglio e impari qualcosa di inglese, può tornarle utile, non trova?”
“Si, quanto un coccodrillo in una vasca da bagno...”
“Come ha detto?! La smetta di bofonchiare e faccia silenzio!”

Con questo tizio non si può parlare.
è ottuso, ciuccio e presuntuoso.
Peccato perché non è una cattiva testa.
Il suo unico problema è l’idiozia: quella ce l’ha nel sangue.

*******************

Rientro a casa, fischiettando allegramente.
Quella A mi ha veramente tirato su il morale!
Mi sento pronta ad affrontare leoni, tigri, pantere, draghi viola a pallini verdi e tutto quello che mi capiterà davanti.
Prendo la posta che il postino piazza praticamente davanti alla porta, tanto che il più delle volte finisco per calpestarla senza nemmeno accorgermene.
Dobbiamo procurarci una cassetta della posta.
Ultimamente non ci sono nemmeno arrivate le bollette perché il vento si porta le lettere, oppure qualche gatto randagio si diverte a distruggerle, oppure piove e si spugnano.
Mica si può andare avanti così?
Appoggio la cartella per terra, in corridoio.
Sono sola in casa, credo.  Non c’è traccia né di mamma né di Frank.
Poi, d’improvviso, mi compare davanti Dominick.

“Ciao, tutto bene?”
“A me bene. Ma oggi non sei andato a scuola?”
“Non ne avevo voglia...”

Ecco, un’altra cosa su cui non riesco a passare.
Che cazzo significa “non ne avevo voglia?” . Pare che invece io mi diverta da morire, invece.
Diciamo piuttosto che non avevi le palle di andare perché oggi c’era un test di matematica e tu non sapevi, anzi non sai, un emerito cazzo.

“Capi’ . Almeno hai preparato qualcosa da mangiare?”
“C’è del pollo congelato in frigo, se vuoi. Io mi ordino una pizza.”
“Beh, già che c’eri potevi prepararlo, no?”

Ok, mi conosco troppo bene.
Adesso,  molto probabilmente, lo sto guardando con espressione accigliata e un tantino seccata.
Adesso, molto molto probabilmente, sto prendendo quel tono saccente che farebbe irritare anche il santo più paziente.
Adesso, sicuramente, mi sto incazzando con questo pusillanime;
tutti giocano a fare i menefreghisti, gli adulti maturi e impegnati e invece hanno la maturità di tanti bambinetti di cinque anni.
E, ovviamente, Dominick non fa eccezione.

“Eddai, non fare la rompipalle. Prenditi anche tu una pizza. Poi glielo spieghiamo, a mamma e a papà.”

Si, così metti su altri cinque o sei chiletti come tuo padre e finisci per rientrare nella media degli adolescenti americani obesi.
Aspetta...ha detto mamma?

“Mamma?”
“Che c’è? Mi ha detto lei di chiamarla così.”
“Stai parlando di April Foster?”
“No, di Greta Garbo.”

Perché mamma ha detto a Nick che può anche chiamarla mamma?
All’inizio, quando lui ha cominciato a passare qua le giornate insieme a Frank, mamma mi ha detto di essere paziente con lui, perché ha perso la madre in un brutto incidente d’auto.
è stata investita quattro anni fa, circa, su una delle strade di sterrato che portano qui a Berkley.
Una fine orribile. Era andata in coma per pochi mesi e poi un giorno avevano dovuto accordarsi, con l’ospedale,  per la donazione degli organi e, con le pompe funebri, per un ultimo addio.
Mamma diceva che dovevamo essere indulgenti, carini e coccolosi, specie con Nick.
Ma adesso mi pare un po’ troppo.
Lui mi sembra capacissimo di intendere e di volere, anzi, è straviziato perchè la sindrome della crocerossina si è impossessata di mia madre.
Ogni tanto le prende un certo amore per una persona e lei si mette lì a completa disposizione del tizio in questione diventando il suo angelo custode.
Credo si diverta ad accudire gli altri.
Fatto sta che mi da fastidio il fatto che Nick chiami mia madre “mamma”.
Mi ricorda come ridono e se la spassano ogni sera mia madre e Frank, mi ricorda la corta telefonata serale con papà che è diventato praticamente inesistente nella mia vita, almeno quanto lo era quando stavamo in Europa a mille miglia da qui.
Io non voglio arrivare a chiamare Frank “papà”.
Io ho mio padre, voglio bene a lui più che a un semplice simpaticone, solo perché ronza intorno a mia madre.
Non trovo una bella risposta tagliente, quindi gli lancio uno sguardo di fuoco.
Poi mi avvio verso le scale del piano di sopra.
Voglio andare in camera, cambiarmi, anzi no, voglio prima farmi una doccia, poi vestirmi fresca e riposata e magari mettermi a leggere sulla nuova poltroncina che mi ha procurato mamma.
è davvero comodissima, tutta un po’ tondetta, morbidissima e...

DLIIIN DLOON

La porta. Che palle, chi è?

“Nick! Apri tu!”
Tendo l’orecchio per sentire se Nick ha aperto la porta.
Dopo un po’ il campanello suona ancora più energicamente e più a lungo e si sente anche qualcuno che bussa con forza sulla porta di legno.

“E che cazzo, Nick! Non muovi il culo manco ammazzato!”

Sono costretta a scendere per andare ad aprire.
Mi trovo davanti Jenny che saltella come chi ha una grande notizia da raccontare.

“Wo! Indovina, indovina, indovinaaaa!!!”
“Cosa?”
“Due buone notizie!”
“Uhm...comincia con l’entrare. E racconta.”

Ecco che finalmente arriva quel lobotomizzato di Dominick, con una tazza di cereali e il latte.
Latte e cereali alle sette di sera. Quando uno ha deciso di rovinarsi lo stomaco, prima di cena...

“Chi è?”
“Lascia stare, razza di tartaruga moscia che non sei altro. Cosa aspettavi ad aprire? Magari che ci stonasse un altro po’ con il campanello?”
“Mhm...”

Quando non sa cosa dire, Nick si trasforma in una specie di uomo del pleistocene che comunica con grugniti e gesti elementari, oppure si limita a fissare le cose, ad accennare un si o un no con la testa, a scrollare le spalle e a cambiare ambiente.

“Seguimi in camera. Mi stavo cambiando. Anzi, facciamo una cosa, prima mi racconti, poi mi faccio una doccia senza capelli, mi vesto e nel frattempo..hai mai letto Moliere?”
“No. Ma ho più o meno presente. Mi piacerebbe moltissimo!”
“Ok, io ti cerco le opere, intanto tu scatenati.”
“ Ti ho mai detto che ti adoro?
 Comunque, la prima notizia è quella buona per me!
Mi sono messa con Juls!”
“Oh...”

Questa mia risposta la lascia un po’ delusa, lo so, ma non ci posso fare niente.
Ho pensato parecchio a lui da quando l’ho visto e, anche se alle volte mi sembra uno spiantato non posso negare che un po’ mi piace.
Insomma, mi piace come si veste, le sue camicie di flanella, i capelli scuri o tinti, il pizzetto biondastro, i suoi occhi scuri che ti fissano e ti inquadrano.
Quando sorride poi ha un’aria luminosa che gli si vede di rado, non capisco perché.
Lo ingentilisce un sacco e sembra un ragazzino spensierato.
Basta, cantare le lodi di Jules!
Nel frattempo Jenny mi osserva tutta imbronciata e replica, offesa:

“Questo è tutto quello che hai da dire?  Dovresti incitarmi, dirmi che sono grande o che so io!”
“Ma lui si era lasciato con quell’altra smorfiosa? Quella bionda cotonata...Elizbietà, mi pare si chiamasse.”
“Anni luce fa, Ginny! Svegliati ogni tanto!”
“Scusa tanto, ma è lui che le cambia ogni mattina, come le mutande.”
“Eddai, non fare la guastafeste!”
“Hai ragione Jenny, comunque sarete perfetti insieme.”
“Grazie, lo so!”

Saltella come un grillo questa ragazza.
Nel frattempo io mi infilo sotto la doccia. Sento l’acqua scorrere, mi rilassa. Che cosa ovvia!
Una bella doccia rilassa tutti. Quasi quasi posso scordarmi di Nick  e delle sue turbe adolescenziali.
Magari un giorno di questi fuggirà di casa con i soldi di Frank e tornerà nemmeno due giorni dopo, strisciando come un verme.
A me è capitato due anni fa. ma alla fine l’ho fatto solo perché mi divertiva essere cercata e volevo l’attenzione dei miei. Grazie al cielo è stato un periodo breve.

“Altra buona notizia!”
“Diiiiiciiii!”
“Ho trovato un posto dove hanno i tuoi specchietti d’epoca, originali, e intatti!”
“Davveeeero?! Ti adooooro Jenny!!!”
“Te l’ho detto che li avrei trovati! Ci andiamo stasera verso le dieci, ti va?
Ci accompagnano Juls, Al e Billie. Loro devono prendersi un amplificatore, credo.”
“Ok! Dammi un attimo e sono pronta!”
“Aspè! Ma Moliére dov’è?”
“Terza libreria sulla destra, alla M!”

Finalmente mi dedico alla mia doccia.
Anche se mi pare abbastanza strano quest’orario.
Quale officina sta aperta fino alle dieci? E quale officina vende anche amplificatori per chitarra?!
Mah, lo sapranno loro.

********************

Jenny è rimasta da me a cena.
Abbiamo scongelato il pollo, lo abbiamo impanato e abbiamo fatto le cotolette.
Lei ha anche fritto le patatine.
è davvero in gamba in cucina. Pare che a casa sua cucini sempre lei.
A dir la verità ho la sensazione che a casa sua faccia tutto lei.
Aveva tre fratelli che si sono trasferiti in due o tre posti diversi, in giro per gli Stati Uniti.
Uno, il terzo fratello, continua a mandarle cactus di tutte le dimensioni dal Texas.
È appassionato di geologia, di rocce, e lei ha promesso di mostrarmi tutta la sua collezione, e i quaderni in cui ha catalogato e classificato, una per una, una serie di pietre e di ciottoli, dai più comuni ai più sconosciuti.
Lei sembra orgogliosa di questa prodezza e a volte mi sembra che si sminuisca troppo.
Tutti e tre i fratelli hanno studiato mentre lei, dopo la High School, ha dovuto cominciare subito a gestire l’officina del padre.
Perciò è fiera dei fratelli che hanno fatto strada e, alle volte, sembra quasi che si vergogni davanti a me e sostiene di essere una capra.
E poi si illumina come una bambina quando le metto in mano un libretto teatrale, chiunque sia l’autore, anche uno semi sconosciuto.
Le ho prestato anche Moliére. Tanto so che ne avrà cura come se fosse suo.
Nick, come al solito, ha mangiato a sbafo, senza muovere un dito.
Ma questo a Jenny non sembra dare fastidio. Dice che ci è abituata.

“Ma i tuoi? Se vuoi friggo qualcos’altro, per quando tornano.
Potrei fargli gli onion rings* !”

Eccola che si lancia verso la cassetta di verdure che teniamo in cucina, nel ripiano di sotto.
Ha già imparato com’è è fatta questa cucina, dove prendere le cose e, quando proprio è all’oscuro, ci mette un po’ di fantasia e ci azzecca quasi sempre. Dio, che invidia.
Con tutto quell’entusiasmo poi.

“Ehi, ehi, lascia perdere. Mamma non ama molto il fritto e poi sono andati a cena fuori, dubito che avranno ancora fame quando torneranno.”
“Ok, allora potrei preparare una delle mie famose torte cioccolato, nocciola e panna.
Ce li avete vero?”

Oddio, un tornado.
Lancio un’occhiata all’orologio a parete, quello con gli uccellini che a ogni ora suona.
Quel cinguettio è terribilmente irritante ma mamma lo vuole.
Ce ne era uno uguale nella cucina della nonna, trent’anni fa.

“Jenny, sono le nove e mezza.
Pensi di riuscire a preparare una torta in un quarto d’ora?
Sai com’è, alle dieci dobbiamo stare davanti casa di Juls”
“Mi piaceva l’idea di lasciare qualcosa ai tuoi.”
“Ti prometto che nel week-end vi invitiamo tutti a pranzo e tu cucinerai per tutti quanti”
“Ok, ci conto.”

Dieci minuti passano in fretta, soprattutto se devi disfare la tavola, lavare i piatti e spazzare per terra.
Fra Kelly e Nick non so chi fa più briciole.
Urlo come un’ossessa ricordando a Dominick che esco, che chiudesse la porta a chiave, che non aprisse il gas e altre cento raccomandazioni da casalinga isterica.


Casa di Mike e Juls è a nemmeno cinque minuti da qui.
Quando arriviamo, sono tutti già lì, sul maxi-furgoncino, tutto intorno è il deserto e per di più comincia anche a fare freddo. Quelli invece hanno il coraggio di presentarsi in t-shirt, a mezze maniche e in canotta.
Dopo un’occhiata veloce noto che Mike non c’è.
Jenny come al solito mi precede, avvolta in una grossa felpa color fragola.

“Ciao a tutti! Siamo noi?”
“Juls, dov’è Mike?”
“Dirnt? Aveva da lavorare.”
“Chi?”

Nessuno mi risponde mentre Juls suona il clacson per invitarci a fiondarci in macchina senza tante cerimonie.
Ma che sono scemi? Vogliono svegliare tutto il quartiere?
Ci saranno per lo meno una decina di vecchietti nel quartiere che possono aprire le finestre e rivolgerci i peggio insulti e avrebbero anche ragione!

“Juls! Zitto! Svegli tutto il quartiere!”
“YIEEEPIIIIIII!!!!”

Oddio, con Jenny  discrezione zero.
Forse il peggior difetto di questa benedetta ragazza è che non appena si unisce al gruppo diventa una pazza assatanata. Ed è dannatamente trascinante con tutto questo suo entusiasmo. L’eterna bambina.
Tutta la camionetta si mette e urlacchiare nella notte. Io non ne ho il coraggio.
Perché Mike non è qui con noi?
Scommetto che Juls non gli ha nemmeno detto che andavamo a prendere i pezzi per la moto.
Immagino la scena.
La cucina di casa Edwards con Rebecca, la madre, che si agita e cerca disperatamente di rimpinzare il marito Fred, Michael che mangia di gusto e Julian che invece aspetta il momento buono per defilarsi.
Ad un certo punto si alza, prende le chiavi della camionetta e infila la porta.
Immagino Mike che grida “Juls, dove vai?” e lui che risponde, esaustivamente “fuori”.
Non riesco a capire come i genitori possano sopportare una cosa del genere.
Io farei tante di quelle ramanzine a mio figlio da ridurlo a pregarmi, in ginocchio, di stare zitta.
E invece i ragazzi di casa Edwards possono fare il bello e il cattivo tempo.
Mike è diligente e un po’ vigliacco di natura, non oserebbe fare un passo se la madre avesse il coraggio di dire NO.
Ma Juls è il tipo fuori controllo, che se ne frega altamente e approfitta sempre finchè può.
Gli è andata bene perché ha un padre e una madre praticamente indifferenti.
Rebecca si preoccupa solo del cibo: cucina sempre per almeno il doppio delle persone che mangeranno a tavola, è continuamente a fare la spesa e conosce tutti gli alimentari del quartiere.
Fred ha una sola passione, il giardinaggio, e, quando non lavora, coltiva il suo orticello, pota le aiuole, innaffia i gerani, sradica le edere e cura la bucanvilla,  la sua pianta preferita.
Ringrazio di avere i miei di genitori.
Faccio un movimento inconsulto e pesto il piede di qualcuno.

“Ahi!”
“Scusa, Billie”
“Cazzo, e stai attenta!”
“Si, scusa. Senti ma dove andiamo?”
“A casa di un amico.”

Un amico? Sarà il contatto di Jenny? Avrà lui i pezzi di ricambio?
Ma perché sono tutti così criptici!

“Ma pensavo andassimo in officina...”

Mi guarda, stranito.
Mio Dio, quest’uomo cade sempre dalle nuvole!
Pare che nella sua vita non ci sia altro che la musica, i suoi amici e il suo microcosmo.
In questa cittadina sono tutti di un provinciale!

“Sveglia Armstrong, i pezzi di ricambio per la mia moto.
Sai, non crescono sugli alberi.”
Le persone normali, in queste occasioni, vanno in officina.”
“Io sono venuto per il mio amplificatore.
 Dei tuoi preziosi pezzi non so niente e, sinceramente, non me ne frega niente.”
“Grazie, sempre gentilissimo.”

Siamo in macchina da almeno un oretta e mezza e ancora non siamo arrivati!
Che palle! Questo coso non ha nemmeno una radio per sentire qualcosa.
In compenso tutta la truppa si è messa a cantare a squarciagola.
Non avevo realizzato quanto Jenny potesse essere stonata.
Sembrano una massa di ubriachi e cantano canzoni sconosciute al resto del mondo.

“Eddai, Ginny, canta qualcosa con noi!”
“Ma Jenny, non ne conosco una!”
“Su ragazzi, qualcosa che anche Ginny conosce!”
“Ragazzina, proponi tu, no?”
“Si! Ha ragione Billie! Proponi tu!”
“Aehm...”

Non mi viene in mente niente. Non ho la più pallida idea da dove cominciare.
L’ho già detto che io e la musica siamo su due pianeti diversi?
Beh, mai come ora mi sento totalmente fuori posto.
Armstrong mi fissa, impaziente.

“Embè? È così difficile?”

Incalza.
Mi confonde solamente.

“E smettila di fissarmi!”
“Wow, non la conosco...”

Sarcasmo.
IO ODIO IL SARCASMO.

“Yellow Submarine”
“Cosa?”
“Yellow Submarine. I Beatles.
Conosci?”
“Ok, comincia”

In the town where I was born, lived a man who sailed to sea…

Solo io so la strofa, ma fortunatamente quando arriviamo al ritornello l’atmosfera in macchina si vivacizza. Presto ci prendono gusto e io con loro.
Nella notte risuonano le nostre voci, i nostri  “We all live in a Yellow Submarine”.
Continuiamo così per altri dieci minuti buoni dopodiché Jinny si gira verso di me.

“Allora, la prossima?”
“Ancora?”
“Sh, sh, zitti tutti adesso.
Ci siamo.”

Al richiamo di Al Sobrante ci zittiamo.
Io proprio non capisco. Fino ad adesso abbiamo rischiato di svegliare tutti nel raggio di dieci chilometri e adesso ci facciamo scrupoli?
Juls aggira una casa e parcheggia il furgoncino sul retro, a cinque metri dalla porta di servizio.

“Questa è casa del tuo amico?”

Armstrong non mi risponde e, non appena Julian si ferma, apre la portiera e scende giù dall’auto.

“Juls, tieni il motore acceso. Al, sbrigati, vieni con me. Voi rimanete qua”
“Nossignore io e Jenny...”
“Billie, io e lei facciamo un passaggio per il garage”
“Va bene. Ma sbrigatevi.”

Seguo Jenny che va ad aprire il portabagagli e rovista nella sua famosa cassetta degli attrezzi.
Mi affida un paio di cacciavite, una cassettina di legno con sei o sette tipi diversi di brugole*, una borsa di pezza con dentro dei giornali e dello scotch nero, da imballaggio e una torcia.
Lascia il portabagagli aperto.
Io faccio per chiuderlo ma lei mi ferma agitando bruscamente la testa.

“Ma perch...?”
“SH SH”

Mi zittisce e si avvia appresso ad Armstrong e Al.
Tutti mi guardano con malcelata irritazione come se fossi una specie di zavorra.

“Ma...il vostro amic...?”
“Cristo, ma vuoi chiudere quella cazzo di bocca?  Per una volta! Ti pago, vuoi?”

Armstrong.
Simpatico come al solito.
E solo che ho un brutto presentimento! Mi sembra di essere una ladra che si infila in casa d’altri.
Tutti sull’attenti, tutti così silenziosi. Non è da loro. C’è sotto qualcosa, per forza.
E soprattutto nessuno che mi da spiegazioni.
Con Jenny ci infiliamo dalla porta di servizio e arriviamo dritti dritti in cucina.
Lei sembra procedere a tentativi, come se non fosse mai entrata in questa casa.
Alla fine, dopo aver praticamente esplorato tutto il piano, arriva alle scale che conducono al piano di sotto e arriviamo in garage.
È  tutto buio. Jenny tira fuori la torcia che illumina una Honda CX1000 dello stesso tipo della mia, tenuta anche piuttosto bene.
Lei si avvicina alla moto e infila dei guanti di pelle che aveva infilati nella tasca posteriore dei jeans.
Poi comincia a rigirarsi fra le mani gli specchietti e tende la mano, vuole il cacciavite.
Gli tendo tutti e tre, lei si sceglie quello più piccolo, a stella e poi, con mio grande sgomento, comincia a smontare la vite dello specchietto destro.
Non capisco. Dov’è il padrone di casa? Ci raggiunge dopo?
Jenny continua tranquillamente a svitare e poi mi indica la borsa con i giornali.
Gliela porgo e lei incarta lo specchietto con il giornale e lo scotch.
Fa lo stesso per il secondo. Mi fa segno di infilarli in borsa.
Poi passa alle gomme.
Smonta le gomme dalle ruote e infila tutto sempre nella borsa.
Non è possibile. Ma il padrone di casa lo sa? Devo pagargli qualcosa?
Ma quando arriva?
Mi sento terribilmente a disagio.
Intanto Jenny è passata al sellino.
Io mi guardo intorno cercando disperatamente l’interruttore della luce.
Mi sento davvero una ladra che sta facendo qualcosa di sospetto.
Ma come fa Jenny a stare così tranquilla?
Non riesco a trattenermi.

“Jenny?”
“Sh sh!”
“Jenny, che stiamo facendo?”
“Zitta!”
“Jenny...”
“E ZITTA, CAZZO!”

La sua voce risuona per tutto il garage.
Si tappa la bocca e mi guarda talmente male che mi zittisco subito.
Però continuo a sentirmi di merda.
Ci portiamo via anche il sellino e i vetri delle luci.
Poi, carichi di roba, ci avviamo fuori dal garage, alla ricerca dell’uscita.
Uscendo, incrociamo Armstrong e Al Sobrante che trasportano via un impianto amplificatore seminuovo.
Lo caricano in macchina, nel portabagagli e poi, io e Jenny, ci mettiamo la nostra roba.
Tutti si infilano in macchina mentre io rimango fuori, un po’ spaesata.

“Scusate ma il vostro amico? Che fine ha fatto?”

Praticamente tutta la macchina mi ride appresso.
Sento le guance che mi bruciano. Lo so, sto arrossendo.
Sento Juls che commenta, sottovoce:

“Oddio, questa non ha capito un cazzo. Non ci credo!”

Questo basta a farmi avvampare come un pomodoro.
Mi sento un’idiota. Ma proprio non capisco...
Ci siamo introdotti in casa altrui e ci siamo portati via quello che ci serviva...e adesso?
Armstrong sembra il primo a riprendersi da quel momento di ilarità e mi fa cenno con la testa, sbrigativo:

“Allora, ci muoviamo? O vogliamo stare qui tutta la notte?”
“IO DI QUA NON MI MUOVO FINCHé NON CAPISCO CHE CAVOLO SUCCEDE!”

Non ce la faccio più.
Voglio una spiegazione.
Ma sono impazziti?

“Ragazzina, se non sali su questa cazzo di macchina ti lasciamo qui.”

Glaciale.
Io sono lì, davanti alla porta sul retro, con i pugni stretti e la confusione dipinta in faccia.
Quello invece mi guarda con uno strano sguardo, fra il divertito e il compassionevole.
 Mi vengono le lacrime agli occhi. Muovo il culo e entro in macchina.
Sono dei ladri, degli sporchi ladri.
Mi fanno schifo.

Rimango in silenzio per tutto il tempo del viaggio di ritorno.
Jenny cerca disperatamente di farmi ridere, fa qualche battuta, intona debolmente il ritornello di Yellow Submarine, ma io la ignoro.
Gli altri, tutti eccitati per la loro prodezza di poco prima, cantano, fanno battute idiote, ridacchiano fra loro e fanno stupidi commenti su di me.
Non me ne frega niente.
Voglio arrivare a casa e liberarmi di questa massa di criminali.
Quando finalmente si fermano sotto casa mia scendo in fretta e chiudo la portiera dietro di me, sbattendola con violenza.
Ignoro il grido risentito di Jenny a cui stavo per tranciare una gamba.

“Ginny! I pezzi nel bagagliaio!”
“Teneteveli! Non voglio avere niente a che fare con dei fottuti ladri!”

Io li denuncio.
Giuro su mia madre che li denuncio.

*********************



Note

*GLOSSARIO 
Hana! Was machst du?! Ich bin in der Schule! :  Hana, ma che fai? Io sto a scuola!
Vig! Es ist gesturtz!!!  :  Vig!  è caduto!!!
Was? : Cosa?
Die Mauer, Virginia! DIE MAUER IST GESTURTZ!!!  : Il muro, Virginia! IL MURO è CADUTO!!!
ATTENZIONE!
Considerate i dialoghi fra Vig e Hana in lingua, anche perchè va bene ogni tanto rispolverare il mio tedesco ma poi, ad un certo punto, costa fatica a me scriverlo ed è una rottura per voi che dovete leggervi il glossario U.U

* Il 9 Novembre 1989 viene abbattuto il muro di Berlino. Quest’evento è una specie di rivoluzione non solo per la Germania ma per tutto il mondo occidentale. Per vent’anni le due metà erano rimaste separate, le famiglie si erano spaccate senza possibilità di varcare quel confine che era una specie di ferita in seno all’Europa. Quest’evento epocale può essere considerato il presagio della fine dell’Unione Sovietica che si scioglie nel 1990 e finalmente comincia a delinearsi il mondo come lo conosciamo noi oggi.
Poco prima della crisi dell’URSS e della caduta del muro comincia una sorta di emigrazione di massa verso la Germania dai Balcani, a questo si riferisce Virginia.

* Kurfurstendamm era una strada di Berlino Ovest che confinava con la parte Est ed era il simbolo del consumismo Americano, piena di negozi e di cartelloni pubblicitari, tutte marche americane, piena di luci e di folle e molto verde. Era stata concepita come uno sfoggio della ricchezza e del benessere del settore filo-americano. Oggi è abbastanza decaduta e la parte Est di Berlino è molto più bella e interessante ;)

*Vig parla del concerto di Bruce Springsteen a Berlino Est del 21 Luglio 1988 ,  il primissimo contatto dell’Unione Sovietica con l’America. Straordinaria l’esibizione di “Born in the U.S.A” (ma quanto amo questa canzoooone *_*).
 
* Bertolt Brecht, autore di teatro tedesco che opera fra il 1920 e il 1957 circa.
    Famoso per “L’opera da tre soldi” e  “Vita di Galileo”, di orientamento comunista-marxista.
    Fa costruire e si occupa della gestione di un famoso teatro di Berlino,  il “Berliner Ensemble” dove ancora oggi vengono rappresentate molte delle sue opere. 

* Riviste amatoriali scritte da appassionati di un certo argomento. In questo caso si tratta ovviamente di riviste di musica, come quelle che, allora, giravano nei locali. Lawrence Livermore e lo stesso BJ hanno scritto qualche colonna su alcune di queste riviste.

* L’Almeida  Theatre è uno dei migliori teatri di Londra per le opere in prosa. 
Il Lyceum di NY invece è uno dei più antichi teatri della grande Mela.


* Onion rings: anelli di cipolla impanati e fritti.
 Ma se avete mai mangiato da Mc Donald saprete sicuramente cosa sono <.<


* Quei piccoli attrezzi di ferro ad elle che vi servono per montare i mobili di Ikea, per intenderci xD


Angolo dell’autrice

Ohilà care lettrici!
Non immaginate quanto mi sono divertita a scrivere questo capitolo!
In particolare l’ultimo episodio, quello del furto, non me lo sono propriamente inventato.
Da una dichiarazione di BJ riportata in “Green Day: New Punk Explosion”, sono venuta a conoscenza di questo piccolo aneddoto che mi ha fatto morire dal ridere *_*
Devo dire che ho manipolato la cosa e romanzato il tutto a modo mio.
Diciamo che il fatto originale sarebbe successo nel 1987-88 quando gli Sweet Children erano ancora agli inizi e avevano appena arruolato Al Sobrante, e così BJ e un amico non meglio specificato sono penetrati in casa di questo ragazzo che conoscevano solo di vista e si sono portati via gli amplificatori.
Non hanno mai preso i colpevoli bwahahahahh
Povero tizio! Anche se si sa che noi siamo di parte ;)
Più scrivo di Jenny e più la amo!
Non so se qualcuno di voi ha già indovinato per il semplice motivo che non avrò accesso ad internet per un pezzo e quindi non saprò se avrete recensito, se avrete risposto e rimarrò lontana, non solo da EFP ma anche dal Pc almeno fino al 12 giugno. Avrò giusto il tempo, in un internet point di postarvi questo capitolo che ho scritto adesso, cioè almeno una settimana  prima del giorno in cui lo vedrete pubblicato xD
Non uccidetemi, lo faccio per mantenere un ritmo e non lasciarvi a secco per troppo tempo, è la mia strategia di guerra per sopravvivere all’estate mwaaaahahahhaha 
 Bene, care, a questo punto posso salutarvi e raccomandarvi di segnalare tutto, farmi sapere che ne pensate e blablablabla e ovviamente ringraziarvi una per una per essere passate, aver letto, commentato, seguito, preferito, ricordato...PUNTO ù.ù
Buona estate!

Misa

p.s   weeee aaaaall leeeaaave in a yeeeellow submariiiiine, yellow submariiiiiine, yeeellow submariiiiine!!!

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Capitolo 8
*** Novembre-Dicembre: Pax in bello ***



Novembre-Dicembre
Pax in bello



Non ho più rivolto la parola a nessuno di loro per almeno una settimana.
Tutti in casa, Frank, la mamma e Nick hanno imparato che quando chiama Jenny devono inventarsi una scusa perché non ho nessuna intenzione di parlarle.
Una volta è venuta fino alla nostra porta a chiedere di me.
Non le ho aperto. Ho finto di non essere in casa.
Forse sto esagerando, forse è davvero troppo ma non ce la faccio.
Non ho dormito per almeno due giorni con il senso di colpa che mi attanagliava le viscere, pensando se dovevo o non dovevo spifferare tutto, chiamare i carabinieri oppure andare fino a casa di quel tizio, a scusarmi.
Ma sono una vigliacca. Non ho il coraggio di andare lì a costituirmi con la lista dei nomi.
Né saprei tornare a casa di quel tipo; è praticamente dall’altra parte della città!
Ormai è da secoli che sono continuamente di pessimo umore.
Nessuno dei miei amici mi riconosce più.
Mi dispiace per Jenny ma non posso più avere a che fare con quella gente che frequenta.
Non è il mio mondo, io non sono stata educata alla strada, alla maleducazione, al furto, all’arroganza, al “vivi alla giornata”, allo “studio-perdita di tempo” e tante altre massime con cui ho cercato di convivere negli ultimi mesi.
Mi viene in mente Armstrong, quando quel giorno è venuto da me, alla mensa, per fissare quel famoso appuntamento-studio alle quattro e poi ovviamente non abbiamo aperto libro.

Ragazzina, ti sei già rassegnata con me?

Si, mi sono rassegnata.
Sono una banda di irresponsabili e irrecuperabili.

Nemmeno una settimana dopo il furto, stavo attraversando il cortile della Pinole Valley per entrare a scuola, anche abbastanza in anticipo;  erano appena le otto meno un quarto.
Ero con Mike e Sab, quando scorgo Armstrong che sta uscendo dallo spiazzo.
Ovviamente lo ignoro, e penso per l’ennesima volta che devo escogitare qualcosa per cambiare banco.
Invece lui sembra vedermi e cambiare direzione, accelerando il passo, per raggiungermi.
Mi fa anche segno con la mano ma io tiro dritto per le scale.
Alla fine deve essersi messo a correre perché mi raggiunge e mi afferra per lo zaino, dandomi uno strattone.
Per poco non cado all’indietro e non gli finisco addosso.
Lancio un specie di urlo e ritrovo faticosamente il mio equilibrio.
Finalmente riesco a lanciargli uno sguardo di fuoco.

“Quanta fretta, sei anche schifosamente in anticipo che altro vuoi?”

Non ho nessuna intenzione di rispondergli.
Gli volterei le spalle ma quello continua a tenermi per lo zaino e a rivolgermi un sorrisetto irritante.

“Che c’è, fai l’offesa?
Pensavo ti fosse passata.
Cristo santo, hai i sensi di colpa?
Bene, siamo noi i delinquenti, gli stronzi che ti hanno costretta a sopportare tutto questo.
Adesso puoi andare in pace, contenta?”

Non mi piace questo tono.
Sembra che stia parlando ad un bambinetto deficiente.
Non ha nessuna buona ragione per tirare fuori quel finto tono esasperato e melodrammatico, scherzoso e ironico e Dio solo lo sa che altro.
Non intendo dare segni di vita. Non intendo starlo ad ascoltare un minuto di più.
Mike nel frattempo si è accorto che sono rimasta indietro e ci guarda da sopra la scalinata.
Non abbiamo fretta.  Quando ne avremo probabilmente interverrà.
Una cosa che mi piace di Mike è che da tempo al tempo e valuta quando deve o non deve intervenire.
Anche se, in questo caso, quanto vorrei che gli desse una strigliata e lo cacciasse via a calci.

“Senti, ragazzina, non posso rompermi le palle appresso a te che fai il gioco del silenzio.
Arriverò subito al punto, ok?
Jenny sta una merda per colpa tua, dice che le ha provate tutte con te ma non riesce nemmeno a parlarti.
Che cazzo credi di fare?
Lei non è il tuo fidanzatino, non ti ha tradito, non ha fatto niente di male e sta cercando disperatamente di montarti la tua bella moto ma non riesce nemmeno ad avvicinarti per portarti quei fottutissimi pezzi!
Dopo quel poco che abbiamo passato per averli adesso non li vuoi più?
Ma sei cretina?!”

Oddio.
Questo deve avere qualche problema mentale.
Ma è così difficile da capire?!
Sono pezzi rubati, R-U-B-A-T-I!!!

“Io sarei cretina?! Siete voi che siete un branco di coglioni, di fottuti criminali, ladri schifosi!
E io dovrei accettare dei pezzi rubati? Sai quanto me ne frega di Jenny!
Doveva pensarci prima di mischiarsi a gentaglia come voi!
E tu che cazzo vuoi, eh?! Fai il messaggero di turno?!
Che te ne fotte di come vanno le cose fra me e Jenny?!
Lei è una stupida. Doveva pensarci prima...
Ma tu fatti i cazzi tuoi!”

Armstrong arrossisce, di rabbia, e si morde il labbro con violenza, masticandone la carne morbosamente.
Non capisco. Non mi sembra che lui è Jenny siano così amici.
Fanno solo parte dello stesso gruppo.
E lei è la fidanzata di Juls e non ha mai nominato Armstrong, nemmeno per sbaglio.
Come mai adesso tutto questo interesse?

“Ti ho zittito finalmente!
Ti dispiacerebbe toglierti dai piedi?!
E magari non ricapitarmi più vicino, grazie?”
“Come vuoi, stronza.”
“Grazie tante, coglione.”

Ci mette un po’ a lasciare il mio zaino, come se fosse indeciso sul da farsi.
Io sono stanca di questa tarantella.
Lo guardo in faccia.
È una specie di peperone e sembra tremendamente a disagio, oltre che indeciso.
Con me non si è mai fatto problemi di sorta. E adesso si interessa un sacco a Jenny.
Non sarà che...

“Vig!
Ci sbrighiamo?”
“Arrivo, Mike!”

Percorro le scale, concentrata quanto basta per non cadere ma ho la testa da un’altra parte.
Tra l’altro Armstrong si è dileguato invece di entrare a scuola come il resto del genere umano.
Cerco di ripensare a tutti i momenti in cui lui e Jenny si sono rivolti la parola.
Il fatidico giorno delle quattro: per un attimo li vedo che si fronteggiano, lui, incazzato per un amplificatore rotto, lei, che fa l’innocentina, con quella faccia da cerbiatto e cerca di farsi perdonare.
Mi ricordo un Armstrong imbarazzato e intontito che finisce per cambiare aria.
E poi?
Un altro episodio:  una sera, mentre lei e Juls tubavano in un angolo, Armstrong distoglieva lo sguardo e incrociava i miei occhi. Due specchi verde acceso, malinconici, colmi di rimpianto.
Mah, forse sono io che mi faccio i film.

Neanche me ne accorgo e sono in classe, accanto il posto vuoto e io continuo a rimuginare quando la prof attira la mia attenzione. È  Mrs. Law, quella di storia.
è una donnina carina, modesta, probabilmente non ha trovato niente di meglio da fare nella vita e non ha grandi aspirazioni per il futuro.
Quello che la preoccupa è di preservare il suo micro-universo, il suo piccolo mondo privato qui a Berkley, come molti che ho incontrato in effetti. Gente noiosa che non ha altra aspirazione se non vivere per il resto dei suoi giorni salutando il lattaio sotto casa e andando la domenica a pranzo dalle amiche.
Patetico.

“Buongiorno ragazzini. Mi pare di capire che oggi ci siete tutti.”

Ma questa donna è cieca o cosa?
Il posto accanto al mio è vuoto, vuotissimo, più vuoto di così si muore.
Lo so che tanto uno come Armstrong può passare inosservato ma non fino a questo punto.
Non riesco a resistere e alzo la mano.

“Mi scusi Mrs Law, ma sicuramente manca il mio compagno di banco.”
“Chi?”
“Armstrong, quello che sta affianco a me.”
“Oh, capisco. Eppure mi pareva di averlo visto entrare stamattina.”
“Però è assente.”
“Chiamerò i genitori* per accertamenti.”

Scrollo le spalle. Non me ne frega niente.
Incrocio piuttosto lo sguardo stupito, quasi scandalizzato di Mike.
Cerco di seguire il labiale.

-Ma che cazzo fai?!
-Come?
-Perché gliel’hai detto?
-Non capisco!
- D-O-P-O

Lascio perdere i bisbigli di Mike.
Abbiamo incominciato un altro esaltante capitolo di storia, non sia mai che mi perda la spiegazione sulla crisi del ’29.
Questa donna quando spiega è soporifera; diciamo che non spiega, legge il manuale, fa qualche commento ovvio e la sua voce è più monotona che mai. E soprattutto non si ricorda mai quello che spiega o commenta quindi io studio sul vecchio libro universitario di mia madre, faccio prima.
La crisi del ’29 è spiegata bene anche sul mio vecchio libro di storia, quello tedesco.
Potrei fare un confronto fra il primo dopoguerra e l’inflazione in Germania* e l’inflazione del crollo della borsa di Wall Street*...o è troppo azzardato?
Sento a malapena la campanella. Così presto?
Improvvisamente qualcuno mi strattona per il braccio.
AHI!
Mi fa male!
Cerco di ribellarmi ma sono costretta a lasciare sul banco la borsa con i libri e a seguire un Michael Edwards un pochino alterato.
Mi trascina in corridoio mentre io ho smesso di fare resistenza da un pezzo.

“Vig! Ma che diavolo ti è saltato in testa, Cristo santo! Questa è davvero una bastardata!
Non pensavo fossi così stronza!”
“Cosa?”
“E piantala di fare la finta tonta! Va bene, mi hai raccontato come è andata, Armstrong e i suoi amichetti hanno fatto i cretini e tu? Ti vendichi così?!
Ma lo sai che lui ha ancora due richiami e poi lo sospendono? E lo sai che fine merdosa fa se si becca un’altra sospensione?!”
“Mike...”
“Si, ok, non sono mai stato un gran difensore di Armstrong, ma insomma, che cazzo!
Questa è davvero una carognata! Lo vuoi far bocciare? Tutto per una scemenza?!”
“Mike!”
“Eh...”
“Ascoltami. Io...”
“Tu cosa?”
“Non l’ho fatto apposta!”

Il mio migliore amico sgrana gli occhi e allenta un po’ la presa sul mio braccio.
Non mi crede. Glielo leggo negli occhi che non crede ad una parola di quello che ho detto.
Fa una finta risata, nervoso, e sbotta:

“Ma andiamo Vig! Credi che sia un idiota?
Non sono un bambinetto che si beve tutte le stronzate che gli raccontano!
O credi che, visto che me ne sto sempre a casa quando tu esci con i tuoi amichetti punk, io legga ancora le favolette e mi faccia imboccare per non sbrodolare sul bavaglino?
Tra l’altro, tu menti uno schifo!”

Oddio, ma stavolta non sto mentendo.
Davvero non ci ho pensato!

“Mike...mi è venuto così. D’istinto. Lui era assente, no?
Beh, quando quella ha chiesto se c’eravamo tutti...insomma non ci ho pensato!”
“La verità è che qualche volta ti comporti davvero da bambinetta di cinque anni.
Dì la verità, quella sera eri incazzata perché nessuno ti aveva detto niente, tutti erano complici e tu hai solamente fatto una figura di merda!”
“Ma stai scherzando, Mike?! Quelli hanno RUBATO!“
“Andiamo, Vig, te lo dovevi aspettare no? Hanno fatto un’idiozia, niente di più.
Sai quante ne faranno ancora!”

Nemmeno lui capisce o è coglione come loro?
L’unico vero motivo per cui non li ho denunciati, a parte la vigliaccheria, è stato che fra i ladri c’era anche suo fratello. Insomma praticamente l’ho fatto per lui!
Ok, lo ammetto: non ho minimamente pensato a Mike a questo proposito.
Non volevo che Juls finisse nei guai.
La sola idea mi fa arrossire. Devo smettere di pensarci...in fondo è il ragazzo di Jenny!

“Non lo so, Mike, se non mi credi tu chi dovrebbe farlo? Sei tu il mio migliore amico, l’unico che riesce a sopportarmi tutti i giorni, specie in questi giorni.
è stato uno strano impulso. Chiamami secchiona, rompipalle, maestrina, come vuoi.
Ma io sono così. Sono pedante, noiosa, puntigliosa e chi ne ha più ne metta.
E in più, in questo periodo, sto una merda. Dovresti capirmi invece di criticarmi in continuazione!”
“In continuazione?
Io magari ti critico in CONTINUAZIONE ma tu sei CONTINUAMENTE insopportabile in questo periodo!”
“VAFFANCULO!”

Me ne scappo.
Basta, ne ho le scatole piene!
Ma che razza di amici ho?! Un amico che mi fa esasperare quando sto così?!
Vorrei che Hana fosse qui. Ho anche provato a chiamarla, ieri sera.
Mi ha praticamente liquidato. Era eccitatissima perché stava a casa dei suoi adorati cugini, quelli di Berlino Est.
Sentivo battute e risate in sottofondo mentre Hana mi salutava, poi mi diceva che si stava divertendo un mondo ma adesso doveva andare perché  dovevano prendere la metro e là dentro non prende.
Andavano ad Ovest, in un pub, a prendersi una bella bistecca con birra, o un hamburger.
Non mi ha neanche ascoltato. Non importa.
Non mi ha chiesto perché avevo quella voce da funerale. Non importa.
Non mi ha detto che mi voleva bene, come fa di solito.
NonImportaNonImportaNonImporta.
Pare che io, qui, non conti più per nessuno.
E adesso Mike mi fa questo...

*********************

Mi scaravento in classe per prendere la mia roba che è rimasta sul banco.
La porto via, infilandola nello zaino, con movimenti bruschi ed evidentemente frustrati.
Non penso che scenderò a pranzo, non ho nessuna fame, né voglia di rivedere le brutte facce dei miei amici su cui è stampata una perenne espressione di rimprovero.
Mi limito ad uscire fuori al cortile e a fare il giro lungo, fin sul retro dove c’è l’entrata della palestra.
C’è un campetto di tennis all’aperto circondato da una rete per pollaio, e poi un grosso edificio di cemento e mattoncini rossi con un portellone di metallo. È quella l’entrata per la palestra, con un campo da basket che più che altro serve durante le ore di educazione fisica per correre o fare ginnastica.
Accanto all’entrata della palestra c’è un’aiuola, uno dei pochi posti verdi che questa scuola conservi.
è lì che mi vado a sedere, tanto non mi cercherà mai nessuno.
Voglio stare sola, voglio crogiolarmi nel mio vittimismo e bestemmiare augurando quanto c’è di peggio al mio migliore amico che adesso ha deciso di mettersi a fare la parte della mia coscienza.
Non mi serve un grillo parlante, grazie.
Rimango lì per un po’, ma mi sento inquieta, come se qualcuno mi stesse osservando.

“Stavi meglio con la mia camicia.”

Salto su, i capelli mi si rizzano sulla nuca.
Giro la testa di qua e di là per cercare la bocca che ha pronunciato quelle parole.
Ci metto un po’ ad inquadrare Mike-biondo-platino che sta accovacciato dietro un cespuglio di more e sembra rovistare nell’erba.
Dopo averlo osservato con un’espressione idiota stampata in faccia, giro le spalle e faccio per allontanarmi.

“Eddai su, fermati un attimo, ok? Parliamone.”

Mi blocco.
Se adesso me ne vado dovrò cercare un altro nascondiglio e rischio di incrociare Mike, Meggy o qualcun altro e davvero non mi va.
A malavoglia mi giro e torno a sedermi, dandogli comunque le spalle.
E soprattutto con l’intenzione di fare scena muta finchè non suonerà la campanella.
Continuo ad avere lo stomaco vuoto e una grande rabbia in corpo.
Spero di riuscire a sopportare la presenza di questo fastidioso troglodita.

“Ehi. Mi dispiace per quella sera, da quel tizio. Avrebbero dovuto dirtelo.
Ma se lo avessi saputo prima sicuramente ti saresti opposta. Io lo avrei fatto.”

Non mi frega.
Può fare il bravo bambino quanto vuole, ma non mi frega.
Lui continua a rovistare per un po’ fra i rovi lanciando ogni tanto un gemito per ogni spina che le sue dita incrociavano nei loro movimenti.
Quindi lancia un sospiro di sollievo ed estrae un accendino.

“Finalmente! Lo sto cercando da un quarto d’ora!”

Lo sento che rovista, stavolta in una tasca per poi estrarre qualcosa che fruscia, forse fatto di carta.
Poi viene a sedersi vicino a me e posso scorgere nelle sue mani un pacchetto di sigarette e un accendino rosso.
Lo osservo con la coda nell’occhio mentre se ne accende una.
Poi mi tende il pacchetto. Ho un déja vu.

“Vuoi?”

Lo guardo.
Quegli occhi azzurri, così vicini, sono davvero imperscrutabili.
E ci separano pochi centimetri.

“Si, grazie”

Il mio è una specie di grugnito ma a lui basta per passarmi una Camel.
Me la infilo in bocca e mastico un po’ il filtro.
Lui intanto avvicina la mano per limitare l’aria e il vento e fa scattare l’accendino.
La fiamma tremula un attimo e poi sento il fumo del tabacco in combustione.
Mi viene una gran voglia di sputarla ma non lo faccio, non so perché.
Aspiro con forza, troppo, e mi sale la tosse.
Sputacchio davanti a me facendo cadere la sigaretta per terra.
Nel frattempo sento il mio viso che si arrossa, le guance che bruciano, e probabilmente assumo tutti i colori possibili e immaginabili, dal rosso peperone, all’arancio mandarino, al verde malaticcio.

“Prima volta?”

Mike biondo-platino raccoglie da terra la sigaretta e ne stringe la canna facendo scivolare un po’ di tabacco carbonizzato nell’erba.
Io nel frattempo borbotto, infastidita, più nervosa di prima:

“Embè, non si vede?”

Lui si limita a ridacchiare, quasi benevolo, e mi porge la sua, di sigaretta.
Me la metto in bocca e aspiro di nuovo, un po’ più lentamente.
Fa davvero vomitare però stavolta ho intenzione di andare fin in fondo.
Oddio, e se Mike-biondo-platino avesse l’herpes? E se fosse raffreddato e mi prendessi un’influenza?
Metto a tacere tutti i campanelli d’allarme e mi limito a sfumacchiare dal filtro della Camel;
quel filtro che, pochi secondi fa, era in quel ricettacolo di germi che è la bocca del compare affianco a me.
Silenzio. Aspiro. Espiro.

“Uhm...almeno non sei impedita. Hai capito come funziona.”
“Bene, uno a zero.”

Lui nel frattempo si è riacceso la mia, di sigaretta, e ci facciamo compagnia, brave e allegre ciminiere che non siamo altro.
Dopo un primo momento di disgusto e profondo schifo è quasi rilassante.
Il movimento è abbastanza meccanico, bisogna solo fare un po’ di attenzione al respiro e a non soffocare con tutto questo fumo in gola.
Solletica il palato e la gola.
Effetti collaterali: un leggero mal di testa, qualche giramento, un lieve pulsare.

“Ehi”
“Ehi”
“Io dicevo sul serio prima.
Quando Billie mi ha raccontato quel che è successo l’altra sera, gli ho fatto una lavata di capo.
Si sono comportati davvero da idioti. Non si rischia per così poco.”
“Mhm...”
“Comunque, secondo me, dovresti dargli un’altra chance. In fondo non fanno niente di male.”
“No”
“Mhm...
Billie mi ha raccontato che te la sei presa.”
“Si, e avevo tutte le ragioni.”
“Sono d’accordo, ma ormai è successo. Vuoi tenergli il broncio per sempre?
è un po’ da stupidi. Insomma, non vorrai fare la bambina capricciosa.”

Detto da lui non suona così offensivo come dalla bocca di Mike o di Armstrong.
Finalmente uno vagamente gentile. E poi questa sigaretta è più rilassante del previsto.

“Mi hanno fatto incazzare.”

Sento uscire dalla mia bocca una voce terribilmente infantile, oltre che strascica e masticata, mentre la cenere della sigaretta cade sul selciato dell’aiuola.
Lui si mette a ridere. Ha una bella risata, sincera, un po’ rauca.

“Ehi, come sta la mia camicia? La tratti bene?”
“Beh, intanto l’ho lavata...già un passo avanti no? Rispetto a come me l’hai presentata!”
“Non scherzare. Quella è una signora camicia*! Ci ho sudato come un porco quando, per la prima volta, con Billie e Al abbiamo suonato Why do you want him al Gilman!”
“Che schifo! E non la lavavi da allora?!”
“Boh...non mi ricordo.”

Il tono misterioso con cui lo dice mi fa scoppiare a ridere e per poco non rischio di far cadere la seconda sigaretta della giornata. Finisco per stritolarla un pochino, cercando di trattenere le risate.

“Mike, ma tu che fai, oltre che suonare al Gilman?”
“Beh, vado a scuola, poi lavoro, come cameriere e come installatore di fiberglass*, quello però solo un paio di volte a settimana. Poi, ogni tanto, il pomeriggio e la sera, quando posso provo, e quando ci danno il locale, suoniamo tutti insieme. Gli Sweet Children al completo.”
“è così che vi chiamate?”
“Già. È  un po’ un controsenso, basta guardarci per capire che siamo tutto tranne che dolci bambini indifesi.”
“Già. E da quanto tempo vi conoscete?”
“Con Billie ci conosciamo da quando lui aveva dieci anni. Con quest’anno fanno otto.
Con Al da non più di un paio d’anni. Tre massimo.”
“Uhm...e dove abiti più o meno?”
“Beh, casa mia l’hai vista.”

Davvero? Ho visto casa sua?
Ero ubriaca per caso?
Non mi pare di esserlo mai stato a meno che non sono in preda ad un’amnesia.
Scuoto il capo, perplessa.

“Impossibile.”
“Cosa?”
“Non sono mai stata a casa tua. Sono stata solo a quel raduno di amichetti vostri.
Quando avete suonato quella sdolcinata canzone d’amore.”
“Quella è casa mia.”

Non è possibile.
Quella è una tana, un posto dove giocare, dove lanciarsi le bottiglie di birra, dove ubriacarsi, dove fumare, dove suonare, dove sballarsi in qualunque altro modo possibile e immaginabile.
è il posto più sporco, malridotto, fatiscente, disordinato, confusionario, caotico, merdoso che abbia mai visto.

“Tu abiti lì’?!?!”
“Si. Insieme a Matt, Jason e... qualcun altro. Gente che ha casa altrove ma che passa le notti fuori, sui nostri divani.”
“Ma...ma la tua famiglia?”
“è un po’ lungo da spiegare.”
“hai fretta?”
“Mia madre si bucava, mio padre non esisteva e quindi sono stato adottato.
I miei attuali genitori sono separati e non si parlano da anni.
Mia madre e mia sorella abitano a Santa Rosa. Ci si sono trasferite due anni fa.
Io le ho detto che non mi rompesse le scatole. Qua ho il gruppo, ho la mia vita, il mio lavoro, e i miei amici. Lei non mi ha mai seguito più di tanto, salvo poi, alle volte, urlare isterica per i miei voti che raggiungono a malapena la sufficienza.
Ma con la vita che faccio quando cazzo lo trovo il tempo per studiare?”
“Oh.”

Adesso che me lo ha detto mi sento un tantino a disagio.
E soprattutto mi sento patetica e insignificante.
Come ho fatto a farmi venire un attacco depressivo per quella stronzata di una settimana fa?
Ce li avessero tutti i miei problemi!
Viceversa non vorrei mai avere la vita e i problemi di Mike biondo-platino, anche se ne parla con la tranquillità più assoluta.
Sento il suono della campanella; penso che farò tardi.
Ormai la sigaretta l’ho finita.
Mi alzo, sollevando con me l’Eastpack, e gli faccio un cenno di saluto.

“Ehi, allora ci pensi?
Lo hanno fatto solo per facilitarsi la vita.”
“Te lo ha chiesto Billie?”
“Che cosa?”
“Te lo ha chiesto Billie di convincermi a chiudere un occhio su questa cosa?”
“Come lo sai?”
“Così.
Grazie per la sigaretta”

Lui rimane a guardarmi meravigliato e incuriosito.
Poi l’azzurro dei suoi occhi perde quelle sfumature e ritorna ad essere solo ceruleo, impenetrabile.
Cazzo, se ha degli occhi da favola.
Mi avvio. Non so lui che lezioni abbia ma se lo aspetto faccio tardi.
E mentre salgo le scale per raggiungere la classe di matematica mi chiedo:
ma perché diamine Armstrong insiste così tanto che io faccia pace con Jenny?!
Se è davvero così, è cotto a puntino.

**********************

Arriviamo finalmente a oggi.
Oggi è il 10 Dicembre ed fino al 25 Novembre credevo che mi sarei presentata senza un regalo pronto per il compleanno di mio padre.
Alla fine, il 25 stesso, Jenny si è presentata sotto casa mia con i pezzi e non solo con questi.
è arrivata alle undici del mattino mentre stavamo preparando il pranzo per festeggiare i cinquanta del mio vecchio.
Mia madre stava preparando la lasagna anche se cucinare piatti elaborati decisamente non è il suo forte.
Specie quando non c’è Frank, e, fortunatamente, almeno quel giorno aveva avuto il buon gusto di lasciarci per una giornata in famiglia.
April Foster era curva su un libro di ricette, davanti a lei un tavolo con il ripiano di marmo e una sfilza di grossi taglieri in cui sembra impastata la farina, vicino un contenitore di carne macinata cotta, del formaggio in fette e una manciata di pentole abbandonate sul bordo del tavolo.
Bussano alla porta e ovviamente io schizzo via, asciugandomi le mani su uno straccio.
Stavo impastando le lasagne.
Papà è arrivato ieri sera tardi e dorme ancora.
Ma non c’è bisogno di controllare perché tanto so benissimo di che si tratta.
Davanti a me c’è Jenny con la sua fedele saccoccia di cuoio, e una grossa torta in mano.
Accanto a lei ci sono Juls che porta un contenitore di vetro, da cui si intravedono le onion rings e le chips che emanano un profumino di appena fatto:  mi fa venir voglia di sciogliermi là davanti.
Sono fumanti;  le avrà fatte a casa del fidanzatino.
Con mia grande sorpresa c’è anche Mike.
Lui porta una busta con delle vaschette di gelato e una busta di supermercato.
Non appena Jenny mi vede, sembra fermarsi a guardarmi, con gli occhi che si fanno lucidi e via via più emozionati. Mette a terra la torta con quanta delicatezza riesce e si getta fra le mie braccia.

“Virgin! Mio Dio, finalmente!!!”

Mi sento un mostro.
Lei è adorabile, è felice come una bambinetta il giorno di pasqua, io invece a stento ho sentito la sua mancanza in queste ultime settimane.
Lei mi abbraccia, mi da delle pacche sulle spalle, mi bacia in fronte, sul naso sulle guancie.
La solita esagerata.

“Jenny...mi sei mancata”
“Oh, Ginny, sapessi tu quanto! Per una cosa così stupida, poi, abbiamo litigato!”
“Lasciamo stare, altrimenti litighiamo anche ora.”

Lei allegramente si stacca da me e riprende in mano la torta varcando la porta senza nemmeno chiedermi il consenso. Si sente a casa sua e questo mi riempie di gioia.
Davanti a me sfilano un Juls abbastanza mansueto e di buon umore e un Mike imbarazzatissimo.
Ignoro entrambi e mi affretto a seguire Jenny che si è subito fiondata in cucina, forse sperando di monopolizzare il campo.
Mia madre rimane piuttosto perplessa quando si trova davanti una ragazzina dai capelli bianchi, una tappa fra l’altro, sottile come lo stelo di una margherita che irrompe, salutando a destra e manca e presentandosi subito a lei, con la voce stridula:

“Salve signora Foster! Sono Jenny, un’amica di Vig! Le ho portato qualcosa di caldo, appena pronto per festeggiare il compleanno di suo marito!”

Mia madre è decisamente stordita.
Mi lancia uno sguardo smarrito mentre io mi faccio avanti, contagiata da quell’energia travolgente.

“Mamma, Jenny è venuta parecchie volte e ha sempre detto che un giorno avrebbe voluto cucinare lei per tutti noi...e questo è quanto!”
“Aehm...cara! Ciao, che pensiero carino. Io sono April, la mamma di Vig.”
“Non si preoccupi signora, l’avevo intuito e non la disturberò per molto.
Sta cercando di preparare un ragù?”
“No, una lasagna.”
“Oh! Allora mi lasci fare! uhm...non così, con la pasta, intendo...”

Mentre Jenny si immerge nella sua nuova attività di capocuoco in casa Foster, mia madre la guarda affascinata ed ammaliata. Direi che l’ha conquistata.
Io mi limito a uscire dalla cucina e a tornare in soggiorno dove stanno Juls e Mike che sembrano giocare alle belle statuine.

“Ehi, ragazzi, potete anche sedervi anche senza un invito formale, sapete?”

Ottengo  che entrambi si assestino su una poltroncina, Juls, tranquillo e rilassato, con l’occhio indagatore, Mike, agitato e inquieto, mentre i suoi occhi guizzano per sfuggire i miei.
Sembrano guardarsi i due fratelli mentre fa noi il silenzio si carica di imbarazzo e un po’ di tensione.
Alla fine Juls sbotta, annoiato:

“Eddai, Mike, stiamo facendo notte!”
“Devi dirmi qualcosa Michael?”

Nonostante sia il mio miglior amico, nonostante gli voglia un bene dell’animo, mi piace vederlo in imbarazzo in questo frangente. Anzi, sono sadica e contenta, specie quando quello si morde il labbro  e sembra parlare stretto stretto, appiccicando le parole l’una alle altre.

“Scusami, mi sono sbagliato. Colpa mia.”
“Come scusa?”
“Ho detto scusami, perché ti ho trattato una merda e mi dispiace un sacco.”
“Mhm...grazie tante Mike.”

In effetti non l’ho veramente perdonato ma per lo meno ha assunto un’espressione diversa da quella di prima, un vero cane bastonato. Mi lancia un sorriso speranzoso.
Io ricambio e poi, con l’espressione più innocente e la voce più mielosa che riesco a tirare fuori, continuo:

“Mike, vuoi farti perdonare?”
“Certo!”
“Allora va in cucina e renditi utile.
MAAAAMMAAAAA!!!”
“Che c’è, amore?!?!”
“Mike si è offerto di apparecchiare lui, di sparecchiare e poi lavare i piatti!!!”
“Oh! Ma che carino!”

Spunta fuori mia madre, con il grembiule in mano, che gronda di farina, di acqua, di carne e di passata di pomodoro. Si agita, non osa uscire dalla cucina per non macchiare il pavimento.
Si limita a sporgersi sullo stipite e poi osserva Mike, leggermente preoccupata:

“Caro, ma sei certo di voler fare tutto tu? So che sei un vero tesoro, ma non c’è bisogno...”

Osservo Mike che arrossisce come il culetto di un babbuino e si morde il labbro:
“Assolutamente si, signora Foster. Non si preoccupi. È un piacere.”

Mia madre tira un sospiro di sollievo e gli fa uno dei suoi luminosi sorrisi a trentadue denti.
Io vorrei sganasciarmi dalle risate ma mi trattengo a stento.
è troppo bello! Era da una vita che sognavo di farlo.
Il sadico piacere di mettere in imbarazzo gli altri è una cosa che tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita. Secondo me ha proprietà terapeutiche.
Non mi sentivo così bene da secoli!
Ho fatto pace con la mia migliore amica, qui in America, e  mi sto divertendo troppo!

“Oh, Vig, li avessi avuti io degli amici adorabili come i tuoi alla mia età!
Grazie caro, allora vieni con me che ti mostro dove sono i piatti.
Apparecchiamo fuori. Jeeeeenny!!! A che punto è la cottura della passata?!?!”
“Cotta a puntino April! Anche la pasta è pronta!”

Vedo mia madre e il mio migliore amico scomparire in cucina mentre lei si affretta a precisare:

“Caro, ma puoi chiamarmi anche April. Nella credenza ci sono le posate...”

******************

È stata una giornata stupenda.
Abbiamo mangiato a tavola tutti insieme, papà compreso, e gli abbiamo fatto un bel brindisi con quello champagne da supermercato che aveva portato Mike.
Beh, meglio di niente. Ammetto che noi a questo non ci avevamo pensato.
Mamma aveva comprato il tiramisù, il dolce preferito di papà, e lui ha spento le sue quaranta candeline fra gli applausi della tavolata. Poi però, con grande sorpresa di mamma, si è ingozzato di torta panna e fragole, quella fatta in casa da Jenny.
I dolci non mi fanno impazzire ma quella panna e fragole era meravigliosa, riscaldata nel microonde per una manciata di secondi era divina.
E ovviamente Mike ha sparecchiato e lavato i piatti.
Mentre lui e la mamma si affaccendavano in cucina, io, papà, Jenny e Juls siamo andati dritti dritti in garage: era arrivata l’ora di scartare il regalo.
Papà ha assistito di persona al montaggio della nostra adorata Honda con gli occhi spalancati dalla meraviglia mentre osservava con attenzione Jenny smontare di qua, oliare di là, rimontare, provare i nuovi freni a disco,trafficare a più non posso con molle, pezzi di lamiera, di ferro e altra chincaglieria di questo genere.
È  ufficiale. Mio padre ADORA Jenny.
La ama, la vorrebbe come figlia o, se fosse abbastanza giovane come un tempo, come ragazza.
Da come la guarda sembra uno scolaretto cotto, oppure un bambino davanti al suo supercampione preferito...

“Come hai detto che ti chiami?”

Una Jenny con il grembiule sporco di olio, il volto annerito, un cacciavite nella mano, o meglio nel guanto di pelle, gli concede uno sguardo e un secondo del suo tempo preziosissimo per poi rimettersi a lavorare.

“Jenny, signor Foster.”
“Si, ma esattamente qual è il tuo nome?”
“Uhm...Eugenie Lyndon”

Aspetta...ho sentito bene?

“Eugenie? Ma io credevo ti chiamassi Jennifer!”
“E questo chi te l’ha detto?”
“Ho sentito Billie chiamarti così un paio di volte. E poi pensavo che Jenny fosse il soprannome di Jennifer.”
“Boh, si, probabilmente la maggior parte dei miei amici crede che io mi chiami Jennifer, Billie incluso.”

 In effetti suona davvero strano il fatto che lei si chiami Eugenie.
È troppo austero, antico, da romanzetto rosa, pesante, ridondante.
Non è lei.
Lei è una ventata di allegria, di energia, di solarità, di leggerezza, una specie di striscia comica, una tavoletta di cioccolata che ti illumina le giornate più gelide e invernali.
Lei è solo Jenny.

********************

Dicevo, oggi è il 10 Dicembre ed è una giornata abbastanza anonima, tranne per il fatto che finalmente sembra arrivato il freddo, un freddo continentale, polare, gelato e decisamente odioso.
Io soffro il freddo molto più che il caldo.
Sarà che, come dice mia madre, sono una lucertola, una di quelle che stanno a rosolare al sole ma quando si tratta di affrontare climi più rigidi, è una tragedia.
Tra l’altro non posso nemmeno contare su una massa grassa e quindi il freddo mi gela direttamente le ossa. Insomma come orso polare non valgo granché.
Sono talmente imbacuccata che mi si vede a stento il naso e la bocca.
Sembro un eschimese che si fa il giro della Lapponia alla ricerca di legna da ardere.
Io non avrò la legna da ardere, ma secondo me, i libri fanno lo stesso piacevole effetto.
Se potesse servire a riscaldarmi, finalmente i libri di scuola acquisterebbero un senso.
Ma una bella lezione di inglese a prima mattina non me la leva nessuno.
Dovrei essere contenta.
Durante le ore della Carson mi scaldo abbastanza da cancellare qualunque brivido di freddo mi strisci lungo la schiena.
Probabilmente, se fossi un ragazzino, avrei già radunato una baby gang per darle la caccia e ridurla in poltiglia.  Altro fertilizzante altamente nutritivo per il nostro giardino, gratis poi.
Mi siedo al mio solito posto.
Armstrong è di nuovo assente ma stavolta ha una vera giustificazione.
Ha la febbre.
Meno male che non è venuto a contagiare tutta la scuola.
Trovo molto stupide certe prese di posizione dei genitori che costringono i loro figli ad andare a scuola mentre magari i poveretti hanno un’emicrania da paura e trentanove di febbre.
Se stai una merda come diamine fai ad ascoltare una frigida rettile che spiega quattro stronzate per ignoranti?
Quella parla.
Continua a parlare.
Tanto non ti sento.
Voglio chiudere gli occhi, voglio dormire nel mio lettuccio, sotto il piumino, con quattro coperte, due grossi cuscinoni e...

“Mss Foster! Mi dispiace rubarle un secondo del suo preziosissimo tempo specie mentre è impegnata a dormire sul banco. Dov’è la relazione, ms Foster?”

Cado dalle nuvole.
Scuoto la testa, cercando di inquadrare quel tacchino spennacchiato che non è altro.

“Quale relazione, mi scusi?”
“Come quale relazione! Non le avevo chiesto, a fine modulo, di presentarmi  una relazione scritta dal suo compagno su un qualsiasi argomento del programma che fosse di suo interesse?”

Ah si. Che buffonata.

“Mi stupisco veramente di lei. La reputavo una persona a modo.
D’altro canto io ho bisogno di uno scritto e, se non mi sbaglio, Armstrong ha lasciato in bianco il test su Poe*.
Sarebbe il caso di approfondire l’argomento che ne dice?”

Si si, certo.
Approfondiremo sicuramente.
Ve lo dico io come andrà a finire: io seduta a terra a leggere i paragrafi su Poe mentre lui prova sull’acustica.

“Mhm...”
“Bene. Allora voglio, entro la settimana prossima una relazione su Poe e sul romanzo gotico ottocentesco. Minimo quindici pagine, fatto per bene;
lo considererò alla stregua di un test, varrà come voto per lo scritto.
Lo comunichi ad Armstrong. Voglio quel lavoro la settimana prossima.
Fra lei e il suo compagno avete ancora sette giorni.”

Più chiaro di così si muore.
Lo sapevo che questa mi vessava.
Brutta vacca disgustosa.

*******************



Note

* In generale in America le assenze sono molto monitorate. Gli studenti hanno un numero davvero ridotto di assenze e molto spesso sono avvertite le famiglie, specie quando l’alunno ne ha già fatte in precedenza. Poi ovviamente bisogna presentare una giustifica scritta ma il più delle volte gli insegnanti vogliono parlare direttamente a telefono con i genitori.

* Dopo la prima guerra mondiale la Germania, sconfitta, è costretta a pagare tutti i danni di guerra e cade in una grave crisi economica, dovuta anche al fatto che l’unica forza produttiva del paese era l’industria bellica, siderurgica e pesante, ormai inutile e anche abbastanza obsoleta; dilaga l’inflazione tanto che è famosa una foto di una carriola piena di marchi (moneta della Germania) sospinta da alcuni bambini, soldi che bastavano a malapena per pagare il pane.
è a causa di questa grave crisi e dello stato confusionario in cui versava il paese che il popolo ha appoggiato il partito nazional-socialista di Hitler che prometteva di ricostruire una nuova grande e potente nazione, ma soprattutto sembrava promettere quell’ordine a cui aspiravano i tedeschi.
 
* Il 1929 è ricordato dall’America come l’anno della crisi più grave che gli U.S.A abbiano mai affrontato. Fino agli anni ’20 l’economia americana registrò un boom notevole mentre il resto dell’Europa uscì molto provata dalla prima guerra mondiale. Questo portò ad una progressiva sovrapproduzione, un crollo dei prezzi e delle borse, prima fra tutte quella di Wall Street.
Immaginerete il dramma all’epoca. Non entro nello specifico ma per approfondimenti vi lascio questo link
 
* Non si può più ignorare la “signora camicia”,  è il momento di darle un volto!
 Ringrazio da morire Old Whatshername per avermi fornito quell’immagine oltre che per avermi fatto scoprire quella meravigliosa gallery   *_______*


* Quando Mike, appena quindicenne, decide di andare a vivere da solo, per pagare l’affitto in casa Armstrong e per sopravvivere, si fa assumere in un ristorante popolare per  duecentocinquanta dollari al mese. Poi in seguito lavora come installatore di fiberglass e si fa assumere come cameriere assieme ad Armstrong al Red’s (allora però si era già trasferito in uno di quegli edifici occupati dagli squatter.)
Siccome non sono riuscita a capire con precisione i tempi, l’ho interpretato così  ù.ù
FONTE: “Green Day: New Punk Explosion”

*Edgar Allan Poe, già citato in precedenza, scrittore di romanzi gotici americani della metà dell’ottocento.


Ringraziamenti

A Time Bomb per averla segnata come preferita.
A tutte voi che leggete, seguite, commentate, preferite o passate per caso!


L’angolo dell’autrice

Ciao a tutte,
ora che sono in piena vacanza ho un bel po’ di tempo per pensare a nuovi sviluppi per questa vicenda che mi appassiona un sacco, anche se poi penso che cambierò band, perché altrimenti mi fisso troppo e finisco per non ascoltare altro...sopratutto perché un mio caro amico mi ha passato l’intera discografia dei GD e quindi adesso la sto mettendo su CD con l’intento di ascoltarla moooolte volte, per la gioia di mia sorella, che divide la stanza con me. U.U
-Ma perché ci racconti i fatti tuoiiii?!?!?!?
-perché oggi mi va così!
Anyway, gente, questo capitolo è un capitolo di riassestamento, come qualcuno di voi avrà intuito ( se non l’avete intuito, salute a noi, ve lo sto spiattellando in faccia ù.ù)  e penso si delinei moooolto meglio la figura di Jenny (MyLove!!! *_* ).
Eh lo so, che sono crudele, specie con la povera Underthesky che mi aveva espresso chiaramente la sua speranza, ma vi assicuro che niente andrà come sembra mwahahahhahahah
È tutto più complicato di così...e ovviamente, come al solito, tutto abbastanza verosimile, visto che il mio libriccino sulla band supplisce alla straziante mancanza di internet...
Devo elemosinare il pc di un mio amico, un paio di volte a settimana per controllare la posta, fb e EFP ovviamente <.<
E così, con le dolci note di Homecoming (GD) e di Brown Sugar (Rolling Stones) poi, pianifico la fine della mia ff e vi anticipo che ci saranno quattro, massimo cinque capitoli ancora da postare e poi...
Cest’ Finit!
Dopo che ho spoilerato il mio piano diabolico posso andare in pace. (oddio, “spoilerato” poi, tanto lo sapevate che con il chappy di febbraio la festa era finita; da dicembre a febbraio manca davvero poooco.)
Fatemi un applauso, stavolta con le note vi ho graziato xD
Comunque per chi vorrà continuare a seguire fino alla fine, non sapete quanto vi ringrazio!
è sempre un piacere leggervi, vedervi partecipi o comunque sapere che ci siete!
Sayonara,

Misa

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Capitolo 9
*** Dicembre: cotte e cazzi amari ***



Dicembre

Cotte e cazzi amari.


Mamma mi aveva promesso che  avremmo festeggiato il natale a Berlino, con Hana e la sua famiglia.
Che saremmo andati a vedere la parte Est, che avremmo incontrato i cugini di Hana: lei dice che Kurt è troppo carino e starebbe benissimo insieme a me.
Sostiene che lui, quando ha visto una mia foto, ha esclamato “Cavolo, chi è questa? È uno schianto!”
ma, secondo me, lo fa solo perché ha già predisposto tutto per il primo appuntamento senza che nessuno di noi due ne sappia niente.
Quando eravamo bambine ero io quella audace e lei quella timida ma, quando ci siamo fatte ragazze, Hana è diventata una temeraria e ha scelto il suo mestiere:  agente matrimoniale in missione speciale.
Io non sono particolarmente timida ma lei è senza pudore!
Poi negli ultimi tempi, quando le ho raccontato del mio gruppo, lei non ha fatto altro che chiedere di Armstrong.

“Ma come sta quel tuo compagno di banco? Gli fai ancora lezione di inglese?
Com’è? Ancora biondo? O blu? O verde?”
“Niente di nuovo sul fronte occidentale. In compenso credo si stia facendo crescere i capelli.
Non si rasa da un po’. ”
“Uhm...e uscite la sera?”
“Con il gruppo? Mah, non tanto.
Ogni tanto, il week-end o comunque sempre quando c’è Jenny”
“Devo essere gelosa di questa Jenny?!”
“Mannò! Maddai! Lo sai che sei la mia migliore amica di sempre!”
“Uhm...e lui che fa?
è fidanzato? Sta appresso ad una?
Si vede con qualcuna?
State spesso insieme?”
“Hana...ma che dici? Sai quanto me ne frega!
Comunque no, non è fidanzato che io sappia.
Per il resto, vuoi che ti dia il suo numero? Così glieli chiedi di persona questi dettagli sulla sua vita sentimentale!
“Uhm...ok!”
“Cosa?”
“Aspetta che cerco carta e penna.”
“Ma che dici?! Tu nemmeno lo parli bene l’inglese!”
“Non è vero! E poi di che hai paura? Voglio solo scambiarci quattro chiacchiere!
Voglio vedere che razza di gente frequenta la mia amica del cuore.”

Poi sono cominciati i cori:  HaiPaura?, MiNascondiQualcosa?, CheVuoiCheSucceda!, Eddaaaaaai!!!  Vigliaaaacca!!!, VigSiVergogna!, VirginiaLaBambina ecc.
Alla fine mi ha strappato una promessa; un giorno di questi, magari durante le nostre lezioni di ripetizione, le dobbiamo telefonare, a qualunque ora, perché lei gli vuole parlare.
Sinceramente la cosa mi preoccupa un po’ perché so di cosa parlo quando chiamo Hana la mia piccola agente in operazione “convolo”.
Ma che può mai succedere?

Comunque, tornando al mio viaggio natalizio, abbiamo dovuto rinunciare.
Mio padre ha avuto un periodo nero a lavoro, di cui non parla mai ovviamente, cosa mi fa decisamente irritare, e mia madre invece è al settimo mese.
Non ci posso credere.
Da un giorno all’altro ci siamo accorti che il suo pancione cresceva a dismisura benché lei spesso indossi dei camicioni e della maglie XXL talmente sformate che sembra sempre la solita, con le sue gambette e le braccia magre ma forti e il torace piccolo.
In questo devo dire che somiglio parecchio a lei.
Insomma dopo un po’ ci siamo accorti, tra me e papà, che la mamma doveva stare riguardata e questo significa che Frank ha il governo totale della casa.
Non che mi dispiaccia più di tanto, anche perché cucina molto meglio di mamma, ma ritrovarmi tutti i giorni la faccia lunga e annoiata di Nick, contribuisce a mettermi di cattivo umore, a parte ovviamente il mio dispiacere per aver dovuto rinunciare al viaggio in Germania.
Lo so che dovrei essere paziente ma comunque mi sento come se avessero infranto una promessa, una cosa a cui tenevo tantissimo e per colpa loro non posso ottenere.
Cerco di farla pesare il meno possibile ma per questo preferisco passare meno tempo possibile a casa: vado a studiare da Mike o da Sab, vado a dormire da Meggy e esco con lei e il suo fidanzatino di Los Angeles, vado a cazzeggiare a casa di Mike-biondo-platino con i suoi amichetti un po’ flippati, compreso il mio amabile compagno di banco.
Altrimenti c’è sempre Jenny.
Ho praticamente vissuto un’avventura con lei.
Questo week-end lei doveva partire per un paesino sperduto dello Oakland* -non chiedetemi dove, già è tanto se conosco il nome di qualche posticino nei dintorni- per andare alla fiera del motore.
Peccato che mi avesse promesso che sarei andata a dormire da lei sabato sera e la fiera sarebbe finita solo domenica pomeriggio.
Insomma alla fine siamo partite insieme con il suo furgoncino con la prospettiva di passare la mattinata alla fiera, di berci qualcosa in un pub la sera e dormire nel suo pick up. Idem per domenica,  poi verso le sei e mezza ci saremmo mosse da quel posto sconosciuto per tornare in una più nota Rodeo.
Inutile dire che è stato grandioso.
Siamo partite ed è finita la benzina su una strada dal cemento un tantino malandato.
Abbiamo dovuto spingere per un bel po’ il pick-up, prendendo tutti i fossi della strada,  fino alla pompa di benzina più vicina.
Loro aspettavano ancora la fornitura e quindi ci è toccato attendere ancora un paio d’ore.
Finalmente abbiamo fatto il pieno e siamo partiti a tutta birra; c’era il rischio che arrivavamo in ritardo e addio bancarella per i pezzi.
Il padre di Jenny aveva dovuto vincere due puntate al casinò per poter fittare quella benedetta bancarella.
E quando siamo arrivate c’erano dei tizi che la stavano occupando.
Inutile dire che Jenny ha frenato di botto,  ha tirato il freno a mano, e si è lanciata fuori dalla portiera inseguendo quei tizi e insultandoli come un carrettiere.
Poi c’è stata una gara a chi urlava più forte, a chi trovava gli insulti più volgari, a chi era più macho e cose del genere.
Nel frattempo io ero nel furgone che stava ancora in mezzo alla strada e non osavo muovermi.
Dietro di me si era formata una fila di macchine che suonavano il clacson, gente che si sporgeva dal finestrino gesticolando furiosa, insulti che volavano, e un tizio cinque volte me è persino sceso dalla sua di macchina per capire che ci fosse capitato.
Alla fine si è offerto lui di spostare il mezzo e io ho dovuto lasciarglielo fare.
Ha parcheggiato abusivamente salendo su un marciapiede e poi mi ha mollato in tronco senza neppure salutare, limitandosi a bofonchiare qualcosa sull’incapacità della nuova generazione al volante, di come lui aveva imparato a portare la macchina a quattordici anni e di come le donne erano un pericolo alla guida di qualsiasi cosa.
Sono scesa e ho raggiunto Jenny che nel frattempo aveva accettato una sfida che mi ha fatto rabbrividire: chi reggeva meglio l’alcol avrebbe preso la bancarella.
Si è fatto avanti un armadio barbuto con due spalle gigantesche e i suoi amici hanno procurato un paio di bottiglie di rhum a metà prezzo.

“Jenny, per piacere, lasciamo perdere ok?”
“Col cavolo! Sai quanto ho pagato quel fottutissimo banchetto? Quasi mille dollari!”
“Ce li metto io, ok? Per un altro banchetto, intendo.”
“Adesso non c’è ne più nessuno da affittare, e comunque non me ne frega niente.
Quel coso era mio, l’ho pagato e lo voglio.
Non rompermi le scatole che già questi mi hanno fatto girare i coglioni.”

Che dire?
Ho assistito allo scontro fra i due, la mia agguerritissima Jenny che  buttava giù i cicchetti con un entusiasmo e un’esperienza che non avrei mai immaginato avesse, e lui che continuava a ingoiare bicchiere dopo bicchiere, senza sosta, come un lavello che scola l’acqua.
Quando hanno collezionato sette-otto bicchierini ho cominciato seriamente a preoccuparmi.
Erano entrambi rossi in faccia e ormai faticavano ad andare avanti, si attaccavano ai bordi del banchetto continuando ad insultarsi fra un drink e l’altro, le loro teste ciondolavano e io non comprendevo quasi più il loro inglese masticato.
Alla fine il tizio barbuto gliela ha data vinta, forse per la tenacia, forse perché nemmeno lui ce la faceva più.
Quanto a Jenny, appena quella banda di rompiscatole si è dileguata lei ha vomitato tutto per terra.
D’altra parte quel posto faceva già schifo di suo.
Le ho sorretto la testa per facilitarla e l’ho appoggiata su una sedia ma cadeva per terra, come un pupazzo.
Alla fine l’ho lasciata un attimo per spingermi poco più avanti, ad una specie di ferramenta dove ho comprato una brandina di quelle di plastica  e un telo impermeabile.
Ci ho steso Jenny sopra con tanto di telo impermeabile per assicurarmi contro il suo vomito.
Adesso toccava a me...
Come si vendono pezzi di ricambio, bulloni, attrezzi vari e cose del genere senza saperne un emerito niente?
Bene, io ci sono riuscita.
Nel senso  che ho adocchiato un senzatetto che camminava avanti e dietro per la fiera e gli ho proposto il tre percento del ricavato, più la brandina e il telo di plastica in cambio del suo lavoro.
Lui attirava i clienti, li intratteneva con le sue battute simpatiche, e, quando si parlava di pezzi, era quello competente, informato, appassionato. Io stavo alla cassa e sorridevo come se fossi la brava mogliettina del loro meccanico di quartiere.
Ha funzionato!
Ho raccolto quasi il doppio della somma che Jenny aveva pagato per l’affitto del posto.
Jenny si è svegliata solo verso le sette di sera, quando tutto era finito.
Io stavo pagando il senzatetto e lo stavo ancora ringraziando per il suo lavoro e, perché no, per la sua compagnia che era stata divertente, quando lei, alzatasi dalla brandina, mi ha guardato stranita, anzi, totalmente allucinata e si è messa a gridare:

“Ma che cazzo fai! Al ladro! I miei soldi! MioMIO MIOOOOOO!!!”

Nel frattempo si teneva la testa e piagnucolava, bestemmiando contro tutti i malanni di questo mondo.
Inutile dire che non l’ho portata a bere un bel niente. Mi sono solo procurata un paio di hot dog e una porzione gigante di patatine, annaffiando il tutto con acqua naturale e coca cola.
Lei si è riaddormentata subito dopo aver mangiato e io, dopo aver sistemato l’incasso della giornata nella cassaforte me ne sono andata a letto, tranquilla.
La domenica Jenny si è svegliata più lucida, il mal di testa era solo un dolorino fastidioso da ignorare però almeno si reggeva in piedi e formulava frasi di senso compiuto.
Le ho fatto trovare del caffè nero, forte, senza zucchero e un paio di croissant al burro.
Poi tutto è filato abbastanza liscio, abbiamo venduto meno di ieri, certo, ma non si può avere sempre tutto.
Comunque Jenny deve essersi divertita e ha comprato una serie di pezzi di quelli piccoli e rari e me li ha agitati sotto il naso per tutto il viaggio di ritorno.
Dopo la nostra gita alla fiera, ho sentito il bisogno di una vacanza; il desiderio è più impellente che mai.

****************

Dannazione, è già mercoledì e io ancora non ho detto niente ad Armstrong della relazione e compagnia cantando.
Esco da casa di Mike-biondo-platino; pensavo che lo avrei trovato lì, visto che dove sono Al e Mike c’è anche Billie.
E invece nessuno lo aveva visto e da Mike-biondo-platino ho trovato un casino mai visto.
Stava infilando tutti i suoi averi in un paio di scatoloni di cartone e qualche altra busta.
Non che avesse molto, in effetti, quindi poteva permettersi di fare da sé, senza chiamare chissà quale ditta traslochi.
L’ho osservato per un pezzo mentre appallottolava qualche maglietta, stendeva alla ben e meglio una giacca nera che all’epoca doveva essere stata parte di un abito elegante, infilava due camicie spiegazzate, una bianca e una a quadrettoni, tipo tartan, poi la divisa della Pinole Valley, un chiodo dalla pelle stravecchia e un paio di consunte infradito per la doccia.

“Ehi, Mike, hai visto Armstrong?”
“Uhm...no. Ma starà facendo anche lui i bagagli.”
“Cosa? Quali bagagli?”

Alza un attimo lo sguardo, lasciando penzolare la biancheria che stava infilando in una sacca a parte.
Non posso fare a meno di arrossire e girare la testa mentre lui mi sventola un paio di boxer sotto il naso.
Rimbocca le maniche della camicia e sposta lo sguardo su di me, un po’ sorpreso.

“Billie non te l’ha detto?”
“Non mi ha detto cosa?”
“Beh, che ci trasferiamo.”
“Dove? E che vuol dire vi trasferite? Lui che c’entra?”
“Billie se ne va di casa. Viene a vivere con me e Jason, tra la West 7th e Peralta Street.
Nella zona Ovest di Oakland.”
“Ma...i suoi?”
“Boh, vedrà lui. Più che altro è Tim che mi preoccupa.
Mentre Ollie, tutto sommato, se ne frega di quello che fa Billie, Tim è un rompiscatole.”

Ho lasciato cadere il commento sulla famiglia di Armstrong.
Credo che sia questione di punti di vista.
Mike-biondo-platino è abituato a considerare i genitori come rompiscatole e seccatori che ti incasinano la vita solo perché sua madre ogni tanto si svegliava e gli scombussolava la giornata, ma per il resto è stata piuttosto assente. O almeno è questo che mi ha raccontato lui.
Insomma, uno che si preoccupa di un ragazzo che non è neppure suo figlio è ufficialmente un rompicoglioni, una che se ne frega del sangue del suo sangue invece è una a posto, tranquilla, un’alleata.
No comment.
Ho salutato Mike-biondo-platino ignorando gli altri che andavano e venivano da casa, facendo tappa in cucina, davanti al frigo, per rifornirsi di birre.

Mentre cammino verso casa Armstrong mi chiedo perché qualcuno di loro non mi abbia avvertito prima.
E se non venivo a sapere niente, salvo poi trovare deserta quella bettola che loro avevano chiamato casa fino a quel momento?
Perché lui non me l’aveva detto prima?
In teoria dovrei essere la prima a sapere che si trasferisce, altrimenti dove lo raggiungerei per le lezioni di inglese?
O pensava che me lo avrebbe detto qualcun altro?
Mica cercava di nascondermelo?
O forse è ancora arrabbiato con me per quella sciocchezza della settimana scorsa.
Non dovrebbe essersi offeso, non è che lo abbia insultato più di quanto faccio di solito e se anche lo facessi lui se ne fregherebbe amenamente.
I ragazzi sono davvero complicati.
O forse lo siamo noi ragazze.
Nel frattempo arrivo davanti alla porta di casa Armstrong persa nei miei pensieri e suono il campanello meccanicamente.
Non si vede ne si sente anima viva per almeno cinque minuti buoni.
Mi tocca bussare almeno tre volte per trovarmi davanti Billie Joe che mi apre spazientito, apostrofandomi con un “Chi rompe?”.

“Potevi dirmelo prima”
“Di che cazzo parli?”
“Hai deciso di andare a vivere con Mike-biondo-platino in una Squatter House, ancora più ad Ovest. Quando pensavi di dirmelo?”
“Sai com’è, me ne vado di casa per non avere tra i piedi una madre, un padre o un qualunque genitore che pensi di dettar legge. Invece, adesso scopro che devo riferire tutti i miei movimenti alla mia compagna di corso. Magnifico”
“Ma...ma come diavolo ci vieni a scuola la mattina?”
“Ragazzina, hai mai sentito parlare di autobus?”
“Ma sono quindici fermate! Quasi più di mezz’ora in autobus! A che ora ti vuoi svegliare la mattina, alle cinque e mezza?!”

Nel frattempo lui ha lasciato la soglia di casa e si è subito diretto al piano di sopra.
Io lo seguo senza esitazioni di sorta, guardandomi in giro.
Non avevo mai fatto veramente il giro della casa anche perché la prima e l’ultima volta in cui ero entrata là dentro mi avevano decisamente terrorizzata.
Ma stavolta sono curiosa di vedere com’è il regno di Mr “non-faccio-un-cazzo-dalla-mattina-alla-sera-tranne-suonare-e-sballarmi-con-gli-amici”.
Entro in una stanzetta piccolina, non più di trenta metri quadri, anche questa nel caos più totale;
l’armadio ha le ante spalancate, e tutto il vestiario è impilato sul pavimento, il letto sfatto con le lenzuola che spazzano il pavimento, una chitarra, una coppia di amplificatori, un cassettone, un comodino e una scrivania con tanto di lampada.
Sul pavimento sono impilati anche una ventina di dischi in vinile e centinaia di fogli, foglietti, fogliettini, più una decina di quaderni.
Vedo che si affanna inutilmente a cacciare in una sacca sei magliette, appallottolandole (Dio, che brutto vizio!) e stritolandole quasi sadicamente.

“Così non ci entrerà mai tutto!”
“Eh?”
“Conosci il senso della parola piegare? Piegare una maglietta aiuta a fare economia quando si parla di spazio in valigia! Mai sentito?!”

Prima ancora che si riscuota, mi avvicino, con passo frettoloso, gli strappo la borsa di mano e la svuoto per terra. Mi guarda attonito.
Si vede che non ha mai piegato una maglietta.
Imbranato.
Mi siedo a gambe incrociate e prendo a stirare le maglie con le mani, almeno per quello che mi riesce: non riuscirei comunque ad estinguere queste pieghe millenarie.
Poi le ripiego e le infilo nella sacca appiattendole il più possibile.
Dopodiché attacco con i pantaloni, un paio di pullover, una giacca, la divisa della Pinole ecc. senza che lui sembri smettere di fissarmi, con quegli occhi verdi spalancati e un’espressione assolutamente idiota.
Questi vestiti sono terrificanti!
Sono...dismessi. Di taglie tutte diverse, alcune grandissime, alcune addirittura strette, stinti, scuciti in alcuni punti, rovinati, macchiati, maglie bucherellate, pantaloni stracciati, camicie a cui mancano i bottoni, altre con bottoni tutti diversi, toppe di tutti i colori e dimensioni su maglioni e maglie a maniche lunghe...devo continuare?
Anche se come quantità, devo dire che sta messo meglio di Mike-biondo-platino.

“Ma che diamine fai a questi vestiti? Li hai ridotti uno schifo!”
“Sai com’è, sono di seconda o terza mano. Alcuni me li hanno passati i miei fratelli, altri qualche mio amico.”

Almeno ha smesso quell’espressione da pesce lesso e sembra considerarmi un po’ meglio.
Mi indica un paio di orride camicie, una a righine nere e bianche, l’altra a quadri verdi, che spero non si metterà mai in mia presenza.
Tra l’altro quella verde è mezza stinta con delle macchie scure evidenti, macchie di qualcosa che sembra erba di prato.
La prendo, me la rigiro fra le mani, e nel frattempo sento la mia faccia contrarsi in un’espressione di disgusto.

“Quelle Jason le ha trovate in un parco tre anni fa, poi me le ha passate perché gli andavano piccole.”
“Ma quelle sono per ragazzini di quindici anni! C’è scritto sulla targhetta!”
“A me vanno.”

Lo osservo allucinata.
Beh, in effetti c’è davvero poca differenza fra uno come lui e un quindicenne.
Sicuramente sono alti uguale.
Mentre lui raccoglie i foglietti volanti in una pila più ordinata, legandoli insieme con una specie di spago, il mio occhio cade sui dischi in vinile.
Non posso fare a meno di guardare, benché non abbia mai amato la musica più di tanto.
Replacements di Minneapolis, Minor Threat, Dead Kennedys, Van Halen, Mö
tley Crüe, Generation X, Hüsker Dü, Ramones, Kinks,  gli Who*.
Questi ultimi sono gli unici che riconosco.
Gli altri mi sono assolutamente sconosciuti ma non ci vuole la zingara per sapere che genere di musica suonano.
Ce n’è uno particolarmente rovinato; Graffi dovunque e anche piuttosto larghi e profondi.
Sorry Ma,  Forgot To Take Out The Trash dei Replacements of Minneapolis.
Con due dita lo mostro ad Armstrong, sventolandolo, con fare annoiato:

“Questo oramai non suona neanche più. Tanto vale che lo butti no?”
“NO!”

Si lancia in avanti e quasi mi arriva addosso, tanto che, spaventata, lo lascio cadere.
Mi guarda feroce e con uno scatto arrabbiato lo afferra, buttandolo poi sulla pila dei vinili e girandosi per cercare uno scatolone in cui depositarlo.

“P-perché no?!”
“Quello è il primo disco dei Replacements che mi ha prestato mia sorella sei anni fa*!”
“Si, ma è un ammasso di graffi! Non lo puoi più sentire!”
“Tu non lo toccare. Ragazza o no, ti piglio a paccheri e ti faccio sputare sangue.”

Ok, oggi sta particolarmente di cattivo umore.
Non mi ha mai minacciato in questo modo.
Mi limito ad incrociare le braccia mentre lui caccia i dischi in uno scatolone.

“A proposito, che cazzo ci fai qui? Oggi non abbiano lezione, no?”

Odio quando mi tratta come se fossi la sua prof privata.
Come se a me facesse piacere vedere la sua brutta faccia flippata.

“La Carson vuole una relazione su Poe e il romanzo gotico dell’ottocento.”
“Che non rompesse il cazzo.”
“Se glielo andassi a dire sono sicura che capirebbe.”
“Per quand’è?”
“Per sabato.”
“Uhm...”
“Abbiamo tre giorni.”
“Ok, pensaci tu.”
“Cosa?!”
“Non ho tempo. Pensaci tu. Per piacere.”

Mi guarda intensamente, cercando di leggere la mia risposta negli occhi.
Si sforza di fare quello gentile anche se non gli riesce molto.
Non sembra uno che è abituato a chiedere un favore, anzi, l’esatto contrario:
uno che i suoi problemi se li risolve da solo, che non vuole ritrovarsi a dipendere da nessuno e non vuole avere debiti con nessuno. Uno a cui costa chiedere l’aiuto di qualcun altro.
O forse è semplicemente perché deve chiedere aiuto a me?
Alla fine mi rassegno e annuisco.
Lui può finalmente abbassare gli occhi e tornare al suo bagaglio.
Poi inaspettatamente sento la parolina magica uscire dalle sue labbra.

“Grazie.
Mi stai davvero parando il culo quest’anno.”
“Si, lo so.
Senti, invece di farmi stare qui come un’imbecille che ne dici di farti aiutare?”
“Uhm...porta giù la sacca degli abiti.”

Nel frattempo lui si è caricato di due scatoli di cartone e io lo seguo a ruota.
Appoggiamo tutto all’ingresso e cominciamo a portare giù il resto.
Serviamo entrambi per scendere gli amplificatori e la chitarra, anzi, le chitarre, un’acustica marroncina, e un’elettrica blu piena di scritte, adesivi, disegnini e roba del genere, entrambe nelle loro borse.

“Senti ma poi come te la porti questa roba fino a laggiù?”
“Non lo so ancora, devo sentire Mike.
Attenta alle scale...”
“Uhm...Se vuoi chiamo Jenny, lei sarà contentissima di darti una mano.”
“No, ci penserò da solo.”

Evita il mio sguardo e continua a seguire le scale sotto di sé mentre trasportiamo giù uno degli amplificatori. Tutto questo interesse per la scala mi sembra esagerato.
è solo una comunissima scala di legno che reggerà benissimo senza bisogno di controllare ogni minimo passetto.

“Ehi, guarda che io non ci metto niente! È questione di un minuto e poi lei sarà qua.”
“Non è una buona idea.”
“Perché?”
“...”

Vuoi vedere che...

“Eddai, dimmeeeeelo!
Perché ogni volta che si parla di Jenny tu fai il vago e ti rincretinisci oltre che diventare un peperone con tanto di tintura e gel?”

Comincio a stuzzicarlo, a riempirlo di domande, anzi a stonarlo sempre con la stessa cantilena.
Cerca di ignorarmi per un po’ e scuote il capo, quasi divertito.
Ma soprattutto si limita a non muovere un muscolo, tranne quelli necessari al trasloco e a non rivelare un bel niente.
Mentre sta scendendo l’acustica mi avvento sulla sua elettrica, nella sua borsa, che è appoggiata al muro, e la circondo con le mie braccia.

“LASCIALA! TI PREGO, LASCIALA!”
“Io la lascio se tu rispondi!”
“NON FARE LA STUPIDA RAGAZZINA, FAI UNA BRUTTA FINE!”

Non mi impressiono più di tanto.
Se anche volesse menarmi distruggerebbe la sua stessa chitarra e sono sicura che non lo farà mai, quindi non c’è pericolo. Continuo a stringerla al petto con le braccia.

“Non ti costa niente. Su! Tu rispondi!”

Lo sento bestemmiare in tutti i modi possibili e immaginabili, il suo sguardo è animato da un lato dal fuoco della rabbia e dall’altro da una velata paura.
Paura di che poi? Che possa fare qualcosa alla sua adorata chitarra?
Questo, a furia di strimpellare, a perso qualche rotella!

“Ragazzina...”
“Virginia!”
“...sei una grandissima stronza.”
“Embè? Ti arrendi?”

Alla fine sembra tranquillizzarsi un pochettino: si sarà convinto che non posso distruggerla tenendola in mano tre secondo. Almeno respira normalmente e non sembra in apnea.
Sospirone.
Alza gli occhi al cielo e fa un sorriso amaro.

“Perché?
Perché la conosco da una vita, in realtà anche da prima che lei si accorgesse di me.
Perché prendeva sempre il mio stesso autobus, quando dovevo andare da Mike, e lo fa tutt’ora e quei momenti sono terribili. Cado nel panico, l’imbarazzo è totale e in più arrossisco come una bimbetta alla sua prima cotta.
Perché ogni volta che ci vediamo sono costretto a vederla abbracciata a quel figlio di puttana del suo ragazzo. Ti assicuro che Juls è un grande stronzo con le ragazze.
Ne cambia in media una a settimana e ti assicuro che quello di Jenny è un record.
Due mesi insieme. Nessuno pensava che ci sarebbe mai arrivato.”
“Ma...da quanto tempo la conosci?”
“Uff! Da quasi quattro anni.”
“E in quattro anni...ti sei mai fatto avanti?”
“Non ho le palle. Non per queste cose.”

Per un momento mi fa sorridere questo benedetto ragazzo.
Sembra forte, sfrontato, ironico, e anche un po’ arrogante alle volte, poi non ha il coraggio di fare una cosa così semplice.
In fondo che ci vuole ad avvicinare una ragazza quando sei uno che ha deciso di andarsene di casa?
Che ci vuole, se sei uno che si mette continuamente in mostra su un palco davanti ad un pubblico che va dalle cinque alle cinquanta persone, o centocinquanta?
Che ci vuole, se sei uno che lavora tutti i giorni e nonostante tutto persegue il suo obbiettivo, quello di continuare a suonare, e sopravvivere con la sua musica?
E poi quando arriva il momento di avvicinare un ragazza diventa un bambinetto tremebondo.
Un bambinetto con la faccia paffuta e gli occhi a palla.

“Hai mai pensato di scriverle?”
“Scriverle?”
“Si, che ne so, una lettera, un biglietto da lasciarle addosso, nel cappotto, nello zaino, nella macchina o davanti alla porta di casa.”

Scuote il capo, arricciando il naso.
Poi mi da le spalle e fruga fra i pochi fogli e quadernini rimasti ancora fuori.
Mi porge un pezzo di carta su cui sono state scarabocchiate della parole, sopra di queste delle lettere e qualche tab per chitarra, appena abbozzata.

“Dovrebbe venire più o meno così anche se ci devo lavorare.”

Riprende in mano l’acustica, si siede per terra, e sembra controllare che sia accordata.
Mi indica una scatoletta di latta sulla scrivania e io mi allungo per prendergliela.
Ne estrae un plettro blu e poi comincia a suonare, pochi accordi, ritmati, veloci, melodici.

Now I rest my head from    
Such an endless dreary time.                          
A time of hope and happiness
That had you on my mind.                                   
Those days are gone and now it seems                   
As if I'll get some rest.
But now and then I'll see you again
And put my heart to the test.

Batte il tempo con il piede, come se dovesse mimare una batteria.
Una cosa che mi ha sempre stupito dei cantanti e chitarristi è che mantengono un ritmo e una melodia sia con lo strumento che con la voce.
Insomma è come quando mano destra e mano sinistra sul piano suonano due pezzi diversi.
Però è comunque più facile per il pianista perché il tempo è uno solo, per entrambe.
Invece, quando li sento cantare e sento il motivo alla chitarra mi sembra che stiano suonando in contemporanea due pezzi diversi.
Sarà che di musica non ne capisco niente.

So when are all my problems gonna end?
I'm understanding now that we are
Only friends.
To this day I'm asking why
I still think about you.

Cavolo, non pensavo che una canzone potesse essere così autobiografica, così vera… insomma così significativa.
Una canzone in fondo non è come un libro, non riesce ad esprimere veramente il pensiero di qualcuno, non è uno strumento di trasmissione del sapere o che so io.
Fino a questo momento penso di averle considerate sempre solo un hobby per appassionati, un bel giochetto da fare da soli, o in compagnia.
E invece queste parole sono emozioni.
Sono vive.
Le seguo sul foglio con il dito e , quando riattacca, comincio a cantare con lui.

As the days go on I wonder
will this ever end?
I find it hard to keep control
When you with your boyfriend.
I do not mind if all I am is
Just a friend to you.
But all I want to know right now
Is if you think about me too.

Non è neppure una canzonetta sdolcinata.
è una lettera, anzi, è più efficace di una qualunque lettera.
Sarà vero che la musica trasforma le cose?
Tra l’altro non avevo notato quanto fosse melodica e vibrante di energia la voce di Billie.
Ok, è un po’ roca, ma non per questo la canzone rende peggio.

So when are all my problems gonna end?
I'm understanding now that we are
Only friends.
To this day I'm asking why
I still think about you.*

Ripetiamo entrambi più volte il ritornello, a squarciagola.
Poi ci fermiamo e torna il silenzio.
Mi vergogno di averlo costretto in quel modo a mettere a nudo una parte di sé.
Ma lui non sembra poi così imbarazzato quando chiude la canzone, con gli ultimi tre accordi.
Anzi, è mooolto più rilassato di prima, e sfoggia un sorriso beato, raro di questi tempi.

“Billie, è bellissima.”
“Non è ancora pronta...ma l’idea è questa.”
“Ma...tu fai sempre così?”
“In che senso?”
“Qualunque emozione, qualunque cosa ti colpisca o ti sconvolga...tu le dedichi una canzone?”
“Boh, più o meno. Nel momento in cui le devo scrivere, è sempre un inferno, specie i testi.
Più la cosa mi sta a cuore e meno le parole sembrano venirmi fuori.
Poi quando si tratta di suonarla, di sentire la musica intorno, mi sfogo e così sto in pace, sia quando sono solo con una vecchia acustica e la mia voce, sia quando ad accompagnarmi ci sono un basso che traballa un po’ e una batteria leggermente fuori tempo*. ”
“Fagliela sentire!”
“A chi? Al gruppo?”
“A lei! A Jenny! Le hai dedicato una canzone! Una ragazza non può rimanere indifferente ad una cosa del genere.”
“Per essere additato come sfigato anche dal mio stesso gruppo? Grazie tante, sto bene così.”
“Billie, ma non è affatto da sfigati! È una cosa romanticissima! Sembra la scena di un film!”

Lui scrolla le spalle  e scuote la testa.
Non sembra credermi più di tanto o forse non si sforza nemmeno di farlo.
Lo vedo accartocciare quel foglio e ricacciarlo in uno scatolone insieme a tutte le altre carte.
Saranno quelle tutte le parole che lui ha tirato fuori cercando di spiegare cosa sentiva, cosa accadeva dentro e accanto a lui.
Ancora una volta mi sento un’incapace, una fallita che non ha nessuno spirito creativo, tanti interessi e nessuna passione. Mi sento un po’ vuota come persona.
Io sono sempre stata quella che poteva fare qualunque cosa, studiare qualunque materia e prendere sempre i voti più alti.
Ma non c’è mai veramente niente che mi abbia appassionato, niente a cui ho consacrato la mia vita.
E una volta che avrò finito di studiare...che diamine farò?

“E adesso... METTI GIU’ BLUE!”
“Chi?”
“LA MIA CHITARRA ELETTRICA! BLUE!
ALTRIMENTI TI SPACCO LA FACCIA!!!”

****************

Sono a casa, alla scrivania  e sto raccogliendo un po’ di materiale per quella dannata relazione.
Tre giorni dovrebbero bastarmi tranquillamente per finirla, anche se ammetto che non sto proprio di genio.
Continuo a pensare a Jenny, a Billie e alla sua canzone e mi sto convincendo sempre di più che lei dovrebbe sentirla.
Certo, non posso costringere nessuno dei due ma secondo me sarebbe bellissimo se lui trovasse il coraggio di suonarla davanti a lei.
Il visore del mio cell si illumina.
Jenny Casa.

“Jenny?”
“Vig...sniff sniff...”
“Jenny, che succede...stai piangendo?”
“Vig, m-mi ha lasciato!”
“Chi?”
“Fa-anculo, Virgin!
E chi s-secondo t-te?!?! Juls!
JULS M-MI HA LASCIA-ATO!!!”
“Ok, non urlare, ho capito.
Ma...come è successo?!”
“I-io n-non lo so, snif.
Ult-timame-ente un po’ l-litigav-vamo e...l-lui ieri m-mi ha preso d-da part-te e me lo ha-a detto-o.”
“Ma si può sapere che cosa ti ha detto?!”
“C-che s-si er...sniff sniff. NUAAAOOOOOOO”

Devo allontanare il telefono dall’orecchio altrimenti rischio di rintronarmi.
Jenny si è messa ad ululare come un lupo sul letto di morte.
Cazzo, quanto mi dispiace per lei.
Ti assicuro che Juls è un grande stronzo con le ragazze.
Ne cambia in media una a settimana...
Aveva ragione Billie.

“...s-si era-a i-in-n-namora-ato d-di u-un’ALTRA-A!”

****************



Note

* Penso di aver finalmente chiarito tutta la confusione che si fa fra regioni, città, cittadine, quartieri o che so io di quello sputo di terra in California.
Come avevo intuito, la regione della California è l’Oakland, la cittadina più significativa della regione in questione è Berkley, nota cittadina universitaria e Rodeo è  la cittadina quindici miglia a nord di Berkley.

* FONTI: “Green Day New Punk Explosion”
 Ad introdurre Billie Joe alla musica rock-punk dei gruppi underground sovra citati è la sorella (non chiedetemi quale <.< ) e Sorry Ma,  Forgot To Take Out The Trash è il primo CD che lei gli ha prestato e che lui ha ascoltato fino a distruggerlo. Dopo aver litigato a morte ottiene in cambio il disco ormai inservibile.
Quella stessa sorella si offre per accompagnare il fratellino tredicenne al concerto degli Hùsker Dù, di Minneapolis, però persero l’occasione poiché il gruppo dovette annullare il concerto.
Povero piiiccolo! ç______ç
 
* Come ho già detto precedentemente il basso di Mike è ancora un po’ agli inizi, poiché lui ha imparato a suonare la chitarra prima di regalare poi la sua a BJ. E Al non sembra avere un grande senso del tempo, basta pensare al numero infinito di volte che tutto il gruppo ha dovuto provare e riprovare “Dry Ice” perché la batteria era in ritardo.

* La fantomatica canzone è “Paper Lanterns” ! In un’intervista, riportata su “Green Day New Punk Explosion”  (si, è la mia salvezza quel libro ù.ù)  BJ dichiara che è dedicata alla sua prima cotta, una certa Jennifer;  certamente parlava della nostra Jenny o meglio Eugenie xD

Ringraziamenti

Grazie ad UnderAStarSky e a Green_Mishja per averla messa fra i preferiti.
A voi tutti che leggete/ seguite/ preferite/ ricordate/ recensite!


L’angolo dell’autrice

Ebbene, adesso è ufficiale! Ma penso che fosse chiaro a mezzo mondo quindi... U.U
D’altra parte ve l’avevo detto che Jenny era un personaggio importante e storico, oltre che la mia adorata (si, non smetterò mai di ripeterlo!).
In realtà questo capitolo non mi fa impazzire, specie la scena a casa di BJ.
Ho la sensazione di averla scritta con i piedi <.<
Piuttosto è divertente la prima parte alla fiera del motore, mwahahahha, una sventura dopo l’altra a quelle due povere criste!
Una domandiiiina, anche se forse non è il fandom giusto, ma io intanto incrocio le dita!
Qualcuna di voi ha il libro di John Savage “il grande sogno inglese” la nuova edizione con tutte le interviste ai Sex Pistols e sarebbe disposta a prestarmelo?
Chiedetemi un titolo e se ce l’ho sarò felicissima di fare scambio!
Solo io lo terrei per parecchio tempo, quindi non so, fate voi xD
Va beeeene, detto questo mi spiace per il ritardo mostruoso, ma oggi stesso vado a procurarmi un Internet Point xD
Adiooos a todooos,

Misa

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Capitolo 10
*** Gennaio: una giornata diversa, piena di casini ***



Gennaio

una giornata diversa, piena di casini

Non ce la faccio più a vedere Jenny in quello stato.
è da una settimana e più che la vedo distrutta, in lacrime, con le occhiaie o ancora terribilmente sciupata.
Non sono mai stati i tipici fidanzatini attaccati l’uno all’altra, anzi, hanno davvero poche amicizie in comune.
Siamo Io, Armstrong, Mike-biondo-platino, Al, Jason, Matt e Mike, il fratello di Juls.
Per il resto lui frequentava il suo gruppo e lei faceva un po’ la spola.
Adesso semplicemente non si parlano e lui non la degna di uno sguardo.
Lei cerca a tutti i costi di nascondere il fatto che è assolutamente distrutta da questa storia.
Cerca di comportarsi come niente fosse, lo ignora, cerca di sorridere il più possibile, si circonda di amici e mi cerca in continuazione come una specie di ancora, un punto di riferimento.
In effetti stare vicino a me è un’ottima strategia visto che Juls mi evita come la peste.
Non so come mai ma non osa avvicinarmi più di tanto, è come se mi tenesse a distanza di sicurezza.
E in tutto questo c’è Billie che non muove un dito per farsi avanti, neppure per consolarla un pochettino.
Ma non sa che la tecnica del chiodo-scaccia-chiodo è perfetta in queste situazioni?
Secondo me è il momento ideale per avvicinare Jenny.
Lei è debole e ha bisogno di qualcuno che la sostenga, che la faccia sentire importante, bella, desiderata, che la rassicuri, che la stringa e la riscaldi con un abbraccio.
Non dico che deve saltarle addosso ma almeno interessarsi a lei da amico.
Poi se funziona, magari si può passare al piano B.
Mein Gott, finiranno per farmi scoppiare la testa.

Ho cercato di coinvolgere pochi amici intimi in qualcosa di nuovo. Qua è un mortorio e voglio che Jenny cambi clima, anche perché ultimamente non ha nemmeno voglia di uscire, di ascoltare musica, di stare in compagnia. Ha smesso persino di bere!
Io pensavo che avrebbe annegato i dispiaceri nell’alcool e invece non tocca una goccia di birra da secoli, figuriamoci qualcosa di più forte.
Si limita a mettere le mani nei motori altrui come al solito, ma soprattutto legge un sacco, buttata sul letto, a tutte le ore. Le prime volte mi mandava via, voleva stare sola e divorava roba strappalacrime come “Romeo e Giulietta” o “Cime Tempestose”, adesso le sue letture non sono cambiate più di tanto ma almeno sopporta la mia compagnia.
Ma è tutta scena. Si sente una merda. Punto.
Insomma, dicevo che voglio organizzare qualcosa di nuovo che possa distrarre Jenny.
Quando ho chiesto un po’ al gruppetto ho ottenuto proposte varie ma non me ne piaceva nessuna:
che novità sarebbe passare la serata in un altro dei loro locali punk, ascoltando musica rumorosa dal vivo e sfondandosi di alcol, o fumando a tutto spiano?!
No, voglio camminare, vedere un posto nuovo, magari sedermi su un prato per un picnic e fare vita diurna.
L’idea è stata di Mike-biondo-platino. Quell’uomo ogni tanto ha delle trovate geniali.

“Ehi, Billie ti ricordi il campus di Berkeley?”
“Dici?”
“Perché no?”
“Scusate, posso sapere anche io? Giusto per non ritrovarmi in un posto terrificanti attorniata da gentaglia altrettanto terrificante.”
“Ragazzina, sei la solita esagerata. Mike, è un’idea da sballo.”
 “Virgin, tu sai che a Berkeley c’è una famosa università?”
“Uhm...si.”
“ Beh, al campus dell’Università ci si diverte un casino. Conosciamo un po’ di gente e organizzano sempre delle cose fottutamente belle.”
“Uhm... ma che posto è?”
“C’è un parco all’aperto che è uno spettacolo, poi ci sono i dormitori e poi si organizzano delle macchine che vanno sulla costa, in spiaggia per un falò in compagnia, gira un sacco di roba e la birra è quasi gratis...basta conoscere le persone giuste!”

E ti pareva.
Armstrong sembra più che soddisfatto della panoramica che mi ha illustrato.
Non so, a detta loro sembra una cosa fra amici, anche se so che difficilmente ci si può fidare.
Diciamo che non sono esattamente famosi per il senso di responsabilità.

“E quanto ci vorrebbe?”
“Quanto vuoi stare?”
“Non so. Fino a Berkley è almeno un’oretta e un quarto di auto. Quindi almeno un pomeriggio!”
“Boh, allora potremmo partire per mezzogiorno.”
“Billie, domani è venerdì, c’è scuola.”
“E dai chi se ne importa! Per una volta!”
“No, Vig ha ragione. Un’altra assenza e ti incasini seriamente, Billie.”
“Che c’è, Mike, adesso fai la parte della mammina?”
“Non fare lo stupido. E poi nemmeno io voglio fare un’altra assenza.”
“Ma questo significa partire alle quattro e mezza del pomeriggio!
Arriviamo lì che la festa è finita.”
“Potremmo rimanere fino a sera.”
“Si certo, e poi chi guida? Mike, ti tieni tu sobrio per il ritorno?”
“Boh, potremmo dormire dove capita. L’abbiamo sempre fatt...”

Non mi piace per niente la piega che sta prendendo il discorso.
Io volevo solo un po’ di relax per Jenny! Non volevo trasformarlo in un’altra avventura!

“Frena frena, teste di cazzo. Io non voglio casini con mia madre.
Quando le dirò che devo partire per Berkeley non voglio essere assalita da un concentrato d’ansia ambulante né voglio subire il terzo grado per colpa vostra!”
“Raccontale una qualsiasi stronzata, no?”
“Se era una battuta non era divertente, Mike Dirnt.”

Alla fine ci ho pensato e mi son detta che poteva essere divertente specie se siamo noi, amici stretti del gruppo. Ovviamente ho intenzione di portarmi anche Mike Edwards, Sabina e Meggy.
Grazie al cielo il fidanzato di Meggy è a Los Angeles, fuori dai coglioni per un po’.
Sono riuscita ad ottenere che si parta alle quattro e un quarto, il che vuol dire che verso le cinque e mezza-sei saremo al campus.
Adesso devo solo trovare il modo di dirlo a mia madre.

Rincaso.
Avrei voluto stare da Mike tutta la serata ma devo parlare con mamma e poi ho deciso di lasciarlo tranquillo almeno stasera, tanto domani ne avremo di tempo per stare insieme.
Jenny mi ha già dato la sua disponibilità, Sab e Meggy anche ma solo a patto che venga anche io.
E poi ho potuto constatare io stessa quanto sia facile ottenere qualcosa dai genitori di Mike.
Lui si è limitato ad annunciare: “Mamma, domani vado con Vig e degli amici a Berkeley, ci vediamo domani sera, sul tardi. Ok?”
Inutile dire che la risposta è stata affermativa, oltre che leggermente disinteressata.
Adesso capisco da chi ha preso Juls.
Sembra che i signori Edwards non abbiano grande preoccupazione o grandi manifestazioni di affetto nei confronti dei figli. Questo per usare un eufemismo.
Appendo la giacca e la sciarpa all’attaccapanni e lascio l’eastpack su una sedia.
Ho fame e non ho nessuna voglia di farmi le scale, fin in camera mia, con tre chili di libri sulle spalle.
Inutile dire che mamma è in cucina con Frank.
Quello che mi stupisce è che Nick non è buttato davanti alla Tv o da qualche altra parte intento a non fare niente. Anzi sembra non esserci proprio in casa.
Entro in cucina e trovo lei seduta ad affettare la carne del rostbeef sul tagliere mentre lui sta cuocendo il sughetto affogato nell’olio, con il pan grattato, il rosmarino secco e temo ci stia sciogliendo dentro anche del burro.
Oddio, che orrore. Io quel sughetto non lo tocco.

“Ciao, Ma’ ”
“Amore, come è andata?”
“Ehi Virgin!”
“Ciao Frank. Tutto bene. Ma dov’è Nick?”
“Dorme da un amico. Ho capito bene?”
“A meraviglia, Honey”
“Mamma, come stai? Sei stanca? Vuoi che tagli io la carne?”
 
Vedo mia madre tirare un sospiro e la raggiungo subito.
Mi limito a sciacquarmi le mani nel lavandino dove stanno impilati un po’ di piatti.
Dopodiché scosto il tagliere e lo allontano da mamma. Le sfilo delicatamente anche il coltello mentre  lei mi guarda grata, con un pallido sorriso.
Non so, oggi mi da l’idea di essere un po’ stanca. Dovrebbe riposarsi di più.

“Non dovresti stancarti così tanto. Diglielo anche tu Frank.”
“Niente da fare, piccola. Davanti a tua madre io ammutolisco.”
“Scemo.”

La sento ridere. Non ci trovo niente da ridere!
Ha appena ammesso di essere un povero idiota che non è nemmeno capace di dire a mia madre: e riguardati, cazzo!  
Quell’uomo alle volte sa essere davvero fastidioso, con quelle sue battutine demenziali.

“Mutti, senti, volevo chiederti una cosa.”
“Dimmi.”
“Domani, subito dopo scuola, Jenny mi ha invitato insieme a Mike, Sab, Meggy, e un paio di altri ragazzi ad andare all’Università di Berkeley. Ha detto che poteva essere interessante come visita, e soprattutto potevamo fare una cosa carina e mangiare lì e poi tornare un po’ più tardi.”
“Amore, più tardi quando?”
“Uhm...solito orario a cui torno. Mezzanotte. Massimo l’una.”
“Ti accompagna Jenny in macchina? Sia andata che ritorno?”
“Ci puoi giurare.”
“Con chi hai detto che vai?”
“Mamma, i soliti!”
“Uhm...e poi?”
“Boh, qualche amico in più. Tutti amici di Jenny, però.”

Mamma si ammorbidisce.
Ormai la mia famiglia adora Jenny alla follia e mi farebbe fare quasi qualsiasi cosa sapendo che lei è con me.
In effetti ne approfitto un sacco. Molto spesso la tiro in ballo quando non c’entra niente e così ottengo delle concessioni mai avute prima. Come il fatto di poter invitare tutti a casa mia una sera con la scusa che avrebbe cucinato Jenny e avrebbe lasciato loro un bel dolce.
Peccato che lei fosse a letto con la febbre, una febbre che mi sono presa anche io e così ho annullato la festa.
Ho sprecato un’occasione; era uno dei rari week-end in cui mamma decide di partire per Los Angeles e non portarmi. La verità era che doveva fare una visita dal ginecologo.
Di solito viene lui, ma stavolta aveva troppi appuntamenti e mamma ha dovuto muoversi in prima persona.
Certo che cinque ore di auto sono davvero stancanti!
Spero non si ripeta più, cavolo, anche a costo di non farla questa benedetta festa.
Basta che la mamma se ne stia tranquilla, poi il resto non conta.

“Amore, starai attenta, vero? Seguirai il gruppo, non ti allontanerai, non avrai a che fare con sconosciuti, non berrai troppo, non ti farai iniettare nessuna schifezza, non fumerai niente e mi tornerai intera come mamma ti ha fatto, hast du verstanden* ?”
“Mamma! Non ho tre anni!”
“Se era così non stavi qua a chiedermi e io non stavo qui a farti raccomandazioni.”

Alzo gli occhi al cielo e accelero il ritmo, mutilando questo povero pezzo di carne.
Frank sembra notarlo perché storce il naso, abbandonando per un attimo i fornelli, mentre il pentolino del sughetto fa delle strane bollicine. Mi convince sempre meno.

“My God, tale madre, tale figlia! Cocca di papà, non si taglia mica in questo modo!”

Si fa avanti e riesce a togliermi il coltello di mano.
Lo lascio fare, anche perché mi sono rotta di starmene lì a tagliare quella roba secca e mezza sanguinolenta. Non amo la carne al sangue, ma fortunatamente mi prendo un pezzo dalla metà di mamma che è stracotta.
Tanto Frank è capacissimo di finirsi da solo metà rostbeef, specie se questo gronda sangue da tutti i pori.
Mi dileguo con un mezzo sorriso ma, appena sono fuori dalla cucina, non posso fare a meno di mordermi il labbro, masticando la pelle, mentre uno strano senso di fastidio mi invade.
Mi ha chiamato cocca di papà.

Cocca di papà sarà tua sorella.

*****************

Ci passa a prendere Jenny con il suo pick up.
Ha un’espressione apatica e saluta senza grande entusiasmo, me, Mike e Meggy.
Sab alla fine si è tirata indietro perché la madre è particolarmente isterica negli ultimi tempi.
I suoi litigano tutti i giorni e non mi stupirei se si separassero.
Fortunatamente non sono la sua migliore amica altrimenti dovrei consolare anche lei e non ce la farei fisicamente.
è assolutamente estenuante sostenere un’amica quando sta passando un guaio, specie se è stata lasciata dal ragazzo dei suoi sogni e cose del genere.
Quando mette in moto, Jenny infila rapidamente un disco nella radio e note di blues riempiono la macchina.
Io mi piazzo davanti vicino a lei, Meggy e Mike dietro, lui che commenta il rossetto praticamente arancione di lei.
Raccogliamo i ragazzi prima di imboccare l’autostrada per Berkeley.
Sento Jason, Matt e Mike-biondo-platino lamentarsi per la scelta musicale ma Jenny sembra fregarsene amenamente.
Nel frattempo partono le battute, il cazzeggio puro, i canti a squarciagola che farebbero rabbrividire la povera Aretha Franklin che si da tanto da fare per cantare “Think”.
In quest’ora e mezza ogni tanto mi volto, con la coda nell’occhio e osservo Armstrong.
è più silenzioso del solito, lo sguardo perso nel vuoto, un’espressione da imbecille stampata in faccia.
Ogni tanto getta uno sguardo allo specchietto retrovisore su cui compare una Jenny di tre quarti che tiene d’occhio la strada con occhi atoni.
Lo fisso e finalmente si accorge di me.

-Cazzo guardi?
-Svegliati un po’ una buona volta Armstrong. Oggi è il giorno giusto.
- Fatti gli affari tuoi.
-Dai non puoi essere così stupido! Tira fuori le palle, per una volta in vita tua!

Si limita a sbuffare.
Devo dire che ultimamente mi sono specializzata nel labiale.
è così che sopravvivo durante le lezioni di inglese, quando organizzo con i miei migliori amici una pizza, un cinema o qualunque altra cosa, basta che sia più eccitante dell’ennesima lezione su Melville *
A pensarci bene qualunque cosa è più eccitante di una lezione di inglese.
Lasciamo stare.
Noto che anche lui sembra cavarsela piuttosto bene con il labiale, quando vuole.
Peccato che adesso non voglia e comincia volutamente ad ignorarmi, voltando la testa verso il finestrino mentre intorno a noi passano alberi, cespugli, una pianura intera.
La California è tanto pianeggiante da fare schifo;  
altro che autostrade, qua potrebbero andare tutti in bicicletta.
L’unica pecca sono le grandi distanze.
Pazienza.
Tra un po’ facciamo la costa e io avrei proprio voglia di farmi un bagno.
Ma non sono così pazza da inaugurare la stagione estiva in pieno gennaio.
Ancora mezz’ora di pazienza.
 
Finalmente siamo in vista della città, o meglio del suo porticciolo turistico.
Su indicazione di Mike-biondo-platino, lasciamo la I-80* e ci infiliamo in una stradina dopo l’altra, rimanendo così brillantemente imbottigliati nel traffico.
Dal finestrino riesco ad intravedere la parallela alla nostra, uno stradone interamente pedonale che si snoda per chilometri e chilometri, salvo poi venire a sapere dalla nostra geniale guida che quella è University Ave, una delle arterie principali di Berkeley che porta direttamente al campus universitario.
Guardo con nostalgia la folla che si muove tranquilla e spensierata sui marciapiedi, attorniata da qualche timido alberello, che siede ai tavolini dei caffè, che entra nelle boutique oppure passeggia tranquillamente fra le vetrine.
Nel frattempo Jenny  e Mike-biondo-platino parlottano fra loro.

“Dimmi che ne abbiamo ancora per poco.”
“Dipende dove troviamo parcheggio...”
“E dove lo cerchiamo?”
“Tu continua qui, poi a destra, poi continua, poi a sinistra...”
“Si, grazie tante, un nome no eh?”
“Di cosa?!”
“Di qualcosa, un punto di riferimento!”

Ok, Jenny si sta scaldando.
In effetti è già una ventina di minuti che siamo qui, girando in tondo o quasi, visto che ci sono centinaia e centinaia di divieti di circolazione. È davvero snervante oltre che deprimente, altro che divertimento.
Improvvisamente Armstrong esce dal suo silenzio, la voce un po’ impastata di chi è stato zitto troppo tempo.

“Che cercate?”
“Tua madre. Un fottuto parcheggio, secondo te cosa?!”
“Uhm...”
“Ok, adesso a destra...”
“No, continua dritto.”
“Billie, là c’è un divieto.”
“Non dire stronzate, Mike.
Conosco queste strade come le mie tasche.”
“Anche io. E ti dico che lì c’è un divieto...”
“Jenny, fidati. Tira dritto.”

Per una volta suona convincente.
Quasi mi viene da ridere a vedere l’espressione di trionfo e di soddisfazione sul volto di Armstrong che  fa le corna a Mike-biondo-platino, mentre questi risponde con una bella gomitata in pancia.

“Auch...”
“Dicevi, Billie?”
“Niente...”

Grazie alla trovata di Billie, arriviamo in una stradina abbastanza anonima e grigia, tranne per il fatto che è piena zeppa di garage*. Ce n’è uno ogni dieci metri.
Jenny mette il turbo, schiacciando l’acceleratore e sbuffando come un toro che si prepara alla corrida.  Nell’eccitazione generale, facciamo un fracasso di inferno:

“Et voilà! Un paio di strade più in là e siamo a Telegraphe Ave.”
“Fermi tutti. Per il parcheggio dividiamo!”
“Ok.”
“Nossignore, Al, non hai capito un cazzo. Tirate fuori i soldi finchè siete sobri! ORA!”
“Sono due dollari all’ora. Contando che rimarremo almeno fino a mezzanott...”
“Che?! Ma io devo essere a casa a quell’ora!”
“Ragazzina, non ce la farai mai.”
“Ehi, ragazzi, il garage chiude a l’una.”
“Bene...allora quante ore sono?”
“Chi sa contare?!”
“Piantala, Jay, sono le sei e mezza. Quindi contiamo circa sei ore.”
“Dodici dollari, diviso...”
“Nove.”
“Fa...”
“Un dollaro e trenta e qual cosina in più.”
“Cazzo, Eddy, sei meglio di una calcolatrice.”
“Mi chiamo Mike!”
“Fa lo stesso.”

Finalmente raccolgono tutti i soldi e me li mettono in mano.
A quanto pare sono ufficialmente la cassa comune.
Intanto Jenny si è infilata in uno di questi garage, il Duran Garden o una cosa del genere.
Lasciamo la macchina ad un tizio dai capelli unti e straunti che si sta sbafando un panino alle cipolle.
Sbuchiamo in Telegraphe Ave, affollata di passanti, molti studenti con zaini, cartelline, borse a tracolla, libri sotto braccio, facciamo lo slalom fra una bancarella e l’altra dove vendono le cose più varie, dai telecomandi universali, al libri, alle maschere tribali, alla cristalleria.
Mi fermo a guardare una bancarella di poster e adesivi con slogan da attaccare ai paraurti delle macchine, alcuni fatti a mano con l’adesivo, altri di fabbrica, tutti colorati, pieni di figure, dai cartoni animati ai simboli anarchici e nazisti, l’uno accanto all’altro.
Dietro, sul marciapiede, sfilano negozietti vari, inclusa una grossa libreria* dall’aria invitante, ma tutti quanti sembrano radunarsi davanti ad una vetrina piena di 45 giri.
è uno spettacolo: ci sono tre grossi castelli di carte, formati con le copertine di cartone dei vinili.
Lancio uno sguardo all’insegna luminosa del negozio: Amoeba Music*.

“Ragazzi, vi va di entrare?”
“E che ci entriamo a fare! Tanto non possiamo comprare niente...”

La crudezza del commento di Billie per un attimo mi lascia un po’ scossa.
Nel frattempo gli altri, che prima si affollavano davanti alla vetrina, si sono distaccati, schiamazzando e commentando questo o quell’altro  disco e gettandosi a capofitto in un’accesa discussione su chi suonasse meglio, questo o quell’altro gruppo.
Mike biondo-platino annuisce e mi fa cenno di proseguire.
Stringo per un momento la mano di Jenny che è accanto a me, anche se sembra assente, persa nei suoi pensieri, spenta.
Esasperata, disperata o tutte e due insieme, mi accosto ad Armstrong, picchiettando sulla sua spalla con il mio indice.

“Quando arriviamo?”
“Cinque minuti a piedi.”
“E dai, Billie, dammi una mano. Sta un vero schifo.
Dici una scemenza, una qualsiasi. Una cosa divertente.”
“Uhm...”
“Please!”
“Ok, levati dai piedi e lascia fare a me.”

Sono lieta di lasciargli il mio posto accanto a Jenny per sgattaiolare in fondo alla fila da Mike e Meggy che commentano l’apparizione di un tizio dai lunghissimi capelli ramati che se ne va in giro con una specie di caftano arancione, in pieno inverno, con sopra solo un gilet di pelle foderato di agnello, sandali di cuoio ai piedi e una barba ispida e nera che stona decisamente con la chioma.
Sembra uno di quegli spiantati della generazione post-hippie che credono di vivere in un altro mondo.
Ogni tanto lancio occhiate preoccupate a Jenny e Billie che camminano, in testa al gruppo, ma mi tranquillizzo quando noto che lei sembra sorridere timidamente e ogni tanto ridacchia sotto i baffi mentre lui gesticola e sembra raccontarle qualcosa con particolare enfasi.
Mi ritrovo a pensare che sarebbero proprio carini insieme.
Nel frattempo ormai è calato il buio e io comincio ad avvertire un languorino.
Saranno circa le sette e io, l’ultima volta, ho mangiato alla mensa, verso mezzogiorno e mezza.
Ok, mi correggo. Sto morendo di fame!

“Ragazzi, io ho fame! Quando si mangia?!”
“Al campus. Il venerdì sera fanno la grigliata.”
“Davvero? E allora sbrighiamoci, porca miseria!”
“Guarda che ci siamo.”

Poco dopo varchiamo il cancello del Campus della University of California, immergendoci nel verde di un immenso prato all’italiana e allontanandoci così dalla folla della strada intasata.
L’ingresso sembra deserto, così come il primo tratto di strada, poi si vede qualche timida coppietta accoccolata sulle panchine o nel verde, e infine, man mano che ci si avvicina agli edifici, cominciano a comparire frotte e frotte di studenti che sciamano verso il centro del campus, attorno ad un alto campanile dallo stile un po’ barocco*.
Alla luce un po’ fioca dei lampioni si aggiungono lanterne, candele, torce, e lumi.
Davanti al campanile sono stati allestiti cinque o sei grossi falò con legna in abbondanza e le grate per arrostire, panini, wurstel, salsicciotti, hamburger, patate, spiedini di maiale e peperoni, e accanto ci sono dei banchi di creme, salse, come senape, chili, maionese, cipolla, e un banchetto con casse e casse di birra.
Il profumo di tutto questo ben di dio mi secca la gola, tanto che ingoio un paio di volte, come se questo bastasse a sfamarmi.
Alla testa del gruppo, assieme a Jenny e ad Armstrong, Mike-biondo-platino sembra farsi avanti, guardandosi intorno, vigile come un falco a caccia.
Dopo un po’ solleva il braccio e fa segno ad un gruppetto piuttosto nutrito di ragazzi, schiattati sull’erba con in grembo dei tovaglioli pieni di briciole e una decina di birre vuote ai piedi.

“TIM!”

Quello di Mike è una specie di ruggito che riscuote tutto il gruppo.
Poi si alza un tizio robusto, due volte me, con i capelli cortissimi scuri, quasi rasati e una bandana in testa. Sui bicipiti enormi e flaccidi spuntano diversi tatuaggi fra i quali una ragnatela bella grossa sul gomito e uno spaventoso teschio.
è in canotta bianca, senza maniche, cosa che mi fa rabbrividire, e cammina traballante, stringendo con forza il collo di una bottiglia di birra mezza vuota.
Forse non è ancora ubriaco ma sicuramente deve essere brillo;
gli occhi sono lucidi e ha l’aria di un rincoglionito totale.

“Diiiirnt! Cheee cazzo ci faaaai quiii?! Eeeh?!”
“Sei una fottuta spugna, Armstrong!”
“Siiii, e tuuu sei un bastaardo! Dov’èèè quell’altroo coglioone?!”

Lo vedo strabuzzare gli occhi mentre osserva il nostro gruppetto alla ricerca di qualcuno.
Lo vedo sorridere con un ghigno grottesco quando incontra il mio sguardo.
Solo allora mi rendo conto dell’espressione stralunata che mi ritrovo in faccia.
Un altro Armstrong?  Mica sono parenti, lui e Billie?
Eppure non si assomigliano affatto!
Questo Tim sembra distogliere l’attenzione di Armstrong da Jenny e lui la molla in tronco, mentre si avvicina sventolando la mano.

“Tim!”
“Biiilliee, e saluuta cazzo!”
“Tim, sto morendo di sete e di fame, mo’ ti prendo, ti sventro e ti arrostisco.”
“Heeeey amiiico, vieniii da noiii che ce n’è peer tuttii! Cii stiamoo ingozzandooo come porcii!”
“Bene, allora comincia a passare la birra, che riscaldiamo un po’ l’atmosfera!
Niente musica?”
“C’hoo tutto ioo!”

Ci uniamo all’altro gruppo; ci offrono loro bistecche, patate, salsicce, birra, e fumo mentre ci sediamo sul prato intorno ad un paio di lanterne.
Inutile dire che nessuno dei tizi  lì intorno ha un’aria particolarmente sveglia.
Intorno il vociare è continuo, così come gli urli, i canti stonati, i cori, gli schiamazzi.
Finalmente scopro l’identità segreta dei nostri nuovi amici: quel Tim Armstrong assieme ad un certo Matt McCall e un altro, Dave Mello, erano i membri di una band punk piuttosto famosa, di cui giustamente io non conosco l’esistenza, gli Operation Ivy, che si è sciolta l’anno scorso, e infatti manca il loro cantante*.
Per gli altri, ho dimenticato il nome non appena si sono presentati.
è troppo chiedere al mio stomaco e alla mia testa di lavorare nello stesso momento mentre estinguo la fame di quasi otto ore fa, fra il viaggio, la scuola, la passeggiata, gli incontri ecc.
Non mi stupisce affatto vedere che Jenny li conosce anche se solo di vista.
Sembrano i tipici amici di quello stronzo di Juls.
La osservo per un bel pezzo mentre sta seduta affianco a Tim e Billie che rinvangano chissà quali ricordi di concerti a cui hanno assistito o partecipato.
Sono talmente inquieta e concentrata su di loro che sento a malapena Mike che mi parla raccontandomi quel poco che ha appresso da suo fratello su questa benedetta band.
è bastato che Mike toccasse un po’ di birra per andare a ruota libera.
Adesso chiacchiera come una pettegola in un gineceo e per una volta non sembra irritarsi anche se è palese quanto poco lo stia ascoltando.
Io mi trattengo, sorseggiando solo un paio di bottiglie..
So bene che non reggerei più di tanto e non voglio incasinarmi la vita qui, a Berkeley, in mezzo a gente sconosciuta, su un prato, di notte per giunta.
Improvvisamente Billie e Jenny si alzano e sembrano allontanarsi a piedi per un po’, troppo per sentirne i discorsi, troppo poco per non vederli.
Lui prova ad appoggiarle una mano su una spalla e a circondarla con il braccio.
è divertente vedere quanto si sforzi: diciamo che Jenny lo supera di tre centimetri buoni, per non dire di più.
Mi mordo il labbro, elettrizzata, e di riflesso batto i piedi sul prato.
Questo è esattamente il momento giusto!  Saranno una splendida coppia!
E tutto tornerà sereno e tranquillo come prima, grazie a Dio!
Mi accorgo che sono fermi, l’uno di fronte all’altra.
Il mio sorriso si allarga. È davvero questione di momenti!
Sono già pronta a saltare di gioia, tanta è l’eccitazione!
Però quelli continuano a stare fermi, a parlare, stavolta più concitatamente, e lei si scosta leggermente da lui. Billie tende una mano in avanti, come per richiamarla e lei la respinge con decisione, quasi brusca.
Poi lei urla qualcosa e vedo lui irrigidirsi e stringere i pugni.
C’è qualcosa che non va. Perché non si sono ancora baciati?!
A quest’ora dovrebbero starsi sbaciucchiando beatamente, abbracciati alla luce della luna, o qualcosa del genere!
Jenny gli volta le spalle e si mette a correre verso il nostro gruppo.
Qualche testa si gira ma nessuno sembra allucinato quanto me.
Nessuno ha capito ciò che stava per succedere e cosa invece è successo.
Lei si fa posto e si siede accanto ad un paio di tizi assolutamente sconosciuti che si stanno passando una canna.
Jenny mi cerca con lo sguardo e, quando mi trova, noto una freddezza che mi fa raggelare.
Poi si fa passare la canna e prende a sfumacchiare, concentrandosi sulle sue nuove amicizie.
Dietro di noi Billie torna a passo lento, con il volto svuotato e gli occhi lucidi.
E stavolta non è il fumo o qualche altra schifezza.
Si va a sedere di nuovo accanto a Tim e a Mike-biondo-platino, scolandosi una birra in pochi lunghi sorsi. Poi attacca con un’altra, e un’altra ancora.
Partecipa poco alla conversazione, si limita a bere con un’espressione malinconica e un ombra afflitta negli occhi verdi cupi.

*******************

Mi sono addormentata un’oretta, la testa appoggiata alla gamba di Mike.
Sono stanchissima e, anche se non ho bevuto più di tre bottiglie da trentatre cl, sento la testa che pulsa.
Dio, mi sono alzata alle sette stamattina, IO!
Mi reggo sui gomiti, mentre cerco di tirarmi su.
Do un’occhiata all’orologio:  sono appena le undici e mezza.
Come posso essere così distrutta alle undici e mezza?!
Mike è sdraiato quasi accanto a me, raggomitolato su sé stesso, mentre intorno a noi niente sembra cambiato. Solo che adesso i sobri di prima sono più che brilli e i brilli di poche ore fa sono andati.
Sbatto gli occhi e finalmente mi tiro a sedere.
A pochi passi da noi vedo Tim Armstrong riverso a terra che ridacchia come un demente e lancia strani versi animali, Mike-biondo-platino con in mano una chitarra che strimpella una melodia pizzicando corde quasi a casaccio e accompagnandole con una voce arrochita dal troppo parlare, dal bere, dal fumo e da non so quale altro accidenti.
Jason batte le mani deliziato insieme ad un’altra ventina di persone, Matt incluso.
Ancora a fianco Jenny è accovacciata davanti a resti di erba, tabacco e altre carte bianche che non ho mai visto e non riuscirei a riconoscere.
Dietro la folla che assiste allo spettacolo di Dirnt è accasciato Armstrong che muove il piede, come se dovesse mantenere il ritmo, andando completamente fuori tempo.
Adesso che Jenny è fuori gioco è il momento giusto per capire che diamine è successo fra quei due appena due ore fa.
Mi alzo a fatica, rabbrividendo per il freddo che è sceso e noto anche che l’oscurità si è infittita.
Si saranno spente almeno un paio di candele, ma la festa continua, senza quartiere, tutto intorno al Campanile.
Aggiro il gruppetto per raggiungere Armstrong mentre nessuno sembra accorgersi di me.
Mi accovaccio accanto a lui che per un attimo smette di battere il tempo e mi fissa, come rapito da qualcosa.
Lo afferro per il braccio e comincio a scuoterlo:

“Billie, che cazzo hai combinato? Come hai fatto a rovinare tutto, proprio all’ultimo momento?!”
“Looo-inaa-ee...Mhm...”
“Non mi dire che sei ubriaco fradicio pure tu! Puzzi come una fogna!”
“Uuuhmmm...Eeennyy...sciuuusa eeennyyy no v-olevoo... noonandaateennee...”

Gli levo una bottiglia di mano a cui sembra aggrapparsi con tutte le sue forze ma le mani non ricadono inermi: mi si allacciano addosso e mi stringono.
Calma. È solo un po’ sbronzo. Adesso mi molla.
Ma lui non lo fa, anzi, continua a stringermi a sé e ad accarezzarmi le spalle e le braccia.
Tira giù la zip della mia giacca a vento argentea e le sue mani cominciano a farmi il solletico sotto al mento e sul collo che viene stretto più volte, quasi volesse strozzarmi.
Ormai sono rigida come un pezzo di legno mentre infila la mano sotto il mio pullover di lanina leggero arrivando a sfiorare una bretella del mio reggiseno.
Mi ritrovo schiena a terra, ad osservare attonita un Billie Joe dal respiro caldo, pesante e puzzolente, che sta sopra di me. Contro la mia gamba sento qualcosa che si è indurito progressivamente mentre il suo peso mi schiaccia per terra.
Vorrei urlare ma non ho voce.
Sollevo la mano dal terreno, la avvicino al suo viso, faticosamente, e, presa un po’ di forza e coraggio, gli mollo uno schiaffone tale da fargli girare la testa bruscamente.
Forse non era mia intenzione farlo così forte, ma almeno sortisce il suo effetto.
Lui ricade quasi inerme su di me, le mani che scivolano via e io mi sottraggo al suo abbraccio.
Striscio più avanti mentre Armstrong sembra mangiare erba con la bocca, la faccia nel prato.
Sono talmente agitata che mi è venuto il fiatone.
Ma gli ha dato di volta il cervello?!?!?!
Biascica qualcosa ma io sono troppo scossa per mostrarmi anche solo interessata a quello che dice.
Mi pare di sentire il nome di Jenny fra i suoi mormorii.
L’alcool e il fumo devono avergli fottuto anche l’ultimo neurone che aveva.
Mi rimetto in piedi, e mi sento gelare.
Il mio maglione è ancora arrotolato sul petto e la giacca è aperta.
Mi do una sistemata prima di allontanarmi, affrettando il passo quanto riesco, senza barcollare pericolosamente.

Basta, me ne voglio andare.
Sono stanca, ho i piedi gelati, questo prato è umido, mi fa male la testa e tutti sono fuori come un balcone.
E adesso come cazzo ci torno a casa?!?!
Raggiungo Jenny che dorme sonni profondi e anche piuttosto tranquilli dall’espressione beata che sfoggia inconsapevolmente.
La scuoto con violenza.
Voglio che si svegli, che sia abbastanza lucida e pronta per riportarmi a casa.
Alla fine si muove, sbadigliando, guardandosi intorno confusa per poi focalizzare la mia faccia esaurita.

“Jenny, andiamo. Aiutami a raccattare gli altri...”
“Schifosa puttana che non sei altro.”
“Cosa?!”
“Sei una troia.”
“Jenny, per piacere, poi mi spieghi. Ma adesso dobbiamo tornare a casa.”
“Ti odio.”
“Jenny, TI PREGO!”

La vedo sollevarsi, con un’espressione nauseata e sbattere gli occhi per un po’, per controllare di avere la vista integra.
L’effetto del fumo deve essersi dissolto perché si muove in modo abbastanza coordinato, e sembra soffrire della scomoda posizione in cui è rimasta per tutto il tempo.
Intanto ho buttato giù dal mondo dei sogni anche Mike e Meggy, uno più assonnato dell’altra.
Nel frattempo, nel gruppetto, Mike-biondo-platino ha lasciato il posto a quel McCall che strapazza la chitarra accordata diversi toni sotto, tanto da sembrare una specie di basso troppo acuto.
Riusciamo a catturare Dirnt prima che faccia qualche mossa strana o inconsulta.
Raduniamo poco alla volta un po’ tutti.
Jason cerca di svegliare Armstrong che è in dormiveglia, ma questi, una volta desto, non sembra in grado di tenersi in piedi. Devono tirarlo su Matt e Mike-biondo-platino, e poi trascinarlo perché se ne venga via. Al ci segue, ridacchiando come un idiota mentre cerca invano di accendersi una sigaretta, ma con l’umidità di questo schifoso prato, fa pochi passi avanti.
Anche i falò si tengono a malapena in vita, abbandonati a sé stessi, attorniati da una massa di ubriachi, fattoni e similia.
è inutile pensare di salutare qualcuno. Tutti gli altri stanno messi dieci volte peggio di noi.   
Ci mettiamo un tempo infinito a raggiungere il garage e là sono costretta a tirare fuori i soldi raccolti.
Dopodiché ci cacciamo tutti in macchina, ma stavolta davanti ci va Mike, perché non ho nessuna voglia di chiarire adesso con Jenny, a l’una meno un quarto di notte, qualunque cosa le abbia detto Billie o le sia successa.
Quanto a quest’ultimo, capita proprio vicino a me, ma io mi stringo alla portiera, cercando di addossarlo a Jason, dall’altro lato, che con la sua testa ciondolante sembra ad un passo dal crollare addormentato.
Mi irrigidisco, i sensi all’erta, quando la testa di Billie Joe si posa  sulla mia spalla destra, quasi sull’incavo del collo.
Mi rilasso solo quando vedo che ormai è incosciente, nel mondo dei sogni.
Seguo la strada, sbadigliando e ringraziando la buona sorte che Jenny, nonostante tutto, è sobria e più sveglia di noi messi insieme.

*****************


Note

* GLOSSARIO:  hast du verstanden? : hai capito?

* Herman Melville, scrittore di narrativa americano, famoso per il suo capolavoro Moby Dick.
Ambienta molte delle sue opere in mare, facendo tesoro dell’esperienze personali e dei suoi numerosi viaggi. Ma per il resto…c’è WIKI! xD

* La I-80 è l’autostrada che arriva a Sud di Berkley e percorre la costa della Bay Area di San Francisco.

* Durant Ave, nei pressi di una delle strade del centro di Berkeley (Telegraphe Ave) , piena di garage in cui parcheggiare per visitare il campus universitario.

* Cody’s Books: rinomata libreria fornita di titoli sia nuovi che usati, affitta i locali per mostre e incontri con autori acclamati. Molto ricco il reparto riviste.

* Amoeba Music è un famoso negozio di musica di quattro piani, e un vastissimo assortimento di titoli nuovi e usati.
 
* Il Campanile, al centro del campus della Cal (come gli studenti chiamano la University of California), noto come Sather Tower è stato costruito su modello del campanile di San Marco a Venezia. È alto quasi cento metri e contiene circa 61 campane funzionanti. Aperto per visite guidate.

* Gli Operation Ivy, band punk molto affermata sulla scena del Gilman, si sono sciolti nel marzo del 1989, con un ultimo concerto, il 20, suonando davanti a più di seicento persone.
Il cantante Jesse Michaels infatti dichiarò che non voleva più far parte della band e finì per diventare un monaco buddista (1992) almeno per un certo periodo.
La loro musica ha molto influenzato quella dei GD; basta guardare la cover di “Knowledge” che ricorre in parecchi album dei GD, ma questo lo saprete già xD
Il loro album più famoso è “Energy” , registrato con la Lookout!.   
NOTA: Tim Armstrong e BJ NON sono parenti, nemmeno alla lontana, solo amici!

Ringraziamenti

Ringrazio Mike72 per averla inserita fra le preferite, Drunky Bunny  e Rose Mary per averla inserita fra le seguite.
E ovviamente tutti quanti che leggono/passano di qua/seguono/continuano a preferire/ricordare/recensire.


Angolo dell’autrice

Intenso come capitolo non c’è che dire.
Nel frattempo, riflettendo fra me e me, ho pensato che forse sarebbe il caso di abbassare il rating.
Forse ROSSO è un po’ troppo azzardato e terroristico per come le cose si sono svolte fino ad adesso.
Meglio ARANCIONE? Che dite?!?!  xD
Uhm.. so di essere stata particolarmente sadica ancora una volta, poiché ciascuna di voi sarà costretta ad attendere il prossimo capitolo per capire cosa sia successo a meno che non vi ingegnate, non spremete le meningi e arrivate a sbrogliare la vicenda MWAHAHAHAHAHAH!!!
Anche perché sarebbe stato abbastanza strano che Vig avesse potuto sentire tutte quelle conversazioni fra Jenny e BJ. Un po’ di privacy no?! Ghghghghghgh
*espressione angelica*
Vedete un po’ se vi piace, se vi stuzzica.
Tutte le notizie su Berkeley, sul Campus e sulle strade, note incluse, sono tratte dalla guida della California della LONELY PLANET: sono fatte talmente bene che io mi sto leggendo quella del Giappone, anche se so che, prima di andarci, dovrò aspettare i comodi delle scorie nucleari degli ultimi cinque mesi ç________ç
Un migliaio di anni è un po’ troppo ma se dopo una decina non migliora, penso che partirò lo stesso!
Ci dovevo andare quest’anno ma le notizie che sono arrivate erano davvero catastrofiche e sconvolgenti, ma lo saprete benissimo <.<
Va beeeene, tornando a noi, devo dire che la parte più studiata è quella di un BJ moooolto ubriaco e una Virginia che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato (o almeno secondo lei ;p).
Sono rimasta per un po’ indecisa, se inserirla o no questa scena, ma alla fine penso che sia venuta a pennello xD.
Povero cristo, che giornata terrificante, sia da sobrio che da sbronzo!
Bene, se non mi assalirete per maltrattamenti alla star in questione, cercherò di concentrarmi sul prossimo capitolo e stavolta NIENTE SPOILER nelle risposte alle recensioni! Mwaaaahahhahah
Quindi, con la concessione del mio Internet Point prediletto, alla prossima!

Misa

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Capitolo 11
*** Gennaio: delusioni e tradimenti ***



Gennaio
delusioni e tradimenti



Non so che caspita sia successo ma quella gita a Berkeley è stata più dannosa che altro.
Doveva tirare su il morale di Jenny e l’ha resa solo più scazzata, specie con me, anche se ancora non so perché.
Doveva dare alla coppia Billie-Jenny una possibilità e invece sembra tutto sfumato.
O forse sono io che me lo sono sognato?
E infine doveva essere una cosa divertente ma ha solo contribuito a stressarmi se penso a come stava finendo la serata.
Ogni volta che mi trovo vicina al mio caro compagno di banco, non riesco a guardarlo, se ci penso arrossisco per l’imbarazzo o la vergogna che sia, e soprattutto mi discosto leggermente per mettere quanta più distanza possibile fra noi.
Deve aver notato che mi irrigidisco quando lo spazio che ci separa diminuisce perché ultimamente mi lancia degli strani sguardi, incuriositi e a tratti anche divertiti.
Ho finalmente finito la relazione su Poe e sul romanzo gotico e mi toccherà andare a casa con lui, per fargliela studiare.
“Casa” si fa sempre per dire perché ci andremo a rinchiudere in quella Squatter House in cui sopravvivono tutti insieme.
Aldilà dell’imbarazzo, sono fortunata: lui non ricorda un accidente di quello che è successo al campus.
In realtà non so esattamente cosa ricordi, ma niente che riguarda me, visto che il suo atteggiamento non è minimamente cambiato rispetto a prima, cosa che mi fa sperare nella sua totale ignoranza.
Stamane ad esempio, quando gli ho comunicato del pomeriggio-studio che avevo programmato, ha sbuffato e ha cercato di scamparselo in tutti i modi.
Ma non ho fatto tutto quel lavoro per vederlo buttato nel cesso quindi alla fine si è dovuto arrendere alla mia decisione.
Se prendiamo il  bus delle quattro e ventotto dovremmo arrivare almeno per le cinque.
Ho un pomeriggio per prepararlo.
Auguri.

Non dobbiamo neppure aspettare troppo l’autobus che arriva puntuale e abbastanza vuoto per nostra fortuna.
Ultimamente il mio Eastpack è pieno di pietre, altro che libri.
Non siamo nemmeno alla fine del trimestre e mi tocca portarmi appresso mezza libreria per sopravvivere alla giornata.
Invece è abbastanza irritante vedere Armstrong che cammina tranquillo, sotto il peso-piuma del suo di zaino, da cui ho visto uscire solo qualche quadernetto mezzo stracciato e scarabocchiato, una penna o una matita mezze mangiucchiate, e, ogni tanto, l’occorrente per arrotolare spinelli.
Ah si, una volta ha imprecato tutta la mattinata perché non trovava il suo plettro preferito salvo poi scoprire che era proprio nella tasca del suo zaino.
Più di una volta, mentre aspettavamo i cinque minuti alla fermata, ho pensato di costringerlo a comportarsi da cavaliere e a prendere il mio zaino che mi stava distruggendo le spalle.
Fortunatamente troviamo posto per sedere, uno di fronte all’altro e io posso appoggiare l’Eastpack ai miei piedi.
Mi lascio sfuggire una smorfia di stanchezza e mi massaggio la spalla indolenzita.

“Ma che diavolo porti a fare tutti quei libri? Tra l’altro se quella roba l’hai veramente studiata, buttando un pomeriggio intero, è inutile portarsi un tomo di cose studiate e ripetute cinquanta volte.”
“Lascia stare, Armstrong. Diciamo che sono masochista e voglio che le mie spalle soffrano  le pene dell’inferno, questo lo capisci?”

Sarcasmo.
Lui alza gli occhi al cielo e scrolla poi le spalle con noncuranza.
Non sembra offeso.
In ogni caso lo voglio di buon umore per affrontare l’argomento “Jenny”: abbiamo davanti una buona mezz’ora e certo io non voglio passarla a  guardarci negli occhi.
Indago un attimo sul suo viso, mentre lui guarda fuori dal finestrino una deprimente stradina di Rodeo contro cui si abbatte una fitta ma leggera pioggerellina.
Dimenticavo di dire che piove...si anche qui, nella solare, calda, marina California.
Tiro il respiro cercando di arginare la curiosità: avrò il diritto di sapere perché Jenny mi tratta così di merda?!
Spero per lui che abbia queste risposte.

“Billie, ma che cosa è successo esattamente fra te e Jenny?”
“Quando? Chi?”
“Non fare l’idiota più di quanto tu non sia già. A Berkeley, quella sera, stava andando tutto a meraviglia. Poi improvvisamente lei ti pianta in tronco e se ne va.
Poi quando mi rincontra, prima di radunare il gruppo mi da della puttana, della troia e non so che altro.”
“Ah, quello. Niente.”
“Billie Joe Armstrong, stiamo parlando di una delle mie migliori amiche E TU MI RISPONDI NIENTE?!?!”
“E piantala di urlare che ti prendono per pazza! È stata solo una giornata di merda, questo è tutto.”

In effetti due sessantenni distinte, in rossetto rosso e ombretto ceruleo, con una maschera di rughe a malapena coperta dal fondotinta ci osservavano sospettose, indignate e un po’ schifate.
Ho letto le parole “pazza isterica” e “frocio drogato” sulle loro labbra e mi è venuto da ridere.

“Che hai da ridere?”
“Penso che le signore siano rimaste scandalizzate all’idea che un ragazzo possa andarsene in giro truccato come una femminuccia.”

Davanti alla sua espressione perplessa mi passo l’indice sulle sottociglia, indicando chiaramente la sua matita nera, un po’ sbavata. Quegli occhi hanno l’aria di non aver mai visto struccante in vita loro.
Lo so, perché anch’ io, ogni tanto, quando mi scoccio di struccarmi, mi limito a passare un dito bagnato sul trucco e a strofinare finchè non rimane solo una patina nerastra.
Ebbene, ecco a voi un raro esemplare di WWF, tragicamente in via di estinzione!

“Cazzi loro.”
“Invece quel che è successo sabato sono anche cazzi miei quindi sputa il rospo!
Altrimenti stai certo che ti assillerò tutto il pomeriggio e i giorni a seguire.”
“Che paura.”
“Billie, per piacere...”

Mi specchio nei suoi occhi verdi e riesco a vedermi mentre mi mordo il labbro e lo fisso insistentemente benché lui non smetta quell’aria annoiata e in parte anche irritata.
Cerco di muoverlo a compassione e, soprattutto, non abbasso lo sguardo sebbene mi ritorni in mente il prato di tre giorni fa.
Lui sembra soppesare la fiducia che può riporre in me, secondo dopo secondo, poi alla fine si decide:

“Era davvero depressa. L’ho fatta sfogare.
Mi ha raccontato un sacco di Juls e di alcuni suoi atteggiamenti da stronzo, di qualche suo tradimento che lei aveva sempre perdonato e coperto, di litigi su litigi...
mi sembrava di essere diventato il loro avvocato divorzista.”
“Si è aperta con te?”
“Si, in fondo ci conosciamo da un pezzo. E comunque, non so bene perché ma risulto simpatico alle persone, si fidano di me.
Mi ha anche rivelato, più tardi, che ero stato l’unico ad ascoltarla come lei avrebbe voluto e a farla ridere in quel momento.
Mi ha parlato anche di te...”

Sbatto le palpebre, sorpresa.
Sto per sentire come mi considera una delle mie migliori amiche di sempre.
La cosa mi affascina e mi terrorizza allo stesso tempo, tanto che mi mordo la lingua.

“Ahi!”
“Che?”
“Niente, continua! C-che haa dettooo di m-me?”
“Beh, dice che sei un po’ infantile, tutta concentrata su te stessa.
Stai sempre lì a programmare che tutto sia negli schemi tanto che metti ansia.
Rovini l’atmosfera di avventura, di sorpresa, ti preoccupi fino alla paranoia e sei soffocante con questo tuo bisogno di avere tutto sotto controllo.
È per questo che non le sembra di essere ascoltata quando parla con te. Tu stai sempre pensando a cento altre cose e non ti dedichi mai troppo alle persone.”
“Ah”

Sono delusa, ma era inevitabile.
Fredda, calcolatrice, realista, spietata, pratica, rompipalle, fissata per principio su certe cose, con le manie di controllo. Mi sembra di essere Darth Vader*.
Scuoto il capo e lo redarguisco, con tono imperioso:

“Va bene, vai avanti, su!”
“Beh, abbiamo cominciato a parlare del più e del meno.
Mi ha raccontato della sua vita, cose che tu avrai sentito un milione di volte ma si tornava sempre lì, maledizione. Sempre Juls. Mi prudono le mani se ci penso.”
“Non me ne parlare. Non sarei in questo pasticcio senza di lui.”
“Quando ha cominciato a rilassarsi allora ci siamo andati a sedere con Tim e Mike e lei ha partecipato alla discussione con un po’ più d’entusiasmo. Poi ad un certo punto ha fatto per alzarsi e ha detto di voler andare a fare una passeggiata per digerire i tre hamburger che si è scrofanata e...”

Fin qui sembra tutto piuttosto normale anzi assolutamente ottimistica come previsione, esattamente quello che mi era parso di capire, quella sera, benché ci separassero circa dieci metri di distanza.
Poi tutto è andato a rotoli...e lui perché non continua?!
Sento che il suo fastidio si è acuito e la sua voce è sulla difensiva:

“Insomma, quando una fa così tu che pensi?! Lo fa apposta!
Le chiedo di accompagnarla e lei sembra contenta, come se non aspettasse altro!
Poi finiamo a parlare di...non mi ricordo di cosa. Il suo profumo mi stordisce.
Hai notato che sa un po’ di erba tagliata fresca e di gelsomino?”
“Billie, eravate sull’erba. Io la chiamo suggestione, tu che dici?”
“...”
“Embè?”
“Alla fine le chiedo se...se le piacerebbe stare con me... ”
“E lei?”
“E lei mi guarda come se avessi detto la cosa più stupida del mondo e si mette a ridere.
Mi fa incazzare. Non mi piace che si rida di me, non in questi momenti.
Io ce la sto mettendo tutta e tu mi ridi in faccia?”

Ha un’espressione quasi buffa mentre pronuncia quelle parole.
In fondo stiamo parlando di un ragazzino che dimostra appena quindici anni che si morde il labbro con rabbia e frustrazione mentre racconta, gli occhi verdi illuminati da una luce di risentimento e delusione profonda.
Mi viene da sorridere benevolmente mentre sposto un attimo lo sguardo sulla strada.
Ancora un po’. Quante saranno, cinque fermate?
Devo tornare alla realtà perché lui sembra essersi finalmente animato e continua a raccontare, parlando più in fretta e alzando il tono della voce.

“Insomma le rispondo male e finiamo per insultarci a vicenda.
Ora che ci penso lei doveva averlo  preso come uno scherzo perché, anche con gli insulti, continuava a ridacchiare rendendomi ancora più nervoso.
Insomma alla fine le ho detto in faccia che andasse al diavolo, che il suo fidanzatino aveva fatto bene a lasciarla salvo poi perdere la testa per un’altra stronza perché era uno senza cervello che non impara mai dalle stronzate che ha fatto.”
“Oddio...”
“Poi mi pento e le chiedo scusa ma lei è pallida e stavolta è seriamente incazzata.
Lei mi chiede insistentemente se conosco il nome della tizia per cui Juls l’ha lasciata.
Io glielo dico e così peggioro solo le cose perché lei rimane di sasso, salvo poi urlarmi contro e fuggire via, letteralmente, lasciandomi come un imbecille in mezzo al prato.”

Silenzio.
Lui sembra svuotato. Per un attimo mi sembra di scorgere lo stesso sguardo atono di Jenny al volante, quella notte.  Si stringe nelle spalle e fa un sospirone bello lungo.
Nel frattempo il labbro gli sta sanguinando.

“Billie, sei un idiota lo sai?”
“Cosa?”
“Hai fatto un’idiozia dopo l’altra: l’hai insultata, hai insultato il fidanzato e ti aspetti anche che non si offenda e dichiari che tu sei l’uomo della sua vita? ”
“Io...”
“Ma almeno chi è sta tizia per cui Juls ha lasciato Jenny?”

Questa volta è lui a guardarmi stupito.
Si sporge in avanti e scoppia a ridere, esilarato.
Ok, lo ammetto, è irritante quando ti sghignazzano in faccia, sul muso.
Almeno questo sembra restituirgli un po’ di buon umore sebbene il cambiamento repentino sia davvero impressionante.

“Ma ci sei o ci fai?!”
“Armstrong, entro stasera grazie.”
“Non ti piacerà neanche un po’.”
“Piace a Juls, mica a me!”
“Sveglia, ragazzina, sei tu.”

Rimango attonita mentre lui mi scruta per cogliere una qualche mia reazione.
Non so che stia cercando, so solo che sono allibita e penso con orrore a quella Jenny così tesa e incazzata che mi guardava gelandomi con gli occhi.

-Schifosa puttana che non sei altro.
-Sei una troia.
-Ti odio.
 
“Ma...io non ne avevo idea.”
“Ho notato.”
“Scherzi a parte, Billie...è terribile! E poi a me Juls non interessa per niente!”
“Davvero? Mah, il resto del mondo avrebbe detto il contrario.”

Adesso sembra lui divertirsi davanti al mio smarrimento.
Sono troppo stupita anche solo per incavolarmi.
Ma perché io non l’ho mai notato?!?!
Certo, gli ho lanciato parecchi sguardi ma non ricordo che lui abbia mai risposto o semplicemente scorto i miei.
E poi ultimamente lui mi evitava!  Si, mi evitava e faceva finta che non fossi mai esistita.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                       
Anche Mike si sarà accorto di questa...cosa?
Dovrei essere contenta eppure mi rimane un terribile peso sullo stomaco, un senso di colpa davvero soffocante.

“Ehi, sveglia! Si scende!”

Armstrong è saltato giù dal sedile appena in tempo per precipitarsi alla porta, tenendola bloccata mentre io  e l’Eastpack ci muoviamo più lentamente costringendo mezzo autobus ad attendere ancora prima di partire.
Dobbiamo percorrere solo questa strada fino in fondo.
Neppure seicento metri più in là c’è  “casa”.
Mentre camminiamo Armstrong canticchia una canzone a me sconosciuta, come se niente fosse successo.
Io non posso evitare di chiedere, pigolando come un uccellino.

“Billie, che devo fare? Con Jenny? con Juls?”
“Lui ti piace?”
“No!”
“Come bugiarda non vali un emerito cazzo.”
“Ma...Jenny?”
“Le passerà, chi se ne frega! Può averne quanti ne vuole di Juls.”
“Ma se succedesse con Mike-biondo-platino...tu lo faresti?!”

Non mi risponde.
Nel frattempo siamo davanti alla porta della vecchia abitazione.
Era un no?

*****************

“Posso farti sentire una canzone?”

Alzo gli occhi al cielo.
Sono passate un paio d’ore e ho appena finito di leggergli la ricerca per la terza volta.
Mi ha ascoltato fissando il muro davanti a sé con espressione assente e annuendo ogni tanto.
Quando ho terminato la lettura lui non aveva afferrato una parola.
Inutile dire che mi sono incazzata, gli ho urlato contro uno “SVEEEGLIA!!!” e gli ho lanciato contro un lenzuolo che ho tirato via da un’amaca.
Questo edificio cade a pezzi ma ha un bel soffitto di legno con delle grosse travi a cui sono state appese delle amache, una lampadina senza paralume e uno scaccia sogni spiumato.
L’ambiente è diventato respirabile da quando hanno tolto quelle travi dalle finestre e hanno rotto i vetri, perché gli infissi erano bloccati.
Poi ovviamente intorno è un porcile, ovunque, ma non mi aspettavo di meglio.
Bottiglie di vetro, buste di plastica, briciole, resti di cibo appallottolati in carta argentata, piatti e bicchieri sporchi disseminati, roba come abiti o oggetti sparpagliata in giro, compresi giornali,  qualche libro, spartiti e fogli dovunque.
Inutile continuare l’elenco.
In una settimana, da quando si sono trasferiti, hanno già reso il posto uno schifo.
Tornando al lenzuolo, l’ho anche preso in faccia.
Lui, di rimando,  mi ha gettato contro una vecchia felpa infeltrita che puzzava di sudore e di birra.
Io ho afferrato un paio di quelle pantofole di spugna giallastre, ma il mio tiro non è andato a segno.
Mi è arrivato contro un jeans ma lo ho afferrato prima che mi atterrasse addosso.
Mi sono avvicinata di soppiatto mentre lui, di schiena, sembrava cercare qualcos’altro da lanciarmi addosso, poi gli sono saltata praticamente addosso, facendolo cadere per terra sulle ginocchia e sui palmi delle mani.
Mi sono piazzata a cavalcioni su di lui  passandogli il jeans che avevo in mano intorno alla gola.
Ho giocato a fare il domatore mentre lui faceva il cavallo imbizzarrito e selvaggio che scalcia e si rotola per farmi cadere a tutti i costi.
Siamo finiti a ridere come due idioti.
Per un attimo ho dimenticato quanto mi avesse imbarazzato stargli così vicina.
L’ho semplicemente inchiodato al pavimento anche se sapevo perfettamente che lui avrebbe potuto liberarsi quando voleva, perché è più forte di me.
Alla fine, con un’aria di sufficienza, l’ho lasciato libero, dopo che lui mi aveva pregato e scongiurato, con la voce in falsetto e trattenendo a stento le risa.
Siamo tornati, io alla lettura ad alta voce di quella stupida ricerca, lui alla contemplazione buddista del muro di fronte a sé.
Alla seconda lettura sembrava aver capito qualcosa ma ancora non c’eravamo.
Dopo questa terza volta non so che fare.
Gli ho anche fatto un piccolo veloce riassunto sulla storia dell’Ottocento, sul romanzo gotico della fine del Settecento e inizio Ottocento, come il Frankenstein di Mary Shelley, uno dei grandi precursori del genere di Poe.*
Più di così io non posso fare...è lui che si deve impegnare, che cazzo!
Ma Armstrong non sembra collaborare.

“Allora? La vuoi sentire si o no?!”
“Dove sono finiti tutti?”
“Tutti chi?”
“Tutta quella gentaglia che solitamente si aggira qua intorno.”
“Mike è a lavoro, Jason anche, Matt e i suoi tre amichetti sono con Juls, non so dove.”
“Siete solo voi?”
“Domani arrivano dei nuovi inquilini.”
“Quanti?”
“Uhm...non so, cinque o sei...”
“E dove vi mettete?!?!”
“Dove capita. Dipende da domani sera, da quanto sono stanchi, quanto sono sbronzi o da quanto sono fatti.”
“Siete pazzi. Tra l’altro questo posto è orribile!”

Ridacchia di gusto mentre distende la schiena e sbadiglia.
È impressionante quanto stia storto, specie quando sta seduto; come se fosse perennemente chino su qualcosa, una chitarra, ad esempio.

Pay attention to the cracked streets and broken homes,
Some call it slums, some call it nice,
I wanna take ya through a wasteland I like to call my home,
Welcome to paradise.*

“Che stai borbottando?”
“Niente, cantavo.”

Detto questo, si alza di scatto, come se gli fosse venuta un’illuminazione e va a rovistare in un borsellino da bagno da uomo da cui esce, misteriosamente, un pennarello nero.
Poi si avvicina al muro, bianco sporco con diverse macchie e crepe, ma ancora nessuna scritta.
Comincia a scarabocchiare a caratteri cubitali:

WELCOME TO PARADISE, BABY!

Appena finito il suo lavoretto molto artistico che occupa praticamente mezza parete, lancia via il pennarello, almeno provvisto di cappuccio, perché non si scarichi.
E  fa un salto, esultando, come se avesse vinto chissà cosa.

“Mi piace!”
“Cosa?”
“Allora... tu sei la mamma cattiva e perfida che vuole riportare il figlio a  casa.
Io invece sono il povero cristo che vorrebbe starsene per i cazzi suoi senza che gli rompano le palle genitori e affini. Il figlio  scrive alla madre della sua vita che è molto meglio da quando lei si è tolta dai piedi.
It’s been three all weeks since I have left your home...
“Magnifico. È una storia lieto fine? Devo preparare i fazzoletti?”
It makes me wonder why I’m still here. For some strange reason it’s now feeling like my home, and I’m never gonna go… Cazzo, dov’è Blue?!”

Lo vedo sfrecciare verso la sua chitarra prediletta e impugnarla con decisione eppure con una sua delicatezza, mentre il movimento frenetico delle sue gambe tradisce l’eccitazione
Lo sento provare qualche accordo, qualche ritmica, prima lentamente, poi quasi freneticamente.
Per dieci minuti buoni sembra ignorarmi totalmente mentre io mi giro e mi rigiro le pagine della ricerca fra le mani, osservando le sue di mani che si muovono a diverse velocità sulle corde e sulla tastiera.

“Ehi, maestro, scusi se la disturbo ma qua ci sarebbe ancora mezza ricerca da studiare, sa com’è.”

Com’è bello essere ascoltati.
Armstrong si getta famelico su carta e penna e prende a scribacchiare qualcosa.
Ogni tanto cancella impiastricciando ancora di più quell’innocuo foglietto.
Adesso almeno so che cosa ha fatto nell’ultima ora e mezza, invece di ascoltarmi.

“Billie?”
“...”
“Billie?!”
“...”
“BILLIE JOE!!!”
“Dio! Che cazzo vuoi! E fammi finire no?!”
“E quanto ci metti?!”
“Cristo, mezzo minuto. Stattene zitta per mezzo minuto e l’umanità te ne sarà grata!”

Di minuti ce ne mette quasi cinque e nel frattempo io ho appallottolato un foglio trovato per terra a pochi centimetri dai miei piedi.
Aspetto che sollevi la testa dal foglio e poi gli lancio addosso la mia pallottola.
La schiva appena in tempo e mi fa la linguaccia.
Poi tiro fuori l’aria più scocciata che riesco a trovare mentre guardo fuori dalla finestra la pioggia che tamburella sul  legno dell’infisso e ogni tanto qualche schizzo finisce sul pavimento, filtrando dai vetri rotti.

“Eddai, Billie, finiamo qui una volta per tutte così me ne vado a casa e tanti saluti.”
“Davvero ti annoi così tanto a stare con me?”

Mi volto a guardarlo, sorpresa.
La sua voce è seria almeno quanto la sua espressione.
Siamo entrambi seduti, lui a gambe incrociate, io con le ginocchia al petto e  non so che rispondergli.

“Armstrong, io e te non abbiamo niente in comune.
Uhm...forse solo Jenny.
E tu hai amici migliori di me con cui perdere il tuo tempo.”
“Certo, la simpatia non è il tuo forte”

Il suo tono è tornato scherzoso e provocatorio.
Mi sento quasi stupida dopo la risposta che ho dato: razionale, un po’ fredda,  seria e fottutamente ragionevole.
Alzo nuovamente gli occhi al cielo.

“Ma vaffanculo, và...”

La cosa sembra divertirlo ancora di più.
Oggi non solo è di buon umore ma è anche particolarmente irritante.
Indietreggia strisciando fino muro, per appoggiare la schiena e raccoglie da terra una sigaretta mezza fumata e un pacchetto vuoto da cui estrae l’accendino.
Ringrazio ancora una volta che i vetri siano rotti.
Non sono una di quelle che non sopporta la puzza di fumo altrimenti sarei morta da tempo, compresa quella volta che Mike-biondo-platino mi ha iniziata al fumo.
Ma non auguro a nessuno di trovarsi in una stanza chiusa con un accanito fumatore.

“Comunque è inutile che continuiamo con questa pagliacciata.
Fra meno di tre settimane è il mio compleanno.”
“E allora? Vuoi il regalo in anticipo?”
“Oh, non te l’ho detto?”
“Non sarebbe la prima volta che non mi dici qualcosa che dovrei sapere...non mi stupisco più di niente.”
“Ah bene.”

Silenzio.
Il mio è un silenzio di attesa, il suo non capisco cosa sia visto che si è incantato a fissare il soffitto.
Alzo la testa e ritrovo una ventina di gomme da masticare attaccate sul soffitto.
Deduco che hanno giocato  allo “schiatta-chew gum”.
Ebbene si, lo facevano anche nella precedente casa.
Si mettevano in cerchio a masticare chew gum finchè non gli veniva la nausea e allora quello era il momento giusto per lanciarli sul soffitto.
Naturalmente vinceva quello che sopravviveva più tempo con il chew gum in bocca, cosa che portava i poveri sfortunati a ritirarsi in bagno per vomitare nella tazza del wc.
Cosa non farebbero di stupido?!
Certo che sto tizio mi fa proprio saltare i nervi!
Adesso mi ha messo addosso una tale curiosità che devo sapere quello che stava per dirmi!
Secondo me lo fa apposta, o cosa...

“Billie, cos’è che non mi hai detto?”
“Cosa?”
“COSA CAZZO NON MI HAI DETTO!?!?”
“Ah si, il sedici lascio la scuola.”

Apro la bocca e la richiudo senza riuscire a dire niente.
Sta scherzando.
Scoppio a ridere mentre lui mi osserva perplesso, poi un’ombra di irritazione passa per quelle bocce verdi che si ritrova.
Lui sembra aspettare pazientemente che io smetta di ridere.
Nella stanza si sente solo la mia risata che si fa un po’ forzata, lo sgocciolare della pioggia e il suo gioco di inspirazione-espirazione mentre sfumacchia, lasciando cadere la cenere sulle lenzuola ancora ai suoi piedi.

“Ok, molto divertente, Armstrong. Torniamo a noi, su.”
“Guarda che io non stavo scherzando.”

è di nuovo serio.
Non riesco a nascondere il mio smarrimento.
A pensarci bene anche il suo tono di prima era serio, un po’ noncurante, come se il dettaglio fosse trascurabile, ma comunque non sembrava stesse scherzando.
Mein Gott, quanta fatica si fa con uno così!
Non capisci mai quando ti sta prendendo per il culo e quando invece fa sul serio.

“Ma che vai blaterando?!”
“Niente. Il diciassette febbraio avrò diciotto anni e il giorno prima ho intenzione di presentare una lettera di rinuncia alla scuola. Ho chiuso con quella merda.
Non c’è modo peggiore per sprecare gli anni della propria vita.”

Lo dice talmente tranquillamente da farmi raggelare.
Che vuol dire?! Che ha intenzione di fare?!
Non vuole nemmeno prendere il diploma?!
Mi viene in mente quella scena impressionante in casa Armstrong, quando Billie è stato preso a schiaffi dal “padre” che gli urlava contro le peggio cose e, tra l’altro, tutte giustissime.
Ricordo distintamente la promessa di Tim di “spaccargli il culo” se il figlio non avesse preso il diploma.
Non è possibile. Non è pensabile.
Lo sta dicendo così, per parlare.
Non è la prima volta che racconta stronzate.

“Billie, mi vorresti spiegare dove pensi di andare senza diploma?”
“Voglio fare musica. Sto perdendo solo tempo, rinchiudendomi in un inferno dove ti insegnano sempre la stessa merda! Ma non capisci che quelli ti ficcano delle cose in testa?!
Ti hanno in mano dall’età di cinque-sei anni e non fanno altro che riempirti la testa di roba che non ti servirà a un cazzo nella vita, servirà solo a tenerti occupato quanto basta perché poi tu non possa usare la tua di testa!”

Ma è impazzito?!
Questo ci crede veramente! Ma dove pensa di andare!
Si deve essere fumato qualcosa per sparare queste cazzate!
Adesso fa il tipo paranoico che vede un complotto del governo americano per mantenerci tutti buonini e stupidi!
Beh, se io fossi nel governo americano, a questo scopo userei le canne, l’alcool e i videogiochini, non certo i pomeriggi e le ore di studio sui libri!

“Vuoi rimanere un ignorante a vita?!
Secondo te com’è che la gente si fa prendere per il culo?! Quando è ignorante come una capra!
La scuola ti serve! La cultura ti serve, cazzo!
Sapere è cento volte meglio di non sapere!”
“Ah si? E a che mi serve sapere che Coleridge è nato nel ...?!”
“Io...non lo so. Ma tutto serve. Può sempre servire!”

Lo vedo sorridere sarcastico.
Sa di avermi preso in contropiede con questa domanda e la mia risposta è stata penosa.
Ma non è così semplice!
In teoria sapere quando è nato Coleridge serve ad etichettarlo come un intellettuale di un certo periodo storico, cosa che spiega tutto il trascendentalismo e la sua influenza nella letteratura americana moderna... Dio mio, lo so che non è molto convincente ma è così.
Non servirà nell’immediato, non alla sopravvivenza, per intenderci.
Milioni di persone vivono senza sapere chi è Coleridge, e stanno più che bene, chi meglio, chi peggio.
Ma non è questo il punto...

“E che cazzo di risposta è? Te lo dico io. È la stessa cosa che rispondere un “perché si”.
Non è una risposta.”
“Billie, non so chi mi sembri! Non puoi essere così stupido da lasciare la scuola!
Senza il diploma sei un fallito! Un signor nessuno! Non conti niente per nessuno, non vali un cazzo!
Sei buono solo a fare lo spazzino e tra un po’, anche per loro servirà una laurea all’università!”
“Per suonare non ho bisogno né del diploma né tanto meno di una laurea.”
“Solo perché sai strimpellare quattro note non puoi davvero pensare di arrivare a valere qualcosa per questo! C’è gente che saprà suonare molto meglio di te! La musica non è un lavoro, diamine!
Può essere un hobby, ma non puoi vivere di musica!”
“E tu che ne sai?! CHE CAZZO NE SAI TU, EH?!”

A momenti mi sputa in faccia.
Si è fatto rosso come un peperone e mi guarda con quei suoi smeraldi verdi che fiammeggiano.
L’ho fatto incazzare. Ma non poteva succedere altrimenti.
Lui sta per fare la più grande stronzata della sua vita e io non posso certo dire “bravo, vai così che vai bene”.
Aspira ancora dalla sigaretta e stavolta, così a lungo che la sua faccia sembra farsi più pallida e le palpebre più pesanti. È una mia sensazione o gli occhi gli lacrimano veramente?
Caccia fuori dalla bocca una nuvola di fumo che per un attimo mi annebbia la vista.
Poi, dopo appena un minuto, prende la parola, calmo, serio e deciso.

“Ragazzina, tu in vita tua non hai mai toccato una chitarra o un accidente di niente. Che ne sai?
L’hai detto tu, noi non abbiamo praticamente niente in comune. Quello che vale per te potrebbe non valere per me. Se a te serve sapere quando è nato Coleridge e tante altre stronzate del genere allora buon per te. Per me magari potrebbe essere diverso. Anzi è diverso. E tu che ne puoi sapere?”
“Ma che razza di discorsi fai? E perché dovrebbe essere diverso? Cos’è che ti rende tanto diverso da me a parte il fatto che sei uno sfaticato?!”
“Beh, io almeno ho un interesse, ho qualcosa a cui dedicarmi, qualcosa che vorrò sempre migliorare, qualcosa che sarà la mia ragione di vita. E tu? Qual è la grande passione della tua vita?
 I libri? Lo studio? Anche quando studi, devi studiare qualcosa in particolare.
Qual è il TUO hobby, eh?”
“Io...”

Non provo nemmeno a rispondere. Mi zittisco subito.
Dio, ha ragione. Io non ho una passione.
Sono brillante in tutto e interessata a niente.
Non ho nemmeno una vaga idea di quello che farò dopo il diploma.
Andrò a studiare all’università, certo, ma quale facoltà?
Sceglierò a caso? E se non fosse quella giusta?
Basta! Devo dire qualcosa. Non gliela do vinta!

“Comunque fai una grande stronzata. Prendi almeno il diploma, no?
Finisci l’anno e poi tanti saluti. Almeno così hai più possibilità di trovarti un lavoro e continuare a suonare con i tuoi amichetti.”
“Abbiamo un contratto con la Lookout! ; ad Aprile dovrebbe uscire un nuovo disco con alcune vecchie canzoni e altre nuove che ho composto negli ultimi mesi e comporrò nei prossimi giorni.”
“E dopo? Prima o poi finirà, Billie. E allora ti ritroverai nella merda.”
“E allora vedrò. E non sarò solo. Ci saranno i miei amici, la mia band...”
“Buon per te.”

Rispondo secca e improvvisamente mi sento terribilmente stanca.
è inutile discutere e farsi il sangue amaro per questo.
Prima o poi rinsavirà, spero. E se non lo farà saranno comunque cavoli suoi.
A me non me ne può fregare più di tanto.
Siamo amici? Non lo so. Ormai dovremmo esserlo.
Eppure su certe cose siamo come il giorno e la notte.
Appallottolo i fogli della ricerca e glieli lancio.
Poi mi alzo e mi rimetto in spalla l’Eastpack.

“Ok, visto che tu sembri aver già deciso, non è un problema se adesso ti lascio al tuo bighellonaggio e me ne vado a studiare. Sai com’è, io ho un esame da affrontare e devo cercare di sopravvivere alla Carson. Tu almeno non dovrai sopportarla per tutto l’anno.”

Deve aver colto il mio tono gelido perché storce il naso, facendo una specie di smorfia.
Non so nemmeno perché me la prendo tanto, visto che non ci siamo mai piaciuti più di tanto.
In fondo, come dice Mr ho-un-sogno-e-farò-il-cazzo-che-mi-pare-purché-si-avveri, non abbiamo niente in comune.
Mi dirigo verso la porta d’ingresso, varco la soglia e la richiudo alle mie spalle senza salutare.
Mi aspetta almeno un quarto d’ora di attesa alla fermata.
Che schifo di pomeriggio.

*****************

Arrivo a casa prima del previsto.
L’autobus ha fatto meno fermate del solito perché c’era poca gente.
Sono le sei e mezza e io sono già a casa.
Diciamo che prima delle otto, solitamente non arrivo e mia madre lo sa.
Entro con le chiavi e noto che in giro sembra non esserci nessuno.
Nick sarà da uno dei suoi amici perditempo a provare un nuovo videogioco o roba del genere.
Ormai non ci diciamo più granché. È molto cambiato.
Quando l’ho conosciuto era un ragazzino timido, simpatico a modo suo, piuttosto mansueto, uno di quelli che prometteva di essere dolce e comprensivo.
Adesso è come tutti i ragazzi: stupido, stronzo anche se ha quell’aria di perenne imbarazzo e imbranataggine, tipicamente adolescenziale.
Lasciamo stare che è meglio.
Tiro un sospiro di sollievo perché non sembra esserci nessuno in casa e questo vuol dire che posso andarmi a fare una doccia lasciando la porta del bagno aperta, magari mettere un po’ di musica, a volume più alto del consentito e posso girare mezza nuda per casa, senza preoccuparmi di Frank o altri maschi molesti.
Mi da un senso di libertà lasciare la porta del bagno aperta quando faccio la doccia.
Tanto prima di un’ oretta nessuno sarà a casa.
Mi dirigo verso camera mia, con passo tranquillo e passo davanti alla porta di camera dei miei.
è spalancata, cosa che mi stupisce visto che  mamma custodisce gelosamente le sue cose, assicurandosi sempre che sia chiusa.
Avrei davvero voglia di una chiacchierata con mamma.
Non ne abbiamo fatto una decente da quando ci siamo trasferiti qui.
Una di quelle in cui mi racconta della sua giovinezza, dei suoi amici, dei suoi casini, così che possa un po’ smettere di pensare ai miei. Avrei tanta voglia di raccontarle del litigio con Jenny, di Juls che fa lo stronzo e l’eterno indeciso e di quel coglione di Armstrong che ha deciso di rovinarsi la vita.
Magari avrebbe qualche consiglio da darmi.
Decido di posare la cartella in camera e infilarmi in camera di mamma.
La troverò che legge sul letto con quel suo pancione, tutta presa dal piccolo Franz.
Spero che mi dedicherà qualche minuto.
Già dalla soglia noto che il letto è sfatto.
Spero di non svegliarl...
Davanti a me, dietro i due pilastri, sotto le lenzuola non c’è un solo corpo, ce ne sono due.
Rimango impietrita a guardare mia madre che dormicchia appoggiata a un tizio ben piazzato e dall’aria terribilmente familiare.
Mio Dio, non è possibile! Oggi ho le allucinazioni!
Dimmi che sono allucinazioni!!!

“Mutti!”
“Yawh, was?”
“MUTTI, WAS MACHST DU?!?!” *

Mia madre solleva la testa dalla pancia di Frank e, dopo avermi guardato per un attimo, ancora intontita, impallidisce, alza le mani, scuote il capo energicamente e mi fa, con voce ancora impastata dal sonno.

“Amore, non è come pensi... Frank cercava solo di aiutarmi... stavo talmente male e avevo bisogno di qualcuno che...”
“DI QUALCUNO CHE FACESSE COSA?!?! Mamma, tra tre mesi tu partorirai il figlio di papà!
Come...come ti è venuto...Mein Gott!”

Non riesco a controllarmi.
Stringo i pugni e sento il mio corpo pesare sui miei piedi. Cerco di mantenermi in piedi, sulle gambe.
Sento gli occhi che si arrossano, che bruciano come due tizzoni ardenti, come le lacrime che vengono giù, lentamente, scivolano talmente lente da creare un solco sulle mie guance.
Li guardo e non vedo.
A malapena scorgo Frank che si alza da letto, lentamente e mi si avvicina, premuroso con uno dei suoi sorrisi dolci e comprensivi. Come sarebbero quelli di Nick se non fosse uno stupido sedicenne complessato.

“Virgin, ti assicuro che non stavamo facendo assolutamente niente. Io voglio bene a tua madre, a te e alla tua famiglia. Non potrei fare mai una cosa del genere a Josh...”
“STAI ZITTO, VERME SCHIFOSO!
Sei stato beccato, adesso il minimo che puoi fare è strisciare via, fuori da casa mia. E non entrarci più,  hai capito, brutto porco?! MAI PIU’ ! ”

Lui sembra colpito dagli insulti e indietreggia sgomento.
Non mi importa.
Deve sparire, deve morire sotto un tram, basta che scompaia dalla faccia della terra, o almeno quella che calpesto io.
Almeno ha la buona presenza di spirito di andarsene via dalla stanza a capo chino.
Non posso fare a meno di notare che è tutto vestito.

“Amore, ti prego, ascoltami. Ti assicuro che io e Frank non stavamo facendo niente di...insomma, siamo solo amici. Ti racconto come è andata, vuoi?”
“Mamma, non raccontarmi balle! Stavate abbracciati, a letto! Tu dormivi sulla sua pancia!”
“Ma se hai notato entrambi eravamo perfettamente vestiti! Non è un crimine appoggiarsi ad un amico nel momento del bisogno!”
“Non se questo vuol dire fare la troia con il primo che capita che sia il tuo migliore amico o no!”
“Virginia, non ti permetto di offendermi in questo modo, sono tua madre!”
“Mia madre non si scoperebbe nemmeno un cane, figuriamoci un grosso porco di novanta chili!”
“VIRGINIA!!!”
“No, mamma, stai zitta che è meglio! NON HAI SCUSE!!!”

Prima di uscire dalla camera sfogo la mia rabbia sulla porta, sbattendola con violenza.
Non ho la forza di correre via come fanno tutte le adolescenti problematiche nelle commedie americane.  Fanculo, qua non siamo in una cazzo di commedia americana!
Non riesco a fare un passo e mi viene voglia di gettarmi per terra e versare tutte le mie lacrime.
Ma non voglio. Non qua.
Prima mi allontano da quella puttana, un tempo mia madre, e poi forse magari mi sfogo.

Esco di casa.  Ho anche dimenticato le chiavi e non ho nessuna voglia di bussare al ritorno.
Mi trascino per la via ansimando mentre il cuore martella con un ritmo da capogiro.
Conosco questa strada a memoria. Tra qualche metro saremo in Pinole Valley Road, a trecento metri dalla mia scuola.
E poi il chioschetto delle aranciate e delle patatine vicino alla palestra, la piscina sul retro, il negozio che vende giornalini porno e tabacchi anche ai quindicenni...
Scavalco il cancello della scuola.
Basta arrampicarsi sul muretto ed evitare le sbarre saltando giù;
I ragazzi rischiano di rimanere dei castrati a vita ma io, più sottile e più prudente, con quasi dieci anni di atletica alle spalle, posso permettermelo.
Finisco per girovagare fino al giardinetto, davanti alla palestra, quello del muretto galeotto, in cui io e Mike-biondo-platino abbiamo condiviso il fumo e i germi.
Ma quando arrivo trovo un paio di ragazzi con uno zaino mezzo aperto, seduti sull’erba, che si scambiano bustine di plastica e pacchetti di carta.
Sembrano alla fine di una trattativa.
Si scambiano i loro accidenti, roba o fumo che sia e fanno per alzarsi.
Non mi stupisco di vedere proprio Mike-biondo-platino che sembra fare la parte del cliente.
Vorrei poter passare inosservata ma lui mi fa un cenno, mentre gli altri si allontanano.
Uno di loro sembra indicarmi le bustine, io scuoto il capo e loro tornano ad ignorarmi.
Mike-biondo-platino mi raggiunge, con passo leggero e un sorriso incoraggiante.

“Ehi”
“E-ehi”

Oddio, mi tremano le labbra e minaccio di esplodere.
Mi mordo il labbro. Non voglio che mi veda piangere.
NonVoglioNonVoglioNonVoglio...

“Ehi? Stai bene?”

Non riesco a parlare. Ho la gola secca.
Ma proprio qui doveva stare?! Con tutti i posti che ci sono in città!
Lui si siede sull’erba, un’espressione perplessa sul viso, e mi fa segno di sedermi vicino a lui.
Lo faccio, o meglio mi abbatto sull’erba.
 
“Virginia?”

Esplodo in singhiozzi davanti a lui. Sono talmente forti da farmi tremare e fremere tutta.
Mi nascondo il viso nelle mani e cerco di asciugarmi le lacrime che scorrono senza controllo, nonostante questo mi faccia imbestialire ancor di più.
StupidaStupidaStupidaStupidaStupida.

“Vig!”
“M-mike...que-ella putta-ana di m-mia m-m-madre...”
“Cosa, cosa ha fatto?”
“Ha-a...Di-io mi-io, M-mike! È-e u-una tro-oia!”
“Ah. C’ha un altro?”
“S-s-s-s...SI!”
“Ok, adesso calma. Ti prendo qualcosa da bere, vuoi? Un succo al chiosco? ”
“N-no.”
“Un bicchiere d’acqua?”
“N-no gra-aszie”

SILENZIO.
Solo adesso mi accorgo che lui mi tiene per mano e me la stringe, come se volesse farmi forza.
Beh, non ci riesce. Non mi sono mai sentita così...così distrutta.
Non voglio tornare a casa.
Mike-biondo-platino comincia a parlare ma sento solo la metà delle sue parole.

“...anche perché so cosa significa avere per madre una testa di cazzo che fa il bello e il cattivo tempo con tutti i coglioni che le capitano a tiro.”
“M-mike...a-aiutam-mi...a-alzarm-mi...m-mi seent-to male-e...”

Sento un gorgoglio di viscere, poi una stretta alla gola e un sapore nauseante in bocca.
Mi aggrappo a Mike-biondo-platino che mi tira in piedi e rischio di perdere l’equilibrio.
Mi sporgo in avanti, non riesco più a trattenere quel senso di nausea che mi brucia in gola e vomito il pranzo, metà sul prato, metà sui jeans del mio premuroso compagno.
Intravedo una sua smorfia di disgusto, ma mi tiene ancora più saldamente di prima.
Mi aggrappo a lui e alla fine sento le sue braccia che mi circondano.
Mi stringo a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Ogni tanto tremano le mie di spalle e lui mi abbraccia più forte, caldo e rassicurante.

“Sc-cus-sa...il t-tuo jea-ans...ho-o un ali-ito terr-ribi-ile... sigh...”
“Shhhhhh, shhhh, tranquilla, calma e tranquilla...va tutto bene.
 Ti prendo un the. Hai bisogno di bere qualcosa di caldo.”

Saranno almeno le sette ed è già scuro. Dimentico che siamo a gennaio.
Cazzo, che freddo che fa.
Mike-biondo-platino mi invita a mettere un braccio intorno al suo collo e mi sospinge dolcemente verso il retro della palestra.
Usciamo da una rete bucata. Adesso non dovrò più scavalcare per venire qui, anche se ogni volta che ci ho messo piede qualcosa è andato storto.
Mi sostiene fino al chioschetto; agli occhi di tutti devo essere ubriaca o nella fase post-sbornia triste.
Mi appoggia su una panchina mentre tira fuori qualche dollaro per il mio the.
Ritorna dopo pochi minuti con un Mug di ceramica a fiori pieno di the caldo e fumante.
Lo mantiene davanti al mio viso mentre io appoggio, un po’ esitante, le labbra sulla tazza.
La prima volta mi scotto, ma lui ci soffia sopra, come si fa con la pastina dei neonati, prima di imboccarli.
Dopo un po’ finalmente riesco a tirare il primo sorso.
La testa mi pulsa. Sento la saliva che va su e giù nella mia gola, mentre la nausea mi ha fatto venire il mal di stomaco.
Sono da ricovero.
Mike-biondo-platino aspetta pazientemente che io abbia finito il the, mi racconta qualche storiella, mi fa persino sorridere.
Appena finito, lui riporta indietro il mug e si siede sulla panchina insieme a me.
Vorrei stendermi sulla sua pancia, ma la puzza di vomito sui suoi jeans non aiuta a farmi stare meglio quindi mi appoggio al suo petto, più in alto che posso, e per un attimo mi sembra di non sentire più quel sapore disgustoso.
Pian piano ho smesso di singhiozzare e lui, per proteggermi dal freddo, mi circonda con le sue braccia.
Indossa una T-shirt bianca, con una camicia verde acido sopra, l’una di cotone, l’altra ovviamente di flanella e, ciò nonostante, non sembra soffrire il freddo, anzi, è caldo almeno quanto il the che mi sono scolata.
Per un attimo c’è il silenzio fra noi, con un senso di attesa.
Mi faccio forza, riprendo fiato, poi un sospiro e finalmente ottengo che un sussurro soffocato esca dalla mia bocca:

“Mike...che devo fare con Jenny e con Juls? E con Billie? E con...lei?”
“Quando dici Jenny e Juls, intendi che a lui piaci tu mentre a lei piace lui e tu non sai da che parte stare, giusto?”
“Mi fa piacere che tutto il gruppo sappia di questo casino. Sai che fatica rispiegarlo da capo.”

Ok, suono un po’ acida ma davvero non mi va giù che tutti sappiano tutto, quando io ho scoperto tutto stamattina grazie ad Armstrong. Pensavo che avesse una grande sensibilità per cogliere una sfumatura del genere ma mi sono dovuta ricredere: a meno che non siano tutti dei sensitivi, allora direi che tutta la dinamica Jenny-Juls-me era più che chiara.

“Dai, non te la prendere, ma si vedeva lontano un miglio. Certo, tu sei un tantino diversa.
Juls non si è mai comportato così con una ragazza. Come avrai visto, lui non è il tipo che si mette a pensare quando si tratta di invitare qualcuna e il più delle volte ci cascano. Stavo davvero per convincermi che Jenny fosse quella giusta, ma poi penso che tutti si siano accorti che lui aveva occhi solo per te.”
“E allora perché non ha fatto come suo solito? Perché non è andato dritto al punto? Perché mi ha evitato per così tanto tempo?!”
“Forse dovreste chiarirvi fra voi. Ti assicuro che non ti stai sognando niente. Tutti lo sanno che vi piacete a vicenda.”
“Smettila di darlo per scontato. È irritante.”
“Ok.”
“Allora Pritchard, questo consiglio?!”
“Uhm...in realtà non c’è molto da dire.
Anche perchè Jenny si trasferirà a Febbraio a Los Angeles dallo zio che ha un officina più grossa nella periferia e ha bisogno di una mano.”
“COSA?!”
“Oh, scusa, non lo sapevi? Lo sapevamo quasi tutti, anche se non era proprio ufficiale...”
“HO CAPITO, GRAZIE!”

Dio, come mi fanno incazzare! È la terza volta che mi viene riferita una notizia sconvolgente ormai stagionata!
Tutti sanno sempre tutto prima di me!
Scosto la testa bruscamente dalla spalla di Mike e lui sembra percepire la mia irritazione, perché mi da piccole pacche di incoraggiamento che si trasformano in lievi carezze.

“Sai, prima anche io ti trovavo molto carina. Mi piacevi e ti volevo con noi del gruppo.
Perciò ti ho dato quella camicia, che tra l’altro ti stava piuttosto bene.”

Questa frase mi lascia di sasso e mi irrigidisco, trattenendo il respiro.
Non riesco a reprimere una stupida risatina ironica e falsa, mentre mi passo le mani fra i capelli, irrequieta.
Questo che dovrebbe significare?
Ne ho abbastanza. Non sono mai stata una divoratrice di uomini, una femme fatale o cose del genere e adesso tutti appresso a me.
Lasciandomi nel casino più totale.
E adesso cosa dovrei rispondergli?
Per l’imbarazzo arrossisco leggermente e allento il suo abbraccio.

“Aehm...Mike, sei molto carino, mi fai un sacco di complimenti ma io... ecco, ho già il mio bel daffare.
Non vorrei darti una delusione, davvero; mi dispiacerebbe molto.”
“No, figurati. Saresti stata uno sfizio. Somigli un po’ a mia sorella. Istinto di fratello maggiore.”

Non voglio indagare sulla questione dello “sfizio”.
Mi sa tanto di una bastardata alla Juls; in effetti nessuno è rimasto sorpreso dal suo comportamento, quasi fosse un suo diritto.
Un’altra buona ragione per essere femministe.
Adesso capisco mamma e capisco anche Virginia Woolf.
Sorvoliamo, che è meglio...
 
“Ok, grazie mille, eh.  Mi hai salvato.  Davvero stavo annegando nella disperazione.
Quindi adesso devo cercare di chiarire con Jenny, poi con Juls anche se non si farà mai avanti spontaneamente.”
“Già. È che problemi hai con Billie? Avete litigato di nuovo?”
“Lui vuole lasciare la scuola appena prima di compiere diciotto anni, senza neppure prendere il diploma. Ti pare normale?! È l’idea più folle e insensata che potesse venirgli.”
“Si, lo sapevo. Ma se si sente meglio così e la band rende di più è ok.”
“Ma che dici! Non cominciare anche tu!”
“Questo è l’ultimo dei tuoi problemi. Farà qualche cazzata ma io comunque ci sarò sempre per dargli una mano a rialzarsi. Questo è l’importante no?”
“...”
“E adesso c’è il problema più impellente. E quelli so’ cazzi amari.”
“Non voglio più tornare in quella casa.”
“Questa è un’idiozia. Quella è casa tua. Semmai caccia di casa quel tizio, Francis o come diavolo si chiama lui, prendi da parte tua madre, capisci bene cosa è successo e parlatene. Poi dipenderà da te.
Se ti trovi sbattuta fuori casa, sappi comunque che noi, alla squatter abbiamo sempre posto per te.”
“Io...grazie mille Michael.”
“Ti pare?”

Sono stanca, adesso.
Non ho voglia di chiarire con tutta questa gente; di parlare, di ascoltare le loro spiegazioni, le loro accuse, ciascuna con una propria versione, ciascuna convinta di essere nel giusto.
Vorrei rimanere sempre così, abbracciata a Mike-biondo-platino, protetta, al sicuro, addormentarmi e, quando mi sveglio trovare quegli occhi azzurro cielo che mi rassicurino e la sua voce bassa e un po’ roca che mi sussurra di continuare a dormire.
Comincio ad avere davvero freddo e comincio a battere i denti.
Mike-biondo-platino mi riscuote, dandomi qualche leggera pacca sulla coscia.

“Ehi. Qua comincia a fare freddo.
Che hai deciso? Vai a casa o vieni con me?”
“Io...vado a casa. Ma tu mi accompagni, per piacere?”
“Certo. Dai, alzati.”

Mi sento ancora un po’ debole e scombussolata ma accuso bene il colpo quando mi isso in piedi sulle gambe.
Ne approfitto per appoggiarmi a Mike-biondo-platino, con il mio braccio che passa intorno al suo collo.
Camminiamo, in silenzio. C’è poco da dirsi adesso, e io devo prepararmi ad affrontare mia madre.
Alla fine ho tirato fuori il coraggio, anche se la cosa mi abbatte solo a pensarci.
Via il dente, via il dolore.
La strada in più è breve e quindi arriviamo subito.
Le tendine sono alzate e mia madre sembra scorgermi da una finestra.
Compaio, alla luce di un lampione abbracciata a Mike-biondo-platino, e arriviamo fino alla porta di casa; la guardo sottecchi e la vedo allarmarsi.
Ci salutiamo con un abbraccio e tante pacche sulle spalle per me.
Entro in casa, più serena di quando ci sono uscita, appena un’ora prima.
Mia madre mi viene incontro, con passetti veloci e delle movenze così agitate che già cominciano ad irritarmi.

“Amore, dove sei stata? Chi è quel tizio? Dove l’hai conosciuto?”
“No, mamma, il terzo grado proprio tu no. Adesso rispondi a quello che ti chiedo e forse stasera non litigheremo.
Dove sono il porco e il debosciato?”
“Tesoro, per piacere, non chiamarli così!”
“Mamma, li chiamo come mi pare e piace. Tu rispondi!”
“Sono a casa loro. Con Frank abbiamo capito che ti abbiamo turbato e volevamo rimediare.
Avevo pensato ad una cenetta solo noi due, due coccole sul divano, un bel film, una bella tisana e una fetta di torta panna e cacao.”
“Mamma, non mi piace la panna, non ho voglia di torta, e non pensare di cavartela con così poco.
Sono ancora incazzata con te, anche se non sembra. E poi il the l’ho preso con Mike.”
“Mike Edwards? O forse quel ragazzo che ti ha accompagnata?”
“Cazzi miei. E smettila di scandalizzarti per qualche parolaccia.
Già che ci sei, smetti pure di fare la mammina e calati nei panni dell’adolescente senza cervello che la da al primo che capita.
Qualche ora fa andavi a meraviglia.”
“Amore, ti prego.”

L’ho fatta piangere.
Dio, oggi solo lacrime: le mie, quelle degli altri.
Che fastidio.
Non ho mai visto mia madre piangere ed è meno gratificante di quanto mi aspettassi.
Mi fa solo una gran pena.

“Amore, posso spiegarti, ti prego?”
“Prego, immagino che pensi anche di avere avuto ottime ragioni di fare ciò che hai fatto e adesso vorrai sventolarmele davanti al naso...”
“Avevo delle fitte dolorosissime al colon. In questi giorni la colite mi sta davvero uccidendo. Ho paura anche per il bambino.
Cosa succede se non mi passa? Interferirà con la salute di Franz? Ho paura, Vig, tanta paura!”
“...”
“Oggi poi, stavo sdraiata sotto le coperte e avevo un attacco alla pancia. Ho chiesto a Frank di farmi un massaggio.
Faceva così male che ogni volta che si muoveva un muscolo mi veniva da urlare.
Lui mi ha massaggiato per un po’ e il dolore si è attenuato. Lui non ha conoscenze specifiche di sorta ma avevo bisogno della sua compagnia e del suo sostegno prima di tutto.
Alla fine ho sentito il bisogno di stendermi e lui ha continuato a starmi vicino:  parlava, mi consola, mi distraeva un po’ e ha tentato di farmi dormire un poco, per rilassare mente e corpo. Mi ha preparato anche una camomilla.
E alla fine deve essersi addormentato lui. Ma a parte questo non abbiamo fatto nient’ altro.”

Mi viene da ridere. Pensa davvero che io possa credere ad una balla del genere?
è una spiegazione semplice eppure puzza, tantissimo. Non riesco a crederci.
In fondo papà non c’è mai, perché dovrebbe stupirmi che mamma si fa un altro?
Beh, invece è così. E ancora una volta mia madre mi sta deludendo raccontandomi un sacco di stronzate.

“Mamma, davvero pensi che io sia così stupida da credere a questa tua storia?”
“Dio, amore, DEVI CREDERCI! È la verità! Ti prego, tesoro, sono tua madre!”
“Beh, non per questo io devo avere le fette di prosciutto davanti agli occhi.
Pensavo che della propria madre ci si potesse fidare.”

Lo so, sono gelida, fredda, spietata, inclemente, mentre la mia voce trasuda ostilità.
Che pianga pure, tanto io non le credo. Me lo dovrà dimostrare, non so in che modo, ma sento di non potermi più fidare di lei.
A questo punto spero che Frank non osi mettere più piede in casa.
Potrei essere molto più aggressiva di come ho fatto in precedenza.
Non ho fame e la spiegazione di mamma mi ha decisamente delusa.

“Sono stanca, adesso. Quando vorrò che qualcuno mi racconti delle belle favolette per addormentarmi lo chiederò e comunque non sarai tu. Non sei molto credibile. Per la prossima volta ti auguro più prudenza e una scusa più convincente.”

Ignoro le parole semi soffocate di mamma, i richiami, il pianto e i singhiozzi che si fanno sempre più strazianti.
Dio, stai zitta, brutta stupida. Dovevi pensarci prima di fare la troia.

Vado a letto senza cena. Ho lo stomaco chiuso e vomiterei qualunque cosa.

*****************

Note

* Come dimenticare uno dei più grandi classici della fantascienza?
“Star Wars IV: una nuova speranza”, anni ’70 circa.
Ha popolato i miei sogni di tredicenne per un estate intera! *_*

* Il genere di Poe, il romanzo gotico ha radici europee, con classici come il Castello di Otranto di Horace Walpole e il più famoso (meraviglioso *_*) Frankenstein di Mary Shelley.
E siccome voi siete curiosiiiissimi di leggere del romanzo gotico, esiste un'adorabile pagina di WIKI per questo! Mwahhahahah

* Tutti avrete riconosciuto il ritornello di “Welcome to Paradise”, una delle loro canzoni più famose, tanto che me la sono ritrovata in due album e tre registrazioni di concerti live, suonata più volte nello stesso concerto. Naturalmente è ispirata proprio alla vita di strada che hanno condotto i GD e alla loro esperienza nella sovra citata Squatter House, quella tra la West 7th e Peralta Street.
Diciamo che siamo un po’ in anticipo con i tempi ma non è un vero e proprio anacronismo.
Le idee possono nascere anche molto prima della loro elaborazione e possono giacere nel cassetto per anni. Un accenno ci poteva stare.

*GLOSSARIO: “Mamma!” , “*sbadiglio*, cosa?” , “MAMMA, CHE STAI FACENDO?!?!”


Ringraziamenti

Grazie a envima (*_*) e a S w e i g per averla inserita fra le seguite.
Grazie a Mary Cloud  per averla preferita!
Grazie a tutti/e voi che sfogliate/leggete/seguite/ricordate/preferite/recensite

Angolo dell’autrice

Ok, people, venti pagine di Word: stavolta ho un po’ esagerato.
è venuto lunghetto, è parecchio intenso e il mondo di Vig va tutto a puttane (la mia buona educazione compresa, visto che tutte queste parolacce stanno nuocendo gravemente alla mia forbita proprietà di linguaggio u.u).
Bene, a voi la famosa spiegazione della notte a Berkeley: ma quanto è idiota il nostro BJ da uno a dieci?
E la rivelazione di Mike-biondo-platino...equivoca, ne?
Jenny parte e abbandona il campo alla sua rivale/amica...
Per non parlare del casino gigantesco che è successo in casa Foster.
Uhm, forse avrei dovuto dividerlo in due capitoli ma, la verità è che ho messo troppa carne a cuocere e adesso mi tocca sbrigliare tutto in altri tre capitoli, questo compreso.
Quindi ho deciso di presentarvelo così com’è, pieno zeppo, forse un po’ confuso, terribilmente movimentato e forse un po’ palloso.
Cest’ la vite!
Che dire? Vediamo come va a finire!
Si accettano suggerimenti! *_*
Au revoir,

Misa

P.s Ok, ci ho messo più del solito ma finalmente, da adesso, avrò a disposizione una bella connessione tuuuutta mia! *_*
E come vedete sto migliorando…solo tre note! Ù.ù mwahhahahha 

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Capitolo 12
*** Febbraio: trasferimenti e pulizie di primavera ***


Febbraio
trasferimenti e pulizie di primavera.



è quasi una settimana che faccio lo sciopero della fame e della parola in casa mia.
O meglio, mi rifiuto di parlarLE, di ascoltare le SUE parole, di toccare le SUE cose, di mangiare qualunque cosa preparata da LEI.
Mangio al bar della scuola, vado a casa di Meggy, vado a trovare Mike-biondo-platino e Jason alla Squatter... insomma dovunque tranne che a casa.
Non ho mai visto mia madre più infelice di così e sinceramente non me ne frega niente.
Ok, sono una gran bugiarda. In realtà ci sto male anche io ma ancora non riesco a perdonarla.
Si ostina a dire che fra lei e Frank non è successo proprio niente ma dopo tutti quei sorrisini, quelle uscite, quei cinema, quelle battutine, quelle carinerie e quelle smorfie da perfetti fidanzatini in luna di miele come ho fatto a non accorgermene prima?!
Beh, adesso che me ne rendo conto non posso non crederlo. Specie con una scusa che suona così falsa.
Questo week-end viene mio padre. Anzi, per la precisione, stasera.

Dio mio, lui non sa niente.
Non ho nessuna intenzione di risparmiare mamma e trasformarlo in un segreto fra noi due e Frank.

Anzi, ho intenzione di svergognarla a tavola, alla cena di famiglia.
Saremo solo noi tre come al solito ma mi basta. Non ho bisogno di altri parenti, né tanto meno di altre distrazioni per la mia cara mammina.  E non voglio due padri.
Frank non si è fatto più vedere anche se sospetto che venga di mattina e nel primo pomeriggio, quando io sono a scuola.
Potrebbe tranquillamente fare un passaggio verso le sei del pomeriggio o anche alle otto perché tanto io sono sempre fuori.
Non ho nessun desiderio di guardare mia madre con disprezzo tutto il giorno, meglio fuori casa che dentro altrimenti dovrò trasferirmi in un mattatoio.
Il silenzio mi fa impazzire, ma è la mia unica arma.
Un’altra cosa che mi sta distruggendo è Jenny;  ho la sensazione che la nostra amicizia sia andata a puttane per sempre.
Mancano pochi giorni al suo trasferimento a LA* e io non oso avvicinarla.
Quelle volte che ci ho provato mi è stata sbattuta la porta in faccia, sono stata guardata talmente male che ho dovuto desistere e, una volta,  ha minacciato di menarmi perché le impedivo di partire con la macchina, cercando disperatamente di attirare la sua attenzione.
Le ho spedito una lettera, mi sono fatta attaccare il telefono in faccia chissà quante volte, le ho mandato dei fiori, le ho lasciato bigliettini sotto la porta, ho circuito una sua amica, una certa Amanda, perché mettesse una buona parola per me e ho chiesto ad una certa Charlotte di procurarmi un appuntamento, dando un nome falso e presentandomi come un cliente con problemi di marmitta per una vecchia Ford del ‘78.
Niente di tutto questo ha funzionato.
Non ho neppure “fatto pace” con Billie.
Lui mi ignora, sia a scuola che quando vengo alla squatter.
Sono persino andata ad un piccolo concerto degli Sweet Children in un localino sconosciuto e alla festa dopo-concerto, dove hanno sempre suonato, anche se mezzi ubriachi.
Da ubriaco poi Armstrong si trasforma in un decerebrato arrapato.
Adesso capisco che quella specie di aggressione al Campus di Berkeley era ordinaria amministrazione.
Ogni volta che alza un po’ il gomito, se lo cerco con lo sguardo, inevitabilmente lo trovo incollato ad una ragazza. Qualcosa mi dice che non ricordi neppure una di tutte quelle su cui si è strusciato, me compresa.
Poi invece nella vita di tutti giorni è un coniglio. Che uomo.
Da quel poco che so non si è fatto avanti per rientrare nelle grazie di Jenny e, probabilmente, dimenticherà di salutarla prima che parta.

Quanto a Juls, lo ho osservato in questi giorni.
è tutt’altro che impassibile e mi guarda più spesso di quanto io immaginassi.

Eppure non muove un dito al punto che comincia ad irritarmi.
Con lui, poi, è più difficile chiarire perché...insomma è imbarazzante!
Anche perché non sono nemmeno riuscita a chiarirmi con me stessa:
Mi piace? Non mi piace? Accetterei di diventare la sua ragazza?
Quello che invece mi stupisce è che è più di una settimana che non vedo Mike.
Ho avuto talmente tanti casini fra le mani che mi sono dimenticata di lui.
Adesso che ci penso mi ha lasciato un sacco di telefonate, messaggi che trovo attaccati sul frigo con le calamite, e ha anche cercato di avvicinarmi un paio di volte ma io stavo sempre facendo cento altre cose, oppure parlavo con qualcun altro, oppure ridevo ad una battuta di Billie, quando ancora ci parlavamo.
Ed è più di due settimane che non passo per casa Edwards.
Domani papà parte verso le tre del pomeriggio, quindi la mattinata è dedicata a lui, e il pomeriggio farò una sorpresa a Mike presentandomi a casa sua e così magari avrò anche l’occasione di chiarire con suo fratello.
Mi manca davvero Mike, e poi lui mi conosce meglio di chiunque quindi penso che mi saprà dare un consiglio su come gestire questa situazione che è talmente confusa da farmi girare la testa.
Ma stasera ci divertiamo.
Stasera mia madre sarà sputtanata in pubblico, tanto finchè porta in grembo Franz, papà non la lascerà mai anche se lei se lo meriterebbe. 
Che stronza.
La odio.

*******************

Papà arriva più puntuale del solito. Le sette precise.

Mi lancio verso di lui e lo abbraccio.
Lui si deve abbassare per rispondere mentre la sua tracolla di pelle ondeggia, piena di carte e qualche libro, infierendo sulla spalla del professor Foster.

“Ehi prof. Era una vita che non tornavi a casa.”
“Vig, ma come sei cresciuta! Sei diventata una signorina!”
“Ma piantala.”

Gli do un pugno leggero, con fare amichevole, sulla spalla ma basta questo a sbilanciare il mio vecchio che si stacca da me e finalmente abbandona la tracolla per terra.
Mia madre nel frattempo è impietrita, mentre osserva me chiacchierare piacevolmente con mio padre e ignorarla alla grande.
Si, stronza, ho rotto il mio silenzio ma non ho intenzione di rivolgerti nemmeno uno sguardo.
Lei ha due solchi sotto agli occhi,  un’aria abbattuta, e rughe più profonde di quanto ricordassi.
Diciamo che non è il ritratto della salute.
Annuncia con voce fioca che la cena è pronta e finalmente mio padre la vede, seminascosta dalla mobilia del salotto.
Le corre incontro, premuroso, mentre sento il mio sorriso morire sulle labbra.

“Amore...che cos’hai, tesoro? Hai un’aria terribile. Hai dolori da qualche parte? Come sta il nostro piccolo campione?”
“Io...sto bene. Sono solo un po’ stanca.”

“Tesoro, ti prego siediti, stenditi, mangia un boccone, mi fai impressione! Come hai fatto a ridurti in queste condizioni?!”

L’ansia e la preoccupazione di mio padre sono palpabili, tutti noi avvertiamo la tensione salire mentre scende il silenzio.
Mio padre insiste e finalmente ci ritroviamo tutti e tre seduti a tavola a mangiare hamburger, senape, polpettine ripiene di riso e di purea di fave e patate.

Io, come mio solito, non tocco niente, lasciando tutto nel piatto e buttando giù lunghe sorsate d’acqua e di succo di mela.

“Vig, perché non mangi?”

Mia madre sembra sussultare quando papà rompe il silenzio con questa piccola semplice frase.
Vedo i suoi occhi scuri posarsi su di me supplichevoli come se nutrisse la speranza che tutto possa rimanere fra noi.
Potrei ignorare il suo sguardo ancora una volta e invece stavolta le rispondo gelida e beffarda con un sorrisetto di trionfo.
Basta questo per farle capire che non rinuncerò allo show di stasera.
Trattiene a stento le lacrime. Se pensa di commuovermi si sbaglia.
Ignoro completamente la domanda di papà e intavolo il discorso:

“Qualche giorno fa sono tornata a casa e subito sono andata a vedere come stava la mamma.”
“Stava già così sciupata?”
“Oh no. Stava benissimo. Mai stata meglio di allora.
Sai com’è, era a letto con Frank e se la spassavano un mondo.”

Ecco. L’ho fatto.
Adesso il silenzio è una cappa scura che ci avvolge, come la notte.
Mio padre è scioccato, gli occhi spalancati, ma pian piano sembra riprendere il controllo di sé.

“Amore è vero?”
“Io...no. Non è andata affatto così.”
“Non solo fai le corna ma dici anche un mucchio di stronzate! Vigliacca! Prova a smentirmi se hai il coraggio!”
“Virginia, non parlare in quel modo a tua madre.”
“Papà, tu credi a lei più che a me?!”
“Virgin! Non ho neppure ascoltato la sua versione. Per piacere!”
“Vai, mamma, vediamo quanto sei brava a inventare scuse.
L’ultima era davvero penosa, ma in fondo non hai avuto una settimana per preparala.”
“VIRGINIA!”
“Josh, lascia stare, fa così da quasi una settimana. È stato davvero orribile ma adesso spero di chiarire una volta per tutte.
Tra me e Frank non è successo veramente niente. 

Come ho già spiegato a Virginia, ero in preda a forti dolori al colon e ho chiesto a Frank di farmi un massaggio e di prepararmi una camomilla. Siccome il dolore era troppo forte lui mi ha consigliato di prendere un sonnifero e di dormirci un po’ su. 

Se vuoi puoi controllare nel cassetto dei medicinali. Visto che eravamo a corto di sonniferi, Frank  è sceso a comprarne qualcuno.
Tutto questo accadeva più o meno verso le quattro e mezza e, sia tu che Virginia, sapete bene che io vado a riposarmi sempre e solo verso le quattro del pomeriggio. Mi è stato prescritto e così ho fatto fino ad adesso.
Mentre mi addormentavo Frank mi è stato vicino, sorridendomi, incoraggiandomi, tenendomi la mano, ma senza mai cercare altri tipi di contatto, nemmeno una volta. Invece di farlo stare in piedi vicino a me ho preferito prima farlo sedere e poi gli ho permesso di stendersi accanto a me visto che la schiena cominciava a dargli fastidio.
Alla fine ci siamo addormentati entrambi e quando Virginia ci ha svegliato ha subito pensato le peggio cose.
E in tutto questo eravamo completamente vestiti sia io che lui quindi tutte le insinuazioni di tua figlia sono assolutamente prive di fondamento”
“CHE BUGIARDA!!! FOTTUTISSIMA BUGIARDA! TI HO VISTO!
ERI ACCOCCOLATA SULLA SUA PANCIA E ANCHE PIU’ GIU’! 

SCOMMETTO CHE GLI E’ RIMASTO DURO TUTTO LA NOTTE PER QUESTO!
ANZI NO, DIMENTICAVO CHE QUEL PORCO E’ PRATICAMENTE IN ANDROPAUSA!”

Improvvisamente vedo mio padre alzarsi di scatto dalla sedia, allungarsi verso di me e poi sento uno schiocco e un bruciore intenso sulle guance. Seguono altri schiaffi, uno più sonoro dell’altro, per cui, oltre che scottarmi le guance mi ronzano le orecchie e mi fa male la testa.
Non sono più di sei ceffoni ma bastano a sconvolgermi.
Nessuno mi ha mai picchiata prima d’ora.
Sento scendermi lacrime di rabbia, frustrazione e delusione profonda.
Pensavo che mio padre avrebbe subito capito, che non avrei avuto bisogno di difendermi con le unghie, che mi avrebbe dato ragione e che avrebbe urlato addosso alla mamma, facendola pentire amaramente di quello che ha fatto.
Come sei ingenuo, Josh Foster! Ti fai prendere per il culo in questo modo ridicolo!
E allora andate tutti a fare in culo, nessuno meglio di voi se lo merita.
Che coppia, l’ingenuo cornuto e la zoccola.
Mia madre è in lacrime tanto per cambiare. Le passo accanto mentre mi allontano a passi lenti, impettita e salgo le scale.
Mi chiudo in camera mia e ignoro il resto del mondo. Ancora una volta senza cena. Ormai non mi pesa più di tanto.
Mi getto sul letto e cerco di tranquillizzarmi inspirando ed espirando un paio di volte.

Rimango sdraiata a fissare il soffitto nel buio e non riesco nemmeno a pensare.
Poi la penombra del buio si fa nera e scivolo nel sonno.


********************

Mi risveglio tutt’altro che di cattivo umore nonostante la serata catastrofica di ieri.

Ho lo stomaco chiuso e non ho nessuna voglia di vedere i miei nemmeno dipinti.
Lancio uno sguardo alla sveglia. È piuttosto presto per essere domenica mattina.
Di solito non mi sveglio mai alle otto e mezza nel week-end; perché dovrei?
Mi metto abiti puliti  e scaravento poche cose nella mia fedele borsetta di cuoio.
Lascio il mattone-cellulare a casa. Non voglio rotture di scatole oggi, specie dai miei.
Infilo in una sacca qualche mutanda, qualche maglietta, il pigiama, lo spazzolino e un asciugamano.
Prendo con me cinquanta dollari e infilo alla bene e meglio delle ciabatte da doccia prima di avviarmi giù per le scale.
Non mi porto libri per studiare. Non ne ho voglia. Se devo fare una puttanata, facciamola al completo.
E poi mi trasferisco a dormire da Mike quindi, se cambiassi idea, i libri li ha lui, con gli appunti mi arrangio.
Scendo di soppiatto giù, indosso la mia giacca a vento e sto per uscirmene di nascosto quando sento le voci dei miei che sembrano discutere qualcosa in salotto.
Tendo l’orecchio sulla soglia, rimanendo sempre indietro per non essere vista.

-...non riuscivo proprio ad addormentarmi. Meno male che Frank ti ha fatto prendere questi sonniferi.
-Josh, mica soffri d’insonnia?
-No, tranquilla, tesoro, sto bene. Sono solo rimasto impressionato dalla nostra ragazza, Virginia.
-Mi dispiace che tu abbia dovuto assistere a tutto questo.
-Beh, non è solo tua figlia. Se c’era qualche problema dovevi dirmelo per telefono. Perché hai taciuto tutto?
-Tesoro, speravo fosse una cosa temporanea. Mi è parsa così assurda la sua reazione. E sono felice che tu mi abbia creduto.
-Se ti credo è perché mi fido di te ma ancora non riesco a capire come Vig abbia potuto pensare e poi dire quello che ha detto!
-Josh, io sono un po’ preoccupata per Virginia. Frequenta gente che non mi piace. Poco tempo fa è tornata a casa che puzzava di fumo in modo pestilenziale e non è capitato una sola volta.
In un paio di casi ho avvertito un profumo che non sentivo da quindici anni: marjuana.
-Mio Dio, pensi che fumi e si droghi?
-Io...non lo so. Ho anche lavato una camicia che chiaramente non era la sua e puzzava terribilmente di birra e alcool.
Io davvero non so cosa stia succedendo a nostra figlia ma questa isteria, questi comportamenti così...strani non sono decisamente da lei. Non è mai stata un tipo problematico, non come una di quelle stupide adolescenti di cui sente in giro.
Conoscevo poche persone più ragionevoli di nostra figlia.
-Ma chi!? I suoi amici chi sono?! Quelle due ragazze, una più oca dell’altra, quel Michael Edwards che è un bravo ragazzo e poi quella deliziosa ragazza, Jennifer mi pare...
-Una settimana fa è stata accompagnata a casa da un ragazzo che non mi è piaciuto affatto.
Era uno con la mascella squadrata, due spalle larghe, i capelli tinti di biondo platino ed era vestito da pezzente.
Non dico che avesse un’aria minacciosa ma mi ha fatto un po’ impressione.
Aveva le occhiaie, era pallido, portava una strana bustina di carta in mano...non mi stupirei se fosse fumo o altra roba di dubbia natura.
-Ma chi è?!?!
-Non me l’ha detto! Ma questa cosa non ha fatto che preoccuparmi ancora di più! E poi...quel linguaggio, di una volgarità inaccettabile!
-Tesoro, ci sono troppe incognite. A questo punto direi che dobbiamo aspettare che Virginia si svegli e fare un discorso serio cercando di evitare che lei dia in escandescenze insultandoci ferocemente. Voglio capire che gente frequenta e voglio ribadire le regole della buona educazione, perché qua, in famiglia, stiamo proprio perdendo la bussola.
-Oh, grazie al cielo, tesoro, sono così stanca!
-April, ma quando hai l’appuntamento con il ginecologo?
-Ci sono andata ieri.
-Ah! E che ha dett...


Ho sentito abbastanza.
Adesso sono io quella rovinata! E dalle cattive compagnie per giunta!
Come se invece quella di un’adultera fosse una compagnia edificante!

Esco di casa precipitosamente e sbatto la porta rumorosamente, poi mi metto a correre.
Sento gli echi dei richiami di mamma e papà che devono aver capito che non sono nel mio letto al calduccio a dormire.
Me ne infischio. Si tratta solo di correre per un chilometro, massimo, e poi sono a casa di Mike.

Nemmeno il tempo di contare fino a venti e sono già lì a bussare il campanello.
Mi apre la signora Edwards con un sorrisone accogliente e lancia un urletto entusiasta quando mi vede.
Saluto educatamente, chiedo di Mike, mentre lei, quasi untuosa, mi invita ad entrare, mi offre biscotti, un pezzo di torta, succo, coca cola e non so quale altra schifosa bibita gasata.
Chiedo un bicchiere d’acqua, mentre ansimo e mi giustifico dicendo che stavo inseguendo l’autobus.
Lei sembra cascarci come una pera cotta.
Evidentemente non è normale chiedersi come mai una che abita tre strade più dietro aspetta l’autobus invece di andare a piedi.
Ma sapevo già che quella donna non è esattamente un falco.
Mrs Edwards chiama Mike a gran voce e finalmente vedo comparire il mio migliore amico.
Peccato che non sembri particolarmente contento di vedermi.
Senza dire una parola mi fa segno di andare di là, io lascio il bicchiere sul tavolo e lo seguo.
Quando finalmente siamo al sicuro, in camera sua, con la porta chiusa, lui si volta a guardarmi con sospetto, seduto sul letto.
Mi sento stupida a rimanere in piedi, quindi appoggio la mia sacca e la borsetta per terra e mi siedo sulla sedia della scrivania.
Sento il suo sguardo addosso e, per la prima volta davanti a Mike, mi sento a disagio.

“Mike, mi devi aiutare. Sono nel casino più totale. Mia madre ha cornificato mio padre con Frank e mio padre è abbastanza idiota da credere alla sua scusa. Fatto sta che l’ho insultata pesantemente, i vecchi pensano che frequento chissà quale banda di drogati e di criminali e quindi adesso mi romperanno le palle fino alla morte! Ho bisogno di un letto per stanotte.”
“Ah, adesso capisco perché ti fai vedere solo ora. Sei nei casini e hai bisogno di un povero idiota che stia sempre lì ad accoglierti quando fai una stronzata. Perché non provi a chiedere ad Armstrong o ad un altro dei tuoi amichetti? Uno in più o uno in meno in quel letamaio, a loro che importa?”
“Ho litigato con Billie e con Jenny, davvero non so a chi rivolgerm...”

Mi zittisco di botto.
Era sarcasmo?
Leggo l’espressione eloquente di Mike che mi squadra con una freddezza che non è sua.
Non è una delle sue solite deboli proteste oppure uno dei suoi appassionati rifiuti.
Cerco di scacciare quella spiacevole sensazione di gelo che mi prende e che blocca la mia gola.
MeLoSonoImmaginatoMeLoSonoImmaginatoMeLoSonoImmaginato...

“Oh, guarda un po’ cosa sento, hai litigato con Billie?! Oh, povera! Che è successo?! Ti sei rifiutata di provare le sue canne pestilenziali?! O forse eravate completamente fatti e avete bisticciato? Poveri bimbi!”
“Mike, per favore, non dire cazzate. Quando si è fatti non si capisce un tubo, figurati se ci si ricorda di aver litigato...”
“Ah bene! È arrivata l’esperta! Tu sai tutto su canne e cannati, vero, Vig?!”
“Mike, che stai dicendo? Qual è il problema? Che è successo stavolta?”
“CHE E’ SUCCESSO?! TE LO DICO IO CHE STA SUCCEDENDO! SONO IL TUO ZERBINO!
COMODO VERO? QUALUNQUE ROGNA CI SONO QUA IO, IL POVERO IDIOTA DELLA SITUAZIONE!”
“Mike, ti prego, non urlare.”
“FACCIO IL CAZZO CHE MI PARE IN CASA MIA!!!”

Mi mordo il labbro per non rispondere. Non voglio litigare anche con il mio migliore amico.
Ho perso Jenny e non posso perdere anche Mike oppure mi sentirei di merda.
Allora si che avrei una buona ragione per cadere in depressione.
Sospiro e cerco di mostrarmi calma, serena e sincera davanti ad un Mike rosso scarlatto, chiaramente furioso.
Aspetto che smetta di ansimare come un toro in carica per poi chiedere, circospetta, studiando la sua reazione.

“Mike, ti prego, scusami, ma non capisco cosa vuoi dire. Ad ogni modo non sopporto di vederti così.
Dimmi cosa posso fare per te e io lo farò. Però adesso, ti prego, calmati e fammi capire che succede. Così sei criptico.”

“Jenny aveva ragione su di te, Vig. Sei una fottutissima egoista che se ne fotte degli altri, che non fa nemmeno caso a quello e a quelli che ha intorno, che è talmente piena di sé da sembrare un tacchino, che non fa altro che lamentarsi dei suoi problemi, che esagera su qualunque cosa benché si vanti sempre del suo carattere equilibrato, del suo proverbiale senso di responsabilità, della sua fantomatica capacità di pensare e ragionare. In realtà non solo non capisci un cazzo, ma usi le persone come marionette pensando di condurre non so quale giochetto, approfitti finchè puoi e poi passi al prossimo, come una specie di sanguisuga.
Sei una stronza, ecco qual è il problema!”
“Mike...”
“Non hai risposto a nessuno dei miei messaggi, non mi hai mai richiamato, non mi hai mai degnato di uno sguardo fino ad adesso, adesso che hai bisogno di una tana in cui rifugiarti. Viceversa tu e Armstrong siete diventati pappa e ciccia, nevvero?
Quando non sei a casa, cioè mai, perché ogni volta che chiamo a casa sei scomparsa misteriosamente, sei in quel letamaio con quella gente! Vig, prima io e te ridevamo di quella gente! Che cazzo ti è successo? Adesso preferisci stare da loro, piuttosto che farti una capatina dal tuo migliore amico!? Ammesso che io sia ancora il tuo migliore amico!”
“Mike, adesso non esagerare. Credo che tu sia un po’ geloso.”
“IO NON SONO GELOSO!!!”
“Io...”
“Tu adesso chiudi quella cazzo di bocca e mi ascolti! Io non sono l’ultima sponda, ok? Non voglio essere sempre e solo la spalla su cui piangere. Vorrei condividere tutto, anche i tuoi sorrisi, le tue risate, le battute, le uscite, non solo le tue giornate da mestruata, tutti i tuoi film mentali da depressa cronica e certo non mi voglio accollare tutte le tue seccature!
Chi è che ti è stato vicino quando avevi litigato con Jenny e quegli altri quattro balordi per la storia del furto? IO!
E a proposito del furto, ti sei già scordata che razza di gente sono?!?! 
Buongiorno Ms coerenza!”
“Mike...hai ragione.”
“E GRAZIE AL CAZZO CHE HO RAGIONE!!!”
“Adesso però, per piacere, non ne parliamo più. Tu sei il mio migliore amico e nessun altro ed ero venuta qui con il preciso intento di stare con te, con il mio vecchio Mike. E...”

Improvvisamente la porta si spalanca e irrompe nella stanza Juls che parlotta e nel frattempo si gratta in testa, strusciando i piedi per terra in pigiama. Ci guardiamo un attimo e posso giurare di averlo visto arrossire.
Distoglie subito lo sguardo e ripete, con voce ancora arrochita dal sonno.

“Mike, hai visto per caso il mio
Deep Purple in Rock ? sono due giorni che non lo trovo.”
“No.”
“Ok...ciao.”

Non posso farmi sfuggire questa occasione per chiarire le cose. Chissà quando lo ribecco più.
Questo è capace di barricarsi in camera e di scomparire, oppure di uscire e tornare a casa dopo una settimana.
Quando vedo che sta per girarci le spalle e tornare da dove era venuto mi alzo in piedi, fissandolo intensamente e lo richiamo.

“Ehi Juls!”
“...ehi”
“Io e te dobbiamo parlare. Dobbiamo...chiarire.”

Lo vedo voltarsi sorpreso e non proprio entusiasta della prospettiva di “chiarire” con me.
Spero che il resto del mondo non si sia sbagliato quando ha decretato che Juls era pazzo di me.
Ma alla fine cosa ho deciso? Mi piace o non mi piace?
Certo che non mi piace!
Come mi potrebbe piacere uno che non fa altro che ascoltare musica dalla mattina alla sera? Uno che perde il suo tempo a fare non so cosa, a bighellonare con gli amici, a farsi le peggio schifezze? E soprattutto uno che si veste come un senzatetto di Brooklin?!

“Ok... contenta te.”
“Mike, ti dispiace lasciarci? È già abbastanza imbarazzante senza bisogno che ti ci metta anche tu.”
“Come come scusa?! E tutte quelle belle parole di prima?! Ti ricordo che sei in camera mia e qua non puoi fare la reginetta del nido. Quindi, cara la mia stronzetta, adesso tu e mio fratello portate il vostro culo fuori da camera mia! Poi vi potrete fare tutte le chiacchierate che volete!”

Mi mordo il labbro. Non doveva finire così.
Dio, Mike cos’hai oggi? Ritorna in te, ho bisogno del tuo aiuto!
Ma non riesco a trovare qualcosa da ribattere, o meglio decido che non è il caso di farlo incazzare più di quanto non sia già.
Prendo Julian per il braccio e lo trascino fuori dalla porta di camera di Mike.
Gli chiedo un posto in cui parlare tranquillamente e lui mi porta fuori, nel gazebo che hanno in giardino, con le poltroncine di metallo o qualcosa del genere, roba per esterni che pare vada molto di moda a New York. Uno speciale acquisto del signor Edwards.
Ci sediamo l’una di fronte all’altro e già cominciano a sudarmi le mani.
Devo darci un taglio. Non ho intenzione di iniziare un bel niente anzi, semmai di mettere dei paletti!
Però non riesco a non guardare quei capelli scuri, a non immaginare il loro profumo, di shampoo se sono fortunata, di sporco con grande probabilità, a non immaginare di arrotolarne le ciocche sulla mia mano, oppure di accarezzare la sua barbetta ispida e di testare la morbidezza di quelle labbra rosee, né troppo carnose, né troppo sottili, così...giuste.
L’unica cosa giusta è che ognuno se ne vada per i fatti suoi! Ci manca solo che mi prendano queste fantasie da ragazzina con gli ormoni a mille! Mein Gott!

“Embè? Che c’era di così urgente da dirmi?”
“Juls, tu sai che io ho litigato con Jenny...”
“E perché sarebbero cazzi miei, di grazia?”
“Perché è colpa tua! Jenny mi ha detto che tu eri cotto di un’altra e tutti quanti nel gruppo mi hanno confermato la stessa cosa.
E...”
“...”
“Insomma...molti pensano che quell’altra sia io e questo spiega il fatto che Jenny non mi parla più. Lei fra qualche giorno parte e prima di allora io vorrei potermi riappacificare con lei e chiarire con te i...i miei sentimenti, insomma.”

Mi sento un’idiota. Un’handicappata. Una con seri problemi mentali.
Mi sembra di essere l’eroina di chissà quale romanzo strappalacrime che deve rifiutare un pretendente perché innamorata di un altro o cose così.  Io voglio solo vivere la mia vita in pace! È chiedere troppo?! I-N P-A-C-E!
Dio, che melodramma!

“I tuoi sentimenti?”
“Beh, si, in effetti...vedi...insomma come spiegarti...”
“...”
“Insomma ti piaccio o no?! Perché tu a me...”
“Cosa?”
“Fanculo, si mi piaci e anche un sacco! Ma noi siamo completamente diversi e...”
“E zittisciti una buona volta no?!”

Per una volta ha ragione lui.
Apro la bocca per darle aria ma subito dopo la richiudo e le mie labbra schioccano.
Lo vedo avvicinarsi sempre di più e comincio ad agitarmi.
Mi prende per un braccio e fa pressione, per cui finisco per alzarmi, leggermente infastidita.
Poi tutto accade troppo in fretta: sento calore, vampate di calore dovunque, specie sulla bocca che è appiccicata alla sua.
Il sapore della sua saliva è dolce, anche se il suo alito puzza di fumo e di tabacco ed è impastato per il sonno.
Mi circonda fra le sue braccia e io mi stringo al suo petto.
Quando però lo sento palparmi il culo gli mollo un ceffone sulla spalla.

“Nossignore, carino, giù le mani. Sono vergine, sono fiera di esserlo e non ho intenzione di farlo se non quando sarà il momento giusto. E questo non lo è, fidati. Per adesso il sesso è out. Mica sono una delle puttanelle che ti accattavi al mercato ogni settimana?”

Arrossisce. Arrossisce?! FINALMENTE!!!

E mi pareva troppo di pietra questo ragazzo!
Bene, adesso devo fare pace con Mike e dire addio alla speranza di riappacificarmi con Jenny.
Potrei omettere che adesso io e Juls...stiamo insieme? Boh?
Vabbè, quando vorrà chiamare così il nostro rapporto bene...tanto finchè non lo dico io il sesso se lo scorda.

*****************

E sono di nuovo per strada.
In casa Edwards non c’è posto per ospitarmi. C’è il divano in salotto ma questo potrebbe far insospettire i signori Edwards che potrebbero decidere di chiamare i miei.
L’unica scusa plausibile era che io fossi venuta a dormire da Mike ma lui si è rifiutato di cedermi il suo letto.
Non ha fatto altro che ripetere che i miei casini me li devo gestire io e lui non ha intenzione di perdere ancora tempo con una stronza ingrata come me.
Non ho discusso. Forse ha ragione lui, forse esagera, forse c’à qualcosa che non va in me.
Fatto sta che io ho bisogno di un posto letto e in quella casa non c’è posto per me.
Forse Juls mi avrebbe volentieri ospitato ma la sua stanza è davvero un buco e in più alloggiava già un amico di LA.
E poi non me la sento di rimanere in quella casa subendo i silenzi risentiti e gli sguardi ostili di Mike.
Penso che perderei il controllo e finiremmo per litigare a sangue.
Sono strana, lo so, ma nonostante tutto quello che è successo non sono così disperata come ci si aspetterebbe.
Forse perché non serve a niente deprimersi fino alla disperazione. Non mi aiuterebbe a trovare un posto letto lo stare una merda.
E poi, adesso che ho chiarito con Juls...mi sento così leggera, felice, senza pensieri!
è una sensazione stupenda, qualunque cosa sia!
Ok, non distraiamoci adesso. Pensa, Virginia, pensa.
Se ti trovi sbattuta fuori casa, sappi comunque che noi, alla squatter abbiamo sempre posto per te.
Bene, tanto vale tentare. Alla peggio mi prendo i pidocchi.
Mi avvio verso la fermata dell’autobus, rassegnata all’idea di aspettare ancora almeno un’oretta prima di arrivare a destinazione.

Ormai sono di casa.
Non ho bisogno di domandare in quale sperduta stradina si trova la vecchia fabbrica e le palazzine abbandonate.
Conto circa centoottanta passi dalla fermata fino alla squatter e poi mi attacco al campanello.
Ovviamente busso, perché certo il campanello non funziona lì dentro, visto che non c’è corrente.
Non posso fare a meno di ridere davanti alla faccia stupita di Jason che si aggira in mutande per l’ingresso.

“Oddio, credevo che fossi Matt! È andato a prendere il latte dal vicino.”
“Oh, ve lo fate prestare?”
“No, glielo porta il lattaio. Noi glielo freghiamo e facciamo finta che è stato un gatto selvatico.”
“Già, come ho fatto a non pensarci prima...”
“Senti, visto che sei venuta a rompere i coglioni alle dieci e mezza del mattino ti informo che tutti dormono e chi non dorme gira benvestito come me, quindi tu ti metti in un angolo e fai il cazzo che ti pare, basta che non ti scandalizzi.”

“Oh tranquillo, io sarò dei vostri per un paio di giorni.”
“Ah. Boh, poi vediamo dove metterti. Per adesso siamo diciotto, uno in più, uno in meno non fa grande differenza.”

è quasi rassicurante la risposta di Jason. è bello sapere di essere sempre accolti da qualche parte.
Penso a Mike e mi assale un ondata di tristezza.
Poi scuoto la testa e scaccio quella malinconia preparandomi a vedere le peggio cose.
E non rimango delusa.
Nel grosso salotto, dormono raggruppate nove persone, tre sui divani, e il resto steso su vecchi materassi che hanno perso tutta la loro elasticità, e cacciano piume da ogni dove. Lenzuolo c’è ne uno per ciascuno e spesso è strappato, a fiori, rattoppato, è fatto con le tende o in qualche altro materiale che non assomiglia molto al cotone. Ciascuno è avvolto in qualche polverosa coperta, alcuni sono mezzi nudi, altri indossano una vecchia felpa o un pulcioso maglione, tranne alcune ragazze che dormono in magliettona extralarge e maglie di lana.
Rabbrividisco.  Non funzionano i termosifoni in questa casa. Si gela.
I materassi occupano tutto lo spazio ed è quasi difficile camminare.
Intravedo sulla soglia della cucina altri tre avvolti in dei sacchi a pelo di fortuna, imbottiti di giornali e di stracci.
Adesso che noto bene tutti hanno imbottiti da qualche parte dei fogli di giornale o di carta in qualche modo.
Non voglio immaginare il freddo che farà stanotte. Ma perché non mi sono portata qualcosa di più pesante!

Quei tre che sono in cucina sono i meno fortunati perché mentre in salotto c’è il parquet, in cucina ci sono le piastrelle di ceramica, gelide per di più.
Jason non sembra fare caso a quello che ha intorno e si siede per terra su uno straccio a rigoni rossi sbiaditi che ha l’aria di una vecchia tovaglia e si accende una sigaretta. Ha la pelle d’oca ma non accenna a rivestirsi né a mettersi qualcosa di caldo.
Lancio uno sguardo intorno, poi raggiungo uno stretto corridoietto che conduce a due stanze, una di dimensioni accettabili, ma l’altra è quasi un cubicolo. E infatti in quella grande troneggia un matrimoniale in ferro battuto con quattro persona stese sopra e una brandina accanto. Riconosco l’uno accanto all’altro, schiena contro schiena, Armstrong e Mike-biondo-platino, immersi in un sonno profondo, affianco Al Sobrante e un altro tizio sconosciuto, la brandina è vuota. Deve essere quella di Jason.
Forse un tempo c’è stato un armadio lì appoggiato alla parete, perché sul pavimento è rimasta l’impronta della polvere e sulle pareti la carta da pareti è marcita e puzza da vomitare.
Dio, ma come fanno a dormire in queste condizioni?!?!
E infine nel cubicolo, dove è stato incassato un letto a castello cadente, dormono altre tre persone.
La stanzetta è talmente piccola che non c’é possibilità di scendere dal letto sul fianco, come fanno tutte le persone normali ma bisogna arrampicarsi sulla scaletta ai piedi del letto, contorcersi un po’ fino a rigirarsi per poter scendere dall’altro lato della scala. Quello che dorme sul letto di sopra è più fortunato. Deve solo arrampicarsi sulla scaletta e scenderla fino in fondo.
Sopra dormono un bestione e un altro tizio abbastanza secco da permettere la convivenza, mentre sotto dorme una ragazzetta secca. Una scelta dettata dalla necessità visto che la ragazzetta è sicuramente più atletica dei suoi coinquilini di sopra.
Dopo essermi guardata in lungo e in largo la “casa” comincio a pensare che non è stata una buona idea venire qui.
Anche io posso essere di un disordine pazzesco ma solo quando sono assorbita dalle cose da fare.
Non riuscirei mai a vivere sempre e comunque nel casino, nell’anarchia, nella sporcizia, nel lerciume e nella totale sciatteria!
Torno di là ma il panorama non è cambiato: Jason fuma la sua seconda sigaretta mentre l’altra è abbandonata su un foglio di giornale pieno di polvere e cenere.

“Uhm...Jason?”
“Dici”
“Ma quando fate i turni?”
“Cosa?”
“Le pulizie, Jason. Quando fate i turni delle pulizie?”
“Mai fatti.”
“Ah...beh si vede. E non sarebbe il caso?”
“Che ho detto io?”
“Cosa?”
“Prima intendo.”
“Che c’era posto anche per me?”
“Dopo.”
“E che ne so! Ripeti, no!?”
“Che dovevi metterti in un angolo e non rompere il cazzo. Cos’è che non è chiaro?”
“Ok, ma come fate a vivere così?”
“Mai stato meglio.”

Dio, parlare a questo scimmione è come parlare ad un muro.
Ma io mi impunterò e farò valere le mie ragioni dovessi cacciarli tutti di casa e pulire da sola tutta la squatter!


è praticamente mezzogiorno quando la casa comincia finalmente a dare segni di vita.
Nel frattempo io ne ho approfittato per fare un giro della zona e capire più o meno cosa c’è in questo quartiere dimenticato da Dio.
Ho scoperto che nei dintorni c’è un bar dove fanno degli ottimi croissant al burro e un caffè abbastanza buono o comunque non così annacquato come i soliti. Poi c’è un giornalaio, un discount di abbigliamento, un canile, un alimentari con una buona macelleria, un piccolo market e un vivaio.
Mi lecco i baffi alla sola idea di preparare un bel pranzetto o qualcosa di buono. Qualcosa mi dice che i miei cinquanta dollari non dureranno più di oggi se voglio far mangiare tutta la casa a pranzo e a cena. Dovremo fare una colletta.
è un piacere vedere un assortimento di fauna maschile che si alza, si infila una maglietta senza nemmeno lavarsi e dei Jeans stravecchi, che si gratta il culo, che beve qualche sorso di latte per poi passare la bottiglia a qualcun altro.
Qualcuno lancia uno sguardo a me, completamente fuori posto, in Jeans, polo bianca e maglioncino azzurro, quelli che mi conoscono di vista mi fanno un cenno con la mano prima di tornare a farsi i fatti loro, i perfetti sconosciuti mi fissano per un po’ pigramente, squadrandomi da capo a piedi come se fossi una grossa macchia di pomodoro su una tovaglia bianca.
Intravedo Armstrong che scompare in bagno. Spero che almeno lui si lavi, ma qualcosa mi dice che ci è andato a bere.
Potrei mettermi a saltare di gioia quando vedo venirmi incontro Mike-biondo-platino che mi sorride, accogliente.

“Non ci credo, ti hanno davvero sbattuta fuori?”

“In realtà ho coperto d’insulti mia madre davanti a mio padre e dopo sei ceffoni ho deciso di scapparmene appena potevo, per cambiare aria. Mike mi ha lasciata a terra e così...”
“Edwards, il fratello di Juls?”
“Si, il mio migliore amico. Abbiamo litigato.”

“Hai un talento naturale per il litigio, carina.”
“Non ci posso fare niente Pritchard. Attiro inamicizie come le briciole le formiche.”
“Molto poetico. Comunque dobbiamo trovarti un posto letto. Mi pare che c’è posto accanto a...oddio come si chiamava quella...”
“...intendi quella del letto a castello di sotto?”
“Ecco si! Quella che si chiama Pet-Piit-Patrec...”
“Patricia, Dirnt.”
“Oh, giusto graz...ah, ciao.”
“Ok, Dirnt, con te sono state solo un paio di notti di spasso, ma cazzo, sarebbe carino che tu ricordassi almeno il mio nome visto che sono dei vostri da più di due settimane! ”
“Si, ok scusa, ti presento Vig.”
“Ciao, sono Virginia, o semplicemente Vig.”
“Ciao. Allora che fai dormi con me?”
“Se...non ti disturba.”
“Ok, due cose: io non sono gay quindi giù le mani e poi non sopporto quelli o quelle, nel tuo caso, che ti si spalmano addosso quando dormono, quindi se lo fai io ti do uno spintone e non me ne frega un cazzo se ti svegli o no. Capì? ”
“Ma io non sono gay! E non mi spalmo proprio su nessuno!”
“Boh, e io che ne so. E poi potresti essere bisessuale o farti venire strane idee, e comunque io ti ho avvertito, non è il caso di prendersela così tanto.”
“Va bene, va bene, Tricia, adesso vai a fare colazione che è meglio, altrimenti me la sconvolgi, è il suo primo giorno.”

Prima di allontanarsi, Patricia si fa avanti, vezzosa, con un sorriso malizioso e  la vedo avvicinarsi a Mike-biondo-platino quanto basta per sussurrargli all’orecchio: 


“Ok, se ti va stasera fammi un fischio.”


Le orecchie di Dirnt si fanno leggermente rosate per l’alito caldo di Tricia, mentre la mano della ragazza scivola veloce e, con fare giocondo e sensuale allo stesso tempo, da una strizzatina al cavallo dei Jeans del bassista.
Lui trasale per un attimo e poi sbrigativo la allontana, accompagnandola con il braccio e facendo un passo indietro.
La cosa mi lascia allibita e Patricia sembra accorgersene perché si allontana ridacchiando.

“Sei abbonato anche tu al servizio-puttanelle-sciapite?”
“Zitta, stronzetta.”
“Oh, zuccherino! Se ti va stasera, fammi un fischio!”

Faccio il verso alla baldracca piccola e secca e questo sembra esilararlo; sghignazziamo come due idioti per un po’.
Imito anche il suo modo di sculettare, alitando a distesa in faccia a Mike-biondo-platino che non riesce a smettere di ridere.
E rincaro la dose:

“Quasi quasi stasera la mano la allungo, chissà che non sia più disponibile di quanto racconti”
“Ma smettila, sei una piccola vipera velenosa!”
“Solo la verità, tutta la verità, sempre la verità.”
“Cristo, mi farai soffocare...”
“Bene allora sintetizzerò le mie ultime volontà prima che tu schiatti asfissiato.”
“Spara.”
“Mike, voglio dare una pulita a questo posto. Non posso vivere in questo schifo. Aiutami a farlo capire ai tuoi amichetti; 

basta anche solo che mi lasciate la casa per mezza giornata e cercherò di fare qualcosa, anche se forse sarebbe meglio che qualcuno si offrisse di darmi una mano.”
“Uhm...stai chiedendo la luna, lo sai?”
“Mike, ti prego! Vivrete tutti meglio, dopodiché io dopo qualche giorno toglierò le tende, perché prima o poi i miei li dovrò pur affrontare.”
“Io...ci possiamo provare ok? Non garantisco niente. Cercherò di attirare l’attenzione di tutti e ti sosterrò quando spiegherai la cosa alla mandria di bufali che si agita in questa casa.”

“Grazie! Sei un vero amico!”
“Non sarà facile, lo sai vero? Ragazzina viziata avvisata...”
“Si si, va bene. Allora lo facciamo ora?”
“Prima fammi andare a vestire.”

Lo lascio libero di rendersi presentabile mentre sorrido con espressione idiota e mi sento finalmente a casa.
E poi si sa che il lavoro e le attività di gruppo favoriscono l’integrazione nel gruppo.
Mi sento abbastanza tranquilla: posso convincere una massa di bamboccioni e bambinoni a muovere le chiappe e a mettere in ordine questo casino? Certo che posso!

Tempo quindici minuti e Mike-biondo-platino torna da me, vestito di tutto punto e con un cucchiaio in mano.
Non so spiegarmi il perché ma alla fine preferisco non fare domande.
è mezzogiorno e ormai sono tutti in piedi, chi sveglio, chi assonnato, chi  rincoglionito.
Insomma è il momento giusto per attirare l’attenzione!
All’improvviso Dirnt si avvia verso la batteria che sta appoggiata al muro assieme ad amplificatori, chitarre nelle loro custodie, un basso, una pianola e una fisarmonica.
Impugnato il cucchiaio a mo’ di arma, lo cala più volte sui piatti facendo un fracasso tale da attirare l’attenzione di tutta la squatter e, probabilmente, anche di tutto il quartiere.
Si fa avanti Al Sobrante con due borse sotto gli occhi e un’espressione decisamente irritata, per non dire furiosa sul viso.

“Mike, ma che cazzo fai?! E un po’ di delicatezza!!! E metti giù quel fottutissimo cucchiaio che se ci trovo anche solo un graffio sull’amore della mia vita, ti faccio ingoiare un intero servizio di piatti!”
“Si scusa, Al. Adesso lavatevi bene il cerume dalle orecchie e date il benvenuto alla nuova arrivata che ha una proposta indecente da fare a chiunque si offra volontario!”

Oddio, ma che cavolo dice?
E mi indica anche con l’indice! Mike Ryan Pritchard, questa me la paghi!
Mi sento avvampare in faccia e, all’imbarazzo, si aggiunge la vergogna. E che cazzo!
Pure io che arrossisco come Heidi* in montagna con le sue caprette!
Mi faccio avanti, cercando di combattere il fastidioso rossore, tossicchiando per schiarirmi la voce, spalle dritte, petto in fuori, pancia in dentro.

“Ehm...beh, ciao a tutti, sono Virginia o semplicemente Vig.”

Poi sento una voce tremendamente familiare che replica con una nota di scherno; i miei occhi non distinguono il suo possessore, a me molto noto, che deve essere seduto o accucciato da qualche parte dietro questa moltitudine di gente.
Diciotto persone sono praticamente un pubblico.

“Proposte indecenti, quella? Ma se è frigida!”
“Io sarò anche frigida, Armstrong, ma tu sei la vigliaccheria fatta persona!”
“E perché mai, di grazia?”

è il mio momento.
Intono una melodia stonata, in falsetto, quasi una parodia, sconosciuta ai miei nuovi coinquilini ma più che nota sia a me che al diretto interessato

“...
I’m understaaaanding now thaaat weee aaaare ooonly frieeeends. Wheeeen are aaaall my proooblems gooonna eeend? To this day I’m aaaasking why, I still thiiink about youuuu!

Continuo a cantare a squarciagola sempre le stesse tre battute dimenticandomi persino in che ordine andrebbero cantate.
Sento i ragazzi commentare fra loro quelle parole apparentemente senza senso, confabulare fra loro, stringersi, spostarsi, raggiungere altri e finalmente intravedo la testa biondiccia di Armstrong.
Ha il volto in fiamme, paonazzo come un pomodoro più che maturo, praticamente sfatto e andato a male.
Si alza in piedi sbuffando mentre gli altri bisbigliano e ogni tanto lo interpellano ma quello non risponde nemmeno.

“VA BENE, VA BENE! ADESSO PUOI ANCHE CHIUDERE QUELLA CAZZO DI BOCCA, GRAZIE!”
“Non c’è di che. Ormai ci capiamo al volo io e te.
“Vaffanculo.”
“Prima le verginelle spaurite, prego.”
“...”

Ah-ah! L’ho zittito! Dio, che soddisfazione!
Quale piacere vedere il mio caro compagno di banco aprire la bocca e richiuderla subito dopo come i pesci rossi del lunapark, per poi mordersi a sangue le labbra lanciandomi uno sguardo di fuoco.
E come mi sento bene quando, incrociando i suoi occhi imbufaliti, rispondo scrollando le spalle e liquidandolo con nonchalance.

“Allora, belli, dicevo che io mi dovrei trattenere qualche giorno o comunque non più di una settimana e nonostante questo non ho intenzione di vivere o sopravvivere in questo bordello. Questa casa sembra una discarica, puzza di vomito, alcool e fumo da fare schifo e in più voi sembrate una mandria di fottuti buoi che vivono in una lurida stalla.
Morale della favola? Ho bisogno di almeno altri quattro volontari che alzino il culo e siano disposti a darmi una mano a ripulire questo letamaio. Su, che non avete un cazzo da fare, e vedrete che poi sarete contenti di aver sgobbato come muli.”
“Ragazzina, io lavo i pavimenti e servo ai tavoli praticamente tutti i giorni. Adesso dovrei spaccarmi la schiena anche a casa mia dove posso stare seduto tranquillo?! Tanto entro stasera è tutto come prima!”
“Giusto, chi se ne fotte!”
“Questa è fumata!”
“è malata...”
“Ma chi cazzo la conosce?! Si è completamente fottuta il cervello?!”
“Bella questa, faceva ridere.”
“Ma che stronzate va raccontando?”
“Ma guarda a questa...e la stiamo pure ad ascoltare.”


Diciamo che le reazioni si assomigliano un po’ tutte e ricevo decine di sguardi stralunati, allucinati, ironici, provocatori da quelli che mi circondano. Comincio a disperare quando Mike-biondo-platino sembra farsi di nuovo avanti, con prepotenza e suonare ancora i piatti sfracanandoci i timpani e i coglioni.

“Ehi, gente!”
“DIRNT!”
“Si si, scusa, Al...”
“E dacci un taglio!”
“...io dico di si. Proviamo no? Mettiamo su un po’ di buona musica e ci mettiamo tutti al lavoro così facciamo subito.
Che vi costa? Siete dei poltroni...ce le avete le palle o avete paura di scopa e paletta? ”
“Cristo, Mike, veramente fai?”
“E dai Billie, che sarà mai?!”
“Mike, quella ti ha dato qualcosa. Qualche pillola? Sei fatto?”
“E dai e piantatela tutti e due. Si, Jason, anche tu che ridacchi come una merdosa iena.”

Grazie Mike, ti adoro! Sei la mia salvezza!
Sapevo che il mio piano malefico non avrebbe funzionato senza di lui!
Gli lancio uno sguardo grato e lui ammicca, concedendomi un breve sorriso per tornare a fare il duro con il resto della platea.
Li vedo guardarsi fra loro, scuotere la testa, discutere animatamente, sedersi per terra disinteressati, accendersi una sigaretta, poi un gruppo di cinque ragazze si fa avanti, con in testa la famosa Patricia che sculetta più che mai e prende la parola.

“Facciamo così: tutti in bianco per una settimana oppure tutti a spaccarsi il culo per pulire. What do you prefer, honey?”
“Che vorresti dire con in bianco?”
“Che dovrai diventare gay, Matthew, amore di mamma, perché qua nessuna ve la da. Vi basta come argomento?”
“Ok, io pulisco.”
“Anch’io.”
“Ehm...arrivo.”
“Che merda...che dobbiamo fare?”
“Ok...che devo fare?”
“Che si fa?”
“Anch’io.”
“Quando si comincia?”

Tra un po’ mi commuovo! Non ci posso credere! Ho ai miei ordini tutta la Squatter House!
Dovrei rivalutare quella moretta, Tricia o come si chiama lei.
Non posso fare a meno di sillabarle, con le labbra, mentre pian piano cedono anche i più restii.

- Grazie! Ma...perchè?
-Perché cosa?
-Perché l’hai fatto?
-Purtroppo ho un naso.


Mi strappa una risatina ma dura poco.
Adesso mi tocca spiegare ad un gruppo piuttosto cospicuo di decerebrati che devono fare.
Serve concentrazione per un’impresa epica del genere.
Ancora prima di iniziare Mike-biondo-platino sembra richiamare l’attenzione su un particolare tutt’altro che trascurabile.


“Davvero vuoi metterti a fare le pulizie di primavera vestita in questo stato?”
“A che ti riferisci?”
“Boh, sembri solo uscita da un film inglese degli anni trenta. Non sia mai che ti macchi la polo bianca e il maglioncino.”
“Uhm...e tu che consigli?”
“Boh, di mettere una maglietta qualsiasi. Qualcosa di più normale, insomma”
“Così schiatterò di freddo...aspetta dovrei avere con me la tua camicia...”

“Ok, metti quella.”
“Ma quella è di lana e pizzica la pelle! Ovviamente si mette aperta su qualcos’altro!”
“E che palle che sei, oh.
EHI! Voi tutti! Chi è il più piccolo qua in mezzo?!”
“Mike qua i più piccoli siete tu e Billie!”
“Dio, sono circondato da vecchi bacucchi. Senti la mia camicia ce l’hai già quindi...
BILLIE!!!”
“...”
“Billie, ti cerca Mike!”
“Billie! C’è Mike!”
“Armstrong, ti vuole Dirnt!”
“BILLIE JOE!!!”
“ARRIVO ARRIVO! CRISTO SANTO, MA SIETE TUTTI ISTERICI OGGI?!?!”
“Mi serve una tua maglietta.”
“Che cazzo vuoi?!”
“Una tua maglietta.”
“Ma se non ti entrano nemmeno!”
“Non per me, coglione, per Vig.”
“Scordatelo. Perché mia poi?”
“Perché sei l’unico altro un metro e un chew-gum e sei quanto di più simile ci sia ad una sogliola in questa stanza.
Siete più o meno della stessa specie” mi indica “solo che lei è più anoressica e a momenti anche più piatta di te.”
“Grazie per il complimento, Pritchard”
“Dovere.”


Cinque minuti dopo esco dal bagno con una T-shirt nera stinta, i miei Jeans e la camicia di Mike-biondo-platino.
La cattiva notizia è che questi Jeans faranno schifo tra neanche un paio d’ore.
La buona notizia è che questa T-shirt è appena una taglia più grande delle mie solite, specie sul torace e sulla pancia; mi ingrassa un po’ ma può anche sembrare mia all’occorrenza.
E soprattutto è bello potersi confondere con l’ambiente.  Mi sento meno fuori posto e più rilassata.
Now...LET’S GO!

Suddivido il lavoro: un gruppo va a rubare scope, palette, secchielli, stracci, ...., spolverini, e la pompa dal garage del vicino, un altro comincia a raccogliere coperte, abiti, pezze, stoffe, carta di giornale, per metterli da parte;
 altri ancora vetri, bottiglie vecchie vuote, pezzi di metallo, di legno, chiodi, qualunque schifezza sia irrecuperabile, con il preciso ordine di buttarli in un enorme sacco di plastica nero.
Gli abiti puliti, rari ma non inesistenti, vengono piegati e messi da parte, quelli sporchi vengono messi a bagno in certi catini in cui è mezzo sciolto il sapone da bucato, sempre omaggio del vicino.
I materassi vengono messi fuori a prendere aria, sbattuti con un battipanni.
Si lavano i mobili, specie gli armadi che vengono foderati con carta di giornale e suddivisi in modo che ciascuno abbia almeno un cassetto, a seconda delle proprie esigenze, e là si piazzano gli abiti puliti e quei pochi effetti personali di cui sono proprietari.

Poi si spazzano e si lavano i pavimenti, si pulisce la cucina, si lavano i piatti, si pulisce il frigo e i bagni, si mettono a fare le uova all’occhio di bue per tutti –nella padella del vicino-  che mando a comprare con i miei soldi.
Mentre consegno a Patricia e alle altre tutte le lenzuola della casa perché le lavino e le stendano, lei mi confessa che le uova le hanno rubate e i miei soldi li hanno spesi in birra.
Alzo gli occhi al cielo e scrollo le spalle, nascondendo la mia irritazione.
Qualche mese fa mi sarei tanto incazzata da mandare tutti a quel paese. Adesso capisco che c’è decisamente di peggio.
Facciamo più o meno lo stesso trattamento a tutte le stanze e intanto constato che l’unica cosa veramente linda e curata sono gli strumenti musicali.
All’alba delle cinque del pomeriggio abbiamo finito e questo posto somiglia meno ad una discarica e più una comune, un alloggio, insomma, qualcosa di abitabile.
Mi guardo intorno soddisfatta e scambio un sorriso complice con Mike-biondo-platino.
Tutta la truppa decide di andare a prendere una boccata d’aria e la squatter si svuota, pian piano.
Vedo Armstrong guardarsi intorno un po’ stralunato e fischiare, incredulo.

“Ok, ragazzina, hai vinto. Non ci avrei scommesso nemmeno un quarto di dollaro.”
“Uomo di poca fede.”
“Tzè, guarda che sono ancora offeso per la scenetta di prima.”

Ci ritroviamo tutti seduti per terra, le schiene appoggiate ad una parete piena di scritte, a penna a matita, a pennarello e vernice.
Le pareti sono forse l’unica cosa che è rimasta incasinata. D’altronde che cazzo c’è da riordinare in un muro scarabocchiato?
Mike-biondo-platino sembra assorto, la bocca semichiusa, la testa appoggiata alla parete, mentre osserva la parete di fronte.
Armstrong ha in mano un pezzo di carta che sta ripiegando, concentratissimo come se stesse facendo chissà quale lavoro articolato di origami.

“Billie?”
“Cosa?”
“Ci hai ripensato?”
“A cosa?”
“Perché abbiamo litigato?”
“Boh, sei tu che sei perennemente mestruata!”
“Billie, la scuola...”
“Ah! No.”
“Cioè?”
“Non ci ho ripensato.”
“Sei un coglione.”
“Grazie, me lo dicono in tanti.”
“...”
“E tu sei una stronza.”
“Grazie, oggi è almeno la terza volta che me lo dicono.”
“Sarà vero.”

Il suo foglio di carta è diventato un aeroplanino che atterra sulle mie gambe.
Lo afferro e glielo rilancio ma la mia mira non è decisamente un granché e va a finire davanti alla soglia della cucina, comunque troppo lontano per recuperarlo.
Con mio grande stupore invece Armstrong muove il culo da terra e lo raccoglie.
Poi con un sogghigno indica Mike-biondo-platino che ha chiuso gli occhi, forse sfinito dal lavoro mastodontico che avevamo fatto.
Billie Joe si avvicina a me giocherellando con l’aeroplanino e mi bisbiglia in un orecchio, indicando con la testa il suo migliore amico in letargo.

“Stanotte non ha chiuso occhio.”
“Che ore avete fatto?”
“Siamo stati tutti insieme a cazzeggiare allegramente almeno fino alle quattro del mattino.
Poi lui si è portato a letto quella moretta smorfiosa e fino alle sei del mattino sono stati là dentro senza che né io, né Al, né Jason e né Rick potessimo andare a letto. Beh, tecnicamente forse potevamo anche entrare ma nessuno aveva voglia di una cosa a tre o di gruppo e cose simili. Ci pareva contro la sua privacy. E poi quella è veramente smorfiosa. Non la reggo. Non so come faccia Mike.
Forse è brava a letto.”
“Si, insopportabile. Comunque non ti facevo così rispettoso.”
“Ehi, ma che razza di idea hai di me? Mica sono un pazzo pervertito!”
“Oh no, certo che no.”

Ignora il mio commento ironico. Oggi è davvero la mia giornata buona.
Non che sia il tipo che ribatte sempre, anzi per niente. È abbastanza irritante da perdersi nei propri pensieri e non sentirti nemmeno, figuriamoci risponderti.
Poi tira fuori l’aeroplanino e punta la faccia di Dirnt, sghignazzando.
Ha una mano ferma e le dita snodate.
Non saprei come altro definire quel gioco che ogni tanto fa con le dita, contraendole e rilassandole in continuazione.
Sarà uno dei suoi preziosi esercizi per mantenere in forma la mano per suonare.

L’aeroplanino parte. Vediamo il povero Mike quasi saltare per lo spavento quando la punta di carta gli pizzica la guancia, quasi sotto l’occhio.

“Ma che cazzo! Potevi cecarmi un occhio!”

Noi non riusciamo a trattenerci e ci sbellichiamo dalle risate.
Lui ci guarda con un misto di divertimento e irritazione, cosa che ci fa esilarare ancora di più.
Mi fanno male gli addominali a furia di ridere. Non perché abbiamo svegliato Dirnt dal suo rincoglionimento, non perché ci sia veramente qualcosa di cui ridere a crepapelle. 

Non lo so perché, semplicemente mi sento bene.

**************


Note


* Diminutivo di Los Angeles. Da pronunciare all’inglese “El Ei”, of course ù.ù

* Non so se avete presente le guanciotte alla Heidi, anche se, quando noi pensiamo ad Heidi ci viene in mente il cartone animato del 1996. Beh, nonostante tutto non lo si può considerare un vero e proprio anacronismo perchè il libro è stato scritto negli ultimi vent'anni dell'Ottocento e ne sono stati tratti parecchi film (il primo è del 1937, l'ultimo è del 2008) quindi è ragionevole pensare che Vig lo potesse conoscere, anche perchè è di un autore svizzero ed è abbastanza popolare come libro per bambini in Germania.

 


L’angolo dell’autrice

Sorry, pensavo che con l’estate avrei avuto più tempo e invece in questi giorni sono stata incasinata come non mai e soprattutto ad un certo punto di questo chappy mi sono anche bloccata...che nervi!
Anyway eccoci qua con altre benedette ventitre pagine di word tutte per voi!
Come al solito ho scritto per cinquecento.
Che bello, almeno in questo capitolo qualcuno ha fatto pace e si è chiarito qualcosa!
Sempre troppo poco, anche perché la seccatura saranno i genitori.
In genere ci vuole una vita per chiarire con i propri genitori, figuriamoci se basta qualche capitoletto!
Accontentiamoci va...
Le note si fanno sempre più rade perché, ora che la storia è avviata diciamo che ho mandato a farsi benedire la coerenza storica e tutte quelle altre quattro cazzate, altrimenti non basterebbero cinquanta pagine. E forse così siamo tutti più contenti  xD
Riporto la colonna sonora delle mie notti insonni passate al pc a scrivere, mi sento socievole oggi, benché QUALCUNO che adesso se la sta spassando nel Main alla faccia mia, sostenga che sono un’asociale del cazzo: gli album Kerplunk e Insomniac (GD) , Never Minds The Bullocks, Here’s the Sex Pistols, Who’s the Next (the Who), e soprattutto una grandiosa registrazione di un concerto live del 2002 dei GD, Pop Disaster Tour *_*
Beeeene, mi aspettano i libri di latino e greco, non sia mai che li faccia aspettare più di tanto!
Have a good day,

La vostra Misa di quartiere

p.s Che fatica postare questo capitolo! E tutto perchè al posto del mio adorato pc c'era un dannatissimo mac che non mi apriva nvu! Quindi spero che ne sia valsa la pena, cavolo! <.<

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Capitolo 13
*** 16 Febbraio 1990 ***



16 Febbraio 1990


Mein Gott, che settimana. Un delirio dalla mattina alla sera.
L’avrò anche avuta vinta il primo giorno, con quelle storie sulla pulizia ma è stato maledettamente difficile mantenere la situazione tutti e cinque i giorni.
Adesso che ci penso cinque giorni fuori di casa sono un casino.
I miei non mi hanno chiamata e dubito persino che mi abbiano cercata.
Questo mi confonde un po’ devo dire, perché pensavo che avrebbero mobilitato la polizia, l’FBI, i pompieri, avrebbero assoldato un detective privato e vattelapesca.
Insomma, chi non lo farebbe per la propria figlia?
Meggy mi ha raccontato che, qualche anno fa, lei aveva avuto la brillante idea di trasferirsi da alcuni amici per un paio di giorni mentre i genitori erano in viaggio.
Peccato che i suoi avessero deciso di tornare un giorno prima, e, non trovandola a casa, si sono agitati, facendo l’impossibile per ritrovarla.
E invece con me... mah.

Che sia una strategia genitoriale-educativo-pedagogica e altre stronzate simili?
Comunque dicevo che è stato davvero difficile spiegare ad una casa intera che quando prendi una cosa poi devi rimetterla al suo posto, che quando finisci una bottiglia di birra è buona abitudine gettarla invece di collezionarle come trofei e medaglie al valore, quando fumi sarebbe bene usare un posacenere per non dover spazzare il pavimento per la cinquecentesima volta e così via.
Ogni tanto milito avanti e dietro con passo marziale, guardando  i poveri malcapitati con lo sguardo più cattivo e intransigente  che mi riesce, anche se dopo un po’ non faccio più paura a nessuno.
E Mike biondo-platino non mi aiuta per niente!
Beh forse avrò anche qualche pretesa ma almeno, non so, una mano a mettere a posto oppure ogni tanto una scenata ai suoi amichetti casinari mi sarebbero davvero utili.
Siamo già a venerdì, alle sei e mezza di venerdì e io sto preparando la colazione.
I cereali, il latte, il caffè e all’occorrenza i biscotti. Questo è tutto.
Almeno sono riuscita a comprare qualcosa.
In effetti ho dovuto attingere ai miei libretti di risparmio ma sempre meglio che vedere i miei degni compari rubacchiare in giro.
Ho dovuto penare anche per costringerli ad accompagnarmi a scuola ad un orario decente.
Non so come ho fatto a sopravvivere senza libri ma devo dire di essere meno ansiosa di prima, meno nevrotica, più rilassata. Insomma meno me, cosa che ha abbastanza stupito quelli che conoscevo.
Ho conosciuto un certo Fred che è davvero simpatico, un po’ idiota ma fa un sacco di battute carine e soprattutto, cosa che mi interessa più di tutto, ha una specie di furgoncino perciò lo ho subito ingaggiato perché accompagni a scuola me, Mike-biondo-platino, Billie, Al, Jason e una certa Christine, noiosissima, depressa e senza un minimo di personalità o autostima.
Poi ho scoperto che Al glielo chiedeva da secoli e lui gli rispondeva sempre per le rime.
Credo che non si stiano molti simpatici.
Bah, a me poco importa, l’essenziale è che arrivo alle otto meno un quarto.
Tra l’altro Fred mi adora, penso farebbe qualunque cosa per me.
Non so cosa adori di me visto che, agli occhi di quasi tutti, sono  “la rompicoglioni della squatter”.
E invece mi obbedisce come un agnellino e appena può  accompagnarmi o farmi un favore subito si presta con un entusiasmo inspiegabile.  Contento lui.
Sono le sette meno venti e se non si sbrigano vado in camera e li caccio dal letto a pedate.
Alla fine mi hanno dato la brandina di Jason nella camera con il matrimoniale e hanno cacciato quel poveretto a me sconosciuto mandandolo a dormire nel cubicolo, assieme a Patricia.
Grazie a Dio sono riuscita a convincere Dirnt che con quella là ci volevo avere a che fare il meno possibile.
Quindi per tutta la settimana ho dormito nella stessa stanza con Billie, Mike-biondo-platino, Jason e Al.
Quello che mi ha stupito stamattina, quando mi sono alzata, un quarto d’ora fa e ho dato un’occhiata
ai ragazzi che ronfavano alla grande ho notato che erano solo in tre...

Io sono l’unica mattiniera qui e non pensavo che Billie fosse il tipo da svegliarsi più presto del dovuto.
Ancora mi chiedo dove sia andato.

“Cristo, c’è del caffè? Sto cadendo dal sonno.”
“Ah!”
“Embè? Che c’è? C’hai una faccia...”
“Mi hai spaventata!”
“Scusi tanto, Ms Foster, suonerei il campanello se ce ne fosse uno.”
“Ma a che ora ti sei alzato?”
“Boh, verso le cinque e mezza.”
“Ma...perchè? Hai dormito solo due ore!”
“Non avevo sonno.”
“Cos’hai in mano?”
“Niente.”
“E dai, fammi vedere quel foglio!”
“Quale foglio?”
“Quello che tieni in mano!”
Gli indico il pezzo di carta mezzo stropicciato che sta cercando di nascondere nella sinistra.
Lui mi guarda con finto stupore e con l’espressione indulgente con cui si fissano i vecchi rincitrulliti o i malati cronici.
Mollo il mio mug con i cereali sul tavolo e mi avvicino alla sua mano sinistra, minacciosa.
Lui indietreggia ridacchiando, e io mi slancio per afferrargli il braccio, ma lui si scansa.
Faccio qualche altro tentativo ma Billie continua a sfuggirmi nascondendosi dietro il bancone della cucina, l’unica cosa in condizioni più o meno decenti in questa stamberga.

“Armstrong, prima o poi lo prendo!”

“Ah si?”
“Scommettiamo?”

Quello annuisce, accettando la sfida mentre io studio un modo per aggirare il banco e catturare il fuggiasco.
Ma lui, con mio grande stupore solleva la camicia della divisa scolastica, apre il primo bottone dei jeans e si caccia il foglio nei pantaloni.
Poi mi fa, con tanto di sorrisetto irritante e voce strafottente:

“Adesso prova a prenderlo!”
 
Non so cosa ribattere e metto il broncio.
Lui continua a prendermi in giro, dandosi qualche colpetto sulla patta dei jeans e invitandomi a vincere la scommessa:

“Dio, a prima mattina sei anche peggio del solito!”

Detto questo torno al mio caffelatte, stizzosa, e lo ignoro mentre lui afferra un bicchiere, lo riempie di caffè e ci inzuppa i biscotti dentro, mettendosi proprio accanto a me.
Ovviamente lo fa per provocarmi ma non me ne frega niente, che si tenesse i suoi stupidi segreti; sarà un’altra delle sue sdolcinate canzoncine d’amore.
Improvvisamente compaiono Jason, senza l’uniforme, come da protocollo, e Fred, con le chiavi della macchina in mano,  che sbadigliano e reclamano la loro colazione.
 Quante sorprese stamane, di solito devo svegliarli con i cannoni!


“Accidenti, oggi siete mattinieri!”
“E grazie al cazzo! Sono quasi le sette e venti!”
“Sempre molto fine Jay...COSA?!?!?!?”
“Ehi Virgin, che ti prende?”
“Fred, sono già le sette e venti?!?!?!? SIAMO IN RITARDO, CAZZO!!!”
“Rilassati Ms scommettiamo-così-perdo-perché-mi-cago-sotto”
“Armstrong, muori sotto un tram.”

Insomma, morale della favola, usciamo alle sette e mezza, con un mostruoso ritardo di un quarto d’ora, dopo aver appurato che quel giorno né Al né Mike-biondo-platino avrebbero mosso il culo.
Io mi ero quasi dimenticata della loro esistenza mentre incitavo Fred a mettere la quarta e ad andare almeno a cento all’ora, quando poi Billie si è lasciato sfuggire che Mike aveva un colloquio di lavoro part-time in un negozio di dischi, quello di cui parlava da giorni, e Al invece non aveva specificato il motivo.
Non sono abbastanza in confidenza con Al per insistere e poi siamo in ritardo quindi ho lasciato correre.
Durante il tragitto Fred accosta davanti ad un locale e Jason scende.
Io cerco di urlargli contro che è l’ennesima assenza che fa, che Mike biondo-platino sarebbe d’accordo con me nel dirgli che non deve bigiare anche oggi, e blablabla.
Peccato che lui se ne freghi altamente e mi sbatta la portiera in faccia.
Costringo Fred a mettere il turbo perché sono già le otto meno un quarto, orario a cui di solito io sono già là e giuro sulle pene dell’inferno che se non arriviamo prima delle otto li prendo a calci nel culo fino a che non saranno costretti a chiedere pietà.
E il mio caro Freddy, come al solito, esegue.
Arriviamo che non sono ancora scoccate le otto e io sono abbastanza compiaciuta nel constatare che abbiamo coperto una distanza di mezz’ora in circa venti minuti.
Io e Billie scendiamo;  saluto Fred con la mano e lui risponde suonando il clacson e stonando me e tutti i poveri malcapitati che stanno all’ingresso della Pinole Valley.
Comincio ad avviarmi di corsa sulle scale mentre noto il mio compagno più calmo e serafico che mai.

“Billie! E muovi il culo! Poi glielo spieghi tu alla Carson l’ennesimo ritardo?”
“Ok, se la vedi salutamela che io vado dal nostro coordinatore*.”

Non posso fare a meno di fermarmi di botto e mi giro a guardarlo, con un’espressione di sorpresa e meraviglia stampata in faccia.
Lui sembra pensieroso e non si degna nemmeno di spiegarmi questo mistero, nonostante la mia muta richiesta.
Alla fine lo aspetto, battendo il piede sulla scala, in segno di impazienza e sbotto, troppo curiosa per lasciar correre:

“Perché vai dal coordinatore?”
“Per fargli leggere quella lettera.”
“E cosa c’è scritto in quella lettera?”
“Vuoi leggerla?”
“Si”
“Allora prenditela.”
“Intendi cacciarla fuori dai pantaloni davanti al prof?”
“Se è necessario, si.”

Dio, quanto mi fa incazzare! Lo fa apposta!
Si diverte a fare lo stronzo, usa un tono mieloso, e ti guarda con quell’aria di sfida, tanto che vorresti prenderlo a schiaffi, quel bambinetto troppo cresciuto! Ma dove si avvia!
Dimostra appena quindici anni! Ma che tornasse al college!
Ma io non ho intenzione di cedere...che mi invento?!

“Aehm...anche io dovrei andare dal coordinatore*.”

Ah ah! L’ho stupito!
Mi guarda diffidente mentre prendiamo le scale per il secondo piano, affrettando il passo: nonostante le sue spacconerie nemmeno lui ha voglia di prendersi una sgridata, dal coordinatore poi.

“E che devi fare?”
“Davvero vuoi saperlo?”
“...”
“Davvero davvero?”
“Lo dici per dire...”
“Assolutamente no. Devo VERAMENTE chiedergli una cosa!”
“Cosa?”
“Non te lo dico.”
“Perché non hai niente da dire... e sei lenta a mentire.”
“Non è vero!”
“Si”
“No!”
“Si invece.”
“Nooooo!”

 

Continuiamo a rimbeccarci come bambinetti dell’asilo fino alla porta del ufficio del prof, quindi gli faccio segno di fare silenzio, poi busso.
All’inizio non si sente niente, poi una voce profonda e severa ci invita ad entrare.
Io mi infilo e vedo che lui esita ad entrare per cui finisco per afferrarlo per un braccio e trascinarlo dentro.
Una volta dentro lui sembra prendere coraggio e avviarsi verso la scrivania del prof, in silenzio.
Il foglio è misteriosamente ricomparso nella sua mano.
Per rompere quell’atmosfera un po’ tesa azzardo un “buongiorno” rispettoso e il prof sembra rispondermi con un grugnito.
Senza dire una parola Billie Joe si ferma dietro alla cattedra e porge all’insegnante quel foglio di carta spiegazzato.
Il prof lo spiega e da un’ occhiata avvicinandolo alle lenti degli occhiali e leggendo quasi a fior di labbra, troppo  velocemente perché io possa decifrare il suo labiale.
Dopodiché lo vedo alzare gli occhi con una freddezza che gela e una punta di disprezzo e sento la sua voce che dimostra un disinteresse sconcertante:

“Lei chi è?”

Non posso fare a meno di sentirmi ferita per il trattamento che sta riservando a Billie, una crudele e inutile umiliazione qualunque cosa lui abbia messo per iscritto.
Sa perfettamente lui chi sia, è un suo allievo, ne avrà massimo una quindicina, tutti schedati, e, di questi tutti, Billie è sicuramente quello che ha visto più volte e di cui ha sentito parlare di più! 

Chissà quante lavate di capo gli ha fatto!
Armstrong non sembra particolarmente colpito da quella ostilità e aggiunge, con tono grigio e neutro:

“Se per favore vuole segnarlo, la lettera gliela lascio. Il mio indirizzo ce l’ha.”
“Lei è nato nel febbraio del ’72?”
“Il diciassette.”
“Oh, allora non ci sarà bisogno del suo indirizzo o mi sbaglio*?”
“No.”
“Può andare.”
“Addio.”

Billie mi passa davanti senza vedermi. È una maschera di indifferenza e io ancora non sono sicura di aver capito cosa è successo in questa stanza.
Sento i suoi passi che si allontanano e vorrei corrergli incontro quando lo sguardo del coordinatore mi cattura.

“Ms Foster, buongiorno. Non l’avevo riconosciuta.”
“Buongiorno.”
“Ha qualche richiesta da farmi?”
“...Io...”
“Cerchi di accorciare i tempi, lei ha una lezione e io avrò sicuramente il mio daffare. ”
“Si...mi scusi...pensavo di...insomma...”
“Si?”
“Di...iscrivermi a...un corso di orientamento, si.”
“Capisco. A quale è interessata?”
“Aehm...quello di...medicina”
“Università?”
“L’UCLA, sir.”
“Quale prego?”
“University of California.”
“Oh, adesso la capisco.”
“Si, mi scusi.”
“Bene, allora le farò sapere quando potrà avvenire l’incontro con il docente di competenza.
Riceverà una lettera da noi al più presto, le farò fissare un appuntamento per la settimana prossima.
Il referente sarà il Prof.  Wellington.”
“Grazie, arrivederla e buona giornata.”
“Buon proseguimento.”

Esco alla svelta e per poco non mi vengono i brividi.
Che cosa diamine c’era scritto in quella lettera?! E perché tutto quel gelo?

Mi dirigo pensierosa e nemmeno tanto di corsa verso l’aula di fisica.
Tanto ho già fatto tardi, ne approfitterò per saltami l’ora di inglese.
Ho un’ottima scusa, è un’occasione per non vedere la brutta faccia della Carson, perché esitare?

*****************

Quando esco di scuola trovo ad attendermi Juls.
Sono talmente felice che gli corro incontro e mi getto fra le sue braccia.
Dopo sette ore di scuola sono distrutta e avevo proprio bisogno di vedere una faccia amica.
Lui sembra ignorare suo fratello, Mike, che ci sorpassa senza nemmeno un cenno, come se non esistessimo.
è inutile. Mike non mi parla e non mi ascolta.
Mi ignora ma in un modo ancora più crudele di quanto faccia Jenny.
Lei almeno è sparita e non si è fatta più vedere né trovare.
Mike invece frequenta le mie stesse lezioni, parla con Meggy e con Sab davanti ai miei occhi ma quando si tratta di me sembra che io non esista.
A pranzo, se mi siedo vicino a lui e alle altre del gruppetto lui si alza e se ne va.
Quando c’è lui con Sab o Meggy o chiunque altra delle mie compagne, loro sono costrette ad ignorarmi. E le capisco poverine.
In fondo sono quasi cinque anni che scelgono gli stessi corsi, fanno le stesse attività, escono insieme, e si sentono un gruppo solido e non sarò io, una arrivata quest’anno,  a mettere in dubbio la loro amicizia
Non me la sento nemmeno di metterle in difficoltà in questa maniera e quindi ho preso l’abitudine, a pranzo, di sedermi una volta con una, una volta con l’altra, una volta in compagnia di altri studenti, magari anche a me sconosciuti o conosciuti di vista.
Così do la possibilità a Mike di mantenere i suoi spazi, le sue amicizie senza creare grandi imbarazzi.
E poi dice che sono io la stronza. 
Tornando a Juls, non mi sembra affatto sconvolto del comportamento di suo fratello e, davanti ad una mia occhiata interrogativa, scrolla le spalle, indifferente:

“Abbiamo litigato.”
“Perché?”

Lui non risponde e si avvicina a me, superando la distanza di sicurezza.
Mi bacia dolcemente sulle labbra, sfiorandomi il naso.
Piuttosto casto come bacio, tiene la lingua a posto, ma rimane lì appoggiato alle mie labbra per un tempo che sembra infinito.
Dopo un po’ mi allontano, un po’ a malincuore, ma non ho nessuna intenzione di darlo a vedere.
Con quest’uomo bisogna mantenersi forti e intransigenti perché rimanga docile come un agnellino.
E poi ormai sono talmente abituata a fare il generale nazista che mi viene quasi spontaneo farlo con il mio ragazzo.

“Juls, perché avete litigato?”
“Uff...perchè lui ha scoperto di noi due. Ha visto tutto dalla finestra, quello stronzetto.”
“Embè?”
“Beh, sai com’è Mike. Quando pianta le sue grane diventa insopportabile.”
“Cristo...”
“Già.”

Gli mollo la mia borsa, con una smorfia di stanchezza sul viso e ci avviamo, abbracciati verso la sua auto.
Lui lascia la mia cartella sul sedile posteriore e si mette alla guida, io accanto a lui e gli schiocco un bacio sulla guancia prima che metta in moto.
Qualche volta anche io ho qualche moto di affetto, specie per questa specie di idiota patentato che è rimasto a fare il pesce lesso per tutto il tempo prima di essere preso all’amo dalla generale nazisten in questionen, ya woll.

“Ehi, domenica Jenny se ne va.”
“Di già?”
“Vig, lei doveva già partire una settimana fa.
Ha ritardato perché aveva degli ultimi ordini da portare a termine.”
“Vuoi salutarla e scusarti con lei?”
“Io non ho niente di cui scusarmi.”
“Lo sai cosa intendo, Juls.”
“Non ho proprio niente di cui scusarmi, Vig.”
“Julian, per piacere.
Certo non è stato carino quello che le abbiamo fatto!”
“Vig, io ho sempre fatto così con tutte. Se lo doveva aspettare.”
“Me lo devo aspettare anche io?”
“Amore, non dire stupidaggini.”

Non so se chiami “amore” tutte quante ma questo basta a sciogliermi.
Gli sorrido, un sorriso idiota, cotto, come solo quello di una ragazzina innamorata può essere.
E lui non è da meno. Che coppia.

“Gli Sweet Children pensavano di organizzare una festicciola con concerto alla squatter per salutarla, domani.”
“è una splendida idea! Così magari riesco a parlarci!”
“Davvero vuoi parlarci?”
“Juls, non ricominciamo.”
“Sai, secondo me, gli unici con cui dovresti parlare sono i tuoi.”
“Cosa?”
“Mammina e paparino. Mr e Mrs Foster.”
“O meglio detti il cornuto ingenuo e la puttana stronza.”
“Non fare la stupida, amore.
Non lo sai se è andata veramente così.”
“E come altro cazzo potrebbe essere andata, eh?!
Erano a letto! Insieme!”
“Ma lo ammetti anche tu che erano completamente vestiti e solo accostati l’una all’altro.
Secondo me ti fai i film.”
“Ah e io mi farei i film?!?!?”
“Amore...io volevo presentarti ai miei e vorrei la stessa cosa con i tuoi.”

Questo mi lascia davvero a bocca aperta.
Ma se stiamo insieme da una settimana a malapena!
Gli ha dato di volta il cervello?!
Perché non mi fa una proposta di matrimonio, già che c’è?!

E poi cos’è quest’ansia di conoscere i miei?!
Quest’uomo è davvero strano.

“Juls, io e te siamo fidanzati da cinque giorni.
Ma quali presentazioni e presentazioni!”
“Perché?”
“Mica ci dobbiamo sposare!
Adesso metti ansia!”
“E questo che cazzo mi significa?”

Sento la sua voce indurirsi. Oddio, ma perché devo proprio litigare con tutti in questi giorni?!
Va bene, le mie capacità diplomatiche non sono un granché, forse faccio male a dire ciò che penso, forse sono troppo brusca ma non è colpa mia se le persone dicono idiozie e poi vogliono anche che gli si spieghi perché sono stronzate!
Ma non voglio litigare con Juls, cazzo.
Mi sento così bene quando c’è lui, quando mi stringe, gli basta un sorriso e la mia giornata si fa soleggiata. Mi sento troppo bene per litigarci.

“Hai ragione, scusa amore, sono stata un po’ brusca.
Non volevo dire che non ti presenterei mai ai miei ma solo che forse è un po’ presto.”
“Vig, io quest’estate vorrei trasferirmi a Los Angeles e voglio che tu venga con me.”
“Cosa?!”
“Amore, io farò il conservatorio e tu potrai scegliere la facoltà che vuoi.
Io ho già un appartamento che mi ha procurato un amico e i miei hanno già versato tutto in un fondo per pagarlo. Tra un mese avrò quell’appartamento e tra sei mesi vorrei stare lì, con te.”
“Il c-conserv-vatorioo?”
“Suono il piano, è l’unica cosa che mi interessi davvero. Per questo ho abbandonato la scuola.
Non mi interessa studiare quella roba lì. Io voglio fare il conservatorio e basta. ”
“Tu...hai abbandonato la scuola?!”
“Si. Ma ho intenzione di studiare sodo a Los Angeles e magari fare un concorso per la cattedra di composizione.”
“C-comp-posiz-zione?”
“Amore, sarò anche la capra della famiglia ma sono pur sempre il fratello di Mike.
E scrivo anche qualche pezzetto per piano jazz.”
“Ah”

Non ci posso credere.
Stiamo decidendo il mio futuro a tavolino?
Prima nello studio del coordinatore, con quello scherzo dell’UCLA e adesso con Juls e i suoi progetti di trasferirsi a LA.
Sono sconvolta.
Punto uno: non conoscevo tutte queste cose di Jules, mi sembrava un imbecille qualsiasi e invece...
Punto due: andare a vivere insieme a lui significa che è una cosa seria. O no?
Punto tre: ma davvero voglio fare medicina all’ UCLA?!?!


“Vig, non dici niente?”
“Non so che dire.”
“In che senso?”
“Beh, non avevo mai pensato al mio futuro, non così in fretta almeno.”
“Allora farai pace con i tuoi?”
“Io...ci proverò.”
“Perfetto”

Improvvisamente lui sembra invertire la marcia e cambiare strada.
Sul momento non faccio domande, anche se mi sembra abbastanza strano almeno quanto la sua risposta, ambigua.
Poi quando mi accorgo che stiamo andando esattamente nella direzione opposta a quella che dovrebbe essere chiedo, accigliata:

“Juls, non ti sei nemmeno imparato la strada?”
“Oh, la so benissimo, tranquilla.”
“Ma stai andando nella direzione opposta!”
“Stai tranquilla che siamo quasi arrivati.”

Con orrore lo vedo imboccare Ramona Street e poi fermarsi proprio davanti casa mia.

Lui scende e viene ad aprirmi la portiera.
Mi appoggia le sue mani sulle spalle e mi guarda fisso con quei suoi occhi scuri.

E allora sento che farei anche miracoli per lui. Dio, quanto sono ridicola.
Ci scambiamo un altro bacio e stavolta, prima di allontanare il suo viso dal mio, mi da un piccolo morsetto sulle labbra. Poi è la volta di un sorriso di incoraggiamento e di una carezza sul viso.
Mi sussurra all’orecchio:

“Stendili tigre. Ricordati, io e te a LA.”

Scendo dall’auto, rincuorata.
Qualunque cosa mi dicano, io ho intenzione di andare a vivere con Jules a LA e nessuno mi fermerà.
Adesso che ho capito che la cosa è vera e non una sua fantasia allora voglio mettercela tutta, per me, per lui e per il nostro futuro.
Non so se farò veramente medicina ma non sarebbe una cattiva idea...
Ok, basta Vig, concentrati.
Busso alla porta e quasi spero che non apra nessuno. Poi mi trovo davanti papà.
Papà?! Ma oggi è venerdì! Lui dovrebbe essere a lavoro, all’UCLA!
Ci guardiamo, io ancora stordita dalla novità e lui dall’emozione.
Ha le occhiaie. Probabilmente non dorme bene da almeno tre giorni.
Non ci posso credere. Non va a lavoro e non dorme...per colpa mia?!
Questa cosa mi fa sentire un verme e sento venire meno anche la mia rabbia e la mia arroganza.

“Virginia”
“Papà.”
“Entri?”
“Si.”

Si fa da parte e io metto piede in casa, finalmente.
Passo per l’ingresso, arrivo in salotto e mi siedo sul divano, lui mi segue e mi lascia in attesa mentre sale al piano di sopra, probabilmente a chiamare la mamma.
Se papà è in queste condizioni come starà mia madre?
La mia mammina quasi al settimo mese.
Questo però non le ha impedito di scoparsi Frank!
Ma...sarà vero?

Devo aspettare davvero poco. Nel frattempo scorgo, dietro la poltrona, in un angolo del salotto degli scatoloni appena arrivati di abitini per neonati, di salviettine, di pannolini e cose simili.
Dio, quanto mancherà ancora?
Prima Franz sembrava così lontano e invece adesso mancano solo due mesi e mezzo e i miei hanno già ordinato e preparato la roba per il bambino.
E intanto chissà quanto hanno sofferto per colpa mia.
I miei sensi di colpa aumentano ogni secondo che passa e comincio a mangiucchiarmi le unghie, imprecando perché i miei ci mettono così tanto a scendere.
Avevo voglia di fare loro una scenata e comportarmi da perfetta adolescente intrattabile ma mi sta passando la voglia.
Anzi mi mordicchio il labbro furiosamente e sento immediatamente la gola secca.
Mi allungo in cucina per prendere un bicchiere d’acqua e scorgo decine di confezioni di pappette per neonati, latte in polvere e altre schifezze varie, compresa una grossa confezione di cioccolato.
Quella sarà per mamma credo, anzi spero.
Ma lei sarà ancora in grado di reggersi in piedi o sarà diventata talmente grossa da non riuscire più a spostarsi?
Improvvisamente cominciano ad assalirmi mille paure, che le possa succedere qualcosa, che possa succedere qualcosa a Franz...MEIN GOTT, BASTA!
Calma, Vig.
TuSeiArrabbiataTuSeiArrabbiata...anzi Incazzata nera!

Quando torno in salotto trovo mia madre sul divano e la sua pancia mi sembra occupare tutto il divano.
Lei tende le braccia con un sorriso commosso e quasi piange di gioia nel vedermi.
E io rimango lì come un’idiota, presa in contropiede.


“Virginia!”
“Mamma...mi dispiace.”

Senza un minimo di amor proprio, corro ad abbracciarla e mi sembra così fragile mentre è china su di me in una posizione davvero scomoda. Così la sua pancia urta contro il cuscino del divano su cui è seduta e non le fa bene che qualcosa le faccia pressione, da nessuna parte, men che meno sulla pancia.

“Mamma...così ti fai male.”

“Hai ragione. Ma siediti vicino a me, ti prego e raccontami dove sei stata e cosa hai fatto in questi giorni.”

Ritira le braccia, le labbra stirate in un pallido sorriso, serafica, sembra che le sue rughe si distendano ora che sono lì vicino a lei.
Comincio a raccontare tutto, senza censure, prima di Mike, di Juls, poi della squatter, e in quel caso devo omettere qualcosa, ma, se mio padre ogni tanto aggrotta la fronte, gli occhi di mia madre continuano a brillare per tutto il tempo finchè fra noi non cade il silenzio.
è Josh Foster a rompere per prima quell’atmosfera un po’ imbarazzante, almeno per me che sto annegando nei sensi di colpa.

“Allora, Virginia, sei stata a dormire da questo amico, Mike.”
“Si, ma non Mike Edwards, Mike Dirnt...cioè Pritchard.”
“Capisco. E quel ragazzo di cui ha parlato la mamma, biondo e scapestrato?”
“Chi?”
“Quello lì che ti ha accompagnato a casa sei giorni fa.”
“Ah lui...”
“Quello è Mike Pritchard?”
“...si.”
“Capisco.
Vig, vorrei che passassimo sopra a tutta questa storia della mamma.
Capisco che tu ci abbia visto un po’ più lontani e invece hai sentito la presenza di Frank come un’invasione in famiglia ma in parte è anche colpa mia.
Avevo promesso che ci saremmo visti più spesso e invece questa è la prima volta che vengo a casa, dopo un mese.
Ma adesso ti posso giurare che verrò ogni week-end perché equivoci del genere non capitino più.
E poi tu sai bene che la mamma è prossima al parto.
Quindi vorrei davvero dimenticare la questione e concentrarci sull’arrivo di Franz.
Saremo una magnifica famiglia felice. E ti vogliamo con noi.”
“Papà...è per me che non sei tornato all’università?”
“Ho voluto esserci e dare tempo al tempo.”
“Grazie papà. Scusatemi tutti e due, sono stata...una stupida.”
“A questo punto però vorrei farti una richiesta”
“Anch’io.”
“Si, dimmi.”
“No prima tu.”

Scorgo uno sguardo preoccupato di Josh Foster che saetta verso la mamma.
Sembra un argomento delicato da come esita ad affrontarlo.
Gli sorrido per rassicurarlo. In questo momento mi sentirei disposta ad ascoltare qualunque richiesta,
anche la più pazza.
Per un attimo tutta la questione di Frank mi sembra irrilevante. Non saprei dire se la mamma è veramente innocente poiché nessuna argomentazione mi ha veramente convinta eppure non mi importa.
Papà si fida, e decido di fidarmi anch’io.
Quanto mi è mancata la mia famiglia!

“Ci hai raccontato tutto e questo è stato molto bello da parte tua anche se sono rimasto abbastanza perplesso nel sentire nomi sconosciuti e questo vale sia per me che per la mamma.
E, a questo punto, vorrei incontrarli, conoscerli, vedere che gente frequenta mia figlia.
è gente che non hai mai portato a casa, di cui sentiamo parlare solo ora ma che, suppongo, conosci da tempo visto che ti ha ospitato e ti ha trattato con tanta familiarità.
Magari sapere qualcosa dei loro genitori, dove vivono, cosa pensano di fare nella vita.
Vogliamo partecipare della tua vita.
Poi non ti seccheremo più, potrai stare da loro quanto vorrai, perché oramai mancano pochi mesi ai tuoi diciott’anni e ne avresti anche il diritto.
Pensi che sarebbe possibile invitarli domani o dopodomani?”
“Ah. Aehm...si, certamente...”
“E vorrei anche rivedere quella deliziosa Jenny e chiederle qualcosa sul tubo di scappamento della moto che ha qualcosa che non va.”
“Ok...vedi, domani c’è una festa di addio per Jenny. Lei si trasferisce da uno zio a Los Angeles che ha bisogno di qualcuno che badi alla sua officina. Parte domenica.”
“Josh,  non sarebbe carino organizzare la festa qui?”

Mia madre mi lascia a bocca aperta certe volte.
Ma Jenny non accetterebbe mai di venire ad una festa organizzata a casa mia, se lo sapesse!
Già. Se lo sapesse, ma altrimenti...
Ok, devo organizzare i dettagli.

“Ottima idea mamma! Papà avrò bisogno del garage con le prese!”
“Le prese?”
“Beh, per gli amplificatori. Hanno una band e sicuramente vorranno suonare qualcosa.”
“Oh, questa non è roba per me. Chiedi a tua madre che sa tutto di band e di scapestrati di strada.
è la sua adolescenza non la mia.”

“Io mi occuperò del buffet, sarà una festa con i fiocchi!
Amore, quante persone più o meno?”
“Beh, ci saranno molti infiltrati quindi...facciamo una settantina?”
“Una settantina?!?!”
“Sai pà, si usa così. E poi non so esattamente quanti amici abbia Jenny.”
“Va bene, lascio a te e alla mamma organizzare tutto.
Basta che una volta alla festa mi presenti tutti quelli che ho sentito nominare:
quel Mike, quel Bill, quel Jason, quell’altro...Al, o Fred o George o che so io.”

Si alza, soddisfatto e decisamente rasserenato, adesso che abbiamo preso un accordo.
Quasi quasi tira un sospiro di sollievo. Come dargli torto?
Deve essere un incubo fare questi discorsi con una figlia adolescente. Ecco perché non avrò mai figli.
Per un attimo penso a Juls e mi ricordo che è ancora fuori in macchina, probabilmente sintonizzato su chissà quale canale rock o jazz o che so io.

“Aspetta papà!”
“Si?”
“Anche io devo farvi una richiesta.”

Si risiede e solo adesso mi accorgo che devo introdurre un discorso un po’...delicato.
Il fidanzato. Come parlare del proprio fidanzato con i tuoi?
Adesso mi toccherà ingegnarmi per spiegarglielo nel modo più soft possibile.
Gli parlo del nostro incontro, del litigio con Jenny, del fatto che è il fratello di Mike Edwards, di come la loro sia un’ottima famiglia beneducata ecc ecc.
E alla fine azzardo:

“Pensavo di andare a fare medicina all’UCLA e lui ha un appartamento a Los Angeles.
Vuole fare il conservatorio. Studia piano-jazz.”
E...pensavo di condividere con lui l’appartamento.
“Non se ne parla! Non lo conosciamo nemmeno!”

Ecco lo sapevo.
Fortunatamente mamma fa sentire la sua voce alzando la mano come se questo potesse calmare l’indignazione di papà.

“Amore, forse siete un po’ precipitosi?”
“Mamma, tra poco dovrò scegliere la mia facoltà, e certo non rimarrò qui a Rodeo, né a Berckley o in altri posti sconosciuti. Voglio studiare a LA e là avrò bisogno di vitto, alloggio, sostegno... quale occasione migliore?”
“Prima vogliamo parlarci.”
“Ok, ve lo chiamo.”
“Cosa?”
“è qui fuori che mi aspetta in macchina.”
“Guida la macchina?! Ma quanti anni ha?!”
“Ventuno.”
“E non si è ancora iscritto all’Università?!”
“è stato bocciato un anno e poi si è preso un anno sabatico.”

Meglio che non gli dica che ha abbandonato la scuola anche lui.  Poi non avrei speranze.
I miei non sembrano molto convinti ma alla fine cedono e io corro a chiamare Juls.
Lui subito si distoglie dalla musica rumorosa che sta ascoltando e mi chiede come è andata.
Non gli dico una parola, lo prendo per mano, lo invito a seguirmi e lui non fa altre domande.
Per un attimo, mentre superiamo la soglia di casa lancio un’occhiata ai suoi soliti vestiti.
Jeans chiari e scoloriti, maglietta intima bianco panna che spunta fuori dalla camicia di flanella a quadrettoni rossastra, nera, giallina,  in perfetto stile country.
E quando giunge al cospetto dei miei posso vedere le occhiate indagatrici di mio padre e il sorriso divertito di mia madre.

“Buongiorno.”
“Ciao, tu sei...?”
“Julian Edwards.”
“Capisco. Il fratello di Mike.”

Mamma tace.  È papà a condurre l’interrogatorio.
Gli chiede di tutto, della sua famiglia, dei suoi studi dei suoi interessi, le sue conoscenze, come mi ha conosciuta, dei suoi progetti per il futuro compreso l’argomento “LA” e persino come trovi sua figlia e cosa pensi di lei e della nostra famiglia e come ha intenzione di conviverci.
Ogni tanto, imbarazzata, mi schiarisco la voce per avvertire papà che sta esagerato, e lui qualche volta mi ascolta e qualche volta no.

“Non hai ancora fatto niente con mia figlia, no?
Solo qualche bacetto, qualche carezza, niente mani addosso, vero?!”
“PAPA’!”
“Aspettate ancora un anno, ammesso che andrete davvero a vivere insieme.
Mi raccomando!”
“Stia tranquillo,  signor Foster, sua figlia aveva già ribadito questa regola, tempo fa.”
“Bene, me ne compiaccio, figliolo. Ho una ragazza saggia, io.
E tu chiamami pure Josh.”

Le sue ultime tre parole bastano a farmi scoppiare il cuore di felicità.
è fatta! L’ostacolo papà è superato!

****************

Ieri, dopo l’incontro con i miei, Juls mi ha accompagnata a prendere le mie cose, per trasferirmi di nuovo a casa mia.
Ho riferito l’idea di mamma a Mike-biondo-platino e a Billie;
Dirnt non ci ha trovato niente da ridire anzi l’ha trovata un’ottima idea, anche perché, fra il mio giardino e il garage c’è molto più spazio in cui ospitare gente, poi c’è il prato, si sta all’aria aperta, e, quando gli ho detto che mia madre si sarebbe occupata di torta e vivande è rimasto piacevolmente impressionato.
Billie è stato più difficile da convincere:

“No.”
“Perché no?”
“Sarebbe una grande idea se non ci fossero i tuoi.
Non voglio essere guardato come se fossi un animale da circo o magari l’essere più immondo di questa terra!”
“Billie, mio padre ha espresso il desiderio di conoscervi...hai in programma di cambiare aspetto e personalità nel giro di qualche giorno?
Dovrete incontrarvi prima o poi e questa è un’ottima occasione, perché ci sarà tanta di quella gente che ti assomiglia che lui sarà sconvolto dal contesto e non ti giudicherà più mostruoso di altri!”
“Innanzi tutto che cazzo se ne fottono i tuoi di chi sono e cosa faccio nella vita!?
Adesso anche un illustre sconosciuto deve farsi i cazzi miei?!”
“Senti...fallo per me e Juls, ok? Era una delle condizioni per considerare il progetto “LA”!
Come puoi essere così crudele!”
“Non me ne fotte un cazzo del vostro nido d’amore! Suonerò una merda per colpa tua!”
“Allora lo farai? Grazie, Billie Joe!!!”
“Vaffanculo.”

Insomma, a modo suo, anche lui mi ha detto di si.
E questo mi ha aperto la strada. Il concerto veniva spostato al numero 2388 di Ramona Street!
L’unico problema era riferire a Jenny che il posto era cambiato e che per di più la cosa si faceva a casa mia, la stronza che le aveva rubato il ragazzo.
Alla fine abbiamo concordato uno stratagemma, una brillante idea di Fred: siccome bisognava organizzare delle macchine e dei furgoncini che portassero gli invitati a casa mia, Fred sarebbe andato a prendere Jenny insieme ad altre dieci persone e l’avrebbe portata alla festa.
Con tutta la confusione che c’è sempre in auto, di canti, di grida e cazzate varie certo lei si sarebbe accorta troppo tardi della destinazione e una volta arrivata avrebbe trovato un’accoglienza da nobel e non avrebbe certo osato girare i tacchi e andarsene. O almeno spero.
Intanto io e papà, ieri sera,  abbiamo appeso dei fili su cui andranno i teli che dipingeranno Matthew, Fred e Jason, stile festoni, dedicati a Jenny, poi ho tosato l’erba del prato, spazzato il vialetto, accatastato la roba che stava in garage nello stanzino, papà ha spostato la macchina, all’esterno e la moto in fondo alla parete del garage e l’ha coperta con un panno, abbiamo pulito il garage.
Stamattina, ci siamo alzati tutti presto, la mamma ha fatto diversi dolci, tutti enormi per la gioia mia e degli invitati, al cioccolato, alla crema pasticcera e panna, pandispagna e tiramisù e  mio padre ha montato i due barbecue per sedici (quindi in tutto trentadue, si...non so perché ce li abbiamo in casa ma meglio così. Risaliranno al periodo in cui mamma guardava le televendite...mah...) e ha comprato cinque chili di hamburger e salsicce, almeno trenta confezioni di pomodori e di insalatina di contorno, il burro d’arachidi, otto chili di panini all’olio, dieci chili di pizza, fra margherita, quattro stagioni, patatina e wurstel e prosciutto e funghi, poi dieci chili di banane e di mele, due casse di coca cola, cinque casse d’acqua, su mia specifica indicazione, sei casse di birra, tre scatole di patatine e ovviamente buste e buste di carbonella.
Non so se vogliano offrire anche il caffè ma non me ne stupirei.
I miei hanno davvero un grande senso dell’ospitalità.
Per qualsiasi emergenza abbiamo due scatole piene di buste del caffè. Non si sa mai.
Dire che si strafogheranno è poco.
Abbiamo trascinato in giardino e nel garage dei tavolini di plastica e delle panche su cui appoggiare il cibo, piattini, bicchieri, forchettone, coltellini di plastica e tovagliolini di carta.
Papà si è già messo ad accendere la carbonella, anche perché ci vuole un po’ prima di poter cuocere un hamburger che non esca una schifezza.
Io mi sono assicurata che mamma non si affaticasse troppo.
Lei sembra così tranquilla e serena, specie dopo il mio ritorno;
io invece, ho sempre paura per lei e la sua pancia.
Adesso dobbiamo solo aspettare e, tra meno di un’oretta la gente comincerà ad arrivare.

Juls è il primo ad arrivare e porta gli Sweet Children con tutte le attrezzature musicali.
Stanno già cominciando a scaricare quando mio padre li raggiunge con aria indagatoria.
Juls è il primo a salutare ma nessun altro dei ragazzi si accorge di Josh Foster che continua a fissarli, ogni tanto schiarendosi la voce e tentando così, inutilmente di attirare l’attenzione.
Come al solito il mio ragazzo interviene per non creare imbarazzi:

“Ragazzi! Vi presento Mr Foster! Josh come andiamo?”
“Bene, figliolo.”
“Chi?”
“Cos...ah...aehm...buongiorno. Piacere, Mike Dirnt.”
“Ah, si, scusi tanto. Piacere, Billie Joe Armstrong.”
“Buongiorno. Sono John Kiffmeyer.”
“Io Jason, Jason Relva.”
“Io Matthew Addiso...UOOOH!!!”
“MA PORCA PUTTANA MATT!!! Che cazzo hai al posto delle mani, dei budini?!?!
Se qualcuno mi scassa un altro fottutissimo amplificatore, prendo quello che ne resta e glielo ficco nel culo!!!”
“Aehm...Billie...”

Mio padre è rimasto allucinato. Sposta lo sguardo fra Matt che ha dovuto appoggiare l’attrezzatura a terra per non incorrere in ire funeste e salvare la pelle e Billie che si è fatto tanto rosso in faccia che sembra esploda da un momento all’altro; o forse lancerà fiamme, non so, comunque non sembra davvero un buon momento.
Tra l’altro Armstrong non è per niente scandalizzato, anzi, si rivolge a mio padre, ancora incazzato e commenta, quasi aspettandosi che lui gli dia ragione:

“Sa quanto costa un amplificatore come si deve? O anche uno di merda...costano tutti un patrimonio!
Ma le pare normale che devo spaccarmi il culo per ripagare un cazzo di amplificatore solo perché è la terza volta che me lo scassano in un anno?!”

Io lancio uno sguardo disperato a Mike-biondo-platino che ha la faccia di quello che sta per schiattare dalle risate ma che si trattiene a stento.
Tutti gli altri sembrano annuire e dare ragione a Billie facendo sentire il povero Matt una specie di verme.
Lancio un’occhiata terrorizzata a mio padre ma lo vedo improvvisamente calmo.

“Hai perfettamente ragione, ragazzo.”

Per poco non svengo. Oddio, ho sentito bene?!
Josh Foster, non solo non fa una scenata, non si indispone per la sequela quasi ininterrotta di parolacce che Billie è riuscito a pronunciare in sole cinque frasi, non lo guarda con quell’ espressione scandalizzata che si aspetterebbe chiunque sano di mente, ma gli dà pure ragione!
Cosa è successo a mio padre negli ultimi sei giorni?!?!

“Oh, beh, grazie.
Scusi, dov’è che possiamo scaricare tutto? Avete delle prese?”
“Venite pure. In garage.
Toglimi una curiosità, ragazzo, tu sei quello che ha rifiutato l’uniforme, quello di cui si parlava all’inizio dell’anno?”
“Beh...si.”
“Me lo immaginavo.
Vig, quale è stato il mio commento quando ci hai raccontato quell’episodio?”
“Un ragazzo con le palle.”
“Già proprio così.”
“Ah...ecco...grazie.”
“Allegro allegro, ragazzo, sbrigatevi a sistemare la vostra roba.
Suonate voi no?”
“Si, infatti.”
“E allora ad accordare le chitarre, a provare gli strumenti, march!”

Osservo Billie passare dall’imbarazzo per il “complimento” ad un’espressione piacevolmente sorpresa, tanto che gli esce spontaneo un sorriso entusiasta.
Poi tutti insieme tornano a scaricare le attrezzature e Jason mi consegna i teli.
Ci facciamo dare una scala e ci arrampichiamo fino alle funi che abbiamo appeso e li attacchiamo.
Sono bellissimi. Hanno fatto un lavoro stupendo.
Sono un incrocio di arancione, rosso, nero, giallo, tutti graffiti, e riportano queste frasi:

GOOD LUCK! JUST  KNOCK’ EM ALL OUT!
ALWAYS ONE OF US!
WE LOVE U  YEEEEEH YEEEEH YEEEEH!
NEVER FORGET, U’R FROM BERCKLEY!!!
GET OUT OF THIS FUCKIN’ PLACE AND AIN’T COME BACK!
WE WANT U IN LA!!!*


Poi devo complimentarmi con loro, come si deve.

Il posto si è riempito e gli Sweet Children si sono subito messi in azione.
Hanno suonato già un paio di canzoni che ho ascoltato con un orecchio si e uno no.
Abbiamo attirato un sacco di gente ma ancora non vedo Fred con il suo veicolo e Jenny.
Che lei abbia scoperto tutto e si sia rifiutata di venire?
Spero di no.  Devo dire che mi tremano le mani all’idea di incontrarla.
è davvero la nostra ultima possibilità di rinsaldare la nostra amicizia o almeno per convincerla che non sono il mostro insensibile che crede lei.
Non ci sono riuscita fin ora, ho anche smesso di provarci...ma adesso? Mi ascolterà?
Osservo papà che serve wurstel e hamburger ben caldi, poi  sento la mano di mia madre che mi richiama gentilmente e riporta la mia attenzione sulla musica.

“Ma lo sai che mi ricordano la mia adolescenza, la mia band con Joe, Katia, Max e Jamie?”
“Mamma, voi faceva jazz –blues mica punk rock!”
“Beh, amore, ai miei tempi era abbastanza rivoluzionario il jazz.
Il punk ancora non sapevamo cosa fosse e forse non esisteva neanche.”
“Allora ammetti di essere vecchia!”
“Scema.”

Poi dal microfono esplode un urlo.  Armstrong che fa l’esibizionista.
Cominciano sempre giovani.

“AAAAAALLLRIIIIIGHT PEOOOOPLE!!!
THIS SONG IS CALLED “KNOWLEDGE”! PUT YOUR HANDS UP IF YOU KNOW IT!
IT’S MY FAVORITE OF THEM!
THREETWOONE GO!*”
 
I know things are getting tougher,
When you can’t get the top off the bottom of the barrel,

Wide open road of my future now...
It’s looking fuckin’ narrow!
All I know is that I don’t know
All I know is that I don’t know nothing


Mia madre continua, persa nei suoi ricordi mentre osserva in lontananza i ragazzi che partono in quarta:

lei sembra tornata ragazzina, con le guance rosee dopo essere stata vicino al barbecue ad aiutare papà a servire i piatti.
Sicuramente questo è il primo concerto organizzato come si deve della carriera degli Sweet Children, con tanto di rinfresco della miglior specie poi; speriamo che non si adagino sugli allori.

“Anche Katia faceva degli acuti niente male ma i ruggiti ad un concerto ancora non li avevo sentiti.”
“Oh, per loro sono pane quotidiano.”
“Vedo.
Tuo padre è rimasto un po’ scosso dalle presentazioni con i tuoi amici, sai?”
“Beh, ha reagito bene.”
“Credo che in parte se lo aspettasse.  E poi in fondo sono solo un po’ vivaci.”
“Ci metterai una buona parola?”
“Ci proverò, tesoro.”

Weeeeeeeeeeeee get toooooold tooo deciiiiiiiide,

Just like! As if! I’m never gonna change my miiind!

Sto quasi cominciando ad appassionarmi quando vedo arrivare la macchina di Fred.
Oddio, è qua! Sta per arrivare! Adesso scenderà inferocita da quell’auto o magari si rifiuterà!
CazzoCazzoCazzoCazzoCazzoCazzoCazzoCazzoCAZZO!!!
Fred le apre la portiera.
Vedo Jenny imbufalita che sembra imprecare contro il suo autista che l’ha messa in questa situazione.
Anzi, lei si sporge e afferra la portiera quasi volesse richiuderla, tirando con forza e strattonandola con violenza.
Alzo entrambe le mani cercando di fare segno a Billie e indicargli che Jenny è arrivata.
Dannazione non mi vede!
Continua a cantare come un galletto che si pavoneggia in un pollaio.
A furia di sbracciarmi attiro l’attenzione di Mike-biondo-platino che coglie al volo il momento e si avvicina ad Armstrong urlandogli qualcosa nell’orecchio senza mai smettere di suonare.
Lo vedo finalmente girarsi verso l’auto.
Ormai Jenny, incazzata è scesa dall’auto e fa per allontanarsi sul vialetto fra la folla, cercando di passare inosservata.
Ma un urlo rauco la inchioda sul posto.

“JEEEEEEENNY!!!! HEY PEOPLEEEEE!!! JEEEENNYYY IS HEEEEEEREEEE!!!
COM’ON! WITH ME!!!
JEN-NY, JEN-NY, JEN-NY, JEN-NY, JEN-NY!!!
J-E-N-N-Y!!!*”

Vedo un centinaio di persone che, prese dalla foga, prendono a battere le mani a ritmo e a urlare prima “JEN-NY!” poi sillabano il suo nome mentre lei osserva tutti impietrita, incapace di fare un altro passo avanti o indietro.
Sento addirittura un gruppetto di ragazze urlare a squarciagola:

“GIMM’A J! GIMM’AN E! GIMM’AN N! GIMM’AN N! GIMM’A Y!
JEEEENNYYY!!!*”

Poi alcuni ragazzi, non contenti di averla allucinata corrono verso di lei la afferrano e se la passano, facendole fare una specie di bagno di folla.
Io sono sconvolta almeno quanto lei che si lascia prendere e portare in giro come una specie di bambola di pezza.
È vero che alcuni di questi ragazzi sono delle vere e proprie bestie, ma...insomma queste robe succedono ai concerti! Questa è una festa diamine! E vorrei la festeggiata ancora viva, se è possibile!
Dopo un po’ finalmente la rimettono a terra e le persone la vengono a salutare, una ad una, la abbracciano, la baciano, le parlano in testa, e la vedo smarrita come un cucciolo.
Mi metto in fila, mentre la osservo sorridere meccanicamente mentre tenta di riprendersi dallo shock iniziale.
Quando finalmente arrivo a salutarla all’inizio non sembra nemmeno riconoscermi e mi abbraccia poi la sento irrigidirsi e si discosta da me, dandomi una spinta e allontanandomi da lei.
Rimaniamo a guardarci mentre attorno a noi si forma una piccola folla e noi siamo al centro dell’attenzione.
Persino gli Sweet Children sembrano smettere di cantare, pur mantenendo un sottofondo musicale di basso e batteria,
Io le tendo la mano ma quella fa una smorfia ostile e non fa un passo, continuando a fissarmi malissimo.

“Ehi Jenny...mi dispiace.”
“Non me ne fotte un cazzo. E non dire stronzate.”
“Jenny, scusa...ti chiedo scusa da parte di Juls.
E mi dispiace se hai creduto che fossi io la stronza.
Non ho mai voluto che vi lasciaste.”
“Ma adesso state insieme, non è così?! Vedi che fottutissima bugiarda che sei?!”
“C-come lo sai?”
“Certo tu non me l’avresti detto, stronzetta, eh?!”
“Jenny, io voglio solo che torniamo almeno a salutarci.
Sto una merda, ok?
Ho cercato di parlarti per settimane e tu niente!
Che cazzo devo fare perché tu ritorni a rivolgermi la parola?!
Dovrei lasciare Jules? O magari trasferirmi in un’altra città?!
Non lo so...leccarti i piedi, lavarti i panni, pulirti i pavimenti?!
So che le scuse non bastano. È una questione di fiducia e tu non ne hai più in me.
Ma se non ci proviamo nemmeno allora dimmelo subito e mi dovrò rassegnare.
E allora chi sarebbe la stronza?”
“...”
“Perdonami, ok? Solo questo...prima che tu parta...”

Per un attimo non sento il sottofondo musicale ritmato, solo un eco lontano.
Sto sudando sette camicie e nel frattempo continuo a guardarla fisso in faccia, senza mai abbassare gli occhi nemmeno per un istante.
La mia speranza è anche quella di cogliere i suoi pensieri ma il suo volto mi appare davvero impenetrabile.
I secondi passano e io comincio a disperare quando sento un coro cominciare in sottofondo, prima con un bisbiglio, poi a voce sempre più alta.

“Forgive her, forgive her, forgive her, forgive her, forgive her, forgive her, FORGIVE HER!!!
COME ON!!! ”

Continuano così finchè praticamente tutto il cortile non lo canta e un coro semi stonato risuona per tutta Ramona Street.
Qualcosa mi dice che i vicini avranno mooolto di cui lamentarsi, Frank compreso.
Ma tanto di Frank non me ne fotte un cazzo, può anche spararsi.
Jenny resiste ancora un po’, tenendomi il broncio, poi sbotta, esasperata, alzando gli occhi al cielo:

“E va bene, Cristo santo!!!  Si, ti perdono perché mi hai fottuto il ragazzo e perché sei una stronza ma sono stata pur sempre una delle tue migliori amiche! Sicuramente l’unica, visto che sei decisamente insopportabile!”

Tutto il gruppo scoppia a ridere e prendono a fischiare, urlare e battere le mani con un entusiasmo che finirà per farli esplodere.
Finalmente tiro un sospiro di sollievo e la abbraccio, al colmo della gioia.
Dio, quanto è bello fare pace con le persone a cui si vuole bene!
Presto ricomincia la musica spacca timpani e io lascio le scene, andandomi a rifugiare in bagno.
Poi non ce la faccio più e scoppio in lacrime, di liberazione.

****************


   
Note

* Il coordinatore sarebbe uno degli insegnanti che segue un determinato corso e quindi è il punto di riferimento del gruppo di studenti che segue quel corso. A lui ci si può riferire per qualunque cosa, incluse richieste come cambiare corso di studi, essere trasferito da una classe all’altra, rinunciare agli studi o definire un orientamento universitario.
Anche qui in Italia abbiamo una forma di coordinatore anche se è molto più blando e spesso è legato a progetti scolastici per cui ci si riferisce al proprio “coordinatore”che poi è un coordinatore di classe e quindi ha davvero poco potere.
Decisamente c’è molta meno elasticità nel nostro programma di studi, ma se sia un bene o un male ognuno c’ha le proprie opinioni.

*Quando uno studente decide di rinunciare agli studi, se minorenne, si dovrebbe inviare una lettera alla sua famiglia per metterla al corrente della sua decisione e per confermarla.
Ma siccome ci mette almeno un giorno di viaggio dal momento in cui viene spedita (e tra l’altro è anche venerdì e non so se le poste lavorano nel week-end) per allora BJ sarà maggiorenne e sarebbe fuori luogo se non contro il suo diritto alla privacy informare la famiglia che non ha più nessuna responsabilità del suo futuro scolastico.

*GLOSSARIO:  GOOD LUCK! JUST  KNOCK’ EM ALL OUT! *Buona fortuna, stendili tutti!*
ALWAYS ONE OF US!  *Sempre una di noi.*
WE LOVE U YEEEEEH YEEEEH YEEEEH!  *cit. dei Beatles da “She loves you”*
NEVER FORGET, U’R FROM BERCKLEY!!!  *Non dimenticarle mai che sei di Berckley*
GET OUT OF THIS FUCKING PLACE AND AIN’T COME BACK!
CAUSE WE WANT U IN LA! *Vattene da questo fottutissimo posto e non tornartene perché ti vogliamo a Los Angeles.*
Naturalmente l’ultimo è inteso come incoraggiamento per il futuro, anche perché loro considerano Berckley un posto sfigatissimo rispetto a LA e tornarsene sarebbe roba da perdenti xD
Per quanto riguarda l’ “ain’t” so che in genere va a sostituire la forma negativa del verbo essere, a volte quella del verbo avere ma nello slang americano può sostituire anche la forma “do not” e quindi l’ho inserito proprio con quest’uso.

* GLOSSARIO: AAAAAALLLRIIIIIGHT PEOOOOPLE!!! *Bene, gente!!!*
THIS SONG IS CALLED KNOWLEDGE! PUT YOUR HANDS UP IF YOU KNOW IT!
*Questa canzone si chiama Knowledge. Alzate le mani se la conoscete!*
IT’S MY FAVORITE OF THEM! *è la mia preferita delle loro! (rif. Operation Ivy, Cover)*
THREETWOONE GO! *TreDueUno VIA!*
Dovremmo esserci con i tempi visto che la cover di Knowledge esce con il loro primo album ma probabilmente era già uno dei loro pezzi preferiti.

* GLOSSARIO: “JEEEEEEENNY!!!! HEY PEOPLEEEEE!!! JEEEENNYYY IS HEEEEEEREEEE!!! *Jenny! Hey gente! C’è Jenny!*
COM’ON! WITH ME!!! *Forza! Con me!*
JEN-NY, JEN-NY, JEN-NY, JEN-NY, JEN-NY!!!
J-E-N-N-Y!!!
Ovviamente bisogna considerare lo spelling del nome nella sua lingua originale quindi i suoni saranno
“gei-i-en-en-uai” xD

* GLOSSARIO: GIMM’A J! GIMM’AN E! GIMM’AN N! GIMM’AN N! GIMM’A Y!
JEEEENNYYY!!!  *Dammi una J! Dammi una E! Dammi una N! Dammi una N! Dammi una Y!
Jenny!*
Per la pronuncia delle lettere stesso discorso di sopra... ù.ù


Angolo dell’autrice.

Darlings, le tessere del mosaico stanno andando tutte a posto, ne?
Vi rassicuro che non sarà una di quelle belle cose a lieto fine, perché altrimenti mi verrebbe il voltastomaco oltre che il diabete...essì io sono per i finali aperti o comunque non molto finali ù.ù
Bene, stavolta ho parecchio da dire nel commento.
Innanzi tutto la scena di Billie che consegna la lettera di rinuncia agli studi non è completamente inventata bensì è basata su un piccolo aneddoto riportato in “Green Day: New Punk Explosion” compresa la citazione della frase “Lei chi è?”, tratta da un’intervista riportata nel libriccino in questione .
Come dicevo la mia più grande paura era quella di scrivere della riconciliazione con i genitori, perché dopo quel poco che Vig ha detto ai suoi, ce ne vorrebbe per rimettere a posto la questione una volta per tutte.  Ma alla fine non ho poi calcato la mano, facendo sciogliere Vig abbastanza in fretta...
Perché?
Innanzi tutto ho pensato che ormai i bollori erano raffreddati da entrambe le parti e c’era davvero nostalgia oltre che senso di colpa un po’ da entrambe le parti, eh sì, anche da parte dei genitori che pensano di aver sbagliato con questa figlia che era sempre stata la bambina-ragazzina modello e improvvisamente sembra esplodere come un tornado.
Poi, non so voi, ma io ho notato sempre una sorta di indulgenza nei genitori quando si ha a che fare con una figlia adolescente (se poi è un figlio difficilmente riescono a negargli qualcosa, quindi, come si dice da me, co’ssalute!) seguita da frasi, dette sottovoce o comunque pensate, tipo: “sta attraversando un momento difficile” o “che età ingrata” “è la pubertà” (quando poi la pubertà, alla veneranda età di diciassette anni è bella che finita, ma si sa che la gente parla senza ascoltarsi o comunque straparla), insomma si comportano un po’ come i giapponesi con i bambini e gli ubriachi.
L’importante è assecondare, il ragazzo sragiona, passa da un estremo all’altro, non è molto attendibile e quindi va tenuto d’occhio senza soffocarlo o comunque senza che lui se ne accorga perché altrimenti si rischia di peggiorare la situazione.
Insomma, per questa serie di comportamenti, per questa mentalità molto diffusa ho voluto dipingere così la scena anche se temo che sia un po’ ANACRONISTICA tutta questa tendenza al dialogo, alla psicologia dell’adolescenza e tutte queste stronzate su cui sono stati scritti fiumi di inchiostro...
Ma come ho già detto sono “sensibile” all’argomento “adolescenza”, o forse non si vede?!
Quindi, vi bastino queste ragioni.
Per il resto confesso che è stato un po’ noioso da scrivere ma spero che sia più piacevole e appassionante da leggere. Fatemi sapere!
Ormai siamo agli sgoccioli però vi anticipo che mi sta nascendo un’altra ideuzza collegata sempre a questa fic o meglio al personaggio di Vig.
Vedremo, dears, vedremo...
Have a good time!

Misa

 
P.s e stavolta ho scritto due poemi: 21 pagine di chappy e quasi 1 di Angolo dell’autrice.
Andiamo sempre peggio <.<

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Capitolo 14
*** 31 Luglio 1990: una lunga gita in campagna ***



31 Luglio 1990
una lunga gita in campagna



Oggi è l’ultimo giorno.
L’ultimo giorno prima del mio trasferimento a LA, io e Juls.
Alla fine l’abbiamo avuta vinta su tutta la linea.
Devo dire che all’inizio pensavo che avremmo finito per lasciarci in un paio di mesi e avrei passato il periodo del diploma doppiamente stressata, per colpa sua e della vagonata di cose che mi è toccato ripassare.
Si, sono entrata in paranoia. Questi momenti mi fanno uscire pazza!

Non perché mi vengano crisi isteriche, pianti o altre inutili manifestazioni di stress che servono solo a sfiancarti, no.
Io mi metto lì, ad una cazzo di scrivania e studio, continuamente.
Giorno, notte, pomeriggio, sera, lunedì come venerdì, sabato, o anche domenica.
Poco importa che ore siano, se sia ora di pranzo, se ora di cena, di letto, se sono le tre di notte.
Anzi, non mi accorgo di avere fame, non mi accorgo che sto per farmi sotto, non mi accorgo che sono stanca finché non mi addormento sui libri.
Sono così ossessivo compulsiva che chiunque mi conosca o viva a stretto contatto con me finisce per spaventarsi.
Tra l’altro, qualche settimana fa, mentre io ero tappata in camera mia come al solito, alla mamma sono venute le doglie e siamo dovuti correre tutti in ospedale.
Io e papà abbiamo aspettato fuori un bel pezzo, lui emozionato e allo stesso tempo ansioso, io dolorante perché la testa mi pulsava terribilmente e avevo un gran bisogno di dormire, cosa che non ho fatto bene per giorni.
Poi finalmente ecco l’infermiera arrivare col nostro piccolo Franz che singhiozzava a più riprese.
Mio padre stava per mettersi a piangere, io guardavo il neonato piuttosto incuriosita ma ammetto che non sono riuscita a volergli bene subito.
Insomma...era piccolo, e rosa e raggrinzito...
Si lo so, è la scusa di tutti i bambini piccoli; quando vedono per la prima volta il nuovo nato, esclamano con voce ingenua e innocente un “ma papà, come è brutto/a il/la fratellino/sorellina”, ma loro alla fine non si sentono in colpa per aver pensato quello che ho pensato io.
Poi quando è arrivato in casa la nostra vita è cambiata.
Mamma, nonostante fosse ancora un po’ provata, si affannava appresso alla creatura, papà che temeva per mamma si era fatto ancora più ansioso oltre che assonnato per le notti passate insonni.
E poi naturalmente c’ero io, che dovevo studiare, che per questo venivo lasciata in pace, peccato che fossi anche io vittima degli strilli del neonato.
Tra l’altro Franz non è affatto un bambino tranquillo. Anzi, diciamolo, è un gran rompicoglioni per essere un esserino che pesa tre chili e mezzo.
Inutile dire che ad un certo punto ho affrontato il discorso in famiglia, dicendo che non riuscivo a concentrarmi con Franz che faceva casino in casa, non riuscivo nemmeno a dormire e quindi avevo continuamente sonno; insomma mi stavo affossando e in più l’esame si avvicinava sempre di più.
All’inizio mia madre mi voleva vicino a loro per mantenere il nucleo familiare o cazzate simili ma alla fine ha ceduto e come al solito ho chiesto ospitalità a Mike-biondo-platino.
Di male in peggio.
Si faceva un tale casino da loro e c’erano talmente tante distrazioni che davvero non riuscivo a concentrarmi, la mia ansia e la mia insofferenza aumentavano sempre di più.
Poi alcuni dei ragazzi cercarono di prendere la palla al balzo chiedendomi di aiutarli nel ripasso e io come al solito mi offrii tutta carina e disponibile.
Non l’avessi mai fatto!
Alcuni non erano assolutamente portati per lo studio! Avrebbero fatto meglio a darsi all’ippica!
E invece dovevano prendere quel maledetto diploma e quindi mi rompevano le palle perché spiegassi per poi distrarsi, non capire niente, ripetere a pappagallo.
Poi invece c’erano Al e Dirnt più un paio di altri con cui era più facile ripassare.
Non che fossero degli scienziati anche se in effetti Al aveva davvero una buona testa per lo studio e anche una base di cultura generale migliore degli altri.
Mike-biondo-platino invece aveva parecchie carenze ma afferrava al volo, faceva collegamenti che alle volte mi stupivano e alla fine mi sono convinta che, quel benedetto diploma, lo avrebbe preso lo stesso, pur non avendo mai studiato molto. E in effetti così è andata, se l’è conquistato anche se faticosamente e con appena la sufficienza.
Alla fine ho dovuto chiedere asilo ad un certo Bob, amico di Juls, e ad un certo punto anche il mio ragazzo si è trasferito con noi.
Era un piccolo appartamento di proprietà di Bob che lui aveva condiviso con un ragazzo straniero che appena qualche mese fa si era ritrasferito dalla famiglia in Messico, e lo aveva mollato senza nemmeno pagargli l’affito.
Fossi in lui gli avrei fatto causa o qualcosa del genere, fatto sta che Bob ne parlava tranquillamente e sosteneva che se fosse tornato gli avrebbe fatto pagare gli arretrati, a quel figlio di puttana,  altrimenti era comunque un povero diavolo e non valeva la pena rincorrerlo per mezza America per un mese di affitto.
Mi sono anche offerta di pagargli quelle due settimane e mezzo che mi mancavano prima del fatidico giorno del diploma ma lui ha rifiutato dicendo che era solo un piacere ospitare Juls e compagni.
Che dire? Alla fine mi sono limitata a comprare una bella torta al cioccolato e un po’ di birra e succo di pera per festeggiare il primo week-end di pace.
Ho spiegato ai ragazzi della squatter che non era cattiveria o cosa, ma davvero non riuscivo a concentrarmi, era davvero stressante e credo che abbiano capito tutto tranne il perché della mia ansia patologica. Ma quello me lo aspettavo, niente di nuovo sotto il sole.
Ogni tanto mi arriva qualche lettera di Jenny che mi scrive da Los Angeles.
Lì è contenta, dice che c’è molto più lavoro, una lunga lista di clienti e, alle volte è così stanca che non ha tempo né voglia di fare niente, solo di sbracarsi su un divano, un letto, un cuscino, insomma qualcosa di morbido e crollare nel sonno.
La cosa che mi sembra assurda è che quando le chiedo di raccontarmi un po’ della città sostiene di non averla mai girata! Cristo santo! Sono praticamente tre mesi che sta lì! Perché non si guarda intorno!?

Mi toccherà trasferirmi in fretta, altrimenti quella poltrona passerà il resto dell’anno chiusa in officina fra motori, cassette degli attrezzi e taniche di olio.
Nei giorni scorsi ho finalmente ricevuto il risultato dei miei esami di ammissione all’ UCLA.
Ovviamente ho preso il massimo.
Pensavo che non ce l’avrei fatta, dovendo studiare per il diploma, a prendere il massimo anche ai test di ammissione e come al solito mi sono sottovalutata. Però è un metodo che funziona!
Quando l’ho comunicato in famiglia sono stati tutti entusiasti anche se, da come hanno reagito, praticamente se lo aspettavano.
Invece i ragazzi della squatter si sono complimentati ma non sembravano dare molto peso alla cosa.
Persino Mike-biondo-platino che in genere è abbastanza carino con me, si è limitato a sollevare la testa dal suo basso e a latrare un “brava”, non molto impressionato o entusiasta.
Billie, non ne parliamo.
Dal giorno della famosa lettera l’argomento scuola è out.
Ancora mi sembra assurdo come io abbia fatto ad essere così stupida.
Non ho avuto sentore della cosa finchè non è passata la prima settimana e mi sono accorta che il mio caro vecchio compagno di banco non si presentava a scuola da una settimana.
Ho costretto Jules ad accompagnarmi alla squatter per cantargliene quattro e ho dovuto aspettare le dieci di sera prima che rientrasse.
Quando gli ho urlato in faccia un “che cazzo stai facendo, razza di coglione, fra qualche mese abbiamo gli esami?” mi ha guardata allibito, come se avessi qualche serio problema mentale.

“Dì, ma per caso ti sei drogata?”
“Cosa?!”
“Ti hanno offerto qualcosa che assomigliasse ad una sigaretta ma era più grossa e aveva un profumino cento volte meglio?”
“Armstrong! So com’ è fatta una canna!”
“Questo spiegherebbe tutto...”
“Questo non spiega un cazzo! E non cambiare argomento!”
“Sei sicura di non aver fumato niente? Nemmeno per sbaglio?
Ti hanno offerto della birra che sapeva di strano?”

Continuava a prendermi per il culo, ogni secondo di più, con un mezzo sorriso divertito che aveva sostituito la sorpresa di poco prima.
Tra l’altro io mi rifiutavo di lasciarlo entrare in casa se prima non mi avesse dato spiegazioni.
L’ho già detto che non sopporto i coglioni?!
Ad un certo punto deve aver esaurito la pazienza con me perché ha digrignato i denti, irritato e ha sbottato:

“Cristo santo, l’ho fatto davanti a te! Davanti a te, genio!
Secondo te che cazzo ci siamo detti io e il coordinatore?!
-Oh, salve, che bella giornata vero? Un po’ nuvolosa ma certamente in settimana migliorerà, le temperature saliranno e così non si congelerà il culo ogni volta che esce di casa?!- ”
“D-davanti a me?”
“Tra l’altro questo significa che non hai ascoltato nemmeno una parola di quello che ti ho detto settimane addietro! Per di più mi hai rotto i coglioni fino allo sfinimento per quella storia; era per sport?!”
“Oddio, quella lettera...erano le dimissioni?”
“Si chiama rinuncia agli studi. Magari avessi dovuto presentare le dimissioni!
Significa che avrei avuto un cazzo di stipendio che non fosse quello di cameriere!”
“Mio Dio...”
“Adesso se vuoi gentilmente levarti dai coglioni, sai, vorrei entrare in casa mia.”

A parte la solita delicatezza con cui si è svolto il tutto la cosa mi ha molto impressionato.
Pensavo fossero tutte chiacchiere.
In fondo Billie diceva tante di quelle spacconate, e si comportava spesso da idiota patentato.
Ci ho messo un po’ a digerirlo e l’atteggiamento di Mike Edwards non mi ha molto aiutato in questo frangente.
Un paio di settimane dopo l’accaduto ormai era consolidata la notizia che Armstrong aveva lasciato la scuola. Ne avevano anche parlato per i corridoi e non pochi sguardi si erano volti a me.
Non che sembrassi molto in confidenza con lui, anche perché durante le lezioni  Billie preferiva scarabocchiare, dormicchiare, canticchiare, insomma pensare ad altro: alla fine ci parlavamo poco agli occhi del resto del mondo.
Però sicuramente ero una delle poche persone che gli rivolgevano tranquillamente la parola, quando c’era qualcosa da dire. Non avrei saputo trovare un argomento di conversazione con lui che ci buttasse in appassionate discussioni quindi meglio limitarsi a piccoli commenti o comunicazioni di servizio.
Fatto sta che Mike, ogni tanto, si accostava a me e chiedeva con finta apprensione quando avrei deciso di ritirarmi a mia volta, come il mio amichetto.
Ovviamente gli ho risposto che poteva andarsene anche a fanculo per quanto mi riguardava.
Inutile dire che questo non aveva fatto che incrementare voci, stupidi pettegolezzi e decine di occhiate che ogni tanto mi seguivano per i corridoi.
Grazie al cielo è passata anche questa.
Quante ne ho perdonate a Michael in questi mesi, compreso il suo tentativo di screditarmi agli occhi del rappresentante dell’UCLA presso il quale avevamo il colloquio, io per medicina, lui per ingegneria.
Ma il signor Wellington fortunatamente ha capito la situazione e ha  insistito perché svolgessimo i colloqui separatamente, adducendo al fatto che “si tratta di due percorsi di studio assolutamente differenti ed è necessario considerarli attentamente, in un teté a tete che sicuramente metterà più a suo agio lo studente” e bla bla bla.
Lasciando perdere quest’episodio che mi ha fatto incazzare non poco alla fine mi manca da morire: ci sarà un motivo per cui lo considero il mio migliore amico?!
E domani devo partire e non sono riuscita nemmeno a parlargli.
Magari anche stavolta sarà una cosa a lieto fine.
Prima Jenny, adesso Mike.

Virgin, you can do it.

***********************

 

I bagagli sono pronti da un pezzo.
Alla fine ho optato per due valigione belle piene, una di beni necessari, dall’abbigliamento, ad asciugamani, lenzuola, scarpe, biancheria, roba da bagno e quanto di trasferibile, l’altra per i libri e tutto il “superfluo”.
L’indomani la mamma preparerà il purè di patate; ce lo porteremo, con un po’ di pane, e ci fermeremo a mangiare da qualche parte sulla superstrada. E il pranzo è risolto. Anche perché sei ore di auto non sono poche, sperando poi di non perderci anche se papà mi ha detto che è piuttosto segnalata come destinazione.
So che stasera mi aspetterà una specie di festicciola di addio, stavolta necessariamente alla squatter, per ricordare i bei vecchi tempi, quando controllavo freneticamente che tutto fosse in ordine, pulito, preparato, aggiustato e assolutamente funzionante.
Ma più che stasera mi emoziona la pazza idea che mi è venuta in testa.

Ho deciso di andare a trovare Mike e di risolvere una volta per tutto.
Farò qualunque cosa per farmi ascoltare anche se spero di non doverci arrivare neanche.

Mi sono mossa nemmeno cinque minuti fa da casa e già intravedo Casa Edwards.
Juls dovrebbe essere da Bob o forse alla squatter a dirigere la preparazione della festa, anche se non è decisamente da lui.
Finalmente arrivo al campanello, davanti al portone di casa e busso, ma nessuno sembra rispondere.
Probabilmente anche questo è rotto, di campanello.
Sembra una malattia abbastanza comune qui a Berkley, si fatica a mantenere vivi  e funzionanti i campanelli della porta di casa.
Colgo l’occasione per affacciarmi al vetro di una finestra piuttosto bassa, sempre sulla facciata, proprio di fianco alla porta, e vedo la schiena di Mike, intento a guardare uno strano programma televisivo, forse un documentario sugli alligatori o roba del genere.

Lo chiamo, cercando di attirare la sua attenzione e lo vedo drizzare le orecchie ma ancora non si gira.
Mi avrà riconosciuta o avrà pensato che fosse la tube?
Cerco di alzare la voce e continuo a ripetere il suo nome, scandendolo quanto più possibile e muovendo le braccia, per farmi notare.
Ma, poco dopo, incontro lo sguardo atono di Mike che mi osserva indifferente come se fossi un fantasma che è passato attraverso un muro, frutto della sua immaginazione.
Mi fissa per un po’ mentre io lo incito a farmi entrare, a non fare l’idiota, ad ascoltarmi perché sto per partire e forse non ci rivedremo se non dopo molto tempo.
Non fa una piega, anzi, meglio, si piega sul tavolino di fronte al divano e afferra qualcosa.
Poi improvvisamente il volume della tube aumenta, frastornando persino me che sto lì fuori.
Era il telecomando quello. Ha alzato il volume.
Quello stronzo ha alzato il volume per non sentirmi!
Mi agito ancora di più, picchio contro il vetro, adesso più che mai sono decisa ad entrare in quella casa anche solo per tirargli il collo.

“MIKE EDWARDS, SE NON APRI QUESTA CAZZO DI PORTA GIURO CHE APPENA AVRO’ BUTTATO GIU’ QUESTA FINESTRA TI FICCHERO’ QUEL FOTTUTO TELECOMANDO NEL CULOOO!!!”

Faccio tanto casino che alla fine lo vedo avvicinarsi alla finestra con un’espressione ostile e profondamente irritata. Ma almeno mi caga, è lì a guardarmi in cagnesco.
Si limita ad aprire un’anta della finestra mantenendo bloccata l’altra e a sbuffarmi in faccia:

“Virgin, vaffanculo.”
“Non sia mai che ci vada prima di te.
Fammi entrare.”
“No, vaffanculo”
“Fammi entrare, Mike Edward.”
“Vaffanculo”
“Ma sai dire solo questo?!
E non me ne andrò finchè non mi avrai ascoltata!”
“Virgin, se non te ne vai, ti chiudo la finestra in faccia e chiamo la polizia.”

Lo guardo attonita. Sta scherzando?! È improvvisamente impazzito?!
è il mio migliore amico quello con cui sto parlando?!
Lui sembra serissimo e si mordicchia nervosamente il labbro superiore, quasi con rabbia mentre i suoi occhi fissano i miei rabbiosi, accusatori.
Non capisco di cosa mi accusi.
Adesso sono qui,  sono davanti a lui, tra un po’ gli striscio sulle scarpe, come un verme.  
Che altro dovrei fare per lui?
Perdo tutta la mia baldanza, mi affloscio come un ghiacciolo mezzo sciolto, metaforicamente parlando.
In poche parole abbasso lo sguardo e mi sento gli occhi bruciare.
Probabilmente sono rossi. Anzi riesco a vederlo nel vetro dell’anta ancora chiusa.

“Mike, tu...sei il migliore amico...tu...non dovresti fare così...!”
“beh, adesso è Armstrong il tuo migliore amico. Contenta? No? Non sono cazzi miei.
Torna pure dai tuoi migliori amici! Che stai aspettando, ancora qua?”

Mi chiude la finestra in faccia. E mi lascia fuori.
La Tv continua ad assillarmi con quell’odiosa voce elettronica che mi ronza nelle orecchie.
Vorrei gridare, vorrei rompere quel vetro, vorrei ripetergli chissà quante volte che è una stronzo, non se la merita la mia amicizia, non si merita niente da nessuno.
E io continuo a starci una merda, è questo il problema.
Dalla finestra posso vedere l’orologio da parete che segna le sei e mezza del pomeriggio.
Mezz’ora fa doveva venirmi a prendere Juls.
Ma io non voglio andare a quella stupida festa di addio.
Ne ho abbastanza di feste, riconciliazioni, ore e ore passate a sudare, preoccuparmi, scegliere le parole giuste per rimediare ai casini che sono riuscita a combinare in soli fottuti undici mesi qui a Berckley.
Voglio sparire, anzi avrei voluto rimanere a Berlino con Hana, con i miei vecchi amici che nemmeno sento più: Karoline che diceva che mi avrebbe scritto, Hans che mi prendeva in giro perché andavo nella patria del jazz e del blues e non sapevo nemmeno chi fosse Miles Davis, Erich che mi aveva promesso che sarebbe venuto a trovarmi, uno di quei giorni che fosse venuto a trovare i suoi zii a San Francisco, Franzisca che mi aveva strapregato di mandarle una bandiera americana da appendersi in camera.
 Adesso niente.
Davvero voglio andare a vivere a Los Angeles con uno sconosciuto?
Davvero posso considerare miei amici una banda di sbandati che moriranno a trent’anni di overdose oppure li stroncherà il cancro a quarant’anni se non si suicideranno a venti?
Non lo so. Non lo so cosa mi ha preso. Come cazzo ho potuto?!
Cristo Santo, magari Mike ha ragione. 
Magari sto per fare la più grande stronzata della mia vita con il suo fratellino se non l’ho già fatta con quella gentaglia.

“VIG!”

*******************

Juls mi ha raccolto lungo la strada.
Quell’uomo è davvero ottuso.
Va bene, non ero in lacrime ma sicuramente non ero un fiore.
E lui non si è accorto quasi di niente.
Mi è bastato dirgli che ero un po’ stanca perché non avevo dormito e lui ha lasciato che mi appisolassi sul sedile.
Forse lo fa per enfatizzare l’effetto sorpresa quando arriviamo, non so cosa abbia in testa, ma grazie al cielo si sta zitto e buono, guida con un blues di sottofondo alla radio.
Ovviamente non dormo anche se probabilmente è quello che crede.
Cosa farò una volta arrivata là?
Non lo so. Vorrei non averlo incontrato.
Vorrei essere in un posto sperduto, persa per quartieri di Berkley che nemmeno conosco, magari senza un cane per strada, per potermene stare lì, così, in silenzio, magari a deprimermi grazie a quel grand’uomo di Mike Edwards.
E invece non ne ho il diritto. Siamo arrivati.
Cominciano ad affollarsi intorno a me, a salutarmi, a urlarmi addosso, a cantare non so cosa.
Basta, mi sento male.
Smettetela.
BASTA, SMETTETELA.

“STOP THIS FUCKIN’ SCREMS, SHUT UP!!!*”

Incredibile. Hanno smesso.
Non tutti, ma almeno non mi sento soffocare dalle loro voci.
Li guardo e non riconosco i volti.
Mi sembra di vedere Mike che mi digrigna i denti in faccia, con quella faccia di cazzo che si ritrova, e mi dice che chiamerà la polizia.

“COM’OUN, CALL THE PIGS!
CALL THE PIGS, YOU FUCK!
CALL THE PIGS IF YOU HAVE THE BALLS!!!*”

Si, chiamali. Non ci credo.
Adesso torno là, a casa di quel verme, sfondo la porta di casa e lo picchio a sangue.
Non chiamerà la polizia perché è solo uno stronzo, forse geloso, forse così idiota da cacciarmi in quella maniera, ma più di tutte è un coniglio, un ignobile vigliacco.
Mi sento la gola bruciare, il muco che chiude il naso e sento che sto per piangere.
Non voglio piangere.
Prima riduco quel coglione ad uno zerbino da bagno e poi posso farmi tutti i pianti che voglio.
Però...prima fate smettere l’eco. Sento l’eco che ripete il mio nome.
Mein Gott, sono diventata completamente pazza?

“Virginia”
“Eh?”
“Calma ok?”
“Cosa?”

Davanti a me c’è Mike-biondo-platino che mette avanti le mani lentamente e poi mi prende per un polso. Io non reagisco. Non capisco che cazzo faccia Dirnt. Perché si muove così lentamente?
è improvvisamente diventato ritardato?
La gente comincia a sfollare mentre Pritchard mi tira verso l’interno.
Mi faccio condurre in casa, cercando di non incontrare lo sguardo di nessuno.
Se non li vedo, non mi vedono e non mi vengono incontro.
Se non mi vengono incontro, non mi urlano addosso.
Non guardate, siate ciechi per un momento e poi continuate pure a fare il cazzo che vi pare.
Mi porta in bagno, davanti al lavello.
Dio, che orrore la mia immagine allo specchio: capelli rossicci che sembrano paglia, il mio pallore mi fa schifo e nemmeno piangere aiuta a farmi mettere un po’ di colore.
Cristo, ho gli occhi rossi, mi si sta sciogliendo il trucco, sono in condizioni pietose.
Lui apre il lavandino. L’acqua scorre, poca ma scorre.

“Mike, che fai?”

Mi sciacqua la faccia, come se fossi una bambina incapace di intendere e di volere.
E la mia matita va a farsi benedire. Era verde e adesso è una grossa macchia che arriva fino alle sopracciglia. Magari potrebbe sembrare ombretto.

“Tutto bene?”
“No.”
“Fin qua ci arrivavo anche io.”
“Voglio stare sola.”
“Me ne vado?”
“Si.”
“Non vuoi proprio nessuno? Chiamo Juls?”

Nel frattempo si è allontanato, è praticamente sulla porta.
Voglio che sparisca il prima possibile e con lui tutti quelli che mi capiteranno a tiro.
Le sue parole per un attimo mi fanno riflettere.
Voglio Juls vicino a me? No, certo che no. E poi non voglio che mi veda in questo stato, per suo fratello per giunta.

“No.”

Lo vedo poco convinto.
Non me ne frega un cazzo di quello che pensi, Dirnt.
Sparisci, esci da quella porta, non costringermi a urlartelo.
E invece continua, aggiunge, dubbioso:

“Devo annullare la festa?”
“Cristo santo, si! Sparisci ok?! Tutti quanti! Mandali a casa!
Non c’è nessuna festa qui! La festeggiata è pazza, è malata, è stata ricoverata per malattie mentali!
Racconta il cazzo che ti pare, basta che vi leviate dai piedi tutti quanti!!!”

Non batte ciglio.
Chissà, probabilmente gli capita tutti i giorni di sentire una miriade di insulti che non ci fa quasi più caso.
Bene, ci mancherebbe dover chiedere scusa anche a lui.
Poi mi colpiscono quegli occhi azzurri, così pazienti e così malinconici.
Dirnt, te la sei presa?
No, forse sei triste per me. È commiserazione?
Ma basta. Sparisci.
Si ecco. Così. Non ci sei più.
Adesso posso chiudere la porta, appoggiarmici con la schiena, testa sulle ginocchia, quelle ginocchia che stringo al petto, forteforteforte...

Schiatta di morte violenta, Mike Edwards.
Mi hai rovinato l’ultimo giorno qui a Berkley.

**************

Passo per casa a prendere i bagagli.
Ho passato la notte in quel bagno, mi sono addormentata accovacciata sul pavimento.
Tanto siamo a luglio e fa caldo.
Mi sono alzata verso le cinque e mezza.
Non avevo assolutamente voglia di spiegare a tutta la squatter che cosa mi ha preso ieri sera, anche perché non lo so nemmeno io.
Sono stata una stupida.
Dovevo levarmi questo sasso dalla scarpa secoli fa:
Come ho potuto far passare cinque mesi prima di accorgermi che orami Mike aveva definitivamente chiuso con me?
E perché intestardirsi a questo punto?
Anche io ho chiuso con lui. È quello che vuole ed è quello che avrà.
Sto per partire, per farmi un futuro e lui non ne farà parte. E saranno cazzi miei.
Non si può costringere gli altri a fare tutto quello che vuoi.
Devo darci un taglio con questa mania di controllare la gente e incazzarmi quando le cose non vanno come ho previsto.  Ho sempre dato per scontato che sarebbe andato tutto a posto. Come al solito.
Me ne sono andata di soppiatto passando fra il russare generale e sono andata alla fermata dell’autobus.
Peccato che questo significava aspettare almeno un’altra ora, finché non tornavano a circolare i mezzi.
E invece niente. Stavolta un cane lo avrei gradito volentieri, munito di patente, però.
Mi sono messa sul ciglio della strada e aspettato che passasse qualcuno che andasse nella mia direzione.
Ho dovuto aspettare una mezz’oretta e finalmente è passato un tizio con una camionetta, con sopra il logo di una nota bevanda energetica.
Ho steso la mano, il pollice alzato, e ho chiesto un passaggio.
Quello si è fermato e mi ha fatto salire.
Aveva una faccia simpatica, pacioccona ed era praticamente obeso.
Non ha fatto molte domande e io mi tenevo all’erta.
Diciamo che l’autostop è roba del ventennio scorso* e quasi nessuno si fiderebbe di farlo ma stamattina non ho nessuna voglia di aspettare.
Volevo arrivare a casa, preparare i bagagli, salutare i miei e lasciarmi alle spalle questo buco.
Lo vedo per quello che è, il buco più incasinato, in culo all’America.
Ok, basta Vig, pensiamo positivo...

Alla fine ho scoperto che il camionista si chiamava Brad, aveva quattro figli, due gestivano un negozietto di alimentari che lui aveva lasciato loro.
Notevole spirito di sacrificio perché la vita di un camionista deve essere cento volte peggio di quella di due comodi proprietari di un negozio.
Gli altri due vanno ancora a scuola ma uno dei due è piuttosto portato per il disegno.
Lui sta mettendo da parte dei soldi per mandarlo ad una qualsiasi accademia in cui possano insegnargli a sfruttare il suo talento. Dice che se lo merita.
Ha parlato tranquillamente per quella mezz’ora che ci ha messo a portarmi dall’altra parte d Berkley.
Poi prima di lasciarmi scendere mi ha ringraziato.

“E di cosa? È stato bello starla ad ascoltare.
Quanto vorrei che tutti potessero parlare e ascoltare così, liberamente.”
“Quindi andrai a Los Angeles?”
“Si, la ringrazio ancora per il passaggio.”
“Sempre bello, in compagnia.”
“Arrivederci, auguri per suo figlio.”
“Anche a te.”

Che persona gentile.
Peccato che dovrò omettere il particolare dell’autostop altrimenti, maggiorenne o no, mio padre mi incatena ad una sedia pur di non farmi muovere di un millimetro.
Sono appena le sette meno un quarto e sono già in camera, a mettere in valigia le ultime cose.

Sono appena le dieci quando squilla il telefono di casa mia.
E Franz fa eco al telefono strillando anche lui, beatamente.
è meglio che mio fratello si sbrighi a crescere se vuole rimanere ancora vivo.
Dopo almeno quattro squilli sono costretta ad andare alla ricerca di un telefono e stranamente è ancora lì a trillare, al settimo squillo. Ma ancora non segna occupato?!
Alzo la cornetta e mi investe una voce più che familiare:

“Pronto, sono Juls. Vig è in casa?”
“Salutare no eh?”
“Dio, Vig! Ma che diamine è successo ieri?!”
“Niente. Ero stanca Juls, te l’ho detto.”
“Bene, d’accordo, continua pure a non dirmi niente! E sei stanca anche oggi o possiamo partire?!”
“Juls, per piacere.”
“Vengo a prenderti. Alle undici dobbiamo stare su quella cazzo di superstrada.
Hai un’ora per il resto.”
“Ok.”
“Ehi, ti amo.”

Abbasso il telefono. Ecco un’altra delle sue uscite.  Ma stai zitto.
Ufficialmente è caduta la linea.

********************

Ho salutato, strasalutato tutti, i miei ce l’hanno messa tutta per non deprimermi con quelle scenette commosse. Hanno capito che non è giornata.
E poi ho promesso che il prossimo week-end siamo di nuovo a pranzo da loro per raccontargli e per non far loro patire troppo il distacco.
Sembra che io e Juls stiamo andando a fare una gita in campagna.
Una gita che non finisce più.
Sei ore di macchina solo per arrivarci, a questo famoso prato per il picnick.

“Ehi amore.”
“Si?”
“Prima a telefono...”
“è caduta la linea.”
“Ah.”
“...”
“Ti amo.”
“Adesso non esageriamo.”
“Sei cattiva, lo sai.”
“Sono realista.”
“E attaccabrighe.
Litigheresti anche con un santo.”
“E allora preparati.”

Sarà una lunga gita in campagna.

Note

*GLOSSARIO:  STOP THIS FUCKIN’ SCREMS, SHUT UP!!! 
Piantatela con queste fottutissime urla, chiudete il becco!!!
In realtà l’espressione “shut up” è più violenta e offensiva della traduzione che vi do, ma non so se esiste una cosa del genere in italiano, sono quasi le quattro del mattino e mi rompo di pensarci su.
Quindi Amen xD

*GLOSSARIO:  COM’OUN, CALL THE PIGS!  “Forza, chiama gli sbirri!”
CALL THE PIGS, YOU FUCK! “Chiama gli sbirri, tu, brutto stronzo” (si, Wordreference mi conferma che questa è la migliore traduzione per “you fuck” )
CALL THE PIGS IF YOU HAVE THE BALLS!!! “chiama gli sbirri se hai le palle!!!”

* Il periodo d’oro dell’autostop furono i mitici anni ’70 poi, a parte per la crescita del tenore di vita, direi che sia passato di moda anche per un problema di sicurezza personale...che dite?

Angolo dell’autrice

Non so quando avrò di nuovo la connessione internet, non l’ho riletta la terza volta come faccio di solito né ho intenzione di farlo anche perché sono le cinque e quaranta e io mi sto cuocendo il cervello.
Quindi prendetelo per quello che è, quest’ultimo capitolo, difficilissimo da scrivere,forse incoerente con i personaggi ma stavolta è andata così e non penso che lo modificherò.
Anche perché devo confessare che avevo esaurito le idee e rischiavo di rovinare questa storia se continuavo così. Sapete come si dice, inutile tentare di cavar sangue dalle rape.
Ebbene guys and girls (expecially girls) devo ringraziarvi per avermi sostenuto, chi con le parole di una buona recensione, chi semplicemente dimostrando di apprezzare la mia storia segnandola nelle varie categorie che non starò a specificare.
è stato divertente all’inizio, quasi esilarante in certi momenti, mi ha riempita di soddisfazione benché sia solo una fan fiction, e adesso mi ispira molta malinconia, ‘cause this’s the last act.
Grazie mille, a tutti voi, alla prossima!

Misa


COLONNA  SONORA: Macy’s Day Parade, Good Riddance (Time of Your Life) GD (si, è per questo che sto malinconica ù.ù)

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