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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Just Another Day in L.A. *** Capitolo 2: *** Life Won't Wait *** Capitolo 3: *** Welcome To Paradise ***
“ Stai dicendo un sacco di stronzate Lou…” dico esattamente queste
parole a mio fratello mentre il paesaggio ci scorre di fianco, oltre i
finestrini
Just Another Day in L.A.
(Christopher Franke)
“All of me, why not take
all of me Can't you see I'm no good without you?
Take these arms, I want to lose them
Take these lips, I'll never use them
Your goodbye, left me with eyes to cry
How can I go on dear without
You took the part that once was my heart
Why not take all of me?”
24 Agosto 2000
“ Stai dicendo un sacco di stronzate Lou…” dico esattamente queste
parole a mio fratello mentre il paesaggio ci scorre di
fianco, oltre i finestrini. “Modera il
linguaggio Damien, almeno davanti a me” la voce di mio padre proveniente
dal sedile anteriore dell’auto mi distrae, dando tempo a Lou di tirarmi un
pugno dritto al fianco sinistro. Nonostante le apparenze siamo
molto legati io e lui. Sarà per il fatto che siamo gemelli forse, anche se
fisicamente ci assomigliamo poco. Lui ha un colore di occhi
che ho sempre adorato, neri come la pece, mentre io mi sono dovuta accontentare
di una strana via di mezzo fra il verde e l’azzurro. Alex, mia madre, quando ero
bambina prima di mettermi a letto mi diceva sempre che
anche gli angeli avevano occhi belli come i miei. Questo
naturalmente prima di abbandonare me, e la mia famiglia, all’età di dodici anni
per andare a vivere con un altro uomo. Papà non si è mai veramente
ripreso del tutto e adesso, a cinque anni dall’accaduto, ha deciso di prendere
in mano la nostra bella situazione, fare armi e bagagli e trasferirci. Per
questo al momento ci troviamo in macchina, diretti da Boston a Toronto, Canada.
Un bel, fottuto, cambiamento, non c’è che dire “Ok pà…” gli rispondo, mollando subito dopo un ceffone a mio
fratello, prendendolo in pieno all’altezza della scapola destra. Mi afferra una
ciocca di capelli con una mossa fulminea, biondi esattamente come i suoi,
avvicinandosi al mio orecchio, come a non volersi fare sentire da terzi “Ben ti sta…e comunque
io non dico cazzate, lo sai benissimo che ho ragione…” e mentre mi lascia
andare, riportando lo sguardo sul filare di alberi che ci sfreccia accanto,
ripenso a come è nata la nostra discussione, circa un’ora fa. Si è cominciato
semplicemente parlando delle nuove amicizie che ci faremo a Toronto e poi il
tutto è degenerato. Sì perché Lou non crede che avrò modo di avere molti amici.. dice che ho un carattere di merda. E
che lì non saremo a Boston, specialmente nel nostro quartiere, dove solitamente
in genere le ragazze non hanno atteggiamenti molto femminili. Ma io sono così, ok? Cosa ci posso fare..
odio andare in giro per negozi a fare shopping, a meno che non si tratti di musica,
strumenti musicali o quei negozietti dove vendono ogni tipo di maglietta delle
band e vari aggeggi come spille, polsini, cappelli e varie. Odio i film
romantici, odio la danza, odio le frivolezze, il rosa,
truccarmi come se dovessi andare ogni giorno ad un matrimonio. I matrimoni
naturalmente, visto come è finito quello tra mio padre
e mia madre. Invece adoro lo skate.. suonare la
chitarra, il punk, vestirmi come i ragazzi. E mio
fratello pensa che nessuno capirà queste mie esigenze. Dio, manco stessimo andando a Lourdes. O
invece ha davvero ragione lui? Non sopporterei di ritrovarmi in mezzo ad un
gruppo di adolescenti menose che la sera tenta di
portarmi in discoteca per rimorchiare qualche ragazzo senza un briciolo di
cervello. Ah, ma Lou invece non avrà problemi. E’ un
bel ragazzo lui e sotto il punto di vista “ragazze-cotte-di-me”
non credo che troverà difficoltà. Per quanto riguarda gli amici, non è
particolarmente interessato a conoscere qualcuno, è sempre stato un tipo sulle
sue. Introverso fino al midollo, forse addirittura autorespingente. Sì, questa
cosa gliela dico ogni giorno, e fa ancora il suo
effetto. Esco dai miei pensieri, che so già non mi porteranno ad una
conclusione, e osservo per un attimo quel ragazzo diciassettenne che mi sta seduto
accanto. Lui è quello che ha preso peggio di tutti
l’abbandono di nostra madre, forse perché è sempre stato un mammone sin
da quando è venuto al mondo, quindici minuti dopo di me. Io sono quella che ha
sempre cercato l’indipendenza per ogni cosa, lui No. Anche se poi ha sempre
fatto di testa sua ogni volta…perché Alex le dava a lui tutte vinte. Già…io avevo papà dalla mia parte, è sempre stata una lotta di
potere fino all’ultimo. Ma alla fine era divertente,
ci guadagnavamo sempre qualcosa entrambi. Poi chiaramente non è stato più così.
Mi accorgo che lo sto fissando da almeno dieci minuti solo
quando Jack ferma la macchina, inchiodando come se fossimo ad una gara di
rally, un sorriso smagliante sul volto non appena si volta a guardare noi due
sul sedile posteriore “Ragazzi miei,
siamo arrivati…” Abbasso il finestrino alla velocità della luce,
sporgendomi poi fuori dallo stesso per vedere meglio. Diavolo strabecco! Questa
sì che è una maledetta, bellissima casa! Una villetta, con giardino proprio, un
piccolo portico. Non sono abituata ad una cosa del genere..
fino a ieri abitavamo in un piccolo appartamento all’ottavo piano di un palazzo
nel pieno centro di Boston. Affitto carissimo, traffico intenso ad ogni ora del
giorno e della notte, impossibilità a muoversi con l’auto all’ora
di punta. Ne a tutte le altre. Qui invece sembra tutto
così tranquillo che appare surreale. Poche macchine, strade
larghe, alcune persone che curano i loro giardini o fanno grigliate per il
pranzo. Ed è sentendo il profumino proveniente da una di queste che mi rendo conto di quanto tempo abbiamo passato in macchina. Saranno almeno quarantotto ore, due giorni ininterrotti. Se non per qualche pausa riposino o un boccone veloce. Apro
la portiera e quando metto i piedi a terra per poco non perdo l’equilibrio
tanto mi sono diventate insensibili le gambe. Lou mi regge per un braccio,
senza staccare gli occhi da quella che è ufficialmente la nostra nuova casa “Per la miseria Jack,
questo sì che è un bel posticino…” Anche questa è una cosa che ha sempre
accomunato me e mio fratello, allontanandoci allo stesso tempo. Entrambi
abbiamo l’abitudine di chiamare per nome uno dei nostri genitori. Per me mia
madre è sempre stata Alex, per lui nostro padre è
sempre stato Jack. E nessuno a mai avuto da ridire..
Nostro padre chiude la
macchina, raggiungendoci di fronte al cancelletto che da sul
sentiero piastrellato che porta direttamente alla porta di Casa Nostra “Effettivamente è una bellezza…” e ci
sorride. Mi fa sempre piacere vederlo allegro, ultimamente
non è capitato molto spesso. Se abbiamo accettato di fare questo
sacrificio, abbandonare la nostra scuola, le nostre amicizie, i nostri affetti,
è stato solo ed esclusivamente per lui. Che ne ha passate fin troppe forse. Li osservo entrambi
rendendomi conto, come se non lo avessi già fatto in precedenza, da chi abbiamo
preso. In tutti i sensi. E mi va più che bene così, sinceramente.. Penso che lui non ci abbandonerà mai, ecco la verità. Non
farà come Alex. Lei forse non ci amava abbastanza..
per cinque anni non abbiamo più avuto sue notizie, non è mai venuta a trovarci,
non ci ha mai scritto. Per quanto mi riguarda l’ho cancellata dalla mia vita…
9 Settembre 2000
Cavolo, oggi è il mio primo
giorno di scuola. A dir la verità lo è anche per Lou,
ma lui sembra agitato la metà di me. Per casa siamo ancora pieni di scatoloni
per metà imballati e i miei vestiti sono sparsi dappertutto, per lo più alla
rinfusa nell’armadio e sul letto. C’è qualche maglietta sul pavimento, ma penso
di poterci chiudere un occhio. Mi fermo di fronte allo specchio nell’anta
interna dell’armadio a muro, girando su me stessa un paio di volte, prima di
convincermi che il giallo e il verde della mia maglietta non mi fanno
assomigliare ad un pagliaccio come continua a ripetermi mio fratello da questa mattina quando mi sono svegliata. Un paio
di jeans trovati a caso, la mia maglietta preferita e naturalmente le mie
scarpe del cuore. Sì ok, si possono avere le scarpe del cuore, no? Le
mie sono loro, le sorelle bonbon. Un paio di Converse All
Star vecchie di cinque anni, viola con dei piccoli teschi bianchi, disegnati da
me, e stringhe verde brillante. Le adoro. Sono un po’ il mio
portafortuna e si può anche notare dallo stato semi pietoso in cui si
ritrovano…un buco all’altezza del tallone, suola che minaccia di scollarsi da
un momento all’altro, stringhe sfilacciate. Ma continuo
testardamente ad indossarle, come una specie di talismano che non deve
allontanarsi da me, ecco. Raccolgo velocemente i capelli in una coda,
infilandomi in testa il mio cappellino degli All Black,
per poi dirigermi in cucina con la velocità di un missile nucleare. Lou è già
lì che mi aspetta, con lo zaino sulle spalle e l’aria spazientita di chi ha
finito di prepararsi da un’ora e non ne può più “con calma Miss Emo Girl, tanto siamo in ritardo di soli venti minuti…”Gli lancio addosso
una frittella, mentre ne mastico una seconda a grandi bocconi. Papà è già uscito, doveva andare a lavoro molto presto. Quando ha
fatto il colloquio per questo posto un mese fa, non
avrei immaginato che l’avrebbero preso. Invece è
successo ed è soprattutto grazie a questa novità che ci siamo trasferiti.
Meglio così, sinceramente. Mando giù un intero succo di frutta, prima di
afferrare la mia borsa, praticamente vuota. Essendo il
primo giorno non ho la più pallida idea di quali libri
scolastici portare, quindi mi sono armata di un diario e un paio di biro
colorate, giusto per annotarmi quello che c’è da annotare, per avere un’idea
chiara dei miei compagni e dei professori. Lo faccio sempre,
tutti gli anni, non vedo motivo perchè questa volta dovrebbe essere
diverso. Mio fratello lancia un’occhiata alla borsa, nello stesso momento in
cui apre la porta di casa, chiavi alla mano “guarda
che manca la spilla dei Rancid…” Mi riprendo del tutto dal torpore
mattutino a quella notizia, abbassando velocemente la testa per vedere se una
delle mie preziose spille si è realmente staccata dalla stoffa della borsa
oppure No. E il suo scherzo va a segno, perché non appena chino la testa, mi
tira uno schiaffo sulla fronte con il palmo aperto “ma ci caschi sempre Dam, con te non c’è gusto…” Gli rispondo con un
gesto poco elegante, mentre mi chiudo la porta alle spalle, avviandomi lungo il
sentiero cementato che porta fino alla strada. Ok, il momento fatidico si
avvicina, piano e sangue freddo Dam. Sì, così mi
chiama sempre mio fratello, anche se la maggior parte delle persone quando lo
sente dire, lo scambia per un’altra cosa. Fortunatamente la fermata del nostro
autobus è a cinquanta metri oltre il nostro giardino, perciò è lì che ci
dirigiamo, prendendo posto sulla banchina d’attesa assieme ad una vecchietta
che avrà si e no una settantina d’anni. E’ una nostra
vicina, la signora Barry e ogni volta che mi vede mi chiede se ho visto il suo gatto in giro. Ormai, come mi ha detto mio
padre, ho rinunciato a risponderle che il suo gatto è morto due giorni dopo che
siamo arrivati qui, steso da una macchina. Ma sembra
così convinta che sia ancora vivo che fa quasi pena povera donna.. assecondarla tanto non mi costa niente. Le regalo un
sorriso poco convinto proprio nel momento in cui arriva il nostro autobus.
Salgo prima di mio fratello, avendo visto un posto libero a sedere, e mi ci
fiondo, quasi distruggendo la spalla della ragazza che si ritrova accanto a me “Ehm, scusa…”abbasso la visiera del cappellino,
lasciando cadere la borsa ai miei piedi, mentre Lou se la ride di gusto. In
piedi comunque. La ragazza accanto a
me invece di prendersela mi sorride e prende a fissarmi con una curiosità negli
occhi che mi mette non poco a disagio. Prima però che io possa aprire bocca, mi sorpassa, portandosi un dito sotto il
mento “Stai andando alla Season?”
chiede e, quando sento il nome della mia scuola, annuisco, voltandomi del tutto
verso di lei per osservarla meglio. Decisamente non
sembra una di quelle ragazzette fashion che avevo tanto paura di conoscere… Porta
i capelli castani tagliati corti, non vedo una sola ciocca della stessa misura
dell’altra. Ha grandi occhi verde scuro, niente trucco
se non una traccia di Eyeliner, una maglia blu a maniche corte e un paio di
jeans che le arrivano appena sotto le ginocchia. Quello che più mi colpisce,
come mio solito, sono le scarpe. Anche lei porta le
All Stars, completamente nere, tranne la parte della punta che probabilmente lei
stessa ha colorato di fucsia. Come le stringhe. E mi
viene improvvisamente da sorridere…ho una fortuna sfacciata. “Sì, è il mio primo giorno…” e già
mentre lo dico mi accorgo che è il primo giorno di scuola per tutti. Mio
fratello, vicino alle porte di salita, sente tutto e se la ghigna sotto i
baffi. Ma cerco di non dargli corda, continuando ad osservare la ragazza seduta
accanto a me “Capisco…non mi sembrava di
averti mai vista in effetti…”Così ci va anche lei. Ok, adesso
spera. “Comunque
io sono Andrea…” mi tende la mano e io gliela stringo senza farmi eccessivi
problemi. E’ un’occasione troppo ghiotta per fare la sostenuta. La prima
ragazza che incontro e conosco sembra essere simile a me in tutto e per tutto
e, cosa importante, frequenta anche la mia nuova scuola “Damien…” Già immaginavo che mi avrebbe fatto domande su un nome
così strano e invece si limita ad annuire, tornando
per un attimo a guardare fuori dal finestrino “La prossima è la nostra…” dice, ed effettivamente noto con la coda
dell’occhio Lou che preme il bottone per prenotare la fermata. Così mi alzo,
recuperando la mia borsa e mettendomela a tracolla, tenendomi per non cadere
alla brusca frenata del conducente. Scendo dall’autobus dando una spallata a
mio fratello, che borbotta qualcosa sottovoce, seguendomi a ruota. E’ solo
adesso che Andrea lo nota, fermandosi accanto a me sul marciapiede. Si guardano
per qualche secondo in silenzio, poi capisco “ah scusa, vero…questo è mio fratello, Lou…” Mi sistemo alla bel e meglio il cappellino degli All Black mentre loro
si stringono la mano come abbiamo fatto poco prima io e la mia nuova
conoscente. Alzo lo sguardo per dare un’occhiata nei
dintorni e finalmente la vedo, la nostra scuola…una palazzina color arancione
chiaro, di mattoni, dall’aria decisamente moderna. Un giardino dalla parte
dell’entrata, pieno zeppo di studenti dai quindici ai diciannove anni in media,
in attesa di poter entrare per le lezioni. “Non ti spaventare per la quantità di
gente…tre quarti di quelli non meritano nemmeno di essere conosciuti…” Mi
volto verso Andrea giusto il tempo di vederla mentre
mi fa l’occhiolino. Accenno un sorriso. A quanto apre la pensa anche come me.
Alzo appena le spalle, girando la visiera del cappellino di lato, ma solo per
qualche centimetro, in modo da vedere bene dove metto i piedi, senza rischiare
di prendere dentro qualcuno. Rischiare una rissa già
il primo giorno di scuola mi sembra la cosa meno appropriata,
papà non gradirebbe un richiamo dal preside già oggi. Credo che dovrà
aspettare almeno una settimana sì, poi potrà anche cominciare a mettersi le
mani nei capelli. Alla fine ci avviamo insieme lungo il viale che porta
all’ingresso, credo di aver capito che ormai è lei la nostra guida ufficiale
all’interno della scuola.
Tiro fuori
dalla borsa la lettera che ci è arrivata la settimana scorsa dalla
Season, con indicati il piano delle lezioni e la mia classe a grandi lettere
arrotondate. La firma del preside in fondo alla pagina non era stata timbrata.. strano. Piano Secondo, classe 4 D. Come l’iniziale del
mio nome. Lancio un’occhiata verso Lou, che invece deve dirigersi al primo
piano. Sapevamo fin dall’inizio che non ci avrebbero
mai messi nella stessa classe, non capita facilmente che mettano assieme due
fratelli o due sorelle. Neanche misti bi. “Vedi di non farti cacciare in presidenza
già da oggi…” mi da una pacca sulla spalla, dandomi poi un bacio
sull’orecchio, ben sapendo quanto io lo odi “Lo stesso vale per te sapientone…non vorrei
doverti trovare per i corridoi…” Alzo una mano per salutarlo e lo stesso fa
Andrea, poi quando mio fratello sparisce alla nostra vista quasi travolto da
una trentina di altri ragazzi, ci incamminiamo verso le scale che portano al
secondo piano. Anche lei è nella mia classe, un altro
colpo di fortuna. Cavolo, arrivano proprio uno dopo l’altro, incredibile. Che sia davvero il posto a portarmi bene? Sarà…chissà perché
ma ho come l’impressione che non sia finita qua…quella sensazione in fondo allo
stomaco che ti fa dire “Ehi, qui deve succedere qualcosa da un momento
all’altro” – Ragione, perfettamente ragione -.
“Jesus and his desciples
wage a final war
Religions and procedures keep the quest for
the holy grail
The eye of the pyramid is open and awake
The pagans and their rituals and the choirs
won't begin to sing
The vision is the new world order
The vision is the new world order
The vision is the new world order
Life Won't Wait
The vision is the new world order
Come along and tell your sister and your brother“
26 Ottobre 2000
La scuola è iniziata da
quasi due mesi e ormai posso dire con certezza che mio fratello aveva ragione,
tranne che per Andrea ovviamente, ma lei è un caso a parte. L’unico filo di erba verde in mezzo ad una catasta di erbacce e piante
malate. Non sto esagerando giuro…in questi cinquanta e passa
giorni, non ho fatto amicizia con nessuno. Ma
nemmeno una conoscenza superficiale con qualche compagno di classe, niente. La
maggior parte di loro sono talmente lontani da me e
dal mio stile di vita che mi chiedo come sia stato possibile fin ora non aver
ancora picchiato nessuno. Qualche ragazzo ha provato a farsi avanti,
all’inizio, pensando di approfittare di me e della mia “probabile” ingenuità
perché ancora non adattata al nuovo ambiente…ma hanno capito subito come stanno
le cose e ora non mi rivolgono più nemmeno la parolaquasi avessero paura di me. E ogni
volta che, incontrandomi in corridoio, loro scappano dileguandosi in sala mensa
o alla biblioteca, Andrea se la ride. Sono molto divertente, sì. Fortunatamente
c’è lei, altrimenti non so bene cosa avrei fatto…probabilmente
mi sarei messa in un angolo della classe e sarei diventata l’asociale della
scuola, una ragazza complessata che minaccia con entrambi i pugni chiusi i
maschi che le si fanno incontro. Mah. Sono in classe ora, manca poco perché
anche questa giornata finisca. Io e Andrea siamo compagne di banco, praticamente una scelta obbligata. Ricordo che quando siamo entrate il primo giorno, ha preso tutta la roba di Charlie, che si era sistemato accanto a lei, e gliel’ha
buttata dall’altra parte della classe, con un sorriso smagliante sul viso
indicandomi la sedia nuovamente vuota. Eppure…eppure lì dentro nessuno sembra essere mal disposto nei suoi confronti come
nei miei, sebbene lei non sia uno zuccherino con quelli che ci girino attorno.
Persino le ragazze stranamente, la salutano ogni due per tre, spesso le passano
le soluzioni dei compiti in classe quando non sa
qualcosa (e non capita spesso. Lei è una di quelle fortunate persone che anche
senza studiare immagazzina tutto), cercano sempre tutti di starle più vicino
possibile. Ieri le ho chiesto cosa aveva fatto a praticamente
tutti gli studenti della scuola per ricevere un trattamento simile, ma lei ha
sviato il discorso “Io niente…poi capirai
comunque…” Mah. Poi capirò, ok. ”Damien…dato che ti vedo così attenta
alla lezione, potresti spiegare tu a Markquali
sono state le ragioni principali della Rivoluzione Industriale Americana?”
la voce della professoressa Randem mi riporta per un attimo alla realtà.
Mi guardo intorno, nessuno mi guarda. Forse non hanno
ancora capito che non ho la vista laser come Superman.
Finisco per voltarmi verso il banco di Andrea, ma
naturalmente lei non c’è. Ha la febbre e la cosa non ci voleva.
Così scuoto la testa, alzo le spalle “Non
ne ho la più pallida idea” Qualcuno tossisce forzatamente nei banchi
davanti, mentre alcune ragazze prendono a sussurrare fra loro. Noto vagamente
anche un bigliettino passare di mano in mano. Ma non riesco comunque
a scompormi, è già la terza volta che succede una cosa simile e so anche come
andrà a finire. Per questo sposto la sedia all’indietro e mi alzo prima che la
professoressa possa aprire bocca “Damien…”
Mi volto verso di lei, mettendo mano alla porta “Sì, lo so, esco fuori. E resto davanti alla porta…” Prima che possa aggiungere qualcosa d’altro apro la porta ed esco
dalla classe, tentando di non sentire quei mormorii che mi giungono alle
orecchie. Come se nessuno di loro fosse mai stato sbattuto fuori
dalla classe perché non seguiva la lezione. Il corridoio è deserto, non sembra esserci un’anima. Mi allontano di
qualche metro dalla classe, appoggiandomi poi al muro e scivolando sul
pavimento. Le suole delle bonbon stridono per terra,
prima che il tonfo del mio sederino copra quel rumore fastidioso.. Tiro fuori
il cellulare dalla tasca, un modello vecchio di sei anni, e mando un messaggio
ad Andrea, giusto per metterla al corrente della “novità”. Scommetto che a casa
sua, nel suo letto, si metterà a ridere. Ormai, anche
se sono passati meno di due mesi, sembra già aver fatto l’abitudine a me e alle
cose che di me non funzionano. Infilo gli auricolari dell’mp3
nelle orecchie, premendo il tasto Play solo dopo aver chiuso gli occhi. Ecco, i
Nofx riescono sempre a tirarmi su il morale…calmarmi no, ma rinvigorirmi sì.
Non vedo l’ora di arrivare a casa e mettere mano alla chitarra, a costo di
rompere un paio di corde, ma devo sfogarmi in qualche modo. Linoleum è a tutto volume, non sento nulla all’infuori delle due
chitarre elettriche, del basso, della batteria e della voce di Fat Mike. Poi
qualcosa mi colpisce alla testa. Solo un tocco leggero, che non fa nemmeno
male, ma mi costringe ad aprire gli occhi. Sollevo lo sguardo
ritrovandomi di fronte un ragazzo, all’apparenza più grande di me. Deve
avere almeno diciannove, vent’anni. “Bè?”
la mia non è esattamente una domanda, credo che suoni più come una minaccia. Mi
tolgo un auricolare, lasciandolo cadere sulla maglia dei
Metallica che mi ha regalato Lou cinque anni fa, per consolarmi della
fuga di Alex. Mi va un po’ stretta, ma l’adoro troppo per buttarla via o
chiuderla in un armadio a fare le tarme. Lui porta le mani avanti, mostrandomi
i palmi aperti, in segno di resa “scusa
eh, ma ti ho visto qua tutta sola…” Oh no, un altro. Lo osservo per un
attimo, notando solo in un secondo momento la sua maglietta rossa, i jeans larghi e appena cadenti, una cintura borchiata, un
paio di Vans a scacchi neri e bianchi ai piedi. Mh. Non sembra uno di quei
classici figli di papà che si aggirano per la scuola e che trovo praticamente in ogni angolo. Loro si
che mi guardano strano, con le loro camice inamidate, i loro pantaloni di
velluto. Per non parlare delle ragazze, su cui avrei
qualche commentino in più, che non riguarda solo il modo di vestirsi o come si
relazionano con me e con quei pochi come me là dentro. Son poco puttane alcune
eh…Comunque, alzo appena le spalle, cercando di
mostrarmi totalmente disinteressata, come se fosse un buon modo per fargli
venire voglia di andarsene via “E mi
piacerebbe rimanerci tutta sola…” Gli rispondo, continuando a guardarlo.
Non mi capita spesso di andare in fissa sulla gente, ma
questo ragazzo ha un’aria familiare.. eppure è impossibile che io l’abbia già
visto da qualche parte, insomma qui si parla di migliaia di chilometri di
distanza tra Boston e Toronto, non bruscolini. Sarà la mia immaginazione,
niente da fare.. eppure..”Per me non c’è problema, ma si aggirano certi brutti tipi qua dentro
che..”fa per finire la frase, ma poi ci ripensa,
portando le mani dietro la schiena e piegando appena il busto verso di me,
tendendo le orecchie “Linoleum?”
chiede e mi viene spontaneo inarcare un sopracciglio. La conosce. Oh. Annuisco
e mi sorride, con uno sguardo complice che nuovamente mi fa pensare di
conoscerlo. O almeno di averlo già visto. Odio non
ricordarmi le cose, soprattutto se me le ritrovo sulla punta della lingua “Una delle migliori dei Nofx..
anche se personalmente preferisco Bob..”annuisce
alle sue stesse parole, sedendosi al mio fianco, con la schiena al muro.
Improvvisamente mi rendo conto che la sua compagnia non è poi così spiacevole
come pensavo all’inizio. Probabilmente il solo fatto che stiamo parlando del
mio genere preferito di musica, e in positivo, gli ha
fatto guadagnare una ventina di punti nella mia scala personale. Alzo le
spalle, concedendogli l’uso dell’auricolare rimasto, che quasi immediatamente si infila all’orecchio “Se
dobbiamo andare sulle preferite allora ti dico Drugs are Good…” Non è
esattamente quella che metterei in cima alla classifica, ma per ora la migliore
secondo il mio punto di vista non gliela dico. Ancora non lo conosco abbastanza
per dire che non riderebbe…e non mi va di farmi ridere
in faccia da un ragazzo di cui non so manco il nome. Come se mi avesse letto
nel pensiero “Ohh, grande
canzone.. comunque io sono Steve” mi tende la mano, anche se data la
vicinanza a cui ci troviamo non deve nemmeno fare un grande sforzo “ma solitamente mi chiamano tutti Stevo..”
Ecco, anche questo mi suona familiare…corrugo la fronte ma
non aggiungo altro in proposito e lui sembra stranito quanto me. Per un attimo
cala il silenzio, poi sorride. E sembra quasi sollevato, senza che io possa
capirne il motivo “Damien.. o Dam, per chi fa troppa fatica a pronunciarlo per
intero…” Gli stringo la mano, poi torno a guardare il pavimento di fronte a
me. Ehi, forse Lou non aveva poi così ragione! Andrea ne sarà contenta.. mi perdo nuovamente nei miei pensieri, la musica cambia,
si passa ai Placebo. Mh. The Bitter End. Adoro questa canzone.. anche se mi fa calare nell’umore più nero
esistente nella sfera delle emozioni. Sembra piacergli anche questa, perché non
mi chiede di cambiare, così socchiudo gli occhi per ascoltare meglio da quel unico auricolare che mi è rimasto. Restiamo
così per un po’, in silenzio, poi la porta della mia classe si apre. E’
Mark che si affaccia per metà, richiamandomi dentro. Mancano solo cinque minuti
alla fine delle lezioni. Mi alzo in piedi, spegnendo l’mp3,
infilandolo in una tasca dei jeans mentre con l’altra mano mi sistemo i capelli
dietro le orecchie. Ho convinto mio padre a farmi fare
le punte nere e com’è, come non è, mi sono venute da Dio. Anche se ho dovuto
tagliarli un po’ perché si stavano facendo troppo lunghi..
me è una brava Emo Girl. Bah. Si alza anche Steve, accennando un sorriso
guardando in direzione di Mark, che ancora mi aspetta sulla porta “guarda, hai anche la guardia del corpo
privata…” accenna un sorriso maligno, rivolgendo un saluto a dir poco
ironico verso il ragazzo. Guardo la scena e mi immagino
il mio compagno di classe rispondere con una smorfia, invece sorride. Un sorrisone a 848584 denti, manco gli fosse venuta una paresi
facciale, e ricambia il saluto con un gesto veloce della mano. Steve scoppia a
ridere notando la mia espressione perplessa, ma non aggiunge altro sullo strano
comportamento di Mark “Bè, a questo punto
ci troviamo in giro per la scuola Dam..” Mi fa un
mezzo inchino, ravvivando dentro la mia testa sempre di più quella sensazione di deja-vù, per poi abbandonare il corridoio, sparendo dietro
ad un angolo. Succedono le cose più strane qui dentro…
6 Dicembre 2000
Oggi mi sento euforica. Dire che sono felice è riduttivo, dire che sono agitata non
è abbastanza. E’ da due mesi che ci prepariamo a scuola per
il concerto prima di Natale e finalmente oggi è arrivato il giorno che
aspettavo. Qualcosa che accomuna me e altra gente, non capita
poi così spesso. Ho avuto modo in queste settimane di conoscere ragazzi
a cui piace la stessa musica che ascolto io, anche se abbiamo legato solo
superficialmente. Hanno le loro compagnie, i loro ritrovi fuori
da scuola e io non mi sono ancora ambientata abbastanza per uscire con
loro. E’ troppo presto e lo so benissimo anche io…In ogni caso è un gran
giorno, sì. Sono già in piedi sebbene la sveglia
indichi che manca ancora mezz’ora alle sette, un vero miracolo per me che
riesco ad alzarmi dal letto solitamente quindici minuti prima dell’arrivo
dell’autobus. Lou dorme ancora, ma per lui non è un problema, tanto ci mette
pochi minuti a prepararsi, non fa nemmeno colazione. Contento lui. Ho sistemato
la Meg
nella sua custodia ieri sera ed è ancora appoggiata lì, contro il muro. Sarà la
prima volta questa che la suono alla Season. E’ un po’
come varare una nuova nave, ma senza la rottura della bottiglia di champagne
ovviamente…Apro i cassetti sotto l’armadio, tirando fuori una delle mie
magliette preferite, nera con i bordi bianchi e la scritta dei SexPistols all’altezza del seno. Un paio di pantaloni che si fermano poco sotto le ginocchia, neri
con i lacci rossi, la solita cravatta annodata in vita, al posto della cintura.
Giusto per non farli cadere alle caviglie, ecco. Infilo le
mie solite BonBon, trovandomi costretta a
cambiare le stringhe perché ormai quelle che ho usato fin ora mi hanno detto
addio, rompendosi del tutto. Così mi alzo dal letto, scarpe slacciate e mi infilo nella camera di mio fratello, ancora completamente
al buio. Mi avvicino al suo letto, chinandomi per arrivare con la bocca vicino al suo orecchi“Lou…vero
che posso prendere le tue stringhe nuove? Quelle verdi…”So
benissimo che se fosse sveglio e cosciente mi manderebbe a quel paese. Non mi
presta mai le sue cose, è ultra geloso di quello che compra con i suoi soldi.
Per questo glielo chiedo adesso. Ecco. Ognuno impara quello che può da certe convivenze…
Lui si rigira nel letto, ancora completamente nel mondo dei sogni e mugugna
qualcosa “hai detto sì, Lou? Posso
prenderle allora eh?” Lui annuisce con la testa mentre
preme la testa contro il cuscino. Sorrido rialzandomi e raddrizzando la schiena.
Bene. Mi allontano dal letto, cercando a tentoni nel
buio l’armadietto in cui tiene le scarpe. E finalmente le trovo, quelle belle
stringhe verde mela che ha comprato solo ieri “Grazie fratello..”dico,
a bassa voce lasciando la stanza e chiudendomi la porta alle spalle. Dalla
cucina arrivano già i primi rumori di chi sta
preparando una colazione sovrabbondante e mentre infilo le stringhe nei buchi
delle All Stars, alzo la voce per farmi sentire da mio padre “Pà, non esagerare
che oggi devo stare leggera…” lo raggiungo in cucina, sedendomi al tavolo
mentre lui mi mette davanti un piatto stracolmo di uova strapazzate e una fetta
di pane imburrata. “Tranquilla, è la metà
di quello che rifilerò a tuo fratello…” Bè, speriamo non
gli venga da vomitare. Mentre stacco piccoli
pezzi dalla mia fetta tostata, mi ritrovo a pensare nuovamente al concerto,
ovviamente. Una sola settimana dopo aver conosciuto Stevo il nostro batterista
ha mollato il gruppo, per un inizio di tendinite al braccio destro. Ho pensato
subito che si trattasse di sfiga, invece è arrivato un
angelo. Eravamo in aula di musica quel giorno e il nostro professore ci stava
giusto dicendo che se non trovavamo un sostituto per Harry non potevamo partecipare al concerto di Natale. Io
avevo già un diavolo per capello, ma anche gli altri non scherzavano. In più
avevamo pronta mezza canzone, niente in mente da preparare come si deve.
Poi ecco che nella stanza
entra Stevo e tutti si fanno da parte, manco fosse il
Presidente in persona. Forse perché è il più grande là dentro, forse perché
nella scuola è rinomato, io decisamente non lo so
ancora adesso. E’ un po’ come per Andrea (che tra l’altro oggi filmerà tutto, o
almeno così ha minacciato di fare), ma ancora nessuno
dei due mi ha voluto spiegare il motivo di tanta reverenza ne io ho chiesto
qualcosa. Ognuno si fa i fatti suoi, giusto? In ogni caso, è entrato, mi ha
chiesto personalmente se poteva suonare con noi. Gli
ho chiesto se sapesse stare dietro alla batteria e gli altri ragazzi mi hanno
guardato come se fossi impazzita. Ma non ci ho fatto caso
sul momento e ho lanciato le bacchette in direzione del mio nuovo “amico”, che
le ha prese al volo, facendole girare fra le dita. “che devo suonarti Dam?” Ci penso un po’
su, risistemandomi poi la tracolla della chitarra. Gli altri non si muovono, ma
anzi, si siedono sui banchi e ci guardano come fenomeni da circo. Bah, sono
tutti strani qua dentro, e io che credevo di essere
anormale di mio. –decido di andarci giù dura, ignara completamente delle sue
capacità, solo per metterlo alla prova. “Vediamo
se sai questa..”
Parto con il mio accordo
preferito, nonché il più semplice in assoluto, Mi
minore rules. E mentre il suono si propaga, sotto ci infilo alcune note veloci. Non tocca ancora a lui, ma
dall’espressione che fa capisco subito che la conosce. E
da come tiene le bacchette capisco anche che la sa suonare. Glielo leggo negli
occhi. E rimango per un attimo a bocca aperta quando
mi fa tutto il primo pezzo di Dumpweed, la mia
preferita tra quelle dei Blink 182. Una parte di batteria ultra veloce che raramente un ragazzo di
diciannove anni, per quanto bravo sia, riesce a fare al primo colpo. A meno che naturalmente non si tratti di Trevis.
O di un suo sosia. Insomma, qualcosa di simile. Smette
di suonare fermando i piatti e quando parte l’applauso nemmeno mi volto verso i
miei compagni di classe. Mi avvicino alla batteria, portando un braccio sulle
spalle di Stevo, accennando un sorriso “Solo
per questo hai guadagnato un’altra ventina di punti…”prendendomi alla sprovvista mi passa
il suo braccio destro dietro la schiena, tenendomi per la vita, rimanendo
seduto sul suo seggiolino “E i primi
venti come me li sarei presi, sentiamo…” Indico con un dito le sue scarpe,
lanciando poi un’occhiata verso i ragazzi seduti sui banchi, che mi osservando
impietriti. Un paio guardano altrove, rigirandosi i
pollici. “Per le Vans naturalmente…”
Mi lascia andare sorridendo, per poi alzarsi. Si rivolge a tutti i ragazzi
questa volta, o almeno a tutti quelli che hanno uno strumento in mano “Bene adesso non ci resta altro che decidere
le canzoni da fare..qualcuno ha proposte?” Per un attimo nessuno simuove, poi ho alzo io la mano, con fare quasi
canzonatorio, tenendo il manico della chitarra con l’altra “pensavo che si potesse fare Makes no Difference..”alzo appena le
spalle, come se la mia fosse una scelta facilmente passabile. Dato che nessuno
mi risponde, do la colpa al fatto che è una canzone da
poco uscita, che il gruppo che la canta, i Sum 41,
ancora non ci conoscono molto. Però boh,
personalmente il video passare su mtv l’ho visto una volta sola. Non sono male questi, quattro se
non ricordo male, mi piace parecchio la canzone sopra citata. Vedo che Luck fa per aprire bocca e dire la sua, ma Stevo lo
anticipa, praticamente rimettendolo a sedere “Per me va bene, è una canzone abbastanza
facile, dovrei riuscire ad impararla in un paio di giorni…e tu ce la fai?” Cos’è,
una sfida? Gli altri ragazzi non si mettono in mezzo, anche se li vedo con la
coda dell’occhio borbottare qualcosa tra di loro.
Stevo richiama poi il bassista, gli dice qualcosa
all’orecchio e questo annuisce, raggiungendo il professore che aprendo il
portatile va alla ricerca della canzone. Ah, penso, ce l’hanno
già salvata su pc…forse li conoscono meglio di me
questi Sum 41.
“Certo che riesco ad impararla, anche prima di te…” Accetto ufficialmente la sfida, senza nutrire il
minimo sospetto.
Esco dai miei pensieri
all’improvviso, come mi capita spesso di fare. Mi accorgo che mentre rivivevo
quella giornata con la mente mi sono fatta fuori ben
due fette di pane tostato senza fare una piega e con tutto il burro che ci ha
spalmato sopra mi padre è già tanto che il colesterolo non mi sia schizzato
alle stelle. Mi alzo dal tavolo, notando solo all’ultimo secondo che mi fratello
è già davanti alla porta che si infila le scarpe ai
piedi. Ma come cavolo fa, dico io? Non
è che sono rimasta con la testa fra le nuvole, ci avrà messo 10 minuti
ad alzarsi, lavarsi, vestirsi e mangiare qualcosa…non è possibile. Se un giorno scoprissi che in realtà il mio fratello gemello
è Flash, non ne rimarrei sorpresa.
“Buona fortuna per oggi allora Dam..”mio padre mi carica la
borsa a tracolla, mi passa la chitarra. Ci manca solo che tiri fuori una
macchina fotografica come si fa prima del Ballo di fine Anno. Che tra l’altro arriverà tra qualche mese, già a scuola ci
hanno informato. E di conseguenza so già che non ci
andrò. Per diversi motivi a cui non ho voglia di pensare ora..ho decisamente altro per la testa.
Raggiungo Lou all’ingresso e insieme ci dirigiamo verso la
nostra solita fermata dell’autobus, che, una volta tanto, sembra farci un
favore arrivando con soli tre minuti di ritardo invece che dieci, impedendoci
di farci lasciare fuori dalla classe per tutta la prima ora. Quando
finalmente arriva, lo prendiamo al volo, un cenno della mano al conducente che
ormai ci conosce come le sue tasche, e io mi fiondo da Andrea, che mi sta già
aspettando al solito posto “Allora mia
bella, sei agitata?” Annuisco, ma poi alzo le spalle. Un po’. Non so. Forse.
E’ esattamente questo che mi salta alla mente, non so se essere ansiosa o meno,
alla fine si tratta solo di suonare una canzone davanti a mille e passa studenti, no? Mi ci dovrò abituare comunque, il professore che ci fa musica ha già detto che ci
sarà un concerto ogni volta che cominceranno le vacanze…quindi un altro per
Pasqua e uno a fine anno, senza contare che potrebbero infilarci dentro anche
qualche cavolata sul Carnevale. Sì perché alcune classi di
quinta andranno in gita in Italia e si è pensato bene di organizzare una
festicciola in stile napoletano a scuola, con maschere e balle varie.
Mah. Andrea tira fuori la telecamera, accarezzandola con un sorrisetto
furbo sul volto “Vedrai, sarà un successone…poi devi stare tranquilla se suona anche Stevo
nel gruppo…” Inarco un sopracciglio. Non gliel’avevo
raccontata questa parte. Non sapevo nemmeno che lo conoscesse, ma da come ha
pronunciato il suo nome non si direbbe che il loro
rapporto si limiti alla superficiale conoscenza. “Già…ma tu lo conosci di persona?” Chiedo, senza mettere a freno la
mia curiosità, notando con la coda dell’occhio che anche Lou ha teso le
orecchie. Chissà cosa gli importa dei ragazzi che conosce o non conosce Andrea.. Lei annuisce rimettendo la telecamera nello zaino,
sistemandosi poi il colletto della camicia rossa che indossa. Con la cravatta
nera mi ricorda vagamente BillieJoeArmstrongdirante uno dei
suoi concerti. Mi osserva con quei suoi occhi verde scuro, reclinando la testa
verso di me “Lo conosco bene, sì…è un
amico di mio fratello…” Ma
non aggiunge altro. Così anche lei ha un fratello. Almeno non sono l’unica a
sapere cosa significhi sopportarne uno…
Sono in classe da almeno
un’ora e la professoressa continua a spiegare come se nulla fosse. Ovvio, a lei
cosa importa del concerto? Tanto non verrà mica a
vederlo…della mia classe nessuno suona, tengono la testa chinata sui
libri, prendendo appunti scarabocchiati che poi non riusciranno nemmeno a
leggere a casa loro. Quando già sto per farmi venire una crisi di nervi, la
porta si apre e ne fa capolino la testa di Stevo “Salve Prof…sono venuto a prendere Damien…” Lo guardo
come guarderei il mio salvatore persona e, prima che la professoressa Martin riesca ad aprire bocca, io sono già fuori dalla
porta con la borsa a tracolla e la custodia della chitarra sulle spalle. Mentre
attraversiamo il corridoio ci becchiamo come al solito
su chi suonerà meglio, ma sempre con il sorriso sulle labbra. Dopo questi mesi
ho imparato ad apprezzarlo e posso dire che siamo
diventati..sì, amici. E’ una persona piacevole e poi
riesce a farmi ridere come pochi altri, cosa che qua dentro si sta dimostrando estremamente necessaria per la mia sanità mentale. Ci
dirigiamo in Aula magna e lì sistemiamo gli strumenti assieme agli altri
ragazzi che già hanno cominciato a provare. Estraggo la Meg
dalla custodia e sento Stevo fare un fischio “Potevi anche dirmelo che hai una EphifoneLesPaul…”
Inarco un sopracciglio, sistemando la tracolla e infilando il cavo
nell’amplificatore. Lo accendo, regolando il volume e la
distorsione “Perché, sarebbe cambiato
qualcosa?” Alza gli occhi al cielo sedendosi dietro la sua batteria,
scaldandosi le mani con un paio di rullate. Ahh,
bravo è bravo, su questo ormai non nutro più alcun
dubbio. Faccio suonare le corde una alla volta, per vedere se l’accordatura di
una settimana fa regge ancora, quando il bassista,
che dovrebbe anche fare la voce principale della canzone, mi si avvicina con
sguardo affranto “Damien senti…ho un problemino…” Parla a voce talmente bassa che quasi non
lo capisco “E quale sarebbe?” Anche se un dubbio mi viene già
alla testa. Lancio un’occhiata a Stevo per però
continua a suonar,e rendendo ancora più difficile per me l’ascolto del ragazzo “Ecco…non ho voce…e la gola mi sta facendo
impazzire…” Porca…mi stringo il setto nasale con il pollice e l’indice
cercando di calmare un’imminente crisi nervosa. Gli do una lieve pacca sulla
spalla come a dire di non preoccuparsi e accenno un sorriso che più finto di
così non si può. Ma lui ci casca e si allontana con
l’aria sollevata. Io invece sollevata non sono..e chi la canta ora? Mi
avvicino a Stevo, praticamente strappandogli le
bacchette di mano “Il cantante ci ha
praticamente bidonato..e adesso chi la canta eh?”
Dal sorriso che mi fa capisco subito cos’ha in mente. Scuoto la testa “Scordatelo..finchè si tratta di fare
i cori mi va bene, ma cantarla tutta non se ne parla nemmeno…”
Alza le spalle,
riprendendosi le bacchette e raddrizzando la schiena “come preferisci Dam, allora il concerto non
lo possiamo fare noi…” Ecco. Lo sapevo, lo fa
apposta. Sa benissimo che farei qualunque cosa pur di suonare e adesso ne sta
approfittando. Ok, altre soluzioni non ce ne sono. Vero, anche lui la conosce
tutta a memoria, ma non posso fargliela cantare da solo
mentre sta dietro alla batteria, rischia di andarmi in panne. Gli mostro
i palmi delle mani aperte, in segno di resa “Però i cori li fai tu…” Alza nuovamente le spalle, andando a recuperare
l’asta di un microfono, che piega e si sistema per poter cantare stando seduto
dietro al suo strumento. Tutto è pronto a quanto pare.
Gli studenti cominciano ad
affollare l’aula magna e Andrea è già pronta lì con la
telecamera accesa che mi mostra il pollice alzato. Seduto accanto a lei c’è
Lou. Tiene un blocco di carta sulle ginocchia e una matita in mano. Oddio, lo
immaginavo..deve farlo per forza, è più forte di lui. Come ai
processi…disegnerà la scena. Gli sorrido mimando il gesto del disegnare e lui
annuisce.
Infine tocca a noi. Sistemo
nuovamente i volumi della chitarra, accendo la distorsione..Stevo ci da il quattro
con le bacchette e…si comincia. – Makesnodifferenceto
me -
E partiamo come al solito solito con i
ringraziamenti e le risposte alle recensioni XD
=FuckOffAndDie= -> Grazie mille per il tuo primo commento XD sono contenta che la fic ti
piaccia, ho già in cantiere il terzo capitolo e, anche se sembra poco normale,
il sesto >_>’’ mi è venuto in mente all’improvviso così mi sono messa a
scriverlo su carta, per ricopiarlo tutto mi ci vorrà un eternità XD Bacio :*
Rhye&Embrido -> Ahhh mie carissime ragazze, non vedevo l’ora di leggere
la vostra recensione per sapere cosa ne pensavate :P
come al solito ho usato la scrittura in prima persona, ormai lo sapete che non
riesco a farne a meno, è decisamente più forte di me U_U
Per quanto riguarda i nomi…Devo ammettere che ho messo apposta a Dam un nome
normalmente usato per un maschio, poi con l’avanzare della storia capirete
perché U_u Lou invece è semplicemente l’abbreviativo
di Luca, nome italiano, dato che la madre di entrambi aveva origini del nostro
paese. Ma anche questo verrà fuori solo in seguito :P
Per il resto, sì, il meglio deve effettivamente ancora venire, del resto sarà
proprio Andrea a scatenare il tutto…ma anche l’arrivo di Stevo, che è il
batterista dei Sum, ha dato una bella mano. In
seguito ne vedrete delle belle, spero possa piacervi
fino alla fine XD Un bacio ad entrambe :*
“Dear mother,
Can you hear me whining?
It's been three whole weeks
Since that I have left your home
This sudden fear has left me trembling
Cause now it seems that I am out here on my own
And I'm feeling so alone
Pay attention to the cracked streets
And the broken homes
Some call it the slums
Some call it nice
I want to take you through
a wasteland I like to call
my home
Welcome To Paradise”
19 Dicembre
Il
concerto poi è terminato bene, andando esattamente come avevo previsto. Tranne per il fatto che ho dovuto cantare io, ma questo
possa posso anche definirla una cosa secondaria; All’uscita da scuola Stevo ha
offerto una pizza a me, Andrea e mio fratello, conclusione perfetta per una
giornata più che dignitosa. Sicuramente meglio di molte altre…anche se da
quando sono arrivata qui, non ho più avuto nemmeno una
delle mie crisi maniaco depressive che piacciono tanto a mio padre. Del tipo
che quando era una mattinata no mi alzavo, inveivo un po’ tra le pareti di casa
e andavo a prendere il suo giornale dalla cassetta della posta facendolo in
mille pezzi. Ormai si era abituato alla cosa, facendosi spedire apposta due
copie di quel giornale che adora tanto, in modo da poterlo leggere comunque nonostante la mia sfuriata. Non ho mai capito
esattamente per quale motivo me la prendessi, o
cadessi nella depressione più totale, la mattina mi alzavo così e basta. Ora
non capita più. Speriamo che duri e che non sia solo un periodo di quiete prima
della tempesta vera e propria. In ogni caso, le vacanze di Natale, le Sospirate
vacanze di Natale, sono finalmente arrivate…questa è
l’ultima mattina in cui ho dovuto aprire gli occhi alle 6.30, quando fuori
delle coperte c’è un gelo assurdo e la luce del sole non è ancora entrata dalle
finestre. Eh no, da domani, per una quindicina di giorni, via
libera al riposo più totale e al completo relax. Compiti a parte si intende.. a quelli penserò dopo il 25, prima sono
argomento tabù. Spero solo che non ci riempiano come dei
dannati, perché questi giorni di calma me li voglio godere un po’ anche io.
Pensieri su pensieri, come mio solito… alzo lo
sguardo dal pavimento, dirigendolo verso la porta della mia classe, che
stranamente è ancora chiusa. I
casi a questo punto sono due: o sono arrivata in anticipo di parecchio rispetto
a quanto pensassi (mi sono alzata nuovamente prima di Lou oggi. Mi sono messa
in testa di lasciare da soli lui e Andrea sull’autobus per venire qui…credo che quei due stiano maturando qualcosa..) oppure
si doveva entrare un’ora dopo e nessuno mi ha avvisato. Però è strano che non
l’abbiano detto anche ad Andrea...e lei non mi ha mandato
alcun messaggio in proposito. Boh, sinceramente chisseneimporta. Magari hanno
cancellato la mia classe e tutti quelli che ci stavano dentro, facendomi un grande favore. Ma grande davvero..anche se purtroppo ai
miracoli non posso e non voglio crederci, alimentano troppo le speranze. E, come dice Red nel film de “Le
Ali della Libertà”, la speranza può uccidere un uomo. Mh. Personalmente ci
credo, anche se il film è ambientato in un carcere.
Pace. Ok, alla fine qui non ci voglio rimanere. Corridoio deserto, altre classi
già chiuse e impegnate nella lezione…Mi allontano, sgusciando lungo le scale
recandomi al piano sotto terra, dove si trova l’aula di musica e il bar, da cui
arriva un delizioso profumo di brioches appena tirate
fuori dal microonde. Sì bè,
non si può certo pretendere che te le cucinino al momento, ma anche solamente
calde e fragranti vanno benone. Al cioccolato, alla
crema, alla marmellata..Dio, qua ci rimango secca per abuso incontrollato di
calorie e grassi. Fortuna che riesco a metabolizzare in
maniera decente tutto quello che ingurgito, altrimenti adesso come adesso sarei
alta centosettanta centimetri e peserei centodiciotto chili. Un po’ come
la professoressa Ruini, più o meno..poi si lamenta ogni mattina che le fanno male le gambe e i
piedi..se imparasse a fare un po’ di movimento e
magari infilare delle scarpe da tennis invece che quelle con i tacchi per
venire a scuola, starebbe sicuramente meglio. Bah. Entro nel locale trovandovi
solo qualche ragazzo che non conosco intento a fare
colazione alla buon’ora, insieme ad un paio di
professori del corso di quinta classe, che da me non sono mai venuti a far
lezione; non accenno il minimo saluto, se non a Leo, dietro il banco stracolmo
di brioches, intento a preparare un caffè lungo o un cappuccino, come suo solito. Quando mi
mandano fuori dalla classe o semplicemente c’è
l’intervallo, preferisco passare il tempo qua sotto con lui. E’ un uomo
simpatico, ha sempre la battuta pronta e, cosa ben importante, tiene sempre la
radio accesa su una stazione che propone solo musica anni 70’ e 80’, di tutti i generi
possibili e immaginabili. Così che ogni tanto mi capita di
scendere e bermi un caffè ascoltandomi LondonCalling dei Clash ad esempio. E’ una bella soddisfazione per una come me che ama il genere.
“Ehi Dam, fuori dalla
classe già a quest’ora?” Leo mi concede uno dei suoi sorrisetti
comprensivi e insieme divertiti, servendo velocemente un caffè
al professore davanti alla macchinetta dell’espresso, per poi dedicarmi tutta
la sua attenzione, indicandomi con un dito. Probabilmente si è accorto solo
adesso della maglietta che ho indosso, perfettamente in tema con gli ultimi
scontri politici, facilmente riscontrabili sia nelle televisioni che sui giornali. Qui in Canada è tutta un’altra cosa, ma
io, da brava adolescente americana, sono rimasta attaccata alla politica del
mio paese di origine e anche loro qui sanno bene
cos’ha significato l’elezione di GeorgeBush. E la mia bellissima maglia
rossa con la scritta in giallo “Io Non ho votato Mr. Bush”
è una cosina davvero spettacolare. Ricordo che mi padre non voleva farmi andare
in giro con quella, temendo che qualche gruppetto di ragazzi scemi e con il
cervello in pappa decidesse di pestarmi per benino, così me la portavo a scuola
e la mettevo sopra gli altri vestiti quando lui non mi
poteva vedere..ahh, bei tempi. “No no Leo…i miei compagni non ci sono e
nemmeno il Winter…entreranno un’ora dopo forse, non
lo so sinceramente..” Alzo appena le spalle,
indicando una scatolina sulla mensola alle sue spalle, piena di caramelle.
Senza neanche bisogno che gli dica qualcosa me ne
prende due e io gli lascio 50 centesimi sul bancone. Frutta frutta,
caramelle alla frutta. *Son tutte buone, son tutte
belle, le caramelle!* Ecco, ogni tanto mi viene da cantare da sola, nella mente..segno
di squilibrio mentale o solo un calo di zuccheri? Mah. Che
poi mi vengono tutte canzoni italiane. Colpa di Alex
tutto questo, che fin da quando siamo nati io e mio fratello ci ha inculcato
per bene la cultura italiana, essendovi nata prima che i suoi genitori, i miei
nonni, emigrassero in America. Una storia che fa molto “Padrino” a dir la verità, dato che la mia famiglia da parte materna
arriva proprio da Corleone..e io ho sempre sognato
andarci un giorno, affascinata più dal film e da Marlon
Brando che dai suoi racconti sulla terra natia. Per questo che Lou ha questo
nome..diminutivo
di Luca, cento per cento italiano. Per me ha scelto mio padre, un nome da
maschio perché all’inizio si pensava che fossimo due gemelli dello stesso
sesso, non ho ancora capito bene per quale motivo non si sono resi subito conto
che eravamo eterozigoti e non omozigoti. Comunque,
alla mia nascita, qualche minuto dopo Lou, il nome era ormai deciso, così me lo
sono tenuto. Pace anche qui, finchè mi piace va tutto
a posto. Certo, se avessero pensato a George come
nome forse non avrei accettato la cosa, ecco. Leo mi
rifila le due caramelle gommose, che io vado ad aprire repentinamente,
infilandomene una metà in bocca. Adoro il sapore della fragola e il suo profumo
che si spande non appena estraggo il dolciume dal suo pacchettino di carta…ok
parte il delirio, decisamente si nota che è mettina presto e che come al solito ho fatto fatica ad
addormentarmi ieri sera. Bip Bip.
Ah, eccolo finalmente il messaggio che mi aspettavo. Anzi no, non è Andrea adesso che guardo bene, sul display
appare il nome di Stevo. Inarco un sopracciglio, masticando la mia caramella,
che mi si attacca al palato e faccio una fatica immensa a staccarla senza dover
usare le dita (odio quando le goleador fanno così
<< ndJimmy) *Dam,
raggiungimi subito in cortile, all’uscita ovest. Devi vedere una cosa che non
puoi perdere..* Ecco adesso si che sono curiosa.
Saluto Leo con un gesto veloce della mano, sistemandomi la borsa a tracolla, praticamente precipitandomi lungo il corridoio, salendo poi
le scale a due gradini alla volta. Per poco non prendo dentro una coppia di
ragazzi diretti verso il bar, ma non sto nemmeno a girarmi e scusarmi, loro non
dicono niente io non dico niente. Finalmente raggiungo
l’uscita ovest della scuola, che da direttamente sul giardino e sul corridoio
che porta alle palestre, e trovo Stevo che mi aspetta appoggiato ad una
colonna, braccia conserte al petto e un sorrisino stampato in faccia che non
promette nulla di buono. Nella tasca dei pantaloni, neri e lunghi fino alle
caviglie, tiene come al solito le sue inseparabili
bacchette, mentre la maglia verde che indossa finisce per andare a coprire la
cintura borchiata. La sua preferita oserei dire. Mi
avvicino senza far rumore, tentando di prenderlo di sorpresa, ma lui si è già
accorto della mia presenza da un pezzo, perché si volta di scatto, senza
nemmeno salutarmi, afferrandomi per un braccio e cominciando a trascinarmi lungo
il vialetto asfaltato che divide il giardino in due parti pressocchè
uguali “Ehi ehi
con calma..mi vuoi dire dove cavolo stiamo andando?” Mi guarda con
occhi luccicanti, rallentando appena l’andatura, ma fortunatamente, lasciandomi
andare “c’è una cosa che devi vedere,
vedrai che poi mi ringrazierai..lo sai che sono il
genio del pettegolezzo io, no?” Ah ecco, ho capito. Qualcun altro di cui
sparlar un po’. Capita spesso quando ci troviamo da
soli io e lui, le comari della scuola. E’ anche un passatempo divertente, ci
sono stati giorni in cui arrivavamo addirittura a fare le caricature dei
personaggi che ci capitavano sottotiro..come quando Marine di terza C ha litigato con il suo
ragazzo, due mesi fa. Oddio, quella si che è stata una
scenata clamorosa, da piazza pubblica in piena Napoli. Lei che è arrivata
addirittura a tirargli un ceffone in faccia, prendendolo con tutte e cinque le
dita, mentre lui le urlava dietro non so bene quale colorito insulto. Ho ancora a casa la vignetta che Stevo mi ha regalato. Gran
momento. Non chiedo nient’altro al mio caro Portinaio, senza nemmeno immaginare
chi saranno le vittime della nostra spiata quest’oggi.
Ci fermiamo poco più avanti, dove cominciano i tavolini e le panchine sistemate
apposta per permettere agli studenti di consumare il loro pranzo all’esterno
durante la bella stagione. Ora non c’è quasi nessuno, in parte perché fa troppo
freddo, in parte perché la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze a quest’ora ha lezione. Mi fa segno
di non parlare mentre si appiattisce contro un albero,
rimanendo quasi in tinta grazie alla maglia verde che indossa..mi sorprendo a ridacchiare nell’immaginarmelo come un
albero. Poi passa. Passa quando segue la direzione del suo dito, che mi indica uno dei tavolini, quello più lontano da noi. Un
ragazzo e una ragazza, seduti vicini. Così vicini che quello
che si dicono possono sentirlo solo loro. “Ma…” Mi guarda con un sorriso che va da
orecchio ad orecchio, stringendomi un braccio attorno alle spalle “che ti avevo detto io? Dovevi
per forza vederli…non sono bellini?” Prima di rispondere rimango un
istante ad osservare mio fratello e Andrea seduti a quel tavolino. Mi sorprende
un po’ la cosa e ci rimango di sasso quando si
baciano. Ahhhhhhhh! Lo sapevo, lo sapevo
che quei due covavano qualcosa! “Ma tu
guardali…mio fratello e la mia migliore amica..questa è bella..”appoggio la testa alla spalla di Stevo, continuando ad
osservare la felice ed ignara coppietta “Il
fratello di Andrea andrà in brodo di giuggiole, puoi scommetterci…devo dirglielo
appena possibile, sai quante spettegolate ci facciamo io e quello là..”alzo lo sguardo verso di lui, imbronciandomi “così mi tradisci con uno sconosciuto?”
Sorride, scompigliandomi i capelli e ricevendo in cambio una gomitata nel
fianco. Scuote la testa “tranquilla,
presto potrai spettegolare con noi..quando
saprà di Andre e tuo fratello vorrà sicuramente
conoscervi..si potrebbe fare a Capodanno..” Alza
le spalle, lasciando implicita la domanda. E l’invito.
Lo tiro per la maglia, in modo da allontanarlo leggermente dall’albero. Meglio
lasciarli soli quei due, fare i terzi, e quarti, incomodi non mi sembra proprio
il caso al momento. “sì, si potrebbe
fare, ma adesso filiamo prima che ci becchino..”
Così
ci dileguiamo, rientrando alla Base. Giusto in tempo per sentire la campanella
della seconda ora suonare e vedere i miei compagni già raggruppati di fronte
alla classe, nell’attesa che venga aperta. Saluto
Stevo con un cenno della mano, ricordandogli di non dire una sola parola ad
Andrea o Lou riguardo a quello che abbiamo visto, poi dedico
la mia scarsa attenzione ai miei compagni di classe. Su Mark in particolare,
che è l’unico ad avere il mio numero di cellulare, si sa, per le emergenze. “Sai Mark…è stato piacevole arrivare questa
mattina e scoprire che si entrava un’ora dopo…” Butto lì, cercando di
mantenere la calma il più possibile, ma lasciando volutamente intendere quel
tono ironico che mi piace tanto usare con le persone che non conosco bene. Lui
alza appena le spalle, assumendo un’espressione quasi tenera…da classico senso
di colpa. Si guarda un po’ in giro, controllando quasi che nessuno ci stia
ascoltando, poi mi sussurra qualcosa, allungando il collo verso di me “Scusa..volevo avvisarti ma..” Lo guardo invitandolo ad andare
avanti, ma nel preciso istante la voce del professoreWhitemore mi costringe, anzi ci costringe tutti, a voltarci
e zittirci. Ho pensato fin dall’inizio che quest’uomo
deve essere per forza una specie di antidiluviano, un
sire vampiro…ogni tanto con Stevo e Andrea ci mettiamo a fantasticare sui suoi
impensabili super poteri, come ad esempio la materializzazione. Non
dimenticherò mai quel giorno che l’ho visto entrare in una classe e uscire da
un’altra dopo cinque minuti…ci sono rimasta secca. In ogni caso, entriamo in classe, zitti come mosche. Questo sì che è uno con le
palle, persino io riesco a farmi mettere in soggezione..penso capiti a tutti una
volta nella vita. Lancio un’occhiata a Mark di quelle che significano tutto e
niente, ma lui recepisce comunque il messaggio.
Abbiamo da fare una chiacchieratine io e lui appena
finite le lezioni…
“Quindi, fate tutti
gli esercizi da pagina 174 a
pagina 180, completando anche gli schemi e studiando la parte degli Specchi che
abbiamo fatto oggi…Vorrei ricordarvi ragazzi, che il prossimo compito è fra due
settimane e non vorrei dover vedere scritte cavolate come l’ultima volta…” Sempre chiaro e preciso il Caro Whitemore.
Mi segno gli esercizi sul diario, con la classica fretta di chi non vede l’ora
di andare a fare l’intervallo in santa pace. Andrea mi imita,
riuscendo comunque a scrivere tutto in un ordine più decente del mio, finendo
anche prima. E’ una scheggia quella ragazza, la vedrei
perfettamente dietro ad un computer a prendere il primo premio come scrittrice
più veloce. Per lei che vuole fare la giornalista è un bel vantaggio. “Scendiamo al bar a farci una brioches?”mi chiede, già rovistando
nelle tasche dei jeans per trovare i soldi necessari ad entrambe. Annuisco con
la testa, ma prima le faccio segno di avviarsi “Ti raggiungo giù, devo prima scambiare due parole con Mark..” Alza il pollice, uscendo dalla classe scansando
all’ultimo secondo il gruppetto delle ragazze, come al
solito una appiccicata all’altra, a raccontarsi chissà quale nuovo
pettegolezzo. Mi disinteresso praticamente subito,
andandomi a sedere nel banco accanto a quello del mio compagno, che ancora non
si è mosso. Quasi fa un balzo verso destra nel vedermi
all’improvviso e mi fa sentire quasi in colpa. Non capisco se gli faccio
paura io o c’è qualcos’altro sotto “Ehi
Mark, datti una calmata che non ti mangio mica…Allora, me lo dici
per quale motivo non mi hai avvisato?” Mantengo un tono di voce neutro,
cercando di apparire più rassicurante possibile. Tiro fuori tutta la mia
versione Bambolina, come dice papà, riuscendo a farlo rilassare almeno in parte
“Ecco vedi…” Lancia un’occhiata verso
la porta, e io faccio altrettanto, notando che il gruppo delle Oche se n’è
andato a ciarlare da qualche altra parte, probabilmente in giardino “E’ stata Estelle a chiedermi di non dirti
niente..” Ah ecco. Mi lascio andare sulla sedia,
sbuffando rumorosamente e chiudendo gli occhi. Non so come e non so per quale
strano motivo quella ragazza ce l’ha a morte con me, e
naturalmente si è trascinata dietro nelle sue convinzioni tutte le sue
amichette del cuore. Il club Anti-Damien probabilmente. E io che a malapena so
i loro nomi..guarda te se mi doveva capitare anche una grana simile.
Annuisco comunque alle sue parole, limitandomi poi a
battergli una mano sulla spalla “Ok Mark,
ok..non fa niente..”
Dall’espressione
contrita del suo viso capisco subito che è seriamente dispiaciuto per la
situazione e dentro di me riesco persino a farmelo piacere; certo, non ha avuto
le palle per dire di no all’Oca Regina, ma non posso certo biasimarlo per
questo. Quella è capace di trasformarsi in un’arpia e certamente avrebbe fatto in modo di rovinargli la vita, almeno a
scuola. Gli concedo un raro sorriso, il primo sincero ad un mio compagno di
classe, prima di rialzarmi lasciando l’aula e scendendo le scale verso il
giardino. Andrea sicuramente si sarà già mangiata la sua brioches
e sarà uscita fuori per fumarsi una sigaretta, come fa praticamente
tutti i giorni; quando arrivo, alcuni studenti stanno già rientrando, mentre la
mia migliore amica se ne sta in un angoletto a
fumarsi quello che rimane del mozzicone fra le labbra. Non si può dire che sia la classica fumatrice incallita e dipendente
dal fumo, ma quando è nervosa o in uno stato emotivo particolarmente teso,
diventa peggio di come era Alex fino a cinque anni fa. Lei sì che si fumava
almeno un pacchetto al giorno, roba che ti porta ad
avere i polmoni dello stesso colore del catrame. “Bè, ti ho lasciata da sola per cinque
minuti…che è successo?” Chiedo, osservandola negli occhi per qualche istante,
prima di allungare una mano, togliendole la sigaretta dalla bocca, buttandola
per terra e spegnendola con la suola delle All Stars. Lo faccio quasi sempre, è una mossa a cui ormai è abituata. “Mi ha appena telefonato mio fratello…è
agitato per qualcosa e come al solito è riuscito a
passarmi tutto il suo nervosismo…” alza gli occhi al cielo, infilando le
mani nelle tasche dei jeans, mentre cominciamo ad avviarci verso le scale
dell’entrata nord. “Quale cosa?” mi
impiccio un po’, giusto per saperne di più. Quando è così vuol dire che c’è in ballo qualcosa di serio e se non mi informo
io che sono la sua migliore amica, detto da lei, che ci sto a fare? Alza la
mano, sventolandola per aria con un gesto vago “Mah, un progetto che ha in ballo da mesi ormai…ed è praticamente
arrivato alla fine diciamo…” fa una pausa, mentre io annuisco, saltando
anche gli ultimi due gradini e ritrovandomi sul corridoio dove si trova la
nostra classe. Tutto ad un tratto si illumina,
prendendomi sotto braccio “Mi ha detto
Stevo che ti ha accennato alla storia del Capodanno assieme…ti prego, dimmi che
ci sei, non mi lasciare da sola con loro..”le ho
sorriso di rimando, alzando appena le spalle “Sai che per me non c’è problema…ma credo che a questo punto dovrò
portarmi dietro anche Lou..”lo butto lì, solo per
vedere quale tipo di reazione avrà al nome di mio fratello, ma per questo non
batte ciglio. E’ furba la mia amichetta, furba
parecchio. Se non vuole lasciare intendere una cosa,
non la lascia intendere. Va comunque in brodo di
giuggiole, all’idea che passeremo l’ultimo dell’anno insieme e l’ultima cosa
che mi dice, all’orecchio, prima di entrare in classe è “Te l’ho mai detto che ti adoro?”
25
Dicembre 2000
La
mezzanotte è passata solo da cinque minuti, ma noi siamo già qui a mettere mano
ai regali. Nessuno in famiglia è particolarmente religioso,
specie mio padre che in Dio credo abbia smesso di crederci e sperarci
ormai da parecchio tempo. Io sinceramente, dopo l’abbandono di
Alex, non ho più trovato una scusa valida per avere fede. Forse ho
fiducia in un Dio che appare diverso da come lo mostra la Chiesa, con quell’Onnipotenza divina che però
viene fuori solo in casi eccezionali…non riesco a credere che un’entità che può
tutto lasci morire tante persone, spesso innocenti, senza muovere un dito. No,
io credo piuttosto che esista questo Dio, ma che possa fare solo una piccola
parte di quello che si dice…altrimenti non si spiegherebbe il
fatto che siamo stati creati a sua immagine e somiglianza. Quando può
tenta di fare qualcosa..quando
non può…bè…non fa niente. Così, pensandola in questo
modo, posso anche accettare di vedere centinaia di persone morire per il crollo
di un palazzotto dello sport, come era accaduto a
Boston dieci anni fa, in caso contrario, no. In ogni
caso, tralasciando questi pensieri pseudo-religiosi,
ora stringo fra le mani il mio regalo. E’ arrivato da parte di
Andrea e, sul bigliettino, c’è anche la firma di Stevo. Incredibile
pensare che li conosco da poco più di cinque mesi e già abbiamo raggiunto il traguardo
“Regali di Natale”. “Allora Dam, che aspetti ad aprirlo? Guarda che non hai ancora il
potere di far sì che la carta si strappi da sola eh!” Mio padre sembra più
agitato di me, e mi incita ad aprire il mio regalo con
ancora indosso la sciarpa verde e grigia che gli hanno regalato due suoi
colleghi a lavoro. E’ un patito di queste cose, sciarpe, cappelli e guanti,
credo che nel suo armadio ne abbia almeno una decina
di colori diversi in coordinato. Annuisco, togliendo il biglietto e prendendo a
scartare la scatola quadrata, che mi sta tranquillamente in grembo. Spunta
fuori un’altra biglietto e sono costretta a leggerlo
prima di aprire la scatola, che è di un cartone bianco e anonimo. Leggo la
scritta, inarcando un sopracciglio “La
seconda parte del regalo è quella cosa lunga che ti manda tuo fratello…”
Alzo lo sguardo verso l’alberello pieno di luci e palline che abbiamo sistemato al centro del salotto, notando Lou seduto
sul pavimento con un sorriso a quattrocento denti stampato sulla faccia. E il
suo regalo per me appoggiato sulle labbra, qualcosa che a prima vista,
nonostante la carta che lo ricopre, sembrerebbe una specie di
asta. Decido di mettere fine ai miei dubbi, andando ad aprire la scatola
di cartone…non appena vedo quello che c’è dentro mi viene naturale mettermi ad
urlare “ahhhhhhhhhh”
La appoggio sul pavimento con scarsa grazia, lanciandomi verso mio fratello e
buttandogli le braccia al collo “Ti
prego, dimmi che il tuo regalo è quello che penso
io..” Lo prego, e lui si limita a sorridermi ancora, mentre mio padre ci
guarda con l’aria di chi si è appena ritrovato in un manicomio. Prendo anche il
regalo di Lou, scartandolo e i miei desideri si vedono praticamente
realizzati. Quella che mi sembrava un’asta è in realtà una mazza da Hockey. Di quelle
di legno e alluminio, dipinta di bianco e rosso. Nell’altra scatola, il regalo di Andrea e Stevo, ci sono i pattini per il ghiaccio. Sono
anni che desidero andare a giocare ad Hockey sul
ghiaccio, ma nonostante questo mio sogno non mi ci ero mai messa seriamente
sotto per imparare. E adesso…
“Perché ho
come l’impressione che a me toccherà cacciare i soldi per farti giocare?” butta lì mio padre, mentre mi metto a saltare per
casa con la mazza appoggiata ad una spalla, rischiando anche di prendere dentro
il ventilatore al soffitto. Raramente mi sono sentita così felice in vita mia,
forse solo quando per il mio decimo compleanno mi sono
ritrovata davanti la chitarra. Sì ecco, forse l’emozione è quasi al pari di
quella volta. Prendo il cellulare, componendo il numero di Andrea
ad una velocità supersonica e non appena mi risponde non faccio nemmeno in
tempo a salutarla “Io ti adoro. A te e a quell’altro scemo…anzi che dico, io vi amo!” Scoppia a
ridere dall’altra parte, nel sentire il mio entusiasmo e mentre mi calmo riesco
giusto a sentire delle voci in sottofondo, che cantano canzoni di Natale.
Almeno anche lei sembra starsi divertendo. “sono
contanta che ti sia piaciuto il nostro regalo, ma
devo ammettere che inizialmente l’idea è stata di tuo fratello…ah, grazie per
le scarpe, credo che ci andrò a dormire stanotte…” Ride ancora e non posso
fare a meno di imitarla. Come regalo le ho preso un
paio di scarpe All Stars, quelle a cui faceva la posta davanti al negozio da
almeno quattro mesi.
Sono
felice? Sì, lo sono. Per adesso. Grazie Canada, grazie
nuova casa, grazie nuova scuola e nuovi amici. E’ il primo Natale che passo
avvertendo in casa questa sensazione di allegria quasi
palpabile..speriamo solo che duri.