Love like oxygen di x_cyanide (/viewuser.php?uid=14889)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First sight effect ***
Capitolo 2: *** Good morning Mr.Hyde ***
Capitolo 3: *** Shall we dance? ***
Capitolo 4: *** Real ***
Capitolo 5: *** Jamkkodae ***
Capitolo 6: *** Ready or not ***
Capitolo 7: *** Forever or never ***
Capitolo 8: *** YOU ***
Capitolo 9: *** Hiatus ***
Capitolo 1 *** First sight effect ***
{
Love like oxygen }
1.
First sight efect
Nota:
I
personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della
sottoscritta. Take
out with
full
credits.
– State
attenti, diritti con la schiena e siate estremamente gentili e
sorridenti a costo di sembrare dei completi babbei. –
Un
uomo sulla cinquantina di anni, vestito elegantemente, camminava
avanti ed indietro su un lungo tappeto in stile Hollywoodiano che si
stendeva da enormi porte di legno fino ad una fine scrivania posta in
centro ad un grande salone dalle lucenti piastrelle nere e le pareti
di legno minuziosamente elaborato. Dall'alto tetto pendevano
grandi lampadari in stile ottocentesco dai quali irradiava una forte
luce giallastra che rifletteva il bagliore della spilla portata
fieramente sul petto dell'uomo; questa recitava: 'HOTEL
CARL EMPEROR EMPIRE'.
– Valentina,
Simone, voi due avrete a carico due clienti –
Parlava
con voce firme e profonda ad una fila di ragazzi e ragazze di una
ventina d'anni che stavano in piedi ai lati del tappeto e lo
ascoltavano attentamente. Sembravano quasi dei soldati di
Buckingham
Palace,
sorridenti ed immobili. In totale erano sei, tutti vestiti con la
divisa nera e la stessa spilla rilucente che portava il loro capo.
– Capito
– – Capito! – dissero Valentina e Simone,
chinando leggermente il capo in avanti e dimenticando per pochi
secondi l'espressione beota.
Loro
due, essendo i più anziani nel lavoro seppur tra i più
giovani, erano i più vicini alle porte a capo delle rispettive
file di compagni. Il loro lavoro non era tanto quello di occuparsi
dei clienti che sarebbero arrivati, quanto quello di tenere
sott'occhio gli altri compagni ed aiutarli in momenti di possibile
panico.
– Valentina – disse il capo richiamando
la sua attenzione – appena arriveranno gli ospiti, puoi
scegliere a chi presentarti. – Anche tu Simone –
aggiunse rivolgendosi al giovane mentre ruotava leggermente il capo.
Il
rumore di porte ed il mormorio di voci ignote che provenne
dall'esterno allarmò tutti i ragazzi che si misero per
l'ultima volta in posizione mentre il capo si avvicinava alla porta.
– Eccoli
– disse sussurrando.
Le
porte lussuose di legno e vetro si aprirono riflettendo la luce che
immerse per qualche istante le otto persone vestite elegantemente che
entravano a passo lento trascinando piccole valige. Anche se non
lo sembrava, erano sportivi; erano giunti per un'importante congresso
sull'infortunistica che si sarebbe tenuta in un paio di settimane e
la quale contava la presenza di più di venti Paesi del mondo.
Piccole spille riflettevano chiaramente la bandiera della Corea
del Sud posta sui loro petti.
Quattro
ragazze e quattro ragazzi tra la ventina e la trentina d'anni
sfilavano davanti alle facce sorridenti di porcellana dei sei ragazzi
che si sarebbero occupati di loro per la durata di tutto il
congresso. Scrutavano l'hotel con aria interessata e soddisfatta
mentre avanzavano sul tappeto rosso, verso la lussuosa scrivania dove
li attendeva il responsabile dell'hotel.
Era estate, le camere
erano quasi tutte occupate ma in quel momento, non c'era alcun segno
di vita, erano ormai le tre del mattino. Un silenzio quasi
inquietante calò quando le ruote delle valige smisero di
girare e gli ospiti smisero di parlare.
– Signori,
– esordì il responsabile parlando in un perfetto inglese
– prima
di niente vi do il benvenuto nel nostro hotel. Sono sicuro che vi
troverete più che bene e che sarete più che soddisfatti
della vostra scelta. È giunto il momento di affidarvi il
vostro cameriere personale, potete contare su di lui in qualsiasi
momento e per qualsiasi necessità.
– Gli ospiti, si girarono quasi incuriositi verso i sei
ragazzi che avevano lasciato indietro qualche minuto fa, mentre, il
responsabile prese le chiavi delle camere prenotate e le poggiò
sul lucido e freddo marmo nero della scrivania.
Valentina
e Simone erano i primi due a doversi presentare; dunque, ruppero le
righe e si avvicinarono agli ospiti con passo deciso. Già
da prima, Valentina si era accorta di uno di loro. Un personaggio
particolare, alto, dai capelli neri ed un po' spettinati, portava gli
occhiali ed il suo fisico sembrava essere proprio quello di un forte
atleta. Qualche minuto prima, mentre avanzava sul tappeto rosso aveva
incrociato lo sguardo di Valentina ed aveva avuto difficoltà a
staccarsene. Valentina era infatti, una ragazza nella norma e
abbastanza attraente, non era raro che qualche ospite si avvicinasse
a lei con strane intenzioni. In ogni caso, non era proprio il
tipo di ragazza che si fa abbindolare facilmente da rilucenti
gioielli, soldi o macchine sportive, sapeva restare al suo posto.
Lentamente
si dirigeva verso quel ragazzo che l'aveva incuriosita
particolarmente, aveva un'aria misteriosa che lo circondava e lo
rendeva sicuramente più interessante degli altri ospiti.
– Buona
sera signore –
disse chinando leggermente il capo facendo scivolare lentamente i
lunghi capelli ramati – Il mio nome è Valentina e sarò
la sua assistente durante la sua permanenza nell'hotel –
tenendo le mani strette l'una all'altra, sfilò da un piccolo
porta schede uno dei suoi biglietti da visita e lo porse con estrema
delicatezza al giovane che la guardava quasi timidamente.
– Ehi!,
ehi tu! Scusa! – una mano gelida le toccò una spalla ed
interruppe il suo discorso. Si girò pronta a rispondere al
capriccioso richiamo di una voce maschile un po' stridula; un altro
giovane si era avvicinato e con un sorriso in faccia prese a
parlarle;
– Potresti
essere anche la mia assistente?!, le altre mi fanno paura! –
disse segnalando le ragazze rimanenti che, ancora in piedi vicino al
tappeto, furono in grado di mantenere la quiete interiore. Valentina
sbuffò, conosceva gli orridi pensieri che in quel momento
attraversavano le menti delle compagne ed ammirava la loro forza di
volontà.
Senz'altro
rimedio, estrasse un altro biglietto da visita e chinando il capo si
presento al giovane accettando la sua richiesta, in fondo, doveva
occuparsi di due ospiti e non era permesso rifiutare una richiesta di
un'ospite. Questo ragazzo, era visibilmente più giovane
degli altri. Aveva i capelli rossicci, era alto quanto lei ed aveva
una faccia pulita e risplendente di energia che non lasciava spazio a
presunte menzogne sulla sua vera età.
Anche
Simone scelse chi seguire e gli altri furono rapidamente assegnati al
resto dei ragazzi che stavano ancora in fila. Una volta finita la
lunga operazione di divisione dei compiti, si spostò verso il
grande salone principale dal quale si aprivano come un mazzo di
fiori, tre grandi scale in legno massiccio ed elaborato e riprese a
parlare:
– Signori,
siete in compagnia della miglior squadra di assistenti specializzati
in lingue e culture asiatiche, spero che il vostro soggiorno possa
essere piacevole, abbiate una buona notte –
concluse chinando il capo.
Valentina, che si era fermata
davanti ai suoi ospiti, si girò velocemente e con il suo
solito sorriso si rivolse ai due giovani:
– la
nostra scala è quella centrale, mentre le signorine Kim e Choi
andranno a destra ed il coach Young insieme alla signora Lee a
sinistra –
Gli
sguardi spaesati dei due ragazzi seguivano a fatica i movimenti
leggeri del braccio della loro assistente che, si era resa conto
della loro difficoltà e proseguì:
– non
vi preoccupate, l'hotel non è così grande come può
sembrare e visto che sarete nostri ospiti per due settimane, avrete
modo di conoscere la struttura a memoria. –
I
due seguivano attentamente il discorso e dunque, Valentina prese a
salire le scale. Il rumore dei suoi tacchi risuonava in tutta la
scala e le voci che sussurravano strisciavano in tutti i corridoi.
– Wah,
è tardi, no hyung? – chiese il più giovane
guardandosi in torno ed ammirando i diversi quadri appesi alla
parete. – Hn, già.. – rispose con voce stanca
il misterioso ragazzo.
Era
la prima volta che lo si sentiva parlare, Valentina era sorpresa dal
tono basso della sua voce e quasi le venne da ridere; anche se
lavorava a contatto con persone provenienti da tutte le parti di
Asia, non aveva mai sentito un ragazzo così giovane con una
voce così particolare. Gli ricordava un po' quella del suo
Idol preferito.
Il
lungo corridoio aveva all'incirca cento porte, le pareti in legno e
una morbida moquette bianca perfettamente pulita. Gli ospiti
erano obbligati a togliere le scarpe prima di ingessare alle parti
dedicate alle stanze, in questo modo, era più facile mantenere
la quiete durante la notte e la pulizia della moquette. Inoltre, era
un hotel nel quale, una buona parte delle visite era di asiatici, era
come farli sentire a casa, decisamente una buona strategia.
I
tre si fermarono finalmente davanti alla porta numero 136. Valentina
la aprì fermandosi ad un lato.
– Questa
è la vostra stanza – disse indicando l'interno della
stanza – nel caso abbiate bisogno di qualcosa, non esitate a
chiamarmi, il mio numero è scritto nei biglietti da visita che
vi ho dato, vi prego di tenerli sempre con voi. –
Il
più vecchio dei due, frugò nelle tasche del suo smoking
e tirò fuori il biglietto, lo guardò ed alzò lo
sguardo verso Valentina che si sentì correre un brivido gelido
sulla schiena. Gli occhi neri e profondi di quel ragazzo la
stavano guardando direttamente e si sentiva quasi in imbarazzo., non
riusciva a togliere lo sguardo e faceva fatica a non perdere la sua
faccia preconfezionata. Lo scambio di sguardi fu intenso, quasi
si sentiva bruciare.
– Hyung,
entri? – disse il più giovane tirando la sua manica
dall'interno. Gli altri de furono sorpresi al vederlo all'interno,
erano così concentrati e persi nei loro occhi che non si erano
accorti dei movimenti attorno a loro.
– Sì
– rispose con aria fredda il più vecchio. –
Bene signori, vi auguro una buona notte – disse Valentina
chinando ancora una volta il capo. Quando sentì le
ciabatte del ragazzo strisciare e la porta chiudersi, alzò lo
sguardo, aveva una gran voglia di riaprire quella stupida porta che
li separava e guardare ancora una volta i suoi occhi, ma era
cosciente di non poterlo assolutamente fare e mente si allontanava
sussurrò:
– Interessante
.. –
Bene,
questa è la fine del primo capitolo, spero di non avervi
annoiato. Naturalmente, commenti e critiche sono ben accetti.
Al
prossimo capitolo!. {
x-cyanide
|
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Capitolo 2 *** Good morning Mr.Hyde ***
{
Love
like oxygen }
2.
Good morning Mr.Hyde.
Nota:
I
personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della
sottoscritta. Take
out with
full
credits.
–
Ehi, sembra tu abbia
fatto colpo! –
Una
voce familiare le squillò nelle orecchie e due braccia forti
l'abbracciarono dalla schiena. Valentina stava camminando lungo
la sala da pranzo e si dirigeva verso lo spogliatoio quando Chris, un
altro assistente, la raggiunse.
–
Tu dici? –
rispose allora senza fermarsi e con un ghigno disegnato nel dolce
viso. – Eccome!, il signorino Son sembra essere interessato
alla tua introspettiva, malefica e oscura persona!. Visto che
ritorni più tardi degli altri, devo forse dedurre che hai già
affondato i denti nella carne fresca? – disse Chris
ridacchiando. – Haha!, non ancora, anzi questa volta.. –
spinse con forza le due porte che portavano allo spogliatoio, prese
un respiro e procedette – questa volta volta è stato lui
a fregare me.. Mi ha guardata direttamente negli occhi, non so
nemmeno per quanto, ma so che è bastato per farmi sentire
bruciare. –
Era
arrivata davanti alla porta dello spogliatoio femminile e stava con
la schiena rivolta al ragazzo che la seguiva quando si fermò e
si girò di scatto, sospirò:
–
Chris, mi accompagni a
casa oggi? –
Più
grande di lei di soli due anni, Chris la riteneva la sua “sorellina”
e se ne prendeva buona cura. Una volta era persino rimasto a
dormire da lei, nel suo stesso letto, ma si era limitato a darle un
abbraccio della buona notte; era proprio un bravo ragazzo.
–
Mi è sembrato di
sentire la voce di una certa furbacchiona! –
La
porta dello spogliatoio femminile si aprì facendo risuonare i
vecchi legni e davanti ad essa comparve, già in pigiama,
Janee, un'altra assistente.
–
Ahh, Janee,
accompagnami a casa! – disse Valentina con voce sofferta.
Janee
era la versione femminile di Chris, un'ottima amica della quale
fidarsi ciecamente. L'egocentrica ed eccentrica ragazza aveva la
stessa età di Valentina, aveva sopportato tutte le crisi ed i
litigi per i quali la sua amica era passata, persino alcuni litigi
con Chris, era quasi una madre per lei.
La
porta dello spogliatoio si chiuse battendo mentre Valentina veniva
trascinata all'interno da Janee e Chris si sedeva di fuori, sulla
moquette.
Valentina
si cambiò in fretta mentre ricordava lo sguardo di Son e di
nuovo i brividi le percorrevano laschian.lo sguardo perso nel nulla e
Janee non poté fare a meno di notarlo, quindi esordì:
–
Cavolo, nonostante
siano passati così tanti clienti che hanno, più o meno
spudoratamente, tentato di rimorchiarti, non ti ho mai vista così
persa – concluse con sguardo serio.
Valentina
non sapeva spiegarsi cosa fosse successo, ricordava Jun, il giovane
riccone, alto e moro dagli occhi verdi smeraldo; Franz, il tedesco
stupido ma gentile; Kuro, il giapponese dai lunghi capelli raccolti
in un'alta coda. Nessuno di loro e nemmeno altri le avevano fatto un
effetto simile a quello provocato da Son. Eppure, erano più
belli di lui, avevano sicuramente molto di più di lui..
–
Evidentemente, ha una
marcia in più – rispose con tono quasi estraneo alla
vicenda, quasi non la riguardasse
Finì
di pettinarsi e prese la sua borsa mentre Janee l'aspettava
appoggiata agli armadietti di legno color rosa antico. Era
impossibile non notare nei suoi occhi, un certo turbamento, una certa
ansia.
–
Finalmente!, mi stavo
per addormentare!. Vi rendete conto che sono circa le quattro e mezzo
del mattino e noi alle otto dobbiamo essere di nuovo qui!? –
disse Chris mentre aggrottando la fronte si prestava ad alzarsi da
terra. – E meno male che hanno chiesto la colazione alle
otto!, pensa se fosse stato alle sette, sarebbe stato decisamente un
suicidio!. – Janee espresse tutto il suo rancore mentre si
raccoglieva i lunghi riccioli color cioccolato in un'alta coda di
cavallo.
Valentina
nemmeno ci pensava, camminava soltanto perché la parte ancora
sveglia di sé lo comandava. Quel giorno aveva avuto
parecchio lavoro da fare, parlare in cinque lingue diverse tutto il
giorno l'aveva decisamente stancata
tanto da non farle spicciare parola. Una volta usciti dall'hotel,
i tre si diressero verso il parcheggio riservato al personale.; era
poco illuminato, pieno di vecchi alberi e praticamente vuoto, c'era
solo la macchina di qualcuno che probabilmente si occupava della
vigilanza notturna e le loro tre macchine parcheggiate sparsamente.
–
Allora? – disse
Chris fermandosi vicino alla sua macchina che era la più
vicina all'uscita – tutti da te Vale? – chiese. –
Ma io direi che è proprio il caso! – rispose felice. –
Chris, guida tu e portala a casa, io vi seguo – ordinò
prontamente Janee che aveva notato la stanchezza dell'amica.
I
rombi dei motori svegliarono dal suo sogno leggero il giovane Son che
si alzò e d'istinto si recò quasi correndo alle
finestre vicine al suo letto. Vide e riconobbe la figura
dell'assistente che veniva aiutata da un ragazzo a salire sulla sua
macchina ed il suo respiro diventò quasi affannoso, si sentì
ribollire il sangue. Non capiva il perché ma quella
ragazza, colei che aveva guardato direttamente negli occhi, colei che
avrebbe voluto vedere appena chiusi gli occhi, lei attraeva la sua
totale attenzione. Dal primo momento nel quale l'aveva vista,
aveva incrociato il suo sguardo color oro, da quel momento mentre un
brivido le percorse la schiena aveva avuto la conferma che sarebbe
stata un problema per lui.
–
Hyung-ah, la rivedrai
domani, adesso vai a letto o farò fatica a dormire anche io. –
Il più giovane, Kyung, si rivolse molesto, da sotto le coperte
con voce rocca. Son non prestò particolare attenzione al
tono ed eseguì ciò che il maknae gli chiese, in fondo,
non sapeva nemmeno perché le interessava così tanto
cosa faceva o con chi stava l'assistente, nemmeno la conosceva.
“Per
Dio, – si ripeteva – com'è possibile?”.
S'infilò tra le morbide coperte e si chiese se quel letto
fosse stato preparato da lei, il suo dolce profumo sembrava essere
impregnato ovunque. Chiuse gli occhi e si disse che doveva
smettere di pensare a cose assurde, si chiedeva cosa diavolo aveva,
si portò le mani alla testa e si scompigliò i capelli e
riaprì gli occhi, non sopportava più rivedere la sua
immagine. Sul suo comodino c'era appoggiato il biglietto da
visita di Valentina e per quanto tentasse di non rivolgervi lo
sguardo, questi si posarono lentamente su quell'effimero pezzo di
carta. Son stette fermo a guardarlo fino a quando la stanchezza
non lo costrinse ad abbandonarsi tra le braccia di Morfeo.
Le
poche ore di sonno passarono in fretta per entrambi, il sole cominciò
a filtrare nell'affollata camera di Valentina.
Erano
le sei e cinquantacinque e Valentina si era svegliata per casualità,
riscaldata da un debole raggio di sole che entrava dalle fessure
delle tapparelle socchiuse. Il suo letto era molto grande a
differenza del suo appartamento, ci viveva bene, ma si sentiva
stretta, continuava a ripetersi che prima o poi lo avrebbe voluto
cambiare ma il momento giusto non era ancora arrivato. Tentò
di stiracchiarsi ma si trovò bloccata tra i caldi corpi dei
due amici che dormivano scompostamente al suo lato. Aveva quasi
dimenticato di averli invitati e schioccando la lingua, si spinse
verso il bordo del letto per potersi sedere più
comodamente. Ancora due minuti e la sveglia sarebbe suonata,
“chissà se anche lui sarà già sveglio..”
si chiedeva mentre stirava le gambe e muoveva lentamente i
piedi. Stava ancora pensando a lui, forse lo aveva pure sognato,
non ricordava.
–
oddio.. –
spegnete quella tortura..
La
sveglia era suonata, Janee e Chris si dimenavano sul letto mentre
mugugnavano cose incomprensibili. Valentina pensava che era
divertente vederli in quello stato e fece a posta a lasciar suonare
di più la sveglia; appoggiò i delicati piedi sulla
moquette e si alzò in piedi, anche se aveva dormito
decisamente poco, si sentiva piena di energie e aveva voglia di
cominciare la giornata con un sorriso.
– Chi si alza
per ultimo prepara la colazione per tutti! – disse allegramente
mentre apriva la finestra e tirava le lunghe tende bianche.
Mentre
si lavava i denti e si guardava allo specchio, continuava a chiedersi
se Son stesse facendo le stesse cose, il fatto di dover irrompere
nella sua camera per portargli la colazione la rendeva nervosa, non
voleva doverlo svegliare. Si sentiva davvero una stupida, lo aveva
fatto milioni di volte, farlo una volta in più o una in meno
non avrebbe cambiato la sua esistenza!. Sputò il
dentifricio e si sciacquò velocemente la bocca, il suo viso
aveva perso un po' di quell'ilarità con la quale si era
svegliata.
–
Janee, cucini tu oggi?
– disse Chris ancora sdraiato a pancia in giù sul
morbido materasso. I biondi capelli spettinati ed i profondi occhi
blu mare erano sicuramente provocanti e sexy ma, gli occhi dolci non
facevano alcun effetto su Janee che era seduta sul bordo del letto e
guardava il nulla in attesa di svegliarsi del tutto. Sentendosi
disturbata, la ragazza girò il capo lentamente ed i grandi
occhi neri cominciarono a scrutare malignamente Chris, sicuramente,
non sarebbe stata lei a preparare la colazione. Janee era
solitamente una ragazza gentile, ma era meglio non provocare la sua
ira mentre si svegliava, poteva diventare davvero cattiva e pungente
come un cactus.
In
tanto, Valentina aveva finito di usare il bagno e si apprestava ad
aprire tutte le finestre della casa; le piaceva la luce del mattino e
la fresca brezza che faceva danzare le leggere tende.
Lo
stesso tipo di tende guardava Son, da più di mezz'ora. La
stanchezza non era così tanta da farlo dormire profondamente a
differenza del suo hubae, anche se era piccolo quel ragazzo mangiava
e dormiva molto. Non capiva come mai i suoi occhi si fossero
aperti di colpo, una leggera luce calda gli accarezzava la bianca
pelle e gli faceva lacrimare gli occhi. Era riuscito a dormire forse
solo due ore, eppure non si sentiva così stanco, avrebbe
voluto alzarsi e andare fuori o quantomeno aprire le finestre ma,
visto che Kim dormiva, non gli sembrava il caso. Riteneva che
tutti i hyung dovessero prendersi estrema cura dei propri hubae,
altrimenti il favore non sarebbe stato ricambiato ed il rispetto
reciproco non ci sarebbe mai potuto stare, credeva fortemente in
valori del genere. Il suo sguardo vagava per la camera, non si
soffermava su niente di speciale, guardava le decorazioni, le forme,
apprezzava i colori che cominciavano a splendere toccati dalla luce
del sole. Gli occhi non smettevano di lacrimare e cominciavano a
bruciare, vi sfregò le mani per far passare l'ardore e quando
riaprì gli occhi, il suo sguardo sfiorò il biglietto da
visita che era ancora lì, sul tavolo a prendere polvere.
Subitamente gli venne in mente l'immagine del viso candido e
pulito della giovane assistente, Valentina..
–
Ahh.. – sospirò
con una mano appoggiata al petto.
Chissà
se sarebbe venuta lei in persona a svegliarlo o sarebbe arrivata solo
una semplice chiamata dalla segreteria. Sentire la sua voce di
mattino, il solo pensiero lo metteva in agitazione e l'immagine delle
sue rosse labbra gli balzava in mente anche se tentava di mandarla
via scuotendo il capo, doveva essere pazzo..
–
Signori, buongiorno.
La
serratura scricchiolò e la porta si aprì. Son non aveva
sentito nemmeno i suoi passi sul corridoio; per istinto chiuse gli
occhi e si coprì in fretta e furia con le pesanti coperte
facendo finta di essere profondamente addormentato.
– Che
diavolo sto facendo?! – sussurrò a se stesso mentre
stringeva le coperte.
Anche
il secondo capitolo ha raggiunto la fine. Ho voluto introdurre i
due migliori amici della protagonista con una certa calma, credo che
avranno un forte ruolo nel resto della storia. Non so se i salti
di luogo e di prospettiva siano stati efficaci, ma lo spero.
Come
al solito, suggerimenti e critiche sono ben accetti!. Grazie per
aver letto ed aspettato.
{
x-cyanide
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Capitolo 3 *** Shall we dance? ***
{
Love
like oxygen }
3.
Shall we dance?
Nota:
I
personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della
sottoscritta. Take
out with
full
credits.
–
Signori, buongiorno. –
la voce di Valentina echeggiò per la stanza ancora immersa
nella penombra. – Che diavolo sto facendo?! –
sussurrò Son a se stesso mentre stringeva le coperte con le
quali si era appena coperto.
Tentava
di non farsi scoprire, non voleva far notare che fosse sveglio, ma
perché?. Era sicuro che la voce fosse quella di Valentina,
e all'improvviso, uno strano istinto gli fece compiere quelle quattro
mosse da bambino che vuole essere svegliato dal bacio della madre.
“Ahh,
michyeosseoyo!”* - disse a se stesso mentre sentiva i
leggeri passi dell'assistente avvicinarsi al suo letto (o meglio,
alle finestre) ed il suo cuore sussultare ad ogni uno di essi.
–
Signor Son, signorino
Kim, sono le sette e due minuti – disse la ragazza aprendo le
lunghe tende.
Mentre
Son teneva ancora gli occhi chiusi e le coperte strette, il maknae
cominciò a dimenarsi sul letto vicino e dopo qualche minuto si
scoprì per sedersene al bordo. Si grattò gli occhi e
guardò il suo compagno di stanza, ancora girato di spalle alla
porta. Era strano che non fosse già sveglio, solitamente era
lui quello che alle sei era già in piedi. Scrutò
ancora per qualche secondo il suo hyung e notò le sue mani che
stringevano fortemente le coperte; non poteva crederci, quella
ragazza stava tirando fuori dei lati di Son che Kyung non conosceva!.
Soddisfatto della scoperta, ridacchio ed esordì:
–
Hyung-ah!, vuoi finirla
di fare finta di dormire? – disse con tono divertito il
piccoletto.
Son
sentì un brivido attraversargli la schiena, “è
forse demente?!” si chiese alterato. Le guance diventarono
rosee e non poté continuare a fingere. Sapeva di non voler
aprire gli occhi poiché si sarebbe ritrovato l'assistente in
camera e per un qualche motivo, a lui sconosciuto, non voleva
vederla. Nonostante tutto, dopo qualche minuto si arrese, schiuse
lentamente un occhio e diede un'occhiata all'orologio poggiato sul
suo comodino; erano le sette e dieci. In quei dieci minuti, il
maknae era già andato in bagno e nonostante si fosse appena
svegliato, stava già disturbando la giovane assistente.
Saltellava allegramente e le chiedeva cosa ci fosse per colazione,
come avesse dormito, il meteo e dove fosse il giornale. Son non
resistette a lungo quella situazione e si alzò pigramente.
–
Yah, Kyung-ah,
smetti di infastidire la ragazza. – disse in coreano con
voce schietta mentre si grattava la testa.
Valentina
stava in piedi vicino alla porta ancora aperta e tentava di sorridere
il più possibile al piccolo demonio che si trovava
davanti. Fino a quel momento non era riuscita a guardare Son o il
suo letto, era semplicemente passata di fianco a lui per aprire le
tende dopodiché, era stata assalita dalle domande del maknae.
Appena Son parlò, la sua testa si girò di scatto e
finalmente lo guardò. Son si era seduto sul letto dandole
le spalle, aveva il busto scoperto e la coperta gli copriva dal
bacino in giù. Le spalle ben delineate ed i muscoli della
schiena si potevano vedere perfettamente. La pelle liscia e senza
apparenti imperfezioni era colpita dalla luce che delineava delle
ombre.
“Diamine”
pensò tra sé e sé la giovane, “diamine,
diamine, diamine”.
Non
riusciva a staccare gli occhi da quella schiena. La scena
sembrava essere una di quelle tipiche da drama asiatico; il ragazzo
protagonista, il classico ragazzo introverso e scontroso, si siede
sul letto ed assume una posa che esprime tutto il suo rancore verso
la persona che lo ha svegliato. Ancora con i capelli spettinati, si
scopre lasciando scivolare le coperte e mostrando il torso nudo.
Forse aveva guardato troppi drama asiatici, ma Valentina la
vedeva da quel punto di vista.
–
Ehi, signorina! –
la voce del maknae la distrasse finalmente da quello stato nel quale
era immersa. Si ritrovò gli occhi bruni del più
giovane incollati alla faccia ma non perse la calma e afferrandogli
le spalle lo spostò.
–
Signorina, guardare un
ragazzo in quelle condizioni, gratis, non va mica tanto bene!. –
disse Kyung puntandole un dito in contro – Hyung, credo che
dovremmo cominciare a chiedere soldi ad ogni cameriera che ci viene a
svegliare!. – finì ridacchiando maleficamente.
Son
non rispose, si sedette compostamente sul letto e guardò le
finestre aperte. Faceva decisamente caldo. Decise finalmente di
alzarsi ed infilandosi la prima maglietta che si era ritrovato
vicino, si diresse verso il bagno. Passò di lato al maknae
e a Valentina, ma non diede il buongiorno a nessuno dei due.
–
Ahh, ah! –
sospirò il maknae sedendosi su di una delle due poltrone
vicine al tavolo dove sarebbe stata servita la colazione. –
Signorina, davvero, cosa c'è oggi per colazione? Ho un certo
languorino!. – le disse. – Sì, mi scusi –
Valentina si affrettò a portargli il menù, qualsiasi
cosa avessero chiesto, gli sarebbe stata portata subitamente. –
Hm, credo che quattro biosce vuote, del latte e del caffè
vadano più che bene – le disse il maknae dopo qualche
minuto che guardava il menu. – spero possa bastare, ho
veramente tanta fame! Hah! – aggiunse notando il silenzio che
si era creato. Chiuse il menù e lo consegnò
all'assistente. Avrebbe voluto spiegarle perché il suo Hyung
si comportava in quel modo, e sentiva quasi il bisogno di chiederle
scusa per il suo atteggiamento ma si rese conto che sarebbe stato un
errore e lasciò perdere. – Immagino che abbia già
chiesto anche per il signor Son ma, nel caso avesse bisogno di
qualcos'altro, può contattarmi e mi occuperò che vi sia
portato – disse Valentina.
Una
volta finito di annotare ciò che il signorino Kim le aveva
ordinato, prese il secondo menu che aveva appoggiato dall'altra parte
del tavolo. La poltrona che sarebbe stata da lì a poco
occupata da Son era tappezzata di un color mogano che le dava una
certa tristezza. Si sentiva in colpa, seppur non avesse fatto niente.
Si avvicinò all'uscita e sorridendo, si chinò per
salutare il più giovane che le rispose sorridendo e scuotendo
animatamente la mano.
–
A più tardi –
gli disse in fine chiudendo la porta.
Intanto,
Son si era spogliato ed era entrato nella grande vasca di marmo
bianco. In realtà, non aveva intenzioni di farsi un bagno,
ma appena entrato nella stanza notò la vasca e decise che per
sbollire la rabbia sarebbe stato utile farne buon uso.
–
Hah, che rabbia poi.. –
disse a bassa voce guardando il vuoto.
Non
riusciva a capire cosa stesse realmente succedendo. Era arrivato
in quel Paese per starci per due settimane, in un hotel di lusso con
ottimi compagni di viaggio. Doveva divertirsi e pensare al
lavoro, non ritrovarsi arrabbiato senza alcun perché e pure di
buon mattino. Cosa era andato storto? Perché si sentiva
così turbato?. Chiuse gli occhi e appoggiò la testa
contro uno dei cuscini al bordo della vasca. L'acqua, ancora calda,
gli coprì le spalle facendolo rabbrividire. Le prime
immagini che gli vennero in mente furono le ultime che aveva visto
prima di entrare in bagno. Un'assistente dai capelli ramati e dagli
occhi color oro stava in piedi, davanti alla porta della sua camera
insieme al suo maknae. Aveva notato lo sguardo dell'assistente,
era leggermente malinconico, era strano.
–
Hyung-ah, stai bene? –
La voce del maknae si sparse per tutta la sala da bagno.
Son
aprì lentamente gli occhi e sedendosi nella vasca rispose con
tono monotono – Sì, sto bene. Hai già ordinato la
colazione?. – chiese in fine. – Sì, è
appena arrivata – rispose Kyung che si era appoggiato alla
porta del bagno. – Hn, sarò fuori tra cinque minuti,
se vuoi, inizia pure a mangiare – rispose Son.
Il
corridoio che portava alla cucina del hotel era particolarmente
affollato, alcuni camerieri si affrettavano a portare le colazioni in
sala pranzo, altri usavano l'ascensore per portarle ai piani
superiori ed altri ancora le portavano in terrazzo. Valentina
doveva camminare in mezzo ai suoi colleghi e doveva sempre prestare
una certa attenzione. Quando era appena entrata a lavorare in quel
hotel, le era capitato due o tre volte, di inciampare
involontariamente e rovinare un pasto costoso costringendo cuochi e
camerieri a ricominciare da capo.
–
Vale, vale!. – la
voce di Janee la raggiunse e la fece voltare di scatto.
L'amica
le veniva in contro con una certa espressione di disperazione che le
fece aggrottare la fronte ed alzare comicamente un sopracciglio.
–
Senti, stanno per
arrivare dei nuovi ospiti ma io ho concordato con i coreani che sarei
andata a svegliarli tra cinque minuti!. Potresti per favore occuparti
tu di loro?! Ti prego!. – le chiese l'amica stringendole
nervosamente le candide mani.
Valentina
non esitò e la rassicurò, in fondo, fino alle dieci lei
non sarebbe stata impegnata ed erano appena le otto.
A
differenza degli affollati corridoi della sala principale del hotel,
la camera di Son e Kim era immersa nel silenzio. La luce, tiepida
e leggermente colorata di arancio, dava la sensazione di un certo
calore, una certa tranquillità quasi surreale. Kim Kyung,
dopo aver fatto colazione si era sdraiato a pancia in giù sul
suo letto, ancora sfatto. – Hyung, sono appena le otto,
cosa facciamo fino alle dieci? – chiese il maknae facendo
dell'aegyo* random e spezzando il silenzio. – Non hai dei
documenti da riguardare? Dopodomani abbiamo la conferenza e non
possiamo sbagliare nulla, non è forse il caso che ripassi il
discorso?. – rispose Son che stava ancora seduto al tavolo
leggendo il giornale e sorseggiando del caffè. – Hn,
forse hai ragione – rispose Kyung con sguardo vuoto.
Si
era improvvisamente sentito stanco, o più che stanco,
annoiato. Appoggiò i gomiti sul morbido materasso e si
portò le mani al mento, sostenendolo. Guardò ancora una
volta la poltrona color mogano e chi vi si era seduto sopra, il suo
Hyung. Lo conosceva ormai da tre anni, non che fossero tanti,
però gli erano bastati per entrare nelle sue grazie e
conoscerlo meglio. Molti gli avevano già detto, quanto fosse
strano il fatto che lo avesse preso con sé e se ne stesse
prendendo cura, dopotutto, Son era una persona molto fredda e
riservata nonostante la giovane età. In ogni caso, il
fatto che lo avesse preso in considerazione, voleva dire che aveva
qualcosa di diverso o di speciale in confronto agli altri hubae del
corso di arrampicata, o almeno era questo che credeva. In quei
tre anni, la sua ammirazione verso Son era cresciuta in modo
indescrivibile, il fatto di vederlo arrampicare a mani nude lo faceva
un po' preoccupare ed un po' eccitare. Vederlo sforzarsi al massimo
per poi arrivare alla cima della roccia prefissata gli provocava un
certo piacere. Era strano vederlo sorridere, Son si era
presentato già dall'inizio come se fosse stato una pietra
miliare, una persona estremamente schietta e dal sorriso difficile.
Però, ogni volta che riusciva a raggiungere una cima, un suo
obiettivo, il suo sorriso si sprigionava, estasiando il piccolo
Hubae. Kyung scosse la testa un paio di volte per risvegliarsi
dai suoi flashback e si riconcentrò sulla figura di Son,
seduto sulla poltrona. Le sue braccia erano più magre di
quello che ci si può aspettare da uno scalatore, ma aveva dei
muscoli delineati e delle ossa molto grosse. Le linee delle gambe,
del mento, del naso, qualsiasi cosa sembrava perfetto al maknae. Si
soffermò sul viso e nonostante il suo sguardo fosse intenso,
Son non lo sentì. Ignaro dei pensieri che il suo Hubae stava
elaborando, si portò la tazza di caffè alle labbra per
sorseggiare ancora quel poco di caffè che rimaneva nella
bianca tazza. Kyung vide le labbra di Son macchiarsi di caffè
ed un brivido gli percorse la schiena. Era visibilmente eccitato.
Avrebbe voluto alzarsi e senza troppi problemi, sedersi su di lui
per poterlo baciare intensamente. Chissà quante volte aveva
già fatto quel sogno..
–
Kyung, pensi di
prendere in mano il discorso o cosa?. Hai sentito quello che ti ho
suggerito di fare?. – gli disse Son, ancora senza guardarlo.
Kyung
arrossì di colpo, la voce bassa del suo Hyung lo aveva colpito
proprio sul più bello del suo sogno ad occhi aperti.
–
Ah, ha.. sì,
adesso vado a prenderlo – gli rispose senza guardarlo e
rotolando letteralmente giù dal letto.
*
“ah, è da pazzi!” ▬ ho
preferito lasciarla in coreano perché, detta da un coreano può
suonare decisamente bene. *espressione carina ▬
l'aegyo è il tipico comportamento - talvolta estremo
e stupido - che alcuni giovani ragazzi, ma sopratutto ragazze,
usano per attirare l'attenzione.
Fine
del terzo capitolo!. Chiedo infinite scuse per averci messo così
tanto a postarlo ma, l'ispirazione ed il tempo sono stati miei fatali
nemici.
Come
al solito, suggerimenti e critiche sono ben accetti!. Grazie per
aver letto ed aspettato. Al prossimo capitolo.
{
x-cyanide
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Capitolo 4 *** Real ***
{
Love
like oxygen }
3.
Real
Nota:
I
personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della
sottoscritta. Take
out with
full
credits.
–
Kyung,
pensi di prendere in mano il discorso o cosa?. Hai sentito quello che
ti ho suggerito di fare?. – la voce di Son eccheggiava nella
stanza e Kyung arrossì di colpo. –
Ah, ha.. sì, adesso vado a prenderlo –
gli
rispose mentre rotolava giù dal suo letto.
Appena
toccato terra, si alzò in fretta e si diresse verso il suo
armadio. Le grandi e larghe porte lignee color mogano si lamentarono
ma rimasero aperte e gli permisero di nascondersi. Appoggiò
le mani al bordo di un ripiano e abbassò la testa scuotendola
leggermente in segno di disappunto. "Come ho fatto a pensare
una cosa del genere", si chiedeva. Davanti a se, un piccolo
zaino nero vuoto penzolava, doveva prendere la sua chiave USB e
andarsene in fretta.
--
Hyung, allora vado di sotto a stamparlo, secondo te mi faranno
pagare? -- chiese cercando di sembrare il più naturale
possibile. -- No, non credo. In caso, chiama l'assistente, deve
servire pure a qualche cosa, no?. -- rispose freddo il più
grande, senza nemmeno alzare lo sguardo dal giornale che stava
leggendo.
"Deve
pur servire a qualcos'altro oltre che a rovinarmi le "vacanze"",
pensò scocciato, Son. Era ancora turbato dal suo stesso
comportamento, non poteva essere così stupido e bambino
davanti ad una persona di servizio come quella, aveva una reputazione
da mantenere. Chiuse il giornale e lo buttò sul tavolino
ancora pieno di rimasugli della colazione.
--
Ah, odio tutto questo – si alzò in piedi lentamente e
prese a mettere a posto i diversi piatti di porcellana bianca, un pò
di salviette che il maknae aveva sparso sul tavolo ed in fine
ragruppò tutto ad un lato del tavolo.
Davvero
schizzinoso come uomo, almeno, è così che lo
definivano. Non è che volesse sembrare schizzinoso,
semplicemente non sopportava il disordine. Guardò ancora
una volta il tavolo e vi ringhiò contro, quasi come se il
tavolo avesse una qualche colpa. Sì grattò la testa e
si mise davanti allo specchio più grande che c'era in camera.
--
Se qualcuno mi vedesse in questo stato, di sicuro non penserebbe che
sono schizzinoso – disse a bassa voce tentando di mettersi a
posto alcuni ciuffi di capelli neri.
Non
ci aveva pensato, ma effettivamente, qualcuno a lui poco conosciuto
lo aveva visto in quello stato, e nemmeno tanto tempo fa, giusto
questa mattina, appena svegliato. "Valentina". Il nome
gli balenò in mente e brutalmente scostò lo sguardo
dallo specchio, non voleva vedersi arrossire, avrebbe dovuto
riconoscere il fatto di essere stupido e talvolta infantile.
--
Ha, io infantile, giusto.. ma che sto pensando? -- disse abbassando
lo sguardo. -- Forse dovrei portare via un pò di queste
cose, avete finito la colazione, giusto? --
Valentina
era entrata in camera senza bussare, la porta era semichiusa e
pensava che i due fossero già andati via. Sentirlo parlare
da solo le aveva provocato una certa risatina che faceva fatica a
controllare. Chi l'avrebbe mai detto che il coreano dallo sguardo
killer e dalle poche parole, parlasse da solo davanti agli specchi!.
-- Ah? -- Son non riconnobbe subito la sua voce, ma appena si
rese conto che lei era nella stanza, alzò di scatto la testa e
gridò – Yah!, non dovresti bussare alle porte dei
clienti prima di irrompere nelle loro stanze!? -- era visibilmente
irritato ed i suoi occhi, che fino a quel momento erano sembrati di
giaccio, stavano mostrando un'espressione tra il turbato e
l'arrabiato.
Valentina
non sapeva se esserne soddisfatta o terrorizzata, così, si
chinò e chiese più volte scusa. Effettivamente, era
stato un suo errore entrare nella stanza senza bussare.
--
Mi dispiace, pensavo non ci fosse più nessuno – disse
ancora con il capo chinato. -- Diavolo – Son fece una
pausa, si portò le mani alla vita e continuò con una
certa arroganza – Porta via quele robe e assicurati che questo
non capiti più, se non sei in grado di compiere il tuo lavoro
in modo responsabile forse dovresti lasciarlo. Cambiare assistente
per noi non è un problema. -- concluse.
Le
fredde parole furono come un pugno in piena faccia per la ragazza.
Pensava di aver acquisito una certa complicità con Son,
eppure in quel momento, lui le aveva dimostrato come stessero le cose
in realtà, l'aveva riportata al mondo reale, dove i suoi
clienti sono clienti e non persone con le quali prendersi confidenze.
Non
poteva stare in quella stanza ancora per molto, Son l'avrebbe
sgridata di nuovo e non l'avrebbe sicuramente sopportato.
--
Sì, Le chiedo perdono, mi assicurerò che tutto questo
non capiti mai più – disse – mai più.. --
ripetè a voce bassa mentre, con lo sguardo perso nel vuoto,
cominciava a sparecchiare il tavolo.
--
Scusi, avrei bisogno di fare una stampa! --
Kyung
era in reception, aveva il solito sguardo acceso e il modo di fare di
un dodicenne, ma in realtà, i suoi pensieri erano tutt'altro
che gioiosi e leggadri. Certo, "chiamare l'assistente",
cosa gli sarebbe costato vederla?, forse qualche piccolo accenno di
mal di testa?. Ogni volta che la vedeva, il sangue gli ribolliva.
Gli era difficile credere che una persona come lei, una sconosciuta,
una di servizio, potesse anche solo vagamente interessare a Son. Sin
dall'inizio, Kyung era stato in grado di sbaragliare tutte le
"concorrenti"; chi con una qualche bugia e chi con le
minaccie. Adesso doveva occuparsi di lei, Valentina.
--
Signorino Kyung, ha bisogno di qualcosa? -- il maknae si voltò
di scatto e sussurrò – parli del diavolo.. --
Passando
dalla reception, Valentina aveva notato il maknae che aspettava
annoiato.
--
Hei, Nuna! -- le urlò aprendo le braccia e delineando un
perfetto finto sorriso sulla sua giovane faccia – avrei bisogno
di stampare il discorso per la conferenza. Sai, sono stato
rimproverato dal Hyung per non averlo fatto prima e per aver
gironzolato per tutta la mattina senza fare niente!. --
"Beh,
"tutta la mattina"" – pensò Valentina tra
se e se. In fondo erano solo le nove e mezza e se non errava, il
loro congresso sarebbe stato tra quasi una settimana.
Guardò
Kyung e porgendogli il palmo di una mano gli disse – mi dia
pure la chiavetta, mi occuperò di stamparlo e glielo
consegnerò prima della riunione di oggi -- -- Yeh!,
grande! -- le rispose Kyung abbracciandola improvvisamente e
lasciandola perprlessa si allontanò.
"Certo
che.." pensò Valentina. Qualche minuto prima, Son le
aveva urlato che doveva essere professionale e non prendersi
confidenze e adesso, il Maknae la abbracciava senza un buon motivo.
Scuotendo la testa passò dall'altra parte della scrivania
e si occupò di stampare ciò che le era stato chiesto.
--
Hyung! -- Kyung era tornato in camera, Son stava finendo di
vestirsi, era di spalle al più piccolo e non
rispose. Incuriosito, il maknae si avvicinò piano e si
sedette su uno dei letti, aspettando che si girasse.
--
Hai stampato quello che dovevi? -- chiese schietto il più
grande. -- L'ho lasciato tutto in mano a Vale, ha promesso che me
lo porteà prima dell'incontro – rispose il più
piccolo stiracchiandosi e sorridendo. Sapeva che anche solo
pronunciare il suo nome poteva farlo reagire in un modo diverso da
solito e aspettava con una certa ansia che si girasse, per poter
vedere che razza di espressione gli si fosse dipinta sul volto questa
volta. -- Ok – Son si girò di scatto e s'infilò
una felpa un pò stroppicciata che aveva trovato vicino al
letto. A differenza di quanto si aspettava il Maknae, Son non
cambiò espressione, anzi, sembrava essere tornato il solito
uomo freddo che sorride a malincuore e fintamente. -- Hyung, è
tutto ok? -- chiese dunque il più piccolo, sospettando che
qualcosa fosse cambiato dal momento che non mostrava alcuna
espressione al sentire il nome della rossa. -- Certo. Esco a
correre, ci vediamo più tardi – rispose Son poggiando
una mano sul capo del più piccolo e scombinandogli i corti
capelli. Uscì dalla stanza camminando lentamente e senza
dire altro, mentre il Maknae era di spalle e guardava fuori dalla
finestra prossima al letto. Doveva essere successo sicuramente
qualcosa, Son non faceva mai quei gesti nei confronti di Kyung; mai e
poi mai avrebbe scompigliato i capelli al più piccolo e non
perché ciò provocasse fastidio ma bensì, perché
riteneva che il contatto fisico fosse un qualcosa da evitare, in
tutte le sue varianti.
La
situazione non cambiò nei giorni a seguire anzi, Son era
sempre più freddo nei confronti dell'assistente. La evitava
in ogni modo e se le doveva parlare, il tono della sua voce era
sempre rigido e le sue parole affilate come lame pronte a squarciare
ogni cosa. Nei suoi occhi, quasi sempre si poteva riscontrare un
certo vuoto e talvolta un'estrema concentrazione: ma quando si
trattava di parlare con l'assistente, vederla o anche solo
incrociarla per i lunghi corridoi dell'hotel, i suoi occhi assumevano
un'aria incattivita, come se ci fosse stato qualcosa che lo avesse
portato all'estremo della sopportazione. Il maknae notava tutto
ciò, ma non era sicuro su cosa fosse successo e preferì
dunque, lasciare da parte le domande ed aprofittare del momento di
rottura tra i due. Quasi, quasi, preferiva che il suo Hyung fosse
interessato a lei poiché sapeva, che chi si odia si ama e
l'odio è come la gelosia, risveglia ogni sentimento, ogni
desiderio. Non era sicuro di come sarebbe finita, ma per il
momento, aveva optato per tenersi da parte ed osservare ancora per un
pò. Mancavano solo tre giorni alla conferenza ed in quei tre
giorni, si sarebbero dovuti ritrovare più volte per rivedere
il discorso e la traduzione, sarebbe stato davvero uno spettacolo per
gli occhi del più piccolo che non aspettava altro che vedere
il suo Hyung rifiutare e trattare in modo dispregiativo l'assistente.
-- Signor Son.. – Valentina battè sulla porta
della stanza prima di entrare, lo fece ogni volta dopo la loro
"litigata". Non era sicura che potesse chiamarsi tale,
ma in effetti, lui aveva alzato il tono di voce e lei non voleva
risentirlo in quel modo. Pensò che fosse strano che
l'avesse chiamata in camera in notte inoltrata, non era mai capitato
prima di quel momento. Cominciò a pensare che forse voleva
soltanto una mano con il discorso ma poi l'idea fu prontamente
rimpiazzata dal ricordo che, in camera, insieme a lui, si trovava il
Maknae che sicuramente se ne intendeva di più dell'argomento
affrontato. La porta si aprì lentamente mentre un Son
assonnato si affacciava vestito con una tuta larga ed i capelli
scompigliati. Erano le due del mattino e continuava a smanettare
al compiuter, ritoccando qua e là il discorso.
-- Aveva
bisogno di me? -- chiese la giovane indietreggiando di qualche passo
vedendolo ancora in tuta. -- No, in realtà è Kyung
ad averne bisogno – si appoggiò allo stipite della porta
e la scostò lentamente facendo poi, scivolare il braccio e
lasciandolo cadere pesantemente sul fianco.
Si notava che
aveva lavorato duro fino a quel momento; le occhiaie solcavano il
viso dai tratti marcati, le labbra secche facevano intendere che era
abbastanza disidratato e le guancie leggermente incavate le
ricordarono che nelle ultime due cene non aveva mangiato un granché.
Essì che il suo amico Chris si era impegnato nel preparare i
migliori menu di cucina coreana, solo per loro.. Comunque, non
aspettò oltre e si addentrò nella buia stanza,
illuminata solo dal monitor del portatile che riempiva la stanza con
il rumore fastidioso della ventola. Kyung era sdraiato sul letto
ed aveva una pezza in fronte; non era difficile inturie che cosa
avesse. Valentina si decise ad avvicinarsi al letto del maknae, si
accovacciò e gli sussurrò per svegliarlo: "Signorino,
mi sente?". Il più giovane si mosse appena, mugugnando
qualcosa di incomprensibile e con gli occhi chiusi.
--
Signorino, chiamo il medico, aspetti ancora un'attimo – disse
finalmente l'assistente rialzandosi in piedi e camminando verso il
centro della stanza.
In tanto, Son si era riseduto al
compiuter e continuava a scrivere e cancellare parti del suo
discorso. Valentina si sentì quasi infastidita da quel
menefreghismo; è vero, Son si era probabilmente occupato di
cambiare la pezza per mantenere fresca la fronte del più
piccolo, ma non poteva comunque credere che si rimettesse subito al
lavoro, senza nemmeno chiedere cosa potesse o meno avere il maknae.
La odiava a tal punto da non rivolgerle la parola nemmeno in queste
situazioni?. Eppure l'aveva chimata, questo voleva dire che si fidava
ancora?. Prese in mano il telefono della stanza e digitò
velocemente il numero del dottore, sperava di trovarlo sveglio,
altrimenti sapeva che avrebbe opposto una certa resistenza ad uscire
di casa, in fondo, chi è felice di essere svegliato alle due
di mattina?, per poi dover pure abbandonare il proprio letto. Quando
ebbe finito la telefonata, l'assistente si avvicino ancora una volta
al letto di Kyung per vedere in quale stato fosse. Non poteva dirsi
preoccupata, però di certo le condizioni del giovane non
sarebbero state ottime per il giorno della conferenza e ciò
poteva recare un qualche disturbo generale al team coreano. Il
maknae non aveva grandi parti del discorso da recitare, ma se non
fosse stato in grado di presentarsi, Son avrebbe dovuto prendere il
doppio della mole di lavoro e questo, più che qualche altro
particolare, era quello che preoccupava a Valentina. Per quanto
odiasse il modo schietto e maleducato che Son aveva assunto dopo la
loro "litigata", Valentina continuava a preoccuparsi per
lui e la sua salute. Era facile notare quanto fosse stressato e
spossato da quel faticoso lavoro.
Il silenzio domniava nella
stanza, si potevano sentire bene i respiri affannosi del più
piccolo e ancora quella stramaledetta ventola del portatile. Né
Valentina, né Son spicciarono parola per i quindici minuti che
passarono prima che il dottore arrivasse. Il dottore era un
vecchio di una settantina d'anni, sembrava uno di quei medici
ottocenteschi e portava con se una valigetta in pelle di quelle che
non si vedevano quasi più in commercio. Fu veloce nella
visita ed abile a spiegare le procedure da seguire per curare il
malato, sintetico e ordinato nel predisporre le ricette per i
medicinale e soprattutto, molto puntiglioso sul fatto di non muoverlo
dal letto per una settimana. Questo sarebbe stato senza dubbio un
grosso problema, ma Son non si lasciò prendere dal panico e,
portandosi le mani al retro delle ginocchia, s'inchinò per
ringraziare l'anziano che con un passo molto lento, si ritirò.
Valentina lo accompagnò e chiuse la porta augurando la
buona notte e raccomandandogli di smettere di lavorare fino a così
tarda notte. Son odiava le sue premure, erano qualcosa che non
desiderava. Si sedette di nuovo alla scrivania e riprese in mano
il suo discorso, aveva fatto un gesto quasi bambinesco, un pò
capriccioso e appena se ne rese conto si portò le mani alla
fronte.
-- Diavolo – sospirò profondamente.
Quando
rialzò la testa, guardò l'orologio digitale sullo
schermo che era stato riempito da parole, erano le tre e tre quarti.
Si guardò attorno e vide il maknae riposare con un respiro
più regolare, forse era ora che anche lui dormisse un
pò. Spense il compiuter e prese tutte le bottigliete di
integratori che aveva sul tavolo, erano una decina, forse di più. Una
volta sistemato tutto, si diresse verso il suo letto vicino alla
finestra e vi s'infilò dentro. Chiudendo gli occhi non potè
fare ameno di vedere, per l'ennesima volta, il viso dell'assistente.
Nonostante quel giorno l'avesse sgridata fortemente e avesse
pensato che fosse stato stupido provare qualcosa per una sconosciuta,
non poteva fare a meno di rivederla. La cosa lo rendeva nervoso e
spesso lo tormentava senza lasciarlo dormire. Si trattava di
orgoglio, lui, Son l'uomo impassibile, l'uomo di ghiaccio, non poteva
certamente perdere il suo titolo per una stupida aiutante che non
sapeva nemmeno rispettare le regole comportamentali del suo stesso
posto di lavoro. Era esasperato, ancora una volta si sentiva
estremamente irritato e rigirandosi nel letto, dopo qualche minuto,
riuscì a calmarsi e dormire.
________________________________________________________________________________________________
Fine
del quarto capitolo!. Mi dispiace di averci messo così
tanto tempo a scirverlo, ma le idee non volevano arrivare. Poi,
essendo in quinta superiore non ho molto tempo per sedermi al
computer e rivedere i vecchi capitoli. Nel prossimo capitolo spero
poter spiegarvi perché Son chiama Kyung "Hubae"
nonostante siano entrambi maschi.
Grazie
per aver letto ~ { x-cyanide
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Capitolo 5 *** Jamkkodae ***
{
Love
like oxygen }
5.
Jamkkodae
Nota:
I
personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della
sottoscritta. Take
out with
full
credits.
–
Hyung, yah, hyung! – il maknae si era svegliato prima del
previsto, la sveglia non era ancora suonata e Son dormiva
profondamente poiché il giorno prima era rimasto in piedi a
lavorare fino a tardi. – Hyung-aah! – era
particolarmente insistente, scrollava il più grande con forza,
quasi fosse impaurito. – Aigoo, che vuoi!? – rispose
Son lamentandosi con voce rocca – p-piove! Hyung, piove! –
il tono di voce era decisamente particolare, ma appena pronunciò
le prime parole, Son scostò le coperte del suo letto ed
aspetto che quel vuoto venisse riempito dal suo Hubae. Nonostante
fosse grandicello, Kyung aveva il terrore delle tempeste estive, il
rumore dei tuoni non era mai stata una dolce melodia, e la pioggia
che batteva forte sugli scuri delle finestre sembrava più
minacciosa di un grande uomo armato di coltello pronto a colpire alle
spalle. Più volte, i due avevano discusso sul suo
comportamento infantile, ma in fondo, Son non poteva evitare di
capirlo, tutti hanno delle paure, chi più stupide, chi più
ragionevoli. Sembrava davvero una cosa strana che una persona fredda
come lui potesse permettere al proprio dongsaeng un comportamento del
genere di fronte alla sua persona e per ripicca, prese a chiamarlo
Hubae per sottolineare quanto fosse fifone e poco maschile quando si
comportava in quel modo. Mentre si rigirava nel letto tentando di
lasciare abbastanza spazio per il corpo del più piccolo, Son
riprendeva la sua dormiveglia, in stato semi-incosciente, ricostruiva
vecchi ricordi di quando aveva appena iniziato a frequentare quel
rompiscatole di Kyung.
– Hyung!
Questa volta ci è toccata la stessa camera, sei contento!? –
La voce squillante del maknae echeggiava in tutto il lungo corridoio
di un vecchio hotel a Busan. Era stato qualche anno fa, la prima
volta che viaggiavano come team di rappresentanza ad un congresso
nell'isola di Busan, Kyung e Son finirono in camera insieme.
All'inizio, il più grande si sentiva turbato, riusciva a
ricordare chiaramente, nonostante il sonno, quanto avesse odiato
quella settimana. Il suo dongsaeng era logorroico e continuava a
muoversi nonostante gli ripetesse di stare fermo. Erano entrambi
seduti sui rispettivi letti, separati da qualche centimetro di
moquette rossa, quando il meteo annunciò forti temporali
estivi. Son non prestava grande attenzione al meteo, si asciugava i
capelli scuotendo il bianco asciugamano con leggera violenza. Aveva
imparato, in quei pochi giorni di convivenza, che se c'era qualcosa
che il maknae non sapeva fare, era stare zitto. Eppure, in quel
momento si era ammutolito, nessuna stupida battuta usciva dalla sua
bocca, nemmeno un leggero soffio d'aria. Quando Son gli rivolse lo
sguardo, lo vide fissare lo schermo sbigottito e quasi impaurito, le
rosee labbra leggermente divaricate e le spalle completamente
incurvate. Il più grande non capiva cosa ci fosse di così
shoccante nel meteo, ma non vi fu nemmeno bisogno di domande poiché
il più piccolo si arricciò ancora di più ed
iniziò a singhiozzare.
– Yah,
che stai facendo? – chiese Son con tono freddo. Il maknae
non rispose e prese a muoversi lentamente avanti ed indietro
coprendosi le orecchie e portando le ginocchia alla faccia. Era la
prima volta che Son lo vedeva in quello stato, non capiva cosa fosse
successo e cominciava a spaventarsi davanti alla reazione del più
piccolo. – Ehi, smettila, smettila – si alzò
di scatto e si avvicinò con fare paterno tentando di
riportarlo ad una posizione normale, lo scostò con leggera
forza mentre gli sussurrava all'orecchio, era l'unica cosa che poteva
fare. Sapeva perfettamente di non trovarsi davanti ad un malato
mentale oppure ad una donnina in preda ai fastidi mensili, ma non
sapeva cos'altro fare e così, lo strinse in un caldo
abbraccio. Le lacrime del più piccolo gli bagnarono la
maglietta appena messa e nonostante la situazione, quasi lo maledisse
per ciò. – Perché stai piangendo? – gli
chiese sussurrando. – la.. la p-p.. la p-pioggia! –
rispose il maknae scoppiando in un pianto irrefrenabile che gli
faceva contrarre le spalle in modo quasi spasmodico. –
Cos'ha la pioggia che non va? Porta un po' di sollievo al terreno
dopo tutti questi giorni di caldo afoso, dovresti amarla. –
rispose con tono quasi indifferente il più grande mentre gli
accarezzava la schiena nell'intento di calmarlo. – No! –
urlò improvvisamente l'altro – io.. io – e prima
che potesse concludere la frase, una grande ondata di lacrime riempì
i suoi occhi ed un nodo alla gola gli fece sentire quasi di non poter
respirare. Son portò una delle sue mani al capo del più
piccolo, notò con piacere che i suoi capelli erano morbidi e
la spinse verso il suo petto facendola poggiare delicatamente.
Appena il maknae si rese conto dove poggiasse la sua testa, sentì
perdere un battito. Continuava a piangere, ma più
controllatamene. Erano anni che nessuno si prendeva cura di lui
in quel modo, nessuno restava ore ed ore inginocchiato davanti a lui
stringendolo ed accarezzandolo per calmare le sue ansie. Si
sentiva quasi a disagio, ma in fondo quel tepore quasi amoroso che
gli donava l'abbraccio del più grande lo faceva sentire più
tranquillo. Sapeva di non doversi illudere, sapeva di non essere
particolarmente caro al suo Hyung, ma in qualche modo cominciava a
perdere il controllo e a lasciarsi andare tra le sue braccia. Non era
in grado di abbracciarlo, di stringerlo, per paura che quelle
attenzioni s'interrompessero di colpo, così si decise a
sfogarsi fino in fondo.
Qualche
ora più tardi, il temporale era arrivato ed i forti venti
facevano risuonare porte e finestre. Il maknae aveva pianto così
tanto che si era addormentato tra le braccia del più grande.
Son non esitò a portarlo di peso dentro il letto, quasi come
si trattasse di una ragazza. Effettivamente, aveva dei tratti
particolarmente dolci, ma infondo era giovane. Era stanco anche
lui, così, nonostante fossero soltanto le otto di sera, decise
di mettersi a letto e riposare un po'. Mentre teneva gli occhi
chiusi, il rumore della pioggia battente lo faceva sentire rilassato,
a differenza del maknae, lui adorava la pioggia, l'odore di umido che
si respirava al mattino dopo i temporali, l'aria fresca che lasciava
alle sue spalle. Quando finalmente si era addormentato, una mano
tremolante si poggiò sulla sua spalla e cominciò a
scuoterlo lentamente. Con aria minacciosa si girò nel letto e
aprendo gli occhi, nel completo buio della stanza, accese la lampada.
Dovette sbattere un paio di volte gli occhi per abituarsi al nuovo
ambiente, ma fu decisamente più veloce nel riconoscere la
timida voce del maknae che lo chiamava con un filo di voce che veniva
talvolta coperto dai forti rumori dei tuoni. – H-hyung.. –
lo chiamò il più piccolo strattonandolo con più
forza – Hyung! – disse più forte all'impatto di un
fulmine. – Che c'è, che ti succede – disse il
più grande sedendosi sul letto e grattandosi la testa
molesto. Il più piccolo stava per ricominciare a piangere e
Son non sarebbe stato in grado di rimanere in piedi ancora altre tre
ore a calmarlo. In un gesto quasi disperato, aprì le coperte
del letto e prendendolo per un polso lo trascinò nel letto. –
Per questo dovrai ringraziarmi per il resto della tua vita, adesso
calmati – gli disse seccato mentre una delle sue braccia
cominciava ad avvolgerlo. Il più piccolo si ammutolì
e non fu in grado di replicare o ribellarsi alle azioni improvvise
del più grande. Nonostante fosse confuso, si sentiva protetto,
come prima. Decise dunque di approfittare di quel momento, di quella
debolezza causata dal sonno, per rintanarsi tra le braccia del suo
Hyung. Poteva chiaramente sentire i suoi battiti, imperturbabili,
regolari, mentre il suo caldo respiro gli solleticava i capelli e una
delle sue mani gli accarezzava la schiena lentamente per calmarlo.
Aveva tutt'altro modo di reagire alle tempeste, era come un pilastro
che non si lasciava abbattere nemmeno dalle peggiori catastrofi, sia
davanti a questo piccolo evento, sia davanti a cose ben più
gravi. Quella sensazione di sicurezza era davvero piacevole,
tanto che il maknae desiderò per la prima volta, che quella
pioggia sempre minacciosa, non smettesse di abbattersi con violenza
sull'isola.
Il
giorno dopo, il bagliore del mattino filtrò attraverso alcune
fessure della finestra svegliandolo. Son aveva il sonno
particolarmente pesante, l'unico modo per svegliarlo era l'assordante
rumore della sveglia oppure una forte scossa. Ricordare questi
particolari gli fece arricciare le labbra. Ancora un po' intorpidito
dalle prime luci, non osava muoversi, era in una posizione perfetta,
aveva il privilegio di essere in prima fila allo spettacolo della
vita, sentiva i fievoli rumori del respiro regolare del più
grande, con una mano poggiata sul suo petto, ne seguiva i lenti
movimenti, il mento era leggermente poggiato sulla sua testa, la
pelle delle sue braccia era a contatto con quelle dell'altro e la
sensazione di calore che lo avvolgeva si contrastava alla frescura
mattutina che privilegiava nella stanza, come un fuoco acceso in
piena notte in un bosco. La pioggia aveva cessato, adesso i
rumori del mattino si facevano più chiari e vivi; gli uccelli
cinguettavano a grande voce, una leggera brezza faceva muovere le
foglie degli alberi e provocavano un dolce fruscio, le prime voci
cominciavano a sentirsi al di fuori della porta della camera, qualche
passo pesante rimbombava qua e là. Era una giornata
decisamente diversa dalla scorsa notte.
– Mhh..ah
– Son aveva preso a muoversi lentamente e a fare i soliti
lamenti mattutini. Kyung, indeciso sul da farsi, decise di richiudere
gli occhi ed aspettare. – Ahh, dio. – Son fece un
lungo sospiro, aveva male al collo per via della posizione scomoda
che aveva tenuto la sera prima. Cominciò a scostare le braccia
che scivolarono a contatto con quelle del maknae e lo fecero quasi
sussultare. Si era dimenticato di non essere da solo in quel
letto. – diamine, è troppo piccolo per due persone... ma
che stavo pensando? – sussurrò mentre si grattava la
testa. Kyung continuava a dormire, almeno, era quello che
sembrava. Intrappolava il braccio del più grande che non
riusciva più a sopportare quella posizione e decise di
chiamarlo. – Kyung, Kyung-ah – gli disse con tono
freddo – Kyung-ah, mi fa male il braccio, non ti dico di
svegliarti ma quantomeno spostati – concluse. Il più
giovane, sentendo il tono indifferente dell'altro, decise di
aspettare ad aprire gli occhi e solamente scostarsi per liberarlo
dalla presa. Nonostante volesse vedere il viso del suo Hyung, non
voleva che quest'ultimo avesse lo stesso sguardo indifferente e
ghiacciato di sempre, preferiva aspettare che gli passasse quello che
lui chiamava “l'incazzatura mattutina”. Era sempre di
cattivo umore quando si svegliava, forse perché amava
particolarmente dormire e lo scocciava doversi svegliare o forse
perché faceva spesso incubi, non sapeva trovare la risposta
giusta. – Hyung? – tentò di sembrare un po'
intorpidito, si sfregò gli occhi un paio di volte ma continuò
a tenerli chiusi e tra un lamento e l'altro di Son cercava delle
coperte per coprirsi la faccia, anche se gli sembrava una cosa da
maniaci, voleva sbirciare mentre si dirigeva in bagno. –
Yah.. – gli rispose l'altro mentre barcollante, cercava un paio
di pantaloni da rifilarsi. – presto, svegliati, dobbiamo fare
colazione – concluse strisciando i piedi sulla moquette rossa e
spostandosi verso la porta lignea del bagno. Kyung aprì
gli occhi in una fessura e sbirciò al di là delle
bianche coperte; il suo Hyung aveva i neri capelli arricciati e
scombinati, la maglietta blu con la quale dormiva sempre, un po'
sollevata dalle parti, i pantaloni a righe bianche e nere un po'
bassi tanto che si vedevano i bordi dei boxer di un inconfondibile
verde acido. Divertito, pensò che avesse un nemico che gli
comprava l'intimo, ma nonostante tutto, apprezzava che almeno in
quello fosse colorato e non soltanto nero, grigio e bianco, come
tutti i suoi vestiti. Dopo che la porta si chiuse cigolando, si
girò lentamente e ritornò alla posizione nella quale si
era svegliato, voleva ritrovare quel tepore, quel profumo che c'era
pochi minuti prima. Afferrando uno dei cuscini, aspirò
profondamente ed il profumo dello shampoo di Son gli riempì le
narici, lo fece sospirare e rabbrividire allo stesso tempo. Ci
fosse stato qualcun altro, avrebbe potuto scambiarlo con una
dodicenne innamorata, pensò mentre sorrideva e si arricciava
nel letto. “Innamorata”, già, più volte
si era chiesto se ciò che provava nei confronti del suo Hyung
fosse proprio amore. Nonostante fosse cosciente di non essere
ricambiato, non poteva fare a meno di essere interessato da
quell'uomo, da quel carattere così freddo, così
distaccato ed apparentemente menefreghista. Sperava di poter
scoprire, con il tempo, tutte le diverse sfaccettature della
personalità di Son, ed effettivamente, quella sera, senza fare
a posta era riuscito a far venir fuori quella sua parte che prova
pietà, quella parte che si preoccupa quando qualcuno
piange. Anche se lui era imbarazzato, Son, quando si era
svegliato, era rimasto schietto come al solito, niente sembrava fuori
posto nella sua voce, non un filo d'imbarazzo o rabbia. Questo
rattristò il più giovane che aggrottò
leggermente le sopracciglia in un'espressione melanconica. Se il suo
Hyung si fosse preso cura di lui perché riconosceva e
ricambiava i suoi sentimenti, allora la sua reazione la mattina dopo
che avevano condiviso un letto sarebbe stata assai diversa, per
quanto potesse essere un uomo imperturbabile non poteva rimanere
indifferente ad una notte abbracciato al proprio amato. Sbuffo
con forza senza rendersi conto che Son usciva dal bagno. –
Che hai? – gli chiese mentre tentava di rimettersi i pantaloni
e la maglietta a posto. – Ah, niente di che – rispose
con il tono più controllato che riuscì a comporre. Si
girò per finalmente guardarlo in faccia, era inutile
aspettare, l'espressione dolce che si aspettava non sarebbe arrivata.
Son lo guardava con aria interrogatoria il ché lo colse di
sorpresa, aveva forse qualcosa in faccia?. – B-buongiorno –
gli disse mentre si tirava su dal letto e tentava di rimettersi un
po' a posto. – Comincerò a chiamarti Hubae al posto
di Dongsaeng. – gli disse mentre camminava per la stanza
cercando i suoi vestiti. Di certo, il più piccolo non se lo
aspettava, e Son moriva dalla voglia di vedere la sua faccia, così,
dopo aver preso una delle tante camicie bianche, si girò e con
non curanza lo scrutò: era a dir poco spettacolare l'aria da
rimbambito che l'altro aveva assunto, sembrava che gli avessero
tirato uno schiaffo per svegliarlo. Il maknae sbatté un
paio di volte le palpebre e dopo aver analizzato la frase, si girò
di scatto verso Son urlando – Perché?! – sembrava
abbastanza contrariato dal tutto, tra l'arrabbiato e lo sconcertato
tanto che le sue sopracciglia assunsero una strana forma, ne
aggrottava una mentre l'altra era dritta, era un'espressione così
buffa che quasi lo fece ridere. Voleva evitare di perdere il suo
ruolo di “persona vecchia” che gli aveva affibbiato il
più piccolo, e così, si girò mentre con la
solita aria indifferente gli rispose – sei un rompiscatole
fifone, dunque, sei il mio Hubae – Di sicuro, quello era
stato il momento nel quale aveva deciso di chiamarlo Hubae non solo
per il suo atteggiamento, ma anche per la sua espressione contrariata
ogni volta che usava quel termine davanti ad altre persone.
Era
finalmente riuscito ad addormentarsi, dopo quel lungo ricordo era
riuscito a chiudere del tutto gli occhi ed a riposare come dovuto.
Tra le sue braccia, come quella volta, il maknae cercava riparo dalla
pioggia, come un gatto randagio che cerca di coprirsi durante una
tempesta, il più piccolo si era arricciato ed aveva appoggiato
la testa sul suo petto. Ogni tanto, Son si chiedeva cosa avrebbe
potuto pensare la gente di questa sua scelta nei confronti di Kyung,
ma in fondo, il suo Hubae era l'unica persona che poteva considerare
amico e l'unica persona per la quale avrebbe fatto ciò che
andava fatto. Se si sentiva solo ed impaurito, allora riteneva che
fosse giusto fare in modo che si sentisse protetto, non importava che
fosse un maschio, era prima di tutto, una persona.
________________________________________________________________________________________________
Eccomi
con il quinto capitolo. Come promesso, ho dedicato questo capitolo
al rapporto tra i due maschi della storia e al perché Son
chiami "Hubae" il suo dongsaeng nonostante sia un maschio.
Devo dire che scrivere questo capitolo mi ha fatto riposare un pò
prima dell'inizio del grande studio per gli esami, spero che sia
all'altezza delle vostre aspettative.
Grazie
per aver letto ~ { x-cyanide
|
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Capitolo 6 *** Ready or not ***
{
Love
like oxygen }
6.
Ready or not
Nota:
I
personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della
sottoscritta. Take
out with
full
credits.
La
settimana prima dell'inizio della conferenza era passata in fretta,
tra preparativi e notti insonni i membri del comitato coreano si
erano preparati per dare il loro meglio, incluso Son. Nel grande
salone principale dell'hotel che pullulava di gente, in un angolo si
trovavano i membri del team coreano, discutevano sugli ultimi
preparativi e correggevano di fretta alcuni errori sui propri
discorsi. L'atmosfera era particolarmente tesa, non potevano
permettersi di sbagliare davanti agli ospiti.
– Signor
Son – Valentina si avvicinava a passo affrettato verso il suo
ospite, aveva un plico di carte che sorreggeva tra le fine braccia.
Con la sua solita postura rigida ed elegante, i tacchi neri e la
divisa dell'hotel accompagnata dalla spilla, sembrava distinguersi
tra gli altri per una certa aria estremamente professionale, era
difficile vederla sorridere, non sembrava la solita assistente
impacciata e sorridente. Son la stava osservando dalla prima
riunione che avevano fatto per ultimare il discorso, i lunghi capelli
rossi erano stati raccolti con cura in un'alta coda, al collo portava
un fazzoletto nero di seta, i lunghi orecchini che pendevano dalle
sue piccole orecchie si muovevano a ritmo con il suo passo, quasi
vellutato nonostante gli alti tacchi. La sua figura slanciata era
perfetta, come la prima volta che l'aveva vista. Fece una certa
fatica a concentrarsi, la scorsa notte non aveva dormito molto, e non
per colpa della riunione bensì per lei.
– Hyung
ah, ti conviene dormire sai? – la voce del maknae echeggiò
nel buio della stanza cogliendolo di sorpresa. – E tu cosa
ci fai ancora sveglio? – chiese irriverente – Beh,
dovresti saperlo che io mi agito tanto e faccio fatica a dormire
prima delle conferenze.. – rispose con tono piatto il più
piccolo. Sembrava quasi che sapesse cosa stesse realmente pensando ma
prima che potesse ribattere, il più piccolo continuò –
è probabile che non ritorneremo in questo posto per un lungo
tempo, forse dovresti chiarire con la signorina Valentina – la
frase gli fece perdere un battito, lo aveva veramente capito. –
Cosa ti fa pensare che io stia pensando a lei? – gli chiese
tentando di sembrare il meno interessato possibile anche se, in
antitesi, continuava a rigirarsi nel letto e spostare di qua e di là
le coperte. – Il fatto che tu non stia dormendo, di solito
ti costringi a dormire se non hai sonno, rompi sempre le scatole con
i tuoi discorsi moralisti sul quanto sia importante essere ben
riposati prima di una conferenza – disse tutto d'un fiato,
sperando di non ricevere un pugno per risposta. Vi fu un vuoto
per qualche minuto, nessuno dei due si muoveva o parlava, si
espandevano nella stanza soltanto dei respiri affannosi, segno della
rabbia del più grande. – Al diavolo! – urlò
Son prima di rigirarsi ancora una volta e tacere. Kyung non osava
rispondere, aveva già osato un po' troppo prima, reagendo in
modo sconsiderato e poco educato nei confronti del suo hyung. Chiuse
gli occhi, e sperò che il più grande riuscisse a
rimettere a posto i suoi sentimenti. Nonostante trovasse
Valentina un essere spregevole che minacciava le sue speranze,
preferiva vedere Son felice piuttosto che sempre angosciato.
Il
mattino seguente, non vi fu alcun discorso tra i due, soltanto un
lungo silenzio spezzato da frasi corte e concise. Mentre
aspettavano che la sala finisse di essere preparata, conversavano con
i propri assistenti, fu allora che Son rivide Valentina e le parole
di Kyung gli rimbombarono in testa. Quelle tre settimane
nell'hotel non erano di certo bastate per creare un rapporto solido
tra i due, sopratutto se si teneva conto che delle tre, soltanto
nella prima avevano intrattenuto un rapporto abbastanza diretto e
quasi da complici, basato su sguardi e biglietti da visita.
Nonostante tutto, nella mente di Son, il loro rapporto era un
punto interrogativo costante circondato da milioni di varianti
soluzioni mai realmente prese in considerazione.
–
Son-sshi
– disse l'assistente con voce stanca – questi sono gli
ultimi documenti che mi ha chiesto durante la riunione. Il salone
sarà pronto tra qualche minuto, appena apriranno le porte
entriamo e sistemiamo quello che – non fece in tempo di finire
la frase quando fu improvvisamente afferrata per un polso e le carte
cadettero irrimediabilmente a terra provocando l'attenzione di
alcuni. L'aveva fatto, volontariamente, Son aveva afferrato per un
polso la sua assistente e la stava prepotentemente trascinando da
qualche parte sconosciuta persino a sé stesso. Aveva perso
il controllo, il suo solito temperamento freddo era andato a farsi
benedire e la cosa che riteneva peggiore era il fatto di non sentirsi
in colpa. Non si sentiva in colpa per aver appena rovinato la
reputazione del suo team, non si sentiva in colpa per aver rovinato
il lavoro della sua assistente e nemmeno per l'esito negativo che ne
sarebbe derivato alla conferenza. Entrambi si muovevano in fretta
attraverso uno dei tanti lunghi, lussuosi e quanto mai popolati
corridoi dell'hotel, nessuno si opponeva al loro passaggio, nessuno
tentava di fermarli. Appena trovò un'ascensore, vi si
piazzò davanti e guardando la porta schiacciò il
pulsante che vi era vicino.
–
Signor
Son, credo che dovremmo tornare di là e – nemmeno questa
volta riuscì a finire il suo discorso. – Zitta –
negli occhi di Son si poteva notare quanto fosse turbato, era in
preda ad una tempesta di pensieri che lo tormentavano, aveva troppe
cose da dire nello stesso tempo e doveva trovare il posto adatto dove
sfogarsi, ma l'ascensore non voleva arrivare. Non lasciava andare
il polso della ragazza per nessun motivo, ma non sentiva nemmeno un
qualche segno di opposizione, che fosse stata così ben
istruita da restare calma pure in queste situazioni? In quel caso, si
sarebbe rivelata quasi come lui, una fredda calcolatrice. –
Almeno dimmi dove stiamo andando – il tono della giovane
divenne più freddo e Son poteva chiaramente sentire il suo
sguardo tagliente addosso. – Non lo so –
effettivamente, non ne era sicuro, voleva soltanto trovare un posto
dove nessuno, al infuori di lei, potesse sentire ciò che aveva
da dire. Non era solito a fare dichiarazioni sentimentali, di solito
i suoi discorsi si basavano su strategie economiche, numeri , grafici
e probabilità, niente di più lontano da ciò che
invece avrebbe voluto cominciare ad urlare in quel preciso istante.
– Potresti almeno allentare la presa sul mio polso? Mi
stai facendo del male – usava ancora quel tono sprezzante,
quelle frasi troppo concise e prive di sentimento. Ma da quando si
era permessa di cominciare a parlargli in modo informale? Doveva
essere impazzita, cominciava a credere davvero di essere
completamente impazzita. Valentina non riusciva a comportarsi nel
modo che avrebbe voluto, non poteva fare a meno di essere spregevole
nei confronti del suo assistito. Si chiedeva cosa diavolo gli stesse
passando per la testa, ignorarla per tutti quei giorni nei quali
avrebbero potuto parlare e tutto ad un tratto, strattonarla via in
maniera a di poco vergognosa. Cosa avrebbe pensato il suo
capo?.
Finalmente, le porte dell'ascensore si aprirono e lei
vi fu scaraventata dentro con violenza, tanto che sbatté il
bacino contro la parete lignea facendo un tonfo sordo ed un lamento
le uscì dalla bocca. Aveva le mani libere, ma questo durò
ben poco, appena le porte si chiusero quello che ai suoi occhi era
sempre stato un uomo freddo, riservato e tranquillo, si era
trasformato in un uomo prepotente, ma con le lacrime agli occhi. Le
aveva intrappolato i polsi contro la parete e tenendo la testa bassa,
aveva incominciato a singhiozzare. – E' davvero stressante
– disse con voce strozzata, tra un singhiozzo e l'altro –
è davvero stressante dover controllarsi davanti a tutti –
concluse alzando il capo e permettendo alla sua assistente, di
vederlo in quello stato a dir poco pietoso. Davvero un gran pugno che
fece volare in mille pezzi il castello di carte che si era costruito.
I suoi occhi erano rossi e gonfi, le sue guance erano diventate
leggermente rosse e finalmente, le sue labbra si arricciavano per
creare una smorfia. Era probabilmente l'unica volta che l'assistente
lo vedeva fare un'espressione diversa dalla solita. Si sentiva
stremato da quanta fatica aveva fatto a trattenere quelle lacrime
amare che adesso gli solcavano il viso ma ritornò lucido in
poco tempo. L'assistente non spicciava parola e ciò lo
rendeva, se possibile, ancora più irritato e nervoso. Perché
non si decideva a lamentarsi, a dire qualcosa, andava bene anche che
lo deridesse purché mostrasse un qualche sentimento nei suoi
confronti.
Lasciò andare i fini polsi della ragazza ed
appoggiando la schiena alla porta dell'ascensore, cominciò a
scivolare fino a sedersi per terra. La ragazza lo guardava dall'alto
e senza pensarci due volte, schiacciò il pulsante “stop”
per bloccare il movimento ed il rumore dell'ascensore, non le
permetteva sentire le lacrime schiantarsi contro il pavimento
marmoreo bianco. – Adesso capisci cosa si prova ad essere
ignorati? A vivere nel perenne silenzio di qualcuno per il quale
provi interesse? – chiese lei con cattiveria. Nonostante fosse
preoccupata per il suo assistito, voleva approfittare del momento per
fargli capire ciò che aveva passato in quelle ultime
settimane, da quando era stata sgridata, da quando lui non le
rivolgeva nemmeno uno sguardo ma preferiva guardare le sue scartoffie
piene di numeri e formule apparentemente incomprensibili. –
Sai quante notti ho passato sveglia a chiedermi cosa poter fare per
ripristinare la tua fiducia nei miei confronti? Sai quante lacrime ho
pianto perché non mi degnavi di uno sguardo, non mi davi
l'occasione di rimediare a ciò che avevo fatto? Quante volte
ho pensato che il tempo scorreva e non riuscivo ad avvicinarmi a te?.
– continuò mordendosi il labbro tra una e l'altra frase,
stringendosi nelle spalle ed incrociando le braccia. Son non
rispondeva, guardava un punto nel vuoto, non pensava di averle
provocato così tanta sofferenza mantenendo le distanze. Prima
che potesse pensare altro, il viso dell'assistente occupò il
suo campo visivo facendolo mettere a fuoco il tutto, facendolo
ritornare alla realtà. Inaspettatamente, anche lei aveva
cominciato a piangere. Il tutto stava assumendo una piega davvero
irreale - peggio
che nei drama
- pensò Son. Erano due sconosciuti, due completi
sconosciuti,
com'era possibile che piangessero l'uno davanti all'altra senza
ritegno, che soffrissero per la mancanza di parole quando di discorsi
non ce ne erano mai stati, che si sentissero così stanchi e
traditi dal tempo che erano stati separati?. Son non era mai
stato un grande intenditore di sentimenti, non si era mai preoccupato
realmente per quello che gli altri dicevano di provare nei suoi
confronti, fosse amore, fosse odio, non gli era mai importato niente.
Non capiva quelle persone che parlavano a vanvera di
sentimentalismi e di amori a prima vista, ma forse era il caso di
rinfrescare alcuni di quei discorsi che al tempo gli sembravano
completamente fuori dal mondo, per riuscire a capire ciò che
stava succedendo.
Si portò le mani alla testa e
coprendosi il volto cominciò a ridacchiare, pensava di
sembrare un pazzo, ma effettivamente la situazione che si era venuta
a creare lo faceva ridere, si sentiva ridicolo. – perché
stai ridendo mentre io piango? – replicò puntualmente la
ragazza che si era inginocchiata per poterlo vedere in volto –
sei davvero ego – non riuscì a finire la frase, ancora
una volta in quella giornata, Son le stava donando una sorpresa in
grado di tagliare i suoi discorsi moralisti - solitamente –
infallibili. Quello che poteva sentire adesso, era un calore
avvolgerle le labbra. Son si era mosso abilmente, velocemente e senza
lasciarle via di scampo la catturò tra le sue braccia ed
annullò le distanze tra loro, una mossa inaspettata, un bacio
che sembrò ad entrambi un qualcosa al dir poco inverosimile
visto che pochi minuti fa si scambiavano sguardi gelidi e frasi
concise. Staccarsi era difficile, la voglia di proseguire ed
andare oltre a quel semplice gesto era davvero forte. Il calore dei
corpi coinvolgeva entrami e cominciava a far palpitare velocemente i
cuori. Stavano davvero per fare un gesto così avventato,
all'interno di un'ascensore? Si chiese Son mentre, inevitabilmente
perdeva il controllo e cominciava ad accarezzare la schiena della
ragazza che gli cingeva la vita. – Diamine, queste cose
capitano soltanto nei film – sussurrò l'assistente con
un tono imbarazzato mentre le sue gote diventavano rosee. Poteva
chiaramente sentire il respiro affannato di Son accarezzarle il collo
e ciò la faceva rabbrividire. Nonostante non conoscesse così
bene quell'uomo, si sentiva sicura di ciò che stava per fare,
sentiva che fosse la persona giusta con la quale condividere quei
sentimenti e quell'eccitazione tenuta nascosta e velata per così
lungo tempo. Sapeva che non si trattava di puro sesso. Capiva
chiaramente, dal modo di fare leggero e lento di ciò che era
diventato il suo amante, che quello che stavano per fare era frutto
di sentimenti forti quanto l'amore. Non era solita credere nei
colpi di fulmine, ma sin dall'inizio, sin dal loro primo incontro
aveva capito che in lui c'era qualcosa di diverso dagli altri,
qualcosa che andava oltre al semplice fisico impeccabile o
all'aspetto rassicurante, in lui poteva vedere una certa malinconia,
mancanza di veri sentimenti ed era ciò che l'aveva
attratta. Anche lei, come il suo amante, era stata per tempo priva
di veri sentimenti, passava le giornate a convincersi di non aver
bisogno di essi, bastava essere bravi al lavoro per ricevere la
giusta ricompensa dalla vita. Era questo il suo pensiero. –
smettila di pensare, vuoi mettermi in imbarazzo – Son si
avvicinò piano all'orecchio dell'assistente e le sussurrò.
Era facile capire che tipo di reazione ebbe poiché sussultò
e strinse la presa sulle spalle facendogli sentire un leggero
male. Sarebbe stato patetico fare l'amore con qualcuno che non è
coinvolto pienamente ma che divaga nel mondo dei suoi pensieri. Pensò
che evidentemente doveva smettere di essere così dolce ed
accondiscente nelle mosse da fare e si decise a spogliarla. Da
quel momento in poi, il tutto fu naturale, i lenti movimenti ed i
piccoli lamenti di entrambi riempivano le fredde pareti
dell'ascensore, ancora fermo a mezz'aria.
Quando ebbero
finito, entrambi stremati si poggiarono l'uno contro l'altra. Dalla
sua posizione, Valentina poteva chiaramente vedere l'ora
sull'orologio di Son, la conferenza era ormai iniziata da circa venti
minuti, erano spacciati. – Non ti preoccupare, il mio
intervento non sarebbe stato comunque all'altezza della conferenza –
Son spezzò il silenzio quando vide l'espressione contrariata
della ragazza – ultimamente, per quanto mi mettessi davanti al
computer, l'unica cosa che riuscivo a produrre erano frasi fatte e
usate fino alla nausea. Avevo altri pensieri per testa, anche se non
riuscivo a focalizzarli bene. – concluse mentre le accarezzava
il capo. – Allora non dirò che mi dispiace, però
– rispose guardandolo negli occhi – come si presume che
questa storia dovrebbe andare avanti? – le sue sopracciglia
formarono una curva chiaramente preoccupata. Sperò
seriamente che ciò che era successo poco prima non fosse
destinato a finire una volta che le porte dell'ascensore si sarebbero
aperte. – Non lo so, resterò ancora qui per qualche
giorno, tanto sono sicuramente licenziato. Ho bisogno di tempo per
riorganizzare il tutto – rispose Son con una calma disarmante.
Nonostante non sapessero precisamente cosa fare, entrambi
rimasero seduti sul freddo pavimento dell'ascensore ancora per
qualche minuto prima di lasciar riprendere il viaggio all'ascensore
per poi uscire ed affrontare la realtà. In entrambi era
viva l'intenzione di non far finire tutto in una squallida sessione
di sesso all'interno di un'ascensore, ma bensì, di andare
oltre. Sapevano che vi sarebbero state diverse difficoltà
e anche se non lo comunicavano erano turbati da ciò. Così,
quando le porte si aprirono, uscirono ed ogni uno seguì la sua
strada.
________________________________________________________________________________________________
Bwah,
non ho mai scritto due capitoli così velocemente!. Spero
di essere riuscita a fare un buon lavoro nonostante tutto. Se devo
dire la verità, è la prima volta che mi cimento nel
raccontare una scena leggermente a luci rosse, quindi spero di essere
riuscita a trasmettere le giuste sensazioni ai lettori. La storia
non è finita, non preoccupatevi. Anzi, aspettatevi di tutto.
Grazie
per aver letto ~ {x-cyanide
|
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Capitolo 7 *** Forever or never ***
{
Love
like oxygen }
7.
Forever or Never
Nota:
I
personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della
sottoscritta. Take
out with
full
credits.
Le
critiche erano arrivate in fretta, i licenziamenti altrettanto,
quello che rimaneva era soltanto la speranza che in qualche modo,
sarebbero tornati a stare insieme.
–
Yah! Sei forse
impazzito!?. – come mai, la signora Kim si sgolava mentre
fissava una delle pareti dell'angolo della stanza di Son. –
Che cosa ti è passato per la testa, ah!? Come hai potuto
rovinare il lavoro di mesi?! Lo sai?, lo sai quanto i tuoi
compagni hanno lavorato per questa conferenza? Lo sai quanto ci hai
messo in imbarazzo sparendo con un'assistente qualunque in mezzo ad
una folla di probabili sponsor?. – la sua voce raggiungeva toni
piuttosto alti, diventava stridula per subito dopo diventare un
sibilo, un sussurro tra sé e sé piuttosto che una
conversazione con il più giovane. – Come pensi di
rimediare? – chiese con tono pacato – Ah!? Come
pensi di rimediare a ciò che hai fatto?! – Perse ancora
una volta la pazienza.
Son
non aveva risposte valide, effettivamente li aveva lasciati senza
oratore. Nessuno sapeva il discorso come lui, nessuno era in grado di
parlare con la stessa tecnica che usava. Da qualche commento che
aveva sentito mentre si avvicinava alla sala, il suo team era stato
in grado di portare a buon fine la propria presentazione, ma il
livello era talmente basso e lo speaker così noioso che alcuni
ospiti si erano persino addormentati. Di certo, parlare di sicurezza
a degli economi indifferenti a tutto ciò che non erano numeri,
non era un compito facile. Come avrebbe risolto il problema?, non
lo sapeva. Si teneva la testa tra le mani e guardava per terra
cercando una soluzione che non voleva arrivare.
–
Yah – il
silenzio che si era creato nella stanza venne spezzato dalla voce
tremolante della signora Kim – Yah, sei licenziato, con
effetto immediato – liquidò in pochi secondi.
Non
che fosse inaspettato, ma Son non potè far a meno di alzarsi
di scatto e fissare il suo capo.
–
Signora Kim.. –
le implorava pietà con lo sguardo – è stato un
errore, ne sono consapevole – finì col dire mentre
abbassava lo sguardo. Sapeva che non ci sarebbe stata soluzione o
alternativa, non poteva fare altro che chiedere perdono, e così
fece. Si piegò in un inchino di massimo rispetto e mentre
alcune lacrime cominciavano a formarsi ai bordi degli occhi, urlò
– Le chiedo perdono, sono un'irresponsabile, mi dispiace
infinitamente – per ogni azione, la signora Kim non fece altro
che fissarlo per poi girare sui tacchi e sparire dalla stanza
lasciandolo ancora inchinato.
Guardava
il pavimento della stanza bagnarsi con le proprie lacrime, aveva
deluso la persona che più si era presa cura di lui negli
ultimi anni ed i propri compagni di squadra, che lo avevano
sopportato in ogni momento. Non si pentiva di aver fatto ciò
che aveva fatto, piuttosto, si pentiva di averlo fatto proprio in
quel momento. L'azienda stava attraversando un momento
particolarmente delicato, delle trattative molto importanti erano in
ballo in quella conferenza, sicuramente, non era un buon momento per
sbagliare.
Finalmente
si sedette per terra con la schiena appoggiata chissà dove,
alcuni ricordi cominciarono a ritornare a galla:
–
Ehi, giovanotto! Non
dovresti fare solo su questo tipo di roccia, vuoi forse
morire? – Una signora piuttosto bassa, dalla schiena ricurva e
dal cappello di paglia s'inoltrava nel piccolo bosco. Le prime parole
della signora Kim erano state rigide, premettevano il suo carattere.
Era
un pomeriggio caldo, umido e afoso; anche in mezzo agli alberi del
bosco, la morsa del caldo non dava tregua. Un perfetto pomeriggio
per un diciottenne senza meta nella vita se non quella di morire
in fretta, e per una vecchia
alla ricerca di nuovi adepti per il suo circo.
– Vattene,
vecchia. – Rispose un giovane Son ricoperto di sudore ed
attaccato a mani nude ad una roccia pericolante, come se fosse la
sua unica ragione di vita.
Son
conosceva i rischi che stava affrontando, quella roccia l'aveva
studiata e scelta a posta, l'aveva guardata per giorni, disegnata,
fotografata, persino sognata come fosse un astronomo che desidera
raggiungere una stella lontana. Era una roccia particolarmente
difficile da affrontare, non era la classica roccia segnalata per chi
esercita il bouldering ma non era la difficoltà a
renderla inaccessibile, era la sua posizione e la sua sicurezza: la
roccia era posta sotto una parete dalla quale spesso si staccavano
frammenti dalle dimensioni sufficienti per uccidere e schiacciare
qualcuno. Era evidentemente un frammento che, cadendo, si era
posizionato alla cima di una piccola collinetta. Sicuramente, se vi
si fosse appoggiato qualcuno, prima o poi si sarebbe staccata
rotolando velocemente.
– Se
vuoi ucciderti, impiccati, ma non provare a farlo su una roccia –
il seccante tono della signora Kim colpiva ancora. Le sopracciglia le
s'inarcarono in una smorfia di rabbia – per colpa di voi
idioti, la montagna ha il record di vittime di quest'anno –
finì mente s'incamminava verso Son che non la degnava nemmeno
di uno sguardo.
– vattene
– le ripeté sperando che se ne andasse finalmente.
Non
fu così, la vecchia si sedette su una roccia lì vicino
senza aggiungere altro. Son si sentiva osservato, cominciava a
perdere la pazienza e la forza, quella roccia lo stava davvero
portando all'esaurimento: era lì dalla mattina presto e dopo
un paio di scivolate e cadute, era riuscito a trovare il modo di
salirvi ma adesso, si ritrovava bloccato e le braccia cominciavano a
cedergli.
– Era
quello che volevi, no? Salire vivo e scendere morto –
Kim aveva ripreso a parlare, tono sprezzante e sguardo perso nel
nulla.
– Anche
fosse, non sono affari tuoi vecchia, ti ho detto di andartene –
rispose con tono piatto – vuoi..-- Non ebbe nemmeno il tempo
di finire la frase, uno dei suoi piedi aveva ceduto e si trovava
penzolante a più di cinque metri da terra con le mani
tremolanti ed il sudore che non aiutava a migliorare la presa. I suoi
muscoli erano tirati e si potevano chiaramente vedere le sue vene,
violacee, rigonfie per lo sforzo.
– Se
cadi adesso, da li, ti lascerò agonizzare e ti guarderò
morire – gridò la vecchia mentre si alzava lentamente
per avvicinarsi ancora di poco alla roccia. – Ti ho forse
chiesto aiuto? – rispose stringendo i denti. Quella vecchia,
che diavolo aveva in mente?. – Tra poco farai una
brutta fine, è veramente questo quello che vuoi? – Kim
fece una pausa e si appoggiò con una mano alla roccia –
potrei farti una proposta piuttosto interessante, perché non
scendi? – sembrava quasi uscita dal famoso film il padrino
voce bassa, quasi sussurrata, aveva pronunciato le parole piano,
una ad una. Son non poté far a meno di sentirsi un brivido
attraversargli la sudicia schiena – questa vecchia..
possibile che sia una maniaca? – si disse a se stesso
mentre aggrottava la fronte e sentiva le sue dita scivolare via dalla
roccia, lentamente.
– non
sono interessato né alla prostituzione – fece una pausa
per tentare di afferrare un'altra parte della roccia – né
alle droghe! – urlò quando riuscì a raggiungere
il suo obiettivo. – Haha – la vecchia
sghignazzava – non si tratta di droghe o di prostituzione, si
tratta di lavoro, e non parlo di fare lo spaccino, parlo di un
lavoro serio – – Vattene, vecchia – ripeté
ancora una volta Son – Non credo che tua madre o tuo padre
desiderino veramente la tua fine, e nemmeno che io mi allontani da te
– la vecchia Kim, aveva colpito un punto debole. Gli occhi
di Son si aprirono in un'espressione mista tra paura e sorpresa: come
diavolo faceva, quella vecchia sconosciuta, a conoscere i suoi
defunti genitori?. – Stai parlando a vanvera, eppure
dovresti essere più educata di me! – rispose ringhiando.
– Sei forse orfano? Posso darti un'abitazione e del cibo,
devi solo lavorare – concluse la vecchia
Son
si era stufato, le sue mani non reggevano più, le gambe
cominciavano a dolere più del dovuto, era ora di scendere vivo
o morto. La vecchia lo notò, e decise di insistere ancora
una volta prima di lasciarlo stare:
– Potrai
continuare a scalare e a tentare il suicidio, quante volte vorrai, e
potrai scoprire se veramente morire è quello che desideri –
sperava di colpire il bersaglio almeno in questo modo. Un silenzio
seguì le sue parole, ed impaziente si allontanò dalla
roccia, aspettando la prossima mossa del giovane.
Con
un tonfo poco rassicurante, il muscoloso, sporco e sudaticcio corpo
del giovane cascò per terra senza preavviso, mentre la vecchia
si girava di spalle e si proponeva con indifferenza.
– Sei
davvero un'idiota – girò il capo quanto le bastava per
vedere la sua espressione di sofferenza ed i rivoli di sangue
cominciare a spargersi sulla terra e sull'erba umida.
Son
SeulKi aveva deciso, aveva scelto la morte. Morte che
però, non arrivò come previsto.. Anche quella lo
aveva tradito.
Un
certo dolore gli percosse il collo e gli fece aprire gli occhi. Son
era seduto ancora nella stessa posizione nella quale, evidentemente,
si era addormentato riportando in mente vecchi ricordi, dolorosi
vecchi ricordi che erano presenti pure sulla sua pelle. Si portò
una mano alla nuca e chiudendo gli occhi cercò un segno a lui
ben noto: una lunga cicatrice gli percorreva la nuca e si estendeva
sulla schiena e spalle, la percorse con due dita fino a dove riuscì
ad arrivare per poi lasciar cadere il braccio.
– heh
– un sorriso amaro gli era comparso sul volto. Gli occhi, vuoti
di ogni sentimento, fissavano un punto non ben preciso del pavimento.
________________________________________________________________________________________________
Ci
ho messo un secolo ad aggiornare e chiedo scusa a chi segue e legge.
Purtroppo la storia sembra starmi sfuggendo di mano, ma prometto
che la riprenderò.
Grazie
per aver aspettato fino ad ora e mi dispiace per la lunghezza
(cortezza?) del capitolo, ma l'ispirazione non riesce a
raggiungermi nell'ultimo periodo. Spero di riuscire ad aggiornare
più frequentemente in futuro, m'impegnerò per farlo.
Al
prossimo capitolo ~ {x-cyanide
|
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Capitolo 8 *** YOU ***
{
Love
like oxygen }
8.
YOU
Nota:
I
personaggi, luoghi e situazioni sono frutto di immaginazione della
sottoscritta. Take
out with
full
credits.
Si
sedette al suo fianco sulla solita panchina dello spogliatoio e
guardando il nulla fece un pesante sospiro. Valentina se ne stava
rannicchiata con i piedi sulla panchina e la testa incastrata in
mezzo alle gambe in modo poco naturale. Non stava piangendo, Chris ne
era certo, era difficile farla piangere.
– Ehi
– appoggiò la mano sopra la schiena incurvata dell'amica
per confortarla – ehi, sei sveglia? – chiese
scostandole una ciocca di capelli.
Il
giacile corpo sussultò al contatto della mano fredda e la
costrinse ad alzare la testa. Non aveva pianto, non un filo di
trucco era rovinato, non aveva il naso rosso o gli occhi gonfi.
– So
che ti stai maledicendo e ti stai rovinando il fegato – il
biondo la guardava negli occhi, ma li trovò vitrei, vacui,
persi – svegliati, su – le accarezzò la
guancia.
Era
un classico, quando le cose andavano male e si sentiva in colpa,
Valentina si perdeva in mille imprecazioni che piano piano
frantumavano quel poco di autostima e rispetto che aveva per se
stessa. Con una violenza ed uno sguardo quasi maniacale, prendeva
a strapparsi le unghie e le pellicine dalle dita fino a quando non
riusciva a calmarsi oppure, sfinita, si addormentava. Non era
certo la prima volta che a Chris capitava di vederla in quello stato,
ma ogni volta che gli capitava, il panico lo assaliva: era difficile
riportarla alla realtà, destarla da quel non-sonno, da
quel velo d'incoscienza che calava sul suo volto e lo rendeva
incredibilmente scuro.
– Ehi,
gli sbagli li commettono tutti – le disse per rassicurarla,
nonostante sapesse che ciò non era sufficiente per svegliarla
– ehi, senti – prese il suo volto tra le mani e lo spostò
delicatamente facendo incontrare ed incatenare i loro sguardi –
tutti sbagliano – scandì le parole e senza dire altro le
lasciò andare il volto per avvolgerla in un caldo abbraccio.
Il
corpo della più giovane era esile tanto che Chris era arrivato
a chiedersi come potesse stare realmente in piedi. In quel
momento, il suo corpo era freddo e molto rigido, sicuramente diverso
dalla prima volta che l'aveva incontrata. Chris chiuse gli occhi e
mentre cullava l'amica, riportò alla mente quei ricordi:
– Scusa,
è libero? – era decisamente in ritardo, il film che si
era proposto di non perdere per nulla al mondo, da quello che poteva
capire, era iniziato da qualche minuto. Entrò in sala come un
fulmine facendo cadere qualche pop corn di qua e di là, cercò
la sua solita fila e per fortuna vicino ai gradini vi trovò un
posto libero. Non esitò a chiedere e con un sussurro riuscì
ad attirare l'attenzione della persona che occupava il posto
vicino. – Scusa, grazie – disse mentre si sistemava
sulla poltrona rossa.
Il
film stava giungendo alla fine del primo tempo, Chris poteva
chiaramente capirlo perché era abituato a quelle noiosissime
pause, diceva sempre che rovinavano l'atmosphere del film.
Quando finalmente l'immagine nel grande schermo si fermò e
svanì, il giovane approfittò per stiracchiarsi.
– Scusa,
posso passare? –
Alzò
lo sguardo e vi trovò una ragazza dai capelli rossi,
spaventosamente magra ma dalla voce vellutata in grande contrasto.
Senza pensarci due volte, ritrasse le gambe e la lasciò
passare seguendola con lo sguardo per un tratto. Era così
concentrato sul film che non aveva avuto tempo di guardare a chi vi
si fosse piazzato vicino, ma adesso, lo sapeva. Era la prima volta,
in dieci anni ininterrotti di Sabati al cinema, che una creatura
– come la descrisse ai propri amici – del genere gli era
toccata come compagna di fila. Ne aveva visti di tutti i colori:
uomini e donne, anche cose indefinibili, grandi, piccole e medie
stature, grossi, fini come grissini, bambini calmi e bambini
insopportabili, coppiette, single, nerd chiacchieroni,
ubriaconi, drogati, di tutto, ma mai una cosa come quella.
Si
girò e guardò verso il fondo della fila per vedere se
fosse accompagnata o meno: vicino al suo posto vi erano due bambine
dai lunghi capelli biondi e più in là, i loro genitori.
Non
ebbe tempo di fare altre congetture quando, ritornata da chissà
dove, la creatura chiedeva spazio per poter passare e sedersi
nuovamente.
– Zia,
dopo ci porti a mangiare al Mac? – la più grande
delle due bambine si era messa sulle ginocchia e con sguardo
supplichevole chiedeva alla.. zia?. – Se i vostri
genitori vi lasciano venire, per me va bene –
Dunque
non era da sola, la ragazza era ben più che accompagnata.
Chris guardò attentamente la coppia che sedeva qualche
sedile più in là, i genitori delle bambine: quale dei
due sarebbe stato il parente di quella creatura? Era quasi
impossibile capirlo, nessuno dei due sembrava assomigliarle.
– scusa,
questa coca è tua o è mia? –
Una
sagoma gli offuscò la visone interrompendo i suoi pensieri. Un
dito scheletrico puntava al bicchiere di carta incastrato nella
poltrona.
– ah,
credo che sia tua, io la mia ce l'ho.. – prese in mano i
bicchiere da terra – qui!, ed è pure finita –
disse mentre agitava il bicchiere e sorrideva. La creatura le
rivolse un sorriso divertito mentre apriva il tappo di plastica del
suo bicchiere – senti, dai qui – gli prese il bicchiere
dalla mano e ne versò un po' del liquido – tanto io non
la bevo tutta – finì mentre sorrideva ancora. Chris
rimase un po' stupito, oltre a non aver mai incontrato una creatura
del genere, non gli era mai capitato che qualche sconosciuto
condividesse la sua cocacola con lui. Quella ragazza era decisamente
interessante: magra in un modo impressionante, senza dubbio, però
trasmetteva il calore umano di un'obesa stritola-uomini.
– Decisamente,
un soggetto interessante. – disse a bassa voce non
potendo aggiungere altro, visto che le luci della sala si stavano
spegnendo di nuovo annunciando il continuare della proiezione.
Una
volta finito il film, i titoli di coda tanto odiati da tutti,
cominciavano a scorrere mentre la sala si svuotava. Poveri idioti,
non sanno quanto sia importante guardarli – Chris era uno
di quei tipi malati per i film; sapere chi avesse creato il
capolavoro, o la schifezza, che aveva appena visto era di
vitale importanza: onde fosse uscito un nuovo film con lo stesso
regista, dop o attore, sarebbe sicuramente andato a vederlo. Era
quindi ancora seduto sulla poltrona rossa e quando i titoli di coda
finirono e la stanza fu quasi vuota, si alzò pronto per
tornare a casa a mangiare un piatto di pasta.
– è
stato un film interessante, non trovi? –
La
voce lo prese di sorpresa e alle spalle, la creatura non aveva
lasciato la sala. Questo soggetto diventava estremamente
interessante: non solo aveva condiviso la sua cocacola con lui, ma
non aveva nemmeno lasciato la sua poltrona rossa durante i titoli di
coda!. Non sapeva se era coincidenza, ma Chris era molto entusiasta
di questo nuovo incontro che aveva portato nel suo sabato sera al
cinema, ben tre novità dalla scossa potente in un solo
film.
Gli
fu impossibile nascondere il sorriso, così, si girò di
scatto e cominciò a fare un lungo monologo di recensione del
film. La creatura lo ascoltava attentamente e faceva qualche giusto
intervento mentre si caricava una delle due bambine in braccio e si
approssimava all'uscita della sala. Una volta fuori, si diressero
verso il parecchio vicino senza che Chris potesse nemmeno rendersene
conto; era la prima volta in dieci anni di solitudine che qualcuno
sentiva e faceva un discorso sensato sul film che aveva appena visto.
– Cioè,
capisci? Quell'inquadratura sarà costata davvero tanto ma è
stata un colpo di genio! –
Mentre
si avvicinavano all'entrata del parcheggio, la creatura lo
fermò e si diresse a parlare con i genitori delle bambine. Gli
diede giusto il tempo per riprendere fiato e per realizzare ciò
che stava succedendo. Si rese conto che, in tutto quel tempo, non
aveva nemmeno chiesto il nome alla creatura, che tipo sbadato.
Chris
era uno di quei ragazzi che, mentre frequentava le superiori,
rifiutava qualsiasi cosa provenisse da una multinazionale e avesse a
che vedere con allevamenti di massa. Non era mai andato a mangiare
nei fast food perché era fermamente convinto che quei
panini dall'aspetto invitante, fossero in realtà, imbottiti
delle più orribili schifezze chimiche: dei veri e propri
panini nucleari. Questa volta però, non ebbe
scelta: si ritrovò seduto dal lato del passeggero su una
piccola mini color blu cobalto, diretto verso uno di quegli schifosi
ambienti che aveva sempre evitato e che, secondo lui, puzzavano
irrimediabilmente di morte, fritture e di piscio.
– Come
fai a portare due bambine nel pieno della loro crescita, in un posto
del genere? – chiese raccapricciato mentre prendeva in braccio
una di loro. – Perché, cos'ha? – rispose la
creatura – Cos'ha!? – Questo suo ignorare i
fatti, le avevano tolto un punto nella scala di gradimento di Chris.
Come poteva non sapere quante schifezze c'erano dentro quei panini?.
Durante
la cena, la discussione sul contenuto presuntamente nucleare
continuò, animata dalle risate delle ragazzine e dalla
continua esasperazione di Chris che tentava, in tutti i modi, di
convincere le tre donzelle a smettere di rimpinzarsi.
– Zio,
come ti chiami? – in un momento di pausa, la più piccola
delle biondine si fece avanti – Come? – Chris venne
colto di sorpresa. Si era scordato di essere uno sconosciuto
qualunque per quelle persone, era stato così maleducato da non
presentarsi nemmeno. – Ah sì!, mi chiamo Chris!
– disse, come se lo avesse appena ricordato – tu come ti
chiami, bella principessa? – non era solito chiamare le donne
in questo modo, ma in fondo era una bambina ed i capelli lunghi e
biondi messi insieme agli occhi grigi la facevano sembrare una tipica
principessa. – Mi chiamo Eyara e mia sorella si
chiama Lalitya – rispose entusiasta la biondina. –
Sono nomi particolari, hindi – prese a parlare la
creatura mentre tentava di comporre qualcosa con i pezzi di una
scatola – mia cognata è fissata con l'india e la
religione – finì con una certa smorfia di scontento. –
E tu invece, che nome porti? – Finalmente avrebbe potuto
smettere di chiamarla Creatura. – Mi chiamo Valentina
– disse ridendo – niente di particolare – concluse.
La
serata post cinema finì con calma, mentre le bambine tentavano
di far mangiare allo zio i panini nucleari e la zia continuava a
smanettare con i contenitori del cibo.
Era
sicuramente la prima volta che Chris trovava una persona così
particolare, sia fisicamente che personalmente: era magra scheletrica
ma mangiava come un maiale e se ne infischiava delle schifezze, a lei
bastava “campare ancora qualche anno “. Se ne
intendeva di film ed era sicuramente intelligente, solo un poco
menefreghista.
Chris
aveva conosciuto in quell'estate dal caldo torrido, l'esile persona
che adesso teneva tra le braccia. Dopo qualche anno di sabati al
cinema e post cinema passati al Mac, Chris non poté
fare a meno di non entrare nel vizio del cibo nucleare.
Nonostante fosse uno chef – almeno, a detta sua –
tutte le volte che andavano al cinema, non poteva evitare di salire
su quella mini blu cobalto diretto al mattatoio di fegati,
come lo chiamava.
Pensò
che era da un po' di tempo che non andavano al cinema insieme, stava
quasi sentendo la nostalgia dell'odore insopportabile di frittura e
piscio. – Ehi, andiamo a vederci un film e a mangiare cibo
nucleare? – disse nell'intento di risvegliare l'amica.
________________________________________________________________________________________________
Nuovo
capitolo, più lungo di quel che avevo prevvisto. Grazie a
coloro che seguono la storia, a chi l'ha messa sui preferiti e a chi
semplicemente la legge.
Al
prossimo capitolo ~ {x-cyanide
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Capitolo 9 *** Hiatus ***
{
Love like oxygen }
9.
HIATUS
A
tutti coloro che leggono questa storia e aspettano da mesi un nuovo
capitolo:
Ho
deciso di andare in hiatus con questa storia. Purtroppo,
come non dovrebbe – ma succede - ho perso buona parte
dell'ispirazione e mi sembra inutile tenervi qui ad aspettare.
Adesso
come adesso, sono più le storie che devo finire che quelle
finite, e la cosa mi scoccia assai. Nei prossimi mesi vedrò
di portare a termine Train Station Bitches e portarmi avanti
con la correzione dei capitoli già scritti di Shakugan No
Shana.
Se
l'ispirazione ritorna, allora porterò a termine pure questa
storia – spero.
Grazie
per la vostra pazienza.
♥ ~
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