Come stelle che brillano di luce riflessa

di Fanny Lestrange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio ***
Capitolo 2: *** Sapere ***
Capitolo 3: *** A qualunque costo ***
Capitolo 4: *** Questa volta ***
Capitolo 5: *** L'ombra della paura ***
Capitolo 6: *** Oblio ***
Capitolo 7: *** Il senso ***
Capitolo 8: *** Sorrisi ***
Capitolo 9: *** Non ancora ***
Capitolo 10: *** Sola ***
Capitolo 11: *** In apparenza ***
Capitolo 12: *** Volere ***
Capitolo 13: *** Luce ***
Capitolo 14: *** Buio ***
Capitolo 15: *** Come stelle che brillano di luce riflessa ***
Capitolo 16: *** Silenzio ***



Capitolo 1
*** L'inizio ***


Buio. L’oscurità avvolge ogni cosa, qui. Sagome nere mi circondano, fatico a distinguere i loro contorni.
Freddo. Un freddo acuto, pungente, che penetra attraverso le fessure dei muri e s’insinua minaccioso sotto la mia pelle, fin nelle ossa, fin nell’anima. La corrode, la lacera. Ne dilania quei pochi brandelli che rimangono. Non ha pietà. Nessuno ha pietà, qui.
Alzo lo sguardo verso quel misero spiraglio di cielo che riesco a scorgere al di là delle sbarre. E’ notte. Venere brilla di una luce tenue e calda, di quella particolare luce che appartiene solo a lei e che mi permette di riconoscerla anche adesso. Anche da qui.
Con enorme sforzo mi volto e poso una mano sulla pietra grigia e gelida alle mie spalle. Rabbrividisco. Faccio scorrere le dita sui segni che ho tracciato nel corso degli anni, per testimoniare il mio passaggio qui, ma soprattutto per non dimenticare: mappe astronomiche, schemi di costellazioni, orbite di pianeti. Linee complesse e intricate che nessuno sarebbe in grado di decifrare, a meno che io non gliele spiegassi. Sento le labbra arricciarsi in un sorriso beffardo, una smorfia di scherno. Mi prendo in giro, derido le mie stesse illusioni: non avrò mai modo di spiegarle a nessuno, perché io morirò qui. In questa cella umida e putrida che da innumerevoli anni è la mia dimora. Quanti sono ormai, dieci, undici? All’inizio li contavo. Contavo i giorni, i mesi, gli anni. Osservavo il moto degli astri e ne deducevo la data. Poi ho desistito. Non aveva alcun senso. Sarei morta comunque. Morirò comunque.

Silenzio. Intorno a me tutto tace. Se parlassi, la mia voce lo infrangerebbe? Com’era la mia voce? Non lo so più. Mi sembra che avesse un timbro freddo, ed era piuttosto grave. La modulavo perché apparisse quanto più distaccata possibile. Nemmeno con lui lasciavo trapelare la dolcezza. Una folata di vento entra improvvisa dalla finestra. Mi distoglie dai ricordi, mi riporta bruscamente alla realtà. Mi risveglia, soffiandomi addosso l’odore della salsedine. L’aria s’insinua tra i miei capelli, scuri e arruffati, fa vibrare il pagliericcio sul quale sono accovacciata, mi scompiglia le vesti. L’orlo della manica si scosta, scoprendo l’avambraccio sinistro. Abbasso lo sguardo. Eccolo lì, la causa e la ragione di tutto questo. Sospiro e chiudo gli occhi. Non è vero. So che non è vero. Non è stato grazie al Marchio se sono sopravvissuta così a lungo. Non è stato credendo nel Signore Oscuro che ho trovato la forza per andare avanti. Ho pensato a lei. Alla mia bambina. I Dissennatori non sono riusciti a portarmela via. Ho pensato che dovevo farcela per poterla anche solo rivedere. Non importa se non verrà mai a conoscenza della verità. Non importa se non saprà mai chi è sua madre. Voglio solo guardarla, fissare i miei occhi nei suoi, per un attimo. Un attimo soltanto. Basterebbe. Mi terrei dentro quel momento, diverrebbe esso la mia forza. Voglio avere la certezza che sta bene, che non le hanno parlato di me e che mai gliene parleranno, perché non deve sapere. Devo proteggerla, difenderla da ciò in cui io stessa credo.
Quanti anni avrà? Gli stessi che io ho trascorso qui. Un tuffo al cuore: tra non molto inizierà a frequentare Hogwarts. Ma io non ci sarò. Non la vedrò crescere, apprendere a poco a poco i segreti della magia, scoprire di cosa è capace, quali doti ancora nascoste possiede, quanto talento aspetta solo di essere educato. Non la vedrò trovare il suo posto nel mondo, il mio mondo. Il  suo mondo. A quale casa apparterrà? Corvonero, come me? Serpeverde, come suo padre? Altre scelte non le ritengo possibili. Non le accetterei. Sorrido nuovamente. A che serve chiederselo? Lo saprò mai?

Il silenzio è stato interrotto. Non dalla mia voce, no. Da quel rumore ovattato che giunge da lontano. Si avvicina. Sembrano passi, ma so che non è così. Le allucinazioni erano molto frequenti, all’inizio. Ho faticato ad abituarmici. La prima volta mi sono addirittura spaventata, ancora ne ero capace: avevo visto lui. Era lì, davanti a me, immobile, e sorrideva. Mi sorrideva. Sono certa che non fosse un fantasma, perché non è più tornato. Gli avevo risposto, lo avevo chiamato, dapprima sussurrando piano il suo nome, poi gridandolo disperata perché non dava segno di voler avvicinarsi. Poi, all’improvviso, così com’era apparso, sparì. Solo allora avevo capito che si era trattato di uno scherzo crudele giocatomi dalla mia mente già malata, di un’allucinazione. La prima. L’inizio. La soglia della follia.
Ne erano seguite numerose altre. Udivo voci, credevo di riconoscere volti nel buio, gridavo nel sonno. Stavo impazzendo e non potevo farci nulla. Meglio così. Se perdere la ragione avrebbe significato non soffrire più, ne ero entusiasta.
Questa volta però i passi non cessano. Sembrano reali, ma non è possibile. L’ala di massima sicurezza è un luogo isolato dall’intero carcere, dove solo i Dissennatori osano mettere piede. Qui sono rinchiusi i più pericolosi Mangiamorte con i quali il mondo magico abbia mai avuto a che fare, la peggiore minaccia degli ultimi tempi. Gli unici seguaci che al Signore Oscuro abbiano mostrato lealtà. I più fedeli. I migliori. Noi.
Le sole visite che abbiamo ricevuto sono state quelle del nuovo Ministro della Magia, Caramell. Un pallone gonfiato, un pavido. Se il nostro Signore dovesse davvero tornare al potere, non impiegherebbe molto per sbarazzarsene. E’stato qui proprio la settimana scorsa. Viene di rado, è terrorizzato. Non può essere di nuovo lui. Mi sorprendo a chiedermi se non si tratti dei Malfoy. Mi rimprovero per aver anche solo preso in considerazione quest’idea: ho smesso di aspettarli da tempo. In dieci anni, non li ho visti una volta. Eppure Narcissa ha sua sorella, qui. Eppure è il posto che spetterebbe anche a suo marito, ma Lucius  ha preferito rinnegare il nostro Signore, pur di non perdere la sua reputazione. Vigliacco. Mi domando se sarà perdonato, se gli verrà concessa una seconda opportunità. Ma in fondo so che tale momento non arriverà mai. Malgrado le nostre speranze, il Signore Oscuro non è risorto. Ho smesso di credere anche a questo.
Chi dunque possiede l’ardore di inoltrarsi quaggiù? Qualcuno armeggia con il chiavistello della mia cella. Allora è me che vogliono! Orrendi fremiti cominciano a scuotermi. Mi sottoporranno al Bacio? No, non può essere. Hanno forse il diritto di eliminare i prigionieri quando pare a loro? Certo che ce l’hanno. Faranno pulizia. Hanno deciso. E’ tempo di sgombrare l’ala, lasciare il posto ad altri. Abbiamo sofferto abbastanza. Cominceranno con me. Io sono solo la prima. L’inizio.
 Ma si tratta davvero di loro? Uno stridore di metallo, e la serratura cede. La risposta mi si presenta nitida, inaspettata. Non lascia spazio a dubbi. E’ stagliata sulla porta, accompagnata da un carceriere che le deve aver fatto da guida, inondata dalla luce del sole. Imponente. Maestosa. A chiunque altro incuterebbe soggezione, ispirerebbe riverenza. Rispetto. Venerazione. A me infonde solo disprezzo. Rabbia. Odio. Il mio acerrimo nemico. Il suo eterno rivale. Colui che ha ostacolato i nostri piani, che si è frapposto tra noi e la conquista del mondo magico. Colui che osa pronunciare il nome dell’Oscuro Signore con sfacciata arroganza. Il paladino dei deboli, il difensore della feccia. Albus Silente. 

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Capitolo 2
*** Sapere ***


Com’è iniziato tutto? Da una precoce e morbosa passione per le Arti Oscure, suppongo. La mia famiglia aveva nobili origini, i miei genitori erano entrambi Purosangue. Furono loro a trasmettermi quei valori fondamentali che sono miei tuttora, quei principi di superiorità e orgoglio di cui bisogna ricordarsi ogni volta che ci si trova faccia a faccia con un Mezzosangue o un Nato Babbano. Peggio ancora, con un Babbano. Fui io a capire che non erano abbastanza.
 Fin da piccola avevo dimostrato di possedere una curiosità inarrestabile, superiore rispetto a quella dei miei coetanei; ero avida di sapere, apprendere, imparare. Non mi accontentavo di ciò che mi veniva detto: non bastava a placare la mia sete di conoscenza. Allora tentavo di estorcere quante più informazioni possibili dagli adulti, ma anch’essi erano restii, diffidenti a rivelare notizie determinanti. Ai loro occhi ero solo una bambina impertinente che andava messa a tacere, perché avevo capito il loro gioco, avevo compreso: era proprio la consapevolezza a tracciare un confine tra il loro mondo e il mio, a farmeli apparire così irraggiungibili. Loro sapevano. Questa era la differenza. Ma volevo sapere anch’io.
 
Attendevo con trepidazione il giorno in cui avrei messo piede a Hogwarts, il luogo che sarebbe diventato la mia nuova casa, dove avrei trovato una risposta alle  mie innumerevoli domande. Ogni sera mi coricavo e, prima di addormentarmi, immaginavo tale momento fin nei minimi particolari, faticando a volte a sostenere la tensione, struggendomi poiché domani non sarebbe stato quel giorno. Dovetti aspettare anni, ma finalmente quel giorno arrivò. Ricordo come fosse ora il mio primo viaggio a bordo dell’Espresso per Hogwarts. Avevo preso posto in uno scompartimento vuoto: volevo assaporare quella gioia in solitudine. Feci un breve cenno di saluto ai miei genitori attraverso il finestrino: ne avrei sentito la mancanza, ero sicura, ma la mia mente era già volata altrove, le mie fantasie già approdate nel castello incantato dove di lì a poco sarei giunta. Posai lo sguardo sul vetro e studiai attentamente il volto che vi era riflesso: la pelle chiara, in perfetto contrasto con i luminosi occhi viola, il naso diritto, le labbra sottili, i capelli corvini che ricadevano in morbide onde sulle spalle. Decisi che sì, nel complesso poteva andare. Gettai un’occhiata sconsolata ai miei lunghi piedi, unico dettaglio della mia persona che non riuscivo ad accettare. ‘Pazienza’ mi dissi ‘il Cappello Parlante non tiene certo conto dell’aspetto esteriore. Lui ti guarda dentro…’  ‘Posso sedermi qui con te?’ La voce interruppe i miei pensieri. Mi voltai. Apparteneva ad una ragazzina dai soffici capelli biondi e dal viso pallido ma gentile. Sembrava vagamente intimorita. Annuii. Rimase immobile sulla soglia. Sorrisi per incoraggiarla e finalmente si sedette di fronte a me. Tornai a girarmi verso il finestrino, ma lei sembrava intenzionata a fare amicizia. ‘Come ti chiami?’ chiese tutto d’un fiato. Sospirai. E va bene. Hogwarts poteva aspettare. Pensarci continuamente non avrebbe certo permesso al tempo di scorrere più veloce. Questione di ore, e l’attesa sarebbe finita. ‘Alfa’ risposi ‘Alfa Centauri’ La guardai inarcando le sopracciglia. ‘E tu?’ ‘Narcissa Black’ disse lisciandosi i lunghi capelli. Un lampo di fierezza nei suoi occhi aveva accompagnato queste parole. ‘Sei Purosangue?’ incalzò nuovamente. ‘Certo!’ proruppi indignata. Non avevo bisogno di rivolgerle la stessa domanda. Forse lei non aveva mai sentito parlare della mia famiglia, ma io conoscevo il nome dei Black, sapevo che si trattava di una casata nobile e antica, la cui stirpe poteva vantare una purezza rimasta intatta da generazioni e la cui influenza sul mondo magico era di indubbia rilevanza. I Black detenevano il potere. E Narcissa ne era consapevole. Solo quando proclamava le sue origini, però, coglievo in lei una salda fiducia in sé stessa. Per il resto era cauta e riservata. ‘In quale Casa ti piacerebbe andare?’ le domandai curiosa. Già intuivo la risposta. ‘Serpeverde’ proclamò decisa. ‘Non voglio deludere i miei genitori. Si sono infuriati terribilmente quando mia sorella è diventata una Grifondoro’ Sgranai gli occhi, stupefatta. ‘Tua sorella è a Grifondoro? Una Black?’ ‘E’ quello che hanno pensato anche loro, e che hanno in ogni modo tentato di farle capire. Ma Andromeda è sempre stata diversa da tutti noi, non posso credere che non se ne fossero accorti prima. La scelta del Cappello è stata solo una conferma. Ora lei è all’ultimo anno. L’altra mia sorella invece era a Serpeverde, e quando anch’io diventerò una di loro, la soddisfazione dei miei sarà completa’ S’interruppe. ‘Be’, quasi. Forse si sentiranno talmente orgogliosi che dimenticheranno il torto di Andromeda…’ aggiunse debolmente. ‘Forse’ replicai io ‘ ma a quanto ho capito non considerano l’appartenenza a Serpeverde come un merito, bensì come un requisito fondamentale. Dovrai impegnarti parecchio per riuscire a compiacerli…’ Annuì sconsolata. ‘Già, anche perché Bellatrix, nostra sorella maggiore, è stata un’alunna modello e ora…’ abbassò la voce e mi si avvicinò con fare cospiratorio. ‘Ha intenzione di diventare una seguace del Signore Oscuro. Una Mangiamorte’ sussurrò concitata. Nel suo sguardo lessi un misto di eccitazione e timore. Capii subito quanto ammirasse la sorella, come desiderasse eguagliarla e come, allo stesso tempo, si rendesse conto che non ce l’avrebbe mai fatta. Ne viveva all’ombra. Come una stella che brillava di luce riflessa. ‘Che sciocca’ pensai ‘le stelle irradiano luce propria!’  Fatico ad ammetterlo, eppure all’epoca, con quella decisione estrema, Bellatrix aveva conquistato anche me. Ma ero brava a mascherare certi stati d’animo. ‘Una donna?’ chiesi scettica. Ero ignara del fatto che sua sorella non sarebbe stata l’unica. ‘Sì’ confermò Narcissa. Pareva ipnotizzata. La riscossi dal suo torpore e le presi una mano. ‘Vorrà dire che sarai tu a fare la differenza’ Mi guardò interrogativa. ‘I tuoi hanno avuto successo con una figlia, ma hanno fallito con un’altra. Sarà la terza a decretare se siano stati dei buoni genitori, sarai tu a riscattare la famiglia, saranno le tue scelte a renderli di nuovo fieri. Farai onore ai Black, Narcissa!’ Lei alzò gli occhi e mi accorsi che erano umidi. ‘Cissy’ mormorò, e sorrise. ‘Puoi chiamarmi Cissy’
 
Finalmente giungemmo a destinazione. Non stavo più nella pelle: avevo parlato con Narcissa durante l’intero tragitto, ma non ero ugualmente riuscita a dirottare i miei pensieri verso qualcosa che non fosse Hogwarts. Non appena il treno si fermò, entrambe balzammo in piedi e ci precipitammo verso l’uscita, mescolandoci al rumoroso viavai di studenti che affollavano gli scompartimenti. Senza perderci di vista, raggiungemmo il binario e la nostra attenzione venne catturata da una voce tonante alle nostre spalle. ‘Primo anno, da questa parte!’ gridava, tentando disperatamente di farsi udire sopra a quel baccano. ‘Avanti, non abbiate paura!’ Scoppiai a ridere. ‘Paura? E chi ha paura?’ domandai meravigliata, più a me stessa che a Cissy. ‘Aspetto questo momento da una vita!’ Voltandoci per scoprire a chi appartenevano le urla, lei si avvicinò e mi sussurrò all’orecchio: ‘E’ Hagrid, il guardiacaccia. Mia sorella mi ha messo in guardia su di lui: dice che è uno zotico ignorante, che venne espulso al terzo anno ma che Silente gli permise di restare come custode della scuola. Dice anche che non è del tutto umano, che probabilmente si tratta di un Mezzogigante e che quindi non dobbiamo assolutamente umiliarci parlando con lui!’ Annuii pensierosa. Compresi appieno le sue parole quando scorsi, a pochi metri di distanza, la sagoma dell’uomo alto e massiccio che, in piedi sulla riva del lago, faceva segno agli studenti di salire su alcune barche ormeggiate lì accanto. ‘Perché…’ iniziai, ma ancora una volta Narcissa mi precedette. ‘E’ tradizione che gli alunni del primo anno raggiungano il castello attraverso il lago’ spiegò mentre ci incamminavamo verso il molo. Giunte sul pontile, ci dirigemmo verso le imbarcazioni, costruite appositamente per due persone, ma Hagrid fu più veloce: con un’energica manata ci sospinse a bordo di una di esse. ‘Ehi!’ protestai indignata ‘ma come si permette?’ Chiaramente sorpreso dalla mia reazione, aggrottò le sopracciglia e borbottò delle scuse poco convinte. Cissy si sistemò accanto a me e sgranò gli occhi. ‘Che c’è?’ chiesi divertita. ‘Alfa, ma…è un docente! Voglio dire, siamo noi che dovremmo scusarci con loro!’ Alzai le spalle. ‘Non importa. Io esigo rispetto. Lui non fa eccezione. Anzi, se lo consideriamo per quello che è…’ Lei scosse il capo, sorridendo. ‘No, mi hai fraintesa.  Intendevo dire che io non avrei avuto quel coraggio’ Mi rabbuiai. Fu in quell’attimo che compresi: stavo prendendo il posto di sua sorella. Cissy ora rischiava di diventare la mia ombra. Ma io ero diversa. Non volevo questo e gliel’avrei fatto capire. Lei era speciale, me n’ero accorta subito. Non avrebbe riflesso la mia luce: l’avrei aiutata a trovare la sua e a farla brillare.
La professoressa McGranitt ci accolse davanti all’imponente portone di quercia. Era una strega alta e compunta; gli occhiali e i capelli raccolti in uno stretto chignon contribuivano notevolmente a conferirle quell’aura di austerità che l’avrebbe sempre contraddistinta. Negli anni a venire avrei conosciuto la sua vera natura e mi sarei ricreduta sul suo conto, eppure, quella prima volta che la vidi, l’impressione che mi diede fu di grande competenza e di estrema professionalità. Una donna di classe, il cui desiderio d’insegnamento derivava da una altrettanto profondo amore per la conoscenza. A giudicare dalle lezioni che ebbi modo di frequentare in seguito, mi convinsi che il suo metodo di studio fosse di gran lunga il migliore; certamente, prima di diventare un’insegnante impeccabile, doveva essere stata una studentessa acuta e instancabile. Un vero peccato che avesse maturato idee inequivocabilmente babbanofile e una palese ossessione per Silente. Minerva McGranitt apparteneva a quel genere di persone che ammiravo, prima di scoprire che erano da odiare. Quel genere di persone che in un’altra vita, in un altro mondo forse avrei potuto ammirare, ma di sicuro non nel nostro. Quel genere di persone che, nonostante tutto, in fondo ammiro ancora. Ma non lo confesserei a nessuno. Nemmeno a me stessa.                                                             ‘Benvenuti alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts! Spero che il viaggio a bordo dell’Espresso sia stato piacevole. Ora, con un po’ di pazienza, farete il vostro ingresso nella Sala Grande e verrete smistati nelle quattro Case (Grifondoro, Corvonero, Tassorosso e Serpeverde) che, da adesso e per i successivi sette anni che trascorrerete qui, rappresenteranno la vostra appartenenza alla scuola e la vostra famiglia’ Detto ciò, s’interruppe, poiché le porte alle sue spalle si erano spalancate. ‘Seguitemi’ intimò. Ci condusse all’interno. Varcando la soglia, euforica ed eccitata, strinsi ancora più forte la mano di Cissy. Non appena misi piede nel vasto salone illuminato, ammutolii, estasiata di fronte allo spettacolo che mi si parava dinnanzi. Non riuscivo a crederci. Dopo anni di attesa, eccola. Hogwarts. Il mio sguardo si posò, stupefatto, sulle candele che galleggiavano a mezz’aria, sul soffitto incantato che rispecchiava il cielo all’esterno, sulle quattro lunghe tavolate tra le quali ci facemmo strada, sulla moltitudine di facce che ci scrutavano interessate. Ero fuori di me dalla gioia. Non avrei mai avuto abbastanza di tutto questo, ora che lo vedevo con i miei occhi. Ora che sapevo.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  Mentre la professoressa McGranitt armeggiava con uno sgabello e un vecchio cappello logoro di fronte al tavolo degli insegnanti, noi ci stringemmo in un angolo, nervosi. C’era chi sussurrava intimorito, chi  lanciava intorno occhiate preoccupate, chi si rimirava in silenzio le scarpe; ognuno, a modo suo, cercava di mascherare la tensione, senza però riuscire a nasconderla completamente. Ero talmente emozionata che a stento udii Narcissa confidarmi, accennando a un vivace ragazzino poco distante: ‘Mio cugino Sirius. La disperazione dei suoi genitori. Evidentemente in ogni famiglia dev’esserci per forza qualcuno che rinneghi la tradizione. Scommetto che verrà assegnato a Grifondoro’ Non le prestai molta attenzione, almeno fino a quando non parlò di nuovo, questa volta con tono sorpreso. ‘Ehi, non ti ho chiesto in quale Casa vorresti andare tu! Mi sono dimenticata, io…’ Non fece in tempo a terminare la frase che si levò alta la voce della professoressa McGranitt: ‘Black, Narcissa’ chiamò con fare imperioso. Vidi Cissy, al mio fianco, impallidire. Le posai una mano sulla spalla e la spinsi delicatamente in avanti. ‘Coraggio’ le sussurrai. Lei avanzò titubante fino allo sgabello, sedette e si sistemò il Cappello Parlante sulla testa. Non trascorse molto tempo che questi gridò deciso: ‘SERPEVERDE!’ e  Narcissa sorrise radiosa, avviandosi verso il tavolo corrispondente dopo averlo riposto sullo sgabello. Dopo di lei venne chiamato il cugino. Del tutto inconsapevole di trovarmi di fronte a uno dei nostri futuri nemici, osservai la premonizione di Narcissa avverarsi e Sirius dirigersi verso il tavolo dei Grifondoro con un’espressione di orgoglio mista a sollievo dipinta in volto. Incuriosita, passai in rassegna le ragazze più grandi, provando ad intuire chi tra loro fosse Andromeda, ma venni presto distolta dalla mia ricerca. ‘Centauri, Alfa’ scandì la McGranitt. Non me lo feci ripetere due volte. Ero convinta che sarebbe stato facile, addirittura che mi sarebbe venuto naturale, eppure, non appena mi ritrovai a sfilare di fronte a quel mare di volti, gli occhi di tutti puntati addosso, desiderai soltanto che finisse al più presto. Esitante, raccolsi il Cappello, lo indossai e mi sedetti, impaziente di conoscere il verdetto. Sussultai come udii una voce parlarmi all’orecchio; immaginai fossi l’unica a sentirla, poiché a me non erano giunte le riflessioni del Cappello sugli altri studenti. ‘Mmmm… Un caso difficile, molto difficile. Vedo coraggio, audacia e una buona dose di sfrontatezza. Ma anche sadismo, oh sì, determinazione e orgoglio. A Serpeverde staresti bene… Su tutto, però, prevale un acume mentale da non sottovalutare; intelligenza, prontezza, desiderio di conoscenza e di apprendimento, interesse. La mia decisione è definitiva… CORVONERO!’ Proprio come speravo. Esultai tra me e raggiunsi i miei futuri compagni. Raggiante, presi posto al tavolo. Subito, però, un’ombra offuscò la mia felicità: mi voltai in direzione dei Serpeverde e incrociai lo sguardo di Narcissa. Pareva delusa. Sorridendo, cercai di farle capire che era ciò che volevo, la risposta alla sua domanda di poco prima. Vedendomi soddisfatta, ricambiò, ma la sua espressione era sconsolata e incerta. Non vi diedi troppa importanza. Più tardi, avrei avuto modo di parlarle e chiarire. Saremmo rimaste amiche , ne ero certa. Lo sapevo.
 
 
Note:
Finalmente sono riuscita a pubblicare il secondo capitolo! Spero mi perdonerete il ritardo: sono precisina e ci tengo a fare le cose per bene, anche a costo di impiegare più tempo. Con questa parte del racconto volevo cominciare ad introdurre il passato della protagonista (e per la prima volta anche il suo vero nome, con il quale diventerà poi Mangiamorte), così che andando avanti si possa capire meglio la vicenda. Alfa è nata lo stesso anno dei Malandrini e, ho immaginato, anche di Cissy, ovvero il 1960. Per quanto riguarda invece la differenza d’età  tra le sorelle Black, non disponendo di dati precisi (so solo che Bella è del 1951), mi sono affidata all’interpretazione personale.
Ringrazio di cuore chi segue questa storia e soprattutto chi si è preso la briga di recensire: mi date una soddisfazione enorme, i vostri commenti per me sono preziosissimi, poiché rappresentano un punto di vista esterno, l’unico sistema utile per capire se scrivendo sia riuscita a trasmettere quanto avevo dentro.
Infine, un ringraziamento speciale ad A., una grande amica, che è stata fonte d’ispirazione per numerosi particolari e senza il cui incoraggiamento questa storia non sarebbe mai nata.
A presto! Vostra Fanny Lestrange 

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Capitolo 3
*** A qualunque costo ***


‘Buongiorno, Alfa’ esordisce Silente, serafico. Gli lancio un’occhiata colma d’odio che evidentemente non basta ad intimidirlo.
‘Ho l’impressione che la mia visita non sia di tuo gradimento. Mi sbaglio?’ Sorride divertito. Che intuito. Non rispondo, ma lo squadro dall’alto in basso con tutto il disprezzo di cui sono capace. Osservo i lunghi capelli, la barba bianca, gli occhi di quell’azzurro così chiaro, così falsamente innocente, e fatico a reprimere il disgusto.
Che cosa vuole da me? Come si permette di irrompere, tentatore, nella quiete della mia rassegnazione? Non gli basta vedere i più fieri Mangiamorte marcire lentamente in prigione, vuole addirittura farci la predica? Crede forse che le sue vuote parole sortiranno l’effetto di convertirci? Povero illuso. E’ a causa della nostra lealtà che siamo qui, e non cambieremo certo idea ora, a un passo dalla morte. Cosa avrebbero significato, altrimenti, tutti questi anni? Io sono e rimarrò fedele al mio Signore. A qualunque costo. E allora cosa ci fa, lui, qui? Perché proprio io? Perché non allieta altri con la sua regale presenza? I Lestrange, per esempio. Di sicuro gli riserverebbero l’accoglienza che merita.  E’ forse convinto che io sia da meno, mi crede innocua? Gli dimostrerò quanto si sbaglia. Eppure, sento che ci dev’essere dell’altro. Ardo dalla voglia di conoscere il motivo della sua visita, ma non intendo certo dargli una tale soddisfazione.
Si accinge ad entrare, ora. ‘Temo che ci vorrà un po’ prima di convincerti a parlare, vero?’ sospira. ‘Non importa, avremo tutto il tempo che ci occorre. Ci lasci soli, la prego’ Fa cenno al carceriere di andarsene. Quest’ultimo pare scettico, chiaramente diffida di me. Non vuole rischiare di trovarsi ‘il più grande mago di sempre’ sulla coscienza. E come potrei? Mi hanno tolto ogni cosa, persino la bacchetta. Mi hanno privata del mio essere strega. Non valgo nulla, non più della feccia dalla quale mi tenevo alla larga. E Silente ne lo sa. Scambia con l’uomo uno sguardo eloquente, lo convince, se ne libera. Si avvicina quindi a me. E’ tranquillo, non mi teme. La paura ha sempre trovato difficoltà nel soggiogare quest’uomo. Mi fa infuriare la sua spavalderia, non la sopporto. Non sopporto che un tempo duellassimo da avversari e che ora io sia qui ad umiliarmi, inginocchiata ai suoi piedi. Io, che m’inchinavo solo dinnanzi al mio Signore. Non sopporto di non scorgere nei suoi occhi il terrore cieco che paralizzava le mie vittime. Chi si crede di essere, paragonato all’Oscuro Signore?
Si accovaccia, adesso. Mi concede l’onore di trovarmi alla sua stessa altezza. Che gesto ammirevole. Chi glielo fa fare, mi chiedo. ‘Alfa Centauri, da quanto tempo sei rinchiusa qui dentro?’ domanda, inclinando leggermente il capo. Ma quant’è eccezionale quest’uomo? Si finge interessato persino ai suoi nemici. Ricorda perfettamente a quando risale la mia condanna. Era presente al processo. Fui l’ultima e la più complicata da gestire: in molti si chiedevano se fosse corretto incarcerare una donna incinta. Silente stesso si mostrò combattuto, ma alla fine il suo senso di giustizia ebbe la meglio: ad Azkaban c’era posto anche per me.
‘Undici anni, se non erro’ prosegue imperterrito. Dove vuole arrivare? ‘Vedi, la gente è convinta che questo posto faccia smarrire il lume della ragione, renda folli. Tuttavia tu sembri aver conservato una straordinaria salute mentale…’ Sposta lo sguardo sulle pareti della cella, interamente ricoperte dai miei graffiti. ‘E’ merito di questi, suppongo’
Si alza e si dirige all’angolo opposto. Allunga la mano verso il muro e segue con le dita il contorno di una costellazione. Pare perplesso. ‘L’astronomia… scienza affascinante e complessa’ mormora, assorto. Si volta nuovamente verso di me. ‘Ho saputo della tua passione. Mi hanno parlato di te come di una profonda conoscitrice della volta celeste e della sua fenomenologia’ Mordendomi un labbro, maledico lui e i suoi informatori. ‘Chi te l’ha detto?’ sibilo, sforzandomi di mantenere la calma. Silente sembra sorpreso. E’ la prima volta che apro bocca da quando è entrato. Da undici anni, a dire il vero. Il suono della mia voce, così a lungo inutilizzata, mi lascia esterrefatta: è rauca, gracchiante. Dov’è finita quella parlata fluida e melodiosa che possedevo un tempo? Quel tono deciso e risoluto di cui andavo tanto fiera?
Il mio interlocutore sorride sornione. ‘Ho le mie fonti personali, non preoccuparti. Come puoi constatare tu stessa, si sono dimostrate piuttosto affidabili’ Questa volta fallisco nel reprimere l’ira: assomiglia più a un ringhio sommesso l’imprecazione che fuoriesce dalle mie labbra. ‘Chi è stato?’ insisto. Nessuno era a conoscenza dei miei studi, al di fuori della cerchia di Mangiamorte cui appartenevo. La cerchia più intima del Signore Oscuro. Alcuni si divertivano a prendermi in giro, altri addirittura mi incitavano  ad abbandonarli, poiché lui li aveva giudicati ‘un’inutile perdita di tempo, che rischia di intralciare e non ha nulla a che vedere con i nostri scopi’. Io però la pensavo diversamente. Ero profondamente innamorata dell’astronomia e non l’avrei abbandonata per nessuna ragione. Nemmeno se avesse significato disobbedire al mio Signore. Iniziai a dedicarmici di nascosto:  dovevo continuare. A qualunque costo. In questo lui mi incoraggiava. Mi copriva e mi aiutava, anche se non riusciva a capire cosa ci trovassi di speciale. Non lo sapevo neanch’io, mi piaceva e basta. M’interessava. Lui, comunque, non mi avrebbe mai tradita. Chi, allora? Con chi ha avuto contatti, quale misero fedifrago è passato dalla sua parte? Lucius, forse?
‘Non ti riguarda. Non chiedermelo più. Ora le domande le faccio io’ Silente ha abbandonato i suoi celebri modi persuasivi. Ha capito come giocare, finalmente. Adesso lo riconosco! Eppure continua a sfuggirmi perché abbia voluto vedere proprio me.
‘Hai riflettuto, in questi anni?’ domanda, staccandosi dal muro e venendo verso di me. Ha una voce diversa, ora, più ferma. Non si siede; mi sovrasta, fissandomi serio. Nel suo sguardo leggo una punta di rancore. Pensa ai miei crimini, è ovvio. Vuole sapere se me ne sono pentita. Lecito. Dopotutto, il tempo l’avrei avuto. Sto per rispondergli che morirei piuttosto che rinnegare il mio Signore, quando un dubbio atroce mi assale; un sospetto prende a farsi strada dentro di me, assumendo a poco a poco i contorni di una certezza. E’ un’opportunità, quella che mi sta offrendo? Devo ostentare rimorso, fingermi addolorata? Così mi tirerà fuori di qui? Credevo che farmela pagare, a me come a tutti gli altri, rientrasse tra le sue priorità. Credevo che il pentimento non bastasse ad abbreviare una condanna a vita. E quell’allusione all’astronomia, allora? Non era casuale, Silente ha in mente qualcosa. Qualcosa che riguarda me e le mie competenze. Ne ha bisogno, forse. Prima, però, dev’essere sicuro che io abbia definitivamente chiuso con le Arti Oscure. Chino il capo, così che non scorga la mia espressione. Non deve sapere che ho capito. Rifletto attentamente. Il Signore Oscuro non risorgerà, di questo mi sono convinta. L’ho atteso per undici anni; non si può negare che gli sia stata leale. Ho scelto il carcere alla fuga, consapevole di stare rovinando non solo la mia vita, ma anche quella di mia figlia. L’ho sacrificata per lui, in nome della fedeltà al mio padrone. Ho deciso di essere Mangiamorte anziché madre. Ora, tuttavia, ho aperto gli occhi. Lui non tornerà. Se accettassi l’offerta di Silente, dunque, ci guadagnerei soltanto. E potrei rivederla.
Avrei dovuto intuirlo prima. Se fossi stata più cauta, avrei potuto ingannarlo: era il genere di incarico che il Signore Oscuro mi affidava spesso. Sarebbe caduto nella mia trappola. Ma forse non sono perduta, non ancora. So sfruttare al meglio le mie doti, l’ho imparato presto. Avrò bisogno di chiamare a raccolta tutto il mio autocontrollo, la mia impenetrabilità: svolgeranno un ruolo determinante.  Ero un’abile Occlumante, una volta, non dovrebbe essere difficile. Non m’interessa cosa ho lasciato trapelare finora, devo concentrarmi su quanto dire da adesso in poi. Se sarò abile, conquisterò nientemeno che la fiducia di Silente. E intendo riuscirci. A qualunque costo.
‘Cosa provi nei confronti di ciò che sei stata, Alfa?’ incalza lui con una nota di durezza nella voce. Inspiro a fondo. Devo trovare una risposta convincente, ne va del mio futuro. ‘Pena’ mormoro, tenendo lo sguardo basso. Il mio interlocutore, pur desiderandolo ardentemente, non si aspettava un’affermazione tale. ‘Pena?’ ripete piano, come se non credesse alle proprie orecchie. ‘Sì, esatto, pena. Compassione. Pietà’ Ribadisco il concetto più volte, voglio che gli sia ben chiaro. Silente è incredulo. ‘Per le tue vittime?’ domanda speranzoso. Mi sfugge un ghigno. Eh no, vecchio mio, troppo facile! Se mi mostrassi affranta, tormentata dai sensi di colpa, risulterebbe sospetto, non ti pare? Soprattutto dopo l’accoglienza di cui ti ho degnato poco fa. ‘No. Per me’ gracchio. ‘E perché?’ Sospiro. Scuoto la testa, mi fingo amareggiata. Deve sembrare una decisione che ho maturato io, qui, giorno dopo giorno. ‘Perché? Perché ho passato tre anni della mia breve vita a combattere per un padrone che ci ha miseramente abbandonati, ecco perché!’ sbotto, tornando a fissarlo negli occhi. Mento, è ovvio, e bene: Silente sembra compiaciuto. ‘Il vostro padrone non vi ha abbandonati. Semplicemente è stato sconfitto da un ragazzo chiamato Harry Potter, ne avrai di sicuro sentito parlare.’ ‘Già, ma all’epoca era solo un bambino! Io credevo nel mio Signore, non pensavo si sarebbe lasciato annientare in quel modo!’ grido, al culmine della frustrazione. ‘Lo credevo forte, lo credevo il migliore. Si trattava del più grande mago oscuro di tutti i tempi: ero certa che un neonato non avrebbe rappresentato un pericolo per lui!’ Constato con soddisfazione di possedere ancora una discreta abilità nell’ingannare gli altri. Sto recitando bene la mia parte. Comincio a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di dire addio alla mia cella una volta per tutte. ‘Mi ha deluso’ aggiungo a bassa voce.
‘Pensi dunque che sia morto?’ La domanda di Silente giunge dopo un silenzio che pare interminabile. Indugio. Me lo sono chiesta anch’io, innumerevoli volte, ma solo ora trovo il coraggio di pronunciare queste parole a voce alta. ‘Sì’ rispondo infine. Ed è davvero così: non ho mai smesso di avere fiducia in lui, al contrario di quanto sto facendo credere a Silente. Se fosse vivo, sarebbe già venuto da noi. Eppure sono orgogliosa di averlo servito; non cesserò mai di essere Mangiamorte. Questa è una certezza.
‘Allora cosa farai quando invece tornerà?’ Stavolta è lui a cogliermi alla sprovvista. Deglutisco nervosa, prendo tempo. Mi hai trovata impreparata, vecchio. Il gioco si fa duro, ma io devo andare avanti. Senza esitazione. ‘Non tornerà’ sentenzio lugubre. Silente scoppia a ridere. ‘E’ strano, sai. Molti tuoi compagni sono convinti del contrario’ Istintivamente penso ai Lestrange, e provo pietà anche per loro. Barricati nella loro ostinazione, non riescono a guardare in faccia la realtà; preferiscono cullarsi nell’illusione che un giorno lui possa davvero venire a liberarli. ‘Non tornerà’ ripeto. ‘E’ solo questione di tempo’ ribatte lui.
Di nuovo, un silenzio carico di tensione cala tra noi. Ancora una volta, è lui a romperlo. ‘Mettiamola così: se dovesse tornare, come ti comporteresti?’ riprende Silente. Lo guardo e tocca a me schernirlo. ‘Come dovrei comportarmi? Ai prigionieri nessuno chiede di comportarsi…’ ‘Questo conferma la tua affermazione di poco fa’ Vedendo la mia espressione perplessa, chiarisce: ‘Hai appena definito la tua vita come breve. Ciò significa che hai paura di morire giovane?’ Ghigno beffarda. ‘Andiamo, Silente! Non si tratta di paura, è la verità! Ho già trent’anni, quanto ancora credi che mi resti? Mesi, giorni. Lo vedi da te come Azkaban mi ha ridotta!’ ‘Ma se ti troverai fuori di qui, quando lui risorgerà e ti verrà a cercare, sarai ancora disposta a servirlo?’ insiste lui. Non demorde, rendendomi sempre più sicura della mia intuizione. ‘Te l’ho già detto, si è rivelato tempo sprecato! Non riuscirei a schierarmi al fianco di un padrone che ha fallito così miseramente! Non ne varrebbe la pena, mi sentirei un’ipocrita’ Silente inarca le sopracciglia. Hai ragione, vecchio. Potevo fare di meglio. ‘Rinnegarlo significherebbe morire…’ sottolinea, come se avessi tralasciato un particolare fondamentale. ‘Allora fuggirò…’ ribatto debolmente. ‘Eri del parere opposto, al processo’ obietta Silente. E’ vero, dopotutto mi sono lasciata catturare per lui. ‘Azkaban è il luogo ideale per riflettere, quando i Dissennatori non sono nei paraggi. All’epoca ero sicura che sarebbe tornato, mi conveniva’ Deve funzionare, deve. A qualunque costo. ‘E comunque, Silente, continui a usare il futuro, ma sai bene che nulla di tutto questo accadrà mai…’
‘Alfa, Voldemort tornerà’ dichiara lui dopo aver preso un lungo respiro. Freno l’impulso di schiaffeggiarlo nell’udirlo pronunciare il nome dell’Oscuro Signore; ho bisogno di rimanere concentrata su quanto sta per dire. ‘La questione su cui mi sto soffermando è… sarai libera per allora?’ Ho tutti i sensi all’erta, la mia attenzione è al massimo. Pochi istanti e saprò. ‘Come…?’ lo interrompo, ma lui mi fa cenno di tacere. ‘Ascoltami: io possiedo l’autorità per farti uscire di qui, ma devo essere completamente convinto su quella che sarà la tua presa di posizione. Da ciò che hai detto, mi è parso di capire che non ripeteresti i tuoi errori, se ne avessi la possibilità. Io posso dartela. Posso offrirti l’opportunità di affiancare al tuo torbido passato un futuro più degno, un domani migliore. Per gli altri, ma soprattutto per te. E posso garantirti protezione, perché sta’ certa che arriverà il momento in cui ce ne sarà bisogno. Se sei d’accordo, possiamo arrivare ad un compromesso’
Tutto qui, vecchio? Mi chiedi soltanto di giurare il falso? Nessun problema. Non amo le promesse, ma ho creduto nell’unica che ho fatto, quando il Signore Oscuro mi ha marchiata. E ci credo ancora. Socchiudo le palpebre e lo fisso sospettosa, ma dentro di me esulto. ‘Necessito di un posto da insegnante alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, dove sono tuttora preside’ Questo è più di quanto osassi sperare. Significa che non ci sono dubbi: la rivedrò. La rivedrò davvero… ‘Il professore in carica è appena andato in pensione e la cattedra di Astronomia è momentaneamente vuota’ Lo scruto torva. Lui sospira e rirprende: ‘Dico sul serio, Alfa. A giudicare da quanto mi è stato riferito, gli alunni avrebbero molto da imparare da te…’ ‘Non lo nego. Ma, Silente, dovrei crederti? Intendi davvero… liberarmi?’ La voce mi si affievolisce sull’ultima parola, riducendosi a un sussurro. ‘Naturalmente, ti ripeto, devo essere certo che tu abbia abbandonato una volta per tutte la vita da Mangiamorte… o puoi immaginare il rischio che correrei assumendoti’ Annuisco. ‘Un rischio che potrebbe rivelarsi fatale…’ commento e lo vedo trasalire. Suvvia, vecchio, mi sto solo facendo beffe di te! ‘… se fossi ancora decisa a sostenere il Signore Oscuro’ mi affretto ad aggiungere. Non intendo gettare tutto all’aria solo per colpa di un lampo d’ironia mal celata. ‘Ma, come ti ho già detto, anche se  tornasse non avrebbe più nulla a che vedere con me! Ho avuto fiducia in lui? Be’, ho sbagliato. Hai ragione, Silente, non lo rifarei, ma a chiunque capita di sbagliare, no?’ Pare soppesare le mie parole per un attimo. ‘Alfa, tu non hai semplicemente sbagliato: hai odiato, hai torturato e ucciso innocenti’ puntualizza severo. Rimango impassibile. ‘Ero una ragazza confusa e fragile, disperatamente alla ricerca di qualcuno più forte da seguire, di un gruppo a cui aggregarmi. Non mi rendevo conto delle conseguenze delle mie azioni. Questo non mi giustifica, certo, ma è la ragione che sta alla base dei reati che ho commesso’ In realtà ero una giovane donna consapevole di quello a cui andava incontro e padrona delle sue scelte. Che non se ne è mai pentita. ‘E adesso? Adesso ti rendi conto di ciò che hai fatto? C’è voluto un ergastolo affinché le grida disperate dei familiari delle tue vittime ti entrassero dentro?’ Ci squadriamo per lunghi, decisivi istanti. Non cedere, mi ripeto, non cedere al rimorso devastante; lui non aspetta altro, capirà che lo aduli soltanto per poter uscire di qui. ‘Sì, c’è voluto un ergastolo’ ammetto, sperando di averlo definitivamente convinto. Fremo, in attesa del verdetto.
‘Avrai bisogno di una nuova identità’ riprende Silente, e in questo momento so di avercela fatta. ‘Troveremo qualcosa che si addica alla tua materia d’insegnamento. Vediamo… che ne dici di Aurora?’ Alzo le spalle. E’ un nome come un altro. ‘Aurora e poi?’ incalza lui, come a voler lasciare che sia io a completarlo. Corrugo la fronte, in cerca di un’idea. ‘Sinistra’ decido infine. Silente inarca le sopracciglia. ‘Sono mancina’ spiego ‘e, direi, anche piuttosto lugubre, a vedersi’ Annuisce soddisfatto. ‘Bene. Aurora Sinistra sarà perfetto’ Non sa che il vero motivo della mia scelta è un altro. Non voglio dimenticare chi sono davvero: quel cognome mi ricorderà che il Marchio è ancora lì con me, e ci sarà sempre.
‘Tua figlia è in procinto frequentare Hogwarts, se non sbaglio’ La frase di Silente mi lascia spiazzata; non credevo vi avrebbe fatto allusione. ‘Che giorno è oggi?’ gli chiedo ansiosa. ‘Il 27 luglio 1992’ Dieci anni. Ha già dieci anni. ‘Vive con i Malfoy, giusto?’ ‘Sì, Cornelia è stata cresciuta da Lucius e Narcissa, non sa nulla di me. Ho voluto così. Per il suo bene’ mormoro, una stretta al cuore. ‘Presto la rivedrai’ Buffo. Non avrei mai pensato che a dirmelo saresti stato tu, Albus. La vita riserva così tante sorprese. Ecco, guarda: mi inviti ad alzarmi, mi tendi una mano. Ce la faccio da sola, grazie, benché reggermi in piedi richieda uno sforzo inimmaginabile. Mi apri la porta, mi conduci fuori. Getto un ultimo sguardo alla cella, prima di lasciarmela alle spalle per sempre.
Cammino al tuo fianco, Albus, ma ci credi? Mai come ora i corridoi di Azkaban mi sono sembrati così bui e opprimenti, in questa fuga disperata verso la luce, verso la libertà. Ogni passo dura anni. Gli altri prigionieri ci osservano; un accenno di interesse anima i loro volti, ma solo per un attimo. Nemmeno la scarcerazione di una di loro è sufficiente a destarli dal limbo in cui sono precipitati. Tuttavia, quando passiamo davanti alla sua nicchia, non riesco a fare a meno di voltarmi. Lei, Bellatrix, è lì, rannicchiata contro il muro; il rumore le ha ridestato l’attenzione. Accelero, ma è troppo tardi: mi ha già vista. Mi punta addosso quei suoi occhi fiammeggianti, increduli prima, furenti subito dopo. ‘Come hai potuto?’ sembra voler dirmi, e lo farebbe, se ne avesse la forza. Sostengo il suo sguardo, non ho intenzione di lasciarla vincere. Non questa volta. Spiegarle il mio gesto sarebbe inutile, una perdita di tempo. Non m’illudo che possa comprendere. Eppure vorrei provarci. Non lo sto tradendo, credimi, il tuo Signore è anche il mio, vorrei poterle dire. Se ti confessassi che nella mia vita c’è posto anche per qualcun altro, però, non capiresti. Non lo accetteresti. Qualcuno che mi infonde il coraggio per continuare, che dà un senso alla mia esistenza, sebbene non sappia ancora che ci sono, e chi sono. Cosa rappresento davvero per lei. Qualcuno che voglio rivedere. A qualunque costo.
Note:
Eccomi, sono tornata! Purtroppo meno di così non riesco a metterci, figuriamoci ora che ricomincia la scuola…:(
Questo capitolo è stato uno dei più complessi e delicati da scrivere, poiché rappresenta un momento importante, una svolta decisiva nella vita della protagonista e nella trama in generale. Spero di essere riuscita a renderlo efficace. Ho voluto evitare che Alfa si mostrasse pentita in modo teatrale; Silente avrebbe avuto l’impressione che lei avesse capito il motivo della sua visita e che lo facesse apposta. Mi sembrava più verosimile che lei dichiarasse di aver smesso di essere Mangiamorte, ma senza prostrarsi davanti a lui o cose simili: lui non l’avrebbe creduta, si tratta pur sempre di Silente, non di uno qualsiasi…:)
Ringrazio chi vorrà lasciare un commento,  mi fa sempre piacere, e chi ha inserito questa storia tra le seguite o tra le preferite… mi rendete così felice!XD
A presto! Fanny 

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Capitolo 4
*** Questa volta ***


Curiosamente, questa fuga me ne rimembra un’altra. Un ricordo affiora prepotente dalla mia memoria; un ricordo doloroso, che farei di certo meglio a tenere lontano, che in qualsiasi altro momento avrei scacciato, ma non ora. Questa volta non ne ho la forza. Lascio che Silente continui a guidarmi e mi abbandono, sospirando, alle vivide immagini che si affollano davanti ai miei occhi, permettendo loro finalmente loro di riportarmi indietro nel tempo.
Correvo, quel giorno. Correvo a perdifiato lungo il prato di fronte ad Hogwarts, poi su per i gradini del castello, catapultandomi infine nella Sala d’Ingresso. Da lì imboccai una ripida scalinata in pietra che mi avrebbe condotta nei sotterranei. Com’era prevedibile, giunsi trafelata davanti alla porta dell’aula. Tentai disperatamente di darmi un contegno, ravvivandomi almeno i capelli, prima di prendere coraggio e aprirla.
‘Buongiorno, professore. La prego di scusarmi il ritardo, le garantisco che non capiterà più!’ ansimai entrando. Lumacorno interruppe la sua spiegazione e si volse a guardarmi. Chinai mestamente il capo, sperando che la mia solitamente impeccabile condotta bastasse ad evitarmi un rimprovero. Almeno per questa volta.
‘Oh, Alfa’ esclamò lui per tutta risposta. ‘Sono sicuro che tu sia stata vittima di qualche spiacevole contrattempo, e che in ogni caso la prossima volta saprai come evitarlo’ dichiarò indulgente.
‘Certamente, professore. Non intendo affatto perdermi anche solo l’inizio di un’altra delle sue preziose lezioni’ aggiunsi sorridendo. Era fatta. Lumacorno era un soggetto estremamente facile da manipolare: aveva un debole per me, una delle sue studentesse migliori, e non voleva certo trovarsi costretto a bandirmi dal proprio prestigioso club. Un lusso riservato a pochi.
‘Quanti elogi, Alfa, non sono sicuro di meritarli! La mia vera fortuna è averti come allieva. Ecco, c’è un posto libero accanto alla signorina Black: accomodati pure’ tubò indicandomi un tavolo verso il fondo dell’aula.
 Il venerdì, infatti, l’orario prevedeva una doppia ora di Pozioni insieme ai Serpeverde. Raggiunsi Cissy, intenta a rimestare nel proprio calderone, e mi sistemai vicino a lei. La mia amica, consapevole di essere ancora oggetto di comune attenzione, evitò accuratamente di aprire bocca per i successivi due minuti. Quando fu certa di non avere più addosso lo sguardo di nessuno, si decise a parlare.
‘Allora?’ sussurrò, gli occhi fissi sulla miscela che stava preparando. ‘Dove sei stata?’ chiese con aria inquisitoria. Sapevo che me l’avrebbe domandato. Morivo dalla voglia di dirglielo, ma allo stesso tempo preferivo non accontentarla subito: desideravo tenere quel momento solo per me, ancora per un po’.
‘Mmm… Ero nel parco’ feci vaga.
‘Da sola?’ obiettò lei. Mi provocava; doveva aver intuito qualcosa e ora ne esigeva la conferma.
‘Be’, no’ borbottai, volutamente schiva.
‘Con chi, allora?’ insistette. Silenzio.
‘Alfa?’
‘Con lui’ dissi in un soffio. Cissy smise bruscamente di mescolare e mi degnò finalmente di un’occhiata. Dietro l’apparente stupore, tuttavia, credei di riuscire a cogliere l’entusiasmo, e persino una debole ombra di soddisfazione. Se lo aspettava? Lui le aveva forse parlato di me?
‘E… cos’avete fatto?’ volle sapere ancora, tornando a concentrarsi sul proprio lavoro. Sorrisi maliziosa, lasciando che fosse lei ad intuirlo. Quanto adoravo tenerla in sospeso!
‘Ti ha baciata?’ buttò lì, chiaramente timorosa di essersi spinta troppo in là. Scossi la testa.
‘Oh’ Parve delusa. Sogghignai.
‘L’ho baciato io’ aggiunsi qualche secondo più tardi. Un tonfo sordo seguì queste parole: Cissy aveva inavvertitamente lasciato cadere il mestolo nel calderone per la sorpresa. Soffocai l’impulso di scoppiare a ridere nel vederla voltarsi e guardarmi esterrefatta.
‘Cosa succede là in fondo?’ tuonò Lumacorno dalla parte opposta dell’aula.
‘Nulla, professore!’ si affrettò a rispondere Cissy. 'Mi sono distratta un momento e ho rischiato di rovesciare la pozione, ma è tutto a posto ora!’
‘Me lo auguro’ ribattè lui. ‘Il Veritaserum è estremamente difficile da preparare: per riuscirci avete bisogno di tutta la vostra concentrazione. Non sono ammessi errori’
‘Sì, professore’ ripeté Cissy alzando gli occhi al cielo.
Era cambiata, la mia Cissy, da quando l’avevo conosciuta. Con il tempo era sbocciata: da ragazzina timida e insicura, si era trasformata in una fanciulla gioviale e generosa… con chi ne riteneva degno, naturalmente. Il suo carattere fiero, anche se a tratti ancora schivo, unito a una bellezza delicata, leggiadra e quasi inconsapevole, la rendevano una delle ragazze più corteggiate del nostro anno.
Io non avrei potuto essere più diversa: riscuotevo la mia dose di apprezzamenti, è vero, ma alla compagnia preferivo la solitudine e degli ammiratori me ne infischiavo. Trovavo che la maggior parte di loro fossero frivoli, superficiali e completamente privi di aspirazioni. Consideravo di gran lunga più interessante osservare le stelle piuttosto che i ragazzi, e probabilmente questo spiegava l’incredulità della mia amica.
‘Sul serio l’hai baciato?’ sussurrò concitata, avvicinando il suo viso al mio.
‘Cissy, davvero, non credevo di dover scendere nei particolari… sai come funziona, no?’ replicai divertita. Lei fece un gesto impaziente con la mano, come a voler focalizzare su altro la mia attenzione.
‘No, non intendevo… ma nel senso che lui non voleva?’ Aggrottai la fronte, corrucciata. Mi era sembrato che Cissy approvasse quanto era successo; mi ero addirittura illusa che ne sarebbe stata felice. Mi sbagliavo? Perché facevo così fatica a decifrare la sua espressione?
‘Certo che voleva… che idea ti eri fatta, sentiamo’ sospirai amareggiata.
Lei parve sollevata. ‘No… nessuna idea, figurati. A dire il vero… ci speravo tanto’ Sorrise. ‘E’che da te non me l’aspettavo’ ammise. ‘Fino a poco fa non credevi affatto nell’amore’
Sbuffai, come ogni volta che mi faceva notare le mie contraddizioni. ‘Si può cambiare. E comunque non ho parlato di amore: sarei più propensa a definirlo un innamoramento…’ puntualizzai.
‘Non pensavo nemmeno che lui ti ricambiasse! Voglio dire, avrebbe potuto confidarmelo, che gli piacevi’ proseguì Cissy, infervorata.
Alzai le spalle. ‘E’ riservato, lo sai. Se poi te l’avesse detto, tu gli avresti risposto che anche lui mi piaceva, e le cose non sarebbero andate in questo modo. Invece così è stato davvero… piacevole’ convenni.
‘Sei sicura che lo volesse?’ ‘Cissy, insomma! Glielo si leggeva negli occhi… pensi sia stata così meschina da approfittarmi di lui?’ le chiesi indignata.
‘No, certo che no! Non lo faresti mai, lo so. E’ solo che, vedi, sono molto affezionata a Regulus: è mio cugino, il più piccolo della famiglia…’ si giustificò lei. ‘In fondo, tu hai diciassette anni e lui solo quattordici’ aggiunse a mo’ di scusa.
Inarcai le sopracciglia. ‘Lucius invece ne ha quattro più di te…’ le ricordai.
‘Sì, ma è diverso! Lui è più grande, è… come una guida per me, in tutti i sensi. Reg non ha esperienza…’ obiettò debolmente.
‘Nemmeno io ne ho, se è per questo. Non l’esperienza che intendi tu… ed è meglio così, credo. Andremo avanti insieme’ Le presi una mano, esattamente come sei anni prima a bordo dell’Espresso: era in questo modo che ci confortavamo a vicenda.
‘Non preoccuparti, Cissy’ la rassicurai. Da un certo punto di vista mi dispiaceva per lei: aveva adorato Lucius fin dall’inizio, ma era stata costretta a vederlo passare attraverso ogni sua fase, cambiare un consistente numero di fidanzate prima di poterlo avere solo per sé. Era rimasta nell’ombra, lo aveva atteso silenziosa, paziente, e finalmente lui l’aveva notata. Lui, il suo unico amore, l’aveva scelta, si era arreso al suo fascino. Erano diventati una coppia, una meravigliosa coppia. Non erano perfetti, la perfezione esiste solo in matematica, ma erano meravigliosi. Lo sono anche adesso. Non ne ho la certezza, non ancora, ma mi piace pensarlo. Se qualcosa si è spezzato persino tra loro due, davvero l’amore non esiste.
All’epoca sicuramente temeva per noi, per Regulus e me: desiderava risparmiarci il suo travaglio. Io tuttavia sentivo che non ce ne sarebbe stato bisogno: ero felice, e questo mi bastava. Ovviamente non è durata, ma ho imparato a non accanirmi contro il destino che ci ha separati e a non chiedermi cosa sarebbe stato di noi se lui non fosse morto. Non esiste una risposta, non ne esiste una sola, perché anche le cause furono molteplici; il corso della vita è quanto di più inafferrabile, crudele e beffardo si possa immaginare
‘Non sono preoccupata’ garantì Cissy, ricambiando la stretta con vigore. ‘Solo… vorrei chiederti un favore. Adesso è come se steste insieme, giusto?’ domandò speranzosa.
Mi strinsi nelle spalle. ‘Suppongo di sì…’ mormorai esitante. Perché aveva a tutti i costi bisogno di assegnarci una definizione? Al momento ci piacevamo e basta. Ma Cissy era diversa: secondo lei una passione era per sempre, altrimenti non sarebbe stata nemmeno degna di essere vissuta.
‘Alfa, promettimi che ti prenderai cura di lui e non lascerai mai che gli capiti qualcosa di male’ implorò la mia amica.
Distolsi lo sguardo, imbarazzata. Cissy aveva pochi difetti, ma uno di questi era proprio la troppa fiducia che accordava alle persone: la maggior parte di esse non la meritava affatto. Io, naturalmente, le volevo un gran bene e mai l’avrei tradita, eppure vivevo nel costante timore che non sapesse distinguere chi aveva intenzione di ingannarla da chi era realmente interessato a lei. Difatti l’avevo protetta fino a quel momento; io, che invece non mi fidavo di nessuno.
Non me la sentivo, però, di mentire, non con lei. Non questa volta. Stavo per tentare di spiegarle che il fatto che io avessi baciato suo cugino non significava necessariamente che d’ora in avanti saremmo diventati inseparabili, anche perché io consideravo fondamentale la mia indipendenza, quando improvvisamente incontrai il suo sguardo. Quello che vi lessi –ansia, paura, supplica, ma anche trepidazione e un affetto incondizionato- mi impedì di deluderla. Non importava se quello che mi stava affidando fosse un compito delicato, né che io con il mio gesto avessi inteso tutt’altro: ciò che contava davvero era il presente, e io per il momento sentivo di poterla accontentare. 
‘Va bene, Cissy. Finchè tuo cugino sarà con me, non avrà nulla da temere’ La questione era fino a quando sarebbe stato con me. Il sorriso grato di Cissy, tuttavia, spazzò definitivamente via ogni altra incertezza.
‘Vogliamo lavorare, laggiù?’ La voce di Lumacorno sciolse l’imbarazzo che si era venuto a creare. Ne fui sollevata. Ci scambiammo un’ultima, complice occhiata e tornammo a concentrarci sul Veritaserum.
 
 
Più tardi, a lezione terminata, decidemmo di trascorrere nel parco l’ora libera che ci rimaneva. Uscendo, affiancai Cissy e mi diressi con lei verso la riva del lago, uno dei nostri angoli prediletti.
Lei si stese sul soffice manto d’erba e chiuse gli occhi; io rimasi seduta a fissare assorta l’orizzonte. Restammo a lungo così, in silenzio, come spesso accadeva fra noi: ci conoscevamo da talmente tanto tempo che le parole ormai non servivano più.
‘Mi manca Lucius…’ sospirò Cissy. Osservava le nuvole, ora, cercando di interpretare le loro forme misteriose.
‘L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato a Natale!’
‘Già, ma siete in contatto, no?’
‘Non è la stessa cosa…’ si lamentò lei.
‘Coraggio. Un paio di mesi e lo rivedrai’ tentai di rincuorarla.
‘Un paio di mesi! Non credo di potercela fare…’ esclamò abbattuta.
‘Un paio di mesi e lasceremo questo posto per sempre…’ riflettei ad alta voce, lottando contro la malinconia che quell’idea mi infondeva.
‘Cosa intendi fare, dopo?’ s’informò Cissy, ma fu una domanda che giunse inaspettata, la sua. Mi voltai stancamente a guardarla: lo sapeva, sapeva benissimo quale strada volevo intraprendere, ma fingeva sempre di essersene dimenticata. Come se una tale ambizione potesse venire ignorata. Questa volta, però, stetti al gioco.
‘Be’, sicuramente voglio proseguire i miei studi di astronomia, anche se non credo di potervi imperniare una carriera…’ cominciai.
‘Perché no?’ m’interruppe lei. ‘Potresti insegnarla’ Ricordo che all’epoca quell’idea mi parve assurda, perfino ridicola.
‘Figurati… non mi va di correre dietro a dei ragazzini indolenti che non nutrono il minimo interesse in materia. Preferisco approfondire, spingermi oltre… da sola’ chiarii.
‘E cosa farai della tua vita, allora?’ incalzò Cissy. Voleva sentirmelo dire, ovvio. Nessun problema. Non aspettavo altro.
‘Metterò la mia vita al servizio del Signore Oscuro’ dichiarai convinta. ‘Ed evita quell’aria attonita perché non è la prima volta che te lo dico’ aggiunsi sperando di riuscire a strapparle un sorriso, ma fallii. Cissy era scura in volto e l’espressione che aveva assunto tradiva tutta la sua disapprovazione.
Mi ero rassegnata già da tempo, ormai; avevo imparato ad accettare il fatto che non avrei mai ottenuto il suo pieno consenso. Fin da quando, spinta come sempre da una fervida curiosità presto tramutatasi in infatuazione, mi ero unita al gruppo di Serpeverde che s’interessava di Arti Oscure, l’atteggiamento di Cissy era stato fortemente contraddittorio. Ne era affascinata, ma al tempo stesso ne aveva paura e non intendeva prendere parte a quella che considerava una passione pericolosa. La sua indole in fondo era pacifica, contraria a qualsiasi tipo di conflitto. Sotto tale aspetto un po’ le somigliavo: non ero mai stata un’attaccabrighe, ma sentivo che questa volta sarebbe stato diverso.
Uno solo era l’ideale che ci accomunava tutti: diventare Mangiamorte. Eravamo consapevoli di quello a cui saremmo andati incontro; la posta in gioco era alta, la missione che ci attendeva ardua, ma fondamentale: liberare il mondo dalla feccia, dai rifiuti della società, uscire allo scoperto, avere finalmente diritto al potere che ci spettava. Non stupiva quindi come fossero in molti a volersi unire al Signore Oscuro, sebbene pochi, in seguito, se ne dimostrarono realmente degni.
Eravamo comunque giovani e relativamente inesperti; inevitabile, dunque, che ognuno di noi fosse a sua volta ispirato da qualcuno di più capace, qualcuno che era già un Mangiamorte a tutti gli effetti e che godeva della nostra ammirazione. Lucius era il più quotato: leale al suo Signore, determinato, crudele quanto bastava, e inoltre dotato di quella particolare abilità di persuasione che gli permetteva di conquistare chiunque senza il minimo sforzo.
Riguardo a me, ovviamente rifiutavo di ammetterlo e tantomeno di confessarlo, ma c’era qualcuno che mi infondeva un rispetto profondo, una stima sincera, e di cui avrei voluto possedere l’ardore: la sorella maggiore di Cissy, infatti, apparteneva allo stesso genere di persone di cui faceva parte anche la McGranitt. Persone straordinarie, inteso come fuori dall’ordinario, che le circostanze e l’orgoglio m’impedirono di riconoscere come tali.
‘E’ vero, non è la prima volta, eppure ancora fatico a capacitarmene’ ammise Cissy drizzandosi a sedere.
‘Perché? Cosa c’è di strano nel voler rivendicare la nostra superiorità su Babbani e Mezzosangue?’ Non ne potevo più di insulsi giri di parole che non ci avrebbero portate da nessuna parte. ‘Sei una Purosangue anche tu, credevo condividessi queste idee…’ la provocai, ma solo per estorcerle la verità.
‘Certo che le condivido, io…’ tacque innervosita.
‘Quindi? Forse non mi ritieni all’altezza?’
‘Alfa, sei la persona più sveglia e brillante che conosca’ sospirò, anche se in quel momento, a dirla tutta, non mi sentivo particolarmente perspicace, visto che nemmeno riuscivo a capire cosa le passasse per la testa. A lei, di solito così trasparente. Le persone sono infinitamente più difficili e complesse delle stelle, mi ha insegnato l’esperienza.
‘Sarei pazza se non ti ritenessi all’altezza, anche per una faccenda del genere. Non si tratta di questo’
‘E di cosa, allora?’ sbottai. Lei mi guardò, ma subito si ritrasse con fare colpevole.
‘E’ che… perdonami, ma ho paura di perderti’ Immediatamente mi pentii di averla aggredita a quel modo, anche perché finiva sempre col sottomettersi.
‘Questa… cosa…’ si riferiva così al voler diventare Mangiamorte, non riusciva a pronunciare quella parola. ‘…ha già contagiato il mio fidanzato, mia sorella… e ora anche te. So di comportarmi da egoista, ma… vorrei che tu continuassi ad esserci per me’ concluse stringendosi nelle spalle.
La fissai e scossi il capo. ‘Ascoltami bene, Cissy, perché questo è probabilmente quanto di più importante ti abbia mai detto. Il fatto che io voglia diventare Mangiamorte, il fatto che sicuramente lo diventerò, non comprometterà la nostra amicizia. Non glielo permetterò. Ricordatene soprattutto in futuro. Sono due cose diverse, l’una non esclude l’altra. E dimmi, credi forse che Lucius adesso abbia smesso di amarti?’
‘No, ma…’ Esitò. ‘Hai ragione, mi preoccupo troppo’ Abbozzò un sorriso.
‘I tuoi timori sono leciti, ma infondati. Per quanto mi riguarda, ovviamente’ conclusi. In realtà ero lieta che mi avesse offerto un’occasione per ribadirglielo: davo tante cose per scontate, e una di queste era l’affetto.
‘Salve’ c’interruppe una voce grave. Alzai lo sguardo e incrociai quello di un ragazzo magro, pallido, i cui capelli neri e unti ne oscuravano in parte il viso.
‘Oh, Severus’ Gli feci cenno di sedersi accanto a noi e lui acconsentì, impassibile come sempre, mentre con la coda dell’occhio scorsi Cissy irrigidirsi. Piton non le era mai andato a genio. La innervosiva il suo atteggiamento, il suo sarcasmo, il suo evitare costantemente la compagnia di chiunque non facesse parte della nostra cerchia. E lei non ne faceva parte.
A me, invece, questo modo di comportarsi incuriosiva e interessava; lo capivo, o almeno credevo, perché ero come lui. Due anime solitarie si parlano poco, ma s’intendono subito. Ed era esattamente ciò che accadeva fra noi.
‘Hai sentito Lucius, ultimamente?’ gli domandò improvvisamente Cissy, tentando di mascherare la trepidazione che tuttavia le permeava la voce. L’amicizia tra il suo amato e Severus costituiva l’unica ragione che la spingesse a mettere da parte la propria riluttanza e a rivolgergli la parola.
Lui ne era consapevole, difatti un sorrisetto ironico accompagnò la sua risposta. ‘Sono desolato, tuttavia temo che a me non scriva più assiduamente di quanto non faccia con te. Ma dimmi, come mai tanto affanno? Sei in attesa di qualche notizia importante? O forse hai paura che qualche sgradevole diceria non sia ancora giunta alle tue orecchie?’
Cissy, se possibile, divenne ancor più tesa. ‘Cosa intendi dire?’ sibilò, punta sul vivo.
L’altro si compiacque della sua apprensione e proseguì imperterrito. ‘Suppongo sia della sua fedeltà che dubiti, o sbaglio?’ Lei avvampò, incapace di controbattere.
‘Basta così’intervenni, prima che la situazione degenerasse. ‘Severus stava solo scherzando, non è così?’ Lo fulminai con lo sguardo e lui mi restituì un’occhiata divertita, ma seppi che per questa volta aveva lasciato perdere.
Cissy, nel frattempo, si era ripresa. ‘Io non ho affatto dubbi sulla fedeltà di Lucius! So quanto è affezionato a me e… oh, ma guarda chi si vede’ sussurrò abbassando tutt’a un tratto la voce. Severus e io ci voltammo nella direzione in cui lei stava guardando e allora li vidi anch’io: quello sbruffone di Potter e la sua adorata Mezzosangue avvinghiati all’ombra di un albero, intenti a coccolarsi e apparentemente ignari di aver suscitato il nostro interesse.
Cissy sogghignò e io mi dichiarai disgustata, ma fu la reazione di Severus a catturare la mia attenzione. Più pallido del solito, gli occhi ridotti a fessure e le labbra contratte, pareva non essere proprio in grado di sostenere quella visione.
‘Si è fatto tardi. Io rientro’ sentenziò gelido, alzandosi bruscamente e andandosene senza salutare. Cissy non lo trattenne ed io nemmeno. Era stato allora che avevo intuito, per la prima volta, che doveva esserci dell’altro, qualcosa che andava oltre il suo proverbiale odio per Potter; qualcosa che anzi, con l’odio e con Potter non dovevano aver nulla a che fare.
Non ho motivo di credere che si trattasse di un affare serio. All’epoca lo liquidai come semplice passione adolescenziale e, d’altronde, fu proprio lui a rivelare il nascondiglio della Mezzosangue al nostro Signore. Allora, perché preoccuparsi? Forse perché anche il mio e quello di Cissy avrebbero dovuto essere amori acerbi, e invece si sono rivelati duraturi, o comunque abbastanza significativi da lasciare un segno.
Riflettendoci ora, dopo così tanto tempo, ho l’impressione di vedere l’intera faccenda sotto una nuova luce. Ma ecco, la fuga si è conclusa, le porte di Azkaban mi si spalancano dinnanzi e una luce vera, quella del sole, m’inonda, mi scalda, finalmente. Silente mi porterà via. La mia vita ricomincia. Allontano ogni pensiero che minacci tale consapevolezza; avrò certamente tempo per dedicar mici in futuro, ma non ora. Non questa volta


Note:
Ciao a tutti! Finalemente sono riuscita a pubblicare!:) Mi dispiace davvero far passare così tanto tempo tra un capitolo e l'altro, ma, come penso sappiate, destreggiarsi tra scuola (liceo, per l'esattezza) e impegni vari è complicato, quindi mi sento anche abbastanza soddisfatta.
Dunque, riguardo alla storia, ormai avrete capito che procederà così, in bilico tra passato e presente- un'idea non so se valida, ma che m'ispirava. Ho dei dubbi sul fatto che pozioni pericolose come il Veritaserum vengano fatte preparare agli studenti, ma, non conoscendo il programma del settimo anno, ho pensato a una pozione difficile e mi è venuta in mente quella:)
Devo ringraziare ancora una volta A., perchè, e lei lo sa bene, questa storia la sto scrivendo io, ma è frutto di un'immaginazione comune che riguarda diversi particolari, come ad esempio il caro Reg ;)
Vi chiedo solo, se per caso passerete da qui, di lasciare anche un breve commento: ne sarò felicissima:) 
 Baci, la vostra Fanny

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Capitolo 5
*** L'ombra della paura ***


Un’ombra. E’ il primo pensiero che sopraggiunge non appena mi guardo allo specchio. Quella riflessa dal vetro non è una donna, è un’ombra. L’ombra di ciò che è stata. Ombre scure le cerchiano gli occhi, altre ombre sembrano proiettarsi sulla sua pelle diafana; lei stessa pare aver smarrito la sua fisicità e dà l’impressione di trovarsi davanti un essere evanescente.
Quella donna, quell’ombra, sono io. Cosa resta del mio precedente aspetto? Cosa resta di quel che ero? Un pallore cadaverico, una chioma incolta e nodosa, un corpo esile, scheletrico, piegato da fame, freddo, insonnia, dolore. Troppo dolore. Ghigno, ancora una volta: non smetterò mai di deridermi. Che mi aspettavo? Ci vorranno anni perché mi lasci alle spalle i segni della prigionia, ma la mia anima è irreversibilmente danneggiata, ormai. Il ricordo di quanto ho passato, di quello a cui sono sopravvissuta mi tormenterà per tutta la vita.
Ora, però, è tempo di andare avanti. Con orgoglio, fierezza, determinazione. Qualcosa mi dice che in fondo sono rimasta la stessa; che questi anni mi hanno temprata, fortificata, resa immune a qualunque sofferenza, poiché ognuna sarà minima in confronto all’inferno che ho trascorso finora. La conferma sono gli occhi a darmela: il loro bagliore violaceo è l’unico, nel buio della stanza. Splendono, ma di una luce nuova e potente. La luce della speranza. La mia luce. Non ho mai brillato di luce riflessa, io; ho irradiato sempre e solo la mia.
E’ la prima volta che osservo il mio riflesso da quando ho lasciato Azkaban. Può sembrare strano, ma non ne ho sentito il bisogno. O forse volevo semplicemente rimandare il più a lungo possibile questo momento. Silente è stato comprensivo: mi ha permesso di tornare subito a casa, alla mia casa. Mi ha lasciata sola. Sotto stretta sorveglianza, certo: ogni settimana veniva a farmi visita, per accertarsi che non fossi fuggita o che non stessi tramando qualcosa. Tramare con chi, poi? Il mio Signore è perduto. E’ lei la mia vita, adesso. Non ho fatto altro che pensarla, durante quest’ultimo mese, mentre mi affannavo su complicati saggi di astronomia, tentando di ricavarne solo le informazioni più semplici, quelle, cioè, che anche dei ragazzini potrebbero far proprie.
E’ ancora grande il fascino che questa scienza esercita su di me, ma si è trattato di una decisione avventata, lo so: non ho mai insegnato nulla a nessuno. Mi chiedo come sarà. Assurdo, inverosimile. La sola idea di dover avere a che fare con studenti di ogni genere, Nati Babbani, Mezzosangue, mi fa accapponare la pelle. Ma per lei, per rivederla, sarei disposta a tutto.
Fino a poco tempo fa non l’avrei affatto creduto possibile; se qualcuno me l’avesse predetto, gli avrei riso in faccia. Io non credo nel fato: sono sempre stata la fautrice del mio destino, consapevole e responsabile delle proprie scelte. Hanno contribuito a forgiare quella che sono adesso. Ma chi sono davvero?
Sospiro, ora che finalmente, nella cupa atmosfera della mia stanza ad Hogwarts, illuminata soltanto dalla fioche fiamme delle candele, ho trovato il coraggio di alzare lo sguardo sullo specchio antico appeso alla parete. Non lo so. E’ questa la verità. Non so più chi sono, ma posso immaginarlo. Alfa appartiene al passato, Aurora è il mio presente. Con cautela, tuttavia, scosto la manica dell’abito: voglio accertarmi che il Marchio sia ancora lì, intatto, a ricordarmi che sono davvero stata una Mangiamorte. E continuerò ad esserlo: questo mi dà sicurezza.
Nel contempo, ho paura. Paura, già. Anche le ombre hanno paura. Saprò riconoscere mia figlia? Ritroverò sul suo volto i miei tratti? Oppure la percepirò come un’estranea, a cui solo la consapevolezza mi lega? Incrocerò mai il suo sguardo? Ma ora basta, porsi tutte queste domande è inutile. Poche ore, e troveranno una risposta. Stasera, infatti, mi attende la cerimonia dello Smistamento. La mia prima uscita ufficiale nei panni di Aurora Sinistra, insegnante di Astronomia. Un ruolo, un ruolo da interpretare, nulla di più. Nel profondo so che rimarrò sempre e solo Alfa. Silente insiste dicendo che prima vuole presentarmi ai colleghi. Ho appuntamento con lui a breve nel suo ufficio. Conoscendolo, li avrà già informati sul mio conto, o almeno lo spero. A loro non può nascondere la mia vera identità e, quanto a me, non ci tengo affatto a dover elargire spiegazioni.
Getto un’ultima occhiata al mio riflesso. Dopotutto, ne sono soddisfatta. Ho camuffato con il trucco, in parte, le tracce che Azkaban mi ha lasciato e ho raccolto i capelli in uno stretto chignon, tentando di apparire almeno rispettabile e coerente al mio ruolo. Una mise semplice, casta, austera, che risente molto dell’influenza di quella della McGranitt. Ma non credo di avere un debito con lei, non più. Sono una professoressa anch’io, adesso: ha perso la sua autorità su di me, definitivamente, come pure il suo fascino ai miei giovani occhi di ragazza. Non che del mio fascino sia rimasto qualcosa, ma poco importa, ormai. Non ne ho più bisogno. Mi alzo, volto le spalle allo specchio e mi dirigo decisa verso la porta della stanza, senza tuttavia riuscire a liberarmi davvero di quella sensazione che mi attanaglia e che ha un nome ben preciso. Paura.
 
 
Giungo davanti al gargoyle di pietra con estrema facilità: Hogwarts non ha mai avuto segreti per me. E’ stato uno di quei pochi casi in cui un luogo da me concepito come idilliaco, agognato, idealizzato, non solo si è dimostrato all’altezza delle aspettative, ma le ha perfino superate. Tornarci, e tornarci per viverci, mi ha letteralmente stordita. Non si tratta di un sogno che diventa realtà, no; i miei sogni, ammesso che ne abbia mai avuti, si sono infranti tra le sbarre dov’erano stati rinchiusi. E’ più come un rifugio, un baluardo sicuro e incrollabile in un’esistenza fatta di incertezze, una dimora confortevole, che mi ha accolto dentro di sé senza il bisogno di pormi domande, di riceverne risposta, né, tantomeno, di rimproverarmi. Io sono cambiata, ma Hogwarts, la mia Hogwarts, è rimasta la stessa. Ed è questo, più di tutto il resto, a far riaffiorare in me un sentimento di struggente nostalgia che credevo ormai sepolto.
Pronuncio la parola d’ordine, salgo veloce la scala a chiocciola che mi separa dall’ufficio di Silente e busso alla porta. Solo ora mi accorgo che la mano mi trema e mi precipito a ritrarla, inorridita. Non sono certo il tipo da farmi intimidire con così poco, io. Finalmente, il preside si decide ad aprirmi.
‘Ah, eccoti qui!’ esclama compiaciuto, rivolgendosi come si converrebbe ad un amico.
Allarga lo spiraglio, offrendomi una visione più ampia della stanza alle sue spalle, e infine mi fa calorosamente cenno di entrare. Obbedisco, titubante. In piedi di fronte a me, appoggiata alla cattedra, si erge minacciosa la professoressa McGranitt. Mi squadra con aria grave e vagamente risentita, le braccia conserte, le labbra strette in un’espressione di indubbia rabbia repressa.
Ma è la figura appartata nell’angolo, nonostante mi dia le spalle, a catturare la mia attenzione. Possibile che sia davvero lui? Più probabile che si tratti dell’ennesimo scherzo giocatomi dalla suggestione. Eppure, quei capelli, quel lieve incurvamento della schiena, appena accennato…
‘Minerva, ho l’onore di presentarti la tua futura collega, la professoressa Sinistra’ esordisce Silente, in maniera eccessivamente formale per i miei gusti. E’ palese il piacere che prova nel far scivolare questa situazione sempre più verso il grottesco.
‘Severus, sono sicuro che voi due invece vi siate già conosciuti, anche se in circostanze diverse…’ prosegue rivolto all’uomo seminascosto dalla penombra dell’ufficio. Ma allora…
Quando si volta, fatico a trattenere lo sbigottimento. Il mio istinto non sbagliava: è proprio lui. Ma cosa ci fa qui? Si è trovato di fronte ad una scelta, come me? Anche lui crede perduto il nostro padrone? O sta semplicemente recitando una parte, un ruolo da spia? E tale ruolo, lo sta mettendo in atto ora, o era noialtri che tentava di ingannare? Forse è un tentativo di rientrare nelle grazie dell’Oscuro Signore, il suo. Un tentativo vano e ingenuo, se così fosse.
Mi pongo tutte queste domande in poco più di una frazione di secondo, mentre, esterrefatta, lo osservo avvicinarsi e porgermi la mano. Mi riscuoto, gliela stringo e lo fisso dritto negli occhi. E’ cambiato, durante questi anni: il tempo, o più probabilmente qualcos’altro (dolore, forse?), gli ha scavato il viso incidendovi tracce profonde, persino più delle mie. Una nuova consapevolezza mista a rassegnazione sembra essersi impossessata dei suoi tratti, e al contempo è lo spettro di un’ira malcelata quello che aleggia nel suo sguardo.
‘Alfa’ mormora con tono piatto.
‘Aurora’ lo correggo, senza distogliere i miei occhi dai suoi. Difatti è lui il primo a interrompere il contatto, imbarazzato.
‘Aurora! Ma dico, chi stiamo cercando di prendere in giro?’ insorge una voce irritata.
‘Minerva, per cortesia, non inveire in questo modo. Mi pareva di averti già spiegato come stanno le cose’ la redarguisce Silente con pazienza.
‘E io ho capito perfettamente, Albus! Nulla di più semplice: stiamo assumendo, o meglio, tu hai di tua iniziativa e senza chiedere il parere di nessuno, assunto una Mangiamorte nel personale della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, ecco tutto! Vuoi la verità, Albus? E’ inammissibile un fatto del genere, assolutamente inammissibile. Non lo tollero!’ sbotta nuovamente lei, stavolta più accanita. Non che non mi aspettassi reazioni del genere, ma questa è guerra aperta.
Quando Silente le risponde, distinguo chiaramente una nota di durezza nel suo tono già autoritario. ‘Ti faccio notare che non spetta a te, qui, decidere quel che è giusto e quel che non lo è. Credevo fossimo d’accordo su questo punto; evidentemente mi sbagliavo. Ora intendo chiarire la questione una volta per tutte: Alfa Centauri, che d’ora in poi verrà chiamata Aurora Sinistra…’
Ecco, se c’è un atteggiamento della gente che non sopporto, è proprio quello di parlare come se il diretto interessato non fosse presente. Ragion per cui mi sento in dovere di intervenire.
‘So esprimermi da sola, grazie’ lo interrompo freddamente. Lui stranamente non replica; tace, invece, come se l’avesse messo in conto.
‘Ero una seguace del Signore Oscuro, non lo nego. Non ho nulla da nascondere né a te, Minerva, ne a voialtri qui presenti. Mi unii a lui molto presto; divenni una Mangiamorte giovane, giovane e inesperta. Adempii bene al mio compito, è vero, ma senza mai rendermi davvero conto di quanto inutile e stupido fosse quel che facevo’
La McGranitt prorompe di nuovo. Prevedibile. ‘Inutile? Sterminare Babbani sarebbe inutile? Curioso il tuo punto di vista, Alfa! Io l’avrei definito crudele e disumano!’ grida infervorata, al culmine dell’indignazione. ‘Cos’è, hai avuto una conversione improvvisa? Curioso anche questo. Dimmi, li degni forse della tua pietà, adesso? Li difendi?’
Sto per ribattere quando, inaspettatamente, è Severus a prendere la parola. ‘E’ evidente, Minerva, come tu sia all’oscuro dell’organizzazione che vigeva presso i Mangiamorte’ dice tranquillo. Sia lei che io ci voltiamo, sorprese dalla piega che la discussione sta prendendo.
‘Tu la conosci bene, invece, suppongo. Quasi dimenticavo che eri uno di loro’ sibila, rivolta nella sua direzione.
Lui la fulmina con lo sguardo, tuttavia mantiene la calma e continua: ‘Non a tutti venivano assegnati gli stessi incarichi. Chi era più portato per i duelli, chi vantava riflessi fulminei e un carattere impetuoso, di solito veniva designato per tali missioni. Ma a quelli come Alfa, menti lucide, fredde e calcolatrici, più spesso venivano affidati lavori delicati… quello di spia, per esempio’
Se prima lo fissavo ammirata, ora sto sulla difensiva. Che vuol dare ad intendere? Allude forse a qualcosa in particolare?
‘Chi ti dice che non lo stia facendo anche adesso? Che non si stia prendendo gioco di tutti noi?’ replica la McGranitt. Ah, ora capisco, Severus… screditarmi, ecco qual era il tuo obiettivo; rendermi ancor più sospetta agli occhi altrui. Ma perché?
‘Io!’ Grido quasi, determinata a scagionarmi da quelle accuse equivoche, a sgusciar via da quel subdolo ed ingegnoso tranello.
‘Spiare per conto di chi, sentiamo? L’Oscuro Signore è caduto, il suo piano è fallito. Lui stesso ha fallito. Il più grande mago di sempre è morto, e la mia devozione con lui. Non sono un’illusa, so accettare la realtà. Nel mio passato vedo solo anni sprecati e un vuoto incolmabile’ In parte è vero. Ma quegli anni, quel vuoto, sono il tempo che ho trascorso senza di lei. Senza la mia bambina.
Cade un lungo silenzio. E’ Silente a romperlo, dev’essere sua abitudine; dopo quanto, non lo so. Con un cenno mette a tacere la McGranitt, che evidentemente era decisa a proseguire la sua personale inquisizione, e le si rivolge.
‘Io mi fido di Alfa’ decreta, guardandomi. Già, si fida. Mi chiedo se mi abbia mai letto la mente; un attimo dopo, però, mi rendo conto di quanto sciocca da parte mia sia una domanda del genere: in fin dei conti, è una persona onesta. Non sarebbe un problema, comunque: non c’è nessuna presa di posizione da scongiurare e, anche se così fosse, sono sicura che le mie capacità di Occlumante siano ben superiori alle sue di Legilimens.
‘Al momento ciò di cui abbiamo bisogno è un’insegnante di Astronomia, il resto non ci deve interessare. Esigerò soltanto’ prosegue, indirizzandomi un lungo sguardo penetrante ‘che tu tratti i tuoi alunni senza discriminazioni riguardo al loro stato di sangue e altre scempiaggini varie, ma basandoti unicamente sul loro andamento scolastico e sulla loro condotta. E ti converrà adeguarti, se ci tieni al tuo posto. Conto sulla tua razionalità…’Fa una pausa, trattengo il fiato. ‘Aurora’ conclude. Sorrido compiaciuta. E’ fatta. Nessuno oserà mettere in discussione una sentenza di Silente. Posso stare tranquilla.
La McGranitt mi scocca un’ultima, furiosa occhiata ed esce sbattendo la porta. Dov’è finito il tuo tanto celebrato contegno che ha così influenzato il mio modo di essere? Calpestato, probabilmente; sacrificato a malincuore in nome della giustizia. Ammirevole.
Si accingono ad andare anche Silente e Severus. ‘Ci vediamo questa sera al banchetto’ esclama allegramente il primo, all’apparenza dimentico della recente discussione, mentre l’altro si limita ad indirizzarmi un vago cenno di saluto, per poi sparire anche lui oltre l’uscio. Non che fossimo mai stati realmente amici; il nostro era una rapporto fatto perlopiù di silenzi e intese. Ignorarmi in questo modo, però, può voler significare soltanto una cosa: gli ricordo troppo il suo passato. Un passato che evidentemente vuole dimenticare. Rappresento l’unico legame con una precedente vita di cui avrebbe voluto sbarazzarsi, che avrebbe voluto lasciarsi alle spalle per sempre. Sono per lui un fantasma che, indesiderato, torna a fargli visita. Un’ombra. Così, imparo che le ombre non solo hanno paura, ma la incutono anche.
Ed io, adesso, sola in questa stanza così grande eppure così vuota, mentre osservo distrattamente l’immancabile fenice dal piumaggio dorato appollaiata sul suo trespolo, mi accorgo che mai, prima d’ora, lo sguardo di Silente aveva avuto una tale effetto su di me. Quella luce che brillava nei suoi occhi azzurri non era bonaria, tutt’altro; intimidatoria, quasi. Intimidatoria? Quando mai mi lascio intimidire, io? Così spesso, ultimamente. Non sarei in grado di spiegarne il motivo, ma quel bagliore di ghiaccio mi ha dato brividi che perdurano tuttora. Non posso farci nulla, non riesco a controllarli. E io detesto perdere il controllo. Una sola frase riecheggia nella mia mente, senza sosta, spietata: ‘l’unico di cui anch’egli abbia mai avuto paura…’ Proprio così. Paura.
 
 
 
Ecco, ci siamo. Il momento è giunto. Inspiro a fondo, volgo lo sguardo intorno, mi liscio l’abito- un abito lungo, scuro, formale. Qualsiasi cosa pur di ingannare l’attesa, quest’ attesa estenuante che lentamente mi consuma, mi logora.
Ho preso posto al tavolo degli insegnanti, in Sala Grande, da non meno di dieci minuti, e ancora non v’è traccia degli studenti del primo anno. Perché tardano tanto? Non mi sono mai fidata di quello zotico che li accompagna, Hagrid… e se fosse successo loro qualcosa?
La sala nel frattempo si è gremita: gli studenti, un po’ alla volta, hanno occupato i tavoli delle rispettive Case, vociferando eccitati, entusiasti, ansiosi di rivedersi e di rivedere questo posto. Come biasimarli? Passando in rassegna i giovani Grifondoro, tuttavia, non riesco a scorgere l’acclamato Harry Potter. Il Ragazzo Che E’ Sopravvissuto. Colui che ha causato, seppur involontariamente, la caduta del nostro Signore. Voglio vederlo, guardarlo in faccia, ma non conosco nemmeno lontanamente il suo aspetto. Desisto quindi dal mio intento e torno ad osservare gli alunni nella loro generalità.
E’ difficile descrivere quello che ho provato nell’unirmi agli altri professori per il banchetto. Una curiosa sensazione di estraniamento: assisto alla stessa scena, ma dall’altra parte, ora. E non mi ero mai sentita così emarginata. Ho sempre cercato la solitudine, l’ho sempre anelata, e anche in una situazione come questa, dopotutto, mi trovo a mio agio. Non chiedo di essere trattata come una di loro, perché non lo sono e non lo sarò mai. A condurmi fin qui non è stato quello stesso desiderio di trasmettere conoscenza che li accomuna tutti; non appartengo al loro mondo, ma ciò non ha impedito a Hogwarts di diventare la mia nuova casa.
Ignoro, dunque, le loro occhiate diffidenti, talvolta persino malevole, così come il mormorio concitato che si è diffuso al mio arrivo e non è ancora cessato. Mi scivolano addosso senza scalfirmi, non me ne importa nulla. Non mi sono mai curata molto di quel che la gente pensava di me, della cosiddetta opinione pubblica; e da tempo, ormai –dieci anni, per l’esattezza- le mie priorità sono mutate radicalmente. Credo che nessuno, a parte Silente e gli altri membri del Wizengamot, sappia dell’esistenza di mia figlia. Qui ad Hogwarts, quindi, ammesso che lui non ne abbia parlato con i colleghi e che la giuria davanti alla quale sono stata condotta non abbia raccontato certi dettagli alla sua prole, sono esonerata da ogni pericolo.
Il preside siede proprio di fianco a me, particolare che mi rende assai più esposta all’attenzione generale e agli sguardi incuriositi dei presenti. Naturale che avrei preferito evitarlo… Alla sua destra si trova invece una sedia vuota, che occuperà a breve la  professoressa McGranitt e, vicino ad essa, posso scorgere Severus. Non sono più così sicura di voler parlargli: la sua presenza m’inquieta, e non perché ne abbia paura; no, questa volta si tratta di altro. E’ come se nessuno dei due osasse fare il primo passo, avvicinarsi all’altro, poiché entrambi incerti sulle reciproche intenzioni e timorosi quindi di venire smascherati. Forse la pensiamo allo stesso modo… ma che senso ha, ormai, chiederselo? Non c’è più un padrone a cui giurare lealtà, e i ‘se’ non mi sono mai piaciuti. Le cose stanno così, punto e basta. Tanto vale lasciar perdere. Se deciderà di evitarmi, non sarò certo io a corrergli dietro rimembrando i vecchi tempi. Abbiamo intrapreso strade diverse, che solo per puro caso si sono incontrate: continueremo a seguirle.
Ma ecco, il grande portone di quercia si sta forse aprendo? Sì! Sì, dev’essere così: un debole fascio di luce vi penetra attraverso, seguito subito dopo dalla figura alta e impettita della McGranitt, che, reggendo una lanterna, prende ad avanzare lungo la sala, alla testa di un gruppo di studenti. Gli studenti del primo anno. Eccoli. Le ombre proiettate dalle candele danzano sui loro volti, svelandone anche la più lieve sfumatura: estasiati di fronte a una tale meraviglia, impauriti all’idea di dover affrontare una prova, eppure euforici per l’inizio del nuovo viaggio che stanno per intraprendere. Conosco bene quelle espressioni attonite, quelle bocche spalancate, quegli occhi sgranati: erano anche i miei.
Non mi soffermo, però, su nessuno in particolare: sposto lo sguardo dall’uno all’altro, ansiosamente, freneticamente, senza trovar pace. Voglio vederla, voglio riconoscerla prima che il Cappello la chiami. Voglio che sia l’istinto a guidarmi, quel tanto celebrato istinto materno che io non ho mai avuto occasione di sperimentare. Ma ho paura. Paura che nulla di tutto questo accadrà, paura di aver fallito come madre ancor prima di averci provato. Sono così fitti, dannazione! Se ne stanno gli uni stretti agli altri, spaventati come pulcini. Nemmeno volendo si riuscirebbe a identificarne uno. Reprimo l’istinto di alzarmi in piedi per vedere meglio. Dov’è? Dove sei, Cornelia? Perché ti nascondi da me?
Con il cuore che batte sempre più forte, guardo con apprensione la McGranitt deporre il Cappello Parlante sullo sgabello e iniziare a chiamare ad uno ad uno i ragazzi. ‘Tassorosso… Grifondoro… Corvonero… Tassorosso… Serpeverde…’ grida il Cappello, segnando così, inesorabilmente, le sorti dei futuri studenti. La tensione è palpabile, ma è solo e unicamente la mia. Non ne posso più, vorrei tapparmi le orecchie, interrompere quest’elenco continuo di nomi che mi appaiono così privi di significato. E poi, all’improvviso: ‘Malfoy, Cornelia’ Trattengo il fiato, fremente. Una ragazzina si stacca dal gruppo e incede a passi lenti ma sicuri nella nostra direzione. Mano a mano che si avvicina, la luce mi permette di osservarla meglio: è alta, come suo padre, minuta e dalle movenze aggraziate ma decise. Lunghi capelli scuri le ricadono sulle spalle, ma nei lineamenti del volto, ora ben illuminato, riconosco quelli inconfondibili di Regulus. Le labbra, il naso, persino gli zigomi… poi, per un attimo, per un attimo soltanto, alza il viso e i nostri sguardi s’incontrano. E allora, mentre mi soffermo in quei fieri occhi blu, di un blu particolare, tendente al viola, un calore inebriante mi avvolge, m’invade; brividi diversi da quelli di poco fa mi percorrono la schiena, e finalmente so. So che è lei, mia figlia, che gli eventi  hanno tentato di separarci ma che non ci sono mai riusciti davvero e che, da adesso, io le sarò accanto. Non la perdo di vista nemmeno per un istante, avida di contemplarla, dopo che per così tanto tempo mi è stato negato. La osservo sedersi, afferrare con piglio deciso il Cappello e porselo in testa. Questi indugia un po’, ma alla fine si risolve. ‘CORVONERO!’ grida convinto, mentre lei si dirige verso il tavolo corrispondente, l’aria seria solo lievemente compromessa da un’apparente soddisfazione. Sorrido, in cuor mio orgogliosa, augurandomi che l’alternativa sulla quale il Cappello si era dimostrato indeciso fosse Serpeverde. Ma in ogni caso, non m’importerebbe granchè. Non m’importa di nient’altro, non più. Esiste solo lei, adesso. Adesso che l’ho ritrovata, adesso che ho capito, adesso che ho sentito. Adesso che so. La proteggerò, veglierò su di lei, anche se non saprà mai chi sono. Anche se per lei resterò sempre e solo un’ombra. Nemmeno tale consapevolezza minaccia la mia felicità, ora. E ciò che fino a poco fa mi attanagliava, non ha più ragione di esistere. Un’ombra anch’essa. L’ombra della paura.
 
 
Note:
Ciao a tutti! Un mese… vabbè, meglio tardi che mai. Ormai mi conosceteJ
Su questo capitolo, anche abbastanza breve, non mi pare di avere molto da aggiungere: spero riesca, da solo, a trasmettere almeno qualcosa.
Cornelia, come personaggio, avrà un ruolo maggiore in futuro; e ovviamente Alfa non riconosce Harry perché, oltre a non averlo mai visto, lui non era nemmeno presente, dato che siamo nel settembre 1992, il suo secondo anno, all’inizio del quale è arrivato a scuola a bordo nientemeno che della macchina volante… e in ritardo, per giunta;)
Un grazie speciale a Merlina97, ornylumi e Geffa97, che continuano pazientemente a recensire!xD grazie davvero, ragazze!
Alla prossima!
La vostra Fanny
  

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Capitolo 6
*** Oblio ***


Quel giorno, invece, non avevo paura. Quel giorno nemmeno sapevo cosa significasse avere paura. Quel giorno ero felice, orgogliosa ed entusiasta di ciò che mi attendeva. Ostentavo una certa fierezza per aver raggiunto il mio obiettivo, per essermi spinta tanto in là. D’altra parte, non vedevo ragione per cui non avrei dovuto riuscirci: ero sfacciatamente, ingenuamente convinta di non poter fallire. Nel profondo, tuttavia, sapevo bene che quanto mi veniva concesso era molto e non me ne capacitavo. Un atto di fiducia, nulla di più. Un’aspettativa che non avevo intenzione di deludere. Abbagliata da tanto successo, inebriata dall’adrenalina che mi bruciava nelle vene, resa cieca da un’eccessiva e dannosa sicurezza in me stessa, ecco com’ero. Non conoscevo paura, né dolore. Vivevo lontana, esternata dal resto del mondo; nella mia illusione, nel mio oblio.
 
Incedevo a passo deciso nel fitto della foresta, facendomi largo tra rovi ed arbusti. Se non mi avessero intralciata a quel modo probabilmente mi sarei messa a correre, dal gran che non stavo nella pelle. Accelerai l’andatura; un ritardo non sarebbe mai stato perdonato, in primo luogo da me stessa. Presto, però, fui costretta a fermarmi: l’orlo del mantello si era impigliato in un ramo. Maledissi la fauna invadente della brughiera e non esitai a strapparlo, ansiosa di proseguire. Capivo, però, che la colpa era da attribuire soltanto alla mia imprudenza, e come la segretezza fosse un requisito fondamentale per il nostro raduno.
 
Dopo poco notai che gli alberi iniziavano a diradarsi e che, là in alto, le loro chiome lasciavano filtrare la debole luce del sole. Ne dedussi che non mancava molto. In breve, infatti, mi lasciai la foresta alle spalle e presi ad inerpicarmi su per una collina. Cercai di percorrere quel tratto nel minor tempo possibile: uscire allo scoperto significava anche esporsi al pericolo. Qualcuno avrebbe potuto trovare sospetta una figura incappucciata; o, peggio ancora, riconoscerla come nemica e attaccare. Lo ripeto, non avevo paura, ma un inconveniente del genere mi avrebbe fatto tardare ancora di più, e davvero non potevo permettermelo.
 
Giunta sulla sommità dell’altura, sostai un momento a guardarmi intorno. La piana si stendeva a perdita d’occhio, un paesaggio di rara bellezza in cui il colore verde dominava incontrastato. All’orizzonte si stagliava il profilo delle montagne e, quando alzai lo sguardo al cielo, quasi rimasi accecata dal riflesso che quel suo tipico colorito plumbeo gli conferiva. Tracce di insediamenti umani non ve n’erano; era la natura l’assoluta padrona di quest’oasi sperduta e irraggiungibile, protetta da monti invalicabili. Le Terre Alte, le chiamava la gente del luogo. Un rifugio perfetto per chi non volesse farsi trovare.
 
Quel pensiero mi riscosse, e mi accinsi a discendere lungo il versante opposto. Stavolta, però, prestai più attenzione: anche solo una banale svista, e mi sarebbe sfuggito. Sapevo che il passaggio era ben nascosto, ma mi erano state date istruzioni precise per individuarlo. Costeggiai la riva di un ruscelletto e difatti, qualche metro più avanti, notai dei ciuffi d’erica strappati dalla loro originaria collocazione e appositamente sparpagliati su un masso. In realtà, le pietre erano due e, chinandomi, lo potei constatare con i miei occhi. Recuperai la bacchetta da una tasca della veste, la rivolsi verso quel punto e mi aprii un varco tra di esse. Poi, con cautela, mi calai nella fossa che celavano. Dopo un salto di un paio di metri, atterrai carponi su un terriccio umido e fangoso. Rialzandomi, diedi una rapida occhiata al vestito: fortunatamente non si era macchiato. Puntai la bacchetta in direzione dell’apertura da cui ero entrata e mormorai un incantesimo. Le rocce si riaccostarono silenziose, oscurando i raggi del sole e lasciandomi sola nel buio più completo. Accesi la bacchetta e la strinsi saldamente in mano, tenendola ritta davanti a me, affinché mi guidasse lungo quello stretto e angusto cunicolo nel ventre della terra.
 
Proseguii per un centinaio di metri, finché mi trovai di fronte ad un bivio. E adesso? Non avevo previsto nulla di simile… La strada si biforcava in due direzioni esattamente opposte; quale scegliere? Di seguire l’istinto non tentai nemmeno; già allora sospettavo di non possederlo affatto. In ogni caso, sarebbe stato un contributo inutile e vano, oltre che avventato.  Completamente disorientata, all’improvviso mi parve però di udire dei suoni. Tesi l’orecchio. Non c’erano dubbi: un vociare sommesso proveniva dal sentiero sulla destra. Senza la minima esitazione lo imboccai e affrettai il passo.
 
Quando intravidi una fioca luce affacciarsi timidamente dal fondo del cunicolo, capii di aver fatto la scelta giusta. La galleria si allargava sempre più, fino a sbucare in una vera e propria caverna scavata nel profondo della roccia. Le pareti erano costituite da grosse pietre, all’incirca come quelle poste a segnalare l’ingresso, ammassate le une sulle altre. Un audace raggio di sole faceva capolino dall’unica apertura visibile, un foro sulla sommità della grotta che pareva lontanissimo. Dovevo trovarmi davvero in profondità; non mi ero resa conto che il sentiero fosse interamente in discesa. Come struttura ricordava parecchio quella dei cosiddetti pantheon, i luoghi di culto degli antichi, presso i quali operavano i nostri predecessori. Mi sono sempre sentita particolarmente riconoscente nei loro confronti: furono proprio i maghi greci e mesopotamici, infatti, a battezzare le costellazioni, destinate a diventare il mio pane quotidiano. Quell’ulteriore dettaglio contribuì in maniera decisiva ad accrescere in me l’ardore dato dal senso di appartenenza. Appartenenza ad un gruppo, ad una cerchia, ad un seguito. Seguace. Era ciò che stavo per diventare.
 
Sì, esatto. Cissy, dietro mia supplica, era riuscita a farmi avere contatti con Lucius, il quale, a sua volta, mi aveva a poco a poco introdotta nel loro mondo e avvicinata alle Arti Oscure. Già le praticavamo illegalmente ad Hogwarts, ma mi ero presto resa conto che quel poco non sarebbe affatto bastato. Avevo iniziato così ad esercitarmi con i più esperti, imparando direttamente da loro, lasciando che mi sfidassero, che mi battessero, persino, per poi carpirne il segreto e rivolgerglielo contro al duello successivo. In particolare, mi ero concentrata sull’Occlumanzia, per la quale sentivo di possedere una predisposizione naturale. Continuavo a migliorare, ma la compagnia che frequentavo cominciava a starmi stretta, e io desideravo di più, ambivo a una posizione di maggior rilievo. Volevo esserci, esserci davvero. La situazione pareva essere giunta ad un esasperante punto di stallo quando finalmente, qualche settimana prima, Lucius mi aveva procurato un incontro con il Signore Oscuro in persona. Al contrario di quanto mi fossi aspettata e nonostante la soggezione, l’ammirazione che mi infondeva, avevo mantenuto la calma durante tutto il colloquio. Lui stesso l’aveva notato, definendo ‘straordinari’ la mia lucidità e il mio autocontrollo. Ne era rimasto sorpreso, così come quando mi aveva sottoposta alla Legilimanzia e aveva incontrato difficoltà a causa della mia accanita e inaspettata resistenza. Non lo aveva ugualmente soddisfatto la mia conoscenza di incantesimi, che definiva ‘limitata’. Avevo represso a stento un infantile moto di stizza, di frustrante delusione; era vero che si trattava senza dubbio del più potente mago di tutti i tempi, ma era anche vero che, in quanto tale, aveva diritto ad esigere unicamente l’eccellenza, e quindi a dover operare una scelta. Dato che, a detta sua, ‘ci si poteva ancora lavorare’, mi ritenni dunque soddisfatta. Avevo superato l’esame. Mi aveva ritenuta degna. Sarei stata anch’io una Mangiamorte, era ormai una certezza.
 
Certezza che non si smentì, determinazione che non venne meno, neanche quando l’oblio si dissolse e rimasi io, immobile all’entrata della caverna, sola. Davanti a me stava un gruppetto di persone. I loro volti, nascosti dai cappucci, erano immersi nell’oscurità e ciò m’impedì di riconoscerli. Stetti a fissarli per qualche tempo mentre, lo sentivo, anche loro osservavano me, incuriositi. Sentivo la loro perplessità, la percepivo con chiarezza nell’aria; mi pareva persino di udire affollarsi attorno a me le domande che li assillavano ma che non avevano il coraggio di porre, come bisbigli concitati portati dal vento. Sostenni la prova senza dare segni di cedimento; cominciavo tuttavia a domandarmi cosa sarebbe successo, quand’ecco che uno di loro si staccò dagli altri e venne verso di me. Dedussi già dall’andatura di chi dovesse trattarsi; lenta, flemmatica, credei addirittura di cogliervi una sfumatura canzonatoria. Ma forse era solo perché ne ricordavo lo sguardo.
 
‘Sei arrivata, finalmente…’ sussurrò Lucius, abbozzando un rimprovero.
Gli rivolsi un’occhiata scettica, lieta in realtà di aver trovato qualcuno che conoscevo, talmente bene da potermi perfino prendere un po’ gioco di lui. Non riusciva ad essere severo con me, inutile. Ogni volta che tentava, io puntualmente me ne accorgevo e glielo facevo notare, impietosa.
‘Ne dubitavi, forse?’ replicai, sorridendo maliziosa all’ombra del cappuccio.
Ero sicura che anche lui stesse facendo altrettanto. Tutt’a un tratto, però, si fece serio; lo intuii dal cambiamento nel tono di voce.
‘Lui arriverà tra poco… tieniti pronta’ mi ammonì con fare solenne.
Si sentiva importante, Lucius; d’altronde, occupava un’indiscutibile posizione di rilievo, anche tra i Mangiamorte. Come ci fosse riuscito, me lo chiedevo in continuazione, e soprattutto perché lo avesse voluto. Sospettavo che dietro un comprensibile desiderio di rivendicare i diritti dei Purosangue si nascondesse dell’altro;bisogno di mostrarsi privilegiato, abile, superiore persino a noialtri il cui rango era senza dubbio pari al suo. Il fascino del prestigio sociale.
Malgrado ciò, aveva ragione. Il momento era cruciale, la tensione aleggiava nell’aria; ma all’epoca era una tensione comune, a cui quella di ognuno di noi contribuiva.
 
‘Non verrà solo per te, naturalmente’ riprese Lucius, accennando con il capo ad un gruppo di figure appartate nell’angolo più buio e lontano della grotta, che fino ad allora non avevo notato. Le future matricole, supposi. I non ancora Mangiamorte, che si tenevano prudentemente alla larga dagli altri.
 
Stavo per ribattere, ma quella vista mi distrasse. Ovvio che non sarei stata l’unica a ricevere il Marchio, eppure non mi ero soffermata molto a riflettere su quanti saremmo stati, tantomeno su chi. Ora però la curiosità, mia fedele compagna, iniziava a divorarmi. Chi si celava sotto quei cappucci? Era gente che conoscevo? Ai nostri precedenti raduni – perlomeno, quelli a cui avevo partecipato – erano sempre state presenti solo poche persone. Lucius si era incaricato di addestrarmi e, al di fuori di lui, non avevo incontrato molti Mangiamorte. Di certo, nessun mio futuro compagno. O almeno, così credevo.
 
‘Va’ con loro’ mi sollecitò lui.
In determinati contesti, era necessario che esercitasse l’autorità richiesta dal suo ruolo; non eravamo più semplici amici, lui diventava il capo e io dovevo adeguarmi ad ogni suo ordine.
 
Mi avvicinai quindi al gruppetto, ma non feci in tempo ad osservare meglio nemmeno uno di loro che un fruscio leggero, come di foglie mosse dalla brezza autunnale, parve riempire all’improvviso l’intera caverna. Mi voltai di scatto, appena in tempo per scorgere due figure alte e scure materializzarsi a poca distanza da noi. I mormorii tacquero di colpo, e l’atmosfera mutò bruscamente: un timore reverenziale s’impossessò di tutti noi, impedendo anche solo di muoverci.
 
Dopo pochi, interminabili istanti, l’uomo dal mantello nero si fece avanti. Badò a non esporsi all’unica sorgente di luce, il pallido raggio di sole; rimase invece protetto dall’ombra e ci squadrò uno ad uno, studiandoci con esasperata lentezza, assaporando il piacere della nostra apprensione. Poi, finalmente, parlò, e la sua voce risuonò innaturalmente alta nell’ossequioso silenzio che era calato nel frattempo.
 
‘Siete dunque tutti presenti… Molto bene. Mi auguro che già conosciate il motivo per cui vi ho fatto radunare qui, oggi. Avevo assegnato ad uno di voi l’incarico di informare gli altri. Hai provveduto, Lucius?’ domandò, con quell’apparente tranquillità pronta invece a tramutarsi in ira feroce se solo non gli fosse stata data la risposta che desiderava.
 
Lucius fece un passo avanti e gonfiò il petto, inorgogliendosi.
‘Naturalmente, mio Signore’ mormorò, celando senza troppo successo il suo compiacimento dietro un’aria insopportabilmente zelante.
Lo esaltava la fiducia di cui godeva da parte del nostro padrone, lo dava a vedere fin troppo bene.
‘Non c’è dunque bisogno che io aggiunga altro’ sentenziò al gruppo dei Mangiamorte raccolto intorno a Lucius.
Ruotò poi il capo nella nostra direzione.
‘Mi rivolgo direttamente a voi, ora’ cominciò.
 
Fremevo dall’impazienza; avrei voluto evitare quegli interminabili preamboli, di cui presumevo conoscere già il contenuto.
‘Avete chiesto di diventare miei seguaci. Vi ho esaminati attentamente, ho valutato le vostre capacità nonché le vostre debolezze, e vi ho infine ritenuti degni di questo privilegio. Apprezzo la vostra ambizione, la determinazione che avete dimostrato nell’arrivare fin qui. Apprezzo il vostro desiderio di combattere per giungere ad ottenere ciò che ci spetta di diritto; ciò che otterremo, ai danni di chiunque oserà ostacolarci’
 
Compresi di aver sbagliato, poiché quel discorso, pronunciato con tono fermo e calma impressionante, ebbe invece l’effetto di infiammare gli animi di tutti i presenti; ne ero sicura, poiché c’era riuscito con me, la cui emotività si manifestava assai raramente.
 
‘Tuttavia, è mia intenzione ricordarvi ciò che la vostra scelta implica’ riprese dopo una breve pausa.
‘Diventare Mangiamorte significa mettere da parte le vostre esigenze per rispondere solo ed unicamente alle mie’ proseguì, e il suo modo di parlare si fece tutt’a un tratto severo.
‘Significa essere disposti ad eseguire ogni, e con ogni intendo qualunque, ordine che da me o da chi per me vi verrà impartito. Significa devozione assoluta, lealtà incondizionata. Significa che dovrete essere disposti a morire, per me’
 
Sottolineò quest’ultima affermazione con particolare enfasi, soffermandovisi il tempo necessario affinché il messaggio giungesse chiaro a tutti.
Mi limitai ad annuire accondiscendente, senza replicare. Vi avevo già riflettuto, ovviamente, ed ero giunta alla conclusione che, in quanto mago oscuro di straordinaria potenza ed eccezionale abilità, aveva ogni ragione per pretendere di essere servito a tal modo. Solo se fossimo stati alla sua altezza, una contestazione sarebbe apparsa giustificabile. Ma così non era, e non sarebbe mai stato. I nostri scopi erano talmente importanti da rendermi disposta persino ad accettare l’autorità di qualcuno che non fossi io stessa.
 
‘Non vi sto negando il potere: siate fedeli, e lo avrete. Con chiunque altro potrete esercitare la vostra superiorità, meno che con il vostro padrone. Diventare Mangiamorte, in poche parole, significa sottomissione totale a me’ concluse sibilando, il volto illuminato da un sorriso beffardo e crudele.
Un lieve timore iniziò a serpeggiare tra i presenti; era reale, lo percepivo. Eppure nessuno fiatò.
 
‘Se queste premesse non saranno rispettate, se verrete meno al vostro dovere, non esiterò a liberarmi di voi. Io stesso’ soggiunse in un sussurro, scoprendo i denti in un ghigno di pura malvagità che tuttavia non riuscì ad intimidirmi; anzi, sorrisi a mia volta, mentre la convinzione che quella e nessun altra fosse la strada giusta da intraprendere si andava rafforzando dentro di me sempre più.
Avrei corso dei pericoli? Avrei rischiato di morire? Tanto meglio. Amavo le sfide. E amavo soprattutto quando ero io a vincerle.
 
‘Siete ancora convinti di volervi unire a noi? Se il terrore ha preso il sopravvento su di voi, è questo il momento di tirarvi indietro. Se in fondo non siete altro che codardi attirati dall’ebbrezza della trasgressione, vigliacchi affascinati dalla clandestinità e dall’anonimato, fuggite adesso e non fatevi trovare nuovamente al mio cospetto. Ora o mai più’
 
Ero indignata, ma anche ansiosa di constatare se ero effettivamente circondata da vili senza fegato, consapevolezza né ambizione.
Quei secondi parvero durare ore ma, fortunatamente, nessuno si mosse. Sospirai di sollievo. Non c’era posto per cani tra i veri Mangiamorte.
Il nostro Signore socchiuse gli occhi e assunse un’aria soddisfatta.
‘Bene’ mormorò compiaciuto.
‘Avete deciso. Da questo momento siete ufficialmente al mio servizio. Ciò che ancora vi manca per potervi considerare davvero miei seguaci…’
Pausa. Trattenni il fiato, esaltata dalle sue parole.
‘… è il Marchio’ aggiunse a voce bassa.
Ugualmente il suono parve diffondersi per la caverna intera, tale era il silenzio. Comprendevamo tutti la solennità della situazione, e per nessun motivo l’avremmo profanata.
 
Ad un suo cenno, l’altra figura incappucciata gli si avvicinò e, da una bisaccia appesa alla cintura, estrasse quello che all’apparenza ricordava un vaso in terracotta dalle dimensioni molto ridotte. Simboli misteriosi erano incisi sulla sua superficie e, quando il recipiente passò di mano in mano, quando giunse nelle sue mani, il raggio di sole lo avvolse e li illuminò, facendo assumere loro strane sfumature rossastre.
Per qualche inspiegabile ragione, rabbrividii; ma fu solo un istante. Mi riscossi da quel torpore ipnotico non appena udii chiamare il primo di noi. Con che ordine avrebbe proceduto? Mi lasciai sfuggire un sorriso amaro, abbandonandomi al ricordo del mio Smistamento, otto anni prima. Buffo, quanto diverse e al contempo analoghe apparissero le due circostanze. Cosa mi contraddistingueva, ora? Certamente una maggiore consapevolezza, una più salda determinazione avevano sostituito l’ingenuo candore e le innocenti illusioni dell’infanzia; l’ansia che mi pervadeva nell’attesa, eppure, era la stessa.
 
‘Severus’ sibilò il nostro Signore, l’espressione improvvisamente divenuta indecifrabile.
Un uomo si staccò dal gruppo e si diresse verso di lui. Avanzava rigido e impettito, l’orlo del mantello scosso appena dal venticello lieve che penetrava dalle fenditure nella roccia.
Dunque ce l’aveva fatta, alla fine. D’altronde, possedeva notevoli capacità da Occlumante ed era anche un abile pozionista, particolari che al Signore Oscuro non dovevano essere sfuggiti.
Nonostante ne ardessi dalla voglia, non riuscii a distinguere con chiarezza come si stava svolgendo l’importante e delicata procedura: erano entrambi chini sul braccio di Severus, oscurandomi la visuale. Dopo qualche minuto, sollevarono nuovamente i volti e su quello del mio ex-compagno di ritrovi clandestini scorsi un’indubbia fierezza, che lottava aspramente contro la sua consueta impassibilità. Si fece presto da parte, tuttavia, per unirsi questa volta al gruppo di Mangiamorte poco distante.
 
Chiusi gli occhi, speranzosa. Ma non fu me che volle, non ancora. Un paio di nomi sconosciuti si succedettero, che nemmeno mi diedi la pena di osservare; dopodiché fu il turno di Peter Minus. Riaprii bruscamente gli occhi e lo fissai interdetta, giusto per assicurarmi che non si trattasse di un errore. Avevo sentito bene: era proprio lui, quel gracile, insignificante Grifondoro che così a lungo era stato compagno di Potter e dei suoi nelle loro scorribande.
E’ vero, ultimamente, soprattutto durante il nostro ultimo anno a Hogwarts, aveva preso a frequentarci, tentando disperatamente di trovare il proprio posto da un’altra parte, lontano da quelli che con tutta evidenza non considerava più amici.
Se fino ad allora l’avevo accuratamente evitato, però, adesso non riuscivo a capacitarmi che fosse stato accettato, che sarebbe diventato un Mangiamorte. Che lo sarebbe diventato prima di me. Mi morsi un labbro, ripetendomi che sicuramente il Signore Oscuro aveva bisogno di qualcuno che facesse il lavoro sporco al posto suo, e che tale fosse il motivo per cui aveva ammesso quell’orrido esemplare di feccia nei suoi ranghi.
 
Riuscii così a quietare il mio orgoglio, ma non rimasi tranquilla ancora per molto. Il nome che seguì, infatti, impegnata com’ero a ribollire d’invidia, inizialmente nemmeno lo sentii. Poi, invece, giunse alle mie orecchie, lasciandomi persino più esterrefatta di prima.
 
‘Regulus’
 
Fu come se mi avessero gettato addosso una secchiata d’acqua fredda; mi si gelò il sangue nelle vene, il cuore perse un battito. Non poteva essere vero. Non era possibile. Non era possibile che lui fosse lì, accanto a me, e che in breve avrebbe ricevuto il Marchio Nero.
Non avevo più avuto notizie  di Regulus; dopo Hogwarts ci eravamo persi di vista e, stando all’andamento delle cose, avevo dedotto che si fosse trattato soltanto di un’innocua passioncella adolescenziale. Semplice attrazione reciproca, nulla di più.
E ora me lo ritrovavo davanti, venendo così a sapere che non aveva mai abbandonato le Arti Oscure, che non aveva desistito dal suo intento, che possedeva una perseveranza di gran lunga superiore a quanto mi aspettassi.
Me lo ritrovavo davanti, e ogni mia certezza vacillava. Quando poi mi passò di fianco per raggiungere il nostro Signore ed io, senza che nemmeno mi avesse notata, arrossii violentemente, precipitai nel caos più totale. L’oblio.
 
Cosa significava tutto ciò? Provavo ancora qualcosa per lui? Che stupidaggine… gli uomini, o meglio lui, in quanto unico, avevano ricoperto un ruolo a dir poco marginale nella mia esistenza. Non avvertivo quel disperato bisogno d’affetto, di sentimento corrisposto che caratterizzava invece Narcissa. Avevo vissuto senza di lui per diversi mesi, e non mi era mancato. Non era necessario perché mi sentissi completa, la mia indipendenza veniva prima. E poi stavo benissimo. Giusto?
Cercai di convincermene, ma non funzionò. Era solo quanto volevo farmi credere; con imperdonabile arroganza, peraltro, poiché non sono mai riuscita ad ingannare me stessa così facilmente come facevo con gli altri. Troppo consapevole, troppo disillusa per non accorgermi della menzogna, della palese menzogna che tentavo a qualsiasi costo di accettare come vera. Avevo provato ad oppormi, a contrastare quel vuoto, questo sì, e continuavo anche ora; per fierezza, soprattutto.
Ma Regulus mi era mancato, e non sopportavo il pensiero che per lui fosse stato diverso. Di nuovo, il mio orgoglio oltraggiato prese a strillare, prepotente, mentre io rapidamente mi consumavo nell’inquietudine, nell’angoscia di non poter controllare quel che sarebbe successo, di averlo già perso.
Perso? M’importava forse di lui? Sì. Sì, me ne importava, sussurrava una voce, lottando per non venire sopraffatta da quell’altra che, furiosa, m’impediva di continuare a umiliarmi.
 
Poi, inaspettatamente, pensai a Cissy: era al corrente della decisione di suo cugino? Le avevo promesso di proteggerlo, è vero, ma ormai entrambe consideravamo sciolto quel patto. Eppure, conoscendola, avrebbe temuto per lui; temuto che, nella sua giovane e spericolata incoscienza, prendesse iniziative avventate e finisse nei guai. Nonostante non fosse mai stato così realmente impulsivo, quasi senza accorgermene mi ritrovai a condividere i turbamenti di Cissy e a desiderare che Reg si fosse tenuto alla larga dal nostro mondo. Anche se forse sarebbe stato già troppo tardi, mi ripromisi di parlargli al termine della cerimonia. Una buona scusa, se non altro. Un’infallibile copertura.
 
‘Alfa’ scandì il Signore Oscuro, cogliendomi del tutto alla sprovvista.
Aveva già finito con Regulus? Allora sul serio non c’era più via di scampo: era ormai un Mangiamorte. Un vero Mangiamorte, e come tale non avrebbe cambiato idea per nessuna delle futili, ridicole ragioni che gli avrei sciorinato pur di rivolgergli la parola. Perché mi guardasse…
‘Alfa’ ripeté la voce, questa volta leggermente irritata. Mi morsi il labbro, furiosa e incredula di fronte a tanta negligenza da parte mia: certamente tutti avevano pensato a un attimo di cedimento. E ora anche lui, anche Reg sapeva che c’ero…
 
Decisa a dimostrare quanto si sbagliavano, mi feci avanti a testa alta e raggiunsi il mio futuro padrone. Mi fermai davanti a lui e attesi, senza che la mia convinzione vacillasse nemmeno per un istante.
Lui mi fissò dritto negli occhi, ma io sostenni il suo sguardo indagatore che frugava, frugava alla ricerca di indizi… non ne trovò. Un ghigno compiaciuto e, mi parve, segretamente rassicurato gli illuminò il volto scarno. Gli servivo anch’io, dopotutto. Era proprio ciò che più mi premeva: essergli utile, a lui e al nostro mondo.
Tuttavia, in quel momento, la mia mente era completamente annebbiata; frastornata, non riuscivo a ricordare cosa mi avesse spinto fin lì, e perché. Pensavo solo a lui, a Reg, pur sapendo che non avrei affatto dovuto.
 
Ad un cenno del Signore Oscuro, la figura incappucciata gli si avvicinò e gli porse il vaso. Tentavo di rimanere concentrata, ma senza successo; mi distraevo in continuazione.
Poi, all’improvviso, una strana sensazione. Alzai lo sguardo e trasalii, non appena vidi che mi stava fissando. Lei, sì. Non poteva essere che lei. Bellatrix Lestrange mi scrutava in silenzio all’ombra del suo cappuccio; gli occhi socchiusi, animati da una luce inquieta, le labbra scosse da un lieve tremito, sembrava intenta a studiare chissà quale esemplare di raro ritrovamento ma, dedussi, non particolarmente gradito.
Non mi ero soffermata più di tanto a chiedermi chi si celasse dietro quel mantello scuro, pressoché uguale agli altri, ma non mi aspettavo certo si trattasse di lei. Non immaginavo godesse di tanta considerazione e fiducia da parte del nostro Signore: era superiore perfino al gongolante Lucius. Non si spiegava, altrimenti, come mai non si fosse unita al gruppo degli altri Mangiamorte, in disparte in un angolo. Incredula e, mio malgrado, delusa di non aver ottenuto le grazie di un possibile mentore, mi chiedevo per quale ragione avrei dovuto costituire una minaccia per lei, ormai affermatasi nel delicato equilibrio interno della cerchia.
 
A disagio, distolsi lo sguardo e mi concentrai invece sul mio avambraccio sinistro, che proprio in quel momento il Signore Oscuro stava cospargendo con la polvere nera, recuperata dal vasetto. Al contatto con la pelle, produsse un dolore lancinante che per un attimo mi tolse il fiato e mi offuscò la vista. Non mi sfuggì, però, il lampo di divertimento negli occhi di Bellatrix. ‘Ah, è così?’ pensai furente, mentre le fitte si andavano affievolendo. Strinsi i denti, ripromettendomi di non perdere occasione per dimostrarle chi ero, in futuro, e che non sarei stata da meno di lei.
 
Tornai a osservare il mio braccio. Il Signore Oscuro vi puntò la bacchetta, sussurrò una formula ignota e le polveri, ormai assorbite dai tessuti, si disposero ordinatamente a formare l’inconfondibile immagine di un teschio dalle cui fauci usciva un serpente. Chiaro, vivido, inciso nella carne per sempre. Allora mi ricordai, e sorrisi orgogliosa. Ci ero riuscita. Ero una Mangiamorte anch’io, adesso. Avrei combattuto, avrei lottato, sarei stata al loro fianco, sarei stata una di loro. Ci sarei stata. Il mio Signore – ora lo era davvero – sciolse la presa. Lo interpretai come un congedo, e rapida mi allontanai in direzione dei miei nuovi compagni.
Immediatamente, però, mi sorpresi a cercarlo tra tutti gli altri. Non prestai attenzione a chi venne dopo di me, e a stento ricordo le ultime parole che il Signore Oscuro ci disse prima di smaterializzarsi insieme a Bellatrix: un discorso simile al precedente, raccomandazioni sulla segretezza da mantenere e un severo ammonimento su quelle che d’ora in avanti sarebbero diventate le nostre priorità. Ovvero lui e nessun altro. Ascoltai distrattamente, preda questa volta di un’impazienza diversa.
 
Finalmente, vidi che il gruppo cominciava a sciamare verso l’imbocco della caverna, uscendo rigorosamente non più di due alla volta, in maniera da non destare sospetti. Improbabile, dato quanto era sperduto il luogo in cui ci trovavamo.
Li osservai e attesi, saldamente inchiodata al terreno. Ero decisa a trovarlo, ma non avevo la più pallida idea di come ci sarei riuscita. Finché, con crescente stupore, mi accorsi che non ero la sola a non dar segno di volersene andare.
Incuriosita e deliziata, avanzai verso l’anfratto della roccia che lo proteggeva. Sembrava mi stesse aspettando. Sapevo che era lui ancor prima di giungergli abbastanza vicina da poterlo guardare in volto.
Il cappuccio non m’impedì di riconoscerlo: era cambiato, era decisamente un uomo, adesso. Maturo, sicuro di sé, audace e bello, bello in maniera disarmante, con quegli occhi scuri e quell’aria irresistibilmente languida. Come avevo anche solo potuto pensare di riuscire a fare a meno di lui? Ero Mangiamorte da appena pochi minuti, e già trasgredivo agli ordini del mio padrone. Lo sapevo, lo sapevo perfettamente, eppure in quel momento non avrei desiderato nient’altro.
 
‘Non mi aspettavo di trovarti qui’ esordii, terrorizzata che la voce mi tradisse.
‘Ti ho sorpreso, allora’ rispose lui sorridendo.
Sorrisi anch’io, come una stupida, felice se non altro di avergli rivolto la parola.
‘Alfa…’ mormorò, e tutt’a un tratto si fece serio. Si avvicinò e mi abbassò il cappuccio.
‘Mi sei mancata…’ sussurrò mentre mi stringeva a sé.
Stavo per replicare, ma di nuovo non capii più nulla: la mia dignità, il Marchio Nero, le paure di Cissy, le occhiate sprezzanti di Bellatrix, il volere del Signore Oscuro… tutto divenne fumo, non appena le sue labbra si posarono con passione sulle mie e prendemmo a cercarci, a volerci, avidi l’uno dell’altra. Il resto cessò di esistere, ed io iniziai lentamente a precipitare, a sprofondare in un pozzo buio e dolce al tempo stesso. Smarrimento. Estasi. Oblio.
 
 
Note:
Ciao a tutti! Di questo capitolo mi soddisfa se non altro la “puntualità”, dato che sono riuscita ad aggiornare leggermente prima del solito, ed era anche piuttosto lungo.
E’ stato abbastanza difficile impostarlo perché, avendo già letto diverse scene sull’iniziazione dei Mangiamorte, faticavo a creare una versione mia, che si distaccasse dalle altre e non rischiasse di ricalcarle. Così, come al solito, mi sono concentrata sulle sensazioni della protagonista e sull’ “imprevisto”, che acquista alla fine più importanza del Marchio stesso.
E poi, c’era la prima comparsa di Voldemort, sicuramente un personaggio non facilissimo da interpretare;)
Le Terre Alte in realtà è un richiamo alle Highlands scozzesi, paesaggio meraviglioso e incredibilmente suggestivo – confermo, essendoci stata di recente.
Spero di non avere dimenticato nulla…
A presto!
Fanny 

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Capitolo 7
*** Il senso ***


‘2.500.000 anni luce. E’ esattamente quanto dista da noi la galassia di Andromeda. Pertanto, il fatto che siate riusciti a osservarla questa sera conferma la straordinaria potenza dei telescopi che la scuola ha in dotazione. Un privilegio, non dimenticatelo’
Sospiro e scuoto il capo. Nulla da fare. Il totale disinteresse degli studenti per la mia materia trapela da ogni loro singolo gesto; non tentano nemmeno di nasconderlo.
Sembra davvero che ogni cosa ad Hogwarts, nel bene e nel male, sia rimasta le stessa. Oggi come allora, è difficile trovare alunni che subiscano il fascino, o che semplicemente apprezzino Astronomia. Non ne comprendono l’utilità. La ritengono superflua, credendosi dunque autorizzati a trascurarla e a considerarla una materia secondaria, certamente non degna di essere oggetto di studio da parte loro.
Li capisco, per quanto possa sembrare strano. Nonostante mi sia sempre sentita diversa dai miei compagni annoiati e passivi, io che invece ardevo dal desiderio di apprendere e padroneggiare anche i concetti più complessi, li capisco. Non ho scelto di dedicarmi alla scienza del cielo poiché ne intuivo le potenzialità, né perché ero convinta che le stelle mi sarebbero servite nella vita quotidiana. Nulla di tutto ciò: il mio era puro e semplice amore. Amore per fenomeni misteriosi, oscuri e straordinari; più parevano inafferrabili, più forte e impellente era il richiamo che mi rivolgevano. Volevano essere compresi, approfonditi, alcuni addirittura scoperti. Ed io, che non chiedevo di meglio, li accontentavo entusiasta; me ne assumevo la responsabilità, incurante della fatica e dei numerosi sacrifici a cui sarei andata incontro. Gli obiettivi che ho raggiunto e i traguardi che ho conquistato sono da attribuirsi unicamente al mio amore incondizionato, che nemmeno un passato da Mangiamorte ha compromesso.
Ora, se la passione manca, non v’è possibilità alcuna di studiare senza venire divorati dall’impazienza e dalla noia; soltanto un ligio senso del dovere permetterebbe di imparare ciò che si detesta, qualità di cui invece la maggior parte dei ragazzi sembra essere del tutto priva.
Dal momento in cui ne presi coscienza, non ho mai condiviso appieno la scelta di promuovere l’astronomia ad Astronomia, da disciplina semisconosciuta a materia scolastica obbligatoria. Mi ha permesso di scorpirla, è vero, ma in fondo, imponendola, cosa si è ottenuto? Reazioni esattamente opposte a quelle desiderate: avversione, odio, eccezion fatta per lo sparuto gruppo di ragazzini sensibili di turno, a cui forse riuscirà di esserne ancora attratto.
Certamente non è il caso dei Serpeverde del secondo anno. Questa è solo la prima lezione e già il loro chiacchiericcio continuo ha il potere di farmi perdere le staffe.
 
‘Silenzio!’ grido, esasperata.
‘Aprite bene le orecchie perché lo dirò una volta sola, e non accetto scuse. Per mercoledì prossimo studiate le caratteristiche di Andromeda elencate dal vostro libro a pagina 51, scrivetene un riassunto e sappiatelo esporre correttamente, in modo da non farvi trovare impreparati all’interrogazione. Mi raccomando! Arrivederci’ aggiungo, accingendomi a sistemare un telescopio mal calibrato mentre già gli studenti sciamano verso le scale della torre, ognuno diretto al proprio dormitorio.
 
China sullo strumento, avverto tuttavia con chiarezza una presenza alle mie spalle. Decido di non voltarmi, convinta, così facendo, di incoraggiarla a prendere la parola.
 
‘Professoressa’comincia infine la voce fredda di un ragazzo, dopo qualche attimo di silenzio.
 
‘Sì?’ replico, senza smettere di dedicarmi al telescopio.
 
‘Professoressa, io non capisco’ prosegue con falsa arrendevolezza.
 
Non ho mai sopportato gli ottusi; quelli che si ostinano a dichiarare di non capire nulla, ignari che non esiste invece modo migliore di danneggiare la loro altrimenti intatta capacità di comprensione.
‘Cos’è, di preciso, che non ti è chiaro?’ gli chiedo paziente.
Disponibilità e ragionevolezza sono indispensabili, in casi come questo.
 
‘Tutto quanto ha spiegato lei oggi’
Ho già i nervi a fior di pelle, ma mi trattengo.
 
‘A dire il vero non è che non abbia capito le stelle…’ si corregge il ragazzo, virando verso un tono di voce che non mi convince affatto.
‘Non ne capisco il senso. A che serve studiare questa roba? Insomma, nella vita nessuno ci chiederà mai quanto dista la galassia di Andromeda! E, come se non bastasse, mi disgusta dover imparare qualcosa di cui anche i Babbani sono a conoscenza!’ conclude con insopportabile arroganza.
Combattuta fra la rabbia e la curiosità di scoprire chi ne è il fautore, finalmente mi volto.
 
‘Innanzitutto le competenze dei Babbani sono di gran lunga inferiori alle nostre e…’
Ammutolisco non appena realizzo chi è stato a parlare. Non ne sono sicura, in realtà, ma c’è qualcosa di inspiegabilmente noto nel volto del ragazzino pallido che mi fronteggia senza il minimo accenno di soggezione.
Quegli occhi grigi, quei capelli biondi, quel viso affilato e quello sguardo di ghiaccio non potrebbero appartenere a nessun altro…
 
‘E, se non altro, constatare in prima persona l’immensità del firmamento si rivela estremamente utile per ricordare ai ragazzini presuntuosi come te la loro piccolezza!’ soggiungo tagliente, decisa a difendere la disciplina a cui devo così tanto, pur consapevole che una mossa peggiore non avrei potuto farla.
 
Il mio interlocutore, tuttavia, è più testardo del previsto.
‘Non dica sciocchezze, non riesce a darmele a bere. Sono astuto, certamente più di quanto lei non creda!’ ribatte beffardo.
 
‘Ma bravo…’
Non me ne curo, preferisco replicare con il sarcasmo alla superbia. Eppure, se si trattasse davvero di lui…
Gli scocco una rapida occhiata, riuscendo a cogliere unicamente un fugace moto di stizza. Non ci siamo, affatto. In qualunque altra occasione avrei senza dubbio avuto l’ultima parola e rimesso in riga perfino un insolente come lui, ma adesso devo… devo sapere, o non avrò pace.
 
‘Ripetimi il tuo nome’ butto lì, fingendomi disinteressata.
Impresa ardua, poiché invece è proprio dove voglio arrivare.
Fortunatamente, la risposta non tarda a giungere.
 
‘Malfoy’ dichiara fieramente.
‘Draco Malfoy’
Ed è una spiazzante, feroce morsa d’acciaio che mi ghermisce lo stomaco nel momento in cui sento pronunciare queste parole. Un peso opprimente mi scende sul cuore, mozzandomi il respiro.
Lo sapevo. Non ne ho mai realmente dubitato, nemmeno per un istante, fin dall’inizio della lezione.
Draco. Draco, il figlio di Cissy, che è tuttora viva in lui, nel suo volto, nella sua voce, nel suo sguardo. Da tempo immemore mi chiedo che ne è stato di lei e della sua amata famiglia, per proteggere la quale sarebbe stata disposta a tutto.
Chissà se è rimasta la stessa. Chissà se mi pensa, di tanto in tanto; se anche solo si ricorda della ragazza dalla volontà ferrea che, diventata ormai donna, ha pagato cara l’illusione di un sogno da rincorrere, ha scelto la condanna a vita anziché rinnegare ciò in cui non ha mai smesso di credere. L’amica fedele che le è sempre stata accanto, che di lei si fidava al punto da non esitare a lasciarle la figlia, quando ne è stato il momento.
Se solo potessi mandarti un segnale, Cissy, un messaggio; qualsiasi cosa, pur di farti sapere che sono viva, che sono tornata. Ma sarebbe troppo rischioso. La società è cambiata, dopo la caduta del nostro Signore; ha preso coraggio, è diventata così ingenuamente sfacciata, così pronta a giudicare ogni singola mossa di una qualsiasi delle sue pedine, che tentare risulterebbe ridicolo, assurdo.
E poi tuo figlio non deve sapere, giusto? Avete negato. So che l’hai fatto per non perderli. Ma Lucius? E’ stata davvero così dura per lui dichiarare davanti all’intero Wizengamot di aver agito sotto la Maledizione Imperius, o la viltà ha avuto il sopravvento anche su tuo marito? Ma non ha senso che io cerchi di aprirti gli occhi: lo ameresti comunque.
Ti rivedrò mai, Cissy?
 
‘Avanti, professoressa. Mi dica come l’astronomia può rivelarsi utile a quelli come noi, o le garantisco che per quanto mi riguarda lei perderà tutta la sua credibilità!’
Ragazzino, ma lo sai con chi hai ha che fare? Non oseresti nemmeno aprir bocca se solo avessi idea di chi ti trovi di fronte…
 
‘Lo studio dei corpi e dei fenomeni celesti non è fine a sé stesso: permette di orientarsi giorno e notte, ma non solo. Da essi, infatti, proviene una forma di energia potentissima, che una conoscenza approfondita delle leggi da cui è regolata permette di sfruttare’ sentenzio, il groppo alla gola non ancora completamente sciolto.
 
Malfoy aggrotta la fronte, perplesso.
Intende dire che il corso della nostra vita è influenzato dalle stelle? Ma questa è astrologia! Si spieghi meglio!’ incalza, visibilmente irritato dall’aver fallito nel tentativo di capire.
 
‘Modera i toni con me, ragazzino! L’astrologia è quanto di più lontano dalla mia materia si possa immaginare: non poggia su basi scientifiche, si affida solo all’interpretazione o, per meglio dire, alla superstizione delle persone ed è assolutamente priva di senso compiuto. Non menzionarmela più, d’ora in poi. Il potenziale che le stelle ci offrono è invece reale e concreto, ma è necessario padroneggiare appieno la disciplina o il rischio è quello di rimanere intrappolati in situazioni pericolose’ replico a denti stretti, consapevole di starmi addentrando in un territorio delicato che, se non escogiterò al più presto un’efficace via d’uscita, potrebbe davvero tradirmi.
 
‘E come si impara a controllare l’energia delle stelle, professoressa?’ prosegue Draco, impaziente.
Non avrei mai creduto di poter avere un tale effetto su di lui: pende letteralmente dalle mie labbra. Ma dovrai accontentarti per oggi, ragazzino. Magia oscura. E’questa la risposta. Sofisticate branche delle Arti Oscure si avvalgono dell’astronomia, anche se non è certo il motivo per cui viene insegnata agli alunni di Hogwarts.
Sono io che ho compiuto un passo falso e ora devo fare marcia indietro, se non voglio finire coinvolta in rivelazioni sospette.
 
‘E’ un percorso impervio e complesso, che si affronta solo dopo il completamento degli studi scolastici obbligatori. Improponibile, naturalmente, se sono presenti lacune nelle conoscenze di base’ concludo, sollevando provocatoria un sopracciglio, sorpresa dalla mia stessa diplomazia.
Con ogni probabilità ho spento una volta per tutte un eventuale germoglio di interesse da parte sua, ma che importa? Per un breve, terribile istante mi sono vista in seria difficoltà e ho davvero temuto di poter venire scoperta. Fiutavo il pericolo nell’aria, la catastrofe giungere imminente, inevitabile, poiché i tempi non sono e non saranno mai maturi abbastanza per dichiararsi. Ma in fondo, cos’ha Aurora da nascondere?
 
‘Già, ma sono in pochi che scelgono questa strada, vero? Quindi alla maggior parte di noi Astronomia non servirà mai a nulla!’ insorge nuovamente Draco dopo una breve pausa.
Inutile, non demorde. Comincia a mettere alla prova anche me. Avevo previsto, d’altronde, che con tutta probabilità Cissy si sarebbe comportata in modo troppo permissivo con suo figlio.
 
‘Può darsi, ma è una materia il cui voto influisce sulla media al pari delle altre. Quindi, signorino, ti invito ad assumere un atteggiamento diverso, d’ora in poi, se non vuoi deludere le aspettative dei tuoi genitori, chiaro?’
 
Arriccia il naso, punto sul vivo.
‘Che cosa pretende di sapere lei sulle aspettative dei miei genitori?’ sibila, visibilmente irritato.
 
‘Immagino che, trattandosi di una famiglia d’alto rango, sproni i propri pargoli a mantenerne intatto il prestigio, no?’
Stavolta ho fatto centro. Apre la bocca, incerto su come ribattere, e infine la richiude, sconfitto. Sorrido trionfante.
 
‘A quel che vedo le mie deduzioni erano esatte. Impara a non sottovalutare chi ha più esperienza di te, ragazzino. Esigo maggior rispetto da parte tua in futuro, mi sono spiegata?’ concludo, sferrando l’attacco finale.
 
‘Egregiamente. Meglio che a lezione’ sillaba Draco, furente ma definitivamente sottomesso.
 
‘Bene. Ora va’: si è fatto tardi e non ritengo opportuno che tu venga sorpreso a girovagare per i corridoi a quest’ora. Arrivederci’
 
‘Nemmeno io se è per questo…’ lo sento borbottare tra sé e sé mentre si dirige a passo strascicato verso le scale della torre, non dissimile da un cane bastonato che si allontana con la coda tra le zampe.
 
Desolata, Cissy, ma ho dovuto. Sapevi anche tu che prima o poi avrebbe trovato qualcuno che gli insegnasse a stare al suo posto, ne sono certa; era solo questione di tempo. Per quanto mi dolga dover essere io ad occuparmene, per quanto mi si stringa il cuore nel vedere te attraverso di lui mentre lo rimprovero, è stato e sarà necessario. Credimi, lo faccio per il suo bene; perché lo ami più di te stessa ed equivarrebbe quindi a un gesto d’affetto nei tuoi confronti.
Tuo figlio sarà la nostra via di comunicazione segreta, nonostante tu ne rimarrai sempre ignara; la tua proiezione, il tuo fantasma… basterà. Finché almeno una delle due terrà vivo il ricordo dell’altra, un’amicizia non potrà considerarsi conclusa. Dunque, per quanto mi riguarda, il nostro è un legame mai spezzato, e che anzi proprio ora risplende di una luce nuova, di una rinascita sconosciuta perfino a te stessa, eppure così concreta, ritrovando in questo modo ciò che più di tutto sembrava perduto: il senso.
 
‘Finiscila, Draco! Almeno qui, lasciami in pace!’ grida una squillante voce femminile, strappandomi repentinamente ai miei pensieri.
Alzo lo sguardo, appena in tempo per scorgere, tra la folla di studenti in arrivo per la lezione successiva, una ragazzina dai capelli scuri sottrarsi con esasperazione a un’infame spallata del giovane, che pareva tutto fuorché accidentale.
Prima che riesca ad urlargli dietro un rimprovero (piuttosto pesante, dati i precedenti), tuttavia, uno straordinario sospetto, una verità sconvolgente prende possesso di me. Se la memoria non m’inganna, e accade assai di rado, è il turno dei Corvonero del primo anno. Un tuffo al cuore. E’ lei, non c’è alcun dubbio.
Dannazione, Cornelia, come vorrei poterti correre incontro e abbracciare forte per non lasciarti più, per recuperare tutto il tempo perduto, che io e il mio orgoglio ti abbiamo negato. Se solo tu sapessi… ma è meglio così.
Quello che recito con Silente e l’intero mondo magico è soltanto il copione di una parte; nel profondo, continuo a rimanere fiera della mia lealtà al Signore Oscuro. Mai mi pentirò di aver scelto il carcere alla fuga, anche se ha significato dovermi separare da te. Se fossi sprovveduta al punto da raccontarti la verità, probabilmente mi odieresti per un gesto che nella tua ingenuità definiresti egoista.
Meglio, dunque, molto meglio che sia stata Narcissa a crescerti, a donarti il suo affetto smisurato, a riservarti le sue amorevoli attenzioni, ad accompagnarti mano nella mano mentre ti affacciavi per la prima volta sul mondo, e più tardi a guidarti, proteggendoti le spalle, attraverso quello spietato e crudele campo di battaglia che è la vita. Meglio che tu continui a crederti figlia sua, e a ritenere me nulla più che l’insegnante severa ed insopportabilmente esigente di una materia noiosa.
 
‘Buongiorno, ragazzi’ esordisco a voce alta, affinché tutti possano udirmi distintamente.
I giovani Corvonero si voltano infatti verso di me, fissandomi incuriositi.
Sorrido benevola. Non ho degnato nessun altra classe di una tale gentilezza, eppure non me ne stupisco: questi alunni sono diversi dagli altri, chiunque se ne accorgerebbe. Nei loro occhi brilla la luce dell’intelligenza, del desiderio di conoscere e dell’ambizione. Mi infondono immediatamente simpatia, poiché sono gli unici nei quali mi riconosca davvero per ciò che sono stata.
 
‘Mi chiamo Aurora Sinistra e sarò la vostra insegnante di Astronomia’ proseguo nel silenzio generale che accompagna le mie parole.
Sono sorpresa dalla mia stessa credibilità: non mi ritenevo capace di interpretare un ruolo tanto bene.
 
‘Come sicuramente avrete già intuito, la mia materia è piuttosto singolare e differisce dalle altre sotto molti aspetti. Non avrete bisogno della bacchetta, come d’altra parte vi sarà accaduto anche a Pozioni ed Erbologia…’
Mi avvicino ai telescopi, disposti in una fila ordinata sui merli delle mura.
‘… ma di questi’ concludo battendo affettuosamente la mano su uno di essi.
 
‘Naturalmente, per poter esercitare in modo corretto la pratica è necessario – non facoltativo né meritevole, necessario – aver prima studiato la teoria’ riprendo dirigendomi nuovamente verso di loro.
‘Per chi ancora non ne abbia un’idea precisa, il concetto di studiare è strettamente legato a quello di comprendere. E’ il senso delle cose che dovete capire. Una volta che ci sarete riusciti, se ci sarete riusciti – non crediate che sia subito facile; al contrario, vi occorrerà molto impegno e altrettanta forza di volontà – avrete compiuto il primo e più importante passo; vi resterà solo da far vostro l’argomento, rielaborarlo, saperlo esporre ognuno con parole proprie. Come se fosse il vostro turno di spiegarlo a qualcuno che ne è completamente all’oscuro. E’ questo che intendo con il termine studio
Mi concedo una pausa e li osservo uno ad uno. Non mi capacito del perché abbia sottoposto proprio a loro un discorso simile: dubito ne avessero davvero bisogno; eppure, mai prima d’ora ho ricevuto da parte dei miei alunni una dose così gratificante di sincero interesse e muta attenzione. Come inizio è buono, non lo nego, ma saranno i risultati a decretarlo.
 
‘Bene. Ora che ci siamo schiariti le idee, vi apparirà ovvio che dovranno trascorrere diverse lezioni prima che possiate ritenervi pronti ad usarli. Per guardare il cielo bisogna sapere come osservarlo e cosa si va ad analizzare, altrimenti davvero ciò che vedrete vi sembrerà “tutto uguale”. Cominceremo dalle conoscenze di base: non c’è nulla che io dia per scontato’
 
Continuano a fissarmi rapiti. Mio malgrado, cedo alla tentazione e la cerco. Cerco i suoi occhi, e mi accorgo che sono saldamente fissi su di me. Ancora una volta, i nostri sguardi s’incontrano e un’ondata di commozione mi travolge.
Ma è solo un istante. L’attimo dopo, eccomi tornata padrona di me stessa, e delle mie reazioni, cautamente celate sotto un’impenetrabile maschera di freddezza.
 
‘Avanti, su! Prendete posto sugli sgabelli che avete di fronte’ li esorto, riscuotendo così al tempo stesso loro e la sottoscritta.
Diligenti, obbediscono, sedendosi ognuno su uno scranno di pietra sistemato davanti a un tavolino. Io rimango in piedi, la schiena appoggiata al parapetto, le braccia abbandonate lungo i fianchi, pronte a tornare in attività qualora decidessi di avvalermi della gesticolazione.
 
‘Alzate lo sguardo. Dubito vi siate mai realmente resi conto dell’autentico spettacolo che ogni notte ci si presenta dinnanzi. Un’occhiata fuggevole non può rivelare molto, ma un’osservazione prolungata ci rende direttamente partecipi all’incredibile meraviglia della sfera celeste. E’ così che gli studiosi denominano la porzione di cielo a noi visibile, che ci sembra avere la forma di una sfera, appunto.
Di notte, essa è punteggiata di numerose sorgenti di luce. Ora, per la maggior parte si tratta davvero di stelle, ma in vari periodi dell’anno è possibile scorgere anche cinque dei pianeti del Sistema Solare – Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno – che avremo modo di approfondire più avanti.
La sostanziale differenza tra gli uni e gli altri corpi è che le stelle irradiano un bagliore proprio, intermittente, per così dire; i pianeti, invece, brillano di luce riflessa, costante, quella cioè del Sole, che continua a illuminarli anche quando sparisce alla nostra vista, poiché, come spero già sappiate, la Terra ruota su sé stessa’
Taccio, permettendo loro di assimilare la spiegazione. Ed è in quel frangente che, cogliendomi del tutto alla sprovvista, la ragazzina seduta in prima fila alza la mano.
 
‘Sì?...’ esalo lentamente, voltandomi a guardarla.
‘Professoressa, perché non testare subito quanto ci ha detto? E’ una serata limpida, la volta – anzi scusi, la sfera celeste si vede bene. Ci metta alla prova: cosa possiamo osservare?’
Interazione. Partecipazione. Sperimentazione. Come ho potuto trascurare questi fattori, indubbiamente influenti?  Allo stesso modo con cui lei è arrivata a pensarli. Mi completa, in un certo senso.
 
‘Ben detto, signorina… qual è il tuo nome?’ replico compiaciuta.
 
‘Cornelia Malfoy’ risponde pronta, illuminandosi di un sorriso timidamente orgoglioso.
 
‘La signorina Malfoy ha ragione. Comincerete da ora. In questo periodo dell’anno e a quest’ora della sera è impossibile non notare l’esuberante splendore di Giove. Lo troverete guardando verso Est. Dunque, sapendo che la Torre di Astronomia è rivolta a Nord…’
 
‘Eccolo!’ esclama di nuovo lei, ruotando sullo sgabello, il dito teso in direzione di un punto imprecisato alle sue spalle.
Questa volta sono io a lasciarmi sfuggire un sorriso.
‘Lo vedete tutti?’
Annuiscono. Non c’è traccia di perplessità sui loro volti. Bene.
 
‘Allora possiamo continuare. Se prendeste una stella qualsiasi come punto di riferimento, dopo anche solo mezz’ora di osservazione notereste che non si trova più nella posizione di prima. Questo poiché la sfera celeste sembra ruotare in senso antiorario attorno ad un punto fisso chiamato Polo Nord celeste, che nel nostro emisfero coincide con la Stella Polare. Impareremo come individuarla la prossima volta. Per ora è importante che ricordiate quanto vi sto dicendo.
A compiere una rotazione completa la sfera impiega 24 ore, anche se naturalmente di giorno ci è impossibile seguire i suoi spostamenti a causa della luce del Sole, la stella a noi più vicina, che impedisce la vista di tutte le altre. In realtà, è ancora una volta la Terra a girare su sé stessa, ragion per cui il moto degli astri viene detto apparente. Mercoledì prossimo effettueremo anche esperimenti di questo tipo’
 
Abbasso nuovamente lo sguardo sui miei alunni e inarco le sopracciglia, accennando col capo ai loro libri e quaderni posati ancora chiusi sui banchi.
‘Vi consiglio, d’ora in avanti, di prendere appunti. Sarà molto più facile assimilare le nozioni quando andrete a rileggere le parole che avevate scritto mentre il concetto, spero, vi era fresco e chiaro. Il libro usatelo, certo, ma solo come riferimento; quando mi parlerete della lezione precedente scordatevi di ripetere per filo e per segno il testo. Voglio che utilizziate un linguaggio proprio, che rielaboriate quanto avete appreso, senza tuttavia alterarne le definizioni: Astronomia è una materia estremamente rigorosa e precisa. In quanto tale, perciò, esige rigore e precisione’
 
Ottengo l’effetto sperato, anche se non da parte di tutti: alcuni decidono di rimanere semplicemente ad ascoltarmi. Testardi, ma la loro espressione è matura e consapevole.
‘Non pretendo che vi riesca fin da subito. Prestare attenzione e scrivere sono due attività che, se svolte in contemporanea, rischiano di compromettersi l’un l’altra. E’ bene però che troviate coraggio il prima possibile, così che il vostro metodo, negli anni a venire, abbia solo da perfezionarsi.
Ora, chi ha un’idea di cosa sia una costellazione?’ li riscuoto, riportandoli alla realtà della nostra lezione.
 
Un mormorio incerto si diffonde tra i ragazzi, sussurri di cui non riesco a cogliere il contenuto.
‘Un gruppo di stelle…’ azzarda un temerario.
‘Un gruppo di stelle…’ gli fa eco debolmente qualcuno.
Con la coda dell’occhio guardo Cornelia e vedo che tace, fissandomi ansiosa in attesa della risposta definitiva.
 
‘Un gruppo di stelle, sì, esatto. Stelle che nulla però hanno in comune fra loro, eccetto il fatto di dare forma, agli occhi degli antichi, alle figure mitologiche che popolavano i loro racconti. Gli astri di una costellazione, infatti, non sono della stessa tipologia, né si trovano ad uguale distanza dalla Terra. Orione, che il vostro libro propone come esempio… apritelo a pagina 12, per favore’
Attendo che siano pronti, impaziente. Sono brava a nasconderlo, ma basta davvero poco perché m’infervori come una volta parlando della mia disciplina prediletta.
 
‘Dicevo, è una costellazione composta da sette stelle principali: le spalle, i piedi e la cintura. Vi basti solo pensare che la più vicina, Bellatrix, dista 240 anni luce, e Rigel, la più lontana, circa 775. Eppure, a causa della prospettiva, ci appaiono allineate. Riguardo alla tipologia, inoltre, Betelgeuse è una supergigante rossa, e in quanto tale è anche la più luminosa; segue Rigel, stella azzurrastra affine a quelle della cintura. Personalmente…’
 
‘Professoressa’
Di nuovo lei. Dimmi, tesoro, qualunque cosa.
 
‘Signorina Malfoy, evidentemente non ti hanno mai insegnato che interrompere chi parla è un gesto molto maleducato’
 
‘Mi scusi, professoressa, ma ho una domanda che potrei dimenticare da un momento all’altro’ si giustifica implorante.
Ma certo, cara: sai, anch’io alla tua età non stavo nella pelle se si trattava di chiedere chiarimenti; ero impertinente come pochi, e ne andavo fiera.
 
‘Avanti, che c’è?’
A braccia conserte, la autorizzo a proseguire.
 
‘Qual è la stella più brillante del cielo? Per come lo vediamo noi, naturalmente…’
Aggrotto la fronte, perplessa. Dove vuole arrivare?
 
‘Sirio. E’ Sirio la stella più brillante ai nostri occhi, stanziata poco più a sud di Orione’
 
‘A che distanza si trova?’ va avanti sicura.
 
‘Piuttosto vicina, 8,4 anni luce. Posso sapere…?’
Comincio a fingere di innervosirmi; d’altro canto, non era il tema di questa lezione, ma…
 
‘Se le stelle di Orione fossero anch’esse alla stessa distanza…’
Lascia la frase in sospeso, certa del mio intuito. Tutt’a un tratto comprendo e m’illumino entusiasta.
 
‘Se fossero alla stessa distanza di Sirio, Betelgeuse emanerebbe un bagliore così potente da rendere quasi invisibili le sue vicine. L’intervento della vostra compagna, benché apparentemente inopportuno, ci ha invece condotti ad un’osservazione interessante: non dovete lasciarvi ingannare dalla prospettiva né dalla luce emessa dalle stelle, poiché in tal caso stareste tralasciando il fattore più importante, ossia la lontananza. Molto bene, signorina Malfoy’
E’ sveglia, intelligente e in gamba; non solo ciò mi rende orgogliosa, ma anche sollevata: avrò pieno diritto ad elogiarla, in futuro, poiché davvero sembra meritarselo.
 
‘D’ora in avanti, però, alza la mano per chiedere il permesso di parlare, intesi, Cornelia?’ aggiungo, in un disperato tentativo di apparire equa, quando in realtà mi basta pronunciare il suo nome perché la lezione e ogni altra cosa cessino di esistere.
‘Bene. Ora, appurato ciò, voglio che ascoltiate…’
Ammutolisco, sbigottita. Ha di nuovo qualcosa da dire. Eppure la mano l’ha alzata…
Mi mordo un labbro, combattuta; in fondo, però, so già cosa accadrà, ancor prima di averne effettivamente preso coscienza.
 
‘Cosa c’è ancora?’ sbotto.
E’ immane lo sforzo che compio nel dover rivolgermi a lei con risentimento.
 
‘Mi scusi, professoressa; solo, mi chiedevo, dato che non ci siamo nemmeno presentati… cos’è che ama davvero di questa scienza? Cosa rappresenta l’astronomia per lei?’ domanda con aria innocente ed incuriosita.
 
‘Cinque punti in meno a Corvonero per la tua sfacciataggine, signorina Malfoy’ sospiro
‘Quando avremo terminato il programma, sarò lieta di esporti le ragioni che mi hanno condotta qui. Fino ad allora, ti prego di limitarti a porre domande inerenti con il tema della lezione in corso’ replico tagliente, in cuor mio odiandomi.
 
‘Ha ragione, mi perdoni’ sussurra debolmente.
Perdonarti? E per quale motivo? Come se fossi davvero adirata con te, come se ne fossi capace.
Mi chiedi perché sono qui, ignara, nel tuo candore, di esserne tu stessa la causa.
Mi chiedi cosa rappresenti per me l’astronomia, Cornelia.
E tu? Ti sei mai domandata cosa rappresenti tu per la mia vita?
Peccato, avrei saputo darti una risposta perfino migliore.
La ragione. Lo scopo. Il senso.
 
 
Note:
Ciao! Rieccomi, anche se non puntualissima (mi scuso!), con questo capitolo sulla vita scolastica della protagonista. Mi sembrava giusto ritrarla anche ‘nel suo ambiente’, alle prese con la sua più grande passione e con il nuovo ruolo di insegnante.
Quella dell’astronomia collegata alle Arti Oscure è un’idea un po’ avventata, forse; ribadisco che non è il motivo per cui viene studiata a Hogwarts, ma un motivo in più che avrebbe avvicinato Alfa alla vita da Mangiamorte.
Per le informazioni tecniche mi sono servita di alcuni libri, oltre di quanto studiato a scuola; i miei ringraziamenti vanno dunque, per esteso, anche a Margherita Hack J
Il metodo che Alfa/Aurora consiglia ai suoi alunni è, diciamo, quello che anch’io trovo migliore (insegnare è uno dei miei tanti sogni…)
Grazie a chiunque recensirà e alla prossima!
Fanny 

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Capitolo 8
*** Sorrisi ***


Ecco giungere il solo col potere di sconfiggere l’Oscuro Signore … nato da chi lo ha tre volte sfidato, nato sull’estinguersi del settimo mese …’
L’uomo seduto a capotavola tacque pensieroso.
Un mormorio stupefatto si diffuse tra i presenti; sussurri increduli, bisbigli sbigottiti percorsero la sala, come portati dal marmo candido del lungo tavolo attorno al quale eravamo riuniti.
Mille erano gli interrogativi che ci assillavano, innumerevoli le domande che avremmo voluto porgli, senza tuttavia osare farlo davvero.
Fortunatamente, lui ci precedette.
 
‘ Immagino vi stiate chiedendo il motivo, e soprattutto il senso di ciò che vi ho appena detto’ riprese , scrutandoci con il suo sguardo di ghiaccio. Non attese risposta.
‘ Si tratta di una profezia, riferitami da uno di voi poco tempo fa e che ho infine deciso di discutere anche con gli altri. Solo con quanti ne ritengo degni, naturalmente’ precisò, mirando a far gravare su noi tutti un opprimente senso di responsabilità, cosicché ognuno si sottoponesse a un personale esame di coscienza per constatare se ne era effettivamente degno.
Una trovata efficace, grazie alla quale ci saremmo sentiti ancora più debitori nei suoi confronti.
Con me, tuttavia, non funzionò: ero consapevole delle mie capacità e nient’affatto bisognosa di metterle in discussione; ciò che mi premeva, in quel momento, era altro.
Cosa significava quella profezia? Chi l’aveva riferita al nostro Signore? Come ne era venuto a conoscenza? E soprattutto, si trattava di una fonte attendibile? C’era da fidarsi?
 
‘Mio Signore’ ingiunse la donna che gli sedeva accanto, prendendo per prima la parola.
Non aveva distolto lo sguardo da lui nemmeno per un istante, da quando egli aveva pronunciato quel fatidico presagio, ed ora lo fissava angosciata, torcendosi senza sosta le mani in grembo, gli occhi scuri arsi da una luce inquieta. Si trovava dall’altro lato del tavolo, ma piuttosto vicina; ero in grado di cogliere ogni suo singolo gesto.
 
‘Mio Signore’ continuò, dopo che lui si fu voltato a guardarla.
‘Ci state dicendo che correte seriamente pericolo?’
Il flebile sussurro tradiva tutta la sua apprensione; nonostante fossero poche le orecchie a cui era giunto, il nostro Signore si rivolse ugualmente all’assemblea intera.
 
‘Può darsi che corra pericolo, se ignorerò la faccenda e non prenderò provvedimenti. Ma non è mia intenzione comportarmi da sprovveduto, né sottovalutare questo rischio’ ci rassicurò, o almeno così credei.
A differenza di quanto potessero pensare, o addirittura temere gli altri, però, quella profezia non costituiva affatto una minaccia ai miei occhi. Ero invece sorpresa che un mago senza pari come il nostro Signore ne restasse turbato, o anche solo le attribuisse tanta rilevanza. Non potei trattenermi.
 
‘Mio Signore’ insorsi, reclamando a mia volta attenzione.
Un suo cenno del capo bastò perché mi sentissi autorizzata a proseguire.
‘E’ di una profezia che stiamo parlando…’ cominciai, decisa a far ricredere lui e gli altri.
Per accertarmi che mi prestassero il dovuto ascolto, mi sporsi sul tavolo e li fissai uno ad uno, intercettandone gli sguardi senza timore.
Regulus mi scoccò un’occhiata preoccupata. ‘Fermati finché sei in tempo o finirai nei guai’ sembrava voler ammonirmi.
Decisi di ignorarlo; sapevo quel che facevo.
Dedicargli un’eccessiva attenzione avrebbe inoltre rischiato di tradirmi: dopo il reciproco riavvicinamento, infatti, la nostra relazione era diventata qualcosa di più serio, che in quanto tale necessitava di venire nascosto. Non lo avevamo reso noto a nessuno, con l’unica eccezione di Cissy, poiché nessuno, a nostro parere, aveva il diritto di saperlo. Almeno per il momento.
 
‘Una stupida profezia; una manciata di parole, nemmeno così suggestive a dirla tutta, articolate a caso con l’unico obiettivo di fare scalpore. Onore al merito!’ conclusi con una provocatoria alzata di spalle.
 
Il silenzio che seguì fu tale che udii ognuno dei presenti trattenere il respiro, pietrificati dallo sdegno e impazienti di assistere alla reazione del nostro Signore.
D’improvviso mi resi conto della situazione e repressi un tremito, incredula di aver agito così impulsivamente.
Indietro, però, non potevo tornare; mi morsi un labbro e sostenni lo sguardo imperscrutabile del mio Signore, domando la paura.
Stranamente, lui si limitò a fissarmi con aria incuriosita, come chiedendosi fino a che punto avrei osato arrivare.
Mi maledissi, certa che il peggio sarebbe arrivato dopo, ma nonostante tutto decisi di dargli soddisfazione.
 
‘Come sapete che chi ha pronunciato quella profezia stesse facendo sul serio? Come sapete che chi ve l’ha riferita non vi abbia ingannato a sua volta?’ incalzai tra lo sgomento generale.
Un brivido violento però mi colse non appena notai che stava sorridendo.
Proprio così: il mio Signore, il capo leggermente inclinato di lato, le palpebre socchiuse, mi guardava e sorrideva.
Un semplice sorriso, che pure da solo bastava ad incutere più timore di una maledizione scagliata con brutale ferocia.
 
‘Credi di saperne quanto me, Alfa?’ sussurrò tranquillamente, senza smettere di sorridere.
‘Credi che io non abbia avuto per primo questi dubbi, e che non mi sia procurato le risposte necessarie per smentirli? Ti reputi più acuta e lungimirante del tuo Signore? Dimmi, credi forse di potermi eguagliare?’ infierì, invaso da selvaggio piacere.
 
‘No’ mi affrettai a rispondere, pur sapendo che sarebbe stato vano: ormai il danno era fatto.
‘No, mio Signore, questo mai: non oserei’ farfugliai, vinta dal terrore.
‘Non intendevo certo dichiarare un’assurdità simile; volevo solo …’ tentai, recuperando quel po’ di dignità che ancora mi restava.
 
‘Non m’interessa ciò che intendevi’ m’interruppe lui, chinandosi verso di me.
Non sorrideva più, ora: il suo volto era una maschera d’ira.
‘Apri bocca un’altra volta e te ne farò pentire. Vedete, alcuni di voi ’ continuò rivolto agli altri, lasciandomi preda di bruciante umiliazione.
‘si sentono esaltati dalla loro posizione, dai compiti che vengono loro affidati, dalla forza distruttiva che si scoprono capaci di scatenare. Perdono completamente la concezione di gerarchia, dimenticano chi è il loro padrone. Fate in modo che non accada più, o vi garantisco che sbarazzarmi di voi non sarà una gran perdita’
 
Chinai il capo, sopraffatta dalla vergogna. Molto probabilmente aveva ragione; mi ero espressa male e avevo dato prova di un’imperdonabile sfacciataggine, ma non tolleravo che banalità come una sciocca, insensata profezia rischiassero di compromettere i nostri piani. Non avevo mai avuto occasione di ascoltarne una di persona, ma poco importava: non vi avrei creduto comunque.
 
‘Ora, la profezia accenna ad un imprecisato individuo presumibilmente in possesso del potere di sconfiggermi, in procinto di giungere. Ne deduco che il settimo mese a cui si accenna sia il prossimo luglio, e che dunque debba ancora nascere.
‘Per quel che riguarda i genitori, diversi maghi e streghe dell’Ordine hanno avuto il coraggio di sfidarci in passato, e diversi ci sono sfuggiti. Mi sono allora chiesto quanti fossero in attesa di un figlio …’
Tacque, assaporando la nostra trepidante attesa.
‘Ho indagato e trovato riscontro a proposito di due famiglie: i Paciock e i Potter’
Di nuovo, un brusio irrequieto si levò dai seguaci dell’Oscuro Signore. Non vi presi parte, continuando invece a fissare mesta, a testa china, il marmo che avevo di fronte.
‘Sono certo che vi siano noti entrambi. I Paciock sono Auror Purosangue; Potter e la moglie Mezzosangue, da quel che mi risulta, non possiedono alcuna qualifica ma, come ricorderete, si sono mostrati comunque strenui difensori di Silente e della sua … causa’ concluse ironico.
Rimasi interdetta nel constatare che nessuno, insolitamente, aveva voglia di ridere: davvero prendevano sul serio questa folle storia?
 
‘E’ permesso?’ azzardò timidamente una voce dall’uscio.
Mi voltai, nonostante già sapessi a chi apparteneva.
A parlare era stata infatti una donna esile, dai lineamenti delicati e dalla corporatura minuta ma proporzionata; i lunghi capelli biondi le ricadevano in morbide onde sulle spalle, un elegante abito bianco le fasciava il corpo sottile, conferendo particolare evidenza alla protuberanza sul ventre.
Narcissa, che nel frattempo aveva accettato entusiasta la proposta di matrimonio di Lucius Malfoy, era infatti incinta di sette mesi. Un evento da lei ardentemente desiderato, ma che era forse giunto troppo all’improvviso, lasciandola confusa e scombussolata. Di certo, la gravidanza la stava cambiando a fondo e l’aspetto esteriore ne era solo un minimo indizio.
Cissy non era mai stata brava a nascondere le proprie emozioni; ma in quel periodo era particolarmente trasparente: ciò che provava glielo si leggeva senza difficoltà nei languidi occhi azzurri, in quel momento fissi sugli ospiti e colmi di timore reverenziale.
 
‘Non mi pareva di averti accordato il diritto di interromperci, Narcissa’ sentenziò gelido il nostro Signore.
Lucius, al suo fianco, cambiò posizione sulla sedia; pareva nervoso. Negli ultimi tempi aveva iniziato a manifestare una vera e propria adorazione nei confronti della moglie; la ammirava, la rispettava, la proteggeva e soprattutto, senza alcun dubbio, l’amava. Aveva messo la testa a posto, rassicurando così anche me sul futuro di Cissy.
 
Lei ebbe un cedimento quasi impercettibile, ma resistette.
‘Perdonatemi, mio Signore, non intendevo disturbarvi. Ma si sta facendo tardi e ho bisogno di sapere quanti di voi rimarranno per la cena, così da dare disposizioni agli elfi’ spiegò, stringendosi nelle spalle.
Fui costretta a reprimere l’istinto di correre ad abbracciarla; tentai invece, sperando che mi notasse, di concentrare tutto l’affetto di cui ero capace in un semplice sorriso.
Una volta che ebbe preso visione dei commensali, Cissy si ritirò prudente nelle sue stanze.
Era straordinario come, nonostante ormai mancasse poco alla nascita del bambino, le sue movenze fossero, se possibile, ancora più leggiadre e aggraziate del solito; sembrava una farfalla. Mi domandai se Lucius si rendesse realmente conto di quanto fosse fortunato.
 
‘Ho poco da aggiungere’ riprese il nostro Signore dopo che Cissy se ne fu andata.
‘Non ritengo questo bambino una minaccia, a condizione di agire subito. Nel frattempo cercherò di capire a quale dei due la profezia si riferisce. E poi, non appena sarà nato, provvederò ad eliminarlo; lui e chiunque tentasse di difenderlo. Vi proibisco di farne parola con nessun altro. E’ tutto’ concluse.
 
Freddo, conciso, efficace; non avrebbe dovuto sorprendersi del mio scetticismo. Eppure, contrariamente a quanto mi aspettassi, la maggior parte di noi lo aveva preso molto, troppo sul serio, come se si fosse trattato di un pericolo reale, concreto e incombente, anziché di un vaticinio dai contorni confusi. Davvero credevano che un moccioso avrebbe dato del filo da torcere al nostro Signore, ostacolato la nostra missione? Bastava così poco perché la loro fiducia in lui vacillasse?
Nessuna reazione, comunque, nemmeno l’appassionata inquietudine di Bellatrix, riuscì a stupirmi quanto quella dell’uomo che mi sedeva al fianco.
Severus Piton fu l’ultimo ad alzarsi da tavola; quando mi oltrepassò, diretto al portone principale, con la coda dell’occhio non potei evitare di coglierne l’aria inequivocabilmente sconvolta, che nemmeno la sua innata predisposizione alla compostezza era in grado di nascondere.
Mi domandai la causa di una tale angoscia ma, prima che potessi rendermene conto, lui alzò lo sguardo, si accorse che lo fissavo e la sua espressione cambiò repentina, tornando quella di sempre.
Eppure, l’ombra nei suoi occhi continuava a gridare; gridava senza sosta una muta richiesta d’aiuto, di silenzio. Temeva che avessi capito. E aveva ragione, perché capii; il ricordo che mi era affiorato alla mente aveva il profumo dell’erica selvatica e il caldo tepore di un sole primaverile a pomeriggio inoltrato. Un pomeriggio trascorso in riva al lago, all’ombra degli alberi, il castello di Hogwarts che si stagliava imponente all’orizzonte…
 
 
 
‘Alfa’
Sussultai. Reg era chino verso di me e mi fissava interrogativo, la fronte lievemente aggrottata.
‘Sì?’ mi riscossi, guardandolo a mia volta.
‘Qualcosa non va?’ chiese piano.
‘No, nulla. Non c’è nulla che non va’ ripetei meccanicamente, come sempre quando qualcuno me lo domandava.
Lui non era uno qualsiasi e non meritava una risposta qualsiasi, certo, ma quel sospetto non potevo proprio confidarglielo. Non ne ero sicura, purtroppo o per fortuna; ma sapevo che, se ne avessi parlato anche solo con lui, avrei trascinato Severus in guai grossi. E altrettanto bene conoscevo la mia suggestione, che talvolta mi portava a vedere solo ciò che volevo vedere.
 
‘Tranquillo, Reg’
Sorrisi, assaporando il piacere di poterlo chiamare così.
Lo contemplai in silenzio: era seduto sul divano di casa mia, dove lo avevo invitato dopo che la riunione si era conclusa, qualche ora prima. Al contrario di me, rannicchiata contro il bracciolo, non si appoggiava allo schienale; sedeva rigido e impettito, lo sguardo vigile, come un predatore che da un momento all’altro fosse dovuto balzare in piedi. Mi piaceva pensare che l’avrebbe fatto per proteggermi, anche se in effetti non ne avrei avuto bisogno.
Quando mi era accanto, in tutta la sua sfolgorante bellezza di non ancora diciottenne, a volte faticavo a credere che fosse vero, che fosse proprio me che voleva. Che fosse mio e mio soltanto. Eppure non glielo dicevo mai; ero troppo orgogliosa per metterlo al corrente di quanto contasse per me.
 
Ancora dubbioso, allungò la mano e mi sfilò la bacchetta dalla veste, avvicinandosela per poterla meglio esaminare.
‘Di che cos’è?’ volle sapere.
Sgranai gli occhi.
‘Non te l’ho mai detto?’ esclamai sorpresa.
Scosse il capo.
‘Salice. E piuma di fenice’
Continuò a rigirarsela tra le dita, accarezzandola distrattamente con il suo tocco delicato, come se temesse di poterle far del male.
‘E’ bella. Sai, sono sempre più convinto che ogni bacchetta assomigli inevitabilmente al suo possessore’
Mi lanciò un’occhiata maliziosa.
Scoppiai a ridere, ma smisi all’istante quando mi accorsi che lui invece era serissimo.
‘Alfa’ ripeté.
Aveva un modo speciale di pronunciare il mio nome; avrei voluto mi chiamasse in eterno.
 
‘Che c’è?’ m’incuriosii.
Reg taceva.
‘Allora?’ lo esortai.
‘Mi vuoi sposare?’
Sbattei le palpebre, certa di aver capito male.
Poi notai la sua espressione e seppi di non essermi sbagliata.
‘Dico davvero, Alfa’ aggiunse a mo’ di ulteriore conferma.
 
Non sapevo cosa pensare. Mi aveva colta del tutto alla sprovvista; davvero la nostra relazione aveva preso una piega così importante? Quando era accaduta questa svolta, e perché non me n’ero accorta? O semplicemente lui aveva maturato idee avventate? Decisi di prendere tempo.
 
‘Reg, io …’ mormorai disorientata, distogliendo lo sguardo.
‘Come sei arrivato a questa conclusione?’ chiesi, continuando a fissare nient’altro che il muro vuoto alla mia sinistra.
‘E’ stata la tua famiglia a metterti pressione?’ lo spronai caparbia e risoluta.
‘Alfa, ti prego, non divagare’ implorò lui.
‘Sai che ti amo e che nessun’altra ragione mi avrebbe spinto a chiedertelo’ dichiarò.
 
Sospirai. Mi amava. Certo, anch’io lo amavo, ma in quel momento non mi passò nemmeno lontanamente per la testa di ricordarglielo.
Che senso avrebbe avuto? Non trovavo alcun nesso logico tra ciò e la sua proposta. Matrimonio e vincolo per me erano sinonimi. Detestavo la prospettiva di dovermi impegnare per la vita; oggi l’amavo, ma domani? Chi avrebbe potuto dirlo?
Più difficile ancora mi era sopportare quelli che lo desideravano a tutti i costi, convinti che sposarsi equivalesse alla garanzia di non perdere la persona amata, e soprattutto che significasse amore; che una misera promessa fosse chiaro indicatore di stabilità, armonia.
Illusi. La perfezione esiste solo in termini scientifici, continuavo a ripetermi. Non volevo pensare a Reg come a uno di loro; mi ero forse sbagliata sul suo conto?
 
‘Ma perché?’
Parole fredde, dure, che dovettero colpirlo come una pugnalata al cuore. Ma allora, allora non me ne rendevo conto.
Mi voltai e lo fissai dritto negli occhi; quegli occhi il cui sguardo solitamente mi dava i brividi, ma non questa volta.
 
‘Te l’ho appena detto’ rispose lui paziente , senza il minimo accenno di rancore.
Quella calma aveva invece il potere di innervosirmi ancora di più.
‘Reg, aiutami a capire. Non stiamo già bene così? Perché vuoi legalizzare ciò che ci unisce, renderlo noto a tutti, complicare la faccenda? Credi che cambierebbe qualcosa tra noi?’ incalzai decisa.
‘No. Non cambierebbe nulla, effettivamente’ iniziò. Stavo per dichiararmi d’accordo e tirare un sospiro di sollievo, ma lui non aveva finito.
‘Ma la nostra consapevolezza sì. Ti saprei mia moglie’
Sorrise. Ed io, stupida, non colsi la rarità e la bellezza di quel sorriso, ignara che sarebbe venuto un tempo in cui l’avrei rimpianto.
 
‘Hai appena diciassette anni’ gli feci notare, acida.
Ero disperatamente e palesemente alla ricerca di un pretesto, una scusa qualsiasi che mi esentasse dal chiamare in causa l’unica cosa che a Reg davvero importava conoscere: la mia volontà.
 
Lui alzò le spalle.
‘Non importa. Possiamo aspettare, o anche agire subito, se vorremo. Non sarà un problema, vengono concesse eccezioni di tanto in tanto’
Ricordo che provai pietà per lui e, in un impeto di pura malvagità, compresi quanto rendesse vulnerabili il confessare i propri sentimenti, il metterli completamente a nudo.
 
‘La tua famiglia non approverà. Hanno già subito una delusione da tuo fratello’ sottolineai.
‘Se ne faranno una ragione’ fu il commento.
‘Davvero?’ esclamai.
‘Ero convinta che ti stesse a cuore il rendergli orgogliosi’
Reg scosse la testa.
‘Tu vieni prima, Alfa’
Sospirai di nuovo. Nel profondo, annaspavo alla ricerca di una via d’uscita che non implicasse il ferirlo. Ma l’avevo già fatto.
 
‘Ebbene?’ mormorò, ponendo fine a quel silenzio opprimente.
Alzai lo sguardo e incontrai il suo: mesto, rassegnato, come se già conoscesse l’esito della vicenda ma nonostante tutto fosse disposto ad andare oltre, a mantenere inalterato il proprio affetto.
Come se sapesse che stavo sbagliando, ma fosse già disposto a perdonarmi. Qualunque decisione avessi preso.
 
‘No, Reg. Non credo sia il caso, e non vedo l’utilità di esporci così tanto …’  Tentai di farla passare per la mia risposta definitiva, ma fallii.
‘Te ne vergogni? Hai paura? E di cosa, sentiamo? Del giudizio della gente? Proprio tu che sei sempre stata orgogliosa di infischiartene? A me invece non causa problemi, sai? Anche se hai tre anni più di me’ parve ridestarsi lui, forse confidando nella mia titubanza.
‘No’ mi rabbuiai.
‘Non ho paura, né imbarazzo. A differenza tua, non temo la segretezza e la clandestinità. Di’, sta cominciando a pesarti?’ lo provocai.
‘Non potremo nasconderci in eterno, Alfa. Non mi va di proseguire così, è vero …’ ammise.
‘Ah, no? Come credi che la prenderebbe, il nostro Signore, se sapesse che non gliene abbiamo mai parlato in tutto questo tempo?’ inveii impetuosa.
‘Sei dunque convinta che non lo scoprirà da sé, un giorno o l’altro? Che non sarebbe più prudente prevenire la sua reazione con una cerimonia ufficiale, senza lasciar trapelare che ci conosciamo da anni?’
Stavo per ribattere, ma mi fece segno di tacere.
‘Non mi va di continuare così, ma lo farò, se è quello che vuoi. Questo stavo dicendo’ concluse, spiazzandomi ancora una volta.
In quel momento, tuttavia, l’accolsi come un punto a mio favore e approfittai del vantaggio.
 
‘Avanti, Reg. Pensa: un legame tale ci ostacolerebbe nella nostra missione, ci priverebbe della libertà’ proseguii, rinvigorita dalla sua arrendevolezza, mentre lui annuiva in silenzio, il volto impassibile.
M’illusi d’averlo convinto, ma sottovalutavo la sua testardaggine.
 
‘Capisco’ disse.
‘Non ne sei sicura fino in fondo’
‘Potrei invece dare a te dell’insicuro’ controbattei tagliente.
‘ dato che hai bisogno della legge per sentirti autorizzato a vivere un amore’
Di colpo mi vidi attraverso il suo sguardo e ne fui disgustata. ‘Il miglior specchio è l’occhio di un amico’ recita un vecchio proverbio gaelico. Quanto può essere fidato allora quello dell’uomo che ami?
Chinai il capo, incapace di reggere il confronto.
 
‘Non posso farlo’ sussurrai prendendogli le mani.
‘Mi dispiace’ aggiunsi, pur sapendo che sarebbe stato del tutto inutile.
‘Lo so’ mormorò lui, premendomi una mano sui capelli e dandomi un lieve bacio in fronte.
Poi, come se nulla fosse accaduto, si alzò, arretrò e si smaterializzò.
Rimasi a fissare il punto dove era appena scomparso, frastornata.
Capii che non era stato un addio, bensì un arrivederci.
Eppure, non riuscivo a liberarmi della sensazione di averlo perso.
 
Più tardi, quella notte, nel buio della stanza lo rividi, e c’era qualcosa in lui che la rischiarava, la illuminava a giorno; qualcosa che avrei ricordato a lungo negli anni a venire, che me lo avrebbe fatto sentire più vicino, nonostante nel frattempo se ne fosse andato per sempre; qualcosa di lui che non ho saputo trattenere, ma che mai potrò dimenticare: il sorriso.
 
 
 
Note:
Ciao a tutti!:)
Questo capitolo inizialmente voleva essere solo uno spezzone di vita quotidiana da Mangiamorte (per quanto la loro vita possa esserlo); poi però si è fatta largo l’idea di dare un risvolto significativo al dialogo con Regulus (anche perché non si tratta proprio di piccioncini qualunque) e, beh … ecco il risultato. Rileggendolo ho l’impressione che sia venuto piuttosto breve … vorrà dire che vi annoierete di meno ;)
Il tema del matrimonio si è inoltre rivelato interessante da trattare; il bello dello scrivere è che si può dar voce a punti di vista diversi, addirittura opposti, senza dover per forza condividerli o esprimere il proprio.
So di non aver creato un gran ritratto di coppia, ma ci tengo a specificare che è a causa del momento; non li immagino sempre così freddi e distaccati … per fortuna! ^^
La scelta della bacchetta è stata dettata dal legame speciale che ho con il salice, e ovviamente dalla mia palese preferenza per le fenici, una in particolare ;)
Infine, grazie ancora ad A., stavolta soprattutto.
Alla prossima! :*
 
  

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Capitolo 9
*** Non ancora ***


E’ accaduto.
Del tutto inaspettatamente e contro ogni probabilità di previsione, ma è accaduto.
All’improvviso e senza apparente ragione, ma è accaduto.
E’ accaduto e mi ha colta impreparata, proprio come le parole di Regulus tanti anni fa.
Non è stato un cambiamento repentino, bensì un processo lento e graduale; al punto che per molto tempo ho chiuso gli occhi, rifiutandomi con infantile ostinazione di accettare la verità.
Ma non mi reputo capace di mentire a lungo a me stessa, così alla fine ho dovuto ammetterlo.
Già da mesi il Marchio, che credevo ormai irrimediabilmente sbiadito, ha cominciato a mutare: l’immagine appariva via via più scura e definita, i contorni si delineavano con precisione, riacquistando l’inconfondibile sagoma di un teschio dalle cui fauci sbuca un serpente.
Ho tentato di convincermi che si trattasse di un’allucinazione, l’estrema, anche se sono libera da ormai più di due anni, o che la vista iniziasse a giocarmi brutti scherzi; speravo fosse così.
Ben presto, però, sono stata costretta a guardare in faccia la realtà.
‘Chi cerchi di prendere in giro?’ mi ripetevo scuotendo la testa, incredula e disperata.
A volte afferravo l’avambraccio sinistro e vi serravo intorno le dita in una presa ferrea, come tentando invano di rallentare, se non bloccare, la sua inesorabile avanzata.
Posso affermare con certezza di averlo sentito pulsare, in quelle occasioni, come che fosse vivo e profondamente adirato.
Non me ne capacitavo, eppure ero sicura che significasse una cosa sola: lui era tornato.
 
Man mano che ne prendevo coscienza, hanno iniziato  a profilarsi all’orizzonte tutti gli sconvolgimenti che ciò avrebbe comportato.
Lui sarebbe tornato, e dunque ci avrebbe rivoluti con sé. Ma ne ero davvero sicura? Ci avrebbe puniti, certo, chi per averlo tradito (e il mio pensiero corse rapido a Cissy, cui sarebbe toccato di assistere, impotente, alla tortura del marito), chi per aver perso la fiducia in un suo ritorno.
Forse ci avrebbe volentieri eliminati, ma non poteva. Perché? Semplice. Aveva bisogno di noi. Sarebbe stato indebolito dopo tredici anni di presunto vagabondaggio e, per quanto potente e forte dell’effetto sorpresa nei confronti della comunità magica, che certo non avrebbe previsto la sua ricomparsa sulle scene, che cosa sarebbe stato senza i suoi seguaci? Senza la più temuta e pericolosa setta di maghi oscuri che abbia minacciato il mondo da secoli?
Mi sono poi chiesta quanti sarebbero stati disposti ad arruolarsi nuovamente nelle sue schiere e su quanti, consci delle proprie mancanze, avrebbe invece avuto la meglio il terrore.
E io? Cosa ne sarebbe stato di me? Da che parte avrei scelto di stare?
Ho sospirato, rassegnata. In cuor mio, già lo sapevo. Era ciò che in tutti questi anni non avevo mai osato desiderare. Allo spaesamento iniziale, infatti, è subentrata quasi subito un’avida sete di rivalsa: la causa primaria di dieci anni di prigionia, della morte di Regulus e della mia stessa rovina; l’uomo che incarnava gli ideali per fedeltà ai quali ho rinunciato ad essere madre era tornato, avrebbe dichiarato guerra e mi avrebbe consentito di riprendere a combattere al suo fianco.
Mi sono presto resa conto di non stare aspettando altro: era l’occasione grazie alla quale avrei riscattato la mia vita, che avrebbe così finalmente ritrovato uno scopo. Già l’adrenalina mi scorreva nelle vene, pregustando quanto efficacemente avrei servito il mio Signore, quanto avrei potuto compiacerlo, infliggendo alle mie vittime il dolore che avevo patito io fino ad allora, quando all’improvviso un altro pensiero mi ha sfiorata.
Lei. La mia bambina.
Avevo accettato riluttante l’offerta di Silente solo per poterle stare accanto, e ora avrei dovuto dirle addio? Perché sarebbe stato così, vero? Non avrei più potuto vederla ogni singolo giorno, contemplarla da lontano senza rivelarmi, restando nell’ombra, in quella che è ormai diventata una dolce e irrinunciabile tortura …
E con Silente come avrei dovuto comportarmi? Avrei dovuto dichiarargli apertamente la mia fazione di appartenenza, per poi darmi alla fuga? Non sarebbe stato prudente, e ho sempre detestato la viltà d’animo. Inoltre, non avevo idea di come il mio Signore avrebbe agito – non ancora - ma dubitavo sarebbe uscito subito allo scoperto. A lei, però, non intendevo rinunciare, per nessuna ragione.
D’un tratto, ho fatto una cosa folle. E’ durata solo qualche istante; eppure, per quei brevi attimi, ho immaginato quel che sarebbe successo se invece avessi davvero giurato lealtà a Silente. Avrebbe significato tradire in tutto e per tutto la morale in cui credo, certo, e avrebbe vanificato ogni mio sacrificio e sofferenza.
Cosa ci avrei guadagnato allora? Protezione, questo me lo promise quando mi scarcerò; ma in fondo, Silente non avrebbe potuto nulla contro di lui, contro il mio Signore. Che mi avrebbe scovata e uccisa, senza dubbio. Ma forse avrei potuto vivere a fianco della mia bambina un po’ più a lungo …
 
Mi sono anche domandata se non fosse il caso di parlare a Severus, ma ho impiegato poco per escludere a priori una simile eventualità. Ignoravo le sue decisioni e non sapevo che atteggiamento assumere nei suoi confronti.
Avrei voluto confidarmi, capire se anch’egli si trovava nella mia stessa situazione d’incertezza, ma avrei corso rischi enormi. Temevo che la sua maturata fedeltà a Silente, a differenza della mia, fosse salda e sincera. Avrebbe avuto senso: non ho dimenticato le sue reazioni e i suoi presunti sentimenti verso la madre del ragazzo. In tal caso, un ritorno tra i seguaci dell’Oscuro Signore sarebbe stato impossibile. Ho concluso che non ci fossero dubbi sulla sua scelta; ma io?
Di nuovo, mi sono chiesta cos’avrebbe impedito, a me, di ricominciare con le vecchie abitudini. Non certo Silente, questo era fuori discussione. All’improvviso ho compreso quanto fossero fondate le sue preoccupazioni, quando mi venne a prendere ad Azkaban. Gli mentii, è vero, ma non immaginavo sarebbe successo; se gli avessi creduto, avrei preferito restare a marcire in quella cella, con almeno la certezza che lui sarebbe tornato. Ho anche capito, mio malgrado, che i Lestrange hanno sempre avuto ragione.
 
Sono settimane che questi interrogativi mi perseguitano. Sospiro, china sui compiti da correggere degli alunni. Questa volta il suo non c’è. Non ci sarà mai più, se sceglierò quella strada. Se seguissi il mio Signore, perderei la mia bambina, ma lei non lo saprà, e dunque non soffrirà; se lo rinnegassi, perderei la vita.
 
Dei colpi alla porta mi fanno sobbalzare.
‘Chi è?’ domando seccata.
‘Aurora, sono io’ mi risponde la voce di Severus.
Il mio cuore accelera i battiti: che cosa vuole? Perché proprio ora?
 
‘Ebbene?’ domando impaziente.
‘Il preside ci vuole nel suo ufficio tra dieci minuti. E’ urgente’
Silenzio.
Passi che si allontanano veloci; non ha nemmeno atteso una risposta.
Lo credevo a lezione, ma evidentemente la questione è davvero urgente.
Un presentimento improvviso mi raggela: no! Non può essere! Non così presto, dannazione! E come fa Silente ad esserne al corrente? Ma grazie alle confessioni di Piton, naturalmente!
Un impeto di rabbia mi annoda lo stomaco. Quel lurido traditore mi ha preceduto; prima che potessi decidere, ha mandato in fumo tutti i miei piani in un batter d’occhio.
La pagherà, senza dubbio. La pagherà cara. Lui e chiunque altro.
Nel frattempo, non mi resta che fingere. Nessun problema, la mia è una farsa quotidiana.
Furiosa ma decisa a mantenere il controllo, esco e mi avvio verso l’ufficio del preside.
 
 
Giungo davanti alla porta ed esito appena, la mano sospesa a mezz’aria. Inspiro a fondo, abbasso la maniglia ed entro risoluta.
Silente e Piton si voltano contemporaneamente verso di me; preoccupato il primo, irritato l’altro, forse per essere stato interrotto mentre confabulava in privato con il suo protettore. Oh, già, sono in anticipo! Desolata.
Inarco un sopracciglio, certa che m’intenderanno.
‘Vieni Aurora, Severus e io ti stavamo aspettando’ si fa avanti Silente, fingendo di non aver notato che di minuti ne saranno trascorsi due.
Rimango colpita nell’udire il tono della sua voce così insolitamente grave e concitato; non tenta nemmeno di camuffarlo.
Corrucciato, mi invita a sedere. Acconsento, atteggiando il viso a un’aria di curiosa perplessità.
Lui si dirige a grandi passi verso la propria scrivania, la aggira e prende posto sulla sedia dietro di essa, di fronte a me e Piton.
Congiunge le punta delle dita e alza lo sguardo al soffitto, come in cerca d’ispirazione.
 
‘Non credo ci sia bisogno di spiegarti il motivo per cui ti ho fatta chiamare’ si decide finalmente, continuando però a fissare un punto indefinito sopra la sua testa.
‘Il professor Piton mi ha già da qualche tempo informato dello strano fenomeno che sembra star interessando il suo Marchio Nero’ prosegue, contraddicendosi palesemente.
‘Puoi confermare?’ mi chiede a bruciapelo.
Rifletto fulminea: mentire non servirebbe a nulla, lo insospettirei solo.
 
‘Se intendi dire che sta tornando nitido, allora sì, posso confermartelo’ dichiaro in tono piatto.
Ho tutti i sensi all’erta; una sola battuta sbagliata, e perderei l’opportunità prima ancora di poterla cogliere.
 
‘Come immaginavo’ riprende Silente.
‘Vedi, sempre attraverso il tuo collega ho appreso che anche uno dei giudici del Torneo Tremaghi nonché vostro antico compagno di imprese, Igor Karkaroff, sta assistendo alla metamorfosi del proprio Marchio. Ora’ prosegue, non lasciandomi presagire nulla di buono.
‘io non intendo sorvolare sul fatto che, pur avendolo notato e avendo senza dubbio compreso, dato il tuo acume, cosa stava succedendo, tu non me l’abbia detto’ conclude, nell’attimo in cui i suoi limpidi occhi azzurri incontrano finalmente i miei.
La sensazione è quella di trovarsi in una prigione di cristallo, di cui non sembra esistere l’uscita.
 
‘Tanto più che il nostro concorrente inaspettato, Harry Potter, che con la competizione non avrebbe dovuto aver niente a che fare, si è trovato già diverse volte in pericolo di vita. La decisione stessa di ammetterlo al Torneo è stata un inequivocabile e astuto tentativo di eliminarlo.
‘Ne ignoro il responsabile diretto, ma posso immaginarne il mandante’ aggiunge, senza nascondere l’ira protettiva che questa faccenda deve avergli infuso.
Capisco subito dove vuole arrivare e lo precedo, o forse semplicemente lo accontento.
 
‘No, Silente, non è come pensi. Suppongo cosa tu tema, e voglio rassicurare te e al tempo stesso scagionare me da una simile accusa. Non ti ho parlato del Marchio, è vero, ma solo perché anch’io, inizialmente, mi rifiutavo di crederci.
‘Fingere che un problema non esista non è il modo di risolverlo, eppure è ciò che ho fatto io, col pretesto che non ci fosse nulla di sicuro. Dobbiamo ringraziare Severus, certo’ e così dicendo inclino il capo nella sua direzione.
‘ma anche biasimare Karkaroff, dunque, e interrogarci sul suo conto. Ha commesso il mio stesso errore o ha taciuto per una ragione ben precisa?’ m’infervoro.
‘E’ paura, la sua,o coinvolgimento in una congiura volta, come sostieni tu, a levar il ragazzo di torno? Rifletti, Silente. Che motivo avrei avuto di agire, con un così alto rischio di venire scoperta, per un padrone che ritenevo morto e sepolto?’
Mi fermo e riprendo fiato, dando loro modo di comprendere appieno le mie parole.
 
‘Karkaroff non c’entra nulla con questa storia’ interviene Piton pacato.
‘Il suo stesso Marchio lo terrorizza, è chiaro che non se lo aspettava’
‘Come sai che non sta recitando una parte?’ incalzo con eccessiva avventatezza; ma sono decisa a dimostrare infondati i loro sospetti sul mio conto.
‘Come sappiamo che non la stai recitando tu?’ ribatte lui imperturbabile, un guizzo d’ilarità nei cupi occhi scuri.
Di nuovo? Di nuovo ti prendi gioco di me, viscido? Ah, ma non te lo permetterò.
Incrocio le braccia sul petto e lo fisso, tenendogli testa. In fondo, non ho nulla da nascondere. Non ancora.
 
‘Perché di Karkaroff non avete avuto notizie per anni; io, invece, dopo Azkaban sono sempre rimasta qui, sotto stretta quanto inutile sorveglianza’ spiego tranquilla, come un’alunna che non teme l’interrogazione poiché sa di aver studiato.
Nessuno di noi due sembra intenzionato ad interrompere il contatto visivo; è una questione di orgoglio, prima di tutto, e fermezza d’animo.
 
‘Aurora ha ragione, su Karkaroff sappiamo poco, io ancora meno di voi’ s’intromette Silente, ed entrambi ci voltiamo verso di lui.
‘Ad ogni modo, è improbabile che sia lui il responsabile. Non disponiamo di prove attendibili, e comunque lo scopo del nostro incontro non è un’indagine sul Torneo Tremaghi’ sentenzia, e capisco così che, almeno per ora, la questione è chiusa.
Un senso di sollievo mi pervade, ma è fugace.
 
‘Vi ho convocati qui perché abbiate le idee chiare su come comportarvi, quando ne sarà il momento’ riprende Silente austero.
‘Sappiamo bene che Voldemort – non mi farò scrupolo di chiamarlo così, tantomeno in vostra presenza – si appresta a tornare, e ciò significa inevitabilmente lo scoppio di una guerra’ dichiara in tono grave, ponendo così fine una volta per tutte alle mie speranze.
‘Voglio che siate pronti a combattere senza rimorsi contro quelli che un tempo erano il vostro padrone e i vostri compagni. Voglio che non esitiate a difendere questa scuola, degna di essere chiamata roccaforte,e tutti coloro per cui rappresenterà l’ultimo baluardo di salvezza. In breve, voglio potermi fidare di voi’
 
Annuisco attenta; Piton, al mio fianco, fa altrettanto.
 
‘La lealtà che avete giurato a Lord Voldemort ora dovrete rivolgerla all’intero mondo magico e non solo, un mondo fatto anche di Babbani e Mezzosangue’ sottolinea, inarcando le sopracciglia.
‘Ho la vostra parola?’ domanda fatidico dopo una breve pausa.
‘Sì, certo’ mi affretto a rispondergli.
Troppo precipitosa. Mi mordo la lingua, ma Silente sembra soddisfatto.
La sua fiducia nei miei confronti mi sbalordisce; probabilmente ha riflettuto e concluso che il desiderio di rimanere accanto a mia figlia mi avrebbe tenuta lontana da una possibile ricaduta verso il Lato Oscuro.
Tanto meglio. E’ esattamente ciò che intendo fargli credere. Quello che ignora è che non l’ho mai davvero abbandonato…
 
‘Severus?’ esorta, volgendosi verso il mio collega.
‘Hai la mia parola’ mormora lui laconico.
 
‘Bene. Molto bene, perché è proprio sulla vostra antica fedeltà a Voldemort che intendo far leva, oltre che sulle vostre prodigiose capacità da Occlumanti’
 
Sulle prime lo fisso interrogativa, poi comprendo. E in un attimo, l’intero suo progetto mi appare semplice e geniale; mi rendo conto inoltre di possedere un notevole vantaggio, dato che lui invece è ancora all’oscuro del mio, e spero vi rimarrà.
 
‘Il compito che vi sto affidando è delicato, estremamente pericoloso e di fondamentale importanza. Ho bisogno che, quando Voldemort vi convocherà, rispondiate alla chiamata e andiate da lui; vi fingerete desiderosi di tornare a servirlo, fingerete che la vostra lealtà sia rimasta intatta e che la ragione del vostro tempo trascorso qui sia stata solo comodità personale’
 
Trattengo il fiato, impaziente, senza lasciar trapelare alcun indizio della sensazione di potere che m’invade: è tutto talmente perfetto, talmente propizio alla realizzazione del mio piano, che temo di vederlo andare in fumo a causa anche di un solo, malaugurato dettaglio.
Tirerò un sospiro di sollievo soltanto quando ci avrà congedati entrambi.
 
‘Se non erro, Severus, fu proprio Voldemort ad ordinarti di infiltrarti come spia qui ad Hogwarts’ rammenta Silente.
E’ vero, lo ricordo anch’io, ma allora non immaginavo certo sarebbe passato dalla sua parte.
 
‘Lui è il più abile Legilimens del mondo magico’ replica Piton, cambiando discorso.
Sembra contrariato.
‘Non puoi chiedermi una cosa simile’
‘Vorrà dire che voi diventerete i più abili Occlumanti’ ribatte Silente impassibile.
‘E se non andasse così? Se rimanessimo uccisi mentre cerchiamo di diventarlo?’ continua l’altro, incapace di frenare il proprio sarcasmo.
 
‘Hai promesso, Severus. Sai a cosa mi riferisco’ taglia corto Silente, guardandolo fisso.
Oh, sì, lo so anch’io a cosa ti riferisci, vecchio.
E saranno guai per te, viscido traditore, quando sarò io a riferirlo a lui.
 
‘Quanto a te, Alfa …’
Rimango sconcertata nell’udirlo usare di nuovo il mio vero nome, dopo così tanto tempo.
‘… chi avrebbe rifiutato un’occasione per uscire finalmente da Azkaban?’
Chi avesse avuto davvero fiducia nel proprio Signore. Ma non importa, a tempo debito egli saprà perdonarmi.
Silente mi sorride bonario.
Non m’inganni, vecchio. So bene quanto possa diventare pericoloso quel tuo sorriso. Ed è perciò che con te non abbasserò le difese, mai.
Non lo farò nemmeno con lui. Potrà scoprire di questo colloquio, se vuole; anzi, ci riuscirà senza dubbio. E’ di Cornelia che non dovrà sapere, per nessuna ragione. Non sopporterei che la usasse come arma per punire me.
 
Ricambio il sorriso.
‘Non sarà un problema, Silente’ lo rassicuro.
‘Ne dubito. Affronterete molte minacce, ma è inutile che ve lo ripeta; conoscete quel mondo assai meglio di me, suppongo. Mi auguro che non vi tiriate indietro, quando ne sarà il momento. Ricordate, il vostro contributo vale anche più del rischio che correte. Conto su di voi’ conclude solenne.
Ci indirizza un cenno, come a voler educatamente intimarci di andare.
Piton e io ci alziamo e, senza una parola, lasciamo il suo studio.
Non perdere troppo tempo a riflettere, vecchio: ho la sensazione che te ne resti poco.
Approfittane, impiegalo meglio che puoi, finché puoi.
La rovina non tarderà a giungere, e ti coglierà alla sprovvista, tendendoti un agguato alle spalle.
Ti proteggeresti, se lo sapessi? Naturale. Ci tieni alla pelle. Eppure rimani a crogiolarti, illuso, nella tua beata ignoranza, perché non immagini, non sai. Non ancora.
 
 
 
 
L’oscurità mi avvolge; non riesco nemmeno a capire dove mi trovo.
Rabbrividisco stringendomi nel mantello e cerco di allontanare il ricordo di Azkaban, anche se mai come ora mi perseguita senza pietà.
‘Andiamo’ sussurra Piton, da qualche parte alla mia sinistra.
M’incammino insieme a lui, diretta verso l’ignoto; come quando ci siamo materializzati, un attimo fa, è il Marchio vivo e pulsante a guidarci.
A poco a poco, però, i miei occhi si abituano al buio; sagome lunghe e spesse cominciano a delinearsi intorno a me. Dopo qualche istante comprendo che si tratta di lapidi.
Proseguiamo a passo spedito lungo il sentiero di quello che evidentemente è un cimitero e, in quanto tale, appare deserto.
Logico, nella maggior parte dei casi, ma non nel nostro. Qualcosa non va. Dovrebbe essere qui, vicinissimo.
Piton sembra essere stato colto dal mio stesso pensiero: si arresta titubante e fiuta l’aria.
‘C’è odore di sangue …’ sentenzia lugubre.
Eppure il ragazzo non sembrava aver riportato gravi ferite …
Poi le vedo: numerose figure ammantate di nero e incappucciate emergono dall’oscurità e si dirigono verso di noi. D’impulso, mi domando se ci abbiano riconosciuti.
Decido di precederli, al fine di evitare pericolosi equivoci.
 
‘Desideriamo poter parlare con il nostro Signore’ esordisco, forte e chiara.
Silenzio.
‘Chi siete?’ replica una voce d’uomo.
Sussulto. Lucius. Ma come, non mi riconosci? Proprio tu?
 
‘Alfa Centauri e Severus Piton’
Fremo, in attesa del responso.
Quasi subito, però, il gruppetto si scosta per lasciar passare una figura più sottile, alta e imponente di quelle che la circondano.
Man mano che si avvicina, ne distinguo con maggior chiarezza il profilo e i contorni del viso: diafano, pallido al punto che sembra quasi emanare una sorta di bagliore perlaceo.
Ma non è ciò che cattura la mia attenzione; le narici, noto infatti con orrore, sono ridotte a fessure serpentine, le labbra e i capelli scomparsi, le pupille verticali, mentre le iridi hanno assunto un colore rossastro.
Tremo, come se fosse un teschio, e non il mio Signore, a starmi dinnanzi. Invece è proprio lui. Il mio Signore. E la soggezione che m’incute non è cambiata … non ancora.
 
‘Alfa e Severus … ma che piacevole sorpresa’ esclama in un sibilo acuto, ponendosi esattamente di fronte a noi e scrutandoci con quei suoi occhi così inquietanti.
Pare in attesa di qualcosa.
Per qualche secondo lo fisso come pietrificata, poi mi riscuoto e m’inginocchio ai suoi piedi, chiedendomi perché diamine non ci avessi pensato prima.
Mi accorgo che anche Piton se n’era dimenticato, e deduco che lo stupore avesse avuto la meglio su entrambi.
 
‘Così va meglio’ conviene il nostro Signore, soddisfatto.
‘Ora, ditemi … quale contrattempo ha fatto sì che arrivaste solo adesso? Ah, già … dimenticavo che mi sto rivolgendo a due membri del corpo insegnante di Hogwarts. Devo ritenermi fortunato a poter incontrarvi …’ infierisce con diabolico sarcasmo.
Come lo sa? Come sa che sono finita ad Hogwarts? Non può avermi letto la mente in un così breve lasso di tempo; tanto più che ora ho il capo chinato.
Dunque sarà stato informato … ma da chi?
 
‘Mio Signore, non insinueremmo mai nulla di simile’ tenta di riparare Piton, fingendo di non aver compreso la domanda retorica.
Grave errore. Il nostro Signore irrompe in una risata selvaggia che mi ghiaccia il sangue nelle vene.
‘ “ Non insinueremmo?” Parla per te, Severus: fui io a volerti insegnante ad Hogwarts. Lo stesso però non si può dire della tua fedele amica … non è vero, Alfa? O forse dovrei chiamarti Aurora?’
Inorridisco, ma lotto con tutte le mie forze per mantenere i nervi saldi.
 
‘Aurora Sinistra è il nome con il quale sono conosciuta ad Hogwarts: una copertura, nulla di più’ rispondo cauta, sondando il terreno.
Mentre parlo, so di star proclamando solo e soltanto la verità; l’ho sempre saputo: io sono e rimarrò Alfa. Ma lui mi crederà?
 
‘Una copertura …’ soppesa assorto le mie parole; le maneggia con crudele, impeccabile abilità, per poi ritorcermele contro e inchiodarmi al muro, sconfitta.
‘Fino a quando sei rimasta ad Azkaban, Alfa?’
Di nuovo, mi chiedo di quale infido informatore si sia avvalso.
 
‘Fui imprigionata nel 1982. Due anni fa Silente si presentò alla mia cella per propormi un impiego nella sua scuola. Ero convinta che non sareste tornato più, mio Signore, al punto da accettare persino l’invito del mio peggior nemico pur di uscire da quell’inferno …’
Riprendo fiato, angosciata.
‘Perdonatemi, mio Signore. So di aver sbagliato perdendo fiducia in voi … eppure, a quanto pare, non sono stata l’unica’ aggiungo, con la sgradevole sensazione di aver appena firmato la mia condanna a morte.
Tuttavia, non ho potuto farne a meno: come può aver assolto Lucius ed essere adirato con noi?
 
‘Perdono … Tu domandi il mio perdono. Davvero te ne reputi degna? Quali onori dovrei dunque riservare ai miei Mangiamorte che tuttora sono rinchiusi ad Azkaban? E quali all’unico di voi, pur se per paura, che è venuto a cercarmi?’
Alzo lo sguardo, incapace di trattenere la curiosità.
Lui nota la mia espressione perplessa e sorride divertito.
‘Vuoi sapere di chi si tratta, Alfa? Codaliscia’
Lo fisso costernata. Ecco chi ha parlato … ma come poteva sapere?
 
‘Proprio lui’
Accenna ad un ometto basso e tozzo, seminascosto dal resto del gruppo, sul cui viso si fa strada un’aria di compiaciuto trionfo.
La pagherai, anche tu. In qualunque modo sia riuscito a passargli quelle notizie, feccia umana, la pagherai.
 
‘E ancora, come mi suggerisci di trattare, dall’alto delle tue competenze, il mio fedele servo che, dopo essere entrato in contatto con me, è riuscito ad infiltrarsi a Hogwarts e a portarmi il ragazzo, che pure mi è ancora una volta sfuggito?’
In alcun modo, temo: Barty Crouch si trova infatti in uno stato d’incapacità perenne di intendere e volere, in quanto appena sottoposto al Bacio dei Dissennatori.
Ma lui ancora non lo sa.
 
‘Tu hai ceduto, Alfa. Hai tradito il tuo Signore’ prosegue in un sussurro, preludio sicuro di un’esplosione d’ira.
Si sbaglia, ma mi rifiuto di credere che voglia davvero sbarazzarsi di me, quando invece ha risparmiato gli altri infedeli.
 
Crucio!’ sibila d’un tratto.
Non ero preparata. Il dolore giunge improvviso, acuto, straziante.
Mi accascio a terra e nello stesso istante un grido mi sfugge dalla gola.
Non m’interessa; prego solo che la faccia finita in fretta.
Poi, così com’era iniziata, la tortura termina.
Rialzo il viso; ora che ho riacquistato lucidità, subentra la vergogna.
 
‘Mio Signore …’ imploro tuttavia, poiché so che è l’unico modo: sottomissione completa.
‘Sì?’
‘Vi prego …’ gemo disperata.
‘Non mi pregare’ è la fredda risposta.
‘Non cercare il mio perdono. Nessuno sarà perdonato. Rammentate, nessuno qui è veramente degno dell’Oscuro Signore’ proclama, volgendosi verso gli altri che nel frattempo sono rimasti a guardare, muti e subdoli spettatori.
‘Che questo vi serva da lezione … Crucio!’
Stavolta ero pronta. Serro gli occhi, conficco le unghie nel terreno umido e fangoso, mi mordo la lingua fino a farla sanguinare, ma non cedo.
 
Finalmente, dopo un tempo che pare interminabile, il nostro Signore leva la bacchetta e pone fine all’agonia.
Stordita dal torpore, ho appena il tempo di notare che anche Piton questa volta ha subìto la mia stessa punizione.
 
‘Alzatevi’ ci ordina imperioso.
Mi sollevo in piedi, barcollante, e attendo.
Non appena mi accorgo che si accinge a leggermi la mente, mi scopro indecisa se maledirlo o ammirarne l’infallibile tattica di indebolire la vittima prima di farne uso, cosicché non possa più opporre resistenza.
Ancora una volta, si sbaglia. Sostengo imperterrita il suo sguardo. Il mio obiettivo è delicato e rischioso: respingerlo, ma senza che se ne accorga, lasciandogli vedere solo ciò che voglio.
Sono gli istanti più lunghi della mia vita, ma infine, stremata, scorgo un ghigno compiaciuto apparire sul suo volto.
Trattengo il fiato.
 
‘Bene bene … dunque è stato Silente ad ordinarvi di tornare ..’
‘Questa è la sua versione’ mi affretto a precisare, pur sapendo che non ce ne sarebbe bisogno: certamente ha visto la lealtà nella mia anima.
Non mi preoccupo nemmeno di Piton: si convincerà che tali parole siano state necessarie e crederà che io abbia solo voluto essere credibile, quando invece è con lui e Silente che fingo.
 
‘Naturalmente … E intende usarvi come spie. Il povero vecchio ignora che vi ordinerò di fare altrettanto … ma che sarà per me che agirete davvero’
Sospiro di sollievo: non sa di Cornelia, posso stare tranquilla. E’ questo l’importante, tutto il resto può attendere.
Con mio grande stupore, però, non sembra riscontrare nulla di sospetto neppure nella mente di Piton … Vuol farmi credere di essere riuscito ad ingannarlo? O mi ero sbagliata sul suo conto e ci è davvero fedele?
Decido di aspettare a parlarne con il Signore Oscuro e tantomeno a fidarmi di lui; le reciproche prese di posizione potrebbero rivelarsi cruciali.
La guerra è appena iniziata, e la consapevolezza di giocare un ruolo fondamentale si fa pian piano strada in me, giungendo fin nel profondo e risvegliando quell’antico sentimento di orgoglio e potere che credevo ormai sopito.
Continuerò a servire il mio Signore, ora lo so.
Non è arrivato il giorno in cui rinnegherò lui e miei ideali. Non ancora.
 
 
 
Note:
Ciao a tutti! J
Dunque, ad essere sincera credevo che ci avrei messo di più ad aggiornare, quindi sono anche abbastanza soddisfatta. Ne ha forse risentito un po’ la seconda parte del capitolo, che rimane in sospeso, ma altrimenti sarebbe diventato davvero troppo lungo.
Con questo siamo, direi, entrati nel vivo dell’azione, se così voglio azzardarmi a chiamarla …
Aggiungo che le parole di Regulus alle quali Alfa fa riferimento all’inizio sono quelle dello scorso capitolo, ovvero la proposta di matrimonio.
Spero di non aver tralasciato nulla … a presto!
Fanny
 

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Capitolo 10
*** Sola ***


Resterò fedele al mio Signore, qualunque cosa accada.
Ricordo bene il giorno in cui maturai questa convinzione, tuttora rimasta immutata.
Era una squallida e piovosa mattina di novembre; me ne stavo seduta ad un tavolino intarsiato in legno di noce e dalle gambe leggermente storte, gettando di tanto in tanto un’occhiata fuori dalla finestra a cui era accostato.
Mi era sempre piaciuto quel tavolo: era un angolo ideale da cui osservare, non visti, il mondo circostante.
Quella mattina, in particolare, non riuscivo a distogliere lo sguardo dalle gocce di pioggia che tracciavano lunghe scie sulla vetrata, simili in tutto e per tutto alle lacrime che da ore ormai mi rigavano le guance.
Mi ero alzata all’alba, dopo una notte pressoché insonne; avevo sentito odore di pioggia nell’aria e volevo averne la conferma.
Era un fenomeno che mi affascinava profondamente, quasi come il manto stellato; da bambina mi piaceva pensare che fossero le lacrime del cielo.
Sospirando, riempii nuovamente il bicchiere che mi stava davanti, lo portai alle labbra e inghiottii d’un fiato il liquore che conteneva.
Speravo mi avrebbe aiutata a dimenticare, facendomi scivolare in quel tanto desiderato oblio che pure stentava a venire.
 
“Ecco dov’eri finita” esclamò, senza vivacità alcuna, una voce alle mie spalle.
 
Mi voltai, lievemente intimorita, vergognandomi come una bambina sorpresa a rubare le caramelle.
 
“Buongiorno, Cissy. Come mai in piedi così presto?” le chiesi, tentando invano di assumere un tono noncurante.
 
Lei inarcò le sopracciglia, sfoderò un’aria scettica e avvicinò una poltrona alla mia, sedendosi a sua volta.
 
“Potrei rivolgere a te la stessa domanda” replicò.
 
Finsi di non aver colto il rimprovero implicito nelle sue parole: non potevo permettermelo.
 
“Io mi alzo sempre all’alba, dovresti saperlo”
 
Non appena udii il profondo sospiro di Cissy, capii di non essere stata abbastanza convincente.
 
“Tu hai iniziato ad alzarti all’alba da due settimane a questa parte, ossia da quando sei venuta a stare qui. Smettila di prendermi in giro, Alfa. Ti conosco, più di quanto tu non creda. Non puoi continuare così” aggiunse, abbassando lo sguardo sulla bottiglia di Whisky Incendiario, vuota per metà, poggiata accanto al calice di cristallo.
 
Chinai il capo. Ultimamente ero diventata tanto remissiva che stentavo a riconoscermi.
La maternità invece aveva reso Cissy più consapevole e sicura di sé; l’aveva cambiata a fondo, glielo si leggeva nello sguardo: uno sguardo nuovo, acceso di una luce viva e potente.
L’esatto contrario del mio.
 
“So quello che provi” continuò, prendendomi dolcemente una mano.
“So che stai soffrendo e vorrei poterti aiutare, perché mi si stringe il cuore a vederti ridotta in questo stato”
 
Nemmeno il fatto di essere compatita, seppure da un’amica, riusciva a scuotere la mia dignità.
 
“Ascoltami, Alfa. Io sto male quanto te: Regulus era anche mio cugino, non dimenticarlo …” aggiunse in un flebile sussurro.
 
Ottenne l’effetto sperato.
Di colpo mi resi conto di quanto egoista e ottuso fosse il mio comportamento: chiusa com’ero nel mio dolore, l’idea che anche qualcun altro potesse piangere la perdita di Regulus non mi sfiorava neppure.
Provai disgusto per quella mia sfacciata indifferenza e mi domandai come facesse Cissy a sopportarmi, a confortarmi persino.
Lei era forte, ecco perché. Molto più di me. E soprattutto, non si trovava nella stessa, disperata situazione.
 
Mi voltai e le rivolsi un sorriso mesto.
 
“Lo so, Cissy. Non l’ho dimenticato” mentii.
“Ma tu ce la farai. Hai Lucius. Hai tuo figlio. A me invece non è rimasto nessuno” aggiunsi con voce rassegnata.
 
Lei mi afferrò con veemenza le spalle.
 
“Come sarebbe a dire ‘non mi è rimasto nessuno’?” proruppe indignata.
“Hai me! Guardami, Alfa. Guardami! Sono qui per te”
 
La guardai davvero e gli occhi mi divennero lucidi.
Avevo sempre sospettato di non meritarla; ora capivo che la vita mi aveva posto al fianco quell’angelo proprio perché mi aiutasse a far fronte alle disgrazie.
Ma la vita sbagliava: questa volta non ne sarei uscita.
 
“Capisco se dici che è difficile, lo è anche per me, specie in questo periodo, ma dobbiamo cercare di guardare avanti. Oltre” tentò di motivarmi.
 
“Lo so, Cissy, ma … io non ce la faccio. Non sono come te” gemetti sull’orlo delle lacrime.
 
“Sei meglio di me, infatti. Sei come ho sempre desiderato diventare, prime che accettassi i miei limiti e imparassi a valorizzare le mie qualità. Ma non ho mai smesso di ammirarti, Alfa. E ora che sei tu ad avere bisogno di me, farò tutto ciò che posso perché superi questo momento” dichiarò in tono appassionato.
“Sono sicura che ce la farai, è solo questione …”
 
“No, Cissy, non è solo questione di tempo” la interruppi, incapace ormai di trattenermi.
 
“Ma …” iniziò lei, ostinata.
 
“Aspetto un bambino, d’accordo?” mi scappò detto, senza quasi rendermene conto.
 
Quel che ne seguì fu un’indescrivibile sensazione di sollievo e angoscia al tempo stesso.
Non ne avevo ancora parlato con nessuno e sentivo di essermi finalmente liberata di un tormento, eppure adesso temevo le conseguenze che quella mia rivelazione avrebbe scatenato.
Si fece silenzio.
Cissy taceva, sgomenta. I suoi occhi chiari erano colmi di stupore, paura e qualcos’altro che interpretai come pietà.
Ora so che invece si trattava di puro e semplice affetto; un affetto sincero, disinteressato, unico: il suo affetto.
 
Mi abbracciò, incapace di proferire parola. Fu allora che cessai di lottare contro le lacrime e lasciai che fuoriuscissero, mescolandosi alle sue.
Non so quanto a lungo rimanemmo così, avvinghiate l’una all’altra, ma avrei desiderato non sciogliere più quella stretta.
 
“Da quanto tempo lo sai?” mi chiese a un tratto lei, scostandosi con delicatezza.
 
“Ne ho avuto la conferma in questo periodo. Lo sospettavo da almeno due mesi” mormorai debolmente.
 
“Perché non me l’hai detto prima?” insisté lei, amareggiata.
 
“Non ne ero sicura … Speravo di sbagliarmi” ammisi stringendomi nelle spalle.
 
Quello di mentire a me stessa è un vizio che mi concedo da sempre, un errore nel quale ricado continuamente, pur avendone pagato care le conseguenze.
 
“Che cosa hai intenzione di fare?” s’informò Cissy.
 
Una domanda che bastò a farmi precipitare nell’insicurezza e nel terrore più totali.
Compresi che ero sola, sola davvero, nonostante lei si trovasse lì, al mio fianco.
E di fronte a me, l’ignoto.
 
“Non lo so … Non ne ho la più pallida idea …” confessai, appoggiando la testa alla sua spalla come un cucciolo smarrito.
 
Lei fortunatamente comprese che era un punto di riferimento, e non un punto interrogativo, ciò di cui avevo bisogno.
 
“D’accordo. Troveremo insieme una soluzione” sussurrò accarezzandomi i capelli.
“Quando hai previsto che nascerà?”
 
“Ad aprile”
 
“Aprile … Uhm … Mi piace. Amo la primavera. Voglio dire, dev’essere triste venire alla luce e fare subito la conoscenza del freddo, non trovi?”
 
Annuii in silenzio.
“Cissy?”
 
“Sì?”
 
“Il fatto è che per allora non riesco nemmeno ad immaginare quel che sarà accaduto. Fra sei mesi potremo persino non esserci più, date le circostanze” obiettai, riacquistando un po’ di lucidità.
 
Lei s’irrigidì.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, Alfa. Non mi piace parlare di queste cose; ne faccio volentieri a meno, se posso”
 
“Ma è la verità, Cissy! Rifletti: il Signore Oscuro è stato sconfitto e non sappiamo se, come, né quando tornerà. Nessuno lo aveva previsto e nessuno riesce a spiegarselo, ma è successo.
Lui è perduto. Siamo noi i protagonisti, ora. Siamo tanti ma dispersi, e neppure ci conosciamo gli uni con gli altri. Se voleva dividerci per evitare che fra noi si venisse a creare un’alleanza, o anche una semplice intesa, be’, ci è riuscito! Lo capisci questo, Cissy? Sai cosa significa?”
 
Lei mi fissò implorante, ma io continuai imperterrita, anzi con maggior vigore.
 
“Significa che il nostro capo, la nostra guida, il nostro unico padrone è stato e rimarrà soltanto lui. Ora che non c’è più, ci sentiamo smarriti, spaesati. Tutti quanti. Non sappiamo dove sbattere la testa, brancoliamo nel buio. Senza di lui non siamo nulla: senza il loro Signore, i Mangiamorte cessano di esistere”
 
“Il guaio è che ognuno reagirà in maniera diversa” ripresi.
“Immagina tu stessa: i vili, i deboli cercheranno una scusa, si fingeranno pentiti e forse otterranno la grazia. Quasi sicuramente i furbi scapperanno altrove, per ricominciare una nuova vita lontano da qui. I veri Mangiamorte invece avranno il coraggio delle loro azioni; combatteranno sino alla fine e, se vinti, preferiranno il carcere, la morte persino, alla rinnegazione della propria morale”
 
“Alfa …” cominciò Cissy con voce tremante.
“Alfa, capisco a cosa alludi. Vuoi sapere quel che farà Lucius? Bene, te lo dirò. Non ho paura a parlarne con te. Lui è sempre stato fedele all’Oscuro Signore, ma in questo momento ha altre priorità: una famiglia, da mantenere e proteggere. Non sarò certo io a fargli cambiare idea, come non sarai tu né chiunque altro. Per ottenere che cosa, poi? Che finisca i suoi giorni in una cella ad Azkaban, lasciando me e Draco soli? No, Alfa. Non se ne parla”
 
“Continuerà a nascondersi, allora? Spera di fuggire in eterno?” ribattei provocatoria.
 
“S’inventerà qualcosa” fu la debole risposta, a cui fece seguito una pausa sospesa.
 
“Mentirà, se necessario; non m’interessa. Non voglio perderlo” soggiunse poi, infondendo un tale ardore in quelle poche, pacate parole da darmi i brividi.
 
Con quanta intensità Cissy amava suo marito, e suo figlio. Io ne sarei stata capace?
Probabilmente no. Non avevo saputo rendere consapevole della sua importanza nemmeno colui che significava tutto per me; l’avevo anzi lasciato scappare, indifferente e insensibile alle sue mute richieste d’affetto.
Quello era senza dubbio il mio più grande rimpianto: non essere stata sincera con Regulus, non avergli mai detto quanto l’amavo. Tutto per futili e assurde ragioni d’orgoglio.
 
Alle volte mi coglieva il sospetto che potesse persino aver cercato la morte, spinto dalla disperazione.
Subito dopo mi davo dell’arrogante e dell’egocentrica, convincendomi che non fosse vero; eppure quell’idea mi attanagliava senza tregua.
Forse l’aveva fatto inconsciamente, ma pur sempre a causa mia: convertendosi a credenze sbagliate, per esempio. Le stesse che lo avrebbero condotto alla rovina.
Il nostro Signore, infatti, pochi giorni prima di sparire ci aveva informati della sua morte, definendolo ‘un traditore’.
Da allora il timore di esserne stata la causa non mi aveva più dato pace.
 
“E tu?” soggiunse Cissy, interrompendo il flusso impetuoso dei miei pensieri.
“Tu che cosa hai intenzione di fare?” ripeté, guardandomi dritta negli occhi.
 
La fissai a mia volta, calma.
Ero preparata a quel momento; sapevo che sarebbe arrivato e sentivo, ora, di poterlo sostenere.
Non era sempre stato così: il periodo intero che lo aveva preceduto era stato un susseguirsi d’incertezze, dubbi, paure, continui ed effimeri cambi di rotta.
L’aver stabilito un piano d’azione, seppur vago, rappresentava per me un importante traguardo e, in un certo senso, m’infondeva una relativa sicurezza.
 
“Non ho le idee chiare su questo punto. Di certo, però, non voglio contraddirmi”
 
“Spiegati meglio” m’incitò, corrucciata.
Inspirai a fondo.
 
“Ascolta, Cissy. Sono diventata Mangiamorte perché credevo in ciò che facevo, e nel mio Signore. Indipendentemente dal fatto che non sappiamo se tornerà, l’ultima cosa che voglio è comportarmi da vile. Detesto l’ipocrisia, lo sai. Non sarei mai capace di proclamarmi pentita davanti all’intero Wizengamot, pur di garantirmi la libertà” risposi, sperando bastasse.
 
Cissy mi lanciò un’occhiata avvilita.
 
“Sembri mia sorella” commentò.
 
Arricciai il naso.
Non mi andava a genio quel paragone; tralasciando il fatto che il tono con cui l’aveva espresso la diceva lunga, avevo sempre considerato Bellatrix come una persona estremamente diversa da me.
Potevano accomunarci soltanto la dedizione con cui affrontavamo la nostra missione, e l’affetto che nutrivamo per Cissy.
Per il resto, avevamo caratteri differenti e incompatibili: alla sua aggressiva impulsività io contrapponevo una lucida ma non meno crudele ragionevolezza.
Eravamo due rette parallele, due individui che procedevano su piani separati ma che rischiavano comunque di entrare in rotta di collisione da un momento all’altro.
Nonostante questo, il rapporto che entrambe avevamo con Cissy non era causa di rivalità fra noi, forse anche perché ognuna occupava i propri spazi, rivestendo ruoli diversi e ben definiti: sapevamo che amicizia e legami di sangue non erano affatto la stessa cosa, che la sincerità dell’uno quanto dell’altro non erano scontate, e che spesso potevano coesistere.
Ormai da tempo ognuna di noi si era rassegnata a quella situazione, anche perché Cissy aveva lo straordinario dono di far sentire tutti importanti e, a loro modo, speciali.
Di rado entravamo in aperto conflitto l’una con l’altra; semplicemente, ci ignoravamo.
 
“Non dire così” la redarguii.
“Sai che non è vero”
 
“ E perché?” incalzò lei.
 
“Perché abbiamo personalità opposte, prima di tutto, e …”
 
“Ah, sì? In questo vi somigliate molto, però” continuò perentoria.
 
“ ‘Questo’ cosa?” chiesi, pur se già intuivo la risposta.
 
“Il fanatismo che dimostrate per il vostro Signore, e per la vostra cerchia. Qualcosa che vi manda letteralmente fuori di testa, facendovi dimenticare che esistono delle  persone attorno a voi” concluse, con frustrata soddisfazione.
 
“No, Cissy, ora basta. Io credo in ciò che faccio, ma non al punto da trascurare gli altri … quelli di cui m’importa, s’intende. Non ti permetto di insinuare nulla del genere” ribattei offesa.
 
Improvvisamente, però, non ne ero più convinta neanch’io.
Davvero mi dimenticavo degli altri? Li relegavo in un angolo, per far spazio all’ambizione?
Forse non ero rimasta sola. Forse lo ero sempre stata.
 
“Dimostramelo, allora!” mi provocò lei.
“Scagiona te stessa! Dammi prova che ora, in un momento cruciale, sceglierai di esserci per chi ha bisogno di te. Tuo figlio non conta forse più di tutto il resto?”
 
Ammutolii.
Ecco dove voleva arrivare. Se intendeva spiazzarmi, c’era riuscita alla perfezione.
 
“Io non ho figli, Cissy. Non ancora” replicai in tono piatto.
 
“Ti sbagli” osservò lei.
“Tu sei già madre a tutti gli effetti. Anche se nessuno ne è al corrente e nessuno può constatarlo, è così. La vita non inizia al momento della nascita, al contrario: quello che porti in grembo è già un bambino degno di essere chiamato tale. Una creatura viva, e soprattutto innocente”
 
A quelle parole mi si formò un groppo in gola.
Deglutii a stento.
 
“Non ho intenzione di fargli del male, infatti”
 
“E come ti comporterai, allora?”
 
Finita. Non avevo più scampo, ormai.
Mi rendevo conto di non poterle dare una risposta convincente, di essere totalmente allo sbaraglio e in balìa degli eventi.
Era un’esperienza nuova per me, abituata a pianificare fin nei minimi dettagli e a tenere ogni cosa sotto controllo.
Avrei desiderato evitarla, ma non ne ero in grado; mi sentivo tremendamente ed irrimediabilmente impotente.
 
“Io non sono fatta per una vita tranquilla e sicura, lo sai. C’è qualcosa, chiamalo orgoglio, coerenza, come che ti pare, che m’impedisce di voltar le spalle a ciò in cui ho sempre creduto. Io non indosserò mai una maschera, Cissy. Non rinnegherò il mio Signore, la mia morale. Che senso avrebbero avuto, altrimenti, tutti questi anni?”
 
“Nemmeno a costo di perdere tuo figlio?” sussurrò lei, le lacrime agli occhi.
“Nemmeno se ciò comporta finire ad Azkaban?”
 
Annuii lentamente, un gesto che tuttavia mi richiese uno sforzo immenso.
Detestavo vederla in quello stato, detestavo che accadesse a causa mia.
Non trovavo giusto che prendesse tanto a cuore una faccenda altrui, perché sapevo per esperienza che ne avrebbe sofferto come se l’avesse riguardata in prima persona.
Ma in fondo le ammiravo quella capacità, quell’empatia smisurata che la spingeva a fare qualunque cosa per i suoi cari, a valorizzare loro piuttosto che se stessa. Come una stella che brillava di luce riflessa.
Poi, d’un tratto, capii, e la strada davanti a me divenne improvvisamente chiara.
Era semplice, logico, perfetto. Come avevo fatto a non pensarci prima?
 
“Cissy” m’illuminai.
“Tu saresti una madre molto migliore di me”
 
Lei alzò la testa e sgranò gli occhi.
Fece per parlare, interdetta, ma non le riuscì.
 
“Sì, hai capito bene: vuoi essere tu a prenderti cura di mio figlio quando nascerà?” la precedetti.
 
“Io … Io non … Non credo di potere …” balbettò, colta alla sprovvista.
 
“Se rifiuterai, non mi opporrò. E’ una grossa responsabilità: lecito da parte tua non voler addossarsela, tanto più che hai già un figlio, un figlio tuo” tentai di venirle incontro.
 
Mi rendevo conto di starle chiedendo molto, ma d’altra parte le circostanze non mi lasciavano intravedere nessun altra soluzione.
 
“Non si tratta di questo” puntualizzò inaspettatamente lei.
“Farei di tutto per te, lo sai. Non mi sto tirando indietro. E’ che … Non mi sento all’altezza, ecco. Non spetta a me crescere tuo figlio” concluse.
 
“Cissy … Non essere sciocca. Avrei compreso se mi avessi detto che non potevi, ma … andiamo, tu ci sai fare con i bambini. E, soprattutto, sei l’unica persona di cui mi fido” dichiarai a cuore aperto.
 
Lei esitò. Capii che era combattuta.
Decisi di proseguire.
 
“Non lo faccio per me, credimi … è per lui. O per lei”
Abbozzai un sorriso.
“Perché, come hai detto, è già mio figlio e già mi sta a cuore. Sono sicura che crescere qui, al sicuro, sarebbe la cosa migliore per lui”
 
Sapevo che Cissy si stava trattenendo dal chiedermi come mai allora non me ne occupassi io.
Ma non lo fece, e gliene fui grata.
Non capiva e forse non avrebbe mai capito che per me esisteva qualcosa di più importante, eppure rifiutava di contraddirmi.
Aveva desistito, probabilmente.
 
“Hai ragione” sospirò.
“Ma non so se riuscirei a crescerlo sapendo che è tuo” replicò affranta.
 
“Non devi preoccuparti per questo. Lo sapremo soltanto tu ed io … ad eccezione dei tuoi parenti più stretti, per necessità. Ad ogni modo, lui crederà che sia tu sua madre … e sarà molto meglio così”
 
“Ne parlerò con Lucius” decretò, lasciandomi per la prima volta scorgere un tiepido barlume di speranza.
 
Al tempo stesso, vidi definitivamente svanire ogni eventuale possibilità di avere la mia creatura accanto; ma non avevo il diritto di lamentarmi.
Era stata una scelta meditata e consapevole; non me ne sarei pentita.
Almeno, così credevo allora.
 
“Narcissa …” mormorai.
“Grazie” dissi solo.
 
Questa volta fui io ad abbracciarla, ben consapevole, tuttavia, di quanto misero apparisse quel gesto in confronto a ciò che lei aveva accettato di fare per me.
Mi vergognavo, mi sentivo un’egoista e un’approfittatrice. Non meritavo una persona come lei.
Eppure avevo deciso. L’onore e la lealtà avrebbero avuto la precedenza su qualunque altra cosa: ero una Mangiamorte, prima di tutto. E, mio malgrado, lo sono ancora.
 
“Vado a svegliare Draco” annunciò Cissy, sciogliendo la presa.
“Cerca di farti trovare in condizioni migliori”
 
“Lo farò” promisi.
 
Almeno quello.
Lei mi sorrise.
Si avviò, poi parve ricordarsi di qualcosa e tornò sui propri passi.
 
“Questa la mettiamo via” aggiunse, sequestrandomi la bottiglia di Whisky Incendiario.
 
La guardai allontanarsi e pensai che le dovevo tutto.
Solo grazie a lei la vita pareva ancora degna di essere vissuta ed io avevo smesso, per un attimo, di credermi abbandonata. Dimenticata. Sola.
 
 
 
Note:
Ciao a tutti!
Mi scuso del ritardo, ma non ho avuto il computer a portata di mano per qualche giorno. In compenso, però, ho iniziato a scrivere il prossimo capitolo, per cui non dovrei nemmeno dilatare troppo i tempi.
A grande richiesta (vero, Merlina97?) ho ingrandito leggermente il carattere e impaginato il capitolo in maniera migliore e più facilmente leggibile. Spero … ^^
Questa volta non mi pare di avere nulla da aggiungere … Anche se poi, come al solito, mi verrà in mente a pubblicazione ultimata.
Grazie a chiunque vorrà recensire (e soprattutto a ornylumi, Geffa97 e Merlina97, per la loro ammirevole costanza … perdonatemi ragazze, ogni tanto ho bisogno di citarvi! xD).
Alla prossima!
Fanny
 

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Capitolo 11
*** In apparenza ***


Bianco.
Bianco, ovunque. Sono circondata da questo colore monotono e opprimente, soffocante. Ho sempre preferito il nero.
Bianche sono le pareti, bianco è il soffitto, bianco è lo scalone lungo il quale mi sto incamminando, senza riuscire a scorgerne la fine.
 
L’orlo della mia veste scura sfiora i gradini che si susseguono interminabili, creando un insolito contrasto con il pavimento di marmo.
 
Affretto il passo, non voglio approfittare dell’indulgenza sul ritardo che mi è stata concessa per ovvie ragioni, ma la vastità del palazzo certo non mi aiuta.
 
L’ostentazione del lusso. Credo sia l’unica caratteristica che Narcissa non ami del proprio marito.
 
Prima di rivederla ero convinta che l’avrei trovata diversa, che addirittura avremmo stentato a riconoscerci.
Nulla di più sbagliato: Cissy, la mia Cissy, è rimasta la stessa di un tempo, l’unica di cui mi fidi ciecamente, la sola che mi conosca davvero.
 
Non si aspettava che sarei tornata, così all’improvviso per giunta; ed è rimasta contrariata nel venire a sapere che ero in circolazione già da tre anni, senza mai essermi fatta viva.
Da donna intelligente qual è, però, ha presto compreso che cause di forza maggiore mi avevano impedito di entrare in contatto con lei, e non ha impiegato molto a perdonarmi.
 
 
Le riunioni sono così diventate i momenti più importanti per me, al termine dei quali mi è persino occasionalmente concesso, se periodo festivo, di vedere Cornelia.
Vivendo pressoché circondata da Mangiamorte, le è stato spiegato anche chi fossi davvero e perché mi trovassi lì.
 
Fortunatamente però ignora che Alfa Centauri, in incognito Aurora Sinistra, è una semplice ospite appartenente alla cerchia del Signore Oscuro solo in apparenza.
 
 
Finalmente giungo davanti alla porta che cercavo e la spalanco con decisione.
 
Resto per una frazione di secondo disorientata, tentando di localizzare il mio Signore, ed è allora che li vedo.
Quegli occhi.
Non si tratta della prima volta, ma è come se lo fosse.
 
Rimango come ipnotizzata da quegli occhi scuri e dal loro sguardo curioso, sfacciato; tant’è che per un lungo, interminabile istante non ho il coraggio di muovermi.
 
Poi mi riscuoto.
 
 
- Mio Signore - mormoro, volgendomi verso di lui e chinando ossequiosa il capo.
 
 
- Alfa… Molto bene. Di fianco a Rookwood - sibila lui per tutta risposta.
 
 
Obbedisco, prendendo posto accanto a un uomo dai tratti grossolani e dalla faccia irrimediabilmente butterata.
Lo riconosco come uno dei Mangiamorte evasi, assoldati per la missione al Ministero della Magia poco più di un anno fa e nuovamente rinchiusi ad Azkaban dopo il fallimento.
Ne deduco che deve averli liberati tutti; anche Lucius, infatti, siede poco distante.
 
 
Inspiegabilmente, alzo di nuovo lo sguardo verso l’uomo dagli occhi scuri, che ora mi sta di fronte.
 
Non so cosa di preciso mi attragga in lui; sono sicura di averlo conosciuto, in passato, ma non ne riesco a ricordare il nome.
Di certo fa parte del gruppo degli evasi, altrimenti non si spiegherebbe come mai non lo abbia incontrato negli ultimi tempi, forse addirittura da sedici anni a questa parte.
 
 
 
- Le cose a Hogwarts, come mi stava aggiornando il tuo collega Severus, sembrano essere pienamente sotto controllo - esordisce il nostro Signore, senza riuscire tuttavia a distogliermi dai miei interrogativi.
 
 
Senza dubbio abbiamo lavorato insieme, forse siamo persino stati amici, eppure…
 
D’improvviso si volta e i nostri sguardi s’incontrano.
Il suo mi toglie il fiato.
Di nuovo.
A nulla valgono i disperati tentativi di concentrarmi sulle parole dell’Oscuro Signore: mi scopro vittima di sensazioni incontrollabili, e semplicemente lo detesto.
 
 
- … nonostante tu mantenga la tua copertura, credi di poter confermare? - irrompe prepotente la voce del mio Signore, strappandomi alla maledetta forza di quell’ipnosi.
 
 
Impiego poco a riprendermi.
 
 
- Sì, mio Signore, è vero: tutta Hogwarts obbedisce al vostro comando, e quei pochi avventati che hanno l’ardire di ribellarsi vengono immediatamente puniti, così che capiscano qual è il loro posto.
Dobbiamo ringraziare i Carrow per questo, dato che io, come mi avete ordinato, fingo di essere ancora fedele all’’Ordine.
 
 
Lui sorride: un ghigno diabolico, soddisfatto.
 
 
- Naturalmente. E continuerai a farlo, finora non ho potuto negare l’utilità delle tue informazioni… - mormora, assorto.
 
 
Subito dopo pare estraniarsi dalla realtà circostante, perdersi nei propri pensieri; ma so che è una trappola, e non abbasso le difese.
 
I suoi occhi scarlatti tornano infatti a posarsi sui miei poco dopo, avidi, accaniti, violenti.
 
Questa volta reggo a fatica l’intensità del contatto, che si protrae più a lungo del solito.
 
Un brivido mi coglie: temo abbia scoperto qualcosa.
 
Il suo sguardo mi terrorizza sempre; ho paura di lui, non lo nego.
Ho paura che possa distruggere quel poco di buono che sono riuscita a fare nella vita.
 
La vedo poco, certo, ma Cornelia è continuamente nei miei pensieri, e sono proprio quelli che lui scruta, ora.
 
Evidentemente, però, devo valere qualcosa come Occlumante.
 
 
- Bene - decreta, e non c’è traccia di risentimento nella sua voce.
 
- Ora che anche Albus Silente, uno dei principali ostacoli alla realizzazione dei nostri piani, è stato eliminato, si tratta di stanare e sbarazzarci una volta per tutte del Prescelto - proclama.
 
 
- Un gioco da ragazzi, insomma - gli fa eco una voce provocatoria dall’altra parte del tavolo.
Ossia dal posto di fronte al mio.
 
 
Incredula e indignata davanti a tanta impudenza, mi volto verso lo sconosciuto: sfoggia un’espressione tranquilla, imperturbabile.
Che sfacciato.
 
Eppure, non posso fare a meno di constatare che ha indubbiamente dato voce al generale scetticismo riguardo la cattura di Harry Potter.
 
 
Il nostro Signore per tutta risposta lo incenerisce con lo sguardo.
 
- Tieni per te i tuoi commenti, Rabastan. Un’altra parola e ti zittisco definitivamente.
 
 
Lui, Rabastan, ha il buon senso di non replicare.
 
Si volta, invece, e m’indirizza un’occhiata mesta e rassegnata.
 
Quasi senza accorgermene, gli sorrido appena, come a voler mostrare solidarietà.
 
 
Ora ricordo.
Rabastan Lestrange.
Faceva parte della stessa banda giovanile di Serpeverde che frequentavo io; deve avere forse un paio d’anni più di me.
Era spesso in compagnia del fratello e della cognata; mi pare siano anche stati processati insieme.
 
Ci conoscevamo bene, ma evidentemente non abbastanza da sentire l’uno la mancanza dell’altra.
L’ennesima prova della mia incapacità di costruire relazioni stabili.
 
 
Inaspettatamente, però, lui ricambia il sorriso, fissandomi con aria complice e divertita.
 
Un tuffo al cuore e abbasso precipitosamente lo sguardo.
 
 
Non so cosa mi stia succedendo ma non mi piace, ragion per cui sono determinata a fuggire ogni genere di contatto con lui.
 
Le spiazzanti sensazioni che provo non sono nulla in confronto alla mia forza di volontà, e in un momento come questo non permetterò loro di prendere il sopravvento.
 
Ho bisogno di rimanere concentrata sulla mia missione, non posso concedermi alcuna distrazione.
 
E poi, che diritto ha un fantasma del passato di irrompere così prepotentemente nella mia vita?
Ho forse intenzione di lasciargliela sconvolgere?
 
Tutt’altro.
Ho faticato a raggiungere l’equilibrio, pur precario, della mia attuale esistenza.
 
Rischio ogni giorno di venire smascherata, di subire le ire del mio padrone, o peggio, di veder morire mia figlia.
 
Le vivo accanto, costantemente, tormentata dal desiderio di rivelarmi.
Eppure non ho mai ceduto.
Un’ombra fedele.
 
Le mie energie sono riservate solo al ruolo che occupo, e così deve continuare a essere.
 
 
Mi volto verso il mio Signore e non distolgo l’attenzione da lui per tutto il resto della riunione.
 
 
 
 
- Il Signore Oscuro è davvero troppo indulgente con te, Rabastan – esclamo più tardi, avvicinandomi a lui e bloccandogli la strada.
 
 
Si volta, sorpreso, e mi rivolge un altro dei suoi sorrisi beffardi, disarmanti.
 
Resto immobile a fissarlo quella frazione di secondo necessaria per riprendere il controllo, dopodiché è l’impulso del contrattacco ad avere la meglio.
 
 
- Lo trovi divertente, vero? Spiacente ma non è propriamente di un gioco che si tratta - replico a denti stretti.
 
 
- Che fredda accoglienza, Alfa… Dopo così tanto tempo? -  mormora lui supplichevole.
 
 
Mi limito a fissarlo imperterrita.
 
 
- Mi sei mancata, sai - dichiara, in quello che sembra essere un tono sincero.
 
- Non prendertela, il Signore Oscuro è abituato alla mia impertinenza. Lo ripago degnamente, direi: ho appena trascorso un altro entusiasmante soggiorno ad Azkaban.
 
 
- Non dev’essere stato facile… - mi riscuoto improvvisamente.
 
 
Irritata com’ero, l’avevo dimenticato.
 
 
- E’ stato orribile, infatti - s’incupisce lui.
 
- Come la prima volta.
 
 
- Non ha impiegato molto a liberarvi, in compenso… - azzardo, persuasa da un moto di compassione.
 
 
- Ci ha liberati perché gli facciamo comodo, ecco perché. Senza di noi sarebbe spacciato, e lo sa.
 
 
Ride, ma è una risata amara, senza traccia d’ilarità.
 
 
- Dunque ora sei infiltrata a Hogwarts… - aggiunge, cambiando discorso.
 
 
- Per conto del Signore Oscuro, sì - ci tengo a precisare.
 
 
- Davvero? Ti ha commissionato l’incarico dalle foreste dell’Albania? - sghignazza lui.
 
 
- All’epoca ho accettato l’offerta di Silente perché lo davo per spacciato, ma ti assicuro che ho compreso fin troppo bene il mio errore - replico gelida.
 
 
- Oh, non devi giustificarti: sarei fuggito anch’io di lì, se solo ne avessi avuto l’occasione… - ribatte frustrato.
 
- Quindi, fammi capire, ora trascorri le giornate perennemente attorniata da marmocchi urlanti e festosi? - s’informa, riuscendo a strapparmi un sorriso.
 
 
- Non proprio. Ho come la sensazione che durante le mie lezioni recuperino le ore di sonno trascorse invece a provare incantesimi proibiti nei corridoi, a notte fonda…
 
 
Lui sgrana gli occhi.
 
 
- Incantesimi proibiti nei corridoi? No! Non posso crederci! Li praticavi anche tu? - esclama sarcastico.
 
- Non me lo sarei mai aspettato da una studentessa brillante e futura astrologa come te…
 
 
- Astronoma. E comunque dimentichi che prendevo parte anch’io ai vostri raduni…
 
 
- Sì, ma non fin dall’inizio. Dunque là sono ancora convinti che lavori per loro? - domanda divertito.
 
 
- Esattamente. Ora che Piton si è svelato, occorre qualcuno che possa continuare ad infiltrarsi nell’Ordine senza perderne la fiducia. E devo ammettere che finora a me è riuscito piuttosto bene - concludo, convinta di aver diritto almeno ad una punta d’orgoglio.
 
 
- Troppo bene, in effetti - s’intromette arrogante una voce.
 
 
Mi volto, raggelata.
 
 
- Al punto da farci dimenticare per chi lavori davvero - prosegue, per nulla scoraggiata dalla mia manifesta ostilità.
 
 
Un sorriso sprezzante le aleggia invece sul volto scarno e sciupato, un tempo così attraente.
 
 
- Spiegati meglio, Bellatrix - la esorto, controvoglia.
 
 
So già dove vuole arrivare; avrei desiderato evitarlo, ma a quanto pare non ho scelta.
 
 
- Non c’è nulla da spiegare, Alfa. Sai perfettamente a cosa mi riferisco. La tua presunta lealtà all’Oscuro Signore è costantemente messa in discussione, da me per prima - dichiara infervorandosi.
 
 
- Ah sì? - replico stancamente.
 
- Allora rassicurerò te e chiunque altro: la mia fedeltà al Signore Oscuro non è venuta meno. Puoi dormire sonni tranquilli.
 
 
- Non è cambiata, davvero? - mi sussurra avvicinandosi, gli occhi fiammeggianti di un’ira pronta a esplodere.
 
- Chissà perché, ero certa del contrario. Andiamo, Alfa, chi credi di poter ingannare? Aspetta solo di venire colta in flagrante nel passare informazioni all’Ordine, e giuro che non avrai nemmeno il tempo di pentirtene!
 
 
- Alfa non tenta d’ingannare nessuno - interviene inaspettatamente Rabastan.
 
- Sta facendo il suo dovere, Bella. Mi stupisce anzi che ti trovi così apertamente in contrasto con la volontà del Signore Oscuro.
 
 
Mi trattengo dall’applaudirgli.
Conoscendola da più tempo, intuisce senza dubbio meglio di me i suoi punti deboli.
 
Lei, tuttavia, pare altrettanto abituata alle provocazioni del cognato e prosegue imperterrita.
 
 
- No, Rabastan, non sta facendo il suo dovere! Il suo dovere sarebbe stato quello di restare ad Azkaban finché Lui non avesse deciso di liberarla, come è stato per noi, e non acconsentire di buon grado alle smancerie di Silente! - sbraita lei, il controllo ormai smarrito.
 
 
Rabastan fa per parlare, ma viene prontamente messo a tacere da un suo gesto infastidito.
 
 
- E sì, hai ragione, proprio non capisco come possa il nostro Signore continuare a circondarsi di cani opportunisti e vigliacchi, anche quando è palese che tramano alle sue spalle! - conclude.
 
 
- Va bene, Bella, ora basta. Quella che hai appena mosso è un’accusa pesante e del tutto infondata…
 
 
Per la prima volta Rabastan sembra davvero coinvolto in qualcosa che gli sta a cuore, o forse è solo una mia impressione.
 
Ma infonde tanta convinzione in quelle pur poche parole, da darmi l’illusione di significare anche solo qualcosa per lui.
 
 
- Lascia perdere. Non m’importa della sua opinione, non è lei il mio Signore - intervengo, alludendo a Bellatrix ed imitando il suo menzionare qualcuno come se non fosse presente.
 
 
Faccio per andarmene, sperando in cuor mio che mi segua anche Rabastan, ma lei sembra non volersi rassegnare.
 
 
- Ma sono la sua serva più fedele, l’unica qui dentro… -  e indica la sala, fino a poco fa gremita di gente ma ormai deserta.
 
- …disposta a dare la vita per Lui, l’unica che sappia davvero cosa significhi essere Mangiamorte! A differenza tua, che invece hai seguito Silente come fossi il suo cagnolino fedele, e che ora te ne stai al sicuro, rintanata tra le solide mura di Hogwarts.
Oh, ma ti giuro che invece crolleranno, molto prima di quanto tu non creda! - ringhia, scagliandosi contro di me.
 
 
Forse io non so cosa significa essere Mangiamorte, ma lei sa cosa significa essere madre?
 
 
- Alfa… Scusate… Ho bisogno di parlarti - soggiunge improvvisamente Cissy, comparsa sulla soglia del salotto.
 
 
Mi volto e le sorrido, se non altro per avermi sottratta alle grinfie di sua sorella.
 
 
Bellatrix mi lancia un’ultima, gelida occhiata mentre mi allontano seguita da Cissy, ma è su Rabastan, sul suo volto, che soffermo lo sguardo, in apparenza desiderosa di imprimerlo nella memoria, in realtà consapevole che non potrei dimenticarlo nemmeno volendo.
 
 
 
- Perdonami… E’ importante - sussurra Cissy dopo avermi condotta in una stanza vuota, chiudendosi accuratamente la porta alle spalle.
 
 
- Di che si tratta? - domando allarmata.
 
 
Non è da lei, così incline a minimizzare le questioni, attribuire tanta rilevanza ad un problema, che tanto più la riguarda in prima persona.
 
 
- E’ per Cornelia. E’… Non so come dirtelo, Alfa. Vedi, già da un po’ cominciava a porsi delle domande, a riflettere… E’ normale, sta crescendo…- balbetta, a disagio.
 
 
- Certo che è normale, non vedo di che preoccuparsi - taglio corto, sperando invano di averla fraintesa.
 
 
Ma Cissy naturalmente sa che non sono una stupida.
 
 
- D’accordo, ma di recente ha iniziato a notare dei particolari, dettagli insignificanti, in apparenza. Ma lei li ha saputi interpretare. Ha davvero la tua perspicacia, Alfa. Malgrado ciò che le ho trasmesso, a me non somiglia molto. E tantomeno a Lucius o a Draco…
- Ha cominciato a farmi delle domande, e a un certo punto non sono stata più capace di mentirle. Io… Alfa, mi dispiace tanto, ma ho dovuto dirglielo - mormora con voce spezzata.
 
 
- Che cosa? Che cosa hai dovuto dirle?
 
 
Non posso credere che ora lei, Cornelia, sia a conoscenza di tutto.
Non così repentinamente, se proprio doveva succedere, dannazione!
 
Che cosa penserà, ora?
Che opinione si sarà fatta di me, che nemmeno sono stata presente e in grado di spiegarle la verità?
Quale verità, poi?
Sarei forse stata capace di giustificarmi, di ritenere nobile il mio gesto?
Di perdurare nella mia causa, di ammettere davanti a lei che l’avevo abbandonata?
E per che cosa?
Lealtà? Onore? Orgoglio?
Ragioni forse valide?
 
 
- Cissy, ti prego, parla! - la incalzo, afferrandola per le spalle, poiché continua a tacere.
 
 
- Le ho detto che l’abbiamo adottata. Che viene da un orfanotrofio - confessa lei in un flebile sussurro.
 
 
Solo ora sciolgo la presa e mi abbandono contro la parete, sospirando di sollievo.
 
Forse non tutto è ancora perduto.
Forse si può ancora rimediare.
 
 
- Sapevi anche tu che prima o poi l’avrebbe scoperto… era solo questione di tempo.
 
 
- No, Cissy, non avrebbe dovuto saperlo…- commento amareggiata, scuotendo la testa.
 
 
- Alfa, ma… Che cosa potevo dirle? Le ho mentito per sedici anni, è suo diritto conoscere la verità! Se in parte o del tutto, sta a te deciderlo… - ribatte perentoria.
 
 
- Io ho già…
 
 
- Hai già deciso, davvero? - m’interrompe lei.
- Ne sei proprio sicura? E’ questo che vuoi, non rendere mai tua figlia consapevole di esserlo?
 
 
- Altrimenti non te l’avrei affidata - le rammento, completamente impassibile. In apparenza.
 
 
- E perché, Alfa? Perché non vuoi che sappia di te? Cos’è che non vuoi che sappia? - prosegue Cissy, provocatoria.
 
- Sei uno dei migliori combattenti dell’Oscuro Signore, una brillante astronoma e una spia straordinaria…
 
 
- Ma non una madre - aggiungo, e nello stesso istante mi rendo conto che è proprio ciò che voleva sentirsi dire.
 
 
Difatti tace improvvisamente, e mi guarda fisso.
Forse non si aspettava un’ammissione così immediata.
 
Mi sorride; un sorriso mesto e compiaciuto al tempo stesso.
 
 
- Esatto - annuisce.
 
 
Subito dopo mi prende le mani; un gesto semplice, ma che tra noi ha sempre avuto un eccezionale valore.
 
 
- Te ne vergogni, e fai bene. Ma sei ancora in tempo, Alfa. Sei ancora in tempo.
 
 
Mai come ora i suoi occhi, così cristallini, sono stati lo specchio della realtà.
Una realtà dura, molto spesso difficile da accettare, ma pur sempre innegabile.
 
E mai come ora Narcissa ha avuto ragione.
Sono ancora in tempo.
Per riavere la mia bambina, per dimostrarle chi sono davvero.
Perché possa essere orgogliosa di me e io di lei.
Per dare un senso a una vita di sbagli, di nullità scambiate per valori, di cieca e vorace ambizione.
Per scagionare un’anima che troppe volte è parsa vuota.
Ma solo agli occhi degli altri.
Solo in apparenza.
 
 
 
 
Note:
 
Salve a tutti! Chiedo umilmente perdono per il ritardo, oserei dire, grottesco. ^^
D’altronde mi ha tenuta impegnata un’altra fanfiction, scritta per un contest, e dunque almeno non ho, ehm, oziato.
Chiedo scusa anche per il brusco salto temporale rispetto al capitolo 9, ma ne avevo davvero necessità. Ormai ho superato la metà di questa storia; rimangono pochi, importanti eventi, e spero che con l’estate riuscirò ad aggiornare più spesso. Dovrete sopportarmi ancora per poco, insomma… ;)
 
Chiarimento: a Cornelia è stato detto che la sua insegnante di Astronomia in realtà è una Mangiamorte, dato che nella sua famiglia gli ‘esemplari’ abbondano e che poteva chiedersi cosa ci facesse ai raduni di Villa Malfoy.
Non sa, però (ovviamente!), che è sua madre.
 
Infine, è doveroso che io ringrazi ancora una volta A., soprattutto per Rabastan. Ci tengo a ripetere che senza di lei non avrei mai scritto né tantomeno immaginato questa storia.
 
Un bacio,
Fanny
 

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Capitolo 12
*** Volere ***


- Un’infiltrata al Ministero, da quel che ho sentito.
 
- Molto vicina ai seguaci di Voi-Sapete-Chi, forse addirittura una di loro…
 
- Collaborava con i Mangiamorte, questo è certo. Presto comunque sapremo la verità.
 
- Una vergogna. Spero solo confessi, almeno la puniranno a dovere. Quelli come lei meritano di marcire ad Azkaban…
 
 
 
Chiacchiere. Solo chiacchiere.
La gente mormorava, sussurrava, vociferava.
Era avida di fatti, scandali, notizie esclusive.
Fagocitava qualsiasi informazione le capitasse di udire e ne riferiva una versione nuova, arricchita di particolari fantasiosi e accattivanti.
 
Il procedimento era sempre lo stesso, adottato all’unanimità; non v’era nessuno che facesse differenza.
Le persone erano tutte uguali, tutte irrimediabilmente vuote ed ipocrite, incapaci di maturare convinzioni proprie, indipendenti.
Se riunite in gruppo, poi, davano il peggio di sé.
Come fossero bestie, automi privi d’intelligenza e della facoltà di discernere.
Ero nauseata.
 
 
 
Mi guardavo attorno, e osservavo quali fattezze avrebbe assunto questa volta la gente.
 
 
La sala d’attesa era particolarmente affollata, quel giorno.
Era una stanza stretta e dal soffitto basso; i muri, molto spessi, erano di pietra massiccia e le uniche fonti di luce erano costituite da alcune fiaccole appese alle pareti.
Ogni dettaglio contribuiva a conferirle un’atmosfera opprimente e claustrofobica.
 
 
Diversi uomini e donne sedevano sulle panche di legno addossate ai muri; indossavano toghe scure e ostentavano un’aria  minacciosa che, supposi, incuteva timore.
Ma non a me.
 
 
Rannicchiata in una angolo, le mani annodate in grembo e lo sguardo perso nel vuoto, li ignoravo senza troppa difficoltà.
Le loro chiacchiere non mi turbavano minimamente, anzi, m’infastidivano.
Avrei voluto che tacessero una volta per tutte, risparmiandosi la quantità di fesserie sul mio conto che continuavano a bisbigliare tra loro.
 
 
Non avevo paura di quegli individui, li commiseravo.
Era la figura seminascosta nell’ombra l’unica a preoccuparmi davvero: una sagoma scura e indistinta, da cui tutti si tenevano prudentemente alla larga, ma la cui presenza si percepiva con chiarezza.
Ne udivo il respiro pesante, gelido e soffocante, come un alito di morte, e tremavo.
 
 
Non avevo mai visto un Dissennatore prima di allora; il pensiero che per colpa di quell’essere immondo avrei anche potuto cessare di esistere mi atterriva.
 
In fondo, però, non avevo nulla da temere: finché quelle creature si fossero trovate sotto il controllo del Ministero, non mi avrebbero sottoposta al Bacio, tanto più che i loro scrupoli di coscienza li avrebbero frenati dal torturare una donna incinta.
 
 
 
Questo era l’unico aspetto positivo che ero riuscita a trovare riguardo la mia situazione.
 
Ogni giorno assistevo impotente ai cambiamenti del mio corpo: mi osservavo allo specchio e mi trovavo brutta, irreversibilmente trasfigurata.
 
“Non sono nemmeno stata io a volerlo, perché devo sopportare tutto ciò?” pensavo nei momenti peggiori.
 
Mi sentivo diversa, difettosa; di conseguenza emarginata e trattata con riguardo, anche se ora mi sarebbe tornato utile.
 
Ne percepivo tutti i disagi, ma l’eccezionalità di ciò che stavo vivendo mi toccava raramente: non me ne rendevo conto.
Desideravo solo finisse al più presto.
 
 
Sospirai, abbassando lo sguardo sul mio ventre così innaturalmente gonfio.
Ero ormai al sesto mese di gravidanza, eppure ancora non ci avevo fatto l’abitudine.
 
Avevo sperato di riuscire a partorire prima che mi trovassero, ma quella mattina gli Auror avevano fatto irruzione a Villa Malfoy con il pretesto di confiscare manufatti pericolosi ed io non avevo opposto resistenza.
La scusa era ridicola, dato che Lucius era già stato assolto: dovevano avermi tenuta d’occhio.
 
Cissy aveva protestato indignata, sostenendo che ero semplicemente ospite a casa sua, ma io l’avevo interrotta e, con suo grande, magistralmente celato disappunto, avevo confessato.
Mi avevano portata subito al Ministero per un processo formale, sebbene non ne vedessi l’utilità.
 
Mi rendevo conto di essermi comportata da ingrata con Cissy, ma che altro avrei potuto fare?
Lei era perfettamente al corrente delle mie intenzioni, ma a quanto pareva non si era rassegnata.
 
Mi dispiaceva che interferisse in quella faccenda: avrei preferito che ne restasse fuori, al fine di evitare rancori fra noi.
Eppure, non mi lasciava altra scelta.
 
Con una stretta al cuore mi resi conto che non sapevo nemmeno se e quando l’avrei rivista.
Forse sarebbe venuta al processo…
 
 
 
 
Non ebbi tempo di pensare ad altro.
La porta alla mia destra si spalancò e ne uscì un mago in abito scuro, pressoché identico a quelli da cui ero circondata.
 
 
- Alfa Centauri. - chiamò impassibile, volgendo intorno lo sguardo nel tentativo di individuarmi.
 
 
Mi alzai in piedi; non sono mai stata alta, ma ciò non mi ha impedito di assumere un portamento fiero, per quanto insostenibili potessero essere le circostanze.
 
 
- Sono qui. - esclamai in risposta.
 
 
L’uomo rivolse un cenno del capo agli altri, che si alzarono a loro volta.
 
Due di essi mi afferrarono per le spalle e un terzo mi sfilò la bacchetta da una tasca della veste.
 
 
- Come osate? - sbottai indignata, colta alla sprovvista.
- Non ne avete il diritto!
 
 
- Certo che l’abbiamo…- ribatté stancamente uno di loro, muovendosi per scortarmi all’ingresso dell’aula.
 
 
Doveva essere la prassi, pensai.
Gli individui ritenuti potenzialmente pericolosi venivano privati della bacchetta e in tal modo resi inoffensivi.
Era umiliante, ma l’avevo voluto.
 
Rassegnata, li seguii e varcai l’uscio, mentre gli altri si accodavano.
 
 
La sala dei processi del Ministero era enorme.
Non ero preparata alla vista del soffitto altissimo, delle gradinate in legno gremite di gente, e tantomeno del seggio che si ergeva solitario all’estremità opposta dell’aula.
 
Avanzai a passo lento, scortata dai due uomini in toga; tenevo lo sguardo fisso davanti a me e mi concentravo per ignorare i bisbigli incuriositi che si erano diffusi tra i maghi seduti sulle panche.
 
Era un’impresa difficile, poiché percepivo con chiarezza che l’attenzione e l’interesse dei presenti erano rivolti unicamente a me.
 
Immaginai si stessero chiedendo quali accuse mi sarebbero state rivolte, come avrei risposto e, soprattutto, in che modo bisognasse giudicare il fatto che una come me – una di loro – fosse incinta.
 
 
Le loro facce mi scrutavano avide, vigili, desiderose di qualcosa, qualsiasi cosa, che li sottraesse alla banalità e al devastante vuoto delle loro vite.
 
Avrei dato loro soddisfazione.
Avrei offerto persino più di quanto si aspettassero.
L’umiliazione bruciava già meno al pensiero dell’imminente scalpore che avrei scatenato.
 
 
 
Mi sedetti, imperturbabile.
 
Solo allora mi accorsi della cattedra rialzata che avevo di fronte, proprio sopra la porta da dove ero entrata: vi sedeva nientemeno che il Ministro in persona.
 
 
Mi resi conto, con un senso di estraniamento simile ad una vertigine, che se appena due anni prima me l’avessero detto non vi avrei creduto.
Mai avrei pensato di poter arrivare tanto in alto.
 
 
Abbassai lo sguardo e fui colta da un brivido: il Dissennatore stava entrando proprio in quel momento.
 
Soffocai un tremito; respirai di sollievo solo quando lo vidi accostarsi alla parete e scivolare silenziosamente nell’ombra: sarebbe intervenuto solo se necessario.
Decisi di non fornirgli alcun pretesto valido.
 
 
 
- Alfa Ellen Centauri - esordì il Ministro.
- Lei si trova oggi qui in quanto accusata di attività illecite ai danni della comunità magica. Più precisamente, è ritenuta colpevole di essere un membro dell’organizzazione criminale dei cosiddetti Mangiamorte e, in quanto tale, di aver riferito a Lei-Sa-Chi informazioni indispensabili alla cattura e uccisione di alcuni Auror, ottenute mediante il suo incarico al Ministero della Magia.
 
 
Un anno prima, infatti, ero riuscita a farmi assumere come segretaria dell’Ufficio Auror, e questo mi aveva effettivamente concesso di rivelare al mio Signore notizie riservate e determinanti.
 
Nessuno, comunque, aveva mai sospettato quali fossero i miei reali intenti e per chi lavorassi davvero; ero stata abile ma, adesso che conveniva, qualcuno doveva avermi tradito.
 
Strinsi i denti, furiosa.
Chi era il cane?
 
 
- Ha qualcosa da dire in sua discolpa? - terminò il Ministro.
 
 
Inspirai.
Era il momento decisivo, l’istante che avrebbe definitivamente segnato la mia sorte: quante volte l’avevo immaginato e temuto…
 
Sarei senza dubbio stata capace di articolare una difesa convincente, se avessi voluto.
Ma proprio qui stava il punto: volevo?
 
 
- No.
 
 
Silenzio.
 
 
- No? - ripeté sbalordito il Ministro.
- Come sarebbe a dire ‘no’? Lei si sta dunque proclamando colpevole?
 
 
La sua voce era resa stridula dall’incredulità, ma fui sicura di cogliervi anche qualcos’altro: eccitazione, molto probabilmente.
 
Il Ministero e il Wizengamot intero fremevano dal desiderio di assistere ad un processo senza precedenti (contro il quale nemmeno quello recente dei Lestrange, raccontatomi da Cissy, poteva competere), che li avrebbe consacrati, una volta per tutte, alla celebrità: una donna sola, e in attesa di un figlio, che confessava spontaneamente.
Un fenomeno unico.
Un eccezionale esempio di insensibilità ed egoismo.
Una testimonianza rara di fedeltà incondizionata, avrei detto allora.
 
 
- Esattamente. - replicai atona.
 
 
Un mormorio sommesso si diffuse tra i presenti, chiaramente sconvolti.
 
Mi lasciai sfuggire una smorfia compiaciuta: c’ero riuscita.
Una discreta consolazione.
 
Erano anche confusi: non avevano previsto nulla di simile, e dunque non avevano idea di come comportarsi con me.
 
Forse si stavano chiedendo se avrebbero dovuto trattarmi con più riguardo degli altri.
 
Mi augurai che lo facessero, anche se mai mi sarei umiliata a chieder loro pietà.
Per chi, poi?
Per una creatura non ancora nata?
 
 
 
- Mi perdoni, Ministro, ma forse dovremmo procedere con le dovute formalità, non crede? - insorse tutt’a un tratto una voce.
 
 
Il tono era discreto, eppure celava un’autorità indiscussa.
L’udirlo m’irritò ancor di più. Sapevo di chi si trattava.
Silente stava ammirevolmente tentando di riportare il Ministro sulla via della ragione.
 
 
- Come? Oh, certo, Silente. Procediamo subito.
 
 
Tossicchiò, accingendosi a pronunciare il verdetto.
 
 
- Ritengo però che sia opportuno dare prima ascolto alle sue motivazioni.- intervenne di nuovo Silente, e il Ministro annuì concorde.
 
 
Sogghignai tra me.
Compresi che ora il mio acerrimo nemico avrebbe potuto bearsi della propria popolarità e disprezzare impunementequei principi che riteneva futili, certo del consenso che avrebbe ottenuto. In ogni caso, non avrebbe corso pericolo. Al momento.
 
Ma capii anche che fino ad allora era stato facile: adesso, sola contro tutti, avrei dovuto dimostrare chi ero.
E ciò che volevo.
 
 
 
- Alfa Ellen Centauri, lei confessa dunque, alla presenza dell’assemblea qui riunita, di aver utilizzato le informazioni in suo possesso, fornitele dal Ministero della Magia, naturalmente ignaro dei suoi scopi, per indirizzare Lei-Sa-Chi alla cattura e all’uccisione di sei Auror? - recitò il Ministro guardandomi fisso.
 
 
- Confesso. - risposi senza esitazione.
 
 
E d’improvviso mi colse il panico. Era fatta. Non avrei più potuto tornare indietro; già vedevo le porte di Azkaban che mi si spalancavano dinanzi…
M’imposi di tener duro. Un giorno, pensavo, sarei stata ricompensata, e di certo ne sarebbe valsa la pena.
 
 
- E cos’è stato, Alfa, che ti ha indotta ad agire in questo modo? A portare a compimento assassinii di persone innocenti? - si fece avanti Silente, con aria inquisitoria.
 
 
Sorprendentemente, mentre mi accingevo a rispondergli, ogni traccia di paura per il mio avvenire lasciò il posto ad un divertimento crudele.
 
 
- Questo. - dissi soltanto, e così facendo arrotolai la manica sinistra della veste fino al gomito e mostrai il Marchio con orgoglio, assaporando lo sdegno generale.
 
 
Mi rendevo conto di starmi comportando da folle, ma la soddisfazione era tanta, e avevo un disperato bisogno di concentrarmi su qualcosa che non fosse l’immediato futuro.
 
 
 
- Tutto ciò è inammissibile! - tuonò Silente, e alcuni dei presenti gli fecero eco.
- Dovresti vergognarti, Alfa, vergognarti! Di far parte di un’organizzazione illegale fondata su principi razzisti e fanatici, e di rispettare l’autorità di uno sterminatore di vite!
 
 
Sostenni con fermezza il suo sguardo.
 
- La purezza del sangue non è un pregiudizio, ma una verità. La nostra superiorità rispetto a Babbani e Mezzosangue è reale, e in quanto tale va rivendicata, pretesa, imposta, anche con misure drastiche. - replicai fiera.
 
 
- Misure drastiche? - s’indignò a quelle parole il mio interlocutore.
- Tu definisci ‘misure drastiche’ gli innumerevoli, inutili e barbari omicidi che voialtri avete commesso?
 
 
Alzai le spalle.
 
- Chiamali come ti pare. Il Signore Oscuro non deve certo rispondere a te, che ti batti così tanto in favore della feccia, delle sue azioni. Lui ha pieno diritto di esercitare la propria autorità sul Mondo Magico: è un mago straordinario, le sue capacità non sono neanche lontanamente paragonabili alle nostre: si è spinto dove nessun altro aveva mai osato prima…
- La sua superiorità merita rispetto, devozione. E non sarà un manipolo di Babbanofili rammolliti a far vacillare la mia lealtà! - proclamai con ardore.
 
 
- Basta così! - m’interruppe Silente, furioso.
 
 
Sapevo che se avessi continuato così non avrei potuto sperare in un’eventuale riduzione della pena; ma se era il prezzo da pagare per rimanere fedele al mio Signore, ero disposta ad accettarlo.
 
 
 
- Ne ho abbastanza dei tuoi patetici tentativi di giustificare il vostro mandante. Il fanatismo vi ha resi ciechi: non ve ne accorgete, ma Voldemort vi tiranneggia, vi sottopone a una vera e propria schiavitù. Le vostre condizioni non sono migliori di quelle in cui versano i Babbani che tanto professate di odiare… Un giorno vi pentirete della vostra scelta, credimi, e rimpiangerete la libertà che vi è stata negata.
- Ma basta così. Il Ministro, credo, sarà concorde con me nel dire che è tempo di formulare la sentenza…
 
 
- Come? - si riscosse l’altro.
- Ah, certo, Silente. Procediamo. Dunque…
 
 
Un fremito s’impossessò di me a quelle parole, come se solo allora avessi realizzato in che situazione mi trovavo. O meglio, avevo voluto  trovarmi.
 
 
- Quanti sono favorevoli ad una condanna a vita ad Azkaban? - chiese il Ministro, alzando la voce.
 
 
Deglutii a stento: avrei dovuti immaginarlo. Tuttavia, da qualche parte nel profondo avevo continuato, caparbia, ad aggrapparmi alla flebile speranza che non sarebbe successo.
 
 
Molti alzarono la mano, ma non bastava: una condanna a vita doveva essere votata all’unanimità per poter considerarsi valida.
 
 
- Col suo permesso, Ministro, mi rivolgo ora a coloro che si sono dichiarati contrari. - intervenne di nuovo Silente.
- Chiedo di poter conoscere le ragioni che li hanno trattenuti.
 
 
Mi morsi un labbro: rischiavo di trascorrere il resto de miei giorni in cella a causa delle assurde polemiche di un vecchio.
 
 
- Mi scusi - si fece avanti una strega dall’aria più sicura degli altri.
- L’imputato è in evidente stato di gravidanza, e non trovo opportuno, per quanto gravi possano essere i suoi crimini, che debba dare alla luce un figlio in prigione.
 
 
Tenni prudentemente lo sguardo basso, sperando che quella ragione bastasse per indurre Silente e il Wizengamot alla pietà.
 
 
- Si potrebbe tenerla sotto stretta sorveglianza e mandarla ad Azkaban solo dopo che avrà partorito… - ipotizzò qualcuno, e altri annuirono convinti.
 
 
Scrutai Silente: la sua espressione appariva indecifrabile. Immaginai il conflitto interiore che doveva dilaniarlo, e mi concessi un sorriso.
In quell’istante fui certa che avrebbe desistito, che si sarebbe mostrato superiore  alle nostre barbarie. Ma sbagliavo.
 
Trasse un profondo respiro e alzò lo sguardo verso gli altri con fare solenne, convinto della propria misericordia e onnipotenza, indiscusso e unico benefattore del Mondo Magico: così lo avrei ricordato nei lunghi anni della mia successiva prigionia…
 
 
 
- Quel che dite è giusto. - decretò, alzandosi.
 
 
Io, però, colsi immediatamente la falsità nelle sue parole: il bastardo tentava di corrompere la volubile giuria, avido di gloria personale, ed io ero impotente, ecco tutto.
 
 
- Ogni essere umano ha il diritto di dare la vita ad un altro: essa è un dono prezioso, che non dobbiamo mai dimenticarci di difendere.
 
 
Tacque, una pausa ad effetto.
 
 
- Tuttavia, spero sarete d’accordo con me nell’affermare che altre vite sono state violate, scempiate, brutalmente strappate via grazie alle informazioni del nostro imputato. Le vite di sei maghi e streghe coraggiosi, che si sono battuti in nome della libertà e della giustizia, e che sono stati massacrati senza pietà dagli uomini di Voldemort.
- I loro figli sono orfani; nessuno potrà mai restituire loro i genitori. Possiamo, però, noi come assemblea, fare in modo che il loro sacrificio non sia stato vano. Quei maghi e quelle streghe erano Auror: condannavano la magia oscura in tutte le sue forme, s’impegnavano per il bene di tutti.
 
 
Eroismo, buoni principi, belle parole: una predica disgustosamente efficace.
 
 
- Mi rivolgo a tutti voi, ora. Non credete che lasciare quest’assassina in libertà, anche solo per pochi mesi, sarebbe un insulto alla loro memoria? - concluse enfatico.
 
 
Non avrebbe potuto ottenere un risultato migliore: mormorii di assenso si levarono dall’aula intera, e persino qualche debole grido d’accusa.
 
 
Furiosa, ma priva ormai d’ogni capacità di reagire, conficcai le unghie nei palmi delle mani, nel disperato tentativo di dominarmi.
Ero stata a un passo dalla vittoria, ed ora la vedevo sfumare per colpa della stupida morale di quel vecchio Babbanofilo.
 
 
 
- Molto bene. - intervenne il Ministro, mentre Silente tornava a sedere soddisfatto.
- Per correttezza ve lo domanderò di nuovo. Quanti sono favorevoli ad una condanna a vita?
 
 
Volsi lo sguardo sui presenti e, sgomenta, mi accorsi che questa volta tutte le mani si erano alzate.
 
Inorridita, mi chiesi come fosse possibile. Poi capii: con ogni probabilità, quelli che Silente non era riuscito a persuadere erano ansiosi di porre fine al processo in fretta e senza ulteriori complicazioni.
 
 
- Quanti contrari?
 
Nessuna mano si alzò.
 
- Astenuti?
 
Stessa scena.
 
- Bene. Dunque… Procediamo. Alfa Ellen Centauri, oggi, ventiquattro febbraio 1982, questo tribunale la condanna all’ergastolo per aver rivelato a Lei-Sa-Chi informazioni riservate che hanno portato al rapimento e all’uccisione di sei Auror alle dipendenze di questo Ministero. - decretò infine il Ministro.
 
- Portatela via.
 
 
Scoccai un’occhiata fugace a Silente e non mi meravigliai di vederlo compiaciuto.
 
 
“La pagherai, vecchio, la pagherai cara, questa gloria effimera” pensai, divorata dall’ira.
“Hai vinto una battaglia, ma perderai la guerra”.
 
 
Frattanto alcuni uomini venivano verso di me, mi afferravano per le spalle e facevano per condurmi fuori.
 
Inspiegabilmente, iniziai a tremare di freddo e un torpore opprimente s’impossessò di me. Per quanto mi opponessi, mi sentivo perduta, sconfitta; l’angoscia era tale da togliermi il respiro.
D’un tratto compresi: il Dissennatore doveva essersi avvicinato.
Pensai di evocare un Patronus, ma ricordai che la bacchetta mi era già stata requisita. Disperata, tentai di urlare, ma dalla gola inaridita non mi uscì alcun suono.
La sensazione era quella di precipitare in un baratro buio, senza via d’uscita, popolato dai miei incubi peggiori: vidi Azkaban, sentii i dolori lancinanti del parto e udii le urla di Regulus, straziato dall’agonia.
 
Lentamente, inesorabilmente, stavo già cedendo alla morsa dell’orrore, quando un’immagine inaspettata interruppe quell’insostenibile sequenza di visioni. Sulle prime non la riconobbi. Poi il volto pallido e incorniciato da una chioma bionda mi risultò familiare.
 
 
- Narcissa?
 
Un sussurro flebile, pronunciato con sforzo sovrumano.
 
 
- Alfa! - gridò lei in risposta, e la sua voce mi raggiunse nel limbo dove ero precipitata, riportandomi alla realtà con la stessa violenza di una secchiata d’acqua gelida.
 
 
- Sono qui, Alfa, mi senti? - continuò, e sul suo viso scorsi un debole sorriso farsi strada tra le lacrime.
 
 
Annuii a stento. Le bastò.
 
 
- Ricordatelo, hai capito? Ricordati, Alfa…- riuscì a dire ancora, prima di venire allontanata a forza dalla folla.
 
 
Me ne ricordai. Fu grazie a lei, al suo sorriso, se riuscii a sopravvivere ai Dissenatori e ad Azkaban.
Ma allora non lo capivo. Credevo di non averne bisogno, credevo di bastare a me stessa.
Ero convinta che l’orgoglio mi avrebbe salvata, e seguivo i miei carcerieri a testa alta, fiera, risoluta. Incrollabile, apparentemente.
In realtà qualcosa strideva, in quel quadro perfetto.
Un pensiero mi assillava e, benché tentassi in ogni modo di scacciarlo, ripetendomi che era sciocco e moralista, non mi dava pace.
Era la consapevolezza.
La consapevolezza di averlo voluto.
 
 
 
 
Note:
Salve a tutti!  (:
Mi scuso del ritardo, ma mi sto accorgendo a mie spese che, paradossalmente, durante l’estate trovo meno tempo per scrivere che durante l’anno scolastico… -.-
Dunque, non vorrei che questo interminabile capitolo fosse risultato un po’ pesante, ma ne avevo bisogno per descrivere il punto di vista di Alfa, le sue opinioni in merito al conflitto e le sue ragioni.
Ne è uscita un po’ fanatica, forse, ma così si percepirà meglio il cambiamento negli anni successivi…
 
Non so di preciso come si svolgessero i processi del Ministero: mi sono ispirata sia a quelli che Harry vede nel Pensatoio nel quarto, sia al suo del quinto. La faccenda del consenso unanime per una condanna a vita in realtà mi è servita come pretesto per il discorso di Silente, che altrimenti non avrebbe avuto occasione di fare…
 
Le accuse precise rivolte ad Alfa le ho decise all’ultimo; mi sembrava appropriato che si fosse resa colpevole di omicidi soprattutto per via indiretta, dato che lo spionaggio è uno dei lavori che le venivano più spesso affidati (come a Piton, d’altronde…).
A tradirla, comunque, anche se non le viene detto, ho pensato che potesse essere stato Rookwood, il cui incarico era pressoché lo stesso.
 
Mi pare di non avere niente da aggiungere…
 
Grazie, come sempre, a chiunque vorrà recensire!
A presto!
Fanny
 

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Capitolo 13
*** Luce ***


- L’orbita di Callisto è inclinata di due gradi, non sette, rispetto a quella di Giove.
 
 
Sospiro rassegnata e sollevo il foglio, zeppo di linee intricate, all’altezza del viso. Lo esamino attentamente alla fioca luce delle torce, corrugando la fronte.
 
 
- E qui hai inserito un satellite in più di tua spontanea volontà, vedo. - aggiungo, indicando col dito un punto minuscolo sulla mappa celeste.
 
- L’astronomia è matematica, Cornelia. E la matematica è precisione. Un concetto che ancora non sembri aver afferrato. - sentenzio, restituendole il foglio.
 
- Mi domando come si possa andare avanti così.
 
 
Lei, Cornelia, alza gli occhi, quei meravigliosi occhi di un’indefinita tonalità tra il blu e il viola, e mi fissa astiosa.
 
 
- Non lo chieda a me, professoressa. - replica, ponendo particolare enfasi su quell’ultima parola, come a voler metterne in dubbio l’autenticità del significato.
 
 
Di sicuro, da quando le è stato rivelato che anch’io, assidua frequentatrice della sua villa, faccio parte delle schiere al servizio del Signore Oscuro, la mia autorità scolastica è stata irrimediabilmente compromessa.
Cornelia ha mantenuto la promessa, certo: nessun altro è al corrente dei miei reali intenti, ma la conoscenza della verità deve averla indotta a guardarmi con occhi diversi. Me ne accorgo continuamente, a lezione, da come mi punta addosso quel suo sguardo indecifrabile, a metà fra l’ammirato e l’inquisitorio.
So che, se volesse, potrebbe tradirmi in qualsiasi momento, e questo m’impedisce, a volte, di trattarla in modo imparziale.
Ma le Arti Oscure la affascinano, e, tutto sommato, credo che la conseguenza principale di questa rivelazione sia stata, da parte sua, una maggiore stima nei miei confronti. Anche se in occasioni come queste la cela dietro un atteggiamento burbero e scostante.
 
 
- Non sono certo stata io ad insistere per prendere ripetizioni. - ci tiene a far presente, con una sfumatura di polemica che fingo di non cogliere.
 
 
- No, certo. - sospiro.
- E’ stata una decisione unanime tra me e tua madre.
 
 
Narcissa, infatti, qualche settimana fa mi aveva esortato ad impartire a Cornelia lezioni di ripetizione nelle mie ore libere, affinché potessi trascorrere più tempo con lei. Mi ero mostrata riluttante, ma in fondo sapevo che sarebbe stata una buona idea e le ero grata, poiché era sempre lei a fare il primo passo, ad adoperarsi perché io potessi ricucire i rapporti con mia figlia.
Il pretesto ufficiale, naturalmente, era che Cornelia aveva urgente bisogno di rimediare al brusco calo che aveva interessato i suoi voti in Astronomia.
 
 
- E cosa vi ha portate a questa conclusione, se mi è dato saperlo? - chiede ancora lei, facendo sfoggio di tutta la sua impertinenza.
 
 
Anche se mi sforzassi, tuttavia, non riuscirei a biasimarla: mi somiglia troppo.
 
 
- Un’altra cosa che devi imparare è il silenzio. - ribatto, in cuor mio maledicendomi per tanta ipocrisia.
- Ma a questa domanda posso risponderti. Abbiamo deciso di farti prendere ripetizioni perché non ci sembrava opportuno, date le tue capacità, che ti lasciassi andare così. I tuoi genitori hanno a cuore la tua istruzione, e io credo molto nel tuo potenziale, come mi pareva di averti già detto. Non so perché tu abbia smesso di dedicarti all’Astronomia con il dovuto impegno, ma di certo sei sempre in tempo per recuperare. Basterebbe solo che lo volessi anche tu…- concludo, fissandola in attesa di un suo cenno d’assenso.
 
 
- Io lo voglio, infatti. - si schermisce lei, punta sul vivo.
 
 
Alzo un sopracciglio, scettica.
 
 
- Non mi crede? Pensa forse che del mio andamento scolastico non m’importi nulla?
 
In effetti, non sarebbe da lei.
 
- Semplicemente, ci sono cose di cui m’importa di più.
 
 
Alza le spalle, come fosse la constatazione più ovvia del mondo. Come darle torto?
 
 
- Per esempio? - la incalzo, improvvisamente curiosa, avida di conoscerla a fondo.
 
 
- La mia famiglia.
 
 
A queste parole avverto, in un punto imprecisato del corpo, o forse dell’anima, qualcosa che si spezza. E fa male.
 
 
- Stiamo attraversando un momento difficile, e lei dovrebbe saperlo. - prosegue, alzando lo sguardo e incontrando il mio.
 
- Vorrei poter star loro più vicina, ma mi è impossibile, qui a Hogwarts. Raramente ho loro notizie, e nonostante questa guerra sembri volgere a nostro favore, non so… Ho paura. - mormora, chinando il capo, privandomi ancora una volta dei suoi occhi, della loro luce.
 
 
- Lei è una di loro, probabilmente non capisce… Nessuno, tra i Mangiamorte, sembra capire, in realtà. Troppo presi dal loro Signore… O forse dal terrore.
 
 
Mi limito a fissarla, incapace di interrompere quell’insolito quanto autentico sfogo di sentimenti, troppo a lungo repressi.
 
 
- Ti sbagli. - esclamo dopo un po’, poiché non accenna a proseguire.
- Io ti capisco, più di quanto tu non immagini.
 
 
- Non credo. - scuote il capo lei.
- Narcissa è l’unica ad aver mai dato segno di preoccuparsi per me, anche se ultimamente ho l’impressione di star perdendo anche lei. La sento distante… Quasi volesse evitarmi.
 
 
- Non dire sciocchezze, Cornelia. Tua madre ti vuole bene e non credo proprio…
 
 
- Lei non è mia madre. - si affretta a precisare.
 
 
Ammutolisco improvvisamente, restando interdetta per un istante.
 
Ma certo. Avrei dovuto capirlo, penso amaramente, mordendomi un labbro. Avrei dovuto capire che l’uso del nome proprio di Cissy non era casuale, ma indicava la recente verità appresa da Cornelia. Avrei dovuto evitare allusioni dirette, se non volevo ritrovarmi in trappola.
Ormai, però, è fatta. Ci sono dentro fino al collo ma, contro ogni aspettativa, mi rendo conto di aver già deciso, di averlo quasi inconsciamente desiderato e di aver agito di conseguenza, parlando a sproposito: non mi tirerò indietro.
 
 
- Come sarebbe a dire non è tua madre? - insisto, simulando stupore.
 
 
Mi riesce piuttosto bene, ma questa, penso con sollievo, sarà l’ultima volta.
 
 
- No, non è mia madre. E’ stata lei stessa a dirmelo, poco tempo fa. Sono stata adottata.
 
 
Alza di nuovo le spalle, ostentando noncuranza.
 
 
- Capisco. Immagino non sia stato semplice accettare una notizia del genere…
 
 
Sondo il terreno, alla ricerca di una via d’accesso ai suoi sentimenti più nascosti.
 
 
- Ne ho preso atto. Che altro potevo fare?
 
 
La scruto attentamente, ma lei continua a tenere lo sguardo basso, sperando così di dissimulare ogni traccia di emozioni dal suo volto.
 
Inspiro a fondo, lottando per mantenermi salda ai miei intenti. E’ forte la tentazione di tornare sui miei passi come se nulla fosse accaduto, ma m’impongo di non cedere, o i rimorsi non mi daranno più pace.
 
 
- Ti ha detto anche chi sono i tuoi veri genitori? - la sollecito, in apparenza animata solo da sincero interesse nei suoi confronti.
 
 
- No. Non ne ho idea, forse nemmeno i Malfoy lo sanno. A quel che ho capito, provengo da un orfanotrofio. - mormora lei, questa volta senza riuscire a nascondere la desolazione.
 
 
- No. - mi scappa detto, prima che possa frenarmi.
 
- Non è vero.
 
 
Distolgo lo sguardo da lei e lo poso su una parete lì a fianco.
 
Silenzio. Un silenzio denso di stupore, carico di tensione.
 
Poi, dopo quella che pare un’eternità, la sua risposta.
 
 
- Che cosa? Lei sa… Lei sa forse da dove vengo? Conosce i miei genitori? - domanda incredula, la voce soffocata dall’emozione.
 
 
Non osa sperare, probabilmente; è disillusa e scettica, come me. Eppure, questa volta potrebbe anche concederselo: non la deluderò.
 
 
Mi volto lentamente, e nello stesso istante lei alza il viso. I nostri sguardi s’incontrano: un guizzo improvviso, un lampo di luce brilla nei suoi occhi, e capisco che ora, finalmente, anche lei sa.
 
Fissandomi come pietrificata, si porta una mano tremante alla bocca.
 
 
- Lei… Lei è mia madre? - farfuglia, esterrefatta.
 
 
Annuisco, incapace di proferire parola.
 
 
- Mio Dio… - sussurra, chinando il capo.
 
 
Tace per qualche istante, mentre aspetto che sia lei a pormi domande, poi finalmente sembra riprendersi.
 
 
- Mi scusi… Ho bisogno di prendere una boccata d’aria… - mormora, alzandosi e dirigendosi verso la terrazza della torre, pallida e sconvolta.
 
 
Chiudo gli occhi, sospirando. Ho atteso questo momento per sedici anni; l’ho temuto, desiderato ed evitato al tempo stesso, troppo vile per compiere il primo passo, troppo concentrata sulla mia presunta missione per dedicarmi a Cornelia, troppo orgogliosa anche solo per ammettere che mi era mancata, durante gli anni in cui la sua vicinanza mi era stata negata, dalle sbarre di una prigione o da un tacito accordo di non poter mai uscire allo scoperto, alla luce.
 
Accecata da false verità e sprovvista del coraggio necessario per metterle in discussione, per sfatarle, ho perso di vista ciò che invece c’era di più importante nella mia vita.
 
Sì, perché ora lo so: avrei dovuto fuggire, sedici anni fa. Avrei dovuto rinnegare i miei ideali per inseguirne uno più autentico, impegnativo, gratificante: il rispetto per la vita. Per la vita di mia figlia, che avrei dovuto anteporre a qualsiasi ambizione, dogma, devozione. A lei avrei dovuto dimostrare la mia lealtà; chi avrebbe avuto la sfacciataggine di biasimarmi?
Io stessa, innanzitutto. Lo avrei giudicato un gesto vile, deplorevole, infedele. Il mio Signore aveva la precedenza su qualsiasi altra futilità.
 
 
Scuoto il capo, sopraffatta dai rimorsi. Ho sbagliato ogni cosa, eppure me ne rendo conto solo adesso, adesso che ormai è troppo tardi.
Forse, però, Cissy ha ragione. Forse non tutto è perduto.
 
 
Seguo con lo sguardo Cornelia mentre rientra e prende nuovamente posto di fronte a me, senza tuttavia alzare gli occhi.
 
 
- Mi dispiace. - dico a bruciapelo, precedendola.
- Di avertelo detto solo ora, intendo.
 
 
- Perché? - domanda soltanto.
 
 
La sua freddezza mi rattrista, ma d’altronde cosa mi aspettavo? Un caloroso abbraccio, forse, come ricompensa per le attenzioni che le ho riservato in tutto questo tempo?
Decido di essere sincera con lei.
 
 
- Perché mi è mancato il coraggio, almeno finora. Ma soprattutto per il tuo bene: non ti sarebbe piaciuto sapere di avere una madre in prigione…
 
 
- Questo lo dice lei! - ribatte inaspettatamente Cornelia, alzando all’improvviso lo sguardo.
 
 
- Puoi darmi del tu. - replico, quasi divertita.
 
 
- D’accordo. - riprende lei, impaziente.
- Credi… Credi di sapere tante cose su di me, ma ti sbagli.
 
 
L’innegabile verità delle sua parole mi trafigge, eppure non c’è traccia di rancore nel suo tono, quanto piuttosto di curiosità, brama di conoscere e di farsi conoscere.
 
 
- Anche prima che Narcissa me lo confessasse, avevo spesso delle fantasie in cui i miei genitori erano dei maghi oscuri molto potenti, costretti ad abbandonarmi per fuggire altrove, ma io sapevo  che un giorno sarebbero tornati per venirmi a prendere e portarmi via con loro… Sarei stata orgogliosa se avessi saputo di te…
 
 
Saresti stata? E invece non lo sei, Cornelia, nemmeno ora? Sono davvero arrivata troppo tardi?
 
 
- Be’, non sono sicura di essere all’altezza delle tue aspettative…- replico, abbozzando un sorriso.
- Mi reputo piuttosto una strega oscura fallita… - mormoro amaramente.
 
 
Lei corruga la fronte, perplessa: non conosce da vicino le barbarie a cui anche noi Mangiamorte siamo sottoposti, e spero per lei che non le conoscerà mai.
 
 
- E mio padre? - si riscuote, come se solo ora se ne fosse ricordata.
- Chi è?
 
 
- Chi era. - la correggo.
 
 
Lei si rabbuia e mi fissa con quei suoi occhi che improvvisamente, nell’oscurità opprimente della torre, mi paiono enormi.
 
 
- E’ morto? - sussurra piano.
 
 
Annuisco.
Non puoi immaginare quanto mi costi un gesto così semplice, Cornelia.
 
 
- Si chiamava Regulus. Regulus Black.
 
 
Sgrana gli occhi, sorpresa.
 
 
- Era il cugino di Narcissa. Sì, alla fine siete davvero parenti… Era un Mangiamorte, come me. Non eravamo sposati; non ho mai creduto nel matrimonio. Credevo in ciò che facevo, nel mio Signore e in lui. Ma non è bastato. L’anno prima che tu nascessi, ha maturato a mia insaputa certe idee che l’hanno portato ad allontanarsi dal Signore Oscuro e a desiderare di sconfiggerlo.
 
 
Ricordo che all’epoca quella notizia, riferitaci dal nostro Signore, mi aveva sconvolta ed angosciata. Un così repentino cambio d’opinione mi era parso inconcepibile, ingiustificabile: ora, invece, non più.
 
 
- E poi? Cos’è successo? - incalza Cornelia.
 
 
- Si è lanciato in una missione suicida ed è rimasto ucciso. Il Signore Oscuro naturalmente ha scoperto il tradimento…
 
 
- Non gli importava di me? - domanda implorante.
 
Sorrido tristemente.
 
- Non sapeva che c’eri. Non lo sapevo neanch’io, non ancora. Sono sicura che si sarebbe comportato diversamente, se fosse vissuto abbastanza a lungo da saperlo.
 
 
In realtà non ne sono affatto sicura, ma avverto il bisogno impellente di allentare la morsa che, a ogni notizia che le rivelo, mi stringe sempre più il cuore.
 
 
- Ma ricordarne solo la fine sarebbe un affronto alla sua memoria. - aggiungo, desiderosa di donare al racconto un po’ più di luce.
- Ha dimostrato di avere coraggio: nell’unirsi ai Mangiamorte come, e soprattutto, nel disertare.
 
 
Le mie stesse parole mi suonano estranee, poiché quella considerazione, prima d’ora, non mi aveva mai neanche sfiorata.
 
 
- Io non credo che mollerei, se fossi Mangiamorte. Voglio dire, si presume che uno debba impegnarsi e rischiare molto, per conquistare la fiducia del Signore Oscuro, no? Mi sembrerebbe di aver fatto tutto invano… - mormora lei, pensierosa.
 
 
E io non credo che tu diventerai mai Mangiamorte, Cornelia. Mi opporrei, se un giorno dovessi volerlo. Perché? E’ ancora presto per spiegartelo, e rischioso. Non confesso le mie incertezze nemmeno a me stessa, e dubito tu sia una buona Occlumante, almeno per ora. Ma devo saperne di più.
 
 
- T’interessi di Arti Oscure? - butto lì, parendo quasi la madre irrisolta che tenta di far seguire alla figlia le proprie orme.
 
 
Lei mi scruta, sospettosa. Mi mordo un labbro, nel disperato tentativo di non cedere al groppo che mi serra la gola. Quanto impiegherai per fidarti di me, Cornelia?
 
 
- Sì, le trovo interessanti. - ammette infine, stringendosi nelle spalle.
- In casa abbiamo diversi libri, è stato naturale. I Malfoy senza dubbio mi hanno influenzato, ma quella di leggerli è stata una mia scelta.
 
 
- Capisco. E come li trovi?
 
Esita.
 
- Un po’ complicati, a dire il vero, ma m’incuriosiscono. Sono affascinanti…
 
 
Mi sfugge un sorriso: mi somiglia più di quanto avessi immaginato.
 
 
- Che c’è? - domanda sorpresa, accortasene.
 
 
- Nulla. E’ che, vedi… E’ stato così anche per me. Avevo circa la tua età quando ho iniziato a dedicarmi alle Arti Oscure, insieme a Lucius, i Lestrange e altri…
 
 
- E quando hai deciso che saresti diventata Mangiamorte? - seguita lei, illuminandosi.
 
 
- Più o meno in quel periodo. Coltivavo l’idea, ma è stato dopo la fine della scuola che ho iniziato a prendere lezioni.
 
- Da chi?
 
- Lucius e altri che già avevano il Marchio.
 
 
- Ah. - mormora lei, impercettibilmente delusa.
- Bellatrix dice sempre che è stato il Signore Oscuro in persona ad istruirla…
 
 
- Sì, be’, lei in questo senso è stata una privilegiata… Era molto dotata. Lo è tuttora, naturalmente. E la faccenda le stava a cuore più che a chiunque altro.
 
 
Tace per un po’, elaborando tutte quelle informazioni. Mi dispiace che debba apprendere la verità in maniera così brusca, repentina, sconvolgente; se tra qualche ora ripenserà alla nostra conversazione, temo le sembrerà di aver sognato.
 
 
- Lei è molto devota. Bellatrix, intendo. - osserva Cornelia.
 
 
Annuisco, chiedendomi dove voglia arrivare.
 
- Senza dubbio.
 
 
- Però anche tu sei stata in prigione molti anni… Com’è successo?
 
 
Deglutisco nervosamente. Non avrei potuto evitarlo ancora per molto, in effetti.
 
 
- Lavoravo al Ministero come impiegata all’Ufficio Auror, e questo mi consentiva di riferire al Signore Oscuro informazioni esclusive.
 
 
- Eri una spia già allora. - commenta ammirata.
 
Sembra che stia abbandonando a poco a poco la sua abituale maschera di freddezza; forse ha solo bisogno di tempo per prendere confidenza con una persona, che tanto più ignorava fosse sua madre.
 
 
- Sì, quel genere di cose mi è sempre riuscito abbastanza bene. - proseguo, rincuorata.
- Ma un altro Mangiamorte, un infiltrato come me che era stato catturato, mi ha tradito e hanno preso anche me. Mi hanno processata e io mi sono dichiarata colpevole, rifiutando di pentirmi. Così mi hanno gettata ad Azkaban.
 
 
- Io ero già nata? - domanda, un lieve imbarazzo nella voce.
 
 
Traggo un respiro.
 
- No. Sei nata mentre ero già dentro. - mormoro, abbassando lo sguardo.
 
 
Presto, però, non resisto e sbircio il suo volto, cercandovi tracce di rabbia, amarezza, delusione. Inaspettatamente, non ne trovo. Se ha mostrato stupore, perplessità o sconvolgimento, è stato solo per un istante.
Ora la sua espressione pare onnisciente, tanto da infondermi soggezione: come se nel profondo avesse saputo ogni cosa fin dall’inizio e non sentisse il bisogno di ulteriori, dolorose spiegazioni.
Negli occhi le brilla una luce nuova, intrisa di comprensione e rispetto, forse persino affetto. Nulla che io meriti davvero.
 
 
Mi avvicino, le siedo accanto e l’abbraccio, stringendola forte. Lei non oppone resistenza, anzi ricambia. Ormai non mi sforzo nemmeno più di trattenere le lacrime.
 
 
- Mi dispiace tanto… - le sussurro, accarezzandole piano i capelli.
 
Come se fosse ancora una bambina. Come se io l’avessi conosciuta, quella bambina, e quegli anni non ci fossero stati rubati.
 
Rimaniamo a lungo così, strette l’una all’altra, senza bisogno di parlare.
 
 
- Forse ora è meglio che vada… - azzarda lei dopo un po’, scostandosi delicatamente.
- Scusa, solo che è un po’ tardi… - aggiunge, rammaricata.
 
 
- No, hai ragione. - mi riscuoto.
- E’ molto tardi, in effetti, e tu hai bisogno di dormire… Domani hai pur sempre lezione.
 
 
- Dubito che riuscirò a prendere sonno, in realtà, dopo tutto questo… Ma va bene così. Era tempo che io lo sapessi, e te ne sono grata.
 
 
Abbozza un sorriso e io faccio altrettanto, incapace di trovare le parole.
 
 
- Allora… Buonanotte.
 
- Buonanotte.
 
 
Resto a guardarla mentre si allontana a grandi passi, imbocca le scale e sparisce lentamente dalla mia vista.
 
 
Buonanotte, Cornelia. Non preoccuparti, ci rivedremo presto. Recupereremo il tempo perduto; non ho intenzione di lasciare che ce ne portino via nemmeno un istante. Ora che ti ho ritrovata, ora che sai, cos’altro può ancora farci paura?
 
 
Il vento mi accarezza il viso, dolcemente, mentre inspiro l’aria pura di quassù e contemplo la luna. E’ piena, stasera.
D’un tratto, mi accorgo che ti somiglia: c’è qualcosa in lei che mi ricorda inspiegabilmente il tuo viso. Non è il candore dai riflessi perlacei; non è nemmeno la sua discreta, costante, anelata presenza. E’ la luce. Quella luce intensa, fredda eppure rassicurante, meravigliosa: la stessa dei tuoi occhi.
 
 
 
 
Note:
Ciao a tutti! Questa volta il ritardo è stato più consistente del solito, ma ormai ci sarete abituati…
Dunque, eccoci senz’altro a uno dei capitoli-chiave della storia, che aspettavo di scrivere da un anno… Spero di non averlo descritto in modo scontato (ciò che forse temo di più) o eccessivamente stucchevole. In ogni caso, le critiche costruttive sono sempre ben accette! ^^
Ne approfitto per dirvi che probabilmente per il pubblicare il prossimo impiegherò un bel po’, dato che mi sono iscritta ad un contest e intendo scrivere una long (anche se ‘short’ rispetto a questa…xD). Lo so, prendo troppi impegni, ma farò il possibile per non lasciar passare un tempo eccessivo, anche perché ormai siamo vicini alla fine…
Un’ultima cosa: questo capitolo è dedicato a Merlina97, per la sua ammirevole costanza, per la sua pazienza nel sopportarmi, e perché sperava tanto in un approfondimento del personaggio di Cornelia… Mi auguro non avessi aspettative troppo alte… Scherzo.
Grazie, come sempre, a tutti quelli che seguono e recensiscono: siete fondamentali, c’è poco da aggiungere!
Un bacio,
Fanny
 
 

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Capitolo 14
*** Buio ***


NdA: a puro scopo informativo, Regulus è la stella più brillante della costellazione del Leone. Mi pareva opportuno specificarlo subito…Buona lettura!^^
 
 
- Alfa Ellen Centauri, oggi, ventiquattro febbraio 1982, questo tribunale ti condanna all’ergastolo per aver rivelato a Voi-Sapete-Chi informazioni riservate che hanno portato al rapimento e all’uccisione di sei Auror alle dipendenze di questo Ministero.
 
 
Le aspre parole della sentenza riecheggiavano in me come un sogno; avevo la netta, raccapricciante sensazione che la mia vita passata fosse in realtà appartenuta ad un’altra. Rievocavo quegli istanti decisivi, fatali, come se si fosse trattato di una visione, o di un ricordo talmente lontano nel tempo da aver assunto i vaghi contorni di una circostanza solo immaginata.
Ricordavo quelle poche parole, che avevano decretato in maniera irrevocabile la mia sorte, e quasi nient’altro. Constatai con orrore che probabilmente Azkaban già cominciava ad avere effetto su di me.
 
D’altronde, per quale motivo avrei dovuto fare la differenza? Mi ritenevo forse più tenace, più caparbia, immune a quell’incubo, per il semplice fatto di averlo scelto? Ero forse migliore degli altri ai loro occhi, potevo affermare di non meritarmelo, unicamente perché avevo agito per via indiretta?
 
No, certo che no. Sarei impazzita anch’io, come tutti. Il mio unico rammarico era che in due mesi di prigionia fossi ancora, tutto sommato, abbastanza lucida.
Anelavo la follia, così come l’oblio, poiché in fondo ero convinta fossero la stessa cosa. Desideravo con tutta me stessa perdere coscienza della realtà opprimente che mi circondava, dimenticare come ero arrivata fin lì, così da poter finalmente smettere di soffrire.
Alle volte, giungevo perfino a sperare in una morte imminente, nonostante in tal modo avrei reso vano il mio sacrificio.
 
Evidentemente, però, questa era la mia vera condanna: essere spettatrice impotente del destino altrui, sperando di poter, un giorno, veder realizzarsi anche il mio, e nel frattempo venire dilaniata da un’insostenibile, angosciosa attesa, senza poter far nulla perché cessasse.
 
 
Notte e giorno, udivo i lamenti degli altri dannati nelle celle vicine: chi gridava, reso folle dal dolore, chi invocava il nome di qualcuno, chi piangeva istericamente e chi implorava pietà. E’ questo l’inferno, mi dicevo allora, non può essere peggio di così.
Li ascoltavo, cercando di riconoscere in quella macabra, stridente melodia qualche voce nota, che mi facesse sentire meno sola.
Ma si trattava di un’illusione: sola lo ero e lo sarei sempre stata, finché non fossero stati aperti anche a me i cancelli di quella dimensione ignota.
 
Ad una in particolare, tuttavia, avevo fatto l’abitudine, poiché per intensità sembrava sovrastare tutte le altre: le urla di Bellatrix Lestrange, infatti, erano inconfondibili. Acute, penetranti, struggenti; sebbene non avessi mai avuto con lei un rapporto stretto (d’altronde, lei stessa sembrava aver riservato questo privilegio a pochi eletti), quelle grida mi facevano rabbrividire, anche perché, condividendo lo stesso amaro destino, non potevamo che essere tacitamente solidali fra noi.
Alternava momenti di profondo sconforto, durante i quali invocava senza sosta il suo Signore, ad altri di apparente quiete, in cui si udiva solo un lamento sommesso e ininterrotto.
Mi domandavo quanto a lungo avrebbe resistito; certo non immaginavo che sarebbe sopravvissuta, e neanche che in quattordici anni di prigionia non avrebbe mai, nemmeno per un istante, perso la fiducia in Lui, nel suo ritorno, e che i fatti le avrebbero dato ragione.
 
Io, invece, sempre più spesso ero assalita da dubbi riguardo al ritorno del nostro Signore; ma, mi ripetevo, non avevo forse messo in conto anche questa ipotesi quando era stato il momento di scegliere?
La mia decisione, più ancora che dalla speranza in Lui, era stata dettata dalla lealtà verso me stessa. Ritenevo la coerenza più importante persino della libertà; ero convinta che mai, dunque, mi sarei pentita del mio gesto.
 
 
Nei primi tempi, sopportavo di buon grado il freddo, la fame, persino la solitudine; placavo l’angoscia con la certezza che di lì a poco sarei precipitata anch’io nel limbo rassicurante della pazzia. Ciò che faticavo a tollerare era la gravidanza e le innumerevoli, fastidiose complicazioni che ne derivavano.
Ero ormai prossima al parto, le nausee giungevano sempre più frequenti e, con esse, l’ancestrale, incondizionata paura di non farcela, di non riuscire a sopportare il dolore, tanto più in un luogo del genere.
Mi sentivo spossata, priva di una ragione di vita, sprovvista della voglia di lottare. All’avvicinarsi dei Dissennatori non tentavo nemmeno più di opporre resistenza: mi lasciavo semplicemente scivolare in un baratro di sconforto e disperazione che, in ogni caso, non mi sembrava molto diverso dalla realtà che mi circondava.
Non riuscivo a immaginare dove avrei trovato la forza di dare alla luce un bambino. Gli eventi mi avevano provata a tal punto che non desideravo neanche più reagire: che senso avrebbe avuto?
Ormai era troppo tardi per tornare indietro: io mi ero comportata da incosciente, Regulus se n’era andato e non c’era rimedio. Tanto valeva aspettare e lasciare che il destino (in cui peraltro non avevo mai creduto) seguisse il suo corso. Sarei stata a guardare, nulla di più. E avrei visto solo buio.
 
 
 
Quel giorno, stranamente, le mura di Azkaban sembravano ancora più soffocanti. Mi ero destata, alle prime luci dell’alba, da un sonno inquieto e popolato di incubi, spesso interrotto dal lamento di qualche prigioniero che non trovava pace.
Ero rimasta per un tempo indefinito a fissare inerte il vuoto, incapace di formulare pensieri di senso compiuto e di gran lunga prediligendo quell’attività, il cui sforzo era minimo, ad altre più impegnative ma ugualmente infruttuose. Poi, per caso, il mio sguardo era caduto sulle inferriate alla finestra e, come non accadeva da tempo immemorabile, si era soffermato su ciò che ne rimaneva fuori.
Il cielo era illuminato da tenui riflessi rosati, e si andava schiarendo man mano che il sole faceva capolino all’orizzonte. Nonostante l’usuale coltre di nubi, un quarto di luna e alcune tenaci stelle sembravano voler sfidare il predominio dell’astro nascente. Le osservai meglio e in breve riconobbi la costellazione del Leone, beffardo scherzo del fato. Notai che la luna era calante e ne dedussi che il mese di aprile volgeva al termine. Di conseguenza, anche la mia gravidanza.
Sospirai e abbassai lo sguardo, salvo poi, incapace com’ero di sostenere quella visione, tornare ad osservare il cielo. Era trascorso tanto, troppo tempo dall’ultima volta che l’avevo contemplato, studiato, ammirato; dall’ultima volta che ero ammutolita dinnanzi all’immensità del vuoto, sopraffatta da una sensazione di crescente e riverente impotenza.
Avevo sempre avuto paura del vuoto: era sconosciuto, oscuro, sfuggiva al controllo. Mai avrei intrapreso un salto nell’ignoto, senza immaginare a cosa andavo incontro, senza esserne consapevole e convinta: e se poi non fossi atterrata in piedi?
L’astronomia, invece, mi infondeva sicurezza: ogni cosa era governata da leggi precise, che lasciavano poco spazio all’imprevisto e all’interpretazione personale; le soluzioni ai problemi si elaboravano sulla base di ragionamenti logici e razionali, non a partire da intuizioni effimere e guidate dall’istinto.
Le stelle avevano innegabilmente ricoperto un ruolo fondamentale nel mio quotidiano, nella mia intera esistenza, almeno fino a… Fino a quando? Quand’era che avevo smesso di guardarle? Com’era potuto succedere?
La risposta, nel profondo, la conoscevo anche allora, ma fingevo di non rendermene conto. La verità era che il mio mondo, quel mondo che io stessa avevo così abilmente costruito, con le sue solide mura a proteggermi, mi stava rapidamente crollando addosso senza che potessi evitarlo e, quel che è peggio, senza che me ne accorgessi.
 
Forse Cissy aveva ragione. Forse non avrei mai dovuto smettere di guardare il cielo: se non altro mi avrebbe dato speranza, ed era proprio la speranza ciò di cui avevo più bisogno in quel momento.
 
Mi domandai, tentando invano di accelerare quel processo che mi avrebbe condotta alla pazzia, se anch’io fossi stata, a mia volta, una stella.
Riflettei, improvvisamente travolta da ogni genere di ricordi, da frammenti di quella che sembrava un’esistenza precedente, e conclusi che sì, lo ero stata. Una stella anche piuttosto luminosa, tanto da averne senza dubbio oscurate altre; ingiusto, dunque, che ora stessi morendo nel silenzio e nella solitudine più completi, dimenticata da tutti. Mi rassicurai pensando che dopotutto forse si trattava solo di una morte apparente, di un’ibernazione, e che, presto o tardi, sarei tornata a brillare.
 
 
Non terminai mai di tessere mentalmente gli elogi della mia caparbietà e integrità morale: poco dopo, infatti, un dolore acuto al ventre mi distolse da tutto il resto. Impallidii e boccheggiai, colta alla sprovvista.
Non era la prima occasione in cui si presentavano fitte così intense; da qualche giorno ormai mi ci ero abituata, sapevo cosa preannunciavano. Questa volta, però, non accennavano a smettere.
Chiusi gli occhi, sforzandomi di ignorarle; presto, tuttavia, mi accorsi che qualcosa non andava. Li riaprii, gettai una rapida occhiata a terra e sussultai. Per quanto priva di esperienza, mi fu subito chiaro che le acque si erano rotte.
 
 
Mi morsi un labbro, sovrappensiero. Dunque, il momento era giunto. Che cosa sarebbe successo se non avessi reagito affatto? Se mi fossi lasciata cullare dal dolore, senza opporre resistenza alcuna? Con ogni probabilità la creatura sarebbe morta prima ancora di venire alla luce, e forse anch’io. Avvertii la curiosità di provare, mia fedele compagna anche nei momenti più inopportuni.
 
Di nuovo, però, lo sguardo mi cadde involontariamente al di là delle sbarre, sul gruppetto di stelle ormai quasi invisibile, tranne che forse per il mio occhio esperto.
Il Leone se ne stava lì, imperturbabile, e mi fissava con aperta sfacciataggine. Ebbi quasi l’impressione che stesse vigilando su di me, che mi stesse trattenendo dal compiere azioni avventate, o meglio, dal non compierne affatto.
 
“D’accordo” mi arresi, forse finalmente in preda a qualche delirio. “Solo per te”
 
 
 
- Carceriere! - gridai, raddrizzando la schiena.
Ero sicura che avesse udito; nonostante la mia condizione di detenuta, m’infastidiva che non mi si prestasse ascolto.
 
Poco dopo, invece, preceduto dal rumore del chiavistello che girava nella toppa, l’uomo fece il suo ingresso.
 
Rabbrividii. Era basso e scheletrico, persino più di me; la lunga veste nera gli ricadeva addosso come fosse stata di due taglie più larga, lasciando scoperte solo le mani nodose, ricoperte di rughe e lanugine. Sul suo capo ancora resistevano, tenaci, alcuni ciuffi di capelli ormai bianchi e decisamente troppo lunghi.
Erano però gli occhi ad inquietarmi più di tutto il resto: piccoli e azzurri, ma talmente infossati che quasi non si riusciva a distinguerne la tonalità, restituivano un’ondata di gelo a chiunque osasse intercettarne lo sguardo.
 
Mi era capitato di domandarmi cosa lo avesse indotto ad assumersi un incarico del genere; non avevo trovato risposta, ma numerose erano state le elucubrazioni: avidità, bisogno impellente di denaro (non sapevo, in realtà, se il mestiere fosse ben retribuito), semplice sadismo o desiderio di vendetta, riposto nella giustizia, per un qualche torto subìto dalle nostre forze.
 
Quale che fosse la ragione della sua scelta, qualsiasi motivo lo avesse spinto a dedicare la vita all’estirpazione della criminalità e a rinchiudersi per sempre dentro le mura di Azkaban, non potevo fare a meno di provare un moto di disgusto ogni volta che me lo trovavo davanti. Non avrei saputo spiegare perché, ma m’incuteva più terrore degli stessi Dissennatori, i quali, tutto sommato, dopo che si aveva imparato a conoscerli non riservavano mai particolari sorprese. Forse era stato proprio a causa della convivenza con loro che anch’egli, a sua volta,  sembrava essersi trasformato in una creatura che di umano conservava ben poco. Forse avrei potuto dimostrarmi più indulgente, più comprensiva nei suoi confronti.
 
L’alone di mistero che lo circondava, invece, alimentava il mio astio verso il carceriere, insieme a una bruciante, umiliante consapevolezza: al momento era lui a possedere la mia bacchetta e, di conseguenza, a tenere in pugno la mia libertà, a determinare la mia impotenza nel rivendicare quella superiorità che mi spettava di diritto.
 
 
Lo accolsi dunque con una smorfia, che era insieme di disprezzo e di dolore, poiché le contrazioni erano ormai sempre più frequenti.
 
Lui rispose con un ghigno raccapricciante.
 
- Che c’è? - gracchiò con aria infastidita, come se l’avessi distolto da ben più urgenti questioni.
 
 
Esitai.
Spesso, infatti, i carcerieri di Azkaban si erano rivelati efficaci e senza scrupoli tanto quanto i Dissennatori: rispetto ad essi possedevano senza dubbio un ingegno più sviluppato, un istinto meno prorompente, una maggiore inclinazione a seguire le strategie suggerite loro dalla ragione (per riprovevoli che fossero), ed erano capaci di un sadismo sorprendente, di un autentico odio nei nostri confronti, che difficilmente quegli esseri avrebbero eguagliato.
 
D’altronde, però, io non avevo altra scelta se non quella di affidarmi a lui.
 
 
Mi schiarii la voce.
 
 
- Devo partorire. - dissi in un soffio.
 
 
Evidentemente percepì la mia indecisione, perché sogghignò minacciosamente.
 
Digrignai i denti: se avesse mostrato la minima ostilità o reticenza ad assecondarmi, per quanto subordinata, limitata e incapace, date le circostanze, di combattere, avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per tenerlo lontano da me e dalla mia creatura.
 
Forse lo intuì, sta di fatto che non replicò.
Mi squadrò, concluse che non era il caso di prendersi gioco di me, m’indirizzò un cenno d’assenso e sparì.
 
 
Appoggiai la testa all’indietro, desiderando perdere i sensi. Quanto ancora ci sarebbe voluto?
 
 
Dopo quella che mi parve un’eternità, la porta della cella si aprì nuovamente, ma questa volta ad entrare fu una donna. Alta e snella, vestita sobriamente, con i lunghi capelli castani raccolti in una treccia che le ricadeva su una spalla e il viso gentile, mi parve quasi un’autentica personificazione della speranza.
 
Rinfrancata, tornai a sbirciare il Leone (o meglio, l’angolo di cielo ormai chiaro dove sapevo si trovava), contando che m’infondesse coraggio.
 
 
Nel frattempo, la levatrice si era avvicinata.
 
 
- E’ la prima volta? - chiese, inginocchiandosi accanto a me.
 
 
Le restituii un’occhiata diffidente. Avevo paura a mettermi nelle sue mani, avevo paura di mostrarmi vulnerabile. Ero troppo orgogliosa per chiedere aiuto, anche quando, come in quel momento, ne avevo un disperato bisogno.
 
 
Lei indovinò il mio disagio e scartò i convenevoli.
 
 
- Pare di sì. L’ambiente non è dei più adatti, ma ce la faremo. Ce la farai, anzi. - si corresse, guardandomi fiduciosa.
 
 
Io la fissavo smarrita e confusa, in parte dal dolore, che non mi dava tregua, in parte dalla sua contagiosa risolutezza, così poco adatta al contesto.
 
 
- Avanti, non stare lì inerte! Sarai tu a dover fare tutto, mia cara. Le contrazioni si sono stabilizzate?
 
 
Annuii, stordita.
 
 
- Bene. - decretò, energica.
- Fossi in te comincerei a spingere. Prima inizi, prima finisci.
 
 
E così feci. Non so per quanto continuai; persi completamente la nozione del tempo.
 
Ricordo solo la sua voce chiara, limpida, tenace, che mi incitava a non mollare; le mie urla, che finalmente si univano a quelle degli altri prigionieri, inaspettatamente selvagge quanto le loro; poi, tutt’a un tratto, il buio. E, nell’oscurità più totale, un volto: il suo.
 
 
Regulus mi comparve davanti in maniera così repentina e inattesa che sulle prime mi spaventai. Poi mi accorsi del suo sorriso e capii di non avere nulla da temere, anzi glielo restituii.
 
L’ipotesi che potesse in realtà trattarsi di un’allucinazione non mi sfiorò neppure: lui era lì, e questo mi bastava.
Nonostante la vicinanza, però, non lo avevo mai percepito così lontano e irraggiungibile; era come se un muro invisibile, un confine sottile ma invalicabile si fosse frapposto tra noi.
E, quel che è peggio, lui sembrava trovarlo normale, poiché non mostrava alcun cenno di stupore, desiderio, impotenza; non tentava di parlarmi, né tantomeno di avvicinarsi. Si limitava a fissarmi con aria enigmatica, eppure, in un certo senso, rassicurante.
 
 
Attesi. Non accadde nulla. Sussurrai il suo nome più e più volte, ma non pareva nemmeno udirmi.
 
Dimentica di tutto, presa da una rabbia cieca e disperata, cominciai così a gridare, nella vana speranza che mostrasse di essersi almeno accorto di me, che ricambiasse la mia attenzione.
Ignoravo in quale dimensione ci trovassimo (solo più tardi capii che era onirica), sapevo solo che avevamo poco tempo, perché da un momento all’altro essa avrebbe potuto disgregarsi; ragion per cui continuavo ad invocare incessantemente il suo nome, senza mai ottenere risposta.
 
E poi, all’improvviso, così com’era apparso, Regulus si dissolse. Compresi che si era trattato unicamente di uno scherzo del mio inconscio, del primo sintomo di quella tanto agognata pazzia; ora, però, non ero più tanto sicura di volerla.
 
Frustrata dall’impotenza, gridai ancora più forte e ottenni che l’illusione cessasse, ma solo perché la realtà, infinitamente più crudele, potesse riprendere.
 
 
Sbattei le palpebre e mi ritrovai nella cella vuota, accovacciata su un pagliericcio intriso di sangue.
Non feci in tempo a rendermi conto della situazione che la levatrice tornò, ma non era sola. Tra le braccia reggeva un fagotto avvolto in stracci, che subito mi porse.
 
 
- Una bambina. - disse solo, e mi lasciò.
 
 
Sbirciai quella creaturina minuscola, la cui vita dipendeva completamente da me, e avvertii una stretta allo stomaco. Una bambina, aveva detto. Pensai che fosse bellissima.
Istintivamente la portai al seno e lei vi si attaccò subito, con sorprendente prontezza. Stetti a guardarla, incantata.
 
 
Per la prima volta in nove mesi mi dissi che ne era valsa la pena. Non riuscivo anzi a comprendere come avessi potuto rimanere così indifferente fino ad allora, a tratti persino infastidita. Non che avessi dimenticato le complicazioni, i disagi e le circostanze in cui mi trovavo; solo, mi appariva finalmente chiaro quale fosse stato, sin dall’inizio, lo scopo, la ragione di tutto.
Ci sarà un motivo, mi ero ripetuta innumerevoli volte durante la gravidanza, ci sarà un motivo per cui questo deve accadere; solo ora, però, mi si manifestava davanti in tutta la sua pienezza.
 
Pienezza era il termine esatto per indicare il mio stato d’animo in quel breve, fugace istante: mi sentivo realizzata. Non felice, qualcosa di ancora più intenso e sconvolgente, come se vedessi tutto per la prima volta. Mettere al mondo la mia creatura mi aveva inaspettatamente ricordato che in quel mondo c’era ancora spazio per me, per la vita. Per buio che fosse, avevo trovato la mia luce.
 
 
 
Uno scricchiolio, e la porta della cella si aprì.
 
- Perdonami, cara, li ho supplicati di attendere ancora un po’, ma… - proruppe la levatrice, rammaricata.
 
 
Non ebbi il tempo di chiederle spiegazioni: dopo di lei fecero irruzione due carcerieri, tra i quali vi era anche il mio incubo peggiore. Si avvicinarono, e immediatamente compresi le loro intenzioni.
 
 
- No! - gridai, un tremito nella voce.
- Non me la prenderete!
 
 
Per tutta risposta quelli sghignazzarono divertiti. Li avrei torturati volentieri, se solo avessi potuto.
 
 
- Vuoi scommettere, bellezza? - mi schernì uno dei due.
- Cosa vorresti fare, sentiamo? Tenerla qui a marcire con te?
 
 
E giù nuove, sguaiate risa.
Mi volsi verso la levatrice, in una muta richiesta d’aiuto: il suo viso era scuro e, mentre osservava i carcerieri, traboccava di uno sdegno amareggiato e deluso; non capivo perché non intervenisse.
Poi uno di essi, lo stesso che l’aveva mandata a chiamare, si avvicinò e tese le mani. Inarcai le sopracciglia, incredula di fronte a tanta sfacciataggine.
 
 
- Tieni le tue sudicie zampe lontano da me! - sibilai con voce rauca.
 
 
Sapevo che doveva andare così, che avrebbero prelevato i bambini nati in carcere per affidarli a famiglie benestanti che li potessero crescere; lo avevo sempre saputo, eppure mai come ora lo trovavo abominevole e non riuscivo ad rassegnarmi al fatto che me l’avrebbero portata via.
 
 
Il carceriere, dedussi, non aveva gradito il mio intervento. Un lampo d’ira gli attraversò lo sguardo, e subito si scagliò su di me.
Accadde tutto così rapidamente che quasi non me ne accorsi: le sue mani mi strattonarono, la bambina, che nel frattempo si era addormentata, si svegliò e iniziò a piangere spaventata, e in un attimo mi ritrovai a mordergli ferocemente le dita. Urlando di dolore, il carceriere infine mollò la presa.
 
 
- Maledetta sgualdrina… - mormorò, massaggiandosi le dita sanguinanti.
 
 
Il suo compagno si fece avanti con la bacchetta puntata, ostentando un’aria minacciosa che avrebbe dovuto intimorirmi. Risi sprezzante.
 
 
- Ne saprei abbattere dieci di carogne come voi, se potessi usarla anch’io! - lo provocai, sputando nella sua direzione.
 
 
Ebbe uno scatto fulmineo, al che compresi quanto fossi stata incauta, ma venne subito trattenuto da un provvidenziale intervento della levatrice.
 
 
- Basta così. - decretò, ponendosi tra noi.
- Questa situazione spiacevole non deve degenerare ulteriormente.
 
Si volse verso di me.
 
- Tu, mia cara, faresti bene a controllarti. E voi… - continuò, rivolta ai carcerieri.
- …sembrate aver dimenticato questioni di fondamentale importanza.
 
 
Loro la fissarono, disorientati e momentaneamente dimentichi della mia punizione, mentre io attendevo trepidante la sua prossima mossa, grata per aver tolto me e la mia creatura dai guai.
Lei si schiarì la voce.
 
 
- Innanzitutto dobbiamo chiedere alla signora come intende chiamare la bambina… Perché senza dubbio ci avrà pensato, non è così?
 
 
Mi indirizzò un’occhiata eloquente, inarcando la fronte.
 
Le restituii uno sguardo smarrito: non vi avevo mai riflettuto prima d’ora. Tentai di giustificarmi pensando che avevo avuto altri problemi a cui dedicarmi, e che tutto sommato quella del nome fosse una questione di secondaria importanza; ma non riuscii a convincere nemmeno me stessa.
 
 
Abbassai lo sguardo sulla piccola e, mentre la cullavo per calmarla, la osservai.  Aveva la pelle chiara e grinzosa, talmente delicata che avevo paura di farle del male anche solo sfiorandogliela. Gli occhi erano scuri, di una tonalità ancora indefinita, e così pure quei pochi ciuffi di capelli che già le spuntavano sul capo. Speravo avrebbe assomigliato a Regulus: sarebbe stata bellissima. Mi soffermai sul suo volto un istante in più: in effetti, volevo essere sicura che ereditasse qualcosa da lui; e quale connotato sarebbe stato più incisivo del nome?
 
 
- Signora? - incalzò la levatrice, perplessa ma ancora perfettamente padrona della situazione, tanto che, con la sua pacata e al contempo solenne autorevolezza, continuava a tenere soggiogati i due carcerieri.
 
 
- Io… Mi dia un momento. - farfugliai, confusa.
 
 
Mi sforzai di riflettere: quale nome gli sarebbe piaciuto? Me ne aveva mai parlato? Forse sì, ed io naturalmente ero stata troppo concentrata su me stessa per starlo ad ascoltare.
Sospirai. Decisi che mi sarei basata su ciò che avevo a disposizione. Magari avrebbe gradito mantenere un legame di continuità con la propria famiglia, i cui membri avevano quasi tutti nomi latini, anche se in gran parte riferiti al firmamento. Poi, all’improvviso, ricordai che ce n’era uno che prediligeva; nessuno dei Black lo aveva mai usato fino ad allora, ma presumibilmente gli sarebbe piaciuto chiamare così sua figlia. Almeno, quando lo conoscevo io; quando credevo di conoscerlo, mi corressi con una stretta al cuore.
 
 
Alzai lo sguardo in direzione della levatrice.
 
- Cornelia. - decretai.
- Si chiama Cornelia.
 
 
- Bene. Molto bene. E infine, mia cara, devo chiederti a chi la affideremo…
 
 
Annuii, ma non ressi e mi voltai dall’altra parte.
 
- Ai Malfoy. -risposi, mordendomi un labbro per non cedere al devastante vuoto che cominciavo a percepire, da qualche parte, dentro di me.
- Lucius e Narcissa Malfoy l’adotteranno. Portate loro i miei saluti. E, soprattutto… - aggiunsi - fate in modo che non lo sappia nessuno.
 
 
Il mondo magico l’avrebbe creduta figlia di Cissy; tutto sommato delle somiglianze, vista l’effettiva parentela, avrebbero creduto di notarle. Nessuno avrebbe avuto dubbi, a patto che venisse diffusa la voce di un suo secondo figlio e che la verità non trapelasse mai.
 
Qualcosa mi diceva che la levatrice avrebbe esaudito la mia richiesta: sebbene non conoscessi il suo nome né il suo passato (con ogni probabilità era stata una sostenitrice di Silente, come gran parte della società, anche se non per forza un membro dell’Ordine), intuivo che potevo fidarmi di lei. Non ne era forse una prova sufficiente la solidarietà, del tutto disinteressata, che mi aveva mostrato, pur sapendo chi ero e forse, in cuor suo, odiandomi per questo? La sua devozione alla vita, avrei compreso in seguito, doveva essere tale da far sì che si adoperasse per difenderla indipendentemente da chi venisse generata.
 
 
Mi si avvicinò e io le porsi la bambina, di nuovo quieta, dopo averle sfiorato la fronte con le labbra.
 
- Non preoccuparti, è in buone mani. - tentò di rassicurarmi.
 
- Sì… Lo so.
 
 
Stetti a guardarla mentre usciva, seguita dai due riluttanti carcerieri, e spariva alla vista, portando via con sé quella che, in pochi istanti, del tutto inspiegabilmente, era diventata per me l’unica ragione di vita.
 
 
La porta della cella si chiuse con uno scatto secco che mi fece sussultare. Poi, il silenzio. Volsi lo sguardo intorno, ma non riuscii a scorgere altro che buio.
 
 
 
 
NdA: Salve a tutti! Comincio scusandomi dell’enorme ritardo (il capitolo 13 risale a quasi tre mesi fa…), ma purtroppo ho avuto numerosi altri impegni che mi hanno tenuta lontana dalla storia, e sì, forse a tratti anche qualche calo d’ispirazione… Capita, penso, ma sono assolutamente determinata a portarla a termine, anche perché ormai mancano solo due o tre capitoli. Diciamo che me la sto un po’ centellinando; sono certa che mi mancherà quando l’avrò finita.
Spero che il capitolo sia riuscito a trasmettervi qualcosa: era mia priorità dare spazio al repentino quanto inaspettato cambiamento della protagonista dopo la nascita di Cornelia. Può darsi che, senza volerlo, sia incappata in qualcosa di retorico o in qualche cliché, ma sono davvero convinta che la maternità sia un’esperienza sconvolgente per una donna, tanto da farle rivalutare il proprio atteggiamento (nel caso di Alfa, inizialmente scettico e infastidito).
Un’ultima cosa… Questo capitolo invece è dedicato a ornylumi: per la sua costanza (e pazienza!), per le sue recensioni dettagliate, sincere ed esaustive (nessun autore chiederebbe di meglio), e per avermi seguito fin dall’inizio. Grazie, davvero!
Un bacio,
Fanny
 
 

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Capitolo 15
*** Come stelle che brillano di luce riflessa ***


Note (parte prima):
Ehm... Non so davvero cosa dire per tentare, almeno, di scusarmi per non aver aggiornato da... *prende coraggio* ... dicembre. Sì, proprio così, dicembre. Mi dispiace molto. A mia discolpa posso addurre l’aver scritto altre storie e l’aver dovuto penare un po’ prima di trovare la giusta ispirazione per questo capitolo. Ci tengo davvero tanto, perché lo considero uno dei - se non il - punti chiave dell’intera vicenda. Diciamo pure che aspettavo con impazienza di scriverlo da quando ho iniziato la long. Per ora non mi pronuncio, lascio a voi libero arbitrio. Vi ringrazio per la vostra pazienza (è doveroso) e, be’, vi auguro buona lettura!
 
 
 
 
- Dici che siamo gli unici? Voglio dire, in tutto l’universo… - sussurro piano, lo sguardo rivolto al soffitto che nel buio della stanza non riesco a scorgere: potrei scambiarlo per il cielo.
 
Trattengo il respiro, in attesa.
 
 
- No. - replica infine Rabastan.
- Non siamo i soli, non è possibile. Siamo così piccola cosa, in confronto al resto...
 
 
Mi volto a guardarlo, rassicurata.
 
- Lo penso anch’io. - mormoro, cingendolo con le braccia e nascondendo il viso nel suo collo.
 
 
Sorrido, tra me e me, non osando abbandonarmi a quella felicità per timore di vederla svanire ancora una volta. E’ avvenuto tutto così in fretta che ancora stento a capacitarmene. Appena poche ore fa mi crogiolavo nell’incertezza e nell’angoscia, domandandomi se non pretendessi troppo dalla vita...
Due anime in fondo simili, le nostre, che per questo si sono attratte subito; anime alla deriva, mutilate, orfane, bisognose di scorgere l’una nell’altra un approdo sicuro. Inevitabile, dunque, che incrociassero le loro strade e si riconoscessero, pronte ad accogliersi a vicenda.
 
Chiudo gli occhi e ripenso a quando Rabastan ha bussato alla mia porta, poco fa.
 
 
- Sì? - avevo risposto, sorpresa, domandandomi di chi mai potesse trattarsi, a quell’ora così tarda.
 
 
- Alfa, sono io.
 
Sicuro di sé, diretto e infallibile. Ovviamente.
 
- Vengo.
 
Con il cuore in gola, mi ero precipitata ad aprirgli. Avevo socchiuso l’uscio, sbirciando fuori. Rabastan se ne stava lì e mi fissava. Stranamente appariva serio, eppure i suoi occhi ridevano. Avevo inarcato le sopracciglia, in attesa.
- Ebbene?
 
- Ti disturbo? - aveva finto di preoccuparsi.
 
Mi era parso di scorgere distintamente un lampo di malizia nel suo sguardo, ma non vi avevo badato.
 
- No. Entra.
 
 
E così dicendo mi ero scostata, incurante di sembrare troppo confidenziale.
 
Dal nostro primo incontro di qualche mese fa, del resto, le cose erano cambiate: io avevo deposto la mia abituale maschera di freddezza e lui aveva progressivamente abbandonato la sua aura di eterno buffone di corte, in favore di una maggiore propensione al dialogo e allo scambio misurato di opinioni. Ci eravamo venuti incontro l’un l’altra, ed eravamo giunti a un equilibrio ormai stabile di reciproca fiducia. Tuttavia, a me stessa non sono capace di negare che speravo in qualcosa di più, senza nemmeno sapermi spiegare il perché. Semplicemente, avevo bisogno di lui, della sua vicinanza; un bisogno che diveniva ogni giorno più impellente. Ragion per cui, quando si era presentato, non avevo esitato ad accoglierlo con una prontezza fiduciosa e un po’ ingenua. Rischiavo di tradirmi, certo, ma non avrei potuto tollerare che quella logorante situazione di incertezza durasse ancora per molto.
 
 
- Siediti. - lo avevo esortato, indicandogli il letto.
 
 
Il nostro Signore aveva già da tempo designato Villa Malfoy come quartier generale; di conseguenza noi, gli appartenenti alla sua cerchia più intima, avevamo occupato le numerose stanze riservate agli ospiti, su gentile concessione di Narcissa. Inutile dire che ne ero stata entusiasta, non appena compreso che sarei stata più vicina non solo a Cornelia, ma anche a lui, che vi alloggiava insieme al fratello e alla cognata.
 
Era, quello, un insostenibile periodo di stallo, un tempo sospeso, un limbo vuoto e apparentemente interminabile. I giorni si susseguivano monotoni, ripetitivi, condotti dai ritmi lenti e indisturbati del maniero; le ore sembravano immobili, scandite solo dai rintocchi del grande orologio a pendolo della sala da pranzo. Gli abitanti della villa si trascinavano lungo i corridoi come spettri, annoiati e stanchi, stremati da un’attesa che pareva protrarsi all’infinito. Ogni tanto il nostro Signore si faceva vivo, ma aveva smesso di affidarci missioni importanti: non ce n’erano. La riuscita dei nostri piani era in balìa unicamente del ragazzo, che, a quanto pareva, non aveva alcuna intenzione di farsi stanare.
Fortunatamente, il mio ruolo di spia mi consentiva di dividermi tra Hogwarts, dove conservavo la cattedra di Astronomia, Villa Malfoy e l’Ordine della Fenice, che, tuttavia, era sempre più sospettoso nei miei confronti. Piton, dal canto suo, ora preside di Hogwarts, se li era inimicati da molto tempo; in particolare, dopo l’assassinio di Silente, i sospetti che i membri dell’Ordine avevano sempre nutrito nei suoi confronti si erano rivelati fondati e la sua copertura era irrimediabilmente caduta. Lui non ne era parso infastidito: la scuola era ormai completamente in nostro potere, non ve ne era più la necessità.
Il nostro Signore, però, aveva comunque bisogno di un infiltrato che gli rivelasse, all’occorrenza, i piani del nemico, e quel ruolo, di conseguenza, avevo finito col ricoprirlo solo io. Le difficoltà aumentavano di giorno in giorno, sia per quanto riguardava la mia credibilità su entrambi i fronti, sia per il tempo necessario a portare a termine ogni cosa, che spesso faticavo a trovare.
Poco fa stavo per l’appunto finendo di correggere alcuni compiti dei miei alunni.
 
 
- Che fai? - non aveva mancato di notare Rabastan, un guizzo d’ilarità negli occhi vigili.
 
- Secondo te? - gli avevo sorriso, sedendomi al suo fianco.
 
- Da’ qua.
 
Aveva afferrato il plico di fogli e la piuma, strappandomeli dalle mani.
 
- Rab, ridammelo. - lo avevo esortato, con quel tono paziente che di solito si adopera con i bambini.
 
- Interessante... Non si direbbe affatto che i tuoi marmocchi trovino affascinante l’astrologia, a giudicare da questi...
 
Avevo sospirato, alzando gli occhi al cielo.
 
- Astronomia. E comunque le attitudini dei miei allievi non ti riguardano.
 
- No, Alfa, sul serio, queste sono tutte T!
 
E aveva cominciato ad annotare i suoi personalissimi giudizi.
 
- Rab, sei impazzito? Ridammeli subito!
 
 
Nonostante tutto, non ero riuscita a reprimere una risata, la prima da tempo immemorabile. Lui, per tutta risposta, aveva continuato a scarabocchiare i fogli con estrema cura. Allora mi ero letteralmente avventata su di lui, e avevamo ingaggiato una lotta senza esclusione di colpi, ridendo come due bambini. Poi, senza che quasi me ne rendessi conto, lui mi aveva strappato di nuovo il bottino così faticosamente riconquistato, lo aveva gettato via e io mi ero ritrovata tutt’a un tratto distesa sopra di lui, il viso vicinissimo al suo, e, quel che è peggio, senza più alcun pretesto frapposto tra noi.
La risata mi si era spenta sulle labbra. Era ciò che anelavo, sì. Ma ora, improvvisamente, venivo assalita dal dubbio, dal timore di un rifiuto. Se non mi avesse voluta... Non avrebbe lasciato che mi avvinghiassi inequivocabilmente a lui, mi ero risposta. Prima che la paura prendesse di nuovo il sopravvento, mi ero protesa verso di lui e l’avevo baciato.
Immediatamente avevo compreso che era proprio ciò che stava aspettando. Forse fin dal momento in cui aveva bussato alla mia porta. Ogni mia titubanza era svanita e, quando ci eravamo separati, avevo scosso la testa sorridendo.
 
 
- Così a lungo dovevi farmi aspettare? - gli avevo sussurrato.
 
- Sciocchezze. Sei tu che non ti decidevi. - aveva replicato lui, prima di baciarmi di nuovo.
 
Ero sollevata ma comunque restia a credere che stesse accadendo tutto così facilmente.
Dai baci eravamo presto passati alle carezze, dopodiché non avevamo impiegato molto a comprendere che i vestiti erano ormai di troppo. E, per tutto il tempo, la sensazione che mi aveva pervasa era stata quella di aver finalmente trovato un rifugio sicuro, un punto fermo nella tempesta infuriante che era la mia esistenza.
 
 
Ero ormai sempre più spesso attanagliata dai rimorsi, e a volte mi coglieva, con la violenza di una vertigine, la dolorosa e lucida consapevolezza di aver fallito su ogni fronte. Come madre, innanzitutto; come donna, per non essere stata capace di legare a me l’unico che abbia davvero amato, per averlo lasciato andare, impotente e solo, incontro al suo destino; e, da ultimo, in quanto essere umano, poiché mai come ora mi si profilava altrettanto chiaramente davanti la totale inutilità e sterilità della causa a cui avevo dedicato la vita.
Lui, Rabastan, l’aveva capito da sempre e, sospetto, da sempre desiderava che anch’io aprissi gli occhi. Ma, ora lo so, una simile presa di coscienza non può in alcun modo essere influenzata da altri; è strettamene legata alle proprie vicende personali e alle proprie battaglie interiori, di cui raramente rendiamo partecipe chi ci circonda.
Comprendere di aver sbagliato ogni cosa negli ultimi vent’anni è un’ammissione difficile e sofferta; è il punto di partenza di una svolta che richiede un coraggio eccezionale, a sua volta necessariamente sostenuto da una valida motivazione. E la mia si chiama Cornelia.
 
 
- Ti amo. - gli avevo sussurrato dopo.
 
Volevo anticiparlo. Volevo ferire il mio orgoglio e dirglielo per prima, così che non se lo dimenticasse mai.
Lui aveva sorriso. Mi stupiva sempre come sembrasse intuire le mie ragioni più profonde.
Aveva ricambiato, e poi eravamo rimasti così, abbracciati, a lungo, finché non avevo rotto il silenzio con quella domanda che, inspiegabilmente, mi stava così a cuore.
 
 
 
- Mi spieghi una cosa? - se ne esce ora lui.
- Che cosa ci trovi di tanto interessante lassù? Voglio dire, non sono altro che migliaia e migliaia di palle infuocate che girano in tondo!
 
Scoppio a ridere. Non è scettico, sembra davvero curioso.
 
- Hai ragione, è così, a parte il fatto che sono miliardi. Molti astronomi infatti si accontentano di questo. Ma io no. Non li capisco, come te. Io ho iniziato a studiare astronomia perché guardare il cielo mi faceva stare male.
 
Mi scocca un’occhiata divertita e perplessa insieme.
 
- Dico sul serio. Tutte le volte che fissavo il cielo di notte, mi prendeva una vertigine fortissima, insostenibile. D’improvviso pensavo a quanto noi uomini (tutti, anche noi maghi) fossimo minuscoli e insignificanti, di fronte a quello spettacolo immenso. Era una sensazione paralizzante. Mi affascinava, ma soprattutto mi inquietava, perché mi faceva sentire piccola, inutile. Ridicola. Inferiore, ecco. E non mi piaceva sentirmi inferiore. Così ho deciso di studiare le stelle. Volevo scoprirne i segreti, volevo dissipare almeno un poco la matassa di mistero nella quale erano avvolte. Volevo comprenderle, così che non mi sorprendessero più.
 
 
- Quindi, scusa, fammi capire: sei diventata astronoma per vendetta contro le stelle?
 
- Forse un po’ sì. - confesso, sorridendo.
- Ma prima di tutto perché le amavo. E per placare la vertigine.
 
Mi fissa negli occhi.
 
- E ci sei riuscita?
 
Sospiro.
 
- No. Per nulla. Anzi, è peggiorata. Ora che conosco le leggi che regolano il loro moto, fatico ancora di più a spiegarmi da dove tragga origine un equilibrio così perfetto. Trascorrono i millenni, le generazioni si succedono sul nostro pianeta, se lo contendono, convinte che spetti loro il diritto di possederlo, e le stelle rimangono sempre là, imperturbabili, a guardarci. Ridono di noi, senza dubbio. Della nostra piccolezza e della nostra arroganza. Magari però vegliano anche su di noi, chissà...
 
 
- Un’astronoma filosofa, insomma. Parli come fossero dèi...
 
Rabastan sembra divertito dalle mie deduzioni.
 
- Forse. Chi può dirlo? Mi piace l’idea che siano una sorta di copia di noi stessi, solo migliore. D’altronde, ci hanno chiamati come loro...
 
- Noi chi?
 
- Tu ed io. E tanti altri.
 
Sgrana gli occhi, stupefatto.
 
- Io avrei il nome di una stella? Nel senso che l’hanno chiamata così in mio onore?
 
Lui è davvero l’unico che riesca a farmi ridere.
 
- Scemo. Non proprio. Si chiama Rastaban ed è la terza stella più luminosa della costellazione del Drago. E ti assicuro che è nata prima di te.
 
- Incredibile... Le sorprese della vita...
 
- E poi, be’, la mia si trova nel Centauro, quella di tua cognata appartiene a Orione, Sirius al Cane Maggiore...
 
... e Regulus al Leone, aggiungo mentalmente. Se non altro aveva il suo coraggio.
 
 
- E tua figlia?
 
Rabastan è uno dei pochi che io abbia messo al corrente delle vera identità di Cornelia. Ero sicura di potermi fidare di lui.
 
- Lei è un’eccezione. Era un nome che sarebbe piaciuto a suo padre. Regulus negli ultimi tempi cercava di emanciparsi sempre di più dalla sua famiglia, anche se io l’ho capito solo in seguito.
 
 
Segue un attimo di silenzio, durante il quale lui sembra riordinare le idee, o, forse, raccogliere le forze per pormi una domanda cruciale.
 
 
- Cos’hai pensato quando Lui ci ha comunicato la sua morte?
 
 
Non ho bisogno di chiedergli precisazioni: mi è fin troppo chiaro a chi si riferisca. Sospiro.
Rabastan mi stringe forte; immagina quanto per me sia doloroso parlarne, ma sa anche che solo così potrò giungere a una piena consapevolezza di me stessa. Non mi incalza, non mi sprona; attende, mi concede tutto il tempo di cui ho bisogno. Senza dubbio, se mi rifiutassi di rispondere, rispetterebbe la mia scelta.
 
 
- Ho pensato che credevo di conoscerlo, e che invece mi sbagliavo. Ho pensato a quanto dovevo essere stata cieca, indifferente ed egoista, per non accorgermi del suo mutamento. Ho pensato che la sua fosse stata una decisione avventata, sconsiderata, suicida. Ho pensato... Ho pensato che fosse andato incontro alla morte perché non si sentiva abbastanza amato.
 
 
Mentre pronuncio queste parole, ognuna delle quali mi costa uno sforzo indicibile, il dolore che ho a lungo e invano tentato di arginare dentro me stessa fuoriesce in un pianto sommesso ma liberatorio, e, in un certo senso, purificatore.
 
 
- Ascoltami, Alfa. - comincia Rabastan, accarezzandomi i capelli.
- Non è colpa tua. Non è stata affatto colpa tua. Lui ha fatto una scelta, che all’epoca tu non hai compreso; sono sicuro che abbandonarti sia stato il suo più grande sacrificio, ma, vedi, sapeva di farlo per uno scopo più alto...
 
 
Il suo tono è rassicurante, autorevole, e scioglie, lentamente, un peso che mi opprimeva da anni.
 
 
- Lo so. Ma allora non sarei riuscita a capirlo. Era già tanto che non lo considerassi un traditore.
 
 
- E ora invece? - si fa avanti, con discrezione.
 
 
Vuole la conferma di quanto sospetta ma non osa sperare. Ma come potrei confermargli qualcosa di cui nemmeno io sono certa?
 
 
- Non lo so, Rab. Non sono più sicura di nulla. So solo che, al momento, Cornelia ha la priorità su qualunque altra cosa e che le mie decisioni dipenderanno solo da lei. Voglio proteggerla, voglio avere la possibilità di stare con lei. Glielo devo. E se questo mi porterà a scontrarmi con il nostro stesso Signore, bene, che sia.
 
 
Nonostante mi renda conto della gravità delle mie dichiarazioni, che potrebbero ritorcersi contro di me e decretare la mia fine, pronunciandole, la mia convinzione in esse si rafforza e, qualunque sia la sorte che mi aspetti, essa pare rimpicciolirsi, sbiadirsi.
 
 
- Il mio terrore è che possa farle del male per ricattare me, non appena si accorgerà che la mia lealtà non è più cieca come un tempo, e che la sua causa non rappresenta più la mia ragione di vita.
 
 
Il fatto che Rabastan non abbia mai nascosto la sua aperta ostilità nei confronti del Signore Oscuro facilita le mie confessioni. Mi ha sempre raccontato di come la famiglia, fermamente devota a Lui e alla sua cosiddetta missione, avesse deciso il suo destino fin dalla nascita, e di come lui, Rabastan, non avesse avuto altra scelta se non quella di adeguarsi per sopravvivere.
Non esita a definire “stupidi” e “ridicoli” i princìpi di superiorità dei Purosangue sui quali si fonda il nostro credo; l’unica ragione per cui il nostro Signore non si è ancora sbarazzato di lui è che ne ha bisogno: sa mostrarsi molto abile, se vuole.
Spesso mi chiedo come abbia fatto a resistere così a lungo sotto l’autorità di un padrone che disprezza, operando per una causa che condanna; e la sola risposta che riesca a trovare è che l’affetto che lo lega ad alcune persone, insieme all’amore, nonostante tutto, per la vita, debbano essere tali da indurlo a rimanere. Lo capisco: nemmeno io ho intenzione di schierarmi, tantomeno contro il mio Signore, se non me ne dovesse dare motivo. Voglio vivere, e vivere al fianco di mia figlia. E’ passato il tempo in cui avrei rischiato tutto pur di portare a termine con successo un incarico affidatomi; ora ho qualcosa per cui vale la pena salvarsi: mi è stata concessa l’opportunità di essere responsabile di Cornelia, anche se non la meriterei affatto, e io non intendo lasciarmela sfuggire di nuovo.
 
 
- Lo vedi?
 
 
La voce di Rabastan mi coglie di sorpresa.
 
 
- Non siete poi tanto diversi, tu e lui.
 
 
- Lui chi?
 
 
- Tu e Regulus. Entrambi avete trovato in qualcuno, il cui bene vi sta a cuore, lo scopo della vostra vita, il timone che guida le vostre scelte. Siete arrivati a non esistere più per voi stessi, ma per gli altri. A sacrificare tutto, a mettere in discussione i vostri ideali, per salvarli. Non irradiate più il vostro bagliore, ma il loro. Come stelle che brillano di luce riflessa.
 
 
La verità delle sue parole, pur se paradossali, mi colpisce come una raggio di sole in pieno viso. Ha ragione, è proprio così. Purosangue, Babbani, Mangiamorte, Auror, semplici etichette che ormai per me hanno perso ogni significato. Non me ne importa più nulla, e di colpo realizzo quanto sia stato futile e ottuso, da parte mia, crederci per un’intera vita. La sola causa che ora mi appare degna di sacrifici, di tenacia, di speranza, è il benessere di Cornelia, la sua felicità. E quella di Rabastan, naturalmente. Di Narcissa. Sono loro le mie stelle. Sono tutto ciò che ho.
 
 
- E tu? - mi volgo all’improvviso verso di lui.
 
 
- Io cosa, occhioni? - mi sorride, divertito, tentando di recuperare la solita aria beffarda.
 
 
- Anche tu brilli di luce riflessa?
 
 
- Come? Non ne sei abbagliata, tanto è luminosa la mia stella?
 
 
Aggrotto la fronte, cercando di indovinare cosa si sia inventato questa volta.
 
 
- Pensa, è addirittura la più splendente del Centauro... L’avresti mai detto, piccola com’è?
 
 
Ridendo, gli prendo il viso fra le mani e lo bacio di nuovo. Qualunque cosa succeda, sapere di averlo al mio fianco mi infonderà il coraggio necessario.
 
 
- Alfa?
 
- Sì?
 
- Mi dai ragione ora?
 
- Su che cosa?
 
 
Già conosco la risposta.
 
 
- Sul fatto che lui è un mostro. Che la purezza del sangue è una stronzata. Che dovresti sfruttare il tuo ruolo di spia in modo diverso.
 
 
Una, due, tre sentenze lapidarie. Le sputa fuori, tutte insieme, a raffica. Vuole centrare il bersaglio, una volta per tutte.
 
 
- Rab...
 
 
Sospiro, a fatica.
 
 
- Non lo so. Forse.
 
 
- Alfa, ascolta. Immagino che sia dura rinnegare quello in cui hai sempre creduto, quello per cui ti sei fatta dieci anni di prigione; è dura ammettere di aver sbagliato finora, ma... Guarda in faccia la realtà! Ci tiene soggiogati con la paura, con le minacce; quando avrà raggiunto il suo obiettivo, ammesso che ci riesca, ci eliminerà subito. Siamo mercenari... senza paga. Siamo schiavi senza più una dignità.
 
 
- Ti sbagli. Io ce l’ho una dignità.
 
 
- Sì, ma sei una dei pochi. Tu vuoi salvare tua figlia. La maggior parte qui vuole solo salvare la pelle.
 
 
- Ci sei anche tu.
 
 
- Appunto. Io e te siamo ancora in tempo.
 
 
Lo fisso scettica.
 
 
- Mi stai chiedendo di passare dalla parte di Silente?
 
 
- No, Alfa, no. Ti sto chiedendo di aprire gli occhi. Rimanere qui è l’unica cosa che possiamo fare, se non vogliamo finire linciati. Soggiogati dunque, ma consapevoli. Dobbiamo solo sperare che Potter l’abbia vinta, prima o poi... Perché io e te, come tutti, abbiamo diritto alla libertà. Lo sai questo, vero?
 
 
Appena pochi mesi fa, un discorso del genere mi sarebbe parso eretico. E un mio assenso, inconcepibile. Eppure, finché saremo alle dipendenze del Signore Oscuro, Cornelia rimarrà in pericolo: su questo, se non altro, Rabastan ha ragione.
 
 
- Lo so. E sono d’accordo.
 
 
Gli occhi gli s’illuminano.
 
 
- Però ora ascoltami. Dobbiamo stare uniti, giusto? Mi prometti che per qualsiasi faccenda che riguardi Cornelia, potrò contare su di te?
 
 
So di stargli chiedendo molto, forse troppo; ma sono altrettanto consapevole che da sola non ce la farei.
 
 
- Te lo prometto.
 
 
- Chiunque mi troverò ad affrontare?
 
 
Sospira.
 
- Chiunque.
 
 
- Grazie. - sussurro, abbracciandolo.
 
 
- Magari non cominciamo dal Signore Oscuro, eh?
 
 
Abbozzo un sorriso, malgrado tutto. Non si smentisce mai.
 
 
- Vieni con me. - gli ordino, improvvisamente folgorata da un’intuizione, alzandomi e iniziando a raccattare i vestiti.
 
 
- Cosa? - mi fa eco, spaesato.
 
 
- Ho detto vieni con me. Su! Vestiti.
 
 
Gli porgo i suoi indumenti, impaziente.
 
 
- Ma dove dobbiamo andare? - protesta, tuttavia non si oppone.
 
 
- Vedrai.
 
 
Cinque minuti dopo, lo tengo per mano trascinandolo lungo i labirintici corridoi di Villa Malfoy, immersi nel silenzio più totale.
 
 
- Alfa?
 
 
Ostenta un certo fastidio, ma si capisce che in fondo è curioso.
 
 
- Shhh! Siamo quasi arrivati.
 
 
Svolto a destra in fondo all’ultima rampa di scale, afferro la maniglia di una porta annerita e scrostata, apro uno spiraglio e sbircio oltre.
 
 
- Per di qua.
 
 
Avanzo, trascinandomi dietro Rabastan e respirando l’aria fresca della notte a pieni polmoni.
 
 
- Mi hai portato su un terrazzo?
 
 
Mi giunge la sua voce diffidente e un po’ delusa.
 
 
- Sì. Qui è dove vengo a fare le mie osservazioni. Alza lo sguardo.
 
 
Obbedisce, ed io lo imito. Il cielo è insolitamente limpido e sgombro; il buio attorno a noi, completo. Le stelle brillano così intensamente da sembrare pietre preziose sospese a un palmo da noi, da poter afferrare solo tendendo la mano. Un familiare senso di vuoto mi assale, così mi stringo ancora di più a Rabastan.
 
 
- Non è magnifico?
 
 
Non ottengo risposta. Tace. Per una volta, non ha nulla da ribattere. Torno a fissare le stelle e tutt’a un tratto mi accorgo di non subirne più l’oppressione. Sono destinate a custodire il loro segreto millenario e mai lo riveleranno a noi mortali; è così che dev’essere. Non appena ciò mi appare chiaro, mi sento finalmente in pace con loro e con me stessa. Non sono più bramosa di comprenderle, di sgretolarne il fascino a colpi di raziocinio, di emularle. Loro irradiano il proprio bagliore, com’è giusto che sia. Io brillo di luce riflessa.
 
 
 
 
Note (parte seconda):
...rieccomi. Allora, com’era prevedibile, non mi soddisfa del tutto. Credo sia abbastanza frequente che questo accada con i passaggi che più ci stanno a cuore, purtroppo... Comunque, volevo chiarire alcune cose. Il capitolo naturalmente è ambientato nel presente (ovvero il settimo libro della saga), il precedente era infatti l’ultimo dei flash-back. Ho scelto di dare più spazio al dialogo tra i due personaggi (anche se mi rendo conto che potrebbe risultare un po’ pesante) che alla loro, diciamo, intimità, non tanto per ragioni di rating, quanto perché avevo molto da far dire ad Alfa, e volevo darle la possibilità di esprimersi in maniera completa. ^^
Per quanto riguarda la caratterizzazione di Rabastan, mi sento in dovere di specificare che ho tentato di essere quanto più fedele possibile alla versione che ha di lui A., ovvero la mia “co-immaginatrice” per questa storia, senza la cui sensibilità e fantasia io sarei davvero messa male. Il fatto che lui qui sia un contestatore di Voldemort in realtà mi è tornato comodo, ha facilitato la presa di coscienza di Alfa.
E qui veniamo al punto. Il mio ambizioso obiettivo era proprio quello di riassumere in questo capitolo (e ancor più nel titolo) il senso di questa storia.  Volevo che fosse una storia di cambiamento, ma volevo evitare di cadere nel cliché del “cattivo-che-diventa-buono”, bensì darle più spessore, più complessità. Ho scelto, quindi, che Alfa non si schierasse con l’Ordine (mi sarebbe parso retorico e inverosimile, anche perché certi preconcetti, come quelli dei Purosangue, sono difficili da sradicare del tutto), quanto piuttosto che comprendesse come la sua devozione avesse mutato destinatario - da Voldemort e i Mangiamorte ai suoi cari. Con i relativi rimorsi e propositi per il futuro, certo. Insomma, volevo tentare qualcosa di un po’ diverso da un “secondo Piton”. A voi il giudizio. ^^
Detto ciò, grazie ancora a chi ha avuto la pazienza di leggere e magari ora recensirà pure! Vi mando un abbraccio riconoscente, senza il vostro sostegno dubito sarei arrivata fin qui. Ovvero alla penultima puntata, sigh...
Infine,voglio dedicare questo capitolo a Geffa97, che, sebbene ultimamente, per cause di forza maggiore, è stata assente, con le sue recensioni piene di entusiasmo,  fiducia e sincerità, è sempre riuscita a farmi spuntare un sorriso enorme e, soprattutto, a farmi sentire gratificata e impaziente di proseguire. Grazie!
A presto!
Un bacio,
Fanny
 
 

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Capitolo 16
*** Silenzio ***


La radura è immersa nella quiete. Una pesante coltre di silenzio grava su di essa, che pochi, intrepidi suoni osano scalfire: il timido cinguettio di un uccello, lo stormire del vento tra le foglie, il monotono ticchettio delle gocce d’acqua di cui le fronde degli alberi si stanno a poco a poco liberando, riversandole al suolo.
Ha piovuto durante la notte, e ora dalla foresta emana un penetrante odore di terra bagnata. Tasto cautamente l’orlo della veste, e mi accorgo che è umido. Faccio scorrere le dita tra i fili d’erba, che paiono intirizziti dal freddo, e sul terriccio gelido e smosso, assaporando quell’intimo contatto con la natura nella sua veste più semplice ed autentica. Alzo lo sguardo e scorgo, oltre le cime degli alberi, un tenue bagliore violaceo, una sottile striscia di cielo appena più chiara del resto. Il tempo concesso al ragazzo per consegnarsi, ne deduco, sta volgendo al termine. Sospiro, frustrata. Avrei preferito giungesse di sua spontanea volontà: tante vite sarebbero così state risparmiate. Ero anzi certa che sarebbe venuto; ha sempre dimostrato di possedere una predilezione per i gesti eroici, ed ero convinta che questa volta, pur trattandosi dell’ultima, non avrebbe fatto la differenza.
Incrocio lo sguardo di Cornelia, seduta al capo opposto della radura, accanto a Cissy. Per non destare sospetti, io me ne sto accovacciata in disparte, e finora abbiamo avuto occasione di scambiarci non più di qualche parola di sfuggita. Rassicurazioni sussurrate rapidamente, quando per caso ci siamo trovate abbastanza vicine, furtive strette di mano, cenni del capo, sorrisi di incoraggiamento. Occhiate fugaci, contatti durati il tempo di un battito di ciglia. Istanti rubati a una realtà che sembra voler allontanarci sempre più, ma che ci siamo fatte bastare; preludi di un futuro in cui, di momenti così, potremo saziarci, consapevoli che il mondo intorno a noi non trama più per dividerci.
Lei mi sorride debolmente e torna a posare la testa sulla spalla di Cissy. In altre circostanze non si sarebbe abbandonata ad un gesto così fragile ed infantile, ma lui, il Signore Oscuro, sembra assorto in tutt’altri pensieri per prestare attenzione ai suoi tirapiedi e rinfacciarci le nostre debolezze. E’ ritto al centro della radura, illuminato dal tenue bagliore del fuoco, immobile come un predatore in agguato; fa scorrere senza sosta le lunghe dita ossute sulla bacchetta e ignora caparbiamente Bellatrix, che continua a ronzargli intorno alla stregua di un insetto fastidioso. Dietro di lui, l’enorme serpente fluttua in una bolla protettiva nella quale, per ragioni a me ignote, ha deciso di tenerlo al sicuro. Ancora per poco, finché i suoi tormenti avranno la precedenza, noi potremo considerarci al sicuro.
Cerco Rabastan. E’ in piedi al limitare della foresta, alle spalle del Signore Oscuro, intento a discutere a bassa voce col fratello. Lo fisso finché non alza lo sguardo e s’interrompe. E’ straordinario come riesca ad infondermi sicurezza e fiducia con il solo contatto visivo. Invidio il suo tenace, incrollabile attaccamento alla vita, ma soprattutto quella rara abilità che gli consente di cogliere senza sforzo una stridente nota di ironia persino nei momenti più cupi.
 
“Dai che Potter glielo mette in culo, al pelatone!”
Appena poche ore fa se n’era uscito così, dal nulla, rompendo un silenzio impotente. Ero scoppiata a ridere, incredula di fronte a tanta genuina sfrontatezza. Non mi aveva nemmeno sfiorata il pensiero di ammonirlo per la sua sfacciataggine, di chiedergli chi gli avesse dato il diritto di parlare in quel modo... se l’era preso, ecco tutto, ed era giusto così. Aveva espresso con schiettezza ciò in cui entrambi - e non solo noi, tra i Mangiamorte - da tempo confidavamo. Non ci illudevamo, ricordando che Potter in fin dei conti era solo un ragazzo, ma scorgevamo in questa apparente inferiorità, nella tanto vociferata predestinazione, la sua carta vincente. Ci frustrava la consapevolezza di non poterlo aiutare, se volevamo salvare la pelle, e spesso Rabastan passava ore a convincermi che non ero una codarda, ma che agivo per il bene di mia figlia, e lui per il mio. Avevo anche escogitato un piccolo compromesso: ero riuscita a riferire all’Ordine informazioni attendibili, pur se di scarsa rilevanza. Era comunque qualcosa, mi ripetevo. Non che mi riconoscessi nei loro valori o auspicassi un’alleanza; semplicemente, riponevo in loro la mia fiducia perché rappresentavano, ormai, l’unica alternativa in grado di opporsi all’ascesa del Signore Oscuro.
Ieri, nel pomeriggio, eravamo appunto impegnati a costruire i nostri castelli di illusioni proibite e progetti arditi, stesi l’uno di fianco all’altra, abbracciati, quando tutt’a un tratto avevo avvertito una fitta acuta all’avambraccio sinistro. D’istinto avevo pensato che l’Oscuro Signore avesse scoperto o intuito qualcosa, e mi stesse convocando per punirmi; avevo cercato atterrita lo sguardo di Rabastan e, quando nei suoi occhi avevo letto la stessa angoscia, un’ondata di sollievo mi aveva pervasa.
“Lo senti anche tu?” avevo sussurrato, indicando il Marchio.
Lui aveva annuito, senza proferire parola.
“Resta qua.”
Era sgattaiolato fuori dalla stanza, ed io ero rimasta in attesa. Se la faccenda si limitava a me e Rabastan, nutriva senz’altro dei sospetti, ma se ci stava convocando tutti doveva trattarsi di qualcosa di ben più grave. Forse il ragazzo... e Cornelia? Cornelia dov’era, dannazione?
Avevo teso l’orecchio e cercato di captare rumori insoliti, ma Villa Malfoy pareva quieta come sempre, eccezion fatta per un parlottare indistinto che giungeva dal pianterreno. Non sembravano esserci indizi di una battaglia in corso, né di un pericolo imminente. Ma nemmeno una simile ragionevole deduzione era servita a rassicurarmi.
Qualche minuto dopo, Rabastan era piombato in camera spalancando la porta.
“Alfa, ci siamo!” aveva esclamato, in un’unica emissione di fiato.
Era pallido, ma un sorriso euforico aleggiava sul suo volto.
“Potter è a Hogwarts, stiamo andando là.” aveva continuato, prima che potessi interromperlo.
“Questione di ore, e si combatterà. Ma stavolta sarà quella decisiva, Alfa! Potrebbe rimanerci secco, ti rendi conto? Su, alzati, non perdere tempo!”
Contagiata dal suo entusiasmo,ero balzata in piedi, per poi fermarmi subito dopo, colta da un nuovo pensiero.
“Che c’è?” aveva incalzato lui.
“Cornelia. Deve venire anche lei?”
Per disgrazia o per fortuna, in quei giorni Cornelia si trovava a Villa Malfoy, esentata dalla frequentazione del suo sesto anno a Hogwarts. L’Oscuro Signore, difatti, riteneva che le lezioni di Arti Oscure che aveva ordinato a Bellatrix di impartirle fossero di gran lunga più necessarie alla formazione di una giovane Mangiamorte.
Rabastan si era incupito.
“Sì, ecco... stavo per dirtelo. Ha detto a Lucius di portare anche lei. Ma vengono tutti, anche Cissy... e poi non è detto che debba combattere.” aveva aggiunto con poca convinzione, ma io ero già sulla soglia.
“Alfa... dobbiamo andare!”
Mi ero precipitata nella sua stanza, e l’avevo trovata in piedi, voltata di spalle, apparentemente intenta a contemplare il giardino fuori dalla finestra, i lunghi capelli corvini scompigliati sulla schiena. Mi ero avvicinata e le avevo cinto i fianchi in un abbraccio. Lei non si era mossa. Sapeva. Naturalmente.
“Ehi...” avevo sussurrato.
“Vedrai che andrà tutto bene. Anch’io ho paura, sai? Ma almeno so che questa volta saremo insieme.”
Suonava tutto così maledettamente retorico, così falso. Pure, non c’era nulla di più vero. In quale altro modo avrei potuto dirglielo? Quali parole usare, quando lo stesso linguaggio verbale appariva così vuoto, fra noi, così privo di significato, in confronto a ben più eloquenti silenzi?
Si era accorta anche lei, con il tempo, della vera natura del Signore Oscuro, e sapeva cosa io speravo che accadesse, poiché entrambe ci auguravamo lo stesso.
“Vedrai che presto sarà tutto finito.”
Un sussurro appena udibile.
Allora si era voltata, e aveva ricambiato l’abbraccio, nascondendo il viso sulla mia spalla. Puntuale, mi era solito il consueto groppo alla gola.
“Mi dispiace...” avevo mormorato con voce rotta, sentendomi ridicola e patetica.
“Mi dispiace tanto, davvero... per tutto.”
Per averti rifilata ad altri, per essere stata vile nel modo più spregevole, per non averti accettata. Per essere stata una pessima madre. Anzi, per non esserlo stata affatto.
“Io, al tuo posto, non avrei mai avuto la forza di perdonarmi.”
“Io, al tuo posto, non avrei mai avuto il coraggio di tornarmi a cercare.” aveva ribattuto lei, e il suo volto non tradiva rancore, né si era abbandonato ad un sorriso riconciliatore; traspariva solo una nuda, disarmata sincerità.
“Comunque faremmo meglio ad andare, sento Rabastan che ti chiama...” aveva tagliato corto, abbassando lo sguardo.
“Certo. Hai ragione.”
Avevo annuito, ripensando a quando le avevo detto di me e Rabastan. Sulle prime si era mostrata sbalordita, ma tutto sommato poi l’aveva presa bene.
Faticavo così tanto a interpretare i suoi gesti, ad indovinare i suoi pensieri, a cogliere anche la più lieve sfumatura di significato che poteva aver attribuito a una certa azione. Mi premeva soprattutto accertarmi che non mi odiasse. Almeno, non quanto mi odiavo io. Spesso era scostante, addirittura scorbutica, quasi mai amichevole; eppure, era schietta, testarda, e non perdeva occasione per esprimere la sua opinione, per quanto acerba ancora potesse essere. Mi rammaricavo del fatto che non si confidasse più apertamente con me, ma non potevo certo biasimare lei per questo. Con il tempo, avremmo senz’altro dialogato più a lungo; per ora, quell’intesa sorta fra noi fin dalle prime lezioni di Astronomia, di sguardi che si cercano, silenzi che si susseguono al ritmo di una melodia nota a noi sole, mani che, come in una danza, si trovano, si scoprono e si riconoscono... mi bastava. Di più non avrei osato chiederle.
 
L’aria era gelida nell’ampia sala da pranzo di Villa Malfoy. Le spesse pareti di pietra erano tappezzate di elaborati arazzi e numerosi ritratti di antenati, i cui volti austeri parevano seguire con lo sguardo e ammonire i loro inquieti discendenti. Un lungo tavolo di mogano scuro campeggiava al centro della sala, attorniato da numerose sedie, dove l’Oscuro Signore e i suoi seguaci avevano preso posto durante innumerevoli riunioni. Nel soffitto, era ancora visibile l’ampio squarcio che aveva aperto il lampadario, quando l’elfo di Potter l’aveva fatto precipitare addosso a Bellatrix; scaglie di cristallo, che nessuno si era curato di pulire, ancora luccicavano qua e là sul pavimento. Nel camino, di marmo finemente scolpito, le braci erano spente.
Lucius era in piedi di fronte ad esso; ne potevo scorgere il profilo incurvato, i lunghi capelli ormai spenti e scompigliati, e indovinarne l’espressione impotente, umiliata. Quando Cornelia e io arrivammo, non distolse lo sguardo, ma continuò a fissare imperterrito le ceneri del focolare. All’altro capo del tavolo, invece, Cissy, che stava parlottando concitatamente con la sorella, s’interruppe e mi rivolse un sorriso mesto.
“Alfa.”
Si avvicinò a grandi passi. Feci per parlare, poi parve ricordarsi della presenza di Cornelia e si trattenne. Si limitò ad abbracciarmi silenziosamente.
“Oh, bene, eccoti qui.” trillò Bellatrix, sogghignando.
Mi superò, senza dar cenno di essersi accorta della mia presenza, e si fece incontro a Cornelia. Avevo intuito che si fosse rivolta a lei.
“E’ giunta l’ora di mettere alla prova le tue conoscenze, dolcezza.”
La squadrò, sovrastandola, e sorrise. Una smorfia che presto si tramutò in una risata agghiacciante. Cornelia la fissava impassibile.
“Non vedo cosa ci sia da ridere.” avevo apostrofato Bellatrix gelidamente.
“Ma come, Alfa?” aveva continuato lei, degnandomi finalmente di un’occhiata.
“Non ti rendi conto? Non capisci a cosa siamo giunti? Potter è a Hogwarts! E’ la fine della corsa.”
Il suo tono si era fatto serio ora, fremente, e i suoi occhi brillavano d’eccitazione.
“Non ci sfuggirà, questa volta, e dopo stanotte, senza più la sua guida, sbaragliare l’Ordine sarà un gioco da ragazzi.”
Scoppiò di nuovo a ridere.
“L’Oscuro Signore otterrà una vittoria completa, e nulla più gli sarà d’ostacolo.”
La voce le si colorava di una tonalità nuova, quando parlava del suo Signore, diventava quasi carezzevole.
Tornò ad abbassare lo sguardo su Cornelia, fissandola da sotto le sue palpebre pesanti.
“Perciò, ragazzina, farai meglio a dimostrare di valere qualcosa in battaglia, o puoi star certa che Lui lo verrà a sapere.”
“Bella, mia figlia è poco più che una bambina.” intervenne Cissy con voce ferma.
Non mi sfuggì l’occhiata irritata che Cornelia le scoccò, ma lei non la colse. Narcissa se l’era cavata magnificamente nel portare avanti quella farsa con tutti, sua sorella compresa, ora che Cornelia sapeva. Bellatrix non avrebbe esitato ad andarlo a spifferare al suo adorato padrone, il che avrebbe naturalmente portato alla trasformazione di Cornelia in ostaggio da utilizzare per legarmi le mani e assicurarsi la mia fedeltà. Non che ora non svolgesse lo stesso ruolo, in effetti. Grazie a lei, il Signore Oscuro teneva saldamente in pugno i Malfoy, lasciando tuttavia a me un margine più ampio di tradimento.
“E’ stata una follia da parte del nostro Signore voler far combattere anche lei.”
La sua apprensione non era simulata: amava davvero Cornelia come una figlia, ma senz’altro temeva anche per Draco, che di lì a poco non sarebbe più stato tanto al sicuro dietro le mura di Hogwarts.
“Cissy, la ragazza è perfettamente in grado di unirsi a noi. Io alla sua età prendevo lezioni dal Signore Oscuro in persona. Credi forse che Lui possa ammetterla nei nostri ranghi senza prima aver testato il suo valore sul campo, la sua lealtà, il suo onore?” s’infervorò Bellatrix.
“Onore? Tu mi parli di onore?” sbottò Cissy, rossa in viso.
“Che onore pensi ci sia nello schierare una ragazzina alle prime armi fra combattenti esperti, esponendola senza riserve al tiro dei nemici?”
“Tu osi contestare...” iniziò Bellatrix, che avrebbe già messo mano alla bacchetta se non si fosse trattato di sua sorella.
“L’Ordine non farà del male a una ragazza.” sentenziò Lucius, voltandosi verso di noi.
Mi resi conto che aveva preso la parola per la prima volta da quando ero entrata.
“La loro morale glielo impedisce.” tagliò corto, la voce atona, lo sguardo vacuo che pareva attraversarci.
Sull’improbabile adunata calò il silenzio.
Bellatrix era ancora incredula per aver trovato in Lucius un insospettabile alleato, Narcissa evidentemente era alla ricerca di argomentazioni per confutare la tesi del marito ed io ero troppo intenta a domandarmi a che gioco lui stesse giocando. Mi rifiutavo di credere che non fosse preoccupato, se non  per Cornelia, almeno per suo figlio, e sapeva quanto me che non sempre i membri dell’Ordine si dimostravano migliori di noi. Il terrore con cui il Signore Oscuro l’aveva vincolato a sé non doveva lasciarlo un attimo. Pure, dovetti riconoscere che Lucius non aveva tutti i torti: non sarebbe stato saggio contestare il nostro aguzzino, proprio adesso che avremmo potuto essere così vicini alla sua caduta. Se fossi rimasta al fianco di Cornelia e avessi vegliato su di lei con sufficiente attenzione, ero certa che non le sarebbe accaduto nulla.
 
Durante l’intera discussione, Cornelia non aveva proferito parola.
“Non preoccuparti, padre” disse infine, con una calma singolare.
“Io voglio combattere.”
Lucius le rivolse un sorriso tirato, Narcissa la guardò sbalordita. Non capiva che Cornelia era disposta a tutto pur di dimostrare di non essere più una bambina, e che le sarebbe parso intollerabile starsene al sicuro, con le mani in mano, mentre noi avessimo rischiato la vita là fuori. Sapeva che sarebbe stata una battaglia decisiva, e voleva prendervi parte, qualunque fosse stato l’esito. Appariva granitica nella sua determinazione, ma a me era chiaro quale conflitto dovesse dilaniarla dall’interno.
 
“Ne sono lieto, Cornelia.”
Mi voltai di scatto. Rabastan era apparso proprio in quel momento, seguito da Rodolphus. La sua voce mi diede conforto, e così dovette essere anche per Cornelia, poiché i suoi lineamenti parvero distendersi e l’ombra di un sorriso si fece strada sul suo volto. Rabastan ci sapeva fare con lei, ammisi fra me e me.
“Dobbiamo andare.”
Ci scambiammo un’occhiata furtiva, colma di angoscia.
“L’Oscuro Signore ha dato ordine di Materializzarci nella radura della Foresta Proibita, che sarà il nostro quartier generale durante la battaglia. Lì ci impartirà le istruzioni per l’attacco.”
Un brivido mi corse lungo la schiena, ma non ebbi il tempo di capire se si trattasse di paura o adrenalina.
Ci stringemmo gli uni agli altri e per un folle istante mi abbandonai all’illusione che, nonostante tutto, per una notte saremmo stati uniti. Chiusi gli occhi e afferrai la mano di Cornelia.
 
 
Quando li riaprii, rimasi sconcertata nel constatare che, a quanto pareva, eravamo gli ultimi arrivati. La radura pullulava di uomini avvolti in lunghi mantelli neri, alcuni impegnati a duellare, altri a confabulare tra loro, altri ancora ad impartire ordini. Ovunque vi era un gran fermento, ed era arduo anche solo tentare di distinguere tra Mangiamorte, Ghermidori, lupi mannari e ogni altro genere di reietti il nostro Signore avesse assoldato. Su un lato dello spiazzo torreggiavano alcuni giganti dall’aria feroce e, in un angolo, seminascosti dalle tenebre e dall’intrico di rami e fusti degli alberi, intravidi uno stuolo di ragni enormi, dai dorsi pelosi e dalle innumerevoli zampe brulicanti, che parevano non cessare mai di muoversi.
Avrei dovuto intuire che il nostro Signore si sarebbe avvalso anche di altre creature per rimpolpare i nostri ranghi, di per sé non abbastanza numerosi. Creature soggiogate - come la maggior parte di noi, del resto - che doveva aver sottomesso con la magia, o semplicemente con le dovute lusinghe, facendo leva su quel loro lato selvaggio e ferino che, temporaneamente domato, al momento opportuno avrebbe lasciato libero di spiegarsi in tutta la sua potenza devastatrice e mietere vittime. Mi chiesi se chi, tra noi, ne era stato nominato responsabile sarebbe stato in grado di contenerli; ma, evidentemente, il nostro Signore non desiderava contenerli. E perché avrebbe dovuto? Fare quanti più danni possibile era l’unico scopo per il quale si trovavano tra noi; e se, per sbaglio, alla loro mercé fossimo dovuti capitare noi, i suoi seguaci... a quanto pareva era un’eventualità che Lui considerava trascurabile.
Frugai con lo sguardo la radura, e lo trovai al centro, intento a discutere con Bellatrix. Cornelia si era accostata a Lucius e Narcissa, come io stessa le avevo raccomandato di fare in presenza di altri, Rabastan, invece, mi stava raggiungendo. Dov’era stato?
“Ho parlato con Lui.” esordì, precedendomi.
“Ha intenzione di chiedere al ragazzo di consegnarsi spontaneamente. Conta sul suo spirito di sacrificio. In ogni caso, vuole annunciare che chiunque glielo catturerà verrà ricompensato. Attenderà fino a mezzanotte. Se Potter non verrà, combatteremo.”
Dunque era questo il piano. Inarcai un sopracciglio.
“Lasciare un tale dispiegamento di forze inutilizzato? Quale spreco...”
Rabastan sorrise. Aveva già tratto la mia stessa conclusione, naturalmente.
“Hai ragione. Credo che voglia combattere, alla fine. Si aspetta che gli amici del ragazzo lo proteggano, gli impediscano di consegnarsi. Ma un tentativo è sempre meglio farlo. Lord Voldemort è misericordioso.” aggiunse, scimmiottandolo.
“Così facendo, frammenterà anche lo schieramento di Potter, perché di sicuro non tutti gli sono leali al punto da sacrificare la vita per lui...” riflettei ad alta voce.
“Anche qualora non riescano a portarglielo, avrà comunque indebolito l’avversario.”
“E’ probabile.” convenne Rab.
Ma non ebbe il tempo di aggiungere altro, poiché il nostro Signore, la voce amplificata così da essere udito in tutto il castello e oltre, presentò la propria offerta.
Quando tacque, la radura era immersa in un silenzio teso, vibrante, carico di aspettativa.
 
“Nutro un enorme rispetto per gli insegnanti di Hogwarts. Non voglio versare sangue di mago.” aveva appena assicurato l’Oscuro.
D’un tratto, inspiegabilmente, il pensiero mi corse a Minerva McGranitt. Avrebbe preso parte anche lei alla battaglia, qualora una battaglia ci fosse stata? Naturalmente. E se mi fossi trovata a duellare con lei, come mi sarei comportata? Avrei dovuto ucciderla? Prenderla prigioniera? Ma cosa se ne sarebbe fatto, il mio Signore? Era Potter che voleva. Meglio dunque Schiantarla e lasciare che qualcuno privo dei miei scrupoli la finisse? E lei, cos’avrebbe fatto? Mi avrebbe risparmiata? Perché mai avrebbe dovuto? Ero stata una sua studentessa, certo, ma chi, tra noi, non lo era stato?
Minerva però poteva vantare, lei fra pochi, di aver goduto del mio rispetto; e di conseguenza anche della mia giovanile ammirazione. Quando infine era giunto il mio turno, avevo sperato di dimostrarmi un’insegnante valida quanto lei lo era stata, di instillare, come a suo tempo lei aveva fatto, il germe della curiosità, di accendere la scintilla della passione nei miei studenti. In poche parole, le dovevo tutto. Militavamo su fronti opposti, certo, ma condividevamo qualcosa che andava oltre, che prescindeva dal fragile concetto di fazioni: eravamo unite sotto il vessillo dell’amore per la conoscenza, e questo, in qualche modo, ci legava l’una all’altra, indipendentemente da in chi avessimo posto la nostra lealtà. In nome di che cosa, dunque, l’avrei assassinata? Circostanze, banali circostanze che mi avevano costretta ad annoverarla fra i nemici.
“Anche il tuo Signore la rispetta, eppure non si farebbe problemi ad abbatterla in duello...” insinuò una debole voce al mio orecchio. Il mio Signore afferma di rispettarla, la corressi. Se così fosse, non si troverebbe qui a combatterla. Era davvero possibile ammirare il proprio avversario? Il rispetto non sarebbe dovuto bastare, in se stesso, a evitare che considerassimo il nemico come tale? Quale necessità era così impellente, quale causa così nobile da imporsi sulla stima che provavamo per qualcuno?
E i miei studenti? Sia i miei colleghi professori che i ragazzi non sospettavano che io fossi in realtà fedele alle forze oscure, ma, mentre gli insegnanti, non scorgendomi fra loro, dovevano aver già compreso, cos’avrebbero pensato i miei ragazzi? Che risposta si sarebbero dati quando mi avessero vista piombare loro addosso? Mi sfuggì un amaro sorriso: come se ne fossi stata capace, di piombare loro addosso. Delle stelle non m’importava molto, le avrebbero dimenticate comunque; ma il desiderio di conoscenza, la tenacia nel perseguire la verità, il valore della fatica, il coraggio delle proprie scelte, la fiducia in se stessi... ebbene, li avrebbero ricordati o sarebbero stati per sempre offuscati dalla loro memoria di me?
D’altra parte, non potevo combattere fra coloro che speravo trionfassero: il Signore Oscuro aveva dato disposizione che Piton ed io restassimo al suo fianco. Severus, però, diversamente da me, non doveva preoccuparsi per la propria copertura: la sua era già saltata quando aveva assassinato Silente. Dunque, schierarmi con Potter avrebbe significato, senza mezzi termini, tradimento. Qualora il ragazzo avesse dovuto avere la meglio, saremmo potuti fuggire, ed era ciò che auspicavo; ma anche se la vittoria fosse stata del mio Signore, avrei comunque avuto salva la vita. La mia, ma soprattutto quella di Cornelia. Mi ritrovai a pensare che, se non avessi avuto lei, avrei senz’altro corso il rischio, avrei potuto permettermi di combattere con onore, dalla parte giusta, ammesso che ce ne fosse una.. poi riflettei meglio e capii che, se non avessi avuto lei, non mi sarebbe mai nemmeno capitato di chiedermi quale fosse la parte giusta.
 
“Miei fedeli seguaci.”
La voce acuta e sibilante del nostro Signore interruppe il flusso dei miei pensieri. Mi guardai attorno, a disagio. Rabastan era sempre accanto a me; ma attorno all’Oscuro, ora, si stavano mano a mano radunando le sue forze al completo, eccetto i ragni e i giganti. Il suo tono non era alto, eppure, il silenzio era tale che l’avrebbe udito anche chi si fosse trovato nel bosco in prossimità della radura.
“Mancano pochi minuti alla mezzanotte.” continuò, gli occhi scarlatti che saettavano tra le sue reclute, dal primo all’ultimo di noi, dal servo più leale allo scagnozzo più viscido.
“Il ragazzo non è venuto da me, e ciò significa che saremo noi ad andarlo a prendere. Chiunque di voi catturi Potter e me lo consegni, verrà adeguatamente ricompensato, ma non torcetegli un solo capello. Devo essere io, e nessun altro, ad ucciderlo. Dei suoi amici, trucidatene quanti più potete.”
Tacque per un momento.
“Potter sa che, presto o tardi, dovrà venire da me. Assistere impotente alla strage dei suoi non farà che rafforzare questa convinzione e avvicinare quel momento. Prima verrà da me, prima lo eliminerò, una volta per tutte.”
Inclinò il capo, simile più che mai ad un rettile.
“Combattete con valore, e verrete onorati. Fuggite...”
Sollevò la bacchetta. Un tremito percorse la folla assiepata attorno a lui.
“... e verrete puniti. Non deludetemi.”
Si voltò e la puntò in direzione del castello. Un fiotto di abbagliante luce verde scaturì dalla stecca, squarciò le tenebre, perforò i tronchi degli alberi e attraversò la foresta, mirando alle difese appena erette dall’Ordine a protezione di Hogwarts. Fu il segnale. Decine, centinaia di altri getti si unirono al primo, e il bosco tutt’intorno a noi risplendette, illuminato a giorno dall’odio delle nostre maledizioni scagliate all’unisono.
Dopo, regnò il caos. I giganti, lanciando grida possenti, si avviarono verso la scuola, travolgendo nella loro avanzata chiunque non si dimostrasse rapido a sufficienza da evitarli; i ragni zampettarono in massa attraverso la radura e poi nella foresta, aprendosi senza difficoltà un varco tra le radici e le fronde degli alberi; tutti gli altri si scagliarono di corsa in direzione del castello, senza curarsi di serrare i ranghi o di mantenere una qualche sorta di formazione. Scossi il capo, colta alla sprovvista. Forse, dopotutto, ci avevo sopravvalutati. Mi feci largo a spintoni, schivando zampe, piedi e incantesimi scagliati alla bell’e meglio.
“Cornelia!” gridai, a voce ancora più alta per sovrastare quella cacofonia di urla, frenetici calpestii e rami spezzati.
“Cornelia!”
L’avevo persa di vista quando si era unita ai Malfoy, ed ora mi era impossibile ritrovarla nella mischia. Vagai per la radura senza una meta, tentando spasmodicamente di scorgere i suoi capelli scuri in quella fiumana di corpi che si contorceva, si apriva in varchi angusti e implodeva, ripiegandosi di nuovo in se stessa, inghiottendomi. Finalmente avvistai una chioma bionda a qualche metro di distanza.
“Narcissa!”
Lei mi udì, si voltò e fendette la folla per raggiungermi. Al suo fianco c’era Cornelia. Le afferrai la mano.
“Rimani accanto a me, d’accordo? Combatteremo insieme.”
Annuì, gli occhi stravolti.
“So cavarmela...” tentò debolmente.
“Lo so.” la zittii.
“Lo so benissimo, ed è per questo che tu mi coprirai le spalle. Ci proteggeremo a vicenda.”
Non era esattamente quello che avevo in mente, e d’altronde lei sapeva bene che le sue capacità non eguagliavano le mie. Ma non importava, bastava che si fidasse e acconsentisse, così che avessi potuto tenerla d’occhio. Colsi in lei un rapido cenno di assenso, e fu sufficiente.
“Bene. Andiamo.”
 
 
Non avevo duellato con Minerva Mc Granitt. Non avevo trovato la benché minima traccia di Minerva Mc Granitt, e di questo fui oltremodo grata. A chi, non avrei saputo dirlo. Alle circostanze, credo, alle medesime, mutevoli Circostanze.
Eravamo però state costrette a fronteggiare ben tre dei ragazzi che Cornelia frequentava a scuola. Al primo che ci si era parato dinanzi, lei, riconoscendolo, era rimasta paralizzata, ed era toccato a me Schiantarlo.
“Non puoi farci nulla, Cornelia.” le avevo mormorato poco dopo quello scontro, guardandomi intorno per accertarmi che il Signore Oscuro, Bellatrix o chi per loro non si trovasse nelle vicinanze.
“Non devi ucciderli, limitati a metterli fuori combattimento. Ma fai qualcosa, o saranno loro ad annientare te. Loro, o peggio, il Signore Oscuro quando lo verrà a sapere.”
“Alfa, sono... sono i miei compagni, non ce la faccio!” gemette lei.
Non mi sfuggì che ancora mi chiamasse per nome, ma finsi di non essermene accorta.
“Devi farcela, invece.”
“Cosa penseranno di me?”
“E di me?” ribattei.
“Se sono tuoi amici, saranno senz’altro abbastanza svegli da capire che non hai scelta. Non a tutti è concesso il privilegio di combattere per qualcosa in cui si crede. C’è chi è costretto a farlo per sopravvivere. Invidiali, se può aiutarti. Rivolgi contro di loro la tua rabbia, ma non dimenticare chi ne è il vero responsabile.”
Il secondo riuscì a Disarmarlo, e la terza, una ragazzina di Tassorosso che ricordavo essere sua amica, la mandò senza troppi complimenti a schiantarsi contro una vetrata. In circostanze diverse, mi sarei complimentata con lei, ma nella situazione in cui ci trovavamo, non avrei potuto concepire nulla di più inappropriato. Mi aveva colpito la quantità di studenti che erano scesi in campo ad alimentare la resistenza di Hogwarts. Non potei evitare di sentirmi fiera di loro.
Riuscii a non perdere mai di vista Cornelia, e la salvai da due Auror che non si erano fatti alcuno scrupolo a tentare di assassinare una ragazzina; ma, evidentemente, quando le avevo esposto il mio presunto piano dovevo aver avuto ragione più di quanto pensassi, perché anche lei, ad un certo punto, Schiantò una strega che mi aveva Disarmata mentre ero occupata a finire uno degli Auror. Quei due furono le sole vite che strappai. Non ho alcun rimorso per loro. Non li conoscevo, e anche di questo fui grata.
 
“Vigliacca!”
“Cagna!”
“Doppiogiochista schifosa!”
Le ingiurie scagliatemi addosso dai membri dell’Ordine continuano a riecheggiarmi nelle orecchie. Chiudo gli occhi, tentando di ignorarle. Quasi un’ora è trascorsa da quando il nostro Signore ci ha fatti ritirare, annunciando una tregua e intimando al ragazzo di venire a consegnarsi, se desiderava porre fine al massacro. Non stava neanche combattendo, Lord Voldemort il misericordioso. Aveva affari più urgenti da sbrigare, si vede.
L’improvviso frastuono mi costringe a riaprire gli occhi. La radura è in subbuglio. Non impiego molto ad individuarne la causa: il ragazzo è lì, in piedi, che fronteggia con coraggio il nostro Signore. Trattengo il respiro. E’ inerme, non ha nemmeno sfoderato la bacchetta. La sua è una resa inequivocabile. L’Oscuro Signore lo apostrofa con scherno: parole che non odo, talmente forte è il rumore di qualcosa, dentro di me, che s’infrange. Le mie speranze, forse? Il momento che il mio Signore ha visto così tante volte sfuggirgli, che altrettante volte ha vissuto, anticipandolo, nelle sue fantasie, è ora giunto, e dura appena un battito di ciglia. Un fiotto di luce verde, una formula pronunciata quasi pigramente, il ragazzo crolla e... anche il mio Signore.
Sulle prime stento a credere a quello che mi pare un esito del tutto inverosimile. Eppure entrambi giacciono lì, a terra, inerti, nitidi davanti ai miei occhi. Il ragazzo dev’essere morto, come c’era da aspettarsi, ma cosa diamine è accaduto al suo assassino? Quando ha scagliato la maledizione, ne è stato come respinto, quasi che... quasi che l’anatema gli si sia ritorto contro. Ma ha una qualche ragion d’essere questa ipotesi?
Non sono la sola a pormi queste domande, è ovvio. L’imprevedibile caduta del nostro Signore ci ha colti tutti di sorpresa, e un capannello di seguaci non sta tardando a formarglisi attorno, mentre i più cauti (o i più codardi?) preferiscono tenersi in disparte. La curiosità, in me, finisce con l’avere la meglio sul buonsenso. Raggiungo Cornelia accanto a Cissy e le intimo di restarsene lì dov’è, poi mi avvicino. La mia modesta statura non mi consente di vedere al di sopra delle spalle dei Mangiamorte assiepati attorno all’Oscuro Signore, ancora privo di sensi, ma mi giungono con chiarezza i mormorii accorati di Bellatrix, presumibilmente inginocchiata accanto a lui. Getto un’occhiata alle mie spalle: nemmeno il ragazzo dà segni di vita. Il cuore prende a battermi più forte. Non oso sperare. Che cosa accadrebbe se, per una qualche oscura ragione, entrambi fossero morti? Si stipulerebbe una tregua definitiva? E’ un’eventualità alla quale non avevo pensato, forse migliore delle altre da me contemplate finora. Una grave perdita da entrambe le parti in conflitto livellerebbe la questione? Una vita per una vita, non è così?
No, certo che no. Non può finire così. Lo so ancor prima di udire la sua voce, ancor prima che lui si rialzi, mandi Cissy a controllare se Potter sia effettivamente morto, e ancor prima che lei dia il fatale responso. L’ultima pietra gettata sulla fossa delle mie illusioni.
Ora basta, dunque. E’ finita. Tutti i rischi, corsi invano. Che cosa mi aspettavo? Che cosa mai avrebbe potuto un ragazzino contro il più famigerato mago oscuro di tutti i tempi? Non tento neppure di unirmi al coro delle grida di giubilo, e a stento riesco a trascinarmi  dietro al corteo che avanza vittorioso attraverso gallerie di rami, foglie e arbusti. Affianco Rabastan , gli afferro la mano. Mi restituisce la stretta, alza il volto. Nei suoi occhi colgo lo stesso sguardo sconfitto: abbiamo vinto, restiamo prigionieri. Avanziamo in silenzio, il capo chino. Il nostro carnefice, la strada finalmente spianata davanti a sé, potrebbe persino decidere di non aver più bisogno di noi e sbarazzarsene. E non sarebbe forse meglio, Rab? Non sarebbe meglio che seguire rassegnati questa colonna di schiavi esultanti, ignari delle loro catene?
Non presto particolare attenzione alle urla strazianti degli amici di Potter, né alle risate di scherno che fanno loro eco o agli sciocchi, futili tentativi di resistenza da parte degli altri membri dell’Ordine, o Esercito di Silente, come amano definirsi i ragazzini. A ridestarmi bruscamente è invece un sibilo proveniente da qualche punto alle mie spalle. Mi volto di scatto e la vedo: una freccia, scagliata da qualcuno nella foresta, diretta proprio verso di noi.
“Rab...” sussurro, strattonandolo, ma non c’è tempo: una seconda le fa seguito, poi una terza, ed infine una raffica serrata, attraverso la quale riesco confusamente a distinguere i profili equini e i busti umani dei centauri. Neutrali per definizione, devono aver deciso all’ultimo di schierarsi... e non dalla parte vincente.
Rabastan non si pone domande: mi agguanta per un braccio e mi trascina via, lontano dalla gittata delle frecce. Non abbiamo il tempo di trarre un sospiro di sollievo che siamo costretti a gettarci di lato per schivare i piedi dei giganti, che per una qualche ragione hanno ripreso a muoversi.
“Cornelia...” biascico, rivolta alla schiena di Rab.
“Dov’è Cornelia?”
“Lucius e Cissy la stanno portando al sicuro... Alfa, dobbiamo entrare nel castello.” replica lui, senza voltarsi e senza smettere di correre.
D’improvviso realizzo che ha ragione, la corrente umana sta convergendo verso il portone di Hogwarts, cercando scampo nella Sala Grande. E mi rendo conto anche di un’altra realtà: la battaglia è ripresa, e sono le nostre forze ad arretrare. Poco dopo, rimbomba alto il grido del Mezzogigante, l’amico del ragazzo: “Harry! Harry! Dov’è Harry?”
Fino a poco fa era lui a portarne il corpo, e dubito sia stata la sparizione di una salma a rimettere in discussione le sorti del combattimento. Forse il ragazzo è vivo, nascosto da qualche parte? Ma come... I Malfoy mi superano di corsa, risalendo la calca alla ricerca del figlio. Cornelia mi vede e mi raggiunge; ci ritroviamo accerchiati da membri dell’Ordine, e decido che sia il caso di ingaggiare battaglia. Lei, Rabastan e io ci ritroviamo schierati fianco a fianco, a poca distanza da Bellatrix e dal Signore Oscuro, che paiono entrambi accecati dal furore mentre abbattono un avversario dopo l’altro. Mi appare subito chiaro che tutti, senza distinzione, stiamo combattendo per la vita: per salvarne o per strapparne; ma Cornelia non sembra a suo agio con gli Anatemi che Uccidono, preferisce Schiantesimi o Incantesimi di Disarmo.
“Uccidi, Cornelia, o saranno loro a farlo per te...” vorrei gridarle in avvertimento, ma non mi esce la voce. Il problema non si pone: Bellatrix mi precede.
“Uccidili, ragazzina!” le ringhia, senza cessare di combattere.
“Non ti ho forse insegnato tutte e tre le Maledizioni Senza Perdono? Avanti, mostrami che hai imparato qualcosa!”
“Fa’ come ti dice, per favore...” la supplico in silenzio.
Nel frattempo, abbiamo riparato in Sala Grande, e la mia attenzione viene attratta da una schiera di elfi dall’aria combattiva che si gettano al nostro assalto, capitanati da quello che non esito a riconoscere come Kreacher, l’elfo domestico dei Black.
“Combattete per il mio padrone, difensore degli elfi domestici! Combattete il Signore Oscuro, nel nome del prode Regulus!” li incita, alla stregua di un vero condottiero.
Non saprei quantificare, nell’udirlo, la sorpresa, il disgusto per me stessa o il dolore: paiono eguagliarsi e travolgermi allo stesso modo, lasciandomi lì, boccheggiante, senza fiato, dimentica per un attimo degli altri duellanti. Ma è questione di poco: gli schiamazzi di Bellatrix mi riportano al qui e ora.
“Uccidili, ho detto! Hai bisogno di motivazioni? CRUCIO!”
La maledizione coglie Cornelia alla sprovvista, e la getta a contorcersi a terra. Non mi serve altro.
“No! Lasciala stare!”
Mi precipito da lei, ignorando Rabastan che tenta di richiamarmi indietro. So perfettamente che metterci gli uni contro gli altri ci renderà più vulnerabili... e forse è proprio quello che voglio. Mi paro davanti al corpo scosso dai tremiti di Cornelia, intercettando il getto di luce rossa della bacchetta di Bellatrix. Lei sgrana gli occhi di fronte a una rivale inattesa, ma, prima che possa reagire, il suo padrone si fa avanti a dirimere la contesa.
“Lèvati di mezzo, Alfa.” intima con voce gelida, mentre Bellatrix si volta e cambia obiettivo per proteggere il fianco scoperto del suo Signore.
“Lord Voldemort non se ne fa nulla di una serva che non sa combattere. Scostati. Lasciami insegnarle come si fa.”
Il suo tono, nel frastuono della battaglia, è innaturalmente calmo, eppure qualcosa, in esso, mi convince a tenere il mio posto.
“No.” ripeto, fissandolo negli occhi.
Ed è qui che commetto un errore. Nei suoi, colgo un barlume, un lampo improvviso, e capisco. Ora sa.
Non proferisce parola, si limita a sollevare impercettibilmente la bacchetta e a puntarmela contro. A nulla vale la mia contromossa, il fiotto verde è più rapido, e avverto una fitta acuta nel petto, dove ha colpito.
Nella frazione di istante che segue, il tempo pare dilatarsi. Tra i suoni improvvisamente ovattati, riesco a scorgere Rabastan che, non visto, aiuta Cornelia a rialzarsi e la trascina lontano dalla mischia. E so che non ha dimenticato la sua promessa.
Alzo lo sguardo sul soffitto incantato della Sala Grande e, per un attimo, credo di vederla, l’ultima stella del mattino. Poi la vista mi si offusca, e attorno a me non distinguo nient’altro. Buio, e, finalmente, silenzio.
 
 
Note:
Ciao a tutti! Dunque, credo sia doveroso che io cominci tentando almeno di spiegare una così lunga assenza da parte mia su efp. Si è trattato di un periodo molto intenso, caratterizzato da grandi cambiamenti, durante il quale ho intrapreso nuove attività e scoperto lati di me stessa di cui fino a un anno fa non ero a conoscenza (questo spiega anche perché io non mi riconosca più, ad esempio, nella presentazione che avevo scritto per il mio profilo). Non ho smesso di scrivere, naturalmente, né intendo farlo; solo, a tratti non mi ritaglio abbastanza tempo per questo (cosa di cui, va da sé, non sono affatto fiera). Inoltre, a lungo è mancata l’ispirazione, o meglio, è mancato il tempo per cercare l’ispirazione necessaria a concludere questa ff. Ed essendo stata per me così importante, ci tenevo a prendermi la calma e la dedizione indispensabili affinché la conclusione rispecchiasse, per quel che è possibile, l’idea originaria che avevo, anche se tante cose sono cambiate da quel primo barlume di ispirazione che ebbi per la storia. Con ciò non intendo giustificarmi, anzi chiedo scusa per avervi fatto aspettare tanto; permettetemi comunque di dire che è bello essere di nuovo qui, soprattutto dopo aver addirittura temuto che efp rappresentasse ormai un capitolo chiuso della mia vita. Conclusa questa digressione, sono felice di poter dire che questo è davvero l’ultimo capitolo della storia, così come l’avevo pensata ormai tre anni e mezzo fa. Non nego, in realtà, che contemplo l’idea di scrivere un epilogo a “suggello” della conclusione, che la possa, diciamo, inserire all’interno di un quadro più ampio; ed è questa la ragione per cui non ho ancora aggiornato in “completa” lo stato della storia.
Spero che la narrazione “in bilico” tra la prima e la seconda fase della battaglia non vi abbia troppo disorientato; ho cercato comunque di essere il più possibile rigorosa e fedele ai libri, che ho ricontrollato più e più volte per essere certa di far combaciare questo racconto con l’originale . L’unico particolare di mia invenzione è la pioggia durante la notte... mi sembrava suggestivo l’odore della foresta bagnata alle prime luci dell’alba, ecco. Ho tentato anche di glissare sui discorsi diretti, soprattutto del Signore Oscuro, per non essere costretta a dover riportare quelli originali, a parte nel caso delle parole di Kreacher, in cui mi è parso doveroso.
Detto ciò, spero, ecco, che il finale non vi abbia deluso, e magari anche che non fosse troppo prevedibile... ma non mi faccio illusioni. :D
 Ci tengo a ringraziare in modo particolare ornylumi e Merlina97 per avermi seguito con pazienza, per avermi fatto dono dei loro consigli preziosi e del loro sostegno, e, naturalmente, per essere arrivate fin qui: davvero senza di voi non avrei dato un senso a tutto questo.
Infine, dedico questo capitolo ad A., che, l’ho detto tante volte, con la sua inesauribile immaginazione, è stata fondamentale nell’ideare la storia di Alfa, l’ha ascoltata per prima e non ha mai smesso di credere in me.
Baci,
Fanny

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