Love like oxygen

di x_cyanide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First sight effect ***
Capitolo 2: *** Good morning Mr.Hyde ***
Capitolo 3: *** Shall we dance? ***
Capitolo 4: *** Real ***
Capitolo 5: *** Jamkkodae ***
Capitolo 6: *** Ready or not ***
Capitolo 7: *** Forever or never ***
Capitolo 8: *** YOU ***
Capitolo 9: *** Hiatus ***



Capitolo 1
*** First sight effect ***


{ Love like oxygen }

1. First sight efect

Nota: I personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della sottoscritta.
Take out with full credits.



State attenti, diritti con la schiena e siate estremamente gentili e sorridenti a costo di sembrare dei completi babbei. –

Un uomo sulla cinquantina di anni, vestito elegantemente, camminava avanti ed indietro su un lungo tappeto in stile Hollywoodiano che si stendeva da enormi porte di legno fino ad una fine scrivania posta in centro ad un grande salone dalle lucenti piastrelle nere e le pareti di legno minuziosamente elaborato.
Dall'alto tetto pendevano grandi lampadari in stile ottocentesco dai quali irradiava una forte luce giallastra che rifletteva il bagliore della spilla portata fieramente sul petto dell'uomo; questa recitava: '
HOTEL CARL EMPEROR EMPIRE'.

Valentina, Simone, voi due avrete a carico due clienti –

Parlava con voce firme e profonda ad una fila di ragazzi e ragazze di una ventina d'anni che stavano in piedi ai lati del tappeto e lo ascoltavano attentamente.
Sembravano quasi dei soldati di
Buckingham Palace, sorridenti ed immobili.
In totale erano sei, tutti vestiti con la divisa nera e la stessa spilla rilucente che portava il loro capo.

Capito –
– Capito! – dissero Valentina e Simone, chinando leggermente il capo in avanti e dimenticando per pochi secondi l'espressione beota.

Loro due, essendo i più anziani nel lavoro seppur tra i più giovani, erano i più vicini alle porte a capo delle rispettive file di compagni. Il loro lavoro non era tanto quello di occuparsi dei clienti che sarebbero arrivati, quanto quello di tenere sott'occhio gli altri compagni ed aiutarli in momenti di possibile panico.

– Valentina – disse il capo richiamando la sua attenzione – appena arriveranno gli ospiti, puoi scegliere a chi presentarti.
– Anche tu Simone – aggiunse rivolgendosi al giovane mentre ruotava leggermente il capo.

Il rumore di porte ed il mormorio di voci ignote che provenne dall'esterno allarmò tutti i ragazzi che si misero per l'ultima volta in posizione mentre il capo si avvicinava alla porta.

Eccoli – disse sussurrando.

Le porte lussuose di legno e vetro si aprirono riflettendo la luce che immerse per qualche istante le otto persone vestite elegantemente che entravano a passo lento trascinando piccole valige.
Anche se non lo sembrava, erano sportivi; erano giunti per un'importante congresso sull'infortunistica che si sarebbe tenuta in un paio di settimane e la quale contava la presenza di più di venti Paesi del mondo.
Piccole spille riflettevano chiaramente la bandiera della Corea del Sud posta sui loro petti.

Quattro ragazze e quattro ragazzi tra la ventina e la trentina d'anni sfilavano davanti alle facce sorridenti di porcellana dei sei ragazzi che si sarebbero occupati di loro per la durata di tutto il congresso.
Scrutavano l'hotel con aria interessata e soddisfatta mentre avanzavano sul tappeto rosso, verso la lussuosa scrivania dove li attendeva il responsabile dell'hotel.

Era estate, le camere erano quasi tutte occupate ma in quel momento, non c'era alcun segno di vita, erano ormai le tre del mattino. Un silenzio quasi inquietante calò quando le ruote delle valige smisero di girare e gli ospiti smisero di parlare.

Signori, – esordì il responsabile parlando in un perfetto inglese – prima di niente vi do il benvenuto nel nostro hotel. Sono sicuro che vi troverete più che bene e che sarete più che soddisfatti della vostra scelta.
È giunto il momento di affidarvi il vostro cameriere personale, potete contare su di lui in qualsiasi momento e per qualsiasi necessità
. –
Gli ospiti, si girarono quasi incuriositi verso i sei ragazzi che avevano lasciato indietro qualche minuto fa, mentre, il responsabile prese le chiavi delle camere prenotate e le poggiò sul lucido e freddo marmo nero della scrivania.

Valentina e Simone erano i primi due a doversi presentare; dunque, ruppero le righe e si avvicinarono agli ospiti con passo deciso.
Già da prima, Valentina si era accorta di uno di loro. Un personaggio particolare, alto, dai capelli neri ed un po' spettinati, portava gli occhiali ed il suo fisico sembrava essere proprio quello di un forte atleta. Qualche minuto prima, mentre avanzava sul tappeto rosso aveva incrociato lo sguardo di Valentina ed aveva avuto difficoltà a staccarsene.
Valentina era infatti, una ragazza nella norma e abbastanza attraente, non era raro che qualche ospite si avvicinasse a lei con strane intenzioni.
In ogni caso, non era proprio il tipo di ragazza che si fa abbindolare facilmente da rilucenti gioielli, soldi o macchine sportive, sapeva restare al suo posto.

Lentamente si dirigeva verso quel ragazzo che l'aveva incuriosita particolarmente, aveva un'aria misteriosa che lo circondava e lo rendeva sicuramente più interessante degli altri ospiti.

Buona sera signore – disse chinando leggermente il capo facendo scivolare lentamente i lunghi capelli ramati – Il mio nome è Valentina e sarò la sua assistente durante la sua permanenza nell'hotel – tenendo le mani strette l'una all'altra, sfilò da un piccolo porta schede uno dei suoi biglietti da visita e lo porse con estrema delicatezza al giovane che la guardava quasi timidamente.

Ehi!, ehi tu! Scusa! – una mano gelida le toccò una spalla ed interruppe il suo discorso.
Si girò pronta a rispondere al capriccioso richiamo di una voce maschile un po' stridula; un altro giovane si era avvicinato e con un sorriso in faccia prese a parlarle;

Potresti essere anche la mia assistente?!, le altre mi fanno paura! – disse segnalando le ragazze rimanenti che, ancora in piedi vicino al tappeto, furono in grado di mantenere la quiete interiore.
Valentina sbuffò, conosceva gli orridi pensieri che in quel momento attraversavano le menti delle compagne ed ammirava la loro forza di volontà.

Senz'altro rimedio, estrasse un altro biglietto da visita e chinando il capo si presento al giovane accettando la sua richiesta, in fondo, doveva occuparsi di due ospiti e non era permesso rifiutare una richiesta di un'ospite.
Questo ragazzo, era visibilmente più giovane degli altri. Aveva i capelli rossicci, era alto quanto lei ed aveva una faccia pulita e risplendente di energia che non lasciava spazio a presunte menzogne sulla sua vera età.

Anche Simone scelse chi seguire e gli altri furono rapidamente assegnati al resto dei ragazzi che stavano ancora in fila. Una volta finita la lunga operazione di divisione dei compiti, si spostò verso il grande salone principale dal quale si aprivano come un mazzo di fiori, tre grandi scale in legno massiccio ed elaborato e riprese a parlare:

Signori, siete in compagnia della miglior squadra di assistenti specializzati in lingue e culture asiatiche, spero che il vostro soggiorno possa essere piacevole, abbiate una buona notte – concluse chinando il capo.

Valentina, che si era fermata davanti ai suoi ospiti, si girò velocemente e con il suo solito sorriso si rivolse ai due giovani:

la nostra scala è quella centrale, mentre le signorine Kim e Choi andranno a destra ed il coach Young insieme alla signora Lee a sinistra –

Gli sguardi spaesati dei due ragazzi seguivano a fatica i movimenti leggeri del braccio della loro assistente che, si era resa conto della loro difficoltà e proseguì:

non vi preoccupate, l'hotel non è così grande come può sembrare e visto che sarete nostri ospiti per due settimane, avrete modo di conoscere la struttura a memoria. –

I due seguivano attentamente il discorso e dunque, Valentina prese a salire le scale.
Il rumore dei suoi tacchi risuonava in tutta la scala e le voci che sussurravano strisciavano in tutti i corridoi.

Wah, è tardi, no hyung? – chiese il più giovane guardandosi in torno ed ammirando i diversi quadri appesi alla parete.
– Hn, già.. – rispose con voce stanca il misterioso ragazzo.

Era la prima volta che lo si sentiva parlare, Valentina era sorpresa dal tono basso della sua voce e quasi le venne da ridere; anche se lavorava a contatto con persone provenienti da tutte le parti di Asia, non aveva mai sentito un ragazzo così giovane con una voce così particolare. Gli ricordava un po' quella del suo Idol preferito.

Il lungo corridoio aveva all'incirca cento porte, le pareti in legno e una morbida moquette bianca perfettamente pulita.
Gli ospiti erano obbligati a togliere le scarpe prima di ingessare alle parti dedicate alle stanze, in questo modo, era più facile mantenere la quiete durante la notte e la pulizia della moquette. Inoltre, era un hotel nel quale, una buona parte delle visite era di asiatici, era come farli sentire a casa, decisamente una buona strategia.

I tre si fermarono finalmente davanti alla porta numero 136.
Valentina la aprì fermandosi ad un lato.

Questa è la vostra stanza – disse indicando l'interno della stanza – nel caso abbiate bisogno di qualcosa, non esitate a chiamarmi, il mio numero è scritto nei biglietti da visita che vi ho dato, vi prego di tenerli sempre con voi. –

Il più vecchio dei due, frugò nelle tasche del suo smoking e tirò fuori il biglietto, lo guardò ed alzò lo sguardo verso Valentina che si sentì correre un brivido gelido sulla schiena.
Gli occhi neri e profondi di quel ragazzo la stavano guardando direttamente e si sentiva quasi in imbarazzo., non riusciva a togliere lo sguardo e faceva fatica a non perdere la sua faccia preconfezionata.
Lo scambio di sguardi fu intenso, quasi si sentiva bruciare.

Hyung, entri? – disse il più giovane tirando la sua manica dall'interno. Gli altri de furono sorpresi al vederlo all'interno, erano così concentrati e persi nei loro occhi che non si erano accorti dei movimenti attorno a loro.

Sì – rispose con aria fredda il più vecchio.
– Bene signori, vi auguro una buona notte – disse Valentina chinando ancora una volta il capo.
Quando sentì le ciabatte del ragazzo strisciare e la porta chiudersi, alzò lo sguardo, aveva una gran voglia di riaprire quella stupida porta che li separava e guardare ancora una volta i suoi occhi, ma era cosciente di non poterlo assolutamente fare e mente si allontanava sussurrò:

Interessante .. –

Bene, questa è la fine del primo capitolo, spero di non avervi annoiato.
Naturalmente, commenti e critiche sono ben accetti.

Al prossimo capitolo!.
{ x-cyanide

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Capitolo 2
*** Good morning Mr.Hyde ***


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2. Good morning Mr.Hyde.

Nota: I personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della sottoscritta.
Take out with full credits.



Ehi, sembra tu abbia fatto colpo! –

Una voce familiare le squillò nelle orecchie e due braccia forti l'abbracciarono dalla schiena.
Valentina stava camminando lungo la sala da pranzo e si dirigeva verso lo spogliatoio quando Chris, un altro assistente, la raggiunse.

Tu dici? – rispose allora senza fermarsi e con un ghigno disegnato nel dolce viso.
– Eccome!, il signorino Son sembra essere interessato alla tua introspettiva, malefica e oscura persona!.
Visto che ritorni più tardi degli altri, devo forse dedurre che hai già affondato i denti nella carne fresca? – disse Chris ridacchiando.
– Haha!, non ancora, anzi questa volta.. – spinse con forza le due porte che portavano allo spogliatoio, prese un respiro e procedette – questa volta volta è stato lui a fregare me.. Mi ha guardata direttamente negli occhi, non so nemmeno per quanto, ma so che è bastato per farmi sentire bruciare. –

Era arrivata davanti alla porta dello spogliatoio femminile e stava con la schiena rivolta al ragazzo che la seguiva quando si fermò e si girò di scatto, sospirò:

Chris, mi accompagni a casa oggi? –

Più grande di lei di soli due anni, Chris la riteneva la sua “sorellina” e se ne prendeva buona cura.
Una volta era persino rimasto a dormire da lei, nel suo stesso letto, ma si era limitato a darle un abbraccio della buona notte; era proprio un bravo ragazzo.

Mi è sembrato di sentire la voce di una certa furbacchiona! –

La porta dello spogliatoio femminile si aprì facendo risuonare i vecchi legni e davanti ad essa comparve, già in pigiama, Janee, un'altra assistente.

Ahh, Janee, accompagnami a casa! – disse Valentina con voce sofferta.

Janee era la versione femminile di Chris, un'ottima amica della quale fidarsi ciecamente.
L'egocentrica ed eccentrica ragazza aveva la stessa età di Valentina, aveva sopportato tutte le crisi ed i litigi per i quali la sua amica era passata, persino alcuni litigi con Chris, era quasi una madre per lei.

La porta dello spogliatoio si chiuse battendo mentre Valentina veniva trascinata all'interno da Janee e Chris si sedeva di fuori, sulla moquette.

Valentina si cambiò in fretta mentre ricordava lo sguardo di Son e di nuovo i brividi le percorrevano laschian.lo sguardo perso nel nulla e Janee non poté fare a meno di notarlo, quindi esordì:

Cavolo, nonostante siano passati così tanti clienti che hanno, più o meno spudoratamente, tentato di rimorchiarti, non ti ho mai vista così persa – concluse con sguardo serio.

Valentina non sapeva spiegarsi cosa fosse successo, ricordava Jun, il giovane riccone, alto e moro dagli occhi verdi smeraldo; Franz, il tedesco stupido ma gentile; Kuro, il giapponese dai lunghi capelli raccolti in un'alta coda. Nessuno di loro e nemmeno altri le avevano fatto un effetto simile a quello provocato da Son. Eppure, erano più belli di lui, avevano sicuramente molto di più di lui..

Evidentemente, ha una marcia in più – rispose con tono quasi estraneo alla vicenda, quasi non la riguardasse

Finì di pettinarsi e prese la sua borsa mentre Janee l'aspettava appoggiata agli armadietti di legno color rosa antico.
Era impossibile non notare nei suoi occhi, un certo turbamento, una certa ansia.

Finalmente!, mi stavo per addormentare!. Vi rendete conto che sono circa le quattro e mezzo del mattino e noi alle otto dobbiamo essere di nuovo qui!? – disse Chris mentre aggrottando la fronte si prestava ad alzarsi da terra.
– E meno male che hanno chiesto la colazione alle otto!, pensa se fosse stato alle sette, sarebbe stato decisamente un suicidio!. – Janee espresse tutto il suo rancore mentre si raccoglieva i lunghi riccioli color cioccolato in un'alta coda di cavallo.

Valentina nemmeno ci pensava, camminava soltanto perché la parte ancora sveglia di sé lo comandava.
Quel giorno aveva avuto parecchio lavoro da fare, parlare in cinque lingue diverse tutto il giorno l'aveva decisamente
stancata tanto da non farle spicciare parola.
Una volta usciti dall'hotel, i tre si diressero verso il parcheggio riservato al personale.; era poco illuminato, pieno di vecchi alberi e praticamente vuoto, c'era solo la macchina di qualcuno che probabilmente si occupava della vigilanza notturna e le loro tre macchine parcheggiate sparsamente.

Allora? – disse Chris fermandosi vicino alla sua macchina che era la più vicina all'uscita – tutti da te Vale? – chiese.
– Ma io direi che è proprio il caso! – rispose felice.
– Chris, guida tu e portala a casa, io vi seguo – ordinò prontamente Janee che aveva notato la stanchezza dell'amica.

I rombi dei motori svegliarono dal suo sogno leggero il giovane Son che si alzò e d'istinto si recò quasi correndo alle finestre vicine al suo letto.
Vide e riconobbe la figura dell'assistente che veniva aiutata da un ragazzo a salire sulla sua macchina ed il suo respiro diventò quasi affannoso, si sentì ribollire il sangue.
Non capiva il perché ma quella ragazza, colei che aveva guardato direttamente negli occhi, colei che avrebbe voluto vedere appena chiusi gli occhi, lei attraeva la sua totale attenzione.
Dal primo momento nel quale l'aveva vista, aveva incrociato il suo sguardo color oro, da quel momento mentre un brivido le percorse la schiena aveva avuto la conferma che sarebbe stata un problema per lui.

Hyung-ah, la rivedrai domani, adesso vai a letto o farò fatica a dormire anche io. – Il più giovane, Kyung, si rivolse molesto, da sotto le coperte con voce rocca.
Son non prestò particolare attenzione al tono ed eseguì ciò che il maknae gli chiese, in fondo, non sapeva nemmeno perché le interessava così tanto cosa faceva o con chi stava l'assistente, nemmeno la conosceva.

Per Dio, – si ripeteva – com'è possibile?”.
S'infilò tra le morbide coperte e si chiese se quel letto fosse stato preparato da lei, il suo dolce profumo sembrava essere impregnato ovunque.
Chiuse gli occhi e si disse che doveva smettere di pensare a cose assurde, si chiedeva cosa diavolo aveva, si portò le mani alla testa e si scompigliò i capelli e riaprì gli occhi, non sopportava più rivedere la sua immagine.
Sul suo comodino c'era appoggiato il biglietto da visita di Valentina e per quanto tentasse di non rivolgervi lo sguardo, questi si posarono lentamente su quell'effimero pezzo di carta.
Son stette fermo a guardarlo fino a quando la stanchezza non lo costrinse ad abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.

Le poche ore di sonno passarono in fretta per entrambi, il sole cominciò a filtrare nell'affollata camera di Valentina.

Erano le sei e cinquantacinque e Valentina si era svegliata per casualità, riscaldata da un debole raggio di sole che entrava dalle fessure delle tapparelle socchiuse.
Il suo letto era molto grande a differenza del suo appartamento, ci viveva bene, ma si sentiva stretta, continuava a ripetersi che prima o poi lo avrebbe voluto cambiare ma il momento giusto non era ancora arrivato.
Tentò di stiracchiarsi ma si trovò bloccata tra i caldi corpi dei due amici che dormivano scompostamente al suo lato. Aveva quasi dimenticato di averli invitati e schioccando la lingua, si spinse verso il bordo del letto per potersi sedere più comodamente.
Ancora due minuti e la sveglia sarebbe suonata, “chissà se anche lui sarà già sveglio..” si chiedeva mentre stirava le gambe e muoveva lentamente i piedi.
Stava ancora pensando a lui, forse lo aveva pure sognato, non ricordava.

oddio..
– spegnete quella tortura..

La sveglia era suonata, Janee e Chris si dimenavano sul letto mentre mugugnavano cose incomprensibili.
Valentina pensava che era divertente vederli in quello stato e fece a posta a lasciar suonare di più la sveglia; appoggiò i delicati piedi sulla moquette e si alzò in piedi, anche se aveva dormito decisamente poco, si sentiva piena di energie e aveva voglia di cominciare la giornata con un sorriso.

– Chi si alza per ultimo prepara la colazione per tutti! – disse allegramente mentre apriva la finestra e tirava le lunghe tende bianche.

Mentre si lavava i denti e si guardava allo specchio, continuava a chiedersi se Son stesse facendo le stesse cose, il fatto di dover irrompere nella sua camera per portargli la colazione la rendeva nervosa, non voleva doverlo svegliare.
Si sentiva davvero una stupida, lo aveva fatto milioni di volte, farlo una volta in più o una in meno non avrebbe cambiato la sua esistenza!.
Sputò il dentifricio e si sciacquò velocemente la bocca, il suo viso aveva perso un po' di quell'ilarità con la quale si era svegliata.

Janee, cucini tu oggi? – disse Chris ancora sdraiato a pancia in giù sul morbido materasso.
I biondi capelli spettinati ed i profondi occhi blu mare erano sicuramente provocanti e sexy ma, gli occhi dolci non facevano alcun effetto su Janee che era seduta sul bordo del letto e guardava il nulla in attesa di svegliarsi del tutto.
Sentendosi disturbata, la ragazza girò il capo lentamente ed i grandi occhi neri cominciarono a scrutare malignamente Chris, sicuramente, non sarebbe stata lei a preparare la colazione.
Janee era solitamente una ragazza gentile, ma era meglio non provocare la sua ira mentre si svegliava, poteva diventare davvero cattiva e pungente come un cactus.

In tanto, Valentina aveva finito di usare il bagno e si apprestava ad aprire tutte le finestre della casa; le piaceva la luce del mattino e la fresca brezza che faceva danzare le leggere tende.

Lo stesso tipo di tende guardava Son, da più di mezz'ora.
La stanchezza non era così tanta da farlo dormire profondamente a differenza del suo hubae, anche se era piccolo quel ragazzo mangiava e dormiva molto.
Non capiva come mai i suoi occhi si fossero aperti di colpo, una leggera luce calda gli accarezzava la bianca pelle e gli faceva lacrimare gli occhi. Era riuscito a dormire forse solo due ore, eppure non si sentiva così stanco, avrebbe voluto alzarsi e andare fuori o quantomeno aprire le finestre ma, visto che Kim dormiva, non gli sembrava il caso.
Riteneva che tutti i hyung dovessero prendersi estrema cura dei propri hubae, altrimenti il favore non sarebbe stato ricambiato ed il rispetto reciproco non ci sarebbe mai potuto stare, credeva fortemente in valori del genere.
Il suo sguardo vagava per la camera, non si soffermava su niente di speciale, guardava le decorazioni, le forme, apprezzava i colori che cominciavano a splendere toccati dalla luce del sole.
Gli occhi non smettevano di lacrimare e cominciavano a bruciare, vi sfregò le mani per far passare l'ardore e quando riaprì gli occhi, il suo sguardo sfiorò il biglietto da visita che era ancora lì, sul tavolo a prendere polvere.
Subitamente gli venne in mente l'immagine del viso candido e pulito della giovane assistente, Valentina..

Ahh.. – sospirò con una mano appoggiata al petto.

Chissà se sarebbe venuta lei in persona a svegliarlo o sarebbe arrivata solo una semplice chiamata dalla segreteria.
Sentire la sua voce di mattino, il solo pensiero lo metteva in agitazione e l'immagine delle sue rosse labbra gli balzava in mente anche se tentava di mandarla via scuotendo il capo, doveva essere pazzo..

Signori, buongiorno.

La serratura scricchiolò e la porta si aprì. Son non aveva sentito nemmeno i suoi passi sul corridoio; per istinto chiuse gli occhi e si coprì in fretta e furia con le pesanti coperte facendo finta di essere profondamente addormentato.

Che diavolo sto facendo?! – sussurrò a se stesso mentre stringeva le coperte.

Anche il secondo capitolo ha raggiunto la fine.
Ho voluto introdurre i due migliori amici della protagonista con una certa calma, credo che avranno un forte ruolo nel resto della storia.
Non so se i salti di luogo e di prospettiva siano stati efficaci, ma lo spero.

Come al solito, suggerimenti e critiche sono ben accetti!.
Grazie per aver letto ed aspettato.

{ x-cyanide

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Capitolo 3
*** Shall we dance? ***


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3. Shall we dance?

Nota: I personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della sottoscritta.
Take out with full credits.

Signori, buongiorno. – la voce di Valentina echeggiò per la stanza ancora immersa nella penombra.
– Che diavolo sto facendo?! – sussurrò Son a se stesso mentre stringeva le coperte con le quali si era appena coperto.

Tentava di non farsi scoprire, non voleva far notare che fosse sveglio, ma perché?.
Era sicuro che la voce fosse quella di Valentina, e all'improvviso, uno strano istinto gli fece compiere quelle quattro mosse da bambino che vuole essere svegliato dal bacio della madre.

Ahh, michyeosseoyo!”* - disse a se stesso mentre sentiva i leggeri passi dell'assistente avvicinarsi al suo letto (o meglio, alle finestre) ed il suo cuore sussultare ad ogni uno di essi.

Signor Son, signorino Kim, sono le sette e due minuti – disse la ragazza aprendo le lunghe tende.

Mentre Son teneva ancora gli occhi chiusi e le coperte strette, il maknae cominciò a dimenarsi sul letto vicino e dopo qualche minuto si scoprì per sedersene al bordo. Si grattò gli occhi e guardò il suo compagno di stanza, ancora girato di spalle alla porta. Era strano che non fosse già sveglio, solitamente era lui quello che alle sei era già in piedi.
Scrutò ancora per qualche secondo il suo hyung e notò le sue mani che stringevano fortemente le coperte; non poteva crederci, quella ragazza stava tirando fuori dei lati di Son che Kyung non conosceva!. Soddisfatto della scoperta, ridacchio ed esordì:

Hyung-ah!, vuoi finirla di fare finta di dormire? – disse con tono divertito il piccoletto.

Son sentì un brivido attraversargli la schiena, “è forse demente?!” si chiese alterato.
Le guance diventarono rosee e non poté continuare a fingere. Sapeva di non voler aprire gli occhi poiché si sarebbe ritrovato l'assistente in camera e per un qualche motivo, a lui sconosciuto, non voleva vederla.
Nonostante tutto, dopo qualche minuto si arrese, schiuse lentamente un occhio e diede un'occhiata all'orologio poggiato sul suo comodino; erano le sette e dieci.
In quei dieci minuti, il maknae era già andato in bagno e nonostante si fosse appena svegliato, stava già disturbando la giovane assistente. Saltellava allegramente e le chiedeva cosa ci fosse per colazione, come avesse dormito, il meteo e dove fosse il giornale.
Son non resistette a lungo quella situazione e si alzò pigramente.

Yah, Kyung-ah, smetti di infastidire la ragazza. – disse in coreano con voce schietta mentre si grattava la testa.

Valentina stava in piedi vicino alla porta ancora aperta e tentava di sorridere il più possibile al piccolo demonio che si trovava davanti.
Fino a quel momento non era riuscita a guardare Son o il suo letto, era semplicemente passata di fianco a lui per aprire le tende dopodiché, era stata assalita dalle domande del maknae. Appena Son parlò, la sua testa si girò di scatto e finalmente lo guardò.
Son si era seduto sul letto dandole le spalle, aveva il busto scoperto e la coperta gli copriva dal bacino in giù.
Le spalle ben delineate ed i muscoli della schiena si potevano vedere perfettamente. La pelle liscia e senza apparenti imperfezioni era colpita dalla luce che delineava delle ombre.

Diamine” pensò tra sé e sé la giovane, “diamine, diamine, diamine”.

Non riusciva a staccare gli occhi da quella schiena.
La scena sembrava essere una di quelle tipiche da drama asiatico; il ragazzo protagonista, il classico ragazzo introverso e scontroso, si siede sul letto ed assume una posa che esprime tutto il suo rancore verso la persona che lo ha svegliato. Ancora con i capelli spettinati, si scopre lasciando scivolare le coperte e mostrando il torso nudo.
Forse aveva guardato troppi drama asiatici, ma Valentina la vedeva da quel punto di vista.

Ehi, signorina! – la voce del maknae la distrasse finalmente da quello stato nel quale era immersa.
Si ritrovò gli occhi bruni del più giovane incollati alla faccia ma non perse la calma e afferrandogli le spalle lo spostò.

Signorina, guardare un ragazzo in quelle condizioni, gratis, non va mica tanto bene!. – disse Kyung puntandole un dito in contro – Hyung, credo che dovremmo cominciare a chiedere soldi ad ogni cameriera che ci viene a svegliare!. – finì ridacchiando maleficamente.

Son non rispose, si sedette compostamente sul letto e guardò le finestre aperte. Faceva decisamente caldo.
Decise finalmente di alzarsi ed infilandosi la prima maglietta che si era ritrovato vicino, si diresse verso il bagno.
Passò di lato al maknae e a Valentina, ma non diede il buongiorno a nessuno dei due.

Ahh, ah! – sospirò il maknae sedendosi su di una delle due poltrone vicine al tavolo dove sarebbe stata servita la colazione.
– Signorina, davvero, cosa c'è oggi per colazione? Ho un certo languorino!. – le disse.
– Sì, mi scusi – Valentina si affrettò a portargli il menù, qualsiasi cosa avessero chiesto, gli sarebbe stata portata subitamente.
– Hm, credo che quattro biosce vuote, del latte e del caffè vadano più che bene – le disse il maknae dopo qualche minuto che guardava il menu. – spero possa bastare, ho veramente tanta fame! Hah! – aggiunse notando il silenzio che si era creato. Chiuse il menù e lo consegnò all'assistente. Avrebbe voluto spiegarle perché il suo Hyung si comportava in quel modo, e sentiva quasi il bisogno di chiederle scusa per il suo atteggiamento ma si rese conto che sarebbe stato un errore e lasciò perdere.
– Immagino che abbia già chiesto anche per il signor Son ma, nel caso avesse bisogno di qualcos'altro, può contattarmi e mi occuperò che vi sia portato – disse Valentina.

Una volta finito di annotare ciò che il signorino Kim le aveva ordinato, prese il secondo menu che aveva appoggiato dall'altra parte del tavolo. La poltrona che sarebbe stata da lì a poco occupata da Son era tappezzata di un color mogano che le dava una certa tristezza. Si sentiva in colpa, seppur non avesse fatto niente.
Si avvicinò all'uscita e sorridendo, si chinò per salutare il più giovane che le rispose sorridendo e scuotendo animatamente la mano.

A più tardi – gli disse in fine chiudendo la porta.

Intanto, Son si era spogliato ed era entrato nella grande vasca di marmo bianco.
In realtà, non aveva intenzioni di farsi un bagno, ma appena entrato nella stanza notò la vasca e decise che per sbollire la rabbia sarebbe stato utile farne buon uso.

Hah, che rabbia poi.. – disse a bassa voce guardando il vuoto.

Non riusciva a capire cosa stesse realmente succedendo.
Era arrivato in quel Paese per starci per due settimane, in un hotel di lusso con ottimi compagni di viaggio.
Doveva divertirsi e pensare al lavoro, non ritrovarsi arrabbiato senza alcun perché e pure di buon mattino.
Cosa era andato storto? Perché si sentiva così turbato?.
Chiuse gli occhi e appoggiò la testa contro uno dei cuscini al bordo della vasca. L'acqua, ancora calda, gli coprì le spalle facendolo rabbrividire.
Le prime immagini che gli vennero in mente furono le ultime che aveva visto prima di entrare in bagno. Un'assistente dai capelli ramati e dagli occhi color oro stava in piedi, davanti alla porta della sua camera insieme al suo maknae.
Aveva notato lo sguardo dell'assistente, era leggermente malinconico, era strano.

Hyung-ah, stai bene? – La voce del maknae si sparse per tutta la sala da bagno.

Son aprì lentamente gli occhi e sedendosi nella vasca rispose con tono monotono – Sì, sto bene. Hai già ordinato la colazione?. – chiese in fine.
– Sì, è appena arrivata – rispose Kyung che si era appoggiato alla porta del bagno.
– Hn, sarò fuori tra cinque minuti, se vuoi, inizia pure a mangiare – rispose Son.

Il corridoio che portava alla cucina del hotel era particolarmente affollato, alcuni camerieri si affrettavano a portare le colazioni in sala pranzo, altri usavano l'ascensore per portarle ai piani superiori ed altri ancora le portavano in terrazzo.
Valentina doveva camminare in mezzo ai suoi colleghi e doveva sempre prestare una certa attenzione.
Quando era appena entrata a lavorare in quel hotel, le era capitato due o tre volte, di inciampare involontariamente e rovinare un pasto costoso costringendo cuochi e camerieri a ricominciare da capo.

Vale, vale!. – la voce di Janee la raggiunse e la fece voltare di scatto.

L'amica le veniva in contro con una certa espressione di disperazione che le fece aggrottare la fronte ed alzare comicamente un sopracciglio.

Senti, stanno per arrivare dei nuovi ospiti ma io ho concordato con i coreani che sarei andata a svegliarli tra cinque minuti!. Potresti per favore occuparti tu di loro?! Ti prego!. – le chiese l'amica stringendole nervosamente le candide mani.

Valentina non esitò e la rassicurò, in fondo, fino alle dieci lei non sarebbe stata impegnata ed erano appena le otto.

A differenza degli affollati corridoi della sala principale del hotel, la camera di Son e Kim era immersa nel silenzio.
La luce, tiepida e leggermente colorata di arancio, dava la sensazione di un certo calore, una certa tranquillità quasi surreale.
Kim Kyung, dopo aver fatto colazione si era sdraiato a pancia in giù sul suo letto, ancora sfatto.
– Hyung, sono appena le otto, cosa facciamo fino alle dieci? – chiese il maknae facendo dell'aegyo* random e spezzando il silenzio.
– Non hai dei documenti da riguardare? Dopodomani abbiamo la conferenza e non possiamo sbagliare nulla, non è forse il caso che ripassi il discorso?. – rispose Son che stava ancora seduto al tavolo leggendo il giornale e sorseggiando del caffè.
– Hn, forse hai ragione – rispose Kyung con sguardo vuoto.

Si era improvvisamente sentito stanco, o più che stanco, annoiato.
Appoggiò i gomiti sul morbido materasso e si portò le mani al mento, sostenendolo. Guardò ancora una volta la poltrona color mogano e chi vi si era seduto sopra, il suo Hyung.
Lo conosceva ormai da tre anni, non che fossero tanti, però gli erano bastati per entrare nelle sue grazie e conoscerlo meglio. Molti gli avevano già detto, quanto fosse strano il fatto che lo avesse preso con sé e se ne stesse prendendo cura, dopotutto, Son era una persona molto fredda e riservata nonostante la giovane età.
In ogni caso, il fatto che lo avesse preso in considerazione, voleva dire che aveva qualcosa di diverso o di speciale in confronto agli altri hubae del corso di arrampicata, o almeno era questo che credeva.
In quei tre anni, la sua ammirazione verso Son era cresciuta in modo indescrivibile, il fatto di vederlo arrampicare a mani nude lo faceva un po' preoccupare ed un po' eccitare. Vederlo sforzarsi al massimo per poi arrivare alla cima della roccia prefissata gli provocava un certo piacere.
Era strano vederlo sorridere, Son si era presentato già dall'inizio come se fosse stato una pietra miliare, una persona estremamente schietta e dal sorriso difficile. Però, ogni volta che riusciva a raggiungere una cima, un suo obiettivo, il suo sorriso si sprigionava, estasiando il piccolo Hubae.
Kyung scosse la testa un paio di volte per risvegliarsi dai suoi flashback e si riconcentrò sulla figura di Son, seduto sulla poltrona.
Le sue braccia erano più magre di quello che ci si può aspettare da uno scalatore, ma aveva dei muscoli delineati e delle ossa molto grosse. Le linee delle gambe, del mento, del naso, qualsiasi cosa sembrava perfetto al maknae.
Si soffermò sul viso e nonostante il suo sguardo fosse intenso, Son non lo sentì. Ignaro dei pensieri che il suo Hubae stava elaborando, si portò la tazza di caffè alle labbra per sorseggiare ancora quel poco di caffè che rimaneva nella bianca tazza.
Kyung vide le labbra di Son macchiarsi di caffè ed un brivido gli percorse la schiena. Era visibilmente eccitato.
Avrebbe voluto alzarsi e senza troppi problemi, sedersi su di lui per poterlo baciare intensamente. Chissà quante volte aveva già fatto quel sogno..

Kyung, pensi di prendere in mano il discorso o cosa?. Hai sentito quello che ti ho suggerito di fare?. – gli disse Son, ancora senza guardarlo.

Kyung arrossì di colpo, la voce bassa del suo Hyung lo aveva colpito proprio sul più bello del suo sogno ad occhi aperti.

Ah, ha.. sì, adesso vado a prenderlo – gli rispose senza guardarlo e rotolando letteralmente giù dal letto.



* “ah, è da pazzi!” ▬ ho preferito lasciarla in coreano perché, detta da un coreano può suonare decisamente bene.
*espressione carina ▬ l'aegyo è il tipico comportamento - talvolta estremo e stupido - che alcuni giovani ragazzi, ma sopratutto ragazze, usano per attirare l'attenzione.

Fine del terzo capitolo!.
Chiedo infinite scuse per averci messo così tanto a postarlo ma, l'ispirazione ed il tempo sono stati miei fatali nemici.

Come al solito, suggerimenti e critiche sono ben accetti!.
Grazie per aver letto ed aspettato.
Al prossimo capitolo.

{ x-cyanide

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Capitolo 4
*** Real ***


{ Love like oxygen }

3. Real

Nota: I personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della sottoscritta.
Take out with full credits.

Kyung, pensi di prendere in mano il discorso o cosa?. Hai sentito quello che ti ho suggerito di fare?. – la voce di Son eccheggiava nella stanza e Kyung arrossì di colpo.
– Ah, ha.. sì, adesso vado a prenderlo – gli rispose mentre rotolava giù dal suo letto.

Appena toccato terra, si alzò in fretta e si diresse verso il suo armadio. Le grandi e larghe porte lignee color mogano si lamentarono ma rimasero aperte e gli permisero di nascondersi.
Appoggiò le mani al bordo di un ripiano e abbassò la testa scuotendola leggermente in segno di disappunto.
"Come ho fatto a pensare una cosa del genere", si chiedeva.
Davanti a se, un piccolo zaino nero vuoto penzolava, doveva prendere la sua chiave USB e andarsene in fretta.

-- Hyung, allora vado di sotto a stamparlo, secondo te mi faranno pagare? -- chiese cercando di sembrare il più naturale possibile.
-- No, non credo. In caso, chiama l'assistente, deve servire pure a qualche cosa, no?. -- rispose freddo il più grande, senza nemmeno alzare lo sguardo dal giornale che stava leggendo.

"Deve pur servire a qualcos'altro oltre che a rovinarmi le "vacanze"", pensò scocciato, Son.
Era ancora turbato dal suo stesso comportamento, non poteva essere così stupido e bambino davanti ad una persona di servizio come quella, aveva una reputazione da mantenere.
Chiuse il giornale e lo buttò sul tavolino ancora pieno di rimasugli della colazione.

-- Ah, odio tutto questo – si alzò in piedi lentamente e prese a mettere a posto i diversi piatti di porcellana bianca, un pò di salviette che il maknae aveva sparso sul tavolo ed in fine ragruppò tutto ad un lato del tavolo.

Davvero schizzinoso come uomo, almeno, è così che lo definivano.
Non è che volesse sembrare schizzinoso, semplicemente non sopportava il disordine.
Guardò ancora una volta il tavolo e vi ringhiò contro, quasi come se il tavolo avesse una qualche colpa. Sì grattò la testa e si mise davanti allo specchio più grande che c'era in camera.

-- Se qualcuno mi vedesse in questo stato, di sicuro non penserebbe che sono schizzinoso – disse a bassa voce tentando di mettersi a posto alcuni ciuffi di capelli neri.

Non ci aveva pensato, ma effettivamente, qualcuno a lui poco conosciuto lo aveva visto in quello stato, e nemmeno tanto tempo fa, giusto questa mattina, appena svegliato.
"Valentina". Il nome gli balenò in mente e brutalmente scostò lo sguardo dallo specchio, non voleva vedersi arrossire, avrebbe dovuto riconoscere il fatto di essere stupido e talvolta infantile.

-- Ha, io infantile, giusto.. ma che sto pensando? -- disse abbassando lo sguardo.
-- Forse dovrei portare via un pò di queste cose, avete finito la colazione, giusto? --

Valentina era entrata in camera senza bussare, la porta era semichiusa e pensava che i due fossero già andati via.
Sentirlo parlare da solo le aveva provocato una certa risatina che faceva fatica a controllare.
Chi l'avrebbe mai detto che il coreano dallo sguardo killer e dalle poche parole, parlasse da solo davanti agli specchi!.

-- Ah? -- Son non riconnobbe subito la sua voce, ma appena si rese conto che lei era nella stanza, alzò di scatto la testa e gridò – Yah!, non dovresti bussare alle porte dei clienti prima di irrompere nelle loro stanze!? -- era visibilmente irritato ed i suoi occhi, che fino a quel momento erano sembrati di giaccio, stavano mostrando un'espressione tra il turbato e l'arrabiato.

Valentina non sapeva se esserne soddisfatta o terrorizzata, così, si chinò e chiese più volte scusa. Effettivamente, era stato un suo errore entrare nella stanza senza bussare.

-- Mi dispiace, pensavo non ci fosse più nessuno – disse ancora con il capo chinato.
-- Diavolo – Son fece una pausa, si portò le mani alla vita e continuò con una certa arroganza – Porta via quele robe e assicurati che questo non capiti più, se non sei in grado di compiere il tuo lavoro in modo responsabile forse dovresti lasciarlo. Cambiare assistente per noi non è un problema. -- concluse.

Le fredde parole furono come un pugno in piena faccia per la ragazza.
Pensava di aver acquisito una certa complicità con Son, eppure in quel momento, lui le aveva dimostrato come stessero le cose in realtà, l'aveva riportata al mondo reale, dove i suoi clienti sono clienti e non persone con le quali prendersi confidenze.
Non poteva stare in quella stanza ancora per molto, Son l'avrebbe sgridata di nuovo e non l'avrebbe sicuramente sopportato.

-- Sì, Le chiedo perdono, mi assicurerò che tutto questo non capiti mai più – disse – mai più.. -- ripetè a voce bassa mentre, con lo sguardo perso nel vuoto, cominciava a sparecchiare il tavolo.

-- Scusi, avrei bisogno di fare una stampa! --

Kyung era in reception, aveva il solito sguardo acceso e il modo di fare di un dodicenne, ma in realtà, i suoi pensieri erano tutt'altro che gioiosi e leggadri.
Certo, "chiamare l'assistente", cosa gli sarebbe costato vederla?, forse qualche piccolo accenno di mal di testa?.
Ogni volta che la vedeva, il sangue gli ribolliva. Gli era difficile credere che una persona come lei, una sconosciuta, una di servizio, potesse anche solo vagamente interessare a Son.
Sin dall'inizio, Kyung era stato in grado di sbaragliare tutte le "concorrenti"; chi con una qualche bugia e chi con le minaccie. Adesso doveva occuparsi di lei, Valentina.

-- Signorino Kyung, ha bisogno di qualcosa? -- il maknae si voltò di scatto e sussurrò – parli del diavolo.. --

Passando dalla reception, Valentina aveva notato il maknae che aspettava annoiato.

-- Hei, Nuna! -- le urlò aprendo le braccia e delineando un perfetto finto sorriso sulla sua giovane faccia – avrei bisogno di stampare il discorso per la conferenza. Sai, sono stato rimproverato dal Hyung per non averlo fatto prima e per aver gironzolato per tutta la mattina senza fare niente!. --

"Beh, "tutta la mattina"" – pensò Valentina tra se e se.
In fondo erano solo le nove e mezza e se non errava, il loro congresso sarebbe stato tra quasi una settimana.

Guardò Kyung e porgendogli il palmo di una mano gli disse – mi dia pure la chiavetta, mi occuperò di stamparlo e glielo consegnerò prima della riunione di oggi --
-- Yeh!, grande! -- le rispose Kyung abbracciandola improvvisamente e lasciandola perprlessa si allontanò.

"Certo che.." pensò Valentina.
Qualche minuto prima, Son le aveva urlato che doveva essere professionale e non prendersi confidenze e adesso, il Maknae la abbracciava senza un buon motivo.
Scuotendo la testa passò dall'altra parte della scrivania e si occupò di stampare ciò che le era stato chiesto.

-- Hyung! --
Kyung era tornato in camera, Son stava finendo di vestirsi, era di spalle al più piccolo e non rispose.
Incuriosito, il maknae si avvicinò piano e si sedette su uno dei letti, aspettando che si girasse.

-- Hai stampato quello che dovevi? -- chiese schietto il più grande.
-- L'ho lasciato tutto in mano a Vale, ha promesso che me lo porteà prima dell'incontro – rispose il più piccolo stiracchiandosi e sorridendo.
Sapeva che anche solo pronunciare il suo nome poteva farlo reagire in un modo diverso da solito e aspettava con una certa ansia che si girasse, per poter vedere che razza di espressione gli si fosse dipinta sul volto questa volta.
-- Ok – Son si girò di scatto e s'infilò una felpa un pò stroppicciata che aveva trovato vicino al letto.
A differenza di quanto si aspettava il Maknae, Son non cambiò espressione, anzi, sembrava essere tornato il solito uomo freddo che sorride a malincuore e fintamente.
-- Hyung, è tutto ok? -- chiese dunque il più piccolo, sospettando che qualcosa fosse cambiato dal momento che non mostrava alcuna espressione al sentire il nome della rossa.
-- Certo. Esco a correre, ci vediamo più tardi – rispose Son poggiando una mano sul capo del più piccolo e scombinandogli i corti capelli.
Uscì dalla stanza camminando lentamente e senza dire altro, mentre il Maknae era di spalle e guardava fuori dalla finestra prossima al letto. Doveva essere successo sicuramente qualcosa, Son non faceva mai quei gesti nei confronti di Kyung; mai e poi mai avrebbe scompigliato i capelli al più piccolo e non perché ciò provocasse fastidio ma bensì, perché riteneva che il contatto fisico fosse un qualcosa da evitare, in tutte le sue varianti.

La situazione non cambiò nei giorni a seguire anzi, Son era sempre più freddo nei confronti dell'assistente.
La evitava in ogni modo e se le doveva parlare, il tono della sua voce era sempre rigido e le sue parole affilate come lame pronte a squarciare ogni cosa.
Nei suoi occhi, quasi sempre si poteva riscontrare un certo vuoto e talvolta un'estrema concentrazione: ma quando si trattava di parlare con l'assistente, vederla o anche solo incrociarla per i lunghi corridoi dell'hotel, i suoi occhi assumevano un'aria incattivita, come se ci fosse stato qualcosa che lo avesse portato all'estremo della sopportazione.
Il maknae notava tutto ciò, ma non era sicuro su cosa fosse successo e preferì dunque, lasciare da parte le domande ed aprofittare del momento di rottura tra i due.
Quasi, quasi, preferiva che il suo Hyung fosse interessato a lei poiché sapeva, che chi si odia si ama e l'odio è come la gelosia, risveglia ogni sentimento, ogni desiderio.
Non era sicuro di come sarebbe finita, ma per il momento, aveva optato per tenersi da parte ed osservare ancora per un pò. Mancavano solo tre giorni alla conferenza ed in quei tre giorni, si sarebbero dovuti ritrovare più volte per rivedere il discorso e la traduzione, sarebbe stato davvero uno spettacolo per gli occhi del più piccolo che non aspettava altro che vedere il suo Hyung rifiutare e trattare in modo dispregiativo l'assistente.

-- Signor Son.. – Valentina battè sulla porta della stanza prima di entrare, lo fece ogni volta dopo la loro "litigata".
Non era sicura che potesse chiamarsi tale, ma in effetti, lui aveva alzato il tono di voce e lei non voleva risentirlo in quel modo.
Pensò che fosse strano che l'avesse chiamata in camera in notte inoltrata, non era mai capitato prima di quel momento. Cominciò a pensare che forse voleva soltanto una mano con il discorso ma poi l'idea fu prontamente rimpiazzata dal ricordo che, in camera, insieme a lui, si trovava il Maknae che sicuramente se ne intendeva di più dell'argomento affrontato.
La porta si aprì lentamente mentre un Son assonnato si affacciava vestito con una tuta larga ed i capelli scompigliati.
Erano le due del mattino e continuava a smanettare al compiuter, ritoccando qua e là il discorso.

-- Aveva bisogno di me? -- chiese la giovane indietreggiando di qualche passo vedendolo ancora in tuta.
-- No, in realtà è Kyung ad averne bisogno – si appoggiò allo stipite della porta e la scostò lentamente facendo poi, scivolare il braccio e lasciandolo cadere pesantemente sul fianco.

Si notava che aveva lavorato duro fino a quel momento; le occhiaie solcavano il viso dai tratti marcati, le labbra secche facevano intendere che era abbastanza disidratato e le guancie leggermente incavate le ricordarono che nelle ultime due cene non aveva mangiato un granché. Essì che il suo amico Chris si era impegnato nel preparare i migliori menu di cucina coreana, solo per loro..
Comunque, non aspettò oltre e si addentrò nella buia stanza, illuminata solo dal monitor del portatile che riempiva la stanza con il rumore fastidioso della ventola.
Kyung era sdraiato sul letto ed aveva una pezza in fronte; non era difficile inturie che cosa avesse.
Valentina si decise ad avvicinarsi al letto del maknae, si accovacciò e gli sussurrò per svegliarlo: "Signorino, mi sente?".
Il più giovane si mosse appena, mugugnando qualcosa di incomprensibile e con gli occhi chiusi.

-- Signorino, chiamo il medico, aspetti ancora un'attimo – disse finalmente l'assistente rialzandosi in piedi e camminando verso il centro della stanza.

In tanto, Son si era riseduto al compiuter e continuava a scrivere e cancellare parti del suo discorso.
Valentina si sentì quasi infastidita da quel menefreghismo; è vero, Son si era probabilmente occupato di cambiare la pezza per mantenere fresca la fronte del più piccolo, ma non poteva comunque credere che si rimettesse subito al lavoro, senza nemmeno chiedere cosa potesse o meno avere il maknae. La odiava a tal punto da non rivolgerle la parola nemmeno in queste situazioni?. Eppure l'aveva chimata, questo voleva dire che si fidava ancora?.
Prese in mano il telefono della stanza e digitò velocemente il numero del dottore, sperava di trovarlo sveglio, altrimenti sapeva che avrebbe opposto una certa resistenza ad uscire di casa, in fondo, chi è felice di essere svegliato alle due di mattina?, per poi dover pure abbandonare il proprio letto.
Quando ebbe finito la telefonata, l'assistente si avvicino ancora una volta al letto di Kyung per vedere in quale stato fosse. Non poteva dirsi preoccupata, però di certo le condizioni del giovane non sarebbero state ottime per il giorno della conferenza e ciò poteva recare un qualche disturbo generale al team coreano.
Il maknae non aveva grandi parti del discorso da recitare, ma se non fosse stato in grado di presentarsi, Son avrebbe dovuto prendere il doppio della mole di lavoro e questo, più che qualche altro particolare, era quello che preoccupava a Valentina.
Per quanto odiasse il modo schietto e maleducato che Son aveva assunto dopo la loro "litigata", Valentina continuava a preoccuparsi per lui e la sua salute. Era facile notare quanto fosse stressato e spossato da quel faticoso lavoro.

Il silenzio domniava nella stanza, si potevano sentire bene i respiri affannosi del più piccolo e ancora quella stramaledetta ventola del portatile.
Né Valentina, né Son spicciarono parola per i quindici minuti che passarono prima che il dottore arrivasse.
Il dottore era un vecchio di una settantina d'anni, sembrava uno di quei medici ottocenteschi e portava con se una valigetta in pelle di quelle che non si vedevano quasi più in commercio.
Fu veloce nella visita ed abile a spiegare le procedure da seguire per curare il malato, sintetico e ordinato nel predisporre le ricette per i medicinale e soprattutto, molto puntiglioso sul fatto di non muoverlo dal letto per una settimana.
Questo sarebbe stato senza dubbio un grosso problema, ma Son non si lasciò prendere dal panico e, portandosi le mani al retro delle ginocchia, s'inchinò per ringraziare l'anziano che con un passo molto lento, si ritirò.
Valentina lo accompagnò e chiuse la porta augurando la buona notte e raccomandandogli di smettere di lavorare fino a così tarda notte.
Son odiava le sue premure, erano qualcosa che non desiderava.
Si sedette di nuovo alla scrivania e riprese in mano il suo discorso, aveva fatto un gesto quasi bambinesco, un pò capriccioso e appena se ne rese conto si portò le mani alla fronte.

-- Diavolo – sospirò profondamente.


Quando rialzò la testa, guardò l'orologio digitale sullo schermo che era stato riempito da parole, erano le tre e tre quarti.
Si guardò attorno e vide il maknae riposare con un respiro più regolare, forse era ora che anche lui dormisse un pò.
Spense il compiuter e prese tutte le bottigliete di integratori che aveva sul tavolo, erano una decina, forse di più.
Una volta sistemato tutto, si diresse verso il suo letto vicino alla finestra e vi s'infilò dentro. Chiudendo gli occhi non potè fare ameno di vedere, per l'ennesima volta, il viso dell'assistente.
Nonostante quel giorno l'avesse sgridata fortemente e avesse pensato che fosse stato stupido provare qualcosa per una sconosciuta, non poteva fare a meno di rivederla.
La cosa lo rendeva nervoso e spesso lo tormentava senza lasciarlo dormire. Si trattava di orgoglio, lui, Son l'uomo impassibile, l'uomo di ghiaccio, non poteva certamente perdere il suo titolo per una stupida aiutante che non sapeva nemmeno rispettare le regole comportamentali del suo stesso posto di lavoro.
Era esasperato, ancora una volta si sentiva estremamente irritato e rigirandosi nel letto, dopo qualche minuto, riuscì a calmarsi e dormire.

________________________________________________________________________________________________



Fine del quarto capitolo!.
Mi dispiace di averci messo così tanto tempo a scirverlo, ma le idee non volevano arrivare.
Poi, essendo in quinta superiore non ho molto tempo per sedermi al computer e rivedere i vecchi capitoli.
Nel prossimo capitolo spero poter spiegarvi perché Son chiama Kyung "Hubae" nonostante siano entrambi maschi.


Grazie per aver letto ~
{ x-cyanide

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Capitolo 5
*** Jamkkodae ***


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5. Jamkkodae

Nota: I personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della sottoscritta.
Take out with full credits.


– Hyung, yah, hyung! – il maknae si era svegliato prima del previsto, la sveglia non era ancora suonata e Son dormiva profondamente poiché il giorno prima era rimasto in piedi a lavorare fino a tardi.
– Hyung-aah! – era particolarmente insistente, scrollava il più grande con forza, quasi fosse impaurito.
– Aigoo, che vuoi!? – rispose Son lamentandosi con voce rocca
– p-piove! Hyung, piove! – il tono di voce era decisamente particolare, ma appena pronunciò le prime parole, Son scostò le coperte del suo letto ed aspetto che quel vuoto venisse riempito dal suo Hubae.
Nonostante fosse grandicello, Kyung aveva il terrore delle tempeste estive, il rumore dei tuoni non era mai stata una dolce melodia, e la pioggia che batteva forte sugli scuri delle finestre sembrava più minacciosa di un grande uomo armato di coltello pronto a colpire alle spalle.
Più volte, i due avevano discusso sul suo comportamento infantile, ma in fondo, Son non poteva evitare di capirlo, tutti hanno delle paure, chi più stupide, chi più ragionevoli. Sembrava davvero una cosa strana che una persona fredda come lui potesse permettere al proprio dongsaeng un comportamento del genere di fronte alla sua persona e per ripicca, prese a chiamarlo Hubae per sottolineare quanto fosse fifone e poco maschile quando si comportava in quel modo.
Mentre si rigirava nel letto tentando di lasciare abbastanza spazio per il corpo del più piccolo, Son riprendeva la sua dormiveglia, in stato semi-incosciente, ricostruiva vecchi ricordi di quando aveva appena iniziato a frequentare quel rompiscatole di Kyung.

Hyung! Questa volta ci è toccata la stessa camera, sei contento!? – La voce squillante del maknae echeggiava in tutto il lungo corridoio di un vecchio hotel a Busan.
Era stato qualche anno fa, la prima volta che viaggiavano come team di rappresentanza ad un congresso nell'isola di Busan, Kyung e Son finirono in camera insieme. All'inizio, il più grande si sentiva turbato, riusciva a ricordare chiaramente, nonostante il sonno, quanto avesse odiato quella settimana. Il suo dongsaeng era logorroico e continuava a muoversi nonostante gli ripetesse di stare fermo.
Erano entrambi seduti sui rispettivi letti, separati da qualche centimetro di moquette rossa, quando il meteo annunciò forti temporali estivi. Son non prestava grande attenzione al meteo, si asciugava i capelli scuotendo il bianco asciugamano con leggera violenza. Aveva imparato, in quei pochi giorni di convivenza, che se c'era qualcosa che il maknae non sapeva fare, era stare zitto. Eppure, in quel momento si era ammutolito, nessuna stupida battuta usciva dalla sua bocca, nemmeno un leggero soffio d'aria. Quando Son gli rivolse lo sguardo, lo vide fissare lo schermo sbigottito e quasi impaurito, le rosee labbra leggermente divaricate e le spalle completamente incurvate.
Il più grande non capiva cosa ci fosse di così shoccante nel meteo, ma non vi fu nemmeno bisogno di domande poiché il più piccolo si arricciò ancora di più ed iniziò a singhiozzare.

Yah, che stai facendo? – chiese Son con tono freddo.
Il maknae non rispose e prese a muoversi lentamente avanti ed indietro coprendosi le orecchie e portando le ginocchia alla faccia. Era la prima volta che Son lo vedeva in quello stato, non capiva cosa fosse successo e cominciava a spaventarsi davanti alla reazione del più piccolo.
– Ehi, smettila, smettila – si alzò di scatto e si avvicinò con fare paterno tentando di riportarlo ad una posizione normale, lo scostò con leggera forza mentre gli sussurrava all'orecchio, era l'unica cosa che poteva fare. Sapeva perfettamente di non trovarsi davanti ad un malato mentale oppure ad una donnina in preda ai fastidi mensili, ma non sapeva cos'altro fare e così, lo strinse in un caldo abbraccio. Le lacrime del più piccolo gli bagnarono la maglietta appena messa e nonostante la situazione, quasi lo maledisse per ciò.
– Perché stai piangendo? – gli chiese sussurrando.
– la.. la p-p.. la p-pioggia! – rispose il maknae scoppiando in un pianto irrefrenabile che gli faceva contrarre le spalle in modo quasi spasmodico.
– Cos'ha la pioggia che non va? Porta un po' di sollievo al terreno dopo tutti questi giorni di caldo afoso, dovresti amarla. – rispose con tono quasi indifferente il più grande mentre gli accarezzava la schiena nell'intento di calmarlo.
– No! – urlò improvvisamente l'altro – io.. io – e prima che potesse concludere la frase, una grande ondata di lacrime riempì i suoi occhi ed un nodo alla gola gli fece sentire quasi di non poter respirare.
Son portò una delle sue mani al capo del più piccolo, notò con piacere che i suoi capelli erano morbidi e la spinse verso il suo petto facendola poggiare delicatamente.
Appena il maknae si rese conto dove poggiasse la sua testa, sentì perdere un battito. Continuava a piangere, ma più controllatamene.
Erano anni che nessuno si prendeva cura di lui in quel modo, nessuno restava ore ed ore inginocchiato davanti a lui stringendolo ed accarezzandolo per calmare le sue ansie.
Si sentiva quasi a disagio, ma in fondo quel tepore quasi amoroso che gli donava l'abbraccio del più grande lo faceva sentire più tranquillo. Sapeva di non doversi illudere, sapeva di non essere particolarmente caro al suo Hyung, ma in qualche modo cominciava a perdere il controllo e a lasciarsi andare tra le sue braccia. Non era in grado di abbracciarlo, di stringerlo, per paura che quelle attenzioni s'interrompessero di colpo, così si decise a sfogarsi fino in fondo.

Qualche ora più tardi, il temporale era arrivato ed i forti venti facevano risuonare porte e finestre.
Il maknae aveva pianto così tanto che si era addormentato tra le braccia del più grande. Son non esitò a portarlo di peso dentro il letto, quasi come si trattasse di una ragazza. Effettivamente, aveva dei tratti particolarmente dolci, ma infondo era giovane.
Era stanco anche lui, così, nonostante fossero soltanto le otto di sera, decise di mettersi a letto e riposare un po'.
Mentre teneva gli occhi chiusi, il rumore della pioggia battente lo faceva sentire rilassato, a differenza del maknae, lui adorava la pioggia, l'odore di umido che si respirava al mattino dopo i temporali, l'aria fresca che lasciava alle sue spalle.
Quando finalmente si era addormentato, una mano tremolante si poggiò sulla sua spalla e cominciò a scuoterlo lentamente. Con aria minacciosa si girò nel letto e aprendo gli occhi, nel completo buio della stanza, accese la lampada. Dovette sbattere un paio di volte gli occhi per abituarsi al nuovo ambiente, ma fu decisamente più veloce nel riconoscere la timida voce del maknae che lo chiamava con un filo di voce che veniva talvolta coperto dai forti rumori dei tuoni.
– H-hyung.. – lo chiamò il più piccolo strattonandolo con più forza – Hyung! – disse più forte all'impatto di un fulmine.
– Che c'è, che ti succede – disse il più grande sedendosi sul letto e grattandosi la testa molesto.
Il più piccolo stava per ricominciare a piangere e Son non sarebbe stato in grado di rimanere in piedi ancora altre tre ore a calmarlo. In un gesto quasi disperato, aprì le coperte del letto e prendendolo per un polso lo trascinò nel letto.
– Per questo dovrai ringraziarmi per il resto della tua vita, adesso calmati – gli disse seccato mentre una delle sue braccia cominciava ad avvolgerlo.
Il più piccolo si ammutolì e non fu in grado di replicare o ribellarsi alle azioni improvvise del più grande. Nonostante fosse confuso, si sentiva protetto, come prima. Decise dunque di approfittare di quel momento, di quella debolezza causata dal sonno, per rintanarsi tra le braccia del suo Hyung.
Poteva chiaramente sentire i suoi battiti, imperturbabili, regolari, mentre il suo caldo respiro gli solleticava i capelli e una delle sue mani gli accarezzava la schiena lentamente per calmarlo. Aveva tutt'altro modo di reagire alle tempeste, era come un pilastro che non si lasciava abbattere nemmeno dalle peggiori catastrofi, sia davanti a questo piccolo evento, sia davanti a cose ben più gravi.
Quella sensazione di sicurezza era davvero piacevole, tanto che il maknae desiderò per la prima volta, che quella pioggia sempre minacciosa, non smettesse di abbattersi con violenza sull'isola.

Il giorno dopo, il bagliore del mattino filtrò attraverso alcune fessure della finestra svegliandolo.
Son aveva il sonno particolarmente pesante, l'unico modo per svegliarlo era l'assordante rumore della sveglia oppure una forte scossa. Ricordare questi particolari gli fece arricciare le labbra. Ancora un po' intorpidito dalle prime luci, non osava muoversi, era in una posizione perfetta, aveva il privilegio di essere in prima fila allo spettacolo della vita, sentiva i fievoli rumori del respiro regolare del più grande, con una mano poggiata sul suo petto, ne seguiva i lenti movimenti, il mento era leggermente poggiato sulla sua testa, la pelle delle sue braccia era a contatto con quelle dell'altro e la sensazione di calore che lo avvolgeva si contrastava alla frescura mattutina che privilegiava nella stanza, come un fuoco acceso in piena notte in un bosco.
La pioggia aveva cessato, adesso i rumori del mattino si facevano più chiari e vivi; gli uccelli cinguettavano a grande voce, una leggera brezza faceva muovere le foglie degli alberi e provocavano un dolce fruscio, le prime voci cominciavano a sentirsi al di fuori della porta della camera, qualche passo pesante rimbombava qua e là.
Era una giornata decisamente diversa dalla scorsa notte.

Mhh..ah – Son aveva preso a muoversi lentamente e a fare i soliti lamenti mattutini. Kyung, indeciso sul da farsi, decise di richiudere gli occhi ed aspettare.
– Ahh, dio. – Son fece un lungo sospiro, aveva male al collo per via della posizione scomoda che aveva tenuto la sera prima. Cominciò a scostare le braccia che scivolarono a contatto con quelle del maknae e lo fecero quasi sussultare.
Si era dimenticato di non essere da solo in quel letto. – diamine, è troppo piccolo per due persone... ma che stavo pensando? – sussurrò mentre si grattava la testa.
Kyung continuava a dormire, almeno, era quello che sembrava. Intrappolava il braccio del più grande che non riusciva più a sopportare quella posizione e decise di chiamarlo.
– Kyung, Kyung-ah – gli disse con tono freddo – Kyung-ah, mi fa male il braccio, non ti dico di svegliarti ma quantomeno spostati – concluse.
Il più giovane, sentendo il tono indifferente dell'altro, decise di aspettare ad aprire gli occhi e solamente scostarsi per liberarlo dalla presa. Nonostante volesse vedere il viso del suo Hyung, non voleva che quest'ultimo avesse lo stesso sguardo indifferente e ghiacciato di sempre, preferiva aspettare che gli passasse quello che lui chiamava “l'incazzatura mattutina”. Era sempre di cattivo umore quando si svegliava, forse perché amava particolarmente dormire e lo scocciava doversi svegliare o forse perché faceva spesso incubi, non sapeva trovare la risposta giusta.
– Hyung? – tentò di sembrare un po' intorpidito, si sfregò gli occhi un paio di volte ma continuò a tenerli chiusi e tra un lamento e l'altro di Son cercava delle coperte per coprirsi la faccia, anche se gli sembrava una cosa da maniaci, voleva sbirciare mentre si dirigeva in bagno.
– Yah.. – gli rispose l'altro mentre barcollante, cercava un paio di pantaloni da rifilarsi. – presto, svegliati, dobbiamo fare colazione – concluse strisciando i piedi sulla moquette rossa e spostandosi verso la porta lignea del bagno.
Kyung aprì gli occhi in una fessura e sbirciò al di là delle bianche coperte; il suo Hyung aveva i neri capelli arricciati e scombinati, la maglietta blu con la quale dormiva sempre, un po' sollevata dalle parti, i pantaloni a righe bianche e nere un po' bassi tanto che si vedevano i bordi dei boxer di un inconfondibile verde acido.
Divertito, pensò che avesse un nemico che gli comprava l'intimo, ma nonostante tutto, apprezzava che almeno in quello fosse colorato e non soltanto nero, grigio e bianco, come tutti i suoi vestiti.
Dopo che la porta si chiuse cigolando, si girò lentamente e ritornò alla posizione nella quale si era svegliato, voleva ritrovare quel tepore, quel profumo che c'era pochi minuti prima. Afferrando uno dei cuscini, aspirò profondamente ed il profumo dello shampoo di Son gli riempì le narici, lo fece sospirare e rabbrividire allo stesso tempo.
Ci fosse stato qualcun altro, avrebbe potuto scambiarlo con una dodicenne innamorata, pensò mentre sorrideva e si arricciava nel letto.
“Innamorata”, già, più volte si era chiesto se ciò che provava nei confronti del suo Hyung fosse proprio amore.
Nonostante fosse cosciente di non essere ricambiato, non poteva fare a meno di essere interessato da quell'uomo, da quel carattere così freddo, così distaccato ed apparentemente menefreghista.
Sperava di poter scoprire, con il tempo, tutte le diverse sfaccettature della personalità di Son, ed effettivamente, quella sera, senza fare a posta era riuscito a far venir fuori quella sua parte che prova pietà, quella parte che si preoccupa quando qualcuno piange.
Anche se lui era imbarazzato, Son, quando si era svegliato, era rimasto schietto come al solito, niente sembrava fuori posto nella sua voce, non un filo d'imbarazzo o rabbia. Questo rattristò il più giovane che aggrottò leggermente le sopracciglia in un'espressione melanconica. Se il suo Hyung si fosse preso cura di lui perché riconosceva e ricambiava i suoi sentimenti, allora la sua reazione la mattina dopo che avevano condiviso un letto sarebbe stata assai diversa, per quanto potesse essere un uomo imperturbabile non poteva rimanere indifferente ad una notte abbracciato al proprio amato.
Sbuffo con forza senza rendersi conto che Son usciva dal bagno.
– Che hai? – gli chiese mentre tentava di rimettersi i pantaloni e la maglietta a posto.
– Ah, niente di che – rispose con il tono più controllato che riuscì a comporre. Si girò per finalmente guardarlo in faccia, era inutile aspettare, l'espressione dolce che si aspettava non sarebbe arrivata.
Son lo guardava con aria interrogatoria il ché lo colse di sorpresa, aveva forse qualcosa in faccia?.
– B-buongiorno – gli disse mentre si tirava su dal letto e tentava di rimettersi un po' a posto.
– Comincerò a chiamarti Hubae al posto di Dongsaeng. – gli disse mentre camminava per la stanza cercando i suoi vestiti.
Di certo, il più piccolo non se lo aspettava, e Son moriva dalla voglia di vedere la sua faccia, così, dopo aver preso una delle tante camicie bianche, si girò e con non curanza lo scrutò: era a dir poco spettacolare l'aria da rimbambito che l'altro aveva assunto, sembrava che gli avessero tirato uno schiaffo per svegliarlo.
Il maknae sbatté un paio di volte le palpebre e dopo aver analizzato la frase, si girò di scatto verso Son urlando – Perché?! – sembrava abbastanza contrariato dal tutto, tra l'arrabbiato e lo sconcertato tanto che le sue sopracciglia assunsero una strana forma, ne aggrottava una mentre l'altra era dritta, era un'espressione così buffa che quasi lo fece ridere.
Voleva evitare di perdere il suo ruolo di “persona vecchia” che gli aveva affibbiato il più piccolo, e così, si girò mentre con la solita aria indifferente gli rispose – sei un rompiscatole fifone, dunque, sei il mio Hubae –
Di sicuro, quello era stato il momento nel quale aveva deciso di chiamarlo Hubae non solo per il suo atteggiamento, ma anche per la sua espressione contrariata ogni volta che usava quel termine davanti ad altre persone.

Era finalmente riuscito ad addormentarsi, dopo quel lungo ricordo era riuscito a chiudere del tutto gli occhi ed a riposare come dovuto. Tra le sue braccia, come quella volta, il maknae cercava riparo dalla pioggia, come un gatto randagio che cerca di coprirsi durante una tempesta, il più piccolo si era arricciato ed aveva appoggiato la testa sul suo petto.
Ogni tanto, Son si chiedeva cosa avrebbe potuto pensare la gente di questa sua scelta nei confronti di Kyung, ma in fondo, il suo Hubae era l'unica persona che poteva considerare amico e l'unica persona per la quale avrebbe fatto ciò che andava fatto. Se si sentiva solo ed impaurito, allora riteneva che fosse giusto fare in modo che si sentisse protetto, non importava che fosse un maschio, era prima di tutto, una persona.



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Eccomi con il quinto capitolo.
Come promesso, ho dedicato questo capitolo al rapporto tra i due maschi della storia e al perché Son chiami "Hubae" il suo dongsaeng nonostante sia un maschio.
Devo dire che scrivere questo capitolo mi ha fatto riposare un pò prima dell'inizio del grande studio per gli esami, spero che sia all'altezza delle vostre aspettative.


Grazie per aver letto ~
{ x-cyanide



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Capitolo 6
*** Ready or not ***


{ Love like oxygen }

6. Ready or not

Nota: I personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della sottoscritta.
Take out with full credits.


La settimana prima dell'inizio della conferenza era passata in fretta, tra preparativi e notti insonni i membri del comitato coreano si erano preparati per dare il loro meglio, incluso Son.
Nel grande salone principale dell'hotel che pullulava di gente, in un angolo si trovavano i membri del team coreano, discutevano sugli ultimi preparativi e correggevano di fretta alcuni errori sui propri discorsi. L'atmosfera era particolarmente tesa, non potevano permettersi di sbagliare davanti agli ospiti.

Signor Son – Valentina si avvicinava a passo affrettato verso il suo ospite, aveva un plico di carte che sorreggeva tra le fine braccia. Con la sua solita postura rigida ed elegante, i tacchi neri e la divisa dell'hotel accompagnata dalla spilla, sembrava distinguersi tra gli altri per una certa aria estremamente professionale, era difficile vederla sorridere, non sembrava la solita assistente impacciata e sorridente.
Son la stava osservando dalla prima riunione che avevano fatto per ultimare il discorso, i lunghi capelli rossi erano stati raccolti con cura in un'alta coda, al collo portava un fazzoletto nero di seta, i lunghi orecchini che pendevano dalle sue piccole orecchie si muovevano a ritmo con il suo passo, quasi vellutato nonostante gli alti tacchi.
La sua figura slanciata era perfetta, come la prima volta che l'aveva vista.
Fece una certa fatica a concentrarsi, la scorsa notte non aveva dormito molto, e non per colpa della riunione bensì per lei.

Hyung ah, ti conviene dormire sai? – la voce del maknae echeggiò nel buio della stanza cogliendolo di sorpresa.
– E tu cosa ci fai ancora sveglio? – chiese irriverente
– Beh, dovresti saperlo che io mi agito tanto e faccio fatica a dormire prima delle conferenze.. – rispose con tono piatto il più piccolo. Sembrava quasi che sapesse cosa stesse realmente pensando ma prima che potesse ribattere, il più piccolo continuò – è probabile che non ritorneremo in questo posto per un lungo tempo, forse dovresti chiarire con la signorina Valentina – la frase gli fece perdere un battito, lo aveva veramente capito.
– Cosa ti fa pensare che io stia pensando a lei? – gli chiese tentando di sembrare il meno interessato possibile anche se, in antitesi, continuava a rigirarsi nel letto e spostare di qua e di là le coperte.
– Il fatto che tu non stia dormendo, di solito ti costringi a dormire se non hai sonno, rompi sempre le scatole con i tuoi discorsi moralisti sul quanto sia importante essere ben riposati prima di una conferenza – disse tutto d'un fiato, sperando di non ricevere un pugno per risposta.
Vi fu un vuoto per qualche minuto, nessuno dei due si muoveva o parlava, si espandevano nella stanza soltanto dei respiri affannosi, segno della rabbia del più grande.
– Al diavolo! – urlò Son prima di rigirarsi ancora una volta e tacere.
Kyung non osava rispondere, aveva già osato un po' troppo prima, reagendo in modo sconsiderato e poco educato nei confronti del suo hyung. Chiuse gli occhi, e sperò che il più grande riuscisse a rimettere a posto i suoi sentimenti.
Nonostante trovasse Valentina un essere spregevole che minacciava le sue speranze, preferiva vedere Son felice piuttosto che sempre angosciato.

Il mattino seguente, non vi fu alcun discorso tra i due, soltanto un lungo silenzio spezzato da frasi corte e concise.
Mentre aspettavano che la sala finisse di essere preparata, conversavano con i propri assistenti, fu allora che Son rivide Valentina e le parole di Kyung gli rimbombarono in testa.
Quelle tre settimane nell'hotel non erano di certo bastate per creare un rapporto solido tra i due, sopratutto se si teneva conto che delle tre, soltanto nella prima avevano intrattenuto un rapporto abbastanza diretto e quasi da complici, basato su sguardi e biglietti da visita.
Nonostante tutto, nella mente di Son, il loro rapporto era un punto interrogativo costante circondato da milioni di varianti soluzioni mai realmente prese in considerazione.

Son-sshi – disse l'assistente con voce stanca – questi sono gli ultimi documenti che mi ha chiesto durante la riunione. Il salone sarà pronto tra qualche minuto, appena apriranno le porte entriamo e sistemiamo quello che – non fece in tempo di finire la frase quando fu improvvisamente afferrata per un polso e le carte cadettero irrimediabilmente a terra provocando l'attenzione di alcuni.
L'aveva fatto, volontariamente, Son aveva afferrato per un polso la sua assistente e la stava prepotentemente trascinando da qualche parte sconosciuta persino a sé stesso.
Aveva perso il controllo, il suo solito temperamento freddo era andato a farsi benedire e la cosa che riteneva peggiore era il fatto di non sentirsi in colpa. Non si sentiva in colpa per aver appena rovinato la reputazione del suo team, non si sentiva in colpa per aver rovinato il lavoro della sua assistente e nemmeno per l'esito negativo che ne sarebbe derivato alla conferenza.
Entrambi si muovevano in fretta attraverso uno dei tanti lunghi, lussuosi e quanto mai popolati corridoi dell'hotel, nessuno si opponeva al loro passaggio, nessuno tentava di fermarli.
Appena trovò un'ascensore, vi si piazzò davanti e guardando la porta schiacciò il pulsante che vi era vicino.

Signor Son, credo che dovremmo tornare di là e – nemmeno questa volta riuscì a finire il suo discorso.
– Zitta – negli occhi di Son si poteva notare quanto fosse turbato, era in preda ad una tempesta di pensieri che lo tormentavano, aveva troppe cose da dire nello stesso tempo e doveva trovare il posto adatto dove sfogarsi, ma l'ascensore non voleva arrivare.
Non lasciava andare il polso della ragazza per nessun motivo, ma non sentiva nemmeno un qualche segno di opposizione, che fosse stata così ben istruita da restare calma pure in queste situazioni? In quel caso, si sarebbe rivelata quasi come lui, una fredda calcolatrice.
– Almeno dimmi dove stiamo andando – il tono della giovane divenne più freddo e Son poteva chiaramente sentire il suo sguardo tagliente addosso.
– Non lo so – effettivamente, non ne era sicuro, voleva soltanto trovare un posto dove nessuno, al infuori di lei, potesse sentire ciò che aveva da dire. Non era solito a fare dichiarazioni sentimentali, di solito i suoi discorsi si basavano su strategie economiche, numeri , grafici e probabilità, niente di più lontano da ciò che invece avrebbe voluto cominciare ad urlare in quel preciso istante.

– Potresti almeno allentare la presa sul mio polso? Mi stai facendo del male – usava ancora quel tono sprezzante, quelle frasi troppo concise e prive di sentimento. Ma da quando si era permessa di cominciare a parlargli in modo informale? Doveva essere impazzita, cominciava a credere davvero di essere completamente impazzita.
Valentina non riusciva a comportarsi nel modo che avrebbe voluto, non poteva fare a meno di essere spregevole nei confronti del suo assistito. Si chiedeva cosa diavolo gli stesse passando per la testa, ignorarla per tutti quei giorni nei quali avrebbero potuto parlare e tutto ad un tratto, strattonarla via in maniera a di poco vergognosa. Cosa avrebbe pensato il suo capo?.

Finalmente, le porte dell'ascensore si aprirono e lei vi fu scaraventata dentro con violenza, tanto che sbatté il bacino contro la parete lignea facendo un tonfo sordo ed un lamento le uscì dalla bocca.
Aveva le mani libere, ma questo durò ben poco, appena le porte si chiusero quello che ai suoi occhi era sempre stato un uomo freddo, riservato e tranquillo, si era trasformato in un uomo prepotente, ma con le lacrime agli occhi.
Le aveva intrappolato i polsi contro la parete e tenendo la testa bassa, aveva incominciato a singhiozzare.
– E' davvero stressante – disse con voce strozzata, tra un singhiozzo e l'altro – è davvero stressante dover controllarsi davanti a tutti – concluse alzando il capo e permettendo alla sua assistente, di vederlo in quello stato a dir poco pietoso. Davvero un gran pugno che fece volare in mille pezzi il castello di carte che si era costruito. I suoi occhi erano rossi e gonfi, le sue guance erano diventate leggermente rosse e finalmente, le sue labbra si arricciavano per creare una smorfia. Era probabilmente l'unica volta che l'assistente lo vedeva fare un'espressione diversa dalla solita.
Si sentiva stremato da quanta fatica aveva fatto a trattenere quelle lacrime amare che adesso gli solcavano il viso ma ritornò lucido in poco tempo. L'assistente non spicciava parola e ciò lo rendeva, se possibile, ancora più irritato e nervoso. Perché non si decideva a lamentarsi, a dire qualcosa, andava bene anche che lo deridesse purché mostrasse un qualche sentimento nei suoi confronti.

Lasciò andare i fini polsi della ragazza ed appoggiando la schiena alla porta dell'ascensore, cominciò a scivolare fino a sedersi per terra. La ragazza lo guardava dall'alto e senza pensarci due volte, schiacciò il pulsante “stop” per bloccare il movimento ed il rumore dell'ascensore, non le permetteva sentire le lacrime schiantarsi contro il pavimento marmoreo bianco.
– Adesso capisci cosa si prova ad essere ignorati? A vivere nel perenne silenzio di qualcuno per il quale provi interesse? – chiese lei con cattiveria. Nonostante fosse preoccupata per il suo assistito, voleva approfittare del momento per fargli capire ciò che aveva passato in quelle ultime settimane, da quando era stata sgridata, da quando lui non le rivolgeva nemmeno uno sguardo ma preferiva guardare le sue scartoffie piene di numeri e formule apparentemente incomprensibili.
– Sai quante notti ho passato sveglia a chiedermi cosa poter fare per ripristinare la tua fiducia nei miei confronti? Sai quante lacrime ho pianto perché non mi degnavi di uno sguardo, non mi davi l'occasione di rimediare a ciò che avevo fatto? Quante volte ho pensato che il tempo scorreva e non riuscivo ad avvicinarmi a te?. – continuò mordendosi il labbro tra una e l'altra frase, stringendosi nelle spalle ed incrociando le braccia.
Son non rispondeva, guardava un punto nel vuoto, non pensava di averle provocato così tanta sofferenza mantenendo le distanze.
Prima che potesse pensare altro, il viso dell'assistente occupò il suo campo visivo facendolo mettere a fuoco il tutto, facendolo ritornare alla realtà. Inaspettatamente, anche lei aveva cominciato a piangere.
Il tutto stava assumendo una piega davvero irreale -
peggio che nei drama - pensò Son.
Erano due sconosciuti, due
completi sconosciuti, com'era possibile che piangessero l'uno davanti all'altra senza ritegno, che soffrissero per la mancanza di parole quando di discorsi non ce ne erano mai stati, che si sentissero così stanchi e traditi dal tempo che erano stati separati?.
Son non era mai stato un grande intenditore di sentimenti, non si era mai preoccupato realmente per quello che gli altri dicevano di provare nei suoi confronti, fosse amore, fosse odio, non gli era mai importato niente.
Non capiva quelle persone che parlavano a vanvera di sentimentalismi e di amori a prima vista, ma forse era il caso di rinfrescare alcuni di quei discorsi che al tempo gli sembravano completamente fuori dal mondo, per riuscire a capire ciò che stava succedendo.

Si portò le mani alla testa e coprendosi il volto cominciò a ridacchiare, pensava di sembrare un pazzo, ma effettivamente la situazione che si era venuta a creare lo faceva ridere, si sentiva ridicolo.
– perché stai ridendo mentre io piango? – replicò puntualmente la ragazza che si era inginocchiata per poterlo vedere in volto – sei davvero ego – non riuscì a finire la frase, ancora una volta in quella giornata, Son le stava donando una sorpresa in grado di tagliare i suoi discorsi moralisti - solitamente – infallibili.
Quello che poteva sentire adesso, era un calore avvolgerle le labbra. Son si era mosso abilmente, velocemente e senza lasciarle via di scampo la catturò tra le sue braccia ed annullò le distanze tra loro, una mossa inaspettata, un bacio che sembrò ad entrambi un qualcosa al dir poco inverosimile visto che pochi minuti fa si scambiavano sguardi gelidi e frasi concise.
Staccarsi era difficile, la voglia di proseguire ed andare oltre a quel semplice gesto era davvero forte. Il calore dei corpi coinvolgeva entrami e cominciava a far palpitare velocemente i cuori.
Stavano davvero per fare un gesto così avventato, all'interno di un'ascensore? Si chiese Son mentre, inevitabilmente perdeva il controllo e cominciava ad accarezzare la schiena della ragazza che gli cingeva la vita.
– Diamine, queste cose capitano soltanto nei film – sussurrò l'assistente con un tono imbarazzato mentre le sue gote diventavano rosee. Poteva chiaramente sentire il respiro affannato di Son accarezzarle il collo e ciò la faceva rabbrividire. Nonostante non conoscesse così bene quell'uomo, si sentiva sicura di ciò che stava per fare, sentiva che fosse la persona giusta con la quale condividere quei sentimenti e quell'eccitazione tenuta nascosta e velata per così lungo tempo. Sapeva che non si trattava di puro sesso. Capiva chiaramente, dal modo di fare leggero e lento di ciò che era diventato il suo amante, che quello che stavano per fare era frutto di sentimenti forti quanto l'amore.
Non era solita credere nei colpi di fulmine, ma sin dall'inizio, sin dal loro primo incontro aveva capito che in lui c'era qualcosa di diverso dagli altri, qualcosa che andava oltre al semplice fisico impeccabile o all'aspetto rassicurante, in lui poteva vedere una certa malinconia, mancanza di veri sentimenti ed era ciò che l'aveva attratta.
Anche lei, come il suo amante, era stata per tempo priva di veri sentimenti, passava le giornate a convincersi di non aver bisogno di essi, bastava essere bravi al lavoro per ricevere la giusta ricompensa dalla vita. Era questo il suo pensiero.
– smettila di pensare, vuoi mettermi in imbarazzo – Son si avvicinò piano all'orecchio dell'assistente e le sussurrò. Era facile capire che tipo di reazione ebbe poiché sussultò e strinse la presa sulle spalle facendogli sentire un leggero male.
Sarebbe stato patetico fare l'amore con qualcuno che non è coinvolto pienamente ma che divaga nel mondo dei suoi pensieri. Pensò che evidentemente doveva smettere di essere così dolce ed accondiscente nelle mosse da fare e si decise a spogliarla.
Da quel momento in poi, il tutto fu naturale, i lenti movimenti ed i piccoli lamenti di entrambi riempivano le fredde pareti dell'ascensore, ancora fermo a mezz'aria.

Quando ebbero finito, entrambi stremati si poggiarono l'uno contro l'altra.
Dalla sua posizione, Valentina poteva chiaramente vedere l'ora sull'orologio di Son, la conferenza era ormai iniziata da circa venti minuti, erano spacciati.
– Non ti preoccupare, il mio intervento non sarebbe stato comunque all'altezza della conferenza – Son spezzò il silenzio quando vide l'espressione contrariata della ragazza – ultimamente, per quanto mi mettessi davanti al computer, l'unica cosa che riuscivo a produrre erano frasi fatte e usate fino alla nausea. Avevo altri pensieri per testa, anche se non riuscivo a focalizzarli bene. – concluse mentre le accarezzava il capo.
– Allora non dirò che mi dispiace, però – rispose guardandolo negli occhi – come si presume che questa storia dovrebbe andare avanti? – le sue sopracciglia formarono una curva chiaramente preoccupata.
Sperò seriamente che ciò che era successo poco prima non fosse destinato a finire una volta che le porte dell'ascensore si sarebbero aperte.
– Non lo so, resterò ancora qui per qualche giorno, tanto sono sicuramente licenziato. Ho bisogno di tempo per riorganizzare il tutto – rispose Son con una calma disarmante.
Nonostante non sapessero precisamente cosa fare, entrambi rimasero seduti sul freddo pavimento dell'ascensore ancora per qualche minuto prima di lasciar riprendere il viaggio all'ascensore per poi uscire ed affrontare la realtà.
In entrambi era viva l'intenzione di non far finire tutto in una squallida sessione di sesso all'interno di un'ascensore, ma bensì, di andare oltre.
Sapevano che vi sarebbero state diverse difficoltà e anche se non lo comunicavano erano turbati da ciò.
Così, quando le porte si aprirono, uscirono ed ogni uno seguì la sua strada.

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Bwah, non ho mai scritto due capitoli così velocemente!.
Spero di essere riuscita a fare un buon lavoro nonostante tutto. Se devo dire la verità, è la prima volta che mi cimento nel raccontare una scena leggermente a luci rosse, quindi spero di essere riuscita a trasmettere le giuste sensazioni ai lettori.
La storia non è finita, non preoccupatevi. Anzi, aspettatevi di tutto.


Grazie per aver letto ~
{x-cyanide






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Capitolo 7
*** Forever or never ***


{ Love like oxygen }

7. Forever or Never

Nota: I personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della sottoscritta.
Take out with full credits.



Le critiche erano arrivate in fretta, i licenziamenti altrettanto, quello che rimaneva era soltanto la speranza che in qualche modo, sarebbero tornati a stare insieme.

Yah! Sei forse impazzito!?. – come mai, la signora Kim si sgolava mentre fissava una delle pareti dell'angolo della stanza di Son.
– Che cosa ti è passato per la testa, ah!? Come hai potuto rovinare il lavoro di mesi?! Lo sai?, lo sai quanto i tuoi compagni hanno lavorato per questa conferenza? Lo sai quanto ci hai messo in imbarazzo sparendo con un'assistente qualunque in mezzo ad una folla di probabili sponsor?. – la sua voce raggiungeva toni piuttosto alti, diventava stridula per subito dopo diventare un sibilo, un sussurro tra sé e sé piuttosto che una conversazione con il più giovane.
– Come pensi di rimediare? – chiese con tono pacato – Ah!? Come pensi di rimediare a ciò che hai fatto?! – Perse ancora una volta la pazienza.

Son non aveva risposte valide, effettivamente li aveva lasciati senza oratore. Nessuno sapeva il discorso come lui, nessuno era in grado di parlare con la stessa tecnica che usava. Da qualche commento che aveva sentito mentre si avvicinava alla sala, il suo team era stato in grado di portare a buon fine la propria presentazione, ma il livello era talmente basso e lo speaker così noioso che alcuni ospiti si erano persino addormentati. Di certo, parlare di sicurezza a degli economi indifferenti a tutto ciò che non erano numeri, non era un compito facile.
Come avrebbe risolto il problema?, non lo sapeva. Si teneva la testa tra le mani e guardava per terra cercando una soluzione che non voleva arrivare.

Yah – il silenzio che si era creato nella stanza venne spezzato dalla voce tremolante della signora Kim – Yah, sei licenziato, con effetto immediato – liquidò in pochi secondi.

Non che fosse inaspettato, ma Son non potè far a meno di alzarsi di scatto e fissare il suo capo.

Signora Kim.. – le implorava pietà con lo sguardo – è stato un errore, ne sono consapevole – finì col dire mentre abbassava lo sguardo. Sapeva che non ci sarebbe stata soluzione o alternativa, non poteva fare altro che chiedere perdono, e così fece. Si piegò in un inchino di massimo rispetto e mentre alcune lacrime cominciavano a formarsi ai bordi degli occhi, urlò – Le chiedo perdono, sono un'irresponsabile, mi dispiace infinitamente – per ogni azione, la signora Kim non fece altro che fissarlo per poi girare sui tacchi e sparire dalla stanza lasciandolo ancora inchinato.

Guardava il pavimento della stanza bagnarsi con le proprie lacrime, aveva deluso la persona che più si era presa cura di lui negli ultimi anni ed i propri compagni di squadra, che lo avevano sopportato in ogni momento.
Non si pentiva di aver fatto ciò che aveva fatto, piuttosto, si pentiva di averlo fatto proprio in quel momento. L'azienda stava attraversando un momento particolarmente delicato, delle trattative molto importanti erano in ballo in quella conferenza, sicuramente, non era un buon momento per sbagliare.

Finalmente si sedette per terra con la schiena appoggiata chissà dove, alcuni ricordi cominciarono a ritornare a galla:

Ehi, giovanotto! Non dovresti fare solo su questo tipo di roccia, vuoi forse morire? – Una signora piuttosto bassa, dalla schiena ricurva e dal cappello di paglia s'inoltrava nel piccolo bosco. Le prime parole della signora Kim erano state rigide, premettevano il suo carattere.

Era un pomeriggio caldo, umido e afoso; anche in mezzo agli alberi del bosco, la morsa del caldo non dava tregua.
Un perfetto pomeriggio per un diciottenne senza meta nella vita se non quella di morire in fretta, e per una vecchia alla ricerca di nuovi adepti per il suo circo.

Vattene, vecchia. – Rispose un giovane Son ricoperto di sudore ed attaccato a mani nude ad una roccia pericolante, come se fosse la sua unica ragione di vita.

Son conosceva i rischi che stava affrontando, quella roccia l'aveva studiata e scelta a posta, l'aveva guardata per giorni, disegnata, fotografata, persino sognata come fosse un astronomo che desidera raggiungere una stella lontana.
Era una roccia particolarmente difficile da affrontare, non era la classica roccia segnalata per chi esercita il bouldering ma non era la difficoltà a renderla inaccessibile, era la sua posizione e la sua sicurezza: la roccia era posta sotto una parete dalla quale spesso si staccavano frammenti dalle dimensioni sufficienti per uccidere e schiacciare qualcuno. Era evidentemente un frammento che, cadendo, si era posizionato alla cima di una piccola collinetta. Sicuramente, se vi si fosse appoggiato qualcuno, prima o poi si sarebbe staccata rotolando velocemente.

Se vuoi ucciderti, impiccati, ma non provare a farlo su una roccia – il seccante tono della signora Kim colpiva ancora. Le sopracciglia le s'inarcarono in una smorfia di rabbia – per colpa di voi idioti, la montagna ha il record di vittime di quest'anno – finì mente s'incamminava verso Son che non la degnava nemmeno di uno sguardo.

vattene – le ripeté sperando che se ne andasse finalmente.

Non fu così, la vecchia si sedette su una roccia lì vicino senza aggiungere altro.
Son si sentiva osservato, cominciava a perdere la pazienza e la forza, quella roccia lo stava davvero portando all'esaurimento: era lì dalla mattina presto e dopo un paio di scivolate e cadute, era riuscito a trovare il modo di salirvi ma adesso, si ritrovava bloccato e le braccia cominciavano a cedergli.

Era quello che volevi, no? Salire vivo e scendere morto – Kim aveva ripreso a parlare, tono sprezzante e sguardo perso nel nulla.

Anche fosse, non sono affari tuoi vecchia, ti ho detto di andartene – rispose con tono piatto – vuoi..--
Non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase, uno dei suoi piedi aveva ceduto e si trovava penzolante a più di cinque metri da terra con le mani tremolanti ed il sudore che non aiutava a migliorare la presa. I suoi muscoli erano tirati e si potevano chiaramente vedere le sue vene, violacee, rigonfie per lo sforzo.

Se cadi adesso, da li, ti lascerò agonizzare e ti guarderò morire – gridò la vecchia mentre si alzava lentamente per avvicinarsi ancora di poco alla roccia.
– Ti ho forse chiesto aiuto? – rispose stringendo i denti. Quella vecchia, che diavolo aveva in mente?.
– Tra poco farai una brutta fine, è veramente questo quello che vuoi? – Kim fece una pausa e si appoggiò con una mano alla roccia – potrei farti una proposta piuttosto interessante, perché non scendi? – sembrava quasi uscita dal famoso film il padrino voce bassa, quasi sussurrata, aveva pronunciato le parole piano, una ad una.
Son non poté far a meno di sentirsi un brivido attraversargli la sudicia schiena – questa vecchia.. possibile che sia una maniaca? – si disse a se stesso mentre aggrottava la fronte e sentiva le sue dita scivolare via dalla roccia, lentamente.

non sono interessato né alla prostituzione – fece una pausa per tentare di afferrare un'altra parte della roccia – né alle droghe! – urlò quando riuscì a raggiungere il suo obiettivo.
Haha – la vecchia sghignazzava – non si tratta di droghe o di prostituzione, si tratta di lavoro, e non parlo di fare lo spaccino, parlo di un lavoro serio –
– Vattene, vecchia – ripeté ancora una volta Son
– Non credo che tua madre o tuo padre desiderino veramente la tua fine, e nemmeno che io mi allontani da te – la vecchia Kim, aveva colpito un punto debole.
Gli occhi di Son si aprirono in un'espressione mista tra paura e sorpresa: come diavolo faceva, quella vecchia sconosciuta, a conoscere i suoi defunti genitori?.
– Stai parlando a vanvera, eppure dovresti essere più educata di me! – rispose ringhiando.
– Sei forse orfano? Posso darti un'abitazione e del cibo, devi solo lavorare – concluse la vecchia

Son si era stufato, le sue mani non reggevano più, le gambe cominciavano a dolere più del dovuto, era ora di scendere vivo o morto. La vecchia lo notò, e decise di insistere ancora una volta prima di lasciarlo stare:

Potrai continuare a scalare e a tentare il suicidio, quante volte vorrai, e potrai scoprire se veramente morire è quello che desideri – sperava di colpire il bersaglio almeno in questo modo.
Un silenzio seguì le sue parole, ed impaziente si allontanò dalla roccia, aspettando la prossima mossa del giovane.

Con un tonfo poco rassicurante, il muscoloso, sporco e sudaticcio corpo del giovane cascò per terra senza preavviso, mentre la vecchia si girava di spalle e si proponeva con indifferenza.

Sei davvero un'idiota – girò il capo quanto le bastava per vedere la sua espressione di sofferenza ed i rivoli di sangue cominciare a spargersi sulla terra e sull'erba umida.

Son SeulKi aveva deciso, aveva scelto la morte.
Morte che però, non arrivò come previsto.. Anche quella lo aveva tradito.



Un certo dolore gli percosse il collo e gli fece aprire gli occhi.
Son era seduto ancora nella stessa posizione nella quale, evidentemente, si era addormentato riportando in mente vecchi ricordi, dolorosi vecchi ricordi che erano presenti pure sulla sua pelle.
Si portò una mano alla nuca e chiudendo gli occhi cercò un segno a lui ben noto: una lunga cicatrice gli percorreva la nuca e si estendeva sulla schiena e spalle, la percorse con due dita fino a dove riuscì ad arrivare per poi lasciar cadere il braccio.

heh – un sorriso amaro gli era comparso sul volto. Gli occhi, vuoti di ogni sentimento, fissavano un punto non ben preciso del pavimento.





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Ci ho messo un secolo ad aggiornare e chiedo scusa a chi segue e legge.
Purtroppo la storia sembra starmi sfuggendo di mano, ma prometto che la riprenderò.

Grazie per aver aspettato fino ad ora e mi dispiace per la lunghezza (cortezza?) del capitolo, ma l'ispirazione non riesce a raggiungermi nell'ultimo periodo.
Spero di riuscire ad aggiornare più frequentemente in futuro, m'impegnerò per farlo.


Al prossimo capitolo ~
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Capitolo 8
*** YOU ***


{ Love like oxygen }

8. YOU

Nota: I personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della sottoscritta.
Take out with full credits.



Si sedette al suo fianco sulla solita panchina dello spogliatoio e guardando il nulla fece un pesante sospiro.
Valentina se ne stava rannicchiata con i piedi sulla panchina e la testa incastrata in mezzo alle gambe in modo poco naturale. Non stava piangendo, Chris ne era certo, era difficile farla piangere.

Ehi – appoggiò la mano sopra la schiena incurvata dell'amica per confortarla – ehi, sei sveglia? – chiese scostandole una ciocca di capelli.

Il giacile corpo sussultò al contatto della mano fredda e la costrinse ad alzare la testa.
Non aveva pianto, non un filo di trucco era rovinato, non aveva il naso rosso o gli occhi gonfi.

So che ti stai maledicendo e ti stai rovinando il fegato – il biondo la guardava negli occhi, ma li trovò vitrei, vacui, persi – svegliati, su – le accarezzò la guancia.

Era un classico, quando le cose andavano male e si sentiva in colpa, Valentina si perdeva in mille imprecazioni che piano piano frantumavano quel poco di autostima e rispetto che aveva per se stessa.
Con una violenza ed uno sguardo quasi maniacale, prendeva a strapparsi le unghie e le pellicine dalle dita fino a quando non riusciva a calmarsi oppure, sfinita, si addormentava.
Non era certo la prima volta che a Chris capitava di vederla in quello stato, ma ogni volta che gli capitava, il panico lo assaliva: era difficile riportarla alla realtà, destarla da quel non-sonno, da quel velo d'incoscienza che calava sul suo volto e lo rendeva incredibilmente scuro.

Ehi, gli sbagli li commettono tutti – le disse per rassicurarla, nonostante sapesse che ciò non era sufficiente per svegliarla – ehi, senti – prese il suo volto tra le mani e lo spostò delicatamente facendo incontrare ed incatenare i loro sguardi – tutti sbagliano – scandì le parole e senza dire altro le lasciò andare il volto per avvolgerla in un caldo abbraccio.

Il corpo della più giovane era esile tanto che Chris era arrivato a chiedersi come potesse stare realmente in piedi.
In quel momento, il suo corpo era freddo e molto rigido, sicuramente diverso dalla prima volta che l'aveva incontrata.
Chris chiuse gli occhi e mentre cullava l'amica, riportò alla mente quei ricordi:

Scusa, è libero? – era decisamente in ritardo, il film che si era proposto di non perdere per nulla al mondo, da quello che poteva capire, era iniziato da qualche minuto. Entrò in sala come un fulmine facendo cadere qualche pop corn di qua e di là, cercò la sua solita fila e per fortuna vicino ai gradini vi trovò un posto libero. Non esitò a chiedere e con un sussurro riuscì ad attirare l'attenzione della persona che occupava il posto vicino.
– Scusa, grazie – disse mentre si sistemava sulla poltrona rossa.

Il film stava giungendo alla fine del primo tempo, Chris poteva chiaramente capirlo perché era abituato a quelle noiosissime pause, diceva sempre che rovinavano l'atmosphere del film.
Quando finalmente l'immagine nel grande schermo si fermò e svanì, il giovane approfittò per stiracchiarsi.

Scusa, posso passare? –

Alzò lo sguardo e vi trovò una ragazza dai capelli rossi, spaventosamente magra ma dalla voce vellutata in grande contrasto. Senza pensarci due volte, ritrasse le gambe e la lasciò passare seguendola con lo sguardo per un tratto.
Era così concentrato sul film che non aveva avuto tempo di guardare a chi vi si fosse piazzato vicino, ma adesso, lo sapeva. Era la prima volta, in dieci anni ininterrotti di Sabati al cinema, che una creatura – come la descrisse ai propri amici – del genere gli era toccata come compagna di fila. Ne aveva visti di tutti i colori: uomini e donne, anche cose indefinibili, grandi, piccole e medie stature, grossi, fini come grissini, bambini calmi e bambini insopportabili, coppiette, single, nerd chiacchieroni, ubriaconi, drogati, di tutto, ma mai una cosa come quella.

Si girò e guardò verso il fondo della fila per vedere se fosse accompagnata o meno: vicino al suo posto vi erano due bambine dai lunghi capelli biondi e più in là, i loro genitori.

Non ebbe tempo di fare altre congetture quando, ritornata da chissà dove, la creatura chiedeva spazio per poter passare e sedersi nuovamente.

Zia, dopo ci porti a mangiare al Mac? – la più grande delle due bambine si era messa sulle ginocchia e con sguardo supplichevole chiedeva alla.. zia?.
– Se i vostri genitori vi lasciano venire, per me va bene –

Dunque non era da sola, la ragazza era ben più che accompagnata.
Chris guardò attentamente la coppia che sedeva qualche sedile più in là, i genitori delle bambine: quale dei due sarebbe stato il parente di quella creatura? Era quasi impossibile capirlo, nessuno dei due sembrava assomigliarle.

scusa, questa coca è tua o è mia? –

Una sagoma gli offuscò la visone interrompendo i suoi pensieri.
Un dito scheletrico puntava al bicchiere di carta incastrato nella poltrona.

ah, credo che sia tua, io la mia ce l'ho.. – prese in mano i bicchiere da terra – qui!, ed è pure finita – disse mentre agitava il bicchiere e sorrideva.
La creatura le rivolse un sorriso divertito mentre apriva il tappo di plastica del suo bicchiere – senti, dai qui – gli prese il bicchiere dalla mano e ne versò un po' del liquido – tanto io non la bevo tutta – finì mentre sorrideva ancora.
Chris rimase un po' stupito, oltre a non aver mai incontrato una creatura del genere, non gli era mai capitato che qualche sconosciuto condividesse la sua cocacola con lui. Quella ragazza era decisamente interessante: magra in un modo impressionante, senza dubbio, però trasmetteva il calore umano di un'obesa stritola-uomini.

Decisamente, un soggetto interessante. – disse a bassa voce non potendo aggiungere altro, visto che le luci della sala si stavano spegnendo di nuovo annunciando il continuare della proiezione.

Una volta finito il film, i titoli di coda tanto odiati da tutti, cominciavano a scorrere mentre la sala si svuotava. Poveri idioti, non sanno quanto sia importante guardarli – Chris era uno di quei tipi malati per i film; sapere chi avesse creato il capolavoro, o la schifezza, che aveva appena visto era di vitale importanza: onde fosse uscito un nuovo film con lo stesso regista, dop o attore, sarebbe sicuramente andato a vederlo.
Era quindi ancora seduto sulla poltrona rossa e quando i titoli di coda finirono e la stanza fu quasi vuota, si alzò pronto per tornare a casa a mangiare un piatto di pasta.

è stato un film interessante, non trovi? –

La voce lo prese di sorpresa e alle spalle, la creatura non aveva lasciato la sala.
Questo soggetto diventava estremamente interessante: non solo aveva condiviso la sua cocacola con lui, ma non aveva nemmeno lasciato la sua poltrona rossa durante i titoli di coda!. Non sapeva se era coincidenza, ma Chris era molto entusiasta di questo nuovo incontro che aveva portato nel suo sabato sera al cinema, ben tre novità dalla scossa potente in un solo film.

Gli fu impossibile nascondere il sorriso, così, si girò di scatto e cominciò a fare un lungo monologo di recensione del film. La creatura lo ascoltava attentamente e faceva qualche giusto intervento mentre si caricava una delle due bambine in braccio e si approssimava all'uscita della sala.
Una volta fuori, si diressero verso il parecchio vicino senza che Chris potesse nemmeno rendersene conto; era la prima volta in dieci anni di solitudine che qualcuno sentiva e faceva un discorso sensato sul film che aveva appena visto.

Cioè, capisci? Quell'inquadratura sarà costata davvero tanto ma è stata un colpo di genio! –

Mentre si avvicinavano all'entrata del parcheggio, la creatura lo fermò e si diresse a parlare con i genitori delle bambine. Gli diede giusto il tempo per riprendere fiato e per realizzare ciò che stava succedendo.
Si rese conto che, in tutto quel tempo, non aveva nemmeno chiesto il nome alla creatura, che tipo sbadato.

Chris era uno di quei ragazzi che, mentre frequentava le superiori, rifiutava qualsiasi cosa provenisse da una multinazionale e avesse a che vedere con allevamenti di massa. Non era mai andato a mangiare nei fast food perché era fermamente convinto che quei panini dall'aspetto invitante, fossero in realtà, imbottiti delle più orribili schifezze chimiche: dei veri e propri panini nucleari.
Questa volta però, non ebbe scelta: si ritrovò seduto dal lato del passeggero su una piccola mini color blu cobalto, diretto verso uno di quegli schifosi ambienti che aveva sempre evitato e che, secondo lui, puzzavano irrimediabilmente di morte, fritture e di piscio.

Come fai a portare due bambine nel pieno della loro crescita, in un posto del genere? – chiese raccapricciato mentre prendeva in braccio una di loro.
– Perché, cos'ha? – rispose la creatura
– Cos'ha!? –
Questo suo ignorare i fatti, le avevano tolto un punto nella scala di gradimento di Chris. Come poteva non sapere quante schifezze c'erano dentro quei panini?.

Durante la cena, la discussione sul contenuto presuntamente nucleare continuò, animata dalle risate delle ragazzine e dalla continua esasperazione di Chris che tentava, in tutti i modi, di convincere le tre donzelle a smettere di rimpinzarsi.

Zio, come ti chiami? – in un momento di pausa, la più piccola delle biondine si fece avanti
– Come? – Chris venne colto di sorpresa. Si era scordato di essere uno sconosciuto qualunque per quelle persone, era stato così maleducato da non presentarsi nemmeno. – Ah sì!, mi chiamo Chris! – disse, come se lo avesse appena ricordato – tu come ti chiami, bella principessa? – non era solito chiamare le donne in questo modo, ma in fondo era una bambina ed i capelli lunghi e biondi messi insieme agli occhi grigi la facevano sembrare una tipica principessa.
– Mi chiamo Eyara e mia sorella si chiama Lalitya – rispose entusiasta la biondina.
– Sono nomi particolari, hindi – prese a parlare la creatura mentre tentava di comporre qualcosa con i pezzi di una scatola – mia cognata è fissata con l'india e la religione – finì con una certa smorfia di scontento.
– E tu invece, che nome porti? – Finalmente avrebbe potuto smettere di chiamarla Creatura.
– Mi chiamo Valentina – disse ridendo – niente di particolare – concluse.

La serata post cinema finì con calma, mentre le bambine tentavano di far mangiare allo zio i panini nucleari e la zia continuava a smanettare con i contenitori del cibo.

Era sicuramente la prima volta che Chris trovava una persona così particolare, sia fisicamente che personalmente: era magra scheletrica ma mangiava come un maiale e se ne infischiava delle schifezze, a lei bastava “campare ancora qualche anno “. Se ne intendeva di film ed era sicuramente intelligente, solo un poco menefreghista.



Chris aveva conosciuto in quell'estate dal caldo torrido, l'esile persona che adesso teneva tra le braccia. Dopo qualche anno di sabati al cinema e post cinema passati al Mac, Chris non poté fare a meno di non entrare nel vizio del cibo nucleare.
Nonostante fosse uno chef – almeno, a detta sua – tutte le volte che andavano al cinema, non poteva evitare di salire su quella mini blu cobalto diretto al mattatoio di fegati, come lo chiamava.

Pensò che era da un po' di tempo che non andavano al cinema insieme, stava quasi sentendo la nostalgia dell'odore insopportabile di frittura e piscio.
– Ehi, andiamo a vederci un film e a mangiare cibo nucleare? – disse nell'intento di risvegliare l'amica.







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Nuovo capitolo, più lungo di quel che avevo prevvisto.
Grazie a coloro che seguono la storia, a chi l'ha messa sui preferiti e a chi semplicemente la legge.


Al prossimo capitolo ~
{x-cyanide









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Capitolo 9
*** Hiatus ***
























{ Love like oxygen }

9. HIATUS



A tutti coloro che leggono questa storia e aspettano da mesi un nuovo capitolo:

Ho deciso di andare in hiatus con questa storia.
Purtroppo, come non dovrebbe – ma succede - ho perso buona parte dell'ispirazione e mi sembra inutile tenervi qui ad aspettare.

Adesso come adesso, sono più le storie che devo finire che quelle finite, e la cosa mi scoccia assai.
Nei prossimi mesi vedrò di portare a termine Train Station Bitches e portarmi avanti con la correzione dei capitoli già scritti di Shakugan No Shana.

Se l'ispirazione ritorna, allora porterò a termine pure questa storia – spero.



Grazie per la vostra pazienza.

~




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