I love… rock ‘n’ roll.

di Sole_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cinque lettere uguale Amore. ***
Capitolo 2: *** “Ehi” più bacio uguale svenimento assicurato. ***
Capitolo 3: *** Akuna Matata non funziona quando c’è Greg. ***



Capitolo 1
*** Cinque lettere uguale Amore. ***


Cinque lettere uguale Amore.

I love… rock ‘n’ roll.

 

Ok, allora… ciao.

 

Non so cosa mi è preso. Ma, mentre una mia amica mi raccontava cosa le era successo ed io gongolavo perché era felice, mi è venuta l’idea un po’ folle di metterla per iscritto. Non so il risultato. A lei è piaciuta, a me non dispiace per nulla, quindi ho pensato di propinarvela.

Questa è la prima parte. Sarà divisa in tre parti, abbastanza corte –presumo, le altre due devo ancora scriverle, quindi non so quando le posterò: solo se reputerete che sia di vostro gradimento… Oddio sembra che vi stia parlando di atti da avvocati e roba del genere. Ok, io non sono così, è solo che sono piuttosto esagitata, più del solito.

Basta adesso vi lascio leggere.

Fatemi sapere se non vi dispiace  [la storia, non se non vi dispiace farmelo sapere. Volevo precisare. Cioè forse, perché pensavo fosse ambiguo. Mi sa che volevo fosse ambiguo, ma non me lo ricordo :S. Sì sono strana scrivo le note un po’ alla volta, ma spero non vi interessi! ;) (che sono un po’ strana, non che scrivo le note un po’ alla volta; e anche che metto le parentesi quadre perché ho bisogno di mettere più parentesi, ok… penso –e parlo, ringrazio chi ha inventato gli incisi XD- troppo, me lo dicono in tanti!)]

Mary.

 

Cinque lettere uguale Amore.

 

“Singing I love rock ‘n’ roll, so put another dime…”

Cantava, per evitare di spegnere la televisione accesa su Mtv, ovviamente. Cantava, per non annoiarsi più di quanto lo fosse già.

Ballicchiava, mentre si alzava dal divano e sbuffava, per l’ennesima chiamata di sua madre, pensò. E invece no, perché l’unico numero che finiva per 412 era il suo, se non ricordava male. Inspirò ed espirò come per cercare di calmarsi, ma non ci riusciva, non riusciva a pensare ad altro che a Lui, il suo Greg. Quindi rispose, senza nessuna certezza che fosse realmente lui, ma agitata come.. come.. non lo sapeva neanche lei, come.

“Pronto?” Sembrava anche la sua voce, ma si sa, la mente e il telefono possono giocare brutti scherzi.

“Pronto. Chi è?” Ribatté incerta… su tutto.

“Gregorio.” Eccolo, era lui. Il suo cuore batté più forte, così tanto forte che le mise la preoccupazione di non farsi sentire da lui.

“Come stai?” Come pensava che stesse? L’aveva chiamata. Aveva chiamato lei. Ci aveva sperato per dieci lunghi, lunghissimi mesi. Perché lo amava, era profondamente convinta di amarlo. Ma lui? Lui l’amava? L’aveva chiamata per quello?

“Bene, tu?”

“Bene, bene.”

Così dopo vari minuti di cincischiamento: scuola, amici, cosa avevano fatto in quel periodo, Greg fece un respiro profondo e cambiò totalmente argomento:

“Veniamo al dunque!”. Quindi un dunque c’era, pensò lei. E allora iniziò di nuovo ad agitarsi. Cosa voleva chiederle?, perché era sicura che lui le volesse chiedere qualcosa!

“Cosa fai sabato?” ecco perfetto, Greg mi invita fuori ed io dove sono? Al mare, ovvio. E mentre continuava a rimuginare sulla sua sfortuna, gli rispose: “Mi dispiace Greg, ma sabato non posso: sono al mare.” Cercò di calcare il più possibile quel sabato, per fargli capire che anche lei voleva rivederlo.

“E.. e giovedì 2?” Certo veramente che sfiga! Lei aveva già fissato con degli amici per quel giorno ma voleva vederlo ad ogni costo, così gli rispose:

“Sì, avevo pensato di andare fuori con i miei amici, ma va bene, magari ti aggreghi” Sperava che gli andasse bene con tutto il cuore.

“Ah, perfetto!” Ma era stato sempre così monotono?

Prima di attaccare si ricordò di richiedergli il numero, perso in Spagna insieme alla schedina, per aggiornarlo sull’uscita, si disse, ma sapeva bene che era solo un modo per rendere tutto più reale.

Scrisse il numero su di un foglietto e non pronta per salutarlo, ma comunque di quell’idea, aprì la bocca, ma non riuscì a dire nulla che lui subito riprese la parola:

“Ah, mi raccomando, sotto il numero scrivici Amore” e lei come in trance lo fece, in quel momento sul foglietto poteva vedere scritte -nella sua panciuta grafia- cinque lettere, che però le pesavano come 5000 macigni.

Non sapeva cosa dire, imbarazzata com’era. Rimase appoggiata al muro a pensare finché non lo sentì dire:

“Beh, allora a giovedì”

Non fece in tempo a rispondere il suo balbettato: “C... ciao” che lui aveva già riattaccato.

Così con ancora il cuore in gola, il pennarello –che aveva usato per scrivere- in bocca, e il foglietto –tutto spiegazzato- in mano, si lasciò scivolare lungo il muro con le lacrime agl’occhi per la felicità. E pianse e urlò e cantò:

“I love you, please say you love me too…”

 

****

Fine prima parte.

Allora ultima cosa, veramente sono due! XD

Il titolo è ripreso dalla canzone di Joan Jett: I love rock ‘n’ roll.

Ed invece l’altra è una canzone di Celine Dion: I love you che è più pucciosa, e quindi per nulla mia. Io mi vedo meglio con Joan Jett. *-* Però le parole sono azzeccate, almeno per la protagonista. :D

Ok. Al prossimo che sinceramente non so quando sarà. Spero presto. Mi ci impegno. :)

Mary.

 

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Capitolo 2
*** “Ehi” più bacio uguale svenimento assicurato. ***


“Ehi” più bacio uguale svenimento assicurato.

I love… rock ‘n’ roll.

 

Secondo capitolo. Spero vivamente che vi piaccia. Giù vi aspettano un po’ di note! ;) Non l’ho fatto apposta, è colpa delle mani: hanno vita propria. :/

Ps. Recensite? Mi fareste un immenso favore, davvero. Mi piacerebbe sapere se, secondo voi, sarebbe meglio che mi dessi all’ippica. :)

Mary.

 

“Ehi” più bacio uguale svenimento assicurato.

 

Così il giovedì, si era ritrovata in Via Cavour con i suoi amici. Divertendosi -certo- ma l’unica sua vera voglia era vedere Greg.

Al suo arrivo, insieme a due suoi amici: che cosa ci facessero insieme a lui non ci è dato saperlo, si guardarono, si sorrisero, si abbracciarono e a lei salì il cuore in gola. Oh, quanto è bello! Il commento di Celeste.

E, come i migliori sconosciuti, non si parlarono, si ridivisero le comitive. Camminavano insieme, gomito a gomito, ma ognuno per le sue.

Ad un certo punto però la considerò. Nel suo modo così genuino e stupendo –a detta della ragazza-, la considerò. E lei si sentì così felice, emozionata e  importante, che quasi gli svenne ai piedi, per un semplice “Ehi.”

Parlarono fitto fitto, sempre più vicini, sempre più complici e, nel frattempo, arrivarono ai Lungarni. E lì, lui la fermò.

Lei sapeva che era il momento. Quello che aveva aspettato per dieci mesi.

Lui voleva che fosse il momento. Se la ragazza, se Celeste, avesse potuto leggere i suoi pensieri non penso l’avrebbe baciato.

A lei –ovvio- batteva il cuore.

A lui –spero- pesava il cuore.

Lui le si avvicinò, le sorrise e le sistemò una ciocca che volava grazie alla brezza fluviale dell’Arno.

Lei, durante questi sette secondi e mezzo, si imbambolò. Gli sorrideva ebete e felice.

Lui si avvicinava sempre di più e lei… si ricordò le parole dell’amica, sempre la stessa frase in quei dieci mesi d’amore non corrisposto: “Ce’ mi dispiace, ma ci sei andata senza nessuna certezza; fossi stata al posto tuo, non l’avrei fatto!”. L’amica non era cattiva, era realista. Non le era piaciuto vedere la ragazza spezzata da un cotta estiva, non le era piaciuto per nulla. Le sue frasi, che potrebbero sembrare stronze, superficiali e pissere, erano dettate semplicemente dalla rabbia, dall’amarezza, dalla tristezza per la sua amica.

Lei avrebbe voluto fermarsi, ma lui non si fermava, la sua bellezza incise sulla sua forza d’animo; ma di più lo fecero le altre parole dell’amica: “Ce’, carpe diem. Sempre e comunque.”

E così si buttò, metaforicamente, ovvio.

Incollò le labbra a quelle del ragazzo, che, stupito, rispose prontamente. La strinse a sé fino a sentire il prosperoso seno della ragazza attaccato al suo petto.

Lei era mossa dall’amore.

Lui non si sa da che cosa.

Ma si baciavano, senza pensare a nessuno, senza pensare al futuro: solo con il “noi” in mente.

Be’ almeno la ragazza.

Era un bacio casto –all’incirca- , finché il ragazzo non le toccò il labbro inferiore con la lingua. A quel punto, alla ragazza, venne spontaneo aprire la bocca, per dare avvio alle danze.

Erano sul Ponte alla Carraia, fra gli alberelli che il Sindaco –o chi per lui- aveva fatto mettere per la Notte Bianca. Con il profumo dell’Arno nelle narici –molto poco romantico-, che però non sentivano, assuefatti dal loro, di profumo.

Be’ almeno la ragazza.

Continuarono a baciarsi, facendo sospirare molte ragazzine passanti di lì –ed anche me, il narratore-, finché qualcuno non li fece ritornare alla realtà.

Be’ almeno la ragazza.

“Ehehm…” si fece sentire un’amica della ragazza.

Loro –finalmente, forse- si separarono.

Lui le sistemò la solita ciocca svolazzante, le sorrise e le si allontanò; la prese per mano.

Lei sorrise, innamorata, e si lasciò trascinare verso il Duomo, direzione McDonald’s, sicura che da sola si sarebbe persa certamente.

 

****

Note:

- non so se l’avete capito o meno, la storia è ambientata a Firenze… “che è la mi città..” [Le porti un bacione a Firenze], conoscete?             

- questo è l’Arno, i ponti che si vedono sono: Ponte alla Carraia (quello della storia) e Ponte vecchio.

- L’Arno di notte credo sia una delle cose più belle e a cui sono più affezionata di tutte.

- La foto del Ponte alla Carraia è stata fatta durante l’esposizione, durata tutto Maggio, per la Notte Bianca. Se vi state chiedendo se ci ho partecipato –anche se non penso proprio, lasciatemi sproloquiare :D- : sì, c’ero anch’io: fino alle 10 e mezzo, con i miei genitori. Credo di essermi rotta le palle in una maniera indescrivibile. Io dico: ma se si chiama Notte Bianca, un motivo c’è no?! Rimaniamo più fuori quando andiamo semplicemente a mangiare. Io boh. I miei sono strani! -.-

-L’altra foto, quella del Ponte Vecchio, è stata fatta il 17 marzo. Per i 150° hanno fatto delle installazioni luminescenti (?) da tutte le parti;ce ne era una anche a  Palazzo Vecchio.

Ma non era questo quello che mi interessava. Volevo farvi notare lo sprazzo di verde prato –perché E’ un prato! ;D- nell’angolino destro. Quello è il prato dei Canottieri Firenze. Qui si vede meglio.

Bene. Credo di aver finito le note! :)

Mary. 

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Capitolo 3
*** Akuna Matata non funziona quando c’è Greg. ***


Akuna Matata non funziona quando c'è Greg.

I love… rock ‘n’ roll.

 

È l’ultimo capitolo.

Le note sono a fine capitolo… non voglio rovinarvi quello che leggerete. Ringrazio tutti partendo da BiEsSe per la recensione, spero di aver applicato quello che mi hai detto, io c’ho provato. : ) Grazie ancora, davvero.

E poi tutti quelli che hanno dato anche solo una sbirciatina. Grazie, grazie mille.

Mary.

 

Akuna Matata non funziona quando c’è Greg.

 

Eravamo seduti su di una panchina, a sorriderci. Stavamo parlando. Cose stupide, cose divertenti           .

Capiscimi, come puoi scrivere Akuna Matata sullo zaino?! E’ troppo da bimbominkia!”

“No, non è vero! E’ da una persona che vuole vivere senza pensieri!” Cercavo di perorare la mia causa. Come poteva pensare questo?! Come poteva solo credere di vivere sempre con qualcuno, qualcosa nella mente?!

“Vediamo e adesso stai Akunamatatando?”, ok, stava sclerando!

“Akunamatatando? Ma sei scemo? Che cosa vorrebbe dire?!”. Io veramente boh.

“Stai pensando a qualcosa?” Ahhh ok. Perfetto, sapevo che in quel momento sarei arrossita.

“Sì!...”… a lui. Ma non potevo dirglielo! Con che coraggio?

“E a che cosa stai pensando? Perché io sto pensando a te, a noi. Sto pensando che vorrei baciarti, ma non so se è il caso.” Oddio. Stava. Pensando. A. Me.

Incollò le labbra a quelle del ragazzo, che, stupito, rispose prontamente.

E feci proprio quello. Incollai le labbra alle sue. Lui rispose, passionale. Sì, proprio passionale.

In quel momento capii che non era una cotta estiva e che, se mi avesse fatta soffrire, ci sarei stata di merda per molto, moltissimo tempo.

Ci distendemmo sulla panchina a guardare le stelle. Lui mi abbracciava.

Mi ero innamorata.

 

E c’era rimasta di merda, come da programma. Perché quell’idiota di ragazzo l’aveva scaricata. L’aveva trattata come se fosse stata colpa sua, come se fosse lei la stronza che andava a giocare con i sentimenti degl’altri. Come se fosse stata lei a chiedergli di scaricarla.

 

Ok, ci riprovo. Se oggi non mi caca, mi rifiuto di chiamarlo di nuovo io. La Mary ha ragione: “Un po’ di palle, cazzo!”

“Greg?” Ok, intanto aveva risposto.

“Ah, la Celeste! Brava ad avermi chiamato. Devo dirti una cosa!” Perfetto! Le ultime parole famose. Volevo ribattere, ma non mi fece neanche riprendere il fiato, che riprese:

“Bene, tu lo sai come la penso sull’estate. No, perché tanto quest’estate  a Bibbona non ci sono, e quindi… be’… tanto hai capito no?!” Certo che avevo capito, già da un paio di giorni –se non di più-, ma non potevo credere che lui fosse così codardo da chiedergli di lasciarmi:

“No, non ho capito spiegami!”, ero arrabbiata, triste, incazzata, ma –comunque- innamorata.

“Sì, che hai capito! Dillo tu. Lo sapevamo tanto!” No, io non lo sapevo. Non avevo mai pensato che fosse così stronzo da lasciarmi perché lui “con le ragazze fa così”!

“No, dillo tu!” Era –è- un codardo. Solo un codardo. Perché. Perché mi innamoro di gente così?!

Volevo piangere.

Un po’ di palle, cazzo!

Non potevo piangere. Non dovevo piangere.

“Be’ allora… è così… però, se vuoi, possiamo sempre rimanere amici.” Non riuscii neanche a pensare che la mia bocca si aprì per parlare:

Amici?!” Dissi quella parola con tutto il ribrezzo, la rabbia e –mio malgrado- l’amore che provavo –e provo-:

“Non penso proprio, Gregorio!” Ero arrabbiata.

Sono arrabbiata.

 

Non ci credo!”, l’amica era stupita.

“Credici! È così codardo che mi ha chiesto di scaricarlo!”, lei era innamorata. Si sentiva tanto stupida.

“Ce’ è uno stronzo! Lo sai che mi stanno sul culo le frasi… come cazz… arola si chiamano?! Non preimpostate, no. Quelle che dicono tutti, quelle da Baci Perugina. Arghhhh… quanto mi faccio arrabbiare quando faccio così!”, l’amica era arrabbiata. Con quello stronzo. Sì, era uno stronzo. Un grandissimo bastardo.

Ma la ragazza aveva riso, con le lacrime che spingevano per uscire, aveva riso.

E all’amica bastava.

“Be’, comunque, non ti meritava.”

E la ragazza iniziò a piangere.

Le lacrime cadevano.

Lei singhiozzava.

L’amica era triste per la ragazza ed arrabbiata con Gregorio.

Rimasero al telefono per un po’ ancora.

Il tempo di parlare dello studio. Dell’esame. Delle delusioni dell’amica.

Ed il pensiero di Greg continuò a passare loro per la mente.

 

****

So che forse non ve lo aspettavate così, so che forse non volevate finisse così.

Neanch’io volevo finisse così. Non è bello vedere la propria amica triste per uno stronzo. Sinceramente speravo, mentre scrivevo il capitolo che nascesse un lieto fine. Ma così non è successo, quindi vi tocca la realtà, la vera realtà. Una ragazza che conosco una volta ha detto che “questa è la realtà, qui la gente ama e soffre.”. Questa frase è perfetta per ora, per sempre: non può mica essere sempre la storia della Disney e vissero felici e contenti, giusto?

Mary.

 

 

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