Frammenti: dal diario di un futuro capitano

di Ziggie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La strada in salita di un semplice ragazzino ***
Capitolo 2: *** Ciò che ogni uomo teme: naufragio ***
Capitolo 3: *** Il Cobra ***
Capitolo 4: *** Sopravvissuto ***
Capitolo 5: *** Possibilità di rivalsa ***
Capitolo 6: *** La baia dei relitti ***
Capitolo 7: *** E' capitan Jack Sparrow ***
Capitolo 8: *** Pirati nobili, viaggi, una perla e capitan Jack ***
Capitolo 9: *** Una perla nelle acque dei relitti ***
Capitolo 10: *** un nuovo pirata nobile e la sacerdotessa voodoo ***
Capitolo 11: *** L'oro delle tenebre ***
Capitolo 12: *** Lo scontro decisivo e rotta per Tortuga ***
Capitolo 13: *** Destinazione ammutinamento e addio ai vecchi piaceri della vita ***



Capitolo 1
*** La strada in salita di un semplice ragazzino ***


           Frammenti: dal diario di un futuro capitano
        1.  “La strada in salita di un semplice ragazzino”


Giunsi per la prima volta a Tortuga quando decisi di disertare dalla file della marina, avevo 16 anni. Una vita piena di regole non faceva per me, è il  mare che detta leggi sul suo territorio, non l’uomo, e tutti coloro che vogliono solcare le sue acque devono essere liberi e non segregati sotto il comando di qualcuno come sua maestà reale, che del mare, a dirla tutta, non sa proprio nulla.

Scappai di casa a 13anni. Venire picchiato da mattino a sera, da un padre padrone e ubriacone, mi aveva stancato. Non avevo avuto un’infanzia, non sapevo cosa volesse dire essere un bambino, io non lo ero mai stato; non conoscevo l’affetto, io non l’avevo mai ricevuto. Non conobbi il volto di mia madre, morta dandomi alla luce, ma conobbi l’ira del mio vecchio, che ogni sera non mi risparmiava botte e bastonate, così feci quanto andava fatto.

L’ennesimo litigio, l’ennesima ubriacatura. Ero con le spalle al muro, me lo sentivo, ci avrei rimesso la pelle, ma la mia mano afferrò la spada di quell’uomo brutale e si mosse da sola, colpendolo dritto al petto. L’uomo cadde in un tonfo sordo, io mi alzai. Non mi faceva ribrezzo quanto avevo appena compiuto, se lo meritava.
- Salutami il creatore – sputai sul corpo inerte del mostro e con la spada in vita, mi diressi al porto. Dissi addio al passato, agli incubi che avevo vissuto, a quel piccolo paese della costa nord spagnola che mi aveva dato i natali: presi il mare.

Conoscevo il mare attraverso alcune storie di taverna che mi erano giunte all’orecchio: molte inventate su due piedi, molte possibilmente vera. Mi aveva da sempre affascinato quell’infinita distesa blu, ma ero un semplice ragazzino, non sapevo niente di come si governava una nave: dovevo e volevo imparare se un giorno volevo diventare un capitano coi fiocchi e contro fiocchi.
Mi imbarcai a bordo di un mercantile, che compiva la rotta mediterranea, come mozzo; mi spaccavo la schiena da mattino a sera, divenni abile nel sistemare le cime e nell’arrampicarmi sulle sartie, ma non era abbastanza così, una volta giunto in Inghilterra, decisi di prendere parte all’accademia della marina, grazie ad un piccolo aiuto finanziario da parte del capitano del mercantile: non credevo di stargli tanto simpatico!

Non fu una vita facile, i requisiti li avevo, ma ero un poveraccio, non un nobile, non uno di loro, ma non mi arresi: il mare mi richiamava e io volevo lui. Passai tre anni in queste file di signorini, affrontai viaggi, imparai ad affrontare le condizioni climatiche, dal vento alla tempesta; migliorai le tecniche di combattimento, imparai a leggere le carte e ad usare adeguati strumenti di navigazione; divenni timoniere. Un ruolo che apprezzavo, un compito importante; dovevo mantenere in rotta la nave, gran parte della buona riuscita dl viaggio dipendeva da me; sentivo il vento sulla faccia e la spuma dell’onda solleticarmi la pelle, ero un tutt’uno con la nave, con le acque sotto di me. Potevo pilotare ad occhi chiusi, talmente ero sicuro, che non avrei perso la rotta. Avevo tutto ciò che un ragazzo della mia età potesse desiderare, ma nonostante ciò, mi sentivo vuoto: non ero libero.

Eravamo al largo di Hispaniola, Tortuga. L’isola dei piaceri, della perversione, regno di pirati, quando fuggii calandomi da un boccaporto di tribordo, mentre la nave scivolava veloce verso Puertorico: prima usciva da quelle acque immonde, più tranquillo sarebbe stato l’equipaggio, che fifoni! La notte mi aiutò a nascondermi nella sua oscurità, nuotai con tutte le forze che avevo in corpo fino all’isola; avevo indosso giusto stivali, pantaloni e camicia e, ovviamente, i miei effetti, di certo non mi sarei presentato come un giovane allievo di marina!
-
Una bella nuotata in mare aiuta a riprendersi dalla sbronza, eh ragazzo! – mi disse un vecchio,  ubriaco fradicio, abbracciato ad un barile di rum sul molo.

- Non c’è niente di meglio, davvero – gli ressi il gioco, mentre mi strizzai i capelli e mi sciolsi il codino che ero solito tenere tra le file della marina. – Sapreste indicarmi la Sposa Devota? – chiesi, non avevo mai messo piede lì, ma ne avevo sentito parlare da molti di quella locanda: la più famosa dell’isola.

- Devi avere il rum ancora in circolo se non ti ricordi la strada – convenne il vecchio tra un sorso e l’altro. – Sempre dritto, quando vedi donne sgargianti e prosperose, sul balcone, intrattenersi con degli uomini, sei arrivato -. A quella descrizione mi sfregai subito le mani, avrei scoperto un nuovo mondo quella sera e la perdizione mi avrebbe accolto in seno, quella volta e per sempre.
Più volte mi ritrovai in mezzo ad una rissa, più volte ne scatenai una; ogni donna della Sposa sapeva il mio nome e non c’era sera che non fossi ubriaco: avevo perso anche le redini della mia vita.

Tornai in me, era la vita del pirata quella che cercavo, quella che volevo e un pirata che pianta le radici, seppur a Tortuga, non è degno di definirsi tale. Mi imbarcai a bordo della Nemesis, di cui fui e sono tutt’ora timoniere. Ho vissuto arrembaggi e abbordaggi, uno di questi proprio qualche giorno fa, per quello che ora mi ritrovo a scrivere su queste pergamene, sono ferito e il capitano mi ha obbligato a stare a riposo, peccato che io, fermo non ci so stare! Rischio di perdere un occhio, per quello che ora il mio occhio destro è bendato.
Durante il corpo a corpo dell’ultimo arrembaggio sono caduto vittima della lama di un energumeno, che mi ha sfregiato dalla guancia fin sopra la palpebra; se mai dovessi perdere l’occhio, me ne metterò uno di legno, lo sto già intagliando, tanto per portarmi avanti!
Ma la mia scorza da lupo di mare è dura, so che rimarrà soltanto una cicatrice, come segno di guerra e a furia di incappare in una tremenda punizione, per Giove, io devo imbracciare il mio timone!
  
 

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Capitolo 2
*** Ciò che ogni uomo teme: naufragio ***


              2. “Ciò che ogni uomo teme: naufragio”

Il cielo era di un nero pece, tuoni e fulmini si udivano e si scorgevano all’orizzonte, la pioggia iniziava a scendere copiosa.

Era un torbido pomeriggio d’estate, io ero al timone come al solito, fiero della mia posizione; il capitano, a pochi passi da me, studiava delle carte; ogni uomo sul ponte aveva il proprio compito. Mi passai una mano sul volto, ad asciugare il sudore che grondava, mi soffermai sulla mia cicatrice, ancora fresca: avevo appena compiuto 18 anni e mi sentivo già un uomo vissuto.

Fu un attimo. Il vento si alzò e iniziò a soffiare forte, mantenni salda la presa sul timone, non era la prima tempesta che affrontavo e come le altre, ne sarei uscito vincitore. Tutti gli uomini quadruplicarono il loro lavoro, scattanti come gazzelle con alle calcagna un leone affamato. Chi ammainava i velacci, chi assicurava le cime, il tutto sotto gli ordini e le direttive di capitan James Sterling. Ne uscimmo indenni; per il mio sangue freddo e buon comando, venni nominato quartiermastro, ma non tutti ebbero la nostra stessa fortuna.
Sul nostro cammino trovammo i resti di una nave: albero maestro spezzato, corpi alla deriva; la tempesta rende al mare quanto esso reclama. Presi il cannocchiale, magari tra quel cimitero a cielo aperto c’era la possibilità di scorgere dei sopravvissuti, anche se ero io stesso restio a credere a quel mio pensiero. Scrutai ogni singolo angolo e quando stetti per abbassare l’oggetto, ecco che scorsi due uomini.

- Capitano! Uomini in mare! – avvertii e in men che non si dica, quegli uomini abbandonati da dio, si trovavano a bordo.
Uno era privo di sensi, magrolino e senza un occhio, era quello più conciato male della coppia; l’altro, più tozzo, era affannato e con qualche graffio qua e là.

- Vi saremo debitori a vita – si fece portavoce il grassottello, che stentava a reggersi in piedi.

- Non occorrerà. Ringraziate giusto il quartiermastro, se non fosse stato per il suo attento controllo, stareste ancora sguazzando in mezzo a quei relitti – tagliò corto il capitano, mentre il grassottello annuì guardandosi intorno, come se tentasse di capire chi dovesse ringraziare, mi feci avanti e mi caricai sulle spalle il mingherlino svenuto.

- Seguitemi, occorrerà che vi rimettiate in forze –

Non sapeva più in che lingua ringraziarmi, ne ero lusingato, ma iniziava a stancarmi, così gli posai davanti un buon boccale di rum, un pezzo di pane e della carne essiccata, stette zitto. Intanto misi lo smilzo su una delle amache libere e gli posai un panno bagnato sulla fronte, solitamente aiuta a riprendersi.

- E’ tanto che il tuo amico è senza un occhio? – chiesi curioso, studiandone la cavità.

- Qualche mese. Il poveretto lo ha perso in seguito ad un combattimento –

- Dovrei avere qualcosa che fa al caso suo – commentai mettendomi la mano in tasca, l’occhio di legno del marinaio, il mio capolavoro, c’era ancora.

- Siete voi il quartiermastro che ci ha avvistato? –

- Si, altrimenti non mi spiegherei il fatto di essere ancora chiuso qui a prodigarmi di voi – tagliai corto, mentre l’omuncolo sorrise.

- Io sono Pintel e lui è Ragetti – si presentò, facendosi ancora portavoce di entrambi.

- E io non vi ho chiesto niente – feci il duro, ma non riuscii a tenere quell’espressione a lungo, dato lo sguardo corrucciato del grassottello. – E va bene, sono Hector Barbossa. Come vedi ho un nome anche io, ma ora che lo sai, non sciuparlo per la minima richiesta che ti viene in mente, intesi? –

- Intesi – annuì l’uomo continuando poi a mangiare, placando la fame che lo stava attanagliando.


I nuovi membri della ciurma erano molto efficaci, disposti anche a compiere i lavori più umili e il mingherlino, era anche un cuoco niente male, molte sere ci riempiva gli stomaci con il suo stufato: davvero ottimo!
Consigliai a Ragetti di mettersi una benda sull’occhio, ma non ne volle sapere, diceva che mostrare la cavità lo rendeva più vissuto nonostante la giovane età, ridacchiai; eravamo molto simili sotto certi aspetti: io il duro, loro i bonaccioni. Gli diedi l’occhio di legno che avevo intagliato quando venni ferito e da quel momento se ne prese cura come fosse suo figlio. Anche con Pintel il rapporto migliorò. Ovvio, non sempre si ride e si scherza, il più delle volte tratto entrambi come degli stracci da ponte, ma è la gerarchia nautica, il gergo piratesco, a loro sta bene e a me altrettanto. Siamo amici nonostante tutto, compagni di viaggio, fratelli sotto il nome di un unico padre: il mare. 

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Capitolo 3
*** Il Cobra ***


 Un immenso grazie alle recensioni di Tony Porky, fa un enorme piacere trovare in queste acque delle fan di Hector, che apprezzano come si deve il personaggio, Perchè Pirati dei Caraibi non è solo Jack Sparrow!


                          3. “Il Cobra”


Rifocillarsi le membra, anima e corpo, una delle parti del lavoro che preferivo. I porti dei Caraibi abbondavano di succulente prelibatezze: dal cibo al rum, dalle donne alle ottime notizie.

Avevamo tutti qualche anno di più sulle spalle, la Nemesis ci aveva accolto in grembo appena svezzati dal ventre materno e ci aveva visti crescere, compiendo il ruolo di nostra madre. Mi ero fatto le ossa su quella nave, ero diventato tutt’uno con lei, con il suo timone, fino a penetrarla nell’anima, ma ero ormai un uomo, un lupo di mare dalla scorza dura e la testa peggio; un quartiermastro che era stufo di quella carica: ero un uomo insaziabile.

Tappa a Nassau, alla locanda dell’Old Mary, nella quale eravamo di casa. Entrammo nel locale e ci accomodammo in un tavolo piuttosto in disparte: punto strategico per far tesoro delle tipiche storie e dei vociari di taverna. Con me sempre Pintel e Ragetti, ed altri tre compagni d’avventura.

- Mi chiedo, perché il capitano non voglia affrontare le acque del triangolo commerciale. Con qualche  abbordaggio ben studiato, potremo far fortuna! – commentò Ragetti quasi soprapensiero, pulendo l’occhio di legno, tolto dall’orbita.

Pintel ringhiò in disaccordo, staccando le labbra dalla sua bottiglia di rum. –Sarebbe una cosa inutile, Ragetti. Troppe sono le navi che assaltano quei carichi e che pullulano quelle acque, noi saremmo soltanto gli ultimi arrivati. Finiremmo poi per scontrarci con altri pirati, per avere la meglio, magari, su un carico di poco valore -.

- Resta il fatto che potremmo provare – ribadì il magro.

- Resta il fatto che tu non capisci mai niente – brontolò il grassottello. – Diteglielo anche voi Hector -.

Me ne stavo spaparanzato sulla sedia nell’angolo più buio, con i piedi sul tavolo, mentre mi gustavo una succosa mela verde e sentendomi tirato in causa, per quel discorso, sospirai appena disinvolto, facendo spallucce. – Resta un fatto che nessuno di voi ha preso in considerazione – dissi e, senza dare il tempo a nessuno dei due di chiedere di che si trattasse, ma beandomi delle loro espressioni curiose, continuai subito. – Capitan Sterling è uno stolto: più invecchia e più viene meno alla sua natura da lupo di mare, da capitano. Ha paura di spingersi in nuove avventure, in acque che non conosce, temendo di perdere quanto in questi anni ha conquistato, compresa la Nemesis. E il tutto, a parer mio, sta diventando una gran perdita di tempo -. Afferrai una bottiglia dal centro del tavolo e ne presi un lungo sorso, mentre gli occhi dei miei compagni, increduli a quel discorso, mi fissavano. Ghignai, volevano sapere come la pensavo, ebbene ecco servita la mia risposta, un po’ fredda, ma sono fatto così e avevano imparato a conoscermi e ad apprezzarmi. In quella risposta non c’era racchiuso  solo un mio pensiero, ma anche un addio. Non sarei ripartito con la Nemesis, nave a cui avevo donato metà della mia vita, ma era da quel porto che sarei ripartito come capitano. Se avevano orecchie per intendere, avrebbero capito, ma la notte era ancora lunga ed io ero sceso a terra per godermela e non per chiacchierare.

Come alla Sposa Devota, anche all’Old Mary, la mia fama di abile amante e buon seduttore alleggiava nell’aria, precedendo il mio arrivo. Lasciati Pintel e Ragetti al tavolo, a rimuginare sulle mie parole, andai alla ricerca della fortunata e i miei occhi caddero fissi sulle curve sinuose e sul fondoschiena provocante di Lei. Una donna di una bellezza pari ad una dea, che mi colpì il cuore, folgorandomelo, giusto con un sorriso. Aveva i capelli lunghi, appena ondulati: mora. Gli occhi profondi e seducenti del medesimo colore, una ciocca ribelle le cadeva sull’occhio destro; alta, snella e formosa. Era da poco al servizio lì, ne ero sicuro, anche perché un viso come il suo non si scorda tanto facilmente. Era il tesoro più bello che mi fosse mai capitato sul cammino; era un tesoro e come tale, doveva essere mia.
Provai un piacere diverso nel possederla, una sorta di gradimento che non aveva mai solleticato il mio cuore, prima di allora. Ma si sa, l’animo del pirata è libero e la sua scorza è dura da scalfire; l’amore è un sentimento a lui sconosciuto, che fa rabbrividire le membra anche del più famigerato pirata dei sette mari, ed io miravo a diventare tale. Così, una volta finito quell’atto di puro piacere, abbandonai quella divinità, imprimendo il ricordo e il sapore delle sue labbra sulle mie.

Appena sceso dai piani superiori, fui subito accerchiato da quegli omuncoli che definivo amici.
- E’ vero che non ripartirete con noi? Ho inteso bene? – mi chiese Pintel tra il disperato e l’imbronciato.

- Avete letto bene tra le righe, mastro Pintel. Mi complimento con voi – annuii molto semplicemente.

- Ma la Nemesis ha bisogno delle vostre abilità, ha bisogno di un uomo dalla tempra forte come la vostra – mi lodò Ragetti.

- Ho già dato a quella nave parte della mia vita e del mio sudore, non c’è più posto per me lì. Gli anni passano per tutti e non sarà certo un capitano vecchio e timoroso, ad avermi sotto il suo comando -.

- Cosa farete allora? –

Sorrisi – Requisirò una nave e prenderò il largo, fino a solcare i mari oltre i confini della mappa, alla ricerca di rotte nuove e tesori nascosti, tra le insidie di questo mondo e quell’altro -.

I due si guardarono complici, sfregandosi le mani alle mie parole, non mi avrebbero lasciato, me lo sentivo.

- Allora capitan Barbossa, mi è giusto scappato l’occhio su una piccola goletta al molo ovest, mentre venivamo qui – ridacchiò occhio di legno.

- L’ho notata anche io. Sullo specchio di poppa ho intravisto la scritta “Cobra” – continuò Pintel a conferma delle parole dell’amico – non c’era nessuno a bordo, le lanterne erano tutte spente -.

- Cobra – mi grattai la barbetta, pensante, ripetendo il nome della bagnarola. – Direi che calza a pennello con il mio nuovo gioiello – ridacchiai legandomi al collo una collana, con un serpente d’argento appena intarsiato con qualche pietruzza.

- E quella? – chiese curioso il magro, alzando un sopracciglio.
- Ricordo di una notte focosa appena passata. E ora muoviamoci topi di sentina, non vorremmo fare attendere la nostra nuova casa! -.

Dovetti ammettere che quei due omuncoli avevano gusto, quando mi ritrovai davanti alla suddetta nave. Era una goletta dalle vele scarlatte e di medie dimensioni, un ampio specchio di poppa recava il nome della bagnarola sopra il quale si innalzava una vetrata opaca. Aveva dodici bocche da fuoco totali; il colore scarlatto era in netto contrasto con l’ebano nel quale era intagliato lo scafo. Niente a che vedere con la Nemesis, ma il Cobra, con le sue piccole dimensioni, aveva classe, così come il sottoscritto.
Conquistammo la nave senza problemi, i due uomini che vi erano a bordo erano talmente sbronzi, che non si accorsero di nulla, anzi si unirono a noi, così come alcuni membri del mio vecchio equipaggio.

Avevo appena iniziato la mia nuova vita da capitano e già mi sentivo importante, potente. Imbracciai il timone e urlai i primi ordini; la mia voce librò nel vento, mentre il mare accoglieva la nascita di una futura leggenda. 

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Capitolo 4
*** Sopravvissuto ***


 Un grazie a Tony Porky e a Fanny Sparrow per le loro recensioni, fa sempre piacere navigare in acque barbossose insieme a voi ragazze :) Ahrr!

                     4. “Sopravvissuto”

Il Cobra scivolava libero e silenzioso, il suo scafo aveva baciato le acque di tutto il mondo in quei tre anni; il sartiame e i velacci avevano accolto e vibrato sotto venti forti, leggeri, caldi e freddi; Il legno del ponte aveva sostenuto battaglie di ogni sorta.
Io ero diventato un capitano conosciuto in ogni angolo del mondo, temuto dagli avversari e dalla mia stessa ciurma, onorata di navigare sotto il mio comando, ma timorosa dei miei metodi freddi e spietati. Non che mi importasse, dato che il sottoscritto era l’unico che contava. C’era una taglia sulla mia testa di 10.000 guinee, ne avevo fatta di strada!

Rientrati nelle acque caraibiche, decisi di dar peso alle parole che Ragetti aveva accennato all’Old Mary. La tratta del triangolo commerciale si era ampliata e mettere le mani su qualche carico d’avorio, faceva gola a molti.
Fummo sull’isola di Puertorico  in tarda serata, approdammo a San Juan, la capitale. Lasciai che i miei uomini si rifocillassero le membra con i piaceri che riservavano le locande, io rimasi a bordo, avendo notato poco distanti sul molo, due carpentieri, del cantiere navale, giocare a dadi e discutere animatamente.

- Dai retta a me, quella nave non vedrà mai la terra, bacerà i fondali delle Bermuda prima di poter udire quella parola, speranza di tutti i marinai -.

- Sono solo stupide baggianate. Le acque delle Bermuda non sono infestate -.

- Che mi dici dei svariati naufragi, allora? –

- Casuali. Condizioni del tempo avverse, battaglie… -.
Mi sedetti su un barile e sorrisi, quegli stolti ignoravano la mia presenza e io stavo facendo tesoro di informazioni, alquanto interessanti.
- Pensala come vuoi compare, ma se la Glorieux affonderà, come è certo, mi dovrai una cassa di rum -.

- Affare fatto, ma se quel carico d’avorio giungerà a destinazione, sarai tu a risarcirmi -.

Un carico d’avorio che aveva smarrito la rotta e che si trovava nelle Bermuda, esattamente a poche miglia a nord della loro postazione, era un’occasione succulenta, da cogliere al volo.
Assettai le vele e preparai la nave per salpare, il tutto da solo e quando gli uomini, alle prime luci del mattino, giunsero al molo, rimasero alquanto stupiti.
- Capitano, ma i rifornimenti?! –

- Poche ciance mastro Lync e vediamo di affrettare il passo! Muovetevi branco di pecore ubriache o vi lascerò a terra! –
Dovevano essere così convincenti quegli appellativi, misti ad insulti, visto che in men che non si dica, anche l’uomo più distante dalla nave, si ritrovava a bordo.

- Cos’abbiamo alle calcagna, capitano? – chiese Ragetti, raggiungendomi al timone.

- O cosa non abbiamo! – corressi io – diciamo, mastro Ragetti, che il capitano ha deciso di seguire una vostra indicazione, ed ora basta con le domande. Mano al croce, mozzi! –
Navigammo verso nord con il vento favorevole, fino a pomeriggio avanzato. La ciurma era ancora all’oscuro di tutto e alcuni mormorii iniziavano a serpeggiare: era il momento che sapessero.
- Bene gente! – mi affacciai dal cassero di poppa. – La vostra curiosità sta per essere soddisfatta, girate lo sguardo a tribordo – li invitai, ed eccola là la Glorieux, il carico d’avorio che galleggiava disperso; la ciurma guardò senza capire, quel veliero. – E’ una nave francese che ha perso la rotta ed è carica d’avorio – spiegai, mentre aye d’approvazione iniziavano a fuoriuscire. – Ora noi non vogliamo, che tale carico vada perduto, nevvero?! Siamo gentiluomini del mare, no? – commentai sarcastico con un ghigno ben dipinto in volto, appoggiato dalla ciurma, mentre il Cobra si avvicinava sempre di più alla preda. – E allora mano alle armi e ai cannoni, uomini! Ci aspetta un arrembaggio degno di nota! –
Tutti si misero ai propri posti: chi ai cannoni, chi con i grappini, chi con la sciabola sguainata. Virai per aver la Glorieux a portata di cannone e quando così fu, l’ordine arrivò immediato: - FUOCO! –

La battaglia ebbe inizio. Fermai diversi marinai che tentavano di salire a bordo del Cobra per la controffensiva, con dei semplici colpi di pistola. Il corpo a corpo si ballava sul ponte della Glorieux.
Pintel e Ragetti, tra proiettili volanti e fendenti, riuscirono ad arrivare alla santa barbara del veliero inglese, pronti ad accendere la miccia al mio ordine, mentre il carico d’avorio, stava riempiendo la pancia del Cobra.
Il capitano avversario, trovandosi con più di metà ciurma sterminata, chiese pietà; ero quasi deciso a concedergliela, se non scorsi uno dei suoi uomini che, concorde con lui, era pronto a colpirmi di spalle. Scossi il capo e alzai gli occhi al cielo – che gioco scorretto! – ghignai ironico, togliendomi svelto da quella traiettoria, sbilanciando lo stolto che a causa di un mio sgambetto, forse troppo azzardato, ma più che dovuto, finì addosso al suo capitano. Entrambi avevano la spade sguainate, entrambi si trapassarono a vicenda; due in un colpo solo, niente male!
Scorsi con la coda dell’occhio il mio primo ufficiale, Lync, cha saliva a bordo del Cobra con l’ultima cassa del carico godurioso, sorrisi e presi una cima, pronto a tornare alla mia nave, danod l’ordine a Pintel e Ragetti di far saltare in aria quella fossa comune galleggiante.

Il botto fu assordante; l’odore di polvere da sparo, di legno bruciato, di morte ci invase le membra, ma il rum ci alleviò quelle colpe, mentre la nostra piccola goletta veleggiava lontano dal luogo dello scontro. La ciurma si diede alla pazza gioia con canti, balli, fiumi di liquore.
Non era che l’inizio della fine.

Un fischio, un tonfo sordo, bombe, cannoni. Sbattei a terra la bottiglia di rum che stavo bevendo, virai di bordo. La ciurma era troppo ubriaca per combattere, dannazione!
Unica via: la fuga. Via che mi attanagliava le viscere, mai ero scappato di fronte ad un attacco, di fronte ad uno scontro, forse quella sarebbe stata la prima volta, forse no.
Sussultai quando una palla di cannone mi sfiorò il volto e colpì una manopola della ruota del timone, ma rimasi concentrato.

- Uomini! – attirai la loro attenzione. Dei pirati che avevano appena saccheggiato un carico d’avorio, rimaneva ben poco: incredibile quanto il rum possa dare e quanto possa togliere. Davanti a me c’era un gruppo di topi impauriti. – Non vi chiederò più di quanto possiate dare. Vi siete battuti egregiamente pochi istanti fa, occorre un ultimo sforzo: per le vostre anime, per la nostra nave. Sguainate le spade, mano ai cannoni e tirate fuori il coraggio, insulsi scarafaggi. Non siete donnicciole, ma uomini del mare! Rispondete al fuoco! – urlai tutto d’un fiato. Un ringhio di incoraggiamento, l’unico modo di far muovere quei pelandroni timorosi, imbevuti di rum fino al midollo.

La nave nemica era un brigantino dalle vele bianche e lo scafo colore del blu profondo della notte, batteva bandiera pirata.
La battaglia fu sanguinosa, molti dei miei persero la vita nel corpo a corpo, eravamo rimasti in pochi. Il capitano nemico ordinò di nuovo di fare fuoco: il nostro albero maestro crollò, spezzato, come fosse un leggero fuscello.

- Alè, alè – incalzarono gli avversari.

- Rispondete al fuoco! – ordinai ai miei, ma fui colpito alla nuca e caddi a terra. Non riuscii a vedere la fine di quello scempio, tutto era buio attorno a me, ma sentivo le urla strazianti, disperate e poi venni avvolto dall’acqua. Ero circondato dal nulla, il mio corpo galleggiava inerme, abbandonato ad un vile destino: possibile fosse già giunta la mia ora?!

Non posso dire quanto rimasi in quelle condizioni, in balia del mare, delle sue onde; non posso dire esattamente quando mi ripresi, avevo bevuto parecchia acqua, ero quasi affogato. Dormii per giorni, forse settimane.
L’unica cosa che so, è che quando aprii gli occhi, i due omuncoli, Pintel e Ragetti, erano davanti al mio capezzale: eravamo pari.
- Ve la siete vista brutta, capitano – commentò con la sua solita, e a volte odiosa, ironia, Ragetti.

- Credo che potrei dire lo stesso di voi – replicai allo stesso modo, alzandomi da quella scomoda amaca, mettendomi a sedere. – Dove ci troviamo? –

- Diretti a Tortuga con la Tyrant – mi rispose Pintel.

- E il Cobra? – chiesi.

- Perduto, così come la ciurma – spiegò il grassottello.

- Davy Jones abbia pietà delle loro anime – commentò poi con l’amico.

Ero una vittima di un naufragio. Ero un sopravvissuto. 

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Capitolo 5
*** Possibilità di rivalsa ***


  Inanzitutto chiedo scusa per averci messo tanto a scrivere il quinto frammento, ma complicazioni sono sopraggiunte, gli esami universitari.         Ringrazio tutte le mie lettrici sia coloro che recensiscono come Cic, Fanny Sparrow      e Tetty ;)  sia coloro che leggono e basta :D .... Buona lettura!                   

             5. “Possibilità di rivalsa”

Tortuga, quale modo migliore per rinascere?
Da qui era iniziata la mia vita da filibustiere, da qui sarebbe ripartita.
I grazie erano d’obbligo verso la ciurma della Tyrant, un breve momento in cui la gentilezza venne a galla, dopodiché ognuno per la sua strada.

Ricordo che la Sposa non fu mai così tranquilla come quella sera. Le candele e le lampade ad olio davano un’ambientazione misteriosa, cupa e tutti i commensali, le cameriere e persino l’oste, erano riuniti attorno ad un tavolo, il mio tavolo per l’esattezza, nell’angolo più remoto della taverna.
Mi feci strada con Pintel e Ragetti al seguito finché non giunsi al fianco del muro; lì, mi appoggiai con la spalla sinistra, osservando dinanzi a me, l’attrazione della serata. Era un uomo piuttosto malridotto, il volto pieno di cicatrici così come le braccia; capelli lunghi e scuri, quanto il grande cappello che portava, un signor cappello per i miei gusti. Lo scrutai attentamente e lo ascoltai, stava raccontando una storia.
- Fuoco di bordata, cannoni, fumo e cenere. Una carneficina compiuta sulle acque al largo delle Bermuda, l’ennesima -. Parole sputate con forza, segnate dal dolore; fatti che mi erano familiari.
- Nel giro di un quarto d’ora la mia nave venne reclamata dalle profondità marine, i corpi inermi del mio equipaggio mi galleggiavano attorno, mentre le acque mi sovrastavano, ma mi salvai. Ognuno di voi deve sapere quanto male c’è in quelle acque, io dovevo raccontarvelo -.
- Credo che qua dentro, voi non siete l’unica vittima di naufragio – mi azzardai a dire incrociando le braccia al petto, guardandolo fisso negli occhi, rompendo il silenzio che si stava creando.
- Non lo metto in dubbio ragazzo, ma essere affondati da quella nave è diverso -.
- Dite? Eppure anche io, con questi due compari e il mio equipaggio, che ora riposa in pace, ho affrontato quella nave, ma non mi metto a raccontare storie come se fossi stato attaccato da un fantasma – feci notare pacato.
- La fleur du mal è il terrore del bacino del Mediterraneo – continuò imperterrito il vecchio, tenendomi testa, saremmo andati avanti per ore. – Fa parte della flotta del pirata nobile francese, Chevalle, ed è una delle navi più micidiali e potenti che vi siano in circolazione. Dovete ringraziare gli dei se, ora, vi trovate ancora vivo -.
- E’ il mio fato che ha voluto così – tagliai corto e facendo spallucce mi recai al bancone, mi sedetti su uno sgabello e mi servii, da solo, un buon boccale di rum.
- Yo ho, beviamoci su, come si suol dire – esclamò una voce alle mie spalle, i passi sempre più vicini finchè, quella figura, non si sedette di fianco a me. – Siete il primo che tiene testa al vecchi Joe, sapete? –
- Non mi stupisce – risposi dopo un lungo sorso – non vedo nessuno che abbia facoltà di farlo tra il suo pubblico, pendono tutti dalle sue labbra -.
Il mio interlocutore ridacchiò – Non posso darvi torto, quel vecchio è un ottimo oratore. La sua versione però l’ho sentita più volte, vorrei che mi raccontaste la vostra -.
- Perché dovrei? –
- Perché potrei aiutarvi -
- Non mi sembra di aver bisogno d’aiuto -.
- Tutti hanno bisogno d’aiuto -.
- E voi sareste un pirata? – lo sbeffeggiai dopo quell’uscita.
Dal canto suo, ghignò – qualche volta. Ora sono un uomo che sta offrendo aiuto ad un altro uomo, ma se quest’uomo in questione non mi rivela come sono andati i fatti, le possibilità di rivalsa di quest’ultimo, rimarranno vane -. Lo seguii nel discorso corrugando appena la fronte, pensieroso.
- Possibilità di rivalsa?! – mi grattai la barbetta, quel tizio non mi convinceva – chi siete voi? -
- Un capitano e qualcosa di più – si limitò a rispondermi – e voi? -
- Un sopravvissuto del destino – mi rivelai ed iniziare a raccontare quanto l’uomo voleva sapere e quanto ho già narrato nelle pagine precedenti, dall’attacco alla Glorieux al risveglio sulla Tyrant.


Ascoltò attentamente il mio racconto, sorseggiando la sua bottiglia di liquore, senza interrompermi, senza fiatare. Anche quando ebbi finito continuò a stare zitto, come se contemplasse il vuoto, mi limitai ad osservarlo.
- Ditemi, che ne sapete della baia dei relitti? – Lo guardai accigliato, non avevo mai sentito parlare di quel posto, il cui nome non prometteva nulla di buono.
- Niente – rispose pacato.
- E della fratellanza dei pirati nobili? -
- Quanto prima. Il primo che ha nominato i pirati nobili è stato il vecchio laggiù – gli indicai il vecchio Joe – ed ora voi. Chi sono questi pirati nobili? Ora c’è una piramide sociale anche tra di noi, uomini del mare? – era un po’ un controsenso in effetti.
- Ogni cosa a suo tempo, ragazzo. Ti basti sapere che il vecchio a cui hai tenuto testa fa parte di loro ed io pure -.
Alzai un sopracciglio, ma non mi scomposi più di tanto, mascherando la mia curiosità – un capitano e qualcosa di più – ripetei le sue parole, mi sorrise. – Sono Don Rafael, pirata nobile del Mar dei Caraibi -.
- Hector Barbossa, capitano e come ho detto prima, sopravvissuto del fato -.
- Bene Capitan Barbossa, richiamate i vostri due seguaci, vi attende un viaggetto -.
- Dove andiamo? -
- Incontro alla tua rivalsa -. 

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Capitolo 6
*** La baia dei relitti ***


 E rieccomi a voi con un nuovo frammento ;) scusate l'attesa.
Come al solito ringrazio chi legge e chi commenta. Buona lettura :D

                      6. “La baia dei relitti”
 

La Sea’s Amazon era una delle più belle navi che i miei occhi avessero mai visto: venti bocche da fuoco, tre alberi, il cassero alto con la cabina del capitano che si ergeva su due piani. Se avere una bellezza del genere tra le mani, significava essere un pirata nobile, corpo di mille diavoli! Dovevo capire come si entrava nel giro.

La nostra destinazione era il luogo il cui nome non prometteva nulla di buono: la baia dei relitti.
Tutta quella faccenda non mi tornava, l’unica gerarchia che vigeva, tra noi fratelli della costa, era quella che ogni nave possedeva: dal capitano al primo ufficiale, fino ad arrivare ai mozzi. Ed ora, tutto d’un tratto, ecco apparire i pirati nobili, chi diavolo erano e perché era così importante la faccenda del naufragio?
Curioso, bramoso di sapere ecco in che condizioni ero, ma lo tenni per me. Stetti sulle mie per gran parte del viaggio, a rimuginare sulle parole sentite alla Sposa e unendole ai miei ragionamenti, via, via tutto si faceva  più chiaro, ma non ero sicuro che quanto avevo unito poteva avere collegamenti logici, dopotutto ero estraneo alla faccenda. Mi grattai la barbetta, osservando il mare in contemplazione.

- Non vi ha mai detto nessuno che, un buon capitano, porta sempre un bel cappello con sé? – Riconobbi la voce gracchiante del vecchio Joe e non mi scomposi, voltandomi appena verso di lui, guardandolo con sufficienza.
- So cosa è bene per un capitano, non mi occorrono suggerimenti – commentai mellifluo.
- Non vedo il vostro – continuò insistente, ma calmo.
- Oh! Molto perspicace. Si dia il caso che i flutti oceanici abbiano preferito lui a me – continuai con lo stesso tono, un po’ più stizzito.
- Doveva essere più bello di voi allora, se Calypso lo ha preferito – ridacchiò. Lo guardai torvo e scossi il capo, molti uomini del mare erano così superstiziosi che, alla minima leggenda, credevano a tutto, banali! Soprannaturale, Calypso, quella sottospecie di nave fantasma, tutte storielle della buonanotte.
- Sono semplici storie di taverna, come la vostra, quelle che circondano il nome di Calypso. Semplici e banali storie di taverna, create per stupire i bambini e gli ingenui -.
Il vecchio, non convinto, si alterò appena –Tu credi che, un vecchio segnato dalle intemperie come me, sia un ingenuo? – esclamò poi, con falsa sorpresa.
- E’ probabile – risposi come se nulla fosse.
- Ma non possibile. Arriverai alla mia età ragazzo, arriverai a navigare oltre i confini della mappa prima o poi. Le storie di taverna racchiudono sempre un fondo di verità -.
- Non credo che la vostra esperienza mi faccia cambiare idea, vecchio – ribadii, dove voleva andare a parare? Vecchio pazzo!
- Cosa può dopotutto un vecchio pirata nobile? Eh! – fece con far teatrale. Sgranai gli occhi, ma appena feci per voltarmi per chiedere spiegazioni, il vecchio era come sparito.

Il viaggio durò meno di una settimana, le condizioni del tempo e del vento ci erano state favorevoli.
- Isola dei relitti a dritta di prua – urlò la vedetta a gran voce.
- Molto bene! Timoniere, virate di due gradi a tribordo, dobbiamo entrare nella baia centrale – ordinò Don Rafael. I suoi modi alquanto cordiali, che nascondevano una vena ironica nel suo tono, mi intrigavano, avevo molto da imparare da lui, giusto qualche dritta per ampliare il mio essere di accattivante gentiluomo del mare. Ghignai tra me e me, mentre osservavo il paesaggio che mi circondava: l’isola era per la maggior parte coperta da una folta vegetazione, insenature naturali si erano create sulla roccia dei promontori, che aprivano il passaggio verso la baia, di cui tanto si parlava.
La via era alquanto stretta, lo scafo della nave distava pochi metri dalle pareti rocciose, così come i pennoni degli alberi, ma nessuno sembrava preoccuparsene.
- Capitano, guardate – con voce balbettante, stupita, Pintel mi indicò quello che si ergeva dinanzi a noi: un cimitero di relitti, ammassati l’uno sull’altro, che formavano una sottospecie di torre di Babele piratesca. Lo scuro del legno in contrasto con il colore limpido dell’acqua e la luce delle lampade ad olio, che illuminava non solo la sera, ma anche la struttura.
Non avevo mai visto nulla di così possente ed elegante in tutta la mia vita, tanto che ne rimasi incantato.
- Benvenuto alla baia dei relitti, giovane capitan Barbossa – esclamò, con la sua solita voce gracchiante, il vecchio Joe, mentre mi posava sulla testa quello che era il suo cappello. Mi voltai a guardarlo con aria interrogativa, togliendomi dal capo quell’enorme cappello nero, che tanto bramavo.
- Non vi ha mai detto nessuno che, un buon capitano, porta sempre un bel cappello con sé? – domandai con fare ironico e un ghigno dipinto sul volto, citando le sue stesse parole di qualche giorno prima. Dal canto suo lui ridacchiò e mi batté amichevolmente la mano sulla spalla. – Tuscè – commentò sorridendo – non è bene però tenere un discorso, davanti al consiglio, senza cappello – puntualizzò, accarezzando il suo nuovo, ma comunque trasandato, copricapo, proveniente da qualche vecchio armadio.
- Solitamente non accetto regali da parte di sconosciuti – lo apostrofai sarcasticamente – ne tanto meno tengo discorsi, così su due piedi, giusto perché l’ha richiesto qualcuno -.
- La tua versione dei fatti occorrerà per mettere a freno l’arroganza di Chevalle, che ti piaccia o meno, la esporrai alla fratellanza e per quanto riguarda il cappello, non fingere che non ti piace, conosco quello sguardo, giovanotto -.
Feci un sorriso tirato e mi rimisi quel gioiello, nero come la pece, in testa, mi sentivo completo; ora però, tenere un discorso davanti ai pirati nobili, io, un semplice capitano? Sapevo come incoraggiare una ciurma, quello era vero, ma come fare a convincere il gruppo della fratellanza, parlando di un semplice attacco con annesso un naufragio? Dopotutto, colui contro il quale dovevo puntare il dito, era un loro compagno!
- Non so quanto un semplice capitano possa combinare, ma vedrò di sfruttare le mie capacità – di certo non mi tiravo indietro, era un modo per ampliare le mie doti di buon oratore.
- Se mi hai tenuto testa in taverna e se ora indossi quel cappello, puoi fare molto ragazzo – esclamò alquanto fiducioso il vecchio. – Siamo prossimi all’attracco, preparati – commentò poi.

Non avevo mai visto così tante navi, quelle attraccate lì, erano il doppio di quelle che ospitavano i maggiori porti, in cui avevo fatto scalo; ognuna con una caratteristica diversa, ognuna signora dell’oceano.
- Ammainate le vele e gettate l’ancora, oziosi topi di sentina! – ordinò a gran voce Rafael – si scende! -. 

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Capitolo 7
*** E' capitan Jack Sparrow ***


 
Ed eccomi qui con il settimo frammento :D Ancora grazie a FannySparrow che recensisce ogni volta ;) e a tutti i lettori. Yarr Ahrr! E al prossimo capitolo. Buona lettura, gente.


               7. “ E’ Capitan Jack Sparrow”

Il fulcro centrale, dove era solita tenersi la riunione della fratellanza, era quell’ammasso di navi, che formavano una sorta di torre. L’accesso ad essa avveniva tramite cunicoli sotterranei, o meglio sottomarini, dato che la maggior parte del passaggio si trovava sott’acqua. Ogni molo aveva il suo accesso: l’entrata era garantita da alcuni oggetti, che i pirati nobili mostravano ad un energumeno, posto da guardia, delle sottospecie di portafortuna, a mio parere delle cianfrusaglie.
I cunicoli erano dei complessi costruiti con vetro e legno, il primo componeva tutta la parte superiore, l’altro la restante, il tutto era illuminato dalla luce fioca delle lampade ad olio; era grandioso camminare sott’acqua, respirando e rimanendo all’asciutto!

Ragetti e Pintel passarono tutta la marcia a discutere sulla profondità in cui ci trovavamo, mentre io mi limitavo a guardare intorno, come a studiare quel luogo.
- Ancora più in basso e baceremmo direttamente il fondale – grugnì Pintel, mostrandosi più duro di quanto, in realtà, provasse.
- Per lo meno siamo sott’acqua e respiriamo. E’ un’innovazione! – commentò tranquillo Ragetti.
- Innovazione un corno! Se qui cede qualcosa, basta un niente e saremo tutti prigionieri dell’abisso -
Roteai gli occhi, stufo di quella lamentela – Si direbbe che avete paura, mastro Pintel – commentai ovvio.
- Capitano … io … ecco – balbettò appena.
- Vediamo di proseguire senza troppe chiacchiere e se mai dovessimo incappare nel peggio, che tanto temete, affidarvi alle vostre capacità di buon nuotatore, vi darebbe un vantaggio sulle profondità -.

Camminammo per una buona mezzora, prima di giungere ad un’ampia sala: lunga, ma alquanto stretta, illuminata con enormi lampadari adornati con candele di svariate misure, al centro e con dei candelabri, di medie dimensioni, ai lati. Un lungo tavolo in legno scuro e decorato occupava gran parte della sala e ospitava ben nove sedie, tutte occupate tranne tre.
Prima di accomodarsi, Don Rafael e il vecchio Joe, conficcarono le proprie spade in un grande mappamondo all’ingresso della sala, ad indicare il luogo del loro dominio e il fatto che erano arrivati i pirati nobili del mar dei Caraibi e del mar Caspio. Entrambi si sedettero l’uno accanto all’altro, occupando le sedie vuote, mentre a noi altri toccava stare in piedi, come agli altri membri delle ciurme.
Studiai attentamente ogni singolo componente di quel consiglio, senza capire che avessero di così tanto nobile: erano semplici capitani con qualche, o parecchi, anni in più di me!

D’un tratto, passi decisi ruppero quel silenzio e distolsero la mia attenzione: un uomo alto, con un’andatura barcollante e dei dreadlock castano scuro, scendeva le scalette sul fondo della stanza e si avvicinava verso di noi; dietro di lui, la sua copia più giovane con la stessa andatura, portava un enorme libro, che appoggiò con malagrazia sul tavolo, venendo fulminato con lo sguardo, da quello che teoricamente doveva essere il padre.
- Siete giunti fin qui dai più svariati mari della terra ed è mettendo il codice a vostra disposizione che, io, capitan Teague, dichiaro aperto il secondo consiglio della fratellanza -.
E così quello era il famoso codice di Morgan e Bartholomew, la faccenda si faceva interessante. Teague si sedette sull’unica sedia rimasta vuota, mettendo mano ad una chitarra e iniziando a suonare una dolce melodia di sottofondo, mentre il ragazzo, che stava con lui, si appoggiò con le spalle al muro, studiando tutti i presenti, soffermandosi su chi vedeva per la prima volta, sottoscritto compreso; l’avrei freddato con lo sguardo, se le parole di Rafael non avessero colto la mia attenzione.
- E’ solo una questione di accordi e chiarimenti – prese la parola il pirata nobile dei Caraibi, alzandosi in piedi – di questi tempi, chi è incappato nelle acque a nord delle Bermuda, ha pagato con la propria nave o peggio, con la propria vita. Mi chiedo quindi se è diventato reato, attaccare e conquistare merci e navi mercantili francesi, se poi si viene affondati da una nave pirata della medesima nazionalità -.
- Che cosa volete insinuare, Rafael?! – esclamò punto sul vivo, Chevalle, con la sua cadenza francese e la sua r moscia.
- Insinuo, mio caro buon capitano, che una delle vostre navi e per giunta la più possente della vostra flotta, la Fleur du Mal, stia impedendo a pirati di ogni sorta, di arricchirsi a spese francesi -
- E’ una menzogna, sacrable! –
- Sembrate punto sul vivo, Chevalle, avete forse la coda di paglia? – intervenne il vecchio Joe sorridendo nel notare, lo sguardo di Chevalle, spostarsi verso di sé, facendo poi una piccola, ma alquanto ironica, riverenza con il capo. Tra i due non era mai scorso buon sangue, le molte razzie che Joe aveva compiuto nel Mediterraneo, a danno francese e con l’aiuto dello spagnolo Villanueva, avevano mandato su di giri Chevalle, che aveva giurato di vendicarsi, in seguito ad una sconfitta subita.
- Sempre ad oscurarmi, eh! Monsieur Joe? – sputò a forza quelle parole.
- Oscurarvi?! – si finse sorpreso – no di certo! Avete fatto tutto voi, stavolta -.
- Per quanto hanno visto i miei occhi e per quanto ha affrontato la mia pelle, la Fleur du Mal affondava navi per il semplice gusto di farlo. Non era guidata da particolari ordini, al suo interno vigeva l’anarchia – presi parola, sentendomi gli occhi di tutti puntati addosso, non ci feci più molto caso, ero lì per parlare, quello era il momento adatto; osservai Chevalle notandolo tentennare, a quanto pare avevo toccato un tasto dolente. Il francese mise mano ad una carta da gioco stropicciata, che portava nella manica e la gettò sul tavolo.
- Il gioco d’azzardo vi prosciuga l’anima signori miei, così ha fatto con la mia, ma non vedo come, le parole di un semplice ragazzo, possano reggere il confronto con le mie -.
Sia Don Rafael che il vecchio Joe cercarono di prendere le mie difese, ma fui più svelto di loro, incrociai le braccia al petto e guardai il mio avversario negli occhi, ghignando – Sono semplicemente più nobile di voi – dissi molto tranquillamente, notando l’ira crescere sul volto del francese.
- Ma davvero?! – commentò sarcastico Chevalle sul punto di scoppiare – io vedo davanti a me uno sfacciato, che si crede più grande di quello che è in realtà -.
Ridacchiai – avete buon occhio, senza dubbio – commentai. Lo stavo facendo arrabbiare e non poco, chissà se anche i pirati nobili scatenavano risse! Ghignai.
- Orsù, dunque in cosa vi ritenete più nobile del sottoscritto? -
Volli osare, osservando uno per uno quei nove suddetti signori dei mari – Oh! Ma io non mi ritengo soltanto più nobile di voi, Chevalle, ma di ognuno dei presenti -. Le mie parole suscitarono ampio scalpore, si alzò un vociare, tanto che molti mi vollero sparare, ma non mi scomposi.
- Hai un po’ esagerato ragazzo, non trovi? -
- Sto solo facendo il vostro gioco Joe, avete detto che potevo tenere un discorso, lasciatemi fare -. Il vecchio sorrise così come quel ragazzo dall’andatura ciondolante nell’angolo, credo colpito dalla mia sfacciataggine; coloro che invece non si scomposero furono Teague e Rafael, poco male, non erano poi loro i diretti interessati. – Ho tenuto testa a quella nave abbandonata da Dio senza temere la morte, affrontandola a testa alta dopo un altro scontro, finché i flutti del mare non mi sovrastarono. Sono poi incappato nel vecchio Joe e in Rafael e sono venuto a conoscenza dei pirati nobili; da quel momento mi sono domandato chi fossero, che cosa avessero compiuto, per ritenersi tali, ma di fronte a me trovo solo un branco di caproni, che non sanno ammettere le proprie disgrazie, come voi Chevalle, o che se ne stanno seduti in panciolle, aspettando il resoconto di qualcun altro, per puntare il dito contro lo sfortunato di turno. Non so voi, signori, ma io ho preso la mia decisione, quella nave va fermata -.
- E con quale nave di grazia? -
- La mia – si alzò Rafael.
- E la nostra – una giovane voce enne dal fondo della sala, il figlio di Teague aveva preso la parola, facendo strabuzzare, per un attimo, gli occhi del padre.
- Non essere troppo avventato, ragazzo – lo ammonì il vecchio Joe.
- Lui lo può essere e io no? – sorrise mellifluo indicandomi.
- Io so quello che faccio – ribattei.
- Anche io amico, hai davanti la futura leggenda dei Caraibi -.
Lo guardai alzando un sopracciglio – Si, certo. Muoviamoci, signor leggenda -.
- E’ capitan Jack Sparrow – precisò.
- E’ uguale, non ha importanza adesso – cercai di tagliare corto.
- Io ho sempre importanza -.
- No, direi di no. Apprezzo l’appoggio, ma bando alle ciance Sparrow, dobbiamo affrettarci -. Non so come spiegare quanto quel battibecco mi suscitò: un misto di simpatia e antipatia, non rabbia, non disaccordo, come se avessi molto in comune con quel buffo ragazzino, ma non vi feci caso, avevamo una nave da fermare. 
 

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Capitolo 8
*** Pirati nobili, viaggi, una perla e capitan Jack ***


Holà! Scusate l'attesa, ma eccomi qua con un nuovo capitoletto :) In questo capitolo personaggi vecchi e nuovi faranno la loro apparizione quindi non mi resta che augurarvi buona lettura ;) Spero recensirete in molti. Alla prossima... Ahrr!!
Ile.

 

8."Pirati nobili, viaggi, una perla e capitan Jack"

Riportammo una notevole vittoria sulla Fleur du Mal, che colò a picco dopo un attacco incrociato della Amazon e del Barnacle. Sparrow si poteva considerare un capitano a metà, oscurato dalla figura di Teague che dettava ordini a destra e a manca, essendo lui il capitano per eccellenza di quella nave, ma nonostante ciò, quel ragazzino iniziava a spianarsi la via.

Dopo quello scontro non vidi più quel buffo ragazzo dall'andatura ciondolante per diversi anni, finché la notizia di quanto aveva fatto non mi giunse all'orecchio mentre ero in viaggio, con il vecchio Joe, sulle coste del mar Caspio.
- Hai sentito l'ultima, Hector? - mi battè sulla spalla il vecchio pirata, mentre governavo il timone. - A quanto pare il giovane Sparrow ha disertato le file della Compagnia delle Indie -.
Aggrottai la fronte, osservando Joe un pò stranito, poi capii. Quel barcollante ragazzino aveva fatto la mia stessa scelta, molto onorevole da parte sua, essendo figlio del custode del codice. - Strano che un capitano del suo calibro abbia scelto quella via - commentai sarcastico - come lo sapete? -
- Voci di taverna - sorrise sardonico - il tutto è avvenuto qualche giorno fa, diamo il tempo alle storie di volare di bocca in bocca, di taverna in taverna, dalla cara vecchia Inghilterra a questa landa desolata -. Alzai gli occhi al cielo, non potendogli dare tutti i torti - e quindi, quali sarebbero queste voci? -
- Corsaro al servizio della compagnia, trasportava merci per conto di un certo Beckett dalle coste inglesi a quelle caraibiche, ma non era al corrente di quanto conduceva a bordo - feci una faccia alquanto interrogativa a quell'uscita, come era possibile non esserne al corrente?!? - Fino a poco tempo fa, quando scoprì che, quel carico, altro non erano che schiavi neri; li liberò e decise di affrontare il suo destino -.
- Molto onorevole da parte sua - commentai ironico, ma credo che lo avrei fatto anche io.
- Già, un vero peccato che ora la sua nave sia stata affondata da Beckett medesimo, lui marchiato a vita come pirata e prigioniero in attesa del cappio -.
- Oh! Pace all'anima sua, quindi - feci spallucce.
- Un vero peccato però, sarebbe stato un ottimo pirata - esclamò Joe un pò rattristato - ma non crogioliamoci nel dolore, da queste vele si può ottenere di meglio, vira di due punti verso dritta, si torna ai Caraibi -.

Durante quel viaggio non appresi solo della sfortunata sorte di Jack, ma anche la storia riguardante i pirati nobili. Otto pezzi da otto, quando i partecipanti al consiglio sono nove, per ingannare gli esterni forse, o chi lo sa?
Nobili per fama, per azioni, razzie e saccheggi, ben riusciti in alcuni territori: dal mar dei Caraibi all'Estremo Oriente.
Prima di morire il pirata nobile passava il suo pezzo da otto a chi riteneva più opportuno e la storia si ripeteva: il successore si sarebbe dovuto distinguere a sua volta, per mantenere alto il dominio e la fama.

Cinque anni passarono tra scorrerie e scorribande in lungo e in largo, anni in cui ogni nave che incontravo, non mi suscitava nemmeno il minimo interesse per prenderla come capitano; l'attesa si faceva lunga, quasi asfissiante, fino al giorno in cui vidi lei.
Un mercantile nero come la notte, con tre alberi e lo scafo intagliato nell'ebano scuro; le vele nere anch'esse erano baciate dalla brezza marina e si muovevano appena, ammainate nell'oscurità. La polena presentava una sirena intagliata e la cabina del capitano, a poppa, aveva ampi finestroni. Nessun nome sullo specchio di poppa, misteriosa. Un solo sguardo e quella signora nave mi solleticò le viscere; dovevo partire con lei, doveva essere mia.
Pintel e Ragetti mi avevano già preceduto alla Sposa Devota, dove quella sera si ingaggiavano uomini. Entrai e li raggiunsi, nonostante non avessi più una nave, continuavano a chiamarmi capitano e questo mi faceva onore; mi stravaccai sulla sedia, beandomi della musica di sottofondo e sgraffignando un boccale di rum dal vassoio di una cameriera, sorseggiandolo.

- Da bere per tutti oste! Mi arruolo con capitan Jack Sparrow - esclamò un tizio di colore, con dei dreadlock alquanto lunghi. Lo osservai studiandolo, sussultando a quel nome. Jack Sparrow, il ragazzino barcollante, era dunque scappato alla forca e dalle grinfie inglesi? Stupefacente! Feci una smorfia, scettico e mi alzai, cauto, avvicinandomi al tavolo degli ingaggi.
- Noto, che ne hai fatta di strada dalle prigioni inglesi - commentai una volta sicuro che, quello davanti a me, fosse Sparrow, lui si voltò e mi sorrise con la sua classica espressione: sorriso a ventiquattro carati.
- Noto, che le voci della mia dipartita nella compagnia delle indie orientali, sono giunte anche al tuo orecchio eh! Hector! -
- Non mi spiegherei questa coda - indicai la moltitudine di uomini, almeno una trentina, in fila di fronte al tavolo.
- Sono il capitan jack Sparrow, che ti aspettavi? - sorrise sicuro di sè.
- Semplicemente, quattro gatti - commentai saracstico, ma non mi diede retta, continuando a ghignare, con l'aria di chi la sapeva lunga; lo studiai, alzando un sopracciglio - avanti Sparrow, sputa il rospo, qual è la natura dell'impresa? -
- Tia Dalma -
- La sacerdotessa voodoo?! - chiesi, ne avevo sentito parlare, ma ne conoscevo ben poco.
- Esattamente, lei - mi assicurò. - Sta facendo riunire, per la terza volta, il consiglio della fratellanza e visto che, la scorsa occasione, hai suscitato molto scalpore, perchè non ti aggreghi alla mia ciurma? -
Lo osservai con un sopracciglio alzato, stupito da quella proposta, grattandomi la barbetta. - Ovviamente l'invito è aperto anche verso gli omuncoli che ti porti appresso - gesticolò.
- Dovrei chiamarti capitan Sparrow, quindi? - commentai con un tono di voce misto tra lo sprezzante, l'invidioso e l'ironico; un ragazzetto da quattro sodi capitano! Scossi appena il capo.
- Per gli amici capitan Jack - mi sorrise bonario.
- Essia - accettai quella proposta, dopotutto avevo bisogno di una nave, chissà quale aveva tra le mani quel ragazzetto? - A patto che possa impartire ordini anche io e timonare la nave -
- Mi mancava giusto il primoufficiale - convenne Jack.

Da capitano a primoufficiale, che degradazione! Ma lo sentivo, mi sarei riscattato.

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Capitolo 9
*** Una perla nelle acque dei relitti ***


Rieccomi qui a scrivere, scusate l'attesa, ma sono stata via per una decina di giorni. Grazie a FannySparrow per la recensione al capitolo precedente e come la solito grazie anche a chi legge.
Questo frammento è alquanto breve, ma a parer mio molto diretto, è il primo contatto che Hector ha con la Perla e spero che vi susciti le stesse emozioni che provo io a rileggere questi brevi passi.
 Non mi resta che augurarvi buona lettura, spero recensirete in molti.
Ossequi, Capitan Ile.     

 

        9. “ Una perla nelle acque dei relitti ”
 

L’arruolamento andò per le lunghe, ci incamminammo verso il porto alle prime luci dell’alba tutti mezzi ubriachi, Jack con la sua classica andatura barcollante ed io, l’unico sobrio, nonostante mi fossi scolato un paio di bottiglie.
Sparrow apriva le fila verso quella che doveva essere la sua nave, deciso, nonostante facesse fatica a reggersi in piedi, poi eccola là, davanti a me: la signora dell’oscurità.
Ci fermammo, di sicuro la nave dell’omuncolo con i dreadlock non poteva essere quella, non lo rappresentava, ecco! Di certo, la sua era ormeggiata ad un molo vicino.
- Gente! – Jack attirò l’attenzione su di sé, incespicando su un’asse fuoriposto del molo – vi presento la Perla Nera – gesticolò in maniera alquanto teatrale. – Ed ora muoversi! Portate merci, provviste e quant’altro di quel genere a bordo, hop, hop! -
Guardai prima lui poi la nave, strabuzzando gli occhi incredulo, mai avrei creduto che una nave del genere, così possente, così… meravigliosa, potesse appartenere a… ad un capitano con poca classe e cervello altrettanto.
- Sorpreso Hector? – mi chiese sorridendo ampliamente.
- E perché mai? – chiesi arricciando appena il naso.
- Mah! Forse perché quella nave è la nave più veloce dei Caraibi e, suddetta nave, appartiene a me, comprendi?!? – si indicò, vantandosene.
- E’ ovvio che ti appartenga visto che ne sei il capitano – mi sorrise fiero – noto, che la Compagnia delle Indie ti ha portato fortuna, eh! Marchiato come pirata e capitano di una meraviglia. E’ stupefacente! – commentai sarcastico.
- Io direi che me la sono cavata, perché sono molto scaltro – ribatté.
- Semplicemente la fortuna ti ha sorriso – ridacchiai incamminandomi per il molo, nonostante tutto, fiero e contento di imbarcarmi su quella perla, di nome e di fatto.

Era la seconda volta che percorrevo quella rotta, ma stavolta non me ne stavo a guardare la rotta, il paesaggio circostante; stavolta il timone era in mano mia e la signora dell’oscurità solcava le acque del mar dei Caraibi incontro all’orizzonte, baciata dalla luce del sole mattutino, che faceva brillare le vele come fossero intarsiate con qualche pietruzza scintillante.
Sentivo vibrare il fasciame, la spuma dell’onda sulla mia pelle, sul mio volto; al timone di quella nave ero tornato a sentirmi vivo, un tutt’uno con essa e con il mare: un capitano nonostante il mio ruolo, lì, da primo ufficiale.
- Se il vento continua a favorirci, arriveremo alla baia dei relitti in meno di una settimana – commentò Jack, giunto al mio fianco.
- Tre giorni, secondo i miei calcoli – ribadii seccato da quell’interruzione, mentre lui prese a camminare barcollante, avanti e indietro, per il cassero: era alquanto asfissiante!
- Jack se vuoi prendere il timone, non ti resta che chiederlo – commentai ovvio, osservandolo di sottecchi.
Alzò un sopracciglio, sentendosi colto sul fatto – Timone? Chi ha parlato di voler prendere il timone?! Te la stai cavando così egregiamente! – fece il vago.

- Il ronzio di una mosca è meno fastidioso del tuo ciondolare avanti e indietro per il cassero. Credimi, fai prima a chiedere, o meglio ad ordinare, perché io non ho intenzione di staccarmi da  qui -.
Il viaggio continuò con qualche battibecco tra me e il suddetto capitano, ma alla fine, quando arrivammo alla baia, gli concessi il privilegio di condurre la sua adorata nave fino all’attracco, per non sminuirlo troppo. Io me ne stavo a prua, guardandomi intorno e sorrisi nel notare le navi di Rafael e del vecchi Joe, l’Amazon e l’Old Roger.

Una volta attraccati e calata la passerella, Jack scese dal cassero di poppa, ciondolando più del solito. – Bene, signori, andiamo tutti – esclamò gesticolando.
Sgranai gli occhi a quell’uscita – Starai scherzando spero – lo rimbeccai – sono concessi, minimo, una decina di uomini per ciurma là dentro e tu, Jack, lo sai benissimo! –
- Certo che lo so, come se tu non lo sapessi e suddette pecore nere non lo sapessero- . Alzai gli occhi al cielo, mi davano i nervi i suoi giri di parole, meglio essere sempre diretti – come se non sapessi che vuoi mostrarti agli occhi di Teague come capitano di una ciurma numerosa, eh! – incrociai le braccia al petto, sapendo di essere in piena ragione e infatti, quando il giovane Sparrow sospirò rassegnato, sorrisi ampliamente. Stavo imparando a conoscere a fondo quell’uomo e questo giovava alla mia causa.
- Pintel, Ragetti, Koheler, Twigg, Hector e voi altri tre, con me, si scende; tutti gli altri a riassettare la nave, la voglio pronta per ripartire -. 
 

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Capitolo 10
*** un nuovo pirata nobile e la sacerdotessa voodoo ***


 E rieccomi qui con un altro frammento, non ne mancano molti alla fine, ma vi annuncio già che ci sarà un continuo di questa storia :D .... Allora veniamo a noi. Molti fatti sono ripresi dalla storia di Hector su potc wikia, come il fatto che diventa pirata nobile di questi tempi, il fatto che è Tia Dalma ad incaricarli della missione che dovranno seguire, il tesoro e il lord delle tenebre. Altri fatti come il nome dell'alchimista o il cambiamento del pezzo da otto sono di mia invenzione, frutto come la struttura della baia dei relitti, della mia fantasia. Spero vi piaccia e buona lettura :) Recensite in molti!                        
                            
                                                                          10. “ Un nuovo pirata nobile e la sacerdotessa voodoo”


      Per chi non era mai entrato nella sala riunioni del consiglio della fratellanza, il passaggio suscitò all’animo diverse emozioni: dallo stupore al timore. Io proseguivo dritto, come se nulla fosse, per nulla toccato, come la prima volta; aprivo le fila con la mia andatura fiera al fianco di Jack, con la sua ciondolante camminata: due opposti che coesistevano.
Giungemmo alla sala e notammo, seduta a gambe incrociate al centro del tavolo, una donna e tutt’intorno a lei, i pirati nobili occupavano le rispettive posizioni.
- E io che, venivo sempre rimproverato, appena sfioravo il tavolo con il mio deretano – brontolò Jack incrociando le braccia al petto, mostrando un’aria alquanto offesa, alzai gli occhi al cielo non dandogli retta, osservando la ragazza in posa meditativa: aveva la carnagione scura e dei dreadlock alquanto lunghi, agghindati e del medesimo colore di quelli di Jack; labbra erano scure e aveva degli strani disegni circolari sulle guance e sul mento. Tia Dalma, la sacerdotessa voodoo, stava in uno stato di trance, muovendo appena le labbra, ma senza emettere alcun suono, come in attesa. Niente codice sul tavolo, solo Teague spaparanzato sulla sedia, a pizzicare le corde della sua chitarra. Fu il vecchio Joe stavolta ad aprire il consiglio, con mia enorme sorpresa, anche perché ancora non capivo quanto potesse contare la presenza mia e di Sparrow lì, feci spallucce, mi appoggiai al muro e feci orecchie da mercante.

- Benvenuti fratelli della costa a questo consiglio della fratellanza, il terzo per l’esattezza. Alcune questioni prenderemo in causa oggi, tra cui un’investitura -. In molti aggrottarono le sopracciglia, curiosi di vedere di che si trattasse, io per primo. – Sapete tutti quanto ho dato in battaglia, quanto mi sono spezzato la schiena per voi tutti, quanto mi sono sgolato ad impartire ordini. Con le mie imprese lungo le coste iraniane del Mar Caspio, ne sono diventato il pirata nobile, ma ora le mie ossa si stanno facendo via, via, sempre più deboli, così come la mia pelle. Ho altre rotte da seguire, più tranquille, sono nato pirata e morirò tale, non abbandonerò il mare, ma cederò il mio pezzo da otto a chi, in questa sala, ha ossa più forti delle mie e un carattere degno di seguire la rotta che io stesso ho tracciato -.

Ossa più forti delle sue, un carattere da capitano, Jack si sistemò i baffetti, quasi lisciandoseli per l’occasione, sicuro che si trattasse di lui, fiero e pronto. – Hector Barbossa – l’espressione felice e contenta sul volto di Sparrow si tramutò, con occhi sgranati, in incredulità, quando sentì il vecchio marinaio fare il mio nome. Io stesso ne fui stupito. – Vieni avanti, non fare il timido – ridacchiò Joe, io proseguii verso di lui, un po’ tentennante, ma onorato di ricevere tale passaparola. Lo raggiunsi e mi consegnò il suo pezzo da otto, la sua piccola cianfrusaglia: un bottone d’argento con incastonato una testa di leone. Alzai un sopracciglio, tutto qui? Lo presi e lo misi in tasca.
- Accolgo questo oggetto e questo ruolo con onore – dovevo pur dir qualcosa al mio pubblico e vedere Sparrow mangiarsi le dita per l’invidia, era gratificante. – Proseguirò sulla strada spianata da questa vecchia volpe e credetemi, sentirete spesso parlare di me – conclusi il discorso pubblico e appoggiai la mano sulla spalla di Joe – permetti un discorsetto a quattr’occhi? – sussurrai con tono che non ammetteva repliche.
- Più tardi, Hector, a concilio finito – mi assicurò. Annuii e tornai con la ciurma di Sparrow, che mi accolse con grida di approvazione e calorose pacche sulla spalla, tutti meno Jack, che mi si avvicinò guardandomi alquanto schifato.
- E’ la prima volta che un pirata semplice, un primo ufficiale, diventi parte della fratellanza, un pirata nobile – commentò contrariato.
- Invidioso?! – ghignai, utilizzando la sua stessa carta di qualche giorno prima; non ebbi risposta, solo una smorfia.

- Molte navi solcano i mari e altrettanti tesori essi nascondono – la sacerdotessa voodoo aveva spalancato gli occhi, vigile, iniziando a parlare in un sussurro, misteriosa narrante. – L’incolumità di uno di questi è segnata, il lord delle tenebre l’ha reclamata. Contro di lui e la sua armata agire dovrete, unendo le forze anche non le più liete. Una nave, nel cui futuro due capitani avrà, la fratellanza, come ammiraglia, guiderà -. Era sceso il silenzio e l’atmosfera si era fatta sempre più cupa, la luce soffusa delle lampade ad olio e delle candele illuminava appena i volti di ognuno di noi.
- Mostrate i fatti come stanno, strega – inveì lo spagnolo Villanueva.
- Una nave non avrà mai due capitani – borbottò, con voce ampia, Jocard, lo schiavo divenuto pirata.
- Uomini violenti, senza scrupoli, ma che non credono nel fato; alcuni superstiziosi, altri per nulla toccati – ghignò – capitan Sparrow, Barbossa! – ci chiamò ammiccante – il vostro fato vi unisce e vi separa, molto è scritto nel destino su di voi -.
- Finalmente qualcuno che riconosce la mia importanza – si vantò Jack – e cosa dice, a riguardo, il signor destino? -
- Ciò non ti è dato saperlo – lo stroncò, Jack grugnì in risposta, mentre io meditavo sulle parole dette dalla donna; non mi piaceva avere il destino già scritto e per lo più a contatto con quello di Jack, mi grattai la barbetta, il mio destino me lo sarei costruito da solo, al diavolo quelle dicerie voodoo.
- Ci avete tirato in causa solo per aggiornarci su una cosa, che possiamo conoscere solo in minima parte, quindi? – domandai scrutandola serio, lei sghignazzò, alzandosi in piedi sul tavolo e balzando giù da esso, non appena arrivata in mezzo a noi; maliziosa mi passò le unghie sotto il collo e mi stuzzicò la barbetta, un gesto alquanto piacevole, passando poi a fare lo stesso con jack, attorcigliando, attorno ad un dito, le treccine della sua barba.
- Vi ho tirato in causa perché sarete voi a guidare la spedizione contro il signore delle ombre -.
- La Perla non ha due capitani – precisò Jack, punto sul vivo.
- No, è vero – ghignò lei, con  l’aria di chi la sapeva lunga, dandogli ragione – ma proprio tu vuoi andare contro al destino? Come hai detto poco fa, è un qualcuno che riconosce la tua importanza – gli soffiò sulle labbra, gesto che lo fece rabbrividire alquanto. Patetico!
- Diamogli qualcosa, allora, capace di esaltare le mie qualità – lo fulminai con lo sguardo – le nostre qualità – si corresse a denti stretti.
- Di grazia, signora pescheria, cosa dovremmo affrontare? – chiesi sfrontato, diretto. Mi ero stufato di perdere tempo e lei mi sorrise, per nulla toccata da quel nomignolo.
- Esistono sette pezzi d’oro, nascosti ognuno su un’isola diversa, dall’Atlantico al Pacifico. Si circumnavigherà il globo per raggiungerli, in molti periranno, in molti vinceranno -.
- Ed è semplicemente per sette semplici pezzi d’oro che avete convocato la fratellanza, incantandoli teatralmente con le vostre dicerie? – ella mi scoccò uno sguardo truce.
- Non è semplice oro, Barbossa. Da soli non valgono più di qualche penny, ma insieme formano il tesoro delle ombre, in grado di spazzare via qualunque cosa voglia chi ne possiede lo spirito. La fratellanza è in pericolo, rischia l’estinzione. Un potente alchimista sta cercando questi pezzi per vendicare un torto subito in passato da alcuni dei componenti qui presenti. Dovete sbrigarvi e dovete essere uniti – esclamò poi cupa, rivolta a tutti i membri del consiglio, che, preoccupati, si affrettarono ad alzarsi, pronti a raggiungere le navi e riapprontarle per la partenza.
- Un’ultima cosa, dolcezza – le sorrise bonario Jack – chi sarebbe questa sottospecie di scienziato pazzo?! -
- Xavier Dumas -
I volti di Chevalle, di Joe, di Rafael e persino il mio, si fecero cupi. L’ex capitano del Fleur du mal era tornato; un po’ troppi ritorni dall’oltretomba stavano avvenendo a parer mio, sospirai. A quanto pare, per certi individui, l’inferno poteva attendere.

- Si potrà mai star tranquilli? – mugugnò Jack.
- Se volevi sentirti tale non avresti intrapreso questa vita, figliolo – ghignò il vecchio Joe.
- Un conto è avere nemici, l’altro è imbattersi in psicopatici pieni di rancore – ci tenne a precisare il ragazzo.
- Con il tempo imparerai a liberarti anche di loro. Piuttosto, Hector, che volevi dirmi? – Osservai prima il vecchio marinaio e poi Jack, notandolo curioso di sentire che avessi da dire, roteai gli occhi e mi avvicinai a Joe.
- A quanto so dei pezzi da otto sono dei portafortuna, degli oggetti significativi per i pirati nobili – l’uomo annuì – ebbene accetto il tuo come passaggio di testimone, ma chiedo di poterlo cambiare -.
- Come hai detto tu stesso, Hector, il mio è giusto un passaparola. Libero di agire e usare quel che meglio ti rappresenti -.

E fu così che scelsi il mio pezzo da otto, l’occhio di legno che io stesso avevo intagliato e che ora aveva Ragetti; non mi rappresentava appieno, ma faceva parte della mia vita, come uno dei primi segni della mia vita da pirata.
  

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Capitolo 11
*** L'oro delle tenebre ***


 Rieccomi con un nuovo frammento, forse il penultimo, forse il terzultimo, devo ancora decidere. E' piuttosto lungo, quindi armatevi di pazienza e leggete con calma; mi sono divertita moltissimo a scriverlo, scoprirete il perchè tra le righe.
Non ho precisazioni da fare, è tutto frutto della mia fantasia :) Buona lettura compari  

                11. “L’oro delle tenebre”

L’impresa si era presentata senza capo ne coda; il viaggio senza una meta precisa; non sapevamo cosa dovevamo cercare, dove dovevamo andare; nessuna mappa, solo sette oggetti d’oro dispersi ai quattro angoli della terra.

- Partire senza sapere la rotta, fermare una sorta di scienziato pazzo, salvare la fratellanza – ragionò Jack, mentre la ciurma terminava di riapprontare la nave sotto i miei ordini – una bazzecola, se sai da dove partire!!! – gesticolò le mani in aria, irritato.
- Oh! Ma tu sai da dove partire, capitan Sparrow! – commentò ammiccante Tia Dalma, apparendo alle sue spalle.
- E tu da dove spunti fuori?!? – sussultò.
- Spero per voi, signora pescheria, che non vogliate unirvi alla ciurma – mi intromisi io, seccato dall’apparizione della donna.
- Una donna a bordo porta male, conosco le dicerie marinaresche – mi si avvicinò, ad un soffio dalle mie labbra, accarezzandomi il petto – come conosco il vostro animo Barbossa, per nulla toccato da queste dicerie -. Mi diede una spinta, staccandosi da me e tornando a Jack – alla ricerca dei sette pezzi delle tenebre partirete e con questa  bussola li troverete – staccò la piccola scatoletta dalla cinta che aveva in vita e la porse a Jack, che la aprì senza troppe cerimonie.
- Non punta a nord – la agitò, ma invano: l’ago della bussola continuava a puntare verso di lui. La donna ghignò, mentre io sospirai, ci mancava soltanto una bussola rotta adesso!
- Punta in direzione della cosa che, il possessore, vuole di più a questo mondo – spiegò la strega.
- Stai scherzando?!? Donna voodoo… Dalma… Tia… E’ sul serio magica questa scatoletta? – chiese, cercando di mantenere la mente lucida, Jack.
- Quanto le mie parole – assicurò la donna – ti sarà utile, capitano, vedrai -.
- Ninnoli magici, parole… Possiamo almeno sapere cosa diavolo dobbiamo recuperare prima di Dumas? – sbottai impaziente, stavamo perdendo troppo tempo.
- I mari del mondo solcherete, alla ricerca di tesori di ogni specie: il sestante d’oro di Colombo; la coppa d’oro in cui, il dio Bacco, degustava il suo vino: la tessera d’oro del gioco del majong, appartenente a Sao Feng; il medaglione di Atena; il bracciale di Circe; la tiara della regina Aya e l’anello di Morgan. A voi non resta che i sette oggetti trovare, a me la fortuna da augurare -. Ridacchiò poi, sparendo come era venuta, avvolta da un fumo che odorava di incenso e spezie.

Il viaggio non fu dei più semplici ne dei più brevi; più volte ci trovammo ad affrontare gli uomini di Dumas, via mare o via terra, con la compagnia delle Indie Orientali alle calcagna.
La nostra prima tappa fu l’isola di Capo Verde. Meta: il centro della foresta, un vulcano spento. Eravamo in tre ad agire in quell’impresa: io, Jack e Sputafuoco Bill. Insieme ci arrampicammo su per quella montagna: l’odore di zolfo si poteva sentire nell’aria e ti impregnava le viscere, non appena ti affacciavi alla bocca della bestiolina dormiente. Ci calammo al suo interno, aiutati da una cima che agganciammo ad una roccia sporgente della parete vulcanica e proseguimmo, fino a tastare il terreno acquitrinoso formato da: ciottoli, acqua e lava spenta.
Il passaggio non era dei migliori, molti teschi ornavano il pavimento e le loro mani scheletriche indicavano di proseguire verso destra, come se fosse l’unica direzione possibile.
- Ci fidiamo di mani morte o anche del supporto di una bussola magica? – domandai sarcastico, scandendo scettico quelle parole.
- Di entrambi – sorrise Jack, barcollando spedito verso destra – indicano tutte e due la medesima direzione -. Eravamo entrati, senza accorgercene, nel labirinto della morte: cunicoli profondi, strade senza uscita, morti ad ogni angolo e al centro di tutto questo: la tiara della regina Aya, un diadema d’oro con incastonato, al centro, uno zaffiro.
Non racconterò tutto nei minimi dettagli però, devo lasciare spazio anche alle altre imprese, vi basti sapere che sono scampato alla morte e siamo usciti vivi per miracolo da quel buco infernale. Dopo aver afferrato la tiara, la terra ha iniziato a tremare e il supporto della cima ha ceduto, così risalimmo la parete rocciosa a mani nude, sotto il tremore sempre più forte.

Salpammo, nuova destinazione: Singapore.
Jack agì da solo in questa occasione. Nel quartier generale di Sao Feng, aveva due conoscenze alquanto intime, che lo aiutarono ad intrufolarsi nella sala del gioco. Tutto filò liscio, il furto passò inosservato, così credeva Jack, così credevamo noi.
Salpammo alla volta di Santa Cruz, ma appena al largo di Singapore, la Empress, la nave di Sao Feng, ci bloccò la via.
- Passato inosservato, eh! – brontolai, lanciandogli una frecciatina.
- Ci penso io, compare – agitò una mano come se avesse la situazione ben salda tra le mani, roteai gli occhi. – Sao Feng, ma che piacere! -
- Finiamola con i convenevoli, Sparrow. Rivoglio quanto hai di mio -.
- Di tuo? – alzò un sopracciglio – Amico, eppure hai partecipato al consiglio della fratellanza. Oh! Si, dimenticavo. La signora voodoo non ha ritenuto importante renderti partecipe a pieno dei fatti -.
- Jack, lo stai facendo irritare – gli feci notare ovvio, ma non mi diede retta finché una katana non gli sfiorò il cappello – Tutta a tribordo, Hector! – ordinò a gran voce, deglutendo a vuoto. Scappare via senza risolvere i problemi, scossi il capo, ma non gli diedi torto; in quella situazione combattere ci avrebbe indebolito e rallentato e, ciò, non giovava alla nostra causa.
Il vento ci era favorevole, distaccammo la Empress ed entrammo nelle acque del Pacifico.

- Cosa ci aspetterà sull’isola di Santa Cruz? – Jack si attorcigliò attorno ad un dito, una treccina della barbetta, pensieroso.
- Secondo me, riguarda il sestante di Colombo, visto che l’isola si trova a fianco di San Salvador – risposi pacato, poggiandomi al parapetto, al suo fianco.
- Com’è che tu sai sempre tutto? -
- Cosa c’è da sapere? Colombo è approdato sull’isola di San Salvador, Santa Cruz è ad ovest di quest’ultima, è logico che lì ci sia la proprietà del genovese -. E infatti avevo ragione, dopo tre buone settimane di viaggio, arrivammo sull’isola. La circumnavigammo finché quella dannata scatoletta ci indicò la direzione giusta da seguire.
Nell’impresa, a me e a Jack, si unirono Pintel e Ragetti stavolta; calammo in acqua una scialuppa e guadammo il fiume fino ad una piccola baia, non delle più invitanti. Sulle piccole spiaggette ai lati erano impalate, su alcune picche, teste umane: qualcuna appena mozzata, altre già in putrefazione.
- Ci toccano sempre luoghi allegri e pittoreschi, eh! – commentò ironico Jack, deglutendo a vuoto, passandosi una mano sul collo, come ad assicurarsi di aver ben salda la testa.
- Che ti aspettavi? Petali di rosa cosparsi a terra al tuo passaggio? – sospirai.
- Non sarebbe stata una cattiva idea -.
proseguimmo fino ad un’enorme cascata e scendemmo a terra, prendendo alcune torce che avevamo portato con noi per l’evenienza, proseguendo a piedi all’interno di essa.
Fu difficoltoso accendere la fiamma delle due torce, l’umidità non aiutava, ma alla fine ci riuscimmo e continuammo il cammino. L’ago magnetico puntava verso la profondità della grotta, un nuovo cimitero. Lance, spade, qualche moneta e molti scheletri occupavano quella sala e tra tutte queste simpatiche persone, lo scorsi: il sestante stava tra le mani di uno scheletro con i vestiti sbrindellati. Mi avvicinai e osservai gli altri.
- Avanti Hector, un colpo secco – disse Jack serio, raramente lo vedevo così; annuii e con uno strattone strappai lo strumento dalle mani del cadavere.
Con nostra grande sorpresa non accadde nulla: nessun tremolio della terra o cose simili. Sospirammo di sollievo e a passo svelto ci avviammo all’uscita.
- Ma era veramente Colombo quello scheletro? – chiese Pintel, grattandosi il capo, una volta sulla scialuppa.
- No. Messer Colombo giace sull’isola di San Salvador – precisò Ragetti.
- Com’è che sai sempre tutto tu? – grugnì, mentre io avevo l’impressione di aver già visto quella scena.

In circa due settimane e mezzo, raggiunsimo la nostra quarta tappa: la Martinica.
Isola a cui molti marinai erano devoti, isola che nascondeva ricordi e passioni. Vi erano passati tutti da qui: soldati, marinai, pirati e tra questi ultimi, spiccavano nomi importanti come quelli di Barbanera, Bartholomew Roberts e Morgan. Il quarto pezzo che stavamo cercando era, infatti, l’anello d’oro di quest’ultimo.
Jack lasciò la serata libera alla ciurma, dopo mesi di navigazione, rifocillare le membra nel migliore dei modi era d’obbligo, l’avrei fatto anche io, preferendo un buon boccale di rum e la compagnia di qualche donzella di turno a quella di Sparrow, ma mi vidi costretto ad accompagnarlo, sia per suo ordine, sia per mia curiosità.
Ci lasciammo alle spalle la cittadella e proseguimmo lungo un sentiero che si addentrò, per un tratto, nella boscaglia, per poi arrampicarsi sulla collina. Continuammo a camminare finché la via ci portò dinanzi ad un eremo.
- Dobbiamo entrare là dentro – esclamò Jack seguendo le indicazioni della bussola.
- Anche se bussasti gentilmente alla porta, non credo ti farebbero mai entrare, conciato così – feci notare, lui ghignò. – E’ qui che viene il bello -.
- Ah, no! Scordatelo – agitai le mani, non avevo la minima intenzione di prendere i voti nemmeno per brevi istanti.
- Suvvia, Hector, non fare il timoroso e segui chi ha già esperienza sul campo -.
- Ti sei già travestito da ecclesiastico quindi? – chiesi alzando un sopracciglio, sorpreso.
- Una volta, in un convento spagnolo, storia lunga -.
Entrammo nella piccola casetta lì a fianco, un piccolo rudere, ma aveva quello che faceva per noi: due ampi sai marroni e dei sandali. Jack si tolse il cappello, gli stivali, giacca e camicia e si rivestì, io lo guardai contrariato.
- Dio! Perché mi hai costretto a seguirti? – brontolai, scuotendo il capo, seguendo poi il suo esempio, mettendomi quella sottospecie di sacco addosso.
- Occhio a non imprecare troppo, sei in veste sacra! -
- Mi limiterò, allora, a fulminarti con lo sguardo -.
Una volta pronti, ci recammo all’ampio portone del monastero, con il cappuccio ben calato in testa. Jack bussò e una voce profonda rispose quasi subito – chi bussa a quest’ora della notte? -
- Viandanti! Siamo dei monaci pellegrini alla ricerca di asilo per la notte -.
Non ci si credeva, ma quella banale scusa ci aveva fruttato non solo l’entrata, ma anche un buon piatto caldo. Eravamo finiti in un convento di monache ed ora che ci pensavo meglio, dovevano essere le stesse che avevano preso in custodia Morgan, quando questi era stato gravemente ferito in battaglia.
- Fratello jack, fratello Hector, una piccola cella vi è stata preparata per la notte -. Cella!?!? A quella parola trasalimmo entrambi, guardandoci, Jack con la bocca ancora mezza piena; presi parola – non preoccupatevi sorella, credo che fratello Jack e io passeremo la notte a rifocillarci lo spirito a contatto con l’eterno, non so se mi spiego -.
- Vi spiegate benissimo – sorrise la donna, acconsentendo. E fu così che la nostra ricerca incominciò.
Le monache erano andate a dormire e le uniche luci nel monastero erano quelle della cappella, dove, teoricamente, dovevamo rimanere. Jack prese la sua bussola, la aprì e questa puntò in direzione dell’altar maggiore; lo superammo e finimmo dietro al coro. Qui vi era una piccola teca in vetro e legno, posta sotto un dipinto della Vergine; dentro di essa vi erano svariati ninnoli tra cui un anello completamente d’oro, con inciso sopra un serpente, che era quello che cercavamo.
Passai il mio pugnale a Jack e gli coprì le spalle; lui forzò la teca, aprendola senza il minimo rumore, afferrando non solo l’anello di Morgan, ma anche un altro lì a fianco, richiuse poi il tutto come se nulla fosse e mostrò un sorriso a ventiquattro carati al quadro della madonna.
- Ora che si fa? Questo saio prude! – mi lamentai, grattandomi braccia, petto, gambe.
- Ora ci caracolliamo fuori, sicuri e lenti, per una passeggiatina al chiaro di luna – sorrise bonario lui, incamminandosi con la sua solita e ciondolante andatura. Non trovammo alcuna difficoltà, tramortimmo la monaca guardiana e uscimmo dal monastero, camminando fino al rudere, dove avevamo lasciato i nostri effetti, cappello e vestiti. Ci guardammo intorno e poi via, giù a perdifiato dalla collina fino alla cittadella.
- Non una parola di questa storia, Jack -
- Non una parola, Hector -.

La nostra quinta tappa fu Tenerife, una delle isole più grandi e belle delle Canarie. Entravamo da qui in contatto con la mitologia greca; i tre pezzi mancanti riguardavano, infatti, quel mondo: materia che mi aveva sempre affascinato.
stavo al timone quando attraccammo sull’isola, era primo pomeriggio e la maggior parte della ciurma faceva la siesta sul ponte o sottocoperta. Jack se ne stava sul castello di prua pensieroso, ma non era difficile capire che, fonte dei suoi pensieri, era il prossimo pezzo d’oro. Io ero alquanto sicuro su quale potesse essere e come con il sestante di Colombo, le mie conoscenze si rivelarono fondate.
Uomini dell’impresa: io, Jack, Sputafuoco Bill, Pintel e Ragetti; luogo dell’impresa: un vecchio rudere alle pendici della scogliera.
- Le situazioni troppo tranquille non mi piacciono – grugnì Pintel – chi ci va sempre di mezzo sono le persone come me e te, Ragetti -.
- Ma è un posto così pittoresco questo! – commentò l’altro, sorridendo guardandosi intorno – la leggenda dice che qui viveva una donna bellissima – mormorò sognante.
- Che attraeva gli uomini e li trasformava in maiale – lo stroncai – E’ mitologia- precisai poi lasciando i due omuncoli e Jack spiazzati.
- L’incantatrice dell’Odissea – apostrofò Bill.
- Se così si può definire – commentai io, avanzando.
Il rudere era di medie dimensioni, ricco di legni spezzati, rocce di svariate dimensioni a terra, stoffe ormai lacerate da salsedine, sabbia e tempo. A terra un rivolo d’acqua percorreva la sala principale, immettendosi nel mare sottostante. L’ago della bussola girava all’impazzata, non sapevamo più dove guardare, anche perché avevamo rovistato tutti gli angoli di quella casupola, senza trovare la minima traccia del bracciale.
- Capitan Sparrow, guardate! – attirò la sua attenzione Ragetti, indicando un punto in cui l’acqua si faceva più profonda e luccicante.
- Bene occhio di legno, ci siamo – esultò Jack notando stabilizzarsi l’ago della bussola, ma non appena immerse il braccio, venne risucchiato di sotto. Ragetti e Pintel tirarono un urlo, Sputafuoco e io mettemmo mano alle armi.
Jack risbucò avvolto dal tentacolo gigante fuori dal rudere, appena al largo; si stava dimenando, sia per liberarsi, sia per riuscire ad afferrare il ninnolo dorato che la bestiolina aveva con sé.
- Un aiuto mi farebbe comodo, sapete! – urlò a gran voce. Bill prese la mira, puntò e tirò, colpendo di netto con il proiettile il tentacolo, che mollò la presa di Jack, attaccandoci.
- L’hai fatto arrabbiare – ghignai io.
- Solo un pochino – ridacchiò in risposta. Tenemmo occupata la bestiolina il tanto che bastava a Jack per riprendere il bracciale; una volta che lo ebbe recuperato io e Bill sparammo all’unisono, due colpi secchi, in direzione della testa del mostro. Non so se lo colpimmo, ma ci aprimmo la fuga.
- Direi di mettere distanza tra noi e questo tratto di mare – convenni e, anche se non era proprio un ordine, la cosa fu ben accetta.

Chio e Cipro furono le nostre ultime tappe, non entusiasmanti come le altre, ma pur sempre significative.
Nell’isola delle Cicladi, Jack volle avanzare tutto da solo, finendo vittima dell’incanto di una ninfa; quando si risvegliò sul ponte della Perla, sembrava più ubriaco del solito.
- Dov’è finita quella meraviglia? – chiese agitando le mani.
- Svanita Jack – ghignai mostrandogli il medaglione, lui lo afferrò, ma fece una smorfia.
- Te la sei spassata al posto mio, eh! – mi additò, alzandosi troppo velocemente che a momenti rifinì a terra.
- Cosa ti fa pensare che l’abbia fatto? – portai una mano al petto, fingendomi contrito.
- Il tuo ghigno -
Scossi il capo, agitando una mano all’aria – abbiamo il medaglione, è questo l’importante -.
- Non eri tu, quello che non credeva a certe storielle? – mi punzecchiò.
- Io credo solo a quello che vedo, Jack e, se tasto con mano, è ancora meglio -.

A Cipro ce la sbrigammo in poche ore, era giorno di mercato e fortuna volle che le bancarelle, agli angoli più nascosti, ospitassero qualche rigattiere. L’ago magnetico puntò su uno di questi carretti e Jack sfoggiò la sua abile parlantina, cercando di confondere, più che di convincere, l’uomo a cederci la coppa. Alla fine, l’anello, che Sparrow aveva preso insieme a quello di Morgan, fu il prezzo che pagammo per avere l’ultimo pezzo del tesoro delle tenebre.  

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Capitolo 12
*** Lo scontro decisivo e rotta per Tortuga ***


 Salve gente, credo che questo sarà l'ultimo frammento che posterò prima di partire, sabato partirò per il mare e fino al 18Agosto sarò in balia delle onde, senza pc e quindi dovrete attendere il mio ritorno con l'ultimo frammento. Questo lo ammetto non è un granchè, forse perchè lo scritto di fretta, forse boh! Spero comunque che a voi piaccia. L'unica cosa presa dalla biografia di Hector è il fatto dello scontro con l'armata delle tenebre, tutto il resto, come sempre, è farina del mio sacco. Che dire ancora, buona lettura e buone vacanze :D

12. “Lo scontro decisivo e rotta per Tortuga”

 

Fu quando riunimmo tutti gli oggetti insieme che questi parvero prendere vita e dovetti riconoscere, che le parole di quella stregonessa voodoo nascondevano la verità. Erano avvolti da una luce verde, fioca, come se fosse nebbia e volteggiavano appena in aria: piccoli oggetti fluttuanti in balia di chissà quale magia.

Ora che li avevamo tra le mani le domande erano svariate: che farcene? Come utilizzarli? Come sbarazzarcene? Tia Dalma ci aveva solo raccomandato di raccoglierli, su quest’ultimo punto, era stata ben muta.

- Torniamo a Shipwrecked Cove, lei saprà cosa dirci – commentò, quasi nel panico, Jack.
- Le navi nobili sono al nostro seguito, Jack. E’ inutile tornare là – gli feci notare – credo piuttosto che, l’unico modo per liberarci di questi ninnoli, sia sconfiggere l’armata delle tenebre -.
- Era la seconda opzione che mi frullava per la testa – alzò l’indice, puntualizzando – dovremo attenderli, dunque. Ora che siamo tornati ai Caraibi, io non muovo la prua da qui – precisò, puntando i piedi a terra, come fosse un bambino.
Alzai gli occhi al cielo con un sospiro, ma nel farlo il mio sguardo si posò sulla vetrata alle spalle di Jack, andando oltre, avendo scorto un punto all’orizzonte.
- Sono già qui – gli feci notare, correndo fuori dalla cabina del capitano, svelto. – Muovetevi insulsi scarafaggi! Ai posti di combattimento, preparate i cannoni – ringhiai, mentre fischi sordi vibravano nell’aria: era iniziato l’attacco. Jack corse ciondolante al timone, prendendo il comando e lasciandomi libero di dettare ordini, guidando gli uomini in battaglia: un bel divertimento!

La battaglia fu ardua. Le navi dell’armata avanzavano verso di noi, avvolte dal fumo, da una banchina di nuvole nere come la pece; la paura si diffuse tra gli uomini: una nave contro venti non avrebbe avuto molta possibilità.
- E’ una pazzia! – esclamò Twigg, alzandosi dalla sua postazione e venendomi incontro – con questa impresa, ci condurrete tutti a morte certa -.
- L’inferno attende ognuno di noi, mastro Twigg – risposi a gran voce, ghignando, in modo da essere udito da tutti – se oggi sarà il vostro momento, vedete di andargli incontro con onore, piuttosto che piangervi addosso come una donnicciola. La stessa cosa vale per voialtri, oziosi topi di sentina. Pronti con i cannoni! L’inferno può attendere! – ridacchiai, più le situazioni si facevano pericolose, più mi allettavano: masochista? Forse. Sadico? Di certo.
Jack fece rollare il timone, virando a babordo, preparando la bordata, aveva uno strano sorriso dipinto sul volto, seguii dunque il suo sguardo e sghignazzai: stavano arrivando i rinforzi.
La Perla guidava l’attacco, dietro di essa, il Barnacle, l’Amazon e l’Old Roger, erano pronte ad intervenire. Attacchi incrociati, abbordaggi, corpo a corpo, per uno scontro che sembrava senza fine.
- Jackie! – urlò a gran voce Teague, affiancandosi con la sua nave alla Perla. – Raccogliete i pezzi d’oro e bruciateli. E’ l’unico modo per porre fine a questo scempio -.
Il custode del codice, dopotutto, aveva ragione, quella battaglia stava diventando una vera e propria carneficina: navi affondate, corpi inermi sul ponte, cadaveri galleggianti in mare.
- Hector, armati di una fiaccola e vieni con me, presto! – esclamò Jack, finendo il suo avversario, correndo saltellante per evitare dei proiettili che, un tiratore scelto, gli stava sparando addosso. Caricai la mia pistola e feci fuori il cecchino – Sono un po’ occupato al momento, Jack – ero infatti alle prese con due energumeni alti il doppio di me.
- Hector, non abbiamo molto tempo! – protestò Sparrow.
- Scusate signori, il mio capitano fa i capricci, i miei ossequi – feci un piccolo inchino e questi, approfittando della mia posizione, cercarono di colpirmi, ma fui più svelto di loro: afferrai un’altra spada a terra e li infilzai entrambi, all’altezza del costato, facendoli cadere a terra con un tonfo sordo.
Ripresi la mia spada e accesi la fiaccola richiesta da jack, raggiungendolo nel frapponte, dove aveva raccolto i ninnoli d’oro in una ciotola di legno.
- Ce ne hai messo di tempo! – mi accolse ciondolando fuori.
- Oh! Scusa se avevo una questione da sbrigare, in bilico tra la vita e la morte, eh! – ribattei io, porgendogli la fiaccola – a te l’onore, Sparrow -
- E’ capitan … - fece per correggermi, ma lo precedetti.
- Jack Sparrow, lo so, ti conosco – sospirai appena – vuoi bruciare gli oggetti o no? –

Fu come se il tempo si fosse fermato, la luce verde offuscata si dipinse di giallo acceso, un abbaglio e la normalità tornò. Dell’armata delle tenebre non vi era più neanche l’ombra, così come dei ninnoli d’oro, svaniti nel nulla, lasciando nell’aria un odore acre di legna bruciata mista ad incenso dei più svariati aromi.
Si contarono le vittime, erano decine; si contarono i danni subiti, svariati.
Teague ci affiancò con il Barnacle e salì a bordo della Perla, mi posò una mano sulla spalla e porse a suo figlio un pendente con delle perline colorate, che altro non erano, che semi di un frutto lavorati a mano.
- Don Rafael voleva che prendessi il suo posto nella fratellanza, come pirata nobile dei Caraibi – annunciò cupo, mentre il figlio prendeva il piccolo pendente e se lo rigirava tra le mani.
- Pregheremo per l’anima del buon Rafael allora, ma non crogioliamoci troppo nel dolore, occorre festeggiare il nostro successo anche per coloro che hanno perso la vita per aiutarci ad ottenerlo – esclamò sorridendo, serio.

Dovevo molto a Rafael, la sua perdita mi toccò, ma chiudersi nel dolore non ne valeva la pena e non era da me; ogni giorno il mare accoglie e reclama nelle sue profondità corpi inerti, cadaveri di compagni di viaggio, amici, conoscenti, è una sorte che tocca a tutti, prima o poi.

Quella sera la passammo su una delle spiaggette dell’isola dei relitti, essendo Tortuga troppo distante; appiccammo un fuoco e attorno ad esso, come voleva Jack, ci accomodammo per festeggiare. L’odore dell’alcool si univa così a quello del fumo, creando un forte miscuglio in grado di solleticarti le viscere.

E così, tra musica, rum, cibarie varie, la serata passò come era venuta, portata via dai primi bagliori del giorno.
Avevamo portato a termine la nostra missione; sa io che Jack avevamo acquistato n posto nella fratellanza, avevamo in qualche modo arricchito la nostra fama, la nostra vita, ma a parer mio le nostre tasche chiedevano di meglio e Tortuga era l’unico porto in cui potevamo rifocillarci anima, corpo e fare tesoro di “nobili” occupazioni. 

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Capitolo 13
*** Destinazione ammutinamento e addio ai vecchi piaceri della vita ***


 
 

Ed eccomi tornata all'ovile dopo 12 giorni di mare, ben goduti, nei quali ho scritto parecchio. Come vi dicevo prima  di partire questo è l'ultimo capitolo dei frammenti e i fatti narrati sono sia frutto della mia fantasia come il modo in cui Hector trova la scimmietta, come convince Jack a lasciargli le carte e via dicendo e altri, la storia che comunque tutti sanno ( a due giorni dalla partenza il primo ufficiale gli rivela che va condiviso tutto equamente etc etc ...) Spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, ammetto che è stato parecchio difficile scriverlo, comunque non temete, non è proprio finita qui: tra pochi giorni ripartirà il continuo di questa storia, Hector non vi abbandonerà xD
Buona lettura e mi raccomando, recensite in molti ;)

 13. “Destinazione ammutinamento e addio ai vecchi piaceri della vita”
 

Il cielo era terso, plumbeo. Le nuvole nere come la pece, cariche di pioggia, accoglievano in grembo il sole morente del tramonto, imprigionandolo e rendendolo primo spettatore della tempesta imminente: con questo tempo arrivammo a Tortuga.
Un tempo tetro e spettrale, ottimo per prestare orecchio alle storie di taverna: chissà quali elementi avrebbero intrufolato, nelle varie vicende, quei vecchi pazzi!? Maledizioni, sovrannaturale, fantasmi: tutte storielle della buonanotte.
Ci incamminammo verso la Sposa Devota ed una volta giunti lì, in molti si dileguarono nelle viette adiacenti, già in dolce compagnia; molti altri entrarono sperando in ottimi trattamenti ad opera di mani fatate, con le membra annacquate da rum.
Io mi andai a sedere, con il solito seguito di uomini, al solito tavolo, non per questione di abitudine, ma per questione di somiglianza: il tavolo stava, infatti, ad uno degli angoli in penombra della locanda, oscuro come la mia anima, misterioso come il mio io.
Presi, senza troppe cerimonie, un boccale da un vassoio di una cameriera, rubandole qualche bacio con fare ammiccante, ignorando il gruppo che stava con me, che nel frattempo giocava a dadi, mentre Jack, dall’altro lato del tavolo, si intratteneva con una donna prosperosa, che era il doppio di lui.

- Credimi amico, è un luogo maledetto, introvabile per chiunque non sappia dove sia. Il solo nome fa tremare le viscere; la sola forma incute terrore – una voce sommessa, nonostante la sbronza, iniziava la prima storiella della buonanotte della serata.
- Come ne sei venuto a conoscenza? – chiese il suo interlocutore, curioso. I due stavano a tre tavoli di distanza da noi, era impossibile non prestare attenzione; di certo non mi interessavano gli spettri e le dicerie che giravano attorno a quel luogo, ma se dietro a tali parole ci fosse stato un tesoro, avremmo potuto ripartire da lì. Osservai Jack che, nonostante fosse preso dal piacere dei gesti della donna, aveva fatto orecchie da mercante.
- Ho vinto la mappa, giocando a dadi, ad un tale di Cuba. Voleva sbarazzarsene – bevve un lungo sorso e schioccò le labbra – ora capisco il motivo -.
- E’ così terrificante? – chiese l’altro senza capire.
- E’ un luogo maledetto! – sbottò a gran voce l’uomo. – L’oro trabocca da ogni lato della grotta, a quantità che potrebbero sistemarti per l’intera vita, ma il forziere al centro di essa racchiude una maledizione: una maledizione scagliata dagli dei aztechi su quell’oro per placare, non solo la carneficina che Cortes stava compiendo, ma anche la sua avidità -.
- E tutto questo come ti è giunto all’orecchio? -
- Il cubano mi aveva raccontato la storia, ma ho visto i frutti, di tale orrore, con i miei occhi. Due dei miei uomini sottrassero dei dobloni da quel forziere, ma quando la luce della luna attraversò la grotta, attraverso qualche spiraglio, li mostrò come erano in realtà: scheletri, perduti.. Il panico si diffuse e Dio solo sa che fine abbiano fatto -.
Alzai un sopracciglio, annacquandomi l’ugola con un buon sorso di rum, quel tesoro faceva proprio al caso nostro, nonostante le dicerie di quel vecchio pazzo. Jack sembrava pensarla al mio stesso modo, visto che sgusciò via dalle effusioni della donna, fino a spingersi, quatto quatto, vicino a quel tavolo, proprio dietro la sedia del vecchio. Un’ottima mossa se non fosse che, il giovane interlocutore, poteva scorgere il braccio di Sparrow ravanare nella sacca del vecchio. Roteai gli occhi, mi alzai e mi avvicinai al tavolo dei due, poggiano una mano sulla spalla dell’anziano: che cosa non si fa per un tesoro!
- Signori miei, perdonate questa mia irruzione al vostro tavolo, ma dalla mia postazione – gli indicai dove stavo seduto – non ho potuto fare a meno di ascoltare il vostro racconto – recitai con fare sorpreso, osservando di sottecchi Jack, dietro di me, infilare la mano nella sacca del tale e iniziare la ricerca.
- Non è un racconto, è pura verità – sputacchiò il vecchio.
- Oh! Non volevo certo mettere in dubbio le parole di un vecchio lupo di mare come voi – lo adulai. Verità, certo come no! Stupide superstizioni. – Il solo nome fa tremare le viscere – lo citai – mi incuriosivano queste parole: qual è questo nome così terrificante?-
- Isla de Muerta – mi rivelò il vecchio, iniziando a tremare – stai lontano da quel posto maledetto, ragazzo – mi raccomandò.
- Non vedo come potrei arrivarci senza le carte appropriate – gli feci notare tranquillo, quasi a rassicurarlo: che bravo attore che sono!
Jack, intanto, era venuto a contatto con i fogli di pergamena anticati, gli diede una rapida occhiata e così arrotolati, li mise nella tasca interna del suo gilet, tirandomi appena la giacca, per avvisarmi che aveva finito. Il vecchio mi sorrise, io contraccambiai tirato – alla vostra, allora! – sgraffignai l’ennesimo boccale da un vassoio di una cameriera, lo alzai e mi bagnai le labbra, prima di voltarmi e tornare al mio tavolo, dove Jack si era appena accomodato con un sorrisetto furbo, dipinto sul volto.
- No! Non ringraziarmi – commentai sarcastico.

Solo io e Jack eravamo a conoscenza della mappa sgraffignata; mi aspettavo che, come capitano rispettabile, mettesse al corrente la ciurma della nuova destinazione, dell’oro che ci aspettava, ma nulla di tutto ciò si verificò.
Partimmo alle prime luci del mattino, Jack portò la Perla al largo, poi mi cedette il timone e si rinchiuse in cabina, con l’ordine di mantenere la rotta che aveva impostato. Partire senza comunicare la rotta, attorniati dal mistero, per qual motivo poi? Un semplice capriccio del capitano? Notai, dal cassero di poppa, la ciurma mormorare, un gran brutto segno, ma non avevano torto. D’un tratto un bagliore mi accecò la mente, eccola l amia grande opportunità. E’ vero, non conoscevo la rotta, ma sapevo quanto ci aspettava a destinazione e quello era il momento adatto per riprendere i panni di ciò che ero in realtà: capitano di una meraviglia de sette mari, padrone di una dama dell’oscurità.
Così, quando in molti mi chiesero quanto sapessi a riguardo della destinazione, la mia risposta fu una e una sola – Capitan Sparrow sta giocando a fare il misterioso, fatto alquanto irritante per i miei gusti, visto il ben di Dio che ci aspetta a destinazione. – ghignai, mettendo la pulce nell’orecchio a quel branco di bagordi che, dal canto loro, iniziarono ad emettere gridolini di approvazione – Zitti, branco di donnicciole! Domani avremo quello che ci spetta, fino ad allora … Tornate a sgobbare! –

Sono sempre stato, a mio modo, un uomo di parola, un ottimo attore; persuadere la gente era il mio forte e avrei giocato quella carta anche con Sparrow. La prima volta Jack sviò la conversazione, dicendomi che dovevamo soltanto aver fiducia in lui; la seconda volta, mi concesse udienza.
- Capitan Sparrow – sorrisi bonario, accomodandomi, svaccato, su una sedia di fronte al tavolo – vedo che procedete gli studi -
- Oh! Al diavolo Hector, vieni al dunque -.
- Speravo di non toccare di nuovo questo tasto, ma, visto che insisti, te lo dirò – Jack alzò un sopracciglio, agitando le mani come segno di procedere. – Proprio non capisci, eh! Bisogna condividere tutto equamente, dalla rotta al luogo del tesoro, senza fare il misterioso. Jack, la ciurma parla, vocifera e sono appena due giorni che siamo partiti. Quei senza Dio vogliono fatti e non sorprese… E tu non vuoi ritrovarti su un guscio di noce per mare, vero? – dettai le cose come stavano, notando un fremito di timore negli occhi di Jack. Ghignai mentalmente.
- Non credo di essere pronto per tale viaggetto – ammise lui con un sorriso tirato.
- Non ne avevo dubbi – sorrisi ampliamente, allargando le braccia, sedendomi comodo, per posarle poi sul tavolo. –Quindi, perché non dare ascolto al tuo buon vecchio amico qui presente?! – tsè, amico, parola grossa! – Mi sembra di avere più esperienza di te e non perché ti sono superiore, anzi, giusto perché sono in mare da più tempo – cercai di adularlo come meglio potevo, osservandolo negli occhi: stavo parlando seriamente dopotutto!
Jack si grattò il pizzetto, pensoso – non hai tutti i torti, Hector - convenne – la via della condivisione placherà gli animi e l’idea di lasciarmi su un guscio di noce svanirà – esclamò sicuro poi, contento lui!
Accennai un sorriso, alzandomi in piedi – Un’ultima cosa, Jack. Non è che … in qualità di primo ufficiale e timoniere, potrei studiarmele quelle? – gli indicai le carte aperte sul tavolo – sai com’è… Per sapere guidare meglio la nave -.
- Ovvio, amico mio – le arrotolò e me le porse. – Avvisa gli altri che stasera festeggeremo la nostra prossima destinazione -
- Sarà fatto … capitano – ghignai tra me e me ed uscii: quella sera si sarebbe festeggiato si, ma la venuta di un nuovo superiore.

E fu così che il capitan Sparrow rimase solo. Quella notte non un solo uomo si schierò dalla sua parte; nessuno prese le sue difese; lo condannarono tutti. Ricordo bene l’espressione di stupore, misto a tristezza, sul suo volto quando vide che, fui io, l’artefice di tutto quello: la mano fidata, che degrada il superiore, con una pugnalata in pieno petto.
Per Sparrow fu così: togliergli la Perla, significava togliergli la vita, ma a quella nave occorreva un comandante, un uomo dalla sua stessa eleganza e quel tale, non era certo Jack Sparrow.
- Credimi, Jack, dovresti ringraziarmi. Se non avessi preso io le redini della situazione, ora il tuo corpo starebbe fluttuando verso le profondità marine – ghignai, mentre mi mangiavo una mela e lo guardavo attraverso le sbarre della gattabuia, in cui lo avevamo sbattuto.
- Non hai architettato tutto tu, dunque? – chiese senza il minimo entusiasmo.
- Ho seguito la corrente – feci spallucce – quei senza Dio avevano bisogno d un leader, di un capitano migliore di colui che ha preferito tenersi tutto per sé – gli rinfacciai quel piccolo, ma significativo, particolare – certo è un peccato che la tua carriera da capitano finisca così – continuai – quindi abbiamo pensato di farti dono del titolo di governatore di un piccolo sputo di terra -.
Jack alzò un sopracciglio, non capendo dove volessi andare a parare, mentre passi pesanti, nel frattempo, scendevano le scalette.
- Capitano, ci siamo – mi avvisò Bo’sun, un energumeno di colore, sghignazzando.
- Molto bene – mi sfregai le mani – prendete il prigioniero e portatelo sopracoperta. E’ tempo che faccia conoscenza con la sua regia dimora – commentai sarcastico, precedendoli sul ponte.

Nessuno si degnò di accompagnarlo o altro, ma, in queste situazioni, al capitano spetta l’atto di clemenza e, visto  il mio essere magnanimo e misericordioso, gli concessi la sua pistola con un solo colpo in canna – non sia mai si fosse sparato causa caldo, fame o altro! – gettandola tra i flutti dell’oceano e invitandolo, in punta di spada, a fare un bel viaggetto sull’asse.
- Qui le nostre strade si dividono Jack, buona permanenza – sghignazzai seguito a ruota della ciurma, finché di Sparrow non rimase solo il ricordo di una figura ciondolante, che si gettava tra le profondità marine.

Ecco come si presentava a noi Isla de Muerta. Un’isola completamente rocciosa, senza ombra di vegetazione, il cui nome rispecchiava la sua forma: quella di un enorme teschio. Un’isola nascosta da una foschia innaturale; oscurata da pareti di roccia appuntita, come pugnali, che l’accoglievano in un ampio abbraccio – la stretta della morte – e circondata da relitti sovrastati dai flutti oceanici. La sola vista di quel luogo faceva tremare l’animo anche al peggiore dei pirati – me stesso, modestamente – ma ricacciai indietro quel brivido momentaneo e dettai ordini.
Calammo in mare diverse scialuppe, io mi sistemai su quella di testa, a prua, ritto e fiero, mentre tutti vogavano svelti, ansiosi di mettere le mani su un tesoro degno di un re – se le voci riguardo alla sua ampiezza, dettavano verità -.
Ci addentrammo nel ventre dell’isola, avvolti dall’oscurità, se non fosse stato per le fiaccole che avevamo con noi. Più procedevamo verso l’interno, più il fondo si faceva vicino, mostrandoci le meraviglie dormienti sotto l’acqua: oro, gioielli, altrui proprietà di valore inestimabile, si moltiplicavano a vista d’occhio, man mano che ci si avvicinava al centro della grotta. Non seppi dire cosa brillasse di più, se i nostri occhi o il tesoro, ma lo stupore si smorzò quando udimmo, una volta approdati su una piccola spiaggia, un verso alquanto stridulo, una sorta di eco.
In molti sgranarono gli occhi; molti altri rabbrividirono; io proseguii diritto, con la spada sguainata, passando in mezzo a montagnette d’oro , incuriosito dal forziere di pietra al centro della grotta e dal verso sommesso, che proveniva da lì. Proseguii da solo, la ciurma era, ormai, irrecuperabile alla vista di tutto quel ben di Dio, infatti, quel branco di bagordi aveva iniziato a sguazzarci dentro; raggiunsi il forziere e vi posai l’orecchio, in ascolto: il verso era sempre più stridulo, ma profondo, lì dentro c’era qualcuno, o meglio, qualcosa!
Lo scoperchiai con forza e mi sporsi appena, pronto ad intervenire in punta di spada, qualora ce ne fosse stato bisogno, ma due occhioni neri, da cucciolo, riuscirono a scalfirmi l’animo: davanti a me avevo un piccolo esemplare di scimmia cappuccina. Abbassai l’arma e la rinfoderai piano, non volevo spaventarla, dopodiché cercai nella tasca della giacca qualche nocciolina e, una volta trovata, gliela porsi, accovacciandomi davanti al forziere.
L’animaletto guardò prima me, poi la nocciolina, titubante; l’annusò e la prese sgranocchiandola appena, prima di saltellare sul posto e arrampicarsi sulla mia spalla sinistra.
- Felice che sia stato di tuo gradimento – convenni sorridendo, facendole un grattino sopra la testolina. Era curioso come quel piccolo animale, che non avevo mai visto prima di allora, mi solleticò così tanto l’animo fino a rendermi più umano.

- Capitano! Siamo ricchi, siamo ricchi! – esultarono Pintel e Ragetti raggiungendomi su quella montagnetta  e furono quelle parole a distrarmi, rimettendo a fuoco il vero obbiettivo per cui mi trovavo lì. Ghignai, mi chinai sul forziere e presi una manciata di quegli strani dobloni con incastonato, al centro, un teschio, ed esultante, li lanciai in aria riafferrandone poi uno e rigirandomelo tra le mani.
- Avanti branco di bagordi, riempitevi le tasche di questo ben di Dio e preparatevi a sperperarlo in cibo, rum e piacevoli compagnie!!! Facciamo vela per Tortuga! –
E quello fu l’inizio della fine.

Tornammo a Tortuga come se avessimo conquistato una delle meraviglie del mondo: sfacciati, fieri, superiori a tutto e a tutti. Avevamo le tasche pieni di quell’oro antico e ci vantavamo, inventando le storie più impossibili riguardo al suo recupero, mentre godevamo di piacevoli compagnie e ci rifocillavamo le membra con leccornie prelibate e rum di ottima qualità.
Era una vita di piaceri, quella che ogni uomo brama e si gode, soprattutto, dopo essere diventato ricco, ma qualcosa sembrava non funzionare.
Più ne buttavamo via, più sperperavamo e scialacquavamo in quegli indomiti piaceri e più il sapore, il godimento, le sensazioni, venivano meno. Il cibo era come se perdesse consistenza, sciapo, potevamo continuare ad ingurgitare chili e chili di roba, che il tutto si riduceva in niente. Il rum era diventato pari all’acqua, non esisteva più quel pizzicorio che ti solleticava le viscere.
In quella settimana che rimasimo nel porto piratesco più famoso dei Caraibi, perdemmo tutto: non solo i nostri cinque sensi, ma anche la nostra fama di abili amanti.
Io stesso, incredulo di non venire a tale lussuria, ci diedi dentro più volte, me ogni volta il risultato ottenuto era peggiore di quella precedente. Che diavolo ci stava succedendo? Possibile che quel vecchio pazzo avesse ragione? Nah! Erano solo dicerie quelle, delle banali storielle della buonanotte e noi eravamo, sicuramente, troppo presi dal tesoro, per farci coinvolgere da tutto il resto. Ma davanti a noi, purtroppo, non vi era che un futuro oscuro, bloccato, tremendo.
Attanagliati da fame e sete non riuscimmo più a placarle, diventando, di giorno in giorno, sempre più consumati, come se Dio ci avesse abbandonato completamente – non che, prima, ci avesse mai preso in considerazione! –
Avevamo preso un biglietto di sola andata per il girone peggiore dell’inferno; la luna ci mostrava per quello che eravamo in realtà: uomini maledetti, scheletri, né vivi, né morti.
La macabra scoperta avvenne, una notte di luna piena, al largo di Nassau: la ciurma stava festeggiando sul ponte, mentre io stavo al timone, quando le nuvole si dispersero e lasciarono posto al plenilunio. Ad un tratto fu come se mi sentissi più leggero, ma non colsi la brezza serale, la spuma dell’onda non mi solleticava la faccia; rollai il timone e il mio sguardo si fermò sulle mie mani: ossute, scheletriche. Sgranai gli occhi e mi tastai il petto: stessa identica cosa. Non avevo più nulla di umano, ero uno scheletro che camminava, un dannato e così, i miei compagni: eravamo i figli di una maledizione, di una delle tante storie di taverna che avevo sottovalutato.
  
 

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