Gost Toon GDR - The Dark Diary

di Nene_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First Murder ***
Capitolo 2: *** Second Murder ***



Capitolo 1
*** First Murder ***


Lui si avvicinò, le labbra che si stavano per posare sulle sue…
Qualcosa di pesante atterrò sul letto accanto a lei, quasi sbalzandola giù. E, mentre il sogno si dissolveva del tutto, delle ginocchia sbatterono sulle sue tibie e vi strisciarono sopra.
Si tirò su, svegliata di soprassalto. Ora che era sveglia realizzò che Nate, l’Ignaro che aveva salvato da morte certa, le stava camminando sopra per inseguire Gunnar, il suo bakeneko ora trasformato in gatto.
Uscirono dalla stanza prima che lei potesse avere una reazione qualunque, in quanto era ancora scossa dal brusco risveglio.
Nate si era svegliato solamente ieri dal lungo coma che la pozione del ‘sindaco’, Orods Zetas Sixx Hill, gli aveva procurato nel tentativo di cancellargli la memoria, in modo che non potesse tornare a casa sua… e, in un certo senso, le aveva quasi fatto un favore: aveva bisogno di compagnia in quella casa così grande occupata solo da lei e i suoi tre animali ‘domestici’.
L’Ignaro sembrava stesse bene, ora, tutto sommato.
Si alzò e andò in cucina per prendere un bicchiere di latte, la canottiera di cotone che le arrivava quasi alle ginocchia.
Si bloccò sulla porta del salotto. Il divano era ribaltato all’indietro, il vaso di portellana e vetro a terra in una pazza d’acqua, accanto i fiori che conteneva. Il caos regnava nella cucina e nel salotto.
“Ora inizia il mio inferno personale…” si disse andando i camera a cambiarsi: indossò un abito femminile, con la gonna sulle ginocchia, nero e bianco, in stile gothic.
Entrò Rea esattamente mentre lei finiva di allacciarsi il bustino. Le chiese mentalmente se le serviva una mano per mettere in ordine e lei, accetando, gliene fu grata -lei e Rea, il suo basilisco, erano le uniche donne in casa.
Le due ore seguenti furono terribili, ma con un po’ di magia e olio di gomito ripulirono il disastro e sistemarono tutto quanto.
Quando ebbe finito, Sophie si stese stupina sul pavimento di legno lucido, Rea si raggomitolò lì vicino, per riprendere fiato. Nate entrò nel suo campo visivo, i capelli neri arruffati e il viso un po’ graffiato, stava tenendo Gunnar, in ‘versione topo’, per la coda.
- Victoria… - cominciò.
- Sophie. - lo interruppe subito lei.
- Sophie, che cosa c’è in quella stanza con la porta chiusa a chiave, in cantina? - chiese.
- Non sono affari tuoi, Ignaro. - rispose lei brusca, tirandosi su. - E lascia Gunnar. - aggiunse poi.
Lui sembrò ricordarsi del topolino che teneva sospeso a mezz’aria e, non appena lo rimise giù, questo si ritrasformò in quell’enorme felino che era e, indignato, se ne andò verso il giardino.
Il ragazzo le si avvicinò. - Dammi un’indizio… - continuò.
- Se la smetti di stressare, ti faccio dare un’occhiata veloce. Solo il tempo di prendere un paio di cose per uscire. - rispose lei, interrompendolo nuovamente, già quasi pentita di averlo salvato.
Rea la guardò storta, nemmeno a lei e a Gunnar era permesso entrare in quella stanza, normalmente. Ma Sophie la ignorò.
La porta di ferro della cantina si aprì con un clack secco. La spinse delicatamente e quella mostrò il contenuto della stanza.
Un tavolo rettangolare eccessivamente grande, ingombro di fornelletti, ciotole, boccette, sacchettini, piatti ricolmi di erbe e un libro aperto, era al centro della stanza.
Alla sua destra, attaccata al muro, una grande mensola in ciliegio che lo percorreva tutto per il lato corto della stanza. Sopra quest’ultima erano depositate le sue armi: il pugnale dei Casterwill, l’arco con la faretra ricolma di frecce, i pugnali da lancio, un cofanetto con strani intarsi che conteneva l’amuleto di Sabriel e King Basilisc, i suoi titani, un secondo ne conteneva altri che non usava spesso e diversi stracci ripiegati, con i rispettivi liquidi vicino che servivano per ripulire le armi.
Il continuo della mensola, sul muro adiacente, era ben più corto, infatti sopra di esso giacevano solamente una quarantina di fialette e boccette che contenevano i diversi veleni che lei stessa aveva creato: la riugiada bianca, in grado di privare della vista per qualche minuto, la riugiada rossa, che causava perdita di sangue da naso e occhi e il conseguente, lento, dissanguamento, la riugiada viola, letale in un periodo di tempo piuttosto lungo e che causava allucinazioni pre-morte, e, infine, la riugiada nera, quella che lei preferiva, appariva come un normale veleno di serpente, ma più letale, uccideva la vittima in pochissimi secondi.
A sinistra del tavolo, antichi strumenti di tortura che lei non usava più, per lo più insanguinati, e, accanto un’alta libreria straripante di libri.
Nate, dietro di lei, rabbrividì.
- Ricorda che io non sono un’Ignara, Nate. – disse entrando e accorgendosi di aver pronunciato il suo nome per la prima volta.
Prese il pugnale con lo stemma della sua famiglia, l’arco e la faretra con le frecce imbevute di riugiada nera.
- Stattene buono a casa e riposati, io vado a caccia. -
- A… caccia? – ripetè lui, sorpreso e appena turbato.
- Sì. Se stasera vuoi mangiare devo procurarti qualcosa, no?  - disse freddamente, come se la cosa fosse ovvia.
Salì a cambiarsi i vestiti e indossò i soliti: il corpetto nero con i bottoni vermigli, i pantaloni di pelle nera, gli anfibi scuri e la cintura borchiata alla quale assicurò il pugnale.
Poi, avvolgendosi nel mantello e prendendo la bisaccia dove aveva messo le altre armi, fischiò.
Thundar, il suo stallone nero, arrivò al galoppo. Gli saltò in groppa esattamente quando Gunnar apparì al suo fianco.
Spronò il cavallo e partirono nell’afa pomeridiana.
Eccola, Sophie, che tornava la solita, fredda assassina cacciatrice, la maga mutaforma, veloce e letale.
 
Tornò verso sera, le mani sporche di sangue come i denti del bakeneko, per posare la selvaggina e, dopo essersi cambiata, uscire nuovamente, questa volta da sola.
S’incamminò sotto forma di gatto nero verso il castello, lì si era data appuntamento con la vampira.
Entrò dal portone principale, saltandolo, e si diresse nella camera da letto più grande. Quella dove si erano conosciute.
Tornò umana, gli occhi ancora felini per vedere nel buio, rischiarato solamente dalla luce della luna piena. Non appena ebbe effettuato la trasformazione, due mani fredde scivolarono sul suo volto, andandole a coprire gli occhi. Non cercò di ribellarsi, erano così familiari… si voltò e sorrise ancor prima di aver messo a fuoco il suo volto chiaro, i canini appuntiti digrignati nel suo stesso sorriso e i capelli neri che scendevano fino alle spalle.
- Ele… - sussurrò con una voce improvvisamente dolce, l’altra rispose abbracciandola. Elektra Blood, la vampira, era come una sorella per lei.
Si stesero sul grande letto, ancora abbracciate. Elektra, con una mano, le scostò i capelli dal collo e glielo mordicchiò affettuosamente, mentre Sophie ridendo sommessamente parlò:
- E’ un po’ che non ci vediamo… mi sei mancata. -
- Anche tu, sorellina. -  entrambe, notò Sophie, avevano una voce che sembrava più calda, ora.
La mutaforma si liberò dalla sua presa ferrea, che la teneva bloccata, e la baciò. Ma, evidentemente, all’altra non bastò, perché le strappò un nuovo bacio, più dolce del primo e poi passò a leccarle una guancia.
Andarono avanti così fino a notte fonda. Questo era il loro modo di passare del tempo assieme, quando potevano vedersi: morsi, baci, dolci abracci… e Sophie non riusciva ad immaginare un altro modo di poter stare con lei.
Quando fu quasi l’alba, la vampira si alzò.
- Sorellina… ehm… dovrei andare. Sai, la luce del sole non mi fa esattamente bene. – bofonchiò.
- Sì, lo so, Ele. – la tranquillizzò Sophie.
Elektra la baciò sulla fronte scompigliandole i capelli.
- Ti voglio bene, tesoro. Ci vediamo. -
Sophie la baciò.
- Anche io. – le sorrise, salutandola con una mano.
Saltò sul davanzale di pietra della finestra, freddo come la sua pelle, e si spinse giù, scomparendo e lasciando Sophie sola.
Sospirò, la maga, e a sua volta si avviò verso casa.
 
Quando finalmente arrivò, entrò in camera da letto, per mettersi a dormire. E, con sorpresa, trovò Gunnar ai piedi del letto. Sorrise stancamente, probabilmente aveva cercato di aspettarla sveglio, pensò, mentre si spogliava e si metteva la canottiera che le fungeva da camicia da notte.
Si adagiò sul letto che ormai il sole stava sorgendo, ma sprofondò ugualmente nel sonno.


-- Dedicata a ElektraBlood e a tutti gli abitanti di Gost Toon --

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Capitolo 2
*** Second Murder ***


Si svegliò con la luce pomeridiana che le feriva gli occhi attraverso le palpebre chiuse. Si tirò a sedere sul letto, stroppicciandosi il viso e stiracchiandosi come un gatto, appunto.
Il sole, alto nel cielo le diceva che il mezzogiorno era da poco passato. Guardò l’orologio: mezzogiorno e tre quarti.
Superando pigrizia e intorpidimento si alzò dal letto, i capelli arruffati. Avviandosi verso la cucina cercò di sistemarli come meglio riusciva.
Nate, già sveglio, la salutò con un solare “buongiorno”.
- Senti, Sophie… Gunnar dice che c’è un bellissimo lago, qui a Gost Toon… - cominciò avvicinandosi mentre lei era occupata a prendere un bicchiere di latte.
- Sì, il Lago della Bella Elisa. Perché? - domandò lei curiosa, ma distratta dal liquido bianco nel bicchiere che iniziò a bere in piccoli sorsi.
- Mi ci porti a fare un giro? - azzardò lui, timido e tutt’in un fiato, arrivando al punto. Sophie sputò a terra il sorso che aveva appena preso.
- Stai scherzando, vero, Ignaro? - chiese sconcertata, ben sapendo che lui non scherzava affatto. – Sei pazzo! E poi non sono né la tua balia né la tua guida per Gost! Ti ricordo che qui non ci potresti nemmeno stare! - sbottò. E se ne tornò a grandi passi in camera da letto, smettendo di badare al ragazzo che si rattristò  per la sua reazione.
Si spogliò e si fece una doccia fredda, come le piaceva fare per “sbollire” la rabbia o, come diceva lei, “purificarsi”, magari dopo qualche omicidio.
Mentre si asciugava, ancora in bagno, la porta si aprì e un ragazzo alto, con i capelli dello stesso colore del grano dorato, entrò senza bussare.
Lei, intenta ad asciugarsi il corpo, lo ignorò e lui, appoggiandosi allo stipite della porta e incrociando le braccia, rimase a guardarla in silenzio.
Dopo qualche minuto, dovette stancarsi del menefreghismo della ragazza, perché le cinse la vita con le braccia appena lei lasciò cadere l’asciugamano.
- Non credi di essere stata cattiva con Nate? - le chiese dolcemente, appoggiando il mento sulla spalla di Sophie, nuda.
- Sai bene che quando hai quest’aspetto non devi allungare le mani. - lo ammonì lei, seccata, arrossendo.
- Ti sto solo abbracciando, Soph! - esclamò, giustificandosi.
- Credi davvero che dovrei fargli fare un giro per Gost Toon? Potrei non riuscire a proteggerlo… – rispose, sospirando, alla domanda precedente, appoggiando la nuca alla spalla di lui e guardando il soffitto.
- Soph, verrei con te. - cercò di rassicurarla.
- Gunnar, la rispopsta rimane no. - decise e si allontanò da lui. – Magari… un altro giorno. - aggiunse poi, quando fu alla porta, ed andò in camera per vestirsi.
- Grazie, Soph. È giusto così. - le sorrise lui, avvicinandosi per darle un bacio sulla guancia e uscendo dalla camera.
Poco dopo, si udì Nate gridare entusiasta.
Sorrise tra sé. Comiciava ad essere troppo buona con quell’umano, pensò. Solo tre giorni e già gli faceva concessioni insolite.
Decise, tuttavia di andare lei stessa al Lago. Si mise in tenuta da caccia: corpetto nero, pantaloni neri in pelle, anfibi e mantello, oltre, ovviamente, alle sue adorate e preziosassime armi. Uscì prendendo Thundar -non aveva la minima voglia di camminare fin là- e senza avvertire nessuno.
 
Scese dal cavallo e lo lasciò andare.
Si avviò verso l’acqua scura con passo lento e calmo. Quando fu sulla riva, però, l’accolse un forte puzzo di mannaro. Certo, non che avesse qualcosa contro i licantropi! Non se non erano Wolf Black.
Si voltò da un lato ed eccolo, Wolf, il ragazzo di Elektra, colui che tentava ogni qualvolta possibile di ucciderla. Seduto lì, con i capelli neri mossi dal vento e la carnagione chiara, non sembrava neppure tanto terribile; ma lei ricordava bene la sua forza quando l’aveva afferrata… rabbrividì.
- Ciao, Victoria. - si voltò verso di lei. Sussultò: aveva notato la sua presenza.
- Ciao, Wolf. - salutò fredda, di rimando. I muscoli tesi pronti a scattare in ogni momento.
- Tutto bene? Elektra? – chiese.
- Tutto bene, lupo. Ele… è un po’ che non la vedo. - mentì indifferente.
- Ah. - sembrava deluso, notò. - Pensavo che avresti potuto parlarle. - continuò.
- Di cosa? - chiese con insofferenza.
- Abbiamo litigato. - terminò. Lasciando Sophie di sasso. Voleva che le parlasse per farla ragionare e riappacificarli? Ma figurarsi se ora faceva un favore a quel maledetto lupo che l’aveva sempre vuoluta uccidere!
- E perché dovrei farlo? Mannaro, mi hai sempre voluta uccidere e ora ti dovrei fare un favore? - diede voce ai suoi pensieri.  - Non se ne parla. - rispose riluttante.
- In tal caso non c’è più motivo di trattenermi, Victoria. - pronunciò il suo nome con un ringhiò sommesso carico di rabbia e disprezzo.
Ecco, come immaginava Sophie… era logico andasse a finire così. Estrasse il pugnale dal fodero assicurato alla cintura borchiata, il braccio nascosto nel mantello; l’altra mano pronta per essere protesa a scagliare una fune d’energia verso i suoi piedi.
- Tu non avevi intenzioni pacifiche nemmeno quando hai iniziato a parlare, Wolf. – disse, anche lei con un accenno di rabbia nella voce.
Una risata fragorosa esplose e divenne sempre più gutturale e simile al ringhio furioso di un cane. Alzandosi, Wolf, saltò e si lanciò in aria, iniziando a trasformarsi. Le orecchie si appuntirono e le labbra si ritrassero sui denti. Cadde a terra a quattro zampe e, rialzandosi su quelle posteriori mantenne una forma curva. A Sophie ormai non dispiaceva troppo la forma mezza umana e mezza lupo dei mannari, tanto era abituata a fenomeni di quel tipo. Ma quello rimaneva Wolf.
Iniziò a correre, scostando il mantello dal braccio proteso e recitando una litania lenta e irregolare: due funi lucenti le uscirono dalla mano e, fulminee, andarono a stringersi attorno alle caviglie del licantropo che barcollò un po’ e, guardandole, si mise nuovamente a ridere.
- Possono bastare un paio di funi per fermarmi, secondo te? - ghignò. E prima che lei potesse fare altro, allargò le gambe con un movimento deciso e Sophie, per non essere trascinata dovette interrompere le corde che si spezzarono e si dissolsero. Arrestò la propria corsa, incerta su quello che lui ora avrebbe fatto. Ma vedendolo rimanere immobile al suo posto ebbe il dubbio che la stesse aspettando. Ripartì di corsa, il pugnale rinfoderato aveva lasciato il posto a tre pugnali da lancio per mano, di cui quelli nella mano sinistra imbevuti della sua Rugiada Bianca. Non seppe dire perché aveva usato quel veleno, ma ne fu felice: non voleva uccidere Wolf.
Lanciò i primi due coltelli, uno dalla mano sinistra e uno dalla destra. Sul muso del lupo si aprì un largo ghigno. Bloccò entrambi i coltelli prendendoli per la lama e fermando la loro precisa corsa. Ma ora sorrideva la mutaforma: un leggero rivolo di sangue uscì dalla mano destra di Wolf, quella con cui aveva afferrato il pugnale avvelenato. Bastava questo per la momentanea perdita della vista.
- Non servono nemmeno questi, Victoria. - Il lupo lasciò cadere a terra i due pugnali e Sophie arrestò per la seconda volta la sua corsa, in attesa dell’effetto del veleno.
- Perché stai sorridendo? - le chiese lui, sorpreso dalla sua mancanza di reazione.
- Wolf, tra poco non vedrai più nulla. Il pugnale che ti ha graffiato era avvelenato. - lo informò lapidaria. - Ma non preoccuparti, la perdita della vista sarà solo momentanea - aggiunse poi. Lui la guardò come se avesse appena ucciso un suo familiare.
- Tu! - le grido. - Dannata mutaforma! Avrei dovuto ucciderti quella volta che ti ho sorpresa con Elektra! Maledet… - non terminò l’insulto e barcollò appena, disorientato. Segno che il veleno, entrando in circolo, aveva fatto effetto. - Maledetta! - terminò comunque, urlando più di prima.
Ora fu il suo turno di ghignare. Avrebbe potuto ucciderlo o torturarlo fino a morte certa, pensò perversamente. Ma non voleva uccidere Wolf… quindi nulla, scartò l’idea.
- Come potrei finirti, ora, Wolf Black? - chiese ad alta voce mentre lui tornava in forma umana, più facile da gestire e meno ingombrante di quella da licantropo. Una nuova idea, perversa più della prima, le balenò in mente. Ma Elektra poteva offendersi se l’avesse fatto. La scartò. Avrebbe voluto divertirsi con quel suo bel corpo, lo ammise a se stessa. Ma c’era un corpo che desiderava più di quello del mannaro, non saprebbe dire se fosse migliore o meno, ma lo desiderava immensamente.
Si decise a legarlo, prima di tutto. Dovette impegnarsi parecchio -non ne voleva sapere di stare fermo- ma alla fine ci riuscì. Una volta legato, si limitò a sbottonargli la camicia e, tra le sue grida e i suoi mugugni di dolore, gli incise il simbolo dei Casterwill sul petto, all’altezza del cuore ma dalla parte opposta, a destra. Sorrise del suo bel lavoro. Una volta che il sangue si fosse fermato e i tagli cicatrizzati, avrebbero lasciato per sempre impresso lo stemma della sua famiglia sul petto di Wolf, come promemoria. In una tacita promessa di sfida amorosa tra i due. La loro sfida per Elektra.
- Wolf, la prossima volta assicurati che i miei pugnali non siano avvelenati. È uno spreco terribile non sfruttare queste occasioni. Oggi è stato troppo facile. Le nostre forze sono alla pari, dovresti saperlo, saremmo entrambi un ottimo allenamento per l’altro.
Ci vediamo, lupetto. - lo salutò in fine e gli scompigliò i capelli sudati, appositamente per farlo infuriare. Ma lui rispose solamente con un calmo “è vero. Alla prossima, Victoria.” e si leccò le labbra, sorridendo appena.
Con un fischio acuto fece accorrere Thundar e se ne tornò a casa, anche lei con un sorriso sereno e soddisfatto dipinto in volto.
 
Sulla porta l’accolsero Gunnar, in forma umana, e Nate.
- Cosa diavolo sei andata a fare senza avvisare nessuno, Soph?! – l’ aggredì il primo, infuriato e preoccupato.
- Gunnar, tesoro, non devo certo rendervi conto delle mie azioni. Se un giorno avessi una relazione con qualcuno non vi dovrò certo informare di ciò che faccio, quando lo faccio, come lo faccio e dove lo faccio. - replicò, annoiata mentre Gunnar a quelle parole arrossì violentemente.
- Dove sei stata? - chiese spaventato. - Spero tu sia ancora integra, vero? Devo andare ad ammazzare quel meledetto del sindaco? - aggiunse poi, una nota di gelosia appena accennata nella voce.
Sophie lo fulminò con lo sguardo. - No, Gunnar. È tutto a posto. - lo rassicurò, dolcemente e gli accarezzò il volto con il dorso della mano, mentre lui piegava la testa per non separarsi da quel contatto. - Mi sono solo azzuffata con Wolf Black. - replicò ancora lei, noncurante. Il bakeneko si produsse in un sospiro di sollievo. Era una cosa del tutto normale, quindi, bene così.
- Allora come mai quel sorriso? -
- Quale sorriso? - domandò con una macabra innocenza. E sparì entrando in casa e chiudendosi in camera.
Sospirò seduta sulla sedia di legno chiaro della sua scrivania, le mani incrociate dietro la nuca e una penna intrecciata tra esse. Guardò il soffitto bianco della stanza, magari l’avrebbe dipinta tutta di nero e attaccato delle stelle adesive sul soffito per illuminarla, si propose. Ma rise della sua idea stramba.
Visto che non le veniva più in mente nulla da scrivere, chiuse il diario dalla copertina nera e ci abbandonò la penna sopra.
E, dandogli un’ultima occhiata, fece correre lo sguardo sulle sue cose sparse nella camera. Fece un triste sorriso, sembrava vivesse lì da sempre. Spense poi la luce e uscì dalla stanza.


-- Dedicata a BellatrixWolf e a tutti gli abitanti di Gost Toon --

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